Dynasty (it all fell down)

di phoebeinside
(/viewuser.php?uid=949618)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 朝 dynasty ***
Capitolo 3: *** 翛翛 blooming ***
Capitolo 4: *** 陰 hidden, secret ***
Capitolo 5: *** 爱不释手 “To love and not let go of.” ***
Capitolo 6: *** 险 danger, nearly ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Playlist:
https://www.youtube.com/playlist?list=PLP8TAQZK6DHUejyVubslEYAbjrQzmOawt

Video Trailer
https://www.youtube.com/watch?v=-WTKXeGmg8s

Note:

I termini coreani, reali e non, sono stati tradotti e trascritti secondo il sistema di traslitterazione McCune-Reischauer: 지민 (Jimin), 남준 (Namjoon) e via dicendo. Fatta eccezione per quelli ormai diffusi mondialmente, nonostante siano stati traslitterati in modo diverso: infatti non troverete scritto il nome 정국 come "Jeongguk", ma Jungkook, e 태형 come Taehyung, al posto di Taehyeong. Il simbolo _____ indica uno stacco temporale; quando non presente, si faccia sempre riferimento alla prima riga in grassetto del paragrafo, come se fosse una sorta di cronotopo. Ogni parte è stata scritta in terza persona, ma lungo la storia potrebbero verificarsi introspezioni principalmente riguardo due personaggi (non verrà comunque mai usata la prima persona). I luoghi descritti sono un insieme di realtà e immaginazione, i personaggi quasi completamente ispirati a persone vere (famose e non, dello stesso gruppo musicale e non), mentre la trama si può definire come secondo frutto acerbo di una mente contorta e malata.

Questa storia è nata grazie a tre meravigliose ragazze, due indimenticabili fanfiction americane e una canzone di Fleurie.

Raccolta: The person that you'd take a bullet for (is behind the trigger)

 

Buona lettura :)







 

Alle due persone che, nonostante tutto,
mi fanno fatto sempre credere nell'amore.
Al Cuore che si è adattato come una chiave,
risvegliando la mia passione per la scrittura.
E alle sorelle minori che non ho mai avuto
Arianna, Alessia e Elisa .

 

 

 





"Posso essere avvicinato, ma mai spinto;
amichevole ma mai costretto,
ucciso ma mai umiliato."

Ultima lettera ad un vecchio amico.
Yi Sun Sin, (1545-1598)







 

[19 Aprile 2017, 6:00 - Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

"Nome."

"Jeon Jungkook."

"Stato."

"Attivo."

"Rapporto sulle perdite."

" Due.

██████████████ ."

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 朝 dynasty ***


朝 - dynasty (or morning.)



 

[22 Dicembre 2016, 7:38 – Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

 

Neve.

 

  Le orme impresse nel soffice bianco del terreno, causate dai passi decisi e irrequieti del giovane, diretti verso il vecchio edificio, dovevano essere un errore. Lasciare tracce è un errore, nel suo lavoro.

L’inverno aveva già raggiunto il suo apice, freddo e tranquillità circondavano le strade, deserte a quell’ora della mattina. Il ragazzo si strinse nel cappotto, affondando le mani nelle tasche e il naso nella sciarpa, inalando il profumo che essa nascondeva. Orchidee, sembrò essere l’origine di quell’essenza, promemoria e vago ricordo di due occhi sorridenti e guance paffute, delle quali preferiva non parlare. Era la sua stagione, l’inverno. Non solo per il giorno del suo compleanno - festeggiamenti in famiglia e con amici gli apparivano solo come lontani miraggi. No, il freddo e l’atmosfera cupa che quel periodo regalava alla città di Incheon portavano in grembo sentimenti e bellezze ormai da lui dimenticate. Una tazza di cioccolata calda, un camino acceso, coperte pesanti. Una risata acuta. Il giovane scosse la testa, cacciando allo stesso tempo sia i capelli castani dal viso, sia i pensieri nelle profondità della sua mente. Continuò il suo veloce cammino finché non notò l’insegna rovinata del negozio verso cui era diretto: “문 도서관 - Biblioteca Moon”. Aprì la porta di legno, superandone la soglia e dicendo addio all’amata bassa temperatura, per essere accolto da 20 gradi di puro calore, dal profumo di libri usati e dal suono di un piccolo campanello.

 

“Benvenuto. Come posso esserle utile?”

Una ragazza sulla ventina lo squadrò dalla sua scrivania al centro della stanza, con interesse. Il ragazzo quasi sentì la mancanza della precedente responsabile, un’amorevole cinquantenne che ormai lo aveva preso in simpatia. Deve averla licenziata, pensò, avvicinandosi alla giovane senza togliersi la sciarpa e il cappotto, ancora con le mani nelle tasche. La biblioteca era una delle più antiche della città, l’edificio ricordava una casa di montagna: prevalentemente di legno e decorato con colori scuri, era l’ideale per rifugiarsi in un luogo caldo e lasciarsi andare alla piacevole accoglienza che scaffali pieni di libri potevano regalare. Il giovane si definiva egli stesso un lettore appassionato, che amava perdersi ogni volta nel fascino di quell’atmosfera. Ma nonostante la modesta biblioteca risvegliasse il suo desiderio di confortarsi su un comodo divano leggendo un qualsiasi romanzo, la preoccupazione verso un determinato hyung affrettò l’eliminazione di quei pensieri dalla mente.

 

Incrociò lo sguardo della ragazza, lanciandole un’espressione seria e impassibile. Sembrava essere incerta sul da farsi, continuando a far oscillare la propria penna e mordendosi il labbro per quella che doveva essere l’ansia dei primi giorni di un nuovo lavoro. Percependo la pressione di quello sguardo, la giovane sbatté le palpebre più volte, prendendo coraggio.

“Signor—?”

 

“Taehyung. Kim Taehyung.”

 

“Oh.”

 

La ragazza sembrò riconoscere il nome al volo, spalancando gli occhi e farfugliando scuse. Cercò qualcosa in un cassetto, ricevendo come risposta solo un quieto silenzio. Controllò di aver preso l’oggetto giusto, analizzandolo velocemente e rischiando di farlo cadere. Nuove reclute, giudicò silenziosamente Taehyung, prima di dare attenzione al braccio teso davanti a sè. Prese quella che doveva essere una piccola chiave dalle mani indecise e tremolanti della giovane. “Grazie.”

 

Si diresse verso la stanza vicina, non accessibile al pubblico, aprendone la porta. Quella sala era molto più ampia e desolata; vi erano custoditi i manoscritti più antichi e in fase di restaurazione. Le grandi e piene librerie non mancavano, poste ai lati e accompagnate nel centro da teche impolverate. Taehyung raggiunse la fine della stanza, salendo le semplici scale e fissando lo sguardo su uno scaffale a lui ben noto. Regalava uno strano tipo di piacere e senso di quotidianità conoscere quel luogo come il palmo della sua stessa mano, dopo i lunghi anni trascorsi nei suoi meandri. Per un lettore interessato come lui, il dover condividere quello spazio con milioni di storie e carta consumata non era affatto un dispiacere. Come se al di là del muro non ci fossero altrettanti documenti e aneddoti di avventure.

 

Squadrò i libri davanti a sé, trovando ciò che stava cercando. Hong Kildongjŏn.

In realtà il manoscritto originale, che portava nelle sue pagine l’impegno e il sudore di colui che si pensava fosse l’autore, Hŏ Kyun, era contenuto in una scatola di ferro. In mezzo alle varie opere del periodo, il suo involucro appariva con un foro sul proprio dorso, facilmente giudicato da occhi comuni come un segno d’usura. Taehyung sospirò e avvicinò la piccola chiave, incastrandola nell’improbabile serratura e girandola lentamente, facendo scattare di colpo un meccanismo interno alla libreria, i cui spigoli di destra si spostarono leggermente in avanti, muovendo la polvere circostante. Avvicinando le proprie mani al lato in legno, spingendo verso di sè il grande ostacolo, il giovane la aprì come se fosse una semplice porta. I suoi occhi furono accolti da due aperture automatiche in ferro, nel luogo in cui doveva invece esserci la parete: queste si divisero e Taehyung entrò nel piccolo spazio, un ascensore.

 

Premette con nonchalance uno dei tanti pulsanti e l’ascensore sembrò muoversi. Aspettò, sentendo i primi fastidi della calda temperatura accompagnata dal suo abbigliamento troppo invernale; si arrese e iniziò a togliersi la sciarpa, sentendone subito la mancanza. Ma il sentimento fu breve. All’aprirsi delle porte in ferro, il confortevole silenzio della normalità venne invaso dalla rumorosa realtà. Dalla sua vera vita. Discorsi sotto voce, rumori di tasti premuti velocemente, persone frettolose che attraversavano la stanza sfrecciando di fronte a lui.

 

Casa dolce casa. Taehyung era consapevole che il luogo in cui dormiva e mangiava non era quello, esisteva un appartamento non lontano da lì, in un quartiere tranquillo, sempre a Incheon, in cui il giovane aveva trovato rifugio nei pochi giorni in cui non doveva essere altrove. Ma ciò che aveva davanti a sè era quello che più si avvicinava ad essere la sua famiglia: nonostante la quantità di persone presenti, forse una sessantina in tutto, il ragazzo aveva trovato conforto in quell’atmosfera professionale ma allo stesso tempo amichevole, ormai da anni. Dalla morte dei suoi genitori e dal giorno in cui un vecchio uomo gli fece visita durante il loro funerale. Ma quello era il passato e il ricordo di un’altra persona saggia e generosa invase di nuovo la sua mente.

 

Attraversò la hall e le scrivanie sparpagliate per la stanza, salutando con un cenno chi sembrava aver abbastanza tempo da distogliere lo sguardo dai propri impegni e riconoscerlo. Differentemente dalla biblioteca, lì quasi ogni cosa era in ferro, grigio e nero dominavano l’atmosfera, dai vestiti delle persone agli oggetti da loro portati; ma non mancavano le storie improbabili e le scartoffie da compilare. Taehyung si sentiva un’eccezione nello spazio cupo, illuminato solo dal neon delle lunghe lampadine appese al soffitto: cappotto beige scuro sbottonato e sciarpa bordeaux ormai slegata e in mano. Un tocco di colore in un oceano monocromatico.

 

Superando il flusso di gente indaffarata, il ragazzo scese delle scale poste in un angolo, attraversando un paio di corridoi e arrivando alla sua destinazione. Salutò con un sorriso Minyeong, segretaria e braccio destro di quello che si potrebbe chiamare il dirigente di quel luogo; era una giovane ragazza castana dal viso dolce e carattere deciso, vecchia amica (e forse molto più) del suo capo. Capo che Taehyung vide appena spalancò la porta del suo ufficio: con le braccia conserte e un’espressione seria: Seokjin, perso nei suoi pensieri, non era l’unico nella stanza.

 

Kim Seokjin era il responsabile dell’agenzia. La Moon Korean Intelligence era sì indipendente, ma molto conosciuta, forse uno dei migliori servizi segreti al mondo. Era nata sotto la guida di un vecchio uomo, a cui Taehyung doveva la propria vita, che aveva iniziato dal nulla, con poche reclute. Reclute ricercate, con talento, che addestrava per missioni segrete. Ma fu molto di più. Fu come un padre. Allevò con durezza e serietà, ma allo stesso tempo la sua lealtà fu un pregio che in molti non riuscirono a duplicare.

Finché non morì. E con lui morirono anche tutte le certezze. Il suo corpo non fu mai ritrovato. Lasciando ogni persona dell’agenzia senza parole e nella confusione più improvvisa. Da allora il loro vero capo era sconosciuto, era una voce modificata, che contattava strettamente solo Seokjin, il quale si limitava a eseguire i suoi ordini. Si vocifera che egli sia niente meno che il figlio del loro vecchio capo, forse tenuto nascosto durante tutti quegli anni. Ma nonostante le chiacchiere e le persone che abbandonarono l’agenzia alla sua morte, il vecchio uomo aveva lasciato un videomessaggio nel suo computer, nel quale incitava ognuno di loro, nel caso gli fosse successo qualcosa, a continuare il proprio lavoro e a fidarsi ciecamente di chi l’avrebbe sostituito. Lealtà e rispetto convinsero molti a restare, ma non eliminarono le incertezze.

 

Se essa poteva essere vista come una piccola repubblica, Seokjin ne sarebbe stato il primo ministro, colui che prendeva le decisioni e che metteva in primo piano la propria reputazione, sotto il comando di una persona ignota, un sorta di presidente. Era un capo comprensivo ma allo stesso tempo preciso; benché andasse d’accordo con tutti, quando si trattava di dover affrontare discorsi seri diventava un’altra persona. E fu così che l’agenzia continuò con il proprio dovere, forse perfino migliorandone le qualità, provocando invidia in altre famose società di servizi segreti. Riguardo ciò Taehyung non si esprimeva: tutti erano d’accordo nell’affermare come egli fosse una delle migliori spie, e non solo della compagnia, ma per il ragazzo si trattava di saper fare il proprio dovere. Semplicemente lo faceva senza errori.

Complimenti e pacche sulle spalle lo accoglievano al rientro da ogni sua missione, alzando la sua media autostima. Era conosciuto per essere uno dei pochi fuoriclasse, un 007 coi fiocchi, per le sue abilità di osservazione: il suo pregio infatti, oltre all’aspetto, era proprio la capacità di analizzare ogni situazione e trovarne sempre la soluzione. Il suo difetto, però, erano le emozioni. Non che compromettessero le missioni o altro, nessuno sembrava averglielo fatto notare, ma in passato il ragazzo si ritrovò a dover fare i conti con esse e a rischiare la propria vita, oltre quella di una seconda persona.

 

Ciò gli fece tornare alla mente che nonostante tutti lo ammirassero per le sue qualità, alla fine della giornata non era l’unico che meritasse stima. Molti suoi amici nel campo erano tra i migliori e Taehyung era secondo solo ad un altro determinato agente. A parere dei colleghi non vi era una vera e propria disputa o classifica, i due andavano di pari passo, ognuno con i propri pregi e difetti, ma il giovane sapeva che un piccolo ostacolo lo allontanava dall’essere il primo, il migliore, e quel dettaglio era qualcosa che l’altro agente invece priorizzava. L’insensibilità.

Nonostante ciò, ogni suo dovere, di qualsiasi tipo, il ragazzo lo portava a termine, con o senza quella qualità. Non aveva mai deluso Seokjin.

 

Il capo si trovava in piedi a fissare il tavolo, al quale erano sedute altre persone. Si accorse dello sguardo su di sè e rivolse un cenno a Taehyung, che si unì a loro e si sedette vicino a Bogum, amico e suo quartermaster. Tipo tranquillo e silenzioso, Bogum in realtà nascondeva un carattere solare ed estroverso; si conoscevano da molto tempo, li divideva una differenza di età di due anni ma entrambi scoprirono presto di riuscire ad andare d’accordo come fratelli. Quando Taehyung iniziò la sua carriera da spia, Bogum gli fu affidato come braccio destro: quartermaster era colui che guidava l’agente nelle missioni, concentrato davanti a diversi schermi e incaricato di informare la spia tramite un apparecchio posto nell’orecchio di essa. Era un ruolo fondamentale e ogni agente poteva fidarsi del proprio compagno. Molte volte Bogum salvò il giovane da situazioni complicate, finendo poi per essere ringraziato davanti a bottiglie di soju; ormai Taehyung lo considerava come un famigliare, come un fratello maggiore.

 

“Mi chiedo ancora come possa essere successo”

 

Un’altra voce nota, diretta verso Seokjin, attirò lo sguardo di Taehyung, che notò la presenza di Seoyoon e della sua quartermaster, Inyeong. Erano entrambe dello stesso anno, uno in più di lui, e il giovane ebbe l’opportunità di vederle in azione più di una volta. Mentre Song Seoyoon era un agente della Moon Korean Intelligence da anni, Taehyung poteva vantarsi di conoscere il passato di Park Inyeong. La ragazza fu reclutata per caso anni prima, ma i risultati del suo addestramento furono positivi e invidiabili. Una mattina, infatti, Inyeong si trovava a far colazione in un bar di Monaco, dove era andata a trascorrere una vacanza; la ragazza era ossessionata da tutto ciò che riguardava lo spionaggio, leggeva libri, studiava articoli, ricercava dettagli.

 

Successe che Seoyoon fu mandata in missione nella stessa città, a rintracciare un giro di spacciatori di droga che avevano rubato molto più che stupefacenti. L’agente si ritrovò a fingere un’improvvisa copertura  con una sconosciuta mentre il suo sospettato si guardava intorno sentendosi osservato e seguito. La sconosciuta si rivelò essere proprio Inyeong, che strappata al suo piacevole thè e pc pieno di ricerche, venne abbracciata improvvisamente dall’agente. Seoyoon la lasciò andare poco dopo, inseguendo lo spacciatore, e la ragazza rimase immobile e sconcertata per l’accaduto. La sera stessa Inyeong scoprì di condividere l’hotel con la strana giovane e iniziò a parlarle della sua passione per lo spionaggio. Una cosa tirò l’altra e dopo che Seoyoon fu seguita dalla ragazza durante la sua missione, facendo rischiare la vita ad entrambe, l’agente decise di portarla con sè alla base centrale, da Seokjin. Questo, dopo aver notato le ottime capacità informatiche e aver constatato le conoscenze in ogni ambito, offrì ad Inyeong un posto da quartermaster. Da allora le due erano inseparabili. Taehyung andava molto d’accordo con loro e invidiava quel legame: flirtare e scherzare, nel suo rapporto con Bogum, era inconcepibile. Ogni volta che le vedeva, però, il sorriso delle giovani contagiava anche il suo e dopo pochi mesi l’amicizia si instaurò velocemente.

 

“Lascia raramente il suo laboratorio e quando lo fa, manca solo per diverse ore.”

Il suono di quella frase attirò lo sguardo di Taehyung verso Jeon Jungkook, un giovane agente con cui condivideva diversi anni di allenamenti e prove. Il ragazzo era arrivato nell’agenzia poco prima della morte del vecchio capo, non aveva ancora fatto parte di una missione ma presto sarebbe stato il suo momento: era ben addestrato e nonostante l’età – aveva ventun anni, era il più giovane tra loro – possedeva forze e abilità di agenti con molti anni in più d’esperienza. Taehyung considerava lui e Namjoon i suoi migliori amici, se il termine migliore amico poteva davvero esistere nel loro campo. Jungkook stava proprio parlando del loro hyung, Kim Namjoon. Si occupava delle ricerche scientifiche e tecnologiche: aveva sempre qualche curiosa creazione da regalar loro, che fossero armi o microchip. Passava la maggior parte del suo tempo alternandosi tra ufficio e laboratorio, entrambi in quell’edificio, e da quel poco che sapevano, il giovane adulto era sparito da quasi due giorni. Il che era strano. E Seokjin, che lo conosceva bene, poteva confermarlo. Il capo dei sei presenti, visibilmente frustrato e sotto pressione per quelle frasi, alzò lo sguardo dal tavolo e liberò le braccia incrociate per poggiare le mani sulla sua superficie.

 

“Non abbiamo sue notizie da 36 ore. Gli è successo sicuramente qualcosa.”

Prima che potesse aggiungere altro, una voce sconosciuta a Taehyung prese la parola, confermando i dubbi di tutti. Il ragazzo che sembrava aver parlato era seduto all’altro capo del tavolo, con le braccia conserte e un’espressione seria diretta verso Seokjin. Quel viso sembrava familiare, ma Taehyung non lo conosceva. Doveva averlo già visto da qualche parte.

 

“Taemin-ah, non possiamo prendere decisioni affrettate.”

Taehyung registrò velocemente il nome della faccia sconosciuta e si unì al discorso dicendo la sua. Namjoon era una delle persone a lui più vicine e l’idea di stare immobile mentre l’amico poteva trovarsi in pericolo non gli andava giù.

“E’ Namjoon, hyung. Non possiamo star fermi e non far nulla.”

 

“Lo so bene anche io, Taehyung. Non sto dicendo di non intervenire. Ma dobbiamo prima indagare sull’accaduto.”

 

“Come pensi di procedere, quindi?” Dopo un momento di silenzio, Bogum prese la parola e questionò Seokjin, che sembrò aspettare proprio quella domanda. Taehyung poggiò la sciarpa sul tavolo e aprì ulteriormente il cappotto. La questione avrebbe richiesto più tempo del previsto, e per quanto odiasse non poter andare subito alla ricerca di Namjoon, doveva seguire gli ordini dei suoi superiori, mettersi comodo e ascoltare qualsiasi cosa il loro capo avesse da dire. La temperatura della stanza però continuava a infastidire il suo desiderio di freddo invernale, e aspettò quindi a levarsi del tutto il cappotto. Si raddrizzò sulla propria sedia e incrociò le braccia, pronto per sentire l’idea di Seokjin.

 

“Finché non avremo ulteriori informazioni, chiederò solo la partecipazione di quattro agenti. E’ per questo che vi ho chiamati quí. Due di voi andranno a controllare il suo appartamento, gli altri due l’ufficio e il laboratorio. Ho bisogno invece che i quartermaster analizzino ogni minima informazione in nostro possesso riguardo Namjoon, prima che sparisse. Carte di credito, spostamenti, persone con cui ha avuto contatti nell’ultimo mese. Tutto può essere utile.”

 

I sei condivisero il piano attraverso un muto consenso. Bogum e Inyeong iniziarono da subito a connettersi con i loro pc, seguiti a ruota da quello che doveva chiamarsi Taemin. Quartermaster quindi, pensò Taehyung. Doveva essere stato probabilmente affidato a Jungkook per la sua prima missione.

 

“Domande?” Seokjin si rivolse un’ultima volta a ogni viso davanti a sè, guardandoli con un’espressione decisa. Poteva fingere, rimanere lucido e concentrato sul da farsi, ma teneva a Namjoon tanto quanto loro.

 

Taehyung, nonostante la preoccupazione per l’amico, aveva sentito bene le parole del suo capo e qualcosa non gli tornava. Quattro agenti? Nella stanza, oltre ai quartermaster e Seokjin, erano solo in tre. E il suo dubbio venne confermato quando scoprì il ruolo di Taemin.

Lui, Seoyoon e Jungkook. Se la matematica non era un’opinione, mancava un agente alla lista. Possibile che fosse Seokjin e che li volesse accompagnare in quella missione? Non aveva mai preso parte a nessuna di esse per anni, nonostante avesse potuto, date le sue capacità.

“Hai parlato di quattro agenti, ma siamo solo in tre.”

 

“Oh. Giusto.” Seokjin sembrò ricordarsi di un dettaglio, di una persona, in realtà. Aprì la bocca per esprimere quello che sarebbe stato un rimprovero diretto all’agente non presente quando Taemin, impegnato a digitare sul suo pc e con lo sguardo fisso verso lo schermo, lo avvisò del ritardo.

 

“Sarà qui a momenti, hyung. Penso sia stato trattenuto da una questione.. Personale.” Il quartermaster sorrise maliziosamente prima di tornare impassibile e dare la piena attenzione al suo lavoro.

 

Taehyung percepì il tono di familiarità del ragazzo. Non era il braccio destro di Jungkook, ma del misterioso quarto agente. Guardò Seokjin, seccato per il comportamento di quello sconosciuto, ricevendo in cambio solo un’espressione distaccata e disinteressata. Jungkook e Seoyoon sembravano aver già formato squadra, confrontandosi l’uno con l’altra e definendo i dettagli della loro missione.

 

Taehyung sospirò infastidito, non sarebbe stato immobile ad aspettare il quarto agente, vi era in ballo l’incolumità del suo migliore amico. Si alzò dalla sedia di colpo e Bogum, altrettanto preso dal suo portatile, sorrise per l’impazienza del giovane.

 

Il ragazzo si avvicinò alla porta, seccato, rivolgendo a Seokjin un’ultima frase prima di uscire e portare a termine il proprio dovere da solo. “Non starò qui ad aspettare un idiota ritardatario mentre Namjoon—”

 

La porta davanti a lui si spalancò con forza e qualcosa in Taehyung bloccò le sue parole.

Non fu pronto a ciò che gli si presentò davanti.

 

Capelli neri come le piume di un corvo circondavano un viso a lui ben noto. Così noto da sapere come quelle ciocche fossero altrettanto morbide e profumate. L’essenza di uno shampoo che preferì non ricordare. Ma la sua memoria decise da sè e il corpo allenato, definito e abbracciato da vestiti scuri e attillati sembrò fargli tornare alla mente molto più del semplice profumo di orchidee. Taehyung fissò il giovane davanti a sè. Guance piene, occhi maledettamente affascinanti, portamento fiero. Anche se il ragazzo lo stava guardando a sua volta, inespressivo, sapeva che poteva vantarsi anche di un sorriso ampio e perfetto, di quelli capaci di illuminare una stanza.

 

Quel volto era la ragione per cui Taehyung era uno dei migliori e non il migliore.

Odiava quell’agente con la stessa intensità con cui gli aveva, un tempo, voluto bene.

 

Si concentrò sulla situazione allontanando i pensieri riguardanti i momenti lontani negli anni. Era lui il quarto? Doveva condividere la missione con quell’agente? Il ragazzo notò il disaccordo esplicito negli occhi di Taehyung, osservò qualcosa sul tavolo e gli sorrise.

 

«Dimentichi la sciarpa.»

L’espressione orgogliosa, la consapevolezza dell’effetto che gli provocava, l’aura di sicurezza ed egocentrismo. Il giovane gli si avvicinò con una scintilla di sfida negli occhi. Nonostante la differenza di altezza, sapeva come far notare la sua presenza.

 

Taehyung non smise di guardarlo con rancore, stringendo la sciarpa appena recuperata in un pugno per reprimere il desiderio di picchiarlo. Non era il tipo da cogliere l’attimo e seguire istinti di rabbia, la sua abilità principale era osservare e analizzare, infine agire. Ma la persona davanti a lui lo stava provocando a modo suo, abbassando lo sguardo sulla sua sciarpa e tornando fastidiosamente a sorridergli, sempre immobile e silenzioso; se esisteva  qualcosa che Taehyung odiava più dell’agente davanti a sè, quella era proprio l’arroganza. Arroganza che in quel caso nascondeva coscientemente molto altro.

 

Non ci sarebbe stato verso. Taehyung non avrebbe accettato di lavorare assieme a lui per niente al mondo. Il suo partner era un manipolatore, egocentrico e orgoglioso. Era il tipo di persona al corrente della propria bellezza e delle proprie capacità al punto tale da vantarsene apertamente e sentirsi superiore rispetto agli altri. Era molto più di questo, erano rimasti in lui dei lati positivi e pregi nascosti, reduci di un carattere completamente innocente, ma Taehyung non poteva lasciarsi intrappolare da essi. Di nuovo.

 

Era diverso, mutato negli anni. Era uno sconosciuto ai suoi occhi. Era un ricordo sfocato e doloroso. Era fuoco e calore e Taehyung amava l‘inverno. Era—

 

“Park Jimin. Finalmente.”

 

 

 

 

 

[22 Dicembre 2016, 10:20 – Yonghyeon-dong, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud]

 

  Finalmente il freddo dell’inverno.

Taehyung lo accolse con soddisfazione mentre percorse in moto la strada verso l’appartamento di Namjoon. Il vento, la velocità e il piacere della guida erano gli unici lati positivi della giornata. Cercò di non lasciar sviare i propri pensieri sulla spiacevole sorpresa di poco prima e sulle previsioni di una collaborazione difficile con l’agente a cui era stato assegnato. Guardò le strade poco trafficate riflettere il grigio scuro di quella tarda mattina. Incheon non era mai stata una città allegra d’inverno, non come lo poteva essere la famosa capitale, e Taehyung apprezzava proprio quello. Discrezione e tranquillità.

 

Individuò l’edificio in cui abitava Namjoon, un triste condominio di innumerevoli piani, nel quale l’appartamento dell’amico non spiccava per accoglienza e felicità di arredamento. Se Taehyung ricordava bene, per le poche visite, l’abitazione del giovane uomo sarebbe stata una delle poche al piano terra, nascosta ma allo stesso tempo ovvia a occhi indiscreti. “Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista”, gli aveva consigliato l’amico, una delle rare volte in cui lo aveva incontrato nel suo appartamento.

 

Taehyung scese dalla moto e la lasciò vicino al marciapiede; entrò nell’edificio, ricordandone ogni angolo e seguendo la propria memoria. Discreto e tranquillo, appunto. Come la città in cui vivevano e come sembrava essere ogni cosa a cui il giovane teneva.

 

Dopo un lungo corridoio, Taehyung venne a scontrarsi con una visione tutt’altro che riservata e riguardosa: un agente a lui ben noto era poggiato sulla porta dell’appartamento di Namjoon, con le braccia conserte, gamba piegata e un’espressione annoiata. Il volto che sperava di non dover più incontrare lo accolse con un sorriso ironico e si spostò dalla sua posizione.

 

“Meglio tardi che mai.”

Jimin fece il suo commento fastidioso senza aspettarsi una risposta, piegandosi e iniziando prontamente a lavorare sulla serratura elettronica della porta. Non si sorprese di averlo visto in quel posto prima del suo arrivo, Taehyung non sapeva come ma era certo che ogni volta, in ogni occasione, Jimin sarebbe stato sempre un passo più avanti di lui. Come se il passato e il carattere arrogante del giovane non fossero già ostacoli alla sua pazienza. Dopo pochi secondi scattò un ingranaggio e l’agente sorrise soddisfatto, le note che erano solite risuonare all’apertura o alla chiusura della porta indicarono la professionalità del lavoro di Jimin, che lasciò entrare il ragazzo nell’appartamento per primo.

 

 

Gli occhi dei due vennero a contatto con stanze buie e pareti scure. Eccetto per una sola camera, che sembrava essere quella da letto: i muri della quale erano tappezzati da migliaia di fogli e carte, mappe e post-it, stampe con immagini troppo scientifiche per la loro conoscenza in materia, fili rossi che collegavano vari appunti e spilli pressati contro determinate zone di una carta geografica rappresentante la Corea del Sud. Namjoon doveva aver lavorato a qualcosa per conto proprio. Si avvicinarono per analizzare ogni oggetto presente su quella parete, immaginando si trattasse di ricerche biotecnologiche e di collegamenti tra persone politicamente importanti, i retroscena delle quali non ispiravano fiducia.

 

“Inquietante.”

 

“Se solo avessi metà dell’intelligenza e delle conoscenze di Namjoon, capiresti di cosa si tratta. Ma per te è più facile giudicare l’apparenza, no?”

Non perdonandogli di aver offeso un amico, Taehyung finalmente aprì bocca e fu ovvio come le prime parole in serbo per l’agente fossero scortesi e accusatorie. Rimase concentrato verso il muro e i documenti davanti a sé, regalando al ragazzo solo silenzio e rancore.

 

“Ehi, tranquillo. Nessuno sta offendendo nessuno.”

Riprendendosi dalla critica, Jimin alzò le mani in segno di resa, analizzando il comportamento e il volto dell’agente, che perse subito interesse nella conversazione.

 

Taehyung notò la strana combinazione delle zone che il filo rosso collegava tra la mappa e le immagini. Non avevano alcun senso. Se le foto dei diversi uomini potevano significare qualcosa, le spille puntate sulla cartina indicavano molte volte un punto del mare, dove non vi erano né isole né possibili luoghi sotterranei. Solo profondità e acqua.

Si allontanò dalla sua posizione, voltandosi e dirigendosi verso la parete opposta, in silenzio e sovrappensiero; una possibile soluzione stava vagando nella mente di Taehyung, dopo tutte quelle osservazioni e dubbi, e il giovane sperò di aver ragione.

 

Percependo il silenzio e la tensione, Jimin smise di leggere il documento sulla scrivania che lo aveva attirato poco prima, voltandosi verso l’agente con rassegnazione, pensando che se la fosse presa per la critica a Namjoon e non capendo il suo comportamento infantile.

“Seriamente? Silenzio e impazienza sono le uniche cose che hai imparato in questi anni, Taehyung-ah?”

 

Lo sguardo di Taehyung rimase fisso davanti a sè, dopo essersi girato per analizzare nuovamente i collegamenti tra i fili rossi. Quando il giovane sorrise e diede la sua totale attenzione alla parete, Jimin lo guardò sempre più confuso.

 

Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista”

 

Jimin lo raggiunse e mimò il comportamento del ragazzo, osservando come da quella prospettiva i fili rossi creassero una breve sequenza di lettere, che l’agente ripetè ad alta voce. “G A L —”

 

“Seul National Charity Gala.” Taehyung lo interruppe, soddisfatto del proprio istinto e ricordandosi di aver già sentito parlare di quell’evento.

 

“24 Dicembre. Dopodomani.”

Ovviamente Jimin doveva essere molto più informato di lui riguardo le questioni sociali: nel tempo libero era il tipo da andare a ogni festa, elegante o meno, creare contatti e svagarsi, lasciandosi trasportare dalle proprie pulsioni.

 

Taehyung si avvicinò nuovamente alle foto sul muro, una ventina di ritratti rappresentati diversi famosi benefattori dalla dubbia credibilità. “Dove gli uomini più influenti dello Stato fingono pietà e generosità, tra i quali…”

 

“Im Jaebum.” I due agenti nominarono quel nome contemporaneamente, incrociando finalmente lo sguardo per l’azione inaspettata.

 

Perdendosi negli occhi dell’agente e nei ricordi che essi gli facevano tornare alla mente, Taehyung non si lasciò influenzare dall’espressione sincera di pura sorpresa di Jimin, annotandosi mentalmente di dividere il lavoro dalle questioni personali. Per un attimo il ragazzo gli era sembrato determinato ad aggiungere qualcosa, mentre lo guardava serio e interessato, ma Taehyung ruppe il contatto visivo, riportandolo verso il muro, e decise di strappare la foto di Jaebum dal filo rosso che la collegava alle altre. “Esatto.”

 

I due uscirono dall’appartamento, pronti a tornare all’headquarter con importanti informazioni e una possibile pista.

“La tua capacità d’osservazione è rimasta la stessa, Taetae.”

 

Taehyung raggiunse la propria moto sentendo risuonare nella sua mente quel fastidioso soprannome, che lo fece voltare verso Jimin con un’espressione seccata e un incredibile desiderio di allontanarsi da lui il più possibile.

“Hai perso da tempo il diritto di chiamarmi in quel modo, agente Park.”

 

Si mise il casco e accese il motore, senza preoccuparsi dello sguardo di risposta dell’agente; posizionò le mani sulla sua moto e le strinse per la rabbia che i ricordi gli stavano provocando.

Non rimase in tempo per sentire la risposta di Jimin, chiara e decisa.

“Ne dubito.”

 

 

 

_____


“Seriamente?”

 

“Agente Jeon, noto che bussare non è tra le sue ottime abilità.”

 

Dopo aver spalancato con rabbia la porta dell’ufficio del suo capo, Jungkook si bloccò poco distante dalla scrivania di questo e irritato si limitò a guardarlo serio, con le braccia conserte, evitando di rispondere alla provocazione con parole che avrebbe potuto rimpiangere. Seokjin non sembrava essere minimamente turbato per l’umore del giovane, quasi... preparato. La contesa tra i due sguardi silenziosi si spezzò quando l’agente non riuscì più a contenere il suo disaccordo.

 

“Essere finalmente un agente operativo. Collaborare con un quartermaster. Chiedevo solo questo.”

 

“Ed è ciò che hai ottenuto.”

 

“Nessun nome, nessun ID, nessuna voce. Questo è ciò che mi è stato dato.”

Quando quella mattina Jungkook era andato a richiedere l’auricolare personale e i codici identificativi sul proprio quartermaster, il giovane ricevette solo il primo, sentendosi rispondere con un informazioni riservate riguardo i suoi dubbi verso quello che sarebbe stato il collega.

 

“Quando ne avrai bisogno, il tuo quartermaster si farà sentire.”

Seokjin rimase seduto e continuò a osservare i propri documenti, giudicando la questione del giovane superficiale e di poco conto. Vicino ai fogli disordinati poggiava un anello d’oro: non portava molti accessori, ma Jungkook lo riconobbe come il suo gioiello portafortuna, non dimenticava mai di indossarlo. Si schiaffeggiò mentalmente per aver perso tempo a osservare i dettagli dell’anello al posto di controbattere.

 

“Dipenderà la mia vita da questa persona, e nemmeno conosco le sue qualifiche. Per quello che so potrebbe essere un robot.”

Con un sorriso sarcastico l’agente cercò di rimanere calmo e immobile, nonostante il comportamento del suo capo.

 

“Non è affatto un robot.”

Rispondendo con una leggera risata, Seokjin finalmente alzò lo sguardo dalle sue carte per posarlo su Jungkook. Indicandogli l’uscita con gli occhi, lo invitò ad uscire.

“Se non ricordo male, hai un compito da svolgere.”

 

“Punteggio massimo in ogni test per arrivare a questo. Incredibile.”

L’agente chiuse la porta di legno sbattendola e uscì dall’atrio con passi veloci e furiosi, superando Minyeong quando questa provò ad avvicinarsi per chiedergli cosa fosse accaduto.

 

La ragazza si sorprese per l’umore del giovane, ma continuò il suo cammino verso la piccola cucina posta in fondo alla stanza, principalmente utilizzata per la preparazione di bevande calde e pranzi non previsti. Da essa vide uscire Bogum con due caffè e lo seguí con lo sguardo finché l’agente non sembrò fermarsi alle spalle di Taehyung.


“Park Jimin, quindi?”

Quando Taehyung tornò alla base per consultare Seokjin riguardo le nuove informazioni, venne accolto da una porta chiusa, un ufficio occupato e una pacca sulla spalla ormai per lui riconoscibile. Il quartermaster offrì il caffè all’amico con la scusa dell’attesa; in realtà Taehyung sapeva bene di cosa volesse parlare il ragazzo, ma lo lasciò fare: quando Park Bogum voleva dire qualcosa, nonostante fosse diretto e certe volte brutale, semplicemente lo diceva. Potrebbe sembrare inopportuno e scontroso a occhi comuni, ma il giovane aveva imparato a conoscerlo e previde il suo sorriso divertito.

 

“Ironia della situazione, Jungkook ha il tuo stesso problema.”

 

“Un collega che preferirebbe cambiare con un qualsiasi altro agente?”

 

“Più un quartermaster, in realtà. Gli hanno affidato una voce sconosciuta: ‘vietato conoscere identità e persona’, a quanto pare.” Bogum riferì all’amico quel dettaglio con un tono sarcastico e due occhi al cielo. “E’ comprensibile che si sia arrabbiato e abbia chiesto spiegazioni a Seokjin. Avrebbe preferito qualcuno tra le sue conoscenze. Mentre tu, Tae…”

 

La pausa nella frase del ragazzo fece alzare lo sguardo perso di Taehyung nel bicchiere di plastica e nel caffè. Lo guardò facendogli cenno di continuare liberamente, ciò che avrebbe voluto fare in ogni caso, con o senza consenso, perché Bogum era fatto così. L’amico sospirò e piegò leggermente la testa, fissandolo con curiosità ed esplicitando il suo dubbio. “Tu non ti sei lamentato. Sarebbe stato comprensibile, ma no. Non hai detto nulla. Disinteresse o rassegnazione?”

 

“Entrambi.” Distogliendo l’attenzione dell’espressione dubbiosa del ragazzo, Taehyung tornò a guardare l’unica cosa che poteva dargli forza ed energia tali da evitare l’argomento: la caffeina. Pensò al fastidio di dover collaborare con Jimin e alla ragione per cui il suo istinto non l’avesse spinto a lamentarsene con il suo capo. “Non avrebbe senso discutere. Seokjin ha già deciso e non cambierà idea. Il nostro obiettivo è trovare Namjoon, non importa come.”

 

“Forse è proprio per quello che ti ha affibbiato uno come Park.”

Taehyung capì al volo il significato di quelle parole. Era sentimentalmente compromesso essendo il migliore amico della persona scomparsa; nel suo caso le emozioni erano una variabile che non avrebbe potuto controllare facilmente. E come per completare un’arma perfetta, Seokjin aveva fatto la scelta saggia di trovare proprio l’agente che non si lasciava influenzare dai sentimenti. Nonostante fosse stato ipocrita da parte sua, essendo lui stesso molto vicino a Namjoon, il suo capo aveva scelto per il bene del gruppo e dell’agenzia, e il fatto che Jimin fosse il più inappropriato per questioni personali non lo toccò minimamente.

 

Sospirando e perdendosi nei suoi pensieri, Taehyung non fece caso all’uscita furiosa di Jungkook dall’ufficio del loro capo e non ricambiò il cenno di saluto di questo, quando Seokjin si affacciò alla porta e gli chiese di far rapporto. Riferì ogni informazione trovata quel giorno e si limitò ad aspettare ulteriori ordini: era una questione di priorità. Namjoon era la prima. Ogni altro problema sarebbe stato sorpassato e tollerato, per la buona riuscita della loro missione.

 

Fu così che, ripetendosi quelle frasi e trattenendosi dal discutere, Taehyung non obiettò quando Seokjin espose loro il suo piano. Andare al Seul National Charity Gala con gli altri agenti sotto copertura non era un problema. Cercare di nascosto informazioni nell’ufficio di Jaebum mentre gli altri lo avrebbero trattenuto? Un gioco da ragazzi per spie professioniste come loro.

 

Presentarsi in quel luogo fingendosi il marito di Park Jimin rappresentava invece una pessima idea.

 

 


 

[24 Dicembre 2016, 21:27 – Sogong-dong Palace, Jung-gu, Seoul, Corea del Sud]

 

Im Jaebum amava definirsi un ricco filantropo, benché tenesse sotto controllo e nascosta ogni attività illecita da lui sponsorizzata. Non era mai stato nel mirino della loro agenzia, occupandosi di semplici giri di droga o piccoli atti criminali, per i quali il famoso uomo d’affari riusciva ogni volta a incolpare dipendenti di basso rango. Era uno dei pochi uomini influenti e allo stesso tempo carismatici, otteneva inviti a qualsiasi festa per il suo aspetto piacevole e la sua presenza importante. Il Seul National Charity Gala sarebbe stato organizzato proprio nella sua villa a Seul, un ampio edificio costruito a immagine dei templi greci, ma avente all’interno un’architettura tipica dell’ottocento francese. A Jaebum piaceva dare sfoggio del proprio lusso, avrebbe decorato e abbellito ogni cosa, aggiungendo distrazioni e invitando più persone del previsto, per espandere la propria fama e acquisire nuovi contatti. A quel tipo di eventi, l’uomo era solito portare con sé la moglie, Kim Yongsun, nonostante questa fosse abituata a vivere in America, in Pennsylvania: la sua presenza aveva il compito di creare una falsa e felice facciata per un matrimonio ormai a pezzi. Si diceva infatti che l’uomo avesse gusti sessuali differenti da quelli accettati dalla società coreana, e la donna, dal viso apparentemente docile e innocente, accettò di continuare quella farsa, piuttosto che divorziare, per i soldi e il potere dell’influente marito.

 

“Dovrei incolpare i gusti di quel Jaebum.”

Piegandosi per allacciarsi i mocassini neri, Jungkook cercò di scherzare sulla loro copertura.

“Se non si sentisse attratto dagli uomini, in particolare da quelli sposati, non saremmo in questa situazione.”

 

Taehyung nascose un sorriso. Similmente a lui, Jungkook aveva il compito di fingersi sposato con Seoyoon. Ma per quanto la missione non fosse affatto complicata, sapeva che per il giovane sarebbe stato difficile: eccetto riguardo le poche amiche, il ragazzo non riusciva a rapportarsi con le persone del sesso opposto al suo. Femmine per lui voleva dire ansia. Non riusciva a iniziare una conversazione qualsiasi o a comportarsi in modo casuale in quelle situazioni. Era il difetto che più rimpiangeva, essendo importante e necessario, nel suo lavoro, saper flirtare senza esitazioni e avere la capacità di estorcere ogni informazione anche attraverso atti sessuali. Non era vergine, aveva avuto le sue scappatelle ai tempi del liceo, ma con gli anni Jungkook scoprì la ragione per cui Seokjin non gli avesse conceduto ancora una missione. Il suo addestramento sarebbe stato perfetto se non fosse stato per quel piccolo difetto. L’obiettivo di quella sera dipendeva tanto da Taehyung e Jimin quanto da lui e Seoyoon, e si concentrò quindi per non compiere il benché minimo sbaglio, né con la compagna né con il nuovo anonimo quartermaster.

 

“E’ solo per una sera.” Cercando di tranquillizzarlo, ma allo stesso tempo confortando se stesso, Taehyung iniziò a piegare la propria cravatta, guardandosi allo specchio della limousine e tenendosi lontano il più possibile dagli occhi indiscreti di Jimin, che lo stavano analizzando da capo a piedi dall’altra parte dell’auto.

 

“Ehi, tesoro. No. Dai, non fare la gelosa.” Seoyoon si trovava in un angolo della macchina, vestita in un ampio abito blu, cosparso verso l’orlo di brillantini, e concentrata a parlare con la voce nel suo orecchio, tenendo piegata leggermente la testa. L’azione faceva oscillare gli orecchini di Swarovski contro il suo collo, creando riflessi e giochi di luce nel piccolo abitacolo, ma la ragazza sembrava principalmente presa dalla sua conversazione.

 

“Fanno sempre così?”

 

Jimin questionò curioso i due agenti seduti di fronte a lui, aggiustandosi la giacca blu scuro.  L’aspetto che gli donava un outfit così elegante era quasi fastidioso: nonostante fosse stato già attraente di suo, i pantaloni sottolineavano le curve del suo fondoschiena e dei muscoli delle sue cosce, la camicia appariva aderente, segno della presenza di addominali abbastanza scolpiti, e giacca e cravatta rendevano il tutto più affascinante e coperto. E Taehyung avrebbe voluto mentire, fingendo di non aver notato ogni piccola cosa.

 

“Mh?” Jungkook si rivolse all’agente valutando la domanda. “Ahh. Sta parlando con Inyeong. Sì, ogni volta. E non solo in missione.” Il giovane aggiunse una leggera risata alla sua frase e guardò la collega con un’espressione divertita. Il rapporto tra le due era sempre un piacevole spettacolo e faceva sì che il ragazzo si sentisse più a suo agio. Scacciò via velocemente dalla mente ogni preoccupazione riguardante il nuovo quartermaster convincendosi che l’avrebbe sentito parlargli nell’orecchio quando la situazione lo avrebbe richiesto.

 

“Una volta sul campo vedrai di cosa sono capaci. Non c’è collaborazione più unita della loro.” Con il solito tono infastidito principalmente diretto all’agente davanti a sè, Taehyung rispose seccato e finì di sistemarsi i gemelli delle maniche della sua camicia, alternando lo sguardo tra il finestrino scuro e l’interno illuminato. Iniziò a gesticolare con l’anello sulla sua mano destra, simbolo di un falso amore di un altrettanto falso matrimonio. Il piccolo oggetto d’oro gli provocò una stretta allo stomaco. Era notte fonda, presto il gala sarebbe finito come tutte le missioni, non c’era motivo di perdersi in futili pensieri. Sarebbero arrivati di lí a poco.

 

“Ouch. Questa è un’offesa, Tae.” La voce nel suo orecchio provocò l’apparizione di un raro sorriso che il ragazzo fu veloce a nascondere, notando la scomoda attenzione di Jimin su di sè. Nonostante ciò, ringraziò mentalmente Bogum per la distrazione momentanea.

 

“Taemin ed io saremmo felici di obiettare.” L’agente Park sembrò sorridere a sua volta per qualcosa che solo lui poteva sentire.

 

La limousine si fermò e i quattro ammirarono la vista dell’entrata per la villa, luminosa e grande. Tutto era bianco e oro e pieno di luce, parecchia gente era già presente e si stava incamminando verso la porta principale, salendo le scale di marmo.

 

Jungkook tolse l’attenzione dall’ampio edificio per primo, tornando a questionare Jimin e il suo orgoglio mentre la porta dell’auto veniva aperta dal loro autista.

“Vi considerate tanto bravi?” Aspettando la risposta, Jungkook porse cordialmente una mano a Seoyoon per scendere insieme a lei e aspettare i due colleghi.

 

Jimin gli sorrise e li seguì fuori dalla limousine, senza mai distogliere lo sguardo da Taehyung.

“Oh no, Jungkook-ah.”

 

Una volta che tutti e quattro furono alla base della scalinata, l’auto li lasciò e il ragazzo si avvicinò a Jungkook per parlargli sottovoce.

 

“Non siamo bravi, siamo perfetti.”



 

_____

 

 

“Perchè non ci spostiamo in un luogo più appartato?”

 

La malizia nella voce di Jimin invase l’orecchio destro di Taehyung, dove l’apparecchio elettronico consentiva ai quattro agenti di comunicare e ascoltarsi a vicenda. Taehyung fece una smorfia di disgusto e continuò a cercare con lo sguardo, in mezzo ai tanti invitati, la porta che lo avrebbe condotto all’ufficio di Jaebum. Senza interrompere la sua ricerca, il ragazzo si portò alle labbra il bicchiere di champagne, sorseggiandone poco e ripensando a quell’uomo d’affari, a come si era presentato per ultimo alla festa e al modo in cui aveva subito avvicinato Jimin, interessato.

 

Ringraziando mentalmente la scelta di Jaebum di flirtare con l’agente, Jungkook sembrava essersi allontanato insieme a Seoyoon, presentandosi ad altri uomini e donne influenti insieme alla finta moglie, velatamente in cerca di informazioni. Taehyung, dal canto suo, dovette rimanere a fianco del suo discutibile consorte, sopportando le frecciatine e lo sguardo chiaramente inappropriato di Jaebum, evitando di intromettersi nel loro discorso. Poco dopo si scusò, dicendo di doversi servire del bagno, lasciando il tempo a Jimin di convincere l’uomo d’affari del suo matrimonio privo di passione e ormai fallito (al suono di quelle parole, davanti allo specchio del bagno, Taehyung si limitò ad alzare gli occhi al cielo).

 

Jaebum si lasciò trascinare dall’agente lontano dagli invitati, impaziente di avere a che fare con un altro tipo di impegni. I due avevano continuato a flirtare fino al raggiungimento della prima camera da letto della lussuosa villa, l’uno impaziente di conoscere più a fondo il coetaneo, l’altro determinato a distrarlo. Da lí in poi il compito di Taehyung sarebbe stato decisivo: una volta individuata la stanza dell’ufficio di Jaebum, avrebbe solamente dovuto evitare le voci nel suo orecchio (eccetto quella del suo quartermaster) e cercare ulteriori informazioni riguardanti Namjoon.

 

Ma mentre l’agente si trovava concentrato ad analizzare le scartoffie trovate nei cassetti dell’ampia scrivania di Jaebum, la voce di quest’ultimo risuonò nel suo orecchio.

 

“Peccato che tuo marito non riesca a farti provare piacere, hai un corpo perfetto.”

 

La leggera risata di risposta di Jimin e il rumore di vestiti che cadevano per terra scatenarono un cambiamento d’espressione sul volto di Taehyung, che cercò di non origliare - per quanto fosse necessario farlo al fine della loro completa sicurezza - e di continuare imperterrito la sua missione. Anche quando ai suoni precedenti se ne aggiunsero di nuovi e meno innocenti.

 

Jaebum era un uomo di parola, stava compiacendo Jimin e tutti e tre gli agenti potevano ben sentirlo. Mentre Seoyoon e Jungkook riuscivano a colloquiare con Yongsun e ignorare lo spettacolo che proprio suo marito stava regalando loro, Taehyung ebbe molta piú difficoltà. Ma una volta trovato un fascicolo di documenti che portava il nome di Kim Namjoon, l’agente si perse in una veloce ma attenta lettura.

 

Sfortunatamente, piú leggeva piú si rendeva conto che quei fogli contenevano solo informazioni di base del suo amico: dati, carriera, ricerche, nulla di sospetto. Niente che potesse indicare il movente di un possibile rapimento. Nonostante ciò, Taehyung fotografò per sicurezza i documenti, che in pochi secondi vennero inviati all’hard disk dell’headquarter; rimise ogni oggetto al proprio posto, tornando con la testa, ma soprattutto le orecchie, alla realtà.

 

“Meriti di essere baciato ovunque.”

 

Jaebum non aveva smesso di riempire Jimin di complimenti, non a caso l’uomo d’affari aveva un debole per gli uomini sposati: l’idea di poter avere qualcuno di moralmente irraggiungibile e allo stesso tempo il piacere di sentirsi dire quanto fosse migliore di tutti quei mariti inetti, lo eccitavano. E in quel momento non solo Jaebum poteva definirsi attraversato dal piacere. Ma Taehyung non voleva scoprire la ragione dei gemiti che sentiva uscire dalla bocca di Jimin, i quali arrivavano dritti al suo timpano, per poi scendere senza pudore in altre zone.

 

“Cosa stai aspettando, Taehyung-ah?”

Bogum gli ricordò della missione. Scosse la testa e riprese da dove aveva interrotto la propria fuga, ripetendosi mentalmente di rimettere ciò che aveva trovato nel posto in cui l’aveva trovato.

 

Ma neanche il suo quartermaster seppe cosa dire quando, nell’attraversare l’ufficio di Jaebum, Taehyung sentí chiamare il proprio nome tra i gemiti di Jimin.

Si bloccò, sorpreso. Per quanto volesse mascherare quell’azione come una mossa astuta del migliore agente menzognero al mondo, Taehyung sapeva alla perfezione riconoscere una messa in scena da una parola, o meglio un nome, detto per istinto, per sbaglio.

O forse no.

 

Jaebum non sembrava averla presa altrettanto bene, fermando ogni contatto, rivestendosi e arrabbiandosi con il giovane. Taehyung doveva andarsene dall’ufficio il prima possibile, mentre Jimin cercava di dare spiegazioni al cosiddetto filantropo. Molto probabilmente quest’ultimo avrebbe raggiunto gli ospiti nell’enorme sala, ma l’agente non poteva in ogni caso farsi cogliere in flagrante.

 

Illustrandogli la via d’uscita piú veloce, Bogum concluse le indicazioni con un tono divertito. Sarebbe arrivato un commento prima o poi da parte sua, eppure Taehyung lo zittí. “Hyung, no.”

 

“Come vuoi, Kim. Ma ti avverto che tra sei metri incrocerai tuo marito e Jaebum.”

 

L’agente continuò il suo cammino lungo il largo corridoio finchè non sentí due voci vagamente vicine discutere tra loro. L’abile recitazione di Jimin portava con sè scuse e spiegazioni frettolose, mentre Jaebum sembrava deciso a ignorarlo e ritornare dai suoi invitati. Poco dopo, quando Taehyung li raggiunse e richiamò il compagno al suo fianco, fingendo innocenza e ignoranza, la messa in scena dei due potè finire. Jaebum lo squadrò da capo a piedi, con un’espressione seccata e acida, distogliendo lo sguardo disgustato nel momento in cui Taehyung circondò la vita del marito con il proprio braccio.

 

Scomparso il filantropo dietro le porte di vetro d’ingresso alla sala, l’agente non lasciò la presa, voltandosi verso Jimin e scoprendo di come l’altro non avesse mai smesso di fissarlo. Perchè?, avrebbe voluto chiedergli, Perchè il suo nome?. Eppure l’unica cosa che gli uscí dalle labbra, dopo aver trovato il coraggio di non cadere davanti allo sguardo dell’agente, fu un sarcastico: “Infallibile, agente Park?” seguito da un’espressione che voleva esclamare tutt’altro che vittoria. Liberò il suo braccio dalla vita di Jimin senza guardarlo negli occhi, appoggiando l’indice dell’altra mano contro l’orecchio.

 

Non fece in tempo a pronunciare il nome di Bogum, quando un enorme improvviso boato, seguito da un’altrettanto forte colpo d’aria, fece volare i loro corpi contro il muro, seguiti dai frammenti vetrosi della porta e cadendo subito dopo al suolo.

 

Il suono incessante che impediva all’udito di Taehyung di funzionare gli permetteva solo di contare sulla propria vista: una bomba doveva essere scoppiata in una stanza della villa adiacente alla sala, fiamme e polvere coprivano il caos che lo circondava, ma all’agente importava principalmente altro. Si girò di scatto per cercare il corpo di Jimin, ritrovandolo piú distante del previsto ma cosciente. L’agente gli stava urlando qualcosa, ma Taehyung poteva solo guardare le sue labbra muoversi e ringraziare il cielo che fosse ancora vivo.

 

“...Sanguinando!”  

 

“Taehyung-ah?”

 

Quando il suo udito riprese a funzionare, l’agente assicurò a Bogum di non avere ferite gravi, nonostante il suo sguardo fosse rimasto fisso su Jimin. Quest’ultimo lo raggiunse, piegandosi verso la sua gamba e ripetendo “Dio, stai sanguinando!”. Taehyung finalmente capí a cosa si riferisse, abbassando gli occhi sulla propria coscia e notando sia il pezzo di vetro che il  sangue perso. Rifiutò però l’aiuto di Jimin, medicandosi la ferita da solo.

 

“Jungkook, Seoyoon.”  Jimin aspettò una risposta attraverso l’apparecchio. Taehyung lo guardò preoccupato, pronto a rimettersi in piedi e andare a cercarli.




 

Jungkook, Seoyoon.

 

A metà serata, quando sapeva che Jaebum stava accompagnando Jimin in una delle sue stanze, Jungkook notò di non essere l’unico a conoscenza di quell’informazione. Yongsun, concentrata nei discorsi con la coppia di agenti e delle sue conoscenti, aveva cambiato espressione da quando il marito non si era fatto piú vivo.

 

Nonostante ciò, non aveva dato segni visibili di irascibilità. Tutto stava procedendo al meglio: Seoyoon, in quanto donna, riusciva a entrare nelle grazie di Yongsun e conversare animatamente, cogliendo in modo velato informazioni. Dal canto suo Jungkook poteva considerarsi una figura meno coinvolta: in disparte ma sempre in bella vista per gli sguardi delle donne, l’agente si limitava a pochi commenti e preferiva concentrarsi nell’osservazione. Tutto andava secondo i piani. Nessuna parola dal suo quartermaster, e nessun motivo per riceverne alcuna.

 

Quando Yongsun si scusò e fece per allontanarsi, Jungkook colse l’occasione per seguirla e continuare la conoscenza, magari fino a sedurla e ricavarne qualcosa. Ma le intenzioni del giovane furono subito respinte quando l’agente, dopo aver afferrato il braccio della donna e chiesto se avesse avuto bisogno di qualcuno con cui parlare, si sentí rispondere un no secco e accompagnato da un sorriso falso. La reazione non ferí il suo orgoglio ma provocò profondi sospetti verso l’impazienza di Yongsun di allontanarsi. La donna fu cosí di fretta che non si accorse di un dettaglio: un anello d’oro sul pavimento attirò l’attenzione di Jungkook, che prese l’oggetto, quella che probabilmente era la fede nuziale, e lo nascose nella tasca interna della sua giacca.

 

Fu nel momento stesso in cui l’agente stava passando lungo le vetrate che affacciavano al giardino, che l’azione della bomba lo colpí e lo gettò a terra, incosciente.

 

Jungkook, Seoyoon.

 

Iniziando a tossire per il fumo, Jungkook si sentí le costole premere contro i polmoni. Gli scappò una flebile risata, che non riusciva nemmeno a udire, rivolta verso il grigio offuscato che la sua vista gli offriva. Cercò di muoversi dalla sua posizione, sapendo bene che piú tempo avesse passato tra le fiamme e il fumo, piú avrebbe rischiato la vita; eppure nulla. I muscoli delle gambe non rispondevano ai suoi comandi.

 

Quando cominciò a temere il peggio, Jungkook sentí due braccia circondargli il busto nella faticosa impresa di alzarlo e farlo camminare. La persona che lo stava aiutando doveva essere allenata, riuscendo a sopportare il suo peso, praticamente tutto su di essa. Portando un braccio intorno al collo del suo salvatore e lasciandosi trasportare - strisciando - tra le macerie, Jungkook poteva ipotizzare che fosse una donna, nonostante non riuscisse a focalizzare il suo sguardo sul viso della sconosciuta.

 

Anche una volta steso per terra, nel giardino sicuro e lontano dal caos, l’agente vide solo un viso sfocato. Sorrise, e tra i colpi di tosse riuscí a rilasciare un “Seoyoon, grazie.” comprensibile.

 

La persona al suo fianco non gli rispose, decidendo invece di ignorarlo e guardarsi intorno frettolosa, per poi valutare e coprire le sue ferite. Nel girare il capo, Jungkook notò l’ondeggiare della sua chioma, anche se non riuscí a metterla a fuoco. In quel preciso istante capí di aver commesso un errore. Seoyoon gli avrebbe risposto, l’amica non portava vestiti comodi e neri e soprattutto, non aveva i capelli mossi.

 

Jungkook, Seoyoon.

 

Forse anche per colpa della realizzazione, una forte fitta alla testa gli provocò un dolore insopportabile e Jungkook riuscí solo a chiedere, tra denti stretti e un tono forzato, “Chi sei?”

 

L’agente notò la donna bloccarsi e guardarlo. L’attimo durò pochi secondi: la sconosciuta si avvicinò al suo orecchio e gli sussurrò qualcosa, incomprensibile per la condizione del suo udito, dopodichè Jungkook venne accolto solo dal buio e il rumore delle fiamme, abbandonato sul prato.

 

“Jungkook, Seoyoon.”

 

Dopo aver ripreso totalmente coscienza, l’agente si sollevò da terra per poggiarsi sulle proprie mani e sentí con sollievo di aver riacquistato anche l’udito. Tempismo.


“Jungkook!” Seoyoon gli corse incontro e lo abbracciò preoccupata, dopo aver controllato che non avesse gravi ferite. A quanto pare, anche la vista era tornata alla normalità e Jungkook notò i numerosi graffi sulla pelle della sua partner, per poi vederli danzare davanti a sè, sentirsi girare nuovamente la testa e perdere i sensi.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 翛翛 blooming ***


 

翛翛 - blooming (or damaged.)


 

[25 Dicembre 2016, 6:28 – Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

"Buon Natale."

Jungkook si risvegliò in una stanza totalmente bianca, ampia e luminosa. Aveva visto molte volte l'infermeria dell'agenzia, fin dai primi tempi del suo addestramento: il suo carattere gli impediva di abbandonare un lavoro prima che questo fosse perfetto, finendo per sforzare troppo il proprio corpo nelle palestre e nei poligoni di tiro. Riconobbe la morbidezza del letto su cui era steso, ma la presenza di Jimin, in piedi al suo fianco, lo sorprese.

"Che ore sono?"

"Sei e mezza, bentornato tra i vivi."

Regalandogli un mezzo sorriso divertito, l'agente appoggiò le spalle al muro, voltandosi verso il lato opposto della stanza. Jungkook seguì il suo sguardo e notò un secondo paziente, riconoscendolo subito. Braccia conserte e una fronte corrugata suggerivano una preoccupazione silenziosa che Jimin non voleva dare a vedere, ma Taehyung stava dormendo a pochi metri da loro, inanimato, e Jungkook considerava normale provare ansia per le condizioni del giovane.

"Come sta?"

Percependo l'oggetto della domanda, Jimin tornò a guardare l'agente, impassibile.

"Niente che non possa superare con un giorno di riposo."

"E tu?"

Jungkook non era stupido. Non conosceva bene Jimin, non sapeva cosa fosse successo tra lui e Taehyung in passato poichè l'amico non gli aveva mai raccontato nulla. Nonostante ciò, dal momento stesso in cui l'agente era arrivato in ritardo alla riunione con Seokjin giorni prima, Jungkook aveva notato una strana atmosfera e tensione tra lui e Taehyung. Non erano affari suoi, ma la curiosità rimaneva, non avendo amici al di fuori del ragazzo steso sul letto di fronte al suo.

Jimin ignorò la sua domanda, fissando il pavimento.

"Dovresti ringraziarla."

Rassegnandosi al fatto che l'agente non volesse condividere nulla di personale, Jungkook si adattò al cambiamento di argomento, pensando a Seoyoon e a quanto gli fosse grato. Non ricordava bene la notte prima, ma le ferite e il dolore ai muscoli delle gambe era ancora lì, segno che l'incendio fosse stato reale tanto quanto tutto il resto. "Ovviamente, appena vedrò Seoyoon"

"La tua quartermaster. E' lei che ti ha tirato fuori da quel caos."

Jungkook la ricordò. La persona che lo aveva trascinato nel giardino e aiutato. Pian piano gli tornarono alla mente tutti i dettagli della notte.

Quartermaster. L'agente non fu nemmeno così sorpreso dell'informazione. Probabilmente sarebbe stato il primo a sospettarlo se all'incontro non fosse stato in quelle pessime condizioni. La curiosità a riguardo della collega non si spense una volta che il suo sesso gli fu rivelato; si appuntò mentalmente di scriverle più tardi un messaggio di ringraziamento, nonostante avesse preferito parlare a quattr'occhi.

"Comunque." Jimin lo svegliò dai propri pensieri.

"Seokjin vuole parlarci. Appena Tae"

Una breve pausa.

Jungkook iniziò davvero a chiedersi cosa ci fosse stato tra i due, per far scappare cosí facilmente un soprannome.

"Quando l'agente Kim si sveglierà."

Suonava come una certezza. Al di là di modi di fare e dell'apparenza cinica, l'unica cosa che per ora contava era che a Jimin importava della sopravvivenza di Taehyung. Nonostante le condizioni di quest'ultimo non fossero gravi, l'agente provava comunque preoccupazione e il lato protettivo di Jungkook non lo considerava per ora come una minaccia all'amico.

Tornando a guardare il corpo di Teahyung a pochi metri dal suo letto, l'agente notò una pila di indumenti piegati perfettamente, ai piedi del suo materasso. "I miei vestiti?"

Dopo pochi secondi di silenzio, Jimin diede attenzione all'espressione dubbiosa del ragazzo. "Ah, già. Il completo di ieri notte è stato dato alla tua quartermaster, che lo porterà alla scientifica, benché non abbia senso cercare informazioni su stracci sporchi.."

Alzando gli occhi al cielo, Jimin si allontanò dalla parete per allungare all'agente la pila di vestiti. "Per ora penso tu possa indossare questi."

A quel punto decise di lasciarlo alla propria privacy e si diresse verso la porta, non senza regalare un'ultima volta uno sguardo alla figura dormiente di Taehyung.

"Com'è possibile che nessuno sappia il suo nome?"

Jungkook sembrò quasi aver visto un'espressione di dispiacere sul viso dell'agente, prima che questo la trasformò in una più seria e leggermente infastidita, tornando a ricambiare il suo sguardo. "Non guardarmi in quel modo. Io non faccio domande. Eseguo ordini. E' la tua quartermaster, non la mia."

Dopo di chè Jimin chiuse la porta dietro di sè, lasciando Jungkook solo. O quasi.



 

[26 Dicembre 2016, 14:46 – Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

A un giorno dalla convalescenza, Taehyung aveva già partecipato alla riunione con gli altri colleghi e Seokjin. A quanto pare, Yongsun aveva inviato una lettera a tutti coloro presenti al Gala per porre le se più sentite scuse riguardo l'accaduto. La donna si rammaricava inoltre della sfortunata morte del proprio marito, frase alla quale ogni agente nella stanza stentò a credere, e invitava ogni rispettoso uomo, e donna, di Seoul al funerale di Jaebum.

"La stronza voleva solo far scomparire il marito."

Quella mattina Taehyung aveva raggiunto la palestra dell'agenzia per rimettersi in sesto. Mentre i pugni del ragazzo colpivano severamente il finto nemico davanti a sè, la voce di Seoyoon risuonò nella stanza vuota. L'agente continuò ad aggredire la forma inanimata, usando anche ginocchia e piedi. Quando l'amica si avvicinò a braccia conserte, guardandolo preoccupata, Taehyung si fermò per prendere fiato.

"Ehi, vacci piano. Hai appena recuperato le forze."

Le parole di Seoyoon gli entrarono da un orecchio per uscire subito dopo dall'altro. Si allontanò per recuperare una bottiglietta d'acqua e berne assetato il contenuto, sotto gli occhi vigili dell'amica che non smetteva di fissarlo seria.

Lo seguì fino alla porta del bagno, dove sapeva ci sarebbero state le docce prettamente maschili. Quando Taehyung notò che il silenzio dilagante aspettava solo una sua risposta, si girò per affrontare nuovamente uno sguardo preoccupato.

"Hai dimenticato che Namjoon è scomparso da una settimana e noi non abbiamo ancora uno straccio di pista?"

Seoyoon pose una mano sulla spalla dell'agente, per calmarlo. "Taehyung-ah."

"No. Andare a questa messinscena di Yongsun in America per cosa? Perdere tempo."

Non aveva torto. Il giorno prima Seokjin era arrivato alla conclusione che partecipare al funerale e alla strana rimpatriata offerta da Yongsun sarebbe stato utile per indagare più a fondo riguardo al collegamento tra i due coniugi e Namjoon. La piccola possibilità di trovare informazioni nella casa ufficiale della ormai vedova Yongsun, nonostante si trovasse in Pennsylvania, era l'unica ragione per cui Taehyung aveva accettato di far parte della missione, a suo parere inutile.

"Ricorda che Jaebum aveva un fascicolo su di lui. Sanno qualcosa. Capisco cosa tu possa provare ora, ma"

"Nessuno lo capisce!"

Uno scatto d'ira pervase Taehyung, che rimpianse immediatamente di aver alzato la voce con Seoyoon.

Ma per lui era troppo. Seokjin non sembrava prendere sul serio la scomparsa di Namjoon, oppure lo sapeva nascondere bene. Avevano appena perso due giorni a scavare nel nulla, nonostante le ricerche lasciate dall'amico li avessero portati a Jaebum. Il suo sesto senso sentiva che qualcosa non stava andando come programmato, e Taehyung si sentiva in errore. La morte di Jaebum non aiutò a chiarire i loro dubbi e nemmeno seguire sua moglie probabilmente avrebbe davvero dato risposte.

"Scusa."

Non era giusto prendersela con Seoyoon. In conclusione, arrabbiarsi era tutto ciò che l'agente potesse fare per l'amico. Si sentiva con le mani legate, nonostante fosse disposto a rischiare la vita per Namjoon. L'avrebbe rischiata per qualsiasi persona a cui teneva, e comprendeva che questo era ciò che più lo rendeva debole. L'ultimo pensiero non poteva non fargli tornare alla mente la ciliegina sulla torta: in tutto ciò, Jimin era ricomparso e l'agente non poteva rifiutarsi di collaborare con lui. Rendeva la situazione ancora più frustrante.

Quando Seoyoon si voltò per raggiungere la porta e lasciarlo solo alla sua meritata doccia, Taehyung cercò di darle l'unica spiegazione a cui era giunto.

"E' che mi sento inutile mentre un mio amico è in pericolo. Di nuovo."

L'espressione della ragazza si rattristò, notando il riferimento al passato e lo sguardo ferito dell'agente. Cercò di consolarlo, vestendo il miglior ruolo di sorella maggiore che Taehyung non aveva mai avuto. "Non è colpa tua, non lo è mai stata."

"Non sei inutile, Tae."

Eppure i ricordi di tre anni prima, che vagavano in quel momento nella testa confusa di Taehyung, gli dicevano il contrario.

_____

Sparando verso l'obiettivo, distante parecchi metri, Taehyung cercava di concentrarsi sulla sua tecnica.

In realtà, la scelta di raggiungere il poligono di tiro immediatamente dopo essersi rinfrescato, era stata data maggiormente dal suo bisogno di sfogare la rabbia. Probabilmente allenarsi lo avrebbe fatto sentire meno inutile, incapace.

I pensieri sviavano da un argomento all'altro: dalle possibili ragioni per cui Namjoon dovesse essere stato rapito, ai possibili sbagli che l'agente sentiva di aver fatto. Forse stavano cercando nel posto sbagliato? Eppure era proprio l'amico che li aveva condotti a Jaebum. Per quanto gli infastidisse dar ragione alle scelte di Seokjin, approfittare dell'accoglienza di Yongsun avrebbe potuto aiutare; dopotutto era l'unica alternativa che avevano.

Nonostante il dolore alla gamba ferita non fosse scomparso del tutto, Taehyung si sentí pronto a intraprendere la nuova missione. Odiava dover aspettare alcuni giorni per finalmente volare in Pennsylvania e indagare su Yongsun, ma non gli avrebbero fatto male le giornate di riabilitazione.

Il silenzio regalato dalle cuffie, l'adrenalina scatenata dall'agilità nello sparare nel posto giusto al tempo giusto, e osservare come ogni pallottola forasse la zona perfetta della forma nemica, rilassarono Taehyung cosí tanto che quando due mani si posarono sopra i suoi fianchi l'agente non sussultò.

Non reagí poichè, per quanto odiasse ammetterlo, riconosceva quella sensazione come riconosceva il proprietario di quelle mani, solo al semplice contatto. Avrebbe voluto dimenticare ricordi inutili come quelli, ma come sarebbe stato possibile se lui stesso non li considerava tali?

Rimase impassibile, abbassando e appoggiando sul tavolo la pistola. Si tolse le cuffie e gli occhiali che lo esternavano dal crudele e fastidioso mondo esterno, e si girò. Le mani dell'intruso rimasero sui suoi fianchi, ma fu come se lo sguardo di Taehyung, una volta posato su esse, iniziasse a bruciarle lentamente.

"Quanti ricordi."

Park Jimin.

L'agente allontanò deluso le mani, non senza un piccolo broncio divertito. Taehyung nuovamente non reagí, rimanendo fermo a fissarlo serio. Le sue braccia incrociate probabilmente incitavano Jimin ad allontanarsi totalmente, ma l'agente era troppo determinato per lasciarlo andar via.

"Su, Kim. Abbiamo entrambi rischiato la vita, dovrebbe essersi creato un legame tra noi." Sottolineò la sua frase indicando i loro corpi con un ghigno malizioso.

Per Jimin era tutto uno scherzo. Tutto un divertimento. Taehyung detestava quel suo lato: quando nelle situazioni piú rischiose l'agente doveva sdrammatizzare, sembrava togliesse importanza, serietà. Ma soprattutto Taehyung lo conosceva bene. Bene forse sarebbe stato un ironico eufemismo, lo conosceva meglio di quanto Jimin potesse credere. E sapeva che quel velo di ironia non faceva parte dell'agente. Il vero Park Jimin non era quello che da pochi giorni era rispuntato nella sua vita, no. Il vero Park Jimin era tutt'altro, il suo aspetto era immutabile (e oggettivamente parlando, migliorato) ma Taehyung coglieva i dettagli e avrebbe potuto scommettere milioni che sotto la spessa armatura si celasse il vecchio Jimin.

"Mi sembri stare piuttosto bene."

Le parole volettero essere taglienti di proposito, e la ferita si percepí minimamente nel cambiamento d'espressione dell'agente, che cambiò il sorriso divertito in uno piú nostalgico.

"Ti ricordi quando entrammo quì per la prima volta?" Jimin iniziò a ripercorrere con le dita gli spigoli del cubicolo e con la mente vecchie immagini. "Ah, belli i tempi dell'addestramento."

No. Taehyung non ci sarebbe cascato, non avrebbe pensato al passato o partecipato a questo strambo gioco che Jimin stava iniziando; un suo amico era chiaramente in pericolo, nè quel momento nè mai si sarebbe lasciato distrarre da una persona cosí doppiogiochista quando le priorità erano altre. Come poteva il nuovo Jimin essere cosí insensibile verso Namjoon e perdere tempo a infastidirlo? Specialmente, come poteva il vecchio Jimin chiedergli di tornare indietro con la mente ai tempi del loro addestramento e non degnarlo minimamente di una spiegazione? Dopo tutto ciò che l'agente gli aveva fatto passare, non era affatto nella posizione per assumere il ruolo dell'amico nostalgico che vuole risanare i rapporti.

Fu con questi pensieri rancorosi che Taehyung perse la pazienza e, afferrando il braccio di Jimin, lo allontanò dalla sua unica uscita e chiarí ogni cosa. "Non so quale sia il tuo obiettivo. Tornare dopo tre anni e parlare come se non fosse successo nulla."

Jimin sembrò visibilmente sorpreso per la schiettezza del ragazzo. Si limitò a guardarlo attentamente, non potendo iniziare a formulare una risposta, poiché Taehyung continuò a parlare.

"Ma io ho intenzione di trovare Namjoon. Limitati a collaborare."

Lo sguardo serio dell'agente avrebbe potuto lanciare esso stesso pallottole verso gli occhi di Jimin, se avesse voluto. Fu cosí carico di rabbia e determinazione che fece arrendere e abbassare il muro di ironia della spia meno emotiva dell'agenzia.

(Taehyung non avrebbe mai creduto che in realtà ciò sarebbe potuto accadere solo a causa della sua presenza.)

"Puoi contare su di me per trovare il tuo amico, Taehyung."

Jimin sembrò trasformarsi. L'espressione impassibile, le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo basso. Per un attimo Taehyung vide un barlume del suo vecchio amico. Timido, appassionato e insicuro amico. O qualcosa di simile, cercò di non pensarci. Rimase immobile.

"Sono serio." Avvicinandosi lentamente, Jimin abbassò il tono di voce, scoprendo però un lato di sè piú vulnerabile e sincero. "Voglio solo"

Taehyung percepí delle dita accarezzare il dorso della sua mano, delicatamente. Non riuscí ad allontanarla di scatto, si sentí come inerte, in trappola nel suo stesso corpo che non voleva rispondere ai comandi.

Notò come lo sguardo di Jimin si fosse abbassato per osservare le loro mani, o meglio l'azione dolce delle sue dita. Tuttavia i suoi occhi rimasero fissi sul volto dell'agente. Nemmeno la sua vista voleva agire come severamente comandato dal cervello.

I capelli morbidi neri, le ciglia curve, la pelle liscia, le labbra piene.

"Riparare le cose."

Jimin risvegliò Taehyung dall'incantesimo sotto il quale lui stesso, inconsciamente, lo aveva accompagnato.

Spezzandosi, l'agente ricordò. Namjoon, le priorità, il luogo, la persona davanti a sè, ciò che gli aveva fatto. Ricordò e ricordò e ricordò.

Tre anni sono un lungo periodo durante il quale covare rancore.

"Non esiste più nulla da riparare, agente Park."



 

[26 Dicembre 2016, 23:09 – Hagik-dong, Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

"Grazie."

Le semplici parole di Jungkook rimasero senza risposta. Lo schermo graffiato del suo cellulare mostrava una chat di messaggi deserta, sotto il nome di "quartermaster", contenente quell'unico tentativo di conversazione, consegnato e prontamente ignorato.

Il giovane aveva appena raggiunto il proprio appartamento: si tolse le scarpe all'ingresso, senza distogliere lo sguardo dal cellulare. Si chiese se la propria quartermaster fosse di natura asociale o se avesse quel tipo di problema solo con lui. I pensieri furono velocemente sostituiti con prudenza e vigilità, quando Jungkook si rese conto della presenza di un ospite inaspettato.

Bastò un dettaglio per sottolineare che non si trovava solo nel suo appartamento: appena ebbe riportato lo sguardo sul pavimento, l'agente infatti notò piccolissime tracce di terra in mezzo alla stanza. Benchè non potesse considerare casa sua una fortezza pulitissima e splendente, non potevano essere sue: toglieva ogni volta le scarpe, e anche nel caso le avesse dimenticate indosso, la strada che percorreva ogni volta per salire all'appartamento era cementata o pavimentata. Le tracce di terra a un metro da lui potevano solo derivare dalle scarpe di un intruso, qualcuno che agilmente era entrato dalla finestra grazie all'albero verso cui questa affacciava. Dovette ammettere che lo sconosciuto aveva compiuto un ottimo lavoro: finestre intatte, ogni oggetto al proprio posto. Peccato per quelle poche tracce di terra.

"Piacere di conoscerla... Ladro?"

Con un sorriso divertito Jungkook iniziò a ispezionare le varie stanze, partendo dalla propria camera e trovandola vuota. Controllò il bagno, "Senzatetto?", tornò verso l'ingresso per attraversarlo e raggiungere la cucina. "O meglio ancora, Babbo Natale?"

Abbassò la guardia quando notò l'inizio di una scarpa di pelle nera spuntare dalla parete destra. La soglia della cucina non aveva una porta ma semplicemente un'apertura che la collegava con il resto dell'appartamento. L'agente smise di parlare e lasciò viaggiare la mano verso la propria pistola, estraendola dalla custodia e avvicinandosi lentamente per cogliere di sorpresa l'intruso.

Sentí il proprio imbarazzo, sottoforma di coltello puntato alla gola, attraversargli le vene, prima ancora che notasse il vuoto davanti a sè e la scarpa, cosí tanto accusata, ai suoi piedi, vuota.

"Piú una quartermaster. La sua per l'esattezza, agente Jeon."

Due cose sbalordirono Jungkook in quel nanosecondo. L'errore commesso non gli avrebbe fatto rischiare la vita, essendo teoricamente in compagnia di qualcuno che gliel'aveva appena salvata. Se a quel punto l'asocialità del partner era fuori discussione, il cinismo nei suoi confronti invece non era altrettanto scartabile: un coltello alla gola non era una delle migliori prime presentazioni tra agente e quartermaster.

Eccola, la collega. Femmina. E anche abile, a quanto pare. Il pensiero causò la creazione di altre domande, come potesse essere una semplice quartermaster se era dotata di ottime capacità da spia, in base a quali criteri Seokjin l'aveva scelta per lui e perchè gli stava puntando un dannato coltello al collo se i due non si conoscevano.

Impulsivamente, e forse anche un po' guidato dal suo orgoglio, Jungkook afferrò il braccio che lo minacciava, voltandosi e passandoci sotto: capovolse la situazione a suo vantaggio, spingendo la schiena della collega contro il proprio petto e stringendole insieme i polsi, circondandola in un abbraccio piú minaccioso che affettuoso.

"Lieto di incontrarla...?" Il tono del giovane voleva volutamente apparire accogliente e sarcastico allo stesso tempo, contornato da un sorriso vittorioso quando alla quartermaster cadde di mano l'arma per la velocità della sua azione.

Il silenzio che seguí fece intendere che la ragazza non volesse condividere il proprio nome. Jungkook non poteva definirla donna, no. In quel momento, nonostante non la vedesse in volto per la posizione e il buio, l'agente ricordò di avere tra le braccia un corpo che non sembrava avere una costituzione troppo matura: corporatura magra e abbastanza alta, capelli raccolti e mossi, spalle larghe, gambe lunghe e... petto piccolo, pensò ridendo.

"Cosa trova di tanto divertente, agente?" La ragazza iniziò a dimenarsi per liberarsi dalla stretta di Jungkook, inutilmente, essendo quest'ultimo, per dimensioni e capacità fisiche, piú forte. Agguerrita, nonostante i polsi bloccati, si lasciò scivolare verso il pavimento per poi rispuntare davanti all'agente e spingerlo di colpo contro al muro, ritrovandosi gli avambracci incrociati ma contro il petto del partner, un vantaggio.

"Devo ammetterlo, combatti quasi come un uomo."

"Vorrei poter dire la stessa cosa di te."

La nuova posizione e la luce della luna che penetrava dalla finestra, permettevano a Jungkook di vedere il volto della sua quartermaster: la maschera nera ne copriva una gran parte, ma lo sguardo era lí, deciso e fiero. Gli occhi dovevano essere di un colore chiaro, grazie alle sfumature che la poca luce rifletteva sul volto, ma il buio non aiutava a completare il quadro.

Stava fissando. Avrebbe dovuto contrattaccare. Tuttavia Jungkook si chiese, dopotutto, per quale ragione avesse dovuto iniziare una lotta. Con la persona che dovrà accompagnarlo e aiutarlo nelle missioni, per di piú.

La ragazza sembrò presa alla sprovvista dal comportamento docile e arreso dell'agente e, sotto la pressione del suo sguardo, strattonò via le mani dalla sua presa e si allontanò qualche passo, osservando la cucina.

Jungkook abbassò lo sguardo per notare come il coltello che prima minacciava il suo collo fosse in realtà un pugnale, affilato e splendente. Sul manico, di pelle nera, era incisa una lettera: J. Il giovane pensò dovesse essere l'iniziale del suo nome, lo prese in mano e se lo nascose dietro la schiena, tra i jeans e la cintura.

"Mi sembra giusto doverti ringraziare." Disse poi mentre la quartermaster ispezionava con occhi critici ogni angolo del suo appartamento. Alle sue parole si limitò ad alzare le spalle, continuando la propria osservazione. "Dovere."

Jungkook la seguí fino al salotto, dove la ragazza sembrava essere attirata dai pochi libri sulle mensole. "Immagino tu non sia venuta solo per sentirti dire 'grazie'."

A quell'allusione, sí voltò verso l'agente e gli mostrò un anello d'oro. "Questo." Jungkook lo riconobbe velocemente, essendo l'ultimo oggetto su cui aveva posato gli occhi prima che la bomba scoppiasse. "Lo avevi addosso, dove l'hai trovato?"

L'agente si sconcertò della scordialità della collega. Non solo aveva frugato nelle tasche dei suoi vestiti, compito della scientifica, ma aveva tenuto l'anello con sè e chiedeva spiegazioni senza riguardo o pazienza. L'oggetto in sè sembrava in effetti essere inutile alla ricerca di Namjoon, quindi chiunque poteva tenerlo e analizzare, ma Jungkook non si fidava di qualcuno di cui non sapeva nemmeno il nome, nonostante gli avesse salvato la vita.

"Come ti chiami? Non sarebbe male collegare un nome al viso."

Per la prima volta gli occhi della ragazza sembravano sgranarsi leggermente, forse nascondendo due labbra socchiuse per l'insicurezza dietro alla maschera, per poi tornare alla solita espressione seria. "Per ora puoi chiamarmi J."

"Ok, J." Disse rassegnato Jungkook, allungando il suono della "e" e tornando a dare attenzione all'anello. "L'ha perso Yongsun."

La collega rimase con lo sguardo fisso sull'agente. "E' la sua fede."

"Ovvio. Ma la vera domanda è: può essere utile?" Jungkook si sorprese per la momentanea distrazione di quella che voleva essere chiamata J.

Il cambiamento non durò, quando J ritornò nella cucina e si avvicinò alla finestra dalla quale probabilmente era entrata, per far notare all'agente, grazie alla luce della luna, il retro della fede. "Quì dietro, c'è inciso un simbolo, e un codice. Dovrei fare delle ricerche."

La soluzione pareva ovvia a Jungkook. "E cosa ti trattiene? Non mi sembri il tipo che aspetta consensi prima di agire."

"Devo recuperare l'attrezzatura necessaria."

"Perchè non usare quella dell'agenzia?"

"Non riesci proprio a smettere di fare domande, ah?" Per metà irritata e metà incredula, J nascose in una tasca dei pantaloni l'anello, riportando gli occhi sull'agente che in quel momento si trovava con le braccia incrociate davanti a lei. "Non mi fido."

Jungkook trattenne una risata. O quasi. "Forse dovevi pensarci prima di entrare nell'agenzia."

Lasciando vagare quella frase nell'aria, J riaprí la finestra e si preparò a varcarla, quando un braccio le strinse il polso."Tienimi aggiornato. Se scopri qualcosa che può aiutarci a trovare Namjoon, devi dirmelo."

Fissando la propria mano, chiedendosi implicitamente come il gesto gli fosse riuscito cosí spontaneo, e risalendo con lo sguardo fino al viso della ragazza, Jungkook incontrò un'espressione dubbiosa. "Che c'è, non ti fidi?"

"Affatto. Non ti conosco e il fascicolo su di te dice esplicitamente che hai problemi a relazionarti con le ragazze. Perchè dovrei fidarmi di te?"

A quel punto l'agente le lasciò il polso, arrabbiandosi.

"Perchè tra i due, io finora ti ho detto tutto quello che so ma tu continui a tacere sulla tua identità. Sei stata addestrata come un agente, ma sei una quartermaster. Non ti fidi della tua stessa agenzia e se non fosse stato per un anello, probabilmente non avrei mai visto la tua faccia. Da come lotti sei abituata a muoverti singolarmente, ma commetti errori da principianti. Le tue mani non sono quelle di una persona che lavora solamente al computer e non ti ho mai vista all'headquarter. Dovrei essere io quello sospettoso, J."

Quest'ultima sorrise nonostante l'espressione irritata di Jungkook. "Nonostante tutta questa tua analisi da Sherlock Holmes sia stata divertente, - e credimi, lo è stata tanto, - mi hai letto in modo errato, agente. Ma non importa."

Avvicinandosi, la ragazza riuscí a far scomparire lo sguardo arrabbiato trasformandolo in uno leggermente sorpreso. "Sei innocuo, ti terrò aggiornato se scopro qualcosa."

Jungkook si sentí due leggeri colpi sulla spalla, seguiti da una mano sul fianco che lo circondò lentamente e raggiunse la schiena. Fece per protestare quando J mise in chiaro le sue intenzioni.

"Sto solo riprendendo ciò che è mio."

Ritraendo il pugnale dalla cintura dell'agente, la ragazza lo infilò nell'apposita custodia attaccata al suo fianco, salendo subito dopo sul cornicione della finestra aperta. "Buon Natale in ritardo, agente Jeon."

Nell'attimo del salto, Jungkook si ritrovò ad augurare "Buon Natale, J." alla luna.



 

[29 Dicembre 2016, 18:54 – Im Cottage, Philadelphia, Pennsylvania, Stati Uniti.]

Quindici ore di volo e tredici di fuso orario avevano modificato la bussola biologica di Taehyung e Jimin, che invitati generosamente a passare una serata tra ospiti, avrebbero preferito rifiutare e dormire. Tuttavia non erano lí per il sonno, potevano sopportare le conseguenze del jetlag e allo stesso tempo recuperare informazioni.

Quella mattina, appena atterrati, avevano raggiunto il Cottage ormai della vedova Yongsun, giusto per consegnare i bagagli ai domestici e dirigersi verso il Laurel Hill Cemetery, dove si sarebbe svolto il funerale di Jaebum. Nonostante i due agenti avessero tenuto d'occhio ogni persona presente, nessuna faccia scaturí sospetti: erano tutti vecchi amici o parenti del filantropo, piú qualche nuovo conoscente. Loro stessi facevano parte delle vittime del Galà, invitate da Yongsun per scusarsi dello sfortunato accaduto.

In quel momento si trovavano nella loro camera da letto, pronti per scendere nella sala comune e fare compagnia ai presenti prima dell'ora di cena.

Taehyung sistemò la camicia sotto il maglioncino marrone scuro, che richiamava il colore dei suoi capelli. La vasta campagna, la stagione fredda e la stanza in legno erano tra le cose che piú amava: nonostante fosse una missione, l'agente si sentiva a suo agio in quell'atmosfera.

Jimin, d'altra parte, sembrava odiare dover indossare vestiti borghesi al posto di giacca e cravatta, per quanto gli stessero bene. I jeans neri accompagnavano divinamente le sue curve e il maglione verde scuro allo stesso tempo esaltava la serietà e la domesticità dell'outifit.

Per tutta la durata del viaggio e anche dopo il loro arrivo, l'agente aveva eliminato i suoi comportamenti da stronzo sarcastico optando per discrezione e professionalità. Ma agli occhi della gente rimanevano una coppia sposata e Taehyung iniziava a notare gli sguardi confusi degli invitati. Se al funerale i loro silenzi potevano essere considerati simboli di cordialità e rispetto, quella sera dovevano mostrare una decente messinscena di giovani felicemente sposati.

Per far sí che la gente si fidasse, e per indurli poi a riferir loro ciò che sapevano, i due dovevano quindi confondersi con la massa e comportarsi come tale. Ciò voleva dire approffittare delle cene, delle feste, dell'alcol e di tutto ciò due giovani altolocati erano abituati a ricevere. Non cambiava certo il fatto che non fossero in America per una vacanza, ma indagare la scomparsa di Namjoon rimaneva la priorità nelle loro menti.

"Signor Park, sa suonare il pianoforte?"

"Me la cavo." Taehyung osservò il pianoforte a coda nero, non molto lontano dal centro della stanza. Vide il collega allontanarsi da lui per raggiungere lo strumento musicale. Sapeva che il ragazzo non era un Bach, ma se la cavava egregiamente nei pezzi che aveva imparato a memoria. Quando infatti Jimin si sedette davanti al pianoforte e iniziò a toccare i primi tasti, circondato dal silenzio di tutti gli invitati, la melodia prese vita e Taehyung si pentí di non averlo sentito suonare abbastanza, anni prima.

La serata e la cena procedettero senza ostacoli. I due agenti avevano riconosciuto alcuni invitati e avevano continuato la conoscenza, senza però ottenere grandi informazioni. La padrona di casa Yongsun, infatti, non si era unita alle conversazioni, decidendo di passare quella sera nella privacy della sua stanza. Tutti comprendevano il motivo e il dolore provato dalla vedova, e quest'ultima promise di essere presente la mattina successiva, a colazione, e scambiare parole con ognuno di loro.

Nè Taehyung nè Jimin potevano quindi nominare Kim Namjoon. Nel frattempo, però, si impegnarono a informare i loro conversatori dell'interesse condiviso dalla coppia verso le ricerche tecnologiche, specialmente quelle in campo militare. Qualche ospite aveva loro offerto di partecipare come sponsor a scambi d'armi con l'America, ma nessuno sembrava citare il famoso scienziato scomparso.

Tra discorsi di conoscenza, una cena silenziosa e qualche melodia al pianoforte la notte si avvicinò e i due agenti decisero di ritirarsi nella loro stanza. Non avrebbero ottenuto ulteriori informazioni da quella serata, tanto voleva riposare e aspettare la mattina successiva, quando Yongsun si sarebbe fatta viva.

"Che ti prende? Non è da te non fare commenti ogni minuto." Taehyung si rivolse al finto marito, che aveva perso la sua ironia, mentre aprì la porta della loro camera e lo lasciò entrare per primo.

"Ti mancano?" Non riuscì a vedere l'espressione di Jimin, osservandolo la sua schiena mentre il ragazzo iniziava a cambiarsi.

"In realtà no." Fingendo disinteresse, Taehyung rimase qualche secondo a fissare confuso l'agente, prima di raggiungere il bagno e regalarsi una meritata doccia calda, lasciando cadere il discorso.

Quando tornò nella stanza, l'atmosfera era silenziosa e buia: Jimin si trovava già nel letto, in maglietta e pantaloni leggeri, a fissare il soffitto. Un braccio era piegato dietro la testa, creando con la mano un secondo cuscino sopra il quale poggiare la nuca, mentre l'altro era steso lungo il suo fianco, sopra il lenzuolo. Taehyung finse di non aver notato come l'agente stesse giocando inconsciamente con il pollice e la finta fede al dito. L'anello uguale, intorno al suo stesso anulare, di cui si era dimenticato, stava iniziando a farsi sentire: in quel momento la pressione dell'oggetto sembrava stringergli la pelle e allo stesso tempo lo stomaco.

"Stavo pensando." Fortunatamente, dopo una giornata di silenzio, Jimin decise di parlare e allontanare la mente di Taehyung da pensieri e aspettative inutili e deludenti. "Incontrare un uomo un giorno e una settimana dopo partecipare al suo funerale..."

Taehyung si avvicinò al letto, e per quanto dormire con Jimin fosse tra gli ultimi doveri al mondo che avrebbe voluto affrontare, si lasciò sdraiare lungo il materasso, coprendosi con il lenzuolo e mantenendo una giusta distanza tra loro.

"Nessuno crede che la morte di un criminale come Jaebum possa smuovere l'insensibilità di Park Jimin."

Si mise a fissare anche lui il soffitto: anche quello in legno, era un punto della stanza stranamente rilassante. Guardarlo poteva tenere gli occhi di Taehyung distratti, distratti da dove sapeva volessero cadere.

"No infatti. È solo... Strano."

Suonava malinconico. Jimin stava ancora gesticolando con la fede ma Taehyung non voleva abbassare lo sguardo per accertarsene. Non significava niente, dopotutto era solo un oggetto senza valore.

"Risparmiami il profondo discorso sull'imprevedibilità della vita, ora come ora voglio solo dormire."

La richiesta di Taehyung fu accolta da un cenno del capo di Jimin, che ovviamente non vide data la sua posizione. Ma presto anche fissare il soffitto creò tensione nell'aria e i due si voltarono di lato, evitando un contatto visivo che sarebbe stato imbarazzante e inappropriato e troppo.

Dopo qualche minuto, i due si rassegnarono alla morbidezza e alla stanchezza, ad un passo dall'addormentarsi profondamente, quando─

"Taehyung-ah."

L'improvvisa azione sorprese l'agente, che non era abituato a sentire pronunciare il suo nome in modo cosí flebile, specialmente non da parte di Jimin. "Mh?"

"Auguri."

Tra la scomparsa di Namjoon e le missioni, Taehyung si era dimenticato del giorno, del mese e se avesse potuto, anche dell'anno corrente. Aveva notato la data sul biglietto aereo, sí, ma ormai che importanza aveva? Era il suo compleanno, era riuscito a sopravvivere 365 giorni in piú rispetto all'anno prima, semplice prassi: aumenta solo il numero su un pezzo di carta. Aveva smesso di festeggiare quel giorno da anni. Namjoon e Seoyoon non smettevano però di regalargli piccoli pensieri, e la loro gentilezza ricordava a Taehyung un volto - uguale a quello dell'agente in quel momento al suo fianco, ma appartenuto a un carattere differente - che un tempo festeggiava felice il 30 Dicembre, con o senza il suo consenso.

Anche la voce era rimasta la stessa, dolce e sottile mentre gli augurava un buon compleanno come se ne valesse ancora la pena.

Taehyung si costrinse a chiudere gli occhi. Il sonno che prima lo stava circondando e gettando in un silenzio rilassante, in quel momento aveva lasciato spazio ai ricordi.

"Grazie."



 

[31 Dicembre 2016, 21:12 – Hagik-dong, Guwollam-ro, Nam-gu, Incheon, Corea del Sud.]

"Ricordatemi il motivo per cui siete quì."

Ritrovandosi faccia a faccia con due volti sorridenti, Jungkook questionò le sue amiche con un sopracciglio alzato. Mentre Inyeong si limitò a salutare felice, Seoyoon alzò in segno di vittoria due bottiglie di champagne e si allontanò dal fianco della collega per superare la soglia. Sorpassò l'agente seccato e si fiondò nella sala del suo appartamento, seguita a sua volta da una più timida Inyeong. "Aish, Kook-ah. Non puoi festeggiare Capodanno da─"

Per quanto avrebbe voluto evitarlo, Jungkook previde il motivo per cui l'amica si bloccò poco dopo essere entrata. "Solo."

"Cosa che non sei, a quanto vedo."

Sul pavimento, circondata da due pc e diverse scartoffie, J si rivolse all'intrusa con un'espressione sorpresa. La curiosità di Seoyoon la ammutolì, ma nel momento stesso in cui cercò di presentarsi

"Unnie!" Inyeong sfrecciò verso la quartermaster per regalarle un caloroso abbraccio, che venne prontamente ricambiato con un leggero sorriso. "Ehi, Inyeong."

"Vi conoscete?" Contemporaneamente, Seoyoon e Jungkook rimasero sulla soglia della sala, confusi.

Allegra per l'inaspettata svolta della serata, Inyeong si voltò verso i due amici con un ghigno malefico. "Quartermaster power, plebei."

L'azione adorabile della ragazza fece scoppiare una risata in J, seguita a ruota da Seoyoon.

L'unico impassibile, ancora scioccato, era Jungkook. Anni prima non avrebbe mai pensato di poter riuscire a passare un capodanno con tre colleghe femmine. Tanto meno avrebbe creduto possibile trovare piacevole il sorriso di una di loro.

Nei giorni dopo il loro incontro, Jungkook poteva vantarsi di aver visto il volto della sua quartermaster, senza maschera. Capitava infatti, che i due si incrociassero all'headquarter, nonostante succedesse raramente e per pochi secondi, o che J piombasse a casa sua con ricerche su Yongsun e i suoi famigliari. Non avevano ancora trovato nulla di utile tra le informazioni ricavate, ma non perdevano la speranza. E riuscire ad andare d'accordo con la partner rendeva Jungkook fiero dei propri progressi in ambito relazionale. Il rapporto si basava su scambi di poche frasi, per lo più sarcastiche, e una fortunata muta comprensione, tuttavia i due sembravano fidarsi l'una dell'altro.

Quella sera J si trovava nel suo appartamento per la solita serata di ricerche. Entrambi si erano dimenticati totalmente del periodo dell'anno, concentrati e determinati ad aiutare a modo loro nel ritrovamento di Namjoon. Jungkook aveva notato dettagli nel volto della quartermaster, che durante il primo loro incontro erano coperti dalla maschera e dal buio. Per esempio, i capelli mossi erano castani ma tendenti al rame, la forma delle labbra curva e morbida, la pelle chiara e gli occhi verdi.

In quel momento erano un interessante contrasto con la chioma mora e la corporatura minuta di Inyeong, il caschetto e l'abbronzatura di Seoyoon e l'atmosfera strana della stanza. Seoyoon si avvicinò alla ragazza, porgendole la mano. "Quindi devo ringraziare te per avergli salvato la vita."

E chinandosi leggermente verso l'orecchio della quartermaster, aggiunse con una risatina un "Anche se potevi lasciarlo la."

"A cosa state lavorando, ragazzi?" L'attenzione dei tre presenti finì immediatamente su Inyeong e le carte a piedi di J da lei indicate.

"Niente di importante.", si affrettò J a rispondere, piegandosi per raccogliere i documenti e spostarli.

"Capisco..." Jungkook non solo vide, ma sentì l'occhiolino di Seoyoon, che si voltò verso di lui per ammiccare sarcasticamente. "Più siamo meglio è, festeggiamo tutti insieme?"

Alzandole nuovamente al cielo, le due bottiglie di champagne ripresero ad essere oggetto di gioia, prima che l'agente potesse individuare lo scambio di sguardi tra Jungkook e J. "Oppure stiamo interrompendo qualc─"

"Nulla. Non state interrompendo nulla."

 

_____
 

I quattro si ritrovarono seduti sul pavimento, sopra a morbidi cuscini, alternando sorsi di champagne a snack di dubbia provenienza. Perdendosi nei discorsi, Seoyoon cercò di conoscere meglio quella che considerava l'unica persona a lei sconosciuta. "Quindi sei amica di Inyeong-ah. Come mai non ti ho mai incontrata?"

"Non è tipo da vagare per l'headquarter, Aegi-ah." Inyeong rispose al posto della quartermaster, chiamando l'agente con il suo speciale soprannome e raccontando con occhi sorridenti il loro primo incontro. "Ci siamo conosciute solo un anno fa, e felicemente riviste per collaborare alla missione del Galà. Dovresti vederla! E' talento sprecato per una scrivania e un pc! Ah, la chiamo 'unnie', ma in realtà ha tre anni in meno di noi."

Rivelata l'età, Inyeong riprese a bere dal proprio bicchiere come se niente fosse, di fianco ad un Jungkook che aveva iniziato a sgranare gli occhi. Se avesse bevuto in quel momento, probabilmente gli sarebbe andato di traverso.

"Wow, ti ammira tanto." Le parole di Seoyoon ignorarono totalmente la reazione del ragazzo, optando per un sorriso e uno sguardo fiero rivolto a Inyeong e J. "Se lei si fida, mi fido anche io."

"Aspetta. Siamo dello stesso anno." Dal nulla, controllando mentalmente i propri calcoli per non sbagliare, Jungkook si scioccò per quella rivelazione. Per quanto poco conoscesse Seoyoon e Inyeong, sapeva come entrambe fossero nate nel 1994, il che rendeva la sua quartermaster automaticamente della sua età.

Alzando le spalle e gli occhi al cielo, J finalmente riuscì ad esprimersi. "Così ha voluto il destino."

Da quel momento, la risata di Seoyoon invase la sala, facendo cambiare argomento e notare l'orario. Si persero nei festeggiamenti, nei racconti di aneddoti divertenti (principalmente delle due partner) e pettegolezzi riguardanti argomenti futili.

Quando i fuochi d'artificio furono visibili dalla finestra della cucina, Jungkook spostò il cibo e l'alcool vicino a Seoyoon e Inyeong, che guardavano entusiaste le mille luci nel cielo nero. Era uno spettacolo stupendo, oggettivamente, eppure la sua quartermaster sembrava preferire la terrazza dalla parte opposta del suo appartamento.

"Ti stai perdendo i fuochi d'artificio." Raggiungendola, Jungkook la vide voltarsi prima ancora di aver parlato. Probabilmente l'udito allenato aveva percepito l'apertura della veranda.

"Non mi interessano." J gli rispose senza guardarlo, fissando il cielo davanti a sè e sorseggiando dalla sua bottiglia di soju. Champagne per l'occasione, ma alla fine della giornata si tornava sempre sulla stessa scelta coreana, dopotutto.

"E cosa ti interessa?" Posizionandosi al suo fianco, Jungkook le parlò invece osservandola, notando l'espressione pensierosa e attaccandola con la sua curiosità. La luce della luna, benchè debole e dispersiva, faceva risplendere gli occhi della quartermaster come l'agente aveva visto succedere già parecchie volte. Erano semplici occhi, familiari a Jungkook, in qualche modo. Ma volevano raccontare molto più di quello che già nascondevano.

"La giustizia. Trovare Namjoon. Viaggiare. La luna, le stelle. Devo continuare?"

Rispondendo con un contatto visivo, J iniziò a elencare i suoi interessi, e Jungkook si perse a pensare alle stelle. Ogni volta che quella ragazza si fiondava nel suo appartamento era notte. Gli era capitato di incrociarla di giorno all'headquarter, ma le serate dedicate alle ricerche accadevano sempre nello stesso momento della giornata. Jungkook aveva iniziato ad associarla alla luna, alle stelle, che amava tanto guardare. E quando un pericoloso pensiero nella sua testa si chiese se nelle stelle la sua quartermaster trovasse anche la propria casa, un'idea lo colpì di colpo.

"Coordinate."

"Cosa?"

Gesticolando verso J impaziente, l'agente si affrettò a dirle "Passami l'anello.", al quale la quartermaster velocemente recuperò la fede dalla tasca dei jeans e gliela porse.

Sfruttando il proprio cellulare, Jungkook trovò con facilità la posizione corrispondente. "Bingo."

Con occhi speranzosi, J si dovette piegare leggermente in avanti, causa la differenza di altezza dei due, per leggere il luogo scoperto. "Philadelphia, Pennsylvania, Stati Uniti. Siamo ancora al punto di prima, Kook."

Sorpreso dal soprannome, ma concentrato sulla fede, Jungkook fissò nuovamente con attenzione il retro dell'anello. "Questo simbolo." Alternò lo sguardo tra l'oggetto e la collega, confuso. "L'ho già visto da qualche parte."

"Non ha senso perdere tempo ora. Ci penseremo domani." Rassegnandosi, J riprese l'anello dalla mano di Jungkook, rimettendolo in tasca e tornando a osservare il cielo. L'agente discese dal suo precedente entusiasmo per la scoperta, condividendo la scelta del riposo. Al leggero sfioramento delle mani si ricordò del discorso iniziale, mantenendo il proprio sguardo sulla misteriosa ragazza davanti a lui.

"Sono curioso riguardo quella lista."

"Cosa?"

"I tuoi interessi." Con un'espressione maliziosa, Jungkook cercò di approfondire la loro conoscenza, cosa che in quei giorni aveva ricevuto pochi piccoli passi avanti, legando come meglio poteva fare con una ragazza. Aggiunse una leggera gomitata e un sorriso appena accennato, aspettando una risposta e ammiccando simpaticamente.

Corrugando le sopracciglia e scuotendo la testa, J riprese a bere. "Oh, non pensare di farne parte."

"Non l'ho mai detto." Un sorriso di vittoria si fece spazio sul volto di Jungkook. Si voltò, poggiandosi di schiena contro la terrazza e guardando Seoyoon e Inyeong esultare per la fine dei fuochi d'artificio all'interno dell'appartamento. Voltandosi verso J, riprese a parlare, cambiando argomento. "Quindi posso smettere con gli onorifici, coetanea?"

"Avevi mai iniziato?"

"Touchè" Sorridendo, Jungkook rimase per qualche secondo in silenzio, attirando l'attenzione della quartermaster, che copiò la sua posizione e notò l'espressione trasformarsi in un insieme di malinconia e nostalgia. "Ho smesso di fidarmi della nostra pessima annata molti anni fa. Mi ha solo insegnato a non affezionarmi troppo."

J si limitò a fissarlo negli occhi, anche quando l'agente rispose al contatto visivo. "Stai mentendo."

L'agente non capì come fosse possibile, ma la quartermaster aveva centrato in pieno. Bluffando, guardandolo fisso, era giunta ad una conclusione esatta: solo i migliori agenti, addestrati per molti anni, potevano riuscirci. Jimin e Taehyung erano due di quelli, per esempio. Essere letto così facilmente da qualcuno che dal canto suo non si apriva completamente alla conoscenza lo irritava. Poteva rimanere lì, in piedi, davanti agli occhi vigili di J, e al primo passo falso lei avrebbe analizzato ogni dettaglio, niente in confronto ai pochi indizi che Jungkook riuscì ad ottenere durante il loro primo incontro. L'agente continuò a rispondere al contatto visivo, senza lasciare intendere se la ragazza avesse avuto ragione o meno, e iniziò ad avvicinarsi a lei. Solo il fatto di riuscirci, sorprese Jungkook, che si ritrovò ancora più soddisfatto di se stesso quando l'espressione confusa della quartermaster si colorò di rosa.

"E tu stai arrossendo."
 

_____
 

La prima colazione del 2017 si rivelò un nuovo inizio, in tutti i sensi.

Al risveglio Jungkook si rese conto di essersi addormentato sul divano. Guardandosi attorno, identificò Seoyoon e Inyeong l'una abbracciata all'altra sulla poltrona e se stesso in un angolo abbastanza attaccato alla posizione della terza ospite. La sua quartermaster infatti si era addormentata per terra, ancora Jungkook faticava a spiegarsi come, con la schiena poggiata contro il divano. L'agente, appena sveglio, notò come dalla sua visuale potesse osservare alcune ciocche mosse sparse vicino a lui, e come gli bastasse allungare la mano per toccarle. Azione che si trattenne dal compiere.

Subito dopo ricordò che Seoyoon si alzò urlando "Buon 2017, dormiglioni!", scuotendo allegramente Inyeong e svegliando definitivamente tutti i presenti. J si strofinò gli occhi prima di comprendere la ragione del suo risveglio e di guardarsi attorno: nel momento stesso in cui si voltò per constatare che effettivamente aveva dormito seduta per terra, la faccia di Jungkook si ritrovò a breve distanza dalla sua e i due si spaventarono. A quella reazione susseguirono commenti sarcastici sulla bellezza mattutina dell'agente e una pronta risposta ironica, e da lì vari bisticci e frasi acide.

Quando tutti e quattro si riunirono al tavolo per regalarsi una colazione, l'atmosfera si fece più leggera e vivace, rallegrata dalle risate. Jungkook si sentì fiero di sè per essere riuscito a relazionarsi con tre talentuose amiche - o meglio, due colleghe e una conoscente - superando la propria ansia. Seduto di fronte alla sua quartermaster, tra un boccone e l'altro, notò che la ragazza aveva preso il raffreddore la sera prima, in terrazza, e che non smetteva di starnutire. Ogni starnuto era preceduto da un arricciamento adorabile del naso e l'agente si rese conto troppo tardi del pensiero smielato e dello sguardo malefico di Seoyoon, che aveva già letto tra le righe.

Tuttavia, prima che la collega potesse annunciare un commento a riguardo, un suono fastidioso interruppe la colazione. Rendendosi conto che l'origine del rumore derivava dal proprio cellulare, J controllò la chiamata persa. "E' Seokjin. Dobbiamo andare."

Fu in quel momento che Jungkook, osservando le tre colleghe prepararsi ad uscire e riportando alla mente la fede di Yongsun, ricordò. Pregò di aver ricordato in modo errato, di essersi sbagliato, ma la sua vista non mentiva.

"Aspetta." Bloccò il braccio della quartermaster, prendendola da parte e lasciando uscire per prime Seoyoon e Inyeong.

Confusa, J lo guardò, aspettandosi un motivo per l'improvvisa sorpresa. L'agente finalmente si rese conto che quell'informazione avrebbe totalmente cambiato le sorti di ogni membro dell'agenzia.

"Ricordo dove ho già visto quel simbolo."



 

[30 Dicembre 2016, 9:16 – Im Cottage, Philadelphia, Pennsylvania, Stati Uniti.]

La colazione all'Im Cottage era solita svolgersi all'esterno, in una grande zona che affacciava un ampio giardino colorato, attrezzata di tavolini e sedie bianche.

La presenza di numerosi ospiti non creava eccezioni: divisi a piccoli gruppetti, massimo quattro persone per la capienza dei banchi, gli invitati sceglievano dove e con chi sedersi man mano che si svegliavano e raggiungevano l'esterno.

Taehyung vide arrivare Jimin, che al suo risveglio aveva lasciato dormire, in tutta la sua bellezza: capelli spettinati, liberi dal gel, maglioncino blu scuro, guance paffute. Quest'ultime ricordarono all'agente un'immagine ben precisa, che lo fece arrossire, ma che presto si costrinse a eliminare dalla mente. Quando Jimin lo raggiunse al loro tavolino, sedendosi sulla propria sedia e tirandosi indietro i capelli dalla fronte con un veloce gesto della mano, Taehyung ricominciò a respirare. Informò velocemente il collega che Yongsun non era ancora arrivata, che i presenti non avevano ancora spiaccicato parola con lui e che avrebbe aspettato il momento opportuno.

"Tutto ok?"

Dopo minuti di silenzio, durante i quali i due agenti approfittavano della ricca colazione, Jimin si sentí addosso la pressione dello sguardo di Taehyung.

Schiaffeggiandosi mentalmente per la sua incapacità di distogliere lo sguardo dal collega, che in quella veste sembrava essere ringiovanito di tre anni (casualità), e finse innocenza. "Perchè non dovrebbe esserlo?"

Nonostante ciò Jimin continuò ad osservarlo preoccupato.

"Mi hanno riferito, signori Kim e Park, che siete interessati alla scienza. Di che tipo, se posso essere invadente?"

La voce di Yongsun arrivò alle loro orecchie prima che la figura si manifestò. Vestita di bianco, lutto velocemente superato, e con i capelli raccolti in uno chignon spettinato, la vedova si avvicinò al loro tavolo sorridendo, rimanendo in piedi.

"Tecnologica, biologica, chimica. Tutto ciò che può essere usato come un'arma o una cura."

Rispondendo cortesemente alla domanda, Jimin prese l'iniziativa, notando l'espressione ancora confusa del collega.

Le labbra di Yongsun crearono una leggera "o" di interesse e sorpresa, prima di trasformarsi in un sorriso malizioso. "Belligeranti e filantropi."

"Vendiamo agli ipocriti e a chi vuole scatenare guerre, nulla di nuovo." Taehyung entrò nel discorso, sottolineando l'ovvio e fingendosi allo stesso livello dei criminali lí presenti.

Voltandosi verso il ragazzo, Yongsun rimase un attimo a contemplare i dettagli del suo viso, soddisfatta ma allo stesso tempo sovrappensiero. "Sareste piaciuti a mio marito."

"Non lo metto in dubbio." Fu un botta e risposta che Taehyung pagò caro. Principalmente scatenato dal sarcasmo e dal ricordo dei gemiti di Jaebum accompagnati da quelli del collega, l'agente si fece scappare un velo di ironia che non passò inosservato. Nè dallo sguardo allarmato di Jimin, nè dall'espressione incredula di Yongsun.

La vedova cambiò argomento, sentendo minacciare la stabilità e la reputazione dell'ormai finito matrimonio. "Avrete sicuramente sentito parlare dello scienziato Kim, quindi? Una delle migliori menti di mio marito."

"Kim Namjoon, sí. Il nome non mi è nuovo. La fama lo precede." Jimin riprese il timone del discorso, non fidandosi piú ciecamente delle frasi che potevano uscire dalla bocca del collega.

"Sono d'accordo, un cervello come pochi." Yongsun accennò un sorriso nostalgico, appoggiando entrambe le mani agli schienali delle due sedie occupate. "Peccato."

"Peccato?" Taehyung perse un po' della sua compostezza, preoccupato per l'implicita informazione.

"Non ne siete a conoscenza?" Come una donna anziana dalla parrucchiera, ansiosa di raccontare alle proprie coetanee il nuovo scottante pettegolezzo, cosí Yongsun si rivolse ai due, divertita e piena di sè. "Il ragazzo era diventato troppo... Curioso. Mio marito - riposi in pace - ha dovuto sbarazzarsi di lui."

La vedova alzò le spalle come se fosse una questione di poco conto, soddisfatta del potere del proprio marito - ora completamente suo - ed emanando senso di superiorità da tutti i pori.

"Ha licenziato uno dei migliori scienziati al mondo?"

Jimin guardò Taehyung chiedere, scandalizzato, ulteriori ragioni di quel trattamento. Sarebbe stato facile far parlare una donna che non aspettava altro che vantarsi delle azioni ingiuste del marito. Yongsun guardò l'agente e rise.

"Oh no, no." Sostituí le risate con un leggero sorriso compiaciuto. "L'ha ucciso."



 

[31 Dicembre 2016, 19:39 – Im Cottage, Philadelphia, Pennsylvania, Stati Uniti.]

"So quanto sia dura, ma dobbiamo fingere."

Appena Yongsun si allontanò dal loro tavolo, quella mattina, Taehyung non riuscí a rimanere seduto. Dopo l'inaspettata notizia, l'agente si alzò silenzioso dalla sua sedia, sotto gli occhi vigili e preoccupati di Jimin, e raggiunse la camera.

Inizialmente Jimin lo lasciò solo, nella privacy della loro stanza, comprendendo il dolore e la rabbia del collega. Si impegnò invece di riferire immediatamente l'informazione all'headquarter, non riuscendo però a contattare nè Jungkook nè Seoyoon. Si appuntò mentalmente di riprovarci piú tardi, ma quando Taehyung non si presentò a pranzo, Jimin dovette affrontare prima il problema dell'umore del collega e inventare una scusa per la sua assenza. Agli invitati che gli chiedevano del marito, l'agente rispondeva che purtroppo il ragazzo si trovava in camera, con un forte mal di pancia.

Alla notizia, Yongsun si affrettò a procurargli delle medicine e si assicurò che Jimin gliele portasse, cosícchè quella sera potessero essere tutti in grado di festeggiare il Capodanno insieme.

L'agente quindi si ritrovò a parlare contro la porta chiusa del loro bagno, spiegando a Taehyung che la scusa avrebbe retto ancora per poco e che comprendeva bene cosa stesse passando in quel momento, che gli dispiaceva per Namjoon nonostante non l'avesse conosciuto e che presto la messinscena sarebbe finita. Dall'altra parte della porta Taehyung si trovava seduto sul wc chiuso, incapace di muoversi, ma stranamente senza una lacrima in viso: non era riuscito a piangere, eppure la notizia della morte di Namjoon lo aveva sconvolto cosí tanto che se non si fosse chiuso in bagno, avrebbe commesso l'errore di vendicarlo uccidendo la vedova.

"Taehyung, so cosa provi ma─"

Una risposta dall'interno del bagno uscí con forza e attaccò Jimin. "Non sai niente di quello che provo." Il tono di Taehyung non era quello di una persona che poteva aver pianto tutto il pomeriggio, piuttosto quello di un uomo arrabbiato e ferito.

Le parole non furono prese sul personale da Jimin, che, cercando di consolare il collega, tentò di affrontare l'argomento con un approccio diverso. "Namjoon non vorrebbe─"

"Non farlo" Taehyung lo zittí. "Non hai il diritto di dirmi cosa fare, o di come devo sentirmi. Non proprio tu."

Non si pentí minimamente di essere andato contro l'unica persona che in quel luogo lo stava aiutando. Taehyung non aveva dimenticato. E le parole di Jimin erano quelle di un agente ipocrita.

Un breve silenzio venne interrotto dall'agente nella stanza, che non sembrò volersene andare. "Hai ragione." La voce di Jimin, leggera e comprensiva, optò per poche semplici parole di conforto. "Solo, non perdere le speranze."

"Come hai fatto tu?"

La risposta secca di Taehyung non ricevette indietro nemmeno una monosillaba. Aveva toccato volutamente un tasto dolente, soddisfatto di aver fatto tacere l'agente e calmato allo stesso tempo la propria ira. Dopodichè sentí solo una porta sbattere, e il silenzio riempire nuovamente la stanza.

_____

Offrendo bottiglie a Jimin, dicendogli di festeggiare con il marito prima di mezzanotte, gli invitati accolsero con dispiacere la notizia dell'assenza di Taehyung durante i fuochi e i festeggiamenti di fine anno.

Jimin decise di distrarsi bevendo e chiacchierando, discorsi ormai inutili ai fini della missione, scusandosi al posto del marito e rifiutandosi di pensarci ulteriormente.

Quando Taehyung scese le scale dell'uscita, raggiungendo tutti gli ospiti nel giardino dal quale avrebbero assistito al gioco di luci, l'agente notò la bottiglia di vino nella mano destra del ragazzo.

Doveva aver trovato la voglia di vestirsi elegante per l'occasione, e il modo di farsi amico il cuoco, responsabile della cantina in cui erano nascosti i vini piú costosi. Jimin lo vide ondeggiare leggermente durante gli ultimi scalini, conseguenza di un'ubriacatura facile, e lo raggiunse serio.

Ad un passo da Taehyung, cercò di tenerlo in equilibrio lasciando circondare con un braccio la sua vita. Il collega sembrò a malapena reagire al contatto.

Guance rosee e occhi lucidi creavano un quadro quasi melanconico sul volto di Taehyung, se il sorriso beffardo del ragazzo non si lasciasse scappare qualche incoerente risata.

"Come st─?"

"Ho detto cose orribili prima." Dimenticati i sorrisi e tornando serio, Taehyung si lasciò trasportare da dov'era arrivato da Jimin, che preferí allontanarlo da possibili guai.

Notando il silenzio imbarazzante e l'espressione seria del collega durante tutto il tragitto fino al loro arrivo in camera, Taehyung continuò.

"È che è tutto ciò che mi è rimasto quando te ne sei andato."

Lasciando le chiavi della stanza sul comodino, Jimin si voltò verso l'agente, seduto fermo contro la porta. Senza energie Taehyung alzò lo sguardo stanco per incrociare quello del collega. Avvicinandosi velocemente, Jimin sembrò voler arrendersi alle spiegazioni.

"Tae─"

"No, non voglio parlarne. Non ora, non cosí." Indicando il suo stato di lucidità, e allo stesso tempo quello emotivo, Taehyung lo zittí. E quando Jimin si lasciò cadere vicino a lui, con delicatezza e un leggero "Va bene.", l'agente poggiò la propria testa sulla spalla del collega, che irrigidí i muscoli per la sorpresa.

"Non farti un'idea sbagliata, sei l'unico quí, è per questo."

"Ovvio."

Rimasero in quella posizione per molto tempo, ascoltando il rumore lontano dei fuochi d'artificio, in un piacevole silenzio. Taehyung aveva chiuso gli occhi, perdendosi nella piacevole sensazione, mentre Jimin offriva la propria spalla come cuscino.

"Mi dispiace." Il suono delle parole improvvise di Jimin lo risvegliarono dall'atmosfera rilassante. Sollevò la testa, voltandola per guardare l'agente. "Non conoscevo Namjoon, lo so, ma era tuo amico. So cosa significa perdere un amico."

Taehyung percepí la nota di tristezza nella voce del collega. Cercava di consolarlo, ovvio, ma ogni frase rassicurante di Jimin gli ricordava solo l'incoerenza rispetto alle sue azioni di tre anni prima. Sentiva la sincerità nel tono di voce del collega, dal modo in cui non riuscí a mantenere il contatto visivo e decise di fissare il pavimento davanti a sè. Il nuovo Jimin non era abituato a dire quel genere di cose, il vecchio Jimin non avrebbe avuto problemi.

Se la nuova versione del collega aveva davvero sofferto per un amico, Taehyung avrebbe voluto sapere se si stesse riferendo a lui, se fosse stato egli stesso la causa di quel dolore che Jimin diceva di aver sperimentato.

"Mi consideravi come tale?"

"Non parlo di te. Hai visto Taemin e sai che lui non è il mio quartermaster ufficiale."

Sorriso contagioso, dolci fossette e aura di bellezza e positività. Taehyung ricordava bene il primo partner di Jimin, affidato al ragazzo quando aveva intrapreso la sua prima missione, ma quest'ultimo non gli diede tempo di chiedere ulteriori spiegazioni a riguardo.

"Ma lo supererai. Col tempo."

Jimin gli regalò un sorriso sincero.

"Come ho sempre fatto."

Che Taehyung ricambiò con una constatazione secca. Quella semplice frase conteneva molti piú significati.

Seguendo lo sguardo del collega, Jimin notò che l'attenzione di Taehyung era caduta sulla sua mano. Si mise a fissare anche lui la propria fede, iniziando a girarla con il pollice e l'indice dell'altra mano, quella libera. "Eri molto piú di un amico, lo sai."

Il movimento ritmico delle dita di Jimin rallentò pian piano fino a fermarsi del tutto. Alzando lo sguardo, l'agente osservò i due occhi lucidi e vulnerabili al suo fianco. "E lo sei ancora."

Rimasero a guardarsi per qualche secondo, percependo la fitta tensione nell'aria. Portando la mano all'attaccatura tra il collo e la mandibola di Taehyung, Jimin mosse il proprio pollice in corte leggere carezze, scatenando nel collega una reazione interessante: Taehyung infatti, sentí prima di tutto il contatto tra la fede e la pelle del suo collo, che per la freschezza gli procurò un lieve brivido, e poco dopo la rilassante sensazione delle carezze, che gli fecero socchiudere per un attimo gli occhi.

Per Jimin l'immagine fu troppo da metabolizzare per abbandonare il gesto, far cadere la mano e allontanarsi. Fece l'esatto contrario: facendo pressione sul suo collo e piegandosi leggermente per la posizione scomoda, l'agente avvicinò il volto di Taehyung al suo. Fermandolo a pochi millimetri, si ritrovarono a respirare la stessa aria. Jimin cercò nel volto del partner un indizio di possibile dissenso, eppure davanti a sè trovò solo un'espressione bisognosa di conforto, e gli bastò.

Inclinando leggermente la testa, Jimin uní delicatamente le loro labbra in un bacio innocente.

Il contatto fece tornare indietro nel tempo Taehyung, che per la prima volta non ricordò solo i brutti momenti passati con l'agente. Jimin schiuse le proprie labbra e le allontanò lentamente dalle sue, dandogli il tempo di rispondere negativamente al bacio. Probabilmente si sarebbe aspettato un pugno o una spintonata, seguiti da un irreparabile silenzio, ma niente lo preparò all'impercettibile movimento del capo di Taehyung, in segno di risposta.

Al muto consenso Jimin si gettò nuovamente contro sue morbide labbra per assaporarle con determinazione, rendendo il secondo bacio piú profondo. Taehyung lo ricambiò immediatamente, lasciandogli impaziente il comando dei loro movimenti. Rassicurato dalle reazioni positive, Jimin modificò le loro posizioni, prendendo il collega per i fianchi e poggiandolo sul proprio ventre. La nuova comoda sistemazione rendeva l'accesso alla bocca di Taehyung piú diretto, e l'agente finí per perdersi nelle sensazioni che la lingua di Jimin non smetteva di provocargli. Portando le braccia dietro al collo del collega, Taehyung lo abbracciò e concluse il bacio, lasciando cadere la testa nell'incavo tra il collo e la spalla di Jimin.

Sentendosi stringere dalle braccia insicure di Taehyung, Jimin portò una mano sulla sua nuca, accarezzandone i capelli. Bastò quel gesto per far crollare la compostezza del ragazzo, che iniziò a piangere silenziosamente. Favorito dalla posizione, Jimin riuscí a portare Taehyung fino al letto, lasciandogli stendere le gambe sul materasso morbido. L'agente non slegò però le braccia intorno al suo collo, costringendo Jimin a rimanere in piedi e piegato.

"Non voglio pensare a niente." Si sentí confessare dalla voce esausta e nascosta sulla sua spalla.

Raggiungendo con le proprie mani le braccia di Taehyung e prendendogli delicatamente i polsi, Jimin lo convinse a liberargli il collo. Senza lasciare la presa, l'agente si sdraiò al suo fianco, allontanando poco dopo il viso di Taehyung da dove continuava a nascondersi - in quel momento il suo petto - per analizzare la sua espressione. Sullo stesso cuscino, Jimin si ritrovò faccia a faccia con un agente a pezzi. Occhi rossi, guance bagnate, labbro inferiore morso: il suo partner non riuscí a guardarlo negli occhi.

Quando Taehyung si sentí sollevare il mento dalla stessa mano che lo aveva dolcemente accarezzato prima, il suo sguardo finí dritto contro un'espressione di totale comprensione, nostalgia e quello che sperava fosse affetto.

"Tienimi." Doveva suonare come una richiesta, ma ciò che uscí all'improvviso dalle labbra di Taehyung sembrò un ordine, che Jimin fu piú che felice di seguire. L'agente avvicinò il proprio corpo a quello senza energie del collega, circondandogli la vita con un braccio e facendo scivolare l'altro sotto la sua testa. Il tipo di abbraccio consentiva a Taehyung di poggiarsi completamente contro Jimin, per la prima volta posizionato piú in alto tra i due.

Nonostante il loro obiettivo fosse dormire, Taehyung si ritrovò ad alzare il volto e cercare nuovamente conforto, che Jimin regalava sotto forma di leggeri baci su tutto il viso, carezze tra le ciocche di capelli e movimenti delicati sulla pelle. I due si persero nelle profondità del sonno tra momenti di insicurezza e affetto, e quando Jimin, osservando il collega dormire, rispose all'ordine con la promessa "Non smetterò piú di farlo.", Taehyung era da tempo naufragato nel mondo dei sogni per poterlo sentire.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 陰 hidden, secret ***


陰 - hidden, secret (or female, moon.)




[1 Gennaio 2017, 4:27 – Im Cottage, Philadelphia, Pennsylvania, Stati Uniti.]

 

“Jimin.”

 

Taehyung sentí solo un assonnato ‘mh?’ come risposta.Fu seguito da una leggera pressione del braccio contro la sua schiena, per assicurarsi della sua presenza e avvicinarlo, per la quale l’agente finse di non provare una strana sensazione allo stomaco.

 

“Sono stanco di fingere.”

 

Jimin aprí gli occhi e lo ascoltò, guardandolo serio. Taehyung era arrivato alla conclusione, dopo essersi svegliato, che odiava quel posto, la gente, Yongsun e la notizia inaspettata su Namjoon. La loro missione ormai era giunta al termine, e non voleva rimanere lí piú del dovuto. Al solo pensiero Taehyung avrebbe voluto vomitare.

 

Appoggiando nuovamente il volto sul petto di Jimin, giurando di non ripetere piú l’azione una volta che il viaggio si sarebbe concluso, Taehyung si rilassò tra le braccia confortanti del partner.

 

“Voglio andarmene.”





 

[1 Gennaio 2017, 23:22 – Incheon Airport, Gonghang-ro, Jung-gu, Incheon, Corea del Sud.]

 

“Dobbiamo informarle. Stanno rischiando la vita anche loro.”

 

Dopo il breve colloquio con Seokjin, i quattro furono incaricati di portare a termine una missione di poco conto in Grecia. La notizia li aveva sorpresi e Jungkook non fu il solo a protestare: la loro priorità doveva essere trovare Namjoon, non seguire i passi di un qualsiasi illegale scambio d’armi dall’altro capo del mondo. Seokjin riferí che le analisi scientifiche sul luogo dello scoppio avevano riportato poche informazioni: i documenti trovati da Taehyung sottolineavano l’ovvio, e l’unica novità interessante arrivò dal laboratorio di chimica e dall’autopsia di quello che rimaneva del corpo di Jaebum. A quanto pare lo sfortunato doveva essersi trovato molto vicino alla causa dello scoppio: la bomba, provocata probabilmente da un piccolo dispositivo, poteva essere stata posizionata ovunque.

 

Nonostante ciò, Seokjin decise di indagare solo sulla moglie Yongsun e quindi lasciare a Taehyung e Jimin l’investigazione. Anche quando Jungkook e Seoyoon si proposero di aiutare in qualche modo, il capo rimase fermo nella sua decisione. Non avendo scelta, gli agenti e le quartermaster accettarono l’incarico e raggiunsero l'aeroporto di Incheon.

 

Lo scetticismo riguardo l’insulsa missione affidatagli e l’importante ricordo di quella mattina di Jungkook, spingevano il sesto senso del giovane verso la sfiducia. L’unica con cui si era confidato era la sua quartermaster, che immediatamente gli aveva creduto: stava succedendo qualcosa nella loro agenzia, tuttavia non sapeva ancora cosa stesse succedendo o chi fossero gli artefici. I due avevano provato a contattare Jimin e Taehyung, e la connessione fallita non aveva fatto altro che aumentare i loro sospetti.

 

Piegando piú volte il biglietto aereo per la leggera rabbia, J si trovava vicino a Jungkook, cercando di farlo ragionare riguardo le loro due colleghe.

 

“Se l’anello che ricordi aveva lo stesso simbolo, non possiamo fidarci di Seokjin.”

 

Jungkook si morse il labbro inferiore, ripensando all’immagine e confermando per l’ennesima volta quello che prima era solo un dubbio. “Ne sono sicuro.”

 

La quartermaster si guardò intorno seccata. L’agente sapeva come la ragazza fosse già sfiduciosa nei confronti dell’agenzia, e la notizia poteva solo enfatizzare il sentimento. Jungkook rimase a braccia conserte, impassibile. “La Grecia potrebbe essere una trappola come una semplice distrazione…”

 

“Ma non possiamo rischiare.” Finendo la frase, l’agente diede implicitamente il suo dissenso riguardo il viaggio, che fu totalmente sostenuto dalla ragazza.

 

“Esatto. E loro hanno il diritto di sapere.” Indicando con lo sguardo una fila di sedie a pochi metri da loro, J si riferí a Seoyoon e Inyeong, che in quel momento stavano litigando su chi avesse portato in valigia gli oggetti piú inutili. Cosí spensierate e impazienti di vedere la Grecia, le due ragazze non si sarebbero mai aspettate di rischiare la vita durante quel viaggio. Jungkook fece un cenno di comprensione, dando ragione a J e immaginando già come iniziare il discorso con le amiche.

 

“Dobbiamo trovare un posto sicuro. E contattare Kim e Park.”

 

“Vienna.” Jungkook ricordava vagamente un posto della città dove lui e Taehyung erano andati a trovare Namjoon un’estate di pochi anni prima. Era sicuro, non era collegabile a nessuno di loro, e soprattutto l’agente sapeva come accedergli. Spiegò all’espressione dubbiosa di J cosa intendesse con quell’unica parola. “Un amico di Namjoon aveva comprato un appartamento a Vienna per passarci l’estate. Invece di venderlo aveva deciso di tenerlo in caso di necessità o pericolo. Solo Namjoon, io e Taehyung sappiamo dove si trova.”

 

“Perfetto.” La quartermaster sembrò convinta, cercando con gli occhi la biglietteria e, una volta trovata, dirigendosi verso di essa. Jungkook la bloccò prendendole il braccio prima che si allontanasse troppo, spiegandole che se avessero usato le carte di credito li avrebbero scoperti all’istante. I contanti sarebbero stati la soluzione perfetta, se l’agente non li avesse custoditi al sicuro nel suo appartamento, avendone pochi con sè. Quattro biglietti per una nazione come l’Austria sarebbero costati piú di 530.000₩.

 

“Non abbiamo abbastanza soldi. Dovrei tornare in appartamento e…”

 

Rilassando l’espressione preoccupata e considerando il problema risolvibile, J poggiò la mano su quella stretta contro il suo braccio, allontanandola. “Non ti preoccupare per i soldi.” Diresse lo sguardo verso le due colleghe che stavano ridendo tra di loro e ritornò a dare attenzione all’agente. “Avvisa Seoyoon e Inyeong. Io compro i biglietti.” E strappando il pezzo di carta nelle sue mani, Jungkook seguí il piano di J, voltandosi per raggiungere serio le due colleghe.

 

“E per quanto riguarda Seokjin,” L’agente sentí le ultime parole della ragazza, fredde e serie. “Se ne accorgerà appena atterreremo a Vienna.”





 

[2 Gennaio 2017, 0:30 – Boston Logan International Airport, Boston, Massachusetts, Stati Uniti.]

 

“Come stai ora?”

 

Prendendo le valigie di entrambi dal baule del taxi, Jimin guardò preoccupato Taehyung scendere dal veicolo. Pagato l’autista, i due si diressero verso l’entrata dell'aeroporto. Taehyung era reduce da una pessima sbronza e poche ore di sonno, per i quali in quel momento stava pagando le conseguenze, camminando stanco e nauseato. Per quanto Jimin volesse aiutarlo tenendogli un fianco, pensò che occupare l’altra sua mano con il manico della valigia avrebbe piú reso a suo agio il collega.

 

Taehyung infatti ricordava bene la notte prima, percepiva la tensione e i confini sfocati che caratterizzavano il loro nuovo tipo di rapporto, sottosopra come la sua mente e il suo stomaco in quel momento. Ma riusciva solo ad essere stanco. Stanco e grato per essere a chilometri di distanza dalla moglie dell’assassino di Namjoon. “Lontano da quel cottage? Bene. Nonostante la nausea.”

 

Salirono sul primo volo per Incheon, prendendosi tutto il tempo necessario per mettersi comodi. Jimin lasciò il posto vicino al finestrino a Taehyung, occupandosi delle piccole valige. Quando finalmente si sedette e cercò di scrivere a Jungkook, il collegamento cadde. Provò con Seoyoon e nulla. Se avesse avuto con se l’auricolare apposta avrebbe potuto contattare Hoseok. Purtroppo i loro quartermaster erano impegnati con altri lavori e i due agenti avevano concordato di non aver bisogno di aiuto per quella missione.

 

“Non riesco a contattarli.”

 

“Potrebbero essere in missione.” Chiudendo gli occhi non appena potè appoggiare la testa allo schienale, Taehyung non si preoccupò. Pensò tranquillamente che tanto sarebbero arrivati presto in Corea e che la loro nuova l’informazione poteva aspettare, essendo non una delle migliori.

 

“Non so, é strano.” Jimin guardò dubbioso per qualche secondo ancora il suo cellulare, prima di lasciarlo scivolare sulla piccola mensola davanti a lui. Si voltò verso Taehyung per scoprire se il silenzio del collega fosse dovuto al fatto che si fosse addormentato: trovò invece, poggiato sullo schienale, un volto serio e due occhi fissi, che davano tutta la loro attenzione alla mano di Jimin. Alla fede fasulla.

 

“Ne vuoi parlare?”

 

“Di cosa?” Finalmente Taehyung decise di guardare il collega negli occhi.

 

“Qualsiasi cosa. Namjoon, ieri notte, tre anni fa.” Significava molto, notare cone Jimin proponesse semplicemente di parlare, di tutto o niente, dalle spiegazioni che l’agente aspettava da anni alle recente perdita dell’amico. “Abbiamo 13 ore.”

 

Ma Taehyung non si sentiva ancora pronto. Non con il corpo a pezzi e lo stomaco dolorante. Si limitò a guardarlo, forse indeciso, forse curioso, optando poco dopo per lasciarsi cadere sulla spalla di Jimin e dormire. “Dopo almeno 5 ore di sonno.”

 

“Come vuoi.”

Taehyung non avrebbe mai pensato che durante la stessa notte si sarebbe addormentato due volte con le dita delicate di Jimin nei i suoi capelli.





 

[2 Gennaio 2017, 2:17 – Salzgries 12, Vienna, Austria.]

 

“Incredibile. Non ci si può fidare di nessuno.” Seoyoon entrò per prima nell’appartamento, lasciando la piccola valigia all'ingresso. Inyeong, dietro di lei, fu la seconda a osservare per la prima volta quel posto, stranamente silenziosa dopo la frase dell’amica.

 

Il posto era piuttosto modesto. Un appartamento luminoso e tra i piani piú alti del palazzo. Si trovavano nel centro di Vienna, circondati da palazzi, negozi, bar e giardini. Non potevano chiedere di meglio: confondersi tra la massa avrebbe aiutato a nascondersi.

 

J le seguí a ruota, fiondandosi nella sala e dimenticandosi totalmente di ammirare l’appartamento.  “Il vero problema ora sta nel trovare l’attrezzatura necessaria per le ricerche. Non possiamo usare il computer dell’agenzia, ci rintraccerebbero. Dovrei modificarli ma potrei impiegarci anni.”

 

Pensieroso e serio, Jungkook lasciò le chiavi sul tavolo a penisola della cucina, prestando attenzione alle parole della quartermaster e rispondendo con cenni di consenso.

 

“Ragazzi.”

 

La voce di Inyeong, persa nei meandri della casa, arrivò debole alle orecchie di Jungkook, che continuò con il discorso principale. “Conosco qualcuno che può aiutarci. Ma ci costerà del tempo trovarlo.”

 

All’espressione dubbiosa di J, a cui ormai si era abituato, cambiò tono e cercò di spiegarsi meglio. “Wang Jackson, l’amico di Namjoon di cui ti parlavo. Non è sicuramente un uomo con la fedina penale pulita, ma è l’unico su cui possiamo contare.”

 

L’idea sembrava aver convinto la quartermaster, che non chiese altro.

 

“Ragazzi?”

 

“Che c’è?”

 

Sentendosi rispondere in contemporanea da entrambi, e forse pure in modo un po’ seccato, Inyeong sorrise innocentemente e indicò la parte dell’appartamento dedicata alle camere da letto, che aveva prontamente scoperto appena entrata.

 

“Nessuno ha notato che ci sono due letti e siamo in quattro?”

 

Il sorriso malefico della ragazza venne subito intercettato da Seoyoon, che dalla sua postazione stanca sul divano stese le braccia verso la collega e iniziò a aggrappare l’aria, come un gattino che vuole graffiare un padrone troppo lontano. “La scelta mi pare ovvia. Inyeong~”  

 

Jungkook e la sua quartermaster osservarono Inyeong raggiungere Seoyoon e lasciarsi abbracciare, entrambi disgustati e allo stesso tempo seccati per l’implicita combinazione di scelte.

 

“Non guardateci cosí. Siete diventati abbastanza intimi da condividere un letto.”

 

Seoyoon ricevette un combo di sguardi assassini e guance rosse, divertendosi il doppio dopo aver notato la reazione dei due.

 

J raggiunse una camera tra le risate delle due amiche, portando con sè la propria valigia e pensando mentalmente a ciò che avrebbero dovuto comprare qualche ora dopo. “Piú tardi andrò a comprare del cibo.”

 

“Porta Kook con te~” Seoyoon scherzò, urlando alla ragazza ormai dall’altra parte della casa.

 

Inyeong scoppiò a ridere insieme a Seoyoon e le due iniziarono a divertirsi per chissà quale immagine mentale, entrambe comode sul divano. Jungkook le osservò per un attimo, pronunciando un semplice “Vi odio.” e lasciandole alla loro felicità.



 

_____


Le sei ore passate a riposare volarono.

Stanchi per il viaggio, tutti e quattro si addormentarono profondamente non appena toccarono i letti. Jungkook non dovette preoccuparsi per la condivisione del materasso matrimoniale, trovando J distesa e addormentata all’estremo del letto non appena l’agente decise per ultimo di andare a dormire.

 

Quando la luce del sole si fece insopportabile, Jungkook e J optarono per uscire e procurare del cibo ad un supermercato poco distante, affamati e riposati.

Per tutto il tragitto a piedi, i due non parlarono, principalmente per il silenzio freddo e serio della quartermaster. Tuttavia la situazione non sembrava affatto imbarazzante, ma quasi rilassante.

 

“Posso dormire sul divano, se per te è un problema.” Quando entrarono nel supermercato, Jungkook cercò di iniziare una conversazione.

 

“Non lo è.”

 

Risposta secca, espressione impassibile. “Ok.” L’agente non seppe che altro dire, rassegnato. Nonostante il comportamento asociale della ragazza, Jungkook continuò a parlare, anche a costo di dover dialogare con se stesso. “Sono preoccupato per Taehyung e Jimin.”

 

“Se la caveranno, sono tra i migliori.”

 

L’agente guardò la quartermaster osservare diverse marche di assorbenti sugli scaffali e distolse lo sguardo appena realizzò. “Ho lasciato un biglietto per Taehyung nel suo appartamento, nel caso tornassero e volessero raggiungerci.”

 

Osservando tutto eccetto i prodotti per donne, Jungkook percepí lo scatto di realizzazione e rabbia della collega, che finalmente gli rispondeva guardandono negli occhi. “Sei pazzo? Seokjin potrebbe─”

 

“Tranquilla. È in codice. E solo lui sa dove si trova l’appartamento.”  

 

J sembrò calmarsi, rimanendo comunque proeccupata ma riprendendo mentalmente in mano la lista degli oggetti da comprare. “Lo spero.”

 

Finalmente si allontanarono dal reparto che per Jungkook era sinonimo di zona di Satana, per raggiungere quello del cibo e riempire le loro vuote borse di plastica. Il silenzio ritornò a calare tra i due e l’agente decise di essere diretto.

 

“Mi disprezzi cosí tanto?”

 

Alla domanda, la quartermaster si girò di scatto e lo guardò confusa. Quando metabolizzò l’insicurezza dietro quelle parole, lo rassicurò, voltandosi per mascherare l’imbarazzo. “No. È solo che…”

 

Jungkook la vide cercare con lo sguardo qualcosa sul banco dei dolci, senza davvero concentrarsi, per poi tornare a fissarlo con lo sguardo deciso. “Non eravate in programma. Tu, le tue amiche, Kim e Park.”

 

Sorpreso e sentendosi leggermente insultato, l’agente le ricordò col sarcasmo che il suo aiuto le era stato fondamentale. “Mi spiace averti avvertito della doppia faccia di Seokjin─”

 

“No. Non capisci. Tutto questo sarebbe successo in qualsiasi caso. Avevo già i miei dubbi su Seokjin.” Lasciando non corrisposto il contatto visivo del collega, J riprese a cercare un determinato dolce che era abituata a mangiare fin da piccola, continuando comunque il discorso.

 

“Ne parli come se sapessi molto di piú. Non ti fidi nemmeno di noi?”

 

Jungkook avrebbe preferito parlarne a quattr’occhi, senza che la quartermaster trovasse piú importante la spesa al posto della loro situazione.

 

“Non è questione di fiducia. C’è in gioco la vita di persone innocenti, e avrei preferito evitarlo.” J aveva ripreso a guardarlo, ma in modo diverso. Finendo la frase con un tono debole e preoccupato, alzò con sorpresa lo sguardo quando Jungkook le si avvicinò seccato.

 

“Anche la tua vita ha importanza. Non comportarti come se dovessi affrontare tutto questo da sola.”

 

Scioccato per le sue stesse parole, inaspettate, Jungkook notò l’espressione diversa che decorò il viso della ragazza, che riuscí a scappare da quella situazione imbarazzante trovando il dolce tanto cercato alle spalle del collega.

 

Prese una confezione di barrette di cioccolato, piccolo vizio che volle regalarsi, e per un attimo Jungkook riconobbe la marca. Ricordò il sapore.

Scacciò velocemente il pensiero dalla mente, poichè chiunque avrebbe potuto conoscere un dolce cosí famoso, non solo in Corea ma in tutto il mondo.

 

“Ma è come dovrebbe andare. Piú le persone a cui tengo si avvicinano, piú sono in pericolo. Il peso di queste indagini non dovrebbe essere sulle vostre spalle.”

 

Risvegliato dal tono melanconico di J, l’agente rispose all’espressione ansiosa con una sicura di sè. “Lascia a noi la scelta. Se restare o andarcene.”

 

La quartermaster lo guardò, dubbiosa.

 

“Ti fidi di me?”

 

“Vorrei mentirti.”

E Jungkook capí l’affermazione nel modo sbagliato, rassegnandosi alla scetticità e all’insicurezza della ragazza verso gli altri, compreso lui stesso, e usandoli invece come spinta a dimostrarle il contrario.

 

“Io resto. E ti farò cambiare idea.”



 

_____


“Per quale oscuro motivo stai importunando questo bambino?”

 

Lasciata alla cassa a pagare per la spesa (ancora Jungkook si chiedeva come potesse avere tutti quei soldi in contanti, ma non volle chiedere e sembrare invasivo), la quartermaster raggiunse il collega all’uscita del supermercato, dove notò un piccolo ragazzino far compagnia all’agente.

 

“Ehi Hojeong, lei è J. Salutala!”

 

“Ciao noona.” Il bambino in questione si avvicinò, timido.

 

“Bravo. Ora l’inchino.”

 

Hojeong obbedí all’agente in quel momento alle sue spalle, piegandosi in un profondo inchino e sorridendo a J, che si piegò sulle ginocchia per ringraziarlo. “Grazie, sconosciuto.”

 

“Sua madre è andata un attimo dentro, mi ha chiesto di tenergli compagnia finchè non esce.” , spiegò Jungkook, che quando notò l’interesse del bambino per la quartermaster, decise di allontanarsi e comprar loro un gelato, ricordando che a pochi passi da lí si trovava un piccolo chiosco. J sembrava di buon umore e l’agente sperava che la situazione non cambiasse.

 

“Non sono uno sconosciuto, noona. Il mio nome è Hojeong.”

 

Jungkook sentí urlare da distanza il piccolo ometto, che nemmeno si era accorto della sua scomparsa. Sinceramente offeso, poteva comprenderne il motivo.

 

“Ho. Jeong. Che bel nome!”

 

Hojeong guardava la ragazza con uno sguardo sognante e piú questa sorrideva piú di conseguenza il ragazzino era felice.

 

“Solo perchè noona è bella e gentile, può chiamarmi come vuole~”

 

Perdendosi a metà discorso una volta che le sue orecchie dovettero dare attenzione al gelataio, Jungkook tornò dai due con tre gelati in mano e un’espressione felice.

 

“Hojeong-ah! Ho sbagliato i calcoli e mi avanza un gelato. Conosci qualcuno che può volerlo?”

 

Confermando la regola del cibo prima delle donne, l’istinto infantile del giovane ragazzo sentí la frase come un richiamo, voltandosi di scatto e correndogli incontro. J ormai dimenticata, Hojeong raggiunse l’agente entusiasta e pieno di energie, offrendo se stesso al quel dolce sacrificio.

 

“Jeongjeong! Jeongjeong! Lo vuole Jeongjeong!”

 

Il sorriso nel volto e negli occhi di Jungkook si spense.

 

La sua mente si annebbiò completamente, venendo invasa all’improvviso da mille ricordi. Una fredda mattina d’inverno, una casa grigia e semideserta, un dolce. Quel dolce. E il soprannome, inventato in tenera età, per la coincidenza di avere entrambi quel carattere nel nome. Jeongjeong!

La doppia sillaba risuonava nella sua testa, pronunciata dalla sua voce infantile, una volta piú acuta e graziosa.

 

Con gli occhi lucidi, Jungkook si rivolse al bambino confuso davanti a sè, in attesa del gelato, sforzando un sorriso. “Hojeong-ah. Chi ti ha dato quel soprannome?”

 

“Mh?” Il ragazzino non capí, concentrato solo sul cioccolato che colava da uno dei coni.

 

“Jeongjeong?”

 

“Ahh~” Sorridendo, Hojeong comprese finalmente la domanda, voltandosi ad indicare J, che li aveva appena raggiunti, e si spiegò. “Noona dice di adorare quel nome. E jeongjeong ora pensa di adorare noona.”

 

[‘Qual’è il tuo nome?’]

 

La risatina finale del bambino non fu ricambiata.

 

[‘Jungkook’]

 

Da una parte la quartermaster aveva udito quell’ultima frase con un’espressione allertata e sconvolta, arrivata troppo tardi per zittire il ragazzino. Aveva distolto lo sguardo dall’indiscreto Hojeong per rivolgerlo al collega, che potè ricambiarlo solo con un’espressione vuota.

 

[‘Ti chiamerò Kook!’]

 

In quel momento tanti piccoli tasselli del puzzle trovarono il loro posto nella figura piena di domande che rappresentava la ragazza. Jungkook scoprí la ragione per la quale J gli sembrasse cosí famigliare, il motivo per cui la quartermaster sapeva tutto di lui.

 

[‘Perchè?’

‘Mi hai rubato il nome.’]

 

Guardò la ragazza davanti a sè mordersi il labbro per quello che sperava fosse senso di colpa. In silenzio per un motivo diverso dal solito. Hojeong aveva raggiunto felice la madre, leccando orgoglioso il gelato.

 

[‘Jeong sono io. La tua sillaba ora è mia. Chiamami Jeongjeong d’ora in poi.’]

 

L’inizio di una risata isterica scoppiò dalle labbra di Jungkook. Non ha perso l’abitudine di dare ordini, pensò.

[‘Perchè dovrei? Come ti chiami?’]



 

“Aejeong?”

 

[‘Aejeong.’]





 

[3 Gennaio 2017, 5:13 – Incheon Airport, Gonghang-ro, Jung-gu, Incheon, Corea del Sud.]

 

Le cinque ore ovviamente si prolungarono in molte piú. La maggior parte della durata del viaggio Taehyung la passò dormendo sulla spalla di Jimin, spostandosi ad un certo punto sull’altro lato, contro il finestrino, usando il proprio braccio piegato come cuscino.

 

Alla nuova posizione del collega, Jimin fu libero da pesi e completamente sveglio. Decise di dedicarsi alla lettura di una qualsiasi rivista o interessante libro offerti dalla compagnia aerea. Una bambina asiatica, poco lontana dal suo posto, interessata all’agente, si avvicinò a lui, probabilmente per la sorpresa di vedere un connazionale su un aereo straniero. Jimin e la piccola continuarono a parlare: scoprí cosí che come loro anche la famiglia della ragazzina abitava a Incheon. Quando il padre cercò di richiamare la figlia lamentandosi del fastidio che stava probabilmente provocando all’agente, la bambina non si smosse. Con occhi a cuore guardava Jimin come se fosse stato un principe azzurro, e solo all’arrivo del genitore la ragazzina si lasciò prendere in braccio e portare via, salutata dal sorriso dell’agente. La scena sarebbe stata davvero adorabile se Taehyung si fosse svegliato in tempo. Avrebbe trovato sorprendente l’approccio dolce di Jimin verso una cosa cosí piccola e innocente. Avrebbe osservato la bambina, immaginando un futuro forse. Sicuramente avrebbe notato ogni dettaglio, compresi quelli riguardanti il padre. Avrebbe intravisto in modo scaltro pochi centimetri di un oggetto tra il fianco e la cintura, quando la maglia dell’uomo si era sollevata per prendere in braccio la figlia. Avrebbe riconosciuto la forma, quella dell’impugnatura di una pistola, perchè osservare era il suo punto forte. Era ciò che aveva salvato la vita numerose volte, sia a lui che ad altri. Compreso Jimin.

 

Eppure Taehyung si svegliò appena l’aereo iniziò ad atterrare, probabilmente per colpa della voce dell’hostess. Guardando Jimin osservare un’ultima volta la ragazzina e salutarla con un gesto della mano mentre si alzava per recuperare le loro valige, l’agente commentò sarcastico. E divertito. “L’insensibile Park conquista.”

 

Scoprendo un Taehyung sveglio ma con occhi pesanti sorridergli, Jimin alzò gli occhi al cielo. “Non amo quel soprannome.” Spostò lo sguardo dal collega alla valigia pesante sul suo braccio. “Ma so che all’headquarter sono conosciuto come tale.”

 

Riaggiustandosi in una posizione eretta piú comoda, togliendosi la coperta e stirando i muscoli di braccia, schiena e gambe, Taehyung disse tra sè e sè: “La gente giudica ciò che vede.”

 

Una volta usciti dall’aereo in fila ordinata, Jimin si voltò verso il collega con un sopracciglio alzato, incredulo che il ragazzo potesse ancora definirlo insensibile dopo le numerose occasioni in cui aveva provato il contrario. “Come hai potuto notare non sono poi cosí insensibile ultimamente.”

 

Iniziando a percorrere il lungo corridoio che li avrebbe portati all’interno dell'aeroporto, e sbandierando l’indice davanti al volto dell’agente, Taehyung sottolineò il suo punto di vista. “‘Ultimamente’ è la parola chiave.”

 

Jimin rimase in silenzio per qualche minuto. Espressione indecifrabile e labbra socchiuse, incerte su cosa dire. “É partito tutto da quel giorno, Tae. In realtà─”

 

Notando la bambina di poco prima fare un gesto nella sua direzione, l’agente si bloccò per darle attenzione e sorriderle, decidendo di salutarla definitivamente. “Aspettami quí, devo dire addio ad una mia spasimante.”

 

Divertito e sorridente, Jimin lasciò Taehyung in piedi nel bel mezzo dell'aeroporto, andandosene con le valige, senza pensarci due volte. L’agente si stupí per quell’azione improvvisa e infantile: solo il vecchio Jimin poteva agire in quel modo. Compiaciuto del cambiamento, Taehyung lo seguí, vedendolo entrare in una stanza appartata. Pensò che la bambina avrebbe amato anche lui se solo avesse avuto la possibilità di conoscerlo.

 

Una strana sensazione si creò nel suo stomaco man mano che si avvicinava alla porta. La stanza doveva essere una di quelle accessibili solo dal personale autorizzato, perchè mai una ragazzina avrebbe dovuto trovarsi lí?

 

Una volta davanti alla porta Taehyung tirò un sospiro di sollievo. Vide Jimin abbassarsi, lasciando per un attimo le loro valige, e piegarsi per arrivare all’altezza della bambina e parlarle dolcemente. Non poteva sentire nulla, essendo fuori dalla stanza, stranamente affascinato dalla visione davanti ai suoi occhi, ma poteva percepire la delicatezza dall’espressione del collega.

 

Ciò per cui Taehyung non si trovò preparato fu l’apparsa di un uomo alle spalle di Jimin, armato. L’agente cercò di avvisarlo, sforzando la porta e scoprendo come quest’ultima fosse stata chiusa a chiave per tutto il tempo. Quando Jimin si voltò, richiamato da strani rumori provenienti dall’entrata, fu troppo tardi.

 

Il silenziatore applicato alla pistola impedí al rumore di propagarsi al di là di quella stanza. Taehyung iniziò a dar calci alla porta, urlando il nome del collega. Non vide Jimin cercare di proteggere la bambina e allo stesso tempo cimentarsi in una decente tecnica di difesa. L’agente era stato ferito alla schiena e iniziava già a perdere molto sangue; quando riconobbe il volto dell’uomo, tra un pugno da schivare e l’altro, guardò incredulo la ragazzina alle sue spalle. Chi era? Perchè suo padre lo stava attaccando? Furono le domande che insieme alla debolezza iniziarono ad annebbiare la mente di Jimin, ormai seduto dolorante contro al muro.

 

Un forte rumore lo avvertí dell’entrata di Taehyung, che tuttavia non fermò in tempo il secondo proiettile dritto nel petto di Jimin. Deciso e senza ombra di pietà, l’agente individuò subito l’uomo armato e gli sparò un colpo dritto in testa prima che questo potesse contrattaccare. Il corpo cadde a terra subito dopo, senza vita.

 

Taehyung corse verso Jimin, notando la scomparsa della bambina, che doveva essere scappata poco prima. Cercò di ragionare razionalmente mentre disperato guardava il sangue espandersi da sotto il corpo del collega. Gli occhi socchiusi di Jimin sembravano essere ancora coscienti, e l’agente cercò di coprire le ferite con pezzi strappati sul momento dalla sua camicia. Sapeva di non poterlo spostare in quelle condizioni, avendo un proiettile nella schiena.

 

Avvertí frettolosamente l’ospedale, gettando il cellulare subito dopo e dando attenzione a Jimin, che aveva portato una mano sulla sua posta contro la ferita per bloccare la fuoriuscita di sangue. Il sorriso del collega venne smentito dall’espressione sfinita e stanca. “Perchè ti preoccupi tanto…”

 

“Una notte in ospedale eSuccessivi colpi di tosse bloccarono Jimin a metà frase, “e torno come nuovo.”

 

Fissandolo incredulo e preoccupato, Taehyung non poteva nascondere la disperazione provata, conoscendo bene la gravità della situazione.

 

“Ha un proiettile nella schiena e l’altro probabilmente in un polmone!”

 

Al tono arrabbiato del collega, Jimin rise ammagliato. L’azione rese piú sottili gli occhi, che rimasero piacevolmente chiusi anche dopo la risata. “Fantastico.”

 

“No, Jimin.” Taehyung iniziò a scuoterlo, notando l’abbandono al sonno che doveva attraversare in quel momento ogni nervo del suo corpo. Ma doveva rimanere cosciente. Almeno fino all’arrivo di un'ambulanza. “Non addormentarti.”

 

Sgranando gli occhi e temendo non solo per la salute dell’agente, ma per la sua stessa vita, nel caso i soccorsi non fossero arrivati in tempo e Jimin avesse iniziato a perdere coscienza, Taehyung circondò il volto del collega con le mani ormai insanguinate, cercando una risposta nelle palpebre chiuse.

 

“Jimin?”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 爱不释手 “To love and not let go of.” ***


爱不释手

“To love and not let go of.”

(To love something too much to part with it.)

 

(Inizio Flashback)



 

[Sette anni prima. – Primavera 2009]

 

“Esatto. Park Jimin.”

 

“E chi sarebbe?” Okay, il ragazzo conosceva poche aspiranti spie del suo anno, ma il nome poteva almeno suonargli famigliare. Invece nulla.

 

“Il tuo nuovo partner per l’addestramento.”

 

Arrabbiato con l’uomo sulla cinquantina davanti a sè, non credette alle sue orecchie. “E da quando abbiamo bisogno di un partner per addestrarci?”

 

“Se continui a rivolgerti a me con quel tono, puoi scordarti di diventare un agente, Taehyung,”

 

Giovane e inesperto, Taehyung continuava a dare libero sfogo al suo istinto nonostante la differenza di età tra i due. Sei mesi prima lo stesso uomo aveva assistito al funerale dei suoi genitori e lo aveva approcciato per parlare; accolto nell’agenzia come un figlio, Taehyung dimenticava spesso che una volta entrato come aspirante agente segreto, sarebbe diventato come tutti gli altri. Tono confidenziale compreso.

 

“Scusi.”

 

Il quindicenne si pentí del proprio comportamento, abbassando il volto.

 

“Tu e Jimin avete molto potenziale. Credo che insieme potreste aiutarvi a vicenda.” L’uomo si piegò leggermente per poggiare una mano sulla sua spalla. “Sai bene, Tae, che la mia non è una domanda.”

 

“Sono il tuo capo. Non tuo padre, ricordalo.” Taehyung guardò la schiena del cinquantenne allontanarsi verso l’uscita della palestra, lasciandolo solo e infastidito. In realtà l’uomo aveva agito piú volte come un padre, e la sua stessa espressione lo tradiva in momenti di conforto. Il ragazzo sospirò e pensò a cosa lo avrebbe aspettato: un compagno di addestramento che a quanto pare doveva essere talentuoso quanto lui. Non ci credeva minimamente.

 

_____

 

Non solo Park Jimin si dimostrò piú abile di quanto Taehyung odiasse ammettere, ma pure il suo aspetto e il suo carattere sembravano essere oggetto d’amore da parte di tutti. Ferito nell’orgoglio e cocciuto nella sua decisione di interrompere la collaborazione con il collega il piú presto possibile, Taehyung trattò con scordialità Jimin dal primo loro incontro.

 

Al poligono di tiro, infatti, i due si videro per la prima volta. Taehyung osservò nei minimi particolari la bellezza del ragazzo, che partiva dal sorriso perfetto e arrivava al corpo scolpito, nonostante la loro età. Un velo di invidia calò sugli occhi di Taehyung, che alla mano tesa du Jimin in segno di benvenuto, negò la propria. Il compagno di addestramento sorvolò sull’accaduto, dando il meglio di sè durante le prime settimane sia nel suo lavoro che nell’approfondire la conoscenza. Fu cosí gentile e generoso che Taehyung poteva solo infastidirsi il doppio.

 

La svolta che cambiò il loro legame e lo trasformò forse già in un’amicizia, accadde una sera, dopo il tipico quotidiano allenamento senza pause. Ritrovandosi in molti nello stesso spogliatoio, Taehyung finiva sempre per cambiarsi in un angolo, rifiutandosi di fare amicizia con qualsiasi coetaneo. La situazione veniva ignorata da tutti fin dal primo giorno in cui il ragazzo aveva messo piede nell’agenzia, catalogandolo come un genio asociale, che nonostante tutto dava il meglio di sè. Ma con l’arrivo di Jimin, le dinamiche tra aspiranti spie cambiarono.

 

Si sparse la voce della bravura del nuovo arrivato, completata dalla bellissima persona che tutti dicevano fosse, e presto la figura di un genio amabile e sociale fu di gran lunga preferita e accettata al posto di quella di Taehyung, il cui comportamento venne frainteso come arronganza e superiorità.

 

Una sera, all’assenza di Jimin nello spogliatoio, gli altri coetanei fecero pesare la differenza di comportamenti tra il nuovo arrivato e Taehyung. Consci della presenza e dell’udito funzionante del ragazzo, continuarono a sparlare male, finchè una porta sbattere non li fece sobbalzare. Taehyung corse fuori dall’agenzia piangendo, camminando velocemente per non far notare le lacrime a possibile passanti.

 

Il suo fianco si scontrò addosso a qualcosa, o meglio qualcuno, e quando il ragazzo alzò lo sguardo dal cemento del marciapiede, notò con rabbia di chi si trattasse.

 

“Dannazione, sei ovunque.”

 

Gli occhi di Jimin si sgranarono per la sorpresa e le parole inaspettate. Non sembravano ferirlo. Anzi, Taehyung lo vide avvicinarsi preoccupato e poggiare le mani sulle sue spalle.

 

“Che ti é successo, Tae? Perchè piangi?”

 

Scacciando le mani del collega con un gesto rapido, Taehyung lo superò e continuò a camminare, urlandogli un “Vattene. Lasciami in pace.” quando percepí di essere seguito.

 

I passi del ragazzo si bloccarono di colpo quando si trovarono davanti alla peggior ameba del suo corso, un’omofobo narcisista che si muoveva a branco, per l’intelligenza incompleta, appunto.

 

“Oh, cos’abbiamo quí! Il talentuoso Taehyung che piange come una femminuccia…”

 

Taehyung cercò di assumere un’espressione impassibile e superare anche loro, ignorandoli completamente, ma l’idiota lo spinse contro un muro di mattoni. Il ragazzo reagí, non essendo a caso il migliore (o forse ormai il secondo in classifica?) tra gli aspiranti, ma i due scagnozzi altrettanto idioti ebbero l’inconscia fortuna di colpirgli le caviglie doloranti. Taehyung infatti aveva passato l’ultimo periodo ad addestrarsi il doppio di Jimin, per superarlo, per eccellere: il risultato ottenuto non fu abbastanza, e poco dopo ne sentí le conseguenze fisiche. Bloccato per le braccia dalle fotocopie dell’ameba principale, e incapace di muovere le gambe, Taehyung scivolò a terra, rimanendo contro al muro.

 

Quando il narcisista inziò di formulare la seconda frase, un ghigno soddisfatto gli contorceva il viso e una mano si addentrava verso i suoi jeans. “Kim, riesci anche a succhiarmelo come─”

 

Non fece in tempo a completare l’orrenda domanda che si ritrovò a terra, sovrastato dal corpo e la rabbia di Jimin, che tra un pugno e l’altro gli stava rompendo il naso. Gli amici dell’ameba, svegli come pochi, si spaventarono e solo dopo pochi secondi accorsero in suo aiuto.

 

Commettendo lo sbaglio di lasciar libere le braccia di Taehyung, quest’ultimo ricambiò il generoso trattamento del gruppo con tanto di interessi, mentre Jimin si alzava dal corpo dell’idiota, osservando l’opera d’arte di puro sangue sul suo viso contorcersi dalla paura. I tre con fatica si alzarono e scapparono via, lasciando Taehyung e Jimin soli, a respirare affannosamente per le energie sprecate.

 

“Ti avevo detto di lasciarmi in pace.”

 

Sedendosi per terra, sul freddo cemento, Taehyung si asciugò con il palmo della mano il sangue all’angolo della bocca.

 

“Dovresti lavorare sul tuo modo di ringraziare la gente.”

 

“Fammi finire.” Il ragazzo notò il collega sdraiato accanto a sè, con lo sguardo fisso verso il cielo nero. “Ti avevo detto di andar via. Ma sono contento che tu non l’abbia fatto.”

 

Alzando la testa solo per guardarlo, Jimin sembrò accettare l’espressione di sincera gratitudine, che in realtà nascondeva anche un orgoglioso senso di colpa.

 

“Scuse accettate.”

 

“E per cosa?” Taehyung temette che il collega fosse pure in grado di poter leggere la mente.

 

“Per avermi trattato di merda senza un motivo valido.”

 

“Avevo un motivo. Ti adorano tutti. E sei il numero uno in ogni campo. Congratulazioni.” Seccato, Taehyung si rifiutò di continuare a guardare quel volto attraente, notando che quella qualità non volesse sparire nemmeno con il viso ricoperto di graffi e sudore.

 

“Non capisci, Tae. Non esiste un ‘numero uno’. Guardaci.” Alzandosi dalla sua posizione stesa, Jimin allargò le braccia per indicare il posto in cui erano seduti e ciò che avevano appena fatto. Taehyung rimase un po’ perplesso. “Il lavoro di squadra è il vero talento.”

 

“Allora non penso di possederlo. Sono abituato ad addestrarmi per conto mio. A ragionare con una sola mente.”

 

Rimettensosi su due piedi e pulendosi i pantaloni neri dalla polvere, Jimin sorrise e Taehyung giurò di non provare nulla nelle profondità del suo stomaco. “Solo perchè non hai ancora trovato un partner ideale.”

 

“Ora alzati, abbiamo entrambi bisogno di una doccia.” Porgendogli la propria mano, finalmente Taehyung accolse l’invito e si fece aiutare. Camminarono insieme verso l’agenzia e Jimin si sentí giudicare le stranissime e piccole mani almeno trenta volte.

 

_____

 

Da quel giorno Taehyung iniziò a riconsiderare i propri sentimenti di ira e invidia verso Jimin, notando in realtà di provare ammirazione e affetto. Iniziarono ad andare sempre piú d’accordo, supportandosi a vicenda, superando diversi ostacoli insieme e aiutandosi come meglio avrebbero potuto fare.

 

Dopo pochi mesi potevano già considerarsi migliori amici, considerando anche che Taehyung non aveva fatto amicizia con nessuno al di fuori di Jimin, e che presto il ragazzo diventò il suo punto di riferimento. Passò un anno, non senza litigi e incomprensioni, che tuttavia resero l’amicizia ancora piú forte, e i due divennero inseparabili, alternandosi per portare pranzi e cene da mangiare insieme a fine allenamenti, o confortandosi l’uno con l’altro nei momenti di bisogno.

 

Capitò infatti, in un domenica piovosa, che Jimin ricevette una chiamata dalla madre. La donna gli aveva riferito tra le lacrime la morte del padre e Taehyung ricordava quel periodo come uno dei piú bui dell’amico. Rifiutandosi di mangiare e incapace di sorridere, Jimin mentiva dicendo di star bene, classificandola come una perdita per cui avrebbe smesso di soffrire dopo un breve periodo di tempo. Ma quando Taehyung per caso s’imbattè nell’amico, stranamente affacciato alla finestra della biblioteca con in mano una foto del padre, Jimin stava trattenendo le lacrime.

 

Offrendogli un abbraccio, Taehyung si trovò costretto a prendere l’iniziativa e circondare con le braccia il corpo orgoglioso e tremolante di Jimin, che appena sentí il calore confortante iniziò a piangere.

 

“Andrà meglio, un giorno.”, cercò di essere sincero, Taehyung, pensando ai propri genitori e fingendo di non esserne affatto afflitto dopo quasi due anni dalla loro scomparsa. Non era mai riuscito a piangere per loro, non si spiegava il motivo. Nemmeno al loro funerale. Avere Jimin tra le sue braccia in quel momento, vulnerabile e sensibile, gli mostrava quanto dolore dovesse provare un ragazzo alla perdita di una persona cara, e quanto poco ne avesse provato lui stesso.

 

“Promettimi che non te ne andrai.”

 

La voce di Jimin suonò come lontana, persa nel petto di Taehyung, che poté solo stringerlo piú forte.

 

Se quella promessa sarebbe stata l’unico modo con cui poteva assicurare felicità a Jimin, una delle poche persone a cui avesse mai tenuto, la risposta sarebbe stata ovvia. L’amico non doveva nemmeno metterlo in dubbio.

 

“Non vado da nessuna parte, Jimin.” Gli accarezzò la testa, muovendo le dita tra le ciocche nere e morbide, poggiando in quel punto, con discrezione, anche le labbra. “Non sarai mai solo. Hai me.”




 

[Quattro anni prima. – Estate/Autunno 2012]

 

Incontrarsi al poligono diventò un’abitudine. Jimin non smise di prendere in giro il comportamento dell’amico del primo giorno, imitandolo e ridendo ogni volta. La spensieratezza e l’infantilità dei primi anni lasciarono spazio all’impulsività e gli ormoni dei diciotto, che i due si preparavano a compiere presto. Jimin avrebbe comprato un appartamento, mentre Taehyung non si sentiva ancora pronto ad allontanarsi dalla sua camera nell’agenzia.

 

L’estate era arrivata portando con sè la grandiosa notizia della decisione del loro capo di affidare a Jimin la sua prima missione. Il ragazzo tenne segreta la scoppiettante informazione, volendo avvisare Taehyung prima di chiunque altro.

 

Fu quello il motivo del suo improvviso messaggio all’amico, a cui aveva scritto di raggiungerlo velocemente al poligono di tiro. Nascondendo un cestino di vimini contenente la loro cena, Jimin accolse l’entrata frettolosa di Taehyung con allegria e affetto, racchiusi in un semplice gesto della mano.

 

“Eccomi, che succede?” Riprendendosi dalla corsa e parlando col fiatone, Taehyung squadrò da capo a piedi l’amico, preoccupandosi che fosse ferito. Quando si accorse che Jimin stava perfettamente bene, corrugò la fronte.

 

L’amico stava sfoggiando uno dei suoi più luminosi sorrisi, tenendo stranamente le braccia dietro la schiena. Taehyung indicò curioso verso di lui, “Cosa nascondi lí dietro?” e poi verso il suo viso. “E quí dentro?”

 

“Taetae.” Jimin poggiò per terra il cestino per liberare le mani e abbracciare l’amico, che rispose all’azione con uguale affetto, ma continuando a non capire. “Mi hanno affidato la mia prima missione!”

 

Allontanando il volto dalla spalla per guardare Taehyung meglio e da vicino, Jimin spiegò ciò che comportava quella frase. “Sono ufficialmente un agente!”

 

“Oh mio Dio.” Con occhi e bocca spalancata, l’amico lo circondò in un nuovo abbraccio, ora cosciente del motivo di quella felicità e soddisfatto a sua volta. “Sono cosí fiero! E dove andrai? Cosa farai?”

 

Tenendolo per le spalle, Taehyung riempì Jimin di domande entusiaste e curiose, alle quali l’amico rispose solo con un “Top secret.”

 

“Sono serio, Tae.” Il neo-agente rise leggermente per il sopracciglio alzato e l’espressione seccata di Taehyung. “Ti basta sapere che sarò lontano, ma che tornerò per raccontartelo!”

 

A quella promessa i due sorrisero e iniziarono a farsi posto per aprire il cestino da picnic di vimini e mangiare il loro pranzo. Dopo i primi bocconi Jimin alzò lo sguardo e notò la preoccupazione sul volto dell’amico.

 

“Promettimi che starai attento.”

 

“Ovvio.” A Taehyung bastava il sorriso sincero di Jimin e la promessa che sarebbe sempre tornato, sano e salvo, qualsiasi cosa sarebbe successa, nonostante sarebbe stata la sua prima missione e di conseguenza innocua e poco pericolosa.

 

Spalancando gli occhi e picchiando con la mano leggermente l’amico, Jimin si ricordò di avvertirlo di una novità di cui si era dimenticato. “E non sai con quale quartermaster lavorerò!”

 

“Con chi?” Masticando un sandwich e bloccandosi incuriosito, Taehyung si aspettò un nome famigliare, un quartermaster di loro conoscenza,

 

“Jung Hoseok! Dicono sia il miglior hacker dell’agenzia. Non vedo l’ora!”

 

Non era uno sconosciuto. Taehyung forse aveva già sentito quel nome nei corridoi dell’headquarter o tra pettegolezzi di vecchie reclute. Tuttavia sapeva solo che quel Jung Hoseok era più grande di loro di un solo anno, e nonostante ciò veniva considerato dai suoi coetanei uno dei più bravi nel settore. Fu felice di sentire che al fianco di Jimin ci sarebbe stato il quartermaster più stimato dell’agenzia, e con un dolce sorriso espresse la sua soddisfazione all’amico, che aveva ripreso a mangiare, affamato. “Sono davvero contento per te, Jiminie.”

 

_____

 

Torni oggi?

 

Non potrei dirtelo

 

:(((

 

Ma prepara le tue orecchie per le 11 di stanotte

 

:D

 

I film di 007 in confronto sono fiabe

Rispondi con parole, Tae

 

Ti aspetto a casa tua

Schifezze e orecchie curiose comprese

 

<3

 

Aw Jiminie

Non mandi mai cuori

Devi proprio essere felice <33

 

In realtà è un cono gelato

Aggiungilo alla lista

:P

 

Insensibile agente Park

 

Non suona divinamente?

 

_____

 

“E poi Hoseok-hyung ha fatto questa cosa geniale con il pc grazie alla quale è riuscito controllare ogni semaforo - dovevi esserci! - e li abbiamo seminati in un attimo. Il resto è storia.”

 

Taehyung si era immaginato di reagire a quel racconto in modo diverso.

Quella notte aveva raggiunto l’appartamento di Jimin con bottiglie di soju per festeggiare, cibo spazzatura, gelato e due orecchie curiose. Quando l’amico tornò a casa, la prima cosa che fece, dopo essersi tolto le scarpe all’ingresso, fu correre ad abbracciarlo e Taehyung non poteva esserne più felice: il solito vecchio Jimin tutto intero e felice, tra le sue braccia.

 

Dopo l’iniziale abbuffata e chiacchiere inutili sul più e il meno, però, Taehyung lo incitò ad andare sull’argomento prima missione e Jimin potè finalmente raccontargli i dettagli: si trattava di semplice spionaggio verso trafficanti di armi chimiche, che per loro sfortuna ebbe un risvolto inaspettato e furono costretti, agente e quartermaster, a abortire la missione e trovare una via di fuga veloce.

 

Ovviamente il risultato poteva solo essere perfetto, avendo avuto al suo fianco il miglior hacker dell’agenzia, e Jimin non smetteva di sottolinearlo. Così tanto che Taehyung si sentì passare da forte ammirazione e gratitudine a leggera gelosia verso Jung Hoseok. L’amico ne parlava con gli occhi illuminati e il sorriso felice e Taehyung sperava fosse solo per la sintonia professionale che si era creata tra i due.

 

“Sono ufficialmente invidioso.”

 

“Arriverà anche il tuo momento, Taetae.” Ridendo, Jimin gli regalò leggere pacche sulla spalla, prima di buttare via gli scarti della loro cena e passare alle bottiglie di soju. “Goditi gli ultimi momenti di una vita sicura e intatta.”

 

Taehyung lo guardò tornare a sedersi al suo fianco, ai piedi del letto, accarezzato dalla leggera brezza estiva che entrava dalle finestre aperte e ammirando quanto fosse cresciuto l’amico, non solo fisicamente. Ora era un agente a tutti gli effetti, non si trattava più di simulare attacchi durante un addestramento o sparare a forme di cartone. Le missioni la fuori costituivano un premio ma anche un pericolo. “Mi sono preoccupato quando non ti ho visto rispondermi. Per un attimo ho pensato che─”

 

Percependo l’atmosfera e l’umore serio, Jimin portà un braccio intorno alle spalle di Taehyung, cercando di consolarlo. “Tae, sono quí. Carne ed ossa, tutto intero.”

 

“Lo so.”

 

Gli occhi tristi non convinsero l’agente.

 

“Se ti fidassi davvero delle mie abilità, non dubiteresti affatto della mia sicurezza.” Jimin gli passò una bottiglia di soju, prendendosene poi una per sè.

 

“Sai che sono il tuo fan numero uno, Jiminie.”

 

“Bene. Perchè io sono il tuo. E presto sarò io quello in ansia mentre andrai in missione.” I vetri verdi delle due bottiglie si scontrarono in un leggero e acuto suono, in segno di brindisi, seguito dal rumore del primo lungo sorso di Jimin. Taehyung lo fissò mentre beveva e mandava giù il liquido, in un modo che sembrava denotare esperienza, nonostante bere alcool fosse ancora illegale per entrambi.

“Quindi non preoccuparti del futuro. Sono quí.”

 

Accennando un sorriso sincero, Taehyung iniziò a bere dalla sua bottiglia, apprezzando il rilassante silenzio che era calato nell’appartamento. Dopo poco la pesantezza della cena si fece sentire e i due finirono di bere, stanchi e accaldati da alcool e temperatura estiva. Jimin si lasciò cadere dalla sua posizione seduta, sul materasso, facendo segno a Taehyung di appoggiare anche lui la schiena e sdraiarsi al suo fianco. Brillo e ancora perso nell’entusiasmo post-missione, Jimin allargò le braccia e urlò al soffitto della sua stanza. “Viviamo il presente!”

 

Il tono e la stranezza con i quali la frase gli era uscita da bocca ricordavano la minaccia di un barbone ubriaco e Taehyung scoppiò a ridere. Jimin lo seguì a ruota e i due non riuscirono a fermarsi, arrivando al termine delle risate solo quando decisero di distogliere lo sguardo dal soffitto per voltarsi l’uno verso l’altro.

 

Taehyung poteva chiaramente vedere ogni dettaglio del volto che lo stava fissando: guance paffute, labbra piene, occhi sorridenti e capelli spettinati. Negli anni Jimin era cresciuto, i suoi muscoli si erano definiti, l’altezza era aumentata (anche se di poco, e Taehyung non smetteva di ricordarglielo), e il contorno del viso sembrava più marcato, più vissuto, non più dolce e innocente.

 

Avvicinandosi per ammirare meglio i dettagli, Taehyung notò anche la pelle liscia dell’amico, e di come il respiro uscisse caldo e debole dalle sue labbra. Rimase a fissare proprio quella parte di Jimin, affascinato e curioso: si chiese come fosse possibile conoscere una persona da così tanto tempo e notare solo a un certo punto la sua bellezza nascosta. Si chiese se fosse normale provare così tanto affetto per qualcuno che considerava il suo migliore amico o se si trattasse di qualcosa di più. Ricordò il loro primo incontro e rise mentalmente, non senza schiaffeggiare il proprio orgoglio per il trattamento orribile che aveva riservato inizialmente a quella persona meravigliosa. Persona che si trovava in quel momento davanti a lui, muta e inespressiva, forse altrettanto sovrappensiero. Taehyung smise di porsi domande quando Jimin gli sorrise e la risposta gli apparve ovvia, sottoforma di un cartellone, grande, rosso e pericoloso, ma così dannatamente affascinante.

 

Avvicinò il viso ancora di un millimetro, ritrovandosi a poca distanza dalle labbra di Jimin, ma senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. “Posso?”

 

“Cosa?”

 

L’espressione sinceramente dubbiosa di Jimin fece scattare la ragione di Taehyung, che si allontanò dal suo viso e dalla sua missione suicida, riportando gli occhi sul soffitto, e obbligandosi a non ripetere un simile errore. “Nulla.”

 

Jimin rimase in silenzio per alcuni secondi, confuso dal comportamento dell’amico. “Tae─”  

 

Taehyung lo zittì voltandosi di scatto e premendo le labbra contro le sue, in un improvviso veloce bacio a stampo. Si allontanò subito dopo, evitando di analizzare l’espressione sorpresa di Jimin e mormorando un “Congratulazioni per la tua prima missione.” E fu così che sperò di salvarsi, alzandosi dal letto e congratulandosi, bevendo un sorso d’acqua per poi dirigersi verso la sua stanza all’agenzia, e una volta sul proprio letto iniziare, perchè no, a farsi domande su ciò che provava. Sul suo migliore amico. Ma prima che potesse allontanarsi dai piedi del letto, ancora disteso sul materasso, Jimin allungò il braccio e gli prese la mano, guardandolo stanco e bisognoso di affetto, come se non avesse domande da porgli sull’azione da lui appena commessa.

 

“Rimani a dormire?”

 

Taehyung rimase da Jimin. Rimase per abbracciarlo, per circondarlo con il suo calore, per riempirlo di complimenti e sicurezze. E non ci fu nessuna domanda, nessun perchè o battuta per sdrammatizzare. Jimin lo teneva stretto a sè e Taehyung sperava che l’amico non riuscisse a sentire il battito del suo cuore. Rimase per lui, ma non riuscì a dormire: perso a osservare il volto addormentato sul suo petto, accolse l’insonnia come una conseguenza per cui si era già messo, quella notte, il cuore in pace.

 

_____

 

“Taehyung, lui è Hoseok-hyung. Hyung, lui è il mio migliore amico Taehyung.”

 

In quel momento Taehyung comprese la ragione dietro ai luminosi occhi a cuore che ammiravano il famoso hacker. Differentemente da ciò che si può pensare di una persona che passa per lavoro la maggior parte del suo tempo dietro a un pc, Jung Hoseok mostrava un aspetto allenato, energetico e curato. Il ventenne era carismatico, slanciato e non portava gli occhiali, sorpresa per Taehyung, che iniziava già a sentire una sorta di gara tra le loro altezze e personalità. Camminando verso di lui, Hoseok sembrò possedere un’eleganza di movimenti tipica di un agente, che Jimin non smetteva di seguire con lo sguardo.

 

Reprimendo la gelosia, Taehyung fece un leggero inchino con il capo e porse la propria mano per sentire la forte stretta dell’hacker. Non sembrava coerente all’aspetto docile, allegro e magro del giovane.

 

“Il famoso Tae! Piacere di conoscerti.”

 

“Famoso? Piacere mio.”

 

Ricoprendosi di cordialità e cercando di colloquiare in modo normale, Taehyung non potè non notare lo sguardo di felicità negli occhi di Jimin. Erano venuti insieme alla festa di fine e dell’agenzia: nulla di speciale. Solo una serata tra quartermaster, agenti, scienziati e molti altri collaboratori, organizzata dal loro capo per non pensare al lavoro almeno durante quella notte. Taehyung aveva passato tutta la giornata a pensare impaziente all’evento, sorridendo ogni volta che i suoi pensieri cadevano sul migliore amico; ma, in quel momento, Jimin sembrava avere occhi solo per Hoseok, del quale non aveva smesso di vantarsi per mesi.

 

“Jimin mi ha detto tutto di te! Ho sentito che presto ti verrà affidata la tua prima missione.”

 

Taehyung rimase sbalordito. Non si sarebbe mai aspettato che Jimin parlasse di lui con il suo quartermaster, era abituato al contrario, a sentirsi ripetere quanto Hoseok fosse geniale e allo stesso tempo un partner amichevole. Probabilmente si era limitato ad accennare la sua esistenza, pensò amaramente Taehyung, prima di rispondere con un leggero (finto) sorriso.

 

“Non è detto, in realtà.”

 

Prima di sentire alcuna parola uscire dalla bocca dell’hacker, Taehyung percepì il braccio di Jimin circondargli la vita, stringendolo a sè. “Sí, è solo questione di tempo, Taehyung è il migliore.”

 

Non gli apparve affatto strano quel contatto, considerando che da mesi si erano avvicinati sempre di più, sia come amici che fisicamente. Non avevano mai parlato di cosa fosse successo la notte del ritorno di Jimin dalla sua prima missione, ma dalla fine di quell’estate i due non perdevano occasione per moltiplicare il numero di abbracci o trovare scuse per aumentare il loro livello di skinship. Taehyung non si illudeva, erano tutti gesti limitati a puro e innocente affetto, ma il sentire l’amico così vicino e così sensibile al suo tocco giocava brutti scherzi alla sua immaginazione.

 

Circondato da silenzio, Hoseok interruppe i pensieri del ragazzo, commentando la vicinanza notata tra i due amici. “È meraviglioso vedere quanto abbiate legato. Pochi riescono a trovare amici veri quí dentro.”

 

Amici. Giusto, erano quello, lui e Jimin, pensò Taehyung. Se fossero stati altro, avrebbero parlato del bacio, avrebbero chiarito, Jimin non avrebbe deciso di fingere che non fosse successo e di tornare alla normalità di tutti i giorni. Eppure Taehyung poteva ritenersi fortunato: avere continuamente affianco il suo migliore amico, non aspettandosi nulla e sapendo comunque di provare qualcosa per lui, gli bastava. Tutto considerato, in origine nemmeno avrebbe creduto di poter finire così coinvolto nel perfetto ragazzo che era Jimin.

 

“Inizialmente lo odiavo.”

 

Jimin scoppiò a ridere, ricordando i vecchi tempi, e Taehyung si lasciò scappare a sua volta un sorriso.

 

“Non commento. È tutto vero.”

 

“Eppure eccovi quí!” Hoseok sottolineò la frase con le braccia aperte e un’espressione orgogliosa.

 

Aveva ragione. Era difficile legare nel mondo in cui vivevano, dove l’affetto era visto da alcuni come una debolezza. Eppure Taehyung doveva ringraziare il cielo di aver trovato qualcuno come Jimin, una persona che lo capiva meglio di qualsiasi altro e della quale poteva fidarsi ciecamente. Eccoli lì, dunque. Vicini e quasi abbracciati, inseparabili ma complicati, l’uno la salvezza dell’altro. Quì rappresentava tutto il percorso che avevano attraversato insieme, tra incomprensioni, momenti bui e vittorie condivise. Taehyung sapeva cosa li aveva portati fino a quel quì, e non avrebbe cambiato nulla. Ma non riusciva a non chiedersi Quí... dove?



 

[Quattro anni prima. – Inverno 2012/2013]

 

“Quindi mi stai dicendo che mesi fa hai baciato il tuo migliore amico, che non ne avete mai parlato, fingendo che non fosse successo nulla, e che nel frattempo hai scoperto di avere un’enorme cotta per lui?”

 

A poche settimane dopo la sua effettiva prima missione, Taehyung si ritrovò a confidarsi totalmente con Bogum, il quartermaster affidatogli. I due avevano fatto velocemente amicizia e sembravano andare sempre d’accordo. Taehyung un po’ ringraziava il fatto di aver iniziato la sua carriera come agente, finalmente riempiendosi le giornate di compiti diversi dai soliti e potendo sperimentare la vita da spia. Il tempo passato con Jimin tuttavia diminuí, lasciandogli una strana sensazione: se da una parte accoglieva con soddisfazioni il nuovo stile e ritmo di lavoro, dall’altra avrebbe voluto raccontare ogni cosa al suo migliore amico. Purtroppo non sempre il loro tempo libero coincideva, e quindi i due riuscivano a vedersi poco.

 

Nonostante ciò, per il breve spazio di libertà che decidevano di passare insieme, proprio per la preziosità della coincidenza, entrambi furono inconsciamente d’accordo nel trascorrerlo nel migliore dei modi. Incontrandosi nell’appartamento di Jimin, che ormai era diventato la seconda casa di Taehyung, quando i due si trovavano a Incheon e non in giro per il mondo, e nel caso contrario, contattandosi per messaggio. Era durante uno dei loro incontri, promesso al ritorno di entrambi dalle loro rispettive missioni, che Taehyung si rese conto della fatica e pazienza utilizzata per trattenersi dal svuotare il sacco con Jimin.

 

Infatti, quando rivide a pranzo il suo migliore amico, lo trovò nel suo appartamento a cucinare per entrambi, in un semplice lungo maglione e boxer. Reprimendo pensieri inappropriati, l’agente si era avvicinato indisturbato a Jimin e lo aveva abbracciato da dietro, dicendogli con tono scherzoso quanto avesse sentito la mancanza del suo cibo e di lui. Al “Mi sei mancato anche tu” debole e sincero, Taehyung si stupì per qualche secondo, prima di stringere a sè l’amico in modo più deciso. Il momento di dolcezza fu seguito da risate e silenzi rilassanti e l’agente si sentì sempre più dipendere dai sorrisi e dai racconti di Jimin.

 

Quando la mattina dopo, appesantito da sonno e stanchezza (non era riuscito a dormire, poichè Jimin aveva deciso di usarlo come suo cuscino personale e l’agente fu troppo preso ad osservarlo per chiudere occhio), Taehyung incontrò Bogum per discutere per la loro successiva missione, il quartermaster notò come sempre l’umore del ragazzo e gli chiese spiegazioni. Tra un caffè e parole preoccupate, Taehyung finì per raccontargli tutto.

 

“A grandi linee, sí.”

 

“Sei fottuto, Kim.”

 

Con un pacca sulla spalla, Bogum scherzò e sorseggiò il suo caffè. Taehyung si limitò a ringraziarlo in modo sarcastico per l’incoraggiamento e a fissare la sua tazza quasi vuota. “Voglio solo proteggere la nostra amicizia.”

 

“Ho visto come vi guardate quando siete insieme, e credimi. La vostra amicizia è già partita da parecchio.” L’agente guardò con un’espressione sorpresa Bogum, alternando dubbio a preoccupazione e gesticolando con il manico della tazza. Non voleva rovinare il suo rapporto con Jimin. E se occhi esterni avevano notato un cambiamento tra i due, forse il suo migliore amico gli stava davvero nascondendo una sorta di disagio riguardo quello che era successo loro.

 

Il quartermaster percepì l’ansia del ragazzo al suo fianco, cercò di consolarlo regalandogli parole serie e un sorriso. “Calmo, Tae. Devi solo prendere coraggio e parlarne con lui. È il modo migliore.”

 

L’aspettativa di insuccesso si mostrò nella mente di Taehyung, ricreando scenari con un Jimin inorridito e arrabbiato, che lo accusava di avergli sempre mentito riguardo i suoi sentimenti. Un nodo allo stomaco provocò nausea all’agente, che diede voce alla sua peggiore paura. “E se non volesse piú vedermi?”

 

Bogum si alzò dalla sua posizione e scoppiò in una risata di incredulità.

 

“Stiamo parlando di Jimin. Non ti farebbe mai una cosa del genere.”

 

 

_____

 

“Jiminie!” Taehyung raggiunse l’amico percorrendo l’ampia stanza, notandone l’aspetto elegante. “Hai sentito della nuova recluta?”

 

Dalla grande porta in legno della biblioteca entrò una figura alta e snella, dai capelli corti castani e i vestiti in pelle neri. Non era un abbigliamento adatto all’occasione, ma la ragazza doveva essere appena tornata da una missione. L’evento era uno dei tanti: l’inaugurazione della libreria, che avrebbe rappresentato un nuovo accesso all’headquarter dell’agenzia, tramite un formale incontro tra agenti, quartermaster e collaboratori vari, come era già accaduto a fine estate. Quelli erano gli unici momenti durante i quali inconsciamente si creavano amicizie e accordi, o semplicemente discorsi per passare il tempo.

 

Il brusio leggero che caratterizzava quella serata fu alterato da un urletto improvviso, che ogni persona lì presente attribuì alla ragazza che corse incontro all’agente appena arrivata. “Aegi-ah! Mi sei mancata!”

 

Le due si abbracciarono d’istinto, perdendosi nella felicità del loro incontro, e solo dopo qualche secondo la spia si rese conto del contesto in cui si trovavano. Si allontanò leggermente dalla sua assaltatrice, circondandole il viso con le mani e sciogliendosi quando la mora, bassa e vestita in modo adorabile, le disse con un finto broncio: “Non andartene più.”

 

La scena si svolgeva davanti agli tutti: alcuni apprezzarono, altri ignorarono le due per riprendere i propri discorsi. Taehyung si perse a guardarle, spiegando all’amico chi fossero quelle ragazze così legate, come la mora avesse iniziato a lavorare per l’agenzia e come le avesse conosciute poco tempo prima, contemporaneamente sorridendo per la loro dolcezza.

 

“Se non mi sbaglio l’agente si chiama Seoyoon, reclute femminili del 94― Quando Taehyung rivolse lo sguardo nuovamente verso l’amico, questo sembrava essere seccato. “Jimin?”

 

“Sí, Tae?” Jimin gli rispose come se nulla fosse, fingendo un sorriso e sorseggiando inespressivo il vino dal suo bicchiere.

 

Taehyung corrugò la fronte, guardandolo dubbioso. Aveva notato solo in quel momento come l’apparenza perfetta ed elegante dell’amico nascondesse in realtà un umore basso e un modo di fare distaccato. “Tutto bene?”

 

“Benissimo.” Freddo come ghiaccio, Jimin concluse la sua frase tornando ad osservare l’entrata e aggiungendo un suggerimento con un tono che poco nascondeva l’acidità della sua voce. “È arrivato Bogum-hyung. Non vuoi salutarlo?”

 

“Lo vedo tutti i giorni perchè dovrei voler―” Tendeva a straparlare, Taehyung. Per quel motivo alla domanda del suo migliore amico, per quanto sembrasse portare con sè un tono accusatorio senza spiegazioni, iniziò a rispondere normalmente. Bloccandosi subito dopo e collegando lo sguardo cinico di Jimin con il saluto sorridente del suo quartermaster, che si stava avvicinando a loro. “Aspetta.”

 

Finalmente Jimin sembrò tornare a dargli attenzioni, dimenticandosi di bruciare con gli occhi l’ormai poco lontano Bogum. “Sei geloso?”

 

“Perchè dovrei?” Nascondendo la propria espressione, Jimin ruppe il contatto visivo con Taehyung di scatto, optando per un sorso di vino e un patetico tentativo di negazione e impassibilità. Che ovviamente l’amico notò. Si conoscevano troppo bene per non riconoscere una bugia così mal mascherata.

 

“Jiminie è geloso, Jiminie è geloso.”

 

Dopo l’iniziale stupore Taehyung decise di sdrammatizzare, allentando la tensione presente tra i due e cercando di far sorridere l’amico, regalandogli piccoli pugni sulla spalla, come se fossero tornati ai primi anni di addestramento, tra scherzi e istigazioni.

 

“Taehyung, non hai piú sedici anni. Smettila.”

Jimin non sembrò prenderla bene, quando, all’arrivo di Bogum, rispose con una lamentela fredda e distante, allontanandosi dall’amico e lasciandolo in balia di confusione, senso di colpa e un’espressione incredula da parte del suo quartermaster.

 

_____



 

Non appena entrò nel suo appartamento, Jimin notò le scarpe in più all’ingresso, la luce del fuoco acceso in salotto e la presenza inconfondibile di Taehyung. Raggiungendolo silenzioso e abbassandosi per sedersi al suo fianco, l’agente notò lo sguardo triste dell’amico, avvolto in una morbida coperta bianca e affascinato dalle fiamme che da sole illuminavano la stanza.

 

“Mi dispiace per prima.”

 

Per un attimo Jimin si rassegnò a non ricevere risposta e semplicemente fissare l’espressione indecifrabile di Taehyung, finchè questa non si manifestò in tutta la sua bellezza al voltarsi del capo dell’amico.

 

“Cosa c’è che non va, Jimin-ah?” In quel momento si trovò Taehyung ad avere a che fare con secondi di silenzio e occhi dispersivi. “Sai che puoi dirmi tutto.”

 

Fece per alzarsi, deluso di non essere riuscito ad ottenere spiegazioni e sinceramente stanco per l’andamento della serata.

 

“È che gli anni stanno passando cosí velocemente. Ora entrambi siamo agenti e siamo occupati con le nostre missioni. Pian piano potremmo allontanarci e smettere di essere… Noi.”

 

D’un tratto Jimin sembrò debole e insicuro, due caratteristiche che Taehyung non aveva mai visto sul suo volto. Si avvicinò velocemente, mettendosi in ginocchio davanti all’amico seduto e lasciando così cadere la larga coperta intorno alla sua posizione. Guardando preoccupato Jimin, sgranò gli occhi e non aspettò a rassicurarlo. “Non succederà mai.”

 

“Eppure qualcosa è cambiato. Non puoi negarlo.”

 

In quel momento Jimin lo stava guardando, indeciso e spaventato. Secondo Taehyung non si sarebbe dovuto preoccupare di nulla, ci sarebbe sempre stato per lui, come aveva sempre fatto fino a quel momento. Ma non poteva dargli torto, non erano più gli stessi di prima: gli impegni avevano ristretto il loro arco di tempo libero e il vedersi e parlarsi meno avevano aumentato dubbi e nostalgia. Non avevano mai toccato l’argomento del bacio, nonostante i momenti di skinship seguiti da silenzi imbarazzanti, e Taehyung temeva che Jimin si riferisse proprio a quello.

 

“Jimin-ah, se ti riferisci a quel bacio―”

 

“Se volessi di piú?” Jimin non smetteva di fissarlo, in ansia ma determinato. “Se non mi basterebbe essere il tuo migliore amico, Tae, come reagiresti?”

 

Taehyung non riuscì a credere alle proprie orecchie.

 

“Perchè ogni volta che vai chissà dove, nonostante la tua bravura in campo, io sento l’ansia nello stomaco e svanisce solo quando posso effettivamente vederti, e toccarti, e tutto il tempo che passi con Bogum non aiuta a tenere a freno la mia possessività.” Lo sguardo sconfitto di Jimin raggiunse il luogo dove teneva le mani, poggiate sopra le gambe incrociate. “Sono un amico orribile. Ed egoista.”

 

Con occhi spalancati, Taehyung rimase a guardarlo sconcertato. Si chiese se ciò che aveva appena udito fosse reale, e cercò di fotografare mentalmente l’immagine di Jimin davanti a sè, seduto e stanco, emotivamente sensibile e così, così perfetto. Pensò a quanto fosse perfettamente reale, creato con l’aspetto di un angelo ma la forza di un vendicatore. Un agente capace, abile, affascinante e attraente. Ma per Taehyung era prima di tutto Park Jimin, il suo migliore amico, la sua famiglia, la sua persona. La sua anima gemella.

 

“Dí qualcosa, Tae.”

 

Si risvegliò dai suoi pensieri per ricambiare lo sguardo preoccupato di Jimin con uno assente. Non diede tempo all’amico di decifrare la propria espressione, fiondandosi in avanti e abbracciandolo affettuosamente.

 

Notando la sorpresa di Jimin attraverso l’irrigidezza delle sue braccia rimaste immobili, Taehyung allontanò il volto dalla sua spalla, abbassando le mani lungo i lati del suo busto. Cercò di decifrare quale tipo di sensazione volevano trasmettergli gli occhi dell’amico, lasciando galleggiare nella stanza un ansioso silenzio.

 

La sensazione che provò subito dopo fu l’improvvisa vicina presenza di Jimin, di morbide labbra che sfioravano con timore l’angolo della sua bocca e un caldo debole respiro accompagnato il proprio. “Jim―”

 

Taehyung venne interrotto dal coraggio dell’amico, che lo spinse a unire le loro labbra in un innocente bacio a stampo. La brevità dell’azione lasciò Jimin in silenzio e con guance arrossate, Taehyung con occhi spalancati e sorpresi, e un imbarazzante momento di realizzazione per entrambi.

 

Improvvisamente le mani di Taehyung sentirono di non avere più il diritto di essere delicatamente poggiate sui fianchi dell’amico: il bacio era stato così puro che l’agente credeva di avere davanti ai suoi occhi la persona più fragile e dolce del mondo. Ma quando fece per allontanare le sue mani, quelle di Jimin ruppero definitivamente l’immagine innocente del loro padrone, bloccandole con una forte stretta sui polsi. Taehyung si ritrovò a osservare confuso un ragazzo che preferiva comunicare a gesti, spondando i suoi palmi sul proprio petto, consentendo così all’agente di sentire il battito frenetico del suo cuore. Jimin aspettò la reazione dell’amico, un sospiro quasi inudibile, e colse l’occasione delle labbra schiuse di Taehyung per avvicinarsi a lui e baciarlo una seconda volta.

 

La calma che si era stabilita nei gesti decisi ma dolci di quei momenti insieme venne sconvolta da un vortice di emozioni. I movimenti delicati della mano di Jimin sulla schiena e sulla guancia di Taehyung, la passione con la quale lo baciava, il piacere di sentire il calore di un’altra persona vicino al proprio, i sentimenti di Jimin finalmente sbandierati dal modo con cui l’agente teneva stretto a sé Taehyung.

 

Tutte spie che si accesero nella ragione dell’agente e che lo affrettarono a mettere in chiaro le cose, a confessare i propri pensieri e ritornare a perdersi nel conforto che solo Jimin poteva regalargli.

 

Bloccando l’amico attraverso una leggera spinta delle proprie mani, che ancora si trovavano sul suo petto, Taehyung quasi non riuscì a pronunciare ciò che si era promesso di dire, piacevolmente sconvolto dall’espressione di puro affetto davanti a sé, che donava al volto di Jimin il doppio della bellezza che il ragazzo già possedeva.

 

“Lo voglio anche io, Jimin-ah. Quel qualcosa in piú.”

 

Abbassando le mani dal petto alla cintura di Jimin, le dita di Taehyung toccarono delicatamente il corpo dell’amico, che non riuscì a parlare. Troppo concentrato sul percorso che Taehyung stava tracciando, distratto dal proprio sospiro pesante e dall’importanza della frase appena sentita, per poco Jimin rischiò di non sentire la fine di quella confessione.

 

“Voglio te.”

 

Le loro labbra si scontrarono di nuovo, in modo più caotico ma passionale. La dichiarazione di Taehyung caricò così tanto Jimin di sicurezza e affetto che questo decise di prendere il comando del bacio e si pose come obiettivo il piacere dell’amico.

 

Quando un gemito scappò dalla gola di Taehyung fu chiaro che Jimin era riuscito nel suo intento. E più riusciva a fargli provare piacere, più si sentiva egli stesso compiaciuto. E più avrebbe voluto continuare.

 

Le mani di Taehyung, rimaste sulla cintura dell’amico, preserò l’iniziativa e scostando il maglione iniziarono a maneggiare l’oggetto che per lui rappresentava un ostacolo. Jimin si allontanò dal bacio per guardarlo negli occhi e, accarezzandogli le gote con i propri pollici, chiedergli conferma. “Sei sicuro?”

   

“Voglio far l’amore con te, Jimin.”

 

Senza il benché minimo dubbio, Taehyung rispose con occhi determinati e voce profonda. Ciò che stava implicando si depositò solo alcuni secondi dopo nella mente di Jimin, che lo guardava sorpreso.

 

Levato il maglione e distesa la morbida coperta dalle sue spalle al pavimento, contro il quale andò a coricarsi, il campo visivo di Taehyung fu riempito dalla luce rossa del camino acceso, il buio della stanza, e Jimin, Jimin, Jimin. Affascinante, dolce e impaziente Jimin.

 

“Mi prenderò cura di te, Taehyung-ah, sempre. Lo ricorderai per sempre.”

 




 

Fu tutto perfetto. Anche le imperfezioni: la coperta distribuita in modo non equo, il fuoco quasi spento che non stava più scaldando la sala, il continuo dubbio su che tipo di relazione avessero. Taehyung si sentí a casa, stretto dalle braccia dell’amico, rilassato e compiaciuto e stanco, ma al contempo gli sembrò tutto troppo bello per essere reale. Decise di provare a dormire, i dubbi e le preoccupazioni avrebbero potuto aspettare l’alba. Il sospiro flebile sul suo collo si era stabilizzato e presto anche lui avrebbe raggiunto l’amico nel mondo dei sogni. Avrebbe potuto immaginare mille possibili scenari, in quei momenti tra veglia e sonno profondo, ma mai avrebbe previsto gli accaduti degli anni successivi.

 

[Jimin mentí quando gli promise di rimanere al suo fianco per sempre. Jimin mentí riguardo le parole dolci sussurrate tra i gemiti e i baci. Jimin non si rivelò un angelo, e Taehyung finí per scoprirlo. Tardi e dolorosamente. Ma il migliore amico fu convinto, e finí per mantenere inconsciamente, una sola promessa: Taehyung avrebbe ricordato quella notte e Jimin, per sempre.]

 

_____

 

Jimin osservò la cornice all’angolo della scrivania: era volutamente abbassata, per nascondere a occhi indiscreti, o ai propri, una determinata foto. L’ufficio del capo dell’agenzia era grande e lussuoso, ma manteneva allo stesso tempo un’atmosfera casalinga, rappresentando dopotutto anche il luogo in cui l’uomo viveva. Il giovane agente era stato invitato ad entrare e sedersi su una delle sedie di pelle color beige.

 

Il quarantenne davanti a lui nascondeva tra le rughe esperienze e serietà, e nonostante l’espressione pacifica e accogliente, Jimin conosceva i lati più severi e schietti dell’uomo. I capelli ricci e neri, gli occhi verdi, la barba già leggermente grigia. Nel silenzio imbarazzante, l’agente osservava i dettagli del suo capo mentre quest’ultimo sistemava dei fogli.

 

Di punto in bianco, l’uomo gli chiese come si stesse trovando a lavorare per l’agenzia, come andassero le missioni (benché avesse sott’occhio ogni rapporto compilato e firmato) e un aggiornamento riguardo la sua situazione sentimentale. Alla domanda leggermente invadente e inaspettata, Jimin rimase in silenzio.

 

Non perché non andasse alla grande, anzi. Lui e Taehyung stavano passando insieme momenti indimenticabili: il loro rapporto aveva mantenuto la base di amicizia, legame e rispetto profondo che già possedevano, alla quale i due avevano aggiunto le bellezze ed esperienze di un primo, vero, serio, amore.

 

Avrebbe voluto sorridere, Jimin, al ricordo delle serate tra le risate di Taehyung e i suoi baci sulle cosce dell’amico, ma si trattenne. Si trattenne perché l’espressione del suo capo era tutto eccetto che comprensiva. Era orgoglioso di lui, lo sapeva, e non aveva mai detto nulla contro le relazioni tra colleghi, sapendo come fosse impossibile prevenire attaccamenti emotivi tra le persone della sua agenzia, quando le sue reclute passavano il novanta percento delle loro vite sul campo o all’headquarter.

 

Il quarantenne non aggiunse altro, lasciando vagare nella stanza il silenzio di risposta del giovane e sorridendo per l’implicita comprensione. Continuò il discorso citando le missioni, i punti deboli dell’agente e i punti forti su cui doveva basarsi. Jimin si chiese se ogni recluta avrebbe avuto quel tipo di incontro con il capo, o se fosse solo lui l’oggetto di tanta curiosità.

 

Poco dopo tirò un sospiro di sollievo, quando l’uomo si alzò dalla propria sedia e lo accompagnò alla porta, segnando la fine del loro incontro. L’unica cosa che aggiunse, prima di salutarlo cordialmente, fu una frase che da lí a poco avrebbe perseguitato i pensieri di Jimin.

 

“Amare non solo ci rende deboli, ma mette in pericolo le persone a cui teniamo. Ricordalo, Jimin.”




 

[Tre anni prima. – Estate 2013]

 

Per festeggiare un’importante anniversario della nascita dell’agenzia, fu data una festa in un ampio loft lussuoso. Taehyung non sapeva bene cosa stessero celebrando, quella notte, riusciva solo ad aspettare con fremito l’arrivo di Jimin, stretto nello smoking non abituato a indossare e meravigliato dall’ambiente che lo circondava. Fiori e argenteria illuminavano l’infinita stanza, che quasi l’agente non crebbe fosse un appartamento. Gli invitati erano parecchi, sebbene fossero i soliti agenti e collaboratori, quartermaster e studiosi, e riempivano in modo accogliente il grande spazio. I tavoli offrivano cibo e bevande, stuzzichini e alcool, e lo champagne veniva servito da cortesi camerieri che gentilmente passavano tra la gente impegnata a chiacchierare. Ma la gola di Taehyung era di altro tipo.

 

Salutò e si perse nei discorsi con Seoyoon e Inyeong, conosciute settimane prima, senza dimenticare tuttavia l’ansia per l’arrivo del suo migliore amico. Che non poteva più chiamare tale.

 

Avevano deciso di raggiungere il loft separatamente, Taehyung e Jimin. La decisione aveva ferito Taehyung, ma il ragazzo riuscí a non pensarci più del dovuto: dopotutto, dopo la piacevole scoperta del desiderio di Jimin di essere molto più di un amico, i due passarono mesi intensi, affiatati e piacevoli. Se non gola, poteva chiamarla Lussuria? Taehyung non ne era certo. Provava qualcosa per Jimin, qualcosa di serio. Qualcosa che comportava forse, un giorno, un anello al dito. E prima che potesse realizzare la profondità di quei sentimenti, l’agente si ritrovò catapultato nel grande punto di domanda che lui e Jimin erano diventati. Il loro legame consentiva di associare a lunghe sessioni di piacevole e inebriante sesso, una buona dose di coccole, affettuosità e fiducia. Quello che erano stati, e che sarebbero rimasti, pensava a malincuore Taehyung, rappresentava una profonda relazione da migliori amici, ora in compagnia di piacevoli attività.

 

Evitava di pensarci, Taehyung, sperando che i suoi sentimenti svanissero o che, prima o poi, Jimin avrebbe cambiato le cose. L’unica persona con cui riuscí a confidarsi fu Bogum, che lo ascoltò ammettere ogni cosa davanti a diversi bicchieri di Soju. Seoyoon, che per caso si trovava nello stesso luogo, li aveva sentiti parlare e presto anche lei finí per unirsi al club di sostegno per Taehyung e i suoi sentimenti, parecchio stretto e parecchio problematico.

 

Fu proprio lei che in quel momento gli indicò con un cenno del capo l’ingresso, avvertendolo dell’arrivo di Jimin. Taehyung si girò con il cuore in gola e vide l’affascinante giovane uomo, con cui da mesi condivideva piacere e affetto, notarlo e avvicinarsi. Park Jimin riusciva a rendere sensuale perfino una camminata di pochi metri, una mano veloce tra i capelli e un gesto di saluto. Un affascinante spettacolo sotto lo sguardo incantato di Taehyung, che si risvegliò dalla piacevole visione quando Jimin pronunciò un saluto sia a Inyeong che a Seoyoon.

 

L’atteso agente poi si piegò di lato per sussurare a Taehyung un “Sexy lo smoking.” che lo fece arrossire, seguito da una frase molto più pericolosa. “Non vedo l’ora di togliertelo.”

 

Dopo di chè Jimin sorrise innocentemente, scambiando poche parole e avviandosi verso altri ospiti, per salutarli, promettendo di tornare da Taehyung poco dopo.

 

La serata non andò come Taehyung aveva sperato. Quando il loft ebbe accolto ogni invitato previsto, un angolo dell’appartamento fu riservato a violinisti, con il compito di addolcire l’ambiente con qualche melodia. Non era previsto il ballo, ma alcune coppie, prendendo esempio da Seoyoon e la sua iniziativa di fare ondeggiare dolcemente Inyeong, si lasciarono andare alla bellezza di quelle note.

 

Jimin non aveva raggiunto Taehyung, che una volta rimasto solo, rifiutato l’invito di Inyeong di ballare in tre, venne accolto da una mano sulla spalla. Il viso famigliare di Bogum si illuminò in un saluto, seguito da domande di cortesia e discorsi su varie missioni. Decise, con grande sollievo di Taehyung, di non domandare oltre, di non toccare l’argomento Jimin, notando la tensione nello sguardo dell’agente verso le risate e le pacche amichevoli che Jimin stava regalando a Hoseok e altri colleghi.

 

Rimase sul generale, finchè potè, finché per Taehyung non fu troppo e la serata sembrava volgere verso la sua fine. Il quartermaster salutò l’amico con sorriso comprensivo, raggiungendo Inyeong e Seoyoon, mentre l’agente optò per una boccata d’aria.

 

Raggiungendo l’unica terrazza dell’appartamento, piuttosto appartata nonostante la sua posizione collegata al tavolo degli alcolici, Taehyung si porse con i gomiti sul cornicione, piegandosi e sospirando, chiudendo gli occhi e lasciandosi consolare dall’umidità che pian piano stava liberando il proprio posto per il freddo autunnale.

 

Almeno sarebbe arrivata presto la sua stagione, si consolava l’agente, disprezzando il caldo estivo e le conseguenze di esso. Non l’aveva pensata allo stesso modo due mesi prima, quando, tornati in hotel dalle calde spiagge di Busan, dal piacere e dal dolore provocato dai movimenti di Jimin, aveva urlato il suo nome tra le lenzuola. O la sera prima, quando, nella vasca per le esercitazioni di apnea, l’abbronzatura e i muscoli di Jimin erano stati sottolineati dall’acqua, una volta che l’agente era riemerso soddisfatto dalla sua performance, e Taehyung si era felicemente ritrovato in ginocchio a dar sfoggio di un suo diverso tipo di abilità.

 

Ma più pensava all’importante ruolo che il sesso aveva nella loro relazione, più la sua mente ricadeva sul fatto ovvio che non fossero in una reale relazione. Taehyung poteva negarlo, poteva non pensarci, poteva fingere. Ma sarebbe durato poco. Quei pensieri sarebbero venuti a galla, come sempre.

 

Non si preoccupava del coraggio necessario per una possibile dichiarazione, o di un’improbabile risposta negativa: percepiva che anche Jimin provava qualcosa per lui, forse non esattamente lo stesso, ma sicuramente un sentimento, che lo spingeva a baciarlo lentamente o ad intrecciare raramente le loro dita.

 

Taehyung era spaventato da altro. Dal cambiamento. Era perfetto il modo in cui lui e Jimin stavano passando quei mesi, uno dei periodi con il minor numero di litigi in tutta la storia della loro amicizia. Taehyung amava potergli stare vicino in diversi contesti: quando le cose non andavano come avrebbe voluto, lo vedeva debole e insicuro e sapeva come consolarlo; condividevano vittorie e sconfitte, gioie e momenti bui, e al sesso fine al piacere di loro stessi si univa a volte quello più calmo, più profondo.

 

Amava soprattutto quello. Gli faceva sperare in un Jimin confuso quanto lui, in una risposta positiva a una domanda che aveva paura di porgere. Ma se la paura del cambiamento lo spaventava, la situazione attuale non poteva continuare. I suoi sentimenti si stavano ribellando, richiedendo sempre di più, egoisti e insaziabili e-

 

“Tae.”

 

Jimin lo stava osservando, in piedi sulla soglia della grande porta-finestra e tenendo in una mano un bicchiere mezzo vuoto. Non avrebbe dovuto fissare di risposta, ma Taehyung non riuscí a distaccare i propri occhi dalla bellezza del giovane uomo davanti a sè, il quale iniziò a camminare verso di lui.

 

“Non ti stai divertendo?”

 

Appoggiando il bicchiere sul cornicione, Jimin si rivolse a Taehyung, che preferí in quel momento distogliere lo sguardo e mantenerlo altrove. Ovunque eccetto su Park Jimin.

 

Si morse il labbro inferiore, pensando a quante persone quella sera avevano riso o ballato con Jimin e cercò di frenare la gelosia e la possessività inappropriate. Rimase a fissare l’infinità di edifici davanti a sè, pochi quelli più alti rispetto a loro, e iniziò ad odiare seriamente il calore della serata.

 

“Non esattamente, no.”

 

“Sai, potresti.”

 

Taehyung sapeva che Jimin avrebbe risposto in quel modo. Si sentiva salire la nausea quasi a pensare di potersi accampare in qualche angolo buio dell’edificio con Jimin solo per sesso e piacere. Non si avvicinava nemmeno lontanamente a ciò che avrebbe voluto ricevere quella notte.

 

Affetto, forse? Chiarimenti e decisioni, sicuramente. Si voltò verso Jimin prendendo il respiro e guardandolo negli occhi, determinato a citare la questione che da troppo tempo aleggiava nell’aria.

 

“Jimin-ah. Seriamente.” Espirò, stanco. Jimin lo stava osservando, ma in modo diverso rispetto a poco prima. In quel momento era indecifrabile: alternava una sensazione di frenesia e impazienza, a due occhi concentrati e una bocca socchiusa curiosa di sentire la risposta. Gli stessi lineamenti della sua faccia non sapevano decidersi sul da farsi. “Lo senti anche tu che cosí non può-”

 

Lo baciò.

E per quanto i baci di Jimin fossero ormai diventati una piacevole abitudine, e dipendenza, quel contatto nascondeva qualcosa di più profondo.

Taehyung rimase immobile, labbra e occhi spalancati compresi. Percepiva come Jimin stesse cercando di comunicare ciò che provava con quel gesto e l’azione, i sentimenti corrisposti impliciti, per quanto non del tutto inaspettati, sorpresero sinceramente l’agente.

 

Sentí le dita di Jimin accarezzargli la guancia, in modo dolce e delicato, e quasi si sciolse per l’affetto provato. Taehyung avrebbe maledetto quel giorno per anni. Eppure se avesse avuto l’opportunità di tornare indietro nel tempo, non avrebbe cambiato nulla.

 

Non avrebbe chiuso gli occhi, perché grazie ad essi, fissi sul bicchiere ormai dimenticato, l’agente fu in grado di notare uno strano riflesso proveniente da lontano. Forse una leggera luce. Rossa.

 

Bastò poco tempo per far sí che la sua mente collegasse l’identità, l’origine e le conseguenze di quel riflesso. E non serví nemmeno un nanosecondo per la sua scelta. Di colpo Taehyung voltò Jimin abbracciandogli le spalle e coprendolo con il proprio corpo, facendogli da scudo per quella che sapeva essere la luce laser di un mirino.

 

Lo sparo non poteva considerarsi tale. Fu silenzioso e rapido, fece muovere a malapena il corpo di Taehyung, che già sentiva la mancanza di labbra calde sulle proprie.

 

L’agente alzò lo sguardo verso quello sconvolto di Jimin, che stava velocemente collegando ogni cosa, e sorrise. “...Continuare.”

 

Vedendo il compagno cadere a terra, senza forze, Jimin prese e puntò velocemente la pistola verso la direzione da cui era arrivato l’attacco, riuscendo a malapena a mettere a fuoco qualcosa. Probabilmente il colpevole se l’era già data a gambe.

 

Jimin si lasciò cadere a terra vicino a Taehyung, sollevandogli il collo con una mano e pressando l’altra sopra la ferita.

 

“Tae?”

 

L’immagine che Taehyung si trovò davanti agli occhi, prima che qualcosa glieli offuscasse, fu quella di un Jimin sull’orlo di una crisi, in lacrime e sconcertato, tra parole veloci e incomprensibili.

 

Si rese conto solo quando si svegliò, quattro mesi dopo, che l’immagine di Jimin impressa nella sua mente sarebbe stata, per tre anni, l’ultima.




 

[Due anni prima. – Primavera 2014]

 

“A cosa stai lavorando?”

 

Taehyung entrò nel laboratorio di Namjoon, come quasi ogni giorno all’ora di pranzo, per ricordargli di non saltare alcun pasto. Si avvicinò al tavolo dove l’amico sembrava essere concentrato davanti ad un pc e qualcosa che poteva essere sangue. L’agente trattenne una smorfia quando Namjoon lo guardò e salutò con un sorriso.

 

“Un progetto. Mi ci vorrà molto, ma sono fiducioso.”

 

“Posso farti da cavia, se serve.”

 

“Non ce n’è bisogno. Non mi fido ancora di me stesso.” Ridendo, Namjoon ricordò a Taehyung il motivo per cui i due avevano fatto amicizia velocemente. “Non sopporterei di mettere a rischio vite altrui. Comunque, tutto bene?”

 

Altruista e riservato, Kim Namjoon rappresentava una delle persone più leali, umili e sincere dell’agenzia. Lavorava da anni nel settore ma Taehyung l’aveva conosciuto solo il giorno in cui era stato dimesso dall’ospedale, dopo le sue ultime analisi.

 

I due avevano instaurato da subito un semplice ma forte legame, e il giovane dottore aiutò l’agente a superare il periodo di crisi che succedette il suo risveglio dal coma. Taehyung infatti non ricevette alcuna visita, se non da Seoyoon e Bogum, durante la sua convalescenza in ospedale; gli era stato detto che Jimin non si era mai presentato in quella sala dopo il primo giorno in cui lo avevano operato e ricoverato d’urgenza.

 

Fu difficile per l’agente comprendere il motivo per cui Jimin avesse smesso di volerlo vedere, ma presto l’odio e il rancore si fecero strada nel suo cuore. In altre occasione forse sarebbe stato preoccupato per lui, ma quando Seoyoon gli riferí che Jimin aveva ripreso il proprio lavoro senza problemi, chiedendo semplicemente un trasferimento in un’altra unità, Taehyung smise si sperare.

 

Namjoon continuava a consigliargli la via dell’indifferenza, pensando al futuro e ai propri obiettivi, eliminando i pensieri negativi, eppure ogni volta che il nuovo saggio amico gli chiedeva come stava, Taehyung rispondeva in un modo che nascondeva molto più dolore del sarcasmo.

 

“Una meraviglia.”

 

“Dottor Ki- oh, agente Kim!” Minyeong, l’apprendista segretaria di Jin, si fece strada nel laboratorio e notò la presenza dell’agente. “Perfetto, é quì anche lei. Dottore, per lei.”

 

Consegnò a Namjoon una lettera, per poi voltarsi verso Taehyung e porgergli una modesta scatola, contornata da un fiocco bordeaux.

 

“Questo é per te, Taehyung.”

 

L’agente guardò il regalo con un’espressione quasi inorridita. “Da parte di chi?”

 

“Non c’era nessun biglietto. Ma penso tu lo sappia.”

 

Senza aggiungere altro, Minyeong uscí dalla stanza, lasciando Taehyung e Namjoon in silenzio. Entrambi sapevano bene da chi potesse essere arrivato il regalo, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di nominarlo.

 

“Non hai intenzione di aprirlo?” A quel punto parlò il cuore buono del giovane dottore, il quale si era alzato e aveva raggiunto l’amico, appoggiandosi su uno dei tavoli. “Tae, sei sicuro…”

 

“Non voglio parlarne.”

 

Taehyung sentiva le voci che giravano riguardo Jimin, su come avesse iniziato a cambiare, sul suo comportamento sempre più narcisista. Tutto ciò aiutava ad alleggerire il senso di colpa dell’odio provato dall’agente, che non poteva fare altro che disprezzare l’unica persona che gli aveva fatto false promesse.

 

“Forse dovreste.”  

 

Voltandosi per fissare Namjoon e convincerlo del suo pessimo umore a riguardo, Taehyung notò la tristezza negli occhi dell’amico e iniziò a preoccuparsi.

 

“Hanno appiccato un incendio nella residenza dei Jung.”  Taehyung continuava a non capire. Come una notizia da telegiornale potesse essere collegata a lui o a Jimin.

 

“La casa di Hoseok.”




 

All’uscita dell’headquarter, Taehyung si decise a scartare quel misterioso regalo. Aprendo lentamente la scatola di cartone, l’agente scoprí il contenuto: una sciarpa color bordeaux, di lana, era piegata in modo perfetto all’interno del contenitore.

 

Prendendola e avvicinandola al viso, Taehyung percepí un forte profumo che gli ricordò Jimin. Eppure gli parve strano e impossibile che la stessa persona che lo aveva evitato da mesi potesse inviargli un regalo; avrebbe voluto solamente buttarlo nella spazzatura, scatola e sciarpa compresa. I suoi pensieri vagarono verso Hoseok e i ricordi del ragazzo, aveva sentito che il quartermaster più abile dell’agenzia si era licenziato durante la sua convalescenza, ma non ne scoprí mai il motivo. Nonostante la loro conoscenza fosse stata limitata, il rapporto che Hoseok aveva instaurato con Jimin era stato importante e la sua improvvisa scomparsa chissà cosa avrebbe scatenato nell’agente-

 

“Taehyung-ah!”

 

Namjoon lo distolse dai pensieri, riportandolo alla realtà e facendolo voltare verso la porta, dove l’amico era intento ad indossare, giustamente, un cappotto pesante, prima di uscire. Dopottutto fuori era inverno.

 

“Buon compleanno.”




 

[Due anni prima. – Inverno 2014/2015]

 

“A 11 anni scappai dall’orfanotrofio in cui vivevo. Con i risparmi comprai un biglietto per Seoul. Non mi aspettai di trovare tanta differenza tra Busan e la capitale, eppure mi adattai. Mi spostai a Incheon per cercare un posto in cui vivere, inutilmente. Con i pochi soldi che riuscivo a guadagnare rubando per conto di qualche cliente sopravvivevo, ma avevo bisogno di un cambiamento. Di stabilità.”  “Un giorno, in uno di quelli dove i criminali per cui lavoravo decidevano che una bocca in piú da sfamare non valesse la spesa e il rischio, scappai con il volto sanguinante verso il nulla, senza una meta, lasciandomi cadere stremato al lato di una stradina deserta. Calò il buio e iniziò a tuonare, piovendo a dirotto, e pensai che presto sarebbe stata la mia fine: solo senza un soldo o un pezzo di pane. La gente che passava mi scambiava per un senzatetto, evitandomi schifata.”

 

Taehyung e Namjoon ascoltavano attentamente il racconto del ragazzo, nonostante i tre bicchierini di soju ormai in circolo.

 

“Ad un certo punto vidi correre per strada una bambina. Sembrava avere la mia età e quando si accorse che la stavo fissando, cambiò direzione per avvicinarsi a me e parlarmi. Ricordo che i boccoli bagnati e spettinati le circondavano il viso in maniera buffa e che la prima cosa che mi disse fu ‘Come ti chiami?’. Non si chiese il motivo per cui avessi il viso riempito di botte e sangue o la ragione della mia presenza in quel luogo. Le risposi sinceramente, iniziando un discorso inutile che per l’età che avevo rappresentava una tranquilla introduzione. La ragazzina se ne andò poco dopo e io mi rassegnai al destino, coprendomi le ginocchia con le braccia per il freddo che si stava creando. Al tempo non ricordai bene se percepii prima la coperta sulle mie spalle o il braccio teso in segno di aiuto, ma la persona che mi ritrovai davanti appena ebbi alzato lo sguardo fu sempre lei, la bambina di quella sera. In silenzio, mi aiutò ad alzarmi e camminare, fino a raggiungere la porta di una casa poco lontana: mi fece stendere su quello che pensai fosse il suo divano di casa e mi diede del cibo, senza mai chiedermi altro.”

 

Namjoon sembrò sorpreso dalla gentilezza della bambina del racconto, ma non interruppe il discorso, mentre Taehyung continuò a guardare e ascoltare il giovane agente davanti a loro, chiedendosi però come avesse fatto un diciottenne ad ordinare soju.

 

“Dopo un weekend di febbre, la ragazzina mi spiegò che se avessi voluto avrei potuto vivere in quella casa, a patto di non farmi sentire e rimanere nel seminterrato quando lei non si sarebbe trovata sola. Accettai senza pensarci due volte, iniziando da quel giorno ad aiutarla nelle faccende di casa per contribuire alla sua ospitalità. Passammo molto tempo insieme e cominciai a imparare il suo nome, Aejeong, i suoi interessi e cosa la facesse arrabbiare; riconobbi i passi sul pavimento di una seconda persona, poche volte accompagnati da quelli di una terza, e non feci mai domande riguardo la sua famiglia o riguardo il perchè non andasse a scuola. Aejeong mi trattava come un fratello e fui abituato a quella sensazione: presto mi attaccai emotivamente a tutto ciò che rappresentava, e cercai di renderla felice tanto quanto lei aveva reso me.”

 

Taehyung cercò di non trovare similitudini con il suo antico rapporto e il racconto del ragazzo, concentrandosi sui veri protagonisti della storia.

 

“Avevamo questa abitudine di cucinare insieme, mangiare un tipo preciso di barrette di cioccolato e chiamarci JeongJeong e Kook, cambiando e invertendo i caratteri dei nostri nomi.” Il giovane moro si perse in una leggera risatina, per poi riprendere il racconto. “Fu un periodo felice, trascorsi un anno e mezzo a vivere in modo semplice e spensierato, finchè un giorno mi svegliai in una casa vuota. Era capitato piú volte che Aejeong la mattina non fosse presente, ma quel giorno non mise affatto piede nella sua stessa casa. Trovai un bigliettino ai piedi della porta d’ingresso. ‘Mi spiace. Sono dovuta partire. Mi mancherai.’ Tre semplici frasi che mi spezzarono il cuore. Ero troppo piccolo per veder svanire qualcuno in quel modo. Rimasi in quella casa per due anni, iniziando a picchiare per soldi e non trovando gravi difficoltà economiche. Finchè non sentii una sera un ragazzo parlare dell’agenzia, lamentandosi dei requisiti senza i quali non poteva far domanda: erano tutte abilità che già possedevo, perché non tentare la sorte? Ed eccomi quí, un diciottenne che aspetta la sua prima missione.”

 

Namjoon e Taehyung non avrebbero mai immaginato di poter fare amicizia ad un funerale. Per di più, non sicuramente dopo un funerale e diversi bicchieri di soju. E a completare il quadro di inaspettate novità vi era l’età e la strana profondità emotiva del ragazzo davanti a loro.

 

Eppure, fu ciò che successe.

 

Al funerale del loro capo furono invitati tutti gli agenti, quartermaster, collaboratori, e principianti. Che fossero attivi o meno. La cerimonia fu breve e senza lacrime, come si poteva ben aspettare da un esercito di figliastri addestrati a provare meno sentimenti possibili.

 

“Tae ha iniziato poco prima dei 19, dai tempo al tempo. Non conosco agente che abbia ricevuto il suo primo incarico ai 18 anni, forse Park-” Un Kim Namjoon brillo era un Kim Namjoon senza filtri. Ma Taehyung lo rassicurò con una pacca sulla spalla: Park Jimin era storia vecchia. L’agente non avrebbe mai ammesso di aver cercato per tutto il tardo pomeriggio il volto dell’ex-compagno tra la gente.

 

“Nessun Park, nessun discorso sul passato o sulle missioni. Penso che sia doveroso prenderci una vacanza.”

 

Gli occhi del giovane dottore si illuminarono. “Una pausa, giusto.”

 

Taehyung sorrise e ammiccò in modo complice. “Hai in mente qualcosa?”

 

Un leggero colpo di tosse riportò l’attenzione dei due amici al terzo ragazzo presente, che in quel momento li stava guardando inconsciamente con l’espressione più pietosa e allo stesso tempo adorabile che un agente allenato e serio potesse avere.

 

Ancora una volta il cuore di Namjoon non resse.

 

“Ho un amico, a Vienna…”



 

[Pochi mesi prima. – Autunno 2016]

 

Hobi-hyung

Non fidarti di nessuno.

 

Quando tutte le certezze crollarono e un sms lo mise in guardia riguardo il luogo in cui viveva e le persone per cui lavorava, nonostante si ritenesse l’agente migliore, temprato alla sensibilità, altruismo e affetto, Jimin finí per credere solamente alla parte più profonda di se stesso. Decise di ripartire dalle proprie radici.

 

Dall’unica persona di cui ciecamente si sarebbe sempre fidato.



 

(Fine Flashback)

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 险 danger, nearly ***


[13 Gennaio 2017, 14:07 - Giardino del Castello Schönbrunn, Vienna, Austria]

 

“A cosa devo questa visita?” 

Passeggiando tranquillo tra le bellezze delle siepi colorate, per Jackson fu facile percepire la persona a pochi passi dietro di lui.

 

Jungkook uscí dalla sua posizione appartata e si avvicinó al vecchio amico, cosciente che parecchi suoi uomini si sarebbero trovati a breve distanza, con il mirino puntato sulla sua fronte, nel caso avesse fatto qualcosa di avventato.

“Ho bisogno del tuo aiuto, Jackson.”

“Piccolo Jeon!” Il giovane uomo si illuminó, riconoscendo l’agente e accogliendolo in un abbraccio. “Ho miei uomini ovunque. So che tu e tre ragazze siete stati nell’appartamento di Joon. So che da quando sono arrivati gli uomini di Seokjin avete cambiato base diverse volte. E ora eccoti quì. Credevo fossi parte di quell’agenzia, Jeon, non un suo bersaglio.”

Jungkook non poteva dargli torto. Erano passati una decina di giorni dal loro arrivo a Vienna. Se i primi giorni furono caratterizzati da una ricerca approfondita di possibili indizi nell’appartamento, dopo aver notato di essere stati inseguiti, i quattro dovettero cambiare alloggio, da motel a motel, evitando scontri armati.

Non fu facile nemmeno la dinamica tra di loro: con la questione irrisolta tra Jungkook e Aejeong, le improvvise e frequenti discussioni tra Inyeong e Seoyoon e la frustrazione per le inutili ricerche, l’atmosfera non era delle migliori. Erano scappati convinti di poter trovare risposte, eppure nulla. Namjoon rimaneva un uomo scomparso, impossibile da rintracciare.

 

“Si tratta di Namjoon, hyung.”

Dopo una breve espressione di sorpresa, Jackson tornò serio. “Sto rischiando, ad aiutarti. Lo sai questo, vero?”

“Lo sappiamo, e te ne siamo grati.” Aejeong comparse dal nulla e cercò di rassicurare lo sconosciuto, nella speranza di ricevere anche solo un minimo aiuto.

“Non vogliamo metterti in mezzo, hyung.”

Le parole di entrambi lasciarono Jackson in balia dei suoi pensieri: divenuto più cupo, rimase in silenzio, indeciso sul da farsi. “Namjoon è anche mio amico, posso aiutare voi quartermaster prestandovi il meglio dell'attrezzatura in mio possesso. Ma oltre a questo, voglio starne fuori.”

Detto questo, fece segno a uno dei suoi sottoposti di avvicinarsi, gli ordinò di reperire il necessario e di consegnarlo la sera stessa ai due giovani.

“Grazie.” Alla promessa di un aiuto, Jungkook si rivolse al vecchio amico con cordialità e sincera gratitudine.




_____




“A cosa stai pensando?”

Tornati da Seoyoon e Inyeong, e riferito loro il risultato dell'incontro con Jackson, Jungkook parve pensieroso a tutte e tre le ragazze. Solo Seoyoon ebbe il coraggio di domandargli il motivo di tale serietà.

“Ho uno strano presentimento.”

All'erta, Aejeong lo guardò con preoccupazione. “Riguardo Wang?”

“Sapeva che eravamo in quattro, ma non gli ho mai riferito i vostri ruoli. I suoi uomini sono bravi, potrebbero aver scoperto di Seoyoon e Inyeong, ma dubito sapessero di te.” Spaventato di ciò che i suoi pensieri stessero implicando, Jungkook si rivolse a Aejeong in cerca di comprensione. 

“Nemmeno io e Seoyoon sapevamo della tua esistenza fino a un mese fa! Eppure ha detto esplicitamente 'voi quartermaster'.”

“Potrebbe aver fatto ricerche.” Concluse in tono positivo Inyeong, scongiurando il peggio.

“Senza avere rapporti con l’agenzia e Seokjin?”

Il dubbio di Jungkook fece realizzare ai quattro ciò che più temevano. Non potevano fidarsi di Wang, nè dei suoi uomini, che conoscevano la loro posizione e che da lì a poco si sarebbero presentati al motel, sicuramente non per consegnare portatili.

 

“Dobbiamo spostarci.” Chiedendo alle altre due ragazze di raccogliere gli oggetti necessari, Aejeong si fiondò nel bagno della loro stanza, alzando con un coltello una mattonella ed estraendo da sotto di essa una piccola pistola. 

Jungkook si affrettò a dire la sua. “Aspetta. Se Wang è collegato a Seokjin lo scopriremo, aspettandolo quí.”

Gli occhi feroci di Aejeong lo guardarono infastiditi. “ Preferisco non rimanere in trappola in un motel, in attesa di una cena a base di promesse attrezzature con contorno di tradimento.”

 

Mentre la ragazza recuperava gli ultimi oggetti indispensabili dal bagno, Jungkook sospirò e si arrese alla realtà dei fatti. “Anche Wang sta mentendo.”

Fissando il pavimento, leggermente appoggiato al lavandino, l'agente si stupì di quante persone potessero rivelarsi nemiche in così poco tempo. La mancanza di Namjoon e Taehyung si fece sentire: le due persone di cui Jungkook si poteva fidare ciecamente, in quel momento risultavano disperse e non contattabili.

“Ehi. Sai che di me ti puoi fidare, vero?”

Incerta sull'approccio da utilizzare, Aejeong rimase ferma sulla soglia della porta del bagno, cercando di comprendere i sentimenti dell'agente. 

Alzando lo sguardo da terra, Jungkook piegò le sopracciglia come per mettere in dubbio l'affermazione della sua quartermaster. Determinato a riportare alla luce una questione da risolvere, aprì bocca per dire “Ne dovremmo parlare.”

 

Solo per venir zittito poco dopo con un semplice “Non abbiamo tempo da perdere.”






[14 Gennaio 2017, 18:28 - Gil Hospital, Namdong-gu, Incheon, Corea del Sud.]

 

“Dovresti riposare.”

Taehyung alzò lo sguardo e allontanò i polsi dalla fronte contro la quale poggiavano con stanchezza e rassegnazione. Vide la segretaria di Seokjin, Minyeong, avvicinarsi e poggiare una mano sulla sua spalla. Stava guardando il corpo di Jimin, immobile e silenzioso, sul letto bianco, collegato ai macchinari e quasi totalmente coperto dal lenzuolo. La mano destra poggiava sul busto: Taehyung aveva già dimenticato quante volte l’avesse stretta in quei lunghi giorni, aspettando che l’agente prendesse coscienza e aprisse gli occhi. 

“Non torni a casa da giorni. Ci siamo noi quì con lui.”

Rifiutando l'aiuto di Minyeong, l'agente rimase seduto sulla piccola poltrona. Aspettò qualche minuto prima che la ragazza se ne fosse andata, per dedicarsi alla sua cena. I ramyeon sicuramente non sarebbero stati la scelta più salutare, dato che non toccava il suo appartamento e un buon pasto da giorni, ma in quel momento gli sembrò una decente alternativa. 

Non si sarebbe mai dato pace se fosse successo qualcosa a Jimin mentre si trovava altrove. Dormire a casa sua non avrebbe cambiato nulla: ci aveva provato, inutilmente, per arrivare poi alla conclusione che non avrebbe chiuso occhio finché Jimin non sarebbe stato fuori pericolo.

Pensando al suo appartamento, si ricordò di aver lasciato in una delle tasche dei suoi pantaloni un biglietto. Era pieno di scarabocchi, ma firmato da Jungkook. Non lo aveva capito sul momento, ma gli sembrava famigliare e decise quindi di portarlo con sé all'ospedale. 

 

Conclusa la sua triste cena, tolse il foglio dalla tasca e lo guardò nel dettaglio, chiedendosi per la prima volta dove fosse il suo amico. Prima che la preoccupazione lo potesse travolgere, Taehyung si addormentò lentamente, ricordandosi le nostalgiche risate condivise con Namjoon e Jungkook.

 

 

_____





“Ehi.” Bogum lo svegliò sfiorandogli la spalla. Appena Taehyung aprì gli occhi mise a fuoco la faccia del suo amico e sorrise, felice di averlo rivisto dopo tutti gli avvenimenti accaduti. 

Il quartermaster ricambiò il sentimento, poco prima di indicargli con un cenno del capo il letto della stanza. Taehyung si sorprese di incontrare lo sguardo di Jimin, sveglio e lucido, nonostante la debolezza che traspariva dal ritmo dei suoi respiri. 

“Come stai?”

Sorridendo Jimin rispose “Come nuovo.” , cercando di alzarsi dalla sua posizione. Gli scappò un colpo di tosse, seguito da forti dolori all’addome. Arrendendosi, si lasciò cadere con la schiena contro il cuscino e decise che un po’ di riposo non avrebbe fatto male. 

Rendendosi conto del silenzio e dello sguardo serio di Taehyung, decise di affrontare qualsiasi problema ci fosse nell’aria. “Che c’è, Taehyung-ah?” 

“Hai rischiato la vita e ridi?”

“Okay” Sentendosi come un bambino nel mezzo di una litigata tra genitori, Bogum capì che quello sarebbe stato un momento perfetto per uscire di scena. “Vado a cercare un bicchiere d’acqua per Jimin.”

 

Appena Bogum lasciò la stanza, Jimin fissò con occhi increduli Taehyung, quasi per incolparlo della fuga del quartermaster. “Sto bene ora, non devi preoccuparti.”

Taehyung si era alzato, incrociando le braccia e raggiungendo i piedi del letto, ma senza avvicinarsi troppo. “Oh giusto, l’infallibile Park Jimin. Sei stato privo di coscienza per due settimane e ogni giorno ho sperato non fosse l’ultimo, rimanendo al tuo fianco. A quanto pare saper restare è un’abilità rara.”

“Tae…”

“No, sono stanco. Di essere l’unico a tenerci. L’unico a ricascarci. Sempre.”

La tensione fu spezzata dall’arrivo di Bogum, che lasciò a Jimin un bicchiere d’acqua e prese da parte l’amico arrabbiato. “Devo parlarti.”

 

Normalmente Taehyung avrebbe rimandato, ma qualcosa nello sguardo di Bogum lo convinse a dare priorità a ciò che l’amico avesse da dire. Troppe domande giravano nella testa dell’agente: l’attacco, la morte di Namjoon, l’improvvisa assenza di Jungkook. 

“C’è una strana atmosfera in agenzia.” Spostandosi fuori dalla stanza, Bogum si confidò “ Jungkook, Seoyoon e Inyeong non si vedono più, Seokjin mi aveva riferito di una missione in Grecia, ma non sembrava felice delle mie continue domande. Ho controllato, non c’è alcun documento ufficiale a riguardo. Ne sai qualcosa?”

Taehyung pensò al peggio. Non poteva perdere un altro amico. L’improvvisa irreperibilità di Jungkook e Seoyoon non lo aveva allarmato molto, ma un sesto senso riguardo un pericolo imminente si fece strada nel suo cuore. “Nemmeno io sono riuscito a sentirli…” 

Rimettendo le mani in tasca Taehyung si ricordò del foglietto lasciatogli da Jungkook. “Dannazione, il biglietto.” 

 

Tornando nella stanza per raccoglierlo dalla poltrona, l’agente lo aprì e lesse il suo contenuto. 

“È di Jungkook? Cosa dice?” Bogum lo aveva raggiunto e aspettava con ansia di ricevere una risposta.

“Tra quanto dimetteranno Jimin?” 

Il giovane si era addormentato. Taehyung lo notò quando si volse verso il letto. Che pace. Il volto dell’agente era rilassato e tranquillo, inconsapevole di ciò che stava accadendo intorno a sé. Forse sarebbe stato meglio così, forse non sarebbe stato pronto alla notizia, pensò Taehyung.

“Dicono gli serva solo un po’ di riposo, penso tra due giorni… Perchè?”

Bogum cercò di attirare l’attenzione dell’amico, ripresentandosi davanti ad egli con un’espressione preoccupata e allo stesso tempo curiosa.

“Potrà riposarsi in aereo, stanotte tu, io e lui partiamo per l’Austria.”

Quando Taehyung iniziò a raccogliere le sue cose e quelle di Jimin, per prepararsi all’imminente viaggio, Bogum lo bloccò prendendogli il braccio. “Cos’è successo, Tae? Cosa dice il biglietto?”

“Seokjin è collegato alla morte di Namjoon.”




_____





“Jimin, svegliati, dobbiamo andare.”

La leggera carezza sulla spalla svegliò Jimin dalla sua pace. 

Taehyung notò l’espressione persa dell’agente, che impiegò qualche secondo prima di capire dove si trovasse. Lo invitò a vestirsi velocemente, nello stesso momento in cui Bogum rientrò nella stanza per avvisare Taehyung. Stavano arrivando .

“Bogum? Tae? Che succede?”

“Te lo spiegheremo appena ne avremo il tempo, forza. Potrebbero vederci.”

Sulla soglia della porta, Taehyung esaminò il corridoio deserto, illuminato solo da flebili fredde luci. Con un gesto ordinò a Jimin di raggiungerlo. 

“Taehyung-ah, che sta succedendo?”

I tre avevano iniziato a camminare velocemente lungo il corridoio. Mentre Bogum, più indietro, controllava che nessuno fosse sulle loro tracce, Taehyung faceva loro strada e trascinava frettolosamente con sè Jimin. La sua stretta sul braccio di Jimin era ferma e seria, mai violenta.  “Vuoi davvero aiutarmi riguardo a quello che è successo a Namjoon?”

“Sempre.”

Gli occhi seri di Jimin per un attimo fecero credere all’agente che sì, si sarebbe risolto tutto finché sarebbero stati insieme. 

Ma come poteva fingere sicurezza e illudersi con improbabili speranze quando tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento stava crollando sopra le sue spalle? Non voleva pensarci, non in quel momento almeno. Dovevano correre. Guardò Jimin con la stessa intensità con cui egli lo aveva assicurato del suo aiuto. “Allora dobbiamo allontanarci dall’agenzia. E raggiungere gli altri a Vienna. Non possiamo più fidarci di Seokjin.”

 

Riuscirono a raggiungere l’uscita, correndo verso la strada, quando all’improvviso uno sparo catturò la loro attenzione. 

Si voltarono, per primo Bogum vede il responsabile di tale frastuono. Jimin conobbe per la seconda volta il sentimento del tradimento: un viso famigliare e un sorriso maligno gli confermarono che affezionarsi e fidarsi non erano mai una buona idea nel loro lavoro. “È Taemin.”

“Andate avanti, ci penso io.” Bogum urlò loro di andarsene, estraendo la sua unica arma: una pistola che nascondeva dietro la schiena. 

“Hyung, non puoi coprirci.”

Non poteva perdere qualcun altro. Taehyung cercò di avvicinarsi al suo quartermaster, per venir poi allontanato con un “Jimin ha bisogno di te, andate. Posso inventarmi qualcosa.”

 

Per un attimo Taehyung ebbe davvero timore di perdere un altro amico. Bogum era stato negli anni come un fratello maggiore, una guida e un sostegno. Conosceva la sua astuzia e sperava che essa lo avrebbe salvato da quella situazione. Ma niente poteva distoglierlo dal pensiero che Bogum era un quartermaster, non è mai stato davvero allenato per combattere sul campo. Sperava che nemmeno Taemin avesse ricevuto quegli insegnamenti.  

“A presto, hyung. Promettimelo.”  

Bogum gli sorrise dolcemente, prima di salutarlo con un deciso “A presto.” e affrontare con rabbia il collega.

 

Dopo un secondo di visibile smarrimento in cui Taehyung riuscì solo a fissare Jimin negli occhi e trattenere la paura e la preoccupazione, i due iniziarono a correre verso il primo taxi, fiondandosi dentro.

Taehyung si rilassò sul sedile e diede semplicemente le istruzioni all’autista: “All'aeroporto di Incheon, grazie.”






[14 Gennaio 2017, 23:17 – Vienna, Austria]

 

“Probabilmente a quest’ora saranno arrivati al motel.” 

Dopo essersi allontanati dal quartiere dove era situato il loro ultimo motel, i quattro fuggitivi avevano rallentato il passo, ricordandosi di camminare lungo le vie più buie di Vienna. Con la sua ipotesi, Inyeong aveva ricordato loro a quale minaccia erano scampati.  

Tuttavia Jungkook, che camminava dietro le due quartermaster, in compagnia di Seoyoon, non si sentiva soddisfatto. Odiava dover scappare da una situazione, di sapere solo una parte della verità. Voleva sapere perché Jackson li avesse traditi, lui, Namjoon e Taehyung. “Ciò non cambia che avevamo bisogno di quell’attrezzatura.” 

All’amara constatazione di Jungkook, Aejeong rispose senza voltarsi. “Possiamo trovare un altro modo.”

 

“Abbiamo un anello e nessuna idea di dove possa essere Namjoon. Oltre a nessun posto dove dormire.” Era notte fonda e giustamente Seoyoon stava mettendo in chiaro ciò che tutti stavano pensando: non solo la stanchezza, ma l’assenza di piste che potrebbero condurre al collega, insieme all’atmosfera straniera di un’altra nazione e il senso di inutilità, avevano prosciugato le loro speranze e forze.

“Domani troveremo un luogo dove riposarci, ma per stanotte dobbiamo rimanere all’erta.” Aejeong cercò di guardare la situazione in modo positivo, accarezzando la spalla di Inyeong, che al suo fianco mostrava un’espressione triste e abbattuta. 

“Non abbiamo ancora notizie di Jimin e Taehyung?” Rispose al gesto amichevole Inyeong, guardando speranzosa la collega.

“Non penso…” Non volle eliminare l’unica goccia di speranza della ragazza ma Aejeong non poteva rispondere a quella domanda. Si voltò per chiedere all’unica persona che aveva direttamente cercato di contattare Taehyung durante gli ultimi giorni. E non la vide. “Dov’è Jungkook?” 

Cercando a destra e sinistra con lo sguardo, Seoyoon ebbe il timore che l’agente fosse stato rapito, ma non si sarebbe mai arreso senza lottare. Lo avrebbero sentito. Poi capì di chi stessero parlando: giovane e impulsivo.

 

Sospirando la ragazza alzò gli occhi al cielo e rispose “A fare l’eroe.” 




_____





 “Io starei più attento con quelli fossi in te.”

L’uomo con i borsoni neri aveva appena lasciato cadere i suoi pesi a terra, dopo aver superato l’uscita del motel insieme ai compagni, frettolosi di aggiornare il loro leader riguardo l’assenza dei loro obiettivi.

 

Erano all’incirca tutti e cinque giovani adulti, poco più esperti di Jungkook. L’agente non aspettò la loro espressione sorpresa, si avvicinò all’uomo che custodiva l’attrezzatura e l’allontanò da loro spingendola con un calcio al lato del marciapiede. Nel frattempo i suoi avversari, compreso quello di fronte a lui, avevano fatto due più due, corrugando la fronte e attaccandolo uno dopo l’altro. 

Al primo toccò il colpo più letale, nonostante l’impulsività, Jungkook aveva programmato dove e come ferirlo. Gli altri quattro si rivelarono tutt’altra storia. Avvicinandosi da ogni lato, gli assalitori lo avevano accerchiato. L’agente iniziò a lottare con il primo che cercò di ferirlo, avendo la meglio per qualche attimo e venendo poco dopo sopraffatto dal secondo uomo arrivato in suo aiuto.

“Dobbiamo informare Wang”  

Concentrato ad evitare i colpi dei suoi assalitori, Jungkook sentì il piano degli altri due, sapendo di doverli fermare al più presto. Se solo fosse riuscito a liberarsi dagli attacchi e raggiungere il cellulare dell’uomo che aveva appena digitato il numero di Jackson… 

Con un calcio spinse un uomo contro l’altro, affrettandosi a raggiungere i rimanenti, per fermarli dal chiedere soccorso. 

 

Quando sentì la presenza dietro di sé capì. Troppo tardi. Si girò per affrontare qualsiasi destino la sua impulsività gli avrebbe riservato, notando uno degli uomini davanti a lui, con un pugnale pronto a colpirlo.

Se non fosse stato per Seoyoon, che prendendo il braccio dell’assalitore e piegandolo in un’angolazione poco naturale, lo fece piegare a terra dolorante. Salvando il giovane agente, si guardò attorno e sbuffò “Cinque contro uno, non molto equilibrato.” 

Dopo di che, si sentì uno sparo e un cellulare cadere a terra, dove Aejeong era appena comparsa e aveva minacciato gli unici tre criminali rimasti coscienti. 

Incapaci di arrendersi, gli uomini scatenarono una nuova lotta, che venne brevemente vinta dai tre giovani. Jungkook raccolse i borsoni, guardando un’ultima volta i volti senza conoscienza degli scagnozzi di Jackson e raggiungendo insieme alle colleghe Inyeong. Quest’ultima era stata ferma dall’altra parte della strada, aveva assistito a tutto e aveva un’espressione sconcertata. 

 

Ripresero a scappare. Fu una fuga silenziosa, caratterizzata dal furto di un'auto, che Seoyoon guidò senza meta. 

“Non capisci. Mi sono sentita inutile in quel momento. Stavo lì, immobile, potevo solo fissarvi. Cosa posso fare senza un computer davanti? Nulla.”

Aejeong stava assistendo alla lite tra le due ragazze, che occupavano la parte anteriore dell’automobile.

“Non è compito tuo lottare, Inyeong-ah.”

“Lo è. Voglio difendere i miei amici.”

Capiva cosa Inyeong stava cercando di spiegare, ma non se la sentiva di intromettersi in una discussione nella quale lei non avrebbe avuto diritto di parlare. Forse avrebbe potuto comprendere il sentimento di inadeguatezza ed inutilità che la quartermaster stava provando, ma non sarebbe stato quello il momento giusto per confessare il suo segreto. Oltretutto era da ipocriti voler difendere una collega nel nome dell’amicizia, quando lei per prima aveva abbandonato una persona tanti anni prima.

 

Guardando Jungkook, si accorse che l’agente stava leggendo qualcosa sullo schermo del proprio cellulare.

“Ragazze.”

Attirando l’attenzione di tutte e tre, Jungkook le aggiornò con sorpresa e sollievo riguardo la loro prossima meta. “ Ho ricevuto un sms da Taehyung.”

 

Taehyung

Domani, Cafè Schwarzenberg. 7:30. 






[15 Gennaio 2017, 7:27 – Kӓrntner Ring 17, Vienna, Austria]

Abbastanza distante dal centro, ma allo stesso tempo in una zona molto frequentata, il Cafè Schwarzenberg era stato scelto da Taehyung per la posizione strategica. Infatti, oltre ad essere un luogo solitamente affollato, il locale si trovava a pochi passi dalla fermata del tram, due caratteristiche che avrebbero facilitato una possibile fuga.

Illuminato da luci calde, in contrasto con il gelido inverno esterno, il Cafè aveva uno stile vintage: i pannelli in legno, che rivestivano quasi tutta l’altezza dei muri, e le sedie poste ai lati di ogni tavolo erano color cuoio, in contrasto con i soffitti e le tende dorate, che drappeggiavano gli archi su tutto il perimetro del locale.

Proprio sotto uno degli archi, illuminati dalla luce mattutina che entrava dall’ampia finestra al loro fianco, Jimin e Taehyung stavano sorseggiando il primo caffè della giornata, ancora assonnati a causa del jet lag.

 

“Posto epico per una rimpatriata.”

Alzando lo sguardo dalla sua tazza, Taehyung vide per primo arrivare Jungkook, che più rapidamente della caffeina lo risvegliò dal suo torpore. Lo raggiunse e lo strinse in un abbraccio, grato che l’amico fosse in salute e ricambiasse il gesto.

Grazie alla posizione dell’abbraccio riuscì a notare Seoyoon, che aspettava di ricevere lo stesso trattamento. Taehyung l’accontentò, complimentandola:  “Non avevo dubbi, non sarebbe sopravvissuto da solo.”

“Nemmeno un secondo.” Confermò Inyeong, che gli sorrise dolcemente.

Ritirandosi dall’abbraccio, Taehyung notò la quarta persona. Il viso gli fu famigliare. “Io ti conosco.”

 

Aejeong gli sorrise e in quel momento l’agente ricordò dove aveva incontrato la stessa espressione. Il giorno in cui tutto era iniziato, la ragazza nuova che in biblioteca aveva in modo goffo dato il benvenuto e aiutato Taehyung, ora si trovava davanti a lui.

“Sono la quartermaster di Jungkook.” Aejeong si presentò, cosciente dell’espressione sorpresa e un po’ diffidente del suo interlocutore.

“O meglio la sua babysitter?” Aggiuntosi alla rimpatriata, Jimin si fece strada nel discorso lanciando una frecciatina al giovane amico di Taehyung, che non lo degnò di una risposta.

“Aejeong per lei, agente Park.”

Mentre Jimin e Aejeong si stringevano la mano, Seoyoon guardò con sospetto l’agente, passando lo sguardo come un radar da lui a Taehyung, chiedendogli “Non vi siete ancora uccisi voi due?”

 

“Non siamo qui per questo.” Taehyung invitò tutti a sedersi al loro tavolo, aggiornando i nuovi arrivati riguardo tutte le nuove informazioni di cui erano in possesso.  




_____





“Non è possibile.” A fine aggiornamento, alla notizia della morte di Namjoon e del tradimento di Taemin, Jungkook sconvolto informò i due agenti anche di Jackson e delle novità che avevano scoperto in loro assenza.

Dopo una serie di congetture e sguardi confusi, l’anello che Jungkook aveva recuperato al Galà divenne il centro della discussione.

“Perché un anello dovrebbe avere incise delle coordinate?” Prendendo in mano il piccolo gioiello , Jimin notò le cifre, confuso sulla loro utilità.

Aejeong interruppe i suoi pensieri: “Sono una specie di certificato di proprietà: l’anello appartiene alla persona che vive nel luogo definito dalle coordinate.”

Secondo Taehyung il ragionamento della giovane ragazza aveva senso logico, ma non avrebbe portato a nessun nuovo indizio sulla scomparsa di Namjoon. “Ok, ma sapevamo già di chi fosse, è di Yongsun.”

 

“Aspettate.” Inyeong attirò cinque sguardi verso di sé, scoprendo un’interferenza tra il suo portatile e l’anello che aveva appena ricevuto da Jimin. “Non è semplicemente un anello.”

Mentre digitava velocemente sulla tastiera, ogni collega presente cercava di decifrare la sua espressione concentrata. Finché Inyeong stessa non diede spiegazioni: “Ha attivato la bomba al Galà.”

“Seriamente? Quel gioiellino?” disse Jimin, incredulo.

“Ha ucciso suo marito.” Ripercorrendo i ricordi di quella sera, Jungkook rivide per un attimo Yongsun, che si allontanava dalla festa e dalla gente, poco prima dell’esplosione. Ora tutto quadrava.  “Perché mai avrebbe fatto una cosa del genere?”

“Da quello che ci hai detto, Seokjin ha un anello come questo, giusto? Un innesco per una possibile bomba.” Taehyung cercò conferma nello sguardo dell’amico, che con un cenno del capo diede fondamento all’oscuro presentimento che avevano avuto riguardo il loro superiore. “E se fossero di più? Se ce ne fossero altri oltre a Seokjin e Yongsun?”

“Se fosse un’organizzazione, intendi?” Aejeong entrò nel discorso, collegando i pensieri di Taehyung e creando una supposizione.

“Oppure un semplice circolo. Ogni membro avrebbe un anello, delle coordinate-nominativi e la possibilità di far sparire tutto in un secondo.” Spiegò Seoyoon, inorridita dall’enorme potere e segreto che Seokjin aveva loro nascosto.

“Yongsun ci ha parlato di Namjoon, della sua curiosità e dell’interesse che avevano verso la scienza. Potrebbe trattarsi di un’organizzazione che si occupa di armi chimiche.” Ipotizzò Jimin.

“Joon non avrebbe mai creato un’arma letale per un criminale.”  Difendendo l’amico, Taehyung si ricordò dei giorni in cui Namjoon era troppo occupato con il suo lavoro, per uscire con lui e Jungkook. Ricordò anche un dettaglio, forse importante, che condivise: “Anni fa stava lavorando a qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con il sangue.”

 

Nessuno aveva idee, Inyeong ammise la sconfitta “Come possiamo trovarli? Non abbiamo nessuna traccia.”, mentre Jimin si allontanò dal gruppo per prendere una boccata d’aria.

Ovviamente Taehyung lo seguì, preoccupandosi della sua incolumità e trovando sospetto quell’improvvisa uscita.

“Ho sentito Hoseok.” Svuotò il sacco Jimin, dopo alcuni secondi di totale silenzio: i due agenti stavano semplicemente guardando passare le auto e la gente, cercando spiegazioni logiche a tante domande, affondando il viso nelle sciarpe e le mani nelle tasche calde dei cappotti. “Tempo fa. Mi ha mandato questo.”

Taehyung lesse il messaggio.

“Ho provato a contattarlo, ma nulla.”

“Non me ne hai mai parlato.” Ferito, Taehyung mise nuovamente in dubbio il loro legame di fiducia.

“Ero appena tornato a lavorare con te. Non sapevo se potessi fidarmi ciecamente.”

 

Colpo basso , pensò Taehyung, e molto ipocrita da parte sua. Essendo proprio stata di Jimin la decisione di allontanarsi da lui, due anni prima.

Tornò  tutto indietro, pugnalandolo al cuore: la loro storia, come lo aveva abbandonato e tradito, incontrarlo nuovamente e dover ripetere da capo ogni singolo momento, fatta eccezione per la decisione di Taehyung di rimanere vicino a Jimin, dopo che l’agente aveva rischiato la vita.

Taehyung non aveva mai smesso di tenerci e di fidarsi, e sentire quelle parole uscire dalla bocca di colui che un tempo era più di un amico, lo ferì terribilmente. Soprattutto dopo il loro viaggio, durante il quale la speranza di una possibile riappacificazione era comparsa nella mente di Taehyung. Ma Jimin era solo capace di battute sarcastiche e un cuore gelido. Nonostante i momenti avuti nel cottage, non poteva rischiare di crearsi aspettative riguardanti una persona, come si stava confermando in quel preciso momento, priva di sentimenti, cinica e scettica.

 

Notando il silenzio e l’espressione arrabbiata del collega, Jimin cercò di rimediare: “Potrei provare a chiamarlo. Siamo in ogni caso ad un punto morto.”

Acconsentendo con un cenno, Taehyung lo vide digitare la chiamata e aspettare invano una risposta.

 

Sconfitti dal pessimismo, i due raggiunsero l’entrata del Cafè per tornare dai colleghi, quando Jimin sentì un bip e d’istinto afferrò il braccio di Taehyung. “Aspetta.”

Voltandosi, Taehyung vide l’agente fissare il proprio cellulare e capì. Si mise al suo fianco per leggere il messaggio appena arrivato:

 

Hobi-hyung

Namjoon è vivo. Unite giorno e notte.

 



_____





“Smartblood.”

Esclamò improvvisamente Aejeong, poco dopo l’uscita di Jimin e Taehyung. Era calato il silenzio tra i quattro, ognuno avvolto nei propri pensieri. Agli sguardi confusi dei due agenti, la ragazza cercò di spiegare: “Particelle nel sangue. Non so molto altro, se Namjoon è riuscito a svilupparlo dovremmo trovare il programma...”

Inyeong, la sola a conoscere l’argomento al quale si stava facendo riferimento, chiese l’ovvio, da dietro il suo pc: “Come possiamo recuperarlo?”

“Non saprei. Potrebbe averne tenuta una copia sul suo computer.” Affermò fiduciosa Aejeong.

 

“Che al momento è nelle mani di un traditore.” Ancora deluso riguardo il doppiogiochismo di Taemin, Jimin si intromesse nel discorso, appena tornato dall’esterno e seguito a ruota da Taehyung, che si affrettò ad avvisare gli altri della novità: “Namjoon è vivo.” Allungando il braccio, mostrò l’sms di Hoseok a tutti i presenti. “Hoseok ci ha scritto questo.”

“Possiamo fidarci?” Dopo aver letto, Seoyoon si riferì per prima cosa a Jimin, senza lasciarsi avvolgere dalla speranza.

“Non avrebbe motivo di mentire. E’ stato il primo ad avvertirmi riguardo l’agenzia.”

 

“Unite giorno e notte.” Ripetè Jungkook, come un incantesimo, cercando di capirne il significato nascosto. Dopo alcuni secondi frugò nella tasca della sua giacca, tirando fuori un piccolo oggetto metallico dalla forma rotonda. “Hyung, hai ancora il portachiavi che ci ha regalato Namjoon?”

Alla domanda dell’amico, Taehyung cercò il regalo senza esitazioni, pregando di non averlo lasciato nell’appartamento a Incheon. Trovato attaccato alle chiavi di casa, lo appoggiò sul tavolo, sotto lo sguardo di tutti, accanto a quello di Jungkook. “Sole e luna. Giorno e notte.”

Poco più piccoli di un orologio da taschino, ma simili nella forma e spessore, i due portachiavi in acciaio avevano incisi differenti disegni: sul primo, di Jungkook, si notavano delle linee ondeggianti che partivano dal suo nome inciso al centro e finivano verso i margini; il secondo, di Taehyung, mostrava il disegno di una luna crescente stilizzata, il cui tratto curvo incrociava la lettera “y” del suo nome.

Appoggiando, come primo tentativo, i due oggetti l’uno contro l’altro, facendo sì che i due disegni si incontrassero, Jungkook trattenne il respiro. Passò qualche secondo.

 

“Non succede nulla” Constatò Jimin, dando voce ai pensieri di tutte e sei le persone presenti.

Prendendo i due portachiavi dalle mani di Jungkook, Taehyung provò ad unirli nel senso opposto, appoggiando i due dorsi e premendoli insieme.

Si sentì un tic , e una piccola chiavetta usb spuntò dallo spessore del portachiavi con il disegno della luna.   

Inyeong si affrettò a collegarla al suo portatile, tenendo tutti con il fiato sospeso. Affianco a lei Taehyung poteva percepire la tensione e la curiosità delle altre tre persone sedute dall’altra parte del tavolo. Aejeong, invece, al lato destro della quartermaster, sembrava la collega più tranquilla e contenuta durante la suspence di quella situazione.

“C’è una sola cartella, con un file video e il programma.”

 

Evitando di chiedere preferenze, Inyeong fece iniziare il video, in modo che potessero ascoltare tutti, ma senza curarsi del fatto che solo in tre avrebbero visto il desktop.

“Non fidatevi di Seokjin.” Comparve il volto di Namjoon, in primo piano. Stava aggiustando la telecamera, sembrava preoccupato. Si era appena seduto davanti ad essa, quando decise di continuare il suo discorso: “Se state vedendo questo video vuol dire che Hoseok è stato di parola.”

Dopo un breve sospiro, nello stesso momento in cui Taehyung pensò a quanto gli fosse mancato il suo migliore amico, Namjoon riprese coraggio e parlò “ E’ iniziato tutto con alcuni pedinamenti, sapevo di essere seguito. Ho iniziato a nascondere le mie ricerche riguardo lo Smartblood e a codificarle. Un giorno Seokjin ha chiamato qualcuno, l’ho sentito difendermi, chiedeva che non mi venisse fatto alcun male. A quel punto ho pensato di contattare Hoseok, non conoscendo altro quartermaster più abile, e mi è stato di aiuto. Scoprimmo l’identità di chi mi stava cercando: si tratta di Jaebum. Da quel momento, ogni giorno, ci scambiamo informazioni. Ho un piano riguardo Jaebum: se tutto andrà bene non dovremmo più preoccuparcene e il seguito del video, insieme al programma, saranno inutili. Stasera vi incontrerò e vi regalerò due portachiavi, Hoseok ha promesso di farvi sapere come attivarli, se mai mi succederà qualcosa. Spero che non arrivi mai quel momento. A presto.”

 

Con la chiusura del video e la scomparsa del volto di Namjoon, Taehyung rimase in silenzio, insieme ai numerosi dubbi che lo affliggevano e alla quantità enorme di informazioni che aveva appena ricevuto.

Mentre gli altri quattro pensavano a come iniziare un discorso, Inyeong aveva già avviato il programma contenuto nella cartella. “Il programma segna particelle attive in…”

 

Guardando il desktop alla sua destra, Taehyung lesse “Russia.”

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3751682