The Lady of the Ring

di bambolinarossa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bambino venuto dall'Italia ***
Capitolo 2: *** L'Armonia del Cielo ***
Capitolo 3: *** Lal Mirch, l'Arcobaleno Incompleta ***
Capitolo 4: *** Il Proiettile dell'Ultimo Desiderio - La tecnica segreta della Famiglia Vongola ***
Capitolo 5: *** Addestramento - Lezione di responsabilità ***
Capitolo 6: *** In punizione ***
Capitolo 7: *** Galeotta fu la Verifica - Sessione di studio intensivo con Lal ***
Capitolo 8: *** Visita Scolastica - Lal... Insegnante Privata? ***
Capitolo 9: *** Attentato! - Un nemico invisibile ***
Capitolo 10: *** Lezioni supplementari - Corso velocizzato di Italiano e Giapponese ***
Capitolo 11: *** Preludio di Tempesta ***
Capitolo 12: *** Lo Scorpione Velenoso - Bianchi Gokudera, la mia Guardia del Corpo ***
Capitolo 13: *** Squadra d'Assalto Varia - Squalo della Pioggia ***
Capitolo 14: *** Modella per un giorno ***
Capitolo 15: *** Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 1 ***
Capitolo 16: *** Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 2 ***
Capitolo 17: *** Colonnello, l'Arcobaleno della Pioggia ***
Capitolo 18: *** L'allievo di Lal ***
Capitolo 19: *** Reload ***
Capitolo 20: *** Rimostranze ***
Capitolo 21: *** Al di là di tutto ***
Capitolo 22: *** Una notte da incubo ***
Capitolo 23: *** Ancora il bambino venuto dall'Italia ***
Capitolo 24: *** Esordio ***



Capitolo 1
*** Il bambino venuto dall'Italia ***


REVISIONATO IL 18/03/2019



Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 01. Il bambino venuto dall'Italia
Fandom: Katekyo Hitman Reborn, Miraculous
Numero Parole: 4.741
 
 
Gli Anelli Vongola, gli Anelli Mare e i Ciucciotti degli Arcobaleno.
Insieme formano il Trinisette: tre gruppi di sette pietre ciascuno che, si dice, abbiano creato il mondo.
Ognuna di queste pietre possiede un attributo, ovvero le componenti base delle Fiamme dell'Ultimo Desiderio che scorrono in ogni individuo: Nebbia, Nuvola, Pioggia, Tempesta, Sole, Fulmine e Cielo.
Il Trinisette, da sempre oggetto di guerre per l'immenso potere che esso possiede, è stato affidato a due delle principali Famiglie Mafiose del mondo perché li custodissero passandoselo di generazione in generazione: la Famiglia Vongola che custodisce gli Anelli Vongola, e la Famiglia Giglionero che custodisce gli Anelli Mare.
I Ciucciotti degli Arcobaleno, indipendentemente, sono stati affidati a sette persone scelte tra i migliori che, trasformati in bambini, dovranno custodirli per l'eternità.
Eppure, all'insaputa di tutti, un ottavo Anello Vongola venne forgiato dal Capostipite della Famiglia, un Anello che ha un'origine incerta ma una discendenza ben precisa...
 
 
 
La stanza era immersa nella quasi totale oscurità. Pacchetti di patatine vuoti, incarti di biscotti e alcune lattine di bibite erano sparse quà e là in perfetto disordine.
L'unica fonte di luce era il piccolo computer poggiato sul parquet al quale lavorava incessantemente la figura di un ragazzo poco più che ventenne, infilato in un pigiama leggero e cadente che gli concedeva un'aria vissuta ma sorprendentemente sexy.
C'era un silenzio innaturale intorno a lui, rotto solo dal ticchettio incessante dei tasti e i suoni occasionali dello schermo, mentre frugava in un pacchetto di patatine al formaggio e ne portava due alla bocca, masticando lentamente; accanto a lui, che ronfava pigramente, vi era una semplice tartaruga di terra rannicchiata nel proprio guscio, in attesa che il padrone finisse quel lunghissimo ma importante lavoro che portava avanti da oramai tre giorni.
Sullo schermo apparvero molte pagine piene di scritte che andavano discorrendo velocemente ma di cui, gli occhi allenati dell'uomo, riuscivano a distinguere ogni singola frase. Premette un tasto e davanti a lui apparve un lungo ed intricato albero genealogico con parecchi rami che convergevano in ogni direzione, rendendolo quasi incomprensibile, ma lui individuò quasi subito il nome che gli serviva e seguì quel contorto intreccio di arbusti fino ad arrivare alla base: molti nomi si susseguivano, uno di fianco all'altro, ma a lui ne serviva solo uno.
Fece scorrere la freccetta su una casella al margine destro e vi cliccò sopra.
Digitò diversi codici, password e molte combinazioni degne del più esperto degli hacker per poter attingere a quelle informazioni di norma inaccessibili: quando, finalmente, gli apparve dinnanzi il profilo completo del suo obbiettivo con tanto di fotografia il ragazzo si aprì in un sorriso sodisfatto mormorando, in perfetto accento italiano, una singola parola che rispecchiava esattamente la situazione: - Tombola! -
 
 
 
 
Le lezioni erano cominciate da un pezzo e Marinette questo lo sapeva benissimo, tuttavia non poteva permettersi di perdere un'intera giornata di scuola per due ore di ritardo. Salì le scale e si precipitò in aula, spalancando la porta e quasi inciampando sulla soglia mentre i suoi compagni di classe si voltavano verso di lei, attirati dalla sua entrata in scena per nulla silenziosa.
- Marinette! - la riprese l'insegnante, esasperata, voltandosi di scatto verso di lei - Qual è la scusa questa volta? - domandò, scettica, incrociando le braccia sotto il seno già sapendo che la diretta interessata avrebbe farfugliato qualche motivazione poco credibile per giustificare il suo ritardo.
La ragazza se ne stava ancora sulla porta, cercando di riprendere fiato per la corsa appena fatta, mentre il motivo del suo ritardo si faceva nitido nella sua mente. Alzò lo sguardo verso l'insegnante, indecisa se dirle oppure no che aveva appena salvato Parigi dalla distruzione. Infine optò per il no e si raddrizzò.
- Sappiamo entrambe che sarebbe una scusa quindi che senso ha dirglielo? - sbottò, infastidita dal ridacchiare dei suoi "amici" in sottofondo, per poi tapparsi la bocca con le mani ad occhi sgranati capendo la sciocchezza che aveva appena fatto.
Madame Bustier sbarrò gli occhi e l'intera classe scoppiò a ridere davanti a tanta sfacciataggine, mentre Marinette desiderava solo sotterarsi per la vergogna: non aveva mai risposto ad un insegnante in quel modo, come le era saltato in mente? Frustrata o no doveva darsi un contegno.
La donna strinse le labbra, rendendole un filo sottile di carne: - Bene – disse, con calma - Vedremo se il direttore sarà dello stesso avviso: in presidenza. Adesso! - ordinò. Marinette sospirò e uscì di nuovo dalla classe chiudendosi la porta alle spalle, per poi avviarsi nel corridoio.
La sua borsetta si aprì con uno scatto e la testolina rossa del suo Kwami fece la propria apparizione guardandola con i grandi occhi blu sgranati di meraviglia: - Marinette, che ti è preso? - domandò, stupita.
- Non lo so, Tikki - ammise lei, sconfortata - Forse sono solo stanca: non è facile far combaciare gli impegni scolastici con quelli di Ladybug - sospirò.
Da quando aveva ricevuto quei poteri non era più riuscita a trovare un equilibrio nella propria vita: oramai era più Ladybug che Marinette e la cosa era diventata soffocante. Si chiedeva spesso se anche Chat Noir avesse quei problemi ma non si era mai azzardata a chiederglielo.
- Fortuna che sono solo questi due - disse - Pensa se le identità segrete erano tre - esclamò, alzando gli occhi al cielo.
- Tipo studentessa ed eroina di giorno e cantante pop di notte? - domandò Tikki, ridacchiando. Anche Marinette rise.
- Non mi vedo nei panni di Hannah Montana - disse - A parte che sono stonata come una campana, ma la parrucca bionda non mi donerebbe mai – commentò voltando l'angolo del corridoio per raggiungere la Presidenza, ignara della figura che la osservava nascosta nell'ombra.
 
 
- Sappiamo entrambe che sarebbe una scusa quindi che senso ha dirglielo?! - Alya la guardava con un sopracciglio alzato e le braccia incrociate, accusondola palesemente con lo sguardo. Marinette, rannicchiata sulla panchina del cortile, si strinse nelle spalle.
- Ehm... mi dispiace? - rispose, incerta.
La ragazza sospirò - Ma che ti è saltato in mente? Sappiamo tutti che le spiegazioni per i tuoi ritardi non sono vere ma dirlo così sfacciatamente... all'insegnante, poi! - aggiunse, agitando il braccio e indicando la classe sopra di loro per enfatizzare la frase. Marinette abbassò lo sguardo, stringendosi di più le ginocchia al petto - Mi dispiace, non so cosa mi sia successo: evidentemente sono troppo stanca - ammise con un sospiro.
- Senti, Marinette, posso capire che tu non voglia dire davanti a tutta la classe i tuoi fatti personali... ma io sono la tua migliore amica! - ricordò, poggiandosi una mano al petto.
La ragazza si morse un labbro, dispiaciuta e nervosa: non poteva svelare a nessuno di essere Ladybug, i suoi amici e la sua famiglia sarebbero stati al sicuro solo finché il suo segreto sarebbe rimasto tale. - Perdonami, Alya, ma non posso dirtelo - finì - Mi dispiace. -
Lei la guardò per un istante infine sospirò, portandosi la mano alla fronte: - Ok, va bene - acconsentí, sedendosi - Ma non azzardarti mai più a fare una cosa simile - minacciò facendola annuire vigorosamente.
- Mai più! - ripeté lei, alzando una mano in segno di promessa: non ci teneva per niente a ripetere l'esperienza.
- Passando ad altro - sospirò Alya, cabiando discorso con un gesto secco della mano - Hai visto quelle strane macchine nere che giravano per la città, stamattina? - chiese. Marinette aggrottò le sopracciglia, curiosa.
- Macchine nere? - domandò.
La ragazza annuì. - Sembravano delle limousine - spiegò - Ciò che ha attirato l'attenzione è che erano tante, almeno una decina credo, e stavano andando tutte verso il centro. -
- Suona losco - commentò la corvina.
- Molto - ghignò l'altra - Magari ne esce qualcosa di interessante per il mio Ladyblog!- aggiunse, emozionata, facendo alzare gli occhi al cielo all'amica.
- Dobbiamo seriamente parlare di questo tuo istinto suicida - disse, facendola ridacchiare, prima che la campanella suonasse - Dai, torniamo in classe - sospirò alzandosi e trascinandosi su per le scale, pronta ad affrontare un'altra noiosa giornata di scuola.
 
 
 
Due macchine nere si fermarono davanti l'edificio, una di seguito all'altra, ottenendo gli sguardi curiosi dei passanti. Il finestrino oscurato si abbassò lentamente ed un paio di occhi chiari squadrarono il luogo minuziosamente per poi posarsi sul foglio che aveva tra le mani.
- Il posto è questo - dichiarò il ragazzo, richiudendo il finestrino.
- Bene - rispose una voce, alquanto infantile, proveniente dalla persona seduta accanto a lui.
- Sapete cosa fare - ricordò il ragazzo agli uomini in nero che lo accompagnavano.
- Sí, signore - risposero questi, in coro. Lui annuì e scese dalla macchina, tenendo lo sportello aperto per far scendere il suo accompagnatore. Richiuse delicatamente la portiera e si aggiustò il lungo cappotto chiaro che indossava, prima di sorridere.
- Bene, cominciamo - disse il bambino, aggiustandosi il cappello nero sul capo. Si avvicinarono all'edificio con tranquillità, quasi stessero facendo una passeggiata, e l'uomo aprì la porta del negozio venendo accolto da un allegro scampanellio. La donna dietro il bancone alzò lo sguardo su di loro e sorrise gentilmente facendo sparire ogni dubbio dalla mente dei nuovi arrivati: era il posto giusto.
Il ragazzo si passò una mano ai lati dei capelli biondi per rimetterli a posto e sorrise gentilmente, avvicinandosi al bancone.
- Dupain-Cheng? - chiese. La donna li guardò, sorpresa.
- Posso aiutarvi? - rispose.
- A dire il vero sí - rispose lui, tirando fuori dalla tasca del giubbotto una busta di carta da lettera, chiusa da uno stemma tutto ghirigori in ceralacca rosso: tratto distintivo era il proiettile disegnato al centro. La donna perse il sorriso appena la vide, diventando all'improvviso pallida.
- Lei sa perché siamo qui - disse, fermo, il bambino.
Sabine deglutì, sentendosi mancare, vedendo tutte le sue speranze sgretolarsi davanti quella lettera.
 
 
Marinette si era sempre chiesta come facesse Alya a sopportare la sua imbranataggine, accompagnata da svariati gradi di sbadataggine, impacciataggine e molta, molta goffaggine. Poi spostò la sua attenzione al telefono che aveva vicino all'orecchio e si ricordò che lei, di rimando, sopportava i suoi scleri.
- Ed hai visto quello che ha fatto dopo?! - quasi strillò Alya, entusiasta, costringendola ad allontanare l'apparecchio.
- Sí, mi hai fatto vedere il video almeno una decina di volte - ricordò lei, divertita, surclassando sul fatto che sapesse ogni minimo dettaglio di quelle azioni poiché lei stessa aveva compiuto quei gesti eroici essendo lei stessa Ladybug.
- Perché è stato pazzesco! - urlò l'altra.
Marinette rise, scuotendo il capo: Alya restava sempre Alya.
Voltò l'angolo, sentendola straparlare su quanto fosse magnifico il suo idolo, fermandosi di colpo ad occhi sgranati all'imbocco della strada: almeno una decina di uomini in giacca e cravatta neri erano appostati sul marciapiede davanti casa sua, vigili e attenti, attirando gli sguardi curiosi e perplessi dei passanti.
Marinette guardò la scena per qualche secondo, incredula, finché la voce di Alya non la riportò alla realtà: - Scusami, Alya, ti richiamo dopo - disse flebilmente, prima di chiudere il telefono e fare l'ultimo tratto di corsa.
- Marinette, che succede? - domandò Tikki, sporgendosi dalla borsetta.
- Non lo so, Tikki, ma lo scopriremo presto - rispose lei raggiungendo la porta d'entrata, solo per venir fermata da uno degli uomini che le si parò davanti.
- Si fermi! - ammonì - Abbiamo ordine di non far entrare nessuno! - informò. Marinette sbarrò gli occhi, cercando di guardare oltre la sua spalla, dove la porta del negozio recava il cartello di chiusura.
- Ma questa è casa mia! - esclamò, allibita e indignata.
L'uomo sembrò sorpreso, sgranando appena gli occhi da dietro gli occhiali da sole neri, e si portò una mano all'auricolare poggiato sull'orecchio sinistro dicendo qualcosa in quello che sembrava proprio italiano.
Marinette sentí il cuore iniziare a batterle velocemente nel petto: che ci facevano degli italiani vestiti di nero fuori casa sua? Dov'erano i suoi genitori? Cosa stava succedendo?
L'uomo sorrise e si fece da parte: - Prego, signorina Cheng. È un piacere incontrarla di persona - disse, invitandola ad entrare. Lei lo guardò stranita per un istante, ma lo superò e si affrettò ad entrare.
Non c'era nessuno al negozio e nemmeno nel retro. Salì le scale che portavano all'appartamento e tirò un sospiro di sollievo quando, aperta la porta, vide i suoi genitori seduti all'isolotto della cucina entrambi con una grossa tazza di camomilla davanti e un uomo vestito di nero seduto di fronte a loro: egli però si era tolto la giacca e gli occhiali e sorseggiava del thé tranquillamente, parlando ai due coniugi. Una busta da lettera giaceva aperta in un angolo, quasi abbandonata.
- Mamma! Papà! - esclamò, precipitandosi dentro. Entrambi alzarono lo sguardo.
- Marinette! - esclamò Sabine, sorridendo dolcemente. Tom, invece, sembrava nervoso e continuava a far battere il piede destro sul pavimento.
- Che sta succedendo? - chiese la ragazza, abbracciando la madre che si era alzata.
- Non è nulla, tesoro - la rassicurò lei, carezzandole il viso, ma la ragazza poté vedere distintamente l'ansia celata nei suoi occhi.
- Signorina Cheng? - domandò l'uomo, posando la tazza per guardarla negli occhi: aveva profonde iride azzurre e corti capelli biondi tirati indietro sul capo - La pregherei di recarsi in camera sua. Loro la stanno aspettando - disse, in tono tranquillo.
- Loro chi? - domandò Marinette, posando lo sguardo sui suoi genitori - Cosa succede, mamma? - domandò di nuovo, sentendo salire l'angoscia.
- Va' di sopra, tesoro - rispose lei - Ti spiegheranno tutto - aggiunse, con una nota di malinconia nella voce. Marinette esitò, infine si sciolse dall'abbraccio della donna e si diresse verso le scale, lanciando un'occhiata ai genitori mentre saliva, finché non disparvero. Con lo zaino in spalla, guardò Tikki per un secondo, facendosi coraggio, poi aprì lentamente la botola sbirciando dentro. In principio non vide nessuno quindi salì cautamente e si richiuse la porta alle spalle, stando all'erta.
- Finalmente ci incontriamo di persona, Marinette - disse una voce alle sue spalle facendola sussultare. Si voltò, assumendo una posizione di karate, e rimase basita quando si accorse di chi aveva parlato: un ragazzo poco più che ventenne con corti capelli color sabbia ed occhi di un castano chiaro le sorrideva genuinamente seduto sulla chaise-longue. Indossava dei vestiti semplici, con un lungo cappotto marrone chiaro adorno di una pelliccia nera sul cappuccio. Sulla mano sinistra, che teneva intrecciata alla destra tra le gambe divaricate, erano disegnate tre fiammelle che, collegate a del filo spinato, salivano fino al polso e sparivano sotto la manica segno che evidentemente continuava anche sul braccio. Era un bel ragazzo, su questo non gli si poteva dir nulla.
Lei non si mosse.
- Prego, accomodati, abbiamo molto di cui parlare - la invitò gentilmente, indicando la sedia della scrivania posta davanti a sé. Tra loro era stato sistemato un divanetto rotondo recuperato dal piano di sotto che doveva fungere da tavolino, interamente occupato da una scatola bianca su cui era inciso un complicato simbolo tutto ghirigori al cui centro spiccava il disegno di un proiettile.
Marinette esitò, ignorando che le era appena stato offerto di accomodarsi in camera sua, poi posò lo zaino per terra e prese posto non sapendo assolutamente cosa aspettarsi.
Il ragazzo sorrise di nuovo.
- Io sono Dino - si presentò - Il Decimo Boss della Famiglia Cavallone. -
Marinette sbatté le palpebre, spaesata di fronte a ciò che aveva appena udito: - Boss? - domandò, incerta.
Dino annuì. - Di una Famiglia Mafiosa! - spiegò, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Marinette lo guardò per un istante.
- Io chiamo la polizia - informò, alzandosi.
- No, aspetta un momento! - esclamò Dino, in preda al panico, sporgendosi per fermarla ma inciampò nei suoi stessi piedi e cadde di faccia sulla moquette. Marinette si voltò con un sussulto. - Santo cielo, stai bene?! - chiese, incapace di trattenersi.
- S-sí... - rispose lui, tenendosi una mano sul viso arrossato mentre con l'altra si appoggiava al divanetto per alzarsi - Tranquilla, non è nulla - la rassicurò, cercando di sorridere.
- Dino è abile solo davanti ai suoi uomini, senza è un imbranato - spiegò una terza voce, sottile e infantile. Marinette si guardò intorno per capire da dove venisse.
- Ah, lui è Reborn - presentò Dino, riprendendo posto ed indicando accanto a sé. Marinette passò lo sguardo da lui a ciò che le indicava, leggermente perplessa: seduto sulla chaise-longue vi era una bambola alta neanche 40 centimetri, vestita di un completo nero con tanto di cappello e un buffo camaleonte verde poggiato sulla visiera. Sulla giacca, come un ciondolo decisamente troppo grande per lui, vi era un panciuto ciucciotto giallo chiaro. Essa alzò la testa e inarcò leggermente le labbra in un sorriso: - Ciaossu1! - salutò, facendole sbarrare gli occhi.
- Cos... che... la... - balbettò, indicandola, impallidita - La bambola parla! - esclamò.
- Non sono una bambola - rispose tranquillamente lui - Sono un assassino. -
- Una bambola assassina?! -
- Ehm... no. Reborn è un assassino e basta - spiegò Dino, leggermente a disagio.
- Tecnicamente sono un bambino - rispose Reborn.
Marinette li fissò sbigottita ancora con la mano a mezz'aria: - È uno scherzo, vero? - chiese.
- No - rispose Reborn, alzandosi e saltando sul divanetto - Io sono un hitman, attualmente istruttore del Decimo Boss della Famiglia Vongola - spiegò.
- Ma non esistono bambini alti quaranta centimetri! - esclamò lei: evidentemente la notizia l'aveva scioccata più del previsto.
- Questo perché io sono un Arcobaleno, un Bambino Perfetto - disse lui, pronunciando la parola Arcobaleno in italiano.
- Bambino... Perfetto... - mormorò lei, sconvolta.
- Siediti, Marinette - ripeté gentilmente Dino, preoccupato che potesse sentirsi seriamente male. La ragazza ubbidì, senza togliere gli occhi dal bambino.
- Chi siete voi? - chiese, deglutendo - Cosa volete da me? -
Reborn sorrise, almeno così pensava: i suoi cambi di espressione erano molto lievi -Marinette Cheng... - iniziò.
- Dupain-Cheng - lo corresse automaticamente lei.
- Ciò che interessa a noi è il lato della famiglia di tua madre - rispose il bambino, serio, per poi continuare - Sei stata scelta per diventare un componente della Decima Generazione della Famiglia Vongola -.
Il silenzio che seguì quell'affermazione calò gelido e pesante tra loro.
La ragazza mandò giù il groppo che le si era formato in gola, fissandoli ad occhi sbarrati. - Io... far parte di una famiglia mafiosa? - mormorò con voce tremante.
- Esatto - rispose tranquillamente lui, per poi voltarsi verso la scatola al suo fianco ed aprirla: al suo interno vi era un soppalco di velluto nero su cui erano poggiati un sottile libro dalla copertina rigida, un grande yo-yo arancione con lo stesso simbolo della scatola e un piccolo stemma di ferro. - Qui c'è tutto quello che ti serve per diventare una degna componente della Famiglia... - iniziò.
- A-aspettate! - lo fermò lei - Io non voglio far parte di una famiglia mafiosa! - esclamò, in preda al panico
- Non preoccuparti, Marinette - sorrise Dino, cercando di tranquillizzarla - Neanche io volevo eppure guardami ora: sono Boss! - esclamò.
- Questo non mi aiuta - sbottò lei.
- Essere un mafioso può essere divertente - rassicurò il ragazzo - Specialmente all'interno di una famiglia come quella di Tsuna. -
- Tsu... chi? - domandò Marinette, confusa.
- Tsunayoshi Sawada - rispose Reborn - L'attuale Decimo Boss della Famiglia Vongola. Adesso si trova in Giappone, pertanto non è potuto venire a conoscerti di persona - spiegò prendendo lo stemma che si rivelò essere un anello, con grande sopresa della ragazza, e porgendoglielo.
- Siamo più che sicuri che sia tu l'unica in grado di indossarlo - disse, deciso, mentre lei allungava una mano incerta e lo prendeva.
Marinette si rigirò l'anello tra le mani osservandolo attentamente: era un semplice cerchietto di metallo con uno stemma sottilissimo su cui, incise in rilievo nella parte superiore, vi erano tre conchiglie; nella parte in basso erano raggruppati otto puntini di quelle che, senza dubbio, potevano essere prese per stelle.
- Che cos'è? - domandò. L'uomo di fronte a lei sorrise.
- Un Anello del Cielo. Questo è uno stemma, il simbolo inconfondibile che fai parte della Famiglia Vongola - spiegò Dino.
- Ogni componente della Famiglia ne ha uno, in base al suo attributo - spiegò Reborn.
Marinette lo guardò perplessa poi, pensando che non ci fosse nulla di male, lo mise al medio della mano sinistra ma venne fermata da Dino.
- Destra - le disse - Va al medio della mano destra. -
La ragazza lo guardò per un istante poi passò l'anello sull'altra mano e se lo fece scivolare al dito, sotto lo sguardo attento dei due. Per i successivi cinque secondi non successe nulla poi, d'improvviso, l'anello iniziò ad illuminarsi e sul piatto divampò una tenue fiamma arancione che la fece sussultare di sorpresa. Reborn sorrise più ampiamente, visibilmente soddisfatto.
- Come avevo previsto - disse - Tu possiedi la Fiamma del Cielo, l'unica adatta a questo anello. -
- Fiamma del Cielo? - sussurrò lei, guardando la piccola fiammella danzare lentamente. Reborn estrasse lo yo-yo e glielo porse.
- Questo l'ho fatto fare da Leon apposta per te - spiegò. Marinette lo prese: era grande abbastanza da stargli in una mano e non riuscire quasi a chiudere il palmo, bianco ai bordi e arancione al centro con il solito stemma tutto ghirigori; il filo era lungo, spesso e bianco.
- Wow - disse - Ehm, grazie, ma... perché? - domandò, perplessa.
- Sarà la tua arma, sappiamo che te la cavi bene con lo yo-yo e ho voluto che ti sentissi a tuo agio - rispose lui - Quello inciso sopra è il simbolo della Famiglia. -
- Oh, capisco - rispose lei, rigirandoselo tra le mani, prima di bloccarsi - Aspetta... che significa che sapete che me la cavo bene con lo yo-yo?! - domandò, pietrificata dall'orrore. Reborn la guardò con espressione indecifrabile.
- Beh - cominciò Dino, tirando fuori un foglio di carta stampato abbastanza sgualcito e mostrando una foto di Ladybug presa dalla rete, facendola sbiancare - Ci siamo informati per bene prima di venire qui - sorrise, allegro.
Marinette voleva morire.
- Ma ovviamente questo è un segreto che resterà all'interno della Famiglia - si affrettò a rassicurare non ottenendo, però, l'effetto desiderato.
- Così come il fatto che fai parte di una Famiglia non deve uscire da queste mura - aggiunse Reborn, serio - Che tu sia una supereroina o no, ciò non influenza minimamente il ruolo che ti attende - spiegò. La ragazza non aveva le forze per replicare, sentendo Tikki trattenere il respiro nella sua borsetta.
- Questo è il libro che dovrai leggere prima della fine della settimana - continuò Reborn porgendogli l'ultimo oggetto rimasto - Ti dirà tutto ciò che c'è da sapere sulla mafia. Alla parte tecnica ci penserà la tua istruttrice - concluse, risvegliandola dalla trance di orrore in cui era caduta.
- I-istruttrice? - chiese, ancora sotto shock.
- Esatto - annuì Dino sorridendo - Ti addestrerà come si deve a diventare un perfetto componente della Famiglia. -
- La farò arrivare entro la prossima settimana - finì Reborn, scendendo dal divanetto.
- Ehi, no, aspettate un secondo!- esclamò Marinette, balzando in piedi - Non potete venire qui, dirmi che faccio parte di una famiglia mafiosa e andarvene! Io non ho mai accettato niente e non voglio nessuna istruttrice! - sbottò - E poi come fate a sapere che io sono Ladybug?! - aggiunse, con una nota isterica nella voce: stava succedendo tutto troppo in fretta, non aveva nemmeno avuto il tempo di elaborare la cosa che già se ne andavano, c'erano ancora un sacco di cose che voleva chiedere e che pretendeva di sapere.
- Non c'è molto da accettare: sei tu l'unica che può farlo, in un certo qual modo si può dire che tu sia la prescelta - rispose Dino, diventando serio - Posso capire che la notizia ti abbia scioccato ma non ti devi preoccupare: ci si abitua presto. -
- Ne dubito - rispose lei, scettica, guardando dallo yo-yo al libro che ancora stringeva tra le mani.
- Riguardo la tua identità segreta... beh, è abbastanza palese: vi somigliate veramente tanto, voi due - aggiunse, allegramente.
- Così è anche peggio! - ribattè lei.
- Ma non ti devi preoccupare: i segreti della Famiglia restano nella Famiglia - rassicurò infine.
- Certo, se tu non vuoi farne parte le cose cambiano - rispose Reborn facendole sgranare gli occhi.
- Questo è un ricatto! - sbraitò, incredula. Adesso la ricattavano pure?
- Dai, non vederla così: Reborn ha i suoi metodi - rise nervosamente Dino.
Marinette sospirò, chiudendo gli occhi: - Che cosa dovrei fare? - domandò sull'orlo della disperazione.
- Per il momento nulla - rispose il bambino - La tua istruttrice si prenderà cura di te spiegandoti ogni cosa quando arriverà. Tu leggi il libro... - insisté - ...e lascia fare tutto a lei. -
- O-ok - rispose, incerta, osservando la copertina con su impressa l'immagine di una figura di uomo nascosta da un'ombra.
- Bene, ci vediamo - concluse Reborn voltandosi verso la botola.
- Eh?! Ve ne andate già? - domandò, spiazzata.
- Il dovere ci chiama - rispose Dino, alzandosi - Siamo degli uomini impegnati - sorrise - Ma non preoccuparti, ci vedremo presto - rassicurò aprendo la botola. Appena mise un piede sulla scaletta però, scivolò, rotolando giù per i gradini e atterrando con un tonfo sordo sul pavimento della cucina.
Marinette sussultò affacciandosi insieme a Reborn, che però restava impassibile. Dall'interno della stanza si udí il rumore delle sedie che grattavano sul pavimento.
- Boss! - l'uomo biondo corse verso il ragazzo.
- Sto bene! Tranquilli! - rassicurò Dino dal piano di sotto.
Marinette guardò la scena sempre più sconcertata: - Ma quel tizio è davvero un Boss della Mafia? - domandò, giusto per esserne sicura. La risposta di Reborn arrivò priva di alcuna sfumatura.
- Non conosci Tsuna. -
 
 
- Il Padrino... cominciamo bene - commentò Marinette, aprendo il libro al primo capitolo e sfogliando qualche pagina a caso.
- Marinette, non mi ritengo una grande esperta ma so che la mafia non è una cosa buona... perché hai accettato? - domandò Tikki sospesa a mezz'aria accanto al suo viso.
- Io non ho accettato niente - ribatté lei - Ma sanno che sono Ladybug ed ho colto la lieve minaccia dietro le parole di Reborn: potrebbero dirlo a tutti - aggiunse in un sospiro - Dopotutto non devo fare nulla se non leggere questo libro, giusto? -
- Io, però, non sono tranquilla - rispose il Kwami, ansiosa - Perché proprio te? È perché sei Ladybug? -
- Non lo so, ma non credo. A quanto ho capito si sono informati dopo su questo aspetto della mia vita... e poi li hai sentiti: a loro interessa solo il lato della famiglia di mia madre. Forse c'è un collegamento - rimuginò, voltando la sedia verso la sua compagna - E poi... beh, sono stati gentili. Strani, certo - aggiunse - Sopratutto Reborn... -
- E cosa farai quando arriverà l'istruttrice? - insisté Tikki.
- Ecco, questo potrebbe essere un problema - acconsentì Marinette - Però, finché nessuno lo verrà a sapere non dovrebbe essere un problema: hai sentito Reborn, la parola Mafia non deve uscire da questa camera - ricordò - Per il resto... vedremo - si rassegnò, con un sospiro, girandosi per chiudere il libro. Guardò l'ora: le sette e un quarto.
Erano passate quasi cinque ore da quando Dino e Reborn se n'erando andati e Marinette non era ancora scesa di sotto, aveva voluto prendersi del tempo per riflettere su tutto quello che era successo in quel breve lasso di tempo: era stato tutto così veloce che quasi non le era sembrato vero ma solo il ricordo vago e sfocato di un sogno.
Sospirò, alzandosi e dirigendosi al piano di sotto. In cucina trovò sua madre intenta a preparare la cena. Era tranquilla e serena come sempre quasi non fosse mai accaduto nulla: ricordava bene il suo sguardo pieno di ansia e angoscia, quel pomeriggio.
- Ciao - disse per annunciare la propria presenza.
Sabine si voltò verso di lei e sorrise. - Ciao. La cena è quasi pronta - informò allegramente. Marinette scese le scale, cauta, avvicinandosi titubante all'isola.
- Bene - rispose, passando lo sguardo sulle stoviglie che l'apparecchiavano - Quindi... va tutto bene? - domandò, rendendosi conto di star entrando in una conversazione pericolosa. Sabine s'irrigidì un attimo.
- Sí - rispose - Mi dispiace – sospirò infine, abbassando le spalle e abbandonando i piselli che cuocevano nella padella.
- Tu lo sapevi? - chiese Marinette in un mormorio.
- Sí, lo sapevo - annuì la donna - Anche se speravo che non accaddesse. Evidentemente hanno trovato un successore per la Famiglia. -
Marinette la guardò,confusa - Non capisco - disse. Sabine spense il gas e si voltò verso di lei.
- Vorrei spiegarti tutto, tesoro, davvero... ma non posso - rispose - Tanto per cominciare neanche io sono a conoscenza di come è iniziato tutto questo. E poi mi è stato chiesto di mantenere il silenzio fino al momento opportuno - spiegò.
La ragazza sbatté le palpebre, sempre più crucciata - E quando sarà il momento opportuno? Perché proprio io? Che cosa significa? -
Ma Sabine scosse il capo, sconsolata. - Avresti potuto non accettare – disse invece.
- Infatti non ho accettato - rispose lei - Sono stata reclutata e basta - aggiunse, seccata - Oh, e verrà un'istruttrice quì la prossima settimana - informò, sedendosi e portandosi le mani al capo.
Sabine si morse il labbro - Forse non è poi così male come credi - tentò di confortarla.
- Già, forse - sospirò lei - Ma guardiamo il lato positivo... - aggiunse, riprendendosi, facendo sorridere incoraggiante la donna - ...non potrebbe andare peggio di così! -
In seguito si rimangiò più volte tutto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
1Ciaoss(u): unione della parola italiana "Ciao" (a ricordare che le origini di Reborn sono italiane) e "Oss" tradizionale saluto giapponese dei samurai (poiché Reborn, al momento, vive in Giappone).
 
 
Angolino della schizzata:
Non chiedetemi perché, non saprei cosa rispondervi. So solo che ho sognato una Marinette in Hyper Mode che combatteva al fianco dei Guardiani (compreso di Lambo Venticinquenne *sbav*). Quindi, dopo averci lavorato per un paio di mesi ed aver affinato la trama e tutto ciò che gli girava intorno, ho deciso di iniziare la stesura di questa storia (che comprenderà ben 92 capitoli giusto per informare, chi avesse la malsana idea di seguirla, dell'incubo che vi attende).
 
Partiamo con le informazioni di servizio: la storia si svolge in un punto imprecisato dopo la Battaglia per gli Anelli (per Katekyo Hitman Reborn) ed un contesto imprecisato per Miraculous.
 
Lal Mirch, che nella saga della Battaglia per gli Anelli viene intravista durante l'assalto alla villa ma che i Guardiani conosceranno di persona solo nella Saga del Futuro, qui sarà l'Istruttrice di Marinette (la vedremo nel capitolo 3) e ovviamente conoscerà sia Reborn che Dino. Quindi, se doveste notare delle incongruenze con la saga originale sull'apparizione di Lal davanti ai Guardiani... beh, mea culpa.
 
Le Fiamme dell'Ultimo Desiderio, che impareranno ad usare tutti solo nella Saga del Futuro, qui potranno essere utilizzate da Marinette un po' prima (come d'altronde può fare anche Tsuna anche se in modo leggermente diverso).
 
Cercherò di rendere la trama il più comprensibile possibile anche per chi non avesse mai visto/letto Katekyo Hitman Reborn.
 
L'Anello del Cielo di Marinette è completamente inventato da me, non esiste nell'opera originale, così come la storia che gli gira intorno.
 
Preparatevi a 92 capitoli di nonsense, azione, battaglie fino all'ultimo respiro e tanta, ma tanta demenzialità.
 
Non uccidetemi.
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 2
*** L'Armonia del Cielo ***


REVISIONATO IL 05/06/2019
 
 
 
 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 02. L'Armonia del Cielo
Fandom: Katekyo Hitman Reborn, Miraculous
Numero Parole: 3.595
 
 
"Il Boss.
Un leader che comanda un'organizzazione criminale.
In grado di far muovere decine di membri fidati solo con un gesto.
Sostenuto dal rispetto e dall'ammirazione di tutti, visto come un eroe dai bambini poveri del paese...2"
- Perché mi sa tanto di elogio a straforo? - borbottò Marinette con la testa infilata tra le pagine del libro. Aveva iniziato a leggerlo quella mattina quando, dopo aver preparato lo zaino ed aver chiuso anello e yo-yo nella borsa dove si nascondeva Tikki, era uscita per andare a scuola.
Certo, girare per la città con un libro sulla mafia tra le mani non era esattamente un esempio di discrezione, ma dopotutto era tutto lì quello che doveva fare: leggere un libro. Reborn aveva raccomandato che lo finisse prima della fine della settimana, ovvero prima che arrivasse la sua istruttrice: evidentemente il testo forniva le basi per le sue lezioni, qualunque esse fossero.
"Il Boss si preoccupa di proteggere il territorio sotto il suo controllo, gli abitanti e chiunque chieda il suo aiuto..." - Una specie di martire, insomma! - commentò, ironica, prima di inciampare su una borsa lasciata sul marciapiede. Il libro le cadde di mano e si ritrovò distesa a pancia in giù ai piedi delle scale che portavano alla scuola.
- La prima caduta della giornata, Dupain-Cheng? - ridacchiò Chloé, superandola per salire i gradini. Marinette alzò gli occhi al cielo.
- Oh, perfetto! - sbottò, facendo leva sulle braccia per alzarsi e recuperare il proprio libro.
- Stai bene? - chiese una voce maschile alle sue spalle, facendola sussultare: Adrien si stava inginocchiando accanto a lei, preoccupato - Scusa, ho lasciato io la borsa in mezzo alla strada - disse, porgendole il cellulare scivolatole dalla borsetta nella caduta.
- Oh, no, non ti scusare! - si affrettò a rispondere lei - Ero così presa a leggere che non ho visto dove andavo - spiegò, arrossendo leggermente, per impallidire subito dopo quando vide Nino raccogliere l'anello e lo yo-yo.
- Forte! - esclamò, guardando l'arma con occhi luminosi - Dove lo hai preso? -
La ragazza scattò in piedi e li afferrò, nascondendoli velocemente nella propria borsa: - Oh, ehm... sono un regalo... di un amico... dall'estero - spiegò, chiudendola con uno scatto, ignorando il gemito di Tikki quando le cadde l'anello in testa - È venuto a trovarmi e me lo ha portato. Bello, vero? - aggiunse, ridacchiando nervosamente allo sguardo perplesso dei due, nascondendo il libro dietro la schiena. - Adesso devo andare, Alya mi aspetta, grazie ancora! - e, salutando frettolosamente con la mano, corse su per i gradini respirando a fondo.
Ok, doveva pensare positivo. Nino aveva visto lo yo-yo: nessun problema, era solo uno yo-yo.
Nessuno aveva fatto caso all'anello: ottimo.
Aveva parlato con Adrien senza impappinarsi o sparare parole a caso: magnifico.
Aveva fatto la figura dell'idiota davanti ad Adrien inciampando nella sua borsa per leggere quello stupido libro sulla mafia: pessimo. Decisamente pessimo.
Sospirò, posandolo nel proprio zaino mentre varcava il portone dell'istituto, e salí le scale. Entrò in classe con il morale sotto i piedi.
- La giornata è appena cominciata e già sei stanca? - le chiese Alya, seduta al suo posto.
- È la stanchezza di ieri che si fa sentire oggi - rispose lei, gettando la borsa sul banco e abbandonandosi accanto all'amica.
- Che cos'è successo ieri? - domandò la ragazza, curiosa.
Cosa rispondere? "Dei tizi vestiti di nero hanno accerchiato casa mia, ho avuto un colloquio con un boss mafioso e un bambino alto quaranta centimetri mi ha arruolato in una Famiglia mafiosa costringendomi a leggere uno stupido libro per cui ho appena fatto una figuraccia davanti l'amore della mia vita"?
Sospirò. - Niente - rispose, abbandonando la testa sul banco, proprio mentre Adrien e Nino entravano in classe e prendevano posto di fronte a loro.
- Buongiorno, sist'! - esclamò Nino, alzando il pungo. Marinette lo batté senza neanche alzare lo sguardo.
- Che ha? - domandò il ragazzo.
Alya alzò le spalle: - La stanchezza di ieri che si fa sentire oggi - rispose, leggermente divertita.
Adrien si voltò per dire qualcosa ma venne interrotto dall'arrivo dell'insegnante, che lo costrinse a girarsi verso la lavagna mentre posava qualcosa sotto il banco.
 
 
Appena suonò la campanella, Marinette ficcò tutti i libri nello zaino e corse fuori dalla classe, biascicando un frettoloso "Ciao" ad Alya. Adrien si accorse della sua fuga solo quando vide il suo zaino sparire oltre la porta alla velocità della luce.
- Oh, accidenti! - esclamò - Avrei dovuto restituirle il cellulare! - disse, tirandolo fuori da sotto il banco.
- Nessun problema, lo faccio io! - rispose Alya, scendendo le scale che dividevano i banchi - Ma perché hai tu il suo cellulare? - chiese, mentre il ragazzo glielo porgeva. Non ebbero il tempo di dire altro perché quello vibrò appena toccò il palmo della ragazza.
Alya lo guardò incuriosita e lo sbloccò.
- Ehm, non credo che dovremmo... - iniziò Nino, ma lei aveva già aperto i messaggi.
- Non riconosce il numero - disse lei, osservandolo - Oltretutto il suffisso è estero - aggiunse, aprendolo e assumendo un'espressione sorpresa – Vediamo un po' - mormorò - Lal arriverà a Parigi lunedì mattina con un mio jet privato. Puoi fidarti di lei, è stata scelta da Reborn in persona. Buona fortuna, Dino - lesse, aggrottando le sopracciglia - E adesso chi è questo Dino? - chiese, perplessa.
- Prima non aveva detto che quello yo-yo le era stato regalato da un amico venuto a trovarla dall'estero? - chiese Nino, osservando il messaggio - Forse è lui - intuì.
- Yo-yo? Amico dall'estero? Ma di che parli? - chiese la ragazza.
- Non lo sai? - domandò Adrien. Lei osservò crucciata il messaggio.
- No - rispose - Ma andrò a chiderglielo - decise, bloccando lo schermo per marciare fuori dalla classe.
 
 
- Sono tornata! - asserì Marinette, facendo scampanellare la porta del negozio.
- Giornata pesante? - domandò Sabine, chiudendo la cassa.
- Lasciamo stare, ho solo voglia di mettermi a letto e dormire fino a domani - rispose lei, sporgendosi dal bancone per darle un bacio, facendo poi il giro per salire nell'appartamento.
Gettò lo zaino in un angolo e si abbandonò sulla chaise-longue con un sospiro, mentre frugava nella borsetta con la mano: tastò l'anello, lo yo-yo, sfiorò Tikki che stava uscendo... ma del telefono neanche l'ombra.
- Dov'è il mio telefono! - esclamò, scattando seduta e rovesciando il contenuto della borsa, prima di sussultare - Non mi sono fatta dare il telefono da Adrien, quanto sono stupida! - si ricordò, all'improvviso, portandosi le mani al volto. - Che cosa faccio ora? - chiese, guardando Tikki in preda al panico.
- Forse ce l'ha ancora lui - rispose lei - Puoi andare a casa sua a chiederglielo - tentò di proporre. Ogni emozione disparve dal viso della ragazza e si distese in un'espressione neutra.
- Dovrei andare a casa di Adrien. -
- Sì. -
- Per riprendermi il telefono. -
- Sì. -
- Io. A casa di Adrien. -
- È quello che ho detto. -
- Ripensandoci sto meglio senza - concluse rimettendo in ordine la borsetta.
- Ma Marinette! - la riprese Tikki - È una buona occasione per parlare con lui. -
Marinette si morse il labbro e guardò la propria Kwami, che la incorraggiava con gli occhi, prima di sospirare.
- Prendo il telefono e me ne vado - asserì - Ho già fatto abbastanza figuracce per oggi - decretò, rimettendosi la borsa a tracolla e scendendo le scale.
- Vado un attimo da un amico a riprendere il telefono, torno fra dieci minuti - avvertì, attraversando il negozio.
- Ok, ti riscaldo il pranzo! - rispose sua madre, vedendola uscire di gran carriera. Marinette aveva appena svoltato l'angolo quando, dalla parte opposta del negozio, Alya fece la sua comparsa.
 
 
- Ehm... - fu tutto quello che gli uscì in risposta al frettoloso "Marinette è convinta che tu abbia ancora il suo telefono e sta venendo da te: non farla muovere, sto arrivando!" detto da Alya appena aveva risposto al telefono. Ci aveva messo tre secondi buoni a capire ciò che gli era stato detto e altri cinque a formulare una risposta poiché Nathalie era entrata in camera sua proprio mentre stava aprendo bocca.
- Adrien, c'è una tua compagna di classe al cancello: dice che hai il suo cellulare - informò.
- Oh, sì, dille che scendo subito - rispose lui per poi tornare alla propria conversazione - Sì, è qui, le dico di aspettarti - rispose, chiudendo la chiamata e correndo di sotto. Marinette era davanti al cancello, giocherellando nervosamente con un piccolo anello che portava al medio della mano destra.
- Ciao - salutò lui, arrivandole di fronte e facendola sobbalzare.
- Ahm, ciao - rispose lei, nascondendo per qualche motivo le mani dietro la schiena. Scese un silenzio imbarazzante per una decina di secondi prima che la ragazza si schiarisse la gola - Ehm, credo tu abbia il mio telefono... - cominciò, titubante.
- Oh, sì... volevo dartelo stamattina ma poi sei scappata via e quindi Alya si è offerta di portartelo - rispose Adrien, tranquillo. Marinette s'irrigidì, sbarrando gli occhi: il suo telefono lo aveva Alya che probabilmente ora la stava aspettando in camera sua... era andata fin lì per nulla!
- Oh... - fu tutto ciò che disse - Allora ti ho scomodato per niente, scusa - sospirò affranta. L'ennesima figuraccia: vai così, Marinette!
- Non preoccuparti, tranquilla, comunque Alya sta arrivando: mi ha appena chiamato - le sorrise lui.
Marinette si portò le mani davanti le gambe, in silenzio, rigirandosi l'anello al dito: non sapeva perché lo aveva indossato, lo aveva fatto in un gesto quasi automatico, eppure non riusciva a sentirselo scomodo o estraneo. Era quasi come se fosse stato creato apposta per il suo dito, se lo sentiva come un secondo strato di pelle e in un certo senso le infondeva anche coraggio avere qualcosa di così familiare.
Familiare... perché le era familiare, poi?
- Bell'anello - disse d'un tratto il ragazzo risvegliandola dai suoi pensieri.
- Oh... ehm... grazie – rispose lei, nascondendolo con la mano d'impulso - È un regalo. -
- Del tuo amico dall'estero? - domandò lui, malizioso. Marinette si ritrovò ad arrossire guardando quegli occhi ammiccarle.
- Sì... in un certo senso - mormorò abbassando lo sguardo: non avrebbe mai detto che era un simbolo di appartenenza ad un clan mafioso. Mai.
Ad interrompere quel momento pseudo-intimo (che parolona) fu l'arrivo di Alya, tutta trafelata che reggeva il telefono di Marinette.
- Tu... signorinella... - ansimò, reggendosi sulle ginocchia - ...mi devi parecchie spiegazioni! - esclamò, mettendosi dritta e piazzandogli il cellulare col messaggio aperto sotto il naso: la ragazza, dapprima confusa, impallidì quando lo lesse. Afferrò il telefono di scatto e lo osservò ad occhi sgranati.
- Come hanno avuto il mio numero! - esclamò, sconvolta, prima di rendersi conto di averlo detto ad alta voce. Alzò gli occhi sui due ragazzi, che ora la fissavano con un sopracciglio alzato, e si schiarì la gola. - Beh, insomma... - cominciò, prima che un lampo le attraversasse la mente - Un attimo: hai letto i miei massaggi? - domandò mentre un fastidioso senso d'irritazione le cresceva dentro, suo ma al contempo estraneo. Una strana sensazione che la destabilizzò per un secondo prima di farle riprendere il contegno.
- Beh, è successo per caso... - rispose Alya, ora sulla difensiva.
- Alya i messaggi sono una cosa privata! - ricordò Marinette e l'idea di mettere la password si fece sempre più strada dentro di lei.
- Comunque... si può sapere chi è questo Dino? E chi è che dovrebbe arrivare qui a Parigi? - domandò Alya, sviando il discorso. E ci riuscì benissimo dato che Marinette richiuse la bocca di colpo senza sapere cosa rispondere: “un boss mafioso e la mia istruttrice mafiosa?
- Ehm... lui è... - iniziò, balbettando. Cosa si sarebbe inventata ora?
- Pss... yo-yo! - sibilò Tikki, dalla sua borsa, e Marinette colse il lampo di genio.
- Il Presidente di un'azienda di giocattoli - rispose, sicura - Sì! Ha la sua sede in Italia, stavano testando un nuovo tipo di yo-yo e... visto che siamo amici mi ha regalato il prototipo - spiegò, convincendosi sempre più che quella fosse la verità per poter convincere anche loro.
- Il Presidente di un'azienda di giocattoli? - Alya incrociò le braccia e la guardò scettica - Quanti anni ha questo tipo? - domandò.
Marinette si ritrovò a corto di parole: gli era sembrato sulla ventina, su per giù.
- Una ventina... credo - rispose, incerta. Lo sguardo di scetticismo aumentò.
- Marinette... - cominciò la ragazza ma venne bruscamente interrotta dal suono del cellulare della ragazza che vibrava. Lei lo guardò incerta ed aprì whatsapp: lo stesso numero di prima, sicuramente Dino. Aprì la chat e... sgranò gli occhi e scoppiò sonoramente a ridere quando vide l'immagine che le era stata mandata, non riuscendo proprio a trattenersi.
- Cosa...? - provò a chiedere Adrien, ma lei scosse il capo e voltò il telefono verso la ragazza.
- Puoi dirmelo tu quanti anni credi che abbia - rise. Alya sgranò gli occhi ed aprì la bocca in una perfetta "o": l'immagine mostrava un selfie di Dino puramente artigianale, sicuramente appena sveglio dati i capelli arruffati su un lato (che gli davano un'aria affascinante, doveva ammetterlo). Indossava una maglia un po' cascante che recava la scritta "Sorry not Sorry" mentre una tartaruga di terra stava pigramente poggiata sulla sua spalla. Dietro di lui si poteva avere uno scorcio di un ragazzo in canotta e pantaloncini meramente abbandonato su una poltrona, con una rivista sulla faccia che gli lasciava scoperti i non troppo lunghi capelli argentati3.
La didascalia diceva: "Sto pagando penitenza. Scusa."
Alya boccheggiò qualche istante, passando lo sguardo dal ragazzo a Marinette e viceversa. - Tu... tu hai un amico del genere e io non ne sapevo niente?! - sbottò, incredula ed indignata.
- Beh, è una cosa recente - rispose lei, sospirando per riprendersi. Senza neanche pensarci sopra salvò il numero di Dino e impostò la foto come immagine di contatto: si sarebbe fatta delle belle risate ad ogni chiamata.
- Però, mica male il ragazzo - commentò Adrien. Marinette s'irrigidì un attimo.
- Ahm... dici? Non ci ho fatto caso – rispose con una mera alzata di spalle, evitando accuratamente di guardarlo.
"Tranquillo, nessuno problema. Mi hai rallegrato la giornata" scrisse velocemente in risposta, prima di tornare a spostare lo sguardo sui suoi amici.
- Devo tornare a casa, ora, o mia madre si preoccupa - rispose, senza riuscire a smettere di sorridere - Ci vediamo! - salutò con la mano, avviandosi per strada.
Alya sembrò riscuotersi e saltò su - Ehi, aspetta un secondo! - urlò, ma la ragazza era già sparita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
"Spero che tu te la stia cavando bene".
Marinette prese il telefono dal rialzo nella parete e si sistemò meglio sui cuscini, aprendo la chat di whatsapp. Restò qualche secondo con il pollice sulla tastiera poi digitò una risposta.
"Ho letto dodici capitoli del libro negli ultimi tre giorni. Credo di sì".
Dieci secondi dopo arrivò la risposta.
"Ottimo. Ricordo quando Reborn costrinse anche me a leggerlo, con l'unica differenza che tu non hai una pistola constantemente puntata addosso.
Domande?"
Marinette ci pensò su giusto il tempo per formularla.
"Sì. Come hai avuto il mio numero?"
Dino rise.
"Stai pur sempre parlando con un mafioso."
Anche lei rise e mandò uno smile per farglielo sapere.
"Giusto.
La prima volta che ho messo l'Anello ha preso fuoco... ma quando lo indosso ora non lo fa. Come mai?"
Stavolta il messaggio ci mise più tempo ad arrivare.
"Le Fiamme si sprigionano in circostanze precise. Esistono diversi tipi di Fiamme che possono essere attivate con i rispettivi anelli: tu che possiedi la Fiamma del Cielo hai un anello del Cielo. Ovviamente anche l'apparizione delle Fiamme dipende da individuo ad individuo: di solito, per i più, è la determinazione. Per altri può essere altro... tipo l'irritazione o il desiderio di fare qualcosa."
Marinette lesse attentamente la spiegazione prima di rispondere.
"Quindi anche gli altri membri della Famiglia hanno un anello?"
 
"Certo. Ognuno ha un attributo diverso di cui è il portatore.
Noi li definiamo Guardiani.
Tu, ad esempio, sei la Guardiana del Cielo."
 
"Quanti attributi esistono?"
 
"Sette: Cielo, Tempesta, Pioggia, Nuvola, Fulmine, Sole e Nebbia.
Ogni attributo ha una funzione precisa. Quella del Cielo è l'Armonia.
Non a caso quasi tutti i Boss possiedono l'attributo Cielo: come me, Aria e Tsuna."
 
"Ma io non sono un Boss... no?"
 
"No. Però questo non significa niente: si nasce con un attributo che spesso ereditiamo.
Un tuo antenato evidentemente possedeva la Fiamma del Cielo."
 
"Le Fiamme sono una cosa che hanno tutti?"
 
"Sì, ogni individuo nasce con una rispettiva Fiamma (o anche più di una benché raro) ma possono essere incanalati solo dagli Anelli creati per farlo. Gli Anelli della Famiglia Vongola, per esempio, hanno origini antiche e sono stati creati appositamente per questo. Esistono anche altri sette anelli appartenenti ad un'altra famiglia ed al momento questi quattordici sono gli unici esemplari sulla Terra in grado di incanalare le Fiamme."
 
"Se anche il Boss dei Vongola possiede la Fiamma del Cielo, significa che anche lui ha un anello del Cielo."
 
"Esatto."
 
 
"Quindi esistono due anelli del Cielo?"
Dino rise di nuovo.
"Sei più perspicace di quanto pensassi. Sì, i Vongola sono gli unici a possedere due Aanelli del Cielo."
 
"E come mai?"
 
"Mi dispiace, ma non credo che questo sia il momento, e il mezzo, migliore per parlarne."
 
"Capisco."
 
"Scusami se ti lascio ma qui è quasi l'alba e sarà meglio che mi sbrighi."
 
"Sei in Giappone?"
 
"Già. Come ha detto anche Reborn Tsuna vive qui quindi la Famiglia vi ha la sua residenza. Mi farò sentire appena arriverà Lal."
 
"Ok, grazie ancora per aver risposto al mio interrogatorio."
Il ragazzo rise.
"Dovere, signorina Cheng."
Chiusero la conversazione dandosi la buonanotte (e il buongiorno in caso di Dino), poi Marinette spense il telefono e s'infilò sotto le lenzuola. Passò parecchio tempo prima che riuscisse a prendere sonno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Marinette faticava ancora a comprendere come avesse fatto a ficcarsi in una situazione simile. Guardò con aria di sfida l'oggetto incastrato nel suo dito, coperto dall'oramai familiare tuta rossa a pois neri, lo afferrò tra i denti incastrandolo nei molari e tirò con tutte le sue forze... a parte l'acido sapore del metallo l'anello non voleva saperne di sfilarsi.
Ma perché?
Lo indossava quando si era trasformata, era vero, ma avrebbe dovuto sparire insieme ai suoi vestiti, la sua borsetta e tutto il resto... invece era ancora lì, fin troppo appariscente e, cosa più inquietante, era come se avesse assorbito il potere del Miraculous: come il resto del costume non si toglieva.
E Marinette era nel panico.
Se qualcuno lo avesse notato e lo avesse associato a lei sarebbero stati guai; si guardò furtivamente intorno e adocchiò delle lenzuola stese su un balcone. Pregando che i proprietari non la linciassero ne strappò alcuni pezzi e li legò intorno a tutte le dite, così da sviare ogni sospetto. Poi saltò sul tetto a fianco e corse verso l'ennesimo nemico.
 
 
Marinette non era mai stata molto fortunata, ma quando era Ladybug era tutto un altro conto. Chat si era limitato a bersi il "Problemi con il costume, me ne occupo dopo" quindi non aveva fatto domande sulle dita momentaneamente avvolte nelle bende della compagna. Il che era un bene.
Oltretutto, l'Akuma non era un nemico molto forte e questo era ancora meglio. Però era veloce e questo giocava a loro svantaggio. Chat schivò un attacco diretto e sparì dietro un cumulo di macerie proprio mentre lei estraeva lo yo-yo. Si mise in posizione e cercò di afferrare l'oggetto Akumizzato: voleva sconfiggere quell'Akuma il più presto possibile. Doveva farlo.
Lanciò lo yo-yo verso di lui, accorgendosi troppo tardi della Fiamma arancione che guizzava al di sopra della stoffa; come se fosse stata una traccia di benzina la Fiamma seguì il filo dello yo-yo e divampò sull'estremità. Tanta fu la sorpresa che deviò la traiettoria, lo yo-yo si conficcò nel muro e gli lasciò un solco profondo. Marinette lo fissò sbigottita: sapeva che il suo yo-yo era indistruttibile... ma non che potesse distruggere.
Lo ritirò e la Fiamma disparve appena lo ebbe tra le mani: non ci volle molto a fare due più due.
- Fantastico - mormorò, osservando meravigliata il punto sotto le bende in cui era nascosto l'anello. Dino le aveva spiegato che le Fiamme si palesavano in determinate circostanze e che, per i più, era la determinazione a farle attivare: possibile che fosse così determinata a liberare l'Akuma da far attivare le Fiamme? E come mai le Fiamme avevano ricoperto il suo yo-yo arrivando additittura a potenziarlo? Che servissero a quello?
- Problemi con lo yo-yo? - chiese Chat, apparendo dal nulla e mettendo K.O. il nemico con un colpo ben assestato. Marinette trasalì.
- Cos... no! Nessuno! - rispose velocemente - Liberiamo l'Akuma, sbrighiamoci! - si riprese, mettendo l'arma a posto e correndo verso il nemico.
Ed ecco che si dava il via all'ennesima routine quotidiana: rompere l'oggetto Akumizzato, far uscire la farfalla, purificarla, rimettere tutto in ordine con il Miraculous e compiacersi per il lavoro svolto.
Insomma, quello che fanno tutti gli adolescenti che si rispettano.
Chat si stiracchiò al suo fianco mentre lei ancora studiava le bende che nascondevano l'anello, mille pensieri e idee che le vorticavano nella testa.
- Certo che Papillon dovrebbe anche prendersi una pausa: non è giusto che dobbiamo lavorare anche nel nostro giorno libero - sbadigliò.
Quelle parole fecero scivolare via dalla mente di Marinette tutte le sue elucubrazioni mentali per concentrarsi su una sola, ben più orrenda e agghiacciante: - Come? - chiese, cercando di non far tremare la voce.
- Il nostro giorno libero. Tu come la definisci la domenica? - rispose Chat, scherzoso. Ma lei aveva ben poca voglia di scherzare: era domenica, ciò significa che il giorno dopo sarebbe stato lunedì.
Marinette deglutì lentamente, mentre sentiva l'ansia divorarla dall'interno come un parassita e il panico farsi largo prepotentemente dentro di lei: il giorno dopo sarebbe arrivata la sua Istruttrice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
2Tratto dal capitolo 02 di Katekyo Hitman Reborn
 
3Sì, è Hayato. Spoiler!

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Capitolo 3
*** Lal Mirch, l'Arcobaleno Incompleta ***


 
REVISIONATO IL 05/06/2019
 


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 03. Lal Mirch, l'Arcobaleno Incompleta
Fandom: Katekyo Hitman Reborn, Miraculous
Numero Parole: 3.385
 
 
 
Il sole non era neanche apparso all'orizzonte quando Marinette si svegliò, quella mattina. Era rimasta a fissare il soffitto della sua camera finché la luce non aveva inondato la stanza e l'orologio del suo cellulare non aveva segnato le sette e cinque minuti.
Quindi si era alzata, aveva fatto la doccia e si era vestita, nella più assoluta calma. Era scesa in cucina, si era seduta a tavola ed aveva a malapena dato due morsi al suo croissant: aveva lo stomaco chiuso tanta era l'agitazione .
Verso le otto le era arrivato un messaggio di Dino che la informava che Lal sarebbe arrivata alle nove, massimo le dieci, e che non c'era bisogno che l'aspettasse. Aveva risposto con un "Ok", la mente troppo vuota per mettere insieme più di due parole in una frase di senso compiuto, ed aveva preso lo zaino, uscendo.
Inutile dire che l'aria fresca di quel lunedì la rimise completamente in moto. Respirò a fondo, con gli occhi chiusi, e annuì.
"Forza, Marinette, non essere patetica!" si riprese mentalmente, voltando l'angolo e incamminandosi verso la scuola.
 
 
 
Le dita ticchettavano insistentemente sul banco senza dar segno di voler smettere. Marinette si stava mordicchiando le unghie della mano sinistra, mentre osservava il cellulare accuratamente nascosto dai libri posto davanti a sé: aspettava, senza neanche sapere cosa.
Forse un messaggio di Dino che le diceva che Lal era arrivata o sua madre che la informava sulla stranezza di quell'istruttrice (perché ne era sicura: quell'insegnante sarebbe stata strana, se lo sentiva). E invece niente, silenzio totale.
E Marinette non ce la faceva più.
- Marinette... - la chiamò una voce accanto a lei. La ragazza sobbalzò.
- Sí? - chiese, incontrando gli occhi rossi di Juleka.
- Stai facendo un casino assurdo con quelle unghie - l'avvertì. Marinette smise di picchiettarle sul banco, senza ricordarsi quando avesse effettivamente cominciato, e alzò gli occhi sul suo gruppo di lavoro: Alya, Rose e Alix la stavano guardando con un misto di sconcerto e seccatura.
- Scusate - mormorò, ritirando la mano sotto il banco.
- C'è qualcosa che non va? Sembri nervosa - notò Alix, tornando a scrivere la sua ricerca.
- Cosa? Oh, no, non è niente - rispose, portando una mano alla borsetta e tastando l'anello. Ci giocherellò un po' e se lo fece scivolare lungo il dito. Doveva stare tranquilla, solo stare tranquilla. - È una cosa da niente, la risolverò presto - aggiunse, tirando un sorriso. Alix e Juleka si scambiarono un'occhiata, Alya si limitò a gettarle uno sguardo penetrante che lei cercò di ignorare e Rose parve dubbiosa ma tornarono tutte a lavoro.
Marinette si sforzò di concentrarsi sulla legge della fisica che doveva applicare per testarne la veridicità, ma proprio non ce la faceva: la sua mente era piena di mille pensieri, tutti confusi e disordinati, e come se non bastasse iniziava anche a sentire la stanchezza della notte passata quasi in bianco.
Se solo qualcuno si fosse fatto sentire, chiunque...
Un plic secco le attraversò i timpani ed una puntura al collo la fece sobbalzare.
- Ahi! - esclamò, portandosi una mano dietro la nuca e strofinandosi la parte lesa. Alzò gli occhi sulle sue amiche e iniziò a vederci sfocato, il corpo le si fece pesante e le palpebre si chiusero da sole. Abbandonò la penna, che scivolò sul foglio lasciandovi una scia indistinta, e tentò di aggrapparsi al banco.
- Marinette! -
L'ultima cosa che vide fu Alya balzare in piedi, poi il freddo del pavimento e il buio.
 
 
 
La stanza era fredda e spoglia, completamente buia se non per un vago sentore di luce penetrare da una piccola finestrella in cima alla parete. Non sapeva dove si trovava né perché era lì, era solo cosciente di essere seduta su una sedia, scomoda e molto dura. Provò ad alzarsi ma si accorse di avere le braccia incatenate ai braccioli. Un basso ringhio le fuoriscì dalla gola e provò a raggiungere con le dita il bordo della giacca che indossava, sicura di trovarci il suo fidato coltellino di emergenza.
Un sospiro la fece bloccare e si guardò intorno, drizzando le orecchie al più piccolo movimento.
- Io non lo farei se fossi in te - esalò la voce di un ragazzo.
Poi la vide, nell'angolo più remoto della stanza, seduto su una poltroncina nera con le braccia conserte e le gambe accavallate, una figura avvolta in un completo scuro.
- Chi sei? - chiese, calma. La sua voce, però, le suonò strana: era bassa, profonda, dolce... maschile.
Il ragazzo alzò di poco il viso per guardarla: lei non riuscì a scorgere nulla tranne le sue labbra, che si aprirono in un sorriso dolce e sincero, tanto da lasciarla spiazzata.
- Un amico. -
 
 
Marinette aprì lentamente gli occhi, confusa e stordita: ricordava di aver fatto un sogno, un sogno strano, ma non ricordava quale. Sbatté le palpebre un paio di volte e mise a fuoco il soffitto bianco dell'infermeria della scuola. Cos'era successo?
Ah, già, si era addormentata nel bel mezzo del progetto. Sospirò, portandosi una mano alla fronte e richiudendo gli occhi. Perché dovevano succedere tutte a lei?
- Buongiorno, Marinette - la salutò una voce, senza dubbio di una ragazza, accanto a lei.
- Mh... buongiorno - mugugnò in risposta. Riaprì gli occhi e voltò il capo di lato, giusto per mettere a fuoco la bambina seduta su uno sgabello accanto al letto: se ne stava a gambe incrociate, lasciando intravedere le sottili gambe lasciate scoperte da un pantaloncino blu. Indossava degli stivaletti ed aveva la coscia destra coperta da una benda, per il resto era coperta da una mantella marrone.
La cosa che la colpì di più furono gli occhiali da aviatore rossi che indossava e il tatuaggio a forma di fiamma sulla guancia destra, i suoi capelli erano corti e blu scuro.
Infine si soffermò sui due particolari più appariscenti che accesero una lampadina nella sua testa: sapeva chi era quella bambina, aveva già visto quelle caratteristiche. Lei era alta quaranta centimetri ed aveva un ciucciotto poggiato sul petto, questo però era grigio con una spirale di lingue nere all'interno. Era esattamente come Reborn.
- Tu... sei l'istruttrice, giusto? - chiese, alzandosi sui gomiti.
Lei si tolse gli occhiali, poggiandoli sul capo e mostrando i grandi occhi di un rosso opaco. - Mi chiamò Lal Mirch e sono qui per istruirti - si presentò, seria.
Marinette lo sapeva che sarebbe stata strana. - Uhm... che cosa sei? - azzardò.
- Un Arcobaleno, anche se incompleta - rispose, pronunciando "Arcobaleno" in italiano.
- Arcobaleno? Come Reborn? - domandò Marinette, mettendosi seduta.
- Più o meno - rispose lei - Come ho detto sono incompleta. -
La ragazza la guardò perplessa, facendo scivolare le gambe oltre il lettino. - Ce ne sono altri come voi? - chiese, curiosa.
- Sette in totale, uno per ogni attributo. Io sono l'ottava ma perché sono fallita: sarei dovuta essere l'Arcobaleno della Pioggia, ma all'ultimo secondo qualcun altro ha incoscientemente preso il mio posto - spiegò, alzandosi in piedi - Ma non siamo qui per parlare di me: Reborn mi ha incaricata di addestrarti per diventare un ottimo membro della Famiglia Vongola.
Sia chiaro, io non faccio nulla per nulla: ti allenerò ma appena sento una lamentela o una mancanza di collaborazione da parte tua non ci penserò due volte ad andarmene. A quel punto te la vedrai con Reborn e non so quanto la cosa ti convenga: non è quel tipo di istruttore che va troppo per il sottile - disse, spiccia - Ti ho fatta venire qui per parlarti di persona, non potevo aspettare la fine delle lezioni. -
- Fatta venire qui? - Marinette era confusa: non era svenuta in classe?
Lal tirò fuori dal mantello un piccolo fucile di precisione, impassibile - Ho dovuto improvvisare - si limitò a dire.
La ragazza sgranò gli occhi e si portò una mano alla nuca, ricordando la puntura subita prima di svenire. - Mi hai narcotizzata?! - sbottò, incredula.
- Mi serviva un pretesto per farti uscire - spiegò lei, tranquillamente. La ragazza la guardò ad occhi sbarrati, senza fiato. - Ma adesso basta parlare, torniamo a casa: tua madre era preoccupata quando la scuola l'ha chiamata - tagliò corto Lal, mettendosi il fucile sulla schiena e saltando giù dallo sgabello.
- Ma... ma... - balbettò Marinette, vedendola dirigersi verso la porta. Chiuse la bocca e sbatté le palpebre: ed ora come ne sarebbe uscita?
 
 
 
Marinette aprì la porta di casa trovando sua madre sulla soglia, il volto pallido e preoccupato che la scrutava attentamente per vedere qualche segno di cedimento.
- Tesoro, che cosa è successo? - chiese, venendole incontro.
La ragazza, che non era riuscita a proferire parola durante tutto il tragitto, alzò gli occhi sulla donna.
- Sono stata narcotizzata... da una bambina di un anno - mormorò, inflessibile, prima di entrare in casa. Lal varcò la soglia dopo di lei portando con sé un piccolo borsone da viaggio nero.
- Salve, signora Cheng - salutò lei, inchinandosi brevemente - Io sono Lal Mirch e da oggi sarò l'istruttrice personale di sua figlia. -
Sabine sbatté le palpebre, perplessa, e si girò verso la figlia che nel frattempo si era versata un bicchiere di latte.
La ragazza si limitò ad annuire, bevendo il liquido tutto d'un fiato, come se cercasse in quello un'ancora di salvezza. Poi sospirò poggiandosi con le mani al banco.
- Resterà con noi per un po' - disse, oramai arresa - Ordini dall'alto. -
- Oh - si limitò a dire lei, per poi voltarsi verso Lal - Beh, spero ti troverai bene qui da noi, Lal - sorrise, incerta.
- Ne sono sicura - rispose la bambina, raggiungendo Marinette - Dov'è camera tua? -
- Di sopra - illustrò lei - Ti faccio strada – aggiunse, salendo le scale con Lal alle calcagna, ed aprì la botola. Lal vi entrò, guardandosi attentamente intorno.
- Abiti in una soffitta - constatò.
- Già, ma non me ne lamento - rispose lei, richiudendo la botola. Lal studiò la stanza, posando il borsone per terra, poi gettò uno sguardo al letto al di sopra della scrivania.
- Lì andrà bene - disse infine, aprendo il borsone e tirando fuori diversi attrezzi e un rotolo di stoffa marrone, poi salì la scaletta e sparì oltre il letto della ragazza.
- Okay - mormorò lei, senza neanche provare a protestare. Si sfilò l'anello e lo posò sulla scrivania per poi aprire la borsa e vuotarla: lo yo-yo e il telefono raggiunsero l'Anello e Tikki volò fuori.
- Davvero ti sta bene tutto questo? - bisbigliò.
- Ho qualche alternativa? - rispose lei, sedendosi e accendendo il computer. Passarono cinque minuti di totale silenzio, finché dei rumori alquanto sinistri non fecero alzare lo sguardo ad entrambe. Tikki e Marinette si scambiarono un'occhiata.
- Non credo di volerlo sapere – ammise, la ragazza in risposta allo sguardo di Tikki.
Poco dopo, Lal balzò giù dalla scaletta e salì sulla scrivania per poterla guardare in faccia.
- Da domani inizieremo l'addestramento - avvertì, togliendosi la mantella e piegandola accuratamente, per poi poggiarla accanto la tastiera del computer - Hai tante cose da imparare e poco tempo per impararle: Reborn si è mosso troppo tardi, questo non renderà le cose facili - spiegò. Poi spostò lo sguardo di lato e vide Tikki sospesa a mezz'aria accanto al suo viso, pietrificata in quella posa. - È quello cos'è? - chiese, curiosa.
Marinette spostò lo sguardo da Tikki a Lal un paio di volte. - Ehm, il mio... Kwami? - rispose incerta.
Lal non mosse un muscolo per alcuni secondi, infine annuì - Per quella storia della supereroina? -
Marinette sgranò gli occhi - Lo sai anche tu?! - chiese.
- Lo sappiamo tutti - rispose lei, impassibile.
- Tutti chi? - domandò la ragazza, impallidendo.
- Tutti noi Arcobaleno e tutta la Decima Generazione dei Vongola - specificò.
- Ma... perché?! - chiese Tikki, nel panico tanto quanto lei.
- Non si hanno segreti all'interno di una Famiglia - rispose Lal, seria - E gli Arcobaleno sanno tutto - concluse, sedendosi sulla scatola che conteneva il diario di Marinette - È nostro dovere dal momento che ti addestreremo. -
- Che significa che mi addestrerete? - chiese Marinette, perplessa - Non lo farai solo tu? -
Lal le rivolse uno sguardo penetrante - Reborn non ti ha detto nulla? - il tono con cui pose quella domanda fu tra il serio e l'accusatorio.
- Mi ha detto solo che faccio parte di una Famiglia Mafiosa capeggiata da un certo Tsuna, nient'altro - spiegò. Lal sospirò.
- Accidenti a lui, lascia sempre il lavoro sporco agli altri - borbottò, seccata - Apri bene le orecchie, Marinette, perché ciò che sto per dirti è strettamente legato al futuro tuo e della Famiglia Vongola - asserì, talmente seria da farle quasi paura - Tu non sei una Guardiana qualunque... ma sei destinata a guidare la Famiglia al fianco del Boss: tu sei il Braccio Sinistro del Decimo! -
Scese in silenzio attonito. Marinette guardò quella sottospecie di bambina ad occhi sgranati e bocca semiaperta per pochi istanti prima di esplodere.
- Io sono... COSA?! -
L'urlo che ne seguì fece tremare le fondamenta della casa tanto che sua madre, che stava svuotando la lavastoviglie al piano di sotto, sobbalzò dallo spavento rischiando di rovesciare l'intero servizio di piatti.
La ragazza era balzata in piedi, ribaltando quasi la sedia e facendo sussultare Tikki.
- Il Braccio Sinistro del Decimo - ripeté Lal, calma - E gradirei non urlassi - aggiunse. Marinette si risedette, ancora troppo scossa per dire qualsiasi frase di senso compiuto.
- Nessuno mi ha detto che dovevo essere il Braccio di qulcuno! - esclamò, sconvolta.
- Questo perché Reborn non sa cosa siano le priorità - ribatté Lal, piccata - Ad ogni modo, il tuo è un ruolo molto importante. Ogni Boss dei Vongola ha avuto un Braccio Sinistro, tu sei la decima che affiancherà Sawada nel guidare la Famiglia. - spiegò.
- No, no, aspetta un secondo... in che senso guidare? Non voglio una responsabilità del genere! - protestò Marinette.
- Non c'è molto da temere, in sé è molto semplice: dovrai solamente consigliare il Decimo, occuparti della sua sicurezza, sostituirlo se occorre e, in caso di morte prematura del Boss, prendere il suo posto fino alla successione. -
Marinette socchiuse la bocca inorridita - Prendere il suo posto? - mormorò, flebilmente.
- In caso di morte - specificò Lal.
- Questo dovrebbe confortarmi? - chiese.
- Beh, in effetti... no - ammise lei.
La ragazza si portò una mano alla fronte, con un sospiro stanco. - In pratica devo essere la sua segretaria? - domandò.
- No, dovrai essere la sua ombra - specificò Lal.
- Oh, beh, adesso sì che mi sento sollevata - borbottò ironica.
- Non sarà pericoloso? - mormorò Tikki, leggermente inquieta.
- Certo che lo è, stiamo pur sempre parlando di mafia - tagliò corto Lal, impassibile.
- Ma... come puoi essere così tranquilla - chiese il Kwami, decisamente sconvolto.
- Abitudine - rispose lei - Io facevo parte della Milizia Militare, prima di essere maledetta. -
- Di bene in meglio - commentò Marinette, abbandonandosi sulla sedia.
- Tutto bene, Marinette? - chiese Tikki, esitante, non vedendola reagire.
- Oh, certo - rispose lei, stirando un sorriso abbastanza inquietante - Quale altro motivo avrei per non stare bene a parte quelli appena elencati? -
 
 
Marinette non aveva dubbi: quella era la cena più strana a cui avesse mai preso parte. Aveva sistemato dei cuscini su una sedia per permettere a Lal di arrivare all'isolotto e si era seduta accanto a lei, avendo cosí di fronte i suoi genitori.
Poteva sembrare una tranquilla cena di famiglia se non fosse stato per il silenzio imbarazzante che aleggiava su di loro.
L'unica che non sembrava risentirne era proprio Lal che, dopo aver constatato che il suo cibo non fosse avvelenato, aveva iniziato a mangiare tranquillamente.
Sabine e Tom si scambiarono un'occhiata e la donna si pulì la bocca con il tovagliolo prima di parlare.
- Allora, Lal - disse, allegramente - Che cosa fai di solito, a parte l'istruttrice? - chiese, cercando di intavolare una conversazione.
Lal finì di masticare il boccone prima di rispondere: - Ero nella Milizia Militare, una volta, quindi eseguo lavori di spionaggio e assalto su commissione - rispose, tranquillamente.
- Oh, ehm... interessante - commentò Tom, incerto - E... cosa hai detto di essere? - chiese. Sabine gli diede una gomitata.
- Tom, non è educato - lo riprese, sottovoce: evidentemente pensava che la conidizione di Lal fosse un imbarazzante problema fisico. Povera illusa.
- Un Arcobaleno - rispose - Una Bambina Perfetta, anche se incompleta -.
I due coniugi la fissarono per un attimo, evidentemente incerti su cosa rispondere, finché Sabine non provò a riprendere il discorso, sorridendo.
- Oh, e che cosa sono gli Arcobaleno? - chiese.
- Mi dispiace ma queste sono informazioni riservate - tagliò corto Lal. Marinette si posò una mano sulla fronte, tentando di concentrarsi sul suo pollo con scarso successo.
Il resto della serata la passarono in totale silenzio.
 
 
 
- Oh, ecco cosa ci eravamo dimenticati! -
Marinette restò a fissare un punto imprecisato sullo schermo computer mentre sentiva il suo occhio sinistro sbattere convulsamente.
- Di... menticati? - mormorò flebilmente - Come potete dimenticare una cosa simile? - chiese, ormai sull'orlo di una crisi di nervi.
Dino sorrise, a mo' di scusa - Il fatto è che negli ultimi tempi abbiamo avuto molte cose di cui occuparci... deve esserci sfuggito questo dettaglio durante il nostro colloquio - spiegò.
Marinette provò l'inspiegabile e irrefrenabile impulso di picchiarlo, una cosa mai successa prima.
- Non è un problema, gliel'ho spiegato io - informò Lal, seduta a gambe incrociate tra i morbidi capelli di Marinette per arrivare alla webcam.
- Ottimo, allora il problema è risolto - rispose Dino, trafficando con qualcosa che aveva di fianco e regalando una vista ravvicinata del suo petto coperto dalla maglia nera del pigiama alle due.
- Dove sei? - chiese Marinette, cercando di capire cosa stesse facendo il ragazzo.
- A casa di Tsuna. Per la precisione sul pavimento del suo salotto - rispose lui, riapparendo nella visuale - Qui è ancora presto e non volevo svegliare lui e Reborn - spiegò.
Si sentirono dei rumori dall'altro lato, poi una voce femminile rientrò nel campo uditivo di Marinette parlando in giapponese. Dino si voltò e disse qualcosa poi tornò a guardare le ragazze, mentre un paio di piedi avvolti in calzini bianchi gli passavano di fianco.
- La madre di Tsuna - spiegò, allo sguardo spaesato di Marinette - Sta preparando la colazione. Voi che fate di bello? -
La ragazza sembrò riscuotersi. - Oh, cerco il metodo migliore per non farmi chiudere in manicomio - rispose lei, agitando la mano con noncuranza.
Il ragazzo rise - Non è così male come sembra, vedrai che ci farai l'abitudine - tentò di tranquillizzarla, alzando poi lo sguardo verso le gambe avvolte in un paio di jeans che gli si erano fermate di fianco. Ci fu una breve conversazione, poi s'inginocchiarono accanto a lui e una ragazza poco più che diciassettenne apparve sullo schermo. Era molto carina, con lunghi capelli rosa opaco avvolti in un asciugamano bianco e grandi occhi verdi. Era decisamente occidentale, italiana forse.
La squadrò per un attimo, infine sorrise. - Ciao - salutò, in perfetto accento francese.
- Ehm... ciao - rispose Marinette, facendo un cenno con la mano.
- Marinette, lei è Bianchi - presentò Dino - È un hitman anche lei. -
- È un piacere conoscerti, Marinette - rispose lei, strofinandosi il panno sulla punta dei capelli - Sei proprio come ti ha descritta Reborn - commentò - Ciao, Lal - aggiunse.
- Ciao, Bianchi - rispose la bambina, impassibile.
Sì, era decisamente italiana.
- Come mai in piedi a quest'ora? - chiese Dino, curioso. Bianchi si portò i capelli umidi dietro la schiena.
- Io e Rika4 abbiamo alcune cose da fare - rispose, sul vago - Vero, Rika? - aggiunse, sporgendosi verso la ragazza dall'altro lato di Dino. Marinette sbarrò gli occhi: da dove era uscita quella? Un attimo prima non c'era!
- Quando sei arrivata? - chiese Dino, sorpreso. La ragazza dai capelli neri, che evidentemente si chiamava Rika, si voltò verso di lui.
- Ma se sono sempre stata qui - rispose lei, come se fosse ovvio.
Marinette era sicura di no.
- Ma... lei non... - provò a dire, indicandola col dito, ma Lal la fermò con un cenno della mano.
- Lascia perdere - rispose, scuotendo la testa.
La ragazza, suo malgrado, seguì il consiglio. Lal guardò l'ora su display del pc, mentre Dino e Rika avevano intrapreso un'accesa discussione metà in italiano e metà in giapponese. Bianchi era sparita.
- È ora di dormire, domani mattina devi alzarti presto - disse.
- Ma non sono neanche... - provò a protestare Marinette.
- Ci vediamo - tagliò corto, chiudendo la chiamata sotto lo sguardo sorpreso di Dino e Rika.
- Ma... - cominciò Marinette, Lal saltò giù dal suo capo e la ragazza sospirò - Lasciamo perdere - concluse, spegnendo il computer.
Salì la scaletta, preceduta dalla bambina, e trovò Tikki già profondamente addormentata sul suo cuscino. S'infilò sotto le coperte e spense la lampada, sistemandosi sul materasso; fu allora che si accorse dell'amaca montata sopra il suo letto, poco più a destra, dove Lal si era sistemata. La domanda sorse spontanea: - Da dove è uscita quella? -
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
4Rika è un personaggio del Prequel The Third Family ambientata nell'arco dei primi capitoli del manga fino a dopo la Battaglia degli Anelli, momento in cui inizia The Lady of the Ring. Ci saranno diversi accenni a questa storia, più che altro tramite la nomina di eventi e personaggi da parte degli altri protagonisti.

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Capitolo 4
*** Il Proiettile dell'Ultimo Desiderio - La tecnica segreta della Famiglia Vongola ***


REVISIONATO IL 06/06/2019




 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 04. Il Proiettile dell'Ultimo Desiderio - La tecnica segreta della Famiglia Vongola
Fandom: Katekyo Hitman Reborn, Miraculous
Numero Parole: 5.231
 
 
 
 
La sveglia non era nemmeno suonata quando Lal le piombò sul cuscino, proprio accanto alla faccia, facendola svegliare di soprassalto.
- Svegliati, si comincia! - annunciò, ignorando lo sguardo oltremodo sgranato e spaesato e la posa di difesa che aveva assunto la ragazza. Era già vestita, con la solita mantella a coprirle le spalle, e stava scendendo la scaletta proprio mentre Marinette accendeva il telefono.
- Ma Lal! - protestò - Sono a malapena le sei! - non era certo abituata a svegliarsi così presto.
- È anche troppo tardi - la sua voce le giunse dal piano di sotto - Voglio che tu faccia una corsa del quartiere ogni mattina prima di andare a scuola - decretò, aprendo la botola. Marinette gemette, riaccasciandosi sui cuscini: sarebbe stato un lungo addestramento.
Dopo cinque minuti era scesa, aveva infilato una tuta da ginnastica ed era uscita silenziosamente di casa con Lal seduta sulla nuca, comodamente in equilibrio tra i suoi capelli.
Marinette e l'attività fisica non andavano molto d'accordo, gli unici momenti in cui diventava acrobatica erano nei panni di Ladybug (ed anche lì era merito dei poteri del Miraculous), quindi quella corsetta mattutina non era esattamente un toccasana per lei sopratutto per via del vento fresco che s'insinuava prepotentemente nei suoi polmoni.
D'altro canto Lal sembrava non risentirne proprio.
La ragazza fece un giro del quartiere, si spinse fin dentro il parco, raggiunse anche la sua scuola e arrivò fino al Trocadero dove si fermò cinque minuti per idratarsi e riprendere fiato; Lal si era limitata a guardarsi intorno, probabilmente studiando il paesaggio.
Quando Marinette guardò l'ora e si accorse che erano oramai le sei e mezza passate, e lei doveva prepararsi per andare a scuola, fecero il percorso inverso fino a tornare alla boulangérie che nel frattempo aveva aperto.
Sabine fu sorpresa di vederla rientrare, visibilmente provata e in un bagno di sudore.
- Lal... vuole... che corra... la mattina... - ansimò, poggiandosi al bancone mentre la bambina ci saltava sopra.
- Fa parte dell'addestramento - spiegò alzando lo sguardo sulla donna.
- Oh - rispose lei, guardando la figlia e la bambina ad alternanza - Beh, non è una cattiva idea - ammise, ridacchiando.
Marinette la guardò come a dire "Mi prendi in giro?" e salì al piano di sopra per farsi una doccia e recuperare Tikki, rimasta comodamente a dormire nel suo letto. Quando scese in cucina trovò Lal a sgranocchiare una zeppola vuota mentre un lato del tavolo era già apparecchiato: una tazza di caffèlatte, un croissant alla marmellata, una mela e un bicchiere di succo d'arancia facevano esposizione sull'isolotto.
- La tua colazione - spiegò Lal, al suo sopracciglio inarcato - Hai bisogno di energie quindi ho selezionato i cibi che possono fornirti il giusto fabbisogno giornaliero. La mela sarà il tuo snack per la scuola - disse, spiccia.
- Ahm... ok - rispose, incerta, vedendo lo sguardo di meravigliata approvazione di sua madre. Non era molto tardi, quindi riuscì a fare colazione tranquillamente. Proprio mentre usciva di casa, però, un dubbio la colse. - Tu cosa farai mentre non ci sono? - chiese, girandosi verso di lei. Lal la guardò con i suoi penetranti occhi rossi.
- Cose - rispose, vaga. Marinette preferì non indagare.
 
 
 
Apocalisse. Sì, stava senza dubbio per arrivare la fine del mondo. Un evento così raro e sicuramente opera della mano divina non poteva che avere conseguenze disastrose: Marinette era arrivata a scuola in orario.
- Sei caduta dal letto? - chiese Alya - No, perché spiegherebbe questo tuo attacco di puntualità. -
Marinette le lanciò un'occhiata seccata, sedendosi accanto a lei: - Mi ci hanno tirata giù - confessò, aprendo lo zainetto.
- Oh, è brutto quando succede - ammise la ragazza.
- Non sai quanto - concordò Marinette alzando lo sguardo sull'insegnante che stava entrando con un sorriso molto poco rassicurante.
- Sorpresa! - annunciò tirando fuori una pila di fogli dall'aria pesante dalla borsa - Oggi farete un bel lavoro di gruppo - trillò, ricevendo sospiri di sconforto e proteste, che zittì con un cenno della mano - Silenzio e ascoltate - ammonì - Dovrete trattare un,argomento molto delicato: il crimine - annunciò - Voglio che scegliate una categoria nel mondo del crimine e l'approfondiate, precisando cosa fanno, come agiscono e i provvedimenti delle autorità contro di loro. Vi dividerete in gruppi di quattro a libera scelta - concluse, iniziando a distribuire i fogli.
- Come se non avessimo niente di meglio da fare - borbottò Alya, scorrendo il suo con tutto il programma di ricerca nei dettagli.
- Beh, sempre meglio che fare lezione - commentò Nino, voltandosi verso di loro - Che ne dite se facciamo gruppo, noi quattro? - chiese.
Marinette scrollò le spalle, troppo impegnata a leggere per rispondere coerentemente o anche solo capire quello che le era stato chiesto. - Ok - mormorò scorrendo il foglio e sgranando gli occhi quando lesse la parola "Mafia" nella lista delle categorie. Sperava solo che a nessuno venisse in mente di usarlo.
- Ehi, e se facessimo la Mafia? - propose Adrien.
Cinque parole. Cinque misere paroline pronunciate spensieratamente dalla voce che più amava bastarono a gelarla sul posto. Perché? Perché, tra tutte le categorie esistenti, Adrien doveva scegliere proprio quella?
- C-come? - balbettò, alzando di scatto la testa e attirando l'attenzione - Insomma, perché proprio la Mafia? - chiese, nervosamente.
Adrien la guardò per qualche istante, perplesso, mentre Alya e Nino si scambiarono un'occhiata.
- Beh, è l'argomento più interessante - rispose lui - Ci sarà molto da scrivere, avremmo più probabilità di ricevere un buon voto - spiegò.
Giusto. Era ovvio. Così come era ovvio che lei fosse ufficialmente nei guai.
- Marinette, tu l'altro giorno non stavi leggendo un libro sulla Mafia? - ricordò all'improvviso Nino. Se uno sguardo avesse potuto uccidere il ragazzo sarebbe divenuto un mucchietto di cenere appena Marinette ebbe posato gli occhi su di lui.
- Sì - rispose, rigida - Ma era un libro così, molto superfluo, di certo non idoneo ad una ricerca - tagliò corto.
- Oh, peccato - commentò lui.
- Quindi è deciso! - annuì Alya, per poi far scattare il braccio in aria - Professoressa, il nostro gruppo farà la Mafia! - prenotò.
- Ah, la volevo fare io la Mafia! - si lamentò Kim.
- Non fare il bambino! - lo riprese Alix - Noi faremo gli assassini seriali - aggiunse, rivolta all'insegnante, mentre Rose e Juleka annuivano.
- Ottimo! - esclamò lei, segnandoli su un foglio.
- Quindi - inziò Nino, sfregandosi le mani e voltandosi verso le ragazze - Da dove cominciamo? -
Non andava bene, non andava bene per niente.
 
 
 
Marinette sospirò trascinandosi fino all'armadietto mentre sbranava la mela che Lal le aveva fatto portare come snack delle dieci. Grazie ad internet avevano raccolto molte informazioni sulla Mafia, perlopiù il loro modo di organizzarsi e di agire, ma si erano comunque dati appuntamento in biblioteca nell'ora di studio per approfondire la ricerca.
E Marinette era un tantino nervosa.
Strinse la mela tra i denti e sbloccò il proprio armadietto, per poi recuperare il frutto con la mano sinsitra ed aprire l'anta con la destra: per poco non le cadde di mano quando vide ciò che vi era all'interno. L'esclamazione che seguì le uscì spontanea.
- Lal! -
La bambina si era scavata uno spazio mettendo in ordine i libri della ragazza intorno alle pareti, quasi fossero carta da parati, ed aveva sistemato un tavolino di plastica con una sedia su cui stava tranquillamente sorseggiando del caffè; sembrava quasi il corredo di una casa per le bambole.
Marinette si guardò intorno, constatando di essere osservata dai presenti, e ridacchiò in imbarazzo prima di infilare la testa nell'armadietto coprendolo completamente. - Che ci fai qui? - sussurrò.
- Controllo come te la cavi - spiegò lei, seria e tranquilla come al solito - È uno dei miei tanti compiti di istruttrice. -
- Ma se qualcuno ti vedesse? - chiese.
- Penserebbero che sia solo una bambina - tagliò corto Lal. Marinette ne dubitava fortemente. - Tieni, lo hai dimenticato a casa - aggiunse, tirando fuori il suo anello da sotto il mantello: era così grande rispetto a lei che avrebbe potuto tranquillamente usarlo come bracciale - Non voglio che lo lasci in giro dove capita, non è un oggetto qualunque - ammonì. Marinette ringraziò in un borbottio e se lo infilò distrattamente al dito: non sapeva perché ma indossarlo la faceva sentire più tranquilla e sicura, un po' come quando aveva la maschera di Ladybug.
- Ci sono problemi? - chiese Lal, vedendola titubante, quasi sapesse già la risposta. Marinette esitò infine sospirò.
- Sto facendo una ricerca di gruppo ed hanno scelto la Mafia come argomento - spiegò. Lal alzò un sopracciglio.
- E allora? - domandò - Meglio così, sarai sicura di essere preparata - rispose.
Marinette sgranò gli occhi: - Ma Reborn ha detto che devo essere discreta, si insospettirebbero se ne sapessi troppo - disse.
Lal scrollò le spalle: - Hai detto che è per una ricerca scolastica, quindi che c'é di sospetto nello studio? -
La ragazza capì al volo ma non era molto convinta: - Tutto quello che so l'ho letto nel libro che mi ha dato Reborn, non sono informazioni molto utili per una studentessa che vuole fare una ricerca sulla e contro la Mafia - ricordò - Men che meno per qualcuno che deve entrare a farne parte - aggiunse, con una smorfia.
- Allora approfittane per scoprirne il più possibile, ti ricordo che è del tuo futuro che stiamo parlando - asserì lei. Marinette preferì che non glielo ricordassero.
- Marinette? Cosa stai facendo? - chiese una voce sconcertata alle sue spalle. La ragazza sobbalzò e sbatté con la nuca contro il divisore di metallo; svelta, ignorando la testa che pulsava, si drizzò di scatto chiudendo l'armadietto e poggiandovisi sopra con la schiena per coprirlo.
Di fronte si ritrovò nientemento che Adrien, con uno sguardo sconcertato. Si sforzò di sorridere ma le uscì solo una risata nervosa e lievemente isterica: pessima cosa.
- Io... ehm... stavo cercando... - si guardò intorno e adocchiò la propria mano destra, per poi alzarla mostrandogli il dorso - L'anello. Sì - asserì - Mi era caduto sul fondo - spiegò, annuendo.
Lal, da dentro l'armadietto, si batté la piccola mano in fronte: - Non mostrarlo così! - sibilò di modo che solo lei potesse sentirla. La ragazza si affrettò a ritirare la mano e stirò un sorriso.
- Okay...? - rispose Adrien, incerto - Comunque, noi andiamo in biblioteca... ci raggiungi? - chiese. Marinette annuì vigorosamente.
- Sì, certo, arrivo il recupero e libro... cioè, recupero il libro e arrivo - si corresse.
- Va bene - acconsentì Adrien, allontanandosi, voltandosi perplesso verso di lei un'ultima volta prima di sparire sulle scale. Marinette abbandonò il sorriso e sospirò, per poi riaprire l'armadietto: Lal la osservava in piedi al suo interno, impassibile.
- È il ragazzo che ti piace, vero? - chiese, facendole sgranare gli occhi e arrossire - Hai la camera tapezzata di sue foto - aggiunse. Marinette abbassò gli occhi.
- Sì - ammise, in un mormorio. Lal sospirò e schioccò le dita di fronte al suo viso, facendola sussultare.
- Autocontrollo, Marinette - decretò, autoritaria - Autocontrollo -.
Fantastico, proprio ciò che le mancava!
 
 
Marinette soffocò uno sbadiglio dietro la mano, mentre girava l'ennesima pagina: erano seduti a quel tavolo da un'ora e mezza e non avevano fatto nessun progresso con la loro ricerca.
Nino stava sfogliando un libro bello grosso, annoiato quanto lei - C'è parecchia mafia: russa, cinese, giapponese... la più famosa è quella italiana - commentò.
- Hanno diversi modi di agire ma sempre di mafia si tratta - rispose Alya con gli occhi incollati ad una pagina. Marinette si strofinò i suoi con i palmi delle mani: una cosa che aveva notato era che, in quella moltitudine di notizie, non ce n'era nessuna sulle Fiamme o gli Anelli.
Forse era un'informazione strettamente riservata alle Famiglie Mafiose e quindi non reperibili comunemente, un po' come la riservatezza che aveva Lal sul suo essere Arcobaleno.
Riaprì gli occhi e s'irrigidì: per un attimo, un solo istante, aveva avuto una specie di flash. Era durato un secondo ma le era parso di vedere di fronte a sè, lì dove era seduto Adrien, un ragazzo vestito con un completo gessato nero.
Scosse il capo e sbatté le palpebre: no, c'era solo Adrien di fronte a lei, chino a trascrivere su un foglio alcuni passaggi di un testo. Il ragazzo, sentendosi osservato, aveva alzato lo sguardo incontrando gli occhi sconcertati di Marinette che lo osservavano straniti.
- Tutto bene? - chiese. La ragazza sembrò risvegliarsi da una trance.
- Cos... oh, sì - rispose, sbattendo più volte le palpebre - Scusa, per un secondo ho visto tutto bianco - spiegò, chinando il capo sul libro. Bugia, ma non del tutto. Forse era solo la stanchezza, in quegli ultimi giorni aveva dormito poco.
- Sei sicura sia tutto a posto? - chiese Nino - Hai l'aria un tantino sciupata - commentò.
- Sì, sto solo dormendo poco ultimamente - confessò, voltando una pagina a caso senza neanche leggerla.
- Come mai? - chiese Alya. Marinette aprì la bocca per rispondere, senza sapere neanche lei cosa dire, quando accade di nuovo: alzando gli occhi, al posto di Alya seduta al tavolo della biblioteca, si ritrovò a fissare il profilo di un ragazzo in piedi in mezzo ad una stanza immersa nella penombra.
 
- Stai superando largamete le soglie del pericolo! - ammonì, seria. Era sicura di averle pronunciate lei quelle parole, ma non era con la sua voce che aveva parlato: era un tono maschile quello uscito dalle sue labbra.
- Lo so - rispose il ragazzo, serio, e poté scorgere una nota di determinazione nei suoi occhi. Il suo volto era illuminato dalle fiamme che guizzavano nel recipiente di pietra a cui era appoggiato, creando ombre danzanti sul suo viso che lei riusciva a scorgere benissimo... eppure, se doveva soffermarsi sui dettagli, questi le sfuggivano. Come un sogno che si cerca di ricordare mentre quello continua a scivolare via dalla tua mente.
- Rischi di sconvolgere l'equilibrio del mondo intero - continuò - Il Trinisette esiste per un motivo - aggiunse.
Il ragazzo chiuse gli occhi e mormorò un nome. Dal modo in cui attirò la sua attenzione era sicura che avesse pronunciato proprio il suo tuttavia non riuscì a coglierlo.
- Ti fidi di me? - chiese, senza staccare gli occhi dal fuoco.
E fu solo una risposta, sincera e coincisa.
- Più che di me stesso. -
 
 
 
- Marinette! Marinette! -
- Si è sentita male? -
- Fatela respirare! -
- No, falla svegliare, mi sta preoccupando da morire! -
- Da quando Marinette conosce questa lingua? -
- Ok, ragazzi, questo è inquietante! -
- Non sarà mica posseduta! -
- Oh, piantatela! -
Un brusio confuso di voci le arrivò alle orecchie, creandole fitte alla base del capo, come se qualcosa stesse premendo contro il suo cranio per uscire. Aprì lentamente gli occhi e si portò una mano alla fronte, facendo scendere il silenzio; alzò un po' la testa e si rese conto di essere stesa supina sul pavimento della biblioteca, con alcuni dei suoi compagni di classe in piedi intorno a lei. Adrien, Alya e Alix erano inginocchiati al suo fianco.
- Cosa... è successo? - mormorò, intontita.
Nessuno rispose: Alix la guardava sconcertata, Adrien sembrava nervoso, Alya era sconvolta. - Marinette tu hai... tu stavi parlando in italiano! - esclamò. La ragazza si guardò intorno, confusa e stordita: - Ma io... non conosco l'italiano - mormorò, cercando di alzarsi.
- Hai detto qualcosa come: pericolo... equilibrio e... com'era quella parola strana? Oh, sì: Trinisette - spiegò Nino.
- Trini... cosa? - domandò, mettendosi seduta e alzando lo sguardo su di lui. Quella parola non le era sconosciuta, come se fosse annidata da qualche parte nel suo cervello da tempo immemore, tuttavia non riusciva a ricordare dove l'avesse sentita men che meno quale significato avesse. - Cosa è successo? - ripeté. Aveva la testa che doleva e il ricordo vago del profilo di un ragazzo vestito di nero... per il resto il vuoto totale.
- Beh, stavamo parlando - cominciò Adrien, strofinandosi nervosamente le mani sui jeans - Poi sei svenuta e... hai cominciato a dire cose strane - informò.
- Strane quanto? - domandò lei, ora inquieta.
- Marinette non mi ritengo un'esperta ma sono sicura che stessi parlando in italiano... anche se non ho capito una parola di quello che hai detto - disse Alix, lievemente a disagio.
- Non è possibile, io non conosco l'italiano - protestò Marinette. Ora la guardavano tutti come se fosse una cosa strana e potenzialmente pericolosa.
- Che cosa stavi sognando? - azzardò Juleka. Marinette tentò di ricordare ma aveva solo in mente la figura senza volto di quello sconosciuto.
- Non lo so... - rispose, portandosi l'indice e il pollice a reggere il ponte del naso, chiudendo gli occhi - C'era un ragazzo... era vestito di nero... - mormorò, tentando di concentrarsi - Non ricordo altro - concluse, alzando gli occhi e trovandoli a fissarla visibilmente a disagio.
- Marinette... forse è il caso che vai in infermeria - intervenì Nino - Sarà colpa della stanchezza, è meglio se ti riposi - consigliò. Marinette non si sentiva per nulla stanca o in vena di dormire, ma aveva capito che l'amico stava solo cercando di tirarla fuori da quella strana situazione. Annuì e si alzò, sotto lo sguardo silenzioso di tutti, dirigendosi velocemente fuori dalla biblioteca: doveva assolutamente parlare con Dino.
 
 
 
Il ragazzo la fissava dall'altro lato dello schermo, pensieroso. Riusciva a scorgere ogni singola ruga sulla sua fronte corrugata, grazie alla luce del tramonto che filtrava dalla finestra alla sua destra e che gli illuminava il viso: doveva essere quasi sera, lì in Giappone.
- Un ragazzo vestito di nero? - chiese, le mani congiunte davanti al viso con le dita che sfioravano il naso poggiate sulle labbra. Marinette annuì. - Non ricordi com'era fatto: viso? Capelli? Occhi? -
- No - rispose lei - Ricordo solo che aveva un completo gessato con un mantello nero - informò. Dino socchiuse leggermente gli occhi: Marinette non lo aveva mai visto così serio e concentrato, neanche durante il loro primo colloquio.
- Non è possibile - mormorò, più a sé stesso che a lei, seguendo il filo dei propri pensieri.
- Dino mi hanno detto che ho parlato in italiano - informò - Io non conosco l'italiano! - aggiunse. Vide Tikki torcersi le piccole zampette, seduta sul cuscino del lettino, tesa quanto lei.
Il ragazzo trattenne un sospiro e lei non seppe cosa pensare: il suo viso lasciava trasparire dubbi, incertezze ed anche un po' di inquietudine.
- Che cos'hai detto di preciso? - chiese.
- Beh... - iniziò - Nino ha detto qualcosa come pericolo ed equilibrio - rispose, pronunciando quelle parole italiane di cui lei capiva a malapena il significato, che Dino si premurò di ripetere in francese: pericolo ed equilibrio. Fantastico! - Oh, e quell'altra parola strana: Trinisette - aggiunse. La reazione del ragazzo fu del tutto inaspettata.
Dino sgranò gli occhi e socchiuse la bocca, sorpreso e inorridito al tempo stesso.
- Trinisette? - chiese, agitato, pronunciandola sempre in italiano - Hai detto proprio Trinisette? -
Marinette non capì quella sua reazione esagerata ma comprese che doveva esserci qualcosa sotto - Così ha detto Nino - rispose - Perché? -
Dino abbassò lo sguardo, mormorando quella che sembrava un'imprecazione nella sua lingua madre.
- Dino, cosa... - provò a dire.
- Marinette, ascoltami bene, qualunque cosa accada non ripetere più questa parola mentre sei con estranei - la interruppe lui, agitato - E non farne parola con nessuno, nemmeno con Lal: con lei parlerò io. Intesi? -
- Ma perché? - domandò lei, che iniziava a preoccuparsi.
- Devo parlare con alcune persone - rispose lui - Fidati di me, ok? Ti farò sapere qualcosa appena possibile - decretò e, con un gesto, chiuse la chiamata lasciandola davanti al cellulare con la bocca aperta.
- Cos... Dino! - esclamò - Ma è un vizio dei mafiosi chiudere il telefono in faccia alle persone?! - sbottò, indignata, bloccando lo schermo.
- Sì, è probabile - rispose una voce facendola sobbalzare: Lal la guardò da uno spiraglio nella porta dell'infermeria, prima di entrare e chiudersela alle spalle - Come mai Dino ha chiamato? - chiese - È successo qualcosa? -
Marinette esitò, ricordando le sue parole, e scosse il capo: - Niente, facevamo solo due chiacchiere - rispose, mettendo giù il telefono, e scambiandosi uno sguardo veloce con il kwami. Lal la guardò intensamente: era evidente che sapeva stesse mentendo, tuttavia non insisté.
- Ho saputo che sei svenuta in biblioteca - disse, avvicinandosi allo sgabello e saltandoci sopra, così da trovarsi di fronte a lei - Come mai? - chiese.
Marinette ci pensò su, indecisa: Dino aveva detto di non parlare di quella storia del Trinisette... ma forse Lal poteva dirle chi era il ragazzo che aveva sognato. Così, stando attenta a tralasciare quel piccolo dettaglio di aver parlato una lingua a lei sconosciuta, raccontò della visione avuta.
Lal restò in silenzio per qualche minuto prima di parlare: - Hai detto che indossava un completo gessato ed un mantello nero? - chiese. La ragazza annuì. - Capisco - asserì lei. - Scommetto che aveva anche un paio di guanti neri... ho indovinato? - aggiunse. Marinette sgranò gli occhi, ricordando le mani del ragazzo poggiate sul recipiente di marmo, coperte da due guanti neri con un grande stemma azzurro sul polso.
- Tu come lo sai? Lo conosci? - domandò, trattenendo il respiro. Lal liberò il suo.
- Marinette, non so né come né perché... ma credo proprio che tu abbia visto Giotto, il Primo Boss della Famiglia Vongola - asserì Lal, serissima. Marinette sbarrò gli occhi e socchiuse la bocca.
- Io ho visto chi?! - esclamò, scioccata.
- Già - annuì Lal - Non è una cosa che sbandiererei ai quattro venti se fossi in te, anche perché Giotto ha tirato le cuoia da parecchio - aggiunse.
- Beh, immagino che vedere una persona che non hai mai incontrato in vita tua, e che per giunta è morta, non sia esattamente un buon segno - commentò Tikki, raggiungendo la propria protetta.
- Tu dici? - chiese Marinette, lievemente nervosa.
- Per il momento non pensiamoci - decretò la bambina - Fa come se non fosse accaduto nulla e... - esitò - Non preoccuparti più del dovuto. -
Marinette fece una smorfia, come se fosse possibile non preoccuparsene!, ma annuì e scese dal lettino, facendo cenno a Tikki di tornare nella borsa... poi uscirono dall'Infermeria. Non aveva nessuna voglia di tornare in classe, così si diresse agli armadietti per riprendere il proprio zainetto.
- Penso che tornerò a casa... - sospirò.
- Non vuoi finire le lezioni? - domandò Lal, in piedi nell'armadio per poterla guardare. Marinette scosse la testa.
- No, non importa... tanto, oramai, mi avranno già presa tutti quanti per pazza - commentò, seccata. Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento una voce abbastanza gracchiante si esibì in un sussulto di sorpresa: voltandosi, Marinette vide Chloé fissarla con occhi accesi di divertimento.
- È vero? - chiese, in un sussurro - Sei davvero svenuta in biblioteca? Ed hai davvero parlato in un'altra lingua nel sonno? - continuò. Marinette serrò la mascella e non rispose. Chloé non se ne curò, continuando il suo discorso - Cioè, sapevo che eri una svitata ma non fino a questo punto! - esclamò.
- Sparisci, Chloé - sibilò. Si trattenne dallo sbattere l'anta dell'armadietto con violenza solo perché c'era Lal all'interno, che ora la fissava accigliata: doveva aver colto la storia della lingua sconosciuta.
- Oh, non fare tanto la dura, lo sappiamo tutti che senza la tua amichetta Alya sai fare ben poco - sbottò la ragazza, incrociando le braccia al petto - Sei ridicola - sputò, acida.
- Se sono così ridicola non dovresti perdere tempo con me - ribatté Marinette. Per la seconda volta in vita sua provò la voglia irrefrenabile di picchiare qualcuno, accentuata da un sano e sinistro istinto omicida: c'era decisamente qualcosa che non andava in lei, ultimamente.
La ragazza strinse gli occhi e si esibì in un dignitoso - Tsk! - per poi voltare le spalle e andarsene. Marinette strinse le labbra.
- Un giorno di questi la metterò al suo posto - sibilò, con un tono che la sorprese: non era da lei provare tutte quelle emozioni negative, men che meno la voglia di uccidere qualcuno. Le stava succedendo qualcosa, qualcosa che non le piaceva. Fu Lal a risvegliarla dai suoi pensieri.
- Sarebbe questo il tuo ultimo desiderio? - domandò, a voce bassa e pacata, facendole scorrere un brivido gelido lungo la schiena - Se dovessi morire ora... sarebbe questo il tuo ultimo desiderio? -
Marinette restò in silenzio, non capendo a cosa alludesse con quella domanda decisamente sinistra e fuori luogo.
- Lal, ma cosa stai...! -
Si zittì nel momento stesso in cui voltò lo sguardo verso la bambina, incontrando la canna del suo fucile di precisione. Le si dilatarono le pupille e le parole rimasero incastrate in gola quando vide quegli occhi rossi dal tono opaco fissarla senza esitazione.
- Muori - decretò Lal, premendo il grilletto.
Fu solo un istante. Il proiettile la trafisse alla fronte, lo zainetto le scivolò di mano e il suo corpo venne spinto indietro dalla forza del colpo tracciando una scia di sangue nell'aria. Un solo pensiero attraversò la sua mente in subbuglio, ancora irata per il recente scontro verbale e con addosso quel desiderio di vendetta suo ma al contempo estraneo, e si stupì lei in primis per aver avuto un rimpianto del genere in punto di morte. Chiuse gli occhi e... portò un piede all'indietro, poggiando sul tallone tutto il peso del suo corpo per rimettersi dritta, aprendo di scatto gli occhi ora di una leggera sfumatura dorata. Non si accorse della fiamma arancione che guizzava sulla sua fronte. Non si accorse di essere mossa da una determinazione non sua. Non si accorse di non essere nel pieno delle sue facoltà arbitrarie. Le parole uscirono da sole.
- Distruggerò Chloé con la Volontà di Morire! - decretò infiammata, nel vero senso della parola. Poi partì di corsa verso la sua classe.
Lal l'aveva vista partire a razzo nella direzione opposta e, inclinato il capo di lato, aggrottò le sopracciglia.
- Era ancora vestita5 - constatò.
Marinette spalancò la porta dell'aula con una tale violenza da far sobbalzare tutti che si voltarono verso di lei. La ragazza li ignorò concentrandosi esclusivamente sulla figura snella in piedi al centro dell'aula che la osservava stranita; assottigliò lo sguardo, alzò la mano destra e puntò l'indice contro di lei. Poi parlò.
Parlò come non aveva mai parlato in vita sua, come se da quello dipendesse la sua stessa vita, disse molte cose di cui a malapena si ricordava e con una tale veemenza da zittire persino il più coraggioso dei suoi compagni.
In quel momento era assolutamente determinata ad esaudire il suo Ultimo Desiderio.
Parlò per cinque minuti prima di fare un respiro profondo, incurante della fiamma sul suo capo che guizzò un attimo prima di estinguersi, lasciandola stanca e sorpresa. C'era un silenzio tombale nella classe, tutti la fissavano a bocca aperta ed occhi sbarrati senza fiatare. Chloé era pallida come un lenzuolo. E lei era ancora lì, sulla soglia della classe, ritta con il braccio alzato e il dito a puntare la ragazza.
Iniziava a sentire il peso di quegli sguardi e la determinazione di cui era stata mossa svanire nel nulla lasciandole solo una dolorosa fitta alla testa.
Fu Juleka a rompere quel silenzio.
- Wow... - mormorò.
Alix sbatté le palpebre un paio di volte... poi scoppiò sonoramente a ridere.
- Marinette... sei appena diventata il mio mito! - esclamò, indicandola. La ragazza sentì il volto andare in fiamme: cosa aveva appena fatto? E perché lo aveva fatto?
Boccheggiò per qualche istante, incapace di replicare. Chloé deglutì e strinse i pugni poi, senza dire una parola, la superò di gran carriera correndo fuori dalla classe. La ragazza la guardò sparire con una sgradevole fitta allo stomaco ed un'ancor più sgradevole senso di soddisfazione invaderla: forse non avrebbe dovuto farlo. Forse non avrebbe mai dovuto accettare quella storia della Famiglia Mafiosa. Quei sentimenti contrastanti che sentiva la stavano uccidendo, quasi come se dentro di lei vivesse qualcun altro con una vita ed una mente propria che però riusciva a percepire anche lei.
E tutto da quando aveva ricevuto quell'anello. Abbassò lo sguardo sulle piccole conchiglie e le otto stelle incise sul piatto e chiuse gli occhi, sospirando.
- Mi dispiace - disse correndo fuori.
 
 
 
Marinette spalancò l'anta dell'armadietto e vi si affacciò: Lal era intenta a leggere un taccuino con la fronte aggrottata.
- Sono già passati i cinque minuti? - chiese, lievemente sorpresa.
- Che cosa mi hai fatto? - domandò lei, senza esitazione. La bambina alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi.
- Ti ho sparato con il Proiettile dell'Ultimo Desiderio - le rispose, impassibile.
- Con il cosa? - sbottò la ragazza. Tikki volò fuori dalla sua borsa, leggermente pallida.
- Marinette tu... tu eri morta - mormorò, sconvolta - Per un attimo... tu sei morta! -
La ragazza sbarrò gli occhi e si voltò verso Lal, che sospirò e saltò fuori dall'armadietto: con una capriola si parò alle sue spalle e le rifilò un calcio sulla nuca, che quasi le mozzò il fiato. Dalla sua fronte schizzò fuori qualcosa di lungo e scintillante, che Lal prese al volo prima di ritornare nel punto esatto in cui era prima.
- Il Proiettile dell'Ultimo Desiderio - ripeté, mostrando il proiettile rosso che aveva sparato poco prima alla ragazza, che in quel momento si reggeva la testa - È una tecnica segreta della Famiglia Vongola. Chi viene colpito da questo proiettile muore e poi rinasce tramite l'ultimo rimpianto avuto prima della morte: per cinque minuti entri in uno stato chiamato Volontà di Morire che ti farà realizzare a tutti i costi il tuo ultimo desiderio, ovvero la cosa che hai rimpianto - spiegò, seria e pacata - Il tuo rimpianto è stato quello di non aver tenuto testa a quella ragazza... e quindi, con la Volontà di Morire, sei andata a cantargliene quattro. L'unica cosa che mi chiedo è perché tu sia ancora vestita - ammise.
Marinette si guardò i vestiti, allucinata: - Cos... -
Lal scosse il capo - Non è importante - rispose, per poi scendere dall'armadietto.
- Lal! Io ho appena umiliato Chloé davanti a tutta la classe! - esclamò, arrabbiata. La bambina la guardò dal basso, alzando un sopracciglio - Da quello che ho capito lei lo fa con tutti - rispose - Ti ha sentita tutta la scuola - aggiunse, in risposta al suo sguardo interrogativo, facendola impallidire - Non vedo dove sia il problema se qualcuno lo fa con lei: si chiama lezione di umiltà, Marinette - la informò. La ragazza scosse il capo.
- Sì, ma io non sono come lei! - rispose. Lal sospirò.
- E allora? Vuoi che continui a fare i comodi suoi soltanto perchè trovi che rinfacciarle il suo comportamento sia meschino? - ribatté lei - Non conosci il detto uno per cento? Chissà, magari questo schiaffo morale le servirà ad abbassare un po' la testa ed impedire che faccia sentire qualcun altro allo stesso modo. Cresci, Marinette: non si può accontentare tutti. -
La ragazza si era zittita, sentendosi come se fosse stata lei ad essere schiaffeggiata.
Aveva ragione. Odiava ammetterlo, una piccola parte di sé diceva che era sbagliato, ma sapeva che aveva ragione. Abbassò gli occhi e non rispose.
Lal chiuse il taccuino, di cui lei riuscì a scorgere solo qualche confuso disegno di un corpo umano con dei simboli vicino, e lo ripose sotto il mantello.
- Torniamo a casa - decretò, poi alzò gli occhi e adocchiò l'anello con sguardo sottile; frugò nelle tasche dei pantaloncini e tirò fuori una catenina di ferro - Usa questo per l'anello. Vorrei che non lo indossassi per un po' - ordinò infine. Marinette la prese, esitante, e fece come le era stato chiesto: si sfilò l'anello dal dito e lo fece scivolare nella catenina, per poi legarla al collo e nasconderla sotto la canotta. Provò una strana sensazione come se si fosse tolta un enorme peso dalla mente ma ne avesse aggiunto un altro altrettanto grande sul petto.
Cercò di respirare normalmente e recuperò il proprio zaino, chiudendo l'armadietto, per poi dirigersi verso l'uscita con Lal e Tikki al seguito.
- E comunque gradirei non mi sparassi più - informò.
- Era la prima volta che usavo il Proiettile dell'Ultimo Desiderio - ammise Lal.
- Davvero? - chiese lei, prima di rimuginarci su - Lal... cosa sarebbe successo se non avessi avuto nessun rimpianto? -
La bambina ci mise un minuto a rispondere - Faccio anche l'assassina, sai? -
Marinette sbarrò gli occhi, voltandosi verso la piccola: sarebbe stato un addestramento molto, molto lungo.
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
5Il Proiettile dell'Ultimo Desiderio fa rinascere letteralmente colui a cui viene sparato. Nella serie originale il malcapitato (di solito Tsuna) usciva, con un nuovo corpo, dal suo vecchio corpo defunto indossando solamente i boxer. Qui Marinette è ancora vestita poiché, avendo l'Anello al dito, è inconsciamente entrata in Hyper Mode.

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Capitolo 5
*** Addestramento - Lezione di responsabilità ***


REVISIONATO IL 07/06/2019



Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 05. Addestramento - Lezione di Responsabilità
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 6.979
 
 
 
 
Marinette buttò giù un lungo sorso d'acqua, prima di sospirare e sedersi sulle scale del Trocadera: aveva una bella vista della città semidormiente, con l'alba che sbucava all'orizzonte diradando la nebbia mattutina.
Lal era seduta accanto a lei, intenta a leggere un libro in quello che sembrava tedesco: non aveva mai dubitato che lei conoscesse diverse lingue e si chiese come potesse una bambina così piccola sapere tante cose. Aveva rimuginato molto sulle poche informazioni che Lal le aveva fornito: esisteva un Arcobaleno per ogni attributo e questo risultava anche logico. Lei era un Militare prima di divenirlo, quindi prima era una persona normale? Aveva anche detto che qualcun altro aveva inconscientemente preso il suo posto all'ultimo secondo... ma allora perché anche lei era una bambina?
Si schiarì la gola, riarsa dal vento, e chiuse la bottiglietta: - Lal - cominciò.
- Sí? -
- Tu... insomma, com'eri prima di diventare un Arcobaleno? - azzardò. La bambina ci mise un po' a rispondere.
- Come qualunque altra persona, immagino - rispose, pacata - Ma non chiedermi quanti anni ho, perché non ti risponderò - tagliò corto. Marinette restò in silenzio per un po'.
- Immagino non sia stato facile - mormorò. Lal sbatté le palpebre, fissando un punto sulla pagina senza vederlo.
- No - ammise - Ma ci sono abituata. Dopotutto, sono passati più di vent'anni6 - informò. Marinette sussultò: vent'anni. Lal era una bambina da più di vent'anni!
Restarono in silenzio per qualche altro minuto, godendosi il sole che sorgeva rischiarando i pensieri di entrambe. Infine, Lal chiuse il libro, riponendolo sotto il mantello.
- Torniamo indietro, farai tardi a scuola - decretò. Marinette annuì e, dopo aver messo la bottiglia d'acqua nelle ampie tasche della felpa, si alzò prendendo Lal in braccio; la bambina si arrampicò sulla sua spalla e fecero il percorso inverso fino a casa.
Se doveva dirla tutta, Marinette non aveva nessuna voglia di andarci; erano passati meno di tre giorni da quando Lal le aveva sparato e Chloé non si faceva vedere da allora. Sabrina si rifiutava di dire dove fosse o cosa avesse e Marinette si stava rodendo dai sensi di colpa, per quanto tutti continuassero a ripeterle che aveva fatto la cosa giusta a spiattellarle in faccia il suo comportamento meschino.
Si fece la doccia e si vestì, stando poco attenta a quello che indossava tanto che Lal dovette impedirle di infilarsi il jeans al posto della felpa. Dopo aver recuperato tutte le sue cose scese a far colazione e uscì di casa ma non badò minimamente a dove andava: Alya dovette prenderla di peso per impedirle di superare la scuola e dirigersi chissà dove.
- Sul serio, Marinette, te la stai prendendo più del dovuto - la rimproverò. La ragazza sospirò.
- È più forte di me, Alya... le ho detto un sacco di cose orrende! -
- E vere - aggiunse la ragazza.
- Le ho sbattuto in faccia che è colpa sua se i nostri compagni vengono akumizzati! - esclamò, disperata.
- Perché è così! - rispose la ragazza - Vorresti dire che non è vero che Kim, Nathanael, Rose, Sabrina, Alix, Juleka, io... siamo stati tutti akumizzati per colpa sua? - domandò retorica al suo sguardo indeciso, incrociando le braccia.
- Una volta è stata akumizzata anche lei - ricordò Marinette.
- Sempre per colpa sua - puntualizzò Alya. Marinette fece una smorfia di disappunto, poiché sapeva che la colpa non era assoluramente di Chloé, e la ragazza sospirò prima di irrigidirsi guardando un punto sulla strada. - Guarda chi è tornata - disse, a mezza voce. Marinette si voltò e vide Chloé scendere dalla costossissima macchina di suo padre. Non aveva il solito sguardo altezzoso e canzonatorio che la contraddistingueva: era seria, forse anvhe troppo. Sabrina le veniva dietro ma aveva uno sguardo preoccupato.
La ragazza si fermò un secondo davanti le scale, incrociò lo sguardo di Marinette, e se ne andò senza dire una parola. La corvina, dal canto suo, si torceva le dita.
- Forse dovrei chiederle scusa - disse, mordendosi il labbro inferiore.
- Assolutamente no! - entrambe le ragazze sobbalzarono a quell'esclamazione, detta con fin troppa enfasi dal ragazzo dietro di loro. Nino la osservava ad occhi sgranati, con Adrien accanto che lo fissava sorpreso. - Se lo farai crederà di essere nel giusto e tornerà quella di prima! Deve capire di aver sbagliato! - disse, scandalizzato.
Alya alzò un sopracciglio - Come fai a sapere che non è ancora quella di prima? - domandò.
- Oh, andiamo, se non si è data una calmata dopo tutto quello che le ha detto Marinette non vedo come altro potrebbe farlo - rispose lui, ricevendo una gomitata ammonitoria dall'amico: Marinette aveva emesso un basso gemito di sconforto e si era coperta il viso con le mani.
- Sono una brutta persona - disse, abbandonando la fronte sulla spalla di Alya che le batté qualche colpo di conforto sulla schiena.
- Andiamo, Marinette, non puoi incolparti per tutto: devi capire che... - cominciò, ma la ragazza la interruppe.
- ...non posso aiutarli tutti - finì, anticipandola - Lo so, Lal me lo ripete in continuazione - sospirò, raddrizzandosi. Alya aggrottò le sopracciglia.
- Chi è Lal? - chiese. Marinette si bloccò per un istante, maledicendosi poco delicatamente in italiano (parlando con Dino aveva imparato più imprecazioni nella sua lingua madre che informazioni sulla Famiglia), prima di fissarli tutti e tre incerta.
- Lal... non era quella tizia che il tuo amico dall'Italia aveva detto sarebbe arrivata quí a Parigi, in quel messaggio? - chiese Nino. Marinette desiderò con tutto il cuore stenderlo con un pugno: perché Nino doveva ricordare sempre ciò che non doveva ricordare?
- Ehm... - iniziò. In quell'istante, quasi per miracolo, suonò la campanella. - Oh, la campanella! Sarà meglio sbrigarsi o faremo tardi! - esclamò, prima di correre dentro sotto lo sguardo sorpreso e sconcertato dei compagni.
Non si poteva più andare avanti in quel modo.
 
 
- Devi stare attenta a quello che dici. -
- KYAAAA! -
Con un urlo stridulo e molto poco femminile Marinette cadde dalla panca rovesciando la borsa sul banco: Lal la fissava dal fondo della borsa, con gli occhi rossi che quasi sembravano brillare di luce propria nella penombra del tessuto, rendendola più inquietante di quello che già era.
Tutta la classe si voltò verso di lei, seduta sulle scale che dividevano i banchi a fissare la popria borsa ad occhi sgranati.
- Marinette, che cosa... - cominciò Alya guardando da lei alla borsa proprio mentre Lal, sempre nascosta, tirava fuori una scatola nera dal mantello; l'apri e ne gettò fuori il contenuto: un grosso scarafaggio di gomma rotolò sul banco, facendoli sussultare tutti. Alya, dapprima sorpresa, s'incupì.
- Ok, chi è stato? - chiese, credendo fosse solo uno dei soliti scherzi stupidi dei suoi compagni di classe. Tutti i ragazzi su cui posò lo sguardo fecero cenno di no con la testa, persino Chloé se ne uscì con un etereo - È inutile che mi guardi, non sono stata io. -
Marinette ci mise qualche secondo a riprendersi dallo spavento e cercò di ricomporsi. Si alzò di scatto e recuperò lo scarafaggio con due dita.
- N-non fa niente - balbettò, chiudendo la borsa e prendendola - Non è successo nulla, vado a buttarlo - tagliò corto, uscendo fuori dall'aula sotto gli occhi di tutti.
Si rifugiò nello spogliatoio e posò la borsa sulla panca. - Cosa ti è saltato in mente? - chiese vedendo la bambina saltare fuori - Mi hai fatto prendere un colpo! -
- Devi imparare un po' di autocrontrollo, Marinette - rispose lei - Oh, e comunque... lo scarafaggio è vero - aggiunse. La ragazza abbassò lo sguardo sulla sua mano e constatò con orrore che le viscide zampe del suddetto si muovevano freneticamente tra le sue dita. Con un gemito lo gettò fuori dalla finestra, correndo subito nel bagno per lavarsi.
- Lal! - esclamò, accusatoria.
- Sei tu che ti sei messa ad urlare - ricordò lei.
- Perché tu sei apparsa dal nulla nella mia borsa - la rimbeccò lei, uscendo dalla stanza e gettando la carta con cui si era asciugata le mani nel cestino.
- Te l'ho detto che ti avrei seguita ovunque. -
- Ma ero abituata a trovarti negli armadietti o in infermeria... non nella borsa - ribatté Marinette, sedendosi sulla panca accanto a lei - E poi quando ci sei entrata? -
- Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta, Marinette - fu tutto ciò che disse Lal - Ad ogni modo, devi stare attenta a quello che dici o che fai - ripeté. Lei strinse le labbra.
- Detto da te - commentò - Per colpa tua tutta la classe mi ha vista in modalità Volontà di Morire - ricordò.
- Non se ne saranno accorti neanche - scrollò le spalle lei, prima di tirare fuori un taccuino dalla copertina nera - Comunque, oggi inzieremo seriamente il nostro addestramento - informò, seria.
Marinette inarcò le sopracciglia - Adesso? - chiese, perplessa.
- L'addestramento si divide in tre parti: teorica, pratica e morale - spiegò Lal - La corsa mattutina è solo una piccola parte della pratica. La teorica la studi ogni volta che apprendi una nuova informazione sulla Famiglia o la Mafia in generale. La morale, invece, è una cosa che devi fare da te: oggi ci concencetreremo sulla responsabilità - illustrò.
- E in cosa consiste? -
- Questo devi capirlo da sola, fa parte dell'addestramento. -
- Così non aiuti - constatò la ragazza.
- Non devo aiutarti, infatti, ma addestrarti - ribatté lei, scrivendo qualcosa sul taccuino - Ora torna in classe - asserì scendendo dalla panca. Marinette recuperò la borsa ed uscì dallo spogliatoio, tornando in classe.
Scivolò silenziosamente accanto ad Alya e si sforzò di seguire la lezione.
 
 
Nino aveva ragione, sorprendentemente Chloé era stata tranquilla per tutta la giornata senza fare commenti acidi su nessuno. Nino e Alya continuavano a gettare occhiate palesi a Marinette, che però non si sentiva per niente tranquilla.
- Andiamo, Marinette, si sta comportando come qualunque altra persona normale - le fece notare Alya - Il che è tutto dire. -
- Deve essere stato quel tuo suggerimento di crescere un po' a farglielo capire - annuì Nino, ricevendo un'altra gomitata da parte di Adrien - Aho! Che ho detto? - chiese. Il biondo si portò una mano al viso, sospirando, mentre Marinette abbandonava la fronte sul banco: questo, stranamente, non la faceva sentire meglio.
- Potete smettere di ricordarmelo? - gemette - Non ero in me in quel momento. -
- Credimi, è stato assurdo e spettacolare allo stesso tempo - disse Nino - Ti giuro, sembrava che andassi a fuoco! -
"Oh, perfetto!"
- Che bello - mormorò, depressa, con Alya che le batteva saggiamente sulla schiena. Che cosa le toccava sopportare...
- E se andassimo tutti al parco? - propose Adrien, per spezzare l'atmosfera.
Marinette, per quanto la prospettiva di un'uscita con Adrien la potesse emozionare, non sentì alcuna energia fisica invaderla.
- Scusate, io passo - mormorò, facendo leva sulle braccia per alzarsi - Torno a casa. Ci vediamo domani - salutò, prendendo la borsa e scendendo le scale.
- Ma Marinette... - la chiamò Alya. La ragazza si limitò ad un cenno della mano sparendo oltre la porta.
Arrivò agli armadietti ed aprì il proprio, sicura di trovarci Lal intenta a prendere un caffé o a leggere... ma rimase sorpresa quando lo trovò vuoto. Aprì la borsa e ci sbirciò dentro: niente, Lal non era nemmeno lì.
Perplessa, si guardò intorno.
- Lal? - chiamò ma in risposta ricevette solo silenzio; chiuse l'armadietto e si diresse agli spogliatoi: anche lì non c'era nessuno - Lal, dove sei? Dobbiamo tornare a casa - informò. Ancora niente ed iniziava a preoccuparsi.
Cercò in ogni angolo della scuola dove credeva potesse trovarsi, finché non si affacciò nel bagno: - Lal? Sei qui? - sussurrò. In risposta ricevette un singulto.
La sua attenzione venne attirata da uno degli abitacoli da dove provenivano dei singhiozzi indistinti. Non era Lal, la sua voce era più matura nonostante fosse una bambina; no, quella era una voce che lei conosceva bene. Silenziosamente chiuse la porta e si avvicinò, bussando leggermente all'abitacolo.
- Tutto bene? - chiese, esitante. Sentì un sospiro trattenuto ma nessuna risposta. - Chloé, sei tu? - chiese - Va tutto bene? - ripeté.
Con uno scatto il chiavistello venne voltato e la porta si spalancò, mostrando la faccia rabbuiata della sua compagna di classe: aveva gli occhi rossi e la matita sbavata sulle punte, segno che stava facendo di tutto per non rovinarsi il trucco con le lacrime.
- Se va tutto bene? - sibilò - Hai una bella faccia tosta a chiedermelo dopo avermi umiliata davanti a tutti! - esclamò. Marinette si fece piccola piccola.
- M-mi dispiace, Chloé... non volevo, davvero, è che non ero in me in quel momento... - balbettò.
- Scommetto che invece sarai contenta: l'antipatica, gracchiante, acida Chloé Bourgois non potrà più far akumizzare nessuno! - ringhiò, sputando veleno ad ogni parola. Un attimo dopo sgranò gli occhi e Marinette poté vederli riempirsi di lacrime... poi scappò fuori, lasciandola lì con un senso di amarezza addosso.
- È debole - disse una voce alle sue spalle, facendola sussultare: Lal era seduta sul lavandino a gambe incrociata, che la fissava con quel suo sguardo penetrante - Per questo se la prende con gli altri: è un meccanismo di difesa. Le tue parole glielo hanno solo ricordato. -
Marinette abbassò lo sguardo - Se non mi avessi sparato non sarebbe successo - ricordò - Vuoi insegnarmi la responsabilità ma questo è anche colpa tua. -
La bambina non si scompose - Oh, ma io sto già rimediando - informò - Il resto devi farlo tu: il rimpianto era tuo.
Oppure potrei spararti e lasciare che la Volontà di Morire faccia il resto - propose - Sappiamo entrambe quale sarebbe il tuo rimpianto. -
Sì, Marinette lo sapeva benissimo, ma scosse il capo.
- No, voglio sbrigarmela da sola - disse. Lal annuì, alzandosi.
- Torniamo a casa. -
 
 
 
- Ci ritroviamo di nuovo. -
- Non voglio che accada un'altra volta. -
- Oh, ma stavolta andrà meglio. -
La ragazza deglutì.
- Potrai vendicarti di chi ti ha umiliato... in cambio, ovviamente, dei Miraculous. -
- A me piacciono Ladybug e Chat Noir... -
- Ma a loro non farò del male! Prenderò solo i loro gioielli, nient'altro. È una promessa. -
Silenzio. Esitazione. Amarezza. Resa.
- Sì, Papillon. -
 
 
 
 
 
Marinette fissava lo schermo del computer che le restituiva l'immagine dell'unica persona con cui, da un po' di tempo a quella parte, sentiva di poter parlare liberamente. Neanche con Alya, che era la sua migliore amica e vedeva tutti i giorni, si era sentita così a proprio agio come con quel ragazzo che aveva incontrato di persona sì e no una sola volta. E per quanto fosse strano non poteva fare a meno di apprezzarlo.
- Scusa se ti chiamo per queste sciocchezze - mormorò, con un sospiro. Dino sorrise.
- Tranquilla: siamo una famiglia e la famiglia serve anche a questo - ricordò, dolcemente.
- Non so cosa fare, mi sento così in colpa - ammise, abbandonando il mento sulle braccia.
- Beh, non si può dire che io sia un esperto: prima di incontrare Reborn ero il ragazzino con l'autostima più bassa del pianeta... però credo che quella ragazza abbia semplicemente bisogno di sentirsi amata - commentò.
- Chloé è una bella ragazza... se non avesse quel caratteraccio sarebbe amata eccome - rispose Marinette. Dino sorrise.
- Intendo amata davvero - specificò - È trovo che Lal abbia ragione: è solo un meccanismo di difesa, il suo, e le tue parole le hanno fatto male... ma non te ne faccio una colpa - si affrettò ad aggiungere vedendo il suo sguardo amareggiato - Dopotutto eri sotto l'effetto della Volontà di Morire: Tsuna ha chiesto a Kyoko Sasagawa di uscire piombando addosso al ragazzo che frequentava, soltanto in mutande e nel bel mezzo di una strada affollata con quello - informò allegramente. La ragazza sgranò gli occhi.
- Giusto per dirmi che c'è di peggio? - chiese, leggermente preoccupata: per fortuna che il suo ultimo desiderio non era stato chiedere ad Adrien di uscire.
Dino rise: - Anche - ammise - Devi semplicemente parlarle e vedrete che risolverete tutto - rassicurò - Oh, Tsuna! - esclamò poi, alzando lo sguardo. Seguì una conversazione in giapponese nel quale Marinette sentì saltar fuori il proprio nome; evidentemente Dino stava parlando di lei. Si sentì un tantino nervosa mentre aggiustava le ciocche di capelli scappate dall'acconciatura: dall'altra parte di quello schermo c'era pur sempre il Boss della Famiglia nel quale era stata reclutata.
Si era chiesta che tipo fosse, immaginandolo come il classico Boss mafioso che si vedeva in televisione (anche se la storia della dichiarazione in mutande la lasciava perplessa) e la prospettiva di incontrarlo non era delle migliori.
Si avvertirono dei rumori molesti e la voce di un bambino che gridava qualcosa in giapponese... poi una faccia si parò davanti lo schermo, facendole sbattere gli occhi: un bambino della stessa stazza di Lal dai vaporosi capelli blu e grandi occhi verdi la guardava curioso. Era vestito con una tutina pezzata bianca e nera e un paio di corna da toro ai lati del capo.
La ragazza restò perplessa.
- Lambo! - esclamò una voce maschile dall'altro lato, il computer si ribaltò e un lampo di capelli castani vi passò di fronte per un attimo. Ci fu un vortice confuso di eventi nel quale vide una stanza (una cucina, forse, difficile dirlo in quel caos) girare vorticosamente con delle grida a fare da sottofondo. Un busto infilato in una felpa verde a maniche lunghe rientrò nel suo campo visivo, riuscì giusto a scorgere un 27 stampato in grande su di essa prima che delle mani afferrassero il bambino, dicendo quello che sembrava un ammonimento in giapponese.
Poi tutto tornò dritto e un paio di sottili occhi verdi si pararono davanti a lei, scrutandola attentamente: era un ragazzo, sui quindici anni o poco più, con lunghi capelli d'argento che gli sfioravano le spalle e ricadevano in due frange ai lati del viso. Era molto carino, sembrava occidentale sebbene avesse alcuni tratti orientali, ma aveva un che di inquietante e la fissava quasi minacciosamente.
- Gokudera! - si sentì la voce di Dino da qualche parte oltre lo schermo - Non spaventare Marinette! - ammonì.
- Non sto spaventando nessuno! - ribatté il ragazzo, in perfetto francese, con un tono aggressivo che lasciava intendere il contrario.
- Hayato! - chiamò la voce di una donna. Il ragazzo si voltò e impallidì, poi divenne blu e svenne. Il computer venne spostato e il viso di Bianchi apparve sullo schermo, mentre si calcava un paio di occhiali da aviatore arancioni sul viso7. Le sorrise.
- Perdona mio fratello, non gli va giù questa storia del Braccio Sinistro - spiegò, dolcemente.
- Fratello? - domandò Marinette, incerta. In effetti, se osservava meglio, i due ragazzi avevano gli stessi occhi verdi sebbene il taglio fosse diverso. Per il resto non si somigliavano molto: Bianchi era palesemente europea, Hayato mostrava anche dei tratti tipicamente asiatici. - Oh, ehm, non preoccuparti - rispose, cercando di sorridere, non capendo bene cosa fosse successo.
- Ah, Yamamoto! - Bianchi si voltò e disse qualcosa a qualcuno, subito dopo il profilo alto e slanciato di un ragazzo dai ribelli capelli neri e i grandi occhi ambrati passò davanti lo schermo, si piegò e sparì trascinando tranquillamente il corpo inerte di Hayato. Poi la ragazza tornò a spostare lo sguardo su di lei. - Su per giù stai conoscendo tutta la Famiglia - disse, sistemando lo schermo e sedendosi ad un tavolo, lasciando intravedere una finestra con sotto un lavandino e dei fornelli alle sue spalle: Marinette aveva visto giusto, erano in una cucina. - Come ti sembrano? - domandò.
- Ehm... - lei cercò il termine più gentile per rispondere - Originali - rispose, infine. Bianchi sorrise.
- Siamo un po' bizzarri - ammise. Marinette ricambiò timidamente il sorriso, un po' in imbarazzo. - Ma sono tutte delle brave persone - rassicurò, dolcemente.
Il rumore di qualcosa dall'aria delicata che si rompeva e lo strillo concitato di un bambino, seguito da delle voci maschili nel panico attirò la loro attenzione. Bianchi alzò lo sguardo oltre lo schermo e poi lo riposò su Marinette.
- Beh, quando sono tranquilli - aggiunse, annuendo. Subito dopo Dino si accasciò su una sedia di fianco a lei con un sospiro stanco.
- Quel bambino ci farà ammattire - commentò, passandosi una mano tra i capelli color ocra, incurante di scombinarli - Perdona la confusione, in casa Sawada sono rari i momenti di tranquillità - spiegò, con un sorriso dolce e divertito allo stesso tempo.
Marinette sorrise, osservando quello strano ragazzo che incosciamente associò ad un fratello maggiore: come poteva essere un Boss della malavita? Sembrava la persona più dolce e gentile del pianeta.
Poi si ricordò che anche lei, bene o male, faceva parte di quella Famiglia... e non aveva per nulla l'aspetto della mafiosa.
Con un sussulto sentì il rumore di uno sparo, poi una voce infiammata urlare - Reborn8! - seguita da altra confusione... infine cadde il silenzio.
- Reborn! Non sparare a Tsuna mentre è in casa! - esclamò la voce di una ragazza in francese.
- Se Nana-san vede il cadavere s'impressiona - aggiunse un'altra. Marinette sgranò gli occhi: cadavere? Avevano appena ucciso il Boss?!
- Recuperate i vestiti, quando Tsuna torna dubito vorrà restare in mutande tutta la sera - borbottò una voce che lei era sicura di conoscere: probabilmente era quella ragazza che aveva conosciuto la prima sera che Lal era arrivata: Rika.
- Ah, beh, nessuno se ne lamenta - commentò un'altra.
- Mito9! - la riprese Rika.
- Che ho detto?! - ribatté lei.
La discussione si allontanò, seguita dal rumore di qualcosa che veniva trascinato10, poi altro silenzio.
- Cosa...? - provò a chiedere Marinette.
Dino si voltò verso di lei con le sopracciglia alzate - Oh, tranquilla, Reborn ha usato il Proiettile dell'Ultimo Desiderio... quindi Tsuna non è morto davvero - spiegò.
- Ma avevano parlato del cadavere... - ribatté lei, perplessa. Dino assunse un'espressione confusa.
- Certo. Quando vieni colpito dal Proiettile rinasci completamente, quindi cambi anche corpo: è come se facessi la muta, in un certo senso. Anche se qui c'è il suo cadavere, Tsuna è in giro per la città sotto l'effetto della Volontà di Morire - spiegò Dino.
Marinette sgranò gli occhi: era successa la stessa cosa anche a lei? No, non era possibile, se ne sarebbe accorta o avrebbe visto il proprio corpo nel corridoio della scuola.
Boccheggiò qualcosa ma alla fine decise di non replicare. D'un tratto la botola alle sue spalle si aprì e Lal fece capolino oltre lo spiraglio: era anche più seria del solito.
- Marinette, vieni un attimo di sotto - chiamò. Lei la guardò per un istante, poi si voltò verso i due ragazzi che fissavano la bambina curiosi e preoccupati.
- Ci sentiamo un'altra volta - disse. I due annuirono e la ragazza chiuse la chiamata prima di correre di sotto. Il televisore era acceso sul telegiornale che annunciava la comparsa in città di un nuovo Akuma che stava trasformando le persone in insetti o altri animali di piccola taglia: che razza di Akuma era? Qualcuno con la paura per gli insetti?
- Devi intervenire come eroina, no? - chiese Lal, in piedi sulla spalliera del divano, risvegliandola. La ragazza annuì.
- Tikki! - chiamò. Il kwami rosso uscì dalla credenza, togliendosi un paio di briciole di biscotti dalla bocca, e volò fino alla borsetta a tracolla di Marinette. Poi uscirono di casa, con Lal al seguito.
Non dovettero fare molta strada: appena svoltato l'angolo Marinette dovette fermarsi per impedirsi di andare a sbattere contro la montagna di macchine ammucchiate sulla strada.
- Vai da qualche parte, Marinette? - la canzonò una voce che la fece sobbalzare: seduta sulla pila di macchine, infilata in un'attillata tuta azzurra con tanto di lustrini e strass, scarpe col tacco e mascherina vi era nientemeno che...
- Chloé? - mormorò Marinette, sgranando gli occhi. Lal, in piedi sulla sua spalla, non disse una parola: si calcò gli occhiali sul viso e imbracciò il fucile, puntandolo contro di lei. - No, ferma! - esclamò la ragazza, abbassandoglielo con la mano - Non è in sè in questo momento, è sotto il controllo di Papillon! - esclamò. La bambina la guardò per un istante prima di voltarsi di scatto.
- Attenzione! - esclamò. Marinette si girò giusto in tempo per vedere un piccolo ventaglio sparato nella sua direzione; si gettò di lato, rotolando, facendo aggrappare Lal alla propria giacchetta per non essere sbalzata via: il ventaglio toccò terra, dove un attimo prima vi erano le due ragazze, ed esplose.
- Ti farò diventare ciò che meriti: un innocuo, debole, insetto da schiacciare - sibilò Chloé.
- Devo trovare un posto sicuro in cui trasformarmi - esclamò Marinette, guardando Lal.
- Allora inizia a correre - rispose lei. La ragazza prese in braccio la bambina e si alzò di scatto, sbucando sulla strada principale e dirigendosi verso neanche lei sapeva dove.
- Non mi scapperai, Marinette! - le urlò dietro Chloé, scoppiando a ridere.
- Deve lavorare un po' sulla risata: troppo poco malvagia - commentò Lal, pacata.
- Al momento è l'ultimo dei nostri problemi - rispose Marinette, infilandosi nella metropolitana e guardandosi intorno: forse lì andava bene...
- Problemi, principessa? - le domandò una voce, facendola sobbalzare. Si voltò di scatto e Lal puntò il fucile contro il povero malcapitato che si era parato alle loro spalle.
- Chat Noir! - esclamò Marinette, sollevata. Il ragazzo aveva alzato la mani in segno di resa, fissando ad occhi sgranati la canna del fucile che gli veniva puntata contro.
- Ehi, questi non sono giocattoli per una bambina! - esclamò. Lal non si scompose.
- Sono molto più vecchia di quanto tu possa credere - ribatté. Chat sbatté le palpebre e passò lo sguardo da lei e Marinette, che annuì.
- Ahm... okay? - rispose, lanciando uno sguardo interrogativo alla ragazza.
- Ti prego, non fare domande. Credimi non vorresti sapere la risposta - rispose lei. Chat scosse il capo - Ok, come vuoi - annuì - Cosa succede? - aggiunse, tornando al discorso principale.
- L'Akumizzata è Chloé - informò lei.
- Di nuovo? - chiese lui, sorpreso - L'avevamo già affrontata come Antibug... io e Ladybug - aggiunse, specificando.
- Già, a quanto pare è colpa mia - rispose, imbarazzata - Ecco, qualche giorno fa non sono stata gentile con lei... - ammise. Chat inarcò un sopracciglio.
- Chloé non è gentile con nessuno! - ribatté.
- Sì, ma lei è stata proprio cattiva - commentò Lal, sistemandosi il fucile in spalla e sedendosi a gambe incrociate sulle sue braccia.
- Tu stai zitta, che è anche colpa tua - la rimbeccò Marinette, ricevendo l'ennesimo sguardo interrogativo da Chat.
- Non chiederlo - lo anticipò lei.
- Quindi... devo proteggerti, principessa? - chiese, ammiccando - Scusate, proteggervi - si correse, facendo un mezzo inchino a Lal che si tolse gli occhiali posandoli sul capo, trafiggendolo con i propri occhi; Marinette giurò di vedere un brivido percorrere il corpo del ragazzo.
- Io non ho bisogno di essere protetta - rispose, gelida. Un esplosione li fece sobbalzare tutti e due, seguita da una voce che canticchiava il suo nome.
- È qui! - esclamò Marinette, impallidendo. Chat assottigliò gli occhi.
- Andiamo, devi trovare un posto sicuro in cui nasconderti! - disse, prendendola per il braccio e trascinandola verso l'uscita. Marinette si lasciò guidare: con un po' di fortuna sarebbe riuscita a separarsi da lui per trasformarsi. Salirono le scale e uscirono all'aperto, tuffandosi nel caos della città.
- Tranquilla, Ladybug arriverà presto - la rassicurò lui, dirigendosi verso un vicolo.
- Lo spero - mormorò lei, guardando alle proprie spalle. Il ragazzo la prese in braccio all'improvviso, facendola sussultare, e superò con un paio di salti una rete divisoria tuffandosi in una serie intricata di vicoli.
- Benvenute nel regno di noi randagi, signore - canzonò, piombando in mezzo ad un paio di bidoni dell'immondizia.
- Sono stata in luoghi peggiori - rispose Lal, seccata - E se non la metti giù entro tre secondi berrai latte da una cannuccia per i prossimi sei mesi - aggiunse, con pacata minaccia. Chat si affrettò a posare Marinette per terra, imbarazzata e rassegnata allo stesso tempo. Il ragazzo stava sudando freddo: non sapeva per quale motivo, ma quella bambina gli faceva paura; forse era per l'istinto omicida e la diffidenza che sentiva provenire da quel piccolo corpicino, inquetantemente diretta a lui.
- E, giusto per puntualizzare, io non so chi sei - aggiunse.
- Ehm... io sono Chat Noir, l'eroe di Parigi - rispose, mettendosi in posa per mostrare i muscoli delle braccia.
- Un gatto in calzamaglia? È il meglio che siete riusciti a trovare? - chiese Lal, inarcando un sopracciglio, dopo un attimo di silenzio - Sul serio? - aggiunse rivolta a Marinette, che sospirò in segno di resa.
- E io che rischio anche la vita per salvarvi... bel ringraziamento - borbottò lui, facendo rotolare un sassolino con il piede, depresso.
- Oh, ma noi contiamo molto su di te, Chat - esclamò Marinette - Senza di te probabilmente ora saremo qualche piccolo e sgradevole insetto - ricordò, battendogli dei colpi affettuosi sul capo.
- Sì, certo... ti perdono solo perché sei tu - rispose lui, ritornando serio - Beh, voi restate qui: io vado a fermare Chloé - rispose, battendosi le mani guantate - Non sentite troppo la mia mancanza - aggiunse, facendo scattare le sopracciglia su e giù. Lal sbatté lentamente le palpebre, fissandolo impassibile.
- Posso ucciderlo, adesso? - chiese, rimettendo mano alla sua fidata arma.
- No, Lal, ti prego! - rispose Marinette, fermandola. Vide Chat inarcare un sopracciglio.
- Lal? - chiese. Tutte e due lo guardarono.
- Ehm... è il suo nome - rispose Marinette, ora un tantino nervosa, ma Chat l'anticipò.
- Non faccio domande. Non voglio sapere la risposta - annuì lui. Gettò un'ultima occhiata sospettosa alla bambina, poi saltò via reggendosi con il suo bastone.
- Un gatto in calzamaglia che usa un bastone: che cosa ambigua - commentò lei. Marinette sospirò.
- L'ho accusata di essere la causa di quasi tutte le akumizzazioni... e poi la faccio akumizzare io stessa - disse, portandosi una mano al volto - Sono proprio una brutta persona - sospirò.
Lal alzò lo sguardo su di lei: - Invece di deprimerti pensa ad agire - la riprese.
- E cosa dovrei fare? - chiese. Appena si tolse la mano dal viso, però, Lal alzò la sua e le tirò uno schiaffo fin troppo forte per la sua stazza. Marinette la guardò ad occhi sgranati con la guancia che bruciava.
- Prenditi le tue responsabilità! - esclamò, fissandola seria.
La ragazza, ancora con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, si riprese scuotendo il capo: - Hai ragione, c'è bisogno di Ladybug! - annuì. Posò la bambina sul coperchio di un bidone ed aprì la borsetta, facendo uscire il suo kwami.
- Tikki, trasformami! - recitò. La piccola venne risucchiata negli orecchini e, sotto lo sguardo lievemente sorpreso della sua insegnante, Marinette si trasformò.
Lal inclinò il capo.
- Perché siete tutti in calzamaglia? - domandò, fissando la tuta rossa a pois neri che la ragazza indossava. Marinette la fissò per un secondo, perplessa, prima di scuotere il capo e prendere il proprio yo-yo: - Andiamo. -
 
 
 
Marinette non credeva di arrivare fino a quel punto: si era accorta appena in tempo che la collana con l'anello le era rimasta appesa al collo e l'aveva nascosta velocemente sotto la tuta, sperando che nessuno l'avesse notata.
Aveva iniziato a sospettare che l'Anello fosse immune ai poteri del Miraculous, per qualche strana e inconcepibile ragione. Certo, si era ripromessa di non usarlo più quando era Ladybug... ma quella non era una situazione come le altre.
Nascosta dietro un edificio se lo era sfilato dalla catena e lo aveva messo al dito: oramai aveva capito come usarlo. Sperando che Chat non la vedesse prese lo yo-yo e si concentrò: la sua determinazione divampò sotto forma di fiamma arancione sul piatto, per poi estendersi all'arma quando la lanciò. Tutti i piccoli ventagli azzurri che Chloé le aveva scagliato contro vennero distrutti a mezz'aria appena quella piccola palla di fuoco che era il suo yo-yo li colpì; iniziava a prenderci la mano. Chloé ringhiò.
- Non voglio farti del male, Ladybug, dammi il Miraculous e facciamola finita - esclamò. Marinette strinse gli occhi.
- Sono io che non voglio farti del male: fatti deakumizzare e facciamola finita! - rispose, riavvolgendo il proprio yo-yo e le Fiamme. Oh, eccome se ci stava prendendo la mano.
La vide esitare, poi sussultò e scosse il capo.
- Non mi lasci scelta! - la ragazza tirò fuori una serie di ventagli dall'aspetto differente da quelli usati fino a quel momento e, dopo aver preso la mira, glieli lanciò contro - Divverai l'insetto che sei! - esclamò.
Marinette svolse lo yo-yo, riattivò le Fiamme e lo fece roteare davanti a sé creando uno scudo guizzante di uno sgargiante arancione: invece di essere sbalzati via o di esplodere i ventagli si disintegrarono a contatto con esso.
- Cosa?! - sbottò Chloé, sgranando gli occhi.
- Non te lo aspettavi, vero? - sorrise Marinette - E non hai ancora visto niente - con un'agile balzo saltò sulla parete dell'edificio accanto, correndovi sopra per spiccare un salto, allungare lo yo-yo e lanciarlo contro il lampione su cui la ragazza stava appoggiata, tranciandolo di netto. Chloé perse l'equilibrio e sarebbe caduta supina sull'asfalto se non avesse fatto leva sulla parte ancora intatta del lampione, atterrando abbastanza morbidamente in contamporanea con la ragazza.
- Da quando puoi farlo? - chiese.
- Spiacente, ma queste sono informazioni riservate - rispose Marinette: doveva far sparire l'anello e in fretta. Con poche mosse saltò sul tetto accanto ma, prima che potesse fare qualunque altra cosa, Chloé le piombò alle spalle; Marinette fermò il suo calcio incrociando le braccia davanti al viso in un gesto istintivo, poi fu tutto molto strano.
Lei e Chloé avevano ingaggiato un combattimento corpo a corpo che, però, non era come quelli che Marinette aveva affrontato fino a quel momento: se fino ad allora si era limitata a colpi di circostanza adesso combatteva usando vere e proprie mosse di arti marziali avanzate. Cose che lei non conosceva ma che le venivano spontanee, come se una voce silenziosa gliele suggerisse da un angolino del proprio cervello.
Bloccò un altro colpo ed eseguì una giravolta a mezz'aria, artigliandole il busto con le gambe per poi fare una capriola all'indietro e sbatterla al suolo; quando ricadde in piedi, in una posizione decisamente assurda, guardò ad occhi sgranati quello che aveva appena fatto.
- Da quando puoi fare una cosa simile? -
Marinette sussultò e cercò di nascondere la mano destra quando vide Chat Noir appollaiato sul cornicione del tetto, che la fissava ad occhi sbarrati.
- Ehm... da adesso, credo - rispose lei, incerta - Dobbiamo trovare l'Akuma - aggiunse, per sviare il discorso. Chat annuì e corse verso Chloé che si stava riprendendo. Marinette diede le spalle al duo e si sfilò l'anello, riagganciandolo alla catenina per poi farlo sparire sotto la tuta; sospirò di sollievo e corse verso Chat, che aveva intrapreso una pseudo lotta con Chloé, che cercava di toglierselo di dosso a suon di calci, mentre lui la teneva bloccata al suolo con il bastone fermo sotto il mento.
Marinette si gettò sulla ragazza proprio quando questa incassò le ginocchia sotto il ventre del ragazzo e lo gettò in avanti, oltre la sua testa. Le artigliò le braccia, bloccandola con la schiena al suolo.
- Svelto, non ho molto tempo - lo esortò, sentendo il proprio orecchino suonare. Chat indugiò con lo sguardo sulla tuta della ragazza.
- Non vedo niente che possa contenere l'Akuma! - esclamò - No, aspetta! - con uno scatto afferrò il simbolo a forma di coda di pavone che faceva bella mostra sul petto della ragazza, che si scoprì essere una spilla.
- Ehi! - si lamentò Chloé, più indignata che imbarazzata. Lui arrossì lievemente.
- Scusa - disse, per poi gettare al suolo la spilla e calpestarla, rompendola in due pezzi: una piccola farfalla nera vi volò fuori.
Marinette prese il proprio yo-yo e lo aprì, facendolo roteare e lanciandolo contro di lei per poterla catturare; un secondo dopo la liberò, facendola tornare bianca e candida. Infine recuperò il proprio Lucky Charm, un ventilatore a pois neri che aveva usato per respingere i ventagli, e la lanciò in aria richiamando il potere del proprio Miraculous, facendo tornare tutto alla normalità; compresa Chloé, che si rialzò reggendosi il capo, confusa.
- Ben fatto! - si complimentarono i due eroi, battendosi il pugno, prima di venire interrotti dal suono degli orecchini di lei.
- Devo andare. Te ne occupi tu? - chiese, indicando Chloé.
- Sarà fatto, My Lady - rispose lui, con un inchino. Marinette salutò con la mano e scese dal tetto. Si allontanò abbastanza e si detrasformò, prendendo al volo la sua kwami stremata e sorridendole... momento che venne interrotto quando Lal sbucò dal nulla e le assestò un calcio sulla nuca, facendola gemere di dolore.
- Incosciente! - sbottò atterrando davanti a lei: sembrava davvero arrabbiata.
- M-ma che ho fatto?! - esclamò Marinette, reggendosi il capo con le lacrime agli occhi, mentre Tikki s'infilava nella sua borsa per farsi una dormitina.
- Usare i poteri dell'anello mentre sei trasformata! Non mi interessa se loro scoprono la tua identità segreta ma non puoi gettare così al vento la tua identità nella Famiglia. Sei nei guai, signorina, sappilo! - avvisò, minacciosa.
- Eh?! Ma era una situazione di emergenza! - rispose lei, sbarrando gli occhi - Se non lo avessi fatto... -
- Non m'interessa! Da ora in poi mi consegnerai l'anello ogni volta che dovrai trasformarti: non possiamo rischiare a causa tua - decretò fredda, zittendola.
- Ok - sospirò, amareggiata. Lal sembrò calmarsi un po'.
- E comunque non hai finito - aggiunse - C'è ancora una cosa che devi fare. -
Marinette la guardò senza fiatare.
 
 
Akumizzata. Per due volte. E per giunta tutte e due volte era stata colpa sua: una come Ladybug ed una come Marinette.
La ragazza sospirò e, dopo aver esitato un secondo, bussò alla grande porta di legno. Ad aprirla fu la faccia rabbuiata di Chloé, che s'incupì ancor di più quando la vide.
- Hai saputo che sono stata akumizzata? - sbottò - Beh, ti do una notizia: è successo per colpa tua! - informò, puntandole il dito contro.
Ripensandoci, perché scusarsi? Perché non rifilarle un bel calcio nel... no!
No, piccola voce che non so da dove provieni, sono qui per scusarmi e mi scuserò!” pensò, rendendosi poi conto di star parlando con sé stessa. Fece una smorfia: doveva smettere di indossare quell'anello, oramai aveva capito che era colpa sua.
- Beh... - cominciò - Lo sapevo già visto che hai tentato di uccidermi - rispose, in tono ovvio. Chloé sembrò sorpresa. - Ma non sono qui per questo - tagliò corto - Volevo solo scusarmi con te -.
La ragazza sgranò gli occhi, tentennando per un attimo su cosa fare, infine incrociò le braccia al petto cercando di assumere una posa altezzosa, sebbene fosse velata d'incertezza.
- Quindi... non sei quì per rinfacciarmi di aver cercato di ucciderti? - domandò con tono naturale, seppur esitante.
- Oh, cielo, no! Anzi, ti capisco: ultimamente provò degli strani e alquanto inquietanti istinti violenti ed omicidi - rispose, con nonchalance - Sai, quel tipo di vocina nella testa che ti dice "Il medico ha detto che devo ammazzarli tutti. Cioè, non ha usato proprio queste parole. Ha detto di eliminare lo stress, ma tanto il succo è quello"? - chiese, allegramente - Ecco, esattamente così! Il che sicuramente ti farà dubitare della mia sanità mentale, cosa che sto facendo anche io in effetti... ma non siamo qui per parlare della mia presunta-non-presunta follia - finì, con un ampio sorriso, intrecciando le mani davanti a sé.
- Stai straparlando - le fece notare la bionda, lievemente perplessa.
- Lo so - rispose Marinette, diventando seria - Ma il punto è che vorrei dirti molte cose senza che tu inizi a sbraitarmi contro per ciò che ti dirò.
Insomma, tutto quello che ti ho detto in classe io lo pensavo davvero, come lo pensano tutti, in effetti, ma non ero consapevole di ciò che stavo facendo in quel momento. Quindi, mi dispiace di averti aggredito davanti a tutti, non è mai stato nelle mie intenzioni, però pensavo davvero ciò che ti ho detto... anche se forse in modo più gentile. Cioè... - prese fiato, osservando il volto incerto e confuso di lei - Mi dispiace di averti sbraitato contro, Chloé, ma vorrei davvero che tu smettessi di fare l'antipatica - disse, con calma - Sei una bella ragazza e, se vuoi, so che puoi essere anche simpatica e gentile... ok, forse "gentile" è un po' esagerato... cordiale, forse. Ecco, cordiale! E sono sicura che andremmo più d'accordo se ci mettessimo un po' di impegno tutti insieme - concluse, speranzosa. La ragazza inarcò un sopracciglio. - Ovviamente non dico che devi smettere di essere acida, fa parte del tuo carattere e sarebbe come chiederti di non essere te stessa, solo... non so, potremmo trovare un equilibrio: tu riduci i commenti acidi, io smetto di vestirmi come una "barbona"... - propose, facendo le virgolette con le dita per citare le stesse parole che Chloé era solita usare quando si riferiva ai suoi vestiti - ...e siamo tutti più felici - finì, sorridendo incoraggiante.
La vide esitare posando lo sguardo altrove, spostando il peso da un piede all'altro.
- Beh... non ti vesti poi così male - ammise, in un borbottio - Ma riduci il rosa, non s'intona ai tuoi capelli - aggiunse, riassumendo un'aria critica, guardandola. Marinette la fissò per un momento, infine annuì.
- Andata! - accettò, determinata. Poi le porse la mano - Compagne di classe come prima? - chiese.
Chloé tentennò, infine la strinse - Conoscenti - concesse - Ma non montarti la testa: ti trovo sempre irritante - precisò, chiudendole la porta in faccia.
La ragazza sbatté le palpebre, infine sorrise voltandosi verso la piccola figura rimasta nascosta accanto a sé.
- Non è andata tanto male - ammise. Lal esitò, infine annuì.
- Direi che è andata bene - concesse lei, per poi avviarsi fuori dall'albergo con la ragazza di fianco, che non riusciva a togliersi il sorriso dalle labbra - Oh, e comunque... sei lo stesso nei guai - le ricordò Lal, pacata.
Marinette si portò una mano al viso, sconfortata: risolveva un problema ed ecco che ne sbucava fuori un altro. Sospirò: ah, beh, avrebbe fatto l'abitudine anche a quello.
- Sai, Lal, inizio seriamente a pensare di soffrire di doppia personalità - ammise, quando avvertì la lotta interiore che stava avvenendo dentro di lei: da una parte il sollievo per aver sistemato la storia con Chloé, dall'altra una punta di amarezza per non averle fatto più male durante il loro scontro fisico.
- Oh, quello è normale - rispose lei.
- È il primo passo verso la follia? - chiese la ragazza.
- Non credevi sul serio di poter essere una sottoposta di Sawada restando sana di mente - commentò la bambina, fermandosi davanti l'ascensore in attesa che arrivasse.
Marinette ripensò ai brevi scorci di vita quotidiana a cui aveva assistito quando parlava con Dino su Skype: quei tizi erano decisamente fuori di testa, eppure... si ritrovò a sorridere.
- Stranamente la cosa non mi dispiace - ammise, oltrepassando le porte quando si aprirono con uno squillante ding.
Lal piegò un po' il viso e fece una cosa che non le aveva mai visto fare: sorrise.
- Benvenuta in Famiglia, Marinette. -
Forse, e ribadiva forse, far parte di una Famiglia Mafiosa non era poi così male come aveva creduto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
6Si sa per certo che Luce era incinta di Aria quando venne tramutata in Arcobaleno. Pertanto, dato che al tempo di Tsuna Aria ha sicuramente una ventina d'anni o poco più, immagino che sia questo il tempo complessivo passato da quando sono stati maledetti.
 
7Hayato è stato traumatizzato da Bianchi, quando erano bambini, tramite dei cibi velenosi. Ora si sente male ogni volta che vede il suo viso, condizione a cui si può rimediare se la ragazza indossa una maschera o degli occhiali che le coprono metà volto o anche solo gli occhi.
 
8Quando Tsuna viene colpito con la Volontà di Morire tende ad urlare "Reborn!" nel momento in cui si separa dal corpo, inteso nel suo significato inglese, ovvero "Rinascita", poiché lui, effettivamenete, rinasce.
 
9Mitomi Aiiro, un personaggio di The Third Family.
 
10L'Amano (autrice della serie) non ha mai specificato che fine facessero i corpi abbandonati, quindi io ho immaginato che si dissolvessero nel nulla alla fine dei cinque minuti. Tuttavia, i vestiti devono pur riprenderli, no?

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Capitolo 6
*** In punizione ***


REVISIONATO IL 07/06/2019


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 06. In punizione
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 6.558

 

 

 
- In punizione?! -
Marinette guardò Lal ad occhi sgranati, la forchetta a mezz'aria e la bocca ancora aperta.
- Te l'avevo detto che eri nei guai - ribatté la bambina continuando tranquillamente la cena.
Sabine e Tom si scambiarono uno sguardo.
- Che cosa è successo? - chiese Tom, guardando dalla figlia all'istruttrice.
Marinette esitò: non poteva raccontare la verità ma non sapeva neanche come mentire. Fu Lal a tirarla fuori da quella situazione.
- Ha messo a repentaglio il segreto della Famiglia - riassunse - Questo è sinonimo di irresponsabilità e sconsiderazione: è giusto che si assuma le conseguenze delle sue azioni - tagliò corto.
- Ma... non puoi farlo! - esclamò la ragazza - Può farlo? - aggiunse, incerta, rivolta ai genitori, che alzarono le spalle non sapendo cosa dire.
- Certo che posso farlo - rispose tranquillamente Lal - Sono la tua Istruttrice: dal momento in cui ho accettato questo incarico sei divenuta una mia responsabilità. Posso addestrarti così come posso punirti - spiegò, guardandola negli occhi - Ricordati che è per il tuo bene. -
- La classica scusa - sbuffò la ragazza, posando il gomito sull'isolotto e la testa sul palmo della mano - Che cosa dovrei fare? Stare chiusa in casa per una settimana? - sospirò.
- Assolutamente no - rispose Lal, posando coltello e forchetta e pulendosi le labbra con un tovagliolo - C'è una villa abbandonata poco distante da qui che Dino ha comprato di recente: visto che probabilmente la useremo, in futuro, voglio che domani dopo la scuola tu ti diriga lì e la rimetta a nuovo - spiegò. Marinette sbatté le palpebre.
- La mia punizione sarebbe... pulire una villa? - chiese, sconcertata.
- Non c'è niente di meglio del lavoro manuale per schiarisi la mente - rispose - O almeno questo è ciò che ho imparato in accademia - aggiunse, bevendo un sorso d'acqua. La ragazza boccheggiò e si voltò verso i genitori, come in cerca di aiuto.
- Beh... - Tom si scambiò un'occhiata con la moglie - Scusa, Marinette, ma sono d'accordo con lei - asserì l'uomo - Non so cosa tu abbia fatto ma se lo ritiene necessario... -
- Ma papà! - protestò la ragazza.
- Tesoro, abbiamo promesso di non interferire con il lavoro di Lal - spiegò Sabine, dispiaciuta.
- Oh, perfetto! - sbuffò la ragazza, abbandonando la forchetta nel piatto. Con un sospiro si alzò da tavola e marciò al piano di sopra, incurante dei richiami della madre.
Lal sospirò.
 
 
- Mi ha messa in punizione, ti rendi conto?! - sbottò, incredula - Non è giusto: avevo tutto sotto controllo! -
Dino trattenne una risata, guardandola con occhi accesi di divertimento, senza però commentare.
- Ho capito: la cosa ti diverte - sbuffò Marinette, alzando gli occhi al cielo.
- Scusa, ma sei troppo buffa quando ti indigni - spiegò lui, nascondendo il sorriso dietro la mano.
La ragazza sospirò, girando intorno ad un idrante per non caderci sopra.
- Siamo sicuri che possa farlo? - domandò poi, sospettosa.
- Oh, eccome se può - rispose Dino - Però, adesso che ci penso, Reborn non mi ha mai messo in punizione - aggiunse, pensieroso - Ma i suoi modi di fare sono molto diversi da quelli di Lal. -
- Lei ha detto che non è quel tipo di istruttore che va troppo per il sottile - ricordò Marinette, attraversando la strada.
- E ha ragione: Reborn è un tipo pratico, del genere "o lo fai o ti ammazzo". Non so se mi sono spiegato - rispose.
- Sì, lo hai fatto - annuì Marinette, ricordando con un brivido il breve incontro avuto con il bambino. Osservò Dino carezzare il gatto dal pelo arancione vivo poggiato sulle sue gambe incrociate, curiosa.
- Oh, lei è Akai-chan - rispose lui, seguendo il suo sguardo - È di Tayou11 ma dato che non può tenerla in casa se ne occupa Tsuna. Sai, Mitomi ha paura dei gatti e Ren12 ne è allergico - spiegò.
- Mi sono sempre piaciuti i gatti - rispose lei, guardando con occhi sbrilluccicosi il cucciolo che sbadigliava.
- Lei è così tranquilla e dolce, ti viene voglia di strapazzarla tutta - informò Dino, prendendola in braccio e strofinando la propria guancia sulla sua; Marinette provò una punta di invidia: i suoi genitori non le facevano tenere animali in casa.
- Che amore! - acconsentì, intenerita.
- Potrei vomitare - s'intromise una terza voce, pacata, facendoli sussultare tutti e due: Rika si era parata alle spalle di Dino, seduta sul letto a cui il ragazzo era appoggiato.
- Ah, Rika! - esclamò lui, allegro, per poi farsi crucciato - Tu non avevi un appuntamento con Kyoya, oggi? - chiese.
La ragazza assunse l'espressione più seria che Marinette avesse mai visto, voltandosi inquietantemente verso di lui... poi afferrò un cuscino e glielo gettò in faccia.
- Se non la finite con questa storia giuro che vi strozzo - sibilò.
- Scusa - rispose Dino, con voce soffocata e il cuscino ancora spalmato sul proprio viso: Marinette non poté trattenersi dal ridere. Rika spostò i sottili occhi viola verso di lei e sorrise.
- Io sono Rika Isogai, è un piacere conoscerti Marinette - salutò.
- Il piacere è mio - rispose lei, imbarazzata: perchè tutte le donne di quella famiglia sembravano più grandi di lei? Quanti anni poteva avere Rika: diciannove, venti?
- Ne ho diciotto - rispose lei, come se le avesse letto nel pensiero - Se è questo ciò che ti chiedevi - aggiunse - So di sembrare più grande di quello che sono - sospirò, rassegnata.
- Teme che Kyoya possa considerarla troppo grande per lui, anche se hanno solo un anno di differenza - spiegò Dino, togliendosi il cuscino dalla faccia... per poi gelarsi: Rika aveva assunto un'espressione assassina degna di un film dell'orrore.
- Ancora? - sibilò lei, con una vena che pulsava pericolosamente sulla sua tempia - Quante volte devo ripetervelo che a me non piace Hibari! - sbottò, staccando i tre tubi di metallo che aveva appesi alla cintura e montandoli con un gesto secco, creando così un lungo bastone. Dino saltò in piedi e si diede alla fuga, abbandonando il gatto sul pavimento della stanza che soffiò stizzito, con Rika alle calcagna.
Marinette sbatté le palpebre, osservando la porzione di letto che le veniva offerta, mentre in lontananza si sentivano rumori sinistri e molto inquietanti che le fecero temere per l'incolumità del ragazzo.
Si fermò davanti le scale della propria scuola, aspettando di veder apparire qualcuno: quella casa era sempre piena di gente, qualche povera anima pia di passaggio ci sarà pur stata.
Si udirono delle voci in sottofondo mischiarsi vorticosamente in un tripudio di grida, poi il rumore di passi che si avvicinavano la destò: tre paia di piedi entrarono nel campo visivo e un paio di braccia si chinarono a raccogliere Akai-chan.
- Oh, tesoro mio! - l'esclamazione, in italiano, venne dalla ragazza dai lunghi capelli arancioni apparsa dal nulla.
- Falla sparire prima che Mitomi la veda - disse una seconda voce, stavolta maschile.
- E io che credevo di potermene stare un po' tranquillo - sospirò un'altra voce, sempre maschile, ma pacata e lievemente irritata.
Qualcuno s'inginocchiò davanti al computer e un paio di occhi grigi si pararono nel suo campo visivo: era un ragazzo sui sedici anni, con la pelle abbronzata e dei corti capelli argentati che, stranamente, le ricordarono un prato13. Aveva un cerotto bianco sul naso ed entrambe le braccia coperte di bende fino alle dite. Era un bel ragazzo e, a giudicare dalla tuta che indossava e dal fisico asciutto, era evidente che praticasse qualche sport.
- Ehi, tu sei Marinette! - esclamò, dopo averla osservata per qualche istante con lo sguardo crucciato.
- Marinette? Dove? - la ragazza si sporse oltre la sua spalla, mostrando due grandi e brillanti occhi arancioni: poteva avere sui quindici anni o poco meno. Poi sorrise - Sì, è proprio Marinette! Sei identica a come ti ha descritta Dino! - informò, sorridendo. Ma Dino l'aveva descritta a tutti?! - Era da tanto che volevo conoscerti - ammise, inginocchiandosi e allontanando il ragazzo dallo schermo, così che lei potesse avere una visuale completa del terzetto - Io sono Tayomu Tokiwa - si presentò - Lui è Ryohei Sasagawa, e il musone laggiù è Kyoya Hibari - aggiunse, indicando i due ragazzi.
Marinette spostò lo sguardo sull'ultimo ragazzo: era vestito in modo abbastanza elegante con un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e una giacchetta nera poggiata sulle spalle. Aveva corti capelli neri, con la frangia che gli copriva la fronte arrivando fin quasi agli occhi, sottili e di un azzurro chiarissimo.
Marinette si fece un altro appunto mentale: tutti i ragazzi di quella famiglia erano belli in modo anomalo.
- Ehm... salve - rispose lei facendo un cenno con la mano, sentendosi d'un tratto piccola e insignificante.
- Mh. Sei più carina di come ti avevo immaginato - commentò Ryohei, serio, con le braccia incrociate sul petto. Marinette arrossì.
- G-grazie - balbettò.
Ci furono un paio di secondi di silenzio, poi Tayou sospirò: - Non fare caso a Mr. "sono qui ma ti ignoro" - disse, indicando Hibari - A lui non interessa nessuno che non sia Rika. -
Il ragazzo sgranò gli occhi, assumendo la classica espressione da "WTF?!" riuscendo però a mantenere una certa dignità.
- Quando la pianterete con questa storia? - sbottò, voltando il capo di lato, seccato: Marinette poté giurare di vedere il suo viso farsi più roseo: vuoi vedere che...?
- Mai! - esclamò Tayou, esibendosi in un'espressione malvagia - È un po' come sfottere Gokudera per la sua cotta per Mikoto14: è troppo divertente - spiegò, sorridendo un po' più normalmente.
Marinette iniziò ad avere seriamente paura.
- Vogliamo parlare di te? - sospirò Hibari. Tayou gelò sul posto mentre Ryohei passava lo sguardo da l'uno all'altra.
- Parlare di cosa? - chiese, ingenuamente.
- Niente! - rispose lei, arrossendo vistosamente - Assolutamente niente che tu debba sapere! - aggiunse, afferrando il cuscino abbandonato sul pavimento e sbattendoglielo in faccia.
Marinette sgranò gli occhi: - Un attimo - disse prima di riuscire a trattenersi - A te piace... - iniziò, posando lo sguardo sul ragazzo che stava soffocando. Hibari si limitò ad annuire e Tayou arrossì ancora di più.
- Cambiamo argomento! - si affrettò a dire.
- Ehm... - cominciò la ragazza, venendo interrotta da qualcuno che si parò alle sue spalle.
- Buongiorno, Marinette! - esclamò una voce. La ragazza sussultò, rischiando di far cadere il telefono che fece un paio di salti in aria prima di tornare al sicuro nelle sue mani.
- A-ehm... giobuorno... cioè, buongiorno! - esclamò, quando si voltò, incontrando i grandi occhi verdi di Adrien.
- Che fai? - domandò il ragazzo, sporgendosi verso il telefono della ragazza.
- Oh, io... ehm... amici con parlavo... ma che dico?! Parlavo con amici... - spiegò, sorridendo nervosamente.
- T-Tayou... non respiro... - annaspò Ryohei, attirando la loro attenzione.
- Se non muoiono prima - aggiunse la ragazza, incerta, osservando lo spettacolino con Adrien che fissava lo schermo perplesso.
- Tayou! Non uccidere Sasagawa! - urlò una voce femminile, da fuori campo.
- Quello è un gatto?! - sbottò una voce maschile; una serie di starnuti seguì l'affermazione - Tayou! Falla sparire! - aggiunse, con la voce soffocata.
- Esci tu dalla camera: la mia Akai-chan da qui non si muove! - rispose lei, liberando finalmente il ragazzo che quasi svenne.
- Ren! Esci di qui! E porta via Mito! - sbottò la voce di Rika - Se vede Akai sono casini - aggiunse rientrando in camera. I due ragazzi videro i suoi piedi scalzi fermarsi di fianco al terzetto e scese il silenzio; Tayou abbozzò un sorrisetto, Ryohei si stava riprendendo e Hibari guardava in su.
- Hibari - salutò pacata la voce di Rika.
- Isogai - rispose lui, altrettanto pacato.
- Che mortorio, dichiaratevi amore eterno e fatela finita! - sbuffò una voce e un paio di calzini colorati entrarono nel loro campo visivo, seguiti da una ragazza dai lunghi capelli castani e gli occhi verdi: poteva avere quindici anni, anche se sembrava più piccola.
Rika sospirò, spalmandosi una mano sul viso - Io ci rinuncio - sbottò, rassegnata.
La ragazza ridacchiò ma si fermò di colpo di fronte a Tayou, sbiancando. I presenti s'irrigidirono.
- Mitomi... - cominciò Ryohei, serio - Allontanati. Lentamente - decretò.
Ma Mitomi sembrò non sentirlo e cominciò a tremare vistosamente. Dopo due secondi di silenzio la ragazza lanciò un urlo agghiacciante che fece sobbalzare Marinette, rischiando di farle cadere il telefono di mano, e sussultare Adrien... poi scappò via.
- Mitomi! - girando i tacchi Rika si precepitò all'inseguimento.
- Quel gatto deve sparire! - strillò una voce femminile in lontananza.
- Mizu15 non ti ci mettere anche tu! - rispose Tayou.
- Questa casa è un incubo - sospirò Hibari.
Il rumore di una porta che veniva aperta mise a tacere qualunque altra parola: - Ok, adesso basta, non c'è più niente da vedere! - esclamò la voce di Bianchi apparendo nella visuale - Tutti fuori! Sciò! Si dia il caso che questa fosse una conversazione privata - ricordò.
- Prima che Rika ammazzasse Dino, vorrai dire - commentò Tayou. Evidentemente Bianchi la guardò male perché lei si affrettò ad alzarsi - Ok, ok, abbiamo capito, ce ne andiamo! - disse, afferrando Hibari per la giacca e trascinandolo via - Muoviti, signor "vi mordo tutti" - aggiunse.
- Odio quando mi affibbi soprannomi - mormorò il ragazzo, impassibile, lasciandosi portare seguito da Ryohei.
- I soprannomi sono estremi! - esclamò lui, alzando le braccia in aria.
Bianchi alzò gli occhi al cielo e li seguì, chiudendo la porta alle loro spalle.
- Tayou! Non giù per le scale! - urlò la voce di Rika.
Il rumore di qualcosa che rimbalzava giù dai gradini fece rabbirividire Marinette e Adrien assunse un'espressione inorridita.
- Qualcosa mi dice che si è fatto male - commentò.
- Ops - mormorò Tayou - Scusa, Hibari. -
- Vi morderò a morte - rispose lui, con voce bassa e tranquilla. Troppo tranquilla.
Bianchi sospirò - Scusali, Marinette, non sanno cosa sia la privacy - rispose, piazzandosi davanti lo schermo.
- Oh, ehm... non ti preoccupare, Bianchi - rispose lei - Piuttosto, come sta Dino? - chiese, lievemente preoccupata.
- È vivo - tagliò corto la donna, sorridendo, prima di togliersi i goggles arancioni dal viso e poggiarli sul collo, mostrando i grandi occhi verdi - Ho saputo che Lal ti ha messa in punizione - disse. Marinette sospirò.
- Non ne voglio parlare - rispose, rassegnata.
- Vedrai che... - ma non finì la frase perché la porta venne spalancata ed una voce gridò quello che suonò come un "Juudaime16!"
Bianchi gettò un'occhiataccia al suo fianco - Cos'è che non capite di "conversazione privata"? - sbottò. Dei passi s'incespicarono, poi un gemito di dolore e il corpo di Hayato cadde a pancia in sotto tra Bianchi e il computer, regalando a Marinette una perfetta visuale del busto e della vita, compresa qualche ciocca di capelli argentei.
- Che ci fai tu, qui...? - mormorò, sofferente.
- Oh, insomma! - sbottò la voce di una ragazza - È la terza volta da stamattina! -
- Seriamente, non è possibile che svenga ogni volta che ti vede, Bianchi! - aggiunse una seconda voce femminile.
- Gokudera-kun! - una terza voce, stavolta maschile ma dai toni leggermente infantili, fece irruzione nella stanza - Cosa succedere qui? Perché Hibari cercato di uccidere me appena ho entrato e come mai Dino sta mezzo morto in salotto? - chiese.
Marinette inarcò un sopracciglio, stupita: evidentemente, chi aveva parlato non era molto esperto di francese perché la pronuncia era pessima, senza contare gli errori lessicali e sintattici.
Bianchi sbatté le palpebre, poi voltò lentamente il capo dall'altro lato - Non lo so - decretò.
Era una pessima bugiarda.
Due paia di gambe offuscarono la visuale e due ragazze si piegarono per prendere il ragazzo steso sul pavimento, per poi caricarlo sul letto alle loro spalle.
- Volete uscire? Sono in videochiamata! - informò la donna.
- Ma questa essere camera mia! - ripeté la voce.
Bianchi sospirò di nuovo - Ci sentiamo un'altra volta, scusami Marinette - rispose. La ragazza sorrise, incerta - Ok, tanto dovevo entrare a scuola - rispose, salutando con la mano. La donna sorrise e pigiò un pulsante sul computer, chiudendo la chiamata, non prima che un'accesa discussione (rigorosamente in giapponese) scoppiasse all'interno della stanza.
Marinette sospirò, chiudendo Skype - Mai una volta che riesca ad avere una conversazione decente con Dino - momorò, dimentica per un secondo del ragazzo in piedi accanto a lei.
- È con lui che stavi parlando? - chiese, facendola sussultare.
- Cos... io... ah, sì - ridacchiò - O almeno ci provavo, i suoi amici sono molto... ehm... vivaci - spiegò, portandosi una mano dietro la testa, imbarazzata che proprio lui avesse dovuto assistere a quel teatrino. "E molto inclini alla violenza", aggiunse, ma quello se lo tenne per sé.
Adrien rise - Sembrano simpatici - commentò. Anche Marinette sorrise, abbassando lo sguardo.
- Sì, lo sono - ammise - Un po' strani, a volte - aggiunse, lisciandosi nervosamente un codino: era il momento più imbarazzante della sua esistenza. Quando Alya apparve alle sue spalle, proferendosi in un malizioso: - Interrompo qualcosa? - per poco Marinette non la baciò.
- Cosa? Oh, no, assolutamente! - rispose lei, rivolgendosi all'amica e cercando di trattenere il sollievo: non era pronta per intraprendere una conversazione privata con Adrien, non ce l'avrebbe fatta.
- Avete saputo quello che è successo ieri? Pare che Chloé sia stata akumizzata - ridacchiò Alya, all'espressione di gratitudine dell'amica.
Marinette sgranò gli occhi - Cosa? Sul serio? - chiese, nervosamente, fingendosi sorpresa.
- Già. Mi chiedo come mai - commentò la ragazza, pensierosa. Marinette alzò le spalle.
- Chi lo sa? - rispose, torturandosi le mani: non voleva spargere la voce che Chloé era stata akumizzata per colpa sua. Più che altro per non far sapere a tutti che la ragazza aveva tentato di trasformarla in un insetto. Certe cose era meglio tenerle segrete, specialmente in un luogo in cui già molti la odiavano.
Neanche a farlo apposta la macchina di Chloé parcheggiò proprio di fronte al marciapiede e lei ne uscì con Sabrina al seguito: sembrava tornata la stessa di prima, cosa che diede un po' di conforto a Marinette.
La bionda si fermò di fronte ai gradini, davanti al terzetto, poi sorrise.
- Buongiorno, Adrien - salutò, col suo solito fare civettuolo.
- Giorno, Chloé - rispose lui, alzando la mano, anche se sembrava un po' a disagio. Gli occhi azzurri della ragazza si posarono sulla corvina e un'atmosfera di tensione avvolse il gruppo, che guardavano da l'una all'altra come aspettandosi di vederle saltarsi addosso.
- Marinette - fu tutto ciò che si limitò a dire, schiva.
Tutta l'ansia venne ridotta in mille pezzi in un colpo, come se Chloé avesse distrutto il muro di vetro che le divideva con un martello gigante. Senza neanche aspettare una risposta salì i gradini che portavano all'istituto, seguita a ruota da una Sabrina molto confusa.
Marinette si lasciò scappare un sorriso.
- No, un momento! - esclamò Alya, ad occhi sbarrati - Chloé... ti ha appena salutata? - chiese, incredula, indicando il punto in cui la ragazza era sparita.
- Tu dici? - domandò Marinette, fintamente vaga - Andiamo, o faremo tardi - tagliò corto, prendendo l'amica per il braccio che balbettava cose sconnesse, non potendo proprio trattenersi dal ridacchiare. Sembrava assurdo ma, dall'arrivo di Lal, tutto sembrava andare per il verso giusto.
 
 
 
 
Quando vivi in un appartamento di tre piani, di cui uno adibito a negozio ed uno a soffitta/camera, persino la villetta più anonima del pianeta ti sembra una reggia.
Il punto era che, quella, anonima non era per niente.
Quando Marinette era uscita di casa dopo pranzo, come se stesse andando alla forca, con Lal in braccio che stringeva un foglietto con l'indirizzo, si era fatta mille seghe mentali su quanto grande potesse essere quella villa. Quando erano arrivate a destinazione Marinette ebbe l'impulso di svenire: la villa era dipinta di un candido bianco perla, su per giù poteva avere sei o sette piani e grandi vetrate con le tende chiuse. Cosa cavolo doveva farci, Dino, con una reggia del genere?!
- Sì, è questa - decretò Lal, controllando l'indirizzo, per poi inarcare le sopracciglia - La facevo più piccola - ammise. Marinette abbassò lo sguardo su di lei.
- E io... dovrei pulirla tutta entro stasera? - chiese, flebilmente - Neanche con la Volontà di Morire ci riuscirei! - esclamò.
- Non entro stasera: entro domattina - precisò Lal, scendendo con un balzo - Queste sono le chiavi - aggiunse lanciandole il grande mazzo tintinnante, che la ragazza prese al volo con un sussulto ancora immersa nella contemplazione della sua condanna - Tornerò a vedere il lavoro domani mattina - finì, voltandosi e incamminandosi sulla strada.
- M-ma... ma... Lal! - provò a protestare Marinette.
- Ci vediamo domani - tagliò corto la bambina, facendo un cenno con la mano.
La ragazza guardò di nuovo la villa, gemette di disperazione e abbandonò la fronte contro le fredde sbarre di metallo del cancello, ignara che, solo pochi metri più su, vi era un'altra villa che lei conosceva bene.
Altrettanto ignara lo era Lal che, camminando tranquillamente diretta verso casa, si ritrovò davanti due gambe avvolte in un paio di jeans chiari; capì subito chi era, appena ebbe alzato lo sguardo e scorto il suo viso, ma non fu il nome che le passò per la testa ad uscire dalle sue labbra, bensì qualcosa di ben più agghiacciante.
- Tu sei il gatto in calzamaglia - disse, impassibile.
Il rumore di qualcosa di pesante che cadeva fu la risposta che ottenne.
 
Marinette non era il tipo che si deprimeva spesso. Certo, si disperava, si faceva mille film mentali (che spesso non finivano bene) ed era molto pessimista, ma la depressione... quella no.
Eppure, seduta a gambe incrociate nell'atrio dal pavimento a scacchi, non si era mai sentita più vicina a quel sentimento come in quel momento. Oltretutto Lal le aveva anche sequestrato il cellulare, pertanto non poteva chiamare neanche Dino per sfogarsi un po': insomma, a cosa poteva servigli una villa di sette piani nel mezzo di Parigi?!
Sospirò e si abbandonò a pancia in su sulle fredde mattonelle. Non poteva farcela. Era impossibile.
Sbuffò e si portò una mano alla catenina, giocherellando con l'anello. Quasi senza pensarci lo sfilò dai cerchi di metallo e lo mise al dito. Ed ecco quel familiare senso di tranquillità avvolgerla, come se ogni problema scivolasse via dal suo corpo senza lasciare traccia. Chiuse gli occhi e si portò la mano destra alla fronte, sospirando; pian piano, quasi senza accorgersene, scivolò in uno stato di dormiveglia.
 
- Forse dovresti metterti a lavoro - mormorò una voce maschile con una nota di divertimentro nella voce.
- Sì, forse dovrei - rispose lei - Ma non ne ho voglia - ammise.
Si guardò intorno: non era più alla villa ma seduta su una comoda poltrona accanto ad un caminetto accesso, circondata da alti scaffali con centinaia di libri.
- Un bel posticino, vero? - chiese di nuovo la voce.
- Sì - rispose lei, distrattamente - Sì, lo è - alzò lo sguardo davanti a sé, trovando una seconda poltrona occupata da una figura in ombra che se ne stava a gambe accavallate: indossava un paio di pantaloni beige, degli anfibi neri alti fino al polpaccio e una camicia bianca con una giacchetta blu; una cintura di pelle che si divideva in tre striscie dalla vita al busto mostrava la fodera di quelle che smbravano due pistole sul fianco destro e un grande coltello sul sinistro.
- Uno dei miei preferiti, non ti dispiacerà se ti ci farò ritrovare spesso - continuò dolcemente la voce. Marinette esitò, cercando di scorgere il suo viso oscurato dall'ombra della stanza.
- Chi sei? - chiese. Non aveva paura, non era in ansia e non si sentiva in pericolo: era completamente a suo agio, quasi stesse facendo una piacevole chiacchierata con un caro amico che conosceva da sempre. Lui sorrise.
- Per quello ci sarà tempo - rispose, tranquillamente - Piuttosto, che ne dici di andare ad aprire la porta? Suonano ormai da dieci minuti - consigliò, divertito, indicando con un cenno alle sue spalle. Marinette si voltò ed ebbe lo scorcio di un portone di legno scuro in quella grande libreria... poi la stanza scomparve, così com'era apparsa.
 
Marinette aprì gli occhi, trovandosi a fissare il grande soffitto a volta della villa, un po' confusa e stordita: cos'era stato? Un sogno?
Si mise a sedere e strofinò gli occhi: era stato così strano e non riusciva a collegarlo a nulla che conosceva. Di una cosa, però, era certa: conosceva la voce che le aveva parlato, ma non chi le avesse parlato.
Uno scampanellio sordo la fece sussultare e si voltò verso il portone bianco dell'ingresso: stavano suonando davvero. Svelta si tirò su, passandosi una mano tra i capelli, e corse ad aprire.
Non si aspettò di trovarsi di fronte proprio lui.
- Adrien! - esclamò, sorpresa, osservandolo per un momento ad occhi sgranati - C-che ci fai qui? - chiese, perplessa.
Il ragazzo sorrise, in imbarazzo - Ecco, ti ho vista entrare qui e mi chiedevo come mai - rispose.
La ragazza lo guardò, confusa, e lui si affrettò a spiegare.
- Io abito quì accanto - disse, indicando alla sua sinistra con la mano. Marinette sbarrò gli occhi.
- T-tu... tu abiti qui? - balbettò: come aveva fatto a non accorgersene? La storia della punizione l'aveva davvero così sconvolta?
- Ehm... già - rispose lui - Allora... non sapevo ti trasferissi - commentò.
Marinette sembrò persa per un attimo, infine scosse il capo - Oh, no, non è mia! - si affrettò a rispondere, indicando l'ampio salone - L'ha comprata Dino. È sua - spiegò - Io... - esitò e sospirò - Sono stata messa in punizione e mi tocca pulirla - ammise, rassegnata. Lui la guardò, stupito.
- Che cosa hai combinato? - domandò.
- Lascia perdere. Credimi, non vorresti saperlo - tagliò corto lei, scuotendo il capo.
- Va bene - rispose lui, incerto - C'entra qualcosa la bambina che ho incontrato poco fa? - domandò, indicando alle sue spalle. Marinette s'irrigidì.
- B-bambina? - balbettò, nel panico.
- Sì - rispose lui - Ha detto di chiamarsi Lal Mirch... o comunque qualcosa del genere - aggiunse.
Marinette desiderò sprofondare nel pavimento per non riemergerne più.
- Ehm... s-sì. P-più o meno - riuscì a formulare, troppo intontita per dare una risposta coerente.
- A proprosito: chi è, esattamente? - domandò Adrien, curioso. Marinette esitò, cercando le parole adatte per rispondere, infine sospirò.
- Non chiedermerlo, ti prego: non saprei come risponderti - ammise, sconfortata.
- Addirittura? -
Lei alzò le spalle, rassegnata. Scese un imbarazzante silenzio finché, come se provenisse dai meandri più oscuri del suo cervello, una voce non la destò.
Beh? Dì qualcosa!
Marinette sussultò e cercò di riprendere contegno - Ehm... immagino avrai da fare - buttò lì.
- Oh... eh... a dire il vero no - rispose lui - Ho la giornata libera, quindi... potrei darti una mano - propose. Fu come se una scarica di cemento a presa rapida le fosse stata gettata addosso: la ragazza si pietrificò sul posto e restò in totale silenzio per qualche secondo. Poi le parole le uscirono da sole, senza che lei le avesse elaborate o anche solo pensate.
- Sì, mi farebbe molto piacere - disse, con un tono sicuro che non le apparteneva. Sgranò gli occhi e si portò una mano alla bocca. - Cioè, volevo dire - si affrettò a correggersi - Insomma, è un lavoro lungo e faticoso, ti annoieresti... e poi è la mia punizione, tu non centri nulla! -
Oh, ma che te ne importa!
La ragazza si gettò uno sguardo nervoso alle spalle: adesso sentiva anche le voci?!
- Ma no, tranquilla, e poi a me fa piacere dare una mano - insisté lui.
- Oh... allora... d'addorco... no, cioè, adordo... dah! - prese un respiro profondo e ci riprovò - Va bene, grazie. -
Autocontrollo, Marinette, autocontrollo.
Ecco, stava impazzendo!
Sì, decisamente.
 
 
 
- Sento le voci. -
- Cosa? Marinette, sei tu? -
- E chi vuoi che sia? - sbottò la ragazza, seccata.
- Scusa, ma il numero era diverso... - rispose Dino.
- Sì, Lal mi ha sequestrato il telefono e sto usando quello di un amico - spiegò spiccia - Tra l'altro chiusa in uno sgabuzzino della villa che tu hai comprato e che mi tocca pulire - aggiunse, in un borbottio.
- Lal me lo ha detto e mi dispiace: non è per quello che l'avevo presa. Ad ogni modo, cos'è questa cosa delle voci? - chiese.
Marinette sospirò, sbirciando fuori da uno spiraglio nella porta: Adrien non c'era, segno che era rimasto in salotto a cenare. Non che avesse dubbi, insomma non credeva che lui fosse il tipo di persona che origliava, ma in quei casi era meglio essere sicuri. Richiuse la porta e si riportò il telefono all'orecchio.
- Ok. Ero nell'atrio, va bene? Quando, all'improvviso, mi addormento. Fin qui niente di troppo strano, il punto è che ho sognato di essere in una stanza circolare piena di libri - spiegò - Ero seduta davanti ad un camino e di fronte a me c'era qualcuno che mi parlava. -
- Che ti ha detto? - chiese il ragazzo, serio.
- Beh, ha detto che dovevo sbrigarmi ad iniziare le pulizie poi ha fatto un commento sul luogo, aggiungendo che non mi sarebbe dispiaciuto se mi avesse fatto venire lì spesso. Poi ha menzionato una porta e mi sono svegliata.
Adesso sento le voci: è tutto il pomeriggio che sento una vocina nella testa che commenta ciò che succede e, più di una volta, ho detto cose che non avevo neanche pensato! - raccontò. Dall'altro lato ci fu solo silenzio per qualche secondo, poi Marinette sentì la voce di Dino sussurrare qualcosa in italiano e una voce altrettanto bassa rispondere.
- Ok, Marinette, ascoltami - asserì, tornando alla conversazione - So che ti sembrerà strano ma ciò che ti sta succedendo è assolutamente normale. Ti spiegherei meglio ma non so se questa linea è sicura e certe cose è meglio non sbandierarle ai quattro venti. Domattina parla con Lal, ti dirà tutto lei - disse, tranquillamente - E se posso dirlo... beh, è proprio ciò che speravamo accadesse - aggiunse, con una nota di trionfo nella voce.
- Cosa? - chiese la ragazza, confusa.
- Ti dirà tutto Lal, domani, non preoccuparti - rispose lui - Torna a fare quello che stavi facendo e... stai tranquilla, ok? Ci vediamo! -
- Cos... no, aspetta! - ma il ragazzo aveva già chiuso. Sospirando pesantemente Marinette cancellò il numero dal registro chiamate e tornò al piano di sotto, dove Adrien stava mangiando uno spuntino procurato dopo un breve salto a casa propria.
- Grazie - disse, porgendogli il telefono.
- Non c'è di che - sorrise lui, riprendendolo. Marinette si sedette sul divano e prese un tramezzino, iniziando a mangiare in silenzio: durante tutto il pomeriggio erano riusciti a pulire tre piani completi compreso l'atrio. Se si fossero messi d'impegno sarebbero riusciti a finire entro la mattina dopo... o meglio, lo avrebbero fatto se fossero stati in due.
- Davvero, non c'è bisogno che resti ancora: è tardi e probabilmente non usciremo da quì prima di domani - disse, per spezzare l'atmosfera - E dubito che il tuo fotografo gradirà le occhiaie - aggiunse.
Ok, quella non l'aveva pensata lei.
Adrien sorrise.
- Gli dirò che ho fatto indigestione di spaghetti - rispose - Capirà - annuì, divertito. Anche Marinette sorrise.
Se la mia gioventù fosse stata normale forse me la ricordereste.
Marinette sbatté le palpebre, poi scosse il capo come per scacciare una mosca fastidiosa: Dino poteva anche dire che fosse normale... ma non per lei.
- Sul serio, passeremo la notte quì dentro... tuo padre non si preoccuperà? - chiese. Il ragazzo scrollò le spalle.
- Gli ho detto che passerò la nottata nella Villa accanto con un amico che vi si trasferirà tra poco. Credo ci abbia creduto, e poi... beh, penso che il fatto che sia vicino lo abbia convinto: può mandare chiunque in qualunque momento a controllare - spiegò.
Marinette annuì, lievemente in imbarazzo.
Non so voi, ma io credo che due adolescenti normali avrebbero passato la nottata a limonare.
Marinette si sentì il volto in fiamme: non solo era una voce fuori campo non richiesta a fastidiosa... ma pure pervertita!
- Qualcosa non va? - domandò Adrien, preoccupato, vedendola arrossire.
- Niente! - rispose lei, voltando il capo dall'altro lato.
Nonostante avessero trascorso un intero pomeriggio insieme, l'atmosfera di disagio tra loro non si era ancora del tutto spezzata: strano a dirsi ma era stato molto più facile parlare con Chloé.
- Quindi... come hai conosciuto questo Dino? - buttò lì Adrien. Marinette s'irrigidì, presa in contropiede.
- Oh... ehm... - tentennò. Cosa dire? Me lo sono ritrovato in camera senza sapere come o perché? Suonava sospetto... e decisamente ambiguo.
Dì che è un amico di Famiglia. Non è tanto lontano dalla verità.
Oh, finalmente la vocina diceva qualcosa di utile!
- È un amico di Famiglia - rispose, evasiva, scrollando le spalle.
Sii più naturale. Io non ero così.
Già, ma lei non era lui!
Oh, credimi, ci sei molto vicina.
Marinette non ebbe il tempo di pensare al signifcato di quella frase che Adrien parlò di nuovo.
- Hai una cotta per lui? - chiese, malizioso. Per poco Marinette non si strozzò con il prosciutto.
- C-cos.. cosa? - boccheggiò.
La cosa si fa interessante.
- Io... no... insomma, no! - rispose, anche se era arrossita: certo, Dino era un bel ragazzo (un idiota o un cieco avrebbero detto il contrario) ma lei non si era mai sentita attratta da lui in quel modo - È solo un amico - rispose, in imbarazzo.
Suvvia, sei una ragazza in piena tempesta ormonale: non puoi negare di essertelo fatto almeno un pensierino sconcio su di lui.
Marinette sgranò gli occhi a raggiunse gradazioni di rosso mai viste prima.
- N-non è vero - mormorò, nascondendo il viso nel suo panino.
- Cosa? - chiese Adrien, perplesso.
- N-niente! - rispose lei - Intendevo dire che è un amico molto caro, di quel tipo con cui ti senti di poter parlare di tutto, non riuscirei mai a vederlo in quel modo - spiegò, tranquillamente, prima di fare una pausa: non c'era alcun dubbio che quelle cose le pensasse davvero su Dino... il punto era che non era stata lei a dirle!
Ti sto aiutando, dovresti ringraziarmi signorinella: non è così che volevo che crescesse la mia prole.
La sua cosa?!
- Oh, capisco - annuì Adrien - Un po' come me con Nino... anche se Nino è un maschio e non potrei vederlo in quel modo a prescindere - aggiunse, lievemente perplesso. Marinette non potè trattenersi dal ridacchiare, facendo sorridere anche lui.
- Beh - decretò il ragazzo, battendo le mani tra loro - Direi di metterci a lavoro - esclamò. Marinette annuì, alzandosi: dopotutto, quella punizione non era stata poi così male.
 
 
Il fuoco scoppiettava allegro nel caminetto regalandole un piacevole tepore mentre, seduta a gambe incrociate sul tappeto, osservava la figura senza volto dinnanzi a lei: era più alta di una trentina di centimetri buoni ed era palese, dal fisico e dalla voce, che fosse un adulto.
- Immagino avrai molte domande - l'unica cosa che riusciva a scorgere di lui nitidamente erano le sue labbra, che si piegarono in un sorriso.
- Sempre la stessa: chi sei? - ripeté Marinette.
- Mi crederesti? - chiese lui, divertito.
- Non dovrei? - rispose lei, incerta. Il ragazzo allungò un braccio e prese la sua mano: era liscia e calda al tatto e il suo tocco era lieve e attento quasi come quello di un genitore, cosa che la sorprese.
- Ti do un indizio - asserì, alzandola con il dorso rivolto verso l'alto - Le risposte che cerchi sono qui dentro - disse, picchiettando il dito sull'anello.
- Ma io non so niente di quest'anello - rispose lei, alzando lo sguardo e incontrando solo due fosse scure lì dove avrebbero dovuto esserci gli occhi. Lui sorrise di nuovo.
- Capirai a tempo debito - disse l'uomo, dolcemente... poi tutto sparì.
 
 
- Marinette? Marinette! Marinette, svegliati. -
La ragazza aprì gli occhi lentamente, incontrando due grandi iridi verdi poco sopra di lei; sbatté le proprie e, pian piano, ritornò alla realtà: era stesa sul divano nel salotto della Villa, pancia e su e, sorprendentemente, la mano destra sospesa davanti a sé come a voler toccare il soffitto.
- Scusa se ti ho svegliata ma... beh, stavi parlando nel sonno e poi hai alzato il braccio: temevo che stessi per divenire sonnambula - ammise Adrien, in imbarazzo.
Marinette ci mise poco a collegare tutto, il ricordo della sera precedente con quello del sogno, e svelta si affrettò ad abbassare il braccio per poi alzarsi.
- Io... s-scusa... è che ultimamente faccio sogni strani - ammise, mettendosi seduta - C-Che ore sono? - chiese poi, per spazzare via quell'atmosfera di disagio. Il ragazzo si alzò e diede un'occhiata al proprio telefono: - Le sette e mezza. Abbiamo dormito un paio d'ore - rispose.
- Così poco? Mi dispiace, sarai stanco - esclamò lei, agitata - Dovresti tornare a casa e riposare come si deve - disse alzandosi.
- Ok, tranquilla - sorrise lui, per calmarla - Tu non vieni? - aggiunse. Marinette esitò.
- No, io... ho ancora alcune cose da fare - disse, più seria di quanto avrebbe voluto. Lo accompagnò alla porta e lì si salutarono; appena Adrien ebbe varcato il cancello, reprimendo uno sbadiglio, Lal piombò di fronte la porta quasi come se fosse caduta dal cielo, facendola sobbalzare.
- Lal! - esclamò, spaventata da quell'apparizione improvvisa.
- Dobbiamo parlare - asserì la bambina, fissandola seria, precedendola in casa. Marinette la seguì fin nel grande salone adiacente all'atrio e Lal saltò sul tavolino, girandosi a guardarla. - Togli l'anello - ordinò. La ragazza sembrò confusa, ma fece come chiesto e poggiò l'anello sulla superficie di vetro del tavolo.
Lal lo studiò a lungo prima di parlare - Hai avuto qualche altra visione? - chiese.
Marinette ci mise qualche secondo a formulare la risposta, poi raccontò del sogno fatto quella mattina. La bambina restò a lungo in silenzio.
- Quindi è così - asserì infine.
- Così... cosa? - domandò lei. Lal sospirò.
- Gli Anelli della Famiglia Vongola non hanno una predisposizione particolare su chi possa indossarli... tutti tranne quello del Cielo, che può essere usato esclusivamente da un discendente di Giotto, ovvero chiunque abbia nelle proprie vene il suo sangue - spiegò.
Marinette inarcò un sopracciglio - E... allora? - chiese.
- Questo anello... - continuò, prendendolo - ...funziona più o meno allo stesso modo: è stato legato al sangue del suo primo possessore, il Braccio Sinistro di Giotto appunto, e soltanto un suo discendente può usarlo. -
- Aspetta un secondo! - la interruppe Marinette, sgranando gli occhi - Stai dicendo che... -
- ...che il Braccio Sinistro di Giotto era il tuo bis-bis-bis nonno - rivelò Lal.
Scese un pesante silenzio tra loro, tempo nel quale la ragazza fissò la bambina ad occhi sbarrati e bocca socchiusa... poi esplose.
- CHE?! - urlò, sconvolta.
- Il tuo bis-bis-bis nonno. Il padre della madre, del padre, della madre di tua madre - specificò Lal.
- St-stai... mi stai dicendo che... il tizio che ho visto e la voce che ho sentito... era lui? - balbettò, sconvolta. Lei annuì.
Beh, adesso si spiegavano molte cose.
- Ma... - mormorò debolmente. Infine, troppo sioccata, si lasciò cadere sul divano.
- Ci sono molte cose che non so nemmeno io di questa storia - ammise Lal - Tutto ciò che mi è stato concesso di sapere è che lui fu il primo Braccio Sinistro nella storia della Famiglia Vongola e che prima era un'Hitman. Giotto lo arruolò in circostanze imprecisate e lo fece diventare un membro ufficiale della Famiglia - spiegò - Per questo sei stata scelta tu: essendo sua discendente diretta sei l'unica che può indossare ed usare questo anello - concluse.
Marinette restò in silenzio per qualche altro istante, poi deglutì.
- Ma... questo non spiega come ho potuto parlare con lui - mormorò. Lal scosse il capo.
- Ho una mezza idea ma non ne sono sicura. Se c'è una cosa certa è che l'unico che ne sa qualcosa è Reborn... ma al momento non è reperibile. Dovremmo aspettare - concluse - Per il momento cerca di estorcere più informazioni possibili a lui, anche se da quanto ho capito gli piace fare il misterioso - aggiunse, osservando l'anello che stringeva tra le dita - Evidentemente può comunicare con te solo quando lo indossi, e quì ci riporta alla voce che hai sentito quando eri sveglia, ma può mostrarsi solo quando dormi o comunque non sei del tutto cosciente - assottigliò lo sguardo e glielo porse - Per il momento, non spingiamoci più in là di quanto non dobbiamo: cercherò di far cantare Dino, so che lui sa, male che vada sapremo tutto al momento opportuno - concluse.
Marinette lo prese con dita tremanti, non riuscendo più a considerarlo l'oggetto inanimato che era prima: c'era qualcuno lì dentro, intrappolato tra i rilievi scuri e le incisioni, qualcuno che aveva contribuito alla sua procreazione.
- Torniamo a casa, hai bisogno di riposare - decretò Lal. Marinette annuì, voleva tornare a casa ma non per riposare.
Sospirò, sua madre le doveva parecchie spiegazioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
11Tayomu Tokiwa, un personaggio di The Third Family.
12Ren Kobayashi, un personaggio di The Third Family.
13C'è un motivo se Gokudera lo chiama "Testa a prato".
14Mikoto Okano, un personaggio di The Third Family.
15Mizuhiiro Sato, un personaggio di The Third Family.
16In Giapponese significa "Decimo", nome con cui Gokidera è solito chiamare Tsuna.
 
 
Angolo Autrice:
Mi sto innamorando di questa storia, il che è grave.
Detto sinceramente penso che il bello inzierà proprio da qui: sto grattando sulla superificie della storia dell'anello e presto avremo sempre più indizi per raggiungere un quadro completo. Ma per vedere il misterioso nonno di Marinette dovrete aspettare il capitolo 78, nel quale apparirà in tutta la sua bellezza di venticinquenne (oh, sì, ha venticinque anni). Invece, per la storia completa dell'anello, dovrete attendere fino al capitolo 25 nel quale Reborn si deciderà finalmente a vuotare il sacco.
Vi farò rosicare fino all'ultimo. Sì.
Ringrazio
Crystal25396 per la recensione
Aly_2468 e Crystal25396 per averla inserita tra le seguite
E mi, Aly_2468 e Sugar 22 per averla inserita tra le preferite
Mi fa piacere sapere che la storia vi piaccia o che almeno vi interessi!
Come sempre ricordo la pagina facebook Multiverse, e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Galeotta fu la Verifica - Sessione di studio intensivo con Lal!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 7
*** Galeotta fu la Verifica - Sessione di studio intensivo con Lal ***


 
REVISIONATO IL 07/06/2019



Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 06. Galeotta fu la Verifica - Sessione di studio intensivo con Lal
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 2.926
 
 
 
 
 
Sabine non aveva saputo dirle niente riguardo al suo oramai defunto bis-bis-bis nonno: sapeva solo, dai racconti ripescati dalla nonna, che un giorno la sua bis-bis-bis nonna si era presentata alla porta di casa Cheng, incinta di tre mesi e con una lettera di un certo Radi, che si era scoperto essere un lontano cugino. Da allora si poteva risalire a tutti i discendenti della famiglia, fino a lei... ma di Radi nessuna traccia, se non il suo nome scritto alla fine di quella lettera oramai perduta.
Sospirò, affranta, scarabocchiando con la penna sull'angolo del quaderno, ignorando completamente madame Bustier che parlava da oramai dieci minuti... almeno finché Alya non le diede una gomitata sul braccio, facendola sussultare.
- Cosa? - chiese, voltandosi a guardarla.
- Hai sentito quello che ha detto? - domandò lei, in un sussurro, sospirando allo sguardo perso di lei - Domani ci sarà una verifica sulla nostra ricerca, i voti individuali influiranno su quello collettivo... - spiegò.
- Cosa? - sbottò, a voce più alta del previsto, facendo voltare tutti verso di lei.
- Hai capito benissimo, Marinette - rispose madame Bustier, credendo che quella reazione fosse dovuta a ciò che aveva detto - Se prenderai un brutto voto ci andranno di mezzo anche i tuoi compagni di ricerca, quindi vedi di studiare! - ammonì. Marinette deglutì, facendosi piccola piccola sulla sedia, mentre sentiva il panico crescerle dentro: aveva completamente dimenticato la ricerca!
 
 
Ci mancò pochissimo perché la ragazza facesse un volo giù dalle scale che univano il piano superiore con la palestra/atrio della scuola, rischiando di mandare seriamente qualcuno all'ospedale (tipo la povera Rose, la cui unica colpa era stata passare di lì in quel momento). Biascicando scuse, Marinette corse nel corridoio e si fiondò al proprio armadietto, quasi scardinandolo mentre lo apriva.
- Cos'è successo stavolta? - domandò Lal, seduta al tavolino a leggere un libro.
- Domani ho la verifica e non ho studiato per la ricerca! - rispose lei, tutto d'un fiato. Lal voltò lo sguardo verso di lei, nascosto dagli occhiali.
- L'avevi dimenticato, vero? - chiese, impassibile.
- Sì - ammise la ragazza, affranta, abbassando il capo. La bambina sospirò, chiudendo il libro e poggiandosi gli occhiali sul capo.
- Non andremo molto lontano di questo passo - decretò.
- Lo so - rispose lei - E mi dispiace - aggiunse.
- Di che cosa ti dispiace? - domandò la voce di Alya, alle sue spalle. Marinette sobbalzò e chiuse l'armadietto di scatto, voltandosi verso di lei.
- Di non aver... ehm... prestato attenzione in classe? - buttò fuori, incerta.
- E lo dici all'armadietto? - domandò la ragazza, perplessa.
Marinette sgranò gli occhi - Ehm... -
- Sei strana ultimamente - notò l'amica. Lei rise.
- Io sono sempre stata strana! - commentò, nervosamente - Comunque, ti serve qualcosa? - chiese, fingendo naturalezza.
- Sì. Io e gli altri ci siamo messi d'accordo per studiare insieme stasera: vieni anche tu? - propose Alya.
- Ehm... s... no! - rispose lei, mordendosi la lingua.
- Non ti posso aiutare se ci sono anche loro! - sussurrò Lal, da dentro l'armadietto.
- Cosa? - domandò Alya, stupita.
- No, non posso. Cioè, a studiare studierò ma... ecco, ci sono molte cose che devo fare e voglio farle da sola, rischierei solo di rallentarvi - spiegò - Prometto che la verifica di domani andrà benissimo! - aggiunse, aprendo uno spiraglio nell'armadietto e afferrando Lal, per poi ficcarla poco delicatamente nello zainetto dando le spalle ad Alya - Ci vediamo domani: non chiamarmi, devo stare concentrata. Ciao! - salutando con la mano, scappò fuori dalla scuola passando in mezzo al gruppetto composto da Sabrina, Chloé, Nathan e Ivan che la guardarono straniti.
- Ma Marinette! - la richiamò Alya, piccata. Lei non si voltò nemmeno.
 
 
Facendo tintinnare il portachiavi a forma di tartaruga, Marinette inserì la chiave nel cancelletto singolo ed entrò nel vialetto della grande Villa. Erano passati solo tre giorni da quando l'aveva rimessa a nuovo che Lal l'aveva già adibita a loro quartier generale, sebbene quella fosse la prima volta che ci tornasse. Trascinando il borsone pieno di vivande attraversò il selciato lindo ed arrivò fino ai grandi scalini di marmo bianco: non dubitava del fatto che vivere in una Villa del genere sarebbe stato magnifico ma era anche consapevole del fatto che, sebbene avesse il permesso di andare e venire quando voleva, restava pur sempre una proprietà di Dino.
Aprì il grande portone bianco ed entrò, richiudendoselo alle spalle a chiave mentre Lal si era già avviata verso la cucina, per poi seguirla e poggiare la borsa sull'isolotto di marmo grigio al centro della stanza.
- Studieremo qui, c'è più luce - decretò la bambina balzando accanto ad esso. Marinette tirò fuori tutto il materiale di ricerca che aveva stampato da Alya e lo posizionò sul tavolo, in un bel malloppo: ci avrebbero passato la notte lì vicino, di questo era certa.
 
 
 
 
Tayou ha creato il gruppo Vongola Famiglia
 
Hibari: Ho whatsapp da tre settimane e già cominciate?
Tayou: E non fare l'acido!
Dino: Hai aggiunto anche me, che tenera
Rika: Esco dalla doccia e trovo certe cose... Tayou, dormi nella stanza accanto alla mia!
Tayou: Non tutti hanno la fortuna di dormire nella stanza accanto alla tua
Ryohei: I gruppi whatsapp sono ESTREMI!
Gokudera: Kami, anche lui no!
Yamamoto: Su, su, non litigate anche quì
Urara17: Io ho paura quando la Famiglia si riunisce
Tayou: Non spaventate Urara che vi picchio!
Urara: Grazie, Tayou
Gokudera: Urara si spaventa a prescindere
Mizuhiiro: Hayato... stai zitto
Tsuna: Ragazzi, sono le cinque del mattino...
Gokudera: Non è colpa mia, Decimo, ma di questi idioti!
Tsuna: Ma che ci fate tutti svegli alle cinque del mattino?!
Ryohei: Io mi alleno sempre a quest'ora
Rika: Sono io che faccio la donna di casa, qui dentro
Ren: E te ne siamo molto grati
Rika: Alza il culo e vieni a pulire la cucina, tu: devo preparare la colazione!
Ren: Che despota!
Mitomi: Era impossibile continuare a dormire con tutti questi messaggi
Hibari: Ho sempre pensato, io, che fossi iperattiva
Tayou: Sì, può darsi
Dino: Ma Marinette non dovrebbe studiare? Dubito che abbia il tempo di pensare a noi... anche perché c'è la probabilità che Lal la uccida.
Ti voglio bene, Dino.
Davvero.
Gokudera: Ah, già... c'è anche lei.
Bianchi: Hayato, smettila.
Gokudera: Che cazzo ci fai tu qui?!
Tayou: Bianchi fa parte della famiglia, schizzato
Mitomi ha inviato un vocale
Cos...
Ren: Mito, ti prego, no!
Hibari: Devo rispondervi davvero?
Tayou: Ma... ma... non è vero!
Dino: Pff... ahahahaha
Hai inviato un vocale
Dino: E dai, Lal, non fare l'acida!
Hibari: Le sue minacce di morte sono molto creative
Tayou: E se lo dice lui
Mitomi: Lal, hai una mente perversa...
Urara: Non l'ho capita la cosa del portauovo
Yamamoto: Non fa nulla, Urara, è meglio così
Tsuna: ...
Mizuhiiro: ...
Rika: Provo un odio profondo verso di voi
Mitomi: Tranne per Kyoya-nee
Rika: MITOMI!
 
Marinette guardò perplessa il telefono che stringeva tra le mani, il tramezzino sospeso a mezz'aria e le sopracciglia aggrottate. Poi spostò lo sguardo su Lal.
- Ma sono sempre così? - domandò. Lei alzò le spalle, indifferente, e Marinette riposò lo sguardo sulla chat, prima di scuotere il capo e chiudere lo schermo tornando alla sua cena.
Gli appunti erano stati ordinatamente impilati in un angolo del tavolo, in due file: quella già studiata e quella ancora da ripassare. Fu con un sospiro stanco che Marinette si rese conto che la fila da fare era più alta di quella già fatta.
- Voglio un bel voto domani, sappilo - decretò Lal.
- Sì, anche io - rispose le, dando un morso al panino, sconfortata.
Sarebbe stata una lunga, lunghissima notte.
 
 
 
- Marinette... fai paura! -
La ragazza si voltò verso la voce che aveva parlato, mettendo a fuoco Nino fermo davanti gli armadietti che la fissava stranito.
- Quanto hai dormito? - chiese Adrien, sebbene le occhiaie della compagna parlassero chiaro.
- Un'ora e venticinque minuti - rispose, impassibile - Non so come faccio a stare ancora in piedi - ammise, chiudendo l'armadietto senza guardarlo.
- Sì, me lo chiedo anche io - annuì Nino - Quelle occhiaie sono davvero spaventose - aggiunse. Marinette alzò gli occhi al cielo.
- Grazie, Nino, mi sei di conforto - lo rimbeccò, stancamente.
- Per tutti gli Chanel! - sbottò una voce alle loro spalle. Marinette chiuse gli occhi, pregando qualche santo indistinto, e si voltò verso la voce che aveva parlato.
- Credimi, Chloé, fingerei di sorprendermi se non fossi troppo stanca per farlo - rispose, guardando la ragazza che la fissava ad occhi sgranati.
- Sei spaventosa! - commentò lei.
- E siamo a due - sospirò Marinette. Proprio in quel momento Alya raggiunse il gruppo tutta gongolante.
- Giorno, ragaz... santo cielo, Marinette! - esclamò, sobbalzando quando l'amica si voltò verso di lei - Fai paura! - disse, sconvolta.
- E tre - contò la ragazza, prendendo lo zaino - Ho passato tutta la notte a studiare, ok? So di essere "spaventosa" ma non posso farci niente, ho avuto a malapena il tempo di fare colazione stamattina figurarsi badare alle mie occhiaie - aggiunse, seccata: Lal l'aveva tenuta sveglia tutta la notte, concedendole solo un'ora e mezza di riposo sul divano del salotto prima di riprendere il ripasso mattutino e mandarla a scuola. Quella bambina sapeva essere crudele.
- Beh, non puoi andare in giro così! - sbottò la bionda, indignata.
- In effetti non sei un bello spettacolo - ammise Sabrina, esitante.
- Non credevo che lo avrei mai detto... ma sono d'accordo con loro - ammise Nino.
- Grazie, Nino - rispose Mairinette, sarcastica.
Questo è un colpo basso al mio ego: io sono sempre stato un bel ragazzo.
Marinette alzò gli occhi al cielo: - Anche lui no - si lamentò. Aveva discusso con Lal per dieci minuti, quella mattina, prima di convincersi a mettere l'anello e se ne stava seriamente pentendo.
- Lui? - chiese Alya perplessa.
- Delirio da sonno. Ignoratemi - rispose, secca, facendo per andare in classe. Ma, sorprendentemente, fu Chloé a fermarla prendendola per il braccio.
- Non ci pensare nemmeno, carina - l'ammonì - Sabrina, beauty-case! - ordinò, trascinandola verso il proprio armadietto e sparendovi dentro, sotto lo sguardo stupito e lievemente perplesso degli altri.
Marinette ricordò ben poco di quello che accadde dopo, tranne il volto di Chloé tremendamente vicino al suo e Sabrina che le passava tubicini e matite di dubbia identità ripescati da un borsellino bianco con motivi a stella. Mentre una mezza idea di fuggire le passava per la testa, Chloé si allontanò per ammirare l'operato con aria critica.
- Sono un genio, c'è poco da fare - disse, infine, indicando con un dito lo specchio appeso allo sportello del proprio armadietto. Esitante, Marinette vi si sporse... e sgranò gli occhi quando vide la sua immagine riflessa che le restituiva una Marinette quasi normale: le occhiaie erano solo indistinte ombre sotto gli occhi e parte del pallore sulle gote era stato coperto con del fondotinta scuro.
- Come... come hai fatto? - domandò, stupita, avvicinandosi allo specchio: quasi non si vedeva che era merito del trucco. Chloé sbuffò, scettica, mentre i tre ragazzi si sporgevano oltre la sua spalla per vedere la scena del crimine.
- Non per vantarmi, ma io sono la regina del make up! - informò, poggiandosi una mano al petto in un gesto altezzoso - Non c'è niente che non possa fare con un po' di trucco! -
Nino sbirciò oltre la testa di Sabrina, e fischiò: - Ora si che stai meglio! - commentò, ammirato.
- Non si nota nemmeno - annuì Adrien.
- Non c'è bisogno che mi ringrazi, so di aver fatto un ottimo lavoro - aggiunse, infilando il beauty-case in un ripiano e chiudendo lo sportello - Ci si vede - salutò, sparendo nel corridio.
Alya la guardò andare via con un sopracciglio alzato, incrociando le braccia al petto: - Ultimamente Chloé si comporta in modo troppo strano - commentò, sospettosa.
- Intendi che, tutto ad un tratto, è diventata più gentile con Marinette? - domandò Adrien.
- Sì. Andiamo è risaputo che Chloé odi Marinette! - sbottò - Giusto, Marinette? - aggiunse, non ricevendo però risposta. - Marinette? - tutti e tre si voltarono e sbatterono le palpebre, stupiti: la ragazza sonnecchiava, in piedi e con la fronte spiaccicata contro lo sportello.
- Credo che il problema non la sfiori più di tanto - commentò Nino, sporgendosi verso l'amico. Alya sospirò e schioccò le dita davanti al suo viso, facendola svegliare di soprassalto.
- Sono sveglia! Sono sveglia! - esclamò lei, guardandosi intorno - Sono sveglia - ripeté, scuotendo il capo per riprendersi.
- Forza, andiamo! - Alya la prese per un braccio e la trascinò in classe - Vedi di non addormentarti durante la verifica. -
- Ci proverò - sospirò la ragazza, prima di sentire qualcuno ridacchiare nei meandri della propria testa e sprofondare ancor di più nell'abisso della disperazione.
Oh, tranquilla, ci penserò io a tenerti sveglia.
Sarebbe stata la verifica più impegnativa della sua vita.
 
 
 
Un venticello leggero spazzava le rade foglie depositate sull'erba perfettamente falciata, il cielo era limpido e di un azzurro intenso dandole una sensazione di pace e tranquillità mentre, seduta sulla panchina in pietra bianca, faceva dondolare i piedi nudi che sfioravano gli steli freschi dell'erba.
- Un altro dei posti che adoro - sospirò la voce accanto a lei: voltandosi leggermente, scorse il corpo di Radi seduto sulla panchina con la testa reclinata all'indietro; sebbene fosse pieno giorno non riusciva lo stesso a scorgere il suo volto - Venivo spesso qui, specialmente al tramonto - aggiunse.
Marinette si guardò intorno: alberi carichi di frutta costeggiavano il giardino e un imponente castello torreggiava alle loro spalle. Su per giù, poteva essere estate.
- È un bel giardino - annuì - Dove siamo? - aggiunse, tornando a guardarlo.
- In Italia - rispose lui - Questa che vedi è la sede della Famiglia Vongola... o almeno così come la ricordo - aggiunse, indicando la costruzione alle sue spalle - Sebbene i successori abbiano cercato di mantenere lo sfarzo che le diede Giotto, sono state apportate diverse modifiche nel corso degli anni: a volte per una questione di gusti, altre per necessità - spiegò.
Marinette annuì e tornò a guardare il cielo: - Si sta bene, qui - mormorò, chiudendo gli occhi.
- Sembra di non avere nessun problema al mondo - concordò Radi.
Restarono in silenzio per qualche minuto, poi Radi ridacchiò: - Mi dispiace interrompere questo tenero momento nonno-nipote, ma forse è il caso che ti svegli - consigliò, divertito - La tua amica sembra molto in ansia - aggiunse.
Marinette aprì gli occhi e si voltò a guardarlo, già con la bocca socchiusa per dire qualcosa, ma lo aveva appena visto che lui scomparve.
 
 
Marinette mugugnò nel sonno, sentendosi toccare insistentemente la guancia.
- Mmh... aspetta, devo chiederti una cosa - mormorò, stringendo gli occhi nel tentativo di riafferrare l'immagine del giardino e di colui che ce l'aveva portata.
- E chi si muove! - esclamò una voce femminile accanto a lei. Marinette sbarrò gli occhi e si drizzò di scatto, trovandosi un foglio per gli appunti appiccicato al viso; lo tolse e rischiò di prendere un colpo quando incontrò i grandi occhi castani di Alya a pochi centimetri dal suo volto - Hai dormito tutte e due le ore di chimica, pensavo fossi entrata in coma - sbottò la ragazza.
- Io... cosa... davvero? - chiese, perplessa, per poi passarsi due dita sugli occhi - Per caso ho detto qualcosa mentre dormivo? - domandò, cercando di riprendersi.
- Hai mormorato qualcosa, ogni tanto... però credo di averti sentito dire "giardino" una volta - rispose, pensierosa - Sbaglio, o ultimamente hai preso il vizio di parlare nel sonno? - domandò, rimettendo il tablet nella borsa.
- A quanto pare sì - sospirò lei, raccogliendo le sue cose - Sarà lo stress - aggiunse, alzandosi.
O forse è il fatto che quando parli con me entri in uno stato di trance, quindi sei metà nella mia mente e metà nel mondo reale, le spiegò la voce di Radi, come se stesse dicendo l'ovvio.
Ah, beh, quello spiegava parecchie cose.
Sospirando per l'ennesima volta Marinette scese i gradini della classe.
- Com'è andata la verifica? - chiese Nino, mettendo la borsa in spalla. La ragazza lo guardò stranita per qualche secondo, poi scosse il capo.
- Scusa, Nino, ma non ti saprei proprio rispondere: in questo momento sono completamente fusa - rispose, posandosi una mano sulla fronte.
- Sembri proprio stanca - concordò Adrien. Lei annuì ed alzò lo sguardo sulla porta.
- Ora, scusatemi, ma mi servono due minuti per ricordare la strada di casa - aggiunse, uscendo dall'aula; i due ragazzi lanciarono uno sguardo ad Alya, che alzò le spalle.
- Sarà lo stress. -
 
 
 
- Com'è andata le verifica? -
Ci mancò poco che Marinette finisse in mezzo alla strada con un sobbalzo tanto fu lo spavento: Lal se ne stava seduta sul muretto che costeggiava la scuola e la guardava impassibile. La ragazza sgranò gli occhi, poi l'afferrò per il colletto del mantello e corse dietro le scale.
- Devi smetterla di spuntare dal nulla! - sbottò, con ancora il cuore che batteva a mille - Comunque non lo so: sono così stanca che ricordo a malapena come ho fatto a scendere le scale - aggiunse, in un borbottio.
Lal alzò un sopracciglio - Beh, dovremo aspettare i risultati - decretò, infine.
- Bene. Perché io voglio tornare a casa a dormire - rispose lei, ficcando la bambina nello zainetto mentre usciva in strada.
- Ricordati che domani devi fare la presentazione del progetto - le ricordò Tikki, facendo sbucare la testa dalla borsetta.
- Quindi stasera prepara gli appunti - aggiunse Lal, sporgendosi dallo zaino.
- Già, la presentazione! L'avevo dimenticato! - esclamò Marinette, battendosi una mano sul viso - Io non ce la posso fare - sospirò.
- Stasera si studia? - domandò Lal, retorica, poggiandosi alla sua spalla.
- Non vedo altre alternative - rispose lei - Speriamo solo che Papillon decida di prendersi una vacanza almeno oggi, non so se ce la farei a dover essere anche Ladybug - commentò.
Peccato, era uno dei pochi momenti emozionanti che avevamo.
Marinette trasse un profondo sospiro - Giuro, questa è l'ultima volta che indosso l'Anello! - sbottò.
Scese un beato silenzio solo per pochi istanti.
Cattiva.
Altro sospiro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
17Urara Yada, un personaggio di The Third Family.
 
 
Angolo Autrice:
E siamo arrivati al capitolo 7! Detto sinceramente non so proprio come comportarmi con Chloé e qui mi sembra troppo OOC... ma vabbeh, vedrò di sistemarla in qualche modo: ho tanti progetti per lei, in futuro *ride maleficamente*
Non c'è molto da dire: ringrazio chi legge questo sclero, chi ha la forza per commentarlo e per seguirlo. È molto importante per me sapere che, anche se in pochi, siete interessati a questa... cosa.
Ne approffitto per spammare la mia pagina facebook Multiverse e il mio sito Web e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Visita scolastica: Lal... Insegnante Privata?
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 8
*** Visita Scolastica - Lal... Insegnante Privata? ***


REVISIONATO IL 07/06/2019




Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 08. Visita scolastica - Lal... Insegnante Privata?
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 5.058
 
 
 
 
 
La Mafia: la Criminalità Organizzata.
- La Criminalità Organizzata? - domandò Alya, scettica, fissando le diapositive che scorrevano sul computer.
- Avevi un'idea migliore? - ribatté Nino, retorico
- Beh, potevi trovare qualcosa di più originale - rispose lei.
- Le cose semplici sono le più buone! - ricordò il ragazzo, saggiamente, ricevendo in risposta un sopracciglio inarcato.
- Ringrazia che non l'abbia detto con la voce di Banderaz - mormorò Adrien, sporgendosi verso Marinette che ridacchiò.
- Ridete pure voi due - li rimbeccò Nino, sarcastico - Ma a me la voce di Banderaz viene benissimo! -
Alya alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo, per poi tornare a prestare attenzione alla presentazione.
- Ognuno di noi ha la sua parte da esporre, ve l'ho anche stampata a riassunto - illustrò Alya, passando dei fogli ai ragazzi - Comincerò io, poi Adrien, Nino e infine Marinette. Cerchiamo di essere brevi e concisi: la Bustier odia chi parla troppo - ricordò.
- Bene - annuì Marinette, aprendo la sua parte: sperava davvero che andasse tutto liscio, c'era la possibilità che quella presentazione influisse sul voto della verifica.
- Noi siamo il terzo gruppo, dopo quelli di Alix e Chloé. Abbiamo tempo per ripassare - disse Adrien.
- E abbiamo un'ottima presentazione in slide fatta da nientemeno che dal sottoscritto! - si vantò Nino, aggiustandosi il colletto della t-shirt - Andrà tutto alla grande - aggiunse, rilassandosi sulla sedia e portando le mani dietro la testa.
- Che modestia - ribatté Alya, sarcastica, facendo il giro per tornare al proprio posto seguita da Marinette, che iniziò subito il ripasso. La prima ora passò in un lampo, mentre la Bustier entrava in classe e i gruppi di Alix e Chloé si preparavano ed esponevano la loro ricerca; Marinette seguì ben poco delle presantazioni, troppo occupata ad imparare la propria parte a memoria.
Sussultò quando Nino poggiò la propria mano sul banco, esattamente tra loro due.
- Abbiamo perso un sacco di tempo a vedere gli aspetti generali ma non ci siamo preparati su nulla in particolare! - ricordò in un sussurro, agitato.
- Che significa "in particolare"? - domandò Marinette.
- Gli altri gruppi hanno portato un approfondimento sulla storia di un personaggio del crimine - rispose Alya - Secondo te perché Kim era vestito da Jack lo Squartatore? -
- Ehm... - a dirla tutta, Marinette non ci aveva fatto molto caso impegnata com'era a ripassare.
- E adesso che facciamo? - bisbigliò Adrien.
- Qualcuno di voi è incappato in un nome particolare della Mafia? - chiese Nino, disperato.
Marinette guardò tutti, con un groppo in gola.
Parla della Famiglia: ne sai abbastanza e posso aiutarti io.
Parlare della Famiglia? Certo, li avrebbe salvati da un probabile voto basso... ma avrebbe mandato a farsi benedire il segreto: Lal si sarebbe arrabbiata e lei non voleva passare un'altra nottata in bianco a pulire la Villa.
Non temere, per qualunque cosa dai la colpa a me.
Marinette sgranò gli occhi: aveva davvero deciso di prendersi la responsabilità dell'aver gettato nel gabinetto la discrezione?
Sei pur sempre la mia nipotina adorata. Quale altro nonno lo farebbe?
Semmai bis-bis-bis nonno...
Siamo lì.
- Ehm... - ripeté, incerta, fissando l'anello - Forse io... - mormorò.
- Davvero? - chiese Nino, spostando gli occhi sgranati su di lei.
- Ecco, sì, però non so se... - cominciò Marinette, venendo interrotta da Madame Bustier che guardò nella loro direzione.
- Siete pronti, voi? - domandò, facendoli girare verso la lavagna.
- Ahm... sì! - rispose Alya, alzandosi - Sì, siamo pronti! - annuì, più convinta, scendendo le scale seguita dagli altri: si misero in fila davanti la cattedra e Nino inserì la chiavetta nel PC della classe per far partire le slide.
Alya iniziò con la storia, parlando dei primi veri gruppi di criminalità organizzata mai esistiti, mentre Marinette ripassava tutto ciò che aveva appreso sulla Famiglia Vongola in quell'ultimo periodo sperando che bastasse.
Quando venne il suo turno espose la propria parte, impappinnandosi leggermente ogni tanto per l'ansia, ma senza troppi danni.
Fu solo dopo che iniziò il vero incubo: se Marinette avesse saputo ciò che sarebbe successo da lì in poi non avrebbe mai pronunciato il nome Vongola di propria spontanea volontà.
- Perfetto, ragazzi - si complimentò l'insegnante - Avete scelto qualche ramo in particolare di cui parlare? - chiese. Alya, Adrien e Nino spostarono lo sguardo su Marinette che si sentì schiacciata sotto il peso di tutta quell'ansia. Prese un profondo respiro e fece appello a tutte le sue forze.
- Sì. Abbiamo scelto di approfondire un'organizzazione mafiosa chiamata... Vongola Famiglia - disse, tutto d'un fiato, pronunciando le ultime due parole in italiano di proposito. Per due secondi tacque, aspettandosi di veder spuntare dal nulla Lal con uno dei suoi micidiali calci volanti, o peggio ancora col fucile carico (e non di Proiettili dell'Ultimo Desiderio)... invece, contro ogni aspettativa, non accadde nulla. Decisamente sollevata si schiarì la gola per andare avanti, anche se non sapeva bene da dove partire.
- Ecco, è una tradizione della Mafia italiana riunirsi sotto uno stesso nome, di solito appartenente al Boss: loro si considerano una Famiglia anche se non hanno alcun legame di sangue e spesso si alleano con altre Famiglie, per un motivo o per un altro - cominciò, ritrovando un po' di fiducia - Abbiamo scelto la Famiglia Vongola perché è un'organizzazione criminale un po'... differente dalle altre - spiegò, attirando l'attenzione dell'insegnante.
- Differente in che senso? - chiese la donna.
- Ehm... beh... tanto per cominciare... - continuò, cercando le parole adatte per spiegarsi, andando nel panico: non stava facendo una bella figura in quanto a esposizione - La Vongola Famiglia fu fondata più di cento18 anni fa da Giotto Vongola, che ne fu il primo capostipe - disse. Fu solo quando le parole le uscirono di bocca che si accorse di averle dette. Sgranò gli occhi.
L'avevo detto che ti avrei aiutata.
Certo, era ovvio.
Ora su che ce la fai: rendi fiero il tuo nonnino!
Marinette sorrise leggermente: dove lo trovava un bis-bis-bis nonno così?
Da nessuno parte, stanne certa.
- Giotto, sebbene avesse creato una vera e propria organizzazione mafiosa adoperava diversamente il proprio "potere" - continuò, frugando nelle informazioni che sentiva scorrere nel cervello come un fiume, sicuramente passatele da Radi - Scelse un territorio che pose sotto la propria protezione e si occupò di mantenerlo al meglio, insieme a tutti coloro che lo abitavano. Purtroppo non siamo riusciti a rimediare molte informazioni, essendo per la maggioranza riservate, ma ci sono fonti attendibili che parlano di traffici di droga e di esseri umani e fitte reti criminali e assassine sventate proprio dalla Famiglia Vongola, sebbene questa abbia sempre cercato di non far arrivare informazioni dove non dovevano arrivare. Ovviamente, facevano anche i mafiosi... - aggiunse, incerta e un po' inorridita, mentre le arrivavano informazioni che era meglio se Radi avesse tenuto per sé - ...ma su per giù siamo lì - finì, cercando di riprendersi - Si sa che la Vongola Famiglia sia ancora in attività, anche se negli ultimi anni se ne sono perse alcune tracce. -
Sei un po' troppo vaga.
Scusate se non voleva sbandierare ai quattro venti i segreti della Famiglia... alcuni dei quali voleva che restassero tali anche per lei.
Hai ancora tante cose da imparare, Marinette.
Su questo non aveva dubbi.
- Una Mafia diversa da quella proposta finora - commentò Madame Bustier.
- Per questo l'abbiamo scelta - rispose la ragazza, con un ampio sorriso - Era una Mafia... nuova. Cioè, nuova nel modo di agire - si corresse - Credevamo fosse un'idea originale e... -
- ...hai appena gettato nell'immondizia anni di duro lavoro - concluse una voce fredda, dietro di lei, facendola gelare sul posto.
Oh, merda.
Radi non avrebbe potuto dirlo meglio. Pregando qualunque Dio e Santo esistente, Marinette si voltò lentamente, già pregustando la sua ultima ora di vita: Lal era in piedi sulla cattedra, esattamente dietro di lei, che la trafiggeva con i suoi occhi rossi.
Ora era davvero nei guai.
- È stata un'idea di Radi - buttò fuori, sudando freddo.
Non hai perso tempo.
- Tale nonno, tale nipote - rispose lei, con gelido sarcasmo.
- Ehm... ci dispiace? - tentò lei.
- Con me non attacca, sappilo - avvisò subito Lal.
Ad interrompere quel dialogo, che sarebbe senza dubbio finito con un omicidio, fu Madame Bustier che si schiarì la gola.
- Ehm... - attirò l'attenzione, cercando di sorridere sebbene la sua incertezza fosse evidente - Esattamente lei... che cosa è? - domandò rivolgendosi a Lal, perplessa.
A Marinette bastò voltare lo sguardo alle sue spalle per vedere tutta la classe che fissava la bambina, curiosa e spaesata... e questo non andava bene. Non andava bene per niente.
- Non è evidente? - rispose Lal - Sono una bambina - lo disse in un tono così ovvio e macabro da far rizzare i capelli a tutti i presenti. Marinette si passò una mano sulla fronte: ma chi mai le avrebbe creduto?!
- Ah - fu tutto ciò che rispose l'insegnante - E... sei un'amica di Marinette? -
- Sono la sua Insegnante Privata. -
Un silenzio attonito seguì quest'affermazione: andavano sempre peggio. Madame Bustier, invece, ridacchiò.
- Oh, e così sei un'insegnante privata? E cosa insegni? - chiese, divertita, evidentemente convinta che lei stesse scherzando o giocando.
Povera illusa.
Lal alzò lo sguardo su di lei, seria oltre ogni immaginazione, e quando parlò un gelo innaturale calo fra i presenti: - Potrei dirglielo... ma dopo dovrei ucciderla. -
Marinette sgranò gli occhi e aprì la bocca, per poi battersi entrambe le mani sul viso: alla faccia della discrezione!
Tutti gli sguardi si spostarono su di lei, che sbirciò con un occhio tra le dita prima di togliere lentamente le mani.
- È più vecchia di quanto possiate credere - rispose, a mo' di spiegazione, facendo alzare parecchi sopraccigli.
- Vecchia. Adesso non esageriamo con i termini - disse Lal.
- Sei tu che non vuoi dirmi quanti anni hai - la rimbeccò Marinette.
- Anche se te lo dicessi non mi crederesti - tagliò corto lei.
- Oh, andiamo, Lal: ne ho viste talmente tante da quando ti conosco che potrei credere persino agli Unicorni che volano! - sbottò la ragazza.
- Lal? - domandò Alya, sporgendosi oltre i due ragazzi - Quella sarebbe Lal? - chiese, indicando la bambina.
Marinette si voltò a guardarla, sbatté le palpebre e sorrise (anche se in modo decisamente inquietante).
- Potete scusarci solo un momento? - chiese, afferrando la bambina per il cappuccio del mantello e sfrecciando fuori dall'aula sotto lo sguardo stupito di tutti, per poi fiondarsi negli spogliatoi femminili. - Ti rendi conto che ti ha vista tutta la classe?! - esclamò, quando Lal fu saltata sulla panca.
- E allora? -
- Hai minacciato di morte la mia insegnante! -
- Non era una minaccia ma una constatazione - scrollò le spalle lei.
- Lal! - la riprese la ragazza.
- Sei tu che hai parlato della Famiglia Vongola a tutti - le ricordò la bambina, coprendo con la propria voce il fruscio che provenne da fuori la porta.
- Ok, è vero, ma è stata un'idea di Radi... e poi non ci eravamo preparati su niente, mi serviva qualcosa su cui parlare! Dopo tutte le ore che abbiamo passato a studiare un voto basso per una cosa del genere non lo avrei accettato - spiegò, iniziando a camminare per la stanza.
- Marinette, ciò in cui sei coinvolta è più serio di un voto basso a scuola - sospirò Lal - Non puoi davvero paragonare le due cose: sarebbe come mettere sullo stesso piano un attentato terroristico e un giro al luna park - sbottò.
- Stava andando tutto bene, nessuno avrebbe mai sospettato che io...! - iniziò, ma non riuscì a finire.
- Sh! - Lal la zittì saltandole addosso: Marinette cadde di schiena sul pavimento, trovandosi la bambina in piedi sul petto che fissava la porta - C'è qualcuno fuori - mormorò.
Marinette alzò lo sguardo, si scambiò un'occhiata con Lal e si alzò, avvicinandosi lentamente. Posò una mano sulla maniglia e, dopo un secondo, spalancò la porta: con un sussulto e qualche strillo, quattro persone caddero sulla moquette. Marinette, dapprima sorpresa, s'indispettì e incrociò le braccia al petto.
- Non è educato origliare le conversazioni altrui - fece notare, mentre i quattro erano gelati sul posto: Nino e Adrien se ne stavano stesi a pancia in sotto sul freddo pavimento con Alya e Chloé addosso.
- Noi non volevamo origliare - rispose subito Nino.
- Volevamo solo parlarti - aggiunse Adrien.
- Ma poi Chloé ha pensato che fosse una buona idea ascoltare la conversazione e... - disse Alya.
- ...e vi siete aggregati anche voi perché la trovavate interessante - finì la bionda acida, guardandola.
- Beh, neanche loro sanno cos'è la privacy... ti troverai benissimo in Famiglia - commentò Lal, seduta sulla panca. Marinette sospirò, portandosi due dita a reggere il ponte del naso.
- Ti prego, Lal, risparmia il tuo sarcasmo per un momento più opportuno - disse.
- Beh? Non ci presenti? - domandò Alya alzandosi, incurante di aver calpestato Nino.
- Non so se sia una buona idea - sospirò Marinette - Più state fuori da questa storia e meglio è - aggiunse.
- Perché? - chiese Nino. Marinette inarcò un sopracciglio.
- Se non vi presento ma poi vi spiego il motivo che senso ha? - chiese.
- Vero - acconsentì lui, tirandosi su.
- Da quando hai un'insegnante privata? - chiese Adrien.
- Un po' - rispose lei, vaga - Lei è... aah, lei è Lal Mirch, un'amica di Dino - si arrese infine - Ragazzi, Lal. Lal, i ragazzi: Alya, Nino, Chloé e... -
- Adrien - l'anticipò lei, annuendo - Ci conosciamo già - tagliò corto. Marinette guardò da Lal, tranquilla, ad Adrien, decisamente nervoso.
- Okay... non lo voglio sapere - decretò, chiudendo la parentesi
- Cosa insegni? - domandò Nino - Se puoi dirmelo, ovviamente... non ci tengo ad essere ucciso - aggiunse, poi, annuendo vigorosamente.
Lal scrollò le spalle: - Ciò che serve - rispose.
- Era con lei che hai studiato, l'altra sera? - chiese Adrien. Marinette represse un brivido di orrore.
- Già - rispose - Una cosa che non vi auguro mai - mormorò poi.
- Ti ho sentita - informò Lal, impassibile. La ragazza strinse gli occhi, colta in fallo, poi si voltò sbattendo le ciglia.
- Ti voglio bene, Lal - disse, dolcemente. In risposta ricevette uno sguardo scettico.
- Piantala, adesso. -
- D'accordo. -
- Perché hai un'insegnante privata? - chiese Chloé.
- Perché Rebo... cioè, Dino ha pensato che potesse servirmi una mano con i compiti, e dato che Lal sarebbe venuta quì a Parigi per un po' la ospito a casa mia e lei mi aiuta a studiare - spiegò, inventando di sana pianta.
Odiava mentire ma non aveva molta scelta, di certo non poteva alzarsi e dire: "Ehi, ragazzi, lei è la mia istruttrice: faceva parte della Milizia Militare una volta. Cosa insegna? Beh, mi addestra a diventare il Braccio Sinistro di un Boss, ovviamente. Ah, non lo sapevate? Faccio parte di una Famiglia Mafiosa e ho anche un bis-bis-bis nonno rinchiuso in un anello! Buffo, vero?"
Suonava assurdo persino alle sue orecchie.
- Forte - fu tutto ciò che disse Nino.
- Sì. Fantastico - rispose lei, con poco entusiasmo.
Sospirò, passandosi una mano nella frangetta: seriamente, era la situazione più assurda in cui si era mai ritrovata.
- Beh, almeno l'interrogazione è andata bene - alzò le spalle Lal.
- Già, l'interrogazione... - mormorò, passandosi una mano sul viso, per poi sbarrare gli occhi - Già, l'interrogazione! Me ne sono completamente dimenticata! - esclamò, portandosi le mani al viso in preda al panico.
- E quando mai - commentò Lal, pacata.
- Devo tornare in classe... tu che cosa hai intenzione di fare? - domandò Marinette, abbassando le sguardo su di lei.
- Che domanda stupida: starò con te fino alla fine delle lezioni - rispose lei - È mio dovere come insegnante partecipare alle visite scolastiche - ricordò, tranquillamente.
Marinette la fissò stranita per qualche istante, seguita dagli altri.
- Visite cosa? - chiesero, in coro.
- Visite scolastiche: ovvero quando i genitori e gli insegnanti privati assistono alle lezioni dei propri ragazzi - spiegò - Me ne ha parlato Reborn, lo fa spesso con Sawada - aggiunse, a mo' di spiegazione.
La ragazza sbarrò gli occhi, capendo perfettamente a cosa si riferiva: - Ma queste cose si fanno in Giappone... quì siamo in Francia! - ricordò lei.
- E che differenza fa? -
- Non so da dove salti fuori... ma quì in Francia non facciamo queste cose - commentò Nino, perplesso.
- Poco me ne importa - tagliò corto Lal - Ho il diritto e il dovere di presenziare alla lezione, pertanto lo farò - decise, inquietante e minacciosa come sempre.
In quel momento, come poche volte in vita sua, Marinette ebbe davvero voglia di mettersi a piangere per la disperazione.
 
 
 
Quella era stata la giornata più imbarazzante della sua intera esistenza: avere Lal seduta sul banco per tutto il tempo, consapevole di essere sotto lo sguardo di tutti, era stato davvero un duro colpo per la sua autostima.
C'era solo una cosa positiva in tutto quello.
- Non è stato tutto vano, no? - chiese Lal, retorica, seduta sulla spalla a fissare il foglio che la ragazza stringeva tra le mani: aveva preso 96 punti su 100 alla verifica.
Tirò un sospiro di sollievo e abbandonò le braccia lungo i fianchi, distrutta ma al contempo sollevata: non poteva credere di esserci riuscita.
- Già - ammise, scendendo i gradini della scuola - Adesso voglio solo riposare - decretò, sfinita.
- Temo non avrai tempo per quello - l'anticipò Lal. La ragazza voltò la testa verso di lei, confusa, prima che una risata attirasse la sua attenzione.
- Non si saluta più? - domandò una voce divertita che lei conosceva bene. Si fermò sugli ultimi gradini e alzò lo sguardo: di fronte la scuola, poggiato ad una macchina nera dall'aria losca con le mani affondate nel cappotto, un ragazzo la guardava sorridendo. Marinette sgranò gli occhi.
- Dino! - esclamò.
- Ne è passato di tempo dall'ultima volta che ci siamo visti - salutò. Alla ragazza venne spontaneo, non pensò neanche per un'istante di risultare scortese, avventata o frivola: si gettò dagli ultimi gradini e gli saltò letteralmente al collo, abbracciandolo come avrebbe fatto con un membro qualunque della propria famiglia. Sebbene lo avesse incontrato di persona una sola volta, in quell'ultimo mese avevano passato molto tempo a parlare al telefono e lei, in un modo o nell'altro, era riuscita a comprendere cosa intedevano quando parlavano di "Famiglia": non poteva assolutamente fare a meno di vedere quel bizzarro Boss della Mafia come un fratello maggiore, e la prima a stupirsene era proprio lei.
Il ragazzo sembrò un po' impacciato ma ricambiò dolcemente la stretta.
- Quanta energia: l'ultima volta eri sul punto di chiamare la polizia - la prese in giro, mettendola giù. Marinette sorrise, imbarazzata, ed alzò il foglio con il voto.
- Ho preso uno dei voti più alti della classe - informò, gongolante.
- Una notte in bianco ben spesa - commentò Lal.
- Non ne dubito - annuì lui, per poi voltarsi verso l'auto ed aprire la portiera posteriore - Salite, vi do un passaggio - invitò, indicando l'abitacolo. Marinette non se lo fece ripetere due volte e prese posto sul sedile, immediatamente seguita da Dino. Poi la macchina partì.
- Allora, com'è andata ultimamente? - chiese.
- Al solito - alzò le spalle lei, prima di ricordarsi di una cosa importante e diventare seria - Ed a proposito di questo: mi devi parecchie spiegazioni - sbottò, piazzandogli la mano destra su cui spiccava l'anello davanti al viso. Lui sorrise, a mo' di scusa: sembrava sorpreso di vederselo chiedere così di punto in bianco ma era palese che se lo aspettasse.
- Hai ragione, stavolta non posso chiuderti il telefono in faccia - ammise, per spezzare l'atmosfera, poiché la ragazza sembrava molto nervosa - Ma non preoccuparti: prometto che ti dirò tutto ciò che so appena ne avrò l'occasione - assicurò - Ah, non ti dispiace se resto a casa tua per un pò', vero? - aggiunse, tranquillamente.
Marinette sembrò dimenticare per un secondo l'incazzatura per l'anello e lo fissò, interrogativa e perplessa, per qualche istante.
- Eh?! -
 
 
Quando Dino aveva detto “restare a casa sua per un po'” non si era aspettata esattamente quello. Insomma, lo vedeva come un fratello, era vero, e gli voleva bene come tale... ma, in fin dei conti, restavano pur sempre dei mezzi-sconosciuti. Senza contare che lei era una ragazza e lui un ragazzo: in quella situazione qualcuno avrebbe potuto pensare male.
Evidentemente, però, Lal non la pensava allo stesso modo dato che aveva deciso che Dino avrebbe dovuto dormire in camera con loro.
- Se è un problema per te posso anche dormire sul divano. -
Marinette si riscosse dai suoi pensieri, voltandosi a guardare il ragazzo che, in T-Shirt e tuta, spuntava dalla botola che portava alla sua camera con le braccia incrociate sul pavimento e il mento poggiato su di essi: avevo preso alla lettera il “fa come se fossi a casa tua” di Sabine, su questo non c'erano dubbi. Lei scosse il capo.
- No, assolutamente. Non c'è problema - assicurò, sgombrando la chaise-longue da tutte le cianfusaglie inutili - Ma temo di non avere niente di meglio da offrirti - ammise. Il ragazzo sorrise.
- Non preoccuparti, è colpa mia che mi sono presentato a casa tua senza preavviso - disse, salendo gli ultimi gradini - E poi devo solo dormirci, non fare chissà cosa. -
Marinette esitò un istante, infine decise di non voler sapere cosa intendesse per "chissà cosa" e si avviò verso l'armadio, per metterci i cuscini che di solito facevano bella mostra sul divanetto.
- Ecco quà, lenzuola fresche di bucato - canticchiò Sabine, spuntando dalle scale con una pila di coperte in braccio - Non è esattamente il massimo del comfort ma non siamo abituati ad avere ospiti - ammise, un po' dispiaciuta. Dino le tolse gentilmente le lenzuola di mano - Non si preoccupi, signora Cheng, la ringrazio molto per avermi permesso di restare - le sorrise. Quando si voltò per farsi il letto, Sabine si sporse verso la figlia.
- È carino - mormorò, lasciando intendere molto con quella frase.
- Mamma, ti prego - sussurrò lei, alzando gli occhi al cielo, facendola ridacchiare mentre spariva di sotto. Marinette sospirò e si volse verso il ragazzo, aiutandolo a dare al suo divanetto almeno l'aspetto di un letto. Mentre infilava il cuscino nella federa, Dino si volse improvvisamente verso il muro al di sopra della scrivania, come se fosse stato folgorato da un'idea.
- Senti, Marinette... - cominciò, con le sopracciglie corrugate - Ma questo posto, una volta, non era tappezzato con le foto di un ragazzo? - chiese.
La ragazza gelò sul posto. Se Dino l'avesse schiaffeggiata molto probabilmente avrebbe ottenuto un risultato migliore rispetto all'espressione di gelido orrore dipinta sul suo viso. Marinette alzò lentamente i propri occhi azzurri, incontrando quelli castani di lui.
- Può darsi - rispose, ferma. Ricordava perfettamente quando, pochi giorni prima, aveva liberato la stanza da tutte le fotografie che ritraevano il ragazzo che da un anno a quella parte era entrato nel suo cuore, chiudendole in una scatola che aveva gettato in cima all'armadio. Insomma, con quella storia della Famiglia aveva giustamente immaginato che ritrovarsi gente in camera propria sarebbe dovuto forzatamente rientrare nella normalità e, detto sinceramente, quando Lal aveva nominato le foto di Adrien Marinette si era sentita davvero in imbarazzo.
Finché si trattava dei suoi genitori e di Alya era un conto... ma non ci teneva a fare la figura dalla ragazzina alla sua prima cotta con Lal, Dino, Reborn o qualunque altro membro della Famiglia. Era una questione di orgoglio.
- Ecco, adesso la stanza è più libera... tutte quelle fotografie erano solo ingombranti - annuì, tornando alla sua mansione, cercando in tutti i modi di evitare il suo sguardo. Dino sembrò rimuginarci su, ma tornò lo stesso a sistemare le lenzuola. Finirono il letto nel più assoluto silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, finché Sabine non li chiamò per la cena.
A parte il capitombolo di Dino giù per le scale, riuscirono ad arrivare indenni alla cucina e presero posto a tavola; Lal era già seduta al solito posto sui cuscini, Marinette prese posto accanto a lei e Dino si sedette alla sua sinistra, così che la ragazza si trovasse esattamente al centro.
Tom era proprio di fronte a loro mentre Sabine distribuiva i piatti.
- Quindi... sei un Boss della Mafia - commentò Tom, in evidente disagio. Dino sorrise, un po' in imbarazzo.
- Già. Ma si figuri che non lo volevo fare - ammise, agitando la mano - Se non fosse stato per Reborn non oso immaginario dove sarei ora. -
Marinette si voltò a guardarlo - Ha costretto anche te? - chiese, sorpresa.
Dino ricambiò lo sguardo - Reborn viene assoldato specialmente da chi non vuole farlo. Anche Tsuna è stato costretto - rivelò.
Sabine si bloccò nell'atto di poggiare il piatto di stufato sul tavolo e lo fissò a occhi sgranati, imitata da Tom.
- Che vi posso dire: non è una cosa facile da accettare - rispose lui, sapiente, prendendo il cucchiaio.
- Non puoi sapere quanto ti capisca - annuì Marinette, imitandolo. Sabine e Tom si scambiarono un'occhiata: l'uomo sembrava davvero provato e lei cercò di tranquillizzarlo in qualche modo.
- Ma se sei il Boss della Famiglia Cavallone... perché svolgi incarichi per i Vongola? - domandò Marinette, buttando giù una cucchiaiata di stufato.
- Perché i Cavallone sono da sempre alleati dei Vongola - rispose lui - La Famiglia Vongola ha molti alleati tra le Famiglie Mafiose, sai? - aggiunse.
- Oh, sì... tra le informazioni che mi ha passato Radi c'era una cosa del genere - ricordò lei - Ho scoperto un sacco di cose in pochissimi minuti sulla Famiglia, tra cui che è la più sanguinosa della maggior parte delle affiliazioni della malavita - disse, reprimendo un brivido di orrore.
- Però, c'è una cosa che Radi ha tralasciato, anche se credo lo abbia fatto di proposito - informò Lal, versandosi del succo.
- E cioè? - chiese Marinette.
- Che la Famiglia Vongola non è nata come Famiglia Mafiosa - rivelò.
Sulla tavola scese il silenzio e tutti gli sguardi si posarono sulla bambina.
- Mh. Reborn me ne aveva accennato - rispose tranquillamente Dino, con metà cucchiaio tra le labbra.
- Cosa... che significa? - domandò la ragazza, confusa.
- Giotto fondò la Famiglia Vongola come organizzazione il cui scopo era proteggere le città vicine. La fama di Mafia l'ha ottenuta con la venuta del secondo Boss, Riccardo - rispose Lal.
- Quando Giotto si trasferì in Giappone e diede alla luce Ieyasu, il bis-bis-bis nonno di Tsuna, fondò un secondo ramo della Famiglia Vongola che avrebbe perseguito i suoi ideali iniziali. Riccardo era diventato troppo potente e le sue idee troppo rivolte alla malavita: serviva qualcuno che, anche se in un futuro lontano, avrebbe messo una fine a quella che è poi diventata una tradizione - spiegò Dino - È uno dei motivi per cui il Nono ha scelto proprio Tsuna, anche se ho il dubbio che Iemitsu abbia fatto la sua parte. -
- Dubbio più che leggittimo - annuì Lal - È pur sempre il leader del CEDEF - aggiunse, continuando a mangiare.
- CE... che? - Marinette guardò da uno all'altra, confusa - No, un attimo, mi state dicendo che la Famiglia Vongola non è nata come Mafia? Ma allora perché questo Giotto non ha fatto nulla per impedirlo? Insomma, essendo il capostipite doveva avere ancora una certa influenza nonostante la successione, no? -
Dino si bloccò con il cucchiaio a mezz'aria e la guardò, con un misto di stupore e disagio. Chiuse la bocca e mise giù la posata - Non è così semplice, Marinette - disse - Il tempo di Giotto era passato e Riccardo disponeva di una "potenza" non indifferente. Nonostante tutto, c'è solo un modo per risolvere la questione in questo campo ed è il duello. Immagino tu non sia ancora al corrente dello "Scandalo della Culla" - aggiunse. Marinette non ebbe neanche il tempo di aprire bocca che Lal la interruppe.
- E non è il momento adatto per parlarne - tagliò corto.
- È una cosa che riguarda anche lei - la riprese Dino - Se non fosse stato per quello non avremmo mai trovato quest'anello - ricordò, indicando con il cucchiaio la catenina poggiata sulla T-Shirt della ragazza.
- No, un attimo, voglio saperlo - esclamò, guardando dalla bambina a Dino.
- Marinette - la riprese Lal.
- Voglio saperlo anche io - s'intromise Tom, che sembrava interessato a tutta la faccenda.
- Tre contro uno, hai perso - la rimbeccò Dino, ricevendo un'occhiataccia - Reborn non si sarebbe fatto problemi a dirlo - aggiunse.
- Reborn non sa cosa siano le priorità, è diverso - precisò la bambina.
- Sì, ma io voglio saperlo lo stesso - rincarò Marinette. Lal sospirò e Dino si raddrizzò, sapendo di aver vinto quella sfida.
- Il Nono aveva quattro figli, ma solo tre avevano le caratteristiche per divenire suoi successori - iniziò.
- Perché solo tre? - chiese Tom.
- Perché il quarto era stato adottato - rispose Lal - Di conseguenza non aveva ereditato il sangue di Giotto e, pertanto, non avrebbe potuto divenire Boss: sarebbe stato rigettato dall'anello. Come infatti è accaduto - spiegò.
- Però, per un crudele scherzo del destino, tutti e tre sono stati uccisi - continuò il ragazzo, facendo sgranare gli occhi a Marinette - Il quarto, Xanxus, non sapeva di essere stato adottato pertanto era convinto che il posto di Decimo spettasse di diritto a lui, e... - il ragazzo fece una pausa, come se cercasse le parole adatte per spiegarsi - Diciamo che non l'ha presa bene. -
- Si scontrò con il Nono in battaglia ma venne sconfitto - aggiunse Lal - Porta ancora le cicatrici sul proprio corpo e, come se non bastasse, il Nono lo congelò con una tecnica particolare sviluppata da Giotto. -
- Lo congelò?! - esclamò Marinette, incredula e orripilata.
- Per otto anni - precisò Dino - Quando fu scongelato, Xanxus rapì il Nono e lo sostituì con un suo clone. In seguito, s'impadronì di metà degli Anelli Vongola e li diede a dei suoi sottoposti.
Pochi mesi fa, Tsuna e gli altri Guardiani si sono scontrati contro di loro proprio per recuperare gli Anelli completi e decidere una volta per tutte chi sarebbe stato il Boss. Fu in quell'occasione che trovammo il secondo anello del Cielo e venimmo a sapere di te - concluse.
Sulla tavola scese il silenzio. Marinette fissava Dino cercando di elaborare quelle informazioni tutte in una volta, per quanto fosse turbata da ciò che aveva appreso. Però vi era un interrogativo ben maggiore che doveva trovare una risposta.
- In tutto questo... cos'ha fatto il Braccio Sinistro del Nono? - chiese.
Dino esitò e fu Lal a rispondere.
- Se n'è andato - rispose - Era l'unico che potesse capire che il Nono in realtà era un falso, quindi Xanxus ha cercato di tenerlo il più lontano possibile dalla Magione e dal Nono, affidandogli incarichi oltreoceano. Ha quasi rischiato di essere ucciso quando, capito l'inganno, è tornato indietro per smascherarlo.
Lo so perché c'ero anche io. -
- Ma la questione si è risolta - tagliò corto Dino, cercando di alleggerire la tensione - Il Nono sta bene, Tsuna è Boss e i Varia, dopo aver scontato un periodo di punizione, sono tornati in servizio - concluse - Adesso dobbiamo concentrarci solo sul tuo addestramento. -
Marinette represse un brivido ed annuì - Sai... è proprio questo che mi preoccupa - ammise.
- E non hai Reborn come insegnante - ricordò lui, divertito.
E Marinette non sapeva se ciò fosse un bene o un male.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
18È un numero approssimativo, non ci è dato sapere con certezza quando fu fondata la Famiglia: tutto ciò che si sa è che sono esistiti in totale Dieci Boss, partendo da Giotto e contando Tsuna.
 
 
Angolino della cosa:
E finalmente sono riuscita a finire il capitolo 08! *applausi, applausi, applausi*
Molto soft, stavolta, voglio andarci piano.
Eeeeee... quindi! Dino fa la sua comparsa e, stavolta, resterà più a lungo del previsto... ma non sarà solo! Niente spoiler, ma penso che mi divertirò tanto a scrivere questa storia *risata malvagia*
Ok, mi ricompongo.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Attentato! - Un nemico invisibile!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 9
*** Attentato! - Un nemico invisibile ***


REVISIONATO IL 07/06/2019



Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 09. Attentato! - Un nemico invisibile
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 3.864
 
 
 
 
Marinette non era abituata ad avere ospiti in giro per casa. O, se li aveva, erano tipi mattinieri che si alzavano sempre prima di lei.
Ciò che non sapeva, però, era che Dino non fosse solo un imbranato cronico ma anche uno a cui piaceva dormire. E questo non giocava esattamente a suo favore, specie se il bagno era uno solo.
Bussò per la ventesima volta alla porta, sperando che il ragazzo non si stesse affogando nella sua doccia (cosa di cui, era certa, sarebbe stato capace).
- Dino! Sbrigati o farò tardi a scuola! - esclamò. Sentì trafficare dietro la porta, poi un rumore sinistro ed infine un corpo che si abbatteva sulle mattonelle azzurre senza pietà.
Dei borbottii indistinti le giunsero alle orecchie poi la chiave girò nella toppa e il ragazzo spalancò l'uscio. Marinette aveva già quattordici anni suonati, era vero, ed aveva già visto parecchi modelli posare in costume da bagno sulle varie riviste di moda... ma non poté proprio fare a meno di arrossire violentemente quando Dino apparve solo con un asciugamano in vita, completamente bagnato e con i capelli che gocciolavano acqua sul viso. Il tatuaggio a forma di fiamma che aveva sulla mano si estendeva per tutto il braccio in simboli intricati e molto artistici, arrivando ad occupare la spalla, l'intero fianco e parte del ventre.
Radi aveva ragione, un pensiero sconcio se l'era fatto... anche se stava cercando in tutti i modi di cancellarlo dal piano immaginario dell'esistenza.
Non si poteva dire lo stesso del ragazzo che sembrava completamente a proprio agio.
- Hai ragione, scusa. Ti do un passaggio io! - rispose lui, dispiaciuto, mentre la superava in fretta e furia per salire in camera a vestirsi, cadendo sull'ultimo gradino ed arrivando in camera rotolando. E lei rimase lì, come un'emerita cretina, a fissare il vuoto con l'immagine oltremodo sexy del ragazzo ancora davanti ai propri occhi.
- Riprenditi, Marinette - le riscosse Lal, appena apparsa nel corridoio - Hai il tempo solo per la doccia - aggiunse, superandola per scendere in cucina.
Quando la ragazza capì cosa intendesse la bambina con quelle parole desiderò ardentemente chiudersi in bagno per non uscirne mai più.
 
 
No, Marinette non poteva proprio continuare così. Andava oltre la sua umana sopportazione. E, lo aveva capito da tanto, oramai, che da un po' di tempo a quella parte era più depressa del solito.
Come in quel momento che, rannicchiata in un angolo della porche rossa fiammante di Dino, sentiva il morale sotto i piedi. E non riusciva ad alzare gli occhi ed incontrare quelli del ragazzo, non ce la faceva assolutamente!
Lal le batteva pacche incoraggianti (ed abbastanza indifferenti) sulle ginocchia, mentre era impegnata a discutere col diretto interessato di qualcosa di cui, però, Marinette non capiva un accidente dato che parlavano in italiano.
Bel modo di confortarla, lasciandola lì nel suo bozzolo di disperazione.
- Marinette, siamo arrivati - informò infine la bambina. La ragazza alzò lo sguardo, constatando di essere effettivamente davanti la sua scuola... poi incrociò gli occhi di Dino e il pensiero sconcio tornò a farsi strada prepotentemente dentro di lei, facendola demoralizzare di nuovo.
- Oggi non ci sarò - informò Lal attirando la sua attenzione - Ho delle cose da fare quindi vedi di non cacciarti in nessun guaio - tagliò corto, prima di gettarla fuori dalla macchina con poca grazia.
- Ehi! - si lamentò lei, evitando per un soffio di finire col sedere per terra.
- Ci vediamo più tardi, Marinette! - salutò Dino, sorridendo a mo' di scusa da dietro il finestrino aperto. Poi la macchina partì sgommando, lasciandola e fissarla sparire tra la polvere.
Sospirò.
"Niente pensieri strani, Marinette. Niente pensieri strani."
Si autoimpose, prima di voltarsi e salire i gradini dell'istituto.
 
 
 
Le piccole dita battevano incessantemente sui tasti del computer mentre diverse scritte si riflettevano nelle lenti sottili degli occhiali. Il laboratorio era piccolo e ingombro di grandi macchinari, tutti dalla dubbia utilità e provenienza.
Un coccodrillo di un verde sgargiante se ne stava rannicchiato alla base di una sedia girevole, intento a sonnecchiare tranquillamente nel silenzio della stanza.
- Mh. Prototipi Uno e Due in esecuzione. Prototipi Tre e Quattro in posizione. Nessuna anomalia al momento, tutto come calcolato. Diamo il via all'operazione - ordinò, inviando il comando premendo un semplice tasto. Si appoggiò allo schienale della sedia, osservando soddisfatto il proprio operato, facendo scivolare le mani nelle tasche del camice bianco: non restava che attenedere pazientemente l'esito. Sorrise, già pregustando il momento - Il Boss e il suo Braccio Sinistro... vediamo chi morirà per primo. -
 
 
 
Marinette odiava ammetterlo, ma senza Lal in giro per la scuola c'era una tranquillità disarmante. Quasi fosse tornata alla vecchia vita e questo, in un certo senso, la metteva a disagio.
Prese un libro dallo scaffale e lo mise sotto braccio, scorrendo con gli occhi i vari titoli che le si paravano davanti. Per quanto si lamentasse era palese che si era abituata ad avere la bambina intorno e, forse, almeno un po', le sarebbe dispiaciuto se fosse andata via.
Ma solo un po', eh.
Allungò una mano verso un tomo quando, poco più in là, un libro cadde dallo scaffale finendo con un tonfo sul pavimento. Marinette si girò di scatto... ma non vi era nessuno nel corridoio. La biblioteca era deserta.
Con cautela si avvicinò, raccogliendo l'oggetto da terra e rimettendolo a posto. Proprio mentre si voltava per tornare al punto di partenza, un brivido gelido le percorse la schiena; sentì un peso opprimente gravare su di lei e si allontanò di scatto dallo scaffale.
Nella stanza c'era il silenzio più assoluto. Non una mosca volava e lei si sentì d'un tratto incredibilmente sciocca per essersi fatta spaventare dal nulla. Quel libro era stato semplicemente messo male e doveva essere caduto quando aveva mosso lo scaffale, niente di più.
Sospirò e, libri tra le braccia, si diresse fuori dalla biblioteca tornando in classe.
Quel giorno, stranamente, vi erano molti assenti. Persino Nino non si era visto e quei pochi rimasti stavano oziando nella noia totale. Si sedette al proprio posto e aprì il libro, ignorando Alya che sonnecchiava sul banco.
Chloé sospirò pesantemente, abbandonandosi sulla panca.
- Se l'avessi saputo non sarei venuta nemmeno io - sbuffò.
- Neanche i professori si sono degnati di venire - commentò Alix, seccata - E io dovrei stare così per altre due ore? -
Juleka si limitò a scrollare le spalle ed Adrien sospirò, abbandonando la testa sullo schienale della panca.
- Se scopro che c'era una qualche sorta di sciopero o festa di cui non sapevo nulla... - iniziò Kim, ma s'interruppe al cigolio sinistro che invase la stanza. Tutti gli sguardi si posarono sull'uscio, ora leggermente scostato.
- Chi ha aperto la porta? - chiese Alix, perplessa.
- Il vento? - alzò le spalle Chloé.
Ed eccolo di nuovo quel senso di oppressione, come se ci fosse qualcosa di terribilmente pericoloso che gravava su di lei. Marinette si alzò di scatto e balzò sui gradini, scendendoli velocemente.
- Io! Colpa mia, non l'ho chiusa bene quando sono entrata! - annunciò, quasi forzatamente, mentre si apprestava a richiudere l'uscio.
C'era qualcosa che non quadrava. Avvertiva un'intenzione estremamente ostile all'interno dell'aula eppure, quando si guardò intorno, non scorse niente di diverso da com'era prima.
- Sono io ho inizia a fare caldo qui? - chiese, attraversando la stanza.
- Un po', si - ammise Juleka, indifferente.
Marinette aprì la finestra e ne approfittò per guardare in strada: tutto come al solito.
- È strano che non sia venuto nessuno - commentò, voltandosi verso la classe.
- Nino aveva da fare una cosa con il padre - rispose Adrien.
- Sabrina è andata trovare la nonna a Honolulu - scrollò le spalle Chloé.
- Rose aveva la madre con l'influenza - informò Juleka.
- Max il dentista, Maylene uno spettacolo del padre, Ivan un concerto rock... - stilò Kim, scorrendo il gruppo whatsapp della classe - Gli unici sfigati che non hanno mai niente da fare siamo noi! - sbottò.
- Beh, adesso non esageriamo - rispose Marinette, portandosi una mano alla borsetta dove lo squillo del cellulare l'avvisava dell'arrivo di un messaggio. Quando sbloccò lo schermo si ritrovò sulla chat di Dino.
Problemi in Giappone. Guardati le spalle. Arriviamo.
Sgranò gli occhi e alzò la testa si scatto, guardandosi intorno: possibile che quell'intenzione ostile che avvertiva fosse...
- Ragazzi, io vado un attimo al bagno - informò, rimettendo il cellulare a posto - Se la prof viene glielo dite voi, eh - aggiunse, raggiungendo la porta e uscendo il più velocemente possibile. Scese le scale e percorse i corridoi deserti fino ad arrivare agli armadietti, lì si fermò e tolse l'anello facendoselo scivolare al dito. Chiuse la mano e la portò all'altezza del viso, prima di abbassare le palpebre e sospirare, liberando la mente da ogni pensiero superfluo.
- C'è qualcosa - mormorò a fior di labbra.
Lo so.
La risposta di Radi non si fece attendere.
Riesco a sentire il loro intento omicida. Non abbassare la guardia.
- Ok - rispose lei, riaprendo gli occhi ed avanzando lentamente nel corridoio.
I Vongola hanno una dote chiamata Iper Intuizione. Noi Cheng, invece, abbiamo l'Intuizione dell'Assassino.
- Come suona male - commentò lei, guardandosi intorno.
Grazie a questa puoi sentire l'intento omicida di chi ti sta attorno.
- Ma io non vedo nessuno - informò.
È proprio in momenti come questi che ti torna utile.
- Sì, lo avevo capito - annuì lei - E qualcosa mi dice anche che ho rischiato di morire due volte, oggi - aggiunse.
Ottima deduzione. Mi chiedo come tu abbia fatto a capirlo.
Marinette alzò gli occhi al cielo - Ah ah... molto divertente. -
Il corridoio finì e lei sbucò nell'atrio con una smorfia: troppo esposto, non avrebbe giocato a suo favore in caso di scontro. Tornò indietro ed entrò nello spogliatoio.
Comodo. Silenzioso. Vuoto.
Ottimo.
- Può qualcuno divenire invisibile? - chiese addentrandosi nella stanza.
Un modo si può sempre trovare.
- Giusto - acconsentì lei, sporgendosi oltre gli armadietti. Si fermò di colpo quando sentì la porta aprirsi leggermente; senza voltarsi, fece scivolare lentamente la mano nella borsetta e ne estrasse lo yo-yo, unica arma a sua disposizione in quel momento. Nascondendolo tra le dita fissò il vuoto alle proprie spalle con la coda dell'occhio.
L'intenzione ostile tornò ad invadere la stanza.
- Dietro? - sussurrò, impercettibilmente. Scesero due secondi di silenzio.
Sopra.
Il modo con cui Radi pronunciò quella parola suonò urgente e ammonitorio. Marinette si voltò e, infilato il dito nell'apposita fessura, lanciò lo yo-yo in aria. Invece di cozzare contro il soffitto, però, l'arma colpì qualcosa poco prima; con un gemito di dolore quel qualcosa cadde a terra e, pochi secondi dopo, una persona infilata in una tuta verde coperta di batuffoli bianchi si materializzò davanti ai suoi occhi increduli.
- Cosa accidenti...? - cominciò, ma un brivido gelido le attraversò la schiena.
Dietro di te, Marinette!
La ragazza sussultò e si voltò, ritirandosi di scatto... a quel punto successe una cosa molto strana: il suo braccio (controllato da Radi) si mosse da solo per lanciare lo yo-yo, ma i suoi piedi (di cui Marinette aveva il pieno controllo) scattarono indietro con l'unico risultato di inciampare nel corpo alle sue spalle e cadere col fondoschiena per terra, mentre lo yo-yo andava a sbattere contro uno degli armadietti ammaccandolo.
Sentì Radi imprecare in italiano contro un certo "ananas con manie di grandezza", ma dovette alzare lo sguardo quandi avvertì un fruscio propria sopra di lei... poi il rumore di uno sparo congelò ogni cosa e un fascio di luce bianca si abbatté su qualcosa proprio di fronte a lei: una donna infilata nella stessa tuta verde apparve dal nulla, reggendo nella mano alzata un lunga siringa, e stramazzò al suolo.
Marinette faticò a capire cosa fosse successo finché una voce non parlò.
- Ti ho detto di non abbassare mai la guardia o sbaglio? - la rimproverò la voce di Lal, in piedi sul davanzale della finestra e con in braccio il fucile.
- Abbiamo fatto in tempo - sospirò Dino, appollaiato accanto a lei con la frusta in mano - L'intuizione di Reborn era giusta - affermò, scendendo dal davanzale seguito dalla bambina.
- Che... cos'è successo? - domandò Marinette, guardando i due sconosciuti.
Dino le porse la mano e l'aiutò ad alzarsi.
- Gli uomini di Verde - rispose Lal, posando il fucile ed alzandosi la visiera sul capo - Sono venuti anche qui. -
- Anche? - chiese la ragazza, alzando gli occhi verso di lui. Dino annuì.
- Tsuna è stato quasi ucciso da delle persone simili, neanche un'ora fa19 - rispose, facendole sgranare gli occhi - Siamo stati informati da Reborn, temeva che sarebbero venuti a cercare anche te. Hanno approfittato del fatto che Lal non era con te poiché lei, essendo una bambina, avrebbe potuto vederli - spiegò.
Marinette era ancora più confusa di prima.
- Queste tute invisibili sono state create apposta per essere viste dai bambini sotto una certa età - aggiunse, in risposta al suo sguardo perplesso.
- Perché? - domandò.
- Perché chi le ha create doveva tutelarsi essendo anche lui un bambino - tagliò corto Lal. Marinette non aveva capito molto della situazione ma ogni altra domanda venne stroncata sul nascere quando gli uomini di Dino fecero irruzione nello spogliatoio.
- Se ne occuperanno loro, noi torniamo a casa - rispose Lal.
- Ho già fatto fare un permesso di uscita da Romario - aggiunse Dino, mentre il signore con i baffetti che il ragazzo usava come autista le porgeva il suo zaino - Potrai chiedermi tutto quello che vuoi dopo - rassicurò.
- Ma... - provò a protestare lei; gli uomini in giacca e cravatta stavano legando come salami i due tizi sotto le direttive del suddetto Romario, mentre un uomo più giovane era poggiato allo stipite della porta come in attesa. Non indossava la giacca e le maniche della camicia erano arrotolate, i capelli biondi erano tirati indietro dal gel con una singola ciocca che gli ricadeva sulla fronte, se ne stava ad occhi chiusi e braccia conserte e sembrava tremendamente serio. Marinette ebbe la sensazione di averlo già visto.
- Roberto ci accompagnerà, andiamo - insisté Dino, prendendola per le spalle e spingendola fuori, con Lal al seguito. Roberto uscì dopo di loro, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
- Sono stata quasi uccisa... da un Arcobaleno?! - Marinette fissava da Dino a Lal, sconvolta.
- È sempre stato difficile capire cosa passasse per la testa di Verde, ma questa volta ha superato sé stesso - disse Lal, poggiata allo schienale della macchina con le braccia conserte - Pur volendo lavorare di fantasia non saprei proprio cosa possa volere dai Vongola. -
- Ma... insomma, perché dovrebbe voler uccidere me e Tsuna? - chiese Marinette.
Dino scosse il capo - Non saprei proprio - ammise.
- Già prima di essere maledetto Verde aveva una mente contorta di cui difficilmente si capivano le intenzioni. Potrebbe essere stato assoldato da qualcuno, ma non è il tipo che si fa usare per soldi - rimuginò Lal - Ma se scopro che era solo un pretesto per testare quelle tute, Patto20 o non Patto lo faccio a pezzettini - ringhiò, con un aura scura intorno al corpo.
- Io non ho ancora ben capito chi sia questo Verde - ammise Marinette, allontanandosi un po' da lei.
- Verde è uno scenziato e un ricercatore. Più di vent'anni fu scelto per essere l'Arcobaleno del Fulmine. Lo conobbi proprio in quell'occasione: è un tipo che se ne sta per conto proprio e agisce nell'ombra - spiegò Lal.
- Probabilmente Reborn qualche idea se l'è fatta - commentò Dino - Ma se anche così fosse non ha ritenuto necessario dircelo. -
- Reborn è un altro di cui non si capisce mai ciò che pensa - sospirò Lal.
- Vero - acconsentì Dino - Ma non resterà a guardare senza fare nulla. -
- Aspettiamo e vediamo - tagliò corto Lal - Piuttosto, so che lui è in Giappone - aggiunse. Dino annuì.
- Lasciamo tutto nelle sue mani, dopotutto è ancora presto per quello. -
Marinette non capiva di cosa stessero parlando ma aveva la brutta sensazione che vi fosse implicata anche lei, in qualche contorto modo. L'unica cosa di cui era certa era che avesse sfiorato la morte per un soffio almeno sei volte solo quel giorno.
E ciò era sconfortante.
- Credi che sia venuto il momento? - chiese Dino, abbassando lo sguardo sulla bambina seduta accanto a sé. Lal chiuse gli occhi, come in meditazione; passò qualche minuto prima che riprendesse la parola.
- Sì. Oramai non ha più senso aspettare - decretò infine, alzando le palpebre - Possiamo cominciare. -
Dino annuì e alzò gli occhi sulla ragazza, con un misto di serietà, determinazione e, sí, anche un po' di nervosismo che la fecero irrigidire.
- È adesso che inizia il tuo vero addestramento, Marinette - informò, facendole drizzare un po' le spalle - Pertanto, oggi ti dirò tutto quello che so sull'anello e su Radi. -
 
 
 
 
 
La brezza serale spazzava le rade foglie depositate sul freddo selciato. Il tramonto stava scemando lentamente, tingendo di indaco il cielo arancione.
Solo un piccola figura sostava al centro del parco deserto, gli abiti di fattura orientale (sicuramente cinese) erano tinti rigorosamente di rosso mentre i lunghi capelli neri, legati in una treccia alla base del capo, ondeggiavano a ritmo col vento.
Il bambino chiuse gli occhi, inspirando ed espirando dolcemente, allargando di poco le piccole braccia coperte dalle maniche della veste, prima di rimettersi dritto e volgere le grandi iridi nere al sole che scendeva all'orizzonte.
- Sei una delle poche persone che non sono mai riuscito a comprendere - ammise tranquillamente, parlando apparentemente al vuoto. Una breve risata intrise l'aria fresca della sera mentre una voragine si apriva nel cemento alle sue spalle e, comodamente in piedi su una passerella rotonda, una piccola figura emerse lentamente dal terreno.
Il secondo bambino si aggiustò gli occhiali sul viso, sorridendo, mentre una mano era affondata nel camice bianco.
- Non riesco mai a nasconderti la mia presenza, per quanto ci provi - informò, apparentemente divertito, nonostante lo scintillio sinistro negli occhi scuri.
- Perché lo hai fatto? - domandò il primo bambino, voltandosi. Il silenzio che seguì questa affermazione scese pesante su di loro, accentuato da una folata di vento più forte delle precedenti che spazzò i loro abiti. L'altro affondò anche la seconda mano nel camice mentre il sorrise disparve dal suo viso.
- Mi chiedi perché? - domandò, inclinando di poco il capo verso l'alto, così che il riflesso bianco nelle lenti nascondesse gli occhi alla vista - Chissà. Ho preso interesse per i Vongola, ultimamente. Dopotutto è il nostro dovere, no? - disse, riacquistando parte del ghigno.
- Tu non hai mai assolto ai tuoi doveri di Arcobaleno - sospirò il primo bambino, affranto - Tranne proteggendo quello, ovviamente - aggiunse, puntando lo sguardo sul gilét beige del suo interlocutore. Come se fosse stato chiamato in causa uno scintillio prodotto dal sole illuminò il ciucciotto verde poggiato pigramente sul petto del bambino, che rise.
- Finora non sono state molte le cose che abbiamo dovuto fare come Arcobaleno, e mi chiedo perché ci tocca vedercela con loro. Possiedono un pezzo del Trinisette, è vero, ma la ragazza no - rispose.
- È proprio perché non possiede un pezzo del Trinisette che dobbiamo avere a che fare con lei. Quell'anello ha preso strani poteri dall'Anello del Cielo originale, è nostro dovere come Arcobaleno tenerli sotto controllo - spiegò l'altro - È tuo dovere come Arcobaleno... Verde - concluse, puntando gli occhi nei suoi. Verde abbassò un poco il capo, infine chiuse gli occhi negando con la testa.
- Non mi interessa avere a che fare né con voi né con loro - dicertò infine - Ho le mie ricerche a cui badare e, sì, lo ammetto, l'esperimento di oggi serviva anche a testare le mie nuove tute. Sebbene sia evidente che il limite di età da me imposto sia più un impiccio che altro21 - ammise.
- Non è solo quello il punto e dovresti averlo capito anche tu - lo interruppe lui, sempre calmo - Quella ragazza possiede capacità notevoli di cui neanche lei è consapevole... potresi studiare da vicino sia lei che l'anello: dopotutto, nessuno sa come sia stato creato così simile ad un pezzo del Trinisette originale – continuò ed era evidente il suo tentativo di persuaderlo ad accettare. Verde strinse di poco gli occhi senza rispondere. - E poi... se non erro, ultimamente stai studiando le Fiamme dell'Ultimo Desiderio. -
Verde drizzò le spalle, d'un tratto serio, e il corvino capì di aver centrato in pieno. Uno sbuffò uscì dalle sue labbra, mentre un venticello leggero scompigliava la sua già ribelle chioma di capelli verdi.
- Viper - capì, sorridendo. Anche lui sorrise.
- Si dice il peccato non il peccatore - rispose.
Verde rise sommessamente - Ci penserò - disse, infine - Ma non contarci troppo, Fong. -
Fong annuì, sorridendo - Lo so - rispose. Con un vrrr meccanico la passerella tornò a sprofondare nel cemento e Verde sparì alla vista, facendo tornare il selciato com'era prima. L'Arcobaleno sospirò, come per gettare fuori l'agitazione accumulata durante quel discorso, e tornò a guardare il sole calante.
- Più di questo non posso fare - ammise, per poi alzare lo sguardo - Che mi dici di te... Viper? - domandò.
Una macchia di nebbia purpurea apparve nel cielo e, materializzatasi dal nulla, una figura con indosso un mantello blu notte fece la sua apparizione sospesa a mezz'aria. Il capuccio era calato fin oltre il naso, così da lasciare visibile solo la piccola bocca a forma di triangolo e i due coni viola tatuati sulle guance. Sulla sua testa, come fosse stata un'aureola, un sottile serpente grigio era attorcigliato su sé stesso intento a mordersi la coda.
- Jare, jare - sospirò la bambina - Non avresti dovuto far intendere che avevo cantato - lo rimproverò - E vi ho già detto che adesso mi chiamo Mammon - aggiunse, seccata.
Fong chiuse gli occhi, sorridendo dolcemente - Ti porgo le mie scuse, Mammon. È l'abitudine - disse. Mammon sospirò e fluttuò verso il basso, atterrando morbidamente davanti a lui.
- Avete una bella faccia tosta a chiamarmi per fare una cosa simile sapendo cosa è accaduto di recente con i Vongola - commentò - Per di più sono da poco tornata in servizio e non ho la benché minima intenzione di irritare il Boss aiutando quelli là. Gratis per giunta - disse, sprezzante.
- È per questo che noi Arcobaleno dovremmo restare neutrali - ricordò Fong - Eppure dovresti sapere quali sono le tue priorità: è una richiesta del Nono in persona, non puoi rifiutare neanche tu men che meno il tuo Boss - aggiunse. Mammon voltò il capo di lato, sospirando - E mi tocca farlo anche gratis - ripeté, come se fosse il problema maggiore - È chiaro a tutti perché Reborn affida sempre a te le questioni diplomatiche... sei un tale rompiscatole - borbottò, alzandosi di nuovo in volo.
- Non possiamo farci niente, Mammon, siamo tra i primi. Ci hanno anche avvertito con largo anticipo - continuò lui.
- Questo non cambia le cose - sbottò lei.
- È nostro dovere come Arcobaleno. -
- Nessuno di noi ha mai scelto di diventarlo - lo interruppe Mammon, abbassando lo sguardo verso il proprio petto dove il ciucciotto indaco faceva pendant con il mantello di qualche tonalità più scura. Fong non rispose e lei si voltò - Mandatemi un messaggio quando vi sarete decisi. Sapete dove trovarmi - finì, sparendo in uno sbuffo di nebbia così com'era apparsa.
Fong abbassò il capo a guardare il proprio ciucciotto, di un rosso ancora più brillante grazie alla luce del tramonto, e sospirò.
Già, nessuno di loro lo aveva scelto.
Si voltò e s'incamminò fuori dal parco, mentre la sera calava sulla tranquilla cittadina di Namimori22.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
19Ciò accade davvero nell'anime, ho deciso di usare proprio questo episodio perché servirà ad introdurre alcuni dei personaggi fondamentali della storia.
 
20Il Patto degli Arcobaleno: in sintesi consiste nel dover rispettare i propri doveri come tale, in qualunque situazione e momento. Qui Lal si riferisce ad un'altra clausola, ovvero che gli Arcobaleno non possono entrare in conflitto tra di loro.
 
21Verde si riferisce al fatto che a salvare Tsuna dai suoi uomini sia stato Gokudera, fatto tornare accidentalmente bambino da un malfunzionamento del Bazooka dei Dieci Anni.
 
22Namimori: è la città dove si svolgono gli eventi di Katekyo Hitman Reborn, è li che vivono Tsuna e tutti gli altri membri della Famiglia.
 
 
 
Angolo autrice:
sì, è venuto più corto di come avevo previsto, ma non me ne lamento. Ho anche fatto apparire tre Arcobaleno anche se non era per niente programmato... ma a me le idee vengono scrivendo, quindi questo capitolo va così.
Almeno per i prossimi due capitoli la situazione sarà scialla e, anche se Dino ha detto che parlerà a Marinette dell'anello, non contate di avere delle informazioni tanto presto.
Perché sono infame. E perché non saprei proprio come inserire il discorso per intero senza gettare nel gabinetto mezza trama. Perché queste cose vanno fatte con calma o mi salta tutta la storia.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Lezioni supplementari! - Corso velocizzato di Italiano e Giapponese!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 10
*** Lezioni supplementari - Corso velocizzato di Italiano e Giapponese ***


REVISIONATO IL 07/06/2019


 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 10. Lezioni supplementari - Corso velocizzato di Italiano e Giapponese
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 2.236
Note: le parole scritte in grassetto sono in italiano.
 
 
 
 
Marinette sapeva che sarebbe stato difficile imparare il Giapponese ma non immaginava così tanto. Finì di scrivere la frase in kanji seguendo lo schema che le aveva fatto Lal, abbastanza soddisfatta.
- Fatto! - esclamò, alzando la matita dal foglio, che Dino prese per controllare con espressione critica.
- Hai sbagliato a scrivere, Marinette - decretò infine, facendola sobbalzare - Hai scritto "boku" invece di "watashi", vedi? - spiegò, indicando la frase incriminante - Boku si scrive così "僕" - disse, scrivendolo su un foglio bianco - Watashi invece così "私". -
Marinette guardò i due kanji con espressione indecifrabile - Ah. -
- Se sei in dubbio scrivi "Ore", così "俺" - consigliò il ragazzo.
Marinette sospirò, sconsolata - Questi giapponesi hanno troppi modi di dire "io" - si lamentò.
- Se è per questo hanno molti modi di dire e scrivere ogni cosa - rise Dino, vedendola abbandonare la fronte sui suoi appunti - Vedi che l'italiano è più semplice? - cercò di confortarla - Somiglia molto al francese, giusto? - aggiunse, dicendo l'ultima parola nella sua lingua madre.
- Giusto. Non è così difficile - rispose lei, sempre in italiano.
- Beh, dai, ci stiamo lavorando da due giorni ed hai fatto notevoli passi avanti. I metodi spartani di Lal sono molto utili! -
- I metodi di Lal sono... erm, com'era quella parola? Oh, sì: estremamente violenti - fece notare, scandendo bene quel "estremamente" per far uscire una pronuncia decente: ci stava prendendo la lingua.
Dino rise - Aveva detto che ti avrebbe insegnato sia l'Italiano che il Giapponese in meno di una settimana... l'ha preso come impegno personale, non fallirà. -
- Ed è questo che mi preoccupa - sospirò Marinette, poggiandosi allo schienale della sedia girevole con un sospiro stanco - Perché tutta questa fretta, poi, io non lo capisco - sbuffò. Non vide l'occhiata titubante che Dino le lanciò e, forse, fu meglio così.
- Vedi, Marinette, ci sono cose che bisogna apprendere con calma, non bisogna andare di fretta. Sai come si dice: non puoi sperare di volare se prima non impari a camminare - disse - Devi avere pazienza, saprai tutto al momento giusto. -
Marinette lo fissò per qualche istante, incerta. - Aspetta, vai più piano... non ho capito quasi niente - ammise. Il ragazzo sorrise.
- Pazienta ancora un po' e tutto ti sarà chiaro - riassunse - Ora rimettiamoci a lavoro! -
Ma la ragazza era ancora più confusa di prima.
 
 
 
 
Eppure non ricordava di aver mai visto un cielo così bello. Blu scuro, puntellato da miriadi di stelle che lasciavano una scia luminosa nel cielo. Della luna nessuna traccia e, forse, era meglio così.
- È magnifico - mormorò, rapita da quello spettacolo.
- Già. Uno dei cieli più belli che abbia mai visto - concordò Radi, con voce assente. Marinette portò su le ginocchia, fino a quel momento stese sull'erba, poggiando le proprie mani sul ventre. Radi era disteso accanto a lei, contemplando il cielo notturno.
- Chissà se è ancora così... - mormorò poi, quasi impercettibilmente, prima di sbuffare una risata - Sono stato in talmente tanti posti che a volte dimentico che il cielo non è sempre lo stesso ovunque - buttò lì infine, drizzandosi per stare più comodo.
- Oh, beh, io non sono stata praticamente da nessuna parte - rispose Marinette. Radi rise.
- Ricordo quando viaggiavo per il mondo, prima e dopo essere entrato a far parte della Famiglia Vongola - sospirò - Erano bei tempi, quelli... - aggiunse, con una nota di nostalgia nella voce.
- Immagino - mormorò lei, assente, gli occhi che vagavano su cartine geografiche inesistenti: doveva essere bello viaggiare per il mondo, senza nessuno che ti teneva attaccato da nessuna parte.
Libera. Semplicemente libera...
- Tua nonna era italiana - disse d'un tratto Radi, facendola voltare verso di lui: il suo volto, però, restava sempre in ombra - La incontrai a Torino, verso metà luglio - raccontò, perso in chissà quali ricordi - Una donna come tante, lavorava come camieriera in un ristorante abbastanza famoso. Era spiritosa, gentile, tremendamente imbranata... ma era un tale maschiaccio: cercò di privarmi degli attributi quando le chiesi di uscire; G.23 mi prese in giro per settimane - rise, di una risata allegra e genuina che fece scappare un sorriso anche a lei - Eravamo ancora giovani a quel tempo, senza nessun pensiero al mondo - sospirò - Se ripenso a quei giorni mi sale un po' di tristezza... - ammise.
- Per quanto possa farmi mille film mentali su quanto romantico potrebbe essere un amore sbocciato con una tipa come lei, penso che sarebbe abbastanza strano - rispose Marinette, perplessa. Radi scoppiò a ridere di gusto.
- Niente di romantico, nel modo più assoluto - rise - Mi ha sempre rifilato un due di picche in grande stile e le ho fatto la corte per mesi: sembravo uno stalker! Una volta Alaude24 tentò di arrestarmi scambiandomi per un maniaco - raccontò, facendole sgranare gli occhi e scoppiare a ridere subito dopo, ignorando bellamente chi fosse quell'Alaude - Poi... poi, chissà, è scoccata la scintilla all'improvviso: forse, semplicemente, si divertiva a vedermi provarci con lei con disperazione - ridacchiò - Ho sempre avuto il dubbio che fosse un po' sadica - ammise, poi.
Sospirò.
- Eppure... non volevo che finisse in quel modo - disse, diventando serio. Marinette si girò a guardarlo - In quel modo? - chiese. Radi scosse il capo.
- Avemmo problemi con uno dei Guardiani, poi successe un casino dietro l'altro e Giotto optò per trasferirla in Cina, dove vivevano alcuni miei lontani cugini - spiegò, amaramente - Era la scelta migliore per salvaguardare la sua vita: a quell'epoca era già incinta.
Fu l'ultima volta che la vidi. -
Tra i due scese il silenzio mentre Marinette elaborava le informazioni ricevute: in effetti, ciò coincideva con quello che aveva detto la nonna su quella sconosciuta che si era presentata sulla soglia di casa Cheng, incinta e con una lettera di un lontano parente. Per l'appunto Radi.
- Mi dispiace - mormorò.
- È così che va la vita - sospirò l'uomo - Ma so per certo che stavano bene, quindi non ho nulla di cui compatirmi: era sempre meglio che farli morire con me, no? - aggiunse - E poi... il fatto che tu sia quì e che sia cresciuta così bene ne è la prova lampante - rise, facendola arrossire. Alzò una mano e le accarezzò dolcemente una guancia - Tu le somigli molto. In carattere, però... il resto lo hai preso senza dubbio da me. -
- Io non sono sadica! - protestò Marinette, un tantino sconvolta, facendolo ridere.
- Mah, chi può dirlo... nessuno si conosce mai fino in fondo - rispose lui, scompigliandole la frangia, per poi mettersi su un fianco per poterla guardare meglio - Ci sono esperienze che ci cambiano e altre che ci fanno scoprire cose di noi che non immaginavamo neanche. Un giorno, in un futuro lontano, potresti guardarti indietro e pensare: ma io ero davvero così? E sarà strano, nostalgico, ma anche buffo e ti scapperà un sorriso perché ti renderai conto di quanto tu sia cresciuta - mormorò, sfiorandole i capelli con le dita.
Marinette restò a guardarlo in silenzio, rapita da quel viso oscurato di cui riusciva a scorgere solo le labbra e la punta del naso. Qualcosa, l'istinto forse, le diceva che Radi stesse parlando anche un po' di sé stesso.
- Però, c'è una cosa che non devi mai trascurare - aggiunse, facendosi un po' più serio - E sono le persone che ti stanno intorno: che siano semplici amici, alleati, componenti della Famiglia o anche nemici. Perché sono loro che ci aiutano a crescere, ad andare avanti e a far riemergere i nostri veri "noi" - continuò, facendo scorrere una mano sulla guancia così da alzarle il viso e poggiare la fronte sulla sua - Ricordati sempre che non sarai mai sola. Qualunque cosa succeda, ovunque tu sia... ci sarà sempre qualcuno che pensa a te, anche se non può essere al tuo fianco materialmente ci sarà col cuore. Ed è questo ciò che conta: perché non si potrà mai andare avanti senza il sostegno di qualcuno e senza sostenere qualcuno.
Combatti per ciò in cui credi, Marinette, per le persone che ami... e vai avanti senza rimpianti. -
 
 
 
Marinette aprì lentamente gli occhi, trovandosi ad osservare il cielo buio di Parigi, quasi prossimo all'alba, dalla grande vetrata nella parete. Mosse di pochissimo il capo verso l'alto, vedendo Tikki ronfare tranquillamente sul cuscino. Si mise di schiena e adocchiò Lal nell'amaca accanto al letto prima di posare lo sguardo sulla propria mano, dove l'anello faceva bella mostra di sé. Non era solita indossarlo quando andava a dormire, ma in quel periodo sentiva quasi il bisogno di parlare con Radi: era sempre rilassante fare una chiacchierata con lui e dal momento che lei era lo stress fatto persona ci voleva proprio. Si tolse lentamente l'anello e lo poggiò nel rientro della parete alle sue spalle, per poi spostarsi su un fianco e chiudere gli occhi.
Nel silenzio della stanza riusciva quasi a sentire il respiro regolare di Dino che, sebbene fosse abbastanza tranquillo mentre dormiva, la mattina lo ritrovava sempre in pose assurde. Trasse un profondo respiro mentre la mente si perdeva un po' ovunque tra i suoi pensieri.
Amici, alleati, componenti della Famiglia o anche nemici.
Le parole di Radi le ronzavano ancora in testa, profonde e potenti come solo il consiglio di una persona a cui tieni può essere: perché, volente o nolente, si era affezionato a quella proiezione astratta di suo nonno.
Una volontà racchiusa nell'anello. Ecco come lo aveva definito Dino: la determinazione di Radi che era rimasta viva e bruciante all'interno di quell'oggetto inanimato ma di grande valore. Erano molti i punti che l'avevano sconvolta del suo racconto seppur incompleto: i Vigilanti25, le successioni, le guerre interne, la scomparsa nel nulla dello stesso Radi dopo il trasferimento della Famiglia in Giappone... troppe informazioni tutte in una volta, troppi buchi lasciati vuoti, troppi punti interrogativi.
E la domanda di Marinette era solo una: perché?
Su un punto, però, doveva concordare: da quando Reborn era piombato dal nulla consegnandole quell'anello Marinette sentiva che molte cose erano cambiate, e lo doveva sopratutto alle persone che la circondavano in quel momento.
Combatti per ciò in cui credi, Marinette, per le persone che ami... e vai avanti senza rimpianti.
Ma ci sarebbe riuscita? Sarebbe riuscita ad entrare in quel mondo chiamato Mafia? Aveva paura, lo ammetteva, non si sentiva pronta a compiere un passo del genere e se pensava che la maggior parte dei membri della Famiglia avessero la sua età o poco più si sentiva persa: come avevano fatto ad accettarlo così tranquillamente? Come avevano fatto ad imbracciare le armi e combattere contro qualcuno che, sicuramente, era molto più esperto di loro? Perché quando aveva sentito il breve rissunto sulla Battaglia per gli Anelli era rimasta allibita.
Dei ragazzi... dei semplici ragazzi che in Giappone frequentavano le medie, ma che in Europa sarebbero stati a malapena in secondo superiore. Dei ragazzi che, come lei, si erano ritrovati coinvolti senza averlo chiesto.
Nemici...
Lei i nemici li combatteva tutti i giorni nelle vesti di Ladybug ma era diverso: quelle erano persone comuni divorate dai sentimenti negativi il cui unico scopo era catturare due adoloscenti che giocavano agli eroi.
Quei nemici, quelli nel mondo di cui lei oramai faceva parte, quelli che quei ragazzi avevano dovuto affrontare così all'improvviso senza sapere se ce l'avrebbero fatta oppure no... loro esistevano solo per uccidere.
 
 
 
- Quindi, ricapitolando, tu sei 1/3 francese, 1/3 cinese e 1/3 italiana? - riassunse Alya. Marinette annuì.
- Figurati che non sapevo neanche di avere una tris-nonna italiana finché mia madre non ha tirato fuori delle vecchie lettere - rispose.
- Ed è per questo che stai imparando l'italiano? - domandò la ragazza.
- Anche - ammise lei - Visto che Lal è italiana ho pensato che potesse insegnarmi la lingua. -
- E il giapponese? -
Ah, presa in contropiede.
- Uhm... mi piaceva - buttò lì, vaga - Da quando ho iniziato a prendere lezioni di cinese on-line, dopo che mio zio è venuto a trovarmi, ho preso molto interesse per l'Oriente - spiegò.
- E tu capisci davvero quei geroglifici? - domandò perplessa, sporgendosi sul foglio che la ragazza stava compilando.
- Più o meno. Ci sto ancora lavorando - ammise - Non è facile ricordarsi tutti i kanji. Questo, ad esempio... - iniziò, indicando uno abbastanza complesso.
- ...hai sbagliato a scriverlo - finì una voce alle loro spalle, facendole sobbalzare: Chloé si sporgeva tra le teste delle due, chine sul banco.
- Ch-Chloé! - esclamò Marinette: le era venuto un colpo.
- Lo hai scritto male - ripeté lei, sfilandole la matita di mano - Si scrive così - corresse, replicandolo al lato solo leggermente diverso.
Marinette guardò i due kanji sbattendo le palpebre, non sapendo assolutamente come reagire.
- Da quando conosci il giapponese? - domandò Alya, scettica.
- Da sempre - rispose lei, come se fosse ovvio - Io adoro il sushi, ogni anno mio padre mi porta nei migliori ristoranti del Giappone per il mio compleanno - spiegò, raddrizzandosi - Quindi è naturale che conosca la lingua. -
Beh, in effetti... la cosa risultava piuttosto logica.
- Perché lo stai studiando? - domandò la bionda.
Marinette si riscosse dalla sua contemplazione, scuotendo la testa - Oh, ehm... semplice curiosità - rispose.
Seh, magari fosse stato vero.
- Oh. Beh, è tutta una questione di memoria: devi soltanto impararli. Il resto viene da sé - scrollò le spalle lei, rimettendo la matita sul banco e scendendo i gradini per tornare al proprio posto. Marinette continuava a fissare quei simboli, chiedendosi dove altro avesse sbagliato.
- Sai, ultimamente Chloé mi preoccupa: è troppo strana - ammise Alya.
- Sì, può darsi - concordò Marinette, prendendo la matita per ricopiare il kanji così da ricordarselo sicuramente - Ma, sai... penso che la cosa non sia un male, dopotutto - sorrise, alzando la penna dal foglio abbastanza soddisfatta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
23G.: il Guardiano della Tempesta della Prima Generazione dei Vongola, nonché Braccio Destro di Giotto. Somiglia molto a Gokudera, sia in aspetto che in carattere.
 
24Alaude (si pronuncia Alaudi): il Guardiano della Nuvola della Prima Generazione dei Vongola, era solito usare delle manette in combattimento quindi si può dire che il riferimento all'arresto sia dovuto a questo. Somiglia molto ad Hibari, sia in aspetto che in carattere.
 
25Giotto fondò la Famiglia Vongola come gruppo di Vigilanti addetti a proteggere le persone.
 
 
 
Angolo Autrice:
E con questo chiudiamo i capitoli scialla!
Eh, già, l'ozio è finito e dal prossimo si inizia a fare sul serio!
Ma cosa potrà mai accadere alla nostra eroina peggio di quello che sta già subendo? Perché Dino si comporta come se stesse per arrivare la fine del mondo? E... chi sarà mai la strana donna che si aggira per le strade di Parigi in bicicletta?
Un nuovo personaggio sta per fare la sua comparsa e, per i nostri protagonisti, sarà una lotta di sopravvivenza... a colpi di cibo!
Come sempre vi ricordo la pagina facebook Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo: Preludio di Tempesta!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 11
*** Preludio di Tempesta ***


REVISIONATO IL 07/06/2019


 
 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 11. Preludio di Tempesta
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 4.974
 
 
 
 
C'era troppo silenzio in quella casa. Persino Sabine se n'era accorta, sebbene continuasse e leggere un libro comodamente stesa sul divano.
Marinette se ne stava seduta sull'isolotto, a leggere la strampalata chat della Vongola Famiglia (che comprendeva perlopiù insulti, minacce di morte e strane insinuazioni sentimentali) senza però ritenere necessario partecipare attivamente.
Aveva notato che si era aggiunto un nuovo membro, che non era ancora riuscita ad indentificare e per questo restava un semplice numero di telefono, ma aveva la strana abitudine di scrivere "VOOOI!" all'inizio di ogni frase (che comprendevano almeno l'85% degli insulti e le minacce di morte dette fino a quel momento, il restante 15% se lo dividevano Rika, Gokudera e Hibari).
 
Tsuna: Ma questo gruppo esiste solo per litigare anche quando siamo lontani?
           E poi si può sapere perché avete aggiunto anche Squalo?!
#XXX#: VOOOI! Se posso prendermela con voi feccia in qualunque momento allora mi sta benissimo!
 
Oh, ecco come si chiamava.
 
Tayou: Visto? È felice!
Rika: Porca miseria, Tayou!
Yamamoto: E dai, Squalo fa pur sempre parte della Famiglia.
Gokudera: Ma stai zitto, tu, che fino a tre mesi fa non sapevi neanche di far parte di una Famiglia Mafiosa!
 
Cominciamo bene.
 
Yamamoto: Ahahahah è vero.
Squalo: VOOOI! Cazzo, mi chiedo ancora come abbia fatto un moccioso come te a sconfiggermi! Non prendi neanche sul serio il tuo ruolo!
 
Un attimo... what?
 
Mitomi: Non è che Yamamoto non prenda seriamente il suo ruolo... è che pensava giocassimo ai mafiosi, non che lo fossimo davvero.
 
Marinette sbatté le palpebre un paio di volte, allibita: non dicevano sul serio, vero?
 
Mizuhiiro: Anche perché Tsuna era piuttosto restio ad ammettere di essere un Boss Mafioso in pubblico.
Squalo: VOOOI! Ed hai anche avuto la faccia tosto di soffiare il posto al nostro Boss!
Ren: Xanxus non sarebbe potuto divenire Boss in ogni caso, Squalo, e tu lo sapevi anche più di noi.
 
Xanxus? No, un momento!
Marinette si drizzò sulla sedia con gli occhi sbarrati: che quello Squalo facesse parte dei Varia, la Squadra d'Assalto dei Vongola che si era ribellata al Nono ingaggiando la Battaglia per gli Anelli?! E loro ci parlavano così, come se niente fosse?
Dire che fosse sconvolta era poco.
 
Mitomi: Non usare il passato, Mizu. Tsuna è ancora restio ad ammettere di essere un Boss Mafioso in pubblico.
Tsuna: Io non sono restio ad ammettere di essere un Boss Mafioso in pubblico... semplicemente perché io NON sono un Boss Mafioso!
Ryohei: Essere Boss è ESTREMO!
Tayou: Convinto te, Tsuna.
Tsuna: Ma... ma... io non voglio essere un Boss Mafioso...
Hibari: Che poi io non so perché sono ancora in questo gruppo di idioti.
Mitomi: Per Rika.
Rika: Mito, ci metto tre secondi a scendere di sotto.
Mitomi: NESSUN RIMPIANTO!
Tayou: Mitomi è appena corsa fuori di casa...
Hibari: Tanto lo so già che fra cinque minuti me la trovo qui a chiedere asilo politico.
Squalo: VOOOI! Mi vorreste spiegare perché stiamo parlando in francese, oltretutto?!
 
Ah.
 
Tayou: Per Marinette.
Squalo: Chi?
Mizuhiiro: Colei che possiede il Secondo Anello del Cielo: Dino ha trovato una discendente del Primo compatibile.
Squalo: ...E perché cazzo non ne sapevamo nulla, noi?!
Yamamoto: Ehi! Non hai detto "VOOOI!" per due messaggi consecutivi!
Squalo: Ma cosa cazzo c'entra?! Non lo dico sempre, sai!?
Yamamoto: Ah, no?
Squalo: VOOOI!
Yamamoto: Oh... lo hai rifatto.
Squalo: Lo dico solo quando sono incazzato e per fare scena, Porco Levi!
Yamamoto: Ah, ecco! E prima era per fare scena?
Squalo: VOOOOOI! Ma io mi rifiuto di parlare con te!
Squalo ha abbandonato la conversazione
Tayou: Sai, qualcosa mi dice che era incazzato.
 
Sì, anche Marinette lo pensava.
 
Dino: Povero Squalo...
Rika: Tanto lo so che te la stai ridendo.
 
 
- Sì, lo ammetto. -
Marinette si voltò trovando il ragazzo alle proprie spalle che ridacchiava guardando lo schermo del cellulare.
- Questo Squalo... - cominciò Marinette, senza riuscire a trattenersi.
- Fa parte dei Varia, sì - annuì lui, sedendosi sulla sedia accanto a lei - È il Secondo in Comando, un tempo candidato a diventarne il Boss... finché Xanxus non prese il suo posto - spiegò.
- Ma... la Battaglia... loro... insomma... -
Marinette non riusciva ad esprimersi: come potevano chiacchierare così tranquillamente con qualcuno che aveva cercato di ucciderli neanche tre mesi prima? Beh, forse non proprio tranquillamente, però...
Dino scosse il capo, ridendo - Squalo è a posto. Un po' tutti i Varia sono a posto, bisogna dirlo - aggiunse - Certo, sono strani, esaltati, egocentrici, con strane abitudini e manie di grandezza ed omicide... - stilò.
- ...ma hanno anche dei difetti - finì Marinette, sarcastica, facendolo scoppiare a ridere.
- Sì, hanno anche dei difetti - rise - Ma questo loro rapporto non è tutto basato sull'odio: basta leggere con attenzione per capirlo. Sono impulsivi ma non folli... potreste anche andare d'accordo. -
Lei ne dubitava fortemente.
- Hai impegni per oggi? - domandò d'un tratto lui. Marinette alzò le spalle.
- Nessuno. Perché? - chiese.
- Vorrei andare in un posto - spiegò il ragazzo - Ti va di accompagnarmi? -
Marinette lo guardò incuriosita per qualche istante, infine annuì: - Ok, nessun problema. -
 
 
 
Dlin Dlin
Uno scampanellio metallico risuonò nel vicoletto quando, accompagnata dal ronzio della catena, una bicicletta fece la sua comparsa. Un gatto, un povero micetto tigrato, soffiò rizzando il pelo prima di togliersi dalla traiettoria delle ruote. Il veicolo uscì dalla stradina sterrata neanche due secondi dopo, sbucando nella via principale e fermandosi sul ponte della Senna per ammirare il fiume. La donna alla guida abbassò gli occhiali da sole sul naso mostrando dei grandi e limipidi verdi, respirando a pieni polmoni l'odore salmastro dell'acqua.
- Aaah, Parigi - sospirò, sognante; un leggero venticello mosse lievemente i lunghi capelli che le ricadevano sulla schiena e le guance le si tinsero leggermente di rosso - Quanto mi piacerebbe poter essere qui con lui. -
 
 
 
Marinette guardava perplessa la grande insegna rossa, non sapendo bene come spiegare il motivo per cui fosse lì. Certo, era un bel posto: elegante, raffinato, di classe... ma anche costoso e decisamente fuori dalla sua portata.
- Uhm... Dino? - chiamò, incerta, voltandosi verso il suo accompagnatore - Cosa ci facciamo qui? - chiese.
Dino sorrise - Pranzo - rispose avviandosi verso la porta, col risultato di lasciarla più stranita di prima.
- Venga - alle sue spalle Roberto le fece cenno di avanzare, e lei non poté evitare di seguire Dino oltre la porta.
- Senti, perché dobbiamo pranzare in un posto simile? - domandò, guardando a disagio lo sfarzo che la circondava - Una bella pizza come un vero italiano, no? -
- Voglio solo mostrarti una cosa - rispose lui con il fare di chi la sapeva lunga, avvicinandosi alla reception. La ragazza si voltò al suo fianco, sperando di trovare una risposta almeno in lui... ma Roberto si limitò a scuotere il capo, rassegnato. - Venite - Dino fece loro cenno di seguirlo e il cameriere li condusse ad un tavolo, verso l'altro capo della sala.
Marinette aveva già detto che si sentiva inadatta?
Le pareti color spumante, le tovaglie di seta, le sedie di legno pregiato, i lampadari di cristallo... si sentiva tremendamente a disagio con i jeans e il giubbotto blu scuro, indossato per ripararsi dal freddo di gennaio.
- Ok, adesso mi devi spiegare perché qui? - domandò Marinette, sottovoce, prima che Roberto le sfilasse la giacca e la poggiasse sulla spalliera della sedia sotto il suo sguardo allibito. Fortunatamente, quel giorno aveva deciso di indossare una semplice camicia bianca che poteva risultare quasi elegante. Prese posto spaesata, sulla sedia che l'uomo aveva tenuto per lei.
- Vedi che ho fatto bene a portarcela? - chiese poi Dino, seduto di fronte a lei, a Roberto che prese posto su un lato; l'uomo alzò gli occhi al cielo, con un sospiro.
- Voglio una spiegazione - tagliò corto Marinette, seria.
- Sii più rilassata, Marinette, non è così si comporta una signorina - le consigliò il ragazzo, vagamente divertito.
Lei fece per protestare ma un cameriere sbucò dal nulla, ficcandole il menù in mano.
- Partiamo dalla teoria - cominciò Dino, aprendo il menù - Si ordina un menù completo o una pietanza per volta? -
Marinette restò sbigottita a quella domanda: - Ehm... penso... il menù completo? - rispose, incerta.
- Errato - la interruppe Roberto, serio, senza neanche alzare lo sguardo - Il primo e il secondo vanno chiesti insieme. Il dolce e il caffé a fine pasto e solo se lo si vuole. L'antipasto non si ordina poiché viene portato automaticamente. -
La ragazza sgranò gli occhi - Cosa...? -
- Uh, questo risotto ai fiori di palude sembra ottimo - commentò Dino.
- Il menù va restituito già alla prima ordinazione, quindi la prego di dare un'occhiata ai dolci ora - consigliò Roberto.
- Un momento... mi avete portata qui per darmi lezioni di galateo a tavola? - chiese lei, accigliata.
- Credo che prenderò le linguine al ragù di mare, voi che ne dite? - chiese tranquillamente Dino, alzando lo sguardo su di loro.
- Mi stai ignorando?! - sbottò Marinette incredula.
- Oh, certo che no - rispose lui, sorpreso - Ho solo pensato che avrebbe potuto tornarti utile fare pratica sul campo: può non sembrare ma in qualità di Braccio Sinistro dovrai accompagnare Tsuna anche a cene di questo tipo - spiegò.
- Ma... - balbettò Marinette.
- Le consiglio gli spaghetti alle vongole, sono ottimi - aggiunse Roberto.
Marinette fissò da uno all'altro senza parole: oramai lo aveva capito, quella storia della Mafia era tutta una congiura per distruggere la sua sanità mentale.
 
 
Lal conosceva molto bene i metodi d'insegnamento di Reborn.
Se i suoi erano spartani, quelli del bambino erano senza dubbio folli. Ma era pur sempre lui ad avere il pieno controllo dell'addestramento di Marinette: lei era lì solo come sostituta poiché Reborn non poteva lasciare il suo allievo da solo in Giappone ed era ancora troppo presto perché Tsuna e Marinette s'incontrassero. O meglio, perché Marinette incontrasse Tsuna: sarebbero stati una rovina l'uno per l'altra, questo lo sapevano entrambi.
No, perché potessero conoscersi Marinette avrebbe dovuto raggiungere un certo grado di conoscenza e accettazione della cosa: era di vitale importanza.
Guardò con indifferenza la donna che aveva di fronte, intenta a togliersi il casco e poggiarsi gli occhiali da sole sul capo.
- Hai ricevuto istruzioni precise? - chiese la bambina. Lei annuì.
- Farò come mi è stato chiesto - rispose - Ho preparato i miei pezzi migliori per l'occasione. -
Lal chiuse gli occhi e inclinò il capo verso il basso - Allora lascio tutto nelle tue mani. -
La donna sorrise.
 
 
"Le posate si usano a partire dall'esterno."
"Il bicchiere alto è per gli alcolici, per l'acqua si usa quello basso."
"Il coltello sopra è per il pane, in alcuni ristoranti hanno anche quello per il burro."
"Si usa la forchettina o il cucchiaino in base al dolce scelto, c'è anche una posata a parte per il caffé."
"Il piatto base è per l'antipasto. Ogni portata ha un suo specifico piatto."
"Non si soffia sui cibi caldi: è maleducazione."
"Il tovagliolo va messo sulle ginocchia."
"Ci si pulisce la bocca prima di bere."
"È cosa buona intavolare una conversazione convenevole prima di parlare di lavoro o altre cose importanti per alleggerire la tensione."
"Non lasci intendere di aver portato armi con sé, anche se così fosse: l'ospite potrebbe offendersi."
"Di solito è meglio appartarsi in una sala privata, specie se le questioni da discutere sono importanti."
"Meglio non parlare di argomenti volgari a tavola anche se l'ospite è del settore. Cerchi di farlo sempre sentire a suo agio."
"Il ristorante o le piatenze è meglio sceglierle in base ai gusti di chi deve portarvi, non sia troppo presuntuosa o orogogliosa della propria tradizione: l'ospite deve sentirsi a casa."
"Se non ha voglia del dolce a fine pasto, prenda un caffé o un thé: è maleducazione restare a guardare mentre l'ospite mangia."
- Tutto chiaro? -
Marinette fissò Roberto per degli istanti che parvero minuti, il soufflé al cioccolato era ancora intatto davanti a lei che non riusciva a descrivere il proprio stato d'animo in quel momento, non dopo tutte le informazioni ricevute durante l'intera durata del pasto.
- Uhm... penso di sì - rispose lei, cercando di apparire convinta.
- Roberto è il migliore in questo settore - spiegò Dino, punzecchiando il suo Crême Caramel con la punta del cucchiaino - Ha insegnato anche a me. -
- Non giochi con il cibo, Boss - lo riprese l'uomo.
- N-non ci sto giocando! - rispose il ragazzo, arrossendo leggermente. Marinette affondò il cucchiaino nel proprio soufflé, sospirando.
- La prossima volta che volete fare cose di questo tipo ditemelo almeno - borbottò, addentando il dolce.
- Era meglio portarla quì a sua insaputa. Ha mai provato a fare equitazione? - chiese Roberto.
- Non voglio imparare ad andare a cavallo! - protestò la ragazza.
- Appunto - rispose Dino - Avresti protestato allo stesso modo se te lo avessi detto: quindi ti ci ho portato direttamente. Lo so perché lo avrei fatto anche io - aggiunse, spensieratamente.
- Allora sai quanto sia irritante! - sbottò lei.
- Sono cose che ti torneranno utili, Marinette. Quindi rilassati, è tutta esperienza - spiegò semplicemente lui.
La ragazza sospirò - Certo, ovvio - sperava solo di non ricevere altre sorprese del genere.
Oh, povera illusa.
 
 
 
 
 
C'erano molte cose che Marinette poteva definire strane nella propria vita: a partire dal fatto che la sua insegnante fosse una bambina di a malapena due anni, all'avere un tris-nonno chiuso in un anello, all'ospitare un Boss Mafioso in casa propria.
Beh, l'ultimo poteva risultare quasi normale, in effetti: era solo un ragazzo poco più che ventiduenne che comandava un'organizzazione criminale. Insomma, cosa c'era di strano?
Oh, a parte il fatto che guardasse le brioche esposte sul tavolo come se quelle potessero saltargli addosso da un momento all'altro, ovviamente.
E Marinette aveva paura a chiedere il perché.
- Uhm... Dino? -
- Sì? -
- Cosa stai facendo? -
- Cerco di capire se mangiandole rischio la morte oppure no - rispose lui, come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Dino? -
- Sì? -
- È solo una brioche. -
- È questo il punto. -
La ragazza lo guardò, indecisa se portare avanti quella conversazione senza senso o prendere lo zaino e correre a scuola dato che stava facendo tardi. Sospirò ed optò per la seconda.
- Vabbé, io vado eh? - informò, mettendosi lo zaino in spalla ed uscendo di casa.
- A dopo - rispose Dino, alzando la mano in un cenno di saluto senza però staccare gli occhi dal piatto. Solo quando la porta si fu chiusa Lal si voltò verso di lui.
- Non sono avvelenate - disse, semplicemente.
- Oh, grazie a Dio! - esclamò Dino, sollevato, afferrandone una - Sei sicura che vada tutto bene? Mi sembra un po' pericoloso - ammise, addentandola.
Lal sospirò - È il volere di Reborn, non possiamo farci nulla - rispose.
- Mh. Spero solo che non succeda niente di grave - commentò il ragazzo, pensieroso, voltando gli occhi verso la finestra della cucina.
 
 
Gennaio stava per finire, questo era un dato di fatto, eppure, quel vento gelido che sferzava le strade ancora non si decideva a placarsi. Marinette preferì di gran lunga restare nel calduccio della classe piuttosto che uscire in cortile, come ogni pausa pranzo. E, a quanto pareva, anche gli altri ragazzi della sua classe la pensavano allo stesso modo.
- Indovinate cosa succederà tra poco? - canticchiò Cholé, piazzandosi davanti al banco di Adrien e Nino mentre Marinette frugava nella borsa alla ricerca del pranzo.
- Tirerò fuori del cibo e mi nutrirò? - chiese, alzando lo sguardo su di lei, facendo ridacchiare i due ragazzi.
- No - rispose Chloé - Cioè, probabilmente sì, ma non è a questo che mi riferivo. Fra poco meno di due settimane sarà San Valentino ed ho convinto mio padre ad organizzare una festa all'Hotel Palace: farò venire i migliori maître chocolatier di Parigi che si sfideranno in una gara a chi prepara il cioccolato migliore - spiegò, senza evitare di darsi arie - Ovviamente, i giudici saranno gli invitati e il vincitore avrà l'opportunità di esibire la sua creazione nel ristorante di punta di papà: una pubblicità senza dubbio ottima se si possiede un'azienda, e... -
- Chloé, per favore, stringi - la interruppe Marinette - Ho fame. -
La ragazza alzò gli occhi al cielo - Tuo padre gestisce una delle pasteccierie più famose della città, no? Quindi si può considerare invitato a partecipare - tagliò corto. La ragazza alzò un sopracciglio.
- Davvero? - chiese. Chloé annuì.
- Ovviamente anche tu Adrienuccio sei invitato - aggiunse, sbattendo le ciglia - Ed anche tu, Alya: tua madre lavora in uno dei ristoranti di papà quindi è automaticamente invitata - disse, con un po' meno entusisamo - Oh, e se vuoi venire Nino fai pure: tuo padre è pur sempre un imprenditore. -
- Quindi, in sintesi, siamo tutti invitati - riassunse Nino.
- Sì - rispose lei - Il 14 febbraio alle 18 in punto. Vestitevi bene, non sarà una serata elegante ma una camicia e un po' di lacca non guastano mai - concluse, guardando sopratutto in direzione di Nino, prima di tornare al proprio posto.
- Una serata all'insegna del cioccolato: mi piace! - esclamò il ragazzo.
Adrien sospirò - Probabilmente si aspetta che venga anche mio padre, ma lui non è il tipo che si perde in queste cose. -
- Tu chiediglielo lo stesso: è pur sempre un invito del sindaco - consigliò Alya - Magari acconsente. -
- Sì, magari - rispose lui, con poco entusiasmo.
- Papà gestirà anche una pasticceria ma non so se si sia mai cimentato nel fare il cioccolato - disse Marinette, pensierosa - Magari oggi glielo chiedo - decise, tirando fuori dallo zaino quella che sembrava una scatola per biscotti confezionati ma avvolta in della stoffa azzurra - E questo cos'è? - domandò, accigliata.
- Se non lo sai tu - rispose Nino.
- Io non l'ho messo nello zaino. Non so neanche cosa sia - rispose, soppesandolo: era molto leggero.
- Aprilo - propose Alya. Marinette lo poggiò sul banco e svolse il nodo della stoffa in cima, rivelando una scatola bianca.
- Siamo sicuri che non sia una bomba? - chiese Nino, scherzosamente. Ma Marinette non rise affatto poiché sapeva che poteva benissimo esserlo davvero.
Alzò lentamente il coperchio e tutti e quattro scattarono indietro, allontanandosi dal banco: la scatola conteneva della strana roba violacea piena di insetti e vermi, emanante densi vapori dall'aspetto inquietante.
- Ma cosa accidenti è quella roba! - esclamò Marinette, sconvolta.
- Sembra... riso e... involtini di pesce? - rispose Adrien, perplesso, osservandolo a debita distanza.
- Bento! - esclamò d'un tratto Alya - Quello mi sembra proprio un classico bento giapponese! -
- Perché c'è un bento nel mio zaino?! - sbottò Marinette.
- Non lo so ma se fossi in te non lo mangerei - consigliò Nino, turbato.
- Non ne avevo nessuna intenzione, contaci - rispose lei, portandosi una mano alla borsetta ed estraendone il cellulare: continuava a fissare quella... cosa mentre il telefono squillava nel suo orecchio. Quando la cornetta di casa si alzò fu Dino a rispondere.
- Pronto? -
- C'è un bento nel mio zaino - fu la prima cosa che disse.
- Che ci fa un bento nel tuo zaino? - chiese il ragazzo, perplesso.
- E quello che vorrei sapere anche io! - rispose lei - È... viola e pieno di roba strana. Mi sembra anche un tantino pericoloso - aggiunse, muovendolo un poco tramite la stoffa su cui era poggiata la scatola.
- V-viola hai detto? - balbettò Dino, con la voce incrinata dalla paura - Magari è anche pieno di insetti? -
- Sì - rispose lei - Come fai a saperlo? -
- Buttalo! - esclamò il ragazzo quasi urlando, in preda al panico, tanto che tutti e tre si voltarono verso di lei che osserava il telefono stranita - Marinette, butta quella cosa! Adesso! -
- Co... - cominciò lei, allibita.
- Fallo! -
- Sì, ok, lo faccio! - urlò lei in risposta - Piantala di strillare come una donna isterica! - aggiunse.
- Io non sono isterica! - si lamentò Dino.
- Ah, e io che mi ero illusa che non fossi una donna. -
Dall'altro lato cadde il silenzio: 1 a 0 per lei. Raccogliendo la scatola nella stoffa si alzò per lasciarla cadere nel cestino della spazzatura.
- Fatto! - informò - Che cos'era? -
- Veleno - rispose lui, con un sospiro di sollievo.
- COSA?! -
L'urlo fece voltare verso di lei, ancora in piedi davanti la porta, tutta la classe. Sorrise imbarazzata ed uscì fuori dall'aula.
- Perché c'era un bento avvelenato nel mio zaino? - chiese, sottovoce, appoggiandosi alla porta.
- Non lo so ma fai attenzione, probabilmente qualcuno sta attentando alla tua vita. -
- Di nuovo? -
Ma non era possibile!
- Fai attenzione, ok? Sopratutto a quello che mangi e che bevi, specie se te lo offrono altri - aggiunse.
- Non accettare caramelle dagli sconosciuti, capito - ironizzò lei - Questa storia che la gente tenta di uccidermi, però, deve finire! - aggiunse, seccata.
- Sì, sono decisamente d'accordo con te - sospirò Dino.
 
 
Marinette iniziava seriamente ad avere paura del cibo: aveva trovato nel proprio armadietto una lattina di aranciata che, una volta aperta, aveva rivelato contenere uno strano liquido nero che aveva quasi sciolto il metallo dell'armadietto stesso (quando Marinette se l'era fatta saltare dalle mani per lo spavento vedendo salire da essa strani fumi dall'aria tossica); poi aveva preso una merendina dal distributore e, stessa cosa del bento, si era rivelata violacea e piena di cose strane (il Preside aveva fatto mettere fuori uso tutti i distributori della scuola onde evitare un'intossicazione alimentare di massa); aveva preso una pizzetta al bar della scuola che sembrava non avere nulla di strano mentre esposta nella vetrinetta, ma che si era rivelata una bomba tossica dopo che la ragazza al banco glil'aveva data. Alla fine Nino, mosso a pietà, le aveva offerto metà del suo panino al prosciutto e formaggio (santo ragazzo!).
- Seriamente, Marinette, sembra che qualcuno stia cercando di ucciderti - commentò, addentando la sua metà di panino.
- Che brutto modo di morire: avvelenamento da cibo - sospirò Marinette, sgranocchiando il suo.
- Forse è solo un caso: andiamo, perché qualcuno dovrebbe avercela con te tanto da provare ad avvelenarti? - domandò Alya.
- C'è molta gente strana al mondo, Alya. Non puoi sapere quanto ciò non mi stupisca - rispose lei - Ma forse hai ragione, è solo un caso - scrollò le spalle, infine.
- Però quella pizza era a posto prima che la ragazza al banco te la desse - notò Adrien - Quindi può perfettamente passare per una congiura. -
Marinette iniziò ad innervosirsi: i ragazzi si stavano insospettendo e ciò non andava a suo favore, come avrebbe potuto spiegare un tentato omicidio nei suoi
confronti senza tirare in ballo la Mafia?
- Spero che sia solo qualche strano scherzo di cattivo gu...! - ma la ragazza si drizzò di scatto colta da un'illuminazione: ma certo, la ragazza al banco! Non c'era mai stata nessuna ragazza a servire al bar dell'istituto e quel suo strano modo di nascondersi il viso sotto il cappello era stato palesemente sospetto: come aveva fatto a non accorgersene prima? Possibile che ci fosse lei dietro tutti quei tentativi di avvelenamento?
Scattò in piedi e saltò oltre la panca - Mi sono ricordata di una cosa, torno subito! - esclamò ai tre che la guardavano allibiti, poi corse oltre il cortile interno per rientrare a scuola: il bar era posizionato in un'ala adibita di proposito, ma quando vi arrivò di fronte non trovò altri che il solito ragazzo dietro al bancone. - Scusa! - esclamò, fermandosi ansante di fronte a lui - Puoi dirmi dov'è la ragazza che era qui prima? -
Lui la guardò perplesso per qualche istante. - Ragazza? Qui lavoro solo io - rispose, come se fosse ovvio.
- Lo sapevo - mormorò lei - Grazie lo stesso - aggiunse ad alta voce, prima di voltarsi e andarsene. Portò una mano alla borsetta e l'aprì con uno scatto.
- Sentito, Tikki? -
Il Kwami sbucò fuori dall'apertura quasi immediatamente - Sì, l'avevamo proprio sotto il naso! - esclamò.
- In effetti nessuno sospetterebbe mai di una donna - sospirò Marinette - Per riuscire a mettere il bento nel mio zaino senza che me ne accorgessi ed avvelenare tutti i distributori della scuola deve essere veramente brava - commentò.
- Basterà fare attenzione a ciò che mangi fuori, non accettare niente da nessuno e tenere borsa e zaino sotto controllo - rimuginò Tikki.
- Più facile a dirsi che a farsi. Di questo passo le cose diventano due: o muoio avvelenata... o di fame. -
Tikki aprì la bocca per replicare ma Marinette si fermò di colpo in mezzo alle scale, poi, senza nessun motivo apparente, balzò all'indietro sul gradino dalla quale era appena scesa. Mezzo secondo dopo quella che sembrava una torta con doppia farcitura si schiantò contro il muro davanti la quale, un attimo prima, vi era la ragazza: il dolce, ridotto ad una poltiglia violacea, scivolò contro la parete sciogliendo l'intonaco.
Marinette sbatté le palpebre, incredula ed allibita davanti a ciò che aveva appena fatto: era stato l'istinto, forse, ma il suo corpo si era mosso da solo per evitare il pericolo. E poiché non indossava l'anello non poteva neanche dare il merito a Radi.
- L'Intuizione dell'Assassino - mormorò - È stata lei! - aggiunse, voltandosi verso la porta più vicina sulla quale era poggiata una figura in gonnella: la donna si calcò la visiera del cappello sul viso e sparì. Marinette non ci pensò su due volte, schizzando giù dalle scale e partendo all'inseguimento.
- Marinette, cosa vuoi fare? - domandò Tikki, reggendosi ai bordi della borsa per non volare via.
- La prendiamo! - rispose semplicemente lei, piombando nel corridoio: c'erano troppi ragazzi in giro ma riuscì lo stesso a scorgerla diretta verso l'uscita. Infilò una mano nella borsa e prese lo yo-yo, sgusciando tra la folla: avrebbe solo dovuto aspettare di essere fuori, poi avrebbe potuto tranquillamente catturarla.
La donna varcò il portone e Marinette scattò in avanti per raggiungerla, appena fu sulle scale svolse lo yo-yo e lo lanciò mirando alle sue gambe.
La ragazza non seppe mai come fece ma la donna, dopo essersi a malapena voltata, aveva scartato di lato, era saltata sulla balaustra in mattone aggrappandosi con le mani al lampione e, dopo aver fatto un doppio avvitamento in aria era piombata sul tetto dell'edificio di fronte, sparendo.
Marinette e Tikki fissavano il punto in cui era scomparsa a bocca aperta, lo yo-yo che rotolava sulle scale abbandonato a sé stesso, in un silenzio di tomba.
- È stato... - cominciò il Kwami.
- ...wow - finì Marinette.
- Credi che dovremmo seguirla? -
- Per stare al passo con lei dovrei trasformarmi in Ladybug e ciò metterebbe a rischio la mia identità - rispose lei - Cioé, io evoluzioni del genere non potrei mai farle senza il Miraculous - aggiunse.
- Quindi? -
- Quindi... niente. È andata - sospirò.
 
 
 
 
Marinette non sapeva cosa fosse peggio: dover stare attenta a tutto quello che mangiava o a chiunque le passasse vicino. Come scoprì ben presto, però, quei due non erano i problemi maggiori se l'assassina in questione cercava apertamente di intossicarti.
E se quella mattina era stata lei l'inseguitrice quella sera era diventata l'inseguita. Scivolò in un vicolo e saltò oltre un bidone, che venne colpito pochi secondi dopo da una pizza volante che lo tranciò di netto (come poteva una pizza fare a metà un bidone di metallo, poi, era un mistero).
- Marinette, ti devi trasformare! Il suo obbiettivo è Marinette non Ladybug! - consigliò Tikki, al sicuro nella borsa.
- Mi è addosso, mi vedrebbe! - ribatté la ragazza, scartando di lato senza neanche sapere perché... ma le fu chiaro quando un piatto di insalata di crostacei si abbatté sul terreno: ma da dove la tirava fuori quella roba?!
Marinette ringhiò, uscendo dal vicolo mentre toglieva l'anello dalla catena e lo indossava - Dino non risponde al cellulare e non so come contattare Lal - sbottò - Dovrò cavarmela da sola! -
Sola è una parola grossa.
- Ah, già, ci sei anche tu! - si ricordò lei.
Ma come... non è per questo che hai messo l'anello?!
- Certo che no, l'ho fatto per poter usare le Fiamme! - rispose.
Sigh... nipote degenere.
- Ma piantala! - sbucò in strada ed attraversò le strisce pedonali: le serviva un posto isolato in cui poter combattere.
È presto, dirigiti verso il ponte: non ci dovrebbe essere nessuno.
Senza fare storie Marinette deviò e si diresse verso la Senna: come predetto da Radi il ponte era vuoto. La ragazza estrasse lo yo-yo dalla tasca e richiamò le Fiamme sull'anello espandendole su di esso. Facendolo roteare, si voltò di scatto e distrusse con un colpo il piatto di ramen che le era stato sparato contro.
La donna era lì, vestita con jeans e canotta, un casco da bicicletta sul capo e gli occhiali da sole a nascondere parte del viso; nelle mani aveva quelli che sembravano due grossi piatti di roast beef e grigliata di pesce.
- Poison Cooking - mormorò, scattando poi verso di lei - All you can eat!26 -
Marinette agì d'istinto: si spostò a destra per evitare la grigliata di pesce che la mancò di pocchissimi millimetri, scivolò sotto il suo braccio e brandì lo yo-yo; la donna girò sui tacchi e provò a colpirla col piatto restante ma Radi fu più svelto e, preso il controllo del corpo della ragazza, afferrò la donna per il braccio, le diede una gomitata nello stomaco e cercò di sbatterla al suolo. Lei, però, fece leva sulle mani e, con una capriola all'indietro, si rimise dritta.
Fu in quell'istante che una voce risuonò per il ponte, facendole fermare entrambe.
- Basta così! -
Marinette si voltò, sorpresa: alle sue spalle, all'imbocco del ponte, vi era Dino con Lal in spalla e Roberto e Romario ai lati.
- Ragazzi! - esclamò. Un suono simile ad una risata abbozzata attirò la sua attenzione: la donna sorrise e si mise in piedi.
- Tanto il tempo limite era scaduto - rispose, avvicinandosi tranquillamente.
- Hai esagerato - sospirò Dino.
- Ho fatto solo ciò che mi ha chiesto Reborn - si giustificò la donna, togliendosi gli occhiali da sole.
- R-Reborn? - domandò Marinette, confusa, guardando da una agli altri - Che... che sta succedendo? - domandò.
- Scusa se sono stata brusca, Marinette - disse dolcemente la donna, facendola voltare verso di lei: la ragazza sgranò gli occhi allibita.
- M-ma tu sei...! - cominciò, vedendola togliersi il casco, sciogliendo così i lunghi capelli rosa opaco. La donna sorrise.
- È da un po' che non ci si vede - constatò.
Marinette la fissò, senza riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. Solo dopo qualche tentativo si rese finalmente conto di chi le stava davanti.
- B-Bianchi! -
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
26All you can eat!: nel manga era tradotto come "Tecnica del mangia a sazietà" ma in inglese suonava più figo.
 
 
 
Angolino autrice:
Bianchi è decisamente uno dei miei personaggi preferiti, c'è poco da fare.
Non ho molto da dire su questo capitolo, tranne che è uno dei punti di giuntura per ciò che succederà in seguito: perché non c'è storia senza Bianchi.
Ringrazio tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono: non potete sapere quanto ciò mi faccia piacere. Come sempre vi ricordo la pagina facebook Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Lo Scorpione Velenoso - Bianchi Gokudera, la mia Guardia del Corpo!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 12
*** Lo Scorpione Velenoso - Bianchi Gokudera, la mia Guardia del Corpo ***


REVISIONATO IL 08/06/2019


 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 12. Lo Scorpione Velenoso - Bianchi Gokudera, la mia Guardia del Corpo
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 4.683
Note: ATTENZIONE! Linguaggio scurrile.
 
 
 
 
- Si può sapere che succede?! -
Marinette oramai ne aveva fin sopra i capelli di tutte quelle cospirazioni ai suoi danni, c'era un limite a tutto! Incrociò le braccia e fissò le persone davanti a sé, aggrottando le sopracciglia.
- Gradirei una spiegazione. -
Bianchi si mise il casco sottobraccio aggiustandosi i capelli - Reborn mi ha chiesto di venire qui e fingere di assassinarti: voleva che testassi le tue abilità in combattimento e la tua reazione a determinate situazioni - spiegò tranquillamente.
Dino sospirò - Dopo quello che è successo con gli uomini di Verde Reborn ha creduto necessario metterti accanto qualcuno che ti proteggesse ventiquattro ore su ventiquattro per salvaguardare la tua vita ed evitare interferenze con l'addestramento. Bianchi ha cercato di avvelenarti per capire fino a che punto sai difenderti e come ti comporti in caso di un attacco diretto: aveva un limite di tempo di ventiquattro ore - aggiunse.
- Dove volete arrivare? - chiese Marinette, sospettosa.
- In poche parole, da questo momento in poi sarò la tua guardia del corpo personale - sintetizzò la donna. La ragazza sgranò gli occhi, fissandola allibita.
- Cos... tu... che?! - balbettò, sconvolta, fissando da lei a Dino e Lal ad intermittenza - Insomma, dov... dove si è ma vista una guardia del corpo che tenta di avvelenare la sua protetta! - esclamò, scioccata.
- Tranquilla, ho ridotto il tasso di mortalità nei miei piatti: saresti stata male per un po' ma non tanto da morire - minimizzò Bianchi, serenamente.
- E ti pare lo stesso normale?! - sbottò lei - E poi cos'è questa storia dei cibi avvelenati? -
- Bianchi è un'Hitman Privata specializzata nella Poison Cooking, l'Arte della Cucina Velenosa - rispose Lal.
- E la cosa vi sembra normale. -
- Non potresti avere una guardia del corpo migliore di lei: è conosciuta come Lo Scorpione Velenoso e nel campo della mala è molto temuta - spiegò Dino - Non abbiamo niente di cui preoccuparci se lei è con te - aggiunse, decisamente tranquillo.
- Se lo dite voi - sospirò Marinette, passando le dita sulle tempie: lei continuava a trovare quella situazione decisamente assurda. Come tutto il resto, tra l'altro.
- Ah, e starò a casa tua. Non è un problema, vero? - domandò lei, con leggerezza.
- Anche tu?! -
- Io e Dino abbiamo già predisposto dove farti dormire - rispose Lal.
- Ma... - cercò di protestare Marinette, venendo bellamente ignorata.
- Ottimo - si limitò a dire Bianchi.
- Torniamo a casa adesso? - chiese Dino, incamminandosi.
- Ma... -
- In effetti sono un po' stanca - ammise la donna, seguendo il gruppetto.
- Ma... - Marinette sbatté le palpebre, incredula, prima di mormorare debolmente - Perché tutti a casa mia? -
 
 
Marinette aveva decisamente voglia di gettarsi da un balcone. Non era da lei sentirsi in quel modo, ma mai come allora la stanchezza l'aveva presa tanto da desiderare la morte. Beh, forse ripensandoci la morte no... magari era meglio il coma.
Suvvia, più si è meglio è, no?
- Ti prego, non rifilarmi i vecchi proverbi da nonno saggio... non sono dell'umore - borbottò lei, abbandonata sul letto e con la testa affondata nel cuscino.
Forse era già in coma, era finita sotto un camion mentre andava a scuola e tutto quello era solo un sogno. O almeno era quello che sperava.
- Dai, Marinette: Bianchi dormirà in camera con noi e Dino si sposterà sul divano. Non è un problema così grave, no? - cercò di confortarla Tikki, seduta accanto al suo viso.
Il Kwami ha ragione, non abbatterti, ti ci devi solo abituare. Presto avrai a che fare con di peggio.
Un lamento soffocato si levò dal giaciglio - Quindi questo è niente? -
Decisamente niente.
- Grazie, Radi, mi sei di conforto. -
Una risatina divertita le giunse alle orecchie ma lui non replicò. Invece, qualcuno bussò alla botola.
- Marinette, sto entrando! - esclamò Bianchi, prima che la sua testa sbucasse dal pavimento.
- Mmh - fu la risposta soffocata che ottenne.
- Stavi dormendo? -
- Mh... no, tranquilla - sospirò, alzandosi dal materasso - Facevamo due chiacchiere - spiegò, scendendo la scaletta.
- Ti ho portato una cosa - rispose la donna porgendole un pacchetto azzurro.
Marinette la guardò sorpresa - N-non ce n'era bisogno. Grazie - mormorò, imbarazzata, prendendolo. Tolse il coperchio, sperando che non fosse un altro bento, e sgranò gli occhi: all'interno vi era un completino intimo perfettamente piegato, sui toni dell'arancione con disegnati centinaia di proiettili dorati.
- L'ho fatto io: me la cavo bene nel cucito - spiegò Bianchi, sorridendo. Marinette non seppe cosa rispondere: per essere bello era bello, ben fatto e decisamente originale, solo... un completo intimo la metteva un po' a disagio.
- È... wow. Grazie, Bianchi! - esclamò, sinceramente grata.
- Mi sono fatta dare le tue misure da Lal, spero che ti vada bene. -
Marinette arrossì un po' - Oh, sicuramente - rispose, non volendo sapere come facesse Lal ad avere le sue misure.
- Ragazze, è pronta la cena! - chiamò Sabine da sotto.
- Arriviamo, mamma! - esclamò Marinette, chiuse il coperchio e posò la scatola sulla scrivania mentre Bianchi si avviava di sotto.
- Oh, e va lavato a mano o rischia di rovinarsi - aggiunse, mentre scendevano le scale.
- Me ne ricorderò - sorrise lei. Almeno Bianchi era qualcuno con cui andava d'accordo, sebbene fosse abbastanza strana anche lei. In effetti si sarebbe stupita di trovare qualcuno normale in quella Famiglia...
Già seduto intorno all'isolotto Tom sembrava seriamente chiedersi perché casa sua d'un tratto fosse diventato un porto di mare. E Marinette si chiedeva la stessa identica cosa.
Quando si sedette a tavola e vide sua madre mettere in frigo dei budini al cioccolato si ricordò di cosa le aveva detto Chloé quella mattina. Schiarendosi la gola prese coltello e forchetta.
- Sai, papà, il padre di Chloé organizzerà una festa per San Valentino all'Hotel Palace - cominciò, spezzando quel silenzio - Ci sarà una gara su chi preparerà il cioccolato migliore, che verrà servito in uno dei ristoranti di punta del sindaco, e sei stato invitato a partecipare. -
- Una gara di cioccolato? - chiese Dino, drizzando le orecchie.
- Sembra divertente - commentò Sabine, chiudendo il frigorifero.
- Oh - rispose Tom colto di sorpresa - Beh, non ho mai fatto del cioccolato vero e proprio - ammise, titubante.
- Mancano ancora due settimane al 14 febbraio - notò Marinette - Avresti tutto il tempo per esercitarti. Potrebbe essere un'ottima pubblicità per la boulangèrie. -
- E poi una festa all'insegna del cioccolato... e chi se la perde! - aggiunse Dino, entusiasta.
- Bianchi cucina, magari potrebbe aiutarti lei... - propose Marinette, prima di venir fermata da un sonoro "NO!" urlato da Dino e Lal, che lasciarono sorpresi tutti e tre.
- Spiacente, Marinette, ma non posso farlo - rispose Bianchi, pulendosi la bocca con il tovagliolo.
- Perché? - chiese la ragazza, confusa.
- Perché Bianchi ha la capacità innata di tramutare in veleno tutto ciò che tocca - spiegò Dino, sudando freddo.
- Reborn mi ha chiesto di non cucinare se non per uccidere, quindi non posso aiutarvi - sospirò Bianchi - Però posso fare da assaggiatrice: sono un'ottima forchetta - aggiunse, tranquillamente.
- Oh - rispose Tom, che evidentemente stava facendo uno sforzo immane per surclassare su quei "uccidere" e "veleno" - Beh, è pur sempre un aiuto - annuì.
- Giusto - rincarò Marinette, domandandosi quanto tempo sarebbe passato prima che il padre desse di matto. O prima che lo facesse lei.
Il solo fatto che tu riesca ad accettare tutto questo è simbolo di sanità mentale. Io non mi preoccuperei.
Marinette però si chiedeva fino a quando sarebbe riuscita ad accettare tutto quello. Sospirò, infilzando un involtino di pollo con la forchetta e portandoselo alla bocca, mentre Tom e Bianchi discutevano dei vari tipi di cioccolato che potevano preparare. Le scappò un sorriso vedendo Dino e Sabine chiacchierare tranquillamente e non poté fare a meno di pensare che, su quella tavola, non si era mai respirata un'aria così famigliare.
 
 
 
Marinette non riusciva a capacitarsi di essere entrata in un negozio del genere. Le sembrava quasi di sognare mentre ammirava i vestiti appesi alle stampelle o piegati accuratamente sugli scaffali. La sua famiglia era benestante, vero, ma non ricca: entrare in un negozio marchio Agreste era un desiderio raggiungibile solo vincendo al superenalotto.
Eppure lei ora era lì e questo lo doveva solo alla donna che in quel momento stava studiando una fila di jeans sportivi con aria critica.
- Ehm... Bianchi? - chiese, titubante.
- Sì? - rispose lei, scavando in una pila di indumenti alla ricerca della sua taglia.
- Cosa stiamo cercando esattamente? -
La donna ci mise un po' a rispondere, valutando attentamente un paio di jeans prima di metterli a posto.
- Qualcosa che possa andare bene per le occasioni particolari - disse infine - Se abbiamo intenzione di partecipare a quel ricevimento, il 14, non possiamo certo andarci vestite come al solito - aggiunse - Vedi se c'è qualcosa che ti piace, io vado a cercare un paio di jeans decenti - concluse, sparendo dietro un espositore di camice. Marinette si guardò intorno, dubbiosa, poi si diresse verso una fila di vestitini, magliette e giacche, scorrendole lentamente.
Trovò un vestito corto e bianco molto carino, ma oltre a costare un occhio della testa era decisamente fuori stagione. Stava valutando una giacchetta nera che sarebbe stata perfetta con la camicia bianca che aveva comprato da poco, quando una voce poco distante da lei la fece sobbalzare.
- Ho detto che lo voglio champagne. Champagne, capito? Questo è panna! - sbraitò la ragazza, facendole sgranare gli occhi.
- Oh, chiedo scusa, ero sicuro fosse champagne... vado subito a cercarne un altro - farfugliò un commesso, correndo via.
Marinette ci mise due secondi a fiondarsi dietro uno scaffale, sbirciando oltre un paio di sciarpe azzurre, trovando conferma ai propri dubbi: Chloé era in piedi in mezzo al negozio, decisamente irritata, con Sabrina al suo fianco che reggeva un blocco note.
Beh, non aveva mai avuto dubbi sul fatto che Chloé comprasse Agreste, ma trovarsela lì la prima e unica volta che ci andava lei... beh, quella era proprio sfiga!
Cercando di essere il più silenziosa possibile sgattaiolò via tenendosi piegata per non farsi vedere, ma...
- Marinette? -
La ragazza si bloccò sul posto, stringendo gli occhi: ma perché tutte a lei? Voltandosi lentamente si ritrovò Adrien in piedi alle proprie spalle, che la fissava perplesso a pochi passi da lei.
- Adrien! - esclamò, sorpresa, stirando un sorriso - Che ci fai qui? - chiese, cercando di sembrare perfettamente a suo agio benché fosse effettivamente ad un passo dal baciare il pavimento.
- Chloé - rispose il ragazzo a mo' di spiegazione, alzando le spalle - Tu, invece, perché stai... scappando? - domandò, chiaramento incerto.
- Chloé - sospirò Marinette, alzandosi - Cerco di evitare i suoi consigli sulla moda - ammise.
- Oh, capisco - annuì lui - Ma... cosa ci fai qui? -
- Beh... - cominciò lei, non sapendo effettivamente cosa rispondere, quando Bianchi sbucò da un angolo con un paio di jeans ed una veste bianca poggiati sul braccio.
- Marinette, che cosa ne pensi di questo? Secondo me ti starebbe benissimo... - commentò la donna, indicando la veste, ma si fermò notando il ragazzo.
Adrien inarcò un sopracciglio, fissandola per qualche secondo, prima di dilatare le pupille.
- Io la conosco! - disse infine, indicandola - Sì, l'ho vista qualche settimana fa: stavate parlando su Skype - aggiunse, guardando da lei a Marinette.
Bianchi fissò la ragazza, che alzò le spalle, prima di porgergli la mano.
- Bianchi Gokudera, sono un'amica di Marinette - si presentò - Ma dammi pure del tu, ho solo un paio di anni più di voi - aggiunse. Il ragazzo la strinse.
- Adrien Agreste, andiamo in classe insieme - rispose.
- Adrikins! -
Marinette poté giurare di vedere un brivido scorrere lungo la colonna vertebrale del ragazzo, che si voltò verso Chloé.
- Che cosa ne pensi di questo? O è troppo formale per un ricevimento? - domandò lei, mostrando un vestitino azzurro con leggere balze sulla gonna e un giglio bianco sul petto. Marinette non poté proprio fare a meno di pensare che Chloé avesse gusto in fatto di vestiti: quell'abito era proprio carino.
- Beh... credo sia meglio qualcosa di più sobrio - commentò lui sorridendo. Ma la ragazza stava guardando oltre la sua spalla, adocchiando le due donne.
- Marinette - esclamò sorpresa.
- Chloé - salutò lei, facendo un cenno con la mano.
- Tu quì? -
- Io quì. -
- Non pensavo potessi. -
- Nemmeno io - ammise lei, allegramente.
- Lei è...? - chiese Bianchi, rivolta a Marinette.
- Oh, lei è... -
- Chloé Bourgeois - l'anticipò la ragazza, mettendo giù l'abito - Frequentiamo la stessa classe. -
- Bianchi Gokudera, un'amica di famiglia - rispose lei, prima di assumere un'espressione curiosa - È lei che ha organizzato la festa per San Valentino? - chiese. Marinette annuì.
- È la figlia del sindaco - rispose.
- L'unica - precisò la ragazza, compiaciuta.
- Già - rispose Marinette, titubante, prima che scendesse un pesante silenzio sul quartetto.
Ah, i silenzi imbarazzanti: non sai mai come uscirne.
Ma perché si ostinava ad indossare quell'anello? Perché era così masochista? Perché?!
- Uhm... Bianchi resterà con noi per un po' e avevo pensato di portare anche lei e Dino alla festa di San Valentino. Non è un problema, vero? - chiese, rompendo quel mutismo che li aveva messi tutti a disagio... tranne Bianchi che sembrava impassibile.
- Dino? - chiese Adrien, inarcando un sopracciglio - C'è anche lui? -
- Oh, sì... già da un paio di settimane - rispose semplicemente lei. Chloé scrollò le spalle.
- Se proprio volete, non è un problema - rispose, ignorando bellamente chi fosse questo Dino ma guardando Bianchi in modo sospettoso.
- Ottimo! - rispose Bianchi, poggiando una mano sulla spalla di Marinette - Vieni, voglio farti provare un paio di cose - aggiunse, tirandosela via.
- Ah... ehm... - Marinette incespicò nei suoi stessi piedi, tentando di stare al passo con la donna e, di conseguenza, camminare all'indietro - Ci vediamo in giro! - salutò, ricevendo dei cenni perplessi in risposta, prima di sparire dietro alcuni scaffali.
Bianchi la trascinò nei camerini, gettando dentro diversi capi di vestiario - Vedi come ti stanno, prendiamo quelli che ti piacciono di più - disse, per poi chiudere la tendina e lasciarla davanti lo specchio con una montagna di vestiti poggiati sulla testa e sulle braccia.
Le donne e la loro mania per lo shopping, sospirò Radi, Qualcosa mi dice che sarà una cosa lunga.
Marinette sospirò, rassegnata: lo pensava anche lei.
 
 
 
Ti sento spossata: non sarai di certo stanca?
- Che fai, sfotti? -
Un denso aroma di caffé diluito nel latte le giunse alle narci rilassandole completamente i sensi. Sospirò, sistemando il viso nell'incavo tra gli avambracci e chiudendo gli occhi.
Sai cosa ho notato?
- Mmh? - mugugnò, leggermente curiosa, adattando il brusio di voci intorno a lei ad un semplice ronzio di sottofondo simile ad una litania.
Non mi hai mai chiamato nonno.
La parvenza di sonno insinuatasi nel suo cervello s'interruppe bruscamente, facendole sentire nitidamente la coppia al tavolo dietro il loro litigare sul modo corretto di condire il thé.
- Eh? -
Mi chiami sempre per nome. Non mi hai mai chiamato nonno.
Quell'improvvisa confessione la lasciò turbata: era vero lo aveva sempre chiamato Radi, sebbene lo vedesse e lo avesse riconosciuto appieno come suo effettivo tris-nonno materno... ma non era mai riuscita a chiamarlo in quel modo. Più che altro perché le sembrava più giovane di quanto dovesse effettivaemente essere in realtà, e anche perché...
- Mi suona strano - ammise, senza aprire gli occhi o alzare il viso. Dall'altro lato ci fu silenzio per qualche secondo, tempo nel quale la voce della coppia tornò ad essere un semplice ronzio indistinto.
Puoi dirlo almeno una volta?
Marinette socchiuse un poco gli occhi, mettendo a fuoco le pareti rosse del locale - Il solo fatto che tu viva in un anello e mi parli attraverso la mente è folle di suo... se poi devo anche chiamarti tris-nonno tanto vale che infili le scarpette rosse e prenda il sentiero dorato per il Regno di Oz - commentò. Lo sentì ridere dolcemente, poi un brivido le corse su per la schiena come se qualcuno la stesse toccando... o accarezzando.
Richiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dal tepore del bar in cui si erano fermate, e dopo meno di un minuto scivolò in uno stato di dormiveglia. Quando riaprì gli occhi era seduta su un tappeto dai disegni arabi, in una stanza che somigliava molto ad un ufficio con le pareti circondate da librerie, dando le spalle ad una scrivania posta davanti una grande vetrata che dava su un cielo nero puntellato di stelle.
- Sono solo le sette di sera - notò lei, portandosi le gambe più vicine al petto e gli occhi fissi sullo spettacolo astronomico che le veniva offerto. Radi fece scorrere le braccia intorno alla sua vita e poggiò il mento sul suo capo, facendola sistemare meglio con la schiena al proprio petto.
- Siamo in inverno - ricordò pigramente - Giornate corte e tanto freddo. -
- Ottimo modo per descrivere una stagione - acconsentì lei. Scese il silenzio per qualche secondo.
- Allora, mi chiami nonno? - chiese Radi. Marinette inarcò un sopracciglio, perplessa.
- Ma ci tieni così tanto? -
- Ehi, mi è stato negato l'onore di essere chiamato "padre"... almeno questo! - si difese lui. Marinette scosse il capo, ridendo, e poggiò la testa alla sua spalla.
- Perché non riesco a vederti in faccia? - chiese, dando voce al dubbio che l'assillava da mesi. Radi ci mise qualche secondo a rispondere e quando lo fece la sua voce era leggermente divertita.
- È ancora presto - mormorò dolcemente - Un giorno, forse, saremo pronti anche per questo. -
Marinette non capì cosa intendesse ma rinunciò a tentare di comprendere le sue frasi enigmatiche, tanto non ci riusciva mai.
- Allora, mi chiami nonno? - ripeté, allegramente. Marinette sospirò e voltò di poco il capo verso di lui.
- Ti ficcherei volentieri un dito in un occhio se sapessi dov'è - ammise. Radi rise di gusto, poggiando la propria fronte alla sua.
- Lo avevo detto io che eri sadica! -
Marinette chiuse gli occhi e si rilassò contro di lui.
- Nonno - disse, e quella parola rieccheggiò nel silenzio della stanza più forte di quanto avesse creduto.
Radi non rispose, ma poté sentirlo poggiare il viso sulla propria spalla.
- Te l'ho mai detto che ti voglio bene? - disse, con una voce talmente sdolcinata che la ragazza poté giurare di sentire i gradi del proprio diabete salire di qualche decina di tacche.
- Ti accontenti di poco - commentò. Lui rise sommessamente ma non rispose. - E comunque mi suona sempre strano - aggiunse lei.
- E non rovinare il momento! - la riprese lui, prima di drizzarsi di scatto, d'un tratto rigido. Marinette alzò gli occhi su di lui, perplessa.
- Cosa? - chiese. Vide le labbra dell'uomo farsi sottili.
- C'è qualcosa che non va - mormorò. Pochi secondi dopo la sua immagine si dissolse e Marinette ritornò bruscamente al tavolino del bar; riaprì gli occhi e si alzò, la testa che le girava e la lontana percezione che qualcuno le si fosse avvicinata.
- Tutto bene? - chiese la voce di Bianchi accanto a lei, posandole davanti un bicchiere di plastica pieno di cappuccino. La ragazza si riscosse ed annuì.
- Credo... di essermi addormentata - ammise, strofinandosi gli occhi e riottenendo la vista: Bianchi stava prendendo posto di fronte a lei.
- In effetti è piuttosto tardi, sarà meglio tornare a casa in fretta - rispose, portandosi alle labbra il bicchiere col caffé. Marinette si sentiva stranamente a disagio e quando provò a cercare Radi con la mente si accorse che lui non c'era più; la cosa la turbò, mentre prendeva il cappuccino e si riscaldava le mani con esso: cos'era successo tutto ad un tratto? Perché era sparito così all'improvviso? Bevve un sorso della bevanda ma, sebbene quella le scaldava il corpo, continuava a sentire un gelo innaturale dentro di sé.
Poi un brivido freddo le corse su per la schiena, causandole un sussulto che minacciò di far volare via il bicchiere. E lei conosceva quella sensazione.
- C'è qualcuno - esclamò, balzando in piedi e guardandosi intorno: riusciva a sentire un intento omicida molto violento nelle vicinanze. Bianchi assottigliò lo sguardo e si alzò.
- Ne sei sicura? - chiese. Marinette annuì: riusciva a sentire nitidamente una presenza ostile molto vicina a loro.
- Usciamo da quì - esclamò la donna, prendendo i sacchetti con la spesa e guidandola fuori dal bar.
 
 
Stagliandosi contro il cielo imbrunito della sera l'uomo fissava le due donne uscire dal locale con occhi sottili, i lunghi capelli bianchi mossi leggermente a ritmo con il vento che spazzolava la sua divisa giacca, pantaloni e anfibi neri. Una brezza serale si levò dal centro della città, spazzando con un gesto le strade illuminate di Parigi. Strinse i denti ed alzò il capo.
- Tsk - sbottò - E chi poteva essere se non una mocciosa del cazzo - commentò, con disprezzo.
Un cric-cric secco gli fece spostare gli occhi alla sua destra, verso il ricevitore nero incastrato nel suo orecchio.
- Non lamentarti - risuonò una voce dal suo interno, sottile e canzonatoria - Tu hai dato la notizia e quindi era giusto che andassi tu a controllare - ricordò. L'uomo ringhiò. - Non dire scemenze, Lus: quel bastardo poteva benissimo aspettare che venisse quì il marmocchio! - sbraitò, incazzato - Che tra l'altro sapeva e non ha detto niente... ma io lo so che lui ha mandato me qui solo per ripicca! -
- Beh, non hai fatto un bel figurone in quell'occasione - ricordò la voce.
- Taci! Tu hai fatto di peggio! - sbraitò lui.
- Shishishi! - una risata risuonò dall'altro lato, facendo gonfiare una vena sulla tempia dell'uomo - I due perdenti che si litigano la figura peggiore... che spettacolo pietoso! -
- Jare, jare... ecco perché non volevo dire niente - sospirò una vocetta infantile, abbastanza seccata.
- Tu non volevi dire niente per non far incazzare il Boss, visto che andavi ad aiutare quelli là - ricordò la prima voce.
- Moccioso spocchioso - lo canzonò la seconda voce - Alla fine il Boss si è incazzato lo stesso e te le ha cantate per benino. -
- Una fine migliore di quella che ha fatto lui - replicò il bambino.
- Shishishi! Non ti conviene rientrare per un bel pezzo, Vice: il Boss ha fatto scorte di bottiglie di liquori e bicchieri in pregiatissimo cristallo26 - ridacchiò la seconda voce. L'uomo digrignò i denti, la vena che diventava sempre più grossa e il suo istinto omicida che saliva a mille.
- Quanto mi state sul cazzo, fottuti coglioni! - esplose, si strappò il ricevitore e lo gettò sul tetto del bar, calpestandolo con rabbia, quasi immaginando che fossero i volti dei suoi compagni di squadra. - Ringrazio di non dovervi vedere! - urlò, con il fiatone e gli occhi iniettati di sangue. Poi si voltò verso le due figure che si allontanavano e calciò via i rimasugli del trasmettitore, che volarono in un vicolo vicino; con un gesto secco saltò giù dal locale e si incamminò sulla loro scia, ignorando bellamente i passanti che si ritraevano da lui alla vista della lunga lama agganciata alla sua mano sinistra.
 
 
 
Marinette fece una smorfia guardandosi nervosamente intorno: aveva sentito la presenza omicida farsi più forte e di Radi ancora nessun segno.
- Senti, Bianchi... questa non mi sembra la strada di casa - notò, vedendola addentrarsi in città. La donna la guidò in una stradina laterale, verso il centro commerciale.
- Se ci inseguono è meglio non portarli dritti a casa: giriamo un po', facciamo perdere le nostre tracce e poi torniamo indietro - disse - Oppure li attiriamo lontano e li uccidiamo - aggiunse, con naturalezza. Marinette inarcò un sopracciglio, incerta.
- Mi preoccupa il modo in cui ragioni - ammise.
- Sono pur sempre un'assassina - rispose lei, infilandosi in un vicolo.
- Giusto - rispose lei, guardandosi alle spalle interrogativa: sentiva l'intento omicida affievolirsi lentamente, fino a sparire quasi del tutto. Non si era allontanato anzi, le stava ancora seguendo, solo... beh, sembrava aver perso ogni voglia di farle a pezzettini. - Lo sto perdendo - ammise - Il suo intento omicida sta sparendo però è sempre dietro di noi. -
Bianchi sembrò rimuginarci su - Può darsi che stia cercando di nascondere la sua presenza, stai in guard...! - la donna si fermò di colpo, sobbalzando, e Marinette sussultò: un rumore secco alle loro spalle, che somigliava terribilmente ad un corpo che cadeva di peso sull'asfalto, le fece gelare sul posto. Non c'era bisogno di un esperto per sapere che vi era qualcuno dietro di loro.
- Vooi... - la voce che aveva parlato era bassa e rauca, terriblmente agghiacciante quando si è in un vicolo buio nel bel mezzo della notte, ed anche italiana: Marinette non poteva sbagliarsi. - Ferme dove siete. -
Lei deglutì, voltandosi piano: la figura che si stagliava in fondo alla stradina era anche più alta di Bianchi, con lunghi capelli candidi che scendevano fin sotto la vita e una lunga spada nella mano sinistra. Indossava una specie di impermeabile nero con un simbolo rosso sulla spalla e pantaloni e anfibi coordinati. Bianchi strinse le labbra e si parò davanti a Marinette, gettandole le buste tra le braccia e facendosi apparire in ogni mano un piatto di cibo avvelenato.
Sebbene la situazione fosse abbastanza pericolosa di suo Marinette non poté proprio evitare alla propria voce di esprimere quel pensiero.
- Dove li tenevi quelli?! - chiese, stranita.
- Non ora, Marinette - fu la risposta spiccia della donna. L'uomo alzò gli occhi al cielo.
- Togliti di mezzo, Scorpione Velenoso, non sono quì per te - disse, muovendo la mano con la spada in un gesto secco.
Dille di mettere giú le armi.
Marinette trasalì, sentendo la voce di Radi risuonarle nella mente.
« Dov'eri finito?! » chiese.
Non ora, Marinette.
Lei aggrottò le sopracciglia, offesa.
- Fermati, Bianchi! - esclamò, posandole una mano sul braccio.
- Tu non sai chi è lui, Marinette! - rispose lei e sembrava preoccupata. In effetti Marinette non sapeva chi fosse... e sinceramente non ci teneva poi tanto a saperlo.
- VOOOI! - l'urlo dell'uomo si espanse per tutto il vicolo e Marinette sussultò, voltandosi di scatto verso di lui: aveva detto proprio "VOOOI!"?
- Sono quì per te, mocciosa del cazzo! - sbraitò, puntandole contro la spada: solo allora si accorse che la mano, coperta da un guanto nero, era chiusa a pugno e l'elsa della spada era legata sul dorso tramite delle bende. - Sei tu Marinette? Il Braccio Sinistro dell'altro moccioso? - chiese.
- A quanto pare - pigolò lei, in risposta: ma perché quel tizio urlava sempre?
Lui sembrò sondarla da capo a piedi, con sguardo minaccioso, poi abbassò la spada e si ficcò la mano libera nella tasca della giacca; ne estrasse qualcosa di piccolo e nero che s'infilò nell'orecchio destro.
- Ho trovato la mocciosa, che devo fare adesso? - chiese.
Marinette poté sentire una voce disturbata venire dall'altro lato.
- Shishishi! La facciamo a pezzi? - chiese. Lei sbiancò, Bianchi si drizzò e una vena spuntò sulla tempia dell'uomo.
- Ho già rotto sei ricevitori per colpa tua, Bel: questo è l'ultimo rimasto! Levati dalle palle e passami il Boss! - sbraitò.
Ci fu parecchia confusione dall'altro lato, numerose voci si sovrapposero in un tripudio di gida, parolacce e minacce di morte; l'uomo si voltò verso il vicolo, dando loro le spalle, ed iniziò a sbraitare in italiano: Marinette poté sentire distintamente il suo intento omicida salire ai massimi storici ogni secondo che passava.
- VOOOI! Cazzo signi... brutto basta... questa me la paghi! - in un moto di stizza l'uomo si strappò la trasmittente e la gettò contro il muro, polverizzandola. Poi prese un respiro profondo e la sua aura assassina si affievolí notevolmente.
Poi si voltò verso le due donne.
- Tsk - sbottò - Non posso ucciderti, altrimenti verrebbe considerato tradimento... ma non credere che sia felice della tua esistenza! - informò, irritato, lasciandola sbigottita.
Aveva un bruttissimo dubbio e si augurò seriamente di sbagliarsi. Sentì Radi ridacchiare nella sua mente e la cosa la innervosì un po': lui sapeva. Non sapeva cosa ma era sicura che sapesse.
Persino Bianchi mise giù i piatti, continuando a guardarlo sospettosa. - Che cosa ci sei venuto a fare quì, quindi? - chiese. L'uomo ringhiò.
- Lasciamo perdere o do di matto - rispose lui, infastidito - Piuttosto, so che Cavallone è quì: devo parlare con lui - aggiunse, con un tono di voce più basso.
Marinette si sporse dietro Bianchi, inarcando un sopracciglio: quel tizio strano conosceva Dino?
- Dino al momento si trova a casa di Marinette - rispose, tranquillamente - Non so quanto sarà felice di vederti, però - aggiunse.
- Poco me ne frega: ho del lavoro da fare e intendo farlo in fretta - rispose l'uomo, stizzito.
- Ma... - mormorò Marinette, leggermente intimorita - ...chi sei tu? - azzardò.
L'uomo puntò gli occhi grigi su di lei, apparentemente impassibile. Fu Bianchi a rispondere.
- Il Vice Capitano dei Varia, la Squadra d'Assalto al servizio del Nono - rispose, e Marinette poté sentire distintamente tutte le sue speranze venire spazzate via come sabbia al vento - Superbi Squalo. -
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
26Xanxus, tra le tante cose, è solito lanciare bottiglie e bicchieri in testa a Squalo.
 
 
Angolo della ritardataria:
Personaggi di Katekyo Hitman Reborn apparsi in questa storia:
 
Reborn: 
Reborn-in-Campus
Dino: 
Dino-katekyo-hitman-reborn-18605890-352-500
Lal Mirch: 
Lal-1
Bianchi: 
Bianchi
più di un mese. Più di un mese per scrivere questo capitolo... ed alla fine non c'è quasi niente dentro.
Faccio veramente pena.
Comunque, sì, ho deciso di far apparire Squalo. Non sarà un personaggio di spicco all'inizio, ma mi sarà molto utile in futuro *si sfrega diabolicamente le mani*.
Non ho molto da aggiungere, in effetti, anche perché vado di fretta, vi ricordo la mia pagina facebook https://www.facebook.com/bambolinarossa98/">Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Squadra d'Assalto Varia - Squalo della Pioggia!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 13
*** Squadra d'Assalto Varia - Squalo della Pioggia ***


REVISIONATO IL 08/06/2019



Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 13. Squadra d'Assalto Varia - Squalo della Pioggia
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 4.018
 
 
 
 
 
 
- Dino? -
- Sì, Marinette? -
- Questa storia deve finire. -
- Sono d'accordo con te, Marinette. -
Lal si strofinò le tempie con le mani, respirando a fondo per mantenere la calma; Dino era seduto sul divano, Marinette accanto a lui e la bambina dall'altro lato; Bianchi era in piedi vicino la finestra.
Squalo, invece, era seduto sulla poltrona accanto a loro, braccia conserte e sguardo sottile.
Sabine entrò silenziosamente in salotto, posando un vassoio con diverse tazzine e una teiera di thé sul tavolino, prima di dirigersi alle scale che portavano alla boulangèrie. - Allora vi lascio chiacchierare - sorrise, anche se un po' forzatamente, e sparì oltre la porta. Solo allora Tikki venne fuori, sedendosi sulla spalla di Marinette.
- Bene - cominciò Dino, drizzandosi - Siamo tutt'orecchi! - esclamò.
Squalo mise giù le gambe, fino a quel momento accavallate, e si portò la mano destra all'interno della giacca tirandone fuori una busta da lettera bianca che lanciò alla ragazza; lei la prese al volo, sussultando: era una normalissima busta con scritto sul retro il suo nome in una calligrafia sottile e ondulata, chiusa con un sigillo di ceralacca rosso che recava lo stemma dei Vongola.
- Questa è da parte del Nono e del suo Braccio Sinistro - spiegò Squalo, scorbutico, svolgendo le bende che tenevano la spada attaccata alla mano sinistra e poggiandola accanto alla poltrona - Hanno saputo che il Boss voleva mandarmi qui a verificare e hanno avuto la brillante idea di usarmi come fattorino - ringhiò, stizzito, massaggiandosi il polso e provando ad aprire che chiudere le dita.
- Boss? - chiese Marinette, confusa.
- Xanxus - rispose Dino, lapidario, e lei poteva associare solo brutte notizie a quel nome.
- Sarò chiaro, mocciosa - cominciò Squalo, sistemandosi sulla poltrona - Noi destestiamo l'attuale Decima Generazione dei Vongola, Boss e Guardiani in primis.
Non è perché non siamo riusciti ad avere il posto - precisò, al suo sguardo indignato - Ma diciamo che abbiamo subìto quasi tutti una personale umiliazione da parte di quei marmocchi - spiegò. Per un attimo strinse il bracciolo della poltrona nella mano destra, con un luccichio scuro negli occhi, poi abbassò il capo - Noi, assassini professionisti, battuti da un branco di mocciosi che frequentano ancora le medie: a questo punto è una questione di orgoglio, non so se mi spiego. Ad ogni modo, sono stati riconosciuti come membri ufficiali della Famiglia Vongola: uccidendoli verremo considerati traditori e saremmo uccisi a nostra volta. -
Nella stanza scese il silenzio. Marinette non fiatò continuando a guardarlo, cercando di capire dove volesse arrivare a parare con quel discorso. Sentì Tikki stringersi di più al suo collo, preoccupata. Anche Dino sembrava un po' a disagio.
- La stessa cosa, però, non vale per te - informò l'albino, fissando i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Marinette che li sgranò, sorpresa.
- Cosa? - chiese, confusa - Che significa? -
Dino s'irrigidì - Marinette... - cominciò, esitante - ...tu non sei ancora stata riconosciuta dagli altri Guardiani - spiegò, facendola voltare verso di lui.
- È troppo presto per questo - sospirò Lal - Comunque è tradizione che i Guardiani degli Anelli mettano alla prova colui o lei che sarà destinato ad essere il Braccio Sinistro del Boss - spiegò.
Marinette la fissò, sconvolta - Questo... nessuno me lo aveva detto! - esclamò, incredula.
- Beh, i Guardiani sono membri particolari della Famiglia, di cui il Boss si fida ciecamente ma... a loro volta, deve esserci fiducia anche tra loro. È un qualcosa di reciproco. Dato che Radi entrò a far parte della Famiglia in circostanze particolari e visti i suoi precedenti... - spiegò Dino.
- ...gli altri Guardiani vollero mettermi alla prova per potersi fidare di me. -
Tutti si voltarono verso Marinette che si tappò la bocca con la mano: si era dimenticata di avere ancora l'anello al dito. Squalo si sporse in avanti, gli occhi leggermente sgranati.
- Allora è vero... - disse, stupito - ...che lo spirito del Primo Braccio Sinistro è ancora chiuso dentro l'anello. -
- Beh, io mi definirei più una Volontà - rispose Radi, sempre tramite Marinette che si esibì in una smorfia di disappunto. - Una volontà molto invadente - borbottò la ragazza, a disagio. - Ad ogni modo - continuò Radi, e Marinette sentì distintamente la propria voce plasmarsi ad ogni parola sulla tonalità di quella dell'uomo, tanto che persino Lal sbarrò gli occhi - Marinette non è ancora stata riconosciuta dagli altri Guardiani, è vero, ma è stata scelta ed è l'unica a poter portare questo anello. Ciò non ne fa un membro della Famiglia a tutti gli effetti ma se decideste di ucciderla le conseguenze non sarebbero comunque leggere. -
Il ragionamento non faceva una piega, a rigor di logica, e tutti e quattro spostarono lo sguardo su Squalo in attesa di una risposta. Lui si esibì in un verso di scherno.
- Non vi è ancora chiara la situazione, evidentemente - rispose - È proprio perché lei è stata scelta che non possiamo farla fuori, con o senza riconoscimento - spiegò.
Marinette non capì subito il concetto, ma Lal e Radi sì.
- Capisco... - disse l'uomo, annuendo - Visti i precedenti, direi che non fa una grinza. -
- Uhm... cosa? - chiese Marinette, schiarendosi un po' la gola. Squalo sospirò, seccato.
- Ma ti si deve spiegare tutto?! - sbottò. Marinette si offese.
- Ehi, io tante cose di questa storia non le so! - si difese, stizzita.
L'albino si strofinò la mano sulla tempia - Tu sei stata scelta per essere il Braccio Sinistro del Decimo Vongola - specificò.
- Sì, questo me lo hanno detto - annuì lei.
- Per questo non possiamo farti fuori: se il nostro Boss diventasse Decimo tu dovresti essere il suo Braccio Sinistro, e lui preferirebbe avere una di sangue che possa utilizzare quell'anello, al contrario di quella prima di te - spiegò Squalo.
Marinette aprì la bocca per rispondere... ma la richiuse, sconcertata. - Non ho capito - ammise.
- In poche parole tu sei destinata ad essere il Braccio Sinistro del Decimo Vongola... chiunque esso sia - specificò Bianchi - Adesso tu sei il Braccio di Sawada perché è lui l'attuale Decimo, ma se qualcun altro prendesse il suo posto tu diventeresti il Braccio di questo qualcuno. -
- E dato che Xanxus mira a diventare Decimo... - Lal non ebbe neanche bisogno di finire la frase.
- ...io diventerei il suo Braccio Sinistro - capì Marinette, mentre ogni tassello andava al suo posto - Che cosa contorta! -
- È così che funziona - rispose Dino - Non possiamo cercare un Braccio Sinistro per ogni candidato, sarebbe impossibile: a malapena abbiamo trovato te! -
- E siamo stati davvero fortunati - ammise Lal - Oltretutto, questo ruolo deve essere coperto da qualcuno in cui la Famiglia, Guardiani e Boss prima di tutti, ripongono una grande fiducia. -
- Per questo fu deciso che i Guardiani avrebbero messo alla prova il candidato - continuò Squalo - Era necessario per il regolare funzionamento della Famiglia. -
- Quindi... se questo Xanxus divenisse Boss io dovrei scontrarmi con i suoi Guardiani? - chiese, leggermente preoccupata.
- Nah. Figuriamoci se lui si perde in queste cazzate - Squalo stroncò le sue paranoie con un gesto della mano - Se sei forte sei dentro. Se sei debole o lo tradisci sei morto. È così che funziona - spiegò, serio e glaciale - E comunque, in teoria, io avrei dovuto essere il Guardiano della Pioggia - informò, facendola gelare sul divano - Non ci sarebbe nemmeno gusto ad affettare una mezza calzetta come te! -
- Ehi! - si lamentò Marinette.
Squalo aprì le braccia, incredulo - Sei una mocciosa del cazzo! - disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- Ho soltanto quattordici anni! - si difese lei.
- Io alla tua età ero il miglior assassino del mondo! - la rimbeccò lui.
- Io alla mia età salvo Parigi da delle Farfalle Malefiche! -
Tikki si sbatté una zampetta in fronte - No dai, Marinette, sul serio? - chiese.
- Ok, ok, adesso calmatevi! - Dino si sporse in avanti, piazzando una mano di fronte ad ognuno - È ancora troppo presto per parlare delle prove. Marinette non è pronta per incontrare gli altri Guardiani e questo Xanxus dovrebbe saperlo benissimo... quindi perché ha mandato te quì? - chiese, accigliato.
Squalo si riabbandonò sulla poltrona, seccato - Ho saputo della sua esistenza tramite quei mocciosi. Nemmeno noi sapevamo che quell'anello era stato consegnato a qualcun altro - spiegò - Quindi il Boss mi ha mandato quì a dare un'occhiata. Non cercate di capirne il motivo: lo conosco da anni e la sua mente contorta è un mistero anche per me - concluse, con un verso di disprezzo.
- Io invece credo che si stia vendicando per quello che è successo nella Battaglia degli Anelli - indovinò Dino. Pochi secondi dopo dovette ritirarsi per evitare una tazzina di porcellana blu che andò a schiantarsi contro lo schienale del divano, tra lui e Marinette.
- Ehi! È il servizio preferito di mia madre! - avvertì la ragazza, prendendo la ceramica miracolosamente intatta.
- Non provocarmi, Cavallone, non sono dell'umore! - ringhiò Squalo.
- Ebbene! - esclamò Lal, ad alta voce, per attirare l'attenzione - Quanto hai intenzione di restare? - chiese.
- Più sto lontano da loro e meglio è - rispose lui - Anche perché se tornassi indietro ora il Nono dovrà cercarsi una nuova Squadra d'Assalto - borbottò, e Marinette vide una sinistra aura omicida intorno a lui.
- Beh... spero tu non abbia intenzione di dormire quì. No, perché io ho finito i divani - ammise lei, per spezzare l'atmosfera.
Squalo si voltò verso di lei, inarcando un sopracciglio. Poi affondò nella poltrona.
- A dire il vero... -
 
 
Marinette fissò impassibile il proprio tavolino di vetro venire momentaneamente spostato in un angolo della cucina da Dino, mentre Bianchi e Sabine sistemavano un futon provvisorio accanto al divano.
- Davvero, Lal? - chiese, eterea, voltandosi verso la bambina seduta sulla propria spalla - Davvero? -
Lei sospirò. - Credimi, Marinette, è meglio tenerlo d'occhio - rispose - E poi con Squalo non c'è da preoccuparsi eccessivamente, sarebbe stato un problema se al suo posto ci fosse stato qualcun altro. -
- Io avrei preferito venisse Lussuria - sospirò Dino, affiancandole - Necrofilia a parte, è l'unico sano di mente lì dentro... escludendo Mammon. Secondo me sareste andati d'accordo: è un appassionato di moda - aggiunse.
Marinette si voltò verso di lui ad occhi sgranati - Necrocosa? - chiese, allibita.
- Lascia stare, Marinette - scosse la testa Lal - Ognuno ha i suoi problemi. -
Marinette decise di seguire il consiglio - Comunque, che fine ha fatto Squalo? - chiese, guardandosi intorno senza scorgerlo.
- È andato a farsi la doccia - rispose Bianchi, piegando il piumone di modo che somigliasse ad un materassino vero. Sabine si alzò, dopo aver rimboccato bene la coperta di lana.
- Per stasera arrangeremo, domani recupereremo la brandina dalla cantina - sospirò, prendendo il cuscino.
- Non ce n'è bisogno - rispose la voce di Squalo, alle loro spalle. Marinette si voltò sussultando e se lo ritrovò quasi accanto, in canotta bianca e pantaloni della tuta beige, aveva un asciugamano intorno al collo e si era legato i capelli in una mezza crocchia con le punte che scendevano sulla spalla. - Non mi fermerò a lungo - informò, e sebbene la sua voce fosse tranquilla i suoi occhi dicevano, in modo molto rassicurante, "Ti squarto mentre dormi".
Marinette aggrottò le sopracciglia - Ma sei sempre così incazzoso? - chiese, perplessa. Poté giurare di vedere una vena spuntare sulla sua tempia.
- VOOOI! Sì, problemi?! - rispose lui.
- E non urlare! - lo rimbeccò lei.
- Io urlo quanto mi pare! -
- Non in casa mia! -
- Visto? Vanno d'accordo! - esclamò Dino allegramente, rivolto a Lal, guadagnandosi un'occhiataccia da tutti e due. - Come non detto - aggiunse, alzando le mani in segno di resa, per poi scappare in cucina. Lal sospirò: forse non era stata una buona idea, dopotutto.
 
 
Fu verso le due e qualcosa che Marinette si svegliò. Non riuscì a capire cosa l'avesse effettivamente destata, la casa era nel più assoluto silenzio ed immersa nell'oscurità totale, eppure era sicura che fosse successo qualcosa.
Si tirò a sedere, strofinandosi gli occhi per scacciare i residui di sonno ed abituarsi al buio, poi scese la scaletta trovandosi nella stanza illuminata fiocamente dalle due piccole fiammelle arancioni che ardevano in cima alle lettere del Nono e del suo Braccio Sinistro. Erano scritte in italiano, quindi aveva dovuto farsi aiutare da Bianchi per tradurle, e non sapeva se il loro contenuto dovesse farle piacere oppure no: erano lettere semplici, di quelle che scriveresti ad un amico o un conoscente caro, piena di educati convenevoli e con la viva speranza che si trovasse bene in Famiglia, invitandola a dare il meglio di sé viste le responsabilità di cui avrebbe dovuto farsi presto carico.
Altro che parole confortanti, si sentiva ancora più stressata di prima!
Aprì la botola, scendendo silenziosamente le scale per non svegliare Dino e Squalo che dormivano in salotto, e si diresse verso la cucina. Aprì la credenza e prese un bicchiere avvicinandosi alla fontana per riempirlo... ma appena mise una mano sulla manopola sentì qualcosa avvicinarsi alla sua sinistra e si ritirò di scatto, evitando per un soffio la lama che minacciò di staccarle di netto la testa dal collo.
Il bicchiere volò via e si infranse sul pavimento, con un sonoro tintinnio.
Marinette afferrò d'istinto il vassoio di bambù poggiato sul microonde e lo abbatté senza pietà sulla figura di fronte a sé, che gemette cadendo di schiena sul pavimento della cucina. Scesero due secondi di silenzio, poi il rumore secco dell'interruttore li raggiunse e la luce si accese.
Lo spettacolo che si parò davanti agli occhi di un'assonnata Bianchi fu più o meno questo: Marinette in piedi al centro della cucina, armata di vassoio di bambù che recava, sul fondo, quello che sembrava l'inquietante stampo di un viso. Squalo, seduto sulle mattonelle di fronte a lei, si reggeva il naso imprecando a mezzavoce. Tra loro il cadavere di una vittima innocente.
- Cosa state facendo? - chiese. Tutti e due si voltarono verso di lei e Squalo fu il primo a parlare, cercando di mettersi in piedi.
- Mi ha quasi rotto il naso con un vassoio! - esclamò, indicandola con la protesi della mano al quale era collegata la spada.
- Ha tentato di staccarmi la testa! - si difese lei, mettendo giù l'arma.
- Tu piombi qui all'improvviso, che ne so io che non sei un ladro o un assassino! - si giustificò lui.
- Questa è casa mia! - esplose lei, oramai al limite della sopportazione - Non è possibile che non possa neanche prendere un bicchiere d'acqua senza rischiare la decapitazione! -
I due si guardarono storto e Bianchi sospirò, scendendo le scale.
- Pulisco io, tu aggiustati quel naso - disse, prendendo scopino e paletta dal mobile sotto il lavello e raccogliendo i resti del bicchiere.
Fatto sta' che, pochi minuti dopo, Marinette si ritrovò con la testa nel mobiletto dei medicinali a cercare il ghiaccio istantaneo, con Squalo seduto sul bordo della vasca che si aggiustava la mano fittizia.
Ruppe la sacca di plastica ed agitò il contenuto per un minuto buono, prima di voltarsi e sbatterglielo senza pietà sul viso, causandogli una non leggera imprecazione in italiano.
- Ti odio - la informò lui, ringhiando, reggendoselo con la mano sana.
- Il sentimento è reciproco - rispose lei, tagliente.
- Mocciosa del cazzo. -
- Capellone. -
Si guardarono malissimo tanto che Dino, appena apparso sulla porta del bagno con uno sbadiglio, si fermò ritirandosi. - Se volete ripasso più tardi - propose, leggermente intimorito, quando entrambi si voltarono verso di lui con sguardo di fuoco.
Marinette sospirò, seccata, ed uscì dalla stanza a grandi passi. Dino esitò, con la fronte corrugata in un'espressione pensierosa, prima di voltarsi verso l'albino.
- Certo che per far incazzare Marinette in quel modo ce ne vuole - commentò - E tu sei qui da al massimo cinque ore. -
Squalo alzò gli occhi su di lui, senza neanche la voglia di mandarlo a quel paese, e si alzò, sparendo nel corridoio con un sospiro esasperato.
 
 
 
 
Dire che l'atmosfera fosse pesante avrebbe minimizzato la cosa. Sotto il tetto di casa Dupain-Cheng non c'era mai stata aria più fredda come quella mattina.
Bianchi aveva ben pensato di ignorare l'intera faccenda, sorseggiando il suo beato caffé stesa sul divano davanti la televisione; Lal si era fatta spiegare in una frase ciò che era successo quella notte e aveva deciso di seguire l'esempio della donna, sedendosi accanto a lei con l'immancabile brioche tra le mani; Dino, semplicemente, si teneva a distanza di sicurezza dalla cucina e Sabine decise di non voler sapere perché il suo vassoio di bambù recasse l'impronta di quello che somigliava inquietantemente al viso del suo nuovo ospite.
Marinette e Squalo, dal canto loro, fingevano pacificamente la reciproca inesistenza seduti all'isolotto a far colazione.
- Uhm... Marinette, tesoro, quando hai finito di massacrare il tuo croissant ricordati che fra venti minuti hai lezione - le disse Sabine, col tono più amorevole che le uscì, nonostante l'incertezza di vedere la propria adorata bambina sventrare un cornetto con un cucchiaino per pescare solo la crema (anche se sembrava provare una certa qual gioia nel farlo). La ragazza sembrò destarsi da un pensiero profondo e abbandonò la posata nel cadavere, prima di alzarsi e prendere il cappotto poggiato sulla sedia accanto.
- Oggi faccio tardi, ho del lavoro da fare con Alya. Ci vediamo stasera - informò, infilandoselo e lasciando un bacio sulla guancia della madre.
- Fai attenzione per strada - raccomandò la donna, finendo di lavare i piatti.
Marinette afferrò lo zaino e si diresse alla porta - A dopo - disse, ricevendo qualche saluto quà e là in risposta, pima di uscire scendendo alla boulangèrie. Tom l'accolse con un vassoio di cioccolatini a forma di cuore che lei assaggiò volentieri.
- Mmh. Ottimi, papà. Stai facendo progressi! - si complimentò, attraversando velocemente il negozio.
- Grazie, piccola - rispose lui, ridendo. Lei gli mandò un bacio ed uscì nell'aria fresca del mattino, dirigendosi di gran carriera verso la scuola.
Nonostante tutto non poteva lamentarsi troppo di come stavano andando le cose.
 
 
 
Insomma, si faceva per dire.
Marinette sospirò mettendo a posto l'ennesimo libro mentre Alya era abbandonata sul tavolo della biblioteca, oramai rassegnata. E non poteva darle torto.
- Basta, mi arrendo - decretò la mora - Siamo qui da ore e non abbiamo trovato nessuna idea per il progetto di fisica! -
Marinette guardò l'orario sul proprio cellulare, trovando anche 184 messaggi da tre chat whatsapp, e raggiunse l'amica - La biblioteca sta per chiudere ma non è detto che non possiamo trovare qualche idea altrove - propose, aprendo l'applicazione: quattro messaggi erano del gruppo classe (Alix che chiedeva i compiti essendo stata assente), uno era di Dino che la informava che Bianchi non poteva passare a prenderla ma che avrebbero mandato qualcun altro (raccomandandole calorosamente di non muoversi dal perimetro scolastico salvo estreme necessità) e 179 da Vongola Famiglia, che chiuse quasi subito non avendo la benché minima voglia di leggerli tutti (ma qualcosa le diceva che Squalo era rientrato nel gruppo).
- Beh, se la trovi fammelo sapere altrimenti io mi esonero! - sospirò Alya, alzandosi per riprendere le sue cose. Marinette si infilò il cappotto, sorridendo.
- Magari potremmo prendere spunto dalle lezioni. Sai cosa ha spiegato stamattina, il prof? - domandò. Alya alzò un sopracciglio, scettica.
- Stavo a malapena seguendo le lezioni in generale! - rispose.
- Sì, anche io - ammise lei, sospirando - Ho altre cose a cui badare, ultimamente, per pensare anche alla scuola. -
Alya la guardò, aggiustandosi la sciarpa e mettendosi lo zaino in spalla - Ho sentito che casa tua è parecchio affollata ultimamente - commentò. Marinette fece una smorfia.
- Diciamo che Dino conosce molte persone - rispose - Oh, e ti sconsiglio di venire a casa mia in questo momento: il tuo cuore potrebbe non reggere - aggiunse avviandosi verso le scale. Alya rise di gusto.
- Marinette, io ho un'infinità di fratelli e sorelle! - ricordò.
- Magari fosse solo il numero il problema - mormorò lei, attraversando l'atrio. Vennero raggiunte da Nino e Adrien ed uscirono fuori. Quella sera faceva particolarmente freddo, tanto che Marinette dovette stringersi nel cappotto mentre scendevano le gradinate.
Doveva ammetterlo per un attimo si era aspettata di trovarsi la porche rossa di Dino sul marciapiede con Romario, Roberto o lo stesso Dino alla guida. Invece rimase letteralmente agghiacciata sull'ultimo gradino quando scorse la figura avvolta in un lungo cappotto nero, con tanto di cappuccio con pelliccia beige calcato sul capo, poggiato incazzosamente al lampione del marciapiede.
Chiunque. Le sarebbe andato bene chiunque. Ma lui no.
- Cosa ci fai tu quì? - chiese, allibita. Squalo si voltò verso di lei con un espressione di disappunto sul viso.
- Mi hanno costretto - rispose - E vediamo di darci una mossa che fa freddo - aggiunse, facendo scivolare entrambe le mani guantate nelle tasche della giacca.
- Lo conosci? - chiese Adrien, curioso.
- Purtroppo - sospirò Marinette, scendendo gli ultimi gradini e avvicinandosi all'uomo - Sei venuto a piedi? - chiese.
- Non che possa mettermi alla guida con questa, sai? - rispose lui, scettico, sventolandole la mano sinistra sotto il naso.
- Cos'ha che non va? - domandò Alya, sporgendosi oltre le spalle dell'amica.
- È una protesi - rispose Marinette.
- Cos'è successo a quella vera? - domandò Nino.
- Me la sono tagliata - rispose Squalo, in un ringhio, causando tre sguardi stupiti e una mano sbattuta in fronte (da Marinette, ovvio).
- Beh, adesso dobbiamo proprio andare: si è fatto tardi e fa freddo! - esclamò afferrandolo per un braccio e spingendolo sul marciapiede.
- Ehi! - la fermò Alya, ancora leggermente sconvolta - Non ce lo presenti neanche?! -
Marinette si bloccò, benedicendo la sua amata migliore amica, infine sospirò - Adrien, Nino, Alya: Squalo. Squalo: Adrien, Nino, Alya - disse, spiccia, indicandoli uno ad uno - Ci vediamo domani - e senza aspettare oltre se lo trascinò via.
- E io che per un attimo mi ero illuso che almeno tu fossi normale - sbottò Squalo, leggermente disorientato dalla rapidità col quale si erano svolti gli eventi.
- Voglio solo che stiano il più possibile fuori da questa storia - rispose lei, camminando spedita - Se si ritrovassero coinvolti in qualche strano complotto o rischiassero la vita per colpa mia non me lo perdonerei mai. -
Squalo voltò solo gli occhi verso di lei per un istante. - Tsk. Sembra di rivedere quel moccioso - commentò, guadagnandosi un'occhiata interrogativa.
- Eh? -
- Niente. Lascia perdere - tagliò corto.
Marinette parve dubbiosa ma non insistette - Piuttosto... dicevi sul serio sul fatto che ti sei tagliato la mano? -
- Ti pare che possa scherzare su una cosa simile? - sbottò lui, scettico.
- Perché? - domandò invece lei.
Squalo scrollò le spalle - L'Imperatore della Spada non aveva la mano sinistra quando lo affrontai, volevo sapere cosa si provasse ad essere nelle sue stesse condizioni - spiegò, schietto.
Marinette lo guardò, sbattendo le palpebre un paio di volte. - E dici a me di non essere normale. -
- Ognuno ha i suoi problemi - alzò le spalle lui, indifferente - Lussuria è necrofilo, Belphegor è pazzo, Cavallone è un idiota, io mi amputo gli arti e tu sei una mocciosa dal cuore tenero. -
- Ma grazie. -
- Non era un complimento. -
- La mia era ironia. -
Scese il silenzio tra i due, rotto di tanto in tanto solo dalle macchine che passavano in strada, finché uno squillante e infantile "Cataclisma!" non risuonò nell'aria. Marinette fece una smorfia, appuntandosi mentalmente di eliminare la suoneria che Alya le aveva installato a tradimento, e prese il cellulare dalla tasca.
Neanche a farlo apposta il messaggio era proprio di Alya.
 
Il tuo amico è un tantino inquietante.
 
Marinette abbozzò un sorrisetto divertito al suo commento, che si congelò sul proprio viso quando il secondo "Cataclisma!" risuonò nell'aria quasi subito seguito da un altro messaggio.
 
Ma carino.
 
- Cos...?! - esclamò, incredula, fissando con orrore la faccina maliziosa alla fine della frase. Si voltò verso Squalo ad occhi sgranati, che la fissava perplesso, poi tornò a guardare la chat: il fatto che Alya potesse avere certi gusti la turbava...
- Cosa? - chiese lui, sospettoso.
- Alya ti trova inquietante... - iniziò lei, poi rabbrividì con una smorfia - ...ma carino - aggiunse, disgustata.
Squalo la fissò ad occhi sbarrati, poi le strappò il telefono di mano e fissò i due messaggi - Ma che cazz...! - esclamò, incredulo - Io non sono amico tuo! -
Marinette alzò un sopracciglio - È solo questo ti crea problemi? -
- So di essere uno schianto, mocciosa - rispose lui, con nonchalance, lanciandole l'apparecchio - E la tua amica ha un bel davanzale. -
Marinette lo fissò, agghiacciata - Questa è pedofilia! Io ti denuncio! -
- Ho soltanto ventidue anni! -
- Lei ne ha solo quattordici! -
- Sì, ma è stata lei a cominciare - si difese Squalo.
Lei lo fissò, senza sapere cosa rispondere se non con una marea di insulti, e chiuse la chat senza neanche risponderle.
- Io non ho parole - ammise, sconvolta.
E temeva che quello fosse solo l'inizio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo della cosa straordinariamente in anticipo:
Personaggi di Katekyo Hitman Reborn apparsi in questa storia:
 
Squalo:Superbi-Squalo-full-281379
 
mi stupisco della rapidità con cui ho scritto questo capitolo, sul serio.
Squalo è un personaggio che mi ispira un casino: la prima volta che appare è una furia omicida, poi dimostra un po' di intelligenza, maturità e compassione per tornare ogni tanto alla sua tipica mania di affettare la gente. Lo spirito di collaborazione che ha mostrato nel futuro, poi, mi ha colpita molto.
Insomma, Squalo è uno dei personaggi che mi piacciono maggiormente perché qualunque cosa tu gli faccia fare non risulta mai fuori luogo.
Riguardo la suoneria di Marinette, ho avuto l'ispirazione da una chat con un'amica: questa te la dedico con tutto il cuore!
Ed è inutile dire che ogni volta che apparirà Squalo il linguaggio utilizzato non sarà dei più angelici: che volete farci, lui è fatto così *alza le spalle, rassegnata*
Se qualcuno fosse interessato sappiate che ho pubblicato il primo capitolo di The Third Family (prequel di questa) che potete tranquillamente trovare sulla mia pagina autore. Come sempre vi ricordo la mia pagina facebook https://www.facebook.com/bambolinarossa98/">Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Modella per un giorno!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 14
*** Modella per un giorno ***


REVISIONATO IL 09/06/2019
 
 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 14. Modella per un giorno
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 7.439

 

 

 
Marinette aveva avuto modo di constatare, nei giorni seguenti, che non tutto il male veniva per nuocere. Salvo il fatto che fosse odioso, antipatico, incazzoso e credeva anche un po' pervertito, Squalo sapeva decisamente il fatto suo.
Certo, la maggior parte dei loro discorsi finiva in insulti o, nel peggiore dei casi, con un soprammobile che volava per le stanze (Marinette poté giurare di aver visto sua madre nascondere uno scatolone sospetto sotto il proprio letto, probabilmente contenenti gli oggetti ancora salvi), ma il ragazzo si era dimostrato molto incline ad intavolare conversazioni pacifiche o addirittura aiutarla nei ripassi di italiano.
Anche se doveva ammettere che le era venuto un colpo nello scoprire che Squalo e Dino avevano la stessa età (Squalo aveva l'aria di essere decisamente più grande, o vecchio come gli aveva fatto notare - ma sotto sotto lo aveva detto solo per irritarlo).
E Alya non faceva che ripeterle quanto fosse fortunata ad avere "due gnocchi del genere", per citare sue testuali parole, in giro per casa: valle a spiegare che uno era il Boss di una Famiglia Mafiosa alleata e l'altro un assassino professionista constantemente incazzoso!
Sospirò, abbandonandosi sul viso le pagine del libro che stava leggendo, stesa sul divano del salotto. C'era molto silenzio poiché era uno di quei rari giorni in cui era sola in casa: Tom era alla boulangèrie, Bianchi aveva accompagnato Sabine a fare la spesa, Dino e Lal erano spariti chissà dove per "affari" (non aveva indagato oltre) e Squalo stava facendo la doccia.
Marinette fece una smorfia, un po' infastidita: c'era troppo silenzio.
Era così abituata ad avere gente in giro per casa che faceva fatica a ritornare alla normalità, se così la si vuol chiamare. Certo, c'erano volte in cui avrebbe pagato oro per avere la casa libera ma non aveva nulla di cui lamentarsi, insomma: aveva un'assassina capace di ucciderla solo con un bicchiere d'acqua come guardia del corpo, una bambina di un anno molto violenta come insegnante privata, un tris-nonno chiuso in un anello, un Boss Mafioso come autista privato e un pazzo esaurito che girava per casa armato di spada. Cosa voleva di più dalla vita?
Beh, che il pazzo esaurito chiudesse la porta del bagno a chiave quando faceva la doccia, magari. Ricordava ancora con un certo imbarazzo quando, una mattina in cui aveva fatto particolarmente tardi, era piombata nel bagno trovandosi Squalo sul procinto di uscire dalla doccia come mamma lo aveva fatto.
Faceva ancora una certa fatica a guardarlo negli occhi. E Bianchi aveva riso per ore in barba al suo trauma.
Scosse il capo, cercando di togliersi dalla mente quell'immagine sconvolgente, e si sistemò meglio il cuscino sotto il collo facendo attenzione a non far cadere il libro che le offriva ombra dalla luce del mattino. Forse fu per quello o perché era quasi mezza addormentata o non sentì nessuna presenza ostile nelle vicinanze, ma reagì piuttosto esageratamente quando un dito le puntellò la spalla e una voce la raggiunse.
- Dormi, principessa? -
Probabilmente l'urlo che ne seguì lo sentirono fino in fondo al quartiere. Marinette saltò dal divano e cadde dalla spalliera, finendo col sedere sul pavimento. Pochi secondi dopo rumori sinistri provennero dal piano di sopra e Squalo si catapultò giù dalle scale, schizzando acqua ovunque, un asciugamano che pendeva malamante intorno alla vita e la spada stretta nella mano sinistra.
- Che cazzo succede?! - urlò, brandendo la lama in ogni direzione, guardando la ragazza che si massaggiava il fondoschiena seduta dietro il divano.
- Mi è quasi venuto un infarto, ecco che succede! - rispose lei, alzandosi.
- Ah... scusa, non volevo spaventarti - esalò la voce di un ragazzo, una voce che Marinette conosceva troppo bene. Alzò gli occhi oltre il divano proprio mentre Squalo puntava la spada contro l'ospite.
- Adrien! - esclamò Marinette, stupita - Che ci fai quì? Come sei entrato?! - aggiunse, sconcertata.
- Mi ha fatto salire tuo padre, ha detto che ti avrei trovata quì - rispose lui, in imbarazzo, facendo qualche passo indietro per evitare la punta della lama a pochi centimetri dal proprio collo.
- Ma perché lo conosci? - domandò Squalo, voltandosi verso di lei, ignorando la pozzanghera che i suoi capelli stavano formando sul pavimento.
- Sì, andiamo in classe insieme - rispose lei cercando di ricomporsi - Lo hai anche visto - aggiunse.
- Non ricordo tutta le gente che ammazzo, figuriamoci quella che incontro! - rispose lui. Adrien alzò un sopracciglio e Marinette desiderò con tutto il cuore ficcare la spada giù per la gola dell'uomo.
- Squalo va a vestirti - sospirò.
- Hm! - rispose lui, scettico, rimettendo giù la spada e voltandosi - Come se non avessi visto di peggio - commentò, acido, sparendo su per le scale. Marinettte sentì il volto andare a fuoco.
- Ehm... - tossì, imbarazzatissima, cercando di non guardare il ragazzo in faccia - Co-cosa ci fai quì? - domandò. Adrien sembrò perplesso ma si riscosse in fretta, tirando fuori dalla tasca un foglietto piegato accuratamente.
- Oggi pomeriggio ci sarà un servizio fotografico nello studio di mio padre, verranno presentati nuovi modelli e visto che ti interessi di queste cose ho pensato che ti avrebbe fatto piacere venire a vedere - disse, porgendoglielo.
Marinette sgranò gli occhi e lo prese - Davvero? - chiese, emozionata, guardando l'invito impresso sul foglio.
- Certo. Basta che mostri questo e puoi entrare tranquillamente - assicurò lui. La ragazza sorrise. - Grazie, Adrien, verrò di sicuro! - esclamò entusiasta.
- Bene! - sorrise lui, poi scese il silenzio - Allora... - continuò, battendo le mani, un po' a disagio - ...sarà meglio che vada, quindi, prima che cambi idea e decida di tornare giù ad affettarmi! - aggiunse, cercando di suonare allegro, riferendosi a Squalo. Marinette rise nervosamente.
- Ma no, tranquillo. Abbaia ma non morde - rassicurò, anche se non ne era per niente convinta. Adrien sorrise e Marinette si sentì sciogliere.
- Ci vediamo oggi! - salutò il ragazzo, avviandosi alla porta.
- Oggi... sí... - mormorò lei, sognante, agitando la mano mentre lui usciva chiudendosela alle spalle. Restò a salutare il nulla per una manciata di secondi buoni, prima che la voce di Squalo la destasse.
- Chi è che non morde? - domandò, secco, facendola sobbalzare. Voltandosi se lo ritrovò appoggiato al muro che divideva la cucina dal salotto, nelle stesse condizioni di prima salvo per la mela stretta nella mano destra.
- Non ti avevo detto di andarti a vestire? - chiese, con una smorfia di disappunto.
- Avevo capito che fosse una scusa per farmi sloggiare. -
- Infatti - rispose lei, superandolo per entrare in cucina - Ma era sottointeso che dovessi anche vestirti - aggiunse, girando intorno l'isolotto per recuperare il telefono.
- Fa caldo - rispose lui, indifferente, mordendo la mela.
- Siamo a febbraio! - esclamò lei, indignata. Poi sospirò, abbassando il capo, afflitta - Ti diverti, vero? -
Squalo sbuffò - VOOOI! Come se non avessi niente di meglio da fare che discutere con una mocciosa del cazzo come te. -
- Tu non hai niente di meglio da fare - gli fece notare lei - E avevi detto che non ti saresti fermato a lungo. Va bene che sei un tipo affettuoso ma tranquillo che il pavimento non sentirà la tua mancanza - aggiunse.
- Io di certo non sentirò la tua. -
- Idem - rispose Marinette, componendo il numero di Bianchi.
- Mocciosa del cazzo. -
- Capellone. -
- Piantala di tirare in ballo i miei capelli... o mi tolgo l'asciugamano - minacciò.
Marinette impallidì, voltandosi di scatto verso di lui. - Non oseresti! - esclamò orripilata.
- Non è niente che tu non abbia già visto, tanto - replicò lui, indifferente.
In quell'istante la voce di Bianchi attirò l'attenzione attraverso il telefono.
- Pronto? -
- Squalo mi molesta! - si lamentò lei, appena ebbe portato il ricevitore all'orecchio.
- Cos...?! - per poco l'uomo non sputò il pezzo di mela che stava masticando.
Sentì Bianchi sospirare.
- Squalo, non molestare Marinette! -
- Ha detto che non devi molestarmi! - ripeté la ragazza.
- Ma non è vero! - esclamò lui, indignato.
- Minaccia di girare nudo per casa! - informò Marinette.
- Squalo rivestiti... - ammonì Bianchi.
- Ha detto che devi rivestirti... -
- ...o te lo taglio - finì la donna.
- ...o te lo tagl...! - Marinette si bloccò e arrossì violentemente - B-Bianchi! Ma che cavolo mi fai dire! - quasi strillò, scandalizzata.
- Beh, ormai hai una certa età - rispose lei, con disinvoltura - Una minaccia di castramento non è certo una cosa così scandalosa. -
- Ma cosa c'entra! - si lamentò lei. Squalo fece un verso di scherno.
- Cos'è? L'hai visto una sola volta e ti ci sei già affezionata? -
Il suo istinto di assassino non lo aiutò a schivare il piatto di ceramica che Marinette aveva recuperato dal lavello, centrandolo in piena fronte con esso. Con un'imprecazione molto colorita in italiano si prese il capo tra le mani: sotto la frangia albina spiccava un lungo segno rosso vivo, unica testimonianza della battaglia appena svoltasi.
- Ma cosa c'è che non va in te? - domandò lei, sconvolta.
- Questo dovrei chiedertelo io! - sbraitò lui, stordito dal colpo.
- Marinette, che hai fatto? - chiese Bianchi, perplessa.
- Ha attentato alla mia persona! -
- Gli ho solo tirato un piatto! - si difese lei - E poi la colpa è sua! -
- Oh, cielo... - sospirò la donna - Stiamo tornando, vedete di non rompere più niente. E di non uccidervi. -
- Non garantisco sull'ultimo punto - ringhiò Squalo, poi girò i tacchi e se ne andò.
- Bianchi, io non ce la faccio più! - confessò Marinette, in un mormorio disperato.
- Tranquilla, Squalo non fa sul serio - rassicurò lei, con leggerezza - Gli piace solo litigare. -
- Neanche questo è normale! - ribatté la ragazza - Aaah! Ma che lo dico a fare! - aggiunse, rassegnata: niente, e ribadiva niente, nella sua vita era normale. - Ma non ti ho chiamato per questo - sospirò, sedendosi su uno sgabello - Sono stata invitata ad assistere ad un servizio fotografico e vorrei che mi accompagnassi, oggi pomeriggio - spiegò, guardando di nuovo l'invito che aveva tra le mani.
- Mmh... certo, Marinette, nessun problema. Dove vai tu vengo anche io - rispose distrattamente lei.
- Perfetto, Bianchi, grazie! - esclamò la ragazza, entusiasta.
- Oh, di niente. Ci vediamo dopo. -
Quando chiusero la chiamata Marinette rimise il telefono al suo posto e saltellò fino al salotto, gettandosi sul divano con un sorriso enorme stampato in faccia.
Sì, non tutto il male veniva per nuocere... e detto da lei suonava anche fin troppo ironico.
 
 
 
 
Bianchi si sfilò il cappotto, poggiandoselo sul braccio mentre si addentravano nel corridoio guidati dal Gorilla, la guardia del corpo personale di Adrien come le aveva spiegato Marinette.
Lo studio fotografico era già gremito di persone in continuo movimento e l'uomo li fece accomodare in un angolo, di fianco al set dove si sarebbe tenuto il servizio, per poi allontanarsi. Marinette si sedette su uno degli sgabelli poggiando il proprio cappotto sulla spalliera, mentre Bianchi prendeva posto alla sua destra.
- Ricordami perché sei venuto anche tu? - chiese voltandosi verso la sua sinistra, dove Squalo se ne stava sprofondato nello sgabello con aria annoiata.
- Non avevo niente di meglio di fare - rispose, secco.
Marinette lo fissò perplessa. - Non ti ci vedo seduto tra gli spalti di una sfilata - ammise.
- Perché a me non frega niente di questa roba. È Lussuria quello fissato - informò, incrociando le braccia al petto.
- Ma questo Lussuria... - iniziò Marinette, titubante.
- È gay. Sì - confermò Squalo.
- Chissà perché lo sospettavo - mormorò lei, alzando poi gli occhi verso la figura che si era parata di fronte a loro. - Adrien! Ciao. -
Il ragazzo sorrise facendo un cenno con la mano - Ciao - rispose lui - Ciao, Bianchi, è un piacere rivederti - aggiunse, rivolgendosi alla donna.
- Ciao - salutò lei.
- Ehm... salve - mormorò, titubante, osservando Squalo con un sorriso forzato.
- Mh - fu tutto quello che rispose lui, rivolgendogli appena un cenno con gli occhi. Marinette fissò i due ad intermittenza per qualche secondo, immaginando che effetto potesse fare il carattere scorbutico di Squalo ad occhi estranei, e si ritrovò a compatire l'amico.
- Grazie per l'invito, Adrien - s'intromise, cercando di ignorare la sottile vena omicida che attraversava il corpo del suo accompagnatore - Non ti dispiace se ho portato anche loro, vero? - aggiunse, speranzosa, temendo che il ragazzo si offendesse per aver abusato del suo invito.
- Certo che no, non preoccuparti - la rassicurò lui - Spero che vi divertiate - sorrise, per poi allontanarsi verso i camerini.
Quando il ragazzo fu sparito, Marinette sospirò - Non è magnifico? - mormorò, trasognata, abbandonando la testa sulla spalla di un visibilmente contrariato Squalo, che però non si mosse.
- Non azzardarti a sproloquiare su tutti i suoi pregi - ammonì, disgustato - Sopporto a stento Lussuria. -
Marinette sospirò, gettandogli un'occhiata in tralice - Non ne avevo intenzione, tranquillo. Almeno non con te. -
- Quale grazia divina - commentò lui, ironico, inclinando leggermente il capo a destra per poggiare la tempia sulla sua nuca.
Da qualche parte accanto a loro Bianchi ridacchiò sommessamente: potevano punzecchiarsi e offendersi quanto volevano, ma in quel momento sembravano proprio la classica coppia di fratelli; di quelli che passano le giornate a sbandierare ai quattro venti quanto si odino e che invece, sotto sotto, si vogliono un mondo di bene.
- E comunque sei ancora un mocciosa per pensare ai ragazzi - aggiunse Squalo in un borbottio.
- Cosa c'è, sei geloso? - lo punzecchiò lei, sarcastica.
In risposta lui le abbassò la visiera del cappello sugli occhi, facendola protestare - Ma sta' zitta. Mocciosa del cazzo. -
- Antipatico - sbuffò lei, rimettendosi dritto il copricapo.
Insomma, molto sotto.
 
 
Marinette si stiracchiò attentamente la schiena, ricadendo pesantemente nello sgabello con un sospiro stanco: il servizio era interessante, i vestiti stupendi, ma l'attesa che accompagnava ogni cambio era strenuante. Il fotografo continuava a parlare di spaghetti e polpette per incitare i modelli nelle pose e alla ragazza stava anche iniziando a venire fame. Squalo era abbandonato accanto a lei, che si setacciava i lunghi capelli candidi alla ricerca di doppie punte, annoiato. Bianchi sembrava sul punto di lanciare una scarpa in testa al fotografo.
- Se non la smette di parlare di spaghetti con le polpette gliela faccio ingoiare quella macchina fotografica - borbottò Marinette - Sto morendo di fame. -
- Qualcosa mi dice che quel tizio è napoletano - rispose distrattamente Squalo, esaminandosi un capello dall'aria sospetta.
- Come fai a dirlo? - chiese lei.
- Il suo accento - spiegò lui, passando alla ciocca successiva - Non sono di quelle zone ma riconosco il modo di parlare. -
Marinette voltò di poco il capo per guardarlo, curiosa - E di dove sei? - chiese.
- Sicilia - fu la risposta secca - Una zona sperduta a sud della regione. Mi sono trasferito nella capitale quando sono entrato nei Varia. -
Lei aggrottò le sopracciglia - Aspetta... mi stai dicendo che i Vongola sono siciliani27? - chiese, perplessa.
- E di dove ti aspettavi che fossero? - domandò lui, voltandosi finalmente a guardarla.
- Ah, non so. Non ci ho mai pensato in effetti - ammise Marinette, alzando le spalle - Fino ad ora mi sono sempre accontentata di "Italia" - confessò. Squalo sbatté le palpebre un paio di volte, poi abbandonò la ciocca di capelli facendo attenzione a sbattergliela sul naso.
- Sei proprio una mocciosa - sbottò, seccato - Queste sono le basi! -
- Sì, ma non gridare - lo rimbeccò lei, rispedendo i capelli indietro, che ricaddero abbandonati sulla spalla di lui.
- E comunque la Mafia nel senso di nome è tipica siciliana. La Campania, per esempio, ha la Camorra - continuò Squalo.
- E che differenza c'è? - domandò la ragazza, perplessa.
- Tante, ma non ho nessuna voglia di spiegartelo ora - tagliò corto Squalo con uno sbuffo, tornando a posare lo sguardo sul set.
Marinette gli fece una linguaccia, seccata, poco badando al fatto che lui la stesse guardando oppure no. Ma appena abbe rivolto lo sguardo di fronte a sé la voce del fotografo rieccheggiò nello studio.
- No! No! No! - si lamentò, scattando in piedi e abbandonato la bizzarra posizione semi-sdraiata che aveva assunto per fare le foto: sul serio, quel tipo sembrava un contorsionista. - Non va bene! Non riuscite ad afferrare la vera essenza degli spaghetti! - esclamò, alzando le braccia al cielo in un gesto esasperato.
- Adesso lo uccido con i suoi dannati spaghetti - sibilò Bianchi, alzandosi dallo sgabello con in mano un piatto fumante di spaghetti al sugo e polpette. E stavolta Marinette si astenne dal chiedere da dove lo avesse tirato fuori.
- Bianchi! Per favore, torna giù! - bisbigliò, in preda a panico, prendendola per l'orlo della giacca - Squalo, aiutami! - aggiunse, implorante, rivolgendosi a lui.
- Beh, se lo fa fuori non penso che qualcuno se ne lamenterà - commentò con un'alzata di spalle, ricevendo un'occhiataccia dalla ragazza.
Proprio in quell'istante un urlo atroce fece sobbalzare tutta la sala.
- Tu! - esclamò il fotografo, si chiamava Vincent forse?, indicando Bianchi con un dito, che di rimando lo fissava impassibile - Sì, proprio tu! - aggiunse, anche se nessuno aveva aperto bocca - Sei... perfetta! - esalò infine, guadagnandosi due sopracciglia inarcate da parte di Bianchi e Marinette, che si scambiarono un'occhiata perplessa, e un sospiro da Squalo che si coprì gli occhi con la mano.
- Non può finire bene - mormorò lui, mentre Vincent si avvicinava, girando intorno alla donna per studiarla attentamente.
- Uhm... questi lineamente perfetti... - borbottò, portandosi una mano al mento, concentrato - ...questi setosi capelli color ruggine e, oh, che magnifici occhi verdi! - esclamò, estasiato, fermandosi di fronte a lei. Marinette era sicura che, da un momento all'altro, Bianchi gli avrebbe schiaffato in faccia quel bel piatto di spaghetti avvelenati che teneva in perfetto equilibrio nella mano sinistra. - Sì! - esalò infine Vincent, convinto - Voglio che lei faccia da comparsa per questo servizio! - decretò, puntandole un dito contro.
Marinette sgranò gli occhi - Cosa?! - esclamò, incredula.
Bianchi sembrò stupita - Cosa? - chiese, temendo di non aver capito bene.
Squalo alzò gli occhi al cielo, seccato - E io lo sapevo. -
- Beh... - Bianchi sembrò sinceramente sorpresa - Per quanto la cosa mi possa lusingare sarebbe sconsiderato da parte mia apparire su una rivista. Sono pur sempre un membro della mala... - Marinette le tappò la bocca con la mano prima che potesse dire qualcosa di compromettente.
- Ehm... in sintesi non può! - tagliò corto lei, cercando di sorridere.
- Ma... - provò a protestare Vincent.
- Eh, ma se non può non può - continuò la ragazza, con aria solenne ed al contempo grave.
- Però... - l'ennesima contestazione venne soffocata quando Squalo si alzò.
- La signora ha detto di no, quindi alza i tacchi! - ringhiò, ergendosi in tutti i suoi 18228 centimetri di altezza con fare minaccioso... ma sembrò sgonfiarsi di colpo quando Bianchi gli rivolse un'occhiata assassina.
- Signora? - sibilò.
- Ahm... signorina? - si corresse subito lui, facendo un passo di lato per nascondersi dietro Marinette, che inarcò un sopracciglio.
- Il grande assassino - mormorò lei, scettica.
- Sta' zitta, che questa è pericolosa - bisbigliò in risposta lui, per difendersi. Marinette alzò gli occhi al cielo e cercò di evitare che gli spaghetti assassini si abbattessero sul viso di Squalo.
Evidentemente, però, neanche l'aspetto poco rassicurante dello spadaccino fece desistere Vincent il quale si era impuntato a volere Bianchi nel servizio. Dopo una lunga, lunghissima discussione condita di svariate minacce di morte da parte di Bianchi e una mezza crisi isterica da parte di Marinette, finalmente la donna si arrese e accettò di posare per alcune fotografie a patto che il suo nome non venisse riportato nelle descrizioni.
Marinette respirò a fondo, stringendo i braccioli dello sgabello nel tentativo di rilassarsi. Squalo le batteva pacche superficiali sul capo, giusto perché costretto a farlo.
- Datti una calmata o ti verrà un ictus - consigliò, impassibile.
- Sono stanca, Squalo. E stressata - rispose lei guardando fisso davanti a sé, scrutando Bianchi con indosso un completo da cocktail nero e blu che minacciava il castramento di Vincent se avesse osato dire un'altra volta "spaghetti" o "polpette". - Stanca e stressata. Tanto. -
- Lo hai già detto - le fece notare lui.
- Sì, lo so - annuì lei - E lo ripeterò. Fino alla pazzia. -
- Non per molto, allora - commentò Squalo, indifferente. Lei sospirò e abbandonò la fronte sulla sua spalla.
- Portami a casa. -
- Col cazzo. -
- Preferirei con un'altra parte del corpo. -
- Ma dai, e io che pensavo avresti dato di matto - rispose lui, stupito - A volte sembri una suora. -
- Sono semplicemente una ragazza educata - mugugnò Marinette, tirandogli un pugno sul braccio con poca convinzione - Sei tu che utilizzi un linguaggio scurrile. -
- Tch, non hai mai sentito parlare il Boss - commentò lui.
- E non penso di volerlo fare - ammise lei, con un sospiro.
- Tutto questo è ridicolo! -
L'urlo che rieccheggiò nella sala probabilmente fece saltare un timpano alle orecchie di Marinette visto come rimbalzò sulle pareti. La ragazza alzò la testa di scatto per puntarlo sul set: davanti ai camerini una modella in abito da cerimonia rosso stava litigando con Nathalie, la segretaria di Gabriel Agreste. Era bella, certo, con lunghi capelli castani e occhi verdi, e sembrava anche molto giovane.
Nathalie rispose qualcosa a bassa voce, seria e composta, ma la sua interlocutrice non la prese molto bene. Non rispose ma si vedeva che era offesa oltre ogni dire, quindi girò i tacchi e si diresse di nuovo nei camerini sbattendosi le porte alle spalle.
Marinette fece una smorfia - Di solito succedono cose brutte dopo una scenata del genere - informò, ricordandosi spiacevolmente che le Akuma erano attratte dalle emozioni negative. Anche Bianchi sembrava aver intuito qualcosa, difatti aveva lo sguardo fisso oltre le porte dei camerini, ignorando i richiami del fotografo e di Adrien, col quale doveva posare.
Tuttavia per i dieci minuti successivi non successe assolutamente nulla di catastrofico. E dato che la sfiga va sempre chiamata Marinette si ripromise di non dire o pensare mai più cose come "Peggio di così non può andare" o "Toh, guarda: è andato tutto bene!"... diciamo più o meno quando le porte del camerino vennero sfondate e da esse apparve una donna vestita con un lungo abito da sera nero e l'aria tutt'altro che gioviale; cioè, a sorridere sorrideva... solo che lo faceva in modo piuttosto sinistro ed inquietante.
- Sono tentato dal chiedere cosa sia quello... - iniziò Squalo, contrariato - ...ma non sono sicuro di volerlo sapere davvero - ammise. Marinette gli lanciò solo uno sguardo, per poi tornare a posarlo sull'akumizzata quando si tolse il fermaglio a forma di ventaglio aperto dalla coda di cavallo e lo puntò contro Nathalie: in un fascio di luce azzurra la donna si pietrificò29 facendo fuggire tutti i presenti.
- Non abbastanza - ringhiò la donna, raggiungendola a passo lento - Vedremo chi non è abbastanza adesso – e senza indugiare oltre iniziò a pietrificare tutte le persone rimaste.
Marinette scattò in piedi e raggiunse Bianchi che si era già armata per affrontarla, in piedi in mezzo al set.
- Marinette! Vai via di qui! - esclamò, evitando abilmente un raggio indirizzato a lei ma che colpì il fotografo alle sue spalle - Fai quello che devi fare, ti copro io! - aggiunse, sfilandosi le decolleté nere in due semplici gesti partendo all'attacco. Marinette si morse il labbro, indecisa su cosa fare: da una parte voleva trovare un posto sicuro in cui trasformarsi, dall'altra voleva tirare fuori lo yo-yo e aiutare Bianchi.
Indugiò per un istante, poi si voltò e cercò un posto al coperto in cui infilarsi. Aveva appena puntato un carello appendiabiti che uno strillo strozzato la fece gelare seguito dal rumore di un oggetto di ceramica che rimbalzava sul pavimento; si voltò solo per scoprire, con sommo orrore, che la donna era stata pietrificata.
- Bianchi! - esclamò, in preda al panico. L'akumizzata ghignò e puntò il raggio proprio verso di lei, talmente sconvolta da non riuscire a reagire. Di fatto fu Squalo ad evitarle la stessa sorte: in un attimo si ritrovò inginocchiata sul pavimento, il braccio destro del ragazzo che la teneva per le spalle costringendola a terra e la mano sinistra alzata, respingendo il raggio con il piatto della lama che, per riflesso, tornò indietro mancando di pochissimo la donna.
- Cazzo - sibilò lui, adocchiando la statua di pietra con le sembianze Bianchi.
- S-Squalo! - balbettò Marinette, ancora stordita, alzando il viso affondato nella sua giacca verso di lui - Cosa... dove la tenevi quella? - domandò, stranita, guardando la spada.
- Ma ti pare il momento?! - rispose lui, allibito, abbassando il capo per schivare un secondo raggio di luce - Chi è quella? - chiese, alzandosi e afferrando la ragazza per un braccio, trascinandosela dietro verso l'uscita.
- Ma non li leggi i giornali? La ragazza di prima è stata akumizzata! - rispose Marinette sussultando e scattando a destra, portandosi dietro anche Squalo, prima che un raggio di luce le passasse vicinissimo all'orecchio.
A quanto pare la sua Intuizione aveva etichettato il rischio di pietrificazione come possibile morte.
- Oh, aspetta, quella storia del tizio che usa le farfalle per far diventare la gente dei supercattivi? - domandò lui afferrandola per le spalle e spingendola in un corridoio, ignorando la signora di passaggio che si prese il raggio in pieno petto al posto loro.
- Già - annuì lei, tirandoselo nella sala video e chiudendosi la porta alle spalle, riprendendo fiato.
- E quindi? - chiese Squalo, impaziente - La faccio a fette? - domandò, brandendo la spada con una naturalezza impressionante, quasi la proposta di fare a pezzi qualcuno fosse paragonabile ad annunciare le previsioni del tempo.
- Cosa? No! - rispose lei, sconvolta - Bisogna recuperare il fermaglio, far uscire l'Akuma da esso e purificarla, poi si può far tornare tutto come prima e salvare le persone pietrificate - spiegò aprendo la borsetta con uno scatto, permettendo a Tikki di volare fuori.
- E per questo non c'era la tizia in calzamaglia? - domandò Squalo. Marinette alzò lo sguardo su di lui, fissandolo come se fosse scemo.
- Ma sei deficente o cosa? - chiese, impassibile.
- Perché? - rispose lui, confuso.
- Sono io la tizia in calzamaglia! - sbottò infine lei, indignata.
Squalo inarcò un sopracciglio. - Ma serio fai? -
- Non ti sei mai chiesto cosa sia quell'esserino parlante che vola in giro per casa? - domandò Marinette, incredula, indicando Tikki sospesa a mezz'aria. Eppure, quando Tom e Sabine non c'erano, il Kwami svolazzava sempre in giro per le stanze; una sera aveva anche beccato lei, Squalo e Dino che si guardavano un film sul divano sgranocchiando biscotti al cioccolato.
- Ehi, una degli ufficiali dei Varia è una mocciosa di un anno che usa della carta igienica per creare illusioni... chi sono io per criticare lei? - rispose lui indicando Tikki con un gesto del pollice. Le due si scambiarono un'occhiata.
Beh, in effetti...
- Poco importa - sospirò Marinette, rassegnata, e Tikki ridacchiò - Vediamo solo di darci una mossa. Tikki, trasformami! -
Quando la luce rossa si fu dissolta Marinette prese lo yo-yo che portava al fianco e poggiò una mano sulla maniglia per aprire la porta... poi si bloccò, ricordandosi di una cosa fondamentale: svelta si slacciò la catenina con l'anello che portava al collo.
- Tienimela! - disse mettendola in mano a Squalo, che la fissò senza battere ciglio - Per qualche motivo il Miraculous non lo assorbe e non posso rischiare che lo colleghino a me e scoprano la mia identità - spiegò - E poi Lal mi ucciderebbe se lo usassi di nuovo mentre sono Ladybug - aggiunse, con una smorfia, aprendo la porta e sparendo nel corridoio lasciando il ragazzo da solo con un palmo di naso.
 
 
 
Quando Squalo, dopo essersi ripreso dallo stato catatonico in cui era caduto per qualche minuto buono, era piombato sul set fotografico inciampando in una bambina con un fucile e mandando a gambe all'aria un tizio armato di frusta... beh, capì subito che i rinforzi erano arrivati.
- Potresti almeno guardare dove metti i piedi - ringhiò Lal aggiustandosi la visiera che le era scivolata sul collo nell'impatto.
- Non è colpa mia se sei bassa - sbottò Squalo, cercando di sbrogliarsi da quel groviglio di arti e corda che era Dino.
- Almeno tu stai bene - constatò il ragazzo, riavvolgendosi la frusta intorno alla mano per liberare entrambi - Dove sono Marinette e Bianchi? - aggiunse, tirandosi in piedi.
- La mocciosa si è messa la calzamaglia ed è andata a cercare la tizia con la farfalla - rispose Squalo, alzandosi ed aggiustandosi il cappotto nero marchio Varia - Per quanto riguarda lo Scorpione Velenoso... - continuò, rabbuiato, indicando con il capo il centro della sala. Dino impallidì quando scorse lo stampo della donna in pietra grigia vicina ad un paio di piatti abbandonati sul pavimento.
- Dov'è Marinette? - chiese Lal, con una nota di preoccupazione nella voce.
- Non lo so - rispose Squalo, tirando fuori dalla tasca la catenina con l'anello - Mi ha lasciato questo e se n'è andata. Probabilmente è quì da qualche parte. -
Dino si passò una mano tra i capelli color sabbia, scompigliandoli leggermente, turbato - Non dovrebbe esserci quell'altro supereroe? - domandò, rivolgendosi a Lal - Il ragazzo gatto? -
La bambina strinse gli occhi, adocchiando una statua poco dietro quella del fotografo che raffigurava uno dei modelli principali del servizio - Io non conterei sul suo intervento - rispose, secca, voltandosi verso il corridoio più vicino - Troviamo Marinette. In fretta. -
 
 
Marinette eseguiva il lavoro di Ladybug eccellentemente da quasi un anno. Ne aveva passate di tutti i colori ritrovandosi nelle situazioni più disperate, e se l'era sempre cavata in un modo o nell'altro.
Eppure, per un motivo a lei ignoto, in quel momento si sentiva un po' vuota senza l'anello di Radi appeso al collo. O al dito. Doveva ammetterlo, le sue abilità nel corpo a corpo e la possibilità di utilizzare le Fiamme erano di grande aiuto in qualsiasi momento.
Di fronte a Le Tessirande30, però, si sentiva alquanto patetica ed impedita. Il che era abbastanza grave.
Rotolò su un fianco nascondendosi dietro uno scaffale nel quale erano stati impilati, perfettamente in ordine, tessuti di ogni genere mentre la scrivania davanti la quale era stata fino a pochi secondi prima esplodeva.
- Vieni fuori Ladybug... - canticchiò soavemente la donna, avvicinandosi a passo lento sui suoi sandali tacco dodici: a Marinette fecero male le caviglie solo a guardarla - ...e dammi il tuo Miraculous! - aggiunse, minacciosa.
La ragazza riaprì il proprio yo-yo rannicchiandosi dietro lo scaffale, provando per l'ennesima volta a chiamare Chat Noir; il suo telefono, però, risultava sempre spento.
Un classico: quando serviva quel gattaccio non c'era mai!
- E se ne parlassimo? - chiese, sgattaiolando dietro lo scaffale senza farsi vedere - Sono sicura che Nathalie non intendeva ferire il tuo orgoglio di modella - rassicurò facendo il giro della stanza il più discretamente possibile.
- I tuoi trucchetti non funzionano con me, Ladybug! - ringhiò Tessirande, balzando dietro lo scaffale con il fermaglio teso... trovandolo però vuoto.
Marinette sorrise spuntando proprio alle sue spalle - Dicevi? - chiese, svolgendo lo yo-yo e lanciandoglielo contro, mirando alla mano in cui teneva il fermaglio. Tessirande si scansò all'ultimo secondo e le lanciò contro un fascio di luce che Marinette schivò. Per una buona manciata di minuti entrambe cercarono di colpirsi a vicenda, deviando i rispettivi attacchi senza ottenere risultati. Proprio quando una mezza idea di usare il Lucky Charm affiorò nella mente della ragazza la porta della sartoria si spalancò e, sotto lo sguardo sgranato di entrambe, Squalo, Dino e Lal apparvero sulla soglia brandendo le armi.
Per un attimo tutti e cinque si guardarono, senza sapere con esattezza se fare o dire qualcosa, infine Dino sorrise.
- Ehi! - esclamò allegramente - Interrompiamo qualcosa? -
Squalo si coprì gli occhi con la mano destra, frustrato, e Lal sospirò esasperata.
Le Tessirande sbatté le palpebre un paio di volte poi strinse gli occhi e alzò il fermaglio, sparando nella loro direzione. I tre si dispersero nella stanza per evitarlo.
Dino schizzò verso Marinette l'afferrò per le spalle e si gettò oltre una scrivania, inciampiando in un manichino rovesciato e rischiando di mandare all'aria mezza stanza.
- Dino... che ci fate qui? - mugugnò la ragazza mettendosi seduta, mentre si massaggiava la schiena dolorante - E perché non ti sei portato dietro qualcuno dei tuoi uomini? Rischi di fare più danni tu! - lo rimbeccò. Il ragazzo si tolse diversi rotoli di stoffa di dosso e si mise carponi.
- Non tornavate e nessuno di voi rispondeva al cellulare, così siamo venuti a controllare - spiegò lui recuperando la frusta - E ho lasciato Roberto in macchina. Non... mi aspettavo una situazione simile - ammise in imbarazzo. Marinette sospirò - Devo fare qualcosa - tagliò corto sporgendosi oltre la scrivania per vedere la stanza, dove la donna e Lal avevano iniziato a spararsi addosso. C'era una grande differenza tra i loro colpi: quelli di Tessirande erano lunghi, blu scuro e abbastanza silenziosi se non fosse stato per il lieve ronzio in sottofondo; il fucile di Lal sparava colpi brevi e di un azzurro chiarissimo, con uno scoppio secco simile a quello di una pistola. - Bianchi è stata... - ma Dino la interruppe prima che potesse finire la frase.
- Lo sappiamo - annuì - Squalo ci ha aggiornati. Se possiamo aiutare, Marinette, devi solo dirlo - aggiunse. Lei si morse il labbro inferiore, turbata.
- In verità, non so cosa devo fare - ammise frustrata - Devo prendere il fermaglio ma non riesco neanche ad avvicinarmi e Chat Noir sembra essere scomparso nel nulla! - sbottò, stavolta arrabbiata - Mi sento così dannatamente inutile! -
- Marinette... - iniziò Dino, cauto, prima che Squalo piombasse accanto a loro facendoli sobbalzare entrambi.
- Mi dispiace interrompere l'ora del thé ma abbiamo un problema - informò mostrando l'oggetto che stringeva in mano. Marinette liberò un respiro di sconforto quando riconobbe la figura pietrificata della sua istruttrice.
- Lal! - esclamò, in un gemito strozzato - Com'è successo?! - chiese strappandogliela di mano con una foga inaudita per osservarla meglio: la statua era perfetta nei minimi particolari, quasi la bambina fosse stata solo vittima dell'assalto di un pennello usante esclusivamente vernice grigia e non ricoperta di cemento a presa rapida.
- Ha dato il via ad un fuoco incrociato... e non è andata molto bene - rispose lui - Cioé, le ha bruciato metà costume ma credo che l'abbia solo fatta incazzare di più. -
- Che si fa? - chiese Dino. Marinette guardò il volto muto della bambina, coperto dagli occhiali da aviatore, e un senso di rabbia bruciante le invase il petto. Afferrò lo yo-yo e lo srotolò in aria. - Lucky Charm! - richiamò. Una nuvola di coccinelle fuoriuscì dall'arma e le lasciarono cadere in grembo una...
- Ma che cazz...?! - esclamò Squalo, stranito.
- Oh, questa è nuova - commentò Dino guardando stupito l'oggetto che Marinette stringeva in mano, perplessa.
- E che ci faccio con questa? - chiese lei: se nella mano sinistra aveva la statua di Lal, nella destra stringeva un replica perfetta della spada di Squalo sulle tinte del rosso e dei pois neri. Incerta si guardò intorno, sperando che la Vista Coccinella31 potesse aiutarla.
Pochi oggetti lampeggiarono, in quel mondo in bianco e nero, e una scintilla di comprensione le apparve negli occhi azzurri: adesso sapeva cosa fare.
- Dammi l'anello! - disse, spiccia, rivolta a Squalo che si frugò velocemente in tasca. Appena ebbe la catenina lei gli ficcò il Lucky Charm tra le mani - Mettila! - ordinò, non badando al suo sguardo che lasciava intendere benissimo il muto "Mi prendi per il culo?" - Tu fai venire Roberto e andate sul set fotografico: mi servite lì - aggiunse rivolta a Dino, prima di consegnargli Lal e alzarsi in piedi, mettendosi l'anello al dito - E guai a te se la fai cadere! - ammonì, minacciosa, prendendo lo yo-yo e gettandosi a capofitto nel labirinto di scaffali e tavoli da lavoro, venendo subito inseguita da Tessirande: aveva le maniche e la gonna del vestito bruciate e sembrava più intenzionata che mai a farla diventare una statua da giardino.
Il piano era semplice, quasi banale, eppure lei era sicurissima che avrebbe funzionato. Doveva funzionare, per Bianchi, Lal e tutte quelle persone che erano state pietrificate: le avrebbe salvate, ad ogni costo. Aprì una porta e si fiondò giù per le scale di emergenza; le mancavano solo un paio di cose che la Vista Coccinella non aveva potuto indicarle poiché non erano a portata di mano, ma Marinette aveva compreso il quadro generale della situazione e sapeva esattamente di cosa aveva bisogno e anche dove trovarle.
Schivando qualche raggio di tanto in tanto attinse alle abilità acrobatiche di Radi e si fece il resto delle scale saltando da un corrimano all'altro.
Sai, penso che avrei avuto un futuro anche come acrobata, commentò lui, facendo una complessa evoluzione e ricadendo elegantemente due piani più sotto.
Marinette alzò la gamba sinistra e si massaggiò il polpaccio, mentre saltellava verso la porta che l'avrebbe condotta al punto di partenza - Sì, ma vacci piano che non sono abituata - borbottò, spingendo la porta verso l'esterno. Il luogo era nelle stesse condizioni di prima, con disordine e persone pietrificate sparse ovunque. Vedere Bianchi ferma vicino ai camerini con ancora l'abito da cocktail e il viso congelato in un espressione stupita le si strinse il cuore.
Andrà tutto bene, la rassicurò dolcemente Radi, Concentrati.
Marinette fece un respiro profondo ed annuì, dirigendosi velocemente verso la postazione del fotografo proprio mentre la porta si spalancava e la figura di Roberto si stagliava sulla soglia.
- Signorina Cheng...? - chiese lui, leggermente perplesso, dopo averla fissata per qualche secondo.
O quella maschera davvero non serviva a niente o il popolo francese aveva qualche serio problema di miopia.
- No, Roberto, adesso sono Ladybug - rispose lei, sistemando i riflettori per regolare le luci di modo che convergessero in un unico punto - Quindi vedi di non farti scappare il mio nome mentre sono così - aggiunse, correndo vicino alla valigetta con gli attrezzi - Mi devi aiutare: sposta tutte le statue che sono in questo perimetro verso la postazione degli spettatori. Di fretta, per favore. - ordinò, aprendo uno dei cavalletti per reggere la macchina fotografica. L'uomo riassunse la sua espressione imperturbabile e fece come gli era stato chiesto, senza porre domande, mentre Marinette recuperava ago, filo, lacca per capelli dalla toeletta più vicina e del nastro adesivo di fortuna cercando di lavorare il più velocemente possibile: non aveva molto tempo prima che Tessirande la raggiungesse e voleva tanto che Dino e Squalo si sbrigassero a scendere.
Vide Roberto fermarsi in mezzo alla stanza e scrutare attentamente la statua di Bianchi, indeciso. - Quella è..? - inziò. Marinette fece un smorfia, sistemando l'arma improvvisata accanto all'entrata.
- Sì, è Bianchi - confermò - Fai attenzione quando la sposti - aggiunse bloccando una delle ante della porta di modo che Tessirande avrebbe dovuto aprire solo quella di sinistra per poter entrare. Fece scorrere il filo di cotone nei cardini dell'entrata bloccandolo con un nodo e qualche ago, lavorando come una pazza poichè l'orecchino aveva già bruciato due minuti e sentiva i tacchi della donna sulle scale: era fortunata che non potesse correre con quelli, o il piano sarebbe andato a farsi friggere. Si allontanò velocemente, sistemandosi al centro del set, e attese con lo yo-yo pronto.
- Allontanati più che puoi - consigliò a Roberto che si ritirò verso i camerini - Dove sono quei due? - aggiunse, nervosa, scrutando la seconda entrata interna: senza di loro sarebbe stato tutto inutile!
Come una manna scesa il cielo, evidentemente il karma esisteva e le voleva anche molto bene, pochi secondi dopo Squalo e Dino apparvero sulla soglia quasi buttando giù la porta, cosa che costò un incespicamento al secondo rischiando seriamente di farlo finire con il naso spiaccicato sul pavimento
- Boss! - lo chiamò Roberto. Dino si voltò verso di lui, sorpreso, arrestando miracolosamente la caduta con un movimento flessuoso della colonna vertebrale, mandando a farsi benedire almeno una decina di leggi della fisica e dell'anatomia.
Ma Marinette aveva imparato una cosa fondamentale in quell'ultimo periodo, ovvero che era meglio non porsi domande per il bene della sua sanità mentale.
- Giuro che questa me la segno! - ringhiò Squalo brandendo la spada a motivo coccinella. Marinette per poco non scoppiò a ridere.
- Non te la prendere con me, non decido io che forma deve avere il Lucky Charm! - si difese lei.
- Possiamo parlarne dopo? - chiese Dino mettendo Lal tra le braccia di Roberto e schizzando al fianco di Marinette - Cosa dobbiamo fare? - domandò.
- Ok, quando la faccio arrivare in questo punto... - spiegò lei, indicando qualche metro più a destra di dove si trovavano - ...colpisci quel riflettore e fallo cadere verso sinistra. -
- D'accordo - annuì Dino, sfilandosi la frusta dal cappotto.
- Squalo... tu devi toglierle il fermaglio - ordinò, sentendo l'orecchino suonare per la terza volta - Però, cortesemente, non con tutta la mano - aggiunse, vedendolo alzare la spada con un ghigno sadico.
Il ragazzo sbuffò, deluso, come se gli fosse appena stato detto che non poteva avere il dolce dopo cena - Ehi, io ci vivo tranquillamente senza! - ricordò, agitando la protesi. Ma prima che Marinette potesse ribattere la porta di emergenza venne spalancata.
Il filo di cotone rosa che aveva legato ai cardini si tese, premendo il nastro adesivo sulla lacca allacciata al cavalletto, che sparò un doloroso getto dritto negli occhi di Tessirande accecandola per qualche secondo. Marinette srotolò lo yo-yo, lanciandolo verso di lei e avviluppandolo intorno al suo corpo; con un gesto secco la tirò a sé facendola girare su sé stessa, deviandola a destra e piazzandola esattamente al centro dei riflettori. Stordita dal giro e dal bruciore agli occhi, Tessirande non riuscì a reagire in tempo quando Dino afferrò la base del riflettore indicatogli da Marinette con un leggiadro colpo di frusta, facendolo cadere di lato; come delle tessere di domino, le sei lampade iniziarono a cadere una sopra l'altra. Marinette lanciò di nuovo lo yo-yo, intrappolando nel filo le estremità superiori, e facendole convergere tutte verso il centro così che cadessero in avanti, intrappolando la donna.
- Veloce! Ho meno di un minuto! - esclamò avvertendo il quarto bip-bip. Con la grazia che si darebbe ad una pantera Squalo saltò sui riflettori restando in perfetto equilibrio, decapitando quello più vicino con un gesto secco di spada. Borbottando un "Guarda cosa mi tocca fare" infilò la mano destra nell'apertura e sfilò il fermaglio dai capelli della donna, saltando di nuovo giù. Lo gettò a terra e lo trafisse con la punta della lama, dividendolo in due parti.
L'Akuma sgusciò fuori e cercò di volare via. Marinette ritirò lo yo-yo e lo aprì, recitando la classica formula che anche i bambini oramai sapevano a memoria. Afferrò la farfalla e la purificò lasciandola quindi libera di volare via.
- E adesso? - chiese Squalo, avvicinandosi.
- Facciamo tornare tutto come prima - sorrise lei facendogli cenno di darle il Lucky Charm. Quando il ragazzo sfilò le bende e le passò la spada lei la lanciò in aria richiamando il potere del Miraculous: la lama si sgretolò i centinaia di coccinelle che volarono in giro per lo studio rimettendo tutto in ordine e risvegliando le persone pietrificate. In una nuvola di fumo viola Tessirande tornò normale guardandosi confusamente intorno.
- Ladybug! -
Marinette sussultò voltandosi di scatto solo per trovarsi Adrien che la fissava, stupito, in mezzo alle altre persone depietrificate.
- Oh, ehm... - ridacchiò nervosamente lei - Non preoccupatevi, l'Akuma è stato sconfitto. Adesso è tutto a posto - rassicurò, coprendosi l'orecchino destro con la mano - Però devo andare prima di ritrasformarmi! Ci vediamo! - salutando con la mano si voltò, fece un cenno sbrigativo a Dino per dirgli di raggiungerla fuori, e scappò via alla velocità della luce mentre suonava anche l'ultimo minuto.
Si era appena nascosta dietro le scale dell'entrata che la trasformazione si annullò e Tikki volò pigramente fuori dagli orecchini, ricadendo nel palmo delle sue mani. Qualche minuto dopo il gruppetto composto da Dino, Roberto, Squalo, Lal e Bianchi stava uscendo dal portone. La prima cosa che Marinette fece fu fiondarsi tra le braccia della donna e stringere Lal a sé.
- Mi è preso un colpo quando siete state pietrificate - ammise lei, dispiaciuta. Lal la fissò come se fosse una strana specie animale alquanto pericolosa, sconvolta da quell'improvviso gesto di affetto, evidentemente trattenendosi dallo spararle dritto in fronte. - Sì, ma... per carità non farlo mai più - disse, con una smorfia, rifugiandosi sulla spalla di un divertito Dino.
- Lal e gli abbracci non vanno molto d'accordo - commentò il ragazzo.
- Taci - lo rimbeccò la bambina, fredda. Bianchi sospirò, con un sorriso, porgendo il cappotto alla ragazza.
- Torniamo a casa. Ho fame - disse poi, scendendo i gradini e dirigendosi verso la macchina di Dino.
- È stato divertente - ammise il ragazzo seguendola.
- Cioé, tu fai questo... sempre? - domandò Squalo, con una smorfia.
- Ogni tanto - alzò le spalle Marinette, infilandosi il giubbotto per ripararsi dal freddo della sera - Oh, e comunque: i miei genitori non lo sanno quindi vedi di non farti scappare niente - raccomandò, alzandosi la zip fin sotto il mento.
- Certo, perché va bene che fai parte di un'organizzazione mafiosa ma non che dai la caccia a delle farfalle malefiche con indosso una mascherina - commentò lui, sarcastico, infilandosi nel veicolo subito dopo Bianchi.
- Ma che simpatico - mugolò la ragazza, stizzita, sedendosi accanto a lui con Dino e Lal al seguito, mentre Roberto prendeva posto alla guida.
- E comunque la calzamaglia a pois non ti dona - aggiunse lui. Marinette gli diede una gomitata nelle costole.
- Ti odio. -
- Sentimento reciproco. -
- Capellone. -
- Mocciosa del cazzo. -
Lal sospirò, fingendo interesse per il paesaggio fuori dal finestrino, mentre Bianchi sorrideva e Dino cercava di metter pace con scarsi risultati.
Però, dentro di lei, Marinette dovette ammettere con sincerità che non aveva davvero nulla di cui lamentarsi.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
27Nel manga non è specificato di quale zona siano i Vongola, tuttavia nel primo episodio dell'anime viene aggiunta una scena che vede Reborn parlare con dei subordinati della Famiglia proprio in Sicilia. Se Squalo sia davvero siciliano, però, non ne ho idea.
 
28Informazione reperita dal "Angolo delle pericolose interviste di Haru-Haru", direttamente dal manga.
 
29Per questo Akuma mi sono ispirata ad una versione alternativa del mito della Gorgone: secondo Ovidio, Apollodoro ed Esiodo, Medusa era una donna bellissima che venne maledetta da Atena, pietrificando chiunque la guardasse negli occhi. Ci sono due spiegazioni a questo gesto: la prima, che ho preso in considerazione per questo contesto, è che la donna avesse affermato di essere superiore alla dea in bellezza. La seconda, è che la ragazza sia stata violentata o abbia giaciuto con Poseidone in un tempio sacro ad Atena (che spiegherebbe, in effetti, la nascita di Pegaso e Crisaore quando Perseo la uccise, poiché in quel momento ella era incinta del dio).
Comunque, la modella, essendo stata rifiutata per il servizio fotografico, diventa una versione opposta della Gorgone tramutando in pietra chiunque abbia dubitato della sua bellezza o bravura.
 
30Le Tessirande significa letteralmente "La Tessitrice". Questo riferito non solo agli abiti con cui avrebbe dovuto posare ma anche al mito di Aracne, che Atena trasformò in ragno quando la donna osò sfidarla in una gara di tessitura (alcuni dicono che la tela di Aracne era più bella e la dea si infuriò tramutandola in un ragno, altri che fu Atena a vincere e che per punizione la maledisse). Ad ogni modo, le due storie (Aracne e Medusa) si possono collegare poiché si somigliano molto nel genere cambiando solo le motivazioni.
E, sì, ultimamente sono un po' fissata con la mitologia greca. Chi segue la mia pagina facebook sa perché.
 
31Si chiama davvero cosí?
 
 
 
Angolo Autrice:
e ce l'ho fatta anche stavolta! Lo ammetto, ad un certo punto non sapevo più come andare avanti e sono stata ferma per qualche giorno, ma evidentemente l'ispirazione ha deciso di farmi un regalo per Natale e sono riuscita a finire il capitolo senza intoppi.
Ringrazio come sempre chiunque legga/segua/recensisca/apra questa storia e auguro a tutti (in ritardo) un Buon Natale e (nel caso non riesca finire il capitolo 15 per il primo) un felice Anno Nuovo!
Vi ricordo come sempre la mia pagina facebook Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Il mio San Valentino all'insegna della morte!
Baci,
bambolinarossa98

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Capitolo 15
*** Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 1 ***


REVISIONATO IL 12/06/2019



 
Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 15. Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 1
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 9.240
 
 
 
 
Marinette si rigirò tra le lenzuola con un mugolio indistinto: un raggio di sole le finì dritto in faccia e fece una smorfia, infastidita, sprofondando col viso sotto le coperte; un attimo dopo un dolcissimo aroma di cioccolato le arrivò alle narici facendole venire l'acquolina in bocca, e si decise ad aprire piano un occhio.
Si stiracchiò attentamente, gettando le braccia in alto e tendendo ogni singolo muscolo, prima di alzarsi e scendere la scaletta: la stanza era vuota, la chaise longue sgombra e l'amaca vuota, persino Tikki non c'era.
Eppure non era così tardi.
Prese qualche abito a casaccio dall'armadio e si diresse verso il bagno, fece la doccia, si vestì, preparò lo zaino e scese in cucina. Fu leggermente sorpresa di trovare tutti seduti a tavola davanti ad una tazza di cioccolato caldo e qualche cestino di biscotti.
- Buongiorno, tesoro - salutò Sabine, allegra, facendo saltare una crêpe in padella.
- 'Giorno - rispose lei un tantino perplessa, posando lo zaino sul divano e sedendosi a tavola: erano rari i momenti in cui tutti gli abitanti di quella casa se ne stavano seduti nello stesso punto, a colazione. Di solito Bianchi era sul divano a guardare la televisione e Dino girava per il salotto come uno zombie con una tazza di caffé tra le mani, nel tentativo di svegliarsi; solo Lal e Squalo erano a tavola, ma entrambi sempre persi in chissà quali altri pensieri quindi se non ci fossero stati fisicamente sarebbe stato lo stesso.
Oltretutto una colazione così ricca non era roba da tutti i giorni. Certo, quel giorno era San Valentino, ma di solito sua madre si limitava a fare dei cioccolatini o un dolce particolare, niente di più. Prese la tazza davanti a sé e ci soffiò sopra per raffreddare il cioccolato prima di berlo. Sabine sembrava di ottimo umore mentra faceva scivolare un piatto davanti ad ognuno di loro e Marinette si chiese come mai, mentre prendeva la nutella e la spalmava sulla propria crêpe. Vide di sfuggita Dino prendere un biscotto dal cestino al centro del tavolo e, stando attento che Sabine non lo vedesse, ficcarlo sotto il tavolo con una nonchalance spaventosa. Si sporse leggermente oltre il bordo, perplessa, solo per trovare Tikki seduta sulle sue ginocchia che lo sgranocchiava.
E, come era solita fare ormai da settimane, si astenne dal fare domande. Non era neanche sicura di volere una risposta, a dire il vero.
Finì la sua colazione in perfetta indifferenza, salutò tutti, recuperò il Kwami e lo zaino e si apprestò ad uscire. Solo quando fu a metà della rampa di scale la porta alle sue spalle si aprì.
- Aspetta un attimo - la richiamò Bianchi, raggiungendola - Prendi questo - aggiunse porgendole un pacchettino avvolto in carta gialla con un fiocco nero.
- Cos'è? - chiese lei, curiosa.
- Cioccolato avvelenato - rispose la donna, con naturalezza, facendole sgranare gli occhi - Se vuoi uccidere qualcuno questo è il giorno migliore per farlo con qualche cioccolatino - spiegò saccente. A dire il vero Marinette aveva almeno una decina di motivi per contestare tale affermazione, tuttavia decise che era meglio non mettersi a discutere.
- Ehm... grazie, Bianchi, lo terrò presente - annuì convinta.
La donna sorrise, evidentemente divertita - Torna presto, dobbiamo prepararci per stasera - ricordò, voltandosi e risalendo le gradinate.
- D'accordo! - rispose Marinette, mettendo il pacchetto nella tasca esterna dello zaino e sfrecciando fuori essendo già in ritardo. Rischiò di essere investita un paio di volte ma, per non sapeva quale grazia divina, riuscì ad arrivare a scuola pochi secondi prima che suonasse la campanella. Si fece tutto l'atrio di corsa eppure, arrivata a metà della rampa di scala, inciampò in un gradino e cadde all'indietro, travolgendo almeno tre o quattro persone che stavano salendo.
Insomma, la normalità.
- Buongiorno anche a te, Marinette - disse una voce, allegra, proprio sotto di lei. Marinette si massaggiò la schiena mettendosi seduta.
- Scusa, Nino - sospirò dispiaciuta. Il ragazzo l'affiancò aggiustandosi la visiera del cappello.
- Figurati, è sempre stato il mio sogno avere una ragazza che mi cade tra le braccia - rispose lui con un gran sorriso. Marinette gli tirò una gomitata sulla spalla.
- Goditela, perché sarà l'ultima volta - lo informò divertita.
- Se avete finito di prendere il thé, voi due, vi dispiacerebbe alzarvi? - chiese una voce gelida dietro di loro.
- Oh. Scusa, Chloé - mormorò Marinette tirandosi su. La ragazza si alzò, seccata, iniziando a raccattare le cose che le erano cadute dalla borsa. Con sommo orrore Marinette vide che il pacchetto con il cioccolato di Bianchi le era scivolato via dallo zaino, quindi si affrettò a farlo sparire salendo poi le scale per entrare in classe.
Nino le diede un colpetto sul braccio. - Allora, preparato qualcosa per qualcuno in particolare? - chiese ammiccando. Marinette lo fissò per qualche istante, non capendo, infine sgranò gli occhi sbattendosi la mano in fronte.
- Giusto! Me ne sono completamente dimenticata! - esclamò. Come aveva potuto non pensare di fare qualcosa ad Adrien? L'ultima settimana aveva aiutato suo padre con il cioccolato che avrebbe dovuto mostrare alla festa, era vero, ma di certo non bastava a farle dimenticare una cosa simile.
No, il punto era un altro, ben più grave ed impegnativo.
- Sono stata molto... impegnata, ultimamente - ammise, esitante, abbassandosi la manica destra della giacca in un gesto automatico - Non ho proprio avuto il tempo di pensarci. -
- Ho sentito che casa tua è molto affollata - commentò Nino varcando la porta.
- Sì, ma non è un problema questo - rispose lei, sedendosi al proprio posto mentre Nino si abbandonava sulla panca accanto al compagno. - È solo che... - cominciò, nervosa.
- Marinette, che hai fatto al braccio? - la interruppe Adrien scrutando le mezze maniche della giacchetta della ragazza con le sopracciglia aggrottate: sull'avambraccio destro, poco sotto l'orlo, spuntavano un accenno di bende mediche. Solo allora Nino sembrò accorgersene.
- Ti sei fatta male? - chiese, sporgendosi per vedere meglio. Marinette si morse il labbro inferiore titubante: e adesso come avrebbe spiegato loro che Squalo le aveva quasi staccato il braccio mentre l'addestrava con la spada?
Da lì a qualche giorno Lal aveva deciso che il ragazzo dovesse insegnarle le basi dell'utilizzo delle armi bianchi, quindi si erano appartati ogni pomeriggio nel seminterrato della villa di Dino (dove la ragazza aveva scoperto alloggiavano Romario, Roberto e il resto della Famiglia Cavallone) sotto la supervisione di Bianchi.
Squalo era un istruttore severo, certo, ma evidentemente non si era sturato bene le orecchie quando gli era stato detto che lei non aveva mai toccato una spada in vita sua prima di allora. In compenso era stato divertente vederlo scappare per tutta la villa con una Bianchi incazzata al seguito, mentre Romario la medicava.
- Non è niente, mi sono solo scottata con il forno - mentì, cercando di non farsi venire i sensi di colpa - Tu, invece? - si affrettò a cambiare discorso.
Nino scrollò le spalle, prima di sospirare teatralmente affranto - Avevo tanta voglia di scrivere una poesia per esprimere tutto l'amore che provo per il mio tenero raggio di sole - disse, a voce abbastanza alta, sporgendosi oltre la spalla di Adrien.
Chloé non si voltò neanche, tenendo gli occhi fissi sul suo cellulare - Estinguiti, polpettina ripiena - rispose eterea.
- Ah, questa fa male! - ammise lui.
- Cosa mi sono persa? - chiese Marinette guardandoli entrambi. Adrien rise.
- Il padre di Nino ha avuto un colloquio con il signor Bourgeois, ieri - spiegò.
- Mio padre ha scelto il momento sbagliato per chiamarmi "polpettina ripiena" - sospirò il ragazzo - Però, in compenso, ho potuto assistere al "tenero raggio di sole" di Chloé - aggiunse sogghignando.
- Polpettina ripiena? - domandò lei, perplessa ma divertita.
- È un nomignolo con cui i miei genitori mi chiamavano da piccolo - spiegò lui, seccato - Sai, ero basso e paffuto. -
- Oh, ma che carino! - commentò Alya, dolcemente, prendendolo educatamente in giro.
- Ah, ma che spiritosa. -
- È divertente bullizzarti. -
- Perché proprio tu? Io ti amavo! - esclamò Nino tendendo la mano verso di lei con finta disperazione.
- L'amore è platonico! - rispose Alya portandosi il dorso della mano alla fronte - Va e viene: ieri amavi me, oggi amerai un'altra, domani un'altra ancora... nel dubbio io ti bullizzo! -
Tutti e quattro si guardarono per un istante poi scoppiarono a ridere.
- Oh, cielo - Marinette si asciugò una lacrima con l'indice, ridendo - Voi due dovreste fare gli attori. -
Nino si esibì in un inchino, compiaciuto - Tu mi lusinghi. -
Il resto della giornata lo passarono a chiacchierare del più e del meno, badando pochissimo alle lezioni della mattina. Quando Marinette e Alya scesero in cortile, all'ora di pranzo, la corvina ormai quasi non pensava più a San Valentino e connessi. In un certo qual modo fu Alya a ricordarglielo quando notò il pacchetto con i cioccolatini spuntare dalla tasca esterna dello zaino della ragazza. Da lì fu l'inferno.
- Uuuh, per chi sono questi? - chiese Alya, maliziosa, tirando fuori il pacchetto e osservandolo. Marinette per poco non sputò il succo di frutta che stava bevendo.
- Ah, no! - esclamò, sporgendosi per riprenderlo - Non sono per nessuno... me li ha regalati Bianchi... - disse, in preda al panico, cercando di raggiungerli benché lei li tenesse in alto, fuori dalla sua portata.
- Davvero? - chiese Alya, perplessa, osservando il pacchetto sospeso sopra il suo viso - Allora perché qui c'è scritto "Per Adrikins"? -
Marinette smise di arrampicarsi sulla testa dell'amica, agghiacciata. - Cosa? - sbottò, afferrando finalmente il pacchetto: in effetti vicino al fiocco di velluto nero vi era un bigliettino che era sicurissima non ci fosse quando Bianchi glielo aveva dato. Con una calligrafia elegante e ondulata vi era scritto "Per Adrikins, con affetto..."
- ...Chloé?! - esclamò lei stranita - Non è possibile! Questo me lo ha dato Bianchi stamatti...! - un brivido gelido le corse giù per la schiena al ricordo dell'epocale caduta giù per le scale d'ingresso nel quale aveva coinvolto Nino, Chloé e Sabrina. Si sbatté una mano in fronte dandosi della stupida - Ma certo, che scema! - sbottò - Stamattina ci siamo scontrate sulle scale e devo aver preso il suo pacchetto credendo fosse il mio! -
- Sì, però... - continuò Alya, sbirciando dentro la tasca - ...quì non c'è nient'altro - notò mostrando il contenuto vuoto. Marinette impallidì paurosamente, tanto che per poco non si confuse con l'intonaco alle sue spalle. Guardò il pacchetto tra le proprie mani e li sentì nitidamente i dieci anni di vita scivolare via dal suo corpo.
- Quindi... se io ho il suo... - mormorò, sentendosi malissimo - ...lei ha il mio. -
- E allora? - domandò Alya scrollando le spalle. Marinette scattò in piedi, portandosi le mani nei capelli in preda al panico.
- E allora Adrien sta per morire intossicato! - urlò girando i tacchi e sfrecciando attraverso l'atrio, dritta verso le scale, ignorando gli sguardi allucinati di chi la vedeva passare.
Quando piombò sulla soglia della classe, quasi scardinando la porta, rimase pietrificata per qualche secondo nel vedere Chloé e Adrien davanti le finestre: la prima tutta sbrillucicosa e più civettuola del solito, il secondo che fissava decisamente perplesso quel cioccolato dall'aria mortale.
- Nino! - urlò adocchiando il ragazzo poco sopra le scale, proprio mentre Adrien prendeva un cioccolatino, sospettoso. Lui si voltò verso di lei, sentendosi interpellato, e Marinette indicò il biondo con la mano - Placcalo! - ordinò, scattando verso il duo.
Il ragazzo non fece domande, di questo bisognava dargliene atto, ma schizzò giù dalle scale e si gettò di peso saltando gli ultimi tre gradini. Successe tutto molto velocemente: il dolce era a pochissimi millimetri dalle labbra di Adrien quando Nino gli saltò addosso, prendendolo per le spalle e mandandolo al tappeto. Marinette era schizzata alle spalle di Chloé, travolgendola e finendo entrambe sui due ragazzi.
Allungando le mani in un gesto disperato la ragazza riuscì ad afferrare il pacchetto aperto, evitando che tutti i cioccolatini cadessero sul pavimento.
Poi scese il silenzio.
- Oh, grazie al cielo - sospirò Marinette, sollevata, vedendo che tutti i dolci erano al loro posto: ne mancava solo uno, quello che aveva preso Adrien, che nell'impatto era volato sul banco alle loro spalle.
- Voi due! - la voce indignata di Chloé le arrivò chiara e nitida schiacciata tra il suo petto e la schiena di Nino, mentre Adrien era all'ultimo strato cercando di capire cosa fosse successo... e di tornare a respirare.
- Ok - annuì Nino alzandosi la visiera del cappello che gli era calata sugli occhi - Perché li abbiamo placcati? - chiese, alzando lo sguardo verso Marinette.
Adrien sgranò gli occhi - Cioé... tu ci sei venuto addosso senza neanche sapere perché? - chiese allibito. Nino scrollò le spalle.
- Me l'ha ordinato lei - rispose tranquillamente - Sembrava così convincente - aggiunse a mo' di scusa. Marinette scosse il capo per scacciare quel senso di nausea e paura che aveva avuto addosso fino a quel momento, e si alzò.
- Marinette! - Alya li fissava stupita dalla soglia dell'aula insieme agli altri ragazzi presenti.
- Marinette... che succede? - domandò Adrien cercando di scrollarsi Nino di dosso.
- Posso spiegare - si affrettò a rispondere lei, zittendo le proteste di Chloé con un gesto della mano - Questi cioccolatini non sono i tuoi - aggiunse recuperando il pacchetto che si era infilata nella borsetta durante il tragitto dal cortile alla classe, identico a quello che stringeva tra le mani - Questi sono tuoi. Ce li siamo scambiati stamattina sulle scale - spiegò, spazzolandosi i vestiti.
Chloé lo fissò sospettosa poi aprì il biglietto, stupita - Oh, mi stavo giusto chiedendo perché non ci fosse - ammise. Marinette richiuse il proprio pacchetto alla meno peggio e si astenne dall'infilarlo nella borsetta per non rischiare di intossicare Tikki.
- Che cos'hanno questi che non va? - chiese Nino vedendola maneggiare l'involucro con cura.
- Sono avvelenati - rispose lei, semplicemente. Tutti e quattro la fissarono straniti, poi Nino rise pensando che la ragazza scherzasse.
- Dai, sul serio - la spronò, divertito. Marinette lo fissò impassibile.
- No, davvero - annuì.
- Non penserai davvero che ci crediamo? - esclamò Chloé, scettica.
Alla ragazza bastò lanciare un'occhiata al banco alle loro spalle per trovare la risposta e tossì leggermente per attirare l'attenzione - Ehm... - disse, indicandolo col dito. Tutti e quattro si voltarono e impallidirono, osservando la scena con un'espressione di sorpresa e orrore dipinta sul volto: il cioccolatino, scioltosi, aveva formato un buco nel legno dove di solito si sedeva Sabrina.
- Pensa, avrebbe potuto essere il tuo stomaco - commentò rivolta ad Adrien, troppo scioccato per proferire parola. - Beh... continuate pure come se non fosse successo niente - consigliò stirando un sorriso forzato, ricevendo un'occhiata sconvolta dai suoi compagni. Marinette ridacchiò nervosamente, fece un passo indietro e scappò via.
Si fiondò direttamente in cortile e riprese il proprio zaino, gettando il cioccolato nel cestino più vicino. Adesso come l'avrebbe spiegata una bomba tossica in suo possesso? Quale scusa avrebbe trovato per il quasi omicidio di Adrien? E cosa avrebbe detto se le avessero chiesto perché un uomo vestito di nero con la permanente stava salendo le scale che portavano all'edificio, borbottando imprecazioni in italiano?
Non sappe come reagire quando il portone d'ingresso venne quasi buttato giù e Squalo apparve sulla soglia tutto trafelato, incazzato come al solito.
- Vooooi! - sbraitò, alzando la mano col dito a puntare proprio lei - Che cazzo ti porti dietro, deficente?! - urlò, evidentemente riferito alla cioccolata.
Marinette fissò, allucinata e sconvolta, i boccoli albini che spuntavano dalla coda di cavallo sulla nuca del ragazzo. - Cosa... che hai combinato? - balbettò, incredula. Poté giurare di vedere le guance di Squalo tingersi leggermente di rosa mentre marciava verso di lei.
- Non ne voglio parlare - ringhiò, incazzato - Quella pazza mi ha preso per Barbie Parrucchiera! -
Marinette sbatté le palpebre - Bianchi? - domandò.
- Quante altre pazze conosci? - sbottò lui ironico.
- Beh... - "Parecchie. Te ad esempio" avrebbe voluto rispondere ma si astenne.
- Perché hai accettato quella roba? - cambiò discorso lui. Lei ci mise un po' a capire che si riferiva al cioccolato.
- Mi sembrava maleducato rifiutare, sopratutto da lei - ammise alzando le spalle.
Squalo sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo - E ti porti a scuola un'arma assassina solo per questo? -
- Detto da te è quasi un insulto - ribatté lei, offesa, tirandogli un calcio sullo stinco.
- Difatti, ti stavo insultando - rispose lui, colpendola sulla fronte con uno schiocco secco di dita.
- Che ci sei venuto a fare qui? - borbottò Marinette massaggiandosi il punto leso con stizza.
- Ti prelevo - tagliò corto lui, circondandole la vita con il braccio e mettendosela in spalla.
- Ma che fai? - si lamentò la ragazza trovandosi con la sua spalla nello stomaco.
- Ormai il danno lo hai fatto, tanto meglio che sparisci prima di dover rispondere a domande scomode - tagliò corto lui
- Non ce n'è bisogno! E poi tu come fai a saperlo? -
- Questo non è importante. E poi dimmi, grandissimo genio, come pensi di spiegare un pacco di cioccolata avvelenata in tuo possesso? - chiese lui, sarcastico, gettando occhiate alla "Che cazzo guardi?" a tutti coloro che, in piedi nell'atrio, fissavano lo spettacolo del tipo poco raccomandabile con i boccoli che trasportava una minorenne in spalla come un sacco di patate.
- Certo, perché tu che spunti dal nulla e mi sequestri è normale! - sbottò lei, incrociando le braccio al petto - Questo, tra l'altro, è un reato penale. -
- Fosse il primo - commentò Squalo, sarcastico, tirandola su con un gesto.
- E vedi dove metti quelle mani! - aggiunse, tirandogli una ginocchiata nelle costole quando lo sentì vagare un po' troppo al di sopra delle cosce.
- Ma per chi mi hai preso, mocciosa? - si lamentò lui, offeso - Piuttosto ringrazia che non ti molli sul marciapiede! -
- Posso camminare da sola! -
- Sei troppo lenta. -
- E tu sei proprio un... - ma si trattenne dallo sparare un insulto con i fiocchi: lo diceva, lei, che la compagnia di Squalo era qualcosa di nocivo.
- Piuttosto - cambiò discorso lui - Questa roba... si può togliere? - chiese, nervoso. Marinette fissò la sua nuca e si trattenne dallo scoppiare a ridere quando si rese conto che, sì, erano abbastanza ridicoli... ma gli stavano veramente bene!
- Sì, se li ha fatti con il phon basterà lavarli. O spazzolarli parecchio - mugugnò, sopprimendo una risata.
- Non è divertente! - sbraitò Squalo.
- Ma ti donano - ammise lei soffocando il riso nella giacca di lui.
- Sei proprio una... -
- ...mocciosa, sì - borbottò lei, alzando gli occhi al cielo.
- Del cazzo - aggiunse lui.
- E mettimi giù che mi sta venendo la nausea - sbottò, sentendo la bile risalirle dallo stomaco. Squalo non le rispose avanzando velocemente sul marciapiede, ignorando gli sguardi di chi li vedeva passare. - Ci stanno guardando tutti - gli fece notare lei.
- Che guardino - fu la risposta.
- Se non mi metti giù entro tre secondi mi metto ad urlare - minacciò, venendo ignorata. - Giuro che ti faccio arrestare - aggiunse.
- Peggio per loro - rispose pigramente Squalo.
Marinette respirò a fondo, alzò il viso e lanciò un urlo che per poco non gli fece saltare un timpano - AIUTO! UN PERVERTITO CON I BOCCOLI MI HA RAPITA! -
Il ragazzo si fermò di botto e tutti i presenti si voltarono verso di loro, guardandoli storto.
- Vooooi! Ma che cazzo ti prende?! - urlò lui - Mi hai quasi stonato! -
- Te lo avevo detto - bisbigliò lei - Mettimi giù! -
- Col cazzo! -
- Aiutatemi! Vuole stuprarmi! - aggiunse, a pieni polmoni, voltandosi verso i passanti più vicini.
- Ma non è vero! - sbottò lui.
- Allora mettimi giù! -
- Non badate a lei, è pazza - consigliò tranquillamente il ragazzo, aggiustandosela in spalla con un gesto e riprendendo a camminare - Sente le voci. È un pericolo per sé stessa. -
- Squalo! Lasciami andare! -
 
 
Marinette non sapeva cosa la facesse arrabbiare di più: essere stata portata di peso fin dentro casa o Dino che rideva da mezz'ora, accasciato sul divano. Lo avrebbe volentieri preso a calci se Bianchi non le avesse intimato di non muoversi se non voleva friggersi la nuca.
- Molto divertente, davvero - ringhiò, gelida, incrociando le braccia al petto. Dino si asciugò una lacrima tentando di respirare - Non posso... non posso credere... - balbettò a fatica - ...che ti sei messa a urlare davvero - finì, soffocando le risate nel cuscino più vicino.
- Sta' zitto - mugugnò lei arrossendo - Piuttosto, sono indignata: non credevo che i francesi fossero così egoisti. Non si è mosso un cane: metti che ero stata rapita per davvero? - sbottò, incredula.
- Beh, Squalo la faccia losca ce l'ha - commentò Bianchi, chiudendole l'acconciatura con i ferretti - Ma pur volendo lavorare di fantasia non penso che passerebbe per uno stupratore - aggiunse, passandole la piastra sulle ciocche lasciate davanti.
- Era la cosa più logica da dire: andiamo, un tizio che porta in spalla una ragazzina. Voi che avreste pensato? - chiese alzando un sopracciglio.
- Una povera anima innocente che deve sopportare gli scleri di una pazza isterica - rispose Squalo, entrando in salotto mentre si raccoglieva la lunga coda (miracolosamente liscia) con un elastico nero.
- Beh, dai... non puoi negare che fosse molto equivoca come cosa - notò Dino, sospirando a fondo per tornare serio.
- La colpa è tua! - lo accusò Marinette puntandogli il dito contro - Se non avessi fatto l'idiota non avrei dovuto fare quella figuraccia davanti tutta Parigi! - sbottò.
Squalo alzò gli occhi al cielo - Ma ti lamenti di tutto. -
La ragazza drizzò la schiena, indispettita - Io non mi sono mai lamentata di niente finché non sei arrivato tu! -
- Stai ferma, Marinette - l'ammonì Bianchi tirandole la frangia di lato.
Marinette sospirò, riabbandonandosi sulla sedia, riprendendo la calma.
- Tanto, oramai, dovrò abituarmi anche a questo - sospirò, accavallando le gambe e osservando le scarpe ai piedi del divano - Potevi prendere dei tacchi più bassi, eh - aggiunse, rivolta ai sandali d'argento che Bianchi le aveva preso da Agreste, - Non sono abituata - ammise con una smorfia.
- Ci prenderai la mano, vedrai - la tranquillizzò la donna finendo di sistemarle le ciocche davanti ed allontanandosi per osservare il proprio operato: le aveva alzato i capelli in una crocchia elaborata, con ciocche mosse che le ricadevano sulle guance e la frangetta che tendeva di lato scoprendo di più la fronte. Marinette rimase sorpresa quando si vide riflessa nello specchietto.
- Wow, Bianchi! - esclamò - È bellissima! -
La donna sorrise - Ti ringrazio. Me la cavo con queste cose - ammise, staccando la presa della piastra e lasciandola sul tavolino a raffreddare. Marinette si alzò dalla sedia e si lasciò cadere sul divano accanto a Dino, recuperando i sandali.
- Sperando di non rompermi qualche osso - commentò, allacciandosi i cinturini sulla caviglia.
- È tutta esperienza - commentò Bianchi infilandosi gli stivaletti neri sotto il vestito.
Chloé aveva detto che non era una serata elegante ma Bianchi aveva concordato sul fatto che non fosse il caso di andarci in jeans e camicia; così si era scelta un vestito bianco con motivi a fiori neri sul corpetto, parte della gonna e sulle maniche trasparenti, coronando il tutto con degli stivaletti neri a tacco alto, alzandosi i capelli in una crocchia. Marinette aveva dovuto ammetterlo: Bianchi stava bene con qualunque cosa, anche gli abiti un po' da maschiaccio che indossava di solito.
Dino si era limitato ad un completo giacca e cravatta di una tonalità più chiara di nero, anche se evidentemente la giacca fungeva solo da pezzo ornamentale visto che l'aveva abbandonata sulla spalliera del divano restando solo in camicia (che portava fuori dai pantaloni e con i primi bottoni aperti, con tanto di cravatta allentata). Insomma, nel quadro generale era sexy.
Squalo era in similar con un paio di jeans scuri e una camicia nera tenuta in modo più ordinato; si era limitato ad alzarsi i capelli in una coda con le ciocche davanti libere e non aveva rinunciato a portare i guanti neri.
Sì, era sexy anche lui, ma questo Marinette si astenne dal dirlo.
Bianchi, invece, aveva insistito perché comprasse un vestito da Agreste e lei non era riuscita proprio a dirle di no; di per sé l'abito era carino: leggero, sul bianco champagne, con le maniche lunghe fino agli avambracci e una gonna di tulle al ginocchio a quattro strati di differente lunghezza, così che a intervalli regolari vi era un bordino arricciato. Molto semplice e stretto in vita.
Marinette aveva riempito la scollatura con la catenina dell'anello e Bianchi le aveva cucito una borsetta a tracolla simile a quella che portava di solito, solo più piccola e sulle tonalità del vestito così che potesse tenerci tranquillamente il telefono, lo yo-yo (da cui oramai non si separava più) e Tikki.
Per Lal era stato più complicato poiché la bambina si era rifiutata di indossare il vestitino che lei stessa le aveva fatto su misura. Aveva confabulato qualcosa sulle gonne e i vestiti, mettendo in ballo anche l'accademia militare e un certo CEDEF... Bianchi non aveva voluto sentire storie ed era riuscita ad infilarla nel vestito, non senza problemi. Morale della favola: adesso Lal era seduta sulla poltrona con un vestito blu, un paio di ballerine coordinate, un fermaglio con una pietra abbinata sulla frangia e un'incazzatura colossale.
Marinette aveva preferito non dire niente dopo che la bambina aveva provato a trasformare Dino in un colabrodo, quando il ragazzo aveva cercato di farle un complimento.
- Beh, che ne dite di avviarci? - propose Dino alzandosi ed indossando la giacca, senza però abbottonarla.
Marinette si mise in piedi con cautela, facendo un paio di passi e constatando che, forse, se la sarebbe cavata - Ok, c'é la possibilità che non muoia - esclamò, sollevata, dirigendosi alla porta per recuperare la giacca.
- E io che ci speravo - sospirò Squalo, infilandosi la sua. Marinette gli lanciò un'occhiataccia.
- Non ti conviene provocarmi mentre indosso un paio di tacchi - lo avvisò.
- I tacchi: le armi predilette dalle donne - annuì Dino, saccente.
Lal si limitò ad un "Mh" incazzoso e saltò sulla spalla di Marinette avvolgendosi nel mantello. La ragazza fu l'ultima ad uscire chiudendosi la porta alle spalle e mettendo le chiavi al sicuro nella borsa. Sulle scale, però, esitò.
- Ho dei dubbi, sai? - ammise, osservando i gradini che non le erano mai sembrati così alti. Bianchi sorrise e la prese a bracetto.
- Tranquilla, è solo questione di abitudine - la rassicurò - Reggiti al corrimano in ogni caso. -
Marinette ubbidì e già alla seconda rampa dovette ammettere di starci prendendo la mano. O meglio il piede.
Fuori, poggiato a braccia conserte alla porche rossa, Roberto li stava aspettando con Romario in piedi al proprio fianco. L'uomo aprì la portiera e Dino e Squalo furono i primi a salire, Marinette, Bianchi e Lal li seguirono subito dopo.
Il viaggio fu breve e inutile dire che Squalo e Marinette lo passarono a litigare: ormai era diventato il loro quotidiano e Dino aveva rinunciato da giorni a farli smettere; Bianchi e Lal non ci avevano mai neanche provato.
Arrivati all'Hotel lasciarono la macchina al parcheggiatore ed entrarono. Vennero subito fatti accomodare nel salone di fianco l'atrio, completamente sgombro se non per quei pochi tavoli coperti dalle tovaglie bianche su cui sarebbero stati esposti i lavori dei concorrenti. Appena Marinette mise piede in sala venne presa d'assalto da Alya che le gettò le braccia al collo: aveva messo un vestito smanicato rosso scuro a gonna ampia che s'intonava perfettamente ai suoi capelli, arricciati per l'occasione.
- Tuo padre è già quì, ho dato una sbirciatina al suo lavoro e devo dire che è fantastico! - la informò tutto d'un fiato - Mia madre è tra i giudici, quindi sappiate che avete tutto il mio appoggio - aggiunse agitando il braccio sinistro e facendo ondeggiare la pochette cremisi appesa al polso - E sei stupenda! - aggiunse, squadrandola da capo a piedi.
- Oh... grazie, Alya, anche tu stai benissimo - sorrise Marinette ricevendo un pizziccotto affettuoso sulla guancia. Poi la ragazza spostò lo sguardo oltre la sua testa e un luccichio malizioso le illuminò gli occhi.
- Hai degli accompagnatori niente male - le bisbigliò all'orecchio, facendole l'occhiolino. Marinette arrossì leggermente dandole una gomitata sul braccio.
- Ne abbiamo già parlato, Alya - rispose esasperata. La ragazza sorrise.
- Sto scherzando, è troppo divertente vederti in imbarazzo - ridacchiò, per poi voltarsi al suo fianco quando vennero raggiunte da Nino.
- Ehi, sist', sei uno schianto! - esclamò il ragazzo, meravigliato.
- Anche tu, Nino - rise lei, battendogli il pugno. Il ragazzo si osservò lo smoking nero che indossava con una smorfia.
- Non ne voglio parlare - sospirò sconsolato.
- Il paparino non voleva certo che la sua polpettina ripiena andasse in giro vestito come un teppista - lo prese in giro Alya.
- Ah ah, spiritosa - commentò lui ironico - È tutto il giorno che mi bullizza - si lamentò poi, rivolto a Marinette, alzando infine lo sguardo verso il gruppo. - Sono tutti con te? - domandò.
- Ah, sì - rispose Marinette facendosi da parte - Alya, Nino loro sono... amici di famiglia - disse, indugiando sull'ultima frase - Bianchi, Dino, Squalo, Roberto e Romario. Di Lal vi ricorderete sicuramente - li presentò, indicandoli uno ad uno.
- Come dimenticarla - annuì Nino, salutando con la mano e ricevendo cenni in risposta - E tu devi essere il presidente dell'azienda di giocattoli - aggiunse rivolto a Dino, che alzò un sopracciglio perplesso.
- Il presidente di un'azienda di gioca... ? - cominciò, confuso, venendo interrotto da Squalo che gli diede una gomitata nelle costole, mozzandogli il respiro.
- Sì, sono io - mugolò, tenendosi il ventre. Marinette gli lanciò un'occhiata da "Ne parliamo dopo", mentre Squalo sembrava oscuramente compiaciuto del proprio operato.
- Quindi... dov'è Adrien? - chiese infine la ragazza, per sviare l'argomento, accorgendosi della sua assenza.
- Oh, beh, qualcosa mi dice che non lo vedremo molto stasera - sospirò Nino, indicando il fondo della sala - Suo padre ha deciso di venire ed è stato preso d'assalto dalla Créme di Paris - spiegò. Sporgendosi Marinette scorse la figura di Gabriel Agreste in piedi fra un paio di uomini dall'aria importante, che conversava tranquillamente. Accanto a lui, con l'espressione di chi non desiderava altro che essere altrove, Adrien era infilato in un completo bianco coordinato a quello del padre.
Si voltò verso di loro quasi per caso e rivolse un cenno di saluto con un mezzo sorriso che sembrava più una smorfia dispiaciuta; i tre ragazzi lo salutarono con la mano in risposta.
- Poverino - commentò Alya tornando a volgersi agli altri.
Dino, in piedi dietro Marinette, sospirò - Lo capisco, ricordo quando mio padre mi trascinava a cene o ricevimenti di lavoro - ammise - Una noia mortale. -
- Sono anni che io non partecipo più ad un ricevimento in famiglia - rispose Bianchi, incrociando le braccia sotto il seno - Da quando ho lasciato il castello sono sempre stata in giro per lavoro. -
Squalo si esibì in un verso di disprezzo - Oramai il boss manda me al posto suo per questo tipo di cose. Mi sale l'omicidio dopo neanche mezz'ora. -
Marinette sospirò - Che bello essere una comune mortale - commentò allegramente.
- Goditela finché puoi - le consigliò Squalo.
- Non portare sfiga - lo rimbeccò lei.
- Ah, eccovi! - esalò una voce alle loro spalle. Marinette si voltò e incontrò il profilo snello di Chloé scendere la scalinata di marmo, avvolta in un lungo abito azzurro perfettamente intonato ai suoi occhi. Si fermò davanti ai tre e li squadrò con aria di sufficenza.
- Troppo rosso - disse, con una smorfia, rivolta ad Alya che la guardò malissimo. Lei la ignorò e si voltò verso Nino - Mh... sufficiente - disse, volgendosi poi a Marinette - Si può accettare - decretò infine passando lo sguardo oltre. I suoi occhi si illuminarono. - Oh, quello è incantevole! - decretò compiaciuta rivolta a Bianchi.
- Grazie - rispose la donna, sorridendo cortesemente.
Chloé tornò a rivolgersi a Marinette - Tuo padre ti cercava, è nelle cucine - disse, indicando di malavoglia una porta in fondo alla sala - Digli di sbrigarsi, fra un'ora devono essere pronte tutte le creazioni: non si accettano ritardi – decretò, girando i tacchi e avviandosi verso un gruppetto di persone.
Dino incrociò le braccia al petto, osservando il profilo di Chloé allontanarsi velocemente - Sai, mi ricorda qualcuno - rimuginò.
- Sì. È un versione più raffinata del Boss - ammise Squalo, sinceramente stupito. Marinette aggrottò la fronte.
- Mi hai appena dato una ventina di motivi per non andare d'accordo con lui - commentò con una smorfia. Squalo si esibì in un "Tsk" di sufficenza.
- Tanto lui non va d'accordo con nessuno - informò.
- Ottimo - mormorò Marinette, facendo un cenno ai due amici ed incamminandosi verso le cucine; Squalo e Lal la seguirono senza fiatare. Nella stanza era un via vai continuo di uomini in divisa, un denso aroma di cioccolato pervadeva l'aria e varie sculture di ogni forma e colore facevano bella mostra di sé sui ripiani. Tom era in fondo alla cucina che lavorava ad una statua di cioccolato dall'aspetto sinistro.
- Che cosa sta facendo? - chiese Squalo, sbirciando da sopra la testa di Marinette.
- Non saprei - rispose lei aprendo definitivamente le porte per raggiungere il padre. Tom, che stava intagliando qualcosa nella scultura, si voltò verso di loro quando li vide arrivare.
- Oh, eccovi! - disse, rivolgendosi a loro con un sorriso - Assaggiate questo - aggiunse porgendo alla figlia un blocco di cioccolato ovale, piatto e doppio tre centimetri buoni: a giudicare dal colore era palese che fosse fondente, ma aveva delle leggere striature più chiare sulla superficie e un profumo dolciastro che si mischiava a quello del cioccolato. Marinette lo spezzò in tre parti uguali e fu allora che si accorse di ciò che vi era all'interno: tre sottilissimi strati di tre colori diversi, rosso, viola e verde, si alternavano al cacao.
- Che cosa sono? - chiese, passandone un pezzo ciascuno. Squalo addentò il suo senza troppi complimenti, per poi aggrottare le sopracciglia.
- Menta? - domandò, fissando il pezzo che gli restava.
- E mora - aggiunse Lal masticando il suo - Credo ci siano anche delle ciliegie. -
Marinette diede un morso al suo e sentì distintamente il sapore dei frutti di bosco mischiarsi soavemente a quello forte della menta e l'amaro del cioccolato.
- Papà, è delizioso! - esclamò, stupita - Hai intenzione di fare tutta la scultura così? - chiese, prendendone un altro boccone.
- Esatto! - rispose lui - Ho scelto i sapori che meglio si abbinavano tra loro e, visto che è San Valentino, ho progettato un'immagine che ritrae la Dea Venere! - aggiunse, entusiasta - È un po' complicata ma dovrei riuscirci in tempo - decretò, infine, osservando pensieroso la scultura ancora incompleta.
- Considerando che hai ancora un'ora - disse Marinette, finendo il proprio cioccolato.
- Non dovrebbero esserci problemi - annuì Tom, riprendendo la spatola.
Marinette sorrise - Buona fortuna, papà. Resta concentrato - disse, dandogli delle pacche affettuose sul braccio. Poi uscì con Squalo al seguito.
- Avere un padre pasticciere ha i suoi vantaggi - commentò il ragazzo, facendo sparire gli ultimi bocconi.
- Attento alla linea - lo prese in giro Marinette.
- La mia linea è perfetta! - si difese Squalo, crucciato, battendosi un colpo sul ventre piatto - Pensa alla tua. -
Marinette si voltò di colpo verso di lui, con gli occhi ridotti a due fissure - Stai dicendo che sono grassa? - chiese, minacciosa. Lui fece un passo indietro.
- Una volta Luss mi accennò di non dire mai una cosa del genere ad una ragazza - ricordò circospetto.
- Chissà perché? - commentò sarcastica Lal, da sopra la spalla della ragazza.
- Bisogna saperli accettare i pareri. E poi era un consiglio, non ho mai detto che sei grassa ma che potresti diventarlo - constatò lui, arrampicandosi palesemente sugli specchi. A volte sembrava che Squalo avesse seriamente paura di un possibile scatto d'ira di Marinette, per quanto la punzecchiasse di continuo non andava mai oltre un certo limite; Dino diceva che aveva la stessa reazione con Bianchi, Lal ed una certa Rea (un membro interno dei Vongola da quanto aveva capito), e Marinette credeva che forse il ragazzo aveva avuto qualche brutta esperienza con delle donne particolarmente violente.
- Ora capisco perché sei single - commentò.
Squalo la fissò seccato - Ah ah, spiritosa - la rimbeccò - Semplicemente non ho tempo da perdere con queste cose. -
- Oh, che peccato. E io che speravo di avere qualche possibilità - sospirò lei con teatrale delusione. Lui le tirò una delle ciocche sul collo, sorprendentemente scappata dall'acconciatura.
- Ma smettila - sbottò, ficcandola sotto la forcina più vicina - Non sprecherei lo stesso il mio tempo con una mocciosa come te - aggiunse pigramente.
- Ma chi ti vuole? - sbuffò lei, punzecchiandogli il fianco con un dito.
- Ehi, piccioncini! - li richiamò Bianchi dalle scale alle loro spalle, facendoli sobbalzare - Quando avete finito di tubare venite di sopra: c'è il buffet - li informò, salendo i gradini dietro il resto del gruppetto; Lal saltò giù dalla spalla della ragazza e raggiunse la donna. In risposta entrambi aggrottarono le sopracciglia.
- Non stavamo tubando - dissero in coro avviandosi verso le scale.
Al piano di sopra erano stati allestiti tre lunghi tavoli coperti con ogni sorta di vivanda e i camerieri giravano per la sala portando vassoi carichi di calici di spumante.
Marinette guardò dubbiosa un ragazzo passarle di fianco e metterle un bicchiere tra le mani nel mentre. Ma lo reggeva da a malapena due secondi che Squalo glielo sfilò velocemente, poggiandolo poco delicatamente su un vassaio di passaggio.
- Dare alcool ad una minorenne, che incompetenti - sbottò, portandosi il suo calice alle labbra. Marinette sbatté un paio di volte le palpebre, osservando l'uomo che la sovrastava di quasi venti centimetri fissare torvo il resto della sala, e si portò le mani dietro la schiena intrecciando le dita tra di loro. Ed erano di nuovo punto e a capo, come sempre: un attimo prima era lì che la punzecchiava sadicamente e senza rancore, quello dopo la trattava come una bambina che ha bisogno di attenzioni. Lo aveva notato fin da subito quel cambio di comprtamento nel ragazzo, si era accorta del suo sbraitare di meno, dell'inclinazione a intavolare discorsi tranquilli, come ogni tanto le raccontasse qualche anneddoto sulla sua vita, le descrivesse il resto dei Varia, sopportava addirittura i suoi scleri (facendo battute acide in sottofondo, certo, ma comunque l'ascoltava) o l'accompagnava ovunque quasi fosse lui la sua guardia del corpo e non Bianchi. Eppure il suo essere constantemente incazzoso non si era intaccato neanche un po', facendolo apparire antipatico ed iperprotettivo allo stesso tempo.
Ed era inutile anche solo fare congetture, pensieri o ipotesi ormai si era arresa: lei, Squalo, non lo avrebbe mai capito.
Il ragazzo si era voltato verso di lei, dopo aver svuotato mezzo bicchiere in un moto di stizza, e aggrottò le sopracciglia.
- Cosa? - chiese.
Marinette scrollò le spalle - Pensavo – rispose, spostando lo sguardo verso uno dei tavoli del buffet dove Alya e Nino stavano discutendo su qualcosa dall'aria piuttosto divertente con Dino. Incurvò leggermente le labbra in un sorriso guardandoli ridere e scherzare, rendendosi conto di quanto le facesse piacere vedere le persone più importanti della sua vita così in sintonia tra di loro. Poco più in là vi era Sabine, avvolta in un sobrio completo cinese, che conversava con la madre di Alya e un uomo che non riuscì a identificare. Solo in quel momento si rese conto del fatto che loro quattro e Chloé, in quel momento non presente, erano gli unici ragazzi invitati al ricevimento.
- Benvenuta in società - la riscosse Squalo, facendo sparire il bicchiere ancora mezzo pieno sul primo vassoio di passaggio con una smorfia disgustata - Abituatici, ti ci ritroverai spesso in situazioni del genere - aggiunse. Marinette gli lanciò un'occhiata, poggiandosi al pilastro di marmo alle sue spalle, per poi tornare a rivolgerlo alla sala.
- Date tutti per scontato che diverrò sul serio un membro della Famiglia - commentò, congiungendo le mani davanti a sé e poggiandole sulla gonna - Stando a quanto dice Lal se non dovessi superare anche solo una delle prove dei Guardiani sono fuori - ricordò.
Squalo non rispose subito, incrociando le braccia al petto e poggiandosi al pilastro accanto a lei, tenendo gli occhi fissi davanti a sé. - Io non mi preccuperei - disse, apatico - Sono pur sempre dei mocciosi: ti ritroverai dentro prima ancora di poter dire "Vongola". -
- Sai, penso che sia questo a preoccuparmi maggiormente - ammise Marinette.
- Più andiamo avanti più sono della convinzione che ti troveresti benissimo con loro - ammise Squalo voltandosi verso di lei, riferendosi ai ragazzi che componevano la Famiglia di Tsuna - Sul serio. -
- Questo dovrebbe confortarmi in qualche modo? - chiese lei, perplessa. Il ragazzo alzò le spalle.
- Dipende dai punti di vista - rispose, adocchiando un cameriere che passava davanti a loro portando un vassoio di dolci. Allungò pigramente un braccio e recuperò un piatto. - Macaròn? - offrí. Marinette osservò i dolci colorati all'interno con titubanza.
- Io sì, grazie - esalò una vocina dalla sua borsetta attirando l'attenzione. La ragazza sorrise e prese un biscotto facendolo scivolare con nonchalance nella borsa.
- Buon appettito - bisbigliò. Tikki le sorrise e sparì tra le pieghe della stoffa; Squalo, nel frattempo, ne aveva già mangiati sei ma sembrava un po' più pallido del solito.
- Ehi, stai bene? - chiese Marinette, preoccupata, poggiandogli una mano sul braccio per attirare la sua attenzione. Squalo si passò l'indice e il pollice sugli occhi, lievemente umidi, e annuì.
- Non reggo bene l'alcol - ammise con un sospiro.
- Non era neanche mezzo bicchiere - notò lei, incerta.
- Appunto - rispose lui, sbattendo più volte le palpebre - Il medico mi ha ordinato di non berne neanche una goccia. Non è un problema per me: mi fanno schifo gli alcolici. -
- E allora perché l'hai bevuto? -
- Ero nervoso. -
- Certo che bisogna essere veramente stupidi. -
- Voooi! Ma sta' zitta - bofonchiò lui buttando giù un altro biscotto.
- Non è ingozzandoti di macaròn che risolverai la cosa - gli fece notare Marinette.
- Sono depresso e ho voglia di affogarmi nei dolci, problemi? - ringhiò.
- Mi chiedo cosa sarebbe successo se ti fossi scolato l'intero bicchiere - commentò la ragazza, sfilandogli il piatto di mano ed afferrandolo per l'avambraccio, guidandolo attraverso la sala. Stranamente Squalo non protestò
- Non penso tu voglia saperlo - borbottò - Bel ha detto che non è divertente. -
 
 
Marinette sapeva benissimo che lei non doveva trovarsi lì dentro. Eppure, in quel momento, non gli importava granché del cartellino appeso oltre la porta ad indicare che quello era il bagno degli uomini.
L'unico rumore che si sentiva era l'acqua corrente del rubinetto sul quale Squalo era piegato, intento a sciacquarsi il viso.
- Beh, è una fortuna che tu non possa bere alcolici: ti risparmi un sacco di problemi al fegato - commentò poggiata al ripiano di marmo scuro nel quale erano incastonati i lavandini. Squalo chiuse il rubinetto e sospirò, accettando l'asciugamano che lei gli porgeva, asciugandosi il viso.
- Sì, è più o meno quello che dico al Boss ogni volta - ammise, con il viso nascosto nel panno - Ha preso pessime abitudini da quando... beh, ha dovuto rinunciare al ruolo di Boss - aggiunse, piegandolo alla meno peggio e gettandolo nel cestino della biancheria sporca poco distante.
- Quanti anni hai detto che ha? -
- Beh... tecnicamente ventiquattro, ma dato che è rimasto ibernato per un bel po' ne dimostra ancora sedici - rispose lui, sfilandosi l'elastico nero così che i capelli gli ricadessero sulle spalle.
- Non fa bene bere tanto a questa età - concordò lei.
- Prova a spiegarglielo e ti tira dietro tutto il minibar - sbuffò lui, raccogliendo la lunga chioma albina per rifarsi la coda. - Credo che sia anche un po' depresso per alcuni problemi di cuore, ultimamente - confidò. Marinette inarcò un sopracciglio, stupita.
- Cosa? - chiese. Avevo sentito parlare di Xanxus da Dino, certo, e non tutto quello che le era stato detto era positivo; anche Squalo, che era una delle persone più vicine a lui, non ne parlava esattamente bene. Insomma, da quello che aveva capito Xanxus era: cinico, arrogante, egoista, egocentrico, sadico, piuttosto violento, con manie di grandezza e leggermente omicide e molto pericoloso. Pur volendo farsi tutte le seghe mentali di questo mondo Marinette non riusciva ad avere una visione di un tipo del genere che si dà all'alcol per non essere stato ricambiato da una ragazza. - Ma sul serio fai? -
- Non conosco i dettagli - ammise lui avvolgendo l'elastico intorno alla coda - Ma ho sentito dal Nono che il Boss era sembrato molto interessato a qualcuno nel periodo antecedente alla rivolta: bisogna anche tener conto del fatto che, anche se è rimasto congelato per otto anni, per lui è come se fossero passati pochi mesi da quel giorno, quindi se provava qualcosa deve essere così anche ora.
Comunque non so né chi sia né tantomeno se sia davvero così, anche se non dubiterei della parola del Nono: si dice che abbia il potere di guardare dentro le persone e capire i loro veri sentimenti - concluse, stringendo l'acconciatura.
Marinette ci rimuginò un po' su, ancora lievemente perplessa - Ma quella persona, sempre ammesso che ci sia, deve essere cresciuta no? - chiese.
- Mi sembra scontato. -
- E questo... ehm... Xanxus non mi sembra il tipo che s'invaghisce della prima tizia che passa. Magari era qualcuno vicino a lui o... comunque che conosceva bene - ipotizzò. Squalo fissò il suo riflesso nello specchio pensandoci attentamente - Beh... - iniziò, lentamente - mettendola così mi viene in mente solo una persona ma è da escludere a prescindere - informò, voltandosi a guardarla - Una tipa strana, sempre sulle sue. Era ancora una mocciosa quando ci fu il colpo di stato e il Boss per poco non la fece fuori quando si mise tra lui e il Nono. Lo odia a morte, farebbe di tutto per avere la sua testa, ma da quando il Nono ci ha fatti tornare in servizio dopo la Battaglia per gli Anelli siamo stati riconosciuti come Squadra Indipendente dalla nuova generazione: siamo nei Vongola ma siamo un'organizzazione a sé stante. In parole povere ha rinunciato a tentare di fargli la pelle per rispetto verso il Nono ma lo odia lo stesso - spiegò.
- Lei odia lui. Non il contrario - notò Marinette.
- Il Boss odia tutti. -
- Come fai a dirlo? Magari le sue pene vengono proprio dal fatto che lei lo odi per averla quasi uccisa, mentre lui prova davvero qualcosa per lei. -
Squalo incrociò le braccia al petto, fissandolo dall'alto in basso. - Conosco il Boss da anni - disse, dopo qualche attimo di silenzio - Ci sono cose che neanche io so, lo ammetto, ma so come è fatto caratterialmente e quale sia il suo modo di pensare. E adesso tu, che non sai neanche che aspetto abbia, mi vieni a dire che è innamorato di una ragazza, che neanche conosci, da quasi dieci anni dopo che ti ho detto che l'ha quasi uccisa durante un colpo di stato alla sua stessa Famiglia? - chiese, sinceramente stupito. Marinette alzò le spalle.
- Ho solo fatto un'ipotesi in base alle informazioni che ho avuto. Tutto qui. -
Squalo alzò un sopracciglio, infine sospirò - Lasciamo perdere, comunque: so per esperienza che è meglio non mettere il naso negli affari personali del Boss - consigliò, staccandosi dal lavandino e avviandosi alla porta. Marinette lo seguì a ruota e ritornarono in sala.
- Con rispetto parlando... voi sapete che il fatto che siete entrambi usciti dal bagno degli uomini suona molto equivoco, vero? - chiese una voce alle loro spalle. Entrambi si voltarono, scorgendo Nino in piedi vicino al tavolo.
Marinette arrossì capendo a cosa si stesse riferendo il ragazzo. - Non si era sentito bene - mugugnò in risposta, imbarazzata, indicando Squalo.
- Oh, non sia mai che dubiti di te - si affrettò a rispondere lui, sorridendo - Ma chi non ti conosce potrebbe pensare male. E... anche chi ti conosce - aggiunse, trattenendo una risata. Marinette non capì subito ma le bastò gettare uno guardo oltre Nino perché le fosse tutto chiaro: Alya la guardava da sopra un bicchiere di aranciata facendole l'occhiolino, maliziosa.
- Quella ragazza è una maniaca - commentò Squalo, etereo.
- Oddio, Alya - gemette Marinette portandosi una mano alla fronte. Nino rise.
- Dovete fare attenzione a dove vi appartate - ammiccò, divertito.
- Nino, per favore, non darle corda - sospirò la ragazza.
- Altrimenti s'impicca? - chiese Squalo innocentemente.
Marinette si voltò lentamente verso di lui, sbattendo le palpebre - Questa era squallida anche per te. -
Nino trattenne una risata e scosse il capo - Fra poco scendiamo, verranno mostrate le sculture. Occhio a non perdervi - avvertì, superandoli per raggiungere il padre nell'altro capo della sala.
- Adesso dovrò sopportare i commenti di Alya per tutta la sera - sospirò la ragazza, rassegnata, incamminandosi verso l'amica.
Squalo esitò a seguirla - Io continuo a pensare che sia una pervertita - ammise, per poi raggiungerla. Alya, però, si astenne dal fare battutine maliziose e passarono gli ultimi dieci minuti a chiacchierare pacificamente con lei, Dino, Romario e la signora Césair. Poi tornarno di sotto.
- E comunque è possibile che torni in Italia la prossima settimana - informò Squalo, già a metà strada. Marinette alzò gli occhi su di lui, di scatto, spalancandoli.
- Cosa? - chiese sorpresa, badando poco a dove metteva i piedi: il tacco della scarpa sinistra sbatté contro il gradino e lei rischiò di fare un volo assurdo giù dalle scale se Squalo non l'avesse afferrata per il braccio di riflesso, trattenendola.
- Ahi - sibilò lei, con una smorfia, ritirando l'arto: il ragazzo l'aveva presa proprio sull'avambraccio ferito.
- Scusa - rispose lui, alzando la manica per controllare che le bende non si fossero sporcate di sangue segno che la ferita si era riaperta. Fortunatamente non fu cosí. - Ho avuto l'ordine di rientrare. Bel ha detto che dovrò restare per qualche giorno - continuò, risistemandole il vestito - Ma è probabile che rimanga di più. -
Marinette alzò gli occhi su di lui d'un tratto svuotata da tutto il buon umore che l'aveva accompagnata in quei giorni, non badando minimamente al taglio di tre centimetri di profondità che le bruciava in maniera non indifferente.
- Quindi non torni? - domandò.
Squalo incrociò il suo sguardo, perdendo parte della sua aura incazzosa e restando semplicemente serio. - Non ho detto questo - rispose - Solo... non so quanto ci vorrà. -
Marinette non replicò, non sapendo assolutamente come rispondere, sentendosi all'improvviso vuota e con una spiacevole fitta alla bocca dello stomaco. Sapeva che Squalo non sarebbe rimasto lì in eterno, era consapevole del fatto che prima o poi sarebbe tornato in Italia, com'era giusto che fosse, e all'inizio non ce lo aveva neanche voluto in casa... eppure il solo pensiero di dover stare senza di lui, anche se solo per pochi giorni, la metteva addosso una gran tristezza.
Squalo continuò a fissarla intensamente poi fece scorrere l'arto sotto il suo prendendola sottobraccio, risvegliandola dai suoi pensieri.
- Vediamo di farti tornare giù intera - borbottò lui, accompagnandola per la restante rampa di scale. La ragazza non protestò ma si lasciò guidare giù per i gradini, cercando di non arrossire quando sentì il lieve sussurro di Bianchi alle loro spalle: - Ma quanto sono carini? -
 
 
 
Monsieur Praline.
Era così che il sindaco aveva annunciato il vincitore del concorso. Certo, Tom non aveva vinto ma si era classificato terzo, una posizione non indefferente, e Dino aveva potuto mangiare cioccolato in quantità anomale senza dover dare conto a nessuno, con sua immensa gioia. Marinette aveva giusto dato un assaggio ad ogni composizione, sentendo lo stomaco stranamente pesante sebbene non avesse effettivamente toccato cibo per tutta la sera, e Squalo non aveva perso occasione per rifilare di nascosto un pezzetto di cioccolato nella borsetta della ragazza ogni volta che poteva: quando si trattava di dolci Squalo, Dino e Tikki raggiungevano una complicità mistica che faceva quasi paura.
- Qualcuno non l'ha presa bene - commentò Dino portandosi un bicchiere d'acqua alle labbra, adocchiando i cuochi rimasti che si ritiravano nelle cucine affranti.
- Ci manca solo che Papillon decida di akumizzarli tutti - rispose Marinette con un sospiro, poggiandosi al bordo del tavolo.
- Che si prenda una vacanza, ogni tanto - rimbeccò Squalo, ricordando con disappunto che dal giorno del servizio fotografico gli attacchi akuma si erano fatti più frequenti del solito.
- Oh, sì, l'ultima volta gliel'ho consigliato - ammise la ragazza, annuendo.
- A proposito - disse d'un tratto Dino, come se si fosse improvvisamente ricordato di una cosa - devo ancora capire perché i tuoi amici hanno passato gran parte della sera a chiedermi della mia presunta azienda di giocattoli - ricordò, vagamente divertito.
- Ehm... è un po' complicato da spiegare - ammise Marinette, imbarazzata - È stata un'idea di Tikki, comunque - aggiunse per precisare.
- Scaricabarile! - l'apostrofò il kwami, agitandosi nella borsetta.
- Ma è vero! - ricordò lei, piccata, spostando lo sguardo in un angolo della sala dove Nino ed Adrien, miracolosamente liberatosi del padre, stavano parlando. Nino gli batté delle pacche di conforto sulle spalle e il ragazzo sorrise, prima che Chloé, avvolta nel suo svolazzante vestito azzurro, gli gettasse le braccia al collo iniziando a civettare.
Di solito una visione del genere avrebbe destato il lato peggiore di Marinette, ovvero quello geloso, invece in quel frangente, con Dino che rideva di fronte a sé e Squalo poggiato accanto a lei che commentava la loro mancanza di inventiva, pensò che non valeva la pena andare a fare una scenata inutile se significava allontanarsi da loro. Sorrise anche lei e si rivolse allo spadaccino.
- Non hai mai sentito le mie giustificazioni di ritardo a scuola - commentò.
- Oh, quelle sì che andrebbero segnate per le generazioni future - disse divertita Alya, apperendo alle loro spalle mentre si versava un bicchiere d'acqua.
- Va beh, adesso non esageriamo - mormorò la ragazza, imbarazzata, voltandosi a guardarla.
- Oh, dai, vogliamo parlare del tuo "Il cane mi ha mangiato i calzini e ho dovuto portarlo dal veterinario"? - ricordò, ridacchiando nel bicchiere. Marinette arrossì violentemente.
Dino aggrottò le sopracciglia - Tu non ce l'hai un cane - ricordò, perplesso.
Alya rise - Appunto. -
- Ehi, è la prima cosa che mi è venuta, va bene? - borbottò lei, incrociando le braccia al petto.
- E ti credono? - chiese Squalo meravigliato.
- Me ne stupisco anche io - annuì lei, guardando oltre il tavolo. Lo sguardo le cadde alle spalle di Alya, verso la porta della cucina, e inarcò le sopracciglia: uno strano fumo grigio si stava alzando dallo spiraglio sotto la porta, presagendo solo il peggio.
- Oh, cavolo - sussurrò, drizzandosi. Dino e Squalo seguirono il suo sguardo: il primo impallidì, il secondo imprecò.
- Cosa? - chiese Alya, voltandosi anche lei... ma appena lo fece la porta venne spalancata e diversi cuochi corsero fuori, terrorrizzati, prima che dei raggi bianchi attraversassero il fumo e li colpissero, tramutandoli in sculture di cioccolato.
- Ma non è possibile! - sbottò Squalo, afferrando Marinette per un braccio e trascinandola via dal tavolo.
- Vieni! - Dino prese Alya per le spalle e seguì i due verso le uscite, dove nel frattempo si erano accalcati gli astanti. Ma Marinette deviò dietro un pilastro, sfuggendo alla presa di Squalo che si fermò di colpo in mezzo alla folla non trovandosela più tra le mani.
Nel contempo dalle porte della cucina era uscito l'ennesimo akuma: era uno dei maître che aveva partecipato alla gara, con la divisa bianca da cuoco più simile a quella di un samurai e un lungo cappello azzurro. Tra le mani stringeva una sac â poche a forma di pistola... o forse era una pistola a forma di sac â poche?
Marinette sgusciò fuori da dietro il pilastro e si diresse verso i bagni, dall'altra parte della sala, abbassandosi per schivare un raggio diretto a lei ma che colpì il muro facendolo in parte crollare.
L'akuma ringhiò e puntò la sacca verso il soffitto, sparando in otto punti diversi, colpendo anche diversi pilastri portanti. Marinette non si accorse di quello che stava succedendo finché, da qualche parte nella folla dietro di lei, non si levò la voce di Bianchi sovrastare le altre.
- Marinette! -
La ragazza fece appena in tempo a voltarsi ed alzare lo sguardo che vide profonde crepe formarsi sulle pareti, il soffitto si ripiegò su sé stesso e un paio di pilastri cedettero. Fu tutto molto confuso e veloce: Marinette vide distintamente l'edificio crollarle addosso prima che un'ombra la sovrastasse, sentì un braccio cingerle la vita e una mano poggiarsi sulla sua nuca, avvertì un profumo vagamente familiare quando il viso le venne premuto a forza contro una spalla e venne spinta indietro.
Sentì il proprio corpo venire a contatto con il freddo del pavimento, un rumore assordante riempirle le orecchie e le urla spaventate degli astanti. Il richiamo lontano di Dino fu l'ultima cosa che udì poi scese il buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note🎶:
32Rea Rainsworth, un personaggio di The Third Family.
 
Angolo autrice:
come già anticipato sulla pagina facebook, ho dovuto dividere in due questo capitolo perché troppo lungo (cioé, oltre 9.000 parole e non sono nemmeno a metà degli eventi, rendetevi conto) pertanto cercherò di postare il capitolo 16 tra domani e dopodomani, salvo imprevisti.
Che dire: Marinette non avrà vita facile, stavolta, e ne succederanno di tutti i colori sia durante che dopo. Ma non anticipo nulla.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook https://www.facebook.com/bambolinarossa98/">Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 2!
Baci,
bambolinarossa98
 

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Capitolo 16
*** Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 2 ***


REVISIONATO IL 12/06/2019



Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 16. Il mio San Valentino all'insegna della morte - Parte 2
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 7.911
 
 
 
 
 
Marinette non seppe dire con certezza quanto tempo passò. Quando riprese conoscenza il salone era immerso nel buio e c'era un silenzio quasi inquietante. Si mosse leggermente, sentendo un grande peso gravare su di lei e alzò la testa, prendendo una boccata d'aria e intonaco.
Tossì la polvere andatale di traverso e tastò con mani incerte ciò che le stava sopra, affondando le dita nelle pieghe della stoffa di una camicia su un paio di fianchi senza dubbio maschili. E per un attimo Marinette ebbe davvero paura.
Aprì gli occhi esitante, attenta alla polvere che aleggiava nell'aria, e la prima cosa che incontrò furono delle lunghe ciocche di capelli che le bloccavano parte della visuale; impossibile non sapere di chi fossero.
- Sq-Squalo...? - annaspò, con voce roca e il respiro soffocato. Le bruciavano tantissimo la gola e il petto e sentiva delle dolorose fitte al ginocchio destro; la gamba sinistra era quasi completamente addormentata. Dal ragazzo, però, non ebbe nessuna risposta. - Ehi! Squalo! - esclamò, a voce più alta, iniziando a sentire il panico farsi strada dentro di lei: se gli fosse successo qualcosa per colpa sua non se lo sarebbe mai perdonata.
Dopo pochi attimi, però, un lieve gemito si levò da un punto vicinissimo al suo orecchio e Squalo si mosse leggermente.
- Quanto sei rumorosa... - mormorò, facendo scorrere le braccia da sotto la sua schiena per poggiare le mani sul pavimento e fare leva, cercando di alzarsi - ...ci sento benissimo - ricordò, alzando il viso sul suo: nell'impatto i capelli erano scivolati via dall'elastico lasciandoli ricadere sciolti oltre le sue spalle, sfiorando il pavimento e il volto della ragazza. Marinette vide un angolo della frangia, sulla sinistra, sporco di sangue e si allarmò.
- Sei ferito! - constatò, alzando una mano per scostargli i capelli e scoprendo così un lungo taglio sulla fronte, che scendeva fino allo zigomo.
Squalo si sottrasse dalla sua presa, voltando lo sguardo di lato - È solo un graffio - tagliò corto.
Marinette strinse le labbra, stizzita - Anche quello è solo un graffio? - chiese, gelida, indicando la spalla sinistra del ragazzo: la camicia nera era squarciata e macchiata di sangue.
- Sto bene - rispose lui, evasivo, benché fosse pallidissimo in volto - Usciamo di quì. -
Marinette all'inizio non capì cosa intendesse poi guardò meglio oltre la spalla di lui e gelò: non se n'era resa subito conto ma erano parzialmente sepolti dalle macerie, probabilmente era crollato loro addosso l'intero soffitto. Ma se lei se l'era cavata con qualche fitta alle gambe, Squalo aveva preso tutto il peso su di sé avendole praticamente fatto da scudo col proprio corpo.
- Come pensi di... - annaspò lei, atterrita dallo spettacolo che le si parava di fronte. Squalo, però, afferrò i cumuli che gli gravavano sulla schiena con entrambe le mani e, aiutandosi con le spalle, fece sfoggio di una forza che non ci si sarebbe mai aspettati dalla sua corportatura esile, riuscendo ad alzarli di qualche centimetro buono, non senza sforzo.
- Esci - ringhiò, quando si rese conto che lo spazio era sufficente a farla scivolare via - Sbrigati! - aggiunse, non vedendola muoversi.
Marinette esitò, poi si alzò sui gomiti sgusciando da sotto il suo corpo e si mise in piedi. Cercò quindi di aiutarlo a uscire, sebbene con qualche difficoltà: una sola mossa falsa e sarebbe rimasto lí sotto.
- Sei sicuro di stare bene? - domandò, aiutandolo ad appoggiarsi ad una parete ancora intatta, e inginocchiandosi accanto a lui.
- Sì - ripeté lui, con un sospiro - Tu? Sei ferita? -
Marinette esitò - No - rispose - Sto bene - poi si guardò intorno: il salone era ingombro di macerie e tavoli, una grossa voragine aveva preso il posto del soffitto, le scale e la porta d'uscita erano bloccate. Non vi era nessuno. Si portò una mano alla borsetta ed aprì la zip, controllando che Tikki stesse bene: il Kwami sembrava stordito ma le regalò un sorriso rassicurante per dirle che stava bene.
- Siamo bloccati qui? - sospirò Squalo, incredulo. Marinette fece vagare lo sguardo per la sala.
- No, la porta della cucina è libera - notò.
- Vuoi farti un panino? - chiese Squalo, scettico. La ragazza gli rivolse un'occhiata seccata.
- La cucina ha il montacarichi - spiegò - Possiamo salire ai piani superiori e cercare un'altra uscita - aggiunse, alzandosi e porgendgli la mano - Ho affrontato abbastanza akuma in questo hotel da conoscerlo meglio dei proprietari - abbozzò un sorriso.
Squalo esitò, poi afferrò la mano che gli veniva offerta e si alzò. Marinette lo vide sbiancare di colpo e piegare il busto in avanti, imprecando a denti stretti quando si portò una mano alla base della schiena.
- Cosa? - domandò lei, allarmata, avvicinandosi per sorreggerlo.
- Niente - ringhiò lui, con il fiato corto, provando a mettersi di nuovo dritto ma era palese che ci fosse qualcosa che non andava.
- Ti fa male la schiena? - insisté Marinette, portando una mano su di essa.
- Ho detto che non è nien... - ripeté lui, cercando di sottrarsi alla sua presa, ma la ragazza lo trattenne per l'orlo della camicia iniziando ad innervosirsi.
- Piantala di fare lo stupido! - sbottò con veemenza.
- Esiste una cosa chiamata orgoglio maschile - rispose lui, restìo.
- Io la chiamo idiozia - lo rimbeccò lei, facendosi passare il suo braccio sano dietro il collo e sorreggendolo per la vita - E ora cammina! - ordinò, guidandolo verso l'altro lato della sala. Squalo borbottò qualcosa, riluttante, ma arrancò dietro lei, leggermente instabile sulle proprie gambe.
Marinette aprì le porte della cucina con un piede, notando il caos che vi era all'interno, e trascinandosi fino al montacarichi.
- Angusto - commentò il ragazzo, alzando la saracinesca sul piccolo ascensore nella parete.
- Non è fatto per trasportare persone - rispose Marinette - Ma io e Chat lo abbiamo usato diverse volte e non è così scomodo - disse.
Squalo inarcò un sopracciglio - Certo... se non sei alto un metro e ottanta - ricordò, sarcastico.
- Dovremmo arrangiarci - sospirò lei - Vai prima tu - aggiunse, sfilandosi dalla sua presa.
- Stavo per dirlo io. -
- Non ricominciare. Sali! - lo ammonì la ragazza, minacciosa. Squalo sembrò sul punto di ribattere, infine sbuffò e si infilò nel montacarichi, rannicchiandosi dolorosamente per riuscire ad entrarci. Marinette pigiò il pulsante sulla parete e lo vide sparire oltre il soffitto; meno di due minuti dopo, l'ascensore tornò giù.
Si tolse le scarpe e chiuse i centurini, legandoli al filo della borsetta, poi s'infilò nel montacarichi e diede un colpetto al bottone. Quando l'ascensore si fermò si ritrovò nel corridoio del quarto piano: Squalo era poggiato allo stipite di una delle porte di fronte ma non era solo.
La ragazza spalancò gli occhi, stupita, quando scorse la figura di un ragazzo infilato in una tuta nera uscire dalla camera con un fazzoletto bagnato in mano.
- Chat Noir! - esclamò. L'eroe alzò gli occhi su di lei, sentendosi interpellato, e sorrise.
- Ehi! - salutò, facendo un cenno con la mano, porgendo il panno a Squalo - Situazione pericolosa, eh? - commentò.
Marinette fece una smorfia, osservando il ragazzo pulirsi la ferita sul viso, e sospirò - Molto - acconsentì in un mormorio, sporgendo le gambe oltre la finestrella e scendendo con un salto. Appenna poggiò i piedi nudi sul tappeto, però, il vestito le rimase impigliato nella saracinesca, alzandosi. Marinette arrossì violentemente e si abbassò la gonna di scatto.
- Non guardate! - ordinò, abbassando lo sguardo.
I due ragazzi erano rimasti impietriti sulla soglia ma se Chat aveva voltato lo sguardo di lato, Squalo si era limitato ad aggrottare la fronte.
- Non ho visto niente! - borbottò l'eroe, portandosi le mani davanti al viso con un accenno d'imbarazzo sulle gote.
- Hai davvero le mutande con le coccinelle? - chiese Squalo, perplesso.
Marinette sgranò gli occhi, incredula - Squalo! - esclamò indignata.
Il ragazzo si tolse il sangue dalla fronte, indifferente - Tanto si è visto tutto - informò.
- Ma... non... - balbettò lei, allucinata - ...non c'era bisogno di fare commenti al riguardo - mormorò, imbarazzatissima.
Squalo alzò gli occhi al cielo - E poi ti lamenti se ti chiamo mocciosa. -
- Chiamasi pudore!  - lo rimbeccò lei, stizzita.
- Io mi riferivo alle coccinelle - rispose lui, come se fosse ovvio.
Marinette lo guardò malissimo, ma prima che potesse rispondergli per le rime Chat intervenne, schiarendosi la gola - Per quanto la conversazione possa essere interessante, e non dubito che lo sia, non penso che sia saggio restare quì - disse, attirando l'attenzione - L'Akuma è ancora in giro e potrebbe essere pericoloso per voi. -
Squalo alzò le sopracciglia in un espressione scettica e Marinette sospirò - Giusto - intervenne, con fin troppa enfasi, avvicinandosi a lui e afferrandolo per il braccio, aiutandolo a reggersi - Quindi... tu vai pure a fare il tuo lavoro mentre noi usciamo di quì, eh - sorrise allegra, tirandosi il ragazzo nel corridoio, ma non fecero due passi che il ragazzo si parò dinnanzi a loro.
- Lasciate che vi accompagni, almeno - si offrì - Le uscite principali sono bloccate, ma le scale antincendio non sono lontane. -
I due ragazzi si scambiarono un'occhiata, titubanti - Ehm... non ce n'è bisogno, davvero... - iniziò Marinette.
- Senti, posso capire che la tua vena da supereroe t'imponga di fare il buon samaritano, ma alla mia età penso di poter benissimo badare a me stesso e ad una ragazzina - sbottò Squalo, spazientato. Marinette gli tirò una gomitata.
- Squalo, piantala! - lo ammonì con un'occhiataccia.
Chat sembrò un tantino turbato - Io non volevo assolutamente... - mormorò, incerto.
- Perdonalo, Chat... è fatto così, non ci si può far nulla - sospirò Marinette, rassegnata.
- Voooi! Che cosa vorresti dire con questo? - esclamò lui, voltandosi a guardarla offeso.
- Che proprio non sai cosa sia il tatto e l'educazione - lo rimbeccò lei, secca.
- Io lo so benissimo, mi sono semplicemente rotto le palle di queste situazioni del cazzo! È una settimana che andiamo avanti a rincorrere farfa... -
Marinette sgranò gli occhi, rendendosi conto di cosa il ragazzo stesse effettivamente per dire, e sussultò lasciandolo andare di colpo. Lui, perso l'appoggio e già instabile sulle proprie gambe, crollò col sedere sul tappeto come un sacco di patate.
Lei ci mise un po' a capire cosa avesse fatto e si portò le mani alla bocca, sbigottita - Oh, misericordia... scusa! - esclamò, inginocchiandosi al suo fianco, preoccupata - Stai bene? -
Squalo strinse gli occhi per un secondo e Marinette pensò che si stesse trattenendo dall'urlarle contro... oppure, semplicemente, la stava mentalmente insultando in tutte le lingue che conosceva. Poi sospirò a fondo - No, figuriamoci, era solo l'unico punto che non mi faceva male. Giusto così, per dire - borbottò sarcastico.
Marinette si morse il labbro, dispiaciuta, e lo prese per l'avambraccio aiutandolo ad alzarsi - Forse è meglio se usciamo sul serio da quì - constatò, lasciando che si appoggiasse a lei con qualche malcelata smorfia di dolore: era evidente che avesse bisogno di cure e piuttosto urgenti anche. - Senti, Chat, apprezziamo il pensiero, sul serio, ma ce la caviamo da soli - disse, seria, voltandosi verso di lui - Davvero - aggiunse in risposta al suo sguardo titubante - Tu occupati dell'Akuma, sono sicura che Ladybug arriverà presto ad aiutarti - lo rassicurò, anche se era consapevole di stargli dicendo una mezza bugia: lo avrebbe raggiunto, certo, ma prima doveva assicurarsi che Squalo finisse nelle mani di un medico il prima possibile. E non sapeva quanto tempo ci avrebbe impiegato.
L'eroe esitò, nervoso, infine annuì - Ok, va bene - si arrese - L'uscita più vicina e in fondo, a sinistra. Fate attenzione - disse, indicando il corridoio alle proprie spalle. Marinette gli sorrise poi lo superò, guidando Squalo per quei corridoi che ormai conosceva a memoria.
Quando fu sicura che il ragazzo non fosse più a portata di orecchi sospirò stancamente - Sei un vero esempio di discrezione, tu- commentò.
- Vooooi! Colpa sua, mi ha fatto innervosire - borbottò lui - E ne ho fin sopra i capelli di questo Papillon e le sue manie di rompere i coglioni - ringhiò - Che poi, dico io, fra migliaia di persone che abitano questa città perché proprio tu devi farlo? -
- Credimi, se lo sapessi forse non sarei quì - rispose lei - Un pomeriggio sono tornata a casa e ho trovato la scatola col Miraculous sulla scrivania. Mi ha dovuto spiegare tutto Tikki e ancora oggi non so come ci sia finita in camera mia - ricordò - Figurati che ho provato anche a rifilarlo ad Alya di nascosto - ammise.
- E non lo hai fatto perché...? - chiese Squalo, che era la prima volta che sentiva quella parte della storia.
Marinette ripensò a quel giorno, più di un anno prima, e le sembrò di rivivere ancora quelle stesse emozioni e paure - La prima volta che mi trasformai e andai a scontrarmi con un'Akuma non sapevo quello che stavo facendo - mormorò - Mi era stato detto cosa fare, come farlo e avevo visto con i miei occhi ciò che Papillon poteva causare. Mi sono semplicemente buttata per aiutare chi ne aveva bisogno ma dimenticai di purificare la farfalla, causando un'invasione di Golem di Pietra in tutta Parigi - raccontò - Sentivo di non poterlo fare, di non riuscire a farmi carico di una responsabilità del genere, così provai a farlo trovare ad Alya ma per una serie di circostanze la cosa non funzionò. Si può dire che decisi di riprendere le sembianze di Ladybug proprio per salvare lei e quando Papillon mostrò il suo volto usando tutte quelle Akuma... beh, mi buttai e basta: le purificai tutte e feci una promessa folle a tutta la Francia sul fatto che io e Chat Noir l'avremmo sempre protetta - sospirò - Il resto è venuto da sé - concluse, spingendo la porta di emergenza che dava sulle scale interne - Forse è stato stupido, a ben pensarci - rimuginò. Squalo sembrò rifletterci per un istante, mentre scendevano lentamente i gradini.
- Sai perché mi faccio crescere i capelli? - domandò d'un tratto.
- Uhm... dovrei? - rispose lei, incerta.
- Otto anni fa promisi a Xanxus che non me li sarei tagliati finché non fosse diventato Decimo Boss dei Vongola - spiegò
Marinette alzò gli occhi su di lui per un istante, sgranati - Perché proprio i capelli? - chiese.
Squalo aggrottò le sopracciglia - Erano i più comodi - rispose - Se ne stanno lì, buoni, non danno fastidio... niente di impegnativo. -
Marinette sbatté le palpebre, scettica - Ma se l'altra sera ho passato un'ora e mezza solo a toglierti i nodi - ricordò: le facevano ancora male i polsi tanto li aveva spazzolati.
Squalo aprì la bocca per dire qualcosa, infine espirò - Sì, beh... ogni tanto qualche inconveniente ci stà - ammise - Sapessi quante volte Lussuria ha passato ore a togliermi il sangue dai capelli. -
- Posso solo immaginarlo - commentò lei, evitando accuratamente di chiedere come ci fosse finito del sangue nei suoi capelli ma... ehi, lui era pur sempre un assassino!
- In quanto a promesse folli non ho nulla da invidiarti - aggiunse - Probabilmente questi capelli non me li taglierò mai, e lo so io come lo sa lui... eppure continuo ad andare avanti, forse nella mera speranza che qualcosa accada - mormorò, stringendo la presa del braccio intorno alle sue spalle - È semplicemente un modo per non accettare di aver fallito, e lo ammetto, anche se ciò mi dà solo illusioni e mi rende pure ridicolo. -
Marinette non rispose subito, saldando la presa intorno al suo fianco, senza sapere cosa fosse giusto dire: era la prima volta che Squalo si apriva così tanto con lei. Ciò la lusingava molto, certo, ma non immaginava che potesse portare con sé un simile peso; l'aveva sentito distintamente quel senso di oppressione nelle sue parole, l'importanza che quella promessa aveva per lui e l'amarezza di non riuscire a portarla a termine. - Ti stanno bene, però - buttò lì, cercando di alleggerire l'atmosfera - La permanente sopratutto. -
Giurò di vedere una vena spuntare sulla fronte di Squalo ma prima che potesse iniziare a sbraitarle contro una scossa fece tremare l'intero edificio, cogliendoli di sorpresa. I due ragazzi si bloccarono a metà della rampa di scale e Squalo si aggrappò al corrimano, stringendosela al petto, mentre le scale oscillavano pericolosamente.
Pochi secondi dopo tutto tornò fermo.
Marinette alzò lo sguardo al soffitto, turbata - Che cosa è stato? -
- Questo posto è antisismico, sì? - chiese invece lui.
- Forse... non so - rispose lei, incerta, sobbalzando quando una musichetta rock iniziò ad uscire dalla sua borsetta. Portò una mano a frugare al suo interno e ne estrasse il cellulare, miracolosamente vivo: era Nino.
- Nino? - rispose, ricevendo un sospiro di sollievo in risposta.
- Dio, Marinette, non puoi immaginare la paura che ci avete fatto prendere - disse il ragazzo - Vi abbiamo visti sparire sotto le macerie, tua madre ed Alya sono sull'orlo di una crisi isterica! -
- State tutti bene? - chiese lei, allarmata.
- Sì, siamo riusciti ad uscire in tempo. Voi come state? -
- Siamo vivi - annuì lei, non entrando nei dettagli.
- Abbiamo sentito una scossa assurda, poco fa, e tutte le finestre dell'ultimo piano sono esplose. Sappiamo che Chat Noir è già dentro ma fino ad ora non c'è stata traccia di Ladybug - spiegò Nino - Voi dove siete? Riuscite ad uscire? Dino vuole entrare a cercarvi - rispose.
- Beh, adesso siamo... - iniziò lei, prima che Squalo le togliesse il telefono di mano e se lo portasse all'orecchio.
- Passami l'idiota - ordinò, secco. Marinette era abbastanza vicina da riuscire a sentire il "Eh?" confuso del ragazzo. - Cavallone. Dino. Come lo vuoi chiamare! - sbuffò Squalo, seccato.
- Che stai facendo? - chiese lei, confusa e allibita, ma lui le fece segno di tacere. Una manciata di secondi dopo la voce di Dino uscì dal ricevitore.
- Squalo? Che succede? State bene? - chiese con una nota di panico nella voce.
- Zitto e ascolta: per adesso non possiamo uscire - sbottò Squalo, drizzandosi con una smorfia, restando però serio - Devi coprirci in qualche modo. Inventa una scusa, una qualunque non importa quale, ma dobbiamo prima occuparci di quel coso - spiegò, riferendosi all'Akuma.
Marinette sgranò gli occhi - Ma che stai dicend...? - esclamò, incredula. Squalo alzò il braccio che teneva intorno alle sue spalle e le tappò la bocca con la mano, senza scomporsi, stroncando le sue proteste. Dino mormorò qualcosa, che Marinette non riuscì ad afferrare, ma sembrava preoccupato.
- Fallo e basta, noi ce la caviamo - sbottò Squalo iniziando ad innervosirsi - Voooi! È proprio questo il punto, idiota! - aggiunse, in un ringhio. Marinette si agitò, provando a protestare, ma produsse solo mugolii soffocati. Squalo la ignorò. - Ottimo! - concluse, etereo, mettendo giù il telefono e chiudendo la chiamata.
Solo allora si decise a lasciarla andare.
- Ma cos'hai al posto del cervello, segatura?! - sbottò Marinette, incredula e indignata - Dell'Akuma posso occuparmi anche dopo! -
- Potresti non averne il tempo - la interruppe Squalo, impassibile, porgendole l'apparecchio - Come stanno messe le cose fuori non siamo sicuri che riusciresti a rientrare senza dare nell'occhio. Pensaci. -
Marinette strinse le labbra concordando che, sì, sarebbe stata presa d'assalto dai suoi genitori e da Alya appena messo piede fuori la porta, ma forse con una scusa sarebbe riuscita a defilarsi, magari aiutata da Dino o da Bianchi. Il punto era che lì non potevano restare... Squalo non poteva restare. Non in quelle condizioni.
- Non sei nelle condizioni di starmi dietro - disse, dando voce ai suoi pensieri - E azzardati a dirmi di nuovo che stai bene e ti mando fuori di quì a calci nel sedere! - minacciò, in un sibilo, stroncando le sue proteste sul nascere.
- Non sono messo così male - sbuffò lui, alzando gli occhi al cielo, ficcandole il telefono nella mano libera.
- Questo lo dici tu! -
- Vuoi stare quì a discutere o tornare su e prendere a calci in culo quel tizio? -
Marinette lo fissò per qualche istante, riluttante, infine rigettò il telefono nella borsa e fece dietrofront - Dopo facciamo i conti! -
 
 
Dino sospirò, passandosi una mano tra i capelli biondi e scompigliandoli ancor di più. Nino lo fissava in silenzio, aspettando che dicesse qualcosa, cercando di tenere a bada il senso di oppressione che il viso preoccupato del ragazzo ispirava.
- Allora? - chiese, non riuscendo a trattenersi, sapendo che tutti lì intorno li stavano ascoltando.
Dino strinse le labbra per un istante infine gli restituì il cellullare - Stanno bene ma sono bloccati dentro - rispose lapidario - Sono in una situazione complicata e non possono muoversi - continuò, volgendo lo sguardo su di loro - Ma sono al sicuro. Usciranno appena sarà tutto finito. -
Sabine sospirò, rincuorata, e si appoggiò alla spalla del marito che le circondò la vita con le braccia, anche lui molto pallido e tirato; Alya espirò silenziosamente e il suo viso riacquistò un po' di colore; persino Chloé, avvolta nella giacca prestatale da Adrien per ripararsi dal freddo, mostrò un accenno di sollievo che si premurò di nascondere. Solo il giovane Agreste mancava all'appello: il ragazzo si era defilato con una scusa appena aveva constatato che stessero tutti bene.
Dino si avvicinò a Bianchi e Lal, parlando a bassa voce per evitare orecchie indiscrete - Squalo è voluto restare dentro per permettere a Marinette di affrontare l'Akuma - mormorò - Lei però non era d'accordo, temo che sia successo qualcosa di grave. -
- Non avrei dovuto perderla d'occhio - sospirò Bianchi, amareggiata - Avrei dovuto impedirle di tornare dentro. Se Squalo non fosse intervenuto... -
- L'importante è che stiano bene - tagliò corto Lal, seduta tra le sue braccia - Se la caveranno e finché c'é Squalo con lei non abbiamo motivo di preoccuparci. -
Lui annuì - Sono decisamente più tranquillo sapendoli insieme - ammise.
- Spero solo che non siano feriti - mormorò Bianchi, volgendo lo sguardo all'edificio danneggiato - Poi quando tornano gliene canterò quattro. -
 
 
Marinette era stata riluttante a portare Squalo fin sul luogo dello scontro: tanto per cominciare non voleva che rimanesse coinvolto, aggravando ancor di più la sua situazione, e poi sarebbe sembrato strano se fosse riapparso dal nulla in compagnia di Ladybug. Ma il ragazzo non aveva voluto sentire scuse e si erano trascinati per tutto l'hotel litigando animatamente.
Grattò distrattamente il dito sulla testa di Tikki, poggiata nel palmo della sua mano, fissando l'ultimo piano in completo stato di devastazione: pezzi di muro e soffitto erano crollati, le porte divelte giacevano abbandonate sui pavimenti delle camere e le finestre erano completamente a pezzi. Di Chat Noir o l'Akuma nessuna traccia.
- Ma cosa è successo quì? - mormorò, turbata da tutto quel disordine: di solito gli Akuma non erano così aggressivi o violenti.
- La cosa mi preoccupa - ammise il kwami, sgranocchiando gli ultimi rimasugli di un pezzo di cioccolato.
Squalo fece una smorfia, appoggiandosi col braccio al muro del corridoio. - Sono l'unico a pensare che ci sia qualcosa che non quadra? -
Marinette si morse il labbro - Direi proprio di no - rispose, abbassando lo sguardo su Tikki con un velo di preoccupazione - Te la senti? - chiese. Lei alzò i grandi occhi blu per incrociare i suoi e sorrise, alzandosi in volo.
- Certo - rispose sicura - Quando vuoi! -
Marinette sorrise e si scostò la ciocca di capelli dalla guancia, per lasciare libero l'orecchino sinistro. - Tikki, trasformami! -
La prima cosa che Marinette fece appena fu nelle vesti di Ladybug fu prendere lo yo-yo e tentare di chiamare Chat, senza risultati però.
- Detesto quando non mi risponde - sbuffò la ragazza, chiudendo la chiamata e attivando il GPS.
- Chissà, magari è troppo impegnato a cercare di non farsi trasformare in un blocco di cioccolato fondente - commentò Squalo, ironico.
- Non posso andare ad aiutarlo se non so dov'é - rispose lei, cercandolo sulla mappa della città. Con un bip-bip una piccola zampa di gatto verde apparve sullo schermo e Marinette lo ingrandì con un gesto di pollice e indice.
- È sul tetto! - esclamò, chiudendo lo yo-yo.
- Ottimo. Come ci arriviamo sul tetto? - domandò Squalo. Marinette indicò un salone in fondo al corridoio.
- Prendendo l'ascensore - rispose, come se fosse ovvio, riprendendolo sotto braccio. Il Miraculous le forniva, oltre alla calzamaglia sexy e uno yo-yo supertecnologico, anche un notevole aumento della propria forza fisica, quindi sorreggere Squalo era decisamente meno faticoso rispetto a prima.
- Non trovi che ci sia troppo silenzio? - domandò lui guardando il soffitto, mentre aspettavano l'ascensore.
Lei si morse il labbro - Spero solo che non sia successo niente a Chat - mormorò, varcando le porte quando si aprirono. Il viaggio durò pochissimo e appena si fermarono, con uno squillante ding, un brivido ormai familiare percorse Marinette da capo a piedi. Appena le porte si aprirono la ragazza scattò di lato nascondendo lei e Squalo nell'angolo coperto: un fascio di luce colpì la vetrata davanti la quale erano solo poco prima, distruggendola.
- Un benvenuto di classe - commentò il ragazzo, reggendosi alla sbarra di metallo. Marinette s'inginocchiò, facendolo accomodare nel riparo improvvisato.
- Tu resta quì - raccomandò, fiondandosi fuori senza neanche dargli il tempo di protestare: l'Akuma era lì, in piedi oltre la piscina, puntandole la pistola contro. Alle sue spalle, legato a testa in giù ad uno degli ombrelloni, vi era Chat Noir.
- Buonasera, milady - sorrise, salutandola.
- Scusa per il ritardo, Chaton - rispose lei prendendo lo yo-yo.
- Fammi indovinare: eri dal parrucchiere! - la prese in giro lui, riferendosi alla pettinatura della ragazza. Marinette sgranò gli occhi e si portò una mano alla nuca, rendendosi conto che i suoi capelli non erano legati nei due soliti codini ma nella crocchia che le aveva fatto Bianchi. Riuscì a sentire sotto le dita un nastro di seta legato intorno all'acconciatura al posto dei ferretti, che si diramava in due estremità alla base del collo.
- Ehm... sì, esatto - rispose, sforzandosi di stare al gioco - Non posso certo combattere il male senza una pettinatura adeguata. -
- Una fine in grande stile, Ladybug - ringhiò l'Akuma alzando la sac â poche verso di lei, che scartò di lato per evitare un raggio. Saltò oltre una sdraio e capovolse un tavolino per usarlo come scudo.
- Non per metterti fretta... - urlò il ragazzo per farsi sentire oltre il frastuono degli spari - ...ma se mi liberassi mi faresti un grandissimo favore! -
Marinette si sporse oltre il proprio rifugio e si guardò intorno: era troppo lontana da lui, uno scatto veloce per cercare di raggiungerlo non era fattibile e non vi erano ripari lungo la strada. Strinse gli occhi e si portò una mano al collo, estraendo la catena con l'anello dal colletto del costume. Era un azzardo pericoloso, non aveva nulla con cui nasconderlo e non poteva fare troppo affidamento sul buio ma non aveva molta scelta.
Se lo fece scivolare al dito e sospirò - Si accettano suggerimenti. -
Ti consiglierei di utilizzare le Fiamme per disperdere il colpo se non desse troppo nell'occhio, rispose Radi.
- Quindi... qualcosa di meno appariscente? - domandò.
Corri.
Marinette sospirò, abbandonando la testa sul ginocchio - Come farei senza di te? - chiese, sarcastica.
Semplice: non faresti.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e scattò di lato, uscendo da dietro il tavolino e dirigendosi verso l'ombrellone. Schivò sedie a sdraio, tavoli e raggi mortali, ogni tanto mossa da Radi, mentre cercava di avvicinarsi il più possibile al ragazzo.
« Come faccio a liberarlo in queste condizioni? Ho bisogno di tempo! »
Scivolò sotto un tavolino e, nel mentre, la sua mano si mosse da sola per avvolgere lo yo-yo intorno alla base.
Ci arrangeremo.
A Marinette non servirono spiegazioni per capire cosa volesse fare l'uomo: attirò il tavolino a sé e lo lanciò alla sua sinistra, contro l'Akuma. Non perse tempo neanche per vedere cosa stesse succedendo ma si fiondò verso Chat Noir e iniziò a trafficare con le corde che lo tenevano legato.
- Pensi di riuscirci entro i prossimi 0,5 secondi? - le chiese lui, con un sorriso che tradiva l'ansia.
- Anche meno - rispose lei, afferrando la base delle corde e spezzandole con un gesto secco; non sapeva da dove fosse venuta tutta quella forza ma un mezzo dubbio lo aveva.
Chat cadde al suolo di peso, con un lamento soffocato, e fece una capriola indietro per rimettersi dritto.
- Sono felice di rivederti - esclamò.
- Anche io! - annuì lei, sussultando quando un raggio le passò vicinissimo all'orecchio. Entrambi si voltarono e rimasero allibiti quando scorsero l'Akuma in piedi al centro della piscina che si dimenava per liberarsi dalla presa di Squalo: il ragazzo lo aveva bloccato con un braccio intorno al collo, mentre con l'altro teneva il polso nel quale impugnava l'arma.
Marinette passò dallo shock all'incazzatura più nera nel giro di un nanosecondo: gli aveva raccomandato di non farsi coinvolgere e quell'imbecille che faceva? Si gettava sul nemico... la coerenza, proprio!
Chat aveva sgranato gli occhi, incredulo. - Che cosa ci fa lui quì? -
Ma la ragazza non si prese neanche la briga di rispondergli, gettandosi a capofitto sui due in un impeto d'ira spaventoso.
Posso?
« Dagliene anche da parte mia. »
Il pugno che partì subito dopo abbattendosi sul viso dell'Akumizzato avrebbe meritato dieci punti pieni: l'impatto fu così forte che persino Squalo, che si reggeva in piedi per pura forza di volontà, barcollò pericolosamente all'indietro. La presa si allentò e l'uomo cadde carponi sulla lastra di plastica che copriva la piscina, con un gemito di dolore, mentre Squalo cercava di restare dritto. Marinette si voltò verso di lui, con una luce pericolosissima negli occhi, e gli tirò uno scappellotto sulla nuca.
- Voooi! - sbraitò il ragazzo, portandosi una mano alla nuca, allibito e dolorante - Che cazzo ti prende? -
- Che cosa credevi di fare, deficente?! - sbottò lei, incazzata, facendolo ammutolire di colpo. - Non t'azzardare a farlo mai più! -
Lo dicevo io, commentò Radi vagamente divertito, tutta tua nonna.
Squalo la fissò con gli occhi sgranati, come se la vedesse veramente per la prima volta, apparentemente senza nulla da controbattere. Almeno finché non intervenne Chat Noir, facendo scattare il proprio bastone esattamente in mezzo a loro due, facendoli sussultare: l'Akuma, ancora ai loro piedi, rotolò di lato schivandolo e si allontanò dal gruppetto.
- Non è opportuno distrarsi - commentò il ragazzo, affiancandoli.
Concordo con il micio in calzamaglia.
Marinette si voltò un attimo verso di lui poi tornò a rivolgersi a Squalo - Nell'ascensore - ordinò - Subito! - aggiunse, vedendolo sul punto di protestare. Il ragazzo fece una smorfia, poi voltò i tacchi e se ne andò.
- Lo conosci? - domandò Chat, dubbioso.
- No. Perché? - rispose Marinette, con una nonchalance spaventosa. Poi afferrò il proprio yo-yo e lo srotolò in aria richiamando il Lucky Charm. La sua perplessità dovette essere abbastanza evidente quando si ritrovò tra le mani un piccolo anello a pois.
- Gli chiediamo la mano? - scherzò Chat.
Marinette fece una smorfia, incerta, e si guardò intorno alla ricerca di qualche suggerimento: il mondo intorno a lei divenne grigio e l'anello nella sua mano lampeggiò di rosso, insieme alla sac â poche e il nastrino che le spuntava da sopra la spalla.
- È uno scherzo, vero? - commentò, scettica.
Come disse il tuo amico? "Le cose semplici sono le più buone."
- Devo ringraziare che non lo hai detto con la voce di Banderaz? - mormorò lei.
- Come scusa? - chiese Chat.
- Niente - si affrettò a rispondere lei, portandosi le mani all'acconciatura per sfilarsi il nastro - Tienilo occupato. -
Lui allungò il proprio bastone, prendendolo con entrambe le mani - Agli ordini milady! - esclamò, gettandosi all'attacco.
Marinette fece passare il nastrino dentro l'anello, legandolo all'estremità con un nodo stretto. Non era molto lungo, quindi avrebbe dovuto avvicinarsi.
Si gettò dietro Chat cercando di usarlo come copertura per lanciare l'anello senza farsi vedere, riuscendo a sporgersi oltre la sua testa proprio mentre l'Akuma schivava un colpo del ragazzo: l'anello s'incastrò perfettamente nella punta della sac â poche, stringendola abbastanza da bloccarla; non potendo espellere il raggio già carico quella gli esplose tra le mani, sbalzandolo indietro.
- Dov'è l'Akuma? - domandò Marinette avvicinandosi all'uomo.
- Nella collana! - rispose lui, indicando il ciondolo raffigurante una forchetta ed un cucchiaio incrociati poggiato sul suo petto. La ragazza la prese al volo, spezzandola in due: la farfalla fuoriuscì dalle due metà e lei si affrettò a catturarla. Dopodiché afferrò l'anello caduto poco distante e lo lanciò in aria, richiamando il potere del Miraculous, riportando l'hotel al suo stato originale.
Sospirò di sollievo vedendo l'uomo tornare come prima e rivolse uno sguardo oltre il parapetto, verso la folla che esultava sul marciapiede, parecchi piani più giù, e sorrise: era il momento di andare a picchiare Squalo.
 
 
Il boato di gioia che si era sollevato dalla folla appena la nuvola di coccinelle aveva avvolto l'hotel, segno che ormai era tutto risolto, Dino lo aveva a malapena sentito troppo impegnato a ringraziare il cielo e tutti gli dei che vi avevano dimora.
Dovettero aspettare almeno un'altra decina di minuti prima che le porte si aprissero e Squalo e Marinette sbucassero oltre di esse, discutendo come sempre. Il ragazzo non si preoccupò neanche di capire quale fosse il motivo del litigio, distratto dal sollievo di vederli sani e salvi e il velo d'ansia nel constatare le condizioni di Squalo non esattamente ottimali.
Ma Sabine batté tutti sul tempo fiondandosi addosso a tutti e due. Marinette, presa alla sprovvista, barcollò all'indietro rischiando di farli finire tutti e tre col sedere per terra se Squalo non fosse riuscito a mantenere l'equilibrio. La donna circondò il collo di entrambi con le braccia, stringendoli a sé.
- Grazie al cielo state bene - sospirò.
Marinette, decisamente impacciata e mezza soffocata, mormorò un "Mamma" piuttosto titubante; Squalo, per nulla abituato a quelle dimostrazioni di affetto e preoccupazione, fissava ad occhi sgranati un punto oltre la spalla di Sabine, incredulo e leggermente in imbarazzo.
- Mamma - ripeté Marinette, cercando di capire per quale astrusa legge della fisica riuscivano a stare ancora in piedi. Sabine si staccò da loro e lei riuscì a malapena a scorgere i suoi occhi, più lucidi del solito, prima che Alya le gettasse le braccia al collo, stringendola in una presa ferrea. Vide Squalo trattenere una mezza imprecazione quando dovette cercare di sostenereli tutti e tre, di nuovo.
- Azzardarti a farmi prendere di nuovo uno spavento del genere e ti strozzo con le mie stesse mani - minacciò, con la voce intrisa di sollievo. Vide Nino ringraziare il cielo, dietro di lei, e un mezzo sospiro uscire dalle labbra di Chloé.
Adrien le sorrise mentre suo padre, lì a fianco, li studiava con curiosità.
Bianchi s'intromise scostando la ragazza e afferrando Marinette, stringendosela al petto - Ti picchio dopo, adesso sono felice di vedere che stai bene - mormorò. Marinette biascicò qualcosa, il viso affondato nel suo seno e quella poca aria che aveva nei polmoni che cercava di abbandonarla del tutto.
Sorprendentemente fu Dino a mettersi in mezzo, prendendo la donna per le spalle e scostandola da lei - Così l'ammazzate sul serio - fece notare.
Marinette cercò di riprendere fiato mentre Squalo le batteva pacche incoraggianti sulla schiena. - Su, respira - la esortò, etereo. Dino alzò gli occhi su di lui, d'un tratto seri.
- Non sei messo bene - notò, turbato. Squalo ricambiò lo sguardo, senza mutare la sua espressione, e si esibì in uno "Tsk" di sufficenza.
- Sto benissimo - tagliò corto. Marinette gli lanciò un'occhiataccia ma evitò di esprimersi.
Dino non sembrò per nulla convinto ma fece un cenno a Romario - Torniamo a casa. -
 
 
Marinette doveva molti meriti al Lucky Charm: oltre ad aver rimesso a posto l'edificio aveva anche liberato lei e Squalo da tutta la polvere accumulata sotto quelle macerie. Nulla, però, aveva loro impedito di farsi una doccia appena tornati a casa.
Era stata trattenuta molto più del previsto da Alya e Nino, e il sindaco aveva voluto accertarsi di persona che nessuno fosse rimasto gravemente ferito. Ovviamente Squalo si era subito dato alla fuga in macchina ed era stato restìo a farsi dare un'occhiata persino da Romario; quando erano saliti in casa lui e Dino stavano ancora discutendo.
Si spazzolò i capelli a lungo, immersa nei propri pensieri, e quandò finì non prese neanche la briga di legarli. Si alzò dalla sedia e scese in cucina, sentendosi ancora più stanca di quando era uscita dall'hotel, ma dovette fermarsi in fondo alle scale, fissando il punto oltre il divano nel quale era stato sistemato il materasso improvvisato che Squalo continuava a usare, ostinandosi a non volere che salissero la branda nonostante sua madre continuasse a proporglielo.
Bianchi e Sabine erano inginocchiate sul tappeto, ai due lati del piumone, con Squalo steso a pancia in sotto su di esso, fresco di doccia. Si era legato i capelli in una crocchia frettolosa, con le punte che poggiavano sul collo, e se ne stava a fissare la poltrona di fronte con il mento poggiato tra le braccia incrociate. Al di sotto della frangia riusciva a scorgere il cerotto che gli copriva la ferita e la spalla sinistra era bendata... ma ciò che più le fece stringere il cuore fu la vista della sua schiena nuda: sulla pelle pallida risaltavano lividi scuri e ferite, anche profonde, che le due donne stavano disinfettando e coprendo con garze imbevute di connettivina, prima di fasciarlo completamente.
La ragazza sentì lo stomaco bruciare e una dolorosa fitta invaderle il petto, insieme ai sensi di colpi che si facevano prepotentemente largo dentro di lei: perché Squalo si era ridotto in quello stato per colpa sua, per proteggerla. Se fosse stata più attenta, se avesse capito il pericolo, se fosse riuscita a spostarsi in tempo anche solo di pochi metri...
Dino le poggiò una mano sulla spalla, facendola sussultare, e alzò gli occhi su di lui.
- Non preoccuparti, starà benissimo - cercò di tranquillizzarla, nonostante il velo d'incertezza che gli copriva gli occhi castani - Ha visto di peggio - aggiunse, con un mezzo sorriso che sembrò più una smorfia. Marinette sapeva a cosa si riferiva: le aveva raccontato a grandi linee la battaglia per l'Anello della Pioggia e di come i suoi uomini avessero dovuto tirare fuori il ragazzo dalla bocca di uno squalo, più morto che vivo. Era stato fortunato a sopravvivere ed era stato incapace di muoversi per diverse settimane.
Ma quello era diverso. Che fossero gravi o meno le ferite restavano tali e se non fosse stato per la sua incoscienza Squalo avrebbe potuto evitarle. Tornò a posare lo sguardo sul terzetto e si ritrovò a stringere il labbro inferiore tra i denti.
- Ciò non toglie che sia successo per colpa mia - mormorò.
Dino la guardò attentamente, restando in silenzio, come a scegliere con cura le parole da pronunciare. - Se può consolarti Bianchi ha deciso di non ucciderlo solo perché le faceva pena - disse infine.
- E ciò in che modo dovrebbe consolarmi? - chiese lei, perplessa.
- Che poteva decisamente andargli peggio di così - annuì lui. Marinette strinse le labbra, titubante.
- Apprezzo il tentativo, Dino, sul serio... - iniziò - ...ma tu le persone non le sai proprio consolare - ammise dispiaciuta.
Dino fece per ribattere ma la voce di Bianchi sovrastò qualunque cosa, sottile e minacciosa - Stai giù! - ammonì, spingendo Squalo sul materasso quando lui provò ad alzarsi.
Lui borbottò qualcosa, indispettito, ma non osò controbattere.
- Ti sei stirato la maggior parte dei muscoli, è meglio se non ti muovi per un po' - ordinò lei, raccattando i medicinali.
Squalo sbuffò - Non resto quì a fare la muffa per due stiramenti - borbottò, stizzito. Marinette sospirò - E ti lamenti pure! -
- Vooooi! Io mi lamento quanto mi pare! - sbraitò lui, in risposta.
- Su, su, non litigate - s'intromise Dino.
- È come chiedere al sole di non splendere - commentò Bianchi, superandoli per salire al piano di sopra.
- Ma che simpatica - la riprese Squalo, acido.
- Beh, che state sempre a litigare è vero - commentò Lal.
Ok, su questo avevano ragione. Squalo non ribatté, borbottando qualcosa che somigliò vagamente a  "chiamasi scambio di opinioni", e Marinette si limitò ad abbozzare un sorriso: in fin dei conti era il loro modo di comunicare. Di volersi bene, in qualche modo.
- Beh... vado a preparare la cena! - esclamò Sabine, rimettendosi in piedi e battendo le mani tra loro, dirigendosi in cucina. Ci fu un momento di imbarazzo nel quale Dino si guardò intorno titubante.
- Beh... - disse, infine, a voce un po' troppo alta - Vado a darle una mano, eh - e sparì in cucina. Marinette aveva dubbi sull'aiuto che il ragazzo potesse dare, ma non ribatté; piuttosto s'incamminò verso il centro del salotto e si sedette per terra, poggiando la schiena al divano e prendendosi le ginocchia tra le gambe.
Lal era seduta alle sue spalle, qualche metro più in là, che leggeva una rivista di cronaca: sulla copertina, che occupavano quasi tutta la pagina, lei e Chat Noir facevano bella mostra di sé sotto i titoli di vari articoli. Alcuni recavano notizie ordinarie, come la sconfitta di un nuovo Akuma o il salvataggio di qualcuno (in fin dei conti non si limitivano a salvare Parigi dagli Akuma ma ad essere delle vere e proprie unità speciali di giustizieri della malavita) o a cose più teoriche come "Chi saranno mai i salvatori di Parigi?" o ancora "Dove si nasconde Papillon?"; qualcuno aveva anche ipotizzato che i due eroi venissero da un mondo parallelo e vi era addirittura chi si chiedeva se stessero insieme.
Marinette non aveva mai badato molto a quelle voci. Cercava sempre di tenere Ladybug e Marinette separate quando si trattava di vita privata: Marinette non si sarebbe preoccupata della vita sentimentale di Ladybug... Ladybug non sarebbe mai entrata nella vita di Marinette. Erano due cose distinte ma unite: l'una non poteva esistere l'altra, ma l'altra poteva esistere anche da sola.
Poggiò il mento sugli avambracci, accantonando Ladybug per un momento, e portò lo sguardo sul ragazzo steso di fronte a lei.
- Come stai? - chiese. Squalo, perso nella contemplazione del parquet con chissà quali pensieri, sbatté le palpebre ridestandosi e chiuse gli occhi. - Sono stato peggio - rispose, col suo solito tono serio e distaccato.
La ragazza socchiuse gli occhi, abbassando di poco lo sguardo, fermandosi sul suo busto fasciato. La parole uscirono da sole: - Mi dispiace. -
Squalo aprì gli occhi, continuando a fissare il pavimento, infine inspirò - Lascia perdere. Non ci pensare - disse, ammorbidendo un po' la voce.
Ma era difficile non pensarci, difficile far finta che non fosse successo niente... difficile scacciare il peso della colpa e il dolore che il ragazzo aveva e stava provando. Perché lei lo sapeva. Sapeva che, nonostante quell'espressione indifferente, Squalo stesse soffrendo.
Dall'altro lato Squalo sapeva quanto Marinette fosse ansiosa e di come si preoccupasse sempre per chi le stava vicino. Spesso la prendeva in giro per questo, etichettandola come "la sua vena eroica", ma era a conoscenza del fatto che l'essere un eroina non c'entrava un bel niente in quel frangente: Marinette era fatta così, metteva gli altri prima di sé stessa con o senza costume.
A interromperli fu Lal la cui voce, totalmente estranea alla conversazione che si stava svolgendo a pochi metri da lei, si levò da dietro la rivista, atona ed indifferente - Hanno intervistato la tua amica che ha il Blog su di te - informò - Ha scoperto l'esistenza di un sito di fanfiction dedicato a te e il gatto in calzamaglia. -
Marinette si voltò verso di lei, stranita, fissando le pagine dietro la quale si perdeva la figura della bambina.
- Un sito di cosa? - esclamò, sorvolando sul nomignolo di Chat. Una cosa che aveva notato era che nessuno di loro, nessuno, neanche Radi, li chiamava con i loro nomi: se ne uscivano con cose come "Micio in calzamaglia", "Ragazzo gatto" o il delicatissimo "Tizio con il bastone" di Squalo. Che suonava pure ambiguo, a dire il vero.
Lei si limitavano a chiamarla per nome quando erano tra loro o non chiamarla proprio quando erano in compagnia, sebbene cercassero di farsi vedere il meno possibile con Ladybug... anche se una volta Squalo aveva avuto l'insana idea di urlare un "Cosa con la tutina, lì" in mezzo a tutto il Louvre.
Il Caravaggio che gli era arrivato in testa due secondi dopo non era stato solo un incidente, come continuava a ribadire la ragazza, di questo lui era sicurissimo.
- Fanfiction - ripeté Lal, voltando pagina - Storie inventate dai fan - spiegò. La ragazza fece una smorfia, turbata.
- Non è un po' un esagerazione? -
- Ce n'é di gente strana a questo mondo - scrollò le spalle lei - E per esperienza personale ti consiglio di non andare a leggerle - aggiunse, con il tono di chi la sapeva lunga.
Marinette lo vide a malapena il braccio di Squalo allungarsi al suo fianco per afferrare la giacca poggiata sulla poltrona, ma quando si girò lo trovò già con il cellulare in mano.
- Come si chiama 'sto sito? - chiese, noncurante.
La ragazza sgranò gli occhi e tirò un calcio al materassino, indignata. - Squalo! -
- Oh, andiamo, non puoi dire di non essere almeno un po' curiosa - la rimbeccò lui, smanettando sullo schermo - L'ho trovato! -
Marinette scattò in avanti, pronta ad afferrare l'apparecchio, ma lui lo spostò fulmineamente e le piazzò un mano sulla fronte per allontanarla - Sarò impedito ma non fino a questo punto! - esclamò, scorrendo il sito, mentre lei si dimenava per raggiungerlo.
- Smettila! Chiudilo immediatamente! - sbottò, divincolandosi dalla sua presa scivolando sotto il suo braccio.
- Quì c'è anche roba a rating rosso! - esclamò d'un tratto lui, agghiacciato, pochi secondi prima che Marinette gli si gettasse addosso. Il ragazzo rotolò all'indietro, cadendo di schiena sul parquet mentre le gambe erano ancora poggiate sul materassino. Marinette era piombata esattamente su di lui, allungando la mano e riuscendo ad afferrare il cellulare.
- Lascialo! - urlò.
- Mai! - rispose lui, con il respiro strozzato dalla scarica di dolore che gli si era propagata per tutto il corpo al contatto della parte lesionata con il pavimento, tuttavia non demordendo - E levami le tette dalla faccia, tanto con me non attacca! - aggiunse.
Marinette sgranò gli occhi e abbassò la testa di scatto, per vedere dove fosse scappato quel seno traditore: era scivolata insieme a lui nella caduta, le ginocchia puntellate sul materasso, la mano destra poggiata per terra a tenere l'equilibrio, la sinistra che teneva il telefono a mezz'aria. Il busto era poggiato di traverso sul petto di Squalo e la scollatura della maglietta era esattamente sul viso del ragazzo, regalandogli una visuale perfetta di tutto ciò che vi era dentro.
Dimenticando per un istante il sito e le fanfiction, la ragazza scattò indietro mollandogli una ginocchiata nel fianco.
Squalo si portò il braccio a coprire la vita, l'imprecazione che si perdeva in una esclamazione di dolore. - Ma allora lo fate apposta! - gemette, contorcendosi su un fianco.
- Oddio, scusami! - esclamò lei, portandosi le mani alla bocca - Ti sei fatto male? -
- Tu cosa dici? - rispose lui, sarcastico, che tra schiena e fianco non sapeva più dove mettere le mani.
- Si può sapere cosa state facendo? - chiese Bianchi, perplessa, fissandoli dalle scale.
- Gli imbecilli - rispose Lal, indifferente, girando pagina - Non disturbarli. -
- Alla faccia che ho detto di non muoverti - sospirò lei, scendendo le scale.
- Colpa sua, mi è saltata addosso - rantolò lui, scivolando sul fianco e strisciando per risalire sul materassino.
Bianchi alzò un sopracciglio - Insomma, ragazzi - li rimproverò, con una vena di saggezza nella voce - Aspettate almeno di rimanere soli! -
La ragazza si voltò verso di lei ad occhi sgranati, allucinata.
Squalo si girò di colpo, la sua schiena protestò e lui la mandò a fanculo: afferrò il cuscino e glielo lanciò contro con tutta la forza di cui disponeva in quel momento. Bianchi inclinò leggermente il capo di lato per evitarlo, sorridendo divertita.
Marinette era ancora sconvolta - Io... non ti rispondo neanche! - balbettò.
Lal sospirò, da dietro la rivista, e Bianchi ridacchiò.
- A volte sembrate due bambini - commentò, scuotendo il capo per poi dirigersi in cucina.
Squalo imprecò coloritamente in italiano, ignaro del fatto che, grazie a lui, Marinette avesse imparato il significato di ogni singolo insulto in quella lingua. Il che non era esattamente un bene.
- Sono circondato da idioti! - ringhiò lui. Marinette alzò gli occhi al cielo ma non rispose. Lal voltò pagina.
- Non dirlo a me. -
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo della cosa:
quando ho detto che lo avrei pubblicato questo capitolo? Un mese fa?
Mh... non darò mai più date di scadenza.
Non ho molto da dire a riguardo, tranne che queste due parti sono state veramente impegnative da fare, e non sono molto soddisfatta del risultato finale (nella mia mente sembrava tutto così perfetto... sigh) ma bandiamo le ciance e cianciamo le bande: ringrazio tutte quelle povere anime pie che continuano a seguire questo disagio nonostante tutto e a commentare. Siete persone meravigliose :')
Come sempre vi ricordo la pagina facebook https://www.facebook.com/bambolinarossa98/">Multiverse e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Colonnello, l'Arcobaleno della Pioggia!
Baci,
bambolinarossa98
 

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Capitolo 17
*** Colonnello, l'Arcobaleno della Pioggia ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 17. Colonnello, l'Arcobaleno della Pioggia
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 15.900
Note: Sono passati due anni dall’ultima volta che ho pubblicato un capitolo ma questo non significa assolutamente che abbia abbandonato la storia. Sono successe tante cose e ho davvero passato un periodaccio: dopo aver ricevuto il computer nuovo credevo di potermi rimettere in carreggiata come prima ma mi sbagliavo, sono rimasta senza scrivere così a lungo che ho avuto un blocco. Sapevo esattamente cosa volevo descrivere ma non riuscivo a scriverlo, mi mettevo davanti al PC e avevo un vuoto totale e questo mi ha buttata davvero giù. È stato un momento difficile sotto molti di punti di vista e, per un po’, ho davvero creduto che fosse tutto finito: The Lady of the Ring era arrivato al capolinea e con essa tutto ciò che avevo costruito.
Poi è successo. Non so come, non so perché, ma è successo: mi sono svegliata una notte, ho acceso il computer e ho iniziato a scrivere come non avevo mai fatto in vita mia. Mi sono sentita felice, leggera, emozionata e più digitavo più sentivo di poter continuare a farlo. Era solo l’inizio e, finalmente, sono riuscita a ritrovare il mio ritmo.
Quando ho finito questo capitolo ho pianto di sollievo così a lungo che mi sono quasi disidratata.
Ebbene, per farla breve, sono tornata e ho tutta l’intenzione di restare. Vi ringrazio per essere stati pazienti e aver avuto fiducia in me, anche in quei momenti in cui io stessa non ne avevo, e spero che quanto scritto di seguito non deluda le vostre aspettative (soprattutto visto tutto il tempo che avete aspettatto).
Buona lettura.













Squalo se n'era andato appena era riuscito a rimettersi in piedi, pochi giorni dopo. Semplicemente, una mattina, Marinette era scesa in cucina e non lo aveva trovato.
Dino le aveva spiegato, tra uno sbadiglio e un sorso di caffé, che il ragazzo era partito molto tardi quella notte e non aveva voluto svegliarla inutilmente e lei non poté negare di essersi sentita un po' demoralizzata dal fatto che lui ritenesse il doverla salutare qualcosa di futile.
E non solo: lei non sapeva che sarebbe tornato in Italia quel giorno. Nessuno le aveva detto niente, il diretto interessato prima di tutti, e ciò la fece sentire un po' messa da parte.
Aveva provato a condurre le sue giornate come al solito ma la mancanza di Squalo in casa era troppo evidente: a partire dal silenzio che regnava sovrano tra quelle quattro mura, al bussare ritmico sulla porta del bagno ogni mattina benché non vi fosse nessuno oltre di essa, al piatto in più che Sabine ogni tanto metteva ancora a tavola prima di ricordarsi che non erano più in sette ad abitare sotto quel tetto. E Marinette era spenta. Rideva, chiacchierava, sclerava, studiava, inciampava nei posti più improbabili, salvava Parigi dal male... ma non aveva più la stessa vitalità di prima. C'era sempre un'ombra dietro i suoi occhi che faceva intuire quanto in realtà si sentisse sola.
E dopo due settimane anche i suoi amici avevano capito che la situazione era grave. E fu assurdo rendersi conto che la prima a preoccuparsene era stata proprio Chloé. Cioé, non che si fosse esattamente preoccupata, o almeno non lo aveva lasciato intendere, ma se Alya, Nino e Adrien si erano limitati a cercare di tirare su il morale di Marinette senza esporre troppo il problema che l'assillava, la ragazza era andata dritta al punto senza mezzi termini.
In una mattina come tante, che stavano passando in biblioteca a studiare, Chloé si era avvicinata scostando una sedia e abbandonandovisi sopra, accanto ad Adrien, che alzò gli occhi su di lei sopreso e turbato. Ma, per una volta, lei non lo degnò più di un "Ciao, Adrikins" piuttosto arido, privo della solita vena diabetica e civettuola che sempre impregnava le sue parole quando si rivolgeva a lui. Aveva guardato in direzione di Marinette, che la fissava da sopra le pagine di un libro abbandonato a sé stesso, perplessa e interrogativa: non sempre era un buon segno se Chloé decideva di parlarle, o anche solo di starle vicina, sebbene in quell'ultimo periodo la ragazza si era dimostrata inquietantemente amichevole nei suoi confronti. E le parole "Chloé" e "amichevole" non potevano stare nella stessa frase, andava contro ogni legge della natura.
- Per quanto la cosa non sia affar mio, e non me ne può fregar di meno intendiamoci, non posso proprio far a meno di farti notare che non c'è gusto a litigare con qualcuno dal morale così basso - iniziò, con un tono che era un misto tra il seccato e l'indignato - Pertanto, non essendoci nessuno al di fuori di te con cui valga la pena battibeccare, la mia psiche ne risente pesantemente. Ho bisogno di sfogarmi, capisci? - chiese, guardandola in modo serio, forse un po' troppo per ciò ch stava dicendo, con i suoi occhi azzurrissimi - Dunque, o tiri fuori un insulto decente e creativo a cui io possa rispondere per le rime e mettermi il cuore in pace almeno per oggi... o sputi il rospo e ti decidi a dire perché sei così dannatamente depressa perché non ti si può guardare. -
Marinette sbatté gli occhi un paio di volte, incredula a quello che le sue orecchie avevano appena udito, mentre Alya e Adrien la fissavano allibiti. Solo Nino non sembrava troppo sorpreso anzi, era vagamente divertito da quella situazione.
Radi, poi, scoppiò sonoramente a ridere, biascicando a stento qualcosa di incomprensibile prima di ritirarsi dalla mente di Marinette per non travolgerla con le proprie emozioni.
Sotto lo sguardo scioccato di tutti fu Nino a rispondere, che sembrava l'unico perfettamente tranquillo e a proprio agio - Marinette è un po' giù di corda perché Squalo è tornato in Italia - spiegò.
Chloé inarcò un sopracciglio, impassibile - Quello carino biondo o quello bello antipatico? - chiese. Marinette dilatò le pupille, fissandola come se fosse un'aliena, e non solo perché si stava effettivamente preoccupando per lei (la fine del mondo era forse vicina?) ma perché aveva fatto un sottilissimo paragone tra Dino e Squalo mettendo quest'ultimo un gradino sopra l'altro. Perché Dino era carino, mentre Squalo era bello. Un confronto debole eppure profondo che lei non riusciva a comprendere per quanto si sforzasse: in quanto donna concordava che, sì, Squalo e Dino erano davvero due bei ragazzi, su quello non ci pioveva... ma il suo cervello non aveva mai elaborato un confronto tra i due. Erano entrambi suoi cari amici, quasi dei fratelli, poteva confrontarli a livello caratteriale (e lì ci sarebbe stato molto da dire poiché erano praticamente l'uno l'opposto dell'altro) ma fisicamente... non le era mai neanche passato per l'anticamera del cervello. Era assurdo. Era ridicolo.
- Quello antipatico - rispose Nino. Chloé sbatté le palpebre, lentamente, senza mostrare nessuna particolare reazione, infine tornò a posare lo sguardo su di lei.
- Beh? Non se n'é andato per sempre, no? - chiese, con disinvoltura, lasciandola spiazzata - Voglio dire ritornerà, giusto? -
Marinette, che ancora la fissava sconvolta con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, si riscosse di colpo e scosse il capo, leggermente disorientata.
- N-no... - rispose, confusa - Certo che torna. Non so quando ma... - farfuglió.
- E allora dov'è il problema? - domandò lei, alzando gli occhi al cielo, come se stesse spiegando qualcosa di particolarmente facile ad un bambino di tre anni - E non guardarmi in quel modo! - aggiunse, poiché la ragazza la fissava tra l'allucinato e lo sconvolto.
- Beh... ecco... - balbettò turbata - Ti ringrazio per il pensiero Chloé ma... sto bene, quindi... - si bloccò, non sapendo come continuare, e Radi che rideva senza sosta in un angolino del suo cervello non aiutava per niente - Vale ancora la cosa dell'insulto? - chiese infine, disperata. Nino scoppiò a ridere, abbandonandosi sul tavolo e premendo la bocca contro l'incavo del gomito per soffocarne il suono. Alya gli tirò un calcio da sotto il tavolo, beccandolo al ginocchio e facendolo gemere, ma prima che Chloé potesse rispondere il telefono nella borsetta di Marinette squillò, facendola sussultare.
Ancora un po' confusa lo tirò fuori e sgranò gli occhi quando lesse il nome sul display: Squalo.
- È lui - mormorò, stupita - Scusatemi un attimo - aggiunse, alzandosi di scatto e correndo dietro uno scaffale in un angolo della biblioteca, lontano dal tavolo, senza neanche dar loro il tempo di rispondere. Era la prima volta che la chiamava da quando se n'era andato e Marinette non poteva neanche lontanamente immaginarne il motivo; si sentiva anche un po' nervosa se proprio doveva dirlo, tuttavia si affrettò a rispondere.
- Pronto? -
Si era aspettata di udire un "Voi!" spaccatimpani o quanto meno la voce del diretto interessato provenire dal ricevitore... o meglio ci aveva sperato. Invece fu un confuso vociare quello che le arrivò all'orecchio, un brusio simile ad un'accesa conversazione: su per giù potevano essere tre o quattro persone e parlavano tutte in italiano. Lì per lì rimase perplessa, non avvertendo nessun sentore di risposta da parte del proprietario dall'altro lato, ma poi il dubbio che la chiamata fosse partita per sbaglio la colse e fu giusto sul punto di chiudere, un po’ tristemente, quando la voce di un ragazzo la raggiunse vicinissimo all'apparecchio.
- ...il divano - disse, con un tono seccato e rassegnato - Come cazzo lo riprendiamo, adesso? -
- Sei tu il genio, fatti venire un'idea - rispose una voce maschile, palesemente in falsetto e piuttosto effemminata - Se lo viene a sapere non la smetterà più di sbraitare. Hai dimenticato la scenata che ha fatto quando Levi gli ruppe la tazza che aveva preso all'Acquario di Genova? -
- Mi pulsano ancora le orecchie solo a pensarci - borbottò il ragazzo - Mammon, infilati sotto il divano e recupera il telefono - ordinò.
- Cinquanta euro - rispose una vocina, sottile e infantile ma secca e impassibile.
- Mocciosa spocchiosa, cinquanta euro per prendere un fottuto telefono da sotto un fottuto divano? -
- Hai dimenticato di chi è il telefono - rispose una quarta voce, profonda e tonante - E le conseguenze se lo viene a sapere. -
- Hai ragione. Facciamo cento euro - concordò la bambina.
- Andate a fanculo tutti e tre - sbottò il ragazzo.
Marinette ci mise giusto qualche secondo ad elaborare quella conversazione (poteva vantare di aver ottenuto una certa conoscenza della lingua italiana, ma aveva il dubbio che Radi le stesse passando il significato di alcune parole da un angolino della propria mente) e capì i punti fondamentali degli eventi in un lampo: la chiamata era partita per sbaglio, proprio come aveva sospettato; il telefono di Squalo non era nelle mani del proprietario ma sotto un divano, e lui non lo sapeva neanche; a farcelo finire erano stati gli altri membri dei Varia.
Perché era vero che non li aveva mai visti, ma almeno i nomi li conosceva: Levi e Mammon erano due ufficiali, la seconda addirittura un Arcobaleno e molto spilorcia in fatto di soldi… ciò significava che il ragazzo doveva essere Belphegor essendo il più giovane della compagnia (dopo Mammon) e l'uomo con la voce in falsetto Lussuria. E si fidava alquanto del suo intuito.
- Ok. Levi alza il divano, io mi ci infilo sotto e lo recupero - dispose Belphegor. Ci furono diversi rumori, tra cui un sospiro trattenuto e il suono di qualcosa di pesante che strisciava sul pavimento, poi la voce del ragazzo uscì leggermente soffocata ma trionfante.
- Ehi, ho trovato il telecomando! - esclamò - E una bottiglia di Bourbon... Boss, non è tua questa? - aggiunse, leggermente perplesso.
Una voce bassa e rauca borbottò qualcosa che Marinette non capì essendo troppo lontana, ma non le ci volle molto per fare due più due: c'era solo una persona che i Varia potevano chiamare Boss e quella persona era Xanxus.
- Preso! -
Il divano ricadde pesantemente al suolo e le voci si fecero più nitide.
- Cazzo, è in chiamata! - sibilò Belphegor, agghiacciato, dopo pochi secondi.
- Chi hai chiamato? - quasi strillò Lussuria, in preda al panico.
- Ma che ne so... quì c'è scritto "Mocciosa" - borbottò il ragazzo.
Marinette fece una smorfia, un po' offesa e un po' intenerita dal nomignolo che Squalo le aveva dato, ma gelò quando sentì le voci dei Varia accavallarsi l'una sull'altra, chi turbato e chi curioso.
- Beh, dí qualcosa! -
- Ma sei scemo? Chiudi! -
- Tanto ormai sarà in linea se ha risposto, no? -
- E se richiamasse? E se Squalo lo venisse a sapere? Quello c'ammazza a tutti e quattro! -
- Esagerato! Ci amputerà qualche arto, semmai... -
- Taci, Mammon. -
- Ehm... pronto? -
Marinette trattenne il fiato, ma non rispose quando la voce di Belphegor le arrivò alle orecchie forte e chiara, seppur incerta.
- Forse ha risposto per sbaglio e non si neanche accorta della chiamata - provò Lussuria, speranzoso.
- No, purtroppo me ne sono accorta - rispose Radi, allegramente. Marinette si tappò la bocca con la mano, lanciandogli un paio di maledizioni in cinese, poi tossì leggermente, a disagio e in imbarazzo.
- Oh, cavolo... - mormorò Bel - Senti, dolcezza, facciamo una cosa: adesso io chiudo il telefono e fingiamo che questa conversazione non sia mai avvenuta. Ok? - chiese, con una nota di isterismo nella voce.
Marinette annuì vigorosamente, dimentica che loro non potessero vederla - Sono completamente d'accordo! -
- Ottimo! - si rilassò lui, con un sospiro di sollievo - Intelligente, la ragazza! - commentò poi già più distante, segno che stava per chiudere... ma appena mezzo secondo dopo un tonfo assordante fece gelare tutti da entrambi i lati e la voce di Squalo risuonò nel ricevitore con la forza di una tromba.
- Vooi! Ho dimenticato il telefono in salotto, qualcuno lo ha visto? - sbottò, nervoso.
Scese un lunghissimo silenzio nel quale Marinette sentì distintamente la paura dei presenti crescere a dismisura anche attraverso il telefono... poi Levi parlò.
- È stato Bel. -
- Figlio di puttana! - imprecò il ragazzo.
Infine Squalo esplose, propinandosi in una serie di insulti e minacce che avrebbero indotto al suicidio qualunque adolescente medio. Marinette dovette allontanare il telefono dall'orecchio per non restare sorda e lo fissò, sconvolta e scandalizzata: nonostante Radi avesse bruscamente interrotto il processo di traduzione ormai Marinette aveva sentito abbastanza e poteva solo intuire il resto.
Tra parantesi sta parlando in siciliano, la informò lui.
- Lo avevo notato - rispose lei, in tono monocorde.
- Squalo! Squalo, per amor del cielo... sei in chiamata! - strillò Lussuria per farsi sentire da sopra al frastuono, interrompendolo. Il ragazzo ringhiò qualcosa che suonò come un - E chi cazzo avete chiamato, coglioni?! -
- Ehm... una ragazza, giovane - rispose Belphegor - È segnata come "Mocciosa". -
Un agghiacciante silenzio seguì quelle parole e Marinette trovò finalmente la forza di premere il tasto rosso, chiudendo definitivamente la chiamata.
Restò impalata a fissare lo schermo nero per un minuto buono ma non accadde nulla, quindi lo rimise nella borsa e ritornò lentamente al tavolo, dove i suoi amici la stavano aspettando confabulando tra di loro. S'interruppero quando la videro arrivare e alzarono lo sguardo su di lei.
- E quindi? - chiese Nino, curioso. Marinette alzò le spalle.
- La chiamata era partita per sbaglio, il telefono lo aveva un... collega - rispose, eterea, sedendosi.
Vide distintamente l'occhiata sfuggente che si rivolsero Nino e Chloé e si chiese cosa cavolo stesse succedendo tra quei due.
- Ehi, Marinette, oggi mio padre è all'Hotel Palace per organizzare un evento. Ti va di venire con me? - domandò d'un tratto lui - Serve anche qualche dolce per il buffét e ho pensato che tuo padre potrebbe fornircerli, che ne dici? -
Marinette, colta un po' alla sprovvista, ci mise qualche secondo a registrare le informazioni ma infine annuì - Certo, con piacere. -
Il ragazzo sorrise - Ottimo! Ti passo a prendere alle quattro! - esclamò, chiudendo il libro ed alzandosi - Ci vediamo più tardi, bro! - salutò Adrien dandogli una pacca sulla spalla e sparì dietro uno scaffale.
- Beh, ho da fare anche io. Ci si vede - salutò spiccia Chloé, scattando in piedi e sfrecciando praticamente nella stessa direzione.
Marinette aggrottò le sopracciglia, sospettosa - Solo a me quei due sembrano strani? - chiese. Le occhiate che le rivolsero i due compagni fu una risposta più che sufficente.








Marinette non aveva ancora ben definito il proprio stato d'animo. In quegli ultimi giorni, sopratutto, c'erano stati momenti in cui non aveva provato nulla a livello emotivo, restando a fissare il vuoto anche per ore, impassibile, con mille pensieri per la testa e tutti senza uno scopo preciso.
Un po' come in quel momento, in cui stava facendo pigramente rotolare un macaron nel proprio piatto fissando la chat della Vongola Famiglia scorrere velocemente sotto i propri occhi, impegnata come sempre in una solida discussione. C'era stata una litigata epocale tra Gokudera e Tayou poiché quest'ultima aveva fatto entrare altre persone nel gruppo. E Marinette ci aveva messo un po' a capire che “quegli stronzi” (come li aveva definiti il ragazzo) erano gli altri membri dei Varia.
Da quello che aveva letto, Belphegor si era preso il numero della ragazza dal telefono di Squalo e li aveva fatti aggiungere tutti. Non che la cosa le importasse particolarmente, in quel momento era talmente distratta che capiva la metà delle cose che leggeva, concentrata più che altro su Squalo che stava insultando Bel in ogni lingua possibile poiché aveva casualmente rivelato in chat come lui l'avesse salvata sul cellulare… anche se non riusciva a ricordare quando avessero effettivamente iniziato a parlare di lei.
Prese l'estremità del macaron tra le punte di indice e medio, e lo fece girare lentamente su sé stesso: suo padre ne aveva preparati a chili in quei giorni, con la scusa di voler testare nuove ricette e colori, ma Marinette aveva il serio dubbio che cercasse di tirarle su il morale che lei ormai aveva decisamente sotto i piedi. Eppure, quei miseri biscotti avevano il potere di farla sentire ancora più depressa: erano i dolci preferiti di Squalo, dopotutto, suo padre ne sfornava una teglia ogni mattina appositamente per lui; così come preparava i croissant con la crema di mandorle solo per Dino, i biscotti al caffé per Bianchi e le brioche integrali per Lal. Nessuno glieli aveva mai chiesti, Tom aveva inquadrato quasi immediatamente i gusti di ognuno e, quando la mattina si alzava per aprire il negozio, la prima cosa di cui si occupava era proprio la loro colazione così che li trovassero già in tavola una volta svegli.
Ed era una cosa che tutti avevano apprezzato molto.
- Hai intenzione di giocarci ancora o di mangiarlo? - domandò Bianchi, mettendo a posto l'ultimo piatto appena lavato nella credenza e chiudendo l'acqua della fontana.
Marinette alzò lo sguardo su di lei, come se si fosse appena svegliata da un lungo riposino pomeridiano, e si alzò - Sì, mi ero solo distratta - annuì, prendendo finalmente il biscotto. Era di un azzurro chiarissimo, ottenuto con il succo di mirtilli, e farcito con una crema al cioccolato bianco e cannella; la ragazza sospirò prima di cacciarselo in bocca. Bianchi si asciugò le mani con un panno e lo rimise appeso al forno, incrociando le braccia al petto e poggiandosi al lavello.
- Sicura vada tutto bene? - chiese - È da quando sei tornata che fissi il cellulare senza farci niente. -
Marinette scrollò le spalle - Sono in uno di quei giorni in cui non ho voglia neanche di respirare - ammise, tirando le braccia in aria e stiracchiandosi - Sarà il tempo, quando fa freddo sono affetta da una profonda crisi di pigrizia. -
In effetti quelle ultime settimane di febbraio erano state particolarmente gelide tanto che per un paio di giorni aveva addirittura nevicato seppur lievemente. Bianchi sorrise, guardando l'orologio, e si staccò dal ripiano della cucina.
- È meglio prepararsi, il tuo amico arriverà fra pochi minuti - constatò. Marinette chiuse whatsapp e recuperò il telefono, scendendo dallo sgabello e dirigendsi verso le scale.
Se doveva essere sincera, dopo l'incidente di quella mattina aveva sperato che Squalo la richiamasse o le mandasse un messaggio o quanto meno la contattasse. E invece niente, c'era stato solo silenzio da parte sua; per un attimo si era chiesta cosa sarebbe successo se non avesse chiuso la chiamata ma poi pensò che, quasi sicuramente, sarebbe stato lui a mettere giù.
Oppure no?
Scosse il capo e decise di non pensarci, mentre frugava distrattamente nell'armadio in cerca di qualcosa da mettere per uscire. Sospirò, recuperando una camicia e un maglioncino, e iniziò a vestirsi. Non riusciva neanche a dire con esattezza perché si sentisse cosí giù. Forse più che la lontanza era stato il comportamento di Squalo a ferirla maggiormente: quel suo sparire all'improvviso e non farsi più sentire, quasi fosse stata giusto una cosa passeggera e da quel momento in poi ognuno per la propria strada. Per un istante aveva anche pensato che, forse, non sarebbe neanche tornato prima che Lal le tirasse un calcio rotante nel fondoschiena, intimandole di darsi una svegliata e smettere di fare la depressa che non la si poteva più vedere.
Ed era inutile anche negarlo: Marinette si era affezionata troppo a lui. Cosí come si era affezionata a Bianchi, Dino e Lal... ma con loro aveva la certezza che, anche se si fossero allontanati, sarebbero rimasti comunque in contatto. Con Squalo, invece, aveva ormai ben chiaro che cosí non fosse.
Nino venne a prenderle dieci minuti dopo e Marinette rimase basita nel vederlo arrivare con la limousine di Chloé con tanto di proprietaria dentro. Stava succedendo qualcosa di strano tra quei due nelle ultime settimane e ormai il cervello di Marinette era partito a farsi i più disparati film mentali a riguardo, uno più folle dell'altro; ma Nino sembrò lo stesso di sempre quando scese dalla macchina con un largo sorriso sulle labbra, salutandola come al solito e facendole accomodare all'interno della macchina.
Il viaggio fu tra i più silenziosi a cui Marinette avesse mai preso parte e, quando arrivarono all'hotel, Nino le scortò fin sul luogo dei lavori, dove gli impiegati stavano allestendo un salone per un ricevimento.
- Sai, sono ospiti molto importanti in visita a Parigi. Vengono dal Giappone e volevamo offrire loro dolci tipici della Francia ma anche qualcosa di giapponese, per farli sentire a loro agio. Il pranzo sarà un misto di portate, quindi è giusto che lo sia anche il dessert - spiegò Nino, guidandole attraverso la sala.
Bianchi osservò degli uomini appendere un grande ventaglio variopinto alla parete, prima di rivolgersi al ragazzo - Ho vissuto in Giappone nel corso dell'ultimo anno - informò - E conosco i dolci classici del Paese, anche se ogni città e regione ha le sue tradizioni - spiegò - Potrei consigliarvi qualcosa da servire. Per quelli francesi andremo sul classico. -
Nino sorrise, annuendo - La trovo un ottima idea! -
- Che cosa farete per il pranzo? - domandò Marinette, giusto per partecipare alla conversazione prima di distrarsi seriamente.
- Oh, di tutto e di più. Sono stati fatti venire i cuochi migliori per l'occasione: c'è la possibilità che mio padre concluda un grosso affare e il signor Bourgois vuole aprire una filiale di Hotel-ristoranti anche a Tokyo, quindi sarebbe un ottimo aggancio - rispose il ragazzo.
Chloé scrolle le spalle, apparentemente indifferente - Mio padre ha chiamato il gestore di un ristorante di sushi del Giappone: è il migliore dell'intero continente, verrà di proposito quí a Parigi per partecipare all'evento - concluse, rimirandosi lo smalto color panna - È anche il nostro ristorante di fiducia: mio padre mi ci porta ogni anno per il mio compleanno. Un po' modesto ed in una cittadina piccola, ma fa il pesce crudo più buono che esista. Quindi andiamo sicuri. -
- Wow - commentò Marinette, stupita - Avete fatto le cose in grande. -
- Eccome - annuí Nino - Ci manca solo che vengano invitati Ladybug e Chat Noir - rise, per poi farsi un po' più serio - No, Chloé, non pensarci neanche - sancí, poiché la ragazza aveva già aperto bocca per ribattere.
Lei mise il broncio - Ma perché no? - sbuffò, incrociando le braccia al petto contrariata.
- Va bene fare bella figura ma non esageriamo: cosa mai potrebbero c'entrare due supereroi in un colloquio di lavoro? - chiese il ragazzo.
Chloé borbottò qualcosa, indispettita, ma non replicò. Nino batté le mani.
- Ordunque! - iniziò, guidandole verso il retro della sala - Del menú si occupa la signora Césair. Puoi discutere con lei dei dolci, Bianchi, e se vuoi suggerire qualche piatto fai pure - illustrò, indicando la madre di Alya che discuteva ad un tavolo con alcune persone.
- Ottimo - annuí Bianchi.
- Per quanto riguarda le ragazze... Marinette, per non annoiarci a morte possiamo spostarci di sopra - propose Nino - Chloé ha un televisore enorme: ci possiamo vedere qualche film, chiacchierare un po'... che ne dici? -
Marinette spostò lo sguardo su Bianchi che le fece un cenno, sorridendo. - Certo, va bene - annuí.
- Non me la perdete - raccomandò la donna, già avviandosi verso il gruppo. Nino sorrise, prendendo la ragazza sotto braccio.
- La terrò sotto gli occhi tutto il tempo - promise, solenne, scambiandosi un sorriso con lei. - Da questa parte, signorine - invitò, prendendo Chloé sotto l'altro braccio e scortandole su per le scalinate.
Marinette era già stata in camera della ragazza ma esclusivamente nelle vesti di Ladybug, quindi dovette fingersi sinceramente sorpresa quando raggiunsero l'ultimo piano ed entrarono in quello che somigliava più ad un piccolo appartamento che ad una camera.
- Wow, Chloé... - esclamò - È stupenda! -
La bionda scivolò dalla presa di Nino e si aggiustò la frangia con un gesto della mano - È anche meglio della suite reale. Era scontato che la ricevessi io - esclamò, altezzosa.
- Ovviamente - mormorò Marinette, a mezzavoce, sbottonandosi il giubbotto. Nino sprofondò nel divano, accuratamente spostato per dare una visione perfetta del televisore a ottantasette pollici a chiunque vi fosse seduto.
- Che film vediamo: horror, avventura, azione, fantasy? Niente romantici, per carità - supplicò, prendendo il telecomando.
Marinette sorrise, sedendosi accanto a lui - E se scegliessimo una bella commedia leggera e divertente? - domandò.
- Ottima idea. Chloé? - chiese, sporgendosi oltre la testa dell'amica. La ragazza, intenta ad aggiustare i cuscini tolti dal divano già precedentemente sistemati in una pila ordinata su un tavolino, scrollò le spalle.
- Quello che vi pare - rispose, indifferente.
- E commedia sia! -
Mentre Nino sceglieva il film, Marinette aprí il cellulare scorrendo la chat della famiglia, che nel frattempo aveva accumulato una quantità di messaggi statisticamente impossibili per il lasso di tempo in cui erano stati inviati.
Quasi non si accorse di Chloé che passava dietro di lei e spariva in una porta sistemata accanto ad un enorme libreria contenente CD musicali.
- Uh, questo è bellissimo! - esclamò Nino, scegliendo un film di cui lei non si prese neanche la briga di leggere il nome. Chloé tornò pochi secondi dopo, sedendosi accanto a lei con braccia e gambe accavallate. Marinette chiuse il cellulare e lo posò sul tavolino di fronte a sé, cercando di concentrarsi sulla voce narrante della pellicola.
Passarono cosí i primi venti minuti finché il maggiordomo di Chloé non sbucò dal nulla accanto a loro spingendo un carrello portavivande.
- Posso offrire uno spuntino? - chiese e, senza aspettare una risposta, lasciò scivolare sul tavolino un vassoio dopo l'altro scoperchiandoli in meno di qualche nanosecondo con una maestria ed un eleganza sbalorditiva. Marinette si trovò leggermente a disagio quando vide torreggiare di fronte a sé macedonie di frutta, dolci di ogni sorta, cioccolatini, tartine al caviale, cocktail di gamberi e una grande bottiglia di succo ai frutti di bosco accompagnata da tre calici.
E lei che per spuntino intendeva una brioche, una mela o un panino al prosciutto.
Il maggiordomo s'inchinò con un sorriso e si ritirò. Nino prese al volo un cocktail di gamberi e sprofondò nel divano, mentre Chloé si concesse giusto una macedonia; Marinette non aveva la più pallida idea di dove mettere le mani: dopotutto era un tipo semplice, tutte quelle cose sofisticate non facevano assolutamente per lei, tuttavia aveva decisamente un certo languorino.
Tentennò un attimo sulla macedonia ma infine la curiosità prese il sopravvento e le sue dita si chiusero su una tartina: non aveva mai assaggiato del caviale e non sapeva quando le si sarebbe ripresentata l'occasione. Perché non approffitarne?
Nino le diede una gomitata sul braccio, divertito - Prima volta? - domandò.
- Sono una povera mortale, che puoi farci - alzò le spalle lei, cacciandosi il piccolo quadrato di pane in bocca; la prima cosa che sentí fu il sentore del burro spalmato sulla tartina, poi chiuse i denti sulle uova e i sapori le esplosero in bocca: il caviale era cremoso ma viscido sulla lingua, aveva un'aroma molto fine e acido e lievemente salato ma il sapore lasciava molto a desiderare. Si portò una mano davanti la bocca e lo masticò a fatica, ingoiandolo per non sputarlo.
- Schifo, eh? - chiese Nino, divertito.
- Un po' - ammise lei, versandosi del succo.
- Certe cose bisogna essere abituati a mangiarle - commentò Chloé, alzando gli occhi al cielo - Ma sí, il caviale fa un po' schifo - ammise infine - Meglio il sushi. -
Dopo essersi ripulita la bocca la ragazza afferrò un bigné alla crema, evitando i macaron come la peste.
La tensione andò scemando pian piano e riuscirono persino a chiacchierare e farsi due risate con Chloé, cosa che Marinette non credeva potesse mai essere umanamente possibile; stavano giusto discutendo su una scena del film quando il cellulare della ragazza li interruppe, espandendo nella stanza una musichetta pop a tutto volume. Lei lo prese e, dato giusto un'occhiata al numero, sospirò seccata.
- La mia sarta - annunciò, alzandosi ed uscendo sul balcone per rispondere.
Nino la guardò sparire e si appoggiò allo schienale, completamente a suo agio. - Ci voleva proprio questo pomeriggio di relax - commentò - Io e te non passiamo mai del tempo insieme, dobbiamo farlo più spesso - propose.
Marinette annuí giocando con i pezzi di ananas rimasti sul fondo del calice, sovrappensiero.
- Senti, Nino... ti posso chiedere una cosa? - disse infine, approfittando del fatto che fossero soli.
Il ragazzo, concentrato sul film, sorrise - Certo, cosa vuoi sapere? -
Il cucchiaio si fermò di colpo, restando conficcato nel frutto, e il vociare di Chloé, attuito dal vetro della portafinestra, si spense di colpo.
- Potresti cominciare col dirmi da quando tu e Chloé siete cosí intimi - propose Marinette voltandosi a guardarlo. Nino si drizzò sul divanetto strofinandosi le mani sui jeans, lo sguardo fisso sul maxischermo davanti a sé senza però vederlo veramente.
- Beh, intimi è una parola grossa... - azzardò, facendo un cenno col capo nella sua direzione - È solo che, ultimamente, i nostri genitori hanno lavorato a stretto contatto e quindi ci siamo ritrovati a passare del tempo insieme - spiegò, alzando le spalle.
Marinette inarcò un sopracciglio, aspettando che continuasse: stare nella stessa stanza con Chloé per più di un'ora non significava necessariamente entrare in confidenza con lei quindi era chiaro che ci fosse qualcos'altro sotto, specie nel modo in cui quei due sembravano capirsi con uno sguardo o un semplice cenno del capo, quasi avessero pianficato nel dettaglio quella giornata sin dall’inizio. E Marinette lo aveva capito sin da subito che la proposta del ragazzo di fargli compagnia non era stata per nulla casuale. - E...? - lo incitò, insistente.
Nino distolse lo sguardo dallo schermo e lo abbassò sull'immacolato pavimento della camera, per una volta serio - Abbiamo parlato. -






Fong respirò a fondo lasciando che l'aria fresca e pungente della notte gli entrasse nei polmoni. Il cielo era nero e la luna spiccava al centro di esso, illuminando a giorno la città avvolta nel silenzio; solo il rumore secco della finestra che si aprí spezzò la rigida quiete delle strade.
Il bambino aprì gli occhi e sorrise nello scorgere, in piedi sul davanzale, una figura infilata in un pigiama verde con tanto di berretto da notte ornato di pois. Fong si alzò dal ramo sul quale era seduto e Reborn si voltò verso di lui.
- Che cosa ci fai ancora quí, Fong? Credevo fossi a Parigi - chiese, incontrando il suo sguardo. Lui, in risposta, arrischiò due leggiadri passi sul legno poi saltò sul controtetto, avvicinandosi.
- C'è stato un cambio di programma - rispose - Avrei dovuto cominciare io ma ho incontrato delle complicazioni. Temo di non potermi muovere per un bel po' - sospirò, sconfortato. Reborn si fece serio.
- Questo è un problema... - mormorò - Degli altri che ho contattato solo tu e Lal mi avete risposto, Verde non si è più fatto vivo e Viper ha rifiutato di muoversi adesso. Non possiamo rimandare ancora. -
Fong scosse il capo e un piccolo sorriso si fece largo sul suo viso - Non ce ne sarà bisogno - informò - Sono riuscito a mettermi in contatto con qualcuno: prenderà lui il mio posto, almeno per ora. -
Reborn sbatté le palpebre una sola volta, incuriosito. - Non dirmi che è... -
L'altro annuí - Proprio lui. Gironzolava ancora quí nel paese, ecco perché non siamo riusciti a trovarlo Oltreoceano. È partito giusto ieri - informò.
Il tutore accentuò il proprio sorriso, decisamente soddisfatto, ignorando il mugolio sonnolento che provenne dalla camera sulla quale erano affacciati.
- Lal sarà felice di vederlo. -






Marinette fissò a lungo il ragazzo, apparentemente senza niente da aggiungere, aspettando invece qualche spiegazione.
Nino sembrava un po' nervoso ma non esitò a rispondere alla muta domanda che la ragazza gli lanciava con gli occhi. - Chloé non è quello che sembra, te lo posso assicurare - disse - Lei è... - tentennò per un istante, infine sospirò - Ecco, ha solo bisogno di essere capita. -
Lei alzò un sopracciglio, un po' scettica, ma lui scosse il capo - Non lo so spiegare... - ammise - Dovresti provare a parlarle o a passare un po' di tempo con lei. L'hai vista anche tu, ultimamente, no? Chloé è diversa, sta cercando di essere una persona migliore. Se le dessi un'opportunità... -
Il suono della finestra che si apriva lo interruppe bruscamente, facendoli sobbalzare entrambi: Chloé rientrò, decisamente infastidita, posando il cellulare nella tasca posteriore dei jeans.
- Uhm... problemi? - domandò Nino, titubante. La ragazza si abbandonò sul divano, incrociando le braccia.
- La sarta è un'incapace! - sbottò, contrariata - Ha sbagliato il colore per il vestito che devo indossare alla cena - sibilò - Dovrò farmene fare un altro. -
- Oh - rispose Marinette, abituata agli scatti isterici della ragazza - Un bel problema. -
Nino poteva dire quello che voleva ma lei dubitava fortemente che Chloé potesse essere diversa dalla solita arrogante e viziata Miss. Parigi che l'aveva fatta penare per anni. Non c'era modo che loro due potessero andare d'accordo.
- Potrebbe farlo Marinette! - propose d'un tratto Nino. La diretta interessata sussultò, voltandosi di scatto verso di lui ad occhi sgranati.
- Cosa?! - sbottò, incredula: si augurò seriamente che il ragazzo stesse scherzando o era la volta buona che lo picchiava.
- Tu cuci no? - rispose lui, entusiasta - E sei anche brava. Puoi farlo tu il vestito. -
A parte il fatto che Marinette non aveva mai fatto un vestito vero e proprio in vita sua ma si era sempre limitata ad articoli ornativi come borse, cappelli, sciarpe, guanti ecc... men che meno aveva intenzione di fare la sua prima esperienza con Chloé. Conosceva troppo bene la vena capricciosa della ragazza, sapeva quanto fosse esigente e abituata a comandare a bacchetta chiunque: non avrebbe mai potuto lavorare per lei, né ora né in nessun futuro prossimo.
- Ehm... Nino, io non ho mai fatto un vestito - lo informò, secca - Non credo che sia una buona idea fare il mio primo esperimento con una cosa così... importante - spiegò, sperando che recepisse il messaggio.
- Farmi fare un vestito da lei? - sbottò Chloé, inorridita - Mai! -
Un senso di fastidio colpí Marinette come un proiettile e la voglia di strozzarla con la sua felpa firmata si fece prepotentemente largo dentro di lei.
- Ma Bianchi non cuciva anche le-? - provò ad insistere Nino ma Marinette lo fulminò con lo sguardo.
- Nino… taci! - ordinò. Il ragazzo ammutolí all'istante e lei sospirò stancamente mentre il suo telefono iniziava a suonare. Si affrettò a prenderlo e non ebbe neanche bisogno di leggere il nome per sapere chi fosse, poiché la foto di Dino faceva già bella mostra di sé.
- Pronto? -
- Ehi, Marinette. Scusa se ti disturbo ma devo parlarti di una cosa... - iniziò lui tentennando, decisamente incerto, lasciandola perplessa.
- È successo qualcosa? - chiese lei, preoccupata.
- No, no, assolutamente - si affrettò a rispondere il ragazzo - Ma, vedi, il fatto è che... poco fa mi ha chiamato Squalo - informò facendole sgranare gli occhi - Mi ha chiesto di dirti che gli dispiaceva per quello che era successo stamattina, sai quando Belphegor ti ha chiamata... e anche per la scenata che ha fatto. -
La ragazza elaborò le sue parole in pochi secondi e strinse d'impulso il telefono tra le dita, tanto da forte da farsi male: Squalo aveva chiamato Dino... per scusarsi con lei? Era uno scherzo?
Evidentemente la sua espressione non doveva essere delle migliori poiché Nino e Chloé si scambiarono uno sguardo nervoso.
- Capisco - rispose, forse più duramente di quanto avesse voluto.
Sentí il ragazzo esitare - Lui al momento è fuori città per lavoro e il tuo telefono non ha una linea sicura, forse ha chiamato me perché il mio è anti intercettazione e... - provò a spiegare, ma infine si arrese e sospirò - Non avercela con lui Marinette: Squalo è fatto cosí, non è per niente incline ai rapporti sociali. Forse non vuole disturbarti senza un valido motivo - la supplicò speranzoso.
- Sí, Dino, va bene. Ho capito - rispose, tranquilla e un po' freddamente - Grazie per avermelo detto. Ci vediamo dopo. -
Aspettò giusto il suo saluto prima di mettere giù e sentí la presenza di Radi, fino a quel momento in disparte, invadere la sua mente.
Marinette... mormorò.
Sto bene” rispose lei, sebbene fosse consapevole di star dicendo una bugia colossale e che lui lo sapesse: insomma era nella sua testa cavolo!
- Marinette... va tutto bene? - domandò Nino.
Avrebbe voluto rispondere di sí e continuare quella giornata priva di senso come se nulla fosse... ma Radi non era dello stesso avviso: fu come se avesse preso tutti i pensieri e le emozioni accumulate fino a quel momento dal suo cervello e li avesse lanciati fuori con un tiro da tre punti, facendo canestro sulle sue corde vocali. Se Marinette avesse detto che tutte quelle cose le erano uscite di propria spontanea volontà avrebbe mentito spudoratamente.
- No che non va tutto bene - rispose, stringendo il telefono tra le mani - Non solo Squalo se n'è andato senza dirmi niente, non si è fatto sentire per settimane e mi ignora completamente... ma ha persino chiamato Dino per scusarsi con me del teatrino che hanno fatto i suoi colleghi a telefono stamattina. Perché gli faceva schifo chiamarmi, anche solo per dire "Ehi, deficente, non mi sono dimenticato di te"! - buttò fuori tutto d'un fiato, forse con più forza di quanto avesse voluto. Restò per un lungo momento a fissare il tavolo poi si alzò di scatto dal divano. - Scusatemi - mormorò, superando Chloé a grandi passi. Nino aprí la bocca per dire qualcosa, pronto a scattare in piedi, ma lei raggiunse il bagno in fondo alla stanza e vi entrò, chiudendosi di colpo la porta alle spalle.
Si abbandonò sul bordo della vasca idromassaggio e prese il volto tra le mani, respirando a fondo per non piangere: non si era mai sentita cosí male in tutta la sua vita; aveva un senso di delusione cocente che le stringeva il petto, insieme alla dolorosa consapevolezza di non valere niente per una delle persone più importanti della sua vita. Dopo qualche minuto la porta si aprí leggermente e la testa di Chloé sbucò oltre di essa: sembrava profondamente a disagio nel trovarsi lí e nessuno meglio di Marinette poteva capirla.
- Ehm... come stai? - azzardò, nervosa.
- Come credi che stia? - sbottò lei spostando lo sguardo di lato, verso il lavandino color oro (o forse era davvero fatto d'oro?).
Chloé si guardó alle spalle gesticolando leggermente, sembrava litigare silenziosamente con qualcuno (probabilmente Nino), infine sospirò ed entrò in bagno, chiudendo la porta.
- Mi dispiace per quello che è successo con il tuo amico - mormorò - Ecco... io... ehm... - la ragazza si guardò intorno nervosamente, posando lo sguardo ovunque tranne che su di lei - Io posso... capire come ti senti - ammise, esitante - Sai, mia madre è partita quando ero molto piccola: lei è sempre in viaggio per lavoro, la vedo raramente e quando viene qui a Parigi passiamo pochissimo tempo insieme. Per non parlare, poi, delle telefonate: neanche una. Mai. Sbaglia sempre il mio nome e sembra che non le interessi nulla di me... -
Marinette sgranò gli occhi e alzò lo sguardo su di lei, sconvolta: non sapeva nulla della madre di Chloé, tranne che era la più famosa critica di moda del mondo, men che meno era a conoscenza del suo rapporto con la figlia. Sentire quelle cose le straziava il cuore e l'atterriva la semplicità con cui Chloé le raccontava, come se si fosse arresa al fatto che lei, per la madre, non contava nulla.
- ...all'inizio faceva male, esattamente come fa male a te, ma poi ho avuto la consapevolezza che avevo con me delle persone che potevano aiutarmi a non pensarci: come mio padre e Adrien - aggiunse, giocerellando con le unghie - Ciò che voglio dire è che tu non sei sola, hai i tuoi amici e la tua famiglia. Per quanto possa fare male che questo Squalo abbia chiuso i rapporti con te hai pur sempre qualcuno che ti sta vicino in questo momento e che può aiutarti a superarlo - concluse. Alzò gli occhi su di lei per un secondo, imbarazzata, per abbassarli subito dopo - Insomma, so che a lui ci tieni tanto ma bisogna andare avanti nella vita. Tutto quí. -
Marinette non rispose subito, colpita dalle sue parole cosí profonde e veritiere. Sentirle uscire proprio dalla bocca di Chloé era stata una sorpresa poiché non si aspettava che lei potesse essere cosí... cosí... umana. Però aveva ragione, si era preoccupata cosí tanto di Squalo da trascurare tutto il resto: i suoi amici e la sua famiglia le erano stati accanto vedendola cosí giù e lei non aveva visto e ricambiato i loro sforzi per tirarla su di morale. In quel momento si sentí anche peggio.
Sospirò e riuscí ad abbozzare una mezza smorfia - Grazie, Chloé - mormorò.
La ragazza sgranò gli occhi, non aspettandoselo per nulla, e cercò di riprendere la sua solita compostezza - Ah... pff, figuriamoci. Per cosí poco. -
Marinette sorrise e, dopo un attimo di esitazione, alzò lo sguardo su di lei - Non posso farti quel vestito, Chloé, perché non sono cosí brava... però me la cavo con gli accessori. Se ti serve qualcosa sarei lieta di aiutarti. -
Chloé sembrò titubante - Beh... la borsetta che indossavi la sera di San Valentino era carina - ammise - Se potessi farmene una per la cena te ne sarei grata. Ti pagherò il lavoro, ovviamente - precisò.
Marinette aveva già aperto la bocca per ribattere ma Chloé la zittí con un gesto della mano - Non sia mai che mi faccia fare qualcosa gratis - tagliò corto - Ti manderò il campione della stoffa del vestito entro stasera, la voglio dello stesso tessuto e colore. La forma e la decorazione sono a tua discrezione ma niente di sciatto o banale. Tutto chiaro? -
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, registrando tutte le informazioni ricevute con qualche secondo di ritardo: certo che ci aveva messo poco a riprendere il suo fare autoritario...
Annuí, sorridendo divertita. - Sarà fatto. -
- Bene - Chloé aprí la porta per uscire, ma sobbalzò facendo qualche passo indietro quando si ritrovò davanti la faccia scura di Bianchi. La donna spostò subito l'attenzione alle sue spalle, verso Marinette ancora seduta sulla vasca, e drizzò la schiena.
- Va tutto bene, Marinette? - domandò preoccupata - Dino mi ha chiamata e... -
- Tutto bene - rispose lei alzandosi, più rilassata e in un certo senso un po' più allegra. - Dobbiamo andare? - domandò.
Bianchi esitò infine annuí - Sí, si è fatto tardi. È il caso di rincasare. -
Marinette recuperò il giubbotto, salutò i due ragazzi e uscí dall'hotel, sentendosi stranamente più leggera. Sulla strada del ritorno, però, ricevette un messaggio da un numero sconosciuto che fece nuovamente crollare il suo umore sebbene recasse solo poche parole scritte in italiano “Ci vediamo presto, dolcezza.
Confusa cercò tra le informazioni del contatto e scoprí che era nel gruppo della Famiglia, cosa che la lasciò ancora più perplessa: aveva salvato tutti i numeri presenti sin dall'inizio... tutti tranne quelli dei Varia entrati solo quel pomeriggio.
- Ehm... Bianchi? -
- Mh? -
- Credo che qualcuno dei Varia mi abbia scritto - informò mostrandole il cellulare. La donna si fermò sul marciapiede e lesse il messaggio, prestando particolare attenzione al numero e all'immagine di profilo (raffigurante il profilo di un ragazzo dai capelli biondi in costume da bagno, in piedi sulla riva del mare).
- Questo è Belphegor - informò.
- Il ragazzo con cui ho parlato stamattina? - chiese lei.
Bianchi annuí - Gli piace fare il simpatico, io non mi preoccuperei del messaggio quanto del suo contenuto - rispose.
- Stai dicendo che potrebbe venire sul serio quí? - domandò preoccupata.
- Non è da escludere. Dopotutto tra i Varia vi è anche un Arcobaleno e lo sai che dovrà occuparsi del tuo addestramento. -
Marinette emise una smorfia e guardò di nuovo il messaggio - Inizio sul serio a temere per la mia incolumità - ammise, più a sé stessa che a Bianchi.






I giorni seguenti Marinette li passò a lavorare incessantemente alla borsa. Lei e Bianchi buttarono giù parecchi schizzi basandosi sul modello del vestito che aveva fornito loro Chloé, ma dovettero cestinare un bel po' di idee prima di avere un risultato soddisfacente: considerato a chi era destinata non potevano proprio permettersi di accontentarsi.
Quando iniziò finalmente a cucire mancavano solo due giorni alla fatidica cena e Bianchi era stata ben lieta di aiutarla in tutto il processo di confezionamento, felice sopratutto di vederla più allegra e tranquilla rispetto alle settimane precedenti. Tra ritagli, assemblaggi e ritocchi vari (impegarono più tempo per le decorazioni che per la borsa vera e propria) arrivarono a finirla il giorno stesso del ricevimento. Marinette non andò neanche a scuola quella mattina ma si prese tutto il tempo necessario per impacchettare decentemente la borsa e chiamare Chloé per consegnarla.
- Sono leggermente impegnata con i preparativi, al momento - aveva risposto la ragazza e poté sentire distintamente una nota nervosa nella sua voce - La sarta è in ritardo e devo rimandare l'appuntamento con il parrucchiere - aggiunse seccata - Passa oggi pomeriggio verso le sei. Non fare tardi, alle sette arrivano gli ospiti - e aveva riattaccato senza lasciarle il tempo di dire nulla.
Così si prese tutto il giorno per riposarsi, fare un bagno caldo e mettersi qualcosa di decente. Non avrebbe partecipato alla cena, era vero, ma non poteva neanche presentarsi con chissà cosa addosso; quindi aveva optato per una camicia bianca, jeans azzurri e degli stivali blu scuro alti fino al ginocchio (non erano nel suo stile ma glieli aveva regalati Bianchi e almeno qualche volta voleva indossarli, giusto per farla contenta). Uscirono di casa alle cinque e mezzo e si fecero la strada a piedi fino all'hotel, completamente in fermento: c'era un via vai di persone allucinante nella saletta privata, adeguatamente ammobiliata per l'evento, e il signor Bourgois dava personalmente le direttive in piedi al centro della stanza.
Facendo slalom tra i vari membri del personale raggiunsero l'ascensore e salirono fino all'ultimo piano; appena le porte si aprirono sul corridoio delle urla atroci arrivarono alla loro attenzione e fu impossibile non riconoscerne la fonte.
Lei e Bianchi si guardarono negli occhi per un istante, già presagendo il peggio, e si avviarono verso la porta della suite imperiale. Marinette bussò due volte, dopo un attimo di esitazione, e attese; dopo un lungo minuto la porta si spalancò, facendole sobbalzare entrambe, e Chloé apparve dinnanzi a loro con uno svolazzante vestito pervinca, scurissima in volto e con i capelli più disordinati che le avessero mai visto addosso.
Le squadrò per un attimo e sembrò rilassarsi un pochino, anche se l'espressione omicida non si era attenuata neanche un po'. - Ah, siete voi - sospirò.
Marinette avrebbe potuto dire tantissime cose in quel momento, da un semplice “Ciao” a un “Ti trovo bene!”, ma l'istinto di sopravvivenza le diceva che la cosa migliore da fare era consegnarle la borsa e fuggire a gambe levate da lì.
Tuttavia Bianchi non fu dello stesso avviso perché disse, con una nota di sorpresa ben evidente nella voce, ciò che non avrebbe mai dovuto dire - Che cosa ti è successo? -
Chloé voltò lo sguardo verso di lei, restò in silenzio per un lungo istante, poi esplose in un grido di rabbia mista a disperazione che le fece sussultare.
- Il parrucchiere ha fatto un casino con la permanente - esclamò - Guardate i miei capelli! Non posso uscire così - si lamentò, portandosi le mani al viso e cominciando a piangere.
E Marinette sgranò gli occhi, allibita: stava davvero piangendo!
Lei e Bianchi si guardarono, turbate, infine la donna si avvicinò alla ragazza e le mise un braccio intorno alle spalle. - Stai tranquilla, non è così grave - cercò di tranquillizzarla - Forse si possono ancora recuperare. Vediamo cosa possiamo fare, ok? -
La ragazza annuì, asciugandosi le lacrime dagli angoli degli occhi e tirando su con il naso. - Adesso vai a sederti vicino allo specchio e calmati, io arrivo subito - le disse, spingendola delicatamente dentro. Quando si fu allontanata Bianchi si voltò verso Marinette, che la guardava sinceramente stupita.
- Per un attimo ho temuto che ti urlasse contro - ammise. Bianchi sorrise, divertita.
- È una situazione delicata, lascia che ci pensi io - le disse - Tu non preoccuparti. Vai a fare un giro, rilassati un po'... ma non uscire dall'hotel e resta nei pressi delle telecamere di sicurezza. Io non ci metterò molto. -
Marinette annuì e le porse il pacchetto con la borsa. Bianchi entrò nella stanza e chiuse la porta mentre lei ripercorse il corridoio all'indietro, ma non prese l'ascensore e iniziò invece a scendere velocemente le scale: sentiva di dover scaricare la tensione accumulata nelle ultime settimane e quella era la prima volta, da quando Squalo se n'era andato, che si ritrovava completamente sola. Dopo pochi minuti aveva già raggiunto l'ultima rampa del secondo piano quando, girata la balaustra, andò a sbattere contro qualcuno che stava salendo. Inciampò sul tappeto e caddero entrambi giù dalle scale, facendosi gli ultimi venti gradini rotolando.
Finì di schiena sul pianerottolo del primo piano, sbattendo la testa sul pavimento, con un gemito di dolore; vide le stelle e le salirono le lacrime agli occhi.
Marinette!, la voce di Radi le risuonò nella mente, agitata, facendola rinsavire un poco Stai bene, bambina mia?
Lei ebbe giusto il tempo di pensare, stranita, “Bambina...?” prima che un lamento al suo fianco la distraesse. Si alzò facendo leva sugli avambracci, sentendo il gomito sinistro dolere, e si voltò: proprio accanto a lei, carponi sul tappeto rosso, un uomo si stava rialzando lentamente tenendosi la fronte coperta da una fascia bianca.
Non era più tanto giovane, poteva avere sì e no una quarantina di anni, con corti capelli neri e occhi ambrati; indossava una specie di kimono corto, azzurro, con sopra un grembiule bianco. Evidentemente faceva parte del casting, anche se faticava a capire quale ruolo potesse avere.
- M-mi scusi... - biascicò, mettendosi seduta - Sono davvero dispiaciutissima... sta bene? - chiese, preoccupata. L'uomo scosse il capo, ancora stordito, e alzò gli occhi su di lei lasciandola sorpresa: non sapeva come o perché ma quell'uomo aveva un'aria familiare. Era sicurissima che somigliasse a qualcuno, qualcuno che lei conosceva, ma non riusciva a capire chi.
- Boku wa genkidasu... - mormorò lui, mettendosi lentamente seduto. Marinette rimase un attimo spiazzata a sentire quella frase ma poi la sua mente fece due rapidi calcoli: Chloé aveva detto di aver fatto venire direttamente dal Giappone il suo sushi chef di fiducia e, a giudicare da come fosse vestito e dalla sua conoscenza basica dei manga giapponesi, ebbe il dubbio che si trattasse proprio di lui. Aveva quasi ucciso il fornitore di sushi preferito di Chloé e questa non era esattamente una cosa buona.
Cercò di ricomporsi e di non sprofondare nel panico, mentre tirava fuori tutte le sue esigue conoscenze della lingua giapponese. Se non errava doveva aver detto qualcosa di molto simile a “Sto bene” o giù di lì.
- Mi scusi, è stata tutta colpa mia... andavo troppo come un treno! - esclamò. L'uomo la guardò stranito e Radi ridacchiò.
Marinette, hai detto che andavi come un treno, le fece notare divertito. La ragazza arrossì violentemente.
- No, cioè, volevo dire veloce... andavo troppo veloce - si corresse, imbarazzatissima - Mi scusi, sto ancora imparando - aggiunse.
Lascia, ti aiuto io, rise Radi.
- Ah, non preoccuparti - rispose l'uomo, strofinandosi la schiena dolorante - Sono cose che succedono. -
- Venga, l'aiuto - si offrì lei, prendendolo per un braccio ed aiutandolo ad alzarsi. Ma appena si mise in piedi sentì una fitta alla caviglia destra che le fece stringere gli occhi per un istante: doveva essersi fatta male durante la caduta. Effettivamente sentiva anche la testa pulsare e il gomito faceva la sua esigua parte in quel tripudio di dolore, ma cercò di non darlo a vedere.
- Santo cielo! -
Una voce dal fondo delle scale li fece sobbalzare entrambi: la signora Césair e Nino li raggiunsero velocemente, preoccupati.
- Vi abbiamo visti volare giù dalle scale... stai bene, Marinette? - le chiese il ragazzo, poggiandole una mano sulla spalla.
- Sì, giusto un po' di mal di testa - annuì lei.
La donna sospirò, sollevata, e si rivolse all'uomo - Signor Yamamoto, è tutto ok? - domandò, facendolo annuire.
Marinette sgranò gli occhi, turbata: aveva detto Yamamoto? Quel nome le era stranamente familiare...
- Sei venuta qui da sola? - le chiese Nino, distraendola dai suoi pensieri.
- Uh... no - rispose, riscuotendosi - Mi ha accompagnata Bianchi, è di sopra con Chloé: la sta aiutando a sistemarsi i capelli - spiegò.
- Beh, è meglio se non gironzoli da sola dato che il più delle volte rischi la vita - constatò lui, quasi divertito, ma quell'affermazione fece scattare un campanello d'allarme nella testa di Marinette: anche se era impossibile che lui sapesse qualcosa riguardo il suo coinvolgimento con la mafia si agitò comunque.
- Ma dai, adesso non esagerare - rise, forse un po' troppo nervosamente.
- Perché non vieni di sotto con me? Ti faccio compagnia finché non torna Bianchi - propose il ragazzo - Tanto non ho nulla da fare finché non arrivano gli ospiti. Ed eviterò che tu ti faccia male di nuovo. -
Marinette sorrise ed annuì - Va bene, ti ringrazio - poi si rivolse all'uomo - Ehm... mi dispiace ancora per quanto è successo. È sicuro che vada tutto bene? - domandò. La signora Césair sgranò gli occhi.
- Non sapevo parlassi giapponese, Marinette - disse, stupita.
- Sto ancora imparando - rispose lei, imbarazzata.
- Sì, va tutto bene. Non preoccuparti, nulla che un buon thé non possa sistemare - rassicurò lui.
La madre di Alya lo guardò per un secondo, perplessa, poi si sporse verso di lei - Che ha detto? -
- Ha voglia di thé - rispose Marinette, semplicemente.
Nino sorrise e prese la ragazza per un braccio - Andiamo. -
Lei fece per seguirlo ma appena mosse un passo una scarica di dolore le attraversò tutta la gamba destra, facendola gemere. Si fermò di colpo tenendosi alla spalla del ragazzo che si voltò verso di lei, preoccupato - Ehi, va tutto bene? -
Lei strinse gli occhi per un istante - Mi fa male la caviglia - ammise. Lui la prese sottobraccio e la fece appoggiare a sé.
- Ok, meglio procurarci un po' di ghiaccio - constatò, accompagnandola fino alla saletta privata. La fece sedere su uno degli sgabelli del bar e sparì in cucina. Marinette si tolse lo stivale e alzò l'orlo dei jeans, notando con una smorfia il colorito violaceo intorno alla propria caviglia: era un pessimo momento per procurarsi lesioni su qualsivoglia parte del corpo. Sospirò e si sistemò meglio sullo sgabello, appoggiandosi al bancone.
Questo dovrebbe insegnarti a non correre più per le scale, asserì Radi con tono di rimprovero.
- Oh, dacci un taglio - sbottò lei, stancamente.
- Ma non ho detto nulla - esclamò Nino alle sue spalle, perplesso. Lei sobbalzò e si voltò a guardarlo, arrossendo un po'.
- Ah... ecco... non ce l'avevo con te - farfugliò, imbarazzata: ci mancava solo che pensassero che parlasse da sola. Il ragazzo si avvicinò con in mano un panno di stoffa pieno di cubetti di ghiaccio e si inginocchiò davanti a lei, poggiandolo sulla parte arrossata. Marinette strinse le labbra, un po' per il dolore e un po' per il freddo, ma non disse nulla.
- E con chi ce l'avevi allora? - chiese, sinceramente curioso.
- Con il mio cervello - rispose lei con nonchalance - Mi stava giusto dicendo di non correre per le scale, in futuro. -
Nino rise - Ottimo suggerimento. -
Anche Marinette sorrise, rilassandosi un po'. - Quindi partecipi anche tu alla cena? - domandò.
- Purtroppo - sospirò lui - Non che mi piaccia molto l'idea di stare seduto in mezzo a tutti quei tipi in giacca e cravatta ad ascoltare discorsi noiosissimi... ripetuti due volte per giunta! - ammise, alludendo al fatto che ogni cosa detta avrebbe necessitato di una traduzione.
- Penso a quei due poveri interpreti, devono annoiarsi molto... -
- La povera interprete, vorrai dire - la corresse lui - Chloé si è offerta volontaria: tradurrà tutta la conversazione per ambo le parti. -
Marinette sgranò gli occhi, stupita - Sul serio? -
Nino annuì - Immagino sia un'occasione per mettersi in mostra e sfoggiare il suo giapponese perfetto. -
Francamente, lei non ce la vedeva Chloé a fare qualcosa per qualcuno di propria iniziativa, a meno che la cosa non le portasse qualche vantaggio personale. Forse il tornaconto in tutto quello era fare bella figura di fronte a persone importanti, oppure assicurarsi che il padre aprisse quegli alberghi in Giappone così da avere qualcosa in più di cui vantarsi... solo lei poteva saperlo. Continuarono a parlare del più e del meno per una ventina di minuti, fecero giusto una pausa quando Nino andò a prendere del ghiaccio nuovo da mettere sulla sua caviglia ancora dolorante, mentre il catering andava avanti e indietro intorno a loro per dare gli ultimi ritocchi alla sala e alle pietanze in cucina. Nino le stava giusto raccontando di quando aveva visto Chloé con una maschera di fango in faccia che Bianchi li raggiunse, sospirando stancamente.
- È stata dura ma ce l'abbiamo fatta - annunciò per poi aggrottare le sopracciglia, osservando Nino seduto per terra che reggeva ancora il ghiaccio sulla gamba della ragazza - Che cosa è successo? - domandò.
- Oh, niente di che, sono solo caduta dalle scale - scrollò le spalle lei - Per fortuna è arrivato questo bel principe dalla bianca camicia ad aiutarmi - scherzò, dando un buffetto sulla testa di Nino che rise. Bianchi la guardò, preoccupata.
- Avresti dovuto avvertirmi subito, Marinette, potevi farti male sul serio - la rimproverò.
- Non preoccuparti, non è niente di grave - le disse per tranquillizzarla. Ma la donna non sembrava dello stesso avviso.
- Chiamo Dino e ci faccio venire a prendere - tagliò corto, tirando fuori il cellulare dalla tasca della giacca.
Marinette credeva che stesse un tantino esagerando ma preferì non protestare, anche perché non era completamente sicura di riuscire a farsela a piedi fino a casa. La sentì borbottare qualcosa mentre scriveva un messaggio e immaginò che il ragazzo non fosse disponibile in quel momento; al contempo Nino si alzò da terra, spolverandosi i jeans.
- È il caso che vada - annunciò - Ormai è quasi ora. -
Bianchi alzò lo sguardo su di lui e sorrise - Certo. Grazie per aver badato a lei. -
- Oh, è stato un piacere - rispose il ragazzo, dando un pizzicotto sulla guancia di Marinette - Ci vediamo lunedì - salutò, avviandosi verso il salone.
- A lunedì - ripeté la ragazza, guardandolo sparire oltre la porta. Bianchi ripose il telefono nella giacca e si sedette sullo sgabello accanto a lei.
- Dino è occupato, arriverà fra un po' - informò - Come ti senti? -
Marinette alzò le spalle - Sto bene - disse, rimettendosi lo stivale - Insomma, caviglia a parte. -
E lo pensava sul serio. Certo, in quelle ultime settimane aveva avuto molti momenti no, ma si stava riprendendo abbastanza bene. E lo doveva sopratutto ai suoi amici che, nonostante l'umore sotto i piedi l'avesse resa abbastanza detestabile, avevano fatto di tutto per tirarle su il morale.
- Non sono stata il massimo della compagnia, ultimamente, e mi dispiace - ammise con un sospiro stanco.
- Tranquilla, capitano a tutti i periodi difficili - rispose la donna, poggiandosi con le mani al bancone - Ciò che conta è riuscire a riprendersi - concluse.
Marinette aveva dei dubbi sul fattore “ripresa”: anche se si sentiva meglio rispetto agli ultimi giorni, quel senso di solitudine e malessere che la opprimeva da quando Squalo se n'era andato non riusciva proprio ad abbandonarla. E sapeva che non l'avrebbe fatto tanto presto.
- Immagino che sia così - annuì infine, cercando di non lasciar trapelare nessuna emozione deprimente; doveva almeno provare a tornare alla normalità, emotivamente parlando.
Il tenue chiacchiericcio che proveniva dalla sala accanto fece presagire che la cena fosse iniziata e, sebbene le porte che vi conducevano fossero chiuse, Marinette si sentì un tantino a disagio. - Fra quanto tempo hai detto che arriverà Dino? -
- Ha detto “qualche minuto”, ma non so quanto possiamo prenderlo alla lettera - rispose lei, eterea. - Oh, a proposito... Chloé mi ha chiesto di darti questo - aggiunse, tirando fuori dalla tasca un foglietto accuratamente ripiegato.
- Cos'è? - domandò, curiosa, prendendolo. Quando lo aprì sgranò gli occhi e per poco non cadde dalla sedia, tanto fu lo stupore: era un assegno di cinquecento euro intestato a Bianchi. Rimase a fissarlo, totalmente allibita, per qualche secondo buono prima di alzare gli occhi su di lei. - Ma che... cosa... perché? - fu tutto ciò che riuscì a balbettare, confusa.
- Beh, per la borsa - rispose Bianchi, con tranquillità.
- La borsa? Ma... quella cosina non vale tutti questi soldi! - protestò - Insomma... è una borsa! -
Non riusciva a trovare un nesso a tutto quello. Certo, Chloé le aveva detto che le avrebbe pagato la commissione, ma lei non si aspettava di certo una cifra così alta. Non per una borsa.
Bianchi sospirò - Si vede che non te ne intendi di marketing - commentò - Non si tratta solo della borsa in sé ma devi considerare anche tutto il lavoro che c'è dietro, senza contare che il tessuto usato era molto costoso - spiegò - Il pagamento deve coprire le spese effettuate, le ore di lavoro e garantire un margine di guadagno. -
Marinette sbatté le palpebre un paio di volte, registrando tutte quelle informazioni con un secondo di ritardo. Infine si proferì in un semplice - Oh - anche se continuava a pensare che quella cifra fosse decisamente troppo.
- Domani mattina andrò in banca a ritirarteli - continuò la donna.
- Oh - ripeté lei, non sapendo cos'altro aggiungere - Grazie. -
Era praticamente il suo primo lavoro retribuito anche se non aveva mai creato nulla per guadagnare: era solo una passione, la sua, e quell'assegno la faceva sentire terribilmente a disagio. Chiuse il foglietto e lo infilò nella borsa con attenzione, quasi fosse una bomba pronta ad esplodere, ed estrasse il cellulare iniziando a scorrere i vari messaggi su whatsapp con poco interesse, giusto per avere qualcosa da fare nell'attesa che arrivasse Dino. Intanto nella sala accanto il chiacchiericcio si fece più intenso e concitato, una porta sbatté e un cameriere uscì frettolosamente dalla stanza, superandole a passo di marcia. Marinette guardò perplessa la porta, dove la conversazione si era attenuata, e sperò che non stesse succedendo nulla di strano.
Ma dato che la sfortuna va sempre chiamata non si stupì più di tanto quando, dopo un paio di minuti, l’uscio venne spalancata definitivamente e tutti i commensali si precipitarono fuori. La ragazza alzò gli occhi al cielo, con un verso disperato.
- Non di nuovo, vi prego - esalò, esausta, già sapendo cosa sarebbe spuntato fuori dalla sala di lì a pochi istanti. Bianchi saltò giù dallo sgabello e la prese per il braccio.
- Dobbiamo andarcene da quì - tagliò corto, trascinandola con sé, ma appena Marinette mise piede per terra la fitta alla caviglia le fece perdere l'equilibrio. Si aggrappò alla donna con un sussulto e finì in ginocchio.
- Alla faccia che stavi bene! - la rimbeccò Bianchi, con tono accusatorio, reggendola per le spalle.
- Forse ho fatto male i miei calcoli - ammise, con il respiro mozzato. Lei la prese per la vita e l'aiuto a mettersi in piedi.
- Non puoi combattere in queste condizioni - la rimproverò.
- Non ho scelta - ribatté Marinette, aggrappandosi al bancone - Me la caverò, tu cerca un posto dove nasconderti. -
- Non ti lascio da sola. -
- Devi farlo - la interruppe la ragazza, con veemenza - Non ti lascerò certo rischiare la tua incolumità per me! - esclamò: l'aveva già fatta preoccupare abbastanza, non avrebbe lasciato che rimanesse anche ferita. Un suono sordo provenne dalla sala alle loro spalle e Marinette si divincolò dalla sua presa.
- Vai nelle cucine, lì sarai al sicuro. Ci vediamo fuori quando avrò sistemato la cosa - tagliò corto, voltandosi e zoppicando leggermente per raggiungere il piccolo sgabuzzino posto vicino le scale. Bianchi sembrò sul punto di dire qualcosa, poi si morse il labbro e si diresse nella direzione opposta: non voleva rischiare di esserle d'intralcio e non poteva permettere che si preoccupasse anche per lei mentre combatteva l'akumizzato.
Marinette s'infilò nello spiraglio della porta e fece uscire Tikki dalla propria borsa.
- Marinette, non credo che dovresti prendere la cosa così alla leggera: non puoi affrontare nessuno se a malapena riesci a camminare - esclamò, appena si trovò faccia a faccia con lei.
- Ce la faccio benissimo, invece. Devo solo fare attenzione a non spostare troppo il peso su questa caviglia, un giochetto da ragazzi! - cercò di tranquillizzarla. Lo sguardo che Tikki le rivolse, però, fece ben intendere che non le credeva per nulla.
- Sei troppo imprudente - la rimproverò.
- Questioni di priorità - ribatté la ragazza, spiccia: non era affatto il momento per mettersi a discutere con lei, non con un super cattivo a pochi passi da loro - Ora, trasformami! -
Non potendo fare nulla per impedirlo, il Kwami venne risucchiato senza tanti complimenti nell'orecchino e Marinette uscì di lì pochi istanti dopo con la tuta rossa e il passo cauto.
Non doveva perdere tempo né dilungarsi troppo in uno scontro frontale, la sua caviglia non avrebbe retto un tale sforzo, quindi doveva agire d'astuzia e in modo veloce.
Certo, era più facile a dirsi che a farsi, ma doveva comunque tentare. Si affacciò nella saletta dove, fino a pochi minuti prima, stavano cenando i commensali, trovandola vuota e nel caos più totale: tavoli ribaltati, tende strappate, sedie rovesciate, vassoi e pietanze riversi sul pavimento e, stranamente, alcune monete da cinque yen erano abbandonate sul tappeto.
Si guardò furtivamente intorno ed entrò nella stanza, cercando di individuare un segno che la conducesse dal responsabile di tutto quel macello, sobbalzando quando sentì qualcuno bisbigliare il suo nome da un angolo remoto della stanza. Voltandosi intravide Nino nascosto dietro uno dei carrelli portavivande e si affrettò a raggiungerlo.
- Almeno tu stai bene - constatò, sollevata - Che cosa è successo? - chiese.
- Il delirio - rispose il ragazzo, che sembrava decisamente sconvolto - Stava andando tutto bene, ma poi uno dei dirigenti deve aver detto qualcosa di particolarmente offensivo perché Chloé si è innervosita e hanno iniziato a discutere. Parlavano in giapponese, quindi non ho capito quello che si sono detti, ma l'uomo si è alzato ed è andato sul balcone, furioso.
Dopo pochi minuti è entrato una specie di enorme tizio avvolto in un mantello che ha iniziato a lanciare carte di credito in giro per la stanza - spiegò tutto d'un fiato. Marinette aggrottò le sopracciglia, perplessa.
- Carte di credito? - domandò, credendo di non aver capito bene. Nino annuì.
- Ci colpiva le persone con quegli affari che venivano trasformate in... monete - concluse, aprendo il palmo della mano per mostrare una monetina da cinque yen. Questo spiegava tutti gli spiccioli presenti in sala.
La ragazza fece una smorfia orripilata, portandosi il dorso della mano davanti la bocca - E questa sarebbe...? - chiese, non sicura di voler sapere la risposta.
Nino sospirò - Chloé - rispose - Era seduta di fronte a me, è stata la prima ad essere colpita. Mi è praticamente volata nel piatto. -
Marinette immaginò la scena e rabbrividì, scuotendo vigorosamente il capo. - Hai idea di dove sia andato? - chiese, decisa più che mai a trovarlo il più presto possibile.
- Non credo abbia lasciato l'hotel, sembrava avercela con il signor Bourgois in particolare. Se non è riuscito a monetizzarlo lo starà ancora cercando quì dentro - spiegò lui, e questo le avrebbe reso le cose molto più facili: almeno non avrebbe dovuto girare tutta Parigi per trovarlo.
Marinette annuì e si alzò in piedi - Capisco, andrò a cercarli allora. Tu resta nascosto quì e... cerca di raccattare quella povera gente, già che ci sei - aggiunse, adocchiando il pavimento costellato di monetine, ma aveva appena fatto un passo che una scarica di dolore le attraversò tutta la gamba costringendola ad appoggiarsi al tavolo.
- Oh, ehi... che ti prende? - chiese Nino, vedendo la smorfia di dolore dipinta sul suo volto.
- Ehm... nulla - si affrettò a rispondere lei, raddrizzandosi - Niente di preoccupante, tranquillo. Resta quì e non muoverti - tagliò corto, dirigendosi velocemente (seppur con passo incerto) verso l'uscita. Si passò una mano sulla fronte, sudata per lo sforzo e il dolore, stringendo gli occhi per un istante: sperò che non si fosse accorto di nulla o per lei sarebbero stati guai seri. Ok, era vero, tutta la famiglia Vongola sapeva che lei era Ladybug, ma almeno aveva la certezza che non l'avrebbero tradita (Dino le aveva fatto una testa enorme sulla fiducia e l'importanza che essa aveva all'interno di una famiglia come la loro e questo, doveva ammetterlo, l'aveva tranquillizzata tantissimo)... ma con Nino era diverso; non era che non si fidasse di lui però, di fatto, non aveva alcuna sicurezza che avrebbe mantenuto il segreto e non se lo sarebbe lasciato scappare con nessuno. Purtroppo quel ragazzo era imprevedibile e, alle volte, mosso dalla tipica imprudenza adolescenziale.
Sobbalzò quando il suo yo-yo squillò all'improvviso e, una volta apertolo, si ritrovò davanti l'ampio sorriso di Chat Noir: - Buongiorno, principessa! - esclamò, ma Marinette non aveva nessuna voglia di mettersi ad ascoltare i suoi vaneggiamenti.
- Taglia corto, dove sei? - chiese, secca, lasciandolo interdetto per un attimo.
- Ehm... sono nella hall dell'hotel con il sindaco, l'akumizzato gli dà la caccia - spiegò, leggermente turbato - Tu invece...? -
- Sono al piano di sopra, scendo subito - rispose, interrompendolo, chiudendo velocemente la chiamata e appoggiandosi al corrimano della scala: iniziava a girarle la testa ma non poteva permettersi di riposare, doveva trovare il modo di combattere senza che la caviglia le impedisse i movimenti.
Si portò una mano al collo e sfilò l'anello dalla catenella, infilandoselo al dito: - Ho bisogno che tu combatta al posto mio - esclamò, decisa.
Non posso farlo, rispose Radi, Io non posso sentire il dolore ma tu sì...
- È per questo che te lo sto chiedendo - lo interruppe lei - Anche se mi farà male tu potrai continuare a combattere comunque... io non ci riuscirei. -
Mi rifiuto di fare una cosa del genere, ribatté l'uomo con veemenza, Non puoi chiedermi di usare il tuo corpo per combattere sapendo che ciò ti farebbe del male.
- Radi, ti prego! - esclamò la ragazza, disperata - Quelle persone hanno bisogno di me e non posso fare nulla in queste condizioni, sei l'unica speranza che ho! -
Ci fu un lungo istante di silenzio, poi Radi sospirò: Forse c'è una cosa che posso fare, rispose infine e Marinette sentì un'ondata di sollievo invaderla dalla testa ai piedi. Però devi darmi il tuo consenso, aggiunse lasciandola perplessa.
- A cosa ti riferisci? - chiese.
Intendo prendere totalmente il controllo del tuo corpo, affermò con decisione, facendole sgranare gli occhi. E' come quando ti richiamo nella mia mente, solo che stavolta non sarò lì con te: tu non vedrai e non sentirai nulla di ciò che accade fuori, quindi non avvertirai neanche il dolore fisico. Io, di rimando... beh, sarò praticamente te, spiegò lasciandola allibita.
- Puoi davvero fare una cosa del genere? - domandò, incredula: non le aveva mai accennato nulla di simile prima di allora e la cosa la affascinava molto, certo, ma la turbava anche un poco. Sapeva che poteva controllare il suo corpo muovendo gli arti e parlando, ma che potesse addirittura prendere il suo posto in tutto e per tutto non le era mai passato per l'anticamera del cervello.
Non si accorgeranno di nulla, puoi stare tranquilla... l'unica cosa che non posso garantirti è come starai dopo, ammise titubante, Anche se ora non sentirai dolore la tua caviglia subirà uno sforzo notevole e potresti avere delle ripercussioni quando tornerai in te.
Ma Marinette non ci pensò su due volte: - Va bene, ci sto - rispose: se sarebbe servito a risolvere la questione le stava bene, sperava solo che non succedesse nulla di grave a nessuno, sopratutto a Radi.
L'uomo sparì dalla sua percezione, le palpebre le divennero pesanti e la mente le si annebbiò di colpo, facendola cadere in ginocchio sulle scale.
Rilassati, le mormorò Radi attirandola a sé, Sarà come addormentarsi, non te ne accorgerai neanche.
La ragazza si sentì avvolta da qualcosa di caldo e venne risucchiata dentro sé stessa, trovandosi a galleggiare in uno spazio vuoto e completamente nero; vedeva la grande scala che dava sul corridoio davanti a sé come se i suoi occhi fossero una specie di finestra gigante sul mondo esterno: vide le proprie mani avvolte dai guanti rossi aggrapparsi al corrimano e la visuale alzarsi, segno che il suo corpo si era rimesso in piedi, poi cominciò a scendere i gradini.
Era così che Radi vedeva cosa accadeva fuori? Come se fosse in una specie di cinema con la vita di Marinette a fargli da film del momento? Sbatté gli occhi, sentendoli bruciare, immaginando il trisavoro seduto su un divanetto (con tanto di popcorn e occhiali 3D) a godersi le epiche figuracce della nipote in tempo reale e quasi sorrise mentre, piano piano, la visuale le si appannava. Si abbandonò, così, nel nulla, abbassando le palpebre e cadendo immediatamente in uno stato di profonda incoscienza.




Quella era la prima volta che Radi si ritrovava a possedere un corpo. Un corpo vero e tangibile che poteva sentire, provare e toccare tutto ciò che aveva intorno; avvertiva l'aria entrare nei polmoni, la saliva scendere giù per la gola e il cuore che batteva nel petto come se fossero amplificati di dieci volte. Un acre odore di legno misto a polvere gli entrò prepotentemente nelle narici e un leggero venticello (proveniente da una delle finestre del corridoio) gli scostò la frangia; persino le fitte di dolore che venivano dalla caviglia e si espandevano fino alla spina dorsale lo inebriavano, accendendo tutti i suoi sensi.
Per la prima volta dopo anni Radi si sentì vivo.
Si portò una mano al petto, poco sopra l'incavo del seno, e chiuse gli occhi beandosi del suono che faceva il battito del cuore di Marinette contro la sua pelle; iniziò a ridere, quasi istericamente, felice ed emozionato come non ricordava di essere mai stato da quando era ancora in vita. Certo, quel corpo non era il suo e usarlo non era la stessa cosa, ma sentiva che era già troppo il fatto che Marinette gli avesse concesso quell'opportunità quindi non era proprio il caso di lamentarsi o fare lo schizzinoso.
Prese un respiro profondo e scosse il capo, mettendo fine a quel momento di nostalgia e lieti ricordi: era lì per un motivo e non doveva lasciarsi distrarre da nulla, esattamente come quando lavorava come sicario o andava in missione per conto del Primo... in effetti, era un tuffo nel passato in tutto e per tutto. Avanzò verso la seconda rampa di scale e, preso da un moto di adrenalina, aumentò gradualmente il passo fino a ritrovarsi a correre dritto nella hall. La corporatura di Marinette era molto esile e leggera, permettendogli uno scatto rapido e un'andatura incredibilmente veloce che mai aveva raggiunto neanche con il proprio corpo che, tuttavia, era molto agile e allenato da anni di servizio; sentiva il vento sul viso e il respiro uscire a tratti dalle labbra. Scariche elettriche di emozione gli risalirono per tutto il corpo e ignorò la caviglia che, provata e dolorante, urlava il proprio disappunto: faceva molto male, era vero, ma lui aveva una soglia di sopportazione del dolore nettamente più alta rispetto a quella della ragazza, forgiata dalle varie ferite ricevute in battaglia, quindi non era affatto problematico da sopportare.
Rise e si lasciò andare ad un urlo liberatorio, saltando sul corrimano e scivolando giù per la restante rampa di scale: si sentiva pieno di energie e di adrenalina, avrebbe potuto fare qualunque cosa e non vedeva l'ora di riprovare l'ebrezza del combattimento sulla propria pelle. Atterrò nella sala con agilità e si guardò intorno, adocchiando fin da subito le due uscite più vicine e ben quattro punti nascosti in cui ripararsi in caso di necessità: conoscere il campo di battaglia era fondamentale per poter combattere adeguatamente e prepararsi ad ogni evenienza; avrebbe dovuto insegnare questi fondamenti a Marinette appena ne avrebbe avuto l'occasione.
- Ah, bene, sei arrivata! -
Chat Noir sbucò da dietro un pilastro, raggiungendolo velocemente, ma Radi lo degnò a malapena di uno sguardo concentrandosi sullo studio del soffitto a volta: c'erano tre impianti di aerazione sulle pareti ma non erano abbastanza grandi perché una persona potesse passarci dentro, quindi erano da escludere sia come via di fuga che come mezzo d'entrata per il nemico.
- Sono contento che tu sia quì, sopratutto dal momento che il signor Bourgois non la finiva più di lamentarsi - il ragazzo alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi fin troppo a lui per i suoi gusti: non aveva nulla in particolare contro Chat Noir ma non gli piaceva il modo irritante e molesto con cui si poneva nei confronti di Marinette. Aveva quel fare malizioso negli occhi quando la guardava che lo infastidiva moltissimo ma non aveva mai osato dire nulla perché sapeva che la ragazza era affezionata a lui, nonostante tutto, e non voleva darle un dispiacere... ma era proprio perché le voleva bene che aveva quel senso di protezione costante verso di lei. Era anche un po' geloso, se doveva dirla tutta: sapeva benissimo che Marinette avesse quattordici anni e che fosse abbastanza grande per vivere la propria vita, ma era pur sempre la sua nipotina adorata e vedere un ragazzo rivolgersi a lei in modo così irrispettoso lo mandava in bestia.
Era vero che era stato un po' dubbioso nei suoi confronti all'inizio e non aveva avuto intenzione di mostrarsi per un bel po' però, allo stesso tempo, l'aveva incuriosito molto il fatto che fosse riuscita ad evocare la fiamma fin dal primo momento in cui aveva indossato l'anello: Radi era stato investito dalla sua presenza all'improvviso e con forza inaudita, risvegliandolo dal suo sonno costante con una determinazione talmente pura e inconsapevole da lasciarlo turbato; perché Marinette non si era ancora resa conto di quello che era in grado di fare, non sapeva tutto il potenziale celato dentro di lei, e questo era l'aspetto che più attirava il suo interesse: era curioso di vedere come si sarebbero evolute le cose, sia per lei che per la decima generazione della famiglia Vongola.
E infine, per ultimo ma non per importanza, Marinette lo aveva sentito anche se non direttamente: la ragazza aveva avvertito il legame di sangue che li univa, tenuto vivo dall'anello stesso, anche quando non lo indossava. Era stata quella consapevolezza a spingerlo a farsi avanti prima di quanto avesse previsto: l'idea che ci fosse un qualcosa di così forte tra loro lo aveva interessato a tal punto che le si era mostrato direttamente, stroncando anticipatamente il “rituale” che aveva riservato ai suoi (pochi) predecessori e che con lei aveva solo iniziato, ovvero quello di passarle parte dei propri ricordi perché iniziasse a conoscerlo prima di incontrarlo faccia a faccia. Il suo stupore ma la sua gioia erano stati grandi quando lei lo aveva accolto senza timore ma con una naturalezza e una familiarità normalissima, quasi come se si conoscessero da una vita, sebbene non sapesse ancora chi fosse.
Sì, Marinette era decisamente una persona particolare e questo, unito al suo carattere dolce e spontaneo, aveva fatto nascere fin da subito la scintilla in lui: amava teneramente quella buffa ragazzina che gli somigliava in una maniera quasi inquietante; era un membro della sua famiglia, sangue del suo sangue, ed era disposto a dedicarle tutte le attenzioni e l'aiuto di cui aveva bisogno per rendere la sua esistenza meno complicata possibile, e ciò valeva sia nella vita di tutti i giorni che sul campo di battaglia. Sbatté le palpebre una sola volta, voltandosi finalmente verso il suo interlocutore che stava ancora ciarlando, stavolta, però, di un qualche appuntamento sotto la gelateria una volta usciti da lì.
Alzò un dito di scatto, piantandoglielo sulle labbra e zittendolo di colpo: - Tu parli troppo - esalò, secco, gelandolo con lo sguardo. Ok, era vero, aveva promesso a Marinette che non avrebbe fatto nulla di strano che li avrebbe fatti scoprire... ma non sarebbe stato capace di sopportare le idiozie di quel ragazzetto come faceva lei che, in quanto a pazienza, lo surclassava alla grande. Senza contare, ovviamente, che trovava fastidioso all'inverosimile l'insistenza di Chat Noir nel volersi approcciare a lei nonostante lo avesse già rifiutato più volte. Sperava (per il suo bene, ovviamente) che avesse capito l'antifona e iniziasse a starsene un po' in silenzio, almeno finché era lui a detenere il comando.
- Ehm... va tutto bene? Ti vedo un po' strana, oggi - notò il ragazzo, un po' timorosamente, quando lui ebbe abbassato la mano.
- Non è giornata e le tue chiacchiere mi innervosiscono - tagliò corto Radi, cercando di simulare il tono di voce più normale di Marinette - Concludiamo questa faccenda in fretta, per favore - aggiunse, superandolo per raggiungere il bancone della reception dietro il quale era nascosto il sindaco della città: un vero cuor di leone quell'uomo. - Esca da lì, ho bisogno di lei per attirare l'akumizzato - ordinò. André sgranò gli occhi e Chat Noir lo guardò allibito.
- Hai intenzione di usarlo come esca? - domandò, decisamente stupito.
Radi non fece una piega - Mi sembra ovvio - rispose, tranquillamente - Farlo uscire allo scoperto è l'unico modo per sconfiggerlo. -
- Ma non sarà pericoloso? - domandò l'uomo, spaventato, sporgendosi leggermente da dietro il bancone.
- Non finché ci sarò io - decretò Radi, risoluto - Ora piantatela di parlare e datevi una mossa - aveva sempre detestato quando i suoi ordini venivano messi in discussione e questo era valso, in passato, moltissime litigate con G e Alaude. Ma non poteva farci nulla, la vena autoritaria faceva parte del suo carattere e, a volte, poteva rivelarsi quasi un difetto. Si tolse lo yo-yo dalla vita e respirò a fondo: era passato tanto tempo dall’ultima volta che aveva impugnato seriamente un’arma e il brivido che lo invase dalla testa ai piedi fu a dir poco sublime. Avrebbe finito quella faccenda in un battito di ciglia e si sarebbe anche divertito nel mentre, era inevitabile che ciò accadesse.
Così come fu inevitabile il tonfo sordo che provenne dal piano di sopra: lui era lì, li stava cercando e non aveva intenzione di farlo attendere.
- E’ qui… - mormorò André, tremante, e Radi sorrise tendendo lo yo-yo con un gesto deciso.
- Fantastico. -






Il sole stava ormai tramontando e, nella lieve brezza serale che si innalzò per le strade, Tikki rabbrividì leggermente stringendo a sé il biscotto al cioccolato. Radi abbassò lo sguardo su di lei e le passò un dito sulla testolina, accarezzandola piano, poggiando una mano intorno al suo piccolo corpicino per riscaldarla un po’. Inspirò a fondo l’aria gelida, chiudendo gli occhi, e abbandonò la schiena contro il palo della luce alle proprie spalle: il marciapiede su cui era seduto era freddo e gli stava congelando il sedere, ma la cosa non lo infastidì particolarmente.
- Uhm… quando tornerà Marinette? - chiese il Kwami, quasi timidamente, dopo alcuni lunghi minuti di silenzio e Radi aprì lentamente gli occhi.
- Voglio far riposare un po’ la caviglia - rispose, senza distogliere lo sguardo dal cielo che si andava scurendo - L’ho sforzata troppo e, ora come ora, le farebbe parecchio male - sospirò stancamente - Inoltre, c’è un’altra faccenda che vorrei risolvere prima di tornare nell’anello… - aggiunse, facendosi serio, voltando di poco gli occhi alle proprie spalle dove la stradina di fronte l’hotel era completamente vuota.
O quasi.
Era da quando avevano messo piede in albergo, quel pomeriggio, che aveva avvertito una presenza particolare star loro addosso; non aveva voluto dire niente a Marinette per non allarmarla, anche perché non sembrava affatto pericolosa, ma non poteva più ignorarla dal momento che li aveva seguiti per tutto il tempo. Le porte di vetro della hall si aprirono di scatto e Bianchi corse fuori, adocchiandolo fin da subito seduto qualche metro più in là.
Sospirò di sollievo e si avvicinò ai due, tranquillizzandosi, e si piegò su di lui: - Va tutto bene, Marinette? - chiese.
Il ragazzo non si voltò neanche a guardarla ma un dolce sorrise gli nacque spontaneo sulle labbra: - Oh, lei sta benissimo - rispose, calmo, facendole sgranare gli occhi - L’ho messa un po’ a riposare. -
Bianchi si alzò di scatto, fissandolo allarmata, e ci mise qualche secondo a capire: - Radi...? - domandò, esitante. Il ragazzo alzò lo sguardo e il suo sorriso si ampliò.
- Bingo! - rispose, divertito - Marinette mi ha chiesto di prendere il suo posto perché non riusciva a combattere con la caviglia dolorante. La risveglierò quando saremo a casa - spiegò.
La donna sembrò turbata da quelle parole, non sapendo assolutamente come reagire nel trovarsi di fronte il primo Braccio Sinistro della storia dei Vongola nel corpo della sua protetta, ma cercò di racimolare tutto il proprio contegno. - Capisco - rispose infine. Radi si alzò in piedi, poggiandosi al palo, e si spolverò il retro dei jeans.
- Piuttosto… non so se te ne sei accorta ma c’è qualcuno che vi sta seguendo fin da quando siete uscite di casa - informò. Bianchi s’irrigidì e si voltò di scatto, sondando l’area circostante in cerca di una presenza estranea: com’era possibile che non se ne fosse accorta prima? Erano in pochi a potersi nascondere così bene alla sua percezione ed erano tutti esperti di alto livello, il fatto che Radi riuscisse a percepirlo denotava indubbiamente quanto fosse superiore a molti membri attuali della mala sia in forza che in esperienza e questo la mise piuttosto in soggezione.
- Ah, quindi te ne sei accorto, korà! - esclamò una vocina piuttosto imponente, facendola sobbalzare - Devo ammettere che non era questo che mi aspettavo di vedere, oggi… volevo controllare con i miei occhi le reali capacità della ragazza ma mi sono ritrovato ad osservare te in azione. Mi avete colto di sorpresa, korà. -
Radi si voltò giusto in tempo per veder scendere giù dal cielo un gabbiano bianco che reggeva, saldamente tra le zampe, un minuscolo bambino dai folti capelli biondi. Bianchi sospirò quasi con sollievo quando capì che non era di un nemico che si trattava e si rilassò notevolmente, vedendo il nuovo arrivato fermarsi a mezz’aria di fronte a loro.
- Una sfortunata coincidenza - ammise il ragazzo, alzando le spalle - A giudicare dal tuo Ciucciotto presumo che tu sia l’Arcobaleno della Pioggia - aggiunse, adocchiando il panciuto gioiello di un azzurro brillante sul petto del bambino.
- Esattamente. Il mio nome è Colonnello e sono quì perché Reborn mi ha chiesto di addestrare il nuovo Braccio Sinistro di Tsunayoshi, korà - annuì lui.
Radi sorrise: - Beh, temo che dovrai aspettare ancora un po’ per conoscerla - lo informò - Almeno finché non mi sarò buttato su un divano. -
Non aveva neanche finito la frase che i fari della macchina di Dino svoltarono l’angolo e si fermarono proprio di fronte al gruppetto; il ragazzo aprì lo sportello e scese dal veicolo - Scusate il ritardo, la polizia ha chiuso tutte le strade che portavano qui per via dell’akuma - sospirò, passandosi una mano tra i capelli - È andato tutto bene, spero - disse, bloccandosi quando scorse Colonnello tra le due ragazze. - Colonnello! - esclamò, sorpreso di vederlo lì.
- Dino - salutò il bambino, mettendo finalmente i piedi per terra.
Lui lo guardò, piuttosto confuso: - Come mai sei qui? Reborn mi aveva detto che sarebbe stato Fong a cominciare… - informò. Colonnello alzò le spalle.
- Ha avuto un contrattempo e ha chiesto a me di sostituirlo, korà - spiegò, dando un buffetto sulla testa del gabbiano prima che quello volasse via - In ogni caso non potrò fermarmi a lungo quindi dovremo velocizzare un po’ la tabella di marcia. Parlerò io con Lal e decideremo cosa fare con lei… quando sarà tornata, korà - aggiunse, voltandosi verso Radi.
Dino aggrottò le sopracciglia: - Tornata? - domandò, evidentemente turbato, guardando Marinette. Bianchi si sporse verso di lui.
- Radi ha preso possesso del suo corpo - lo informò, eterea, facendogli sgranare gli occhi.
- Potrete parlarne con lei una volta a casa - tagliò corto il ragazzo, adagiando Tikki nella borsetta, serio in volto - Ho davvero bisogno di stendermi: temo che la caviglia di Marinette non reggerà ancora per molto. -






Marinette sospirò a fondo quando sentì delle braccia avvolgerle il busto, alzandola dalla posizione supina nella quale aveva dormito fino a quel momento. Radi le accarezzò dolcemente la testa, sorridendo, e le lasciò un bacio sulla fronte: - Grazie - mormorò contro la sua frangetta prima di lasciarla finalmente andare. Quando aprì gli occhi, la ragazza si trovò ad osservare il soffitto del suo salotto e i volti di Dino, Bianchi e Lal a contornare la propria visuale. Sbatté le palpebre un paio di volte e si guardò intorno, confusa.
- Cosa… cosa è successo? - domandò, facendo leva sui gomiti per mettersi seduta: ricordava di aver lasciato che Radi prendesse possesso del proprio corpo e di averlo visto scendere nella hall dell’albergo per combattere… sgranò gli occhi e venne folgorata dal ricordo di quel pomeriggio: - ...l’akumizzato! - esclamò, andando nel panico - Radi è riuscito a batterlo? Non c’è stato nessun problema, vero? - domandò, concitata, ma appena mise i piedi per terra una scarica di dolore le attraversò la caviglia, facendola gemere.
- Marinette, calmati, va tutto bene - la tranquillizzò Bianchi, spingendola contro la spalliera del divano - È tutto risolto, ora devi solo riposarti. -
- Adesso potete spiegarmi cosa è successo? - domandò Lal, piuttosto contrariata. La ragazza fece una smorfia, alzando l’orlo dei jeans e constatando con orrore che la caviglia fosse più gonfia di quel che ricordasse: - Ho investito il sushi chef di Chloé e sono caduta dalle scale - rispose, con voce sofferente - Non riuscivo a combattere in queste condizioni così ho chiesto a Radi di aiutarmi e lui ha preso il mio posto… anche se credo che la situazione sia peggiorata: non era così nera prima. -
Lal sospirò, psicologicamente esausta, e Bianchi si alzò dal divano: - Vado a prendere del ghiaccio - informò, dirigendosi verso la cucina. Fu allora che Marinette si accorse della piccola figura seduta nella poltrona accanto a sé: era un bambino della stessa stazza di Lal, con disordinati capelli biondi e grandi occhi azzurri; indossava una tuta mimetica verde acido e aveva sulla fronte una fascia perfettamente coordinata, con una grande spilla recante il numero 1 come ornamento. Ad attirare maggiormente la propria attenzione, tuttavia, fu il grande ciucciotto azzurro poggiato sul suo petto che le fece bene intendere chi fosse realmente... e la cosa non le piacque neanche un po’.
- Ehm… cosa mi sono persa? - domandò, titubante, indicandolo. Dino, seduto sul tavolino di fronte a lei, si voltò verso di lui.
- Lui è Colonnello, l’Arcobaleno della Pioggia. Ti ha tenuta d’occhio tutto il pomeriggio - spiegò, lasciandola piuttosto turbata.
- È un piacere conoscerti finalmente, korà - esclamò Colonnello.
Marinette lo fissò per un momento, elaborando quelle informazioni e ricordando improvvisamente quello che le disse Lal quando si erano conosciute: lei avrebbe dovuto essere l’Arcobaleno della Pioggia ma qualcuno, all’ultimo momento, aveva preso il suo posto… e se Colonnello ricopriva quel ruolo significava che era lui colui che si era messo in mezzo prendendosi la maledizione al posto della bambina. Sbatté le palpebre, d’un tratto incuriosita da tutta quella faccenda, e annuì.
- Beh, piacere mio - rispose, non sapendo cos’altro dire. Lal incrociò le braccia al petto, piuttosto seccata.
- Colonnello è stato mandato quì da Fong per iniziare il tuo addestramento - la informò, spiccia, e la ragazza aggrottò le sopracciglia.
- Fong? -
- L’Arcobaleno della Tempesta - spiegò Colonnello - Sarebbe dovuto venire lui ma ha avuto un contrattempo, quindi ho preso il suo posto, korà. -
- Ah - mormorò la ragazza, chiedendosi perché ripetesse quella strana parola alla fine di ogni frase… ma, dopotutto, lei era abituata agli strani “Voi” che Squalo urlava di tanto in tanto e senza alcun motivo apparente, quindi decise di ignorare quel dettaglio. - Bene - aggiunse, cercando di suonare affabile, mentre Bianchi tornava accanto a lei con uno panno pieno di cubetti di ghiaccio - Però temo che al momento mi sia impossibile qualunque forma di allenamento - notò, con una smorfia, poggiandosi la sacca sulla caviglia.
- Mi sembra piuttosto ovvio - alzò gli occhi al cielo Lal - Ti riposerai per un paio di giorni, poi cominceremo l’addestramento. Colonnello non potrà restare quì per sempre e non possiamo assolutamente perdere tempo - dichiarò, risoluta. Era decisamente un ordine, il suo, e Marinette non poteva obiettare; persino il bambino sembrò un po’ intimorito da lei e non poté assolutamente dargli torto.
Sospirò, poggiandosi allo schienale del divano con una stanchezza addosso senza eguali: sarebbe stato un addestramento molto molto pesante, su questo non ci pioveva.









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Capitolo 18
*** L'allievo di Lal ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 18. L'allievo di Lal
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 10.510
 
 
 
 
Marinette restò a riposo per i due giorni successivi. Il fatto che fossero entrambi di vacanza fu vantaggioso poiché non perse alcuna ora di lezione, ma si scoprì terribilmente incapace di restare ferma troppo a lungo: non era mai stata un tipo molto attivo (esclusi i momenti in cui era Ladybug) ma essere costretta a letto le causava un fastidioso senso di impotenza e inutilità che la faceva sentire a disagio, soprattuto quando vedeva Bianchi e sua madre fare su e giù dalla cucina alla camera per portarle i pasti, l’acqua, le coperte o quasiasi altra cosa le servisse. Ad un certo punto Dino, vedendola decisamente giù di corda, l’aveva aiutata a scendere in salotto e aveva passato l’intera domenica a giocare ai videogochi con lei (collezionando una sconfitta dietro l’altra) per aiutarla a sfogarsi un po’, cosa che la ragazza aveva apprezzato tantissimo.
Con suo enorme stupore, tuttavia, Colonnello non si era più fatto vedere ritirandosi insieme a Lal nella villa di Dino dove avrebbe alloggiato di lì in poi; non sapeva cosa stessero combinando quei due ma il dubbio che fossero intenti a progettare il suo allenamento s’insinuò prepotentemente dentro di lei e non la fece sentire per nulla tranquilla: aveva un pessimo presentimento riguardo tutta quella faccenda e sperò vivamente di sbagliarsi… ma, come scoprì ben presto, ogni sua preghiera fu vana e se ne accorse quando, quel lunedì mattina, Dino la venne a svegliare più presto del solito e non per andare a scuola: il ragazzo la informò, decisamente assonnato, che avrebbe dovuto accompagnarla alla villa poiché Colonnello l’aspettava lì.
La cosa non le piacque affatto ma non poté avanzare alcuna protesta, quindi s’infilò la tuta da ginnastica, fece una colazione veloce e salì in macchina con un magone atroce allo stomaco; erano a malapena le cinque, il sole stava sorgendo lentamente e l’aria era gelida nonostante il cielo fosse limpido. Marinette sbadigliò, vedendo una nuvola di condensa uscire dalla propria bocca, sperando che non le avrebbero fatto fare nulla di troppo fisico poiché la caviglia le dava ancora un po’ di fastidio. Non era raro che saltasse la scuola per dedicarsi esclusivamente alle lezioni di Lal (salvo poi recuperare tutto lo studio perso) quindi non si stupì molto di quel giorno di “vacanza” improvvisato: i suoi genitori avevano rilasciato una certificazione particolare al preside che giustificava tutte le sue assenze e le uscite anticipate sotto la dicitura “Questioni di famiglia” e non mettevano più bocca nella faccenda, lasciando tutto nelle mani della sua tutrice. Ciò, doveva ammetterlo, era incredibilmente comodo poiché le permetteva di coprire senza problemi le sue fughe come Ladybug senza che loro sospettassero nulla o la mettessero nuovamente in punizione per le assenze inspiegabili che faceva troppo spesso.
Dino sbadigliò e alzò pigramente il riscaldamento senza staccare gli occhi dalla strada: - Per essere quasi marzo fa ancora molto freddo - notò. Marinette alzò le spalle.
- Ci trasciniamo dietro l’inverno per un bel po’ - ammise distrattamente, guardando le strade vuote di Parigi oltre il finestrino. Non c’era un’anima in giro per le strade e i lampioni si stavano spegnenendo pian piano per far spazio alla luce del sole: non si era mai alzata così presto neanche per andare a correre e si chiese perché mai avessero scelto proprio quell’orario.
Uno degli uomini di Dino aprì il cancello principale e il ragazzo parcheggiò la macchina nel vialetto interno; lei scese per prima dal veicolo e si diresse verso il portone, dove Romario la stava aspettando in piedi sulla soglia già aperta.
- Buongiorno, signorina Cheng - salutò con un sorriso gioviale.
- ‘Giorno - mugugnò lei strofinadosi stancamente un occhio, ormai rassegnata al fatto che ignorassero deliberatamente il cognome di suo padre. L’uomo la invitò ad entrare e la condusse fino al seminterrato dove, prima della sua partenza, Squalo le dava lezioni di scherma. Quel giorno, però, era stato riarredato in vista del suo imminente allenamento: in fondo alla stanza era stata sistemata una spessa lastra di metallo che copriva tutta la parete davanti alla quale, rette da delle solide basi di gesso, erano allineati diversi cartelloni neri di stampo vagamente umano con disegnati dei bersagli al centro; un lungo bancone di plastica suddiviso in cubicoli da strisce di plexiglass divideva in due lo spazio e, su di esso, vi erano poggiate diverse paia di cuffie imbottite e tre lunghi fucili neri. Quella visione l’allarmò e sperò che non avessero intenzione di farle usare sul serio uno di quegli affari.
Non aveva neanche finito di pensare quelle parole che Colonnello apparve alle sue spalle, sospeso a mezz’aria grazie ad un grande gabbiano bianco, di nome Falco, che lo teneva saldamente tra le zampe, facendola sobbalzare. - Eccoti finalmente, korà - esclamò tornando con i piedi per terra. Falco volò fuori dalla stanza e il bambino si tolse il lungo fucile azzurro dalla spalla.
- Ehm… buongiorno - salutò Marinette, sentendosi leggermente a disagio quando lo vide iniziare a girarle intorno, squadrandola da capo a piedi con interesse. Sussultò e arrossì violentemente quando la canna dell’arma le venne infilata tra le scapole, voltandosi di colpo verso di lui ad occhi sbarrati non capendo cosa accidenti stesse facendo. - Ma cos…! -
- Stai ferma! - la rimproverò Colonnello, toccandola sulle braccia e il busto con colpi brevi e decisi del fucile, causendola un lieve sobbalzo ad ogni stoccata: si sentiva tremendamente imbarazzata da quell’assurda ispezione (e le fece anche un po’ male quando la colpì al fianco) ma il bambino la fissava con una serietà quasi inquietante. - Non hai muscoli molto sviluppati - notò infine lui, lasciandola stupita - Però il tuo corpo riesce a muoversi bene nel combattimento diretto grazie alla tua struttura fisica esile e leggera. Credo che non ci sia bisogno di lavorare sulla forza, con te, pertanto ci concentreremo esclusivamente sulla tecnica - la informò poggiandosi la lunga canna azzurra sulla spalla. Marinette lo fissò, quasi sconvolta, non riuscendo a credere che fosse riuscito a capire come fosse fatto il suo corpo solo palpeggiandola con un pezzo di ferro, e non trovò nulla di sensato da dire; si limitò a guardarlo saltare sul bancone e mettersi l’arma dietro la schiena.
- Hai mai sparato? - domandò lui porgendole un paio di cuffie. La ragazza fece una smorfia, prendendole con riluttanza.
- Certo che no. -
Colonnello sospirò e strinse maggiormente il nodo che gli reggeva la fascia intorno alla fronte: - Immaginavo - ammise avvicinandosi alla fila di fucili e scegliendone uno - Beh, non è mai troppo tardi per imparare - commentò, tendendolo verso di lei con il chiaro invito a prenderlo e usarlo. Marinette guardò il moschetto con la tensione ben visibile sul volto, divenuto pallido, e deglutì.
- È proprio necessario? - domandò, esitante, per nulla intenzionata ad imbracciare quell’affare.
Colonnello alzò un sopracciglio: - Beh, sì, dobbiamo capire che tipo di arma si adatti a te - rispose, lasciandola perplessa.
- In che senso? - domandò lei, mettendo giù le cuffie, più confusa che mai.
- Ognuno dei guardiani di Tsuna ha uno stile di combattimento proprio - spiegò il bambino - C’è chi usa la spada, chi il corpo a corpo, chi le illusioni, chi i fulmini… tu, invece, non hai ancora una specialità tutta tua: il nostro obbiettivo principale è capire quali sono le tue potenzialità e cosa usare per sfruttarle al meglio.
Lal mi ha detto che Superbi Squalo ti ha insegnato le fondamenta della scherma, ma non te la cavi granché con quella. -
Marinette annuì, un po’ amaramente, ricordando quante volte la sua quasi totale incapacità nel brandire una spada aveva fatto mettere le mani nei capelli al ragazzo per la disperazione. - Sono decisamente negata - ammise - Ma io ce l’ho già un’arma: lo yo-yo che mi ha dato Reborn - ricordò: aveva imparato ad usare quel giocattolo per combattere mentre era Ladybug e aveva scoperto di cavarsela egregiamente anche in vesti civili; non era esattamente un’arma convenzionale ma faceva il suo lavoro. Colonnello, tuttavia, non sembrò molto convinto.
- Può andar bene per ora, ma temo che non basterà in futuro - le disse schiettamente - Nel mondo della mafia ci sono persone molto forti e pericolose che non puoi sperare di battere con quel semplice giocattolino: ti serve un’arma vera ed efficace e devi sfruttare tutto il tempo che hai a disposizione per imparare ad usarla. Con le spade non è andata bene, quindi proveremo con le armi da fuoco - concluse.
La ragazza parve decisamente turbata da quelle parole: non aveva pensato neanche per un momento che un giorno avrebbe dovuto combattere contro altri esponenti della mafia. Certo, conosceva perfettamente la dinamica della Battaglia per gli Anelli che Tsuna e i suoi guardiani avevano dovuto affrontare e sapeva quanto i Varia fossero forti (aveva visto con i propri occhi le abilità di Squalo, seppur in minima parte, dopotutto) ma le era parso di capire che quello fosse stato un caso eccezionale scaturito da un capriccio personale di Xanxus… non credeva che quel genere di eventi sarebbero diventati un’abitudine. Indossò nuovamente le cuffie, con una certa riluttanza, e prese il fucile che il bambino ancora le porgeva: era freddo e pesante e non aveva la più pallida idea di come funzionasse né come impugnarlo. Colonnello la fece posizionare davanti al bancone e le indicò la posizione corretta da assumere, raccomandandole particolarmente una presa ben salda delle mani e di tenere i piedi piantati a terra, poi la invitò a colpire il bersaglio a qualche metro da lei. Marinette deglutì, stringendo il fucile meglio che poteva tra le dita sudate, e cercò di inquadrare una qualsiasi parte del cartonato con il mirino senza avvicinare eccessivamente l’occhio; le tremavano ancora le mani mentre, in un attimo di panico totale, si decise a premere il grilletto. Lo sparo rimbalzò tra le pareti con un suono assordante, l’arma le scivolò di mano deviando verso l’alto e il contraccolpo la spinse indietro mandandola col sedere sul pavimento.
Si alzò sui gomiti con le orecchie che le fischiavano e il fondoschiena dolorante, osservando la parte mancante che il proiettile aveva distrutto nell’estremità superiore del bersaglio, lì dove avrebbe dovuto esserci la testa: praticamente lo aveva preso di striscio per pura fortuna. Colonnello la guardò alzarsi, un po’ ammaccata, e scrollò le spalle.
- Prevedibile - decretò, guadagnandosi un’occhiata seccata dalla ragazza. - La prossima volta cerca di tenerlo fermo. -
- L’ho tenuto fermo! - protestò lei massaggiandosi l’avambraccio. - Ma è stato più forte di quanto mi aspettassi - ammise con una smorfia e l’idea di doverlo rifare non le piacque neanche un po’.
Il bambino annuì - E’ normale, ti serve solo un po’ di pratica. Poi ti ci abituerai. -
Marinette sospirò e riprese nuovamente il moschetto. Tre quarti d’ora più tardi uscì dal seminterrato con un livido enorme sul braccio, le orecchie mezze tappate e neanche un bersaglio centrato. Era stato un fiasco totale ma Colonnello aveva insistito perché continuasse ad esercitarsi finché non aveva avuto più la forza di reggere il fucile tra le mani (con suo enorme disappunto).
Sospirò stancamente tornando al piano di sopra, dove Dino si era addormentato abbandonato sul divano del salotto, e si diresse in cucina: Lal e Roberto stavano chiacchierando intorno all’isolotto di marmo e la bambina alzò gli occhi su di loro quando li vide entrare. La prima cosa che disse fu un “Com’è andata?” privo di qualsivoglia aspettativa e Colonnello fu il primo a rispondere, saltando sul tavolo accanto a lei: - Uno schifo - ammise schiettamente. Lal sospirò.
- Ovviamente - commentò e Marinette si sentì un tantino offesa dalla cosa: perché le avevano fatto fare quell’assurda esercitazione se già sapevano come sarebbe andata a finire? Si astenne, tuttavia, dal commentare e si diresse verso il freezer cercando del ghiaccio da mettere sul livido. Aveva detestato ogni istante di quell’allenamento ed era contenta che fosse finito, sebbene aveva il chiaro sentore che Colonnello non si sarebbe arreso tanto facilmente e questo la preoccupava molto; rovesciò dei cubetti di ghiaccio in uno straccio e lo chiuse con un nodo, poggiandolo sul braccio per poi sedersi a tavola. Lal chiuse il taccuino su cui stava scrivendo e lo ripose sotto il mantello con un gesto veloce, come se non volesse correre il rischio che lei lo leggesse, e si tolse la frangia dagli occhi.
- Beh, non ha importanza, ci riproveremo domani - tagliò corto con disinvoltura e Marinette non riuscì a trattenere una smorfia con annessa protesta.
- Perché dovrei farlo? E’ chiaro che sono totalmente incapace ad usare un’arma da fuoco! - sbottò. La bambina alzò gli occhi al cielo.
- E’ per questo che devi imparare - la riprese - Almeno le basi le devi conoscere. E non voglio sentire un’altra lamentela a riguardo - ammonì, zittendola definitivamente. Eppure, Marinette ebbe il sentore che non le stesse dicendo tutta la verità a riguardo: c’era un altro motivo per cui doveva imparare a sparare ma era perfettamente consapevole che Lal non glielo avrebbe detto. Non le diceva mai nulla se non a lavoro finito, una cosa che lei detestava con tutto il cuore.
In tutto quello, Colonnello era rimasto in disparte accanto a lei; Marinette lo aveva visto farsi piccolo piccolo quando Lal aveva alzato la voce e un po’ lo compatì: evidentemente anche lui ne aveva paura, e come biasimarlo?
Dopo un paio di minuti di assoluto ed imbarazzante silenzio, Roberto si schiarì leggermente la voce e si rivolse a lei: - Allora… come va’ la caviglia? - domandò, cercando di suonare disinvolto. Marinette si grattò il ponte del naso con l’indice e annuì.
- Molto meglio, grazie. -
- A proposito… - continuò Lal - …domani tornerai a scuola, continueremo l’allenamento nel pomeriggio. Vedi di non romperti nient’altro nel frattempo. -
La ragazza trattenne a stento un sospiro: indubbiamente, era l’ultima cosa che voleva.
 
 
 
 
Il ticchettio mogio dell’orologio era l’unico suono che si udiva all’interno della stanza. Il fuoco scoppiettava allegro nel camino, illuminando fiocamente le pareti e le persone al loro interno, ma l’atmosfera che si respirava era tutt’altro che gioviale. In quell’istante, Marinette ebbe la perfetta consapevolezza di essere nel corpo di Radi ed era così strano seppur incredibilmente affascinante.
Non poteva muoversi o parlare, solo guardare e ascoltare, e quasi sussultò quando, accanto a sé, una figura si mosse facendo un passo avanti: un lungo mantello nero svolazzò, sfiorando leggermente il tappeto, ma tutto ciò che lei vide fu la disordinata chioma bionda di Giotto Vongola che le dava le spalle. Si rese conto, quindi, di trovarsi in uno dei ricordi di Radi, rivivendolo attraverso i suoi occhi, anche se non capiva come ciò fosse possibile. Un brivido di eccitazione e inquietudine le corse lungo la schiena e avvertì inconsciamente la presenza di altre persone all’interno della stanza, ma non poteva voltarsi a guardare chi fossero quindi concentrò la propria attenzione sulla figura seduta nella grande poltrona rossa al centro della stanza. Era avvolto in un completo giacca e cravatta completamente nero, camicia compresa, le gambe accavallate una sull’altra e la mani intrecciate pigramente sul ventre; il suo viso era in ombra ma ne riusciva a scorgere i capelli: neri, cortissimi e disordinati sul capo con delle basette appuntite rivolte verso l’alto, e lunghi dietro, che sparivano oltre le spalle legati da un elastico rosso. Non sapeva chi fosse, ma quando Giotto parlò la sua voce risuonò delusa e sofferente in quel teso silenzio.
- Proprio tu, figlio mio… - esalò e Marinette trasalì a quelle parole: se l’uomo seduto in poltrona era il figlio di Giotto, allora doveva per forza trattarsi del secondo Boss; Dino una volta le aveva parlato di lui, quando le aveva raccontato l’origine della famiglia Vongola, ma in quel momento il suo nome le sfuggiva. Sentì Radi agitarsi e il suo fastidio si fece prepotentemente largo dentro di lei: provava ogni sua singola emozione che, mischiate alle proprie, le creava un senso di disagio e confusione quasi insopportabile. Era al contempo affascinata, incuriosita, stupita, nervosa, disgustata, arrabbiata e un altro miscuglio di sensazioni che non riusciva a identificare; si ritrovò, di punto in bianco, con un terribile mal di testa.
Tuttavia, ignaro delle sue sofferenze, il ricordo proseguì.
- E’ stato Daemon, non è vero? - continuò Giotto e quel nome le risuonò bizzarramente familiare - Ti sei lasciato influenzare dalle sue idee? -
Marinette avrebbe tanto voluto avere un contesto: non sapeva di cosa stessero parlando e quindi non capiva nulla né della conversazione né del perché sembrassero tutti sul punto di scannarsi a vicenda. Quello, se possibile, ebbe solo l’effetto di peggiorare la sua emicrania.
- Sai benissimo cosa ne penso a riguardo. Non è per questo che siamo arrivati fin quì. -
Sebbene le parole di Giotto risuonassero calme e pacate, la sua voce tradiva un velo di dolore che le strinse il cuore… sensazione a cui, poco dopo, si unì anche Radi. Doveva star succedendo qualcosa di veramente grave ma nessuno sembrava intenzionato a fornire una spiegazione a riguardo, neanche minuscola, e si chiese perché stesse assistendo a tutto quello.
Poi, da qualche parte dietro di lei, si levò una voce maschile dal tono decisamente irato: - Non possiamo far finta di nulla, Primo! Questo è un tradimento bello e buono. -
Subito dopo lo seguì una seconda voce, ferma e pacata: - Calmati, G. -
G… ma certo, Radi gliene aveva parlato: era il Guardiano della Tempesta di prima generazione, questo significava che le persone con loro erano gli altri Guardiani. Almeno qualcosa iniziava ad avere un senso.
Ci fu uno scatto e l’uomo si alzò dalla poltrona all’improvviso, facendola sobbalzare: il suo volto venne investito dalla luce delle fiamme che guizzavano nel caminetto e le vennero i brividi quando incrociò due sottili occhi di un verde intenso che sembravano racchiudere tutto l’astio e la rabbia di questo mondo. La sua espressione, seria e glaciale, rimase tuttavia imperturbabile come se nulla di ciò che stava accadendo in quel momento lo toccasse minimamente.
- Tradimento? - domandò con voce bassa e profonda, all’apprenza impassibile ma con una sfumatura d’irritazione quasi agghiacciante. Le viscere di Marinette si contorsero e, seppur consapevole che nulla di tutto quello fosse reale, ebbe l’impulso di fuggire da quella stanza il più velocemente possibile. Chi non mosse neanche un muscolo, tuttavia, fu proprio Giotto che rimase in piedi dinnanzi al figlio sostenendo quello sguardo che sembrava poterlo rivoltare come un calzino solo battendo le ciglia. - Possiamo metterla così - acconsentì infine l’uomo, per nulla turbato dalla reazione del genitore - Ma resto nella mia posizione e non ti devo alcuna spiegazione. Se non ti sta bene possiamo risolverla quì e ora. -
Alzò la mano destra e, un attimo dopo, una luce intensa brillò nel palmo della sua mano; Marinette udì un fruscio alle proprie spalle e Radi sfoderò di tre quarti la propria sciabola. Sembravano tutti seriamente intenzionati a combattere ma, prima che qualcuno potesse muovere un altro muscolo, Giotto allungò un braccio di fianco a sé facendo segno ai propri Guardiani di fermarsi. Seguì un lungo istante di silenzio, infine il Primo abbassò la mano e il proprio sguardo.
- Non posso rivolgere le mie armi contro di te - mormorò infine e Marinette udì distintamente quanto quelle parole gli stessero costando: non sapeva come, ma percepiva chiaramente il suo contrasto interiore nel dover scegliere tra il bene della Famiglia o scontrarsi con il proprio figlio. Era più probabile che quelli fossero i pensieri di Radi e non i propri, ma il modo in cui la travolsero fu comunque angosciante.
Dopo un attimo, la luce nella mano del Secondo si spense e l’uomo drizzò il capo. - Saranno questi tuoi sentimentalismi a far affondare i Vongola e io non intendo restare a guardare quando ciò accadrà. -
Quelle ultime parole risuonarono come un eco lontano nella stanza e, appena lui volse loro le spalle, la scena si dissolse dinnanzi ai suoi occhi sgretolandosi come sabbia.
 
 
 
- Dino… Dino, svegliati! - una mano scosse la spalla del ragazzo con urgenza ma lui si limitò ad affondare il viso nel cuscino, mormorando un impastato “Ancora cinque minuti” perso nel dormiveglia. Marinette non si perse d’animo e lo percosse con più forza. - Ti devo parlare! - sbottò a voce più alta, facendolo trasalire. Dino alzò la testa di scatto, guardandosi intorno completamente stordito dal sonno e con i capelli arruffati che gli ricadevano sul viso. Si strofinò gli occhi con una mano e si mise seduto, scorgendo Marinette in piedi accanto al divano: dalla finestra alle sue spalle riusciva vedere il cielo completamente nero, segno che fosse ancora notte inoltrata, e si allarmò.
- Che succede? - chiese, temendo fosse accaduto qualcosa di grave che l’avesse spinta a svegliarlo a quell’ora poiché la ragazza era piuttosto pallida e agitata.
- Ho visto uno dei ricordi di Radi - rispose lei. Dino ci mise qualche secondo a comprendere quelle parole e, quando lo fece, sbarrò gli occhi.
- Cosa?! -
Marinette si morse il labbro inferiore, torturandosi le dita tra loro: - Sì. C’erano lui e Giotto e suo figlio e stavano discutendo… - snocciolò velocemente, senza sapere da dove cominciare a raccontare: aveva ancora un gran di mal di testa e quel senso di angoscia e frustrazione che il Radi del ricordo le aveva lasciato sembrava non volerla abbandonare. Voleva dire tutto e in fretta, sperando in un po’ di conforto e delucidazioni da parte sua, ottenendo come solo risultato un farneticare confuso.
Dino alzò le mani per stopparla, scuotendo il capo: - Ok, ok… calmati - la invitò, cercando di suonare rassicurante vedendola così sconvolta, sebbene quel fenomeno gli giungeva completamente nuovo alle orecchie: sapevano che lo spirito di Radi chiuso nell’anello poteva comunicare con chiunque lo indossasse (se lui lo voleva, ovviamente), ma che il portatore potesse vedere i suoi ricordi… non c’era alcuna informazione a riguardo e nessuno di loro lo aveva neanche minimamente immaginato. La prima cosa da fare, in ogni caso, era tranquillizzare Marinette, dopodiché dovevano dare un senso a quella faccenda. - Siediti e comincia dall’inizio - la invitò, spostandosi per farle spazio sul divano.
La ragazza prese posto accanto a lui, rannicchiandosi vicino al cuscino, e respirò a fondo per calmarsi. Quindi raccontò per filo e per segno tutto ciò che aveva visto e sentito, senza tralasciare alcun particolare, compreso il fatto che avesse vissuto tutto dal punto di vista di Radi e avesse provato le sue stesse emozioni. Dino ascoltò senza fiatare ma le sue reazioni erano perfettamente comprensibili dal suo viso e dai suoi occhi, che lasciavano trasparire un subbuglio di sensazioni che faticava a nascondere (nonostante ci provasse in modo palese).
- …ed era tutto così reale - concluse lei, cercando di spiegare quell’assurdo momento nel miglior modo possibile - Era come se io fossi Radi: sentivo tutto quello che sentiva lui, sia a livello emotivo che fisico. Anche quando ha estratto la spada, era come… come se fossi io a farlo - si sentiva ancora un po’ stordita dall’esperienza vissuta ma parlarne era stato incredibilmente liberatorio. Si sentiva più sollevata e tranquilla ma, purtroppo, lo stesso non si poteva dire di Dino ormai decisamente sconvolto.
Il ragazzo ci mise una decina di secondi buoni a riprendere la parola, disorientato da… beh, tutto: dall’esperienza vissuta da Marinette alla vicenda a cui aveva assistito. Nessuno sapeva con certezza cosa era successo tra Giotto e Riccardo, si sapeva solo che il Primo e i suoi Guardiani si erano ritirati in Giappone quando il figlio aveva preso il suo posto a capo della Famiglia; per molto tempo, i più avevano creduto che quella “fuga” fosse stata dettata dalla potenza di Riccardo in battaglia e che Giotto non aveva voluto scontrarsi con lui sapendo che sarebbe stato sconfitto (cosa a cui anche Xanxus aveva accennato durante la Battaglia per gli Anelli)… scoprire la verità, e in modo così dettagliato, di punto in bianco era totalmente inaspettato e spiazzante. Anche se, a pensarci meglio, totalmente prevedibile: credere che una persona come Giotto, che teneva ai suoi cari più che a sé stesso, avesse rifiutato di combattere con Riccardo perché non voleva ingaggiare battaglia contro il proprio figlio avrebbe dovuto essere così spontaneo da risultare scontato.
Eppure nessuno ci aveva mai pensato, tirando fuori le teorie più disparate nel corso dei secoli tranne qualla più probabile. Era quasi tristemente ironico.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli ancor di più. - Caspita - mormorò - Beh, è qualcosa che sicuramente non avevamo previsto e non so come sia possibile o perché - ammise - L’unico che può dircelo è lo stesso Radi. -
Marinette fece una smorfia: - Ho provato a chiederglielo ma non mi ha risposto. Non sento neanche la sua presenza, è come se si fosse ritirato dentro l’anello - spiegò. Dino si grattò il mento, pensieroso.
- Forse non lo ha fatto di proposito quindi non è consapevole di quello che è successo - ipotizzò - In ogni caso, quello che hai visto è davvero molto importante: non si è mai saputo con certezza cosa ha spinto Giotto a ritirarsi in Giappone senza affrontare apertamente Riccardo, si erano fatte solo ipotesi fino ad ora… - e Marinette non poté fare a meno di avere un lampo di consapevolezza quando apprese il nome del Secondo, che si era totalmente dimenticata, nonostante fosse concentrata su ciò che Dino le stava dicendo - …quindi ha un’importanza storica per i Vongola davvero enorme. Dovrò informare sia il Nono che Reborn di questo - constatò infine afferrando il telefono, che segnava ormai le tre e mezzo del mattino, dal tavolino. - Devi anche cercare di metterti in contatto con Radi e vedere se riusciamo ad ottenere qualche informazione in più su quanto accaduto, a questo punto è fondamentale capire cosa è successo e se c’è la possibilità che si ripeta in futuro. -
Il ragazzo aveva ripreso il controllo di sé stesso e della situazione abbastanza in fretta, seppur con un certo disagio negli occhi, e Marinette si sentì contagiata da quella sicurezza tranquillizzandosi definitivamente. Dopo quanto successo, aveva perso ogni sentore di sonno e dubitava sarebbe riuscita a riaddormentarsi, ma Dino era euforico e sembrava avere tutta l’intenzione di svegliare mezza mondo per raccontare la novità. Quindi si congedò per lasciarlo “lavorare” in pace e tornò in camera.
Lal, Bianchi e Tikki dormivano ancora e lei si lasciò scivolare silenziosamente sotto le coperte; indugiò qualche attimo sperando che Radi si “risvegliasse” e potesse parlargli, infine sospirò e si sfilò l’anello mettendolo nel portagioie, raggomitolandosi su sé stessa, ma per quanto ci provasse non riusciva a prendere sonno. Continuava a ripensare a quella scena, a riascoltare quelle parole e a rivedere i gelidi occhi di Riccardo che le avevano lasciato quel senso di inquietudine misto a timore che non voleva sapere di abbandonarla; non sapeva perché ma trovava il tutto estremamente affascinante e nostalgico, con un bizzarro senso di familiarità nei confronti del Secondo a coronare il tutto. Probabilmente erano solo i residui di quello che aveva provato mentre era Radi, d’altronde era la prima volta che vedeva quell’uomo quindi non poteva esserci nulla di familiare in lui, per lei, e la soluzione più logica era che fosse solo una sensazione dovuta alle emozioni provate nel ricordo. Sperava solo che non durassero a lungo ma l’ipotesi che potessero svanire scemò molto in fretta: non erano sentimenti suoi ma li aveva sentiti forte e chiaro, se si concentrava poteva ancora avvertire il cuore tremare e lo stomaco contorcersi, quindi era impossibile che sparissero da un momento all’altro come se nulla fosse. Tutto ciò che poteva fare era aspettare e sperare che, almeno il giorno dopo, Radi fosse di nuovo reperibile: parlare con lui avrebbe reso le cose più facili.
Effettivamente, le faceva sempre bene chiacchierare con lui: riusciva a farla sentire sicura, tranquilla e far sparire ogni sua preoccupazione; quell’effetto calmante su di lei riuscivano ad averlo, oltre a Radi, solo Dino e Squalo. Di più quest’ultimo, a pensarci bene, che sembrava anestetizzare tutte le sue ansie con la sua sola presenza. Non sapeva dire con certezza il perché ma immaginava che fosse per quella sorta di sicurezza e forza (sia fisica che emotiva) che trasudava da ogni fibra del suo essere: la faceva sentire coinvolta e supportata, protetta in un certo senso… non sapeva spiegarlo in modo soddisfacente ed era un po’ confusa al riguardo, ma mai come in quel momento sentiva la sua mancanza.
 
 
 
 
La prima settimana di marzo fu estenuante: Colonnello la costringeva ad esercitarsi ogni giorno, incurante degli scarsi risultati che ottenevano di volta in volta, e dopo poco avevano sostituito i fucili con le pistole. Roberto in persona si era messo al fianco di Marinette per insegnarle il modo corretto di usarla, dandole anche qualche dimostrazione pratica, correggendola e consigliandola ogni volta che commetteva un errore. La ragazza stessa dovette ammettere di saperle maneggiare molto meglio di quanto aveva fatto con il fucile e, una volta, era riuscita addirittura a centrare il bersaglio in piena fronte (anche se era stato più un colpo di fortuna che altro) e Dino era molto ottimista a riguardo. Tuttavia, anche se faceva di tutto per rassicurarla e sostenerla, negli ultimi giorni le era sembrato piuttosto nervoso e preoccupato ma si rifiutava categoricamente di dirle il motivo, fingendo allegria e spensieratezza ogni volta che lei azzardava una domanda a riguardo.
Sospirò e chiuse l’armadietto, raccogliendo lo zaino e avviandosi verso l’uscita della scuola: aveva ancora dolori muscolari alle braccia a causa di tutti i contraccolpi ricevuti dagli spari, ma si era accorta di resistere meglio rispetto all’inizio; Colonnello l’aveva “ispezionata” una seconda volta e aveva concordato che i suoi muscoli si erano notevolmente irrobustiti grazie allo sforzo di imbracciare le armi e ciò era decisamente positivo. L’aveva anche definita “quasi pronta” ma, ovviamente, non aveva voluto dirle per cosa e Marinette poteva solo restare in attesa aspettandosi di tutto.
Era anche riuscita, dopo vari tentativi, a parlare con Radi di ciò che aveva vissuto nel suo ricordo: si era chiusa in camera e aveva avuto un lungo colloquio con lui nel proprio inconscio. L’uomo si era detto sconcertato poiché non era stata sua intenzione mostrarle nulla di tutto quello e non riusciva a spiegarsi come fosse successo, ma il suo spirito si era indebolito molto dopo l’accaduto (forse per lo sforzo di averla fatta entrare così in profondità dentro di sé) ed aveva dovuto “riposare” nell’anello per parecchie ore; nonostante questo, le aveva spiegato volentieri tutto ciò che aveva preceduto quella scena: del tradimento di Daemon Spade (il loro guardiano della Nebbia), dei dissapori tra Giotto e Riccardo e di come avessero idee totalmente differenti sul futuro della famiglia. Il primo voleva mantenere la linea di partenza e fare dei Vongola una causa di protezione e supporto verso il prossimo, il secondo voleva renderla un’organizzazione potente e autonoma in continua crescita economica e sociale e non voleva risparmiarsi su nessun fronte per raggiungere quell’obbiettivo.
Due visioni diametralmente opposte che cozzavano terribilmente tra loro, tanto da arrivare ad un punto di rottura definitivo quando era giunto il momento del ritiro di Giotto: quando aveva visto cosa il figlio stava facendo (e ciò che avrebbe voluto fare negli anni avvenire), il Primo aveva affrontato apertamente il discorso con lui e l’esito Marinette lo aveva visto con i propri occhi. Come aveva immaginato, il seguito non era stato facile per nessuno: Giotto aveva sofferto molto la separazione con Riccardo, con cui non aveva mai più riallacciato i rapporti, ma aveva pensato fino alla fine a come risolvere la questione dei Vongola dando vita ad un nuovo ramo della famiglia dopo essersi trasferito in Giappone, così che sarebbero stati i suoi discendenti a potersene occupare un giorno. In un certo senso aveva, un po’ vigliaccamente, lasciato alla sua prole il peso di ciò che lui non aveva avuto il cuore di fare ma Marinette non se l’era sentita di giudicarlo: nonostante avessero idee contrastanti, Riccardo era pur sempre suo figlio e non poteva biasimare Giotto per non aver voluto combattere contro di lui.
Alla fine si era risvegliata con un grande peso sul cuore e, uscita dalla camera, aveva trovato Dino e Lal ad aspettarla impazientemente sulle scale per avere il resoconto di quel colloquio; aveva quindi ingoiato il groppo alla gola e raccontato loro tutto. L’evento non era stato intenzionale e non sapevano se sarebbe potuto accadere di nuovo, ma le informazioni reperite grazie a ciò erano molte e importantissime; il Nono era già stato informato dei precedenti e aveva chiesto di essere aggiornato su ogni novità a riguardo e Marinette si sentiva un po’ nervosa per questo, come se avesse paura di deludere le loro aspettative se non fosse riuscita a ricavarne qualcosa di utile. Ciò andava molto in contrasto con quello che provava realmente: non le interessava particolarmente l’aspetto storico della faccenda ma era molto interessata a quella parte della vita di Radi, tuttavia vedere e sentire tutte quelle cose l’aveva molto scossa; era profondamente coinvolta sul lato emotivo e parlare di quegli eventi come se fossero solo strumenti utili a terzi la faceva sentire in colpa e un po’ disgustata da sé stessa.
Era divisa in due tra i propri sentimenti e il peso di ciò che gli altri si aspettavano da lei e il morale le era tornato sotto i piedi, niente avrebbe potuto migliorarlo in quel frangente ma probabilmente neanche peggiorarlo. La parte più difficile era che non poteva parlare con nessuno di tutto quello ed era costretta a tenersi tutto dentro, rendendo tutto ancora più pesante.
Salutò distrattamente Rose e Juleka nell’atrio e uscì dall’istituto: l’aria era tiepida, smorzata di tanto in tanto da un venticello fresco, e il segnale che la primavera fosse vicina era inequivocabile. In un certo senso, Marinette sperava che l’arrivo della bella stagione avrebbe potuto aiutarla a migliorare il suo stato d’animo (anche se non ci contava troppo) e si era già autoimposta di provare ad essere più positiva e concentrarsi su altro per distrarsi da tutto ciò che stava accadendo nella sua vita privata; degli ottimi spunti erano la scuola, gli scontri con le Akuma (che avevano contribuito ad aiutarla a scaricare un po’ la tensione) e il suo rapporto con Chloé che, nelle ultime settimane, aveva avuto degli sviluppi interessanti. Erano arrivate al punto che si salutavano quando entravano e uscivano da scuola e qualche volta si fermavano a parlare, seppur brevemente, nei corridoio dell'istituto; doveva ammettere che la ragazza era diventata molto meno acida e antipatica, almeno con lei, e riuscivano addirittura ad andare d’accordo sebbene avessero ancora i loro piccoli screzi.
A grandi linee andava tutto abbastanza bene nel quotidiano, il più grande ostacolo era sempre a livello sentimentale e sperava solo che non accadesse nient’altro che peggiorasse la sua già provata emotività. Aveva da poco finito di pensare quelle parole quando rientrò finalmente in casa, era stanca ma aveva il tempo solo per un pranzo veloce prima di tornare alla villa per l’allenamento con Colonnello… o almeno, i progetti erano quelli perché quando varcò la soglia tutto si sarebbe aspettata tranne di vedere il tavolo della cucina invaso di buste e pacchetti dalla dubbia provenienza. Guardò lo spettacolo con sconcerto, un sopracciglio alzato e decine di domande per la testa, mentre sua madre cercava di fare più spazio possibile nel frigorifero.
- Cos’è questa roba? - chiese, dimenticandosi persino di salutare. Sabine riemerse dal mobile e sorrise calorosamente.
- Alcuni souvenir - rispose dolcemente - Li ha portati Squalo dall’Italia. Ha avuto un pensiero carino, non trovi? -
Marinette sgranò gli occhi e lo zaino le scivolò di mano con un sussulto, mentre cercava di assimilare quelle prime parole. Eppure, riuscì solo a mormorare un tremolante: - Cosa? - pensando fosse solo un brutto scherzo della sua psiche ad averle fatto immaginare quella conversazione. Deglutì. - Squalo è quì? -
Sabine annuì e Marinette sentì il cuore balzarle nel petto così forte da farle male: - E’ tornato circa mezz’ora fa e ha portato un sacco di cose per ringraziarci dell’ospitalità. Sono quasi tutti prodotti alimentari della sua zona: olio, vino, salumi… persino delle mozzarelle! - spiegò, un po’ emozionata, svuotando le buste per mettere a posto il loro contenuto - E’ stato così dolce, non c’era bisogno che si disturbasse tanto. -
Ma la ragazza quasi non ci fece caso, era troppo frastornata per capirci realmente qualcosa: Squalo era tornato così, di punto in bianco, senza dire nulla e senza farsi sentire per settimane. Era confusa e stordita con una voglia matta di vederlo ma, al contempo, di non volero incontrare: era ancora ferita dal suo comportamento nei propri confronti e una parte di lei non voleva sapere perché si fosse comportato in quel modo né perché fosse tornato, aveva quasi paura della risposta che avrebbe potuto ricevere.
Prese coraggio cercando di non far tremare la voce. - E… dov’è ora? -
- Mh? Oh, sta facendo la doccia - rispose la donna.
Marinette esitò per un lungo istante poi si piegò e raccolse nuovamente lo zaino, tornando indietro per appenderlo all’attaccapanni. Aprì nuovamente la porta di casa e Sabine si voltò verso di lei.
- Ma dove vai? - domandò, evidentemente confusa. La ragazza alzò le spalle.
- Colonnello mi aspetta per l’allenamento - ricordò, senza voltarsi - Ero tornata solo per posare lo zaino - mentì - Ci vediamo più tardi. -
Uscì senza neanche aspettare una risposta e schizzò letteralmente giù dalle scale, come se temesse che qualcuno avrebbe potuto inseguirla. Era stata presa dal panico e non sapeva che reazione avrebbe avuto se si fosse trovata faccia a faccia con Squalo dopo tutto quello che era successo, la sua già fragile emotività era crollata definitivamente e sentiva di non poter sopportare niente in quel momento; non voleva neanche allenarsi, se doveva essere sincera, e avrebbe preferito ritirarsi da qualche parte per stare un po’ da sola e cercare di mettere ordine dentro di sé ma Lal non avrebbe accettato alcuna scusante se non si fosse presentata, quel giorno, e tutto sommato una parte di lei credeva che le avrebbe fatto bene sfogarsi un po’. Si era avviata a passo svelto verso la villa, sperando di sbollire anche in quel modo, ma dieci minuti più tardi arrivò dinnanzi al cancello anche più agitata di prima e il suo tormento interiore fu così evidente che non passò inosservato: in casa c’erano solo Romario, Roberto, Lal e Colonnello che furono non solo stupiti di vederla lì prima del previsto ma anche che fosse venuta a piedi quando, in realtà, avrebbe dovuto accompagnarla Dino dopo pranzo.
Tuttavia, Lal sembrava aver intuito qualcosa sebbene non le avesse fatto alcuna domanda a riguardo e Marinette le fu grata di ciò perché l’ultima cosa che voleva era proprio parlare. Di qualunque cosa, a dire il vero: non ne aveva voglia e basta, men che meno di ciò che le stava succedendo.
Si limitò a scendere nel seminterrato con Colonnello e prepararsi alla solita sessione di allenamento, in silenzio, sperando di distrarsi il più possibile; il bambino sembrò titubante a riguardo ma le fece fare lo stesso qualche tiro di prova, che non andò neanche tanto male a dirla tutta: centrò due volte la testa e il petto e gli altri proiettili si mantennero tutti all’interno dei bersagli. Rispetto al solito, era davvero un buon risultato.
- Sei nervosa oggi, korà! - notò Colonnello e sembrava preoccupato per quello - Una mano guidata dall’emotività è pericolosa, sia per te che per chi ti sta intorno - le spiegò, togliendosi le cuffie - Non è compito mio ma… se c’è qualcosa che non va dovresti risolverlo, altrimenti ci sarà difficile andare avanti. -
Marinette fece una smorfia e annuì, senza sapere cosa rispondergli: non aveva la più pallida idea di come risolvere quella faccenda e, in quel momento, non voleva neanche tornare a casa. Non voleva incontrare Squalo men che meno parlare con lui, ma non poteva ignorarlo se vivevano sotto lo stesso tetto; era una situazione difficile per lei e in quel momento era troppo sconvolta per ragionarci lucidamente. Colonnello titubò un’istante, infine posò le cuffie: - Per oggi fermiamoci quì - decise infine, scendendo dal tavolo, e Marinette sospirò mollando la pistola con una punta di risentimento: si sentiva in colpa per avergli fatto sprecare tempo in quel modo e l’ultima cosa che voleva era essere d’intralcio al suo lavoro. Il bambino, però, non sembrava essersela presa tanto che, dopo essersi infilato la giacchetta militare, si voltò verso di lei con un sorriso tranquillo: - Ti va di andare a mangiare qualcosa? - propose - Scommetto che non hai ancora pranzato, korà. -
Lei non sapeva come facesse ad saperlo ma annuì comunque: aveva lo stomaco chiuso ma forse uscire e comportarsi come una persona normale l’avrebbe aiutata a distrarsi un po’, sebbene non si immaginava per niente ad andarsene in giro per ristoranti con Colonnello. Effettivamente, loro due non avevano mai avuto una reale conversazione: tutti i loro dialoghi erano incentrati esclusivamente su argomenti riguardanti il suo allenamento e nient’altro; non si erano mai neanche incontrati al di fuori dell’orario stabilito quindi quell’invito a pranzo l’aveva sorpresa non poco. Però, magari, sarebbe potuto succedere davvero qualcosa di interessante.
 
 
 
Squalo picchiettò le dita della mano artificiale sulla superficie della balaustra, aspettando una risposta dall’altra parte del cellulare che, tuttavia, tardava un po’ troppo ad arrivare: eppure era stato lui a voler sapere di quella faccenda del ricordo, se si era distratto o addormentato gli avrebbe sfondato un timpano a forza di urlargli contro. Fece saettare lo sguardo per la stradina trafficata con particolare cura ma nessun volto attirò la sua attenzione quindi sospirò stancamente, tornando a prestare attenzione alla chiamata quando Xanxus si decise finalmente a parlare.
- Ne sei sicuro? -
- Questo è ciò che mi ha riferito Cavallone - rispose secco. Erano arrivate loro solo delle voci riguardo quella storia che Marinette avesse assistito al ricordo di Radi sulla discussione tra il Primo e il Secondo, che aveva portato alla partenza definitiva di Giotto dall’Italia, per questo la prima cosa che Squalo aveva fatto appena avuto Dino sotto mano era stato chiedergli delucidazioni a riguardo e il ragazzo non si era fatto pregare, raccontandogli nei minimi dettagli ciò che Marinette aveva visto e del suo successivo colloquio con Radi. A lui non era rimasto altro da fare se non riferire tutto a Xanxus in una lunghissima quanto noiosa telefonata (anche se, ad una certa, Sabine era salita a portargli del caffè e dei biscotti: non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma adorava quella donna con tutto sé stesso); il perché gli interessasse così tanto saperlo, poi, neanche gli importava.
- E la ragazza? -
- Non avrebbe motivo di mentire - tagliò corto lui, stroncando quella conversazione sul nascere. Non aveva parlato quasi mai di Marinette mentre era in Italia, non aveva avuto alcun motivo per farlo tranne per rispondere alle invadenti domande di Belphegor, che aveva messo a tacere quasi subito, sebbene fosse stato lo stesso Xanxus a spedirlo fino in Francia proprio per lei (salvo poi fregarsene deliberatamente). Prese un biscotto e lo sgranocchiò con stizza. - Abbiamo finito? -
Ci fu attimo di silenzio, infine Xanxus sbuffò - Tienimi aggiornato - concluse e riattaccò. Squalo alzò gli occhi al cielo, chiuse il telefono e si appoggiò con la schiena alla ringhiera: non saliva quasi mai sul terrazzo, più che altro perché bisognava passare dalla camera di Marinette per arrivarci e solitamente non vi entrava senza il suo permesso o mentre lei non c’era. Quella volta aveva fatto un eccezione essendo l’unico posto in cui poter parlare in tranquillità senza Dino e Bianchi tra i piedi. Non che avesse qualcosa da nascondere, ma gli dava fastidio che qualcuno ascoltasse le sue conversazioni private.
Sospirò e voltò lo sguardo verso la cittadina che si estendeva sotto di sé: si poteva godere di un bel panorama da lassù soprattutto al tramonto e a notte inoltrata, quando tutte le luci di Parigi si accendevano e la Torre Eiffel sembrava un enorme lucernario. Si portò una mano alla tasca dei jeans e ne estrasse il pacchetto di velluto nero sovrappensiero, rigirandoselo tra le dita con un po’ di nervosismo: Marinette non era ancora rientrata, aveva sentito Dino dire qualcosa riguardo al fatto che lei e Colonnello avevano abbandonato il loro allenamento per andare chissà dove facendo infuriare Lal e ciò lo aveva messo in agitazione, sebbene la presenza del bambino accanto a lei garantiva che fosse al sicuro. Avrebbe dovuto parlarle per forza di tutto quello che era successo in quell’ultimo mese, non poteva ignorare la faccenda, ma non aveva idea di cosa dirle: delle scuse da sole non sarebbero bastate e lei non le avrebbe accettate senza una spiegazione.
Il sole stava ormai calando e fu allora che la voce di Sabine si levò dalla botola, proveniente dalla cucina: - Squalo, è pronta la cena! -
Si fece scivolare il pacchetto in tasca e raccolse il vassoio, scendendo lentamente le scale: la camera da letto era vuota e semibuia e provò un senso di disagio anche solo nell’attraversarla. Sperava solo che, quando Marinette fosse tornata, sarebbe riuscito a dirle tutto ciò che si era tenuto dentro fino a quel momento.
 
 
 
Sebbene Marinette non avesse molta fame, addentò con gusto il proprio Big Mac. Non era una grande patita del cibo spazzatura ma da quando era arrivata Lal le era sembrato di mangiare solo carne e verdure: la bambina le aveva stilato una tabella alimentare e teneva conto di tutto ciò che mangiava, porzioni comprese, quindi non doveva dirle assolutamente del grosso panino ripieno di salse e hamburger dai dubbi ingredienti che stringeva tra le mani. Dopotutto, come aveva detto anche Colonnello, “una volta ogni tanto fa bene concedersi qualche schifezza, korà!”.
Il bambino era seduto di fronte a lei scartando il proprio Happy Meal, e faceva un po’ strano vederlo comportarsi come un bambino qualunque: considerando che solitamente maneggiava fucili più grossi di lui, era quasi buffo mentre intingeva i Nuggets nella manioese. Mangiarono in silenzio per qualche minuto, finché una goccia di ketchup non cadde sul Ciucciotto di Colonnello che, afferrato un tovagliolo, si prodigò a pulirlo con estrema accuratezza; lo sguardo della ragazza si posò proprio su di esso ed esitò un istante prima di parlare, indecisa se fosse davvero il caso.
- Posso chiederti perché hai preso il posto di Lal come Arcobaleno? - domandò timidamente, sapendo di star ficcanasando in fatti che non la riguardavano. Lal non si era mai sbilanciata troppo sulla propria vita personale e molte cose rifiutava anche solo di accennarle, perciò l’unico modo che aveva per scoprire qualcosa su quella faccenda della sostituzione era chiedere al diretto interessato. Certo, non sapeva quanto Colonnello amasse parlare di sé ma tanto valeva provarci.
Il bambino alzò gli occhi su di lei e assunse una strana espressione a metà tra il serio e il pensieroso. - Che ti ha detto Lal a riguardo? -
Marinette esitò un istante, non aspettandosi quella controdomanda, e si sentì un po’ in imbarazzo: - Beh, solo che doveva essere l’Arcobaleno della Pioggia ma che è stata sostituita all’ultimo - rispose. Colonnello sembrò pensarci un po’ su, infine scrollò le spalle.
- Tipico, non le piace particolarmente rivangare il passato - commentò, punzecchiando le salse con una patatina - Però, sai, anche io sono stato suo allievo prima di essere maledetto. -
Mancò poco che il panino le andasse di traverso quando assimilò quell’informazione. Tossì nel tovagliolo e lo fissò con occhi granati, incredula e stupita. - Sul serio?! -
Lui annuì, sgranocchiando distrattamente la patatina. - Eravamo entrambi nel COMSUBIN: Lal era un mio superiore ed il suo compito era addestrare le nuove reclute. Ho imparato da lei tutto quello che so e… insomma, in quanto mia maestra sono particolarmente affezionato a lei - ammise - Quando ho capito quello che stava succedendo non sono riuscito a farmi gli affari miei, immagino di aver agito d’istinto spinto dai sentimenti. Come ti ho già detto, una mano guidata dall’emotività è pericolosa e ho finito per infilare entrambi in questa brutta situazione - sospirò - La parte peggiore è che Lal si sente in colpa per quanto mi è successo e io mi sento in colpa per averle dato questa preoccupazione… -
Marinette rimase in silenzio, capendo di essersi spinta troppo oltre. - Scusa, non avrei dovuto farmi gli affari vostri - mormorò, vedendolo un po’ agitato: dopotutto, se Lal non ne aveva parlato era perché aveva una motivazione precisa e lei avrebbe dovuto solo attenersi alla sua volontà.
Il bambino scosse il capo. - Va tutto bene, è normale che tu voglia sapere qualcosa su di lei - la tranquillizzò - Però devi tenere a mente che ci sono cose che le persone preferiscono tenere per sé perché possono avere difficoltà a parlarne. Il consiglio che posso darti è di non prendere alcune situazioni troppo sul personale, anche se possono essere difficili da mandare giù. -
La ragazza ebbe l’impressione che si riferisse a qualcosa in particolare e il dubbio che sapesse cosa era accaduto con Squalo le mise un po’ di agitazione… ma chi era stato a dirglielo? Lal? Dino? E poi perché avrebbero dovuto?
Nonostante si sentisse in imbarazzo e un po’ a disagio, però, non poteva negare di aver fatto dell’intera situazione una questione che riguardava esclusivamente lei: dopotutto, Squalo doveva aver avuto per forza le sue ragioni per comportarsi in quel modo e lei non aveva fatto altro che convincersi del peggio senza neanche chiedersi se ci fosse dell’altro. D’altronde, se a lui davvero non fosse importato più nulla di lei non sarebbe tornato.
Mandò giù il boccone e annuì. - Mi sembra giusto - asserì, cercando di rimettere ordine nei propri pensieri: avrebbe dovuto parlargli, una volta tornata a casa, era l’unico modo per risolvere definitivamente la cosa sebbene il pensiero la rendesse nervosa.
Finirono di pranzare e tornarono alla villa dove, già lo sapevano, avrebbero dovuto affrontare l’ira di Lal. E, infatti, appena Marinette aprì la porta la bambina si precipitò su di loro come una furia e colpì Colonnello con un calcio in pieno volto, facendolo volare dalla spalla della ragazza e ruzzolare giù per i gradini d’ingresso.
- Chi cavolo vi ha dato il permesso di andarvene, eh?! - sbraitò, incazzata come una iena. Non contenta, afferrò Colonnello (ancora tramortito dal colpo appena ricevuto) per il bevero della giacca e iniziò a tirargli un ceffone dopo l’altro urlandogli contro tutto il proprio disappunto, con Marinette che assisteva alla scena terrorizzata.
- Te l’ho lasciata perché la tenessi d’occhio non per portarla a spasso quando ti pare! Fai il tuo dovere, ti ricordo che non sei quì in vacanza! Ti sembra un comportamento adeguato?! - inveì.
Dino schizzò fuori dalla porta e cercò disperatamente di toglierle Colonnello dalle mani, mettendo a serio rischio la propria incolumità. - Lal, calmati, stai esagerando! - esclamò, afferrando il bambino (ormai svenuto) e tenendolo bene in alto.
Lei lo incenerì con lo sguardo, facendolo indietreggiare, e Marinette raccolse quel poco di coraggio che le era rimasto dopo il raccapricciante spettacolo per intervenire. - M-mi dispiace, Lal, non volevamo… -
- Taci! - sbottò Lal, facendola trasalire - Eri sotto la sua supervisione, ogni tua azione è una sua responsabilità e deve accettarne le conseguenze. -
- Sei troppo dura con loro - azzardò Dino, sebbene fosse evidente che avesse una paura matta di prenderle anche lui.
La bambina, che sembrava sul punto di esplodere dalla rabbia, sbuffò dal naso come un toro inferocito: - Devo essere dura, altrimenti non impareranno mai! - poi si voltò verso Marinette - E allora, dove siete andati? -
Lei deglutì a vuoto mentre nella sua testa continuava a ripetersi al oltranza la frase “Non dire al McDonald’s”: - A pranzo - si affrettò a rispondere.
- A pranzo? - ringhiò Lal - Avete saltato l’allenamento per andare a pranzo? -
Marinette si fece piccola piccola sotto il suo sguardo truce ma trattenne un sospiro di sollievo quando la vide rilassare i nervi, sebbene l’incazzatura fosse persistente. - Domani farai il doppio del lavoro per recuperare e guai a te se ti allontani di nuovo senza permesso - ordinò, marciando nuovamente dentro, e nessuno osò contraddirla. Dino si rilassò così tanto che le gambe sembrarono cedergli, ma si affrettò a controllare le condizioni di Colonnello: era evidentemente traumatizzato ma non ferito gravemente, aveva solo le guance rosse e più gonfie del solito, quindi lo portarono in salotto e lo adagiarono sul divano dove Marinette gli coprì la fronte con una pezza fredda. Era colpa sua se Lal se l’era presa con lui e gli dispiaceva, sperava solo che si riprendesse senza conseguenze… e che non ce l'avesse con lei.
- Tutto a posto? - domandò Dino, sedendosi sul tavolino in legno dinnanzi a lei. La ragazza alzò lo sguardo e annuì.
- Direi di sì. -
- Sei sicura? - insisté lui - Non ti sei fermata a mangiare a casa… è per Squalo? - azzardò a chiedere. Lei esitò un’istante, infine scrollò le spalle,
- Andavo un po’ di fretta - mentì. Dino rimase in silenzio e Marinette capì che non le aveva creduto affatto, tuttavia lui non sembrò voler aggiungere altro.
- Capisco - asserì infine, poi sorrise dolcemente - Se hai voglia di parlarne sai dove trovarmi. -
Le batté una pacca di conforto sulla spalla e uscì dalla stanza, lasciandola sola con Colonnello che solo allora si alzò togliendosi la pezza dagli occhi, facendola sussultare. Sospirò e si mise seduto, massaggiandosi la guancia.
- Quando Lal mena non ci sono santi che tengano - commentò ma sembrava più divertito che dolorante. Marinette fece una smorfia ma prima che potesse chiedergli alcunché lui scosse il capo. - Tranquilla, non è la cosa peggiore che mi abbia fatto - sorrise - Ma credo che tu abbia già il tuo a cui pensare per preoccuparti anche di questo. -
Nonostante cercasse di nasconderlo in tutti i modi, tornare a casa la preoccupava e il suo malessere era finito sotto gli occhi di tutti: voleva parlare con Squalo ma non aveva idea di cosa dirgli e un po’ temeva le risposte che avrebbe ricevuto… sempre ammesso che lui volesse dargliene, ovviamente.
- Dovrò risolvere un problema, che la cosa mi piaccia o meno - ammise con un sospiro sconfortato. Avrebbe voluto parlare un po' Radi della faccenda prima di rientrare, sperava in un suo consiglio o anche solo nel suo supporto emotivo, sarebbero stati entrambi di grande aiuto ma non voleva che venisse anche lui quando avrebbe parlato con Squalo; doveva affrontare la cosa da sola, non poteva affidarsi a lui per ogni minima questione, quindi doveva prendersi del tempo per stare un po' da sola prima di tornare a casa.
Sperava solo che Lal glielo permettesse senza pretendere troppe spiegazioni.
 
 
Il sole era tramontato da un pezzo quando Marinette uscì dalla villa. Aveva passato il resto del pomeriggio ad imparare come si faceva la manutenzione ad una pistola, sotto la supervisione di Lal, e avevano cenato ordinando cibo thailandese da un ristorante vicino; poi si era avviata verso casa con Dino. Non aveva avuto il tempo di scambiare neanche una parola con Radi e man mano che avanzavano nel traffico l'ansia la divorava sempre più in fretta; quando parcheggiarono sotto il portone d'ingresso il cuore le balzò in gola e scese dalla macchina con gambe tremanti. Le era sembrato di vedere Bianchi affacciata alla finestra del salotto per un attimo, probabilmente per controllare che fossero tornati, e salì le scale un po' troppo velocemente per i propri gusti. Fu proprio la donna ad aprire la porta, prima ancora che bussassero, e li accolse con un seccato: - Ci avete messo una vita. -
- Abbiamo fatto un po' tardi - si scusò Dino, togliendosi il cappotto per appoggiarlo all'appendiabiti. Marinette si guardò nervosamente intorno ma non notò la presenza di Squalo né in salotto e né in cucina: non erano molti i posti in casa in cui avrebbe potuto trovarsi, quindi provò con il bagno e con il terrazzo, trovando entrambi vuoti. Scese nuovamente in salotto e si voltò verso sua madre: - Dov'è Squalo? - chiese, cercando di suonare il più tranquilla possibile.
Dino e Bianchi si voltarono verso di lei e si scambiarono un'occhiata nervosa ma Sabine non fece una piega: - In lavanderia - rispose.
Era l'ultimo posto in cui si aspettava di trovarlo, a dirla tutta, ma si diresse speditamente verso la porta sotto le scale che portavano alla sua camera. Vi era solo un piccolo corridoio che dava sul ripostiglio, la camera da letto dei suoi genitori e la lavanderia: fu in quest'ultima che trovò Squalo, intento a spostare due lunghi cappotti neri dalla lavatrice all'asciugatrice, dandole le spalle. Prese un respiro profondo per calmarsi e bussò sullo stipite della porta per annunciare la propria presenza.
Il ragazzo si voltò con espressione seccata ma sgranò gli occhi quando la vide e quello non le sembrò affatto un buon segno. Si schiarì la voce.
- Non mi aspettavo tornassi. -
Ok, non era assolutamente ciò che aveva pensato di dire ma le era uscito spontaneo prima ancora di poterci riflettere; non voleva sembrare ostile o accusatoria, desiderava portare avanti una conversazione tranquilla e ragionevole, sperando non finisse in tragedia com'era solito accadere tra loro.
Squalo abbassò lo sguardo, posandolo ovunque nella stanza tranne che sulla sua figura come se non volesse guardarla negli occhi, e sembrava nervoso tanto quanto lei: - Sì, io… non era previsto così presto - ammise.
Rimasero in silenzio per dei lunghissimi istanti, l'aria era così tesa che avrebbero potuto tagliarla con un coltello da burro e Marinette si sentì estremamente a disagio: era chiaro che nessuno dei due voleva parlare di quanto accaduto e lasciare le cose come stavano non avrebbe giovato nessuno, specialmente lei che l'ultima cosa che voleva era ritrovarsi incapace di condividere anche solo la stanza con lui. Inspirò a fondo e ripensò alle parole di Colonnello: se Squalo non voleva parlarne l'ultima cosa che voleva era costringerlo a farlo, evidentemente era un argomento difficile per lui quanto lo era per lei.
Non le restava che ingoiare il rospo e sperare di recuperare almeno un po' del rapporto che avevano prima che se ne andasse, rassegnandosi al fatto che non lo avrebbe né visto né sentito quando si sarebbero trovati lontani; era strano e parecchio doloroso, ma non voleva perderlo definitivamente quindi non le restava che adeguarsi. Dopotutto, lui era tornato ed era questo ciò che contava davvero.
- Beh, allora… ti lascio alle tue cose. Vado a dormire - tagliò corto, avendo esaurito ogni argomento di conversazione che non fosse "Potevi anche avvisarmi che te ne andavi" e "Un messaggio ogni tanto non ti avrebbe fatto cadere le dita". Si staccò dalla porta e si voltò per tornare in camera sua, più demoralizzata di quanto non lo fosse mai stata in quelle ultime settimane, decisa a parlare un po' con Radi prima di dormire.
Fu la voce di Squalo ad impedirle di andare oltre.
- Aspetta. -
Il cuore le balzò nel petto e si voltò, presa alla sprovvista, e stavolta incrociò il suo sguardo. Il ragazzo esitò per un attimo.
- Mi dispiace - mormorò e ogni parola le si fermò in gola, sembrando d'un tratto superflue ed inutili dinnanzi a quelle scuse così piene di rammarico. - Non lo avevo previsto - ammise infine e sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Sembrava estremamente a disagio, come se stesse parlando di qualcosa di delicato e imbarazzante: era la prima volta che Marinette lo vedeva in quel modo.
- Cosa? - domandò, confusa, cercando di non far trapelare l'ansia dalle sue parole, temendo la risposta che avrebbe ricevuto. Squalo sembrava avere difficoltà a esternare i propri pensieri ma ci stava provando sul serio e lei si chiese se fosse davvero il caso di continuare quella conversazione: si sentiva a disagio nel vederlo a disagio.
- Tu… - rispose infine lui, fermando ogni altro suo pensiero - …voi… questo - sospirò - Vivere una vita normale non mi si addice, il tempo che ho passato quì è stato… strano. Non credevo di potermi abituare o… - esitò per un momento, come se dovesse tirare fuori le parole con la forza - …sentirne la mancanza. -
Quella confessione era stata completamente inaspettata e destabilizzante, Marinette non sapeva cosa pensare: non conosceva così a fondo la vita di Squalo e non avrebbe mai potuto neanche immaginare che potesse risultargli così complicato vivere una quotidianetà diversa da quella sanguinosa e violenta a cui era abituato, era una cosa così scontata per lei che non aveva affatto preso in considerazione quella possibilità. Però lui aveva deciso di parlargliene, si era aperto con lei spontaneamente, e (a modo suo) aveva ammesso di aver sentito la loro mancanza. La sua mancanza. Avvertì un improvviso moto di affetto nei suoi confronti che le gonfiò il cuore ed ebbe un incredibile voglia di abbracciarlo cosa che, effettivamente, non era mai successa fino a quel momento.
Squalo volse lo sguardo di lato e si grattò nervosamente il collo: - Scusa se non mi sono fatto sentire, è solo che… non sapevo cosa dirti. -
Erano le scuse più impacciate che avesse mai ricevuto ma le fece una tale tenerezza che non riusciva proprio ad avercela con lui, al contrario era contenta che ne avesse parlato e si fosse aperto con lei; almeno ora sapeva di non essere il problema e questo, in un certo senso, era sollevante. Con il cuore più leggero e in quel fascio di emozioni, decise che l'unica cosa sensata da fare in quel momento era seguire l'istinto iniziale senza preoccuparsi troppo delle conseguenze: sebbene l'idea la imbarazzasse un po', non esitò a fare tre passi in avanti e cingergli le braccia al collo con dolcezza. Gli aveva lanciato contro oggetti di ogni tipo, lo aveva insultato in ogni modo possibile, lo aveva persino visto nudo eppure si sentiva terribilmente intimorita e in soggezione ad abbracciarlo, aveva come l'impressione che un gesto d'affetto nei suoi confronti avrebbe potuto essere ben peggiore di un piatto in piena fronte e la sua reazione la preoccupava un po'.
Prese coraggio e mormorò un - Ci sei mancato anche tu - che risuonò come un fruscio nella minuscola stanzetta. E dopo dei secondi che parvero infiniti, Squalo alzò le braccia e le poggiò con esitazione sulla sua schiena, come se non avesse la più pallida idea di come si abbracciasse una persona, scaldandole il cuore e facendo svanire ogni sua paura.
Rimasero così, in silenzio, per la prima volta consapevoli di ciò che realmente provavano l'uno per l'altro e, fortunatamente, Marinette non lo vide il dito medio che Squalo dedicò a Dino nascosto dietro la porta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note 🎶:
Personaggi di Katekyo Hitman Reborn apparsi in questo capitolo
 
Colonnello:
download
 
 
 
Angolo della cosa schifosamente in ritardo:
Ok, lo ammetto, la scena tra Squalo e Marinette è stata la più difficile in assoluto da scrivere. Ad una certa mi sono bloccata e sono andata nel panico, ma per fortuna ho trovato l'ispirazione per concludere questo capitolo (anche se mi ci sono volute settimane mortacci mia). Spero che sia decente, nonostante tutto continua ad esserci qualcosa che non mi convince però non saprei dire che cosa e in che modo cambiarlo.
Avrebbe dovuto esserci anche un'altra scena ma non mi sembrava in linea con l'atmosfera, quindi l'ho slittata al capitolo successivo (sperando di essere un po' più veloce questa volta). Quindi… nulla. Ringrazio come sempre chiunque stia ancora seguendo questa storia (è rimasto davvero qualcuno?!), tutti quelli che l'hanno aggiunta tra le preferite, che hanno recensito e i lettori silenziosi.
Un bacio

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Capitolo 19
*** Reload ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 19. Reload
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 4.499
 

 
 
 
La porta sbatté violentemente, facendoli sobbalzare tutti, e il potente "Voi" di Squalo rieccheggiò per la casa così forte da far tremare le finestre: - Quante cazzo di volte devo dirti di bussare?! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola, seguito da uno strillo altrettanto assordante proveniente da Marinette, intenzionata a voler esprimere tutto il proprio disappunto fino a svuotarsi i polmoni.
- E io quante volte devo dirti di chiudere questa dannata porta a chiave?! -
Dino sospirò, versandosi del caffè nella tazza, sperando che Sabine non lo avesse sentito poiché aveva vietato categoricamente l'utilizzo delle parolacce in casa da quando Squalo aveva messo pianta stabile in famiglia. - Si era sentita la sua mancanza, eh? - commentò allegramente.
Bianchi addentò un biscotto con una scrollata di spalle. - Avranno molto da recuperare. -
Marinette scese in cucina borbottando tra sé, rossa in volto, ed era difficile sapere se fosse per l'incazzatura o per l'imbarazzo; la donna bevve un sorso di caffè e alzò lo sguardo su di lei, inarcando le sopracciglia.
- Oh, suvvia - esclamò e sembrava quasi divertita - L'hai visto una volta, l'hai visto due… che differenza fa? Non penso che sia cresciuto nel frattempo. -
Marinette arrossì ancor di più tanto che la sua faccia sembrò andare a fuoco: - Bianchi, ti prego! - si lamentò capendo perfettamente a cosa si stava riferendo, sparendo in camera sua con la voglia di sotterarsi nel pavimento. Era contenta che Squalo fosse tornato ma non poteva negare di detestare alcune sue pessime abitudini, soprattutto quando la coinvolgevano in prima persona; la cosa ironica era che aveva passato le ultime quattro settimane a bussare ad una stanza vuota per poi dimenticarsene quando lui c'era davvero. Era ovvio che non lo avesse fatto apposta, però si sentiva terribilmente a disagio e in colpa per aver violato la sua privacy in quel modo, senza contare l'imbarazzo di averlo visto nudo per la seconda volta.
Scacciò quel pensiero dalla testa e ficcò un paio di libri dentro lo zaino, mentre Tikki la guardava da sopra la scrivania senza proferire parola. Era stata molto silenziosa nell'ultimo periodo, quasi sempre sovrappensiero, e nonostante Marinette le avesse chiesto diverse volte se ci fosse qualcosa che non andava lei aveva sempre negato, sviando l'argomento, e questo la preoccupava molto: non le aveva mai nascosto nulla, erano sempre state un libro aperto l'una per l'altra, e quell'improvviso silenzio non era affatto un buon segno.
- Tutto bene? - domandò, cercando di suonare allegra e naturale. Il Kwami annuì semplicemente e lei si chiese se fosse il caso di insistere, ma sua madre interruppe quel pensiero avvisandola di sbrigarsi o avrebbe fatto tardi a scuola.
Chiuse lo zaino e se lo mise in spalla, mentre Tikki spariva nella sua borsetta: avrebbe pensato più tardi, con calma, a cosa fare a riguardo, sperando che non fosse nulla di troppo grave.
 
 
Picchiettò con la penna sul foglio, cercando di concentrarsi sul compito che aveva davanti sebbene nella sua mente continuassero ad affollarsi ben altri pensieri: il comportamento strano di Tikki, l'allenamento con Colonnello, le Akuma che diventavano più frequenti, Radi che stava perdendo il controllo dell'anello… tutte cose che non avevano niente a che fare con le domande di storia a cui avrebbe dovuto rispondere. Ma più leggeva quelle parole più non ci capiva niente, come se il suo cervello le cancellasse automaticamente subito dopo averle registrate.
La risposta è B, disse Radi tutto ad un tratto facendole sgranare gli occhi.
« Ma che… non mi devi suggerire! » esclamò.
Non voglio contraddirti ma l'ora è quasi finita e non hai risposto neanche ad una domanda, notò lui e Marinette trasalì guardando l'orologio, Sei troppo distratta.
« Ho troppe cose a cui pensare » sospirò affranta e, seppur riluttante, spuntò con un segno la lettera corrispondente: non le piaceva imbrogliare ma di quel passo avrebbe consegnato il compito in bianco ed era ingiusto dal momento che le cose le sapeva, aveva studiato, eppure non riusciva a concentrarsi come avrebbe voluto.
Credo di sapere cosa preoccupa il tuo Kwami, disse d'un tratto Radi e Marinette rinunciò totalmente a cercare di comprendere cosa ci fosse scritto sul foglio, volgendo la propria totale attenzione a lui.
« Davvero? »
Beh, immagino che ci abbia pensato per forza visto come stanno le cose, continuò, Il fatto che tu non ci abbia prestato attenzione, però, non migliora molto le cose.
La ragazza inarcò le sopracciglia, non sapendo se dovesse sentirsi offesa oppure no: « Cioé? » sbuffò, un po' impaziente. Radi rimase in silenzio per qualche secondo.
Lo sai che l'attuale Decimo vive in Giappone con tutti i suoi guardiani, ricordò infine, E i Vongola hanno la loro sede fissa in Italia. Arriverà il momento in cui dovrai raggiungerlo, in qualunque luogo lui scelga di andare.
Quella consapevolezza colpì Marinette come un secchio d'acqua gelida in pieno volto e la serietà con cui Radi ne aveva parlato le fece uno strano effetto: era vero, non ci aveva pensato neanche per un momento nonostante sapesse già tutto. Eppure non le era passato neanche per l'anticamera del cervello che far parte della Famiglia significava anche essere presente in essa fisicamente dovunque il boss fosse, anche dall'altra parte del mondo.
Non potrai restare a Parigi per sempre, continuò Radi e stavolta c'era una nota amara nella sua voce, E a quel punto non potrai più continuare ad essere Ladybug.
Sentì la penna scivolare dalle proprie dita tremanti prima che Radi saldasse la presa sulla sua mano e iniziasse a farla scorrere sul foglio, rispondendo a tutte le domande con una rapidità quasi anormale, ma Marinette non ci fece neanche caso o, semplicemente, non le importava: aveva totalmente ignorato una cosa così importante, troppo presa da tutti quegli eventi che le erano piombati addosso in cosi poco tempo, mentre Tikki si tormentava al pensiero che un giorno lei avrebbe dovuto rinunciare al Miraculous e lasciare Parigi (forse) per sempre. Essere Ladybug era il suo impegno di vita, una cosa che le avevano imposto, vero, ma che aveva preso a cuore e il pensiero di rinunciarvi le stringeva lo stomaco. Ma non era solo quello: lasciare la Francia significava anche lasciare la sua casa, i suoi genitori, i suoi amici… la sua intera vita e solo per recarsi a "lavorare" per un perfetto sconosciuto in un luogo totalmente diverso e così lontano. Non era sicura di avere la forza per riuscirci.
So che sembra difficile ora, momorò Radi voltando il foglio per concentrarsi sulla pagina successiva, ma non dovrai affrontarlo da sola.
Marinette sapeva che stava cercando di aiutarla ma, in quel momento, niente avrebbe potuto tirarla su di morale: l'impatto emotivo era stato troppo forte e la paura di lasciare tutto, di perdere tutto, l'aveva assalita in modo incontrollato.
Avrebbe dovuto parlare con Tikki di tutto quello ma non sapeva cosa dirle e temeva di peggiorare soltanto la situazione, ed era l'ultima cosa che voleva.
- Ancora dieci minuti, ragazzi - annunciò l'insegnante. Radi scrisse l'ultima parola nella domanda aperta e posò la penna, restituendole la mano, e Marinette guardò quei tre fogli spillati tra loro perfettamente compilati senza provare alcuna emozione a riguardo: aveva solo la nausea e una gran voglia di tornare a casa per infilarsi sotto le coperte e restarci fino al giorno successivo, ma l'aspettavano ancora due ore di lezione dopo pranzo e non poteva uscire prima o Lal si sarebbe incazzata e non ci teneva per niente a farsi sgridare/malmenare nuovamente da lei. E poi c'era anche l'allenamento con Colonnello a cui sarebbe dovuta andare subito dopo.
Si sentiva emotivamente e fisicamente stanca, era stressata, preoccupata, affranta e non sapeva più neanche lei cosa: aveva troppo a cui pensare tra la scuola, le akuma, gli allenamenti, lo studio delle lingue e ogni giorno sembrava aggiungersi un nuovo problema alla già lunghissima lista. Radi cercava di aiutarla come poteva arrivando ad occuparsi delle akuma al posto suo quando lei proprio non ne aveva la forza e le forniva un incredibile supporto psicologico; Marinette apprezzava ogni suo singolo gesto e, ne era certa, probabilmente sarebbe impazzita o avrebbe avuto un crollo emotivo già da un pezzo se lui non fosse stato lì a sostenerla.
La campanella suonò qualche istante dopo. - Girate i fogli e lasciateli sui banchi, passerò io a prenderli - illustrò l'insegnante, mentre i ragazzi ubbidivano e si alzavano per dirigersi in mensa. Marinette aveva il pranzo preparato da sua madre, rigorosamente secondo le istruzioni di Lal, e si ritagliò l'angolo più isolato del cortile, sedendosi dietro uno dei pilastri in cemento che reggevano il tetto. La giornata era tiepida e il cielo limpido ma neanche quello bastò a rallegrarla un po', mentre apriva il suo portapranzo e osseravava con aria triste il petto di pollo alla piastra e i broccoli al vapore ordinatamente riposti all'interno, rimpiangendo amaramente il Big Mac del giorno prima. Sapeva che Lal lo faceva solo per lei, che l'alimentazione che le aveva imposto era totalmente salutare e volta a dare il giusto nutrimento al suo fisico per far fronte agli allenamenti, ma le mancava davvero il sapore del cibo spazzatura. Iniziò a mangiare, ignorando le voci dei pochi ragazzi al'interno del cortile, sentendosi incredibilmente sola: con tutto quello che aveva da fare non trovava più il tempo neanche per uscire con le sue amiche. Non ricordava neanche quando era stata l'ultima volta che aveva passato un po' di tempo con le ragazze fuori dalla scuola che, tra una lezione e l'altra, lasciava poco tempo per chiacchierare; non poteva neanche recuperare in pausa pranzo poiché non era concesso portare in mensa cibo dall'esterno e dato che lei se lo portava da casa non vi poteva nemmeno entrare.
Le mancava parlare con Alya e, se n'era accorta, ormai lei faticava a credere a tutte le scuse che usava per giustificare la sua totale assenza nella loro vita sociale: non poteva assolutamente dirle la verità, né sul Miraculous e né sui Vongola, quindi doveva per forza inventarsi qualcosa ma non voleva che pensasse che cercava di evitarla o cose del genere. Avrebbe dovuto occuparsi anche di quello, in un modo o nell'altro.
- Ancora depressa? -
La ragazza sobbalzò, rischiando di strozzarsi con il pollo, e alzò lo sguardo sulla figura snella di Chloé in piedi accanto al pilastro. Aveva tra le mani un vassoio in legno pieno di sushi di ogni genere e lo zaino che le pendeva da una spalla; sapeva che era troppo schizzinosa per mangiare il cibo della mensa ma fino a quel momento aveva sempre consumato i pasti in classe. Era la prima volta che la vedeva pranzare in cortile.
- Non sono depressa - rispose, deglutendo un po' a fatica il boccone - Solo stanca. -
Lei inarcò un sopracciglio, per nulla convinta: - Beh, hai l'aria di qualcuno che si impiccherebbe volentieri con quei broccoli - ammise prima di guardarsi intorno in cerca di qualcosa. Marinette non poté darle torto ma non aveva scuse credibili da offrire e non voleva, né poteva, dire la verità; sospirò e rimase quindi in silenzio, mentre Chloé poggiava lo zaino per terra e vi si sedeva sopra, accanto a lei, poggiandosi il sushi sulle gambe. Quel gesto la sorprese e la vide sistemarsi con la confusione ben evidente sul viso: certo, ora andavano un po' più d'accordo e parlavano più spesso rispetto a prima, ma non avevano mai fatto nulla di più. Era la prima volta che pranzavano insieme da quando si conoscevano e la situazione era abbastanza strana ai suoi occhi.
- Sono un po' stressata - ammise titubante.
Chloé scoperchiò il proprio vassoio e prese le bacchette, alzando gli occhi su di lei: - Non vorrei dire qualche idiozia, ma ho come l'impressione che tu sia stressata da quando quella bambina è venuta a vivere a casa tua. -
Marinette gelò sul posto, fissandola ad occhi sgranati, e si chiese da quando Chloé fosse diventata così attenta a ciò che accadeva nella sua vita privata.
E' più perspicace di quanto credessi, commentò Radi sorpreso.
« Sono sconvolta quanto te » ammise lei.
- Beh… - rispose dopo qualche istante di esitazione, cercando di non far trasparire troppo nervosismo - Lal è un'insegnante molto severa - e quella era la più assoluta verità. Chloé raccolse un rotolino di sushi e lo intinse leggermente nella salsa di soia, prima infilarselo in bocca e alzare gli occhi su di lei, che si sentì estremamente a disagio sotto quello sguardo indagatore.
- Non ti chiederò come fa una bambina alta un tappo e una vigorsol ad essere un'insegnante, anche perché non è affar mio, ma se non vi date entrambe una calmata finirai per diventare matta e insopportabile - ammise schiettamente, lasciandola senza parole - A quanto dice Nino, è da un po' che non esci con le tue amiche e Alya non sta prendendo molto bene il fatto che tu praticamente non esista al di fuori di queste mura. -
E se Marinette era stata sconvolta fino a quel momento, dopo quelle parole il suo stomaco si contorse dolorosamente. Abbassò lo sguardo sul proprio pranzo, ormai quasi freddo.
- Sono stata… impegnata - momorò.
- Questo era ovvio - rispose Chloé, scrollando le spalle. Nel silenzio che seguì, Marinette si chiese se stesse davvero facendo la cosa giusta: tutta quella storia della mafia era iniziata praticamente sotto costrizione e finché lei avrebbe posseduto il Miraculous non c'era modo di uscirne; non si fidava per niente di Reborn e aveva preso sul serio la sua minaccia di spifferare tutto al resto del mondo. Ma se avesse davvero dovuto lasciare Parigi per seguire il Decimo e, quindi, il suo ruolo come Ladybug, tutto quello non avrebbe avuto più alcun senso; poteva disfarsi prima del Miraculous e di conseguenza del pericolo che la sua identità segreta venisse scoperta: ciò implicava automaticamente prendere le distanze dai Vongola senza ripercussioni.
Per quanto apprezzasse la gentilezza con cui Dino e Bianchi la trattavano e per quanto amasse la compagnia di Radi, non aveva mai accettato (e probabilmente non lo avrebbe fatto mai) di fare parte di una famiglia mafiosa. Il desiderio di mollare tutto era sempre dentro di lei, bloccato solo dalle circostanze, e se si fosse presentata l'occasione di andarsene lo avrebbe fatto senza esitare, ne era perfettamente consapevole. Eppure, per quanto volesse, non aveva la più pallida idea di chi le avesse dato il Miraculous e quindi non sapeva a chi doverlo restituire né a chi darlo in caso volesse cercare direttamente un sostituto.
Era bloccata in un più che frustrante circolo vizioso.
Prese qualche broccolo e lo mandò giù a forza mentre Chloè la guardava di sottecchi: - Non ti fa bene continuare così - disse d'un tratto. Marinette alzò lo sguardo su di lei e la ragazza distolse il proprio. Tossicchiò leggermente e sembrò a disagio - Dovresti prenderti una pausa… sai, per rilassarti un po' - mormorò.
Stava realmente cercando di darle un consiglio e Marinette ne rimase davvero stupita, ma riuscì comunque ad apprezzare il gesto.
- Credo che tu abbia ragione - disse. Mandò giù il boccone e si sforzò di sorridere - Grazie, Chloé -
Lei scrollò le spalle, ritrovando il proprio cipiglio altezzoso, sebbene fosse un po' imbarazzata: - Non ti ci abituare - borbottò, ficcandosi in bocca un rotolo di sushi, facendola ridacchiare.
 
 
 
Quando Marinette uscì dal seminterrato quel pomeriggio, dopo cinque estenuanti ore di allenamento, decise che era davvero arrivato il momento di prendersi una pausa. Si abbandonò sul divano con un sospiro stanco mentre Collonnello si fermava sulla porta della cucina per parlare con Lal; Dino ne uscì subito dopo, scavalcando i due bambini, avvicinandosi a lei per porgerle un bicchiere di thé alla pesca.
- Grazie - mormorò, prendendone un sorso per idratarsi un po'. Il ragazzo sorrise.
- Sta andando tutto bene, a quanto vedo - esclamò, sedendosi accanto a lei.
Marinette fece una piccola smorfia, non tanto sicura che fosse davvero così, ma troppo esausta per mettersi a discutere: stava pensando ancora a quello che era successo quella mattina e alle parole di Radi e per un attimo valutò seriamente l'idea di chiedere consiglio a Dino su come affrontare la situazione con Tikki, ma credeva di conoscere già la risposta che le avrebbe dato quindi decise di lasciar perdere.
Cinque minuti dopo Lal saltò sul tavolo dinnanzi a loro, evidentemente irritata, e Marinette sperò che non ce l'avesse con lei. - Per questa settimana la finiamo quì, riprenderai gli allenamenti lunedì - informò, lasciando ben intendere tutto il proprio disappunto: evidentemente era stata una decisione di Colonnello con cui lei non era affatto d'accordo. - Riposati come si deve - concluse e lei si chiese perché avesse voluto proprio sottolinearlo. Ad ogni modo, era proprio ciò di cui aveva bisogno e ringraziò con tutto il cuore quell'improvviso colpo di fortuna: forse, per la prima volta dopo settimane, sarebbe riuscita a godersi un pomeriggio in tranquillità con le sue amiche. Il giorno dopo era sabato quindi sarebbero uscite di sicuro, doveva solo ricordarsi di scrivere ad Alya una volta rientrata a casa e sperare che nessuna di loro facesse troppe domande su ciò che la stava tenendo così impegnata in quell'ultimo periodo.
Mezz'ora dopo Dino la riaccompagnò a casa. C'era ancora tempo per la cena e lei non aveva aperto neanche un libro per studiare, troppo impegnata con l'allenamento pomeridiano: si fece quindi una doccia veloce e racimolò tutti i compiti assegnati per la settimana successiva, decisa a finirli quella sera stessa così da avere il fine settimana completamente libero e potersi rilassare senza intoppi. Lal non le disse nulla e si rintanò in un angolo del suo letto a leggere un libro mentre Tikki si sedette sullo schermo del computer a sgranocchiare un biscotto, in un ormai familiare quanto opprimente silenzio. Ma sebbene Marinette ne conoscesse finalmente la motivazione, non aveva ancora idee su come affrontare l'argomento con lei e si concentrò al meglio sui suoi esercizi di matematica.
Finì nel giro di un'ora e iniziò a rimettere in ordine la stanza, giusto per avere qualcosa da fare prima di cena e tenere il cervello impegnato così da non pensare a tutti problemi che ancora la opprimevano. Doveva prendersi due giorni di pausa senza ansia e preoccupazioni, ne aveva bisogno per il bene della propria salute fisica e mentale, e poi a mente riposata sarebbe riuscita a ragionare meglio sul da farsi. Raccattò i vestiti sporchi e li portò giù in lavanderia, dove Bianchi stava togliendo alcuni suoi reggiseni dall'asciugatrice, e si prodigò a riempire la lavatrice per metterla già in funzione.
La donna la guardò di sottecchi un paio di volte, come se fosse in dubbio se parlare oppure no, ma Marinette decise di non chiederle nulla sperando che rimanesse in silenzio: aveva come il sentore che, qualunque cosa avesse detto, avrebbe distrutto ogni suo proposito di ignorare la propria valanga di problemi.
- Sai, ho parlato con Tikki qualche giorno fa - disse d'un tratto Bianchi e Marinette capì immediatamente che non avrebbe mai avuto pace. - E' preoccupata per quello che accadrà al Miraculous quando ti unirai alla famiglia di Tsuna. -
L'ammorbidente per poco non le sfuggì di mano quando si voltò di scatto verso di lei ad occhi sgranati, quasi non credendo alle proprie orecchie: - Aspetta… ne ha parlato con te? - domandò confusa e stizzita, guadagnandosi un'occhiata sorpresa da lei. - Perché ne ha parlato con te? Avrebbe dovuto parlarne con me! - esplose. Erano settimane che se ne stava lì, triste e sconsolata, a tormentarsi per una cosa che le riguardava entrambe e invece di affrontare il discorso con lei andava a confidarsi con Bianchi? Dire che fosse incazzata in quel momento era un eufemismo.
- Tu lo sapevi? - chiese invece la donna. Marinette scosse il capo.
- Me lo ha fatto notare Radi stamattina - ammise amaramente, chiudendo il cassetto dei detersivi e impostando il programma della lavatrice. Sospirò e si abbandonò contro di essa, rassegnata al fatto di non poter ignorare la faccenda - Perché non me lo ha detto sin da subito? Credevo che la sincerità reciproca fosse la base del nostro rapporto… con una cosa così importante, poi. -
Bianchi rinunciò a districare un reggiseno dalla sfera di plastica, abbandonandolo nel cesto insieme agli altri, e lo sguardo che le rivolse non le piacque neanche un po'.
- Non è facile per lei - spiegò - Tutto ciò che può fare è aspettare e vedere come si evolveranno le cose. Non può impedirti di andare avanti con la tua vita. -
Marinette sentì qualcosa muoversi dentro di lei, qualcosa di molto pesante e fastidioso che premeva selvaggiamente per liberarsi, e quando aprì bocca ciò che le uscì lo avvertì quasi come una specie di ruggito. - Il punto è che questa non è la mia vita - sputò e il disprezzo che mise in quelle parole stupì anche lei - Prima il Miraculous, ora i Vongola… la gente non fa altro che spuntare fuori dal nulla e dirmi cosa devo fare e chi devo essere, come se la mia opinione non contasse nulla. Non ho mai voluto essere Ladybug, sono praticamente stata costretta a prendere questi orecchini, e non voglio essere il Guardiano di nessuno, se sono arrivata fino a questo punto è solo perché Reborn mi ha praticamente minacciata. Come potrei chiamarla vita questa? E' solo un susseguirsi di doveri, problemi e responsabilità che non ho mai accettato ma che sono obbligata ogni giorno a sobbarcarmi! -
Era la prima volta che si sfogava con qualcuno a quel modo ma sentiva di non riuscire a reggere più nulla, era troppo stressata e depressa per poter sopportare oltre e l'espressione stupita di Bianchi dinnanzi alla sua improvvisa confessione la fece sentire sia in colpa che incazzata allo stesso tempo: non voleva prendersela con lei ma non ci voleva certo un genio per capire quanto detestasse tutta quella situazione, che diamine!
Inspirò a fondo cercando di calmarsi e Bianchi, dopo un attimo di esitazione, le poggiò dolcemente una mano sulla spalla: - Mi dispiace che ti senta così ma la situazione è più grande di quel che sembra e non c'è nulla che possiamo fare per cambiare le cose - mormorò e sembrava davvero dispiaciuta per lei. Marinette non rispose, sapeva che non era colpa sua e che stava solo eseguendo degli ordini ma in quel momento non riusciva a dire nulla di sensato per alleviare la tensione; aveva bisogno di conforto ma lo stava pretendendo dalle persone sbagliate: nessuno di loro poteva aiutarla o anche solo comprenderla.
O meglio, una persona c'era ma l'ultima cosa che poteva fare era parlare con lui dal momento che ancora non si erano presentati o anche solo visti in faccia: stando alle parole di Dino e ciò che aveva letto nella chat della Vongola Famiglia, Tsunayoshi Sawada era nella sua stessa identica situazione, costretto al ruolo di Decimo Boss che non solo non voleva ma che provava a rifiutare con tutte le sue forze in ogni momento propizio. Ammirava la sua determinazione scaturita dalla più pura forza della disperazione e le venne spontaneo chiedersi cosa sarebbe accaduto quando finalmente si sarebbero incontrati, ma quello non era decisamente il momento adatto per pensarci.
Sabine le chiamò per la cena, interrompendo i suoi pensieri. Seppur con lo stomaco chiuso, Marinette si sedette a tavola e mandò giù qualunque cosa ci fosse nel suo piatto, facendo del suo meglio per ignorare gli sguardi preoccupati che Bianchi le rivolgeva; la vide con la coda dell'occhio bisbigliare qualcosa a Dino che rivolse la propria attenzione su di lei e una punta di fastidio le risalì lungo lo stomaco, ben sapendo cosa gli stesse dicendo. Un'altra cosa che odiava di tutta quella faccenda era che qualunque cosa facesse diventava quasi immediatamente di dominio pubblico: non aveva più privacy o anche solo un briciolo di riservatezza nella sua vita e questo la stava facendo diventare alquanto restìa a confidarsi con loro nonostante, fino a poco tempo prima, li avesse presi come veri e propri punti di riferimento per… beh, praticamente tutto.
Ormai l'unica persona con cui poteva parlare liberamente era Radi: sebbene la sua visione delle cose fosse piuttosto di parte, almeno non andava in giro a spifferare tutto a tutti (anche perché non poteva essendo bloccato nell'anello). Squalo tirò un calcio a Dino da sotto il tavolo, facendola sobbalzare, e riuscì distintamente a sentire un "Dalle pace!" ringhiato sottovoce; solo in quel momento si rese conto che l'unica persona fisica di cui potesse sinceramente fidarsi fosse proprio lui.
Certo, Squalo era indubbiamente un gran ficcanaso dal momento che voleva essere aggiornato su tutto in tempo reale ma, di contro, si teneva il resto solo per sé. Marinette aveva parlato più volte con lui, sia per chiacchierare che per sfogarsi un po', e molte delle cose che gli aveva detto non avevano mai raggiunto le orecchie di Bianchi o di Dino. Era chiaro che lui non avesse la più pallida idea di come consolare qualcuno e spesso e volentieri mancava totalmente di tatto, però era un ottimo ascoltatore e sapeva tenere la bocca cucita quando ce n'era bisogno.
Marinette non sapeva se trovare assurdo o ironico il fatto che l'unica persona in cui potesse riporre la propria fiducia fosse un assassino totalmente fuori di testa, ma d'un tratto non aveva più così tanta voglia di uscire con Alya: in fin dei conti, sarebbe stato solo uno sporadico momento di finta normalità che le avrebbe solo fatto pesare ancora di più la situazione che stava vivendo. No, ciò di cui aveva bisogno era di passare un po' di tempo lontana da tutti i percusori dei suoi problemi o da coloro che cercavano malamente di tirarle su il morale e farle accettare tutta quell'assurda vicenda. Le serviva un giorno fuori da quella casa con qualcuno disposto a sopportarla ma abbastanza distaccato da fregarsene dei suoi stati d'animo e quindi per niente interessato a farle la morale.
Dopo aver formulato quel pensiero si rese conto che c'era solo una persona a rispecchiare quella descrizione e alzò lentamente gli occhi su Squalo, intento a servirsi una seconda porzione di patate con espressione cupa. Era uscita diverse volte in sua compagnia ma mai da soli dal momento che Bianchi era sempre con lei, ovunque andasse.
Ora invece… ci stava pensando sul serio? Tentennò, abbassando gli occhi sul proprio piatto: doveva decidere se passare la giornata in compagnia di Alya o di Squalo e, sorprendentemente, trovava più allettante la seconda opzione. Anche se non sapeva se lui avrebbe accettato non le restava che provare almeno a chiederglielo; non in quel momento, però. Era tardi e avrebbe preferito che fossero lontani da orecchie indiscrete.
Sembrava quasi che stesse pianificando qualcosa di illegale, in effetti, e si chiese spontaneamente come fosse arrivata a quel punto, ma decise di lasciar semplicemente perdere: dopotutto, non era sicura di voler davvero conoscere la risposta.

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Capitolo 20
*** Rimostranze ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 20. Rimostranze
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 7.867

 
 
 
 
Marinette non poté fare a meno di pensare che la fortuna girasse bizzarramente dalla sua parte in quelle ultime ore quando, quella mattina, scese in salotto e trovò Squalo a sonnecchiare sul divano, completamente solo. Non si sentiva alcun rumore molesto provenire da nessuna parte della casa segno che non ci fosse un'anima lì dentro eccetto loro due, con un tempismo a dir poco sublime.
Sperando che restasse così per tutto il tempo necessario, si avvicinò rapidamente al divano piazzandosi proprio accanto al bracciolo, piegandosi leggermente sulla testa di lui; decisa più che mai a non indugiare ma fare le cose nel modo più veloce e naturale possibile (onde evitare di cambiare idea) alzò le pagine del libro che gli ricoprivano il volto e rimase a fissarlo: sapeva di non dover dire nulla per svegliarlo, Squalo aveva il sonno incredibilmente leggero e riusciva a destarsi anche solo sentendo la presenza di qualcuno accanto a sé, una peculiarità sviluppata grazie al suo lavoro. Essere uno dei migliori assassini/spadaccini del mondo gli aveva causato un bel po' di nemici e dormire serenamente era un lusso a cui aveva dovuto rinunciare da tempo, come da lui stesso affermato, sebbene ogni tanto gli sarebbe piaciuto poter riposare senza essere constantemente in allerta.
Ma Marinette non aveva ancora ben chiaro se trovasse questa sua "capacità" affascinante o terribilmente inquietante; forse entrambe.
Infatti, come volevasi dimostrare, il ragazzo aprì gli occhi quasi subito con estrema pigrizia e la fissò senza battere ciglio. - Che vuoi? - chiese con una malcelata nota di rassegnazione, come se avesse già capito di dover rinunciare al suo meritato riposo mattutino: dopotutto, Squalo amava rimettersi a dormire dopo essersi svegliato.
- Mi accompagni in centro? -
Marinette lo domandò con tono piatto, naturale, leggermente allegro e con un pizzico di aspettativa che imitava quasi perfettamente quello che aveva di solito. Il fatto che in quel momento stesse scoppiando di nervosismo e facesse di tutto per non darlo a vedere era tutt'altra storia.
Il ragazzo tolse il libro dalla sua mano e se lo rimise in faccia con un secco - No. -
La ragazza trattenne a stento un sospiro e abbandonò la maschera allegra, rimettendosi dritta: stando a quanto detto da Bianchi, Reborn non voleva che andasse in giro da sola poiché temeva per la sua incolumità dopo che era stata quasi assassinata dagli uomini di Verde; non poteva uscire da sola e non voleva essere accompagnata né da Bianchi e né da Dino che, ne era certa, avrebbero fatto domande invadenti a cui lei non aveva intenzione di rispondere. L'unico che se ne fotteva abbastanza da poterle fare compagnia senza romperle le scatole era Squalo ma dal momento che aveva rifiutato non poteva insistere, men che meno costringerlo.
Però non voleva neanche restare in casa a far nulla e a quel punto non le importava neanche più dell'ira di Lal: doveva lasciare quelle mura, almeno per qualche ora, e doveva evitare che Squalo lo sapesse. Anche se non lo avevano detto esplicitamente, aveva capito che almeno una persona dovesse restare in casa con lei per sorvegliarla quando tutti gli altri erano impegnati, e l'ingrato compito toccava quasi sempre a Squalo visto che era quello con più tempo libero a disposizione.
Insomma, lui era lì praticamente in vacanza: Bianchi doveva proteggerla, Lal era la sua insegnante e Dino doveva guidarla al meglio in tutta quella storia della mafia. La loro permanenza a Parigi era puramente lavorativa, tranne per Squalo che non aveva un vero e proprio motivo e quindi ne approfittava per prendersi una meritata pausa dai Varia.
Tornò silenziosamente in camera sua e prese la borsetta, salendo in balcone: non poteva semplicemente uscire dalla porta senza sfuggire al finissimo udito di Squalo, quindi non le restava che il suo asso nella manica.
- Credevo che non avessi il permesso di uscire da sola - notò Tikki, svolazzandole dietro.
- Infatti - rispose Marinette, più tranquilla di quanto fosse in realtà - Ora, trasformami! - ordinò prima che il Kwami potesse anche solo pensare di avanzare qualche obiezione. Srotolò lo yo-yo e si lanciò nel vuoto, superando di gran carriera i palazzi del vicinato. Non aveva un vera e propria meta e, dal momento che era sola, doveva evitare i luoghi affollati non sapendo dov'erano andati gli altri. Gironzolò un po' per il quartiere, infine puntò verso la Torre Eiffel.
Si sedette proprio in cima e inspirò a fondo l'aria fresca che arrivava fin lassù. L'unico che avrebbe potuto disturbarla in quel posto era Chat Noir e sperava vivamente che se ne stesse alla larga, quel giorno. Decisa a non correre alcun rischio, si ritrasformò.
Tikki volò fuori dall'orecchino e si parò davanti a lei con le zampette incrociate: - Se Lal viene a sapere che sei uscita di nascosto ti getterà dal balcone! - la rimproverò. Marinette scrollò le spalle.
- Pazienza, almeno sarò stata un po' fuori. -
- Avresti potuto uscire con Alya se proprio volevi - continuò lei. La ragazza fece una smorfia e si pentì di essersi ritrasformata: era andata fin lì proprio per non avere nessuno intorno che le facesse domande scomode e ci si metteva proprio Tikki, che aveva deciso di diventare improvvisamente loquace nel momento meno opportuno.
- Beh, non avevo voglia di uscire con lei - tagliò corto - Non mi sembra di doverne fare un dramma: sono al sicuro quassù, nessuna persona normale può scalare la Torre Eiffel - sbuffò.
- Ma… - il Kwami provò a protestare e Marinette si lasciò andare ad un sospiro seccato.
- Tikki, basta! - la riprese, facendola ammutolire di colpo. Vide i suoi grandi occhioni blu sgranarsi per poi abbassarsi subito dopo e una fitta di senso di colpa la colpì allo stomaco. - Scusa - mormorò chinando il capo - Ma non ho voglia di parlare, ora. -
Stavolta fu Tikki a sospirare e sciolse le zampe per abbandonarle lungo i fianchi: - Credo che dovremmo parlare, invece - rispose volando fino al suo ginocchio per potersi sedere. Alzò la testolina e fissò gli occhi nei suoi: - Lo so che tutta questa storia dei Vongola non dipende da te e che non vuoi farlo, ma è chiaro che non puoi tirarti indietro - cominciò e Marinette gelò sul posto quando capì che, finalmente, Tikki si stava confidando su ciò che l'aveva preoccupata nelle ultime settimane. - Prima o poi dovrai lasciare Parigi e cosa ne farai del Miraculous? -
- Io… - le parole le morirono in gola e richiuse la bocca, non sapendo cosa dire: non aveva idea di cosa fare con gli orecchini, non sapeva a chi restituirli o a chi affidarli. Non sapeva neanche quando se ne sarebbe andata o se fosse stato davvero necessario: insomma, aveva ancora le prove dei Guardiani da affrontare e non aveva la certezza di superarle tutte; forse si stavano fasciando la testa inutilmente prima ancora di rompersela (come sperava). Scosse il capo. - Non lo so, Tikki. Non ho idea di cosa accadrà d'ora in poi e non so neanche quando incontrerò il Decimo e i suoi Guardiani - ammise, alzando lo sguardo verso la città che si stendeva quasi minuscola sotto di loro - Se mi dicessi almeno chi è stato a darmi il Miraculous saprei a chi resituirlo - aggiunse. Il Kwami si fece piccola piccola sui suoi jeans.
- Mi dispiace ma non posso dirti niente finché non saranno loro a farlo - mormorò.
- Allora dovrò trovare una sostituta - concluse Marinette, appoggiandosi alla grata di ferro dietro di lei. Era l'unica soluzione plausibile se "loro" non si fossero fatti avanti prima della sua possibile partenza. L'unico problema, ovviamente, era che non sapeva chi potesse essere il suo successore: non conosceva ancora nessuno che sembrava abbastanza responsabile da poter diventare il "nuovo" Ladybug e non era sicura di avere un vero e proprio criterio di scelta.
In sintesi: non sapeva dove sbattere la testa e Tikki non sembrava molto propensa a collaborare su una possibile ricerca. Non che le dispiacesse abbandonare il Miraculous, sia chiaro: certo, si era affezionata al Kwami e, tutto sommato, anche a Chat Noir e aveva preso sul serio il suo ruolo… ma non poteva negare che la sua vita sarebbe stata molto meno stressante e complicata senza di esso. Ora che erano subentrati anche i Vongola, oltretutto, essere Ladybug era solo un peso in più da sopportare.
Se fosse dipeso da lei avrebbe rinunciato volentieri ad entrambi ma, disgraziatamente, le era impossibile. Eppure desiderava così tanto essere una persona normale, con una vita normale e nessuna preoccupazione che non fossero i compiti in classe, le uscite con le amiche e il ragazzo che le piaceva… La sua mente andò automaticamente ad Adrien e una smorfia le si dipinse sul viso: aveva trascurato tutto in quelle ultime settimane, compreso lui, eppure pensarci le dava solo un senso di fastidio come se la presenza del ragazzo nella sua vita fosse qualcosa di sbagliato.
Sospirò e si coprì gli occhi con i palmi delle mani: forse era solo la stanchezza per quella situazione, dopotutto aveva rifiutato persino la compagnia di Alya, non doveva stupirsi troppo.
- Marinette… - Tikki provò a ricominciare un discorso ma lei scosse il capo.
- Non ora - mormorò - Ho bisogno di un po' di silenzio. -
 
 
 
Dino non sembrava affatto convinto e Lal ancora di meno, ma nessuno dei due poteva avanzare proteste: non solo perché sarebbe stato inutile, ma discutere con Reborn su una decisione che aveva già preso era una sfida persa in partenza. L'unica che non la pensava allo stesso modo, però, era Bianchi.
- Non è troppo presto? Marinette non è ancora pronta a tutto questo - notò. Ricordava molto bene la sfuriata che la ragazza aveva fatto il giorno prima e non poteva assolutamente biasimarla: aveva passato troppe cose in quegli ultimi mesi ed era emotivamente fragile in quel momento, quello sarebbe stato il colpo di grazia.
L'obiezione della donna aveva infuso un po' di coraggio in Dino che si schiarì la gola: - Sono d'accordo, le serve ancora un po' di tempo. -
Il bambino si accigliò e restò in silenzio per qualche istante, infine sospirò: - Il problema è che non abbiamo tempo - ricordò - Se lunedì andrà tutto bene inizierò i preparativi per il trasferimento, non possiamo permetterci di aspettare oltre - decretò. Dino e Bianchi si scambiarono un'occhiata preoccupata ma Lal rimase impassibile.
- Verrà solo lui? - domandò invece. Reborn annuì.
- Per ora sì, poi mi occuperò degli altri - rispose - Farò in modo di essere pronto entro la fine del mese ma non ditele nulla finché non avrò una data precisa. -
Bianchi picchiettò nervosamente con le unghie sui propri jeans e Dino annuì con rassegnazione: non era previsto tutto quello, non con così poco preavviso, ma il tempo stringeva e non avevano più alternative. Reborn chiuse la chiamata, lasciandoli davanti ad uno schermo nero, e tutto ciò che poterono fu sperare che la reazione di Marinette non sarebbe stata così negativa come temevano.
 
 
 
Era quasi ora di pranzo e Marinette non si era mossa da lì. Aveva passato tutta la mattina seduta sulla cima della Torre Eiffel a rimuginare su quello che era successo da quando aveva ricevuto il Miraculous fino ad ora sperando di trovare un appiglio a cui aggrapparsi per continuare a sopportare tutta la situazione, ma l'unica cosa che ne aveva ricavato era stato solo un gran mal di testa e tanta frustrazione. Non voleva accettare passivamente la sua sorte ma più ci pensava più si rendeva conto di non avere scelta.
E forse non ne aveva mai avuta una visto che, a quanto pare, era stato tutto deciso dal giorno in cui era nata: aveva ereditato quel destino insieme al sangue che le scorreva nelle vene e solo perché, qualche decennio prima, un suo parente aveva avuto la brillante idea di fare comunella con un gruppo di scappati di casa. Ma chi ne stava pagando le conseguenza, in quel momento, era soltanto lei.
Guardò l'anello che le pendeva dal collo e si rese conto di non riuscire a provare astio nei confronti di Radi: dopotutto non era colpa sua, quando era entrato nei Vongola non poteva immaginare quello che sarebbe successo ai suoi discendenti né che Riccardo si sarebbe invischiato nella mafia. Era stato uno spettatore impotente, esattamente come Giotto, e ora toccava a lei e a Tsunayoshi portarne il fardello.
Non aveva neanche finito quel pensiero quando qualcosa le afferrò la collottola della felpa, tirandola su: il ferro le mancò da sotto i piedi per qualche istante e per poco non soffocò, trattenendo a stento un urlo, prima di essere rimessa per terra. In quel breve lasso di tempo di puro panico riuscì a pensare a moltissime cose, una più orribile dell'altra, e si ritrovò a sgranare gli occhi sorpresa e inorridita quando alzò la testa e, invece di un killer assetato di sangue, le si parò davanti la faccia inferocita di Squalo. Che era un po' la stessa cosa in effetti.
- Ma che cazzo ti dice la testa?! - sbraitò a pochi centimetri dal suo volto. Marinette lo aveva già visto incazzato prima d'ora, e anche parecchie volte, ma mai così incazzato. Vedeva i suoi occhi grigi pieni di rabbia, frustrazione e istinto omicida e si fece piccola piccola sotto la sua presa ferrea: sapeva di averla combinata grossa sgattaiolando via di nascosto ma non immaginava che Squalo avrebbe reagito così male.
- I-io… - balbettò, rendendosi conto di non avere una scusa plausibile da fornire. Era completamente paralizzata, inchiodata sulle assi di ferro dal suo sguardo truce, e si rese conto di essere anche molto spaventata. Eppure non aveva mai avuto paura di Squalo, neanche nella sua forma peggiore, e quasi trasalì quando si rese conto che lei, in effetti, non l'aveva mai vista la sua forma peggiore.
- Non me ne frega un cazzo delle tue spiegazioni! - urlò lui ed era davvero fuori di sé - Ho passato tutta la mattina a cercarti in questa città di merda, ti rendi conto di quello che sarebbe potuto succedere?! Se proprio vuoi farti ammazzare pensaci quando non rischi di far saltare il culo anche a me! -
Il ragazzo ansimava, sia per aver gridato a pieni polmoni che per aver corso su e giù nei quartieri tutto quel tempo, ma la sua rabbia non sembrava volersi placare. Marinette non riusciva a fare niente, neanche distogliere lo sguardo per non dover più vedere il suo, e in quel miscuglio di ansia, panico e paura riuscì ad inserirsi anche il senso di colpa: perché lei era stata affidata a Squalo, era una sua responsabilità, e Lal se la sarebbe presa con lui se le fosse successo qualcosa. Deglutì a vuoto, non sapendo cosa dire, e lui mollò finalmente la presa sulla sua felpa; si passò le mani nei capelli e inspirò a fondo, tentando di calmarsi.
Marinette non osò dire neanche una parola, nemmeno per scusarsi, temendo di farlo arrabbiare ancora di più; quindi rimase in silenzio mentre Tikki, che si era sporta dalla borsa per vedere cosa stava accadendo, vi riaffondava rapidamente dentro lasciando solo una parte degli occhi e la fronte in bella vista.
Restarono in silenzio per quella che parve un'eternità, infine Squalo l'afferrò per il braccio e la trascinò giù dalle travi, marciando verso l'ascensore: - Azzardati ad uscire di nuovo senza permesso e giuro che ti prendo a calci in culo - ringhiò - Non ti coprirò un'altra volta! -
Marinette trasalì e lo fissò sconvolta, quasi non credendo a ciò che aveva udito: pensava che avesse già informato gli altri della sua "fuga" e di doversi subire anche una strigliata da Lal, una volta rientrata a casa, e invece lui non aveva detto niente a nessuno.
Aveva passato ore a cercarla, si era incazzato, l'aveva sgridata ma, nonostante tutto, l'aveva coperta. Non l'aveva tradita anche se aveva tutto il diritto di farlo e quello non fece altro che confermare che, sì, Squalo era in assoluto l'unica persona di cui potesse fidarsi ciecamente tra le sue attuali conoscenze. E non sapeva proprio come doveva sentirsi a riguardo: era sollevata e dispiaciuta al tempo stesso poiché non era nei guai (almeno ufficialmente) ma lo aveva chiaramente mandato nel panico sparendo senza dire niente; erano tutti preoccupati per la sua incolumità e lei se n'era fregata deliberatamente, facendo di testa sua.
Era sicura che Dino avesse ben altri impegni di cui occuparsi in Italia, che Bianchi avesse una vita personale in Giappone e che Lal avesse il suo lavoro nel CEDEF a cui avrebbero preferito tornare, invece di restare lì a farle da babysitter. Il minimo che Marinette avrebbe potuto fare era non rendere vani tutti i loro sforzi facendosi ammazzare solo per potersi prendere qualche ora d'aria. La sua psiche era importante, certo, ma stavano facendo tutti dei grandi sacrifici per restarle accanto e non poteva essere così egoista da ignorarli.
Il senso di colpa tornò prepotentemente a farsi largo dentro di lei e quello fu il colpo di grazia decisivo: prima che potesse rendersene conto, era scoppiata a piangere.
Tutta l'ansia, lo stress e la stanchezza che aveva accumulato in quelle ultime settimane si riversò fuori come un fiume in piena e la consapevolezza di star avendo un crollo emotivo in piena regola peggiorò soltanto la situazione. Sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi, i presupposti c'erano tutti e non capiva grazie a chi era riuscita a trattenersi fino a quel momento, ma la cosa la spaventava terribilmente: un esaurimento nervoso non era qualcosa da trattare alla leggera, non sapeva come gestirlo ed essere in compagnia della persona più insensibile sulla faccia della terra non aiutava neanche un po'.
Squalo, difatti, aveva avuto un sobbalzo sentendola singhiozzare ed era gelato davanti l'ascensore quando si era voltato e l'aveva vista piangere a dirotto davanti ai suoi occhi. Lui detestava le persone che frignavano, non gli importava il motivo, lo infastidivano terribilmente e risvegliavano la parte meno simpatica di lui… ma in quel frangente andò totalmente nel pallone: insomma, era Marinette che stava piangendo, non una persona qualunque, e lui non aveva idea del perché. Forse non avrebbe dovuto urlarle contro in quel modo ma aveva perso la calma quando si era alzato dal divano e aveva scoperto che lei non era più in casa; gli erano passati davanti agli occhi gli scenari peggiori che la sua esperienza di assassino gli avesse dato modo di vedere e aveva passato tutto il tempo in cui l'aveva cercata a immaginare il modo in cui l'avrebbe trovata morta. Vederla appollaiata a 300 metri da terra, perfettamente incolume, lo aveva sollevato, certo, ma anche fatto incazzare come una bestia.
Marinette era avventata e poco incline a badare alla propria sicurezza quando c'era da fare l'eroe, vero, ma non immaginava che avrebbe potuto addirittura scappare di casa di punto in bianco senza pensare alle conseguenze. E nonostante sapesse quanto fosse emotivamente fragile in quel momento, non si era aspettato tutto quello e si sentiva anche in colpa perché se avesse accettato di portarla fuori non sarebbero arrivati a quel punto. Ma avrebbe dovuto pensarci, specialmente dopo aver origliato la sua conversazione con Bianchi la sera prima; non che lo avesse fatto di proposito, sia chiaro, ma quello sarebbe dovuto bastare a fargli risuonare un campanello d'allarme nella testa.
Ma forse si era adagiato troppo sugli allori dimenticandosi che Marinette aveva pur sempre quattordici anni e a quell'età, lo sapeva bene, gli adolescenti erano molto propensi a fare cazzate quando spinti dall'emotività (e lui ne era un esempio vivente). Sapere tutto quello, però, non rendeva le cose più facili e Squalo ci mise assai poco a farsi travolgere dal panico.
- E-ehi, no, aspetta! - esclamò lasciandola andare di colpo, resistendo all'impulso di mettersi le mani nei capelli per la disperazione - Non dicevo sul serio, smettila di piangere. -
Pessima scelta delle parole. Davvero, davvero pessima. Però lui non le sapeva consolare le persone, che diamine!
Terribilmente a disagio e senza sapere dove sbattere la testa, implorò l'aiuto di Tikki con gli occhi che, di rimando, gli rivolse uno sguardo truce: fantastico, adesso anche la bestiolina lo giudicava!
Ma doveva uscire da quella situazione orribile in un modo o nell'altro. - Mi dispiace, non volevo urlarti contro. Adesso calmati - riprovò cercando di suonare tranquillo, ma neanche quello funzionò e il dubbio che la sua sfuriata non c'entrasse niente con l'improvvisa crisi della ragazza iniziò a farsi spazio dentro di lui a velocità supersonica: insensibile sì, scemo no.
- M-mi dispiace… - singhiozzò lei, cercando di asciugarsi le lacrime con scarso successo, e Squalo cedette rovinosamente come mai pensava di fare nella vita: non sapeva neanche per cosa si stesse scusando e non gli importava affatto, voleva solo che chiudesse i rubinetti. Oltre al disagio, sentiva anche una fastidiosa sensazione alla bocca della stomaco che doveva assolutamente mettere a tacere.
Respirò a fondo e fece girare gli ingranaggi del cervello più velocemente che poté cercando una soluzione: Marinette era scappata di casa per un motivo, questo era ovvio, ed era sicuramente collegato a ciò che aveva detto la sera prima a Bianchi. Era la prima volta che veniva a conoscenza della sua visione della situazione e chissà da quanto tempo se l'era tenuta per sé, negli ultimi mesi, se non addirittura da quando aveva ricevuto quegli orecchini. Prima che arrivassero loro non aveva mai potuto parlare con nessuno dei Miraculous e, ora, non poteva parlare con nessuno di tutta quell'assurda storia della mafia.
I suoi neuroni finalmente si connetterono e in un lampo di genio la risposta gli si palesò dinnanzi agli occhi, con un misto di orrore e frustrazione: non aveva mai potuto sfogarsi con nessuno e si era tenuta tutto dentro così a lungo che era bastato pochissimo per farla esplodere. E se Squalo faceva schifo a consolare una persona quando era triste, figuriamoci se era nel bel mezzo di un esaurimento nervoso. Questo lo fece sprofondare ancora di più nel panico.
Scavò nei meandri della propria memoria e cercò di ricordare cosa faceva Lussuria quelle poche volte che Bel aveva pianto, quando era ancora un bambino; certo, erano state tutte volte in cui si era fatto male seriamente e non coincideva molto con il caso attuale, ma non aveva altri esempi da cui prendere spunto.
Non poteva prenderla di certo in braccio (anche perché sarebbe stato strano) ma avrebbe potuto a provare a… abbracciarla? Lo avevano già fatto prima ma era stata lei a prendere l'iniziativa e lui non era bravo con i gesti d'affetto, rischiava solo di peggiorare la situazione. Ma non aveva nessuna altra idea, in mente, quindi raccolse tutto il coraggio di cui era munito in quel momento e le circondò le spalle con le braccia, stringendola impacciatamente a sé, dandole qualche leggero buffetto sulla testa. Era strano e lo metteva terribilmente a disagio ma non si spostò neanche quando lei si aggrappò alla sua camicia, continuando a piangere; Tikki svolazzò fuori dalla borsa e si sedette sulla spalla di lei, appoggiando la testolina al suo collo, e rimasero fermi in quel modo per lunghi minuti.
E se fino a quel momento Marinette aveva cercato di trattenersi, quando si ritrovò fra le braccia del ragazzo si lasciò definitivamente andare sfogando tutto ciò che aveva accumulato in quelle ultime settimane; non ricordava di aver mai pianto così tanto e così a lungo in tutta la sua vita, ma quando si fu finalmente calmata si rese conto di sentirsi molto meglio. Certo, aveva ancora tutti i suoi problemi ad aspettarla a casa, però almeno si era liberata di quel pesante macigno che le gravava sullo stomaco da non sapeva neanche lei quanto. Era un buon inizio.
Si prese un paio di minuti di raccoglimento, infine si staccò lentamente da lui. Squalo, dal canto suo, esitò guardandola con sospetto, non del tutto convinto che si fosse calmata sul serio, poi la lasciò andare, senza preoccuparsi di nascondere il proprio turbamento per tutta la faccenda.
- Va meglio? - domandò e il tono gli uscì più duro di quanto avesse voluto ma aveva completamente perso il controllo della situazione, quindi non importava più di tanto. Marinette annuì, asciugandosi gli ultimi residui di lacrime con la manica della felpa, e tirò su con il naso.
- Più che di un istruttrice credo che tu abbia bisogno di uno psicologo, sai? - ammise schiettamente Tikki, con evidente preoccupazione, e nessuno dei due riuscì a trovare un argomento valido che le desse torto. Squalo, però, la freddò con un'occhiata seccata.
- Non fare tanto la spiritosa che è anche colpa tua - le ricordò.
- Beh, non aveva di questi problemi prima che arrivaste voi! - ribatté lei, indispettita, e Marinette fece una smorfia.
- Beh - sospirò, facendo ben intendere che non fosse esattamente così. Tikki alzò la testa verso di lei con uno scatto, sgranando gli occhi, e la ragazza scrollò le spalle - Oh, non guardarmi in quel modo: essere Ladybug è stressante adesso quanto lo era prima. E sai benissimo che non volevo neanche farlo - rispose e, sebbene avesse la voce un po' roca, si riuscì comunque a distinguere l'amarezza che la impregnava. Dopotutto, non aveva mai nascosto la propria insofferenza verso il compito che le era stato affidato: lo svolgeva diligentemente e aveva preso seriamente quell'impegno, ma ci avrebbe rinunciato volentieri in qualsiasi momento pur di tornare ad una parvenza di vita normale. L'unica cosa di avrebbe sentito la mancanza sarebbe stata la compagnia di Tikki.
- Potresti semplicemente darlo via e risolvere la metà dei tuoi problemi - ricordò Squalo e Marinette sospirò, troppo sfinita dal lungo pianto per potersi avventurare di nuovo in quella conversazione.
- E a chi dovrei darlo? - chiese stancamente. Per quanto le sarebbe piaciuto passare il testimone, era consapevole di non poter gettare il Miraculous nelle mani della prima persona che le passava davanti e non conosceva nessuno che fosse realmente in grado di sopportare quel peso nei migliori dei modi; come se non bastasse, non poteva neanche restituirlo a chiunque lo aveva dato a lei non sapendo chi fosse e Tikki non era molto collaborativa su quel lato.
Aveva le mani legate, in tutti i sensi, quindi non le restava altro da fare che sopportare quel peso ancora per un po'.
Squalo agitò la mano con impazienza: - Come se importasse qualcosa. Basta che te lo togli dai piedi. -
Indubbiamente, lui era un tipo molto pratico, ma lei non aveva voglia di discutere in quel momento. Il Kwami, a quanta pareva, sì.
- Si potrebbe dire la stessa cosa dell'Anello, se è per questo! - fece notare con stizza e Marinette si sentì a disagio a vederli discutere in quel modo dato che erano sempre andati d'accordo fino ad quel momento.
- Invece no dato che per usarlo deve essere imparentata con Radi! - ricordò Squalo ed era palese che si stesse innervosendo molto, ma la ragazza non ci diede peso quando si ricordò all'improvviso che Sabine aveva una sorella più piccola che, a sua volta, aveva una figlia poco più grande di lei. Sgranò gli occhi e si chiese come avesse fatto a dimenticare una cosa del genere. - Ma io ho una cugina! - interruppe il loro battibecco, in preda ad un illuminazione, sentendo l'euforia crescere lentamente dentro di lei. Certo, non l'aveva mai vista dal momento che viveva in Cina ma Sabine era ancora in contatto con la sorella, non si capacitava proprio di averle accantonate totalmente. Squalo inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto: - Lo sappiamo - rispose - Ma Dino ha detto che non è adatta al ruolo, per questo hanno ripiegato su di te. -
Marinette si sgonfiò come un palloncino vedendo la sua appena trovata ultima speranza disintegrarsi senza pietà e non le importò neanche il fatto che fosse stata letteralmente una seconda scelta in quella faccenda, avrebbe preferito non essere considerata affatto.
- Oh - mormorò e, se possibile, si sentì anche peggio di prima.
Squalo e Tikki si scambiarono un'occhiata e sembrarono decidere di accantonare il discorso almeno per il momento, perché lui si schiarì la voce. - A proposito, si è fatto tardi è meglio scendere da qui - ricordò. La ragazza annuì stancamente e si avviò dietro di lui verso l'ascensore. Non aveva molta voglia di tornare a casa e neanche di mangiare, però era stata fuori anche troppo e non aveva una spiegazione da fornire se avessero chiesto dove fosse stata.
Alla fine non aveva concluso nulla se non accettare il fatto di dover continuare a stringere i denti e sopportare la situazione ancora per un po'. Non era un pensiero confortante ma la consapevolezza che non sarebbe durato per sempre alleviava lo sconforto, anche se di poco: forse avrebbe fallito le prove dei guardiani e avrebbe detto addio all'Anello o forse sarebbe partita per il Giappone e avrebbe rinunciato al Miraculous.
Non sapeva ciò che sarebbe accaduto da lì in poi ma una cosa era certa: qualunque sarebbe stato l'esito, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
 
 
 
Nessuno l'aveva infastidita per tutto il fine settimana. Dino e Bianchi erano stati insolitamente tranquilli e discreti, lasciandole i suoi spazi e tutto il tempo per riposarsi a dovere.
Marinette era convinta che ci fosse qualcosa sotto ma Squalo aveva negato di aver detto loro cosa era successo sulla Torre Eiffel, sapevano solo che avevano passato il sabato mattina a girare per negozi. Eppure quel dubbio non smetteva di tormentarla: se non era per la sua crisi (e si fidava della parola di Squalo) allora perché si comportavano in modo così strano? Persino Lal era più schiva e nervosa del solito e il dubbio raggiunse conferma quando la pizzicò a confabulare sottovoce con Colonnello, seminascosti sul balcone, di una decisione che era stata presa con poco preavviso di cui non erano affatto contenti. Non era riuscita ad origliare di più perché Bianchi era entrata in camera ma la curiosità la stava divorando lentamente: qualunque cosa fosse, era certa che vi fosse implicata anche lei. Disgraziatamente, era sempre in mezzo quando accadeva qualcosa ed era tristemente sicura che quella volta non avrebbe fatto eccezione.
Però era contenta di quella tregua improvvisa, poiché aveva avuto tutto il tempo di calmarsi, riordinare le idee e riposare corpo e mente: aveva dormito, letto, disegnato e persino cucito… tutte cose che rientravano nella sua quotidiana normalità prima che i Vongola piombassero nella sua vita. Era stato rilassante e incredibilmente terapeutico, in qualche modo sentiva di essere tornata a respirare e aveva intenzione di godersi quei momenti finché poteva prima che le gettassero addosso l'ennesima batosta (che, era sicura, non avrebbe tardato ad arrivare).
E, infatti, quando scese nel seminterrato con Roberto quel lunedì mattina l'ultima cosa che si aspettava era di trovarci, oltre a Colonnello, anche il resto della banda. Nessuno di loro aveva mai assitito ai suoi allenamenti e la loro presenza lì non le piaceva per niente: era chiaro che ci fosse sotto qualcosa.
- C'è una festa per caso? - domandò, sconcertata, non riuscendo tuttavia a trattenere un po' di sarcasmo. Lal sospirò e saltò giù dalla spalla di Dino, avvicinandosi al tavolo sul quale Colonnello era già seduto accanto ad una pistola completamente bianca e dalla canna corta, del tutto nuova agli occhi di Marinette.
- Hanno insistito per vedere l'ultima fase di questo allenamento - rispose, seccata.
La ragazza inarcò un sopracciglio: - Ultima fase? -
Colonnello annuì, alzandosi in piedi: - Oggi finirai il tuo allenamento con me - decretò, facendole sgranare gli occhi: quel dettaglio le giungeva totalmente nuovo.
- Perché sono sempre l'ultima a sapere le cose? - sbottò infastidita: era assurdo che ne fossero tutti a conoscenza tranne lei che era la diretta interessata. Lal fece per aprire bocca ma una voce squillante arrivò dal computer aperto sul grembo di Bianchi, facendola sobbalzare.
- Non volevamo metterti ansia - rispose la vocina, decisamente infantile, e un brivido le corse lungo la schiena quando la riconobbe. La donna voltò l'apparecchio mostrandole l'immagine di Reborn seduto a gambe incrociate su una scrivania, davanti ad alcuni libri e un paio di portapenne; dalla finestra aperta alle sue spalle si poteva scorgere il sole tramontare e i rasi tetti di alcuni edifici, mentre al suo fianco vi era un altro bambino che Marinette non riconobbe: aveva corti capelli neri e una tunica rossa di fattura cinese che si abbinava al ciucciotto poggiato sul suo petto, di uno sgargiante rosso acceso.
Un altro Arcobaleno.
- Ciaossu! - salutò Reborn, fin troppo allegramente per i suoi gusti, e il bambino al suo fianco congiunse le mani dinnanzi a sé chinando brevemente il capo.
- Piacere di conoscerti - esalò. Aveva un voce delicata, un po' troppo matura per un bambino della sua età, e un leggero quanto cordiale sorriso che gli incurvava perennemente le labbra. A Marinette inspirò subito simpatia e tenerezza, anche attraverso l'immagine riusciva a sentire l'aura di forza e sicurezza che emanava eppure c'era qualcosa di estremamente gentile in lui che non riusciva ad identificare. Indubbiamente, era il primo Arcobaleno che incontrava ad averle fatto una buona impressione a primo impatto.
Reborn lo indicò con un gesto della mano.
- Lui è Fong, l'Arcobaleno della Tempesta - presentò. Nonostante tutto, Marinette si sentì un po' a disagio mentre pigolava un "Ciao" impacciato, non sapendo per qualche motivo dovesse assistere anche lui. Già temeva di combinare un disastro e farlo davanti a tutte quelle persone non migliorava per niente la situazione. - Voleva assistere anche lui. -
Fong scrollò le spalle e si poggiò le manine in grembo: - Ero solo curioso. -
La ragazza notò con un certo stupore come ogni suo gesto fosse elegante e disinvolto, come se fosse studiato alla perfezione ma, allo stesso tempo, messo in atto con spensieratezza. Era un po' strano da vedere ma incredibilmente affascinante. Fu Colonnello a riportarla alla realtà, alzandosi in piedi e afferrando la pistola.
- Bene, allora. Cominciamo, korà! - esclamò facendola voltare. Marinette posò lo sguardo sull'arma e una piccola smorfia le increspò le labbra: non sapeva ancora cosa doveva fare ma l'istinto le diceva che non era nulla di divertente. - Dovrai indossare l'Anello per questa fase quindi spero che tu l'abbia portato con te - aggiunse.
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte, confusa dalla richiesta, ma si affrettò a tirarlo fuori dalla tasca: - E che cosa devo farci? - domandò, tenendolo nel palmo della popria mano con diffidenza.
- Usarlo per incanalare le tue Fiamme in questo proiettile - rispose il bambino, mostrandole un lungo proiettile bianco molto simile a quello dell'Ultimo Desiderio. Se prima Marinette era confusa, dopo quell'affermazione rimase sconcertata.
- Puoi spiegarti meglio? - chiese e si affrettò ad indossare l'Anello sperando che almeno Radi potesse aiutarla a capirci qualcosa. Lal sospirò.
- Hai già usato le tue fiamme per potenziare lo yo-yo, ora devi fare la stessa cosa ma con quello - spiegò, indicandolo con un gesto nella mano - Così facendo, la pistola non sparerà solo il proiettile ma usandolo come guida rilascerà le tue fiamme in un singolo colpo. -
- Un po' come un raggio laser - scrollò le spalle Colonnello. Marinette inarcò le sopracciglia, non sapendo se essere stupita o terrificata nell'immaginare quanti danni potesse fare una cosa del genere; da qualche parte nella sua mente, però, Radi ridacchiò.
Interessante, disse, Sapevo che uno dei discendenti di Giotto usava una tecnica simile per rendere più forte i suoi attacchi ma non ho mai avuto il piacere di assistervi personalmente.
La ragazza, però, non era eccitata quanto lui all'idea di farlo. - Non sono sicura di riuscire a farlo e poi perché dovrei? - disse, cercando di appellarsi a qualunque cosa pur di evitare quella "prova".
- Puoi farti aiutare da Radi ma le Fiamme dovranno essere esclusivamente tue - ribadì Colonnello - Ci servirà a farci un'idea della loro potenza effettiva e di quanto controllo hai su di esse. -
Il ragionamento non faceva una piega e Radi sembrava più che felice di dare una mano, quindi Marinette non poteva sottrarsi in alcun modo. Come qualunque cosa le era capitata fino a quel momento, d'altronde.
A malincuore indossò le cuffie mentre Colonnello caricava la pistola e gliela porgeva. - Mira dove vuoi ma fai attenzione, il contraccolpo sarà molto più forte di quello di un normale proiettile - raccomandò, prima di scendere dal tavolo e radunarsi insieme agli altri vicino alla porte. Sembravano intenzionati a starle il più lontano possibile e questo non le piacque neanche un po'.
Inspirando a fondo, si posizionò dietro il tavolo e mirò ad una delle sagome in fondo alla stanza cercando di concentrarsi: aveva avuto ben due mesi per imparare ad usare le Fiamme dell'Ultimo Desiderio e avvolgerle intorno allo yo-yo quando era necessario, quindi rilasciarle nella pistola avrebbe dovuto riuscirle naturale come respirare. Tuttavia, il nervosismo per la situazione e il pubblico accanto a lei era un ostacolo davvero enorme.
Cerca di rilassati, la confortò Radi, Se sbagli qualcosa potrebbe esploderti in mano.
Ora sì che poteva stare tranquilla.
E fai attenzione a quante Fiamme immetti nel proiettile, aggiunse, Non voglio vantarmi, ma le mie erano le più distruttive dell'epoca e se ne hai ereditate anche solo un briciolo una quantità esagerata sarebbe davvero molto pericolosa.
E se prima Marinette era nervosa, dopo quell'informazione andò letteralmente nel pallone: una parte di lei era contenta che l'avesse avvisata per farle evitare una catastrofe, ma l'altra avrebbe preferito non saperlo.
Respirò a fondo e strinse saldamente la pistola tra le mani: dopo un lungo istante di silenzio, una piccola fiammella apparve sul piatto dell'anello e l'arma vibrò tra le sue mani, iniziando ad illuminarsi di una lieve luce aranciata. Non sapeva quante fiamme stava riversando nel proiettile, se fossero troppe o troppo poche, e per quanto cercasse di restare concentrata non poteva impedire all'ansia di prendere il sopravvento. La fiamma sull'Anello divampò e la pistola tremò con violenza, mandandola definitivamente nel panico: erano decisamente troppe.
Non riusciva ad interrompere il flusso e aveva come l'impressione che l'arma avrebbe potuto esplodere da un momento all'altro fra le sue dita, non riuscendo a reggere tutto quell'accumulo.
Marinette!
In un momento di puro panico il suo primo pensiero fu quello di mollare la presa e lasciarla cadere, ma l'istinto ebbe il sopravvento e premette il grilletto.
Ci fu uno scoppio assordante, il suono fu così orribile che le orecchie le fischiarono sonoramente nonostante indossasse le cuffie; un lampo di luce l'accecò e venne sbalzata indietro con forza, alzandosi letteralmente da terra e ricadendo qualche metro più in là sul duro pavimento. Sentì la stanza tremare e un forte odore di plastica bruciata ma il dolore alla testa e alla schiena ebbero il sopravvento e offuscarono tutto il resto.
Si girò su un fianco con un gemito, reggendosi il braccio destro che sentiva dolere, e aprì piano gli occhi riuscendo però a scorgere solo un'ombra della stanza costellata da tanti puntini luminosi; qualunque cosa avesse fatto era sicuramente stata una tragedia. La cosa peggiore di tutte, però, era il silenzio assordante che udiva e non solo perché aveva le orecchie tappate.
Si alzò a sedere con una smorfia, temendo di aver coinvolto i ragazzi, ma quando riuscì a mettere a fuoco il resto del seminterrato li vide tutti quanti esattamente dov'erano prima, pietrificati davanti alle porte che fissavano il fondo della stanza ad occhi sbarrati. E Marinette non poté dare loro torto quando si rese conto che il fastidioso ronzio in sottofondo che sentiva altro non era che le lastre di metallo poggiate al muro che sfrigolavano: quelle centrali erano state completamente sciolte lasciando al loro posto un buco di metallo dai contorni accartocciati, la parete dietro era danneggiata e scavata mentre pezzi di muro, intonaco e polvere continuavano a cadere raggruppandosi sul pavimento. Il tavolo davanti il quale si era messa per prendere la mira era sparito e il plexiglass bruciato emanava nell'aria un odore pungente e stomachevole.
Quasi non riusciva a credere di essere stata proprio lei a fare una cosa del genere.
Nessuno fiatava, persino Radi sembrava troppo scioccato per proferire parola, e Marinette iniziava a sentirsi davvero a disagio: non sapeva se fosse una cosa positiva o negativa e se era quello il risultato che volevano, ma a giudicare dalle loro espressione decisamente non era quello che si aspettavano.
Non ho mai visto niente del genere… mormorò infine Radi, dopo un lunghissimo istante di silenzio, e sembrava davvero sconvolto. Se avessi immesso solo un altro po' di fiamme l'avresti disintegrata quella parete.
Non credeva che le sue Fiamme potessero essere così potenti ma, in fin dei conti, fino a quel momento le aveva sempre rilasciate in piccole quantità sul proprio yo-yo, non aveva mai provato ad accumularne così tante per poi rilasciarle: era stata la quantità a renderle così forti, ovviamente, di certo non perché avessero chissà quale potenza. O almeno così sperava.
- Avevano un grado di purezza molto basso - esalò una voce sconosciuta proveniente dal computer, facendoli sussultare tutti e risvegliandoli dalla trance in cui erano caduti. Marinette si voltò verso lo schermo e vide un terzo bambino in piedi sul davanzale della finestra con indosso un camice bianco, i suoi capelli e il suo ciucciotto erano di un verde intenso e, nonostante l'età, indossava un paio di occhiali. Era serio e la ragazza si chiese quando fosse arrivato. - Nonostante ciò hanno fatto un danno considerevole - continuò lui continuando a fissare il buco nella parete. Solo a quel punto un piccolo sorriso gli increspò le labbra - Fiamme così potenti sono rare da trovare. -
Reborn fece una piccola smorfia e non sembrava contento nel vedere il nuovo arrivato: - Che ci fai qui, Verde? - domandò e Marinette trasalì ben conoscendo quel nome: era l'Arcobaleno del Fulmine, lo stesso che aveva cercato di uccidere lei e Tsuna un paio di mesi prima.
- E che intendi con "grado di purezza"? - rincarò Fong, sincermanete curioso; solo dopo che si fu voltato Marinette riuscì a intravedere una lunga treccia poggiata sulla sua schiena ma in quel momento non era molto importante. Verde scrollò le spalle senza smettere di sorridere.
- Ero curioso anche io - ammise - Per il resto, niente che vi interessi. -
C'era un'aura di mistero intorno a lui che lo faceva apparire poco affidabile ai suoi occhi e non solo perché aveva attentato alla sua vita senza nessun motivo apparente: aveva un'aria losca che la mise in allerta, anche se era a centinaia di chilometri da lei in quel momento.
- Non puoi venire quì e parlare per enigmi - lo riprese Reborn e Fong gli gettò un'occhiata che sapeva molto di "Da che pulpito". Marinette si alzò in piedi, decisamente acciaccata, massaggiandosi l'avambraccio nel tentativo di far sparire il dolore e in quel frangente le interessava molto poco della faccenda: voleva solo stendersi su un letto e magari bere qualcosa di caldo.
Stai bene?, domandò Radi preoccupato.
« Sono stata peggio » rispose stancamente.
- Beh… - disse d'un tratto Dino, ancora un po' scosso - Non è esattamente quello che ci aspettavamo ma direi che è andata bene. -
Tutti gli sguardi si posarono su Colonnello, che a sua volta si voltò verso il computer per incontrare lo sguardo di Reborn. Il bambino incrociò i suoi occhi e rimase in silenzio per qualche lungo istante carico di tensione.
Infine un leggero sorriso gli incurvò le labbra: - Promossa a pieni voti - decretò.
Marinette non sapeva come sentirsi a quella notizia: non era né felice né sollevata, solo incredibilmente stanca. Non sapeva neanche cosa significasse di preciso quel verdetto e cosa sarebbe accaduto di lì in poi, ma non voleva pensarci in quel momento.
Colonnello annuì ma Lal fece una piccola smorfia, senza però dire una parola. Anche Bianchi e Dino si scambiarono un'occhiata tesa e quello non faceva presagire assolutamente niente di buono.
- Allora io ho finito qui - decretò Colonnello, scrollando le spalle - Del resto occupati tu. -
Marinette lo vide distintamente il cenno che si scambiò con Reborn ma non riuscì a dargli un significato, aveva solo il sentore che ci fosse qualcosa sotto che tutti in quella stanza le stavano nascondendo. Di nuovo.
Iniziava davvero ad essere irritata da quel loro comportamento ma sapeva che protestare o pretendere spiegazioni sarebbe stato inutile, quindi lasciò perdere. Verde, però, non sembrava dello stesso avviso e ridacchiò leggermente.
- Sei davvero subdolo - mormorò guardandolo di sottecchi con un certo divertimento e Reborn divvenne serio - Ma d'altronde agire alle spalle degli altri è sempre stato il tuo forte. -
Ci fu qualcosa di oscuro negli occhi di Reborn, quando li alzò verso di lui, che fece gelare il sangue nelle vene di Marinette e per un folle attimo credette che gli avrebbe tirato qualcosa di molto contundente contro. Ma il bambino rimase sorprendentemente calmo.
- Lo prendo come un complimento, detto da te. -
La tensione tra i due era palpabile anche attraverso lo schermo e il nervosismo dilagò tra i presenti, ma prima che qualcuno potesse dire qualcosa fu Fong a intervenire, con la stessa calma e compostezza che aveva mantenuto fino a quel momento.
- Possiamo stare certi, Verde, sul fatto che le intenzioni di Reborn siano le migliori - disse con una tale risolutezza e gentilezza che Marinette ne rimase stupita: non sapeva come facesse ma la sua aura coinvolgeva e tranquillizzava chiunque ascoltasse le sue parole. - E in ogni caso, questo non né è il luogo nè il momento adatto per discutere. -
Verde si esibì in un Mph di scherno e Reborn tornò a guardare la telecamera, riacquistando la calma.
- Colonnello ha finito il suo allenamento con te, Marinette, quindi sei libera di rilassarti fino a nuovo ordine - la informò allegramente - E' meglio che ti riposi, abbiamo ancora tanto da fare e potresti non avere più molte occasioni. -
Quelle premesse non erano molto incoraggianti ma lei annuì lo stesso.
- Io e Lal, invece, dobbiamo discutere di alcune cose se non vi dispiace lasciarci soli - continuò rivolto agli altri. Bianchi poggiò il computer sul tavolo ancora intatto e si avviarono tutti fuori dalla stanza.
Marinette si fiondò immediatamente sul divano del salotto, sprofonandoci senza troppi complimenti: era stato l'allenamento più breve che avesse mai fatto fino a quel momento ma anche il più stancante. Si sentiva prosciugata di ogni briciolo di energia, come se avesse corso per ore, e aveva le palpebre terribilmente pesanti; chiuse gli occhi, appoggiandosi pigramente al cuscino: non voleva dormire, solo stendersi qualche minuto prima di tornare a casa, e non si premurò neanche di togliere l'anello.
Rilasciare tutte quelle fiamme ti ha sfinito, dovresti riposare come si deve, mormorò Radi cullandola dolcemente. La ragazza non ebbe neanche la forza di ribattere e si lasciò avvolgere dalle sue coccole, troppo stanca anche solo per aprire gli occhi; un paio di minuti più tardi era già crollata in un sonno profondo.

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Capitolo 21
*** Al di là di tutto ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 21. Al di là di tutto
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 7.250

 
 
 
 
Colonnello partì due giorni dopo: era passato a casa di Marinette per un saluto veloce a lei e Lal e poi era sparito insieme a Falco, senza dire dove fosse diretto.
Alla ragazza fece uno strano effetto vederlo andare via, nonostante avessero passato poco tempo insieme si era affezionata al bambino e la sua partenza le mise un po' di tristezza; una parte di lei sperava di poterlo reincontrare in futuro, ma l'altra sapeva perfettamente cosa ciò avrebbe comportato. Non era ancora riuscita a trovare una serenità emotiva o anche solo a mandare giù l'intera faccenda, ma la fine degli allenamenti le aveva ridato il tempo libero e le aveva permesso di rilassarsi quanto bastava per raggiungere un proprio equilibrio: stava meglio rispetto ai giorni precedenti e riusciva a tenere a bada lo stress, anche se con l'aiuto di Radi. Ormai non si toglieva più l'anello dal dito se non per dormire tanto necessitava del suo supporto per mantenere una parvenza di sanità mentale, il che non era proprio una cosa positiva.
Aveva ripreso a fare tutto ciò che faceva prima dell'arrivo di Colonnello, eccetto uscire con le ragazze: Alya continuava a premere perché le spiegasse cosa la teneva così tanto occupata da non poter più neanche passare un pomeriggio in sua compagnia e la cosa iniziava a pesarle molto, quindi aveva deliberatamente deciso di evitarla; non poteva dirle nulla ed era chiaro che lei non credeva alle scuse che aveva racimolato fino a quel momento. Sorpendentemente, l'unica persona che sembrava aver capito quanto fosse emotivamente fragile in quel periodo era proprio Chloé che, per quanto insensibile potesse essere di norma, stava chiaramente facendo uno sforzo enorme per comprenderla. Anzi, una volta l'aveva perfino salvata dalle domande insistenti di Alya, anche se era stata abbastanza cattiva nei suoi confronti… come al solito, in effetti.
Le conseguenze di tutto quello, però, si stavano facendo sentire e ben presto Marinette si era ritrovata ad allontanarsi sempre di più dalla sua migliore amica che, ormai stanca di essere presa in giro, aveva iniziato a trattarla con più freddezza. Ma Marinette non era stupida, il messaggio era chiarissimo anche senza bisogno di esternarlo: o le diceva cosa stava accadendo in realtà o poteva definitivamente scordarsi di lei; il che non migliorava per nulla la sua situazione.
Sospirò, giocherellando con i pezzi di frutta che avrebbero dovuto essere il suo pranzo, seduta a gambe incrociate su una delle panchine del cortile: non aveva molta fame ma Lal si sarebbe arrabbiata se non avesse mangiato. A detta sua, la ragazza mangiava poco e male (per questo era così magra) quindi aveva stilato il suo programma nutrizionale in modo che ricevesse anche le giuste calorie che le dessero un peso adeguato; effettivamente, Marinette pesava meno di quanto avrebbe dovuto ma non era mai stato un problema, la differenza era poca e godeva di ottima salute, ma questo non le bastava evidentemente. Anche Colonnello aveva detto che sì, la sua struttra fisica era di base molto esile, ma per la sua altezza avrebbe dovuto avere molta più carne addosso: ciò avrebbe anche migliorato le sue prestazioni in battaglia e Reborn aveva lasciato a Lal carta bianca su quell'argomento, permettendole di fare ciò che riteneva giusto per lei.
Non è che non le piacesse ciò che prevedeva il menù, però a volte avrebbe preferito essere libera di scegliersi un pranzo o una cena da sola o anche di mangiare qualche schifezza ipocalorica; purtroppo, le era concesso di mangiare dolci solo una volta a settimana e solo in una determinata quantità.
Prese un pezzo di mela e stava per portarselo alla bocca quando il telefono iniziò a squillare, facendola sobbalzare. Cercando di riprendersi dallo spavento, lo tirò fuori dalla borsetta e rispose senza neanche leggere il numero.
- Pronto? - domandò un po' stancamente. Ci fu un lungo istante di silenzio, poi un leggero bisbiglio e infine il rumore di qualcosa di molto pesante che si abbatteva su un oggetto vicino al telefono. Udì un sordo gemito di dolore e sgranò gli occhi, non capendo cosa accidenti stesse succedendo.
- Fallo e basta! - esclamò una voce che riconobbe come quella di Reborn e la confusione aumentò ulteriormente finché un'altra voce, a lei stranamente familiare, non parlò. O meglio, biascicò.
- Ehm… salve. Parlo con Marinette? -
Lei rimase stordita per un momento, troppo disorientata per riuscire a rispondere: la voce era molto delicata, quasi femminile, ma apparteneva senza dubbio ad un ragazzo molto giovane e lei era sicura di averla già sentita prima di quel momento. Il suo accento francese era un po' alla buona e suonava decisamente a disagio e in imbarazzo, cosa che la mandò totalmente in tilt. Deglutì.
- Sì, sono io - rispose, senza riuscire a nascondere l'incertezza - Chi mi cerca? -
Il ragazzo si schiarì nervosamente la voce: - Ecco… sono Tsunayoshi Sawada, piacere di conoscerti. -
Per poco Marinette non cadde dalla panchina tanto fu lo shock e lo stupore e rimase a fissare il cortile dinnanzi a sé con un espressione inorridita sul volto: perché il Decimo Boss della Famiglia Vongola era lì al telefono con lei, proprio in quel momento, senza alcun preavviso e non aveva la più pallida idea del perché. Era la prima volta in assoluto che si parlavano e tanto fu il panico che rimase senza voce; letteralmente, non riusciva ad articolare neanche una parola. Ci fu un breve istante di silenzio, prima che il ragazzo riprendesse la parola.
- Sei ancora lì? - domandò sconcertato, non ottenendo alcuna risposta, e Marinette si riscosse con un sussulto, profondamente turbata.
- I-io… ehm… - balbettò, non riuscendo a connettere decentemente il cervello. Che pessima figura che stava facendo, dannazione! Tossì leggermente e cercò di trovare un po' di calma, con scarso successo - S-sì, sono qui. Il piacere è mio - riuscì a mormorare anche se con voce tremante.
Ci fu altro silenzio, poi il ragazzo sospirò stancamente: - Mi dispiace disturbarti, non so neanche che ore sono lì da te, però Reborn mi ha praticamente costretto a farlo quindi cercherò di farti perdere meno tempo possibile - informò e sembrava davvero sentirsi in colpa per quella telefonata improvvisa: era talmente educato e gentile, quasi imbarazzato nel parlare con lei, che Marinette dovette disintegrare tutte le idee che si era fatto di lui. Per un po' aveva creduto che fosse un adulto, il classico boss della mafia che si vede nei telefim con abito gessato, sigaro in mano e aria losca, ma quando Dino le aveva rivelato che era praticamente un suo coetaneo lo aveva immaginato più come un classico teppistello giapponese degli anni '80.
Ora, invece, sentendo la sua voce e il suo modo di porsi non aveva la più pallida idea di che cosa pensare. Era confusa, disorientata, sconvolta, totalmente nel pallone… insomma, non capiva più niente!
Questo è interessante, mormorò Radi e sembrava curioso quanto lei di vedere che tipo fosse questo Tsuna. Le sue parole la riscossero e riprese un po' di contegno.
- N-non preoccuparti, sono in pausa pranzo a scuola, quindi ho del tempo libero - rispose, rassicurata dalla presenza di Radi dentro di sé - Dimmi pure. -
- Oh, bene - esclamò lui, sollevato, e sembrò ritrovare un po' di tranquillità - Anche se non so esattamente come dirtelo, a dire il vero… - ammise nervosamente.
- Diglielo e basta, Tsuna. Non ha tutto il giorno - lo riprese Reborn da poco lontano e il suo tono era molto più duro di tutte le volte in cui lo aveva sentito parlare in sua presenza.
- S-sì, sì, lo sto facendo - rispose lui, frettolosamente, e alla ragazza non piacque quella faccenda: qualunque cosa dovesse dirle era importante, altrimenti non l'avrebbe chiamata proprio lui personalmente, e di sicuro non era niente di buono. Strinse il box di plastica nella mano libera e si preparò a ricevere l'ennesima batosta emotiva (perché solo di quello poteva trattarsi). - Ecco, non so se Dino-sa… cioè, Dino te lo ha accennato, ma Reborn aveva deciso di portarmi lì a Parigi per conoscerti entro la fine del mese e ora ha scelto una data. Volevamo avvisarti per non piombarti sulla porta di casa all'improvviso. -
A Marinette si ghiacciò fino all'ultima goccia di sangue che aveva in corpo e lo stomaco le si strinse dolorosamente, tuttavia non riuscì a proferire neanche un suono, tanto era sconvolta: Reborn aveva deciso di venire lì con Tsuna entro la fine del mese e nessuno le aveva detto niente. Ora capiva perché si comportavano in modo strano e quale fosse la decisione di cui parlavano Lal e Colonnello, eppure le avevano taciuto tutto. DI NUOVO.
Allo shock della notizia si aggiunse anche la rabbia per essere stata tenuta allo scuro della faccenda e dovette stringere i denti per non mettersi a ringhiare. Ignaro del fatto che la ragazza ormai stesse tremando di collera, Tsuna continuò a parlare.
- Saremo lì il 27, verso… le 11? - domandò poi e Reborn sospirò con rassegnazione.
- Mezzogiorno - lo corresse - Faremo un paio di scali. -
- Ah, giusto. Quindi arriveremo proprio all'ora di pranzo, non è maleducato? - chiese preoccupato e Radi si lasciò andare ad una mezza risata.
Più parla e più ci capisco meno di lui, ammise divertito, Sarà davvero interessante conoscerlo.
Se Marinette non fosse stata così infuriata gli avrebbe dato ragione, ma in quel momento aveva ben altri pensieri per la testa, come lanciare un oggetto molto grande e affilato in faccia a Dino il prima possibile.
- Non preoccuparti di questo, pensa solo a fare le valigie - tagliò corto Reborn.
- Ah… se lo dici tu - acconsentì lui, ma era chiaro che avesse ancora dei dubbi a riguardo quando tornò a rivolgersi a lei. - Spero che non sia un problema, non so se hai altri impegni per quel giorno e non vorrei crearti disagi - si premurò di chiedere e, se fino a quel momento Marinette era stata incollerita, dopo aver sentito quelle parole così gentili si sentì svuotata di tutte le emozioni negative che l'avevano invasa e anche di un bel po' delle sue energie. Gli occhi le pizzicarono e dovette mordersi il labbro per non lasciarsi sfuggire un sospiro tremulo: non aveva mai incontrato quel ragazzo, né gli aveva mai neanche parlato prima di allora, eppure era l'unico che si stava preoccupando sinceramente di lei, della sua vita privata e delle sue priorità. Fino a quel momento, le avevano praticamente imposto di mettere in secondo piano tutto ciò che non riguardava i Vongola (Miraculous a parte, ma solo perché causa di forza maggiore), costringendola a rinunciare persino alla sua vita sociale e ai suoi hobby… mentre la prima cosa di cui Tsuna si era voluto assicurare era che il suo arrivo non cozzasse con le sue attività personali.
Proprio lui, il candidato Boss della famiglia, che aveva tutto il diritto di pretendere che lei annullasse ogni altro impegno per incontrarlo essendo letteralmente il suo capo (almeno per il momento). E Marinette capì che era questo ciò di cui aveva bisogno: qualcuno che non la trattasse come una pedina da istruire, ma come una persona in tutta la sua interezza da rispettare in quanto tale. Sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di trattenere le lacrime, e scosse il capo incurante che lui non potesse vederla.
- No, nessun problema - mormorò e si rese conto troppo tardi di quanta dolcezza avesse messo nella voce, ma non le importò - Sarà un piacere incontrati di persona. -
Tsuna ridacchiò con evidente imbarazzo: - Il piacere sarà mio, Dino non fa altro che tessere le tue lodi quando chiama. -
La voglia di percuotere il ragazzo con un oggetto contundente tornò a farsi spazio dentro di lei e strinse gli occhi con stizza: Dino avrebbe dovuto imparare a tacere con gli altri come faceva con lei, una buona volta. - Dino esagera - rispose a denti stretti e non voleva neanche sapere cosa gli avesse detto.
- Non essere modesta, Marinette, Dino dice solo la verità - la riprese Reborn e la ragazza sentì una piccola fitta di astio anche nei suoi confronti.
- La tua fama ti precede, a quanto pare - scherzò Tsuna, che sembrava molto più a suo agio rispetto a poco prima - Spero di non rimanere deluso. -
L'umore di Marinette precipitò nuovamente e l'ansia le strinse le viscere: nonostante stesse chiaramente scherzando, non riuscì a non prendere seriamente le sue parole. Deluderlo era ciò che non avrebbe dovuto assolutamente fare… o meglio, era ciò che gli altri si aspettavano che non facesse, e quel carico di stress aggiuntivo era l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento.
- Lo spero anche io - mormorò.
- Ah, ma sto divagando, scusa - sussultò il ragazzo - Non volevo farti perdere tempo. -
Marinette inspirò a fondo: - Tranquillo, nessun problema. -
- Allora… ci vediamo il 27. -
- Certo. Vi aspetto qui. -
- Beh, allora, buona giornata… insomma, ciao! - salutò, tradendo un leggero nervosismo nella voce.
- Ciao. -
Dopo che Tsuna ebbe riagganciato, lei rimase seduta sulla panchina per un lunghissimo minuto elaborando tutte le informazioni appena ricevute. L'ansia e il panico vennero presto sostituiti da rabbia e rancore e decise che non le importava più niente neanche della scuola: in quel momento, voleva solo picchiare Dino. Ne aveva bisogno, per il bene della sua sanità mentale.
Saltò giù dalla panchina e chiuse il box del pranzo, marciando verso la classe: ficcò tutte le sue cose nello zaino, ignorò qualunque domanda le aveva posto Nino e schizzò di nuovo giù dalle scale. Tanto poteva uscire quando voleva, quindi non doveva dare conto a nessuno, e per tutto il tragitto fino a casa non fece altro che pensare ai modi in cui avrebbe potuto malmenare Dino.
C'era un vaso, vicino alla porta d'ingresso, abbastanza grande da fare male ma non troppo per ferire gravemente. Sì, era perfetto.
Oppure un ombrello o il portaombrelli stesso… no, troppo pesante, non sarebbe riuscita ad alzarlo figuriamoci lanciarlo.
Sarebbe potuta passare in negozio a prendere un mattarello. Sì, le piaceva quell'idea. Ma Tom non le avrebbe mai permesso di usare uno dei suoi attrezzi per percuotere qualcuno.
L'indecisione aumentò la sua frustrazione e ormai ribolliva di rabbia quando spalancò la porta del negozio, incurante di chi potesse esserci dentro. Sabine sussultò quando la sentì entrare ed entrambi i suoi genitori sgranarono gli occhi nel vederla rientrare così presto, senza preavviso e livida in volto.
- Tesoro, che succede? - le chiese la donna ma tutto ciò che ottenne in risposta fu un ringhio feroce mentre la ragazza spariva nella porta sul retro e saliva le scale a grandi passi.
- Marinette? -
Ignorò il richiamo di suo padre e salì i gradini a due a due, respingendo in malo modo il tentativo di Radi di calmarla, incurante che i suoi genitori, ormai preoccupati, la stessero seguendo. Da una parte apprezzava il loro interesse e la loro premura nei suoi confronti, dall'altra avrebbe preferito che non fossero presenti quando avrebbe scaricato la sua ira su Dino. Tirò fuori le chiavi dalla borsetta e aprì la porta di casa con violenza, facendo sussultare tutti i presenti. Inquadrò subito il ragazzo seduto sul divano proprio davanti a lei, a darle le spalle, e soffiò dalle narici come un toro infuriato.
Un attimo dopo si era fiondata si di lui, gettandogli lo zaino addosso e colpendolo dritto sull'addome.
- Ah! Ehi! - si lamentò lui, alzando lo sguardo sulla ragazza evidentemente confuso e sconvolto, ma ammutolì quando si ritrovò davanti il suo volto incazzato.
- Lo sai chi mi ha appena chiamato?! - sbraitò e non attese neanche che lui metabolizzasse la domanda per continuare - Tsuna! -
Vide distintamente il suo volto impallidire e i suoi occhi sgranarsi dallo stupore dinnanzi a quella notizia di cui lui, evidentemente, non era al corrente.
- Cosa? - domandarono in coro Bianchi e Squalo dalla cucina, stupiti quanto lui.
- Già! - sputò Marinette, tremando talmente era fuori di sé - Ha voluto gentilmente avvertirmi che lui e Reborn verranno qui il 27! -
- Cosa?! - stavolta l'esclamazione era arrivata da Tom e Sabine, che osservavano la scena inorriditi fermi sulla porta.
- Tu sapevi che avevano intenzione di venire qui entro la fine del mese ma, ovviamente, non hai voluto dirmi niente! - quasi urlò e lo vide ritrarsi un po' nella poltrona - Certo, nessuno di voi mi dice mai niente, e perché dovreste? Sono solo cose che mi riguardano personalmente! - nonostante fosse incazzatissima non riuscì a trattenersi dal fare dell'acido sarcasmo e Radi rinunciò totalmente a tentare di calmarla, ritirandosi dalla sua mente con la coda tra le gambe.
Bianchi si fece avanti, cercando di spiegarsi, anche se era evidentemente turbata - Marinette, ascolta… -
Ma la ragazza ne aveva le ovaie piene: ormai aveva raggiunto il limite e non avrebbe sopportato nient'altro da nessuno, ne andava della sua salute, della sua vita e della sua sanità mentale. Era stanca e stressata e si stava distruggendo per qualcosa con cui non voleva avere niente a che fare. - Oh, andate al diavolo! - sbottò, girando i tacchi e sparendo in camera sua sbattendosi la botola alle spalle. Si sedette sulla chaise-longue, ancora tremante, e dovette fare lunghi respiri profondi per calmarsi.
Non ne poteva più di andare avanti in quel modo e il cellulare che le vibrò nella borsetta non fece che aumentare il suo nervosismo; lo afferrò, tentata dal lanciarlo contro la parete, ma quando lesse il nome sullo schermo la rabbia tornò a travolgerla: Alya. Dopo averla tartassata, stressata e snobbata ora si permetteva pure di chiamarla? Aveva una bella faccia tosta.
- Che vuoi? - rispose a denti stretti senza preoccuparsi minimamente di risultare brusca.
La ragazza rimase in silenzio per qualche istante, infine pigolò uno sconcertato: - Ehm… volevo solo sapere perché te ne sei andata prima della fine delle lezioni. -
Marinette strinse il telefono tra le mani fino a farsi male e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: - Oh, adesso ti preoccupi per me? - sputò acidamente e la sentì sussultare - Perché negli ultimi giorni mi è sembrato che ti interessasse solo ficcare il naso nei fatti miei, senza tenere conto di come potessi sentirmi o anche solo di rispettare la mia privacy! -
Ci fu un gelido mutismo da parte sua che la fece incazzare ancora di più e quando, dopo qualche istante, Alya balbettò un disorientato "I-io…" perse completamente la testa: aveva sopportato tutto, anche essere trattata come la peggiore delle traditrici da quella che considerava la sua migliore amica, ma c'era un limite e Marinette aveva superato il suo da un pezzo. - Oh, va' al diavolo anche tu! - e le chiuse il telefono in faccia, gettandolo sul tappeto.
Non voleva vedere e sentire più nessuno, tanto non c'era davvero qualcuno di cui potesse fidarsi o che davvero si preoccupasse per lei, nemmeno Squalo avrebbe potuto aiutarla in quel momento: per quanto fosse sincero e affidabile, non poteva esserle di alcun supporto vista la sua quasi inesistente sensibilità emotiva.
Era sola. Completamente.
 
 
 
C'erano un sacco di cose che gli studenti della scuola Dupont potevano dire di aver visto nella loro seppur breve esistenza, compresi super cattivi ed eroi dai magici poteri, eppure Chloé Bourgeois che prendeva le parti di Marinette Dupian-Cheng era uno spettacolo più unico che raro. E il fatto che lo stesse facendo con quella che, teoricamente, era la sua migliore amica sarebbe bastato a far venire un infarto ai più deboli di cuore.
- Ti rendi che mi ha mandato al diavolo?! - sbottò la ragazza, ancora sconvolta dalla recente conversazione.
- E te ne stupisci? - sbraitò l'altra, incredula - Hai passato l'ultima settimana a tartassarla di domande a cui lei chiaramente non vuole rispondere! Ma che cavolo, persino io che sono quasi totalmente insensibile ho capito che quella poveretta sta passando un periodaccio e l'ultima cosa che vuole è essere stressata da qualcuno che vuole solo ficcanasare nella sua vita privata! -
Si alzò un coro di "Uuuh" dai presenti e Alya non poté fare altro che incassare il colpo.
- Io… io voglio solo sapere che succede, se ne parlasse si sentirebbe meglio. -
- Ma lei non vuole parlarne! - ripeté Chloé, ormai spazientita - E non tirarmi fuori la storiella che sei preoccupata per lei, perché se davvero lo fossi le saresti stata accanto e basta, invece l'hai persino snobbata negli ultimi giorni! - ricordò e il disprezzo nella sua voce era palese - Ha fatto più che bene a mandarti al diavolo. -
Prima che Alya potesse rispondere, Nino uscì dalla folla e si accostò a Chloé: - A questo giro, sono dalla sua parte - ammise schiettamente - Hai esagerato, Alya, e non è la prima volta che lo fai: questa tua "curiosità"… -
- Mania di voler sapere sempre tutto di tutti - lo corresse acidamente la bionda ma lui preferì non replicare a quello.
- …a volte ti rende insopportabile. -
Alya sgranò gli occhi: - Questo non è vero! -
- Lo è eccome! - s'intromise Alix - Mi hai fatto il terzo grado per quattro giorni affinché ti dicessi della festa a sorpresa che stavamo preparando per mio fratello. -
- E mi sei stata addosso quasi una settimana per scoprire la trama del mio nuovo fumetto - continuò Nathaniel.
- Per non parlare di quando mi tartassavi di messaggi per avere informazioni sul nuovo programma a cui stavo lavorando - rincarò Max.
- Ok, forse un po' più di "a volte" - si corresse Nino, evidentemente preoccupato da quelle rivelazioni - Il punto è che ti sei comportata male con Marinette e il minimo che tu possa fare è scusarti. -
- L'hai stressata così tanto da mandarla allo sfinimento - l'accusò Rose - E' normale che ad una certa abbia perso la pazienza! -
Alya incassò tutte quelle accuse in silenzio e si rese conto che sì, aveva esagerato, non preoccupandosi minimamente di come si sentisse Marinette troppo occupata a soddisfare la propria sete di notizie: a volte la giornalista che era lei prendeva il sopravvento e non sempre se ne accorgeva per tempo. Abbassò lo sguardo, sentendosi d'un tratto incredibilmente in colpa, e sospirò.
- Mi dispiace… - mormorò - Non ho mai pensato di essere snervante con il mio comportamento. -
- Direi molto più di "snervante" - commentò Kim ricevendo una gomitata in una costola da Alix.
Nino sospirò, desideroso solo di mettere fine a quella deprimente faccenda - Per il momento è meglio lasciarla sola, avrà sicuramente i suoi problemi di cui occuparsi - constatò - Ma cerca di riaggiustare le cose, sono sicuro che anche lei sente la tua mancanza. E smettila di fare domande, ne parlerà quando se la sentirà. -
Chloé si esibì in uno "Tsk" sbeffeggiatorio: - Come se bastassero delle scuse a riparare il danno - sbottò - Spera solo che ci voglia ancora parlare con te, dopo questo - e senza aspettare una risposta, girò sui tacchi e uscì dalla classe. Non credeva che un giorno sarebbe arrivata addirittura a prendere le difese di Marinette o provare empatia nei suoi confronti, ma il modo in cui le aveva parlato dopo la sua seconda akumizzazione e i discorsi di Nino l'avevano convinta a dare una possibilità ad una loro possibile "conoscenza". Non si poteva ancora parlare di amicizia, ma non le dispiaceva la piega che stava prendendo la faccenda: avevano scoperto di avere molte più cose in comune di quanto credessero e il deleterio senso di responsabilità di Marinette era quasi contagioso, spingendola a fare cose che prima credeva fuori discussione.
Non voleva cambiare per lei, e di sicuro non stava cambiando grazie a lei, ma qualcosa si era smosso dentro di sé e scalpitava ferocemente reclamando attenzioni, qualcosa a cui non era ancora riuscita a dare un nome o una forma; qualunque cosa fosse, forse poteva prendere in considerazione l'idea di ascoltarlo anche solo per sentire cosa aveva da dire.
 
 
 
La botola che portava al terrazzo si aprì con un cigolio e la testa di Squalo sbucò con circospezione dal pavimento, ma Marinette non ci fece caso, troppo impegnata a fissare il cielo nero con sguardo vacuo: non sapeva che ore fossero e non le importava, anche se aveva sbollito un po' di rabbia era ancora frustrata e offesa e intendeva restare ferma sulla sua posizione.
- Sei rimasta qui tutto il giorno? - domandò il ragazzo, scorgendola sulla sedia a sdraio - Guarda che siamo ancora in inverno, ti verrà qualcosa - le ricordò e, sorprendetemente, era calmo. Non incazzato, mezzo incazzato o un po' incazzato… semplicemente calmo, come una persona normale. Era molto raro vederlo in quel modo e, nonostante tutto, la ragazza non poté fare a meno di stupirsene.
- Che vuoi? - chiese, senza girarci intorno: Squalo era un tipo pratico, giocare ai convenevoli con lui era inutile e lo avrebbe solo innervosito.
- Sapere come stai, mi sembra ovvio - rispose secco, quasi fosse una domanda stupida, avvicinandosi cautamente.
- Non credevo ti importasse - ed era sincera, era davvero convinta che a lui non importasse un bel niente di lei. D'altronde, a Squalo sembrava non importare di niente e di nessuno, quindi perché lei avrebbe dovuto fare eccezione?
- Certo che mi importa, altrimenti non sarei qui ora - sbottò ed era davvero offeso dalla sua insinuazione - VOOI! Credi che avrei lasciato il mio lavoro per settimane intere per fare da babysitter ad una mocciosa qualunque? - rincarò, incrociando le braccia al petto, iniziando ad incazzarsi. La ragazza alzò lo sguardo su di lui e, per una volta, non c'era alcuna emozione sul suo volto, solo tanta stanchezza.
- Non lo so - rispose - Non so neanche perché sei qui. -
Squalo, preso in contropiede da quell'affermazione, distolse lo sguardo evidentemente a disagio: - Te l'ho detto… - ricordò e, dopo qualche istante di esitazione, mormorò un appena udibile - …mi mancavi. -
Marinette si rese conto che forse avrebbe potuto cedere, un pochino, e sciogliere leggermente il suo broncio… ma solo un po'.
- E' questo ciò che hai detto per farti rimandare qui? - le uscì spontaneamente prima che potesse anche solo rendersene conto e non aveva neanche idea di come facesse a saperlo: lui non aveva mai detto in quali circostanze fosse tornato in Francia e lei non gliel'aveva mai chiesto, ma nel momento in cui avevano aperto il discorso si era accorta di sapere esattamente cosa fosse accaduto. Era una sensazione strana e un po' disturbante e, si capiva benissimo, anche Squalo aveva avuto la stessa reazione: non c'era una spiegazione logica a quel fenomeno, lei lo sapeva e basta.
Dopo un attimo di teso silenzio, il ragazzo si strinse nelle spalle con evidente disagio: - Questo… non è di questo che sono venuto a parlare. -
- Lo so di cosa sei venuto a parlare - lo interruppe lei - E non mi interessa. -
- Oh, andiamo, non farmi difendere quell'idiota! - sbottò lui, disgustato alla sola idea - Ma non è tutta colpa sua, lo sai che il marmocchio fa sempre il cazzo che gli pare. -
Il suo tentativo di sistemare le cose era decisamente goffo eppure Marinette sapeva che era vero ciò che diceva, tuttavia non intendeva sottostare un minuto di più a quella situazione: era stanca, sia fisicamente che psicologicamente, e in quel momento tutto ciò che voleva era estraniarsi da tutto quanto e ritrovare un almeno tollerabile equilibrio emotivo.
- E anche se non ti interessa, c'è dell'altro che dovresti sapere - continuò lui, ignorando il suo silenzio. Marinette strinse gli occhi, sfinita: non avrebbe mai avuto pace.
- E cosa? -
Squalo esitò per qualche istante infine sospirò: - E' meglio se te lo fai dire da Dino - ed era chiaro, dal suo tono, che non era niente di buono.
- Non promette per niente bene - ammise. - E non sono sicura di volero sapere. -
Squalo fece una piccola smorfia, facendo scivolare lo sguardo sul balcone semibuio prima di sospirare: - Non ti biasimo ma è meglio che tu lo sappia ora, credimi - borbottò. Marinette non rispose, sentendo già l'ansia e la preoccupazione crescere, e Squalo indugiò per un istante prima di sedersi sulla sdraio accanto a lei. - Senti, mi dispiace per quello che stai passando - disse e sembrava davvero sincero, cosa che la stupì non poco - Immagino avessi altri progetti per il futuro. -
Marinette strinse le labbra e pensò ai vari album da disegno che teneva nel cassetto della scrivania, con le pagine piene di vestiti e accessori: era così felice quando disegnava, fantasticando già di sfilate di mode e atelier che portavano il suo nome, e abbassò lo sguardo sulle proprie mani, guardando i piccoli calli che si era fatta sulle dita a furia di cucire; gli occhi pizzicarono nuovamente: era il suo sogno fin da quando era bambina e ora doveva buttarlo via perché altri avevano deciso così.
Deglutì e ricacciò indietro le lacrima a forza: - Pensavo di iscrivermi all'accademia di design della moda e diventare una stilista… non prepararmi per entrare nella mafia - ammise amaramente.
Ci fu un lungo istante di silenzio nel quale Squalo fissò le mattonelle del balcone con aria assente e, proprio quando Marinette credette che la conversazione fosse finita, lui parlò: - Neanche io volevo farmi coinvolgere dalla mafia - ammise d'un tratto, facendola voltare di scatto verso di lui ad occhi sgranati - Per questo ho lasciato la scuola privata: mio padre gestiva una piccola famiglia alleata dei Vongola e voleva che un giorno prendessi il suo posto, ma a me non interessava. -
La ragazza rimase in silenzio, confusa e stupita da quell'improvvisa confessione: Squalo era sempre riservato sulle sue questioni personali, era la prima volta che parlava della sua famiglia o del suo passato in generale. Quel poco che sapeva su di lui lo aveva appreso da Dino ma neanche lui si era sbilanciato troppo e lei non sapeva come reagire.
Ma Squalo non sembrava aspettarsi una risposta e continuò: - Ho sempre avuto la passione per la scherma e volevo concentrarmi solo su quella, quindi un giorno ho preso e sono partito. Ho viaggiato per circa un anno e mezzo intorno al mondo, cercando tutti i maestri della spada più forti e imparando gli stili di combattimento in cui m'imbattevo - raccontò, totalmente immerso nei suoi ricordi, e Marinette quasi smise di respirare per paura di interromperlo - A quell'epoca non avevo preso una decisione definitiva su ciò che avrei voluto fare dopo, forse mi è venuta una mezza idea di aprire una scuola e prendere qualche allievo una volta perfezionata la mia tecnica, ma poi i Varia vollero reclutarmi e da quel momento fu tutto in discesa. -
Squalo fece una pausa e Marinette attese, senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua figura, trepidante di sapere il resto. Perché c'era sicuramente qualcosa che l'avevo spinto ad accettare quella richiesta se da principio non voleva avere niente a che fare con la mafia.
Quando il silenzio divenne insopportabile, non riuscì a trattenersi - E perché accettasti? - domandò cautamente, sperando di non distruggere il momento creato. Lui sembrò risvegliarsi da un pensiero profondo e si voltò verso di lei.
- Per Tyr - rispose come se fosse ovvio. Marinette sbatté le palpebre un paio di volte, confusa.
- Chi? -
- L'Imperatore della Spada - continuò lui e solo in quel momento lei ricordò che lui lo aveva già nominato una volta, subito dopo il loro primo incontro: era lo spadaccino a cui mancava una mano il cui stile di combattimento aveva spinto Squalo a mozzarsi la propria. - Era il Boss dei Varia. Quando l'ho saputo ho pensato di approfittarne e ho accettato di entrare nella squadra solo se avessi potuto battermi con lui.
Il resto è storia. -
Marinette metabolizzò tutte quelle informazioni più velocemente di quanto avesse mai fatto con qualunque altra cosa e la consapevolezza di ciò che Squalo stava cercando di dirle le strinse il cuore in una morsa ferrea. - Sconfiggendo l'Imperatore della Spada hai guadagnato il suo titolo, giusto? - domandò a bassa voce e lui annuì.
- Già. -
- E in quell'occasione hai anche perfezionato la tua tecnica. -
- Sì. -
- Quindi… avevi ottenuto ciò che volevi. -
Questa volta, il ragazzo ci mise un po' a rispondere - …sì. -
Le salì un groppo in gola: - Ma non era abbastanza. -
Squalo abbassò di nuovo lo sguardo: - No - sospirò stancamente e ci fu qualcosa, sul suo viso, che sapeva molto di rimpianto - Passi metà della tua vita a volere disperatamente qualcosa e una volta che l'hai ottenuta ti rendi conto di avere finito. Non avevo più nulla da fare se non completare gli incarichi che mi venivano affidati e neanche l'idea di diventare Boss dei Varia era appagante: non era il mio obbiettivo, non era ciò che volevo, ma ormai ero lì e non potevo più tirarmi indietro.
Poi ho conosciuto Xanxus ed è stato come… -
- …se avessi trovato un nuovo scopo nella vita - concluse lei in un mormorio e il nodo che aveva in gola si fece più stretto.
Squalo strinse le labbra per un istante: - Sì - mormorò - Farlo diventare Boss dei Vongola era il mio nuovo obbiettivo e, anche dopo averlo fallito la prima volta, restava sempre quello. Sapere che un giorno sarebbe uscito dal ghiaccio e si sarebbe preso quella poltrona era l'unica cosa che mi ha fatto andare avanti in questi otto anni, l'unica cosa che mi ha fatto sopportare un ruolo che neanche volevo, e ora che è apparso quel ragazzino… - non finì la frase ma Marinette vide un lampo nei suoi occhi che le gelò il sangue nelle vene: non era semplice rabbia ma qualcosa di molto più profondo e personale, qualcosa più simile a odio e rancore e non verso Tsuna (che aveva spodestato Xanxus) o verso Yamamoto (che lo aveva sconfitto in battaglia) ma verso sé stesso, per non essere riuscito a portare a termine il suo obbiettivo, per aver fallito l'unica cosa che gli aveva donato la forza di vivere un giorno di più. Squalo inspirò e drizzò la schiena: - Però, se quel giorno non avessi accettato, avrei perso tutto ciò che ho fatto in questi anni. Non so se si possa sentire la mancanza di qualcosa che non si ha mai avuto, ma se potessi tornare indietro rifarei le stesse scelte. -
E Marinette si chiese spontaneamente cosa sarebbe successo se non avesse mai ricevuto il Miraculous né l'anello: aveva vissuto esperienze educative nelle vesti di Ladybug che l'avevano aiutata a crescere e grazie a quella storia della mafia aveva conosciuto Radi, scoperto un pezzo di storia della sua famiglia, incontrato Lal, Dino, Bianchi, Squalo, Colonnello… se fosse andata avanti con la propria vita, se avesse perseguito e raggiunto i suoi obbiettivi, si sarebbe sentita appagata o avrebbe provato un senso di vuoto perenne? Avrebbe trovato il modo di rendere utile la sua esistenza?
Non lo sapeva ma di una cosa era certa: le sarebbero mancate quelle esperienze e anche le persone che aveva conosciuto, ma non era ancora sicura di voler andare avanti. Provava sentimenti contrastanti in quel momento ed iniziava a sentirsi confusa.
- A proposito - esclamò lui d'un tratto, infilandosi una mano in tasca e tirando fuori una scatolina di velluto nero. - Ti ho preso una cosa mentre ero in Italia ma non ho trovato il momento adatto per dartelo quindi… beh, tieni - borbottò ficcandoglielo praticamente in mano.
Ancora immersa nei propri pensieri, Marinette sussultò presa alla sprovvista da quel repentino cambio di argomento e guardò allucinata il pacchetto nella propria mano: Squalo non le aveva mai fatto un regalo (a meno che la colazione che le aveva offerto al bar la settimana prima si potesse considerare tale) e dire che fosse sorpresa era un eufemismo. Il motivo le sfuggiva ma glielo aveva preso mentre era in Italia quindi, in un certo senso, aveva pensato a lei quando era lì; se ne rese conto con un po' di imbarazzo ma lo trovò anche incredibilmente tenero.
- Ehm… grazie - mormorò, rigirandolo per poterlo aprire nel verso giusto: per un attimo aveva temuto di trovarci un gioiello o comunque qualcosa di molto costoso e se c'era una cosa in cui Marinette faceva schifo era accettare regali importanti, si sentiva a disagio e in colpa nel sapere che qualcuno aveva speso molti soldi solo per lei. Invece, con sua sorpresa, ciò che si ritrovò davanti fu un braccialetto d'argento intrecciato a dei fili di tessuto azzurri, con uno grande charm a forma di delfino azzurro sul dorsoe e bianco sul torace. Era davvero carino, sebbene l'azzurro non rientrasse nella top cinque dei suoi colori preferiti, e un tenero sorriso le incurvò le labbra.
- E' adorabile - mormorò - Ma perché un delfino? -
Squalò sobbalzò e si voltò verso di lei ad occhi sgranati: - Ma quale delfino? E' uno squalo! - sbottò. Marinette sussultò e avvicinò il gioiello alla fonte di luce più vicina: guardandolo meglio aveva ragione, era proprio uno squalo, si vedevano i denti minuscoli e la branchie. - Ah, è vero - constatò imbarazzata. La domanda, però, persisteva: perché uno squalo?
- Un delfino… bah - borbottò lui che, per qualche ragione, sembrava essersela presa sul serio.
- Scusa. E' buio - cercò di giustificarsi lei - Però grazie, lo apprezzo molto - ammise dolcemente, sentendosi sciogliere dinnanzi a quel gesto: era la cosa più carina che Squalo potesse farle e sapere che aveva avuto un pensiero del genere per lei le invase il petto di un piacevole calore, soffocando momentaneamente i sentimenti negativi che provava.
Nonostante la poca visibilità, Marinette riuscì a vedere distintamente le guance del ragazzo tingersi leggermente di rosa e decise di imprimersi quell'immagine nella mente poiché, quasi sicuramente, non le sarebbe capitato mai più di vederlo in quel modo. Squalo tossì leggermente e si alzò in piedi, provando in tutti i modi a dissimulare il proprio imbarazzo.
- Beh, ho detto a Dino che ti avrei portato di sotto - informò evitando il suo sguardo e, nonostante la visione la intenerisse e divertisse al tempo stesso, una piccola fitta le colpì lo stomaco. Già, c'era ancora dell'altro che doveva sentire e se da una parte non aveva intenzione di ascoltare una parola di più su quella faccenda, dall'altra sentiva il bisogno di sapere cosa stava accadendo (o cosa sarebbe accaduto). Rimuginò per un lungo minuto, infine espirò con rassegnazione e si alzò in piedi, richiudendo la scatola; non sperava neanche più che non fosse nulla di toppo grave, voleva solo togliersi quel pensiero, e il momento appena vissuto l'aveva rilassata un po'.
Scese le scale in silenzio seguendo la scia di Squalo, poggiando il pacchetto sulla chaise-longue mentre vi passava accanto, e arrivò in salotto dove Dino, Bianchi e Lal li aspettavano seduti sul divano, tesi come delle corde di violino; persino la bambina sembrava turbata dalla reazione che lei aveva avuto quella mattina ed era chiaro che ne temessero un'altra simile. Marinette non disse nulla, incrociò le braccia al petto e attese quella che sperava fosse l'ultima batosta della giornata.
- Ok, senti - iniziò Dino, alzandosi, cercando di mantenere una calma che era palese non avesse davvero - Mi dispiace di non averti detto nulla ma Reborn voleva che ti informassimo solo quando avrebbe avuto una data precisa, non avevamo idea che ti avrebbe fatto chiamare direttamente da Tsuna - ammise con un evidente nota di disperazione nella voce, facendo trapelare tutti i sensi di colpa che provava e a Marinette un po' dispiacque di avergli lanciato lo zaino addosso.
Ma solo un po'.
- E a proposito di questo… - il ragazzo esitò, come se stesse valutando seriamente se fosse il caso di dirglielo oppure no, infine sospirò. - Tsuna non verrà qui solo per conoscerti ma anche per presenziare alle prove dei Guardiani - informò - Reborn li farà arrivare dal Giappone il mese prossimo. -
Marinette non aveva avuto alcuna aspettativa riguardo l' "altro" che doveva sapere ma mai parole furono tanto devastanti. Aveva già conosciuto alcuni dei Guardiani di Tsuna, anche se aveva scambiato con loro solo qualche parola, e (eccetto il fratello di Bianchi) erano stati molto gentili nei suoi confronti; ciò che leggeva quotidianamente nella chat della Vongola Famiglia era abbastanza preoccupante, certo, e faceva sembrare tutti degli schizzati con seri problemi emotivi però non la preoccupava doverli incontrare quanto doversi sottoporre alle loro prove di cui, tutt'ora, ignorava completamente le dinamiche.
Era solo un'altra fonte di stress che, aggiunta alla già lunga lista, era decisamente troppo da sopportare.
- E sappi che nessuno di noi era d'accordo con questa decisione - aggiunse Bianchi - Ma Reborn non ha voluto sentire ragioni. -
Saperlo non aiutava neanche un po' a digerire la faccenda ma riuscì a percepire distintamente tutto il disappunto della donna e la disperazione di Dino che la guardava con occhi supplicanti. Non era colpa loro, stavano solo eseguendo degli ordini, ma Marinette non poteva prendersela con Reborn in persona non essendo lì e si vergognò di essersi sfogata su di lui.
- Il problema è che non sappiamo quando arriverrano i ragazzi né in cosa consistono le prove - continuò Dino che sembrava intenzionato a sputare tutti i rospi che aveva in gola pur di farsi perdonare - E Reborn vuole restare qui con Tsuna, quindi dovremo trovare una sistemazione per entrambi. -
Marinette si sbagliava, poteva andare peggio eccome!
- Aspetta… qui? In casa? Tutti e due?! - sbottò incredula: dovevano letteralmente smontare il salotto ogni sera per far dormire Squalo, trovare posto per altre due persone era praticamente impossibile! - E dove? A mapalena ci abbiamo fatto entrare voi. -
- Lo sappiamo - rispose Bianchi.
- Ma di fatto è Reborn il tuo insegnante quindi deve stare vicino ad entrambi - s'intromise Lal - O viene lui qui o ti trasferisci tu alla villa, non abbiamo alternative. -
- Troveremo una soluzione, non devi preoccuparti - continuò Dino.
- Non sono preoccupata, Dino - lo interruppe lei, allo stremo - Sono solo stanca. -
E, senza aspettare oltre, si voltò ritornando nuovamente al piano di sopra. Si sedette sulla chaise-longue con un sospiro e guardò il pacchetto di velluto accanto a sé: ne aveva passate di cotte e di crude solo in quegli ultimi due mesi e il peggio doveva ancora arrivare eppure, guardando quella scatolina, non riuscì a trattenere un fremito. Qualunque cosa avrebbe dovuto affrontare non era costretta a farlo da sola e per quanto a volte potessero risultare un po' esasperanti, i ragazzi c'erano sempre per lei: erano lì al suo fianco, l'aiutavano e la supportavano come meglio potevano regalandole momenti ed esperienze che si sarebbe portata nel cuore per sempre, indipendentemente da come sarebbe finita quella storia.
Accarezzò il pacchetto di velluto e un sorriso agrodolce le increspò il viso: al di là di tutto, si rese conto che se avesse potuto tornare indietro nel tempo avrebbe rifatto le stesse identiche cose per arrivare a quel momento.
 
 
 
 
 

Angolino autrice:
Non credo di aver mai sfornato così tanti capitoli in così poco tempo ma ci avviciniamo al momento clou e sono emozionata. Non vedo l'ora di far apparire Tsuna e tutti gli altri e ho già tantissime scene in mente che fremo dalla voglia di scrivere, potrei esplodere dall'impazienza!
Ma mi ricompongo… per ora.
Ringrazio ancora una volta chiunque segua la storia, i lettori silenziosi e coloro che decidono di lasciare una recensione: sono passati cinque anni da quando ho pubblicato il primo capitolo e, tra alti e bassi, sono riuscita ad arrivare fin qui anche grazie a voi; spero di riuscire a mantenere questa costanza fino alla fine e non deludere più nessuno (me stessa in primis).
Un bacio!

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Capitolo 22
*** Una notte da incubo ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 22. Una notte da incubo
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 8.583
 
 
 
La settimana successiva fu molto bizzarra: dopo aver passato giorni a studiare la planimetria della casa e suggerire i più assurdi metodi di arredamento per far entrare un letto in più, Bianchi si era decisa a chiamare Reborn con il proprio portatile per richiedere un consulto architettonico. Al bambino era bastata una panoramica completa della camera di Marinette per dare un verdetto: "Spostate la scrivania."
La scrivania della ragazza era un colosso ad L situato proprio sotto il suo letto, scelta per essere funzionale e non sprecare troppo spazio, per spostarla sarebbe stato necessario smontarla e l'unico posto in cui ricollocarla era la parete di fronte; parete che, essendo in prossimità del tetto, era leggermente inclinata e quindi molto poco comoda. Senza contare che l'idea di condividere la camera con un perfetto sconosciuto metteva la ragazza abbastanza a disagio; anche con Dino aveva avuto qualche rimostranza ma un po' si conoscevano già quando era venuto a vivere in quella casa, Tsuna invece lo avrebbe incontrato per le prima volta da lì ad un paio di settimane e il fatto che fosse suo coetaneo rendeva il tutto solo più imbarazzante.
Non potendo avanzare proteste, che comunque sarebbero state ignorate, Marinette si arrese e li lasciò fare. Dino, più per pietà che altro, le aveva fatto scegliere il nuovo letto che sarebbe stato sistemato proprio sotto il suo, al posto della scrivania, e trovarne uno adatto ad un ragazzo ma che si abbinasse al resto dell'arredamento di un incantevole rosa confetto era stata una sfida abbastanza ardua per la designer che era in lei; alla fine ne aveva preso uno con la testiera imbottita, di un tenue verde foglia, e il cassetto sul fondo così che potesse sistemare comodamente i suoi bagagli. Reborn aveva già anticipato che avrebbe montato un'amaca da qualche parte quindi non c'era bisogno di sbattersi nel trovare spazio anche per lui, e solo in quel momento Lal l'aveva informata che, dopo l'arrivo del bambino, si sarebbe fermata solo qualche altro giorno prima di lasciare definitivamente Marinette nelle sue mani. Dopotutto, lei era solo una sostituta e la sua presenza non sarebbe stata necessaria.
Se la notizia dell'arrivo di Tsuna e dell'inizio delle prove aveva sconvolto la ragazza, l'imminente partenza della sua istruttrice l'aveva definitivamente devastata: si era seriamente affezionata a lei e, per quanto spartani potessero i suoi modi, avrebbe sentito terribilmente la sua mancanza; sentiva che un pezzo importante della sua vita l'avrebbe abbandonata e, a quel punto, Marinette non aveva voluto sapere più niente di nulla e si era chiusa in sé stessa, non lasciandosi coinvolgere neanche nei progetti di riassestamento della sua camera. Aveva liquidato il tutto con un "Fate quello che vi pare" e, dopo svariati e fallimentari tentativi di parte di Dino e Bianchi di smuoverla un po', avevano gettato la spugna e chiamato una ditta edile perché si occupasse del resto.
Per fare ciò, però, le ragazze avrebbero dovuto trasolcare temporaneamente dalla stanza e non avendo altro posto in cui stare avevano messo un po' di cose in valigia e si erano trasferite alla villa. Dino e Squalo, per solidarietà o per tenere Marinette d'occhio (non lo sapeva), le avevano seguite lasciando Tom e Sabine a supervisionare i lavori.
Sarebbero dovuti rimanere lì una settimana circa poiché, oltre a smontare e rimontare mobili, Sabine aveva approfittato della situazione anche per far ridipingere la camera e montare una nuova finestra alla botola che portava alla terrazza; Marinette aveva giurato di sentire la parola "antiproiettile" uscire dalla bocca della madre e sperava vivamente di sbagliarsi, ma con un altro Boss della mafia in giro per casa potevano davvero aspettarsi di tutto.
Così tanti cambiamenti in così poco tempo avrebbero scombussolato chiunque e, un po' per lo stress un po' per sfogare la frustrazione, la ragazza aveva preso la triste abitudine di ritagliarsi qualche minuto al giorno per piangere. Non sapeva se fosse realmente utile ma la faceva sentire meglio quel tanto che bastava per affrontare il resto della giornata, e ne aveva realmente bisogno visto che le cose a scuola non potevano andare peggio.
Alya le aveva chiesto scusa per il proprio comportamento ma l'umore di Marinette non le aveva permesso di prendere la cosa con diplomazia e aveva freddato la ragazza con un arido "Va bene", rendendo ancora più teso il loro rapporto; non le importava quanto Alya stesse provando a farsi perdonare, il modo in cui l'aveva trattata in un momento così delicato per lei era stato un colpo troppo duro e non era sicura di poterci passare sopra facilmente. Quindi era tornata punto e a capo, passando le pause pranzo e le ore studio da sola o, al massimo, in compagnia di Nino e Chloé che, grazie al cielo, avevano avuto al decenza di non farle alcun tipo di domanda personale.
Almeno finché, in uno dei suoi momenti di sfogo nel bagno delle ragazze, la porta si era aperta e Chloé era entrata con un tempismo a dir poco pessimo; disgraziatamente, Marinette se n'era accorta solo quando lei aveva aperto il cubicolo in cui si era chiusa, trovandola seduta sconsolatamente sul gabinetto a versare tutte le lacrime che poteva in quei dieci minuti di pausa.
- Buon dio… stai bene? - chiese allibita, dopo un lungo istante di silenzio. La ragazza sospirò e tirò su con il naso, chiedendosi perché tutte le sfortune capitassero proprio a lei.
- Sono un'adolescente che piange nel bagno della scuola, cosa c'è di strano? - borbottò stancamente, asciugandosi le guance con la manica della felpa.
- Sapevo che te la stavi passando male ma non credevo così tanto - ammise Chloé sconcertata e, chiaramente, non aveva idea di come comportarsi.
- Sto bene, è solo un periodo. Passerà - minimizzò anche se non ne era affatto sicura. Non era sicura di niente e piangere era l'unico modo che aveva per tranquillizzarsi. - Ti dispiace chiudere la porta, ho ancora sette minuti a disposizione - chiese ma la ragazza non si mosse.
- Invece di piangere chiusa qui dentro, dovresti prenderti del tempo per rilassarti. O sfogarti decentemente - consigliò. Marinette scrollò le spalle.
- Del tipo? - domandò riluttante, desiderosa di restare sola con il cubicolo il più presto possibile. Chloé rimase in silenzio per qualche istante, indecisa, infine sospirò con rassegnazione: - E va bene, vieni con me - decretò girando i tacchi e avviandosi verso la porta. Marinette rimase ferma lì, confusa, non capendo cosa stesse accadendo o cosa lei volesse fare.
La ragazza si voltò già con una mano sulla maniglia: - Dai, muoviti. Tanto puoi uscire quando ti pare, no? -
La corvina esitò ancora un attimo, poi mandò al diavolo il buonsenso e uscì dal cubicolo: tanto non aveva nient'altro da perdere. Si asciugò la faccia alla meglio mentre tornavano in classe a riprendere le loro cose e fortunatamente erano tutti in mensa, così che non dovesse rispondere a domande scomode; lasciò giusto una nota sul registro per segnalare la sua uscita anticipata mentre Chloé mandava un messaggio al suo autista per farsi venire a prendere.
- Tu non dici nulla? - chiese mentre scendevano le scale esterne e la ragazza rise.
- Sono la figlia del sindaco, non devo dire nulla a nessuno - rispose semplicemente e per un attimo Marinette si ricordò perché la odiasse così tanto: il suo atteggiamento snob e di superiorità era davvero irritante. Però stava cercando di aiutarla quindi decise di passarci sopra.
Cinque minuti dopo, la limousine bianca si fermò davanti a loro e salirono entrambe sul sedile posteriore dirette verso l'Hotel Palace. Non sapeva cosa dovessero fare ma, a quel punto, qualunque cosa sarebbe stata meglio del deprimersi nei bagni.
- Bene, Laurence è disponibile - squillò Chloé e Marinette si risvegliò dai suoi pensieri aggrottando le sopracciglia.
- Chi? -
- L'allenatore di pugilato. Lo sai che abbiamo una palestra in hotel - rispose mettendo via il cellulare - Nessuno potrà aiutarti meglio di lui, credimi. -
- Non vorrai farmi picchiare qualcuno, spero - esclamò sarcasticamente ma il sorrisetto che la ragazza esibì non fu per niente rassicurante.
 
 
 
- Quindi non l'ha presa bene. -
- Non l'ha presa per niente bene: mi ha lanciato addosso il suo zaino! - sospirò Dino - Te l'avevamo detto che era troppo presto. -
- Non ho avuto scelta, Dino - lo rimproverò Reborn con il tono più duro che gli avesse mai sentito usare, facendolo sussultare - Credevo che avremmo avuto almeno fino all'anno prossimo per sistemare tutto, ma il Nono vuole anticipare la cerimonia di successione e il tempo extra che ci ha concesso non basta per fare le cose con calma. Dobbiamo arrangiarci con quel che abbiamo. -
- Ma Marinette è in uno stato emotivo molto precario in questo momento, il suo incontro con Tsuna potrebbe non andare bene - azzardò il ragazzo che, nonostante ci fosse un intero continente a separarlo dal bambino, non riusciva a trattenere la paura nei suoi confronti: vedere Reborn seriamente incazzato era raro ma era chiarissimo che quel drastico cambiamento dei piani lo aveva innervosito, non voleva peggiorare il suo umore dicendo qualcosa che lo avrebbe esasperato.
- E' che ci stai a fare tu, lì? - lo incalzò lui - E' compito tuo supportarla in questi casi. -
- Ci ho provato ma non vuole sentire ragioni - sospirò Dino, ricordando tutti i tentativi che aveva fatto per tranquillizzarla o anche solo convincerla ad aprirsi un po', finiti sconsolatamente con risposte fredde e monosillabi. - Neanche Bianchi è riuscita a tranquillizzarla. Anzi, al momento l'unico che sembra avere un qualche tipo di influenza su di lei è Squalo. -
L'espressione di Reborn cambiò repentinamente e divenne così serio che un brivido gelido corse lungo la schiena del ragazzo. - Squalo è ancora lì? - domandò e sembrava quasi preoccupato da quella notizia. Dino annuì.
- Da un paio di settimane. -
- Mh. -
Qualunque cosa stesse passando per la testa di Reborn non era niente di buono, ma bastava vedere la sua reazione per capire quanto fosse poco contento della cosa. - Mi chiedo che intenzioni abbia Xanxus - mormorò pensieroso e Dino fece una smorfia.
- Xanxus non lo so, ma non credo che Squalo sia qui per conto suo - disse, gettando un'occhiata alla porta della sua camera per assicurarsi che fosse chiusa davvero. - Non so dirlo con certezza, ma sembra essersi affezionato a Marinette. In ogni caso, è stato l'unico che sia riuscito a calmarla dopo la chiamata di Tsuna. -
Dino non aveva ben chiaro che tipo di rapporto avessero quei due, ma era ovvio che Marinette tenesse in modo particolare a lui e che Squalo avesse una sostanziosa influenza emotiva su di lei; eppure non credeva che quello fosse un male anzi, data la piega che stava prendendo la faccenda, Squalo era la loro unica ancora di salvezza per impedire alla ragazza di dare di matto. Era brutto da dire, ma in un certo senso lo stavano sfruttando a sua insaputa.
Reborn sospirò: - Non so se questo sia un bene oppure no ma è meglio non abbassare la guardia. Per il momento cerca di distrarla in qualche modo, di Tsuna mi occuperò io: questo primo incontro getterà le basi del loro rapporto e se lui trova un supporto solido nel suo rifiuto di diventare boss sarà una catastrofe. -
Dino fece una smorfia: - Se Marinette dovesse impuntarsi, neanche le minacce serviranno a molto: ha la testa dura quella ragazza. -
- Ha le palle - precisò il bambino - E abbiamo bisogno che siano dalla nostra parte. -
- La fai un po' troppo facile - obbiettò il ragazzo - Non possiamo plagiarla... -
- Fate un tentativo, ricorrete a qualunque mezzo se necessario, ma tenetela buona - ordinò Reborn e il suo tono non ammetteva alcuna replica. Chiuse la chiamata lasciando Dino nello sconforto più totale.
 
 
 
 
- E' un'idea stupida. -
- Non essere negativa. Fai un tentativo almeno. -
- Non prenderò a pugni un sacco a forma di Pucca! -
Laurence guardò le due ragazze con un sorriso imbarazzato: - Quelli normali sono in manutenzione, ma il risultato è lo stesso - assicurò.
Marinette sospirò: - Il problema non è la forma - precisò - Ma l'intenzione in sé - si tolse i guanti da boxe e li ficcò in mano all'avvenente istruttore, mentre Chloé alzava gli occhi al cielo.
- Ti farà bene picchiare qualcosa - la incitò.
- L'attività fisica è il miglior modo per scaricare lo stress - rincarò Laurence - Fidati, ho preso a pugni una marea di sacchi per evitare di farlo con delle facce. -
Marinette si passò stancamente la mani sul viso, rimpiangendo amaramente di essere andata fin lì: - Non credo che sia ciò di cui ho bisogno. Quando avrò finito di picchiare Pucca, i miei problemi saranno ancora lì ad aspettarmi. -
Ed era vero, prendere a pugni quel sacco le avrebbe dato solo un sollievo temporaneo ma quando avrebbe smesso si sarebbe trovata solo più stanca di prima e senza alcuna soluzione. Sapeva esattamente di cosa aveva bisogno, solo che era semplicemente irrealizzabile, doveva arrendersi e basta.
Sentì Chloé sospirare. - E ovviamente non puoi dire quali siano questi problemi - commentò, retorica, causandole una piccola fitta allo stomaco che non seppe spiegarsi.
- No - rispose mordendosi il labbro - Non è… una cosa che riguarda solo me - aggiunse nel tentativo di giustificare il proprio silenzio, e in fondo non era una bugia: c'erano molte persone in  mezzo a quella faccenda della mafia, non avrebbe potuto spiegare niente senza metterle in mezzo tutte.
- Questioni di famiglia? - domandò Laurence apprensivo, e Marinette si sedette su una delle panche di legno annuendo con rassegnazione.
- All'incirca - ammise. Si sistemò una ciocca di capelli in un gesto nervoso e Chloé le afferrò il braccio sinistro con uno scatto, facendola sobbalzare.
- Il tuo umore è pari solo al tuo gusto in fatto di gioielli - notò sarcasticamente, guardando con aria critica il bracciale azzurro che le pendeva dal polso: non se lo toglieva più, ormai, se non per dormire e lavarsi e non le importava neanche rimuginare sul perché; teneva moltissimo a quell'oggetto e se ne curava molto più quanto avesse mai fatto con qualunque altra cosa in suo possesso, Miraculous e Anello compresi, per questo il commento acido della ragazza la infastidì molto.
- Me lo ha regalato Squalo, lo ha preso mentre era in Italia - borbottò piccata, cercando di divincolarsi dalla sua presa, e vide la ragazza inarcare le sopracciglia.
- Te lo ha dato lui? - domandò, stupita e un po' perplessa, e lo osservò più da vicino. - Perché con uno squalo? Un delfino sarebbe stato più carino. -
- Non lo so, ma è perfetto anche così - tagliò corto, scrollandosi definitivamente da lei. Chloé sembrò rimuginare su qualcosa, infine tirò fuori il telefono dalla tasca e ci armeggiò un po'; pochi istanti dopo aveva le sopracciglia così inarcate che per poco non le sfioravano l'attaccatura dei capelli.
- Oh - mormorò, come se avesse realizzato qualcosa di importante, e le lanciò uno sguardo strano.
- Cosa? - chiese Marinette, incuriosita, e lei esitò un secondo prima di mettere giù il telefono.
- Niente - disse infine, cercando di fare la vaga - Quindi, questo allenamento? - si affrettò a cambiare discorso e la ragazza si ritrovò ad assottigliare lo sguardo, sospettosa, ma prima che potesse dire qualcosa Laurence s'intromise.
- Credo che tu abbia ragione, l'attività fisica non è ciò che ti serve ora - constatò, interrompendo il flusso dei suoi pensieri - Che ne dite se, invece, non scendete alla s.p.a. e vi rilassate un po'? - suggerì - Ti aiuterà a scaricare lo stress in modo più tranquillo e alla fine ti sentirai anche riposata. -
Quella, in effetti, non era una cattiva idea. Anzi, era davvero una bella tentazione: non era mai stata in una s.p.a., per svariati motivi, e forse era davvero un buon modo per distrarsi. A Chloé s'illuminarono gli occhi.
- Questa sì che è un'ottima idea! - squillò eccitata - E' da tanto che non faccio un trattamento completo. -
Prima che Marinette potesse rispondere, l'afferrò per il braccio e la trascinò fuori dalla palestra salutando allegramente Laurence, elencando lungo tutto il tragitto i trattamenti che intendeva fare.
- Dovremmo farci anche le unghie e i capelli. Senza offesa, ma i tuoi ne hanno proprio bisogno - commentò - Magari una bella tintura, anche se solo su poche ciocche… -
Lei si lasciò guidare giù per la scale, poco badando a ciò che diceva, ma lo sguardo le cadde proprio sul polso sinistro dove il braccialetto oscillava quando la mano veniva scossa da quella di Chloé: non aveva dimenticato la scenetta di poco prima e sicuramente significava qualcosa. Forse lo aveva cercato su internet per vederne il prezzo? O controllarne i materiali? O c'era dell'altro?
Agrottò le sopracciglia e si dedicò allo charm mentre un dubbio le balenava per la mente. - Hai cercato come si dice "squalo" in italiano, vero? - domandò d'istinto e Chloé sussultò, voltandosi a guardarla, evidentemente colta in fallo ma, soprattutto, sconvolta dal fatto che lei lo avesse capito.
Non sapeva neanche lei come avesse fatto ma la sensazione era la stessa di quando aveva parlato con Squalo: sapeva esattamente cosa era successo ma non aveva idea del perché.
- Tu come…? - balbettò, stranita, e Marinette scrollò le spalle.
- Dimmelo e basta. -
Chloé si morse il labbro inferiore e fece saettare gli occhi sul pianerottolo con un po' di disagio per qualche istante. - Squalo - mormorò infine, esitante.
Lo stomaco di Marinette fece una capriola così violenta da farle male. Non sapeva se essere più scioccata dal fatto che Squalo fosse stato chiamato come un mammifero o perché gli avesse regalato un gioiello che richiamava il suo nome; forse entrambe le cose, ma almeno ora capiva perché lui se l'era presa così tanto quando lo aveva scambiato per un delfino.
Tanta era la confusione e lo stupore che non riuscì a dire neanche una parola, la mente che lavorava su quelle informazioni e Chloé che sembrava terribilmente in imbarazzo per la rivelazione.
- Non so che tipo di rapporto abbiate voi due, ma credo che per lui sei molto più importante di quanto credi - disse.
Marinette aveva sempre saputo quanto Squalo fosse importante per lei, ma non aveva mai pensato al contrario. Nonostante tutto, era sempre stata convinta che il ragazzo la sopportasse perché doveva e non perché fosse realmente interessato alla sua persona e in quel momento stava riconsiderando il loro intero rapporto. Il pensiero di avere un qualche valore per lui le causò una bizzarra sensazione alla bocca della stomaco e il braccialetto che teneva saldamente legato al polso assunse d'improvviso tutto un altro significato: Squalo ci teneva davvero a lei e aveva voluto dimostrarglielo regalandole qualcosa che le avrebbe sempre ricordato di lui.
- Non è poi così duro come vuole far credere - borbottò sarcasticamente Chloé per spezzare l'atmosfera, vedendola fissa il vuoto con sguardo vacuo. La ragazza alzò gli occhi su di lei e sbatté lentamente le palpebre.
- Neanche tu lo sei - rispose di getto, guardandola come se la vedesse per la prima volta in vita sua. Lei arrossì e d'improvviso si ritrovò davanti una Chloé dal cuore tenero, gentile, comprensiva, empatica e terribilmente impacciata se si trattava dei sentimenti altrui.
- Sì, beh, io… - balbettò - E' solo perché mi fai pena, non ti ci abituare - borbottò, lasciandole la mano e riprendendo a scendere i gradini. Una Chloé he aveva sofferto molto l'assenza della madre sin dall'infanzia e teneva alzati i suoi muri grazie ad acido sarcasmo e battutine ma che, tuttavia, cercava di ignorare le crepe che si stavano lentamente formando dinnanzi a lei.
Una Chloé che avrebbe potuto capirla e dirle schiettamente quello che pensava, senza paura di ferirla.
- I capelli li facciamo per ultimi, così non si rovina la piega nella sauna… - stava continuando a straparlare, tentando di riprendere contegno, e Marinette ci mise qualche secondo a prendere una decisione; prima che potesse ripensarci, le sue labbra si mossero da sole e la sua voce risuonò secca e apatica in quel pianerottolo deserto.
- Ho a che fare con la mafia. -
 
 
 
- Sono due ore che non risponde al cellulare. Dovremmo andare a cercarla! -
- Se ne stanno occupando Squalo e i miei uomini, non preoccuparti. La troveranno sicuramente. -
- Non è che non mi fidi ma sono ansiosa lo stesso. Si facessero almeno sentire. -
Bianchi si era incollata alla finestra del soggiorno al pian terreno da ore, ormai, con gli occhi fissi sul cancello sperando di vedere qualcuno apparire sulla sua soglia in compagnia di Marinette. Quando Roberto era tornato alla villa di fretta e furia avvertendoli che Marinette era uscita da scuola quella mattina senza avvertire nessuno era scoppiato il panico; avevano provato a chiamarla diverse volte ma il cellulare risultava sempre spento e Dino aveva mandato tutti i suoi sottoposti in giro per la città a cercarla.
Squalo si era unito alla ricerche come una furia, sbraitando che non gliel'avrebbe fatta passare liscia "quella volta" causando parecchia confusione e l'ira di Lal che pretendeva delle spiegazioni da entrambi al loro ritorno. A Dino e Bianchi non era rimasto altro che aspettare alla villa nel caso decidesse di tornare.
- Ma perché lo ha fatto? Sparire in questo modo… non è da lei - mormorò Bianchi e Dino non riuscì ad evitare una fitta di senso di colpa che lo prese alla bocca dello stomaco. Sapevano tutti benissimo quanto Marinette fosse turbata da quella faccenda di Tsuna e dei Guardiani ma evidentemente avevano preso la cosa troppo alla leggera e la ragazza aveva finito per agire in modo sconsiderato e disperato.
Avrebbe dovuto parlarle, al suo ritorno, chiarire la situazione e cercare di aiutarla il più possibile. Romario aveva preso in considerazione l'idea di chiamare la psicologa che lavorava per i Vongola per poterle fornire supporto psicologico, ma Dino preferiva tenere quell'opzione come ultimissima risorsa; dovevano provare a risolvere la questione tra di loro e in modo discreto.
- E' meglio non informare Tom e Sabine, per il momento - disse Lal con la sua solita pacatezza - Se scoprissero che abbiamo perso la loro figlia potrebbero insorgere problemi, già sono abbastanza insofferenti verso tutta questa storia. -
Bianchi sospirò e Dino guardò un ultima volta il telefono, che ancora taceva: sapeva che aveva ragione, che non potevano distruggere quel poco di fiducia che erano riusciti ad instaurare con loro (altrimenti col cavolo che avrebbero lasciato restare Marinette lì per tutto quel tempo), ma non gli piaceva l'idea di nascondere una cosa del genere.
Comunque sarebbe andata a finire, avrebbero dovuto risolvere la questione entro quella sera.
 
 
 
Quando Marinette uscì dall'albergo si sentiva una persona completamente nuova. L'ansia e il tormento dei giorni passati erano svaniti, spazzati via dal vapore della sauna e le chiacchiere isteriche di Chloé.
Le aveva raccontato tutto sin dal principio: del primo incontro con Dino e Reborn, dell'arrivo di Lal, del ruolo di Bianchi, di chi fosse Squalo in realtà, dei tentati omcidi, dei Vongola, dell'Anello, di Radi, delle Fiamme, degli Arcobaleno, di Tsuna, delle prove… tutto quanto. Aveva taciuto solo sul Miraculous, per il resto non aveva avuto freni inibitori. Aveva vomitato fuori tutto quello che si era tenuta dentro per tre mesi con un'urgenza che non credeva di avere e quando aveva finito di parlare si era sentita libera e leggera come non lo era da settimane.
La ragazza, dopo un iniziale scetticismo, si era dovuta ricredere quando Marinette le aveva mostrato le Fiamme dell'Ultimo Desiderio che riusciva a richiamare ed aveva passato una buona mezz'ora nel bagno turco per riuscire ad assimilare tutto, per poi uscirne come una furia strillando tutto il suo sconvolgimento e la sua incredulità.
Solo quando si era calmata erano riuscite a parlarne, a mollo in una vasca di fango, ed era stata una conversazione lunga e incredibilmente appagante. Tralasciando i commenti sull'aspetto di Squalo che si sposava perfettamente con il lavoro che faceva, Chloé era stata incredibilmente comprensiva e la aveva offerto tutta la sua compassione per la situazione che stava vivendo; era ancora chiaramente sconvolta ma Marinette apprezzò lo sforzo che stava facendo nel prenderla con filosofia.
Anche in quel momento, mentre si guardava furtivamente intorno come se si aspettasse di vedere un pazzoide armato di ascia sbucare dal nulla, provava a mantenere una facciata di tranquillità che, palesemente, non possedeva. - Sei sicura di voler tornare a piedi? E' buio. Lascia almeno che ti chiami un taxi - propose cercando di nascondere il suo nervosismo. Marinette scrollò le spalle.
- Non preoccuparti, la villa non è molto lontana - la tranquillizzò, sentendo il cuore scaldarsi dinnanzi alla sua preoccupazione per la propria incolumità.
- Come fai ad essere così rilassata dopo che hanno tentato di ucciderti? - domandò perplessa e confusa, guardandola come se fosse matta.
- Beh, ho Radi con me - rispose alzando la mano per mostrare l'Anello - Se dovesse accadere qualcosa so che mi aiuterà. - La verità era che sarebbe tornata alla villa solo dopo essersi trasformata in Ladybug, si sentiva più al sicuro in quel modo che in qualunque taxi della città; ma quello, ovviamente, non poteva dirglielo.
- Se lo dici tu - mormorò lei, per nulla convinta. - Fai solo attenzione. -
Marinette annuì, già immaginando ciò che avrebbe trovato al proprio rientro e quasi riuscì a sentire le mani di Lal sul proprio viso mentre la schiaffeggiava senza pietà; dovette trattenere un brivido di terrore ma orami il danno era fatto, non poteva tornare indietro.
- Quindi… quando dovrebbe arrivare questo Tsunayoshi? - chiese Chloé, titubante, e Marinette sospirò.
- Fra un paio di settimane - rispose - E non ho la più pallida idea di che cosa farò. L'idea di incontrarlo mi terrorizza, per non parlare poi dei suoi Guardiani - scosse il capo e si strinse nelle spalle - So che tutti si aspettano che questo incontro vada bene ma non credo di riuscire a reggere un confronto, men che meno mostrarmi disponibile dinnanzi a tutta questa storia. -
Non era ancora riuscita ad inquadrare Tsuna, la telefonata con lui l'aveva solo mandata in confusione, e provava un misto di curiosità e timore all'idea di parlargli faccia a faccia; alle prove non voleva neanche pensare.
- Beh, allora non farlo - consigliò la ragazza, come se fosse la cosa più naturale del mondo. - Insomma, a quanto hai detto lui non vuole essere Boss e tu non vuoi essere il suo Braccio Sinistro, ma siete entrambi costretti a farlo. Lui non ha problemi a esternare il suo disappunto, quindi neanche tu dovresti farlo. -
Marinette inarcò le sopracciglia e si rese conto che, sì, era vero: Tsuna non perdeva occasione per dire quanto detestasse essere costretto in quel ruolo, allora perché lei si sentiva in dovere di fingere che andasse tutto bene? Perché doveva imporsi qualcosa che non voleva con qualcuno che la pensava essattamente come lei?
Sul suo viso si aprì un espressione di consapevolezza e Chloé incrociò le braccia, compiaciuta: - Comportati normalmente, sii gentile e tutte quelle cose smielate tipiche di te… - continuò, agitando la mano - Sarà pur sempre tuo ospite, quindi trattalo come tale e finisce qui, poi avrete tutto il tempo di consolarvi a vicenda sul resto. E hai ancora tutti quei tizi fuori di testa al tuo fianco che sembrano disposti a tutto per aiutarti. Starai alla grande. -
Marinette rimase riflettere su quella possibilità per qualche istante, poi alzò gli occhi su di lei e aggrottò le sopracciglia: - Dovresti tirare fuori questi consigli più spesso, sai? Potresti aiutare un sacco di persone. -
Chloé arrossì furiosamente e distolse lo sguardo: - Beh… r-ritieniti fortunata, allora, perché sei l'unica a cui mi degno di dispensare la mia saggezza - balbettò e Marinette rise di cuore.
- Allora da oggi sarai la mia consulente personale, tieni il cellulare sempre acceso - scherzò.
Chloé fece per ribattere ma, in quell'istante, una macchina nera si fermò di colpo accanto al marciapiede, con uno stridio acuto, e due uomini uscirono di fretta e furia da essa. Uno era un preocupatissimo Roberto, l'altro un incazzatissimo Squalo.
- Oh - fu tutto quello che riuscì ad esalare Marinette prima che si avventassero su di lei.
- Signorina Cheng! - Roberto l'afferrò per le spalle e la osservò rapidamente da tutte le angolazioni - Sta bene? -
- Sei una testa di cazzo! - sbraitò Squalo, fuori di sé.
- Dove è stata? Perché non ha avvisato che lasciava l'istituto? - continuò l'uomo, ignorando le ingiurie del ragazzo.
- E' la seconda volta che fai una cazzata del genere, ti avevo avvisato che non ti avrei coperta di nuovo! -
- Il Boss e la signorina Bianchi erano molto preoccupati. -
- La mocciosa ti aprirà il culo e non aspettarti che io ti difenda! -
- Li avverto che l'abbiamo trovata. -
- Cavallone ha mobilitato tutti suoi dannati sottoposti per cercarti! A che cosa cazzo stavi pensando?! -
- Sì, è qui e sta bene. La riporto subito indietro. -
- Potevi almeno mandarlo un fottuto messaggio. Ringrazia solo che nessuno abbia cercato di ammazzarti! -
Se Chloé era rimasta a fissare senza parole la sfuriata di Squalo, Marinette era totalmente impassibile. Certo, le dispiaceva aver creato scompiglio, ma dopo il pomeriggio che aveva passato niente avrebbe potuto scalfire il suo umore, neanche le urla di Squalo o la consapevolezza di prenderle da Lal.
Era rilassata, pofumava di fiori di lavanda e incenso, i suoi cpaelli erano stupendi, aveva una manicure perfetta e un'amica fidata con cui sfogare tutte le proprie frustrazioni davanti un bicchiere di succo tropicale. Per la prima volta in tre mesi, Marinette stava bene sia fisicamente che psicologicamente, e ne era così sollevata da non badare neanche a tutto ciò che sarebbe accaduto di lì in poi: sentiva di aver ritrovato la positività e la determinazione che l'aveva sempre contraddistinta ed era certa di poter affrontare qualunque cosa le riservasse il futuro.
- Mi dispiace - rispose, tranquillamente, e in un moto di tenerezza li abbracciò entrambi aggrappandosi alle loro spalle. - Vi voglio bene, ragazzi - mormorò, poco badando alle loro espressioni confuse e stordite: Roberto aveva ancora il telefono a mezz'aria e Squalo si era bloccato mentre inveiva per l'ennesima volta, non capendo cosa stesse succedendo. Marinette apprezzava la cura e la preoccupazione che avevano per lei e, anche se la loro presenza lì era un dovere, sapeva che erano sinceri.
Li lasciò andare, salutò allegramente Chloé e si diresse in macchina fischiettando, lasciandoli tutti e tre sul marciapiede a fissarsi come se avessero appena assistito all'atterragio di un'astronave aliena a forma di caramella. Era perfettamente consapevole di averli disorientati con il proprio comportamento ma non importava: era felice e tranquilla e avrebbe vissuto ogni sfida al meglio della sua capacità, avrebbe accolto Tsuna nel migliore dei modi e dato tutta sé stessa nelle prove dei suoi Guardiani.
Niente, a quel punto, avrebbe potuto fermarla. Niente.
 
 
Al rientro, Bianchi le aveva fatto una ramanzina con i fiocchi mentre Dino aveva cercato di essere il più comprensivo e delicato possibile; Squalo e Roberto non avevano più detto una parola da quando erano saliti in macchina, ancora sconvolti da ciò che era accaduto fuori l'hotel, e Lal (a dispetto di quanto credessero) non le aveva tirato dietro neanche una gomma per cancellare, limitandosi ad ordinarle uno sterile: "Vai in camera tua" appena Bianchi aveva finito di sfogarsi. Alla fine se l'era cavata solo con una settimana di punizione nel quale aveva dovuto lavare i piatti di tutti ad ogni pranzo e cena ma non si era lamentata dato che avrebbe potuto andarle molto peggio. Il suo cambiamento, però, era saltato agli occhi di tutti sin da subito: era tornata allegra, attiva, coinvolta in qualunque cosa le proponessero tanto da riprendere di buon grado le lezioni di scherma con Squalo che seguiva molto meno svogliatamente di prima. Era tornata la Marinette di una volta e il motivo sembrava non interessarli particolarmente, erano solo sollevati della cosa.
Aveva quindi iniziato a prepararsi ad accogliere Tsuna come meglio poteva, aumentando le ore di studio di giapponese e usandole come scusa per passare più tempo con Chloé che sembrava più che orgogliosa di condividere la sua abilità linguistica con qualcuno. Sapere che Marinette le aveva spifferato tutto non aveva reso Lal molto contenta, e men che meno Reborn, ma dal momento che la sua presenza sembrava avere un'influenza positiva su di lei avevano deciso di lasciar correre a patto che Chloé tenesse la bocca chiusa (e di certo lei non se l'era fatto ripetere due volte).
Andava tutto nel migliore dei modi. Almeno, fino a quella sera.
Dopo aver lavato la montagna di piatti deposti nel lavello, Marinette si era ritirata in camera propria con l'obbiettivo di preparare lo zaino per il giorno dopo e andare subito a dormire visto com'era tardi. La sua routine non aveva subito particolari variazioni dato che ancora non usciva di casa se non per andare a scuola o all'Hotel da Chloé, ma in quel momento non sentiva alcun bisogno di riprendere alcune vecchie abitudini; le interazioni con Alya erano ancora piuttosto fredde, si parlavano occasionalmente e di argomenti di poco conto, mentre con Nino il rapporto era più solido che mai e ad Adrien quasi non pensava più. Aveva cose più importanti a cui pensare e l'arrivo di Tsuna era in cima alla lista delle sue priorità in quel momento, insieme ai preparativi per le prove dei Guardiani. Non aveva ancora idea in cosa consistessero, ma stava allenando il suo fisico il più possibile nel caso avesse dovuto affrontarli in battaglia; Radi si era quasi commosso quando gli aveva chiesto di insegnarle qualche stile di combattimento e passavano molto tempo nel seminterrato ad esercitarsi in diverse tecniche difensive e offensive, che le ritornavano molto utili anche quando affrontava gli akumizzati nelle vesti di Ladybug.
Aveva tutto assolutamente sotto controllo e sperava che non ci fossero più imprevisti di alcun tipo a scombussolarle l'esistenza.
Posò l'anello e il bracciale sul comodino e s'infilò sotto le coperte con un sospiro stanco, decisa a godersi una notte di meritato riposo anche se aveva sforato di molto l'ora di andare a dormire. La villa era immersa nel silenzio e le fu facile sprofondare rapidamente in un sonno tranquillo, salvo essere svegliata bruscamente poche ore dopo da un rumore sordo proveniente da uno dei piani superiori.
Si era alzata di scatto, il cuore che batteva furiosamente nel petto e le orecchie tese al più piccolo suono che non tardò ad arrivare: un cigolio sinistro risuonò tra le mure poi tacque. Per lunghi minuti udì solo il suono del cuore che le pulsava nelle orecchie poi il rumore di qualcosa che strisciava sul pavimento la fece trasalire, spingendola a saltare giù dal letto. Afferrò l'anello e si precipitò fuori dalla camera, raggiungendo la penultima porta in fondo al corridoio, entrando rapidamente senza neanche premurarsi di bussare.
La stanza era immersa nel buio con solo la lieve luce della luna a dare dei contorni agli oggetti e permetterle di orientarsi; Squalo dormiva tranquillamente nel letto, il suo respiro si udiva appena e da quella posizione era solo una figura longilinea avvolta dalle lenzuola. Si avvicinò in punta di piedi, sperando che non tentasse di ammazzarla, e per un fugace attimo si rese conto che avrebbe potuto andare in qualunque altra camera tra quelle vicino alla sua (come quella di Dino, di Lal, di Bianchi o di Roberto) e invece si era spinta fino alla fine del lungo corridoio ben sapendo chi ci fosse dietro quella porta.
Aveva scelto Squalo istintivamente, era corsa da lui guidata dal panico e dall'ansia, e decise di non volersi soffermare sulla motivazione.
- Squalo - sussurrò, scuotendo leggermente la sua spalla - Squalo, svegliati! -
Il ragazzo mugugnò un momento prima di essere scosso da un sussulto e alzare di scatto la testa dal cuscino, afferrando rapidamente la spada poggiata accanto al proprio letto. - Chi sta morendo? - domandò di getto con la voce impastata dal sonno e Marinette dovette fare un passo indietro per evitare la lama affilata. Si schiarì la voce, un po' sconcertata da quell'uscita.
- Nessuno sta morendo - rispose come se fosse ovvio, e Squalo si strofinò gli occhi ancora stordito. Una volta appurato che fosse lei, mise giù la spada e si tirò a sedere con uno sbadiglio.
- Allora che ci fai quì? -
- Ho sentito dei rumori strani venire dai piani superiori - informò - E se fosse entrato qualcuno? - si rigirò l'anello tra le dita senza nascondere l'agitazione, ma Squalo si limitò a grattarsi distrattamente il collo.
- Sarebbe passato prima di qua invece che dal quinto piano - notò sarcasticamente - E con tutta la gente che c'è qui dentro qualcuno sarà già andato a controllare. Torna a letto - concluse, riabbandonandosi sul cuscino e dandole le spalle.
Marinette invidiò la sua calma ma si sentì anche un po' offesa dal fatto che minimizzasse in quel modo le sue ansie: aveva sentito davvero quei rumori inquietanti e non le sembrava di udire anche solo uno scricchiolio che facesse intendere che qualcun altro si fosse svegliato per controllare. E di sicuro non voleva tornare in camera sua.
- Posso restare? - uscì come una domanda innocente ma la nota ansiosa nella sua voce non era sfuggita a nessuno dei due; sebbene fosse abitutata a dormire da sola sin da bambina, si sentiva a disagio in casa d'altri figurarsi in una villa grande e piena di rumori molesti. In quell'atmosfera cupa non negò a sé stessa di avere decisamente paura.
Squalo aprì lentamente gli occhi e fissò il buio dinnanzi a sé per un lungo istante, infine sospirò e si rigirò per lasciare libero quel lato del letto. - Basta che mi lasci dormire - acconsentì.
Marinette annuì e salì sul materasso, stupendosi da sola della naturalezza con cui stava prendendo la cosa: la sola idea di condividere il letto con un ragazzo, di norma, l'avrebbe fatta morire d'imbarazzo… ma, in quel momento, il fatto che Squalo le avesse permesso di restare la faceva sentire tranquilla e sollevata.
Cosa che, effettivamente, la straniva un po'.
- Grazie - mormorò raggomitolandosi sotto le lenzuola, godendosi il tepore che il suo corpo aveva lasciato in quel punto. In risposta ricevette un assonnato "Mmh" e chiuse gli occhi, cercando di riaddormentarsi.
Neanche mezz'ora dopo, un tonfo sordo risuonò tra le mura della villa facendoli svegliare entrambi di soprassalato.
- Lo hai sentito anche tu? - chiese Marinette, in preda al panico, afferrando l'anello che aveva poggiato sul comodino. Squalo saltò giù dal letto gettando all'aria le coperte, d'un tratto sveglio e vigile.
- Voooi! Lo avrebbe sentito anche un sordo! - sbottò, fiondandosi dall'altro lato per afferrare la spada.
- Te lo avevo detto che avevo sentito qualcosa! - gli rinfacciò lei, accendendo la luce nella stanza e trovandolo ad infilarsi velocemente una canottiera.
Solitamente, quando dormiva nel salotto di casa, usava sempre un pigiama o una tuta (sebbene decisamente fuori stagione) ma da quando aveva una stanza personale faceva a meno delle maglie; non che l'avesse stupita più di tanto visto che lamentava spesso il caldo notturno e trovava scomodo coprirsi eccessivamente. Questo lei lo sapeva bene e di certo non si scandalizzava nel vederlo a torso nudo (non dopo aver visto di peggio), però forse infilarsi nel suo letto non era stata proprio un'idea geniale.
- Resta qui - ordinò Squalo, facendola trasalire, avviandosi verso la porta mentre si allacciava la spada alla protesi.
- Non voglio restare qui da sola! - protestò, schizzando giù dal letto. - I film horror non ti hanno insegnato che quelli che si separano sono i primi a morire? -
- Ora stai esagerando - notò lui, uscendo nel corridoio. Marinette gli restò dietro, camminando il più silenziosamente possibile, guardandosi intorno con nervosismo. - Al massimo sarà qualcuno che ha cercato di infilarsi in casa. O quell'idiota di Dino. -
Nonostante le sue parole noncuranti, però, teneva la spada in posizione difensiva e aveva tutti i sensi in allerta; evidentemente anche lui sondava la possibilità che ci fosse qualcosa di pericoloso in giro per la villa.
Avanzarono nei corridoi bui con passo felpato, salendo un piano dietro l'altro: Squalo era incredibilmente silenzioso e si muoveva senza problemi anche al buio, quasi avesse la visione notturna. Marinette respirava a stento per paura di farsi sentire mentre lui avanzava come se stesse facendo una passeggiata senza emettere un solo fruscio: se non lo avesse avuto davanti agli occhi, avrebbe creduto di essere completamente sola.
Un suono di passi lo fece fermare di colpo e lei gli andò a sbattere contro, soffocando un gemito di dolore con la mano: con i vestiti si notava poco, ma Squalo aveva un sostanzioso strato di muscoli sul busto che erano incredibilmente duri e il naso di Marinette ne era appena diventato un testimone più che affidabile.
- Sh! - la zittì, alzando la spada e affacciandosi di poco oltre l'angolo del corridoio.
Marinette non si mosse, sentendo i passi avvicinarsi, e si attaccò ancora di più al muro nascondendosi dietro di lui. Ebbe il tempo di vedere un'ombra oltrepassarli che Squalo era già scattato in avanti, tirando un fendente così rapido che si udì solo il fruscio metallico prodotto dalla spada mentre sferzava l'aria.
L'ombra trasalì e scattò indietro, scivolando e finendo col sedere sul pavimento. E a quel punto entrambi avevano capito chi fosse.
- Porca puttana, Dino! - sbraitò Squalo, mettendo giù l'arma - Mi hai fatto prendere un colpo! -
- Io?! - sbottò il ragazzo, incredulo e indignato - Mi hai quasi staccato la testa! -
Marinette cercò a tentoni l'interruttore sulla parete e quando finalmente accese la luce rimasero tutti accecati per qualche istante. Dino si alzò in piedi, spazzolandosi il pigiama, e Squalo si rilassò definitivamente abbandonando la spada lungo il fianco.
- Si può sapere che stavi combinando di là? - domandò, innservosito per essere stato svegliato dai suoi rumori molesti.
- Ero andato a controllare da dove venivano quei rumori di prima - borbottò lui, chiaramente ancora stizzito dall'agguato.
Squalo aggrottò le sopracciglia e Marinette si voltò di scatto verso di lui: - Aspetta… non sei stato tu? -
- Certo che no - rispose lui, confuso - Mi sono svegliato poco fa perché ho sentito un tonfo e sono salito a controllare. Me ne stavo andando quando siete sbucati voi.-
Squalo e Marinette si scambiarono un'occhiata perplessa: se non era stato Dino, allora cosa aveva provocato quei rumori?
Proprio mentre quella domanda affiorava nella mente di entrambi, un altro suono molesto arrivò dal fondo del corridoio facendoli sussultare tutti. Scese un gelido silenzio che Dino ruppe solo dopo aver deglutito rigidamente.
- Non c'era niente di là, ho appena controllato. -
- E se fosse un topo? - chiese Marinette, agitata, decisa più che mai a dare una spiegazione logica e meno inquietante possibile a tutta quella faccenda.
- Può darsi - rispose Dino, visibilmente speranzoso.
- Se non c'è niente allora andiamocene, sarà entrato qualche animale - tagliò corto Squalo che, d'un tratto, sembrava desideroso di andarsene il più in fretta possibile da lì.
Ma nessuno di loro si mosse, fissando la fine di quel corridoio buio come se si aspettassero di vederne uscire qualcosa all'improvviso.
- Dovremmo andare a controllare? - domandò Marinette, dopo un lungo istante di silenzio.
- No - rispose Squalo, secco.
- Però… - Dino provò a dire qualcosa ma sobbalzò quando udì il cigolio di una porta.
- Gli animali non aprono le porte - constatò lei e Squalo deglutì.
- Ok, andiamo - acconsentì, dopo un momento di esitazione - Ma se non troviamo nulla ce ne torniamo a dormire - sancì.
Un po' vigliaccamente, Marinette aspettò che i due avanzassero prima di seguirli a distanza ravvicinata: aveva una brutta sensazione addosso e non smetteva di guardarsi alle spalle.
Sento qualcosa di strano.
Strillò, totalmente colta alla sprovvista, facendo un salto da terra: non si aspettava che Radi parlasse visto che, fino a quel momento, era rimasto nel più assoluto silenzio. Non aveva neanche sentito la sua presenza e quell'uscita improvvisa l'aveva spaventata. Squalo e Dino sussultarono e si voltarono di scatto, pallidi come lenzuola, solo per trovarsi davanti un Marinette sul procinto di avere un infarto.
- Che è successo?! - balbettò Dino, facendo uno sforzo enorme per cercare di mantenere un contegno.
- R-Radi ha parlato di punto in bianco… - balbettò lei, tremante - Mi ha fatto prendere un colpo - ammise massaggiandosi il petto.
Scusa, piccola.
Squalo si rilassò e mise giù la spada, passandosi una mano tra i capelli. - Mi ucciderete così. -
Comunque, avverto una presenza venire da questo lato della villa, continuò Radi facendola raggelare sul tappeto. Siamo giù stati qui, ma è la prima volta che la sento.
L'espressione di Marinette non doveva essere delle migliori visto che entrambi i ragazzi si allarmarono. - Che succede? - chiese Dino e lei non sapeva proprio come dirlo.
Deglutì e alzò gli occhi su di loro: - Dice di sentire una presenza. -
Un gelido silenzio calò su tutti e tre che si scambiarono occhiate preoccupare e, sì, spaventate. - Che genere di presenza? - domandò Squalo a bassa voce, tradendo un po' di agitazione.
Radi parlò dopo un lungo istante. Non lo so ma sembra piuttosto ostile, rispose, Non siamo i benvenuti.
Un brivido gelido le corse lungo la schiena e si strinse nelle spalle mentre l'ansia sui volti dei ragazzi aumentò notevolmente: - Non lo sa ma… è ostile - ripeté - Non ci vuole qui. -
L'atmosfera divenne tesa e un pensiero balenò per la mente di tutti quasi nello stesso istante. Subito dopo, Squalo si voltò verso Dino ed ebbe il coraggio di esternarlo.
- Se hai comprato una cazzo di villa infestata, giuro che ti ammazzo. -
Dino trasalì e sgranò gli occhi: - E' impossibile! Non c'era scritto niente del genere nel contratto! -
- Vooooi! Perché, secondo te le scrivono nel contratto queste cose?! -
- Ma i miei uomini sono qui da settimane e non hanno mai detto niente! -
- Forse non se ne sono proprio accorti, idiota! -
- Però spiegherebbe perché il proprietario aveva così fretta di venderla… -
- E CI PENSI SOLO ORA?! -
Marinette, torna di sotto, esclamò Radi d'un tratto con un tono che non le piacque neanche un po'. Stiamo interferendo con qualcosa di pericoloso.
- Interferendo? - mormorò, stavolta confusa, facendoli ammutolire di colpo.
Qualunque cosa sia, sta facendo qualcosa e non vuole essere disturbato.
Un attimo dopo una porta sbatté con violenza facendoli sobbalzare tutti. Fissarono il fondo del corridoio per un lungo istante, infine Squalo si staccò la spada e la lasciò cadere per terra.
- Ora basta, la cosa è diventata ridicola! - sbottò, avanzando a passo di marcia. Dino sgranò gli occhi.
- Dove stai andando?! -
- A mettere fine a questa buffonata, così potrò tornare a dormire! -
- Squalo, no! Ce ne dobbiamo andare! - lo richiamò Marinette ma lui la ignorò.
Lei e Dino si scambiarono un'occhiata, infine gli corsero dietro.
Squalo aprì la porta di una camera e accese la luce quasi con rabbia, ma dentro era tutto normale: non c'era nulla che non andava, era un piccolo salottino vicino ad un bagno con tutti i mobili e gli oggetti ancora al loro posto.
- Non c'è un cazzo di niente, qui - sbottò, guardandosi intorno.
- Allora ce ne possiamo andare - continuò Dino, porgendogli con urgenza la spada che aveva raccolto da terra, spingendolo ad andarsene.
Un brivido sorprese Marinette da capo a piedi che voltò istintivamente lo sguardo verso il fondo del corridoio: c'era una porta chiusa, piccola e scolorita, che a malapena si vedeva grazie alla luce proveniente dalla stanza. Era uno sgabuzzino, lo stesso nel quale si era nascosta per telefonare a Dino quando aveva pulito la villa insieme ad Adrien.
Solo che, in quel momento, guardarlo le provocava una sensazione di ansia e malessere senza precedenti. Avvertiva qualcosa, lì dentro, che le metteva un agitazione terribile addosso: la spingeva ad allontanarsi ma, allo stesso tempo, l'attirava come una calamita.
Non mi piace, mormorò Radi, Non mi piace per niente.
Quasi senza rendersene conto, avanzò lentamente verso di essa ignorando il battibecco di Squalo e Dino dietro di lei. Più si avvicinava alla porta e più sentiva un flebile rumore, come dell'acqua che gocciolava su un ripiano di plastica.
Abbassò lo sguardo e vide del liquido scuro uscire da sotto la fessura della porta e si fermò di colpo mentre la macchia si allargava a velocità spaventosa. La maniglia cigolò e, sotto il suo sguardo agghiacciato, si abbassò lentamente e la porta si aprì con un fruscio.
Un attimo dopo il corpo di una donna cadde in avanti, gli occhi sbarrati, il volto, i capelli e l'asciugamano che la copriva impastati di sangue.
Marinette urlò con tutto il fiato che aveva in gola e fece un balzo indietro, ma quando la donna sfiorò il pavimento scomparve nel nulla, lasciando solo uno sgabuzzino vuoto e del sangue secco sul tappeto.
Rimase a fissare quel sangue atterrita, disorientata e terrorizzata, per qualche istante; poi Squalo la tirò indietro per il braccio, la prese per la vita e schizzò via a velocità sovrumana con alle calcagna un Dino talmente pallido che sembrava un cadavere che correva.
Si fermarono solo quando arrivarono nel salotto principale, dopo aver messo cinque piani di distanza tra loro e quello sgabuzzino.
- Q-quello… quello era… era davvero… non ci credo… lo avete visto anche voi? - Dino balbettava frasi incoerenti, reggendosi alla spalliera del divano con le gambe che tremavano violentemente. Squalo aveva le labbra strette e sembrava sia incazzato che incredulo, ma teneva stretto a sé la ragazza in modo quasi doloroso. Marinette temeva che se avesse aperto bocca avrebbe vomitato e si stringeva convulsamente alla sua canottiera, tremando.
- Una cazzo… di villa… infestata… - ringhiò lo spadaccino, affondando le dita nel suo fianco -E nessuno se n'è mai accorto. -
- Non ci voglio credere. Mi sento male - continuò Dino, che quasi sembrava non sentirlo.
- C'era un cazzo di cadavere in quello sgabuzzino e nessuno se n'è accorto. -
- E io ci sono anche entrata lì dentro… -
- Ecco perché voleva darla via così in fretta, ma perché non ho capito subito che c'era la fregatura… -
- Un fottuto fantasma, porca puttana, E NESSUNO SE N'E' ACCORTO! -
- Voglio tornare a casa - mormorò Marinette mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
- Si può sapere che succede, qui? -
Tutti e tre saltarono urlando, facendo sussultare Bianchi ferma sulla porta che li fissava attonita.
- Ma che cavolo vi prende? - domandò, confusa dal loro comportamento.
Sfiniti e tremanti, si abbandonarono sul divano e il primo a dire qualcosa fu Dino, che balbettò un poco coerente: - Fantasma… di sopra… sgabuzzino… domani metto in vendita. -
Nessuno di loro chiuse occhio, quella notte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo della cosa:
bene, ci siamo. Nel prossimo capitolo apparirà Tsuna e sono così euforica che non riesco a trattenermi. Muoio dalla voglia di scrivere quella scena sin da quando ho iniziato questa storia e le mie dita fremono dall'impazienza e dall'emozione: sono ELETTRIZZATA.
Ringrazio come sempre tutti quelli che leggono, seguono e recensiscono questa storia: vi voglio un bene immane, sul serio, e spero di non deludere le vostre aspettative. Almeno ora riesco a pubblicare più frequentemente avendo ripreso il ritmo e ne sono molto orgogliosa.
Grazie a tutti voi, davvero.
D'ora in poi le cose saranno sempre più assurde, quindi preparatevi a tutto (credo di averlo fatto bene intendere anche alla fine di questo capitolo lol) e noi ci vediamo al prossimo capitolo con: Ancora il bambino venuto dall'Italia.
Baci

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Capitolo 23
*** Ancora il bambino venuto dall'Italia ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 23. Ancora il bambino venuto dall'Italia
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 4.433

 
 
 
 
 
Ci vollero molte tazze di camomilla per calmarli ma la parte più difficile fu affidata a Romario, incaricato di spiegare all'allegro trio che tutti gli abitanti di quella villa sapevano perfettamente della donna morta nello sgabuzzino ma non avevano voluto dire niente per non spaventarli. Almeno una volta alla settimana sentivano quei rumori e quasi tutti avevano assistito alla stessa scena ma non era mai accaduto nient'altro, nessun episodio paranormale, niente oggetti che si spostavano o porte che si aprivano da sole: al di fuori di quelle fatidiche notti, era una casa normalissima.
Squalo si era incazzato parecchio ma Marinette si era sentita quasi sollevata nel saperlo, sebbene fosse ancora molto turbata da ciò che aveva visto; Dino ci aveva messo un po' di più a tranquillizzarsi ma alla fine aveva accantonato l'idea di vendere la villa ed erano tornati ad una parvenza di normalità per i giorni restanti, prima di tornare a casa di Marinette.
Dal canto suo, la ragazza ci aveva messo un po' ad abituarsi al nuovo arredamento della sua stanza e qualche volta faceva ancora confusione (il che era un problema se doveva muoversi al buio), ma sapeva che il peggio sarebbe giunto con l'arrivo di Tsuna quindi non si lamentò.
- Beh, alla fine è carina - disse Tikki, guardandola sbuffare mentre si dirigeva verso il letto e fare dietrofront per puntare alla scrivania.
- Ma è difficile togliersi delle abitudini vecchie di anni - borbottò lei, aprendo il cassetto per mettere a posto le forbici.
- Le abitudini si possono sostituire, basta solo crearne di nuove - fece notare Squalo, sfogliando distrattamente una rivista di abbigliamento seduto sulla chaise-longue.
- E questo lo dici dall'alto dei tuoi ventidue anni di saggezza, presumo - commentò sarcastica, cercando il filo giallo.
- Ovviamente - replicò lui, girando pagina - E comunque sono ventitrè - la corresse.
Marinette smise di scavare nel cassetto e si voltò di scatto verso di lui, aggrottando le sopracciglia, con la sensazione di essersi persa qualcosa di importante: - Avevi detto di averne ventidue quando ci siamo conosciuti - ricordò, credendo di aver capito male per tutto quel tempo.
- Ma nel frattempo sono diventati ventitré - rispose Squalo, indifferente.
Lei abbandonò definitivamente la sua ricerca drizzando la schiena: - E quando?! -
Lui alzò gli occhi dalla rivista, pensieroso: - La settimana scorsa. -
- Cosa?! - sbraitò lei, incredula e sconvolta - Perché non lo hai detto?! -
Non poteva credere che fosse stato il suo compleanno e lei non ne aveva saputo assolutamente nulla, era assurdo. Avevano festeggiato il compleanno di Dino a febbraio e aveva dato per scontato che avrebbero festeggiato quello di Squalo, una volta arrivato il momento, invece nessuno l'aveva informata; nemmeno lui.
- Perché non mi interessa - rispose semplicemente il ragazzo, tornando a leggere - Mi serve giusto per tenere il conto degli anni, il resto è irrilevante. Già mi secca abbastanza che Lussuria cerchi di rifilarmi una festa ogni anno. -
Marinette fece una smorfia e non si premurò neanche di nascondere la delusione: aveva sperato di fargli una festa a sorpresa, con tanto di torta e regali, ma se Squalo decideva di non voler fare qualcosa niente poteva smuoverlo, soprattutto se c'era già qualcuno che provava da anni a fargli festeggiare il suo compleanno senza alcun successo. No, decisamente non avrebbe gradito anzi, probabilmente si sarebbe solo incazzato.
- Beh, potevi dirlo. Almeno per gli auguri - insistette, decisa a scoprire il giorno esatto. - E quando è stato di preciso? -
Squalo sospirò, seccato, ma si arrese abbastanza velocemente: - Il 13. -
Tredici marzo. Marinette si appuntò la data mentalmente per il prossimo anno e, fu solo in quel momento, che si fece un rapido calcolo. - Oh… sei nato nell'anno della tigre - constatò, non troppo sorpresa, e lo vide inarcare le sopracciglia.
- Non credevo seguissi il calendario cinese - ammise, sinceramente stupito: conosceva le origini di Sabine, ma Marinette era nata e cresciuta in Francia e non sembrava molto preparata su ciò che riguardava la Cina (aveva anche iniziato a studiare da poco la lingua); aveva dato per scontato che fosse più "europea" che "asiatica".
Lei alzò le spalle: - Mamma non simpatizza con lo zodiaco tropicale - ammise divertita.
- E quando sei nata, tu? - chiese, come se si fosse reso conto solo in quell'istante di non averle mai chiesto la data di nascita.
- Ventidue agosto. -
- Anno del serpente. Ti si addice. -
- Non ti credevo così informato. -
- Ho viaggiato molto in Asia e trovo il capodanno cinese e quello giapponese molto interessanti. -
- In Italia non lo è? -
- Non particolarmente: solo tanta gente che fa casino per strada - ammise seccato - Quando vincemmo i mondiali di calcio s'impegnarono di più. -
Marinette non riuscì a trattenere una risata: non le piaceva ficcanasare, ma avrebbe voluto chiedere come organizzassero le festività nei Varia o se tornassero dalle proprie famiglie… sempre ammesso che ne avessero una. Squalo non aveva mai accennato a genitori, fratelli, sorelle o cugini; una sola volta aveva parlato del padre ma non aveva detto cosa era accaduto dopo la sua partenza dall'Italia. Immaginava che il discorso fosse delicato o che lui semplicemente non volesse parlarne, ma la curiosità era tanta: di Squalo si potevano dire molte cose, ma non che non fosse una persona interessante.
- Suppongo che tu non faccia parte di quel casino - buttò lì, cautamente, onde evitare di allargarsi troppo. Squalo scrollò le spalle.
- Ovviamente. Di solito ceniamo in salone e poi aspettiamo la mezzanotte per brindare - rispose - Lussuria mette ogni anno il concerto di capodanno sul maxischermo. Almeno non ci ammazziamo di noia. -
- Oh, quindi restate con la squadra - notò, stupita e incuriosita - Nessuno di voi lo passa in famiglia? Non avete le ferie? - si lasciò sfuggire ma se ne pentì quasi subito: c'erano alcuni argomenti di cui Squalo non amava parlare e, sopra ogni altra cosa, detestava gli interrogatori; Marinette sapeva che si stavano addentrando in una zona pericolosa.
Lui, di fatti, sembrò infastidito da quelle domande e tornò a sfogliare la rivista: - Abbiamo un tot di giorni feriali all'anno - rispose a labbra strette - Possiamo chiederne altri di congedo, ma devono essere approvati dal Boss. E no, nessuno di noi torna a casa. -
- Oh - Marinette colse il campanello di allarme e capì di dover chiudere la conversazione lì, ma Tikki non fu altrettanto acuta.
- Perché? - domandò innocentemente.
Zona rossa. Zona rossa!
Marinette cercò di farle segno con lo sguardo di lasciar perdere, ma Squalo fu più veloce e rispose senza nascondere l'irritazione: - Perché Xanxus ha cercato di uccidere il Nono due volte, Bel ha ammazzato tutta la sua famiglia anni fa, i genitori di Lussuria si vergognano di lui, quelli di Mammon ormai saranno decrepiti e di Levi non frega niente a nessuno - tagliò corto.
A quel punto, anche Tikki colse l'antifona e tacque mentre Marinette ingoiò a forza il "E tu?" che le era salito alla gola: l'argomento "famiglia" era chiaramente uno di quelli taboo e si ricordò di non nominarlo dinnanzi agli altri ufficiali, semmai li avesse conosciuti.
Si schiarì la voce e cercò di sviare l'argomento: - Beh, dovrai scalarti parecchie ferie con tutto il tempo che hai passato qui - esclamò con il tono più leggero che le riuscì, tornando a concentrarsi sul proprio cassetto.
- Con tutti i giorni che ho accumulato non è certo un problema - rispose Squalo, rilassandosi un po'. Marinette trovò il filo di cotone e si sedette alla scrivania, mordendosi la lingua per impedirsi di fare altre domande, prestando la propria totale attenzione alla trousse che doveva ricamare. Il mese successivo sarebbe stato il compleanno di Chloé e, visto il loro rinnovato rapporto, le aveva già preparato un regalo; e cosa dare a qualcuno che ha già tutto quello che si può desiderare se non un lavoro artigianale?
Aveva visto la trousse che lasciava nell'armadietto scolastico e, sebbene fosse un Dolce e Gabbana, era decisamente datato e usurato dal tempo: evidentemente lo lasciava lì per le emergenze prestandogli poca attenzione, altrimenti era raro vedere Chloé avere qualcosa di vecchio o obsoleto. Per questo aveva deciso di cucirne una nuova, con un motivo trapuntato che non passava mai di moda, di un bianco candido ornato da piccoli cristalli dorati nelle cucitore, anch'esse sui toni del giallo; ci avrebbe ricamato le sue iniziali per dargli un tocco personale, sperando che avrebbe apprezzato il gesto e non si fosse fermata a criticare l'estetica… come faceva per ogni cosa.
Era arrivata a metà della C quando lo sguardo le cadde sul braccialetto con lo squalo e un lampo di genio la folgorò con prepotenza: non aveva potuto festeggiare il suo compleanno ma avrebbe comunque potuto fare a Squalo un regalo, anche solo per ricambiare il suo… ma cosa avrebbe potuto regalargli? Non lo conosceva proprio benissimo e la spada era l'unica passione di cui era al corrente, ed era inutile dire quanto fosse ignorante in materia.
Qualcosa per i capelli? Nah, lui odiava dedicare loro troppo attenzioni e il modo in cui li lavava era… eccentrico33. Per non parlare dell'asciugatura: ormai aveva delegato lei per quel compito e, almeno due volte a settimana, sbucava dalla botola armato di spazzola, phon e poca voglia di vivere.
Forse dei vestiti? Anche se Squalo indossava quasi sempre le stesse cose: camicie, jeans, stivali, giacchette e magliette a maniche lunghe. Aveva gusti piuttosto semplici e trovare qualcosa che gli piacesse non sarebbe stato difficile.
No, niente di quelle opzioni le piaceva. Voleva che fosse qualcosa di personale, che avesse un pezzo di lei dentro esattamente come il braccialetto che indossava in quel momento.
Il braccialetto…
E la soluzione si palesò dinnanzi a lei come un fulmine a ciel sereno, facendole nascere sul viso un sorriso tanto trionfante quanto inquientante.
- E comunque io non sono qui in ferie, eh. -
 
 
 
Marinette ci mise quattro giorni per organizzare tutto: fece diversi schizzi del gioiello prima di avere un risultato che la soddisfacesse e chiese a Chloé il nome del suo orefice di fiducia per poter realizzare il prodotto finito. La ragazza era stata decisamente sospettosa (soprattutto perché Marinette era stata molto vaga sulla destinazione di quel progetto) ma alla fine aveva proposto di ordinarlo al posto suo, potendo sfruttare il proprio nome per velocizzare il lavoro (che altrimenti avrebbe richiesto come minimo una settimana di attesa). Ovviamente aveva pagato il conto (che non era stato per nulla dolce) ma quando Chloé glielo consegnò, Marinette si rese conto che valeva ogni singolo centesimo speso; era stato difficile contenere la gioia, tanto che l'aveva abbracciata di slancio, ed era corsa subito a casa per impacchettarlo. Era emozionata e aveva atteso con ansia il momento in cui glielo avrebbe consegnato. Momento che, a quanto pareva, sembrava farlo apposta a tardare così tanto.
Guardava l'orologio picchiettando le unghie sul ripiano della cucina, mordendosi freneticamente il labbro: Squalo era andato a fare delle compere personali all'ipermercato e sarebbe dovuto tornare di lì a poco, ormai. Voleva che si sbrigasse a rientrare, ma era anche agitata al pensiero di cosa avrebbe detto quando gli avrebbe dato il regalo: forse gli avrebbe fatto schifo o lo avrebbe rifiutato a priori o si sarebbe semplicemente infastidito/incazzato… non lo sapeva ma la spaventava la sola idea.
Squalo sapeva essere imprevedibile a volte, quindi poteva aspettarsi di tutto da lui.
Una chiave girò nella toppa e lei sobbalzò, vedendo il ragazzo entrare con l'aria già incazzata sul viso: un ottimo modo per cominciare.
- Quei dannati idioti, la prossima volta lo prendo su Amazon - borbottò togliendosi la giacca e gettandola sull'appendiabiti. Aveva un pacco in mano che abbandonò sul divano e solo quando entrò in cucina si accorse di lei. - Ah, sei qui - esclamò, rilassandosi un po', avanzando verso il frigo per prendere un lattina di aranciata. Marinette spinse il proprio pacchetto dietro la fruttiera con un gesto nervoso e deglutì.
- Problemi? - butto lì.
Squalo sbuffò: - Ci hanno messo una vita per far arrivare il mio ordine e hanno pure sbagliato modello - rispose, trafficando con la linguetta della bibita - Questo succede ad assumere incompetenti - si sedette di fronte a lei e aprì la lattina con un po' troppa violenza, staccandola. Non sembrava affatto il momento migliore per dargli un regalo ma, nonostante l'ansia e l'agitazione, Marinette sentiva di non poter più aspettare. Doveva solo capire come iniziare il discorso.
Ci stava giusto rimuginando quando, come un segno dal cielo, il telefono di Squalo emise un debole trillo da qualche parte nei suoi jeans che gli fece gonfiare una vena sulla tempia; ringhiò qualcosa di indefinito ma lo ignorò.
- Qualcosa non va? - chiese lei, vedendolo decisamente irritato e sentendo già salire la sua aura omicida.
- Sono Bel e Mammon che rompono il cazzo - sbottò lui - Vooi! Anche in un'altra nazione devo far loro da baby sitter. Non posso neanche prendermela con Lussuria perché l'ho bloccato, continuava a insistere con questa storia del compleanno - borbottò.
Marinette trasalì ma, fortunatamente, lui non ci fece caso.
- Se arriva un pacco dall'Italia bruciatelo - avvisò, stizzito, prendendo un sorso di aranciata. Lei non si fece sfuggire l'occasione e, dato che era stato lui a inserire il discorso, decise di approfittarne.
Si schiarì nervosamente la gola - Ehm… riguardo al tuo compleanno… - iniziò ma lui la interruppe.
- Se pensavi di festeggiarlo, scordatelo - la stroncò sul nascere, confermandole ciò che già aveva intuito.
- Sì, questo mi era chiaro - ammise amaramente, non preoccupandosi di nascondere la propria delusione a riguardo, ma sul regalo non intendeva tirarsi indietro anche a costo di infilarglielo a forza.  Strinse il pacchetto tra le dita e si fece coraggio - Ma almeno questo te lo posso dare? - continuò, facendolo scivolare sul marmo dinnanzi a lui. Il ragazzo lo fissò per un istante, ad occhi sgranati, e per un attimo Marinette provò un moto di soddisfazione ad averlo preso così alla sprovvista. Di certo non se lo aspettava ma la sua esitazione le metteva un'ansia terribile: dopo tutta la fatica (e i soldi) che aveva speso ci sarebbe rimasta davvero male se lo avesse rifiutato senza neanche guardarlo. - Allora? - insistette, sventolandoglielo davanti per esortarlo a prenderlo.
Squalo sussultò e fece una smorfia mista tra imbarazzo e fastidio, ma si decise ad afferrarlo con un borbottio sconnesso: lo guardava come se fosse una bomba pronta ad esplodere da un momento all'altro ma, allo stesso tempo, c'era un velo sui suoi occhi che sapeva quasi di… aspettativa.
Marinette rimase a fissarlo mentre lo scartava, con un sorriso emozionato stampato in faccia, mettendolo molto a disagio, e quando aprì la scatola rivelando un braccialetto l'espressione di Squalo fu impagabile. Marinette lo aveva disegnato sullo stesso modello di quello che le aveva regalato lui, i fili erano in filigrana rossa mentre la catenina in argento; lo charm, a forma di coccinella, era dipinto con smalto cremisi. L'aveva scelta un po' perché era l'unico animale che poteva associare a sé stessa e un po' perché era un simbolo portafortuna, anche se il colore era decisamente appariscente.
Il ragazzo era senza dubbio sorpreso, ma c'era altro nel suo sguardo che non riusciva ad identificare e il suo prolungato silenzio fece scemare piano piano tutti i buoni propositi di Marinette, il cui sorriso si affievolí notevolmente: forse non era un tipo che indossava gioielli o quello in particolare non gli piaceva o avrebbe preferito qualcosa di più utile... era difficile capirlo. Avrebbe tanto voluto che dicesse qualcosa, anche un "Mi fa schifo" le andava bene purché parlasse.
- Non... ti piace? - domandò, senza riuscire a nascondere una punta di delusione nello sguardo. Squalo trasalì e alzò gli occhi su di lei, impallidendo.
- Cos... no! No, è carino - si affrettò a rispondere, ma a lei sembrò più un blando tentativo di farla contenta.
- Se non lo vuoi basta dirlo, non mi offendo... - insistette, non volendo che si sentisse in obbligo di accettarlo: ci sarebbe rimasta un po' male ma non poteva pretendere che tenesse un regalo che non gradiva. Il ragazzo scosse il capo e lo tirò fuori dalla scatola.
- Sul serio, mi piace - rispose, imbarazzato e un po' a disagio - Grazie - aggiunse a mezza voce.
Era in quei momenti che Squalo la stupiva: con la sua solita aria baldanzosa e sicura di sé dava l'impressione di essere assolutamente intoccabile, sia fisicamente che emotivamente, nulla sembrava scalfirlo e la sua freddezza era il suo cavallo di battaglia… ma quando si trattava di sentimenti, tutte le sue difese crollavano e Marinette si ritrovava davanti un ragazzo impacciato, quasi timido, che faticava a scontrarsi con le emozioni altrui (e con le proprie). Ed era strano ai suoi occhi vedere quel cambiamento così repentino.
Anche in quel momento, mentre era in evidente disagio e non aveva la più pallida idea di che cosa dire dinnanzi a quel regalo tanto inaspettato quanto affettuoso.
Marinette avrebbe volentieri riso ma non voleva offenderlo, quindi si trattenne e decise di liberarlo da qualunque obbligo morale, anche se le sarebbe piaciuto restare lì a godersi lo spettacolo di lui che si sforzava per trovare qualcosa di carino da dire in risposta.
Quindi scrollò le spalle e si alzò: - Tanto meglio, con quello che mi è costato - esclamò allegramente, ridiacchiando dinnanzi la sua espressione disorientata: forse Radi aveva ragione, era davvero un po' sadica.
- Guarda che non c'era bisogno… - iniziò lui, cogliendo il suo tentativo di prenderlo in giro e cercando di riacquistare contegno, ma Marinette non voleva finire con il litigare di nuovo quindi lasciò cadere la provocazione.
- Certo che c'era bisogno e poi non sono mai riuscita a ringraziarti decentemente per questo - ricordò dolcemente facendo tintinnare il proprio bracciale e lo vide distogliere lo sguardo con imbarazzo, borbottando qualcosa. Era quasi tenero e lei si ritrovò a pensare, un po' sadicamente, che non c'era nulla di male a sfruttare quel suo punto debole ogni tanto; anche solo per divertirsi un pochino.
- Era solo che mi sentivo in colpa ad essermene andato senza salutare, tutto qui - rispose, usando quel poco di dignità che era riuscito a racimolare per riprendere la propria compostezza. Compostezza che si sfracellò contro un muro pochi istanti dopo, quando Marinette gli sfiorò la guancia con le labbra in un moto di tenerezza.
- E lo apprezzo molto - ammise dolcemente, uscendo dalla cucina per tornare in camera propria, lasciandolo pietrificato su quella sedia a fissare il vuoto dinnanzi a sé.
Era stato istintivo per lei, quasi naturale farlo: aveva creduto che fosse solo un gesto innocuo, un'innocente dimostrazione di affetto e che non ci potesse essere nulla di male in un semplice bacio sulla guancia… ma non seppe mai che fu proprio quella la miccia che portò al disastro.
 
 
 
 
 
I giorni che precedettero l'arrivo di Tsuna furono terribilmente movimentati. Tom e Sabine erano ansiosi come mai Marinette li aveva visti e, in effetti, neanche lei scherzava: aveva un subbuglio di emozioni dentro di sé confusionare e pesanti, tanto da portarla ad un paio di crisi isteriche nelle ultime ore di attesa.
A Dino era toccato l'ingrato compito di tranquillazzare tutta la famiglia e impedire che Sabine facesse la spesa per un reggimento, indecisa su cosa cucinare agli ospiti: aveva cambiato idea per il menù del pranzo già quindici volte e sembrava sull'orlo del collasso, nonostante Bianchi le avesse più volte assicurato che né Tsuna né Reborn erano schizzinosi e qualunque cosa avesse fatto sarebbe andato bene. Per Tom era stato più facile e aveva preparato sia una pithivier alle mandorle che dei mochi alla frutta come dessert, non nascondendo la sua emozioni nel ritrovarsi a preparare dei dolcetti giapponesi per la prima volta; sperava solo che fossero buoni e il fatto che Dino lo avesse assicurato che somigliavano molto a quelli che aveva assaggiato in Giappone lo aiutò decisamente.
Squalo, dal canto suo, era stato di umore nero in quegli ultimi giorni ed era difficile capirne la motivazione: probabilmente era per l'arrivo di Tsuna anche se Marinette aveva l'impressione che ci fosse qualcos'altro dietro, ma dovette rinunciare ad ogni proposito di indagare perché lui si dileguò la mattina stessa del giorno stabilito, diretto alla villa, ringhiando un feroce "Se lo vedo lo strozzo".
E quindi era rimasta sola a svuotare l'armadio, cercando qualcosa di decente da mettere: camicie, jeans, gonne, calze, t-shirt, felpe… tutto quello che tirava fuori non le sembrava adatto: non sapeva se vestirsi in modo formale oppure no, se indossare un vestito o qualcosa di più simile a giacca e cravatta, erano tutti sul vago con i loro "Qualunque cosa andrà bene" che la stava mandando in bestia. Sembrava quasi che stesse per incontrare un vecchio amico dinnanzi a cui poteva presentarsi pure in pigiama, tanto non ci avrebbe fatto caso.
Svuotò l'ennesimo cassetto con frustrazione prima che le arrivasse il suo peluche a forma di tigre bianca dritto in testa, facendola sobbalzare, seguito da un "Mettiti una cosa qualsiasi e basta, per la miseria!" sbraitato da Lal. Alla fine optò per il classico jeans e camicia e si raccolse i capelli sulla nuca, cercando di fare uno chignon decente (il che non fu facile dato che non erano molto lunghi). Si truccò un po' più del solito, senza esagerare, e sperò con tutto il cuore che le cose andassero per il meglio.
Alle undici e tre quarti, Dino si avviò all'aeroporto per andarli a prendere e Sabine iniziò ad apparecchiare la tavola. Marinette rimase seduta sul divano a giocherellare con l'anello, passandolo da un dito all'altro con nervosismo.
Smettila, per favore, mi stai facendo venire il mal di mare…, la supplicò Radi con voce sofferente. Ogni volta che Marinette metteva l'anello al dito, si creava un contatto tra loro che gli permetteva di entrare nella sua mente per parlarle o prenderne il controllo, e quel sfilare/infilare continuo lo stava destabilizzando, come se la ragazza stesse attaccando e staccando a ripetezione la presa di corrente.
« Scusa. Sono così nervosa. »
Sì, lo avevo intuito, ammise lui divertito, Ma non hai nulla di cui preoccuparti e questo Tsuna sembra una persona… particolare. Di sicuro, sarà interessante conoscerlo.
Su questo, Marinette concordava perfettamente: togliendo lo shock iniziale, la loro telefonata l'aveva incuriosita molto e non sapeva ancora cosa aspettarsi. Che tipo di persona si sarebbe trovata di fronte era un vero mistero e quel poco che i ragazzi le avevano rivelato era stato molto confusionario: per Squalo era un moccioso smielato e strafottente, per Dino un fratellino pieno di risorse e forza d'animo, per Bianchi un bambino troppo cresciuto… tutte quelle visioni differenti non fornivano un quadro chiaro su di lui e la loro breve telefonata l'aveva solo disorientata ancor di più.
Non sapeva neanche che aspetto avesse, per la miseria! Se fosse alto, basso, magro, con i capelli neri, biondi o rossi, se avesse la pelle chiara o scura… era totalmente allo sbaraglio e la sua immaginazione si era sbizzarrita nei modi più improponibili. Aveva conosciuto gli altri membri della famiglia e gli erano sembrati tutti dei ragazzi abbastanza normali, sia nell'aspetto che nel carattere, le classiche persone che puoi incrociare per strada tutti i giorni e notarli a malapena… valeva anche per Tsuna? O forse lui era diverso? Forse aveva un'aspetto più minaccioso o una valanga di muscoli o un carattere autoritario? Era pur sempre il candidato Boss di una famiglia mafiosa, dopotutto. Beh, non che Dino avesse chissà quale estetica particolare, per non parlare di sé stessa poi…
Ah, le stava venendo mal di testa.
Rilassati, andrà tutto bene, la tranquillizzò Radi, carezzandole dolcemente l'inconscio, Sono qui con te.
E non poteva neanche immaginare quanto ciò le fosse d'aiuto in quel momento.
- Sono arrivati - esclamò d'un tratto Bianchi, affacciata alla finestra, facendola sobbalzare. Rientrò in salotto, accomodandosi in poltrona, e Lal scese dal divano per raggiungere la porta. Tom e Sabine si scambiarono uno sguardo ansioso e per lunghi minuti tutto tacque, l'atmosfera era così tesa che Marinette avrebbe potuto tagliarla con un coltello da burro. Poi si udirono dei passi su per le scale, la voce di Tsuna emise un debole lamento sulla quantità di gradini e la pesantezza della valigia, immeditamente stroncata da quella di Reborn che lo invitava, molto poco gentilmente, a non fare la mammoletta.
Lo stomaco di Marinette si strinse dolorosamente e, dopo pochi istanti, il campanello suonò… ma nessuno si mosse. Con suo sommo orrore, la ragazza si accorse che gli astanti stavano guardando proprio lei come se si aspettassero, o credevano fosse giusto, che andasse lei ad accogliere gli ospiti.
Con il cuore pesante e la bocca troppo secca per proferire lamentele, si alzò e si diresse verso la porta: aveva le gambe molli e le tremavano le dita mentre le poggiava sul pomello. Intercettò lo sguardo di Lal, in piedi accanto a lei, e la vide farle un cenno di incoraggiamento bizzarramente premuroso. Inspirò a fondo e aprì lentamente la porta.
La prima persona che vide fu Dino, in piedi sul pianerottolo che reggeva una valigia nera molto piccola in una mano, poi Reborn seduto sulla spalla destra con il solito completo nero e, proprio davanti a lui, un ragazzo. Marinette trattenne un sobbalzo quando incrociò un paio di grandi occhi color castagna che tradivano un'agitazione senza precedenti, incastonati in un volto pallido dai lineamenti morbidi e il mento leggermente appuntito; una nube di disordinati capelli castani lo incorniciavano in modo quasi buffo, dandogli un'aria scarmigliata che aveva un che di tenero, ed era più basso di lei di almeno tre centimetri. Era vestito nel modo più normale che si potesse immaginare con jeans chiari, scarpe da ginnastica e una felpa bianca e arancione a fasciargli il fisico magro e minuto e portava in spalla un borsone nero grande quasi quanto lui.
Marinette non riuscì a spiccicare neanche una parola ed era sicura che, alle proprie spalle, i suoi genitori fossero stupiti tanto quanto lei.
Tsuna strinse la tracolla fino a sbiancarsi le nocche e s'inchinò impacciatamente dinnanzi a lei, in un tipico saluto giapponese: - Ehm… p-piacere, sono Sawada Tsunayoshi. Lieto di conoscerti - balbettò in un francese piuttosto incerto, nervoso e imbarazzato, e Marinette dovette fare uno sforzo enorme per non farsi cadere la mascella: il Decimo Boss della famiglia mafiosa più potente d'Europa era un ragazzino qualunque.
 
 
 
 
 
Note🎶:
33Nello speciale del volume 12 di Katekyo Hitman Reborn, "Le Vacanze estive dei Varia", viene mostrato il rapporto di Squalo con i suoi lunghi capelli e quanta poca voglia abbia di prestarci attenzione, cosa che lo ha portato ad usare le sua "abilità" pure per lavarli. L'asciugatura davanti al ventilatore mi ha uccisa dalle risate, quindi ho pensato di donargli almeno qualcuno che glieli asciugasse in modo decente.
 
Personaggi di Katekyo Hitman Reborn apparsi in questo capitolo:
 
Tsuna: 5e3aead2d0b9d5d5dadf1f9f7256aeeacd31f4e2-hq
 
 
Angolo autrice:
E ci siamo! Finalmente sono riuscita a far apparire Tsuna dopo VENTITRE' capitoli. Mi sento un po' infame ma dovevo gettare tutte le basi precedenti e approfondire il rapporto tra Squalo e Marinette, che sarà fondamentale per il resto della trama, soprattutto ora che Lal sta per uscire di scena. Mi si stringe il cuore al pensiero ma devo farlo.
E mi stupisco di me stessa per aver finito questo capitolo così velocemente, si vede che avevo proprio voglia di scriverlo, vero? E spero di mantenere questo ritmo, sopratutto ora che è entrato in scena il re degli sfigati: mi divertirò un sacco.
Baci

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Capitolo 24
*** Esordio ***


Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 24. Esordio
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 6.419

 
 
 
 
 
 
Un lungo e attonito silenzio seguì le parole di Tsuna che, ancora sulla soglia, passava lo sguardo da Marinette ai suoi genitori con un po' di nervosimo. La ragazza, dal canto suo, era pietrificata dallo shock e dallo stupore: aveva immaginato davvero di tutto, tranne quello.
Tsuna era… anonimo. Aveva l'aspetto di un adolescente qualsiasi, Marinette avrebbe potuto incontrarlo per strada e non farci neanche caso, non c'era nulla in lui che attirasse l'attenzione o invitasse a dare una seconda occhiata: era straordinariamente ordinario. Il che aveva dell'incredibilmente considerato cosa aveva fatto e chi sarebbe dovuto diventare.
Eppure… eppure aveva un qualcosa di terribilmente familiare che le suscitò delle bizzarre emozioni: le sembrava di averlo già incontrato prima, cosa assolutamente impossibile.
Buon dio, mormorò Radi d'improvviso, sconvolto quanto lei, E' identico a lui.
Marinette sussultò, capendo quasi subito a chi si stesse riferendo, e sgranò gli occhi quando comprese perché avesse un aspetto così familiare: somigliava a Giotto in modo impressionante, cambiava solo il colore dei capelli.
Fu Reborn a mettere fine a quel momento carico di tensione, esalando un allegro: - Ciaossu! - che li risvegliò tutti - Scusate il ritardo. -
- Abbiamo trovato un po' di traffico - aggiunse Dino. La ragazza si ridestò dal torpore e si fece rapidamente da parte, invitandoli ad entrare con un po' di imbarazzo, avendoli lasciati già troppo a lungo sul pianerottolo.
Bianchi attese che Reborn facesse le dovute presentazioni a Tom e Sabine, prima di correre a salutarlo molto calorosamente. Il bambino non fece una piega, lasciandosi spupazzare senza battere ciglio sotto lo sguardo perplesso di metà dei presenti; era ancora avvolto fra le sue braccia quando, rivolgendosi ai due ragazzi, indicò la scaletta che portava alla camera di Marinette.
- Perché non portate di sopra le valigie, nel frattempo? Dobbiamo fare due chiacchiere con i tuoi genitori. -
Dino si affrettò a mettere la valigetta nera nella mani di Marinette, cercando di dissimulare un sorriso nervoso in modo pessimo: - Vi vengo a chiamare quando è pronto il pranzo - informò. La ragazza, non potendo protestare ma intuendo che qualcosa non tornava, annuì semplicemente.
- Vieni - invitò rivolta a Tsuna, precedendolo verso la botola.
Le era sempre piaciuta la sua cameretta color confetto, sebbene negli ultimi anni il rosa fosse sceso di qualche grado nella scala dei suoi colori preferiti: ci era affezionata e, un po' per abitudine un po' perché non le andava di riorganizzare tutto, non aveva mai pensato di cambiarla. Tuttavia, quando vide la faccia stupita di Tsuna nel ritrovarsi in quel tripudio di rosa, appena messo piede oltre l'ultimo gradino, la prima reazione fu quella di ridere, poi pensò che forse avrebbe potuto rinnovare qualcosina approfittando dei recenti lavori di ristrutturazione. Anche solo per non farla sembrare la stanza di Barbie.
- Puoi poggiarlo qui - invitò, indicando il rinnovato spazio sotto al proprio letto, mentre poggiava la valigia sulla chaise-longue.
Tsuna sistemò il borsone ai piedi del suo nuovo letto con un timido ringraziamento e un sospiro di sollievo, come se si fosse tolto di dosso un pesante macigno (e forse era davvero così), e rimase fermo lì, con le mani affondate nelle tasche della felpa, in evidente disagio. Erano entrambi in evidente disagio, in piedi uno di fronte all'altro, completamente soli a neanche cinque minuti dal loro primo incontro; e Marinette era troppo intelligente per non capire che Reborn lo avesse fatto apposta a mandarli in camera con quella scusa pacchiana.
Voleva che rimanessero soli.
Lui si guardò intorno, spostando il peso da un piede all'altro, e Marinette cercava disperatamente un argomento di conversazione che non fosse un "Bel casino, eh?" o un più drastico "Coalizziamoci e rovesciamo la gerarchia". Però, chissà, forse sarebbe stato anche d'accordo…
Tsuna si schiarì la voce, distogliendola dai suoi pensieri, e si strinse nelle spalle: - E' molto carina - buttò lì - Insomma, per essere una soffitta. Non che se fosse una camera non lo sarebbe… - aggiunse frettolosamente, facendosi prendere dal panico - Voglio dire, è carina come soffitta e sarebbe carina anche come camera… ah, scusa. E' meglio se sto zitto - sospirò affranto, capendo di aver fatto una gaffe.
Però… ti somiglia molto, ammise Radi divertito facendola accigliare.
- Non preoccuparti, non hai detto nulla di male - cercò di tranquillizzarlo, sentendosi un po' più rilassata: in effetti non aveva tutti i torti, il suo straparlare era simile a quello a cui lei stessa si lasciava andare quando andava nel pallone, e questo la fece sentire stranamente a proprio agio.
Era stata così ansiosa al pensiero di incontrarlo credendo fosse chissà chi e invece si trovava davanti un ragazzo normalissimo, un po' timido ed impacciato, ma innegabilmente educato. Aveva l'aria di chi si era ritrovato a passare nel posto sbagliato al momento sbagliato ma si era arreso ad accettare le conseguenze di quella sfortunata fatalità.
Un po' come lei.
- Scusami - mormorò Tsuna distogliendo lo sguardo - Sono un po' nervoso - ammise stringendosi nelle spalle - Tutta questa storia è così… -
- …assurda? Ridicola? Terrificante? Da manicomio? - suggerì lei, vedendo in difficoltà, e lui annuì stancamente.
- Mi dispiace che ti sia ritrovata coinvolta - continuò - So quanto sia difficile da mandare giù. -
Marinette abbassò lo sguardo e trattenne un sospiro: - Sì, lo è… ma non è nulla rispetto a quello che avete passato voi - rispose - Dino mi ha detto della Battaglia per gli Anelli e conosco bene Squalo: deve essere stato spaventoso. -
Si azzardò a guardarlo e incontrò i suoi occhi: erano così luminosi e sinceri che era impossibile non capire cosa stessero dicendo, Marinette riusciva a leggere ogni singola emozione dentro di essi e vi vide angoscia, preoccupazione, tristezza, un pizzico di rimpianto ma anche sollievo e una gioia quasi disperata; si morse il labbro inferiore capendo di aver riportato a galla ricordi spiacevoli. Tsuna abbassò lo sguardo sul pavimento e le sembrò così fragile e sofferente che le fece tenerezza.
- Sono stati giorni difficili… - ammise in un mormorio e Marinette si sentì lo stomaco stringere - Non volevo coinvolgere i miei amici ma non ho avuto nessuna scelta e loro comunque non si sarebbero tirati indietro: sanno essere molto avventati, a volte. Sono solo contento che sia tutto finito e che ne siamo usciti sani e salvi. -
L'ombra di un sorriso apparve sul suo volto e Marinette dovette fare uno sforzo enorme per trattenere un fremito: il modo in cui parlava dei suoi Guardiani era molto dolce, lasciava trasparire tutta la sua preoccupazione per loro e il forte legame che li univa; dovevano essere veramente importanti per lui.
E' decisamente suo nipote, su questo non ci piove, mormorò Radi con un filo di emozione, E' quasi inquietante: gli altri Boss che ho conosciuto non somigliavano per niente a Giotto, invece lui è la sua copia sputata.
Marinette si ritrovò a sorridere, quasi senza rendersene conto. Tsuna si riscosse e arrossì un po', come se avesse parlato di qualcosa di imbarazzante.
- Ehm… a me Dino ha detto che sei una specie di eroina qui a Parigi - disse, cercando di sviare la conversazione - Anche se non ho capito granché: ha parlato di orecchini magici e folletti volanti. -
Lo stomaco della ragazza si contrasse ed ebbe l'impulso di gettargli nuovamente lo zaino in faccia, stavolta assicurandosi che fosse bello carico di libri: com'era possibile che a lei non dicesse mai niente mentre agli altri sbandierasse tutti i suoi fatti personali?! La mandava in bestia.
Si schiarì la voce e si sforzò di nascondere la rabbia: - Beh, non sono sicura che Tikki sia un folletto… - ammise - …ma gli orecchini magici ci sono - aggiunse, scostandosi una ciocca di capelli per mostrarli - Mi donano una tutina a pois e fantastici poteri per sconfiggere i cattivi - scrollò le spalle e si rese conto solo i quel momento di quanto suonasse assurdo detto in quel modo.
- Deve essere pesante - notò lui con una piccola smorfia.
Marinette strinse le labbra - Un po' - ammise - Sinceramente, lo faccio perché devo ma se potessi ne farei volentieri a meno - sospirò.
- Come con la mafia - intuì Tsuna amaramente e lei non se la sentì neanche di provare ad indorare la pillola: sarebbe stato inutile.
- Come con la mafia - confermò in un mormorio. Sospirò - Sembra che siamo entrambi sulla stessa barca. -
- Speriamo non affondi - rispose lui.
- Sarebbe un bel problema se accadesse. -
Entrambi sobbalzarono, voltandosi verso la botola da cui spuntava la bionda capigliatura di Dino che sorrideva allegramente, seppur con un evidente velo di ansia sugli occhi, e il dubbio che stesse origliando si fece prepotentemente largo dentro di lei. - Il pranzo è quasi pronto - informò - Potete continuare la conversazione più tardi, sono sicuro che avete molto di cui parlare. -
Sorrise, scrutandoli attentamente, e sparì di nuovo giù per le scale. I due ragazzi si scambiarono un'occhiata ma bastò per far capire loro che avevano avuto la stessa identica intuizione.
Non che fosse poi così difficile da capire, dopotutto.
- Hanno paura che ti sostenga nella tua decisione di non voler diventare Boss, vero? - constatò Marinette, più per dare voce a quei pensieri che per chiedere conferma, e Tsuna abbassò le spalle con rassegnazione.
- Come se bastasse a cambiare le cose. -
 
 
Se Marinette aveva passato quell'ultimo mese nella disperazione più totale, quando si sedette a tavola si rese conto di non essersi mai sentita così tranquilla in tutta la sua vita. Le erano bastati quei dieci minuti da sola con Tsuna per spazzare via tutte le sue ansie e le sue paure e la consapevolezza di avere davanti un ragazzo come tanti che si era solo ritrovato in una serie di sfortunate circostanze era bastato a far rinascere in lei un po' di speranza: avere accanto qualcuno che la capisse e la supportasse era proprio ciò di cui aveva bisogno per andare avanti e, forse, sarebbero entrambi riusciti a trarre beneficio dalla reciproca presenza.
O almeno così sperava.
- Crostini? -
Bianchi le mise il piatto sotto il naso, distogliendola dai suoi pensieri, e lei si servì quasi distrattamente prima di passarla a Tsuna, seduto rigidamente accanto a sé. Nessuno aveva ancora detto niente, chiusi in un teso silenzio, si udiva solo il suono dei cucchiai che tintinnavano nelle ciotole e dei bicchieri che venivano occasionalmente poggiati sul tavolo. Reborn si era seduto accanto a Bianchi, su un paio di grandi cuscini, e sembrava l'unico a proprio agio mentre gustava la zuppa di cipolle con innocente spensieratezza; Lal sembrava solo seccata mentre Dino era decisamente ansioso e aveva già fatto cadere le posate tre volte, con suo enorme imbarazzo.
- Allora… è la prima volta che vieni a Parigi, Tsuna? - domandò Sabine per spezzare quel silenzio. Lui sussultò, preso alla sprovvista dalla domanda, ma annuì.
- A dire il vero, è la prima volta che esco dal Giappone - ammise timidamente.
- Un posto così lontano… i tuoi genitori devono essere preoccupati - commentò Tom ma l'espressione del ragazzo lasciava intendere l'esatto contrario.
- Beh, mio padre lavora in Italia quindi non so neanche se sa che sono qui, mentre mia madre ha preso molto bene l'idea che andassi all'estero - rispose con una lieve risatina nervosa mista a rassegnazione. Marinette non fu l'unica a leggere il palese "Bei genitori, eh?" malcelato tra quelle parole e lo capì dallo sguardo che i suoi si scambiarono.
- Ehm… e come l'ha presa tua madre tutta questa… storia? - domandò Sabine, esitante, e Dino soffocò un sospiro stanco.
Tsuna scosse il capo: - Oh, no, mia madre non sa niente - si affrettò a specificare - Mio padre non gliel'ha mai detto... e sembra che non abbia intenzione di farlo nel prossimo futuro. -
- Lei sa che Tsuna è qui per studiare meglio il francese - spiegò Reborn, porgendo il bicchiere a Bianchi perché glielo riempisse - Una sorta di scambio culturale. -
- Crediamo che sia meglio non dirle della mafia. Non la prenderebbe bene - ammise Dino con una lieve smorfia.
- Probabilmente le verrebbe un colpo - acconsentì Tsuna.
- Come la capisco - mormorò Tom ricevendo una gomitata da Sabine.
Marinette sapeva bene che il padre aveva preso malissimo tutta quella faccenda ma che stava facendo di tutto per non darlo a vedere: aveva finito per affezionarsi ai ragazzi, era vero, ma era insofferente verso qualunque cosa riguardasse i Vongola, la spada di Squalo, i fucili di Lal, la Cucina Velenosa di Bianchi e l'illogica motivazione che aveva reso casa sua un albergo. Sabine, d'altro canto, sembrava essersi semplicemente rassegnata ed era chiaro che sapesse molto più di quanto volesse far intendere ma Marinette non si era mai sbilanciata troppo con le domande, capendo che doveva esserci qualcosa sotto che giustificasse il suo silenzio. In ogni caso, ne avrebbero parlato quando sarebbe arrivato il momento.
Finirono di mangiare in un silenzio a dir poco imbarazzante, Tsuna era molto timido e parlava solo se gli veniva posta qualche domanda. Reborn, dal canto suo, non faceva assolutamente nulla per incentivare una conversazione e Marinette non aveva idea di che cosa dire. La situazione si animò un po' solo quando arrivarono al dolce, poi la ragazza aiutò i suoi genitori a sparecchiare il tavolo.
- Oh… non preoccuparti Tsuna, ce ne occupiamo noi - esclamò Sabine, vedendolo portare la pila di piatti sporchi fino al lavello dove Marinette aveva già iniziato a riempire la lavastoviglie.
- Ma no, si figuri - mormorò imbarazzato - Ho mangiato anche io, è giusto che dia una mano. -
Marinette iniziava seriamente a pensare che tutto quello che Dino le aveva raccontato sullo Scontro del Cielo fosse una balla colossale: quel ragazzo tanto timido e gentile non poteva aver davvero sconfitto e congelato una persona, era ridicolo, le due cose cozzavano terribilmente fra di loro. O stava fingendo per dare una buona impressione di sé o diventava cazzuto d'improvviso quando c'era da menar le mani, non trovava altre spiegazioni.
Con la coda dell'occhio vide Bianchi, Dino, Lal e Reborn confabulare tra loro seduti sul divano: non sembravano sorpresi o nervosi ma non le piaceva il modo in cui il bambino la guardava, come se stesse studiando approfonditamente anche il suo più breve respiro: loro due erano partiti con il piede sbagliato e le cose, andando avanti in quel modo, non potevano che peggiorare.
Chiuse la lavastoglie, mandandola avanti, tendendo le orecchie per cercare di sentire stralci della conversazione ma erano troppo lontani e parlavano a voce troppo bassa, quindi rinunciò e aiutò Tom a pulire il tavolo. Quando fu tutto sistemato, Sabine iniziò a fare sia il thé che il caffè e lei e Tsuna si unirono all'allegro quadretto, sebbene non avessero effettivamente nessun argomento di conversazione da offrire.
Marinette si era già preparata ad un'altra sessione di imbarazzante silenzio quando Reborn, finalmente, decise di prendere l'iniziativa: - Allora, come va la scuola? - chiese d'un tratto, allegramente, prendendo un biscotto dalla scatola poggiata sul tavolo.
La ragazza sentì una fitta di fastidio alla bocca dello stomaco e non volle neanche provare a fingere indifferenza: quel bambino non le stava simpatico per niente e non intendeva nasconderlo. - Lo sai come va, Lal te lo dice - ricordò leggermente piccata e vide Dino scambiarsi un'occhiata tesa con Bianchi, ma Reborn non fece una piega come se si aspettasse una risposta simile.
- Vero - ammise, sgranocchiando il biscotto - Ma vorrei sentirlo da te. -
Marinette represse una smorfia di fastidio e strinse i pugni sulle gambe: - Bene - rispose seccamente.
- E' una delle studentesse migliori del suo corso - rincarò Dino con allegria esagerata, sperando di spezzare l'atmosfera, ma con scarsi risultati. Reborn spostò lo sguardo da lei a Tsuna, seduti sulle due poltrone ai lati opposti del tavolino uno di fronte all'altro, con una bizzarra luce divertita negli occhi.
- Lal mi ha detto che hai voti eccellenti in tutte le materie, sei la rappresentante di classe, hai molti amici e una discreta popolarità fra gli altri studenti… - elencò, accettando la tazzina di caffè che Sabine gli offriva - Tutto il contrario di Tsuna, insomma - finì con un sorriso enigmatico a incurvargli le labbra e il ragazzo sussultò, arrossendo furiosamente.
- R-Reborn! - protestò imbarazzatissimo, agitandosi sulla poltrona.
- Che c'è? E' vero - rispose semplicemente lui, sorseggiando il caffè. Dino buttò giù il proprio tutto d'un fiato, con la disperazione negli occhi, e Bianchi trattenne a stento una risata. Marinette, però, non ci trovò niente di divertente: Tsuna era chiaramente a disagio per quell'uscita e lei non apprezzava chi si divertiva sulle spalle altrui. Reborn, poi, si comportava in modo davvero prepotente con lui e li aveva visti interagire solto tre volte fino ad allora; non osava immaginare come fosse il resto del tempo.
Il ragazzo non rispose, chiaramente mortificato, e Marinette sentì il fastidio crescere a dismisura tanto da pruderle le mani.
- Non vedo come la cosa possa avere importanza - tagliò corto stizzita - Perché non parliamo di cose serie, invece, come le prove dei Guardiani di cui non so ancora un bel niente? -
Si era innervosita troppo e lo avevano notato tutti nella stanza ma la cosa non le importava: avevano sprecato già abbastanza tempo con quel pranzo inutile e imbarazzante e se Reborn aveva intenzione di starsene seduto lì a comparare inutilmente le vite dei due ragazzi solo per il gusto di mettere a disagio Tsuna aveva trovato la persona sbagliata con cui farlo. Era stata al loro gioco, aveva pazientato e aspettato, ma era giunto il momento di mettere un punto alla questione: voleva delle risposte e le voleva subito.
Il sorriso disparve dal volto di Reborn che assunse un espressione mista tra sorpresa e confusione: - Non c'è nulla di cui parlare - rispose semplicemente, come se fosse ovvio - Neanche io so in cosa consistono. -
Se fossero stati in un cartone animato, la mascella di Marinette sarebbe cascata sul tappeto a sentire quelle parole, ma si limitò a fissarlo incredula: - Cosa?! - sbottò.
Il bambino alzò le spalle: - I ragazzi devono decidere da soli in che modo testarti e le prove devono restare segrete fino al giorno stabilito, neanche il Boss può conoscerle. -
Questioni di sicurezza, così da evitare qualsiasi imbroglio, aggiunse Radi facendola sobbalzare.
« Non me lo avevi detto! » lo rimproverò, profondamente risentita: sperava che almeno lui sarebbe stato dalla sua parte, che diamine!
Beh, non me lo hai mai chiesto.
A volte, Marinette si chiedeva seriamente se lui la volesse aiutare davvero o si divertiva semplicemente alle sue spalle. Forse entrambe le cose.
Inspirò a fondo per ricomporsi (o almeno provarci) e decise di andare fino in fondo alla cosa. - E quando verranno? - chiese a denti stretti.
- Mi sto già organizzando, fra un paio di settimane possiamo far arrivare il primo. -
- Il… primo? - domandò, d'un tratto confusa: avrebbe potuto spiegarsi meglio una sola volta invece di farsi tirare fuori le informazioni con le pinze, che nervoso.
- Beh, certo, verranno qui uno alla volta - rispose il bambino - Non avrebbe senso smuoverli tutti, se dovessi perdere una delle prove gli altri si sarebbero scomodati per niente: la Francia e il Giappone non sono certo a due passi. -
Certo, era perfettamente logico… allora perché la faceva così innervosire? Credeva che avere più informazioni riguardo quello che l'aspettava l'avrebbe aiutata a calmarsi, invece ogni parola pronunciata da Reborn l'aveva solo fatta irritare di più. Forse aveva semplicemente un problema con lui.
Lal, che ormai la conosceva come le proprie tasche, fiutò il pericolo e abbandonò l'educato silenzio in cui si era ritirata per far spazio agli ospiti.
- Se abbiamo finito con i convenevoli, Marinette ha delle cose da fare e immagino che Sawada sarà stanco dopo il lungo viaggio - tagliò corto, facendo ben intendere che l'incontro doveva chiudersi lì. Dino sembrò sollevato dal suo intervento e la ragazza l'avrebbe volentieri baciata, soprattutto quando Tsuna annuì. - In effetti, in aereo non ho dormito granché… - ammise imbarazzato.
- Il letto è già pronto, fai pure come se fossi a casa tua - invitò gentilmente Sabine, sorridendo, che sembrava averlo preso in simpatia abbastanza velocemente. Reborn soppessò l'idea, come se i nuovi sviluppi non gli andassero molto a genio e avrebbe preferito fare altro, ma alla fine decise di lasciar perdere e scrollò le spalle.
- Bene. Ho un po' sonno anche io - constatò posando la tazza sul tavolino.
- Ti aiuto a disfare i bagagli - propose Bianchi, prendendolo in braccio per accompagnarlo di sopra, mentre Tsuna si congedava. Quando tutti e tre furono spariti su per le scale, Lal saltò giù dal divano e si avvolse nel mantello: - Dino, prendi la macchina - ordinò secca - E datti una mossa tu - agginse rivolta a Marinette, avviandosi verso la porta di casa. I ragazzi si scambiarono un'occhiata perplessa ma obbedirono senza fiatare, come ogni volta che la bambina impartiva un comando.
Marinette salutò i genitori e scese rapidamente le scale, salendo sull'auto abbastanza confusa.
- Ehm… dove andiamo? - domandò timidamente Dino, quasi avesse paura della risposta, allacciandosi la cintura di sicurezza mentre Marinette provava ad infilare la sua pur tenendo Lal in braccio. La bambina non si scompose e si sistemò comodamente sul ventre della ragazza.
- Alla villa - rispose secca - E diamoci una mossa, Reborn dorme troppo poco. -
 
 
 
- E' stato imbarazzante! Ma come ti è venuto di portarmi qui?! -
Tsuna si sfilò la felpa sbuffando, gettandola sulla valigia chiusa: era stato contrario fin dal principio ad andare in Francia (e non solo perché non era mai andato oltre il giardino di casa propria e aveva una fifa boia dell'aereo) ma Reborn non aveva voluto sentire ragioni e con il pretesto che il Boss avrebbe dovuto assistere alle prove lo aveva trascinato lì per conoscere Marinette personalmente. Andare in un paese completamente diverso e vivere in casa con dei perfetti sconosciuti non era neanche nella lista delle cose che desiderava fare eppure eccolo lì, a infilarsi il pigiama in una soffitta uscita dal peggior film di Barbie.
E condividere la camera con una ragazza che aveva conosciuto solo un'ora prima non era neanche la parte peggiore di quella faccenda.
- Piantala di lamentarti - lo rimbeccò Reborn, finendo di sistemare la propria amaca accanto al suo letto - E' necessario che tu conosca Marinette prima dell'arrivo dei ragazzi: come possono fidarsi di lei se non sei tu il primo a farlo? -
- E tu dovresti piantarla di far sembrare tutto così semplice - sbottò lui, abbottonandosi la camicia del pigiama - Ti rendi conto che ci ho parlato solo per dieci minuti e mi tocca vivere con lei? Potresti prendere in considerazione i sentimenti delle persone ogni tanto. -
- Puoi star certo che neanche lei è felice della situazione ma l'ha accettata con maturità. Prendi esempio - tagliò corto il bambino, piegando accuratamente i vestiti e poggiandoli sul nuovo comodino di Tsuna.
- E piantala anche di paragonarmi a lei! - aggiunse il ragazzo, fresco dell'umiliazione di poco prima: non era una novità che Reborn lo trattasse come una pezza per i piedi ma farlo davanti a Marinette e ai suoi genitori, in quel modo poi, lo aveva preso totalmente alla sprovvista. Per quanto fosse stato profondamente grato del fatto che la ragazza avesse rapidamente sviato il discorso, forse intuendo il suo disagio, non poteva negare di essersi sentito intimidito da lei: era popolare, aveva tanti amici, un ottimo rendimento scolastico, era così composta e gentile, e a giudicare dalla macchina da cucire sulla scrivania era anche brava nei lavori manuali, per non parlare della sua "carriera" da eroina… era a dir poco perfetta sotto ogni punto di vista, la persona che tutti avrebbero voluto essere e tutti avrebbero voluto avere al proprio fianco. E poi… beh, era carina. Molto carina. Ryohei aveva accennato qualcosa al riguardo e Dino aveva più di una volta decantato la sua bellezza ma l'aveva immaginata in modo assai diverso, di un'estetica normale, comune, una classica adolescente più piacente della norma (tipo Kyoko).
Invece Marinette era tutto tranne che nella norma, il suo sangue misto le aveva modellato tratti inusuali, una via di mezzo tra oriente e occidente che difficilmente si sarebbe potuta replicare e che neanche in Bianchi e Gokudera aveva ritrovato: i suoi occhi erano a mandorla ma più grandi rispetto a quelli di sua madre, aveva un naso piccolo leggermente all'insù, il viso rotondo dal mento a punta e una carnagione chiara, un mistro tra rosa e bianco che non gli era mai capitato di vedere. E poi le iridi, di quell'azzurro così intenso e luminoso che sembravano racchiudere il cielo dentro di loro.
A primo impatto era rimasto quasi stordito nel vederla e lui ne conosceva di belle ragazze, come Bianchi, Rika e Rea che erano davvero da mozzare il fiato, ma l'aspetto di Marinette era così… particolare da saltare subito agli occhi. E chissà la fila di corteggiatori che aveva dietro.
Al confronto, Tsuna si sentiva una perfetta nullità. Era terribilmente in soggezione.
Sospirò, coricandosi sotto le lenzuola, sentendo il morale sotto i piedi: chissà che cosa aveva pensato di lui dopo quell'incontro imbarazzante.
- Marinette avrà una posizione importante all'interno della famiglia e saprà gestire perfettamente il proprio ruolo, in quanto Boss non puoi essere da meno - lo bacchettò Reborn, infilandosi il berretto da notte nonostante il sole fosse ancora alto nel cielo - Devi stare al passo con lei. -
- Come se fosse possibile - borbottò il ragazzo, voltandogli le spalle: non sarebbe mai riuscito ad arrivare al suo livello, era impossibile per lui anche solo pensarlo, e la "presentazione" che Reborn gli aveva fatto non migliorava le cose. - Dopo oggi, poi… starà pensando che sono un completo idiota. -
 
 
 
- Starà pensando che sono una completa idiota! - si disperò Marinette, abbandonandosi sulla panchina con un gemito di disperazione. Lal caricò il fucile e sparò l'ennesimo colpo con stizza, ormai stanca di sentirla piagnucolare su quanto fosse andato male quel pranzo, ma non fiatò aspettando che Romario caricasse nuovamente la macchina.
- Non essere così drastica - tentò di consolarla Dino - Conoscendolo, a quest'ora Tsuna si starà autocommiserando peggio di te. -
- Non può essere andata così male - sbottò Squalo ma la faccia di Lal lasciava intendere l'esatto contrario.
- Abbiamo passato la maggior parte del tempo in silenzio - ricordò Marinette in un ringhio - Le frasi che ha detto le posso contare sulle dita di una mano! -
- Beh, non che ci fossero molti argomenti a nostro favore - ammise Dino sovrastando il rumore dello sparo.
- E' stato orribile - mugugnò la ragazza.
- E' stato imbarazzante - specificò Tikki, che aveva passato tutto il tempo nascosta tra le pieghe della sua camicia. - Mi sono sentita a disagio persino io che non partecipavo, ho sperato fino all'ultimo che qualcuno dicesse qualcosa. -
- Potevi restare a dare una mano, accidenti! - lo rimbrottò malamente Lal, ricaricando il fucile. Squalo sobbalzò, preso alla sprovvista, e contorse le labbra in una smorfia.
- Voooi! Certo, avremmo potuto fare proprio una piacevole chiacchierata - commentò sarcasticamente - Dopotutto ho cercato di ammazzare lui e tutta la sua banda solo qualche mese fa, sai che bel tuffo nel passato. -
- E comunque non credo sappia che tu sei qui - ammise Dino.
- Come cavolo dovrei gestire la cosa, adesso?! - sbraitò Marinette, con ben altre preoccupazioni per la testa - Vivrà in casa mia e a malapena riusciamo a parlarci. -
- Nah, è solo timido - cercò di rassicurarla il ragazzo - Dagli il tempo di prendere confidenza. -
- Trovo incredibile che non sia maturato neanche un po' dopo gli ultimi trascorsi - borbottò Squalo, con stizza - Sembra lo stesso moccioso idiota di prima. -
- L'unica cosa che so per certo è che Reborn non mi piace per niente! - sancì Marinette - Con Tsuna si comporta in modo completamente diverso, lo tratta quasi come se fosse… fosse… - sapeva cosa voleva dire ma nessun termine le sembrava adatto per esprimerlo.
- Una pezza per i piedi? - domandò sconsolatamente Dino, come se conoscesse perfettamente la sensazione.
- Esatto! -
- Di certo non è un simpaticone - constatò Squalo.
- E' stata un'idea stupida. Andrà tutto storto - sbottò la ragazza, per poi alzare lo sguardo sulla sua tutrice ancora impegnata a disintegrare i piatti di ceramica che Romario sparava in aria con una pazienza infinita - Non partire, ti prego! - supplicò. Lal sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
- Piantala di essere così negativa! -
- Ma è la sua natura - puntualizzò Squalo, sobbalzando quando la ragazza gli pizzicò il braccio con stizza. - Ehi! -
- A volte ti fai proprio detestare - lo rimbeccò, incrociando le braccia al petto. Lui non replicò e Dino sembrò d'un tratto a disagio, ma a lei non importava: riusciva a pensare solo a Tsuna e alla pessima idea che sicuramente si era fatto di lei dopo quell'orribile primo incontro. La cosa peggiore era che non aveva la più pallida idea di come gestire i giorni successivi, di come approcciarsi a lui, di cosa parlargli e cosa fare insieme; si sentiva oppressa, schiacciata dalle responsabilità e dalle aspettative, e aveva una paura dannata di peggiorare soltanto le cose. Mai come in quel momento desiderò di poter fuggire via da tutto e da tutti.
Beh, forse non proprio da tutti
- Ok, senti questa! - esclamò d'un tratto Dino, distogliendola dai suoi pensieri - Domani è domenica, quindi non avete scuola: porta Tsuna a fare un giro della città, così avrete occasione di conoscervi e passare un po' di tempo insieme. -
Fare del turismo, in effetti, era un'ottima idea: almeno sarebbero stati impegnati in qualcosa e avrebbero sicuramente trovarti argomenti di cui parlare. C'era solo un dettaglio che le sfuggiva.
- Che vuol dire "non avremo scuola"? - domandò stranita anche se, in cuor suo, sentiva di conoscere già la risposta. Il ragazzo sembrò spaesato per un attimo, infine impallidì.
- R-Reborn non te lo ha detto? - balbettò infine, quasi terrorizzato. Lal gettò il fucile a terra e imprecò coloritamente, insultando il bambino con epititeti scandalosamente volgari, prontamente interrotti dall'intervento repentino di Squalo che si premurò di coprire le orecchie della ragazza per salvaguardare quel poco di innocenza che le era rimasta dopo aver vissuto con lui.
E Marinette non sapeva se era sconvolta o incazzata per l'ennesimo "particolare" che si erano dimenticati di dirle.
Quando Lal finì il suo sproloquio, Squalo la lasciò finalmente andare con un risentito "E poi sarei io il problema" e Dino sospirò stancamente, anche lui chiaramente provato da tutta quella situazione.
- Visto che Tsuna resterà qui per un po', Reborn non voleva che perdesse giorni di lezione e così lo ha iscritto alla tua stessa scuola - la informò, esausto - Mi aveva assicurato che ti avrebbe informato lui stesso della cosa, quindi credevo che già lo sapessi. -
E Marinette sentì l'astio che provava per quel marmocchio crescere di qualche altra tacca dentro di lei, raggiungendo vette che mai avrebbe immaginato: avrebbe frequentato la scuola con Tsuna e non era stata informata, scoprendolo praticamente per caso. Aveva tutto il diritto di essere incazzata, altroché.
- Stavolta non gliela faccio passare liscia a quel… - lì fu Dino a premurarsi di proteggere le delicate orecchie di Marinette, mentre Lal correva dentro la villa come una furia, imprecando e bestemmiando, e chissà da quanto tempo si stava trattenendo dall'esternare ciò che davvero pensava di lui.
- Credo che sia meglio se restiamo qui ancora per un po' - suggerì timidamente Tikki, già vedendo i tuoni e i fulmini uscire dalla porta della cucina.
- Sì, decisamente - annuì sconsolatamente Dino.
 
 
 
Marinette non ricordò molto del resto del pomeriggio, tra incazzatura e disperazioni varie aveva passato la metà del tempo a rimuginare sul modo migliore per fuggire in Alaska senza che nessuno lo scoprisse, salvo poi costringere Squalo a fare qualcosa insieme a lei pur di tenerla impegnata. Non sapeva neanche come ci fossero arrivati a decidere di vedere un film, fatto sta che si ritrovò ad essere svegliata da una vocina fastidiosa nell'orecchio che la incitava ad aprire gli occhi senza ricordare esattamente quando si fosse addormentata: eppure, quando mise a fuoco la stanza si ritrovò nella camera presa in prestito da Squalo, davanti ad un televisore ormai spento, rannicchiata al suo fianco che dormiva ancora della grossa con la testa poggiata sulla sua.
Non sapeva che ore fossero ma dalla finestra entrava la brillante luce arancione del tramonto, segno che fosse ormai sera. La cosa peggiore, però, non era tanto Dino sulla soglia che cercava in tutti i modi di fare il vago quanto Reborn in piedi sul bracciolo che la guardava con occhi freddi come il ghiaccio, come se stesse facendo qualcosa che disapprovava con tutto sé stesso.
Marinette si strofinò gli occhi, infastidita per essere stata svegliata, e lo guardò con una smorfia: - Che ore sono? - mugugnò.
- Le sette - rispose il bambino, gelido - Dovevi essere a casa due ore fa, tua madre ti ha chiamato cinque volte. -
Solo a quel punto la ragazza trasalì e sgranò gli occhi, rendendosi conto di quanto tardi fosse: afferrò il cellulare dalla tasca e trovò cinque chiamate perse e otto messaggi da parte di sua madre, più altri due da Bianchi che la esortavano a tornare a casa il prima possibile. Sospirò stancamente e si raddrizzò, mettendosi seduta.
- Mi sono addormentata - si giustificò, trattenendo uno sbadiglio, ma non le sfuggì l'occhiata che Reborn lanciò a Squalo e neanche il tono che usò nelle due parole successive.
- Lo vedo. -
Dino, che sembrava terribilmente a disagio, si guardava le scarpe come se fossero la cosa più interessante del pianeta e Marinette non capiva se fosse senso di colpa per la situazione o qualcos'altro di non ben definito. Ma era troppo stordita dal sonno per rimuginarci su in quel momento.
- Muoviamoci, adesso: la cena è quasi pronta e tua madre è già abbastanza preoccupata - tagliò corto Reborn, saltando giù dal bracciolo: era chiaramente infastidito e questo, paradossalmente, fece infastidire anche lei. Era lì da meno di un giorno e già aveva preso il comando, decisamente un pessimo modo per iniziare.
Rimise il telefono in tasca e scrollò Squalo per una spalla. Lui mugugnò qualcosa che somigliò vagamente ad un "Quel moccioso rompipalle" prima di stiracchiarsi, tendendo le braccia in alto; sbadigliò ed aprì finalmente gli occhi quando Marinette si stava già infilando le scarpe.
- Che fai: torni a casa o resti ancora qui? - domandò lei, allacciando a fatica le stringhe avendo ancora la vista offuscata. Squalo sbuffò.
- Ho lasciato la valigia lì, non ho molta scelta - borbottò in risposta alzandosi in piedi, strofinandosi stancamente il viso. - Quel film era proprio noioso. -
- Lo hai scelto tu - gli ricordò lei, seguendolo fuori dalla stanza.
- Ma non lo avevo ancora visto. -
Dino, Reborn e Tikki li stavano già aspettando all'ingresso, quest'ultima che dormiva profondamente nella tasca della giacca del ragazzo, e ciò fece ricordare a Marinette che Tsuna era rimasto a casa sua. Da solo. Con i suoi genitori.
Sperò con tutta sé stessa che stesse ancora dormendo.
Reborn non fiatò per il resto del tragitto ma volle sedersi dietro con Marinette, che suo malgrado non avanzò proteste sebbene il suo comportamento iniziasse davvero ad irritarla. Quando tornarono a casa, Sabine li accolse sulla porta prima che potessero anche solo bussare.
- Oh, grazie al cielo. Ero così preoccupata, credevo fosse successo qualcosa! - esclamò sollevata nel vedere la popria pargola ancora tutta intera.
La ragazza non poté impedire ai sensi di colpa di farsi strada dentro di lei e si scusò con imbarazzo: - Stavamo guardando un film e mi sono addormentata, non ho proprio sentito il telefono - ammise avvilita.
- Almeno siete in tempo per la cena - constatò Bianchi che, al contrario, era perfettamente tranquilla. Solo Tsuna mancava all'appello facendo presagire che, forse, le sue preghiere erano state ascoltate.
- Tsuna sta ancora dormendo? - domandò Reborn contrariato. Bianchi annuì e il bambino fece una smorfia, avviandosi verso la camera da letto. Neanche due minuti dopo si udì un tonfo sordo e i gemiti doloranti del ragazzo, seguiti dalle sue lamentele, lasciando il resto all'immaginazione degli astanti: quel marmocchio era davvero senza pietà.
Quando lui scese in salotto, vestito per metà e ancora stordito dal sonno, la tavola era già apparecchiata.
- Ho dormito più del dovuto - borbottò stancamente, massaggiandosi la testa su cui sbucava un piccolo bernoccolo, salvo poi fermarsi di colpo quando si ritrovò dinnanzi Squalo che lo fissava con latente disgusto.
Rimase a fissarlo per un attimo, si strofinò accuratamente gli occhi e poi tornò a guardarlo, quasi convinto di star ancora sognando; poi lanciò un urlo facendo un balzo all'indietro.
- Squalo?! - esclamò incredulo - C-Che ci fai tu qui? Che ci fa lui qui? - domandò istericamente, rivolto a Dino che non riuscì a farsi uscire più di un "Ehm…" incerto.
- Io ci vivo qui, idiota! - sbraitò il ragazzo, già con i nervi tesi e una vena che pulsava pericolosamente sulla sua tempia.
Ora Marinette capiva perché aveva preferito ritirarsi alla villa.
Con un suono strozzato, e sotto lo sguardo attonito di madre e figlia, Tsuna fuggì letteralmente dal salotto rintanandosi in cucina. E se da una parte Marinette poteva capirlo, visti i trascorsi, dall'altra era sempre più convinta che Dino avesse mentito spudoratamente sull'esito della Battaglia del Cielo: per quel ragazzo che si nascondeva dietro l'isolotto finemente apparecchiato non poteva davvero essere lo stesso che aveva fatto il culo a strisce a Xanxus.
Era impossibile.
- Mi sono persa qualcosa? - domandò Sabine, spaesata, e la ragazza non sapeva proprio come spiegarglielo dal momento che lei sapeva, sì, dei Varia ma non che Squalo ne facesse parte.
- Glielo spiego più tardi - sospirò Dino, avviandosi per recuperare il futuro Boss dei Vongola che tremava come una foglia rannicchiato sotto la tovaglia.

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