Oro Viola

di Flos Ignis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Tragedia in atto ***
Capitolo 3: *** Esodo ***



Capitolo 1
*** Preludio ***




PRELUDIO




3 anni prima




Quello non era un giorno come tanti.

L'alba che era sorta con pigrizia non aveva preannunciato nulla di diverso dalle solite, abitudinarie e a tratti noiose routine degli abitanti dei monti Hida, una catena montuosa situata al nord dell'isola. Eppure, non appena il sole aveva raggiunto lo zenit, una scossa sismica di inaudita violenza aveva scosso l'intera zona a partire dall'epicentro del disastro, il monte Tateyama.

La catena montuosa contava alcune tra le più alte vette nipponiche ed era una delle zone meno colpite dai terremoti: i boschi che ricoprivano la terra col loro verde manto proteggevano gli sparuti villaggi che sorgevano in piccoli agglomerati nelle vallate, le radici degli alberi fungevano da ancora per il terreno fragile su cui era sorto l'impero del Sol Levante e ciò aveva garantito agli abitanti di quelle terre una vita sicura.

Fu quindi una sorpresa alquanto spiacevole la forza con cui quel giorno la terra si mosse sotto i loro piedi, facendo crollare vecchie capanne abbandonate ed edifici poco sicuri, ma il pericolo maggiore fu causato dalla paura. Il panico si era impossessato della gente che, poco preparata per quelle situazioni di emergenza, aveva iniziato a correre senza alcuna meta con la mente annebbiata dal terrore, incurante della calca che si veniva a creare nelle piccole strade e dei più piccoli che quasi vennero schiacciati dalla folla.

I danni sarebbero stati certamente molto più ingenti se all'improvviso la terra non si fosse riassestata, concedendo ai cuori di migliaia di persone di riacquistare un ritmo più lento e ai loro respiri di regolarizzarsi. Il terremoto era durato appena pochi minuti, ma la potenza con cui si era scatenato era ancora visibile nella paura che stava pian piano evaporando dai volti delle persone e ancora di più nei crolli delle costruzioni più antiche o fragili. 

Una volta superato il terrore, arrivò la curiosità: cosa mai poteva essere successo? Non si avevano notizie di sismi di tale violenza in quella zona da secoli! Era davvero inaudito un cataclisma di tipologia così strana, che si manifestava con tanta forza concentrata in un periodo limitato di tempo.

Negli anni a venire, molti continuarono a domandarsi le cause di quell'evento, una tragedia fortunatamente evitata per quello che poteva chiamarsi solo miracolo, ma nessuno mai ne seppe più di quanto poteva solo immaginare la mente umana.

A conoscere la verità, per lungo tempo, sarebbe stato solo un ragazzo che all'epoca dei fatti aveva appena vissuto la sua sedicesima estate. Era un giovane dai capelli così chiari che sembrava il sole glieli avesse accarezzati, lasciandogli sul capo una lucentezza pari a quella di una stella, lisci come seta, degni di un principe delle fiabe. Era dotato di un fisico che, persino parzialmente nascosto da un logoro mantello nero da viaggio, si indovinava fosse muscoloso e atletico. La caratteristica più evidente di quel giovane, però, risiedeva nelle gemme che spiccavano sul suo volto pallido, quegli occhi che, nel corso di intere ere degli uomini, in pochissimi avevano posseduto: le sclere facevano il paio con le pupille, divorando ogni luce intorno a loro con la profonda oscurità di cui erano tinte... inghiottivano ogni fonte luminosa, ad eccezione delle iridi dorate che spezzavano il buio di quel volto tanto bello da sembrare dannato.

Il volto di una persona maledetta.



*****



Oggi



Nonostante la bellissima giornata di sole, il piccolo villaggio che era sorto ai piedi del monte Tateyama pareva un paese fantasma.

Gli schiamazzi dei bambini che giocavano sempre a rincorrersi fino al fiume quel giorno non si sarebbero levate gioiose, le voci calde delle donne che andavano e venivano dal grande mercato della cittadina vicina erano stranamente fioche e tremanti di paura, gli anziani non sarebbero usciti a passeggiare per sgranchirsi le vecchie ossa e scambiare sorrisi e rimproveri con tutti i monellacci che avevano visto nascere.

Era un villaggio di modeste dimensioni il loro, non erano molte le famiglie che avevano scelto di insediarsi in quella vallata isolata, ma quelle che c'erano stanziavano in quel luogo da generazioni.

Si conoscevano tutti dal momento stesso in cui venivano al mondo, ogni nascita era una festa di paese ed ogni lutto veniva portato da tutti i compaesani: una grande famiglia che viveva una vita semplice, persino abbastanza agiata vista la presenza di una miniera che portava lavoro a tutti gli uomini liberi dal lavoro nei campi. 

L'avevano scoperta per caso dopo una frana tre anni prima, quando un grande terremoto aveva scosso le loro amate montagne. La sconcertante scoperta di un'abbondante quantità d'oro nelle profondità del monte aveva portato loro una certa ricchezza, tanto che da qualche mese alcuni dei signorotti a cui vendevano il prezioso metallo avevano iniziato a fare loro alcune proposte di trasferimento per lasciare a loro i diritti su quella fonte di reddito inaspettata.

Il consiglio del pease non aveva ancora raggiunto un accordo, si era creata una piccola spaccatura tra chi avrebbe voluto guadagnare sulla loro terra e chi, quella terra, non voleva proprio abbandonarla.

Dopo ciò che era accaduto quel giorno, però, la scelta di andarsene sembrava molto più allettante per la maggior parte di loro, compresi tutti quelli che fino al giorno prima avevano opposto all'idea un rifiuto netto e deciso.

Era stato sufficiente un piccolo errore, una distrazione, un piccone che aveva scavato troppo a fondo per minare la solidità delle pareti e del soffitto della caverna: ora molti dei loro uomini e qualche ragazzo erano rimasti intrappolati tra due pareti rocciose che sembravano pesare tonnellate alle braccia stanche dei lavoratori e anche di più per quelle disperate delle mogli e madri che erano accorse dopo il fracasso che ne era conseguito.

I soccorsi erano stati chiamati tempestivamente, ma per quanto potessero essere veloci sarebbero state necessarie ancora molte ore... un tempo che, forse, i loro amici non avevano.

Quindi a chi era rimasto in attesa non restava altro da fare che prepararsi ad una lunga, snervante attesa.



Kin Murasaki, una giovane nata durante una primavera particolarmente calda di quindici anni prima, ne sapeva qualcosa dell'arte di portare pazienza. Non che fosse immune al panico che aveva travolto molti dei suoi amici, ma era più allenata di tutti loro a sopportare e attendere qualcosa che, forse, non sarebbe mai arrivato.

Aveva dovuto imparare molti anni prima, quando un brutto incidente a cavallo le aveva paralizzato le gambe per sempre. Non sarebbe mai tornata la ragazzina spericolata che era stata un tempo, la bambina che si arrampicava sugli alberi in cerca di avventure al di là delle cime delle montagne, quella che costruiva rifugi improvvisati tra i boschi per fuggire da immaginari mostri maligni, la stessa che sognava di andare a studiare in una grande città per diventare una Guaritrice... no, lei non esisteva più.

Le era stato portato via qualcosa di più importante delle sole gambe: aveva perduto la voglia di vivere, in alcune giornate le sembrava uno sforzo titanico persino respirare, e sognare era diventato fisicamente doloroso. Viveva le sue giornate seduta su una sedia a dondolo che le aveva costruito suo padre, posizionata sulla veranda di casa in modo che potesse godere del miglior panorama possibile, con i monti che circondavano le abitazioni di legno e pietra come una barriera naturale.

Si riempiva la mente delle immagini di casa sua, della valle e delle montagne, del verde dei boschi e dell'azzurro del cielo, ricercando una pace che in quel mondo era sicura non avrebbe più trovato. 

A volte chiudeva gli occhi neri dalle lunghe ciglia, restando semplicemente lì, esistendo, cercando di percepire il ciclo della natura che tutto intorno a lei faceva il suo corso. 

Solo questo riusciva a farle spuntare dei brevi sorrisi, ma il desiderio di far parte della vita che le scorreva davanti agli occhi non tardava mai a tornare; ciò le faceva nascere un'inquietudine straziante, facendole formicolare la pelle per la frustrazione di dover restare solo una semplice spettatrice. Nel profondo di sè stessa sentiva il desiderio di far parte di tutta quella meraviglia che ruggiva violento, incidendole a fuoco nelle vene quel bisogno viscerale. Arrivava quasi ad avere la sensazione, quanto mai crudele, che le sue gambe avrebbero potuto obbedirle e reggere l'esile peso del suo corpo se ci avesse provato abbastanza intensamente, se avesse forzato la sua invalida condizione con speraza sufficiente a darle forza.

Ma i miracoli, si sa, non accadono mai.

A quel punto la malinconica Kin zittiva il cuore e imbavagliava la mente, pretendendo di essere insignificante, di diventare un granello di polvere, una minuscola particella di niente in balia della potenza dell'universo. Tutto ricominciava in seguito, sempre uguale a sè stesso, in un'altalena vertiginosa oscillante tra apatia, depressione e brevi istanti di pace, paragonabili a effimere lucciole in una notte oscura e senza fine.

Dopo queste sue piccole crisi, le lacrime tornavano a scorrere liberamente sul viso pallido e il peso che sentiva sulle spalle si alleviava parzialmente, concedendole un po' di requie.

Giorno dopo giorno era continuata quella sua straziante routine, in attesa che qualcosa arrivasse a spezzarla... o a spezzare lei.

E quel qualcosa era arrivato, proprio quando aveva perso le speranze: non era ciò che avrebbe desiderato, nè quello che si sarebbe aspettata, ma non aveva importanza.

Perchè sotto le vesti del più tragico degli eventi, si sarebbe rivelato tutto ciò di cui aveva bisogno.



*****



-Maestro Saitama, sono arrivato sul posto. Il villaggio che ha chiesto il nostro soccorso è a mezz'ora di cammino verso nord-ovest dalla mia posizione.-

-Ben fatto Genos. Durante la missione cerca di non ridurti in pezzi, il Guaritore Kuseno pretenderà un compenso stratosferico se dovrà rimetterti insieme per l'ennesima volta. E inizierà a lamentarsi della tua imprudenza, tipica dei giovani soldati, devastandomi i nervi per l'ennesima volta. Sai quanto odio i discorsi lunghi e lui non sa darsi una regolata.-

Il modo di dimostrare preoccupazione del suo Maestro era certamente inusuale, ma Genos sapeva che il suo superiore teneva a lui, al ragazzino che l'aveva supplicato di renderlo forte e prenderlo come suo allievo fino a quando non aveva ottenuto il suo consenso. Non era stato facile, ma la determinazione non gli era mai mancata e ormai l'uomo lo aveva preso come suo discepolo da quasi tre anni, quindi aveva imparato a conoscerlo. Per lui, le parole che aveva appena udito suonavano più o meno come "torna sano e salvo".

-Sì Maestro, farò attenzione.-

Il ragazzo biondo distolse lo sguardo dalla superficie del laghetto, interrompendo il contatto. L'incantesimo di comunicazione che gli aveva fornito una delle maghe a disposizione dei soldati era stato davvero molto efficace, era riuscito perfettamente a vedere il volto apatico del Maestro Saitama e a sentire la sua voce dal tonl spesso annoiato.

Ripensò alle raccomandazioni ricevute: effettivamente, tenendo in considerazione che su di lui le cure mediche erano più semplici ed efficaci, si era permesso alle volte azioni altamente rischiose, con il risultato che si era trovato spesso con le braccia artificiali distrutte o inutilizzabili. Non ne era pentito, specialmente considerando i risultati positivi che aveva ottenuto, ma se il suo Maestro gli richiedeva espressamente di risparmiare a lui e a sè stesso un'ennesima visita all'ospedale della base avrebbe fatto il possibile per ubbidire all'ordine.



Il Guaritore Kuseno era uno dei migliori nell'arte della magia taumaturgica dell'intero Impero del Giappone, ma aveva deciso di aiutare i soldati e i cavalieri del regno al posto di qualche borioso signore feudale per via del suo innato patriottismo e senso del dovere. 

Egli aveva salvato la sua vita dopo che un gruppo di streghe malvagie aveva raso al suolo il villaggio in cui era nato e cresciuto, dandolo in pasto alle fiamme insieme a tutti i suoi abitanti. L'esercito non era arrivato in tempo per fermarle e in mezzo ad una pila di cadaveri avevano ritrovato solo lui ancora vivo, ma il prezzo della sua vita era stato alto: gli erano state amputate entrambe le braccia, delle terribili ustioni gliele avevano praticamente carbonizzate fino alle ossa. Se non fosse stato per il Guaritore Kuseno, che aveva deciso di donargli degli arti artificiali, avrebbe vissuto come un miserabile... o non sarebbe direttamente sopravvissuto.

Era poco più che un bambino quando aveva avuto luogo quella tragedia, ma ricordava bene i volti ghignanti di quelle malefiche streghe e l'orda di esseri demoniaci che avevano mandato in prima linea a devastare la sua gente, presa in mezzo al fuoco incrociato delle zanne di quei mostri e dei terribili malefici delle streghe. Anche se avesse potuto, non avrebbe mai scelto di scordarsi di coloro che gli avevano strappato via ogni cosa: la famiglia, l'infanzia, l'innocenza e ogni possibilità di avere un futuro felice. 

Il desiderio di vendetta e l'odio che aveva conosciuto troppo presto l'avevano tenuto in vita, lo avevano reso abbastanza forte da fargli prendere la cruciale decisione di tornare a cercarle una volta che fosse cresciuto. Quando avesse ottenuto il potere necessario a cancellare quelle assassine dalla faccia della terra...

Non appena aveva ripreso le forze aveva iniziato ad allenarsi, giorno dopo giorno, riabilitando il suo corpo e abituandosi alla indescrivibile sensazione di avere delle braccia d'acciaio che si fondevano all'altezza delle spalle con la sua pelle. Si trattava di una tecnica innovativa, inventata proprio dal suo salvatore, che aveva fuso la medicina con la magia risolvendo il problema di migliaia di soldati e milioni di cittadini menomati. Genos era stato uno dei soggetti più giovani a subire un'operazione tanto importante, per cui il Guaritore lo aveva tenuto per un po' sotto osservazione e ancora oggi gli riservava un occhio di riguardo.

Il ragazzino pieno di rabbia che era stato aveva ricevuto il permesso di vivere alla caserma, dove era stato costantemente monitorato durante la convalescenza senza che la base soffrisse dell'assenza di uno dei suoi migliori Guaritori, con la promessa implicita che sarebbe diventato ufficialmente uno di loro quando avesse raggiunto l'età minima per la leva.

Ora Genos era un giovane uomo di diciannove anni... se di persona si poteva ancora parlare, riferendosi a lui. L'odio gli aveva impoverito il cuore, rendendolo freddo come il metallo che ora ricopriva più della metà del suo corpo, andato perduto per la sua imprudenza congenita durante la ricerca della sua vendetta. Ora anche le sue gambe e parte della schiena erano composte da parti in acciaio fuse con la magia alla sua pelle.

Poco prima di entrare sotto la protezione del Maestro, più di tre anni prima, era finalmente giunto il momento che aveva tanto atteso e per cui aveva sputato sangue durante la riabilitazione. All'accampamento in cui era stato mandato per il suo addestramento sul campo era giunto un messaggero imperiale, portando con sè l'ordine di attaccare il covo di una setta di streghe dedite alle evocazioni demoniache, una pratica proibita ed estremamente pericolosa, classificata come una delle arti magiche più oscure mai praticate dall'uomo.

Genos aveva pensato che potesse trattarsi delle stesse che aveva cercato tanto a lungo, per cui aveva chiesto e ottenuto il permesso di partecipare alla spedizione. Aveva riconosciuto i segni della distruzione che quelle donne malefiche avevano lasciato in altri due villaggi, l'esercito era accorso senza poter fare nulla per fermare i colpevoli, ma non poteva assolutamente essersi sbagliato: aveva scovato le streghe che l'avevano reso un orfano di guerra. 

Era quindi partito nottetempo, rubando un cavallo e spronandolo fino allo stremo pur di gingere prima di chiunque altro sul luogo in cui era stata rilevata la loro magia nera. 

Le streghe l'avevano individuato per prime, ma una alla volta aveva sterminato tutte le sentinelle che erano state messe di guardia. Aveva quindi commesso il primo, più grande e fatale errore che qualcuno potesse commettere sul campo di battaglia. Si era distratto, troppo compiaciuto dal sangue che stava versando e dalle anime dannate che stava mietendo e questo lo aveva portato sull'orlo di un baratro.

Quello che era accaduto quel giorno si era concretizzato in una maledizione che riposava nel suo cuore, una delle poche parti del suo corpo che nel corso degli anni non aveva ancora dovuto sostituire con pezzi creati ad arte per lui.

Aveva ottenuto il suo scopo, ma a un prezzo che non si era aspettato e che avrebbe pagato fino alla fine della sua vita.



Genos si portò una mano a coprire gli occhi, riemergendo dai ricordi di una vita di cocente rabbia, nascondendo le conseguenze della sua vendetta al mondo. I suoi occhi bui come la notte e le iridi dorate come il sole erano il segno evidente della sua condizione maledetta, un marchio di Caino che chiunque avrebbe potuto vedere e riconoscere.

Era il segno del suo peccato e attraverso di esso guardava il mondo, e il mondo osservava lui attraverso quel filtro oscuro.

Scosse la testa, smettendo di pensare a questioni tanto futili. Aveva accettato da tempo la sua condizione, era un misero prezzo da pagare per aver compiuto la sua missione e aver dato pace a tutti i morti della sua terra natia.

Riprese in spalla la sacca contenente la strumentazione di base che aveva portato con sè, dando ufficialmente inizio ai soccorsi per le miniere d'oro del monte Tateyama.


*****


Gli ingranaggi del Fato si erano messi in moto ormai da molto tempo, ma solo quel giorno riuscirono finalmente a incastrarsi perfettamente l'uno con l'altro, conducendo due vite segnate da grandi sofferenze sui rispettivi cammini.

La ruota del destino aveva iniziato a girare.






Note:

Mi sentivo in dovere di spiegare le origini del titolo di questa storia che, ve lo assicuro, è stato un parto più doloroso che scrivere la storia stessa.
Kin: oro
Murasaki: viola
Comunque, complimenti a tutti voi che siete arrivati fin qui! Sarà una storia breve di appena tre capitoli, tra un paio di giorni posterò il prossimo e dopo poco l'ultimo.
Spero davvero che questa storia possa piacervi!
Flos Ignis

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Capitolo 2
*** Tragedia in atto ***




Tragedia in atto





Molte ore dopo la richiesta di soccorso, per le strade del villaggio aveva iniziato a deflagrare l'ansia che fino a quel momento era stata faticosamente tenuta sotto controllo.

I bambini erano stati chiusi a forza nelle loro case mentre tutte le donne e gli anziani si erano trovati in piazza per decidere se fosse il caso di prendere una qualche iniziativa. 

La casa in cui Kin viveva con suo padre era ai margini più esterni dell'agglomerato di abitazioni, ma nonostante ciò riusciva comunque a distinguere alcune delle voci che il vento trasportava fino a lei, facendola sospirare. Non sembrava che si sarebbe giunti ad un accordo tanto presto: era una situazione di emergenza, ma allo stesso tempo una loro mossa sbagliata avrebbe comportato la fine dei loro uomini intrappolati.

Iniziava a temere che i soccorsi sarebbero arrivati troppo tardi, di quel passo la poca aria che filtrava tra le rocce dopo il crollo si sarebbe esaurita e i prigionieri sarebbero morti soffocati.

Non avrebbero più potuto baciare le mogli e rimboccare le coperte ai figli, nè lamentarsi gli uni con gli altri per la situazione ormai ingestibile all'interno della loro stessa comunità a causa della proposta di diventare proprietà di un signore feudale in cambio di un lauto compenso. Non ci sarebbero più state feste a cui partecipare, compleanni da celebrare, funerali in cui piangere... molti di loro se ne sarebbero andati per la loro strada, ricordando solo a tarda sera, davanti al fuoco di un camino, delle danze tribali a cui avevano partecipato in gioventù insieme ai compagni di una vita intera.

Fino a quella mattina era quella la peggiore prospettiva cui Kin potesse pensare... ma se l'alternativa era quella di perdere la metà di loro per uno sfortunato incidente, allora tutto il resto sembrava di colpo diventare più sopportabile.

La giovane percepì più forte che mai la terribile frustrazione che provava a causa delle sue gambe immobili, la percezione violenta di essere inutile la colpiva a ondate come la crudele realtà, come l'implacabile marea che si infrangeva contro gli scogli, ma aveva imparato da tempo che nonostante tutti i suoi sforzi lei non era una roccia, non poteva resistere tutta intera a simili colpi.

Quando la diga che aveva creato intorno al suo cuore finì per creparsi, ogni cosa fuoriuscì in violenti singhiozzi, percorrendo il suo viso pallido in due paralleli fiumi di lacrime che bruciavano come acido sulla pelle.

Si sentiva davvero patetica.

Non riusciva neppure ad aiutare suo padre, l'unica persona che le fosse rimasta cara al mondo; con quel suo debole corpo, con quelle mani dalle dita sottili che stringevano con disperazione la leggera stoffa del vestito bianco che indossava quel giorno, cosa mai avrebbe potuto fare? L'unica cosa che una persona inutile e spezzata come lei era in grado di fare era usare la testa, perchè era l'unica facoltà che le era rimasta, ma la paura aveva congelato i suoi pensieri come il freddo vento autunnale mandava in letargo la lussureggiante natura.

I suoi singhiozzi aumentarono di minuto in minuto, diventando così forti da farle cadere davanti agli occhi alcune ciocche dei suoi lunghi ricci color pervinca. Si portò le mani al viso, tentando di fermare quei sussulti e di nascondere le lacrime al resto del mondo.

-Signorina, si sente male?-

Si era rivolta a lei una voce roca, chiaramente maschile, ma sconosciuta.

Era raro che da quelle parti arrivassero degli stranieri, per cui la curiosità prese il sopravvento il tempo necessario a farle calmare il pianto disperato a cui si era lasciata andare. Quando alzò lo sguardo umido di lacrime dai piccoli palmi dietro cui si era nascosta rimase senza fiato.

L'uomo che le si era rivolto era in realtà un giovane che avrà avuto a malapena vent'anni, ma era talmente diverso da chiunque avesse mai incontrato nella sua breva vita che la sua voce non volle saperne di uscire per rispondergli.

Tanto per cominciare, la mano che le aveva allungato era chiaramente una protesi magica e dall'apertura del suo mantello da viaggio vedeva l'altra mano, anch'essa artificiale, poggiata sull'elsa della spada d'ordinanza che veniva fornita a tutti i soldati semplici. Quell'arma le era fin troppo familiare...

Ma a lasciarla ancor più senza parole era il sole che aveva racchiuso nelle sue iridi e la notte che le circondava: non erano solo le sue pupille a essere nere, persino il resto dell'occhio era tinto dalla medesima oscurità.

Aveva letto in uno dei suoi libri cosa ciò significasse...

-Signorina?- lui pareva perplesso, ma era difficile esserne sicura vista l'immobilità di quel volto tanto bello quanto dannato.

-Mi scusi, sto bene. Lei è un soldato, non è vero?- l'unico motivo per cui lui potesse trovarsi da quelle parti era...

-Esatto. Mi trovo qui per rispondere alla richiesta di soccorso per il crollo di una miniera. Sarebbe così gentile da indicarmi la strada?-

-Siano ringraziati i Kami! C'è anche mio padre là dentro. Purtroppo non posso accompagnarla... le mie gambe non me lo permettono. Se prosegue per questa strada però troverà senz'altro qualcuno che le indicherà la via. La prego, sono là dentro da molte ore, deve salvarli!-

Si lanciò in avanti per afferrare la mano di quel ragazzo, sentendo finalmente un po' di sollievo al suo tormento: suo padre era salvo...

Se non fosse stato per la prontezza di riflessi di quel ragazzo sarebbe finita faccia a terra, ma lui la prese con delicatezza, passandole poi un braccio dietro le spalle e uno dietro le ginocchia.

-Ma cosa...-

-Mi dispiace signorina, ma lei non sembra stare molto bene. La porto con me per un tratto di strada e la affiderò ai suoi compaesani, non mi sentirei tranquillo a saperla da sola in queste condizioni.-

-Ci sono abituata, non si preoccupi...-

-Genos. Può chiamarmi Genos, signorina e darmi del tu. Mi dispiace insistere, ma questa è la soluzione migliore.-

-Allora chiamami Kin, non "signorina". Sono sicuramente più piccola di te, Genos.-

-Come desideri.-

Proseguirono per qualche minuto in silenzio, ignari che la bolla di pace intorno a loro si sarebbe infranta nel peggiore dei modi.




Fu in quel momento che la montagna prese a tremare.

Il fragore scosse tutta la terra, il mondo vibrò intorno a loro e chiunque fosse nel raggio di diversi chilometri fu preso alla sprovvista da quel terremoto.

Fu talmente forte da rendere impossibile per chiunque mantenere l'equilibrio.

Sembrava che il tempo avesse deciso di riavvolgersi bruscamente, riportando quei luoghi al breve terrore che avevano vissuto tre anni prima.

Genos lo ricordava bene, perchè era stato lui la causa di quel terremoto e, se la memoria non lo ingannava, ora si trovava esattamente dal versante opposto delle montagne in cui si era avventurato all'epoca per compiere la sua vendetta.

Non aveva il tempo di perdersi nei ricordi in quel momento, nonostante essi cercassero di catturarlo nella loro vischiosa rete, aveva una missione da compiere e ciò che stava accadendo non faceva altro che accrescere la sua determinazione proprio per l'inquietante somiglianza con gli eventi passati.

Per prima cosa però, doveva assicurarsi che la sua giovane accompagnatrice fosse al sicuro. Aveva fatto voto di proteggere tutti quando era entrato nell'esercito e ancor prima aveva giurato nel suo cuore che quanto accaduto a lui non ricapitasse mai più.

-Kin, stai bene? Sei ferita?-

La giovane dai capelli color pervinca si sollevò come potè sulle braccia, guardandosi intorno prima di fissare le sue iridi violette su di lui.

-Sto bene. Cosa è successo? Non ci sono mai stati terremoti da queste parti, ad ecccezione...-

-...di quello avvenuto tre anni fa. Quello non fu un evento naturale e ho la sensazione che anche la causa di questo sia simile. Cambio di programma: ti porto con me, non è sicuro che tu rimanga da sola.-

-Ma non voglio esserti di peso! Ti conviene lasciarmi qui...-

-Non potrei mai. Andiamo, dobbiamo sbrigarci.-

-Sei davvero gentile e premuroso, Genos. Hai l'animo nobile di un cavaliere più che quello di un soldato.-

Lei gli cinse il collo con le braccia, arresa alla sua volontà, e per un momento Genos avrebbe giurato di sentire profumo di fiori provenire da lei. Fiori, ma anche qualcos'altro di familiare... cos'era?

Non si lasciò distrarre dai pensieri che vagavano senza il suo permesso e prese nuovamente in braccio la sua giovane protetta, affrettando il passo il più possibile.

Ciò che vide poco più avanti gli gelò il sangue nelle vene, riportandolo indietro al terribile giorno della sua infanzia in cui aveva perso tutto.

Molte, innumerevoli persone giacevano immobili sotto cumuli di pietre e calcinacci, e mano a mano che il polverone dei crolli si posava a terra si potevano notare sempre più particolari, aumentando l'orrore di quella scena.

Alcuni bambini erano usciti dai loro nascondigli, piangendo pieni di paura e disperazione mentre chiamavano a gran voce i genitori che erano rimasti schiacciati sotto una tonnellata di macigni che un tempo dovevano comporre un grande tetto di pietra sorretto da colonne sotto cui si riunivano i concili cittadini. Ce n'era sempre uno al centro di tutti i villaggi, ricordava che anche lui da bambino correva in mezzo alle gambe degli adulti con i suoi amichetti mentre i grandi discutevano di noiosi affari che all'epoca non comprendeva.

Era tutta colpa sua...

Era per aspettare lui che tutti quelli che si erano salvati dal crollo della miniera si erano riuniti in quel luogo e si trovavano ora in critiche condizioni.

Tra le pietre vedeva ogni tanto spuntare dei corpi immobili, talvolta persino degli arti che si erano staccati tanto gli urti erano stati violenti.

Genos si risvegliò dalla sua immobilità solo sentendo l'urlo devastato di Kin, che si agitò con così tanta forza da cadere dalle sue braccia urtando con violenza il terreno. Aveva iniziato a piangere, ma non credeva se ne fosse accorta tanto era presa a guardarsi intorno mentre urlava dei nomi a lui sconosciuti.

Battendo un pugno contro la terra che aveva scosso tutto il suo mondo, urlando la sua rabbia per quell'ingiustizia, prese a trascinare il suo corpo inerme centimetro dopo centimetro, avvicinandosi alle persone con cui aveva condiviso ricordi che ora sarebbero sopravvissuti solo in lei.

Non fu difficile per il giovane soldato sovrapporre l'immagine della ragazza, terrorizzata e sofferente, che faceva forza sulle deboli braccia per cercare i suoi cari, al sè stesso bambino che era saltato in mezzo alle fiamme per cercare di salvare i suoi genitori e la sua sorellina da un branco di lupi demoniaci.

Passato e presente si sovrapponevano nella sua mente, aumentando esponenzialmente il tormento che stava vivendo nel suo cuore e aggiungendone sempre di nuovo ad ogni lacrima che vedeva sul volto di Kin, ad ogni cicatrice di quel giorno che pulsava sul suo corpo, ad ogni nome che lei urlava e che trovava il suo corrispettivo tra quelli che aveva inciso lui sulle lapidi improvvisate che aveva creato per la sua gente.

Perchè al tormento non c'era mai fine.




-Genos! Genos, riprenditi, ti prego! Mi serve il tuo aiuto!-

Quello doveva essere un incubo, era impossibile che una ragazza potesse provare tanti orrori in una volta sola e fosse comunque obbligata ad andare avanti, procedendo a tentoni solo con le proprie misere forze, già dimezzate dall'impossibilità di camminare.

Ci aveva impiegato un tempo indefinibile a raggiungere le macerie trascinandosi a terra, stracciandosi l'abito bianco ormai zuppo di terra e sangue della sua gente e ferendosi la pelle non più candida. 

Si era fermata solo quando aveva raggiunto una delle massaie più giovani, la signora Rachel, tanto gentile che portava almeno una volta alla settimana qualcosa di già pronto da mangiare a lei e suo padre, curandosi che entrambi mettessero nello stomaco qualcosa di sano. Era a malapena cosciente quando era arrivata vicino a lei, ma non sembrava messa così male... a parte la trave di legno che le trapassava un fianco. Le era venuto da vomitare per l'orrore quando dei movimenti poco distanti avevano fatto spostare anche la signora Rachel, che poco dopo era svenuta per il dolore. Si rifiutava di credere altro, doveva aver perso solo i sensi, non la vita!

Aveva fatto del suo meglio per tenerla cosciente, ma non era bastato, quel brusco movimento aveva vinto sulla sua mente provata dal dolore. Come non era bastato che si fosse stracciata parte della gonna per fermare la copiosa emorragia che era iniziata quando la trave si era spostata, smettendo di bloccare il flusso del sangue.

Era tutto troppo, troppo per lei. 

Zenko, la figlia della massaia, l'aveva raggiunta e ora piangeva disperata attaccata al collo della madre, tenendo al contempo una delle sue manine sulla sua ferita.

Era una scena tanto straziante che anche lei desiderò essere svenuta per non dovervi assistere. 

Lei però era illesa, forse avrebbe potuto aiutare qualcuno... se qualcuno da salvare c'era ancora. Doveva fare in fretta. Non perse nemmeno tempo ad asciugarsi gli occhi dalle lacrime o a spostare i capelli dalla pozza di sangue che si stava allargando intorno a lei e alla piccola Zenko. Volle persino ignorarne il significato, non avrebbe potuto fare nulla se si fosse soffermata a pensarci.

-Genos, ti prego! Dobbiamo aiutare queste persone, mi serve il tuo aiuto!-

Finalmente il soldato si riscosse dalla sua immobilità, chinandosi accanto a lei e cercando di sentire le pulsazioni della signora Rachel. Il tempo parve immobilizzarsi, Kin ebbe la curiosa sensazione di essere stata cristallizzata in un secondo di eternità, ma poi Genos scosse la testa e prese la bambina in braccio, provocandone le sentite proteste, che però ignorò completamente.

-Non possiamo fare più niente per lei.-

Crack.

Non era sicura, la giovane Murasaki, di cosa fosse stato a produrre quel rumore. Forse era solo uno scricchiolio, perfettamente normale considerando la situazione in cui si trovavano.

Eppure...

Le si era aperta una voragine nel petto che stava risucchiando tutte le sue energie e i suoi sentimenti.

Di lei stava rimanendo solo un corpo vuoto, senza più soffio vitale.

A spezzarsi era stato il suo cuore.

E non servì a nulla la presenza solida e rassicurante di Genos, né quella piccola e bisognosa di conforto di Zenko che aveva appena perso sua madre.

Perchè quel terremoto, anche se si era rifiutata di pensarci fino a quel momento, doveva certamente aver aggravato la già precaria situazione della miniera. Non potevano essere sopravvissuti gli uomini intrappolati laggiù.

Davanti a lei, giacevano morte quasi tutte le persone con cui era vissuta per tutti i sedici anni della sua esistenza. Aveva appena assistito con i suoi stessi occhi alla fine di quanto di più simile avesse ad una madre, perché la peste aveva portato via la sua quando lei era troppo piccola per conservarne memoria. Aveva perso suo padre, l'ultimo familiare che le era rimasto da quando suo fratello maggiore Bad era morto sul campo di battaglia poco dopo essersi arruolato con l'orgoglio nel cuore e una spada in mano: “per diventare forte abbastanza da proteggere la sua sorellina”, così aveva risposto ogni volta che gli era stato chiesto perché avesse voluto arruolarsi. Era così orgoglioso di possedere una spada che le aveva persino dato un nome, Metal Bat, perché aveva un suono forte come i suoi colpi.

Una spada identica a quella di Genos.

L'associazione di idee la portò a guardare verso il ragazzo, ancora immobile accanto a lei con in braccio Zenko, che aveva gli occhioni scuri rossi per il pianto e i capelli corti sporchi di sangue che ancora le colava sul volto, lacrime di sangue che si mischiavano a quelle salate nella più pura essenza del dolore.

Distolse lo sguardo da quella visione così straziante, portandolo a seguire quello dorato e maledetto di Genos, fisso su qualcosa... su qualcuno, che prima non aveva notato.

Fu come precipitare nel vuoto e riprendere a respirare.

Era incredibile, il potere della paura: spazzava via indecisioni e tristezza per concentrare la mente su qualcosa di più immediato.

Sopravvivere.



*****



Era avanzata silenziosa e letale verso il suo obiettivo, ad ogni suo passo la terra si era sottomessa sempre più al suo comando, fino a quando con un semplice gesto della mano essa si era messa a tremare. 

Gli insetti che aveva schiacciato sul suo cammino avevano tentato una debole resistenza, per lo più consistente in urla e picconi sventolati qua e là senza alcun criterio. Andava riconosciuto loro che, persino indeboliti dalla prolungata prigionia, gli uomini dimostravano sempre un incredibile attaccamento a ciò che ritenevano fosse un loro possesso esclusivo.

Il loro oro, la loro vita... si era presa entrambe le cose.

L'unica differenza tra le due, era che per lei la prima aveva un valore.

L'oro era fondamentale per i suoi esperimenti, era davvero un materiale perfetto per incanalare la sua magia e permetterle di comandare le Bestie Demoniache.

Quando aveva recuperato tutto il prezioso metallo che era in grado di trasportare con la sua telecinesi aveva deciso che era il momento di andarsene, magari dando un altro scossone alla terra, così, giusto per divertimento. 

E per assicurarsi che nessuno potesse arrivare a lei. Aveva ancora del lavoro da fare, prima di potersi concentrare sulla sua vendetta.

Si perse per un po' ad ammirare la distruzione che aveva portato in quelle zone, e ad un certo punto vide qualcosa di inusuale: un uomo biondo, in piedi vicino a delle rovine, accompagnato da un bambino e una ragaza dai capelli talmente insoliti che spiccavano come un fiore sanguigno in mezzo al grigiore di quella scena. Non ci avrebbe fatto nemmeno troppo caso se non fosse stato per il numero troppo alto di coincidenze che si concentravano nella figura maschile, in circostanze diverse avrebbe pensato semplicemente che uno degli abitanti era sopravvissuto. 

Poco male, se non fosse stato per il fatto che i contadini non portavano spade, non erano dotati di arti magici, ma soprattutto... non finivano con una maledizione a marchiare loro il volto.

Si era avvicinata, temendo e sperando che la sua intuizione fosse corretta... e così era stato.

Era davvero lui, l'oggetto della sua vendetta, colui che le aveva portato via ogni cosa.

E al diavolo la prudenza, il piano che ancora doveva creare per sconfiggerlo, all'inferno qualsiasi cosa non fosse il desiderio di ucciderlo.

I suoi capelli verdi presero a vorticare impazziti intorno a lei, quasi perse il controllo sui suoi poteri. Ombre senza corpo di fameliche bestie presero forma intorno a lei come un branco di lupi affamati, a circondarli l'aura verde acido che caratterizzava i suoi incantesimi.

-Finalmente ci incontriamo di nuovo, Genos, lo Stermiantore di Streghe. Ti ricordi di me? Sono la bambina che hai risparmiato tre anni fa, quando hai raso al suolo la base di noi streghe su queste montagne. Sono quella bambina davanti alla quale hai ucciso la madre, che era la nostra protettrice e la nostra guida. Ero destinata a ereditare il comando di quella confraternita, fino a quando non sei arrivato tu!-

L'ultima frase la disse urlando, ma non aveva importanza. Si era tenuta tutto dentro così a lungo, aspettando solo l'occasione giusta per sfogarsi e compiere la sua vendetta, che nulla importava più all'infuori di quell'uomo e del desiderio incontrollabile di farlo a pezzi.

Ed ora, finalmente, il momento perfetto era giunto.

-La maledizione che ti ha inflitto mia madre ti ucciderà comunque, ma non mi basta. Oggi, qui, io porrò fine alla tua vita e l'ultima cosa che conoscerai di questo mondo sarà il mio nome: Tornado!-


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Capitolo 3
*** Esodo ***



Esodo



Stay and say, that you won't go away
At all, Stay don't turn away
And promise you will heat my call


"Stay", di Ryo Ishido






Fubuki.

Quella ragazzina era la figlia di Fubuki, la Strega che anni prima era stata bandita dal Circolo Magico interno all'Impero a causa dei suoi esperimenti con la magia demoniaca.

Un tempo le era stato assegnato il nome di "Hellish Blizzard", perchè il suo potere era travolgente come una tempesta e i suoi nemici potevano solo pregare per la loro anima prima di finire all'inferno per mano di quella maga bella come una fata.

La sua anima poi aveva ceduto alle nefaste lusinghe del demonio e si era macchiata di crimini indicibili, aveva rubato antichi manuali di stregoneria e ne aveva scatenato i segreti per le strade della capitale, seminando caos e rovina ad ogni suo respiro.

Era stata latitante per più di un decennio, durante il quale in molti avevano sofferto le pene dell'inferno cui lei un tempo condannava i criminali, ma alla fine, come sempre accade, le libertà che si era concessa le si erano ritorte contro.

Perchè a creare un eroe sono le azioni di un cattivo.

Lei avrebbe dovuto saperlo, era stata dalla parte degli eroi, ma le tentazioni e la sete di conoscenza l'avevano spinta dall'altro lato della barricata e aveva lasciato a briglia sciolta i suoi poteri, esercitandoli senza alcun criterio.

Ed era così che Genos era rimasto orfano, aveva conosciuto la perdita e la sofferenza, camminando ad ogni passo affiancato da una Dama capricciosa e imprevedibile che sembrava averlo preso in simpatia. Per quanto lei affilasse la sua lama e la avvicinasse a lui, la sua falce finiva sempre per recidere i legami immortali di un altro essere mortale.

Il desiderio di vendetta di un sopravvissuto ai crimini di Fubuki aveva comportato la sua fine, non v'era nulla di strano in questo fatto.

Era tuttavia ironico che la figlia di colei che gli aveva provocato tanto dolore ora si ergeva davanti a lui, così potente nella sua piccola statura da sembrare quasi frutto di un'allucinazione, ma tanto reale da mozzare il respiro per la pressione della sua aura magica.

Il soldato si chiese quanti anni potesse avere: dodici, o forse tredici. Era persino più giovane di lui quando si era fatto giustizia da sè. La spirale inestinguibile della vendetta si stava restringendo sempre di più, il tempo correva così in fretta da non dare il tempo ai suoi abitanti di prepararsi a sufficienza prima di mettere in scena il primo atto delle tragedie che dovevano interpretare.

Provò compassione per Tornado, per un attimo. I capelli verdi fluttuanti, i piedi scalzi che si vedevano da sotto la gonna di un vestito troppo elegante e austero per quel corpicino acerbo, i pugni tanto stretti da far impallidire le nocche. Era davvero piccola, poco più che una bambina e già era stata così corrosa da sentimenti tanto oscuri e nefasti...

Ma poi la guardò negli occhi e la compassione fu soppiantata da un sentimento ben più egoistico: istinto di sopravvivenza.

Le creature che aveva evocato stavano chiaramente puntando a lui e alle due persone che ora stava proteggendo: se non avesse risolto in fretta la situazione, lo sterminio di quel villaggio un tempo pacifico sarebbe stato completo.

-Come ci si sente ad essere una preda, eh? Adesso capirai cosa ha provato mia madre quando è morta!-

La sua spada fino a quel momento aveva respinto le zanne di quelle creature, solide nonostante l'ombra che dava loro corpo, ma non avrebbe potuto continuare per sempre. C'era una differenza sostanziale tra chi attaccava per uccidere e chi per difendere se stesso e gli altri: il primo non si faceva scrupoli e nella quasi totalità dei casi, ciò lo portava alla vittoria.

Ma Genos non poteva permettersi una sconfitta, perchè già in troppi erano morti e chi era rimasto avrebbe portato la cicatrice di quanto accaduto per tutta la propria vita... lui compreso. Perchè quel giorno, lui aveva indiscutibilmente fallito.

Ma Kin era vicino a lui, gli aveva affidato la sua vita e insieme ad essa anche quella della bambina a cui stava facendo da scudo con il suo corpo per metà paralizzato.

Debole e disperata com'era, Kin aveva comunque trovato il modo per fare del suo meglio in una situazione senza vie di uscita. Proprio come aveva fatto lui, tanti anni prima...

La frazione di secondo in cui si distrasse a considerare le similitudini che lo avvicinavano a quella ragazza gli fu quasi fatale: osservando il mantello stracciato e il braccio sinistro graffiato, capì che se avesse rallentato il ritmo anche solo di un istante quelle bestie lo avrebbero divorato. Come se ciò non bastasse, la magia della piccola strega aveva ripreso a far tremare laterra. Non abbastanza da causare un nuovo terremoto, ma comunque forte a sufficienza da impedirgli di restare troppo a lungo nella stessa posizione, guastandogli l'equilibrio.

Quella situazione di stallo non sarebbe durata a lungo. 

Tornado attaccava, lui difendeva.

Le armi di lei erano la vendetta e la rabbia, lo scudo di lui la compassione e il suo giuramento di soldato.

Per un po' si erano equivalsi, ma era una situazione precaria quanto le vite che erano in gioco.

Sarebbe bastato un minimo elemento di disturbo a rompere la loro concentrazione, e allora la vittoria sarebbe andata ad uno solo.

La spada iniziava a pesare tra le mani di Genos, ma aveva notato che anche la magia di Tornado si era affievolita, troppo indomabile per sottostare ai comandi di una strega così giovane e inesperta, per quanto talentuosa.

Le rispettive difficoltà davano ampi margini di attacco all'avversario, ma erano entrambi dotati di una volontà e una forza d'animo tanto vasti da sorreggere le loro stanche membra anche dopo lunghi e sfibranti scambi di colpi, che ancora non davano i frutti sperati.

L'abilità e l'esperienza del soldato erano superiori a quelle della strega, ma lei non aveva limitazioni, non aveva la necessità di difendere nessuno e questo le forniva un notevole vantaggio tattico.

Incantesimo, schivata, affondo, parata.

Le sequenza di queste azioni si era ripetuta in varie modalità, gli scambi andavano avanti ormai da diverso tempo e la stanchezza aveva fatto sbagliare più volte entrambi, che ora mostravano diverse ferite superficiali sul corpo.

Ciò che avrebbe deciso le sorti dello scontro stava per avvenire.




Non poteva che essere un incubo.

Dal crollo della miniera allo scontro mortale che stava avvenendo intorno a lei, tutto doveva essere stato solo un parto della sua mente, forse complice la stanchezza e la frustrazione che provava sotto pelle da troppo tempo.

Quando aveva visto quei mostri senza volto avvicinarsi con i loro denti aguzzi si era spaventata come mai in vita sua, per cui si era gettata a peso morto su Zenko, sperando di proteggerla come poteva. La bambina si era aggrappata a lei come a non volerla più lasciare andare, ma anche se avesse voluto, e così non era, non avrebbe mai potuto farlo. Difendere quella piccola vita tra le sue braccia era tutto ciò che era in grado di fare e non si sarebbe arresa.

Non era abituata a compiere sforzi del genere, a tenerla sveglia e reattiva era probabilmente solo l'adrenalina dovuta alla situazione, ma percepiva i tremori alle braccia e il dolore dei graffi che si era procurata strisciando a terra, quando aveva cercato di salvare la madre della bambina che ora urlava qualcosa di incomprensibile vicino al suo orecchio destro.

Genos sopra le loro teste combatteva con tutte le sue forze per proteggerle, mentre lei non poteva fare... niente. Tutto ciò che le era concesso era di restare lì a farsi difendere come una principessa delle favole.

Ma lei aveva sempre odiato quelle fiabe, da piccola diceva sempre a suo padre che voleva partire a cercare il suo principe da sola, viaggiando per il mondo e lasciando che fosse solo il suo cuore a decidere, non il mutevole Fato. Nel frattempo sarebbe diventata una Guaritrice, così che nessun altro bambino sarebbe dovuto crescere senza madre come lei, non se avesse trovato un modo per curare tutte le malattie esistenti.

Poi era caduta da cavallo, le gambe avevano smesso di risponderle e suo fratello era morto. I due fatti erano accaduti a distanza di appena un anno e questo l'aveva segnata in modo indelebile, era cambiata e ciò che era diventata era proprio chi aveva odiato da bambina: una ragazza debole, che doveva aspettare un principe che la salvasse, perchè da sola non era in grado di farlo.

Si era lasciata andare, aveva vegetato in silenzio, le sue uniche compagne erano state la natura e la lettura.

Aveva imparato da autodidatta alcune misture per la febbre e contro le infezioni, decotti per trattare raffreddori e piccoli problemi comuni, ma c'era ancora così tanto che lei non sapeva! Per un Guaritore era forse così indispensabile poter camminare?

Eppure era rimasta ferma, immobile, in attesa di un miracolo che sapeva non sarebbe arrivato, perchè era stato più facile convincersi di non potercela fare, che nelle sue condizioni sarebbe stato impossibile realizzare il suo sogno.

Piangere il lutto per Bad, che sempre l'aveva difesa e supportata, era sembrato meno doloroso mentre rimaneva immobile come una statua di cera. Quelle rare volte che aveva tentato di andare avanti, di superarlo in qualche modo, aveva sentito i lembi del suo cuore lacerarsi nuovamente, come se lui stesse morendo una seconda volta mentre lei faceva un passo lontano da lui e dal suo ricordo.

Quindi era rimasta ferma a tanti anni prima, rinunciando a se stessa per non dover abbandonare quell'appiglio che aveva trovato per non annegare in quel mare di dolore che le aveva invaso l'anima.

Papà... mi eri rimasto solo tu, ma ora mi hai lasciata sola!

-Mamma... mamma...-

Zenko ora non piangeva più, ma sembrava sotto shock. La sentiva tremare contro di sè, piccola e fragile nei suoi otto anni appena compiuti, disperata per la sua condizione di orfana.

Non poteva fare niente per Genos, non era una combattente, ma poteva rendersi utile proteggendo Zenko.

-Shh, calmati piccola, ti proteggo io...Stai tranquilla, ci sono io qui con te.-

Non avrebbe mai lasciato che anche lei si facesse male, a costo di morire.

Era terribilmente stanca di restare ferma a guardare gli altri perdere la vita, non l'avrebbe più sopportato. Loro due erano appena rimaste sole al mondo, strette in quell'abbraccio disperato stavano cercando insieme il modo di sopravvivere e se potevano farlo era grazie a quel ragazzo che stava dando il tutto per tutto per battere quella strega e al tempo stesso difenderle. 

Una scossa più forte delle altre fece crepare la terra poco lontano da dove si trovarono, e ciò le fece urlare per lo spavento. Se si fosse aperto un crepaccio sotto di loro non avrebbero potuto fare nulla per salvarsi, sarebbero state spacciate.

Genos si distrasse per controllare che stessero bene dopo averle sentite gridare, ma in battaglia era sconsigliabile distrarsi: la strega ne approfittò generando una decina di ombre in una volta sola, sembravano lupi grandi come cavalli e come un branco avevano attaccato tutti insieme il soldato, che si difese al meglio delle sue capacità.

Non bastò. 

Kin lo vide perdere molto sangue, la spada gli fu strappata via di mano e una delle sue braccia era stata ridotta in pezzi, lei stessa ora poteva vedere a occhio nudo le correnti magiche che animavano quell'arto, ma la sua mobilità era stata annullata.

Ora era disarmato e senza un braccio. Quando Kin vide uno di quei mostri demoniaci avventarsi velocemente su di lui pensò che fosse la fine, credette veramente che quel giovane coraggioso fosse sul punto di essere ucciso.

Il suo nome le uscì spontaneamente dalle labbra, prima con un urlo disperato e poi in un sussurro incredulo.

Una grandiosa esplosione aveva eliminato tutte le bestie evocate dalla piccola strega, la quale aveva perso il controllo sulla sua magia: le scosse smisero di aprire il terreno e le ombre smisero di dare corpo a quei mostri spaventosi.

-Ora... basta. Non sei di certo la prima strega che combatto. Come credi che abbia sconfitto le altre? Senza dubbio le tue evocazioni sono potenti, ma sei ancora solo una bambina. Ti toglierò la tua magia, dopodichè verrai imprigionata per aver sterminato questo villaggio. Arrenditi e risparmiati l'umiliazione di venir sconfitta.-

-Non credi di essere diventato un po' troppo arrogante? Fin'ora mi sembra che ad aver subito maggiori ferite sia stato tu... o sbaglio?-

-Dunque è questa la tua risposta. Come preferisci, non dire che non ti avevo avvertito.-

E poi il cielo e la terra divennero una sola, meravigliosa scenografia per la forza magica che Genos sprigionò: usò il braccio che gli era stato distrutto come innesco per far deflagrare la magia che ancora conteneva, staccandolo dal suo corpo.

Le fiamme furono alimentate dal sangue e un fumo denso e nero appesantì l'aria, rendendo difficoltoso il respiro per tutte e tre le ragazze presenti. L'unico che non sembrava soffrirne era il soldato, che ne approfittò per recuperare la spada e infliggere una profonda ferita alla gamba sinistra di Tornado, troppo concentrata sul suo stesso respiro per accorgersi del pericolo.

Il suo grido di soferenza rimbombò in quella cupa atmosfera, prima che la responsabile di tanta distruzione cadesse in uno stato di incoscienza, esausta per il dispendio di energie e le ferite riportate.

Genos sospirò di sollievo, poi si voltò verso di lei: i loro sguardi si incrociarono, ma Kin fece appena in tempo a percepire il sollievo che era apparso in quegli occhi di tenebre a vederla sana e salva, prima che anche lui cadesse a terra, privo di sensi.

-Genos!-

No no no...

Non poteva succedergli nulla, non doveva morire... non voleva che morisse!

Non le importò nulla di Tornado che venne portata lontano, al sicuro, da una delle sue creature d'ombra, evocata nella semi incoscienza in cui si trovava, non le importò delle ferite che si procurò strisciando verso di lui, non le importò nemmeno che Zenko, ripreso un po' di coraggio, la aiutò a sollevarsi abbastanza da farle raggiungere il loro difensore più velocemente.

Diede velocemente le istruzioni alla bambina su dove trovare la sua borsa con le erbe che conservava per le emergenze, sperando con tutto il suo cuore che ne avesse a sufficienza per curare quel ragazzo dall'animo nobile che aveva rischiato la vita per la loro.

Resta, non andartene!

Continuò a lavorare sui morsi, i graffi e le ustioni più gravi, limitandosi a pulire tutte le altre al meglio delle sue possibilità, e continuò a farlo per molte ore, ignorando la stanchezza e la luce del sole che mano a mano andava scomparendo dietro i monti.

Non andare via, non anche tu! Devi svegliarti e dirmi che stai bene!

Era ormai notte quando si permise di riprendere contatto con la realtà: ormai doveva solo aspettare che Genos si risvegliasse.

Si appoggiò con la schiena ad un masso lì vicino, appoggiando la testa del ragazzo sulle sue gambe. 

-Zenko, vieni qui... inizia a fare freddo.-

Strinse a sè la bambina mora, che pochi minuti dopo cadde in un sonno agitato come quello di molti altri dei bambini del villaggio.

In tanti erano corsi da lei a chiedere aiuto, ma aveva potuto solo dare indicazioni vaghe tanto era concentrata a curare il suo salvatore. Si era poi assicurata che tutti i bambini non fossero feriti e aveva curato i pochi graffi che si erano fatti, ma a preoccuparla di più erano i loro spiriti.

Lei stessa si sentiva devastata dopo quella giornata terribile.

Finalmente, stringendo a sè le due persone con cui aveva affrontato quel terribile giorno, si permise di piangere il suo lutto cadendo in un sonno leggero e tormentato da incubi sanguigni come la terra su cui riposava.




Cosa è successo?

Il suo risveglio fu lento, la sua coscienza galleggiava in un beato mare di pace e i ricordi riposavano docili come neonati, addormentati sul fondo della sua anima.

Provò a muoversi per capire dove si trovava e cosa fosse quell'odore tanto familiare che sentiva, ma una voce dolce, chiaramente femminile, lo dissuase dal suo intento.

-Fermo, non ti muovere. Ho chiuso la tua ferita, ma dovresti aspettare che le erbe curative facciano effetto prima di alzarti, o potresti contrarre una brutta infezione.-

Kin. Erbe curative. Il tuo profumo...

Dunque era quello l'odore che gli era sembrato di percepire addosso alla ragazza: niente di strano che gli sembrasse di conoscerlo, era lo stesso che permeava il laboratorio del Guaritore Kuseno, anche se su di lei era decisamente più gradevole.

Forse perchè era mischiato al profumo dei fiori...

-Mi senti? Spero di aver fatto un buon lavoro. Dovresti dirmi se ti fa male da qualche parte.-

Un impulso inspiegabile lo portò ad aprire gli occhi al solo scopo di incrociare i suoi, del colore delle ametiste, che spiccavano proprio come le gemme a cui avevano rubato la lucentezza su quel volto pallido, incornicaito da morbidi boccolo del colore delle pervinche che crescevano ai margini del paese. Anche spettinata, ferita e sporca di sangue e terra, Genos la trovava bellissima, raggiante nella sua dolcezza. 

Era questa la prima cosa che aveva pensato di lei quando l'aveva vista, nonostante fosse scossa dai singhiozzi e in pena per suo padre lui l'aveva trovata meravigliosa, anche con gli occhi appena arrossati dal pianto.

Si era meravigliato di se stesso quando lo aveva pensato: non credeva di essere ancora in grado di provare qualcosa di tanto genuino, i sentimenti spontanei si erano andati consumando nel corso del tempo, da quando la maledizione gli era stata inflitta ogni giorno che passava su quella Terra era un dono insperato, ma che pagava a caro prezzo.

Non ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva trovato piacevole la pioggia che bagnava il suo viso o fastidiosa la luce accecante del sole, nè quanto fosse bello avere contatti con le altre persone: l'abbraccio di un amico, le carezze di una ragazza... 

Le aveva mai provate, in verità?

L'ossessione per la sua vendetta gli aveva tolto moltissimo, aveva creduto che una volta portata a termine la sua missione ogni cosa sarebbe andata al suo posto, che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per fare le esperienze che ogni ragazzo della sua età prima o poi sperimenta.

Poi però la strega Fubuki lo aveva maledetto, pochi istanti prima che lui ponesse fine alla sua vita lei era riuscita comunque a riportare una vittoria contro di lui.

Il nero aveva macchiato i suoi occhi come l'inchiostro un foglio di carta, mostrando a chiunque fosse in grado di intepretarne il significato la maledizione che divorava giorno dopo giorno ogni suo moto emotivo, piccolo o grande che fosse.

Un giorno, non molto lontano, quando avesse finito di annullare i suoi sentimenti, il maleficio avrebbe iniziato a divorare quel che restava del suo corpo, divorandolo dall'interno... abbreviando considerevolmente la sua vita, ogni giorno avrebbe consumato le settimane, i mesi in cui avrebbe potuto vedere il mondo e conoscerne le genti.

Genos aveva già accettato la sua sorte.

-Va tutto bene? C'è qualcosa che non va?-

-No... sto bene. Ti ringrazio per esserti presa cura di me.-

-Era il minimo. Anzi, devo essere io a ringraziarti. Mi hai salvato la vita, e hai protetto Zenko... tutti i bambini del villaggio, per dirla tutta. Ti siamo debitori.-

-Non lo siete, davvero. Molti dei vostri sono morti, non ho potuto aiutarli. Sono molto dispiaciuto per questo.-

-Ti prego, non esserlo. Sono io che devo scusarmi, la strega è scappata...-

-La ritroverò, te lo prometto: non lascerò impunite le morti dei tuoi compaesani. Piuttosto, hai visto dei soldati prima che mi svegliassi? Dovrebbero essere in arrivo, sono troppe ore che hanno perso le mie tracce e per una missione del genere ci si aspetta che un soldato la completi in breve tempo. Sempre che... beh, che non ci siano streghe impreviste a complicare le cose.-

-Nessun soldato, no. Ma è un sollievo sapere che stanno per arrivare. Credi sia possibile mi aiutino a dare una degna sepoltura a tutti loro?-

-Ne saremo onorati, Kin.-

-No, tu devi restare fermo. La ferita al fianco è abbastanza grave e io non sono davvero una Guaritrice purtroppo.-

Il volto triste di lei parlava chiaro, era rammaricata della sua mancanza, temeva di non aver fatto abbastanza per aiutarlo. Era dunque suo dovere farle notare quanto fosse in errore.

-Hai fatto tutto il possibile e anche l'impossibile. Come forse potrai intuire da sola, sono stato spesso nella situazione di venir curato, conosco le ferite e so riconoscere la loro gravità. Il tuo lavoro è eccellente: saresti davvero un'ottima Guaritrice, se tu lo volessi.-

-Ti ringrazio, Genos.- gli sorrise, grata come poche volte era stata in vita sua, felice per i suoi complimenti sinceri.

Tra poco sarebbero arrivati i suoi commilitoni, l'avrebbero aiutata a seppellire la sua gente... ma poi? Cosa avrebbe fatto lei? E i bambini? Come sarebbero sopravvissuti?

Si vergognava un po' ad ammetterlo a sè stessa, ma il pensiero che più le dava tormento era l'idea che non avrebbe più rivisto il ragazzo che riposava appoggiato alle sue gambe immobili.

-Ti piacerebbe venire con me?-

-COSA?-

-Il Guaritore Kuseno non è più giovane come una volta, l'ho sentito spesso lamentarsi del fatto che non avesse ancora trovato un apprendista alla sua età. Vorrebbe trasmettere le sue conoscenze a "una mente giovane e sveglia", così mi ha confidato, ma tutti quelli che ha assunto in prova sono durati pochi giorni prima che li cacciasse. Però ho visto di cosa sei capace, potresti davvero fare la differenza con la sua guida. Potrei venirti a trovare, quando non sono in missione. Sai, lui lavora alla base militare cui appartengo.-

Le si mozzò il respiro. Era davvero possibile ottenere ciò che desiderava?

Guardò in giro. Altro che farsi terra bruciata intorno...

Faceva male vedere la sua terra ridotta in quello stato, ma se i Kami le avessero appena posto davanti quella tragedia per consentirle di cogliere l'occasione di andare avanti?

Che avesse trovato il modo di lasciarsi alle spalle il tormento e la depressione che l'avevano trattenuta per così tanto tempo?

Il destino era stato certamente crudele: per quale motivo aveva dovuto perdere suo padre per decidere finalmente di andare oltre quella del fratello?

Voleva davvero accettare quell'occasione. Poteva cambiare tutta la sua vita, darle uno scopo.

Però...

-Ma che ne sarà dei bambini? Qualcuno deve aiutarli a badare a loro...-

-Hai ragione. Ma per provvedere a loro, devi innanzi tutto poter sopravvivere tu stessa. Potremmo portarli con noi, ci sono molte case per gli orfani di guerra nella capitale. Una volta che ti sarai affermata, sarai in grado di aiutare loro e magari anche altri bambini.-

Lei rimase senza fiato per l'emozione: era davvero possibile un futuro del genere? Sarebbe stata in grado di percorrerlo con le sue sole forze, di stare in piedi con le sue gambe paralizzate?

Pareva davvero troppo bello per essere vero. Ma valeva la pena rischiare, perchè questa volta non c'era solo la sua vita in gioco, c'erano quelle di Zenko e di tutti i bambini del paese.

Non avrebbe permesso che crescessero soli per la strada, o che morissero di stenti, non se c'era anche solo una possibilità che lei potesse impedirlo.

Ma prima di ogni cosa, doveva togliersi un dubbio.

-Ma perchè tu fai tutto questo per me? Non mi conosci nemmeno.-

-La verità, Kin, è che non ne sono certo. Credo tu conosca la natura dei miei occhi...- attese un suo cenno di assenso, confermato dal lampo di empatico dolore che le vide sorgere negli occhi, rapido come una stella cadente, prima di continuare: -...ebbene, per qualche motivo tu mi doni un istintivo sentimento di tenerezza, fai fiorire in me il desiderio spontaneo di proteggerti ad ogni costo e di preservare l'innocenza della tua anima.-

Non gli fu chiaro il perchè del violento rossore che le pervase le gote, ma per qualche ragione ciò gli scaldò il petto: era forse piacere quello?

-Vorrei perciò godere al massimo della tua compagnia, sembra che la tua presenza contrasti la mia maledizione. Non mi illudo che tu possa farlo per sempre, ma se tu volessi rendere migliore il poco tempo che mi rimane, portando un po' di luce e calore nella mia misera vita, io ne sarei davvero estremamente lusingato.-

La sua preghiera gli era uscita spontanea, era certo di non averla offesa, almeno non volntariamente. Dunque, perchè lei pareva tanto arrabbiata? 

-Kin... perchè piangi? Ho detto qualcosa di male?-

-Me lo chiedi anche? Sembra quasi che tu ti sia rassegnato al tuo destino! Dio, sembri proprio la protagonista di quella fiaba, quella dove la principessa viene rinchiusa nella torre da una strega malvagia e resta lì, succube del volere altrui... ma sai come va a finire? Il principe la salva e poi la sposa!-

Praticamente gli aveva gridato quelle parole in faccia, ma per quale motivo lo aveva fatto? Era sempre più perplesso, ma anche incuriosito da quella strana creatura...

-Con questo cosa intendi dire?-

-Che tu sei esattamente come la protagonista di quella favola. Per tutti i Kami, io nemmeno le sopporto le principesse delle storie! Eppure...- il suo tono si abbassò, improvvisamente docile, mentre finalmente tornava a incrociare lo sguardo col suo. Non si era reso conto di quanto gli era mancato quel contatto in quei pochi minuti.

-...eppure anche io ero come te. E sai, è buffo, ma anche crudele che io abbia smesso di esserlo proprio ora, proprio oggi in mezzo alle macerie della mia vita. Finalmente ho capito che è ora di andare avanti, ma se tu non ci fossi stato non solo non l'avrai capito, non sarei nemmeno sopravvissuta. Perciò ora sono in debito con te.-

Gli prese il volto tra le mani, mozzandogli il fiato. Era così vicina che i suoi ricci creavano una barriera tra il mondo di fuori e i loro visi, distanti appena pochi centimetri. Poteva contarle le lentiggini che fino a quel momento non aveva nemmeno notato; le donavano, era ancora più graziosa.

-Se prima avrei potuto rifiutare, ora non posso proprio non accettare. Venderò i diritti su queste terre, porterò i bambini con me nella capitale, pregherò il Guaritore di cui mi hai parlato di prendermi come sua allieva e farò il meglio del meglio che mi sarà possibile per imparare. Così un giorno potrò ripagare il mio debito con te. Ti salverò la vita, Genos, che tu lo voglia o no, perciò fino a che quel giorno non verrà... cerca di non morire. Giurami che non te ne andrai. Promettimi che resterai con me.-

L'intensità delle sue parole era forte come quella di mille uragani, come il più ammaliante dei sortilegi i suoi occhi impedivano a quelli di Genos di sfuggirle. Non che lo desiderasse.

Non si accorsero del tempo che passò, delle prime voci dei soldati che erano venuti a cercare il loro commilitone scomparso, dei bambini del villaggio che correvano loro incontro raccontando con la paura negli occhi tutto ciò che avevano vissuto.

Nel chiarore che precede l'alba, Genos giurò.

Nessuno dei due ragazzi sapeva ciò che sarebbe accaduto da quel momento in poi. Non avevano idea della grandezza di quella promessa, delle difficoltà che avrebbe comportato, del legame indissolubile che si era appena saldato intorno ai loro cuori.

Le loro fronti si toccarono, un ricordo che avrebbero gelosamente custodito per sempre, mentre l'ultima battuta della tragedia che era appena andata in scena spettava a lui, da cui tutto aveva avuto inizio.

-Tu devi promettermi la stessa cosa. Di stare con me, di non andartene... Dimmi che resterai e che, se un giorno dovessi aver bisogno di te, risponderai alla mia chiamata.-

-Promesso.-






Note:.-
Complimenti a tutti voi che siete arrivati fin qui!
Non sono brava, ma proprio per niente, a descrivere le scene di battaglia, ma spero davvero di non aver combinato un completo disastro.
Ho cercato di mantenere il carattere e i poteri dei protagonisti il più simile possibile, almeno per quanto è possibile in una AU... e considerando anche il fatto che ciò che conosco del fandom è limitato alla prima stagione dell'anime e ai racconti della mia più cara amica, che è letteralmente innamorata da quando l'ha scoperto.
Mi scuso se sono finita leggermente OOC, ma giuro che non è stato intenzionale.
Per ora vi saluto, ringraziandovi per la pazienza. Un grazie particolare a Manto, che mi ha dato l'idea per questa storia grazie al suo contest e la passione per scrivere su questo fandom grazie alle infinite chiacchiere su di esso di cui mi ha investita.
Ti voglio bene, questa breve long è tutta per te e per tutti quelli che amano One-Punch Man quanto te!
Flos Ignis



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