Clan Aburame

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prole e non ***
Capitolo 2: *** Nonne e figli maschi ***
Capitolo 3: *** Di destini e zii ***
Capitolo 4: *** Imposizioni e desideri nascosti ***
Capitolo 5: *** Occhiali e situazioni sgradite ***
Capitolo 6: *** D'allieve dubbie e baci rubati ***



Capitolo 1
*** Prole e non ***


Clan Aburame La palla, oggetto perfettamente sferico dai lati perfettamente lisci atti ad un rotolamento perfetto, senza ostacoli o indugi, rotolava, inspiegabilmente senza andare contro nessuna legge della fisica, davanti alla bambina che, testarda e orgogliosa, la rincorreva senza perderla di vista un solo istante.
Il bel visino piegato in un’espressione contrita, le gambette che si muovevano velocemente avanti e indietro, decise a non badare al dolore che iniziava a serpeggiare attraverso le fibre muscolari delle cosce. Tendeva le braccina baffute, nel tentativo di avvicinarsi ulteriormente all’oggetto rincorso.
Ancora qualche passo e la palla sarebbe stata finalmente sua.
Ma un sassolino non era d’accordo con lei, proprio per nulla. Si contrappose alla sua marcia eroica, facendo d’ostacolo  alla scarpina scura, facendo in modo che l’intero corpo perdesse il suo equilibrio naturale e rovinasse a terra come un sacco di patate. La bimba si allungò per terra, finendo con la faccina tonda tonda nella terra del proprio giardino.
Qualche secondo di silenzio, in cui l’istinto della bimba decideva se dar retta al suo orgoglio spiccato e praticamente onnipresente oppure al suo istinto da piccina che s’approfitta di ogni minima occasione per ricevere le coccole dovute.
Optò per rivestire la figura della piccola infingarda, per una volta. Com’era suo lecito diritto.
Iniziò a strillare con quanto fiato aveva in gola, muovendo i piccoli arti e sbattendoli ripetutamente contro il terreno.
Il primo risultato che ottenne si rivelò sotto forma di una voce calda e penetrante, profonda e infinitamente seria.
-Karura, cosa ti è successo?-
La bimba piegò il collo, volgendo il visino all’insù, gli occhi ancora pieni di lacrime fanciullesche. Shino Aburame, nei suoi ventisei anni di uomo, guardava sua figlia dritta negli occhi ancora privi di occhiali scuri. La sua enorme preoccupazioni per la sorte della piccola era dimostrata da quel sopracciglio così aspramente incurvato all’ingiù che l’uomo palesava, con incredibile sfacciataggine, fuori da ogni impermeabile o maglia a collo alto.
La bimba si lamentò prontamente, e con voce rotta chiamò il genitore.
-Papi…-
Il secondo risultato seguì immediatamente queste poche parole. Le braccia dell’uomo raccolsero il piccolo fagotto ancora singhiozzante e lo sollevarono da terra.
-Sei caduta…-
Non era una domanda, solo una semplice constatazione.
Tolse la polvere dai vestiti della piccola con una carezza un poco pronunciata sulle gambe, poi strinse il corpicino della bimba al suo petto e si diresse verso la propria casa.
-Devi cercare di stare più attenta…-

Un maschio.
Era abitudine, tradizione nel clan Aburame l’avere un solo figlio, maschio appunto.
Nel corso dei secoli gli uomini del clan avevano affinato i calcoli per quanto riguardava lo stabilire con assoluta precisione il periodo esatto in cui fecondare la propria donna, determinando così un aumento esponenziale delle probabilità di avere la tanto agognata prole del determinato sesso desiderato.
Ma quando ci si mette la sfiga di mezzo NULLA vale la volontà umana.
Due bimbe Temari gli aveva dato. Due bimbe meravigliose; una il ritratto sputato della madre, con la piccola differenza di avere una chioma crespa e particolarmente scura, simile a quella paterna; l’altra un essere strano che non ricordava minimamente né il padre né la madre. Aveva quella capacità innata di inquietare le persone con un semplice sguardo che ricordava tanto lo zio Gaara.
Ma a Shino questo importava relativamente.
Superato lo shock dell’essere padre non di una sola bimba ma addirittura di due, il suo animo s’era particolarmente addolcito e acquietato.
Il fatto di non avere alcun figlio maschio significava solamente una cosa: il marito di una delle sue figlie avrebbe assunto il cognome degli Aburame. Questo era fin troppo palese e chiaro.
Così come anche la sua rigidità su questo punto fondamentale.

L’Aburame arrivò al gazebo in legno dove, sedute al grande tavolo di legno scuro, stavano la moglie e la figlia maggiore Miyako davanti ad una bella coppa ripiena di fresco gelato. L’arsura dell’estate non risparmiava proprio nessuno.
Gli occhietti vispi della bimba furono i primi ad accorgersi delle due figure in avvicinamento. Liberi dagli occhiali dimenticati sulla superficie lignea del tavolo, i due occhi azzurro cielo fissarono con intensità la figura paterna, soprattutto le braccia che avvolgevano la sorella minore.
Mise il broncio, immediatamente, e con uno scatto da perfetta neo- allieva dell’accademia ninja finì tra le braccia di sua madre onde pretendere le proprie coccole dovute.
Temari, presa un po’ alla sprovvista, sobbalzò sul posto.
-Miyako, che cavolo fai? Vuoi che il mio gelato finisca tutto per terra?-
Un mugugno si elevò dalla piccola bocca della giovane Aburame, mentre il suo viso affondava tra le pieghe del largo vestito della donna.
Finalmente, anche Temari volse lo sguardo verso il marito, e con aria un poco perplessa indicò con un cenno della testa la bimba che l’uomo teneva tra le braccia, in una domanda senza parole.
-E’ caduta per terra…-
Temari sospirò, per niente sorpresa e forse, forse, un poco intenerita.
La sua mano prese a  ballozzolarle di fianco, nel tentativo di indicare la porta che dava all’interno della casa.
-In casa ci sono disinfettanti e cerotti…-
No, non si sarebbe alzata. Non con Miyako che la inchiodava alla sua sedia, non con il gelato ancora in formato semi solido, non con Shino che poteva tranquillamente occuparsi della figlia minore senza il suo intervento.
Decisamente no.

Come s’erano uniti, quei due?
La sorella del Sabaku che l’Aburame tanto odiava, e l’Entomologo che tutto era tranne che appariscente?
Non lo sapeva neppure loro, ad essere sinceri. S’erano trovati, forse, una sera, a festeggiare qualche vittoria militare ottenuta. Da quando Konoha e Suna erano diventate alleate, questi continui scambi, queste continue visite erano davvero frequenti.
-Forse rimarresti stupita da quanto un Aburame può nascondere sotto i propri occhiali…-
Lui era famoso per non cedere alle tentazioni, ad alcuna passione apparente. Discreto, si rifugiava come un nomade timoroso dietro i suoi pesanti abiti che nulla lasciavano intravedere, se non poche strisce di pelle.
Codardia, viltà, imbarazzo, timidezza.
Temari non sapeva bene cosa spingesse Shino a nascondersi così all’occhio umano, non riusciva ad intenderlo.
Ma dopo quella sera, dopo quelle notti che, per un motivo o per l’altro avevano passato assieme, quegli attimi indimenticabili che li avevano spinti a intrecciare le loro mani in maniera così tenace che sarebbe stato un doloroso peccato dividerle, la donna capì l’importanza di celare la parte del proprio corpo che più si ritiene cara.
Perché solo le persone degne di fiducia potessero bearsi della loro bellezza.

La bimba tornò in giardino, stufatasi ben presto delle mani calde e protettive del padre.
Con una nuova cicatrice sul ginocchio e il glorioso segno della sua lotta contro il terreno, un cerotto color carne sulla congiunzione, saltellò di nuovo tra l’erba e riprese i suoi giochi, dimentica d’ogni cosa superflua.
Miyako presto la raggiunse, lasciando la vaschetta vuota a fin troppo linda del suo gelato sul tavolo.
-Oh, non sono così carine?-
Temari era particolarmente testarda, lo si poteva intuire dai suoi continui tentativi di strappare una parola dolce al marito, di punzecchiarlo ogni volta sul suo punto debole cercando di far leva su quell’affetto innato che aveva nei confronti della sua prole.
Niente, nada, il nulla più totale.
Shino non riusciva a essere dolce neppure in quei momenti.
Come al solito la voce uscì dalle sua labbra come ovattata, quasi fredda.
-Si, davvero carine…-
Il sorriso della donna si spense un poco, ma tornò ben largo quando un’altra idea balzana e alquanto pericolosa illuminò la mente attiva della signora Aburame.
-Dato che le bimbe sono occupate, si potrebbe approfittare della cosa per andare un attimo in casa… noi, da soli…-
In quel momento Karura strillò di nuovo. Miyako le aveva lanciato la palla in faccia, direttamente, senza alcuna esitazione di sorta, alcun tentennamento di coscienza.
E questo solamente perché aveva trovato un insetto più grosso di quello che aveva trovato lei.
-Miyako…-
Nemmeno in questo caso la voce di Shino traballò, si alterò, mutò di qualche decibel dal sussurro che era solito usare in ogni singola circostanza.
Un semplice sguardo bastò per rimettere a posto ogni cosa, perché come ogni persona anche Miyako aveva imparato ad avere rispetto e timore allo stesso tempo di quei occhi nascosti nell’ombra.
L’uomo si girò verso la moglie, con una noncuranza che dava quasi dell’impossibile.
-Stavi dicendo, Temari?-
La donna di Suna lo guardò davvero male e con un cipiglio scocciato rientrò in casa.
-Al diavolo Shino!-

Nulla, Shino con gli anni non era riuscito a soddisfare pienamente la vena romantica insita in sua moglie come in ogni donna.
Era un tipo pragmatico, preciso, integerrimo. Severo e rigoroso.
Ogni tanto assumeva un cipiglio contrariato, la sua voce cambiava di tonalità nel momento delle offese, ma poco più poco meno. Shino rimaneva sempre quello, davvero poche cose lo potevano smuovere.
Persino nel momento del matrimonio sembrava una persona qualunque presa dal pubblico e messa lì quasi per caso.
La pazienza di Temari era stata messa a dura prova parecchie volte.
Ma col tempo, sia Shino che Temari avevano imparato a comprendersi l’un con l’altra.
Il mondo di Shino era fatto di silenzi, ma v’erano silenzio e silenzio, ogni tipo pregno di un particolare significato, come i ronzii delle cicale che sembrano tutti uguali ma in realtà sono miliardi di parole diverse. La femminilità, il bisogno  di Temari venne appagato nella maniera forse più consueta possibile, forse la più banale e scontata del mondo, ma questa unica certezza divenne fondamentale per il fabbisogno della donna. Shino baciava, baciava spesso e volentieri, perché i baci non hanno bisogno di alcuna parola.

-Sono incinta Shino... di nuovo...-

Così, nel bene e nel male, il clan Aburame continuava il suo cammino…


Hola, signori miei ^^
Ecco l'ennesima ff su Shino ^^ sarà una ShinoTemari, di pochi, pochissimi capitoli. Nulla di scabroso ^^
Spero vi possa piacere ^^
Volevo precisare che questa piccola opera è dedicata a Ro (detta roro, detta anche ro chan) che ha bisogno di sorridere un poco ^^
Alla prossima ^^
Bye bye

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Capitolo 2
*** Nonne e figli maschi ***


clan aburame 2 Si, forse la sorte non gli era così avversa come aveva sempre, sempre pensato.
Forse, per una volta, sarebbe stata dalla sua parte, regalandogli per caso ciò che lui tanto desiderava. Così, più o meno come se gli fosse dovuto dopo tutti i tiri mancini che era stato costretto a subire.
Forse, appunto. Perché Shino, da bravo uomo strettamente razionale quale, suo malgrado, si ritrovava ad essere, non s’affidava assolutamente ad atti scaramantici né a stupidi riti che ingraziavano natura, santi e dei.
No, decisamente le riteneva cose ridicole e assolutamente imbarazzanti.
Ma se un uomo che basa la sua vita su di un calcolo matematico si ritrova con una serie d’errori, tutti umanamente accettabili, umanamente appunto, scatta quel singolare meccanismo che porta alla pazzia, in maniera non così veloce e nemmeno così indolore.
E questo succede ad un uomo razionale, pragmatico, severo e rigoroso.
Se queste qualità mancano arriva normalmente l’anarchia o la pazzia più totale che dir si voglia.

Miyako Aburame senior, cinquantun’anni di donna, madre di Shino Aburame, moglie del padre di questo, nonna di Miyako Aburame junior, alla notizia che la nuora era di nuovo incinta, si era fiondata in casa della giovane coppia e lì aveva messo radici, non mostrando la benché minima intenzione di andarsene fino a quando non avesse visto il sesso del nascituro.
-E’ un evento importante, molto importante… presto si avrà l’erede del clan, dopo che la sorte ingrata si è fatta beffe di tutti noi…-
Pazzia, ineluttabile, evidente pazzia.
Solo calcando su questo pensiero la povera Temari riusciva a sopportare la suocera, vederla lambiccarsi in cucina a preparare chissà che cosa che favorisse la buona salute ed un corretto sviluppo del feto. Mette quasi ansia il modo in cui la scrutava ogni qual volta riceveva una cura, come aspettandosi chissà quale compenso per il lavoro svolto.
Era a dir poco imbarazzante.
-Grazie, signora Aburame…-
-Chiamami Miyako, Temari cara…-
-Miyako…-
Una volta nella vita Miyako senior l’aveva trattata con tanto riguardo, quando era incinta della sua primogenita. La vezzeggiava e la trattava all’incirca come una sorta di principessa, facendo al posto suo ogni mestiere in casa, preparando la cena e il pranzo, occupandosi di soddisfare le sue strane voglie. E tenendo lontano e occupato il figlio, che non disturbasse lei e la creatura che portava in grembo.
Ovviamente, quando era uscita una femmina il pallone era scoppiato, e Miyako senior era rimasta zitta, in assoluto sciopero della voce, per quasi una settimana, così delusa della cosa che non riusciva neppure a capacitarsene.
Ma era giunto il momento di rimediare.
La bionda straniera le avrebbe dato il nipotino tanto desiderato e atteso.

-E se nasce un’altra femmina?-
Seduti in casa, sopra i morbidi divani del salotto, i due coniugi più la suocera di turno, l’unica in realtà che potesse essere fisicamente presente, sorseggiavano tranquillamente il loro thé, con quella pigrizia e quella tranquillità tipiche di chi non ha assolutamente nulla da fare.
Le bambine giocavano in cortile, nel caso fosse successo qualcosa avrebbero strillato e sicuramente Shino, essere assolutamente inutile in questo momento, sarebbe intervenuto prontamente.
Ma alla domanda di Temari sembrò quasi che il tempo si fermasse.
Miyako senior, gli occhi nascosti dietro i suoi occhialetti scuri, kimono impeccabile e color celeste addosso, posò con studiata, quasi irritata lentezza la tazza sul tavolino di fronte a lei.
Tentò un sorriso, che si dipinse sul volto in una smorfia poco riuscita e con quanta più diplomazia era capace parlò alla nuora, evidentemente alterata per tutti quei ormoni in circolo.
-Mia cara, non può essere femmina…-
Temari la fissò a lungo, prima di rispondere un secco, molto irritato.
-Perché mai, di grazia?-
Le sopracciglia di Miyako senior vacillarono un poco. Intrecciò le dita tra di loro, guardando la nuora dritta in volto.
-Temari, cara ragazza… che nome mai dareste a questa povera creatura? La piccola Miyako ha eredita il mio nome, Karura il nome di tua madre… un terzo nome sarebbe assolutamente impossibile, da dare a una bambina…-
Ovvio, matematico, addirittura logico.
Temari rimase spiazzata, tanto che non seppe che cosa dire di rimando.
La donna sorrise, riprendendo la sua tazza.
-Su, mia cara… il thé si raffredda…-

Gaara e Kankuro erano rimasti davvero stupiti riguardo la decisione della sorella.
Diventare un’ Aburame, o meglio, sposare Shino Aburame, diventarne la moglie e madre dei suoi figli. O dell’eventuale unico maschio, molto probabilmente.
Stupiti si, perché non avevano mai capito cosa accidenti attrasse Temari in Shino. In più, lei odiava gli insetti, e molto difficilmente riusciva a pensare con raziocinio quello che zampettava all’interno del corpo del suo uomo.
Disgusto a dir poco.
Ma in fin dei conti Gaara aveva convissuto con un demone che, per quanto avesse un aspetto relativamente più gradevole di un insetto, ne era diventato parassita esattamente come gli esapodi che abitavano il corpo di Shino.
Bastava semplicemente non aprire ferite sul suo corpo, sulla sua pelle, e oltre che non vedere il sangue zampillare dai tagli non avrebbe assistito ad una di quelle scene che tanto la rivoltava.
Naturalmente, quando Gaara le fece notare che molto probabilmente anche il suo probabile unico figlio maschio avrebbe assunto la simbiosi con quei piccoli, simpatici animaletti, lei andò letteralmente fuori di matto.

 -Vuoi che sia un maschio, papi?-
Si, Karura Aburame si rivelò incredibilmente l’unico essere vivente capace di alterare il padre assolutamente impassibile.
Per i suoi quattro anni la bimba era piuttosto sveglia e molto intelligente, tanto che aveva notato il fervore della nonna per questo nuovo “fratellino” che doveva ancora arrivato, e specie aveva notato quanto ella ripetesse la parola “maschio” ogni due parole.
Aveva semplicemente fatto due più due, con il suo cervellino da bimba.
Gli occhietti azzurri erano fissi sul padre, catturato nel momento tanto delicato del bagno. L’uno di fronte all’altro, immersi nell’acqua bollente in piena estate, occhi blu contro occhiali di vetro scuro, i due si fissarono a lungo e in silenzio.
Poi Shino prese la boccetta dello shampoo e versò un poco del suo contenuto nell’ampia mano.
-No, mi piace che tu sia una femminuccia…-
Si avvicinò appena alla figlia, andando a far colare la pasta gelatinosa sopra la testa rossa della bimba, cominciando a massaggiarla con dolcezza. Gli piacevano i capelli di sua figlia, la genetica aveva deciso che fossero lisci e rossi, superando le barriere dell’inverosimile ancora una volta.
Erano davvero dei bei capelli.
Ma la piccola Karura non demorse, convinta che suo padre le stesse mentendo, per qualche oscura ragione che lei avrebbe scoperto sicuramente al più presto.
-La nonna vuole un fratellino…-
Subito, la risposta del padre le venne incontro.
-La nonna vuole un fratellino perché ha già due bambine stupende…-
Ma la bimba non demorse, più cocciuta che mai.
-La nonna vuole un fratellino perché preferisce i maschietti…-
Shino si fermò di botto, comprendendo la gravità della situazione. E benché i suoi occhiali fossero scuri e dalle spesse pareti, Karura vide benissimo i due occhi nocciola dietro di essi.
Sconvolti.

Karura Aburame, quattro anni, nata il primo settembre, segno della Vergina secondo il calendario greco, segno del Cinghiale secondo quello cinese.
Capelli lunghi e rossi, lisci come la seta e morbidissimi, occhi piccoli, lunghi e di color del cielo, pelle chiara e delicata.
Una bimba allegra, vivace e a tratti socievole, che diventava una piccola macchina assassina se provocata con le dosi giuste, che sapeva lanciare sguardi assassini se adeguatamente offesa, che piangeva con quanta forza aveva in corpo se qualcosa non le andava, testarda oltre l’inverosimile, vendicativa e anche molto, molto ambiziosa.
In assoluto la bimba più Aburame che avesse mai toccato terra.

Dopo solo qualche attimo di confusione, Shino assunse il ruolo di padre che aveva assunto nel momento stesso in cui gli era balenato in testa il concetto di figlio.
Se questa cosa preoccupava tanto sua madre se ne poteva anche fare una ragione, Temari non era così sciocca né così debole da dar retta a una vecchia isterica. Ma se la cosa dava fastidio alle sue figlie, non andava bene, per nulla.
-Che sia maschio o femmina per tuo padre non ha assolutamente importanza. Ai miei occhi non siete maschietti o femminuccia, non siete divisi in categorie così stupide… i motivi per cui io vi voglio bene sono altri…-
-Per esempio?-
Oh, Karura non si sarebbe accontentata di semplici parole buttate al vento. Voleva prove concrete, precisi e inespugnabili.
Si chiama metodo scientifico, questo.
L’uomo si fece serio, quasi solenne.
-Perché mi chiamate papà…-
Karura sgranò appena gli occhi, poi un sorriso si fece largo sulle sue labbra, bellissimo.
-Papi!-
E dopo il primo, ne seguirono molti altri.
-Papi, papi, papi, papi, papi, PAPI!-
Shino sorrise appena, tornando ad insaponare la massa capelluta della figlia.

Dopo nove mesi circa nacque una bellissima bambina dai folti capelli scuri, e le fu dato il nome di Midori.



Signore *_* Vi amo *_*
Sei recensioni? ** ma io vi amo sul serio, vi sposo ** tutte quante ** troverò il modo di mantenervi…
Detto questo, sono davvero molto felice che il capitolo sia piaciuto così tanto ** insomma, non capita spesso di leggere una ShinoTemari, avevo il bruttissimo timore che fosse un altro dei miei flop… e invece ** è stato apprezzato ** non posso che esserne davvero felice ^^
Bene, sperando che anche il secondo capitolo vi aggradi, io vi lascio ^^
Alla prossima ^^

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Capitolo 3
*** Di destini e zii ***


clan aburame 3 -Muori!-
Si, i ninja sono delle macchine assassine, addestrate fin dalla tenera età per il lavoro sporco del mercenario. Mani sporche di sangue, mani lorde e imbrattate del liquido vitale così crudelmente sottratto al nemico o target prefissato.
Omicidi, sporchi peccatori su di questa terra.
Certo, se l’attacco mortale viene sferrato da una neo iscritta all’accademia ninja, armata di un kunai di gommapiuma e piccola all’incirca un quarto del suo avversario, la cosa può anche risultare oltremodo ridicola.
Eppure Gaara, rotolando per terra come schiacciato dal peso incombente della piccola nipote, implorava pietà come il più osceno dei maiali sgozzati.
-No, ti prego! Abbi pietà di me!-
E così, quando il nemico è prostrato ai tuoi piedi, si può distinguere chiaramente tra le anime buone e quelle semplicemente opportuniste. Le prime, dotate di senso dell’onore, lasciano in vita e quel poco di dignità rimasta al proprio avversario, le seconde invece infieriscono sul nemico senza il minimo pudore o risentimento interiore.
-Ora ti ho cattura e ti uccido!-
La risata sadica della bambina si elevò dal giardino fin fuori la piccola casetta bianca, mentre la mano mimava con una certa noncuranza il gesto dello sgozzamento.
E così Gaara morì, un’altra volta, per mano della piccola Miyako.
Il suo corpo ebbe qualche spasmo, mentre i muscoli tremavano e si irrigidivano per il dolore e l’adrenalina impazzita, gli occhi si allargavano tanto fino a diventare vacui e vuoti. Si afflosciò a terra, privo ormai dello spirito vitale.
Che attore nato…
Miyako si alzò trionfante sulla preda, gridando soddisfatta.
-Vittoria!-
Altra risata sadica, molto teatrale a dire la verità. Poi però calò il silenzio, sulla bimba così come sul corpo martoriato del perdente. Gli occhietti chiari della bimba, nascosti dalle lenti scure che indossava ormai in ogni occasione, si puntarono sul cadavere steso a terra. E vi restarono a lungo.
Il rimorso si fece strada lungo tutta la piccola personcina della primogenita dell’Entomologo per eccellenza, fino ad arrivare agli occhi, dove si trasformò in un pianto dirotto e decisamente poco Aburame.
-No, zio! Noo! Non voglio che tu muoia! Non voglio!-
Singhiozzi su singhiozzi, la bimba pianse tutto il suo rimorso.
Ma ecco che una voce annunciò il miracolo, una voce che venne da qualche parte indefinita del giardino.
-Dolce fanciulla, le tue lacrime tanto sincere hanno commosso me, Dio della Morte…-
Silenzio, un poco imbarazzato e anche un poco sospetto per chi non avesse l’età di sei anni. Dopo però il Dio della Morte riprese il suo annuncio.
-Ti restituirò tuo zio…-
E, come per magia, Gaara si mosse appena dalla sua posizione e, cosa fondamentale, tornò alla vita.

Nel momento in cui un piccolo Aburame entra all’Accademia ninja deve indossare gli occhiali scuri che rendono chiara la sua appartenenza al Clan tanto in vista all’interno di Konoha.
Ognuno ha il suo paio d’occhiali, assieme naturalmente ad un paio di scorta dato in dotazione direttamente dal capo famiglia, in questo caso Shibi Aburame.
Così era stato anche per la piccola Miyako che all’età di sei anni aveva dovuto fare i conti col ritrovarsi immediatamente di fronte ad un oscurante di prima categoria.
Cadute, inciampi, rotolamenti a non finire. Miyako s’era ritrovata più volte per terra che ben ritta in piedi. E ogni volta che era arrivata a far collidere le sue povere, martoriate ginocchia col suolo duro o la terra secca, s’era ritrovata a piangere chiamando uno dei genitori.
Temari l’avrebbe volentieri strozzata già ai primi giorni, non era stata certo preparata per una simile tortura psicologica, e certo il pensiero che l’attendevano altre due pargole del medesimo destino non era molto positivo. Ma si era ripromessa di salvarne una, almeno una di quelle povere piccole creature, obbligando la famiglia del marito a risparmiarla dalla tortura degli occhiali da sole.
Gli Aburame, purtroppo, usano le poche parole che pronunciano per essere i più chiari ed esaustivi possibili.
Così, all’occhiata quasi omicida di Shibi erano seguite della parole secche e perentorie.
-Ogni Aburame porta gli occhiali.-
E basta, Temari si sarebbe dovuta adattare a tale regola, senza dire nulla.
Certamente, se Shibi si sarebbe ritrovato con una nipote in meno non sarebbe stata solo colpa sua…

La piccola Miyako, stretta tra le braccia dello zio maggiore, stava gustando la sua granita nella piccola pausa tra un allenamento e l’altro. Giocare ai ninja con i due zii era davvero molto stancante, specie se uno moriva e si doveva richiedere l’intervento dello stesso Dio della Morte per farlo tornare in vita e funzionante.
Kankuro sorrise, andando ad accarezzare la testa crespa della piccola.
La figlia della sorella era davvero una Temari in miniatura, con la differenza che era mora, portava gli occhiali ed era Aburame. Eppure assomigliava così tanto a Temari che gli faceva davvero una tenerezza infinita.
-Zio Kanky, non vuoi un po’ di granita?-
Il cucchiaio fu allungato in su, mentre il suo contenuto verdognolo, traballante nell’involucro che lo racchiudeva più o meno efficacemente, si ergeva in tutto il suo splendore davanti agli occhi dell’uomo.
Kankuro si espose appena, per accogliere la granita fresca tra le labbra, ed emettere un mugugno estasiato un po’ troppo forte per essere realmente ispirato. Ma tant’è, l’affetto fa fare cose razionalmente inspiegabili.
-Che buona che è questa granita!-
La bimba sorrise di rimando, andò a pescare altra granita nella sua tazza e gliene porse un altro cucchiaio; alla terza volta che il processo veniva ripetuto, Kankuro ebbe qualche dubbio sull’effettiva bontà dell’azione, pensando invece che la bimba semplicemente s’era stufata della granita e gliela stava rifilando a lui. Poco male, l’arsura della giornata era davvero intollerabile.
-A me non dai niente?-
La voce poco espressiva di Gaara fece voltare la testolina della piccola Aburame. L’uomo, forse nel tentativo di avere la sua meritata dose d’attenzioni (era stato persino ucciso da Miyako, ricordiamocelo!) s’era sprecato ad aprire le sue labbra ed emettere qualche suono riconoscibile nella lingua corrente.
Dopotutto, al Kazekage non erano permessi tanti giorni da dedicare alla propria vita privata, ed era un miracolo che Shino, dopo soli quattro mesi dalla nascita della terza figlia, aveva deciso di affrontare il deserto per annunciare ai nobili parenti della moglie la nascita di Midori. L’indifferenza di Gaara e la somma impassibilità di Shino s’erano già scontrate più volte, dimostrando all’umanità quanto due persone riuscissero a stare zitte l’una di fronte all’altra restando straordinariamente ferme per quasi tre ore di seguito, senza fare alcuna mossa o dire una sola sillaba.
Due mostri a confronto, questo era stato palese a chiunque.
Dunque, Gaara s’era oltremodo stupido che il genero rischiasse la vita della propria bambina per annunciarla ai suoi parenti più prossimi.
-Certo, se tu fossi stato meno impegnato ci saremmo risparmiati la fatica…-
Perché un Aburame non lascia correre nulla, e Gaara avrebbe dovuto tenerlo molto bene a mente.
Così, di fronte alla nipotina, non aveva resistito dal chiedere, elemosinare un briciolo di affetto familiare; un sorriso andava più che bene, per gli standar d’assoluta piattezza emotiva a cui era abituato.
Ma la piccina lo guardò un attimo sorpresa, abbassò lo sguardo pensierosa e poi tornò a sorridere allo zio.
La vocina uscì dalle sue labbra sicura come mai era stata.
E prima ti tornare a gustarsi la sua buonissima granita sotto gli sguardi esterrefatti di entrambi gli zii, Miyako rispose con una sola parola.
-No!-

Shino non aveva mai aiutato la comprensione, mai e poi mai.
Per quanti sforzi facessero, Gaara e Kankuro non erano mai riusciti a comprendere quel poco che bastava del carattere del loro unico genero. Freddo, razionale, imperturbabile; questi aggettivi non bastavano loro per essere soddisfatti.
Insomma, si trattava oramai di un membro della loro famiglia, non di un estraneo a cui potevano anche non interessarsi. Il marito della loro unica sorella urgeva di attenzioni che ne esplicassero la natura segreta.
La discrezione, il distacco dell’uomo li misero a dura prova, ma rimediare su stratagemmi infidi quali richiedere istruzioni a Temari voleva dire ammettere la propria sconfitta, e un tale disonore non faceva parte dei loro piani.
Indi avevano optato per un piano trasversale, conquistare le sue figlie e, ragionando secondo logica quasi matematica, vedere quali comportamenti non fossero simili a quelli materni, deducendo così, quasi per osmosi, il comportamento del padre.
Una tecnica infallibile, senonché avevano preso la bimba sbagliata.
Miyako era Temari, tutti i difetti e tutti i suoi pregi li aveva ereditati unicamente dalla madre; la piccola Karura, per un mistero della fede che ancora loro non riuscivano a decifrare, come il resto della famiglia e specialmente il padre della bimba, era simile allo zio talmente tanto che a Kankuro venne qualche serio dubbio a riguardo; l’unica che restava era proprio Midori, ma era ancora troppo piccola per riuscire a ricavare qualcosa di interessante dal suo comportamento.
Praticamente, erano riusciti sconfitti dalla sfida che avevano concepito solo loro.

Midori gattonava, eccome se gattonava.
Andava avanti e indietro, seguiva corridoi, usciva ed entrava dalle stanze, divertendosi come una matta ad esplorare quel luogo sconosciuto e tanto immenso che era il palazzo del Kazekage. Che ovviamente la struttura fosse sovraffollata di gente che lì ci lavorava, schiavizzata dal Capo Villaggio con una noncuranza degna solamente del signor Sabaku non tingeva assolutamente alla sua coscienza da poppante troppo esaltata.
Alle sue calcagna, silenzioso e veloce come un’ombra fedele, Shino, che non le aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno un secondo, rischiando più di una volta di andare a collidere con un povero sventurato che passava ignaro accanto alla coppia, come se fosse colpa sua il ritrovarsi al mondo e specialmente troppo, troppo vicino alla terzogenita dell’Aburame.
Ma il solo fatto di essere un Aburame sembrava una buona scusa perché nessuno osasse avvicinarsi quel tanto che bastava a far coincidere i propri tragitti, per cui Shino non aveva dovuto attuare la tecnica ninja di tortura tanto amata dal suo Clan: la Rivelazione Degli Occhi, detta anche Ora ti Acceco Idiota.
Ogni tanto la bimba si girava, come a cercare la conferma che la sua Body guard personale fosse sempre presente, nel caso qualche cretino le fosse finito addosso aveva la garanzia della vendetta.
Dopo una semplice occhiata, dove padre e figlia si scambiavano dieci secondi di silenzio assortito, dove ai mortali non è concesso sapere cosa esattamente i due si dicessero, la piccola tornava a cinguettare allegra e a zampettare come un cagnolino, proseguendo la sua passeggiata.
FU in questa situazione che Gaara avvicinò Shino, con una cautela che ricordava tanto la discrezione che si deve usare quando si sta interrompendo un rito sacro.
-Shino…-
L’Aburame non alzò lo sguardo da terra, troppo intento ad osservare la figlia alle prese con un angolo a gomito.
-Gaara…-
Gli occhi chiari del Kazekage caddero inevitabilmente sulla figurina semovente davanti ai suoi occhi, come se Midori fungesse da piccolo magnete ambulante.
-La tua bimba gattona già…-
Qualche passo in silenzio, poi, come un sospiro appena accennato, arrivò la risposta dell’Entomologo.
-Midori è una vera Aburame. Sta spendendo i suoi cinque anni di sonorità infantile… dopo non sarà più così…-
Il Kazekage cercò d’ignorare la velata minaccia sul destino infausto della nipote davanti ai suoi occhi, concentrandosi sul proprio obbiettivo.
Attacco diretto, chiaro, puro e semplice.
-Ogni Aburame è toccato da un destino infausto…-
-Solo chi non è Aburame considera infausto il nostro destino…-
E Gaara constatò quanto un Aburame possa diventare loquace se provocato opportunamente, così come che il vero carattere di un uomo non si possa celare né dietro lenti scure né dietro abiti pesanti.

-Constaterai con me che indossare occhiali da sole per tutta la durata della propria vita è piuttosto gravoso…-
-E’ come portare un cognome altisonante… la stessa medesima cosa…-
-L’impedimento fisico, nella crescita di un ninja, risulta un ulteriore ostacolo alla carriera…-
-Prima si forma la persona, poi il guerriero… Se le mie figlie si fossero chiamate Uchiha, la società non avrebbe concesso loro un solo sbaglio…-
-Essere predestinati a una cosa risulta come una gabbia per la volontà…-
-Essere predestinati significa poter spaziare in ciò che ti è stato concesso… ho dato un fine alla mia prole, se vorranno cambiare nome quando saranno adulte lo potranno fare…-
-Gi occhi delle tue figlie non potranno vedere la luce del sole…-
-Gli occhi delle mie figlie saranno protetti dalle tenebre più profonde…-
Qualche secondo di silenzio, per un ultimo attacco.
-Dimmi una cosa, Shino… da dove avete tirato fuori il nome di Midori?-
E anche questa volta la risposta fu secca e fin troppo veloce.
-Abbiamo preso la guida telefonica e l’abbiamo aperta a caso…-

La mantide religiosa, la mangusta e la vespa. La vendetta, la devastazione e il potere.
Tre insetti simbolo per tre figlie, come era abitudine del Clan Aburame.
Così come Shino era la libellula, ognuna delle sue figlie aveva dovuto scegliere da quale insetto essere rappresentata, e così fu.
Certo, dover dire alle figlie che per essere un vero Aburame dovevano diventare una sorta di formicaio vivente fu la prova più ardua che Shino dovette mai affrontare in tutta la sua esistenza.




Hollala **
Io vi amo sempre di più **
Sette, dico, SETTE recensioni ** tutte per me **
Seriamente, mi state riempiendo di gioia, questa ff si sta rivelando una fonte di soddisfazione che mai credevo potesse essere **
Continuerò col mio lavoro, è una promessa **
Oh, una notizia doverosa… oggi ho raggiunto un accordo con me stessa ^^ Questa ff non sarà più lunga dei sei capitoli u_u più che altro perché devo fare 3000 cose °° sono davvero, davvero incasinata °°
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ^////^
E ancora GRAZIE *W*
Alla prossima ^^
Ciao ciao

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Capitolo 4
*** Imposizioni e desideri nascosti ***


clan aburame 4 Accademia Ninja, scuola primaria dove questi piccoli assassini in provetta vengono iniziati all’arte sublime dell’omicidio, all’arte magnifica dello spionaggio e della recitazione, dove arti illusorie, magiche e marziali vengono apprese da tante piccole menti fertili, piccoli corpi e piccole anime sui quali gravano le sorti di un Villaggio intero che, amorevole, addestra i bimbi per avere dei mercenari personali un futuro non così prossimo.
Perché l’avvenire è nelle loro piccole e delicate mani…

-No, non voglio! Non voglio gli insetti! Non mi piacciono! Non voglio!-
Uno strillo, l’ennesimo di quel pomeriggio tanto afoso, si eleva dal giardinetto di casa Aburame.
La piccola Miyako è entrata in Accademia, è una piccola Ninja oramai, lancia shuriken da tutte le parti, si arrampica sugli alberi, cosa che faceva anche prima ma che ora assume un significato diverso, picchia sua sorella con maggior foga giustificando così il suo allenamento alle arti marziali, sprizza chakra da tutti i pori… una vera ninja modello. E ovviamente il cognome che porta non poteva essere una caso.
-Il Clan Aburame è specializzato nella lotta attraverso gli insetti…-
Così si è sempre detto nei tempi che furono e così si dirà sempre nei tempi che saranno. Vivere in simbiosi non con uno ma con mille organismi, seppure tutti uguali e davvero terribilmente simili l’uno all’altro, non è una cosa semplice, più o meno come vivere con quei dannati occhiali scuri di fronte al viso.
Ma tra occhiali scuri e insetti c’intercorre una notevole differenza. Per esempio gli occhiali con camminano, né strisciano sotto la pelle a contatto con la carne viva, non escono e non entrano in corpi altrui, non succhiano il chakra del nemico, non ronzano in quella maniera tanto fastidiosa…
In una parola, sono decisamente meglio degli insetti.
E se già è una tortura dover portare quelli, la sola idea di dover condividere il proprio corpo con un’intera massa informe di creature rivoltanti faceva non irritare, imbestialire, atterrire, orripilare la povera piccola primogenita di Shino Aburame.
Il pover’uomo aveva cercato invano, diversi giorni per non dire anche intere settimane, di spiegare alla bimba che non c’era assolutamente nulla di male o malvagio ad utilizzare una tale perfetta e sublime arma. Anzi, gli insetti erano tra le creature più fedeli e letali che si potesse mai avere, precisi come nessun’altra creatura vivente, senza pietà, senza remora alcuna. In più, non si ribellavano se non in rari casi estremi, il padrone rimaneva sempre e comunque il padrone, come una Regina nel suo alveare di piccole e brave operaie.
Nulla, Miyako non aveva voluto sentire ragioni.
-Kinji dice… dice che gli insetti sono orrendi! E che io sono uno scarafaggio troppo cresciuto!-
Kinji Inuzuka, figlio di Kiba Inuzuka, un piccolo cafone assolutamente privo di qualsiasi tatto che poteva definirsi tale, bimbo fin troppo allegro e vivace. Compagno di classe della piccola Aburame.
Shino trattiene un’imprecazione piuttosto adulta, cercando una ragione valida perché la figlia dimentichi il torto subito.
Non trovandola, optò per la tattica migliore e sicuramente infallibile a sua disposizione.
Prese in braccio la bimba e, con quanta più gentilezza gli era possibile, la coccolò appena.
-Basta allenarsi, per oggi… andiamo a prendere un gelato!-
E le grida disperate di trasformarono in un sonoro trillo di gioia.

Possessivo, in maniera quasi maniacale, ossessivo e protettivo come sempre aveva temuto di poter diventare.
L’arrivo della propria prole aveva trasformato Shino da perfetta macchina assassina, razionale e fin troppo diplomatica, seria, rispettosa e rigorosa, in un qualcosa che assomigliava ad un cane da guardia, pronto a saltare addosso alla gente se questa si avvicinava di troppo alle SUE amatissime bimbe.
Ogni tanto si chiedeva se mai Shibi si fosse comportato così con lui, ma ogni volta che pensava al padre la risposta gli si palesava davanti in tutta la sua nitidezza. Ovviamente no.
Ma questo sicuramente non l’avrebbe fermato, così come l’evidente e fin troppo palese irragionevolezza delle sue azioni.
Se la natura gli aveva affidato un compito, ovvero quello di proteggere e far crescere la propria prole mettendoci tutto sé stesso, Shino Aburame avrebbe eseguito il suo compito col massimo impegno, sicuro che solo così si sarebbe garantito il massimo risultato.

-Dovresti insegnare ai tuoi figli un po’ d’educazione…-
Kiba Inuzuka, fedele compagno di squadra, allievo di Kurenai assieme a Shino e Hinata Hyuuga, padre di due bellissimi gemelli della medesima età della piccola Miyako, Kinji e Oniji, sedeva tranquillamente sul prato, la schiena contro il dorso del suo immenso e bianco cane Akamaru.
Con una tranquillità che pareva gli fosse stata infusa semplicemente da un miracolo divino, Kiba stava ripulendo le proprie armi ninja. I suoi figli, intanto, trottavano peggio dei lupi sull’erba assieme ai loro piccoli e bianchi cani, abbaiando di tanto in tanto e facendo dei versi che tanto umani non parevano.
Ma tant’è, erano Inuzuka, di diverso non ci si poteva aspettare nulla.
Shino, in tutta la sua minacciosa imponenza, era in piedi di fronte al compagno, ad aspettare che quello si degnasse di rispondergli. Kiba lo guardò, sorridendogli come se nulla potesse temere.
-I miei bimbi sono particolarmente vivaci e schietti. Mi dispiace che la tua Miyako sia stata vittima delle loro monellerie… è una cosa a cui porrò rimedio, sta tranquillo…-
No, Shino non era soddisfatto da quel tono di sufficienza che l’altro sembrava dimostrargli, come se il fatto che tanto lo aveva fatto irritare per l’altro fosse una semplice sciocchezzuola, una cosa da bambini. Come in realtà essa era davvero.
Ma l’amore paterno rende ciechi, e l’Aburame ora desiderava che l’onta fosse pagata col sangue.
Riprese il suo discorso, più deciso che mai.
-Hanno definito mia figlia scarafaggio…-
Kiba posò il kunai a terra, prendendo quello successivo e cominciando a strofinare il panno sopra la sua superficie lucida.
-Con tutte le volte che io ti ho dato dell’insetto non mi stupisco molto della cosa…-
Indignazione, forte, cocente indignazione.
Se solo la mente di Kiba si fosse prestata alla nobile arte del ragionamento, Shino credeva che le cose palesi che gli ballavano di fronte al naso un cancan quasi ossessivo gli fossero state tanto evidenti fa far male al suo stesso cervello.
E invece no, Kiba doveva goderci un sacco a vederlo in quella maniera. Come se i ruoli si fossero incredibilmente invertiti, in tutti quei anni.
-Kiba…-
E Kiba alzò gli occhi sul compagno, vedendo il volto serio nascosto sotto i vestiti, gli occhi minacciosi e mortali oscurati dagli occhiali da vista. Certo, solo un genio avrebbe capito da quella sottile inclinazione della voce che qualcosa non andava, Shino in questo non aiutava, proprio per niente. Purtroppo, Kiba non era il genio che Shino tanto cercava.
-Ohi, Shino… non è che sei arrabbiato, vero?-
Le mani dell’Aburame si strinsero con forza nelle tasche che le nascondevano, e la voce che uscì dalla gola fu così grave che quasi Kiba capì.
-No, affatto…-
L’Inuzuka sorrise, placido e contento.
-Oh, bene… per un attimo ho temuto seriamente il contrario…-

Era evidente, Miyako non sarebbe mai diventata quello che Shino desiderava.
Odiava gli insetti, li detestava con tutta sé stessa. Non ne sopportava la vista, il pensiero, l’essenza intrinseca. Le faceva senso ora avvicinare suo padre quando questi si faceva una ferita, anche minima, che tagliasse la pelle.
Strillava peggio di un grillo che viene squartato ogni volta che Shino tentava di parlargliene.
E dire che il povero uomo le aveva tentate proprio tutte.
Una volta era persino arrivato a farle trovare una colonia di piccoli insetti dentro le lenzuola del letto, dicendole che se avesse dormito con loro e si fosse ritrovata viva il giorno dopo poteva stare sicura che quelle piccole creaturine mai le avrebbero fatto del male.
Quella notte Miyako aveva dormito con i genitori, senza cambiare idea per alcun motivo.
Temari, da canto suo, assisteva alla sconfitta del marito con soddisfazione sadica, come se tutte le rogne che la famiglia Aburame le aveva fatto passare in quei anni trovassero riscatto in tutto quello, nella figura miserevolmente testarda del marito.
Si, era proprio Shino quello che come un mulo si rifiutava di concepire le sue figlie come qualcosa di diverso dal nome stesso che portavano dopo quello proprio, come qualcosa che potesse differire dalla sua volontà.
E ogni volta che tornava a casa ricoperto d’insetti tanto per far provare le brezza di vedere Belzebù in persona a delle povere anime innocenti, l’unica che non si metteva a urlare come una dannata delle sue donne era solamente Midori.

Spossato, Shino si era lasciato cadere sopra il divano del proprio salotto.
Aveva assistito tutto il giorno agli allenamenti della figlia, seguendola passo dopo passo, aiutandola dove trovava difficoltà e spronandola dove riusciva meglio.
Certo, gli era scappata una innocentissima battuta, quando aveva constatato che la bimba saltava come solo la madre era capace di fare.
-Sembri proprio un grillo…-
La bimba, storcendo il naso e facendogli la linguaccia, aveva subito risposto.
-Preferisco essere una rana!-
Al ché Shino aveva capito quanto in fondo era arrivato.
Si era preso la testa tra le mani, guardando con insistenza il pavimento.
-Hai fallito anche oggi?-
Seriamente, il pavimento stava per diventare ancora più interessante dopo che una donna, a caso, bionda e riccia e dal nome Temari Aburame gli si era avvicinata di soppiatto e l’aveva schernito con un tono fintamente dispiaciuto.
-A Miyako piacciono più le rane che gli insetti? Direi che se ti avesse risposto con “cane” sarebbe stato forse più drammatico…-
Shino mosse la mano, ad indicare il pavimento.
-C’è una macchia…-
Temari sogghignò, andandosi a sedere in parte al suo uomo, abbracciando la sua ampia schiena.
Poteva capirlo, almeno in parte, poteva capire la frustrazione che gli derivava dalla delusione di non riconoscersi negli occhi di sua figlia, nei suoi gesti, nelle sue parole. Poteva immaginare quanto fosse frustrante per Shino, dal momento che il marito si lasciava abbracciare manco fosse stato un peluches. Normalmente salvata via come una cavalletta, richiamando a sé un’invettiva formidabile nella formulazione di balle colossali.
-Devo andare a cambiare il pannolino a Midori…-
Tanti pannolini aveva cambiato che ormai era diventato persino più esperto di Temari in quella pratica.
E il fatto che stesse fermo a lasciarsi coccolare così come se nulla fosse era segno fin troppo evidente che si era dichiarato fatalmente sconfitto. Ma se da un lato quel suo comportamento la inteneriva profondamente, dall’altro la irritava oltre ogni misura; non era ammissibile che il suo uomo fosse così intransigente d’aver predisposto, senza interpellare alcuno o semplicemente le dirette interessate, ogni particolare della vita delle sue figlie. Temari amava le sue figlie, certo, le avrebbe protette anche a costo di strappare a morsi le braccia dei suoi amati fratelli, certo, avrebbe fatto di tutto per renderle perennemente felici, certo, e sarebbe stata orgogliosa di loro qualsiasi strada loro avrebbero scelto. Certo.
Sospirò, staccandosi di un poco da quella schiena ampia ma senza interrompere il contatto con Shino.
-Dimmi Shino… se io non avessi avuto un braccio in meno mi avresti amata lo stesso? Mi avresti guardato con gli stessi occhi innamorati?-
Shino scrollò le spalle, un poco annoiato.
-Non è per questo…-
Ma l’irruenza della donna lo fece zittire, immediatamente.
-Si che è questo, Shino! E’ esattamente questo! Non puoi certo pretendere che le tue figlie siano l’immagine speculare dei tuoi desideri! Sono innanzitutto esseri viventi, persone pensanti e che provano desideri, paure, incertezze… Il compito di un genitore è accompagnare queste creature alla maturità, a quel momento in cui le loro forze saranno sufficienti perché si mantengano in piedi e badino a sé stessi… Non puoi imporre il tuo sogno ad una persona che non sei tu!-
Silenzio, forse un po’ troppo teso, forse un po’ troppo rassegnato.
Oh, il signor Aburame aveva desiderato così tanto tenere un piccolo Shino tra le braccia…
Alzò d’improvviso la testa, fissando il vuoto davanti a sé.
-Forse è meglio che alleni tu, Miyako… ho l’impressione che con te si possa applicare di più…-
A Temari scappò un sorriso accondiscendente, dolce, dolce e materno.
-Ci proverò…-

Rassegnazione, dovette ammetterlo Shino, dovette ammettere di essere stato deluso da sé stesso e da quel desiderio malsano che aveva provato nei confronti di sua figlia, della prima delle sue creature.
Come uno sciocco aveva creduto scontato la somiglianza tra sé e quella bimba dai capelli scuri, così simile alla madre da insinuare una morbosa quanto ridicola gelosia in lui. Che uomo patetico…
Ma non importava, non importava davvero più. Temari aveva ragione, non poteva pretendere nulla da Miyako che non fosse semplicemente lei stessa, sarebbe stato egoista, terribilmente egoista e illogico. E Shino Aburame era tutto fuorché illogico.
Certo, quando però vide Karura seduta sul prato, con tante, tante farfalline svolazzanti tutte attorno, ridere con una naturalezza che avrebbe fatto sciogliere anche il ghiaccio più duro, dentro Shino non potè che nascere una sciocca e vanesia speranza…



Mi scuso per il ritardo della pubblicazione, ma ho avuto tante cose da fare ^^''
Questo capitolo è un pò sofferto, non penso risulti così comico come i precedenti... me ne scuso, ma è uscito così e così rimarrà u_u parla di tematiche relativamente complesse, troppo umorismo avrebbe stonato u_u
Detto questo, ringrazio tutti quelli che prestano attenzione alla mia umile opera, chi l'ha recensita, messa nei preferiti/seguite, chi l'ha solo letta.
Grazie di cuore ^^
Ps: io starò via tutto il mese di Agosto, per cui ci si rivede a settembre ^^
Ciao ciao

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Capitolo 5
*** Occhiali e situazioni sgradite ***


clan aburame 5 Occhiali e situazioni sgradite


Tutti gli abitanti di Konoha sapevano quanto un Aburame poteva essere inquietante, fermo e assolutamente irremovibile nel suo fiero silenzio, quasi demoniaco alle volte.
Tutti tremavano all’idea dell’arrivo imminente di quell’attimo tanto atteso in cui uno di loro, uno del Clan, uomo, donna, vecchio o bambino che fosse, si fosse tolto finalmente gli occhiali scuri dal viso e avesse rivelato al mondo il mistero che isolava quella gente dai comuni mortali.
Che fossero occhi di mosca, che fossero semplici cavità da cui uscivano insetti, il mondo voleva saperlo, anche a costo di morire di disgusto al momento della scoperta.
Perché alla fin fine era davvero tutto lì.
L’aura di mistero che gli Aburame tanto amavano era resa concreta da quei semplici oggetti scuri, quelle piccole maschere perfette che li elevavano al di sopra di ogni umana opinione, di ogni misera preoccupazione terrena.
E il fatto che, persone che si fondavano su esseri di dimensioni tanto misere si credevano così grandi e potenti, nel loro piccolo e angusto spazio vitale, allibiva non poco qualsiasi essere che la ragione la usava più che bene.

-Come mai tua figlia porta gli occhiali scuri?-
Sera, il sole era tramontato da qualche ora ormai, lasciando spazio al buio della notte dichiarato pigramente dalla luce pallida lunare. Il cielo sgombro di nuvole brillava di stelle lontane.
Shino si sistemò gli occhiali sul naso, guardando in faccia il suo ospite.
Shikamaru Nara, suo collega di lavoro, Shinobi di Konoha del medesimo suo livello e della medesima sua bravure, adducendo come scusa la prassi lavorativa per scappare dall’isteria che molto volentieri prendeva la sua signora, si rifugiava in quella casa fin troppo silenziosa, godendo della compagnia del più tetro e discreto tra tutti i suoi colleghi.
Non che Shino avesse qualcosa da ridire a riguardo, conosceva abbastanza bene Ino da poter bene intendere quanto la tendenza all’ozio del marito lo potesse spingere tra le mura della sua casa, ma considerava questa una sorta di assedio, una conquista dei propri, ristrettissimi, spazi vitali.
Specialmente quando questi faceva un’osservazione, seppur minima, alle regole precise e insuperabili del suo Clan.
E quanto un Aburame è a disagio lo mette in evidenza con semplici atti meccanici e ripetitivi fino allo stremo.
Si sistemò nuovamente gli occhiali sul naso e parlò con voce fin troppo bassa.
-Perché Miyako è un Aburame… anche io porto gli occhiali…-
Sì, anche lui portava gli occhiali, e la mano che si alzò per sistemarli una terza volta glielo fece notare in maniera esplicita.
Ma Shikamaru non era certo tipo da rimanere impressionato così poco, o semplicemente non abbastanza furbo da intendere la pericolosità di quel gesto così disperatamente ripetuto.
Perché tra intelligenza e furbizia corre un fiume enorme chiamato malizia, cosa di cui il signor Nara era ingenuamente privo.
-Come fate a vedere, esattamente?-
Un “toc” sonoro indicò l’avvenuto scontro tra la testa della povera Miyako contro lo stipite di una qualche porta dell’appartamento, ma come la propria figlia anche Shino fece assolutamente finta di nulla.
-Non puoi capire certe abitudini Aburame… non fai parte del Clan…-
L’altro rispose, sinceramente curioso.
-Ed è vostra abitudine fare di tutto per ostacolare la vista?-
Le mani di Shino scattarono ai propri occhiali, mentre una piccola riga discreta fece piegare le sue sopracciglia all’ingiù, pericolosamente all’ingiù.
Trattenne il respiro, prima di dire tutto d’un fiato, con voce leggermente alterata.
-Vuoi una tazza di caffé?-

Era vero, aveva personalmente notato quanto le sue figlie si adattassero a fatica alle esigenze del suo Clan, prima con gli insetti e poi con gli occhiali.
La piccola Miyako aveva fatto enormi sforzi per tenere quei maledetti cosi sempre e comunque sul proprio naso, anche a rischio di prendere a craniate tutti gli ostacoli che gli si paravano di fronte. Che fossero persone, oggetti, porte, animali, li abbatteva con un’energia degna della propria vitale madre, urlando improperi ai malcapitati che gli si stagliavano di fronte, che male non faceva mai.
Sua madre urlava, lei urlava, tutto era logicamente perfetto.
Peccato che una volta avesse sbattuto contro uno dei fratelli Inuzuka, e da lì era scoppiata una rissa tremenda, tanto che sia Shino che Kiba erano dovuti intervenire per fermare i piccoli diavoli.
Combattuto tra l’orgoglio imperante alla vista di quei occhiali tenuti eroicamente al loro posto e il suo dovere di genitore d’imporre la disciplina alla propria prole, Shino aveva risolto semplicemente infischiandosi della faccenda e lasciando il tutto nelle mani della povera Temari, che aveva gridato per ore e ore contro sua figlia.
Se doveva sconfiggere l’avversario, che lo facesse con stile, mica alla cavolo di cane come una qualsiasi bestia.
Il risultato di tutta la faccenda fu che la piccola Miyako si allenò duramente per circa un mese più duramente del solito, per poi finire nuovamente contro il ragazzetto e pestarlo di santa ragione ancora una volta.

Toc.
Di nuovo.
E nemmeno questa volta seguito da un solo singhiozzo.
La chioma rossastra fluttuò via, lasciando solamente silenzio dietro il suo passaggio. Se la sorella non faceva un singolo cenno nonostante la sua fronte prendesse quasi a sanguinare, certo lei avrebbe fatto altrettanto se non di meglio. Questo era quello che Karura ostinatamente pensava, almeno fino ad non incontrare l’ennesimo spigolo dell’ennesimo mobile. Allora si fermava, si prendeva qualche attimo di raccoglimento, e poi tornava a camminare.
-Quanto tempo durerà ancora questa storia?-
Ma Temari non ne poteva più, non sopportava di sentire tutti quei rumori molesti che la inducevano a immaginare la testa delle sue povere bambine contro una superficie dura e spigolosa. E ci credeva che poi accusavano un forte mal di testa, con tutte le botte che prendevano.
Il marito la guardò fintamente incuriosito dalla sua domanda.
-Quanto durerà cosa, esattamente?-
Lei lo guardò di rimando irata, particolarmente dalla sua domanda. Ma la bimba che teneva in mano le impedì qualsiasi movimento troppo brusco, così che rimanette seduta al suo posto e si limitò a guardare molto torvo l’uomo che le stava seduto di fronte.
-Sappi solamente che mi rifiuterò di vedere anche la fronte di Midori ricoperta di lividi violacei per colpa di quei dannati occhiali! Ho sacrificato le mie prime due bimbe, non pretenderai che offra in sacrificio anche la mia terza!-
Toc.
Temari tremò visibilmente di rabbia a questo ennesimo suono, mentre vedeva le mani di Shino saettare agli occhiali in viso.
-Anche io ho dovuto affrontare questa prova…-
E Temari avrebbe voluto rispondergli che si vedeva, eccome se si vedeva, quella sua crapa dura doveva essersi allenata per diventare così, ma una vocetta un poco sofferente la fermò giusto in tempo.
-Mamma… non mi sento tanto bene…-
Shino si alzò prima che sua moglie potesse incenerirlo con il semplice sguardo, prima ancora che l’idea di prendere il suo amato ventaglio e farlo a fette con un semplice gesto le sfiorasse la mente. A livello biologico egli aveva concluso bellamente il suo compito, dal momento che aveva già dato al mondo ben altre tre donne di cui occuparsi, e sinceramente non desiderava concludere a quella maniera anche il suo compito sociale.
Prese tra le braccia la figlia, sparendo ad una velocità degna del rango di ninja a cui era arrivato.

I continui scontri con i mobili della casa, nonché dei muri e delle persone sulla strada avevano sviluppato un notevole senso dell’orientamento nelle due piccole Aburame.
Karura si era imparata i percorsi a memoria, dopo che ci aveva sbattuto la testa contro per almeno sette volte di fila. Ora, salvo gente che sbucava fuori all’improvviso, animali molesti che correvano impazziti, malattie degenerative che limitavano i sensi, riusciva a muoversi dentro il suo quartiere con un’abilità incredibile.
Quando però si iscrisse all’Accademia ninja, situata praticamente dall’altra parte del villaggio, riscontrò notevoli difficoltà operative. E sicuramente, la pessima figura che la vide protagonista il primo giorno di scuola non le fu tanto d’aiuto. Ogni bambino si sarebbe ricordato per anni e anni il ruzzolone proverbiale che lei fece dalla porta fino alla cattedra della maestra TenTen.
Se una semplice occhiata al suo viso era bastata alla donna per avere in simpatia quell’irrecuperabile pasticciona, certo le risa sguaiate dei compagni risultarono piuttosto impietose. Ma poco male, a Karura era bastato semplicemente aspettare l’intervallo che l’intervento della sorella maggiore aveva messo a posto ogni cosa, nel silenzio e nel sangue che colava dai nasi dei suoi compagni appena malmenati.
Quanto adorava sua sorella, in quei frangenti di spiccata fragilità.
E aveva imparato anche lei, aveva capito come quei occhiali potessero essere utili in certi frangenti. Bastava semplicemente minacciare di scatenare una delle piaghe d’Egitto nel caso l’avessero fatta arrabbiare, o ipotizzare l’arrivo di una miriade di insetti che avrebbero colonizzato i letti di quei insani miscredenti che tutti, magicamente, se ne stavano zitti al loro posto.

Shibi, amorevole nonno paterno, guardava le sue nipotine mentre si allenavano duramente con la madre, quell’orgogliosa e intransigente donna straniera.
Non c’era nulla da dire, suo figlio sapeva mettere giudizio in tutte le cose che faceva, anche in quelle prettamente personali, anche in quelle che riguardavano i propri sentimenti. Francamente, non avrebbe pensato ad una combinazione migliore, specialmente per quanto riguardava la facilità con cui la donna riusciva a farsi rispettare da tutti, lui medesimo compreso.
E pensare alla tonalità delle sue strilla quando qualcuno disobbediva ai suoi veementi ordini, certo capiva il perché di tutto quel rispetto. A nessun Aburame sarebbe piaciuto dover sprecare qualche minuto di silenzio per ascoltare rumori molesti.
-Shibi! Signor nonno! Qual buon vento?-
Tutta quella confidenza non gli dispiaceva più di tanto, anche se trovava inopportuno far collassare a terra la povera Karura con un diretto non tanto gentile al suo stomaco per poter parlare con l’uomo. E poi aveva ancora il coraggio di criticare i modi di fare di Shino…
L’uomo la guardò in viso, gesto che per un Aburame equivaleva a sorridere.
-Temari…-
Ma ancora prima che l’uomo potesse aggiungere altro, l’irruenza della signora lo zittì, rendendolo muto in un sol colpo.
-Ha visto le sue nipoti quanto sono brave? Non è un poco orgoglioso di loro?-
Volse lo sguardo verso le due bimbe riverse a terra, col viso piegato nel palese sforzo di non emettere alcun gemito di dolore. Non avrebbero più camminato per diversi minuti, in quello stato, specialmente se ad attenderle in piedi era l’ennesimo colpo dell’impietosa madre.
Shibi non disse nulla, preferendo rimanere zitto piuttosto che dare il proprio giudizio.
Ma a quel punto la donna gli si fece vicina, come se la sua intenzione era di parlargli di qualcosa di terribilmente scottante, un segreto che non doveva essere sentito da alcuno al di fuori del signor nonno.
Con un fare piuttosto solenne, Temari fissò l’altro dritto negli occhi, tanto da preparare psicologicamente Shibi a qualcosa di veramente grosso.
-Mi dica, signor nonno… dal momento in cui Shino ha ricevuto i suoi occhiali scuri, quanto tempo ha impiegato ad abituarvisi?-
Shibi non disse nulla per qualche minuto teso, poi borbottò, guardando lontano, mentre la sua mano saliva al naso per sistemarvici gli occhiali.
-Quasi un anno…-
E il gesto fin troppo esplicito della donna segnò la sua totale e definitiva vittoria sul marito.

La bimba Midori, ancora traballante sulle proprie gambette da quasi neonata, dava innumerevoli segni della propria natura Entomologa.
Squadrava tutti dall’alto in basso, manco fossero stati vermi striscianti, manco fosse stata una super donna alta quasi due metri. Non dava confidenza con nessuno, parlava solo con chi voleva lei nei momenti in cui voleva lei, disdegnava bellamente la badante Hanabi che faceva eroici sforzi, andando contro la propria natura orgogliosa di Hyuuga, per conquistare la sua simpatia.
Spocchiosa a dir poco.
E già prendeva gli occhiali del padre quando questi la prendeva in braccio, allungando le sue piccole e tozze braccia verso il suo viso e sfilandogli gli occhiali scuri, provocando un moto di pura commozione nel cuore del genitore che, se non fosse stato Aburame, sarebbe scoppiato a piangere dalla gioia.
Era buffa nel suo tentativo di indossare quegli arnesi troppo grandi per la sua povera testa, ma la sua decisione, la sua testardaggine avevano fatto si che nessuno osava manco avvicinarsi a lei mentre tentava invano di inforcare i tanto amati occhiali.
C’era riuscita una volta, e aveva persino gorgogliato di gioia, ma le erano caduti subito, provocando un pianto a dir poco disperato.

La vita continuava in casa Aburame, nonostante le teste cozzavano ripetutamente contro le pareti dure dell’appartamento, nonostante le strilla e l’incoerenza della padrona di casa, nonostante i continui tentativi del signor Aburame di strappare di petto il cuore delle proprie figlie con quei infidi scherzi con gli insetti, manco si divertisse a metterglieli sotto il cuscino la notte per spaventarle a morte.
E il mistero di due occhiali scuri, atti a celare un intero mondo dietro di loro, continuava nel sangue delle figlie del signor Entomologo e della Maestra del Vento.



No, non sono impazzita.
Hanabi è lì come riferimento al prossimo ed ultimo capitolo ^^
Non spaventatevi ^^
Ordunque, ringraziando di cuore le due persone che mi hanno recensito (<3), facendovi le scuse per il ritardo della pubblicazione, io vi saluto e vi ringrazio ^^
Al prossimo, ed ultimo, capitolo ^^

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Capitolo 6
*** D'allieve dubbie e baci rubati ***


clan aburame 6
D'allieve dubbie e baci rubati


Non che fosse un segreto da tenere racchiuso in quelle quattro mura domestiche tanto spesse, non che una cosa simile provocasse seriamente vergogna e onta al nome di uno dei Clan più in vista dell’intera Konoha,  certo era che al signor Hyuuga non faceva tanto piacere dover palesare in giro – dirlo con quanta tranquillità la cosa richiedeva – che la sua amata secondogenita aveva preso a modello niente di meno che Shino Aburame.
Per carità, Hanabi si era sempre dimostrata degna della più profonda fiducia, era una ragazzina pienamente responsabile e cosciente, non aveva mai dato segno di quella stupidità caratterizzante gli adolescenti, così come, raggiunta la matura età, non aveva avuto la benché minima intenzione di recuperare quanto non fatto negli anni passati.
Certo, andare dietro ad un uomo sposato, con tre figlie, che amava coprirsi d’insetti da capo a piedi nel momento della battaglia non era visto di buon occhio dal padre integerrimo, proprio per nulla.
Hiashi non aveva mai provato emozioni tanto forti come in quell’ultimo periodo.
-Hanabi, figlia mia… perché non ricerchi una guida degna in Naruto, il nostro nuovo Hokage? Dopotutto, egli stesso è stato a suo tempo allievo del grande Jiraya, riusciresti sicuramente a diventare grande…-
La fanciulla, ventunenne nel pieno della propria giovinezza, lo guardava con i suoi grandi occhi bianchi per qualche secondo, prima di sbottare, estremamente scocciata da quella parvenza di falsità che ogni santa volta velava le parole del padre d’insopportabile ipocrisia.
-Padre, il marito di mia sorella ora ha due marmocchi a cui badare oltre che l’intero Villaggio. Certo non mi metterò a occupargli la mente con altro!-
Ma il padre non demordeva, non così velocemente.
-Anche il signor Aburame ha tre figlie a cui badare, e certamente il suo lavoro da Anbu non gli renderà più semplici le cose…-
Così come il padre anche Hanabi dava, sempre, prova di grandissima testardaggine.
-Sicuramente è meno impegnato del signor Hokage dal momento che mi ha accettato come allieva!-
A questo punto, come era consuetudine da qualche tempo, le urla cominciavano a fioccare impietose da una parte all’altra dell’abitazione, facendo sorridere ogni tanto le donne della Casa, così abituate a quel silenzio tetro tanto simile alla morte che pareva un sollievo tutta quella vitalità gratuita.
Ogni tanto, si poteva sentire la signora Hyuuga sospirare soddisfatta, e continuare come se nulla fosse la sua cerimonia del tè.

-Per quale assurdo motivo dovrei smettere di frequentare casa Aburame?-
Hanabi era molto spesso di malumore specialmente di Lunedì, dopo aver passato l’intero week end a casa propria, lontano dagli allenamenti e dal suo amatissimo maestro.
Sbuffava di continuo, era irascibile persino con Shino, anche se, a dir la verità, bastava che questi alzasse appena il sopracciglio destro perché lei tornasse al suo bravo posto.
In compenso, Miyako e Karura si divertivano un mondo ad ascoltarla mentre si lamentava con loro. Il lavoro ingrato della babysitter le toccava sempre e comunque, qualsiasi cosa avesse fatto durante il giorno.
-Cos’ha questa casa che le altre non hanno?-
E ogni tanto, malignamente, si divertivano anche a commentare quanto la poverina frustrata soffrisse.
-Forse una quantità industriale d’insetti e altri esseri tanto simpatici…-
Hanabi, ogni volta, sembrava non ascoltare minimamente le due, continuando i suoi monologhi. Per l’esattezza, in quel momento stava cambiando il pannolino a Midori, che la guardava tutta seria, come a prestarle attenzione.
A lei Hanabi si rivolgeva.
-Non capisco seriamente cos’ha mio padre col fatto che io venga qui ogni giorno! Mi alleno, no? Mi esercito per il mio compito di ninja! Cosa vuole di più?-
Le gambe di Midori vennero alzate con una certa stizza, il pannolino aperto levato prontamente.
Nell’aria, un commento sghignazzato.
-Magari a donargli la Luna è più contento…-
La bimba venne portata al lavandino, perché Hanabi la potesse lavare con cura. Così come la Hyuuga parlava, la piccola Aburame continuava nel suo silenzio tombale, gli occhietti lucidi attentissimi.
-Sul serio, non capisco! Sto facendo di tutto perché sia fiero di me! Almeno mi lasci scegliere il maestro che desidero io! Cosa gli cambia se preferisco Shino a quella piattola mortale che è Naruto?-
Midori scosse la testa, sbuffando a sua volta, come a voler dar segno di aver perfettamente inteso cosa l’altra le stesse dicendo. Le sorelle trattennero a stento le risa che sgorgavano dalle loro gole.
Hanabi riportò la piccola sul fasciatoio, e la guardò in viso.
-Quando fa così proprio non lo sopporto! Davvero, non lo sopporto!-
Midori agitò le manine, per venirle incontro; lo sguardo, ormai, era truce almeno quanto quello dell’altra.
Preso il borotalco, Hanabi lo spruzzò un poco sulla pelle della bambina, continuandole a parlare, imperterrita.
-Vorrei strangolarlo con le mie mani alcune volte, lo giuro!-
Il fatto che le due altre avesse smesso di sghignazzare avrebbe dovuto metterla sull’attenti, ma da questo episodio Shino capì fin troppo chiaramente quanto i suoi allenamenti avessero peccato in quell’aspetto.
Truce, decisamente più truce della sua bambina, avanzò nel bagno. E a quel punto anche Hanabi lo vide.
Il suo viso si illuminò totalmente, il pensiero dell’odiato padre si volatilizzò subito.
-Salve, signor Aburame…-
Shino indicò, impietosamente, la sua ultima figlia.
-Ora so cosa dire a Temari quando mi chiede chi le insegna a sbuffare così bene…-

Uno dei più grandi shock della vita del povero Shino Aburame fu quando, inconsapevolmente, come un fulmine a ciel sereno, gli venne in mente che le sue figlie avevano anche una sessualità.
In specie, gli venne in mente quando vide la sua primogenita, Miyako Aburame, sei anni da poco compiuti, baciare sulla guancia un suo compagno di classe. Per la precisione, uno dei piccoli Inuzuka.
Gli mancò un battito, a dir poco, e per quanto la sua pelle fosse già pallida in quel momento divenne cadaverica, tanto che persino la bimba, uscita da scuola e venuta a lui incontro, quando lo vide così si preoccupò non poco.
-Papà… stai bene?-
Shino la guardò, decisamente spiazzato. Se avesse parlato certamente un rantolo sarebbe uscito dalla sua bocca, per cui preferì prenderle semplicemente la mano e dirigersi verso casa sua.
Una volta lasciata la sua manina - che la bimba andasse con giusta ragione a ruzzolare nel fango assieme alle sue sorelline – lui si precipitò dalla moglie e, trovandola affaccendata nel preparare la cena, gesticolò come un forsennato sulla soglia della porta senza dire nulla.
Temari lo vide, bloccandosi lì dov’era; sospirando, si rilassò.
-C’è di nuovo un gatto sul tetto, tesoro?-
Shino aveva terrore dei felini, ma certo in quel momento all’uomo non importava un fico secco.
Farfugliò, cercando in un qualche modo strano di contenersi, abbassando le braccia lungo i fianchi.
-Nostra figlia… nostra… figlia…-
Temari si avvicinò all’uomo, asciugandosi le mani sporche nel grembiulino rosa che aveva allacciato in vita.
-Quale, amore?-
L’Aburame non si rilassò all’innocente domanda, anzi, sembrò davvero che la sua ansia ne accrebbe ancora di più.
-Miyako… Miyako, nostra figlia…-
Temari ancora non capiva, e man mano si avvicinava al suo uomo tanto più questi sembrava preso da una strada agitazione.
-Nostra figlia Miyako cosa, amore?-
Non che si divertisse, a suo modo, nel vederlo così oscenamente diverso dal solito – altre volte aveva visto il suo viso alterato da ben più piacevoli cause – certo, il fatto che non volesse dar termine a quella tortura sottile la dipinse come creatura sadica e piuttosto impietosa.
Ma, così come del gatto, nemmeno questo particolare interessava a Shino Aburame.
-Miyako… bacio… il piccolo Inuzuka…-
Oh, la donna cominciava a capire. Miyako s’era fatta scoprire dal padre.
Sorrise, affabile, prendendo una sedia e offrendola al marito perché si sedesse.
-Amore, finalmente te ne sei reso conto anche tu…-
E qui, se era possibile, Shino divenne ancora più bianco, paralizzandosi all’istante.
-Perché, tu lo sapevi?-
Temari sorrise, mentre con un gesto piuttosto eloquente ordinava al marito di sedersi.
Quando il sedere di questo raggiunse il cuscino morbido della sedia, Temari cominciò a massaggiargli le spalle; sentiva la tensione dell’Aburame tutta annidata lì, nei muscoli contratti.
Povero tesoro…
Temari baciò Shino sulla guancia, prima che questi si inclinasse pericolosamente di lato e la guardasse stravolto. La donna sbuffò, ora scocciata.
-Senti un po’, signor Aburame! Tua figlia ha i suoi bei sei anni, ormai! E’ normale che lei provi le prime cotte della sua vita, accidenti!-
Shino stava per replicare qualcosa, ma Temari fu più lesta di lui.
-E no, tu non eri normale quando non le provavi alla sua età! Te lo posso assicurare!-
L’uomo la fissò a lungo, prima di proferir verbo ancora. Timidamente, è vero, quasi avesse timore della risposta in sé, ma ci riuscì lo stesso.
-Ma lo picchiava, quel bambino…-
Vide comparire un sorriso sornione sul viso di Temari.
-Vuoi scommettere che io e te assisteremo alle nozze di quei due? Non è per dire, Shino, ma è normale che una bimba come Miyako interpreti la parola “relazione” come un menarsi continuamente con la gente che le interessa!-
Shino ancora non capiva, ma ci rinunciò molto volentieri a quel punto.
Tornò ritto, fissando un attimo il vuoto.
Per un solo attimo, l’immagine di una Temari- Miyako attraversò la sua mente, facendogli curvare leggermente la curva delle labbra all’insù. Poi, si ricordò di una cosa.
Si alzò in fretta e furia, dirigendosi velocemente alla porta dell’ingresso, così velocemente che Temari ebbe paura di quello che andava a fare.
-Amore, dove stai andando?-
Lui si voltò appena a guardarla, col fare più serio che gli era possibile.
-A trattare sul cognome dei bimbi che la mia Miyako e il piccolo Inuzuka avranno. Kiba deve sapere che saranno Aburame!-
Si, la tentazione di fermarlo era veramente forte a quel punto, ma il pensiero di fare da spettatrice a quella che sarebbe stata la scena più esilarante degli ultimi sei anni fece desistere la donna.
-Aspetta! Vengo anche io!-





No, non è come pensate. Hanabi NON è ooc. Semplicemente spiegherò nel prossimo capitolo perchè sta così dietro a Shino.
Si, avete capito bene. Ci sarà un altro capitolo ^^ sorpresina **
Detto questo, mi scuso d'avervi fatto attendere così tanto. Ho fatto tante altre cose nel frattempo, e l'ispirazione per questa ff è calata nel tempo per poi riaffiorare ultimamente **
Spero possiate perdonarmi <3
ordunque, arrivederci al prossimo capitolo ^^
Ciao ciao

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