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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Harry Potter e la pietra della sfiga *** Capitolo 2: *** Le 16 regole di Huckleberry Finn *** Capitolo 3: *** Romeo e il box doccia #3 *** Capitolo 4: *** The Hunger Shots *** Capitolo 5: *** La Divina Bettina *** Capitolo 6: *** I promessi triplo Axel, quadruplo Toe Loop e doppio Salchow *** Capitolo 7: *** Sogno di una notte di Battaglia Navale *** Capitolo 8: *** Il Giardino delle Mercedes e degli Ex *** Capitolo 9: *** Il Mercante di Giochi di Parole *** Capitolo 10: *** The Panino al Prosciutto Tales *** Capitolo 11: *** Il Codice Proverbi *** Capitolo 12: *** The Tell-Tale Casa Hickey ***
Capitolo 1 *** Harry Potter e la pietra della sfiga ***
Swimming tale cap.1
SWIMMING TALE
CAPITOLO UNO
“Harry Potter e la
pietra della sfiga”
Io non so se qualcuno di voi
abbia mai sperimentato sulla sua pelle il vero significato di
“sfiga”.
Sì, la sfiga, quella che ci
vede benissimo e che colpisce nei momenti meno opportuni. Quella che
ti fa fare le esposizioni di francese come madrelingua a casa e che
poi davanti al professore ti fa sembrare un egiziano che ostenta
l'armeno antico. Quella che tua mamma dice che a cena ci sarà la
pizza e poi ti fa trovare una terrina megalitica di insalata. Quella
che ti fa scaricare il cellulare proprio quando ti schianti nel fosso
con la macchina e c'è talmente buio che non sai se avresti bisogno
di una torcia o di chiamare qualcuno, ma in ogni caso il telefono è
fuori gioco perciò il problema non sussiste nemmeno. Quella che,
quando non hai studiato un argomento, puoi stare certo che sarà
materia d'esame. Quella che guardi le previsioni del tempo e constati
felicemente che non avrai bisogno dell'ombrello e il giorno dopo
scende un diluvio che perfino Noè farebbe fatica a gestire con la
sua barca.
Ecco, io sto parlando di quella sfiga che mi
perseguita da quando ho ben quattordici anni, il che la rende la mia
compagna di vita da ben quattro lunghi anni ormai. Pappa e ciccia,
culo e camicia, chiamateci come volete. La sfiga mi ama.
La mia
sfiga, tuttavia, in molte occasione ha avuto un nome ben definito. Un
tatuaggio che non se n'è mai andato e che continua a perseguitarmi
da quando ne ho memoria. Anche adesso, la mia sfiga sta tornando a
salutarmi dopo un periodo fin troppo lungo di tranquillità.
La
mia prima sfiga è il mio nome, datomi da una madre filonipponica e
da un padre mangaka nonostante la loro nazionalità canadese. E' un
nome per il quale sono stato scambiato per una ragazza, deriso,
sbattuto contro gli armadietti da quelli che avevano sicuramente un
nome migliore, chiamato per quattro anni dai prof solo per il cognome
e costretto a cambiare nickname nelle chatroom per non essere preso
per i fondelli anche sul web - diventando qualcosa come
“boylovespizza” o “hifefe127”. Sì, sono nato il dodici
luglio. Perché “Hifefe”? Adesso lo capirete. Non ridete, vi
prego. E' già abbastanza imbarazzante quando prenoto il tavolo a
nome mio e il cameriere mi chiede se ne sono sicuro.
Himeragi è
il mio nome, è ovvio che ne sia sicuro, accidenti a voi camerieri
scortesi. Chi mai si chiamerebbe così di sua volontà, in Canada?
Che poi, più che di Canada dovrei parlare di America dato che ci
vivo praticamente da quando sono nato. Il mio cognome, Fenwick,
sebbene ancora abbastanza ridicolo è comunque più accettabile.
Himeragi Fenwick, bella accoppiata, no?
Non bastava che mi
avessero fatto simile a Riccioli d'Oro, dovevo anche avere un nome
giapponese. Se non fosse per i miei tratti mascolini del viso -
almeno quello, grazie a Dio - con i miei capelli biondi e gli occhi
verdi mi scambierebbero sicuramente per una principessa nipponica dei
manga. Ed è molto, molto triste per un ragazzo di diciotto anni come
me, credetemi.
La mia seconda sfiga, ora, ha un nome e un
cognome.
Quando c'è questa sfiga, tutto va storto. In sua
assenza, tutto va bene.
Ricordo quando un mese fa mi è stato
comunicato il suo ritorno. Eravamo tutti in piscina, come al solito,
e il rettore Muller è venuto a dirci che avremmo dovuto ospitare la
squadra di New York per qualche tempo in quanto la piscina più
vicina con possibilità di alloggio era la nostra.
Ora, perché
sto parlando di piscina? Sono un mezzo pesce?
No, certo che no,
grazie al cielo. Penso che sarebbe stato veramente il colmo e
qualsiasi essere umano si sarebbe messo a ridere, facendo di me un
film dal titolo “Riccioli d'Oro versione manga marino”.
Al
cinema prossimamente.
Tornando a noi, parlo di “piscina”
perché l'unica mia fortuna nella vita è il nuoto. Anzi, più
propriamente il nuoto è la mia vita. Lo pratico da quando ho
quattro anni e dopo aver fatto parte della squadra di nuoto per i
quattro anni di liceo ora ne sono istruttore insieme agli altri tre
membri del mio team. Abbiamo gareggiato sempre insieme e per questo
motivo, una volta diplomati, è stato offerto a tutti e quattro la
possibilità di prendere in mano le redini della nuova squadra. Le
mie vacanze post-maturità sono quindi durate poco meno di due mesi
dal momento che, prima di settembre, ho affrontato un corso per
istruttori che mi iniziasse al mio nuovo lavoro. Non mi lamento, qui
non ci sono sfighe in mezzo. O perlomeno, non c'erano finché non mi
è stato comunicato il suo ritorno.
Lui e quegli altri tre
assurdi energumeni della sua squadra titolare del cazzo.
Sapete
cos'ha lui che non va? La differenza sostanziale che ci divide è
sempre stata la voglia di farsi notare.
Lui: la mia sfiga, il mio
tatuaggio.
Kyle Adair.
In soli due anni mi ha sconvolto la
vita, dando inizio a tutta la serie di sfighe che mi hanno
accompagnato nella mia crescita. Se ve lo stavate chiedendo: sì,
quelle sopracitate sono state tutte esperienze personali. Compreso il
fosso.
E' per questo che mi sono sentito male quando ho saputo
del suo arrivo nella mia piscina, perché implica la nostra stretta
convivenza dopo tutti gli sforzi che ho fatto per cercare di
dimenticarmi di lui. Lui e quell'aria da strafottente che ha sempre
avuto, con i suoi capelli scuri e gli occhi più neri della pece.
La
nostra storia, se devo dirla tutta, è nata proprio da qui. Dai suoi
occhi che, dopo aver incrociato i miei per la prima volta, hanno
deciso che sarei stato un ottimo bersaglio per angherie varie.
Esatto, gente: Kyle Adair era il mio bullo personale, assunto e
patentato!
Ricordo come ieri il nostro primo incontro e ancora
sento la paura che scorreva nelle mie vene da Riccioli d'Oro.
L'inizio delle sfighe.
Stavo camminando per i
corridoi dell'infinito Andrew College, avevo come sempre gli occhiali
calati sul naso e una serie di libri sotto il mio braccio che, se
passavo davanti al mio zaino, questo mi guardava e mi chiedeva perché
l'avevo comprato. Erano passate appena tre settimane dall'inizio del
mio primo anno, il giorno prima erano state fatte le selezioni per la
squadra di nuoto e io ero passato, classificandomi col tempo migliore
in dorso. Al tempo non conoscevo nemmeno il suo nome, ma anche lui
era passato grazie ad un buon tempo in dorso, stracciato però dal
sottoscritto. Credete che questa cosa gli sia mai andata giù? Be',
se lo pensate vi sbagliate di grosso. Credo che ancora oggi, a
distanza di quattro anni e lui a capo della squadra più famosa di
New York, non gli sia andata giù. Ricordo che sul calendario appeso
in camera sua aveva segnato quel giorno come “Il giorno in cui
l'anguilla mi ha stracciato. Ps. Devo fargliela pagare”. Come so
che l'aveva scritto sul suo calendario? Perché mi aveva chiamato
“anguilla”?
Lo scoprirete presto, tranquilli. Questo è solo
l'incipit di tutto quanto.
Ad ogni modo, stavo camminando con i
miei bellissimi occhiali da vista neri che più che aiutarmi mi
impedivano di schivare ostacoli come bottigliette lasciate per terra
e fogli caduti da quanto erano sporchi di ditate quando una spallata
mi fece schiantare contro un armadietto, spalmandomici addosso come
se fosse stato pane e io Nutella. Peccato che nessuno mangerebbe
armadietto e Himeragi. Tra l'altro non mi passò nemmeno per la testa
di protestare dal momento che di spallate ne ricevevo talmente tante
da essere arrivato ad ordinarmi una corazza da football su Amazon, ma
la storia divenne un po' più brutta quando un ragazzo mi si parò
davanti bloccandomi ogni via di fuga. E lo faceva apposta, eccome se
lo faceva apposta! In quel momento non mi resi nemmeno conto che
quell'energumeno era il principio delle mie infinite sfighe, e
cominciò tutto con un suo sorrisetto e le sue prime parole.
–
Tu sei un'anguilla del cazzo.
Linguaggio forte per un tenero
quattordicenne, no?
– Prego? – chiesi quindi guardandolo dal
basso dei miei occhiali. Il giorno prima non l'avevo ben inquadrato
essendo comunque preso dalle selezioni, ma mi bastò solo quel
momento per capire con chi avevo a che fare. Non aveva l'aria di
essere amichevole e mi teneva attaccato all'armadietto come se avesse
l'intenzione non dichiarata di asfissiarmi, non si preoccupava
nemmeno di essere visto dagli altri perché sapeva di essere temuto e
se avesse potuto sono sicuro che mi avrebbe preso per il colletto
della maglietta.
– Come hai fatto, ieri? – mi domandò
guardandomi dritto negli occhi con una sorta di ironica cattiveria.
Sapete perché era ironica? Perché a quel tempo avevo talmente tanta
paura che a ripensarci mi viene da ridere. Giuro, stavo morendo di
paura quando quello lì era nei dintorni. Mi perseguitava peggio del
Babau con i bambini.
– A fare? – chiesi a mia volta con la
profondissima voce da non ancora quattordicenne, stridula e
simile al lamento di un qualche animaletto morente.
L'allora
sconosciuto digrignò i denti in segno di maschia spavalderia,
godendosi quel suo attimo di gloria su un piccolo freshman che non
sapeva nemmeno di stare al mondo: – A battermi. – confessò alla
fine, visibilmente irritato.
Io non seppi nemmeno cosa
dire dal momento che non mi ricordavo nemmeno il suo nome, il suo
tempo era stato comunque superato anche da altri quindi non mi
rendevo conto del perché ce l'avesse esclusivamente con lo
sfigatissimo sottoscritto: – Non sono stato l'unico. – fu la mia
intelligente risposta che mi costò un'ancora più asfissiante
riduzione di spazio tra me e il mio aggressore.
– Ma sei così... – Mi
squadrò schifato da capo a piedi, concludendo con un'odiosissima
ditata sulle mie lenti perfette. – …Piccolo.
– Credo di
avere la tua stessa età dal momento che abbiamo fatto le selezioni
insieme. – incalzai cercando di fare il duro quando in realtà
avrei voluto gridare come una femminuccia spaventata da un topo. –
E nel nuoto questo non conta. Nemmeno la statura.
Lo stalker mi
soffiò fastidiosamente sul naso, concludendo con un insulso
sorrisetto che sono sicuro non abbia mai cercato di migliorare: –
Ma la struttura dovrebbe contare qualcosa. Sei alto appena un metro e
sessantacinque e mi hai battuto.
– Anche altri lo hanno fatto.
– gli ricordai non proprio gentilmente, iniziando a guardare oltre
le sue spalle se riuscissi a scorgere un aiuto. Ovviamente, tutti
tranquilli per la propria strada e nessuno prestava attenzione ad un
piccolo insignificante ragazzo del primo anno che stava per essere
schiacciato fa un altro non proprio piccolo insignificante ragazzo
del primo anno.
– Ma gli altri erano come me. – ribatté
allora l'energumeno, sbuffando come se la colpa della sua irritazione
fossi io. Cosa stavo facendo di male, no? Oltre a respirare e
camminare non stavo facendo niente di ambiguo fino a quel momento. –
Tu no. Tu sei piccolo.
“E 'sti cazzi” avrei dovuto
rispondergli se a quell'epoca avessi usato brutte parole, ma ero una
sottospecie di santo e quindi non mi feci prendere dalle mie crisi di
“accipicchia” e “cavolaccio”. Che colpe avevo io se ero alto
un metro e sessantaquattro virgola due a tredici anni e tre quarti?
–
Non conta. – ribadii quindi, deglutendo così tanto rumorosamente
da provocare una sua risatina. Tra l'altro non mi staccava mai quei
dannati occhi neri da dosso, quelle pozze di pece continuavano a
saettare continuamente su di me creandomi una sorta di inverosimile
imbarazzo.
– Allora cosa conta? Cos'ho sbagliato per meritarmi
una simile umiliazione?
Cercai di sostenere il suo sguardo quasi
sconvolto per qualche secondo, ma l'impresa si rivelò vana e riuscii
solo a spiaccicare i miei occhi sulle sue Converse nere: –
L'esperienza. – dissi sottovoce. – E la tua natura. Dipende se
hai forza nelle gambe o nelle braccia.
– Faccio nuoto da otto
mesi. – bofonchiò lui allora, roteando teatralmente gli occhi al
cielo (cosa che sono sicuro faccia tutt'ora). – Da quanto mai
potresti farlo tu, per essere un'anguilla del genere?
Feci
spallucce, riprovando a guardarlo negli occhi. Questa volta ci
riuscii: – Quasi dieci anni.
– Tsk. – Si allontanò
finalmente da me, ridacchiando tra sé e sé. – Non mi batterai di
nuovo, Anguilla.
– Non ho fatto le selezioni per battere
qualcuno. – sbottai, irritato ma sempre intimorito come la capretta
di Heidi quando c'era il cane Nebbia di mezzo. – Volevo solo poter
nuotare anche a scuola.
– Non ti ho chiesto informazioni. –
mi interruppe, sorridendo malignamente. Se a quel tempo pensavo di
essere etero stavo probabilmente già cominciando a cambiare idea con
quei suoi sorrisetti dell'accidenti. – Ricordati di me, Anguilla.
Perché mangerai la mia polvere.
– Schiuma. – lo corressi,
sorprendendomi di me stesso per essere riuscito a dire la cretinata
più grande in un momento come quello. Se avessi potuto mi sarei
stretto la mano da solo anche a costo di sembrare ancora più scemo
di quanto già sembrassi.
Anche il mio aggressore fece un sorriso
tirato, squadrandomi poi dall'alto in basso: – Il tuo nome,
Anguilla?
– Lascia perdere. – alzai le mani all'aria,
sconfortato da quella stupida domanda.
– “Lascia perdere”? –
ripeté, fintamente sconvolto. – Sono io che dico a te cosa fare.
Dimmi il tuo nome.
Scossi la testa più forte che potevo,
stringendo forte i libri al petto. Per un po' non sentii più nulla,
ma poi un sibilo arrivò chiaro al mio orecchio: – Himeragi
Fenwick.
Così riaprii gli occhi di scatto, fissando il sorriso
compiaciuto del ragazzo mentre io, in tutta la mia stupidità, avevo
dimenticato di aver scritto il mio nome sulla copertina di ogni libro
solo come un perfetto nerd potrebbe fare. Stavo per dirgli di non
dirlo a nessuno quando lui tese improvvisamente la mano in avanti e
io, credendo che volesse colpirmi, girai il viso di lato come un
deficiente e serrai gli occhi. Sentendo che il colpo però non
arrivava lentamente rialzai le palpebre, trovando solo lo sguardo
divertito del moro e la sua mano tesa per stringere la mia. Dapprima
lo guardai timoroso, confuso da questa sua improvvisa mossa di
cortesia, ma lasciai perdere i pregiudizi per un secondo e portai la
mia mano a completare la stretta.
– Kyle Adair. – sorrise
lui, compiaciuto. – Credo che avremo tante occasioni per conoscerci
meglio, Anguilla. Stammi bene.
E così dicendo se ne andò,
lasciandomi in preda ai dubbi e alla fatidica domanda “che
cavolaccio è appena successo?”. Non avevo minimamente idea del
fatto che quell'incontro avrebbe cambiato la mia intera vita,
partendo dal fatto di avere inconsciamente assunto il mio bullo
personale e di aver firmato il mio contratto di morte. Perché sì,
da due mesi a quella parte di Kyle Adair se ne sarebbe sentito
parlare parecchio.
– Terra chiama Anguilla!
Sposto gli
occhi sul ragazzino che mi ha appena chiamato, rischiando di finire
gambe all'aria a causa dell'acqua dove invece dovrebbe essere
asciutto con un salto triplo carpiato. Dove sono i giudici quando
servono?
– Dimmi, Xavier. – borbotto cercando di ristabilire
l'equilibrio, tenendo stretto al petto la mia cartella dove annoto
sempre i tempi dei ragazzi.
Il rosso trova appiglio al bordo
della piscina, sfilandosi la cuffia con fare teatrale: – Percy ti
cercava, prima.
Gli lancio uno sguardo di rimprovero per essersi
tolto la cuffia prima di essere uscito, ma ormai anche lui sa che non
mi arrabbio quasi mai. Vedete? Nessuno mi prende mai sul serio,
nemmeno ora che sono istruttore e ho raggiunto la maggiore età. Una
triste storia è la mia vita, ecco cosa.
– Grazie per
l'informazione. – Gli faccio un cenno col capo, indicando le sue
tre compagne. – Fate una staffetta intanto. Iris terrà il tempo.
– Oh, andiamo! – Il rosso mi schizza facendo scivolare la
mano sulla superficie dell'acqua, sorridendo poi colpevole. – Non
avevamo finito per oggi?
Ecco, ora decidono pure i loro
allenamenti!
Capite perché non c'è più religione nella mia
vita? Kyle sta per tornare, i miei allievi decidono per conto loro
quando uscire dall'acqua, i miei compagni mi chiamano e io non sento
e tutto il resto a puttane!
– Avevate. – confermo
quindi con un sorrisetto scocciato. – Ma tu ti sei tolto la cuffia
prima di uscire, Sapphire sta messaggiando invece di nuotare, Marley
sta giocando con i tubi di spugna che dovrebbero usare i bambini e
Tammie è l'unica che sta lavorando. Per questo pagate tutti, così
imparate bene cos'è lo spirito di squadra.
– Ma... Loro sono
femmine!
– Questo lo vedo anch'io. – puntualizzo con una
smorfia ovvia. – Anche tu hai fatto una cosa che non dovevi, quindi
ora vai alla corsia tre e fai la staffetta con le tue compagne.
Forza.
Xavier mi guarda male, sa che non sono veramente
arrabbiato ma si infila alla rinfusa di nuovo la cuffia e passa i
galleggianti che dividono le corsie, raggiungendo la meta senza più
rivolgermi la parola. Sebbene siano solo due mesi che lavoro con
questa squadra titolare devo dire che mi trovo incredibilmente bene
nonostante siano solo in quattro dei quali c'è solo un maschio,
insieme lavorano bene e ognuno di loro si trova bene particolarmente
con uno di noi, come se fossimo stati accoppiati - nel senso buono
della parola - dal destino che ha deciso di piazzare noi come
istruttori e loro come allievi. E' bastato molto poco perché io e
Xavier ci trovassimo in sintonia, lo considero un buon amico oltre
che un ottimo allievo e un buon nuotatore. Se non altro, è stato
l'unico a evitare di dirmi “te l'avevo detto” quando io e Iris ci
lasciammo, mentre tutti gli altri non fecero altro che infierire.
So
cosa vi state chiedendo.
Ma questo qui è gay o no?
Ebbene, non
lo so nemmeno io. L'unico ragazzo per cui io abbia mai provato
veramente qualcosa - che fosse odio o amore devo ancora stabilirlo -
è stato sicuramente Kyle, ma dopo di lui ho comunque avuto una
relazione con una mia compagna di squadra, quindi la situazione è
abbastanza confusa. E questo è senza dubbio uno dei punti che mi
spaventano di più in merito al ritorno della mia grande sfiga, è
una questione talmente delicata che più cerco di non pensarci e più
essa mi ritorna in testa.
– Hime! – Una maglietta piegata mi
si spiaccica in faccia, salvandomi dalla cascata di ricci scuri della
mia migliore amica che puntualmente mi prendono in faccia. – Sei
sempre in ritardo! E tra le nuvole, tra l'altro!
Mi levo
riluttante la maglietta dal viso, riponendola poi sulla scrivania su
cui brilla la targhetta con su scritto “Persephone Cavendish”,
per gli amici Percy.
– Chiedo venia. – mormoro ironicamente,
sedendomi sulla sua cattedra. – Xavier mi ha detto che mi cercavi.
Percy mi lancia un'occhiataccia con i suoi occhi color smeraldo,
agitando quella chioma indefinita di ricci che si ritrova in testa: –
Ti ho chiamato per mezz'ora ma stavi fissando l'acqua come se avessi
trovato il segreto di Fatima.
Alzo le spalle, se le dicessi che
stavo pensando a Kyle finirebbe per tirarmi nuovamente addosso la
maglietta: – Può darsi. Ero assorto.
– Appunto. –
bofonchia lei gesticolando con le mani. – I ragazzi verranno giù
da New York stasera. Devi stare sul pezzo, intesi? Non ti possiamo
perdere. Xavier non ci ascolta se non ci sei tu.
– Percy. –
la chiamo, sorridendo. – Non preoccuparti, andrà tutto bene.
Abbiamo i provinciali alle porte, è ovvio che io sia concentrato. E
Xavier ascolta tutti, lo sai. Solo che magari poi non esegue.
Mi
rendo conto da solo di aver appena dato ragione a Percy che, fiera,
fa una smorfia da “e cos'ho appena detto io?”. In effetti, sto
sia uscendo di testa e sia ignorando bellamente le gare provinciali
con la questione che, stasera, il mio peggiore incubo farà ritorno
nella mia inutile vita.
Oggi è proprio una giornata
meravigliosa.
– Hick? – le chiedo, ripensando al fatto di non
averlo visto per tutta la giornata.
– Lui, è... – Percy
tentenna un attimo, guardando altrove con aria colpevole. Ecco, sta
per dirmi qualcosa che andrà a mio discapito, lo so già. – C'è
stato qualche problemino.
Voglio piangere.
– “Problemino”
su che scala? – le chiedo mugolando, spiccicandomi la mano sulla
fronte.
– E' tecnicamente colpa di Aydin quindi sta cercando
lui di sistemare, ma credo non ci sarà molto da fare...
Aydin
Hickey, uno degli umani peggiori sulla faccia della Terra ma uno dei
migliori quando si tratta dello stile rana. Ci conosciamo
praticamente dalla prima superiore ma nonostante ciò lui continua a
trovare ogni maniera possibile per farmi diventare precocemente
scemo, per quanto cerchi di aiutarmi finisce sempre per fare casini;
come in questo caso dove sono praticamente convinto del fatto che
c'entri qualcosa anche Kyle, giusto per aggravare un po' la già
disastrata situazione.
– Dimmelo e basta, Persephone. –
Quando la chiamo per nome intero sa che mi sto innervosendo e che è
meglio assecondarmi, quindi sospira e appoggia entrambe le mani sulla
scrivania, schiarendosi la voce per parlare.
Sento di poter
svenire da un momento all'altro per la cattiva notizia che so che
arriverà nei prossimi dieci secondi, ma veniamo interrotti dalla
voce della quarta componente della nostra squadra che, gridando
ancora prima di entrare, rivela tutta la sorpresa: – Percy! Hick mi
ha chiamata e mi ha detto che non è riuscito a fare niente, gli
alloggi non sono... – Iris spalanca così tranquillamente la porta,
sgranando gli occhi non appena mi vede. – …Sufficienti.
Percy
la guarda malissimo, concludendo con una scossa del capo: –
Esattamente questo.
– Di cosa state parlando? – domando
esasperato alle due ragazze, chiedendomi cosa mai sia andato storto
nella mia vita. Insomma, sono sempre stato un bravo ragazzo, perché
adesso mi si ritorce tutto contro? – E cosa c'entra Aydin in tutto
ciò?
Iris tossicchia leggermente, è in difficoltà ma sa che non
ha scelta: – Non ti devi arrabbiare, Hime.
– Lo sai già che
lo farò. – borbotto, sentendo i nervi a fior di pelle. – Ditemi
e basta quello che ha combinato quell'altro cretino.
– Ehi! –
Ed ecco che spunta dalla porta anche Aydin che, con i capelli castani
bagnati, gli occhi azzurri che implorano pietà e i vestiti fradici
si appresta a noi con la coda tra le gambe. – Uno, non sono un
cretino. O se lo sono, solo in piccola parte. Due, non l'ho fatto
apposta. Tre, sono appena caduto in acqua quindi sono abbastanza
sconvolto.
– Ma se ci passi la tua vita in acqua! – lo
rimprovero, dandogli un leggero schiaffo sulla nuca.
– Sì, ma
non ci cado dentro perché non vedo una dannata tavoletta e scivolo!
E' venuta Tammie a darmi una mano. Tammie! Che è la più piccola del
gruppo! – Hick afferra la maglietta che è stata precedentemente
usata come arma contro di me e si asciuga il viso, sputacchiando
acqua subito dopo. Che visione celestiale. – Comunque, ho provato a
chiamare il direttore, ma non risponde. Non c'è niente da fare.
I
tre dell'Ave Maria si scambiano uno sguardo sconsolato, scuotendo la
testa in contemporanea e sospirando come se fosse morto qualcuno. Chi
è l'unico a non sapere nulla? Ma sono io, ovviamente! Quale
onore!
Prendo così un respiro, mettendomi a urlare come un
disperato: – Qualcuno mi dica che cazzo sta succedendo!
Iris si
avvicina a me, posa la mano sulla mia spalla e mi comunica la
catastrofe senza giri di parole.
Iris Rooney: capelli biondi
tenuti da sempre all'altezza delle spalle, occhi castani e un sorriso
determinato. Lei è così: non ha mai amato i giri di parole. E' una
caratteristica che condivide con Kyle e probabilmente è per questo
motivo che, dopo la partenza del mio incubo, ho creduto di essere
innamorato di lei e abbiamo deciso di provare a stare insieme. La
cosa è riuscita a reggere per quasi un anno e mezzo, ma alla fine
era palese che non c'era molto altro al di fuori dell'amicizia che
c'era sempre stata e dello spirito da compagni di squadra. Certo,
all'inizio è stato parecchio imbarazzante ricominciare ad allenarci
insieme, ma col tempo si è sistemato tutto. Del resto, una squadra
funziona solo se tutti gli ingranaggi girano nel verso giusto. Per
questo motivo sono sicuro che non ci potesse essere persona migliore
per comunicarmi questa catastrofica notizia. Spero solo di avere
abbastanza rosari in casa per pregare.
– Ehi,
Anguilla!
Mi giro di scatto verso il ragazzino rosso che, con i
capelli ancora bagnati, esce dallo stabilimento e corre verso la mia
macchina. Mi sa che sto per diventare un servizio taxi.
– Mi dai
uno strappo a casa?
Appunto. Questa cosa sta diventando
decisamente troppo frequente.
Sblocco così le portiere della
macchina, facendogli cenno con la testa: – Salta su.
–
Grazie! – Con tutta la grazia del mondo scaraventa la sua borsa sui
sedili posteriori, sedendosi poi stendendo le gambe sopra il box
dell'airbag. Mi chiedo se voglia un caffè irlandese o un the inglese
con i biscotti, a questo punto.
– Fa' pure. – borbotto
ironicamente, scuotendo la testa mentre ingrano la prima e mi
allontano dal parcheggio riservato agli istruttori. – Quante volte
ti ho detto di asciugarti i capelli prima di uscire dalla piscina?
–
Dovremmo essere a ventisette, se non erro. – ribatte il ragazzino,
fiero della sua prontezza nelle risposte.
E' sempre così, riesce
a rispondere indietro con una facilità tale che se io l'avessi fatto
alla sua età probabilmente mia madre mi avrebbe fatto diventare
parte dell'arredo. Quasi sicuramente un divano-letto, ha sempre detto
che ne avrebbe voluto uno.
– Lo dico per te. – continuo,
rendendomi conto di sembrare una madre iperprotettiva quando si
tratta di Xavier. – I provinciali sono alle porte e senza di te la
squadra non può farcela.
– Ci sono comunque i ragazzi del primo
e del secondo anno che potrebbero sostituirmi. Chi sostituisce te,
invece?
Ecco, ora si mette a fare il filosofo. Giuro che non
sopporto quando le persone mi fanno notare cose che magari sto
cercando con tutto me stesso di ignorare - ovvero quasi tutto ciò
che è presente a questo mondo.
– Cosa vorresti dire? – gli
chiedo guardandolo velocemente negli occhi per non rischiare di fare
un incidente. Ciclista schivato a ore dodici. Imprecazione arrivatami
contro a ore dodici e cinque.
Xavier si mette seduto composto,
abbassando il volume della radio: – Ho sentito che parlavate,
stamattina. Kyle sta per tornare.
Annuisco, pentendomi di avergli
parlato di Kyle all'inizio del suo anno scolastico. Ci tengo però a
precisare che non l'avrei mai fatto se non fosse stato per i suoi
messaggi minatori che trovavo sul parabrezza della mia macchina ogni
sera, frasi del tipo “so cosa nascondi” e “ti ho sentito
parlare oggi con gli altri istruttori”. Una volta mi ha perfino
lasciato un messaggio con su scritto “capirò il tuo segreto” con
le lettere ritagliate da una rivista, capirete che gli ho dovuto
raccontare di Kyle perché non sapevo se ero più divertito o
impietosito dalla sua originalità.
– Non è comunque un affare
che ti riguarda. – concludo, portandomi la mano al cuore dopo aver
quasi investito il secondo ciclista. Devo andare assolutamente a
cambiare le lenti dei miei occhiali. – Non è stata una delle mie
giornate migliori e sembra che non migliorerà, quindi ti prego di
non infierire.
– Sai che non mi piace inferire. – borbotta il
rosso alzando le spalle, puntando lo sguardo fuori dal finestrino
tanto per rendere tutto un po' più drammatico. – Dico solo che
anche la tua squadra ha bisogno di te. Non andare via di testa.
Sorrido leggermente per il tono da imbronciato che Xavier ha
appena usato, so che tiene a me come io tengo a lui e so che è
consapevole del fatto che con la presenza di Kyle io potrei perdermi
di nuovo nell'abisso di “accipicchia” e “cavolaccio” che a
questo giro potrebbero diventare “santa merda” e “uccidetemi
ora”.
– Ti ringrazio. – Parcheggio la macchina fuori dal
cancello di casa sua, salutando sua madre che, alla finestra, agita
la mano verso di noi. – Farò del mio meglio. Tu impegnati ad
asciugarti i capelli prima di uscire, intesi?
Il rosso sorride
sornione, afferrando la borsa da dietro con la stessa grazia con cui
l'ha scaraventata e salutandomi portando l'indice e il medio alla
tempia, imitando il saluto militare.
Che ci posso fare? Questo
ragazzino è una forza della natura, non riuscirei a non andarci
d'accordo come invece fanno i miei colleghi senza problemi. Forse è
il fatto che comunque sapevo abbastanza bene chi fosse ancora prima
che diventassi il suo istruttore dal momento che faceva parte della
squadra di riserve durante gli ultimi miei due anni, anche se devo
ammettere che non provavo tutta questa grande simpatia per lui
durante gli allenamenti collettivi.
– Ci vediamo domani,
Anguilla! – grida dalla soglia, agitando la mano.
– A domani!
– ricambio sorridendogli, inserendo la marcia e allontanandomi
dalla casa.
Direzione: casa mia, poi piscina.
Cosa posso
fare io, piccolo abitante di Detroit, contro la corriera illuminata
che parcheggia davanti alla piscina?
Davanti a noi il rettore
Muller attende impaziente l'allenatore della NYC Swimming Team,
abbreviata in NYCST, per gli amici Nyst. Tra l'altro, James Harper è
un pluripremiato nuotatore che ha vinto diverse medaglie d'oro alle
provinciali e alle nazionali, perciò sono parecchio agitato all'idea
di dover condividere gli allenamenti miei e dei miei ragazzi con
questo grande mister della Nyst. Ovvio, l'ansia da allenatore-figo è
una bazzecola in confronto con l'ansia da
ritorno-del-mio-peggiore-incubo, ma non aiuta a sedare la mia
situazione già impanicata per conto suo.
– E' tutto pronto? –
mi chiede Aydin all'orecchio, avvicinandosi per non farsi sentire dal
rettore e da Iris e Percy.
Gli lancio l'occhiata più omicida
possibile, assomigliando per un attimo ad uno psicopatico in cerca di
piccole e dolci vittime: – Sì, per colpa tua.
– Ti ho già
chiesto scusa. – si difende lui, mortificato. – Sarà una bella
esperienza, vedrai.
– Ma vaffanculo. – sbotto, dandogli una
leggera spinta. Non capisco come il suo errore che alla fine si è
ritorto contro di me possa essere una bella esperienza considerando
che il deficiente che risponde al nome di Aydin ha sbagliato a
prenotare il numero di alloggi al dormitorio e che quindi è rimasto
fuori uno della Nyst - indovinate chi? Ma potrebbe essere solo lui,
signori e signore! E chi dovrà ospitarlo? Ovviamente lo sfigatissimo
sottoscritto!
– State buoni. – ci rimprovera il rettore,
guardandoci male. – Cerchiamo di non fare brutta impressione con
loro.
– Non per fare polemica – inizio, tossicchiando a bassa
voce. – Ma siamo un team di quattro allenatori diciottenni che
hanno appena finito i corsi perché nessuno si è preso la briga di
badare alla squadra di questa scuola, tra l'altro di appena quindici
membri. La brutta impressione la facciamo solo con la nostra
presentazione, signor Muller.
Il rettore annuisce, sconsolato: –
Lo so anch'io, Fenwick. Ma facciamo finta che non sia così, okay?
–
Facciamo finta di avere tanti iscritti? – chiede Iris, ironica.
–
Facciamo finta di avere un team professionale di allenatori? –
infierisce Percy, ridacchiando sotto i baffi.
– Facciamo finta
di avere una piscina attrezzata correttamente? – conclude Aydin,
dando il colpo di grazia al rettore.
Quest'ultimo, dopo aver
sospirato sonoramente e dopo aver trattenuto un sorriso - forse
dovuto alla disperazione, mentre si aprono le porte della corriera ci
guarda e scuote la testa: – Continuo a chiedermi chi me l'abbia
fatto fare di avervi assunti, razza di disgraziati.
Noi quattro
ci lanciamo uno sguardo d'intesa, ridendo leggermente per quanto la
situazione ce lo permetta. Nemmeno l'istante dopo i nuotatori della
Nyst cominciano a scendere placidamente dalla corriera, scherzando e
ridendo tra di loro. Col buio non riesco a distinguere Kyle, so che
c'è ma spero di non vederlo ancora per un po' per preservare la mia
sanità mentale. Hick cerca di sorridermi, parlando a bassa voce: –
Non preoccuparti, Hime. Andrà tutto bene.
Annuisco, intravedo
l'allenatore Harper scendere dalla corriera e sento la squadra -
composta ad occhio e croce da una trentina di ragazzi - farsi
silenziosa alle parole del loro istruttore che purtroppo non arrivano
a noi per la distanza.
– Merda. – riesco solo a mormorare
vedendo tutti loro marciare compatti verso di noi che, nella loro
attesa, cerchiamo di intravederli dalla cima alla gradinata che
divide la strada dall'entrata della piscina. Mi sento le gambe molli
e lo stomaco in fiamme, so che tra meno di dieci minuti sarò
rinchiuso nella stessa macchina e poi nella stessa casa con la mia
più grande sfiga, il mio peggiore incubo. Ripenso velocemente ai
miei ragazzi: Xavier, Tammie, Sapphire e Marley, loro che mi hanno
insegnato così tanto in così poco tempo e che mi hanno anche
aiutato a capire per cosa vale la pena essere davvero in pensiero.
Purtroppo, Kyle e i regionali rientrano completamente in questa lista
del cazzo.
– Signor Muller! – James Harper sale i gradini in
tutta la sua maestosità, la prima cosa di lui che risalta all'occhio
sono senza dubbio le spalle enormi e il viso ormai segnato dall'età.
Con un sorriso raggiante raggiunge tutti noi, stringendo
calorosamente la mano a Muller. – E' un piacere essere qui, non la
ringrazierò mai abbastanza!
– Si figuri! – è la diplomatica
risposta del nostro rettore che, a contrasto con Harper per la
pronunciata presenza di una pancia segnata dalle bevute di birre
fatte in gioventù, gli stringe a sua volta la mano con un sorriso
che credo di avergli visto fare solo alla cerimonia dei diplomi
quando si rendeva conto che non avrebbe più dovuto avere a che fare
con certi elementi. Si rivolge poi verso di noi, indicandoci con la
mano. – Mi permetta di presentarle i miei ragazzi.
– Oh! –
Harper ci guarda meravigliato. – Quando mi ha parlato di un team
esperto di allenatori pensavo si riferisse a professionisti. Quanti
bei giovanotti che abbiamo qui!
Non so se essere più irritato per
il fatto che Muller abbia mentito su di noi o per la frase da Galateo
elargita dall'allenatore della Nyst. In ogni caso ringrazio
mentalmente il fatto che parta da Iris a chiedere il nome, evitandomi
la figura di merda per primo.
– Iris Rooney. – mormora la
nostra nuotatrice a delfino, stringendo piano la mano di Harper col
fastidioso sottofondo di mormorii della squadra. Ecco, mi stanno già
sui coglioni.
Arriva poi il turno di Percy che, con un po' più
di enfasi, sorride scuotendo la folta chioma scura: – Persephone
Cavendish.
– Cavendish. – ripete Harper, pensieroso. –
Provieni dall'antica famiglia di duchi d'Inghilterra, giusto?
Io e
Hick ci guardiamo allarmati, se c'è una cosa che Percy odia è che
si facciano allusioni alla sua provenienza. Del resto, la sua
famiglia è decisamente benestante ma lei odia questa questione, è a
causa della sua discendenza che non riesce mai a vedere i suoi
genitori e che è quindi lasciata alle cure dai maggiordomi della sua
reggia.
Sorprendentemente però, lei si limita a sorridere e ad
annuire: – Già, proprio così.
Harper sorride di rimando,
passando a Hick che, indifferente, stringe la sua mano con
noncuranza: – Aydin Hickey. Piacere.
– Piacere mio, ragazzo. –
ricambia l'allenatore, arrivando spaventosamente a me. – E qui? Chi
abbiamo?
Deglutisco, indeciso se parlare o no. Non ho nemmeno il
coraggio di dire il mio nome da quanto è ridicolo, perciò mi limito
a stringere lentamente la sua mano sperando che riesca a sentire il
sibilo che sto per emettere.
– Hi...
– Himeragi Fenwick! –
una voce mi anticipa, gridando ai quattro venti il nome che tanto
odio. Mi sento rabbrividire, un silenzio spettrale scende su tutti
noi.
Non ci metto molto a capire a chi appartiene questa voce, i
miei compagni mi guardano allarmati mentre un ragazzo si fa spazio
tra la Nyst ed è così che, dopo due anni e mezzo, la mia più
grande sfiga riappare davanti ai miei occhi.
Santa merda,
uccidetemi ora.
GUESS WHO'S BACK AGAIN?
Che posso dire...? Eccomi qui con un'originale. Gay. E demenziale. Casini ne abbiamo fatti, sì? Spero con tutto il cuore che vi
piaccia, io mi impegnerò il più possibile per aggiornare
velocemente. Grazie per essere arrivati fin qui, un bacio! Ale xx
Capitolo 2 *** Le 16 regole di Huckleberry Finn ***
Swimming tale cap.2
SWIMMING TALE
CAPITOLO DUE
“Le 16 regole di
Huckleberry Finn”
– Himeragi Fenwick! –
una voce mi anticipa, gridando ai quattro venti il nome che tanto
odio. Mi sento rabbrividire, un silenzio spettrale scende su tutti
noi.
Non ci metto molto a capire a chi appartiene questa voce, i
miei compagni mi guardano allarmati mentre un ragazzo si fa spazio
tra la Nyst ed è così che, dopo due anni e mezzo, la mia più
grande sfiga riappare davanti ai miei occhi.
Santa merda,
uccidetemi ora.
La mano di Aydin entra in collisione con la mia
schiena ad una velocità tale che, oltre ad imprecare, mi spiaccico
contro Harper. Se doveva essere una pacca amichevole devo dire che
quel cretino non è molto riuscito nel suo intento.
– Hick. –
borbotto a bassa voce, ignorando per un momento tutto quanto. – Sei
proprio una testa di cazzo.
Aydin ridacchia imbarazzato,
consapevole di essersi appena segnato da solo. Deve solo aspettare di
trovarsi a bordo piscina e probabilmente mi verrà voglia di dargli
un'amichevolissima pacca sulla schiena come lui ha appena fatto.
–
Via, via. – Harper mi aiuta a recuperare l'equilibrio, sorridendomi
come se fossi un povero idiota. – Himeragi, giusto?
Abbasso la
testa, sconfitto da quella targa che sarà per sempre sopra di me: –
Purtroppo sì.
– Oh! – Babbo Natale aka James Harper appoggia
la sua manona sulla mia spalla. – Allora sei tu che ospiti il
nostro Kyle?
I miei occhi cadono per un secondo verso il diretto
interessato che sta a capo della fila formata dalla Nyst ma non mi
soffermo troppo per evitare strani striduli vocali dovuti
all'agitazione e mi rivolgo infine a Babbo: – Credo di sì.
–
Sei proprio un ragazzo gentile.
Mi trattengo da un sonoro “come
se avessi avuto scelta” e mi limito ad annuire, tornando in fila
con i miei compagni. Riservo un pizzicotto sulla natica ad Aydin,
sorridendo soddisfatto dopo il suo urletto di sorpresa che fa ridere
anche Iris e Percy, mentre il rettore ci lancia uno sguardo
inceneritore che ormai riesco perfettamente a gestire.
– Sembra
si sia fatto tardi. – borbotta Babbo Natale rivolgendosi a Muller.
– Le presentazioni dei miei ragazzi le riservo a domani, durante
gli allenamenti. Per il momento direi di lasciarli andare a dormire.
Muller annuisce, girandosi poi verso di noi: – Voi accompagnate
i ragazzi ai dormitori, Persephone ha la lista delle loro ubicazioni.
Fenwick, tu portati a casa Adair e assicurati che dorma
tranquillamente. Senza incidenti.
Sollevo entrambe le
sopracciglia, se sta alludendo al mio passato con Kyle non è per
niente simpatico. So per certo che ne è a conoscenza dal momento che
ci ha beccati più di una volta nelle docce quando finivamo
allenamento allo stesso orario, ma poteva evitare questa frecciatina.
Così sorrido e, bastardo come poche volte nella mia insulsa vita, mi
avvicino al suo orecchio e sussurro: – Stia tranquillo, userò il
preservativo.
Muller mi guarda di sbieco, minacciandomi
silenziosamente con gli occhi. In realtà mi vuole bene, ma so di
farlo impazzire a volte. Oh be', tanto peggio per lui.
–
Buonanotte ragazzi. – mi rivolgo ai miei compagni, facendo un finto
inchino dando così le spalle alla squadra e a Babbo Natale, trovando
l'occasione di mimare con le labbra la parola “aiutatemi”.
Percy
mi guarda impietosita, riservandomi un abbraccio da
tranquillo-andrà-tutto-bene-anche-se-non-ci-credo-nemmeno-io. Arriva
poi il turno di Hick che, sperando che non lo colpisca per il volo
che mi ha fatto fare prima, si limita a salutarmi a distanza.
–
Tu sei morto. – lo minaccio, serio. – Oggi hai proprio superato
te stesso.
Mi fissa con i suoi occhioni azzurri spalancati,
tentando nello sguardo da cucciolo:– Ti voglio bene?
Scuoto la
testa, salutandolo con un sorriso assassino: – Sei. Morto.
–
Non essere cattivo. – mi rimprovera Iris, scuotendo la testa mentre
ridacchiando mi abbraccia. – Andrà tutto bene, devi stare
tranquillo.
– Cosa vuoi che sia? – domando retorico,
affondando nella sua sciarpa di lana. – C'è solo il mio ex ragazzo
a casa mia. Cosa mai potrebbe andare storto?
Iris si allontana con
un sorrisetto divertito: – Fa' il bravo, Hime.
– Gli farò
trovare croissant e caffè caldo alla mattina, tranquilla. –
ribatto, ironico, salutandola con un cenno.
Okay, la mia discesa
per queste infinite scalinate mi sembra il calvario di Cristo. Tutto
rallenta, sento chiaramente il mio respiro e sento che il mio cuore
sta per cedere. Kyle è di fronte a me, pochi scalini ci separano e
io non posso fare altro che ripassare il rosario - erano cinquanta
Ave Maria?
– Muoviti, Anguilla del cazzo!
Scivolai
per l'ennesima volta sul pavimento bagnato degli spogliatoi,
sbattendo il didietro e la schiena. Avrei veramente voluto restare lì
e aspettare che qualcuno si fosse chiesto “ehi, dov'è Himeragi?”,
ma dal momento che se uno arrivava a pensare ciò poi se ne sarebbe
dimenticato perché sarebbe stato preso da un attacco di ridarella
dovuta al nome, semplicemente mi rialzai in una cascata di
“accipicchia” e “cavolaccio” che perfino un bambino di dieci
anni avrebbe saputo fare di meglio. Lo spogliatoio era vuoto, al suo
interno risuonava solo l'irritante voce di Kyle Adair che si
divertiva a farmi correre per portargli prima lo shampoo, poi il
bagnoschiuma, poi la spugna, le ciabatte, l'asciugamano e via
dicendo. Com'era finita così? Be', non lo so nemmeno io.
Probabilmente non gli stavo poi così tanto simpatico dal momento che
continuavo a stracciare i suoi tempi, ma a differenza sua non
consideravo la squadra della scuola come una gara, ma come un
passatempo. Ovviamente questo concetto talmente astruso non era
comprensibile per un bullo di prima classe tale quale era lui e per
quanto provassi a spiegarglielo lui se ne fregava e mi costringeva a
fargli da zerbino; se mi ribellavo lui passava alle minacce fisiche
e, codardo com'ero, me ne stavo zitto e tornavo in riga. Questo si
chiama “sapersi difendere”, bravo Himeragi!
– Sono caduto. –
mormorai per giustificare quei cinque secondi di ritardo, passando al
mio aguzzino l'accappatoio. Tenni lo sguardo basso, avevo un'assurda
paura di lui e non osavo nemmeno alzare gli occhi. Già, ero proprio
un ragazzo coraggioso con tanto di palle!
Be', quelle ce le avevo
comunque. Giusto per dire.
– Sei caduto di nuovo? – mi chiese
Kyle, sfidandomi con quegli occhi talmente scuri da sembrare un pozzo
privo di termine. – Fa' vedere.
Non osai ribattere, mi girai
per mostrargli la schiena lasciata nuda a causa della sola presenza
del costume e mi preparai mentalmente allo schiaffetto che avrei
ricevuto sulla ferita che mi ero appena procurato. So che vi state
chiedendo come abbiamo fatto a passare da un rapporto di
bullo-vittima ad una relazione seria, ma vedrete che capirete - anche
se ammetto che tutt'ora nemmeno io capisco proprio bene come si siano
evolute le cose.
Strizzai forte gli occhi quando sentii la sua
mano bagnata sulla mia spina dorsale, ma invece di colpirmi come
avrebbe fatto di norma si preoccupò di lasciare scivolare un po'
d'acqua fredda sul graffio sulla zona lombare che le insenature delle
piastrelle del pavimento mi avevano appena aiutato a formare. Diciamo
che un po' tutti i giorni sentivo che il mondo, Dio e Buddha - stavo
attraversando un periodo pseudo buddhista, non so nemmeno perché.
Crisi mistiche, probabilmente - ce l'avevano con me e, insieme alla
mia corazza da football acquistata su Amazon, stilavo una lista di
modi diversi e originali per tentare il suicidio: cercare di mangiare
spaghetti (rigorosamente alla carbonara) con il naso, provare a
nuotare nell'Atlantico con addosso solo i braccioli e un boccaglio,
fare snowboard senza tavola da snowboard e cose del genere. Il gesto
di Kyle però, per la prima volta in due mesi, non mi fece pensare ad
un altro modo originale per il mio suicidio. Sentivo solo la sua mano
scorrere sulla ferita per bagnarla e pulirla, non c'era cattiveria ed
era un gesto talmente tanto strano che iniziai perfino a sentirmi in
imbarazzo – e badate, in imbarazzo non mi sentivo mai se Kyle era
attorno, chiamiamola puramente paura. Avrei voluto correre via come
un piccolo Bambi dopo aver udito lo sparo alla madre-cerbiatto, ma
rimasi lì e aspettai di sentire la sua mano allontanarsi prima di
girarmi per cercare di capire cos'era appena successo. Nel momento in
cui lo fronteggiai, vidi per la prima volta sul suo viso
un'espressione seria, senza tracce di ironia. Mi spaventò molto,
devo ammetterlo.
– Be'? – mi chiese qualche secondo dopo,
rendendosi conto della situazione potenzialmente da soap opera che
lui stesso aveva creato. Tutto si può conquistaaar, nulla è
per sempre perduuutoo...
– Scusa. – borbottai prontamente,
facendo marcia indietro per raggiungere gli spogliatoi e per
andarmene via il più velocemente possibile - schiantandomi
ovviamente contro il muro dell'anticamera delle docce. Non ne avevo
idea ma quello sarebbe stato il primo dei momenti
potenzialmente-Mondo-di-Patty che si sarebbero venuti a creare nel
mese successivo. Nel lungo, agognato, terrificante mese successivo.
Arrivo davanti a lui accompagnato dalle preghiere di
tutto il mondo e dall'energia che Goku chiedeva per la sua super onda
energetica, deglutisco e alzo gli occhi verso i suoi. Kyle mi guarda
dai suoi cinque centimetri in più, sfodera un sorriso e ignora
perfino i saluti dei suoi compagni mentre si allontanano per
raggiungere i dormitori.
Ecco, sto per svenire. Me lo sento.
Tecnicamente questo momento non sarebbe mai dovuto arrivare.
Quando Kyle se ne andò, quasi tre anni fa, mi disse che si sarebbe
trasferito definitivamente a New York e che non avrebbe più voluto
sapere di Detroit, di me e di questa sua vecchia vita. Mi aveva
lasciato, il bastardo. Ma se è così, qualcuno mi spiega perché
diavolo è di fronte a me e sta sorridendo come se si fosse fatto
pesantemente di cocaina?
Accidenti a lui, alla Nyst, al nuoto e a
quel deficiente di Aydin che non riesce a combinarne una di buona.
Accidenti a tutto il mondo!
– Tutto okay? – mi chiede a bassa
voce, fissandomi con uno sguardo talmente languido da essere odioso.
Avete presente quanto ai gatti prende l'istinto di graffiare tutto e
tutti? Ecco, lo sto avendo adesso. Vorrei tanto graffiargli tutta la
faccia, dovesse costarmi le unghie. Voglio proprio vedere come
riuscirebbe a sorridere così dopo.
Tra l'altro, il ragazzo che
ho davanti ha poco del ragazzino di quindici anni che ero abituato a
vedere. Credetemi se vi dico che gli effetti del nuoto si vedono, le
sue spalle si sono allargate ed il resto della struttura imponente è
visibile anche se è coperto dalla tuta nera e rossa della Nyst.
I
miei istinti si stanno risvegliando.
– Prendi la valigia. –
rispondo soltanto, sorpassandolo per nascondere tutta l'agitazione
che mi sta divorando lo stomaco. E badate, non parlo di farfalle.
Queste sono tigri che mangiano piccole e dolci gazzelle.
Vorrei
girarmi e contemplare il miracolo della pubertà anche se non c'era
poi così tanto da migliorare, ma la natura ha proprio superato se
stessa con questo ragazzo. Certo, per quanto riguarda la sua indole
tendenzialmente stronza ce ne sarebbe fin troppo da discutere, ma non
posso dire niente per quanto riguarda l'aspetto esteriore. Sono
sempre stato affascinato da lui, credo si fosse capito abbastanza
chiaramente. Tra l'altro credo che Kyle ci metta anche del suo, dei
capelli così perfettamente spettinati non credo di averli mai visti
come nemmeno i muscoli delle gambe e delle braccia così sviluppati.
Questo è un attentato alla mia salute psicofisica – credo che la
parte “psico” sia chiara, per quanto la parte “fisica” a buon
intenditore poche parole.
– Ehi, Anguilla! Aspettami! – I
suoi passi si fanno pesanti e veloci finché non raggiunge la valigia
e, rischiando la caduta libera verso l'asfalto, trattiene una sonora
imprecazione e mi raggiunge di corsa all'uscita del college. – Non
stiamo cominciando bene, se lo vuoi sapere.
– Infatti non lo
voglio sapere. – ribatto, evitando nuovamente il contatto visivo.
So che prima o poi dovrò affrontarlo dal momento che vivremo insieme
per un po' di tempo, ma finché è possibile penso che continuerò a
fare la ragazzina imbarazzata che si nasconde per non farsi trovare
dal ragazzo di cui è innamorata mentre in realtà spera con tutto il
cuore che lui si accorga di lei. Sì, proprio così: direi che è la
descrizione migliore per me e la mia situazione.
– Siamo seri,
Himeragi. Lo stai facendo apposta.
Trattengo il mio disappunto per
il suo consueto alternare il mio soprannome al mio stupidissimo nome
di battesimo ma continuo comunque verso il parcheggio senza girarmi
verso di lui: – Faccio cosa?
Lui sbuffa, insultando la sua
valigia e rivolgendosi poi a me: – Lo stronzo.
– Come se tu
non lo fossi mai stato con me. E comunque non sto facendo lo stronzo.
– puntualizzo, prendendo un respiro simile al peggiore degli
uragani per girarmi verso di lui e guardarlo quindi negli occhi
scuri. – E' un rapporto professionale, questo.
Kyle alza un
sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere
in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però
con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
Avete presente
quelle scene dei cartoni in cui un personaggio sputa a fontanella
tutta l'acqua che ha in bocca quando riceve una notizia che gli fa
fare quel genere di spettacolino? Ecco, se avessi avuto acqua in
bocca avrei fatto la stessa identica cosa. Con le guance che mi vanno
a fuoco e lo stomaco che alimenta questo inferno interiore mi sento
completamente paralizzato davanti a lui che, apparentemente
tranquillo, si dimostra in pace col mondo e totalmente indifferente
all'avermi di fronte a lui. Io mi chiedo come accidenti abbia potuto
innamorarmi di questo individuo, due anni fa. Era il mio aguzzino,
facevo gli incubi su di lui e, diciamocelo, era un bastardo di
dimensioni megalitiche. Probabilmente mi facevo di dopamina pesante,
ecco cosa.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima
cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow.
Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
– Non
sono cavolate. – si difende lo stronzo davanti a me, sbattendo le
palpebre come un idiota. – Sei tutto rosso.
– Non è vero.
–
Guardati, se non mi credi.
Spalanco la mano verso il parcheggio
per lasciar cadere l'argomento prima che si passi a livelli
d'imbarazzo più disturbanti e gli grido in faccia, serrando gli
occhi: – Chiudi il becco e salta su!
Non ricevendo risposta
rialzo piano le palpebre, ritrovando il suo viso concentrato in
un'espressione confusa, gli occhi saettano dal parcheggio a me ma non
dà segni di vita.
– Be'? – gli domando, spazientendomi a
causa della sua assenza momentanea.
– Andremo... – Lancia di
nuovo uno sguardo al parcheggio, finendo poi su di me con un
sopracciglio inarcato. – … A casa con una bicicletta rosa?
–
Eh? – Mi giro di scatto, effettivamente la mia mano sta proprio
indicando la bicicletta rosa di Iris. – Sei serio? – borbotto,
infastidito. – La macchina rossa vicino alla siepe, mi pare ovvio
che stessi indicando quella. Kyle scuote la testa, convinto: –
Non la stavi indicando. Giuro che stavi indicando la bici rosa.
–
Fa' un po' come credi! – sbotto, dandogli le spalle per mandarlo a
quel paese senza che lui legga il mio labiale anche se leggerlo gli
avrebbe fatto bene.
Sì, Kyle Adair, vai a fanculo! Hai detto
appena una trentina di parole e già mi hai fatto saltare tutti i
circuiti. La verità è semplice: sono talmente agitato dal suo
ritorno che non riesco a gestire più nulla. Sto andando via di testa
non tanto per lui - sebbene mi ostini a dargli la colpa, ma per il
suo essere qui. Per il suo essere qui dopo avermi abbandonato tre
anni fa, per il suo sorriso immutato e per la sua voglia perenne di
farmi impazzire.
– Andiamo a casa? – mi domanda mentre sale
in macchina il qui presente Mister Ovvietà.
Lancio così un
veloce sguardo verso di lui mentre giro le chiavi nel quadro,
ripensando a quanto era più facile quando al suo posto c'era Xavier:
– No. – rispondo alla fine, allontanandomi dal parcheggio. –
Andiamo a giocare a mini golf.
– Non possiamo fare golf
normale?
Lo guardo male, ma a trovare i miei occhi c'è solo un
tenero sorriso divertito che due anni fa consideravo raro vedere. Le
fossette sono molto più evidenti quando sorride così e al
finestrino il suo riflesso mi costringe a maledirmi per restare
incantato su di lui come se fosse una specie di dio greco.
–
Costa troppo. – concludo infine, accendendo la radio per evitare al
silenzio imbarazzante di prendere il sopravvento. – Il golf, dico.
Casa mia non è
proprio quello a cui si pensa vedendo la parola “casa”.
Personalmente, io la chiamo “il tugurio”.
Terza porta del
quarto piano di questo enorme condominio, si contraddistingue per un
cuore di pezza che mia madre mi costringe a tenere appeso su cui c'è
scritto a caratteri cubitali “OKAERI” e per il nome che è stato
scritto sbagliato sul campanello. Tecnicamente io sono Himeragi
Fenneck. Non so cosa sia andato storto con i ragazzi del campanello,
forse non stavo loro proprio tanto simpatico. Se state cercando per
Himeragi Fenwick, ricordatevi che sarò momentaneamente Himeragi
Fenneck, così a cazzo. Del resto è un appartamento come tanti: non
è troppo grande, il giusto che un ragazzo di diciotto anni con un
impiego da istruttore di nuoto si può permettere. Sono affezionato
al mio tugurio anche se spesso scatta il salvavita e io resto al buio
perché il forno è talmente vecchio che fa sempre saltare tutto,
anche se l'intonaco si stacca se ci soffio su e anche se è dotato
solo di un letto matrimoniale su cui dormirà solo il sottoscritto.
Ha una piccola cucina in cui ci staremo in due per grazia divina, un
salotto di tre metri per quattro se va bene ma comunque accogliente,
un bagno con una doccia il quale erogatore passa da era glaciale a
inferno bruciante e una camera da letto in cui passo la maggior parte
del tempo quando non sono fuori. Sì, è la casa che tutti
vorrebbero, ammettiamolo.
Quando io e Kyle arriviamo davanti alla
porta sono esattamente le undici di sera e dopo aver imprecato con un
po' tutti i santi per trasportare la valigia per otto rampe di scale
siamo finalmente sani e salvi di fronte alla porta che ci aprirà
alla nostra nuova vita da coinquilini.
Non che io l'abbia chiesto
e nemmeno che io ne sia felice, ci tengo a precisare. Sono solo
circostanze, che sia ben chiaro. Se fosse stato per me avrei lasciato
tutto questo al cretino che ha provocato questo disastro sbagliando
il numero di prenotazione dei posti, ma dato che tale cretino vive
con la madre e altri quattro fratelli e due sorelle mi sembrava un
po' troppo da bastardo aggiungere una bocca in più da sfamare. Tra
l'altro la bocca di un nuotatore ai livelli di Kyle, fidatevi, non è
facile da gestire - e via di doppi sensi.
– Arrivati. –
annuncio con tono piatto estraendo le chiavi a cui sono attaccati
un'infinità di portachiavi da quando ogni mio amico/parente mi
regalò un gingillo per il mio imminente trasloco: una pallina
fluorescente, una foto plastificata con Iris, Percy e Hick,
l'iniziale del mio nome, un coltellino svizzero, un pupazzetto e una
matassa indefinita di puff giallo. Diciamo che prima di trovare le
chiavi giuste devo svegliare mezzo condominio per il rumore infernale
di tutti questi mini tamburi creati per irritare e disturbare la
gente.
– Himeragi... Fenneck? – Kyle ridacchia sotto i baffi,
dandomi una gomitata. – Mi nascondi qualcosa?
– Solo che sei
stupido. – ribatto distrattamente, impegnandomi con tutto me stesso
per trovare la dannatissima chiave giusta.
Kyle borbotta qualcosa
in risposta, probabilmente un insulto, per poi passare ad osservare
la porta: – Oka... Okaeri?
– Tadaima. –
rispondo sovrappensiero, rendendomi conto da solo di quanto io sia
cretino a rispondere secondo ciò che ho sempre sentito dire dai miei
genitori quando tornavano a casa da lavoro. Li detesto per avermi
trasformato in una sottospecie di personaggio manga.
– Che vuol
dire quello scritto sul cuore? – Kyle sembra veramente curioso a
riguardo, perciò ne approfitto e gli sorrido malamente.
– “Kyle
Adair non è il benvenuto qui”. – faccio finta di tradurre, ma
dopo essermi beccato un'occhiataccia mi schiarisco la voce e, girando
finalmente la chiave nella toppa per aprire la porta, mi correggo. –
Vuol dire “bentornato a casa”. L'altra parola invece significa
“sono a casa”. I miei si salutavano sempre così.
– Che
carini. Poi sei arrivato tu, eh?
– Già. – annuisco,
dandogliela vinta. – Avrebbero potuto fare più attenzione se poi
mi hanno dovuto condannare ad una vita da manga.
– Non dire
così. – Il bastardo mi prende da dietro, soffiando dritto al mio
orecchio. – Cosa farei io senza di te?
Mi giro verso di lui con
una specie di tic nervoso all'occhio per la sua mera sfacciataggine
e, come una nonna arrabbiata col nipote che non mangia il dolce, gli
afferro l'orecchio destro e lo guardo dritto negli occhi: – Divano.
Coperta. Zittati e dormi. Ora.
– Hai dei metodi un po'
barbarici. – mi rimprovera dovendo inclinare la testa dal momento
che sono più basso di lui e sto anche spingendo il suo orecchio in
giù. – E sul divano io non ci dormo.
Ah sì? Sul divano non ci
dormi piccolo e insulso pidocchio?
Sai cosa me ne importa se
mister me-ne-vado-e-ti-mollo non vuole dormire sul divano? Nulla!
–
Non è un mio problema. – Rilascio il suo orecchio, depositando la
mia borsa all'entrata. – Buonanotte!
– Frena frena frena! –
Kyle si avventa su di me tipo placcaggio random, impedendomi di
proseguire un solo passo di più dal momento che entrambe le sue
braccia mi tengono stretto al suo petto. E che è? Pensa forse di
avere tutti i diritti che aveva tre anni fa?
– Debellati! –
gli grido addosso, dimenandomi e scivolando finalmente via dalla sua
presa. – Evita queste... robe, per cortesia.
– Solo se
tu mi dai un letto su cui dormire, tirchio che non sei altro!
–
Ne ho solo uno di letto e non mi pare di costruirli!
Kyle mi
guarda come se improvvisamente potesse incenerirmi, ma considerando
che è una cosa concettualmente e fisicamente impossibile, si limita
a sbuffare e a guardarmi male: – Ho bisogno di dormire, Himeragi. E
sul divano non ci riesco.
– Perfetto, allora. – spalanco il
braccio verso la porta, sorridendogli sapendo di rischiare tanti di
quegli insulti che poi lui vincerebbe il Guinnes World Record per
averne inventati di nuovi. – C'è la cuccia del gatto della signora
Stanley, di sotto.
– Mi prendi in giro?
– Mi pare ovvio. –
borbotto infastidito. – Ma io ho un letto a due piazze.
Il viso
di Kyle sembra illuminarsi a mo' di lampione, mentre un sorriso ben
poco rassicurante si fa strada sul suo viso: – Sarà come ai vecchi
tempi!
Schiocco la lingua in segno di disappunto, tentennando
qualche istante prima di arrivare alla conclusione. Alla sensata,
razionale e giusta conclusione.
– Abbiamo bisogno di regole.
–
Regole? – mi domanda Kyle oserei dire quasi spaventato.
Io gli
sorrido diabolicamente andando a prendere carta e penna: – Hai mai
visto SOS Tata?
Guardo l'orologio, la lancetta delle ore
ha da poco superato la mezzanotte e i miei occhi si stanno per
chiudere. Kyle è alla sesta tazza di caffè e io alla nona, due
birre a testa e mezza pizza riscaldata di tre giorni fa. La
condizione era che finché questa sottospecie di Vangelo non fosse
stato finito, nessuno dei due poteva andare a dormire e così è
stato. Siamo seduti sul divano in condizioni pietose, il buonsenso
l'abbiamo perso da circa mezz'ora e la caffeina nelle nostre vene
aiuta solo a sparare cazzate alla cieca.
– Era necessario? –
brontola la Bella Addormentata di fianco a me, lasciando cadere la
sua testa sulla mia spalla. – Ho sonno, Himeragi.
– Me ne
frega ben poco. – ribatto, alzandomi di scatto per poi vedere
soddisfatto la sua testa piombare verso il divano a mo' di caduta
libera. – Da oggi, in questa casa sono in vigore queste regole.
–
Non me le hai nemmeno fatte firmare. Per quanto mi riguarda potrei
non accettarle. Ho diciotto anni, io!
– Dai? – gli chiedo
ironicamente, come se io non sapessi quanti anni lui abbia. – Anche
io, se ti ricordi.
– Me lo ricordo. – borbotta con quella che
potrebbe sembrare una voce da ubriaco fino al midollo ma che in
realtà è solo la voce da Kyle Adair addormentato. E lascio a voi
l'immaginazione di capire il contesto in cui io abbia imparato a
riconoscere questa voce. Sono cose di cui non vado fiero. – Ma il
punto è che non le ho firmate, quindi potrei teoricamente non essere
d'accordo.
Stringo gelosamente il foglio nelle mie mani:
conoscendo Kyle potrebbe anche riuscire a rubarmelo e strapparlo
sotto i miei occhi, per cui lo conservo in modo che lui non riesco a
sgraffignarlo.
– Il mio tessssoro. – sibilo, riducendo
gli occhi a due fessure.
Sì, sono un fan del Signore degli
Anelli.
– Non fare Gollum. – mi rimprovera Kyle, alzandosi
dalla sedia con uno sbadiglio. – Non farò niente a quelle regole
benedette, puoi anche metterti calmo.
Oh, l'aveva notato?
Scuoto
la testa, negandogli comunque l'accesso al foglio - che farò fare
fotocopiare, plastificare, poi mettere in un quadro, ricamare su una
presina da forno, trascrivere nella Bibbia e infine che mi farò
tatuare. Estremismo, sono tuo!
“Regole di convivenza per i
sottoscritti Himeragi Fenwick e 'sto cazzo
Kyle Adair
1- Almeno cinquanta centimetri di spazio vitale
costante.
2- Ognuno pensa per sé, tranne per quanto riguarda i
pasti.
3- La spesa e la lavatrice si fanno a turno.
4- Niente
prese da rugby o spifferi all'orecchio. 5- Meno pippe
mentali 5- Niente
costumi ad asciugare in bagno, si mettono sul cavalletto.
6 pt.1-
Niente death metal alle sei di mattina.
6 pt.2- Niente jazz alle
sei di mattina.
7- Niente visite di amici/parenti dopo le otto.
(vai a dormire alle otto e mezza?) 8-
Con allenamenti in orari diversi, Himeragi dovrà aspettare Kyle per
portarlo a casa. (fatica a prendere un bus?)
9-
Le regole non potranno essere modificate.
10- Il telecomando
spetta al proprietario di casa.
11- A letto si mantiene un metro
di distanza. (va be', dormirò col gatto della signora
Stanley) (paura, eh?)
12-
Niente mosse improvvise e/o disturbanti.
13- Himeragi ha il
diritto su ogni parte della casa essendone proprietario.
14- Non
si discute con Himeragi. 15- Himeragi caput
mundi!
15- Niente
mutande sparse per casa.
16- Niente ragazze random in casa. (hai
veramente scritto questo con tu ed io in casa? Sei serio?)”
–
Possiamo andare a dormire, ora? – biascica il desolato Kyle che,
con ancora addosso la tuta della Nyst (ora macchiata di birra), penso
stia pregando il Signore perché possa finalmente andarsi a cambiare
e raggiungere poi il letto.
Io annuisco, raccogliendo le prove
della nostra serata-regole per buttarle nel cestino e sentirmi un
cittadino migliore anche se poi confondo la carta con la plastica e
ritorno ad essere un misero cittadino mediocre - serviva a qualcosa
dirlo?
Nel momento in cui mi chino per raccogliere l'ultima
bottiglia vuota di birra però il telefono inizia a vibrare in tasca
e, rischiando di fare un salto triplo mortale carpiato, lancio la
bottiglia dritta nel lavandino per lo spavento del vibro vedendola
frantumarsi che nemmeno Elsa di Frozen è riuscita a fare col suo
ghiaccio da quattro soldi. Kyle alza un sopracciglio, sembra
abbastanza scosso considerando che due istanti prima il bersaglio
potrebbe essere stato lui e sorride come se fosse allucinato: –
Dobbiamo aggiungere niente tentativi di omicidio e niente bottiglie
di vetro volanti, per caso?
– Ma vaff... – Premo la connetta
verde della chiamata, interrompendo l'insulto solo per non sembrare
scortese a chiunque mi stia chiamando. – ...ulo. Pronto?
–
Hime! – Grazie a Dio, tiro un sospiro di sollievo appena leggo il
nome di Percy sullo schermo. – Mi hai appena mandata a quel
paese?
– No, ci avevo mandato Kyle a dire la verità. L'ho quasi
ucciso.
– Però devi trattenerti, Hime. Prendi dei calmanti.
–
Non l'ho fatto apposta! – Appoggio il telefono tra la spalla e
l'orecchio, iniziando a tirare su i coriandoli di vetro dal
lavandino. Ovviamente mi taglio e segue una sonora imprecazione degna
dell'Opera 50 di Beethoven , perciò rinuncio all'impresa e mi limito
a sedermi sul divano con un pezzo di stoffa attorno al mio povero
dito sanguinante. – Qual buon vento ti porta a chiamarmi?
–
C'è un piccolo problemino.
– Allora: se Hick ha combinato
ancora qualcosa digli che può reputarsi fuori dalla squadra e dalla
mia vita in generale. Se invece è qualcosa che non ha combinato
Hick, anche se la vedo dura, spero che io non sia coinvolto dato che
al momento non so se sono più ubriaco o agitato per la caffeina.
–
Sei stato molto esaustivo. – borbotta sottovoce Percy, credendo
forse che io non la senta. Grazie tesoro
della mia vita per
reputarmi sordo oltre che scemo. – Comunque, il problema è con
Xavier. E questo implica per forza il tuo coinvolgimento, mi
dispiace.
Mi incanto per un attimo sulla finestra. Sono al quarto
piano, ho qualche possibilità di farla finita se salto giù? Quasi
quasi...
Mi arriva improvvisamente un asciugamano bagnato in
testa, facendomi quasi terminare il carpiato che avevo lasciato in
sospeso prima col lancio della bottiglia. Quando mi giro, preso da
Satana, Kyle sta di fronte a me senza maglietta e con lo spazzolino
in bocca: – Hai una faccia da imbecille.
– E tu stai
sputacchiando sul pavimento col dentifricio. – ribatto, coprendo il
microfono con la mano per evitarmi di sentirmi dire di dover prendere
dei calmanti. Io non sono agitato! Figuriamoci, io, la calma in
persona!
Sto
male.
– Sì, ma almeno non ho una faccia da imbecille. –
risponde quell'altro babbuino in tutta tranquillità, continuando la
sua opera di imbiancamento del parquet. – Chi è al telefono?
–
Percy. Te ne vai ora, per favore?
Kyle fa spallucce: – Salutala
da parte mia. Ci vediamo a letto, tesoro.
– Il bastardo mi fa l'occhiolino, andandosene facendo finta di
sculettare come la peggiore delle Top Model.
– Le regole le
abbiamo scritte per un motivo! – sbraito talmente forte da essere
sentito anche da Percy - e dalla signora Stanley - che, scoppiando a
ridere, torna in linea alla carica con altre psicostronzate da amica
che prescrive calmanti.
– Regole?
– Lascia perdere. –
sbuffo, lasciando cadere la testa sullo schienale del divano dietro
di me. – Piuttosto, cos'è successo a Xavier?
– Be', lui...
Potrebbe tecnicamente essere sotto casa tua, al momento.
– Ma è
praticamente l'una di notte.
– Questo lo so anch'io. Pare sia
uscito di casa mezz'ora fa, quando Sapphire ha chiamato sul telefono
fisso di casa sua e hanno risposto i suoi genitori dicendole che se
n'era andato. Ha lasciato il cellulare a casa, quindi non risponde.
Sto riconsiderando la finestra.
Quella alta, pericolosa,
trasparente finestra...
– Cosa ti porta a pensare che sia
proprio sotto casa mia? Sapeva che sarebbe arrivato Kyle, non
dovrebbe essere qui.
Percy sospira, conoscendola starà scuotendo
la testa: – Non lo so, Hime. Solo tu lo sai gestire. E comunque è
questione di calcoli, state a venti minuti di distanza a piedi e se
ha problemi sai che verrebbe a chiedere a te. E' già successo, se ti
ricordi.
– Il mese scorso. – confermo, alzandomi dal mio amato
divano per uscire di casa. – Vado a controllare. Ci sentiamo più
tardi.
Lancio il telefono in direzione del tavolo ma ovviamente
lancio troppo forte e il telefono va a mo' di palla da bowling,
scivola lungo tutta la superficie liscia e si catapulta per terra.
Batteria da una parte e schermo dall'altra, alla grande! Ricordate il
discorso che Kyle significa sfiga? Ora ne avete la prova.
– Sei
troppo violento, Anguilla. – Kyle riappare in un fascio di luce
accecante, ma poi mi accorgo di essere solo troppo stanco e mi rendo
conto che quello davanti a me non è il Messia. – Perché stai
uscendo?
– A quanto pare ho visite.
– Da parte di chi?
–
Non ho richiesto l'investigatore. – brontolo infilandomi la felpa
al contrario, afferrando le chiavi del tugurio. – Salgo appena
riesco.
Kyle mi lascia con uno sguardo perplesso e un'alzata di
spalle mentre io, pregando forze superiori di risparmiarmi una caduta
per le scale, corro più velocemente possibile all'ingresso
sperando
che Xavier sia effettivamente qui sotto e che non stia vagabondando
per il quartiere come è effettivamente già capitato.
Quando apro la
porta tiro un sospiro di sollievo, il rosso è di fronte a me con
un sacchetto in mano e un cappello ricamato a mano con tanto di pompon
in
testa. Sorride appena mi vede, io combatto l'istinto di cominciare
subito con la predica da “Ma cosa hai fatto? Non pensi ai tuoi
genitori? Disgraziato d'un figlio!” e ricambio il suo sorriso:
–
Non riuscivi a dormire?
– Quei deficienti stavano urlando da tre
ore. – si giustifica con un'alzata di spalle e una risata
rassegnata, alzando subito dopo il saccheto con uno sguardo che implora
il mio consenso. – Ho preso i gelati.
E' un ragazzo molto
triste, Xavier. Sorride sempre, di un'allegria disarmante e dalla
risata contagiosa. Ma quando lo portai a casa per la prima volta, un
mese e mezzo fa, quando ancora faceva caldo e i suoi genitori stavano
litigando in giardino, non disse niente e mi chiese semplicemente di
tenere la bocca chiusa. Me lo chiese sorridendo, mi ricordo la sua
espressione da quanto per me fu sconcertante.
Così lo guardo
negli occhi limpidi, concludendo con un'alzata di spalle: – Spero
per te che il mio sia al cioccolato.
Il ragazzino sorride
sollevato, annuisce e mi indica il cancello: – Andiamo a fare un
giro?
– Domani hai scuola.
– E tu hai il lavoro.
Sbuffo,
con lui non c'è nemmeno competizione: – Piuttosto di stare al
freddo preferisci salire? C'è Kyle in casa, poi non è un ambiente
nuovo per te.
Xavier scuote la testa, ridacchiando tra sé e sé:
– Suona molto male, Anguilla.
– Ma cosa vai a pensare? –
borbotto imitando il gesto di uno schiaffo con un sorriso, finendo
però per colpire l'aria. – Mi licenzierebbero sicuramente, dopo.
Allora?
– Preferisco stare qui. – ammette sotto voce dopo
aver lanciato uno sguardo in direzione della finestra del mio
tugurio. Provo a dare un'occhiata anch'io ma non mi sembra ci sia
niente, che Kyle stesse facendo lo stalker ispirato all'episodio di
CSI che abbiamo guardato mentre stilavamo le regole?
– Come
vuoi. – concludo scartando il mio gelato mentre seguo il rosso al
di fuori del cancello. Ora so che non parleremo più tanto, forse
qualche battuta sui gatti appollaiati sul tetto delle macchine e sui
modi di dire di Percy, ma sinceramente non so dire di cosa lui abbia
bisogno davvero. Se è un amico che gli serve, ne è pieno a scuola.
C'è sempre qualcuno ad accompagnarlo in piscina, le ragazze lo
adorano e i ragazzi pensano che sia quel tipo di amico che non
darebbe mai fastidio. Però lui è qui, dal suo istruttore di nuoto
all'una e un quarto di notte con i primi fiocchi di neve che scendono
in questa prima metà di gennaio. E con un gelato, non
dimentichiamocelo. Il gelato è vita.
– Stavi dormendo? – mi
chiede di punto in bianco, sgranocchiando il suo cono.
– No.
Stavo raccogliendo i pezzi di una bottiglia di vetro dopo aver quasi
ucciso Kyle.
Un flebile sorriso di forma sul suo viso appena
illuminato dalla luce fioca dei lampioni: – Hai mai pensato a dei
calmanti?
Ancora? Ma allora è una cospirazione contro di me,
questa.
– Non sei il primo che me lo dice. Ma non l'ho fatto
apposta, comunque. Momentaneamente non sono ancora arrivato a volerlo
uccidere. Solo mettere a dormire col gatto, ma sono dettagli.
–
Almeno non ti ho disturbato.
– Xavier. – Smetto di camminare,
anche lui si ferma e mi guarda negli occhi, sigillando le labbra. Sa
cosa sto per dirgli, lui mi sa leggere. Sa già che non gli piacerà
ma tiene comunque gli occhi alti, severi su di me, un'abilità che
anche io avrei tanto voluto avere invece di scivolare e chiedere pure
scusa se mi facevo male. – Non puoi fare così, lo sai, vero?
–
Lo so.
– I tuoi genitori sono in pensiero. Adesso ti
riaccompagno a casa e tu chiedi loro scusa, va bene?
Xavier
schiocca la lingua, tirando la mano fuori dalla tasca per poter
giocare con i fiocchi di neve che vi si appoggiano: – Riportami
pure indietro, ma non chiederò loro scusa. Non se lo meritano.
Annuisco, non aggiungo altro perché conosco i rischi. So quali
sono i miei limiti con lui, li ho imparati a suon di minacce con le
lettere ritagliate dal giornale e tubi di spugna che volavano per la
piscina nella mia casualissima direzione.
Così ci rimettiamo in
cammino verso casa mia, saliamo in macchina e nessuno parla più. E'
già la seconda volta che questo succede, spero con tutto me stesso
di non vedere la scena ripetersi. Più Xavier si avvicina a me, più
si allontana dalla sua famiglia: non va bene, ho cercato di
spiegargli di mantenere le distanze ma lui non lo vuole capire.
Immagino che per il momento mi limiterò a fargli da taxi nella mera
speranza che le cose per lui prima o poi si sistemeranno.
Lascio
scivolare la porta dietro di me non curandomi nemmeno del rumore,
chiudendola con un solo giro di chiave per poi lanciare tutto quanto
alla rinfusa e fiondarmi a letto, stanco come non mai.
Il respiro
di Kyle è pesante ma lo riconosco immediatamente come un suono
familiare, come se lo avessi sentito per tutto il tempo della sua
assenza. Fa uno strano effetto devo ammettere, ma probabilmente tutta
la magia da soap opera è data anche dal fatto che sono in piedi da
venti ore senza un'accidenti di sosta. Così mi lascio cadere sul mio
amato letto, schiacciando il braccio disteso di Kyle che viene levato
con un grugnito e facendo un rumore bestiale quando la mia guancia
incontra il cuscino. Aspetta, ma non era fatto di piume?
Frugo un
po' in giro e finalmente trovo l'oggetto del delitto, faccio luce con
mio amato telefono tenuto insieme con lo scotch dopo la caduta di
prima e mi rendo conto che si tratta di un semplice biglietto
lasciato dal mio aguzzino. Certo che la calligrafia da gallina non
l'ha mai cambiata.
“Se
le regole le abbiamo scritte per un motivo, il ragazzino doveva
tornarsene a casa. Regola #7, Anguilla. Buonanotte, Kyle.”
#HITHERE
Okay, siamo sani e salvi tutti quanti?
Ecco a voi il secondo capitolo di questa neo storia, ho cercato di
essere veloce nella sua stesura e spero di non avervi fatto aspettare
troppo. Ricordo inoltre che se volete mi potete trovare anche su Wattpad con questa storia e anche altre, vi lascio il link del mio profilo qui-->
_Heyale (Wattpad)
Ringrzio di cuore che ha già messo la storia tra i preferiti/seguiti/ricordati, quei numeri valgono molto per me.
Al prossimo capitolo!
SWIMMING TALE
CAPITOLO TRE
“Romeo e il box doccia
#3”
Partiamo dal fatto che la
Nyst ha un nome e noi manco quello. New York City Swimming
Team: un nome imponente, capace di farti vedere i brividi al suo
solo sussurro. Quando senti una bestia di nome del genere non puoi
che pensare a quanto siano forti i suoi membri e a che livelli sia
quella squadra delle meraviglie, sia come individui che come insieme.
Gli occhi diventano lucidi dall'armonia di queste cinque parole
accostate, una sinfonia si diffonde nell'aria e tutto sembra più
rosa e bello.
Poi ci siamo noi.
In genere siamo “quelli che
nuotano dell'Andrew College”, “gli inutili alla società”, “i
tipi che puzzano di cloro” o “ah si! Sono quelli che vanno in
giro in mutande!”
Questo non rende di certo tutto più bello e
rosa, né tanto meno diffonde una sinfonia nell'aria. L'unico suono
che si sente sono le risate di chi ascolta e i commenti che non fanno
altro che denigrare noi e quello che facciamo, ma ormai devo
ammettere che ci sono abituato: sono quasi cinque anni che si viaggia
a questo ritmo anche se grazie a noi la vetrina dei trofei può
vantare un argento e un oro alle nazionali scolastiche - ottenuti il
primo e il secondo anno con Kyle in squadra. Sulla questione dei nomi
abbiamo provato a discuterne tante volte, ma ormai ci siamo
rassegnati. Noi un nome non l'avevamo nemmeno agli inizi, nemmeno
quando Kyle era ancora a Detroit e nemmeno quando in giro c'erano i
gruppi che si davano nomi strafighi del tipo “gli squartatori”,
“gli uragani fiammanti” e “i demolitori di record”. Noi
restavamo semplicemente quelli inutili alla società anche se
tentavamo nomi pazzeschi, quindi dopo un po' abbiamo gettato la
spugna. Perfino il nostro gruppo su Whatsapp non ha nome, se cerco la
nostra chat devo ricordami di digitare “senza nome” nel motore di
ricerca.
Ma questa è solo una delle infinite differenze tra la
Nyst e... be', noi. I Senza nome.
Perché vi sto dicendo questo?,
vi chiederete.
Il fatto è che la squadra titolare della Nyst è
esattamente di fronte a noi, uno stile corrispondente all'altro in
parallelo. Questa è stata un'idea di Babbo Natale: non di Muller,
non mia, non nostra, non di qualcuno con un po' di sale in zucca.
Semplicemente di quella mente bacata di Harper che, alle nove di
mattina, se n'è uscito con: “Organizziamo un torneo per
conoscerci!”
L'unica uguaglianza tra queste due squadre è il
numero di titolari - che in merito a staffette è standard, quindi mi
sento un reietto in ogni caso. Di fronte a me, con solo la felpa
aperta e il costume sponsorizzato dalla NYC Swimming Team, Kyle Adair
si appresta a difendere lo stile dorso contro di me. Di fronte a lui,
con il costume di Spongebob e diciotto anni buttati nel cesso, ci
sono io.
Alla mia destra, per lo stile libero, abbiamo la
riccissima e già in ansia Percy che, con sguardo di sfida, tiene
fissato il suo rivale. Quest'ultimo è uno spilungone di non so
quanti chilometri dal forte accento norvegese, i capelli platinati
non più lunghi di un centimetro e gli occhi chiari, una massa
muscolare che supera di netto la mia e quella di Aydin messe insieme
e un sorriso da “cosa-vuoi-fare-contro-di-me-microbo”. Durante le
presentazioni avvenute poco fa, con un vocione talmente basso da aver
risuonato nel mio timpano, ha detto di chiamarsi Dominik Hansen e di
avere diciannove anni. E fidatevi, ad un mostro di quelle dimensioni
minimo minimo gliene avreste dati ventisei.
Passando avanti
abbiamo il settore dello stile farfalla, detto anche delfino: per i
Senza nome c'è l'agguerrita Iris, per la Nyst un ragazzo che a
vederlo non gli si darebbe nemmeno un centesimo. Vorrei dire che è
addirittura più basso di me, muscolatura delle spalle e delle gambe
su cui c'è ancora molto da lavorare, postura da idiota, capelli e
occhi scuri e un che di ebete. Ha detto di avere diciassette anni -
il che lo rende il più piccolo tra di noi, provenienza italiana e il
suo posto nella squadra di New York grazie alle sue posizioni sempre
nei primi tre posti nei tempi di tutta Italia. Non so quanto potrò
andare d'accordo con questo Nico Casadei, prevedo già una forte
antipatia nei suoi confronti e la tendenza a volerlo accidentalmente
colpire con dei tubi di spugna nello stile di Xavier.
Per lo
stile rana infine per la Nyst abbiamo Quentin Reynolds, canadese di
origini come me e un quasi ridicolo accento francese reso americano
nelle peggiore delle maniere. Non sembra tanto pericoloso, ha una
zazzera di capelli castani che non finisce più e gli occhi
tremendamente verdi - quel verde che non definirei molto “smeraldo”
ma più che altro “melma”. A quanto ho capito è il più grande
della squadra con il primato della doppia decina, vanta di diverse
medaglie d'oro nel suo stile e purtroppo anche nel mio.
Così la
Nyst è messa a confronto con noi, loro con tutti i costumi e borse
varie sponsorizzate e noi con i costumi di Spongebob e lo zaino con
cui andavamo ad educazione fisica fino all'anno scorso - e qui
possiamo deliziarci con Spiderman, Minnie e via dicendo. Non c'è
storia, diciamocelo. Loro concorrono nei gironi nazionali e ambiscono
alle Olimpiadi, è giusto che abbiano forse una marcia in più
rispetto a noi che semplicemente alleniamo la squadra del college, ma
magari qui sarebbe gradito avere almeno le docce regolabili (nel caso
veniste a farci visita: la doccia 3 e la 6 fanno solo acqua fredda,
la 1 e la 2 calda da ustione, la 4 e la 5 sono inutilizzabili). Per
non parlare degli allenatori e dei preparatori tecnici: in breve, da
noi non esistono. Per i miei quattro anni di superiori sono stato
allenato dalla figlia di Muller accompagnata dal padre, entrambi
tabula rasa se si tratta di nuoto. Più che altro ci sorvegliavano e
noi ci allenavamo secondo chi aveva più esperienza e poteva aiutare
gli altri, di fatto quelli che potevano essere considerati allenatori
eravamo io e una ragazza che ha mollato dopo due anni.
– Siamo
tutti pronti? – Babbo Natale batte le mani facendo risuonare lo
schianto per tutta la piscina vuota, sorridendoci poi in modo
inquietante uno ad uno. – Partono i due capitani?
Io e Kyle ci
lanciamo un'occhiata veloce, non aggiungiamo niente e raggiungiamo i
blocchi di partenza. In effetti sono un po' agitato: in due anni lui
non è mai riuscito a battere i miei tempi, ma probabilmente le cose
sono cambiate parecchio; del resto avendo un'altra squadra da
allenare non ho più potuto preoccuparmi molto dei miei allenamenti
mentre Kyle si allena tutti i giorni per un tot di ore che non mi
immagino nemmeno. Così entro in acqua con un leggero tuffo per poi
attaccarmi ai blocchi per la partenza subacquea, è da un bel po' che
non ne provo una come nemmeno una virata fatta bene. Sebbene siano
quattordici anni che pratico questo sport ho ancora paura di poter
morire annegato in una piscina di un metro e novanta al massimo.
Abbasso gli occhialini sul naso, sistemo la cuffia e respiro: è
come un rito, il respiro riesce a calmarmi e per un secondo riesco a
sentire l'acqua. Sento il rumore, il suo tatto e la sua presenza. C'è
chi pensa di doverla combattere, come Kyle, e c'è chi pensa di
doversela fare amica, come me; questo è sempre stato un invalicabile
muro tra di noi. Gli lancio un veloce sguardo, nella corsia a fianco
alla mia lui sta finendo di riscaldare le spalle e si prepara alla
partenza. Si immerge, mi sorride velocemente e poi ritorna
concentrato.
Nel caso dovessi fallire miseramente, ricordate che
ho quattro ore di sonno in corpo e lui ne ha sette.
26.7
secondi contro 30.9
Guardammo entrambi i tabelloni nello stesso
momento. Kyle si innervosì, per me era tutto nella norma: era il gennaio di quattro anni fa.
Per
quanto duramente ci provasse non riusciva mai a diminuire lo scarto
di quattro secondi dal mio tempo, vedevo la sua espressione farsi
sempre più cattiva quando si trattava di una competizione contro di
me e nonostante avessi tentato di spiegargli circa un centinaio di
volte che per me non era altro che un passatempo, lui non capiva a mi
dichiarava guerra ogni volta. Anche quel giorno, finiti gli
allenamenti, sapevo che la mia vittoria avrebbe significato ancora
più cattiveria e più nervosismo nei miei confronti. Mi ero già
rassegnato all'idea, quindi lo seguii fuori dalla vasca verso gli
spogliatoi con la testa bassa, la coda tra le gambe e pronto a subire
quella che era diventata una triste routine.
Una volta giunti
alle docce ed essere entrati in due box affiancati cercai di
sbrigarmela in fretta per evitare una parte del trattamento che mi
riservava di solito, ma appena spensi l'acqua lui scostò la sua
tendina e rivelò il solo il suo volto, chiamandomi fermamente per
nome: – Himeragi.
Mi bloccai preso dalle mie solite crisi di
parolacce che parolacce non erano ma fui comunque costretto a girarmi
verso di lui: – Sì?
– L'asciugamano.
Annuii, mi legai
l'accappatoio in vita e trenta secondi dopo fui di nuovo da lui con
l'asciugamano in mano e una paura assurda impressa in volto.
–
Un'altra cosa. – borbottò severo, coprendosi il minimo
indispensabile e uscendo pericolosamente dalla doccia. – Tu...
Lì
vidi la mia vita passarmi davanti agli occhi. La mia infanzia, il
momento in cui dissi ai miei che volevo nuotare, il momento in cui
pensai che a diciotto anni avrei voluto andarmene di casa e il
momento in cui, quattro mesi prima, era iniziato il mio inferno.
In
quell'istante però, sorprendentemente, il mio inferno cominciò ad
essere un po' meno infernale.
– Voglio che mi insegni a
nuotare.
Scoppiai giustamente a ridere.
E di gusto,
anche.
Trovavo estremamente esilarante che uno come lui avesse
avuto il coraggio di chiedere a me, dopo quattro mesi di schiavitù
forzata, ripetizioni di nuoto. Ne andava di mezzo il suo orgoglio e
la mia sanità mentale già fortemente provata, sono convinto che
anche voi vi sareste messi a ridere come se non ci fosse un domani.
Come se fosse stata la barzelletta più divertente del mondo. Come se
i vostri amici stessero discutendo sul fatto che la risposta alla
tale domanda era America o Inghilterra e tu invece andassi fiero del
tuo Guatemala.
– Cazzo ridi? – mi rimproverò immediatamente
Kyle, diventando leggermente rosso sulle guance bagnate. – Sono
serio.
– Vuoi veramente una mano? – gli chiesi, sperando di
arrivare alla fine di quel tremendo scherzo.
Kyle sbuffò, posò
la mano aperta sulla mia testa e mi spettinò i capelli bagnati,
lasciandomi indietro e raggiungendo gli spogliatoi senza dire nulla.
Capite perché era impossibile non trovare affascinante uno
stronzo del genere?
Faceva cose praticamente a caso, o forse erano
a caso solo per me, ma di certo se ne usciva in modi inconcepibili e
apparentemente messi in atto a sproposito. A volte era estremamente
prevedibile, altre una sorpresa continua. Non capivo come agire, non
capivo nemmeno quale fosse il sentimento prevalente e la giusta
maniera di approcciarmi a lui per evitare la sua ancora maggiore ira
infondata verso questo piccolo o povero freshman che apparentemente
non aveva fatto nulla di male.
– Kyle? – lo chiamai, timoroso
come un piccolo agnellino che si avvicina al lupo che si finge suo
amico. Erano poche le volte in cui ero riuscito a chiamarlo per nome,
la maggior parte delle volte lo chiamavo “ahia”, “lasciami in
pace” e “non aizzare il compasso contro di me, assassino”.
–
Sono serio. – ripeté lui a bassa voce, facendomi segno di girarmi
per potersi mettere i boxer. Così mi trovai di fronte agli
attaccapanni e a quel punto fu più facile trovare il coraggio per
parlare.
– Ad una condizione.
– Tu che imponi condizioni a
me? – rise tranquillamente, bussandomi sulla spalla per farmi
girare nuovamente. Così me lo ritrovai a due centimetri di distanza,
con i capelli gocciolanti e solo i boxer addosso. Penso che lì
stessi cominciando a rivalutare il mio già-in-dubbio orientamento
sessuale.
– Proprio così. – deglutii, mi sembrava di
commettere un peccato parlando così proprio a lui, ma sapevo che
quella era la mia unica occasione per cambiare le carte in tavola e
girare tutto a mio favore. – Devi smetterla di importunarmi.
–
“Importunarmi”. – ripeté, quasi stranito. – E cosa mai farei
per importunarti?
– Kyle! – sbottai, perdendo ogni speranza.
Non sapevo nemmeno se lo stesse facendo apposta o se si stesse
impegnando per farmi saltare i nervi. – Non puoi dirmi che non lo
fai intenzionalmente.
A quel punto sorrise di nuovo, un sorriso
che però non avevo ancora visto, quasi dispiaciuto: – Hai ragione,
hai ragione. Stavo solo scherzando.
– Evita di farlo. E' strano
se lo fai tu.
Lui alzò le mani all'aria, guardandomi male: –
Be', scusami se sono umano.
A quel punto ero indeciso se
chiedergli se ne fosse sicuro o se stesse scherzando nuovamente,
perché più che un umano lo vedevo come il mio Babau personale. Era
ovunque io speravo che lui non fosse, mi perseguitava tipo ombra e mi
faceva fare di quegli incubi che nemmeno i clown malvagi erano
riusciti a farmi avere. Volete dirmi che avrei avuto torto a chiedere
conferma sulla sua umanità?
– Lascia perdere. – borbottai,
andando verso la mia borsa. L'idea di non avere più il mio aguzzino
appresso non mi dispiaceva così tanto, ma l'idea di dovergli
insegnare a nuotare era quasi peggio.
– Avanti, Anguilla.
Dovete credermi se dico che quella era la prima volta che quel
soprannome non veniva detto con cattiveria e tra l'altro era anche la
prima volta in cui venivo pregato dal quella sottospecie di Babau dei
poveri. Sembrava un evento da calendario.
– Mi hai perseguitato
per quattro mesi. – sbottai duramente, pescando coraggio dal pozzo
che avevo sempre tenuto sigillato per paura di sbagliare ad aprire. –
Ora no. Non posso.
– Nemmeno se accetto la tua condizione?
–
Chi mi assicura che poi la rispetterai? – mi infilai in fretta i
boxer e poi levai l'accappatoio, sentendo i brividi farmi venire la
pelle d'oca per l'aria fredda che circolava in quel gennaio di
quattro anni fa. – E perché devo scendere a condizioni per farti
stare distante da me? Non ho chiesto io di avere il mio bullo
personale e credo di avere gli stessi diritti tuoi di essere libero.
Kyle assottigliò gli occhi, il mio cuore prese a battere come un
tamburo mentre lui mi arrivò vicino nel giro di qualche istante e mi
circondò il collo con la mano senza però stringere: – Stai
alzando i toni. – mi minacciò accantonando l'espressione
tranquilla che era straordinariamente riuscito a tenere fino a quel
momento.
– E continuerò a farlo. – ribattei, determinato a
vincere la mia causa. – Lasciami in pace. Adesso basta, Kyle.
La
sua presa si fece un po' più insistente, il mio cuore un po' più
agitato e la tensione un po' più pressante. Ci fissavamo come se
nessuno dei due avesse idee sul da farsi, come se fissarsi come dei
cretini per istanti interminabili fosse stata la soluzione al mio
problema.
– Per favore. – scandì allora, mantenendo la sua
facciata impassibile ma parlando in modo totalmente contrario. – Ne
ho bisogno.
– Mi stai pregando con la tua mano sulla mia
giugulare. – gli feci notare, al che lui ritirò subito il braccio
e abbassò per un attimo gli occhi in segno di scuse. – Fatti
aiutare da un allenatore vero, se ci tieni a migliorare. Io non sono
di certo più bravo di un istruttore qualificato.
– Ne ho
bisogno. – ripeté, lasciandomi perplesso.
Mi chiedevo se
pensasse che fossi sordo - come attualmente Percy fa - o se stesse
tentanto di dirmi qualcosa a cui evidentemente non arrivavo. Quel
momento era un paradosso in tutto e per tutto: io che prendevo
coraggio, lui che mi pregava, tutto intorno sembrava chiudersi e
restavamo solo noi persi in una bolla tutta nostra.
– Non sarò
io ad aiutarti. Non ho nemmeno la qualifica. – Abbassai gli occhi,
piano piano stavo perdendo tutta la foga che ero riuscito ad avere
fino a quel momento e se avessi esaurito le mie risorse sapevo che
avrei ceduto.
Così scoppiai io la nostra bolla prima che quella
potesse far scoppiare me: diedi le spalle a Kyle e ripresi a
sistemare le mie cose. Ricordo il cuore che mi batteva all'impazzata
mentre sapevo che la questione non era ancora stata archiviata e che
c'era qualcosa che Kyle non mi stava dicendo. Mi teneva fissato con
le labbra sigillate ma non accennava ad un singolo movimento,
semplicemente forse aspettava che fossi io a rendermi conto di star
sbagliando qualche calcolo nei suoi confronti. Dopo due minuti interi
di quell'andamento, però, mi girai nuovamente verso di lui per
dargli il colpo di grazia e intimargli di piantarla. Potete ben
capire che io, insulsa sirenetta anglo-giapponese dalle fragili
volontà e dal fragile equilibrio, nel cambiare direzione mi
ingarbugliai con i miei stessi piedi e finii per cadere in avanti,
investendo Kyle esattamente come in un incidente frontale.
Lui
subì il colpo alla schiena, alla nuca e al resto del retro del
corpo, mentre io trovai un morbido cuscino ad attenuare il mio
atterraggio. Peccato che quel cuscino fosse proprio il mio peggior
nemico.
– Oh Gesù. Oh Buddha. – Sgranai gli occhi, puntai le
mani a terra ma non so per quale ragione non mi alzai. Il mio corpo
aderiva perfettamente a quello di Kyle, potevo sentire ogni
scanalatura del suo fisico e con esse anche parti che, a quel tempo,
avrei volentieri evitato di sentire. – Oh Maria.
– Vuoi dire
il rosario? – mi rimproverò lui con la voce sofferente, portandosi
la mano alla fronte per massaggiarsi le tempie. – Che cazzo di
male.
– Mi dispiace. Giuro che mi dispiace. – Non sapevo
nemmeno cosa fare. Di sicuro avrei dovuto togliermi da lì, ma in
quel momento era per chissà quale strano motivo l'ultimo dei miei
pensieri. – Santo Dio.
– Se dici solo il nome di un altro
santo giuro che rubo un attrezzo da falegname di mio padre e ti
faccio a pezzi. – borbottò il ragazzo sotto di me, mugolando come
un povero cagnolino ferito.
Lo guardai per un po' negli occhi, li
trovai liquidi come al solito ma non mi fecero paura. Così presi un
respiro: – Confucio come lo consideri?
– Preferisci motosega o
seghetto a mano?
– Motosega. Più rapida. E comunque Charles
non ne sarebbe felice. – confessai, credendo per un momento di
sentirmi male per la paura che entrasse qualcuno e che Kyle potesse
veramente ammazzarmi da un momento all'altro.
– Lascia stare
mio padre. – si lamentò trattenendo visibilmente una risata. –
Sei proprio un imbecille, Himeragi.
– Lo so. – Per la prima
volta da quando mi trovavo in quella posizione pensai veramente di
dovermi alzare, così puntai le mani a terra e provai a farmi forza
per alzarmi senza fare troppo male a Kyle. Nel momento in cui ci
provai, però, lui portò le mani sui miei polsi e mi tenne saldo a
terra, fissandomi negli occhi senza mostrare alcun segno di emozione.
Lì iniziai a pensare di quale morte potevo morire per mano sua
dato che, di certo, non mi aveva tenuto sopra di lui a caso. Mi
guardavo nervosamente intorno, non aveva coltelli né altri oggetti
di quel genere nel raggio di due o tre metri, avrebbe sempre potuto
strozzarmi ma le sue mani erano impegnate. Una testata? No, poi si
sarebbe fatto male pure lui e l'impresa si sarebbe rivelata
controproducente.
Mentre pensavo alla mia probabile morte, lui si
decise finalmente a parlare: – Hai paura?
– Che tu mi uccida?
Sì.
– Addirittura? – Mi guardò quasi divertito, inarcando
entrambe le sopracciglia. – Non mi macchierei di omicidio per un
imbecille come te, probabilmente.
– Quel “probabilmente” mi
preoccupa. Posso alzarmi, ora?
– No. – Kyle riprese il suo
sguardo serio. – Dammi lezioni di nuoto.
Ormai la posizione in
cui eravamo era passata in secondo piano, era la sua insistenza a
darmi veramente fastidio in quel momento: – Ti ho già detto che
non si può fare. Questa storia è durata fin troppo, ora basta. Se
proprio ci tieni chiedilo a Persephone della classe B oppure a
quell'altro ragazzo che nuota con noi.
– Aydin Hickey? Mi
prendi in giro? – sospirò pesantemente, secondo la sua attitudine,
se avesse potuto, si sarebbe passato la mano tra i capelli
disordinati. – Voglio che mi insegni tu.
– Ma non ha senso! –
sbottai, appoggiando la fronte sul suo petto a causa del collo che
cominciava a dare fastidio per la posizione forzata. – Mi stai
usando come zerbino da quattro mesi ormai, perché vorresti avere
ancora a che fare con me? – mi morsi il labbro, indeciso se finire
o no la frase. Alla fine mi feci coraggio, comunque non lo stavo
guardando negli occhi e davanti a me avevo solo il suo petto nudo. –
Io sono stanco di te.
Se devo dire la verità, quella cosa non la
pensavo del tutto. Be', certo ero stanco dei suoi soprusi su di me,
ma se quella condizione non fosse esistita non credo mi avrebbe mai
potuto stancare lui come persona. Purtroppo però le carte in tavola
erano diverse ed io, per la prima volta, ero deciso a cambiarle.
Quando rialzai la fronte e lo guardai negli occhi, tutto
improvvisamente cambiò. La nostra bolla tornò ad avvolgerci e per
quel momento niente aveva più importanza intorno a noi.
– Di
cosa ti sei stancato? – mi chiese quasi innocentemente. – Di
pregare tutti i santi ogni volta che mi vedi? Incluso Confucio,
ovviamente.
– Anche quello. Ma credo sia chiaro di cosa io mi
sia stancato.
– Io non mi sono stancato.
– E ti credo. –
sbottai, a metà tra l'ironico disperato e il disperato ironico. Fa
molta differenza, fidatevi. – Hai la parte migliore, tu.
–
Per questo ho detto che posso accettare la tua condizione. Così
nessuno avrà da lamentarsi.
Sospirai affranto, in quella
posizione tutto risultava difficile e ancora più stremante era
guardarlo negli occhi: – Mi spieghi perché diavolo dovrei
essere...
E lì venni interrotto.
Kyle allungò il collo,
portò le mani dai miei polsi alle mie guance e mi baciò.
Potete
ben capire che farfalle e robette del genere erano nulla in confronto
a quello che potevo provare io, infimo ragazzino dai non chiari
istinti sessuali, adagiato completamente sul corpo del mio aguzzino e
specialmente con le sue labbra sulle mie. E ci sapeva fare, anche se
mi costa ammetterlo. Fino a quel momento i miei baci erano stati alle
bambine in classe con me a San Valentino che poi scappavano a
piangere dalla mamma, lasciando il mio povero cuoricino spezzato in
due. Ma almeno avevo i cioccolatini, quindi non me la passavo proprio
male.
Ma quello, oh be', quello era fuori dagli schemi.
Kyle
era fuori dagli schemi, anche io lo ero. Lo eravamo insieme, per lo
meno.
Non so nemmeno secondo quale impulso io portai le mani
sulle sue scapole e lo aiutai a mettersi seduto, ritrovandomi in
braccio a lui in una sensazione di familiarità che non ero mai
riuscito a provare con nessun altro. Sembrava tutto pieno di rose,
farfalline e di brillantini rosa: i nostri occhi socchiusi comunque
coscienti della gran cazzata che stavamo facendo, le nostre labbra
unite tra di loro e le mani che non accennavano a mollare la presa.
Sembrava tutto assurdamente perfetto quando ad un tratto un grido di
battaglia si levò dalla porta d'ingresso facendo tremare le panchine
degli spogliatoi.
– Adair! Fenwick! Quelle cose fatele in
privato, questo è un luogo pubblico e peraltro scolastico, per
Dio!
Il rettore Muller mi odia fin da allora.
Io e Kyle ci
allontanammo immediatamente, rossi fino alle punte delle orecchie.
Quando ci girammo, Muller ci fissava sconvolto e se ne andò
scuotendo la testa e borbottando qualcosa sulla gioventù confusa e
soprattutto bruciata, lasciandoci in preda ai “bene, ora che si
fa?”
In silenzio ci alzammo, mi ricordo che tremavo come una
foglia e non vedevo l'ora di rivestirmi anche se ovviamente i brividi
non erano dovuti al freddo. Nemmeno Kyle parlò ma sembrava per lo
meno più calmo di me, infatti si rivestì e se ne andò dallo
spogliatoio senza aggiungere altro. Io fissai la porta, quel bastardo
aveva veramente avuto il coraggio di andarsene dopo avermi fatto
diventare una specie di freezer umano? Imperdonabile.
Mi rivestii
in fretta, non mi asciugai nemmeno i capelli e uscii finalmente dalla
piscina. Arrivato alla mia mitica bicicletta con tre raggi in tutto
tra la ruota davanti e quella dietro mi sembrava di poter svenire da
un momento all'altro per quello che era appena successo, ma sfiorai
sul serio l'infarto quando sentii di nuovo la sua voce dietro
di me. Provai a convincermi che stavo solo impazzendo, che un
manicomio sarebbe andato bene e che quella voce non esisteva.
–
Non ignorarmi così però, Anguilla.
Ovviamente la mia
auto-ipnosi non funzionò.
– Ancora qui? – gli chiesi evitando
il suo sguardo, dovendo impegnarmi per centrare la toppa della chiave
della catena.
– Certo. Ti ho aspettato. Non mi hai sentito
quando ti chiamavo, un secondo fa?
Presi un respiro, mi girai
verso di lui e lo fronteggiai con un coraggio che non avrei mai
sperato di avere: – Cosa significava, prima? Perché l'hai
fatto?
Lui mi guardò male: – Perché volevo alzarmi ma sono
inciampato accidentalmente.
– Cosa...?
– Ma perché non lo
capisci? – Si portò la mano alla fronte, esasperato come mai
l'avevo visto essere. – Non voglio nessun altro che mi dia lezioni
di nuoto che non sia tu, nemmeno se fosse il più bravo nuotatore al
mondo. Voglio stare con te.
E fu da quel giorno che l'inferno
iniziò ad essere un po' più luminoso. Un po' più bianco, un po'
più allegro, un po' più bello. Ma ehi, sempre inferno era.
Kyle
Adair non sarebbe mai stato il ragazzo perfetto. Sarebbe sempre stato
quello che mi faceva arrabbiare per ogni cosa, quello che mi dava
appuntamento ma poi se ne dimenticava, quello che si ostinava a
minacciarmi se battevo i suoi tempi e quello che non faceva mai
quello che gli dicevo. Allo stesso tempo era l'unica persona di cui
non avrei mai potuto fare a meno. Mi fece innamorare di lui poco a
poco, passo dopo passo. Non fu tutto immediato, devo ammetterlo. E di
questo, credetemi, c'è ancora tempo per parlare.
Appena
la mia mano tocca nuovamente la parete sento i miei compagni
scoppiare in un fragoroso applauso e il mio cuore battere talmente
forte per lo sforzo da risuonare anche nelle orecchie. Sento anche il
cronometro smettere di contare e le onde che mi sbalzano di qua e di
là, appoggiare i piedi finalmente sul pavimento della vasca mi
sembra come aver raggiunto la Terra Promessa. Sono davvero messo così
male?
Non nuotavo seriamente da quasi un mese ma speravo che i
miei polmoni mi dessero il loro aiuto come se la pausa non fosse mai
stata fatta, ora come ora mi sembra che la boccata d'aria che prendo
freneticamente sia sempre l'ultima. Do un'occhiata a Kyle, lui non
sembra per niente affaticato e guarda il tabellone con un'espressione
indecifrabile. Anche se i miei occhi sono infastiditi dalle gocce che
cadono su di essi riesco comunque a focalizzare il mio sguardo sui
tempi appena conclusi e non so dire se ora vorrei ridere o
piangere.
28.8 contro 32.2
Ecco, ora mi uccide sul serio.
Sono
sicuro che non me la fa passare liscia: dopo tre anni ancora io
detengo il tempo migliore.
Questa è la mia croce.
– Hime! –
la voce di Hick mi riporta alla realtà, alzando gli occhi mi ritrovo
la sua mano tesa verso di me per darmi un aiuto ad uscire. – Ce
l'hai fatta!
Annuisco, sono ancora un po' stordito ma riesco
comunque ad afferrare la sua mano ed issarmi quindi sul bordo,
tornando all'asciutto. Il ragazzo italiano della Nyst, Nico, aiuta
Kyle ad uscire e gli fa i complimenti che vengono però accettati con
gran poco entusiasmo e un chiaro sguardo inceneritore verso il
tabellone. Bene, sono morto. Io so già che quando arriveremo a casa
lui si macchierà le mani di omicidio, al giudice dirà “era il mio
ex ragazzo e mi aveva stracciato di nuovo in una gara di dorso” e
la parte più brutta è che verrebbe assolto già alla prima udienza
perché, diciamocelo, a Kyle Adair è matematicamente impossibile
resistere.
– Ti conviene farti la doccia. – mi suggerisce
Iris, posizionandosi sul blocco iniziale. – Qui ci pensiamo noi,
capitano.
Annuisco, ringraziandola con un cenno della testa e
andando verso le docce. Entro così nel box tre per la mia doccia a
cubetti di ghiaccio, ancora la tachicardia si fa sentire e spero di
togliermi questo senso da questi-sono-i-miei-ultimi-minuti che sembra
essersi intriso nella mia pelle da quando il tabellone ha fissato i
due tempi.
Appendo così il mio costume a cavallo del palo che
sorregge la tenda, levo cuffia e occhialini e mi fiondo sotto il
geyser congelato. Se non mi ucciderà Kyle lo farà di sicuro l'acqua
a cinque gradi dei box tre e sei. Non so nemmeno se il suicidio sia
nuotare dopo un mese di fermo o farsi la doccia in questa piscina
dopo un mese di fermo, entrambi le soluzioni sono comunque atroci.
C'è da dire però che niente è più atroce della tenda che
viene aperta di scatto e Kyle che compare al suo posto.
Addio
mondo.
– Cazzo fai?! – sbraito indecentemente, costatando che
anche lui, come me, è in condizioni di come-mamma-mi-ha-fatto, ossia
nudo come un bebè. Non ha nemmeno l'asciugamano addosso, zero.
Noncuranza a livelli astrali mai toccati dal genere umano. –
Vattene!
Mi giro di spalle per coprire il lato A, anche se devo
ammettere che non mi va nemmeno a genio il fatto che stia guardando
il mio lato B. Perché diavolo Kyle Adair è nudo dentro il mio box
doccia? Sono troppo vecchio per queste cose, accidenti a lui! Tre
anni fa l'avrei considerato normale, ora è solo tremendamente
imbarazzante.
– Ho una domanda. – confessa a bassa voce,
chiudendo la tendina dietro di lui. – Poi ti lascio da solo.
–
Ma lasciami adesso! Puoi parlare quanto vuoi basta che tu sia fuori
da qui!
– Ah no. – Appoggia la mano sulla mia spalla,
iniziando a fare pressione perché io mi giri. Figuriamoci! –
Voglio vederti in faccia mentre rispondi.
Ci mancava questa.
–
Mi metto ad urlare. – lo minaccio, ma la risata che sento da parte
sua non mi rassicura per niente.
– Non sarebbe una novità in
questo box, no?
– Sei il peggior essere
vivente sulla faccia della Terra! – Cerco di dargli un calcio ma
non vedendo una mazza ovviamente finisco per colpire il muro con
conseguente rosario di imprecazioni. – Non dire più una cosa del
genere. Le regole valgono anche al di fuori della casa.
– Questo
non era delle condizioni. – Due passi avanti suoi, sento il suo
petto sfiorare la mia schiena. – Avresti dovuto pensarci prima,
Anguilla. E poi di cosa hai paura? Non è di certo la prima volta che
siamo qui in queste condizioni.
– Levati da me. – mugolo in
preda al panico, pensando che forse la spugna non sarebbe un'arma poi
così efficace. – Ne riparliamo dopo, d'accordo?
– No. – La
pressione della sua mano si fa più pesante fino a diventare dolorosa
e costringermi quindi a girarmi verso di lui. – Solo una
domanda.
Devo impegnarmi con tutto me stesso per non lasciare
cadere i miei occhi sul suo amichetto di Cittàlaggiù e
tenerli invece puntati sui suoi, una volta stabilito il contatto però
risulta alquanto difficile mantenere i nervi saldi ed evitare di
sentire il viso andare a fuoco.
– Che diavolo vuoi? –
borbotto praticamente contro le sue labbra, dovendo tenere a bada
pure tutti quegli indesiderati istinti che renderebbero questo
momento ancora più imbarazzante.
– Dimmi gli errori che pensi
di aver fatto. Avanti.
Deglutisco, averlo a questa distanza non
aiuta il mio cervello ad elaborare la domanda ma se perdo la testa
per così poco allora posso considerarmi proprio un deficiente con
tanto di nome cretino. Giusto per ricordarlo.
– La partenza
subacquea. – inizio, impaurito come un bambino con il suo Babau. –
La gambata era debole e ho esaurito il fiato prima dei quindici
metri. Il rollio era poco lavorato e durante la virata mi sono
intrigato non poco, ho perso qualche secondo solo per ristabilire
l'equilibrio.
– Eppure mi hai battuto, accidenti a te. – Mi
fissa come se mi volesse uccidere solo con gli occhi, ma quando penso
che stia veramente per succedere il peggio (sì, sono melodrammatico)
succede qualcosa di un po' inaspettato ma allo stesso tempo un po'
prevedibile.
Nell'esatto istante in cui serro gli occhi, lui,
quell'abominio di uomo, spregiudicato come poche volte nella sua vita
da criminale, si permette di mordermi sulla mia povera
già-martoriata-in-passato clavicola sinistra.
Ora, tre opzioni:
cosa potrebbe mai fare quell'insulsa sirenetta da manga che
corrisponde a me medesimo?
A- Lascia Kyle fare quello che vuole
B-
Dà uno schiaffo a Kyle ed esce dalla doccia
C- Si mette ad urlare
come una donna
Ebbene, se avete scelto una delle tre opzioni lì
sopra devo dire che non mi conoscete ancora bene perché io,
dall'alto della mia estrema furbizia, in uno scatto di panico alzo
troppo velocemente il ginocchio finendo per colpire Kyle proprio sul
punto più doloroso del suo corpo.
Esatto.
L'amichetto di
Cittàlaggiù.
Kyle si inginocchia a terra dolorante e mugolante,
imprecando contro di me qualsiasi cosa gli passi per la testa (credo
di aver sentito un “che ti strozzassi col tuo accidenti di costume
di quella cazzo di spugna gialla”, ma spero di aver sentito male).
– Oh Gesù bambino. – E' l'unica cosa che riesco a dire,
paralizzato davanti a lui.
Okay, ammetto che volevo fargli male
ma di certo non volevo colpirlo lì. Nella mia vita mi è capitato
ben poche volte di ricevere una ginocchiata nelle parti basse ma
ricordo che, in prima media, dopo un calcio ben assestato da un
ragazzino che mi odiava io persi i sensi e mi ritrovai in ospedale il
giorno dopo.
– Maria!
– Himeragi. – mugola lui piano, la
sua voce risulta più alta di qualche ottava per il dolore. – Di'
ancora il nome di un santo e giuro che stavolta ti ammazzo per
davvero.
Mi inginocchio di fronte a lui per vedere se almeno
riesce a respirare, spengo l'acqua per rendergli più facile far
entrare l'aria nei polmoni ma la situazione non sembra migliorare
molto. Appena alza il viso verso di me noto purtroppo che è bianco
come un fantasma e che la sua espressione esprime niente di meno che
il dolore più acuto per un maschio. Forse sono anch'io un po' un
abominio di uomo in questo momento.
– Ti porto del ghiaccio? –
gli chiedo a bassa voce, lui non dà segni di vita se non uno
spostamento dello sguardo dal pavimento a me. – Ti porto del
ghiaccio. – concludo, andando per uscire fiero dal box doccia.
La
mano di Kyle mi afferra però la caviglia facendomi ovviamente
perdere l'equilibrio, ma riesco ad attaccarmi al muro ed evito quindi
la caduta: – Cosa c'è?
– Sei nudo, imbecille.
Mi do una
veloce occhiata, tornando poi su di lui:– Oh già. Sono nudo.
–
Tu da qui vivo non ci esci. Stanne certo.
– Be', per lo meno
stai parlando!
– Di certo non posso mimarti che sei un
imbecille, che dici?
Annuisco, sconfitto, inginocchiandomi di
nuovo vicino a lui. Non so nemmeno cosa fare per farmi perdonare,
l'unica cosa che potrei fare senza fargli ulteriore male è cercare
di rendere la situazione un po' meno disastrosa di come già io
l'abbia fatta diventare. Alzo così il braccio fino ad afferrare il
mio asciugamano posto a cavallo del palo della tendina, facendolo
scivolare fino ad averlo tra le mani e poterlo quindi usare per
coprire Kyle.
Lui mi fissa stranito ma non credo disdegni dal
momento che per lo meno oltre ad essere dolorante non è più bagnato
fradicio, perciò semplicemente si sforza di respirare regolarmente e
inizia a far tornare la sua espressione alla normalità.
Io giuro
che mi dispiace, non avrei voluto essere così brutale. Insomma, lui
mi stava facendo diventare matto ed è vero, ha fatto irruzione nel
mio box doccia, mi ha obbligato a parlare, mi ha morso la
clavicola...
Sapete una cosa?
Mi sa che se l'è proprio
meritato. Ora mi dispiace un po' meno.
– Riesci ad alzarti? –
gli chiedo passando il braccio attorno alla sua vita coperta dal mio
asciugamano, dandogli una mano a mettersi in piedi.
Una volta
sorretto dalle sue stesse gambe sembra iniziare a riprendersi sul
serio, scrolla le spalle e sospira profondamente: – Tieni le
ginocchia a posto la prossima volta.
– E tu i denti. –
ribatto, uscendo velocemente dal box per afferrare il suo accappatoio
e mettermelo addosso. – A casa abbiamo il ghiaccio, comunque.
–
Mi fa piacere. – borbotta lui sottovoce, notando con disappunto che
indosso il suo prezioso accappatoio. – Peccato che tu vada a casa
alle sei di stasera e io devo muovermi con te, genio.
– Se tu
avessi evitato di entrare abusivamente nella mia doccia saremmo tutti
e due meno doloranti. – ribatto, portando le mani ai fianchi
determinato a vincere la mia causa. – Ti servirà da lezione.
–
A te servirebbe una lezione per tenere a bada i tuoi spasmi da
impanicato cronico. – Finalmente esce dalla doccia, si lega bene
l'asciugamano in vita e ostenta i primi passi. – E comunque devi
smetterla di dire il rosario ogni volta che...
Si interrompe,
fissando lo spogliatoio con uno sguardo di disappunto.
Ecco, è
stato illuminato dal Nirvana.
Provo a dare un'occhiata anch'io,
forse la mia chiamata da Buddha è arrivata adesso dopo quattro anni,
ma non trovo effettivamente nulla di spiritualmente utile. L'unica
cosa che vedo e che capisco stia urtando Kyle è la
capitata-in-un-brutto-momento presenza di Xavier.
Il ragazzino mi
fissa con gli occhi spalancati, probabilmente si sta chiedendo che
razza di buon esempio gli starei dando uscendo dalla doccia con
un'altra persona in condizioni post-shock. Insomma, non l'ho mica
chiesto io che Kyle venisse a fare tutto quel casino mentre io dovevo
farmi semplicemente la doccia, questa situazione non la reputo
minimamente una mia responsabilità!
– Xavier. – mi schiarisco
la voce prima di risultare un cretino in tutto e per tutto, lascio
indietro a Kyle e mi avvicino al rosso. – Come mai qui?
– La
preside. – borbotta lui lanciando uno sguardo disgustato a Kyle. –
Mi ha mandato a farvi firmare i documenti per l'iscrizione alle
provinciali.
– Provinciali. Certo. – Afferro la penna dalla
sua mano e firmo dove vedo le altre firme dei miei compagni, cerco di
non gocciolare sul foglio e fortunatamente l'impresa riesce nel
migliore dei modi. – Mi raccomando, gli allenamenti sono alle
quattro, oggi.
– Rimango in mensa con Sapphire. – mi spiega,
tenendo sempre controllato Kyle alle mie spalle. Cos'è questa brutta
sensazione che ho in merito a questi due? – Arriveremo insieme.
–
Perfetto. Allora ci vediamo dopo.
Xavier mi squadra dall'alto al
basso, posiziona i suoi occhi prima sull'accappatoio che riconosce
non essere mio e poi sulla mia clavicola che io, furbo come pochi, ho
lasciato scoperta tenendo basso il nodo della cintura. Bravo
Himeragi, sempre molto discreto e attento.
– Posso capire
quello che è successo o...?
– No! – Agito immediatamente le
mani davanti al suo viso sembrando probabilmente un tricheco artico
rincoglionito, sperando che legga il gesto in “cancella tutto” e
non in “sono scemo e me ne vanto”. – Non è come pensi. E'
tutto un equivoco.
– Mh. – Il ragazzino sorride forzatamente,
lascia per qualche altro istante il suo sguardo sul morso fin troppo
evidente che quell'altro depravato mi ha lasciato e poi mi dà le
spalle, andando verso l'uscita. – Farò finta di crederci. –
conclude con una risatina che non so dire se sia più infastidita o
più ironica, agitando la mano in segno di saluto.
Ora credo di
temere di vedere Kyle.
Ho un momento di impanicamento cronico.
–
Non mi piace il moccioso. – Kyle si esprime in tutto il suo tatto
da ragazzo maturo, lanciandomi addosso il mio asciugamano. Grazie a
Dio, quando mi giro, ha già i boxer addosso.
– E' difficile. –
lo difendo, vestendomi altrettanto velocemente. – Non è facile
averci a che fare.
– Ho capito, Himeragi, ma hai visto come mi
guardava?
Sorrido sornione, passandogli il suo accappatoio: –
Esattamente come tu guardavi me. Oggi siamo in vena di lezioni, eh?
–
Ne vuoi una tu, piuttosto?
Scuoto la testa, infilandomi la
maglietta prima che il momento di buio causato dal colletto possa
costarmi un colpo basso: – No, grazie. Ne ho avute abbastanza
anch'io.
– Non è mai tardi per imparare.
Lo guardo male,
facendogli una smorfia degna del mio periodo d'oro di transizione da
“cavolaccio” a “cazzo”: – C'è sempre la cuccia del gatto
della signora Stanley se hai ancora tanto da insegnarmi.
Kyle
alza il dito medio nella mia direzione con un sorrisetto irritato, ma
per lo meno se ne sta zitto e mi lascia vincere questo match.
Purtroppo so che con lui è solo una battaglia vinta, ma la guerra è
ancora in corso e lui ha ancora molte armi in serbo per me.
–
Facciamo il punto della situazione. – Mi lascio cadere sul primo
gradone delle tribune tra Aydin, Iris e Percy; sopra di noi Tammie,
Sapphire, Marley e Xavier sono in ascolto e ancora più in su i
quattro titolari della Nyst osservano con attenzione il modo in cui
ci approcciamo a queste nuove promesse del nuoto scolastico. – I
provinciali sono tra due settimane. Tredici scuole partecipanti, una
giuria di sette giurati.
– In più, – Iris prende il foglio
dalle mie mani, guardando negli occhi i nostri allievi. – Le altre
scuole gareggiano con squadre dell'ultimo anno, voi avete sedici,
quindici e quattordici anni. I giudici conoscono pressapoco tutti
quanti tranne voi: dovete sfruttarlo a vostro vantaggio. Dobbiamo
impegnarci, allenarci il più possibile sulle vostre abilità
individuali e all'ultimo affinare l'abilità di squadra con la
staffetta.
– Ho una domanda, Anguilla. – Tammie, la più
piccola nel gruppo e la probabilmente la più sincera, con i suoi
capelli scuri a caschetto e gli occhi da cerbiatto, alza la mano e
guarda me. – Perché ci sono questi qua dietro?
Lancio uno
sguardo divertito a Kyle e al resto della sua squadra, tornando poi
su Tammie: – Perché non sanno dove andare finché il capitano non
se ne va e dato che lui viene via con me stanno tecnicamente
aspettando la fine di questa riunione, che sarà tra... Dieci minuti,
circa.
– Vi studiamo. – interviene Quentin, il mio caro
connazionale, sorridendo scherzosamente alla ragazzina. – Per una
sfida in futuro.
– Sul serio? Gareggerete con...
–
Lasciali perdere, Tammie. – la interrompe Xavier, guardandola
severo. – Concentriamoci sulle gare intanto, okay? Dobbiamo passare
tutti insieme, nessuno deve restare indietro. No, Anguilla?
– Esatto. – Indico
Xavier con un cenno, sorridendogli. – Xavier ha ragione, ragazze.
Dobbiamo impegnarci per farvi arrivare tutti insieme alle finali:
ognuno di voi ha una specialità, il che è un requisito necessario
per una squadra completa come individui e come insieme.
–
Vedrete che ce la farete! – Hick se ne esce con questa perla di
saggezza degna di Platone così a caso, sprizzando entusiasmo anche
dopo aver nuotato per due ore insieme ai ragazzi della Nyst. – Noi
siamo arrivati tutti gli anni alle regionali, nel primo e nel secondo
anno anche alle nazionali perché c'era...
– Kyle. – conclude
Percy, lanciandomi un'occhiata divertita leggendomi in viso il
disappunto per questo argomento. – Hime gareggiava nei cento e
duecento metri, Kyle gareggiava nella staffetta. Io, Iris e Hick
facevamo solo i cento metri nella nostra specialità e non ci
stancavamo troppo, mentre per Hime sarebbe stato difficile affrontare
tre gare impegnative tutte di fila. Otteneva dei buoni piazzamenti,
il vostro allenatore.
I miei allievi mi fissano ammaliati,
mettendomi visibilmente a disagio. Me la cavavo, ecco tutto: non ero
chissà quale stella del nuoto agonistico a livello scolastico,
semplicemente mi divertivo a sentire un po' di sana competizione
scorrere nelle mie vene.
Marley alza il dito indice per chiedere
la parola, guardandomi poi sorridendo: – Come ti sei piazzato?
–
Io, be'... – Se devo essere sincero non mi ricordo nemmeno le
posizioni precise. E' valido dire “tra l'ultima e la prima”
secondo voi? – Forse tra la...
– Cento metri argento e
duecento undicesimo, primo anno. – Kyle prende parola al posto mio,
attirando l'attenzione della piccola squadra tranne Xavier che si
rifiuta categoricamente di voltare la testa. – Secondo anno, bronzo
per i cento metri e bronzo per i duecento. Terzo anno, primo per i
cento metri e quarto per i duecento. Ultimo anno, argento cento metri
e oro per i duecento.
Guardo Kyle negli occhi, sono decisamente
spiazzato: – Come puoi saperli tu...?
– M'informavo. – si
giustifica lui tranquillamente, alzando le spalle ma distogliendo in
fretta lo sguardo, chiaro segno del suo momentaneo imbarazzo.
Okay,
questa suona molto come una missione di stalking nei miei confronti.
Non so dire se la cosa mi faccia piacere o se mi inquieti davvero
molto.
– Ad ogni modo, – Percy ruba il foglio ad Iris,
schiarendosi la voce. – Per Tammie avevamo pensato solo la
staffetta con lo stile a farfalla, giusto perché è la tua prima
competizione e sarebbe meglio che prima prendessi confidenza con
l'ambiente. Per Sapphire e Marley i cento metri rispettivamente con
dorso e stile libero e la staffetta, infine per Xavier si era pensato
che, volendo, si potrebbero provare i duecento e i cento metri a rana
e per la staffetta chiameremmo qualcuno dalle riserve.
– Non ci
sto. – protesta il rosso, alzando gli occhi verso di noi. –
Voglio fare anche la staffetta con le mie compagne.
– Devi
pensare anche al tuo fisico. – lo rimprovera Iris. – Sono gare
stancanti.
– Non mi interessa. – Lo sguardo del rosso si
concentra poi sul mio, costringendomi a cedere senza nemmeno tentare
di porre resistenza. So anche io che non va bene sforzare il fisico
alla sua età, io non l'ho mai fatto e so che già due gare non sono
poche da sopportare, ma conosco anche il valore che il nuoto ha per
Xavier. Avendo un certo genere di problemi con i suoi genitori sono
arrivato a capire che per lui il nuoto è l'unico modo per misurarsi
con gli altri e con se stesso senza sentirsi prigioniero in un
ambiente in cui si sentirebbe solamente in gabbia. Xavier, come me,
nel suo stile non ha mai cercato di combattere l'acqua, è sempre
stato un suo alleato ma allo stesso tempo non le ha mai permesso di
prendere il sopravvento.
– Lasciatelo fare. – acconsento alla
fine, facendo un cenno con la testa. – Andrà tutto bene.
I
miei compagni mi guardano male ma alla fine convengono che, se si
tratta di Xavier, sono io quello da ascoltare. Così tutti sembrano
contenti dei loro incarichi, i ragazzi della Nyst ci fissano
interessati e Kyle, in particolare, sembra interessato alla nuova
piccola squadra dal momento che, appena chiudiamo la riunione, si
mette a parlare con le ragazze riempiendole di domande.
Devo
ammettere che è un bel quadretto ma l'armonia viene spezzata dal
vibro omicida del mio telefono che oltre a far ballare la mia gamba
mi fa anche prendere uno spauracchio non da poco, costringendomi ad
allontanarmi per poter rispondere.
– Pronto? – sono costretto
a tenere la voce bassa per evitare il rimbombo tipico della piscina,
sperando di non risultare in una missione della CIA.
– Himeragi!
Da quanto tempo!
Ditemi che è uno scherzo.
– Mamma...! –
fingo di essere felice di sentirla ma più che altro viene fuori un
lamento da lemure sofferente.
– Ho una sorpresa per te.
Indovina chi sta tornando da Tokyo...?
– Fammi indovinare. –
biascico con l'entusiasmo pari a quello dello stesso lemure
sofferente di prima. – Tu e papà?
– Esatto! Veniamo a
trovarti domani sera, ci fermiamo a cena da te e poi andiamo a
casa.
Ripeto: ditemi che è un bruttissimo scherzo. I miei
genitori non sanno nemmeno di Kyle, della Nyst: nulla! Solo un
inutilissimo nulla!
– In realtà, mamma... C'è qualche
problema, io...
– Oh, suvvia! Non fare il pignolo. Ci vediamo
domani sera, un bacio!
– Un... – scuoto la testa, pensando per
un momento di lanciare il cellulare tenuto insieme con lo scotch
nella piscina. – … bacio. – concludo chiudendo la chiamata e
riponendo l'oggetto del delitto in tasca.
Thelma Figgins e Jim
Fenwick, siete le due persone più inopportune del mondo e so già
che la vostra visita mi costerà anni dall'analista.
Lancio uno
sguardo a Kyle, lui nota la mia espressione disperata e mi viene
vicino con una smorfia divertita: – Hai appena visto un
fantasma?
Lo guardo negli occhi scuri, indeciso se scoppiare a
piangere o picchiare ripetutamente la testa sul muro: – I miei
genitori vengono a casa nostra domani sera.
Anche gli occhi di
Kyle si sgranano mentre la sua bocca si esibisce in un educato: –
Cazzo.
Annuisco, raggiungendo di nuovo il gruppo pensando già
che, domani sera, oltre al fatto che vedranno Kyle dopo tre anni,
dovrò dire loro che sono diventato istruttore e che io e Iris non
stiamo più insieme da un anno e mezzo. E loro adoravano Iris. Le
avevano comprato le ciabatte per stare a casa nostra e per il
compleanno mi regalarono un ciondolo con una I. Capite? Non una H, ma
una I.
Buddha deve pregare per me.
We're done! Okay, eccomi qui col terzo
capitolo. Che dire? La storia va via via approfondendosi (?), i
personaggi esprimono sempre più ciò che passa loro per la
testa e Himeragi non sembra amare tutta questa gran confusione. Povera
la nostra sirenetta, cosa ci volete fare? Non assicuro nemmeno che la
temuta cena con i genitori sia un successo, perciò almeno voi
dovete sperare per lui. Vi lascio con un piccolo spoilerdal capitolo 4!
– Uhm... – Kyle
si schiarisce la voce, fissandomi esterrefatto mentre si avvicina a
me. – Mi spieghi che sta succedendo? – sussurra poi al mio
orecchio mentre mio padre invoca tutti i santi del calendario e mia
madre cerca i crocifissi sparsi per casa.
Porto la mano alla
nuca, mi sa che stavolta la colpa è leggermente mia.
A mia discolpa dico solo che
ero un ragazzino di quindici anni che era appena stato piantato senza
preavviso dal ragazzo di cui era innamorato da due anni, ero
arrabbiato col mondo e avevo forti manie melodrammatiche. Mi avvicino
così all'orecchio di Kyle, deglutendo: – Diciamo che potrei aver
detto loro che sei morto.
Lancio un'occhiata al
salotto, alla cucina e alla mia camera: tutto in ordine.
I tappeti
sono stati ripuliti dalle briciole, i piatti di sette mesi fa lavati,
la spazzatura buttata via, il letto rifatto, i vestiti buttati
nell'armadio e la cena sui fornelli - risotto istantaneo, bastoncini
di pesce surgelati e il dolce in arrivo con Kyle.
E' tutto il
giorno che aspetto con ansia il momento in cui il campanello suonerà
e alla porta appariranno i miei filo-nipponici genitori, pronti a
raccontarmi di tutte le loro mille avventure vissute a Tokyo in
queste due ultime settimane in cui dovevano semplicemente “prendersi
una pausa”. Se ogni volta che “prendo una pausa” io poi me ne
andassi in giro probabilmente nel giro di una settimana vivrei sotto
i ponti per il mio conto andato in rosso. Ecco uno dei vantaggi di
vivere da solo: vacanze mie, problemi miei.
Sono una persona
molto socievole, fidatevi.
Improvvisamente un tocco molto
delicato - circa quattro cazzotti ogni tre secondi - mi risveglia dal
mio stato di trance momentaneo dovuto alla stanchezza per aver
lavorato tutto il pomeriggio per rendere il tugurio un po' meno
tugurio, costringendomi ad allontanarmi dai fornelli per aprire la
porta. Davanti a me Kyle, Dominik, Nico e Quentin se ne stanno tutti
fieri con un sorriso stampato sulle loro facce da ebeti.
Bene.
–
Che accidenti ci fate tutti quanti qui? – sbotto, guardando poi
male Kyle. – Cosa ti salta in testa? Tra un quarto d'ora arrivano i
miei, idiota!
– Sta calmo, ragazzo perennemente impanicato. –
si lamenta parecchio fastidiosamente Kyle, entrando in casa buttando
alla rinfusa giubbotto, borsa e scarpe. Io questo qui lo ammazzo. –
Mi hanno accompagnato a prendere quello che mi hai ordinato e mi
hanno accompagnato qui.
– Grazie per avergli fatto da scorta. –
mi rivolgo ai ragazzi della Nyst, vergognandomi giusto un poco per la
mia traversa da cucina con su scritto “miglior cuoco del Giappone”.
– Vi chiederei di fermarvi, ma...
– Non lo farebbe comunque. –
mi interrompe Kyle, avvicinandosi a me e portando il braccio sulle
mie spalle.
Le regole, Kyle Adair.
Le stramaledette regole
che abbiamo scritto per uno stramaledetto motivo.
– Sta zitto.
– borbotto scacciando il suo braccio da me. – Devono venire i
miei genitori. – concludo. – Un'altra volta sarete i benvenuti.
–
Ehi Kyle, – Nico si permette di entrare in casa, mossa molto
sbagliata, per poi andare verso quell'altro imbecille e indicare me.
– Hai ragione, è proprio un ragazzo carino. In senso buono,
ovviamente.
Sgrano gli occhi, indignato.
Basta, voglio tutti fuori da casa. Incluso Kyle Adair, spero sia
chiaro.
– Grazie per la visita. – taglio corto, spingendo
l'italiano fuori fingendo di dargli qualche pacca sulla schiena. –
Ci vediamo lunedì, ragazzi.
Il trio canadese-norvegese-italiano
agita la mano, sorridendomi e salutandoci con delle strane facce da
“sappiamo come andrà a finire stasera”. Io chiudo la porta non
appena muovono il primo passo verso le scale, rivolgendomi verso Kyle
col cucchiaio di legno impugnato come arma: – Non fare più cazzate
del genere!
– Del tipo? – mi domanda lui con un sorrisetto
irritante sul viso, incrociando tranquillamente le braccia al petto.
– I tuoi amici qui senza preavviso e il tuo non rispettare
quelle dannate regole. – borbotto, tornando ai fornelli solo per
non mandare a 'fanculo anche la cena. Sarebbe il colmo.
–
Andiamo, non ho fatto niente di sconvolgente, Anguilla.
– Questa
è casa mia. Tu rispetti quello che dico io.
– Una volta non
sarebbe stato così.
Mi sento malamente colpito da questa sua
frecciatina, non mi pare fosse il caso di dire una cosa del genere.
“Una volta” era quasi quattro anni fa, era quando io ero piccolo
e non sapevo nemmeno come difendermi. “Una volta” era quando lui
riusciva ad essere meno bastardo di quanto non sia ora.
– Una
volta – riprendo serafico, non lasciando trasparire quest'amaro
in bocca che sembra non volersene andare. – Grazie a Dio rimane
tale. Lasciala dov'era, quella volta.
– Ti sei offeso? –
borbotta ridacchiando, levandosi la felpa per andare ad accendere la
piccola stufetta scrausa che uso in caso di caldaia rotta. Be',
almeno sa rendersi utile anche all'ambiente che non solo alla
deteriorazione della mia salute psico-fisica che ricordo essere
sempre in via d'estinzione.
Non gli rispondo, mi preoccupo di
spegnere i fornelli e sparire in camera mia per mettermi dei vestiti
decenti. Facciamo il punto della situazione: i miei genitori non mi
vedono da circa cinque o sei mesi, ovvero dalla cerimonia del diploma
in cui mi hanno visto con i capelli corti, la tunica ben stirata e le
scarpe tirate a lucido. Ora i miei capelli sono tutt'altro che corti,
i miei vestiti li stiro sì e no quando nell'armadio mi rimane solo
un calzino spaiato e la tela delle mie Converse bianche va a destra e
la suola a sinistra. Forse sì, sarà un po' uno shock per loro
ritrovarmi ad essere istruttore di nuoto, mezzo trasandato e
convivente col mio ex ragazzo. Per chi se lo stesse chiedendo: sì,
Thelma e Jim sanno che sono per metà gay. E se dico “per metà”
è perché, dopo Kyle, loro sono convinti che io stia ancora con
Iris. Forse l'analista servirà anche a loro.
Sbuffo, questa
giornata sembra peggiorare di secondo in secondo. Per coronare il
tutto poi non ho più nemmeno una maglietta disponibile perciò
ricorro alla camicia d'emergenza e all'unico paio di pantaloni
eleganti che possiedo da qualcosa tre anni. Già, non sono cresciuto
molto, chiedo perdono.
Mi vesto così in fretta, mi pettino ed
esco dalla camera. Di fronte alla porta, Kyle è seduto a gambe
incrociate e si drizza in piedi non appena mi vede, venendomi vicino
ad una velocità disarmante.
– Ci sono le sedie. – gli faccio
presente ignorando l'insensata vicinanza. – Non serve che pulisci
il pavimento col tuo didietro.
– Mi dispiace.
– Per?
Mi
guarda dritto negli occhi, appoggiando poi la fronte sulla mia in un
gesto di rassegnazione.
Giuro che mi sto trattenendo da dire il
mio solito rosario.
– Le regole... – pigolo con una voce che
farebbe ridere qualsiasi persona sana di mente, ma non riesco nemmeno
a tenere salda la voce da quanto questa situazione mi stia
soffocando.
– Puoi mandare a 'fanculo quelle regole per due
secondi? – sbotta lui portando le sue mani dietro la mia schiena,
spostando poi la fronte sulla mia spalla e chiudendomi quindi in un
abbraccio che mi manda completamente fuori di testa.
Okay Hime:
sei etero.
Ripetilo tante volte in quella testa da sirenetta
manga che ti ritrovi: sei etero, Kyle Adair è solo un imprevisto e
niente di più di una scocciatura, tutto questo non ti sta facendo
alcun effetto e ti senti normale come al solito.
Fatto?
Bene,
ora la finestra è quella. Buttati pure.
Perché diavolo questo
Babau dei poveri si starebbe permettendo un tale affronto nei
confronti della mia fragile psiche? Non ne ho già avuto abbastanza,
insomma? Non gli ho chiesto né di farmi frecciatine strane né di
scusarsi in modo del tutto inappropriato in seguito, ragion per cui
non vedo il motivo sensato per questo suo gesto. In ogni cosa che fa,
parola che dice o aria che respira, lui sembra farmi male senza però
la sua volontà. Forse lo fa apposta, forse no, ma ogni sua azione
finisce sempre per ritorcersi contro di me, sia essa buona o
cattiva.
Io non posso più farcela contro un ragazzo del genere,
riuscite a capire?
Tutto quanto va a farsi fottere ogni volta che
lui è con me: il passato torna e il presente sembra fermarsi solo
per farmi capire che, volente o nolente, a ciò che è stato io sono
ancora attaccato come una cozza.
– Mamma, papà, devo
dirvi una cosa.
Kyle sgranò gli occhi, lasciò cadere la
forchetta sul piatto e smise perfino di masticare.
– Anguilla?
– mi chiamò a bassa voce, guardandomi negli occhi. I miei si
guardarono, confusi, ma continuarono a mangiare aspettando che mi
decidessi a parlare.
– Va tutto bene. – rassicurai Kyle
tentando un sorriso anche se ricordo che avrei preferito correre via
dalla cucina urlando come un cretino piuttosto che dover dire ai miei
genitori del mio fino-a-quel-momento nascosto orientamento sessuale.
Tra me e Kyle non c'era ancora nulla ufficiale, eravamo
praticamente sempre insieme ma nessuno dei due aveva mai avuto il
coraggio di fare sul serio. Era una situazione talmente nuova e
strana che entrambi non avevamo idea di come poter gestire, perciò
piuttosto di fare cretinate e affrettare tutto quanto adottammo la
politica del “sarà quel che sarà”, affidandoci al momento e al
luogo giusto.
E sì, mi sto riferendo a tutto ciò che due
ragazzi di quattordici anni fino a tre mesi prima etero potrebbero
voler fare, nel caso vi steste facendo strane idee.
– Cosa sta
succedendo, Himeragi? – mia mamma sorrise tranquillamente, ripose
il coltello sul tovagliolo e appoggiò il mento sulle mani
intrecciate. – Kyle, tesoro, tu ne sai qualcosa?
Il moro
sospirò, abbassando per un attimo gli occhi con una smorfia: – Sì
e vorrei non essere qui per confermarlo.
– Ci state facendo
preoccupare, voi due. – asserì mio padre, serio. E credetemi,
vedere un mangaka di quarantacinque anni alto un metro e sessanta che
tentava di fare l'autoritario era tutt'altro che spaventoso, ma in
quel momento mi sembrava la cosa peggiore del mondo. – Cos'avete
combinato, si può sapere? Rotto un vaso? Siete stati sospesi? Uno di
voi due sta per diventare padre?
– No, no e... sul serio, papà?
– Scossi la testa, già i miei nervi saltavano e la situazione non
sembrava voler migliorare. – Ciò che vi devo dire non è nulla
di... “dannoso”, diciamo. Riguarda me, più che altro. E Kyle.
–
“E Kyle”. – ripeté piagnucolando il ragazzo seduto di fianco a
me, portandosi la mano alla fronte con fare rassegnato. – Penso non
fosse necessario specificare.
– Ti metto nella merda esattamente
quanto mi ci sto mettendo da solo. – lo rimproverai, al che i miei
genitori non saprei dire se fossero più divertiti o sull'orlo delle
lacrime dal momento che stavano sicuramente iniziando a capire la
situazione. – Ragazzi, – appoggiai le mani sul tavolo, presi un
respiro e, sentendo la tensione divorarmi, mi liberai di tutto il
peso che da tre mesi mi tenevo dentro. – Sono gay.
E fu in quel
momento che mia nonna spalancò la porta di casa piombando in cucina
gridando: – Buona Pasqua, famiglia!
I miei genitori fissarono
prima me e poi Kyle con gli occhi spalancati, motivo per cui quando
mia nonna ci arrivò di fronte si ammutolì ugualmente, uscendosene
con un: – Ah, ve l'ha detto.
– Nonna?! – sbottai,
sconcertato.
Mia nonna, per gli amici Thelma Senior, annuì e posò
un cestino pieno di uova di cioccolato sul tavolo: – Ogni volta che
passavi da me eri col tuo amico. E io ho anche delle finestre, sai
com'è. Vedo anche quello che fate fuori da casa mia.
Immaginate
come potevo sentirmi io in quel momento: il mio quasi-ragazzo, da
sempre abile oratore in ogni circostanza, si era completamente
ammutolito; i miei genitori avevano la bocca spalancata e mia nonna
mi aveva appena rivelato che si era accorta di tutto da chissà
quanto tempo. Insomma, oserei dire la mia serata migliore in
assoluto.
– Himeragi... – mia madre deglutì, portandosi le
mani in grembo. – E' vero?
“No, sto scherzando” avrei voluto
rispondere, ma ovviamente non potevo. Non volevo nemmeno, a dirla
tutta. Non avrei mai rinnegato ciò che ero, sapevo che avrebbe fatto
male a Kyle - anche se lui per primo voleva mantenere il silenzio in
merito a noi due - e ferirlo era l'ultima cosa che avrei voluto
fare.
Così annuii: – Sì.
– E... – mio padre fissò
prima Thelma Senior e poi me, passandosi la mano sul viso. – … è
Kyle o...?
– Sono io. – borbottò allora Kyle, facendosi
coraggio e alzando lo sguardo verso i due inquisitori di fronte a
noi. – Noi. – si corresse poi con un leggero sorriso verso di me,
uno dei pochi che mi lasciava intravedere durante il giorno.
–
Grazie, Kyle. – gli sorrisi anch'io cercando di non far diventare
quel misero “grazie” una roba troppo smielata che avrebbe potuto
urtare i miei genitori già abbastanza shockati.
– “Siamo
noi”. – ripeté mia nonna facendo finta di asciugarsi le lacrime.
– Dovrebbero fare un episodio di Beautiful solo per voi!
Non
capite il mio disagio nel vedere mia nonna che praticamente shippava
me e Kyle. Avevamo una fangirl.
E quella fangirl era la mitica
Thelma Senior.
Mia madre a quel punto si schiarì pericolosamente
la voce e, improvvisamente, guardò mio padre con aria sognante. –
Sono io. Siamo noi, Himeragi-kun.
– Arigatou,
Kyle-kun.
Avrei voluto morire.
Mi alzai di scatto dalla
sedia e, indignato, sbattei le mani talmente forte sul tavolo da far
saltare i piatti: – Non osate far diventare me e Kyle uno dei
vostri aberranti fumetti! Maniaci pervertiti!
Kyle rimase
semplicemente zitto - credo restò sconvolto permanentemente, i miei
invece se ne uscirono con un gesto blando della mano e mi liquidarono
con un sorriso: – Stiamo scherzando, Himeragi.
– Io so cos'è
successo. – borbottò mio padre tornando serio, guardando severo
mia madre. Per un attimo vidi il loro divorzio a causa mia, gli
alimenti da pagare e la mia custodia affidata a chissà chi, ma ciò
che venne dopo mi lasciò ancora più di stucco. – I ragazzi devono
aver letto il manga yaoi che hai scritto. Non l'avevi chiuso nella
cassaforte?
– Certo che l'ho chiuso! – si difese lei,
lasciando a bocca aperta me e Kyle. Mia nonna per fortuna non sapeva
nemmeno cosa significasse il termine “yaoi” - per chi non lo
sapesse è il nome a quella categoria di manga che comprende rapporti
psico-fisici tra maschi, perciò se ne tirò fuori e ascoltò
semplicemente la conversazione. – Ce ne solo molti in giro,
comunque. Potrebbero averne letti diversi anche in rete, che ne so
io, Jim! – mia madre sbuffò quasi offesa, tornando però subito al
suo solito sorriso furbo. – Ripensandoci, potresti veramente
stilare una trama con loro due come protagonisti.
– Mmh... –
mio padre ci pensò su qualche istante, alzandosi per prendere carta
e penna.
Ripeto che non ero mai stato più sconvolto prima.
In
media, quando si fa coming out con i propri genitori ci si
aspettano pianti, crisi isteriche, piatti che volano e “tu non sei
più mio figlio”. E cosa ottenni io?
Un manga yaoi su di me e
Kyle.
Ma stiamo scherzando?
– Da quanto? – mio padre si
sistemo gli occhiali sul naso, guardandomi incuriosito.
Ammetto
che avrei anche risposto sinceramente se non avessi capito che mi
stava estorcendo informazioni per quel progetto malato che lui e
quell'altra mente bacata di mia madre avevano messo in piedi insieme,
per cui sorrisi e, dopo aver trascinato in piedi Kyle, lo guidai alle
scale per andarmene via da quella cucina maledetta e urlai: – Non
mi avrete mai!
Corsi fino in camera mia con Kyle che se la rideva
dietro di me, chiusi la porta a chiave e mi lasciai andare ad un
sospiro che stavo trattenendo da fin troppo tempo. Era fatta: i miei
genitori lo sapevano, non avevano fatto storie (anzi, se n'erano
fatta qualcuna mentalmente), non c'era stato alcun evento disastroso
e io potevo finalmente dormire sonni tranquilli.
– Ce l'hai
fatta, Anguilla. – mi sorrise Kyle stendendosi sul mio letto,
facendomi segno di raggiungerlo.
Mi lasciai convincere senza
esitare e mi buttai a capofitto sul materasso troppo piccolo per due
persone, ma non c'era tanto altro che potessi desiderare in quel
momento: c'ero io, c'era Kyle e non c'era apparentemente nessun
problema.
– Grazie. – ripetei in un momento in cui, a
discapito di tutte le volte che avevo finto di essere indifferente ai
nostri momenti di intimità, cedetti al mio lato debole e mi
rannicchiai al suo fianco.
Non mi capitava spesso dato anche che
la maggior parte delle sere che passavamo insieme eravamo troppo
impegnati a litigare a causa di cavolate per passare anche solo un
attimo in tranquillità, perciò sentire il suo braccio scivolare
dietro la mia schiena per appoggiarsi sulla mia spalla e tenermi
stretto a lui fu per me motivo di quel genere di agitazione che
divora lo stomaco ma che ti fa sentire tremendamente bene.
Kyle
socchiuse gli occhi, pochi minuti dopo entrambi ci addormentammo per
la prima volta insieme. Quando ci svegliammo la mattina dopo
scoprimmo che mia madre aveva chiamato i genitori di Kyle per dire
loro che lui si sarebbe fermato a dormire da noi e che non si
sarebbero dovuti preoccupare, realizzando di aver trascorso la nostra
prima notte insieme in un contesto totalmente assurdo.
A lui non
piacevano i momenti così, me l'aveva sempre detto e per questo
entrambi eravamo sempre stati attenti a non creare le condizioni
perché essi si potessero verificare, ma da quella sera cambiò
veramente qualcosa: non diventammo una coppietta di romanticoni, a
conti fatti non stavamo nemmeno insieme ma iniziammo entrambi a
prendere sul serio quella situazione in cui ci eravamo cacciati e
cominciammo ad accettarne le conseguenze. Era in momenti come quelli
che i sette mesi precedenti vissuti con Kyle, belli o brutti che
fossero stati, acquistavano tutto il senso che in quel momento non
avrei saputo dare loro. Ed era una sensazione sorprendentemente
bella.
– Kyle... – l'abbraccio comincia a starmi
stretto, voglio che questo bastardo si allontani immediatamente da me
e che inizi a capire quanto schifo faccia.
Perché di schifo ne fa
tanto, fidatevi.
– Non volevo offenderti. – si giustifica a
bassa voce, allentando fortunatamente la presa. – Non intendevo
dire che era meglio, una volta, quando... be', quando...
–
Quando ti facevo da zerbino. – sbotto, appoggiando le mani sul suo
petto per spingerlo lontano da me. – Non avere paura a dirlo: è
quello che è stato, in fondo.
Sa bene che lo sto facendo
apposta.
A differenza di qualche anno fa, ora ferirlo è un mio
obbiettivo. Chiamatemi “stronzo”, “bastardo” o quello che
volete ma, a parte il fatto che sarà comunque sempre migliore del
mio nome del cazzo, sappiate che ho le mie ragioni.
–
D'accordo, ci rinuncio. – Kyle alza le mani all'aria, sbuffando. –
Certo che ti sei imbastardito parecchio.
Lo guardo male,
sistemandomi la camicia che oltretutto mi ha anche rovinato. La mia
unica camicia.
Non so se rendo.
– Fammi vedere quello che
hai comprato prima. – taglio corto, andando verso la cucina. Lui mi
segue con la coda tra le gambe - e non è un doppio senso, prendendo
dalla sua borsa della Nyst un sacchetto.
– Biscotti della
fortuna, vero? – mi domanda tristemente, sedendosi a cavalcioni di
una sedia.
Annuisco senza degnarlo di uno sguardo, determinato a
fare la ragazzina offesa per il resto dei suoi giorni, andando verso
la scatola.
Non può essere.
E sì che a diciotto anni si
presume che si sappia almeno leggere o come minimo che si abbia un
po' di buonsenso. Ecco, Kyle Adair non rientra in queste due
categorie. Specialmente nella la seconda.
– Kyle. – borbotto
dovendomi trattenere dal prendere un coltello e ammazzarlo prima che
i miei genitori facciano capolino in questa sottospecie di circo. –
Che cazzo hai comprato?
– Biscotti della... – si gira verso di
me, sgranando gli occhi non appena si accorge del suo errore. – …
Okay, non proprio biscotti. “Bicchieri della fortuna
50
shots di superalcolici assortiti per un divertimento da
brivido!”
Okay Hime, calmo.
Inspira. Espira.
Inspira.
Espira.
Inspira. E prendi a mazzate Kyle Adair.
– Penso di
aver letto male. – si difende con innocenza, alzandosi dalla sedia
per prendere le dovute distanze da me prima che la mia ira divina si
abbatta su di lui. Gli conviene iniziare a correre.
– Pensi?
– gli chiedo, retorico, indicando la scatola con un che di
assassino pronto a compiere il suo dovere. – Cosa pensi di
farci con quelli, adesso? Li diamo come dessert ai miei genitori?
–
No...?
– Eh no! – sbotto, ovvio.
Io non so più cosa farci
con uno come lui. La convivenza, sebbene esista solo da due giorni,
sembra andare di male in peggio. Cosa me ne faccio io di cinquanta
shots di superalcolici come dessert? Non mi ubriaco come si deve da
qualcosa come due anni, non mi ricordo nemmeno più come si fa. Il
mondo, Dio e Buddha sono contro di me: me lo sento, tutto questo mi
si ritorcerà contro e io non potrò fare altro che piangermi addosso
constatando quanto io sia sfigato in tutto ciò che possa riguardarmi
e non!
– Dai Anguilla, vedrai che andrà tutto... Driiiiin
–
Male. – conclude con una smorfia, fissando preoccupato la porta.
–
Ascoltami bene. – gli arrivo a due centimetri dal naso, gli punto
il dito contro il petto e cerco di sembrare quanto più cattivo io
possa sembrare nonostante abbia un nome da idiota, una camicia
stropicciata e cinquanta shots al posto dei biscotti della fortuna. –
Niente effusioni, niente battutine strane e niente esclamazioni
insensate. Tieni le domande per quando se ne saranno andati e
rispondi solo se interpellato. Chiaro?
– Posso respirare?
–
Possibilmente no.
Mi allontano da lui scoccandogli un'ultima
occhiataccia minatoria, per poi aprire le danze per quella che sarà
una delle peggiori serate della mia vita. Giro la maniglia, prendo un
respiro e mi dipingo un sorriso sulla faccia, trovandomi davanti
Thelma Junior e Jim.
Che Dio ce ne scampi.
– Himeragi!
L'abbraccio di mia madre mi investe in pieno, facendomi muovere
due passi indietro per mantenere l'equilibrio.
– Il mio bambino!
– esclama con la voce carica di gioia, dondolandomi come quando ero
più basso di lei. Mi sta venendo il mal di mare. – Quanto sei
alto!
– Due millimetri in più dall'ultima volta che ci siamo
visti. – specifico, allontanandomi da lei per sorriderle. Devo dire
che è sempre uguale: i capelli biondi, da cui hanno preso i miei,
sono sempre all'altezza delle spalle e gli occhi scuri hanno ancora
la scintilla maliziosa che li ha sempre contraddistinti.
–
Himeragi. – Anche mio padre fa capolino nel tugurio chiudendo la
porta dietro di sé, dandomi un'affettuosa pacca sulla spalla. – Ti
vedo bene, figliolo.
Sì, un po' complessato e un po' impanicato
ma sto bene. Con gli shots al posto dei biscotti ma, di nuovo, sto
bene. Una meraviglia! La mia salute psicologica? Oh, un amore!
–
Anche io vi vedo bene. – mi sforzo di ricordare le frasi da Galateo
che non utilizzo da forse troppo tempo, facendo loro segno di
accomodarsi.
Due passi in avanti, però, e già si bloccano con
gli occhi spalancati.
– Kyle è resuscitato! – esclama mia
madre, portandosi le mani davanti alla bocca con Kyle che, di fronte
a lei, la fissa spaventato. – Il miracolo! Jim, chiama il prete!
–
Signore, grazie per aver resuscitato questo figlio tuo! – mio padre
si inginocchia a terra, congiunge le mani e guarda verso il soffitto.
– Cosa mai potremmo fare per ringraziarti?
– Uhm... – Kyle
si schiarisce la voce, fissandomi esterrefatto mentre si avvicina a
me. – Mi spieghi che sta succedendo? – sussurra poi al mio
orecchio mentre mio padre invoca tutti i santi del calendario e mia
madre cerca i crocifissi sparsi per casa.
Porto la mano alla
nuca, mi sa che stavolta la colpa è leggermente mia.
A mia discolpa dico solo che
ero un ragazzino di quindici anni che era appena stato piantato senza
preavviso dal ragazzo di cui era innamorato da due anni, ero
arrabbiato col mondo e avevo forti manie melodrammatiche. Mi avvicino
così all'orecchio di Kyle, deglutendo: – Diciamo che potrei aver
detto loro che sei morto.
– Eh?! – il moro di fianco a me si
ritira come in uno spasmo, un tic nervoso gli prende l'occhio e per
un momento sembra volermi uccidere sul serio.
– Mi dispiace! –
mi difendo, alzando le mani all'aria. – Non sapevo come
giustificare il fatto che tu mi avessi lasciato da un giorno
all'altro e dissi ai miei che eri morto in un incidente.
– E ti
sembra la soluzione giusta?! – sbotta in una crisi di nervosismo,
tirandosi indietro i capelli che, per lo scatto, gli sono finiti
sugli occhi.
– Ero triste.
– 'Sti
cazzi, Himeragi. Se sono triste io non vado in giro a dire che il mio
ragazzo è morto! – Accenna al gesto di mettermi le mani addosso ma
per fortuna si ferma a qualche centimetro dal mio viso. – Se... se
avessi accettato anche tu forse avresti evitato di dire che mi sono
spiaccicato sul parabrezza di qualche auto!
Mi blocco, qualsiasi
cosa stessi per dire sparisce e nella mia mente rimbombano solo le
ultime parole che Kyle ha appena pronunciato.
E' vero. Non sono
stato del tutto sincero fino a questo momento, mi dispiace.
–
Ho detto che hai ingoiato airbag, giusto per precisare. Comunque ne
riparliamo dopo. – lo liquido, attirando poi l'attenzione di quegli
altri due clown che stanno bypassando la casa per trovare un qualche
segno divino. – Piantatela di fare gli idioti! – grido, mimando
il gesto di stop con le mani.
I miei genitori si fermano, si
guardano ancora meravigliati e poi tornano verso di noi. Mia madre mi
prende entrambe le mani: – Non sei felice, tesoro?
– Kyle non
è mai morto, mamma. – borbotto, cercando di trovare nella mia
mente una qualche giustificazione per il loro essere idioti cronici.
– Non è la reincarnazione di Cristo.
– Ma... – Mio padre
osserva Kyle con uno sguardo incuriosito. – Tu ci avevi detto che
era morto in un incidente, Himeragi.
– Ho mentito, ovviamente.
– confesso, indicando loro i posti a tavola e iniziando a mettere
le portate sui piatti. – Mi aveva lasciato per andare a New York,
tutto qui.
Improvvisamente cala il silenzio, i piatti sbattono
sul tavolo quando li poso e non so se aspettarmi una scena da
genitori seri e autoritari o una scena da genitori di Himeragi.
Ho
fatto una cretinata, okay: lo ammetto. Lo so anche io che non è
eticamente giusto dire che qualcuno è morto se ti fa un torto, ma
dovete cercare di capire che a quell'epoca ero un fragile ragazzino
il cui cuore era appena stato spezzato in modo ancora peggiore
rispetto alle bambine che, a San Valentino, rifiutavano i miei
cioccolatini e andavano a piangere dalla mamma. Il mio stare male, in
quel periodo, era davvero forte. Ecco perché i miei genitori non
fecero fatica a credere alla farsa che avevo messo in piedi: comunque
Kyle non era più a Detroit, io me ne stavo chiuso in camera tutto il
giorno e per quello pensai anche di mollare il nuoto. Era un po' un
periodo nero, diciamo. Giusto un pochino.
– E il funerale? –
mi domanda improvvisamente mia mamma scambiando probabilmente il
risotto istantaneo per un lavoro di sangue e sudore. – Ci andasti
quattro giorni dopo la notizia. Dove sei stato, in realtà?
– A
bere con Aydin. Era mio complice.
– Ma se non lo reggi nemmeno,
l'alcol. – Kyle mi guarda di sbieco con un sorrisetto ironico,
sembra aver addirittura dimenticato la mia piccolissima bugia nei
suoi confronti ma so che in realtà sta studiando una buona vendetta.
Mi limito quindi a ricambiare la sua smorfia: – Pensa che la
colpa era tua.
– Che dolci. – mia madre, come parecchio tempo
fa, porta il mento sulle mani intrecciate e ci guarda con aria
sognante. – E' passata un'eternità ma voi due continuate a
battibeccare come quando avevate quattordici anni.
– Non dire
cretinate, mamma. – la rimprovero abbassando lo sguardo,
imbarazzato. Me tapino e me sfigato con genitori filo-nipponici e un
nome di merda.
– Vuoi sapere una cosa, figliolo?
In realtà
proprio no, ma sono costretto ad annuire a ad ascoltare le parole di
questa donna che a volte vorrei diseredare: – Sentiamo.
– Sto
scrivendo il settimo volume della collana su di voi.
Mi tappo le
orecchie in un gesto impulsivo, fingendo di piagnucolare e di
dondolarmi come uno psicopatico: – Non l'avrei mai voluto
sentire.
– In effetti è un po' inquietante, signora Fenwick. –
asserisce Kyle, dandomi finalmente ragione.
– Thelma scherza,
ragazzi. Non c'è nessuna storia. – la difende mio padre con un
sorriso divertito. – Ad ogni modo, anche se voi due steste ancora
insieme, non sarebbe giusto. Peccato solo per Iris. No,
Himeragi?
Merda.
Serro gli occhi in una smorfia rassegnata,
alzandomi da tavola per raccogliere i piatti e sperare di prendere
tempo: – Chi vuole i bastoncini di pesce?
– A proposito di
Iris, – No, mamma, niente a proposito di Iris. Chiedimi qualcosa
a proposito dei cazzo di bastoncini di pesce. – Dov'è,
stasera?
Sento lo sguardo di Kyle puntato su di me, lui non sa
nulla in merito alla relazione che io e Iris abbiamo avuto per un
anno e mezzo ma credo proprio che questa sera sia diventata una
specie di enorme partita ad Obbligo o Verità per me. E per inciso ho
sempre odiato quel gioco.
– Lei, vediamo... – Porto in tavola
la teglia calda, sorridendo nervosamente. – Bastoncini?
–
Esatto, Anguilla, – Kyle, con un tono forzatamente smielato, mi
rivolge gli occhi dolci e si prepara a farmi sprofondare. – Dov'è
Iris, stasera?
Sospiro, temporeggiare ora non ha più senso.
Incrocio le mani sul tavolo, rivolgendomi poi ai presenti: – Io e
Iris non stiamo più insieme. Mi dispiace non avervelo detto.
Mia
madre spalanca gli occhi, inizia a sventolare la mano davanti alla
faccia e mio padre, sconvolto, mi lancia un'occhiataccia: – Guarda
cos'hai combinato a tua madre, disgraziato!
– Cos'ho fatto? –
piagnucolo, scuotendo la testa davanti a questa scena ridicola. – E
dai, non avete fatto questo teatrino nemmeno quando vi ho detto che
ero gay.
– Eri? – s'intromette Kyle, appoggiando
pericolosamente la mano sul mio ginocchio. Ora sì che i bastoncini
mi potrebbero tornare utili: uno per ogni orecchio, uno per narice,
uno in bocca e l'altro non dico dove. Prima o poi arriverà il
momento in cui il mio lato nascosto da pazzo psicopatico prenderà la
meglio trasformandomi in una sottospecie di Saw in versione gay e col
cibo al posto delle armi.
– Sono. – mi correggo senza
pensare, al che mia madre sbianca ancora di più. – Cioè, sono
stato. Sono. Ero. Forse. Non lo so, piantatela tutti e tre! Mi state
dando sui nervi!
Finalmente scende il silenzio, tutti si
ammutoliscono e io ne approfitto per alzarmi in piedi e per cercare
le parole giuste con cui spiegare tutto questo grande casino. Penso
che ci vorrà qualcosa sulle due ore, ma m'impegnerò e ne verrò a
capo per evitare ulteriori spiacevoli fraintendimenti nel
futuro.
Bene, Hime: inspira ed espira. Stai solo per dire ai tuoi
genitori e al tuo ex ragazzo che sei ancora tecnicamente gay, che sei
stato con la tua compagna Iris Rooney per un anno e mezzo ma che vi
siete lasciati perché non riuscivi a stare con una ragazza, che hai
scelto di fare l'istruttore di nuoto per avere ancora l'opportunità
di rivedere quel bastardo del tuo ex ragazzo e per impedirti di
mollare il nuoto dati i brutti ricordi ad esso legati.
Che lo
spettacolo inizi.
Forse, e dico forse, accettare la
proposta di Kyle non è stata proprio una scelta ben ponderata.
Era
già mezzanotte passata quando i miei se ne sono andati - ovviamente
senza dolce, ma quando ero in procinto di andare finalmente a letto
per evadere da una serata che avrebbe fatto meglio a non essere mai
esistita per il bene comune, Kyle mi ha trattenuto in salotto.
“Dato
che sei andato in giro a dire che sono morto solo perché ti ho
lasciato per le circostanze,” ha iniziato, pericoloso col suo
ghigno furbo. “Adesso paghi pegno. Se vuoi farti perdonare dobbiamo
finire questi shots prima delle due di stanotte.”
E cosa potrei
aver risposto io, persona sempre accondiscendente e saggia?
“Ma
bevili da solo!”
E a quel punto Kyle ha continuato a bloccare
fisicamente l'entrata del bagno e della mia camera per qualcosa come
cinque minuti e, sapendo del mio rispetto sacrale delle mitiche
sedici regole, precisamente della regola che dichiara i cinquanta
centimetri di spazio vitale costanti, mi ha sfinito fino ad
obbligarmi a battere la ritirata e ad accettare quindi la sua stupida
sfida per redimermi.
L'orologio segna da poco le una e mezza, io
sono al quattordicesimo shot di non so più nemmeno che cosa e so
solo di aver chiamato Aydin dicendogli che è bellissimo e che è il
mio migliore amico. Non so perché l'ho fatto, giuro.
Il fuoco si
è ormai spento nella stufetta scrausa, comincia ad esserci freddo ma
né io né Kyle lo stiamo sentendo dal momento che abbiamo una certa
gradazione di alcol nel sangue e che ci siamo avvolti come degli
imbecilli nelle coperte dicendo di essere dei graziosi batuffoli di
zucchero filato. Io chiedo sinceramente scusa per questo, so quanto
questa immagine possa essere gravemente disturbante (se posso essere
d'aiuto, il padre di Kyle ha un meraviglioso studio di psicologia
post-traumi).
– Passiamo alle cose serie. – mormora lui
improvvisamente, biascicando le lettere come se perfino respirare
fosse diventato faticoso. Dura la vita da ubriachi, eh? – Iris. Non
mi hai detto nulla.
– Avrei dovuto? – ribatto, sorridendo come
un deficiente al soffitto. Inizio a pensare di non stare proprio alla
grande.
– Certo che avresti dovuto. Sono pur sempre io.
–
Su questo non avevo dubbi. – ridacchio, sprofondando nel divano già
occupato da un po' di bottigliette vuote. Apro un'ulteriore bomba di
dimensioni ridotte: anche il quindicesimo shot scende. – Kyle...
Sei arrabbiato?
– Leggermente. Ubriaco e arrabbiato.
Arrabbiatamente ubriaco. Ubriacamente arrabbiato. Arraccamente...
–
Dacci un taglio. – lo interrompo prima che possa inventare nuove
parole umiliandosi ancora di più di quanto stia facendo ora.
Lui
mi guarda male, mi fa addirittura la linguaccia - il mio povero cuore
va in pezzi - e si lascia cadere di fianco a me con la scatola di
shots sulle gambe. Ne prende poi un altro, ingurgitandolo con
velocità e facendo una faccia schifata per il gusto forte, ma ben
gli sta. L'idea è stata sua.
– Com'era stare con lei? – mi
domanda sottovoce, girando tra le dita la bottiglietta vuota. –
Quanto siete stati insieme? Perché? Come?
Roteo gli occhi al
cielo: non mi ricordo nemmeno la mia data di nascita in questo
momento e questo rimbambito arrabbiatamente ubriaco mi fa il
quarto grado a cazzo.
– La conosci anche tu. – borbotto alla
fine, sentendo la sua testa pendere verso la mia spalla.
Vorrei
scostarmi, lo giuro, ma sono convinto che se ci provassi poi cadrei
in avanti come un salame e, diciamocelo, non è il caso di aggravare
così brutalmente la situazione.
– Mica ci sono stato insieme.
Sono stato insieme a te, se ti ricordi. – borbotta, la sua voce
traballa ma è lui è sicuramente più lucido di me.
– Iris era
simile a te. Determinata. Sicura. Non lasciava niente al caso. –
Stappo il sedicesimo shot insieme a Kyle, butto giù serrando gli
occhi e fare una smorfia disgustata è diventato quasi automatico.
Immaginate di vedere un cane carlino stitico: ecco la mia faccia da
ubriaco che continua a bere. – Siamo stati insieme per un anno e
mezzo, i miei l'adoravano e tutto sembrava andare per il meglio. Non
credevo che ci saremmo potuti mollare.
– E con lei... – Kyle
alza la testa dalla mia spalla solo per guardarmi negli occhi, una
strana luce gli brilla negli occhi e non nascondo di avere un certo
tipo di timore. – Hai mai fatto qualcosa di serio?
– Hai
diciotto anni. – lo rimprovero ridendo senza motivo, pizzicandogli
la guancia. – E ancora lo chiami “fare qualcosa di serio”? Mi
deludi.
– Scusami se non voglio essere volgare.
– Tu sei
volgare per definizione. – ribatto, iniziando a perdere
definitivamente la cognizione del tempo. – E comunque cosa ti
aspetti? In un anno e mezzo non credo ci potessimo girare i pollici
tutto il tempo.
– L'avrei preferito. – biascica lasciandomi
da solo sul divano, vacillando per raggiungere un sacchetto e
iniziando a buttare via tutte le bottigliette.
Cosa vuol dire
“l'avrei preferito”? Insomma, lui poteva benissimo fare a meno di
lasciarmi. Ma no, facciamo come mister io-risolvo-tutto-al-meglio
vuole! Vedo che qui siamo tutti felici e contenti, o sbaglio?
–
La colpa è tua. – borbotto non controllando più nemmeno la voce,
sembro quasi un ubriaco.
Oh guarda, ma lo sono!
– Mia?
– sbalordito, Kyle mi si para di fronte con le mani sui fianchi e
lo sguardo allibito. – Chi è che ha rifiutato di venire a New
York?
– E chi è che poteva fare a meno di mollare il suo
ragazzo e mantenere una relazione a distanza? – ribatto, cercando
di alzarmi in piedi col solo risultato di finire spiaccicato addosso
a Kyle in stile mosca fastidiosa e paletta.
– Non avrei potuto.
– si difende, prendendomi per le spalle prima che possa cadere in
avanti. Oh, che premuroso. Viene quasi voglia di...
No, Hime.
Sei
ubriaco.
Non sei innamorato.
Distingui bene le due cose.
–
Cazzate. – concludo, buttando giù due bottigliette di fila. –
Vedi di finire quella dannata scatola e vieni a letto, ne ho
abbastanza.
– Tu ne hai abbastanza? – mi chiede
esterrefatto, spingendomi malamente sul divano.
– Ahi.
–
“Ahi” un cazzo, Anguilla.
Socchiudo gli occhi, vorrei dormire
e uscirmene da questa situazione ma attualmente una certa stupida
personcina ha osato sedersi sulle mie ginocchia come se fosse uno
stripper e io fossi il suo dannato palo. Un palo ubriaco e seduto sul
divano, tengo a precisare.
– Che diavolo vuoi? – sbotto,
andando di nuovo per l'ennesimo shot. Prima o poi finiranno. Speriamo
prima che dopo, però. Non credo di sentirmi proprio bene al momento.
– Tu ne hai abbastanza e sei ubriaco dopo venti shots, cosa
devo dire io che sono praticamente lucido e qui a sentire le tue
cretinate partendo da me morto in un incidente e arrivando a te e
Iris che “fate qualcosa di serio”? – Si porta nervosamente le
mani alle tempie, di sicuro meglio lì che non sul mio collo.
–
Intanto, – inizio a borbottare, puntandogli il dito contro sebbene
non sia nemmeno capace di tenerlo in aria. – Mister “ubriacamente
arrabbiato” non mi sembra al top della lucidità! E poi nessuno ti
obbliga a starmi a sentire. Sei qui da due giorni e già sei capace
di farmi incazzare, accidenti a te.
– Ti faccio incazzare? –
mi domanda con un sorrisetto ben poco rassicurante, riducendo poi la
distanza tra il suo viso e il mio. Ricordo all'audience che il
cretino è comodamente seduto sopra di me e io sono al limite di
sopportazione. – Cosa, di preciso, ti fa incazzare? Il fatto che io
sia tornato o il fatto che tu non possa negare di essere ancora
innamorato di me?
– Questa poi! – esclamo scoppiando a ridere
talmente forte che sono sicuro che la signora Stanley stia aizzando
il suo gatto contro di me in stile Tom Riddle che aizza il Basilisco
contro il povero Harry Potter. Porto inoltre, molto saggiamente
vorrei dire, le mani al colletto della sua camicia senza un motivo
preciso. – Ma fammi il piacere. Te la cavi solo perché ho bevuto.
– Quindi se ti baciassi sarebbe tutto nella norma? Niente di
niente da parte tua, Himeragi?
Annuisco, sorridendo con
convinzione.
Sì Hime, buona scelta. Perché potresti
semplicemente spingerlo via e andartene a dormire quando invece lui
ti propone un bacio random e tu sei ubriaco fradicio?
Mah, le
domande della vita!
Il punto poi è che, considerando che si
tratta di Kyle Adair, diciottenne afflitto da manie
feticiste-dittatoriali, non ho nemmeno via di scampo e il bastardo lo
fa davvero. Mi bacia.
E non ci va piano.
Non so nemmeno
definire se lo stomaco stia girando sulle montagne russe a causa
dell'agitazione o a causa di ciò che si sta rimescolando dopo tutto
quello che ho bevuto. Su e giù, su e giù. Sono tre le cose
che compiono questo bizzarro movimento al momento: la lingua di Kyle,
la sua mano che scende dal mio collo verso il basso e la mia
lucidità.
Oh, ma che bello. Vedo tutto nero!
It's
a beautiful night, we're looking for something dumb to do. Who cares
baby, I think I...
– Pronto?
Oh cielo, non riesco ad
aprire gli occhi. Non riesco nemmeno a parlare, se è per questo.
Credo sia venuto fuori qualcosa simile a “brodo” più che
“pronto”.
E' pronto il brodo!
– Una canzone più da gay
non la potevi proprio pescare.
Uh, fermo lì. Non ha parlato
chiunque-sia al telefono. Sferro un calcio a caso, beccando il
tallone di Kyle e collegando quindi il delizioso commento alla
sua presenza sul mio stesso materasso.
– Fatti i cazzi tuoi. –
lo rimprovero, cacciandogli anche una manata in faccia. – Chi è? –
riprendo poi a parlare con chiunque mi stia chiamando, schiarendomi
la voce per non sembrare un reduce di guerra.
– Hime? Ah,
lascia perdere. Sei in ritardo! Dove sei, si può sapere?
–
Hick? Sono...
Bella domanda. Dove sono?
Mi guardo intorno,
ovviamente è camera mia. Avrei potuto arrivarci subito, in
effetti.
– Sono in camera. – spiego, iniziando ad aprire
appena appena gli occhi in stile Edward Cullen in una giornata di
sole californiano. – Per cosa sarei in ritardo, comunque?
– Ma
sei ubriaco?
– No, Hick. Altrimenti non starei nemmeno al
telefono.
– Be', ieri sera mi hai chiamato ed eri effettivamente
un po' brillo.
Annuisco, non sto nemmeno capendo cosa Aydin stia
dicendo ma poco importa. Penso siano le solite cazzate perciò mi
limito alla regola d'oro del sorridi e annuisci” che al telefono si
traduce in “continua a fare strani mugugni con la bocca”.
–
Ad ogni modo, tra mezz'ora dobbiamo andare ad iscrivere la squadra
alle provinciali. Possibile che proprio tu sia in ritardo?
Oh,
merda. Ecco cosa c'era che mi premeva ma che proprio non riuscivo a
ricordare...
– Grazie Hick, sei un tesoro. Ci vediamo tra poco.
– Spengo la chiamata e lancio distrattamente il telefono addosso a
Kyle - ops, per poi alzarmi di fretta per andare verso
l'armadio.
Aspetta un attimo.
– ...Adair? – biascico,
trattenendomi dall'urlare come un disperato.
Inspira. Espira.
–
Siamo passati al cognome? – borbotta lui girando il viso verso di
me.
Inspira. Espira.
Il sorriso che nasce sul suo viso quando
mi vede interamente nudo mi mette non poco a disagio. Io sono nudo.
Inspira. Espira.
Nudo come mamma m'ha fatto. Rosa come il
culetto di un bebè. Senza nemmeno i calzini.
Inspira.
Espira.
Okay, calma. Prendi fiato, Hime. Sei solo un po'
stressato.
Inspira. Impanicati.
– Cosa cazzo mi hai fatto
ieri sera?! – grido in preda ad una crisi di nervi bella e buona,
prendendo l'asciugamano sulla sedia per coprire i gioielli di
famiglia da sguardi indiscreti. Sono calmo, lo giuro. Sono una
persona tranquilla, che non si agita per così poco e che cerca di
pensare razionalmente alle possibile cause di questo momentaneo
equivoco. – Hai girato un video porno con me ubriaco? Ammettilo,
bastardo che non sei altro!
– Ovviamente l'ho fatto. –
borbotta mettendosi seduto, almeno ha la decenza di avere i boxer
addosso. – E l'ho già caricato su YouPorn. Devi cercare “Himeragi
Fenwick e il panico post-sbronza” se lo vuoi vedere.
– Ha-ha,
che simpatico. – Ritrovo i boxer ai piedi del letto, li infilo
velocemente e vado poi barcollando verso l'armadio. La mia testa
pulsa peggio di un subwoofer ad un festino di neo diciottenni. Tunz
tunz tunz
– Ho una brutta sensazione. – confesso a Kyle
senza però guardarlo negli occhi. – Di ciò che posso aver fatto o
detto ieri sera. Saresti così magnanimo da ricordarmelo?
Lui
tentenna qualche istante, non parla nell'immediato. Questo mi
preoccupa.
– L'avevo detto io che non reggevi l'alcol,
Himeragi. Sei tu che hai insistito per bere.
Mi giro di scatto
verso di lui in stile Romeo e Giulietta, ma invece di dichiarargli il
mio folle amore - comunque inesistente, gli lancio addosso il
cuscino: – Guarda che mi ricordo di quando mi hai obbligato ad
accettare la sfida!
Kyle scoppia a ridere, portandosi la mano
sulla fronte e successivamente tra i capelli, fissandomi con uno
strano sorriso. Non mi sta prendendo in giro, né mi sta guardando
male o maliziosamente. Semplicemente, mi sorride.
Questo va
contro tutti i ricordi che ho di lui: anni fa era raro vederlo
sorridere così spontaneamente, ora invece sembra all'ordine del
giorno. Così senza barriere, seduto mezzo nudo a gambe incrociate
sul mio letto con un'espressione felice dipinta in volto è
impossibile anche solo provare a detestarlo.
Poi mi ricordo che ha
appena cercato di scaricarmi la colpa per la mia amnesia da
sbronza.
Ora è molto più facile detestarlo.
– Chiedo
venia. – Fa finta di sembrare veramente dispiaciuto, porta la mano
al cuore e fa gli occhioni dolci. – Cosa ricordi,
precisamente?
Sbuffo, continuo a pensare a come farò ad andare
avanti con lui nel mio stesso spazio vitale: – Non molto, a dirla
tutta. Forse... Ti sono caduto addosso, per caso?
– Hai cercato
di alzarti e ti sei spiaccicato addosso a me. Intendi
quello?
Annuisco, tirando su la zip della felpa e prendendo gli
occhiali da sole per nascondere le occhiaie: – Esatto, fino a lì.
Cos'è successo dopo?
– Niente di che. – se ne esce, facendo
spallucce e alzandosi per andare verso la cucina. Io lo seguo, voglio
sentire cos'ha da dire fino alla fine.
– E nudo ci sono
diventato da solo, vero? – ribatto ironicamente, incrociando le
braccia mentre lui cerca in vano di nascondere un'espressione
irritata. Posso anche non ricordarmi nulla, ma almeno ho ricordi di
dieci minuti fa. – Abbiamo fatto qualcosa di strano, tu ed io?
–
Certo che mi rimproveri se dico “qualcosa di serio” ma tu lo
chiami “qualcosa di strano”. Almeno io sono più romantico.
–
Kyle. – lo chiamo sfilandomi gli occhiali per guardarlo dritto
negli occhi, appoggiando entrambe le mani sul tavolo. –
Rispondimi.
Se mente ora, lo saprò. Ne sono certo.
Lui imita
la mia posizione sul lato opposto del tavolo, appoggia il cartone del
latte sula mensola e non accenna più ad un singolo sorriso. Mi
scruta semplicemente negli occhi, uscendosene solo dopo qualche
secondo con una smorfia: – Niente di strano.
– Ne sei
sicuro?
– Sì, Himeragi: non abbiamo fatto niente di niente.
Stai tranquillo. Ti ho spogliato solo perché ad un certo punto hai
vomitato e hai imbrattato tutto quanto.
– Mh. Grazie. –
Annuisco col capo, rimettendomi gli occhiali e andando verso la
porta. A due passi dal suo sollievo, però, mi blocco e mi giro
nuovamente verso di lui. – Cosa stavamo facendo quando ho
vomitato?
– Tu ed io? – ridacchia tranquillamente alzando le
spalle, riprendendo a prepararsi la colazione. – Assolutamente
nulla. Stavi solo bevendo troppo.
– Quanti shots ho bevuto?
–
Saranno stati una quindicina, che ne so. Troppi, comunque. Non ti
ricordi nemmeno il numero, dovevi proprio essere messo male.
Annuisco di nuovo, salutandolo con la mano: – Già, che idiota.
Grazie di esserti preso cura di me, allora.
Kyle mi sorride
affettuosamente, fingendo di fare un inchino: – Come sempre.
Se
avessi potuto vedere questi sorrisi ancora quattro anni fa mi sa che
la proposta di andarmene a New York l'avrei accettata ben volentieri,
ma penso che entrambi siamo cambiati in direzioni opposte in tutto
questo tempo e che ora sia facile vederla in questo modo. Così mi
limito a scuotere la testa, questo suo lato da idiota mi farà sempre
ridere: – Ci vediamo stasera in piscina!
– Buona giornata! –
risponde con un sorriso da perfetto ragazzo casalingo, facendo finta
di mandarmi un bacio volante ma scoppiando poi a ridere per la sua
stupidità. Rido anch'io chiudendomi la porta alle spalle, andando in
fretta verso la macchina a causa del mio ritardo.
Erano
diciannove, comunque.
Gli shots.
Kyle dovrebbe stare attento a
dirmi bugie. In fondo, non reggo l'alcol poi così male. Mister
ubriacamente arrabbiato.
E SI'. Ce l'abbiamo fatta: dopo una
settimana in cui Pasquale (sì, il mio computer si chiama
Pasquale) è rimasto fuori gioco per via di un guasto al suo
alimentatore sono finalmente riuscita a riaccenderlo e a poter quindi
pubblicare. Che dire, quindi? Himeragi sa o non sa? O meglio, cosa sa? Per scoprire cosa risiede nella sua memoria servirà Kyle o è già tutto lì? Lo scopriremo prossimamente! Intanto vi lascio uno spoiler dal prossimo capitolo nella speranza di incuriosirvi...
– Non mi pare fosse una stupidaggine, comunque. – E' il mio
unico commento mentre, cercando di sembrare disinvolto, inizio a
mangiare i ravioli.
– No, ma volevo dirtelo.
– Dovevi espiare le tue colpe? – lo prendo in giro sperando
di risultare veramente ironico e non ironico-vendicativo anche se credo
di essere sembrato più la seconda delle due.
Kyle mi guarda passivamente, concludendo con un'alzata di spalle:
– Dovevo pur dirti il motivo per cui devo tornare a New York.
– Che cera.
– E' la
sesta volta che lo dici.
– Be'... Guardati, per l'amor di
Dio.
– Adesso finisci male. – Bevo quasi metà dell'intero
bicchiere di caffè, entrando nella principale piscina di Warren dopo
quasi tre quarti d'ora di viaggio con Aydin che non faceva altro che
dirmi quanto male io sia preso e quanto sia stato stupido a
ubriacarmi il giorno prima dell'iscrizione della nostra piccola
squadra.
– Sto solo dicendo che potevi evitare. – conclude
con le mani all'aria, sistemandosi il cappello stile reggae sulla
testa. Di sicuro prenderanno molto sul serio un cretino e un ubriaco
di diciotto anni che vanno ad iscrivere una squadra scolastica.
–
Che ne sai tu? – Lo spingo leggermente finendo per essere io quello
a perdere l'equilibrio, così mi attacco alla sua felpa e mi tengo in
piedi per miracolo. Hick ridacchia, ma solo dopo qualche secondo ci
accorgiamo del fatto che tutti quanti ci stanno guardando veramente
male. Si vede tanto che siamo da Detroit?
– Siamo da Detroit! –
grido sventolando la mano in aria, sorridendo ai presenti da dietro i
miei bellissimi occhiali da sole anche all'interno di questo enorme
edificio.
Se non lo sapevano almeno ora ne sono al corrente.
Un
gruppetto di ragazze poco distanti dal banco informazioni ci guarda
parecchio male, hanno pressapoco la nostra età quindi mi chiedo come
facciano a non riconoscere quando uno è in hangover potente.
Dovrebbero avere pietà di me.
– Bevi di meno. – mi zittisce
Aydin dandomi uno schiaffo sulla nuca, prendendomi poi per il
cappuccio e trascinandomi verso la reception.
Lo seguo come un
cagnolino docile, non ho nemmeno voglia di mettermi a ribattere dal
momento che dopo due minuti avrei già esaurito le poche forze che ho
da stamattina e mi stenderei a terra. Non vorrei proprio finire a
fare lo spazzolone in una piscina.
Tra l'altro, questo è un gran
bel polo natatorio: una struttura del genere noi ce la possiamo solo
sognare. Giusto per dire, loro un atrio almeno ce l'hanno. Noi no.
Noi abbiamo una stanza di cinque metri quadrati dove ci sono due
distributori automatici di merendine e il portaombrelli, una
sottospecie di tugurio 2.0.
– Cerca di sembrare
credibile. – mi minaccia Aydin mentre ci apprestiamo a raggiungere
il banco informazioni. – E non dire che siamo da Detroit.
–
Dirò che la squadra è di Marte, mi pare ovvio.
– Non volevo
dire questo, genio. – Penso sia la prima volta in cinque anni che è
Aydin a rimproverare me.
Devo ricordarmi di non accettare più
sfide improponibili dopo il trauma di rivedere i miei genitori a
mezzanotte passata. Decisamente mai più. Non so nemmeno se io sia
lucido o se abbia ancora qualche residuo di ieri sera che mi balla
nello stomaco, l'unica cosa che so è che non vedo l'ora di mettermi
a dormire e dimenticare il fatto di essermi ubriacato così
stupidamente con Kyle.
Sfilo gli occhiali da sole, appoggio il
gomito sul banco per sembrare uno che sa cosa sta facendo e
richiamo l'attenzione della donna che, con gran poca voglia di
vivere, batte sulla tastiera una serie infinita di numeri a memoria.
– Sì? – mi domanda lei faticosamente, guardandomi da sopra
gli occhiali da vista con tanto di catenella chic anni '70.
–
Siamo qui per iscrivere la nostra squadra alle gare provinciali di
inizio febbraio.
La donna-affaticata sospira come se le avessi
appena chiesto di ripetere le dodici fatiche di Ercole, prende dei
moduli dalla cattedra di fianco e affila una matita nel temperino
automatico. E' dura fare la punta alle matite, vero?
– Nome
della scuola e città.
– Andrew College, Detroit.
Allungo lo
sguardo, leggendo di nascosto il suo cartellino. Bettina Fitzgerard.
E' la mia nuova migliore amica, ho deciso: dedicherò a lei un
altarino in casa per ricordarmi ogni giorno di avere la sua allegria
e la sua forza di vivere e mi farò motivare dal suo splendido
sorriso mozzafiato.
Bettina annuisce, trascrive lentamente e poi
alza gli occhi troppo truccati verso di noi: – La vostra qualifica,
nomi e età.
Aydin mi guarda sconsolato, penso che abbia capito
che ce la caveremo molto più lentamente del previsto: –
Istruttori. – risponde infine, togliendosi il cappello. –
Himeragi Fenwick e Aydin Hickey, diciotto anni. Le altre due
istruttrici sono Iris Rooney e Persephone Cavendish, hanno la nostra
età.
La mitica Bettina ci fissa con uno sguardo inquisitore,
riprendendo a riempire i moduli con i nostri nomi ad una velocità
talmente mostruosa da non esistere nemmeno.
Un minuto.
Due
minuti.
Bettina controlla di nuovo i nomi, poi ri-tempera la
matita senza motivo e ci guarda passivamente:– I nomi dei
partecipanti.
E' il mio turno di parlare, così mi schiarisco la
voce da post-sbornia e faccio mente locale: – I titolari sono
Marley Winchester, Sapphire Middelton, Tamm...ehm, Tamara Davies e
Xavier McAdams.
Mi sento bussare sulla spalla abbastanza
insistentemente, non è Hick perché anche lui sta guardando stranito
la persona dietro di me e ahimè non è nemmeno il mio nuovo amore
Bettina dato che mi sta guardando spassionatamente da dieci minuti.
Alla fine mi giro, trovandomi di fronte una ragazza che sono sicuro
di aver visto poco fa nel gruppetto delle fan di Detroit e delle
non-so-cosa-sia-una-sbronza. Mi fissa incuriosita con gli occhi verdi
spalancati, coperti solo da qualche ciuffo che sfugge alla frangia
bionda ben curata. Deve avere pressapoco l'età dei miei allievi, non
è molto alta ma a giudicare dalla muscolatura che riesco ad
intravedere attraverso la felpa potrei azzardare che si impegna
parecchio nel nuoto. In ogni caso, giuro che non ho idea di chi
sia.
– Posso esserti utile? – le chiedo preso abbastanza di
fretta dal momento che per le undici avrei voluto essere di nuovo a
Detroit per non perdere gli allenamenti in vista delle gare.
Lei
continua a scrutarmi, guarda Bettina e poi di nuovo me: – Hai detto
Xavier McAdams?
– Camille! – Bettina alza finalmente la voce,
riempiendomi il cuore di gioia. Quanti decibel! Che voce da soprano!
– Che c'è, zia? – ribatte prontamente la biondina di fronte
a me.
– Quante volte devo dirti di non origliare?
Oh-oh, zia
Bettina è arrabbiata. Meglio non scherzare con zia Bettina. Con la
sua reattività in un mese e mezzo potrebbe anche raggiungerti e
darti uno schiaffo.
– Non stavo origliando, ho solo sentito
casualmente un nome. – si giustifica la presupposta Camille,
aggiustandosi la coda in cima alla nuca e tornando pericolosamente su
di me. – Allora? Conosci Xavier?
Magari questa qui è una
stalker. Cosa vuole dal mio Xavier?
– Ci sono tanti
omonimi. – le faccio notare, sicuro di poter ancora salvaguardare
la privacy del mio lunatico allievo.
Camille sbuffa, alzando un
dito della mano per ogni caratteristica che elenca: – Capelli
rossi, occhi azzurri, non molto alto, ingestibile, lunatico,
sarcastico, testardo...
– Okay, è lui. – Sono costretto a
dargliela vita, accidenti. Per come l'ha descritto potrebbe essere
anche sua madre.
– Non ci credo... – mormora la ragazza
portandosi una mano sulla fronte, sorridendo allegramente. – … Tu
nuoti?
No, scherzi: istruttore di nuoto è solo un hobby
alternativo alla pittura a olio.
– Direi. – conclude Hick al
posto mio, intromettendosi nella conversazione. – E' il miglior
nuotatore a dorso che io conosca. Ma se la cava anche in rana,
delfino...
– Ricevuto. – lo interrompe quasi bruscamente la
ragazza, rivolgendosi poi con un'espressione poco rassicurante verso
di me: – Allora ti propongo una sfida.
– Eh? – Giro
velocemente il viso verso Bettina sperando che mi salvi, ma il mio
nuovo amore se n'è già tirata fuori e sta completando i documenti
con Aydin. – Non ho tempo, adesso.
– Vuoi negare una piccola
competizione alla nuotatrice più brava di questa piscina? – mi
chiede con un sorrisetto che mi ricorda per un attimo quello di Kyle,
facendomi rabbrividire.
Ci penso su qualche istante, liquidandola
con un'alzata di spalle: – Proprio così.
– E dai! –
insiste lei con la voce speranzosa. – Scommetto che vuoi sapere
qualcosa di Xavier. Tutti quelli che lo conoscono vogliono sapere
qualcosa di lui.
– So tutto quello che è necessario.
–
Ti offro un caffè?
– Già bevuto.
– Caffè corretto?
–
Non è il caso.
Camille sbuffa, frustrata: – Ti prego! Se sei
l'allenatore di Xavier devi avere per forza le carte in regola.
–
Ho preso la licenza per insegnare in agosto. – rispondo ironico,
pienamente cosciente del fatto che non intendesse questo. – Mi
dispiace, ma devo finire l'iscrizione e poi devo scappare.
– Oh,
non preoccuparti! – Aydin mi dà una manata sulla schiena,
sorridendomi. – Ci penso io qui! Aiuta pure la tua nuova amica.
Devo comprarmi un lanciafiamme portatile in modo che quando Aydin
decide di assecondare i suoi istinti primitivi da deficiente io possa
rimediare prima che sia troppo tardi. Perché, io mi chiedo, lui
riesce sempre a trovare il modo di peggiorare le situazioni già
critiche? Insomma, è un talento, il suo!
– Allora è fatta! –
Camille mi prende per il polso, trascinandomi lontano da Hick. Questo
lo chiamo sequestro di persona. – Prenderai in prestito un costume
della squadra. Sarà divertente!
– Uno spasso... – mormoro a
denti stretti, maledicendo Aydin in tutte le lingue che conosco
(compresi anche gli insulti in giapponese che mia mamma mi insegnò
quando avevo quattordici anni – “è ora che inizi a saperti
difendere anche in Giappone”, disse). Lui alza il pollice in su da
lontano, incoraggiandomi a vincere la sfida. In cambio io alzo però
il medio, mimandogli con le labbra: “Dopo ti faccio male”. Spero
che abbia recepito il messaggio perché stavolta non lo
risparmierò.
Ce l'ho messa tutta, lo giuro, ma nemmeno il
tifo sfegatato di Aydin mi è stato d'aiuto dal momento che la sfida
era con lo stile a rana e non è di certo il mio forte. Camille mi ha
stracciato con quasi sei secondi di scarto, una volta toccata la
parete di arrivo ha esultato e ha aspettato che arrivassi solo per
dirmi che nessun allenatore era ancora stato in grado di batterla e
che avrebbe detenuto il suo record ancora a lungo. Decisamente
un'umiliazione, lo ammetto: Bettina non sarebbe fiera di me.
Tuttavia, ora chiedetemi perché continuo ad assecondare scelte
che so per certo che saranno nocive per me: prima Kyle e poi questa
ragazza (di cui ci tengo a precisare che conosco solo il nome).
Evidentemente c'è qualcosa che non va molto bene dentro di me dal
momento che una lezione non mi basta ma devo tentare la sorte una
seconda volta prima di capire che se dico di no e la gente non mi
prende sul serio, quel “no” non può diventare un “sì” così
a cazzo.
Devo imparare ad essere un po' meno accondiscendente, lo
so.
– Himeragi! – Il mio nome risuona per tutta la piscina,
dietro Camille ci sono un po' di amiche che l'hanno assistita durante
la gara e che ora mi fissano fin troppo insistentemente ridacchiando
tra di loro.
– Sì? – Anche se gocciolante e a corto di fiato
cerco di recuperare quel poco di dignità che mi è rimasta, mi
avvicino a lei e inizio ad asciugarmi con un accappatoio rubato da
Hick a non so chi. Scusami amico.
La bionda si toglie la cuffia
con decisione, mi guarda con strafottenza ma alla fine si rivela solo
uno sguardo di sfida che si tramuta poi in una smorfia divertita,
finendo per diventare un sorriso sincero subito dopo: – Ti va un
caffè?
Non capirò mai i giovani e il caffè.
Anche se io sono
relativamente giovane comunque me ne basta un goccio di troppo e puf!
Insonnia per una settimana. Devo assolutamente rivedere la mia salute
medica.
– Certo che sei ossessionata da questo caffè. – le
faccio notare portandomi una mano al collo, sbuffando per la
stanchezza che purtroppo non sono più abituato a gestire. – E va
bene. Caffè sia.
Mi siedo con ben poca grazia al tavolino di
questa caffetteria all'interno della piscina, lascio le ordinazioni a
Camille e intanto noto con disappunto che un certo Kyle Adair mi sta
chiamando per l'ennesima volta dopo la quarta chiamata che ho fatto
finta di non vedere. Ops.
Trascino così il dito sullo
schermo con la stessa enfasi che Bettina aveva nel trascrivere i
nostri nomi e mi decido a rispondere: – Pronto?
– Oh, grazie!
Pensavo che la sbornia ti avesse ucciso.
– Hai mai pensato che
io potessi non guardare il cellulare per un po'?
– Il tuo ultimo
accesso di Whatsapp la dice lunga a riguardo.
Kyle Adair in
versione stalker mi ha sempre inquietato parecchio e devo dire che
quando si impegna è in grado di fare anche un ottimo lavoro.
Nel
frattempo Camille mi raggiunge al tavolo e mi mette sotto il naso una
tazza - una vasca - di caffè che probabilmente mi terrà sveglio
fino all'anno prossimo. La ringrazio con un cenno, tornando però al
deficiente in linea.
– Ero occupato. – rispondo alla fine. –
Mi hanno proposto una nuotata e ho accettato.
– Spero tu non ti
sia fatto stracciare.
– In realtà sì. – ammetto,
consapevole di giocare un po' il suo gioco. – Solo tu non ce la
fai.
Silenzio dall'altra parte.
Devo aspettarmi un proiettile
in arrivo dal mio punto cieco?
– Volevo invitarti ad uscire,
stasera. – risponde lui ignorando la mia provocazione, causandomi
però una serie di infarti non da poco: se avessi avuto il caffè in
bocca l'avrei sicuramente risputato fuori a mo' di fontanella
post-shock. Questo è molto peggio di un proiettile dal mio punto
cieco.
Con quale coraggio quella sottomarca di assassino dovrebbe
invitarmi ad uscire dopo avermi reso la vita impossibile per tre
giorni? Dovrebbe aver capito che non sono proprio a mio agio con lui
che gironzola per casa, figuriamoci doverci pure uscire insieme come
facevamo tanto tempo fa.
E' fuori questione.
– Mi dispiace,
ma non...
– Fammi finire! – sbotta costringendomi ad
allontanare il telefono dall'orecchio per non perdere metà
dell'udito. – Non dico di andare in giro. Mi basta che tu venga in
piscina, ho chiesto il permesso per restare fino a tardi. Puoi
chiudere tu, no?
– Tecnicamente sì, ma... – Devi trovare una
scusa, Hime. Ora o mai più. Qualsiasi cosa andrà bene ma non farti
abbindolare di nuovo: se così fosse puoi inserirti da solo nei
Guinnes World Record per la recidività. – La signora Stanley mi ha
chiesto di dare da mangiare a Spruffio, stasera.
– Spruffio?
–
Il gatto.
– Spruffio il gatto? – la voce di Kyle suona un po'
provata dalle risate, ma cerca di trattenersi e di darsi un contegno.
– Senti, non mi frega praticamente nulla di Spruffio il gatto. Non
puoi rifiutare, Himeragi. Ho già preso accordi col rettore e col mio
allenatore.
– Questa me la paghi. – Rivolgo lo sguardo al
cielo, lassù c'è veramente qualcuno che mi odia.
Tra l'altro
non è nemmeno vera la storia di Spruffio il gatto. E il gatto non si
chiama nemmeno Spruffio!
– Ho organizzato qualcosa di carino.
– Posso sapere il perché?
– Oggi è l'anniversario.
Volevo renderlo un po' meno tragico di quanto sembri.
Sgrano gli
occhi: come ho potuto dimenticarlo? Ogni anno l'avvenire di questo
giorno mi portava alla mente brutti ricordi, emozioni passate e
momenti che cercavano di fuoriuscire dalla mia mente senza concedermi
un attimo di pace. Passavo notti senza chiudere occhio a causa delle
sensazioni che si rimescolavano nel mio stomaco e il mondo si faceva
improvvisamente più grigio di quanto non fosse già.
Quest'anno
è stato diverso.
Il mondo non è diventato grigio perché i miei
colori sono al mio fianco, adesso. E' sul serio questo il modo
efficace con cui io sono riuscito ad arrivare ad oggi senza impazzire
più del normale? E' questa la maniera con cui ho “superato” la
fobia di questo giorno? Aspettando proprio la matrice di tutto
ciò?
Wow, Himeragi.
In apnea non te la sei mai cavata troppo,
ma questa volta il fondo l'hai toccato alla grande.
–
Anniversario, eh? – borbotto sovrappensiero, specchiandomi negli
occhi verdi di Camille senza però guardare veramente. – Ma sì,
certo. Ci sarò.
– Perfetto. Sarà come ai vecchi tempi!
–
Potresti evitare di...
– A stasera! – Allontano il cellulare
dall'orecchio, il bastardo ha appena attaccato.
– …dire certe
cose. – concludo tra me e me, sbuffando come un pensionato dopo
l'ennesima giornata davanti al televisore. In effetti, potrei sul
serio assomigliare ad un pensionato in questo stato comatoso: voglia
di vivere pari a quella di Bettina, psiche costantemente disturbata e
una tendenza eccessiva al panico. No, forse dire che assomiglio ad un
pensionato diventerebbe un'offesa per tutti i pensionati. Purtroppo
sono semplicemente me stesso.
– Non sembri molto contento di
uscire per l'anniversario con la tua ragazza. – borbotta Camille
con un sorrisetto, alzando velocemente il bicchiere imitando un
brindisi.
Porto la mano dietro la nuca, cercando di spiegarmi al
meglio delle mie possibilità: – Non è esattamente così...
Leggi: Kyle non è il mio ragazzo, non sono per niente felice di
uscire, non ricordavo nemmeno che fosse l'anniversario e ultimo ma
non meno importante, Kyle non è una ragazza. Kyla Adair suona
proprio male.
– … Sono solo stanco. – mi giustifico alla
fine con un sorrisetto talmente finto da essere tenuto su con le
mollette.
La bionda alza le spalle sistemandosi la frangia ancora
umida dalla gara di mezz'ora fa, beve un sorso dal suo bicchiere e
cambia improvvisamente espressione: – Xavier.
– Camille,
senti...
– Shion.
Eh?
Qualcuno può smettere di dire nomi,
per favore?
Agito le mani davanti al mio viso, facendole gesto di
fermarsi: – Non ho capito nulla.
Strano, eh?
– Shion. –
ripete lei con un sorriso appena accennato. – Xavier mi ha dato
questo soprannome alle elementari dato che in classe ero l'unica a
prendersi cura di una margherita Shion che una nostra compagna aveva
portato dal Giappone. Da lì tutti quanti mi chiamano così, perciò
ti prego di fare lo stesso. Solo quando vengo rimproverata mi
chiamano per nome.
Annuisco, ripensando immediatamente a come il
Giappone sia incondizionatamente incatenato alla mia stupida vita.
Deve veramente avere tutto a che fare con la patria dei manga da
quando sono nato? E' una cosa triste, se ci pensate. Potrei quasi
prevedere la mia vita, sapendo ciò - tanto finirebbe tragicamente
bene.
– Shion. – ripeto quindi alla fine, bevendo piano il
caffè bollente. – D'accordo. Hai detto di conoscere Xavier, prima,
e mi pare che tu sia intenzionata a finire il discorso.
La bionda
annuisce rigirando la tazza tra le mani, pensierosa: – Non sapevo
che gli piacesse il nuoto. Non me l'ha mai detto. Abbiamo fatto
insieme le elementari e alle medie, anche essendo in sezioni diverse,
eravamo comunque parecchio amici e passavamo un bel po' di tempo
assieme... Non nascondo che per la maggior parte del tempo stavo lì
a chiedermi cosa gli passasse per la mente, ma non mi aspettavo che
mi nascondesse una cosa del genere. Non avrebbe avuto motivo.
In
effetti, anche io spesso mi chiedo a cosa stia pensando quel
ragazzino, per questo mi riesce facile comprendere le parole di
Shion. Insomma, so che potrebbe sembrare stupido dato che Xavier è
solo un mio allievo e non dovrei interessarmi a lui in modo così
viscerale, ma qualcosa mi induce a non mollare la presa: non l'ho
fatto nemmeno nel momento delle minacce scritte sul parabrezza della
mia mitica auto rossa, non potrei di certo farlo ora che sto
iniziando a pormi la domanda sopracitata forse un po' più di
frequente. Fa molto Professor Layton e il futuro perduto 2.0
versione nuoto.
– Forse nemmeno si interessava al nuoto quando
non era ancora alle superiori, chi lo sa? – ipotizzo per non far
piombare tutta la tensione sull'unica possibilità che Xavier abbia
tenuto tutto per sé. – Ricordo che, al mio terzo anno e al suo
primo, il rettore mi chiese di aiutare i nuovi nuotatori ad
ambientarsi. Chiesi così ad ognuno di loro il motivo per cui si
erano iscritti al club di nuoto e Xavier fu probabilmente l'unico
sincero dicendo che l'aveva fatto solo per alzare la sua media
scolastica, poi non chiedermi come sia passato da usare il nuoto come
un mezzo per alzare i voti all'esame finale a impegnarsi sul serio:
quello resta tabù anche per me.
Shion sorride distrattamente,
sembra veramente persa in un mondo di ricordi che sono sicuro non mi
farà conoscere almeno finché non darò prova di conoscere veramente
il ragazzo di cui stiamo parlando. Finora non ho mai conosciuto
persone che tenessero a Xavier talmente tanto da descrivere
perfettamente il suo carattere, perciò so che devo andarci cauto con
lei: per essere stata veramente amica di Xavier deve avere qualcosa
che nessun altro ha.
A questo punto, mi chiedo però cosa sia
stato a suggerire a Xavier il fatto che io potessi essere una
delle persone su cui fare affidamento nella sua giovane vita.
Ammettiamolo: sembra che io stia parlando del Messia. Devo
smetterla di rendere tutto melodrammatico, sto cominciando a perderci
la testa dietro a questo genere di visioni mistiche.
– Sai
perché ti ho sfidato, Himeragi?
Ora mi dice che le sembro un
idiota gay con un nome di merda.
Oh ma guarda, è la mia
descrizione perfetta!
Scuoto semplicemente la testa, preparandomi
al peggio. Ora la mia autostima scenderà drasticamente a livelli mai
sfiorati dall'umanità, dovrò ritirarmi in un bunker buio e scrivere
lettere ad un amico che non mi risponderà mai solo per restare
ancora un po' lucido. Pensandoci bene, per pensare una cosa del
genere devo aver già perso la lucidità da un po' di tempo.
–
Dopo le provinciali questa piscina chiuderà. – inizia a spiegare.
– Le gare sono una specie di grande festa d'addio, anche se
formalmente la chiusura sarà annunciata a prove finite. Il fatto è
che non so dove andare, non conosco nessuno che faccia nuoto e qui a
Warren non ci sono altre piscine, per questo quando ho sentito di
Xavier ho voluto conoscerti. Volevo solo vedere come saresti stato
come allenatore per me dato che evidentemente vai bene a Xavier, se
dovessi casualmente scegliere la vostra come mia prossima squadra.
Sarebbe un problema?
Volete dirmi che sono appena stato testato
inutilmente? Potevo semplicemente presentare la mia scheda tecnica e
si sarebbe risolto tutto, a questo punto! Dov'è Winnie the Pooh
quando serve qualcuno che dica “oh, rabbia!”?
– Solo
il fatto che tu non sia una studentessa e il nostro è un club
scolastico. – rispondo cercando di non sollevare un polverone per
avermi fatto perdere quasi due ore. – Se vuoi inserirti comunque si
può fare, ma ci sono delle pratiche burocratiche in mezzo. Dovresti
comunque venire a vedere il polo natatorio e conoscere gli
istruttori, la squadra e il rettore prima di decidere.
Shion
annuisce, finendo il caffè in un sorso e sorridendo subito dopo: –
Non c'è problema, sono disposta a fare di tutto.
Le sorrido
anche io, devo ammettere che vedo della determinazione nei suoi occhi
e, per quanto ho visto fin'ora, sarebbe un buon elemento da
aggiungere alla squadra considerando anche che Xavier avrebbe
qualcuno di familiare al suo fianco. Forse questa gara non è stata
del tutto una perdita di tempo tutto sommato se contiamo il fatto che
sono ancora capace di far ridacchiare istericamente un gruppo di
ragazze per la mia aitante presenza: vai Hime, ci sai ancora
fare!
Guardo l'ora che la radio della macchina segna, sono
le sette meno dieci. Sono uscito di casa dopo essere stato per
mezz'ora a prepararmi credendo di essere anche in ritardo ma ora mi
rendo conto che probabilmente è l'agitazione che mi fa sbagliare
tutto quanto: devo calmarmi, non è di certo la prima volta che mi
ritrovo da solo con Kyle in uno spazio pericoloso come la piscina - e
badate, pericoloso per tutto ciò che consente di fare, non per tutto
ciò che potrebbe fare. Nel momento in cui mi preparo a scendere
però, come un lampo a ciel sereno, Xavier appare al finestrino del
sedile passeggero e inizia a bussare come se volesse intenzionalmente
distruggere il vetro ovviamente già crepato.
– Hai intenzione
di andare avanti per tanto? – sbotto sbloccando le serrature,
permettendogli di aprire la portella senza sfasciare ulteriormente
questo relitto a motore.
Lui mi guarda severo da sopra la sciarpa
che gli copre tutto il naso: – Mi dai un passaggio?
Guardo
l'ora: 18.58
Sarò sicuramente in ritardo se ora accompagno Xavier
a casa sua dato che sono appena andato via dalla mia e non ci sono
motivi per cui io dovrei rifare la strada al momento, ma qualcosa nei
suoi occhi mi dice che c'è qualcosa che non va - come sempre, oserei
dire. Ultimamente sto notando che la mia intera esistenza è un
susseguirsi di “qualcosa non va” e “a quale preghiera del
rosario sono rimasto?”.
Alla fine cedo senza combattere,
facendogli segno di salire. Lui lancia molto aggraziatamente la borsa
sul sedile posteriore facendo volare fuori la cuffia che si spiaccica
sul cristallo posteriore con un sonoro “ptch!”
–
Pensi di raccoglierla? – gli chiedo con un sopracciglio alzato,
notando come la retromarcia sia parecchio difficile con una cuffia in
mezzo al campo di visuale.
Aspetta, adesso devi andare cuffia e
poi svolti a cuffia.
– Mi sono asciugato i capelli, oggi. – è
la sua risposta spassionata mentre si toglie il cappello per provare
ciò che ha appena detto.
– I tuoi capelli asciutti non ci
risparmieranno dall'urtare una macchina a causa di una certa cuffia
nella mia visuale e a quel punto farò spedire i danni direttamente a
casa tua. – borbotto aspettando che si decida a levarla dal mio
povero cristallo.
Solo dopo qualche secondo in silenzio e una
smorfia lui si allunga verso il retro e, emettendo un grugnito per
l'inevitabile strappo alla schiena data la sua posizione da
pattinatore artistico su ghiaccio quando in realtà è un nuotatore,
riesce a togliere la cuffia dal vetro e a riporla sulla borsa senza
lanciare in giro altri strani oggetti.
Un secondo prima è
bianco, un secondo dopo è nero: questo è Xavier.
– Non sei
venuto, oggi.
– Lo so, ho avuto da fare.
– E ti sei anche
messo in tiro.
– Lo so, tra poco ho da fare.
Mi becco
un'occhiataccia da non sottovalutare, so quanto Xavier ci tenga alla
mia sincerità verso di lui e so anche che questo genere di risposte
hanno un'alta probabilità di infastidirlo, del resto però ci sono
cose che forse non vorrebbe sentirsi dire.
– Si può sapere che
hai fatto o è un segreto di Stato? – mi domanda rivolgendo il suo
sguardo fuori dal finestrino, anche se dal suo riflesso posso
chiaramente vedere gli occhi al cielo. Adoro quando tenta di
nascondere le sue espressioni ma si dimentica sempre del riflesso.
–
Sono stato a Warren per iscrivervi alle provinciali, mi hanno sfidato
e poi sono tornato a casa. Niente di speciale.
– Potevi almeno
avvisare che non saresti venuto.
– L'ho fatto con chi di
competenza. – ribatto con un sorrisetto mirato ad essere
ironicamente fastidioso, difatti ricevo uno schiaffo sulla spalla e
la voce di Xavier si alza abbastanza da lasciar trasparire la sua
irritazione.
– Nessuno mi ha detto niente!
– Devi imparare
ad ascoltare anche gli altri. Non puoi allenarti seriamente solo
quando ci sono io, lo sai.
– Mi sono allenato seriamente. –
ribatte lui sottovoce, giocherellando con i lacci della sua felpa. –
E' solo che pensavo che saresti venuto.
Annuisco, trovando
divertente la sua nascosta preoccupazione nei miei confronti. Ormai
sono grande e vaccinato, quello preoccupato dovrei essere io e non
lui.
– Ho conosciuto una tua amica, prima. Avete fatto le
elementari e le medie insieme.
Xavier mi guarda incuriosito, per
la prima volta da quando è salito in auto non ha un'espressione
seccata nel rivolgermi la parola: – Lì a Warren?
Annuisco: –
La chiamavi Shion.
Silenzio.
Mi giro velocemente verso di lui
e noto che, molto teatralmente, ha portato la mano sugli occhi e le
guance gli si sono arrossate appena. Se fa ancora una volta il
drammatico come faccio sempre io giuro che lo iscrivo di nascosto al
club di teatro, vedo del potenziale in questo giovane pargolo.
–
Mi pare di capire che ti ricordi di lei. – lo prendo in giro,
pizzicandogli la guancia.
Devo ricordarmi di non azzardarmi mai
più a farlo dal momento che mi ha appena morso la mano. Piccolo
cannibale.
– Si può sapere come hai fatto a conoscerla? –
sbotta fissando soddisfatto l'impronta dei denti che mi ha lasciato
sulla mano. E' pure felice del suo operato.
– Nuota nella
piscina dove faremo le gare. – borbotto ripulendomi dalla sua
saliva. – E forse verrà da noi quando la struttura chiuderà.
–
In squadra?
– Sì. Ho pensato che fosse una buona idea così le
ho detto che non ci sarebbe stato alcun problema.
– Hai pensato
di chiedere a noi, prima, Anguilla? – mormora con un'espressione a
dir poco truce dipinta sul viso.
Rimpiango di non essermi portato
la corazza da football acquistata quattro anni fa, in situazioni
critiche in cui puntualmente mi caccio da solo potrebbe tornare
veramente utile.
– Con tutto il dovuto rispetto, ma
l'istruttore sono io.
– Dai?
– Molto spiritoso, Xavier. –
lo richiamo, sperando di risultare severo quando so che questo suo
broncio mi fa solo divertire. Dovrei imparare ad essere un pelo più
autoritario con questo ragazzo, lo ammetto.
Lui sbuffa, fissa
casa sua dal finestrino ma non accenna a scendere dalla macchina.
Questo è il momento che odio di più della parte che riguarda il “mi
dai un passaggio?”. Se fosse per me non ci sarebbero problemi a
girare e tornare indietro, ma devo fare i conti con una morale che va
oltre la mia volontà: quelli sono i suoi genitori, quella è la sua
casa, quella è la sua vita.
– Non l'ho mai sopportata troppo,
comunque. – inizia a bassa voce, allungandosi per riprendere la sua
borsa e la cuffia del delitto. – Era Shion a starmi appresso.
–
Forse lo faceva per te. Mi è parso che ti conoscesse abbastanza
bene, comunque.
– Certo che mi conosce: siamo stati insieme per
qualche mese.
Sgrano gli occhi, confuso. Sbaglio o ha appena detto
di non averla mai sopportata troppo? In genere se non si sopporta
qualcuno non si finisce per avere una relazione con quest'ultimo...
Okay, non dovrei essere io a dirlo. Avete ragione. Avete
ragionissima.
Xavier mi guarda con un sorrisetto
divertito, non c'è nemmeno bisogno che io spieghi i miei dubbi
perché lui mi risponda: – Non la sopportavo quando era
appiccicosa, ma del resto non era male.
– “Non era male”. –
ripeto, ironico. – Se ti mettessi insieme con tutte le persone che
reputi “non male” mi sa che saresti un gran don Giovanni, Xavier.
– Già, – apre la portella con uno sbuffo, affacciandosi
prima di chiuderla del tutto. – Forse starei anche con te, allora.
Gli sorrido, divertito dalla sua battuta, e agito la mano per
salutarlo; lui ricambia il gesto e s'incammina lungo il giardino in
cui so che quel sorriso si spegnerà e lascerà il posto ad una
smorfia annoiata e sempre spaventata - immaginare Xavier spaventato
è sorprendentemente doloroso.
Guardo per l'ennesima volta
l'ora contrassegnata sul cruscotto: 19.17
Pensandoci bene potevo
anche evitare di fare i trenta chilometri all'ora nel rettilineo solo
per dare fastidio alla Ferrari dietro di me ma tutto sommato ne è
valsa la pena: a Detroit ci può essere solo una stupida macchina
rossa e non sarà di certo una Ferrari.
Lancio uno sguardo veloce
al telefono su cui ho almeno una decina di messaggi da parte di Kyle
ma lascio stare tutto e mi fiondo all'interno della piscina
rischiandomi l'osso del collo a causa del ghiaccio per terra e
sbattendo inevitabilmente lo stomaco sulle maniglie anti-panico
dell'ingresso a causa della fretta. Sì, noi abbiamo le maniglie
anti-panico all'esterno: basta questo a metterti in panico in caso di
un'emergenza all'interno del polo natatorio, diciamocelo.
Tra
l'altro è tutto completamente al buio, solo una luce fioca proviene
dalla piscina vera e propria e perciò devo andare ad intuito: una
ginocchiata al bancone, una botta sulla fronte sulla porta di vetro e
il piede frantumato contro un gradino. Bene, questa è una gran bella
serata.
– Siamo leggermente in ritardo, Anguilla?
Alzo gli
occhi e, non appena essi si abituano alla poca luce, riesco
finalmente a riconoscere Kyle e ciò che ha preparato.
Non sono
più abituato a questo genere di cose, devo deglutire e imporre al
mio autocontrollo di non dare di matto come invece tenderei a fare
fin troppo facilmente. Calma, Hime. Puoi gestire tranquillamente
questa situazione: non è la prima volta che succede una cosa del
genere, l'unica cosa che potrebbe agitarti è il fatto che l'ultima
volta risale a tre anni fa e che forse, e dico forse, tu non
sei esattamente pronto ad affrontare di nuovo tutto questo. Ma
proprio forse. Cos'è che ti frena?
Insomma, è solo Kyle Adair
quello lì.
E' Kyle Adair che ha comprato cibo cinese e che l'ha
poi disposto su un asciugamano da picnic a bordo piscina. E' Kyle
Adair che ha acceso due stramaledette candele. E' Kyle Adair che si è
messo una camicia stirata per bene e che sta tenendo i jeans in
prossimità di una vasca piena d'acqua - il che va totalmente contro
la sua scuola.
Sì, Hime: è lo stesso Kyle Adair che tre anni fa
ti ha lasciato e che ora convive con te. Benvenuto nel tuo triste
teatrino.
– Scusami. – borbotto ovviamente in imbarazzo,
togliendomi le scarpe come se stessi entrando in un vero e proprio
tempio.
Kyle mi scruta attentamente mentre mi avvicino a lui,
vorrei che non ci fosse tutto questo silenzio dato che la tensione
così non fa altro che alzarsi e l'unico rumore percepibile è l'eco
dei miei passi. Respiro: dentro e fuori. Ce la posso fare.
–
Quel moccioso è fissato con te.
Non ce la posso fare.
–
Chi, Xavier? – E si passa in modalità cado-dalle-nuvole.
Buongiorno mondo!
– No, io. – sbotta lui guardandomi male,
fissandomi come per dire “ma ci sei o ci fai?”.
– Per quanto
ne so potrebbe anche essere. – Appoggio la mano sulla sua spalla,
facendo finta di sospirare rassegnato. – So di essere
irresistibile.
Mi sa che ci faccio e non ci sono.
– C'è una
piscina, lì. Sta' attento a quello che dici o finisci dentro.
–
Il caso vuole che io sappia nuotare, baby. – lo prendo in
giro, sorridendogli sperando di deviare l'argomento “Xavier”.
Qualsiasi altra cosa va bene: nuoto, piscine, prezzi in crescita, le
perdite della Borsa di Wall Street, Spruffio il gatto o
checazzonesoio.
– Fai il filo a quello lì?
Sul
serio, Kyle? Vuoi veramente farmi morire in questo modo?
Mi siedo
accanto a lui sull'asciugamano, fisso per qualche secondo l'acqua
davanti a noi e poi prendo fiato: – Anche se fosse, sono affari
tuoi?
– Sei innamorato di quel moccioso?
Adoro le
domande-domande. Insomma, perché mai qualcuno dovrebbe rispondere
quando invece può porre una domanda a sua volta e continuare una
catena che non riuscirà mai a chiudersi? Via, facciamo domande su
domande, che male c'è? Tanto qui si rischia solo di diventare più
cretini di quanto non siamo già, non mi pare poi così eclatante.
Mi
limito al silenzio, non voglio dargli la soddisfazione di negare alla
sua domanda.
– Chi tace acconsente. – borbotta poco dopo,
afferrando uno dei cartoni di cibo.
– Ah, dannazione! –
Allungo di scatto il braccio verso di lui, spingendolo. – Non sono
innamorato di Xavier, contento?
Kyle sorride gonfiandosi come un
pallone mentre il suo viso si tramuta in un'espressione che mi
sussurra dolcemente “avanti, Hime, prendimi a schiaffi”. Dio,
quanto lo farei volentieri.
– Molto contento. Ma non del tutto
sollevato, se devo essere sincero. – Per fortuna il suo sorrisetto
sbollisce prima che possa veramente dare retta all'allettante voce
che mi suggeriva di stampare amorevolmente la mano sulla sua guancia,
al suo posto nasce uno sguardo turbato e del tutto insicuro. –
Durante gli allenamenti chiedeva sempre di te finché non mi sono
stancato e gli ho detto dov'eri.
– Lo sapeva? – chiedo,
confuso.
Ricordate la canzone degli Abba che andava di moda negli
anni '80? Quella che sappiamo tutti e che ogni tanto canticchiamo,
“money, money, money!”. Ecco, la mia versione è
“noncapisco, noncapisco, noncapisco!”. Nella versione
integrale poi al posto dell'ultimo “noncapisco” potete trovare un
bel “vadoinpanico”. Ma la versione integrale è solo nel
disco deluxe dal titolo “Himeragi e le sfighe”, mi dispiace.
–
Certo, gliel'abbiamo detto sia io che Iris. – conferma Kyle, serio.
– Non dirmi che te l'ha chiesto.
– Sì e ha anche insistito, a
dirla tutta. – Sbuffo, come sempre sembra che tutti si divertano a
farmi rimbecillire.
Kyle schiocca la lingua, infastidito da non
so cosa in particolare, mi guarda dritto negli occhi e sembra volermi
bruciare come ai vecchi tempi: – C'è un debole, tra voi due. Per
portarlo a casa sei arrivato in ritardo, e tu non arrivi mai in
ritardo. Non è normale il vostro rapporto. E' malsano.
–
“Malsano”. – ripeto, guardandolo male a mia volta. –
Ma ti senti, quando parli? Pensi di aver agito tanto più
normalmente, tu?
– Tsk. – Kyle distoglie lo sguardo e
fortunatamente lascia cadere l'argomento, dandomi finalmente tregua.
Carino evadere dalle domande indesiderate con “tsk”.
Hai
fame? Tsk.
Hai messo il profilattico?
Tsk.
Sei incinta? Tsk.
Non sai che cosa
rispondere? Tsk. Tsk?
Tsk.
– Non ho ancora trovato il momento giusto per
chiedertelo, ma... – Kyle si rivolge nuovamente a me, stavolta però
con un'espressione rilassata e un sorriso appena accennato. Cosa
vuole da me questo essere immondo, ora? Vuole soldi? Vuole chiedermi
se l'ho tradito - ah no, tanto è colpa sua. Vuole che faccia uno
strip per lui? – … Cos'hai fatto in questi tre anni?
Devo
vedere uno psicologo. Io non sto bene.
Mi schiarisco la voce
distogliendo la testa le possibili idee che mi ero erroneamente
formulato, cercando di sembrare un po' meno schizzato di quanto sia:
– Riguardo a?
– Tutto quanto. – Kyle apre il cartone degli
spaghetti di soia, iniziando a mangiare con le bacchette anche se con
scarsi risultati. – Non abbiamo ancora avuto tempo per raccontarci
le stupidaggini e francamente credo siano molto importanti.
Non
pensavo che le stupidaggini potessero essere importanti, ma ora che
ci penso in effetti voglio sapere le sue stupidaggini. Voglio
conoscere quel genere di cose che normalmente si dicono dopo anni e
anni di conoscenza, quelle che apparentemente non interessano a
nessuno. Quelle della serie “nel febbraio dell'anno scorso ho
acquistato un sacco di arance credendo fossero limoni perché ero
ubriaco” o “una volta volevo imitare Gesù e mi sono lanciato
sull'acqua pensando di correrci sopra ignorando le leggi della
fisica”. E se ve lo state chiedendo: sì, queste sono le mie
stupidaggini. Ne ho una collezione talmente vasta che se fossero dei
filmati probabilmente sarebbero più lunghi di Titanic - ma non più
belli di Di Caprio.
– Dopo che te ne sei andato i miei voti
hanno fatto schifo per un po'. – inizio, aprendo il cartone dei
riso alla cantonese. Se fosse per me dovrebbero rendere legali i
matrimoni tra uomo e cibo e io avrei dei bellissimi bambini
alla cantonese. – Mia madre diceva che il tuo spirito mi
guardava dall'alto e allora mi rallegravo perché faceva
effettivamente ridere sentirla parlare di te come un'entità
superiore, ma del resto era un po' un periodo di merda. Volevo
mollare il nuoto e lasciare stare tutto quanto, ma fortunatamente ho
cambiato idea in tempo e ho continuato: è stato in quel periodo che
io e Aydin siamo diventati davvero amici e, anche se non sembra, in
realtà è stato veramente di grande aiuto per la prima e
probabilmente ultima volta nella sua vita. Tutto è andato un po'
meglio quando io e Iris ci siamo messi insieme, ho ricominciato a
studiare seriamente e ad impegnarmi con la squadra... Da lì non ci
sono più stati particolari problemi. Solo quelli ordinari, niente di
che.
– Intendi un certo tuo allievo che si è preso una cotta
per te?
– Dacci un taglio. – lo rimprovero, ridendo anche se
dovrei restare serio. – Solo perché tu mi trovi irresistibile non
vuol dire che tutti i ragazzi lo facciano, Xavier incluso. Tu,
piuttosto? Che hai combinato?
Kyle finisce in due bocconi gli
spaghetti, masticando come un elegante scaricatore di porto: – In
realtà non me la sono passata bene nemmeno io. – sputacchia
cercando di sorridere. Bleah. – Avevo solo quindici anni quando
arrivai a New York: i ragazzi locali praticamente mi demolirono. Al
tempo in squadra c'era solo Quentin e, sebbene fosse di due anni più
grande di me e avrebbe potuto fregarsene, mi difese e mi insegnò a
sopravvivere in quella sottospecie di giungla. Col suo aiuto l'anno
dopo entrai nella squadra titolare e poco tempo dopo si unirono anche
Nico e Dominik, il che fu d'aiuto considerando che ormai Quentin non
ne poteva più di sentirmi parlare di te. Con la scuola andava male,
fortunatamente avevo il certificato dell'agonismo che mi salvava il
culo nella maggior parte delle materie ma ho rischiato di perdere
l'anno per due volte... Almeno abbiamo avuto la stessa punizione,
no?
Annuisco, pensando a quanto le nostre storie siano state
simili anche a chilometri e chilometri di distanza. Insomma, lui ora
fa parte di una squadra che gareggia a livelli nazionali e io sono un
istruttore scolastico ma sì, sono storie parecchio simili.
Vado
a piangere.
– Sono stato insieme ad un ragazzo.
Un chicco
di riso mi finisce ovviamente di traverso, facendomi tossire come un
dannato. Mi sa che domani ritroverò parte della mia cena nell'acqua.
– Ah sì? – tossicchio cercando di risultare indifferente
anche se ho appena dato dimostrazione del mio disappunto a riguardo.
Che poi, disappunto per cosa? Sono la persona più incoerente sulla
faccia della Terra.
Kyle annuisce, guardandomi preoccupato mentre
ancora mi schiarisco la gola per togliere la sensazione del riso per
traverso. Sembra proprio che questa serata vada di bene in meglio,
insomma.
– Avevo bisogno di ripetizioni e dato che la mia
scuola era come la nostra, ovvero comprendeva superiori e college
insieme, fu abbastanza facile trovare qualcuno che mi aiutasse.
Grazie a lui migliorai i miei voti e riuscii a tornare con la testa
sulle spalle, dimenticandomi per qualche tempo di te. – Kyle
abbassa progressivamente il tono della voce, rendendo l'atmosfera
sempre più tesa. Io sapevo fin dall'inizio che non avrei dovuto
accettare di venire a questa sottospecie di appuntamento, me lo
sentivo: era ovvio che sarebbe successo qualcosa che mi avrebbe
disturbato ulteriormente e che mi sarebbe costato un ulteriore anno
dall'analista. Penso che dovrò proprio farmi un abbonamento.
–
Puoi anche dirmi il suo nome senza continuare a chiamarlo “lui”.
E' alquanto fastidioso. – borbotto sentendo un moto di gelosia alla
bocca dello stomaco, quel genere di sensazione che sembra volerti
divorare vivo e che ti sfida a non far notare la sua presenza.
Devo
ammetterlo: non sono mai stato un tipo geloso. Insomma, mi bastava
fidarmi della persona in questione ed ero in pace col mondo, niente
riusciva ad infastidirmi. Certo, questo però era tre anni fa. Ora
che di fiducia ce n'è ben poca, ora che davanti a me ho praticamente
un estraneo e ora che sono cresciuto non mi risulta più così facile
basarmi sul semplice piano del “okay, mi fido di te e non dubito”.
Io non mi fido. Io dubito, forte.
Crediti a Christian
Gray per la citazione.
Guardo Kyle di sottecchi, lui fissa
l'acqua come se si fosse incantato e dopo interminabili istanti si
decide finalmente a parlare, non prima di aver sospirato
pesantemente: – Si chiama Landon. Abbiamo cinque anni di
differenza, lui frequentava l'ultimo anno di college e io il terzo di
superiori. Se mi sono messo in riga è stato grazie a lui.
Annuisco,
ma in realtà non so nemmeno cosa poter dire. Insomma, come dovrei
uscirmene ora? Questa notizia mi sta logorando lo stomaco ma non
posso fare scenate se voglio restare fedele al mio Credo: Kyle per me
è il passato, non ci sono più né tempo né spazio per lui nella
mia vita e nemmeno per la gelosia causata dalle sue scelte.
A
volte mi chiedo cosa mi frulli in testa.
Non riesco nemmeno a
capire se qualcosa mi stia a cuore finché non ci sbatto addosso, non
mi rendo conto delle cose prima che queste si ritorcano contro di me
e tutto questo non fa altro che gravare sulla mia già stupida
esistenza. Se tutto questo adesso mi sta dando veramente fastidio
allora nei giorni precedenti avrei dovuto fare meno l'idiota e
dimostrare a Kyle che tengo ancora a lui, ma ovviamente no! Se
Himeragi Fenwick fa qualcosa di sensato, tranquilli: non è Himeragi
Fenwick, avete sbagliato persona.
– Non mi pare fosse una
stupidaggine, comunque. – E' il mio unico commento mentre, cercando
di sembrare disinvolto, inizio a mangiare i ravioli.
– No, ma
volevo dirtelo.
– Dovevi espiare le tue colpe? – lo prendo in
giro sperando di risultare veramente ironico e non
ironico-vendicativo anche se credo di essere sembrato più la seconda
delle due.
Kyle mi guarda passivamente, concludendo con un'alzata
di spalle: – Dovevo pur dirti il motivo per cui devo tornare a New
York.
Okay, io la faccio finita.
Non ha più senso continuare
a vivere mentre la mia vita viene fatta a pezzi da tutti quelli che
ne fanno inevitabilmente parte. Perché ce l'hanno tutti con me?
Insomma, sono un bravo ragazzo, tutto sommato. Pago le tasse, non ho
mai corrotto nessuno, non miro a diventare un dittatore e non ho
idealismi strani.
Ora, cos'ho fatto di male? Vi prego, ditemelo -
e ricordate di iniziare dal mio nome del cazzo.
– Te ne vai?
–
Per qualche giorno, tra due settimane. – Kyle sorride appena,
dandomi una gomitata. – Paura, eh?
– Fottiti. – sbotto
sentendo comunque il mio cuore alleggerirsi. Bravo soldato: hai
resistito all'attacco anche se ti sei ovviamente impanicato per un
istante. Facciamo anche due.
Il bastardo al mio fianco ride come
se fosse una situazione in cui ridere sia normale, scuote la testa e
mi fissa sapendo di avere a che fare con un idiota che si agita per
un nonnulla: – Devo aiutare Landon nel trasloco.
– Credevo
fosse finita tra voi due. – sbotto fin troppo acidamente,
rendendomi conto troppo tardi dell'espressione sorpresa sul viso di
Kyle. – Cioè, non che mi crei problemi. Assolutamente. Figurati.
Quali problemi? Tsk! Li mangi gli involtini?
Kyle mi fissa con gli
occhi sgranati esattamente come si fissa un povero idiota e, con un
sorriso a metà tra il divertito e il “povero imbecille”, mi
passa il cartone degli involtini: – E' finita tra me e
Landon. Prima che ci lasciassimo però presi dalla fretta e da tutto
il resto abbiamo acquistato un appartamento insieme, abbiamo firmato
tutte le carte in meno di un mese e il lotto era già nostro. Disfare
tutto sarebbe stato un casino e una scomodità per entrambi, così
abbiamo deciso di affrontare la cosa da persone mature e di lasciarci
alle spalle il passato per convivere serenamente come due amici.
–
Oh sì. – commento rimpinzandomi di involtini. Ripensandoci, potrei
avere anche dei bellissimi figli-involtini. – Convivere col proprio
ex è una grandissima idea, Kyle. Bella pensata. Sarà uno spasso,
vedrete.
– Lo sai che stai parlando anche di te, vero?
Oh
già. Io convivo con Kyle. Ops. Vedo
che continui a pensare diligentemente Hime, bravo, sono fiero di
te.
– Lo so! Per questo parlo. – Riesco a salvarmi in
corner, sperando che Kyle non decida di fare lo stronzo e mi faccia
notare quanto cretino io sia. – Comunque grazie per avermelo detto.
– mormoro alla fine evitando il suo sguardo, sforzandomi di
sembrare meno geloso di quanto io sia improvvisamente diventato.
–
Se lo avessi scoperto da solo ti saresti arrabbiato.
Annuisco,
forse non sono cambiato poi così tanto da come lui si ricorda di me.
Mi sarei arrabbiato e ne avrei fatto una questione di Stato,
ovviamente: è così che ragiono e agisco di conseguenza. Sempre
molto razionalmente e prendendo scelte ben ponderate. Si è visto il
mio splendido autocontrollo, no?
– Devo dirti una cosa,
comunque. – riprende lui, serio, alzandosi in piedi.
– Sei
diventato padre? – gli chiedo sperando di allentare la tensione,
mettendomi ugualmente in piedi per averlo alla mia altezza.
Lui
mi guarda male, rotea gli occhi scuri ma non riesce a tenere
l'espressione seccata dal momento che c'è qualcosa che veramente lo
sta turbando.
Lo scruto attentamente: le gambe sono tese e
leggermente divaricate, il busto dritto come una tavola e i pollici
di entrambe le mani continuano a toccare le altre dita quasi
spasmodicamente. Con la camicia bianca che aderisce perfettamente al
suo petto non è difficile vedere il suo respiro di netto più veloce
rispetto a qualche secondo fa e, per la prima volta, non si preoccupa
di avere alcuni ciuffi caduti sulla fronte. Forse è cambiato in
merito ad attitudini verso le persone, ma di certo non sarà mai in
grado di tenere nascosta la sua agitazione a me: finalmente essere
stato con lui porta alcuni vantaggi.
– Himeragi, io non riesco
a stare con qualcun altro che non sia tu. – Chiude appena gli occhi
e li riapre puntandoli dritti sui miei, facendomi mancare la terra da
sotto i piedi. – Landon o chiunque altro ci sia stato non è
riuscito a darmi ciò che mi davi tu... uhm, nel senso casto
della parola, ovvio. Comunque sia questo è quanto, ho organizzato
questo siparietto per dirti questo una volta per tutte anche se tutto
il mio orgoglio è appena finito sotto le scarpe.
Silenzio.
Allora,
guardiamoci bene intorno: in acqua non morirei subito, non sono
nemmeno al primo piano per buttarmi dalla finestra e sbattere
ripetutamente la testa contro il muro non mi sembra abbastanza
drammatico per il mio personaggio. Potrei sempre simulare uno
svenimento ma basterebbe il solletico per far saltare la farsa e sono
sicuro che come minimo Kyle mi picchierebbe a sangue. Del resto, io
lo farei ora a lui.
Cos'è all'improvviso tutta questa tensione
che mi blocca il respiro? Doveva veramente mettere su un piano così
drammatico tutta questa storia?
Se è tanto convinto di
conoscermi allora dovrebbe aver capito che, per evitare i miei
impanicamenti random, tutti questi generi di situazioni non
dovrebbero essere nemmeno pensati. Perché sì: ora sto andando in
panico, ora non so cosa rispondere, ora non so se piangere o gridare
come una ragazzina in crisi premestruale. Ma credo che, col mio
innato talento, farò entrambe le cose insieme. Bum! Un bello
spettacolino, eh?
Lo vedo come prossimo best seller: Ragazzo
di diciotto dal nome di merda non sa gestire una dichiarazione da
parte dell'ex e si dà al dramma. Praticamente il titolo della
mia vita, se vogliamo farla breve.
Mi schiarisco così la voce
pensando al fatto di non aver mai odiato la piscina come in questo
momento: – Kyle, ascolta, io...
“Io” cosa, Hime? Non
sai nemmeno cosa dire, di idee chiare non c'è nemmeno l'ombra.
Ammettilo: stavolta vivo non esci, da qui.
– Puoi anche non
dire niente, se ti fa stare meglio. – borbotta duramente il ragazzo
di fronte a me, avvicinandosi però fin troppo velocemente. –
Lasciami solo fare una cosa.
Una partita a bridge, immagino.
O
a poker, giusto per.
Non so nemmeno dire se succeda tutto
lentamente o velocemente, sento solo il rumore dell'acqua e le sue
mani che si appoggiano sulle mie guance mentre il suo viso si
avvicina.
Avrei preferito il bridge, anche se sono una schiappa.
Affronta la cosa, Himeragi: è Kyle davanti a te, lui conosce te
e tu conosci lui. Non ci sono segreti di mezzo, siete entrambi
prevedibili e tutto questo non è nuovo. Resta solo da capire cosa
vuoi fare, insulsa sirenetta filonipponica: vuoi far riaccadere tutto
quanto, fare finta che questi tre anni non ci siano mai stati,
immaginarti che sarà di nuovo tutto perfetto e pensare di non essere
cresciuto nemmeno un po'?
Ammetto di non aver preso sempre la
decisione giusta nel corso degli anni, ma qui la posta in gioco è
alta. Non siamo più bambini, giocare non è più concesso: ora come
ora, Kyle è solo questo che vuole ma io non sono quello giusto per
accontentarlo.
Appoggio così le mani sul petto, mi faccio forza
e lo spingo via da me prima che le sue labbra possano collidere con
le mie. La sua faccia si tramuta in un'espressione attonita, sento il
fiato corto e non vedo più vie d'uscita dopo ciò che ho fatto. Ma
va bene così, per la prima volta forse ho fatto la cosa giusta al
primo colpo.
– Non funziona così, Kyle. – gli spiego, cauto,
allontanandomi progressivamente da lui mentre il mio stomaco sembra
viaggiare sulle montagne russe. Ho fatto qualcosa di sensato, stento
a crederci. – Non puoi essere qui da meno di una settimana e
stravolgere di nuovo tutto quanto. Ora ho una vita, un equilibrio e
la testa da mantenere sulle spalle. Sono già abbastanza incasinato
anche senza il tuo aiuto, direi che anche questa non mi serve.
–
Ah sì? – La sua espressione si trasforma di nuovo, diventando ora
più aspra ma con un che di pericolosamente divertito. – Lascia che
ti racconti cos'è successo ieri sera, allora.
Rimpiango Bettina:
mi sa di aver appena creato un mostro.
CORNER Ebbene sì, sono riuscita
a pubblicare. Spero come sempre che il capitolo vi piaccia e che Hime e
la sua imbranataggine (?) vi facciano ridere almeno quanto lo fanno con
me. Ringrazio di cuore chi ha aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite! Vi lascio con un piccolo spoiler dal capitolo 6:
Kyle si schiarisce la voce, sorridendo allegramente mentre
si gira verso di me: – Voglio che mi insegni a nuotare.
– Sai
una cosa? – ribatto, sorridendogli a mia volta. – Torna pure a
New York da Landon e salutamelo. Baci e abbracci.
– Posso
lasciare perdere la prima parte e dedicarmi solo alla seconda?
Gli
lancio un'occhiataccia, facendo planare la mano poi nelle alghe
giapponesi. Ho la mano inviscidita, fantastico: – I baci e
gli abbracci te li ficchi su per il culo, Kyle.
– Smettila con
i doppi sensi, Anguilla, sei inopportuno.
Capitolo 6 *** I promessi triplo Axel, quadruplo Toe Loop e doppio Salchow ***
Swimming tale cap.6
SWIMMING TALE
CAPITOLO SEI
“I promessi triplo Axel,
quadruplo Toe Loop e doppio Salchow”
Appoggio così le mani sul suo petto, mi faccio forza e
lo spingo via da me prima che le sue labbra possano collidere con le
mie. La sua faccia si tramuta in un'espressione attonita, sento il
fiato corto e non vedo più vie d'uscita dopo ciò che ho fatto. Ma
va bene così, per la prima volta forse ho fatto la cosa giusta al
primo colpo.
– Non funziona così, Kyle. – gli spiego, cauto,
allontanandomi progressivamente da lui mentre il mio stomaco sembra
viaggiare sulle montagne russe. Ho fatto qualcosa di sensato, stento
a crederci. – Non puoi essere qui da meno di una settimana e
stravolgere di nuovo tutto quanto. Ora ho una vita, un equilibrio e
la testa da mantenere sulle spalle. Sono già abbastanza incasinato
anche senza il tuo aiuto, direi che anche questa non mi serve.
–
Ah sì? – La sua espressione si trasforma di nuovo, diventando ora
più aspra ma con un che di pericolosamente divertito. – Lascia che
ti racconti cos'è successo ieri sera, allora.
Rimpiango Bettina:
mi sa di aver appena creato un mostro.
Parlo o non parlo?
Lui
non sa che io so.
Ammettetelo: credete che io non riesca nemmeno
più a fare un discorso e che mi sia rincretinito del tutto. Non
avete tutti i torti, sarò sincero: la mia ragione è andata a farsi
fottere da quando stamattina ho sentito la parola “anniversario”.
–
Non mi serve saperlo. Me lo ricordo. – esordisco quindi alla fine,
inasprendo il tono della voce. Se fossimo in un telefilm americano si
sentirebbe l'audience emergere con un sonoro sospiro di sorpresa.
Kyle mi guarda confuso, forse crede che io sia fatto di acidi
pesanti per ciò che ho appena detto ma non perde comunque la calma:
– Ricordi cosa?
– Tutto.
– “Tutto” cosa? – mi
chiede in uno sbuffo, prendendo finalmente le distanze da me. Io mi
chiedo cos'abbiano i suoi circuiti che non va per pensare ancora a me
nonostante tutto ciò che è successo da quattro anni a questa
parte.
Ad essere sincero, non riesco nemmeno a concepire il fatto
che lui provi ancora qualcosa per me.
E' vero, anche io provo
inevitabilmente qualcosa per lui ma da qui a provare a baciarlo -
consenzientemente - è tutto un altro paio di maniche.
Lo guardo
così negli occhi scuri, deglutendo per l'ansia che mi sta facendo
diventare matto: – Ti ho mentito, stamattina. Ricordo come sono
andate le cose anche dopo esserti caduto addosso.
Kyle porta le
mani ai fianchi, sospirando: – Sicuro di ricordarti
tutto?
Annuisco, fiero e convinto.
La risata da parte sua,
però, non mi rassicura per niente.
– Cosa ricordi? – mi
chiede nuovamente con un sorriso che promette male. – La
discussione su New York?
– La ricordo.
– Quella sul farti
incazzare?
– La ricordo.
Avete presente le partite di tennis
dove viene sistematicamente il torcicollo per seguire le battute dei
contendenti? Ecco, benvenuti a questo nuovo match. Quarti di
finale.
Kyle muove di nuovo un passo verso di me: – Ti ricordi
di avermi preso per il colletto?
Anche se mi costa, annuisco: –
Ricordo.
Secondo match. Semifinale.
– La mia domanda sul
baciarti?
– Ricordo.
Ultimo match. Finale.
– E dopo,
Anguilla?
Se crede che dirò una bugia solo per non provare
l'imbarazzo nell'ammettere ciò che ho fatto si sbaglia di grosso:
ormai ho imparato a giocare abbastanza bene da potermi difendere da
solo.
– Mi hai baciato dopo che ho acconsentito. – ammetto,
obbligandomi a non abbassare il tono della voce. Sono una
fottutissima sirenetta filo-nipponica con un nome del cazzo, di cosa
mai posso aver paura nella mia insulsa vita? Cosa mi resta da perdere
con Kyle?
Siamo a zero, primo gradino, nessun progresso. Siamo
due persone diverse, non è rimasto poi così tanto di quei due
ragazzini che giocavano ad amarsi.
– E poi, Anguilla?
–
Dopo il bacio, tu... – Okay, qui viene il difficile. – Tu
hai...
Kyle sorride, incrocia fieramente le braccia al petto e mi
squadra dall'alto al basso come ha fatto al suo arrivo qui a Detroit:
– Sì? Cos'ho fatto dopo?
– Tu hai...
Premetto che, come
avete visto, sono uno all'antica. Chiamo ancora “qualcosa di serio”
quello che tanti chiamano “sesso”, mi faccio scrupoli a parlare
di argomenti non proprio casti e ammetto di star sprofondando in un
abisso di imbarazzo in questo momento. Me tapino per aver
acconsentito a questo appuntamento, me tapino per aver acconsentito a
Kyle di fare i suoi comodi e me tapino per aver acconsentito a
praticamente tutto questo!
– Io ho? – ripete, bastardo come
mai precedentemente nella sua vita - e parlando di Kyle Adair questo
è sicuramente un record.
Lo guardo negli occhi sperando in un
segno divino (anche se qui sarebbe meglio se fosse di vino),
ma non riesco più a trovare la forza che un tempo mi permetteva di
dire ciò che pensavo sul serio: – Mi, ecco...
– Ho cercato di
andare oltre, dillo. – mi intima alla fine, raggiungendomi in due
pericolose falcate fino ad avermi a due centimetri dal suo viso
incattivito. – Sul quel divano del cazzo. E ci stavi, anche.
Sarebbe andato tutto a buon fine se tu, bevitore da quattro soldi,
non avessi improvvisamente rimesso tutta la cena. Ecco perché eri
nudo, e lo sapevi benissimo anche questa mattina.
– Certo che lo
sapevo. – confermo, sentendo l'improvviso bisogno di eclissarmi da
qui. Se vivessi in una telenovela probabilmente starei scappando
piangendo e mandando insulti al colpevole della mia depressione, ma
il fato vuole che io viva a Detroit e che debba imparare a dimostrare
di avere diciotto anni e sopratutto una dignità - che sembra
vacillare sempre di più.
– Complimenti, allora. – esordisce
lui chinando il capo come se stesse ammettendo una sconfitta,
tornando a sedersi sull'asciugamano. Cos'è, ha forse intenzione di
continuare questa pagliacciata nonostante ciò che è appena
successo? – Mi sarei aspettato una reazione più da... Himeragi.
–
Ti ringrazio. – borbotto, seccato, stando al suo gioco mentre mi
siedo accanto a lui. – Cosa vorrebbe dire, scusa?
– Chi lo
sa? – mormora accennando ad un sorriso distratto. – Pianti
isterici, litigi stile soap opera... Non so cosa aspettarmi
precisamente da te. Sei cambiato.
– E pensare che quando sei
arrivato hai detto il contrario. – gli faccio presente accentuando
l'acidità nel tono della voce per fargli una frecciatina.
Lui
non ribatte, resta in silenzio e punta lo sguardo verso l'acqua che
si muove appena di fronte a noi. Bene, e ora cosa succede? Dobbiamo
starcene qui a girarci i pollici e aspettare che il sole sorga di
nuovo?
Perché, io mi chiedo, tutto questo doveva succedere a
me?
Quando avevo undici anni avevo già strutturato il mio piano
per il futuro: mi sarei diplomato con il massimo dei voti, avrei
conosciuto la ragazza dei miei sogni all'università, mi sarei
laureato in Scienze Motorie, avrei messo su famiglia e poi avrei
iniziato a lavorare come istruttore di nuoto nella nazionale.
Credete forse che sia successa anche solo una di queste cose?
Ma
no, ovviamente! Perché mai per una volta dovrebbe andare qualcosa
come voglio io?
Tanto per cominciare, mi sono diplomato con un
settantadue per cento, al posto della mia ragazza dei sogni ho
conosciuto Kyle Adair - e già lì capite la mia sfiga spaziale, ho
dovuto rimandare l'università per iniziare a lavorare per mantenermi
e sono istruttore della squadra della mia ex scuola. Cosa c'è che
non va con me? Perché tutto quanto si ritorce a mio svantaggio?
–
Ho una richiesta, Himeragi.
Ecco, quando mi chiama per nome intero
qualcosa sicuramente non va. Certe volte arrivo a preferire
“Anguilla”, immaginate l'ansia che crea in me il sentir nominare
il mio nome intero da lui. Otto lettere di ansia.
– Spero niente
che implichi il nostro contatto fisico. – rispondo, giocherellando
con le mie dita. – E psicologico. O morale. Anche etico, se vuoi, e
anche...
– Dacci un taglio. – mi riprende, guardandomi male.
Okay, forse sono esageratamente agitato.
Sospiro, lascio andare
la testa indietro fino a trovarmi le vetrate del soffitto che
lasciano spazio alle stelle e deglutisco, obbligandomi a calmarmi: –
Spara.
Kyle si schiarisce la voce, sorridendo allegramente mentre
si gira verso di me: – Voglio che mi insegni a nuotare.
– Sai
una cosa? – ribatto, sorridendogli a mia volta. – Torna pure a
New York da Landon e salutamelo. Baci e abbracci.
– Posso
lasciare perdere la prima parte e dedicarmi solo alla seconda?
Gli
lancio un'occhiataccia, facendo planare la mano poi nelle alghe
giapponesi. Ho la mano inviscidita, fantastico: – I baci e
gli abbracci te li ficchi su per il culo, Kyle.
– Smettila con
i doppi sensi, Anguilla, sei inopportuno.
Al limite della mia
esasperazione stendo velocemente il braccio verso di lui con la mano
(più alga giapponese, ricordiamo) serrata a pugno che va a collidere
contro la sua spalla: ammetto di essermi fatto male alle nocche ma si
sa che la mia manina da diciottenne sottosviluppato non può niente
contro il bicipite di Kyle.
– Calmati, Maciste. – mi
rimprovera lui ridendo, facendo pure finta di massaggiarsi la spalla
per il dolore. – Sono serio, comunque.
– Sì, lo eri anche
quattro anni fa. – gli faccio presente, parlando con una voce che
sa troppo da brutti ricordi. O meglio, non che siano brutti i ricordi
in sé, sono brutte le circostanze che sono arrivate dopo quei
momenti e che li hanno resi quindi tristi. Okay, lo so: sono un
ragazzo complessato. Potrei vivere una tranquilla vita senza alcun
genere di problema ma faccio di tutto per complicarmela, sembra quasi
un talento, il mio, ma non so nemmeno più come combattere questa
cosa: con Kyle qui, nulla riesce più come dovrebbe. Perfino Hick ora
potrebbe risultare più sveglio di me - e dico, Aydin Hickey, avete
presente?, il che è talmente disturbante da convincermi a restare
ancora un po' con i piedi per terra per quanto questo risulti
possibile.
– Non riesco ancora a batterti e questo non mi sta
bene. – borbotta come un bambino imbronciato. – Mi sono allenato
come un deficiente per tre anni e ancora i tuoi tempi sono migliori
dei miei. Voglio superarti.
– Non so perché tu te la sia legata
al dito, ma quello che avevo da insegnarti te l'ho già detto. Ora
sei in una squadra anche tu e l'importante è che tu ti impegni nel
tuo insieme, non contro di me.
Kyle si gira verso di me
sistemandosi i capelli scuri con uno sbuffo che fa molto Baywatch: –
Quattro anni fa mi hai detto di sì. Esattamente quattro anni
fa, con oggi. Perché non puoi farlo anche ora? Non sarebbe un modo
carino di festeggiare l'anniversario?
– Perché insisti tanto,
si può sapere? – sbotto, sentendomi veramente arrabbiato. Non sono
triste, confuso o che so io. Sono proprio incazzato. – Arrivi qui
dal nulla e ti permetti di fare i tuoi comodi, non te ne frega niente
di come la possa pensare io e pretendi anche che io ti segua come un
cagnolino come facevo quattro anni fa? La scusa dell'anniversario non
regge nemmeno dal momento che non c'è assolutamente niente tra di
noi, tu hai preso la tua strada e io la mia. Smettila, per favore, di
prendermi in giro. Sono stanco, non lo capisci?
– Lo capisco,
ma hai frainteso tutto quanto se la pensi come hai attualmente
esposto. – Kyle assume quell'espressione seria che, da quando ha
messo piede a Detroit a questa parte, continua a spaventarmi. –
Primo, non ho mai fatto “i miei comodi” considerando che tu hai
acconsentito...
– Ero ubriaco!
– Ma haieffettivamenteacconsentito.
– ribatte con un sorrisetto odioso, convinto di vincere la sua
causa. – Bastava che mi dicessi di no. Inoltre, io prendo molto in
considerazione ciò che tu pensi. Non pretendo né che tu mi segua
come un cagnolino e né che l'anniversario sia una scusa, è
semplicemente un incentivo a tutto ciò.
Mi alzo d'improvviso
dall'asciugamano, non sono una persona che si arrabbia facilmente ma
Kyle è incredibilmente capace di farmi perdere le staffe: – Ecco
perché non ti insegnerò a nuotare! Pensi di sapere come stanno le
cose ma non è così, Kyle, allontanati da questo tuo stupido ideale.
Non siamo tutti come te, grazie a Dio, non ragioniamo tutti come se
esistessimo solo noi al mondo. Dici
tanto che se non sono io non può essere nessun altro, ma non lo
dimostri: se ci tieni, devi dimostrarmelo. Devi dimostrarmi che vuoi
veramente che io ti insegni a nuotare, devi farmi vedere che sei
disposto a fare di tutto. Ora come ora, in uno come te non vedo
proprio nulla.
– “Uno come te”. – ripete sottovoce,
alzandosi lentamente in piedi per fronteggiarmi senza cattiveria. –
Parli come se fossi un completo estraneo.
Abbasso lo sguardo: per
la seconda volta da quasi un'ora a questa parte, la tensione sembra
schiacciarmi in una bolla troppo stretta. Possiamo anche dire che
stavolta la colpa è mia, che non mi costerebbe nulla dargli delle
dritte e che sto facendo un casino inutile, ma sono semplicemente
stanco di sentirlo parlare come se fossi rimasto il ragazzino di
quattordici anni con cui quattro anni fa si è messo insieme.
Sono
sempre paranoico e cronicamente impanicato, okay, ma ora nulla mi
impedisce di difendermi da solo - senza la mia adorata corazza
acquistata su Amazon all'inizio delle superiori. Sono solo pochi
giorni che lui è tornato a Detroit e sono già bastati per
vanificare tre anni di “tranquillo Hime, devi affrontare la cosa da
uomo: Kyle Adair non esiste, non è mai esistito, è sempre stato
frutto della tua immaginazione e tu ti sei semplicemente preso un po'
troppo con questa tua fantasia”.
– Forse è così. – ammetto
sottovoce, riconoscendomi in quel genere di scene che speri non
accadano mai nella tua vita per non dover capire cosa si prova nel
rendersi ridicoli davanti ad una persona importante per te.
–
Devo capire una cosa, Anguilla. E una volta che l'avrò capita ti
lascerò in pace, lo giuro.
Dove sono le bandiere? Suonate le
campane, o novella felice!
– Sarebbe?
– Mi odi davvero o
fai solo finta?
No, ragazzi, non ce la facciamo.
Non può
esistere una domanda sensata da parte sua, pensavo di poter nutrire
ancora qualche speranza verso ciò ma so che devo ormai abbandonarle
tutte quante.
Porto quindi la mano alla tempia, sbuffando: – Ma
che domanda è, Kyle?
– Una semplice domanda. Pensi di saper
rispondere?
Potrei rispondere con le mie solite preghiere nei
momenti meno opportuni, ma mi sa che questa volta devo mantenere la
calma. Devo farlo per me, per lui, per la sanità mentale del mondo
in generale - so per certo che tutti soffrono a causa del mio raggio
di sfigaggine acuta
mista all'ansia.
Molto pacatamente, non dimostrando il turbinio
di emozioni dentro di me, inizio a raccogliere le scatole vuote di
cibo, sistemando per non lasciare tracce di questa cena abusiva.
Respiro profondamente, Kyle continua a guardarmi confuso e credo che
il suo disappunto raggiunga il culmine quando gli do le spalle ed
inizio a camminare verso l'uscita.
– Ehi! – grida, facendo
riecheggiare la sua voce per tutto l'edificio deserto.
Mi giro
verso di lui con calma, guardandolo negli occhi con quella che mi
piace chiamare “indifferenza-come-rimedio-al-pianto-isterico”: –
Solo perché voglio che tu mi stia distante e che non mi tocchi non
vuol dire che io ti odi. Vuol dire solo che cerco di essere coerente
con le scelte che ho preso dopo la tua partenza, che cerco di non
andare via di testa più di quanto non faccia di norma e che non
voglio restare di nuovo coinvolto in qualcosa che, una volta finito,
mi farebbe stare da cani per chissà quanto tempo. Ho imparato ad
avere rispetto anche di me stesso e questo lo devo proprio al tuo
avermi lasciato. Quindi no, per l'ultima volta: non ti odio.
Il
volto di Kyle si fa scuro, abbassa lo sguardo e sfrega le dita delle
mani tra di loro: – E se ti dessi di nuovo un motivo per fidarti?
Saresti disposto a cercare di innamorarti di me?
Gli sorrido,
alzando la testa in un segno di fierezza nel vedere finalmente che
anche lui ha dei sentimenti: – Forse. Torniamo a casa?
–
Stupida Anguilla. – mi prende in giro, raggiungendomi in due passi
di corsa. – Andiamo, andiamo.
Quindi, riassunto della serata:
Bettina al primo posto, poi abbiamo parlato di Xavier e dei nostri
rispettivi post-rottura, del suo trasloco, di Landon, del suo pensare
ancora a me, del suo tentativo di concludere con me ieri sera, di lui
che vorrebbe che gli insegnassi di nuovo a nuotare e di una mia
possibile intenzione futura di innamorarmi nuovamente di lui. Sì
insomma, quello che tutti quanti si aspettano da una tranquilla
uscita col proprio ex ragazzo, no?
Quando c'è una
competizione in arrivo, si sente chiaramente nell'aria.
La
tensione si mescola all'agitazione e alla puzza immonda di cloro e
nulla viene più come dovrebbe, i tempi delle vasche rallentano e si
sentono nuove combinazioni di parolacce. Sì, mi era mancata questa
dolce atmosfera.
Devo ammetterlo: sono agitato anch'io. Questa è
la mia prima competizione come istruttore dato che per due anni la
scuola si è ritirata dai gironi scolastici, quindi penso di detenere
il record per ansia pre-gara qui in mezzo. Tra l'altro non siamo
soli: nelle prime tre corsie ci stiamo allenando noi dell'Andrew
mentre nelle ultime due c'è tutta la Nyst in procinto di allenarsi -
e sto parlando di trenta ragazzi in due corsie, spero di rendere
l'idea del casino che sta popolando questa piccola e scrausa piscina.
E' già da un'ora e mezza che ci stiamo allenando, Kyle di tanto
in tanto mi saluta da un lato all'altro della vasca provocando le
risate dei presenti, ma devo ammettere che in qualche modo non mi
dispiace e ricambio il suo saluto, venendo richiamato all'ordine
subito dopo dai miei ragazzi.
– Sembrano tutti felici, oggi. –
Percy mi affianca con i capelli umidi dalla nuotata e con una
tavoletta stretta al petto. – Che sia l'influenza della
primavera?
– Siamo a gennaio, Percy.
Lei alza le spalle con
un sorriso divertito, indicando Iris impegnata a parlare con Nico
Casadei: – E come lo chiami quello? Influenza di gennaio?
– Lo
chiamo non farsi i cazzi propri. – la rimprovero ironicamente,
scuotendo la testa. – Cosa starebbero facendo di tanto eclatante?
–
Lui l'ha invitata ad uscire.
Okay, questa è influenza
di gennaio eccome. Da quando
stano succedendo certe cose e io non me ne accorgo nemmeno?
Colpa
di Kyle. E' sempre colpa di quello lì, io continuo a dirlo ma
nessuno mi crede.
– Questa poi... – commento distrattamente,
perdendomi per un attimo ad osservare il sorriso di Iris rivolto
verso l'italiano. – Be', speriamo che non si distraggano troppo.
Percy scosta un riccio dalla fronte, guardandomi con un'aria non
poco preoccupata: – E a te sta bene?
– Perché non dovrebbe?
Solo perché sono il capitano non vuol dire che posso...
– Dico,
Hime, ma sei stupido? – Percy mi fissa ora come se fossi proprio
uno sprovveduto. Mi fa sempre sentire piccolo piccolo con quei suoi
occhi così grandi, non nascondo di aver fatto qualche strano incubo
a riguardo. – E' Iris, ci sei? La tua ex ragazza.
– Appunto.
Ex. – E' il mio turno di guardare male Percy dal mio piccolo “sì
sono andato avanti ma quei sorrisi una volta li faceva solo con me”.
– Direi che la nostra situazione è più che stabile, sono felice
se anche lei trova qualcuno con cui muovere passi avanti.
–
“Anche”? – mi domanda lei incuriosita, schivando uno schizzo
d'acqua dalla forte gambata di Xavier. – Vuol dire che hai trovato
qualcuno? Chi? Vi sentite? Vi siete visti? Quanti anni ha? Uomo o
donn... ritiro, decisamente uomo. Dove abita?
– Percy. – la
chiamo, serafico, appoggiando la mano sulla sua spalla. – Mi agiti
come nessun altro al mondo. Lasciami respirare.
– Hick sa chi
è?
– Hick cosa sa? – Ed ecco che alle mie spalle spunta
Aydin come una specie di Mago Merlino dei poveri, facendomi prendere
uno spauracchio bello e buono. Sul serio, io prima o poi porrò fine
alla sua vita. E' il mio migliore amico e gli voglio un gran bene ma
giuro che sono al limite delle mie forze psicofisiche quando si
tratta di lui in qualsiasi contesto ci troviamo.
Mi giro così
verso di lui, come sempre ha i capelli castani che allagano il
pavimento a causa di qualche sua accidentale caduta in acqua e mi
guarda come un cucciolo smarrito: – Hime? Cosa so?
– Niente,
appunto. Un mucchio di niente.
– Sei cattivo però, Hime.
Alzo
le spalle, ridendo anche se dovrei disperarmi davanti ad un individuo
del genere: – Sta' tranquillo, non c'è niente che tu non sappia.
–
Hime ha un amante. – spiattella senza peli sulla lingua la mia
riccissima compagna di
squadra, sorridendomi impercettibilmente soddisfatta.
Hick, dal
canto suo, sgrana gli occhi e la sua bocca prende la forma di una O:
– Un amante?
– Ha fatto tutto Percy da sola. – gli spiego,
guardando male la mora di fianco a me che potrebbe fare altre cento
cose più interessanti di mettersi a ipotizzare sulla mia già in
crisi vita amorosa. – Io non ho proprio detto nulla.
– Ma sì,
invece! – insiste Percy, agitandosi. – Hai detto che saresti
felice se anche Iris
trovasse qualcuno. Anche! Quindi tu l'hai già trovato!
– Mi
riferivo a Iris, appunto. Ho detto “anche” perché sono
attualmente in pace col mondo, io... Anche se non sembra, certo.
–
E che ci dici di Kyle? – chiede Hick, incuriosito come un bambino
alle prese col primo giro sulle giostre. – E' lui il tuo amante,
vero?
– Ma no! – borbotto, gesticolando all'aria. Bravo
Himeragi: così non desterai mai e poi mai sospetti!
– Lui
scommetto che non è andato avanti. Eravate troppo innamorati. –
presuppone Percy, sbagliando ipotesi per l'ennesima volta nel giro di
qualche minuto. Che intuito sopraffino.
Così scuoto la testa,
ridacchiando per la sua impetuosità: – Lui mi ha detto di aver
avuto una relazione mentre era via, quindi direi che ci siamo
entrambi ripresi.
Hick e Percy sembrano il perfetto ritratto di
due suocere al mercato: si guardano meravigliati, sembrano sull'orlo
di un attacco di isteria per la notizia inaspettata e scommetto che
stano pure per saltellare: – Chi è? E' un lui o una lei? – mi
chiede Aydin, prendendomi le mani tra lei sue come se dovessi
affrontare un trauma per rispondere. Grazie Hick per la tua
preoccupazione, ma il mio unico trauma qui siete tu e Persephone che
vi state facendo una quantità industriale di film mentali con me
come protagonista - e a questo ci hanno già abbastanza pensato i
miei genitori nella mia adolescenza sofferta.
– E' un
fatevi-i-cazzi-vostri. – ribatto sorridendo a questi due
diciottenni che si spacciano per impegnati istruttori di nuoto. – E
state tranquilli, se succede qualcosa sarete i primi a saperlo.
–
Be' – Anche Iris spunta dalle mie spalle, facendomi fare il secondo
infarto in dieci minuti. Devono smetterla di complicarmi la vita più
di quanto non faccia da solo. – Non è che tu ci racconti proprio
tutto.
Aggrotto le sopracciglia, sperando che il mio cadere dalle
nuvole mi salvi da un altro film di produzione Hick&Percy: –
Che vorresti dire? – chiedo, pregando interiormente che non venga
fuori il nome di Kyle.
– Kyle.
Ecco, appunto. Cos'ho appena
detto?
– Mh. – commento a bassa voce, deglutendo. – E cosa
c'entra Kyle in tutto ciò?
Ti prego Iris, non dire frasi
imbarazzanti. Non fare nulla che potrebbe disturbare la mia psiche
stabile solo da stamattina ma già messa in discussione dagli altri
due idioti in squadra con noi. Conto su di te, okay? Come ex ragazza
e come cara amica, non farmi questo.
– Ieri sera, ad esempio. –
spiega, facendomi sprofondare in un abisso di “perché nessuno dà
retta ai miei consigli mentali?”.
Aydin e Persephone assumono
di nuovo quell'espressione idiota che toglierei loro dalla faccia con
un calcio alla Chuck Norris, e lo scemo del villaggio di turno che
corrisponde attualmente al ruolo di migliore amico per me mi fissa
come se avessi appena recitato Romeo e Giulietta a memoria: – Ieri
sera?! – gridacchia, beccandosi uno schiaffo da parte mia. Ci manca
solo che Kyle senta che sto parlando di questo e posso considerarmi
bell'e morto.
– Ahia... – si lamenta facendo il cane
bastonato, sistemandosi i capelli castani credendo che possano
assumere una forma decente anche essendo bagnati. – …Sei
insopportabile, Himeragi.
– Siamo in due. – lo informo non
proprio gentilmente, rivolgendomi poi anche a Iris e Percy. – Non è
successo niente di che, ieri sera. Siamo solo stati qui un po' più a
lungo del solito.
La bionda mi guarda male: – Ha smesso di
allenarsi un'ora prima per correre a cambiarsi, è uscito dallo
spogliatoio in jeans e inondato di profumo, si è quasi ucciso per la
scale, è tornato con un asciugamano in testa e con una sporta di
cibo cinese mentre me ne stavo andando, è corso di nuovo in piscina
e non si è più mosso. Sicuro che non sia successo niente di
che?
Stringo tra le mani la stoffa della felpa che tengo sempre
per non dover girare in stile Baywatch mentre insegno: lo so anche io
che non è proprio ordinario vedere qualcuno adoperarsi tanto per
“niente di che” ma il punto forse è che devo ancora
metabolizzare il tutto e non sono pronto per ripetere le parole che
riuscirei a dire solamente a Kyle.
– Abbiamo solo parlato. –
concludo tralasciando le parti salienti. – Non fatevi strane idee e
pensate a fare il vostro lavoro invece di stressarmi.
Percy alza
le sopracciglia, offesa: – Se ti innervosisci non fai cadere i
sospetti, giusto perché tu lo sappia. Comunque mi pare che siamo
tutti a conoscenza di cosa sia successo tra te e Kyle, cosa c'è di
male nella nostra curiosità? Sei pur sempre il nostro capitano e in
primis nostro amico, Hime. Non vogliamo farti stare male, ma solo
capire se tu stai bene.
Sono un idiota, lo so.
So che gli
amici non si trattano così e so che su di loro posso sempre contare,
è solo la questione di Kyle che mi fa perdere le staffe e che mi fa
quindi comportare come un cretino nei loro confronti. Non
fraintendetemi, con questo non dico che siano dei santi: Hick resta
pur sempre la persona più inopportuna del mondo, Iris non avrà mai
un po' di tatto e Percy sarà costantemente permalosa, ma sono
comunque la squadra con cui sono cresciuto e che non cambierei con
niente al mondo.
– Mi dispiace. – mi scuso infine, facendo un
piccolo inchino in segno di scuse come mia madre mi insegnò da
piccolo. – Vi dirò tutto a tempo debito, lo prometto, dovete solo
lasciarmi il tempo di schiarirmi le idee.
Iris sorride
leggermente, guardandomi con quell'espressione da mamma che fa quasi
inquietudine considerando tutte le altre espressioni che faceva
quando stavamo insieme (scusate i doppi sensi ma a volte sono
necessari, diciamocelo): – Come sempre vuoi fare tutto da solo,
eh?
– Non avrebbe senso continuare a contare sui consigli degli
altri. – spiego, sorridendole a mia volta. – Per carità, non che
non siano utili, ma ne voglio semplicemente venire fuori da solo.
–
Hime. – Hick appoggia la mano sulla mia spalla con un sospiro. –
Smettila con questi doppisensi.
– Quanto schifo mi fai. –
borbotto scoppiando però a ridere, vengo seguito anche dal resto del
gruppo tanto da attirare l'attenzione dei nostri allievi che smettono
di nuotare e ci fissano come se avessimo appena fatto un disastro.
Ehi, stavamo solo ridendo per un doppiosenso degno delle prime
battute di un dodicenne, cosa volete che sia?
– Se avete tempo
per ridere perché non vi allenate anche voi? – ci domanda Xavier
con un'espressione che non oserebbe mai fare con solo me nei
dintorni. A volte mi dimentico di quanto questo ragazzo sappia
uccidere con l'acidità nella sua voce, mi reputo fortunato ad essere
entrato nelle sue grazie.
– Perché noi l'abbiamo già fatto
abbastanza. – gli risponde quindi Percy, sorridendogli con una
certa ironia. – Voi avete le provinciali. A tal proposito, ho un
annuncio da fare... Me l'ha detto stamattina Muller, quindi state
tutti ben attenti. Istruttori compresi.
Drizziamo tutti quanti le
orecchie, mettendoci in ascolto tralasciando finalmente il discorso
“Kyle”. Anche i nostri ragazzi si fermano e vengono vicini al
bordo della piscina, issandosi per mettersi seduti - è un amore
vedere Xavier che aiuta tutte tre le ragazze, issandosi per ultimo.
– Ci sono arrivate delle ulteriori comunicazioni dalla piscina
di Warren, dove svolgeremo le gare. Per cominciare, gli stili delfino
e libero sono alla mattina, c'è la pausa pranzo e alle tre
ricominciano le gare con gli stili rana e dorso, dalle cinque in poi
le staffette. Ci saranno degli osservatori esterni per reclutare dei
nuovi ragazzi per le giovanili più di rilievo, così come tre anni
fa è stato per Kyle e per Himeragi...
– Alt! – la blocca
Xavier, guardandola confuso. – Anche per Anguilla? – Sposta poi
il suo sguardo su di me, scrutandomi da capo a piedi. – Non avevi
mai detto di essere stato reclutato.
– Non ce n'era bisogno. –
gli spiego, sorridendogli. – Ho rifiutato tre anni fa, non c'era il
motivo di tirare fuori la storia ora.
– Mi sembrava di
ricordare qualcosa, infatti. – commenta lui sottovoce. – Quando
ero al primo anno avevo sentito dire che l'anno prima erano stati
reclutati due ragazzi dalla squadra di nuoto ma solo uno si era poi
trasferito.
– Ed eccomi qui, alla fine. – concludo il
discorso, sperando che questo non causi in lui confusione. Ho sempre
cercato di essere un caposaldo nei suoi confronti, so che ogni cosa
che gli nascondo è qualcosa che andrà a pesare sul rapporto di
fiducia che abbiamo ma penso davvero che certe cose non abbiano
ragione di essere dette.
Xavier semplicemente annuisce,
abbassando gli occhi per dichiarare finita la conversazione - spero
che non me la faccia pagare in futuro.
– Appurato ciò, –
Percy riprende la situazione in mano, travolgente come al solito. –
Se verrete selezionati, pochi giorni dopo arriverà una lettera qui
in piscina e noi vi comunicheremo i risultati e ne potremo discutere
insieme. Non dovete avere paura, gli osservatori non pretendono che
voi siate perfetti, guardano solo che margine di miglioramento avete
e partendo da quello decidono se chiamarvi o no. Se fosse per me vi
convocherei tutti, ovviamente, ma purtroppo non sarà così dato che
competeranno altre tredici scuole. L'unica cosa che posso dirvi è di
nuotare come più vi piace, come fate sempre: col vostro cuore e con
la mente concentrata. D'accordo?
Wow, quasi quasi mi sento
ispirato anche io da questo discorso. Complimenti Persephone, quando
non sei permalosa e inopportuna sei la migliore dei motivatori.
I
ragazzi della Nyst ci fissano con un sorriso da “che carini, fanno
i genitori” e la nostra piccola squadra annuisce, gridando un “Sì!”
in coro. Ammetto che questi momenti mi fanno sciogliere il cuore in
veste di istruttore ma quando penso che la piccola riunione sia
finita, Hick alza la mano e riprende parola: – Un'ultima cosa.
Oh
no.
Se Hick interviene siamo tutti fottuti, per un motivo o per un
altro. Pronti a darsela a gambe.
– Dobbiamo ringraziare la
Nyst. – spiega con un sorriso, indicando con un cenno la squadra
che ha ripreso ad allenarsi. – Ci ha fatto un regalo non da poco e
dobbiamo assolutamente ringraziare il suo capitano e i titolari.
Kyle? Che regalo potrebbe averci fatto quella sottospecie di
nuotatore insensibile insieme agli altri tre suoi multietnici
compagni?
– Non ha senso. – concludo prima di sentire quello
che ha da dire, beccandomi un'occhiataccia da parte sua.
– Tu
non hai senso. – ribatte liquidandomi con un gesto della mano,
lasciandomi congelato. Ha appena osato rispondermi indietro?
Che
gran bastardo.
– Stavo dicendo, – riprende, serafico come mai
prima nella sua vita passata a complicare la mia. – La Nyst ha
voluto ricambiare lo sforzo che stiamo facendo per condividere il
college e la piscina con loro, in particolar modo anche la fatica che
i due capitani stanno affrontando nel dover convivere... Quindi,
sotto richiesta dei quattro titolari, oggi è arrivato un pacco da
New York con i nostri nomi. Sapete cosa c'era dentro?
Ma le
domande retoriche, ditemi, perché esistono? Come posso sapere cosa
c'è dentro, Aydin? Dimmelo, come? Probabilmente dovrei vivere con
meno pensieri e dovrei smetterla di guardare il pelo nell'uovo, ma ci
sono volte in cui è impossibile restare calmo - o per lo meno questo
riguarda me, tutto il resto della popolazione ha sicuramente un
temperamento migliore del mio.
– Magari un sacchetto di “che
ne so”? – ipotizza Xavier, sbuffando spazientito. – Cosa,
Hick?
Mi viene da ridere se ripenso alla relazione tra Aydin e
Xavier. Quando noi eravamo al terzo anno e Xavier al primo, quando
era nelle riserve odiava praticamente tutti noi titolari ma in
particolar modo Hick, non nascondeva la sua antipatia e se c'era da
passare alle offese lui era ben contento di metterci tutto se stesso.
Nel momento in cui siamo diventati istruttori però Xavier ha passato
da classificare Hick come uno stronzo a classificarlo come un
deficiente, il che rese le cose un po' più semplici e divertenti.
Fidatevi, non è facile avere a che fare con nessuno dei due, provate
quindi a stabilire un rapporto tra di loro e verrà fuori un
disastro.
– Ebbene, signori e signore, giovani e vecchi,
Xavier... – Aydin
accentua l'ultimo nome, causando la smorfia infastidita del rosso. –
La Nyst ci ha regalato le divise e i costumi ufficiali della nostra
scuola!
Sgraniamo tutti gli occhi, increduli. Abbiamo delle
divise? Non dovremo più gareggiare con i costumi di SpongeBob? Sento
che potrei piangere da un momento all'altro.
– E' fantastico! –
esclama Iris, facendo un sorriso talmente grande da non essere adatto
a lei. – Vado subito a ringraziare Nico e... – si blocca,
consapevole di essersi appena scavata la fossa da sola. Qualcuno
voleva tenere nascosto qualcosa, qui? Qualcuno che non sia io, ovvio.
– … E gli altri. – conclude, arrossendo sotto gli sguardi
inquisitori di quei due demoni di Hick e Percy e sotto le risate dei
nostri ragazzi. Sì, questi sono decisamente i momenti che
preferisco.
– Per noi istruttori ci sono le felpe con i nostri
soprannomi scritti sulla schiena e i costumi, mentre per i quattro
titolari c'è la stessa tuta, una maglietta con su scritto il cognome
e ovviamente il costume. Non è magnifico? Avremo un'identità!
–
Wow. – commento, desolato. – Abbiamo fatto così pena fino ad
adesso?
Nessuno parla ma tutti annuiscono vigorosamente,
facendomi ridere. In fondo, credo che un'identità ce l'abbiamo
sempre avuta, il nome della nostra scuola stampato sulla stoffa ne
sarà solo il simbolo.
Quanto miele.
– Bene! – grido
battendo le mani per risvegliare tutti da questo momento di raccolta
spirituale - una messa in piscina? – Xavier e Tammie, dovete
migliorare lo scambio nella staffetta: Xavier, tu parti quando Tammie
non ha ancora toccato la parete, devi aspettare il tocco per
tuffarti. Marley, dovresti lavorare con Iris per la gambata, manca di
un po' di forza. Infine, Sapphire, tu prova un po' di virate, io vado
a ringraziare i ragazzi della Nyst e poi mi tuffo un po' per
aiutarti, okay?
La ragazza dai capelli corvini annuisce, alzando
il pollice per darmi l'okay. Dagli altri ricevo mugolii di assenso e
un “non ne ho voglia, falla tu questa roba” ovviamente da parte
di Xavier verso di me, ma Tammie riesce a convincerlo e a trascinarlo
nella corsia di fianco, ridendo per gli accidenti che mi sta tirando
addosso. Il mio migliore allievo, senza dubbio.
– Buon lavoro.
– auguro infine ai miei compagni, appoggiando la cartellina sul
tavolo per dirigermi verso le due corsie dove la Nyst sta nuotando.
Sì, sto ammazzando il mio orgoglio ma questo va fatto: devo
ringraziare Kyle Adair in veste di capitano.
La tensione si
fa improvvisamente sentire quando mi avvicino all'ultima corsia, a
conti fatti l'ultima cosa che ho detto a Kyle è stata uno
strascicato “buona giornata” a cui lui ha risposto con
altrettanta enfasi, ma eravamo entrambi troppo stanchi dalla notte
passata insonni a stare attenti a non far nemmeno sfiorare i nostri
corpi - e immaginatevi un materasso a due piazze con due ragazzi che
non si devono toccare. “Imbarazzante” è un complimento alla
situazione che si è venuta a creare dopo l'appuntamento in piscina
nonostante la nostra stabilita tregua, non so nemmeno come le cose
siano potute diventare così imbarazzanti ma perfino fare colazione è
stato un trauma. E io adoro la colazione. Cereali e Masha&Orso,
cosa c'è di meglio nella vita?
– Kyle... – mormoro con una
voce alquanto spettrale, emanando probabilmente un'aura satanica. La
tensione mi fa male.
La suddetta vittima prende spavento nel
vedermi all'angolo opposto di quello in cui dove tutti sono
raggruppati, ma passata la sorpresa scambia due parole con Dominik e
si immerge per nuotare velocemente verso il blocco sul quale sono
attualmente seduto. Una volta che mi ha raggiunto si issa sul bordo e
si siede accanto al piedistallo, levandosi la cuffia con un fare fin
troppo da “devo essere figo”. La cosa che mi irrita è che ci
riesce pure. Accidenti alla mia gayaggine.
– E' successo qualcosa, Anguilla? – mi chiede col suo solito
tono tranquillo, cosa che non si addice per niente al momento. –
Carino il discorso di Percy, comunque.
– Ispirante, eh? –
ridacchio nervosamente come un ragazzino al suo primo appuntamento,
che diavolo mi prende? Dov'è finito tutto il pauroso coraggio di
ieri sera? – Comunque, be'... Aydin ci ha detto delle divise e dei
costumi. Volevo ringraziarti.
– Mh. – Mi guarda
improvvisamente con un sorriso furbo, rivolgendomi gli occhi scuri
accesi di una scintilla che mi ha sempre intrigato. – Vuoi
ringraziarmi professionalmente in veste di capitano o affettuosamente
in veste di Himeragi?
Ora lo butto in acqua. E mi butto sopra di
lui con un triplo Axel combinato ad un quadruplo Toe Loop, finendo
con un doppio Salchow. Prima o poi gli farò male, lo prometto.
–
In veste di capitano. – specifico con un sospiro, tendendogli la
mano mentre cerco di mantenere un tono di voce seccato. –
Ufficialmente eprofessionalmente, ti
ringrazio quindi a nome della mia squadra per il vostro regalo. E'
stato molto gradito e verrà sicuramente sfruttato al meglio, non ve
ne faremo pentire.
Kyle sorride, afferrando la mia mano ma
trascinando la mia schiena verso il basso, facendomi piegare
sull'addome per facilitargli l'improvviso abbraccio che si permette
di darmi. Ora: io seduto sul blocco con la felpa addosso, lui bagnato
fradicio seduto sul pavimento ma allungato per stringere le braccia
attorno alle mie spalle. Per cosa dovrei essere più sconvolto?,
ditemi. Per cosa vale la pena dare di matto a questo giro?
–
Voglio che vi facciate conoscere, hai capito? – mormora al mio
orecchio, non riesco a vedere il suo viso ma sono sicuro che stia
sorridendo. – Avete tutti del potenziale, la squadra come scuola e
voi come istruttori. Fate il culo alle altre scuole e arrivate ai
Regionali, d'accordo?
– Kyle... – Improvvisamente, l'unica
cosa logica che riesco a fare è dire il suo nome, meravigliato dalle
sue parole. Ha veramente suggerito l'idea di regalarci le tute
dell'Andrew College per permetterci di farci finalmente conoscere in
giro? Di poter portare più prestigio alla squadra e alla scuola? –
Grazie. – mormoro alla fine, stringendolo con le braccia e col
cuore. – Grazie in
veste di Himeragi, ora. – specifico per evitare equivoci, la sua
risata mi fa capire che il messaggio è stato recepito e ora sono
finalmente tranquillo, tutta la tensione è sbollita e in questo
abbraccio sento calore. So che tutti ci stanno guardando e so che
faranno infinite domande, ma non mi importa: con Kyle è sempre tutto
un'altalena, ma il fato ha voluto che io amassi dondolare.
Era
un maggio piuttosto freddo, quello di quattro anni fa.
Ogni giorno
partivo di casa con solo la felpa e alla sera, quando uscivo dalla
piscina con Kyle, toccava a lui prestarmi la giacca perché non mi
prendessi qualche malanno com'era successo in precedenza.
Quel
giorno, dopo l'ennesimo litigio a causa della mia noncuranza, avevamo
proseguito il suo allenamento speciale quando la piscina si era
svuotata mantenendo entrambi la nostra facciata sostenuta, fieri
delle tesi fino a quel momento argomentate. Non ci parlavamo se non
per lo stretto necessario, ma ero ormai abituato ai suoi scioperi
della parola e sapevo che il giorno dopo sarebbe tornato tutto alla
normalità - e pronti con un nuovo argomento di cui discutere!
Non
sono mai stato un tipo litigioso, ma con Kyle risultava piuttosto
facile arrabbiarsi e io sembravo il migliore contendente al primo
posto tra tutti quelli che, come me, avrebbero preferito correre nudi
nel campo di football sotto la pioggia con un cane al guinzaglio e
delle piume da indiano in testa piuttosto che sostenere una
discussione con lui e la sua testardaggine ma che ci provavano per
aggiungere il trofeo alla vetrina dell'orgoglio in caso di vittoria.
– Devi torcere di più il busto. – lo rimproverai,
impassibile nel tono della voce.
– Se magari mi facessi vedere
come te ne sarei grato. – sbottò lui, aggrappandosi alla fila di
galleggianti che dividevano la sua corsia dalla mia.
– Mi sto
allenando anche io. – mi difesi, ignorando la sua richiesta per un
semplice motivo di orgoglio. – E devo anche studiare, quindi è già
tanto che io sia qui oltre l'orario canonico.
– E pensa che
stai perdendo tempo! – mi fece notare facendo scivolare la sua mano
sulla superficie dell'acqua per far arrivare gli schizzi a me. – Ti
costa tanto ammettere che ho ragione io e farmi vedere come si fa uno
stramaledetto rollio?
Annuii, immergendomi per superare i
galleggianti e per trasferirmi nella sua corsia: – In realtà
proprio sì. – ammisi sputacchiando l'acqua che avevo ingerito
nella mia inefficace apnea, togliendomi anche gli occhialini per
guardarlo ad occhio nudo e fargli capire che non stavo scherzando. –
Di mattina c'è caldo, okay? Siamo in maggio, che motivo ho di
mettermi la giacca che metto in dicembre?
– Magari quello che
sai con certezza che poi avrai freddo. – ribatté lui,
innervosendosi fino a ripetere il mio gesto e abbassare gli
occhialini sul collo. Ricordo che era sempre concentrato a rimettere
i ciuffi bagnati nella cuffia per risultare in ordine ma puntualmente
quando arrivava il momento di litigare con me non badava più a nulla
e si concentrava solo sul vincere la sua causa, lasciando che i
capelli gli cadessero sugli occhi anche a costo di dare fastidio.
Strano ma vero, queste erano le piccole prove quotidiane che avevo
del suo tenere a me - poi non chiedetevi perché nemmeno ora
riusciamo a stare tranquilli, credo che neppure nei tempi d'oro siamo
stati senza litigare.
– Se è un problema prestarmi la tua
giacca per quelli che sono dieci minuti dalla piscina alla fermata
dell'autobus, be', allora da domani mi porterò il giaccone di
dicembre!
– Non è quello il problema! – brontolò alzando
gli occhi al cielo e gettando la testa all'indietro, evidenziando il
pomo d'Adamo già abbastanza evidente per la sua età. – Sto
dicendo, Himeragi, che mi preoccupo per te. Non dovrebbe servire una
laurea per capirlo.
– Allora non dovrebbe servire una laurea
per dirlo. – ribattei, sentendomi comunque addolcito dal suo
nervosismo di uscire allo scoperto nei miei confronti. Sì, Kyle
Adair era - ed è - una gran testa di cazzo ma ha sempre saputo come
destreggiarsi bene nelle situazioni più insidiose, questo devo
proprio ammetterlo. Insomma, in confronto a me che arrivavo a
comprare protezioni varie su Amazon per non uccidermi mentre andavo
in classe, Kyle aveva sicuramente un temperamento migliore verso le
brutte situazioni anche se la differenza sostanziale tra me e lui era
che io ci finivo nelle situazioni difficili, lui ci si metteva
apposta. Siamo sempre stati agli antipodi: io evitavo ma venivo
coinvolto, lui veniva coinvolto ma riusciva ad evitare con una
maestria tale che pure i suoi nemici dovevano dirgli “chapeau”
con le lacrime agli occhi per la sua indifferenza verso tutto e
tutti. Incluso me a volte, che tristezza.
– Dovresti
conoscermi, ormai. – rispose per salvarsi da una possibile
sconfitta, sorpassandomi per andare verso il blocco di partenza.
Io
lo bloccai prendendolo per il polso prima che si potesse allontanare
- mi sembrava di aver appena compiuto la tredicesima fatica di Ercole
dopo quella scenette stomachevole da “no, Giulietta, non scappare
da Romeo!”, di solito era lui a trattenermi dalle mie fughe random
quando le situazioni diventavano pesanti.
– Come posso
conoscerti?! – sbottai, fissando ovviamente l'acqua dato che non
riuscivo a reggere l'imbarazzo del contatto visivo con i suoi occhi.
Sì, ero proprio un gran melodrammatico. – Non mi aiuti a capire il
tuo carattere se continui a fare come quando ci siamo conosciuti.
Lui sbuffò, portandosi la mano dietro al collo: – E sì che
sono quattro mesi che non mi comporto più da stronzo.
– Qui
avrei da ribattere.
– Meglio per te se non lo fai.
–
Visto?
– Himeragi.
– mi chiamò con un'espressione seccata che nascondeva però un
sorriso per quel genere di battibecchi che facevano sempre divertire
entrambi. – Io ci sto provando, mi dispiace che tu non te ne
accorga.
– Me ne accorgo... A volte... Raramente, dai.
– E
poi sono io lo stronzo? – borbottò scuotendo la testa, facendo poi
cenno verso la mia mano ancora stretta al suo polso. – Hai una
presa di merda ma guarda che fai un po' male anche tu.
Lo lasciai
andare immediatamente, alzando lo sguardo solo per controllare che
non gli avessi effettivamente fatto troppo male. Certo, mi ripeteva
spesso che non avevo nemmeno un po' di forza ma era capitato che
impegnandomi con tutte le mie forze fossi riuscito a fargli dire
“ahi”, un vero traguardo per il mio fragile ego già abbastanza
compromesso dalla sua presenza.
– Scusa. – mormorai,
sentendomi sprofondare nell'acqua in cui eravamo entrambi immersi e
per una volta desiderai di non saper nuotare e di poter quindi
lasciarmi andare senza più riuscire a tornare in superficie. Odiavo
litigare con lui, succedeva di continuo e di continuo volevo dirgli
di smetterla con quella farsa se doveva andare avanti senza una
ragione per tenerci sul serio, ma ovviamente col mio coraggio da
agnellino smarrito in una savana piena di leoni me ne stavo zitto
zitto e mi impegnavo solo a difendere il mio orgoglio e non i miei
sentimenti verso di lui. Diciamo che era un po' un periodo di “sì
va tutto bene grazie, fa il giusto schifo e guarda non vedo l'ora di
avere diciotto anni per scappare in Guatemala e chiamarmi Ganapati
Gulal”. Mi piace la lettera G, problemi a riguardo?
In quel
momento, devo ammetterlo, mi aspettavo che come al solito Kyle non mi
prestasse più attenzione e che raggiungesse il blocco senza più
parlare, ma invece rimase davanti a me a fissarmi mentre io morivo
lentamente di imbarazzo. La cosa divertente del nostro rapporto era
che avevamo già entrambi detto ai nostri genitori del nostro
orientamento sessuale, erano entrambe le dichiarazioni andate a buon
fine (la mia direi fin troppo) ma tutti i problemi erano sorti dopo.
Imbarazzi, liti da tre giorni, scene mute e compagnia a seguire;
tutto quanto in un secondo momento. Penso che ci siamo entrambi
pentiti di aver fatto il tanto temuto coming out
prima di essere veramente sicuri di sapere a cosa stavamo andando
incontro, ma senza che lo sapessi le cose stavano per cambiare di
nuovo.
– Ti preoccupa così tanto, quest'affare? – mi chiese
rompendo finalmente il silenzio, muovendo due passi verso di me fin
troppo velocemente rispetto all'attrito che l'acqua faceva. – Non
conoscermi e stupidaggini del genere?
– Non sono stupidaggini. –
risposi, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi. Se ve lo state
chiedendo: sì, Kyle Adair non ha mai capito veramente il significato
della parola “stupidaggine”.
– Certo, come vuoi. – ammise
sbuffando di nuovo, togliendosi la cuffia probabilmente per
ossigenare la testa dall'ennesima nostra litigata.
– Comunque
sì. – ripresi, speranzoso: speravo di arrivare da qualche parte ma
sapevo che con Kyle era difficile.
Infatti, lui continuò
imperterrito a guardarmi passivamente: – Pensi di fare qualcosa a
riguardo?
– Ci sto già provando. Mi dispiace che tu non te ne
accorga.
– Touché. – sorrise leggermente spiaccicandomi poi
la sua cuffia in testa, avvicinandosi come quel pomeriggio non aveva
ancora potuto fare per via del conflitto in corso. – Vuoi un
rimedio?
Lì per lì non capii, alzai solamente gli occhi,
guardandolo confuso.
Lui allora abbassò la mano che reggeva la
cuffia fino ad arrivare alla mia, facendomi afferrare l'altra
estremità del suo copricapo bagnato. Non capii nemmeno quel gesto,
ma poi spiegò e tutto si fece più chiaro: – Mettiamoci insieme,
allora.
E bum!, lì
persi sul serio una serie di battiti e pensai per un momento di poter
veramente affogare in un metro e trenta d'acqua. Con la cuffia
stretta nelle nostre mani, l'espressione più seria che mai e un tono
di voce incredibilmente fermo, aveva veramente osato pronunciare
quelle parole. Ammetto che mai come in quel momento Kyle Adair mi
aveva fatto paura, le sue minacce non erano niente se messe a
confronto con quelle tre parole sputate talmente senza tatto da
lasciarmi senza fiato - e credetemi, non era facile ridurmi a non
riuscire a trovare più nulla da dire.
In tutto il mio panico
quindi l'unica cosa che riuscii a dire, ridendo, fu: – Non mi
sembra molto una richiesta.
– Non lo è. – confermò Kyle
ridendo a sua volta, portando la mano libera sul mio collo. – Pensi
di potercela fare, con uno come me?
– Ce l'ho fatta fino ad
adesso. – affermai, convinto e finalmente liberato da un macigno
fermo nel mio stomaco. – Ce la farò finché vuoi.
– Allora
mettiti il cuore in pace, Anguilla. – ridacchiò con un'allegria
per cui avrei dato di tutto pur di sentire più spesso, avvicinandosi
per baciarmi. – Perché ne hai di strada da fare.
Incredibilmente, vedendo il mio ritardo, Kyle ha preso
l'autobus dopo avermi rubato le chiavi e se n'è tornato a casa
dicendomi che vedendomi così stanco avrebbe rinunciato al suo
allenamento speciale - non che abbia ufficialmente acconsentito alla
questione di aiutarlo a migliorare i suoi tempi, ma credo che abbia
preso l'abbraccio di questo pomeriggio come una tacita conferma e ho
quindi lasciato perdere.
– Ancora qui, Anguilla?
Mi giro
verso la porta da cui esce Xavier che, sentendo il freddo pungente,
alza velocemente la zip della giacca e mi sorride con un cenno.
–
Sto aspettando che Iris chiuda. – rispondo, indicando la piscina
alle nostre spalle. – Non mi fido a lasciarla andare a casa da
sola.
– Oh, che cavaliere dal cuore d'oro! Bisogna riportare la
bella principessa al castello? – mi prende in giro appoggiando i
gomiti sulla ringhiera delle scale accanto a me.
– In questo
caso sei anche tu la mia bella principessa, no? – gli faccio notare
mentre, guardando di sottecchi, mi accorgo che si è appena reso
conto del suo errore e le sue guance sono diventate estremamente
rosse. – E' diverso. – prova a difendersi, girando il volto
in modo che non possa vederlo.
Ci sono delle volte in cui mi
chiedo come questo ragazzo possa coesistere con quello che vedono
tutti i giorni i miei colleghi, con quella facciata impassibile che
non lascia trasparire il minimo accenno di emozione. Alcuni tratti di
Xavier non riuscirò mai a capirli, non riesco a chiedere spiegazioni
perché so che lo metterei in difficoltà ma non posso nemmeno fare a
meno di trovare il suo comportamento decisamente tenero e finalmente
adatto ai suoi sedici anni.
– Non credo. – ridacchio
pizzicandogli giocosamente la guancia anche se la mia mano viene
scacciata non proprio gentilmente solo qualche istante dopo. Sì,
considererei anche questo un comportamento da sedicenne messo in
imbarazzo dal suo istruttore preferito.
– Invece sì. –
ritenta nel tentativo di non mandare in frantumi il suo orgoglio. –
Io te lo chiedo, il passaggio. Iris no.
Alzo le spalle, smettendo
di guardarlo per dargli tregua e guardando invece il cielo già scuro
sebbene siano solo le sette e mezza: – Forse ti direi di montare su
anche se non me lo domandassi. – ammetto sottovoce, sorridendogli
sapendo che, anche se io non sto guardando lui, lui mi sta comunque
fissando con gli occhi celesti spalancati.
– Non dire cazzate.
– mi rimprovera dandomi un leggero pugno sulla spalla, provocando
la mia risata nell'assistere a questa sua dimostrazione di umanità.
– Non sono cazzate. – lo rassicuro spettinandogli i capelli,
constatando però che sono ancora umidi. – Oh andiamo, quante volte
devo dirti di asciugarti i capelli prima di uscire?
Mi blocco,
improvvisamente mi sembra di vivere un déja-vu. Possibile che io mi
preoccupi per Xavier come Kyle si preoccupava per me? Era veramente
questo che il mio ragazzo sentiva nel vedermi infreddolito e senza
giacca?
– C'è caldo, là dentro. – si giustifica Xavier alla
fine, caricandosi la borsa sulle spalle per allontanarsi. – Ci
vediamo domani, Anguilla.
Annuisco, ma prima che sia troppo
distante riesco a fare ciò che Kyle faceva per me: – Xavier!
Il
rosso si gira, afferrando per un pelo il cappello che gli ho appena
lanciato: – Ma cosa...?
– Riportamelo domani. – concludo,
muovendo la mano per salutarlo. – Buonanotte.
I suoi occhi
vagano per un attimo al suolo, stringe il cappello tra le mani e se
lo mette infine girandosi verso l'uscita della scuola: – 'Notte. –
mormora semplicemente alzando la mano da dietro, uscendo dal
parcheggio a passo spedito.
Ricambio anche se non mi può vedere
e in pochi secondi riesce a nascondersi dalla mia visuale, uscendo
verso la fermata dell'autobus.
Xavier McAdams resterà sempre un
mistero, questo è quanto. Per quanto io decripti passo dopo passo i
suoi codici, so per certo che terrà sempre il forziere ben serrato
finché non sarà qualche meccanismo dentro di lui a decidere di
poterlo finalmente aprire. Ciò non toglie, comunque, che io non
abbia fatto passi avanti con lui: insomma, bisogna sempre tenere a
mente che siamo partiti da lettere minatorie sul parabrezza del mio
catorcio rosso, merito un premio solo per non aver sporto denuncia.
– Che scena commuovente, Hime. – Iris spunta alle mie spalle,
mette le chiavi in tasca, si accende una sigaretta e la porta alla
bocca con quella che ho sempre considerato “classe”. – Si è
davvero affezionato a te, quel ragazzino.
Io annuisco,
strappandole di mano la sigaretta per fare un tiro - non
preoccupatevi, come istruttore ed ex nuotatore agonistico lo faccio
giusto ogni tanto, sono un bravo bambino: – Sembra di sì.
–
Sai cosa? – la bionda si siede sulla ringhiera (a quanto pare
questa ringhiera è il posto migliore per le scenette da Romeo e
Giulietta versione nomi di merda e sfiga a go-go).
– Sembra di rivedere te e Kyle.
– Ci ho pensato anch'io.
Forse, tra un po' di tempo, sembrerà di vedere anche te e Nico, no?
Iris sorride, scuotendo la testa riprendendosi la sigaretta per
farmi un dispetto: – Come mai questa frecciatina?
– Finché
flirtate in piscina devi mettere in conto che giro anch'io lì
dentro.
– Però predichi bene e razzoli male, Anguilla. – mi
fa presente, arrivando quasi alla fine del suo premio per aver finito
la giornata senza uccidere qualcuno. – Non vuoi parlare di Kyle ma
vi abbracciate abbastanza calorosamente alla luce del sole.
Alzo
le mani all'aria, ridendo: questo non posso negarlo. Anche Iris ride,
ha sempre saputo colpire nel segno senza giri di parole nel più
efficace dei modi e, anche se questo ha reso maggiormente difficili
molte delle situazioni già abbastanza di merda, è sempre stato un
suo tratto che ho sempre invidiato: a differenza mia che escogito
piani di notte per arrivare a formulare un discorso che manco il
Codice Da Vinci, Iris sputa la verità senza rimorsi facendoti
realizzare di essere un idiota per averla lasciata parlare.
–
Sono felice che tu sia andata avanti. – le dico abbassando il tono
della voce, godendomi il suo sorriso subito dopo.
– Se proprio
lo vuoi sapere, siamo usciti solo ieri per fare un giro dopo gli
allenamenti e lui mi ha offerto la cena, tutto qui.
– Io a
diciassette anni non ti pagavo la cena. – ironizzo, facendola
ridere di gusto. – E nemmeno pensavo che tu fossi dell'idea di
frequentare un ragazzo più piccolo.
– Intanto, lui è nella
squadra di New York e il che implica un buon stipendio, dovresti
saperlo, per quanto riguarda pagare le cene altrui. Poi comunque non
mi sono mai lamentata, l'importante era che tu fossi un buon
fidanzato e non che pagassi ogni volta da mangiare. Ultimo, be'...
Nemmeno io, a dirla tutta. Nico mi ha solo presa, al momento.
–
“Presa”. –
ripeto, facendo una smorfia divertita. – Dicevi così anche di me?
– Che ne vuoi sapere? – sbotta sorridendo, gettando a terra
il filtro quasi spento. – Sono cavoli miei. E comunque, ti ricordo
che anche tu parlavi così di Kyle.
– Esatto, parlavo.
Ora non più, grazie a Dio.
Insomma, va bene recidivo, ma non così stupido.
– Posso
smentire? – mi chiede con un ghigno furbo, dandomi una gomitata. –
Ad ogni modo, sembrate ancora in sintonia.
Alzo le spalle,
andandole di fronte: – Non so quanto sia vero, diciamo che cerco di
non peggiorare la situazione.
– Andiamo, lasciati andare. –
suggerisce prendendomi il viso tra le mani avvolte dai guanti. –
Lui è qui, ora. Perché fai ancora il difficile, mh?
– Non lo
so. – ammetto, appoggiando il gomito sul suo ginocchio. Ricordo
che, quando stavamo insieme, uscivamo spesso a fumare dopo gli
allenamenti e ogni volta finivamo in queste posizioni: lei seduta
sulla ringhiera e io di fronte a lei tra le sue gambe, le sue mani
sulle mie guance nel tentativo di riscaldarle e il tutto si chiudeva
in un bacio. Questa volta, però, mi sa che l'ultima parte dovremo
modificarla se vogliamo attenerci al copione che abbiamo scelto di
recitare.
– Provaci, con calma. – Mi guarda negli occhi,
sorridendomi contenta. – Andiamo avanti entrambi.
– Più che
altro, io torno indietro. – concludo ridendo, stringendola però in
un abbraccio che so che non si aspetta - presa in tempo prima di
farla cadere giù per la mia irruenza, grazie al Cielo - ma voglio
che sappia una cosa e questa è l'occasione d'oro per spiegarmi per
bene.
– Iris. – la chiamo, quasi azzerando il tono della
voce. – Anche se può essere sembrato così, non sei mai stata la
sostituta di Kyle. Sapevo di stare con te e non speravo di rivedere
in te i tratti di Kyle, mi hai aperto gli occhi su tante cose ed
anche se non è finita nel migliore dei modi a causa mia, sappi che
sei la persona a cui devo di più al mondo.
Per qualche istante
scende il gelo, credo sia spiazzata da questa mia uscita ma l'ansia
se ne va quando la sua mano inizia a sfregare sulla mia schiena e la
sua voce finalmente si fa sentire: – Non è stata colpa di nessuno
e non ti ho mai biasimato, hai sempre agito nel migliore dei modi nei
miei confronti e a che se un po' troppo confusamente hai saputo farmi
stare il meglio possibile. Quindi grazie a te, e che tu possa essere
di nuovo felice con quell'idiota di Adair.
Mi allontano da lei,
ci sorridiamo e, prima di aiutarla a scendere, le do un bacio sulla
guancia in segno di ringraziamento per tutto. Nella speranza che
entrambi avremo successo, ci incamminiamo quindi insieme verso quello
che potrebbe essere un nuovo inizio per un ragazzo gay con un nome di
merda e una cinica ragazza senza un minimo di tatto ma abbastanza di
buon animo per aver aiutato un ragazzo gay con un nome di merda.
Triste storia della mia vita: in ogni caso, io avrò un nome di
merda.
Amen.
E SI', AMEN.
Amen perché finalmente ho avuto il tempo di aggiornare!
Come sempre ringrazio tutti per essere arrivati fino a qui e spero con tutto il cuore che la storia vi continui a piacere.
Come sempre vi lascio con uno spoilerdal capitolo 7!
Kyle mi
guarda di sottecchi, sedendosi poi vicino a me e smettendo - grazie
al cielo - di farmi ansia con il suo avanti-indietro,
avanti-indietro, avanti-indietro... Non ho bisogno di altra ansia,
okay? Io. Non. Ne. Ho. Bisogno. – Quanto è passato? Tre anni?
–
Due e mezzo.
– Due e mezzo! – esclama, battendo le mani sulle
ginocchia stile meeting politico. – Wow, è un bel po' di tempo. Ad
essere sincero anche io mi sento strano ad essere di nuovo qui con
te... Come se stesse accadendo tutto quanto una seconda volta.
–
Fatto sta che non è così, no? – Devo sdrammatizzare o altrimenti
qui finisce in un piagnisteo isterico. – Insomma, stai solo
tornando a mettere a posto i mobili della nuova casa col tuo ex
ragazzo. Sarà uno spasso.
Capitolo 7 *** Sogno di una notte di Battaglia Navale ***
Swimming tale cap.7
SWIMMING TALE
CAPITOLO SETTE
“Sogno di una notte di
Battaglia Navale”
Picchio nervosamente le dita
sulla mia coscia, il piede non smette di battere e credo di essere
rimasto senza unghie da mordicchiare.
Sapete qual è la cosa
divertente?
Dopo due settimane di allenamento non-stop in vista
delle provinciali oggi doveva essere il venerdì libero prima del
sabato che stiamo aspettando da un mese. Mi ero già accuratamente
preparato tutto il mio programma, a partire dalla colazione con
Masha&Orso per arrivare poi a quando mi sarei coricato a letto,
finalmente libero dopo quasi un mese. Esatto: questa sera Kyle torna
a New York e lì resterà per tre giorni, dandomi finalmente un
attimo di respiro. Fino a mezz'ora fa, credetemi, era la giornata più
bella della mia vita.
Poi, be', è successo qualcosa che mi ha
fatto pensare “dove posso aver sbagliato nella mia vita?”.
Erano
appena le dieci, io ero stravaccato sul divano, Kyle era di fianco a
me e stavamo parlando delle gare che dovrà svolgere una volta
tornato dalla Grande Mela quando il mio cellulare - che ricordo
essere tenuto insieme con lo scotch - ha preso a squillare con la sua
mitica suoneria a detta di Kyle “più gay non esiste” e allo
schermo è apparso un numero che purtroppo conosco fin troppo
bene. Andrew College, Segreteria
Così ho risposto
credendo si trattasse dei documenti da ultimare per le provinciali,
ero in pace col mondo ed ero convinto che niente potesse rovinare la
mia giornata relax in vista delle gare di domani.
Poi ho sentito
lo sbuffo del rettore Muller e delle voci di sottofondo, capendo che
se si fosse trattato di questioni inerenti alla piscina sarebbe stata
la signora Swan, la mia bidella e compagna preferita di caffè dai
tempi della seconda superiore, a chiamarmi.
Kyle mi teneva
guardato strano, il caso vuole che ieri l'abbia tenuto a nuotare fino
alle dieci e mezza per fare un ultimo potenziamento e che quindi
stamattina fosse alquanto stanco, ma nemmeno lui pensava che sarei
andato via di testa in quel modo dopo aver saputo che Xavier era in
presidenza e che, dato che nessuno dei suoi genitori aveva risposto,
aveva fatto il mio nome come tutore improvvisato. Ricordo di aver
sfiorato il lancio triplo carpiato del mio cellulare fuori dalla
finestra, seguito poi dalla mia performance da pattinatore su
ghiaccio aereo che sarebbe atterrato spappolandosi le gambe. Sì, ero
al limite sotto ogni limite che io possa avere.
Kyle non voleva
nemmeno che andassi, ma poi ha miracolosamente capito che non potevo
rifiutarmi dal momento che erano coinvolti Xavier, i suoi genitori, i
guai che aveva combinato e quindi inevitabilmente tutta la squadra di
nuoto e le provinciali. Se uno dei componenti sgarra, tutti pagano:
questa è sempre stata la regola e questo è sempre stato il mio
terrore. Se mezz'ora fa ero tranquillo e stavo finalmente bene con il
mio equilibrio psicofisico, be': no. Sono tornato. Non preoccupatevi.
Ho perfino dovuto lasciare il volante del mio catorcio rosso a
Kyle dopo che, non appena arrivati allo stop della via del mio
tugurio, ho rischiato di investire la signora Stanley per
l'adrenalina che avevo addosso; così mi sono beccato una serie di
insulti e Kyle si è proposto per guidare.
Insomma, era solooggi.
Non ci siamo fermati nemmeno di sabato e di domenica,
abbiamo continuato ad allenarci fino allo sfinimento e queste
ventiquattro ore volevo passarle in santa pace, uscire solo per
accompagnare Kyle all'aeroporto e tornare poi sotto le coperte.
Ma
no!
“Xavier McAdams ha fatto il tuo nome, Fenwick, devi venire
a fare le veci di suo tutore.”
Maledetto il giorno che sono
entrato all'Andrew College. Insomma, potevo andare in accademia
militare o a lavorare nel ranch di mio nonno nel North Carolina,
perché non ho scelto la vita da cowboy? Mi ci sarei anche visto col
lazo, a gridare “yhaa!” dietro ai cavalli e a galoppare al
tramonto.
Perché non sto galoppando al tramonto?
Io voglio
tramontare al galoppo.
Che cazzo sto dicendo?
Socchiudo gli
occhi, appoggio la testa al muro dietro di me e sospiro: devo solo
aspettare che si decidano a chiamarmi dentro e potrò capire cosa
diamine è successo. So che Kyle è in piscina e questo mi
tranquillizza, ha detto di dover parlare con la sua squadra perciò
sono quasi del tutto sicuro che non farà irruzione in questa
anticamera dell'ufficio del rettore armato e con un'incredibile
voglia di farmi sprofondare nell'imbarazzo: non sarebbe la prima
volta considerando quando, una settimana fa, stavo parlando con la
signora Swan, è entrato di corsa gridando “qualcuno ha visto
quell'Anguilla del cazzo?” e poi, vedendomi lì, ha detto di essere
arrivato alla segreteria per puro caso.
Non c'è più
religione, tutto è alla rinfusa e mancava solo Xavier in presidenza
alla vigilia delle provinciali nella lista di “ciò che non
dovrebbe mai succedere ma che succede perché mi chiamo Himeragi
Fenwick (Fenneck secondo il mio campanello) e abbiamo già detto
tutto”.
– Fenwick! – La porta viene spalancata da dentro,
il rettore si presenta sull'uscio e mi fa cenno di entrare. Non ha
idea dello spavento che mi sono preso con questa sua uscita ma per un
momento farò finta di avere una dignità ed entrerò nell'ufficio
come una persona normale, sospirando prima di varcare la soglia.
Davanti a me ritrovo quindi Muller seduto sulla sua sedia
girevole, alla sua destra il professor Schneider e davanti alla
cattedra, di spalle, Xavier che non osa però girarsi verso di me. La
trinità dell'Andrew College: da qui non se ne esce.
Markus
Schneider è stato la mia spina nel fianco per tutti i quattro anni
di superiori: laureato in chimica e in fisica ma insegnante di
ginnastica - per questo quindi sempre adirato col mondo intero,
cinquantatré anni, un amore sconfinato per la squadra di atletica di
cui lui è il coordinatore e un odio viscerale per i nuotatori.
Ricordo che ad ogni battuta sbagliata di pallavolo che facevo lui mi
correva dietro mentre io scappavo urlandomi che si vedeva che nuotavo
perché ero un incapace che non sapeva nemmeno prendere in mano una
palla - e sapesse quanto si sbagliava...
Ad ogni modo, non mi
sorprende vederlo qui dentro e non mi sorprenderebbe nemmeno sentire
che tutto questo casino è partito da lui, ma sebbene i miei istinti
da mamma chioccia verso Xavier potrebbero prevalere devo sempre fare
appello al mio buonsenso e costringermi a comportarmi come un ragazzo
maturo dal momento che io sono qui in veste di istruttore e di tutore
ma non di avvocato difensore: qualsiasi cosa questo lunatico ragazzo
rosso abbia fatto, devo obbligarmi a rimanerne il più fuori
possibile.
– Fenwick. – Schneider mi fissa con un sorrisetto
fastidioso, incrociando le mani paffute. – Ci rivediamo dopo un
po', eh?
– Guardi che lavoro qui. – gli faccio presente,
indicando col pollice la finestra da cui si riesce ad intravedere la
piscina. – Da quattro mesi.
– Ah sì? Be', non mi interesso
particolarmente della squadra di nuoto.
Guardo di sottecchi
Muller, lui scuote la testa e sospira, negandomi il suo appoggio in
questa faida. Sto pregando interiormente che tutto questo non si
ritorca contro di me e le provinciali, quella sottospecie di vecchio
bionico sa come mettermi i bastoni tra le ruote - e dico sul serio,
durante una lezione di pattinaggio a rotelle ha “accidentalmente”
fatto finire il manico della scopa nella mia traiettoria.
–
Comunque, – cambio argomento, andandomi a sedere sulla sedia
accanto a quella su cui giace Xavier, inerme come mai l'ho visto
prima. Tiene lo sguardo basso nascosto dal cappuccio e non mi
permette di vedere nemmeno un centimetro del suo viso, riconosco solo
qualche ciuffo rosso che sfugge dal mio cappello che ha ancora in
testa ma del resto è tabula rasa. – Cos'è successo?
Schneider
si infila gli stessi occhiali da vista che ha dai tempi della mia
prima superiore, appoggia le mani sulla cattedra e, dopo aver
guardato male Xavier, guarda me: – Oggi ho sopportato il signor
McAdams per l'ultima volta nella mia lezione.
– Be' – mi
schiarisco la voce, accavallando le gambe con un sorriso che
renderebbe Kyle fiero di me. – L'ha detto un bel po' di volte anche
a me e ad Adair, signore.
– Tu e Adair andavate a nascondervi
in spogliatoio per delle mezzore ma almeno non facevate risse tutte
le volte.
Ops. Mi sa di essere vagamente preso in causa ma ad
ogni modo sgrano gli occhi: risse? Che storia sarebbe
questa?
– Scusi? – domando, guardando Muller che però nega di
nuovo senza farsi vedere, lasciandomi in balia dello pseudo
insegnante di educazione fisica.
– Risse. – ripete quindi,
serafico nel suo essere un emerito bastardo credendo forse che io sia
duro d'orecchi quando l'unica cosa dura potrebbe essere il mio pugno
che si schianta contro il suo naso informe (so che avete pensato
male, ammettetelo). – E non solo. Il signor McAdams era già stato
avvisato più volte ma durante l'ultimo collegio docenti abbiamo
stabilito che gli avremmo dato solo un'altra possibilità; ebbene
oggi è stata quindi bruciata. Non lo accetterò più nelle mie ore
di lezione.
Mi siedo meglio sulla sedia, sentendomi colpevole
come se fossi io ad essere nei guai. Vorrei girarmi verso Xavier e
dirgli di dire di no, di dire che si sono inventati tutto quanto e di
smentire tutte le accuse ma il fatto che se ne stia fermo immobile
senza emettere un fiato non può che aggravare i miei dubbi su di
lui.
– E' da quando è iniziato quest'anno che va avanti così.
– continua l'uomo davanti a me che se andasse in pensione farebbe
un favore anche alla signora Swan. – La media dei suoi voti rasenta
la D per grazia divina, non presenta mai i compiti a lui assegnati e
ha falsificato più volte la firma dei suoi genitori, sta a casa tre
giorni alla settimana e entra solo per i vostri allenamenti, si
comporta male con i professori e durante la mia ora è sempre il
principale colpevole delle risse negli spogliatoi maschili. Tra
l'altro non ha voluto nemmeno essere medicato questa mattina, quindi
è anche irrispettoso verso le infermiere e verso chi, come me, si
preoccupa per lui.
– Ora, – lo interrompo, sentendo tutti i
miei nervi saltare uno dopo l'altro. – La cazzata del “mi
preoccupo per lui” non regge, quindi eviti di dirla. Poi sono il
primo a dire che tutto ciò è sbagliato, ma conosco il ragazzo e so
che non farebbe del male a nessuno se non provocato.
– Sì, in
effetti... – Finalmente Muller interviene, picchierellando le dita
sull'enorme cattedra. – Anche se Fenwick non si è espresso nel più
educato dei modi devi dire i fatti come stanno, Markus. Non è
solo colpa di Xavier.
Schneider si schiarisce la voce,
imbarazzato: – Okay, certo, anche tre ragazzi della squadra di
atletica sono coinvolti.
Alzo entrambe le sopracciglia,
incrociando le braccia anche se so che Muller me ne dirà di cotte e
di crude per questo mio comportamento: – Atletica, eh? Mi sembrava
strano.
Mi sto giocando il posto di lavoro, ne sono sicuro: tra
poco mi ritroverò a vagare di ponte in ponte per trovare riparo a
causa della mia lingua lunga.
– Stai insinuando qualcosa,
Fenwick?
– Nulla. – alzo le mani all'aria, alzandomi dalla
sedia. – Io non insinuo, signore. Io lo so per certo. Quindi
ora, se non le dispiace, ritiro il verbale in segreteria che lei avrà
sicuramente già stilato e firmato e porto via il ragazzo.
Schneider
mi fissa indignato, diventando rosso come un pomodoro come quando si
arrabbiava fino all'anno scorso: – E tu dovresti essere il tutore?
Che insolente! Sappi che le vostre preziose gare sono molto a rischio
per le bravate di questo individuo, io lo metterei bene in riga!
–
Questo individuo, – lo correggo, afferrando Xavier per un
polso per farlo alzare. – Ha un nome e un cognome. Decidere il suo
castigo è di mia competenza, quindi la prego di starne fuori e di
limitarsi a riportare i fatti senza omettere dettagli che le
potrebbero stare scomodi.
– Non ti conviene metterti contro di
me, Fenwick. – ringhia come se stesse per caricare contro di me,
offeso nel suo fragile ego.
In tutta risposta io fingo un inchino
per salutare sia lui che il rettore, strattonando leggermente Xavier
per tenermelo stretto e per intimargli di seguirmi.
Non mi
interessa se ho iniziato una guerra, sono anche pronto a portarla
avanti se Xavier è in mezzo a tutto ciò: non mi importa di cosa mi
potrebbe succedere, voglio solo chiarire questa situazione e capire
il motivo delle sue azioni e della sua omissione di tutto ciò. Mi
sono sempre sentito in dovere di dirgli tutto quanto, possibile che
per lui fosse solo un optional? Mi sento arrabbiato, quasi ferito,
chi c'è veramente sotto questo viso? Chi è Xavier?
Aspetto
di aver raggiunto gli spogliatoi anche per una sola parola, essendo
mattina non c'è nessuno per cui non c'è nemmeno bisogno di parlare
piano e sono sicuro che la Nyst sia occupata ad allenarsi per le gare
della settimana prossima per ascoltare un rimprovero da mamma
chioccia al suo piccolo pulcino bugiardo.
Chiudo la porta, arrivo
di fronte a Xavier e gli abbasso di scatto il cappuccio, togliendogli
anche il cappello. I suoi occhi sono quasi socchiusi, guardano il
pavimento senza alcuna espressione ma il viso non è ridotto bene: ha
un piccolo taglio sul labbro e dall'angolo del sopracciglio destro
scorre un rivolo di sangue che per fortuna si ferma sulla guancia.
Perché proprio oggi? Perché proprio lui?
Io lo sapevo, l'ho
sempre saputo: dovevo andare nel North Carolina e allevare una mucca
pezzata di nome Mrs. Hiddleton. Saremmo stati solo io e lei nel
ranch, il fieno e il mondo in pace con me e con se stesso.
Ma no.
Io mi chiamo Himeragi Fenwick, non sono stato destinato ad
un'esistenza tranquilla. Se non mi ammazzerà prima Kyle sono sicuro
che morirò a causa di Xavier.
– Mi vuoi spiegare che cazzo sta
succedendo? – sbotto, lanciando il mio cappello sulla panchina
insieme al verbale che non ho ancora voluto leggere. – Voglio
sentirlo da te, avanti.
Per qualche secondo non parla, non alza
gli occhi e sembra in trance. Sto per chiamarlo di nuovo, ma mi
precede e si passa la mano sul sangue per cercare di pulirsi il viso:
– Non serve che mi fai da mamma. Riportami solo dalla mia, dalle il
verbale e chi s'è visto. Scusa per il disturbo.
– Ah
no, non te la caverai solo così. – lo rimprovero, guardandolo
negli occhi celesti che portano i postumi di un'infinita stanchezza.
– Chi pensi che sia io, eh? Il tuo migliore amico? Sono il tuo
istruttore, Xavier, e con tutto ciò che non hai mai detto hai messo
a repentaglio anche le gare e le vostre possibilità per essere
convocati in una delle squadre più importanti. Te ne rendi conto,
vero? Sai cos'hai fatto?
– Piantala Anguilla, sono cazzi miei.
Me la vedrò con chi di competenza.
Okay Hime: respira. Puoi
gestire questa situazione senza agitarti troppo, devi solo pensare a
cosa dire e giocare bene le tue carte, del resto è semplicemente
Xavier davanti a te e sai come prenderlo.
– Allora mettila
così, visto che non pensi che io sia “di competenza”. –
Incrocio le mani al petto, fissando il suo viso contrito con
un'espressione che sicuramente gli farà male. – Io sono
quello che può decidere di non farti più mettere piede in piscina.
Posso anche decidere di farti allenare ma di non farti competere, di
farti retrocedere nelle riserve e di restare sulle panchine a
guardare la squadra che si allena a causa delle tue azioni da
irresponsabile. Mi ritieni di competenza, ora?
Xavier abbassa gli
occhi, riducendo le mani ad un pugno stretto attorno alla stoffa dei
suoi pantaloni. Detesto essere cattivo, specialmente poi verso di
lui, ma mi rendo conto da solo che qui non posso essere il solito
imbecille che lascia passare tutto e che vive secondo la filosofia
del “se non mi faccio coinvolgere, non succederà nulla”. Ormai
ci sono dentro, devo fare fede al mio ruolo di istruttore ma anche di
amico di Xavier, devo fargli capire il suo errore e devo capire
soprattutto il perché delle sue azioni.
North Carolina, North
Carolina, North Carolina...
– Non dicevo questo, accidenti a te.
– borbotta, facendomi sbiancare non appena riconosco che la sua
voce è palesemente provata dal pianto. – Dicevo che sono i miei
genitori di competenza per farmi la paternale, dirmi quanto io sia un
idiota e ricordarmi quando non gliene freghi nulla di me. Non tu. Ma
ora sì, se ti fa star meglio riconosco che sei di competenza anche
per questo.
Deglutisco, che cosa ho appena fatto?
Non doveva
finire così, perché sono io quello nei guai adesso?
Insomma, dovevo rimproverare Xavier ma non arrivare a farlo
piangere. Ho solo fatto ciò a cui avrebbero pensato di fare i suoi
genitori una volta riportato a casa, ma non voglio che lui mi veda
nello stesso modo in cui vede sua madre e suo padre, non intendo
vederlo spaventato se i suoi occhi dovessero cadere sui miei.
Nonostante tutto ciò che è successo, nonostante il rapporto tra me
e lui, a causa delle mie parole ha persino paura a mostrarmi il suo
viso e per questo piange silenziosamente, trattiene i singhiozzi e mi
lascia solo vedere il movimento irregolare delle sue spalle che
provano a tentoni di prendere fiato.
Respiro, devo calmarmi o non
finisce bene: ho davanti un ragazzo di sedici anni che sta piangendo
a causa mia quando non so nemmeno la sua versione dei fatti. Bravo
Himeragi, guarda, sei un ottimo tutore, istruttore e sarai un ottimo
padre nei giorni futuri - be', padre è da vedere a dirla tutta...
Per motivi tecnici più che altro. Mi sa che Kyle ha ragione quando
mi dice che non esiste una singola situazione che io sappia gestire
bene senza impanicarmi o combinare casini; io giuro che provo con
tutto me stesso a migliorare ma più tento e più le cose vanno a
rotoli. Se non ci credete, vi basta osservare un minuto qualsiasi
della mia insulsa vita e constaterete che io ho combinato
qualcosa, che io sono in panico e che io sto cercando
modi per evadere quali fughe random dalla finestra, tunnel
sotterranei o fingere di svenire.
Non ce la posso fare.
Allungo
così la mano in tasca per cercare un fazzoletto, l'unico che trovo è
ovviamente usato e dato che non sono molto dell'idea di pulire il
viso di Xavier con il mio grazioso muco lascio perdere il fazzoletto
e appoggio l'indice e il medio sotto il suo mento per farmi un'idea
della situazione, lui oppone resistenza ma alla fine lascia andare
seguendo il movimento della mia mano. Oh no. Le lacrime scorrono
ininterrottamente anche se non emette alcun genere di rumore e i suoi
occhi fanno perfino fatica a restare aperti, a questo punto mi chiedo
se le sue guance siano così rosse per la situazione in generale o
per il momento di umiliazione e di imbarazzo che sta subendo.
–
Mi dispiace. – mi scuso infine, iniziando a pulirgli le guance con
entrambe le mani. – Non volevo farti stare male, mi sono lasciato
prendere dal nervoso.
– Sei un idiota, Himeragi. – mormora
lasciandosi finalmente andare ad una serie di singhiozzi che farebbe
invidia al più capriccioso dei neonati, facendomi inevitabilmente
sorridere. – Ma non per quello che hai detto. Per ciò che stai
facendo ora.
– Lo so... Insomma, ci sono tanti germi nel sangue
e andrebbero disinfettate prima le ferite, per non parlare del...
–
Non capisci un cazzo.
Giusto: non ha tutti i torti, ma non
capisco perché proprio ora questa constatazione. Non mi sento
male abbastanza per averlo ridotto così? Devo anche sentirmi dire
che non capisco niente?
Vedo che tutti qua si preoccupano di come
io, per una volta, possa sentirmi. Grazie ragazzi, vi adoro tutti dal
primo all'ultimo.
– Ti chiedo scusa. – concludo, passando per
l'ultima volta entrambi i pollici sulle sue guance finalmente pulite.
– Ma devi comunque dirmi cos'è successo, va bene?
Xavier
annuisce, abbracciandomi poi di slancio rischiando di farci piombare
entrambi a terra. Questa poi! Di solito fa fatica a farsi bussare
sulla spalla per essere chiamato e oggi mi abbraccia pure, che sia
l'effetto di tutto ciò che è successo? Non nascondo che a volte ho
paura che lui mi possa scambiare per una figura paterna essendo più
grande di lui e comunque abbastanza presente nella sua vita ma poi
realizzo che mi faccio semplicemente troppi problemi e che lui ha
ormai sedici anni ed è perfettamente in grado di distinguere la
figura dei suoi genitori da quella di un amico - sempre che così si
possa definire il suo istruttore, taxi e tutore improvvisato.
Che
ci posso fare, di sicuro Xavier non è facile da gestire ma so che
questo sarà probabilmente il primo e ultimo abbraccio che mi darà
di sua spontanea volontà perciò ne approfitto e lo stringo anch'io:
circondo la sua vita con un braccio e con l'altra mano gli accarezzo
i capelli finalmente liberi dal cappuccio e dal cappello, pensando
che sia una scena a dir poco stomachevole ma in fondo carina. Di
certo io non sono una persona che ama troppo le effusioni in generale
- per non parlare di quelle inopportune di Kyle, ma penso che a volte
vadano semplicemente accettate nei momenti che le richiedono.
Kyle
però no, ovviamente. Lui va allontanato con o senza violenza in
qualsiasi circostanza, poi va chiamata la protezione civile e va
allontanato, vivo o morto.
Gli voglio bene, dai.
– E' solo
un modo per ringraziarti. – borbotta improvvisamente Xavier,
parlando contro la mia felpa. – Non farti strane idee.
–
Tranquillo, – Di nuovo, come se fosse d'obbligo, passo la mano tra
i suoi ciuffi rossi. Quando ho già vissuto una scena simile? – Mi
hai appena detto che non capisco un cazzo, che strane idee dovrei
farmi?
– Be', dovresti essere abituato a sentirtelo dire da
Percy. Lo dice praticamente a tutti.
– Percy è un conto, tu
sei un altro.
– Sei bravo a parlare, Anguilla, lo sai? – Nel
dire questo si allontana da me, lasciandomi con uno strano vuoto
addosso ma con un sorriso da parte sua che riesce a schiarire la sua
espressione cupa. – Abbindoli per bene la gente.
– Non è una
mia intenzione, ad ogni modo. – mi difendo, pensando a come Kyle
non si sia mai preoccupato di questo nonostante mi conosca molto
meglio rispetto a Xavier. Per quanto mi riguarda non cerco di
abbindolare proprio nessuno, ciò che dico forse non lo esprimo in
modo chiaro ma dire una cosa per un'altra è stata una cosa che ho
sempre cercato di evitare (tranne quando ho detto ai miei genitori
che Kyle era morto, ovviamente).
– Sarà. – conclude, alzando
le spalle per poi recuperare il cappello sulla panchina. – Tieni.
Grazie.
– Puoi tenertelo, se vuoi. – gli sorrido,
spettinandogli i capelli dopo aver preso il verbale. – A patto che
tu mi prometta che mi dirai sempre tutto, da oggi in poi. Riguardo
ogni cosa.
Lui fa un ghigno divertito, stringe il cappello tra le
mani e lo rimette poi in testa: – Be', magari proprio tutto no.
–
Cosa vorrebbe dire?
– Insomma! – sbotta, dandomi le spalle e
cominciando ad andare verso la porta. – Devo anche dirti quante
volte alla settimana io mi ma...
Gli do una spinta sulla schiena,
tappandomi le orecchie prima di sentire il resto: – No! Non lo
voglio sapere!
Lui mi guarda di sottecchi, alzando le spalle anche
se vedo chiaramente che sta trattenendo una risata: – Mi mantengo
in allenamento, ovviamente. Maniaco.
– So cosa stavi per
dire. – lo riprendo, tirando un sospiro di sollievo per il pericolo
schivato. – Il maniaco sei tu.
– Travisi sempre tutto,
Anguilla. Non stavo dicendo proprio nulla di scandaloso.
– Sei
un tipo interessante, Xavier. Lo sai? – Usciamo finalmente da
questo dannato spogliatoio, ritrovandoci nell'atrio principale dove
non gira ancora una mosca.
– Siamo in due, anche perché... –
si blocca, restano però con un piede a mezz'aria e lo sguardo
puntato all'uscita della piscina.
Ha visto un fantasma?
Cerco
di capire cosa ci sia di tanto speciale e quando realizzo non so se
classificare questa scena come “divertente” o come “ai ripari”.
Una ragazza dalla frangetta bionda se ne sta di fronte a noi con
un plico di fogli in mano e un sorriso che non promette granché
bene. C'è qualcos'altro che deve succedere oggi prima che io vada
del tutto via di testa?
– Himeragi! Xavier! – esclama,
correndoci incontro a braccia aperte come se fossimo una specie di
ancora di salvezza. Come reagirà Xavier? Mi devo preoccupare?
–
Shion. – Incredibilmente, signori e signore, lui sorride e ricambia
il suo abbraccio prima che possa coinvolgere anche me. – E' un po'
che non ci si vede.
E tenta pure di fare conversazione! Non
potrei essere più felice. Sto per piangere.
– Chissà chi è
sparito. – borbotta lei, colpendolo con una frecciatina che provoca
una sua smorfia. Ad ogni modo non si scoraggia e, allontanandosi da
Xavier, si rivolge poi verso di me. – E' bello vedere anche te,
Himeragi.
– Sono passate solo due settimane. – le faccio
presente cercando di non sembrare troppo puntiglioso. – Non
dovresti avere lezione?
Lei scuote la testa, allungandomi il
plico di fogli: – Non sono andata a scuola dato che oggi è la
vigilia delle provinciali e dovevo darti i documenti per la mia
iscrizione prima delle gare. Riesci a firmarli entro oggi?
Certo
che riesco, ma nessuno qui sa che il mio programma era poltrire in
divano ascoltando le cazzate di Kyle e alzandomi solo per mangiare e
per accompagnarlo in aeroporto. Chi mai si dovrebbe preoccupare per
me? Quale assurdo motivo ci sarebbe dietro il mio giorno di riposo?
Pft! L'antica leggenda del giorno di riposo non esiste per Himeragi
Fenwick. Nemmeno quella di un'esistenza tranquilla, comunque. Giusto
per ricordarlo.
– Non c'è problema. – acconsento alla fine.
– Voi due potreste fare due chiacchiere mentre metto a posto tutto
quanto. Penso ci vorrà un po' di tempo dato che devo tornare dal
rettore, quindi prendetevela comoda. – Infine guardo Xavier,
sorridendogli appena. – Ti riporto a casa quando abbiamo finito,
okay?
Lui annuisce, facendo poi cenno a Shion di allontanarsi per
lasciarmi tranquillo. Penso che non ce la caveremo prima di pranzo.
Guardo l'orologio: 13.32
Lo sapevo, oggi è partito
come una brutta giornata e finirà sicuramente come tale. Ha iniziato
a piovere mezz'ora fa, non ho un ombrello e sono ovviamente senza
felpa col cappuccio. Tra l'altro mi sono beccato una buona lavata di
capo da Muller dato il mio comportamento tenuto con Schneider ma c'è
anche da dire che sono riuscito a convincerlo a non dare punizioni a
Xavier che riguardassero la piscina, in modo da concedere anche a lui
l'opportunità di gareggiare e di continuare ad allenarsi. Un'ora fa
poi Kyle mi ha mandato un messaggio dicendomi che si era stancato di
aspettarmi e, approfittando del fatto che gli avessi lasciato le
chiavi della macchina, se n'è tornato a casa dicendomi di prendere
il bus col mio a sua detta “amato” Xavier – con annessa
emoticon col dito medio su Whatsapp.
Torno così nell'atrio della
piscina, trovando solo Shion ad aspettarmi a gambe incrociate sulla
panchina di fronte al bancone deserto. Voglio o non voglio sapere
dov'è andato quell'altro?
Non voglio.
– Shion. – la
chiamo alla fine, porgendole i fogli. – Sarai dei nostri non appena
la tua piscina chiuderà. Benvenuta.
La ragazza sorride
allegramente, stringendo i fogli al petto: – Grazie mille, mi hai
salvato la vita.
– Non la metterei così sul drastico. – la
rassicuro, facendole segno di uscire. – Xavier?
So che ho detto
di non voler sapere dove si trova, ma per motivi pratici mi sa che lo
devo sapere. Tra Kyle che se ne ritorna a casa per chissà quale
infondato motivo e Xavier che pianta in asso la sua ex ragazza direi
che oggi abbiamo avuto un bell'exploit di colpi di testa - più o
meno quelli che mi vorrei dare io con un martello.
– L'ha
chiamato sua madre dicendo che aveva appena parlato col vostro
professore di ginnastica e che doveva tornare a casa subito. –
spiega lei abbassando il tono della voce, facendo una smorfia
dispiaciuta. – Lui non voleva andarsene, ma mi ha detto di dirti
che ti spiegherà tutto ciò che è successo oggi domani alle gare.
Socchiudo gli occhi per un secondo, maledicendo Kyle per
essersene andato via con la macchina. Se avesse avuto solo un minimo
di pazienza avrei potuto accompagnare Xavier a casa sua e spiegare
ciò che era successo ai suoi genitori, non ho idea di come
affronteranno la cosa ma comincio ad essere seriamente preoccupato.
– Lo sai anche tu, eh? – mi domanda Shion mantenendo basso il
tono della voce, aprendo il suo ombrello. – Xavier mi ha detto di
averti parlato della sua famiglia. Dice anche che sei l'unico su cui
può far fiducia e per questo si è esposto, sinceramente non pensavo
che avessi avuto questo genere di impatto su di lui. Pensavo “sì,
Xavier lo sopporta come fa con molte persone” ma mi sbagliavo, c'è
dell'altro.
Annuisco, tenendo l'ombrello di Shion per coprirci
dalla pioggia battente che scende da fin troppo tempo per una
giornata che doveva essere bella e tranquilla: – Non so dirti di
preciso cosa lui pensi di me, ma sono sicuro che non si limiti al “ti
sopporto”.
Shion sorride, restando però in silenzio. Se devo
dire la verità non capisco le persone, a volte penso di riuscirci ma
più vado avanti più mi rendo conto che conoscerle davvero è tutto
un altro paio di maniche da quello che credo di fare ora. Sono legato
ad una prima idea che ho di loro e penso che sia ciò che saranno per
sempre, ma forse dovrei cominciare a vivere con i piedi un po' più a
terra e vivere un po' meglio le persone attorno a me per poter
finalmente dire di capire ciò che sentono e ciò che provano - e sì,
Kyle incluso, così poi non mi ritrovo con lui che cerca di baciarmi
e io che non so come reagire. Meglio prevenire che curare, no?
–
Ad ogni modo, non vedo l'ora di sfidarvi, domani. – ridacchia lei
per sdrammatizzare, dandomi una pacca sulla spalla che mi fa scuotere
l'ombrello e quindi bagnare ancora di più. Bene, grazie Camille. Ora
sì che sto meglio!
– Già. Sarà un amore. – borbotto
asciugandomi il viso con la manica del giubbotto. – Immagino che ci
divertiremo. Ci saranno anche i ragazzi della Nyst con noi, magari li
conoscerai dato che staranno nella nostra piscina per qualche mese
ancora.
– La Nyst? – Improvvisamente i suoi occhi verdi
prendono l'insolita forma di due cuori (sono ancora sotto l'influenza
manga di quella scellerata di mia madre, lo so), mentre con le mani
si aggrappa al mio braccio. – Nessuno me l'aveva detto! Io amo quei
ragazzi!
Ah. Lei li ama.
Buono a sapersi.
– Ah
sì? – Caduta libera dalle nuvole senza paracadute gente, ammirate
la maestria. – Sono bravi, sì.
Avrei un aggettivo per ognuno
di loro - per Adair anche centotré - e me ne esco con “bravi”.
Ma quanto talento ho nel non mostrare che realmente so di cosa si sta
parlando?
Uh, mi sa che Xavier non aveva tutti i torti. Forse
riesco davvero ad abbindolare la gente se voglio.
– Non so
quanto tu te ne possa interessare, ma... – Mi guarda di nuovo con
quegli occhioni a cuore, diventando possibilmente più rossa. – Il
culo di Adair!
– Eh. Il culo di Adair. – ripeto, tossicchiando
per non farle notare il mio disappunto a riguardo. Non ci voglio
nemmeno pensare al suo didietro in questo momento. Quattro anni fa
ero giovane e con gli ormoni a mille, ora se ci penso... Oh Buddha.
– E' fantastico! – continua Shion, imperterrita nel suo
volermi tirare fuori di bocca ciò che le sto tenendo nascosto dalla
prima volta che ci siamo visti. – Insomma, immagino tu l'abbia
guardato nuotare a dorso e quando fa le virate... Gesù! Mi chiedo
chi gliele abbia insegnate, sono perfette e mettono in risalto pure
le sue natiche!
Portatemi via, vi prego. Quanto manca alla
dannatissima fermata dell'autobus?
Sono troppo vecchio per sentir
parlare delle natiche del mio ex ragazzo che tra l'altro sono stato
io ad aiutare ad essere in risalto nelle virate - che all'inizio
riusciva a malapena ad accennare. Mi sa di aver creato un mostro se
una ragazza di sedici anni ne parla in questo modo.
– Eh già,
è proprio bravo! – me ne esco, raggiungendo finalmente la banchina
anche se mi sa che il prossimo autobus sarà tra una decina di
minuti. Ti prego Signore, fa che questa tua sprovveduta figliola non
accenni più al fisico statuario di Kyle Adair.
– Vuoi sapere
una cosa? – Ecco, si prepara al colpo di grazia. Abbassa la voce,
mi guarda con quegli occhietti maledetti e ghigna. – Per me è
bravo a letto, quello lì. Questa è Sparta.
– Lo è.
– confermo, sospirando sapendo di togliermi un peso dallo stomaco.
Ad ogni modo ho fatto talmente tanti coming out che la reazione
di una ragazza non mi spaventa nemmeno così tanto... Alla peggio
farà un manga, no?
– Lo pensi anche tu, vero?
Shion,
capisci meno di me a volte.
– Io, ehm... – Io ci ho provato a
dirglielo. Poi lei non l'ha capito ma io ho fatto del mio meglio. –
… Non è che lo pensi, è che...
– Ammettilo, diventeresti gay
per uno come lui! – Mi dà una pacca sulla spalla, ridendo tra sé
e sé. Sì, è proprio divertente vedere come nessuno mi prenda mai
sul serio: è la condanna del mio nome. – Insomma, tutti pensano
che sia bravo a letto...
– Shion. – la chiamo, fermo nel mio
essere impanicato. Forse non c'è nemmeno bisogno di stare qui a
dirglielo ma voglio evitare equivoci futuri dato che sarà presto una
dei nostri. – Io lo so. Okay? Lo. So.
Il suoi occhi si
fanno sempre più grandi mentre lei allontana le palpebre per lo
stupore, portando lentamente le mani davanti alla bocca spalancata.
Bomba lanciata, reazione tra tre, due, uno...
– Non ci credo. –
mormora, sbattendo velocemente le palpebre. Proprio ora la pioggia
sembra smettere, lasciando spazio al più imbarazzante dei silenzi.
Succede sempre così, nemmeno a farlo apposta. – Ma... L'altra
volta stavi chiamando la tua ragazza...
– Era Kyle, in realtà.
– le spiego, scandendo più che posso le parole per evitare
fraintendimenti strani oltre a quelli che si creeranno sicuramente
data la situazione già abbastanza drasticamente divertente. –
Scusa se non te l'ho detto prima.
– No, non è un problema, è
solo che... Kyle Adair, insomma. Sembra irraggiungibile e tu ce l'hai
a portata di mano.
– Ce l'avevo. – la correggo,
sorridendole appena. – Ci siamo lasciati quando è andato alla Nyst
e ora conviviamo per una serie di sfortunate coincidenze.
La
biondina scuote la testa, indignata: – E le chiami “sfortunate”?
Io pagherei per avere quel ragazzo sotto il mio tetto!
– Non lo
conosci. E' piuttosto terrificante convivere con lui, in realtà. Non
fa mai il bucato, si dimentica sempre di accendere la lavastoviglie,
lascia accesi i termi tutto il giorno e da un momento all'altro ti
dice che se ne deve andare a New York per un trasloco col suo ex... –
Okay, forse mi sono fatto prendere un po' la mano. Troppo
risentimento, Hime. Sei un omuncolo pieno di rancore. – Ma tutto
sommato non l'abbiamo deciso noi, è stata colpa di un idiota che ha
sbagliato a prenotare il numero di stanze al college.
Shion
continua a guardarmi esterrefatta, stringe le mani al bordo del suo
giubbotto e si morde il labbro inferiore, come se fosse imbarazzata:
– Io... Mi dispiace di aver detto quelle cose, prima. Se l'avessi
saputo me le sarei anche risparmiate. Scusami.
Scoppio a ridere,
cos'è improvvisamente quella faccetta così contrita? Le do una
leggera gomitata, scuotendo la testa: – Sta' tranquilla, in ogni
caso non c'è nulla di importante tra me e lui, ora. Solo... – Solo
degli allenamenti oltre l'orario, solo dei comportamenti
tendenzialmente da coppietta da film anni cinquanta che si alternano
a momenti di guerra e solo una richiesta da parte sua di innamorarmi
di nuovo di lui. Solo questo. – …Niente, lascia perdere. Lo
conoscerai.
Il suo bus si ferma davanti alla fermata, lei si alza
ridacchiando e mi fa un cenno con la mano: – Tranquillo, non te lo
ruberò. Ci vediamo domani!
– Kyle? Sono a casa! –
Sbatto la porta dietro di me, constatando che sono le tre passate.
Sì, di sicuro una giornata rilassante e senza problemi.
Kyle
arriva davanti a me senza maglietta e con lo spazzolino tra i denti,
credendo forse che fuori ci siano trenta gradi e che ci troviamo in
California: – Okaeri. E' giusto? Chi se ne frega. Piuttosto,
che cazzo hai fatto fino ad adesso?
– Hai fatto tutto da solo. –
gli faccio presente, buttando alla rinfusa borsa e giubbotto bagnato.
Ormai il tugurio è abituato a tutto, direi che posso metterlo alla
prova anche col fuoco. – Uno, è giusto. Due, ho dovuto prendere il
bus perché una determinata persona non poteva aspettarmi e se l'è
filata con la mia macchina.
– Era ora di pranzo!
– Dimmi
quanto me ne importa! – ribatto, togliendogli dalla bocca lo
spazzolino dato che sta continuando ad imbiancare il pavimento col
dentifricio. E neve fu. – Ho dovuto lasciar andare Xavier a casa da
solo dato che non avevo la macchina.
Kyle sospira, si dirige
verso il bagno per sciacquarsi la bocca e torna di nuovo alla carica:
– Ha sedici anni, direi che può cavarsela da solo!
– Dovevo
parlare con i suoi genitori, lo so anch'io che sa prendere il bus. –
Nel dire questo mi avvicino al frigo, raccattando qualcosa da
mangiare che probabilmente sta lì da due o tre mesi. – Tu non
muori di certo se per un giorno ritardi il pranzo di due ore.
–
Non è questo il punto, Himeragi, è che tu sei ossessionato da quel
ragazzino.
– Ancora questa storia? Pensavo avessi capito da solo
che è un'emerita stronzata.
– Mi dai le prove per pensare di
avere ragione praticamente ogni giorno!
Rivolgo gli occhi al
cielo, non so nemmeno più come gestire tutta quest'assurda
situazione e Kyle non sembra volermi aiutare. Oggi non doveva
succedere niente di tutto ciò che è realmente accaduto, c'è
davvero il bisogno di farmi impazzire ancora di più rispetto alla
norma?
– Pensa quello che vuoi. – concludo, lasciando sul
bancone la scatoletta di tonno mezza aperta (stavo mangiando un mio
simile, mi sento un po' cannibale). – Chiamami quando è ora di
andare via.
Lo lascio lì in cucina con probabilmente ancora una
barca di stupide argomentazioni da esporre, chiudo la porta della mia
camera dietro di me e mi butto a capofitto sul letto, rischiando
ovviamente di sbattere la testa contro la testiera in legno. Se fosse
successo penso che il prete della chiesa di Detroit avrebbe fatto
meglio a scrivere il mio nome nella lista di chi non può
categoricamente entrare più lì dentro, ho molta fantasia quando si
tratta di imprecazioni.
– Himeragi?
Ma no.
Ma perché?
–
Lasciami dormire, Kyle. – borbotto, affondando la testa nel cuscino
prima di sentire il materasso abbassarsi e successivamente il corpo
di Kyle accanto al mio. Ma chi glielo fa fare di essere così
maledettamente inopportuno? Insomma, è come se facesse di tutto per
farmi arrabbiare ma poi non sopportasse il suo errore e venisse ad
implorare per il perdono. E' un controsenso con le gambe questo
ragazzo, credetemi.
– Sono solo preoccupato per te. – mormora
piano, facendomi rabbrividire per la vicinanza. Da quanto non c'era
quest'atmosfera tra di noi?
Ogni sera ci addormentiamo tranquilli
senza particolari imbarazzi, perciò mi chiedo perché ora il suo
corpo mi sembra più caldo del normale e sento il cuore battere quasi
a darmi fastidio. Una volta l'avrei considerato normale ma ora è
solo talmente strano da farmi sentire inadeguato in un modo che non
ricordavo più, quel genere di inadeguatezza che fa male ma che può
essere gestita fino a diventare abituale.
– Non devi. –
concludo, costatando che se mi sposto di un solo altro centimetro
finisco con la faccia a terra e non è il caso. – Ho diciotto anni,
non sono un cucciolo smarrito. Mi accorgo anch'io se c'è qualcosa
che non va in me e ti assicuro che al momento è tutto normale.
–
Già, già... – Ignorando tutte le regole che abbiamo
appassionatamente scritto, il mio aguzzino lascia andare la testa sul
mio petto, respirando talmente forte da permettermi di sentire il suo
battito cardiaco attraverso il collo appoggiato per forza di cose sul
mio bicipite. – A volte mi confondo con qualche anno fa, tutto qui.
Facciamo un riposino?
Ecco, adesso anche come i pensionati. Il
riposino!
Come se non avessi più forze alle tre e dieci del
pomeriggio. Ora, okay tutto, ma ho comunque una dignità e sono
ancora abbastanza giovane per resistere ad una brutta giornata senza
cedere alla tentazione del mio adorato letto con un non altrettanto
adorato ragazzo affianco a me.
– Va bene.
'Fanculo la
dignità.
Ho sonno.
Ricordo molto bene la prima volta
che io e Kyle facemmo l'amore: entrambi con le uniche esperienze
preliminari fatte nell'anno e qualche mese di relazione, senza la più
pallida idea delle leggi della fisica che intercorrevano in uno
rapporto tra due uomini e senza la minima intenzione di arrivare così
lontano partendo da “ieri ho visto un porno ma non mi è successo
niente finché non ho pensato a te, Anguilla”. Il romanticismo,
gente, cosa ne sanno Romeo e Giulietta? Pft! Dilettanti.
In men
che non si dica ci eravamo ritrovati senza vestiti, col fiato corto a
causa della situazione e dei ventisette gradi in casa di Kyle a causa
di un guasto dei condizionatori, col cuore fuori dal petto e con le
mani che per la prima volta potevano dare sfogo a tutto ciò che
avevano pensato di fare. Avevo paura, tremavo come una foglia e so
per certo che anche Kyle si sentiva come me, solo che a differenza
mia riusciva a mascherarlo con egregia maestria.
L'unico problema
di Kyle era il tatto. Lui non l'ha mai avuto, come non ha mai
avuto la discrezione o per lo meno il buonsenso. Se pensate che la
grandiosa prima volta sia imbarazzante, dovevate provarla con Kyle
Adair.
– Che cazzo devo fare, ora?
– Kyle...
– Oh,
ci sono! Devo infilare l'indice e...
– Piano, idiota! Mi fai
male!
– E ora? Wow, certo che è caldo qui dentro.
– Ma la
vuoi piantare? Sei fastidioso.
– Anguilla, stai tremando.
–
Ti giuro che esco da quella porta.
– Sembra che tu sia pronto.
Provo ad entrare.
– Non mi serve la telecronaca, Kyle, puoi
anche evitare di dire ogni cosa che ti passa per la testa.
Penso
che la parte peggiore, dopo il dolore della sua non-proprio-dolce
spinta iniziale, sia stata la descrizione del rapporto nella sua
interezza, senza una sola pausa. Sembrerà assurdo, ma è stata
proprio quella tortura a darmi la prova che anche Kyle era nervoso
quanto me. Pregavo costantemente quel mostro di stare un po' zitto e
di fare sul serio dato che mancava poco che iniziasse ad elencarmi
perfino la lista dei suoi parenti che avevano mangiato il pudding a
Natale, e dopo diverse prove per “dimmi se ti fa più male a pancia
in su o in giù” siamo finalmente riusciti a trovare il nostro
ritmo e a lasciare l'ultima parte senza nessun suono se non i nostri
rispettivi lamenti, finendo tutto quanto senza particolari problemi.
Ovviamente, quelli li sentii io la mattina dopo.
Quando mi
svegliai non ero messo come mi ero addormentato, Kyle non era accanto
a me ma sentivo l'acqua della doccia scrollare e la paura che mi
avesse lasciato solo mi passò immediatamente. In quanto a me ero
rannicchiato in posizione fetale, completamente nudo e coperto solo
dal lenzuolo nelle parti critiche anche se essere senza vestiti era
l'ultimo dei miei problemi considerando il dolore che sentivo
propagarsi in tutto il corpo non appena provavo a cambiare posizione.
Continuavo a stringere i denti per non farmi sentire da Kyle, ma
finivo per trattenere singhiozzi troppo rumorosi che si sarebbero
sentiti anche dai parenti che mangiavano il pudding a Natale, perciò
non mi meravigliai quando lui rientrò in camera e si fiondò su di
me, preoccupato, sedendosi sul bordo del letto dove le mie ginocchia
e le mie mani erano appena sull'orlo. Come ben sapete nessuno di noi
amava le smancerie perciò quel momento costò caro ad entrambi, ma
lui non disse nient'altro per non so quanto tempo e si occupò solo
di accarezzarmi costantemente i capelli lasciando scivolare la mano
di tanto in tanto più in basso, percorrendo il mio fianco e
fermandosi all'anca, tornando poi di nuovo sui capelli. Ora riesco a
capire il déja-vu del mio gesto verso Xavier, questa mattina: l'ho
vissuto io in prima persona con Kyle, non proprio la stessa
situazione ma entrambi in lacrime ed entrambi confortati nella stessa
maniera. E' strano come certe cose che all'epoca succedevano a me ora
sia ciò a far succedere a Xavier come se lui fosse un ragazzo che,
come me anni fa, abbia bisogno di essere guidato e protetto. Inoltre
ricordo che stavo morendo di imbarazzo, Kyle mi stava vedendo in
condizioni pietose, piangente per il dolore e inerme, ma fu grazie al
suo gesto continuativo che riuscii ad addormentarmi di nuovo e a
svegliarmi quindi qualche ora dopo vestito, meno acciaccato e sotto
le coperte. Non gliel'ho mai chiesto ma sono sicuro che non volesse
dimenticarsi il tubetto della pomata antidolorifica sul comodino,
odiava essere visto per i suoi lati teneri e quella confezione era la
prova che oltre ad avermi vestito e messo al caldo - anche se stavamo
già morendo assiderati a causa dei condizionatori guasti - aveva
anche cercato di medicarmi.
– Ti reggi? – mi chiese quando
riaprii gli occhi per la seconda volta, trovandolo nella stessa
posizione in cui l'avevo lasciato anche se dopo capii che non rimase
sempre lì.
– Ehi, ho quasi quindici anni, non sono un bambino.
– borbottai per risanare il mio orgoglio, mettendomi seduto a
fatica. Avevo già concesso al mio aguzzino un'occasione di vedermi
nella peggiore delle condizioni, mi promisi che non l'avrei più
fatto e che dovevo cercare di resistere al dolore per non sembrare
proprio un inetto - anche se era chiaro che fosse così.
Kyle mi
guardò sorpreso, si alzò dal letto e incrociò le braccia: – A
che ora sei nato?
– Eh? – lo fissai stranito, che genere di
domanda era? – Alle... sette di mattina, credo o giù di lì.
Perché?
– Allora hai già quindici anni, Anguilla. – Con un
sorriso Kyle si chinò su di me e mi baciò, mettendomi tra le mani
un pacchetto. – Buon compleanno.
Era il dodici luglio. Due mesi
dopo Kyle sarebbe partito per New York e sarebbe iniziato il mio
calvario, ma nonostante quello il mio quindicesimo compleanno è il
migliore di tutti i diciotto dodici luglio vissuti finora.
Aeroporto: luogo di partenze, di addii, di ritorni e di
emozioni taciute.
Anche luogo di imprecazioni contro i ritardi
degli aerei e contro Himeragi Fenwick che “che cazzo mi pesti i
piedi con la valigia, Anguilla?”.
Detroit-New York, volo delle
diciannove e trenta posticipato di trenta minuti.
– A saperlo
potevamo dormire ancora un po'. – si lamenta per l'ennesima volta
Kyle, facendo avanti e indietro davanti a me. Credo abbia formato un
solco a forza di ripercorrere i suoi passi.
– Abbiamo dormito
due ore e mezza, Kyle. Vuoi fare le ragnatele in quel letto?
–
Sei sempre simpatico nei momenti meno opportuni, Anguilla. –
borbotta dando l'ennesima occhiata al tabellone delle partenze. Ciò
che mi sorprende è che mi sarei aspettato tutta la squadra a
salutare il suo capitano, ma non c'è nemmeno l'ombra degli altri tre
titolari: siamo solo io e lui, il suo volo e l'hangar attorno a noi.
A dirla tutta, non avevo pensato che tornando qui con lui
sarebbero risaliti alla mente tanti di quei ricordi da farmi girare
la testa: perché sì, io c'ero quando Kyle prese il volo di sola
andata per New York. Io ero lì in mezzo ai pochi amici che avevano
voluto salutarlo, seduto in un angolino ad aspettare che se ne
andasse una volta per tutte. Lui sapeva che ero presente, mi aveva
salutato prima dell'arrivo di tutti gli altri e mi aveva pregato di
tornare a casa prima della partenza del suo volo, ma non ce la feci a
lasciarlo andare e rimasi finché non fu lui a lasciare andare me.
Sapendo che sta tornando a New York per rivedere il suo ex ragazzo e
per ultimare il trasloco non mi rende di certo felice, sono arrivato
al punto di pensare che forse forse preferirei che rimanesse a
rendere la mia vita impossibile piuttosto che doverlo vedere tornare
dal suo ex.
– Se continui a fissare quella piastrella non
prenderà vita. – Schiocca le dita davanti al mio viso, facendomi
rinsanire. Stavo veramente fissando la piastrella? Non pensavo di
essere così cliché. – A che pensi?
– Niente di che. –
mento, distogliendo lo sguardo dal suo.
Ci manca solo che gli
dica di stare attento col suo ex e di non fare niente che possa
disturbare la mia psiche, ma dal momento che attualmente non siamo
legati in alcun modo non vedo il motivo per cui dovrei essere io a
mettergli dei paletti.
– Che bugiardo. – ridacchia lui,
dandomi un buffetto sulla nuca. – Dai, sputa il rospo. Hai ancora
venti minuti.
– Niente, ti ho detto. Stavo solo aspettando che
la piastrella prendesse vita e costruisse un impero, tutto qui. Un
grande impero con tutte le piastrelle del mondo, mettendo poi i
mattoni come luogotenenti e le tegole come ministri dell'economia, e
poi...
– Pensavi alla mia partenza.
Annuisco, dovendo
trattenere una risata per la mia immonda stupidità: – In parole
povere sì.
– Mh. Modo originale di esprimerlo. – Kyle mi
guarda di sottecchi, sedendosi poi vicino a me e smettendo - grazie
al cielo - di farmi ansia con il suo avanti-indietro,
avanti-indietro, avanti-indietro... Non ho bisogno di altra ansia,
okay? Io. Non. Ne. Ho. Bisogno. – Quanto è passato? Tre anni?
–
Due e mezzo.
– Due e mezzo! – esclama, battendo le mani sulle
ginocchia stile meeting politico. – Wow, è un bel po' di tempo. Ad
essere sincero anche io mi sento strano ad essere di nuovo qui con
te... Come se stesse accadendo tutto quanto una seconda volta.
–
Fatto sta che non è così, no? – Devo sdrammatizzare o altrimenti
qui finisce in un piagnisteo isterico. – Insomma, stai solo
tornando a mettere a posto i mobili della nuova casa col tuo ex
ragazzo. Sarà uno spasso.
– Hime... – Campanello di allarme:
sono poche le volte in cui mi chiama così e in occasioni del genere
non posso fare a meno che pensare ad una serie di disastrose
conseguenze che il mio soprannome potrebbe causare. Tsunami?
Terremoti? Eruzioni vulcaniche? – Non preoccuparti, okay? Mi
ricordo di ciò che ho detto due settimane fa e le mie idee non sono
cambiate. Landon non interferirà.
Eh, fa presto a parlare.
Insomma, so anche io cosa significhi avere il proprio ex che gira in
mutande per casa e so le cattive intenzioni che potrebbero passare
per la testa in quel dannato momento. A pensarci bene, io e Landon
potremmo diventare amici. Sento del feeling.
– Puoi fare quello che
vuoi, in realtà. Non ti ho detto nulla a riguardo.
– Lo so, ma
ti conosco abbastanza bene e certi tuoi comportamenti riesco ancora a
capirli, mister cerco-di-fingere-che-nulla-sia-un-problema. Ti posso
chiamare anche alla mattina, al pomeriggio e alla sera se ti fa stare
meglio.
– Kyle. – Mi alzo dalla sedia, accucciandomi di fronte
a lui e appoggiando poi i gomiti sulle sue ginocchia. – Non siamo
una stramaledetta di coppia di sposini. Chiaro? Chiamami solo quando
arrivi e quando stai per tornare. E per le emergenze. Stop.
–
Poi ti manco.
– No, tranquillo. Non corri il rischio. – gli
sorrido sornione, ma nel momento in cui lui ricambia la smorfia sento
che sta per affondarmi col colpo di grazia.
– Se è così
allora non sperare che le piastrelle prendano vita, Anguilla.
Avete
presente Battaglia Navale?
Tu posizioni con tutto il tuo amore le
tue barchette nelle posizioni più astruse, incroci tra caselle e
pensi coordinate che non verrebbero mai in mente, ti sudi la vittoria
ma sei sicuro di averla in tasca. Sette turni dopo, l'avversario ha
già affondato ogni tua barca e con esse anche il tuo orgoglio, la
dignità e il senso civico dal momento che vorresti rincorrerlo con
un'accetta da boscaiolo. Arrugginita.
Ecco: Kyle Adair è una
costante partita a Battaglia Navale.
Le mie coordinate più
impensabili vengono subito smascherate e con estrema facilità Kyle
sembra farlo sembrare il suo gioco preferito. Ne va di mezzo anche il
mio temperamento, è colpa sua se sono nervoso giorno e notte.
–
Dovresti andare all'imbarco. – taglio corto, alzandomi per
sgranchirmi le gambe. Non ci sto a farmi prendere in giro
ulteriormente: accompagno l'aguzzino al metal detector e poi taglio
la corda, non ha senso fare i drammatici. Devo solo pensare alle sue
parole di due settimane fa, al fatto che sia ancora in qualche modo
innamorato di me e al fatto che il trasloco con Landon non lo
scalfisca più di tanto. Tra tre giorni ritornerà, no? Non se ne va
per tre anni, di nuovo. Sono solo settantadue ore.
– Divertiti
alle gare di domani. – Mi sorride fermandosi proprio davanti
all'imbarco con il suo borsone a terra. – Tienimi aggiornato sui
risultati.
– Non resta che incrociare le dita. – Mimo il
gesto, stringendomi poi nelle spalle. – Tu divertiti con Landon.
Salutamelo.
– Come no, gli dico che il ragazzo per cui l'ho
lasciato gli manda un caloroso saluto. Molto credibile.
–
Nessuno ti ha obbligato a mollarlo e io sono solo cortese.
– Tu
sei sadico, Himeragi. Non sei cortese. Sa-di-co.
Lo spingo
leggermente, facendogli una smorfia. Okay, sono una persona alquanto
sadica e lo ammetto, ma non lo ammetterò mai di fronte a lui.
Nossignore.
– La tua forza da chiwawa stitico mi stupisce ogni
volta, Anguilla. – Come al solito si ritrova ad affondare una delle
mie navi, smettendo di ridere solo nel momento in cui si avvicina a
me in una maniera che sa perfettamente che io non gradisco in
pubblico.
Levati.
Sciò. Pussa via.
– Ci
vediamo tra tre giorni, va bene? – Afferra delicatamente la
stanghetta destra dei miei occhiali, portandoli sulla testa a tenere
fermi i ciuffi e rendendomi difficile mettere a fuoco il sesso del
tizio al metal detector. O è una tizia...? – Fa' il bravo e non
tradirmi con Xavier.
– Se ti dovessi tradire lo farei con
qualcuno di più vicino a te, giusto per farti rosicare. Tipo Nico.
–
Nico non esce con Iris?
– Nico esce con Iris. Bum!
Triangolo.
– Ma ci sono anch'io dentro.
– Quadrato?
Kyle
sbuffa, portandosi la mano che non regge i miei occhiali alla tempia:
– Certo che ne dici di cazzate.
– Hai cinque minuti, genio.
– Giusto, il tempo passa con te che non fai altro che sparare
stronzate random. Grazie per l'intrattenimento. – Di nuovo, si
avvicina a me e questa volta fa la sua mossa, baciandomi sulla fronte
ora libera dall'ingombro degli occhiali. – E grazie per tutto il
resto. Ci vediamo tra settantadue ore, Anguilla.
Non ci siamo.
Colpito e affondato.
Stupido
Kyle Adair.
#HeyHiHello
Allora, eccoci qui con un nuovo capitolo. Come sempre ringrazio chi ha
aggiunto la storia nelle varie categorie e spero di non deludervi :*
Per concludere vi lascio con uno spoiler dal prossimo capitolo!
– Sei assurdo. – continua, tenendo sostenuto il tono della
voce. – Vuoi che ti stia distante, sei confuso o che cazzo ne so
e poi vieni a dirmi che sei geloso? Gelosia.
– Io non...
Gelosia... Cos'è? L'ho mai provata?
– Himeragi.
– Cosa, adesso?
– Sei geloso?
Capitolo 8 *** Il Giardino delle Mercedes e degli Ex ***
Swimming tale cap.8
SWIMMING TALE
CAPITOLO OTTO
“Il Giardino delle
Mercedes e degli ex”
Avete presente l'entrata
delle Chalie's Angels?
Ecco: colonna sonora, sguardi da
duri, fila indiana, borsoni alla mano sinistra ed effetto domino in
caduta a causa di quell'imbecille di Aydin che chiude la fila.
Così
siamo entrati nel polo natatorio di Warren dove oggi si terranno le
tanto temute provinciali, abbiamo subito fatto una buona impressione
e sono proprio sicuro che le altre dodici scuole saranno terrorizzate
da noi.
Quattro istruttori con i
rispettivi soprannomi scritti sul retro della loro felpa azzurra
dell'Andrew College: Hick, Iris, Percy e Anguilla.
Quattro ragazzi
titolari muniti di tuta col logo ufficiale della scuola e una faccia
che implora di essere portata immediatamente via da qui.
Tre
ospiti dalla New York Swimming Team: un italiano, un norvegese e un
canadese (sembra l'inizio di una barzelletta) vestiti con la strafiga
tuta rossa e nera della Nyst pronti a fare il tifo per noi e a far
strage di cuori.
Benvenuti al circo, signori: dieci dollari gli
adulti, sei i ridotti e i bambini al di sotto di un metro d'altezza
entrano gratis.
– Io sono agitata, ragazzi.
– Io sto per
vomitare...
– Vai in bagno.
– Troppa gente.
– …
Troppo tardi.
– Che schifo.
– Ora vomito anch'io.
Alzo
gli occhi al cielo, girandomi per guardare male Iris, Percy e Hick.
Sì, non erano i ragazzi della squadra a fare casino, ovviamente
dovevano essere gli istruttori. Penso che al termine delle gare potrò
essere considerato l'uomo più felice sulla Terra dato che non dovrò
più sentire commenti sulle fragilità di stomaco altrui e che potrò
considerarmi un istruttore completo: prima gara, prime tensioni,
prime lacrime per gli sperati podi dei miei ragazzi.
–
Ascoltatemi bene, tutti voi. – mi giro di scatto prima di entrare
nel locale piscina, guardando negli occhi uno ad uno. – Stiamo
calmi. Capisco che siate agitati... Voi istruttori in particolare...
Ma vedrete che andrà tutto bene, ci siamo preparati al massimo delle
nostre capacità e gare come queste non sono impossibili. Allora, chi
siamo noi!?
Tutti alzano il pugno in aria, gridando in coro: –
Wildcats!
– Va bene piccoli fan di High School Musical,
andatevene tutti a quel paese. – Faccio un gesto non proprio
educato col braccio anche se devo ammettere che mi sto trattenendo
dal ridere, entrando in quello che sarà il nostro campo di
battaglia. Sebbene siano solo le nove e le gare inizino tra un'ora ci
sono già vari ragazzi in acqua per il riscaldamento diretto in
corsia, per quanto ci riguarda immagino che faremo un po' di
stretching a terra e qualche vasca per prendere le misure, ricordo
che quando dovevo gareggiare mi veniva male solo a vedere l'acqua
perciò non sforzerò i miei ragazzi ad entrare prima del tempo se
questo potrebbe causare loro problemi.
Iris, fastidiosamente
affiancata da Nico, sventola un foglio davanti a noi non appena
troviamo lo spazio di tribuna preservato per l'Andrew College: –
C'è una piccola palestra annessa alla piscina, lì chi vuole può
andare a riscaldarsi. Del resto a destra ci sono gli spogliatoi
maschili e a sinistra quelli femminili, noi istruttori verremo con
voi per assicurarci che sia tutto in ordine e che non vi dopiate.
–
Doping? – Marley alza la mano, ridacchiando. – Non per dire, ma
prendo il caffè con i nickel e avrei i soldi per gli steroidi?
–
Tanto per essere sicuri. – si difende Iris con un sorriso convinto,
alzando le mani all'aria in segno di resa. – E poi basterebbero
anche le anfetamine e il gioco è fatto!
Sospiro, questa gara sta
facendo male a tutti. Appoggio la mano sulla spalla della bionda e,
ricevendo uno sguardo carico d'odio dall'italiano ma ignorandolo
bellamente, mi avvicino a lei con un sorrisetto simile a quelli di
Kyle: – Così non insegni loro i valori dello sport, Iris.
–
Lo sanno da soli cosa succede. – mi liquida lei con un gesto della
mano. – Non preoccuparti Hime, stavo solo scherzando.
Di solito
i “non preoccuparti” sono considerate le ultime parole famose,
quindi mi sono sempre riguardato bene dal farle uscire dalla mia
bocca. E' vero, non devo preoccuparmi e lo so, ma in situazioni come
queste diventa difficile perfino restare calmo e con i nervi saldi
considerando che ieri è successo il finimondo tra Xavier in
presidenza e la partenza di Kyle.
– Anguilla. – La voce di
Xavier mi risveglia dallo stato di trance, riportandomi alla realtà.
– Mi aiuti con lo stretching?
Annuisco, facendo un cenno a Percy
per avvisarla e seguendo poi Xavier nella palestra senza dire nulla,
passando in mezzo a nuotatori in crisi, nuotatori troppo gasati e
nuotatori con stupidi occhialini rosa.
E sì che avrà vent'anni,
quello lì. Deve riguardarsi.
– Con cosa inizio?
– Corsa
sul posto, sciogliti un po' e poi passa a riscaldare i muscoli delle
gambe.
– Agli ordini. – Il rosso, anche se con diversi sbuffi
nel frattempo, inizia a correre sbattendo leggermente i piedi a terra
e guardandosi attentamente intorno. La palestra pullula di ragazzi
che tentano il quadro svedese e le travi ma forse si sono dimenticati
che è una competizione di nuoto e non di ginnastica artistica -
anche se io sarei esperto dopo tutti i voli che faccio quando non
vedo ostacoli improvvisi, perciò spero che questo permetta a Xavier
di rilassarsi. So che non mi farà mai vedere la sua agitazione ma è
quasi impossibile che sia del tutto calmo dal momento che è la sua
prima gara, quindi spero con tutto me stesso che riesca a gestirla da
solo e che non cominci a dare problemi una volta sui blocchi di
partenza.
– Piuttosto, Anguilla, riguardo a ieri... – Io
penso sinceramente che questo ragazzo dovrebbe stare nella squadra di
atletica. Potrebbe correre per ore e riuscire ad esporre il pensiero
filosofico di Platone nel frattempo... Certo, se solo studiasse. –
… Scusami se me ne sono andato così all'improvviso. Mi ha chiamato
mia madre e mi ha ordinato di tornare a casa in quell'istante.
–
Non preoccuparti. – Devo smetterla di dire queste due parole
maledette. – Shion mi ha detto tutto. E' andato tutto okay, alla
fine?
– “Okay”. – ripete lui con un sorriso amaro,
smettendo di correre. – Sì, possiamo dire che è andato tutto
okay. Sono vivo.
– Ci mancherebbe, idiota. – lo
rimprovero, dandogli un leggero schiaffo sulla nuca. – Mi dispiace
di non averti potuto accompagnare, avrei potuto parlare con i tuoi
genitori e spiegare loro che... Che, be'...
Xavier si siede a
terra, unisce le gambe e piano abbassa la schiena, andando a toccare
le punte dei piedi mentre sento la sua risata: – Non sai nemmeno tu
come difendermi e volevi parlare con quei due imbecilli? Lascia
perdere. Probabilmente me la vedrei meglio io.
– Sicuro, ma ci
voglio provare. Sono comunque il tuo istruttore e almeno una volta
dovrò incontrarli.
– Meglio di no.
– Non m'importa.
–
Non voglio che tu veda neanche la minima somiglianza tra me e quelli
lì dato che...
– Finiscila. – lo interrompo, inginocchiandomi
davanti a lui per poterlo guardare negli occhi. Mi raccomando c'è da
considerare che siamo in una palestra piena di gente prima di una
gara e che stiamo parlando con una tonalità di voce che rasenta i
cinque decibel. Solite tipiche scenette sentimentali. – Tu non sei
i tuoi genitori, d'accordo? Tu sei diverso.
– Ma come puoi
dirl... ahia. Ho tirato troppo.
– Sta' attento o ti strapperai
qualcosa. – Appoggio le mani aperte sulle sue scapole, abbassando
la sua schiena della giusta altezza. Coach Himeragi al rapporto. –
Comunque, lo so e basta. Non rompere.
– Sei tu che stai
rompendo, in realtà... E mi stai distruggendo pure la colonna
vertebrale, se lo vuoi sapere.
– Tu hai distrutto il mio giorno
libero, ieri. Questo è il karma.
– La leggera differenza tra il
karma e Himeragi che prova a piegarmi in due come la consideri?
Gli
do un'ultima spinta per scherzo, aiutandolo a mettersi in piedi
subito dopo: – La considero come il karma che si è impersonificato
in Himeragi che vuole piegarti in due. Due al prezzo di uno!
Xavier
mi stampa piano la sua mano sul viso, schioccando la lingua: – Hai
un futuro da presentatore pubblicitario.
– E tu da carcerato se
ti fai chiamare ancora una volta in presidenza. – lo prendo in
giro, spettinandogli i capelli leggermente umidi per lo sforzo. Lui
sorride, furbo come al solito, lasciandosi scappare una smorfia.
–
Hai mai voluto farla pagare a qualcuno? – mi chiede
improvvisamente, iniziando a fare una serie di circonduzioni per
scaldare le spalle.
Fa molto mafia questa domanda. Devo
aspettarmi qualche strana sorpresa? Il Padrino 2.0
–
Diciamo di sì. – rispondo, pensando a chi mai io abbia promesso
una vendetta... Peccato che ci sia solo un nome all'appello. – Però
poi ha finito per diventare il mio ragazzo quindi non credo di avere
la risposta adatta. Ad ogni modo so che è normale provare
risentimento verso qualcuno che ti ha fatto un torto, ma ricordati
che il rancore non porta altro che guai.
– Già, se permetti
l'ho constatato da solo, ieri. Ma se lo meritava, quello lì.
Annuisco distrattamente, so
che dovrei rimproverarlo già a partire da questo punto, ma non ce la
faccio esattamente come ieri ho finito per essere io a scusarmi. Ho
sempre avuto una volontà ferrea, vero?
– Chi era? – chiedo
alla fine, tralasciando la parte da coach-mamma-chioccia buona buona
nel suo nido, mettendomi per un istante nei panni di un sedicenne
della portata di Xavier.
– Il capitano della squadra di
atletica, Ray.
– E dato che non era la prima volta che vi
scontravate posso sapere cos'hai contro di lui? Spero per te che non
sia semplice antipatia.
Mi becco un'occhiataccia da Xavier che,
rallentando il movimento delle braccia, per poco non mi fa lo scalpo.
Fidatevi, sarei ancora più orrendo se fossi calvo.
– Se fosse
antipatia, – inizia con una smorfia seccata. – Mi bacerei i
gomiti, Anguilla, ma il caso vuole che quello lì sia una sottospecie
di fidanzato di Sapphire e che ad ogni sacrosanta lezione di
ginnastica non faccia altro che toccarle il didietro e prenderla in
giro davanti ai nostri compagni. Ho cercato di fargli capire con le
buone di tenere le mani a posto rispetto mia compagna con me in giro,
ma quell'idiota non l'ha capito e siamo passati alle mani. Tutto
qui.
L'espressione con cui lo dice è indifferente, come se non si
trattasse di qualcosa di eccezionale, ma per me è una sorpresa. Si è
cacciato più volte nei guai per Sapphire? A pensarci bene, durante
gli allenamenti vanno parecchio d'accordo ma non pensavo che lui si
sarebbe macchiato le mani solo per difenderla.
– Quindi anche
lei sapeva dei tuoi guai. – concludo, non lasciando trasparire
l'orgoglio che, anche se non dovrebbe crescere, si sta manifestando
dentro di me per Xavier. – Non ci avevo nemmeno pensato, ma essendo
compagni di classe era ovvio che ne sapesse qualcosa.
– Le ho
chiesto io di non dirtelo.
– Tu hai la stoffa per diventare un
capo di mafia, Xavier.
– Oh, grazie, – Il rosso mi guarda
male. – E' proprio quello che volevo sentirmi dire prima di una
gara di nuoto.
Gli pizzico giocosamente la guancia, vedendolo
arrossire e fare le sue solite smorfie da
toglie-le-tue-zampacce-da-me. Mi devo arrendere, non riuscirò mai a
capirlo fino in fondo e non riuscirò nemmeno a prevedere le sue
mosse, semplicemente devo lasciar andare il corso delle cose così
com'è, senza sperare di riuscire a trovargli uno schema logico.
–
Comunque sono fiero di te, Xavier.
– Non bisognerebbe lodare per
i guai.
– Ma quali guai? – Gli spettino i capelli rossi che
tanto adoro prima di uscire dalla palestra, riservandogli un ultimo
sorriso. – Stai crescendo davvero in fretta.
– ...solo tu
che mi...
– Hai detto qualcosa?
Xavier mi fissa con gli
occhi azzurri spalancati, colpevoli, uscendosene però con un
sorriso: – Niente di che. Andiamo dagli altri, la gara di Tammie
sta per iniziare.
Consideriamo il fatto che la gara di
Tammie non era in programma.
Secondo la scaletta lei doveva solo
prendere parte alla staffetta ma dato che non voleva fare meno dei
suoi compagni ha insistito per essere iscritta anche ai cento metri a
delfino e, grazie a ciò, anche Xavier ha realizzato che fare due
gare individuali più la staffetta sarebbe stato troppo e si è
ritirato dalla più impegnativa.
Ovviamente però al suono della
campanella per l'inizio delle competizioni Hick è dovuto correre in
bagno per vomitare per la seconda volta, Percy si è sentita male ed
è dovuta uscire e Iris, tecnicamente supervisore di Tammie in quanto
specializzata nello stile a farfalla, è andata da Bettina insieme a
Nico quasi dieci minuti fa per accertarsi sugli orari delle altre
gare e non è più tornata, quindi io sono da solo come un cane con
Tammie più calma di me che cerca di tranquillizzarmi a due minuti
dalla partenza della sua batteria.
Sì, va tutto a meraviglia.
–
Rilassati Anguilla, vedrai che andrà bene.
– Il bello è che tu
lo stai dicendo a me ma sul blocco non salirò io. Faccio pena come
istruttore. Sono un buono a nulla. Non so nemmeno fare la
pastasciutta senza bruciare il sugo. Ogni volta che pulisco rompo
qualcosa. Perché sono nato?
– Hime. – mi chiama lei con un
sorriso divertito, pizzicandomi appena la guancia. – Sei sempre
drammatico. E' normale che tu sia agitato e non è vero che fai pena
come istruttore, stai tranquillo. Sono contenta che sia tu ad
insegnarci a nuotare.
Okay Hime, non piangere. Inspira ed espira.
Sei un uomo, non puoi commuoverti.
– Grazie. – rispondo
infine per non lasciar trapelare tutta l'emozione di cui si
caricherebbe la mia voce se continuassi a parlare. – Buona fortuna,
Tammie.
La castana sorride battendomi il cinque per poi andare ai
blocchi e salire sul numero due, mettendosi in posizione di partenza
insieme agli altri partecipanti. Solo dopo qualche secondo di
ispezione generale mi accorgo che accanto a lei, con costume nero e
occhialini fucsia, anche Shion è in posizione, incredibilmente
rilassata e a suo agio. Mi ero quasi dimenticato della sua presenza a
queste gare, ma in effetti lei fa parte della squadra locale e sta
nuotando nella sua solita vasca. Ricordo quando eravamo io e Kyle ad
essere lì su e a come io fossi terrorizzato e lui completamente
rilassato, senza la minima preoccupazione... Una volta era talmente
poco preoccupato che per allungare il braccio verso di me ha perso
l'equilibrio ed è caduto come un pero in acqua, venendo poi
squalificato per falsa partenza. Lascio alla vostra immaginazione
successive imprecazioni.
– Prima gara da istruttore, eh?
Mi
giro di scatto, trovandomi davanti uno spilungone con... Gli
occhialini rosa. Ah. Era lui quell'idiota di prima.
Buono a
sapersi.
– Già. – rispondo, facendogli un sorriso di
cortesia. – Anche per te?
Occhialini-rosa nega, incrociando le
braccia al petto e indicando Shion: – Seguo la ragazza sulla terza
corsia da quando ha iniziato a gareggiare.
– Shion? – chiedo
conferma, vedendolo fare poi una faccia sorpresa. Ha-ha, paura, eh?
– Come fai a conoscerla...?
– E' un'amica di uno dei miei
allievi, verrà da noi quando questa piscina chiuderà.
– Non
dirmi che... – Il tipo bizzarro mi circumnaviga, leggendo il mio
soprannome sul retro della felpa e prendendomi poi pericolosamente
per le spalle. – Tu sei Hiregami!
– Himeragi.
– Proprio
lui! – Lo spilungone dotato di capelli castani troppo lunghi e per
questo legati in una coda, occhi verdi e occhialini fucsia all'ultimo
grido sembra illuminarsi mentre mi stringe la mano troppo
vigorosamente. Deve darsi una calmata. – Shion mi ha parlato di te.
Sono Ciel Gauthier, il suo allenatore.
Bene, aggiungiamo un mezzo
francese al catalogo di nuotatori multietnici. Manca solo un tedesco
e si parte sul serio con le barzellette.
– Himeragi Fenwick. –
mi presento anche se mi conosce già, cercando di non sembrare troppo
arrugginito con le nuove conoscenze.
– E' un piacere conoscere
la persona a cui lascerò la mia eredità. Trattamela bene,
okay?
Quando mai ho firmato un testamento?
– Puoi venire a
trovarla quando vuoi. – gli faccio presente con un po' di
inquietudine nel tono della voce per la minaccia implicita appena
ricevuta. – Anche tu sarai senza piscina dopo che chiuderanno
questa?
– Già, non è facile trovare scuole di nuoto che
prendano un ventenne come istruttore.
– Noi siamo tutti
diciottenni, se ti può far star meglio. Potresti provare a chiedere
per un lavoro part-time.
Potrei seriamente aprire un'agenzia di
impieghi: mi sembra di essere il Messia con tutti questi inviti a
destra e a manca, se continuo così in un anno potremmo non starci
nemmeno più se raccatto due o tre persone al mese.
Santo
Himeragi, dacci un posto dove nuotare!
– Potrei pensarci su dato
che anche Shion sarà lì e mi dispiacerebbe perderla come allieva. –
constata Ciel tenendola d'occhio sul blocco di partenza. – Grazie
mille.
Annuisco, concentrandomi poi su Tammie che al fischio dello
starter si mette in posizione, stringendo forte le dita sotto il
bordo del blocco.
Qualche secondo di silenzio e poi lo sparo a
vuoto, segno dell'inizio della competizione e segno di “istruttori
spostatevi dal bordo vasca o verrete inzuppati da testa a piedi”.
L'angolo d'entrata di Tammie è buono, i piedi sono pari e la sua
partenza subacquea arriva quasi a dieci metri, permettendole di
prendere subito vantaggio. Shion le tiene testa ma purtroppo la
supera in fase di risalita, iniziando a muovere le braccia con la
stessa forza che le ha permesso di battermi quando ci siamo scontrati
la prima volta, il che mi fa pensare che sarà proprio un buon
acquisto per la nostra piccola squadra.
Anche se con uno o due
secondi di differenza da Shion, anche Tammie picchia la mano contro
la parete opposta e riparte, raggiungendo quasi la seconda posizione
con la sola spinta della ripartenza, dando poi il tutto per tutto
negli ultimi dieci metri, riuscendo a toccare la parete e a piazzarsi
terza.
Sto per piangere.
– Tammie! – grido come una
donnetta esagitata, correndo verso la sua corsia per aiutarla ad
uscire.
– Com'è andata? – mi domanda affannata, respirando
piuttosto velocemente.
Allungo la mano verso di lei, tirandola su
e abbracciandola subito dopo: – Terza! – la informo poi, non
curandomi nemmeno del fatto che lei sia giustamente bagnata e che io
non abbia vestiti di ricambio, ma poco importa: è la prima gara dei
miei pesciolini, penso che sarò sull'orlo delle lacrime con tutti
quanti.
Anche Tammie mi stringe: – Grazie, Anguilla.
– E'
ancora presto per ringraziarmi. – Mi allontano per pizzicarle la
guancia. – Hai ancora la staffetta.
– Ci penseremo oggi
pomeriggio. – sorride lei, andando verso gli spogliatoi per farsi
la prima doccia della giornata. Non resta che sperare che vada bene
anche per gli altri.
Non pensavo che, dieci minuti fa,
quando Dominik mi ha detto di andare da lui per salutare Kyle, mi
sarei ritrovato faccia a faccia con Landon.
Be'... Non proprio
faccia a faccia. Diciamo più faccia a schermo.
Stava per iniziare
la gara di Marley, io stavo facendo due chiacchiere col mio nuovo
eccentrico amico dagli occhialini fucsia Ciel e tutto sembrava nella
norma quando Percy mi ha dato il cambio e mi ha detto di andare da
Dominik, Nico e Quentin dato che avevano Kyle in collegamento Skype.
Certo, Kyle e Landon, ovviamente.
Così li ho raggiunti
all'esterno della piscina data la confusione che c'era all'interno e,
sullo schermo dell'Ipad di Nico, ho visto Landon che chiacchierava
allegramente con i tre della Nyst.
Ora, se devo essere sincero mi
immaginavo questo fantomatico Landon come un omone palestrato pieno
di tatuaggi, i capelli leccati all'indietro e una casacca militare
addosso (con tatto di riconoscimenti e targhetta d'acciaio)...
Insomma, è stato Kyle a dirmi che qualche anno fa fu lui a metterlo
in riga, come potevo non pensare che si trattasse di uno dall'aspetto
intimidatorio? Ci vogliono le carte in regola per tenere a bada Kyle
Adair e ancora di più per riuscirlo addirittura a rendere docile,
perciò non mi aspettavo di vedere un semplice ragazzo di ventitré
anni con i capelli scuri tenuti normalmente all'insù, gli occhi
azzurri simpatici, lentiggini, una camicia a quadri e un sorriso
quasi tenero.
E volete sapere lo scherzo più assurdo del
destino?
Prima di rendermi conto che si trattasse di lui sono
riuscito a leggere il suo nome utente di Skype e ho scoperto che si
chiama Landon Fenneck. Fenneck, okay?
L'ex ragazzo del
mio ex ragazzo ha lo stesso cognome che ho io sul mio campanello
erroneamente stampato. Capite perché poi penso che il mondo ce
l'abbia con me?
E tra l'altro è bastato che io entrassi
nell'inquadratura della fotocamera perché la sua espressione, prima
sorridente e tranquilla, cambiasse drasticamente e diventasse un
misto di sorpresa e confusione.
– Landon – lo chiama
immediatamente Quentin prima che le cose possano farsi pericolose. –
Lui è Himeragi.
– Qualcosa mi dice che ci sarei arrivato da
solo. – ribatte il ragazzo nello schermo, prendendosi qualche
secondo per osservarmi bene. – Allora piacere, io sono Landon.
Sento improvvisamente la gola secca, il mio cuore batte e lo
stomaco borbotta. Sono davvero agitato?
Quello che si dice un
coraggio da leoni, insomma.
– Salve. – rispondo dopo
un'attenta analisi, vedendo però Landon ridere appena.
– Salve?
– ripete, divertito. – Cos'è, un colloquio di lavoro? Dimmi
almeno “ciao”, Himeragi.
– Allora ciao. – borbotto,
abbassando gli occhi mentre Nico, Quentin e Dominik si trattengono
dal ridere. Questi bastardi mi hanno chiamato qui con l'inganno e si
permettono pure di prendermi in giro? Senza pietà.
– Non ti
mangio mica. – mi fa presente con un sorrisetto che però non ha
niente di malizioso come mi sarei aspettato. – Anche perché
sarebbe un po' difficile da qui, non trovi?
Annuisco, sentendomi
avvampare: – Scusami, è lo stordimento da piscina. – mi
giustifico sperando di non risultare un completo idiota anche se
credo di sembrare anche peggio.
– Ti capisco, – sorride lui,
portandosi la mano al collo. – Quelle poche volte che ci sono stato
poi venivo fuori e ci sentivo doppio.
La cosa simpatica è che
nonostante l'imbarazzo totale lui cerchi comunque di fare
conversazione e la fa pure sembrare la cosa più normale al mondo
mentre io sotto sotto vorrei scappare a gambe levate - come al solito
vorrei dire.
Il fatto è che pensare che il ragazzo che ho di
fronte abbia abbracciato, baciato e toccato Kyle nello stesso modo in
cui ho fatto io mi fa andare fuori di testa, come se quasi non
riuscissi a digerirlo e a peggiorare il tutto c'è ovviamente il
fatto che si trovino a casa da soli e che, una volta che i ragazzi
della Nyst saranno tornati a New York, vivranno insieme come una
stramaledetta coppia di novelli sposi. Pensate che io approvi l'idea
del mio ex ragazzo come un novello sposino con un altro tizio che non
fa altro che sorridermi come se in realtà non avesse premeditato un
attentato contro di me? Be', no.
Ovviamente.
– Non sei
venuto per salutare me, mi pare di capire. – ridacchia
improvvisamente Landon, allontanandosi dalla sua webcam. – Vado a
chiamarti Kyle.
– No, ehm... E' solo che...
– Tranquillo,
Himeragi. – Alza le mani all'aria con un sorriso innocente. –
Nessun rancore, al momento.
Sorrido, vedendolo
allontanarsi.
Aspetta... Cosa significa “al momento”?
Nella
mia disperazione mi perdo a guardare lo spazio di appartamento che
rientra nel raggio di visuale della telecamera, trovandolo
estremamente caloroso. Riesco a vedere metà di un quadro, metà
divano arancione, i muri del salotto dipinti di rosa salmone e
l'entrata del corridoio decorata dalle medaglie di Kyle affisse in
una bacheca attaccata di fianco. Perché quell'ambiente mi fa sentire
così male nella sua intimità?
– Vi lasciamo parlare. – Nico
mi dà una pacca sulla spalla, alzandosi insieme a Dominik e Quentin.
– Tieni le mani a posto con l'Ipad.
– E tu tienile a posto
con Iris. – ricambio con un cenno, tornando poi sullo schermo dove
Kyle, appena uscito da una porta che non riesco a vedere, scambia due
parole veloci con Landon e mentre quest'ultimo se ne va, lui si
avvicina alla telecamera probabilmente appoggiata su un mobile.
–
Anguilla! – mi saluta con un sorriso, tirando all'indietro i
capelli in disordine. – Sembra già passata un'eternità
dall'ultima volta che ti ho visto.
– Ieri sera. – gli faccio
presente, sbuffando. – E ci siamo anche sentiti per telefono questa
mattina alle sette e diciotto. E mi hai scritto per augurarmi buona
fortuna. E mi hai mandato un messaggio vocale dicendo che sei stanco
di lavorare.
– Wow, che ragazzo acuto. – mi prende in giro con
una smorfia allegra, sorridendo come se fosse davvero tanto
felice di vedermi. Insomma, non può raggiungere un tale livello di
felicità solo vedendo il mio viso attraverso un insieme di pixel,
no? – Come stanno andando le gare?
– Tammie si è piazzata
terza e Marley sta gareggiando adesso, del resto le altre e la
staffetta sono nel pomeriggio. Sembra andare tutto bene.
–
Tranne il fatto che tu sia triste per la mia assenza.
– Ah già,
mi ero proprio scordato di riferirtelo. Grazie per il promemoria.
Kyle sfodera un sorrisetto a metà tra l'ironico e “fai ancora
una battuta così e ti spezzo il collo”, appoggiando il gomito al
manico della scopa accanto a lui: – Tu mi manchi. Io non ho paura a
dirlo.
Sgrano gli occhi: ha davvero detto così senza il minimo
riguardo quando il suo ex ragazzo e nuovo coinquilino è praticamente
nella stanza accanto? Ma non ha un po' di amor proprio questo povero
sconsiderato?
– Non preoccuparti per Landon. – mi anticipa con
estrema tranquillità, sorridendo serenamente. – Abbiamo già messo
in chiaro le cose. Sa tutto ciò che ti ho detto.
– Se lo tenevi
per te non succedeva niente comunque. – borbotto, abbassando gli
occhi per l'imbarazzo nonostante davanti abbia solo uno schermo che
mostra la sua faccia.
– Ehi, lui è d'accordo con tutto ciò.
Ha capito che è inutile continuare a fare gli estranei se dobbiamo
convivere, basterà trattarci come semplici amici.
– Come... –
deglutisco, sto veramente per dirlo? – … Come stai trattando
me?
Mayday, mayday: Himeragi l'ha detto! Ripeto: Himeragi l'ha
detto!
– Ma ti ascolti quando parli? – mi chiede con una
risata, scuotendo energicamente la testa. – Secondo me tu sei
convinto che io faccia tutto quanto a caso, perché mi va. Non sei
cresciuto solo tu, Anguilla.
– Non volevo dire questo... – mi
giustifico, sperando di non iniziare ad arrampicarmi sugli specchi. –
E' solo che so com'è vivere nella stessa casa col proprio ex ragazzo
e magari non è facile trattarlo solo come un amico.
Kyle
sospira, si sistema per la tredicesima volta i capelli color pece e
alla fine si fa serio: – Sai qual è il tuo problema?
– Penso
che mi faresti un favore se me lo dicessi. Ne ho tanti.
– Quello
è sicuro. – borbotta, affondandomi con l'ennesima frecciatina. –
Hai detto che avresti provato a fidarti di me, te l'ho chiesto quasi
in ginocchio e mi hai detto di sì. Io non ti sto dando motivo per
rimangiarti la promessa, ma te ne stai dando da solo. Mi dà
fastidio.
– Non mi sto rimangiando un bel niente. – sbotto,
sentendomi quasi ferito da questa sua visione delle cose. – E' solo
che non è facile gestire tutta questa situazione, tu sei a New York
con lui e...
Kyle lascia cadere la scopa, prendendo il telefono di
Landon e camminando velocemente fino all'esterno dell'appartamento,
chiudendo la porta con un tonfo e appoggiando la schiena ad essa: –
Ma che diavolo hai che non va?
Ecco, cosa diavolo ho che non va?
Sembra che qua il passatempo preferito delle persone sia dirmi
cosa c'è che non va in me e farmi notare quanto insulsa sia la mia
esistenza. Grazie ragazzi, di cuore, ma non ho bisogno anche del
vostro aiuto per rendermene conto.
– Sei assurdo. – continua,
tenendo sostenuto il tono della voce. – Vuoi che ti stia distante,
sei confuso o che cazzo ne so e poi vieni a dirmi che sei geloso?
Gelosia.
– Io non...
Gelosia... Cos'è? L'ho mai
provata?
– Himeragi.
– Cosa, adesso?
– Sei geloso?
Mi
mordo il labbro, sono arrabbiato con me stesso ora. Dovrei avere la
testa sulle gare e vivere questa videochiamata serenamente, senza
particolari problemi, ma come al solito mi faccio prendere dal panico
e mi metto nelle brutte situazioni con le mie stesse mani. Se sono
geloso non lo so nemmeno io, non lo sono mai stato quando stavamo
insieme e non vedo perché dovrei esserlo adesso quando non c'è un
bel niente a tenerci legati.
Sempre lì, sempre gli stessi errori:
cercare di capire le mosse degli altri ma non pensare mai alle mie.
– Mi dispiace. – concludo, sentendomi piccolo di fronte alla
sua espressione in attesa di una mia risposta. – Scusami.
Kyle
sbuffa, guardandomi negli occhi anche se attraverso uno schermo: –
Sei incredibile. Come puoi essere geloso dopo tutto ciò che ti ho
detto?
– Che ne so?
Sorride appena, tornando finalmente a
parlare normalmente: – Sistemati gli occhiali. Ti stanno
cadendo.
Appoggio l'anulare e il medio sul ponte della montatura,
tirandolo su in un gesto che ormai faccio senza rendermene conto: –
Grazie.
– Devo tornare a lavorare, Anguilla. E' stato bello
litigare con te.
– Sappiamo fare solo questo.
– In realtà
saprei fare anche dell'altro, poi sei tu che non ne vuoi sapere... –
ammette con un sorrisetto, facendomi improvvisamente ricordare che
sto parlando con Kyle Adair e non con un ragazzo maturo in grado di
sostenere una conversazione seria per più di tre minuti e
diciassette secondi. – ...Magari ci rifacciamo quando torno?
Scuoto
la testa, guardandolo male: – Se ti comporti bene, forse posso
pensarci.
I suoi occhi sembrano illuminarsi mentre la sua bocca si
apre in un sorriso estasiato. E' davvero così imbecille da crederci?
Fa addirittura finta di asciugarsi le lacrime, abbassando il tono
della voce: – Stai scherzando?
– Esattamente. Buon lavoro,
pervertito.
Premo il tasto di fine chiamata con la sua risata in
sottofondo, alzandomi finalmente dallo scalino su cui sono seduto da
troppo tempo.
Il problema di base è che io non so cosa voglia
dire essere gelosi.
Durante la nostra relazione Kyle non mi diede
mai motivo di essere geloso, sapevo che era intrattabile e il fatto
di essere l'unico a cui aveva mostrato il vero se stesso era una
garanzia di fedeltà, sapevo che non l'avrebbe fatto con nessun altro
dato che ci aveva impiegato mesi per riuscirci con me. Per quanto mi
costi ammetterlo però, ora le carte in tavola sono cambiate: non è
più il quindicenne seguito dall'ombra di mistero che tutti temevano,
ora è un diciottenne amato e acclamato, conosciuto da una marea di
gente e decisamente troppo affabile.
La cosa che mi
preoccupa è che lui ha affrontato un percorso senza di me che l'ha
portato al successo, a un significativo cambiamento e a un livello di
sentimenti più intenso.
Senza di lui, io, cos'ho
combinato?
Allora, tanto per cominciare ho detto che era morto.
Poi ho creduto di poter essere etero e ho stravolto il mio
orientamento sessuale con una mia compagna di squadra; sono andato a
vivere da solo nel tugurio con Spruffio il gatto come vicino, ho a
che fare con allievi lunatici e ambigui e, ultimo ma non meno
importante, sembra che il mio modo di amare non abbia subito il
minimo cambiamento.
Pretendo questi tre anni indietro per
riviverli secondo una maniera più decente, grazie.
Marley
è riuscita ad arrivare quarta, Sapphire chiude la gara di stile
libero sul podio al primo posto.
Himeragi passione telecronista.
– E insomma prima stavi parlando col tuo ragazzo.
–
Pressapoco. Ex.
– Ex. – Ciel mi guarda
con un'espressione dispiaciuta, picchiando poi la sua mano sulla mia
schiena non proprio delicatamente. – Brutta cosa gli ex, amico.
Perché il mio nuovo francese amico dagli occhialini fucsia mi
sta parlando di tutto ciò?, vi starete chiedendo.
Era dietro di
me per tutta la videochiamata.
Carino, eh? Cos'è che peggiora
sempre tutto nelle situazioni già critiche per conto loro?
–
Ne sai qualcosa anche tu?
– Di certo non ho un bel rapporto con
le mie ex. Sono un po' bastardo quando si tratta di rompere e loro me
la fanno pagare. Un giorno mi sono ritrovato la scritta “vedi di
morire nell'immediato futuro, grazie” sul cofano della macchina.
Era una Mercedes, capisci? – Ciel sbuffa, facendo un cenno a Shion
di nuovo sui blocchi di partenza a due posti di distanza da Xavier,
pronto a tuffarsi e impegnato a guardarmi male da dieci minuti.
–
Tra Mercedes ed ex, preferisco le Mercedes. – rispondo con un
sorriso, stringendomi nelle spalle con fare sconsolato. – Ma non ho
una Mercedes e ho un ex, perciò ad ognuno le sue rogne.
– Io
avevo una Mercedes e ho diverse ex. Facciamo a cambio? Magari ti
riscopri etero.
– Nah, ci ho già provato. – ammetto,
sentendomi estremamente in confidenza con questo tizio strambo. –
Non fa per me. A volte penso che dovrei nuotare e basta nella mia
vita, senza pensare ad altro.
– Poi faresti la fine di una
spugna, non credi?
Una spugna. Non ci avevo mai pensato ma suona
incredibilmente bene. Himeragi Fenwick la spugna.
–
Ci penserò. – concludo, sorridendo poi a Xavier che finalmente si
rasserena e punta lo sguardo dritto davanti a sé.
Lo starter
fischia e i ragazzi si mettono in posizione, vedo che Shion cerca lo
sguardo di Xavier ma lui non glielo concede e si concentra respirando
come al solito a pieni polmoni, per poi scattare in acqua con lo
sparo che segna la partenza. Insieme al suo tuffo io mi disconnetto
dal mondo, concentrandomi solo sulla sua gara: è troppo frettoloso,
come al solito, ma riesce a tenere un buon ritmo e a spingere col
petto per prendere la giusta dose di fiato e tornare sott'acqua.
Riesco quasi a sentire il suo cuore battere, lo vedo sorridere non
appena riconosce di essere arrivato alla fine della vasca e spinge la
mano in avanti, toccando la parete e ripartendo a tutta velocità.
–
Xavier McAdams, giusto? – mi chiede Ciel, incrociando le braccia
con uno sguardo furbo. – Shion me ne ha parlato. Mi sembra quasi di
conoscerlo da quante cose so su di lui.
– Fidati, – sorrido,
appoggiando la mano sulla sua spalla. – Conoscere Xavier è la più
ardua delle imprese.
Il castano lancia un'altra occhiata alla
vasca, Shion e Xavier sono entrambi a metà, testa a testa.
–
Vi ho visti parlare prima della gara e sembrava che tu sapessi come
riuscire a calmarlo. Siete in sintonia.
– Siamo in sintonia,
sì, ma... – Fisso il corpo di Xavier scivolare tra le onde, la sua
espressione concentrata e il suo modo frenetico di respirare. E' da
stupidi ammetterlo ma non posso fare a meno di sorridere davanti a
quel ragazzino. – Ma Xavier è Xavier. Ha una sintonia tutta sua. –
Nel dire ciò faccio un cenno a Ciel e mi avvicino ai blocchi,
vedendo l'ultima spinta del mio rosso e la sua mano che si tende a
tutta forza verso la parete, toccandola alla pari con Shion e
arrivando entrambi secondi. Ricordate la questione della commozione
per i miei pesciolini alla prima gara?
Devo trattenermi, devo
trattenermi, devo trattenermi...
Non mi trattengo.
Xavier,
conscio del fatto che gli avrei teso la mano per uscire della vasca,
si issa velocemente sul bordo prima che lo possa raggiungere
probabilmente a causa del suo forte orgoglio maschile che gli avrebbe
impedito di stringere la mia mano per farsi aiutare di fronte a tutte
queste persone e si leva in fretta la cuffia, infilandola
nell'elastico del costume azzurro.
– Xavier! – lo chiamo,
correndogli incontro.
– Ehi, non si corre in piscina... – mi
rimprovera col fiatone, ma non gli lascio dire altro perché, come ho
fatto con Tammie, Sapphire e Marley, lo abbraccio.
Solo che, be',
ora è Xavier ad essere tra le mie braccia.
Tutto bagnato, un po'
infreddolito ma che stringe le braccia attorno a me come mai avrei
pensato che potesse fare. Non mi sento tranquillo, non è un
abbraccio-sei-stato-bravo. Questo è un
abbraccio-cosa-diavolo-sta-succedendo bello e buono, senza tanti giri
di parole: non è che non sia voluto o un contatto imbarazzante, è
solo un contatto diverso dagli altri. Forse è Xavier, è il suo non
dire mai ciò che pensa nella sua interezza e questo strano modo che
ha di dimostrarmi la sua fiducia, ma è un abbraccio in cui sento
calore nonostante l'acqua fredda tra di noi. Questo ragazzino non
smette mai di sorprendermi, poco ma sicuro.
A parte che ci vuole
poco per sorprendermi, a dirla tutta.
Spesso mi sorprendo se
ricevo posta dal settimanale a cui sette anni fa ho abbonato mia
nonna come regalo di Natale. E' simpatico ricevere i loro “Gentile
signor Himeragi Fenneck, la informiamo che saremmo lieti di rinnovare
il suo abbonamento al nostro giornale con il trenta percento di
sconto.” - sì, ho dovuto mettere Fenneck come cognome dato che se
no non trovavano la casa a cui recapitarlo.
– Prenderai freddo.
– borbotta improvvisamente Xavier, stringendo però la mia felpa
nella sua incoerenza.
Mi viene da ridere solo per il fatto che è
lui quello che è appena uscito dall'acqua ma nonostante la sua pelle
d'oca sotto le mie dita si preoccupa comunque per me, lasciando in
disparte il fatto di aver ottenuto il secondo posto, di aver
gareggiato per la prima volta e di star rendendo questo abbraccio il
più alienante del mondo.
– Parla per te. – rispondo quindi
con un sorriso, togliendomi la felpa e mettendogliela sulle spalle
nude. – Forse ti chiameranno “Anguilla”, ma almeno stai un po'
al caldo finché iniziano le staffette.
– Posso anche
accettarlo se l'anguilla sei tu. – Mi concede un ultimo sorriso
lascivo, dandomi poi le spalle e andando verso le tribune dove le sue
compagne si stanno riposando prime delle ultime gare.
Un aggettivo
per descrivere Xavier?
Xavier.
– Che diavolo era quello?
Stai con Kyle Adair ma hai un flirt col mio ex ragazzo? Che razza di
playboy sei, Himeragi?!
La parte bella di prendere un caffè con
Shion è...
No. Non c'è.
Scherzavo.
– Non hai la
staffetta, Shion?
– Sì, ma abbiamo ancora dieci minuti. E tu mi
spieghi cosa sta succedendo.
Mi appello al quinto emendamento. Da
questa bocca non uscirà nulla.
– Mi appello al...
– Non
rompere, Anguilla. Parla.
Ecco, non rompere Himeragi. Perché mai
dovresti avere la facoltà di decidere quello che dici? Ma che
libertà ti prendi, insulso piccolo omuncolo?
– Allora, –
Avvolgo la mano attorno alla tazza bollente, preparandomi
psicologicamente. – Uno, non sto con Kyle Adair. Due, non ho un
flirt col tuo ex ragazzo. Tre, non sono un playboy. Abbiamo finito?
–
Tu... – Mi punta pericolosamente addosso il suo cucchiaino,
assottigliando gli occhi verdi. – Sei un gigolò.
– Un...
Gigolò?
– Sì. Vuoi lo spelling?
– No, ti ringrazio.
Niente spelling. Mi hai già sconvolto abbastanza e sappi che non
condivido per niente la tua tesi, hai travisato praticamente tutto.
–
Senti, Himeragi, io riporto quello che vedo. – afferma con
convinzione, guardandomi negli occhi per provarmi la sua sincerità.
– A Xavier non viene naturale stringere una persona quando la
abbraccia, non l'ha nemmeno fatto con me quando ci siamo visti ieri.
E tra l'altro eravate in mezzo a tutti gli altri e non ve ne fregava
nulla, proprio come due fidanzatini che si ritrovano alla stazione.
Eravate quasi nauseanti, a dirla tutta. E che mi dici della felpa che
gli hai dato?
Finora ho sempre creduto che fosse Percy la persona
più assillante del mondo ma ora mi rendo conto che mi sbagliavo di
grosso: la mia volontà di appellarmi al quinto emendamento non può
niente contro la parlantina di questa ragazza. Mi chiedo se io non
abbia commesso un errore a farla entrare nella nostra squadra... Mi
immagino già tutti i suoi “prendiamo un caffè?” che
precederanno i “sei un gigolò, Himeragi”. Io non posso vivere
così.
– Shion, ascoltami... – Prendo un respiro, quasi quasi
preferivo sentirmi preso in causa da Kyle rispetto a questo quarto
grado. – Io non so perché sia tu che Kyle siate fissati con questa
storia di me e Xavier. Sul serio, non capisco una marea di cose
ovviamente ma questa non riesco nemmeno a concepirla. Tra me e quel
ragazzo c'è solo uno strano rapporto che ci porta a fare gesti che
sì, magari possono essere travisati, ma se tu la guardassi dalle
nostre prospettive sapresti che per me lui è un allievo e tutt'al
più un amico e per lui io sono solo un istruttore di nuoto. Tutto
qui. Mi prendo solo cura di lui quando posso.
La biondina incrocia
le mani sul tavolo, guardandomi poi negli occhi con fare da donna da
affari che sta per mettermi sotto il naso il documento che rovinerà
la mia vita: – Prendersi cura di Xavier non è facile, io ci ho
provato ma non ci sono riuscita. Non devi solo dargli l'acqua e la
pappa.
– Fammi indovinare – ribatto rispondendo col suo
stesso sguardo. – Devo anche mettergli l'antipulci?
– Sei un
po' stupidino, Himeragi.
– Più o meno come le tue
supposizioni, Shion.
– Io sto cercando di salvaguardare Xavier,
non voglio che lui...
– Hai detto che non ci sei riuscita, no? –
Sì, sono infastidito: nulla contro Camille ma mi sembra di essere
costantemente sotto esame in materia Xavier e non reggo più questa
pressione inutile. – Adesso è il mio turno. Ho già tanti problemi
per conto mio ma puoi stare tranquilla, non mollo la presa su di lui.
Finché lui lo vorrà io starò al suo fianco, quindi questi discorsi
è meglio se li fai col diretto interessato e tenti di capire cosa
gli passi per la testa.
Shion mi scruta attentamente, appoggiando
il mento sulle mani intrecciate (questa ragazza ha un futuro da
banchiera): – Posso fidarmi?
– Sì, ma se continui con questo
discorso non ci andrò piano con le vasche da farti fare. – La
minaccio con un sorriso, riconoscendo la sua abilità nel fare
pressing mentale. – Lo terremo sotto controllo insieme, se ti può
far star meglio. Ad ogni modo in piscina ho anche Kyle da tenere
buono quindi ci divideremo i compiti.
Shion sorride, alzandosi poi
finalmente da questo stesso tavolino che più o meno un mese fa mi ha
portato alla prima chiacchierata con questa psico-terrorista.
Rimangono solo le staffette e finalmente potremo considerare queste
prime gare concluse e archiviate, in attesa degli esiti per chi potrà
prendere parte alle gare regionali.
Che Dio ci aiuti.
Sapphire
si prepara in acqua, stringendo le mani attorno ai blocchi per la
partenza del dorso. Sul blocco è già pronto Xavier, aspettando che
la sua compagna tocchi di nuovo la parete per poter partire con lo
stile a rana. Dietro di lui, in ordine, Tammie e Marley sono pronte
per gli stili farfalla e libero, concentrate in volto come mai le ho
viste prima.
– Ditelo che vi ricordano noi. – ammette
improvvisamente Iris, incrociando le braccia al petto.
Hick
annuisce, facendo il suo tipico sorriso da ebete: – Peccato che noi
non fossimo così concentrati. Ricordate quando Hime è scivolato
mentre entrava in acqua?
– E come dimenticarselo! – Percy,
quella ragazza tanto simpatica e gentile, scoppia a ridere ricordando
la mia plateale figura di merda. – E quando Hime ha quasi perso il
costume?
Iris, ovviamente mancava lei all'appello, si aggiunge con
un sorrisetto: – E quando Hime ha sbagliato la virata e ha
picchiato la testa?
Bene, grazie ragazzi, sappiate che vi voglio
un gran bene e che vi auguro tutte le cose più belle della vita.
Mi
schiarisco così la voce, guardandoli uno ad uno negli occhi: – E
quando Hime ha mandato a fare in culo Persephone, Aydin e Iris dopo
che questi si sono messi a ricordare aneddoti stupidi? Lo
ricordate?
– Che acido che sei. – mi ammonisce Hick,
fortunatamente zittendosi non appena lo starter fischia. –
Scommetto che non sei così con Kyle.
– Infatti con Kyle sono
peggio. – ammetto, sentendomi mancare per l'agitazione quando lo
sparo riempie l'aria della piscina e Sapphire di stacca dal blocco a
tutta velocità.
Tutti gli allenatori cominciano a gridare
suggerimenti ai loro allievi e non si riesce più a capire niente,
noi ce ne stiamo semplicemente zitti e preghiamo che tutto vada a
buon fine: ci fidiamo di loro, abbiamo provato i cambi e i tempi fino
allo sfinimento. Noto che anche Ciel se ne sta tranquillo insieme a
una sua collega e commenta a bassa voce la performance della ragazza
che sta nuotando per la loro squadra mentre Shion, alla pari di
Tammie, incita chiassosamente la sua compagna ormai alla fine del
ritorno. Spero per lei che non pensi di fare così anche con noi dal
momento che potrebbe seriamente irritare il rettore Muller (che tra
me, Kyle e lei si ritroverebbe un bel trio a cui tenere testa).
Sapphire tocca la parete e Xavier, dopo avermi guardato per un
istante, si lancia con un angolo d'entrata quasi perfetto e dopo una
decina di metri di partenza subacquea risale, iniziando a spingere
con tutte le sue forze col petto e allungando le braccia mentre
coordina anche il movimento delle gambe, riuscendo ad assicurarsi tra
la terza e la seconda posizione. Anche lo sguardo di Shion è posato
su di lui, non lo molla se non a pochi secondi dalla sua partenza e
stacca contemporaneamente a Tammie che, alle prese con la sua
primissima staffetta in ambienti così agitati, si tuffa in maniera
scomposta e non resiste più di nove metri sott'acqua, dovendo
risalire troppo presto e perdendo quindi terreno. Xavier, Sapphire e
Marley iniziando ad urlare come non mi sarei mai aspettato di sentir
loro fare: riescono a sovrastare perfino il tifo che Shion faceva
prima di tuffarsi, gridano le prime frasi da stadio che vengono loro
in mente e mi pare anche di sentire un “falla vedere a
quell'Anguilla idiota” ovviamente da parte di Xavier, quel tesoro
di ragazzo, insieme a tutto il resto. Non credo che Tammie distingua
chiaramente ciò che dicono ma di sicuro riconosce le loro voci e
questo le dà la forza per mettersi alla pari con la sua batteria,
recuperando terreno in fretta e perdendo non meno di un secondo e
mezzo per girarsi dopo aver toccato la parete. Non appena termina i
cinquanta metri di ritorno tocca a Marley buttarsi in acqua e
terminare così la corsa, dando il tutto per tutto negli ultimi cento
metri rimasti della loro prima staffetta mista.
Nico, dietro di
me, si fa avanti e si rivolge a noi quattro: – Li avete davvero
allenati voi?
– No, – ribatte Iris, guardandolo e
sorridendogli. – Il tuo cane Bobby, genio.
I flirt, ragazzi,
lontani da me. Grazie.
Che fine ha fatto la discrezione? Insomma,
quando stavo con Kyle cercavamo di mantenere un certo distacco se
eravamo in compagnia: nelle serate di squadra, prima del suo
abbandono, oltre ad appoggiarmi a lui durante il film a casa di Percy
non mi permetteva di fare altro. Potevo anche provare ad avvicinarmi
a lui per baciarlo e poco ma sicuro lui mi avrebbe dato un leggero
schiaffo o, più barbaramente, mi avrebbe morso la guancia - e badate
a non scambiarla per un'effusione, la sua intenzione era di farmi
male, quel caro assassino.
E la cosa che mi inquieta di più è
che Iris sappia che Nico Casadei ha un cane di nome Bobby.
–
Sono molto bravi. – aggiunge Dominik, affiancandomi con una pacca
sulla spalla che mi fa sobbalzare in avanti: – Complimenti,
fidanzatino di Kyle.
– Ehi, – lo interrompo guardandolo con
uno sbuffo. – Io non sono il fidanzatino di nessuno, men che meno
di Kyle Adair.
Quentin, fino a questo momento rimasto in disparte
e senza causare ingenti danni, si fa avanti e sorride: – Non dire
bugie, su. Sappiamo tutti come vanno le cose.
Bene, lo sanno loro
ma non lo so io. Carina questa cosa, vorrei proprio informarmi sulla
sua dinamica.
– Pensate ciò che volete. – concludo,
infastidito ma non più di tanto conoscendo la fonte di queste
uscite, per non perdere la concentrazione su Marley.
Mancano solo
dieci metri al traguardo, l'agitazione si fa sentire anche in me. Ce
la devono fare.
– Egregio allenatore Anguilla, le
auguro con tutta la mia sincerità una buona sera.
– Ma che
cazzo hai bevuto?
– Era pura cortesia, non
montarti la testa. Non sapevo come salutarti.
– La prossima
volta vai con un “ho visto un calabrone peloso sopra una margherita
di campo”, sembrerà comunque più un saluto che non la frase da
galateo che hai appena detto.
Kyle, dall'altra parte dello
schermo, mi fa una smorfia per non mandarmi a quel paese a parole,
sistemando poi l'inquadratura dato che, come me, è steso a letto. Le
mie intenzioni erano quelle di mangiare qualcosa, farmi una doccia
per togliermi l'odore di cloro da dosso e andare dritto a letto ma a
mezzanotte e qualche minuto ho ricevuto la chiamata Skype di Kyle e
per qualche ragione non l'ho voluta rifiutare, ritrovandomi ora steso
sul letto a dare la buonanotte al mio ex ragazzo a New York. La vita:
che cosa simpatica.
– Allora? – mi chiede dopo qualche secondo
di silenzio. – Come sono andate le gare dei ragazzi?
Attenzione:
allenatore orgoglioso/mamma chioccia in arrivo.
– Molto bene! –
esclamo quindi, vedendo Kyle ridacchiare per il mio esagerato
entusiasmo. – Tammie è arrivata terza, Sapphire prima, Marley
quarta e Xavier secondo alla pari con una sua vecchia amica mentre la
staffetta, per quanto si siano impegnati, poteva andare meglio e si
sono classificati quinti. Comunque ho anche conosciuto un ragazzo che
verrà a trovarci per darci una mano e per seguire la sua allieva, è
un po' tonto ma in fondo è simpatico quindi credo che andrete
d'accordo finché, be'... Quanto ancora devi restare qui?
– Non
lo so, un mese o due... I lavori si stanno facendo lunghi. Non che
muoia dalla voglia di conoscere il tuo nuovo amico, comunque, a dirla
tutta.
Beata sincerità, insomma.
– Io, – inizio, quindi,
serafico tendente allo schizofrenico. – Ho dovuto parlare col tuo
ex, oggi. Okay? Con Landon. Tu devi solo tacere se io voglio
farti conoscere qualcuno. A tal proposito, non dorme con te?
–
Quale parte di “conviviamo come amici” non ti è chiara,
Anguilla? Serve un dizionario?
– Non scherzare. – lo
rimprovero, ovviamente infastidito. Tra l'altro non capisco perché
lui possa farmi diventare matto con la storia di Xavier e io non
possa avere voce in capitolo sul fatto che lui convive col suo ex
ragazzo, non mi sembra esattamente una cosa “equa”. – Sei
insopportabile, Kyle.
– Oh, sono proprio ferito.
–
Buonanotte.
– Piuttosto, verrai a prendermi tu in
stazione?
Fingo di pensarci un po' su, uscendomene con la tipica
espressione da idiota: – Se non verrò io troverai un gruppo di
sicari pagati da me, è da vedere chi si libera prima dal lavoro. Ti
farò sapere. Ad ogni modo se vedrai un carcerato alto due metri con
una cicatrice sull'occhio destro e con un manganello sappi che è il
mio uomo migliore, puoi andare con lui. Si chiama Scar.
– Scar?
– Già. Scar.
– Certo che tra Scar e Spruffio ne hai di
fantasia.
– Spruffio il gatto!
– Va' a nanna, Himeragi.
Stai delirando. – Kyle fa finta di mandarmi un bacio, concludendo
però con una smorfia che si addice ben poco alla sua età. Che ci
posso fare io se questo ragazzo è la mia sfiga da ormai quattro
anni?
Non credo sia colpa mia. In fondo, non siamo noi a decidere
per chi perdiamo la testa, giusto?
– Buonanotte. – borbotto
quindi in un mezzo sbadiglio, vedendo Kyle però scuotere la testa e
sorridere in un modo che mi riporta a tre anni fa, a quando ripeteva
quel gesto per ogni volta in cui dicevo qualcosa ed ero in imbarazzo.
Mi chiedo quando questi flash smetteranno di ossessionarmi, non sono
così mentalmente forte per restare lucido e contemporaneamente avere
a che fare con Kyle... Ma si era già capito, no?
ANGOLO AUTRICE
Ebbene sì, eccoci, BACK AGAIN!
Mi sto gasando troppo.
Ultimamente sono presa con altre storie, quindi chiedo perdono per eventuali ritardo e ora vi lascio con un piccolo spoiler del capitolo 9!
– Schifoso assassino da quattro soldi! – borbotta
piagnucolando come un idiota, facendomi automaticamente sorridere per
una scena che sa molto da déja-vu. – Come hai potuto?!
– Tu hai pomiciato con me qui in mezzo a tutti! E' il minimo, maniaco!
– Mi pare ci stessi anche tu!
– Solo un attimo di défaillance.
– E 'sti cazzi, Himeragi. Cosa c'era di male?
Capitolo 9 *** Il Mercante di Giochi di Parole ***
Swimming tale cap.9
SWIMMING TALE
CAPITOLO NOVE
“Il
mercante di giochi di parole”
L'aeroporto, come ho
descritto tre giorni fa, è uno dei luoghi più malinconici del
mondo.
Persone che vanno e che vengono, fidanzati che si lasciano
e altri che si ritrovano, famiglie che si separano e ragazzi che
iniziano una nuova vita.
Poi c'è Kyle che, arrivatomi di fronte,
mi guarda e mi dice semplicemente: – Lui è Sebastian.
Ora,
potete magnificamente immaginare come la mia espressione si sia
tramutata quando ho scoperto che Sebastian è un cucciolo di Beagle
rinchiuso nella gabbietta a mano che quell'altro deficiente si
trascinava dietro al posto della valigia.
Un cane, okay?
Poteva
essere una borsa piena di vestiti, un regalo, un cadavere da
nascondere o un nuovo arredamento per il tugurio ma no!, un cane.
Mancava il cane, no?
Così è il mio turno di guardarlo da capo a
piedi, portare le mani ai fianchi e finalmente esprimermi: – Perché
hai un cane?
– Mi ha seguito fino a qui.
– Sì, poi si è
messo nella gabbia e ti ha detto “ti prego, bau, portami a casa dal
tuo coinquilino, bau, sono sicuro che abbia spazio in casa per me,
bau!”, vero?
– Ha omesso i “bau” ma pressapoco il
discorso era quello.
La cosa divertente è che Kyle è serio,
crede in ciò che sta dicendo. Mi tiene guardato negli occhi come se
stesse intrattenendo un dibattito di politica e come se fosse del
tutto intenzionato a vincerlo, ma se lo può anche sognare che io
tenga un cane... Faccio già fatica a tenere lui!
– Vedi di
trovargli una sistemazione. – gli intimo sistemandomi gli occhiali
per il nervosismo cresciuto a dismisura nei primi sette secondi in
cui l'ho avuto davanti ai miei occhi, rimettendomi lo zaino sulle
spalle. – Quel coso non starà con noi.
– Ma non
possiamo abbandonarlo!
– Mica ho detto di metterlo per strada,
infatti. Se vuoi facciamo uno scambio: abbandono te e tengo
Sebastian. Ci stai?
Kyle fa una smorfia, inginocchiandosi poi di
fronte al trasportino: – Vedi, Sebastian? Te l'avevo detto di non
seguirmi.
– Tra due mesi compi diciannove anni, imbecille,
dimostrali! – sbotto dandogli un calcio nel didietro, notando come
chi ci sta intorno stia iniziando a guardarci male e a ridacchiare
imbarazzato per la scena. Che c'è? Avete qualche genere di problema?
“Problema” è il mio secondo nome ormai.
– Io non abbandono
Sebastian, Anguilla.
– Ah, bene! – Alzo entrambe le mani in
un segno di imprecazione, dandogli le spalle. – Mi fa piacere che
tu non voglia abbandonare il cane ma non ti fai così tanti problemi
quando si tratta delle persone.
– Devo coglierla come una velata
frecciatina?
– Non era velata.
– Allora scusami, Robin
Hood.
Alzo il dito medio nella sua direzione, andando verso
l'uscita dell'aeroporto. Bene, direi che ci mancava il cane. Ero
talmente in ansia per questo momento in cui avrei rivisto Kyle dopo
tre giorni che mi ero perfino scordato della vasta gamma di cazzate
che avrebbe potuto combinare: e infatti, eccoci qui con un
trasportino rosso e Sebastian.
– E dai, aspettami! – si
lamenta Kyle da dietro rendendo la sua voce stridula e ancora più
fastidiosa del normale, col sottofondo del rumore infernale delle
ruote che strisciano sul pavimento mentre il cane di tanto in tanto
abbaia. – Anguilla, devo ancora dirti una cosa!
Buddha mi deve
dare tutta la sua forza fisica e morale per affrontare questo
individuo che sembra aver stabilito che la sua missione per la vita
sarà rendere impossibile ogni mio giorno, non fregandosene della mia
situazione psicologica messa a repentaglio dalla sua troppo
insistente presenza. Ho reso l'idea della mia disperazione?
Mi
giro così con uno sbuffo, aspettandomi l'ennesima cretinata che mi
farà odiare ancora di più Hick per aver sbagliato la prenotazione
dei posti in dormitorio ancora quasi un mese fa, capendo
immediatamente però di essere finito in una trappola. Senza il tempo
di reazione necessario mi faccio quindi prendere alla sprovvista da
Kyle che, con un'espressione che gli cancellerei dal volto con
varechina mista ad acido fluoridrico, porta repentinamente la mano
destra al mio polso e quella sinistra dietro la mia nuca,
costringendomi a stare fermo per il colpo più basso che potesse
tirarmi in questo momento: un bacio premeditato e a senso unico. Non
si fa così, non proprio ora che stavo metabolizzando la sua presenza
qui a Detroit e non proprio ora che mi ero convinto a poter far
funzionare le cose con la dovuta calma. Questa non mi sembra
esattamente la mia dovuta calma.
Non è nemmeno calma.
Erano
uno dei primi giorni del settembre di tre anni fa: pioveva, faceva
freddo e stavo per diventare un bravissimo bugiardo che avrebbe detto
ai suoi genitori che il suo ragazzo era morto e che invece di andare
al funerale immaginario sarebbe poi andato a bere col suo migliore
amico - più stupido di lui.
Ero bagnato dalla testa ai piedi
perché non mi ero portato un ombrello dal momento che fino a
mezz'ora prima non volevo saperne di recarmi in aeroporto, avevo
probabilmente più freddo di Jack Dawson nell'Atlantico e ancora più
freddo sentivo dentro di me nel vedere Kyle Adair con la valigia tra
le mani che fissava inerme i suoi genitori parlare con una coppia di
amici ad una trentina di metri da lui. Avevo visto i suoi capelli
neri tenuti in un ciuffo appiattito sulla fronte solo dopo essere
stati a letto a dormire o a fare altro - siamo discreti, okay?,
perciò vederlo in quello stato comatoso senza essere io la causa mi
faceva già sentire anni luce distante da lui, come se non mi potesse
sentire nonostante fossi a pochi metri dalle sue spalle.
– Che
ci fai qui?
E invece mi aveva sentito alla grande.
– Come
hai fatto a sentirmi?
Kyle si girò verso di me con un sorrisetto
beffardo, squadrandomi da capo a piedi senza pietà: – Hai il
fiatone e i tuoi passi sono pesanti. Poi le tue scarpe fanno splaf
splaf. Sarebbe difficile non sentirti arrivare per qualcuno che
ti conosce come me.
– Però non sapevi che sarei venuto, se no
non mi avresti chiesto perché sono qui. Forse non mi conosci così
bene.
– Io speravo, Himeragi, che tu non venissi. Ma
sapevo che saresti arrivato, fosse stato anche trenta secondi
prima dell'imbarco.
Lo ammetto: mi faceva rabbia in quel momento.
Ero arrabbiato perché aveva preferito il nuoto alla sua città
natale, alla sua scuola, alla sua famiglia, alla sua vita e a me. Non
lo sentivo come un colpo personale, ma sapevo che sarei stato una
delle persone che avrebbero sentito la sua mancanza come l'aria
quando si è claustrofobici.
E per la cronaca, io ero pure
claustrofobico - allegria! –
Be', quindi levi le ancore? – gli domandai senza peli sulla lingua,
trovando un coraggio che mai un agnellino come me si sarebbe
immaginato di poter usare contro il proprio predatore. Un piccolo e
gracile nuotatore che si rivolgeva a chi stava per diventare l'idolo
di molte ragazzine troppo esaltate come Shion era un grande
paradosso, a quel tempo.
– Tecnicamente levo le mie valigie
dalla quattordicesima.
– Sesto distretto, numero sette.
–
Che bravo, sai anche il mio indirizzo?
– Ci passo la mia vita a
casa tua.
– Mai sentito parlare di retorica?
Lo guardai
nelle peggiori delle maniere, andando poi a sedermi accanto a lui
chiudendo l'argomento “retorica”, constatando che era l'ultimo
dei miei problemi se prendevo in considerazione il fatto che Kyle
stesse per lasciarmi da solo senza nemmeno più l'attesa di un suo
possibile ritorno. Due giorni prima mi aveva voluto vedere
urgentemente per dirmi della sua partenza, del fatto che volesse
lasciarmi e che non sarebbe più tornato a Detroit. In
quell'aeroporto, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, in preda alla
disperazione, io non avevo motivo di esserci: non ero più il ragazzo
di Kyle Adair, ero stato lasciato su due piedi e la persona a cui
tenevo di più se ne doveva semplicemente andare senza troppe storie.
Ma non potevo, alla fine: non glielo avevo mai detto, ma io lo amavo.
Quel genere di “ti amo” che sembra sempre troppo piccolo e che si
ha paura di sbagliare a dire, ma quelle due parole le avevo sentite
più volte nello stomaco quando questo si contorceva per la paura e
l'ansia di non avere più Kyle al mio fianco.
E sì, ero
parecchio complessato per avere quindici anni. Ammesso e non
concesso.
– Non c'erano gli allenamenti oggi? – mi chiese
dopo qualche attimo di silenzio, stringendo le mani attorno al manico
della valigia ai suoi piedi.
– Sì.
– E li hai persi.
Bravo idiota.
– Ma piantala. – lo rimproverai roteando gli
occhi al cielo, alzando gli occhiali sulla nuca per tenere indietro i
capelli bagnati. Gesti di routine, lo faccio ancora oggi se sono
nervoso. E bagnato fradicio. Cosa che sono una la conseguenza e
l'altra la causa, perciò succede qualcosa come ogni volta che
dimentico l'ombrello. – Non me ne frega se mi hai lasciato, so che
non ti posso tenere qui ma non potevo pensare al tuo ultimo ricordo
come tu che mi dici che non ti frega della tua vita qui a Detroit e
che hai accettato l'offerta senza dirmi niente perché tanto meno di
frega di me.
– Lo sai anche tu che non lo penso. Speravo di
tenerti distante da qui.
– Tenta qualcosa di più convincente,
la prossima volta. Sempre che ce ne sia una, ovvio.
Kyle fece un
sorrisetto dispiaciuto, guardandomi con la coda dell'occhio di
sottecchi: – Cerchi di demolirmi, adesso?
– Nah, –
ricambiai la sua occhiata di sfuggita, guardando però davanti a me
per dimostrarmi un po' più forte rispetto al mio crogiolarmi
continuo. – Solo fartela pagare un po'.
– Sarebbe meglio che
tu tornassi a casa, Himeragi. Tra un po' il volo parte e alcuni
nostri compagni verranno a salutarmi.
– Io resto finché non ti
vedo più dall'oblò.
– Non fare il drammatico, non puoi farmi
questo favore? Te lo chiedo in ginocchio: va' a casa.
Senza
nemmeno metterci d'accordo ci alzammo tutti e due allo stesso tempo,
fronteggiandoci con i nostri sei o sette centimetri di differenza.
–
Se non te ne frega di me non dovrebbe farti né caldo né freddo la
mia presenza, o no?
Stronzo fino al midollo già da ragazzino. Che
gioiello!
– Himeragi, non dire stronzate, lo sai che io... –
Si bloccò improvvisamente, mi guardò negli occhi con una strana
scintilla negli occhi e passò la mano sulla mia guancia bagnata. –
Lo sai che io ti a...
E poi capii.
Capii che non volevo una
scena da film romantico, capii che Kyle mi stava veramente lasciando
senza pietà e che, ancora una volta, aveva dato dimostrazione del
lato di lui che lo aveva portato ad entrare in contatto con me nel
principio. La nostra non era una bella storia: faceva acqua da tutte
le parti.
Letteralmente.
– Non lo voglio sentire. – lo
interruppi prima che potesse atterrarmi una volta per tutte,
guardandolo negli occhi con la più disperata espressione che sapessi
fare. – Non sarò il povero ragazzo a cui è stata detta la più
smielata dichiarazione d'amore in aeroporto prima della partenza del
suo ex ragazzo. Mi fa schifo questo ruolo, io non lo voglio avere e
tanto meno ti puoi permettere di dire una cosa del genere in
un'occasione così. Preferisco vederti andare via sapendo che mi hai
lasciato perché non te ne frega di me e non sapendo che mi ami o
cazzate simili.
Kyle
sospirò, forse non deluso dal suo non essere riuscito a terminare la
frase ma più che altro dalla durezza che utilizzavo nel momento
terrificante dell'addio. Per qualche secondo forse fu solo indeciso
sul da farsi, ma alla fine mosse un passo avanti e mi baciò,
noncurante del fatto che fossimo in mezzo ad una marea di gente, del
fatto che io fossi bagnato dalla testa ai piedi e del fatto che
quelli sarebbero stati i nostri ultimi minuti insieme.
Credetemi,
sono sicuro che due ragazzini di quindici anni che si baciano in
aeroporto siano davvero una scena comica, non pretendo nemmeno di
essere sembrato come realmente mi sentivo ma, se vi fidate, penso sia
stata la sensazione più brutta che io abbia mai provato: toccare il
cielo con un dito tre giorni prima ed essere scaraventato a terra
dalla stessa persona che mi aveva permesso di andare così in alto.
– Allora ti lascio, Himeragi. – mormorò una volta che ci
staccammo, assumendo l'espressione che avrebbe ingannato chiunque se
di fronte a lui non ci fossi stato io. – Mi sono stancato di te.
Quasi mi venne da ridere in quel momento, ma mantenni una
facciata pressoché seria e giocai per l'ultima volta con lui: –
Tutto qui?
– No, ovviamente. – borbottò, incrociando le
braccia e squadrandomi da capo a piedi come faceva due anni prima - e
gli riuscì tremendamente bene. – Sei noioso, petulante e immaturo.
Io ci ho provato ad accettarti così come sei, ma siamo troppo
diversi e con uno come te io non potrei passare una sola ora di più.
Tra l'altro sei anche troppo sentimentale e a letto fai troppo rumore
e rischiamo ogni volta di farci beccare. Capisci che non possiamo
andare avanti, vero?
Annuii, fingendo di riflettere: – Lo
capisco, mi dispiace che sia andata così.
Kyle aggrottò le
sopracciglia, cambiando per un secondo espressione e pizzicandomi la
guancia: – Così non sei credibile, Anguilla. Dov'è il dramma?
–
Vuoi anche il dramma? Che pretenzioso. – Scacciai la sua
mano dalla guancia, assumendo di nuovo la maschera della recita. –
Ecco, vuoi sapere una cosa? Sono d'accordo con te, ci lasciamo, è
finita! Ma la vuoi sapere una cosa? Sei la peggiore delle persone che
io abbia mai conosciuto. Sei manchevole, sempre distratto e non ti
sei mai preoccupato per me; non hai mai fatto niente per farmi fare
meno rumore quindi la colpa è anche tua e infine sappi che di
sentimenti tu non capisci proprio nulla!
Kyle ridacchiò,
coprendosi la bocca con la mano per non lasciar trasparire il suo
sorriso: – Allora è ufficialmente finita, Himeragi. Nessun
rancore?
– Spero tu vada sotto un camion a New York.
–
Ancora rancore, ho capito. Posso almeno darti un amichevolissimo
abbraccio di addio?
Sorrisi, alzando le spalle ma alla fine
acconsentendo, fiondandomi tra le sue braccia e rannicchiandomici
dentro per quella che sarebbe stata - o almeno così credevo -
l'ultima volta. A quanto ricordo è successo di nuovo... ah sì, tre
giorni fa.
Sentivo la sua mano scorrere lungo tutta la mia
schiena, forse per calmarmi prima che mi facessi davvero prendere dal
panico e che cominciassi a piangere come un cretino come succedeva
ogni volta che andavamo al cinema a vedere film drammatici - per la
sua immensa gioia.
– Sappi che comunque sono arrabbiato. –
gli feci presente ancora con le mani a stringere la stoffa della sua
camicia. Molto credibile, vero?
– Sì, sì...
– E non fare
finta di crederci.
– Lo sai che ti adoro?
– Va' al diavolo,
Kyle.
Lui sospirò, prendendomi poi il viso tra le mani e
guardandomi dritto negli occhi prima di baciarmi. Ora, gli occhi di
Kyle per me erano sempre stati emblematici, scuri come i capelli e
come le intenzioni che non lasciava mai trasparire, ma in quel
momento li lessi meglio di quanto avessi mai fatto in due anni: mi
stava dicendo ciò che non gli avevo lasciato dire, e gli credetti.
Non ho mai avuto dubbi su questo, mai una volta; che poi fosse uno
stronzo quello dipende da altre circostanze.
– Mi sa che devo
tornare a casa. Mia mamma non ama che io stia con te, dice anche lei
che tu sia un bastardo. Quindi... Buon viaggio, Kyle.
Lui mi
sorrise, annuendo piano mentre il mio temperamento tranquillo
iniziava a crollare in un baratro in cui non avrei mai più trovato
nulla se non mera disperazione: – Grazie di tutto, Himeragi.
Tornando alla calma, la sto proprio perdendo.
Un
conto è che io e lui fossimo fidanzati, che lui fosse tornato da un
viaggio di un mese, che non si fosse portato un cane di nome
Sebastian dietro e che io fossi contento della situazione generale;
un altro è però che tutte le precedenti condizioni siano l'esatto
contrario e che lui si stia permettendo di baciarmi dopo i chiari
paletti che ho precedentemente e accuratamente messo.
Okay, lo
ammetto: mi sento schizzare in aria dall'adrenalina che mi sta
scorrendo dentro ma allo stesso tempo vorrei che fosse lui quello a
decollare verso l'infinito e oltre per poi schiantarsi
brutalmente contro il suolo. Con affetto, ovviamente. Per avere
diciotto anni riconosco che non so gestire molto bene la situazione
bacio-dell'-ex-in-aeroporto, ma la saprei gestire decisamente meglio
se fossi lucido nei suoi confronti. Il punto è che, sebbene la
sensazione delle sue labbra non mi sia nuova di recente data la mia
magnifica sbronza post visita dei miei genitori, mi sento ancora un
bambino quando si tratta di lui. Ho ancora la tendenza ad attaccarmi
a lui e ad avvertire quel genere di calore che neanche una coperta
riscaldata saprebbe farmi provare, come un non voler nemmeno
accettare l'idea di un possibile allontanamento dal suo corpo.
Sono
un idiota, lo so, perché nonostante io non faccia altro che negare
quando poi arriva la resa dei conti mi comporto esattamente come
facevo a quattordici anni, ma il fatto è che questo dannato ragazzo
è indelebile come anche il più piccolo tatuaggio nel più nascosto
centimetro di pelle è e non mi lascia via di scampo in qualsiasi
senso mi prenda. Potrei provare a fare resistenza con tutte le mie
forze, fino allo stremo, e sono sicuro che il risultato sarebbe
uguale all'inizio.
L'unica cosa che mi riporta sulla retta via -
grazie Dante per l'espressione - è la lingua di Kyle che si permette
un po' troppo e merita quindi la vecchia arma che usavo nella stessa
maniera tre anni fa: i denti.
Quando li serro, infatti, non so
dire se il guaito venga da Sebastian o da Kyle nel momento in cui si
stacca e porta una mano davanti alla bocca, serrando forte gli occhi
in una smorfia di dolore. Oh, che bello. Musica per le mie orecchie.
– Schifoso assassino da quattro soldi! – borbotta
piagnucolando come un idiota, facendomi automaticamente sorridere per
una scena che sa molto da déjà-vu. – Come hai potuto?!
–
Tu hai pomiciato con me qui in mezzo a tutti! E' il minimo,
maniaco!
– Mi pare ci stessi anche tu!
– Solo un attimo di
défaillance.
– E 'sti cazzi, Himeragi. Cosa c'era di
male?
Mi sistemo di nuovo gli occhiali, guardandolo male mentre
ci rimettiamo in cammino in compagnia di Sebastian: – Forse il
fatto che le regole stabiliscono chiaramente che non ci deve essere
contatto fisico?
– Permettimi di contraddirti. – In due
falcate riesce a mettersi al mio fianco, guardando dritto davanti a
sé mentre però sorride soddisfatto. – Uno, siamo fuori casa e le
regole non sono valide. Due, sei quasi venuto a letto con me poco più
di due settimane fa. E se vuoi togliamo il “quasi”.
– Non
sono venuto a letto con te in tutti i sensi della parola. –
specifico, cercando di infliggere meno colpi possibile alla mia
dignità.
– Fammi indovinare, un altro attimo di défaillance?
– Debellati.
– Certo che potevi almeno fare il
letto. – Kyle mi guarda male mentre entra nella camera da letto per
la prima volta da quando siamo arrivati, strofinandosi i capelli
bagnati facendo strane facce buffe.
Dal canto mio, spaparanzato
come mai nella vita e con Sebastian accoccolato di fianco a me, mi
limito a fare un cenno di disinteresse e ad osservare il cretino che
si lancia sul materasso a mo' di wrestling. John Cena dei
poveri.
– Mi chiedo quanto si divertirà Landon ad averti per
casa e sentirti dire di rifare i letti. – ribatto con un sorrisetto
che punta all'ennesima frecciatina, constatando che forse potrei
stare leggermente esagerando. A mia discolpa dico comunque che so di
essere incoerente con ciò che dico o con come agisco, ma è Kyle ad
inibire tutto il mio buon senso e le mie buone intenzioni: io ci
provo, ma stiamo parlando di un ex ragazzo che deve andare a
convivere col suo ex ragazzo e che mi ha appena baciato in aeroporto.
Capite perché non ho molta lucidità a riguardo?
– Landon ha
una soglia di sopportazione molto più alta della tua, Anguilla.
–
Ha anche cinque anni in più di me, se è per questo. Ripensandoci,
non potevi restare là?
– Disse quello che fece la scenata di
gelosia via webcam. Molto credibile, Himeragi.
Lo guardo di
sbieco, notando come il sorrisetto nato sul suo viso mi mandi su
tutte le furie dato che è proprio lui ad avere ragione in questo
caso. Ogni mattone che posiziono sul precedente per creare il mio
muro di indifferenza viene prontamente demolito buttando giù anche
la colonna sotto di esso, lasciandomi con un foro irreparabile a cui
far fronte. Ogni colpo inferto dai suoi sorrisi soddisfatti è sempre
più profondo e butta giù sempre più mattoni alla volta,
lasciandomi completamente scoperto e privo di difesa, cosa che mi
porta poi ad avere i miei famosi attimi di défaillance.
–
Quindi la casa è a posto? – gli chiedo per cercare in qualche modo
di dimostrare di non avere troppe riserve sull'argomento “convivenza
con Landon” anche se in realtà ne ho così tante che potrei
crearne una naturale e darla ai castori.
Adoro i castori.
Kyle
si mette su un fianco, dandomi la fronte e passandosi la mano tra i
capelli scuri col suo solito fare da bello e impossibile: –
Manca ancora il frigorifero e uno dei due materassi ma Landon ha
detto che se ne occuperà lui, quindi se non ci sono problemi dovrei
restare qui a Detroit.
– Finché la vostra piscina non sarà in
ordine. – preciso con un tono di voce che però nella mia mente
suonava in tutt'altra maniera, risultando quasi triste. Bravo Hime,
continua a farti scoprire così, vedrai come Kyle rispetterà le
regole se gli dai il continuo via libera!
Come previsto infatti
Kyle assume un'espressione pensierosa, guardandomi negli occhi per
provare forse a capire che diavolo io stia pensando - cosa che sarei
molto curioso di capire anch'io. Il punto è che nemmeno io riesco a
fare chiarezza su ciò che voglio in questo momento: se vorrei che
restasse senza andarsene mai più o se vorrei che se ne andasse
domani mattina. Ho così tanti pensieri che mi fluttuano per la mente
che anche solo l'idea di prenderne uno in considerazione mi fa girare
la testa, avrei tanto voluto restare lucido e tenere il giusto
temperamento nei confronti di tutta la vicenda di Kyle qui a Detroit,
ma ad ogni minuto che passa ho sempre più confusione dentro di me e
mi sembra che non sia passato un solo minuto da quel giorno di
gennaio in cui mi baciò la prima volta negli spogliatoi. Sono un
tipo parecchio legato al passato, lo ammetto.
– Cosa devo fare
con te? – sbuffa lui, distendendo il braccio sul materasso e
lasciando quindi la testa ricadere sulla sua spalla. – Dimmi cosa
mi devo inventare, ti prego. Ogni cosa che faccio non va bene e poi
mi dici il contrario, tra l'altro prendendotela anche più del
dovuto. Non so più come scusarmi per essere partito ma tu sembri
continuare a volermela far pagare, anche io ho un limite anche se si
tratta di te. Ti chiedo solo di non tirare troppo la corda dal
momento che sai di avermi sul palmo della mano.
Ha ragione: ora
l'idiota sono io, non c'è ombra di dubbio. Possiamo negarlo? No, non
possiamo perché non ha nemmeno l'accenno di un leggero torto, non
c'è una singola cosa sbagliata che abbia detto.
Accettalo,
Himeragi, perché questa volta non puoi ribattere o nasconderti
dietro stupidi flashback di tre anni fa: davanti a te hai il ragazzo
che non hai mai dimenticato, che ti fa ancora sentire come un
imbecille - cosa che comunque realmente sei - e che, anche se non
intenzionalmente, stai usando nella più meschina delle maniere.
–
Mi dispiace. – mormoro quindi abbandonando tutte le mie difese,
lasciandomi completamente scoperto da un mese a questa parte. –
Davvero, mi dispiace, Kyle. Non so perché io mi stia comportando
così, credevo che avrei saputo tenere sotto controllo l'averti così
vicino a me ma non è così, sto solo facendo tanta confusione e non
ho assolutamente l'intenzione di tirare la corda, sfruttare il fatto
di averti sul palmo della mano e cose simili perché sai che non sono
così, tu mi conosci. Mi stai solo mandando fuori di testa.
– Mi
piace il “solo”, come se “mandarmi fuori di testa” fosse una
cosa da poco. – Finalmente sorride, questo basta già a sollevare
tutto il peso che sento gravare in questa stanza. – Anguilla,
potremmo anche dire di essere adulti ormai, no? Eppure ci stiamo
comportando entrambi come bambini. Ammetto che non sono sempre
“facile” da tenere a bada e so che magari può averti dato
fastidio il fatto che abbia approfittato di te... in più
occasioni... ma insomma tu eri ubriaco e poi c'era l'atmosfera del
ritorno dopo tre giorni lontani quindi ehi!, nessun rancore?
Lo
guardo con gli occhi spalancati.
Io.
Sono.
Allibito.
Da
tale scemenza.
– Ehi, hai gli occhi verdi. – constata come
un idiota, avvicinandosi di più al mio viso. Un attimo, che
giochetto è?
– Ma dai? Adesso me lo dici? – lo prendo in giro
a mia volta, sentendomi però affogare invece nei suoi, macchie nere
senza la minima sfumatura di colore che non lasciano spazio ad alcun
genere di emozione languida: solo algido nero, difficile da leggere
ma tiepido una volta esserne venuti a capo.
– Stupida Anguilla.
– ridacchia prima di trovare il mio consenso per poi baciarmi,
azzerando i pochi centimetri tra di noi e facendo quasi prendere
paura a Sebastian - special guest della serata. Dal contatto
delle nostre labbra non ci vuole molto prima che io mi ritrovi
quell'energumeno di Kyle sopra di me, Sebastian che ormai ci ha
mandati a quel paese e se n'è andato nella sua cuccia provvisoria
alias la poltrona e le nostre magliette già sul pavimento. Non è
più l'emozione che sentivo da ragazzino, ora è una morsa che si
propaga prima agli istinti e poi al cuore, facendolo battere per
l'adrenalina che inizia a scorrere anche nelle arterie. Forse sto
facendo una cretinata, ma non la sto facendo senza averla prima
pensata. Se volessi smettere mi basterebbe alzarmi da questo letto e
andare in cucina, ma non mi dà fastidio sentire la sua pelle sulla
mia né tanto meno le sue mani che sfiorano luoghi lasciati in pace
da un po' di tempo ormai. Ci sono con la testa, non sto vagando né
pensando a quanto stupido mi potrò sentire dopo, semplicemente
lascio andare e lascio i rimpianti a quando sarà ora di averne,
cercando di svuotare completamente la mente e di permettere quindi a
Kyle di trasportarmi come ha sempre saputo fare. Devo ammettere che
la sensazione di intimità non è poi così strana come avevo
immaginato, è solo da rispolverare un po' ma del resto mi sento -
stranamente - tranquillo, so che sto facendo questa cosa
consenzientemente e che sono grande abbastanza per capire se ciò che
faccio rientra nelle mie volontà o meno: boxer sul pavimento, la
volontà c'è al cento per cento. E' tutto come ai vecchi tempi, i
modi di Kyle non sono cambiati - e con essi anche la sua mancata
gentilezza nei movimenti per la mia gioia, riusciamo ad
equilibrare momenti frettolosi a momenti più lenti e calmi e,
finalmente, esistiamo solo noi e nient'altro di mezzo - da leggere
proprio letteralmente, non ci sono nemmeno i calzini.
Spero solo
che non ricominci la telecronaca.
– ...guilla, giuro
che ti conviene svegliarti o ti ammazzo nel sonno.
Ah, questi
risvegli sempre dolci e affettuosi, come non adorarli? Uccellini che
cinguettano, sole che filtra dalle finestre e il proprio ragazzo che
serve la colazione a letto.
Un mondo piuttosto utopico, no?
La
realtà è che credo che gli uccellini siano affogati nei loro nidi
per tutta la pioggia che è scesa stanotte, attualmente sta nevicando
e dalle finestre filtra solo un gran freddo e per finire il mio
non-proprio-ragazzo mi sta scuotendo da dieci minuti per buttarmi giù
dal letto. Senza colazione.
Capite la crudeltà?
– Kyle... –
biascico senza troppa vitalità nel tono, spiaccicando la mia faccia
sul cuscino rendendo praticamente impossibile la comprensione delle
mie parole. Non ho la minima voglia di alzarmi, non di certo dopo la
notte che ho passato... Insomma, anche io ho bisogno di risposo dopo
un certo genere di attività.
– Ti ha chiamato
Muller.
Riposo? E chi ne ha bisogno?
– Sono in piedi! –
esclamo levandomi le coperte di dosso con uno scatto, mettendomi
seduto senza badare al famoso dolore che avevo quasi dimenticato.
Ahia.
– Mettiti almeno i boxer. – mi prende in giro il
simpaticone lanciandomi addosso l'indumento, uscendosene poi con un
sorrisetto che potrebbe facilmente provocare in me un tic nervoso. –
Devo dire che non sei peggiorato a letto, Anguilla.
Che
meraviglia sentire queste perle di dolcezza alle sette e mezza della
mattina. Mi riempiono sempre di poesia.
– Il che implica che io
sia peggiorato in qualcos'altro. – gli faccio notare con una non
esattamente gentile espressione, infilandomi i boxer per poi alzarmi
finalmente dal letto sotto lo sguardo attento del mio aguzzino.
Questa cosa mi mette ansia, dovrebbe smetterla di farmi sentire sotto
costante esame.
– Sei solo un po' più complicato. – risponde
con una semplice alzata di spalle, bloccandomi però prima che io
possa varcare la soglia. Bene, cosa vogliamo fare con Himeragi che
vuole passare col braccio di Kyle ad impedirgli il passaggio come in
una drammatica soap opera argentina? Da sottolineare il fatto che in
casa ci siano appena diciassette gradi e che siamo uno in boxer e
quell'altro appena uscito dalla doccia - sì, ha la mania per l'acqua
calda quel ragazzo, giuro che la bolletta la divideremo.
–
Kyle, devo andare in bagno. – puntualizzo con un che di “fammi
passare o ti castro”, indicando con lo sguardo il corridoio di
fronte a noi che porta alla mia Terra Promessa.
Lui mi guarda
invece con un'espressione che non so se interpretare come minacciosa
o semplicemente spaventosa, facendo crescere in me il vecchio
sentimento di timore nei momenti in cui ancora non riuscivo a
prevedere le sue mosse e mi lasciavo costantemente prendere alla
sprovvista.
– Perché me l'hai lasciato fare?
Lo guardo
stranito, la risposta sembra alquanto ovvia: – Be', in realtà non
te lo sto lasciando fare, sei tu che continui a impedirmi di passare
di là...
– Non... questo, Anguilla. – Penso stia per
prendere un coltello e ammazzarmi. Quoterei. – Stanotte, dicevo.
Ottimo Hime, bella figura di merda!
Non so nemmeno io cosa mi
sia preso stanotte, speravo che l'argomento fosse archiviato nel
momento in cui ci siamo messi a dormire e che non venisse più tirato
fuori, invece eccoci qua col suo sguardo accusatorio e con le mie
parole che vengono meno alla mia volontà.
– Non te l'ho
“lasciato fare”. – gli faccio presente sperando di risultare
fermo nel tono della voce. – C'ero dentro anch'io.
Lui mi
guarda con un sorrisetto, grattandosi distrattamente il retro del
collo: – Non eri esattamente tu quello dentro, in realtà...
–
Sei un porco senza religione.
– Cerco solo di farti ridere un
po'. – si difende alzando le mani all'aria, lasciandosi poi andare
ad uno sbuffo che assomiglia più all'uragano Camille del '69. –
Sei sempre teso, accidenti a te. Stanotte eri... diverso. E' per
questo che volevo sapere cosa ti è preso, perché l'hai fatto.
Pensavo non ne volessi sapere.
– Non mi ascolti abbastanza
attentamente, se è così. – ribatto, trovando il coraggio di
essere io a muovere un passo verso di lui, questa volta: appoggio
quindi la mia mano sul suo collo, avvicinandomi un po' di più al suo
viso. Wow, sono sorpreso da cotanta spavalderia nelle mie gesta.
– Ti ho detto che avrei provato ad innamorarmi di nuovo di te ed è
quello che sto facendo. Non mi pento di ciò che ho detto e nemmeno
me lo rimangio, l'aver passato la notte così è simbolo della
riuscita di tutto ciò. Devi solo darmi un altro po' di tempo.
–
Quindi deduco che tu non ne fossi del tutto convinto, questa notte.
Ma, ad ogni modo, ti darò quanto tempo vuoi, Anguilla. – mi
sorride finalmente in modo sincero, senza l'ombra di ironia sul suo
volto. – Ma non prendermi in giro. So di meritarmi il trattamento
di sfavore, ma con te io ho smesso di giocare. Spero solo che tu non
voglia farmela pagare.
Questi discorsi filosofici alle sette e
trentotto della mattina stonano completamente con l'immagine che Kyle
tende sempre a dare di sé, ma è proprio in questo modo che, anni
fa, mi ha fatto capire che sotto la facciata da stronzo cronico
patentato c'era in realtà un lato di lui che sapeva analizzare e
capire le situazioni nel migliore dei modi in maniera tale da
permettergli di usare anche le parole più adatte per giocare a suo
favore.
E per quanto costi ammetterlo, ci riesce alla
perfezione.
Che gran bastardo.
Dopo una serie di conflitti
interiori che manco Unione Sovietica e Giappone nel 1904, mi alzo
infine sulle punte facendo leva sulla mia mano appoggiata ora alla
sua spalla per tirarmi su e lo bacio, mandando momentaneamente a quel
paese tutti i miei buoni propositi di una vita sana e salutare senza
sbalzi umorali che potrebbero causare il mio impanicamento cronico.
Invece io mi impanico.
Madonna se mi impanico.
– Che
diavolo era questo, Anguilla? – ridacchia lui nel momento in cui i
miei talloni toccano di nuovo terra, guardandomi quasi stranito nel
senso però bello della parola, quel genere di confusione che fa
arrossire anche me. Okay, io arrossisco anche se vedo Sebastian
ringhiarmi contro ma questo è un altro conto, queste sono guance
rosse come il cappuccio di Cappuccetto.
– Era un “passa una
buona giornata senza starmi troppo tra i piedi e niente effusioni in
pubblico”, in realtà.
– Uh, modo efficace per esprimerlo. Ti
assicuro che avevo intuito esattamente tutto il messaggio.
–
Chiaro, vero?
Kyle mi guarda con un sorriso divertito, lasciandomi
finalmente passare con un pizzicotto sulla mia natica già dolorante:
– Cristallino.
Rileggo il messaggio del rettore in cui
mi dice di raggiungere quanto più velocemente possibile il suo
ufficio, preparandomi quindi mentalmente a vedere Albert Muller alle
otto e quaranta di mattina dopo una nottata passata quasi del tutto
insonne - per buone ragioni s'intende.
Il corridoio del college è
deserto come al solito dal momento che siamo in orario di lezioni,
non si sente una mosca volare se non per...
Be', un fischiettio
alquanto familiare devo ammettere.
Ditemi che non è come penso,
vi prego.
Un ragazzo pel di carota spunta da dietro l'angolo con
un caffè in mano e le cuffie alle orecchie, spalancando gli occhi
celesti non appena si accorge della mia presenza. Forse ha appena
capito di essere nei guai.
– Ti ammazzo.
– Partitina a
nascondino?
– Xavier.
Il rosso si sfila le cuffie
dalle orecchie, sorridendomi innocentemente ma con una leggera nota
di giustissima disperazione: – Conto io?
Mi spalmo la mano
sulla fronte, sospirando. Kyle e Xavier potrebbero senza dubbio fare
a gara su chi riesce meglio a farmi andare fuori di testa dal momento
che non so chi temere di più, posto anche che uno è un diciottenne
con manie infantili e quell'altro è un sedicenne troppo vissuto.
–
Perché non sei a lezione?
– Tecnicamente avrei ginnastica,
adesso. Non credo che Schneider volesse esattamente vedermi.
–
Potevi almeno presentarti, no? Poi ti avrebbe cacciato via, ma almeno
ti saresti fatto vedere.
– Oh sì, aspetta che prendo anche il
Galateo e stendo un tappeto rosso al professore di ginnastica che
vorrebbe vedermi annegato piuttosto di vedermi correre nella sua
palestra. Meglio rosso o blu, il tappeto?
Lo guardo male, gli
darei volentieri un leggero schiaffo come farei di norma ma ho tanto
l'impressione che finirei per vedere il suo bicchiere di caffè fare
la stessa fine delle cascate del Niagara, così mi evito la parte
scomoda del mio tentato gesto e mi limito a uno sbuffo, tanto non
avrei lo stesso più di tanta influenza su questo marmocchio.
–
Vuoi venire con me? – gli propongo alla fine, guardandolo con la
coda dell'occhio.
Xavier abbassa rapidamente lo sguardo dopo
averlo tenuto sulla mia maglietta per qualche istante, stringendo
appena la presa sul bicchiere. Da dove viene questo genere di
reazione bizzarra?
– Qualcosa non va? – gli chiedo guardandolo
ora negli occhi, posando lentamente la mano sulla sua spalla. Ammetto
di essere addirittura spaventato da certe espressioni di questo
ragazzo: quando non si capisce cosa gli passi per la testa diventa
rischioso qualsiasi genere di mossa. Ammettiamolo, sembra che io stia
parlando della SWAT più che di un ragazzo di sedici anni. Himeragi
e i complessi.
Lui alza quasi a fatica lo sguardo, sperando
forse di vedermi svanire nell'istante in cui i suoi occhi incatenano
i miei - l'espressione dell'affetto, insomma: – Che hai fatto al
collo?
Al collo?
Passo rapidamente la mano sulla pelle,
capendo solo nell'istante in cui sento dolore la causa della reazione
di Xavier e la stessa causa del mio molto molto prossimo attacco di
panichira.
Sì, panichira. Panico e ira.
Come spiego
ora a Xavier che Kyle ha portato un Beagle di nome Sebastian da New
York, che mi ha baciato in aeroporto, che mi ha fatto capire quanto
io sia idiota e che mi ha convinto del fatto che andare a letto con
lui fosse un'idea grandiosa e che mi ha portato ad avere una serie di
piccole ma fastidiose macchie violacee sul collo?
Non che mi sia
pentito di aver preso in considerazione l'idea, ma della parola
“grandiosa” distinguerei la parte “grandi” dalla parte “osa”
e quest'ultima la attaccherei al prefisso “dolor”. Oggi siamo in
vena di giochi di parole.
– E' stato lo spigolo del tavolo.
Xavier alza le sopracciglia, fissandomi accigliato: – Spiegami,
stavi mangiando in ginocchio per prenderti lo spigolo sul collo?
–
Pregavo. – Sì Hime, non ci cascherà mai. – … Buddha.
Ora
sì che ragioniamo! Ci crederà di sicuro!
– Pensi che non sia
abbastanza grande da riconoscere un succhiotto, Anguilla? – Xavier
mi squadra da capo a piedi, peccato che non ci sia la minima traccia
di scherzo o di gioco nel suo intero comportamento momentaneo. Credo
che, per qualche astruso motivo, questo ragazzo si sia
improvvisamente arrabbiato a morte con me.
Arrivo quindi a
deporre le armi nella speranza di ottenere pietà dallo sguardo
troppo adulto di Xavier, ammettendo le mie colpe senza giri di
parole: – Hai ragione, scusami. E' stato Kyle.
– Ma non
dirmi. – commenta sarcastico lui, avvicinandosi poi per scostare la
mia mano dalla sua spalla ma in compenso per portare la sua
esattamente sulla zona incriminata del mio collo.
Fermate tutto,
cosa diavolo sta facendo questo piccolo assassino di pace
psicofisica?
Mi ritrovo costretto a deglutire e il contatto con i
suoi occhi sembra impensabile al momento, sento solo una strana
sensazione che ci rinchiude in un contesto solo nostro e
incredibilmente alienante nonostante la familiarità che avrei
giurato ci fosse tra me e lui.
Calmo Hime: è solo Xavier. Non è
Kyle, non può fare mosse troppo disturbanti per te, ha un
registro da rispettare e lo rispetterà, non ha mai avuto motivo per
trasgredire alle regole non scritte tra di noi - nonostante
ultimamente ci stiamo lasciando troppo andare agli abbracci e a
discorsi parecchio compromettenti.
– Cos'è, sei agitato? –
mi prende in giro con un sorriso divertito, continuando a passare il
dito sulle mie ferite di guerra. Che simpatico, fa pure umorismo!
–
Piantala, moccioso. – ribatto quindi cercando di mantenere la calma
e di guardarlo come se niente in realtà stesse succedendo, come se
lui non si stesse permettendo così tanto nei miei confronti e come
se lui sapesse a cosa sta andando incontro se intende andare avanti
ancora a lungo. Purtroppo io passo sopra a ogni genere di “azione
disturbante” nei miei confronti, ma quando queste sfociano in un
campo troppo intimo comincio a cercare incoscientemente una via
d'uscita, sia essa anche ribaltare i ruoli della potenziale brutta
situazione.
– Non pensavo ti desse fastidio questo genere di
contatto. – constata il rosso tirando decisamente troppo la corda,
mandandomi in tilt con il solo obbiettivo di uscirmene illeso da qui.
Mi dispiace, ma se l'è cercata.
Con i residui delle lezioni
di autodifesa che un insegnante di passaggio ci insegnò in seconda
superiore riesco quindi a liberarmi dalla presa di Xavier e a
ribaltare i ruoli, trovandomi dietro di lui con una mano che cinge il
suo busto e l'altra sulla sua guancia a tenere il volto girato verso
destra e quindi tutto il lato sinistro del collo libero.
–
Proviamo a vedere se a te dà fastidio? – mormoro al suo orecchio
solo dopo essermi assicurato che i corridoi siano ancora vuoti. Non
vorrei mai che Muller mi vedesse di nuovo in queste condizioni, mi sa
che il suo prossimo passo sarebbe chiedere il mio espatrio.
Xavier
si irrigidisce in un istante, portando le mani sui miei polsi senza
però voler veramente difendersi. Non riesco a vedere la sua
espressione ma sono quasi del tutto sicuro che le sue guance siano
rosse come poche volte ho visto essere e che si stia mordendo il
labbro inferiore come è solito fare quando si trova nei guai - cosa
che succede piuttosto frequentemente devo ammettere. Non voglio
fargli prendere paura o altro, voglio solo fargli capire quanto sia
irritante giocare su questo genere di argomenti e spero di riuscire
nella mia impresa senza causargli un trauma. Prego Dio che poi non
ricomincino le lettere minatorie sul parabrezza della mia auto
scrausa.
– Agitato? – chiedo quindi con lo stesso tono che
lui ha usato poco fa con me, sentendo con la mano appoggiata sulla
sua guancia la mascella irrigidirsi per deglutire. Mi sa di aver
centrato nel segno.
Anche se il mio istinto mi spingerebbe ad
andare oltre per la mia natura mi limito solo a soffiare sulla pelle
tirata appena sotto l'orecchio sinistro, liberandolo dalla presa
subito dopo. Purtroppo credo di avere difficoltà a mettere dei
paletti su “questa persona è Kyle” e “questa persona non è
Kyle”. Facile, direte voi, Kyle è solo una persona su sette
miliardi, ma non lo avete mai conosciuto. Kyle Adair è uno,
nessuno e centomila - sì, è solo un modo carino per chiamare la
mia sporadica ossessione compulsiva verso di lui.
– Accidenti a
te. – sibila tra i denti Xavier, alzando gli occhi furenti verso di
me mentre porta la mano sulla zona a cui ho dato fastidio. – Falle
con Adair queste cazzate.
– Devo ammettere che farle con te è
più divertente. – lo prendo in giro solo per un secondo,
rendendomi però conto di star tenendo un comportamento che non è da
me e che potrebbe fargli davvero male. Che diavolo mi sta succedendo?
– Stai bene?
– Che ne pensi di lasciarmi in pace? – ribatte
lui, prendendo bruscamente le distanze da me e gettando il bicchiere
quasi vuoto nel cestino.
– Oh, andiamo! – Recupero i due
passi che ci allontanano, guardandolo negli occhi che chissà cosa
stanno nascondendo. – Stavo scherzando, Xavier. Mi dispiace.
Il
rosso si dimostra di nuovo protetto da un infinito numero di muri
invalicabili, scrutandomi con diffidenza come se in un nanosecondo
riuscisse a resettare tutto ciò che insieme abbiamo passato: – Non
puoi scherzare su queste cose con me. Non farlo più.
Alzo le mani
all'aria, colto in contropiede dalla serietà del tono di voce di
questo ragazzo che continua a spiazzarmi nonostante sembra avermi già
rivelato tutte le sue carte. Cosa ci posso fare se io sono un idiota
clinico e non capisco mai fino dove posso spingermi prima di
combinare qualche disastro dei miei?
– Scusami. – ripeto,
veramente mortificato nel riconoscere la mia immonda stupidità nei
confronti di Xavier. – Posso farmi perdonare?
– Stasera mi
dai un passaggio. – borbotta abbassando gli occhi come se fosse
infastidito dalla sua stessa richiesta, gesto che risulta alquanto
divertente a vedersi.
Dal canto mio mi ritrovo a ridere e a
spettinargli i capelli rossi che tanto adoro, facendogli cenno di
seguirmi verso l'ufficio di Muller: – Ancora con questa storia, eh?
– Se non vuoi prendo l'autobus.
– Non intendevo quello. –
mi correggo, riservandogli un ultimo sorriso prima di chiudere
l'argomento per non sfociare nel sentimentale. – Dicevo che non c'è
bisogno di chiedermelo.
L'ufficio di Muller non cambia
mai, esattamente come non cambia la sua espressione ogni volta che mi
vede con un individuo dotato di apparato genitale maschile accanto a
me - penso sia convinto che io sia una specie di uomo-squillo.
Incrocia le braccia, mi squadra da capo a piedi, squadra Xavier e
termina in un sospiro di esasperazione, portandosi infine la mano
alle tempie. Penso abbia adottato questo genere di comportamento
dalla prima volta che sono finito qui in presidenza dopo che aveva
beccato me e Kyle nel pieno del nostro primo bacio negli spogliatoi,
sono passati quattro anni ma vedo che il sentimento non è cambiato.
Sono proprio contento che il mio datore di lavoro mi veda come un
poco di buono che se la fa con ogni uomo presente sulla faccia della
Terra, devo solo ringraziare il mio essere discreto nel nuoto perché
se così non fosse credo che alla cerimonia del diploma, sapendo di
non vedermi più, avrebbe dato una festa e mi avrebbe spedito giù
dal palco con un bel calcio nel didietro. E uno striscione con
trombetta, non dimentichiamolo. La trombetta è tutto.
–
Fenwick.
– Mi cercava?
– Perché c'è anche Xavier?
Eh,
perché c'è anche Xavier?
Guardo così il rosso accanto a me che
semplicemente rotea gli occhi, riportando la mia attenzione poi su
Muller e il suo disappunto nonché disagio nell'avermi di fronte a
lui con un ragazzo accanto a me: – Dato che avrebbe educazione
fisica è rimasto fuori dalla palestra secondo gli ordini dati da
Schneider e gli ho chiesto se voleva rendersi utile e venire con me,
tutto qui.
Il rettore mi guarda passivamente per qualche secondo,
concludendo però con un'alzata di spalle rassegnata e allungandomi
invece due buste: – Queste sono per te, sono arrivate ieri da New
York.
Lettere?
Cauto, quindi, afferro lentamente i due oggetti
sospetti e li scruto attentamente, trovando solo il mio nome e il
mittente, “Dipartimento Selezioni Giovanile New York Swimming
Team”.
Non di nuovo, vi prego. Questo nome è stato più volte
oggetto dei miei incubi - insieme a Aydin vampiro che si aggirava per
casa mia in cerca di sangue, ma quello fa parte del lato contorto
della mia mente.
– Ho chiesto per telefono a Nico Casadei se ne
sapesse qualcosa. – ricomincia Muller, guardando prima Xavier e poi
me. – Mi ha detto che sa tutto ma non voleva svelare la sorpresa,
quindi presumo siano due belle notizie. Se fossi in te, Fenwick, le
aprirei il prima possibile.
– Lo farò. – annuisco, guardando
però con riluttanza le lettere.
Tre anni fa non hanno portato
nulla di buono quindi ammetto di essere prevenuto, specialmente poi
col parere dell'italiano che adesso ci sta provando con la mia ex
ragazza.
– Puoi andare. – mi dismette Muller con un cenno
lento della mano destra, indicando la porta con gli occhi ma finendo
poi sul ragazzo accanto a me. – Un'ultima cosa, Xavier.
Il rosso
si mette sull'attenti, cercando prima il mio appoggio con lo sguardo
e poi prestando attenzione al rettore. Il fatto di cercarmi
nonostante la situazione ammetto che mi fa comunque sorridere: per
quanto lui si possa dimostrare duro con me so che in realtà riuscirà
sempre a perdonarmi... Certo, quando ne ha bisogno. Altrimenti riesce
anche a non parlarmi per sette mesi e quattro giorni, ovviamente.
–
Sì? – domanda quindi nascondendo il timore che ha mostrato a me
solo nel frangente in cui i nostri occhi si sono incrociati e usando
invece il suo solito tono spassionato, quasi come se sapesse già che
cosa Muller ha da dirgli. Devo ammettere che per certi versi Xavier
mi ricorda Kyle quando aveva quattordici anni, in quei momenti in cui
sebbene io provassi a farlo ragionare lui non voleva sentire ragioni
e mi rispondeva con lo stesso tono che Xavier usa abitualmente - e la
cosa mi inquieta non poco.
Perché, mi chiedo, io devo essere
sempre inquietato da qualcosa? C'è sempre una costante di stranezza
che aleggia intorno a me che credo di essere io stesso a risultare
inquietante da quanto sono inquietato. Riuscite a inquietarmi?...
Capirmi, volevo dire. Capirmi.
Riuscite a capirmi?
–
Complimenti per le gare. – svela Muller sollevandomi da un grande
peso, finalmente sorridendo sotto i baffi tendenti al bianco. –
Spero che tu non faccia altre marachelle che possano compromettere la
tua carriera agonistica perché hai del potenziale. Non buttarlo via.
– E' colpa di Himeragi. – risponde con nonchalance il piccolo
mostriciattolo, alzando le spalle e indicandomi con la mano che sfila
dalla tasca. – Mi molesta.
Muller sgrana gli occhi gridacchiando
un: – Prego? – nel momento in cui io vorrei strozzare Xavier ma
allo stesso tempo sotterrarmi sotto il cemento in stile “Walled
In”. Perché doveva dire tale amenità, insomma?
Il
passaggio questa sera glielo do sul tetto dell'auto legato con una
corda ai due specchietti retrovisori, altro che sul sedile.
–
Sta scherzando! – mi difendo subito alzando le mani all'aria con
fare leggermente isterico, mi sa di non risultare troppo convincente
se mi comincia a venire il tic all'occhio da manicomio. – Che
burlone, vero?
Muller mi fissa sospettoso mentre Xavier si defila
lasciandomi da solo col mio datore di lavoro che, palesemente
indeciso se licenziarmi all'istante o aspettare venti secondi,
incrocia le braccia e mi guarda nella peggiore delle maniere: – Lo
sai che Xavier è ancora minorenne, Fenwick? Sei perseguibile
penalmente se lo molesti.
– Non molesto Xavier! – sbotto
maledicendo mentalmente il ragazzino per avermi messo in questa
brutta situazione. Questa me la paga.
– Spero solo di non
doverti richiamare per gli stessi motivi di tre anni fa, Fenwick.
–
Se quei richiami li lascia a tre anni fa, si fidi, sto anche
meglio.
– Problemi con Adair?
Non so se sia più triste che
il mio datore di lavoro si preoccupi di farmi un richiamo per
presunte molestie o perché si preoccupa della mia relazione
omosessuale col mio ex compagno di scuola e di squadra. E' davvero
una assai triste storia - che finirà con Kyle illeso, Xavier che se
la ride e Himeragi con un nome di merda.
– Pressapoco. –
me ne esco senza addentrarmi nell'argomento, facendo poi un cenno a
Muller per dileguarmi prima che la situazione possa farsi troppo
preoccupante.
Appena due passi alla destra della porta Xavier mi
guarda tutto soddisfatto con le mani nelle tasche e un sorriso che
potrebbe far tornare in me lo spirito da manicomio che sto
trattenendo molto faticosamente in questo periodo insieme alla voglia
di fuggire in Guatemala e chiamarmi Ganapati Gulal.
– Tu volevi
farmela pagare o sbaglio? – gli domando senza nemmeno girarmi a
guardarlo, impegnandomi per reprimere istinti che potrebbero sul
serio costarmi la prigione.
– Diciamo pure così. – sorride
lui arrivandomi accanto, sbattendo più volte le palpebre da finto
innocente.
Adesso lo picchio.
– Non giocare col fuoco,
moccioso. – Picchio una delle due lettere sulla sua nuca,
porgendogliela poi all'altezza delle mani. – Leggi questa, se vuoi
farti perdonare. Io leggo l'altra.
Il rosso annuisce ridacchiando
con un'allegria che non è da lui, fermandosi poi con le spalle al
muro per appoggiare la schiena e aprire la busta. Mi chiedo
sinceramente il motivo della sua spensieratezza in questo momento
quando prima potrei giurare che volesse togliermi la carotide a
martellate, ma tanto meglio: se lui è contento sembra che anche
l'atmosfera tra di noi non sia così lugubre come al solito.
Mi
metto così di fronte a lui per scartare la busta, tirando poi fuori
la missiva con discreta tranquillità. Questa beata tranquillità
però svanisce non appena arrivo nemmeno a metà, sentendo la gola
diventarmi secca e un senso di insensata irrequietezza entrare sempre
più in circolo nelle mie vene. Alzo gli occhi verso Xavier, lui mi
sta già fissando con la mia stessa espressione.
Dove dovevano
essere le buone notizie?
Xavier deglutisce e poi, senza alcuna
traccia di allegria enuncia il risultato: – Ti hanno proposto di
allenare la Nyst.
Annuisco, non capendo forse davvero cosa sta
succedendo: – Hanno selezionato Tammie... E anche te. – concludo
con la stessa enfasi, fissando queste due lettere a mezz'aria.
Questo mi sa tanto di tragedia in arrivo.
Dove sono i
violinisti di Titanic quando servono?
ANGOLO AUTRICE Eeee sì, finalmente
eccoci qui. Non mi sono dimenticata di Swimming Tale ma avevo perso le
credenziali di accesso e ci ho messo un po' per ritrovarle. Ad ogni modo spero che la storia vi continui a piacere e vi lascio quindi in allegato un piccolo spoiler dal capitolo 10!
–
Bene, allora siamo sulla stessa barca. Sembri sconvolto.
Xavier mi
tende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi, squadrandomi da capo
a piedi con i suoi occhietti malefici: – Botta a parte, potrei dire
lo stesso di te. Hai pianto?
– E' il freddo.
Il rosso
annuisce, guardandomi però con la sua tipica faccia da “dimmi se
secondo te ti sto credendo” che diventa poi una smorfia di
confusione: – Cosa ci fai qui a quest'ora?
Averlo qui davanti
cambia le carte in tavola, cos'ho da perdere se gli dico il vero
motivo per cui sono venuto qui?
– Puoi saltare scuola,
domani?
Capitolo 10 *** The Panino al Prosciutto Tales ***
Swimming tale cap.10
SWIMMING TALE
CAPITOLO DIECI
“The Panino al
Prosciutto Tales”
Percy se ne sta seduta a
braccia conserte sulla poltrona a rileggere per l'ennesima volta
entrambe le lettere, Iris fissa un punto indefinito del pavimento e
Sebastian lancia l'ennesimo guaito alla pallina che quel cretino di
Hick continua a farsi riportare e lanciare, andando a sbattere contro
il mobile e buttando giù una foto incorniciata in bilico. Con Kyle
fuori dalle scatole per un'uscita con i suoi compagni di squadra devo
dire che mi mancava passare una serata con i miei amici, anche se il
contesto non è dei migliori.
Anzi, fa proprio schifo.
–
Hick, la vicina sale col badile se non la smetti di agitare
Sebastian. – informo non proprio cordialmente il mio migliore
amico, facendo cenno a Sebastian che sembra diventare cretino per una
pallina da tennis scrausa.
– Vuoi far deprimere anche il cane?
– ribatte allora lui permettendosi anche di guardarmi come se la
colpa fosse mia, tirandosi su da terra sistemandosi i quattro peli
castani che si ritrova in quella testa bacata. – Guarda come siamo
messi, ci manca solo Sebastian!
– Pensa se tu avessi una padella
in testa quanto potrebbe deprimersi, poverino.
– Una padella? –
ripete Aydin guardandomi stranito. – Non era un badile?
– Oh
sì, quello la signora Stanley del piano di sotto. La padella faccio
io.
– Ah. Un tesoro.
– Vero? – Mi porto entrambe le mani
alle tempie in un gesto di esasperazione, strappando poi dalle mani
di Percy le lettere ormai consumate a forza di girarle di mano in
mano. – Non ne ho ancora parlato con Kyle perché non lo vedo da
questa mattina dato che ci sono stati un po' di casini tra cui lui
che perde il bus non una, ma due volte e io che devo portare a casa
Xavier quindi devo ancora sentire il suo punto di vista...
Sinceramente non credevo mi sarei potuto trovare in una situazione
del genere.
– Non è così brutta come sembra. – mi rassicura
Iris cercando di fare un sorriso
tirato. – Sono tre grandi opportunità e vanno analizzate bene,
tutto qui.
Percy scuote la testa, dimostrandosi la più
apprensiva dei presenti come al suo solito: – Cosa accidenti c'è
da analizzare? Per noi vuol dire restare qui con Sapphire, Marley e
Shion mentre per Hime vuol dire che lui, Xavier, Tammie se ne vanno a
New York con la Nyst.
– La fai sembrare più drastica del
dovuto, Percy. Ci sono state ogni anno questo genere di selezioni.
–
Okay, ma non erano mai capitate a noi in questo tipo di
situazione!
Mi dispiace, su questo non ci piove: andarmene vuol
dire lasciare Detroit, il mio tugurio, il mio lavoro, la mia squadra
e tutta la mia vita. E' anche vero il fatto che qualcosa verrebbe con
me, due dei miei allievi mi seguirebbero e potrei stare vicino a Kyle
tutto il tempo fermo restando che non so ancora se Xavier e Tammie
abbiano intenzione di venire o meno. Che bella situazione di merda.
Hick improvvisamente smette di giocare con Sebastian, si pulisce
dai peli bianchi del cane sui suoi pantaloni per poi guardarci uno ad
uno negli occhi con un'espressione quasi comica per la serietà: –
Questa è una decisione di Hime, ragazze. E' vero, non è facile ma
credo che sia già abbastanza indeciso sul da farsi anche senza il
vostro indesiderato apporto alla questione. Direi di aiutarlo a
sistemare le idee che ha lui, non suggerirgliene di nuove e
peggiorare la situazione.
Sgraniamo tutti gli occhi, è stato
veramente Aydin Hickey a elargire tale aulica sentenza? Iris e Percy
si guardano esterrefatte ma lasciano la parola a me che, fingendo di
asciugarmi le lacrime, appoggio la mano sulla spalla del nuovo Giulio
Cesare: – Grazie, amico.
– Chi credi che ti abbia portato a
bere quando Kyle è partito per New York? – mi chiede facendomi
l'occhiolino, ricominciando poi a giocare col cane come se niente
fosse. Questo ragazzo è una continua scoperta, lo devo ammettere.
–
Allora, Hime? – Iris alza lo sguardo verso di me, pensierosa,
incrociando poi le braccia al petto. – Sentiamo la tua.
Prendo
un grosso respiro, alzandomi in piedi di fronte ai tre dell'Ave
Maria: – Per quanto sia una grande opportunità e per quanto sia la
seconda volta che vengo convocato a New York, io ancora non me la
sento. Ho tutta la mia vita qui a Detroit, lasciarla vorrebbe dire
aver semplicemente rimandato l'opportunità di tre anni fa. E poi,
cosa avrei là?
Iris fa una smorfia, roteando anche gli occhi: –
Un panino al prosciutto, Hime. Che accidenti vuoi avere a New York?
Kyle, ovviamente!
– Kyle sta andando ad abitare col suo ex
ragazzo, cosa vuoi che faccia io, lì? Che mi cerchi un appartamento
per conto mio e che veda il mio quasi
ragazzo solo agli allenamenti?
– Magari lo trovi vicino al
loro.
Guardo male la mia ex ragazza, portandomi le mani alle
tempie: – Sì, poi propongo una cena col vicinato per festeggiare
il mio arrivo. Ma dai.
– Stai tralasciando Xavier e Tammie. –
Mi fa presente Percy, mettendosi stranamente dell'idea di ragionare
senza dare di matto o senza drammatizzare tutto quanto. Sembra una
novità se si tratta di noi quattro. – Non sarai da solo del tutto.
Forse Xavier potrebbe venire a vivere con te, no?
– Così poi
chiamano i servizi sociali. Già Muller pensa che io lo molesti... Ma
cos'ho fatto di male?
Hick alza improvvisamente gli occhi da
Sebastian e mi guarda con un'espressione dispiaciuta: – Hai un nome
un po' del cazzo, forse.
– Ah, grazie Hick. Non c'ero arrivato
in diciotto anni di esistenza.
– Di niente, fratello. Quando
vuoi.
Ripeto: cos'ho fatto di male?
– Hime, è una grande
opportunità. – ripete Iris, serafica. – Lo sai anche tu di avere
la stoffa per allenare, se cominci con la Nyst chissà quali altre
porte ti si apriranno.
Percy annuisce anche se a fatica, so che
lei al contrario di Iris guarda di più l'aspetto affettivo delle
cose e che fa più fatica a ragionare in questi casi, ma sono
comunque felice del fatto che siano tutti concentrati a risolvere
questo mio grande dilemma esistenziale - e stavolta non si scherza.
– Sentiremo cos'ha da dire Kyle dopo che l'avrò
picchiato.
Hick fa una smorfia stranita: – Picchiato?
– Sì
– confermo, tranquillo. – Perché non mi ha detto nulla. Quindi
prima lo picchio e poi sento come vuole difendersi.
Iris forse non
sa se ridere o rimproverarmi, ma alla fine se ne esce con un'alzata
di spalle: – Di solito prima viene la difesa e poi l'attacco.
–
Stiamo parlando di Kyle Adair. – le faccio presente. – Non di un
tenero cucciolo di cane. E' uno spregevole umano che non ha nulla da
fare nella vita se non devastare la mia.
– Wow. Tu devi farti
vedere da uno bravo.
– Lo so! – esclamo a gran voce, facendo
sussultare anche il cane.
La verità? Sono sconvolto - ma dai? -
da tutto ciò che è successo nel giro di un mese. Tutto il mio
precario equilibrio si squilibra
ad ogni passo che muovo, vacillo senza sosta e tutt'intorno troviamo
una cornice di amici che non aiutano, un datore di lavoro che pensa
che sia un maniaco, un ex ragazzo che non si capisce se stia tornando
attuale o meno, un allievo lunatico e una proposta di trasferimento a
New York. Poi dicono che la vita da diciottenni sia una pacchia.
Iris improvvisamente si alza dalla poltrona e si rivolge a Hick e
Percy con uno sguardo strano: – Ragazzi, vi chiedo scusa ma devo
parlare col cretino in privato. Giusto due minuti.
Ehi, mi ha
appena chiamato “cretino” o sbaglio?
– Tranquilla. – Percy
le sorride e così fa anche Hick, lasciandomi nell'oblio con la mia
ex che, come se fosse a casa sua, afferra la manica della mia felpa e
mi guida fuori dal condominio in silenzio.
Iris Rooney disse
la stessa frase non molto tempo dopo la partenza di Kyle nel bel
mezzo di un venerdì sera passato da bravi quasi sedicenni al cinema
sempre con Percy e Hick, facendomi pensare le peggiori cose nel
frangente in cui ci allontanavamo dalla gente e andavamo a
nasconderci in un vicolo appena fuori dall'edificio. Era il periodo
in cui mi sforzavo di trovare attraenti i fondoschiena delle ragazze
con scarsi risultati, perciò non capivo proprio perché tutto quel
gran mistero da parte di Iris quando fino alla mattina stessa si era
comportava come tutto il resto dei giorni.
– Ti detesto. – mi
disse non appena ci fermammo, abbassando lo sguardo solo per non
incenerirmi se l'avesse tenuto alto.
Io la guardai stranito, non
erano da lei quel genere di colpi di testa e soprattutto mi sentivo
leggermente offeso da quel “ti detesto” che, a mio parere, non
aveva motivo di essere stato detto. Però ripeto,
a mio parere. Si sa che
bisogna stare sempre all'erta con questo genere di premessa.
–
Il motivo? – chiesi quindi con quella discreta tranquillità che al
tempo mi risultava facile tenere, come se il mio temperamento fosse
cambiato in un modo bizzarro per un po' di tempo dopo la partenza di
Kyle.
Iris si sistemò i capelli biondi al tempo più lunghi
dietro le orecchie e mi trafisse peggio che poté con i suoi occhi
scuri: – Perché sei gay.
Annuii, confuso: insomma, lo sapeva
da due anni. Poteva anche dirmelo prima, no?
– Che novità. –
sibilai quindi infilando le mani nelle tasche, fissando la ragazza
davanti a me con aria di sufficienza. – Stasera ti è venuta
l'illuminazione e hai capito di odiarmi?
– Lasciami finire,
idiota! – sbottò veramente in preda alla rabbia, accentuando il
tutto anche con i pugni stretti lungo i fianchi coperti solo da una
camicia nonostante il freddo pungente delle undici e mezza di
febbraio. Riassumendo tutto ciò che era successo fino a quel momento
mi era stato del dato del cretino, dell'idiota e mi era stato detto
di essere detestato perché gay. Una tipica bella serata. – Stai
buttando tutta la tua vita su Adair, e non è possibile. –
spiattellò senza una particolare intonazione, fissandomi con gli
occhi quasi vitrei. – E' da settembre che stiamo provando a farti
stare meglio ma tu non ne vuoi sapere e questa cosa è... Fastidiosa,
okay? Kyle è solo un ragazzo che ti ha fatto perdere la testa e che
adesso se n'è andato, cosa aspetti a realizzarlo e a metterti il
cuore in pace?
Se avete pensato che Iris stesse per dire qualcosa
di dolce, eravate fuori strada: Iris Rooney non ha nemmeno la parola
“dolcezza” nel suo vocabolario.
– Ti ringrazio per il
tatto. – borbottai quindi in tutta risposta, quasi dovendo
trattenere le risate. – Guarda che non sono un caso patologico come
lo stai facendo sembrare, Iris. Puoi biasimarmi perché sto male
considerando che il mio ragazzo se n'è andato con due giorni di
preavviso?
– Ti biasimo perché credi che il mondo sia finito e
non hai neanche sedici anni!
A quel punto alzai le mani in segno
di resa, sorridendo alla bionda di fronte a me: – E con questo?
–
Almeno provaci, dico io! – Iris s'impuntò col piede, guardandomi
al colmo dell'esasperazione. – Devi uscire da questa situazione,
non ha senso starci e...
– Perché credi di essere così
coinvolta? – la interruppi, fissandola senza la minima traccia di
sorriso sul mio viso. Sapevo che non era da me quel tono di voce,
sapevo che non era da me un atteggiamento simile, sapevo che mi stavo
estraniando sempre di più da chi ero sempre stato ma non sapevo che
uno schiaffo mi sarebbe arrivato da lì a qualche istante. E anche
abbastanza forte, devo ammettere.
Mi coprii immediatamente la
guancia lesa con la mano, fissando Iris con gli occhi sgranati: –
Sei impazzita?
Lei scosse la testa, fremente, arrabbiata forse
come mai l'avevo vista prima - e credo che quella fu l'ultima volta
in cui la vidi in una condizione simile.
Ora, immaginate come un
ragazzo gay potesse sentirsi a guardare la più impassibile delle sue
due migliori amiche quasi piangere davanti a lui per un motivo che
nemmeno era comprensibile, sapendo solo di esserne la causa. Il
vecchio me costantemente in preda all'ansia dovette combattere
parecchio per non emergere, ma fui salvato proprio dalla persona che
pochi secondi prima mi aveva colpito in pieno viso: – Mettiti con
me, se vuoi provare a guarire.
Vi starete chiedendo perché Iris
mi abbia tirato uno schiaffo per chiedermi di stare insieme quando in
genere gli schiaffi si danno quando si vuole lasciare qualcuno;
ebbene, me lo chiedo tutt'ora anche io. Mi guardava con occhi pieni
di odio nonostante le sue parole non corrispondessero con la sua
espressione e questa sua caratteristica è sempre stata il motivo per
cui non capisco mai cosa voglia davvero.
Alla fine però decisi
di non fare un dramma per quello schiaffo e semplicemente appoggiai
la mano sulla sua spalla sperando di non commettere altri errori nel
mio discorso: – Se lo fai perché credi che sia un aiuto
terapeutico allora non sentirti in dovere, Iris. Non forzarti a fare
qualcosa che non ti va di fare.
E invece ne commisi eccome.
Iris
afferrò la mia mano sulla sua spalla e la strinse tra le sue,
guardandomi dritto negli occhi senza la minima traccia di timore
(cosa che piuttosto intimoriva me): – Senti da che pulpito arriva
la predica! – sbottò, non mollando però la presa sulla mia povera
mano. – Perché, a te va di stare male? E' qualcosa che ti senti in
dovere di fare?
Ho sempre odiato i grandi retori.
Così
scossi la testa, affranto dalle sue continue argomentazioni che
continuo a sperare di riuscire ad acquisire anche se sono passati due
anni e più e continuo ad usare il mio nome come argomentazione. Per
carità, ammettete che è un nome di merda ma in prigione non credo
mi salverà dire “Ehi agente, ho un nome di merda, mi lasci
andare!”, potrei leggermente
finire in psichiatria a quel punto.
– No – risposi alla fine,
girando la mia mano tra le sue per riuscire ad accarezzarne il dorso
col pollice. – Ma è quello che sento adesso. Punto.
– E
allora questo – disse
indicando pericolosamente le mani unite. – E' quello che sento io
adesso! Tu non sembri vedere altro e se non avessi fatto qualcosa per
fartelo capire tu nemmeno avresti pensato all'idea che io possa
sentire qualcosa che va oltre all'amicizia per te! Non... E' una
forzatura, insomma. Ci credo davvero.
– Ma lo vedi come sono
messo? Come potrei mai essere per te un buon ragazzo?
– Non mi
serve un “buon ragazzo”, quello può andare anche affanculo,
Hime. A me servi tu quando ancora eri in te, quando non sembrava la
fine del mondo ad ogni minuto che passava. Ti prego.
A dirla
tutta, avevo il sospetto di piacerle. Negli ultimi tempi aveva
iniziato a comportarsi in modo diverso, non si arrabbiava così
frequentemente come faceva prima e per certi versi sembrava essersi
addolcita. Avevo anche provato a parlarne con Hick ma lui, cretino
tale e quale è, aveva negato tutto e smentito tutte le mie ipotesi,
dicendomi solo che ero un gay che se la tirava troppo perché pensava
di piacere ad una ragazza etero. Capite perché dico che Aydin è un
ragazzo pieno di sorprese?
– E tu accetteresti questa
situazione? – le chiesi forse troppo duramente, ma in realtà lo
dicevo per lei. – Sono gay, lo sai.
– Lo so, idiota. Ma so
anche che voglio farti cambiare idea, quindi non mi interessa.
–
E se ti dicessi di sì, cosa cambierebbe? Metterci insieme
risolverebbe qualcosa?
Iris annuì, convinta, deponendo parte
delle sue armi: – Ti darò parecchie gatte da pelare per non farti
pensare a quell'idiota, ecco cosa. Ci proverò, almeno.
Avevo
sempre saputo di essere un amico importante per Iris, si era sfogata
con me andando contro il suo orgoglio più di una volta e, anche se
non lo dimostrava facilmente, si preoccupava sempre per tutti noi. Il
punto è che per me era assai difficile immaginarmi con una ragazza
dopo aver passato due anni con la testa solo su Kyle e temevo di
poter ferire Iris se avessi accettato senza esserne del tutto
convinto, ciò che poi realmente successe ma che non fu poi così
drastico - se lo immaginava pure lei.
– Cosa provi per me? –
mi chiese di punto in bianco senza aspettare una mia risposta,
fingendo forse di essere rilassata nel pormi quella domanda. –
Insomma, avresti almeno un minimo di interesse?
– Sì – dissi
senza nemmeno pensare, parlando direttamente da un'analisi veloce
dell'intera situazione. – Se ti può consolare, alle medie avevo
una cotta per te.
Ed era vero: alle medie non eravamo in classe
insieme ma lei e Percy erano molto amiche per cui fu inevitabile per
me entrarci in contatto. Ricordo che chiedevo sempre a Percy di
organizzare qualche uscita fuori per poterla conoscere meglio e che
cercavo sempre di presentarmi al meglio - che a quell'età voleva
dire un incrocio tra un rapper di strada e un facoltoso uomo d'affari
con una spruzzata di Goku Super Saiyan nei capelli, tentando qualche
squallida mossa per flirtare con lei senza però mai provarci sul
serio per il mio eterno complesso di inferiorità. Poi alle superiori
scoprii di essere gay e be', magia finita.
– Se ne avessi avuto
la certezza mi sarei fatta avanti anche io, accidenti. – Sorrise
quindi sospirando, assumendo un'espressione che sapeva fin troppo di
rimorso. In quel momento, credetemi, mi maledii fino alla morte per
essere me stesso. Voi direte “okay Hime, ma hai sempre qualcosa per
cui ti maledici, dov'è la novità? Tanto hai un nome talmente di
merda che chiamarti Ganapati Gulal ti sarebbe solo d'aiuto” ma io
vi assicuro che per la prima volta nella mia vita mi pentii di essere
gay. Mi pentii di essermi innamorato di Kyle, di non aver mai pensato
alle ragazze come tali e non solo come “sono carine ma tanto non
avrebbero mai interesse per me”, di non aver mai avuto fiducia in
me stesso e di non essermi reso conto prima dei sentimenti altrui.
Fu in quel momento che decisi che sarei cambiato.
L'attitudine
che avevo preso quasi menefreghista l'avrei lasciata andare perché
non ero più nemmeno io, ma non sarei mai più tornato il cane
bastonato con la coda tra le gambe che ero stato per tutta la mia
insulsa vita.
Così strinsi improvvisamente Iris, assicurandomi di
far valere la parte di uomo che nella relazione con Kyle era di
solito lui a tenere in pugno. Ci volevo provare, ero intenzionato a
riuscire a dimenticare Kyle e cambiare il mio stile di vita per Iris,
per renderla almeno un po' felice in tutto il casino in cui lei si
era messa da sola.
– Sono passati quasi quattro anni. –
constatai allontanandomi da lei solo per guardarla negli occhi quasi
lucidi per il freddo.
– Non ti so dire se è stata la speranza
o la rassegnazione a permettermi di non mollare mai la presa su di
te, ma non ho mai pensato a qualche altro ragazzo come attualmente
sto facendo con te e perciò... – Si bloccò per un secondo quando
vide i miei occhi puntati forse troppo insistentemente sui suoi e
ghignò, imbarazzata, spalmandomi la sua mano in faccia per farmi
distogliere lo sguardo. – …Perciò sono pronta a rischiare. Se ci
stai, io ci sto.
– Ci sto, ci sto... – ridacchiai riportando
lo sguardo su di lei, impedendole però altre mosse azzardate di
karate miste a ju jitsu in quanto la baciai, sforzandomi davvero di
capire che davanti a me non c'era Kyle.
In qualche modo, quel
bacio riuscì alquanto bene e i miei orizzonti iniziarono a spostarsi
dove sarebbero rimasti per un bel po' di tempo.
– La pianti
con i sequestri di persona? – domando non appena Iris chiude la
porta d'uscita dietro di sé, ritrovandomi seduto sul cancello
scrauso che divide il patio dalla strada. – Quello che vuoi dire lo
puoi dire anche con Hick e Percy, lo sai.
– Ti riempirei di
botte, quindi taci.
– Taccio.
– Bravo! – La bionda mi
fulmina con lo sguardo, il motivo mi è ancora ignoto perciò spero
di ricevere chiarimenti nell'immediato futuro. Essere rapiti a casa
propria pare brutto, diciamocelo. – Si può sapere che problemi ti
crei? Hai la possibilità di stare con Adair non-stop, perché devi
sempre trovare qualcosa che non vada?
Non riesco mai a capire se
Iris si preoccupi o pensi solo che sia un imbecille e si senta in
dovere di farmelo presente. Il giorno in cui riuscirò finalmente a
capire sarà il giorno del giudizio.
– A New York avrei Kyle,
qui invece ho tutta la mia vita.
– E Xavier? Non dirmi che non
gioca un ruolo fondamentale in tutto ciò.
Roteo gli occhi al
cielo, ritrovandomi a sbuffare per essere stato ancora una volta
colpito nel mio tallone d'Achille: – Attualmente mi sto sforzando
di pensare che sia una grandiosa opportunità per lui e che debba
fare ciò che crede sia meglio per il suo futuro, non in mia
funzione; quindi è meglio se il suo ruolo lo mettiamo da parte in
questo momento. Sa badare a se stesso.
– Se credi che quel
ragazzino parta senza di te sei fuori strada, Hime. Possibile che tu
non capisca mai nulla?
Grazie Iris, sei sempre un tesoro.
–
Fanno dei corsi per aiutare la gente come fai tu?
– No, è un
DIY.
– Complimenti all'originalità. Potresti offrirlo come
servizio sociale.
La bionda ghigna leggermente, scuotendo la
testa: – Sto dicendo che devi pensare a te e non alla tua routine.
Quella puoi sempre rifartela quando ti pare.
– L'unica cosa che
rifarò sarà il mio nome all'anagrafe. – borbotto gettando la
testa all'indietro, perdendomi per un secondo tra le stelle. – Tu
come pensi di fare quando Nico se ne tornerà a New York? Non
vorresti seguirlo?
– Nico è un conto totalmente diverso da
Kyle. Non stiamo nemmeno insieme.
– Però si è fermato da te
per la notte qualche volta – le faccio presente vedendola assumere
un colore pressoché uguale a quello dei pomodori in pieno luglio. Mi
sa di aver toccato un nervo scoperto. – Sono il referente per la
Nyst, il loro allenatore mi chiede sempre dove sono i ragazzi che non
rientrano in dormitorio e io chiedo a Kyle. – spiego, riservandole
uno sguardo complice.
– Potevi dirmelo. – mormora lei,
imbarazzata come poche volte nella vita. Ahi ahi, mi sa che qualcuno
qui si sente scoperto. Cattivo me.
– Cos'avrebbe cambiato
sapere che ne ero al corrente? – rispondo ridendo, pizzicandole la
guancia.
– Non eravamo qui per parlare di te e del tuo essere
idiota?
Scuoto la testa, conosco fin troppo bene i cambi
d'argomento tattici: – Torniamo su?
– Andiamo Hime, io...
–
Grazie. – Le sorrido prima che possa dire altro, dandole un
abbraccio veloce. – Davvero, grazie. Ma questa me la devo vedere da
solo.
Iris mette dapprima il broncio, guardando a terra prima di
rilassare la sua espressione e finalmente sorridere: – Allora sei
capace anche tu di crescere, eh?
– Buonasera!
–
Alla faccia della buonasera brutto idiota sono le tre e un quarto di
notte cosa cazzo sei stato a fare tutto questo tempo con i tuoi amici
che sembrano una barzelletta io giuro che ti uccido!
Kyle sgrana
gli occhi, fissandomi interdetto: – …Tadaima?
–
Okaeri!
– ribatto quasi urlando, felice che abbia imparato queste due
parole in giapponese ma furibondo per l'orario indecente. – Hai
bevuto? Perché sei stato fuori fino adesso?
– Ho bevuto una
birra, Anguilla. – mi rassicura appoggiando il portafoglio e le
chiavi della mia
macchina sul tavolo della cucina. – Non eri in compagnia fino a
poco fa, tu?
Porto gli occhiali sulla nuca per tenere i capelli
indietro, appoggiandomi poi allo stipite della porta della camera da
letto: – Sono andati via all'una.
– Potevi chiamarmi e sarei
arrivato prima, o al limite ti avrei svegliato. Per inciso, non
potevi dormire?
– Devo chiederti una cosa.
Al suono di
queste parole Kyle sbianca, segno inevitabile che sa.
Io so che Kyle sa, e so di non sapere.
Io sono Socrate.
– Mi
metti ansia. – se ne esce con un'ostentata risatina, sfilandosi la
giacca. – Posso farmi la doccia, prima?
– Se aspetto altri
cinque minuti morirò di sonno, quindi no.
– Puzzo di cloro,
Hime. Oggi non ho avuto tempo di farmi la doccia in piscina.
Roteo
gli occhi al cielo, dirigendomi quindi verso il bagno: – Allora
vengo con te.
Kyle ripete il mio gesto, spogliandosi velocemente
e raggiungendomi in bagno in boxer con l'asciugamano sotto il
braccio: – Si può sapere cos'ho combinato stavolta?
Attendo
finché non lo vedo sparire dietro la vetrata opaca della doccia e
lanciarmi i boxer dall'alto - solo lui è capace di dimenticarseli
addosso - prima di far partire l'acqua, non voglio guardarlo negli
occhi mentre gli pongo questa domanda dal momento che so di essere un
cretino ad arrabbiarmi con lui ma mi sento in qualche modo tradito
dal suo silenzio a riguardo.
– Anguilla? Ti ascolto.
Prendo
una boccata d'aria, fissando la mia immagine riflessa nello specchio
di fronte a me: – Tu sapevi dell'offerta della Nyst, vero?
–
Sì, volevo farti una sorpresa. Come l'hai presa? Ti piace l'idea?
–
Mi piace, ma non posso accettare e dovevi saperlo fin dall'inizio.
–
Cosa?!
– Kyle apre improvvisamente la porta della doccia rivelandosi in
tutta la sua statuaria fisicità mentre io ringrazio Dio per essere
arrabbiato con lui e per non avere quindi la possibilità di pensare
ad altro. – Che accidenti hai in quella mente bacata, si può
sapere? E' l'occasione per stare insieme, Anguilla.
– E come?
Tu abiti già con un altro ragazzo, se posso ricordartelo.
–
Questo lo so anche io, ma forse Landon potrebbe... – Il suo tono di
voce va via via affievolendosi come fa anche la sua improvvisa
enfasi. – … Non lo so, una sistemazione la troviamo.
Come mai
quel cambio di tono al nome del suo ex ragazzo?
Calmo Hime, non
essere geloso per certe cavolate. E' normale.
Anche io ero
parecchio sensibile al suono del suo nome appena dopo la nostra
rottura e spesso ammetto di aver associato il nome “Kyle” a
quello di certi animali da fattoria, di varie offese in generale e di
insulti di differente natura. Dovrò anche chiedere scusa a sua
madre, prima o poi.
– Non vedo soluzioni plausibili. –
concludo, sperando che non mi abbia sentito quando in realtà ha
ancora gli occhi puntati su di me mentre l'acqua inizia ad allagare
il bagno.
– Cos'è, ti spaventa tornare ad avere a che fare con
me tutti i giorni?
– Come se non lo stessi già facendo! –
ribatto, accigliato. – Semplicemente è da matti, Kyle, pensare che
io molli tutto per venire a New York. Non sono fatto come...
–
Come me? – mi interrompe con un tono di voce arrabbiato, forse
ferito da ciò che stavo per dire. Io detengo il record per peggiori
uscite nelle peggiori situazioni.
– Non sto dicendo che tu
abbia sbagliato, tre anni fa. – cerco di correggermi, ma ancora una
volta lui ghigna e sposta i ciuffi bagnati dalla sua fronte con un
atteggiamento di sfida.
– Come se non ce l'avessi a morte con me
per essere partito.
– Non ti ho mai biasimato per aver preso la
scelta giusta per la tua vita, ma solo per aver lasciato me e credevo
di aver chiarito questo punto da un bel pezzo.
Non sto
migliorando le cose, non sto migliorando le cose, non sto migliorando
le cose...
– Senti, Himeragi, qui stiamo parlando del perché
tu non voglia accettare un'opportunità del genere. Non pensi che ne
vada di mezzo anche il tuo futuro?
Mi avvicino in due passi alla
doccia e quindi al suo viso, dimenticandomi delle gocce che iniziando
a bagnare anche me: – Che ti piaccia o no il mio futuro lo vedo qui
a Detroit con la mia squadra e con la mia scuola.
– Allora
spiegami perché cazzo sei venuto a letto con me se ora stai dicendo
queste stronzate.
Il suo tono si è fatto fin troppo acido e i
suoi occhi troppo stretti, credo che stiamo sfiorando l'Apocalisse ma
non per questo lui è l'unico colpito dalle parole. Cosa accidenti
gli è preso per dire l'ultima frase che ha pronunciato?
– Ti
sembra forse che io ti abbia detto la stessa cosa, tre anni fa? Ti ho
chiesto perché tu fossi venuto a letto con me se poi dovevi fare la
stronzata di partire per New York? No! Perché diavolo ora tu avresti
il diritto di dirlo a me?
Kyle abbassa lo sguardo in un sospiro,
appoggiando il fianco alla porta ancora aperta della doccia. Che
bisogno c'è di diventare sempre cattivi, mi chiedo io, quando le
cose potrebbero essere risolte parlando civilmente? Il ragazzo che ho
di fronte è la persona che dovrebbe conoscermi meglio e viceversa,
ma a volte sembriamo distante anni luce e ogni parola che viene detta
è un lampo che ci impedisce di provare a ricongiungerci.
–
Vedi di mettere ordine in quella testa. – gli intimo,
allontanandomi di qualche passo da lui. – Finché non capirai che
non puoi più trattarmi come se non avessi una volontà mia non
avvicinarti più a me. Questa è casa mia e restare qui non è una
stronzata e se ancora pensi che sia venuto a letto con te perché non
avevo niente di meglio da fare allora non hai ancora capito con chi
hai a che fare. Buonanotte, Kyle.
Chiudo la porta dietro di me
senza aspettare una sua risposta, levandomi la maglietta bagnata e
lanciandola da qualche parte prima di lanciare me stesso sul
materasso e cercare di addormentarmi per non essere costretto a
sentire di nuovo la voce irritante di Kyle.
Vada affanculo lui e
anche New York, accidenti.
– Hai un minuto, Himeragi?
Mi giro con uno sguardo omicida verso Dominik Hansen che,
timoroso, mi tende la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Sì, sono
appena caduto.
E sì, sono scivolato a mo' di buccia di banana.
E ancora sì, Kyle mi ha tenuto guardato e poi ha ripreso a
nuotare come se niente fosse. Okay che sono tre giorni che non ci
parliamo, ma poteva almeno evitare che venisse un suo compagno ad
aiutarmi e venire lui stesso.
– Ne ho fin troppi. – borbotto
afferrando la mano del norvegese per tirarmi su, dovendo massaggiarmi
la schiena per constatare di non avere ferite aperte dato che stavo
per entrare in acqua e quindi ho solo il costume addosso. La mia
solita fortuna, insomma.
– Andiamo negli spogliatoi?
Annuisco,
dolorante. Ormai gli spogliatoi possono essere considerati il
confessionale dei nuotatori: se qualcuno ha un problema si sa dove
trovarlo.
– Allora? – domando, sedendomi sulle panchine
costantemente in disordine. Riconosco in fretta la felpa di Kyle e
guardo in giro in cerca di un accendino, così magari non la devo più
vedere distesa sul pavimento del mio tugurio e potrei vendicarmi per
l'avermi ignorato proprio quando sono caduto come un pero.
Dominik
mi guarda per un secondo e poi sospira, incrociando le braccia
muscolose: – Non è da me curiosare nei fatti altrui, ma cos'è
successo tra te e Kyle? E' da tre giorni che lui non c'è con la
testa.
“Come se fosse una novità” vorrei ribattere, ma mi
limito ad alzare le spalle: – Abbiamo litigato.
– Fin qui
c'ero anche io. – Mi prende in giro Mr. Norvegia, sghignazzando. –
Mi chiedevo solo cosa potesse essere di così grave da mettere al
tappeto tutti e due.
– Io non sono al tappeto.
–
Letteralmente, Himeragi, se non fossi arrivato io ad alzarti saresti
rimasto lì tutta la giornata. Era già da un minuto che eri
caduto.
– Ah sì?
– Già.
Lo fisso sconsolato, perché
stavo giacendo al suolo come un idiota? Non bastava la figura di
merda che avevo fatto facendo un triplo carpiato a causa del
pavimento bagnato, giustamente.
– Gli ho detto che non sarei
venuto a New York con voi. – confesso alla fine, incrociando le
gambe come un bambino in castigo. – E poi abbiamo alzato la voce.
Gli ho detto che mi avrebbe dovuto cercare solo quando avesse capito
una cosa, ma francamente speravo ci mettesse di meno. E' brutto
convivere e non darsi nemmeno la buonanotte.
– Sicuramente lo
conosci meglio tu, ma posso darti un consiglio?
Annuisco,
affranto: se mi serve un norvegese per capire come muovermi col mio
ex ragazzo direi che siamo palesemente alla frutta.
– Kyle
sembra forte, ma se si tratta di te è come se tu lo tenessi
costantemente appeso a un filo. Lui ci è semplicemente rimasto male
dal fatto che tu abbia deciso di restare qui e non riesce a digerire
la cosa, specialmente poi se il tentato chiarimento si è evoluto in
un litigio dei vostri. Penso che dovresti andargli incontro e
parlargli senza perdere la pazienza, anche se so che a volte è
difficile.
– Direi “impossibile”.
– Già... Tipo quando
c'è la partita dei Lakers e non sia mai che lo disturbi.
–
Esatto! – Sbatto energicamente il pugno sulla panchina, ritrovando
il buon umore. – E vogliamo parlare di come mangia le fragole?
–
Cristo! Ne lascia sempre metà e fa fuori tutte le punte. Che
nervoso.
… Di che cazzo stiamo parlando?
Okay, un bel
respiro: terza sera, la storia non può andare avanti così.
Simo
andati anche a letto insieme, per l'amor di Dio, cosa mai avrò da
temere? E' solo una pacifica discussione sul mio andare o meno a New
York, cosa c'è di tanto scandaloso da non doversi rivolgere la
parola per tre giorni? Come se quell'idiota non mi mancasse,
accidenti, così la situazione peggiora dal momento che il semplice
“mi manca” della quotidianità diventa un “ho bisogno di lui”
se non ci ho più a che fare.
E poi, andiamo, è Kyle Adair! Cosa
c'è di tanto spaventoso in Kyle Adair?
… Okay, avete ragione,
ritiro la domanda. Sono incoerente.
La tabella di marcia ora è
semplice: entrerò in casa, farò un sorrisone, gli dirò che mi
dispiace e che voglio che torniamo a parlarci come facevamo fino a
tre giorni fa - tralasciando i litigi. Non c'è nulla di strano, no?
Litigare fa parte della nostra routine ed è anche giusto imparare a
porgere l'altra guancia per cercare di fare pace, se no chi sa quanti
altri giorni dovranno passare prima che lui si renda conto di dovermi
parlare.
Forza e coraggio: ce la posso fare. Risolverò questa
situazione.
Apro la porta trattenendo il fiato, mi preparo ad
urlare “Kyle dobbiamo parlare” ma non c'è nemmeno bisogno che io
ripensi una seconda volta alla frase dal momento che, sgranando gli
occhi, mi viene naturale pronunciarla: – Kyle, dobbiamo parlare.
Landon Fenneck se ne sta seduto sul divano con una tazza di caffè
in mano, la sua giacca è appoggiata sullo schienale di una sedia
della cucina, il suo zaino ai suoi piedi e i suoi occhi su di me,
decisamente troppo tranquilli. Ditemi che è uno scherzo.
–
Ciao, Himeragi. – Landon si affretta ad alzarsi per venire a
stringermi la mano che io, riluttante, mi vedo costretto a porgergli.
– Scusami per l'intrusione ma Kyle aveva dimenticato il portatile
da me e così gliel'ho riportato.
– E'... Inaspettato, ecco,
vederti a casa mia. Benvenuto, comunque.
Il moro sorride appena,
stringendosi nelle spalle. Ma ha veramente ventitré anni questo
tipo?
– Ti chiedo di nuovo scusa. – ripete mimando un
inchino. – Ma almeno ci conosciamo di persona, no?
Non che ci
tenessi a conoscere l'ex del mio ex, ma questi sono dettagli.
–
Almeno non c'è uno schermo di mezzo. – Cerco di sorridergli,
andando poi verso Kyle. – Puoi venire un secondino con me?
Kyle
lo sa di essere nella merda.
Eccome se lo sa.
– Arrivo. –
mormora facendo un cenno a Landon, dirigendosi a testa bassa fino
all'uscita del tugurio.
– Fa' come se fossi a casa tua. –
Cerco di essere cortese, indico a Landon il divano e il telecomando.
– Io e Kyle dobbiamo solo scambiare due paroline... Di prassi,
ecco. Scusaci.
– E' casa tua, amico. – Mi sorride di rimando,
credendo fosse che io intenda veramente essere un tesoro con il
coinquilino di quel cretino di Kyle Adair.
Ora: volevo per caso
risolvere la situazione?
Mi sa che qualcuno qui ha leggermente
esagerato, questa volta.
Chiudo la porta alle mie spalle,
scendo velocemente le scale seguito dal colpevole di tutto ciò senza
rivolgergli la parola e arrivo al patio, aspettando di sentire la
porta chiudersi per iniziare il mio sermone.
– Anguilla, posso
spiegar...
– No, adesso stai zitto. – lo interrompo alzando la
mano a mezz'aria prima che mi passi per la mente l'idea di buttarlo
fuori di casa a calci in culo. Okay, un bel respiro. – Non mi parli
per tre giorni dopo avermi fatto penare come un cane bastonato e ti
ritrovo a casa mia col tuo ex ragazzo. Puoi solo immaginare come mi
stia sentendo io,
in questo momento?
– Lo so, ma devi lasciarmi dire le cose come
stanno se vuoi capire.
– Io non voglio capire, io voglio che lo
Spirito Santo scenda su di me per non lanciarti il set di stoviglie
giapponesi addosso e usare la tua stupida faccia come bersaglio. Ora,
tu prendi Landon e gli dici cortesemente di andarsene e di non farsi
più vedere a casa mia, chiaro?
Kyle porta pericolosamente la
mano dietro il collo, fissando il cielo prima di deglutire e avere
anche solo la minima briciola di coraggio per guardarmi negli occhi:
– A tal proposito, Hime, io...
– Cosa, Kyle?
– Ti volevo
chiedere se potevi lasciarmi casa tua per un'oretta. Vorrei parlare
con Landon.
Sta scherzando.
Sì dai, non può fare sul serio.
Quale essere dotato di intelligenza direbbe mai tale amenità,
sbaglio? Su, è una battuta. Bella battuta.
Non fa ridere, ma
bella battuta.
– Prego? – domando, serafico, socchiudendo
appena gli occhi e immaginandomi una strana scenetta di Kyle che
porta Landon vestito da sposa in casa mia. Mamma mia, ho i brividi.
– La casa. Potresti lasciarmela per un po'?
– Fammi fare
il punto della situazione. – Congiungo le mani a mo' di preghiera,
appoggiando poi il mento sui due indici uniti. – Tre giorni fa mi
hai detto che era una stronzata restare qui perché volevi che
venissi con te a New York. Io ho sperato che a te venisse
l'illuminazione per settantadue ore in merito a venirmi a parlare ma
no, il Nirvana non ti ha scelto per diventare un suo eletto e mi hai
pure ignorato quando ho praticamente fatto parkour per restare in
piedi oggi pomeriggio, quando sono scivolato. Ora, alle... – Guardo
rapidamente l'orologio, prendendo fiato. – … Ventuno e sedici
minuti tu finalmente ti degni di parlarmi e cosa mi dici? Di
lasciarti la casa per stare col tuo ex?
– Suona male, lo so, ma
è solo perché è stanco dal viaggio e... E niente, non se la sente
di stare in giro. Ambiente nuovo, gente nuova... Non è abituato a
Detroit.
– Spedire il portatile per posta pareva brutto?
Kyle
si porta le mani alle tempie, sospirando esasperato ma se si aspetta
un mio solo accenno di assenso a tutto ciò penso stia sognando
veramente in grande.
– Deve parlarmi, ha detto. – ammette a
bassa voce il bastardo qui di fronte, abbassando gli occhi. Allora sa
di essere colpevole, in fondo.
– E lo dovete fare in casa mia?
– E dove, se no? Gli ho dato questo indirizzo.
E' tutto
normale per lui, no? Invitare l'ex a casa del ragazzo con cui tre
giorni fa è stato a letto, chiaro. E giusto, per carità. Chiaro e
giustissimo, direi.
– Hime, ti chiedo scusa, lo so che ti devo
spiegare tante cose è solo che non è il momento adatto e...
–
E quando, allora? – Lo guardo negli occhi trovandoci solo un
mucchio di cazzate dentro, sentendomi colpito da un numero
spropositato di proiettili allo stesso tempo. – Quando pensi di
capire che devi smetterla di pensare che le persone siano sempre
pronte a perdonarti? Quando capirai che non esisti solo tu?
–
Non si tratta di questo, Anguilla, devo solo parlare con lui e poi
con te.
– A che gioco stai giocando? – gli chiedo con un
sorriso piuttosto isterico, stringendomi nella felpa che non è mai
abbastanza sufficiente.
Kyle scuote la testa, andando per
compiere lo stesso gesto di tre anni fa e quindi sfilandosi la giacca
per passarla a me: – Nessun gioco. Non con te, né con Landon.
Con
la sua giacca davanti a me gli occhi mi diventano lucidi, il freddo
punge e i ricordi anche: – Sai una cosa, Kyle? – Spingo la mano
in avanti, rifiutando l'indumento e preparandomi a battere la
ritirata. – Continua pure a giocare, che fare la persona sincera
non ti è mai riuscito bene.
– Cosa stai...?
– Non
cercarmi. – mormoro, rabbrividendo mentre la vista inizia davvero a
farsi fastidiosa. – I preservativi sono nel cassetto del comodino,
in caso vi dovessero servire.
– Oh andiamo, cosa accidenti ti
salta in mente?
– Vaffanculo, Kyle. – Deglutisco, girando le
spalle e allontanandomi da lui. – E stavolta restaci dato che la
prima non ti è bastata.
Chiudo tutto, non lo ascolto più e
salgo nuovamente in macchina, appoggiando per qualche secondo la
fronte al volante prima di ripartire.
Bene: sfrattato da casa mia
dall'ex del mio ex, sull'orlo di una crisi di panico (questa non mi è
nuova), infreddolito e anche senza benzina.
Dodici chilometri di
autonomia.
Dove si va?
Senza un motivo convincente, mi
ritrovo quindi davanti casa McAdams con ancora il cuore che batte
dolorosamente e un fastidioso bisogno di asciugarmi costantemente gli
occhi.
Il freddo.
Non altro, stasera fa proprio freddo.
Ho
cercato tutti i pretesti possibili immaginabili per cui la mia visita
risultasse motivata seriamente, ma il massimo che sono riuscito a
trovare è dover parlare ai genitori di Xavier in merito a New York
quando so che in realtà il vero movente è solo un insensato bisogno
di vedere quel ragazzino.
Non è una ripicca verso Kyle, è solo
un dover cambiare aria e un vedere Xavier - e gli ormai nove
chilometri di autonomia del catorcio rimasti - come stratagemma.
Forse sto facendo una grandissima cazzata, non sto mettendo in conto
come Xavier potrebbe prendere la mia visita date le circostanze ma
mascherandola a dovere forse non dovrò nemmeno dare troppe
spiegazioni e limitarmi quindi ad un colloquio con i suoi genitori.
Scendo dalla macchina: ormai sono qui, non posso tornare a casa e
per la cronaca nemmeno ci tengo, quindi cerco di riprendermi con
tutte le mie forze ed entro nel giardino dato che il cancello non è
mai chiuso con la serratura e che non c'è nemmeno il campanello.
Percorro tutto il giardino stretto in questa felpa del cazzo,
maledicendomi per non aver accettato la giacca di Kyle per orgoglio
mentre ora devo stare qui a tremare per i sei metri di erba che
precedono la casa che ho visto infinite volte da fuori. Più mi
avvicino e più delle urla si fanno chiare, io mi blocco e attendo:
non riesco a capire cosa stiano dicendo ma di sicuro i toni non sono
amichevoli. Xavier non parla mai dei suoi genitori ma quando spende
qualche parola per loro, quella non è di certo buona. Forse il mio
intervento potrebbe farli smettere, perciò accelero il passo verso
la porta e mi preparo a suonare. Prima che il mio indice sfiori il
campanello però, ecco che la porta si apre improvvisamente e si
stampa esattamente sul setto nasale.
Questo fa quasi più male di
Kyle.
Anzi, fa decisamente
più male di Kyle.
– Oh cazzo. – Xavier, in piedi di fronte a
me con gli occhi sgranati, chiude la porta dietro di lui con un
calcio e sbatte ripetutamente le palpebre. – Stai bene?
– Mai
stato meglio, grazie – biascico dolorante, portandomi la mano sul
naso. – Tu? Una bella serata?
– Mai vissuta una così.
–
Bene, allora siamo sulla stessa barca. Sembri sconvolto.
Xavier mi
tende la mano e mi aiuta a rimettermi in piedi, squadrandomi da capo
a piedi con i suoi occhietti malefici: – Botta a parte, potrei dire
lo stesso di te. Hai pianto?
– E' il freddo.
Il rosso
annuisce, guardandomi però con la sua tipica faccia da “dimmi se
secondo te ti sto credendo” che diventa poi una smorfia di
confusione: – Cosa ci fai qui a quest'ora?
Averlo qui davanti
cambia le carte in tavola, cos'ho da perdere se gli dico il vero
motivo per cui sono venuto qui?
– Puoi saltare scuola,
domani?
Xavier capisce, abbassa per un attimo gli occhi e per
qualche istante temo che possa dirmi che non può venire con me. Non
vorrebbe accettare perché sa che gli parlerò di Kyle, dei miei
problemi riguardo tutta la questione che so che a lui dà
particolarmente fastidio ma a ugual modo forse anche lui ha bisogno
di sfogarsi e usarmi come ancora, almeno per questa sera, come
anch'io ho deciso stupidamente di fare con lui.
– Okay. –
sibila alla fine, superandomi per andare verso la macchina. – Se
vado nei casini la responsabilità è tua, chiaro?
Gli sorrido,
finalmente sollevato: – Se non sbaglio sono il tuo tutore,
no?
Anche lui sorride impercettibilmente entrando furtivamente nel
catorcio rosso: – Quella era una cazzata. Non potevo chiamare
nessun altro.
Salgo anche io, chiudo la portiera e giro le chiavi
nel quadro: – Gli altri tre allenatori? I tuoi genitori?
Non so
se definire la mia filosofia di dialogo più retorica o più
irritante, ma ad ogni modo questo sembra non aver mai dato fastidio
al ragazzo che sta per accompagnarmi in quello che sarà il declino
di una giornata di merda.
Lui mi lancia così un'occhiataccia,
schioccando infastidito la lingua mentre gli occhi celesti fanno
quasi il giro del globo: – Guida e taci.
Oh sì, io adoro
questo ragazzino.
Due chilometri e quattrocento metri dopo la
casa di Xavier c'è un piccolo pub di quartiere che noi compaesani
chiamiamo “il Topo” dal momento che non lo conosce quasi nessuno
e che è nascosto come i ratti fanno nelle loro tane, perciò quale
altra meta sarebbe stata adatta alla serata se non questa?
L'unico problema attualmente è che, quando siamo entrati, mi
sono reso conto di essere l'unico ad avere il portafoglio e peraltro
con forti intenzioni di bere come un pesce.
Per non contare il
fatto poi che sarebbe potuto sembrare un sequestro di minore.
E
non tralasciamo che sia io che Xavier eravamo sul disperato-sconvolto
andante e che non era di sicuro una bella serata.
E ancora peggio
il mio nome, gente!
– Mi vuoi dire perché siamo qui da un'ora e
tu stai dicendo solo cazzate? – Xavier mi punta col suo sguardo
accusatorio, le guance appena arrossate e un bicchiere di gin tonic
in mano che contrasta con la serie di recipienti ormai vuoti nel
tavolo. – Non sei mica normale, tu.
– Senti chi parla. –
ribatto col suo stesso sono di voce altalenante, lasciandomi
stupidamente trasportare dalla musica e dalle luci soffuse. –
Spiegami dove saresti andato se non mi avresti incontrato.
– Di
sicuro non a bere per i tuoi problemi. – Questo demonio ha la
battuta pronta anche sull'ubriaco andante, non ci credo.
– Non
siamo qui solo per me, comunque. Se vuoi parlare lo sai che io ti
ascolto.
Xavier sospira con una smorfia poco convinta, bevendo di
nuovo: – Solo perché ti stai ubriacando.
– Non l'ho sempre
fatto? Cristo, mi hai lasciato lettere minatorie per una settimana a
settembre e nonostante questo non mi pare di averti mai lasciato da
solo.
Non ancora convinto, Xavier si mette sulla difensiva
risultando schivo come al solito e, bevendo di nuovo - sembra
un'idrovora se di tratta di alcol questo delinquente, si nasconde
dietro al bicchiere: – Stiamo parlando di ascoltare o di stare in
compagnia?
– Uno vale l'altro. Con te, almeno.
Okay, lo
ammetto: nemmeno io sto capendo le parole che stanno uscendo dalla
mia bocca, so solo che le penso davvero e che l'alcol dà una grossa
mano nel farle uscire dalla mia bocca. Mi dispiace solo per lo sforzo
immane che Xavier deve fare per riuscire a trovare un senso logico e
connettere i miei sillogismi.
– Ma che stai dicendo? –
ridacchia quindi quasi rassegnato, senza timore però nel guardarmi
dritto negli occhi. E' parecchio bizzarro come nella tentata lucidità
i suoi occhi restino glaciali. – Non è detto che io abbia sempre
qualcosa da dire quando sei con me.
– Certo che hai qualcosa da
dire. Te lo leggo in faccia, ma non parli mai. Ecco perché stare con
te vuol dire anche ascoltarti, succede così raramente che tu mi
parli davvero che almeno provo a starti vicino per ascoltarti.
Xavier fa un sorrisetto poco convinto, chiedendosi forse se
convenga di più chiamare Kyle che mi venga a prendere o direttamente
il pronto soccorso: – Ti assicuro che sei la persona con cui parlo
di più, quindi ritieniti già fortunato.
– Allora dimmi dove
stavi andando, un'ora fa. Cos'è successo, quando, perché.
Dimmelo.
– Direi che tocca prima a te dire perché cazzo eri a
casa mia alle nove e mezza di sera. – ribatte prontamente sbattendo
il bicchiere vuoto sul tavolo, alzando leggermente il mento e
squadrandomi dall'alto. – Palla al centro, Anguilla.
Annuisco,
contento di aver preso la stupidissima decisione di andare a casa sua
ad un orario e in una situazione alquanto indecenti, e infine sorrido
alla mia nuova fonte di guai: – Iniziamo a giocare?
SWIMMING TALE
CAPITOLO UNDICI
“Il Codice Proverbi”
“Perché
ho l'impressione che ci sia qualcosa che non potrò far finta di
capire ancora a lungo?”
Undici e undici.
– Esprimi un desiderio. – mormoro con la
vista appannata al ragazzino di fronte a me che regge a fatica la
guancia sul palmo aperto della sua mano.
Lui alza gli occhi
celesti ora arrossati a fatica, dondolando un po' la testa prima di
riprendere in mano il bicchiere di non-so-cosa. Continua a guardarmi
senza dire una parola, solo bevendo ed elargendo dopo un minuto buono
un confuso: – Fatto.
– Bene. Ora continuiamo il nostro
gioco?
– Continuiamo. – mi concede con un breve sorso,
prendendosi il ciuffo di capelli rossi sulla fronte con la mano
libera e portandoselo all'indietro. – Perché eri a casa mia?
–
Perché Kyle Adair è fondamentalmente un idiota. – borbotto senza
troppa grazia, dovendo faticare per mettere insieme le parole che
fino a un'ora fa avevo ben chiare in mente.
Lo penso davvero e
voi sapete che l'ho sempre pensato, è stato solo il leggero
sentimento di “sì dai, posso anche sopportare il suo essere idiota
e dare ascolto al mio fragile cuore da Ariel la Sirenetta” che ha
preso sempre più piede in me e che mi ha portato a fare l'emerita
cazzata di pensare che la sua indole bastarda avesse potuto
migliore.
E' migliorata sì, ma solo se consideriamo il
miglioramento nella bastardaggine.
Del resto siamo proprio calati
a picco peggio del Titanic.
Xavier sorride sghignazzando in
maniera confusa, portandosi sul viso il bicchiere per raffreddare la
fronte: – Che fosse un idiota lo sapevo anche io.
Questo mi
suona molto come odio represso.
– Cos'hai precisamente contro
Kyle? – gli chiedo preso da un moto di lucida curiosità,
accantonando per un attimo il nostro gioco. – A conti fatti non
l'hai nemmeno conosciuto, quando sei entrato il primo anno lui se
n'era già andato.
– Le voci corrono in una scuola piccola come
la nostra. Non eravate proprio discreti, ecco.
– Allora non
dovresti sopportare nemmeno me. Cos'è, ti danno fastidio le
effusioni tra due uomini?
Xavier scuote energicamente la testa, mi
chiedo come riesca a mantenere l'equilibrio con quel movimento e il
tasso alcolico che ha nel sangue: – Se non sbaglio ci siamo
abbracciati anche noi due in mezzo alla gente. Non mi dà fastidio
quello, a me dà fastidio Adair. Non... Insomma, non ti vedo con uno
come lui.
Ridacchio appena, perdendo però la mia risata nel
rimbombo della musica: – Uno come lui?
Adesso mi picchia, me lo
sento.
Xavier odia quando lo faccio ripetere o gli faccio
spiegare qualcosa che ha appena detto, ma questa situazione assurda
comincia a piacermi: vediamo fino a dove arriviamo.
– Sì, uno
come lui – ripete, scocciato. – Uno che se ne frega di tutto e di
tutti, che pensa solo a se stesso, che pensa di avere il diritto di
credersi al centro delle attenzioni altrui e che ti tratta male. Non
lo sopporto.
– Allora come pensi che sia io? Non credi che
sotto sotto potrei essere quello che hai appena descritto?
Ammetto
che la retorica ha il suo fascino.
Adoro mandare in panne questo
ragazzo.
– Non ti conosco, è vero. – ammette quasi
sottovoce, bagnandosi le labbra con l'ultimo sorso. – Ma so che non
sei nemmeno lontanamente come Adair. Sei meglio. E meriti qualcuno in
grado di familiarizzare con i tuoi difetti, non di uno che te li
faccia pesare.
Scuoto la testa, coprendomi il viso con entrambe
le mani. Cosa diavolo sta dicendo questo ragazzino diabolico? Come si
permette di farmi sorridere come se non avessi bevuto nemmeno un
sorso di alcol e come se non fosse successo niente?
Perché io ho
sempre voluto sentirmi dire tutto ciò ma ho dovuto attendere un
lunatico Xavier in una serata del cazzo in uno squallido pub con più
bicchieri che persone?
Le domande della vita.
– Comunque, –
ricomincia prima che la situazione possa farsi imbarazzante,
spostando la mia mano destra dal viso. – Dicevi? Cos'è successo?
–
Mi ha portato il suo ex a casa. – Inizio, sconfitto
dall'illeggibilità di cui questo demonio potrà sempre fare uso
contro di me. – Ho aperto la porta, e lui era lì... Con un caffè,
tra l'altro. Il mio caffè. Siamo andati fuori a parlare e lui
mi ha detto che dovevo essere comprensivo e lasciarli parlare
tranquillamente, che Landon era stanco dal viaggio e che mi avrebbe
spiegato tutto prima o poi. Allora me ne sono andato e sono venuto da
te perché pensavo di cogliere l'occasione per parlare di New York
con i tuoi, ma in realtà volevo solo vederti. – Disegno
distrattamente un cerchio col bicchiere vuoto sul tavolo, alzando
lentamente gli occhi. – Questo è quanto.
– Bello schifo. –
mi concede saccentemente, intrecciando le dita e appoggiandovi sopra
il mento cosparso di lentiggini. – E perché hai pensato a me? Una
sorta di elevazione spirituale?
– Se ti aspetti una risposta
filosofica sei fuori strada. Non so perché sono venuto da te, è
solo che tra tutti mi sei venuto in mente tu.
– A-ha. E
cosa ti ha portato scegliermi come meta? Problemi in più. Hai
proprio dei gusti di merda.
Allungo il braccio verso di lui per
imitare uno schiaffo, ma per la stanchezza finisco per far piombare
la mano sul suo collo - evviva la lucidità!, ritrovandomi sotto i
polpastrelli la pelle liscia di Xavier attraversata da una scarica di
brividi che le fa cambiare aspetto. Sono guance rosse per l'alcol o
per altro, quelle?
– Possiamo discutere su Kyle, ma non su di
te. – lo rassicuro, muovendo piano il pollice. – Stare con te è
sempre... Lenitivo, ecco. Te l'ho detto: superate le lettere
minatorie, con te è tutto facile per quanto difficile tu sia.
–
Bel paradosso. – borbotta guardando di sbieco la mia mano. –
Senti, Himeragi, forse è il caso che tu ritorni a casa. Ti posso
chiamare un taxi.
Wow, otto lettere di nome pronunciate da lui
fanno un effetto totalmente diverso da otto lettere pronunciate da
Kyle nei momenti in cui chiamarmi per soprannome gli è scomodo.
Perché, mi chiedo, io devo riuscire a gestire due fuochi
totalmente opposti quali sono Kyle e Xavier? Possibile che qualcuno
ai piani alti abbia pensato che fossero entrambi buoni abbinamenti?
Nessuno ha seriamente pensato a questo inutile e tapino essere
umano che sono io?
– Dobbiamo finire il gioco. – concludo,
dimostrandomi più lucido di quanto non sia in realtà. – Finché
non parli non ce ne andiamo.
– Lo dicevo per te. – Si difende
alzando le mani all'aria con un sorriso che però lascia pensare che
le sue intenzioni fossero ben diverse. – Cosa vuoi sapere? A grandi
linee penso che tu possa immaginare perché me ne stessi andando.
–
A grandi linee. – ribadisco, seccato, mentre ritiro il braccio
sentendo una sorta di rabbia nel restare sempre scoperto davanti a
Xavier mentre lui riesce a nascondere tutto quanto con una certa
maestria. – Non credi che non sia proprio equo?
Lui alza
distrattamente le spalle, sorridendo divertito. Ma che si ride?
–
Semplicemente non hai bisogno di sapere i dettagli. – mi spiega,
pacato, dimostrandosi ancora una volta un muro invalicabile.
Avete
presente il Monopoly?
Tutti ambiscono al Parco della
Vittoria, è il più costoso e il più fruttuoso al passaggio di
qualche disgraziata pedina nella casella precedente il cui dado conta
poi solo un avanzamento; tutti i giocatori tengono stretti i guadagni
dagli appalti minori per raggiungere finalmente l'ambito Parco della
Vittoria e quando sembra che il tuo turno sia arrivato, ecco che il
giocatore proprio prima di te raggiunge la somma adatta e sbanca
tutto acquistando il tuo povero Parco della Vittoria. Be', povero è
un eufemismo.
Ma è esattamente così che, quando mi sembra di
aver raggiunto la somma adatta per capire Xavier, ecco che lui riesce
a vincere tutto, lucrare su di me e mandarmi in banca rotta.
–
Allora perché tu pensi di aver bisogno di sapere i miei? –
ribatto, cercando di riuscire a riguadagnare almeno un quarto del mio
Parco della Vittoria.
– Perché ho bisogno di sapere chi ho di
fronte. Spesso non lo so, io non ti conosco. – mormora
distrattamente digitando qualcosa sul cellulare. Mi chiedo come
faccia a non vedere le lettere doppie.
– Che diavolo stai...?
–
Pensi che sia facile avere a che fare con te? – mi sbotta
improvvisamente addosso picchiando il telefono sul tavolo nel
metterlo giù, corrugando le sopracciglia.
Be', in realtà per me
è facile avere a che fare con... me. Ovviamente. Se non riuscissi
nemmeno in quello sarei bell'e morto, mi sa.
– In realtà...
–
Non rispondere. – mi blocca prima che possa dire qualche stronzata,
sbuffando rassegnato mentre scuote la testa. – Forse credi che per
me sia facile essere qui in questo momento con te ubriaco che non fai
altro che elargire perle di saggezza miste a cazzate da porto di
carico, ma non lo è. Non so cosa dire perché tu sembri sempre
capirmi e più io cerco di nascondermi, più tu mi trovi.
Faccio
fatica a collegare tutte le frasi tra di loro a causa della musica e
dell'alcol, ma non appena ci riesco non posso fare a meno di
sorridere e pensare che almeno ho un piede dentro il perimetro del
mio Parco della Vittoria: – Speravo di renderti le cose facili, in
realtà.
Xavier scuote la testa ma il sorriso che poi spunta sulle
sue labbra non è altro che la somma di tutti quelli falsi che ha
fatto finora per mascherare ciò che realmente vive: – Mio padre
tradì mia madre per otto mesi, sei anni fa. Volevano divorziare, ma
io ero piccolo e l'affido sarebbe andato a pesare economicamente su
uno o sull'altra, quindi decisero di continuare a vivere sotto lo
stesso tetto e di limitarsi a considerare finito il matrimonio. Da
allora mi odiano, ovvio, perché sono la causa per cui non hanno
potuto divorziare e perché qualsiasi cosa che chiedevo diventava una
loro battaglia personale. Così a quattordici anni ho iniziato a fare
le cose di testa mia, senza rendere conto a nessuno: me ne vado di
casa quando l'atmosfera si fa pesante e ritorno di notte, verso le
quattro, per poi alzarmi alle sei per andare a scuola e ripetere
tutto ciò per trecentosessantacinque giorni.
Deglutisco,
sentendo lo stomaco pesante: come sta vivendo questo ragazzo?
Gli
allungo la mano, alzandomi dal tavolo cercando di sorridergli: –
Vieni?
– Ce ne andiamo? – mi chiede, perplesso, stringendo le
sue dita tra le mie e alzandosi faticosamente. Sembra leggermente
barcollare.
– Sì. In macchina, almeno. Da lì non ci muoviamo
per un po', di certo non posso guidare.
Il rosso sorride,
scuotendo la testa rassegnato: – Poi non dire che non mi rendi le
cose facili.
Mi giro verso di lui, stordito dalla musica: –
Cosa?
– Dicevo che in effetti sei l'unica cosa facile che ho. –
ripete in tutta tranquillità, spingendomi poi verso il bancone. –
Muoviti a pagare, inizio a sentirmi male.
Chiudiamo le
portelle allo stesso momento, lancio chiavi e portafoglio - vuoto -
sul sedile del guidatore e mi abbandono alla comodità del sedile
posteriore mentre Xavier si stende su di me con nonchalance,
appoggiando la nuca sulle mie cosce e i piedi sul finestrino. Tutto
intorno a me gira, ma so che devo sforzarmi per dire un'ultima cosa a
Xavier: porto la mano sul suo petto, in tempo per sentire il suo
cuore battere più veloce e mi schiarisco la gola: – Credo che tu
dovresti andare a New York. Potrebbe essere la tua unica possibilità
per cambiare davvero ciò che hai ora.
Lui tiene gli occhi fissi
su di me, le lentiggini sotto di essi appena evidenti al chiarore
della luna e le labbra secche: – Non so se faccia per me.
–
Sinceramente preferisco vederti a nuotare nella Nyst piuttosto che
vederti vagabondare per le strade di Detroit fino alle quattro di
mattina. – lo rimprovero, percependo chiaramente la tensione
causata da questa discussione grazie al suo battito cardiaco sotto la
mia mano. – Li convincerò io, i tuoi genitori. Ma per lo meno
voglio che tu inizi a stare bene.
– Io sto bene,
Anguilla. – borbotta con una smorfia saccente, facendo scintillare
gli occhi celesti di un'insana tranquillità. – Non ho bisogno di
grandi cose.
I cancelli di Parco della Vittoria ora sono chiusi,
serrati, alti più che mai e controllati da due guardiani. Non posso
più passare.
– Per favore, Xavier, io...
– Sai di cosa ho
bisogno? – sorride di punto in bianco, socchiudendo gli occhi. –
Di dormire. Possiamo non parlare più di New York?
– No,
ascolta, le convocazioni sono una faccenda seria. Non puoi buttarla
via come se niente fosse, almeno pensaci!
– Se non sbaglio hanno
convocato anche te, genio.
Mh, non ha tutti i torti. Mi meritavo
quell'acido “genio”.
Abbasso quindi gli occhi, ritrovandomi a
fissare il suo viso apparentemente addormentato ma finalmente sereno:
– Sai, stavo pensando che forse non è il caso che io parta. Non
credo verrò, anche perché...
– Lo so. – taglia corto lui,
corrugando per un istante le sopracciglia. Sbatto più volte le
palpebre, sono perplesso: come diavolo fa a sapere che non andrò?
–
Ehi, come fai a... – Provo a scuoterlo, ma non arriva più
risposta. So che non si è addormentato, so che sta aspettando che io
demorda e so che sa che ce l'avrà vinta col gioco del silenzio, ma
vorrei solo che capisse che sono preoccupato per lui.
–
Buonanotte. – mormoro alla fine, chinandomi istintivamente per
baciarlo sulla fronte quasi bollente.
Vorrei tanto dirgli che va
tutto bene, che lo supporterò sempre e che potrà sempre contare su
di me; vorrei dirgli che so che i miei problemi sono solo stupidi di
fronte ai suoi e vorrei ringraziarlo per essere venuto con me e
avermi finalmente permesso di dare una sbirciata al suo Parco
della Vittoria, ma mi faccio bastare il sorriso che non riesce a
trattenere non appena stacco le labbra dalla sua pelle.
Per
adesso, mi basta questo.
Io penso seriamente di essere
ingiustamente stalkerato.
Non credo ci sia qualcosa di
concettualmente difficile da capire nella frase “non cercarmi”,
ma evidentemente per Kyle c'è e, quel che peggio, è che è pure
riuscito a trovarmi nell'arco di tempo che va dalle tre alle sei e un
quarto di mattina dato che, al mio risveglio alle sei e nove minuti,
mi sono ritrovato con un biglietto attaccato con lo scotch al
finestrino.
Ora sono qui dopo tre minuti buoni intento ancora a
fissare preoccupato il biglietto che porta il mio nome e la firma del
cretino con cui ho litigato qualche ora fa, Xavier dorme ancora
beatamente tutto rannicchiato con le mie gambe come cuscino e la mia
testa mi suggerisce “ti sto facendo male perché tu hai bevuto come
un idiota perché sei un idiota e hai un nome che ti fa meritare le
peggiori cose”. Be', cos'ho da perdere, alla fine?
Apro quindi
il biglietto, respirando profondamente per farmi forza prima di
iniziare la sua tanto temuta lettura.
“Himeragi,
premetto
che non sono bravo a scrivere ma so che non mi ascolterai per i
prossimi sette mesi e per questo ho pensato che devo pur farti sapere
come sono andate le cose. Spero che ne potremo anche parlare faccia a
faccia, ma se proprio pensi di odiarmi almeno voglio che tu sappia
queste poche cose prima di chiudere definitivamente i ponti con me.
Prima di tutto, mi dispiace. Sapevo che ti saresti arrabbiato ma
speravo che almeno mi saresti stato a sentire e quindi che mi sarei
potuto chiarire sul momento, ma ciò non è successo ed eccomi qui a
scrivere alle due e un quarto della mattina nella speranza di
trovarti quando uscirò di casa.
Poi, è la pura verità il fatto
che Landon mi abbia riportato qui il computer, ma non ti nascondo che
mi ha anche detto qualcosa che mi ha lasciato perplesso e per cui
volevo prendermi un po' di tempo in tranquillità con lui per
elaborare. Questo è un discorso che preferirei veramente fare a voce
in quanto è un elemento un po' delicato e non voglio che tu
fraintenda tutto da ciò che ho appena scritto, quindi ti sarei grato
se mi concedessi un po' della tua magnanimità e mi degnassi di venti
minuti per permettermi di farti cambiare idea.
Se non ti ho
fermato qualche ora fa quando te ne stavi andando non era perché mi
ero offeso da ciò che avevi detto o pensavo di avere ragione, ma era
perché ero ancora confuso e sapevo che tu lo eri (e forse lo sei
tutt'ora) ancora più di me e che, conoscendoti, dovevo lasciarti il
tuo tempo per pensare. Ammetto che però speravo che tu tornassi
almeno a casa per dormire, ma dopo essere tornato a casa dall'albergo
in cui ho accompagnato Landon e quindi dopo aver visto che tu non eri
ancora arrivato ho capito che te ne saresti stato chissà dove per
chissà quanto tempo e ho deciso di scrivere questo biglietto prima
di partire al tuo inseguimento.
Mi dispiace, davvero, ultimamente
sono stato uno stronzo ma questo è un altro punto che vorrei
chiarire avendoti di fronte perché voglio scusarmi come si deve e
farti capire le mie ragioni che, seppur con conseguenze esagerate,
sono sicuro che siano giustamente fondate. Lo so che non faccio altro
che farti arrabbiare, ma questo è sempre stato alla base del nostro
rapporto ed è qualcosa che non sono in grado di cambiare anche se so
che ci fa allontanare costantemente, ci ho provato e ci provo
tutt'ora, ma so bene che tu hai un limite e spero sul serio di non
averlo raggiunto una seconda volta.
Detto questo, se mai ti
dovesse venire l'ispirazione e venirmi a parlare, ti aspetto stasera
in piscina per la nostra solita lezione di nuoto privata, solito
orario.
Ti prego di perdonarmi almeno il minimo per mettere piede
in piscina.
Buon risveglio nel catorcio rosso - e col ragazzo
rosso,
Kyle.”
Alzo gli occhi al ciel... ehm, al
soffitto dell'auto e sospiro: non posso andare avanti così. Come
diavolo faceva a sapere che mi avrebbe trovato in auto e con
Xavier?
E poi, insomma, è ovvio che andrò da lui almeno per
chiarimenti ai punti “elemento un po' delicato” e “sono stato
uno stronzo”, parole che tra l'altro ho avuto l'onore di sentire
almeno un centinaio di volte uscire dalla sua bocca.
E' vero, non
fa altro che farmi arrabbiare ma questo suo tentativo di farsi capire
è sempre stato ciò che, anche nel passato, gli ha permesso di farsi
perdonare ogni volta che litigavamo per colpa sua - il che ammonta
alla maggior parte dei nostri litigi. Mi chiedo se ne uscirò mai
vivo, da qui.
E mentre cerco di arrivare ad una risposta
soddisfacente, il cellulare inizia a vibrare e per la prima volta da
ieri sera lo estraggo dalla tasca, sbiancando al numero di notifiche
che vedo nell'anteprima ma che sono costretto ad ignorare per
rispondere alla chiamata.
– Pronto? – borbotto sentendo il
retrogusto cattivo dell'alcol mentre cerco di mantenere basso il tono
della voce per non svegliare Xavier.
– Oh, grazie a Dio! – La
voce trillante di Percy fa quasi male alle mie orecchie già
affaticate dai bassi del Topo, mi vedo costretto a stringere
improvvisamente gli occhi per cercare di non pensare a quanto alto
sia il volume in chiamata del mio stupidissimo cellulare tenuto con
lo scotch. – Pensavamo fossi morto chissà dove, razza di
cretino!
– Perché dovrei essere morto?! – sbotto cercando
però di moderare la voce per non svegliare la Bella Addormentata qui
presente. Sembra che essere tragici sia un difetto alquanto diffuso
tra di noi.
– Kyle ha chiamato ognuno di noi nel bel mezzo della
notte per chiederci se ti avevamo visto perché tu non rispondevi al
telefono, era fuori di sé e ha fatto ovviamente preoccupare anche
noi! Come ti viene in mente di ignorare il telefono? E dove sei, si
può sapere?
Piano, cosa diavolo mi ha chiesto? Non sono nelle
condizioni di ricordare cose, al momento.
Tranne il mio
nome.
Quello lo ricordo per forza.
– Non avevo voglia di
guardare il cellulare perché ero arrabbiato. – ammetto senza
problemi, trattenendo anche uno sbadiglio che potrebbe far tremare la
Terra. – E poi Kyle mi ha trovato, non ve l'ha detto? Mi ha
lasciato un biglietto.
– Himeragi Fenwick, dove sei? – ripete
lei scandendo al meglio le parole solo per non urlarmi addosso tutto
l'odio che ha accumulato in queste poche ore verso di me. Inspira ed
espira Iris, se no mi ammazzi.
– Sono al Topo, ho dormito in
macchina. Sono con Xavier.
– E che accidenti ci fa Xavier lì
con te?
– Mi ha accompagnato ieri sera e abbiamo deciso di
dormire per riprenderci, abbiamo bevuto un pochino. Giusto per
passare la serata.
Silenzio.
Dall'altra parte non sento nulla
se non uno strano ronzio che mi fa tanto da calma piatta prima della
tempesta.
– Hime?
– Hick? Ci sei anche tu?
– Ci siamo
radunati tutti per cercarti, ci sono anche Iris e Ciel.
Eh?
–
Ciel? – ripeto, sperando di aver capito male.
– Sì, Kyle ha
chiamato pure lui.
– Ah. – Okay, mi merito le peggiori cose di
questo mondo. Lo ammetto. La vera domanda resta però perché Kyle
abbia dovuto chiamare l'allenatore di Shion con cui io ho avuto a che
fare tre volte al massimo incluse le gare provinciali. – … Percy
dov'è andata?
– Mi ha passato il telefono perché è andata in
terrazza dicendo che si fuma una sigaretta rischi una morte lenta e
atroce. Oh aspetta, ha appena aperto la finestra. Dice che devi
andare a farti fottere, che sei un idiota, che... ah no, questa è
proprio brutta. Percy! Non offendere la mamma di Hime! ... No,
neanche sua zia!
– Da quando Percy fuma? – chiedo sconcertato,
ma dopo un frastuono la risposta mi arriva chiara e tonda proprio
dalla diretta interessata.
– Da un po' e per colpa tua! Tua e
del tuo essere un coglione senza gloria né dignità! E di Iris che
mi offre le sigarette nei momenti peggiori! Iris, vaffanculo anche
tu!
Ridacchio istintivamente, devo ammettere che i miei amici
hanno uno strano modo di dimostrare che si preoccupano per me. Forse
è vero, stavolta ho leggermente esagerato ma alla fine nessuno si è
fatto male e stiamo tutti bene?
– Chissà che ti investisse un
tir straripante di vacche pezzate!
Sì, se Percy non continua a
mandarmi un flusso di accidenti continuo.
– E se non sono
pezzate? – domando con un filo di voce, temendo la risposta ma
curioso di sentirla. Da tempi immemori io e Percy siamo conosciuti
per le nostre provocazioni ma il nostro rapporto è sempre stato
combattuto, fin da quando in terza elementare le dissi che sembrava
un barboncino spelacchiato con quei capelli ricci e lei mi rispose
dicendomi che per lo meno lei li aveva, i capelli. In effetti mia
madre tendeva a tenermeli sempre a spazzola anche contro la mia
volontà, perciò cominciai a farmeli crescere verso i dodici anni,
quando fui in grado di intendere e volere e capii che un nome di
merda come il mio sommato a dei capelli ridicolamente a spazzola e a
degli occhi azzurri in stile Pallocchio non poteva portare a
nulla di buono.
– Ti faccio del male. – risponde lei alla
fine, pericolosamente lapidaria. – Xavier sta bene? L'hai fatto
vomitare?
– Io non ho fatto niente! Stava meglio di me e adesso
sta dormendo steso sulle mie gambe. Sta alla grande.
– Se sta
bene lo stabiliremo noi, all'allenamento di stasera. Le regionali per
lui sono tra tre giorni e tu lo porti a bere!
Roteo gli occhi al
cielo, appoggiando la tempia al finestrino freddo: – Non è che una
sbronza duri quattro giorni, Percy. Quello succede se bevi per tre
giorni consecutivi, ma noi abbiamo bevuto per due ore, quindi non
preoccuparti. Quando si sveglierà sarà come nuovo.
– E perché
mai l'avresti portato con te? Se avessi chiamato Hick credo sarebbe
venuto senza problemi.
Esito per un secondo, in effetti ha
ragione. Potevo chiamare Aydin e lui sarebbe venuto con la sua
macchina in un quarto d'ora, avremmo fatto un giro giusto per
schiarirci le idee e poi sarebbe tornato tutto a posto; almeno non
avrei coinvolto un minorenne psicologicamente instabile che sarebbe
potuto uscire parecchio male da questa stupida avventura. Ci tengo a
chiarire che non mi sono pentito della mia scelta e non voglio
togliere nulla al livello di sopportazione dell'alcol di Xavier, ma a
conti fatti avrebbe potuto finire peggio di come non sia andata in
realtà - ringraziamo gli enzimi potenziati dalle varie sbronze
passate.
– Lo so che sarebbe venuto senza problemi, ma avevo
dodici chilometri di autonomia nell'auto e zero voglia di guardare il
cellulare, perciò ho mandato tutto a quel paese e ho fatto di testa
mia pensando di andare da Xavier per parlare con i suoi genitori.
–
Alle dieci di sera?
– Nove e qualcosa, su. Non essere pignola.
–
Ti pignolo il culo se mi irriti ancora di più, Himeragi.
Mai
irritare Percy ancora di più. Esperienza personale, non la
raccomando per niente.
– Comunque, – balzo l'argomento per
salvarmi la pelle e controllo che Xavier stia dormendo. – Alla fine
l'ho trovato che stava uscendo di casa, perciò ho risparmiato la
farsa e gli ho chiesto se oggi avrebbe potuto saltare scuola. Fine
della storia.
– Ti rendi conto di come accidenti si sente quel
ragazzino? Come ti è venuto in mente di coinvolgerlo nei tuoi
problemi, Hime?!
Sorrido tra me e me: Percy ha ragione.
Percy
ha sempre avuto ragione, su ogni cosa. Lei sapeva che prima o poi
Kyle mi avrebbe fatto soffrire, sapeva che la relazione tra me e Iris
non sarebbe durata, sapeva che Xavier è particolarmente sensibile a
me.
– Hai ragione. – ammetto sottovoce, iniziando a passare
la mano tra i ciuffi ramati del ragazzino steso su di me. – Ma in
qualche modo sento di fare qualcosa anche per lui, quindi sono felice
lo stesso. Se non riesco a risolvere i miei problemi ma riesco a
risolvere i suoi allora tanto meglio, l'importante è che almeno
qualcuno dei due stia bene.
– Hime, Xavier è un tuo allievo,
non puoi fare come se fosse il tuo migliore amico! Hai un registro da
rispettare e lo sai bene, queste cose non sono ben viste.
Scuoto
la testa, sbuffando: – Tratto Xavier da Xavier, non da allievo e
non da migliore amico. Dovete smetterla di dirmi cosa devo fare con
Kyle, con lui o con chi-so-io, ho diciotto anni e non ho bisogno
della ramanzina ogni volta. Spero di essere stato chiaro.
–
…Chiarissimo. – mormora lei con un filo di voce, passando il
telefono nelle mani di qualcun altro.
Okay, mi dispiace e forse
ho esagerato, ma come ho detto sono stanco di essere ripreso per ogni
singolo passo che muovo; ormai ho l'età per intendere e per volere e
non mi serve che qualcuno - specialmente se poi quel “qualcuno”
sono i miei coetanei - continui a mettermi dei paletti e a farmi
pentire di qualsiasi cosa a questo mondo. Insomma, un briciolo di
dignità ce l'ho anche io dopotutto!
– Himeragi? Ci sei
ancora?
Ci metto qualche secondo prima di ricollegare la voce al
suo proprietario, ma una volta stabilito il collegamento tiro un
sospiro di sollievo, sperando di non dovermi più beccare i più
disparati insulti.
– Ehi, Ciel. Da quanto tempo.
– Ci siamo
sentiti la settimana scorsa, se ti ricordi. Per Shion.
– Frasi
di circostanza. – E si vola con le figure di merda. – Come va?
–
Io sto bene, tu piuttosto? Fatto le ore piccole?
– Non me ne
parlare. – ridacchio leggermente, accorgendomi di aver praticamente
alzato tutti i capelli di Xavier. Sembra un clown visto da qui in
questo momento. It Il Pagliaccio - la Vendetta. – Senti, ti
chiedo scusa se Kyle ha disturbato anche te.
– In realtà avevo
intenzione di passare in piscina da voi insieme a Shion questa
mattina, quindi alla fine ci saremmo visti comunque. E poi Adair ha
fatto bene a chiamare anche me, ero preoccupato. Shion mi aveva detto
che Xavier era al Topo insieme a te.
– Cosa...? – Guardo
istintivamente Xavier che, come se non avesse mai dormito, ora mi
guarda con gli occhi aperti e un sorriso indecifrabile stampato sul
viso. Da quanto stava ascoltando? E soprattutto da quanto sentiva la
mia mano tra i suoi capelli? – … Ciel, ti lascio. Xavier si è
svegliato. Ne riparliamo quando arrivo in piscina, okay?
–
D'accordo, amico. A dopo.
Premo la cornetta rossa sul touch screen
e guardo Xavier che, con nonchalance, si mette seduto e si sistema
velocemente i capelli che io gli ho spettinato. Ops.
I
suoi occhi sembrano più assonnati che mai, sbatte più volte le
palpebre e solo dopo averli sfregati due o tre volte riesce a tenerli
aperti, concludendo il risveglio con un sonoro sbadiglio. Sarebbe
quasi tenera questa scena se non sapessi che in realtà è stanco per
via dell'alcol e della posizione inusuale in cui ha dormito per poche
ore. Piccola peste.
– Hai sentito la telefonata?
– Sono
sveglio da prima di te.
– Ah.
Lui sorride sornione,
stiracchiandosi per quanto lo spazio gli consenta: – Sei piuttosto
comodo. E si sa che il dormiveglia è la parte più bella del
post-sbronza.
– Piccolo approfittatore... – Scuoto la testa
rassegnato, questo ragazzo ne sa sempre una più del diavolo. –
Piuttosto, cos'è la storia di Shion? Le avevi detto che eravamo
qui?
Xavier annuisce, tornando serio: – Se ti fosse successo
qualcosa almeno avrebbero saputo dove trovarti. Non stavi
particolarmente bene e avevo paura che saresti potuto peggiorare.
Insomma, mi fai stare in pensiero, Anguilla. Quanto lavoro mi dai da
fare, eh? – conclude con un sorrisetto vago, fingendo di sbuffare.
E così si preoccupa per me?
Che accidenti di istruttore
sono? Non posso nemmeno considerarmi un buon esempio da dare se è un
ragazzo di sedici anni a dovermi proteggere, accidenti.
–
Grazie. – dico solamente, trovando questa situazione meno strana
del previsto. Non mi sento in imbarazzo ad essere in questo abitacolo
scrauso con Xavier di fianco a me, né tanto meno era strano averlo
sulle mia gambe a dormire. Da quando è diventato così familiare
per me, questo moccioso?
Lui arrossisce leggermente, fissandosi i
piedi col broncio: – Grazie a te.
Perché ho l'impressione che
ci sia qualcosa che non potrò far finta di capire ancora a lungo?
Dopo aver fatto colazione (il barista al Topo era
sorpreso di vederci ancora vivi), aver riportato a casa Xavier con la
promessa di farmi chiamare dai suoi genitori per spiegare la
situazione e aver fatto benzina, mi ritrovo davanti alla tanto
agognata piscina dell'Andrew College.
E sbadiglio perché sto
morendo dal sonno.
Sono solo le nove e mezza della mattina e
prevedo già una giornata impossibile, ma devo tenere duro e arrivare
più lucido possibile a stasera, quando dovrò vedere Kyle. E con
“lucido” non intendo di certo le mie condizioni attuali, giusto
per farvelo sapere.
– Himeragi!
Una mano piuttosto pesante
mi si stampa improvvisamente sulla schiena, facendomi sobbalzare. Chi
ha osato toccarmi?
Mi giro così con uno sguardo omicida, pronto
a torturare qualsiasi anima che mi ritrovi davanti, ma alla fine non
posso fare a meno di collegare la faccia davanti a me a degli stupidi
occhialini rosa e finisco per sorridere, stringendo la mano che due
secondi fa mi ha praticamente marchiato a vita: – Ciao, Ciel.
–
Belle occhiaie.
– Io non ho mai commentato i tuoi occhialini
rosa, perciò non commentare le mie condizioni. – ridacchio
ritrovandomi a sbuffare per le reale pena che devo fare in questo
momento.
Ciel annuisce e scoppia a ridere, si sistema la coda che
tiene raccolti i capelli castani e poi fa un cenno verso l'entrata: –
Posso offrirti un caffè alle macchinette?
Wow, è la prima volta
che qualcuno spende metà dollaro per me. Sono commosso.
–
Volentieri. – acconsento alla fine, trattenendo un nuovo sbadiglio.
In pochi passi raggiungiamo l'interno del polo natatorio, gli
occhiali si appannano come al solito per via del vapore e mi rendo
conto che questo luogo oggi sarà teatro di parecchi confronti
interessanti.
Forse non sono poi così contento di trovarmi
qui.
Ci sono sempre tanti ricordi legati alla piscina ma la
maggior parte delle volte riesco a ignorarli e a sopravvivere qui
dentro, ma oggi sento che mi divoreranno vivo. Non uscirò da qui
tutto intero, stasera.
– Ragazzi, questi sono i vostri
nuovi istruttori! – Il rettore Muller fece un ampio cenno col
braccio, indicando noi quattro pecorelle smarrite di fronte ad altre
quattro pecorelle altrettanto smarrite - ma decisamente più
confuse.
Ci trovammo così di fronte a tre ragazze e a un ragazzo
che non sembrava essere molto del parere di stare lì a perdere tempo
con i convenevoli, tutti e quattro bagnati e infreddoliti per la
brutta giornata di pioggia in cui si era trasformata quella
soleggiata mattina di settembre. Se è vero che l'empatia esiste,
credo di aver percepito lo stesso pensiero che stava attraversando la
mia mente anche in quella di Xavier: chi cazzo sono questi
qua?
Non che non ci conoscessimo, ma era strano stare
dall'altra parte della cattedra quando per due anni quei ragazzi
erano stati miei compagni di corso. E dopo che per due anni mi
avevano guardato male.
– Non credo siano necessarie le
presentazioni, signor Muller. – improvvisò Percy dato l'imbarazzo
glaciale che si era depositato su quella patetica scenetta. – Già
ci conosciamo.
– Ma è sempre meglio ufficializzare, no? Ora
che mia figlia non può più insegnare voglio che voi veniate
rispettati come lo era lei.
Noi quattro ci lanciammo uno sguardo
veloce d'intesa: se dovevamo essere rispettati come noi rispettavamo
lei quando ci lanciava dietro i galleggianti e noi glieli
rilanciavamo addosso voleva dire che eravamo proprio messi male.
–
Che vi conosciate già è un bene, certo, – proseguì poi il
rettore, serio. – Ma ricordatevi che il vostro compito è di
allenare questi ragazzi, ora. Siete giovani e so che ci possono
essere delle distrazioni dato che siete quasi coetanei, ma vi prego
di tenere fede al vostro ruolo di insegnanti. E voi, ragazzi, – si
rivolse poi ai quattro allievi disposti in riga di fronte a noi. –
Vi prego do prendere sul serio i vostri istruttori anche se per
qualche anno sono stati vostri compagni di corso: se ora stanno
dall'altra parte vuol dire che se lo sono meritato. Allora, pronti ad
iniziare questo anno scolastico insieme?
Dal momento che mi
sentivo osservato guardai di sfuggita Xavier, notando che mi stava
fissando con uno sguardo pressoché omicida. Fu in quel momento
esatto che capii che quell'elemento non sarebbe stato facile da
gestire.
– Yay. – borbottò quindi lui sottovoce,
dandoci le spalle e tuffandosi nuovamente in acqua.
Lo ammetto:
non mi era mai stato particolarmente simpatico e vedere quella sua
insensata acidità nei miei confronti mi aveva dato non poco
fastidio.
– Il tuo angolo di ingresso non va bene, Xavier. –
comunicai atono non appena lui risalì in superficie, fulminandomi
con gli occhi azzurri. – E' debole – continuai, imperterrito. –
Gambe troppo divaricate e la schiena troppo dritta.
Il rosso
storse le labbra, arrossendo appena sulle guance: – Non ti avevo
chiesto di guardarmi.
– Quando smetterai di farlo tu, smetterò
anch'io.
– Ai suoi ordini, allenatore Himeragi. – mi
prese in giro con un sorrisetto che avrei tolto a suon di badilate
sulle gengive, riprendendo tranquillamente a nuotare. Come accidenti
si permetteva di trattarmi come un idiota nonostante il fatto che
avrei dovuto allenarlo per un anno intero? In quel momento mi
sembrava di volerlo raggiungere in acqua per strangolarlo con le mie
stesse mani, ma alla fine lasciai perdere quando la mano di Sapphire
mi si appoggiò sulla spalla: – E' un po' così, oggi. Brutta
giornata.
– Solo oggi? – borbottai parecchio infastidito,
permettendomi quel tono dal momento che conoscevo Sapphire e ci ero
sempre andato d'accordo.
– Ci farai l'abitudine, Hime. – mi
consolò con un sorriso poco convinto, battendo nuovamente la mano
sulla mia spalla. – Devi solo conoscerlo. E lui deve prenderti. Con
Xavier è come gli shot: quando sei ubriaco e ne bevi uno è tutto
fuori o tutto dentro.
– Bleah. Non parlarmi di shot, ti prego.
– risi, sapendo però l'effetto che quei maledetti avevano su di me
già allora. – Grazie del consiglio. Starò attento a non
ubriacarmi.
– Nah, impossibile. – Sapphire scosse la testa,
allontanandosi per raggiungere Xavier in acqua.
Non le credetti,
in quel momento.
Brutta idea.
– Non intendevo che
dovevi andarti a ubriacare con un sedicenne, quando ti ho raccontato
delle mie ex. – borbotta trattenendo le risate Ciel, bevendo piano
il suo caffè mentre siamo seduti nell'atrio. – Sul serio, amico,
come ti è venuto in mente? Che idea stupida!
Grazie Ciel, avevo
proprio bisogno di questo conforto così sentito. Ora sì che sto
meglio.
– Non l'ho fatto con le intenzioni che credete tutti
voi. – lo correggo sperando di dover chiarire questo punto per
l'ultima volta in questa giornata. – Avevo dodici chilometri di
autonomia nella macchina, non volevo stare da solo e nemmeno con
Kyle, ero sconvolto e non riuscivo nemmeno a usare il telefono per
chiamare qualcuno. Lì per lì avevo solo Xavier in testa, non è
stata una scelta pensata a dovere e lo so che forse ho sbagliato,
ma...
– Hime – mi interrompe lui, il tono della sua voce è
più grave del dovuto. – Lo so che tra te e Xavier c'è un rapporto
speciale, ma devi contare che lui non è la tua bambolina. Non puoi
avere bisogno di lui e poi lasciarlo in disparte, ha sedici anni e
queste cose, ora come ora, gli fanno solo del male. Io non lo
conosco, ma a quell'età i ragazzi hanno bisogno di stabilità, di
capi saldi. Non di istruttori di nuoto che quando litigano con il
proprio ragazzo li vanno a prendere e li portano a bere.
Io l'ho
detto che da qui non esco vivo, stasera.
Cosa gli posso dire,
insomma? Ha ragione! E' più che ovvio che abbia ragione e che io ho
fatto una cazzata, ma l'errore più grande che sto commettendo è
probabilmente il fatto di non rimpiangere la mia scelta. Certo,
magari per Xavier è stato qualcosa di piuttosto sconvolgente ma per
me è stato come un raggio di luce nel solo buio che riuscivo a
vedere ieri sera.
– Ti direi che mi dispiace, ma non devo scuse
a te e non è nemmeno vero. – rispondo quindi in tutta onestà,
finendo in un sorso il caffè rimasto. – Anche Percy stamattina mi
ha detto quello che mi veniva, certo, ma voi non capite ciò che io e
Xavier abbiamo di non scritto. Lui mi ha perdonato per essere andato
lì, averlo portato a bere e avergli parlato tutto il tempo di Kyle.
Come io l'ho perdonato per averlo fermato in una sua fuga da casa e
per i suoi modi sbagliati di affrontare le cose. Non si può
descrivere, fidati. Io ci provo ma non si può.
Ciel sorride,
rassegnato, annuendo piano: – E puoi ancora considerarlo solo un
allievo?
– No, ovvio. Xavier non è solo un allievo, ma se mi
chiedi di assegnargli un titolo non saprei proprio cosa dire.
–
Stai solo attento, okay? Io... So cosa vuol dire avere casini con
un'allieva e ti assicuro che c'è da impazzire se qualcosa va male. –
Nel dire questo il mezzo francese abbassa gli occhi, incrociando le
braccia in un gesto piuttosto di tensione. Uo-ho, sento odore
di scoop. Himeragi-ficcanaso a rapporto.
– Cos'è? Una
confessione? – gli chiedo quindi scherzando, sperando di
alleggerire la tensione dovuta alla mia storia.
Lui alza piano
gli occhi smeraldini, guardandomi con una faccia da “grazie di
avermelo chiesto perché devo dire a qualcuno quello che ho fatto ma
non credo di volertelo dire o forse sì aspetta che ci penso”.
Conciso. – Pressapoco. – ammette alla fine, raddrizzando la
schiena e passandosi una mano tra i ciuffi castani troppo corti per
restare nella coda. – Facciamo che si dice il peccato e non il
peccatore?
– Col cappio! Non puoi lanciare la pietra e poi
nascondere la mano.
– Non rigirare la frittata, adesso!
– Possiamo smettere di
parlare a proverbi, per favore? – sbuffo, portandomi la mano sulla
tempia. – Fai come vuoi, Ciel, okay? Sentiti libero di esprimere la
tua essenza.
– Platone?
– Ma che ne so, facevo schifo in
filosofia.
– Comunque, – si schiarisce la voce forse per
sforzarsi di restare concentrato in tutta questa confusione. Che
diavolo stiamo dicendo? – Scusa se ti uso da confessore, ma penso
di aver fatto una cazzata... – Benvenuto nel club! – …E dato
che siamo in tema forse tu hai una buona soluzione.
– Guarda, –
appoggio la mano sulla sua spalla, sospirando tristemente. – Io ci
provo, ma il mio nome e “buona soluzione” non possono nemmeno
stare nella stessa frase. Collidono.
Per un momento mi sale il
Neutron Star Collision dei Muse, ma mi trattengo dal mio
stacchetto e presto attenzione al povero malcapitato che ho di
fronte. Oggi. Non. E'. Una. Bella. Giornata.
– Lei è più
piccola.
– Oh wow, ho proprio capito chi è.
Ciel mi brucia
con lo sguardo, ma alla fine scuote la testa e abbassa gli occhi: –
Tanto non puoi aiutarmi se non sai di chi parliamo, giusto?
–
Giustissimo.
Saggio Ciel. E' ora di un po' di sano gossip.
–
La conosci. – mormora quasi coprendosi il volto con le mani,
credendo che io possa arrivare alla soluzione con questo indizio.
–
Solo perché sono gay non vuol dire che non conosca donne, Ciel. Come
vuoi che sappia con chi hai avuto casini?
– La conosci, Hime. –
mi ripete, scandendo le parole e stavolta guardandomi negli occhi. –
Dai, chi può essere?
– Mia madre?
– Dio.
– Dio?
–
Tua madre, Hime.
– Eh?
Ci guardiamo, entrambi esasperati,
scoppiando però a ridere. Tanto per non piangere, s'intende.
–
Non farmi dire il suo nome, ti prego. E' imbarazzante.
Annuisco,
facendogli capire che in realtà attendevo che fosse proprio lui a
dirlo e che non sono così imbecille da non capire a chi si stesse
riferendo: – Shion, eh?
– Già. Shion.
– Bella storia. E
che è successo?
Ciel sospira, appoggia la nuca al muro dietro di
lui e socchiude gli occhi: – Mi hanno assegnato a lei come
istruttore semi professionale con l'unico scopo di portarla a livelli
agonistici nello stile rana. Lavoravamo sodo tutti i giorni, ma lei
aveva anche la scuola e perciò cominciammo a spostare gli
allenamenti alla sera, quando in piscina eravamo da soli. Poi sai
anche tu come funziona, lei è una ragazza che sa intrigare e io uno
che si fa intrigare, quindi ci siamo lasciati entrambi andare
e abbiamo iniziato una sottospecie di relazione che si limitava agli
allenamenti serali. Se ci vedevamo di mattina, per i corridoi,
nemmeno ci guardavamo. O perlomeno, lei non mi guardava.
– Fammi
indovinare – lo interrompo con un sorrisetto per allentare la
tensione. – Tu che sei conosciuto per la fama da gigolò e lei che
aveva paura di restare delusa?
– E' così prevedibile?
– Tipica minestra da soap opera. Le
migliori.
– Ti spari Beautiful, tu.
– Ogni giorno
all'una e un quarto.
– Cristo.
– Dai, va' avanti!
–
Siamo andati avanti quasi sei mesi. – ricomincia, sbuffando di
nuovo. – Andava tutto bene, più o meno. Lei era piuttosto presa
quando eravamo da soli, lo eravamo entrambi, e prima che me ne
accorgessi volevo davvero fare sul serio. Insomma, quello che succede
di solito nelle soap.
– Beautiful?
– Non volevo
ammetterlo. Ridge doveva stare con Brooke.
– Quella sgualdrina?
Doveva stare con Taylor, per l'amor di Dio!
– Hime!
Ha
ragione, ha ragione. Stiamo dando di matto.
– Okay, scusa. Va'
avanti.
– Le provinciali, te le ricordi? Come l'hai vista
comportarsi, con me?
Mi serve un secondo per collegare il viso di
Camille a tutta la durata delle provinciali, ma una volta completata
la scansione la risposta sorprende anche me: – Sembrava...
Piuttosto tranquilla, in realtà.
– Esatto. – conferma lui,
affranto. – Le ho detto delle mie intenzioni due giorni prima e
lei, come se niente fosse successo, ha detto “okay, non mi fido di
te, yay, facciamo che non è successo nulla e amici come
prima”.
– … Anche “yay”?
Ciel scuote la testa con un
sorrisetto: – Ci mancava poco. Io ci sono sotto con la testa, Hime.
Quella ragazza è...
– Un terremoto. – lo precedo, memore
delle nostre chiacchierate davanti ai fatidici caffè che suggerivano
un lavaggio del cervello da parte sua. – E non è più successo
nulla?
– Ho chiesto io di annullare gli allenamenti serali. Lei
ha provato a chiedermi perché, ma non le ho più voluto parlare. Fa
male sapere che prima avevo qualcosa in mano e ora puf!,
andato. Credo di volerle bene davvero.
– Io ti credo. – lo
rassicuro, sorridendogli da amico anche se nella mia situazione è
difficile dare consigli di cuore a qualcun altro considerando come io
sto gestendo (se così possiamo dire) le cose. – E so anche che la
parte difficile è sempre essere creduti dall'altra parte del
rapporto.
Ciel annuisce, distratto, perdendosi nel mare di
rimpianto in cui si sta ritrovando: – Mi dispiace che la sua prima
relazione seria sia stato io, ma voglio farle capire che non sono
pronto a lasciarla morire così. Io voglio tenerla stretta e non so
come fare, Hime.
– Lo dici a uno che non capisce proprio nulla
di queste cose. Non credo che tu sia un così pessimo ragazzo come
dice il tuo biglietto da visita, ma sicuramente Shion è spaventata
da quello che potrebbe succedere se dovesse andare male qualcosa.
Capita, a sedici anni... Aver paura dei sentimenti, dico. Anche ora,
a diciotto. E forse alla tua età anche. Si ha sempre un po' paura,
non credi?
Ciel mi guarda con un mezzo sorriso, forse pensa che io
stia delirando e che davvero mi spari troppo Beautiful, ma quando mi
stampa la sua mano sulla spalla capisco di aver detto una cosa
giusta. Anche se il colpo ha fatto discretamente male.
Ahia.
–
E' vero. – asserisce annuendo col capo, alzandosi improvvisamente
dalla panchina. – Si ha sempre paura. Perché, poi? Insomma, fanno
parte della natura umana, i sentimenti. Non ci si spaventa tanto a
parlare di sesso o cose così ma ci si fa remore per parlare di
sentimenti. Bel paradosso, eh?
– L'emblema della natura umana. –
concludo, alzandomi anch'io mentre questa discussione va via via
sfumandosi. – Vuoi che provi a parlare con Shion?
– Non so se sia la cosa migliore, ma forse potresti solo chiederle
cosa ne pensa di me. Così, random. Vediamo cosa dice, no?
Annuisco,
prendendo così la mia strada verso gli spogliatoi: – Le parlerò
appena la vedo. Poi ti dico tutto.
Ciel mi sorride, prendendo
invece la via per raggiungere la piscina: – Sei un amico, Hime. Ci
vediamo dopo!
Agito la mano nella sua direzione, sorridendo per la
codina che oscilla senza sosta: – Anche tu. A dopo!
Gli
spogliatoi: il confessionale più confessionale del Grande Fratello.
Se si ha bisogno di parlare, di chiarire, di piangere, di
dichiararsi e nel mio caso anche di baciare qualcuno per la prima
volta, si va negli spogliatoi.
Magari sperando che il rettore
Muller non sia nei paraggi. E' stato parecchio imbarazzante, allora.
Sulle panchine riconosco le borse di Iris e Hick, Percy credo
debba ancora arrivare e lo reputo una fortuna considerando i toni che
questa mattina ha tenuto con me al telefono. Ammetto di essere forse
anche un po' sotto pressione al pensiero di dover parlare con i miei
amici, insomma, so anch'io di aver fatto una mezza cretinata e so
anche che non hanno tutti i torti se vogliono riempirmi di parole
dalla testa ai piedi.
Levo così velocemente la maglietta e i
pantaloni, resto in boxer e mi trascino in bagno per lavarmi il viso.
Wow, sono proprio uno schifo. I miei occhi - che prima ero sicuro
fossero verdi - hanno assunto una sfumatura di disperazione e le
occhiaie violacee sotto di essi non aiutano per niente. Per non
contare i capelli, che sembrano più una matassa informe che ha
deciso arbitrariamente di prendere ogni direzione possibile.
Sbuffo:
se volevo che nessuno notasse che mi sono ubriacato, ho fatto qualche
errore di calcolo.
Nemmeno l'acqua gelida del rubinetto sembra
migliorare la situazione e il tutto precipita in picchiata quando
rientro nella stanza dove ho lasciato la mia borsa, dal momento che
Kyle è in piedi all'entrata.
Lui è tutto in ordine, puntuale
nel suo aspetto: i capelli scuri sono tenuti in su un po' alla
rinfusa ma hanno la loro logica, il viso non presenta segni di
hangover e i suoi vestiti sono stirati (dal sottoscritto) e puliti.
In quanto ai miei... Be', ho solo i boxer addosso, al momento. Direi
che non c'è nemmeno competizione.
Mi fissa con gli occhi vitrei
ma so cosa sta pensando. Quegli occhi non stanno per niente dicendo
cosa c'è nella sua mente. Lo conosco abbastanza bene, quel ragazzo.
C'è una tempesta in corso dentro di lui.
Sa di avermi giocato un
brutto tiro, sa che anche io sono in panico in questo momento e non
sa se il suo solito impeto potrebbe essergli d'aiuto o peggiorare
drammaticamente tutto quanto.
I suoi occhi luccicano mentre,
colto dall'ultimo barlume di lucidità, ignorando il fatto che io sia
nudo se non per i boxer e ignorando il fatto che tutti gli altri sono
in piscina e potrebbero vederci da un momento all'altro, mi raggiunge
e mi stringe forte a sé come se fosse la sua unica ancora. Come se
io, forse, fossi la sua unica ancora.
E forse magari è così, chi
lo sa cos'ha per la testa?
Vorrei ridere, pensare a quanto mi stia
facendo dannare e a quanto io non possa combattere il calore che il
suo corpo emana sul mio. Maledetto, maledetto Kyle Adair.
Porto
le mani sulla sua schiena a tenermi aggrappato alla sua felpa, a lui,
al suo essere un emerito bastardo dai tempi dei tempi e anche al suo
sostenere il mio peso nonostante io stesso voglia lasciarmi andare.
Questo non è amore.
O perlomeno, non credo. E' forse
abitudine, il bisogno di esserci reciprocamente nonostante i litigi,
le brutte cose che vengono dette, le offese; il sentirsi accettati
nonostante la nostra incompatibilità. E mi dà fastidio, certo,
perché dovevo seguire il copione del ragazzo offeso e arrabbiato, ma
forse non sono così risoluto come speravo di essere. Non che sia una
novità, non sono mai stato un asso nel gestire le situazioni
critiche. Nemmeno quelle normali.
Cavolo, sto messo peggio del
previsto.
– Mi dispiace, Himeragi. Mi dispiace davvero. –
mormora contro la mia spalla con la voce che trema. – Ho fatto un
altro casino e lo so, lo so, ti giuro che lo so e ti giuro che me ne
pento, che mi dispiace e che non avrei mai voluto doverti cercare nel
bel mezzo della notte per colpa mia.
Deglutisco anche se è più
doloroso del previsto a causa del nodo in gola che si è creato senza
che nemmeno me ne rendessi conto, vorrei rispondere ma non ci riesco.
Stupido, stupidissimo Himeragi.
– Ho bisogno di te. – ammette
a bassa voce, facendomi spalancare gli occhi mentre ringrazio perché
lui non possa vedermi. – Bella storia, eh? Dovevi essere tu quello
ancora attaccato a me ma guardami, mi faccio pena da solo. A me non
basta così, Anguilla, ho bisogno di certezze con te. Sto uscendo di
testa. Lui sta uscendo di testa?
Insomma, da quando i
ruoli si sono invertiti?
– Kyle – riesco appena a sussurrare
il suo nome, ma questo basta perché lui si allontani per guardarmi
dritto negli occhi in attesa di una mia risposta. Mi viene solo da
sorridere, le parole mi muoiono in gola. – Ti luccicano gli occhi,
sai?
– Anguilla, io...
– Va bene. – lo interrompo,
portando la mia attenzione unicamente sui suoi occhi, la versione dei
miei in negativo. – Possiamo provare a tornare ad un tempo. Il
nostro, tempo.
Ed è vero, a me va bene.
Non so ancora cosa,
come, quando, dove, chi e perché, ma finché c'è Kyle va bene. Non
benissimo, ma bene abbastanza da provare ad accogliere la sua
richiesta nel migliore dei modi, forse tornando davvero a qualche
anno fa, a prima della sua partenza.
– Mi dispiace. – ripete,
appoggiando la fronte alla mia mentre le sue mani sui miei fianchi
nudi mi provocano una serie di brividi non poco fastidiosi. –
Vorrei andare avanti, evitare di tornare indietro, ma...
– Chi
se ne frega se va avanti. – gli sorrido, stavolta senza paura
perché anche la mia lucidità ormai mi ha abbandonato. – Tanto
vale andare indietro, Kyle.
Anche lui finalmente sorride e non
serve nemmeno attendere qualche secondo in più perché ci baciamo,
incuranti della potenziale figura di merda che potremmo fare e del
mio successivo immediato licenziamento. Penso che succederà a breve,
ad ogni modo, o per colpa di Xavier o di Kyle. Non sono destinato a
tenere questo lavoro ancora per molto.
E' caldo, Kyle.
E'
sempre stato il mio termosifone preferito, ma anche in momenti come
questi il suo calore non viene meno e io mi sento sempre a casa se ci
sono attaccato. Non ho nemmeno voluto sentire le sue scuse e la cosa
mi sorprende parecchio, come mi sorprende il fatto che senza domande
e senza risposte ci rinchiudiamo in una cabina, ci togliamo gli
indumenti rimasti e in men che non si dica torniamo alle nostre
vecchie abitudini.
Forse non sarà così male tornare indietro.
SONO VIVA.
Mi scuso, tanto, ma è stato davvero un periodo frenetico e zero tempo da dedicare ai miei pesciolini. Vi lascio con uno spoiler del capitolo 12!
Forse
sono un idiota, ma non voglio lasciarlo andare. Anche se mi ha dato
uno schiaffo, anche se l'ho inchiodato al muro, anche se ci siamo
appena urlati addosso: se lui è confuso riguardo a me, io lo sono
riguardo a lui. E la cosa più brutta è che non riesco a definire,
nemmeno sforzandomi, ciò che sento ora.
Lui è qui, un bambino
che piange ancora e stringe la mia maglietta tra le mani, so che non
lascerà andare per un po'. Provo a calmarlo, gli accarezzo la
schiena e sussurro al suo orecchio qualche debole “sssh”, ma so
fin troppo bene che qualcosa è andato in frantumi.
– Sei un
bastardo, Himeragi.
E quel qualcosa è proprio Xavier.
SWIMMING TALE
CAPITOLO DODICI
“The Tell-Tale Casa Hickey”
I'll wait for you and should I fall behind will you wait
for me?
Prima che potessi davvero capacitarmi di tutto ciò che era
successo, io e Kyle stavamo insieme.
Di nuovo.
Quando si dice
che la lezione non la si impara mai, no?
Sono passati i primi
minuti, le prime ore e il primo giorno e sembrava andare tutto bene.
Poi ci siamo messi a dormire, e lì mi sono sinceramente chiesto cosa
accidenti avessi fatto ad acconsentire per la seconda volta a quello
che so essere uno stress psicofisico non da poco.
Non direi
essere stata solo la foga del momento, è stato un insieme di fattori
che, come si è potuto vedere, non ho saputo combattere. Non che me
ne penta, ma non ricordo più come si fa a stare insieme a Kyle
Adair. Non lo danno con le istruzioni in dotazione, purtroppo.
Però
dovrebbero. PorcoilKyle se dovrebbero.
In più, due
giorni dopo abbiamo avuto le gare regionali e posso dire con orgoglio
che sono davvero fiero dei miei ragazzi considerando che Tammie e
Xavier sono arrivati entrambi secondi nei loro circuiti e che
Sapphire è addirittura arrivata prima, peccato che la convocazione
della Nyst - leggere: il mio incubo - non sia stata anche per lei. Al
momento Shion non parteciperà ancora alle gare e dovremo aspettare
il prossimo anno per inserirla nel girone, ma a quanto ho capito è
stata parecchio contenta di aver assistito i suoi compagni anche se
dopo la gara di Xavier lui stesso si è lamentato della ragazza
esordendo con: “Se urli ancora così mentre nuoto giuro che ti
morsico la giugulare”. E' un ragazzo carino, Xavier, sempre
educato.
Cortese.
Non so come mai ma non sono riuscito a
dirgli che io e Kyle stiamo insieme, so che non rientra nemmeno nei
suoi interessi e che il massimo che farà sarà una smorfia o
un'alzata di spalle, ma in qualche strano modo mi sento in dovere di
farglielo sapere. In merito ai miei amici, invece, Percy e Iris hanno
battuto le mani e quell'altro pirla di Aydin mi ha guardato con un
sorriso da fattone dicendomi: “Ah, bene, così non ci proverai più
con me”. Come se ci potessi provare con un pirla, appunto.
Quindi
adesso ci ritroviamo tutti sugli spalti: i Senza nome più Ciel, i
nostri cinque pargoli e i quattro multi-nazionalità della Nyst. Al
mio segnale, scatenate le barzellette che iniziano con “c'erano una
volta un italiano, un norvegese e un americano”. In generale c'è
un clima tranquillo, con Kyle il risveglio è stato tranquillo tranne
un suo “mi stai appiccicato come una cozza quando dormi” e
nessuno ha ancora litigato con nessuno. Per il momento.
–
Signori e signore! – esclamo, sventolando a mo' di videoclip di
Wavin' Flag i due fogli mandati dalla Nyst per Tammie e Xavier. When
I get oldeeeer, I will be strongeeeeer... – Siamo qui riuniti
oggi sotto il vessillo del nuoto per prendere una decisione che
cambierà la vita a due giovani ragazzi.
– Ehi, Hime. – Nico
mi guarda stranito, credendo che io sia affetto da una qualche forma
di infermità mentale. – Non per dire, ma non devi intrattenere un
sermone.
– Infatti – Gli faccio la smorfia. – Questo è
direttamente l'inizio della Messa. Fratelli e sorelle!
Sguardi
imbarazzati dai presenti.
– Comunque, – continuo, schiarendomi
la voce. – Seriamente parlando, Xavier e Tammie, se siete pronti
vorremmo sentire le vostre decisioni. Non abbiate paura, siamo tutti
qui per sostenervi.
I diretti interessati si scambiano lo stesso
sguardo che Nico ha rivolto a me giusto qualche secondo fa, e quando
il rosso si alza esordisce con: – Ciao a tutti, io sono Xavier e
oggi sono tre giorni che non bevo.
– Xavier! – lo richiamo,
portandomi la mano sugli occhi mentre tutti gli altri scoppiano a
ridere. Questo moccioso mi porterà all'esasperazione, me lo sento.
– Sembra uno stracazzo di gruppo per alcolisti anonimi,
Anguilla. Vai easy.
Che linguaggio aulico. Sento qualcuno
ridacchiare e Ciel scuote la testa divertito, ma in pochi secondi
siamo tutti in silenzio, trepidanti per sentire quale sarà il
verdetto finale. Ad essere sincero quasi temo il momento, ed
egoisticamente parlando credo sia chiaro che temo molto di più il
verdetto di Xavier, ma non posso nemmeno mostrarmi troppo concitato o
Kyle ricomincerà con i suoi soliti sproloqui sul “sei un pedofilo
se te la fai con i sedicenni” e dato che mister Gelosia dice di
aver fatto un corso di giurisprudenza mentre era a New York, ora
scheda qualsiasi cosa io faccia e la butta sul drastico.
Parlo con
Xavier? Sono un pedofilo.
Cade la pentola? Disturbo gli ambienti
pubblici.
Impreco contro Spruffio il gatto? Sono zoofobo e il WWF
potrebbe trovarmi e venire sotto casa con torce e forconi.
Spiegatemi
come faccio a essere zoofobo se quel maledetto gattaccio mi lascia
dei poco piacevoli ricordini sullo zerbino di casa. Sono contro
Spruffio, non ho paura degli animali. Anche perché ne tengo uno in
casa - e sì, intendo Kyle.
– Tammie, avanti. – Iris, accanto
a Nico con le gambe avvinghiate alle sue, sorride e incoraggia la più
piccola dei nostri allievi mentre Shion le dà una pacca sulla
spalla. Così la morettina si alza e mi affianca davanti a tutti,
sfilandomi dalle mani il foglio che porta il suo nome.
– Parto
per New York. – afferma con un sorriso, alzando in aria la lettera
come fosse un simbolo di vittoria.
Scoppiamo tutti in un applauso,
i ragazzi della Nyst scendono e la abbracciano tutti insieme,
compreso Kyle che col labiale mima verso di me: “Bel lavoro”. Io
lo ringrazio con un cenno e poi mi avvicino a Tammie per abbracciarla
a mia volta, prendendola poi per le spalle: – Mi mancherà la mia
allieva più ubbidiente, ma sono sicuro che questa sia la strada
giusta. Congratulazioni.
Tammie mi stringe la mano per ricevere
delle congratulazioni più ufficiose, ma poi mi si butta addosso in
un nuovo abbraccio e non posso fare a meno di pensare che mi mancherà
davvero questa ragazzina. In fondo lei non ha mai dato alcun genere
di problema, ha sempre dato il suo meglio in ogni gara e in ogni
allenamento perciò non vedo posto migliore della Nyst, per lei -
anche se temo che i regimi siano molto più duri, là.
– Faremo
una grande festa di addio, allora. – Aydin conclude il giro di
abbracci con una delle sue massime. – Ti daremo dell'alcol di
nascosto, tranquilla.
Percy, Iris e io ci guardiamo, sconfitti:
non c'è più nemmeno la speranza di recuperare Hick. Caso perso,
povero.
Credo inoltre che Xavier ne fosse al corrente dal momento
che il suo è stato solo un esultare per unirsi ai festeggiamenti,
conoscendolo lui e Tammie si saranno già scambiati le proprie idee,
il che mi rende sempre più ansioso di scoprire cosa diavolo ne sarà
dell'offerta per Xavier.
Iris batte le mani, richiamando la
nostra attenzione: – Xavier, tocca a te. Forza.
Il rosso scende
dagli spalti sorridendo e, come la sua compagna, mi affianca e
afferra il suo foglio dalle mie mani. Dopo aver guardato i presenti
ad uno ad uno negli occhi lasciando me per ultimo, abbassa la lettera
e scuote la testa: – Non partirò.
Sgomento, direi, quello che
ora si palpa nell'aria.
E silenzio, tanto silenzio.
Perché io
me lo aspettavo; in fondo lo sapevo. Lui stesso me l'aveva detto.
E
sono arrabbiato perché non mi ha ascoltato, perché non capisco la
sua ragione di voler restare qui, di rifiutare un'offerta importante
come quella da New York.
Adesso lo picchio.
– Xavier puoi
venire un attimo fuori? – Se vi stavate chiedendo se avessi saputo
trattenere il mio spirito da mamma chioccia sull'ossessivo andante,
be', mi dispiace deludervi.
Xavier mi fissa quasi passivamente,
concludendo con un'alzata di spalle:– Mi devo allenare, adesso.
–
Ti alleni fuori.
– Lo sai che non ci sono piscine fuori vero?
–
Ti alleni fuori, ho detto. – Calmo, Hime. Calmo. Xavier capirà, è
un ragazzo intelligente. Smetterà di fare sarcasmo e ti seguirà.
–
Nel cemento?
Oggi finisce male.
– Fuori, Xavier.
Tutti
sono ammutoliti e solo le nostre due voci rimbombano e so che senza
problemi continueremmo questa conversazione anche al costo di dover
continuare ad ascoltare il silenzio che le due parole di Xavier hanno
generato, ma non si sa come - forse Buddha mi ha ascoltato - lui
molla la presa e fa addirittura strada verso l'esterno, dove so che
non mi aspetta una battaglia facile.
Nel frattempo, ancora non
vola una mosca.
L'esterno è soleggiato, oggi fa caldo e
maggio sta per aprirci le porte.
Xavier è illuminato dai raggi
del sole, deve tenere gli occhi socchiusi ma riesco a intravedere
ancora più chiaramente le sfumature delle sue iridi che mi hanno
sempre ricordato i riflessi dell'acqua, messe anche in risalto dalla
marea di lentiggini sparse su tutto il suo viso, ora corrucciato.
–
Non era il caso di fare scena, dopo fanno confusione. – Mi
rimprovera non appena chiudiamo la porta, portando la mano sulla
fronte per farsi ombra sugli occhi.
– Sono già abbastanza
scioccati per essere confusi dal fatto che stiamo parlando, stanne
certo. Mi spieghi perché, Xavier? Che accidenti ti trattiene
qui?
Lui mi guarda quasi seccato, so che è una conversazione che
non vorrebbe essere costretto a intrattenere: – Mi pare che tu
fossi già al corrente della mia scelta.
– Non hai risposto alla
mia domanda.
– Perché sì, Himeragi. E' una scelta mia e
se non sbaglio tu sei l'ultima persona che può farmi la predica
considerando che per ben due volte hai deciso di non partire.
Avete
presente quando volete combattere una guerra ma tutte le battaglie
sono vinte dal vostro avversario? Esattamente così, Xavier continua
a vincere lasciandomi unico senza il mio esercito sul campo deserto,
fissandomi dall'alto della sua torre protetto dalle due guardie,
sicuro di avere la partita in mano.
– I nostri casi sono
diversi, non capisci che a New York potresti ricominciare? Senza i
tuoi genitori, cimentandoti in ciò che ti riesce meglio? Io avevo le
mie ragioni per restare qui.
Xavier rotea gli occhi, appoggia la
schiena al muro e sospira, come se si stesse sforzando di tenersi
sotto controllo: – Cosa ti fa pensare che io non abbia le mie?
Ci
sono volte in cui penso che le parole feriscano più di un'arma. E
questa è una di quelle.
– Forse il fatto che pensavo me le
avresti dette. – borbotto forse sperando che lui non mi senta
quando è solo a qualche decina di centimetri da me.
Xavier
schiocca la lingua girando per un istante la testa di lato, forse
irritato o forse chissà cosa, perché chi riesce a capire cosa gli
frulli in testa è davvero da premiare. Continuo a chiedermi come
finirà questa discussione e se mai una fine l'avrà ma sono sempre
più teso e sento che non ne verrà fuori niente di buono.
– Ci
sono cose che a te non posso dire. – conclude, ora il tono della
voce tenuto più basso. – Non ho dimenticato cosa mi hai detto al
Topo, so che tu cerchi di ascoltarmi e che mi leggi in faccia che
magari non sto bene, ma devo salvaguardare quello che resta di me. E'
poco, scarseggia sempre di più ma se parlassi ora non resterebbe più
nulla. Quindi ti prego, Anguilla, basta domande per oggi. Torniamo
dentro e chiudiamo la questione, comunque vada non cambierò idea.
Inspiro profondamente, ho come l'impressione di aver sempre
viziato questo ragazzo: gliel'ho sempre data vinta, no? Un no per lui
era sì e non facevo nulla per non concedergli quella vittoria, tanto
che ora sono solo nel nostro campo di battaglia. Ma oggi no, se
voglio vincere almeno questa mi sa che dovrò recuperare qualche
soldato in giro rimasto vivo.
– Hai finito la filippica
filosofica? – Incrocio le braccia al petto, guardando Xavier dritto
negli occhi cristallini. – Cerco sempre di ascoltarti, è vero, e
non lo faccio per ottenere una ricompensa. E nemmeno per ottenere la
tua fiducia, stima o quello che vuoi. Lo faccio perché sei tu,
perché sei maledettamente bravo ad agganciarmi a te con i tuoi
sbalzi d'umore che potrebbero fare concorrenza ai miei e perché,
anche volendo, non riuscirei a farne a meno. Ed è per questo che
voglio sapere cosa ti sta trattenendo qui quando potresti andare a
New York, lasciarti alle spalle la tua casa, la tua famiglia e il
quartiere in cui vai a girare nel bel mezzo della notte.
– Mi
compatisci, in breve? – mi interrompe quasi senza espressione,
imitando la mia posizione.
– Fosse solo compassione a quest'ora
non sarei qui, che dici?
– E' solo compassione,
Himeragi, che diavolo vuoi che sia? Mi hai dimostrato sempre e solo
questo, solo compassione.
– Che stai dicendo? – sbotto, i toni
della voce stanno andando lentamente fuori controllo.
Il sole
continua a bruciare sulla nostra pelle e il caldo non aiuta a
mantenere raffreddate le nostre menti per non sfociare nel tragico,
penso che ci stiamo avvicinando ad un incendio.
Lui muove un passo
verso di me, non arretra, non dimostra di avere paura delle parole
che possono essere dette: – La verità, solo la verità. Andiamo,
vuoi dirmi che non ti crea nessun problema darmi un passaggio quasi
ogni sera? Che non ti ha dato alcun fastidio quando ho nominato te
come tutore e sei andato in mezzo ai casini?
– Mi hai mai
chiesto qualcosa prima di arrivare a queste conclusioni? –
obbietto, arrabbiato. – Se tu invece di elaborare deduzioni in
quella testolina mi parlassi sul serio, ogni tanto, le cose ora
sarebbero diverse.
– Ma io non posso dipendere da te,
Himeragi, lo vuoi capire? – Quasi cantilena, sembra un lamento di
sofferenza. – Tu hai la tua vita, hai due anni in più di me, la
tua casa, un lavoro e stai insieme a Kyle, io che posto posso mai
occupare?
Mi irrigidisco all'istante, leggermente sorpreso dal suo
discorso: – Come fai a saperlo?
– Ci vuole un cieco per non
vedervi, ma non è quello il punto.
Certo, se lo dice mentre
abbassa gli occhi e serra i pugni attorno al bordo della maglietta mi
convince proprio. Grande demagogo, questo ragazzo.
– Non è
questo il punto – gli concedo, sbuffando. – Ma allora qual è?
Perché pensi di non poter stare nella mia vita?
– Ma forse ci
sto anche, ma non in un ruolo importante e tu travisi tutto, a volte
pensi che io sia un povero gattino da portare al sicuro e succede che
mi compatisci, che fingi di volermi proteggere, forse per sentirti
meglio con te stesso, che ne so? Odio la compassione e specialmente
odio la tua, il tuo modo di farmi vedere che sai prenderti cura di me
e di farmi pensare che tu ci sia, che io abbia un ruolo diverso per
te. Ma non è così e io odio questa cosa.
Deglutisco, quasi
tremo: cosa accidenti sta dicendo? Compassione, gattino,
che diavolo vuol dire?
Siamo partiti a parlare da New York e ora
siamo arrivati al nostro rapporto, quasi a volerlo snocciolare quando
non ce n'è alcun bisogno, anche perché dobbiamo considerare il
fatto che sta venendo snocciolato alquanto male, dicendo cose che non
stanno né in cielo e né in terra.
– Non ti ho mai compatito.
– inizio, cauto per non rendere il tutto un caos fin da subito. –
Mi preoccupo per te, che è ben diverso. Non ho mai nemmeno pensato a
te come un cucciolo che non sa badare a se stesso, tutto ciò che ho
fatto per te è stato perché mi andava, volevo, e non l'ho mai
considerato un peso. E specialmente non ho mai considerato te un
peso, o un passatempo, o che-so-io-tu-abbia-pensato. Non so nemmeno
come certe idee ti possano venire in mente, Xavier, mi stai dicendo
cose che sfiorano il ridicolo.
– Se la faccenda fosse ridicola
saremmo tutti più contenti al momento, non trovi?
– I tuoi
discorsi sono ridicoli! Il fatto che io ti compatisca è tutto una
caz...
Caldo.
Fa molto caldo.
Calda ora è la mia guancia e lo sguardo
di Xavier su di me.
E probabilmente è calda anche la sua mano,
quella che mi ha appena colpito.
– Sta' zitto! – grida, la
sua voce è roca e graffiata per lo sforzo. Io perdo le parole. –
Non sono ridicoli perché è la verità! E non è una cazzata, io lo
so, io so che provate tutti quanti solo compassione nei miei
confronti e tutti i miei sforzi per evitare questo continuano ad
essere vani ed è terribilmente frustrante, è terribilmente
frustrante vedere che anche tu non vedi altro in me!
Le sue mani
tremano come se fosse in preda al panico, il collo e il volto sono
arrossati e ha il fiato corto, gli occhi che invece non osano alzarsi
dal punto del pavimento che ha tenuto fissato mentre, dopo avermi
colpito con tutta la forza che poteva, ha sputato fuori ciò che
stava tenendo dentro.
Non so se essere più scosso per il colpo
appena ricevuto o per ciò che le mie orecchie hanno sentito, ma so
che per entrambe le opzioni non posso fargliela passare liscia.
Questo moccioso capirà, con le buone o con le cattive.
Mi muovo
velocemente verso di lui, porto l'avambraccio all'altezza delle sue
clavicole e lo costringo al muro, non curandomi del fatto che la sua
schiena abbia preso una botta simile a quella che ho appena preso io.
Tengo ben salda la presa, non ho intenzione di spostarmi da qui
finché non si sarà reso conto delle gran cazzate che ha detto e non
mi interessa nemmeno se questo comportamento va fuori dai miei
schemi, con Xavier ho capito che gli schemi non servono proprio a
nulla.
– Pensi forse che sarei qui a prendere schiaffi da te se
non mi importasse? – grido senza ritegno a qualche millimetro dal
suo viso, non ricordo nemmeno l'ultima volta che sono stato così
arrabbiato. – Che mi farei in quattro per te e che insisterei ore
su ore perché tu vada a New York? Avrei anche dell'altro da fare, ma
tu fai parte della mia vita esattamente come ne fa Kyle e non potrei
mai permetterti di fare errori come rimanere qui!
– E chi ti
dice che stare qui è un errore? – grida anche lui, ormai siamo
entrambi fuori controllo.
– Lo è stato per me e lo sarà
ancora di più per te, là puoi ricominciare e sono sicuro che la
ragione che ti tiene qui non varrà mai la pena di perdere
un'occasione del genere!
Xavier alza di scatto la testa ma non mi
guarda negli occhi, anzi li stringe più che può e, mentre la prima
lacrima gli riga il viso arrossato, dà fiato un'ultima volta alla
voce che lo tormenta: – La ragione sei tu!
Spalanco gli
occhi. “La ragione sei tu”.
La frase rimbomba ancora
nella mia testa e no, non è stato un sogno. I timpani mi fanno
ancora male.
Allento la presa, se stringo ancora lo strozzo. Gli
manca l'aria, comincia ad annaspare e si lascia cadere a terra
facendo scivolare la schiena al muro, rinchiudendosi poi nelle sue
braccia. E piange, quasi a volermi uccidere. Forse sta imprecando, ma
non lo sento perché lo sto facendo anch'io, dentro di me. Ci siamo
fatti male, nessuno ha vinto o perso ma siamo tutti e due feriti. Io
qui, in piedi davanti a lui mentre lo guardo stringere
compulsivamente le dita attorno alla stoffa dei jeans e tenere il
viso nascosto da me, in mezzo alle sue ginocchia protetto dagli
avambracci. A me, l'unico a cui l'abbia mai mostrato.
– Sei tu,
sei tu, sei tu, sei tu... Sei sempre e solo tu, dannazione...
E
piange, ma non più con cattiveria: mormora.
E subito mi viene in
mente che non è la prima volta che me lo dice. Lui mi aveva già
avvisato, ma sono sempre stato troppo cieco per cogliere il vero
significato delle sue parole. Troppo sordo, troppo superficiale. Lo
proteggevo da tutti quando l'unica persona che lo stava ferendo non
ero altro che io.
“Forse
starei anche con te, allora.”
“Sei un idiota, Himeragi. Ma
non per quello che hai detto. Per ciò che stai facendo ora.”
“–
Forse ti chiameranno Anguilla, ma almeno stai un po' al caldo finché
iniziano le staffette.
– Posso anche accettarlo se l'anguilla
sei tu.”
“Falle con Adair queste cazzate.”
“Non puoi scherzare su
queste cose con me. Non farlo più.”
“Ti assicuro che
sei la persona con cui parlo di più.”
“Meriti
qualcuno in grado di familiarizzare con i tuoi difetti, non di uno
che te li faccia pesare.”
“Pensi che sia facile avere a
che fare con te?”
“In effetti sei l'unica cosa facile che
ho.”
“Insomma, mi fai stare in pensiero, Anguilla.”
Lui me l'aveva
detto, in modi diversi. E ora mi sento terribilmente male per non
aver mai cercato di capire le sue parole.
Ne hai combinata
un'altra, Himeragi, complimenti.
– Xavier... – Provo ad
inginocchiarmi di fronte a lui e credo stia combattendo l'istinto di
buttarmi a terra. – Puoi spiegarmi, con calma, qual è il problema?
Come se non l'avessi capito, voi vi starete dicendo. Ma sono
sincero, perché voglio capire il significato di ciò che ha appena
detto. Non è subito immediato.
Lui alza piano gli occhi ed è
quasi doloroso vederli talmente rossi e gonfi da non sembrare nemmeno
i suoi, ma il fatto che mi parli è comunque un buon segno: – Il
problema è che è tutto sbagliato, a partire da me. Non è normale.
Non so quale sia il problema. Mi sento sempre confuso, non capisco
cosa sia, stare con te non è mai come stare con Aydin o con i miei
amici, sento sempre qualcosa di strano e non voglio nemmeno dargli un
nome, perché probabilmente dopo avrei un altro problema da
risolvere. Ma non voglio allontanarmi da te, non voglio. – La sua
voce va via via affievolendosi, tanto che le ultime parole sembrano
quasi un lontano mormorio.
Ricordo quando anch'io pensavo non
fosse normale il sentimento che provavo per Kyle, ero sempre su di
giri e cercavo anche un qualsiasi stupido motivo per non pensare che
quello fosse un interesse diverso rispetto a quello che avevo per
tutti gli altri miei amici. Poi, be', come è finita l'abbiamo visto
tutti quanti.
Ricordo anche che era piuttosto doloroso; la gente
non sempre capiva e spesso parlava troppo. Ma da soli è sempre più
difficile venirne fuori, specialmente se nella propria testa si è
già in due.
– Non è per niente strano, anormale o cose del
genere. E' naturale, Xavier, sentire un affetto particolare per
qualcuno, sia esso uomo o donna. Non conta il sesso.
– Già, per
te il discorso mi era piuttosto evidente.
– Riesci anche a
farci ironia su? – borbotto cercando però di vederlo ridere, senza
risultati. – Sei in un periodo particolare, l'adolescenza fa fare
cose strane e non devi vergognartene, mai. Non è una cosa di cui
avere paura.
Xavier appoggia la schiena al muro, tirandosi
finalmente in piedi mentre tira su col naso e si sfrega gli occhi: –
Ma non mi sento giusto. Tutto ciò non va bene, fa solo male. E tu
continui a dire belle frasi senza nemmeno pensare a cosa mi stai
facendo esattamente come io che penso che da ora in poi sarà tutto
normale. Sono tutt'e due balle, no?
– Non è vero. – obbietto,
sicuro di me. – Non hai detto niente che mi possa sconvolgere, sono
solo un po'... Ecco... Momento sbagliato, forse.
– Eh certo,
poteva essere quello giusto? Non pensi che ci fosse un motivo se non
ti volevo dire perché voglio restare qui?
– Ora che l'ho
capito non so cosa dire, sono sincero. – Mi siedo definitivamente a
gambe incrociate davanti a lui, prendendo quanto più fiato posso per
quanto il petto mi faccia male. – Lo sai anche tu che non mi sei
indifferente, ma sto con Kyle e...
– Mettiamo in chiaro le cose.
– sbotta improvvisamente, recuperando il suo tono severo. Questo
ragazzo mi fa sempre più paura. – Non ti ho detto questo con
chissà quali fini, okay? Tu mi hai chiesto e io ti ho risposto.
Fine.
– Sì, con uno schiaffo. – ribatto, alzandomi a mia
volta.
– Già... Scusa.
Ed eccolo lì, un bambino a cui è
appena stato ritirato il suo peluche preferito. Quello sguardo
ferito, gli occhi lucidi, le gote rosse.
E la cosa che fa più
male è che sono io a tenerlo ben stretto quel peluche.
– Ti
chiedo un favore. – ricomincia, guardando per qualche secondo verso
l'alto forse per ricacciare indietro le lacrime. – Non dire niente
a nessuno. Vorrei... Che rimanesse tra noi due, com'è giusto che
sia.
Annuisco, sincero, sporgendomi poi verso di lui: – Anche
io te ne chiedo uno.
Lui mi fissa forse un po' spaventato, ma
alla fine annuisce.
– Penso di conoscerti abbastanza bene da
poter prevedere qualche tuo colpo di testa da oggi in poi. Perciò ti
imploro, Xavier, non abbandonarmi. E non intendo fisicamente.
Okay?
Lui mi guarda, giusto qualche istante, e poi si lascia
cadere addosso a me, sicuro che io lo prenda. E così faccio, avvolgo
le mie braccia attorno al suo corpo ancora scosso dai brividi e porto
la mano dietro la sua nuca, portandola alla mia spalla.
Forse
sono un idiota, ma non voglio lasciarlo andare. Anche se mi ha dato
uno schiaffo, anche se l'ho inchiodato al muro, anche se ci siamo
appena urlati addosso: se lui è confuso riguardo a me, io lo sono
riguardo a lui. E la cosa più brutta è che non riesco a definire,
nemmeno sforzandomi, ciò che sento ora.
Lui è qui, un bambino
che piange ancora e stringe la mia maglietta tra le mani, so che non
lascerà andare per un po'. Provo a calmarlo, gli accarezzo la
schiena e sussurro al suo orecchio qualche debole “sssh”, ma so
fin troppo bene che qualcosa è andato in frantumi.
– Sei un
bastardo, Himeragi.
E quel qualcosa è proprio Xavier.
–
Oh, sei vivo! Dov'è Xavier? – Iris mi corre incontro accogliendomi
in atrio, arrivando quasi in scivolata. Fa molto Michael Jackson.
–
Si è sentito male e abbiamo chiamato i suoi perché lo venissero a
prendere. – mento, sperando che Iris non si metta a fare domande.
–
Ah sì? Cos'ha avuto?
Ecco, appunto.
Cosa dico adesso? Una
dichiarazione con perifrasi astruse andata non proprio bene?
–
Il caldo. – Eccola qui la soluzione! – Eravamo al sole mentre
cercavo di convincerlo a partire, lui ce l'aveva in faccia e ha
cominciato a... Girargli la testa, sì, poi ha detto che si sentiva
mancare e allora abbiamo chiamato i suoi. I cambi di stagione, sai,
possono essere terribili.
– Il caldo. – Iris non è convinta.
Per niente. – E... Aspetta, che accidenti hai fatto alla guancia?
E' rossa come un peperone!
Giusto Hime, cos'hai fatto alla
guancia? Dai, di' ancora che è il caldo!
Mi guardo in giro in
cerca di spiegazioni, ma alla fine opto per la più banale: – Alla
guancia? Non ne ho idea.
Iris mi fissa con una smorfia. Se
mettiamo insieme la cronistoria, so che non è per nulla convincente
la mia versione dal momento che sono uscito dalla piscina con Xavier
mentre ora ho una manata sulla guancia e Xavier non c'è più; ma si
può sempre lavorare di fantasia, no?
– Cos'è successo? – mi
rimprovera lei con un tono grave. – E intendo sul serio. Hai
chiaramente il segno di una mano in faccia.
E' inutile, a Iris
non riuscirò mai a nascondere niente - anche se credo che qui pure
Aydin avrebbe avuto dei sospetti. Di certo non posso raccontare ciò
che è veramente accaduto e trovare una scusa convincente ora sarebbe
alquanto difficile, perciò immagino che ricorrerò al metodo più a
portata di mano.
– Non posso dirtelo.
Semplice, conciso.
Una meraviglia.
– Perché Xavier ti ha dato una sberla?
E'
meraviglioso anche come Iris non demorda nemmeno se dovesse cadere il
mondo seduta stante. Porca miseria.
– Storia lunga. Non l'ha
fatto apposta.
– No, certo. Anche a me parte la mano e va
accidentalmente a collidere con la tua faccia da imbecille.
–
Ehi, okay che il tuo standard adesso è un italiano più piccolo di
te ma ricordati che ci sei stata con questa faccia da imbecille. –
sbotto, fingendomi offeso sperando con l'ironia di deviare
l'argomento.
Purtroppo però, Iris non solo è stata con questa
faccia da imbecille, ma la conosce anche piuttosto bene.
– Non
balzare l'argomento. – mi rimprovera, appoggiando le mani ai
fianchi come se fosse spazientita. Ahia. – Uno, il mio standard non
è un italiano più piccolo di me, non è nemmeno Nico in generale,
ma non penso tu necessiti della lezione del “ci si può innamorare
di qualsiasi genere di persona”. Due, non pensare di fare questo
giochetto con me, in queste situazioni faresti meglio a non fare il
difficile e dirci le cose come stanno.
Volete la verità?
Anche io ho un limite.
–
Allora te le dico, poi non tiriamo più fuori l'argomento. –
inizio, pacato. – Dal momento che ciò che è successo non
interferisce in alcun modo con voi, resterà affar mio. Xavier sta
bene, io sto bene, a posto. Non devi sapere altro, né tu e né gli
altri e soprattutto dovete capire che ho diciotto anni anch'io
esattamente come tutti voi e che non ho intenzione di essere trattato
ancora per tanto come qualcuno che non sa gestire i problemi dato
che, se non si è notato, Xavier parla solo con me e un motivo c'è.
Sono stato abbastanza chiaro, Iris?
Iris mi guarda con gli occhi
nocciola sgranati, i capelli biondi appena appena spettinati dal
vento e la bocca indecisa sul da farsi. Parlerà o prenderà la
saggia decisione di tacere?
– Himeragi...
No, non ce la fa.
– … Ma cosa accidenti ti sta prendendo in questi giorni? E'
Kyle che...?
– Non è Kyle! – sbotto, adesso davvero faccio
una strage. Alla bidella conviene sloggiare anche se doveva solo
portare dei fogli. – Anzi, Kyle cerca di tenermi calmo perché
questa cosa che avete tu e Percy di opprimermi per ogni passo che
muovo mi fa andare fuori di testa! Sembra che questa cosa di me e
Xavier sia sempre stato un affare di Stato ma no, è sempre stata una
piccola cosa tra me e lui che voi avete quasi fatto diventare un
mito. E' un ragazzo che ha semplicemente bisogno di un amico e l'ha
trovato in me, okay, quindi basta domande su di lui perché, ripeto,
se non vi risponde di solito c'è un motivo. E adesso basta.
Le
do le spalle e me ne vado dritto verso la scuola, mando solo un
messaggio a Kyle chiedendogli di prendere su le mie cose e di dire
che per oggi ho chiuso. Per oggi e chissà, finché quelle due non si
decideranno a tornare a qualche tempo fa, quando era tutto più
tranquillo.
Ci sono dei momenti, nella vita di tutti, in
cui lo scoraggiamento sembra l'unica sensazione nella testa.
Tutto,
e dico tutto, sembra non essere al suo posto: ogni cosa
acquista una piega negativa, come se fosse nel luogo sbagliato al
momento sbagliato. Ed è molto difficile pensare positivo, in quei
momenti.
Dico, vi è mai capitato di stare bene col mondo un
secondo prima e pensare di odiarlo completamente il secondo dopo? E
vi è capitato di credervi in grado di superare tutto da soli, solo
per scollarvi di dosso una stupida etichetta che gli altri vi hanno
messo? Orgoglio, forse, o semplicemente spirito di sopravvivenza:
vince il più forte. E noi tutti vogliamo esserlo, quel più
forte.
Ma a volte non si può.
C'è una strana legge della
natura che ci dice che non sempre vince il più forte, anzi, forse a
volte vince il più debole. Vince chi sa di essere perso e lo
ammette, vince chi riconosce di non essere uno strafattissimo
Superman che può sconfiggere il male a mani nude; a volte il male
bisogna sconfiggerlo sconfiggendo prima se stessi. E si ha bisogno di
un aiuto, io penso. Provate un po' a demolire un intero muro da soli,
voi.
Forse ce la farete, è vero, ma ci metterete tanto di quel
tempo che poi guarderete la vostra opera a metà e penserete “tanto,
non ne vale più la pena”. E sarà perché è passato troppo tempo,
perché avevate bisogno di una mano tesa verso di voi in quel momento
che, anche se ci fosse stata senza che voi l'aveste chiesta, non
avreste accettato. Lo so, non vi sto rimproverando. Vi capisco bene.
E' per questo motivo che ora sono qui sul divanetto di casa mia
mentre fisso lo schermo del mio cellulare tenuto insieme con lo
scotch mentre è aperto sulla pagina della rubrica di
Aydin.
“Hick”
Rileggo il suo nome un milione di
volte, poi il suo numero, e infine il registro chiamate. L'ho
chiamato poco, ultimamente. E mi dispiace. So che se sto fissando il
suo nome ora è perché sono io, di nuovo, ad avere bisogno di lui,
ma so che non posso fare altrimenti, perché è il mio migliore amico
e merita di sapere cosa diavolo mi sta succedendo.
A Kyle non ho
ancora detto niente, credo sia meglio mantenere il silenzio per un
po', almeno finché non trovo il modo e la soluzione giusta: temo
molto il momento in cui, in tutta la sua statuaria strafottenza, mi
sorriderà e mi dirà “te l'avevo detto, io lo sapevo”. Gli ho
solo detto che sarei uscito un po' perché Aydin mi voleva parlare,
quando in realtà so di essere un bugiardo e credo che Kyle mi abbia
scoperto in pochi secondi dal momento che sembra che abbia il super
potere di capire quando sto mentendo e quando no. E se è per questo,
sa bene anche che non ci sto per niente con la testa dopo quella
“chiacchierata” avuta con Xavier, ma forse prova a risparmiarmi e
fa finta di non accorgersi di nulla per non dovermi fare domande,
come quando poco fa ha detto di dover dare da magiare a Sebastian per
non continuare l'argomento. Gli sono davvero grato, per questo.
–
Pronto?
Quando cavolo è successo che ho premuto il tasto della
chiamata?
– Hick?
– Ehm... Sì? Mi hai chiamato tu, Hime.
Cercavi qualcun altro?
– No! No, no... Io...
So che è tardi, ma ti va se faccio un salto da te?
– Nessun
problema, credo, ma ci sono tutti i miei fratelli in casa e i miei
genitori non ci sono quindi devo badare a loro, perciò... Forse non
sono proprio di compagnia, ecco.
Sorrido tra me e me, posso dire
di tutto su Hick ma non che non sia un bravo babysitter: è il
maggiore di altri sei fratelli e con lui in casa non è mai successo
nulla.
– Ti faccio compagnia io. – mi offro, prendendo al
volo le chiavi della macchina cercando di non svegliare Kyle dal
momento che le afferro manco fossero maracas. – Dieci minuti e sono
da te, okay?
– Tranqu... Jake! – grida improvvisamente,
perforandomi un timpano. – Metti subito giù Cody, non è un
cotechino! Hime, ci vediamo tra poco. Devo correre.
E cade la
linea.
Fisso ora la chiamata terminata con un sorriso, perlomeno
sono sollevato.
E sono anche felice del fatto che Cody non sia un
cotechino, ovviamente.
– Permesso?
Entro in casa
Hickey con la copia di chiavi nascosta dentro ai guanti da
giardiniere del padre di Aydin e subito è il caos: un bambino mi
sfreccia davanti con lo skateboard rischiando un incidente non da
poco, sento diversi improperi arrivare dalla cucina e un pianto dal
soggiorno. Era da un po' che non venivo qui e francamente mi ero
anche dimenticato del casino che regna sovrano in questa sottospecie
di circo. Non che mi ci trovi male, chiaramente: io adoro il
disordine e specialmente adoro quello di questa famiglia. E' uno di
quei disordini accoglienti, che rende la casa meno austera e più
calda.
Casa
Hickey è davvero enorme, ma del resto è il requisito base per
ospitare nove persone: un soggiorno con due divani formato famiglia,
una cucina che fa concorrenza a quella del film Una Scatenata
Dozzina, tre bagni, due stanze adibite a studio, quattro camere da
letto e un giardino immenso. Più il caos, ovvio.
– C'è Hime! –
sento urlare dal piano superiore e, come un razzo, i gemelli Asa e
Grace mi si lanciano addosso manco mischia di football americano.
Adoro questi ragazzini.
Tredici anni, praticamente gli stessi
tratti fisiologici in versione maschio e femmina, capelli castani
tutti ricci e occhi azzurri; due sottospecie di Aydin in miniatura,
ricce e copie di lui.
– Ciao ragazzi! – esclamo abbracciandoli
subito, sorprendendomi del fatto che crescono sempre di più.
Arriverà il giorno in cui entrambi saranno più alti di me e io mi
sentirò un nonnetto in pensione, me lo sento. – Come va?
–
Tutto bene! – sorride Asa, il maggiore di due minuti rispetto alla
gemella. – Aydin ci aveva detto che saresti venuto, ti abbiamo
fatto una sorpresa.
– Ma non siamo stati solo noi. – completa
Grace, prendendomi la mano e trascinandomi verso il soggiorno. –
Anche Jake ci ha aiutato! Erin invece ha detto che dovevamo lasciar
perdere e Cody dice solo “ue ue”, quindi non lo contiamo. Vuoi
vederla?
Fidatemi di me, serve un allenamento speciale per non
diventare matti con tutti questi nomi, ma cercherò di rendere le
cose più facili subito: il maggiore, come ho detto, è Aydin, mentre
la secondogenita è Erin, di sedici anni. Dopo di lei troviamo
Jordan, quindicenne problematico che sta attualmente affrontando la
sua fase di ribellione e i due gemelli, Asa e Grace. Abbiamo poi
Jake, scatenato bambino di dieci anni e infine Cody, l'ultimo e
imprevisto arrivato, di otto mesi. Non ho dubbi sul fatto che i
signori Hickey volessero mettere su una squadra di calcio, ma
nonostante il numero elevato di figli hanno fatto un ottimo lavoro
con ciascuno di loro.
– Andiamo, andiamo.
Mi faccio così
guidare in cucina dove Jake, ragazzino dai capelli più scuri
rispetto ai fratelli con un costante cappello nero tirato giù fino
alle sopracciglia e lo skateboard sotto il piede mi guarda
sorridente, indicandomi poi il bancone in marmo: – Questo è per
te!
Sposto spaventato lo sguardo da Jake all'unico piatto su cui è
riposto un ammassamento sospetto di biscotti tenuti insieme da quelli
che sembrano Nutella, panna montata, miele e qualche altra strana
sostanza; con una guarnizione di codette colorate, una banana
maciullata e salsa di fragole. Almeno spero sia salsa di fragole. Ah,
e non dimentichiamoci il biglietto che reca la scritta “Bentornato,
Himegari”
Questa è la prima volta che sento Himegari.
Non
vedo l'ora di mangiarlo!
– Io avevo detto che era meglio di no.
– Improvvisamente Erin spunta alle mie spalle con un sorrisetto
arreso e i capelli impiastricciati di Nutella. – Ma loro ci
tenevano tanto e alla fine me l'hanno fatta pagare. Simpatici, no?
–
Siete Hickey. – rispondo ridendo, abbracciando velocemente la
ragazza davanti a me. – Ti vedo bene, Erin.
Lei annuisce,
guardando schifata il piatto: – Già... Si va, diciamo. Ho qualche
problema con la scuola.
– Benvenuta nel club. – commento
sorridendole, ma un ingresso inaspettato ci fa voltare
contemporaneamente.
– Ma se eri un secchione! – Ed ecco che
dal soggiorno ci raggiunge Aydin con Cody in braccio, un ciuffo di
capelli viola e gli occhiali da lettura. Aspetta, da quando si è
fatto le mèches? – Non ascoltarlo, Erin. Lui non sa cosa vuol dire
andare male a scuola.
– Ehi, non è che brillassi. – ribatto,
avvicinandomi per controllare che diamine si è fatto ai capelli.
Lui
mi scruta e poi si mette a ridere: – Se ti stai chiedendo cos'ho in
testa, ti dico solo che Grace ha scoperto di voler diventare una
parrucchiera e mi ha usato come cavia. Con le tempere, ovviamente.
Benvenuti in casa Hickey, signori e signore.
– Bel lavoro.
– mormoro per non offendere la ragazzina dietro di me che,
orgogliosa, fissa il suo capolavoro. – E Jordan? Non lo vedo.
Erin
si stringe nelle spalle, indicando con gli occhi il piano di sopra: –
Sta sempre in camera sua. Abbiamo provato a dirgli che venivi tu, ma
era in crisi mistica. Si è messo ad ascoltare il metal, adesso. E si
veste sempre di nero, fa paura.
– Crisi adolescenziale,
presumo. – provo ad ipotizzare, facendo una discreta collegare il
volto sempre allegro di Jordan alla descrizione che Erin mi ha appena
fornito. Ma è normale alla fine, ogni adolescente che si rispetti ha
i suoi periodi di transizione.
Aydin batte improvvisamente le
mani, richiamando l'attenzione di tutti: – Allora, truppa! Hime è
venuto qui perché ha qualche problema esistenziale, quindi ora Erin
in camera tua, Jake metti via lo skateboard e finisci i compiti, Asa
e Grace lavatevi i denti e in branda. Tutto chiaro?
Fisso
divertito Hick e le reazioni dei suoi fratelli che comunque, chi con
uno sbuffo e chi roteando gli occhi, eseguono gli ordini e ci
lasciano da soli. Ha parecchia autorità il ragazzo, qui. E se non
altro sono stato quasi dieci minuti senza pensare a quello che è
successo stamattina, è un record.
– Allora, – mi sorride e,
col fratellino in braccio, fa un cenno verso la caffettiera. – Un
caffè?
– Anche due. – annuisco, prendendo Cody come fosse un
testimone mentre Aydin mette su il caffè. Per qualche secondo sta in
silenzio, poi assume improvvisamente un'espressione seria.
–
Cos'è successo con Iris?
Non per niente è il mio migliore
amico, questo ragazzo.
– Non sei arrabbiato? – rispondo,
guardandolo mentre si gira per versare la brodaglia marrone in due
tazze.
Nonostante sia di spalle lo vedo scuotere la testa e,
anche se ancora con quell'espressione buia mentre mi allunga la tazza
e dà un occhiata a Cody, mi guarda negli occhi e continua: –
Quello che succede tra te e Iris non è affar mio, né tanto meno
quello che succede tra te e Percy. Devi solo stare attento perché
quello che dicono o fanno è solo in funzione del tuo bene, non
perché vogliano farti stare male. Ci tengono che tu sappia questo
anche se siete arrabbiati. E la tensione si sente, tra l'altro, in
piscina. Gli allenamenti, sia nostri che della squadra, sono molto
più pesanti.
Annuisco, bevendo il caffè mentre stacco un
biscotto innutellato
dalla composizione sospetta: – Lo so e mi dispiace, ma è un
periodo di assestamento per me e oggi è successa una cosa sulla
quale Iris non avrebbe dovuto calcare la mano. Ero parecchio scosso e
ci si è messa con i suoi discorsi, quindi ho perso la calma.
Aydin
annuisce a sua volta: – Capisco che il ritorno di Kyle nella tua
vita ti abbia frastornato, ma Iris ha ragione quando dice che non sei
più lo stesso. Arrivi a lavoro già irritato o troppo su di giri e
non ci sei più con la testa, sbotti con niente e poi succedono cose
strane con Xavier mentre tu te ne vai di notte o lo porti fuori a
parlare. – Fa una breve pausa, guardandomi negli occhi. – Devi
riconoscerlo.
Odio quando le persone hanno ragione, specialmente
quando l'argomento riguarda me in prima persona. E la cosa peggiore è
che Aydin sembra non accorgersi mai di nulla quando in realtà è
l'osservatore migliore tra di noi.
– Anche se lo riconoscessi
cosa cambia? Posso anche cercare di tornare alla normalità ma Percy
e Iris si sono messe in testa che mi devono propinare una specie di
programma di recupero e non fanno altro che ribadire quanto per loro
io sia un incapace. In ogni cosa, accidenti. E con Xavier, poi...
Be', sono venuto qui da te proprio per raccontartelo. Ma voglio che
mi prometti che non dirai una parola.
Aydin sorride, complice: –
Ho mai detto qualcosa?
– Non farmelo dire, bastardo. – lo
rimprovero a denti stretti con uno sguardo omicida mentre lui scoppia
sguaiatamente a ridere, finendo per far fare un sussulto a Cody,
ancora in braccio mio.
– Lo diciamo? – propone alzando la
tazza di caffè in segno di un brindisi.
Lui cerca botte.
–
Tanto perché siamo in tema. – acconsento alla fine, ridendo mentre
alzo la mia tazza fino a farla scontrare con la sua. – Heather
Mills, prima superiore, ottobre!
– Heather Mills, signori e
signore! – ripete lui con un tono da cerimonia, solenne come non
mai. – Così impari a soffiarmi la ragazza, brutto stronzo.
–
Tu ed io ci conoscevamo da un mese e mezzo e sei andato a dire a
quella tipa che io pensavo che avesse un bel fondoschiena, lo stronzo
sei tu! – ribatto, fiero della causa che sto portando avanti.
Devo
ammettere che ridere quando non si dovrebbe fa sembrare tutto
incredibilmente più esilarante. Il che suona un po' da psicopatico.
– Chi ha il pane non ha i denti, no? – mi provoca lui con un
sorrisetto atroce mentre dà un pizzicotto leggero sulla guancia di
Cody che gli risponde facendo le bollicine con la saliva. Cavolo, bei
tempi quelli delle bollicine con la saliva.
– E dai! – mi
lagno peggio del bambino che tengo in braccio con tanto di smorfia. –
Ho bisogno del tuo aiuto, Aydin. Sono nella merda.
– Tanto per
cambiare. – asserisce con una nota di ovvietà nella voce, pulendo
sulla maglia gli occhiali viola a causa della tempera sui suoi
capelli. – Immagino che per chiamarmi col mio nome il problema sia
alquanto grave.
Annuisco, pensando che in effetti pure Cody mi
sta fissando come se fossi un povero scemo. Perfino lui.
– Già.
– ammetto a bassa voce, sbuffando. Tanto sono capace di fare solo
questo. – E' solo che... Non so come gestire la situazione. Iris ha
ragione, probabilmente.
– Senza il “probabilmente”, ma non
siamo qui a dare ragione alla gente. Piuttosto, vuoi dirmi cos'è
successo mentre eravate fuori, tu e Xavier?
Respiro più che posso
a polmoni pieni, guardo Cody negli occhioni azzurri in stile Hickey e
mi preparo mentalmente a quella che sarà una tortura più che altro
psicologica, partendo dal fatto che proprio Aydin sarà il mio
confessore. E la cosa mi spaventa non poco.
– … E
dopo ciò mi ha detto che sono un bastardo.
– Be' guarda un po'
tu, direi che ti veniva.
– Dici che sono stato un bastardo?
–
Se te lo dicessi ti farei un complimento, Hime.
Ecco, io sapevo
che non dovevo dire niente.
Io dovevo farmi la doccia a casa mia,
dire “buona cena” a Kyle e sotterrarmi sotto le coperte; non
venire qui a sputtanare i beati affari miei e di Xavier a Hick. E lo
dico perché liberarmi di questo peso ha fatto sì che mi beccassi
non pochi insulti anche dal mio stesso confessore, non perché mi
pento di averlo detto in generale.
– Chi l'avrebbe mai detto? –
esordisce Hick probabilmente per allentare la tensione, fissando il
fratellino che ormai si è addormentato tra le mie braccia. –
Xavier... Che dire, Hime, sei talmente figo che converti gli etero.
Scuoto la testa, ridacchiando: – Per carità, se Xavier non
s'invaghiva io stavo anche meglio. Non vedi cosa gli ho combinato,
seppur inconsciamente?
– Quando una persona è innamorata fa
tutto da sola, di solito. – Aydin alza gli occhi di scatto su di
me, guardandomi severo. – Quando lo viene a sapere, la persona
amata si dà la colpa perché vede l'altro sofferente. Ma che ne
sapeva lei, in fondo? Non ha fatto niente. Non hai
fatto niente. Niente per farlo stare male, diciamo. Le persone
innamorate scoppiano con una scintilla microscopica, è un
comportamento normale e non è né da biasimare né da
colpevolizzare. Si fa così, punto; le cose ora stanno così e
rimuginarci non ha più di tanto senso.
Io penso seriamente che
smetterò di pregare Buddha e comincerò a venerare Aydin Hickey, lo
stramaledetto oracolo a due gambe di Detroit. Sul serio, come fa a
sembrare un perfetto idiota quando riesce a risolvere ogni mio
problema esistenziale? Ci vuole talento, insomma.
Non è roba per
tutti.
– E cosa potrei fare? – domando alla fine, sperando in
un altro dei suoi sermoni degni della Bibbia.
Lui mi squadra con
gli occhi azzurri, concentrato, poi alza le spalle e sorride: –
Boh!
Giusto, no?
Boh!
Grazie
Hick. Un tesoro.
– Ti prego! – mi lagno, ormai allo stremo.
Non sopravviverò ancora molto se il mezzo clown dai capelli viola
non elargisce un'altra delle sue perle.
Lui sembra pensarci un
po' su e alla fine conclude con un sospiro: – Lo conosci meglio tu
rispetto a me, io non saprei proprio come muovermi. Forse... Dovresti
parlargli, no?
– E che gli dico? “Ehi, Xavier, bella lì come
stai?”. Non credo funzionerebbe molto, sai?
– Penso che più
che altro ti tirerebbe dietro qualcosa.
– Bravo Hick.
Perspicace.
Aydin annuisce con una smorfia: – E' una brutta
faccenda, Hime, ma come lui ha deciso di aprirti il suo cuore anche
tu lo devi fare. Devi mettere in chiaro le cose, dirgli che stai con
Kyle e che non puoi dargli il genere di attenzioni che vorrebbe.
–
Non credo sia il momento giusto per parlargli, ad essere sincero.
Forse dovrei lasciar passare del tempo, vedere come si comporta...
Improvvisamente Aydin sorride e allunga una mano verso i miei
capelli per spettinarmeli: – Vedi? La soluzione già la sai.
Sorrido, rassegnato. Non posso farci niente: questo ragazzo è il
mio migliore amico.
Chiudo la porta di casa alle mie
spalle e subito il cretino mi accoglie saltellando e facendo strane
giravolte, emettendo strani versi gutturali.
E no, non sto
parlando di Sebastian.
– Okaeri!
– mi saluta tornando serio mentre ridacchia come un maniaco, forse
riconoscendo che a diciotto anni non è molto normale fare così.
Senza il “molto”.
– Ti sei preso abbastanza bene con
questa storia, vedo. – rispondo togliendomi la felpa per
appoggiarla sull'attaccapanni, lanciando le scarpe vicino alla cuccia
di Sebastian. – Tadaima.
– concludo sorridendogli appena, evitando il suo sguardo.
Frena
un attimo, cos'è questo strano timore?
Sento gli occhi di Kyle
attanagliarmi solo come loro sanno fare e il suo tono di voce, appena
raggiunge le mie orecchie, è decisamente più serio: – E' successo
qualcosa con Aydin?
Scuoto la testa, imponendomi di non lasciar
trasparire nulla per evitare di insospettire inutilmente Kyle: –
Niente di che, qualche rogna in generale. Tu? Che hai fatto in mia
assenza?
Non è ancora convinto, infatti incrocia le braccia e non
demorde: – Sono stato in divano a sorbirmi i dubbi esistenziali di
Nico per quanto riguarda Iris. Ma sei sicuro che vada tutto bene?
Avete litigato?
Se avessi litigato con Aydin penso che il problema
non sussisterebbe nemmeno considerando il fatto che non stiamo
arrabbiati per più di mezz'ora, ma per ora è meglio che Kyle non lo
sappia. Potrebbe sempre tornarmi utile come scusa.
– No, è
solo che sono un po' stanco. E' stata una giornata dura, e in più...
– Vengo improvvisamente interrotto dalla suoneria del mio magnifico
cellulare tenuto con lo scotch, al che Kyle alza gli occhi al cielo e
scuote la testa, allontanandosi in camera. Non ama molto le chiamate
che ricevo per via del nuoto, della squadra o quant'altro. Diciamo
che non ama proprio la suoneria del mio cellulare.
– Ehi! –
mi lamento correndogli dietro con telefono che vibra, tirandolo per
la maglietta.
Lui si gira verso di me, stranito, ma ancora più
stranito è quando lo bacio per dargli la buonanotte. E' un gesto
istintivo, il mio, ma non dettato dal mio istinto normale: oh no,
questo è istinto da “sto cercando di trovare una soluzione”. E
non ci sto riuscendo, per la cronaca.
– Buonanotte. –
borbotto poi sentendomi avvampare fino alla punta delle orecchie, al
che Kyle scoppia a ridere. Se fosse la sua solita risata allegra
sarei decisamente più contento, però.
– Non sperare di farla
franca, Anguilla. – E' la sua buonanotte detta con un sorriso
sadico, quello di chi la sa lunga. E mi sa che lui la sa più lunga
del previsto.
– Merda. – borbotto a denti stretti senza che
lui mi senta mentre, preso dalla mia solita panichira,
premo la cornetta verde portandomi il cellulare all'orecchio. –
Pronto?
– Hime, sono Shion.
– Lo so, ho il tuo numero
salvato. – le faccio presente fingendo di averlo letto. Che genio
della recitazione che sono. Un prodigio.
– Ti disturbo?
–
Non... Esattamente, diciamo. E' successo qualcosa?
Qualche attimo
di silenzio, e poi la sua voce inizia a tremare: – C'è un
problema.
Ma dai? Strano!
– Sul serio? – ribatto ironico,
portandomi la mano alla fronte.
– Sul serio. – riconferma
lei, sbuffando. – Potrebbe essere più grave del previsto, e... Non
so come venirne fuori. L'abbiamo combinata grossa.
Mi si
raddrizzano improvvisamente le antenne da “rileva-guai” al suono
del verbo al plurale. Vi prego, ditemi che non è come penso che sia.
– Cos'è successo, Shion? – chiedo direttamente, saltando i
giri di parole.
Dimmi che non c'entra Ciel, dimmi che non c'entra
Ciel, dimmi che non c'entra Ciel...
– Riguarda Ciel.
Io
basta, vado a vivere in Bangladesh. Ciao mondo.
Il gesto di
portarmi una mano alla tempia ormai è automatico: – Ne dobbiamo
parlare, vero?
– Vero. Sai già qualcosa, vero?
–
Vero.
Qualche attimo di silenzio, poi la risata nervosa di Shion:
– Una bella giornata, vero?
– Vero. E vuoi sapere un'altra
cosa? – Lancio inconsciamente uno sguardo alla porta chiusa della
mia camera dove Kyle dorme e alla finestra, nel luogo dove Xavier è
venuto a trovarmi più di qualche volta.
– Sentiamo.
–
Siamo in un vero mare
di merda.
Camille scoppia a ridere: – Vero.