Lo siento, te amo

di Snow_Vaal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passioni e desideri di un Dio ***
Capitolo 2: *** Ricerca ***
Capitolo 3: *** Il tessuto dell'amicizia ***



Capitolo 1
*** Passioni e desideri di un Dio ***


 

“Dimmi che mi ami, Tullio...” disse con voce allusiva, suadente e provocante.
“Io...”
Cielo aveva avvinghiato le braccia attorno al collo del suo amante, e lentamente si stava avvicinando per pretendere un suo bacio.
La stanza, decorata in ogni sua parte da stoffe e tappeti ornamentali, profumava di frutta e fiori. I due giovani dai capelli bruni, si guardavano intensamente negli occhi, mentre lei gli costringeva la schiena contro una colonna.

Nonostante la conoscesse appena, Tullio era davvero ipnotizzato dalle movenze della ragazza. I suoi fianchi così ampi e rotondi erano per lui come soffici colline, sulle quali gli risultava impossibile non poggiare le mani. L'eleganza dei movimenti di lei, il tono provocante della sua voce, i lunghi capelli neri che si appoggiavano sulle sue curve morbide, sottolineandole, evidenziandole... era una visione talmente eterea e celestiale per Tullio, che egli stentava a credere che fosse reale.
El Dorado.
Non riusciva quasi a crederci.

Inizialmente l'idea di cercare la “città d'oro” gli era sembrata così stupida.
Una città incantata fatta interamente d'oro. Il sogno di ogni uomo. Soprattutto, un sogno per Tullio. Che fosse un cercatore d'oro ambizioso e avido, non era un segreto per nessuno. Però lì aveva trovato molto più che l'oro. Era diventato un Dio, e aveva trovato una donna che, a quanto gli sembrava, avrebbe fatto qualsiasi cosa per e, soprattutto, con lui.
Il pensiero di quella bocca che lenta si avvicinava alla sua, mentre si perdeva in questi pensieri poco casti, gli fece girare la testa per un attimo.
Nella sua mente benedì Miguel per averlo convinto ad affrontare quell'assurdo viaggio.



Le loro labbra stavano quasi per toccarsi, quando lei insistette nuovamente:
“Allora? Mi ami... o no?” lo provocò ancora, accarezzandogli i capelli ricci.
Tullio era un po' in imbarazzo. La ragazza gli piaceva, e sarebbe stato ipocrita da parte sua dire che non stava godendo della situazione, però non si sentiva ancora pronto per dirle quelle parole.
Scoppiò in un risolino imbarazzato mentre pensava a come venirne fuori.
Pensò che un semplice “Sì” in risposta alla sua domanda non sarebbe stato come dirle “Ti amo”, ma una risposta generica che comunque lei avrebbe accettato. Sospirò dunque un semplice “sì”, sperando nel meglio, ma non fece in tempo a realizzarlo che lei si era già completamente lasciata andare tra le sue braccia. Tullio ricambiò di buon grado il bacio, sempre più passionale, mentre le sue gambe iniziavano a cedere. Nella sua mente era chiaro come sarebbero andate a finire le cose da quel momento in poi.

Afferrandolo per il colletto della camicia blu, Cielo lo convinse a seguirla. La ragazza era tanto bella quanto furba. Sapeva bene ciò che voleva e altrettanto bene sapeva come ottenerlo. Tullio cercava di negarlo anche a se stesso, ma la verità era che tra loro due, chi conduceva i giochi, era proprio lei.
Senza mai voltargli le spalle, Cielo lo condusse fino all'ampio divano verde smeraldo scuro, riservato ad uso esclusivo dei sedicenti dei, dei che in fondo altro non erano che ciarlatani. Lei lo sapeva, lo sapeva benissimo, ma non gliene importava. Tullio era il suo biglietto da visita per la fortuna che li circondava, e per ricominciare una nuova vita in Spagna, lontana dalla soffocante città d'oro.
Dapprima si sedette leggera sul margine del divano, poi prese a distendersi, sollevando piano le gambe. In tale gesto ci fu per Tullio, che stava imbambolato a guardarla, qualcosa di ipnotico. Con una mano ella si accarezzava i capelli, e con l'altra, in un semplice gesto ed occhi languidi, invitò il compagno a seguirla. Ripresosi dal momentaneo collasso mentale, Tullio fece per togliersi il gilet marrone.
Cielo era davvero molto bella e la sua pelle scura, particolarmente calda al contatto diretto, in qualche modo lo rilassava, lo calmava, e gli dava sicurezza. In quel momento il suo unico desiderio era quello di poter toccare ancora quella pelle.
Tullio incrociò gli occhi della ragazza che lo attendeva, pieni almeno quanto i suoi di desideri osceni. Si sentiva pronto come mai prima di allora. E cominciò a sporgersi piano verso di lei.



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“T-Tullio..?”
Una voce incerta gli scosse la mente e lo fece tremare. Per un attimo i suoi occhi non videro altro che buio, mentre un brivido gli risaliva la schiena.
Si risollevò in fretta dal corpo della ragazza per controllare, aldilà dello schienale del divano, se ciò che aveva appena sentito fosse stata solo un'illusione o la tragica realtà.
Dio, aveva pregato dentro di sé che fosse stata davvero un'illusione, ma non lo era.

Sudato, con i capelli spettinati, Tullio rivelò se stesso a chi sapeva già essere dall'altra parte di quello schienale, sull'ampia scalinata d'oro, ad osservarlo. Se ne stava ritto in piedi, con il fiato corto, un po' per la lunga salita, un po' per l'imbarazzo. Miguel.
Accidenti. Avrebbe dovuto prevederlo.
Quella stanza regale, così ben decorata, non gli apparteneva. Lui e Miguel la condividevano sin da quando erano arrivati lì.
Il biondo era uscito per giocare a palla con i ragazzini del villaggio qualche ora prima, e Tullio sapeva bene quanto all'amico piacesse bighellonare. Si sarebbe trattenuto sicuramente più del previsto in mezzo a quella gente, ma prima o poi sarebbe dovuto ritornare. Era così ovvio che si maledì per non averci pensato. Sentì il viso avvampare. L'imbarazzo era tale che pensò di poterne essere letteralmente inghiottito. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non riuscì a dire nulla.

Ansimava mentre tentava di rimettere insieme i pensieri e giustificarsi con l'amico, ma poi vide gli occhi di Miguel.
Erano persi. Quegli occhi verdi che avevano sempre brillato di vita dacché lo conosceva, adesso sembravano spenti, vuoti. Restarono così per un momento che a Tullio sembrò infinito. Poi, senza nessun apparente motivo, cominciarono a riempirsi di lacrime.
Li vide diventare sempre più umidi finché una triste lacrima solitaria gli discese lungo una guancia. Miguel era immobile e Tullio avvertì come una pugnalata nel petto. Non capiva il motivo della reazione di Miguel ma era più che certo di aver combinato un guaio più grande di quanto temesse all'inizio. Non aveva mai visto l'amico così scosso.

“Io... Scusate se vi ho interrotto. Devo andare.” sussurrò Miguel in tono monocorde, lo sguardo ancora perso nel vuoto. Sembrava essere lì soltanto con il corpo ma la sua mente, pensò Tullio, stava percorrendo ben altri sentieri.
Quando Miguel gli voltò lentamente le spalle, Tullio si risvegliò dal turbinio dei suoi pensieri e delle sue emozioni e finalmente riuscì a dire qualcosa.

“Miguel! Aspetta!” gli urlò tendendo un braccio, ma l'amico era già scomparso, correndo via, lungo quell'infinita scalinata d'oro.

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Capitolo 2
*** Ricerca ***


“Hey, dove credi di andare?” chiese Cielo mentre si rimetteva a sedere, scocciata dall'interruzione imprevista. Miguel era arrivato come una folata di vento, e in un attimo aveva spento il fuoco che lei si era impegnata ad alimentare per giorni.
Come se non bastasse, ora era sparito senza lasciare traccia. Lei lo maledisse con tutto il cuore. Avrebbe davvero voluto che Miguel non esistesse, o per lo meno, che il suo uomo non gli prestasse così tanta attenzione.
Intanto Tullio stava rivestendosi di gran fretta.
“Devo seguirlo, Cielo.”
“Ma ormai è passato troppo tempo, e la città è grande. Dove pensi di andarlo a cercare?” Gli rispose acida e stizzita.
Tullio si fermò un attimo a riflettere mentre lei lo contemplava. Lo odiava in quel momento ma tutto sommato non poteva negare che fosse davvero affascinante.
“Io...” cominciò lui, alzando l'indice della mano destra.
“Io...” ripetè, strofinandosi il mento, per poi portarsi le mani sul viso in un gesto di esasperazione. “...non lo so. Ma non posso lasciarlo da solo, lo cercherò ovunque se necessario.”
“Fa come vuoi.” Gli rispose lei, e lui percepì chiaramente il suo intento, ma non si sarebbe sentito in colpa nel lasciarla sola. Si sentiva già abbastanza in colpa per ciò che era successo con Miguel pochi minuti prima.
“Lo so che non capisci. Ma Miguel è così... irresponsabile, istintivo, dio solo sa che gli passa per la testa!” Tullio aveva cominciato a gesticolare animatamente. Cielo si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla, calmandolo.
“Beh, tu sei un dio. Vallo a capire.” lo interruppe.
“...eh?”
“Vai a riprendere quella piagnucolante divinità” disse simulando le virgolette alla parola 'divinità'. “Consolalo, ma poi torna subito qui. Noi non abbiamo ancora finito, dolcezza” gli sorrise.
Tullio si stupì della comprensione rivelata da Cielo. Non credeva che lei potesse capire, in fondo, Miguel le aveva rovinato i piani. Tullio credeva di conoscerla abbastanza da poter dire con assoluta certezza che fosse una ragazza rancorosa... beh, forse si sbagliava.
In realtà Cielo avrebbe davvero preferito che Tullio restasse con lei, ma in fondo sapeva che anche fosse rimasto, la sua mente sarebbe rimasta a Miguel.
Cielo non l'aveva visto, non aveva visto gli occhi di Miguel né l'aveva visto scappare via, ma la tensione nell'aria in quel momento era stata così densa, che qualcosa dentro di lei le suggeriva di non intralciare i due ragazzi, se non voleva compromettere ancora di più i suoi piani con Tullio.

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“Ma dove diavolo si sarà cacciato quel babbeo?” bofonchiò Tullio, ormai stanco di camminare.
Il pomeriggio era finito da un pezzo, lasciando posto alla sera.
Fortunatamente la luce della Luna riusciva ad illuminare abbastanza le strade della città d'oro, le cui mura riflettevano, anche a quel tardo orario, una flebile luce dorata e confortante.
Tullio aveva cercato il suo migliore amico in lungo e in largo.
Aveva chiesto a chiunque gli fosse passato vicino se l'avesse visto, ma la risposte ricevute erano sempre negative. Si chiese se fosse stato lo stesso Miguel a dire a tutti di mentire, di nascondere il fatto che fosse passato da quelle parti. In fondo, la gente di El Dorado amava più lui che il bruno. “Naah, sciocchezze. Come possono non adorarmi?” si disse, provando goffamente a tirarsi su. Aveva camminato per ore ed era più stanco che mai.
Solo, per le strade di El Dorado, Tullio ripercorreva con la mente milioni e milioni di volte ciò che era successo. Ci pensava e ripensava, ma non riusciva concretamente a spiegarsi la reazione di Miguel. “Ooh andiamo amico! Ma che ti ho fatto?” piagnucolava da solo, trascinandosi ormai a fatica con le spalle curve. “È incredibile che io ti debba cercare per tutta El Dorado, sai? Sono ore... ORE che sto qui a fare avanti e indietro come un deficente. Ti piace giocare a nascondino eh? E va bene, hai vinto. Ora però esci fuori!” riprese a gesticolare. Parlando tra sé e sé come parlasse con Miguel, Tullio si rese conto di quanto l'amico gli mancasse di già. Decise di prendersi una pausa e mettersi a sedere per un po', abbandonandosi definitivamente ai pensieri.


Erano passati anni dalla prima volta che si erano incontrati, erano praticamente cresciuti insieme. La vita che avevano scelto di fare li costringeva a muoversi di continuo, cambiare sempre zona, quartiere, a volte anche città. Entrambi vivevano alla giornata, sempre a zonzo per la Spagna, e Tullio sapeva bene che, fino a quel momento, nella sua vita non vi era stato spazio o tempo per alcun affetto, se non per Miguel. E come legarsi a qualcun altro quando non si ha il tempo di guardare due volte il tramonto dalla stessa banchina? Tullio sospirò.
Pensava alle continue fughe dalle guardie, l'adrenalina del gioco e la paura di essere beccati.
Aveva condiviso con Miguel i momenti migliori della sua vita, ma anche i peggiori.
Lui era sempre stato là, e adesso che non c'era, Tullio si sentiva completamente solo.
Era già capitato altre volte in passato che, per un motivo o per un altro, si fossero dovuti separare per qualche tempo (Al massimo un paio di giorni), ma la differenza era che, adesso, Miguel era sparito per qualcosa che Tullio aveva fatto, ma che non riusciva a comprendere.
Il bruno si sentiva attanagliare dal senso di colpa, una colpa a lui indecifrabile, ed era preoccupato, oh se era preoccupato per Miguel! Lo conosceva bene, ma era imprevedibile.
Era stata imprevedibile la sua reazione, prima. E Tullio tremava all'idea che potesse commettere qualche 'imprevedibile' sciocchezza, adesso che non c'era lui al suo fianco per impedirglielo. No, non c'era altro tempo da perdere. Ogni secondo perso a riposare sarebbe potuto costargli caro.

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Ripercorrendo le orme del suo passato, Tullio camminò ancora per una ventina di minuti.
Aveva giurato a se stesso che non sarebbe tornato a casa finché non avesse ritrovato Miguel. Non avrebbe avuto comunque il coraggio di rilassarsi senza essere certo che stesse bene. Non sapeva quanto avrebbe dovuto ancora aspettare, cercare, soffrire, prima di ritrovare il suo migliore amico.
Si avvicinò ad un immenso bacino d'acqua con l'intento di bere un po'. La sete lo stava divorando e ne approfittò anche per darsi una rinfrescata.
La Luna si rifletteva sull'acqua, luminosa e gigantesca.
Tullio si fermò a ripensare a come lui e Miguel fossero giunti fin lì, alla sete e alla stanchezza che lui e l'amico avevano patito su quella piccola barca in mezzo all'oceano.
C'era un che di ironico nella ciclicità degli eventi, pensò.

Camminando per una stradina che costeggiava il bacino, dietro una fila di alti alberi decorativi e con le gambe doloranti, si diede dell'idiota per non aver pensato di cavalcare Altivo. Al galoppo di un cavallo sarebbe stato molto più facile cercare Miguel. Lui non si sarebbe quasi per nulla affaticato, e ci avrebbe messo come minimo la metà del tempo per girare tutta la città. Purtroppo però non ci aveva pensato. Si era focalizzato solo sul biondo compagno d'avventura, dimenticando il suo raziocinio nella stessa stanza dove, ora, aveva dimenticato anche Cielo, che probabilmente stava ancora aspettando il suo ritorno.

Un sussurro smorzato lo destò nuovamente dai suoi pensieri.
Una voce. Una voce che avrebbe riconosciuto tra milioni di persone.
L'aveva trovato.

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Capitolo 3
*** Il tessuto dell'amicizia ***


“...iota. Tullio sei solo un idiota...”

Il moro sgranò gli occhi e sollevò di scatto la testa verso la sua sinistra quando udì quelle parole appena sussurrate, ma che, nel silenzio della notte, distinse chiaramente. Era la voce di Miguel, era la sua, ne era sicuro. Finalmente l'aveva trovato. Non riusciva a crederci, ormai aveva quasi perso tutte le sue speranze ma... Era lui, ed era lì.

Miguel se ne stava seduto su un largo piedistallo di pietra, dando le spalle a lui e alle acque del bacino, preferendo invece la straordinaria vista di un muro di mattoni scuri. Tullio non sapeva se avvicinarsi o meno. Dopo averci pensato, scelse di aspettare.

Non voleva spaventare il suo amico, e prima di provare a sistemare le cose, voleva cercare di capire cosa turbasse davvero così tanto Miguel da farlo scappare via. Dentro di sé sperava che non lo avesse notato, e si accucciò dietro uno degli alberi decorativi per poterlo spiare. Forse non era corretto, forse non avrebbe dovuto farlo, però non aveva davvero idea di cosa passasse per la mente dell'amico, e affrontarlo a viso aperto era troppo rischioso, poteva correre il rischio di compromettere ancora di più la sua posizione.

Miguel girava e rigirava un piccolo sassolino che teneva tra le dita, mentre, con lo sguardo basso, cercava di contenere la sua frustrazione e il suo disprezzo per il compagno. Malediva Tullio per ciò che aveva fatto, ma malediva ancora di più se stesso per aver reagito a quel modo.

“Tu... non capisci. Non hai mai capito e mai capirai...” sussurrò ancora.
“È così strano? È così sbagliato?” strinse forte il sassolino nel palmo della sua mano, pronunciando parole vaghe a denti stretti. Non voleva piangere, non più, ma non riuscì a trattenersi, e iniziò a singhiozzare di rabbia. Tirò su col naso un paio di volte, poi, velocemente, alzò il braccio che stringeva la pietra.
“VA ALL'INFERNO! DANNAZIONE!” urlò, scagliandola contro il muro di mattoni scuri.
Il sassolino si infranse in due metà con uno schiocco chiaro, lasciando un solco bianco, appena visibile.
“Al diavolo tu ed El Dorado!” si disse Miguel, asciugandosi il viso con la manica della maglia.

Tullio, ancora accucciato dietro la siepe, assistette a tutta la scena. “Va all'inferno” aveva detto. Il suo cuore a quelle parole mancò un battito.
Il moro si sentì come comprimere il petto da un macigno. Non capiva? No, su questo Miguel aveva ragione. Non capiva, non riusciva a capire.
Non aveva mai visto il suo collega così furioso, così distrutto, e si sentiva tremendamente in colpa, ma anche agitato, impaurito. Cosa avrebbe dovuto dirgli?
Spiare Miguel aveva solo alimentato i suoi dubbi ma non gli aveva dato alcuna certezza o risposta. Tullio si sentiva ancora più confuso di prima.

Mentre continuava ad osservarlo, vide Miguel alzarsi in piedi, e capì di non avere molto tempo. Poteva fare soltanto due cose in quel momento: Lasciare che Miguel andasse via per poi pedinarlo e cercare di capirne di più, o fermarlo lì dov'era. Senza pensare, scelse la seconda opzione.

 

Con uno scatto si sollevò da terra e si avvicinò all'amico che gli dava le spalle.
“Miguel!” lo chiamò, fermandosi a pochi metri da lui.

Nell'udire quella voce, il biondo trasalì. Non si aspettava di risentirla, di certo non quella sera. Si immoblizzò per un secondo e il silenzio riempì la notte per attimi lunghissimi. Per quanto si ostinasse nel cercare di odiarlo, di non provare altro che disprezzo per lui, la voce di Tullio riusciva sempre a scuoterlo, ad annullare i suoi pensieri. Non appena la sentì, il biondo non riuscì a provare altro che tristezza. Via il dolore, via la rabbia e il disprezzo. Tullio... Avrebbe tanto voluto ignorare ogni cosa, poterlo abbracciare, avere il conforto che tanto cercava. Miguel sapeva bene che Tullio era l'unica persona capace di confortarlo. Ma adesso che proprio il moro era la causa del suo dolore, come poteva farsene confortare?

Non si voltò a quel richiamo. In cuor suo sapeva bene che, se l'avesse fatto, non sarebbe riuscito a reggere il peso del confronto, lo sguardo di Tullio. Miguel era assolutamente sicuro che lui non capisse, e per quanto cercasse di incolparlo, sapeva bene che la colpa non era nemmeno sua. Non poteva capire, non avrebbe potuto comunque. Se c'era un colpevole in tutto quello, questo era Miguel.
Si sentì stupido nel cercare di scaricare la colpa sull'amico, quando sapeva bene che l'unico ad aver sbagliato, in quel frangente, era proprio lui.
Si sentì in imbarazzo, si sentì colpevole. Non era ancora pronto per vuotare il sacco e prendersi le sue responsabilità. 'Vigliacco' si disse.

“Tullio, per favore, va via... non dovresti essere qui.” riuscì infine a rispondere, con gran fatica.
“Come sarebbe a dire?” rispose il moro evidentemente seccato. “È tutto un pomeriggio che ti cerco, hai idea di quanto io sia esausto?” Tullio iniziò ad alzare la voce.
Miguel si sentì ancora più in colpa, si fece piccolo ascoltando quelle parole.
“Sei assurdo Miguel! Davvero? Arrivi, interrompi tutto sul più bello, fai una scenata e scappi via senza dire una parola. Adesso, dopo ORE che ti cerco per tutta El Dorado, hai il coraggio di venirmi a dire che devo andarmene e che non dovrei essere qui. Secondo te tutto questo è normale? Dai, dimmelo Miguel: tutto questo è normale secondo te?!”

Ancora silenzio. Miguel non riusciva a trovare il coraggio per rispondere.

 

Tullio lo osservava in silenzio. Non potendo nemmeno guardarlo in faccia non riusciva a capire se il biondo lo stesse davvero ascoltando. Ripensò alla scena di poco prima, alle lacrime e alla frustrazione di Miguel. No, probabilmente urlare non era la mossa migliore.
Sospirando si avvicinò all'amico e gli poggiò una mano sulla spalla destra. Lo sentì tremare leggermente.

“Hey... Senti. Io non so cosa sia successo, cos'ho fatto, o perché tu ce l'abbia a morte con me” cominciò a dire con tono amichevole “però se ti ho fatto torto ti chiedo scusa. Miguel, siamo amici da una vita. Non è da te scappare così.” -fece una pausa- “Non ti fidi di me?” - lo provocò- “Perché non mi spieghi che sta succedendo? È per Cielo? Non sapevo piacesse anche a te... Scusa, amico.” Tullio tacque, aspettandosi una risposta, una spiegazione.
“Miguel, mi sembra di parlare con il muro se non ti vedo in faccia. Ti prego, guardam-”
Il biondo afferrò la mano di Tullio con la sua sinistra, e la scostò dalla sua spalla con un gesto poco delicato. Si girò verso l'amico e Tullio potè notare la tristezza del suo sguardo. Tristezza e quello che pareva essere senso di colpa. Cosa? Non era lui che aveva sbagliato? Lo attanagliò un senso di confusione, e rimase a guardarlo allibito, con occhi incerti. Più dubbioso che mai, in attesa che parlasse. Sperava che finalmente Miguel si fosse deciso a spiegargli qualcosa, a fugare qualche suo dubbio.

“Per favore, non toccarmi.” -disse invece, abbassando la testa. Ci aveva provato, ma non riusciva proprio a reggere lo sguardo di Tullio. Allontanandosi di qualche passo aggiunse: “Ho bisogno di stare da solo...”
A quell'affermazione Tullio restò interdetto.

“C-come?”

“...”

Il moro guardava il suo amico mentre cercava di evitare il suo sguardo. Percepì l'imbarazzo di Miguel e la sua difficoltà nel parlare. Cominciò a ridacchiare.

“Dio Santo Miguel! Mi sembri una ragazzina! Hahaha” lo prese in giro, ma quando notò che Miguel non reagiva, tornò serio. La cosa stava diventando davvero imbarazzante. Tutto quel silenzio, semplicemente non era da loro. Solitamente Tullio avrebbe dovuto pregare Miguel affinché smettesse di parlare, ma questa volta, lo stava implicitamente supplicando di fare l'esatto contrario.

“Miguel...” lo chiamò piano allungando una mano verso il volto del compagno, che prontamente la respinse. Tullio sapeva che Miguel era arrabbiato, ed infatti non si sorprese più di tanto del gesto. Nonostante questo però, non potè fare a meno di sentire dentro di se un forte disagio. C'era rimasto male, ma a dire il vero, nemmeno lui sapeva esattamente che reazione desiderasse ricevere dal biondo con quel gesto.

“Ti avevo detto di non tocc-”

“Senti, adesso tu mi dici che succede. Sono stanco di giocare, Miguel.” lo guardò severo, afferrandolo saldamente per un braccio.

“Non posso.”

“MIGUEL!”

“NO!”

 

Silenzio.
Tullio, ansante e spettinato, stringeva forte il braccio del compagno, digrignando i denti per via della rabbia frustrata che provava. Miguel d'altro canto, lo fissava dritto negli occhi, sicuro, serio, fermo più che mai nella sua decisione di non dargliela vinta.

“Lasciami.”

“No.”
“Non fare il bambino.”

“Sei tu che stai facendo il bambino!”

 

Si udì un forte schiocco che rimbombò sul muro di mattori scuri, e fece tremare impercettibilmente l'acqua del bacino idrico.
La guancia sinistra di Tullio cominciò a colorarsi di un rosso acceso mentre Miguel riprendeva fiato. Il moro lasciò la presa sull'amico.
Uno schiaffo. Gli aveva dato uno schiaffo.

Si guardarono. Miguel sembrava essere impaurito, osservava Tullio con occhi spalancati e tremava. Tullio, di rimando, lo guardava incredulo. Non era arrabbiato. In realtà, non riusciva a sentire più niente.
Miguel cominciò ad ansimare e, preso dal panico, indietreggiò di qualche passo. Poi corse via, lasciando Tullio così, ancora paralizzato dalla sorpresa.

I suoi occhi azzurri brillavano del riflesso della luce lunare.
Ci fu un silenzio assoluto. L'acqua smise di scorrere, i grilli di cantare.
Non riuscì a muovere un muscolo.
Sentì le gambe cedere, e in un primo momento non riuscì a comprendere se fosse per la stanchezza o per lo shock.

Rimase lì in ginocchio, fermo immobile sul selciato, e mentre guardava pietrificato la figura del compagno di una vita allontanarsi e sparire all'orizzonte, sentì il tessuto della loro amicizia, venire strappato centimetro per centimetro. Lo colse un forte dolore al petto, come se il cuore gli fosse stato strappato via e calpestato brutalmente.
Mai come prima d'allora nella sua vita, si era sentito così perso.

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