Magisterium - 1933

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sull’Espresso per Hogwarts (Scelta OC) ***
Capitolo 3: *** Banchetto di inizio anno ***
Capitolo 4: *** Primo giorno ***
Capitolo 5: *** Compleanni e superstizioni ***
Capitolo 6: *** Piuttosto sposerei... ***
Capitolo 7: *** Halloween ***
Capitolo 8: *** Grifondoro - Serpeverde ***
Capitolo 9: *** A cena con Luma ***
Capitolo 10: *** Hogsmeade ***
Capitolo 11: *** Compleanni e sfide ***
Capitolo 12: *** Charlie ***
Capitolo 13: *** Natale (Parte I) ***
Capitolo 14: *** Natale (Parte II) ***
Capitolo 15: *** Vacanze ***
Capitolo 16: *** Corvonero - Tassorosso ***
Capitolo 17: *** Gelosia ***
Capitolo 18: *** Hogsmeade - II ***
Capitolo 19: *** Corvonero - Serpeverde ***
Capitolo 20: *** Gravidanze inattese ***
Capitolo 21: *** I Patronus ***
Capitolo 22: *** Vacanze pasquali ***
Capitolo 23: *** Grifondoro - Tassorosso ***
Capitolo 24: *** Compleanni e piccole vendette ***
Capitolo 25: *** Ripassiamo ***
Capitolo 26: *** Esami e compleanni ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Magisterium – 1933
 
 
 
Prologo
 
 
1º Settembre 1933, Binario 9 ¾, King’s Cross
 
 
 
Quando chiuse lo sportello attraverso cui erano saliti sul treno e avevano appena salutato i genitori Sean Selwyn tirò un sospiro di sollievo e sua sorella sorrise, visibilmente di ottimo umore da quando si era svegliata quella mattina. 
 
“Finalmente…” 
“Puoi ben dirlo, di qui a Natale ce ne staremo in assoluta libertà, niente genitori che ci tengono il fiato sul collo… Non vedevo l’ora.” 
 
Charlotte appoggiò il capo sulla spalla del fratello, che annuì mentre le metteva un braccio intorno alle spalle:
 
“Lo so bene, non hai fatto altro che contare i giorni per tutte le vacanze. Sai, credo che tu sia una tra i pochissimi studenti a preferire la scuola al periodo estivo.” 
“E tu meglio di tutti dovresti capirmi, visto che viviamo sotto lo stesso tetto. A proposito, sto pianificando di non tornare a casa per Natale, mi farai da spalla?” 
 
“Dobbiamo ancora iniziare e già pensi alle vacanze di Natale e a svignartela dalla nostra famiglia?” 
“Naturalmente.”
 
Charlotte sorrise quasi allegramente e a Sean non restò che roteare gli occhi, facendole cenno di seguirlo prima di incamminarsi lungo il corridoio. 
 
“Sei sempre la solita, Charlie…” 
 
 
*
 
 
Mentre si appuntava la spilla da Caposcuola sulla tunica color pece della divisa Regan Carsen non poté fare a meno di essere grato a Dippet di avergli dato quella carica: se non altro, sarebbe riuscito a sfuggire alla consueta riunione che Lumacorno organizzava sul treno ogni anno con la scusa di dover incontrare i Prefetti prima di arrivare ad Hogwarts. 
 
Il Serpeverde, prima di raggiungere il vagone, si fermò davanti ad uno scompartimento quasi vuoto, occupato solo da due ragazzi. Come d’accordo Regan aprì lentamente la porta di vetro, rivolgendosi al ragazzo che stava leggendo un libro, comodamente seduto sui sedili con le gambe distese e una ragazza raggomitolata accanto a lui con una coperta sulle spalle. 
 
“Sean? E’ ora.” 
 
Sentendo la sua voce Sean si voltò e Charlotte aprì gli occhi verdi, puntandoli sul Serpeverde prima di sbuffare sommessamente, lanciando un’occhiata malinconica al fratello:
 
“Questi sono i momenti in cui mi rammarico di non essere stata nominata Prefetto.” 
“Beh, nessuna sorpresa, visto il modo in cui ti comporti… temo che dovrai, invece, raggiungere il vagone di Lumacorno. E senza di me a farti da spalla durante la riunione.” 
 
Sean sorrise alla sorella minore mentre si alzava, infilandosi la tunica in fretta e furia sopra alla camicia bianca che già indossava e appuntandosi, infine, la scintillante spilla verde e argento da Prefetto sul petto prima di raggiungere il compagno, lasciandosi alle spalle una Charlotte visibilmente contrariata:
 
“Morivo dalla voglia di tornare a scuola, ma non certo per le riunioni di Lumacorno… non potrei infiltrarvi alla vostra, di riunione?” 
“Non se ne parla Charlie… fai il tuo dovere e va’ dal nostro insegnante preferito… Sul serio, vuoi che scriva alla mamma per lamentarsi della nostra condotta?” 
 
La Corvonero sfoggiò una smorfia, rabbrividendo alla sola idea mentre si alzava di malavoglia, lanciando un’ultima occhiata torva ai due Serpeverde:
 
“Bene, allora andate e divertitevi, vi farò un resoconto delle idiozie che dirà.” 
“Lo aspetteremo con trepidazione.” 
“Ciao Charlotte!” 
 
Regan e Sean sparirono dalla visuale della ragazza sogghignando, e Charlotte stava per uscire a sua volta dallo scompartimento quando suo fratello fece nuovamente capolino sull’uscio, rivolgendole un’occhiata di rimprovero e parlando con un tono seccato che ricordava particolarmente quello della madre:
 
“Mi stavo dimenticando… Charlotte Selwyn, una signorina del tuo calibro non usa questo linguaggio! Modera i termini, di grazia.” 
“Stai zitto o ti ficco quella spilla in un occhio, Sean.” 
 
 
Il tono della ragazza era seccato ma Sean sembrò non farci caso, limitandosi a ridere prima di strizzarlo l’occhio e girare sui tacchi, raggiungendo Regan infondo alla corsia mentre la sorella minore, sbuffando come una ciminiera, usciva a sua volta dallo scompartimento per prendere la direzione opposta. 
 
Se il buon giorno si vedeva dal mattino e doveva iniziare con una riunione con Lumacorno, allora probabilmente non aveva un grand’anno davanti a sé.
 
 
 
 
 
 
 
 
************************************
Angolo Autrice
 
E dopo il Sequel, potevo non scrivere il Prequel di Magisterium? Avevo detto che ci sarebbe stato il “quarto atto”, ma ho fatto un salto indietro invece di continuare con i pargoli degli OC di Act II.
Ovviamente trattandosi di un Prequel non è assolutamente necessario aver letto Magisterium per leggere/partecipare, solo alcuni tra i suoi personaggi compariranno anche qui.
 
Regole:
 
  • Le iscrizioni sono aperte fino al 23/11, avete tempo fino alle 21 per mandarmi la scheda/le schede
  • Potete partecipare con due OC al massimo… possono essere fratelli volendo, cugini, amici o odiarsi a morte, ma non fidanzati, i giochi li faccio io u.u
  • Gli OC devono essere del VI o del VII anno
  • Le recensione deve essere una recensione, pertanto evitate di mandare la scheda direttamente lì o commentare con “vorrei partecipare con una ragazza Serpeverde” e basta
  • Se sparite per tre capitoli di seguito il vostro OC verrà eliminato, pertanto vi invito a scrivermi se vi rendete conto di non riuscire a recensire per un paio di settimane.
 
 
E ora, la scheda:
 
Nome:
Anno:
Casa:
Ruolo:* (controllate quelli dei miei personaggi per evitare di avere due Caposcuola o due Capitani per la stessa casa, per favore!)
Aspetto:
Prestavolto:
Descrizione psicologica:
Fobie/debolezze:
Passioni/talenti:
Famiglia:
Cosa ama, cosa no:
Patronus e ricordo:
Amicizie/Inamicizie:
Relazione: (sì, no, che tipo di persona gli piace ecc… per favore niente omosessuali perché siamo nei primi anni trenta e all’epoca non erano particolarmente ben accetti)
Animale:*
Altro:
 
 
Una piccola nota: tenete a mente il contesto storico dove la storia è collocata, siamo nel 1933, pertanto vi prego di evitare di scrivere, nel punto “cosa ama/cosa no” che è fan degli One Direction, di Bob Marley, che il suo film preferito è Pretty Woman o che si veste come un punk.
Detto questo, ecco i "miei" OC, alcuni presi in prestito da qualche autrice:
 
  • Principali 
Charlotte Anne Selwyn, VI anno, Corvonero, membro del Lumaclub e del Club degli Scacchi
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Sean Edgar Selwyn, VII anno, Serpeverde, membro del Lumaclub e del Club dei Duellanti, Battitore, Prefetto
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Regan Carsen, VII anno, Serpeverde, membro del Lumaclub, Caposcuola, membro del Club degli Scacchi e dei Duellanti 

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  •  Secondari  
Stephanie Noone, VII anno, Grifondoro, membro del Lumaclub, Cacciatrice
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William Alexander Cavendish, VI anno, Serpeverde, membro del Lumaclub, Capitano e Battitore
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Infine, un sentito ringraziamento ad Amilcara95, che ho disturbato per due mesi per questa storia senza però mai dirle per cosa mi servisse tutto quello che le chiedevo... grazie cara <3

A presto!
Signorina Granger 

 

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Capitolo 2
*** Sull’Espresso per Hogwarts (Scelta OC) ***


Buonasera! 
Scusate per l’attesa, avrei voluto pubblicare la scelta già domenica ma nel weekend non sono riuscita a scrivere quasi niente e preferisco inserire non solo una semplice lista, ma anche un testo vero e proprio. 
Detto questo, come sempre spero che chi non è stato scelto non se la prenda, ho cercato di allargarmi il più possibile ma mi sono arrivate quasi 30 schede e qualcuna l’ho dovuta scartare per forza… la lista la trovate infondo come sempre se siete troppo curiose, buona lettura! 



Capitolo 1: Sull’Espresso per Hogwarts (Scelta OC)


 
Non potrei imbucarmi alla riunione e farvi da assistente, o qualcosa di simile? Mi offro volontaria per servirvi da bere!”
“Non mi dispiacerebbe, ma temo che non funzioni così… abbi pazienza, dalla prossima volta ci sarò anche io. Solo che, per una triste coincidenza, oggi gli orari coincidono.”

Elena MacMillan sorrise mentre, camminando accanto alla sua migliore amica e compagna di Casa, teneva un braccio sulle spalle di Stephanie, che invece le rivolse un’occhiata cupa mentre attraversavano il vagone:

“Certo, lo vedo come sei triste… Dovrò andarci da sola, meraviglioso.”
“Lumacorno ti adora Stephanie, passerà il tempo ad elogiarti, potrebbe andarti peggio. Io invece passerò il tempo a pregare affinché non mi affidino da subito i turni del weekend…”

La Grifondoro si strinse nelle spalle, assestando all’amica una lieve pacca consolatoria sul braccio mentre si fermavano: 

“Beh, salutami Lumacorno… e divertiti!”
“Da impazzire. Ci vediamo dopo… ciao Axel.”

La bionda rivolse un’occhiata cupa anche all’amico, che invece ricambiò con un sorriso prima che Elena lo prendesse sottobraccio, invitandolo a seguirla per raggiungere il vagone dei Caposcuola per la riunione con gli altri Prefetti.

“Un po’ mi dispiace per Stephanie, a dire il vero.”
“Anche a me, ma sono felice di scamparla, questa volta… non voglio sapere che cosa ha fatto quest’estate Lumacorno, preferisco non immaginarlo in costume da bagno, grazie.”

“Non siamo neanche al primo giorno Elly, non propinarmi immagini così spiacevoli!”

Il ragazzo piegò le labbra in una smorfia mentre l’amica ridacchiava e Stephanie, pochi metri più indietro, si decideva finalmente ad aprire la porta del vagone occupato come sempre da Lumacorno, uno dei più grandi del treno, stampandosi un largo sorriso di circostanza sul volto: era arrivato il momento di andare in scena.


*


Quando aprì la porta dello scompartimento la prima cosa che fece fu perlustrare con lo sguardo i presenti, cercando qualche faccia amica. 
Quando i suoi occhi scuri si catalizzarono sull’espressione torva di Charlotte Selwyn Adela sfoggiò un piccolo sorriso, lieta di vedere l’amica e affrettandosi a raggiungerla dopo aver salutato educatamente Lumacorno, che stava conversando amabilmente con Stephanie Noone, andando a sedersi accanto a lei:

“Ciao Charlie… ti ho cercata, dove sei stata finora?”
“Ero con mio fratello. Il maledetto studente modello può evitarsi questa prima “riunione” per quella dei Prefetti.”

Charlotte sbuffò debolmente, continuando a tenere le braccia conserte e gli occhi chiari fissi su Lumacorno, seduta scomposta sul sedile di pelle e con tutta l’aria di chi non voleva essere disturbata. 
“Sì, neanche Hector ci sarà… pazienza, vorrà dire che ci supporteremo a vicenda.”

“O almeno finché non arriverà la tua dolce metà non tanto dolce.”
“Puoi almeno sforzarti di fingere che ti piaccia? Giusto un pochino? Se né accorto perfettamente, che non lo sopporti.”
“Bene, l’intento era quello.”

Charlotte sorrise e l’amica roteò gli occhi con aria rassegnata prima di parlare nuovamente:

“Comunque non preoccuparti, anche Ronny adesso è alla riunione dei Prefetti, non verrà.”
“È vero, me n’ero scordata… perfetto, così dovrò sopportare soltanto Cavendish e non il magnifico duo in contemporanea!”

“Non dei ancora andata a salutare William e a dirgli quanto ti sia mancato durante le vacanze?”
“Mi è mancato esattamente quanto mi manca mia madre durante l’anno, Adela.”


*


“Allora, visto che ci siamo tutti direi che possiamo cominciare… le regole i nuovi Prefetti già le conoscono, quindi passiamo direttamente ai turni di Settembre… qualcuno si offre per il sabato sera? O il venerdì?”

Evangeline sollevò lo sguardo dal foglio che teneva in mano, occupato dalla griglia per i turni che avrebbero dovuto riempire entro la fine della riunione, per posarlo sui ragazzi che aveva davanti con cipiglio scettico, aspettandosi esattamente ciò che seguì: un silenzio tombale.

La Caposcuola non disse niente, limitandosi a lanciare un’occhiata interrogativa a Regan, seduto accanto a lei dietro la scrivania. E il Serpeverde sfoggiò un debole sorriso mentre si voltava verso di lei a sua volta, accennando a qualcuno tra i presenti:

“Mentre venivamo qui Selwyn mi ha detto che moriva dalla voglia di avere il turno del sabato, Evie.”
“Davvero? Meraviglioso, grazie Sean.”

Evangeline accennò un sorriso mentre annuiva, scarabocchiando il nome del Serpeverde nella colonna del sabato mentre il suddetto ragazzo sgranava gli occhi verdi con orrore, fulminando l’amico con lo sguardo:

“Eh?! Carsen, non approfittare della tua posizione!”
“Mi spiace, ormai Evie l’ha scritto, non si torna indietro.”
“Bene. Evangeline, metti Carsen al sabato sera con me.”

“Ragazzi, la vostra disponibilità quest’anno mi sorprende… bene, il sabato sera è sistemato… per il venerdì invece?”

La Corvonero alzò nuovamente lo sguardo, ignorando l’espressione cupa che era comparsa sul volto del collega e rivolgendosi ai compagni, facendo correre gli occhi chiari su ognuno di loro. 
Indugiando con particolare enfasi su due Grifondoro del suo anno, che capendo si limitarono a sfoggiare simultaneamente due smorfie identiche:

“Fantastico… D’accordo allora, MacMillan e Farrel. Perché noi due finiamo ogni anno al venerdì, Axel?”
“Beh, se non altro stiamo insieme.”

“Sì, ma se vi becco di nuovo a rubare cibo nelle cucine vi depenno.”

Evangeline annottò i nomi dei due Grifondoro accanto a quelli di Regan e Sean, parlando con un tono piuttosto neutro che fece ridacchiare il collega, mentre Axel parlò con aria contrariata:

“Ti ripeto che l’idea era stata di Elena!”
“Nessuno ti ha costretto a seguirmi!”

“Lasciamo perdere, spero che il discorso sia chiuso… per la domenica? Hector?”

“D’accordo.”
“Bene… Adela non c’è, ma siete amici, penso che non le dispiacerebbe stare con te.”
“Per me va bene. Dovresti chiedere ad Heslop se è d’accordo.”

Il Corvonero rivolse un’occhiata eloquente in direzione del Serpeverde e la Caposcuola lo imitò, voltandosi verso il ragazzo e guardandolo come se fosse in attesa di una sua conferma. Ma Ronald si limitò a liquidare il discorso con un gesto della mano, asserendo che per lui non c’era alcun problema.

“Bene, allora voi due per la domenica… metto me e Aurora di lunedì, per il martedì… Beatrix?”

 “Nessun problema.” La Tassorosso annuì, indirizzando un lieve sorriso alla Caposcuola che venne ricambiato, mentre la bionda annuiva, vagamente stupita di quanto in fretta stesse riuscendo a sistemare i turni quell’anno: forse, facendo in fretta, sarebbe persino riuscita a non perdersi la fine dell’incontro di Lumacorno, anche se Aurora le aveva promesso di raccontarle tutto per filo e per segno.

“Perfetto direi… Heslop? Ti va bene fare il turno di martedì con Beatrix?”

Quando colse l’espressione quasi allarmata della bionda Evangeline fu quasi tentata di rimangiarsi la domanda, ma Ronald si era già voltato verso la Tassorosso, rivolgendole un’occhiata scettica prima di annuire: 

“… sì, nessun problema.”


Beatrix non aprì bocca, probabilmente troppo educata per sollevare una polemica, limitandosi a piegare le labbra in una lieve smorfia, tenendo le braccia conserte e ringraziando mentalmente Evangeline per averle affibbiato come compagno di ronda praticamente l’unico tra i presenti che mal sopportava.
Ancora una volta, la sorte le sorrideva. 



*


Aurora, sorridendo debolmente, teneva gli occhi fissi sul professore di Pozioni, rammaricandosi che Evangeline non fosse presente. In effetti anche lei avrebbe dovuto presenziare alla riunione dei Prefetti, ma aveva chiesto all’amica di concederle di saltarla, assicurandole che le sarebbe andato bene qualsiasi turno, pur di non perdersi il cabaret offerto dall’insegnante. 

In effetti era, probabilmente, una tra i pochi presenti ad ascoltare l’uomo con sincero interesse, così come Jade Bones, seduta accanto a lei. 

“A volte non capisco perché tutti lo prendano in giro… certo, fa preferenze ai limiti dell’inverosimile, ma secondo me è un bravo insegnante.” 
Jade inarcò un sopracciglio, osservando l’insegnante con aria pensierosa, chiedendosi perché molti tra i suoi compagni manifestassero spesso insofferenza nei confronti dell’uomo e, nello specifico, delle “riunioni” che organizzava. La Tassorosso l’aveva sempre trovato piuttosto piacevole, anzi, era ben lieta di far parte dei suoi studenti preferiti.

“Personalmente, lo trovo comico, a volte… anche io vengo qui volentieri, di solito.”

Aurora sorrise, annuendo mentre osservava il professore con aria divertita, pensando a tutte le risate che da un paio d’anni si faceva grazie all’uomo.
Quasi come se l’avesse letta nel pensiero, Lumacorno si voltò proprio verso di lei, sorridendole bonariamente: 

“Dimmi Aurora… come stanno i tuoi genitori?”
“Splendidamente, Signore… mia madre le porge i suoi saluti. Credo che le farebbe piacere averla presente alla sua prossima cena.”

Il sorriso divertito della Corvonero si allargò nel vedere il professore praticamente illuminarsi, assicurandole che avrebbe accettato l’invito di buon grado. Del resto chi non avrebbe presenziato volentieri ad una delle cene di sua madre, che la donna organizzava saltuariamente invitando la crème della società magica britannica ma anche alcuni tra i suoi vecchi, ricchi ed illustri amici americani con la scusa di “raccogliere fondi per il San Mungo” facendo parte ormai da anni del Consiglio d’Amministrazione dell’ospedale. 

“Anche mia madre mi ha raccomandato di salutarla, Signore.”
Aurora si voltò verso Charlotte, cercando di non ridere di fronte all’espressone estremamente impassibile della compagna di Casa più giovane di un anno, che fino a poco prima aveva sentito sbuffare come una ciminiera. 

“L’annata di tua madre è stata la mia prima da insegnante, Charlotte… era una tra i miei studenti migliori.”
“Sì, ne sono a conoscenza… me l’ha vagamente accennato.”

O forse ripetuto cento volte

“Mi dispiace che tuo fratello non ci sia, è impegnato con questioni da Prefetto?”
“Temo di sì, ma mi ha assicurato che in futuro non mancherà.”

Gli converrà 

Charlotte stava quasi per prepararsi alla sfilza di elogi rivolti al brillante fratello maggiore, ma con suo sommo stupore l’insegnante si rivolse a qualcun altro, permettendole di continuare a dedicarsi all’unico aspetto positivo dell’incontro: i tramezzini serviti con il tè.

“Charlie, lasciamene qualcuno!”
Adela sbuffò, sporgendosi per mettere in salvo almeno un tramezzino mentre l’amica roteava gli occhi con esasperazione:

“Mia madre non fa altro che controllare quello che mangio, ma ora sono lontana miglia, quindi posso fare ciò che voglio… e poi non mangio da stamattina, quando è passato il carrello stavo dormendo e Sean non mi ha lasciato nulla.”

“Cerca almeno di lasciare qualcosa anche al resto dello scompartimento, Selwyn, ci faresti un favore.”
“Anche tu potresti fare un favore al resto dello scompartimento, Piccolo Lord: cucendoti le labbra.”




“Secondo te quanto durerà ancora?”
“Non ne ho idea, sai quanto gli piaccia chiacchierare… perché Katie, hai forse fretta?”

“No, solo che in questo momento preferirei di gran lunga starmene a leggere nel mio scompartimento o chiacchierare con Beatrix invece di restare qui per ore…”

Katherine sbuffò debolmente, tenendo le braccia conserte e gli occhi chiari fissi sull’insegnante, sperando che li congedasse rapidamente. Oppure poteva sempre uscire con la scusa del bagno senza più tornare, ma in quel caso avrebbe fatto una figura pessima… e il suo migliore amico l’avrebbe derisa a vita per essersi data alla fuga.
Lo stesso migliore amico che, in quel momento, era seduto accanto a lei e sembrava piuttosto divertito dalla situazione, rivolgendo un sorriso sornione alla Grifondoro:

“O forse sei solo amareggiata perché qualcuno non è presente, contrariamente a quanto speravi.”
“Non cominciare, Gabriel.”

La ragazza fulminò l’amico con lo sguardo, che invece non smise di sorridere e parve non sentirla, mentre cominciava a chiedersi se fosse stata una buona idea dirglielo, mesi e mesi prima. 
Anche se, visto che si conoscevano fin da bambini, probabilmente l’avrebbe intuito comunque. 

Buffo, visto che le loro madri anni prima li avevano fatti incontrare sperando proprio di poter organizzare un fidanzamento… ma Gabriel e Katherine non ne avevano voluto sapere, rifiutandosi categoricamente di sposare quello che era diventato molto rapidamente il proprio migliore amico. 


*


Andrew teneva gli occhi fissi sul soffitto dello scompartimento, cercando un modo per ammazzare il tempo e  sperando che Jade tornasse in fretta per fargli un po’ di compagnia visto che gli altri presenti non sembravano interessati a fare molta conversazione: Thomas se ne stava rintanato in un angolo con un libro tra le mani e lo stesso valeva per Iphigenia, che sembrava concentratissima su uno spaventoso tomo.

“Mi dite perché avete già dei libri in mano?! Domani iniziamo le lezioni, non pensate che ne avremo abbastanza, di libri, per i prossimi mesi?”
“E infatti ne approfitto per dedicarmi a ciò che davvero mi interessa, Andrew, visto che prossimamente non avrò molto tempo da dedicare all’otium litteratum.”

“… A cosa? Iphe, quest’estate ti sei unita ad una setta?”
“È latino, ignorante!”

Iphigenia sorrise e posò finalmente lo sguardo sull’amico, distogliendo l’attenzione dal testo di fisica che stava leggendo mentre il compagno di Casa sorrideva con aria colpevole:

“Scusa, le uniche parole latine che conosco sono le formule… comunque, che cosa sarebbe?”
“Intendo dedicarmi a ciò che mi interessa, oziare!”

“Tu chiami oziare leggere quella roba piena di simboli astrusi?! Tom, dille qualcosa anche tu, legge troppo.”
“Mh? Che hai detto Drew?”
Thomas distolse lo sguardo dal libro per posare gli occhi scuri sull’amico, guardando il rosso con aria vaga mentre quest’ultimo sospirava, scuotendo il capo con rassegnazione:

“Lasciamo perdere… Ma quando torna Jade?!”


*


“Ah, eccovi finalmente… vi siete divertiti?”

“Da morire. Specialmente quando, grazie a Carsen, siamo finiti assegnati al turno del sabato sera.”
Quando mise piede nello scompartimento Sean fulmino l’amico con lo sguardo, che ricambiò mentre Jack, comodamente seduto senza aver ancora indossato la divisa, sorrideva invece con aria divertita: 

“Un giorno o l’altro mi piacerebbe molto assistere ad uno dei vostri turni. Probabilmente più che controllare diligentemente i corridoi chiacchierate.”
“Anche. Oppure esploriamo i meandri del castello… Pazienza Reg, vorrà dire che per Settembre passerai il sabato sera con la mia unica e sola, graditissima compagnia.”

Sean si lasciò scivolare sul posto accanto a Jack mentre Regan prendeva posto di fronte a loro, seguito poco dopo anche da Gabriel, che raggiunse i tre compagni di Casa: 

“Di ritorno dalla riunione? Mi siete mancati con Lumacorno, ha sentito tremendamente la vostra assenza. Tua sorella non sembrava molto felice, Sean.”
“Non ama particolarmente stare in sua compagnia… ma le ho raccomandato di comportarsi bene e, se mai potesse riuscirci, di mordermi quella maledetta lingua. L’ha fatto?”

“Direi di sì, non ha parlato molto.”
“Mia sorella che non parla?! Doveva essere proprio di pessimo umore, allora…”









…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:
Ed eccomi di nuovo… ora, poiché se non mi dimentico di inserire questo punto nelle schede ogni volta non posso ritenermi soddisfatta, vi chiedo di mandarmi via MP le materie che al vostro OC piacciono o meno, dove va bene ecc. Qualcuno di voi lo ha segnato comunque nella scheda, ovviamente in quel caso non serve che mi mandiate niente.


Adela Victoria Quested, VI anno, Corvonero, Prefetto, Cercatrice, membro del Lumaclub
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Andrew Maguire, VII anno, Tassorosso, Cacciatore, membro del Club dei Duellanti
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Aurora Margaret Temple, VII anno, Corvonero, Prefetto, membro del Lumaclub 
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Axel Elliott Farrel, VII anno, Grifondoro, Prefetto, membro del Club degli Scacchi 
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Beatrix Morgan, VI anno, Tassorosso, Prefetto 
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Elena MacMillan, VII anno, Grifondoro, Prefetto, membro del Lumaclub e del Club degli Scacchi
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Evangeline Juliet Grace Rosehealty, VII anno, Corvonero, Caposcuola, membro del Lumaclub  
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Gabriel Cynric Greengrass, VII anno, Serpeverde, Cacciatore, membro del Lumaclub e del Club degli Scacchi
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Hector Arthù Grayfall, VI anno, Corvonero, Prefetto, Cacciatore, membro del Lumaclub 
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Iphigenia Ashworth, VII anno, Tassorosso, Battitrice
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Jack Keegan, VII anno, Serpeverde, Portiere, membro del Club dei Duellanti 
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Jade Aurora Bones, VII anno, Tassorosso, membro del Lumaclub e del Club degli Scacchi 


Katherine Burke, VI anno, Grifondoro, Capitano e Cacciatrice, membro del Lumaclub e del Club degli Scacchi 
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Thomas Peter Wright, VII anno, Tassorosso, Battitore e membro del Club degli Scacchi 
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Questo è tutto… il primo capitolo vero e proprio dovrebbe arrivare tra una settimana. 
Buona serata, 
Signorina Granger 

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Capitolo 3
*** Banchetto di inizio anno ***


Innanzitutto… Buon compleanno, Bea! :)
Buona lettura!




Capitolo 2: Banchetto di inizio anno


Aurora varcò la soglia del portone d’ingresso con un sospiro di sollievo, abbassando il cappuccio del suo mantello mentre, accanto a lei, Evangeline scrollava il suo, sbuffando debolmente: 

“Cominciamo bene… il clima non mi era mancato.”
“Neanche a me… se non altro, qui dentro si sta bene.”

Aurora piegò le labbra in un sorriso mentre si sfilava il mantello praticamente grondante d’acqua e si addentrava nel Salone d’Ingresso illuminato dalle torce, camminando in mezzo alla calca per raggiungere la Sala Grande. 

“Non vedevo l’ora di arrivare, il viaggio è stato infinito… andiamo a prendere un paio di posti, prima che ce li soffino.”

La Caposcuola fece cenno all’amica di seguirla, ma Evangeline finì col praticamente perdere di vista la compagna di Casa, che un attimo prima era accanto a lei e subito dopo era sparita in mezzo agli altri studenti, quasi scivolando in mezzo alla ressa con una facilità disarmante: 

“Aurora? Ma come fai a districarti in questo modo?! Aspettami!”

La bionda roteò gli occhi chiari, dicendosi di lasciar perdere visto che aveva già perso di vista l’amica, che era sparita in mezzo ai compagni a causa della sua bassa statura, provvedendo solo a ricordarle a voce alta, ovunque fosse, di tenerle un posto. 



“Finalmente siamo tornati e posso usare di nuovo la magia… Mi sono segnata tutti gli scherzi pessimi che mi hai giocato durante l’estate, ora avrò finalmente modo di ripagarti come si deve.”

Charlotte piegò le labbra in un sorriso, rivolgendosi al fratello maggiore con un tono di voce tanto zuccheroso da farlo quasi rabbrividire, sfoggiando una smorfia prima di affrettarsi a dileguarsi: non teneva particolarmente a subire la vendetta della sorella già alla prima sera, non davanti a tutta la scuola, almeno.

“Scappa pure fratellone, prima o poi verrò a riscuotere il conto… che vigliacco. Vogliamo andare, prima di finire calpestate?”
“Buona idea… spero solo che lo Smistamento non occupi molto tempo, sto morendo di fame.”

Adela fece per seguire il fiume di studenti che si erano addentrati nell’Ingresso per raggiungere la Sala Grande quando la sua attenzione venne catturata da un ragazzo che le si stava avvicinando, accennando un sorriso quando posò gli occhi sul fidanzato: 

“Ciao Ronny.”
“Ciao… che fine avevi fatto, sul treno? Non ti ho vista alla riunione.”
“No, ero da Lumacorno, Charlie mi avrebbe uccisa se l’avessi lasciata sola… Charlie?”

La Corvonero aggrottò la fronte quando, voltandosi, si ritrovò a parlare con il vuoto visto che l’amica aveva già provveduto a dileguarsi, sparendo dal suo campo visivo.
Per un attimo si chiese come avesse fatto a sparire così in fretta, ma ricordandosi di chi stesse parlando decise di passarci sopra: 

“Dove… oh, lasciamo perdere. Vieni, voglio raggiungere la Sala Grande entro Natale, se possibile. Tu sei alto, fammi strada.”
“Ricevuto. Mi segua, Signorina Quested.”


*


“Com’è andata da Lumacorno?”
“Il solito… tu invece? Hai ricevuto un turno decente?”

“Ho la ronda insieme a Ronald Heslop.”
“Il fidanzato di Adela?”

Beatrix annuì, incupendosi considerevolmente mentre Katherine invece si sforzava di sorridere, quasi a volerla consolare:

“In effetti, so che non ti piace molto…”
“Io non avrei alcun tipo di problema, in realtà, è lui che mette il naso in faccende che non lo riguardano, come la mia famiglia. Lasciamo perdere, non mi va di pensarci, siamo appena arrivati…”

La bionda scosse leggermente il capo mente si sfilava il mantello, attraversando l’Ingresso insieme alla Grifondoro per raggiungere la Sala Grande:

“Giusto, mal che vada lo rinchiuderai dentro un’armatura durante un turno. … Sto scherzando Beatrix, sappiamo tutti che non ne saresti mai capace…”
“Perché, tu lo faresti?”

“Non penso, se si sapesse mia madre arriverebbe di corsa per ripudiarmi o uccidermi… no, probabilmente chiederei a Gabriel di farlo.”
“Bene, ricordami di chiederglielo se mai Heslop dovesse esasperarmi durante la ronda. Anche se essendo amico di Adrian non so se lo farebbe… potresti chiederglielo tu per me.”

“Mi basterebbe pregarlo, probabilmente… fammi un fischio, se hai bisogno.”
“Saranno dei martedì sera molto lunghi…”


*



“Iphe, smettila di agitarti, tornerà come nuovo!”

Andrew sospirò con un velo di esasperazione mentre, seduta di fronte a lui al tavolo dei Tassorosso, Iphigenia stava cercando di asciugare il suo libro facendo uscire del vapore dalla bacchetta. 
La ragazza si era a dir poco allarmata quando si era resa conto delle condizioni del libro di fisica che aveva letto sul treno e che non era stato risparmiato dall’alluvione in cui si erano trovati invischiati una volta scesi dall’Espresso. 

“Lo spero… devo ancora finirlo, non può rovinarsi!”
“Io ti avevo consigliato di rimetterlo nel baule prima di scendere, ma come al solito nessuno mi dà retta!”

“Volevo leggere ancora durante lo Smistamento, tutto qui. Jade, dammi una mano.”

 La bionda, roteando gli occhi, si limitò ad annuire prima di tirare fuori la bacchetta a sua volta, aiutando l’amica ad asciugare il libro di un certo A. Einstein.

Andrew si stava chiedendo ancora una volta che cosa ci trovasse l’amica nelle materie scientifiche di tanto affascinante, lui era ben lieto di essere un mago e di dover studiare materie di ben altro tipo, ma decise saggiamente di non esprimere i suoi dubbi a voce alta per evitare di irritare Iphigenia.
Di norma cercare di farla innervosire lo divertiva parecchio, anche se spesso restava a bocca asciutta vista l’ammirevole pazienza della ragazza e la calma che riusciva a mantenere anche di fronte alle provocazioni… erano pochi i tasti che, se toccati, la faceva innervosire sul serio, ma il ragazzo si disse che aveva tutto il tempo del mondo per punzecchiarla. Forse era preferibile non cominciare già dalla prima sera.

Visto che sia Iphigenia che Jade erano impegnata rimettere in sesto il testo di fisica della prima, Andrew si voltò verso Thomas, seduto accanto a lui, sperando di poter fare una chiacchierata, ma il compagno di Casa teneva gli occhi scuri fissi sul suo piatto ancora vuoto e le braccia conserte, in religioso silenzio. 
E Andrew intuì che Thomas non era in uno dei suoi momenti di spiccata loquacità, come spesso gli succedeva.

“Ecco, ci risiamo… di questo passo richiederò un trasferimento di Casa entro la fine dell’anno.”
“E da chi andresti, sentiamo, dai nostri cari amici Serpeverde?!”

“Magari con loro riuscirei a chiacchierare!”


*


I suoi occhi scuri saettarono sul tavolo della sua Casa, cercando qualche figura familiare. 
Com’era prevedibile, Charlotte le aveva tenuto il posto ed era seduta di fronte ad Aurora Temple, impegnata a parlare con lei e con Evangeline Rosehealty.
Adela raggiunse l’amica quasi a passo di marcia, prendendo posto accanto a lei e rivolgendole al contempo un’occhiata torva:

“Si può sapere dove eri sparita? Salve, ragazze.”
“Oh, eccoti! A cosa ti riferisci?”
“A volte mi domando come tu ci riesca, hai imparato a Smaterializzarti prima del tempo? Hai trovato un modo per eludere la barriera? Perché ogni volta in cui compare Ronny tu sparisci?”

“Ah, certo… mia cara Adela, le opzioni sono le seguenti: o mi limito a togliere il disturbo quando il tuo fidanzato fa la sua comparsa, oppure rimango sulla scena e non provo neanche lontanamente a nascondere il mio disprezzo nei suoi confronti… In un altro contesto opterei per la seconda, ma ti voglio bene, quindi sto semplicemente alla larga da Heslop per evitarti imbarazzo. La mia spiegazione ti soddisfa, Adela?”

Charlotte inclinò leggermente le labbra in un sorriso che aumentò ulteriormente l’esasperazione di Adela, che si rivolse ad Aurora come in cerca di supporto, ma la ragazza si limitò a sorridere, divertita:

“Lascia perdere, è semplicemente fatta così… non credo sia possibile cambiarla ormai, sua madre ci prova da anni. Come dice Sean, il danno è fatto… sostiene che tu possa essere caduta da piccola dalla seggiola.”
“O più probabilmente mia madre mi ha defenestrata dopo il parto, intuendo che non ero la figlia perfetta che desiderava… come Era ed Efesto! … Mai sentiti? Oh, lasciate perdere.”


*


“Spero che Silente si dia una mossa, ho una fame che non ci vedo… com’è andata da Lumacorno, a proposito?”
“Beh, la parte positiva è che c’era il rinfresco.”

Elena smise di tamburellare la forchetta contro il suo calice per rivolgersi a Stephanie, seduta accanto a lei al tavolo dei Grifondoro. La bionda si strinse nelle spalle alla domanda dell’amica, che sgranò gli occhi prima di sbuffare debolmente:

“Davvero?! Accidenti, a saperlo avrei dato buca alla riunione… se non altro farò il turno con Axel. Stai facendo interiormente i salti di gioia all’idea, vero amico mio?”

Elena rivolse un sorriso divertito all’amico, seduto di fronte a lei, ma il ragazzo si limitò a roteare gli occhi, annunciando che quell’anno non l’avrebbe seguita nelle sue folli iniziative:

“Non fare il Prefetto perfetto, Axel!”
“Povero Axel, soggiogato e spinto nel baratro da Elena MacMillan… sai Elly, a volte penso che senza di noi il nostro Axel sarebbe il ragazzo più tranquillo e dolce del mondo.”
“È vero, siamo noi a rovinarlo, probabilmente…”

Elena annuì prima di ridacchiare insieme a Stephanie, mentre il ragazzo sbuffava con irritazione, borbottando che a volte si chiedeva perché fossero diventati grandi amici, anni prima. 
Non era mai stato particolarmente loquace o incline a fare amicizia rapidamente, ma al Banchetto di inizio anno, dopo il suo Smistamento, si era ritrovato di fronte ad una ragazzina dai capelli rossicci che aveva deciso sarebbe diventato il suo migliore amico. Ed Elena si era rivelata piuttosto testarda, visto che così era stato.
Come potesse essere tanto legato ad una persona così diversa da lui, un vero vulcano in eruzione in contrasto con la sua indole introversa, non lo sapeva. 
Ma probabilmente, gli andava bene così. 


“Suvvia, sappiamo che ci adori. Ah, bene, ecco quelli del primo anno… che il Cappello si muova, altrimenti azzannerò il tavolo!”


*


Katherine stava perlustrando il gruppo dei nuovi arrivati, tutti fradici e tremanti, cercando di individuare il fratello minore. 
Quando scorse Nathaniel, visibilmente preoccupato mentre aspettava il suo turno ormai imminente, la ragazza sorrise quasi senza volerlo, trattenendo l’impulso di alzarsi, raggiungerlo e abbracciarlo per rassicurarlo. 

Per fortuna venne chiamato poco dopo, e la Grifondoro lo guardò accomodarsi sullo sgabello con impazienza, sperando che il Cappello decidesse in fretta: in famiglia si chiedevano dove sarebbe stato Smistato il più piccolo di casa da mesi, e lei sperava ardentemente che fosse un Grifondoro a sua volta.

Katherine si morse nervosamente il labbro, continuando a far dondolare ritmicamente una gamba per cercare di ammazzare il tempo, gli occhi chiari fissi sul fratellino mentre nella Sala Grande praticamente non volava una mosca, gli occhi di tutti fissi sul piccolo Burke. 

Quando finalmente il Cappello pronunciò il suo verdetto Katherine sorrise, trattenendosi dall’alzarsi ed esultare – di certo non sarebbe stato considerato particolarmente appropriato -  mentre Nathaniel si sfilava il copricapo, porgendolo a Silente prima di raggiungere il tavolo della sua nuova Casa, che stava applaudendo. 

Il ragazzino la individuò e, sorridendole, si affrettò a raggiungerla. Probabilmente stava per dirle qualcosa, ma venne interrotto sul nascere dalla sorella maggiore, che lo agguantò e lo strinse in un abbraccio quasi soffocante, facendo comparire una smorfia sul suo volto:

“Kat, mollami! Non sono un bambino, lasciami!”

Katherine sbuffò e mollò la presa sul fratello, rivolgendogli un’occhiata cura mentre Nathaniel prendeva posto accanto a lei:

“Va bene… ti preferivo da piccolo, presto smetterai di essere carino e diventerai come tutti gli altri Purosangue.”
“Devo dire a Gabriel che parli così alle sue spalle?”

“Ovviamente non mi riferivo a Gabriel… sono felice che tu sia un Grifondoro, così potrò tenerti d’occhio e impedirti di combinare guai.”

Katherine sfoggiò un sorriso soddisfatto che il fratello non ricambiò, limitandosi invece a sospirare debolmente: forse sarebbe stato meglio finire altrove, e non nella stessa Casa della sorella.


*


Gabriel guardò Katherine soffocare il povero Nathaniel in un abbraccio e sorrise appena, intuendo la soddisfazione dell’amica nell’avere l’amato fratellino nella sua stessa Casa e il disappunto di lui, che di certo la stava implorando di lasciarlo andare.

“Chi stai guardando?”
“Il povero Nate che viene stritolato e soffocato dall’effetto di sua sorella. Kat sperava che finisse nella sua stessa Casa…”

Gabriel distolse lo sguardo dall’amico per tornare a rivolgersi a Sean, seduto di fronte a lui, che sorrise di rimando mentre si rigirava una forchetta tra le dita, aspettando pazientemente che lo Smistamento avesse fine:

“Anche io speravo di condividere la Casa con mia sorella, ma non ho avuto la stessa fortuna.”
“Sicuro? So che tieni molto a tua sorella, ma penso che sarebbe stato abbastanza… impegnativo, per te.”
“Badare a lei è una vera dispersione di energie, mia sorella è testarda e imprevedibile… ma non so che farei senza di lei, e preoccuparmi che non si cacci nei guai ormai mi risulta naturale. Credo che tu capisca, Gabriel.”

“Mia madre voleva che la sposassi, invece mi ha trovato una sorellina acquisita… Anche Kat non ha un rapporto facile con sua madre, non ha mai mandato del tutto giù la vita che è stata pianificata per lei.”
“Non abbiamo sempre vita facile, vero? Specie le ragazze, ho idea… noi abbiamo pur sempre più voce in capitolo. Charlotte è più piccola di me, eppure mia madre le fa molta più pressione, io ho più libera scelta. Non immagini che cosa è venuto fuori a cena qualche settimana fa, stavo parlando con mio padre sull’eventualità di entrare all’Accademia dopo il Diploma... e Charlie ha detto che non le “dispiacerebbe” diventare un’Auror. A mia madre è andata la cena di traverso.”

“Tua sorella? Un’Auror? Assurdo!”

Gabriel scoppio a ridere ma Sean non imitò l’amico, limitandosi a stringersi nelle spalle, osservando la propria forchetta con aria pensierosa:

“Già…”
“Andiamo, in genere in queste situazioni sono dalla parte della prole sottomessa dai genitori, ma questo… una ragazza che diventa un’Auror? Non credo che abbiano mai accettato ragazze all’Accademia.”
“Da quel che ne so, non è mai successo. Ma non penso sia una regola scritta, semplicemente nessuna si è mai presentata alle iscrizioni.”

“Beh, dovremmo chiederci il motivo, allora. Probabilmente non è una strada adatta a loro.”
“O forse lo pensiamo da così tanto tempo che quest’idea ha finito col penetrare nella mente di chiunque, anche se non è stato scritto da nessuna parte.”



*


Regan si lasciò cadere sul suo letto con un sospiro di sollievo, non potendo fare a meno di pensare a quanto gli fosse mancato il suo Dormitorio, la Sala Comune ed Hogwarts in generale. 
Anche se probabilmente le lezioni un po’ meno, certo. 

“Dite che è troppo sperare di non iniziare l’anno con una doppia ora di Storia?”
“La speranza è l’ultima a morire Reg, specie quando non hai fatto i compiti per le vacanze, no?”

Sean ridacchiò, lanciando il cuscino contro l’amico dopo essersi sfilato le scarpe con un calcio, facendo sbuffare debolmente il Caposcuola mentre affermava al volo il cuscino:

“Non è che io non li abbia fatti Selwyn, è solo che li ho fatti male.”
“Aspettate… compiti?! C’erano compiti di Storia?”

Jack, che come Regan si era stravaccato sul suo letto non appena aveva messo piede nella camera, scattò come una molla alle parole del compagno, osservando i due con gli occhi chiari carichi d’orrore:

“Sì Jack, tu dov’eri quando sono stati assegnati?”
“Porco Salazar… la mia innata repulsione verso quella materia deve avermi offuscato l’udito.”

“Aspettate, c’erano compiti di Storia? Davvero?”

Gabriel fece capolino dal bagno, parlando con un tono allarmato che fece sorridere sia Regan che Sean, mentre Jack invece sbuffò debolmente:

“Pare di sì. Ma mi consola sapere di non essere l’unico a non averli fatti.”
“Cominciamo magnificamente… Sean? Puoi farmeli copiare?”

“Ci devo riflettere, essendo un Prefetto forse non dovrei, dopotutto.”

Sean sorrise appena, guardando i due compagni con un cipiglio divertito che fece alzare gli occhi al cielo sia a Jack, sia a Gabriel:

“Sentiamo, che cosa vuoi?”


*


“Siamo arrivati da poche ore e ho già ricevuto cinque richieste per copiare I compiti… credo che di questo passo batteremo il record dell’anno scorso.”

Evangeline si chiuse la porta della camera alle spalle prima di avvicinarsi al suo letto, trovandoci Aurora seduta sopra e già con il pigiama addosso:

“Hai accettato di passarli?”
“Ovviamente no, non ho passato ore sui libri perché gli altri oziassero.”
“Mi sembra giusto… sono curiosa di leggere l’orario, chissà con cosa inizieremo.”

“Spero non Divinazione, non ho la forza di iniziare a sentir parlare di fondi di thè o cose simili… Aurora, mi fai la cortesia di scendere dal mio letto?”

“Mi perdoni, Signorina Rosehealty… comunque, quasi quasi io spero che ci sia Divinazione già domani, sarà divertente vederti in difficoltà, per una volta!”

“Tu non dovresti essere mia amica, almeno in linea teorica?”
“Gli amici servono propio a ridere di te quando sei in difficoltà, Evie!”


*


“Eccoti, finalmente… non ci siamo ancora salutati come si deve. Come stai?

Sentendo che qualcuno si era accomodati accanto a lui, sul divano, Hector si voltò, rivolgendo un lieve sorriso ad Adela:

“Bene. Tu invece?”
“Felice di essere tornata, mi siete mancati.”
“Charlie dov’è?”
“Di sopra, sta prosciugando le riserve d’acqua del Paese…”

“Ho detto ad Evangeline di metterci nello stesso turno per le ronde, spero non ti dispiaccia... Forse preferivi stare con Ronald?”
“No, va benissimo.”

Adela sorrise, scuotendo leggermente il capo prima di voltarsi, concentrandosi sul camino spento mentre l’amico invece continuava ad osservarla con lieve perplessità:

“Sicura che vada tutto bene?”
“Certo, perché me lo chiedi?”

“Non lo so, non fai i salti di gioia che credi dovresti fare. Tutto qui.”


Adela non rispose, esitando per un attimo prima di stringersi nelle spalle, alzandosi dal divano:

“Beh, ognuno reagisce a modo suo. Vado di sopra, domani dovremo alzarci presto. Buonanotte, Thor.”
“Buonanotte.”

Hector guardò l’amica allontanarsi per raggiungere la porta del Dormitorio femminile prima di tornare a concentrarsi sul libro che teneva tra le mani, poco convinto: Adela non sembrava poi così felice, dopotutto.




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Capitolo 4
*** Primo giorno ***


Capitolo 3: Primo giorno 

 
Lunedì 2 Settembre


Evangeline teneva gli occhi fissi su Silente, tamburellando le dita sul tavolo con impazienza e praticamente ignorando la quantità esagerata di pietanze che aveva davanti, aspettando che il Vicepreside passasse a consegnare gli Orari dell’ultimo anno anche ai Corvonero. 
Aurora invece, seduta di fronte a lei, concentrava tutta la sua attenzione alla scodella di porridge che aveva davanti, rivolgendo all’amica un’occhiata scettica:

“Evie, non mangi? È il primo giorno, ti servono energie per riprendere a stare seduta su una sedia ad ascoltare e prendere appunti per ore di fila dopo mesi di vacanza.”
“E soprattutto, per trovare un po’ di voglia di vivere.”

“Il tuo orario non è di tuo gradimento, Charlie?”  Aurora sorrise alla compagna di Casa, che si limitò a stringersi nelle spalle mentre mescolava distrattamente il tuo thè caldo:
“No, ho soltanto voglia di tornarmene a dormire…”

“Beh, cominciamo l’anno con Trasfigurazione, non ci è andata male, con Silente non ci si annoia.”

Hector, seduto accanto a lei, sorrise all’amica con fare consolatorio, guadagnandosi un’occhiata eloquente da parte di Charlotte:

“Thor, tu sei un caso da sottoporre ad un qualche studio, ti piace tutto, sei quasi felice di andare a lezione e segui praticamente ogni corso… c’è una materia che non ti piace?”
“Non penso, no. Ma Trasfigurazione piace anche a te, quindi anche se è il primo giorno sorridi, Charlie.”

Hector aveva appena parlato quando Silente comparve alle sue spalle, consegnando gli orari ad Aurora ed Evangeline sorridendo quasi allegramente, annunciando che avrebbero ripreso con la Trasfigurazione umana alla prima lezione insieme. 
Quando invece fu Hector a chiedere al Vicepreside con cosa avrebbero iniziato il programma e questi lo informò che avrebbero cominciato con gli incantesimi non verbali il Corvonero sfoggiò un largo sorriso, gli occhi quasi luccicanti mentre Charlotte si rivolgeva a sua volta all’insegnante, guardandolo con curiosità:

“La Trasfigurazione umana inizia a Primavera, Signore?”
“Sì Signorina Selwyn, negli ultimi mesi… ci vediamo in classe!”

Silente annuì, salutando vivacemente gli studenti prima di dirigersi verso i destinatari degli ultimi orari che teneva in mano mentre Hector si rivolgeva a Charlotte, chiedendole se non morisse per caso dalla voglia di trasformare qualcuno in una credenza senza ottenere preoccupantemente una risposta, se non un sorrisetto enigmatico. Aurora invece seguì l’insegnante con lo sguardo con un sopracciglio inarcato, mormorando qualcosa a bassa voce mentre srotolava il suo orario:

Ma come fa ed essere sempre di buon umore…”

“Non saprei dirti, ma ORA lo sono anche io: guarda cos’abbiamo in prima ora.”

Evangeline, che si era affrettata a controllare l’orario non appena le era stato consegnato, sorrise e voltò il rotolo di pergamena per mostrarlo all’amica, che un attimo dopo la imitò, sorridendo a sua volta.


*


Storia?! Cominciamo proprio con Storia! La sorte ci dev’essere avversa… e finiscila di gongolare, Sean.”


Jack ripiegò l’orario lanciando un’occhiata torva in direzione del compagno, che era seduto di fronte a lui e a Gabriel, che invece di fare colazione sembrava più impegnato a sonnecchiare sopra al tavolo:

“Non sto gongolando Jack, mi chiedo solo perché voi due abbiate l’aria tanto assonnata… avete dormito male, per caso?”
“No, siamo stati svegli fino all’alba per fare la metà dei compiti che tu e Reg non ci avete passato, e ci manca ancora un tema.”

“Poco male, le possibilità che Rüf se la prenda sono minime, spesso non si ricorda neanche dei compiti che affida… Gabriel, svegliati.”

Sean roteò gli occhi mentre si sporgeva sulla tavola imbandita, scrollando l’amico che mormorò qualcosa di incomprensibile mentre Jack invece spostava lo sguardo dal posto vuoto accanto a Sean alle porte aperte della Sala Grande ormai gremita:

“Che fine ha fatto Carsen, si è perso?! Doveva tornare a prendere la borsa, non circumnavigare la scuola.”
“Sarà qui a momenti, non ama arrivare in ritardo a lezione... farlo al primo giorno non sarebbe consigliabile, dopotutto.”


*


“Non siamo mai riuscite ad iniziare l’anno normalmente, ti si doveva strappare la veste proprio stamattina?”
“Sei tu che non trovavi la camicia, ti ricordo… Non è così grave, siamo in orario per le lezioni, anche se non sappiamo chi abbiamo in prima ora.”

Stephanie, camminando a passo svelto accanto ad Elena per raggiungere la scalinata principale, lanciò un’occhiata al suo orologio da polso e tirò un sospiro di sollievo, sostenendo che avrebbero perso soltanto la colazione. Pensiero che Elena però non sembrò condividere, voltandosi verso l’amica con gli occhi castani sbarrati:

“Soltanto?! È una tragedia, Steph!”
“Per una volta non moriremo!”

La bionda roteò gli occhi, attraversando l’Ingresso in fretta e furia per entrare nella Sala Grande, prendere l’orario per controllare le materie della mattinata e poi correre a lezione quando qualcuno le tagliò la strada, superando lei e l’amica quasi di corsa:

Chiedere “permesso” è passato di moda?!”

La Grifondoro inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata torva al ragazzo che l’aveva urtata leggermente, udendo solo delle fugaci scuse da parte sua.
I soliti Serpeverde… andiamo, Axel ci starà dando per disperse.”


Stephanie rivolse un cenno sbrigativo all’amica e in effetti quando ebbero raggiunto il compagno di Casa, che si stava alzando per uscire dalla Sala Grande, Axel rivolse alle due un sorriso divertito, porgendo alle amiche i rispettivi orari:

“Buongiorno. Cominciavo a pensare che voleste lasciami solo al primo giorno, ma poi mi sono ricordato che per voi due qualche imprevisto al primo giorno è la regola. Qual è stato l’anno del gatto di Elena che è quasi caduto dalla Torre?”
“Il terzo.”

“Giusto, l’anno scorso invece siete rimaste bloccate fuori dalla Sala Comune…”
“Avevamo scordato il libro di Pozioni, ma una certa Prefetta non ricordava la Parola d’Ordine….”

“Invece di ricordare i tempi andati potremmo muoverci?! Altrimenti mi siedo e faccio colazione, mentre voi parlate.”




“Eccoti, ci hai messo un po’, stavamo giusto per andare.”

Quando ebbe raggiunto il tavolo della sua Casa Regan venne accolto dal sorriso praticamente onnipresente di Sean, che si stava alzando per raccogliere le sue cose a andare in classe mentre sia Gabriel che Jack sembravano tutt’altro che allegri nell’imitarlo.

“Il libro di Storia era sepolto infondo al baule… ho quasi investito due ragazze per la fretta di tornare indietro.”
“Non capisco il perché di tutta questa fretta, non penso che Rüf si accorgerebbe di due minuti di ritardo…”

“Jack, non è che mal sopporti le sue ore perché si ostina a chiamarti John?”


*


Quando la sua tartaruga si trasformò in una teiera Katherine piegò le labbra in sorriso carico di soddisfazione, appuntandosi mentalmente di infornare al più presto a Gabriel dei suoi successi in Trasfigurazione, materia che l’amico mal sopportava da sempre. 
Cercò invece di non ridere nel ricordarlo a colazione, impegnato a praticamente dormire sul tavolo dopo aver sicuramente passato la notte in bianco per fare i compiti.


“Non è poi così male, a sentire Gabriel o mio fratello gli incantesimi non verbali sembravano tremendi…”
“Parla per te Kat, la mia teiera ha i segni del carapace sul coperchio!”

Beatrix sbuffò, osservando la sua teiera con aria torva e guadagnandosi un sorriso consolatorio da parte dell’amica:

“È solo il primo giorno, Silente non ne farà un dramma.”
“Quindi secondo te scherzava quando ha detto che avrebbe trasformato in una pianta grassa chiunque non ci sarebbe riuscito correttamente?”

Penso di sì, anche perché a giudicare dai lavori complessivi della classe penso che in caso l’aula diventerebbe molto simile ad una serra.”



“La mia teiera ha la coda invece del manico, ottimo.”
“Guarda il lato positivo, potresti mandarla a tua madre!”

“In tal caso farei in modo che invece della coda restasse la testa, così magari la morderebbe. Cassandra Selwyn, morsa dalla testuggine-teiera inviatale dalla figlia, un vero scandalo da prima pagina. Thor, come ci sei riuscito al secondo tentativo?”

“Sarà una dote naturale.”

Hector si strinse nelle spalle con noncuranza mentre, seduta tra lui e Adela, Charlotte sospirava, lanciando un’occhiata torva alla sua teiera mentre Adela invece sorrideva con aria soddisfatta:

“Io ci sono riuscita prima di Ronny, e tanto mi basta.”
“Non dire quel nome, lui e il suo amico Cavendish potrebbero venire a vedere come ce la siamo cavata, e non ho nessuna voglia di sentire i commenti garbati e pieni di complimenti di Cavendish.”

“Temo proprio che lui ci sia riuscito, Charlie.”
“Odio ammetterlo, ma quell’insopportabile damerino riesce sempre benissimo in tutto… sostiene di avere un’intelligenza piuttosto acuta, e piuttosto di ammetterlo davanti a lui farei una serenata pubblica a Lumacorno, ma forse ha ragione.”

Charlotte fulminò il suddetto Serpeverde con lo sguardo, maledicendo mentalmente lui e la sua straordinaria intelligenza che gli permetteva di riuscire egregiamente in qualunque cosa mentre accanto a lei Adela sorrise, immaginandosi la scena e cercando di non scoppiare a ridere nel pieno della lezione:

“Sarebbe un momento memorabile nella storia di Hogwarts, verrebbe sicuramente inserito nel manuale. Comunque, se ti può consolare Charlie, William non piace molto neanche a me… non amo particolarmente le persone così sicure di sè.”

Charlotte aggrottò la fronte mentre Adela teneva il capo chino, sfiorando distrattamente il coperchio della sua teiera. Stava per chiederle per quale motivo allora avesse accettato di sposare Ronald Heslop quando la voce di Hector la interruppe sul nascere:

“Penso che ciò che irrita molte persone sia semplicemente il fatto che non gli si può rimproverare nulla: certo, per essere arrogante un po’ lo è, ma ciò che dice è vero, le doti che decanta le possiede realmente.”

“Hector, vai a fare il grillo parlante a favore del Piccolo Lord da un’altra parte!”
“Non capisco questo parallelismo con un grillo, a dire la verità.”

“Te lo spiego dopo, ora sta arrivando Silente… devo fare la parte della povera fanciulla in difficoltà, forse così non mi trasformerà in una pianta grassa.”


*


Andrew Maguire avrebbe ucciso Thomas Wright.
E il fatto che fosse solo il primo giorno e stesse già facendo quei pensieri non era un buon segno.

Andrew sospirò rumorosamente, cercando in tutti i modi di non sentire la voce del compagno di banco – appuntandosi mentalmente di prendere posto accanto a Jade o Iphigenia di lì in avanti durante le ore di Storia – mentre teneva il capo abbandonato sul banco, sistemato sopra le braccia. 

Dicendosi che sarebbe finito dritto davanti a Dippet se avesse cercato di strangolare un suo compagno e che quindi non poteva ridurlo in impasto per biscotti. 

Il rosso aprì gli occhi prima di voltarsi verso l’amico, maledicendo mentalmente il suo essere piuttosto lunatico – passando così da momenti in cui se ne stava in silenzio in un angolo, senza dare segni di voler avere contatti con il resto del genere umano ad altri in cui parlava a tutto spiano –  e rivolgendogli una delle due rarissime occhiatacce prima di parlare a bassa voce:

“Tom. A che lezione siamo?”
“Storia della Magia.”
“E che cosa faccio io durante le ore di Storia della Magia?”

“Ehm… dormi?”
“Esattamente. Ed è ciò che intendo fare ORA, ho avuto la fortuna di avere questa materia proprio alla prima ora e voglio godermela. Perciò, buonanotte.”

Thomas fece per ricordargli che erano quasi le nove del mattino, ma Andrew gli diede nuovamente le spalle e si rimise a capo chino sul banco, convincendolo a lasciar perdere e a concedergli il suo solito sonnellino.



“Povero Tom, Andrew non sembra in vena di chiacchiere stamattina.”
“Forse bisogna capirlo, ieri era lui a voler fare conversazione e noi ad ignorarlo, dopotutto… si prende la sua rivincita.”

Iphigenia si strinse nelle spalle, sorridendo con leggero divertimento mentre scriveva distrattamente ciò che Rüf stava dicendo, probabilmente una dei pochi a farlo in tuta l’aula, fatta esclusione per Sean Selwyn, Aurora Temple, Axel Farrell, Regan Carsen, Stephanie Noone o Evangeline Rosehealty.

Jack e Gabriel invece, apparentemente sollevati per averla scampata, si stavano dedicando con grande impegno ad un torneo di impiccato mentre Elena MacMillan stava mangiando un muffin di nascosto.
Quando l’aveva vista tirare fuori il dolce dalla borsa, probabilmente preso furtivamente dal tavolo in Sala Grande, Axel aveva alzato gli occhi al cielo e aveva dichiarato di non volerne sapere niente, mentre l’amica si era difesa sostenendo che non potesse restare senza mangiare nulla fino a mezzogiorno e mezzo.

Elly, stai sbriciolando sulla mia borsa!”
“Basta darci una spolverata Steph, non fare la pignola.”

Stephanie scosse il capo, decidendo saggiamente di lasciar perdere e sopratutto di non privare l’amica della sua colazione, cosa che l’avrebbe di sicuro fatta diventare non poco irritabile.

“Come vuoi… tu non ti scrivi quasi nulla?”
“È la prima ora del primo giorno Steph, ho tutto l’anno per prendere appunti… ora seguirò 
 la filosofia di Maguire e tornerò tra le braccia di Morfeo.”


*


Sean uscì dall’aula con un sospiro di sollievo, estremamente grato a chiunque avesse compilato l’orario di aver collocato Difesa contro le Arti Oscure, la sua materia preferita, alla seconda ora. 
Per quanto fosse uno dei pochi a prestare attenzione durante le lezioni di Storia, era piuttosto sollevato che l’ora seguente fosse prettamente “pratica” e di non dover, quindi, prendere altri appunti. 

Si lasciò Gabriel, Jack e Regan alle spalle e avanzò nel corridoio, ma aveva percorso pochi metri quando qualcuno lo raggiunse, prendendolo a braccetto:

“Mi ritengo sinceramente offesa, siamo arrivati ieri sera e ancora non mi hai salutata. Esigo delle scuse da parte tua, Sean.”
“Ciao Aurora… chiedo scusa, avrei dovuto stendere il tappeto rosso questa mattina, quando sei entrata in Sala Grande?”

“Sarebbe stato apprezzato. Come stai, comunque?”
“Bene, sono felice di essere tornato.”

Sean sorrise all’amica, che ricambiò e annuì:

“Anche io… ti va di sederti accanto a me adesso?”
“Perché sono il migliore della classe in Difesa o perché gradisci la mia compagnia?”
“Anche io me la cavo, ti ricordo! Diciamo per entrambe le cose… quando si terrà il primo incontro? Mi piacerebbe assistervi.”

“Non so ancora nulla, ma penso non prima del weekend. Ancora sogni di poterci entrare?”
“Certo che sì, trovo alquanto ingiusto e scorretto che sia chiuso alle ragazze, così come tua sorella, se non ricordo male.”

“L’anno scorso ha piantato le tende davanti all’ufficio di Dippet finché non l’ha ricevuta, ma il poveretto non ha avuto scelta, del resto non dipende solo da lui.”

“Ha fatto bene, è una regola stupida… ma lasciamo perdere, altrimenti divento di cattivo umore.”

Aurora sbuffò, incupendosi leggermente come succedeva sempre quando si sfiorava l’argomento mentre accanto a lei Sean sorrise debolmente, non potendo fare a meno di pensare a quanto poco raccomandabile fosse avere a che fare con un’Aurora di pessimo umore.


*


“Posso sapere perché la tua borsa pesa così tanto? Ci hai messo dentro dei mattoni?”

Beatrix puntò gli occhi chiari sulla borsa dell’amica, appoggiata sul banco mentre Katherine metteva in ordine le sue cose dopo la doppia ora di Trasfigurazione, che sembrava sul punto di esplodere da un momento all’altro. La Grifondoro però non rispose, limitandosi a sorriderle e a scuotere il capo mentre una certa Corvonero si avvicinava alle due, sfoggiando un sorriso allegro:

“Salve ragazze… Kat, ti sei ricordata?”
Beatrix ricambiò sia il sorriso che il saluto mentre accanto a lei Katherine, dopo aver annuito, tirava fuori dalla sua borsa tre libri per poi consegnarli ad una Charlotte improvvisamente di ottimo umore, che li accettò con gli occhi verdi luccicanti:

“Grazie infinite, che farei senza la mia bibliotecaria di fiducia? Prima o poi dovrei ricambiare il favore, se dovessi aver bisogno di qualcosa chiedi pure.”

Charlotte infilò i libri nella sua borsa mentre Beatrix, leggermente confusa, spostava lo sguardo sulla Grifondoro, che però sorrise e assicurò alla Corvonero che non doveva assolutamente ripagarla.
Solo quando Charlotte si fu allontanata, dirigendosi verso la porta dell’aula ormai deserta, la bionda parlò, osservando l’amica con un sopracciglio inarcato:

“Hai fondato un mercato nero di libri, Kat?”
“Può darsi, sì. Coraggio, andiamo, vuoi fare tardi con la Hobskin? Perché io non ci tengo per niente.”
“Come vuoi Kat… ma si dia il caso che, come entrambe sappiamo, ci sarebbe eccome qualcosa che Charlotte potrebbe fare per ripagarti.”


Beatrix sorrise prima di sistemarsi la borsa sulla spalla e allontanarsi, mentre alle sue spalle Katherine spalancava gli occhi chiari, osservandola con leggera confusione:

“Come…”
“Oh, ti prego, certo che lo so! Beh, che fai ancora lì, non dicevi di non voler fare tardi ad Incantesimi?”


*


“Come mai quella faccia? Speravi di iniziare a duellare?”
“Beh, quando si è parlato di “ripasso” avrei preferito ben altro, in effetti.”

Andrew si strinse nelle spalle alla domanda di Thomas, osservando la lavagna con espressione vaga mentre accanto a lui Iphigenia cercava riuscire a vedere qualcosa a sua volta, ma con scarsi risultati visto che nei banchi davanti a lei c’erano Jack Keegan e Gabriel Greengrass:

“Andrew, puoi dirmi che cosa c’è scritto? Non vedo granché.”
“Certo piccoletta… ma a te questa materia non piace, perché stai sempre così attenta?”

“Perché in questo modo non devo perdere troppo tempo a studiarla. Keegan, spostati! Ma perché quelli alti si siedono davanti?”
“Andrew è il più alto della classe ed è seduto in ultima fila… forse sei tu che dovresti sederti davanti, Iphe.”

Jade sorrise all’amica, guadagnandosi un’occhiata eloquente da parte di Iphigenia mentre Andrew invece sorrideva alla bionda, quasi ringraziandola per aver preso le sue parti mentre Thomas informava Iphigenia di cosa ci fosse scritto alla lavagna infondo all’aula. 

“Spero che ci facciano duellare a lezione, prima o poi… sarebbe divertente vedere come se la cava Iphe!”
“Neanche per idea, io contro di te non duello. Non solo sei grande quanto due me messe insieme, ma fai persino parte del Club dei Duellanti!”

Non fare la finta fanciulla indifesa Iphe, sul campo ti abbiamo vista tutti usare la mazza da Battitrice.”

Jade si lasciò sfuggire una risata alle parole dell’amico, non potendo non convenire. Anche se si affrettò a far sparire il sorriso quando Iphigenia si voltò verso di lei, suggerendole silenziosamente di non ridere.


*


“Gabri!”
Katherine sorrise mentre si avvicinava all’amico, che sentendosi chiamare si fermò e si voltò verso di lei, ricambiando e aspettandola:

“Ciao Kat… com’è andata oggi?”
“Come tutti i primi giorni, un po’ strano.”
“Il piccolo Nate come se l’è cavata?”
“In realtà lo sto cercando, ma non l’ho ancora incrociato… vorrei chiederglielo anche io. Ovviamente tu ti offri di picchiare chiunque dovesse maltrattarlo, vero?”

“Perché devo farlo io?”
“Dovrei farlo io? Sei come un fratello maggiore per lui, pensaci tu!”
“L’idea che forse Nate non si stia facendo trovare apposta ti ha sfiorata, Kat?”

“Sono solo una sorella affettuosa, non vedo che cosa ci sia di male… beh, in fin dei conti è un Grifondoro anche lui, non può nascondersi per sempre, a cena gli parlerò di sicuro.”

Katherine sorrise mentre prendeva l’amico sottobraccio, invitandolo a seguirla per raggiungere la Sala Grande e andare a cena mentre il Serpeverde roteava gli occhi, non osando replicare ma facendo mentalmente i propri auguri al piccolo Burke.


*


Dopo essersi chiuso la pesante porta con battente a forma di corvo alle spalle fece vagare lo sguardo all’interno della Sala Comune, trovandola praticamente deserta. Eccetto che per una ragazza seduta sul divano davanti al camino, che era già stato acceso dagli elfi, alla quale si avvicinò, rivolgendole un sorriso:

“Eccoti qui… com’è andato questo primo giorno?”
“Non male… il tuo?”

Charlotte alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo per posarlo sul fratello maggiore, che sedette accanto a lei per abbracciarla e appoggiare il capo sulla sua spalla:

“Bene.”
“Non dovresti essere qui, sai?”
“Allora è una vera fortuna che oltre ad essere abbastanza intelligente per farlo io sia anche un Prefetto. Ma se la mia presenza non è gradita posso sempre andarmene.”

Sean inarcò un sopracciglio, facendo per muoversi quando la sorella sbuffò, afferrandolo per un braccio e costringendolo a restare accanto a lei:

“Certo che non mi disturbi. Anzi, dopo l’estate è quasi strano non poter passare il tempo insieme.”
“Per questo sono passato, so che senza di me saresti perduta… che cosa stai leggendo, comunque?”

“Qualcosa che i nostri genitori non approverebbero… per fortuna Katherine Burke è incastrata nella mia stessa situazione.”
“Te lo ha dato lei? Dove trova libri Babbani se anche i suoi genitori sono contrari?”
“Non ne ho idea, ma ben venga se è disposta è prestarmeli.”

Charlotte si strinse nelle spalle mentre dalla porta del Dormitorio femminile usciva Adela, con la sciarpa sistemata intorno al collo:

“Adela, ma come ti sei conciata?!”
“Lo sai che soffro il freddo, e in questo dannato Paese si gela già a Settembre! Ciao Sean, sei passato a salutare Charlie?”
“Sì, intuivo che la mia sorellina sentiva già la mia mancanza.”

Sean annuì, sorridendo con aria divertita mentre Adela sedeva sul bracciolo del divano e Charlotte sbuffava, cercando di divincolarsi dalla stretta del fratello ma senza grandi risultati:

“Non è affatto vero!”
Hai fatto bene, prima era di cattivo umore perché non sei andato a salutarla a colazione, pranzo o a cena.”
“Lo immaginavo. Quando non ci sono si deve sentire persa.”
“Falla finita Sean, o farai un bel volo dalla Torre!”

Diventa sempre irascibile quando sa che ho ragione.”

Charlotte si alzò, raccogliendo il libro che le aveva prestato Katherine, un certo “Ragione e Sentimento&rdquo; per allontanarsi verso il suo Dormitorio, annunciando che non avrebbe voluto vederlo lì per almeno tre giorni mentre sia Sean che Adela ridacchiavano, perfettamente consapevoli di quanto poco il ragazzo si sbagliasse.







……………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Domanda… quand’è il compleanno del vostro OC?
Buona serata, 
Signorina Granger 

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Capitolo 5
*** Compleanni e superstizioni ***


 Capitolo 4: Compleanni e superstizioni
 
Sabato 7 Settembre 


La Sala Comune dei Serpeverde era deserta, ma a giudicare dall’ordine e dal camino acceso gli elfi dovevano già essere passati a pulire. 
Si chiuse la porta alle spalle il più piano possibile, sperando di non incontrare nessuno che, come lei, era in piedi di prima mattina nel primo weekend.

Fortunatamente conosceva la strada e raggiunse in fretta il Dormitorio maschile dell’ultimo anno, aprendo lentamente la porta per poi spostare lo sguardo da uno dei cinque letti all’altro, trovando tutti i rispettivi proprietari ancora addormentati e sotto le coperte verde smeraldo. 
Un lieve sorriso le increspò le labbra mente si chiudeva la porta alle spalle, attraversando la stanza incredibilmente in ordine, di certo non per merito dei suoi inquilini, per avvicinarsi ad uno dei letti in punta di piedi e sedere sul bordo del materasso, allungando una mano per sfiorare la spalla del ragazzo che l’occupava:

“Gabriel?”

Vedendo che il ragazzo, invece di svegliarsi, si limitò a rigirarsi sul fianco per darle le spalle e continuare a dormire, Katherine lo chiamò di nuovo, a voce leggermente più alta, sentendo borbottare qualcosa di indefinito da uno dei compagni di stanza dell’amico d’infanzia: 

“Gabri!”
Katherine scrollò leggermente la spalla del ragazzo, sentendolo sbuffare prima di dirle di non disturbarlo e di lasciarlo dormire visto che era sabato: 

“Non sono tua madre, Gabri! Su, svegliati!” 
La Grifondoro guardò l’amico rimettersi supino sul materasso prima di aprire pigramente gli occhi, scoccandole un’occhiata confusa:

“Kat? Che fai qui? Passerai dei guai…”
“Volevo venire a salutarti, per una volta credo che Regan e Sean chiuderanno un occhio. Buon compleanno.”

Katherine sorrise, sporgendosi per abbracciare l’amico che ricambiò la stretta, mormorando che la perdonava per averlo svegliato di sabato mattina solo perché si trattava di lei:

“Potreste cordialmente fare silenzio?! Vogliamo dormire!”
“Sono le otto cugino, non è l’alba… alzati e risplendi.”

Katherine sorrise mentre si alzava, avvicinandosi al letto sistemato alla destra di quello di Gabriel per afferrare il copriletto e allontanarlo dal corpo di Adrian, che le lanciò un’occhiata torva prima di affondare nuovamente il viso del cuscino:

“Kat, non hai nessun altro da disturbare di sabato mattina?”
“Oltre a te e Gabri? No, non credo.” 
“Dopo abbiamo allenamento, lasciami dormire.”

Adrian sbuffò, afferrando nuovamente il copriletto per coprirsi mentre Gabriel conveneva con un borbottio, facendo roteare gli occhi chiari alla ragazza:

“Cosa siete, un branco di femminucce?! Basta lamentarsi e alzatevi, su!”

Gabriel afferrò il cuscino e fece per lanciarlo verso l’amica, che però si era già spostata verso la porta per uscire dalla stanza, finendo col colpire Regan, che intimò ai compagni di lasciarlo fuori e di fare silenzio se non volevano finire in punizione.


*


Gabriel teneva gli occhi chiari fissi sulla lettera che aveva in mano, leggendo le righe che sua madre gli aveva scritto per augurargli buon compleanno. 
Un lieve sbuffo uscì dalle labbra del ragazzo quando ebbe terminato la lettera, ripiegandola e lasciandola sul tavolo per poi limitarsi ad osservare la pergamena con aria pensierosa.

 “Notizie da casa?”
“Sì.”
 
Gabriel annuì mentre Jack, che fino a quel momento si era limitato a studiare in silenzio, seduto di fronte a lui nella loro Sala Comune, posò lo sguardo sull’amico, studiandolo con gli occhi verdissimi che creavano un notevole contrasto con la sua carnagione:

“Come mai questo tono? Brutte notizie?”
“No, mia madre che mi fa gli auguri… ma sai come sono i rapporti con loro, no? Insomma, ogni estate cerco di restare a casa il meno possibile, praticamente faccio i bagagli e per due mesi faccio avanti e indietro dai Burke ai Selwyn… ma ai miei genitori non dispiace, anzi, probabilmente sperano che un bel giorno durante questi periodi io mi innamori ciecamente di una delle cugine di Kat, o della sorella di Sean.”
“Sono abbastanza sicuro che lui ti ucciderebbe, se devo essere onesto.” 
“Ne sono convinto, ma non credo che correrò mai questo rischio. Charlotte è intelligente e sicuramente molto bella, ma non fa per me.”

“E allora che cosa fa per te, Greengrass? Credo che i tuoi genitori se lo stiano chiedendo da tempo. Dopotutto sei il loro unico figlio, per di più un maschio, di certo non vedono l’ora che tu ti sposi.”
“Fosse per loro andrei all’altare direttamente dalla porta d’Ingresso del castello… ma io non ho tutta questa fretta.”

Gabriel si strinse nelle spalle, ben lieto di essere a scuola, in Scozia, lontano dalle pressioni della sua famiglia. Anche se, doveva riconoscerlo, i suoi non erano nemmeno i genitori peggiori che c’erano in considerazione… e probabilmente Jack pensò lo stesso perché annuì, sfoggiando un lieve, amaro sorriso:

“Lo so. Se non altro, posso dire di capirti quando sostieni che il rapporto con i tuoi genitori non sia affatto semplice.”

 
*


Venerdì 13 Settembre 


Hector, seduto su una poltrona, lanciò un’occhiata leggermente ansiosa all’orologio a pendolo sistemato accanto al caminetto, continuando a tamburellare un piede sul pavimento mentre Charlotte, comodamente stesa sul divano, era impegnata a leggere con una coperta a scaldarla.

“Ma perché Adela ci mette tanto?”
“Probabilmente si sta imbacuccando.”
“Non puoi andare a controllare?” 
“E rischiare così di perdere questa posizione così comoda? Thor, mi chiedi troppo.”

Charlotte parlò con un tono piuttosto grave, scuotendo il capo mentre l’amico alzava gli occhi al cielo, pregando mentalmente Adela di scendere rapidamente nella Sala Comune. 
Fortunatamente la ragazza fece il suo ingresso poco dopo e il ragazzo, guardandola, potè constatare che Charlotte non si era sbagliata:

“Adela, stiamo andando ad allenarci, non a prendere parte ad una missione esplorativa in Antartide!”
“Vuoi forse che dopo aver sudato, non essendo abbastanza coperta, mi ammali? Io vivo in India, smettetela di prendermi in giro per la mia scarsa resistenza al freddo.”

Hector si alzò mentre Adela, sistemandosi guanti e sciarpa, rivolgeva un’occhiata torva in direzione dei due amici, ignorando deliberatamente il borbottio con cui Charlotte la informò che non avrebbero smesso di farlo fino al Diploma.


“Non avevo dubbi a riguardo… coraggio Thor, andiamo, prima finiamo e prima potrò tornare qui, al calduccio.”
“Adela, ti sto aspettando da circa mezz’ora, nel caso tu non lo sappia.”
“Beh, ora sono qui sono pronta, quindi bando alle ciance e andiamo al campo!”

“Avreste dovuto seguire la mia filosofia, ovvero una vita dedita al dolce far niente. Buon divertimento!”

Charlotte rivolse un caloroso sorriso ai due amici, ben lieta di non aver mai provato alcun interesse a giocare a Quidditch.

“Non lo definirei propriamente “dolce far niente”, sappiamo tutti che metteresti a disposizione della scuola l’intera fortuna della tua famiglia pur di poter entrare nel Club dei Duellanti.” 
“Allora è un vero peccato che ciò che mi interessa non sia consono ad una signorina del mio rango sociale.”


*


“Ciao, scusa il ritardo.”

Beatrix sollevò lo sguardo dal libro di Incantesimi che aveva davanti al sentire la voce di Katherine, rivolgendo un sorriso alla Grifondoro mentre la coetanea prendeva posto accanto a lei, sistemando le sue cose sul tavolo della Biblioteca:

“Spero chenon ti dispiaccia se ho cominciato senza d8 te… dov’eri? Promuovevi la tua vendita illegale di libri?”
“Io non li vendo, quindi non si può parlare di mercato nero, ho controllato. Li dò semplicemente in prestito, e non a tutta la scuola, pensi davvero che ci siano molti qui dentro ad essere interessati a letture Babbane? Eccetto per i Nati Babbani, naturalmente. No, stavo aiutando Nate con 8 compiti… il piccolo approfittare si ricorda di avere una sorella che lo adora solo quando gli serve una mano, naturalmente.”

“Per lui non dev’essere facile, è il più piccolo e probabilmente non vuole deludere le aspettative dei vostri genitori. A proposito, suppongo che loro non lo sappiano.”
“Certo che no, mia madre non approverebbe mai! No, lo sapete solo Gabriel, tu e mio fratello maggiore, e loro ovviamente non diranno niente. Insomma, penso che se venisse fuori questa storia nascerebbe un putiferio, vista la mia famiglia.”

Katherine si strinse nelle spalle mentre apriva il libro di Incantesimi, udendo dopo un attimo di silenzio la voce della Tassorosso, che parlò con un tono piuttosto piatto:

Sì… conosco la tua famiglia.”


*


Axel stava marciando davanti alle scale che conducevano al Dormitorio femminile, suggerendo mentalmente a Stephanie di fare in fretta la sua comparsa: lui ed Elena avevano il turno di ronda quella sera e tutti i venerdì facevano i compiti insieme nel pomeriggio, ma ancora non era riuscito a trovare la compagna di Casa, che probabilmente era chiusa nella sua stanza. Peccato solo che lui non potesse accedervi.

“Ciao Axel… che cos’hai?”
“Semmai la domanda è che cos’ha Elena. È chiusa in camera vista da quando sono finite le lezioni, praticamente. Puoi dirle di scendere, per favore? Non vorrei che fosse tutto un subdolo piano per farmi fare la ronda da solo.”

“Rilassati, credo che la sua sia semplice superstizione. Da quando ha preso un Troll nel compito di un venerdì 13 da molta importanza a queste cose. Vado a chiamartela.”

Stephanie sorrise all’amico prima di superarlo per salire le scale e raggiungere la sua stanza, mentre alle sue spalle Axel corrugava la fronte, immaginandosi l’amica circondata da un mare di quadrifogli per tenere la sfortuna alla larga. 

“Davvero? Questa me l’ero persa… certo che è proprio strana.”
“Sarà, ma è pur sempre la tua migliore amica.”

“Evidentemente ho gusti discutibili in fatto di amicizie… non guardarmi così Steph, non parlavo di te.”


*


Sa seduto sulla panca mentre aspettava Adela, e quando la vide uscire dallo spogliatoio femminile sorrise, alzandosi mentre l’amica gli si avvicinava, il volto praticamente nascosto dalla pensate sciarpa blu che la ragazza indossava e il baschetto coordinato:

“Non permetterti di ridere, Thor.”
“Non mi permetterei mai, per chi mi hai preso? Del resto sei cresciuta in un ambiente con un clima molto diverso da quello britannico.”
“Sì, l’India comincia già a mancarmi, e pensare che tecnicamente siamo ancora in Estate… penso che a Gennaio mi troverete morta assiderata nel mio letto.”

Hector sorrise alle parole dell’amica mentre la prendeva sottobraccio per fare ritorno al castello insieme, esitando prima di parlare:

“Allora… come stai?”
“Bene. Perché me lo chiedi? Stiamo insieme tutti i giorni tutto il giorno, in pratica.”

“In effetti, mi stavo chiedendo… naturalmente la tua compagnia è sempre graditissima, Adela, ma non dovresti passare più tempo insieme a qualcun altro?”
“Che cosa vuoi dirmi, Thor? Parla chiaramente.”

“Trovo solo che sia strano… quando vi vedo insieme sorridi, sembri perfettamente a tuo agio, eppure non passi il tempo a parlare o ad elogiare Ronald, cosa che invece sono solite fare gran parte delle ragazze fidanzate che ho conosciuto.”
“Thor, parli così perché Ronald non ti piace?”

“No, non è così, credo di non conoscerlo abbastanza da poter dire se mi piaccia o meno. Non parlo per un mio giudizio personale su di lui, è solo un… dato di fatto. C’è qualcosa che non va? Hai acconsentito al fidanzamento, ma se hai cambiato idea...”

“No Thor. Non ho cambiato idea. Possiamo parlare d’altro, per favore?”

Adela alzò lo sguardo per poter guardare l’amico negli occhi, rivolgendogli un’occhiata che lo convinse ad annuire, esitando per un istante prima di parlare:

“D’accordo, come preferisci.”


*



“È impossibile. Smettila di prendermi in giro Andrew, non ti credo.”
“Non me lo sto inventando, ti assicuro che è vero!”

Andrew spalancò gli occhi, annuendo energicamente mentre, di fronte a lui, Jade incrociava le braccia al petto, osservando l’amico con espressione dubbiosa:

“Non è che mi stai prendendo in giro? È uno scherzo che hai organizzato con Thomas?”
“Assolutamente no, dico la verità! I Babbani l’hanno inventato ma è abbastanza recente, non so come funzioni di preciso, ma produce luce artificiale! C’è anche un sistema che utilizzano per scaldare gli ambienti.”
“Senza magia? Impossibile!”
“Mia madre fa la pasticciera Jade, e riesce a cuocere le cose grazie a questo sistema… elettricità, mi pare. Si accende con una specie di manopola, e queste… lampadine si illuminano. Puoi chiedere ad Iphe, se non mi credi… a lei interessano queste cose. Iphe! Puoi confermare a Jade l’esistenza dell’elettricità? Pensa che la stia prendendo in giro.”

“Certo che è vero, c’è un motivo se dico sempre che i Babbani sono molto più avanti e di ampie vedute rispetto a noi, restiamo ancorati alle medesime tradizioni da secoli e ci perdiamo il progresso. Sarebbe bello se anche noi introducessimo l’illuminazione artificiale, non credete?”

Iphigenia prese posto accanto all’amica, che dopo averle rivolto un’occhiata dubbiosa annuì, sostenendo che le credeva e scatenando così la reazione piuttosto contrariata di Andrew:

“Perché credi a lei e non a me? Non sono poi così inaffidabile!”
“Certo che non lo sei, sai che ti voglio bene, ma da quando, l’anno scorso, mi hai raccontato di come i Babbani avessero costruito dei piccoli aggeggi portatili per comunicare a distanza in tempo reale e poi Iphigenia mi ha detto che non era vero non ti reputo una fonte troppo attendibile.”

Jade si strinse nelle spalle, riprendendo a mangiare con noncuranza mentre Iphigenia sorrideva all’amico, guardandolo con una punta di divertimento:

“Povero Andrew, ti senti bistrattato?”
“Se proprio vuoi saperlo, sì.”
“Il nostro adorabile gigante dal cuore d’oro, che faremmo senza di te?”

Jade sorrise all’amico, guardandolo abbassare lo sguardo sul suo piatto e riprendere a mangiare con aria divertita mentre Thomas, accanto a lui, parlava per la prima volta da quando Andrew aveva introdotto l’argomento “elettricità”, scatenando la perplessità di Jade:

“Però, se ci pensate, sarebbe un’invenzione grandiosa… insomma, i gufi non sono poi così rapidi, e possono essere intercettati… farebbe comodo un sistema di comunicazione del genere, oggi giorno!”
“È vero, ma dubito che potrà mai concretizzarsi, probabilmente resterà una storiella che il nostro Drew ha inventato per prendere in giro Jade.”
“Consideratela una rivincita, noi di origine Babbane veniamo sempre presi in giro e bistrattati, se non peggio. Ovviamente non da te, Jade, ma da molti altri Purosangue sì.”


*



Stephanie stava salando la sua insalata e chiacchierando tranquillamente con Elena quando il tappo si svitò malauguratamente dal piccolo contenitore, riversando una gran quantità di sale sulla verdura. 
In un primo momento la Grifondoro sospirò, seccata per aver appena mandato parte della sua cena a farsi benedire, ma poi la sua attenzione venne catturata dalla reazione dell’amica, seduta di fronte a lei, che quasi si mise le mani nei capelli, sgranando gli occhi castani:

“IL SALE! PORTA SFORTUNA!”
“Eh?! Anche questo?”
“Sì! Presto, lancialo!”
“Dove?”
“Alle tue spalle! No Steph, non la saliera intera, solo un po’ di sale!”

“Ehm… ok.”

Stephanie, leggermente accigliata di fronte alla reazione sinceramente allarmata dell’amica, obbedì e si lanciò un po’ di sale alle spalle mentre molte teste si erano voltate nella loro direzione e Axel, accanto a loro, probabilmente moriva dalla voglia di tirare fuori la bacchetta per auto-infliggersi un Incantesimo di Disillusione e sparire, passandosi una mano sul viso pallido con esasperazione:

“Elena, sei una strega, per di più Purosangue… non trovi che il tuo essere superstiziosa contrasti con la tua identità? Sono i Babbani che credono in queste cose, si solito!
“Pensala come vuoi Axel, io sono fatta così. Beh? Che c’è da guardare, volete una foto autografata? Qui nessuno si fa mai gli affari propri, dovrebbero tenere un corso, avrebbe moltissimi iscritti… Axel, che fai, mettere il pane al contrario sul tavolo porta sfortuna!”

“Steph, ti prego, dimmi che domani tornerà ad essere normale.”
“Temo che ormai sia tardi, a diciotto anni penso che i danni siano irreparabili… non fare quella faccia Elly, sto scherzando.”


*


“Perché nel momento in cui finiamo una materia sembra che le altre si moltiplichino? Non finiscono mai.”

Evangeline chiuse il libro di Storia con un gesto secco, allontanandolo per avvicinare, invece, quello di Pozioni: per quanto Storia della Magia le piacesse, ne aveva abbastanza persino di date, rivolte o paci.

“Non ne ho idea… bisognerebbe fare degli studi a riguardo, come sul fatto che il tempo passi incredibilmente più in fretta mentre si fanno i compiti rispetto a quando si è in aula… è già ora di cena, e noi siamo ancora qui.”

Aurora, seduta di fornite a lei, lanciò un’occhiata quasi malinconica all’orologio a pendolo, desiderando di trovarsi in Sala Grande con i compagni per poter finalmente mettere qualcosa sotto i denti invece che in Biblioteca a studiare. 


“Stasera va così… coraggio, abbiamo due saggi da scrivere per Lumacorno.”
“Sto iniziando a nutrire il sospetto che non li corregga, sai? Insomma, ne assegna talmente tanti che è impossibile che lo faccia!”
“Forse mette il voto basandosi sul nome di chi l’ha scritto, allora.”
“Questo spiegherebbe molte cose.”


“Chiacchierate invece di fare i compiti? Poi non lamentarti se passi qui dentro tutta la serata, Aury.”

Aurora non si voltò, probabilmente non ne sentì il bisogno visto che c’era solo una persona dentro quel castello a chiamarla in quel modo, limitandosi ad arricciare le labbra mentre sfogliava nervosamente il libro di Pozioni:

“Non mi risulta di averti interpellato, Seannie.”
“Non usare quel nomignolo, ti prego.”

Sean sfoggiò una smorfia, appoggiando una mano sullo schienale della sedia della Corvonero, che si voltò verso di lui e gli rivolse un lieve sorriso:

“Lo farò finché tu mi chiamerai Aury, mi irrita. Tu hai finito i compiti per lunedì, visti che perdi tempo a farmi la predica?”
“Naturalmente, stavo giusto andando a cena. E comunque, solo mia sorella mi chiama Seannie.”
“Ma io sono la tua cuginetta acquisita! Anzi, in effetti sono più vecchia di te.”

“Solo per pochi mesi!”
“Sono comunque più vecchia. Quindi, considerando il principio di gerontocrazia, mi faresti dare una sbirciata al tuo saggio sull’Amortentia?”
“Aury, un Prefetto non copia i compiti! Evangeline, dovresti metterle una nota disciplinare.”

“Sì, forse, ma è mia amica, per lei posso chiudere un occhio.”

Evangeline si strinse nelle spalle, parlando con un tono piuttosto neutro mentre leggeva il capitolo assegnato da Lumacorno e Sean sorrideva all’amica:

“Fortunata. Buono studio, signorine.”
“Non aiuti una vecchia amica? Riferirò a tua sorella Sean, puoi anche fare il grand’uomo con il resto del mondo, ma sappiamo tutti chi è in grado di tenerti in riga.”
“Sei sleale, Temple.”


*


“Roba da non credere, sei ancora nella stessa posizione di quando io e Thor siamo usciti!”
“Beh, qui si sta comodi, com’è andato l’allenamento?”

Adela si avvicinò all’amica, sedendo sul divano mentre Charlotte distoglieva l’attenzione dal libro che teneva in mano, giunta ormai a metà del volume:

“Bene, ma sono così stanca che credo non cenerò… tu perché sei ancora qui?”
“Non ho fame. Voglio assolutamente scoprire se quella sprovveduta di Marianne si lascerà definitivamente abbindolare da Willoughby invece di ascoltare sua sorella, è lampante che nasconde qualcosa. Magari ha una moglie segreta e pazza come quello di Jane Eyre.”

“Moglie segreta e pazza? Che razza di libri ti presta Katherine?”
“A me piacciono, se vuoi puoi darci un’occhiata.”

“Magari un’altra volta… per stasera non voglio più sentire parlare di fidanzamenti e matrimoni.”
“Perché? Che è successo con Heslop?”
“Niente, ma Hector ultimamente è molto curioso… c’entri per caso tu, finto angelo del focolare?”

“Mi chiedo da sempre una cosa, perché ogni qualvolta in cui succede qualcosa o si presenta una situazione ambigua la prima contro cui viene puntato il dito sono io? Persino quando io e mio fratello eravamo piccoli, mia madre incolpava me di ogni cosa!”
“Non so proprio spiegarmelo Charlie.”
“Già, neanche io. Sono una ragazza così per bene, buona e cara dopotutto!”



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Capitolo 6
*** Piuttosto sposerei... ***


Capitolo 5: Piuttosto sposerei...

 
Giovedì 3 Ottobre


Beatrix Morgan stava attraversando l’Ingresso per raggiungere la Sala Grande e pranzare quando il suo sguardo indugiò sul gatto delle foreste norvegesi che, proprio in mezzo alla sala, cercava di non fare calpestare dalla ressa di studenti, soffiando contro una povera ragazzina del primo anno che gli pestò la  lunga coda pelosa per sbaglio.

“Mr Darcy… che ci fai qui? Sei scappato dalla Torre?”

La Tassorosso sorrise, avvicinandosi al gatto per prenderlo in braccio e grattargli le orecchie. Fortunatamente il gatto la riconobbe e non sfuggì dalla sua presa mentre la ragazza si guardava intorno, cercando la sua padrona con lo sguardo: Katherine non lo faceva uscire mai dalla Torre di Grifondoro di giorno, quindi probabilmente era da qualche parte a dare di matto per aver perso il suo amato micio.

“La povera Kat ti starà cercando… ti riporto da lei.”

La bionda girò sui tacchi, allontanandosi dalla sua iniziale destinazione: evidentemente, il pranzo avrebbe dovuto aspettare.
Scorse Gabriel Greengrass e fece per avvicinarglisi e chiedergli se sapesse dove fosse l’amica, ma cambiò idea quando la sua attenzione si focalizzò su uno dei ragazzi con cui era in compagnia il Serpeverde. 

Non aveva affatto intenzione di sorbirsi il suo consueto atteggiamento noncurante, piuttosto avrebbe setacciato il castello da cima a fondo per il resto della giornata. 


*


Sean tirò fuori le sue cose e le dispose sul ripiano graffiato e ruvido del banco, srotolando la pergamena dove avrebbe dovuto prendere appunti prima di sentire una voce piuttosto familiare:

“Dobbiamo parlare.” 
“Ciao Charlie… A proposito di? E comunque, che ci fai qui? Non è la tua classe!”

Il Serpeverde si voltò verso la sorella, che era seduta accanto a lui, per rivolgerle un’occhiata interrogativa, ricordandosi che per quanto fosse abituato ad averla sempre vicino non erano nello stesso corso.
La Corvonero per tutta risposta inarcò un sopracciglio, guardandolo con la sua consueta espressione scettica:

“Hai ragione, che sbadata, inizio a mostrare sintomi di una malattia che mi ha danneggiato l’ippocampo. Lo so benissimo, mi sono imbucata per chiederti una cosa, non riesco mai a parlare con te in santa pace di recente, hai sempre gente intorno!”
“Sono adorabile, sarà per questo. Che cosa c’è, ti sei messa nei guai?”

“No, ma di recente ho ricevuto qualche lettera da parte della mamma, ed è stata sorprendentemente gentile e interessata a come stiano andando le cose qui… potrei pensare che sia scivolata dalle scale e abbia avuto un trauma cranico, ma mi sono resa conto che ha accennato un po’ troppo spesso al figlio maggiore dei Burke, il fratello di Katherine… NON mi sta accasando con Maximillian, vero?”

“Io non ne so nulla, se è questo che vuoi sapere.” 
“Ma tu sei il suo figlio prediletto, chiediglielo! A te le cose le dicono.”

“Nostra madre è una persona diretta, Charlie, è una delle poche cose che avete in comune, direi… penso che se così fosse te lo direbbe senza giri di parole, impedendoti di trovare una via di scampo. Anche se il fatto che le nostre madri siano amiche non è rassicurante, in effetti…” 

“Infatti, mi stupisce che non si siano ancora messe d’accordo per incastrare te e Kat. Ma ora sarà meglio che vada nei Sotterranei, o Lumacorno noterà la mia assenza…”
“Credimi, si sente sempre quando non ci sei.”

Sean sorrise alla sorella mente la ragazza si alzava, scoccandogli un’occhiata torva prima di uscire dall’aula senza farsi notare, lasciando il fratello alla lezione di Storia.

“Posso sedermi? Che cosa voleva Charlie?”
“Sapere se so qualcosa sui piani matrimoniali dei nostri genitori… teme che possano accasarci con i Burke.”

Sean si strinse nelle spalle, parlando con tono noncurante mentre Aurora, che prese posto accanto a lui sulla sedia occupata fino a poco prima dalla compagna di Casa, gli rivolse un’occhiata carica di stupore:

“Parli di Katherine Burke e di suo fratello maggiore?”
“Stavo scherzando Aury, non ne so niente… anche se non è un’idea così assurda o inverosimile, dopotutto, la sorella di Katherine si è sposata un paio di mesi fa, e ha solo due anni più di noi... Insomma, conosci i miei genitori.”


Sean si strinse nelle spalle mentre stappava il calamaio per intingere la punta della piuma nell’inchiostro e Aurora, accanto a lui, restava invece in silenzio, la fronte corrugata in un’espressione pensierosa.  
 

*


“Stai cercando lui?”

Beatrix sorrise nel vedere l’amica infondo al corridoio, visibilmente preoccupata mentre controllava dietro un’armatura. 
La Grifondoro alzò lo sguardo al sentire la sua voce e un sorriso sollevato le illuminò il volto quando vide il suo amato gatto tra le braccia della bionda, avvicinandolesi per prendere il micio:

“Eccoti, meno male, ero preoccupatissima… Non devi continuare a  scappare, Darcy!”
“Anche Ecathe lo fa, di tanto in tanto… per fortuna l’ho trovato.”

Beatrix sorrise all’amica, che rivolse un’occhiata ammonitrice al gatto che però sparì quando questi fece le fusa, ammorbidendosi:

“In effetti mi chiedo come tu faccia, a casa hai una dozzina di gatti!”
“Beh, mi piacciono molto. Anche se mia madre non fa che prendermi in giro, sostiene che io soddisfi appieno lo stereotipo Babbano delle streghe piene di gatti.” 

Katherine sorrise e fece per aggiungere qualcos’altro alle parole dell’amica, ma si trattenne quando la bionda, intuendo cosa stesse per dire, le rivolse un’occhiataccia:

“Non dirlo.”
“Ok, non lo farò. Ora, che ne dici di andare a fare una passeggiata? Abbiamo ancora metà ora buca, anche se ho sprecato la pausa pranzo per cercare questo gattaccio. Non sei affatto come il tuo omonimo, sai?!”

Come se un gatto potesse conoscere Fitzwilliam Darcy.


*


“Il terzo ingrediente era pungiglioni di qualcosa, vero?”
“Penso di sì.”

Iphigenia annuì distrattamente mentre mescolava con aria annoiata il contenuto del suo calderone e accanto a lei Jade, intuendo che l’amica non le sarebbe stata di grande aiuto dentro quell’aula, lanciava un’occhiata al banco adiacente, occupato da Axel Farell, Elena MacMillan e Stephanie Noone. 

“Sperando che Stephanie non stia sbagliando a sua volta, dovrebbe essere corretto.”
“Stephanie se la cava in tutto, direi che è affidabile, a differenza mia.”
“Se non altro lo ammetti, Iphe.”

“Non mi piace Pozioni, lo sai, ma sono molto fiera di me stessa: siamo all’ultimo anno e non ho ancora fatto esplodere nessun calderone!”

Iphigenia sfoggiò un sorriso soddisfatto e Jade inarcò un sopracciglio, guardando l’amica mescolare in senso orario invece di antiorario con leggera preoccupazione:

“In tal caso ti consiglio di seguire la ricetta, per evitare che ciò si verifichi oggi.”
“Probabilmente hai ragione… so che dovrei impegnarmi di più, Lumacorno non fa che ripeterlo, ma è più forte di me, non riesco ad impegnarmi molto in ciò che non mi interessa.”

“Sì, lo so… sei un tipetto molto particolare, lo sai?”
“Sì, lo so bene. Ora… che cosa bisogna fare? Dici che loro lo sanno?”

“I Serpeverde lo sanno di certo, ma sia mai che si abbassino a rivelare informazioni a quei mammalucchi dei Tassorosso… chiediamo a Stephanie ed Elena, è meglio.”

 

“Axel, abbassa la fiamma! Vuoi che ci esploda tutto in faccia?”
“Chiedo scusa, non vorrei rovinare i tuoi lineamenti, Miss MacMillan.”

“Infatti, senza questa faccia come farei a risultare adorabile?”

Elena annuì mentre abbassava la fiamma del calderone dell’amico, che sorrise, trattenendosi dal dirle che la sua compagnia fosse l’unica nota positiva delle lezioni di Pozioni, che avrebbe volentieri lasciato dopo i G.U.F.O. se Silente non l’avesse caldamente invitato a non rinunciare ad una branca tanto importante. 
E poi, per fortuna Elena era molto più brava di lui, in quella materia. 

“Ecco, così può andare… insomma, se stai architettando un piano per far saltare in aria i Sotterranei gradirei essere coinvolta.”
“La tua amicizia non mi ha rovinato a tal punto, Elly.”
“No? Peccato. Steph, tu mi aiuteresti?”

“No, voglio uscire con il massimo del punteggio, non posso rischiare di finire nei guai.”
“Come siete noiosi, dovrò cercare qualche altro compagno di scorribande.”
“Mi spieghi come sei diventata Prefetto, esattamente?”
 
“Te l’ho già detto, il male si nasconde sempre dietro un volto dolce ed adorabile.”



“Venti minuti e trenta secondi… oserei dire che ho decisamente vinto.”
Regan sorrise dopo aver lanciato un’occhiata al cronometro, rivolgendosi ai compagni di Casa mentre Jack e Gabriel erano ancora impegnati ad ultimare la Pozione:

“Questa volta, Reg. non darti tante arie.”
“Espongo semplicemente i fatti Jack, sono obiettivamente il migliore della classe, in questa materia. Ma non prendetela a male, ve la cavate bene anche voi. Eccetto te, Sean…”

Regan sorrise nel rivolgersi a Sean, che aveva praticamente rinunciato e se ne stava a braccia conserte e con un’espressione torva stampata sul volto che fece ridacchiare sia Gabriel che Jack:

“Ma allora esiste qualcosa in cui Sean Selwyn non è bravo, sono stupito.”
“Greengrass, chiudi la bocca o ti uso come manichino al Club dei Duellanti. Per fortuna Lumacorno mi adora…”


Quasi come se l’avesse sentito, il professore comparve accanto ai quattro poco dopo, rivolgendo un largo sorriso a Regan e complimentandosi con lui per l’ottimo lavoro svolto:
 
“10 punti a Serpeverde, eccellente, Carsen.”
“Grazie, Signore.”

Regan sorrise al Direttore della sua Casa con una punta di compiacimento, ma mentre l’insegnante consigliava vivamente il resto della classe a prendere esempio dallo studente qualcuno si lasciò sfuggire un lieve sbuffo, rigirandosi le maniche della camicia bianca con leggera irritazione:

“Strano, Carsen il migliore bla bla bla.”
“Ormai è diventata una faccenda personale, direi… Riuscirà mai la nostra Steph a battere Regan Carsen sul tempo?”
“Certo che ci riuscirò, dovesse essere anche l’ultimo giorno di scuola, ma prima o poi succederà Axel, te l’assicuro.”


*


“Che ore sono?”
“Le dieci e un quarto.”

Aurora sospirò, pregando affinché l’ora successiva passasse rapidamente: era piuttosto sollevata di essere insieme ad Evangeline durante le ronde, ma avrebbe comunque preferito chiacchierare con l’amica nella loro camera, e non nel bel mezzo dei gelidi e bui corridoi. 

“Se tu non fossi tanto dedita al tuo ruolo ti proporrei di ritirarci in anticipo, sono stanchissima.”
“Ma non me lo proponi perché mi conosci fin troppo bene… allenamento stancante?”

“Abbastanza. Saliamo al secondo piano?”
Evangeline annuì, chiedendosi mentalmente che cosa mai trovasse l’amica di tanto esaltante nel Quidditch… ma avevano discusso già più di un volta a riguardo e preferì tenersi quelle perplessità per sè, esitando prima di parlare nuovamente:

“Di che cosa parlavate oggi tu e Selwyn all’inizio dell’ora di Storia? Sei stata strana per tutta la lezione.”
“Ho visto Charlie parlargli e gli ho chiesto se fosse successo qualcosa… lui ha accennato al fatto che i loro genitori potrebbero aver intenzione di “accasarli”.”
“Non mi stupisce più di tanto, specie per quanto riguarda Sean, che è all’ultimo anno… e poi deve “mandare avanti” il cognome, no?”

“Già. Non so cosa sia peggio, sai? Essere femmine e non essere prese in considerazione, trattate come mobilio da vendere al miglior partito in cambio di cospicue somme e poi come sforna-eredi… oppure essere maschi e sentire tutta la pressione del nome di famiglia su di sè.”

“Io punto sul genere femminile, onestamente. Se non altro, loro hanno molta più libertà decisionale rispetto a noi e non vengono trattati come bambole da salotto. È normale che l’idea che Sean o Charlotte si sposino ti faccia strano, dopotutto vi conoscete da anni e anni… forse ti fa pensare che potrebbe anche toccare a te, presto o tardi.”
 
“Beh, la nota positiva è che mia madre è americana, e lì non hanno tutta questa smania per i matrimoni combinati e in così giovane età… diciamo che lei vive l’argomento con più “tranquillità”.”
“Beh, è un bene per te, no?”

Aurora annuì mentre raggiungevano la soglia della Biblioteca, continuando ad avere un’espressione pensierosa stampata sul volto: immaginare Charlotte o Sean sposati, in particolare lui con Katherine Burke, le risultava piuttosto difficile, anche se non sapeva spiegarsi completamente il perché.


*


Martedì 15 Ottobre 


Jade quasi non ebbe il tempo di raggiungere il tavolo dei Tassorosso e prendere posto, perché venne accolta dal caloroso benvenuto di Thomas ed Andrew, che praticamente la stritolarono in un abbraccio soffocante:

“Eccoti finalmente, aspettiamo da un’eternità… buon compleanno Jade!”
“Grazie ragazzi, ma mi state incrinando una costola e vorrei arrivare a compiere anche 18 anni…”
“Oggi diventi maggiorenne, è un compleanno speciale.” 

Thomas sorrise all’amica mentre scioglieva, con gran sollievo della ragazza, l’abbraccio, guardandola sorridergli di rimando:

“Finalmente potrò usare la magia fuori da qui, saranno delle vacanze natalizie estremamente divertenti… ora, possiamo sederci e fare colazione?”

Andrew si scostò per farla passare e permetterle finalmente di prendere posto, ma una Grifondoro raggiunse I, gruppetto di corsa e abbracciò la bionda di slancio, scaturendo sonore proteste da parte della ragazza, mentre Iphigenia era impegnata a ridacchiare: 

“Mandy, lasciami, anche tu!”
“Cugina insensibile, ti sto facendo gli auguri… e visto che è il tuo compleanno, faccio colazione con te, contenta?”

La Grifondoro sorrise, guardando la cugina alzare gli occhi azzurri al cielo con affetto:

“Non fare quella faccia, so che apprezzi la mia compagnia.”

Mandy prese la cugina sottobraccio per trascinarla verso il tavolo dei Tassorosso, sedendo accanto alla bionda per poi iniziare a chiacchierare come un fiume in piena come suo solito, mentre il gufo di Jade le recapitava le lettere di auguri dei genitori.  

“Non trovi incredibile come siano diverse, andando comunque d’accordissimo? Mandy è un vulcano in costante eruzione, in pratica, mentre la nostra Jade è molto più tranquilla.”
“L’adora, è come una sorellina per lei… non è sempre facile essere figli unici, noi lo sappiamo bene.”

Andrew si strinse nelle spalle, sfoggiando un lieve sorriso mentre Thomas inarcava un sopracciglio, rivolgendogli un’occhiata scettica mentre prendeva posto di fronte a lui:

“Prova ad essere l’ultimo di cinque figli, poi ne riparliamo.”


*


“Ciao.”
Jack distolse l’attenzione dal libro che aveva davanti quando sentì una voce familiare accanto a lui, subito prima di vedere una ragazza dagli occhi azzurri e i capelli castani prendere posto accanto a lui:

“Com’è che ogni volta in cui ti vedo stai studiando, Jack? Credo che dovresti allentare un po’ la corda.”
“O forse hai paura che la mia media sia migliore della tua, Denebola?”
 
Jack sorrise alla cugina, che ricambiò e scosse il capo con aria divertita, chiudendo il libro al posto suo:

“No, non mi permetterei mai di avvicinarmi al tuo livello, Jack. Ma ora parliamo un po’, non lo facciamo da tanto. Come vanno le cose?”
“Bene, come sempre. Come sta tua madre?”
“Se la cava… tiriamo avanti.”

La Corvonero si strinse nelle spalle e il cugino le sorrise, guardandola con affetto:

“Certo che lo fate, siete entrambe molto forti… anche se tu sei la vergogna della famiglia, certo, ma ci passerò sopra.”
“Solo perché non sono Serpeverde come tutti voi non vuol dire che io sia da meno, Jackie! Anzi, forse sono semplicemente la più sveglia della famiglia.”
“Io non credo proprio.”

“Gentile come sempre… per fortuna dici di volermi bene.”

Denebola sfoggiò una lieve smorfia mentre invece Jack sorrise, mettendole un braccio intorno alle spalle per attirarla a sè e abbracciarla.

*


“A volte mi chiedo perché insistano tanto su questa faccenda delle ronde… insomma, non ci capita mai di trovare effettivamente qualcuno che se ne va a zonzo per la scuola!” 

Elena sbuffò debolmente mentre attraversava un corridoio fiocamente illuminato dalle torce appese alla parete insieme ad Axel, che procedeva appena un passi dietro di lei, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni neri. 
Il ragazzo si strinse nelle spalle, parlando con un tono più pacato rispetto a quello dell’amica:

“Parlane con Dippet, ma dubito sarebbe del tuo stesso avviso…”
“E se anche dovessimo trovare qualcuno, che cosa dovrei fare, atterrarlo?”
“Non mi sembra che tu abbia il fisico adatto per atterrare qualcuno, in realtà.”

“Appunto. Però togliere punti ai Serpeverde da sempre grandi soddisfazioni!”

Elena sorrise, ma si fece improvvisamente seria quando, pochi istanti dopo, sentì un inconfondibile rumore di passi che non appartenevano di certo a lei o ad Axel. La ragazza si voltò verso l’amico, rivolgendogli un’occhiata interrogativa che venne ricambiata con un lieve cenno del capo, invitandola a proseguire.

“Oh, ma tu guarda, la provvidenza mi ha ascoltata, pare… che cosa ci fai in giro a quest’ora, Greengrass?”
“Assolutamente niente Elena, non riuscivo a dormire, tutto qui.”

Gabriel si avvicinò ai due con le mani in tasca, un sorriso stampato sul volto e un’espressione totalmente rilassata e noncurante, così come il suo tono di voce, mentre la ragazza invece gli rivolse un’occhiata scettica, evitando di fargli sapere che lei avrebbe fatto volentieri a cambio, pur di potersi finalmente riposare.
 
“Davvero? Beh, comunque sia temo proprio di doverti togliere dei punti, Greengrass. Secondo te quanti, Axel?”
“Ti diverte? Non ti facevo così sadica, non ti si addice.”

Gabriel sorrise, inarcando un sopracciglio con aria divertita mentre invece la ragazza si strinse nelle spalle, usando a sua volta un tono noncurante e un sorriso rilassato:

“Evidentemente, non mi conosci. Direi 10 punti in meno, stasera sono particolarmente bendisposta… E ora, tu che puoi, fila via Greengrass.”
“Il tuo ruolo non ti aggrada? È un peccato… beh, divertitevi.”

Gabriele sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi, lasciando i due Grifondoro di nuovo soli: Elena prese l’amico sottobraccio, scuotendo leggermente il capo:

“E chi li capisce, loro che possono dormire se ne vanno a zonzo quando domani c’è lezione… vieni, andiamo di sopra, tra mezz’ora potremo finalmente andarcene a dormire… come invidio Steph, al momento.”
“Sì Elly, so che ami particolarmente dormire, un paio di volte hai persino schiacciato un pisolino durante la ronda…”

“Dormire è un diritto umano inalienabile Axel, non si può proibire a dei poveri ragazzi di farlo a sufficienza.”
“Eppure, quando tu e Steph restate sveglie per chiacchierare non c’è nessun problema…”

“Ti ho mai detto che a volte sei un po’ troppo puntiglioso, Axel?” 


*


Adela venne svegliata dalla luce che illuminava fiocamente la sua camera, rigirandosi sul materasso con un lieve sbuffo, maledicendosi per non aver tirato le tende del baldacchino un’ora prima. 

La Corvonero lanciò un’occhiata alla sua sveglia prima di posare lo sguardo dalla fonte della luce, ossia il letto alla sua destra: le tende blu scuro erano state chiuse, ma una fioca luce traspariva comunque. 
Adela scostò il copriletto e si alzò lentamente, rabbrividendo per il freddo e avvicinandosi al letto dell’amica, chiedendosi che cosa stesse facendo ancora sveglia a quell’ora prima di tirare un lembo della tenda, rivolgendo un’occhiata perplessa a Charlotte:

“Charlie, che cosa stai facendo a quest’ora?!”
L’amica sbuffò, limitandosi a rivolgerle un’occhiata torva prima di riprendere a scrivere frettolosamente sul rotolo di pergamene che aveva sulle ginocchia, facendosi luce con la bacchetta:

“Compilo la mia lista di nozze, non lo vedi?”
“Perché, ti hanno davvero fidanzata?”
“Sì, con William Alexander Cavendish.”
“Davvero?!”
“Cielo, no, piuttosto sposerei Lumacorno!
Sto finendo questi maledetti compiti, Adela… torna a dormire.”

Charlotte sbuffò, facendo cenno all’amica di tornare a letto mentre Adela, ancora abbastanza intontita dal sonno, le rivolgeva un’occhiata confusa:

“Se ti eri presa tardi per finirli potevi chiedere una mano, a me o a Thor… anzi, dimenticavo, sei troppo orgogliosa per farlo. Buonanotte, Charlie.”

Adela fece per fare un passo indietro, chiudere la tenda e lasciare l’amica al suo studio, ma poi cambiò idea, rivolgendole un’occhiata scettica:

“Davvero sposeresti Lumacorno piuttosto di Cavendish? Insomma, sarà insopportabile, ma è pur sempre molto attraente!”
“Allora facciamo che piuttosto rimarrei zitella, può andare?”




…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Mi scuso per non aver risposto alle vostre recensioni e per essermi presa all’ultimo per aggiornare, ma ho trascorso la settimana facendo avanti e indietro dall’ospedale e non ho avuto molto tempo a disposizione. 
Inoltre, vi comunico che se volete potete iniziare a mandarmi le vostre eventuali preferenze per quanto riguarda le coppie attraverso uno o due nomi (via MP, mi rendo conto che inquadrare tanti personaggi non sia semplice, ma cercate di farlo entro Gennaio, per favore), anche se premetto che non è assolutamente detto che io vi assecondi.
Detto ciò… ovviamente vi auguro calorosamente Buon Natale, ci sentiamo con il seguito di sicuro prima di Capodanno.

A presto!
Signorina Granger 

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Capitolo 7
*** Halloween ***


Capitolo 6: Halloween 
 
Giovedì 31 Ottobre


  Beatrix scese rapidamente la scalinata principale, impaziente di raggiungere la Sala Grande per fare colazione, salutare Katherine e sopratutto leggere le lettere che di certo le sarebbero arrivate da casa.
Tuttavia la Tassorosso non fece in tempo a mettere piede nell’ampio salone che quasi si scontrò contro qualcuno che, invece, stava lasciando la Sala Grande. 
Beatrix fece per scusarsi, spostarsi e tirare dritto, ma le parole le morirono in gola quando alzò lo sguardo e incontrò un paio di occhi azzurri familiari, anche se forse avrebbe preferito che non lo fossero.

Nemmeno Adrian disse nulla per un istante, restandole davanti e osservandola con aria torva prima di distogliere lo sguardo e allontanarsi, sibilando qualcosa a mezza voce: 

“Fa’ più attenzione.”

Beatrix non rispose e non si voltò, serrando la mascella mentre si affrettava ad allontanarsi, addentrandosi nella confusione della Sala Grande per raggiungere il tavolo dei Tassorosso, chiedendosi perché avesse dovuto iniziare la giornata proprio con un tal piacevole incontro. 

“Ciao! Buon compleanno!”
Sentendo la voce di Katherine la bionda si rilassò leggermente, abbozzando un sorriso mentre prendeva posto accanto all’amica, che le sorrideva di rimando:

“Ciao Kat… come mai qui?”
“Ho pensato che avresti sicuramente gradito la mia compagnia. Tieni, è arrivata poco fa, è di tua madre.”
“Grazie.”
“Come mai questa faccia? Capisco che sia prima mattina, ma dovresti comunque essere di buon umore.”

“Diciamo che non ho iniziato la giornata nel migliore dei modi. Indovina chi ho incrociato poco fa.”
“… Adrian?”

Katherine esitò prima di parlare, anche se probabilmente non c’era nemmeno bisogno di chiederlo: era piuttosto convinta che non ci fosse nessuno in grado di innervosire Beatrix più di suo cugino. 

“Sì, e tuo cugino è stato meravigliosamente garbato, come al solito.”
“Non ti ha fatto gli auguri?”
“No. Non che me l’aspettassi, naturalmente.”

“Forse se n’è scordato…”
“Kat, credimi, sa benissimo quand’è il mio compleanno. E ora probabilmente starà raccontando a quegli altri di come la Morgan sia imbranata, oltre che un errore colossale.”

La bionda roteò gli occhi prima di infilzare un pezzo di bacon, osservandolo con aria torva, come se fosse tutta colpa sua, mentre l’amica le metteva un braccio sulle spalle, sorridendole con fare consolatorio:

“Fa’ come fai sempre, non pensarci. Conosco Adrian, lascia perdere.”
“D’accordo… non mi farò rovinare il compleanno, e poi adoro Halloween… ho intenzione di fare razzia di dolci, oggi.”
“Ottima scelta, conta pure su di me se ti serve supporto.”


*


“Che cosa fai? Qualche compito arretrato?”

Evangeline alzò lo sguardo, posandolo sulla sua migliore amica e sfoggiando l’espressione più accigliata che le riuscì, parlando con un tono eloquente che fece sorridere Aurora:

“Io non ho mai compiti arretrati, Aurora.”
“Giusto, hai ragione, che domanda sciocca… allora cambierò domanda: che cosa stai scrivendo?”

La mora rivolse un’occhiata carica di curiosità a quello che era, probabilmente, l’oggetto a cui l’amica teneva di più: quello che lei definiva il suo “taccuino”, ma che in realtà era un tomo di circa 2000 pagine che la bionda riempiva giorno per giorno. 

“Non capirò mai come tu faccia a portartelo appresso, Evie. Insomma, dovrà pesare parecchio!”
“Ormai ci sono abituata. E poi lo sai, amo scrivere… ma non lo si può capire se non lo si prova, credo.”

“Mi piacerebbe darci una sbirciata, prima o poi.”
“Mi hai chiesto cosa scriva tante volte, e te l’ho già detto: mi piace osservare le persone e descriverne i comportamenti, oltre che annotare molto altro, come i miei racconti, certo.”

“Quindi lì dentro c’è qualche riga anche per la sottoscritta?”
“Descrivo solo persone interessanti.”
“Stai dicendo che IO non sono interessante, Evangeline Juliet Grace Rosehealty?”

Aurora sgranò gli occhi, sfoggiando l’espressione più offesa che le riuscì e incrociando le braccia al petto, scaturendo una debole risata da parte dell’amica, che scosse il capo:

“No, non mi permetterei mai! Chiedo venia Miss Temple, lei è così al di sopra della media, così unica e perfetta che la mia umile penna non è in grado di renderle giustizia. Mi concede il suo perdono?”
“Ci devo riflettere, ma con queste adulazioni potresti essere sulla strada giusta.”

“Ma guarda com’è permalosa…”
“Sappi che non accetto commenti del genere da parte della persona più permalosa che io conosca.”


Aurora rivolse un’occhiata scettica all’amica, che fece per aggiungere qualcosa in sua difesa quando una terza voce la interruppe sul nascere:

“Permalosa o meno, se non volessi rischiare di essere surclassata nel compito di Incantesimi di lunedì, io mi concentrerei maggiormente sullo studio.”
Gli occhi azzurri di Evangeline saettarono dal volto dell’amica, seduta di fronte a lei in Biblioteca, per posarsi su un ragazzo seduto a qualche sedia di distanza, che continuò imperterrito a scrivere sul suo rotolo di pergamena. 

Aurora represse a fatica un sorriso, osservando l’amica assottigliare pericolosamente lo sguardo prima di parlare con tono piuttosto acido:

“Scusami?”
“Non dire così, Jack, sai quanto Evie sia competitiva.”
“Dico solo come stanno le cose. Non te la sei presa, vero Evangeline?”

Jack alzò finalmente lo sguardo per rivolgersi alle Corvonero, abbozzando un sorriso che non venne affatto ricambiato dalla bionda, che chiuse il tomo che teneva in grembo con un gesto secco:

“No. Comunque, per prendere un voto più alto del mio in Incantesimi, dovrai sudare parecchio.”
“Perfetto.”

Jack non si scompose minimamente, guardando la bionda alzarsi e borbottare che sarebbe andata a studiare, approfittando dell’ora buca, prima di allontanarsi a passo di marcia, appuntandosi mentalmente di cancellare ciò che aveva scritto solo poco prima a proposito di un certo Serpeverde dal bel sorriso.

“Keegan, dovevi proprio?”
“Stavo scherzando, più che altro… volevo capire se avevi ragione quando dicevi che è permalosa.”


*


Hector, dopo interminabili minuti di silenzio, sbuffò sonoramente e si voltò verso la ragazza seduta accanto a lui nell’aula di Pozioni, nei Sotterranei, stanco di sentire Adela tremare e battere i denti:

“Adela, te lo chiedo di nuovo. Sicura di non volere anche il mio maglione?”
“Così poi ti ammali? No, grazie.”
“Ma io non ho freddo, come te lo devo dire?”

“Non capisco, semplicemente, chi abbia avuto la brillante idea di piazzare l’aula nei Sotterranei! Davvero non capisco come facciano i Serpeverde a viverci, qui sotto. Ma Ronald sostiene che ci si faccia l’abitudine… io non potrei mai.”
“Credo che i più fortunati siano i Tassorosso, vivono vicino alle cucine.”
“Davvero? Come lo sai?”


Adela alzò lo sguardo sull’amica, rivolgendogli un’occhiata carica di curiosità che però venne ricambiata semplicemente con una scrollata di spalle, mentre Hector continuava a mescolare distrattamente il contenuto fumante del suo calderone.
Dietro di loro, invece, Charlotte era impegnata per lo più a sbadigliare, rimpiangendo il suo caldo e comodo letto, molti metri più in alto, mentre qualcuno, nella fila di banchi accanto, sembrava aver rinunciato a combattere la guerra contro il sonno e si era definitivamente appisolato. 

Charlotte rivolse un’occhiata in tralice al suo compagno di scuola favorito, quasi pregando che Lumacorno se ne accorgesse… disgraziatamente, William Cavendish aveva l’innata capacità di farla sempre franca, vuoi per un bel facciano, un cognome importante o un cervello niente male.


“Adela, credo che faresti meglio a sederti accanto al tuo fidanzato nella prossima lezione.”
“Perché? Non gradisci la mia compagnia Thor?”
“Certo, ma ho la sensazione che lui non gradisca di vedere noi seduti vicini quasi sempre.”

Adela si voltò, lanciando un’occhiata a Ronald e affrettandosi a rivolgergli un sorriso di fronte alla sua espressione poco felice, mentre alle loro spalle Charlotte desiderava ardentemente di attirare Lumacorno infondo all’aula con la forza del pensiero. Quando però fu ovvio che non aveva quel potere la ragazza decise di cambiare strategia, stampandosi il suo sorriso migliore sul volto, anni e anni di ricevimenti erano pur sempre serviti a qualcosa, prima di alzare la mano:

“Professore? Le spiacerebbe aiutarmi con gli ultimi passaggi?”
Il suo tono zuccheroso sembrò stupire vagamente l’insegnante, che rimase come interdetto per un attimo prima di annuire e raggiungere la Corvonero, infondo all’aula. 
Mentre Lumacorno si avvicinava sia Hector che Adela si voltarono verso di lei, guardandola con sincera sorpresa e ricevendo per tutta risposta solo un sorriso angelico. 

“Che cosa non ha capito, Signorina Selwyn? … Signor Cavendish?!”

Gli occhi di Lumacorno si catalizzarono sul Serpeverde, che dormiva beatamente, del tutto incurante della lezione. Ronald, seduto accanto a lui, provvide ad assestargli una gomitata e a chiamarlo a mezza voce, svegliando il compagno che aprì pigramente le palpebre per rivolgere un’occhiata vacua all’insegnante:

“Sí?”
“Mi dispiace interrompere il suo sonno, ma le ricordo che siamo a lezione. L’argomento della settimana non è di suo gradimento?”
“Dal momento che stavo dormendo, Professore, oserei dire che si tratta di una domanda retorica.”

William inarcò un sopracciglio, parlando con un tono neutro che fece quasi ammutolire tutta la classe. Fatta eccezione per una ragazza che stava sogghignando, naturalmente. 
Lumacorno, dal canto suo, non disse nulla per un paio di secondi, osservando quello che era, nonostante i modi non propriamente garbati, uno dei suoi studenti preferiti, prima di parlare:

“20 punti in meno a Serpeverde. Che sia l’ultima volta, Cavendish… e non mi riferivo al dormire.”

Charlotte fece per sottolineare il suo disappunto e consigliare caldamente all’insegnante di spedire l’allievo a lavare i piatti in cucina, ma poi si ricordò che a differenza di William Cavendish lei sapeva stare al suo posto, così non disse nulla mentre il professore si rivolgeva nuovamente, parlando con un tono molto più gentile rispetto a quello usato poco prima:

“Prego, Signorina.”
“Oh, non fa niente, credo di esserci riuscita… ma grazie infinite per la sua disponibilità, Professore.”

Charlotte piegò le labbra carnose in un sorriso, conscia dell’occhiata inceneritoria che uno dei suoi compagni le lanciò, ma senza farci troppo caso. 


*


Elena era seduta sugli spalti accanto ad Axel, praticamente rannicchiata accanto all’amico con il capo appoggiato sulla sua spalla, coperta fino al naso dalla sua sciarpa rossa e oro. 
Sentì Axel sospirare, sistemandosi i guanti di pelle di drago e intuì che stavano facendo gli stessi pensieri: perché erano andati a vedere l’allenamento della squadra?

“Come ci siamo fatti convincere, esattamente?”
“Non so dirtelo, Elly… un attimo prima Steph ci ha chiesto di accompagnarla e un attimo dopo eravamo qui. Non capisco proprio come facciano, con questo tempo…”
“Già. Spero che alla partita il clima sia più decente, non vorrei che si ammalasse.”

Elena si sistemò il cappuccio del mantello, calato sulla testa per ripararsi ulteriormente dal vento mentre seguiva gli spostamenti dell’amica con lo sguardo: Stephanie, grazia ai suoi capelli biondi, era praticamente inconfondibile.
Ben presto, tuttavia, la sua attenzione si spostò sul piccolo gruppo di persone che avevamo affollato un punto poco distante delle tribune… e non ci mise molto a riconoscerli, sbuffando e alzandosi in piedi:

“È mai possibile che siano ovunque? EHY!”

“Elly, lascia perdere, suvvia, non dargli soddisfazione…”
Axel, sospirando, allungò una mano per prendere quella dell’amica e trattenerla, ma ben presto capì che sarebbe risultato pressoché impossibile a chiunque: Elena non battè ciglio e non diede segno di volerlo ascoltare, continuando imperterrita per la sua strada:

“Non mi risulta che sia il vostro allenamento… E se a parer vostro sono tanto scarsi, perché sprecate il vostro prezioso tempo per loro?”

“Solo per renderci conto cosa dovremo affrontare la settimana prossima… rilassati Elena, non diamo fastidio a nessuno.”
Gabriel Greengrass, comodamente appoggiato alla ringhiera, le rivolse un sorriso che se possibile contribuì solo ad aumentare la sua irritazione, parlando di nuovo:

“A noi sì. Avete così tanta paura di perdere da doverli schernire per cercare di demoralizzarli e sentirvi più forti? È quasi triste.” 
“Perché parli con me, io non ho aperto bocca.”

“Certo che non apri bocca Greengrass, paura che la tua amica Katherine possa farti una ramanzina?”

Elena inarcò un sopracciglio, reprimendo a fatica un sorriso quando si rese conto di aver colto nel segno, a giudicare dall’espressione di Gabriel. 
Ma non gli diede il tempo di ribattere perché girò sui tacchi e si allontanò, tornando a sedersi accanto ad Axel:

“Elly, imparerai mai a tenere la lingua a freno? Potresti cacciarti nei guai, prima o poi.”
“Ci vuole ben altro per spaventarmi, non certo quelle specie di scimmie! Certo, nel caso di Greengrass si tratta di scimmie molto attraenti… ma è un altro discorso. Spero davvero che li battano, domenica prossima.”


*


“Adrian? Posso parlarti?”
“Spero che tu non te la sia presa per… prima.”

“Non fingere di scusarti… e comunque no, non me la sono presa. Vedremo chi tornerà indietro con la coda tra le gambe domenica prossima, immagino.”

Katherine prese posto di fronte al cugino, ben lieta di averlo trovato solo in Biblioteca, e abbozzò un sorriso: era stata la prima Grifondoro a diventare Capitano della squadra di Quidditch, e non aveva alcuna intenzione di sfigurare, specie contro Serpeverde. 

“Ma non sono qui per questo.”
“Ah no? Che cosa c’è, allora?”
“Adrian, mi rendo conto che la situazione sia… complicata. Difficile da gestire, per entrambi, ma credimi, lo è di più per lei. Perciò potresti sforzarti di essere più gentile?”

“Di chi stai parlando, Kat?”
“Sai di chi parlo. So che non potrete mai chiacchierare amabilmente, ma rivolgervi la parola per salutarvi di tanto in tanto, o almeno rivolgervi un cenno, non sarebbe male… insomma, potresti provare a non fingere di non conoscerla nemmeno.”

“Ti ricordo che l’atteggiamento è reciproco, Kat, e sono piuttosto sicuro che vada benissimo anche a lei. E comunque, apprezzo lo sforzo, ma dubito che tu capisca realmente.”

“Forse no, e immagino che non sia semplice, ma così rendete la situazione ancor più spiacevole di quanto già non sia!”

Adrian esitò, rivolgendo un’occhiata dubbiosa alla cugina prima di parlare di nuovo, con un tono quasi accusatorio: 

“Te l’ha chiesto lei, di parlarmi?”
“Cielo, no. No, penso che mi ucciderebbe se sapesse che ti ho detto queste cose. So come la pensi, Adrian, ma io le voglio bene… forse, se le basi fossero state diverse, potresti apprezzarla di più anche tu.”
“Le tue amicizie non mi riguardano, Kat, puoi fare ciò che vuoi. Proprio come IO, e anche Beatrix, possiamo fare come più ci compiace. Ci comportiamo come se non ci conoscessimo, anche se di fatto tutti sanno che non è così, e a noi va bene. Credo sia l’unica cosa che abbiamo in comune.”

“L’unica? Davvero?”

Il tono ironico della Grifondoro le fece guadagnare un’occhiata torva da parte del cugino, che si alzò e raccolse rapidamente le sue cose prima di allontanarsi:

“Sì, l’unica. Buona serata, Kat.”

Katherine fece per aggiungere qualcos altro, ma decise di lasciar perdere e lasciò che il ragazzo si allontanasse. Non era la prima volta in cui affrontavano un discorso simile, ma l’esito era sempre lo stesso.


*



Adela era rannicchiata su una delle poltrone della Sala Comune, ben lieta di poter stare lì dentro, al caldo, davanti al camino e con una coperta sulle ginocchia. 
Stava scrivendo una lettera a sua madre mentre Charlotte era seduta davanti a lei, sul tappeto, impegnata a coccolare il cucciolo di Fennec dell’amica: 

“È fantastico che Dippet ti abbia permesso di tenerlo, è così dolce…”

Charlotte sorrise teneramente al cucciolo, allungando una mano per sfiorargli il naso con un dito e facendolo starnutire di riflesso, ridacchiando mentre gli accarezzava il pelo marroncino. 

“Se avessi saputo che ti sarebbe piaciuto tanto, avrei chiesto ai miei genitori di portarne uno anche per te!”
“Beh, avresti dovuto. Anche se non so se mia madre me l’avrebbe fatto tenere… in più, forse i nostri cani da caccia non l’avrebbero gradito. Dici che Rami sta bene, con questo clima?”

“Beh, lo tengo sempre al caldo il più possibile, abbiamo qualcosa in comune. Non volevo saperne di separarmene.”

Adela sorrise a Rami, ricordando quando, pochi mesi prima, i genitori le avevano portato dall’Egitto quel cucciolo di volpe e lei se n’era immediatamente innamorata. 


Charlotte non disse nulla per qualche secondo, limitandosi a grattare le orecchie di Rami, che si era acciambellato accanto a lei sul tappeto, prima di posare nuovamente lo sguardo sull’amica:

“Come stanno i tuoi genitori?”
“Bene. L’India un po’ mi manca, a dire il vero… Chandrapore non potrebbe essere più diversa dalla Scozia.”

“Dev’essere davvero un altro mondo… mi piacerebbe vederla, un giorno.”
“Saresti un’ospite più che gradita.”
“Da te di sicuro, dal tuo fidanzato un po’ meno… che c’è? Non mi sopporta, glielo si legge in faccia!”
“Charlie, io ti voglio bene, ma sai davvero come farti detestare, a volte.”

“Dici che è a causa della mia lingua biforcuta? Ma una serpe come lui dovrebbe esserci abituato!”

Charlotte sorrise con aria divertita e ad Adela non restò che roteare gli occhi, arrendendosi all’innata passione dell’amica nel punzecchiare il prossimo. 

“So che non ti piace particolarmente, Charlie. Ma io gli voglio bene, con me è molto più gentile rispetto a quanto non possa sembrare.”
“Se lo dici tu… del resto, non sono io a doverlo sposare.”

Charlotte si strinse nelle spalle prima di tornare a concentrarsi sul Fennec, che le stava dando qualche colpetto su una gamba con una zampetta, reclamando attenzioni. 

Adela non disse nulla, osservando l’amica con aria pensierosa, chiedendosi perché la sua idea su Ronald non sembrasse combaciare con quella della sua amica. Se non altro, Charlotte era sempre tremendamente sincera e aveva messo in chiaro la sua opinione fin da subito. 

I suoi genitori non l’avevano mai forzata ad accettare la corte che Ronald Heslop le rivolgeva da tempo, cresciuti entrambi a Chandrapore in famiglie di coloni inglesi. Era stata una sua scelta che, certo, li aveva resi molto felici, non avevano mai nascosto il desiderio che ciò avvenisse… I suoi genitori non avevano fatto mistero di quanto la decisione della loro unica figlia li avesse deliziati, e forse anche per questo motivo Adela si era sentita decisa e soddisfatta della sua scelta. 


“Il Banchetto sta per iniziare… andiamo? Hector ha detto che ci avrebbe aspettate a metà strada, al secondo piano.”

Adela arrotolò la lettera che aveva appena finito di scrivere per madre, scostandosi la coperta di dosso per alzarsi mentre Charlotte faceva altrettanto, scuotendo il capo con aria grave:
“Non dirmi che era in Biblioteca! Cielo, devo impegnarmi di più per far studiare meno quel ragazzo. Prima ho incrociato Evangeline, ed era un tutt’uno con il libro di Incantesimi, capisco che siamo quelli intelligenti, ma qui si esagera!”


*


“Scusate, permesso… dovrei passere, grazie. Oh, ciao Beatrix, buon compleanno!”

Iphigenia rivolse un sorriso allegro alla compagna di Casa quando, camminando lungo il tavolo imbandito, la superò. La bionda, che fino a quel momento sembrava essere concentrata su ben altro rispetto al Banchetto o al suo compleanno, si ridestò e ricambiò il sorriso, ringraziando la compagna mentre la Battitrice trovava, finalmente, gli oggetti della sua ricerca:

“Eccovi, finalmente! Muoio di fame… Andrew, passami tutto quello che ti capita a tiro.”
“Ciao Iphe… dov’eri finita? Cominciavamo a pensare che volessi perderti il Banchetto.”

“Mai e poi mai, Jade. In realtà, temo di aver perso la cognizione del tempo mentre leggevo. Mia madre mi ha spedito la relazione scritta della prima conferenza che Einstein ha tenuto negli Stati Uniti la settimana scorsa e muoio dalla voglia di finirl-“

“Alt! Non si parla di fisica, e neanche di qualunque altra disciplina, chiaro?”
“Ma quel tipo non era tedesco? Quello che citi sempre…”

“Sì, ma si è recentemente trasferito in America a causa delle persecuzioni. Quest’anno in Germania stanno cambiando molte cose.”

Iphigenia piegò le labbra in una smorfia, infilzando un pezzo di carne con un po’ troppa veemenza mentre Jade spostava lo sguardo da lei ad Andrew, leggermente incupito, con perplessità:

“Persecuzioni?”
“Potremmo evitare di parlarne? Non è un argomento piacevole, e siamo a tavola.”
“Andrew ha ragione, questa volta… è un po’ difficile da spiegare.”

“I Babbani rendono tutto difficile, ho idea…”


*


“Domenica prossima non possiamo assolutamente perdere, ne va del nostro orgoglio. Non ho nessuna intenzione di sopportare le insistenti frecciatine e allusioni dei Serpeverde fino alle vacanze di Natale!”

Stephanie scoccò un’occhiata torva al tavolo della suddetta Casa sotto lo sguardo attonito di Axel, che ancora una volta si stava chiedendo come potesse la sua sorridente, gentile e premurosa amica a trasformarsi, talvolta, in una specie di macchina da guerra. 
Sopratutto quando si entrava in qualche forma di competizione. 

“Continuano a prenderti in giro?”
“Già, lo trovano divertente. Tesoro, hai sbagliato strada, il club del cucito è di la! Che ci fa una graziosa fanciulla come te su un campo da Quidditch? Vedi tesoro, questa si chiama “Pluffa”, la devi lanciare in questo modo… Non li sopporto. Sì, sono una ragazza, sì, ho una bella faccia e sì, gioco anche a Quidditch, perché deve diventare una questione di stato?”

“Questo è lo spirito giusto, vai e rendimi fiera! Farò anche io la mia parte, alla partita.”

Elena sfoggiò un sorrisetto che sembrò allarmare Axel, che rivolse all’amica un’occhiata preoccupata:

“In che senso? Mi devo preoccupare?”
“No, rilassati, ciò che farò sarà… alla luce del sole. Sarà una splendida partita, me lo sento.”


Elena sorrise e Axel sospirò, arrendendosi: sì, era il caso di preoccuparsi. 








……………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Cosa sta architettando Elena? Si accettano scommesse a riguardo. 
Come avrete capito, nel prossimo capitolo ci sarà la prima partita, Grifondoro Vs Serpeverde… chi volete che vinca? (via MP, e come sempre chi ha OC in una delle due Case non può votare)

Detto ciò, ci sentiamo nell’anno nuovo… perciò tanti auguri!
Signorina Granger 

Ps. Questo è Rami. Ora potete fare le valige e correre in Nordafrica per adottarne uno, o una dozzina.

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Capitolo 8
*** Grifondoro - Serpeverde ***


Anno nuovo e si comincia a mietere… Thomas Wright non fa più parte della storia.
A parte questo, buona lettura!



Capitolo 7: Grifondoro – Serpeverde 

 
Domenica 10 Novembre


“Buongiorno, Capitano! Sei pronta a dare il meglio di te?”
“Certo. Cavendish continua a lanciarmi frecciatine da giorni, gliela farò vedere. Tu tifi per noi, spero.”

Katherine, dopo aver sfoggiato una lieve smorfia carica d’irritazione, si rivolse all’amica, che sorrise e annuì mentre entravano insieme nella Sala Grande già considerevolmente affollata per essere domenica mattina:

“Naturalmente, sono passata a farti gli auguri. Sono una Tassorosso, mi ci vedi a tifare Serpeverde?!”
“Beh, non lo so, magari avevi preparato uno striscione per Adrian… ovviamente sto scherzando.”

Katherine si affrettò a sorridere di fronte all’occhiataccia che Beatrix le rivolse, suggerendole di non scherzare sull’argomento prima di separarsi dall’amica e raggiungere il suo tavolo, trovando Iphigenia e Andrew a parlottare con aria concitata mentre Jade sembrava più che intenzionata ad alzarsi e sedersi altrove:

“Ciao Jade! Sei stanca?”
“Di sentire questi due parlare di Quidditch? Sì, tremendamente. Ragazzi, oggi non siete VOI a giocare, rilassatevi!”

“Jade, non capisci? È la prima partita dell’anno e i prossimi saremo noi, dobbiamo studiare le strategie nemiche!” Andrew guardò l’amica come se fossero a lezione di Aritmanzia e non capisse un concetto fondamentale, facendole alzare gli occhi al cielo:

“Certo, che sciocca… avete intenzione di prendere appunti durante l’incontro?”

“Ovviamente, ho portato questo apposta.”

Iphigenia annuì, restando impassibile mentre tirava fuori un rotolo di pergamena, ignorando o forse non cogliendo l’ironia dell’amica mentre la bionda strabuzzava gli occhi e Beatrix ridacchiava. 

“Hai intenzione di prendere appunti sul serio?”
“Jade, cosa dovrei fare, fare affidamento solo sulla memoria di Andrew, che serve solo a ricordare quali giocatrici sono più carine di altre?”
“Iphe, così mi offendi! E poi non devi essere gelosa, lo sai che per me la più carina sei tu.”

“Certo, certo… hai portato quello che ti ho chiesto, comunque?”
“Naturalmente, ho portato un sacco di roba. I popcorn li vuoi salati o dolci?”

Il rosso sfoggiò un largo sorriso, accennando alla borsa che aveva portato con sé nonostante l’assenza di lezioni quel giorno, attirando l’attenzione di Beatrix mentre Jade si tratteneva dal sbattere la testa contro il tavolo, stentando a crederci:

“Hai anche quelli al burro?”
“Certo, ne vuoi?”
“Volentieri, grazie.”

“Andrew, sei diventato l’addetto agli spuntini?”
“Sì, mi ha ingaggiato il General- Iphe.”
“Beh, una partita senza spuntini è come un libro senza indice, una vera schifezza! Sul serio, ma che gli costa aggiungere una dannata pagina per l’indice?!”

“Hai ragione Iphe, dovrebbero essere messi alla gogna per questo.”
“Appunto! Jade, ma mi stai prendendo in giro o sei seria?”


*


“Ehi… perché vi siete alzati così presto? Mi sono svegliato e la stanza era vuota.”

Regan prese posto accanto a Gabriel con un sorriso, che però non venne ricambiato da nessuno tra i compagni, troppo impegnati a mangiare, sbadigliare e lanciare occhiate ad un figlio che avevano davanti.


“Io non riuscivo a dormire, così mi sono alzato.”  Gabriel si strinse nelle spalle, guadagnandosi un’occhiata torva da parte di Jack, seduto di fronte a lui:
“Ed avendo la grazia e la leggiadria di un bue muschiato ha svegliato anche me.”

“Beh, rilassatevi, di certo andrà bene.”
“Deve andar bene, il Quidditch è l’unica cosa che riesce a mettere me e Kat uno contro l’altra, e se perdiamo lei mi prenderà in giro e me lo rinfaccerà fino a Natale!”
“Vuoi dirlo a ME? Già mi immagino la cena di Natale, con mio padre o mio cugino che se ne escono con “Adrian, ti sei fatto battere dalla tua cuginetta?” Patetico.”

Adrian piegò le labbra in una smorfia, desiderando ardentemente che ciò non accadesse mentre Sean invece ridacchiava, sorridendo con aria rilassata:

“Per fortuna mia sorella è Corvonero, non è una faccenda poi così personale… anche se penso anche anche lei mi prenderebbe in giro.”

“Seannie!”
“L’hai chiamata, per caso? Ciao Charlotte.”

Regan sorrise alla Corvonero, che ricambiò mente raggiungeva il fratello, sedendosi tra lui e William senza nemmeno chiedere a quest’ultimo di spostarsi, guadagnandosi un’occhiata torva da parte del compagno che però venne deliberatamente ignorata:

“Come va? Mi raccomando, tifo per voi, impegnati.”
“Tifi per noi? Sono onorato sorellina.”
“In realtà ero indecisa, sai, combattuta perché tifando per voi e per il mio amato fratellone avrei implicitamente tifato anche per un certo emerito idiota con la puzza sotto al naso di cui ovviamente non farò il nome… ma che ci vuoi fare, alla fine l’amore fraterno ha prevalso sul disgusto.”

“Mi fa piacere.” Sean sfoggiò un sorriso, guardando la sorellina con aria divertita mentre la voce piuttosto seccata dell’altro Battitore della squadra giungeva alle sue orecchie
“Selwyn, mi rendo conto che sia un’impresa ardua, ma credi di essere in grado di far tacere tua sorella?”

“Ci provo da anni, William.”
“Cavendish, vai a lanciare Bolidi e non intrometterti, grazie, alla scuola per Lord non ti hanno insegnato che è maleducazione? Ma perché sei gentile con lui?!”
“Io sono gentile con tutti! E poi è il mio Capitano Charlie, non posso certo essere sgarbato.”

“Ma lo vedi che tutto combacia? Se mi aiutassi a liberarci di lui tu magari saresti scelto come Capitano, due piccioni con una fava!”

Charlotte sospirò e scosse il capo, chiedendosi perché nessuno le desse retta mentre Gabriel ridacchiava, sostenendo di essere sollevato di piacerle.

“Tranquillo Greengrass, tu mi stai simpatico… bene, vi lascio, buona fortuna. Oh, ma avete la crostata all’albicocca?! Noi no, ve ne rubo una fetta… ciao!”

Charlotte diede un bacio sulla guancia del fratello prima di sorridere, alzarsi, prendere una fetta di torta e poi tornare verso il suo tavolo, da Adela, Hector ed Aurora. 
Sean la segui con lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento di qualcosa fuori posto nella sorella, parlando a voce alta per farsi sentire e aggrottando la fronte:

“Charlie! Dove hai preso quella sciarpa di Serpeverde?!”
“È tua, te l’ho rubata ieri! Aurora ha il tuo berretto!”


*


“Buongiorno! Steph, tutto bene?”

Axel sorrise all’amica mentre prendeva posto di fronte a lei, guardando la bionda annuire con scarsa convinzione mentre giocherellava con una fetta di bacon:

“Un po’ nervosa.”
“È normale, ma non è la tua prima partita… di certo quando scenderai in campo passerà.”
“Lo spero.”
“Certo che andrà così… e ora mangia qualcosa, su.”

Elena sorrise all’amica, facendole cenno di mangiare mentre Axel si rivolgeva a lei, rivolgendole un’occhiata incerta:

“Ciao Elly…”
“Come mai quella faccia? Non ho una bomba sotto il maglione, se ti può rassicurare.”
“Mi fa piacere sentirlo.”

Axel aggrottò la fronte, osservando l’amica sorridere con aria angelica con scarsa convinzione, chiedendosi cosa stesse per tirare fuori dal cilindro. 
In effetti, la sua curiosità era aumentata qualche giorno prima… 



Albus Silente stava amabilmente conversando con Lumacorno nel bel mezzo del corridoio, di fronte alla porta della sua aula, quando qualcosa sembrò attirare la sua attenzione. Nell’arco di poco il Vicepreside si congedò dall’amico, allontanandosi lungo il corridoio… e ben presto Axel, di ritorno dalla Biblioteca visto che la sua ora buca era ormai finita, sentì una voce tremendamente familiare prima che una ragazza dai lunghi capelli rossicci non lo superasse di corsa:

“Professore, aspetti! Devo parlarle con urgenza!”

 

Cosa gli avesse detto, Axel non lo sapeva, l’unico commento che l’amica aveva fatto a pranzo era stato chiedersi come facesse Silente a muoversi così in fretta vista la sua età. 
“Credo che sia quasi ora di andare per voi… Steph, vuoi che ti accompagni al campo?”
Elena sorrise gentilmente all’amica, che annuì con la stessa espressione tesa di poco prima mentre si alzava, salutando Axel:

“Ci vediamo dopo… coraggio Steph, sarai bravissima come al solito.”

Axel sorrise all’amica con fare incoraggiante, guardandola allontanarsi insieme ad Elena poco dopo, che la prese sottobraccio e le disse qualcosa a mezza voce. 

Chissà cosa aveva detto a Silente qualche giorno prima…


*


Aurora Temple aveva un gran sorriso stampato sul volto mentre camminava sull’erba tenendo Evangeline a braccetto, raggiungendo il campo insieme all’amica e sostenendo di non vedere l’ora di assistere alla partita:

“Io ne avrei fatto volentieri a meno, devo studiare…”
“Sciocchezze Evie, è la prima partita, devi venirci! E poi dovrai farmi compagnia, dovrò stare attenta per le partite future conto Grifondoro e Serpeverde.”

“Tifi Serpeverde, ma che sorpresa…”
“Scusa, cosa intendi?!”
“Beh, non mi sorprende affatto perché tifi sempre per Sean. In effetti, quando Corvonero gioca contro Serpeverde vedere te e Charlotte discutere con lui è molto divertente.”

“Sì, beh, credo che si offenderebbe parecchio se tifassi Grifondoro, anche se non lo ammetterebbe mai. Tu per chi tifi, Evie?”
“Bah, non mi interessa. Inoltre, non ti lascia un po’ stizzita che nella squadra di Serpeverde ci siano solo ragazzi? Se non altro tra i Grifondoro ce ne sono due. Katherine Burke non è anche Capitano?”

“Sì, da quest’anno. Ecco che torna Evangeline femminista! Comunque secondo me non sei totalmente imparziale, ci sarà una squadra che favorisci!”

La bionda però si strinse nelle spalle, sostenendo che non le facesse molta differenza qualunque squadra vincesse mentre raggiungeva l’ingresso del campo insieme all’amica, che rivolse un sorriso e un cenno con la mano a Charlotte, che aspettava di entrare tenendo Hector a braccetto:

“Charlie, ciao! Sei già in fila?”
“Sì, voglio sedermi davanti per avere una migliore visuale.”
“Adela?”

Charlotte s’incupì leggermente, sfoggiando una lievissima smorfia mentre parlava:

“È con… coso.”
“Intende Ronald Heslop, il suo fidanzato.”

Hector rivolse un’occhiata in tralice all’amica, suggerendole di cercare di mascherare almeno un po’ la sua antipatia mentre Aurora annuiva:
“Ah, certo… beh, peccato, sarebbe stato divertente stare vicini, visto che gioca anche lei in squadra… pazienza, vorrà dire che discuterò delle strategie con Hector. Senti, visto che sei alto, non potresti fare da ariete e aiutarci a passare? Sia io che Charlie facciamo parte del club dei nani in incognito, quindi…”

Aurora si avvicinò al ragazzo, sfoggiando un largo sorriso che gli fece alzare gli occhi al cielo, suggerendole di seguirlo mentre alle loro spalle Evangeline rivolgeva un’occhiata scettica in direzione di Charlotte:

“Secondo te perché sono tutti così interessati a questo sport?”
“Non ne ho idea Evangeline, davvero, io vengo solo per sostenere mio fratello.”

A quelle parole Evangeline si chiese di nuovo perché fosse lì, visto che non aveva proprio nessuno da sostenere nelle due squadre. Dopotutto due giorni dopo ci sarebbe stato il compito di Pozioni, e dopo aver preso un punto in meno di Jack Keegan in quello di Incantesimi era ben decisa a non farsi surclassare una seconda volta.


*


“Visto? Siamo riusciti a prendere ottimi posti, tutto merito mio.”
“Non darti tante arie solo perché sei il più alto in circolazione. Jade, hai freddo?”

Iphigenia si rivolse all’amica, che annuì mentre si annodava la sciarpa della sua Casa intorno al collo, chiedendosi perché li volessero torturare in quel modo e non invidiando affatto i giocatori in campo:

“No Iphe, scherzi, si sta benissimo qui fuori, a Novembre!”
“A me non dispiace il freddo, soffro molto di più il caldo.”   Iphigenia si strinse nelle spalle mentre faceva vagare lo sguardo sul campo ancora deserto visto che i giocatori non avevano ancora lasciato gli spogliatoi, impaziente che la partita iniziasse mentre accanto a lei Andrew rivolgeva un sorriso allegro al ragazzo che si era appena seduto accanto a lui:

“Ciao Axel!”
“Ciao Andrew… avete per caso visto Elena? È venuta al campo con Steph ma non l’ho ancora incrociata.”
“No, mi spiace.”

Il rosso scosse il capo e Axel sospirò, guardandosi intorno nelle tribune e chiedendosi sinceramente dove si fosse cacciata l’amica. 


*


Stephanie si fermò sul prato, rabbrividendo leggermente per il freddo e chiedendosi chi glie l’avesse fatto fare mentre Katherine avanzava davanti a lei, avvicinandosi a William per stringergli la mano. 

Gli occhi chiari della Grifondoro si spostarono dal volto dell’altro Capitano per indugiare su Gabriel, ricambiando leggermente il sorriso che l’amico le rivolse. Disgraziatamente anche Sean Selwyn, in piedi accanto a Gabriel, ebbe la brillante idea di rivolgerle un cenno e la ragazza si ritrovò ad arrossire, indugiando per un istante di troppo con la ,amo stretta in quella di William prima di riscuoterai e girare sui tacchi, tornando con un paio di rapide falcate verso il suo posto. 

“Qualcosa non va, Kat?”
Stephanie le rivolse un’occhiata incerta, ma la compagna si affrettò a scuotere il capo, borbottando che andava tutto benissimo mentre montava in sella al suo manico di scopa, stringendo la presa con le mani guantate e pronta a librarsi a mezz’aria al suono del fischio.
Perdere contro suo cugino e il suo migliore, storico amico? Non sapeva con che coraggio si sarebbe fatta vedere in giro, se fosse successo. 


*


Al suono assordante del fischio tutti e quattordici i giocatori si librarono a mezz’aria e subito dopo l’attenzione di tutto il pubblico venne catturata, almeno in parte, anche dalla voce che risuonò per tutto il campo. 
In particolare, dopo un attimo di esitazione che gli servì per elaborare quanto sentito, Axel Farrel si voltò di scatto verso la tribuna d’onore, occupata come sempre dagli insegnanti. 
E anche, quel giorno, da una sorridente ragazza dai lunghi capelli rossicci. 

Axel sgranò gli occhi azzurri, chiedendosi se non se lo stesse immaginando prima di arrendersi all’evidenza: se non altro, aveva trovato Elena.

C’era solo da sperare che non ci andasse giù pensate, non aveva nessuna voglia di raccogliere cocci di Elena MacMillan dopo averla sentita prendere deliberatamente in giro tutta la squadra di Serpeverde.

“Elena fa la cronaca?”
“A quanto pare…”
“Tu lo sapevi?”
“Direi di no, non me l’ha detto.”
“Beh, sarà una partita divertente!”  Andrew ridacchiò ma Axel non lo imitò, dicendosi semplicemente che almeno ora sapeva cosa avesse detto l’amica a Silente qualche giorno prima.


*


“La Pluffa è in mano a Burke. Intendo Katherine, non Adrian, ma perché fanno giocare persone con lo stesso cognome? L’altro Burke si impossessa della Pluffa e vola verso gli anelli… QUALCUNO GLI TIRI UN BOLIDE, BATTITORI, L’UNICA COSA CHE STATE BATTENDO È LA FIACCA!”

Le tribune vennero scosse da una risata collettiva alle parole della cronista, mentre in campo Katherine, dopo essersi fatta sfuggire la Pluffa dal cugino, scoccava un’occhiata torva ai suddetti compagni di squadra:

“Avete sentito Elena? MUOVERSI! Ma è mio cugino, mi raccomando, non andateci giù pesante.”


“I Battitori di Grifondoro sono finalmente scesi dal letto, i miei complimenti! Ora, Burke si avvicina agli anelli… E Noone intercetta il lancio e prende la Pluffa! BRAVA STEPH! Come sarebbe a dire che non posso chiamarla per nome Professoressa?! Ma è la mia migliore amica! Dicevo, Noone si dirige verso il centro campo… e schiva per un soffio un Bolide che stava per decapitarla scagliato da Selwyn. SELWYN, COME OSI, BRUTTO…”




“EHY!”

Charlotte si sporse dalla tribuna e lanciò un’occhiataccia in direzione della tribuna d’onore, agitando il braccio verso la Grifondoro:

“ELENA, NON INSULTARE MIO FRATELLO! Se vuoi insultare un Battitore, insulta Cavendish!”
“Charlie, è una partita, rilassati… e rimettiti seduta, non vorrei vederti precipitare dalla tribuna.”

Hector afferrò l’amica per le spalle e la costrinse a ritrarsi, facendola sedere di nuovo accanto a sè a forza mentre Aurora ridacchiava, godendosi la partita:

“Devo ammettere che tutto questo mi era mancato! A voi no?”
“Prendere freddo a Novembre di domenica, da morire…”

“Evie, mi sembra che tu stia seguendo comunque la partita, no?”
La bionda si strinse nelle spalle alla domanda dell’amica, che sorrise prima di parlare nuovamente:

“Anche se, certo, in effetti ti stai particolarmente concentrando sugli anelli di Serpeverde...”
“Non credo proprio. E comunque, tu sei l’ultima che dovrebbe parlare.”
“Io gioco nella squadra di Corvonero, sto osservando le strategie degli avversari, tutto qui.”

Aurora si strinse nelle spalle con nonchalance, guadagnandosi un’occhiata in tralice da parte della bionda, che non replicò solo perché Charlotte era seduta proprio accanto a loro.


*


“Gabriel Greengrass ha la Pluffa, supera Burke e fa l’occhiolino. Cioè, intendo Katherine, non pensate cose strane…”

“MACMILLAN!”
Professoressa, precisare è importante in casi come questo! Dicevo… Greengrass riesce a mantenere il controllo della Pluffa, passa davanti alla tribuna dei Serpeverde e saluta – bah, il solito pavone – un branco di ragazzine svenevoli. Si avvicina agli anelli, supera Noone… e segna, maledizione. Dieci punti a Serpeverde, 50 a 40 per loro.”

Elena sbuffò, annotando il punteggio mentre Gabriel, dopo aver rivolto un sorrisetto in direzione di una Katherine poco allegra, si voltava verso la tribuna d’onore:

“Greengrass mi saluta e sorride… Professor Silente, se un giocatore molesta la cronista la squadra avversaria può avere un rigore? No? Peccato.”



Andrew si passò una mano tra i ricci rossi, gli occhi che ormai gli lacrimavano mentre aveva abbandonato il buon proposito di prestare attenzione alle tattiche di gioco messe in atto dalle due squadre, troppo impegnato a concentrarsi sulle parole di Elena per farci caso.

“È ancora meglio di quanto pensassi…”
“Sicuramente si sta divertendo parecchio… quando ha saputo che Alice Sinister è bloccata in Infermeria con l’influenza deve essere corsa da Silente per chiedere di lasciarle fare la telecronaca al suo posto.”

“Andrew, ti stai godendo lo spettacolo?”

Iphigenia, seduta accanto al compagno di Casa mentre accanto a lei Jade sgranocchiava patatine, rivolse un sorriso all’amico e parlò con un tono estremamente cortese e gentile, guardandolo annuire:

“Assolutamente! Ahia!”

Andrew si portò una mano sul capo, lanciando un’occhiata perplessa all’amica dopo essere stato colpito con veemenza con il rotolo di pergamena:

“Mi hai fatto male!”
“Sciocchezze, i tuoi ricci hanno attutito il colpo.”
“Che ho fatto questa volta?”
“Caro il mio signorino, mentre tu mangi, chiacchieri e ti diverti io faccio tutta la fatica! Beh, peggio per te, terrò le informazioni per me.”

Iphigenia si strinse nelle spalle e tornò a concentrarsi sulla partita in corso, ignorando l’espressione sgomenta che si fece strada sul volto dell’amico:

“Non dirai sul serio!”
“Sono serissima.”
“Iphe, ti prego… non puoi andare incontro al tuo adorato amico Andrew?”

La ragazza alzò gli occhi al cielo, rifiutandosi categoricamente di guardare Andrew farle gli occhi dolci per cercare di ammorbidirla mentre i commenti di Elena continuavano ad animare la partita:

“Pare che ancora non ci sia stata traccia del Boccino, la cosa non mi sorprende per quanto riguarda Bellamy, sospetto che la sua coordinazione oculo-manuale sia proporzionata al suo quoziente intellettivo… ma andiamo Abbott, datti da fare! Flint ha la Pluffa, ma si fa distrarre dalla chioma fluente di Noone e la perde, Noone si avvicina agli anelli… E Keegan para il lancio.”

Elena completò la frase con una smorfia, ignorando le ovazioni da parte dei Serpeverde mentre i suoi compagni di Casa esprimevano a gran voce tutto il loro dissenso. 




Regan sorrise, applaudendo insieme ai compagni di Casa e sperando vivamente che la squadra vincesse: in realtà forse non gli importava poi molto della partita in sè, ma non teneva affatto a vedere i compagni immusoniti per giorni interi.
Nessuno di loro amava perdere, specie quando si trattava della loro Casa rivale per antonomasia. 


Adela, seduta a qualche metro di distanza, applaudì educatamente con le mani rigorosamente guantate, seduta accanto a Ronald, che aveva un sorriso soddisfatto stampato sul volto:

“In realtà non mi aspettavo che avresti tifato per noi, Adela.”
“Beh, considerando che tu sei un Serpeverde, direi che è stata la scelta giusta. E comunque non sono l’unica nella mia Casa, anche Charlotte, Hector ed Aurora tifano per voi.”

“Mi fa piacere che tu sia seduta qui con me, comunque, invece che con i tuoi amici. La Selwyn ha fatto qualche commento?”
“Non che io sappia. E comunque, sei il mio fidanzato, vicino a chi dovrei stare, se non a te? Charlie se ne farà una ragione, anche se penso che TU possa essere vagamente più gentile nei suoi confronti.”

La ragazza rivolse un’occhiata vagamente torva al fidanzato, che inarcò un sopracciglio con scetticismo, smettendo di concentrasi sulla partita per guardarla:

“Certo, perché lei con me lo è?”
“Forse no, ma sono piuttosto sicura di poter affermare che il primo a partire con il piede sbagliato sei stato tu. E Charlie è fatta così, non resta in silenzio.”
“A volte penso che dovrebbe farlo.”

“Oh, andiamo… non mi dirai che non ti piace solo perché sei amico di William, certo, LORO non si piacciono, ma prima dovresti provare a conoscerla e non fare affidamento solo sul suo giudizio negativo. E poi neanche a me William piace molto, ma sono comunque gentile con lui. Puoi fare lo stesso?”

“Ci proverò, visto che me lo chiedi tu. Ma non ti nascondo che tra i tuoi amici preferisco di gran lunga Grayfall. Lui almeno sa quando stare in silenzio e farsi gli affari propri.”

Adela fece per informarlo che se avesse cominciato a parlar male di Hector probabilmente si sarebbe alzata, ma venne interrotta dall’assordante coro di proteste quando Katherine Burke segnò, riportando il punteggio a parità tra le due squadre. 

“Scusa… dicevi?”
“Niente, non importa.”


*


“Aspettate… Christopher Abbott ha preso il Boccino! Grifondoro vince! BRAVI RAGAZZI, STASERA ALLA TORRE FESTA GRAN- Prof sto scherzando, si figuri, ma le pare…”


Katherine rise alle parole di Elena mentre planava verso il suolo, scendendo dalla scopa con un salto e correndo ad abbracciare Stephanie.

“Finalmente ho levato il sorrisetto dalla faccia di Cavendish! Bel lavoro Steph.”
“Grazie, ma i veri complimenti vanno a te, Capitano.”

La bionda sorrise prima di avvicinarsi ad Axel, che era sceso sul capo per salutarla e farle i complimenti, e abbracciare l’amico, chiedendogli se lui avesse saputo della trovata dell’amica:

“Assolutamente no, non mi aveva detto nulla… e si è persino quasi contenuta con i
 commenti, sono fiero di lei.”

Axel sorrise, aspettando che anche Elena li raggiungesse per salutarla per a pochi metri di distanza un ragazzino del primo anno si avvicinava a Katherine:

“Kat?”
“Piccolo, ciao! Sei venuto a salutare la tua fantastica sorellona?”
“Beh, sei stata brava. L’anno prossimo proverò ad entrare in squadra anche io.”

Nathaniel sorrise e la sorella ricambiò, arruffandogli affettuosamente i capelli prima di chiedergli se potesse abbracciarlo in pubblico:

“Sì, va bene, tanto ora tutti pensano che io abbia una sorella tosta.”
“Lo pensano soltanto ora?! Tante grazie! Una deve vincere una partita per avere rispetto da degli undicenni… ora andiamo a deridere Adrian e Gabri, ti va?”


*


Regan fece vagare lo sguardo tra i compagni di Casa, faticando a constatare quale fosse il più immusonito. Tutta la Sala Comune era avvolta in una nebbia di inusuale silenzio e sopratutto visibile frustrazione, mentre i suoi amici, che costituivano una buona metà dell’intera squadra di Quidditch, se ne stavano stravaccati sui rispettivi letti con lo sguardo perso. 

“Ragazzi? Non buttatevi giù, è la prima partita…”
“Sì, ma era contro Grifondoro. Che umiliazione.”
“Già… senza contare che sono stato battuto dalla mia cuginetta. Non so con che coraggio mi farò vedere, a Natale.”
“Non me ne parlare Adrian, Kat mi deriderà per settimane…”

Regan alzò gli occhi al cielo e suggerì ai compagni di non darci troppa importanza prima di alzarsi dal letto, sostenendo che sarebbe uscito prima di farsi contagiare da quella specie di depressione collettiva.

Il Caposcuola aveva appena messo piede fuori dalla Sala Comune quando s’imbatté in una ragazza appena fuori l’apertura del muro, che gli sorrise:

“Ciao Regan.”
“Ciao… cerchi tuo fratello?”
“Precisamente. Me lo chiameresti?”
“Al momento è in stato di coma vegetativo, ma spero che la tua visita gli risolleverà il morale… torno subito.”

Pochi minuti dopo Regan fece ritorno in compagnia dell’amico, che rivolse un saluto piuttosto tetro alla sorella prima di farsi abbracciare da lei, che gli diede qualche colpetto consolatorio sulla schiena:

“Suvvia, sei stato bravo comunque! Per me sei sempre il migliore.”
“Grazie Charlie… Speriamo solo di rifarci nella prossima partita.”
“Andrà così, ne sono certa. Ora, ti va di andare a saccheggiare la cucina, per tirarti su il morale?”
“D’accordo.”

Sean annuì e sorrise alla sorella mentre Charlotte lo prendeva per mano, conducendolo verso l’uscita dei Sotterranei e continuando a parlare:

“Sai, in realtà da una parte sono quasi felice che abbiate perso… ovviamente tifavo per te, ma anche solo imaginare l’amarezza che sta provando adesso il Piccolo Lord da strapazzo è molto soddisfacente!”
“Non avevo alcun dubbio su questo…”


*


“Come mai sembri quasi più felice di me?”
“Beh, ovviamente tifavo per te, sono felice per voi.”

“Quindi il fatto che Grifondoro abbia vinto implichi automaticamente la sconfitta di Serpeverde e, di conseguenza, di un Cacciatore in particolare, non c’entra nulla con tutta quest’allegria?”

Katherine sorrise, guardando Beatrix spalancare teatralmente gli occhi chiari con aria divertita:

“No, scherzi, non ci avevo nemmeno lontanamente pensato!”


*


“Ah, sei qui… avevo quasi il timore di trovarti assiderata al termine della partita.”
“Lo temevo anche io, ma sono resistita! Anche se mi sto prendendo il raffreddore, temo.”

Adela piegò le labbra in una smorfia mentre era seduta sul divano, con Rami sulle ginocchia e avvolta nel suo solito pail mentre Hector le si avvicinava, sedendo accanto a lei:

“Te lo prendi cinque volte ogni inverno, non è una novità… Charlie?”
“A consolare suo fratello. Peccato che abbiano perso, vero?”
“Già, speriamo solo di riuscire a battere Grifondoro nella prossima partita.”
“Oh, noi ce la faremo, stanne certo.”

Adela annuì con aria risoluta e il compagno di squadra sorrise, esitando prima di parlare nuovamente, allungando una mano per lasciare una carezza a Rami:

“Ronald come l’ha presa?”
“Ovviamente non molto bene… pazienza, non si può vincere sempre dopotutto. E loro l’anno scorso hanno vinto la Coppa delle Case, quest’anno dobbiamo soffiargliela!”
“Per ora siamo in vantaggio noi. Come sei competitiva, Adela.”

“Beh, ogni tanto è bello vincere, no? E adoro battere Ronald.”


*


“Iphe?”
“Mmh?”

“Attenta, sta per cercare di corromperti.”
“Lo so bene…
che c’è, Andrew?”

Iphigenia distolse lo sguardo di malavoglia dal suo libro, cosa che di rado accadeva… ma era curiosa di sapere cosa volesse l’amico. 
In effetti il rosso era appena entrato nella Sala Comune, e sorrise prima di porgerle qualcosa:

“Ti ho preparato dei biscotti! È la ricetta di mia madre, sono buonissimi. Ora, mi passeresti i tuoi appunti…?”
“Ci devo pensare… mi farai anche una meringata?”
“Tutto quello che vuoi!”
“Va bene, ora dacci i biscotti.”

Iphe prese il piatto che l’amico le porgeva con un sorriso, condividendoli anche con Jade, che sorrise mentre ne prendeva uno:

“Avere un amico pasticcere è grandioso!”
“Quindi siete mie amiche solo per questo?! Buono a sapersi!”
“Che dici Andrew, siamo tue amiche anche perché sei simpatico e ci fai ridere, non certo solo per le tue doti culinarie. Ecco, tieni i miei appunti. E fai i complimenti a tua madre, penso proprio che quest’estate verrò a trovarti, così farò piazza pulita dei suoi dolci alla locanda.”

“Non credo sia una buona idea…”
“Perché no? Non vuoi che conosca tua madre? … oh, certo, non vuoi che conosca quella ragazza! Com’è che si chiama…”
“Non so proprio di chi parli.”
“Ma sì, quella che ti piaceva tanto, la Babbana che vive vicino a te! Jade, aiutami!”
“Ehm… Eilidh Scott?”
“Esatto, proprio lei! Andrew, dopo averci torturato per tutto quel tempo con questa ragazza è logico che io voglia conoscerla! … Andrew? Ma dov’è?! Pf, codardo. Ma perché non vuole che la conosca? Mi reputa una persona imbarazzante, secondo te?”

“Beh… imbarazzante no Iphe, solo… particolare.”
“In che senso, scusa?”








…………………………………………………………………………
Angolo Autrice: 

Domanda del capitolo… che cosa preferite leggere prima, gita ad Hogsmeade o cena con il promesso sposo di Charlotte?  (Risposte cortesemente entro il sette sera)
Inoltre… Bea, meglio cominciare a inventare i nomi per le ship nascenti, perché qui l’unico finora è Chami (Charlotte + Rami) 

A presto! 
Signorina Granger 

Ps. Phebe rassegnamoci, non vinceremo mai









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Capitolo 9
*** A cena con Luma ***


Capitolo 8: A cena con Luma

 
Sabato 16 Novembre 



“Ma perché invece di delle cene Lumacorno non organizza… dei brunch? Almeno avremmo la scusa di perdere delle lezioni!”

Axel, comodamente seduto sulla sua poltrona preferita con un libro in mano, sorrise alle parole della sua migliore amica, lanciandole un’occhiata divertita mentre guardava la ragazza seduta sul divano, le braccia conserte e gli occhi fissi sul fuoco che scoppiettava nel camino:

“Una vera disdetta, Elly.”
“Già… Di sabato sera, per di più, preferirei compagnia di altro genere!”
“Come la mia, ad esempio?”  Axel sorrise di nuovo e l’amica sbuffò, incupendosi ulteriormente e rivolgendogli un’occhiata torva:
“Ridi pure, caro Axel, so che dispiace anche a te di non poter stare con noi, stasera.”

“Credo, a dire la verità, che starò benissimo qui a rilassarmi, con il mio libro. Non vi invidio affatto.”
“Lo vedo. Steph, tra cinque minuti mi toglierò questo stupido vestito, metterò la camicia da notte e non mi muoverò di qui! Prima arriviamo, prima ci togliamo il dente.”

“Elly, non immaginavo avessi tutta questa smania di vedere Lumacorno al di fuori delle lezioni… eccomi, sono pronta.”

Anche Stephanie fece la sua comparsa nella Sala Comune scendendo le scale del Dormitorio femminile, sistemandosi distrattamente i capelli biondi con una mano mentre Elena inarcava un sopracciglio, alzandosi e guardando l’amica con aria divertita:

“Come sei carina, ecco perché ci hai messo tanto. Vuoi conquistare Lumacorno, per caso?”
“No Elly, non credo di dover incontrare il principe azzurro stasera. Kat è già scesa?”

“No, ma sono felice che siate ancora qui, non mi andava di andare da sola.”


Katherine scese le scale con un sorriso sulle labbra, avvicinandosi alle due ragazze per prendere entrambe sottobraccio, salutando Axel prima di spingere entrambe verso il buco del ritratto della Signora Grassa:

“Ciao Axel!”
“Divertitevi!”


*


“Cosa facciamo?”
“Shh, sto leggendo.”

Iphigenia non si mosse di un centimetro, gli occhi fissi sulle pagine del suo libro mentre Andrew, seduto sul divano, sbuffava con aria annoiata:

“Ma Iphe, è sabato!”
“Shh!”

“Oh, andiamo! Jade è andata alla cena del Lumaclub, non puoi passare tutta la sera a leggere.”
Vedendo che, nonostante le sue convincenti argomentazioni, l’amica si ostinava a non dargli ascolto il ragazzo si sporse verso di lei, prendendole il libro dalle mani con un gesto fulmineo:

“Bene, non mi lasci altra scelta: te lo sequestro.”
“Andrew, non sei mia madre e neanche mio fratello, ridammelo.”
“Non penso proprio… di chi è? Ancora con Einstein? Iphe, se devo essere sincero credo di averne davvero abbastanza di sentir parlare di crucchi.”


Andrew accennò una smorfia con le labbra, scuotendo il capo con disapprovazione mentre Iphigenia incrociava le braccia al petto, stringendosi nelle spalle:

“Anche io, ma lui è un caso a parte, è geniale. Anche se, in realtà, credo che in quel libro ci siano anche i contributi di Mileva Marić.”
“CHI?”

“La moglie di Einstein. Ex moglie, in realtà, hanno divorziato diversi anni fa, credo prima che noi nascessimo o quando eravamo molto piccoli… ma lo ha aiutato molto nei suoi studi.”
“Davvero? Non ne avevo mai sentito parlare.”
“Lo so, non sono in molti a conoscerla… non trovi che sia ingiusto? Il suo nome non è nemmeno accreditato, lei è stata solo la moglie del grande genio. Tanto lavoro, tanto impegno, eppure quasi nessuno la conosce.”

La bionda rivolse un’occhiata carica d’amarezza al libro che l’amico teneva ancora in mano, provocando un sorriso nel ragazzo, che si alzò per sedersi accanto a lei, sul divano, e porgerglielo:

“Dev’essere frustrante, certo… e molto probabilmente è ingiusto, ma se è questo che ti preoccupa sono sicuro che in qualche modo lascerai il segno, Iphigenia. Sei troppo sveglia e determinata perché ciò non accada.”

Iphigenia piegò le labbra in un sorriso e la sua espressione si addolcì notevolmente in un tacito ringraziamento, guardando Andrew con affetto prima di lasciare il libro sul tavolino che aveva davanti:

“Grazie, è quello che spero. E di certo raggiungerai i tuoi obbiettivi anche tu… forse quando entrerai a far parte del Wizengamot mi riserverai un trattamento di favore.”
“Onestamente preferirei non doverti giudicare mai, o hai intenzione di diventare una pregiudicata? Iphigenia Ashworth, arrestata per aggressione con una mazza da Battitore…”

“Beh, ma tu mi eviteresti il carcere, no?”  Iphigenia sorrise ma Andrew non ricambiò, limitandosi a stringersi nelle spalle e a parlare con un tono piuttosto vago: 
“Non so, ci dovrei riflettere. Però probabilmente verrei comunque a farti visita e ti porterei una torta in cella per consolarti.”

“Questo mi rincuora molto.”


*


“Adela, promettimi che siederai vicino a noi e non con… lui.”
“Tranquilla, lascerò che si sieda accanto a William. Come sto?”

“Io e Rami approviamo.”  Charlotte, seduta sul divano, sorrise e annuì in direzione dell’amica mentre teneva Rami sulle ginocchia, rammaricandosi di non poterlo portare con sè alla cena.

Adela sorrise, sistemandosi distrattamente i capelli castani acconciati sulla nuca mentre si voltava verso Hector, inarcando un sopracciglio in una muta domanda che venne ricambiata da un sorriso:

“Sei deliziosa come sempre. Ma mi sorprende vederti vestita così, pensavo più ad un triplo strato di maglioni di lana.”
“Beh, spero che da Lumacorno faccia caldo… altrimenti, soffrirò in silenzio.”

“Oppure sbatterai le ciglia in attesa che arrivi qualcuno in tuo soccorso per impedirti di prendere freddo, vero Thor?”
“Sono sicuro che Ronald lo farebbe.”

Hector rimase impassibile alla domanda dell’amica, parlando con il tono più neutro del suo repertorio e senza battere ciglio, ignorando deliberatamente l’occhiata scettica che Charlotte gli rivolse mentre si alzava, rimettendo Rami sul divano:

“Ma tu guarda da che razza di individui sono circondata… Rami, fai il bravo, ci vediamo dopo, devo andare a fare la bambola da salotto per qualche ora.”

“Ho la sensazione che voglia più bene a lui che a noi.”

Adela si lisciò distrattamente le pieghe del suo vestito in stile Charleston mentre, rivolgendo un’occhiata incerta all’amica, stringeva il braccio che Hector, sorridendo, le porse:

“Non credo, forse è semplicemente più predisposta a manifestare affetto per un tenero Fennec rispetto ai suoi amici. Andiamo?”
“Certo, arrivare leggermente in ritardo va bene, ma come dice sempre mia madre dopo cinque minuti finisci col fare la figura della cafona.”

“Muovetevi voi due, ho fame e non voglio perdere l’antipasto!”


*


Regan prese posto tra Sean e una sedia vuota, che Gabriel gli aveva chiesto di tenergli occupata mentre aspettava che Katherine arrivasse per salutarla, sinceramente soddisfatto di se stesso per essere riuscito ad accaparrarsi un posto leggermente distante dall’insegnante: sia Jade Bones che Aurora Temple sembravano sempre più che disposte ad occupare i posti accanto all’uomo e nessuno le aveva mai fermate… anche se di certo nessuno tra i presenti, lontani o vicini che fossero dal posto a capo tavola, sarebbero stati risparmiati dalle sue chiacchiere con domande invadenti a seguito.
Sean, seduto accanto a lui, dopo aver salutato Aurora e aver preso posto continuava a lanciare occhiate alla porta, probabilmente impaziente di vedere la sorella. 

“Aspetti Charlotte?”
“Sì. Non siamo riusciti a passare tempo insieme questa settimana, non parliamo un po’ dalla sera della partita. Questa cena potrebbe avere dei risvolti positivi, dopotutto.”
“Se ne sei convinto…”

Regan inarcò un sopracciglio, poco convinto dalle parole dell’amico, senza poter immaginare quanto il ragazzo avesse ragione.





“Eccoti, finalmente… siete davvero una gioia per gli occhi, signorine.”

Gabriel era in piedi accanto all’entrata dell’ufficio e sorrise alle tre Grifondoro, soffermandosi su Katherine e facendo poi scivolare lo sguardo su Elena, che però lo superò tenendo Stephanie e braccetto e senza nemmeno guardarlo in faccia: 

“Raccontala a qualcun altro, Greengrass. Vieni Steph, prendiamo due posti vicino alla porta, così sgattaioleremo via senza dare nell’occhio.”
“Secondo te perché si comporta così? Non ho detto niente di male!”

Katherine sorrise mentre prendeva l’amico d’infanzia sottobraccio, seguendo le due compagne di Casa verso il tavolo già parzialmente occupato:

“Non saprei dirti Gabri, ma sono felice di vederti finalmente interessato ad un’altra, dopo Giselle.”

Katherine sentì l’amico irrigidirsi leggermente sentendo il nome della Corvonero che evitava accuratamente nei corridoi e durante le lezioni da quando ultimo anno era iniziato, e guardandolo vide la sua espressione indurirsi per un attimo prima di stringersi nelle spalle, parlando con tono neutro: 

“Che c’entra Giselle adesso? È acqua passata, te l’ho già detto… ma tu non potresti mettere una buona parola per me con Elena, vero?”
“Vedrò.”
“Io la metto con Sean, se tu lo fa-AHI! Non pestarmi i piedi quando indossi queste scarpe, dannazione!”
“E tu cuciti le labbra, allora.”


*


Jack stava cercando di finire il suo tema, dopotutto i suoi amici erano tutti alla cena di Lumacorno e non vedeva molto altro da fare per occupare il tempo, quando sentì due mani dal tocco delicato poggiarsi sulle sue spalle, e voltandosi si ritrovò a stendere le labbra in un sorriso in direzione della cugina, facendole cenno di sedersi:

“Ciao, Denebola. Come mai in Biblioteca di sabato sera?”
“Immagino per il tuo stesso motivo… Adela eCharlotte sono alla cena, e anche se avrei potuto sfruttare la camera tutta per me, per una volta, non mi andava di stare sola. Chissà perché, sapevo che ti avrei trovato qui.” 
“Beh, penso converrai con me che non ci sia molto altro da fare, almeno mi prendo avanti.”

Jack si strinse nelle spalle, abbassando nuovamente lo sguardo sul rotolo di pergamena che aveva davanti mentre Denebola inarcava un sopracciglio, sorridendo leggermente:

“Giusto… Evangeline Rosehealty ha preso più di te in Pozioni, devi rimediare ad un simile smacco. In effetti, mi sono sempre chiesta perché tu non faccia parte del Lumaclub, hai voti altissimi.”

Probabilmente è per ciò che ha fatto tuo padre quattordici anni fa 


Jack s’impose di non dirlo, non volendo assolutamente mancare di rispetto o turbare la cugina, a cui dopotutto teneva molto, era la sorella che non aveva mai avuto. Erano entrambi figli unici, e legare molto vista la vicinanza d’età era stato inevitabile fin da subito. 

“Forse non gli piaccio molto. E comunque io non ho nessun problema con Evangeline, è lei ad essere molto competitiva.”

“Non lo metto in dubbio… ma secondo me le piaci, sai? Si sentono molte cose interessanti, alla Torre.”
“Mi fa piacere che tu ti intrattenga con dei pettegolezzi.”

Il tono vago del ragazzo servì solo a divertire ulteriormente Denebola, che sorrise prima di mettere la mano sulla spalla del cugino e alzarsi dalla sedia, parlando un’ultima volta prima di allontanarsi:

“Beh… ho visto lei e Aurora Temple uscire dalla Sala Comune, prima, ed era davvero carina… ma scusa, non voglio disturbare il tuo studio con informazioni che non ti interessano. Ci vediamo domani, cuginetto.”

Denebola sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi dal tavolo occupato da Jack, che smise di scrivere per un attimo prima di scuotere il capo e riprendere, imponendosi di non chiedersi che aspetto avesse dovuto avere la Caposcuola durante la cena.


*


Charlotte si lasciò sfuggire un sospiro appena percettibile mentre continuava a tormentarsi una ciocca di capelli castani, pensando a quanto le sarebbe piaciuto passare la serata a poltrire chiacchierando con Adela invece di essere lì.
Se non altro, a tirarla su di morale c’era la presenza di suo fratello, seduto accanto a lei come sempre, e l’enorme quantità di cibo presente in tavola.

In realtà era bello, per una volta, prendere parte ad una cena senza la presenza di sua madre, che la innervosiva sempre non poco… si sentiva perennemente sotto pressione e giudicata in quelle situazioni, preoccupandosi che la madre non avesse niente da ridire sul modo in cui stava seduto, il tono che usava quando parlava o di mangiare. 
Per lo meno, quella sera Cassandra Selwyn non era presente e poteva essere se stessa. 

La Corvonero, seduta di fronte ad Evangeline, lanciò un’occhiata incerta in direzione di Aurora, che sorrideva e stava conversando amabilmente con Lumacorno, che di certo le stava chiedendo della sua famosa e facoltosa madre americana. Non aveva mai compreso del tutto, in effetti, la simpatia che la ragazza provava nei confronti dell’insegnante, inducendola a partecipare a quelle “riunioni” quasi con divertimento. 

Probabilmente Evangeline pensò lo stesso perché le due si scambiarono un’occhiata incerta, mente accanto alla bionda Adela discuteva con Hector sul pessimo calendario degli allenamenti di Quidditch in vista della partita successiva, dove Corvonero avrebbe sfidato Tassorosso.

Charlotte fece scivolare lo sguardo sui due amici, osservandoli con aria assorta e pensando a quanto sarebbe stato piacevole vedere l’amica piantare in asso Ronald Heslop per il loro amico comune. 
In fin dei conti, Adela era la prima a definire Hector “in-odiabile” e a difenderlo perennemente a spada tratta su qualunque cosa. Si arrabbiava con lui solo in precise situazioni, ovvero quando si dimostrava “troppo premuroso” con lei. 

“Conosco quella faccia. A cosa stai pensando?”
“Mh? Niente, solo a cosa risponderò quando ci chiederà dei nostri genitori, ricordandoci quanto nostra madre fosse una studentessa prodigio e sottolinenando di come tu abbia ereditato il suo talento…”
“Non essere sciocca, te la cavi egregiamente anche tu in Pozioni. In qualunque cosa, in realtà, sei solo troppo pigra per impegnarti esageratemente nello studio.”

“A che mi serve? Sappiamo qual è il posto che mi spetterà tra qualche anno, no?”

Charlotte inarcò un sopracciglio, parlando con una vena sarcastica a cui il fratello si era abituato ormai da tempo mentre allungava una mano, prendendo il suo bicchiere:

“Non deve andare per forza così.”
“Secondo i nostri genitori sì… ma lasciamo perdere, non mi va di pensarci o di parlarne adesso, Seannie.”

Charlotte sfoggiò una piccola smorfia e Sean fece per replicare, ma venne interrotto dalla voce dell’insegnante, che chiese caldamente a Gabriel di avvicinarsi per poter scambiare due parole anche con lui. E il Serpeverde, cogliendo il repentino mutamento d’espressione a cui fu soggetto l’amico, che fino ad un attimo prima stava parlando tranquillamente con Katherine, non seppe se ridere o sperare che il suo turno arrivasse il più tardi possibile.


*


Mentre percorreva l’ennesimo corridoio buio, con solo le voci dei personaggi ritratti nei quadri e la luce prodotta dalla sua bacchetta a farle compagnia, Beatrix si chiese quanto poco quel sabato sera rispecchiasse la sua comune prospettiva del weekend. 

Fare la ronda, per di più da sola, di certo non rientrava nel pacchetto. 
In realtà lei aveva già completato il suo turno due sere prima, il sabato non sarebbe dovuto essere di sua competenza, ma la cena organizzata dall’insegnante di Pozioni vedeva coinvolta buona parte dei Prefetti ed entrambi i Caposcuola, quindi non c’era stata molta scelta tra chi usare come “rimpiazzo”.

La bionda sbuffò debolmente, invidiando non poco Axel Farrel che a differenza sua era riuscito a svicolare. Anche se forse, riflettendoci, Katherine avrebbe volentieri fatto a cambio con lei in quel momento. 

La Tassorosso lanciò un’occhiata all’orologio a pendolo a cui passò accanto per controllare quanto tempo mancasse ancora alla fine del suo turno, sospirando quando si rese tristemente conto che era solo a poco più di metà. 
E vagare senza meta, per di più da sola, per il castello per un’altra ora e mezza non era una prospettiva molto allettante. 

Era quasi tentata di tornare nella sua Sala Comune e saltare metà turno, ma se qualcuno se ne fosse accorto avrebbe passato qualche guaio… e un Prefetto che veniva messo in punizione era storia mai sentita. No, non voleva certo essere la prima ad ottenere tale sorte. 


Anche se, in effetti, la Biblioteca era ancora aperta. E non ci aveva ancora messo piede. 
La bionda sorrise appena, fermandosi per poi girare sui tacchi e dirigersi verso le scale improvvisamente con un po’ più di allegria, con tutta l’intenzione di scendere al secondo piano e magari leggere qualcosa per ammazzare il tempo. 

Forse non sarebbe stato male, infondo, avere la Biblioteca tutta per sè.


*


“Inutile cercare di nascondersi, mio caro, non dopo le manfrine che ho dovuto sentire! L’anno scorso non facevi altro, per gli ultimi mesi, a decantare le tue sventure sentimentali. Sei così melodrammatico…”

“E tu inspiegabilmente curiosa. Non c’è niente da dire Iphe, e te l’ho già accennato, mi pare, è acqua passata.”
“Sarà. Ma perché non ti sei mai fatto avanti? Non sei un ragazzo timido… anzi, quando una ragazza ti piace le dedichi sempre molta attenzione.”

“Non credo siamo fatti per stare insieme… insomma, ci conosciamo da tanto e so che tiene a me, ma niente di più. In effetti, ero sempre inspiegabilmente felice di andare a prendere lezioni di matematica da suo padre, mia madre non faceva che ridere e prendermi in giro.”

Iphigenia sorrise, immaginando l’amico svolazzare verso la matematica con un po’ di fatica… a meno che ciò non implicasse poter vedere la ragazza che gli piaceva, certo. 


“Beh, sono felice che lei non ti interessi più, ora non dovrò più sorbirmi le tanto decantate sventure sentimentali di Andrew Maguire. E poi se non ti ricambiava non ci avresti dovuto perdere tempo, non te lo meriti.”
“Grazie Iphe, infondo so che tieni a me.”


Andrew sfoggiò un sorriso che l’amica ricambiò, annuendo mentre strattonava la coperta che aveva fatto comparire poco prima, sostenendo che il ragazzo la stesse tenendo solo per sè:

“Iphe, sono alto quasi due metri, mi serve molta più coperta rispetto a te!”
“Smettila di sottolineare la nostra paurosa differenza d’altezza, per favore.”

Iphigenia piegò le labbra in una smorfia ma Andrew non la imitò, ridacchiando e allungando una mano per spettinarle affettuosamente i capelli:

“Non è una cosa negativa, Iphe, così posso abbracciarti come si deve. E fingere di urtarti per sbaglio senza alcuna fatica.”
“Non toccarmi i capelli! E comunque, la coperta è mia, prenditene una!”
“Non vuoi stare vicino al buon vecchio Andrew?!”

“No!”


*


Sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli: si, era stata una pessima idea, senza alcun dubbio.
Stephanie lanciò un’occhiata in direzione di Lumacorno, che seduto come al solito a capotavola stava chiacchierando allegramente con alcuni suoi compagni di corso.

Il pensiero, poi, che il giorno dopo avrebbe avuto parecchio da studiare non contribuiva proprio per niente al suo buonumore: la ragazza abbassò gli occhi sulla sua fetta di torta, dicendosi che poteva almeno consolarsi con il dolce... probabilmente l'unica nota positiva della serata. 

“Sì, stasera Lumacorno si è superato, è ancora più leccapiedi del solito.” 

Stephanie alzò lo sguardo, chiedendosi se non avesse capito male... eppure sembrava che il ragazzo che le si era appena comparso accanto si stesse proprio rivolgendo a lei, anche se aveva gli occhi puntati sull’insegnante.

“Si, beh... non credevo fosse possibile, ma a quanto pare è così. Mi chiedo perché sono qui, in effetti.” 

“Io per i miei voti... tu? Per il cognome?” 

“No, immagino per il tuo stesso motivo.”

Il ragazzo si voltò verso di lei, rivolgendole un debole sorriso. Era anche lui dell'ultimo anno, un Serpeverde... in un certo senso poteva dire di conoscerlo, ma non era sicura di averci praticamente mai parlato prima di allora.

Lui però le tese la mano, gli occhi chiari vispi e il ciuffo di capelli lisci spettinato che gli conferivano un’aria piuttosto loquace e simpatica, oltre che attraente:

“Temo di aver fatto cambio di posto con Gabriel Greengrass, Lumacorno voleva parlare con lui di un suo qualche zio... non credo che abbiamo mai avuto modo di presentarci, finora, Regan. Stephanie, vero?” 

“Si. E sto prendendo in considerazione l'idea di non venire più a queste cene.” 

“No, ti prego... con chi altro parlerei? E poi una Grifondoro non scappa da Lumacorno!” 

“Forse hai ragione. Ma voi per primi dite che siamo tutto fumo e niente arrosto, no?” 

Stephanie si strinse nelle spalle, sorridendo leggermente al suo nuovo vicino. 
Forse avrebbe dovuto ringraziare Gabriel di essersi spostato, dopotutto... o meglio Lumacorno per aver voluto parlare con lui.

In fin dei conti, forse  quella sera ebbe un risvolto positivo in futuro, anche se sul momento nessuno dei due ragazzi lo sapeva. 
E chissà perché per il resto del loro ultimo anno ad Hogwarts sia il Serpeverde che la Grifondoro iniziarono ad apprezzare molto di più le cene organizzate dall’insegnante di Pozioni...


*


“Che accidenti sta succedendo a Cavendish e a… il tuo fidanzato?”

Hector corrugò la fronte, guardando i due Serpeverde con sincera perplessità: stavano parlando, ma sembrava che a tratti entrambi continuassero a perdere improvvisamente la voce, per poi recuperarla dopo qualche secondo. 

“Non ne ho idea. Che cosa…” Le sue parole attirarono l’attenzione di Adela, che in un primo momento ebbe la sua stessa reazione, prima di voltarsi di scatto verso la ragazza che le era seduta di fronte, fulminandola con lo sguardo:

“Charlotte, che stai combinando?”
“Nulla!”
“Ah davvero?”
“Adela, ora sembri mia madre… devo pur passare il tempo, voi due parlate di Quidditch, Aurora anche, mio fratello parla con Greengrass ed Evangeline al momento è sotto esame. E ho finito la mia fetta di torta.”
“Quindi hai pensato di zittire magicamente i due ad intervalli regolari per intrattenerti?”

Non trovi che Cavendish sia incredibilmente più piacevole quando non parla? Va bene, ho capito, non serve guardarmi così… cosa c’è, mi metterai in punizione?”

Charlotte roteò gli occhi verdi, agitando pigramente la bacchetta sotto al tavolo e rimuovendo l’incantesimo con gran sollievo dei due Serpeverde, che si chiesero cosa fosse appena successo mentre Adela invece sorrideva dolcemente, scuotendo il capo:

“No, io no. Sean? Puoi mettere al suo posto sua sorella, per favore?”
“Charlie, comportati bene.
“Ma…”
“Niente ma.”

Il tono fermo del fratello la fece sbuffare, borbottando qualcosa di incomprensibile e incupendosi leggermente mentre Aurora sorrideva, guardando l’amica con una punta di compassione:

“Povera Charlie.”
“Povera Charlie? Non definirei così mia sorella in nessuna situazione, credo.”
“Sciocchezze, so quanto tieni a lei. Quando eravamo piccoli hai colpito mio cugino perché le aveva tirato i capelli.”
“È la mia piccolina.”

Sean sorrise appena, stringendosi nelle spalle mentre posava di nuovo lo sguardo sulla sorella, addolcendosi considerevolmente rispetto a poco prima mentre la Corvonero, accanto a lui, annuiva:

“Visto? Io ho sempre ragione.”
“Ne debutto fortemente, visto che da piccoli pensavi che i Babbani vedessero in bianco e nero.”

“Avevo quattro anni! E il signorino me l’ha fatto credere senza remore, ti ricordo.”

Aurora lo colpì leggermente sul braccio, sforzandosi di ignorare il sorriso divertito che comparve sul volto del Serpeverde: 

“Beh, era divertente. Eri divertente, adesso non tanto, stai diventando acida…”
“Come scusa?!  Charlotte, hai sentito cosa mi ha detto?”
“Scusa Aurora, mi avete detto di stare al mio posto e lo farò, questa volta non parteggio per te. O no, Lumacorno mi sta cercando con lo sguardo… vado in bagno!”


Aurora fece per suggerire all’amica che non poteva nascondersi per sempre, ma Charlotte era già sparita. Sotto al tavolo. 


*


Quando sentì la porta della stanza aprirsi Jack si voltò, sorridendo, verso l’uscio, chiedendo a Gabriel e a Sean come fosse andata, felice di vederli:

“Come al solito. Non so, però, che cos’abbia ingerito Regan, è praticamente su di giri. Hai portato per caso del Whiskey Incendiario di nascosto senza condividerlo, Reg?”

Gabriel si lasciò cadere sul suo letto con sollievo mentre anche Regan entrava nella stanza, sorridendo allegramente e scuotendo il capo:

“No, sono solo di buonumore. Non è stato poi tanto male, infondo!”
“Parla per te, Lumacorno non mi mollava più!”

Gabriel sfoggiò una smorfia mentre si toglieva le scarpe con un calcio e Sean lanciava un’occhiata incerta all’amico, che era sparito dietro la porta del bagno sfilandosi la cravatta, e parlando a bassa voce con tono dubbioso:

“Io l’ho visto parlare con Stephanie Noone. Avrà a che fare con lei?”
“Può essere, dopotutto è piuttosto bella.”
“Tranquillo, sappiamo che preferisci le rosse…”

“Jack, non so cosa tu stia insinuando, ma ti consiglio di tacere.”


*


“Ehy, com’è andata la vostra sera- oh.”

Jade si fermò sulla soglia della Sala Comune, zittendosi immediatamente quando si rese conto che Andrew ed Iphigenia stavano dormendo, entrambi sul divano con la ragazza rannicchiata contro di lui, con una coperta sulle ginocchia. 

“Li ho trovati così, e ho pensato che sarebbe stato un peccato svegliarli.”

Jade si voltò e annuì quando incontrò lo sguardo della fonte della voce, guardando Beatrix sorriderle prima di strizzarle l’occhio e superarla, augurandole a bassa voce una buonanotte mentre si accingeva a tornare, finalmente, nella sua camera. 

“Sì, un vero peccato.”

Anche Jade sorrise, lanciando un’ultima occhiata ai due amici prima di allontanarsi silenziosamente dal divano, seguendo il Prefetto verso le scale.


*


“Eccovi! Com’è andata?”

Axel sorrise e chiuse il libro non appena vide Elena e Stephanie entrare nella Sala Comune, la bionda piuttosto sorridente e la rossa leggermente immusonita: 

“Alla grande, finché Steph non mi ha abbandonata per un bel sorriso. E anche una bella faccia, in realtà… e bei capelli. E begli occhi, insomma, un bel ragazzo.”
“Ah sì? E chi?”

“Nessuno, Elena esagera come al solito… è tardi, io vado a dormire. Buonanotte Axel.”

La bionda sorrise con gentilezza all’amico, sfiorandogli la spalla con una mano quando gli passò accanto. Il moro fece per sottolineare quanto rapidamente si fosse dileguata quando Elena gli si parò davanti, sedendo sulle sua ginocchia dopo essersi sfilata frettolosamente le scarpe:

“Regan Carsen, ecco chi!”
“Davvero?!”
“Sì! Gabriel Greengrass, la scimmia attraente, ha fatto cambio di posto per chiacchierare con il tricheco, e quei due si sono ritrovati vicini, ma Carsen non si è più spostato, hanno parlato per tutto il tempo da quel momento!”

Elena annuì, parlando con fare concitato, e Axel non riuscì a trattenere un sorriso mentre inclinava leggermente il capo per poterla guardare meglio in faccia, esitando prima di parlare a sua volta:

“E tu? Com’è andata? Voleva sapere qualcosa di preciso?”
“Ovviamente. Ma l’avevo già messo in preventivo, dopotutto.”

Elena si sforzò di sorridere, improvvisamente molto meno allegra, e un attimo dopo scivolò dalle gambe dell’amico, sorridendogli e augurandogli la buonanotte prima di sparire a sua volta sulle scale, lasciando Axel solo a chiedersi quando si sarebbe decisa ad affrontare quel discorso.










……………………………………………………….
Angolo Autrice: 

A chi ha votato Hogsmeade consiglio di non preoccuparsi, perché la gita sarà direttamente nel prossimo capitolo. Ovviamente, se volete far fare qualcosa di preciso al vostro OC, chiedete pure. 

Buonanotte, 
Signorina Granger 

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Capitolo 10
*** Hogsmeade ***


Capitolo 9: Hogsmeade 
 
Giovedì 21 Novembre 



Jack teneva Denebola per mano mentre gironzolavano tra gli scaffali pieni di libri, chiedendosi se ci fosse qualcuno che potesse averli letti tutti. A volte giocavano prendendo un libro a sorte e dal titolo cercavano di inventarsi di cosa potesse parlare. 

“Torniamo dalla mamma? Ha detto che quando avrebbe finito ci avrebbe portati a casa.”
“A casa tua?”
“Sì, ci sarà anche mio padre. Mi ha promesso che oggi sarebbe tornato a casa prima.”

Il bambino sorrise, gli occhi chiari luccicanti mentre guardava la cugina per poi parlare di nuovo, la voce carica di curiosità:

“Chissà dov’è tuo padre! Non lo vedo da tanto, mia madre mi ha detto che avevo tre anni l’ultima volta…”
“Mia madre ha detto che probabilmente lo rivedremo, ma per allora io sarò già grande.”

Denebola si strinse nelle spalle e Jack annuì distrattamente, chiedendosi cosa stesse facendo lo zio, il fratello della madre, in quel momento. Sua madre non ne parlava mai molto volentieri, in effetti, e suo padre faceva sempre in modo che l’argomento sviasse rapidamente. 

“E perché? Cosa sta facendo adesso?”
“Non lo so, non me l’ha detto… e nemmeno i nonni. Tua madre magari potrebbe dircelo!”
“Non parla mai di tuo padre. Però sono fratelli, no? Mamma!”

Jack sorrise quando vide la madre infondo alla corsia, uno scatolone carico di libri che le svolazzava accanto:

“Ho quasi finito, tesoro.”

Lena lasciò scivolare lo scatolone sul pavimento per poi mandare i volumi al proprio posto con un pigro colpo di bacchetta, mentre figlio e nipote la guardavano con curiosità:

“Ok… ma tu sai dov’è il papà di Denny?”
“Perché lo vuoi sapere?”
“Non l’abbiamo più visto, non ce lo ricordiamo nemmeno… sta viaggiando da qualche parte?”

La strega strinse le labbra, esitando prima di annuire leggermente, evitando di guarire i due bambini mentre spolverava distrattamente con una mano la copertina di un vecchio libro:

“Sì. Diciamo di sì.”
“Davvero? Che bello, piacerebbe anche a me!”
“E anche a me!”
“Quando saremo grandi lo faremo, Denny.”

Jack sorrise alla cugina e la madre ricambiò, abbassando lo sguardo sui due bambini e guardando il figlio con gli occhi chiari che condividevano carichi d’affetto:

“Compi sette anni oggi, Jack, non avere fretta.”


*


Jack intinse la penna nel calamaio mentre rileggeva distrattamente le ultime righe del tema che stava scrivendo, morendo dalla voglia di finirlo per potersi, finalmente, riposare e divertire un po’: fino a quel momento la lettera che i genitori gli avevano scritto per fargli gli auguri, accompagnata dal regalo che  aveva quasi rischiato di far capitolare Wellert, il suo barbagianni, sul tavolo quella mattina, era stata l’unica nota positiva della giornata.
Si era preso avanti, nei giorni precedenti, in tutti i modi per non dover passare il suo compleanno facendo i compiti, ma Silente aveva pensato bene di mandare in frantumi i suoi piani assegnando alla classe un tema per il giorno seguente proprio quella mattina. 

Il Serpeverde sbuffò leggermente, ripetendosi che aveva quasi finito e che di lì a poco avrebbe potuto scendere al campo da Quidditch per giocare insieme agli amici, quando sentì dei passi alle sue spalle. 
Si voltò per assicurare a Gabriel che gli mancavano solo poche righe e che avrebbe finito in fretta, ma le parole gli morirono in gola quando invece dell’amico si trovò davanti ad una ragazza dai capelli chiarissimi e leggermente arricciati, la carnagione pallida e occhi azzurri:

“Ciao.”
“Evangeline. Sei venuta a cercare di leggere il mio tema per assicurarti che non sia migliore del tuo?”
“Jack, questo è implicito.”

Evie piegò le labbra in un piccolo sorriso mentre si avvicinava ulteriormente al ragazzo, che ricambiò mentre la guardava fermarsi accanto al tavolo, lanciando un’occhiata al suo rotolo di pergamena prima di riportare lo sguardo su di lui:

“In realtà, volevo farti gli auguri. È il tuo compleanno, vero?”
“… sì. Grazie.”
“Non c’è di che. Come mai sei qui da solo?”
“In genere preferisco studiare da solo, mi concentro meglio… Silente e il suo tema hanno rovinato i miei piani, ma dopo credo che andrò comunque a giocare con i ragazzi.”

“Davvero prendere freddo, giocando praticamente al buio equivale a… divertimento, per voi?”

Evangeline inarcò un sopracciglio, guardando il Serpeverde con evidente scetticismo mentre invece il ragazzo si strinse nelle spalle, annuendo:

“Il Quidditch è divertente.”
“Non secondo la mia opinione… non amo gli sport, e soffro di vertigini. Sono salita su una scopa una volta sola, e non è finita granché bene.”

La bionda piegò le labbra in una smorfia, ricordando la rovinosa caduta fatta quando aveva cinque anni: si era lasciata convincere dal cugino di dodici a volare con lui, ma il ragazzino l’aveva fatta cadere e il tutto si era concluso con fiumi di infermiere e medici per casa e un non indifferente trauma cranico.


“Però sei venuta alla partita, due settimane fa. Come si spiega?”
“Ho accompagno Aurora. Come sai che ero presente, Jack? Ti sei premurato di verificarlo?”

Evangeline sorrise nuovamente, guardando il ragazzo distogliere lo sguardo e borbottare qualcosa con una punta di divertimento.

“Beh, volevo solo farti gli auguri, ti lascio studiare. Impegnati, mi raccomando, altrimenti rischiarerò di risultare nuovamente più brava di te!”
“Non credo proprio, Evangeline.”

Il borbottio quasi seccato di Jack la fece ridacchiare, allontanandosi dal tavolo occupato dal ragazzo per tornare da Aurora, che si stava disperando proprio sul medesimo tema assegnato dal Vicepreside. 
Rivolse un saluto quasi più allegro rispetto al solito a Gabriel Greengrass quando questi le passò accanto, superandola per raggiungere Jack, lasciandolo vagamente interdetto:

“Jackie, ho forse rischiato di interrompere la tua chiacchierata con Evangeline?”
“Fa’ sparire quel tono canzonatorio, per favore.”
“E perché mai? Sono solo perplesso mio caro amico, non eri quello che diceva di apprezzare maggiormente le more alle bionde?”


*


Sabato 23 Novembre 



Adela Quested si annodò con cura la sciarpa color carta da zucchero p, premurandosi di coprire parte del volto con le mani già preventivamente guantate, mentre un baschetto abbinato alla sciarpa faceva capolino sulla sua testa. 
Quando si fu sistemata la Corvonero, guardandosi allo specchio, sospirò prima di parlare, anche se la sua voce risultava piuttosto ovattata a causa della sciarpa che la copriva fino al naso: 

“Bene, sono pronta.”
“Per cosa, la Campagna di Russia?”

Adela si voltò verso quelli che, almeno fino a quel momento, aveva considerato i suoi migliori amici per rivolgere loro un’occhiata inceneritoria, ignorando le loro risate di fronte alla sua “imbottitura”.

“Charlotte, ti reputi una persona divertente?”
“In effetti sì, Adela… c’era un tempo in cui io mi reputavo divertente, ma tu oggi mi hai aperto gli occhi, quindi grazie.” (Se riconoscete la citazione vi dò un biscotto u.u Nda) 

Charlotte piegò le labbra nel suo adorabile sorriso, guadagnandosi un’occhiata torva dall’amica mentre Hector, sorridendo, si alzava dal divano, facendo cenno ad entrambe di seguirlo:

“Coraggio fanciulle, andiamo… non vorrete sprecare le nostre preziose ore ad Hogsmeade!”
“Hai ragione Thor, posso sempre prendere in giro Adela lungo la strada.”

“Ovviamente, ci mancherebbe altro… Charlie, perché il tuo mantello si muove?!”

Adela strabuzzò gli occhi scuri, guardando l’amica con sincera confusione per qualche istante, prima di rendersi conto di un piccolo particolare: era da un po’ che non vedeva Rami in giro.

“Mh? Di che parli?”
“Charlie, stai cercando di portare Rami di nascosto?!”
“Ma si sentirà solo, piangerà per tutto il tempo, poverino, guarda che musetto!”

Charlotte scostò un lembo del suo mantello bordato di pelliccia per mostrare il piccolo Fennec, che lancio un’occhiata implorante alla padrona mente Adela alzava gli occhi al cielo, prendendolo dalle braccia dell’amica: 

“Non può venire con noi, prenderà freddo.”
“Ma è una volpe del deserto, nel deserto di notte le temperature sono bassissime!”
“… dettagli. Rami, resta qui, e non rosicchiare il divano!”

Adela lasciò l’animale sul divano, cercando di non farsi soggiogare dai suoi occhioni imploranti e malinconici mentre Charlotte lo salutava con aria cupa prima di seguire Hector verso l’uscita della Sala Comune: 

“D’accordo, andiamo. Prima tappa?”
“Che domande, Mielandia!”


*


Mentre si accingeva a raggiungere il paese seguendo il fiume di compagni di scuola e tenendo saldamente Beatrix sottobraccio, Katherine aveva un largo sorriso stampato sul volto, a dir poco felice della gita e di poter passare finalmente qualche ora fuori dai cancelli della scuola: per quanto amasse Hogwarts, era piacevole uscire, di tanto in tanto. 
“Allora… dove vuoi andare, per prima cosa?”

La Grifondoro si voltò verso la Tassorosso, che si strinse debolmente nelle spalle:

“Non saprei, dove vuoi… che ne dici di Mielandia? Si crea sempre una calca impressionante, forse dovremmo andarci subito per evitare file infinite.”
“Buona idea, ho promesso a Nate che gli avrei comprato qualcosa, é un po’ giù per non essere potuto venire.”

“E ovviamente Kat-Sorellona accontenta ogni desiderio del suo amato pupillo…”
“È ancora carino, ne approfitto. Non è che per caso hai visto Gabriel, piuttosto? Oggi non ho ancora avuto modo di parlarci.”

“No, mi spiace… anche se penso che starò più che volentieri alla larga dai Serpeverde dell’ultimo anno, ad essere onesta.”
“Neanche un accenno di saluto? Due parole?”

“No Kat… smettila di nutrire speranze, dammi retta.”
“Sai come si dice, la speranza è l’ultima a morire.”

Katherine sorrise e si strinse nelle spalle mentre l’amica, al contrario, alzò gli occhi al cielo, intuendo che non avrebbe lasciato perdere facilmente e che probabilmente era meglio lasciarla fare senza opporsi: aveva la sensazione che non sarebbe servito a molto.


*


“Ele!”

Iphigenia sorrise mentre, facendosi largo tra la ressa, si avvicinava alla sorella minore, attirando l’attenzione della Serpeverde. 
La ragazzina si voltò verso la maggiore e le rivolse un sorriso allegro che però sparì rapidamente, non appena posò gli occhi verdi sulla figura di Iphigenia, trattenendosi dal sospirare e guardandola a mo’ di rimprovero: 

“Iphigenia Ashworth!”
“Che c’è?!”
“Ma ti devo insegnare tutto?! Come accidenti ti sei conciata, per una volta che non dobbiamo indossare la divisa dovevi renderti più presentabile! Cielo, si è messa i pantaloni, io non ce la posso fare…”

“Ele, sono in gita con Jade e Andrew, non con il Re, sono più comodi!”

La Tassorosso inarcò un sopracciglio, rivolgendo un’occhiata quasi esasperata alla sorellina del quinto anno, che però scosse il capo con disapprovazione:

“Appunto, vieni qui con quel tesoro di Andrew, dovevi farti carina! Cioè, lo sei, ma ti dovresti impegnare di più, dammi retta.”
“Non penso proprio, sono io la maggiore, tu devi dare retta a me. Ti volevo solo salutare, comunque, mi aspettano ai Tre Manici di Scopa… buona giornata, sorella criticona.”

“È sempre un piacere.”
Electra sorrise alla sorella, che ricambiò prima di girare sui tacchi e allontanarsi, camminando con il suo consueto passo sicuro e spedito verso la sua destinazione, facendo attenzione a non urtare nessuno lungo la via principale del paese, come sempre molto affollata.


Quando mise piede nel locale non fu affatto difficile individuare i due amici, grazie agli inconfondibili ricci fiammanti di Andrew e alla sua considerevole stazza. Raggiungere il loro tavolo, tuttavia, non fu altrettanto semplice a causa della calca, e quando riuscì a sedersi la Tassorosso tirò un sospiro di sollievo, sfilandosi la sciarpa: 

“Finalmente… avete già ordinato?”
“No, ti abbiamo aspettata… come sta Electra?”
“Adorabilmente spietata come sempre, mi ha fatto la predica per il mio aspetto.”

Iphigenia si strinse nelle spalle mentre si sfilava anche i guanti foderati, appoggiandoli sul tavolo mentre Jade le rivolgeva un’occhiata carica di compassione e Andrew, invece, la guardò con sincera perplessità, come se non avesse capito le sue parole:

“Che cos’ha che non va il tuo aspetto?”
“Oh, a sentir lei dovrei “impegnarmi di più” per rendermi più presentabile e carina, tutto qui. Come se mi interessasse…”
“Io ti trovo adorabile così come sei.”

Andrew guardò l’amica con la fronte corrugata, come se davvero non comprendesse le parole di Electra, ma Iphigenia si limitò a sorridere debolmente, liquidando il discorso con un gesto della mano:

“Grazie, ma non è necessario, non mi curo molto di queste cose. Ordiniamo? La Burrobirra mi manca parecchio.”
“Vado io, non si fa ordinare a delle signorine.”

Andrew si alzò per raggiungere il bancone ed ordinare, permettendo così a Jade di rivolgere un’occhiata in tralice alla migliore amica:

“Ti ho sempre reputata come una delle ragazze più sveglie che io conosca, Iphe.”
“Grazie Jade!”
“… eppure sei davvero stupida.”

Jade parlò quasi con una punta di esasperazione nel tono di voce, facendo sgranare gli occhi all’amica: 

“Come scusa?!”



*


“Ecco qui.”

Regan appoggiò sul tavolo i boccali con un sorriso prima di prendere posto, sostenendo che non avrebbero mai trovato un altro amico disposto a far loro persino da cameriere e guadagnandosi così un’occhiata scettica da parte di Jack, che trattenne a stento un sorriso:

“Non farci ridere Reg, sei andato tu solo perché hai visto la Noone impegnata nella stessa operazione e volevi avere la scusa per salutarla.”
“Ma se non l’avevo nemmeno vista!”

Regan sgranò gli occhi chiari con studiato stupore, guadagnandosi un coro di inviti a farla finita da parte degli amici prima che Gabriel, sfoggiando un sorrisetto, si rivolgesse a Sean: 

“A tal proposito… Sean, a te non interessa nessuna tra le tante graziose creature che popolano il castello?”
“No.”

Il Prefetto non si scompose e parlò con un tono piuttosto neutro, sollevando il suo boccale per bere un sorso di Burrobirra mentre il compagno non accennava a voler demordere, osservandolo con attenzione: 

“Davvero? Tu e Aurora Temple andate molto d’accordo, state spesso insieme.”
“Ci conosciamo da quando eravamo bambini, Gabri. E anche tu passi molto tempo con Katherine, no? Che cosa c’è, sei geloso?”

Sean inarcò un sopracciglio, sorridendo leggermente mentre sia Jack che Regan ridacchiavano:

“No Sean, che domande fai, il cuore di Gabriel non appartiene certo a te!”
“Ricominciate? Qui nessuno ha diritto di dire nulla, vi ricordo: TU vivi sul pianeta Noone da una settimana e TU sei visibilmente interessato ad Evangeline Rosehealty!”


Gabriel incrociò le braccia al petto, appoggiandosi al contempo allo schienale della sua sedia e guardando i due amici quasi con aria di sfida, sfidandoli a replicare. 
Forse lasciarsi convincere da Kat e “indagare” sul conto di Sean non era stata una buona idea, dal momento che ogni volta in cui ci si avvicinava all’argomento “ragazze” doveva sorbirsi le prese in giro e i commenti non poi molto velati dei compagni. 

Tuttavia, Gabriel si stupì nel constatare che né Regan, né Jack si affrettarono a negare o a sviare il discorso: la loro attenzione sembrava essersi improvvisamente catalizzata su qualcun altro, dietro di lui. 


Dopo un istante Gabriel si voltò, sentendo lo stomaco stringerglisi fastidiosamente in una morsa nel trovarsi davanti una ragazza della loro stessa età, Corvonero, che teneva due boccali in mano e lo stava osservando di rimando. 

“Giselle.”
“Ciao Gabriel.”

Ovviamente l’aveva vista milioni di volte a lezione e in Biblioteca, o magari l’aveva incrociata nei corridoi… ma era la prima volta in cui si trovavano faccia a faccia da quando l’anno era cominciato, non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui si erano parlati, l’anno prima. 

“… come stai?”
“Bene.”

Alle sue spalle, tra Regan, Sean e Jack era calato il silenzio più totale, mentre tutti e tre desideravano ardentemente di sparire e cercavano al contempo di non dare l’impressione di star ascoltando fissando il tavolo, le proprie mani o i rispettivi boccali di Burrobirra.


Giselle invece non si scompose, limitandosi a rivolgere un’ultima occhiata al Serpeverde prima di congedarsi, parlando con pacata e fredda cortesia: 

“Mi fa piacere… buona giornata.”
“Grazie, anche a te.”

Gabriel guardò la Corvonero allontanarsi per un paio di secondi prima di rivolgersi nuovamente ai tre compagni, che ripresero magicamente a parlare come se niente fosse successo. 

“Si può sapere perché quando mi occorre che parliate improvvisamente diventate muti come pesci?!”


*


“Grazie Steph… com’è che hai insistito tanto per essere tu ad andare ad ordinare?”

Axel sorrise all’amica quando la bionda gli porse il suo boccale, guardandola sorridere di rimando e stringersi nelle spalle mentre sedeva di fronte a lui:

“Mera gentilezza Axel, perché me lo chiedi?”
“Così, nessun motivo in particolare. Elly? Cosa stai guardando?”

Axel si rivolse all’amica, che non sembrava aver prestato attenzione al loro scambio di battute, gli occhi color nocciola fissi su un tavolo poco distante. 

“Niente. Solo… Greengrass e Giselle stavano insieme l’anno scorso?”
“Non saprei, credo di sì… perché?”
“Li ho appena visti parlarsi e mi sono resa conto che non succedeva da parecchio, tutto qui.”


Elena si strinse nelle spalle, parlando con una noncuranza che non convince nessuno tra i due amici: Axel e Stephanie si scambiarono un’occhiata perplessa prima che la ragazza si rivolgesse nuovamente all’amica, parlando con un sorriso stampato sul volto: 

“E come mai ti interessa, Elly?”
“Non mi interessa infatti, facevo solo una semplice constatazione. Per quanto mi riguarda Gabriel può fare quello che vuole e con chi vuole, non sono affari miei.”


Elena allungò una mano e prese il suo boccale, bevendo un sorso di Burrobirra sotto gli sguardi dei due amici, che rimasero in silenzio finché la rossa non parlò di nuovo: 

“Ora, cambiamo argomento… cosa volete fare una volta fuori da qui? Io voglio assolutamente fare un giretto da Zonko. E a Mielandia.”
“Non avevamo alcun dubbio su questo, Elly, non preoccuparti.”


*



“Tra qualche minuto devo andare, devo incontrarmi con Ronny tra un quarto d’ora, ma prima voglio passare all’ufficio postale a spedire un paio di lettere… e questi per i miei genitori.”

Adela accennò alla busta piena di dolcetti appena acquistati che teneva in mano, sorridendo immaginando i genitori scartarli e deliziarsi il palato con qualcosa di assolutamente introvabile in India.
“Ci vai da sola?”

La Corvonero annuì alla domanda dell’amico, in piedi accanto ad Hector in un angolo del negozio mentre aspettavano che Charlotte – apparentemente indecisa tra il cioccolato con il caramello e quello con le mandorle – li raggiungesse: 

“Sì. Tranquillo, non serve che mi accompagni, resta qui a tenere d’occhio Charlie.”
“D’accordo.”

Hector sorrise debolmente, lanciando un’occhiata divertita in direzione dell’amica, che li raggiunse poco dopo: 

“Allora, ti sei decisa?” 

Charlotte scosse il capo alla domanda di Adela, mostrando il suo sacchetto stracolmi e parlando con aria grave:
“No. Quindi li ho presi entrambi… direi che siamo stati ovunque fuorché ai Tre Manici di Scopa, ci facciamo un salto?”
“Voi andate pure, ci vediamo più tardi, io vado a cercare Ronny.”

“A dopo! Ti augurerei buon divertimento, ma conoscendo il soggetto eviterò di farlo… ci vediamo più tardi.”

Charlotte sorrise mentre, preso Hector sottobraccio, quasi iniziava a trascinarmelo appresso fuori dal negozio, lasciando l’amica leggermente perplessa: si sarebbe aspettata qualche lamentela da parte dell’amica, che invece era stata quasi felice di andarsene con Hector. 

Pazienza, a Charlotte ci avrebbe pensato dopo… aveva diverse cose da spedire, così si avviò semplicemente verso la direzione opposta, per raggiungere l’ufficio postale.



*


“Dove vorresti andare?”

Aurora, che teneva Evangeline sottobraccio, rivolse un sorriso allegro all’amica, facendo dondolare la borsa piena di penne e calmai che aveva appena comprato mentre camminavano sul marciapiede.

“Dove preferisci. Magari potremmo andare da Zonko e comprare qualche esplosivo da infilare da qualche parte, nel Club dei Duellanti!”
“Ottima idea, Evie…”

“Trovi?”
“No, vuoi far saltare in aria mezzo castello? Anche a me da fastidio che non ci abbiano lasciate entrare, ma non è il caso d8 farlo esplodere, no?”

“Oh, certo.”  Evangeline annuì, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia e parlando con un tono melenso che poco le si addiceva:

“Se mettessimo un esplosivo nel Club potremmo rischiare di rovinare i bei connotati di Sean Selwyn!”
“Io non ho questa vocetta… e comunque, più che altro se dovessimo ferirlo poi sua sorella ferirebbe gravemente NOI, meglio evitare. E comunque, non dovresti fare discorsi simili, dov’è finita la Caposcuola fiscale e ligia al dovere?”

“Oh, c’è. Solo, mi irritano le stupide regole che ci vietano di fare qualcosa di normalissimo. Possiamo avere figli ma non possiamo lanciare qualche incantesimo? Fa quasi ridere.”

La bionda scosse il capo con disapprovazione, parlando con un tono che trasudava amarezza da tutte le parti prima che il suo sguardo capitolasse su qualche figura familiare che stava procedendo verso la loro direzione, irrigidendosi leggermente: 

“Parli del diavolo… guarda chi c’è.”
“Oh, il tuo amico Jack!”
“Mi riferivo al TUO amico Sean!”

Evangeline scoccò un’occhiata torva all’amica, che però le assestò una gomitata, ordinandole silenziosamente di tacere mentre si fermavano proprio davanti ai Serpeverde, sorridendo: 

“Ciao... come va?”
“Ciao Aury. Bene, è bello tornare qui. Avete per caso visto Gabriel e Reg? Li abbiamo persi qualche minuto fa, Gabri voleva salutare Katherine.”
“E Regan?”
“È andato con lui, forse nella speranza di incontrare Stephanie Noone… lunga storia.”

“Ah, sì.”  Evangeline sfoggiò un piccolo sorriso, annuendo con l’aria di chi la sa lunga: 

“Mi è sembrato di vederli conversare alla cena di Lumacorno.”
“Questi sono i momenti in cui rimpiango di non poter essere presente, sarebbe divertente vedervi fare i pavoni imbellettati…”

Jack sospirò, guadagnandosi una duplice occhiata torva, da parte di Sean ed Evangeline, che replico con un sopracciglio inarcato:

“Qui nessuno fa il pavone imbellettato.”
“Davvero? Mia cugina mi ha detto che eri molto carina, quella sera, su chi volevi far colpo?”

Jack piegò le labbra in un sorriso, guardando la ragazza con gli occhi verdi carichi di divertimento, ma Evangeline si strinse nelle spalle, restando impassibile: 

“Di certo non lo verrò a dire a te, dal momento che non ti riguarda, Keegan.”

Il sorriso svanì dal volto del ragazzo, che osservò la bionda con la fronte aggrottata: lui in realtà stava scherzando, non l’aveva neanche lontanamente sfiorato l’idea di essere nel giusto. 

“Beh, scusate ma noi abbiamo una lista piena di cose da fare… ci vediamo a cena.”

Aurora rivolse un caldo sorriso all’amico prima di superare i due in compagnia di Evie, che sbuffò leggermente: 

“Ricordami di fare un discorsetto a Denebola Starble sul cosa NON riferire a suo cugino, più tardi.”
“E perché mai? Secondo me potrebbe rivelarsi divertente…”


*


“Secondo te perché Adela non si è fatta accompagnare in posta da Ronald?”
“Semplice, una delle lettere che deve spedire è per il suo amico, un ragazzo che vive a Chandrapore… non riesco mai a ricordare il nome, è particolare.”

“Aziz?”
Charlotte annuì prima di riprendere il discorso, stringendo il suo boccale con entrambe le mani mentre era seduta di fronte ad Hector: 

“Sì, esattamente. Insomma, da quel che ho potuto capire a Ronald la loro amicizia non va giù.”
“Perché? È geloso?”

“Oh, ti prego. Tu davvero pensi che sia innamorato di lei? Certo che no. No, pensa solo che l’amicizia con un ragazzo “comune”, e per di più indiano non sia del tutto consona per Adela. Se non sbaglio è il figlio dell’ex maestro di Adela e ha l’età di mio fratello, sono cresciuti insieme, in pratica. E visto che siamo in tema e, sopratutto, soli, voi dirmi se pensi di fare qualcosa, Thor?”

“Qualcosa a proposito di cosa, esattamente?”  Hector piegò le labbra in una smorfia, intuendo chiaramente a cosa si stesse riferendo l’amica ma preferendo fingere di non immaginarlo, guardandola sbuffare con impazienza subito dopo:

“Di Adela! Di Adela e di Mr Simpatia Heslop! Non possono stare insieme, so che lo pensi anche tu, Thor. Solo che quando siamo in argomento ti mantieni sulla più ferrea neutralità, perché non vuoi ferire Adela, sei troppo educato per farlo… e poi perché non vuoi farle capire che ti piace, certo.”

Al Corvonero andò quasi di traverso la Burrobirra ma Charlie non battè ciglio, aspettando che si riprendesse e parlasse tossicchiando:

“Charlie, non dire assurdità! … e se anche fosse, mi conosci, non farei mai niente per separarli. Non voglio certo vederla soffrire.”
“Oh, lei soffrirà, Thor. Soffrirà se la sottoscritta non prenderà in mano la situazione e non cambierà le cose, perché a LUI lei non interessa davvero. Non gli importa di Adela, ma solo della “Signorina Quested”, la figlia dei due più famosi Magiarcheologi britannici! E neanche lei prova davvero qualcosa per lui, fidati. Crede che sia così, penso che se ne sia in parte convinta per accettare la situazione… e poi lui era sempre fin troppo gentile e cortese con lei, credo proprio che abbia recitato una farsa, non è affatto così.”

“Charlie, io non ci voglio mettere il naso.”
“Tranquillo Thor, tu sei troppo adorabile per complottare alle spalle di qualcuno, specie Adela, come sempre ci penserà Charlie… ma, esattamente, che fareste senza di me?”


*


“Sapevo che non avrei dovuto acconsentire a venire in quel negozio, non ne uscivamo più!”

Beatrix sbuffò sonoramente mentre usciva insieme a Katherine dal negozio dedicato ad accessori per il Quidditch, con una Jade altrettanto scontenta pochi metri più indietro che usciva con Andrew ed Iphigenia, visibilmente di buon umore come Katherine, che sorrise alla bionda:

“Lo so, mi dispiace… adesso giuro che ti lascio carta bianca, scegli tu dove andare.”
“Sarà meglio! E sappi che non sono nata ieri, Kat, com’è che abbiamo casualmente incontrato Adrian e Gabriel dieci minuti fa?”

“Beh, Gabri voleva salutarmi e non posso impedire a mio cugino di stare in sua compagnia, no?”

Katherine piegò le labbra in un sorriso mentre l’amica scuoteva debolmente il capo, dicendosi di lasciar perdere:

“Sorvoliamo, è meglio. Però è stato davvero divertente vederti avvampare quando Sean ti ha salutata, ai Tre Manici di Scopa, dovevi vederti. Ho solo una domanda… Charlotte lo sa?”
“No. E NON lo deve sapere, chiaro?”

“Come preferisci, chiedevo solo… bene, ora andiamo a cercare i miei dispersi fratelli, così li posso salutare.”


*


“Robby?”

Evangeline sorrise al fratello minore, avvicinandosi al Grifondoro che, sentendosi chiamare, si era fermato sulla Scalinata Principale per aspettarla, sorridendole di rimando:

“Ciao, Evie. Com’è andata in paese?”
“Bene. Hai notizie di Gregory? Non lo vedo di qualche giorno.”

La Caposcuola rivolse un’occhiata incerta al fratello, che si limitò a stringersi nelle spalle:

“Gregory è Gregory, sai com’è fatto… ma sta bene, tranquilla. Ti piace essere la più grande qui, vero?”
“Certo, posso comandare voi due a bacchetta, è molto soddisfacente. Certo, Gregory mi detesta e si rifiuta di ascoltarmi, ma è un altro discorso… Caroline o la mamma ti hanno scritto? Ormai dovrebbe mancare molto poco, no?”

La ragazza sorrise e il fratello annuì, ricambiando mentre si avvicinavano insieme alla Sala Grande: 

“Una settimana alla scadenza, poi avremo un nipotino da coccolare. Contenta?”
“Molto, adoro i bambini, lo sai… la mia unica preoccupazione è il modo in cui il piccolo Ray verrà cresciuto da nostra sorella.”

“Evie, tieni a freno la lingua…”
“Siamo solo noi due Robby, e tu sei sempre dalla mia parte, no? Specie considerando che se farai la spia ti metterò in punizione, certo.”

“Molto democratica.”

Robert sorrise alla sorella, che annuì e rise prima di salutarlo e raggiungere il suo tavolo, lasciando il fratello davanti a quello dei Grifondoro, dove una ragazza del sesto anno stava porgendo una quantità considerevole di dolci ad un ragazzino del primo visibilmente felice:

“Caspita… grazie, Kat!”
“Sono o non sono una sorella modello? Ora voglio un abbraccio, però, e non fare quella faccia.”

Nathaniel alzò gli occhi a cielo ma obbedì, facendo sorridere leggermente la Caposcuola: sì, fare la sorella maggiore era un lavoro a tempo pieno.




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Capitolo 11
*** Compleanni e sfide ***


Capitolo 10: Compleanni e sfide
 
Lunedì 2 Dicembre 


Katherine Burke era seduta davanti al tavolo, osservando con un sorriso stampato sul volto le persone che la circondavano: era bello essere al centro dell’attenzione, per una volta. 
Lei non era il primogenito su cui tutti riponevano orgoglio e speranze, quello era il “titolo” di suo fratello Maximilian; non era la “principessa” di casa, quella era la sua perfetta ed educata sorella maggiore Annabelle… ma non era nemmeno il piccolo tesoro dei genitori, che era sempre stato Nate. 
No, Katherine era sempre stata, forse, la figlia per cui i suoi genitori si erano meno premurati in assoluto. Ma quel giorno era il suo compleanno e sembrava che tutti, per una volta, fossero lì per lei. 

Sua madre entrò nella stanza e rivolse un sorriso alla bambina di 9 anni, accennando a qualcuno che la seguì nel salotto:

“Kat, qui c’è qualcuno che vuole salutarti.”
“Gabri!”

Katherine sorrise, scivolando dalla sedia e dimenticandosi momentaneamente della torta, che invece aveva attirato l’attenzione di Nathaniel, controllato da un’elfa che lo teneva per mano per impedire al bambino di quattro anni di metterci le mani sopra e rovinarla.

La festeggiata raggiunse di corsa il bambino che era appena entrato nel salotto, sorridendogli prima di abbracciarlo: 

“Buon compleanno, Kat.”
“Grazie!”

“Dai a Katherine il tuo regalo, da bravo.”

Gabriel sorrise alle parole della madre e porse all’amica una scatola che si rivelò contenere un considerevole numero di modellini di draghi di specie diverse. Katherine esultò, felice, mentre al contrario sua madre alzò gli occhi al cielo, vagamente esasperata dalla passione della figlia per i draghi, che condivideva con il fratello maggiore Maximilian. 

“Grazie… vieni, andiamo a giocarci.”
“Kat, la torta!”
“Dopo, ora dobbiamo giocare!”

Katherine prese l’amico per mano e, sorridendo, corse insieme a lui fuori dalla stanza, sentendolo distintamente ridere mentre le loro madri, al contrario, sospiravano. 
Potevano almeno sperare che passando tanto tempo insieme avrebbero finito con l’accettare di fidanzarsi… speranza che si rivelò completamente vana entro breve tempo.


*


Beatrix si guardò intorno con sincera curiosità, non potendo fare a meno di notare quanto la Sala Comune dei Grifondoro fosse accogliente, quasi quanto la propria. 
Non ci aveva mai messo piede nei oltre cinque anni di scuola, ma due giorni prima aveva convinto suo fratello maggiore Markus a dirle la parola d’ordine, così si era svegliata in anticipo appositamente per andare a salutare e fare gli auguri a Katherine.

Dopotutto si diventava maggiorenni una volta sola


La ragazza posò lo sguardo sulle due rampe di scale, maledicendosi mentalmente per non aver chiesto indicazioni a Markus: teoricamente lei non avrebbe dovuto trovarsi lì in ogni caso, l’ultima cosa che le serviva era farsi beccare nel Dormitorio maschile. 

Stava decidendo qualche rampa salire quando una figura spuntò sulle scale, con le pantofole ai piedi, la vestaglia addosso e i capelli leggermente spettinati:

“Ciao Beatrix… come mai qui?”
“È il compleanno di Katherine… deduco che il Dormitorio femminile sia di là.”
“Sì, la sua stanza è la penultima porta.”

Elena annuì e rivolse un cenno alla Tassorosso, che la ringraziò prima di superarla e salire le scale. 
Beatrix, tuttavia, non era ancora sparita quando il ritratto della Signora Grassa si spostò e anche un ragazzo dai capelli scuri fece il suo ingresso, rivolgendo un sorriso ad Elena, che nel frattempo era andata a sedersi sul divano:

“Buongiorno Elena… già in piedi?”
Gabriel sorrise alla ragazza, che lo osservò di rimando con la fronte aggrottata, cercando di capire perché la sua presenza le risultasse così fuori luogo mentre Beatrix si rivolgeva al Serpeverde, inarcando un sopracciglio:

“Come mai qui?”
“Per il tuo stesso motivo, immagino… sì, so che non dovrei essere qui, ma mi toglierete punti più tardi, oro voglio ricambiare il favore a Kat e svegliarla con questi, li ho presi da Zonko appositamente per l’occasione. Se li premi, producono il suono di delle trombe.”

Gabriel piegò le labbra in un sorriso soddisfatto mentre Beatrix, alzando gli occhi al cielo, spariva dietro la porta del Dormitorio ed Elena, rendendosi finalmente conto che no, lui non avrebbe dovuto essere lì e prendendo coscienza del suo aspetto sgranava gli occhi: 

“GREENGRASS, sparisci! SONO IN VESTAGLIA!”
“Rilassati Elena, non si scandalizza nessuno qui… sei graziosa comunque.”

Gabriel non accennò a voler smettere di sorridere e la ragazza, trattenendosi dal lanciargli un cuscino in piena faccia o, ancora meglio, un incantesimo, lo guardò dirigersi verso le scale del Dormitorio femminile. 

Fu allora che Elena si rese conto che no, molto probabilmente il ragazzo non era a conoscenza del piccolo trucco di quella rampa di scale… fece per informarlo ma poi cambiò idea, piegando le labbra in un sorriso piuttosto divertito, lasciandolo fare e voltandosi verso il camino ancora spento, accavallando le gambe con nonchalance e attorcigliandosi distrattamente una ciocca di capelli intorno al dito.
Quando, pochi istanti dopo, sentì qualcuno capitolare insieme a qualche imprecazione il suo sorriso si allargò, sentendo distintamente la voce di Gabriel alle sue spalle, impegnato a rialzarsi:

“Che scherzo è?”
“Non guardare me caro, se vuoi incolpare qualcuno, rintraccia Godric Grifondoro.”


Elena si strinse nelle spalle con noncuranza mentre Gabriel si rialzava e un ragazzino del primo anno a lui noto scendeva allegramente le scale del Dormitorio maschile, sorridendogli: 

“Ciao Gabri! Sei venuto a salutare Kat?”
“Sì.”

Il Serpeverde annuì, rispondendo con un brontolio mentre Nathaniel spostava lo sguardo sulla scala che si era trasformata in uno scivolo, sorridendo appena:

“Kat non te l’ha mai detto?”
“No, e ovviamente la cara Elena si è guardata bene dall’informarmi. Non mi resta che aspettare che Kat scenda da sè.”

Gabriel andò a sedersi su una sedia, imitato da Nathaniel, lanciando un’occhiata torva alla ragazza dai capelli rossi, che però lo ignorò e continuò a lisciarsi distrattamente i capelli. 


Poco dopo Katherine e Beatrix fecero il loro ingresso nella Sala Comune, scivolando con molta più grazia rispetto a Gabriel sul parquet mentre la Grifondoro, che teneva tra le braccia un tomo che doveva pesare più di lei, sorrideva a fratello e amico: 

“Gabri, che ci fai qui? … hai provato a salire le scale?”
“Possiamo evitare di fare in modo che tutto il castello lo sappia?! Buon compleanno, Kat.”

Gabriel sorrise all’amica, alzandosi per abbracciarla e darle un bacio su una guancia mentre la porta del Dormitorio maschile si apriva nuovamente, permettendo a qualcun altro di affacciarsi nella Sala Comune: 

“C’è una riunione Inter Case? Ciao sorellina.”

Beatrix sorrise al fratello maggiore, guardandolo scendere le scale per salutare a sua volta Katherine e farle gli auguri, aggrottando successivamente la fronte quando la sua attenzione si focalizzò sullo “scivolo”:

“Chi ha cercato di salire le scale?”
“Greengrass!”

La voce di Elena risuonò nuovamente nella stanza insieme alla sua risata divertita, mentre invece il Serpeverde sbuffò, fulminandola con lo sguardo: 

“Evitiamo di continuare a parlarne, grazie. Elena, vuoi appendere anche dei manifesti?”
“Cielo, no, avrei dovuto fare delle foto in tal caso, ma non avevo la macchina fotografica sotto mano…”

“Peccato, le avrei incorniciate…”
Katherine ridacchiò, imitata anche dal fratellino, Beatrix e Markus, ma non dal Serpeverde, che minacciò l’amica di andarsene portando il suo regalo con sè.


*


“Sono disperata.”
“Perché?”
“Come farò a superare Incantesimi senza Thor a darmi una mano?! Sono fregata.”

Charlotte piegò le labbra in una smorfia, tenendosi il volto con entrambe le mani e un’espressione piuttosto cupa dipinta sul volto mentre, di fronte a lei, Adela appoggiava la tazza sul piattino, annuendo con scarsa allegria: 

“Spero che vada tutto bene e che torni presto. Dici che è grave?”
“Spero di no… lui non ha fatto molti commenti, sai com’è fatto. È stato convocato da Dippet, ha detto che aveva un “permesso per tornare a casa” e ha preso la Passaporta. Ma spero torni entro il fine settimana.”

Adela annuì, abbassando lo sguardo sulla tazza che teneva tra le mani e ripensando a quando, poche ore prima, si era svegliata quasi all’alba per mano dell’amico, che le aveva semplicemente detto che sarebbe tornato brevemente a casa dalla sua famiglia.

Non si era dilungato in spiegazioni, come suo solito, e pochi minuti dopo aveva lasciato la loro Sala Comune per tornare nell’ufficio di Dippet e prendere la Passaporta. 

Chissà che cosa era successo in casa Grayfall.


*


San Mungo


“Prego, mi segua.”

Hector annuì senza dire nulla, seguendo l’infermiera lungo la corsia del quarto piano, adibito alle “Lesioni da Incantesimo”.

“È grave?”
“Non so risponderle, Signor Grayfall, non ho visitato io suo padre e i suoi fratelli.”

Hector annuì e non rispose, passandosi nervosamente una mano tra i capelli scuri: per quanto, molto spesso, desiderasse scappare di casa o ucciderli tutti voleva bene alla sua famiglia, per quanto assurda e distante da lui. 

Lasciò che l’infermiera lo accompagnasse alla porta chiusa della stanza giusta, e il ragazzo si ritrovò a sospirare quando sentì le inequivocabili voci del padre e dei fratelli, tranquillizzandosi immediatamente: sì, stavano bene, ne aveva la conferma.

“SE SOLO TU, PEZZO DI IDIOTA, MI AVESSI SPALLEGGIATO COME TI AVEVO CHIESTO…”
“IO?! SEI TU CHE SEI INCIAMPATO E CI HAI FATTI SCOPRIRE!”

“FATE SILENZIO, HO MAL DI TESTA!”
“PAPÀ, SEI TU CHE STAI URLANDO!”


Hector alzò gli occhi al cielo mentre metteva una mano sulla maniglia, lanciando un’occhiata tetra all’infermiera che gli stava accanto, cogliendo perfettamente la sua espressione perplessa: un po’ la capiva, se non ci fosse stato abituato forse avrebbe reagito allo stesso modo.

“Stia tranquilla, non sono necessarie camice di forza o psicofarmaci di alcun tipo… non è il risultato di un qualche trauma cranico, sono così sempre. Ma se voleste sedarli, non incontrerete alcuna opposizione da parte mia.”


Hector aprì la porta, non badando all’espressione ancor più scioccata della donna, e si ripetè di contare fino a dieci – o forse venti – e di essere paziente mentre nella stanza dell’ospedale calava improvvisamente il silenzio e tre paia d’occhi si catalizzavano su di lui.

Poi suo padre sorrise, imitato anche dai due figli maggiori, anche se come al solito la smorfia che  increspo il volto del maggiore somigliò più che altro ad un sorriso sfrontato e beffardo:

“Oh, guardate chi è venuto ad onorarci con la sua presenza… il piccolo genio.”
“Se intendi che sono più sveglio di te, Dementius, su questo non ho mai dubitato. Mi sorprende che tu non ti sia ancora fatto ammazzare.”

Hector si chiuse la porta alle spalle con un gesto secco, lanciando un’occhiata quasi annoiata al fratello maggiore prima di rivolgersi al padre, ignorando la risatina del secondogenito di fronte al l’espressione quasi furiosa che animò il volto di Demetrius:

“Non osare chiamarmi…”

“Direi che non è successo niente di grave… state bene?”
“Certo Thor, ci vuole ben altro per mettere KO i Grayfall! E poi io ho la testa dura.”

Suo padre liquidò il discorso con un gesto sbrigativo della mano, accennando alla fasciatura che sfoggiava sulla testa mentre Cicerus, accomodato nel letto di mezzo, sbuffava leggermente: 

“Ma sentitelo, come fa il gradasso…”
“Non sono io che urlavo come un bambino per una banale ferita alla gamba, Cicius!”
“Me l’hanno quasi spezzata!! E non chiamarmi così, papà!”

“Dov’è la mamma?”

Hector riportò la sua attenzione sul padre, ignorando i due fratelli e guardando Rholand stringersi nelle spalle con noncuranza: 

“MiraJane è andata sulle Dolomiti, per fare arrampicata sul ghiaccio.”
“CHE COSA? E perché nessuno di voi glie l’ha impedito?!”

Hector impallidì, maledicendo mentalmente l’esagerata temerarietà della madre, che nonostante fosse una donnina gentile, indifesa e a detta di chi non la conosceva bene un po’ svampita, si gettava spesso nelle più drastiche delle attività. Una volta si era messa in testa di voler giocare a rugby, e il figlio minore ci aveva messo due settimane per convincerla a demordere, ripetendole che l’avrebbero spazzata via in un attimo. Per non parlare dell’estate precedente, quando era partita di nascosto per fare un safari in Africa.


“Sai com’è fatta, e poi è una donna adulta, può fare quello che vuole.”
“Ma si ucciderà! Sono l’unico a tenerci?!”

“Certo che no, ragazzo, ma sa badare a se stessa.”
“Sul fatto che ci riesca meglio di voi, non ho dubbi. Tre Auror che si fanno quasi ammazzare, che smacco per il Dipartimento.”

“La colpa è di questi due idioti, I tuoi fratelli a volte ragionano come due poppanti! Mi domando ancora come abbiano fatto a farti diplomare all’Accademia, Demetrius!”

Rholand sbuffò, fulminando il figlio maggiore con lo sguardo, e se non ci fosse stato il letto di Cicerus a dividerli di certo gli avrebbe anche assestato una sonora pacca sul copino.

“Almeno io mi sono diplomato, a differenza di qualcuno!”
“Dammi tempo, ho solo 19 anni!”


“Vedo che state bene, quindi stasera tornerò a scuola… Vado a scrivere a Dippet.”


Hector sospirò prima di girare sui tacchi e uscire dalla stanza, lasciando padre e fratello si loro soliti battibecchi che di certo disturbavano mezzo ospedale, chiedendosi ancora una volta se non fosse stato accidentalmente scambiato nella culla quando era in fasce. 
Possibile che fossero tutti così diversi da lui? E non solo suo padre e i suoi fratelli, ma valeva anche per zii e cugini… I Grayfall erano caotici, rumorosi, tutti rigorosamente Grifondoro e molti di loro Auror, - carriera che a lui non interessava minimamente –  era piuttosto convinto che l’ultima Grayfall non appartenente a quella Casa prima di lui fosse stata una sua pro-pro zia. 
I suoi fratelli lo avevano deriso per giorni quando era stato Smistato a Corvonero, e aveva scritto ai genitori per comunicarglielo quasi con terrore, consolandosi leggermente quando due giorni dopo sua madre gli aveva spedito un ciambellone e una lettera piena d’affetto, assicurandogli che andava bene così e sostenendo che avesse sempre saputo che era “diverso” dai suoi fratelli.

Fin troppo diverso, forse, ma ormai era abituato a sentirsi quasi un estraneo in casa sua.


*


Avrebbe dovuto fare i compiti, probabilmente, ma invece che studiare Katherine era concentrata sul pesante tomo sui draghi che aveva davanti, sistemato sul tavolo che lei e Beatrix avevano occupato in Biblioteca, che l’amica le aveva regalato per il suo compleanno.

La stessa amica che sollevò lo sguardo dal libro che aveva davanti – di ben altro tipo – per rivolgerle un’occhiata scettica, inarcando un sopracciglio:

“Hai deciso di scioperare, quest’oggi?”
“Evidentemente… ma la colpa è tua, non avresti dovuto regalarmi un libro!”
“Con tutta la fatica che ho fatto per trovarlo, dicevi di volerlo dall’estate!”

“Lo so… grazie infinite. Però così non mi concentrerò su altro finché non l’avrò finito.”
“Suppongo che speri nella mia clemenza per copiare i compiti, allora.”

Beatrix sorrise appena e l’amica ricambiò, sfoggiando un’espressione quasi angelica ed innocente che fece quasi ridere la bionda, scuotendo il capo: 

“Solo perché è il tuo compleanno potrei chiudere un occhio, Kat.”
“Poiché sono la tua cugina preferita, mi sembra d’obbligo. Anzi, che dico, io sono la cugina preferita di tutti voi, modestia a parte.”

“Sei anche una dei pochi che non ci guarda come se fossimo nullità, insieme a Maximilian e Nathaniel, a voler essere precisi.”

La bionda accennò una smorfia carica d’irritazione con le labbra e Katherine allungò una mano per prendere la sua, sorridendole:

“Lo so, e mi dispiace. Ma, sfortunatamente, io non godo di particolare considerazione in famiglia, ciò che dico pare che entri in un orecchio ed esca dall’altro di molti, a casa.”
“Lo so… Vorrei solo che Edward smettesse di prostrarsi ai piedi di quell’idiota di Adrian e compagnia. Quando capirà che non ci accetteranno mai, qualunque cosa facciamo? Eppure cerca la sua approvazione continuamente, ha gioito quando è stato smistato nella sua stessa Casa…”

“Ironico, visto che Markus avrebbe stracciato il Cappello se fosse finito tra i Serpeverde, probabilmente.”
“Oh, credo che gli abbia intimato di spedirlo a Grifondoro, in realtà. Vuole allontanarsi da loro più di tutti, il che è effettivamente ironico visto che, come ben sai, è l’unico ad avere il cognome di mio padre… solo perché è il più grande, certo, è nato anche prima di Adrian. E Edward lo invidia sinceramente per questo.”

“Buffo, tecnicamente avrebbe persino più diritti di lui.”
“Tecnicamente, se non fosse nato fuori dal matrimonio… ma lo conosci, non gli importa, anzi, sarebbe ben felice di cambiare il suo cognome e prendere quello di nostra madre, come me, Davina ed Edward. Credo ci abbia provato quando ha compiuto diciassette anni, in realtà.”

Beatrix si strinse nelle spalle per poi restare in silenzio er qualche istante, osservando distrattamente il tavolo con aria pensierosa prima di parlare nuovamente:

“Posso chiederti una cosa? Perché cerchi da sempre di avvicinare me e i tuoi cugini?”

Katherine fece per dirle che quelli che lei definiva “I suoi cugini” non erano altro che i suoi fratellastri, ma per esperienza seppe che era meglio evitare, così si limitò a stringersi nelle spalle, sorridendo debolmente: 

“La nostra è una famiglia… particolare. Siamo tutti pieni di pecche e di difetti, in un modo o nell’altro, e so che Adrian non è perfetto, ma gli voglio bene, così come ne voglio a te, a Markus, a Davina e ad Edward. E penso sarebbe bello essere più uniti, anche se probabilmente non succederà mai.”
“Ne dubito fortemente. E anche se non sopporto Adrian apprezzo il pensiero, Kat… ma ci ignoriamo da anni e credo che vada bene così ad entrambi. Ma in un certo senso lo capisco, sai? Dopotutto non dev’essere facile nemmeno per lui, essere quello con un padre che ha una “famiglia di riserva”, una famiglia di cui tutti sanno e di cui tutti bisbigliano. Ma non è facile neanche per noi, e credo di essere stanca di essere solo la “bastarda dei Burke”… Magari un giorno riuscirò ad andarmene, dove nessuno avrà mai sentito questo dannato cognome e nessuno mi guarderà come se fossi solo un errore. Sarebbe bello.”

“E mi lasceresti qui a marcire?! Carino da parte tua!”
“Ti permetto già di copiare i miei compiti Kat, non iniziare ad avanzare richieste esagerate.”


Katherine sbuffò debolmente, borbottando che se pensava di lasciarla in mezzo ad una grande marmaglia di pazzi si sbagliava di grosso mentre al tavolo si avvicinava un certo Serpeverde dell’ultimo anno, che prese posto accanto alla mora con un sorriso stampato sul volto:

“Ciao Kat… Ci ho pensato, e visto che oggi diventi maggiorenne, ho una sfida da proporti.”
“Cos’è, una specie di rito di passaggio?”
“Sì, ma rilassati, niente di macabro o doloroso… no, devi solo rubare gli occhiali di Silente.”

Il sorrisetto di Gabriel si allargò, provando una punta di divertimento mista a soddisfazione nel vedere l’amica sgranare gli occhi chiari, mentre Beatrix invece si limitò a sospirare, esasperata: conoscendola, sapeva già cosa avrebbe risposto la cugina.

“Stai scherzando?!”
“No. Suvvia Kat, una temeraria Grifondoro come te non avrà certo paura di una piccola sfida, vero?”

Il Serpeverde giunse le mani, intrecciando le dita tra loro mentre accavallava le gambe, guardando l’amica mordersi nervosamente il labbro inferiore prima di rivolgersi alla Tassorosso:

“Beatrix, tu che ne pensi?”
“Io sono un Prefetto, quindi fingerò di essere molto presa da Antiche Rune e di non aver sentito niente.”

“Beh, dammi almeno un consiglio! Dici che se mi scoprono passerò guai troppo seri?”


Gabriel avrebbe voluto godersi lo scambio di opinioni tra le due amiche, ma la sua attenzione venne catturata da un’altra Grifondoro, distraendosi momentaneamente dai dubbi di Katherine: si ritrovò a guardare Elena MacMillan dirigersi a grandi passi, sola, verso la scrivania della bibliotecaria quasi senza volerlo, chiedendosi dapprima perché fosse senza i suoi inseparabili migliori amici e poi che razza di ricerca dovesse fare: la ragazza si avvicinò alla donna e parlò con un tono di voce leggermente più basso del normale, la schiena inclinata in avanti di qualche centimetro, come se volesse intrattenersi in una conversazione “privata”. 
Le mani della Grifondoro erano appoggiate delicatamente sul ripiano della scrivania, le dita piegate che stringevano il bordo di legno quasi nervosamente mentre diceva qualcosa a mezza voce che non riuscì assolutamente a carpire.

Gabriel vide la donna aggrottare leggermente la fronte, accigliandosi per un paio di secondi prima di annuire, dicendo qualcosa in risposta alla ragazza, che poco dopo si allontanò con le braccia cariche di libri e fascicoli che la donna aveva Appellato per lei, senza guardarsi minimamente intorno, gli occhi fissi davanti a sè e un’espressione quasi tesa dipinta sul volto.

Era abbastanza raro vederla così seria e Gabriel non riuscì a non incuriosirsi leggermente, chiedendosi che cosa stesse cercando la ragazza prima di rendersi conto di avere due paia d’occhi fissi su di sè: il Serpeverde si riscosse, sentendo solo in quel momento la voce di Katherine chiamarlo e riportando lo sguardo sulla ragazza, guardandola con leggera confusione:

“Scusa, Kat… dicevi?”
“Ti ho detto che accetto la sfida, Gabri. Ma se riesco a portarteli, TU dovrai ballare… il Foxtrot!”
“Ci sto.”


*


“Thor!”

Hector aveva appena varcato la soglia della sua Sala Comune quando sentì la familiare voce di Adela, ma non ebbe il tempo di guardare in faccia l’amica perché la ragazza gli stava già correndo incontro per abbracciarlo:

“Ciao Adela.”
“Allora? Cosa è successo? Va tutto bene?”

“Sì, solo mio padre e i miei fratelli che hanno avuto un piccolo incidente sul lavoro… Ma stanno bene, nulla di grave. Anzi, mentre ero al San Mungo è arrivato anche mio zio e vederlo strigliarli è stato come sempre molto soddisfacente.”

Hector abbozzò un sorriso nel ripensare con gioia alla scena: considerava da sempre avere buona parte della famiglia nel Dipartimento come una condanna, ma quando suo zio, il Capo degli Auror, rimproverava padre e fratelli non poteva far altro che godersi lo spettacolo in silenzio.

“Meno male… tua madre come sta?”
“Stendiamo un velo pietoso. Penso che prima o poi mi ritroverò a raccogliere i suoi resti ai piedi di qualche montagna…”. Il ragazzo scosse il capo, sospirando mentre si sfilava il mantello, superando l’amica per lasciarsi scivolare sul divano mentre anche Charlotte faceva la sua comparsa, sorridendogli:

“Ciao, Thor! Va tutto bene?”
“Sì, bene, ma siete carine a preoccuparvi per me.”

“Scherzi, Charlie era disperata, come farebbe senza di te a sopravvivere in Incantesimi?”
“Ridi pure, cara, ma anche tu sei stata in pena tutto il giorno!”

Charlotte raggiunse Hector, sedendo accanto a lui e rivolgendo un’occhiata torva all’amica mentre il ragazzo inclinava le labbra in un sorriso appena percettibile, gli occhi fissi su Adela:

“Davvero?”
“Beh, sì, diciamo di sì. È normale.”

Adela si strinse nelle spalle, le braccia strette al petto mentre superava i due amici evitando accuratamente di guardarli, sostenendo che sarebbe andata a farsi una doccia prima di cena e lasciandoli così soli:

“Non hai notato nessun tipo di possibile segnale sul fatto che io abbia ragione, Thor?”
“È?”
“Porca Priscilla Thor, ma ti devo dire tutto?! E dire che ti considero uno tra i ragazzi più intelligenti che conosca!”

“Mi lusinga, sai che la penso diversamente… fammi indovinare, al primo posto c’è tuo fratello.”
“Tutto viene dopo mio fratello, Thor. Ma smettila di sminuirti sempre, sei intelligente eccome, perché pensi di essere qui?”

“Ho sempre pensato che il Cappello mi abbia mandato qui per indecisione… non mi reputo coraggioso, e nemmeno particolarmente paziente o furbo.”
“Sciocchezze, se sei qui è perché sei molto sveglio… dopotutto siamo amici, Thor, e io non sopporto gli inetti.”


*


Giovedì 12 Dicembre


Sean alzò lo sguardo sentendo dei passi, ma corrugò la fronte con aria confusa nel trovarsi davanti solo Jack, senza Regan:

“Reg?”
“Io non l’ho visto, non ho idea di dove sia.”

Il ragazzo si strinse nelle spalle, prendendo posto di fronte all’amico  e accanto a Gabriel, che scosse il capo: 

“Temo che ci abbia abbandonati per studiare con Stephanie. Ha finto di non aver capito qualcosa di Aritmanzia per farselo “spiegare”, credo.”
“Niente da fare, l’abbiamo perso.”

Jack scosse il capo, parlando con un tono grave che fece sorridere entrambi i compagni mentre una ragazza dai capelli scuri si avvicinava al tavolo quasi a passo di marcia, un sorriso trionfante sul volto:

“Greengrass! Hai perso.”
“Come?”
“Gli occhiali. Li ho presi. E ora… devi pagare pegno! Salve, ragazzi.”

Katherine si fermò accanto all’amico, appoggiandogli gli occhiali davanti per poi sorridere gentilmente a Sean e a Jack mentre Gabriel, dopo aver esitato per un attimo, annuì, alzandosi dalla sedia e sospirando prima di guardarsi intorno:

“D’accordo. Vediamo un po’… Oh, ecco. Elena? Kat, provvedi alla musica, per favore.” 
“Va bene, ma sbrigati, devo rimetterli a posto!”

Katherine annuì mentre Gabriel, sorridendo, si avvicinava alla Grifondoro, che sentendosi chiamare si era voltata per rivolgergli un’occhiata sinceramente perplessa:

“Sì?”
“Ti dispiace? Temo di dover pagare pegno per una scommessa persa… scusa, te la rubo per un momento.”

Gabriel sorrise ad Axel mentre, presa la ragazza per un braccio, la costringeva ad alzarsi, ignorando deliberatamente le sue proteste mentre, a qualche metro di distanza, Sean si rivolgeva ad un Jack altrettanto perplesso:

“Che sta succedendo?!”
“Non ne ho idea.”

“Greengrass, che stai facendo? Io non ballo con te, non se ne parla, mollami! Axel, vuoi darmi una mano?!”
Elena si rivolse all’amico, fulminandolo con lo sguardo e facendolo sorridere di conseguenza con fare angelico, guardandola con aria divertita:

“Non ci penso proprio.”

Elena sbuffò sonoramente, cercando di divincolarsi dalla stretta di Gabriel senza grandi risultati, mentre Katherine assisteva alla scena ridacchiando:

“Vi odio tutti… ma perché proprio in Biblioteca? E perché proprio a me?!”


*


Aurora Temple si massaggiò nervosamente le tempie, chiedendosi sinceramente perché non avesse abbandonato l’odiata Erbologia due anni prima: forse, se l’avesse fatto, a quell’ora avrebbe potuto riposarsi un po’, invece di studiare qualcosa che reputava come assolutamente inutile.

Persino Evangeline non sembrava particolarmente concentrata sullo studio quella sera, anzi, abbandonò senza tante cerimonie il tavolo che avevano occupato per correre alla finestra e far entrare il gufo di sua sorella, permettendo al rapace di entrare per prendere la lettera che le aveva portato.

“Notizie di Ray?”
Aurora si voltò verso l’amica, lieta di avere una scusa per distarsi momentaneamente mentre la bionda apriva frettolosamente la lettera, sorridendo come mai l’aveva vista fare quando a scriverle era la sorella maggiore, con cui non era mai stata in buoni rapporti a causa di divergenze caratteriali – oltre che per punti di vista differenti sotto molti aspetti –. 
Evangeline annuì, sorridendo mentre riportava lo sguardo su di lei e ripiegava la lettera, parlando con tono allegro:

“Sì, non vedo l’ora di vederlo, sai che adoro i bambini… farò in modo che non cresca come un viscido sessista.”
“Ne sono certa… quindi tornerai a casa per Natale?”
“Penso di sì… e tu?”
“Non lo so ancora.”

Aurora si strinse distrattamente nelle spalle, tornando a preoccuparsi dei compiti mentre Evie la raggiungeva, tornando a sedersi di fronte a lei:

“Beh, non mi piacerebbe saperti qui da sola.”
“Rilassati, non ho ancora deciso… ma probabilmente tornerò, comincia a mancarmi mia madre. Anche se non lo deve sapere, ovviamente.”

“Ovviamente.”  Evangeline annuì, sorridendo appena mentre l’amica, dopo aver esitato per un attimo, le rivolgeva un’occhiata incerta:

“E tu? I tuoi genitori?”
“Al momento sono troppi entusiasti per la nascita del loro primo nipote per preoccuparsi d’altro… e mi va più che bene, credo. Forse riuscirò ad evitarmi domande scomode e spiacevoli, specie in presenza di Caroline. Insomma, lei è la figlia perfetta, che ha trovato il marito perfetto e che ha una vita perfetta… forse sarebbe più facile se invece di altri tre fratelli maschi avessi avuto una sorellina, ci sarebbe meno competizione.”

“Tu non sei Caroline, Evie, i tuoi genitori lo sanno.”
“Certo, ma ciò non significa che, almeno secondo loro, io debba seguire una strada differente.”

“Parli del “patto”?”

Evangeline annuì, incupendosi leggermente mentre spostava lo sguardo sul camino, perdendo improvvisamente tutta l’allegria di poco prima alla domanda dell’amica.
“Già. Non so se avrò la stessa fortuna di Caroline…”

“Beh, hai ancora tre anni, c’è tempo.”

Aurora abbozzò un sorriso, come a voler rassicurare l’amica anche se lei per prima non ne era del tutto convinta: Evangeline annuì con fare sbrigativo, rimettendosi dritta sulla sedia per tornare a concentrarsi a sua volta sui compiti:

“Sì, è vero… preoccupiamoci d’altro, adesso. Mal che vada, finirò con l’assecondarli e me ne farò una ragione. Tre anni passano in fretta, dopotutto.”


*


Stephanie aprì pigramente gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte per abituarsi alla tenue fonte di luce che illuminava la stanza, malgrado l’ora tarda. 

La ragazza impiegò qualche secondo a ricondurre la causa della luce alla sua migliore amica, sollevandosi leggermente e maledicendosi per non aver tirato le tende del baldacchino per rivolgere un’occhiata confusa ad Elena:

“Elly? Cosa stai facendo?”

La voce impastata di Stephanie echeggiò in un sussurro nella stanza circolare, ma la destinataria delle sue parole non sembrò farvi caso, impegnata a leggere un libro che aveva davanti, ancora perfettamente vestita e seduta sul suo letto, circondata da fogli, un paio di libri e un rotolo di pergamena dove stava annotando qualcosa. 

“Niente, Steph… torna a dormire.”

Elena parlò senza guardare l’amica, limitandosi a rivolgerle un lieve, sbrigativo cenno che di certo l’avrebbe spinta ad incuriosirsi ulteriormente in qualunque altro momento, ma non in quello: Stephanie, per una volta, decise di non obbiettare e ascoltò l’amica, troppo stanca per ribattere, così si girò su un fianco per addormentarsi nuovamente subito dopo, ignorando che l’amica non l’avrebbe imitata ancora per qualche ora.








………………………………………………………………………………
Angolo Autrice: 

Buonasera!
Allora… mi scuso per l’assenza dei Tassorosso più grandi in questo capitolo, ma ho preferito tagliare qualcosa per evitare che diventasse troppo lungo. Inoltre, male ragazze, molto male, nessuna che mi ha riconosciuto la citazione… se non avete mai visto Mrs Doubtfire, correte a rimediare.
Domanda del capitolo… probabilmente il prossimo capitolo sarà ambientato nell’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, quindi vi chiedo se il vostro OC tornerà a casa o meno. 
In particolare, per amilcara… torno a stressarti chiedendoti se potresti mandarmi qualcosa sulla famiglia di Steph, stessa cosa per Reg.

Infine… ecco a voi le facce di qualche personaggio secondario:

Adrian Burke 
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Denebola Starble 
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Ronald Heslop 
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A presto, 
Signorina Granger 



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Capitolo 12
*** Charlie ***


Capitolo 11: Charlie

 

21 Dicembre 1943, San Mungo
 

“Permesso…”

Regan Carsen deglutì a fatica mentre, parlando a mezza voce e quasi stravolto, spostava un medimago che gli bloccava il passaggio quasi con una spallata, senza fermarsi a scusarsi come avrebbe fatto in qualunque altro momento o sentire l’indulto che il mago molto probabilmente gli rivolse.

Quella sera l’ospedale era più caotico e affollato come non l’aveva mai visto, c’erano guaritrici, parenti vari e Auror che si spostavano da una parte all’altra e lui si guardava intorno, alla ricerca della moglie con il cuore in gola.

Era arrivato in ospedale, aveva fatto il nome di Stephanie e come risposta non aveva ottenuto nulla, se non che molto probabilmente fosse lì, da qualche parte come diversi suoi colleghi, ma nessuno gli aveva dato informazioni sul suo stato di salute. “Ne erano arrivati molti”,  così gli era stato detto, e non erano ancora riusciti a registrarli tutti.

“Stephanie!”

La voce del pozionista risuonò a malapena nella corsia dalle pareti bianche, soffocata da quelle delle persone che lo circondavano mentre si apprestava a raggiungere la moglie, provando un moto di sollievo nel vederla seduta su una delle sedie addossate alla parete, i capelli biondi arruffati e sciolti sulle spalle.

 

Sentendosi chiamare l’Auror trasalì, voltandosi di scatto verso di lui e cercandolo con lo sguardo in mezzo alla moltitudine di persone, senza però alzarsi e abbracciarlo quando le si avvicinò.

“Che cosa è successo? Stai bene? Ho sentito dell’esplosione… tu non dovevi essere lì.”

L’ex Serpeverde raggiunse la moglie e si inginocchiò davanti a lei per abbracciarla, senza che Stephanie ricambiasse la stretta, limitandosi ad annuire, piuttosto pallida in volto:

 

“Lo so. Mi dispiace. Sto bene, comunque.”

“Stai bene? Cos’è… cos’è tutto questo sangue?”

Il pozionista si allontanò dalla moglie di qualche centimetro per poterla guardare meglio, concentrandosi non più sul viso della strega ma sulle punte insanguinate dei suoi capelli chiari e sulla sua giacca, guardandola scuotere il capo con veemenza e mordersi nervosamente il labbro per trattenere le lacrime:

 

“Sto bene, non è mio. Io non mi sono fatta niente, sono… arrivata dopo.”

Stephanie si mosse, gli occhi fastidiosamente lucidi mentre cercava di sfilarsi la giacca con mani tremanti, scuotendo il capo sotto lo sguardo confuso del marito, che si ritrasse di conseguenza:

“Toglimela. Per favore, non lo sopporto.”

“Ok… di chi è questo sangue?”

Regan l’aiutò a togliersi la giacca della divisa e la lasciò sul pavimento, accanto a sè, avvicinandolesi di nuovo per prenderle il viso tra le mani, guardandola tenere gli occhi chiari fissi sui propri piedi, evitando di ricambiare il suo sguardo sempre più preoccupato:

“Steph?”

Stephanie avrebbe voluto dirgli che quello sulla sua giacca e sui suoi capelli non era altro che il sangue di un suo collega, del fratello di una loro amica, di un ragazzo che fino a dieci anni prima aveva condiviso la stanza con lui.

Avrebbe voluto dirgli che quello non era altro che il sangue di Sean Selwyn, che le era rimasto addosso quando aveva aiutato Charlotte a portarlo in ospedale, Materializzandosi nell’atrio del San Mungo insieme. Ma non lo fece, limitandosi a sollevare leggermente lo sguardo, accennando a qualcuno seduto, anzi accasciato su una sedia poco più in là.

Regan si voltò, seguendo la direzione indicatagli dalla moglie, e l’orrore che gli si avrebbe potuto leggere sul volto in quel momento aumentò:

“… Charlotte.”

 

*

 

Sabato 21 Dicembre 1933


“Fatto. Dovrei aver preso tutto quello che mi servirà.”

Sean chiuse il suo baule, mentre attorno a lui la sua stanza si svuotava considerevolmente dal momento che tutti e quattro i suoi compagni si stavano accingendo a preparare i bagagli per tornare a casa per le vacanze, con un largo sorriso dipinto sul volto, mentre accanto a lui Regan faceva altrettanto, rivolgendoglisi:

“Sei di ottimo umore… felice di tornare a casa?”

“Più che altro felice che le vacanze siano iniziate.”

“Direi che ci siamo meritati un po’ di sano riposo. Tralasciando la quantità spaventosa di compiti che ciò ha assegnato la Hobskin, ma per ora preferisco non pensarci. Jack, tu li hai già fatto tutti o ti sei tenuto qualcosa da fare durante le vacanze?”

Regan sorrise all’amico, che però non ricambiò e si limitò a rivolgergli un’occhiata torva mentre riponeva un paio di maglioni nel suo baule, borbottando che si sarebbero pentiti di quelle prese in giro quando la scuola sarebbe ricominciata prima di sparire momentaneamente dietro la porta del bagno.

“Che cos’ha? È di cattivo umore da un paio di giorni.”

Alle sussurro di Gabriel Regan si strinse nelle spalle, come a voler dire che non ne aveva idea mentre Sean aggrottava la fronte, parlando a bassa voce a sua volta:

“Gli è arrivata una lettera da sua madre pochi giorni fa… Forse è dipeso da questo, ma non gli ho chiesto su cosa vertesse la lettera.”

“Dite che è successo qualcosa suo padre sul lavoro? Potrebbe essere, dopotutto è un Auror.”

Gabriel scosse il capo, come s voler dire che non ne aveva idea appena prima di vedere Jack tornare nella stanza con aria trova:

“Per l’ultima volta, chi ha preso il mio sapone?!

 

*

 

“In vedo l’ora di rivedere i miei genitori e Aziz, ma sono felice di stare qualche giorno da te.”

Adela sorrise con fare allegro mentre sistemava le sue cose nel baule sotto lo sguardo di Rami, che era seduto sul suo letto dopo aver provato ripetutamente ad infilarsi nel baule della padrona per giocare, restandoci infilato accidentalmente dentro per sbaglio poco prima.

“Fidati, io sono ancor più felice di te.”

“Dimmi, sei felice di poter stare in mia compagnia, del fatto che in mia presenza tua madre si mitigherà o perché potrai coccolare Rami più a lungo?”

“Tutte e tre, naturalmente. Anzi, credo che i miei cani saranno un po’ meno felici di ricevervi… Pazienza, terremo Rami lontano dalle loro grinfie, vero tesoro?”

Charlotte sorrise dolcemente al Fennec e Adela fece altrettanto, immaginando quelle che l’amica soprannominava “le belve” inseguire l’ospite indesiderato sul prezioso tappeto della Signora Selwyn. Charlotte avrebbe senz’altro gradito la crisi di nervi che ciò le avrebbe procurato, ma di sicuro Rami si sarebbe divertito un po’ meno.

Bene, ho finito, possiamo andare di sotto!”

“Forse quest’anno riusciremo a non essere le ultime a salire sul treno.”

“Che dici Adela, Katherine Burke ci batterà a mani basse… Merlino, quanto pesa… credo che userò la magia per portarlo di sotto.”

“Sì, evita di farlo fare a Thor come l’anno scorso.”

“Stavo scherzando quando glie l’ho chiesto, ma lui mi ha presa sul serio, come potevo saperlo?! Glielo dico sempre, è troppo gentile… e parlando di ragazzi non gentili, come mai Heslop resta qui?”

“Sostiene di volersi concentrare sullo studio.”

Adela si strinse nelle spalle mentre usciva dalla camera insieme all’amica, precedendola e non vedendo così il sorriso soddisfatto che increspò le labbra di Charlotte.

 

*

 

Si guardò le mani, sporche di sangue, ripensando a quando, circa un’ora prima, lei, Stephanie e Sean si erano Materializzati nell’atrio del San Mungo, attirando immediatamente l’attenzione di tutte le infermiere nei paraggi, che avevano fatto di tutto per trascinarli verso le scale, ma i tentativi di strappare il corpo del fratello dalla presa ferrea e incredibilmente salda dell’Auror si erano rivelati vani.

 

“Signorina, è sotto shock, ma adesso dobbiamo portare via il suo collega. Può dirci come si chiama?”

“È mio fratello.”

La sua voce era arrivata a malapena alle orecchie di Stephanie e dell’infermiera, parlando in un sussurro mentre, inginocchiata sul pavimento e con mano tremante, spostava i capelli castani dal viso del fratello, sporcandoli del suo stesso sangue.

Ripetè quelle parole subito dopo, a voce leggermente più alta, senza prestare particolare attenzione alle persone che la circondavano, ignorando la mano di Stephanie sulla sua palla e tenendo gli occhi verdi fissi sul volto del fratello, gli occhi molto simili ai suoi ancora aperti, vitrei.

Charlotte parlò di nuovo, ormai quasi sul punto di urlare, scossa dai singhiozzi mentre si chinava leggermente, stringendo a sè il cadavere di Sean.

“CeCe… lascialo.”

Stephanie sospirò, chinandosi a sua volta accanto all’amica mentre Charlotte scuoteva il capo, continuando a non dire niente se non parole sconnesse e il nome del fratello.

“Lascialo, adesso.”

“Questo mai.”


Sollevò lentamente lo sguardo, posandolo su Stephanie, su una sedia addossata alla parete opposta qualche metro più in là, con Regan davanti, inginocchiato sul pavimento, che l’abbracciava, accarezzandole i capelli e dicendole qualcosa a bassa voce.

Poco prima, quando si era ripresa leggermente, le avevano detto di sedersi e di aspettare per essere visitata, e per una volta Charlotte Selwyn aveva fatto esattamente come le era stato detto, troppo stanca e devastata per obbiettare che stava bene e che voleva solo vedere suo fratello.

Poi pensò ai giornali, che si sarebbero aggrappati a quella notizia come ad un salvagente, a come la storia di suo fratello sarebbe stata strumentalizzata.

Il giovane, brillante Auror, di buona famiglia, tragicamente morto.

Forse avrebbero ucciso per poterle fare qualche domanda, in veste di collega ma sopratutto di sorella.

E probabilmente si sarebbe infilata sotto quelle macerie a sua volta pur di non vendere suo fratello.

Charlotte si alzò, lentamente, ignorando il lieve tremore delle gambe mentre si muoveva, camminando in mezzo alla corsia e scavalcando medici, funzionari del Ministero, parenti o colleghi.

Sentì Regan chiamarla, ma non si fermò e nemmeno si voltò, continuando ad allontanarsi zoppicando leggermente, ma la gamba non le faceva troppo male, forse a causa dell’adrenalina che ancora aveva in corpo.

“Signorina Selwyn! Aspetti, la dobbiamo visitare, non può andarsene adesso!”

La strega si lasciò sfuggire un lievissimo sbuffò alle parole dell’infermiera, parlando con tono piatto e senza nemmeno voltarsi o fermarsi:

“Se non potete ridarmi mio fratello, io qui ho finito.”


*


“MR DARCY! QUALCUNO HA VISTO DARCY?”

 

Katherine scese le scale del Dormitorio femminile quasi di corsa, gli occhi chiari sbarrati e carichi di preoccupazione mentre cercava il suo amato gatto: aveva infilato con estrema cura tutti i suoi libri nel baule e si era scordata momentaneamente di Darcy, che probabilmente in quel momento stava soffiando in un angolo, offeso e maledicendo la padrona per essersi dimenticata di lui.

“No Kat, mi spiace. Gwain, hai preso tutte le tue cose?”

Stephanie si fermò di fronte al fratello minore, rivolgendosi al ragazzino con tono di rimprovero mentre il Grifondoro annuiva, sbuffando leggermente:

“Sì Steph, non mi assillare!”

“Non ti assillo, solo che dimentichi qualcosa qui ogni anno e poi passi due settimane intere a lamentarti!”

“Ma dove si sarà cacciato quel gatto…”

Katherine sbuffò, superando il tavolino davanti al quale si era seduta Elena, che aveva già preparato il baule e teneva gli occhi castani fissi sul vetro della finestra, osservando distrattamente le montagne che li circondavano.

“Pensierosa?”

Sentendo la voce di Axel la ragazza si voltò, stringendosi debolmente nelle spalle mentre il ragazzo, sorridendole, prendeva posto di fronte a lei:

“Forse un po’."

“Non sei felice di tornare a casa?”

“Mi piace il Natale, lo sai… chi non lo ama?”

“Non sembri fare i salti di gioia, quest’anno… e nemmeno io, in realtà. Non vedo l’ora di vedere mia sorella e mia madre, ma lo stesso non si può dire di mio padre o di mio fratello. Tu invece?”

Axel rivolse all’amica un’occhiata carica di curiosità, non potendo fare a meno di pensare a tutte le volte in cui non l’aveva trovata perché chiusa nella sua camera a fare chissà cosa, o in Biblioteca e impegnata a leggere qualcosa che non aveva niente a che fare con i compiti. Aveva provato a chiederle cosa stesse combinando, ma l’amica non gli aveva mai dato una risposta del tutto chiara.

Elena piegò le labbra in un sorriso, stringendosi nelle spalle con finta noncuranza:

“Sto solo pensando alle cene a cui dovrò presenziare… sarebbe bello se tu e Steph poteste venire.”

“Io sono ben felice di non avere quest’incombenza a dire il vero, ma penso che con te mi divertirei.”

“Certo che ti divertiresti!”

Elena sfoggiò un’espressione quasi offesa che fece sorridere l’amico, che annuì prima di alzarsi, sostenendo che probabilmente era arrivato il momento di andare:

“Pronta a tornare a casa, Signorina MacMillan?”

“No, per niente, ma ormai è tardi per cambiare idea, immagino.”

Elena sbuffò mentre si alzava, prendendo la mano che il ragazzo le porgeva e senza ricambiare il sorriso che le rivolse, quasi a volerla incoraggiare e assicurarle che quei giorni sarebbero passati in fretta.

O almeno, così sperava.

 

*

 

Jack era seduto accanto al finestrino, la lettera che sua madre gli aveva mandato qualche giorno prima tra le mani.

Quando aveva capito di cosa si trattasse quasi non aveva creduto ai suoi occhi, certo di aver frainteso… dicendosi che sua madre non poteva aver fatto una cosa simile.

E invece Lena Keegan gli aveva davvero spedito una lettera che in realtà non era affatto indirizzata a lui, bensì a sua cugina… una lettera che non aveva scritto lei stessa, ma che le era stata mandata da suo fratello.

Un fratello che non vedeva o sentiva da anni, ma a cui era ancora evidentemente legata… non aveva saputo dirgli di no e aveva mandato quella lettera a Jack, consigliandogli di decidere se farla avere o meno alla cugina.

Suo zio l’aveva scritta circa due settimane prima, era per il compleanno di Denebola, il 17 Dicembre… e a lui era arrivata proprio in quella data, ma non aveva avuto il coraggio di darla alla cugina.  A cosa le sarebbe servito leggere una lettera da un padre che non aveva mai conosciuto, che aveva passato gli ultimi quattordici anni lontano da casa, ad Azkaban?

Lui non l’aveva mai conosciuto, come lei, ma sapeva che suo padre lo odiava e probabilmente, dal momento che era stato proprio lui a trascinarlo in cella, la cosa era reciproca. Eppure sua madre non era riuscita a scegliere, e Jack era certo che suo padre di quella lettera non sapesse niente, o non gli sarebbe mai arrivata.

“Ah, eccoti! Che ci fai qui, tutto solo?”

 

Il ragazzo quasi sobbalzò quando sentì la voce della cugina, affrettandosi a sorridere e sfar sparire, al contempo, la lettera in una tasca mentre Denebola si avvicinava, sedendo accanto a lui:

“Gli altri sono sparpagliati a destra e a sinistra per salutare qualcuno o saccheggiare il carrello dei dolci.”

“E tu non saresti venuto a salutare me o una qualunque altra ragazza della mia Casa?”

“Non vedo perché dovrei salutarti, dal momento che passeremo le feste insieme come sempre, Denny.”

Jack guardò la cugina sorridere, sapendo cosa stesse per dire ma decidendo comunque di ignorare la seconda parte della sua domanda:

“È vero, ma non le passerei insieme ad Evangeline, giusto?”

“Non che io sappia, no.”

“E allora vai a salutarla, non vorrai essere maleducato!”

“Ma…”

“Non fare il cafone, alzati e fai il gentiluomo.”

 

Denebola sbuffò e lo spinse ad alzarsi, sentendolo borbottare che non sapeva di essersi portato appresso sua madre invece di sua cugina mentre usciva dallo scompartimento, ignorando il sorriso compiaciuto della cugina.

Non glielo disse, ma in realtà era quasi un sollievo uscire da lì: non le era mai piaciuto mentirle.

 

*

 

Aurora aprì la porta scorrevole con un sorriso sulle labbra, attirando su di sè l’attenzione dell’unico ragazzo presente nello scompartimento: 

“Ciao… ti volevo salutare.”

“Ciao! Vieni pure.”

Sean le sorrise, chiudendo il libro che teneva in mano mentre la Corvonero gli si avvicinava, sedendo accanto a lui e rivolgendo un’occhiata carica di curiosità al libro dell’amico:

“Charlotte mi ha detto che anche quest’anno te ne vai.”

“Oh, sì, non ne è molto felice, ma temo che starò via per una settimana.”  Sean annuì, sfoggiando un sorriso quasi colpevole mentre l’amica invece ina eco un sopracciglio, guardandolo con aria scettica:

“Dove vai questa volta?”

Il ragazzo si limitò a sorridere, riaprendo il libro dove aveva lasciato il segno per mostrare un’illustrazione alla ragazza:

“Ne hai mai vista una?”

“In effetti no. Che cos’è?”

“È una mongolfiera, serve per… volare. E vedere il mondo dall’alto.”

“Ma noi voliamo già con altri mezzi, Sean.”

“Certo, ma è un’altra cosa. Dev’essere bellissimo.”

“E dove andrai a fare i tuoi voli in… mongolfiera? Ma non è pericoloso? Sembra una palla, e se si sgonfiasse?!”

“Non si sgonfierà, tranquilla. Ti prego, c’è già mia sorella che è convinta di non vedermi più tornare a casa. Comunque, vado in Nuova Zelanda.”

“NUOVA ZELANDA? Ma Sean, è…”

“Dall’altra parte del mondo, lo so. Ci volevo andare già quest’estate, ma alla fine ho scelto il Perù. Ci dovresti andare, un giorno, troveresti i lama molto simpatici.”

“Col cavolo che ci vado, dopo quello che mi hai raccontato… e mi hai portato quella specie di coperta prendendomi in giro, sostenendo che vada indossata.”

“Non era uno scherzo, è la pura verità, è un poncho!”

“Quel che è. I tuoi genitori che ne pensano?”

“Io faccio sempre ciò che vogliono, ciò che mi chiedono, faccio sempre in modo di comportarmi come a loro compiace... in cambio, mi prendo le mie libertà tre volte all’anno. C’è un mondo intero da vedere, Aury, e credo che nessuno di noi potrà vivere abbastanza da vederlo tutto, tanto vale iniziare fin da adesso.”

Sean sorrise ma la ragazza non ricambiò, immaginandosi chiaramente quella specie di palla sgonfiarsi. Che immagine sgradevole.

Perché quel ragazzo non andava mai in posti tranquilli e a godersi il sole, invece di cercare di morire in tutti i modi?
 

“Non fare quella faccia, so a cosa stai pensando… ma sai cosa dico sempre, no? Strofina il pavimento e pulirai il cielo, i punti più alti e più bassi del mondo, sono quelli i posti che valgono la pena di essere vissuti.”

 

“Se lo dici tu… ma spero non ti dispiacerà se non ti accompagnerò mai, o al massimo io resterò con i piedi per terra, a guardarti scalare paresti rocciose, sorvolare vallate con una di queste o chissà che altro.”

 

*
 

“Non voglio andare a dormire!”

“Perché no? Non avrai mica paura del mostro che si annida dietro le tende della tua finestra, Charlie.”

La bambina si irrigidì, ripensando alla storiella che il fratello le aveva raccontato quella mattina, correndo a dirle di aver visto un mostro dietro le tende nella sua camera. Ma durò solo per un attimo, poi Charlotte scosse il capo con veemenza, il suo pupazzo stretto tra le braccia e il suo cane, un cucciolo di Cavalier King dal pelo Blenheim, accanto:

“Io non ho paura di niente!”

“Sì invece.”

“No! Sei cattivo, Sean, non ti voglio più come fratello.”

La bambina giró sui tacchi e si allontanò con aria risoluta, la piccola Daisy subito dietro come sempre mentre Sean, sorridendo con aria divertita, seguiva la sorellina con lo sguardo:

“Non posso smettere di essere tuo fratello, Charlie! Lo sarò sempre.”

“Allora non ti parlerò più!”

Sean rise, guardando la bambina sparire dietro la porta della sua camera, certo che l’indomani l’avrebbe già perdonato, come al solito.
 

Un paio d’ore dopo, Charlotte era raggomitolata sotto le coperte, gli occhi verdi spalancati e perfettamente vigili, incapace di dormire mentre teneva Daisy stretta a sè.

Sua madre non avrebbe approvato di certo, intimandole che dormire con il cane non era affatto igienico, ma alla bambina non importava.

Charlotte, che dava le spalle alla finestra, si voltò leggermente per lanciare un’occhiata alle tende, e quando le vide muoversi leggermente a causa del leggero venticello che entrava dalla finestra aperta sobbalzò, sprofondando ancora di più sotto le coperte.

Poi, dopo qualche minuto che passò nell’indecisione, la bambina si alzò di scatto, mormorando a Daisy di seguirla mentre usciva dalla stanza alla velocità della luce, correndo nel corridoio buio e deserto senza nemmeno le pantofole ai piedi.

“Seannie?”

Aprì lentamente la porta della camera del fratello e si avvicinò silenziosamente al letto, aveva un passo leggerissimo e nessuno la sentiva mai, fermandosi davanti al bambino addormentato per poi scrollarlo leggermente:

“Seannie!”

“Che cosa c’è?”

“C’è il mostro in camera mia! Le tende si muovono!”

“Ma allora hai paura!”

Nel buio della camera Sean sfoggiò un sorriso quasi beffardo, ma la sorella scosse il capo, serissima e parlando con un tono neutro molto diverso da quello concitato di poco prima:

“Io no, ma Daisy sì. Mi ha chiesto se possiamo dormire con te.”

“E tu cosa le hai detto?”

“Che dobbiamo chiedere a te. Allora, possiamo?”

“Certo.”  Sean annuì, cercando di non ridere mentre la sua orgogliosa sorellina saliva sul suo letto, sistemando con cura Daisy in mezzo a loro per poi infilarsi sotto le coperte, rivolgendo un’occhiata torva alle tende per controllare che non si muovessero.

“Qui non c’è, possiamo dormire.”

“Tranquilla Charlie, se anche fosse ti proteggerei io.”



 

Charlotte si chiuse la porta alle spalle con un calcio, chiudendola a chiare con un piegò colpo di bacchetta e ignorando deliberatamente le voci dei genitori, che l’avevano praticamente assalita non appena era entrata in casa, pallida e sporca di sangue.

Le avevano chiesto cosa fosse successo e dove fosse suo fratello, ma lei non aveva proferito parola, ignorandoli e limitandosi a salire le scale quasi senza sentirli, dirigendosi verso la vecchia camera di suo fratello quasi in trance.

L’Auror si avvicinò al letto, sfiorando i cuscini sistemati con un ordine che di certo non era merito di sua madre prima di rovinare il preciso lavoro degli elfi, lasciandocisi cadere sopra e posando lo sguardo sul lampadario sopra la sua testa, immobile.

Charlotte inclinò leggermente il capo e all’improvviso lo vide dondolare, prima oscillare lentamente e poi sempre in modo più preoccupante.

Avanti e indietro

Avanti e indietro

Come il meraviglioso lampadario di cristallo che, poche ore prima, le era quasi precipitato sulla testa. Le sembrava ancora di guardarlo dondolare, scosso dalla bomba che aveva colpito la parte posteriore dell’edificio.

Chiuse gli occhi, ignorando la voce di sua madre e il suo insistente battere sulla porta chiusa. Quando li riaprì, pochi istanti dopo, il lampadario era fermo, immobile.

Restò immobile a sua volta per qualche istante, poi si alzò, lentamente, sul materasso, avvicinandosi leggermente al lampadario spento.

“Vattene. Vai in ospedale.”

Non seppe se il suo sussurro arrivò alle orecchie della madre, ma prese la bacchetta in mano e smise di pensare a lei, gli occhi verdi fissi sul lampadario.
 

Pochi istanti dopo Cassandra Selwyn si fermò, smettendo di bussare o di parlare, trasalendo quando sentì qualcosa di piuttosto pesante cadere sul pavimento e rompersi.

“Charlotte?”

Non ottenne, ancora, nessuna risposta, e la donna sospirò, girando sui tacchi per allontanarsi e intimare al marito di seguirla:

 

“Edgar? Andiamo al San Mungo.”

“Charlotte?”

“Al momento non ci vuole vedere, sbrigati.”

 

La grande porta d’ingresso si chiuse, ma Charlotte non ci badò, ancora in piedi sul letto, gli occhi chiari fissi su qualcosa che ormai giaceva ai piedi del letto del fratello.

Si rimise lentamente a sedere, appoggiandosi alla testiera.

Se non altro, aveva smesso di dondolare.

 

*

 

Iphigenia teneva gli occhi fissi sul finestrino, sveglia da poco e impaziente di arrivare, anche se ormai non mancava molto, per fortuna.  Jade invece stava ancora dormendo, stesa su una delle due file di sedili, e lei si stava rammaricando di non averla imitata: si era malauguratamente addormentata con il capo appoggiato sulla spalla di Andrew e ora quasi non riusciva a muovere il collo. Bene. Sarebbe scesa dal treno bloccata come un palo, un ottimo modo per iniziare le feste.

“Felice di essere a casa?”

“Sì, eccetto per le condizioni della mia schiena. Odio dormire in treno.”

“La prossima volta dormirò per terra e ti lascerò più spazio.”

“Mi sembra un’ottima idea.”

“Non dicevo sul serio, non voglio dormire per terra!”

Andrew inarcò un sopracciglio e guardò l’amica sbuffare, mormorando che allora per il viaggio di ritorno lei si sarebbe accaparrata una fila intera di sedili.

“Guarda il lato positivo, Iphe, io sto molto più scomodo di te, sono troppo alto e non riesco a dormire qui.”

“Povero Andrew, il dilemma di avere le gambe lunghissime.”

“Già, tu sei fortunata, sei bassa.”

“Io non sono bassa, sono formato da viaggio! E comunque, chiunque è basso in confronto a te!”

Iphigenia sbuffò, parlando con un’irritazione che fece sorridere l’amico, guardandola con affetto:

“Hai ragione, scusa. In ogni caso, ormai mancano solo un paio d’ore per arrivare a Londra. Sono felice di tornare a casa, mia madre cominciava a mancarmi.”

“Che tenerone!” Iphigenia sorrise, assestando una gomitata all’amico che venne accolta con un piccolo sbuffo:

“Sono felice di poter tornare a casa ad aiutarla, tutto qui. E tu? Felice di vedere i tuoi genitori?”

“Sì, certo.”

“Cerca solo di non parlare per tutte le vacanze di matematica con tuo padre, ti prego.”

Andrew sfoggiò una piccola smorfia, quasi compatendo la sorella minore dell’amica: il padre di Iphigenia le aveva indiscutibilmente trasmesso la sua passione per le materie scientifiche, vivere con loro non doveva essere affatto semplice.

“Sai, l’ho sempre trovato divertente.”

“Cosa?”

“Tu e mio padre vi chiamate allo stesso modo, eppure siete diversissimi. Lui è più… silenzioso, introverso diciamo, e poi a te la matematica non piace.”

“Certo che non mi piace, sono una persona normale, a differenza vostra.”

 

Iphigenia sorrise mentre l’amico si stringeva nelle spalle, evitando di dirle che cosa trovava quasi divertente lui: il padre di Eilidh, la ragazza per cui aveva avuto una cotta per secoli, insegnava matematica. Proprio come il padre di Iphigenia.

Ma nessuno dei due ebbe il tempo di dire altro, perché la voce assonata e quasi seccata di Jade giunse alle loro orecchie con un borbottio:

“Potete parlare a voce più bassa, piccioncini? Vorrei dormire un altro po’.”

“Jade, non chiamarci così!”  Iphe arrossì leggermente mentre l’amica, sbuffando, si voltava dall’altra parte, dando loro le spalle e mormorando qualcosa di appena comprensibile mentre chiudeva nuovamente gli occhi:

“Sì, sì, certo…”

 

*

 

21 Dicembre 1944


“CeCe?”

La porta si chiuse alle sue spalle con uno scatto e mosse qualche passo in avanti, addentrandosi nell’ingresso deserto, tirato a lucido e illuminato da una lampada.

Non ottenendo alcuna risposta si spostò nel salotto, ma non vide traccia di Charlotte neanche lì… non che ci fece troppo caso, comunque, catalizzando la sua attenzione sui due elfi che, grazie all’aiuto di una scala, stavano apparentemente svitando il lampadario.

“Che cosa… che cosa state facendo?”

I due elfi trasalirono al sentire la sua voce, voltandosi di scatto verso di lui prima di farfugliare qualcosa a mo’ di scuse, come a volerlo implorare di non punirli:

“La Signora ci ha detto di farlo, Signore.”

Per un attimo non si mosse e rimase in silenzio, limitandosi ad osservare il lampadario. Poi annuì, sospirando:

“D’accordo. Lei dov’è?”

“Di sopra, ha detto di voler stare sola.”

William girò sui tacchi e si diresse verso le scale a passo di marcia, chiedendosi come avesse fatto a dimenticarsi del primo anniversario.

“Charlotte?”  Aprì la porta della camera da letto con la certezza di ricevere una maledizione, un soprammobile o alla meno peggio l’ordine di lasciarla sola. Di certo avrebbe preferito quel trattamento rispetto a quanto si ritrovò davanti.

Charlotte, che non diede segno di averlo sentito, era seduta al centro del letto matrimoniale, le braccia strette intorno alle proprie gambe.

Per un attimo Will esitò sulla soglia, chiedendosi se non fosse davvero il caso di lasciarla sola, ma il loro cane, Stirling, sembrò pensarla diversamente e lo superò: trotterellò verso la padrona, saltando sul letto e guaendo di fronte alla rigidezza dei suoi muscoli, spingendo il naso sulla sua mano inerte, ma lei non si mosse né reagì in qualche modo. Aveva gli occhi inespressivi, il respiro affannoso e la pelle madida di sudore.

 

William sospirò e le si avvicinò, salendo a sua volta sul letto e sedendo sul materasso, dietro di lei, mentre Stirling, guaendo di nuovo, si acciambellava accanto alla padrona, appoggiando il muso contro la sua gamba rigida. L’ex Serpeverde, dopo aver spento la radio con un rapido colpo di bacchetta e chiedendosi perché Charlotte l’avesse accesa proprio quella sera, appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle e prese a massaggiargliele, una alla volta, lentamente e ritmicamente.

Un continuo, pulsante movimento che risuonò attraverso il corpo rigido dell’Auror finché le ripetizioni, prendendo gradualmente il sopravvento sul suo cervello paralizzato dall’orrore in una trance di tipo REM, cominciarono a penetrare nei muscoli, che presero ad ammorbidirsi perdendo rigidità.

Dopo qualche minuto il respiro di Charlotte si fece più calmo, ma gli occhi verdi rimasero vitrei, come se una parte di lei fosse ancora bloccata, incosciente, e Will la guardò riprendersi e tornare in sè lentamente, cominciando a percepire le sue mani sulle sue spalle o il morbido pelo grigio del levriero irlandese.

Charlotte si voltò verso di lui come se fosse sorpresa di vederlo, balbettando delle scuse mentre Will invece sorrise appena, circondandola con le braccia e lasciandole un bacio sulla spalla:

“Non ti devi scusare. L’hanno detto alla radio?”

“Sì. Forse avrei dovuto spegnerla… ma cercavo di non pensarci distraendomi.”

“Perché gli elfi stanno togliendo il lampadario, CeCe?”

“Sai che li odio.”

 

Il sussurro della fidanzata lo costrinse ad annuire, ricordando quando aveva insistito perché non c’è ne fosse uno nella loro camera, sostenendo di non riuscire a dormire avendone uno sopra la testa.

“Vuoi che scriva a Luisa?”

“No, sto bene.”

 

“… William, le tue scarpe sono sul MIO prezioso piumone?”  Charlotte ruppe il silenzio dopo qualche minuto parlando con tono stizzito, anche se la voce era ancora quasi rotta, e William inarcò un sopracciglio, fingendosi irritato:

“Fammi capire, Stirling può salire sul letto e io no, se indosso le scarpe?”

“Ovviamente. Luì è il mio tesoro.”

“Io non lo sono?”

“No, tu sei il mio irritante saputello.”

 

William sorrise, appoggiando il capo sulla sua palla, contro quello di Charlotte, esitando per un attimo prima di mormorare qualcos’altro:

“CeCe?”

“Mh?”

“Posso essere tuo marito, oltre che un irritante saputello?”


*

 

“Steph? Perché non provi a dormire un po’?”

Regan rivolse un’occhiata apprensiva alla moglie, che continuava a piangere ininterrottamente da quando erano tornati a casa. Era stata trattenuta a lungo in ospedale anche se stava bene, avevano voluto farle domande su domande per l’accaduto… ma alla fine Regan si era stufato e l’aveva portata via, asserendo che non fosse in grado di sostenere quella conversazione in quel momento.

La bionda scosse il capo e il pozionista sospirò, avvicinandolesi per sedersi accanto a lei, sul letto, e abbracciarla:

“Lo so, è stato terribile. Dispiace anche a me.”

“Solo… solo lei. Ne è uscita viva solo lei. John è sparito, e non abbiamo risolto niente. E io non ero lì.”

“Grazie al cielo non eri lì, Steph. Calmati.”

Regan le accarezzò la schiena mentre Stephanie si appoggiava a lui, abbracciandolo.

“Dovrei vedere come sta Charie…”

“Credo che al momento voglia stare sola, Steph, andremo a trovarla presto. Meno male che stai bene, mi sono sentito mancare quando l’ho sentito.”

Regan sospirò con sollievo, baciando i capelli della moglie e ringraziando chiunque si fosse occupato dell’operazione per non averla mandata, quella sera. Era stata svegliata da un urgente gufo del Dipartimento ed era corsa sulla scena senza nemmeno svegliarlo e avvertirlo.

“… ti amo, Reggie.”

“Anche io.”


*


“Come mai quel muso lungo?”

“Lo sai benissimo, avrei fatto volentieri a meno di tornare a casa…”

Gabriel sfoggiò una smorfia e Regan gli sorrise con fare consolatorio, dandogli una pacca sulla spalla:

“Suvvia, pensa che tra pochi giorni ci vedremo.”

“Per fortuna, direi.”

“Oh, guarda, arriva qualcuno che ti solleverà il morale… salve ragazze.”

Il sorriso di Regan si allargò quando si ritrovò davanti due Grifondoro, ma mentre Stephanie ricambiò il sorriso e il saluto, Elena sembrava più vicina a Gabriel sotto il punto di vista dell’umore e si limitò a salutare i due a mezza voce.

“Beh, auguri in anticipo… e buone vacanze.”

“Grazie, anche a te.”

 

Stephanie sorrise calorosamente al Serpeverde sotto lo sguardo scettico di Elena, che alzò gli occhi al cielo prima di rivolgersi a Gabriel, che le disse qualcosa con tono neutro:

“Anche tu non vedi l’ora di tornare a casa?”

“Naturalmente, non leggi forse la gioia sul mio volto?”

Gabriel sorrise appena alle parole della ragazza, scuotendo il capo:

“Temo di no, ma è incantevole come sempre.”

“Smettila, Gabriel.”

“Beh, almeno mi chiami per nome, facciamo progressi. Ci vediamo alla Vigilia, Elena. Verrai?”

“Non ho molta scelta.”

“Bene, nemmeno io.”

Gabriel sorrise, improvvisamente di umore leggermente migliore, prima di avvicinarlesi di un passo e chinarsi per darle un bacio su una guancia.

“Credo sia ora di prendere le nostre cose, Reg… a presto, signorine.”

Il Serpeverde sorrise prima di superare le due, seguito da Regan subito dopo, mentre Stephanie sorrideva, rivolgendosi all’amica:

 

“Dicevi sul definirlo una scimmia?”

“Oh, taci, tu maledicevi Carsen perché è il cocco di Lumacorno!”

“Beh, cambiare opinione è lecito, e penso che su questo siamo d’accordo, amica mia.”

“Steph, non ho bisogno delle tue perle di saggezza!”

 

*

 

“Vedi la mamma?”

“Non mi pare.”

Beatrix sbuffò, tenendosi la gabbia di Ecathe stretta a sè, insieme al suo baule, mentre suo fratello Markus si guardava intorno per cercare la madre nel bel mezzo della calca e Kat, accanto a lei, faceva lo stesso per cercare il fratellino.

“Mark, per caso riesci a vedere Nate?”

“Cosa sono, la vedetta?!”

“Beh, dal momento che noi non siamo certo delle giraffe, direi di sì!”

Beatrix sorrise alle parole della cugina, specie quando, poco dopo, una ragazzina bionda raggiunse il trio con un sospiro di sollievo:

“Eccovi, finalmente! Mark, mi dai una mano con il baule?”

“Ora non posso Davina, queste sue mi stanno sfruttando come vedetta. Hai visto Edward?”

“Sì, è laggiù con Nathaniel.”

La Corvonero accennò al fratello e al cugino, poco distanti, e Katherine sfoggiò un sorriso, facendo un cenno al fratellino:

“Nate, aspettami lì! Bene, ora vi saluto, ovviamente ci vedremo presto… salutatemi vostra madre. E non dite a nessuno che l’ho detto.”

“Tranquilla Kat, il tuo segreto è al sicuro. Darcy è con te o l’hai perso di nuovo?”

“Il furfante è in gabbia e qui resterà, va a spasso un po’ troppo spesso, per i miei gusti…”

Katherine rivolse un’occhiata torva al gatto prima di salutare i cugini e allontanarsi, raggiungendo Nate per trovare i genitori e andare a casa con loro.

“Allora piccoletto… sei pronto a tornare in gabbia? Anzi, che dico, tu sei il piccolo principe, quella in gabbia sono io.”

“Non dire così, ti vogliamo bene.”  Katherine si voltò verso il fratellino, sorridendo di fronte alla sua espressione quasi malinconica:

“Certo, tutti mi vogliono bene Nate, sono irresistibile!”

La sorella gli stampò un bacio su una guancia e il ragazzino sfoggiò una smorfia, scuotendo il capo:

“Forse non avrei dovuto dirlo.”

 

*

 

“Charlie, andiamo fuori a giocare?”

“Sean, ti ho già detto di non chiamare così tua sorella, non mi risulta che sia un maschio.”

“A me piace Charlie! È più bello di Charlotte.”  La bambina di sei anni sorrise allegramente alle parole della madre, che alzò gli occhi chiari al cielo prima di portarsi nuovamente la tazza di thè allle labbra, mentre i figli si allontanavano di corsa dal tavolo, uscendo dalla sala da pranzo dopo aver fatto colazione:

“Quei due sono impossibili. Specie tua figlia.”

“Com’è che quando si comporta male è mia figlia è quando fa qualcosa di buono è tua, Cassandra?”


“Charlie.”

“Come?”

Charlotte si voltò, confusa, e rivolse un’occhiata incerta a William, come se si stesse chiedendo se avesse capito bene.

Il collega era seduto a qualche metro di distanza davanti al tavolo, mentre lei aveva occupato una poltrona vicino alla finestra, ascoltando solo l’ultima parola del suo discorso: William infatti roteò gli occhi, parlando come se fosse un grande sacrificio ripetere due volte la medesima cosa:

“Ho detto che quando venivamo a scuola ti chiamavano tutti Charlie. Adesso ti fai chiamare CeCe. Perché?”

“È stato dieci anni fa Cavendish, si cambia.”

Charlotte sii strinse nelle spalle e torno a guardare fuori dalla finestra, ripensando a tutte le volte in cui aveva coretto i suoi colleghi, la sua famiglia, i suoi amici… CeCe, non Charlie.

“Perché me lo chiedi, Piccolo Lord?”

“Curiosità. E non chiamarmi così, Charlie.”

“CeCe. Gradirei essere chiamata così, o in alternativa per cognome, o il mio nome completo. Non Charlie.”

“Non ti piace? Chiedo scusa, in tal caso.”

Charlotte non aggiunse altro e Will indugiò con lo sguardo su di lei per un altro istante, quasi deluso prima di tornare a leggere.

Ovviamente sapeva il motivo del rifiuto verso quel soprannome, visto che il primo a chiamarla sempre così era stato suo fratello… sarebbe mai riuscito a farle parlare di lui?

 

*


“Dov’è?”

 

Evangeline varcò la soglia con un largo sorriso mentre Robert e Gregory la seguivano.

“Non saluti nemmeno? Potrei offendermi.”

“Scusa, non ti avevo visto… ciao Ben.” Evangeline sorrise al fratello maggiore, avvicinandoglisi per abbracciarlo. Sua sorella non amava particolarmente il contatto fisico e il gesto lo lasciò interdetto per un attimo, ma poi l’ex Grifondoro sorrise con affetto alla ragazza, ricambiando la stretta:

 

“Sono felice di vederti, cominciavi a mancarmi. È di là, comunque, sta dormendo.”

“Lo voglio vedere!”

Evangeline sorrise e quasi corse verso il salotto, ignorando l’epa risata del fratello di fronte alle facce perplesse dei genitori, che vennero bellamente ignorati.

 

“Merlino, è bellissimo! Ciao, piccolo Ray!”

“Ora l’abbiamo persa definitivamente. Evie, cerca di non mangiartelo di baci!”


*


Charlotte Selwyn non piangeva spesso, ma quella mattina, in piedi accanto al padre e di fronte al fratello maggiore, stava singhiozzando.

“Charlotte, non fare così.”

Sua madre alzò gli occhi al cielo, parlando con un tono molto diverso da quello usato da Sean poco prima, anche se pronunciarono le stesse parole.

La bambina non disse nulla, asciugandosi le lacrime e tirando su col naso mentre alzava lo sguardo su Sean, guardandolo sorriderle:

“Non piangere Charlie, torno presto.”

“Non è vero, torni tra più di tre mesi, ho contato i giorni!”

“Beh, passeranno in fretta. Ma mi mancherai anche tu.”

Sean l’abbracciò e Charlotte ricambiò la stretta, mormorando che non era giusto, che voleva andare ad Hogwarts anche lei.

“Ci verrai l’anno prossimo. Avrei dovuto andare a scuola già l’anno scorso Charlie, ma abbiamo dovuto rimandare per via del mio compleanno.”

La bambina sbuffò, mormorando che era stato molto meglio così sotto il suo punto di vista mentre scioglieva l’abbraccio, guardandolo sorriderle un’ultima volta prima di salire sul treno.

“Tranquilla, ti scriverò e ti racconterò tutto. Tu comportati bene, però.”

“Ok… ciao Seannie.”

Sollevò una mano, agitandola nella sua direzione e abbozzando un sorriso, dicendosi che Sean di certo non voleva vederla piangere. A lui piaceva vederla forte.

 

E così sarebbe stata


 



 

……………………………………………………………………………….

Angolo Autrice:

 

Lo so, è terribilmente lungo, spero che non vi dia fastidio, ma avevo molte cose da scrivere… e il prossimo credo che sarà anche peggio, forse lo dividerò in due parti.

Una piccola nota: come ho già accennato ad un paio di persone, è possibile che io cambi qualcosa riguardo quello che mi avete mandato sulle vacanze natalizie, ma non riguarderà tutti i personaggi, solo alcuni.

Detto ciò, a presto!

Signorina Granger

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Capitolo 13
*** Natale (Parte I) ***


Capitolo 12: Natale (Parte I)

 
24 Dicembre 1933



Charlotte afferrò il copriletto e lo tirò con decisione, coprendosi il viso per sfuggire alla luce che, seppur fioca, entrava nella stanza e che le infastidiva gli occhi chiari dopo ore passate nel buio più totale. 

Fece per minacciare l’elfo che l’aveva svegliata con la vestaglia, ma quando sentì una voce terribilmente familiare sbuffò, sapendo che non se ne sarebbe andata prima di aver ottenuto quello che voleva: 

“Non pensi che sia ora di alzarsi, Charlotte?”
“No mamma, altrimenti mi sarai già alzata da me.” 

La ragazza sbuffò mentre si decideva a scostarsi il copriletto dal viso, abituandosi lentamente alla luce improvvisa mentre una figura minuta le si avvicinava, sorridendole allegramente e tenendo un ammasso di pelo dalle orecchie lunghe e gli occhioni dolci tra le braccia: 

“È la Vigilia di Natale, non si spreca la giornata a letto!”
“Sono le otto infatti, non è certo tardi! E comunque, non ho intenzione di stare tra I piedi di mia madre, voglio starle il più possibile alla larga… oggi è sempre tremendamente nervosa, puntigliosa e pignola. Più del solito, vuole che tutto sia perfetto.”

Adela inarcò un sopracciglio e il sguardo cadde sugli scaffali presenti nella camera dell’amica, dove tutti i suoi libri erano sistemati in ordine alfabetico per autore. Ed aveva visto con i suoi occhi l’amica tenere i vestiti in ordine cromatico.

“Charlie, sei piuttosto pignola anche tu su certe cose, a dire il vero…”
“Forse, ma io non mi trasformo nel Krampus se qualcosa non è di mio gradimento! Ciao splendore.”

Charlotte si alzò dal letto e sorrise teneramente al cagnolino prima di prenderlo in braccio, sfilandolo delicatamente dalle braccia dell’amica.

“Che cos’è il Krampus?”
“Un mostro che odia il Natale, metà uomo e metà capra.”

Adela soffocò a fatica una risata, facendo ricorso a tutta la sua buona educazione per non scoppiare a ridere mentre l’amica, invece, la superava con noncuranza, senza nemmeno accennare a volersi cambiare prima di andare a fare colazione: 

“Scendi così?”
“Sì.”
“Non pensi che tua madre la prenderà male?”
“Naturalmente. Adela, provocarla è l’unica cosa divertente che possa fare con lei, lasciami almeno questo. Andiamo, Blackjack.”


*


24 Dicembre 1943



Regan inspirò profondamente, non facendo altro che ripetersi di non dover assolutamente cedere e reagire male, almeno non di fronte a Stephanie. Aveva passato i due giorni precedenti mettendo da parte i suoi sentimenti per cercare di starle vicino e aiutarla il più possibile a riprendersi, e per farlo non poteva assolutamente mostrarle di star soffrendo a sua volta, anche se l’Auror ne era comunque consapevole.
Il pozionista strinse delicatamente la mano della moglie, che gli era seduta accanto e si voltò brevemente verso di lui, abbozzando un accenno di sorriso. E pensare che quello sarebbe stato il primo Natale che avrebbero passato da sposati… non avrebbe mai pensato di trascorrere la mattina della Vigilia seppellendo un suo ex compagno di scuola, nonché collega della moglie. 

“Hai salutato Charlie?”
“No. È arrivata tardi, dopo i suoi genitori, non ho avuto modo di parlarle. Cercherò di farlo dopo.”

Regan annuì al sussurro della moglie, spostando lo sguardo dalla bara per posarlo sulla nuca ricoperta da lunghi capelli castani della sorella del defunto, che sedeva in prima fila, nella prima sedia, accanto a sua madre ma senza guardarla o tenerle la mano come forse chiunque si sarebbe aspettato. Entrambe tenevano gli occhi sulla bara e Charlotte non muoveva un muscolo, perfettamente impassibile… non aveva nemmeno proferito parola da quando era arrivata, limitandosi a camminare sul tappeto prima di raggiungere il suo posto e sedersi senza salutare nessuno. 



“Come credi che stia?”
“Vai a chiederglielo, di certo te lo spiegherà.”

Adela roteò gli occhi scuri, voltandosi verso il ragazzo che le stava seduto accanto per rivolgergli un’occhiata torva, suggerendogli che non era il contesto o il momento per il sarcasmo.

“Come se non avessi provato a contattarla, ma non risponde a essuda lettera. Ieri è andata al Dipartimento per liberare la scrivania di Sean, ho cercato di intercettarla ma è troppo veloce, dannazione.”
“Adela, ti sei messa a pedinare una tua amica?”
“A mali estremi, estremi rimedi. Ma non dovrebbe stupirci… conoscendola, è normale che reagisca così.”

“Che cos’ha in mano?”

Hector aggrottò la fronte, tendendo leggermente il collo per sbirciare l’oggetto che Charlotte teneva in mano, non facendo altro che rigirarselo tra le dita guantate, qualcosa d’oro, un oggetto di piccole dimensioni.

“Oh, vai a chiederglielo, sono certa che te lo spiegherà.”

Hector fece per ricordare alla moglie di come, un minuto prima, gli avesse intimato di non usare il sarcasmo mentre ora gli rigirava contro la sua stessa frase, ma decise improvvisamente di tacere di fronte all’occhiata quasi omicida che la zia di Charlotte gli rivolse, intimando ai due ex Corvonero di fare silenzio.

“Un po’ di rispetto!”
“Sì, ci scusi tanto.”
  

*


“Non voglio farlo, Kat! Non ci voglio andare, sarà tremendo! Non capisco, ha sempre e solo voluto che andasse mio fratello, perché ora la mia presenza a quella stupida cena è importante?”
“Beh, non poi così tremendo, ci sarò pur sempre io!”

Beatrix sospirò, scuotendo il capo con aria tetra mentre la cugina, invece, le sorrideva con scarsa convinzione a qualche chilometro di distanza, inginocchiata a sua volta davanti al camino tenendo Darcy tra le braccia, che si stava godendo il tepore e le coccole della padrona.

“Grazie al cielo. Ma ci saranno anche i tuoi cugini, ti ricordo!”
Beatrix piegò le labbra in una smorfia, evitando accuratamente di dire a volte alta “i miei fratellastri” mentre Katherine annuiva, leggermente in difficoltà: quando la cugina le aveva detto che suo padre voleva che partecipasse a sua volta alla consueta festa di Natale di ogni anno era rimasta sorpresa a sua volta, dopotutto.
“Sì, ehm, in effetti Adrian potrebbe non essere particolarmente felice di vedere te e Mark a casa sua domani sera, dirò a Maximilian di tenerli d’occhio ed evitare che si azzuffino sopra la zuppiera di mia zia il giorno di Natale… dopo la rissa al campo, non si può mai sapere.”

“APPUNTO! Ma che ha in testa mio padre, è cieco e non si rende conto di che rapporti corrano tra di noi o semplicemente non gli importa?!”
“Non è un idiota, opterei per la seconda opzione, tua madre cosa dice?”

“Niente, come al solito. Lei ha la pessima abitudine di non mettere mai in discussione quello che esce dalla bocca di mio padre.”
“Non è l’unica. Anche se, in effetti, non mi è ben chiaro perché tuo padre ti voglia lì soltanto ora.”

“Non è forse ovvio? Sta pensando se riconoscermi ufficialmente o meno. E chissà, magari coglierà l’occasione per mettere in mostra sua figlia e vedere se qualcuno possa interessarsi a lei… forse più che un ricevimento si dovrebbe parlare di asta, non credi?”

“Non dire così. Markus che ne pensa?”
“Credo stia progettando di scappare in Etiopia e chiedere asilo politico. Potrei andare con lui. La cosa peggiore è che mio fratello Edward ci invidia davvero, spero che col tempo capisca e cambi idea… vorrebbe davvero essere uno di voi, e non lo capisco. Senza offesa, ovviamente.”

“Non siamo la famiglia perfetta, sono la prima a riconoscerlo. Quanto ad Ed, ha solo 12 anni, magari crescendo cambierà opinione. Quanto alla festa di domani sera, non penso che tu abbia molta scelta se tuo padre ha deciso, ma potresti sempre comportarti in modo pessimo, così lui non ti riconoscerebbe di sicuro e tu potresti restare, per quanto possibile, esattamente dove desideri: nell’anonimato.”

“Hai ragione, credo che mi presenterò in camicia da notte, bigodini e struccata. Così nessuno mi vorrà è forse mio padre si arrenderà.”

Beatrix annuì e la cugina sorrise, asserendo che la trovava un’idea splendida: 

“Oppure potresti mandare tuo fratello al tuo posto, visto che smania tanto per andarci… dopotutto siete alti praticamente uguali e ha ancora una voce abbastanza infantile: mettigli una parrucca in testa, dagli una truccata e via, ecco il tuo sosia perfetto per una sera.”
“Un piano infallibile Kat, non se ne accorgerà nessuno.”
“Sono sicura che Edward farà strage di cuori.”

Katherine rise, immaginandosi chiaramente lo zio avere un infarto bello e buono di fronte ad uno spettacolo simile mentre Beatrix, sospirando, scuoteva debolmente il capo:

“Il sosia sarà per la prossima volta, temo di non avere scampo… preparati Kat, ti starò appiccicata come una sanguisuga.”
“Non temere dolce fanciulla in difficoltà, domani sera io e Darcy ti terremo al sicuro da possibili viscidi.”
“Ora sono molto più tranquilla.”

“Lo credo bene!”


*


Evangeline amava i suoi fratelli, e lo stesso si poteva dire dei bambini.
Eppure, mentre stava disperatamente cercando di finire un tema di Storia della Magia con le urla di Ray in sottofondo, si ritrovò a desiderare di affatturarli entrambi. 

No, ovviamente non il piccolo Ray, lui aveva conquistato il suo cuore quando aveva allungato pigramente una manina e le aveva afferrato il dito poco dopo averla “conosciuta”.
No, a subire la sua ira sarebbero stati quegli incompetenti dei suoi fratelli. 
Evangeline si alzò e uscì dalla sala da pranzo a passo deciso, maledicendo mentalmente sua madre e sua sorella per essere andate a “fare le ultime compere natalizie”, lasciando il bambino alle cure degli zii materni… ovviamente Gregory si era defilato non appena madre e sorella erano uscite, e per quanto già stravedesse per il bimbo Evie non poteva permettersi di perdere tutto il pomeriggio per badare a Ray, così lo aveva lasciato ingenuamente alle cure di Benjamin e Robert. 
Aveva come la sensazione che sua sorella fosse molto felice che i suoi fratelli fossero tornati a casa per le vacanze, così da poter scaricare il figlio su di loro e godersi le compere in pace. 

Ma a giudicare dal pianto assordante ed incessante del bambino quei due non stavano facendo un gran lavoro.

“SI PUÒ SAPERE CHE COSA CI VOGLIA A FARLO SMETTERE? SONO DUE ORE CHE PIANGE, STATE ALMENO PROVANDO AD AZIONARE I NEURONI O LE VOSTRE SINAPSI SONO ANDATE IN SCIOPERO?”

La bionda raggiunse il salotto a passo di marcia e fulminò i due fratelli con lo sguardo, mettendosi le mani suoi fianchi mentre Ray continuava a singhiozzare e Benjamin, che lo teneva in braccio, le rivolgeva un’occhiata quasi implorante:

“Evie, ci stiamo provando, ma non siamo delle tate, nel caso non te ne fossi accorta!”
“Già, non siamo esperti di bambini. Non c’è un… bottone per farlo smettere?”

“No, certo che no… non oso immaginare cosa accadrà alle povere creature che genererete voi due… Certo che piange, lo tieni stando rigido come un lampione, si fa così!”


La bionda alzò gli occhi al cielo mentre si avvicinava a fratelli e nipote, non potendone più di quel pianto insistente. Prese il bambino dalle braccia del maggiore senza tante cerimonie e lo prese in braccio, consigliando caldamente a Benjamin e Robert di “prendere esempio”… e i due si ritrovarono a sgranare gli occhi, a metà tra stupore ed ammirazione, quando Ray si calmò di botto, smettendo di piangere e limitandosi a mugugnare qualcosa sommessamente mentre la zia teneva una mano sulla sua nuca e con l’altra lo sorreggeva delicatamente, lanciando un’occhiata torva ai due fratelli:

“Visto? Non è impresa impossibile.”
“Ma… questo non significa niente, è ovvio che con te si calmi, tu hai qualcosa che noi non abbiamo!”
“Non è per questo, voi due semplicemente non sapete tenere un bambino in braccio senza farlo sentire a disagio. Povero Ray, vieni con la zia Evie, questi due stupidi non capiscono niente.”

La ragazza lasciò un bacio sulla fronte del nipotino prima di girare sui tacchi e allontanarsi, mentre alle sue spalle Benjamin e Robert continuavano ad osservarla, stralunati:

“Potrebbe avergli fatto un incantesimo.”
“Oppure più semplicemente il bambino è un ruffiano bastardello. Beh Billie, stasera io ed Evie saremo fuori, così come mamma, papà, Caroline e il nostro amato cognatino, quindi sei ufficialmente promosso come baby-sitter.”

Benjamin sorrise e assestò una pacca sulla spalla del fratellino prima di girare sui tacchi e allontanarsi, lasciando il sedicenne Grifondoro a spalancare gli occhi con orrore:

“COSA?”


*


Aurora varcò la soglia ormai familiare di casa Selwyn con un sorriso sulle labbra e sua madre accanto, puntando gli occhi dritti sulle scale, in attesa di ricevere il comitato di benvenuto. 

“Beh? Nessuno viene a salutarmi? Ah, eccovi qui… spero che Evie sfugga al loro assalto, quando arriverà.”

Aurora sorrise quando vide un gruppetto di cagnolini correre giù dalle scale – rischiando di inciampare a causa delle dimensioni ridotte delle loro zampe – e correre verso lei e la madre, che rise mentre la figlia si inginocchiava per salutare i tre Cavalier King. 

“Lo hai detto a Charlie?”
“No, ma farò meglio a rimediare…”
“Daisy, lascia stare le scarpe della Signora Temple! Ciao Aurora.”

Charlotte scese le scale con un sorriso sulle labbra, guardando l’amica come se fosse sinceramente felice di vederla e i tre cani scorrazzavano di nuovo verso di lei, saltellandole intorno per ricevere attenzione.

“Ciao Charlie… Come procedono i preparativi?”
“Non lo so, io cerco di farmi gli affari miei il più possibile, in momenti come questo è meglio. Hai portato tutto?”

“Ovviamente.”

Aurora sorrise e annuì mentre l’amica, dopo averla presa sottobraccio e aver salutato sua madre, parlava con un sorriso dipinto sul volto:

“Signora Temple, mia madre è in salotto, sarà felice di vederla… e prima che tu me lo chieda, mio fratello è in Biblioteca.”
“Non volevo chiedertelo!”
“Certo, certo… vieni, Adela è di sopra, ci dobbiamo dare una mossa.”

“Charlie, cara, Aurora sarebbe capace di restare chiusa in bagno a prepararsi fino a Capodanno.”
“Mamma, potrei dire lo stesso di te, e papà sarebbe d’accordo.”


“Almeno io non lo nego…”


*


Con gran rammarico dei suoi fratelli, che avevano sempre voluto poter tenere degli animali domestici, Evangeline aveva dato prova molto presto di essere allergica al pelo dei cani e dei gatti, tanto da sviluppare, con il tempo, quasi una fobia nei confronti di quegli animali.

Le era capitato spesso di essere derisa per quella sua peculiarità, ma quando veniva accusata di nutrire una vera e propria fobia nei confronti degli animali domestici più amati dal mondo intero, Evangeline era solita difendersi sostenendo che si, era vero, cani e gatti non le piacevano, ma non ne era terrorizzata, affatto. Dopotutto che cos’era una fobia? Una risposta anomala ad una situazione normale. E le sue reazioni di fronte a quelle palle di pelo ambulanti non erano affatto anomale… o sì? 


Quando aveva messo piede nell’ingresso era stata accolta da una Charlotte sorridente e di buon umore, che dopo averla invitata a seguirla in camera sua, dove si trovavano già Adela ed Aurora, le aveva raccomandato di prestare attenzione alle “belve”prima di girare sui tacchi e iniziare a salire le scale, sostenendo che stesse facendo avanti e indietro più volte quel giorno che in un mese intero.

Ma la bionda non aveva affatto sentito quella parte, il suo cervello di era irrimediabilmente bloccato e focalizzato sulla prima parte della sua frase, specie sulla parola “belve”. E quando sentì un suono terribilmente familiare, la ragazza smise anche di camminare, deglutendo a fatica quando vide tre palle di pelo correre verso di lei.

Cani
Tre cani
Pessima, pessima idea

“No! Charlotte, per favore, non farmeli avvicinare!”

Evangeline deglutì, sollevando istintivamente la borsa che teneva in mano e stringendola tra le braccia, quasi a volersi difendere da quelli che, probabilmente erano i cani più innocui con cui avesse mai avuto a che fare, ma per lei non era molto diverso, erano sempre e solo cani.

“Rilassati, sono buonissimi, vogliono solo giocare.”
“N-non è solo questo… non li posso toccare!”

“Blackjack? Lasciala stare, non vedi che non vuole giocare? Vieni qui.”

Charlotte la raggiunse e prese il cagnolino in braccio prima di girare sui tacchi e allontanarsi, dicendo alla ragazza di salire al piano di sopra mentre portava i cani dal fratello, facendola sospirare di sollievo:

“Grazie. Non hai gatti, vero?”
“Cielo, no, io sono una cinofila.”

Le parole della compagna di Casa la fecero quasi sorridere, annuendo mentre si affrettava a superare i cani per avvicinarsi alle scale, ben lieta di raggiungere Aurora e Adela al piano di sopra dove, si sperava, non avrebbe trovato altri canidi pronti ad assalirla per essere coccolati, ma solo un piccolo Fennec tremendamente viziato.


*



“Denny? Ti posso parlare?”

Denebola alzò lo sguardo sul cugino e gli sorrise, annuendo mentre si alzava dalla poltrona dove si era appollaiata poco prima per raggiungerlo:

“Certo, ma prima lasciati sistemare il papillon… non vorrai fare brutta figura. Anzi, che dico, non potresti fare brutta figura comunque, hai la fortuna di avere una bella faccia.”
Jack sorrise mentre Denebola gli raddrizzava distrattamente il papillon nero prima di sorridergli, sistemandogli il bavero della giacca:

“Devo ammettere che mi dispiace non poter stare con te, stasera.”
“Lo so, ma un invito è un invito, no? Staremo di certo insieme domani. Però, prima di andare, ti devo dare una cosa.”

“Un regalo in anticipo?”
“No, purtroppo no… anzi, spero davvero che non ti rovini la serata, ma non credo di riuscire ad aspettare fino a dopodomani. Ho ricevuto questa, una settimana fa. Me l’ha inviata mia madre, ma è per te.”

Il Serpeverde porse alla cugina una busta che si portava perennemente appresso da una settimana per evitare che lei o suo padre la trovassero, certo che lui non l’avrebbe presa bene e ne sarebbe nata una bella lite con sua madre per non avergli detto di aver ricevuto notizie del fratello.

“E perché tua madre l’ha mandata a te? … l’hai aperta? Jack!”
“Non volevo farmi gli affari tuoi, Denny, mia madre me l’ha inviata e mi ha espressamente detto di leggerla e poi di decidere se dartela o meno. Confesso che non mi piace, ma non credo sia giusto tenerti all’oscuro.”

La Corvonero prese la busta e la voltò, visibilmente confusa. Lesse il suo nome scritto con una calligrafia che non aveva mai visto fino a quel momento e fece per tirare fuori la lettera dalla busta, ma Jack la bloccò, prendendole una mano:

“Potresti leggerla mentre sarò fuori, Denny?”
“Perché? Jack, hai detto di averla da una settimana, se fosse così grave me l’avresti già data, no?”

“Non sapevo come dirtelo, ha lasciato sorpreso anche me, non so come la prendersi tu… ma penso che tu debba leggerla da sola. E spero che non ce l’avrai con me per averci messo tanto.”

Denebola guardò il cugino con gli occhi chiari sempre più confusi, studiando il familiare volto del ragazzo, che si era rabbuiato ed evitava accuratamente di ricambiare il suo sguardo, in cerca di qualcosa. O almeno per qualche secondo, finché un’idea che avrebbe reputato impossibile fino a dieci minuti prima non s’impossessò di lei: la Corvonero s’irrigidì, spalancando gli occhi azzurri e aprendo la bocca senza emettere alcun suono, abbassando li sguardo sulla busta che teneva ancora tra le mani prima di sussurrare qualcosa così piano che Jack la senti a fatica, anche se erano uno di fronte all’altra:

“… è sua?”
“Sì.”
“E dice perché…”

“No. Ma come ho detto, vorrei che tu la leggessi da sola. E ti prego, non dire niente a mio padre, s’infurierebbe con mia madre e non voglio che litighino di nuovo a proposito di tuo padre.”
“… d’accordo. Lo zio Paul non lo saprà, non per mano mia. E ora sbrigati Jackie, non puoi certo arrivare in ritardo, non te lo si potrebbe perdonare, nemmeno con una faccia come la tua.”

La ragazza piegò le labbra in un sorriso, cercando di stendere la tensione e facendogli cenno di andare, guadagnandosi solo un piccolo, amaro sorriso:

“Sappiamo entrambi che dovrei avere un altro cognome per farmi perdonare davvero qualunque cosa, Denny.”


*


Hector sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli e chiedendosi sinceramente fino a che punto sarebbe riuscito a reggere: in pratica la cena doveva ancora iniziare e aveva già un tremendo mal di testa. 
Il piccolo di casa Grayfall decise di lasciare il salotto, dove padre, fratelli, zii e cugini si stavano dilettando nelle loro consuete conversazioni garbate e cordiali per raggiungere la madre in cucina, chiedendole se potesse fare qualcosa per aiutarla:

“Caro, sei in vacanza, non pensare a me.”
“Ti assicuro che stare qui a spignattare non mi dispiacerebbe, piuttosto che restare di là a subire pessime battutine.”

MiraJane si voltò verso il figlio minore, rivolgendogli il suo consueto sorriso affettuoso mentre si puliva le mani nel grembiule:

“Te l’ho sempre detto, Thor, con i Grayfall devi portare molta pazienza, te lo dico io, che ho sposato questa famiglia.”
“Già, mi chiedo come tu faccia, in effetti.”
“Sono delle zucche vuote e tremendamente infantili, i tuoi fratelli sono decisamente più bambini di te… tu sei diverso, Thor, e va bene. Pensa che noia, essere tutti uguali, in famiglia.”

La donna sorrise ma il figlio non la imitò, avvicinandolesi per sedersi sul tavolo e prenderle il capo tra le mani con fare desolato: 

“So che mi vogliono bene, mamma, ma comincio ad essere un po’ stanco. Essere quello diverso è dura, alla lunga.”
“I tuoi fratelli sono degli idioti, Thor, non mancano mai di farti notare la tua Casa diversa, i tuoi voti decisamente diversi, il tuo scarso interesse nel seguire le orme di famiglia… forse sono solo invidiosi, ci hai mai pensato? Quello più sveglio sei tu, qui dentro. E anche se tuo padre vorrebbe tanto che tu diventassi un Auror come i tuoi fratelli, è giusto che tu segua la tua strada, intesi?”

“Grazie. Però ti sbagli su una cosa, mamma. Non sono io il più intelligente, qui dentro.”

MiraJane aggrottò la fronte e fece per riprovare il figlio per la sua tendenza a sottovalutarsi e sminuirsi spesso, ma poi capì a chi si stesse riferendo Hector e sorrise di rimando al ragazzo, avvicinaglisi per abbracciarlo. 

“Mamma, sei tutta sporca, lasciami!”
“Thor, ti adoro e lo sai bene, ma non fare il signorino perfetto!”


*


Una smorfia appena percettibile increspò le labbra di Axel quasi senza che il ragazzo se ne rendesse conto, accorgendosi di non essere solo nella stanza solo quando sentì la voce curiosa della sorellina:

“Brutte notizie?”
“No, va tutto bene.”

Il Grifondoro si voltò verso la sorella mentre ripiegava con cura la lettera che teneva in mano, guadagnandosi osi un’occhiata perplessa da parte della ragazzina, che si avvicinò al fratello maggiore e sedette accanto a lui, sul divano:

“E allora perché hai fatto quella faccia? È Natale, dovresti essere felice.”
“Non è per me… è per la mia amica Elena, non sta passando un bel periodo, anche se è Natale. Il fatto che un signore vestito di verde porti regali non assicura sempre serenità, sai?”*

“Non parlarmi come se fossi una bambina, so che non esiste, me lo ha detto Edward!”

Elisabeth incrociò le braccia al petto con aria risulta, lanciando un’occhiata torva al fratello maggiore, che si trattenne dal ricordarle che effettivamente ERA una bambina, ma che ebbe vita breve come sempre, sparendo subito dopo:

“Non importa. Che cosa succede ad Elena? È simpatica. Edward dice che è la tua fidanzata.”
“Edward dice molte cose, spesso stupidaggini, non ascoltarlo, ok?”

“Dice anche che vorrebbe arruolarsi, se avesse la tua età. È una stupidaggine anche questa?”

Elisabeth rivolse un’occhiata curiosa al fratello, che però scosse il capo, distogliendo lo sguardo e borbottando qualcosa a mezza voce mentre osservava il tappeto ai suoi piedi:

“No, questa purtroppo non lo è.”
“Quando finirai la scuola lo farai anche tu? È pericoloso?”
“Io sono un mago, Betty, noi non… non ci arruoliamo, non abbiamo un vero e proprio esercito, come quello dove lavora papà.”

“Meglio così.” La bambina sorrise, rincuorata, e Axel l’abbracciò, mormorando che le era mancata moltissimo in quei quattro mesi. E poco gli importava se suo padre sarebbe comparso nella stanza da un momento all’altro, sfoggiando un’espressione quasi schifata per poi ricordargli che un ragazzo non avrebbe dovuto essere tanto sentimentale, nemmeno con la propria sorellina.

“Axel? Cosa fai nella tua scuola? Edward mi ha raccontato che fate cose brutte agli animali, è vero?”
Elizabeth alzò nuovamente lo sguardo sul fratello, gli occhi chiari che condividevano spalancati mentre Axel sospirava, scuotendo il capo prima di abbozzare un sorriso divertito:

“Sai cosa ci insegnano, Betty? A far stare zitti i tipi come Edward, che dicono stupidaggini tutto il santo giorno.”


*


“Mamma? Smettila di cucinare!”

Andrew alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se quello di sua madre non fosse diventato una specie di disturbo ossessivo mentre la donna infarinava il matterello con aria colpevole:

“Mi manca ancora un’ultima infornata!”
“Ma non ne hai già fatte sei?!”
“Ma è la cena di Natale, e sono i tuoi biscotti preferiti! E poi voglio farne in più, così potrai mandarli ai tuoi amici.”

Andrew, per un attimo, immaginò Iphigenia scartare i biscotti e quasi rise figurandosi la gioia della ragazza, ma si ridestò rapidamente e si avvicinò alla madre, rendendole il matterello dalle mani dopo essersi arrotolato le maniche della camicia bianca sotto ai gomiti:

“Se sono per i miei amici, allora li preparerò io, vai a cambiarti. E no, non pulire, sistemerò con la magia.”

Il tono fermò del figlio fece indispettire leggermente la donna, che inarcò un sopracciglio e lo guardò con le mani sui fianchi:

“Pensavo di esser io il genitore, qui dentro!”
“In teoria sì, ma lavori sempre troppo, finché sono a casa voglio esserti d’aiuto, non farti stancare ulteriormente.”
“Va bene, come vuoi… grazie, tesoro. … ti dispiace se ti faccio compagnia? Così mi racconti qualcosa. Come sta Jade?”
“Bene.” La voce del ragazzo arrivò alle orecchie della madre con un brontolio sommesso, sapendo dove sarebbe andata a parare subito dopo, ma lei decise di ignorarlo e continuò a sorridere come se nulla fosse:

“E Iphigenia?”
“Sta bene anche lei. Mamma, non parlare con quel tono!”
“Quale tono?!”
“Quello da comare!”
“Io non ho un tono da comare, come ti permetti?”

La Babbano sbuffò e fece per colpire il figlio sul copino (ma dovette accontentarsi del braccio, visto che non arrivava con particolare facilità al collo del ragazzo), sentendolo ridacchiare mentre finiva di stendere l’impatto è prendeva un bicchiere per ritagliare i biscotti:

“Sarà, forse l’ho solo immaginato.”
“Spero davvero che tu sia più gentile con Iphigenia.”
“Mamma, dovresti saperlo, hai cresciuto un vero gentiluomo… e mi spieghi perché proprio Iphigenia?!”
“Così, è il primo nome che mi è venuto in mente… ma forse sto delirando per la stanchezza, vado a cambiarmi. Anche se…”

“Cosa?”  Il rosso sollevò nuovamente lo sguardo sulla madre, preparandosi automaticamente al peggio quando si accorse del suo sorrisetto fin troppo divertito:

“Non mi hai detto che il padre di Iphigenia, oltre a chiamarsi come te, insegna matematica? Buffo, anche il Signor Scott insegna matematica! Sei per caso attratto dalle materie scientifiche, Andrew?”

Iona trattenne a stento una risatina mentre invece il figlio sospirò, rivolgendole un’occhiata quasi implorante:

“Mamma, possiamo evitare di parlare di Eilidh, per favore?”
“Tesoro, sei stato tu a decantare a gran voce le tue pene d’amore per mesi… sei così teatrale, a volte. Ma hai ragione, ho cresciuto un vero gentiluomo. Tuo padre sarebbe molto fiero di te.”

Questa volta anche Andrew sorrise, smettendo momentaneamente di concentrarsi sui biscotti che stava preparando per rivolgersi alla madre, che gli sorrise di rimando con affetto:

“Tu dici?”
“Certo… Gli somigli molto. Era un tale marpione anche lui…”
“Mamma!”


*


Elena lasciò che controllassero il suo invito senza proferire parola, quasi desiderando di sentirsi dire che c’era stato un errore e che sarebbe dovuta tornare a casa. 
Le era sempre piaciuta la compagnia di altre persone, non era mai stata solitaria, ma non era in vena di confusione, quella sera… specie considerando che non ci sarebbero stati i suoi migliori amici. Si sfilò il mantello quasi di malavoglia per lasciarlo nell’apposito guardaroba, ripetendosi che se ne sarebbe potuta andare dopo circa quattro ore, il tempo di raggiungere la mezzanotte, fare gli auguri di Natale e poi filarsela.
Restava solo da capire COME avrebbe fatto a sopravvivere a quelle quattro ore.

Si lisciò distrattamente la gonna blu notte del suo vestito mentre si apprestava a raggiungere l’enorme sala da pranzo per il banchetto, incrociando Aurora Temple con Adela Quested accanto, impegnate a ridacchiare della figlia dei padroni di casa, che era stata praticamente messa con la forza ad accogliere gli ospiti e sfoggiava un sorriso tiratissimo, come se morisse dalla voglia di mandare tutti i presenti al diavolo e andarsene. 

“Ciao, Charlotte.”
“Ciao Elena… sei stata incastrata anche tu?”
“Già.”  La Grifondoro annuì, sorridendo con una nota di compassione prima di spostarsi verso la porta, lasciando che il sorriso plastificato di Charlie si rivolgesse al volto decisamente più rilassato di Katherine Burke, che le si stava avvicinando tenendo il fratello maggiore a braccetto:

“Charlie, ciao! Perché sorridi in quel modo?”
“Temo proprio di non riuscire più a tornare normale, questo sorriso si è impossessato di me.”

Katherine fece per informarla di trovarla molto simile allo Stregatto in quel momento, ma vista la vicinanza con I genitori decise saggiamente di glissare e si limitò a sorridere alla Corvonero prima di allontanarsi insieme a Maximilian, guardandosi intorno con impazienza:

“Cerchi Gabriel?”
“Sì, non l’ho visto, forse non è ancora arrivato… oh, c’è Elena, bene.”
“Elena MacMillan?”
“Certo. Oh, giusto, tu non lo sai… ci sono un paio di cose di cui devo informarti, Max.”


La Grifondoro piegò le labbra in un sorriso divertito e molto poco rassicurante che costrinse il fratello ad accigliarsi, non potendo far altro se non porgere muti auguri al povero Gabriel.








*: nel caso qualcuno non lo sapesse e si stesse chiedendo se sono daltonica, Babbo Natale ha iniziato ad essere frequentemente raffigurato vestito di rosso solo nel corso degli anni 30, quando venne utilizzato dalla Coca-Cola come “testimonial”



………………………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

Come avevo predetto, ho diviso il capitolo sul Natale in due parti, o sarebbe diventato chilometrico… anzi, di certo il prossimo lo sarà in ogni caso, ma da quel che ho capito non vi dà fastidio, quindi tanto meglio. 

A presto! 
Signorina Granger 




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Capitolo 14
*** Natale (Parte II) ***


Molti personaggi non compaiono o comunque molto poco, mi dispiace ma come potrete vedere è già lunghissimo così
Buona lettura 



Capitolo 12: Natale (Parte II) 



25 Dicembre 1943 


La porta si aprì di scatto, facendo cigolare rumorosamente i cardini a causa dell’eccessiva enfasi con cui l’anta venne spalancata. Se fosse stata addormentata, di certo si sarebbe svegliata sobbalzando, ma al sentire quell’inconfondibile rumore non fece altro che sospirare, affondando ulteriormente il viso nel cuscino di piume mentre il rumore di passi sul parquet le suggerivano che sua madre si stava avvicinando alla finestra per spalancarla e aprire le serrande, facendo finalmente entrare un po’ di luce nella camera che era rimasta al buio per un giorno intero. 

“Credo di essere abbastanza grande da decidere da sola quando alzarmi.”
“Considerando che negli ultimi tre giorni sei uscita da questa stanza solo due volte, credo che tu non ne sia in grado, al momento.”

Charlotte, il volto praticamente ancora nascosto sotto il copriletto, roteò gli occhi al sentire la voce pacata e ferma della madre, il tono che usava quando voleva convincerla a fare qualcosa senza ammettere repliche. Repliche che, ovviamente, non mancavano mai in ogni caso.
In realtà sua madre aveva ragione, da quando era tornata a casa la notte del 21 era uscita da lì praticamente solo per recarsi al Dipartimento due giorni dopo e liberare la scrivania di Sean il giorno prima, per andare al suo funerale. Poi era tornata a casa, andandosene per prima e in fretta e furia per evitare di subire le deprimenti condoglianze di tutte quelle persone, e si era nuovamente chiusa in quella stanza che non era sua. 
Charlotte Selwyn soffriva di una leggera forma di iperattività, stare ferma a lungo non era mai stato il suo forte, così come non parlare per giorni interi… aveva sempre avuto, fin da bambina, la tendenza a dimenarsi e a muovere in continuazione le gambe anche da seduta, a giocare distrattamente con qualunque cosa avesse a portata di mano, magari quando era soprappensiero. 
In un altro momento, in una situazione normale, avrebbe assicurato che per lei restare chiusa in una stanza per tutto quel tempo senza fare nulla sarebbe stato impossibile… eppure, durante tutte quelle ore passate in un letto, sveglia per la maggior parte del tempo, non aveva mai sentito il bisogno di alzarsi e fare qualcosa.

E forse sua madre l’aveva trovato altrettanto strano.
Sentì i passi avvicinarlesi e un attimo dopo le mani della donna si strinsero attorno al bordo del copriletto, scostandoglielo leggermente di dosso e facendola sospirare rumorosamente:

“Mamma, lasciami in pace. Per una volta nella tua vita, prova un po’ di empatia nei miei confronti!”
“L’ho fatto, nessuno ti ha disturbata in questi giorni, non ti ho obbligata a venire al funerale, ci sei venuta da sola. E sono felice che tu l’abbia fatto, ma ora devi alzarti, Charlotte. È Natale.”

“Non è Natale.” Il borbottio della figlia giunse alle sue orecchie, facendola sospirare mentre Charlotte si girava su un fianco con cocciuta determinazione. Per lo meno quella non era sparita.
 
“Certo che è Natale. Ed è il tuo giorno preferito, quindi alzati.”
“Non quest’anno. Non ho voglia di festeggiare o di vendere nessuno, mamma, possibile che tu non lo capisca? Non mi sembra una richiesta tanto fuori luogo, considerando che ho perso mio fratello tre giorni fa e che giorno è oggi!”

“Lo capisco, Charlotte, ma non puoi passare anche oggi chiusa qui dentro, non te lo permetterò. Devi vedere qualcuno, parlare con qualcuno. Nessuno di noi vuole festeggiare, oggi, ovviamente, ma i tuoi zii verranno più tardi.”

“Certo, quest’anno brinderemo alla dipartita di Seannie?”
“Certo che no. Nessuno brinderà a niente oggi, vengono per starci vicino. È questo che si fa in una famiglia!”


Charlotte si voltò verso la madre, inarcando un sopracciglio e rivolgendole un’occhiata quasi seccata:

“Davvero?”
“Smettila, Charlotte. Non iniziare.”

Cassandra accennò ad una smorfia con le labbra, facendo un passo indietro per raggiungere la porta, ma la voce della figlia giunse alle sue orecchie prima di poterlo fare: 

“Perché sembro l’unica a reagire? Perché sembra che io sia l’unica, qui, ad aver perso un membro della propria famiglia? Perché TU non dici niente, come sempre? Ieri c’è stato un funerale mamma, di tuo figlio, non hai organizzato l’ennesimo ricevimento, ma un funerale! Perché sembra che io sia l’unica a ricordarselo?!”

“Certo che non sei l’unica! Pensi che io sia felice di tutto questo?”
Cassandra si voltò verso la figlia, e il suo tono di voce di alzò di un paio di ottave mentre Charlotte, che era alzata a sedere sul materasso, le rivolgeva un’occhiata scettica, scuotendo il capo:

“Non lo so. È questo il punto, mamma, io non so mai che cosa pensi, non reagisci mai a niente! Mostra quello che provi, per una volta!”
“IO devo mostrare quello che provo, Charlotte? Quando qualcosa va storto tu ti chiudi in una stanza e non ne esci per giorni interi, vuoi stare da sola, non parli con nessuno, allontani chiunque! Sei TU quella che non parla mai di cosa prova!”

“Almeno IO reagisco in qualche modo! Sembra che sia morto il tuo cane, mamma, non tuo figlio! Anzi, che dico, quando è morta Daisy non hai battuto neanche ciglio.”

“Vuoi davvero parlare del cane adesso, Charlotte?”
“È un dannato esempio, mamma! Voglio capire perché sembra che qui l’unica a stare male sia io, l’unica che prova qualcosa!” 

“Smettila, Charlotte. Smettila di avere la presunzione di essere l’unica, qui dentro, a tenere a lui. Sei TU ad essere egoista, non io o tuo padre, anche se ci accusi di esserlo da sempre… Tuo fratello ti amava troppo, ti permetteva qualunque cosa.”

Cassandra parlò con amarezza, quasi disapprovazione mentre stringeva una mano sulla maniglia della porta e la figlia continuava a guardarla, inarcando un sopracciglio:

“Ti sei mai chiesta perché credeva di dovermi amare così tanto, mamma?”
La donna aprì la porta con un gesto secco, sapendo a cosa stesse alludendo la figlia ma senza avere voglia di sentire quelle insinuazioni, l’implicita accusa di non essersi mai interessata particolarmente a lei.

Stava uscendo dalla vecchia camera da letto del figlio quando la voce di Charlotte giunse ancora alle sue orecchie, facendola esitare per un attimo:

“So che lo amavi, mamma. Vorrei solo che per una volta tu e papà non cercaste di infilare lo sporco sotto ad un tappeto e fare finta che vada tutto bene. E ti chiedo scusa, perché se Sean non mi avesse amata così tanto, forse adesso qui ci sarebbe lui… sarebbe sicuramente più facile da gestire rispetto a me.”

Cassandra dovette mordersi la lingua per trattenersi dal ribattere, suggerirle di smetterla di insinuare che non l’amasse. Non lo fece, non aveva voglia di discutere con lei, non quel giorno, così si limitò a suggerirle a denti stretti di chiudere la finestra entro pochi minuti. 

“Rilassati, non ho intenzione di buttarmi, mi rendo conto che per te due funerali nel giro di poco sarebbe troppo da organizzare.”
“Per una volta, puoi tenere a freno il tuo nero umorismo?!”

 La porta sbattè alle spalle della madre dopo un’ultima occhiata carica d’astio, ma Charlotte non ci fece troppo caso, limitandosi a lasciarsi nuovamente cadere sul materasso, gli occhi fissi sul gancio che, fino a pochi giorni prima, reggeva il lampadario e maledicendo ancora una volta suo fratello per aver scelto di andarsene proprio in quel momento.

Il 25 Dicembre era sempre stato il suo giorno preferito, ma di certo non quell’anno… e forse nemmeno per quelli a venire.



*


Aurora stava attraversando l’ingresso gremito per spostarsi nella sala da pranzo, stare in mezzo alla ressa non la entusiasmava parecchio, quando la sua attenzione venne catturata da un ragazzo che stava scendendo le scale sistemandosi la giacca del completo, facendola sorridere e fermandosi istintivamente per aspettarlo: 

“To’ guarda chi si vede! Ti fai attendere, Sean?”
“Non per mania di protagonismo, ma perché non impazzisco per questi eventi. Stai benissimo.”

Aurora sorrise, arrossendo leggermente mentre Sean le si fermava accanto, parlando con una disinvoltura quasi disarmante mentre si sistemava i gemelli d’oro bianco e si guardava distrattamente intorno, come se stesse cercando qualcuno:

“Grazie, anche tu. Anche se mi ha offeso profondamente il fatto che tu non sia venuto a salutarmi questo pomeriggio, quando sono arrivata!”
“L’avrei fatto, ma mia madre mi ha detto che vi stavate preparando e ho preferito evitare di cogliervi in déshabillé e prendermi una fattura come l’anno scorso.”

“Non ti ho lanciato una fattura, solo una pantofola!”
“Non si può mai sapere. Andiamo?”

Aurora annuì, accettando il braccio che il ragazzo le porgeva per seguirlo nella sala adiacente, rivolgendogli un debole sorriso:

“Tu non dovresti stare qui ad accogliere gli ospiti, Sean?”
“Non sono io il padrone di casa, e poi mia madre ha già ingaggiato mia sorella, per questo. E mi perdonerà, ma questa volta non andrò a salvarla.” 

Il ragazzo sfoggiò un sorriso colpevole e l’Auror rise, compatendo l’amica e immaginando la sfuriata che avrebbe subito il ragazzo poco dopo.

“Cerchi qualcuno, comunque?”
“Sì, hai visto Gabriel, Jack o Regan?”
“Gabriel è già arrivato, sì. Come hai fatto a convincere tua madre ad invitare Jack e Regan?”
“So essere molto convincente, e sono miei amici, mia madre e mio padre se ne sono fatti una ragione.”


*


Gabriel Greengrass era in piedi, davanti al muro, con Katherine accanto mentre teneva gli occhi fissi su sua madre, osservando la donna con aria cupa:

“Gabri, sorridi, è Natale!”
“Sai benissimo che mia madre coglierà l’occasione per cercare di incastrarmi con qualche oca che spera di diventare la prossima Signora Greengrass, Kat!” 
“Sì, hai ragione, non posso negarlo… metterai in atto qualche tattica quest’anno?”

Katherine sorrise all’amico, ricordando quando l’anno prima il ragazzo aveva tirato su una messa in scena che l’aveva fatta ridere per settimane, così come Sean: aveva passato quasi un’ora a fingere di non capire una parola di quello che una povera ragazza gli stava dicendo, provocandole una mezza crisi isterica, così come a sua madre, e pochi mesi prima, alla festa che i suoi genitori organizzavano sempre alla fine della scuola, aveva melodrammaticamente confessato alla madre di non potersi sposare con nessuna delle ragazze da lei indicate perché segretamente innamorato di Sean Selwyn, provocando alla donna un mezzo mancamento.


Il Serpeverde però scosse il capo, gli occhi chiari fissi sulla ragazza dai capelli rossicci che stava parlando a qualche metro di distanza, dall’altra parte della sala, con il padrone di casa.

“No, nessuna in particolare.”
“Elena sta bene con il blu, non trovi?”
“Mh.”
“Cercherai di dimostrare a tua madre che l’unica che ti interessa è lei? Sei fortunato, Gabri, 
dopotutto è Purosangue, credo che l’approverebbero. E poi è una Grifondoro, che è notoriamente la Casa migliore, quindi direi che è assolutamente perfetta.” 

Katherine sorrise con aria divertita, certa che l’amico non avesse fatto troppo caso al suo commento, prima che Gabriel si voltasse verso di lei, sorridendo leggermente:

“Posso lasciarti sola per un momento? Vado a salutare Elena, da bravo ragazzo educato quale sono.”
“Certo Gabri, hai il mio permesso.”

Katherine sorrise all’amico mentre lo guardava allontanarsi per raggiungere la Grifondoro, decisa a non muoversi di un centimetro: non voleva assolutamente perdersi la scena.



Il Signor Selwyn si allontanò e Elena provò quasi un moto di sollievo, sospirando leggermente: lui e la moglie erano andati, ora avrebbe solo dovuto sopportare gli stessi discorsi e le stesse domande per il resto della serata, come, ad esempio, come stessero i suoi genitori eccetera.

“Ciao Elena.”
La ragazza si voltò, non battendo ciglio nel trovarsi di fronte Gabriel Greengrass, che le sorrise di rimando:

“Ciao Gabriel… pensavo ti stessi intrattenendo con qualche delicata fanciulla, quest’anno tua madre non sta cercando di accalappiarti?” 
“Cielo, no, è il suo più grande scopo nella vita. Le disgrazie di essere figlio unico, hai tutta l’attenzione puntata su di te… penso che tu mi capisca.”
“Già.”  Elena annuì, distogliendo lo sguardo con un sospiro mentre il ragazzo, incuriosito, inarcava un sopracciglio:

“Non ci sono i tuoi genitori? Non li ho ancora visti, sei venuta sola?”
Elena annuì, chiedendosi quante volte avrebbe sentito quella domanda quella sera mentre si voltava di nuovo verso il ragazzo:

“Sì, sono andati a trovare i genitori di mia madre, torneranno domani.”
“Capisco… un po’ ti invidio.” Gabriel sorrise, le mani nelle tasche dei pantaloni neri e chiedendosi quanto sarebbe stato più piacevole essere lì senza i suoi genitori. E un moto di panico lo investì quando si accorse che sua madre lo stava cercando con lo sguardo in mezzo ai numerosi ospiti:

“Oh no… presto, andiamo a prendere da bere.”
“Io non bevo!”
“Fa’ lo stesso.”


Elena aprì la bocca per ribattere, osservare che non aveva intenzione di farsi usare come scudo umano, ma Gabriel l’aveva già presa sottobraccio per condurla con decisione verso il tavolo degli aperitivi, così decise di lasciar perdere. Dopotutto quella sera non ci sarebbero stati né Stephanie né Axel, almeno avrebbe passato il tempo a ridere di Gabriel Greengrass che cercava di evitare come la peste sua madre. 


*



Stava strimpellando distrattamente “First Nobel” al pianoforte quando si accorse che qualcuno le si era avvicinato, alzando lo sguardo dai tasti lucidi del pianoforte a coda per rivolgere un debolissimo sorriso alla ragazza che aveva davanti:

“Ciao… mia madre ti ha mandata a controllarmi?”
“No, ti volevo salutare… non ne ho avuto il tempo, ieri, sei praticamente corsa via.”
“Non mi piacciono le frasi di rito. O essere guardata con compassione.”

Charlotte torno a concentrarsi sul pianoforte, stringendosi debolmente nelle spalle mentre sua cugina la osservava con attenzione, sfiorando lo strumento tirato a lucido dagli elfi con le dita:

“Sei brava.”
“Grazie. È il nostro canto preferito.”
 
Charlotte accennò una smorfia subito dopo aver parlato, correggendosi mentalmente con un tetro “mio” ma evitando di dirlo a voce alta, mentre Imogen sedeva lentamente accanto a lei, guardandola suonare piano:

“Sì, me lo ricordo. Non vuoi venire di là con noi? Sono la prima a non apprezzare particolarmente la compagnia di mia madre, Charlotte, so che nemmeno tu hai un bel rapporto con i tuoi genitori… ma forse ti farebbe bene.”

Imogen rivolse un’occhiata speranzosa alla cugina, che però non rispose per qualche istante, prima di smettere di suonare e dire qualcosa a mezza voce, pensierosa:

“Sai perché so suonare il piano, Imogen?”
“Tua madre?”
“Sì. Lei diceva che dovessi assolutamente saper suonare uno strumento, e lei adora il pianoforte, così comprò questo… ma a me non piaceva, mi sedevo qui e scappavo dopo pochi minuti, l’idea di stare ferma, seduta e sotto esame non mi piaceva. In realtà siamo sempre sotto esame, ma allora non me ne rendevo conto. Avevo sette anni, credo, e Sean disse che avrebbe imparato anche lui, forse solo per convincermi a farlo a mia volta, per fare contenta nostra madre. Era bello suonare con lui, però, ci esercitavano insieme. Non amava il Natale, ma gli piaceva questa canzone.”

Charlotte sorrise appena, ricordando tutti i periodi natalizi passati a cercare di contagiare il fratello con il suo buonumore, senza mai riuscirci del tutto.
Imogen annuì, esitando per qualche istante prima di parlare di nuovo:

“Mancherà anche a me. Mancherà a tutti, credo. Era una di quelle persone che sa come farsi amare… la sua assenza si noterà molto.”
“Lo so Imogen, lo so. Suoni con me?”
“Volentieri. Ma sappi che quest’anno non mi farò coinvolgere in una pazzia, come quando avevo cinque anni e mi hai convinta ad esplorare il camino per cercare tracce di Babbo Natale! È la cosa più stupida che abbia mai fatto.”

“E dire che sei fidanzata con Abraxas Malfoy…”
“Uhm, l’umorismo c’è ancora. Bene.”



*


Stephanie sorrideva mentre, seduta accanto al padre, guardava l’uomo quasi affascinata:

“Condanna?”
“Dieci anni.”
“Soltanto?!”
“In effetti speravo in una ventina anche io, ma non siamo noi a decidere, tesoro.”

“Voi due, smettetela di parlare di queste cose, siamo a cena ed è Natale!”

Stephanie si voltò e rivolse un sorriso colpevole alla madre, quasi a volersi scusare mentre la medimaga serviva la cena a tutta la famiglia:

“Scusa mamma, ma non vedo papà da tanto e sono curiosa, mi piace sentirlo parlare del suo lavoro.”
L’Auror sfoggiò un sorrisetto soddisfatto, guardando la figlia con affetto e una punta d’orgoglio mentre Eleanor, seduta di fronte alla sorella minore, alzava gli occhi al cielo:

“Lo sappiamo, ma per stasera evitiamo di parlare di assassini o rapinatori, per favore.”
“Elly, sei noiosa come al solito, vedo.”
“Grazie Steph, mi sei mancata anche tu.”

L’ex Tassorosso rivolse un sorriso ironico alla sorella, che sorrise prima di rivolgersi nuovamente al padre, assicurandogli con un’occhiata che lo avrebbe tartassato di domande più tardi, dopo cena, lontano dal resto della famiglia.

“Stephanie dice che le piacerebbe fare l’Auror come te, papà.”
“Davvero, tesoro?”

Garrett si rivolse alla figlia e la ragazza si strinse nelle spalle, annuendo dopo aver rivolto un’occhiata torva al fratellino Gwain, che sorrise con aria colpevole prima di concentrarsi sulla quantità spropositata di cibo che aveva davanti:

“Forse, perché no? È difficile capire cosa si voglia fare, dal momento che per le ragazze a scuola non organizzano i colloqui per… cercare di fare chiarezza sulle proprie idee.”
“Su questo ha ragione, dovrebbero organizzare anche per noi, non tutte vogliamo fare le casalinghe!”

Eleanor annuì e Garrett sorrise alla moglie, seduta dall’altra parte del tavolo, oltre i fratelli e i genitori di entrambi:

“Sentito cara? Una delle nostre ragazze vuole seguire le mie orme!”
“Non metterti sul pulpito Garrett, se abbiamo due figlie emancipate è tutto merito del mio esempio!”

Il marito sbuffò, borbottando che la moglie non gli concedeva mai nessun merito mentre tutto il tavolo ridacchiava leggermente.


*


“Cosa stanno facendo?”
“Non lo so!”

Electra si sporse verso la madre, parlando in un sussurro per non farsi sentire da padre e sorella maggiore, ma la madre scosse il capo, parlando quasi con esasperazione: marito e figlia maggiore erano seduti uno di fronte all’altro al tavolo, ignorando praticamente il resto della famiglia, ed erano chini su due rotoli di pergamena, impegnati a scrivere qualcosa con aria concentratissima, senza proferire parola l’uno con l’altro.

La donna stava per alzarsi e andare a controllare quando la figlia maggiore si mosse, alzando la testa di scatto con un sorriso trionfante stampato sulle labbra:

“Finito! 125,23!”
“Avremmo dovuto immaginarlo…” Electra alzò gli occhi al cielo, esasperata, mentre il padre invece sbuffò, rivolgendo un’occhiata torva al suo rotolo di pergamena:

“Mi hai battuto per un solo passaggio, Iphe.”
“Non prenderla male papà, sarà l’età che inizia a farsi sentire!”

L’uomo rivolse un’occhiata torva alla figlia maggiore, che rise e si alzò per fare il giro del tavolo e abbracciarlo, sedendo sulle sue ginocchia. Di norma suo padre non si lasciava andare a grandi gesti d’affetto, ma complice la lontananza forzata per mesi ricambiò l’abbraccio, appoggiando la testa sulla spalla della figlia. 

“Dovete pensare alla matematica anche a Natale?! Questa roba adesso sparisce, chiaro?”

Clare sbuffò e si avvicinò al tavolo, raccogliendo penne, pergamene e calamai e ignorando le proteste di marito e figlia maggiore. 

“… Andrew, ma queste non sono le equazioni a cui stavi lavorando l’altro giorno? Le hai scritte tu, se non sbaglio… come vuoi averci impiegato più di…”

Clare non finì la frase, rendendosi conto di cosa avesse fatto il marito per poi abbozzare un sorriso colpevole e defilarsi alla svelta all’occhiata eloquente che il professore universitario le rivolse.

“Papà!” Iphe si rivolse al padre, parlando con un tono quasi indignato che fece ridacchiare Electra, intuendo cosa fosse successo:

“Mi hai fatto vincere apposta?! Non sono più una bambina, voglio che tu mi prenda seriamente!”
“Io ti prendo molto seriamente, Iphe, so che hai moltissimo potenziale… ma non mi piace vederti tenermi il muso, tutto qui.”

L’espressione di Iphigenia si addolcì all’istante prima di tornare ad abbracciare il padre, mentre la madre tornava nella stanza e sorrideva, intenerita:

“Oh, che carini!”
“Iphe ha un debole per gli uomini di nome Andrew, mamma.”

Electra ridacchio e la madre la imitò, asserendo che “quel ragazzo era adorabile” mentre il padrone di casa, invece, drizzava improvvisamente il capo, osservando attentamente la moglie:

“Di chi stai parlando, Clare?”
“Ma come di chi tesoro, dell’amico di Iphe, Andrew! Quel ragazzo molto alto, dai capelli rossi.”
“E perché io ne sento parlare solo adesso?!”

“Perché pensi sempre ai tuoi dannati calcoli, caro!”
“Non disdegnare la matematica, Clare, se tu non avessi avuto bisogno di aiuto per dei calcoli per il tuo lavoro mio fratello non ti avrebbe parlato di me, ergo non ci saremmo conosciuti. E chi è questo Andrew, comunque?”

Iphigenia alzò gli occhi al cielo, ringraziando mentalmente la sorellina che invece rise, apparentemente profondamente divertita da quella conversazione:

“Questo non lo sapevo… galeotta fu la matematica, allora!”


*


Regan si passò nervosamente una mano tra i capelli lisci che sua madre aveva insistito per pettinare a dovere, per una volta, leggermente a disagio: quello non era il suo ambiente, proprio per niente. 
Sean lo aveva invitato e non se l’era sentita di declinare l’offerta, ma ora che era lì, circondato da persone che non conosceva e che senza ombra di dubbio lo reputavano nettamente inferiore a loro. 

Quando vide Charlotte il ragazzo sorrise appena, avvicinandosi alla ragazza: 

“Ciao Charlotte… tuo fratello?”
“Il bastardo se l’è squagliata, è di là a salutare e a dispensare sorrisi.”  Charlotte accennò una smorfia, i muscoli facciali indolenziti dopo aver sorriso per svariati minuti mentre Regan invece sorrideva appena, asserendo che sarebbe andato a cercare l’amico:

“Jack e Gabriel sono già arrivati?”
“Gabriel sì, ma non so dirti dove sia al momento. Ora scusa, ma questa maledetta processione non è ancora terminata e devo accogliere qualche altra pregevole persona…”

Charlotte sbuffò e lo superò subito dopo, stampandosi il medesimo sorriso di circostanza sul volto mentre il Serpeverde, dopo averle rivolto un’occhiata quasi compassionevole, si dirigeva verso la direzione opposta, cercando gli amici con lo sguardo e implorando mentalmente Jack di arrivare rapidamente… forse si sarebbe sentito meno a disagio, in sua compagnia.

Vide Sean, ma il ragazzo era in piedi vicino ad Aurora e i due stavano parlando con quello che era abbastanza sicuro essere il padre della ragazza, così decise di non disturbarli… e la sua attenzione si spostò subito dopo su Gabriel, scorgendolo con un bicchiere in mano e impegnato a parlare amabilmente con una familiare ragazza dai capelli rossicci.
Il Serpeverde accennò un sorriso con le labbra, quasi indeciso se lasciarli soli o andare a prendere in giro l’amico di proposito… alla fine optò per la seconda ipotesi, dicendosi che trattandosi di Elena avrebbe potuto anche prendere due piccioni con una fava:

“Buonasera… disturbo?”
Gabriel si voltò verso l’amico e ricambiò il suo sorriso allegro e spontaneo con un’occhiata leggermente torva, come a confermare la sua domanda mentre Elena spostava lo sguardo su di lui, sorridendo appena:

“Ciao Regan. Non pensavo di vederti.”
“Sì, immagino, ma Sean mi ha invitato, quindi… sei bellissima, comunque.”

“Grazie.”

L’espressione della ragazza si rilassò leggermente e il ragazzo ricambiò, ignorando deliberatamente l’occhiataccia che l’amico gli rivolse prima di parlare nuovamente, tentennando appena:

“Come… come sta Stephanie?”
“Bene. Vi siete scritti?”
“Penso che le scriverò domani per farle gli auguri.”
“Sono sicura che le farà piacere… ingraziarsi la sua migliore amica, comunque, è un’ottima scelta, Regan.”

“Sì, lo so.”  Regan piegò le labbra sottili in un sorriso divertito che la ragazza ricambiò, prima che il Serpeverde assestasse una leggera pacca sulla spalla di Gabriel:

“Bene, vi lascio, andrò ad aspettare che Jack arrivi, o a salutare Sean. Ci vediamo dopo.”
“Regan, puoi restar-“

Ma Elena non fece in tempo a finire la frase che il ragazzo si era già dileguato, facendola sospirare leggermente mentre Gabriel inscenava un’espressione ferita:

“Non vuoi passare altro tempo sola con me, Elena?”
“Ovviamente, fremevo dall’idea di venire qui solo per poterti vedere.”
“L’ho sospettato dal momento in cui ti ho vista, sei troppo attraente per non voler fare colpo su qualcuno.”

Gabriel sorrise e la rossa roteò gli occhi, toccandosi nervosamente una ciocca di capelli lisci lasciata fuori dall’acconciatura annodata sulla sua nuca. Evitò di dirgli che si sbagliava, probabilmente sarebbe stato inutile… o perché, forse, infondo aveva ragione?


*


Evangeline stava giocherellando distrattamente con la collana di perle che portava al collo, un regalo dell’anno precedente dei suoi genitori che indossava praticamente sempre quando non era a scuola. Era seduta su una sedia, avevano finito di cenare da poco, e la bionda continuava a chiedersi dove si fosse cacciata Aurora insieme a Charlotte, entrambe sparite poco prima per raggiungere il tavolo diSean .


“Pensi che Charlie lo sappia? Di Aurora, intendo.”
“Assolutamente sì, non è stupida.”   Adela si strinse nelle spalle, serafica, prima di lanciare un’occhiata alla bionda e poi a qualcun altro, sorridendole:

“Jack sembra felice di vederti.”
“Come? Non ci ho nemmeno parlato da quando sono qui.”

Evangeline si voltò verso la compagna di Casa, guardandola con sincera perplessità, e Adela annuì, certa di aver ottenuto tutta la sua attenzione: al sentire quel nome la Corvonero era quasi sobbalzata.

“Beh, eppure continua a guardare da questa parte, e a meno che non stia ammirando il centrotavola, credo stia guardando te.”
“Ne dubito.”

Evangeline sbuffò leggermente e Adela alzò gli occhi scuri al cielo, quasi intimando mentalmente al diretto interessato di alzarsi, raggiungerle e dimostrare alla ragazza che aveva ragione:

“Davvero? Allora chi sta guardando, me forse?”
“Non vedo perché no.”
“Non essere ridicola, credo di averci parlato tre volte in tutta la mia vita… dovresti andare a salutarlo, se non ci si è abituati queste situazioni possono non essere semplici da gestire, forse si sente a disagio e non vuole disturbarti.”

Adela si strinse nelle spalle e la bionda esitò prima di annuire, sospirando:

“Va bene.”
“Ottima idea. Io resterò qui a godermi lo spettacolo, se non ti dispiace.”

La Corvonero sorrise quasi allegramente e guardò la bionda alzarsi e allontanarsi, quasi suggerendo mentalmente a Charlotte ed Aurora di sbrigarsi per non perdersi la scena.



*


Era seduta su quella che, con il tempo, era diventata praticamente la “sua” poltrona, davanti al camino acceso, osservando distrattamente il fuoco scoppiettante e pensando a tutte le volte in cui si erano seduti lì, uno accanto all’altra, per discutere pressoché di qualunque cosa… di scuola, dei loro genitori, dei loro amici, del lavoro… di tutto. 

Nonostante fosse concentrata sui suoi pensieri, l’Auror sentì comunque dei passi avvicinarlesi, sorridendo appena: non erano quelli di sua madre, tantomeno quelli del padre, molto più pesanti. Ma non si voltò, restando perfettamente immobile prima di sentire una voce molto familiare:

“Ciao Charlie.”
Nessuno la chiamava così da qualche giorno, da quando Sean l’aveva fatto per l’ultima volta, e per un attimo contorse la mascella, trattandosi dal chiederle di non farlo e continuando a non voltarsi, esitando prima di rispondere con tono pacato:

“Mi stavo chiedendo quando saresti venuta.”
“Mi dispiace di averci messo tanto… ma prima di vederti volevo “metabolizzarlo”, credo.”
“Ci sei riuscita in quattro giorni? Fortunata.”

Charlotte si voltò e indirizzò alla vecchia amica un sorriso quasi triste, mente Aurora le si avvicinava, sfilandosi il cappellino blu notte dalla testa e lasciandosi sfuggire un piccolo sospiro dalle labbra:

“È quello che mi sono detta, almeno.”

Aurora sedette accanto a lei, senza chiederle come stesse, mentre l’Aurora le rivolgeva un’occhiata in tralice, esitando prima di scuotere leggermente il capo e tornando a concentrarsi sulle fiamme:

“È Natale. Che cosa ci fai qui, dovresti essere con la tua famiglia.”
“Ci sono stata ieri, e stamattina… era arrivato il momento di passare dalla mia famiglia inglese, credo.”

Aurora osservò il salone, stentando a riconoscerlo a causa della mancanza tangibile dell’enorme quantità di decorazioni che aveva sempre potuto ammirare lì dentro, anno dopo anno.

“Niente decorazioni, vedo.”
“Mia madre ha avuto la decenza di risparmiarsele.”
“E niente festa della Vigilia.”
“Ho la vaga sensazione che non ci sarà più, a dire il vero. Non avrebbe molto senso adesso, non trovi?”

“Il Natale va festeggiato comunque, Charlie. Forse non adesso…”

Aurora guardò l’amica scuotere il capo prima di voltarsi di nuovo verso di lei, inarcando un sopracciglio e guardandola quasi con aria schifata:

“Non ci posso credere, sei diventata una da cappellini!”
“Rilassati, non ne ho nessuno con delle piume, se può consolarti… e poi siete voi i patiti di cappellini, ti ricordo.”
“Io non ne ho mai messo uno.”
“Mi stupirebbe il contrario.”

Aurora sorrise, cercando di non ridere immaginandosi l’amica impettita e con una cosa del genere in testa… no, non era decisamente il tipo.
L’ex Corvonero accavallò le gambe, inclinando leggermente la testa e guardando l’Auror con curiosità:

“Allora?”
“Allora cosa?”
“Sono venuta a vedere come stai. Tua madre mi ha scritto…”

“Oh, certo che l’ha fatto.”
“… e mi ha detto che non vedi nessuno da giorni, al funerale non hai detto una parola. Ho attraversato l’Oceano per vederti, Charlie, non c’è niente che tu voglia fare? Dovresti distrarti, credo.”

“Adoro come tutti siano così fermamente convinti di sapere che cosa sia meglio per me, adesso. Quando ti succede qualcosa di brutto diventano tutti dei veri esperti, ansiosi di darti consigli che tu non ha mai richiesto.”

Charlotte reclinò la testa, parlando in un sussurro pacato e appena percettibile mentre appoggiava la testa contro lo schienale della poltrona, gli occhi fissi sul soffitto mentre accanto a se, Aurora restava in religioso silenzio, aspettando una sua risposta.

“Sai una cosa? Andiamo.”

Charlotte si alzò di colpo e Aurora aggrottò la fronte guardandola con sincera perplessità:

“Dove?”
“Vieni e basta.”


*


Jack si passò nervosamente una mano sulla nuca, ripetendosi, ancora una volta, di non pensare a sua cugina, a suo zio, a suo padre o a quella stupidì lettera, pregando che Denebola non ne facesse effettivamente parola con suo padre. Non voleva essere la causa di un brutto litigio tra i genitori, specie a Natale. Forse avrebbe dovuto cercare di godersi la serata e la compagnia dei suoi amici un po’ di più, ma non riusciva a smettere di pensarci… forse avrebbe dovuto dargliela non appena tornati a casa, e non quella sera.

“Ciao Jack.”
Il Serpeverde si voltò di scatto, alzando lo sguardo dal suo piatto da dessert ormai vuoto per concentrarsi sulla ragazza bionda che gli era appena comparsa accanto, abbozzando un sorriso:

“Ciao Evangeline.”
“Ti dispiace se mi siedo?”
“No, fa’ pure.”

Evangeline prese posto sulla sedia lascata vuota da Gabriel poco prima, quando aveva accettato la scommessa propostagli da Regan ed era andato a cercare Elena, deciso a non perdere dieci Galeoni e farla ballare, di nuovo, con lui, anche se l’amico aveva affermato che non ci sarebbe mai riuscito.
“Grazie. C’è qualcosa che non va?”
“No, sto solo pensando… ho lasciato una questione in sospeso prima di venire qui, diciamo, con la mia famiglia.”

“Io ho lasciato mio nipote di appena un mese e mezzo alle cure dei miei fratelli minori, sento che potrei averlo sulla coscienza.”

Evangeline scosse il capo, parlando con un tono grave che fece sorridere il ragazzo:

“Hai un nipotino?”
“Sì, il figlio di mia sorella Caroline… si è sposata l’anno scorso.”

A 21 anni, puntuale come un orologio svizzero… non si sarebbe mai aspettata nulla di diverso, però, dalla perfetta Caroline.

“Non sei felice per lei? Non ti piace suo marito?”  Jack inarcò un sopracciglio, cogliendo l’amarezza nel tono della bionda, che però si strinse nelle spalle, giocherellando con un lembo della tovaglia:

“No, non direi, non lo conosco benissimo... e suppongo che sia più importante che piaccia a lei, dico bene? Solo che, secondo il mio modesto parere, 21 anni è un po’ presto, e avere un figlio subito dopo… ci sarebbero tante cose da poter fare, prima. Il matrimonio chiude molte porte.”
“Può darsi.”
“Credimi Jack, quando sei una donna è così e basta.”

“Non ti sei ancora diplomata Evangeline, non ti sembra prematuro pensarci ora?”

Non quando hai una data di scadenza, oltre la quale sarai costretta a sposare chiunque vorranno i tuoi genitori…
 
Evangeline non lo disse, non le andava di rivangare quella storia, non quella sera e non con lui, così si limitò a sospirare prima di riportare gli occhi chiari sul volto del ragazzo:

“Ti va di ballare?”
“Come?”
“Così magari smetterai di pensare alla tua famiglia, dovrei farlo anche io.”

Jack esitò, quasi sinceramente sorpreso da quella domanda, ma poi il suo volto si rilassò in un sorriso e annuì, alzandosi e porgendole la mano:
“… D’accordo. Mi permette?”


*

“Elena! Stai scappando da me, per caso?”
No, sto scappando da un altro individuo che mi pedina da quando la cena è finita per ballare con me, cosa che io non sopporto fare.”

“Davvero? Chi è?”
“Tu, ovviamente! Gabriel ti prego, non mi piace ballare, non puoi chiederlo a qualunque altra ragazza? Credo che ci sia la fila.”

Il tono implorante della Grifondoro non servì a fargli cambiare idea, sorridendo mentre allungava una mano, prendendola sottobraccio e scuotendo il capo:

“No, mi dispiace, è una questione d’onore… ma non vedo di cosa tu debba preoccuparti, abbiamo già ballato insieme, non ricordi?”
“Oh, sì, come dimenticarlo…”

Elena alzò gli occhi al cielo ma decise di lasciar perdere, lasciandosi condurre verso la parte centrale della sala. Pochi minuti, poi con un po’ di fortuna sarebbe riuscita a nascondersi in un qualche angolo buio… magari inscenare un malessere improvviso per tornare a casa.

Il tutto mentre un ragazzo era comodamente seduto, le gambe accavallate e un piccolo sorriso a rallegrargli il volto mentre li osservava.

“Gabriel non resiste mai ad una sfida.”
“Oh, lo so bene… tirarsi indietro non è nella sua natura, e credo che in questo caso sia stato più che felice di non farlo.”

Regan annuì mentre Sean, seduto accanto a lui, ridacchiava, guardando l’amico sorridere alla Grifondoro con cui stava ballando. 

“Un vero peccato che non sia presente anche un’altra Grifondoro, vero?”
“Sì, un vero peccato.”

Regan annuì, ricordando ciò che Elena aveva detto quando l’aveva salutata, circa un paio d’ore prima, e appuntandosi mentalmente di scrivere a Stephanie il giorno seguente, quasi soddisfatto di sapere che alla bionda avrebbe fatto piacere ricevere sue notizie.

“Seannie?”
“Finalmente ti degni di rivolgermi la tua attenzione, iniziavo a sentirmi trascurato.”

Sean indirizzò un sorriso alla sorella minore, che gli si avvicinò sorridendo a sua volta e allungando entrambe le braccia verso di lui, invitandolo ad alzarsi e a seguirla:

“Sia mai. Balliamo? So che hai una fila infinita di ammiratrici, ma io sono ovviamente più importante e vengo prima di tutto.”
“Naturalmente. Reg, tienimi il posto, per favore.”  Sean si alzò, abbottonandosi la giacca scura del completo prima di prendere per mano la sorella e rivolgere un’ultima occhiata all’amico, facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza:

“Figuriamoci, lui e la sua bella faccia saranno già stati adocchiati da qualcuna che cercherà di attaccare bottone…”

Sean ridacchiò mentre Regan invece sbuffò, a disagio, guardando i due fratelli allontanarsi mano nella mano. Il Serpeverde li osservò brevemente, dicendosi che lui non aveva mai avuto un legame così stretto con nessuno dei suoi due fratelli minori… forse centrava anche che fossero tutti maschi, mentre Sean si sentiva da sempre piuttosto responsabile della sorella, specie quando aveva capito quanto fosse incline a fare di testa propria, combinando disastri. 




“Signora Greengrass! Come sta?”
“Katherine! Ciao, cara.”

Katherine sorrise alla donna prima di darle un bacio su una guancia, guardando la madre di Gabriel sorriderle di rimando con sincero affetto:

“Gabri cerca di evitarla in tutti i modi?”
“Mio figlio è molto testardo, Katherine, nessuno lo sa meglio di te, credo… gli piace fare di testa sua. Forse un giorno capirà che voglio solo il meglio per lui.”
“Credo che già lo sappia, solo che è, come dice lei, troppo testardo per ammetterlo.”

La Grifondoro sorrise prima di spostare lo sguardo sul ragazzo, esitando volutamente per qualche istante prima di parlare di nuovo:

“… Ad ogni modo, non credo che debba preoccuparsi. Sono piuttosto sicura che sia molto interessato ad Elena MacMillan. Li guardi.”

Katherine accennò ai due con il capo e vide la donna perlustrare rapidamente la sala per cercare il figlio, guardandolo ballare con la rossa prima di inarcare un sopracciglio:

“Lo pensi davvero?”
“Sì.”  Katherine annuì, dicendosi che l’amico avrebbe dovuto ringraziarla a vita mentre l’espressione della donna si rilassava leggermente, annuendo:

“Beh, mi fa piacere. E poi Elena è Purosangue, oltre che piuttosto bella, direi che ha fatto un’ottima scelta.”
“Allora la smetterà di propinargli tutte quelle ragazze che non gli interessano? Credo che per lui sarebbe un sollievo.”

Sì, Gabriel l’avrebbe proprio dovuta ringraziare a vita.
Ora non doveva fare altro che capire perché Elena tenesse il suo amico sempre a distanza, dal momento che era sicura che anche lui le piacesse.


*


Aurora rabbrividì, stringendosi nel cappotto mentre camminava, o meglio arrancava, qualche passo più indietro rispetto a Charlotte che, nonostante stesse procedendo con calma, era riuscita come sempre a superarla grazie alle sue falcate lunghe e decise. 
Blackjack le sfrecciò accanto, superando anche la padrona per correre verso la riva, le lunghe orecchie pelose che sferzavano l’aria fredda. Erano perfettamente sole, sulla spiaggia non c’era nessuno… del resto chi mai sarebbe andato laggiù, a Natale?

“Charlie? Non per disdegnare, ma si gela…”
“Sai, venimmo qui, quella mattina. A noi piaceva molto il mare.”
“Lo so.”

Charlotte si fermò, i piedi sprofondati nella sabbia bagnata e fredda, le mani guantate sprofondante nelle tasche del lungo soprabito, i capelli castani sciolti sulle spalle e leggermente spettinati, mossi di continuo dall’aria fredda. Aurora le si fermò accanto, stringendo le braccia al petto e osservando l’acqua gelida e quasi grigiastra, mentre il cagnolino inseguiva le onde per poi tornare indietro di corsa per non bagnarsi, abbaiando allegramente.

Nessuna delle due disse nulla per quelle che ad Aurora sembrarono delle ore, mentre l’amica restava in inusuale silenzio, gli occhi verdi fissi sulle onde come se stesse pensando a qualcos’altro.   


“Mancherà anche a me, Charlie, lo sai.”
“Non mi manca.”

“No?”  Aurora si voltò di fronte alla candida ammissione dell’amica, guardandola stringersi nelle spalle e continuare a non guardarla:

“Non ancora. Forse devo ancora realizzare che se n’è andato per sempre. Insomma, so che non c’è più e non faccio che pensare a come sarà vivere senza di lui, ma a volte mi sembra quasi di dimenticarmene… stamattina ho aperto gli occhi e ho fatto per alzarmi, andare da lui e fargli gli auguri.”
“È normale, credo.”

Charlotte annuì, abbassando lo sguardo e sollevando distrattamente un po’ di sabbia con un piede, ripensando a quando era stata lì l’ultima volta, parecchi anni prima.


*


Dopo essersi fatta trascinare da Gabriel a ballare, Elena aveva stabilito che per quella serata le sue performance da ballerine erano finite, così si era dileguata in fretta, restando in un angolo per un po’: non le andava particolarmente di fare conversazione, quella sera, e si era limitata a scambiare qualche parola con Regan, che di certo moriva dalla voglia di sapere che cosa avesse detto Stephanie di lui, ma la bocca della rossa rimase perfettamente cucita e il ragazzo si arrese, deluso.

“Non preoccuparti Carsen” così gli aveva detto, serafica, quando Regan aveva sbuffato e chinato il capo “ti assicuro che non ha detto nulla di negativo nei tuoi confronti.” Quelle parole sembrarono rallegrarlo e il ragazzo non chiese più niente, limitandosi a sorridere con aria compiaciuta. 

Dopo quasi un’ora passata a girarsi i pollici, intrattenersi in brevi conversazioni e ignorare gli sguardi poco amichevoli delle “aspiranti signore Greengrass”, come le aveva etichettate Gabriel prima di cena, e quelli vagamente incuriositi di una certa Giselle, Elena decise che per lei la serata era giunta al termine. Cosi si alzò e scivolo fuori dalla sala senza farsi notare, sperando che nessuno notasse la sua prematura assenza. Si era già fatta restituire il suo mantello da un elfo e stava per dileguarsi – anche se, allo stesso tempo, non era poi così ansiosa di tornare a casa sua – quando una voce familiare la fece raggelare:

“Te ne vai come una ladra? Non è molto educato.”
“Sì, me ne rendo conto… porgi i miei auguri e le mie scuse al Signore e alla Signora Selwyn, allora. Come mai qui?”

La Grifondoro si voltò con un sospiro, sistemandosi il cappuccio del mantello sulla schiena mentre posava lo sguardo sul ragazzo che aveva davanti, che si strinse nelle spalle mentre le si avvicinava:

“Ti ho vista sgattaiolare via. Va tutto bene, Elena? Nemmeno io amo queste feste, ma è pur sempre Natale, e siamo in vacanza… dovresti essere di umore diverso, ma ultimamente non sembri molto allegra.”
“Lo sarò di più quando uscirò da qui, in effetti.” 

Elena si strinse nelle spalle con noncuranza ma Gabriel non la imitò, osservandola con la fronte aggrottata:

“Dico sul serio. C’è qualcosa che non va?”
“Se anche così fosse, Gabriel, non ho molta voglia di parlarne.”
“Non fraintendere, non voglio farmi gli affari altrui e sei adorabile anche in versione più cupa, ma ho notato che nelle ultime settimane di scuola hai passato molto tempo sui libri o da sola. Non è da te.”

“Cosa ti fa pensare di avere una conoscenza così approfondita della mia persona, Gabriel? Attraversiamo tutti brutti periodi, di tanto in tanto.”
“Ha a che fare con i tuoi genitori, che stasera non sono qui?”  Gabriel inarcò un sopracciglio, studiando il volto della ragazza e guardandola sbuffare leggermente, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro mentre si tormentava le mani, a disagio. Infondo non se l’era mai bevuta, la risposta di Elena era stata così pacata da sembrare quasi programmata, come se se la fosse preparata precedentemente.


“Gabriel… apprezzo il pensiero, ma non sono affari tuoi. Buonanotte.”
“Non mi voglio impicciare, sto cercando di capire perché sembri diversa, di recente.”

Elena fece per voltarsi e andarsene, uscire dalla porta d’ingresso per potersi Smaterializzare, ma il ragazzo la raggiunse con un paio di falcate e la trattenne per un braccio, costringendola a voltarsi di nuovo, stringendo leggermente gli occhi castani prima di parlare a bassa voce, osservandolo di rimando:

“E io ti ripeto che non capisco il motivo di questa presunzione di conoscermi così bene. Perché ti interessi tanto, all’improvviso?”

Per un attimo Gabriel fece per sbuffare a darle dell’idiota, se davvero pensava che fosse una cosa “improvvisa”, ma poi si disse che di certo insultarla non era la strada migliore per guadagnarsi la sua fiducia, senza contare che se sua madre avesse saputo che aveva insultato una ragazza lo avrebbe preso a schiaffi, così come la sua migliore amica. Così decise di limitarsi ad inarcare un sopracciglio, parlando con tono eloquente:

“Me lo stai chiedendo davvero? Ecco perché non sei una Corvonero…”
Elena fece per ribattere e informarlo di essere molto fiera della sua Casa, ma il ragazzo la zittì sul nascere, chinandosi per baciarla, ma le loro labbra si erano appena sfiorate quando la ragazza fece un passo indietro, allontanandosi da lui e guardandolo con i pugni serrati, le unghie conficcate nella pelle dei palmi:

“È una stupida scommessa che hai fatto con i tuoi amici, Greengrass?”
Gabriel sbattè le palpebre, guardandola con aria stralunata per un attimo prima di scuotere il capo, sempre più confuso:

“Cosa? No! Come ti viene in ment-“
“Se è una stupida scommessa o un modo per far tornare Giselle da te, scordatelo, Greengrass. Io non sono un oggetto, non mi faccio usare!”

Io non sono mia madre, avrebbe voluto dirgli, ma non lo fece, voltandosi per allontanarsi a grandi passi, gli occhi lucidi e tremando di rabbia mentre Gabriel restava perfettamente immobile, quasi incredulo, chiedendosi cosa fosse appena successo e cosa avesse fatto di sbagliato da scaturire quella reazione in lei.


*


Jack si spolverò un po’ di cenere dalla spalla mentre usciva dal camino, di umore decisamente migliore rispetto a quando aveva lasciato la casa, qualche ora prima. La stanza era quasi del tutto buia e pensò che i genitori stessero già dormendo, per questo sobbalzò quando sentì una voce e vide qualcuno muoversi, facendo improvvisamente caso alla presenza della cugina:

“Bella serata, Jackie?”
“Denny! Che cosa ci fai ancora qui?”
“Mia madre è già tornata a casa, ma io volevo aspettare che tornassi.”

In una situazione diversa avrebbe chiesto alla cugina se non avrebbe potuto aspettare la mattina seguente, vista l’ora tarda, ma dopo averle lasciato la lettera dello zio non poté far altro che annuire, avvicinandolesi mentre si sfilava il mantello:

“D’accordo… l’hai letta? Che ne pensi?”
“Non lo so. Non capisco. Tutti questi anni senza una parola, e poi… non sono sicura di volerlo rivedere, anche se non me lo ricordo nemmeno. Se teneva ad avere una famiglia, poteva non fare quello che ha fatto e procurarsi la pena.”
Denebola scosse il capo, mordendosi nervosamente il labbro mentre il cugino sedeva accanto a lei, sul divano:

“Quindi… non ti interessa rivederlo?”
“No, non credo. Non sembra pentito di aver buttato la sua vita, la nostra vita come famiglia. Scusa se sono rimasta qui, ma non posso parlarne con nessun altro… dovrei dirlo a mia madre?”
“È meglio di no, o almeno non oggi, scatenerai il putiferio. E non preoccuparti, puoi restare a dormire qui, ormai, se ti va.”

“Sei di ottimo umore, Jackie, la festa è andata bene? Evangeline era deliziosa?”
Debole piegò le labbra in un sorriso e il cugino le riservò un’occhiata torva, facendo scivolare un braccio dalle sue spalle:

“Perché tiri sempre fuori Evangeline?!”
“Perché non sono una stupida, come potrai ben intuire dalla mia Casa! Oh, avete ballato? Che carini, avrei voluto vedervi…”

Il sorriso di Denebola non vacillò, anzi la ragazza scoppiò a ridere subito dopo, quando il cugino si alzò in piedi e la colpì con un cuscino in piena faccia, intimandole di smetterla o l’avrebbe fatta dormire sul pavimento.


*


Gli ultimi ospiti se n’erano andati da meno di un’ora e la grande casa ormai era buia e silenziosa, ma Charlotte era ancora sveglia, un pacco incartato stretto in mano mentre attraversava silenziosamente il corridoio che separava la sua camera da quella del fratello maggiore, uno dei suoi cani al seguito come sempre.

Bussò delicatamente prima di aprire la porta, ma era certa che Sean fosse ancora sveglio e ne ebbe la conferma subito dopo, sorridendo al ragazzo:

“Ti ho portato il mio regalo.”
“Ancora sveglia? Grazie, Charlie.”
Il fratello ricambiò il sorriso, guardandola avvicinarglisi e sedersi davanti a lui, sul letto, lasciando il pacco sul comodino: 

“Però lo aprirai tra qualche ora, ok? Adesso dobbiamo andare.”
“Andare? Dove?”

Sean inarcò un sopracciglio, seduto contro la la testiera del letto con la vestaglia addosso: ormai era quasi l’alba, dove voleva andare sua sorella a quell’ora del mattino? Ma Charlotte non si scompose, limitandosi a sorridergli e a stringersi nelle spalle:

“Dici sempre che non ami particolarmente il Natale perché facciamo sempre le stesse cose… quindi, quest’anno inizieremo la giornata in modo diverso. Su, alzati.”
“Ma si gela!”
“L’anno scorso sei stato in Danimarca in questo periodo, se sei sopravvissuto a quelle temperature sopravviverai anche qui, non fare la ragazzina.”

Sean sbuffò, borbottando che era pazza mentre si alzava, arrendendosi alla testardaggine della sorella che invece sorrise, soddisfatta, e appellò i cappotti di entrambi:

“Con la gentilezza si ottiene sempre tutto. Suvvia, non fare quella faccia, sei tu quello che ama l’avventura qui!”
“Non all’alba!”
“Dici sempre che prima o poi andrai a vedere l’Aurora Boreale, lo faccio per abituarti. Andiamo, fratellino.”


*


La porta si chiuse alle sue spalle con uno scatto e solo allora Elena tirò un sospiro di sollievo, sfilandosi il mantello e per poi spedirlo nell’armadio a muro dell’ingresso con un pigro colpo di bacchetta.
La stanza era buia, così come la maggior parte della casa, ma la Grifondoro non si diresse verso le scale per raggiungere la sua camera e andare, finalmente, a dormire, avvicinandosi invece al salotto con un nodo in gola, ripensando a quello che aveva detto poco prima… ma nel momento in cui vide il camino ormai in procinto di spegnersi e una sagoma sul divano decise che al ragazzo ci avrebbe pensato in un altro momento, forse la mattina dopo, o quella dopo ancora.

Si lasciò sfuggire un sospiro mentre si avvicinava silenziosamente al divano, accennando una smorfia con le labbra mentre si infinocchiava, sfilandosi le scarpe e raccogliendo dal pavimento la bottiglia, insieme al bicchiere che oscillava pericolosamente nella mano inerte della donna addormentata. 

La sua smorfia disgustata aumentò quando una fastidiosa zaffata di forte odore di alcol la investì, appoggiando bottiglia vuota e bicchiere sul tavolino con poca grazia, facendo rumore di proposito e svegliando così sua madre, che quasi sobbalzò e spalancò gli occhi castani, rilassandosi leggermente quando la vide:

“Elena… sei tornata.”
“Ero quasi tentata di non farlo, ma poi mi sono detta che se non l’avessi fatto domani mattina ti avrei trovata a bere Whiskey per colazione.”

“Parla piano, per favore, ho mal di testa… che cosa hai detto?”

Guardò la donna passarsi stancamente una mano tra i capelli e inarcò un sopracciglio:

“Quello che dovevo dire. Che tu e papà siete stati dai nonni.”
“Bene…”  La guardò annuire e poi sollevare lo sguardo su di lei, biascicando qualcosa a proposito sull’aiutarla ad alzarsi. Per un attimo Elena fu tentata di girare sui tacchi e allontanarsi, così come era stata tentata di non tornare a casa per le vacanze, o quella sera stessa, dopo la festa. La Grifondoro non si mosse, esitando prima di parlare, le braccia rigide e abbandonate lungo e fianchi:

“Ti importa di me? Della mia felicità?”
“Certo, che domande fai, Elena…”

“Allora sai come la penso. Non puoi continuare così, mamma… se ti importa davvero della mia felicità, o almeno della tua, fallo. Chiedi il divorzio.”


*


Non sapeva da quanto tempo fosse ferma lì, su quella spiaggia, ma all’improvviso si mosse, iniziando a camminare verso l’acqua come spinta da una forza invisibile, premurandosi però di afferrare il polso di Aurora, trascinandola con se senza quasi sentire le proteste dell’amica, riuscendo solo ad udire quelle che erano uscite dalle sue stesse labbra diversi anni prima, in quello stesso luogo e in quello stesso giorno.

Blackjack le saltellava intorno, felice, proprio come una pimpante Daisy aveva fatto quella mattina, e lei camminava a passo spedito verso l’acqua fredda e per nulla agitata trascinandosi Aurora appresso come suo fratello aveva fatto con lei.


“Sean, non ci penso nemmeno a fare il bagno adesso, l’acqua sarà gelata! Sfoga gli istinti suicidi e masochisti per conto tuo, io mi dissocio!”
Aveva piegato le labbra in una smorfia, cerando invano di divincolarsi dalla presa troppo salda del fratello sul suo braccio e di puntare i piedi della sabbia bagnata, ma senza troppi risultati. 

“È stata tua l’idea di venire qui, dovresti conoscermi, Charlie… solo un tuffo!”
“Non ci penso proprio, lasciami!”


“Charlotte, non voglio prendermi la polmonite a Natale!”
“Non fare storie, Aury…”

Charlotte sorrise forse per la prima volta da giorni, sentendo i muscoli facciali quasi indolenziti di fronte a quella contrazione. Sorrideva, esattamente come lo Sean di dieci anni prima, mentre le lamentele di una se stessa più giovane le risuonavano nella mente, insieme alla voce ovattata e contrariata di Aurora.  

“Si vive una volta sola, Charlie, forse te ne pentirai, un giorno.”
“Si vive una volta sola, Aury.”


E prima di rendersene conto aveva i piedi immersi nell’acqua fredda, ignorando la smorfia di Aurora mentre si spingeva un paio di metri più in là, dove l’acqua le arrivava appena sotto al ginocchio, prima di voltarsi verso l’amica e sollevare una gamba insieme ad una discreta quantità di acqua.

“Charlotte! È gelida!”
“L’America ti ha rammollita, Aury.”

“E NON CHIAMARMI AURY!”


“SEAN, È GELIDA!”
“Charlie, cominci a sembrare nostra madre!”

Sean scoppiò a ridere di fronte alla faccia della sorella, deformata brevemente da un’espressione stupita che sparì molto rapidamente, prima che Charlotte stringesse pericolosamente le labbra e un’ondata d’acqua si abbatté sul maggiore.

“Volevi fare il bagno? Eccoti accontentato.”


Qualche minuto dopo Aurora tornò a rida rabbrividendo, affrettandosi a prendere la bacchetta per asciugarsi mentre Charlotte sedeva sulla sabbia, facendo altrettanto e osservando distrattamente l’oceano.

“È la cosa più stupita che io abbia mai fatto.”
“Non sei la prima persona a dirmelo, oggi, pare che io riesca a far fare cose incredibilmente stupide alle persone. Dici che è un dono?”
“Forse.”

Aurora abbozzò un sorriso mentre sedeva accanto all’amica, le loro spalle si sfiorarono mentre osservavano l’acqua e Blackjack le raggiungeva trotterellando, acciambellandosi accanto alla padrona per farsi coccolare. 



“Direi che può bastare.”
Charlotte si lasciò cadere sulla sabbia accanto al fratello, che rise e l’abbracciò, appoggiando la testa contro la sua e restando in silenzio per qualche minuto.
 



“Ti va di andare in un altro posto?”
“Niente che includa acqua gelida.”
“No, avevo in mente ben altro… vieni, Temple.”

“Sai che non mi chiamo più Temple, almeno formalmente, di cognome, vero?”
“Si, ma a riguardo mi comporto come con tutto ciò che non mi interessa: lo ignoro.”


Charlotte si alzò, spolverandosi la sabbia di dosso e parlando con un tono neutro che fece sorridere l’amica mentre faceva altrettanto, aspettando che Charlotte avesse chiamato il cane prima di Smaterializzarsi insieme.

Quando aprì gli occhi e si ritrovò circondata da lapidi Aurora sentì un peso sprofondarle nelle viscere, deglutendo mentre abbassava lo sguardo su quella che aveva davanti, piuttosto recente, in effetti.

“Mi dispiace di non essere venuta… avrei dovuto, non volevo lasciarti sola quel giorno, ma non me la sono sentita.”
“Non devi scusarti, pensavo di non venire nemmeno io… ma poi ho pensato che lui mi avrebbe preso a calci, urlandomi di alzare la testa e farlo e basta.”



L’Auror abbozzò un sorriso, gli occhi impegnati a scrutare la lapide del fratello, la sua foto in bianco e nero, che lo ritraeva sorridente come al solito, e poi le due date incise sotto solo pochi giorni prima.



“Seannie?”
“Sì?”
“Buon compleanno.”



Sean Edgar Selwyn 
25 Dicembre 1915 – 21 Dicembre 1943
Strofina il pavimento e pulirai il cielo 


“Buon compleanno, Seannie.”



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Capitolo 15
*** Vacanze ***


Capitolo 13: Vacanze 

 
Venerdì 3 Gennaio 


“Basta, non posso vederti così! Dimmi cosa è successo.”

Katherine entrò nella stanza del suo migliore amico a grandi passi, raggiungendolo e piazzandosi accanto alla sua scrivania con le braccia conserte, osservando Gabriel con aria risoluta: era cupo e gelido da Natale e non era assolutamente da lui quello stato d’animo durante le vacanze. 
Doveva essere successo qualcosa alla festa dei Selwyn, qualcosa che non le aveva detto… e dopo una settimana, Katherine esigeva di saperlo.

I suoi genitori erano stati invitati a pranzo dai Greengrass e per tutto il tempo Gabriel aveva parlato a monosillabi… quando si era congedato – prima del dolce, altro fattore sospetto – sua madre aveva rivolto a Katherine un cenno inequivocabile, e la Grifondoro ebbe il sospetto che parte del motivo dell’invito fosse che speravano che lei parlasse con il figlio.

“Non è successo niente, Kat.”
“Non sono tua madre Gabri, con me non puoi mentire. È successo qualcosa con Elena, alla festa? Sei sparito per qualche minuto, quando sei ricomparso eri di pessimo umore e sei andato via quasi subito dopo, e nel frattempo lei se n’era andata… vuoi dirmi che è una coincidenza?”

 Gabriel era seduto di fronte alla sua scrivania e fissava il muro davanti a sè con ostinazione, così la Grifondoro sbuffò e appoggio le mani sul ripiano del mobile, chinandosi leggermente in avanti per riuscire a guardarlo in faccia, facendolo sospirare subito dopo, abbandonandosi contro lo schienale della sedia:

“Ok… prima che se ne andasse, ho baciato Elena.”

Katherine non disse nulla per un attimo, mentre qualcosa nella sua testa ronzava, cercando di mettere a fuoco ciò che l’amico le aveva detto. Poi sfoggiò un piccolo sorriso, parlando con sincero stupore:

“Davvero? E perché sei cos- Oh. Lei che cosa ha fatto?”
“Beh, come ho detto, lei se n’è andata. Non ha reagito molto bene, e non credo sia perché non le piaccio, ha detto qualcosa sul fatto che io non debba usarla o prenderla in giro. E non capisco perché lo pensi. Kat, anche se spesso io non ti considero come tale, tu sei una ragazza.”  Gabriel si voltò verso l’amica, guardandola in faccia per la prima volta da quando erano entrati nella stanza, e inarcò un sopracciglio, osservandolo con attenzione:
“Wow, grazie.”

“Secondo te perché ha reagito così?”

“Beh, non la conosco poi molto bene, dovresti chiederlo a Stephanie… dovresti parlarle, a scuola. Coraggio, il mio amico Gabriel non si fa abbattere per così poco!”

Katherine sorrise e diede una pacca affettuosa sulla spalla dell’amico, che le sorrise di rimando con gratitudine:

“Grazie, Kat. Per altro, dalla festa mia madre non fa che parlarmi di Elena, che cosa le hai detto?”
“Io? Niente…”


*

Le strade erano affollate e lei non passava certo inosservata, con il mantello addosso, ma non si curava minimamente degli sguardi perplessi che i passanti le rivolgevano, dicendosi che i londinesi dovevano essere piuttosto abituati a scorgere qualche stranezza, di tanto in tanto, quando passeggiavano per il centro.

Camminava sul marciapiede con passo spedito e intanto scrutava con attenzione i numeri infissi sulle porte scure e tirate a lucido delle villette a schiera che occupavano parte della lunga via, incastrate in spazi ridotti quasi come sotto l’effetto di un Incantesimi.

Non lo sapeva per certo, ma era lì. Doveva essere lì. E l’idea era piuttosto fastidiosa, nella sua mente.



“Quella è anche casa tua, così come questa, mamma! Come puoi sopportare che sia lì con quella?”


Sua madre poteva anche sopportarlo, ma lei no. E quella mattina aveva deciso che era arrivato il momento di vederlo per la prima volta da quando era partita per Hogwarts, così era sgattaiolato fuori casa quando sua madre ancora dormiva, certa che avrebbe cercato di impedirle di farlo se fosse stata sveglia. 
Anche se, in effetti, ultimamente l’aveva vista passare più tempo a letto come mai prima d’ora, eccetto forse per dopo l’aborto. 

24


Quando scorse finalmente il numero giusto Elena si fermò, sospirando prima di salire i quattro gradini che la dividevano dalla porta, fermandosi davanti all’asta scusa. Sollevo una mano per bussare e all’improvviso si bloccò, chiedendosi se fosse effettivamente una buona idea… poteva sempre sparire, Smaterializzarsi e tornare a casa.

Fece quasi per cambiare idea, ma po le parve di sentire la voce di Axel suggerirle, prima delle vacanze, di andare dal padre e affrontarlo. E poi immaginò anche la reazione della sua migliore amica, molto meno pacata rispetto alla dolcezza consona di Axel, che l’avrebbe inseguita per il Dormitorio accusandola di essere la vergogna della loro Casa.

Elena scosse il capo, ripetendosi che lei non era sua madre, era molto più coraggiosa e forte di lei. Sua madre aveva deciso di nascondere la testa sotto la sabbia, ma lei non lo avrebbe fatto, avrebbe affrontato suo padre per entrambe.
Perché sua madre poteva anche ostinarsi a ripeterle di non essere arrabbiata, che aveva abbandonato lei, ma dal punto di vista di Elena, le aveva abbandonate entrambe.

Così si fece coraggio e bussò, con tanta veemenza che forse dall’interno sussultarono, e attese che qualcuno andasse ad aprirle.
Forse sperò che nessuno le rispondesse, perché l’idea che suo padre se ne fosse andato di casa per stare nella loro casa a Londra con un’altra donna era terribile, sperò che fosse altrove, che non fosse caduto così in basso. 

Ma poi la porta si aprì, e invece di suo padre Elena vide una donna, che le rivolse un’occhiata perplessa, chiedendosi che cosa volesse una ragazza a quell’ora del mattino.

“Salve.”
“Salve… Sto cercando Henry, è in casa?”
“Sì, ma lei chi è?”

Elena però non rispose, troppo occupata a scrutarla. E all’improvviso, tutta l’incertezza di poco prima sparì, rapidamente così come era comparsa, cedendo il posto ad un’altra emozione: rabbia.

Guardandola meglio, si rese conto che era più giovane di quanto pensasse, decisamente più di sua madre. Doveva avere meno di quindici anni in più rispetto a lei.

“Merlino, poteva almeno essere originale… ti prego, dimmi che non sei la sua segretaria.” 
Elena inarcò un sopracciglio, parlando con un tono esasperato che sembrò confonderla ulteriormente, guardando quella ragazza che non conosceva con sincera perplessità. 
“Come scusi?”

Ma Elena non rispose, limitandosi a sospirare prima di scivolare tra lei e la porta, infilandosi dentro l’ingresso è guardandosi intorno con aria annoiata, cercando tracce del padre:

“Scusa, ma le persone lente proprio non riesco a sopportarle… Hai davvero bisogno di chiedere chi sono? Vorrei dire che è un piacere ma proprio non lo è… io sono Elena, la figlia.”

La rossa si voltò verso la soglia, mentre lei aveva appena chiuso la porta e qualcosa sembrò mutare nel suo sguardo quando sentì quelle ultime parole. Ma non disse nulla, perché Elena la precedette con un’occhiata gelida prima di completare la frase:

“… tu devi essere la puttana.”



Dieci minuti dopo Elena era seduta in salotto, su una poltrona, di fronte a suo padre, che sembrò voler ignorare l’evidente ostilità della figlia e sorrise, come se fosse sinceramente felice di vederla: 

“Come stai, Elly?”
“Elena. E non sono qui per una visita di cortesia, non parleremo di me, come se ti importasse.”
La ragazza accennò una smorfia con le labbra, parlando con un tono piatto che fece alzare gli occhi al cielo al padre:

“Certo che mi importa, Elena. Ti ho scritto un mucchio di lettere, negli ultimi due mesi.”
“Non le ho nemmeno lette, a parte forse le prime due. Non puoi essere così stupido da pensare di lasciare la mamma come hai fatto senza che le cose cambino anche per me.”


“Dovresti sentire entrambe le versioni di una storia, Elena. Non me ne sono andato di punto in bianco, sai che io e tua madre abbiamo avuto qualche screzio, e io ne ho parlato con Scarlett. Sapeva della mia relazione prima che me andassi, non sono sparito da un giorno all’altro.”

Elena avrebbe voluto dirgli che era davvero uno stupido se non si rendeva conto che sua madre lo amava davvero, ma non voleva parlare di lei davanti a quella, rivolgendo infatti un’occhiata quasi disgustata alla ragazza che li osservava dalla soglia della stanza, le braccia conserte e appoggiata allo stipite, guardandola male. Forse si era offesa per l’epiteto di poco prima? Tanto meglio.

“La meretrice deve proprio stare ad ascoltare? Stiamo parlando di questioni di famiglia.”
“Io non sono una…”
“Elena, non chiamarla così.”

Henry rivolse un’occhiataccia alla figlia, che però non si scompose e sorrise innocentemente, sollevando le sopracciglia come a voler chiedere cosa avesse fatto di sbagliato:

“È importante chiamare le cose con il loro nome, papà. Dicevo… la mamma sta malissimo, ha ricominciato a bere. Come hai potuto farle questo, sapendo che ci sarebbe ricaduta? La mamma è fragile, papà, lo sai!”

“Lo so, e mi dispiace, so che non è giusto lasciarti in questa situazione… ma non potevamo continuare a vivere in quel modo, Elly, voglio bene a tua madre ma non la amo più da tempo.”
“Beh, lei ti ama. Sai, potrei davvero capire se voi due vi foste sposati per assecondare il volere delle vostre famiglie, ma dal momento che non è andata così non riesco a passarci sopra o a perdonarti, e non dovrebbe farlo nemmeno la mamma.”

Elena si appoggiò allo schienale della poltrona, le braccia conserte, e per qualche istante nella stanza calo il silenzio, interrotto solo dal ticchettio ritmico dell’orologio a pendole o dal scoppiettare del fuoco nel camino acceso. Poi Elena parlò di nuovo, voltandosi verso il padre: 

“Chiederà il divorzio.”
“Non lo farà.”
“Oh, sì, lo farà, te l’assicuro. La convincerò, papà, e non vedo l’ora di vederti precipitare… mi chiedo davvero se questa qui resterà, quando accadrà, sarà molto divertente. Buona parte delle spese si reggevano, e si reggono tutt’ora, visto che siete comunque legalmente legati, sul denaro della mamma… denaro che non resterà a te quando sarete divorziati. Ci sono molti matrimoni, nel nostro ambiente, che si reggono in piedi nonostante situazioni del genere, me ne rendo conto, ma io non lo accetto, non starò a guardare.
Oh, a tal proposito, sono venuta anche per dirvi di fare le valige e andarvene.”

“Elena, questa è casa mia, capisco che ti dia fastidio saperci qui, ma…”
“Oh, no, in realtà questa non è casa tua.”

Elena si sistemò più comodamente sulla poltrona, accavallando le gambe come se volesse godersi lo spettacolo, e sorrise con fare compiaciuto, come se avesse sognato di dire quelle cose a lungo:

“Questa è casa del nonno, che l’ha sempre gentilmente messa a completa disposizione della nostra famiglia. Ma quando, l’anno scorso, è morto, l’ha lasciata in eredità, insieme a tutte le sue altre proprietà. E ha pensato bene di non lasciarla alla sua unica figlia, per quanto amasse la mamma, forse perché temeva che TU ci avresti messo le mani sopra. No, l’ha lasciata alla sua unica, adorata nipote. E si dia il caso che io abbia compiuto diciassette anni già da tempo, quindi posso invitare caldamente te e la meretrice a togliervi dai piedi. Ho controllato, posso farlo, sarai anche mio padre, ma sono maggiorenne, e questa casa è mia. Non farai i tuoi comodi in casa del nonno.”


Elena si alzò, completando il discorso con un’occhiata gelida al padre prima di avvicinarsi alla soglia del salotto, ma prima di uscire si fermò accanto a “lei”, non si era nemmeno interessata a chiedere il suo nome, in effetti, e la osservò brevemente prima di sorridere con aria divertita, voltandosi verso il padre!

“Davvero, papà? Insomma, ho visto foto della mamma da giovane… lei sì che era un bell’acquisto.”


*


“Quando torna Sean dalla Nuova Zelanda?”
“Dopodomani. Gli ho detto di fare un mucchio di foto, piacerebbe andarci anche a me.”

Aurora sorrise mentre teneva Evangeline sottobraccio e passeggiavano per una Diagon Alley affollatissima, guadagnandosi un sorriso da parte della bionda, che annuì e sbattè le ciglia: 

“Lo immagino, magari con lui a farti da guida…”
“Smettila, sei peggio di mia madre!”

Aurora sbuffò, dando una gomitata all’amica, che però rise: 

“Scusa, ma è così evidente… in realtà non capisco perché ti crei così tanti problemi, le vostre famiglie si frequentano da anni, sono certa che ne sarebbero felici.”
“Ne sono sicura, ma credo che lui mi veda più che altro come una cugina. Possiamo cambiare argomento? Tu, piuttosto!”

“Io cosa?”
“Come sarebbe a dire cosa, ti ho vista dai Selwyn, con Jack! E quando siamo state dai Burke la sera dopo non eri così allegra, forse proprio perché Occhi Belli non c’era?”

“Non è assolutamente vero!”
“E non hai nemmeno ballato con nessuno!”
“Beh, avevo male si piedi. E poi sai che non mi mette molto a mio agio, non amo il contatto fisico…”

“Lo so bene, ma tra le braccia si Jack non avevi molti problemi, mi pare…”

Aurora sorrise, ricordando le risate che si era fatta con Regan, Sean e Charlotte quella sera, guardandolo ballare e parlare amabilmente.

“Nuova regola: non si parla di Sean e neanche di Jack, ok? Ora, vuoi andare da qualche altra parte?.”
“Dopo aver speso un capitale in vestiti hai ancora voglia di fare compere?”
“Certo, ho il regalo di Natale di mio nonno da sfruttare.”

Evangeline sorrise e l’amica la imitò, annuendo: 

“Allora direi di fare un salto al Ghirigoro, mi accompagni?”
“Certo, dò un’occhiata anche io.”

Evangeline annuì mentre l’amica la guidava verso la libreria, tenendo un mare di borsette in mano ciascuna. 
La bionda fece per entrare, quasi felice di potersi lasciare di nuovo il freddo momentaneamente alle spalle entrando in libreria, ma la sua mano era ancora sulla maniglia in ottone quando vide qualcosa che la costrinse a sgranare gli occhi azzurri, facendo istintivamente un passo indietro e ringraziando il cielo di non aver aperto la porta a sufficienza da far suonare la campana:

“Porca Priscilla, è in libreria!”
“Chi?!”
“Lui!”
“Lui chi?”

Evangeline alzò gli occhi al cielo, parlando con esasperazione mentre Aurora, dir fronte a lei, cercava in tutti I Lodi di non ridere:

“Secondo te chi, Mago Merlino? Jack Aurora, ho visto Jack! Stava parlando alla cassa con una donna!”
“Oh, è vero, che sbadata, mi sono dimenticata che sua madre lavora al Ghirigoro…”

La bionda fulminò l’amica con lo sguardo, che invece sfoggiò un sorriso angelico prima di prenderla per mano, esortandola ad entrare:

“Beh, non è un problema, vero? Coraggio, andiamo.”
“Veramente, forse potrei aspettarti fuori…”
“E prenderti la polmonite? Pessima idea, Evie… oh, ciao Jack, anche tu qui?”

Evangeline aggrottò la fronte mentre si voltava verso l’amica, vagamente stupita dalle sue ottime capacità recitative e dal tono sorpreso che usò mentre Jack si voltava verso di loro, esitando prima di sorridere quando i suoi occhi verdi indugiarono sulla bionda: 

“Salve ragazze. Sono venuto a dare una mano a mia madre.”
“Oh!certo, tua madre lavora qui… salve Signora Keegan.”

“Hai fatto scuola di recitazione, Aurora?!”
“No, è una dote naturale… Jack, potresti aiutare Evie a trovare il libro che cercava? Io intanto chiedo a tua madre.”

Aurora sorrise e si affrettò ad avvicinarsi a Lena, che aveva seguito lo scambio di battute appoggiata al bancone con un sorrisetto dipinto sul volto, mentre Evangeline, dopo aver rivolto un’occhiataccia all’amica, sorrideva debolmente a Jack: 

“Beh…. Buon anno.”
“Grazie, anche a te. Vieni… che cosa cerchi? Ormai conosco la libreria a memoria, mia madre mi portava qui spesso quando ero piccolo.”

“Beato te. Astronomia, comunque.”

Evangeline si guardò intorno, scrutando gli scaffali ingombri di libri di ogni dimensione, colore e argomento. Certo, grazie al lavoro di suo padre aveva potuto godere di molti agi e privilegi, ma non le sarebbe dispiaciuto nemmeno crescere in un ambiente più umile, più semplice, magari con qualche libertà in più. 

“Ti piace l’Astronomia? Ora si spiega perché hai la media più alta del corso.”
“Sei invidioso, Jack?”

“No, mal che vada mi darai ripetizioni... lo scaffale è questo, curiosa pure.”

Evangeline annuì, scrutando I titoli e ringraziandolo debolmente mentre il Serpeverde, dopo aver fatto per allontanarsi, si fermava per voltarsi di nuovo verso la ragazza e dire qualcos’altro:

“Evie?”
“Sì?”
“Mi sono dimenticato di dirtelo, alla Vigilia… “

Jack sorrise e la bionda, dopo essersi voltata verso di lui, aggrottò la fronte, guardandolo con leggera confusione prima che il ragazzo concludesse la frase:

“… eri davvero bella. Però sei pessima a ballare.”
“Come scusa?! Non credo proprio!”

Evangeline sgranò gli occhi, parlando con il tono più indignato che le riuscì mentre Jack, ridacchiando, si voltava e spariva dietro uno scaffale, le mani in tasca. 

“Keegan, vergognati, non si parla così ad una signorina!”
“Chiedo venia, Miss Rosehealty.”


Evangeline sbuffò e si voltò di nuovo verso i libri con aria risoluta, le braccia conserte mentre si diceva di ignorarlo. Però arrossì comunque, suo malgrado, per il complimento che le aveva fatto.


*

“Lo sapevo, ci siamo perse.”
“Non ci siamo perse, ma se invece di brontolare mi aiutassi, di certo arriveremmo ben prima!”

Iphigenia sbuffò mentre Jade, accanto a lei, roteava gli occhi azzurri, le braccia conserte mentre tremava leggermente per il gelo: forse lasciarsi convincere dall’amica ad andare in Scozia non era stata una buona idea.

“Sei sicura che l’indirizzo sia giusto?”
“Assolutamente sì, me lo sono trascritto da una lettera che Andrew aveva scritto per sua madre… dovrebbe essere qui nei dintorni, credo.”
“Perse a South Queensferry, roba da non credere…”

“Se avessimo incontrato qualcuno avrei chiesto indicazioni, ma sembra che tutti abbiano scelto oggi come giornata per chiudersi in casa!”
“Forse perché ci sono -15º?!”


“Esagerata… dai, andiamo di qua.”  Iphigenia riprese a camminare con passo deciso lungo il marciapiede e a Jade non restò che alzare gli occhi al cielo e seguire l’amica, rabbrividendo per il freddo: certo, lei la faceva facile, del resto il freddo non la disturbava più di tanto… ma Jade in quel momento avrebbe pagato montagne di Galeoni per potersi riscaldare davanti ad un camino acceso, seduta su un divano con una coperta sulle gambe e un libro in mano. 


Di fronte a quel confortevole scenario sospirò, chiedendosi perché non fosse rimasta a casa, quel giorno. 


Andrew Maguire sbuffò sonoramente, creando una nuvoletta di vapore davanti a lui, mentre ciondolava sul marciapiede, diretto verso casa con delle buste strapiene in mano: sua madre aveva pensato bene di buttarlo giù dal letto e spedirlo a fare la spesa, visto che aveva deciso di preparare abbastanza pietanze per sfamare tutto il quartiere. 
Era sempre ben felice di aiutarla, invitandola a riposarsi quando era a casa per le vacanze, ma avrebbe di gran lunga preferito stare al caldo invece di vagabondare per le strade. 

Manca amo tre giorni al rientro a scuola e da una parte ne era felice, il castello un po’ gli mancava, specialmente le persone che lo abitavano. E poi mancava poco più di una settimana alla sua prima partita dell’anno, e non vedeva l’ora di giocare contro Corvonero. 


Le vie erano deserte, complici la bassa temperatura l’orario, ma ad Andrew sembrò comunque di sentire un paio di voci infondo alla strada, senza però prestarvi particolare attenzione. 
Voci femminili, in effetti, e quasi familiari. 

Andrew sospirò e scosse il capo, dicendosi che Iphe gli mancava così tanto da immaginare persino di sentire la sua voce… anche se, in effetti, quel tono pacato e affrettato sembrava proprio il suo quando era leggermente nervosa per qualcosa.

Il ragazzo alzò lo sguardo, osservando quelle sue figure caminare diversi metri davanti a lei. In effetti, avevano delle sagome familiari. Specie il modo in cui una delle due gesticolava mentre parlava.
Buffo, una delle due aveva gli occhiali, come Jade. 

O forse era proprio Jade?

“Jade? Iphe? Che ci fate qui?”

Le due ragazze si voltarono e nonostante la distanza Andrew fu certo di vederle sorridere, imitandole mentre Jade gli rivolgeva un cenno con la mano:

“Andrew! Che fortuna averti trovato, ci siamo perse, Iphe è totalmente incapace ad orientarsi.”
“Ha parlato la cartografa provetta... volevamo farti una sorpresa.”

Iphigenia sorrise all’amico mentre il rosso si avvicinava alle due, facendo cenno alle ragazze di seguirlo:

“Venite, fa freddissimo… mia madre sarà felicissima di vedervi, e ovviamente lo sono anche io. Mi siete mancate, nanerottole!”
“Non chiamarci così!”


Pochi minuti dopo Andrew spalavano la porta della locanda e Jade ci si precipitò dentro connun sospiro di sollievo, mentre il ragazzo parlava a voce alta fer farsi sentire dalla cucina dalla madre:

“Mamma, mentre tornavo a casa ho trovato due esuli che vagabondavano, mi hanno impietosito e le ho portate qui.”
“Stupido.”

Iphigenia colpí giocosamente l’amico su un braccio, ma sorrise comunque mentre Iona, incuriosita, faceva capolino sulla soglia con uno strofinaccio tra le mani e il grembiule addosso, sorridendo quando vide le due ragazze:

“Ragazze! Che bello vedervi, Andrew non mi ha detto che sareste venute.”
“Perché non lo sapevo nemmeno io, mi hanno fatto una sorpresa… andate a riscaldarvi un po’, vi portò la cioccolata calda.”

“Ottima idea.” Jade sorrise allegramente per poi lasciarsi scivolare su una poltrona vicina al camino con sollievo, mentre Andrew raggiungeva la madre in cucina.

“Non so se la vedrai.”
“Di chi parli?”
“Del motivo per cui siamo qui, vuoi vedere quella ragazza… tranquilla, probabilmente è meno carina di te, Iphe.”

“Non sono qui per vedere che faccia ha Eilidh Scott, Jade!”
“Il fatto che tu riesca a ricordare un nome come Eilidh prova che sei curiosa, mia cara.”


*

 
Adela era seduta davanti alla scrivania nella sua camera, impegnata a scrivere una lettera per Charlotte. 
Tornare a Chandrapore era stato quasi un sollievo, finalmente non doveva più fare i conti con le temperature vergognosamente basse della Scozia, seppur per un periodo breve. L’india le era mancata nei mesi precedenti ed era felice di essere tornata a casa, anche se gli amici le mancavano, come stava scrivendo a Charlotte proprio in quel momento.

Adela smise momentaneamente di scrivere, esitando con lo sguardo sulla finestra che aveva davanti e sentendo qualcosa picchiettarle leggermente su una gamba. Abbassando lo sguardo sorrise nel rendersi conto che era Rami, che probabilmente si sentiva trascurato a causa delle scarse attenzioni della padrona, così si chinò e lo prese in braccio, grattandogli distrattamente le orecchie:

“Ti manca il castello, Rami? Sono sicura che Charlie ti manca… manca un po’ anche a me. E anche Thor.”

La ragazza pensò a Ronald, che era rimasto a scuola per le vacanze. Quando glie l’aveva detto e l’aveva salutato aveva pensato che di certo in quelle due settimane di separazione le sarebbe mancato, abituata com’era a vederlo ogni giorno… eppure, ciò non era successo. 
Un po’ le mancava, sì, ma non tanto come credeva prima di partire.

Non averlo intorno era strano, e si era ritrovata a provare una strana sensazione, quasi come de fosse più rilassata. Avrebbe voluto dirlo a Charlotte, ma sapeva che cosa avrebbe detto l’amica: “fatti una domanda e datti una risposta”, così le avrebbe risposto, ne era certa.
Con sua madre non era proprio il caso di parlarne, e Thor… parlare in Thor di Ronald era sempre molto imbarazzante, cerva di evitarlo il più possibile.

Non lo scrisse nella lettera, dicendosi che avrebbe potuto dirglielo di persona… intanto, in quegli ultimi tre giorni di lontananza, avrebbe potuto pensarci meglio e riuscire, magari, a fare finalmente chiarezza su quello che provava.


*


Domenica 5 Gennaio 


“Tesoro, apprezzo che tu ti stia preoccupando ma credimi, è complicato. E non devi pensarci tu.”
“Non vedo chi altro dovrebbe farlo, visto che nessuno sta facendo nulla.”

Elena inarcò un sopracciglio e sua madre, seduta di fronte a lei al lungo tavolo rettangolare della sala da pranzo, sospirò, intuendo che non avrebbe cambiato idea molto facilmente: la ragazza infatti fece comparire una quantità non indifferente di libri, lettere e documenti, che fece planare dritti sul tavolo, davanti alla madre:

“Mi sono documentata mentre ero a scuola, mamma, non sapevo praticamente nulla del divorzio, è una pratica poco diffusa, specie nel nostro mondo, i maghi non lo fanno quasi mai…”
“Lo so, Elena, non si è mai sentito di una coppia di Purosangue che ha chiesto il divorzio, per questo non…”

“Beh, c’è sempre una prima volta, no? Dunque, ho fatto ricerche e ho scritto anche all’avvocato del nonno…”
‘Hai scritto a Michael!?”
“Sì, per fortuna il nonno mi portava spesso con lui al lavoro, in quell’ufficio mi adorano tutti. Comunque… pare che fino al 1923 l’unico motivo per poter chiedere il divorzio fosse l’adulterio, e direi che in questo caso si può parlare proprio di questo. Questo significa che se un uomo picchia sua moglie ogni giorno per vent’anni, le cava un occhio, la chiude in casa o le causa un aborto gettandola dalle scale, lei non può chiedere il divorzio… ma se una donna tradisce una sola volta, lui può divorziare, tenere tutto il denaro per sè e non fare veder I figli per il resto della sua vita. Ti sembra giusto? Poi però è stata introdotta una pratica, se una donna benestante può provare l’adulterio del marito può ottenere il “divorzio a mensa et thoro”, ma è una separazione che vieta alla moglie di contrarre nuovamente matrimonio, e ha un costo.  La pratica, comunque, ha cominciato a diffondersi dopo l’epoca vittoriana, molte donne preferivano sopportare l’adulterio piuttosto che divorziare poiché difficile è molto costoso da ottenere. Ma poi quando qualcosa è cambiato, a favore del genere femminile… mai sentito parlare di Caroline Norton?”

Elena sorrise e allungò un libro alla madre, aprendolo dove aveva lasciato un segno, mostrandole la foto di un ritratto. Sua madre rivolse un’occhiata perplessa alla donna ritratta e scosse il capo, mentre la figlia continuava a sorridere:

“Era una scrittrice, sposata con un tale, George Norton, che iniziò ad accusarla di avere una relazione con un suo amico, William Lamb. Suo marito l’allontanò dai figli e confiscò tutti I suoi guadagni, le leggi di allora lo permettevano, come ti ho già detto, ma Caroline non lo accettò e presentò il caso in tribunale, supportata da Lamb, e riuscì a far apportare delle modifiche alle norme. William Lamb, mamma, lo conosci?”

“Non credo, no.”
“E se lo chiamassi Lord Melbourne?”
“Il Primo Ministro?”

“Esatto. Mamma, Lord Melbourne allora era il Primo Ministro, fu un vero e proprio scandalo, ma lui e Caroline ne uscirono… se il Primo Ministro si è permesso di farsi coinvolgere in un divorzio, noi non possiamo farlo? Caroline Norton ha dato vita ad una riforma, mamma, per agevolare le donne… e chi siamo noi per non onorare la sua causa? Sono susseguite anche leggi contro le donne, certo, ma – come puoi vedere qui – nel 1870 è stata promulgata la “Legge di Proprietà della donna sposata”, che stabilisce che una donna, dopo il divorzio, può mantenere i suoi guadagni. Per ottenere il divorzio, mamma, devi denunciare una delle “grandi tre”: maltrattamenti, adulterio o abbandono del tetto coniugale. E direi che in questo caso ne abbiamo due su tre, quindi diamoci da fare.”

Sua madre non disse nulla e Elena sospirò, facendo il giro del tavolo per raggiungerla, sedendosi sulle sue ginocchia per abbracciarla:

“So che è difficile, che è un grande cambiamento e che papà ti ha ferita… ma lasciando le cose come stanno avrà quello che vuole, mamma: potrà usufruire liberamente del tuo denaro, e intanto farà i suoi comodi. Non è giusto, non puoi passare così i prossimi quarant’anni… lo faremo a pezzi, te lo prometto.”
“Oh, tesoro… Cosa farei senza di te?”

“Sì, me lo chiedo anche io. Ho detto agli elfi di buttare via tutto l’alcol, comunque, hai smesso di rovinarti.”


*


Lunedì 6 Gennaio 


Charlotte sorrideva mentre scendeva le scale di corsa, imitata dai suoi cani che quasi rotolarono sulla rampa per raggiungere l’ingresso il più rapidamente possibile, scodinzolando.

“Seannie!”
La Corvonero sorrise mentre si avvicinava al fratello, che aveva appena messo piede dentro casa, per poi saltargli praticamente in braccio, gettandogli le braccia al collo:

“Mi sei mancato.”
“Sono stato via una settimana e mezza, Charlie, non due mesi… ciao ragazzi.”

Sean sorrise mentre rimetteva la sorella con i piedi per terra, inginocchiandosi per ricevere le attenzioni dei tre Cavalier King che gli stavano facendo le feste. 

“Sei abbronzato! Beato te, io sono pallida come un cadavere… stare qui senza di te è sempre un inferno, sono felice che tu sia tornato. Devi raccontarmi tutto, hai fatto molte foto?”

“Sì, non ho avuto scelta, Aurora prima di partire mi ha detto “torna con le foto o non tornare affatto”, quindi…”


Sean sorrise mentre si alzava, e non ebbe nemmeno il tempo di prendere le sue cose quando la sorellina lo prese sottobraccio, annuendo:
“Mi sembra giusto. Ovviamente vorrò vederle anche io… lascia, chiederemo ad un elfo di portare le tue cose di sopra, ora andiamo a prendere un thè.”

“Non ho diritto di replica, vero?”
“No, non ce l’hai.”


*


Martedì 7 Gennaio 


“Elly!”

Elena stava per salire sul treno quando, sentendosi chiamare da una voce decisamente familiare, si voltò, sorridendo appena quando vide Axel avvicinarlesi:

“Ciao… come stai?”
“Sono stata meglio, ma felice di tornare a scuola, anche se non vorrei lasciare mia madre da sola.”
“Se la caverà, vedrai, tu stai facendo anche troppo, non dovrebbe essere compito tuo pensare a queste cose.”

Axel abbracciò l’amica, felice di vederla, ed Elena sorrise, r8 graziandolo a bassa voce per il supporto prima di sciogliere l’abbraccio:

“Con tuo padre com’è andata?”
“Al solito, lui non capisce me e io non capisco lui… ma non preoccuparti, non mi arruolerò mai.”
“Lo spero per te perché altrimenti verrei a prenderti, e allora altro che tedeschi!”



Accanto a lui Regan e Jack stavano parlando delle vacanze, ma Gabriel non stava ascoltando i due amici, gli occhi chiari fissi su due ragazzi impegnati a parlare poco più in là, che di erano appena abbracciati.

Non aveva più visto Elena, in effetti, e da una parte ne era stato felice visti che proprio non sapeva che cosa dirle… aveva provato a capire cosa avesse fatto di sbagliato ma proprio non era riuscito a dedurlo. Avrebbe voluto chiederlo a lei e chiarire, magari l’avrebbe fatto una volta tornati a scuola. 
Eppure, all’improvviso un nuovo pensiero lo scosse: che l’avesse respinto perché interessata ad Axel Farrell? Che fossero molto legati si sapeva, erano sempre insieme, ma non ci aveva mai fatto caso più del dovuto… forse avrebbe dovuto iniziare a farlo?

“Gabri? Chi stai guardando?”
“Che domande Jack, si sta chiedendo perché Elena MacMillan gli ha servito un due di picche alla Vigilia.”

“Invece di parlare di me, voi due, pensate alle bionde per cui sbavate ma a cui non avete il coraggio di dichiararvi, IO almeno l’ho fatto, vi ricordo!”

Gabriel rivolse un’occhiata inceneritoria ai due prima di sparire, salendo sul treno, e a Jack e a Regan non restò che scambiarsi un’occhiata scettica: 
“Forse non ha tutti i torti…”
“No, infatti.”




Axel rise, guardando l’amica con affetto mentre una terza figura si univa al suo, correndo verso di loro con aria trafelata:

“Elly, finalmente! Mi dici che cosa è successo con Greengrass? Ciao Axel.”

Stephanie si fermò accanto agli amici e sorrise al ragazzo, che aggrottò la fronte e si rivolse alla rossa: 
“Che è successo con Greengrass?”  
“Niente, Steph parla a sproposito. Venite, andiamo a cercarci uno scompartimento.”

Axel avrebbe voluto saperne di più, ma Elena si affrettò a girare sui tacchi e salire sul treno, dandogli l’impressione di voler evitare un determinato argomento, che aveva capelli neri, occhi verdi e dormiva nei Sotterranei.


*


Adela aveva già sistemato le sue cose su uno scompartimento quando incontrò Charlotte nel corridoio, sorridendo all’amica e chiamandola per attirare la sua attenzione.
La Corvonero, sentendosi chiamare, smise di parlare con Katherine e Beatrix e si voltò verso di lei sorridendo calorosamente all’amica prima di congedarsi dalle sue compagne e raggiungerla: 

“Eccoti, finalmente! Non vedevo l’ora di vederti.”
“Anche tu mi sei mancata Charlie… CHARLIE! Parlavi con me o con lui!?”

Charlotte, infatti, dopo esserlesi avvicinata le aveva strappato Rami dalle braccia e ora lo stava abbracciando, con grande gioia del Fennec. 

“Eh? Beh, ovviamente mi sei mancata anche tu, Adela.”

Charlotte sorrise con aria colpevole, assestando una leggera pacca sulla spalla dell’amica, che alzò gli occhi scuri al cielo: le era sembrato strano, in effetti, tutto quell’affetto… 

“Bene, ora che tu e Rami vi siete ricongiunti e potete coronare il vostro amore vieni, devo dirti un paio di cose.”
“Devo preoccuparmi? Sembri seria… riguarda Heslop?”
“Anche. Diciamo che ho avuto modo di riflettere molto in questi giorni, stando da sola, e ho capito che non mi è mancato come credevo. E da lì sono… giunta a delle conclusioni.”

Adela si strinse nelle spalle mentre s’incamminava nel corridoio per tornare nel suo scompartimento con l’amica accanto, che annuì continuando a tenere Rami in braccio: 

“Beh, sai come la penso, ma non dirò niente per evitare di condizionarti… l’unica cosa che posso dirti, cara Adela, è: fatti una domanda e datti una risposta.”

Adela guardò l’amica precederla ed entrare nello scompartimento con un piccolo sorriso ad incurvarle le labbra, quasi divertita dalle sue parole: la conosceva davvero troppo bene.


*


“In sostanza, Gabri ha baciato Elena, ma lei lo ha respinto.”
“Davvero?! Oh, poverino! Ci è rimasto molto male?”

“Parecchio, fa il musone da Natale, gli interessa più di quanto non voglia ammettere… Ma non preoccuparti, ovviamente Kat prenderà in mano la situazione è risolverà i problemi di cuore di Gabriel!”
Katherine annuì, sorridendo con un fare soddisfatto e quasi divertito mentre accarezzava il pelo di Darcy che sembrò preoccupare Beatrix, che le rivolse un’occhiata dubbiosa mentre coccolava Echate a sua volta:

“In che senso “prendere in mano la situazione”?”
“Non so di preciso, qualcosa mi inventerò… e tu mi aiuterai, ovviamente.”

“IO?”
“Sì, tu, ti ho nominata mia assistente.”
“E quando!?”
“Due minuti fa. Non so, potresti andare da Gabriel, dirgli che sono caduta dalle scale del Dormitorio o qualcosa del genere, così lui, spinto dall’amore nei miei confronti, accorrerebbe e lì troverebbe Elena, che io avrò provvidenzialmente chiuso fuori dal Dormitorio, in Sala Comune, così saranno costretti a vedersi e a parlarsi. Che ne dici?”

Katherine sfoggiò un sorriso allegro. Guardando la cugina come se fosse in attesa dei suoi complimenti, ma la bionda rimase impassibile e si limitò a scuotere il capo con disapprovazione:

“Pessimo piano, è uno dei peggiori che tu abbia mai avuto, dopo quello di mettere la parrucca a mio fratello e indurlo a farsi spacciare per me.”
“Come sei critica! Ho cambiato idea, ti licenzio, lavoro meglio da sola.”  Katherine le rivolse un’occhiata torva, parlando con fare sostenuto mentre la bionda alzava gli occhi al cielo:

Che disdetta… ma ti prego, Kat, cerca di ricordare una cosa: qui non siamo in uno dei tuoi romanzi, quindi non fare niente di sconsiderato che potrebbe aggravare la situazione invece di migliorarla! No, niente bugie e inganni, ti prego.”
“Come sei noiosa, ecco perché sei una Tassorosso.”
“Grazie tante.”





…………………………………………………………………….
Angolo Autrice: 

Salve mie care, vi sono mancata? Spero di sì e spero anche che ci siate ancora tutte, mi duolerebbe parecchio eliminare qualche OC essendo ormai a metà storia inoltrata.
Chiedo scusa, di nuovo, per l’attesa, ma almeno il capitolo è abbastanza lungo, quindi spero di essermi fatta perdonare almeno un po’… e grazie per la comprensione. 

Detto ciò, domanda per voi: nel prossimo capitolo ci sarà la partita tra Corvonero e Tassorosso, quindi vi invito a votare se il vostro OC non è in una delle due Case.

A presto, spero, 
Signorina Granger 

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Capitolo 16
*** Corvonero - Tassorosso ***


Capitolo 14: Corvonero – Tassorosso 
 
Venerdì 10 Gennaio 


“Gli ho parlato.”
“Parli di Ronald?”

Adela annuì mentre si avvicinava al letto dell’amica, sedendo accanto a lei mentre Charlotte distoglieva la sua attenzione dal libro che teneva in mano per concentrarsi su di lei, guardandola con curiosità:

“Cosa gli hai detto?”
“Quello che ho detto a te, in pratica… che co ho presto e che forse non era la decisione giusta, non lo sarebbe stata per entrambi. Credo che fossi spinta, più che altro, dal voler rendere felici i miei genitori, ci hanno sperato a lungo.”
“Lo so Adela, ma devi essere felice tu, per prima. E sono felice che tu l’abbia fatto, è la decisione giusta.”

Charlotte sorrise con soddisfazione mal celata, guardando l’amica annuire debolmente con affetto:

“Lo so.”
“Bene, ora devi solo dirlo a Thor, farà i salti di gioia!”

Adela roteò gli occhi, borbottando che non aveva alcuna intenzione di buttarsi tra le braccia di Hector due minuti dopo aver rotto un fidanzamento, ma Charlotte scosse il capo, parlando con tono allegro:

“Sciocchezze, penso proprio che ormai stesse perdendo le speranze… che bella notizia!”
“Perché sembri più felice tu di me?”

Charlotte si strinse nelle spalle, scivolando giù dal letto e raccomandando all’amica di dirlo ad Hector il prima possibile.

“Lo farò, ma tu, nel frattempo, devi tenere le labbra cucite, chiaro?!”

“Sarò una tomba, lo giuro, ma se aspetterai troppo potrei far scivolare accidentalmente del Veritaserum nel tuo thè pomeridiano.”
“Non oseresti.”
“Tu dici?”


*


Domenica 12 Gennaio 

   

Jade rivolse un’occhiata torva in direzione dei suoi migliori amici, impegnati a parlottare animatamente a proposito della partita imminente, mentre versava del latte nella sua tazza di caffè, sperando che quella giornata passasse in fretta.

“Andrai alla partita?”
“Devo, mi toglierebbero il saluto se non ci andassi… tu verrai?”
“Sì, mi vedo costretta anche io dal momento che Kat esige la mia compagnia… ma spero che la nostra squadra vinca, ovviamente, anche se non mi interessa particolarmente il Quidditch.”

“Io non ne posso più di sentir parlare di Boccini, passaggi, Bolidi e Pluffe… spero che vincano, così saranno felici e il discorso sarà chiuso.”

Jade sbuffò leggermente, roteando gli occhi chiari con esasperazione mentre Beatrix, seduta di fronte a lei, le sorrideva con un velo di compassione, come se comprendesse il suo stato d’animo: aveva sperato di convincere Katherine a non andare alla partita, ma lei e Markus avevano insistito per “studiare le strategie avversarie” e si era ritrovata senza via d’uscita, come sempre quando si trattava della cugina.


*


Elena teneva gli occhi fissi sulla sua tazza, mescolando distrattamente lo zucchero nel thè e senza prestare attenzione alle chiacchiere di Axel e Stephanie, seduti accanto a lei. 
Si accorse che qualcuno le sedette di fronte ma non ci fece caso finché non sentì la familiare voce di Katherine Burke, che la costrinse ad alzare lo sguardo:

“Ciao Elena, pensierosa?”
“Un po’.”

Elena annuì, a disagio, non sapendo come comportarsi con la compagna di Casa: che fosse grande amica di Gabriel era cosa nota, e di certo lui le aveva detto cos’era successo dai Selwyn. Quanto a lei, si sentiva sprofondare al solo ricordo e non aveva ancora avuto il coraggio di parlare con lui, nonostante Stephanie continuasse a ripeterle di farlo, che non poteva essere peggio di affrontare suo padre.

“Oggi farai la cronaca? L’altra volta è stato molto divertente.”
“No, non sono dell’umore, non penso che verrò alla partita, in realtà. Devo studiare.”

Elena scosse il capo prima di abbassare nuovamente lo sguardo sulla sua tazza e Katherine annuì, osservandola con attenzione prima che la rossa parlasse nuovamente, tentennando leggermente:

“Kat… Gabriel ti ha detto cosa è successo alla Vigilia?”
“Sì, certo. Credo che dovresti parlare con lui, in realtà, è piuttosto confuso.”

“Mi dispiace, davvero, non è un periodo facile, e non era una bella serata.”
“Credo che l’avesse capito, ha cercato di distarti per tutta la sera, di qualunque cosa si trattasse.”

Katherine annuì ed Elena abbozzò un sorriso appena percettibile, improvvisamente un po’ più allegra:
“Davvero? Non me n’era resa conto.”

“Tu ultimamente non ti rendi conto di un sacco di cose, Elly.” 
“Steph, continua a sorridere a Carsen e vai a fare con lui il Grillo Parlante!”


*


“Come mai così di buon umore?”
“Perché assisterà alla partita in compagnia di una splendida fanciulla dai capelli biondi.”

Regan sbuffò debolmente alla domanda di Sean, consigliando a Jack di smetterla mentre l’amico ridacchiava. 
“Giusto, l’avevo dimenticato… ma visto che non c’è, qualcosa mi dice che cosa succede a Gabriel? È di pessimo umore da quando siamo tornati e non l’ho sentito per tutte le vacanze.”

Sean guardò i due amici scambiarsi un’occhiata incerta prima che Regan si schiarisce la voce, chiedendogli se non sapesse cosa fosse successo a casa sua, al suo compleanno:

“Di cosa stai parlando?”
“Beh, Gabriel potrebbe aver baciato Elena, ma lei non l’ha presa particolarmente bene, pare.”
“Cosa? E perché io lo so solo ora?!”

“Beh, perché sei sparito in Nuova Zelanda e perché non siamo un branco di ragazzine pettegole! Ok, zitti, sta arrivando… Ehy, vieni alla partita con noi?”

Jack si stampo un sorriso allegro sulla faccia quando Gabriel si avvicinò ali amici, sedendo accanto a lui e stringendosi nelle spalle con aria cupa:

“Non lo so.”

Regan sgranò gli occhi con orrore e si cambio un’occhiata allarmata con Sean, certo che dovesse essere grave perché l’amico non volesse nemmeno assistere ad una partita, e Jack sospirò, dando voce ai pensieri di tutti e tre:

“Amico, non puoi continuare così, dovresti parlare con lei e chiarire.”
“A che serve parlarci, il messaggio è stato molto chiaro.”

Gabriel piegò le labbra in una debole smorfia, scuotendo il capo mentre allungava una mano per prendere un toast e addentarlo con aria cupa:

“Non puoi esserne sicuro, forse quella sera era particolarmente di cattivo umore, magari era arrabbiata con qualcun altro e se l’è presa con te… o forse aveva le sue cose!”
“Dici che può essere per questo?”

Gabriel inarcò un sopracciglio, parlando con tono incerto mentre Jack si stringeva nelle spalle:

‘Non lo so… Sean?”

Tutti e tre si voltarono sincronicamente verso il Prefetto, che sgranò gli occhi verdi e arrossì prima di parlare con aria indignata:

“Perché lo chiedete a me?!”
“Beh, sei tu quello che ha una sorella, qui!”
“E allora, io e Charlotte non parliamo certo di… quella cosa!”

“Ho sentito il mio nome, che succede?”

“Niente Charlie, lascia stare, sono degli idioti.” Sean scosse il capo, sperando di aver liquidato il discorso, ma disgraziatamente Gabriel si voltò verso di lei, rivolgendole un’occhiata dubbiosa mentre la Corvonero, che si era probabilmente avvicinata per salutare il fratello, era in piedi accanto a lui e guardò il ragazzo con un sopracciglio inarcato:

“Charlotte, secondo te…”

Non chiederglielo Gabriel. Non chiederglielo


Sean si nascose il viso tra le mani, certo che avrebbe trovato solo pochi brandelli del suo amico una volta sollevato di nuovo lo sguardo, ma ciò non gli impedì di sentire, con orrore, la voce di Gabriel parlare con curiosità:

“… quando una ragazza ha le sue cose, può comportarsi in modo assolutamente strano o opposto rispetto a ciò che pensa realmente?”

Per un attimo, Charlotte non disse niente, limitandosi ad aggrottare la fronte e guardare il ragazzo come se non credesse alle sue orecchie. Poi la Corvonero sospirò, alzando gli occhi al cielo:

“A volte dimentico che siete un branco di buoi muschiati senza cervello… Dimmi Greengrass, secondo te le donne funzionano come i Lupi Mannari, che si trasformano con la Luna Piena?!”
“No, certo, anche se a volte siete un po’ aggressive…”
“Stai dicendo che ci trasformiamo in bestie quando ci arriva il ciclo?!”

“No, certo che…”
“Te lo dico io Greengrass, no. Quindi, prima che tu me lo chieda, Elena non ti ha respinto perché aveva le sue cose.”
“Come… come fai a saperlo?! SEAN!”
Gabriel si voltò di scatto verso l’amico, fulminandolo con lo sguardo, ma Sean scosse il capo e alzò le braccia, come a voleri dichiarare innocente:

“Io l’ho saputo due minuti fa, non glie l’ho detto io!”
“E allora chi… Katherine. Te lo ha detto Kat?”   Gabriel piegò le labbra in una smorfia, voltandosi di nuovo verso la ragazza e guardandola stringersi nelle spalle, parlando con tono noncurante:

“Non ha importanza Greengrass, ti basti sapere che io so ogni cosa, specie se quel qualcosa avviene in casa mia. Bene, se avete finito di farmi domande idiote me ne vado… ciao Seannie.”

Charlotte rivolse un sorriso al fratello, addolcendosi notevolmente nel pronunciare quelle due ultime parole prima di girare sui tacchi e allontanarsi, tornando al suo tavolo.

“Bella mossa, Gabriel.”
“Sta’ zitto Jackie.”


*


“Non capisco perché devo venire alla partita, martedì c’è il test di Astronomia e devo studiare, non perdere tempo!”
“Non farmi ridere Evie, sappiamo entrambe che hai già studiato, puoi prenderti una pausa, fidati. E poi oggi gioca la nostra Casa, che Corvonero saremmo se non andassimo?”

Evangeline sbuffò, borbottando che la partita sarebbe stata solo una gran perdita di tempo mentre Aurora, seduta accanto a lei, sorrideva, apparentemente di buon umore:

“Tranquilla, sono sicura che quando ti dirò cosa ho in mente sarai molto più felice di andare al campo.”
“Ah sì?” La bionda inarcò un sopracciglio, parlando con un tono e un’espressione scettici che vennero ignorati dall’amica, che invece annuì e continuò a sorridere:

“Sì. So da fonti estremamente attendibili che Regan Carsen oggi guarderà la partita con Stephanie Noone, e Gabriel Greengrass è di pessimo umore, non so se andrà alla partita. Quindi, penso che dovremmo andare a fare compagnia a Sean e a Jack, visto quanto siamo gentili e beneducate.”

“Chi è la fonte attendibile?”
“Ovviamente Charlotte, ma non è questo il punto… suvvia, non hai improvvisamente un po’ più voglia di vedere la partita?”

“Uhm, sì, va bene.”
Evangeline annuì mente abbassava lo sguardo sulla sua colazione, parlando con finto tono noncurante mentre Aurora sorrideva, alzandosi:

“Bene, vado a dirlo a Sean allora.”
“Prova almeno a contenere l’entusiasmo, se ti riesce.”
“Almeno non mi fingo musona come qualcuno!”



“Adela, smettila di battere i denti, ti si sente dal tavolo dei Serpeverde!”
“Scusa, sono nervosa…”

Adela sospirò, gli occhi scuri fissi sul suo piatto praticamente ancora pulito mentre Hector, seduto accanto a lei, le sorrideva gentilmente:

“Andrà bene, vedrai. Quanti strati hai addosso?”
“Quattro. Non dire nulla, non voglio prendermi la polmonite.”  

Adela rivolse un’occhiata torva alla sua migliore amica mentre si portava la tazza di thè alle labbra, osservando Charlotte sorridere con aria angelica e sollevare entrambe le mani:

“Ok, le mie labbra saranno sigillate.”
“Ronald non viene a farti gli auguri?”

Hector aggrottò la fronte, rivolgendo un’occhiata confusa al tavolo dei Serpeverde e non cogliendo così l’occhiataccia che Charlotte rivolse all’amica: lui ancora non lo sapeva, dal momento che Adela non si era ancora degnata di informarlo e aveva fatto promettere a Charlotte di non dirlo. 


“Smettila di trattarmi come una criminale che deve confessare, non dirò nulla, giuro!”
“Non ci si può mai fidare troppo della tua lingua lingua, Charlotte. Giura su Sean che non glielo dirai, e fammi vedere le mani!”
“Va bene, va bene. Lo giuro sul mio adorato fratellino, croce sul cuore. Soddisfatta, Ispettrice Quested?”
“Sì, direi di sì.”


“Uhm, me li ha… fatti prima. Andiamo? Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.”  Adela si alzò, impaziente di sviare l’argomento altrove e Hector la imitò subito dopo, rivolgendole però ugualmente un’occhiata apprensiva:
“Ma non hai mangiato niente!”
“Non importa, per una volta non succederà niente… ciao Charlie.”

“Buona fortuna!”

Charlotte sorrise allegramente, rivolgendo un cenno ai due e guardandoli allontanarsi parlottando con fare soddisfatto. Anche se, certo, Adela ancora non si era decisa a parlare con lui… aveva promesso di non dire nulla e non l’avrebbe fatto, ma la tentazione di rifilarle il Veritaserum era comunque molto forte.

Per il momento, si limitava a godere di aver avuto ragione fin dall’inizio a proposito di Adela ed Heslop... l’idea di essersi liberata di lui era decisamente appagante. 
E a Charlotte era sempre piaciuto molto avere ragione.


*


“Ok, sono pronta, userò questa su chiunque si metterà sulla mia traiettoria!”

Iphigenia, già cambiata con la divisa addosso, annuì con fare risoluto mentre misurava lo spogliatoio a grandi passi, la mazza in mano. Il tutto mentre Andrew, seduto su una panca, seguiva i suoi movimenti con sguardo preoccupato:

“Ricordami di non farti mai arrabbiare con quella a portata di mano, Iphe…”
“Che dici, non sono affatto una persona violenta!”

Iphe sorrise dolcemente, voltandosi verso l’amico che invece alzò gli occhi al cielo, alzandosi a sua volta per prendere la sua scopa:

“Non si sa mai. Tu cerca solo di non usarla al di fuori del campo, come già ti ho detto non vorrei doverti salvare da Azkaban per aggressione con mazza da Quidditch, corrompendo la giuria con dei biscotti.”
“È bello saperti dalla mia parte, se dovesse succedere… ma non temere, sai che non mi arrabbio facilmente.”

Per fortuna, pensò il ragazzo quando, poco dopo, uscirono insieme dallo spogliatoio per raggiungere i Corvonero sul campo, lanciando un’occhiata incerta alla ragazza, che sembrava tranquilla e rilassata.

“Nervoso?”
“Solo un po’.”
“Non devi, sei bravo. E poi copri gli anelli restando fermo, in pratica.”

“Sarebbe divertente vedere te nelle vesti di Portiere, Iphe.”

Andrew ridacchiò, immaginando una piccola Iphe che svolazzava davanti agli anelli maledicendo i Cacciatori, ma l’occhiata che l’amica gli rivolse lo costrinse a tornare serio, ricordandosi che aveva ancora la mazza in mano.


*


“È un peccato che Elena non faccia la cronaca, oggi, vero? Non sembrava di buon umore, chissà che cosa è successo…”

Aurora era appoggiata alla ringhiera, seguendo distrattamente i movimenti della Pluffa mentre si sistemava il berretto sulla testa, cogliendo i sorrisetti e le occhiate divertite che Sean, accanto a lei, continuava a lanciarle.

“Sean, che cos’ho di tanto divertente, si può sapere?!”
“Scusa, ma… come ti sei imbacuccata?!”
“Sai che soffro il freddo, non prendermi in giro.”

Aurora sbuffò, nascondendo il viso dietro la sua sciarpa blu mentre il ragazzo sorrideva, sistemandole distrattamente il bavero della giacca:

“Va bene, scusa Aury. Comunque… davvero non sai cosa è successo da noi a Natale, al mio compleanno?” 
“No! Cosa è successo? Dimmelo!”  Aurora si voltò di scatto verso l’amico, sgranando gli occhi e parlando con un tono concitato che lo fece sorridere, scuotendo però leggermente il capo:

“Scusa, non sono un pettegolo, io, per queste cose devi andare da mia sorella.”

“Non puoi lanciare il sasso e ritirare la mano Sean, parla!”



“Ti posso chiedere una cosa?”
“Certo.”
“Tua cugina sta bene? È un po’ strana da quando siamo tornati.”

“Sì, lei… sta bene, è solo successa una cosa durante le vacanze che l’ha turbata.”
“Spero niente di grave.”

Evangeline sgranò gli occhi azzurri, fissi su Jack, che però scosse il capo e si voltò verso di lei, sforzandosi di sorridere:

“No, niente di irrecuperabile. Le parlerò. La mia famiglia è un po’ complicata, Evie.”
“Nessuna famiglia è perfetta.”

“Oh, davvero?”

“Davvero. Nemmeno la mia, te lo posso assicurare. Mia sorella mi odia, e anche mio fratello minore.”
“Robert?”
“No, non Robby, Gregory.”  Evangeline riportò lo sguardo sul campo, incupendosi leggermente e senza esultare minimamente insieme alla sua casa quando Adela Quested fece passare la Pluffa attraverso l’anello di sinistra.

“Beh, io sono figlio unico, non posso dire niente in proposito… mi ricordi quanti fratelli hai?”
“Siamo in cinque. L’ideale di famiglia perfetta è esattamente ciò a cui i miei genitori puntano, non per niente adorano mia sorella maggiore Caroline… ha solo 22 anni, è sposata e ha avuto un figlio, un maschio per giunta, non potrebbe averli resi più fieri, credo.”

“Sono sicuro che sono anche fieri di te, sei intelligente, brillante, determinata e pensi con la tua testa.”
“Forse è questo parte del problema. Le mie idee non convergono con le loro, a volte… non fraintendere, voglio bene si mie genitori e non mi hanno mai fatto mancare niente, non li ringrazierò mai abbastanza per questo, ma io non sono come mia sorella, tutto qui.”
“Se ti vogliono bene lo capiranno, ne sono certo. Quindi nemmeno i Rosehealty sono perfetti, questo mi conforta. Del resto, tu per prima sei piena di difetti, quindi…”

Evangeline si voltò verso il ragazzo e, sbuffando, lo colpì su una spalla, facendolo ridacchiare: 

“Lo so, ti ringrazio.”
“Sto scherzando… Evie, se c’è una cosa che dovresti imparare a fare, è rilassarti.”

Evangeline non disse nulla, trattenendosi dal dirgli che lo sapeva, che se lo sentiva ripetere da anni, ormai, di essere troppo rigida, a volte. Eppure non aveva un brutto carattere, lo sapeva, aveva senso dell’umorismo ed era sempre gentile verso il prossimo, ma faceva fatica ad entrare in confidenza con qualcuno ugualmente.

“Lo so.”
“Te la sei presa? Non volevo prenderti in giro!”
“Sì Jack, va bene.”
“Che carina che sei quando fai l’offesa!”

“Jack, smettila!”


*


Elena era stesa supina sul morbido tappeto del salotto circondata da fogli e colori a cera e impegnata a fare un disegno. La bambina si guardò intorno alla ricerca dell’arancione per fare i capelli suoi e della madre: era un po’ triste, di recente, così aveva deciso di fare un disegno per lei.
Quando ebbe terminato osservò il suo lavoro con aria orgogliosa e si alzò per andare a consegnarlo alla madre con un sorriso sulle labbra, ma non era ancora arrivata alla porta del salotto quando un rumore familiare la costrinse a voltarsi: Elena si voltò verso il camino e sgranò gli occhi castani nel trovarsi suo padre davanti, sorridendo e lasciandosi sfuggire un urletto felice prima di correre ad abbracciarlo: 

“Sei tornato!”
“Ciao principessa… mi sei mancata.”  Henry sorrise alla figlia, accarezzandole i capelli rossicci con una mano mentre un suono di passi anticipava l’arrivo della moglie, attirata dall’urlo della figlia. 
“Elena, che cosa… Henry?”

“Ciao Emily.”  
Il padrone di casa sorrise alla moglie, che dopo un attimo ricambio e gli si avvicinò per abbracciarlo a sua volta:

“Finalmente, mi sono mancate le mie rosse…”
“Sei stato via quattro giorni!”
“A me mancavi lo stesso papà. Ora aggiungo anche te nel disegno!”


Quando era iniziato? Quando aveva cominciato a mentire? Quali ricordi erano veri e quali no? Elena non sapeva dirlo con certezza, ma un’idea ce l’aveva. 
Ricordava quella sera come se fosse stata quella precedente, quando non aveva visto sua madre per ore.
Suo padre l’aveva mandata a letto ma lei, sentendo tutte quelle voci, quei rumori sulle scale, si era alzata ed era sgattaiolava sul pianerottolo, sporgendosi leggermente per sbirciare al piano di sotto, dove si trovava la camera dei suoi genitori. C’era un elfo che piangeva, due uomini che non conosceva che parlavano. 
Dalla camera di sua madre uscì una ragazza con addosso dire vestiti strambi e si avvicinò ai due pulendosi le mani nel grembiule, mormorando qualcosa che la bambina non sentì… è un attimo dopo Elena si rincuoro nel vedere anche suo padre, che uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle con un gesto secco, dando comunque alla figlia una fugace parvenza di un pianto disperato. 

“Vuole stare sola.”  Sentì chiaramente la voce del padre ma si trattenne dal chiamarlo per chiedergli cosa stesse succedendo, se la mamma stesse male, ma Henry alzò comunque lo sguardo e sospirò nel scorgerla spuntare dalla ringhiera:

“Elly, ti avevo detto di dormire.”
“Cosa succede alla mamma?!”

Suo padre non rispose, limitandosi a sospirare mentre saliva le scale per raggiungerla, passandosi stancamente una mano tra i capelli scuri prima di prenderla in braccio e riportarla nella sua camera, lasciandola sul suo letto.

“Stai male?” Elena guardò il padre con stupore, toccandogli il viso con le mani pallide e osservando i suoi occhi azzurri lucidi con aria stralunata: strano, gli adulti non piangevano mai.
“Sto bene, tesoro… è la mamma che è stata un po’ male, stasera.”
“Adesso sta bene? Il dottore le ha dato la medicina?”

“Sì, sta meglio, Elly, ma… ti ricordi quando la nonna è andata in cielo?”
Elena annuì mentre guardava suo padre evitare di guardarla negli occhi, a disagio mentre tracciava linee immaginarie sulla pesante trapunta.

“Beh… ci è andato anche il tuo fratellino, Elly. Succede, a volte.”
“Oh.”

Elena annuì, e non disse altro, ma si lasciò abbracciare quando suo padre si sporse verso di lei per stringerla. 

Nel disegno successivo che fece, Elena disegnò anche un angioletto accanto a lei, il padre e la madre. Con i capelli marroni però, come quelli del padre. Quando lo diede alla madre lei scoppiò in lacrime e la bambina la guardò con gli occhi sgranati, scuotendo il capo mortificata e affrettandosi ad abbracciarla:

“Scusa mamy, non piangere!”


Elena non aveva mai avuto quel tanto agognato fratellino, e non sapeva se sua madre avesse avuto altri “incidenti”… non l’aveva mai chiesto. Ricordava suo padre dopo quella sera, e lo ricordava distrutto quasi quanto sua madre.  Era stato lui ad aiutare sua madre a lasciar perdere l’alcol, dopo l’aborto, lo aveva visto non andare al lavoro per una settimana intera, lo aveva visto abbracciarla e accarezzarle i capelli, dicendole qualcosa all’orecchio.

Eppure, qualcosa era cambiato comunque.

Elena era raggomitolata su una poltrona, gli occhi fissi sulla scacchiera appoggiata su un tavolino, i pezzi disposti sui quadranti ad indicare una partita lasciata a metà, a vantaggio dei bianchi. 
Ad Elena gli scacchi non piacevano, li guardava e pensava a suo padre, alla più grande messa in scena che qualcuno che conosceva avesse mai portato avanti. E anche per diverso tempo, in effetti. 

Non avrebbe mai potuto dimenticare quando suo padre, il venerdì sera, usciva di casa… per andare a giocare a scacchi, così diceva. 
Gli scacchi, certo. 

Elena sbuffò, scuotendo il capo e dicendosi di non pensarci: le veniva voglia di strangolarlo anche solo ripensando alla sua prima storia, anche se ormai era acqua passata. Quando sua madre lo aveva scoperto li aveva sentirai gridare, poi suo padre se n’era andato… e allora erano iniziate le lacrime, di nuovo. Solo che lei non era brava a consolare sua madre, non era riuscita a fare ciò che suo padre aveva fatto dopo l’aborto.
Suo padre era tornato, certo, circa un mese dopo. Ricordava di essersi trovata ferma sulla soglia dell’ingresso, le mani chiuse a pugno e gli occhi fissi sui genitori, lui che stringeva la mano della madre e la implorava di perdonarlo. 
Emily l’aveva fatto, Henry era tornato a casa – prima dell’amante successiva, certo – ma Elena no… e quando, due mesi prima, suo padre se n’ era andato di casa per la terza volta, si era dovuta trattenere dal sibilare un “te l’avevo detto” alla madre. Lei avrebbe messo una pietra sopra quella storia già due anni prima. 
Si alzò e si diresse verso il suo Dormitorio per prendere i libri e andare in biblioteca, ripetendosi che forse distraendosi non avrebbe pensato a lui.

Si poteva odiare una persona che aveva amato immensamente per così tanto tempo?

 *


“Sembri di ottimo umore.”
“Non dovrei esserlo?”

Katherine sorrise e Beatrix inarcò un sopracciglio per tutta risposta, guardando la cugina con leggera perplessità:

“Ha che fare con Elena e Gabriel? Non vedo nessuno dei due.”
“Potrei aver caldamente consigliato a Gabriel di non venire alla partita dopo aver saputo da Elena che nemmeno lei l’avrebbe fatto… mi ha detto che avrebbe preferito prendersi avanti con i compiti e io ho suggerito a Gabri di fare altrettanto.”

“Certo, tieni moltissimo all’istruzione di Gabriel…”
“Appunto, non posso permettere che prenda voti bassi.”

“Beh, mi dispiace molto per lei, comunque. Insomma, per me è diverso visto che l’amante di mio padre è mia madre, ma immagino come sia… tuo padre che sparisce per stare con un’altra, non è facile.”
“Lo so, ho un vago ricordo delle discussioni in proposito quando ero piccola… Maximilian però era già più grande e dice che ricorda leggermente quando è nato tuo fratello. Scoppiò il putiferio.”
“Lo immagino. Nascere in una famiglia normale sarebbe stato troppo bello, vero?”
“Già.”


*


Elena raggiunse i tavoli con le braccia cariche di libri, ripetendosi che se non era andata alla partita doveva almeno sfruttare quel tempo per studiare: tra le feste e i genitori non aveva avuto molto modo di studiare, durante le vacanze, la mente perennemente altrove. 

La Grifondoro non aveva ancora raggiunto un tavolo quando perse un battito, sgranando gli occhi nel rendersi conto di non essere l’unica ad aver deciso di saltare la partita per recarsi in Biblioteca: c’era un ragazzo, oltre a lei, con la divisa di Serpeverde addosso e i capelli scuri.
Sentendo dei passi Gabriel alzò lo sguardo, e la ragazza scorse lo stupore dipingerglisi sul volto nel trovarla li, a pochi metri da lui. Soli per la prima volta dalla sera della festa dai Selwyn.

“Ciao. Non… non vai alla partita?”  Fu lui a rompere il silenzio, parlando con tono incerto, e la ragazza si affrettò a scuotere il capo, abbassando lo sguardo mentre lasciava le sue cose su un tavolo e sedeva su una sedia:
“No, non sono dell’umore.”

“Sì, neanche io.”
Elena si morse il labbro al sentire il tono acido usato dal ragazzo, maledicendo la sua mala sorte: mai avrebbe pensato che Gabriel Greengrass si sarebbe perso una partita. Possibile che, tra tutti, avesse dovuto incontrare proprio lui?
Moriva dalla voglia di alzarsi e sparire, dall’altra di parlargli… ma ormai era seduta, e non aveva il coraggio di muoversi e fare ciascuna delle due cose.



Ascoltare Kat e restare al castello forse non era stata una buona idea: Gabriel seppe che non sarebbe riuscito a concentrarsi nel momento esatto in cui vide Elena MacMillan avvicinarglisi, seduta a pochi metri di distanza. Non faceva che lanciarle occhiate di sottecchi, un po’ come aveva fatto nei giorni precedenti, da quando erano tornati, senza mai aver il coraggio di parlarle.
Si stava chiedendo per quanto avrebbero continuato così quando Elena si mosse, alzando lo sguardo e puntandolo dritto su di lui:

“Gabriel?”
Sentendosi chiamare il ragazzo quasi sussultò, alzando istintivamente lo sguardo appena in tempo per vederla alzarsi e avvicinarglisi, prendendo una sedia e sistemandola accanto alla sua con un sospiro.

“Dobbiamo parlare di quello che è successo dai Selwyn, non credi?”
“Credo che tu sia stata piuttosto chiara, in realtà. Mi dispiace se ti ho infastidita con le mie attenzioni.”

Il senso di colpa che la ragazza provava non poté che svettare alla parole e al tono aspro che il ragazzo utilizzò, abbassando lo sguardo con ostinazione sui libri.
Si disse, tuttavia, che lei era Elena MacMillan, che se aveva affrontato suo padre e lo aveva sbattuto fuori di casa, se stava convincendo sua madre a chiedere il divorzio, poteva anche affrontare quella conversazione. Doveva farlo, almeno.

“È a me che dispiace, Gabriel.” 
Elena allungò una mano, posandola su quella del ragazzo che era appoggiata sulla pergamena, e Gabriel si voltò suo malgrado verso di lei, guardandola in attesa che continuasse: dopo una breve pausa la rossa sospirò, scuotendo debolmente il capo e parlando a bassa voce, evitando di guardarlo in faccia e fissando con ostinazione le loro mani:

“Non pensavo davvero quello che ti ho detto. O almeno, lo penso, ma non nei tuoi confronti… non era una bella serata, è un periodo difficile, mi dispiace di aver scaricato su di te la mia frustrazione.”
“Qualcuno ti ha trattato male, Elena? È questo il punto?”
“Diciamo di sì. Mio padre se n’è andato, Gabriel, da due mesi ormai, ora vive con un’altra e mia madre è distrutta, non riesce ad affrontare la situazione… è troppo fragile.”

“Mi dispiace. Non ne avevo idea… quindi mentivi, quella sera?”
“Mia madre mi ha detto di inventarmi quella storia per mascherare il fatto che non si facciano vedere insieme da tempo… qualunque cosa pur di salvare le apparenze, ma questo lo sai anche tu.”

Elena accennò ad una smorfia con le labbra mentre invece Gabriel sorrise appena, leggermente rincuorato nel sapere di non essersi sbagliato nel notare qualcosa che non andava.

“Immagino che non sia facile, per te… ma non devi affrontare tutto questo da sola, al posto di tua madre, non è compito tuo.”  Gabriel continuò a sorridere debolmente mentre faceva scivolare la mano da quella della ragazza per accarezzarle il viso, guardandola roteare gli occhi castani:
“Qualcuno lo deve fare. E non sopporto che si trattino male le persone, nemmeno se si tratta di mio padre.”

“Sono felice che tu me l’abbia detto, anche se avrei voluto che tu lo facessi prima… quindi non pensi di me quello che hai detto? Non lo farei mai Elena, mi piaci davvero.”
“No. Mi spiace se ti ho ferito.”

Elena vide Gabriel sorridere forse per la prima volta da quella sera, ma non ebbe modo di rifletterci a lungo visto che il ragazzo si sporse verso di lei, prendendole il viso tra le mani e baciandola dolcemente. 
E questa volta lei non si ritrasse.


*


“Quindi vorresti diventare un Auror?”
“Sì, come mio padre.”

Stephanie sorrise, annuendo mentre un coro di proteste si sollevava dalle tribune occupate dai Corvonero di fronte al lancio intercettato da Andrew, impedendo il goal.

“Non ho mai sentito di una donna Auror.”
“Non credo ce ne siano… mio padre dice che sono tutti uomini, ora come ora, e dubito che ce ne siano state, in precedenza. Ma è ora di cambiare, a mio parere.”

“Beh, è una strada tortuosa… devi essere davvero determinata per riuscirci, non penso sarà facile.”
“Lo so, ma so essere molto ferma sulle mie convinzioni, credimi. Tu cosa ne pensi?”
“Di una donna che diventa un Auror? Beh… è un po’ strano immaginarlo, ma penso che chiunque dovrebbe fare ciò che vuole. Se questa è la tua aspirazione, allora seguila. Hai voti molto alti, non vedo perché non dovresti riuscirci.”

Regan si strinse nelle spalle e Stephanie sorrise, felice di non sentirlo categoricamente contrario alla sua idea prima di chiedergli a sua volta cosa intendesse fare finita la scuola.

“Non lo so, ma mi piace molto Pozioni, fin da quando ero piccolo giocavo a fare finta di prepararle con i miei fratelli… magari mi dedicherò a quello.”
“Un piccolo Regan che prepara le pozioni, che dolce!”

La bionda rise, immaginando il ragazzo in versione mignon che fingeva di fare il pozionista mentre Regan sbuffava, borbottando che glie l’aveva rivelato in via confidenziale e non voleva si sapesse. 

“E perché mai? Sono sicura che fossi adorabile.”
“Probabile, ma nessuno vuole che i propri aneddoti dell’infanzia trapelino, quindi per favore labbra cucite.”
“Va bene, va bene, porterò il tuo segreto nella tomba, Reg.”


*


Scese dalla scopa con un sorriso stampato sul volto, correndo verso una dei suoi compagni di squadra per abbracciarla senza riflettere, quasi udendo appena la sua risata e le sue deboli proteste quando la sollevò da terra.

“Andrew, mettimi giù!”
“Scusa, sono troppo felice… abbiamo vinto! Brava la mia Battitrice!”

Andrew continuò a sorridere mentre rimetteva Iphigenia con i piedi per terra, ma non le diede comunque modo di allontanarsi perché la stritolò di nuovo in un abbraccio, mozzandole il respiro.

“Grazie, ti voglio bene anche io… ma ora lasciami, ti prego!”

Iphe boccheggiò, colpendolo leggermente sulla schiena per consigliargli di mollare la presa, cosa che il ragazzo fece subito dopo, guardandola con gli occhi luccicanti:

“Ok, scusa… ora tutti in Sala Comune a festeggiare! Dici che è tardi per preparare una torta?”
“Chiederemo agli elfi se possono darci qualcosa.”

Iphigenia sorrise mentre prendeva l’amico sottobraccio per raggiungere Jade, che si stava avvicinando ai due per complimentarsi per la partita, mentre a qualche metro di distanza una Adela molto giù di tono era stretta nell’a braccio consolatorio di Hector. 

“Su, non è stata colpa tua, non si può vincere sempre ci rifaremo nella prossima partita, contro Serpeverde…”
“Assolutamente! Devo battere la Casa di Ronald, nessuna scusa.”

“Va tutto bene tra di voi? Se non sono indiscreto.”
“In realtà… ho deciso di rompere il fidanzamento, Thor. Ci ho pensato parecchio, durante le vacanze, e ho capito che non mi mancava così tanto, che forse non ho bisogno di lui per essere felice. Charlotte aveva ragione, maledizione.”

Hector sbattè le palpebre, a dir poco stupito dalle parole della ragazza, sciogliendo l’abbraccio e guardandola con aria stralunata:
“Davvero? Beh… mi dispiace, Adela. Stai bene?”

“Sì. È un po’ strano, ma va bene così.”

Adela si strinse nelle spalle, forzandosi di sorridere nonostante il forte imbarazzo che provava in quel momento, mentre Hector si chiedeva se fosse poi così tanto dispiaciuto per quella notizia.
Era davvero sorpreso, non se lo sarebbe mai aspettato, non così, di punto in bianco… Hector non si mosse e non disse nulla, limitandosi a continuare a guardare la ragazza che aveva davanti dall’alto in basso. 

Riuscì quasi a sentire le voci dei suoi fratelli e di suo padre, che probabilmente in quel momento gli avrebbero caldamente consigliato di non fare l’idiota e di baciarla, dopotutto non era più fidanzata.
Solitamente sdegnava le parole, i consigli della sua famiglia, reputandoli inadatti alla sua personalità, al suo modo di fare tanto diverso dal loro… ma non quel giorno, in effetti.



Charlotte Selwyn stava parlando con Aurora quando si accorse che c’era qualcosa di strano. Due ragazzi si stavano baciando, sul campo. Due ragazzi con la divisa da Quidditch di Corvonero. Due ragazzi molto familiari.

“PORCO MERLINO! Sean, dammi qua!”

La ragazza si voltò verso il fratello e con un gesto fulmineo gli prese il piccolo binocolo dalle mani, portandoselo agli occhi per non essere sicura di non essersi sbagliata.. e quando ne ebbe la conferma sorrise, facendosi sfuggire un piccolo urletto di gioia prima di restituire l’oggetto al suo proprietario e correre giù dagli spalti.

“Sean, voglio bene a tua sorella, ma a volte è un po’ strana…”
“Un po’? A volte? E te ne accorgi solo ora, Aurora?”


“FINALMENTE, voi due! Ora sì che bisogna festeggiare!”
“Festeggiare? Charlie, abbiamo perso, se non te ne fossi accorta..”

Adela si rivolse all’amica con un sopracciglio inarcato e un rossore a tingerle le guance che molto probabilmente aveva ben poco a che fare con il freddo mentre Hector invece sorrideva mentre continuava a tenerla stretta tra le braccia, guardando l’amica con aria divertita liquidare il discorso con un gesto della mano e continuare a sorridere vivacemente:


“Un branco di mammalucchi che inseguono una palla, al diavolo il Quidditch! Bravo Thor, finalmente mi hai dato retta… ah, che bello avere sempre ragione!”





…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

 
Grazie per le recensioni dello scorso capitolo come sempre, da adesso dovrei tornare ad essere regolare negli aggiornamenti… Inoltre, mi faccio un po’ di pubblicità e, se vi può interessare, ho appena iniziato una nuova storia (ma non preoccupatevi, darò comunque la precedenza a questa essendo a buon punto), anche se in realtà vi siete già iscritte in parecchie, quindi grazie. 

Buona serata!
Signorina Granger 

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Capitolo 17
*** Gelosia ***


Capitolo 15: Gelosia 
 
Venerdì 17 Gennaio 


“Buongiorno ragazze.”

Axel sorrise mentre prendeva posto al tavolo dei Grifondoro di fronte a Stephanie e accanto ad una Elena visibilmente giù di corda, impegnata a fissare la sua tazza con sguardo cupo.
La bionda sorrise all’amico, rivolgendogli un cenno prima che il ragazzo si voltasse verso Elena, inarcando un sopracciglio:

“Hai dormito poco, Elly?”
“No, ma alla seconda ora ho il test di Aritmanzia.”
“Beh, sei brava in quella materia, andrà bene.”
“Non andrà bene Axel, sai che giorno è oggi?! Venerdì 17!”

“Ma non era venerdì 13?”

Stephanie sgranò gli occhi, parlando con candida perplessità e ricevendo un’occhiata torva come risposta mentre Axel annuiva e alzava gli occhi al cielo, ormai abituato alla superstizione dell’amica:

“Sì, per Elly valgono entrambi.”
“Non solo per me, è un luogo comune.” 
“Sì può sapere da cosa ha origine questa cosa? Non ha senso reputare un giorno sfortunato così, senza motivo!”

“Non è senza motivo… o meglio, sul venerdì 17 non so dirti in effetti, ma per quanto riguarda il 13, si ritiene che porti sfortuna perché nel Medioevo in un venerdì 13 venne sterminato l’ordine dei Cavalieri Templari.”
“E chi erano?!”
“Mi sono documentata, sai che adoro fare ricerche, ma non credo di aver capito perfettamente, in effetti…”

“Lasciate perdere, è complicato. E comunque, si può sapere perché i vostri spasimanti mi stanno guardando come se volessero infilzarmi con un coltello da burro?!”



“Reg?”
“Mh?”

Jack e Sean stavano discutendo, probabilmente il primo stava interrogando il secondo in Aritmanzia, ma Gabriel non ci stava facendo caso, osservando attentamente il tavolo dei Grifondoro dove aveva appena preso posto Axel Farrel, vicino ad Elena e a Stephanie come sempre.

“Non ti sembra che Farrel passi davvero tanto tempo con Elena e Stephanie?”
Regan alzò lo sguardo, osservando i Grifondoro parlottare a sua volta prima di annuire, la fronte aggrottata:

“In effetti, ora che me lo fai notare… Non pensi che sia interessato ad una delle due, vero?”
“Come faccio a saperlo? Non lo so.”

Gabriel sbuffò sommessamente, parlando con tono acido mentre osservava con aria torva Elly parlare con il compagno di Casa. 
Nessuno dei due disse niente per qualche istante, finché i tre non si voltarono proprio verso di loro, e allora Gabriel si stampò un sorriso sul volto, rivolgendo un cenno di saluto ad Elena mentre Regan si affrettava ad abbassare lo sguardo.

“Merda, ci hanno visti…”
“No, ma va? Non me n’ero accorto!”
“Zitto e fai finta di niente, Reg.”



“Non saprei, Axel… magari Regan è geloso di te.”

Elly rise e Stephanie le rivolse un’occhiata torva, suggerendole con tono acido che magari lo stesso si poteva dire di Gabriel mentre il ragazzo piegava le labbra in una smorfia, scuotendo il capo:

“Beh, dite loro che non sono interessato a nessuna delle due, non voglio ritrovarmi Carsen e Greengrass a farmi il terzo grado.”
“Va bene, va bene, magari parlerò con Gabri. Tu invece, Steph, non dire niente a Regan.”
“Perché? Non che debba dargli spiegazioni di alcun tipo, ovviamente…”

“Appunto, e sarà divertente vederlo geloso!”

Elena sfoggiò un sorriso allegro, dimenticandosi momentaneamente della verifica che l’aspettava un paio d’ore più tardi mentre Axel osservava l’amica e poi il Serpeverde con fare preoccupato, non avendo nessuna voglia di trovarsi invischiato in quella storia.


*


“Com’è andato il test?”

Iphigenia si sistemò la borsa sulla spalla mentre usciva dall’aula di Aritmanzia insieme ad Andrew, alzando lo sguardo sull’amico che si strinse nelle spalle mentre teneva aperta la porta con una mano per farla passare:

“Bene, credo. Di certo non l’avrò fatto bene quanto te, ma penso di aver preso una O.”
“Non parlare di me come se avessi chissà quali medie altissime, sai che non è così.”
“In Aritmanzia sei molto brava, Iphe. Quanto al resto, è solo perché non ti ci impegni più del dovuto, ma sei molto intelligente.”

“Sì, lo so.” Iphigenia annuì distrattamente e Andrew sorrise, quasi divertito: c’erano ragazzi Babbani che vivevano vicino a lui che avrebbero ucciso per studiare quello che studiavano loro, mentre la sua amica non aveva mai dimostrato spiccato interesse per ciò che studiava ad Hogwarts, ribadendo spesso quanto avrebbe preferito approfondire le materie scientifiche come aveva fatto suo padre. 
Anche se, ovviamente, non lo diceva mai davanti a lui per evitare di ferirlo.

“Come sei modesta, Iphe!”
“Beh, è vero che non mi impegno più di tanto in molte materie… tu lo fai molto più di me, senza dubbio.”
“Mia madre si è sempre fatta una in quattro per me, il minimo che possa fare è ricompensarla così.”


Andrew si strinse nelle spalle e Iphigenia annuì, sorridendogli mentre lo prendeva sottobraccio:

“Lo so, sei molto carino nei suoi confronti.”
“Io sono carino nei confronti di tutti!”
“Certo, certo… ora, visto che abbiamo un’ora buca, andiamo ad aspettare Jade in Biblioteca.”


*


“Ragazze!”

Evangeline e Aurora stavano attraversando il Salone d’Ingresso quando, sentendosi chiamare, si voltarono, e Aurora rivolse un sorriso caloroso a Charlotte mentre questa si avvicinava alle due compagne di Casa:

“Ciao, Charlie. Come mai qui?”
“Adela e Thor non fanno altro che farsi gli occhi dolci, mi fanno salire il livello di glicemia ogni minuto di più… posso stare con voi?”
“Certo, stiamo andando ad assistere al Club.”

Aurora sorrise e prese l’amica sottobraccio mentre Evie, aggrottando la fronte, si rivolgeva a Charlotte con tono dubbioso:

“Charlie, ma tu non sei stata bandita a vita dal Club dei Duellanti dopo quello che hai combinato l’anno scorso?”
“Sì, ma con un po’ di fortuna nessuno si accorgerà della mia presenza. Comunque, immagino che il fatto che sia Jack Keegan che mio fratello ne facciano parte non vi spinga minimamente a voler assistere.”

“No, infatti, è solo che vorremmo entrare, ma come ben sai per noi non è possibile.”
“Evie, non ti crede nessuno.”


*


“Come sempre, avevo ragione. Elena e Gabri hanno chiarito e ora il mio amico è di nuovo di buon umore, fantastico.”

Katherine sorrise con aria soddisfatta mentre raggiungeva l’aula di Trasfigurazione insieme a Beatrix, che sorrise con sollievo: forse non avrebbe più dovuto sentire i piani complottistici dell’amica, finalmente.

“Mi fa piacere saperlo. Ora forse dovresti preoccuparti un po’ più di te stessa, invece di pensare sempre agli altri, Kat.”
“Che vuoi dire?”

“Dico che il tuo sguardo sognante quando si nomina o scorgi Sean Selwyn comincia a stufarmi, Kat.”
“Abbassa la voce, vuoi che un quadro ti senta?!”
“Certo, sono sicura che i quadri muoiono dalla voglia di farsi gli affari delle studentesse!”

“Beh, abbassa la voce lo stesso. Cambiando argomento, hai avuto notizie di tuo padre? Intendo, ha deciso se riconoscerti ufficialmente o meno?”
“Non lo sento da parecchio, in realtà… no, non lo so. E non credo mi importi poi molto, a dire la verità.”

La bionda abbassò lo sguardo, sbuffando leggermente mentre Katherine, tenendola sottobraccio, si sistemava distrattamente la borsa piena da scoppiare su una spalla, attirando così l’attenzione della cugina, che inarcò un sopracciglio:

“Kat, che cos’hai in quella borsa?”
“Libri.”
“Il mercato nero procede?”
“Abbassa la voce, insomma!”


*


Andrew era ormai piuttosto abituato agli insulti, aveva finito col farci l’abitudine già ai primi anni di scuola, quando sentirsi apostrofare come “Mezzosangue” era diventata quasi un’abitudine.
Sua madre gli aveva insegnato a non farci caso, ci era passato anche suo padre, gli disse, e non doveva far altro che ignorare quelle voci fastidiose.


“Non importa, ok? Non ascoltarli, giudicano solo perché io non sono come te, non sono una strega. Ci è passato anche papà ed è per questo motivo che, alla fine, si è stancato e ha abbondato il tuo mondo, ma tu devi imparare ad ignorarli, ok? Se lo farai senza reagire, sarai semplicemente migliore di loro, tesoro. Non devi allontanarti dal tuo mondo come ha fatto papà solo per dei pregiudizi.”

Andrew, appena tornato a casa per le vacanze di Natale del primo anno, annuì, gli occhi lucidi mentre stringeva in mano la sua cravatta gialla e nera che gli avevano rovinato. Era ancora troppo giovane per essere in grado di ripararla con la magia e l’aveva detto alla madre quasi in lacrime, temendo che si arrabbiasse visti tutti i sacrifici che faceva per lui, per comprargli le cose per la scuola.
Sua madre, seduta di fronte a lui, gli sorrise dolcemente e gli diede un bacio su una guancia prima di abbracciarlo, assicurandogli che l’avrebbe riparata in un attimo.

“So fare le magie anche io, piccolo, quei ragazzini viziati non lo sanno.”

Certo, con il corso de tempo i compagni di scuola avevano smesso di chiamarlo in quel modo, vuoi per la sua stazza considerevole, vuoi perché gli studenti più piccoli nemmeno si sognavano di insultare quelli più grandi… e ormai, al settimo anno, non se lo sentiva dire da tempo.
Ma lo stesso non si poteva dire di altri suoi compagni, come ad esempio la stessa Iphigenia.

Lei, però, non ci aveva mai fatto caso, nemmeno al primo anno. Li ignorava completamente, continuando a fare quel che stava facendo senza nemmeno alzare lo sguardo, e Andrew l’aveva sempre ammirata per questo.
Non sembrava che la infastidisse, conoscendola Andrew sapeva che era sempre molto calma e si arrabbiava ben di rado, lui stesso a volte provava a farla irritare senza grandi successi… dopo anni, aveva capito che in momenti del genere Iphigenia si limitava ad isolarsi in una bolla, senza ascoltare, concentrandosi solo su ciò che stava facendo. 
E così stava facendo in quel momento, continuando a fare i compiti senza badare agli idioti del quinto anno che l’avevano apostrofata in quel modo, ma lo stesso non si poteva dire dell’amico, che aveva sollevato lo sguardo di scatto, incenerendoli con lo sguardo. 

Aveva imparato a non prendersela, ma non sopportava comunque che ci si rivolgesse in quel modo ai suoi amici. E non capiva come potesse Iphigenia non difendersi, fosse stato in lei avrebbe già sguainato la sua mazza e fatto una strage.

“BASTA. Chiamatela cosi un’altra volta e vi farò vedere che cosa insegnano in Difesa contro le Arti Oscure al settimo anno, CHIARO?! E suo padre non è un Babbano.”

“Andrew. Non importa, lascia stare.”

“No, è anche peggio, è un Magonò.”

Le gambe della sedia grattarono rumorosamente contro il pavimento di pietra e Andrew si alzò di scatto, svettando sui quattro con cui aveva a che fare e guardandoli come se morisse dalla voglia di appellare personalmente la mazza di Iphigenia e dar loro una lezione. 
Come diceva sempre sua madre, non c’era niente di peggio di una persona tendenzialmente calma e pacifica che perdeva le staffe.

“E chi sei, esattamente, tu per giudicare? Avrete anche entrambi i genitori maghi, ma di certo il suo quoziente intellettivo è più della somma dei vostri.”
“Andrew, per favore…”

“Iphe, zitta.”

Iphigenia aggrottò la fronte, non sapendo se arrabbiarsi per il modo con cui il ragazzo le si era rivolto o ringraziarlo per la premura.

“Che succede? Credevo che qui si studiasse.”

La voce pacata di Jade giunse alle orecchie di Iphigenia con sollievo, voltandosi verso la bionda insieme a tutti gli altri. La Tassorosso spostò lo sguardo da Andrew all’amica prima di inarcare un sopracciglio:

“È lui che ha cominciat-“
“Silenzio. Vediamo… facciamo 80 punti in meno a Serpeverde?”
“80?!”
“Siete in quattro, venti a testa. E ora sparite, o ve ne tolgo ancora… non eravate in testa nella classifica?”

Jade piegò le labbra in un sorrisetto divertito prima di avvicinarsi al tavolo, prendendo posto accanto ad Iphigenia mentre Andrew osservava con aria torva i quattro sparire alla velocità della luce.

“Idioti. Iphe, perché non ti difendi?!”
“Anche tu non ci fai caso Andrew, siediti.”
“A me nessuno lo dice più, ma mi dà fastidio quando lo dicono a te… tua madre è una strega e tuo padre non è un Babbano, tutta la sua famiglia è composta da maghi.”
“Lo so. Lo so io, lo sapete voi e mi interessa solo questo, non quello che pensano gli altri.”


Andre sbuffò e tornò a sedersi, osservando il libro di Pozioni con aria cupa mentre Iphigenia sorrideva a Jade, ringraziandola. Jade sorrise, sostenendo che non potesse non abusare almeno un po’ dell’essere un Prefetto prima di accennare in direzione di Andrew, che non aveva più proferito parola. 

La bionda annuì e si voltò verso il ragazzo, abbozzando un secondo sorriso mentre allungava una mano per metterla sulla sua:

“Andrew? Grazie.”

Il rosso sollevò lo sguardo e ricambiò il sorriso dopo un  attimo di esitazione, mentre la mano di Iphigenia indugiava sulla sua e Jade alzava gli occhi al cielo:

“Ora potete baciarvi.”

“Jade, smettila!”  La mano di Iphigenia si allontanò da quella del ragazzo come se scottasse, mentre Andrew arrossiva e si affrettava ad abbassare lo sguardo e Iphigenia rivolgeva un’occhiata torva all’amica, che sorrise con aria divertita.

“Che ho detto? Andrew non è nemmeno andato all’incontro per studiare con te…”
“Jade, fa’ silenzio, siamo in Biblioteca.”


*


“È semplicemente inaccettabile! Possibile che nessuno si sia lamentato?!”

Charlotte fece irruzione nella sala professori sbuffando come una ciminiera e Regan, seduto su una poltrona accanto al camino acceso, le rivolse un’occhiata incerta da dietro il giornale che stava leggendo, quasi temendo di rivolgerle la parola visto il suo evidente cattivo umore mentre andava a sedersi di fronte a lui, incrociando le braccia al petto e guardando il fuoco acceso come se fosse il colpevole, di qualunque cosa si trattasse.

“A cosa ti riferisci, CeCe?”
“Al fatto che mi sono diplomata bene dieci anni fa Reg, dieci, e dopo tutto questo tempo il dannato Club dei Duellanti è ancora chiuso alle ragazze! Ti sembra giusto?!”

“Emh…”
“Oh, ma parlerò con Dippet, vedrai se non lo farò. Io all’Accademia, così come tua moglie, ho dovuto lavorare e faticare il doppio perché non avevo alcuna base, non è corretto, è ovvio che ci siano così poche richieste di entrare all’Accademia da parte di ragazze, sono “spaventate”!”

“Lo so, non è giusto, anche Steph non fa che ripeterlo…”
“Certo che non è giusto. Farò un discorsetto molto esplicativo a Dippet entro la fine dell’anno.”
“Credo che non sia lui il problema, ma il Consiglio.”

“Ai bacucchi dei Consiglio ci penso io Reg, non preoccuparti. Sono una Selwyn, so essere schifosamente lecchina, volendo… e poi ho ben presente con chi abbiamo a che fare, mio padre ha fatto parte del Consiglio per anni.”

Regan inarcò un sopracciglio, non dubitando affatto delle parole dell’amica e quasi provando pietà per quei poveretti, che avrebbero visto una Charlotte Selwyn molto contrariata fare irruzione durante una riunione. 
Però sarebbe stato uno spettacolo divertente… magari avrebbe potuto imbucarsi per assistere.


*


“Si può sapere il perché di così tanta aggressività, oggi?”

Sean si rialzò mentre Jack, sorridendo debolmente, si voltava quasi senza volerlo verso le panche addossate alla parete, dove incrociò lo sguardo di una certa ragazza dai capelli biondi, sollevando una mano per salutarla. 
Sean segui lo sguardo dell’amico e sorrise, annuendo e parlando con l’aria di chi la sa lunga:

“Oh, certo, devi fare bella figura con la tua bella… d’accordo, magari ti lascerò vincere apposta.”
“Non ne ho bisogno, Sean. E comunque, tua sorella non era stata bandita?”

Sean aggrottò la fronte e, voltandosi di nuovo verso Evangeline, so accorse della presenza di Charlotte, seduta accanto ad Aurora infondo alla sala. Il ragazzo sospirò, annuendo prima di avvicinarsi alle Corvonero, parlando con una punta di esasperazione nella voce:

“Charlie, tu non eri stato bandita dal Club?”
“Ti prego Sean, ripeti a voce più alta, credo che ci sia qualche quadro, al settimo piano, che non ti ha sentito.”

“Sai che dovrei farti uscire in quanto Prefetto, vero?”
“Certo, ma in quanto fratello non lo farai, vero?”

Charlotte si stampò il suo sorriso migliore sul volto mentre Aurora sorrideva, guardando il ragazzo alzare gli occhi al cielo prima di rivolgersi a lei, suggerendole di tenere d’occhio la sorellina:

“D’accordo, ma se qualcuno se ne accorge io non ne saprò niente, questa volta non ti difenderò.”
“So cavarmela da sola, Sean!”
“Lo so, te la sai avare anche troppo bene, cerca di non iniziare una rissa con nessuno.”

“Tranquillo, la tengo d’occhio io.”
Aurora sorrise al ragazzo, facendogli cenno di allontanarsi perché “la sorella era in buone mani” e Sean lo fece dopo aver rivolto un’ultima occhiata ammonitrice alla sorellina, ritornando verso le pedane.

“Sì fida più di te che di me, mi ritengo offesa.”
“Charlie, sappiamo entrambe che fa bene a fidarsi più di me.”


“Selwyn?”
“Oh, cielo, ci mancava lui… che cosa c’è Cavendish, te la sei presa perché quando sei entrato non ho steso il tappeto rosso o fatto la riverenza?”

“Credo che tu non dovresti essere qui.”
“E io credo che non sia affar tuo.”

Charlotte rispose senza battere ciglio, limitandosi a fissare il Serpeverde di rimando mentre William la osservava con gli occhi castano-verdi carichi d’irritazione. Forse avrebbe anche aggiunto qualcos’altro, ma la voce pacata di Evangeline lo interruppe sul nascere:

“William, lei può stare qui.”
“Davvero? Non credo proprio.”  William si voltò verso la bionda, che però sollevo un sopracciglio e parlò di nuovo, senza scomporsi minimamente:
“Io invece credo di sì.”

“Vedi, è questo il bello di avere un’amica Caposcuola.”

“Non potrai nasconderti sempre dietro tuo fratello o le tue amiche, Selwyn.”
“Io non mi nascondo affatto, Cavendish, possiamo vedercela quando vuoi.”

“Bene.”
“Benissimo.”
“Peccato che tu sia solo una ragazza e che non possa duellare, sarebbe bello toglierti quel fastidioso tono sarcastico.”
“Sarebbe bello anche toglierti quel tono supponente. E ti assicuro che io duellerò, prima o poi.”

“Va bene, perché William non torna a duellare e noi andiamo in bagno?”

Aurora sorrise e si alzò in piedi, affrettandosi a prendere l’amica per un braccio e trascinarla fuori, ignorando le sue proteste mentre Sean seguiva la scena, non sapendo se arrabbiarsi o lasciar perdere: 

“Possibile che mia sorella debba sempre attaccar briga con Cavendish?!”
“Chissà, magari nel profondo si amano e ancora non lo sanno…”
“Jack, ti ho colpito troppo forte o la cotta che hai per Evangeline ti sta annullando le sinapsi, per caso? Coraggio, riprendiamo.”


*


“Stephanie!”
“Ciao. Come mai qui?”
“Facevo una passeggiata… stai andando all’allenamento?”

Stephanie annuì e fece per riprendere a scendere il pendio per raggiungere il campo da Quidditch, ma Regan si affrettò ad allungare il passo per raggiungerla:
“Ti accompagno, è buio.”

“Grazie. Non vi facevo tanto gentili.”
“Ci sono fin troppi pregiudizi e stereotipi per tutte le Case, a mio parere… noi siamo soliti reputarvi un ammasso di palloni gonfiati, per esempio.”
“E noi un ammasso di subdoli leccapiedi.”

Stephanie piegò le labbra in un sorriso, ridendo di fronte all’espressione sgomenta che sfoggiò il ragazzo subito dopo, parlando con tono offeso:

“È questo che pensi di me, Stephanie?”
“No, non di te, tu sei… diverso.”

Regan tornò a sorridere, quasi soddisfatto da quelle parole, e i due rimasero in silenzio per qualche attimo, prima che il Serpeverde si schiarisse la voce:

“Grazie.”
“C’è qualcosa che vuoi chiedermi, Regan?”

In effetti sì, avrebbe voluto chiederle se ci fosse qualcosa tra lei e Axel Farrel, ma non lo fece, limitandosi a negare mentre la Grifondoro lo guardava con cipiglio divertito.


Pochi minuti dopo i due si salutarono e Stephanie raggiunse gli spogliatoi, dove venne accolta dal Capitano, che la guardò con le mani sui fianchi e l’aria accusatoria:

“Stephanie, non puoi fraternizzare con il nemico! Neanche se è di bell’aspetto!”
“Scusa Katherine, ma tu non sei amica di Greengrass?!”
“Ah, è vero. Beh, ma è diverso, noi siamo amici da prima. Oh, va bene, te lo concedo, ma solo perché Regan è adorabile.”
“Disse quella con la cotta per Sean Selwyn…”
“Come fai a saperlo?!”
“Me lo ha detto tuo cugino.”

Stephanie ridacchiò mentre superava la compagna di Casa, che sgranò gli occhi con orrore e ruotò su se stessa per incrociare lo sguardo di Markus, che stava sghignazzando in un angolo dello spogliatoio:

“MARK! Come lo sai?!”
“Io e mia sorella chiacchieriamo parecchio, Kat.”
“Grandioso. Dillo a qualcun altro e ti metto in panchina fino alla fine dell’anno, chiaro?!”


*

“Allora, come è andato il test? La maledizione del venerdì 17 ha colpito?”
“Ha ha… no, direi che è andato abbastanza bene, in realtà. Dove andiamo?”

“Di sopra.”

Axel accennò alle scale e l’amica annuì, conducendolo verso la rampa di pietra per raggiungere il terzo piano. Nessuno dei due amava fare le ronde, ma chiedendo di stare insieme quasi sempre diventavano più piacevoli… e ad Elena il castello silenzioso e deserto piaceva, esplorare era divertente, così come ignorare le preghiere di Axel di non combinare pasticci, come quando aveva accidentalmente urtato un’armatura e questa era caduta sul pavimento, disgregandosi in mille pezzi e producendo un assordante baccano.

Stavano percorrendo il terzo piano, e Axel si stava facendo raccontare le vicissitudini dei genitori della ragazza, quando entrambi si fermarono udendo un lieve rumore di passi e Elena smise di conseguenza di parlare.

“Hai sentito anche tu?”
“Nonostante il tuo incessante chiacchiericcio, sì.”

“Mi hai chiesto tu di tenerti aggiornato!”
“Ti prendo in giro, Elly…”

Axel le sorrise e Elena sbuffò, scoccandogli un’occhiata torva e borbottando che il suo faccino da angioletto non poteva salvarlo sempre prima di concentrarsi sulla direzione del rumore appena sentito, sgranando gli occhi quando ne riconobbe la fonte. 
Per la seconda volta, in effetti.

“Gabriel?! Cosa ci fai qui?!”
“Non riuscivo a dormire, così ho deciso di fare due passi.”

Il Serpeverde si strinse nelle spalle prima di rivolgere un’occhiata torva ad Axel, mentre Elena inarcava un sopracciglio, perplessa:
“A quest’ora? Qui?”
“Sì, a quest’ora. Spero di non avervi disturbato.”

 
“Gabriel, ci stai seguendo per caso?!”   La ragazza aggrottò la fronte mentre, accanto a lei, l’amico le rivolse un’occhiata in tralice, mormorando qualcosa, e Gabriel teneva le braccia strette al petto:

“Te l’avevo detto!”
“Zitto, Axel. Gabriel, fila nel tuo Dormitorio e non fare il bambino!”
“Non parlarmi come se lo fossi!”
“Lo faccio visto che mi stai seguendo mentre faccio la ronda con il mio migliore amico! Axel, continua tu, io porto il bambino di sotto, ci vediamo dopo nell’ingresso.”

Elena sbuffò prima di avvicinarsi al Serpeverde, prenderlo sottobraccio e trascinarlo verso l’inizio del corridoio, ignorando le sue proteste mentre Axel seguiva la scena sorridendo debolmente: doveva ammettere che vedere Gabriel Greengrass zittito da Elena era piuttosto soddisfacente, nonostante la situazione imbarazzante.



“Mi dici che cos’hai? Non c’è proprio niente tra me ed Axel, io non gli piaccio! O meglio, sono adorabile quindi è ovvio che mi voglia bene, ma solo come amica.”
“Sì, ma siete sempre insieme, ho solo pensato che…”

“Gabriel.”
Elena si fermò e lo costrinse a fare altrettanto, mettendogli le mani sulle spalle e guardandolo negli occhi chiari:

“Io sono forse gelosa di Katherine?”
“No…”. Gabriel rispose con un lieve sbuffo, evitando il suo sguardo: sarebbe stato molto più facile aver ragione se fosse stata gelosa anche lei della sua migliore amica, ma così non era.
In effetti Katherine sembrava quasi più felice di lui, tanto che lunedì mattina era corsa da Elena, a colazione, per abbracciarla e strillare che sarebbe stato bellissimo averla come cognata. 
Come avesse saputo che si erano baciati la sera prima visto che lui non glie l’aveva detto, Gabriel non l’aveva capito, e aveva preferito non indagare.

“Esattamente, perché so che le vuoi bene, e vale anche per lei, ma non è minimamente interessata a te. E lo stesso vale per Axel, credimi, siamo amici da tantissimo tempo, se davvero provasse qualcosa per me credo che l’avrei già capito, non pensi?”
“Non ne sono così sicuro, hai già dimostrato di essere piuttosto ottusa, MacMillan.”
“Prima mi pedini e poi mi insulti?! Chi ti ha insegnato a comportarsi così con una signorina?”

“Mia madre, puoi scriverle una lettera di lamentele, se vuoi.”

Gabriel sorrise mentre le circondava la vita con le braccia e si chinava per baciarla, mentre dal fondo del corridoio Axel seguiva la scena con aria esasperata, chiedendosi come avrebbe potuto sopportare di vedere le sue migliori amiche insieme a due Serpeverde.


*


Sabato 1 Febbraio 



“Buon compleanno!”
“Grazie Elly.”

Stephanie sorrise, sciogliendo l’abbraccio della sua migliore amica che l’aveva appena svegliata, già vestita e pettinata. 

“Sono arrivati i regali da parte della tua famiglia, e qui c’è il mio, insieme a quello di Axel… ma prima di aprirli devi andare di sotto, hai una visita.”
“Uhm, ok.”

Stephanie annuì e si alzò dal letto, curandosi solo di infilare pantofole e vestaglia prima di dirigersi verso la porta della camera, certa che si trattasse di Axel che voleva farle gli auguri, ma la voce incerta di Elena la costrinse ad esitare con la mano ancora sulla maniglia:

“Sicura di voler scendere così?”
“Non penso che Axel si scandalizzerà vedendomi in déshabillé.”
“Ma non si tratta di Axel, è Carsen.”    Elena inarcò un sopracciglio, ancora seduta sul letto dell’amica, che invece si voltò di scatto verso di lei, sgranando gli occhi chiari con orrore:

“Regan?! Come ha fatto ad entrare?”
“Tesoro, è il Caposcuola, sa le parole d’ordine.”
“Oh, già, è vero. Beh… credo che andrò a vestirmi. E a darmi una pettinata.”
“Sì, è un’ottima idea, ma cerca di scendere entro il mio compleanno, a Maggio.”



Pochi minuti dopo Stephanie aveva un sorriso a trentadue denti stampato sul volto mentre scendeva le scale del suo Dormitorio, entrando in Sala Comune e posando immediatamente lo sguardo su Regan, seduto su una poltrona e impegnato a guardarsi intorno con interesse.

“Ciao.”
“Ciao… qui è davvero diverso dalla mia Sala Comune, sono quasi invidioso. Buon compleanno, comunque.”

“Grazie.”  Stephanie sorrise mentre gli si fermava davanti e il ragazzo si alzava in piedi, felice che si fosse ricordato de suo compleanno.

Regan si chinò, dandole un bacio su una guancia prima di sorriderle, le mani sprofondate nelle tasche: 

“Non sapevo cosa regalarti…”
“Non mi devi regalare niente.”
“Beh, ho pensato che, dal momento che non sapevo cosa scegliere, tra due settimane potresti venire con me ad Hogsmeade, ti prenderò qualcosa lì.”

“Regan, non mi devi fare nessun regalo, davvero…”
“Se non vuoi passare la gita con me basta dirlo, Steph.”

Stephanie scosse il capo, affrettandosi ad assicurargli che andava bene mentre una vocina nella sua testa, stranamente simile a quella di Elena, le ordinava di stare zitta e accettare e basta.

“…ok, va bene, ma sei troppo gentile.”
“Qualcuno deve pur smentire le cattive voci sui Serpeverde. Andiamo a fare colazione?”
“Certo. Solo un momento, lo dico ad Elly.”


Stephanie annuì, sorridendo prima di girare sui tacchi e raggiungere le scale, entrando nella sua camera, poco dopo, camminando ad un metro dal pavimento e trovando Elena ancora seduta sul suo letto, che sorrise e le rivolse un’occhiata divertita nel vederla entrare con tanta euforia:

“Fammi indovinare, ti ha chiesto di andare con lui ad Hogsmeade.”
“Sì!”
“Cielo, come sei ingenua. Ha usato la scusa del regalo?”
“Non è una scusa!”
“Certo che lo è! Dimmi, cara, che giorno è oggi?”
“Sono piuttosto sicura di saperlo, dal momento che è il mio compleanno… il 1º Febbraio.”

“Già.” Elena annuì, alzandosi dal letto e avvicinandosi all’amica con un sorrisetto stampato sul volto, le mani dietro la schiena:

“E tra due settimane che giorno sarà?”

Stephanie aggrottò la fronte, continuando a non capire. O almeno finché non sentì la porta chiudersi alle sue spalle, accompagnata dalla debole risata dell’amica, ritrovandosi all’improvviso ad arrossire leggermente:

Due settimane più tardi ci sarebbe stata la gita ad Hogsmeade, di venerdì. Ovvero, a San Valentino. 

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Capitolo 18
*** Hogsmeade - II ***


Capitolo 16: Hogsmeade – II
 
Venerdì 14 Febbraio



Quando Iphigenia si svegliò si mise lentamente a sedere sul materasso, tirando distrattamente una tenda del baldacchino prima di stiracchiarsi, gli occhi chiusi. Stava per voltarsi e controllare che ore fossero sulla sua sveglia quanto una voce quasi seccata ruppe il silenzio giungendo alle sue orecchie, una voce piuttosto familiare ma che non avrebbe di certo dovuto sentire, non lì:

“Finalmente! Pensavi di trascorrere tutta la giornata a letto?!”

 La Tassorosso aggrottò la fronte, spalancando gli occhi per assicurarsi di non averlo immaginato: eppure non si sbagliava, sua sorella era appoggiata al letto di Jade, pochi metri di fronte a lei, mentre la bionda ridacchiava, ancora in pigiama a sua volta.

“Ele?! Che cosa ci fai qui?”
“Che domande, sono venuta ad assicurarmi che tu vada ad Hogsmeade conciata come si deve.”
“Jade, l’hai chiamata tu?! Ti avevo detto di non dirle niente!”

“Scusa, non ho resistito.”
“Su, alzati, e vai a farti una doccia.”

Prima di rendersene conto Iphigenia si trovò in piedi e, suo malgrado, lontana dal suo caldo e comodo letto mentre sua sorella la trascinava verso il bagno, ignorando le sue proteste mentre le ricordava che tecnicamente era lei la maggiore e che non poteva trattarla in quel modo.

“L’età non conta, non uscirai da questa stanza finché io non l’avrò deciso!”
“Va bene, ma se pensi che mi truccherò sei fuori strada.”
“Vedremo, vedremo.”


Una settimana prima 


“Andrew.”
Sentendo la voce dell’amica Andrew alzò lo sguardo dal libro di Storia prima di sorridere, parlando con il suo consueto tono allegro:
 
“Ciao Jade! Hai bisogno di qualcosa?”
“Sì. Iphe dov’è?”
“In bagno.”
“Bene, allora ascoltami. Devi andare con lei ad Hogsmeade!”
“Noi andiamo sempre insieme ad Hogsmeade, ti ricordo.”

“Sì, ma questa volta io non verrò.”
“Hai altro da fare?”

Andrew la guardò con sincera sorpresa e Jade alzò gli occhi azzurri al cielo, tentata di iniziare a sbattere ripetutamente la testa contro il tavolo davanti al quale il ragazzo era seduto, in Biblioteca.
La bionda scosse il capo, sospirando mentre teneva i palmi appoggiati sul ripiano di legno e leggermente protesa in avanti verso l’amico:

“No Andrew, lo faccio per voi!”
“In che senso?”
“Nel senso che devi chiederle di andarci insieme voi due soli, capisci cosa intendo?”
“E perché?!”
“Perché persino le due armature del secondo piano si sono dichiarate più rapidamente di voi, quindi ho deciso di venirvi incontro. Perciò chiedile di venirci con te.”

“Onestamente non credo sia necessario, ormai è quasi implicito…”
“Sì, ma in questo modo capirà che questa volta sarà diverso! Andrew, caro, ascolta una che del genere femminile ne capisce qualcosa. Sono sicura che accetterà volentieri.”

Jade sorrise, mettendo una mano sulla spalla dell’amico che le rivolse un’occhiata scettica, poco convinto dalle sue parole. La prospettiva di ricevere un rifiuto non era molto allettante, ma aveva la sensazione che l’amica avesse ragione, e che non gli avrebbe lasciato altra scelta.

“… d’accordo, lo farò.”



Così il giorno dopo, ad una settimana dalla gita, Andrew aveva bussato alla porta della loro camera sentendosi immensamente stupido e con un mazzo di fiori in mano. Quella non era stata un’idea di Jade, ma come il ragazzo era solito ripetere “quando faceva una cosa, la faceva bene”.

“Oh, ciao. Arriviamo subito, appena Jade esce dal bagno.”
“Non sono qui per chiamarvi per la cena, Iphe… ti volevo chiedere se venerdì volessi venire con me in paese.”

Iphigenia, ancora ferma sulla soglia e con una mano sullo stipite della porta, abbassò lo sguardo sui fiori che il ragazzo teneva in mano prima di annuire e abbozzare un sorriso, leggermente confusa ma felice allo stesso tempo.

“Certo. Quelli sono per me?”
“No, li ho trovati fuori dalla mia porta, saranno da parte di un’ammiratrice. Certo che sono per te!”

Andrew sorrise, porgendole il mazzo di margherite che la ragazza prese con un sorriso, guardandolo con aria divertita:

“Grazie, ma non ti servono i fiori per invitarmi dopo tutto questo tempo, Andrew.”
“Non si chiede mai ad una signorina di uscire senza dei fiori, Iphe. E dì a Jade di sbrigarsi prima di prosciugare le riserve scozzesi d’acqua, vi ricordo che io vivo qui e non vorrei affrontare una siccità.”

Iphigenia rise e la voce di Jade giunse alle loro orecchie attraverso la porta chiusa del bagno, suggerendo caldamente all’amico di farsi gli affari propri:

“Falla finita Maguire, tu curi i tuoi capelli più di me!”
“Questi ricci non sono semplici da gestire, Bones!”

Poco dopo Jade uscì dal bagno con i capelli biondi umidi, impegnata a strofinarli con un asciugamano, e sfoggiò un largo sorriso quando scorse i fiori che Iphigenia aveva sistemato sul suo comodino in un vaso e che ora ne stava sfiorando i petali con le dita, lo sguardo assorto.

“Te li ha portati Andrew?”
“No, me li ha portati Hermes.”
“Chi?”
“Lascia stare… sì, certo, da dove potrebbero essere spuntati, altrimenti?”

“Quindi ti ha chiesto di uscire insieme? Che carino!”
“Come mai sei così allegra e per niente sorpresa?”
“Iphe, nemmeno la frutta dipinta nel quadro qui fuori si stupirebbe, credimi.”



*


“Tre scatole di Cioccorane, due di Api Frizzole, due stecche di cioccolato al caramello, due alle mandorle, una scatola di Tutti i Gusti… due scatole di biscotti, una di lecca lecca fosforescenti e una di cioccolato sette strati?! Non ti smembra troppo?”

Katherine, gli occhi chiari fuori dalle orbite mentre leggeva la chilometrica lista che aveva in mano, si voltò verso il fratellino, seduto accanto a lei al tavolo dei Grifondoro, che però si strinse nelle spalle con noncuranza:

“No.”
“Ma sarà me che la mamma incolperà quando ti verrà diagnosticato il diabete al terzo stadio!”
“Sai Kat, questo è esattamente quello che direbbe Annabelle.”

Nathaniel si strinse nelle spalle, laconico mentre mescolava distrattamente il contenuto della sua tazza e la sorella, accanto a lui, sgranava gli occhi con orrore, stentando a credere a ciò che aveva appena sentito:

“Come scusa?!”
“Sì, pensavo che tu fossi la sorella divertente e carina, ma mi sbagliavo.”
“CERTO che sono la sorella carina! Non paragonarmi mai più ad Annabelle! E quello è caffè? Non puoi bere caffè!”

Katherine sbuffò, sequestrando la tazza al fratellino mentre una terza figura si univa al duo, lasciandosi scivolare accanto alla ragazza con un sospiro:

“Edward mi ha dato una lista infinita di cose da comprargli, credo che passeremo mezza giornata a fare compere per i nostri fratelli scrocconi…. Scusa Nate.”
“Vuoi leggere quella di Nate? E comunque non ti comprerò i fuochi d’artificio, sei troppo piccolo.”
“Ma tu li hai fatti esplodere con Gabri dentro al camino quando avevi nove anni, io ne ho quasi 12!”

“Quello sì che fu un Natale memorabile… beh, sei piccolo lo stesso, io ero molto più giudiziosa di te alla tua età.”
Nathaniel sbuffò mentre, accanto a Katherine, Beatrix scoppiava a ridere, tornando però improvvisamente seria dubito dopo di fronte all’occhiataccia della cugina e guardandola con sincero stupore, gli occhi chiari sgranati e le sopracciglia sollevate ad arco:

“Oh. Non stavi scherzando… scusa, fate finta che non abbia detto niente. Anche se, a proposito di fratelli maggiori… Mark? Tieni, ti cedo l’onore di comprare ciò che quel viziatello di Edward desidera.”

“Perché devo pensarci io?!”
“Perché sei il fratello maggiore, ergo devi renderti utile in qualche modo. Andiamo, Kat?”
“Va bene… Mark, occupati anche della lista di Nate, grazie.”

“Non credo proprio, non sono il vostro facchino!”
“Oh, oggi lo sarai eccome… altrimenti ti tengo in panchina nella prossima partita. E sarebbe la tua ultima partita, sei all’ultimo anno… vuoi davvero passarla senza giocare, Mark, perdendo l’occasione di tenere la Coppa in mano?”

Katherine sorrise dolcemente al cugino, porgendogli la pergamena che il ragazzo afferrò subito dopo, sbuffando e rivolgendo alle due un’occhiata torva che prometteva di ricambiare il favore, presto o tardi.

“Bene, direi che ci siamo liberate dell’incombenza… vogliamo andare? Ciao Nate, ci vediamo più tardi.”

Katherine sorrise prima di alzarsi e dirigersi verso le porte della Sala Grande insieme a Beatrix, tenendola a braccetto mentre la bionda si voltava verso di lei con un sorriso speranzoso:


“Potresti ricattare mio fratello più spesso con la storia del Quidditch? Sai, magari per fargli aiutare mia madre con le faccende al mio posto durante le vacanze di Pasqua.”
“Nessun problema, questo e altro per la mia cuginetta preferita.”


*


“Ti dispiace se rientriamo prima del dovuto? Devo controllare un paio di idioti in punizione.”
“Nessun problema. Anzi, posso darti una mano? L’unico motivo per cui mi sarebbe piaciuto diventare Prefetto è poter dare ordini.”

“Oh, ti ci vedo molto di panni di dittatrice senza pietà.”
“Dare ordini è divertente, non negarlo. Se fossi un’insegnante sarei di certo una professoressa cattivissima… ma anche tanto amabile, certo.”

“Oh, certo.”  Aurora annuì, ridacchiando quando Charlotte le assestò una gomitata mentre si apprestavano a raggiungere il paese. 

“Ridi pure, ma sai che non amo ricevere ordini, no, impartirli è molto meglio.”
“Su questo non c’è dubbio.”



Dopo anni di scuola, di addestramento all’Accademia e di servizio al dipartimento Charlotte Selwyn ne aveva fin sopra i capelli di ricevere ordini, non le era mai piaciuto attenersi a delle regole imposte da qualcun altro… e in più di un’occasione aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per restare in silenzio e non dire niente, evitando di rispondere malamente ad un superiore o ad un insegnante. 

Ma quel pomeriggio, mentre attraversava il corridoio semi-buio per raggiungere le cucine, Charlotte sorrideva, dicendosi che era davvero molto divertente dare ordini e avere la possibilità di mettere qualcuno in punizione… finalmente era lei ad avere il coltello dalla parte del manico.

Quando entrò nelle cucine l’Auror stava sorridendo, le mani dietro la schiena, e il suo sguardo si catalizzò subito sui due ragazzi presenti, inarcando un sopracciglio nel trovarne uno intento a strofinare una padella e l’altro a… beh, a mangiare.

“Oh, che bello, ecco la dolce coppietta di Black… Altair, vedo con piacere che ti sei proposto di dare una mano a tuo cugino, bravo, è così che si fa in una famiglia, dopotutto.”

E tu che ne sai, della famiglia?

Charlotte scacciò rapidamente quella voce fastidiosa, continuando a sorridere mentre faceva un passo avanti, avvicinandosi al cumulo di stoviglie e uno dei due ragazzi, quello comodamente seduto sul forno spento, sgranava gli occhi chiari con orrore, affrettandosi a scuotere il capo:

“A dire la verità ero solo passato a fargli compagnia…”
“Bene, quale modo migliore di fargli compagnia se non aiutare tuo cugino a lavare i piatti? Tranquillo Black, abbiamo tutte le spugne che vuoi, non fare complimenti.”

L’Auror fece comparire dal nulla una spugna e la lanciò senza tanti preamboli al Serpeverde, che sbuffò sommessamente mentre Antares invece sogghignava, guardando il cugino con somma soddisfazione.  
Altair però non sembrava avere molta voglia di dedicarsi all’economia domestica e spostò lo sguardo dalla spugna che teneva in mano ai piatti e infine a quella cosa strana azzurrina quasi con aria disgustata:

“Non credo che sia…”
“Opportuno? Oh, lo è. Coraggio, in due finirete molto prima, dopotutto… E prima che me lo ripetiate no, non mi interessa di chi siete figli, la mia famiglia è come la vostra, so di cosa parlo, e non mi interessa. Credi che al Dipartimento ti tratteranno con i guanti, Black? Forse, ma io no di certo, come non hanno trattato con i guanti me perché ero una ragazza, o una Selwyn. Perciò coraggio, Principessa Elizabeth e Principessa Margaret, olio di gomito, la prossima volta mi ci vorrò specchiare in quelle pentole.”

Charlotte girò sui tacchi e uscii dalle cucine con un ultimo sorriso, lasciando i due ragazzi un po’ interdetti:

“Come ci ha chiamati?”
“Non lo so… avanti, passami quella cosa strana. Ma sei sicuro che si usi quel lato della spugna?”
“Ti sembro forse un esperto di lavaggio dei piatti, Altair?!” 


“Va bene, scusa, solo non vorrei metterci più tempo de dovuto! Dici che dovremmo indossare dei guanti? Non è che quella cosa mi provocherà danni alle mani?”

Altair rivolse un’occhiata sospettosa al detersivo, prendendo in mano la bottiglia per esaminarla come se fosse una delle tante Pozioni che avevano studiato a lezione.

“Non ne ho idea, ma qui non c’è scritto. Credo che sia una strana Pozione Babbana per pulire…”
“Chissà con cosa è fatta, qui ci sono nomi strani, sembra un’altra lingua! Aspetta… Ant, perché c’è scritto Ammorbidente?!”
“In che senso Ammorbidente?!”
“Nel senso che c’è scritto così, guarda!”
“Dici che non serve per le stoviglie?”
“Non lo so, ma mi sembra un nome strano… oh no. Ant, credo che sia per i vestiti.”
“Mi stai dicendo che sto lavando da un’ora con un intruglio che non serve per i piatti?!”
“Beh, questo spiega perché ci stai mettendo così tanto…”


*


“Hai appena fatto guadagnare ai proprietari di Mielandia un capitale, per caso?”
“Mando sempre qualcosa ai miei genitori e al mio amico Aziz, a Chandrapore non abbiamo certo le Cioccorane!”

Adela si strinse nelle spalle mentre, uscita da Mielandia, prendeva Hector sottobraccio e il ragazzo le sfilava la borsa traboccante di dolci di ogni genere dalle mani, portandola al posto suo. 

“Una vita davvero triste, allora.”
“Beh, ci sono dolci di altro tipo. E poi almeno in India non piove tutti i giorni come qui! Un raggio di sole è una benedizione.”
“Beh, siamo molto a Nord, in Inghilterra è già diverso, fidati.”

“Sarà.” 
La ragazza si strinse nelle spalle e Hector rimase in silenzio, preferendo evitare di dare vita all’ennesimo dibattito India Vs Regno Unito che li aveva coinvolti innumerevoli volte nel corso degli anni.

“Quindi cosa pensi di fare quando ci saremo diplomati? Tornerai a vivere in India o resterai qui?”
“Non lo so… mi piacerebbe vedere i miei genitori più spesso, credo. Però restando qui avrei di certo più opportunità.”

Adela appoggiò il capo contro il braccio del ragazzo, pensierosa e sinceramente indecisa sul da farsi: non era certo la prima volta in cui ci pensava, ma ancora non sapeva di preciso cosa volesse fare una volta preso il Diploma in mano.

“Beh, c’è tempo, manca ancora un anno e mezzo, direi che non è il momento di pensarci.”
“Non è mai troppo presto se si tratta di decisioni importanti, Thor.”
“Certo, ma in un anno e mezzo cambiano molte cose… basti pensare che tu fino a due mesi fa pensavi di finire la scuola e sposarti praticamente subito dopo. E probabilmente se fosse andata così saresti rimasta davvero a vivere in India, ma ora?”
“Thor, il tuo è un modo molto contorto per sapere se resteremo insieme una volta finita la scuola?”

Adela alzò lo sguardo per incrociare quello de ragazzo, inarcando un sopracciglio mentre Hector abbozzava un sorriso colpevole, stringendosi nelle spalle:

“Forse.”
“Perché sei sempre così poco sicuro di te stesso, Hector? Sei il primo Corvonero che conosco a dubitare della propria intelligenza, tanto per cominciare.”
“Non sono certo sopra la media, Adela.”
“Ma di certo non stupido, considerando che risolvi puntualmente tutti gli indovinelli proposti dalla porta più in fretta di me!”


“Io ho sempre pensato che il Cappello mi abbia Smistato tra i Corvonero per indecisione, ma allora forse sei tu quella che è capitata tra noi per sbaglio!”
Hector rise ma la ragazza non lo imitò, rivolgendogli invece un’occhiata quasi truce per tutta risposta:

“Stai già diventando meno gentile, Thor? Buono a sapersi.”
“Non paragonarmi a Ronald, Adela. E io sono sempre gentile.”
“Bene, allora offrimi una gigantesca tazza di cioccolata calda per farti perdonare.”


*


“Pensi che Regan riuscirà a far capire a Steph che gli piace entro la fine dell’anno?”
“Ho qualche dubbio a riguardo.”

Gabriel sorrise mentre, seduto di fronte ad Elena, giocherellava con il suo boccale ormai vuoto. 
“Dovrebbe darsi una mossa, non sopporto più le incessanti chiacchiere di Steph, che non fa che ripetere quanto sia carino, gentile eccetera…”

“Credo che tu sia l’ultima che debba parlare in fatto di ottusità, Elly.”
“Io non sono affatto ottusa. È stato un… periodo difficile.”

“Lo so, scusami. Come sta tua madre, a proposito?”
“Se la cava, o almeno così dice, ma non mi fido fino in fondo delle sue lettere, quindi sto costringendo mia zia a tenermi aggiornata, è praticamente l’unica a sapere cosa sta succedendo. Vorrei essere a casa, mi sembra di perdere tempo stando qui, di non fare niente per aiutarla.”

“Hai già fatto quello che potevi, Elly, non sei tu a dover divorziare da tuo padre, ma tua madre. Se ti vuole bene, e sono sicuro che è così, andrà fino in fondo, ne sono certo… tuo padre si è più fatto vivo?”
“Sì, mi ha scritto la settimana scorsa, ma ho cestinato la lettera.”

Elena si strinse nelle spalle, gli occhi castani fissi su un punto indefinito del tavolo. La Grifondoro sollevò nuovamente lo sguardo solo quando sentì le dita di Gabriel stringerle la mano, guardandolo sorriderle dolcemente come se volesse confortarla:

“Questa storia finirà presto, vedrai.”
“Lo pensi davvero? Perché a mio parere va avanti già da troppo, e temo ci vorrà ancora parecchio.”
“Sia come sia tu adesso sei qui, non a casa, e cerca di pensarci il meno possibile. Concentrati su quello che devi fare qui, a studiare, prendere bei voti, commentare in modo raccapricciante le partite o ritenerti tremendamente fortunata per essere qui con me adesso.”

“La mia cronaca non è raccapricciante… e sei tu quello fortunato, caro!”

Elena sbuffò leggermente, assestando un lieve calcio al ragazzo sotto al tavolo mentre Gabriel sorrideva, lieto di vederla prenderlo a calci piuttosto che immusonita per suo padre.
O almeno Elena sorrise finché non spostò lo sguardo su qualcosa oltre la sua spalla, sporgendosi leggermente verso di lui per dire qualcosa a bassa voce, il tono carico d’irritazione:

“Mi spieghi che cosa vuole Giselle?! Ci guarda da quando siamo entrati!”
“Ti ho detto di ritenerti fortunata, infatti!”
“Oh, taci. Fissare le persone è da maleducati, vado a dirglielo e a chiederle se per caso non vuole un autografo, visto che mi trova così interessante. Aspettami qui.”

“Elly…” Gabriel rivolse un’occhiata preoccupata alla ragazza, pregandola di non farlo, ma la Grifondoro si era già alzata con stupefacente nonchalance per poi superarlo e dirigersi verso il tavolo dov’era seduta la Corvonero a passo di marcia.


“Oh oh.”
“Cosa?”
“Elena sta andando dritta verso Giselle! Non voglio guardare.”

Evangeline piegò le labbra in una smorfia, guardando la Grifondoro avvicinarsi alla sua compagna di Casa mentre anche Jack si voltava, spostando lo sguardo prima sulle due ragazze e poi sull’amico, che intanto si era voltato a sua volta verso di lui per rivolgergli un’occhiata carica di disperazione.

“Povero Gabri, non vorrei essere nei suoi panni… Elena ha di certo un bel caratterino.”

Jack sorrise, apparentemente divertito dalla situazione mentre Evangeline roteava gli occhi chiari, annuendo:

“Perché, lui no? E ho davvero paura ad immaginare cosa combineranno adesso insieme quei due… una volta ho colto sul fatto il tuo caro amico Greengrass impegnato a svuotare le clessidre per i punti delle Case e mischiare tutte le pietre a casaccio!”
Jack rise, ricordando la colossale punizione che si era beccato l’amico l’anno prima per poi annuire:

“Saranno di certo una coppia piena di sorprese. Ma sono felice di vederlo così di buon umore, era molto giù l’anno scorso quando lui e Giselle hanno rotto. Senza contare che sua madre lo asfissia per fidanzarsi, e Elena è, per giunta, Purosangue.”

Evangeline sbuffò debolmente evitando di commentare che, malauguratamente, lei non aveva avuto la stessa fortuna del ragazzo, non ancora almeno. La bionda non disse niente per qualche istante, gli occhi chiari fissi sulla sua tazza ormai vuota mentre, alle sue spalle, sentiva distrattamente Elena dire qualcosa a Giselle con tono seccato. 
Poi Evangeline alzò di nuovo lo sguardo, concentrandosi sul ragazzo che aveva davanti per poi prendere coraggio e dire qualcosa:

“Jack, perché mi hai chiesto di venire qui con te, oggi?”
“Sei molto sveglia, Evie, credo che tu lo sappia.”

“Naturale che lo so. Solo voglio sentirtelo dire.”


*


“Ci manca qualche altro posto?”
“No, non penso, vorrei solo fare un salto all’ufficio postale… oh, ciao! Come mai tutto solo?”

Charlotte sorrise nel scorgere il fratello maggiore attraversare la strada principale del paese, solo e con le mani infilate nelle tasche del cappotto grigio antracite. 
Sean, che stava camminando nella direzione opposta rispetto alla loro, raggiunse le due Corvonero sbuffando debolmente, creando una piccola nuvola di vapore davanti a sè:

“Si dia il caso che Regan sia impegnato a fare gli occhi dolci a Stephanie Noone, l’altro ad Elena MacMillan e l’altro ancora ad Evangeline. Odio questa festa pacchiana, forse sarei dovuto rimanere al castello.”
“Potevi dircelo, saremmo state felici di farti compagnia, spinte dal nostro animo misericordioso… povero Seannie, sei rimasto il solo scapolo del gruppo?”

Charlotte piegò le labbra in un sorrisetto divertito e il fratello si strinse nelle spalle mentre Aurora restava in silenzio, impegnata a studiare le ciocche di capelli castani che ricadevano sulla fronte del ragazzo o il suo viso leggermente arrossato dal freddo.

“Beh, io devo fare un salto all’ufficio postale, ma se sei così smanioso di tornare a scuola puoi sempre accompagnare Aurora. Non hai detto di dover tornare prima per controllare dei tizi in punizione?”

Charlotte si voltò verso l’amica, sorridendo quasi con fare compiaciuto mentre Aurora, ridestandosi nell’essere interpellata, si affrettava ad annuire:
“Sì, ma non so se Sean vuole già rientrare…”

“Tranquilla, ti accompagno volentieri.”
“Sentito? Ti accompagna volentieri… ci vediamo dopo, allora.”

Charlotte girò sui tacchi subito dopo, allontanandosi praticamente alla velocità della luce senza dare il tempo all’amica di replicare in qualche modo.

“Vogliamo andare? Si gela, e sappiamo entrambi quanto poco ami il freddo.”
Sean sorrise all’amica, porgendole il braccio che la ragazza strinse subito dopo, rivolgendogli però un’occhiata quasi affranta mentre si incamminavano fianco a fianco per tornare al castello:

“Potresti cercare di essere più detestabile, Sean? Provaci, almeno. Fallo per tutti i cuori infranti che ti sarai lasciato alle spalle oggi.”
Sean rise, ma Aurora non lo imitò, limitandosi a fissare con aria torva il marciapiede praticamente ghiacciato davanti a sè: diamine se era stupido, quando ci si metteva.


*


“Non dovevi, ma grazie.”

Stephanie alzò lo sguardo su Regan mentre usciva insieme a lui dal negozio per articoli per il Quidditch, i guanti foderati che le aveva appena regalato per giocare in mano. 
Il Serpeverde le sorrise di rimando mentre una frotta di studenti del terzo anno li superava di corsa per stiparsi all’interno del negozio, sfilandole delicatamente i guanti dalle mani per infilarglieli.

“Di niente. Dopotutto ti serviranno durante gli allenamenti, non vorrai perdere la sensibilità alle dita e lasciarti scivolare la Pluffa.”
“Sia mai, Kat non me lo perdonerebbe!”
“Allora meglio essere previdenti.”

Regan non smise di sorridere nemmeno quando smise di camminare, le mani ancora strette su quelle di Stephanie, che ricambiò il suo sguardo senza proferire parola mentre, infondo alla via…


“Oh, guarda, ci sono Reg e Stephanie! Andiamo a salutarli?”
Gabriel sorrise e fece per dirigersi verso l’amico e la ragazza, ma Elena lo afferrò prontamente per un braccio, strattonandolo per impedirgli di proseguire e sbuffando con evidente esasperazione:

“Torna qui, razza di idiota, ti sembra che vogliano essere disturbati, al momento?! Ma che cos’hai in testa, brodo?”
“Considerando che è San Valentino sei davvero scortese, Elly.”
“Capirai, è una festa da idioti. Ma sono felice di aver passato questa giornata da idioti con te, Gabri. Ora giriamo al largo dai nostri amici, meglio lasciarli soli…”

Elena prese il ragazzo sottobraccio e fece per allontanarsi, sorridendo e lasciandosi sfuggire una piccola esclamazione quando la sua concentrazione tornò brevemente sull’amica e su Regan:

“Visto?! Guardali, che teneri, si baciano!”
“Da quando sei così sdolcinata?”
“Sono solo felice per la mia amica, Regan mi piace, e poi ora forse non la sentirò blaterare di lui tutto il giorno! Presto, troviamo Axel, devo dirglielo.”
“Cerca solo di non farlo sapere a tutto il castello prima dell’ora di cena, Elly.”


*


“Mamy? Tu e papy quando vi siete baciati per la prima volta?”
“A San Valentino, eravamo in gita scolastica.”

Stephanie sorrise mentre, sollevata Rose, sistemava la figlia maggiore sulle sue ginocchia, che iniziò a farle domande su lei e il padre a ruota libera. Da quando quella bambina aveva iniziato a parlare praticamente non si era più zittita per un attimo, dando prova di una spiccata curiosità.

Si stava facendo spiegare dalla madre come si fossero conosciuti quando anche Regan comparve in cucina, il piccolo Andrew in braccio dopo essere finalmente riuscito a calmarlo e a farlo riaddormentare.

“San Valentino? Non era il tuo compleanno?”
“No Reg, era due settimane dopo, tu mi regalasti i guanti… li ho ancora, in effetti. Ti sei dimenticato del nostro primo bacio ?!”

“No, certo che no!” Regan sorrise, affrettandosi a scuotere il capo mentre massaggiava distrattamente la schiena del figlio, intuendo di essersi addentrato in un campo minato mentre Rose sorrideva, facendo dondolare le gambe:

“E dopo quanto tempo vi siete sposati?”
“Nove anni.”
“Così tanto? Perché? Il principe e la principessa si sposano sempre non appena lei si sveglia!”
“Lo so cucciola, ma papà ha metaforicamente dormito per molto tempo e ha chiesto alla mamma di sposarlo quando lei ormai credeva che non l’avrebbe mai fatto… e dopo sei arrivata tu.”
“E Andrew… e tra poco arriverà anche il mio nuovo fratellino!” (Quanti cribbio di Andrew ci sono in sta’ storia?! Nda)

Rose sorrise, gli occhi chiari luccicanti mentre sfiorava il pancione ormai leggermente evidente della madre, che annuì e sorrise di rimando, appoggiando una mano sopra quella molto più piccola della bambina di cinque anni:

“Certo… ma speriamo che sia una sorellina, vero?”
“Sì, basta maschi!”
“Io invece spero vivamente che sia un maschio, altrimenti sarete in maggioranza e poveri noi. Anzi, rettifico, povero ME, dal momento che quello sacrificabile tra me e il piccolo principe sono io!”

“Oh, povero papà trascurato… Rosie, vai a consolare papà, si sente escluso.”
“Stai tranquillo papy, io ti voglio tanto bene.”

Rose sorrise mentre scivolava dalle gambe della madre, trotterellando verso il padre per abbracciarlo, facendolo sorridere mentre le accarezzava i capelli biondo cenere con una mano:

“Per fortuna c’è la mia piccola principessa… comunque, io continuo a ribadire che fosse il tuo compleanno.”
“Ti dico che era San Valentino! Basta, chiamo Elly via camino, lei confermerà che ho ragione, come sempre.”


*


Sua sorella l’aveva a dir poco costretta a mettersi la gonna e ora le sue gambe stavano per perdere sensibilità a causa del freddo, ma per fortuna aveva quasi smesso di pensarci dopo meno di un’ora, riservando tutta la sua attenzione per Andrew.

“Torniamo al castello? Sta iniziando a fare buio, e temo sempre più freddo.”
“D’accordo. Mi sono divertita molto oggi, e grazie per il libro, ovviamente.”

Iphigenia sorrise, alzando lo sguardo per incrociare quello del ragazzo mentre camminava tenendolo a braccetto.
“Quel tomo pieno di segni astrusi e nomi assurdi che non riuscirei a comprendere nemmeno in un mese? Non c’è di che.” 

“Ti assicuro che è interessante, forse un giorno riuscirò a convincerti.”
“Tu giocherai mai a rugby?”
“Merlino, no!”
“Ecco. Rassegnati Iphe, su alcuni fronti non troveremo mai un punto d’incontro… io non sono mai stato particolarmente bravo in matematica, tanto per cominciare.”
“Oh, certo, o andavi a prendere lezioni solo per sperare di vedere Eilidh?”

“Si può sapere come fai a ricordare sempre il suo nome? E poi perché tutto questo interesse? Non sarai gelosa, vero Iphe?”
“Perché me lo chiedono tutti?! Non sono gelosa, stavo solo scherzando.”

Iphigenia sbuffò debolmente, riportando lo sguardo davanti a sè mentre camminava a passo spedito, destando un sorriso divertito da parte del ragazzo:

“Certo.”
“Non usare quel tono canzonatorio!”
“Va bene Iphe…”
“Andrew!”


*


“Alfiere in H3.”
Dopo aver fatto la sua mossa Axel vide Jade voltarsi, senza prestare particolare attenzione alla scacchiera o all’alfiere dell’avversario e indugiare con lo sguardo su qualcuno che era appena entrato nella Sala Grande, che stava iniziando a riempirsi con gli studenti che erano rientrati da Hogsmeade.
Seguendo lo sguardo della ragazza Axel si ritrovò a guardare i suoi migliori amici, Iphigenia Ashworth e Andrew Maguire, che si stavano avvicinando al tavolo chiacchierando.

Axel vide Jade sorridere debolmente mente tornava a concentrarsi sulla scacchiera, sbuffando nel rendersi conto di aver perso la sua Regina.
“Accidenti…”
“Sei un po’ distratta, Jade?”
“Sto pensando a quei due idioti ottusi dei miei amici, anche se non so come farei senza di loro. Tutti pensano che starebbero bene insieme, LORO sono gli unici a non saperlo.”
“Abbi fede! Forse lo capiranno… insomma, se c’è l’ha fatta Elena…”

“Axel!” Manco a dirlo il ragazzo sentì la voce dell’amica irrompere nella Sala Grande proprio mentre Andrew ed Iphigenia li raggiungevano, sedendo accanto a loro per assistere alla partita mentre la Grifondoro li raggiungeva di corsa a sua volta, sorridendo, la sciarpa che le stava cadendo e un Gabriel vagamente esasperato alle spalle che gli rivolse un’occhiata altrettanto vagamente truce. Axel aveva chiesto all’amica di parlargli, ma aveva la sensazione che non gli andasse giù comunque la sua presenza costante accanto a lei.

“Ciao ragazzi… ti rubo solo un attimo.”
“Ciao Elly… hai svaligiato Zonko?”
“Sì, io e Gabri abbiamo comprato dei fuochi d’artificio che pensavamo di far esplodere nelle serre, ma te lo racconterò dopo… ho visto Steph e Carsen baciarsi! Non è fantastico?”
“Elly, ti rendi conto che siamo dei Prefetti, vero? Sì, sono felice per Steph, ma non puoi far saltare in aria le serre!”

“Sì, so che a te Erbologia piace, ma è così noiosa…”
Elena sfoggiò una lieve smorfia mentre Axel alzava gli occhi al cielo e Gabriel prendeva posto accanto a lei, mettendole un braccio intorno alle spalle e sorridendo leggermente. 

“Io fingerò di non aver sentito… Cavallo in E5.”
“Axel, mi insegni a giocare a scacchi?”
“Neanche per sogno Elly, non hai pazienza.”

Elena sgranò gli occhi, offesa, sostenendo che non fosse assolutamente vero mentre Iphigenia, seduta accanto a Jade, si voltava verso Andrew con un sorriso:

“Qualcuno qui invece si rifiuta di giocarci da quasi due anni… non ti piace perdere contro una ragazza, Andrew?”
“No, semplicemente non sopporto te quando fai commenti del tipo “io non avrei fatto quella mossa”, “io avrei messo il cavallo lì, non qui!” eccetera.”


*


Quando Evangeline aprì la porta della sua camera sorrideva, impaziente di vedere Aurora per raccontarle della sua giornata e di cosa fosse successo tra lei e Jack, ma la bionda smise immediatamente di sorridere quando posò lo sguardo sulla sua migliore amica, seduta sul suo letto con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte.

“Aurora?”
“Ciao. Com’è andata la tua giornata?”
“Meglio della tua, credo…”

Evangeline si chiuse la porta alle spalle per avvicinarsi all’amica, sedendo sul letto accanto a lei mentre Aurora, senza dire niente, appoggiava il capo contro la sua spalla, un’espressione cupa dipinta in volto che le si vedeva di rado.

“Cosa è successo?”
“Niente… solo che mi convinco ogni giorno di più di come Sean Selwyn sia un idiota. Oppure dici che lo sa ma non vuole ferirmi?”

Aurora sospirò, scuotendo leggermente il capo mentre fissava il copriletto blu notte con gli occhi chiari quasi lucidi ed Evangeline, dopo un attimo di esitazione, la circondò con le braccia, stringendola in un abbraccio:

“Oh, tesoro… mi dispiace. Forse dovresti dirglielo e basta.”
“E mandare in frantumi dieci anni di amicizia? No, grazie, e poi le cose diventerebbero strane anche con Charlie, e non voglio. Mi passerà, Evie, vedrai… lo spero, almeno.”

Evangeline annuì, restando in silenzio mentre si limitava ad abbracciare l’amica, che si rese conto dell’eccezionalità di quel gesto solo poco dopo, alzando lo sguardo per rivolgerle un’occhiata perplessa:

“Evie, mi stai abbracciando da più di cinque secondi, stai bene?”
“Sì, benissimo, ma tu no, quindi… sono qui per questo, dopotutto.”












…………………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Nel prossimo capitolo ci sarà la partita tra Corvonero e Serpeverde, quindi vi invito come sempre a votare… e vi allego un ottimo motivo per votare Serpeverde:

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Scherzi a parte, cercate di farmi sapere il prima possibile, perché ovviamente l’informazione mi serve per scrivere il capitolo. 

A presto, 
Signorina Granger 

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Capitolo 19
*** Corvonero - Serpeverde ***


Capitolo 17: Corvonero – Serpeverde 
 
Domenica 2 Marzo



“È molto semplice: se oggi perdiamo, dovremo nasconderci per la vergogna fino alla fine dell’anno. Ergo, la sconfitta non è ammissibile.”
“Effettivamente sarebbe una bella figuraccia…”

Gabriel annuì alle parole di Sean, parlando con tono grave prima di bere un sorso di caffè mentre Jack, seduto accanto a lui, non sembrava prestare particolare attenzione alla loro conversazione e teneva gli occhi fissi sul tavolo dei Corvonero per poi spostare di tanto in tanto lo sguardo sulla soglia della Sala Grande gremita di studenti.

“Jackie, stai cercando Evangeline?”
“Mi ha promesso che sarebbe venuta alla partita, anche se non le piace il Quidditch… un motivo in più per non perdere, anche se giochiamo contro la sua Casa.”

Jack aggrottò leggermente la fronte, continuando a cercare Evangeline con lo sguardo anche se di lei e di Aurora ancora non c’era traccia.

Regan invece spostò la sua attenzione sul tavolo dei Grifondoro, rivolgendo un caldo sorriso in direzione di Stephanie mentre Gabriel faceva altrettanto con Elena, che stava chiacchierando amabilmente con Axel.

“Gabri, hai detto alla tua fin troppo spigliata fidanzata di cercare di non dipingerci troppo negativamente facendo la cronaca?”
“Sì, ma non so a quanto sia servito, ad Elena piace fare quello che vuole…”
“Beh, speriamo sia più clemente dell’altra volta. Scusate, vado a salutare Evie prima della partita.”

Jack sorrise quando vide finalmente Evangeline entrare nella Sala Grande insieme ad Aurora, fermandosi quando lo vide alzarsi e dirigersi verso di lei. Sean lo seguì con lo sguardo, guardando la bionda sorridere all’amico e aspettarlo mentre Aurora, dopo avergli rivolto un cenno, si allontanava verso il tavolo della sua Casa, limitandosi a rivolgere un’occhiata cupa nella sua direzione prima di prendere posto accanto a sua sorella.

Sean abbassò lo sguardo sul suo piatto ormai quasi del tutto vuoto, sbuffando sommessamente e ripensando a ciò che gli aveva detto Charlotte un paio di settimane prima a proposito della ragazza.

Charlotte gli si era avvicinata, sedendo accanto a lui nella Sala Grande senza dire una parola, limitandosi a sorridergli leggermente. Sean aveva così alzato lo sguardo su di lei, distogliendolo momentaneamente dai compiti di Aritmanzia, per rivolgerle un’occhiata leggermente confusa quando la sorella sembrò spazientirsi:

“Embhè?!”
“Embhè cosa?!”
“Embhè cosa è successo tra te e Aurora!”
“Non sono affari tuoi, Charlie.”
“Certo che lo sono, tu sei mio fratello e lei è mia amica, quindi ficco il naso quanto mi pare e piace… Allora? Ti ha detto qualcosa?”

Charlotte tornò a sorridere, gli occhi verdi quasi luccicanti mentre agguantava il libro del fratello e lo attirava verso di sè, sottraendolo dalla sua presa e facendolo sbuffare di conseguenza, riprendendoselo con stizza:

“Cosa avrebbe dovuto dirmi?!”
“Non ti viene in mente niente, Seannie?”

Sean non rispose, limitandosi a ricambiare lo sguardo della sorella con la fronte aggrottata finchè Charlotte, resasi conto della sua perplessità, non sospirò, guardandolo con rassegnazione:

“E dire che ti reputavo brillante… Sean, mi stai davvero dicendo che non ti sei mai reso conto di piacerle?!”
“Come prego?”
“Per l’amor del cielo, pensavo lo sapessi, lo sanno tutti!”
“Questo non… non è vero, sarà il tuo ennesimo viaggio mentale. Perché pensi che lo immaginassi se non ne ho mai fatto cenno?”

“Beh, pensavo che fossi modesto! O che non volessi metterla in imbarazzo…. Ma davvero sei sorpreso? No, te lo chiedo perché ieri stavo andando alla Torre Sud e ho sentito Sir Cadogan raccontarlo al suo pony.”
“Te lo ha detto lei?”
“No, non ce n’è bisogno. Non dovresti sorprenderti Seannie, piaci ad un sacco di ragazze… in effetti, mi spieghi come sia possibile che da qualche tempo non ti interessi nessuna? Perché avere Aurora come cognata mi farebbe davvero molto piacere.”
“Ma se sei la prima ad aver stroncato sul nascere qualunque mio interesse in passato!”
“Solo perché quelle che ti piacevano erano delle oche senza senso dell’umorismo o un briciolo di apertura mentale… ma Aurora mi piace moltissimo, ovviamente. E piace molto anche a te.”

“Certo, ma non so se…”
“Beh, prova a rifletterci su, fratellone. Ah, se non ci fosse la tua splendida sorellina… ora, mentre rimugini sui tuoi sentimenti, mi aiuti con i compiti di Trasfigurazione?”


Da quella sera, subito dopo la gita, praticamente lui e Aurora non si erano più rivolti la parola, e lui ne era stato quasi felice, non sapendo proprio come comportarsi con lei… maledisse mentalmente sua sorella per averglielo detto, forse sarebbe stato meglio restare all’oscuro, ma per quanto ci avesse provato sapeva per esperienza che non riusciva a restare arrabbiato con lei per più di due ore. 
Nemmeno Aurora, tuttavia, era andata a cercarlo, non si era mai seduta accanto a lui durante le lezioni, cosa che aveva insospettito Charlotte – come l’avesse scoperto visto che non erano nella stessa classe, non lo sapeva –, che due giorni prima gli si era parata davanti con le mani sui fianchi e lo sguardo minaccioso, chiedendogli se avesse detto qualcosa di poco carino alla loro amica.

E quando le aveva detto che no, anzi, non si parlavano da San Valentino, lei aveva sospirato e gli aveva gentilmente consigliato di tirare fuori gli attributi e un altro paio di cose che, essendo un ragazzo educato, non avrebbe ripetuto.


“È successo qualcosa tra te e Aurora? È strano non vedervi interagire nemmeno lontanamente.”
La voce di Gabriel lo riportò alla realtà e Sean si affrettò a distogliere lo sguardo dal tavolo dei Corvonero, scuotendo il capo e schiarendosi la voce prima di affrettarsi a negare, come se volesse chiudere rapidamente il discorso:

“No, non è successo niente.”

Né Gabriel né Regan aggiunsero altro, ma si scambiarono un’occhiata incerta mentre, qualche metro più in là, Jack parlava con Evangeline:

“Allora verrai alla partita?”
“Te l’ho promesso, quindi certo che sì.”
“Mi fa piacere.”

Jack sorrise, una mano stretta su quella molto più pallida e più piccola della ragazza che però si strinse nelle spalle, laconica:

“Ma non tiferò per te, mi dispiace, sono pur sempre una Corvonero... non fare quella faccia, la Casa prima di tutto.”
Jack smise immediatamente di sorridere, osservando la ragazza con cipiglio torvo prima di sospirare, roteando gli occhi verdissimi:

“D’accordo, lasciamo perdere… mi daresti almeno un bacio per augurarmi buona fortuna?”
“E far vedere a tutta la scuola che fraternizzo con il nemico? No, mi dispiace. Buona fortuna, Jack.”

Evangeline sorrise, quasi divertita, lasciando scivolare la mano dalla presa del ragazzo prima di girare sui tacchi e allontanarsi, raggiungendo Aurora al loto tavolo e lasciandolo a bocca asciutta e visibilmente scontento:

“Come sarebbe?!”
“Povero Jackie, Evie ti fa penare?”

Sentì un braccio stringere il suo e una risatina gli suggerì che sua cugina gli era comparsa accanto senza dover nemmeno avere il bisogno di voltarsi. 
Jack abbassò lo sguardo per incontrare gli occhi azzurri di Denebola, che gli stava sorridendo con aria divertita, per poi parlare con tono leggermente seccato:

“Ti diverte, Denny?”
“Oh, sì, molto, finalmente il mio adorato Jack si è innamorato! E poi Evangeline mi piace molto, quindi non potrei essere più felice. Sai, mi ha rammaricato molto non avere una macchina fotografica sottomano per immortalare il vostro romantico bacio ad Hogsmeade e mandare la foto a zia Lena.”

Denebola rise ma il cugino non la imitò, sfoggiando invece una smorfia e ringraziando mentalmente che la ragazza non possedesse una macchina fotografica e appuntandosi di non regalargliene mai una.


*


“Mi raccomando, cercate di vincere. Non amerò il Quidditch, ma l’idea di essere ultimi in classifica e di perdere proprio contro la Casa di mio fratello non mi piace per nulla, non voglio sopportarli darsi arie per il resto dell’anno! Specie quel pallone gonfiato di Cavendish, non posso permettere che vinca contro di noi in veste di Capitano, me lo rinfaccerebbe fino al Diploma!”

“Grazie Charlotte, sei di grande aiuto.” Hector annuò, massaggiando distrattamente la schiena di Adela con una mano mentre la ragazza sospirava, leggermente pallida in volto.

“Oh, andiamo, ormai dovreste essere abituati, non è certo la prima partita. Tranquilla Adela, andrà tutto bene… e se Cavendish osa lanciarti contro un Bolide prima lo prendo, poi lo affatturo e infine lo getto nelle segrete!”
“Lui già ci vive nei sotterranei, Charlie…”
“Ah, è vero. Beh, l’ambiente gli si addice... lui e la sua stupita faccia da schiaffi.”

“Una faccia attraente, se dovessimo essere onesti.”
“Beh, alla prossima frecciatina potrei prendere in seria considerazione l’idea di cambiargli i preziosi connotati a suon di ceffoni… io lo ripeto da anni, ci sarà pur un motivo se è amico di Heslop.”

Charlotte storse il naso, ben lieta di poter finalmente palesare apertamente il suo disprezzo mentre un sorriso appena percettibile incurvava le labbra di Hector, quasi conferendogli un’espressione soddisfatta che non sfuggì all’amica:

“Non guardarmi a mo’ di rimprovero, Adela, anche Hector la pensa così, solo che è troppo gentile ed educato per dirlo ad alta voce… quanto a te, Aurora, guardiamo la partita insieme? Non posso mancare, devo tifare per Adela e Thor.” 

“Va bene.” Aurora annuì e l’amica le rivolse un’occhiata di sbieco, tentata di chiederle se non fosse successo qualcosa tra lei e il fratello visto che a stento si parlavano e lei non era andata a salutarlo per fargli gli auguri come da manuale.

“Beh, noi faremmo meglio ad andare… ci vediamo dopo.”
Adela si alzò con un debole sospiro, un’espressione quasi tetra sul volto mentre Charlotte, al contrario, le sorrise calorosamente:
“Buona fortuna! Com’è che oggi hanno tutti delle facce da funerale?! Aurora, mi spieghi perché tu e mio fratello non vi rivolgete la parola da due settimane, in pratica? Sei arrabbiata con lui?”

“No… lo sai perché. Sono solo stanca, credo. Gli voglio bene e so che me ne vuole anche lui, certo, ma non allo stesso modo.”
“Abbi pazienza, è intelligente ma pur sempre di sesso maschile, non si può pretendere molto… sai, credo che tu abbia sempre dato per scontato che Sean non potrà mai vederti in modo diverso dalla sua migliore amica, quindi non hai mai fatto niente per fargli capire esplicitamente quello che provi per lui, e da bravo somaro lui non l’ha mai capito. Ma qualcosa mi dice che sta cominciando a collegare i pezzi… staremo a vedere.”

“Charlie, che cosa hai fatto?”  Aurora sgranò gli occhi, rivolgendo all’amica un’occhiata sinceramente preoccupata mentre la compagna di Casa, sorridendo con aria divertita, si alzava e la prendeva sottobraccio, invitandola ad imitarla:

“Io? Mi occupo degli ottusi imbranati a cui voglio bene, come al solito.”


*


“Bene, io vado a prendere posto, dopotutto la partita non può cominciare senza la cronista… buona fortuna.”

Elena si fermò davanti alla ripida rampa di scale in legno che conduceva alla Tribuna d’Onore, dove prendevano posto gli insegnanti, e rivolse un sorriso d’incoraggiamento a Gabriel prima di mettergli le mani sulle spalle e alzarsi in punta di piedi per baciarlo, guadagnandosi un sorriso da parte del ragazzo, che la trattenne tra le sue braccia:

“Grazie. Sottolineerai come io sia indubbiamente il miglior elemento della squadra, vero?”
“Assolutamente no, o mi accuserebbero di essere di parte e non mi farebbero più commentare!”
“Elly tu sei di parte eccome, non ricordi i commenti dell’altra volta?!”

Gabriel inarcò un sopracciglio, guardandola con una punta di esasperazione negli occhi chiari mentre la ragazza si limitava a ridacchiare, asserendo di essersi divertita parecchio a commentare la partita tra Serpeverde e Grifondoro mentre scivolava dalla presa del ragazzo, guardandolo con aria divertita:

“Tranquillo, questa volta potrei essere più gentile, penso. Ora muoviti, non vorrai far tardare tutta la squadra!”
“Sia mai, altrimenti poi gli altri chi li sente… ci vediamo dopo. Cerca di tenere a freno la lingua!”
“Tenterò, ma non ti prometto nulla, mio caro.”


*


“Sei sicura di non voler venire?”
“Sicura, ho di meglio da fare piuttosto che prendere freddo per assistere ad una partita. Voi andate, ci vediamo dopo.”

Jade annuì, parlando con fare sbrigativo mentre rivolgeva un rapido cenno della mano ai suoi due migliori amici, suggerendo ad Iphigenia e ad Andrew di sbrigarsi a lasciare la Sala comune per evitare di perdersi l’inizio della partita.

“D’accordo, se sei sicura… ci vediamo più tardi.”
“Divertitevi, se si può chiamare “divertimento”.”

Jade abbozzò un sorriso mentre guardava i due uscire dalla Sala Comune e Beatrix, seduta ad un paio di metri di distanza con un libro e un rotolo di pergamena davanti, sospirava con aria sollevata:

“Anche tu sei riuscita a scamparla, questa volta?”
“Sì, ho detto ad Iphe e ad Andrew di avere troppo da studiare… insomma, mi prendo avanti con i compiti, perdo una partita dove non gioca nemmeno la mia Casa e dò modo a quei due di passare del tempo da soli, tre piccioni con una fava. Tu invece, hai convinto Katherine di avere la febbre?”

“No, le ho detto chiaro e tondo che questa volta non l’avrei accompagnata. Non l’ha presa benissimo, in effetti…”


*


“È assolutamente inammissibile! Come può non voler passare del tempo con me? Tutti mi vogliono bene!”
“E infatti Beatrix ti adora Kat, solo che non ama il Quiddicth, lo sai…”

“Beh, se mi volesse bene davvero non mi avrebbe lasciato sola con voi! Senza offesa Mark.”
“Scusa, ma non avresti potuto restare al castello anche tu? Le avrebbe fatto piacere la tua compagnia, in ogni caso.”

“Non posso perdere la partita, gioca Gabri!”  Katherine sbuffò, gemendo con aria grave mentre si appoggiava alla ringhiera delle tribune, osservando i giocatori iniziare a sfrecciare lungo il perimetro del campo ovale con aria cupa.

“Oh, giusto, se gioca il tuo amichetto del cuore non puoi proprio mancare…”
“Mark, ti voglio bene, ma dì una parola contro Gabri e ti tengo in panchina alla finale. So che tu e Adrian vi detestate, ma non devi generalizzare tutti i suoi compagni di Casa o di squadra!”

“Hai intenzione di continuare con la minaccia della panchina vino alla fine dell’anno?”
Il cugino le rivolse un’occhiata torva che la Capitana ignorò, limitandosi a sorridergli con fare allegro:

“Certo!” 


*


“Tu gli hai detto COSA?!”
“Abbassa la voce, vuoi che sentano tutti?! Ah no, scusa, lo sanno già tutti, urla pure…”

Charlotte parlò con una nonchalance che non venne affatto condivisa dall’amica, che sospirò e si prese la testa tra le mani, progettando di chiedere asilo ai parenti americani della madre e fuggire negli USA il più rapidamente possibile.
Non poteva essere vero. Non sarebbe più riuscita a guardarlo in faccia, figuriamoci parlargli… come avrebbe fatto a lezione? Alle cene a casa delle rispettive famiglie? Durante i turni di ronda?

“Charlotte, smettila, non lo sanno tutti!”
“Mi permetto di dissentire, lo sa anche la Sir Cadogan.”

Aurora si voltò verso Evangeline di fronte all’intrusione della bionda, che però non sembrò farci caso e continuò a tenere gli occhi fissi sul campo da Quidditch, in particolar modo sul Portiere di Serpeverde.

“Visto? Lo sanno anche i quadri! Questo è illuminante per appurare la gravità dell’ottusità di mio fratello. Non farne una tragedia Aurora, non capisco perché pensi di non potergli piacere, gliene sono piaciute di molto più insulse! Ricordi Clara Flint?”
“Sì, che oca, non la potevo sopportare…”
“Neanche io.”

“In effetti non l’ho più vista, chissà dov’è sparita…”. Aurora aggrottò la fronte prima di voltarsi di scatto verso l’amica, guardando Charlotte toccarsi distrattamente i capelli con leggero sospetto:

“Tu non ne sai niente, giusto Charlie?”
“Umh, potrei averle suggerito di aver sentito mio fratello dire di trovarla grassa…. Non l’ha presa granché bene. Suvvia, neanche a te piaceva, aveva così poco senso dell’umorismo.”
“Vero, ma non avresti dovuto comunque dire quelle cose a Sean! Che vergogna…”

Aurora piegò le labbra in una smorfia, sentendosi sprofondare per l’imbarazzo mentre si passava una mano tra i lunghi capelli scuri e Charlotte sbuffava, liquidando il discorso con un rapido gesto della mano:

“Ma quale vergogna, se non fosse il mio fratellone sarei la prima a sbavare per lui, non sei né la prima né l’ultima, con la differenza che mi piacerebbe avere TE come cognata, non qualche altra oca giuliva senza cervello. E poi dimentichi che i nostri genitori sarebbero oltremodo felicissimi di vedervi insieme, anzi, credo che ci sperino.”
“Sono d’accordo con Charlotte, a me mio cognato non piace granché, sarebbe stato più piacevole se Caroline avesse sposato qualcuno di più divertente…”

“Vi siete messe d’accordo, per caso?”


*


“Burke passa la Pluffa a Greengrass, che supera la metà campo e si avvicina agli anelli dei Corvonero… schiva Grayfall e un Bolide – attento Williams, vuoi uccidermi il fidanzato?! – ma perde la Pluffa, che passa in mano a Denebola Starble. Andiamo Gabriel, puoi fare di meglio!”

Un coro di proteste si sollevò dalle tribune occupate dai Serpeverde mentre Denebola sfrecciava verso gli anelli della squadra avversaria, rivolgendo un sorrisetto in direzione del cugino. 

“Starble lancia la Pluffa… ma non segna, Keegan blocca il tiro! Bravo Jack, non farti mettere sotto da tua cugina! Prof, scusi, che ho detto adesso? Beh, dicevo, Serpeverde ha la Pluffa ed è in testa per 50 a 30, intanto Adela Quested non sembra aver ancora avvistato il Boccino… Riuscirà Serpeverde a vincere almeno una volta quest’anno? Una bellissima domanda… La cui risposta sarà sicuramente NO se Gabriel non la smetterà di toccarsi i capelli invece di darsi da fare!”


Gabriel sbuffò, fulminando la tribuna d’Onore con lo sguardo e ricordando con somma irritazione quando la ragazza gli aveva assicurato che sarebbe stata più gentile mentre qualche metro più in alto Adela sorvolava il campo rabbrividendo dal freddo, cercando uno scintillio dorato e chiedendosi sinceramente perché diamine si fosse unita alla squadra: avrebbe potuto stare in tribuna e fare il tifo insieme a Charlotte, invece no, era lassù a prendere freddo. Perché?!

“Tutto bene?”

La voce di Hector attirò la sua attenzione, costringendola ad abbassare lo sguardo per poi annuire in direzione del ragazzo, costringendosi a sorridere: in realtà era stanca morta e non si sentiva più le mani, ma non l’avrebbe mai ammesso anche se era sicura che lui lo immaginasse. 
Eppure, voleva davvero vincere: non voleva assolutamente dare a Ronald quella soddisfazione.


*


“Non trovi che Jade sia strana, di recente? È come se volesse liberarsi di noi…”
“Forse vuole solo stare un po’ da sola.”

Andrew si strinse nelle spalle, sforzandosi di parlare con il tono più neutro che gli riuscì e di apparire disinteressato: in realtà l’amica gli aveva detto chiaro e tondo già diversi giorni prima di volerli lasciare da soli, ma non poteva dirlo ad Iphe. 
Iphigenia, seduta accanto a lui, si voltò di scatto, guardandolo con una punta di preoccupazione negli occhi castani:

“Pensi che possa avercela con me per qualcosa? Forse a volte risulto un po’ brusca o disinteressata, anche se non me ne rendo conto…”
“No, certo che no.”  Andrew scosse il capo, rispondendo forse con un po’ troppa fretta e un po’ troppa enfasi, guadagnandosi così un’occhiata incerta da parte della ragazza. Il rosso si sforzò di sorridere, stringendosi nervosamente nelle spalle:

“Insomma, ne dubito. Te lo direbbe in quel caso, e poi voi non litigate mai.”
‘Non mi piace discutere, lo sai.”

Iphigenia tornò a guardare la partita, il braccio ancora stretto intorno al suo, e inclinò la testa per appoggiare distrattamente il capo sulla sua spalla. 
Andrew si irrigidì per un istante, stupito da quel gesto, ma non disse nulla e sorrise un attimo dopo, provando un inconsueto moto di calore considerando le basse temperature a cui era esposto.

“Andrew?”
“Sì?”
Iphigenia indugiò, mordendosi il labbro e ripetendosi di chiedergli delucidazioni a proposito della gita ad Hogsmeade appena passata, quando lui le aveva chiesto di accompagnarlo e si era presentato alla sua porta con un mazzo di fiori in mano. 
Non si chiede ad una signorina un appuntamento senza dei fiori, glie l’aveva sentito dire molte volte da quando lo conosceva, ma mai aveva pensato che un giorno quella frase avrebbe riguardato lei. 

Iphigenia arrossì leggermente, chiedendosi se quello fosse stato un appuntamento vero e proprio ma senza avere il coraggio di chiederlo a lui. Era così abituata a passare tanto tempo insieme a lui da essere ormai piuttosto confusa, non sapendo come interpretare, di preciso, i suoi comportamenti.

“…. Niente, non importa.”


*


“Senza offesa, ma quest’anno vi trovo un po’ fiacchi.”
“Come scusa? Non è assolutamente vero, abbiamo solo avuto… beh, un po’ di sfortuna, tutto qui. Solo perché avete vinto una partita non siete automaticamente i migliori, mia cara.”

“Beh, siamo quelli con il punteggio più alto, però. E se vinceremo contro Tassorosso vinceremo anche la Coppa, ti ricordo.”


Stephanie sfoggiò un lieve sorrisetto, visibilmente soddisfatta mentre Regan invece sbuffava, seguendo la partita con cipiglio torvo:

“Beh, oggi vinceremo, ne sono certo... anche se Sean sembra distratto oggi, non so che cos’abbia.”
“Beh, sei uno de suoi migliori amici, se non lo sai tu…”
“È sempre stato piuttosto riservato, ma stamattina era molto taciturno… ho preferito non indagare, però, non vorrei essere scortese e invadere lo spazio altrui.”

“Posso farti una domanda, Reg?”
“Certo.”  Il ragazzo sorrise, abbassando lo sguardo per incontrare gli occhi chiari della ragazza, che lo stava scrutando con un velo di confusione nello sguardo, come se stesse cercando una risposta ad una domanda particolarmente insidiosa:

“Che cosa ci fai in quella Casa, esattamente?!”


*


Quando il gufo fin troppo familiare le planò davanti Beatrix si irrigidì, gli occhi azzurri fissi sul rapace che aveva davanti e che la stava fissando di rimando, in attesa.
C’era un particolare sigillo impresso sulla ceralacca che era stata usata per chiudere la busta, ma la ragazza non ebbe alcun bisogno di lanciargli un’occhiata per sapere chi le avesse scritto: quello era, indubbiamente, il gufo di suo padre. Ed era abbastanza raro che le scrivesse, in effetti. 

Improvvisamente la Tassorosso si sentì osservata e ci mise poco a rendersi conto di avere più di qualche paio d’occhi puntato contro: non sembrava essere l’unica ad aver riconosciuto il gufo, a giudicare dal modo in cui sua sorella minore la stava osservando, un sopracciglio inarcato a conferire alla Corvonero un’espressione perplessa.
Beatrix scosse il capo, come a voler dire a Davina di non avere idea del perché il padre le avesse scritto, sentendo chiaramente su di sè anche lo sguardo del fratello maggiore mentre slegava la busta dalla zampa del gufo, che planò via poco dopo… era un orario inconsueto per ricevere posta, quello, e ciò sembro solo alimentare la sua curiosità.

Era piuttosto sicura che anche Adrian si fosse accorto del gufo ma si impose di non alzare lo sguardo in direzione del tavolo dei Serpeverde in preda ai festeggiamenti, ignorando il fratellastro mentre rompeva la ceralacca e apriva la busta, estraendo la lettera e chiedendosi al contempo perché aveva la netta sensazione di sapere su cosa vertesse.


*


“Ehy, eccovi… mi dispiace molto per la partita, ma ci rifaremo l’anno prossimo.”

Charlotte, seduta sul divano con Rami acciambellato sulle ginocchia che si godeva le coccole, rivolse un’occhiata incerta ai suoi migliori amici mentre Adela ed Hector facevano il loro ingresso nella Sala Comune piuttosto silenziosa e intrisa di un’atmosfera cupa, quasi come se l’intera Casa fosse in lutto per qualcosa.
Adela sospirò e si lasciò cadere accanto all’amica mentre anche Thor le raggiungeva, sedendo accanto ad Adela e attirandola a sè con un braccio:

“Stendiamo un velo pietoso, questa è stata una stagione da dimenticare. Mi dispiace, Charlie, sembra che dovrai sopportare l’espressione trionfa di Cavendish prossimamente.”
“Oh, non fa niente, del resto quell’individuo ha un’espressione trionfa sulla faccia perennemente… ma non colpevolizzarti, Adela, sei la Cercatrice e hai una grande responsabilità, certo, ma non è stata colpa tua.”

“Charlotte ha ragione, hai fatto del tuo meglio… non importa.” Hector annuì, chinando leggermente il capo per lasciarle un bacio tra i capelli scuri mentre la ragazza annuiva con scarsa convinzione, sbuffando leggermente:

“Ok, mi sforzerò di darvi retta.”
“Certo che devi darci retta, siamo tra le persone più intelligenti che tu conosca! Oltre ad essere quelli che ti conoscono meglio, qui. Insomma, sono di parte, ma è solo un gioco, la Coppa delle Case è molto più importante… quindi pensiamo a stracciare Serpeverde almeno lì, così potrò calpestare l’espressione trionfa di quel damerino delle mie pantofole! Giusto Rami? Visto, lui è d’accordo con me, bravo zuccherino.”

Charlotte sorrise con affetto al Fennec, accarezzandogli le orecchie mentre Adela, sorridendo appena, si alzava in piedi, guardando l’amica a metà tra il divertito e l’esasperato:

“D’accordo, tu continua pure a parlare con il mio Fennec, io vado a farmi una doccia.”
“Adela, le persone parlano continuamente con i propri animali domestici, io articolo interi discorsi davanti a Daisy fin da quando ho sei anni.”
“Povera Daisy, posso compatirla!”


*


I Sotterranei erano in preda ai festeggiamenti per la vittoria di Serpeverde, ma Sean si era attardato in Sala Grande più del dovuto e stava attraversando il Salone d’Ingresso senza particolare esultanza: era felice che la squadra avesse vinto, certo, arrivare ultimi in classifica al suo ultimo anno di scuola sarebbe stato piuttosto sconfortante, ma non era riuscito a godersi la giornata, non fino in fondo. E pensare che era stata la sua ultima partita a scuola… 

Eppure, continuava a rimuginare su ciò che gli aveva detto la sorella pochi giorni prima e ad Aurora. E all’improvviso molte cose stavano assumendo un senso del tutto nuovo, ai suoi occhi. 

“Aurora?”
All’inizio gli parve di averla immaginata, forse perché stava effettivamente pensando a lei, ma dopo un attimo si convinse di non essersi sbagliato, era proprio Aurora la ragazza dai capelli scuri che stava salendo la scalinata principale, probabilmente per tornare a sua volta nella sua Sala Comune.
La chiamò quasi senza riflettere ma dopo un paio di secondi, quando lei si fermò per voltarsi verso di lui, quasi se ne pentì, fermandosi alla base delle scale. 

“Ciao Sean… complimenti per la vittoria, bella partita.”
“Grazie. Ascolta… potremmo parlare per un minuto?”
“Scusami, ho… dei compiti da finire, e sono stanca. Ci vediamo domani a lezione.”

“Ma…”
“Va’, immagino che ti stiano aspettando per unirti ai festeggiamenti.”

Aurora gli diede di nuovo le spalle e salì frettolosamente i pochi gradini che la separavano dal pianerottolo, sparendo dalla sua visuale un attimo dopo senza dargli il tempo di chiederle nuovamente di aspettare. Per un attimo Sean non si mosse, poi si diresse verso le scale che conducevano ai sotterranei passandosi nervosamente una mano tra i capelli lisci, per niente di ottimo umore nonostante tutti si aspettavano che lo fosse: se c’era una cosa che Sean Selwyn odiava era non sapere cosa fare, e quello era uno di quei rari casi. 

E la colpa era tutta di sua sorella, ovviamente. 


*


“Eccoti! Complimenti di nuovo per la vittoria, sei stato bravissimo.”

Evangeline sorrise mentre si avvicinava Jack, lasciandosi cadere accanto a lui, sul divanetto, mentre il ragazzo sembrava impegnato a rimuginare su qualcosa e le fece scivolare quasi senza riflettere il braccio intorno alle spalle pallide. 
Ad Evangeline il contatto fisico non era mai piaciuto particolarmente, non si era mai sentita del tutto a suo agio ad abbracciare qualcuno, o ad essere abbracciata… persino se si trattava di Aurora, di sua madre o di uno dei suoi fratelli, tendeva ad irrigidirsi leggermente e a staccarsi dopo pochi secondi.
Eppure, quando si trattava di Jack non ci faceva particolarmente caso, lasciando che lui le prendesse la mano o l’abbracciasse, anche se non era comunque mai lei a prendere l’iniziativa.
La prima a farglielo notare era stata Aurora, in effetti, e sul momento si era interrogata a riguardo, ripensando a quando avevano ballato insieme dai Selwyn e lei si era sentita così stranamente a proprio agio. 

“Tutto bene? Dovresti fare i salti di gioia!”
“Sì, certo, sono molto felice… stavo solo pensando ad una cosa.”
“Spero niente di grave.”

La bionda aggrottò la fronte, guardando il ragazzo con leggera confusione mentre Jack, dopo un attimo di esitazione, si voltava verso di lei, schiarendosi la voce prima di parlare:

“In realtà… forse c’è qualcosa che dovrei dirti, Evie, e preferisco farlo subito. Riguarda la mia famiglia.”









…………………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

*Irene commossa si asciuga le lacrime con un fazzolettino* Sembra impossibile, ma Serpeverde è riuscita a vincere una partita! A saperlo avrei messo foto di Grant Gustin mesi fa… Menzione speciale per Phebe, che condivide questo supplizio con me da tempi immemori e che mi suggerisce caldamente da mesi di barare e contare “male” i voti pur di far vincere i verde-argento. Ma quando hai Grant Gustin barare non serve, pare.

Cosa ha fatto lo zio di Jack? Sean connetterà i neuroni? E soprattutto, diventeranno gli Iphew canon prima della neanche tanto sicura coalizione? 
A presto mie care, buon weekend!
Signorina Granger 





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Capitolo 20
*** Gravidanze inattese ***


Capitolo 18: Gravidanze inattese
 
Lunedì 10 Marzo 


Ad Aurora Temple studiare era sempre piaciuto, aveva atteso il giorno in cui sarebbe salita sull’Espresso per Hogwarts con trepidazione e aveva scritto fiumi di parole ai genitori nei primi tempi, raccontando alla madre che mai aveva messo piede al castello ogni singolo dettaglio delle lezioni, dei compagni di classe e del bellissimo paesaggio che sembrava essere uscito da una pagina di un libro di fiabe. 
Le lezioni non le erano mai pesate particolarmente, a parte qualche raro caso, e in particolare trovava da sempre Storia della Magia molto interessante… eppure quella mattina si trascinò fuori dalla Sala Grande con un muso lungo stampato sul volto, silenziosa e cupa come se morisse dalla voglia di tornare a letto in vece di andare a lezione con Rüf. 

Aveva persino ordinato ad Evangeline e a Jack di precederla per raggiungere l’aula, stanca della loro nauseante felicità, minacciandoli con un toast imburrato e scatenando così l’ilarità di Charlotte. 

“Ridi pure, cara, ma tu con Adela ed Hector non te la passi certo meglio!”
“Hai ragione, ma sono comunque felice di non dover più sopportare Heslop… beh, io vado a perdere il mio tempo nella Torre Sud, ci vediamo a pranzo.”


Stava salendo i gradini della scalinata principale, chiedendosi perché da un paio di settimane i giorni sembrassero durare un’eternità, quando sentì una voce familiare chiamarla, chiedendole di fermarsi:

“Aurora?”
La ragazza si voltò di scatto, senza riflettere, ma si pentì di averlo fatto quando si ritrovò gli occhi verde-azzurri di Sean Selwyn puntati addosso mentre il Serpeverde cercava di raggiungerla, districandosi fra una folla di primini. 

“Ciao Sean… scusa, ma credo di essere già un po’ in ritardo…”
“Beh, non credo che per Rüf farà molta differenza, fa l’appello una volta ogni due mesi. Posso parlarti per un momento? So che adori le ore di Storia, ma non ti ruberò molto tempo.”

Sean la raggiunse e le si piazzò davanti, una mano sulla ringhiera di pietra e gli occhi chiari fissi nei suoi con insistenza. Disgraziatamente Aurora sapeva che non avrebbe accettato volentieri un no come risposta, così annuì dopo un attimo di esitazione, sospirando leggermente:

“Va bene.”

Sean era solito ribadire quanto lui e la sorella fossero diversi, e probabilmente era vero, Aurora li conosceva entrambi da un decennio e poteva benissimo confermarlo… ma in quanto a testardaggine, forse lui riusciva persino a battere Charlotte, il che era tutto dire. 


*


Charlotte teneva i gomiti appoggiati sul tavolino, lo sguardo malinconico mentre si teneva il viso tra le mani, gli occhi verdi puntati dritti sulla sfera che aveva davanti.
Era una bella giornata e questo non aiutava a migliorare il suo umore: di tanto in tanto la giovane strega lanciava qualche fugace occhiata alle finestre della torre, scorgendo la luce che filtrava attraverso il vetro e il cielo relativamente sgombro da nuvole. Sembrava che dopo mesi il tempo avesse finalmente deciso di graziarli con una bella giornata, nonostante fosse ancora Inverno, e Charlotte si stava chiedendo da quasi mezz’ora perché dovesse sprecare quella giornata chiusa dentro quattro mura… specie considerando dove si trovava in quel momento, probabilmente nell’aula che odiava di più in assoluto.


Charlotte Selwyn era, senza alcun dubbio, una strana ragazza. Per la maggior parte del tempo non la sopportava e per quello restante non riusciva a capirla, per quanto ci provasse.
William stava deliberatamente ignorando le parole dell’insegnante, non gli era mai importato di quella materia e continuava a seguire il corso puramente per inerzia, dopotutto ogni tanto prendere in giro l’insegnante o I compagni era divertente…. Sotto quel punto di vista probabilmente lui e la Corvonero erano affini, visto che nemmeno lei stava prestando attenzione alla lezione, come sempre del resto. 

Ronald, seduto di fronte a lui, teneva gli occhi fissi sulla sua sfera con aria torva alternando occhiatacce in direzione di un Hector Grayfall apparentemente incurante mentre lui, invece, era voltato verso sinistra, osservando la compagna di classe impegnata a fissare a sua volta la sfera con il viso tra le mani ed un’espressione quasi cupa sul volto, un po’ come se infondo le sarebbe piaciuto poter vedere qualcosa, magari sul suo stesso futuro. 

Charlotte non si accorse del suo sguardo, o in alternativa non se curò, e William continuò a guardarla con la fronte leggermente aggrottata, quasi come se stesse riflettendo su qualcosa: Ronald praticamente non la sopportava, un po’ come lui, ma una volta l’aveva sentito definirla “decisamente attraente”. Dopo anni passati a detestarsi apertamente William aveva quasi smesso di fare caso all’aspetto di Charlotte (o di considerarla a tutti gli effetti una ragazza) e di fronte alle parole dell’amico, pronunciate una sera con una scrollata di spalle mentre parlavano di Adela e di come le due fossero straordinariamente amiche, era rimasto quasi turbato, suggerendo all’amico con un borbottio si prestare attenzione all’aspetto della sua fidanzata invece di quello delle altre ragazze prima di augurargli frettolosamente la buonanotte, destando sconcerto da parte dell’ amico per la sua strana reazione.

In effetti, ora che la guardava bene, doveva ammettere che era molto graziosa… peccato avesse un terribile carattere, certo.
William focalizzò la sua attenzione sullo sguardo cupo della ragazza, rendendosi conto che non era la prima volta in cui gli capitava di scorgerle quell’espressione sul viso… a volte sembrava quasi triste, quando credeva che nessuno la guardasse.
Chissà a cosa stava pensando….



“Non posso credere di continuare a perdere le mie ore qui dentro…”

Charlotte roteò gli occhi, parlando in un sussurro mentre continuava ad ignorare le parole dell’insegnante, che mai aveva ascoltato – ed era decisa a continuare su quella strada – mentre Hector, seduto poco distante, sembrava invece ascoltare con discreto interesse e Katherine, seduta di fronte a lei, tratteneva a fatica uno sbadiglio: 

“E perché non l’hai lasciata lo scorso anno? Beatrix ha fatto così, anche lei la considera completamente inutile.”
“Lo so bene e l’avrei imitata volentieri, ma non ho potuto.”

Charlotte sospirò, affranta, guadagnandosi un’occhiata di sbieco dalla Grifondoro, che parlò a bassa voce per non farsi sentire da nessuno al di fuori della compagna: 

“E perché? Non dirmi che i tuoi genitori te l’hanno vietato!”
“Ma certo che no, non gliene importa nulla di Divinazione… no, ho fatto un patto con Sean. Lui l’anno scorso mi ha parzialmente coperta con una cosa e io gli ho promesso che non avrei lasciato questa materia come punizione.”
“Ti riferisci a quando sei stata bandita dal Club dei Duellanti?”
“Sì, una misura esagerata, a mio parere… in ogni caso, non ho potuto lasciare il corso, purtroppo.”

“Esagerata, dici? So che non dovrei dire nulla in proposito, ma ti sei infiltrata di nascosto dopo esserti auto-applicata un Incantesimo di Disillusione e hai iniziato a lanciare Incantesimi contro certe persone…”

“Ho potuto mandare Cavendish al tappeto, quindi ne è valsa la pena! Ora, cambiando argomento… perché continuano a propinarci queste sfere, sappiamo tutti che non ci vediamo nulla e mai accadrà il contrario!”

La Corvonero roteò gli occhi, esasperata, lanciando un’occhiata torva in direzione dell’insegnante subito dopo, stentando a credere di dover seguire quel corso per ancora più di un anno… bruciare il libro dopo gli esami le avrebbe dato sicuramente un’immane soddisfazione.

“Noi lo sappiamo, ma LEI ancora si illude.”
“Beh, io non ho intenzione di perdere altro tempo, Silente ci ha riempiti di compiti e potrei prendermi avanti invece di restare qui!”

“Hai intenzione di fingere un malore improvviso?”

Katherine inarcò un sopracciglio, parlando con un tono che trasudava scetticismo mentre la compagna scuoteva il capo di riflesso, gli occhi chiari improvvisamente animati da un luccichio e le labbra carnose piegate in un piccolo sorriso:

“Oh, no, quello è per i dilettanti.”

Katherine aggrottò la fronte e fece per chiederle cosa volesse dire, ma Charlotte si era già messa a sedere dritta sulla sedia, sgranando gli occhi verdi con studiato stupore prima di dire qualcosa ad alta voce, attirando immediatamente l’attenzione di tutti su di sè: 

“Professoressa, scusi se la interrompo, ma credo di vedere qualcosa!”

Il silenzio calò immediatamente nell’aula e l’insegnante rivolse alla Corvonero un’occhiata a dir poco perplessa, piuttosto sicura di non aver mai sentito Charlotte Selwyn intervenire di sua spontanea volontà negli ultimi tre anni e mezzo:

“Signorina Selwyn?”
“Sì, insomma, credo di vedere qualcosa.”

Katherine inarcò un sopracciglio ma non disse nulla, decidendo di godersi lo spettacolo mentre Charlotte annuiva con fare concitato, abbassando nuovamente lo sguardo sulla sfera che aveva davanti mentre l’attenzione del resto della classe si catalizzava su di lei. Hector roteò gli occhi chiari, immaginando cosa stesse facendo l’amica mentre William guardava la Corvonero con un’espressione di puro scetticismo, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare la compagna quella mattina. 

“Aspetti, ora è decisamente più chiaro… sì, non mi sbaglio.”
“Davvero? Cosa vedi, cara?”

“Direi… una stanza molto simile a questa. E una ragazza che…”

Charlotte smise di parlare per un paio di secondi, creando una sorta di suspence che fece sospirare sommessamente Hector, intuendo cosa stesse per dire o fare l’amica, mentre Katherine invece cercava di trattenersi dal scoppiare a ridere.

“Sì, una ragazza che sta uscendo dall’aula nel bel mezzo della lezione! Riesce a crederci?”
Charlotte strabuzzò gli occhi, la voce carica di stupire mentre si voltava verso l’insegnante e prendeva al contempo la sua borsa, alzandosi dalla sedia senza dare il tempo alla classe di realizzare pienamente cosa stesse succedendo per poi sfrecciare verso la botola, esclamando qualcosa:

“Cielo, sembra che si stia avverando!”

Hector si mise le mani sul viso, scuotendo debolmente il capo e chiedendosi sinceramente se l’amica non passasse le notti a scriversi e programmare quelle uscite mentre la Corvonero scendeva frettolosamente la scaletta a pioli e si lasciava sfuggire un’ultima esclamazione prima di sparire definitivamente:

“Prof, mi deve una E!”


L’aula improvvisata venne attraversata da un risolino generale, specie da parte di Katherine che faticò a trattenersi mentre l’insegnante alzava gli occhi al cielo con esasperazione, consigliando caldamente alla classe di tornare a concentrarsi mentre William, seduto di fronte ad un Ronald quasi seccato, fissò il punto in cui Charlotte era sparita con la fronte aggrottata prima di scuotere il capo con disapprovazione: di certo non sarebbe mai riuscito a capire quella strana ragazza… cosa gli era passato per la testa pochi minuti prima?


*


“Di che cosa mi vuoi parlare?”
“Beh… come stai, intanto? È da un po’ che non parliamo.”

Sean abbozzò un sorriso mentre si appoggiava al banco, lasciando la borsa accanto a sè e tenendo gli occhi chiari fissi sul volto dell’amica, che gli stava davanti con le braccia conserte e appoggiata a sua volta ad un banco nell’aula vuota dove Sean l’aveva trascinata per parlarle.

“Bene.”
“Sicura? Perché ho la sensazione che tu mi stia evitando dalla gita in paese.”
“Forse.”
“Posso sapere il motivo?”

Aurora sbuffò debolmente, abbassando lo sguardo e fissando i propri piedi con ostinazione, non sapendo sinceramente cosa rispondere a quella domanda: perché era a dir poco stanca di pendere dalle sue labbra e poi stare male? Perché non sopportava più di vederlo sorriderle ed essere gentile ma sapere non si trattava di un trattamento speciale, ma che la reputava solo la sua migliore amica?
O forse perché sapeva che non sarebbe riuscita ancora a lungo a non dire apertamente quello che provava standogli sempre vicino… voleva e allo stesso tempo aveva il timore di farlo, così si era ritrovata ad evitarlo quasi senza volerlo. 

“Perché… Sean, davvero me lo stai chiedendo?! Sei un ragazzo brillante!”
“Beh, hai smesso di parlarmi da un giorno all’altro, all’inizio ho pensato di averti offesa in qualche modo… ma poi ho parlato con mia sorella. E mi ha fatto capire che forse l’ho fatto in un certo senso, mi dispiace, sai che non era mia intenzione, vero?”
“Cosa ti ha detto tua sorella?”

Aurora deglutì, irrigidendosi e sentendosi il volto andare a fuoco mentre Sean sfoggiava un lieve sorriso e una seria di immagino cruente con Charlotte come protagonista iniziavano a susseguirsi nella mente della Corvonero:

“Beh… diciamo che mi ha aperto gli occhi su alcune cose. E ripeto che non era mia intenzione farti soffrire, davvero, sai che tengo molto a te. Non credo di essermene mai accorto.”
“Sei proprio un idiota.”
“Beh, pensavo che tenessi a me come amico, credo… andiamo Aurora, mi conosci bene, sai che non sono bravo con queste cose.”

Sean sbuffò debolmente, incrociando le braccia mentre il turno di abbozzare un sorriso spettava finalmente ad Aurora, che annuì leggermente: oltre alla testardaggine, se c’era qualcosa che vedeva i fratelli Selwyn molto simili era una forte ottusità sul fronte “sentimenti”.

“Sì, lo so. D’accordo, sai che ti dico? Sono pronta, avanti, dimmelo.”
“Dirti cosa?”
“Che tieni a me, che non vuoi farmi soffrire ma che mi vedi solo come un’amica e speri che possa continuare ad essere così… posso reggere, davvero, mi passerà. Tu cerca solo di essere meno carino, ok? Ma per superarla penso di aver bisogno che tu me lo dica apertamente.”

Aurora sospirò, chiudendo gli occhi quasi come se si dovesse preparare ad una dolorosissima puntura mentre Sean, dal canto suo, rimase immobile ed in silenzio per qualche istante, limitandosi ad osservare la ragazza con una una punta di perplessità prima di sorridere, avvicinandolesi di un paio di passi per metterle le mani sulle spalle:

“Aury? Apri gli occhi.”
“Selwyn, ti dai una mossa?! Questa storia va avanti anche da troppo e mi sto perdendo la Rivoluzione dei Folletti!”

Aurora aprì gli occhi, sbuffando con esasperazione e rivolgendo un’occhiata quasi torva al ragazzo, che invece le sorrise di rimando, inarcando un sopracciglio:

“Ma io non ti ho ancora detto cosa ne penso o cosa provo. Non ti interessa?”
“Lo so già.”
“Davvero? Come sei presuntuosa, Temple.”

Il sorriso divertito di Sean non vacillò mentre una mano si spostava sul viso pallido della ragazza:

“Ma se preferisci la compagnia di un branco di Folletti morti alla mia, buono a sapersi.”
“Puoi smettere di sorridere?! Ti ho chiesto di essere meno carino!”
“Sono semplicemente me stesso!”
“Allora dovrò continuare ad evitarti, temo.”

“Non sarà necessario.”



“A cosa stai pensando?”
Charlotte sedette accanto a lui sul divano, accoccolandosi sulla sua spalla e rivolgendogli un’occhiata carica di curiosità mentre il ragazzo osservava distrattamente il fuoco scoppiettare nel camino. 

“Ad Aurora.”
“Oh, ti sei deciso a parlarle?”
“Prima di parlarle e cercare possibili ed ulteriori danni dovrei fare chiarezza con quello che provo io, non credi?”
“E l’hai capito, fratellino?”

“Non saprei. È da un po’ che provo… sensazioni contrastanti. È quello che mi hai detto mi ha fatto riflettere molto.”
“Cerca solo di non riflettere troppo Seannie… sai come si dice, chi dorme non piglia pesci.” 



Aurora esitò, confusa, mentre una specie di ronzio si impossessava nella sua testa, impedendole di formulare pensieri dotati di senso: Charlotte, pochi giorni prima, le aveva chiesto con candida curiosità perché non avesse praticamente mai considerato la possibilità che il fratello potesse essere interessato a lei.

“Perché, ti sembra che ne abbia mai dato prova?!”
“Ma lui è così Aurora, è mio fratello! Il mio modo di dimostrare affetto è prendere in giro, lui è semplicemente gentile… sai che non esprimiamo molto affetto a parole, ci conosci. E con te è sempre gentile, si interessa quando non ci sei o quando ti vede giù di corda, cerca la tua compagnia… Ho a che fare con due idioti, di questo passo mi ritirerò a fare l’eremita con i Fennec!”


Aurora non aveva saputo cosa rispondere e Charlotte si era allontanata alzando gli occhi al cielo, ma quella conversazione le tornò immediatamente alla mente in quel momento, quando si sentì nuovamente arrossire di fronte allo sguardo insistente del ragazzo che aveva davanti.

Ragazzo che si chinò leggermente per baciarla, ma Aurora si ritrasse e scosse il capo, parlando con un filo di voce ed evitando di guardando:

“Sean, non lo devi fare per pietà o…”
“Pietà?! Aurora, puoi stare zitta e darmi il diritto di dire quello che penso?!”

Aurora fece per intimargli di non zittirla ma Sean non gliene diede il tempo, zittendola a tutti gli effetti con un bacio.


*


Evangeline era solita seguire le lezioni di Storia con grande attenzione, ma quella mattina faticava ad ascoltare la spiegazione di Rüf, arrovellandosi su ciò che le aveva detto Jack una settimana prima e sulla domanda che, sorridendo, sua madre le aveva rivolto una sera durante le vacanze di Natale: le aveva chiesto, senza preoccuparsi minimamente di girarci intorno, se ci fosse un ragazzo che le piaceva. Sul momento Evangeline aveva sbuffato, liquidando il discorso con un gesto della man e suggerendo alla madre di evitare quelle domande irritanti, ma ora che ci rifletteva si chiedeva come sarebbe stato parlare di Jack ai suoi genitori:

“Mamma, papà, Jack è un ragazzo intelligente e molto brillante, gioca a Quiddicth e mi piace molto… oh, vi ricordo che suo zio sta scontando una pena ad Azkaban, e lì rimarrà per i prossimi cinque anni!”

Per quanto i suoi genitori potessero essere di mentalità aperta, non era certa di come l’avrebbero presa, in effetti. Era felice che lui glie ne avesse parlato subito, senza nasconderle nulla per evitare spiacevoli malintesi in futuro, ma le aveva comunque dato parecchio su cui riflettere. 


“Spero che per te non sia un problema, non troppo almeno.”
Jack, seduto accanto a lei, la guardava con gli occhi chiarissimi carichi di nervosismo, pregandola silenziosamente di parlare: non aveva ancora detto una parola da quando le aveva spiegato cosa fosse successo a suo zio una quindicina d’anni prima. 
Evangeline, invece, evitò di guardarlo e si concentrò sulla fodera del divanetto, disegnando distrattamente figure astratte sul tessuto con un dito mentre pensava a cosa dirgli: 

“Hai detto che a trovarlo è stato tuo padre?”
“Sì, quella sera era di turno al Ministero… lo ha portato lui al Processo e lo ha anche scortato fino ad Azkaban. È stato difficile per i miei genitori, mia madre era molto legata a mio zio, ma mio padre vuole che non ci abbiamo più nulla a che fare.”

Evangeline annuì come se capisse prima di abbozzare un sorriso, sollevando finalmente lo sguardo per incontrare quello del ragazzo e prendergli una mano, creando un forte contrasto tra la sua carnagione molto pallida e quella più scura del ragazzo:

“Grazie per avermelo detto, mi fa piacere.”
“Beh, è il più grande scheletro che la mia famiglia tiene chiuso dentro un armadio, voglio che tu lo sappia. Spero solo che non ci siano problemi, anche per… la tua famiglia.”
“Ammetto che potrebbero non prenderla particolarmente bene, dopotutto che tuo zio sia ad Azkaban non è un segreto di Stato, ma potrebbero storcere il naso per il motivo… Ad ogni modo non importa, possono pensare quello che vogliono, conta ciò che penso io e basta. E per me non è un problema, è tuo zio e tu l’hai a malapena conosciuto, dopotutto. E poi c’è di peggio al mondo, in fin dei conti non ha ucciso nessuno.”

“No, certo, ma con quelle cose avrebbe potuto, immagino. Una volta ho chiesto a mia zia perché l’avesse fatto, ma non mi ha risposto, e nemmeno mia madre… forse non lo sanno neanche loro, ma mio padre assicura che non si è pentito per niente.”
Jack scosse debolmente il capo, incupendosi leggermente mentre ripensava a quando suo padre gli aveva raccontato cosa fosse successo a suo zio, quando lui era piccolo. Una notte William Starble aveva pensato bene di infiltrarsi al Ministero senza alcun permesso e aveva prelevato qualcosa dall’Ufficio Misteri… cosa fosse di preciso suo padre non aveva voluto dirglielo, ma da quel che aveva potuto capire aveva a che fare con dei manoscritti rimasti intoccati da anni e che contenevano, tra le altre cose, incantesimi ormai vietati.

Evangeline sorrise e anche il volto di Jack si rilassò, stendendo le labbra in un sorriso quasi sollevato prima di abbracciarla, dandole un bacio sulla tempia:

“Visto? Sotto la corazza sei davvero adorabile, Evie.”
“Quindi a primo impatto sembro insopportabile?! Buono a sapersi.”

La Caposcuola sbuffò ma non sciolse l’abbraccio e sorrise nel sentire la debole risata di Jack, senza allontanarsi frettolosamente da lui dopo pochi istanti, come avrebbe fatto con chiunque altro. Aurora infondo non si era sbagliata – anche se non glie l’avrebbe mai detto apertamente –, con lui si sentiva incredibilmente a proprio agio.



Evangeline si voltò verso la porta, la fronte aggrottata: dov’era finita Aurora? 
Accanto a lei, Jack sbirciò i suoi appunti per cercare di capire di cosa stesse parlando il fantasma/insegnante, guadandosi un’occhiata torva da parte della Corvonero:

“Non riesci a prendere appunti da solo?”
“Sai che non mi piace Storia, Evie, ma sembra che oggi nemmeno tu sia molto attenta… A cosa stai pensando, comunque?”
“Aurora è in ritardo, strano… non è da lei.”

La Caposcuola si voltò di nuovo verso la porta, accigliata, appena in tempo per vederla aprirsi e permettere ad Aurora e a Sean di entrare nell’aula, affrettandosi ad occupare due banchi vuoti in ultima fila senza farsi notare dall’insegnante, che continuò imperterrito la sua lettera senza dare segno di essersi accorto dei due ritardatari.

La bionda rivolse un’occhiata scettica all’amica, inarcando un sopracciglio come a volerle chiedere spiegazioni, ma Aurora si limitò a sfoggiare un gran sorriso, facendola sorridere a sua volta mentre si rimetteva a sedere dritta sulla sedia:

“Com’è che sembri improvvisamente tanto allegra, Evie?”
“Uhm, ho solo capito perché Aurora ha fatto tardi.”
“E come se non vi siete rivolte la parola?”

“Non pretendo che tu lo capisca, lascia stare, la nostra forte telepatia è al di fuori della tua portata.”
Evangeline sfoggiò un sorrisetto, guardandolo sbuffare e scuotere il capo con affetto: infondo non le importava che cosa avesse fatto suo zio, proprio per niente. 


*


Quando non aveva visto Elena raggiungere la Sala Grande per la colazione Gabriel si era detto che probabilmente si era svegliata tardi, immaginarla prendersi a letto non risultava difficile, pigra com’era… il Serpeverde iniziò a preoccuparsi alla fine dell’ora di Storia della Magia, quando della ragazza ancora non c’era traccia. Aveva cercato di rintracciare Stephanie per chiederle spiegazioni – forse Elena stava male? –, ma della bionda nessuna traccia, e il ragazzo non aveva intenzione di perlustrare tutto il castello per cercare l’amica della fidanzata, così quando raggiunse l’aula di Trasfigurazione per la seconda lezione del giorno il Serpeverde entrò ancor prima del suono della campanella, avvicinandosi alla cattedra già occupata dal Vicepreside con aria risoluta:

“Professore? Scusi il disturbo, saprebbe dirmi se è successo qualcosa alla Signorina MacMillan? Non la vedo da ieri nel tardo pomeriggio, nemmeno a cena si è presentata.”

“La Signorina MacMillan è tornata in Inghilterra.”
Silente, che stava leggendo distrattamente un libro, rivolse al ragazzo un’occhiata quasi perplessa di fronte alla sua domanda, quasi stupito del fatto che Gabriel non lo sapesse. Ma il suo stupore non fu nemmeno paragonabile a quello che balenò sul volto del Serpeverde, che sgranò gli occhi chiari quasi con orrore, stentando a credere alle sue orecchie:
“Come?!”
“Ieri sera, ha preso una Passaporta… il Professor Dippet le ha dato un permesso speciale. Mi spiace Signor Greengrass, non so altro. Potrebbe aprire la porta e chiedere ai suoi compagni di entrare in classe, per favore?”

Gabriel annuì distrattamente, voltandosi per esaudire la richiesta dell’insegnante senza quasi pensarci: Elena era tornata a casa? Doveva avere a che fare con i suoi genitori… forse una cosa improvvisa se non glie ne aveva fatto parola. 
Probabilmente non fu mai felice di vedere Axel Farrel come quel giorno quando lo vide entrare nell’aula, piazzandoglisi davanti prima di dare al Grifondoro il tempo necessario per prendere posto:

“Ciao Axel. Sai dirmi cosa è successo ad Elly?”
Axel gli rivolse un’occhiata scettica prima di parlare, stringendosi nelle spalle e usando un tono di voce relativamente basso, come se non volesse farsi sentire dai compagni di classe che stavano prendendo posto intorno a loro:
“È tornata a casa ieri sera, ma non ne so molto… forse dovresti chiederlo a Steph. Da quello che ho potuto capire doveva vedere un avvocato, per la faccenda del divorzio.”
“Lo farei, ma oggi la tua amica sembra introvabile! Reg, hai visto Stephanie?”
“Starà arrivando, immagino. Come mai così agitato?”

“Elena… ma perché non mi ha scritto, quella testa di rapa?!”

Gabriel sbuffò, lasciandosi scivolare sul banco accanto a quello di Regan e maledicendo mentalmente la Grifondoro, appuntandosi al contempo di scriverle non appena arrivata la pausa pranzo. 


*


Londra 


“Onestamente, non capisco perché abbiate insistito per farmi venire qui. La mia posizione è stata piuttosto chiara fin dall’inizio, ovviamente testimonierò a favore di mia madre… sono stata io a spingerla a chiedere il divorzio, come già saprà.”

“Naturalmente, suo padre me l’ha detto. È sicura di voler fare questo a suo padre, di schierarsi con sua madre?”
“Certo. Ha paura che possa ricordare troppe cose, forse? Mi creda, è tutto perfettamente chiaro nella mia testa, e non vedo l’ora di snocciolare date e fatti… il divorzio è possibile solo in caso di adulterio, abbandono del tetto coniugale e maltrattamenti e le assicuro che per quando avrò finito di parlare nessuno avrà dubbi sul primo punto. E anche sul secondo.”

Elena abbozzò un sorriso mentre, una gamba accavallata sull’altra e le mani strette sul ginocchio coperto dalle calze, teneva gli occhi castani fissi sull’avvocato che le sedeva di fronte, oltre la scrivania. 

“Se è quello che vuole… ci saranno ripercussioni, lo sa? La sua vita cambierà quando i suoi genitori non saranno più sposati, Signorina MacMillan.”
“È come se non lo fossero già da tempo, mi creda. E mia madre potrà benissimo provvedere al mio mantenimento, come già sa… la nostra non è una vera vita familiare da anni, ora voglio metterci una pietra sopra per sempre. Dica a mio padre che può risparmiarsi di usare il suo avvocato per cercare di convincermi a restare neutrale.”

“Mi ha detto che avrebbe parlato così, e mi ha chiesto di riferirle che non userebbe questi mezzi se lei rispondesse alle sue lettere. Sa che al momento è a Londra, avrebbe piacere di vederla.”
“Beh, non vale per me. Con permesso, devo proprio tornare a scuola… posso usare il suo camino?”


Elena fece per alzarsi, prendere il suo mantello e raggiungere indispettita il camino spento alle spalle dell’uomo, ma quando la porta si aprì di scatto si voltò quasi senza riflettere, sfoggiando una lieve smorfia di disappunto nel trovarsi suo padre davanti. 
Henry fece saettare gli occhi azzurri sul volto della figlia, abbozzando un sorriso quasi sollevato come se fosse felice di vederla prima di fare un passo avanti, avvicinandolesi:

“Elly…”
“Non chiamarmi così. Sto tornando a scuola, non voglio parlare con te.”
“Non puoi usare quel camino… temo proprio che dovrai fare due chiacchiere con me, Elena.”

Prima di dalle il tempo di ribattere suo padre l’aveva già presa per un braccio, ignorando le sue proteste e costringendo la figlia a seguirlo fuori dall’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.

“Non ho niente da dirti!”
“Beh, IO sì, e sono ancora tuo padre, quindi ascoltami.”

Elena sbuffò, divincolandosi dalla sua stretta mentre si infilava il mantello, seguendolo di malavoglia fino all’ingresso dello studio legale, scendendo insieme a lui sulla strada trafficata di Londra. Una vera disgrazia che non ci si potesse Materializzare all’interno dei confini di Hogwarts, altrimenti l’avrebbe già fatto. 
 
“Vieni.”

Suo padre la prese delicatamente sottobraccio, invitandola a camminare mentre Elena restava in religioso silenzio, il capo chino.

“Hai letto le mie lettere?”
“No.”
“Non ti interessa quello che ho da dirti?”
“Evidentemente no. Ti senti in colpa nei miei confronti, credo, ma non mi importa: tutte le volte in cui hai abbandonato la mamma hai abbandonato anche ME, te ne rendi conto?!”
“Non sono sparito nel nulla Elena, sapevi dove fossi da mesi, ti ho scritto milioni di lettere da Ottobre… sai che ti voglio bene.”

“Ora sì che mi sento meglio.”
“Elena… ascoltami. In una delle ultime lettere c’era una cosa importante, immaginavo che non le leggessi quindi sono venuto per dirtelo di persona, non puoi restare all’oscuro.”

“Bene, dimmi. Ti sei stancato di lei e sei in crisi perché questa volta non puoi tornare dalla mamma con la coda tra le gambe? Perché le ho assicurato che le toglierò il saluto se dovesse perdonarti, questa volta.”
“No, Elena.”  Suo padre scosse il capo, rivolgendole un’occhiata torva di fronte alla sua ironia poco velata mentre smetteva di camminare, fermandosi davanti a lei e guardandola con attenzione prima di schiarirsi la voce, distogliendo lo sguardo come se fosse a disagio:

“No, in realtà… Victoria è…”

Henry non finì la frase, lasciandola in sospeso e sospirando, passandosi una mano tra i capelli ormai brizzolati mentre Elena, sentendosi raggelare, annuiva, deglutendo a fatica e facendo un paso indietro:

“Bene. Congratulazioni.”
“Elly, fammi parlare, ti prego…”

“Spero che sia un maschio, così avrai finalmente quello che vuoi.”

Un’ultima occhiata gelida e Elena scorse brevemente l’espressione quasi implorante di suo padre prima di sparire, Materializzandosi nella sua camera per poi lasciarsi scivolare sul letto, senza nemmeno togliersi il mantello.
E poi, silenziosamente come aveva imparato a fare anni prima, iniziò a piangere.


*


Adela sorrise quando, entrata nella sua Sala Comune, scorse Hector seduto in un angolo dell’ampi stanza, impegnato a giocare una partita a scacchi in compagnia della Dama Grigia.

“Ciao… stai vincendo?”
La ragazza gli si avvicinò, sorridendogli e chinandosi per dargli un bacio su una guancia, mettendogli entrambe le mani sulle spalle mentre Hector le sorrideva debolmente di rimando, alzando lo sguardo per incontrare il suo:

“Lo spero. Cerchi Charlie? Credo che sia in camera vostra.”
“Vado da lei, ultimamente temo di averla un poi trascurata… buona fortuna!”

La ragazza sorrise prima di allontanarsi, dirigendosi verso le scale per raggiungere la sua camera, nel Dormitorio femminile. Quando aprì la porta trovò Charlotte seduta sul suo letto con un libro sulle ginocchia e Rami accanto, che stava cercando di attirare la sua attenzione per giocare, ma senza grandi risultati. 

“Ciao! Thor mi ha detto della tua improvvisata di stamattina, a cena. Perché non sei venuta?”
“Non mangio di sera. Dove sei stata finora?”

Charlotte parlò senza nemmeno alzare lo sguardo dalla sua lettura mentre l’amica le si avvicinava, alzando gli occhi al cielo per poi lasciare la borsa sul letto dell’amica, sedendole di fronte:

“Carsen mi ha placcata e incastrata in un cambio di turno per le ronde, dannazione… quel ragazzo sa essere schifosamente convincente!”
Fece per aggiungere una ramanzina sulla tendenza dell’amica di fare molto spesso solo due pasti al giorno, ma decise di lasciar perdere mentre Charlotte, sbuffando, alzava lo sguardo dal suo libro con una smorfia:

“Questo libro non mi piace per niente.”
“Di cosa parla?”
“Di un idiota narcisista che fa una specie di patto vedendosi l’anima pur di mantenersi bello e giovane in eterno… mi ricorda qualcuno che conosciamo. Comunque, sì, oggi mi sono defilata da Divinazione.”
“Ti sei presa una punizione?”
“Non mi sono ancora fatta intercettare da Mrs Sfera di Cristallo.”

La ragazza si strinse nelle spalle, chiudendo il libro e abbassando lo sguardo sul Fennec che le stava picchiettando una gamba con la zampa, reclamando attenzioni che non tardarono ad arrivare come sempre:

“Volete che vi lasci soli alla vostra intimità?!”
“Taci Quested, passi le giornate a fare gli occhi dolci ad Hector, mi risulta! E credo anche che sia successo qualcosa tra mio fratello ed Aurora, sai? Mi spiace solo per Kat, voglio bene anche a lei dopotutto.”

“Qualcuno sarebbe uscito da questa storia con il cuore in pezzi Charlie, lo sapevi. E comunque non preoccuparti, Hector o no la mia anima gemella rimani comunque tu.”

Charlotte si strinse nelle spalle alle parole dell’amica, alzandosi dal letto borbottando che non le interessava e che non voleva impietosirla prima di sparire dietro la porta del bagno, lasciando Adela a rivolgere un sorrisetto complice a Rami, grattandogli le orecchie e dicendo qualcosa a bassa voce:

“Certo che le importa di noi, ma non lo ammetterà mai, vero?”


*


“Qualcuno mi sa dire cosa sta succedendo?! Non vorrei risultare sgradevole, ma sono piena di cose da fare e non posso perdere troppo tempo.”

Davina Morgan sbuffò debolmente mentre, tamburellando con impazienza le dita sul tavolo, si guardava intorno in cerca di qualche traccia della sorella maggiore, ma senza risultati. 
Katherine, seduta di fronte a lei al tavolo in Biblioteca, si strinse nelle spalle alle domanda della cugina, asserendo di non avere idea di cosa volesse parlargli Beatrix:

“Non ne so niente, mi ha semplicemente chiesto di vederci qui ieri, ma non pensavo avesse chiamato anche voi tre.”
“Beh, se ha indetto una “riunione” dev’essere importante… la scorsa settimana ha ricevuto una lettera da nostro padre, avrà a che fare con quello.”

Markus roteò gli occhi, parlando con un tono che trasudava acidità e risentimento mentre il fratellino gli rivolgeva, come da manuale, un’occhiata piuttosto torva:

“Parli con quel tono perché tu sei bello che sistemato, Mark.”
“Te l’ho già detto mille volte, piccoletto, se vuoi facciamo cambio anche adesso… farei volentieri a meno di portare il peso di questo cognome, sai? Senza offesa Kat.”
“Oh, nessuna offesa. Ma non discutete, per favore.”

La Grifondoro rivolse un’occhiata in tralice ai due, ammonendoli di lasciare le discussioni per dopo considerando che erano lì per Beatrix proprio mentre la Tassorosso raggiungeva il tavolo quasi di corsa, lasciando la borsa sul pavimento per poi prendere posto tra la cugina e il fratello maggiore:


“Eccomi, scusate l’attesa… c’era la riunione per stabilire i turni e abbiamo fatto tardi. Ed, tu non dovresti essere qui! Chi l’ha chiamato?!”
“Nessuno, si è imbucato.”

“Non vedo perché non posso partecipare, sono vostro fratello, se ti ha scritto nostro padre ho il diritto di saperlo.”  Il giovane Serpeverde rivolse un’occhiataccia alla sorella, incrociando le braccia al petto con aria di sfida mentre la bionda roteava gli occhi chiari con esasperazione:
“Per lo stesso motivo per cui ho detto a Kat di non portare Nate: siete piccoli e avete lingue molto lunghe. Ma visto che ormai sei qui, non importa, resta pure. Allora… in primis, sembra che la nostra armoniosa famiglia allargata stia per… allargarsi ulteriormente.”

Katherine ammutolì, sgranando gli occhi mentre Davina, al contrario, piegò le labbra in una smorfia quasi disgustata:

“Oh, ma che bello… parli di nostra madre, la moglie di nostro padre o ne è saltata fuori una nuova, per caso?”
“La zia di Kat.”

“Oh, bene, ci mancava giusto un altro mini Adrian per completare il quadretto… scriverò sicuramente a nostro padre per congratularmi.”

Markus parlò con un tono sprezzante che, di norma, la sorella minore gli avrebbe rimproverato, ma non quel giorno: non poteva dargli tutti i torti, in effetti, lei stessa ci era rimasta di sasso. 

“Beh, questo spiega perché Adrian è così di pessimo umore da qualche giorno, non ama i bambini e credo sia stanco di avere fratelli tra i piedi.”
“Sono d’accordo con lui, per una volta, nostro padre ha già cinque figli escludendo noi quattro, a che gli serve continuare a sfornarne altri?!”

“A me stupisce che l’abbia detto a Beatrix e non a te, Mark.” Edward aggrottò la fronte, guardando la sorella maggiore con leggera perplessità e cercando di mascherare il più possibile la cocente frustrazione che provava. Suo padre non l’aveva mai considerato particolarmente a prescindere, ma se stava per avere un altro figlio – legittimo, tra l’altro – lui sarebbe passato ancor più in secondo piano.

“Perché lei è la più buona e comprensiva, ecco perché. C’è altro?”  Davina sbuffò, guardando la sorella maggiore con impazienza e sperando vivamente che la conversazione stesse per giungere al termine: non aveva assolutamente intenzione di perdere tempo per suo padre più di quanto non avesse già fatto precedentemente.

Beatrix però annuì, cupa in volto, e Markus sgranò gli occhi quasi con orrore, allarmandosi ulteriormente:

“Ti prego, dimmi che non intende trascinarci da qualche parte a Pasqua e usarci come graziosi soprammobili.”
“Peggio.”
“Non mi dirai che anche nostra madre è di incinta, perché io questa volta espatrierò, dopo Edward non so cosa potrebbe venir fuori!”
“Grazie tante Davina!”

Edward fulminò la sorella con lo sguardo e la Corvonero fece per ribattere, ma venne zittita sul nascere da Katherine, che fece segno ai due di tacere per far parlare la cugina: Beatrix scosse il capo, parlando quasi come se avesse preferito quell’opzione:

“No, la mamma non è incinta. A dire il vero riguarda me. Sembra che il Signor Burke abbia deciso di riconoscere anche me… perciò, la domanda è: che si fa adesso?”

“Beh, tu vuoi che ti riconosca?”
“Sai benissimo che la risposta è NO, Kat.”
“Beh, allora fai in modo che non accada: io non ho avuto scelta, mi hanno fregato riconoscendomi da neonato, ma al posto tuo non lo permetterei. Sei maggiorenne, digli che non ti importa avere il suo cognome, che può benissimo tenerlo per il figlio in arrivo.”

Markus liquidò il discorso con un sbrigativo cenno della mano, sperando vivamente per la sorella minore di riuscire ad imporsi sul padre mentre Edward, al contrario, interruppe Beatrix sul nascere alzandosi in piedi, guardando entrambi come se non capissero qualcosa di naturale:

“Come puoi dire così?! Perché non riesci a renderti conto della fortuna che hai, Mark?!”
“Per quanto mi riguarda non è una fortuna, Ed. È il mio punto di vista, e forse se fossi nei miei panni lo condivideresti.”

“Sai benissimo che vorrei essere nei tuoi panni! Eppure non fai altro che ripetere quanto sia una disgrazia essere stato riconosciuto, avere il cognome di nostro padre. Se pensi che contare qualcosa sia una disgrazia, Mark, allora sei veramente un idiota!”

“Piccoletto, non parlare di cose che non capisci, d’accordo?” 
“Io capisco benissimo invece! Sei tu a non capire, sei sempre troppo impegnato a commiserarti!”

Edward girò sui tacchi e si allontanò senza dare al fratello il tempo di rispondere, ma quando Markus sbuffò e fece per alzarsi a sua volta e seguirlo Katherine scosse il capo, facendogli cenno di non farlo:

“Lascia stare, non peggiorare le cose… Ci penso io.”


*


Gabriel Greengrass, dopo aver trascorso la giornata a vagare per il castello come un’anima in pena, cercando di carpire informazioni da una Stephanie Noone risoluta a farsi gli affari propri, giaceva esausto e seccato su una poltrona nella sua Sala Comune, immusonito e a braccia conserte, gli occhi fissi con ostinazione sul camino spento: era in pensiero per Elena, e lo irritava molto il fatto che lei non gli avesse detto una parola prima di lasciare il castello.

Aveva avuto una pessima giornata, persino per gli standard del lunedì, e non aveva alcuna voglia di chiacchierare con nessuno dei suoi compagni: era sicuro che il loro buonumore lo avrebbero solo seccato ulteriormente.
Così, quando Regan gli si avvicinò chiamandolo il Cacciatore alzò lo sguardo con un’espressione piuttosto cupa stampata sul volto, grugnendo qualcosa di indefinito come risposta:

“Sì?!”
“C’è Elena qui fuori, chiede di te.”
“Ah, bene, vedi che si è ricordata della mia esistenza! Buono a sapersi.”

Gabriel sbuffò mentre si alzava, superando l’amico e dirigendosi verso l’entrata della Sala Comune a grandi passi, pronto a fare un bel discorsetto articolato alla Grifondoro per esprimere tutto il suo profondo disappunto per il modo in cui se n’era andata senza dirgli nulla. 
Tutti i suoi propositi, però, crollarono come il più precario dei castelli di carte non appena si ritrovò nel corridoio debolmente illuminato dalle fiaccole appese alle pareti di pietra umida, con Elena di fronte. 

“Ciao.”
La voce della ragazza giunse alle sue orecchie sotto forma di un flebile sussurro, gli occhi lucidi e arrossati come se avesse pianto molto e l’aria stanca. 
Gabriel per tutta risposta spalancò gli occhi, dimenticandosi di essere arrabbiato con lei:

“Cos’è successo, Elly?!”

Elena però non rispose, limitandosi a cancellare la distanza che li separava per abbracciarlo, appoggiando il capo sulla sua spalla e lasciandosi sfuggire un singhiozzo che risuonò per tutta la lunghezza del corridoio: 

“È incinta.”

Gabriel per un attimo non si mosse e non disse nulla, poi sospirò e la strinse in un abbraccio a sua volta, appoggiando il mento sul suo capo coperto da una distesa di lunghi capelli profumati:

“Ok… adesso mi racconti tutto. Piangi, poi mi racconti, ok?”


*


“Se ti ha mandato mia sorella, lascia perdere.”
“Non mi ha mandata Beatrix, sono venuta di testa mia.”

Katherine sedette accanto al cuginetto su un gradino della scala, sentendolo sbuffare debolmente mentre evitava di guardarla in faccia, tenendosi le ginocchia con le braccia. 

“Ed, so che è difficile… e anche se tutti ti trattano come se non potessi capire so perfettamente che capisci eccome. Sapere che tuo padre avrà un altro figlio ti ha turbato?”
“No.”
“Io penso di sì, e se anche così fosse non te ne devi vergognare o nasconderlo, Ed, è del tutto comprensibile. Nella mia famiglia Nate, essendo il più piccolo, è sempre stato messo su un piedistallo, ma tu hai ricevuto lo stesso trattamento… tua madre ti adora, certo, ma tuo padre ti ha dato scarsa considerazione. A Davina non pesa, credo, ma tu sei diverso e va bene. Non siamo tutti uguali.”

Katherine sollevò un braccio per metterlo sulle spalle del cuginetto, che sbuffò debolmente e parlò con un filo di voce:

“Sono stanco di essere l’ultima ruota del carro, Kat.”
“Lo so… in po’ ti capisco, sai? Mio fratello Maxi è il primogenito, lodato, idolatrato, viziato e amato da tutta la famiglia, tutte le speranze e l’orgoglio riversati su di lui. E Annabelle? Lei è la figlia che famiglie come la mia vorrebbero, che ha fatto tutto quello che ci si aspettava da lei e l’ha fatto in fretta, senza mai opporsi. C’è Mate, il piccolo principe intoccabile, e ci sono io. Non sono la piccola di casa come te, Ed, ma sono sempre stata un po’ lasciata in disparte, messa in ombra dai miei fratelli… non devi avercela con Markus, però, non è colpa sua se è stato riconosciuto da vostro padre. Io voglio comunque molto bene a Maxi e a Nate, anche se mi hanno privata di molte attenzioni.”

“Non ce l’ho con lui perché è stato riconosciuto, non l’ha scelto lui dopotutto… solo non capisco perché non riesce a vedere che non è poi la maledizione che decanta. Non si rende conto che è una fortuna perché non è mai stato l’ultima ruota del carro.”

Katherine abbozzò un sorriso, annuendo e guardando il cuginetto incupirsi e guardarsi i piedi con ostinazione con fare comprensivo:

“È vero, bisogna sempre guardare entrambe le facce… ma lo stesso vale per te: lui non può sapere come sia non venir considerato dal proprio padre, e tu non saprai mai come sia portare il nome di una persona che non sentì parte della tua famiglia, una famiglia che magari disprezzi. Dovreste ascoltarvi l’un l’altro con più tranquillità e ascoltare i rispettivi punti di vista, credo.”

“Grazie Kat. Quando sei diventata così giudiziosa?”  
Edward alzò lo sguardo per la prima volta da quando la ragazza lo aveva raggiunto, rivolgendo alla cugina un’occhiata curiosa che venne ricambiata con un largo sorriso e un abbraccio:

“Beh, leggo molto. Vuoi che ti presti qualcosa?”







………………………………………………………………………
Angolo Autrice: 

Buonasera a tutte! 
Sì, so che con il titolo vi ho fatto prendere un colpo ma non mi riferivo alle nostre care OC… per carità, facciamo che ai figli ci pensano tra qualche annetto.
Allora, un paio di note di servizio… innanzitutto, vi comunico che alla fine della storia mancano sette capitoli, Epilogo incluso. E chiedo scusa se da quando sono “tornata” dalla pausa sto pubblicando capitoli a raffica, ma vorrei concludere la storia per la metà di Aprile, abbiate pazienza. 
Detto questo, visto che vorrei scrivere la Raccolta di OS per questa storia, ho un paio di domande per voi: 
•    Cosa vuole fare il vostro OC dopo Hogwarts? (Ovviamente se l’avete già segnato nella scheda non occorre che mi scriviate)
•    Se volete, potete iniziare a darmi qualche indicazione per il suo “futuro”, nel senso se volete che si sposi se il vostro OC non fa già parte di una coppia, se avrà dei figli, quanti a grandi linee e qualche nome di vostro gradimento visto che dopo tutte queste storie ho esaurito la fantasia per i nomi dei pargoletti.
Ricordate che siamo negli anni 30, quindi si sfornavano bambini come pagnotte!

Ovviamente amilcara è esentata dal rispondere.
In questo capitolo non sono comparsi i Tassi – eccetto Beatrix – ma si rifaranno nel seguito, non temete.

Vi auguro una buona serata, 
Signorina Granger 



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Capitolo 21
*** I Patronus ***


Capitolo 19: I Patronus 
 
Venerdì 21 Marzo


Quando mise piede nella Sala Grande già gremita di studenti per fare colazione Regan Carsen sorrideva, di ottimo umore, e il suo sorriso non poté che aumentare quando una ragazza dai capelli biondi lo raggiunse sulla soglia per abbracciarlo e baciarlo, scatenando commenti e applausi da parte degli amici del ragazzo. 

“Chiudete la bocca, invece di farle prendere aria per niente.” 
Fu Regan a ridere quando Stephanie si fu voltata verso i suoi amici, rivolgendo loro un’occhiata torva prima di tornare a sorridergli, accarezzandogli i capelli lisci con le dita:

“Buon compleanno, Reg.”
“Grazie… questa sì che è un’accoglienza come si deve, dovresti dare qualche consiglio agli idioti che mi hanno svegliato buttandomi giù dal letto.”

“Lasciali perdere… Faccio colazione con te, naturalmente.” La bionda sorrise e, preso il ragazzo sottobraccio, lo seguì verso il tavolo dei Serpeverde con Jack e Sean al seguito mentre Gabriel invece esitò prima di imitarli, lanciando un’occhiata incerta in direzione del tavolo da cui la ragazza era venuta e trovando Elena impegnata a parlare con Axel con scarsa allegria. 

Era piuttosto giù da più di una settimana, in realtà, da quando era tornata a casa dalla sua breve visita a Londra. 

Sentendosi chiamare da Jack Gabriel si ridestò, girando sui tacchi per raggiungere gli amici e fare colazione e ripromettendomi di sedersi accanto ad Elena a lezione per parlarle. 



“Sapresti dirmi come si arriva alla Sala Comune dei Serpeverde?

In un’altra situazione probabilmente Katherine avrebbe sorriso e fatto una battutina sulla richiesta della compagna di Casa, ma voltandosi e intercettando lo sguardo cupo di Elena cambiò idea, intuendo che non fosse proprio il caso.

“Certo… vai nell’ingresso, scendi le scale per i Sotterranei, è una specie di labirinto arrivarci ma posso spiegartelo, Gabri me l’ha insegnato al primo anno.”

Elena annuì e poco dopo, quando Katherine le ebbe brevemente spiegato come trovare la parete giusta, la Grifondoro la ringraziò per poi superarla e continuare a scendere le scale, diretta al pian terreno sotto lo sguardo accigliato della Capitana:

“Elena, va tutto bene? È per qualcosa che ha fatto Gabriel? Conosco un mucchio di modi per farlo soffrire, se ti può servire.”
“No, non serve… Gabriel non c’entra.”

Katherine fece solo in tempo a pensare che non l’aveva mai sentita parlare con quel tono prima che la ragazza sparisse dalla sua visuale, costringendola a ripetersi di lasciar perdere e di continuare a cercare Edward.


*


Beatrix prese posto accanto a Katherine e la salutò, sospirando quando ricevette solo un cupo borbottio come risposta: Katherine teneva il mento appoggiato su una mano, gli occhi chiari fissi su Sean Selwyn e un’espressione a metà tra il vacuo e il malinconico sul volto.

“Kat, cerca di non pensarci… tieni, mangia qualcosa.”
“Sarebbe molto più facile non pensarci se non li avessi davanti agli occhi ogni giorno! Non ho fame, grazie.”

“Katy, stai male?”

Nate rivolse un’occhiata preoccupata alla sorella maggiore e Beatrix gli sorrise, scuotendo il capo:

“Tranquillo, si riprenderà. Ma sta bene Nate, non ti preoccupare.”
“Ma è così strana da giorni!”

Katherine si voltò verso il fratellino, che le aveva raggiunte con fare ansioso, e mormorò di aver bisogno di un abbraccio prima di stritolare il ragazzino, che si pentì immediatamente di aver dimostrato apprensione per lei e iniziò a protestare sotto lo sguardo divertito di Beatrix. 

“Kat, lasciami! Sì, stai bene, l’ho capito!”
“Va bene, va bene… ora gira al largo, io e Beatrix dobbiamo parlare di cose da grandi.”
“Non sono un bambino!”
“Certo che lo sei.”

La ragazza liquidò rapidamente il fratello, che si allontanò sbuffando, per rivolgersi alla cugina passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri:
“D’accordo, basta parlare di me o di Sean… ho bisogno di distrarmi, quindi perché non mi dici cosa hai deciso di fare con tuo padre?”
“Non ho nessuna intenzione di farmi riconoscere adesso solo perché vuole accasarmi con qualcuno, lo sai benissimo. No, l’ombra di questa famiglia sulle spalle mi ha stancata da tempo e se mi facessi riconoscere sarebbe solo peggio… voglio sparire, Kat, smetterla di essere associata ai Burke, quindi ho detto a mio padre che se lo può scordare. Sarò anche solo una ragazza, ma sono maggiorenne e non avrà mai il mio consenso.”

Beatrix serrò la mascella, rivolgendo un’occhiata torva ad un tortino – come se fosse tutta colpa sua – mentre Katherine annuiva, sospirando:

“Bene, finalmente una buona notizia…”


*


Se fino a meno di due settimane prima aveva guardato alla felicità di Evangeline con irritazione ora era lei quella che sorrideva 24h su 24, destando quasi divertimento da parte della sua migliore amica:

“Non ti vedevo così allegra da molto, sai? Beh, sempre meglio della versione depressa degli ultimi tempi.”
“Decisamente. Tra l’altro, non trovi meraviglioso che al momento siamo entrambe così felici?”

Aurora sorrise mentre si alzava da tavola per lasciare la Sala Grande insieme ad Evie, che sorrise e annuì, lasciandosi prendere sottobraccio dall’amica:

“Certo. Oh, guarda, c’è il tuo principe azzurro.”

Evie accennò in direzione di Sean e Aurora si voltò immediatamente, sorridendo al ragazzo che le stava raggiungendo e che ricambiò mentre le metteva un braccio sulle spalle, chinandosi per darle un bacio su una guancia:

“Buongiorno signorine.”
“Ciao.”

Aurora ricambiò il sorriso mentre Evangeline alzava gli occhi al cielo ripensando a quanto fossero stati idioti quei due, prima che la voce di Jack giungesse alle sue orecchie:

“Sì, lo penso anche io, ma almeno adesso sono entrambi contenti.”
“Per fortuna, Aurora depressa non mi piaceva affatto. Sei pronto per Difesa contro le Arti Oscure? Di qualunque cosa si tratti la “sorpresa”, ti batterò.”
La bionda sfoggiò un piccolo sorriso che il ragazzo ricambiò, inarcando un sopracciglio e guardandola dall’alto in basso con cipiglio divertito:
“Come siamo presuntuose… vedremo Evie, vedremo.”


*


Jade Bones aveva preso ufficialmente una decisione: non avrebbe più sopportato le moine di quei due. 
La sera prima, mentre leggeva un po’ prima di dormire, aveva visto Iphigenia stesa sul suo letto senza imitarla, gli occhi fissi sul soffitto del baldacchino con aria assorta, come se stesse pensando a qualcosa di importante.  Aveva preferito non disturbarla e non aveva indagato chiedendole nulla, anzi era stata proprio l’amica a rompere il silenzio qualche minuto dopo:

“Jade?”
“Sì?”
“Secondo te io piaccio ad Andrew?”

Jade a quel punto aveva esitato, sinceramente indecisa sul da farsi: disgraziatamente non poteva buttarsi dalla finestra, erano pur sempre nel piano interrato. Poteva sempre sbattere la testa contro il baldacchino per l’esasperazione, o in alternativa prendere l’amica a librate…

Ma era pur sempre una ragazza troppo di buon cuore per mandare l’amica in Infermeria e non aveva nemmeno molta voglia di alzarsi dal letto, così si limitò a voltarsi verso Iphigenia e a rivolgerle l’occhiata più eloquente del suo repertorio:

“No.”
“Oh. Davvero? Ok…”

Iphigenia si rabbuiò, delusa, e tornò a fissare il soffitto mentre Jade si tratteneva dal piangere per l’esasperazione, parlando di nuovo:

“Stavo scherzando! CERTO che lo penso, te ne sei resa conto adesso?! Cerco di lasciarvi da soli da settimane, ormai!”
“Davvero?! Io pensavo fossi arrabbiata con me!”

“Ora come ora no, cara, ma se continuò a fare la lumaca in questo modo mi arrabbierò parecchio!”



Così, quella mattina Jade raggiunse Axel quasi a passo di marcia, afferrandolo per un braccio e bloccandolo mentre il ragazzo si dirigeva verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure:

“Axel, devo chiederti una cosa.”
“Ciao anche a te… cosa ti serve, Jade?”
“Hai anche tu delle amiche un po’ lente, diciamo… secondo te come potrei fare per convincere Andrew a farsi avanti con Iphe?”

“Puoi sempre somministrargli del Veritaserum…”
“In effetti ci avevo pensato…”
Jade annui, parlando con tono pensieroso mentre il Grifondoro le si rivolgeva con gli occhi azzurri sgranati:
“Ma io stavo scherzando!”
“Davvero? Peccato… oh, basta, se continuano di questo passo ricorrerò ai mezzi estremi e userò un filtro d’amore, sono stanca di questa tiritera infinita!”


*


Quando erano entrati in classe e l’avevano trovata con i banchi addossati alle pareti per avere più spazio tutti gli studenti si erano incuriositi non poco e molti gioirono quando appresero dall’insegnante che quella lezione sarebbe stata dedicata esclusivamente ai Patronus. 
Molti, ma non Evangeline o Elena, che storsero il naso: la prima non aveva affatto un ricordo piacevole di quando, alla fine dell’anno precedente, l’insegnante aveva voluto fare un “esperimento” e proporre l’incantesimo alla classe, anche se di solito lo si affrontava all’ultimo anno. Alcuni suoi compagni ci erano riusciti ma non lei, ed Evangeline non era abituata a fallire, non le era mai piaciuto. 

Non per niente quella lezione aveva segnato un calo del suo interesse per la materia in questione, e anche di fiducia in se stessa. 
La Corvonero piegò infatti le labbra in una smorfia appena percettibile, ricordando cos’aveva detto solo poco prima a Jack e pentendosene amaramente: non era tanto sicura che ci sarebbe riuscita prima di lui, in effetti. 
Il ragazzo se ne accorse e le rivolse un’occhiata incerta, chiedendole se c’era qualcosa che non andasse, ma la bionda non disse nulla e si limitò a scuotere il capo, preferendo non parlarne: orgogliosa com’era, l’avrebbe fatto difficilmente. 



Elena invece, che era rimasta in un angolo con le braccia strette al petto, sospirò e chiese a voce alta il permesso di lasciare l’aula perché “non si sentiva molto bene”. L’insegnante le rivolse un’occhiata incerta, trovandola effettivamente visibilmente giù di corda e annuì per poi guardarla lasciare la classe senza dire altro: strano, di solito era difficile farla smettere di parlare.

“Signore, posso andare a vedere come sta?”

Gabriel in pratica raggiunse la porta ancor prima di sentire il permesso da parte dell’insegnante, affrettandosi a seguire la ragazza in corridoio e raggiungendola con poche, lunghe falcate:

“Elly!”
“Gabri, resta pure in classe, non serve che tu perda una lezione così importante.”

Elena si fermò sentendosi chiamare dal ragazzo, guardandolo con la stessa espressione tesa che le vedeva sul viso da diversi giorni mentre la raggiungeva, sorridendole mentre le metteva un braccio intorno alle spalle:

“Certo che serve, la perdo volentieri per stare con te. So che è un periodo difficile per te, Elly, ma credi di potermi concedere un sorriso? Mi manca.”
Elena abbozzò un sorriso, annuendo e guardandolo con affetto prima di appoggiare la testa sulla sua spalla, ringraziandolo a voce bassa.  

“Sei sicura di non voler prendere parte alla lezione? Magari più avanti te ne pentirai, è importante…”
“Oh, ti prego, so benissimo che non riuscirei ad evocare un bel niente oggi. Non mi verrebbero in mente che ricordi di famiglia che ormai non so più interpretare come veri o del tutto finti per colpa di mio padre.”



Gabriel l’aveva fatta entrare nella Sala Comune ed ora la stava pilotando, districandosi tra una poltrona, un tavolino e un compagno di Casa e l’altro.
Elena si sentiva quasi in trance, come se stesse camminando in un sogno e avesse le gambe fatte di zucchero filato, è quasi non si rese conto di dove stesse andando, ignorando le voci che la circondavano, gli sguardi e i commenti che fecero Jack e Regan da qualche parte, provvidenzialmente fulminati con lo sguardo subito dopo da Gabriel mentre la conduceva nella loro camera, mormorando che nella Sala Comune ci fossero fin troppe orecchie in ascolto per parlare.

Elena annuì distrattamente, quasi senza fare caso alle sue parole mentre il ragazzo apriva la porta della stanza dei ragazzi dell’ultimo anno, trovando Adrian seduto sul suo letto. 

Il ragazzo alzò lo sguardo e rivolse un’occhiata quasi seccata ad Elena prima di parlare, rivolgendosi al compagno:

“Gabriel, non puoi andare a fare i tuoi comodi con lei altrove?”
Elena, quando si fu risvegliata dallo stato di pseudo incoscienza ed elaborò ciò che il ragazzo aveva detto, divenne di una sfumatura ancor più intensa del colore dei suoi capelli mentre Gabriel sbuffava, fermo accanto alla porta e tenendo l’anta ben aperta:

“Dobbiamo parlare. Puoi lasciarci un po’ da soli, per favore?”
“Se proprio devo… Sean?! Dobbiamo togliere il disturbo, Gabriel reclama la stanza per lui e per la sua fidanzata!”
“TI HO DETTO CHE DOBBIAMO PARLARE!”

“Ma io veramente stavo per farmi la doccia!”

La voce di Sean giunse dal bagno e fu allora che Gabriel sbuffò, raggiungendo la porta chiusa a grandi passi per poi aprirla: 

“Te la farai dopo, ora fuori. Tutti e due!”
“Ehy, con calma!”

Sean sbuffò mentre Gabriel lo spingeva fuori dal bagno con solo un asciugamano annodato in vita, ignorando le sue proteste mentre spediva entrambi fuori dalla porta, ignorando anche Adrian quando gli consigliò caldamente di sfruttare il bagno lasciato libero da Sean per farsi una doccia fredda.

La porta venne chiusa alle loro spalle con un gesto secco e Sean sbuffò, bussando con irritazione:

“Almeno ridammi i vestiti, non voglio dare spettacolo!”
“Lascia perdere…”


Gabriel sorrise, sollevato, e si voltò di nuovo verso Elena prima di prenderla per mano e condurla verso il suo letto, sedendo accanto a lei:

“D’accordo, adesso che siamo soli dimmi cosa è successo.”
“Non era necessario mandarli via…”
“Sì, lo era, sono affari tuoi e non voglio che li ascolti tutto il castello.”

Elena abbozzò un sorriso, guardandolo con gratitudine e cercando di non pensare a quanto fosse sconveniente il suo trovarsi lì da sola con lui. 

“Hai visto tuo padre?”
“Sì. In sostanza, mi ha detto che quella aspetta un figlio. Non sembrava molto felice, a dire il vero, ma se fosse un maschio avrebbe finalmente un erede. Varrebbe molto più di me.”
“Sciocchezze.”

Gabriel le sorrise dolcemente, prendendole una mano tra le sue:

“L’hai detto a tua madre?”
“No. Non so come dirglielo, sarà un brutto colpo… non è riuscita ad avere altri figli dopo di me, è un tasto molto dolente per lei.”
“Non credo che dirglielo sia compito tuo, ma di tuo padre: dopotutto sono ancora sposati e tu sei qui, a scuola, non devi pensarci tu. Lo farà lui, se ha un minimo di coscienza.”

“Insiste nel voler parlare con me, ho tante di quelle lettere che non ho mai aperto… credo si senta in colpa.”
“Forse. Insomma, ha sbagliato e su questo non ci piove, ma credo che ti voglia davvero bene, Elly.”
“Non lo so… ha sbagliato, Gabri, anche nei miei confronti. Non ha fatto solo un torto a mia madre, è sparito più di una volta lasciando ME a rimetterla in sesto. È come se la persona che conoscevo quando ero piccola fosse morta.”


Gabriel non disse niente, esitando prima di avvicinarsi alla ragazza e stringerla a sè, accarezzandole i capelli: 

“Credo che tu gli voglia ancora molto bene, Elly… è per questo che stai così male, non vorresti ma è così. Ed è normale che sia così, non fartene una colpa, è pur sempre tuo padre.”
“Gabri?”
“Sì?”
“Se diventi come lui non sarò affatto come mia madre, ti verrò a cercare, ti troverò e ti ucciderò, hai capito?”
“Cristallino.”


*


Sean guardò con gli occhi chiari carichi di soddisfazione la sua aquila argentea sorvolare l’aula, scrutando i pochi altri Patronus già evocati che si muovevano nell’ampia stanza e i ragazzi sottostanti. 

“Non avevo alcun dubbio sul fatto che ci saresti riuscito in fretta… lo avevi evocato anche l’anno scorso, vero?”
“Sì. Sbaglio o il tuo somiglia molto a Wellington?”

Aurora sorrise e annuì quando, avvicinatasi al ragazzo, posò lo so guardo sul cavallo argenteo che trotterellava a pochi metri di distanza e che ricordava effettivamente molto il suo amatissimo cavallo in carne ed ossa.      

“Lo pensi anche tu? L’ho notato anche io, in effetti. Dopotutto ho pensato proprio a quando me l’hanno regalato, anni fa.”

Aurora sorrise teneramente mentre guardava il suo Patronus, ripensando ad un Natale ormai lontano, quando era bambina.


Aurora non era affatto felice, quella mattina. Non aveva trovato nessun regalo sotto l’albero e ora suo padre le aveva chiesto di seguirlo in giardino perché doveva “dirle una cosa”. Forse lui la madre avevano deciso che era diventata troppo grande per ricevere regali? Forse aveva intenzione di dirle questo? Aurora non capiva, ma non presagiva nulla di buono dall’espressione seria del padre, che la stava procedendo nell’ingresso della casa. Quando ebbe raggiunto il grande cortile la bambina si preparò ad un discorso sull’essere ormai diventata grande quando suo padre parlò, sorridendole per la prima volta da quando si era svegliata:

“Bene Aurora… quest’anno non avrai nessun regalo da scartare, mi dispiace.”

La bambina sì rabbuiò, guardandosi i piedi e chiedendosi cosa avesse fatto di sbagliato per non meritare la casa delle bambole che voleva, o i nuovi stivaletti con tanto di ghette per cavalcare come una “ragazza grande”. 

“Però c’è qualcosa per te lo stesso… non l’abbiamo incartato, non ci siamo riusciti, ma spero che ti piaccia lo stesso.”

Il padre accennò a qualcosa con il capo e, sentendo distrattamente sua madre ridacchiare alle sue spalle, la bambina puntò gli occhi su qualcosa che si stava rotolando in mezzo alla neve a pochi metri di distanza. 
Un’espressione di pura sorpresa attraversò il volto pallido della bambina, che si lasciò sfuggire un urletto di gioia prima di correre dal puledro che stava giocando nella neve:

“Ma è… un puledrino! Grazie! È un maschio o una femmina?”
“Un maschio.”
“Che carino… ma dobbiamo portarlo dentro, altrimenti avrà freddo! Vieni piccolo.”

Aurora sorrise e allungò una mano per sfiorarle il collo coperto dal manto sauro del puledro, che si alzò in piedi in un lampo (dimostrando di essere alto quanto lei, praticamente) e le annusò i capelli scuri con curiosità quando lei lo abbracciò prima di portarlo nella scuderia di famiglia insieme ai genitori.



“Tu a cosa hai pensato?”

Aurora si voltò verso il ragazzo, guardandolo stringersi nelle spalle con curiosità:

“È un segreto.”
“Dai, voglio saperlo!”
“Mi spiace, è una cosa nostra.”



Sean non amava il suo compleanno: era sempre uguale, e le persone quando entravano dalla porta dicevano sempre “Buon Natale”, invece di “Buon Compleanno Sean”.
Era seduto davanti alla scrivania nella sua camera, da solo, non avendo nessuna voglia di stare al piano di sotto ad aspettare che arrivassero i parenti… fu allora che la porta si aprì ed entrò sua sorella, i capelli pettinati da un’elfa, il vestitino che la madre le aveva comprato addosso ma senza scarpe e qualcosa in mano:

“Buon compleanno!”
“Grazie Charlie, almeno tu non lo scordi mai…” Sean sorrise con affetto alla bambina, che sorrise mentre gli si avvicinava. 

“Ma dove hai lasciato le scarpette?”
“Le ho tolte, mi danno fastidio. Guarda, è per te.”

Charlotte sorrise e gli mostrò il disegno che aveva fatto per lui con aria orgogliosa, mostrando la scritta “SEAN” a caratteri cubitali vicina ad un cuore e le due figure sottostanti.

“Siamo io e te che facciamo magie, e c’è anche Daisy… ti piace?”
“Charlie, ma tu… non sai scrivere!”

Sean prese il disegno e guardò la sorellina di quattro anni con la fronte aggrottata, ma Charlotte sorrise con aria fiera e annuì:

“Mi sono fatta aiutare da Aurora per scrivere il tuo nome. Guarda dietro.”

Con la stessa calligrafia sbilenca ed enorme, sul retro del foglio Charlotte aveva scritto “per il mio fratellone” e Sean sorrise prima di guardarla con affetto, scivolando dalla sedia per abbracciarla:

“Grazie.”


*


L’enorme pitone argenteo strisciava sul pavimento disegnando arabeschi con la lunga coda e tutti sembravano più che intenzionati ad evitare il Patronus e i suoi sibili quasi minacciosi, mentre Axel invece teneva gli occhi fissi proprio sull’animale. Confuso. 

“Steph, hai per caso una personalità segreta e nascosta da cui ci stai tenendo all’oscuro?”
“Non capisco! Io sono gentile e carina con tutti, perché un pitone?!”

Stephanie, confusa e sorpresa quanto se non più dell’amico, guardava a sua volta il Patronus mentre Regan, dopo aver evocato il suo leone, si avvicinava ai due:

“Immagino sia un chiaro avvertimento di non farti mai arrabbiare, Steph.”
“Pare di sì. Il tuo è un leone? Sul serio?Fammi capire, io sono Grifondoro e ho evocato un serpente, tu Serpeverde e hai evocato un leone?!”

“In effetti suona un po’ strano…”

Regan annuì, aggrottando la fronte mentre osservava il pitone con leggero scetticismo. 

“Siete proprio fatti l’uno per l’altra…”
Axel sorrise prima di allontanarsi per concentrarsi sul suo Patronus, cogliendo ugualmente l’occhiata torva che l’amica gli rivolse prima che Regan le chiedesse a cosa avesse pensato per evocarlo:

“Una volta mio padre mi ha portata al lavoro con lui, ho insistito tanto… guardavo i ragazzi dell’Accademia duellare e ho pensato che fosse il lavoro migliore del mondo. Credo di aver deciso cosa diventare quel giorno.”
“Determinata fin da piccola.”
“Ci puoi scommettere.”



Era seduto sul tappeto, in salotto, solo con i suoi fratelli. Aveva dieci anni, Edward ne aveva quattro e la piccola di casa, Elisabeth, solo uno.
La madre era in cucina, impegnata a preparare la cena, e gli aveva chiesto di tenere d’occhio i fratellini finché il padre non sarebbe rientrato. Axel aveva sorriso e assicurato alla madre che l’avrebbe fatto, guadagnandosi un sorriso e una carezza tra i capelli scuri. 

Ora, mentre Edward si rivolgeva alla sorellina cercando di farle dire il suo nome, Axel gli consigliò di abbassare la voce e di tranquillizzarsi visto che stava visibilmente turbando la bambina, che lo guardava con i grandi occhi chiari sempre più inquieti.

“Ma insomma, perché non capisce?”
“Non è che non capisce, ma è piccola, dice solo mamma e papà, dalle un po’ di tempo. È normale che non riesca a dire Edward.”

“Ma non è difficile! Non dice neanche Ed! Andiamo, Ed non è difficile.”
Entrambi guardarono la bambina, che però non disse niente e fece così sbuffare sonoramente il fratello, che si alzò in piedi subito dopo:

“Vedi?! È stupida!”
“Non dire così! Ecco, bravo, l’hai fatta piangere con i tuoi toni.”

Axel sbuffò e si sporse per prendere la sorellina, che allungò le braccine verso di lui per farsi prendere in braccio e appoggiare la testa sulla sua spalla mentre Edward, sbuffando, andava a sedersi sul divano e incrociava le braccia al petto.

“Su, non piangere, non è successo niente.”
Dopo pochi altri singhiozzi la bambina parve calmarsi e sollevò la testa, guardandolo con gli occhi chiari molto simili ai suoi prima di mettergli una manina su una guancia e sfoggiare un lieve sorriso semi sdentato:

“Accel!”
“Cosa hai detto?”
“Accel!”

Axel imitò il sorriso della sorellina e alzò lo sguardo per posarlo sul fratello minore, parlando con tono carico d’orgoglio:

“Visto, Ed? Con le buone maniere si ottiene tutto.”



Un Labrador?
Axel guardò il cane abbaiare e fargli le feste scodinzolando prima di sorridere, chinandosi per sfiorarlo con le dita mentre la risata cristallina Stephanie giungeva alle sue orecchie:

“Che carino! Devo dire che ti si addice, è adorabile e fedele come te.”
“Grazie.”
Axel sorrise con affetto all’amica, che ricambiò e gli spettinò affettuosamente i capelli scuri:

“Figurati, come faremmo io ed Elly senza il nostro saggio Axel?”
“Sareste finite, immagino.”


*


Andrew si grattò la testa, a disagio dopo aver provato e aver fallito di nuovo: l’incantesimo non gli riusciva, non nella sua forma più completa, e non ne comprendeva il motivo. 
Stava usando ricordi felici, dopotutto… cosa c’era che non andava?

Guardò il cavalluccio marino luccicante che gli fluttuò davanti, evocato da Jade poco prima, e si demoralizzò ancor di più: perché le sue amiche ci erano riuscite, ma non lui? 

“Non fare quella faccia… ce l’ho fatta io, puoi riuscirci anche tu. Non sono una cima, dopotutto, sei molto più bravo di me in questa materia!”

Iphigenia gli sorrise mentre il suo uccello delle tempeste codaforcuta si appollaiava sulla spalla della ragazza, muovendo la testa e guardando il ragazzo quasi con curiosità mentre Iphe gli sfiorava il braccio con fare consolatorio. 
Andrew però scosse il capo, limitandosi a chiederle a cosa avesse pensato e guardandola stringersi nelle spalle: 
“La mia famiglia. Cose semplici, niente di eccezionale… la felicità non sta sempre in cose grandiose, Andrew. Anche Jade ha pensato alla sua famiglia, no?”

“Sì, mio padre che mi insegna a nuotare.”

La bionda sorrise allegramente, sfiorando la testa del cavalluccio quasi con affetto mentre Iphigenia annuiva, continuando a rivolgersi al ragazzo:

“Visto? Pensa a qualcosa che riguardi tua madre, magari.”
“Ci proverò. Grazie.”


Non aveva ricordi di suo padre, lo aveva visto solo in vecchie foto che lo ritraevano giovane e con la divisa militare addosso, divisa grazie alla quale era morto in Francia quando lui aveva solo un anno. Perciò, non gli restava che frugare nei ricordi per cercare qualcosa su sua madre. 

Immediatamente, gli venne in mente qualcosa che risaliva a sette anni prima, uno dei compleanni più speciali che avesse mai avuto.


Era arrivata una lettera per lui e l’aveva consegnata alla madre in un misto tra orgoglio e soddisfazione: era raro che lui ricevesse personalmente una lettera, dopotutto, ma quella era proprio indirizzata a lui. 
Sua madre stava cucinando ma gli rivolse immediatamente la sua attenzione, pulendosi le mani nel grembiule prima di prendere la lettera in mano… Iona guardò il sigillo sulla ceralacca cremisi e spalancò gli occhi prima di abbracciare il figlio, immergendogli una mano nei riccioli rossi mentre le si inumidivano gli occhi. 

“Mamma, cosa c’è?! Dobbiamo aprirla!”
“Non serve, so già cosa dice, tuo padre aveva detto che sarebbe arrivata… sei diventato grande!”

“Papà? Come faceva a saperlo?!”
“È arrivata anche a lui, quando aveva undici anni… ti ho già detto che sei speciale, no? Quindi andrai a studiare in un posto speciale. Sono tanto fiera di te, piccolo.”

Gli sorrise e, dopo aver parlato tenendogli il viso tra le mani e gli occhi carichi d’affetto lo abbracciò di nuovo, mormorando che di sicuro anche suo padre era molto fiero di lui, ovunque si trovasse.
Andrew sul momento non capì appieno il senso delle sue parole o perché stesse piangendo, ma rimase in silenzio e si lasciò abbracciare, limitandosi a ricambiare la stretta.




“Expecto Patronum.”

Ripetè la formula per l’ennesima volta, quasi senza sperarci più, ma sorrise con stupore quando vide qualcosa uscire dalla sua bacchetta e prendere forma… la forma di una tigre.


“Visto? Avevo ragione, non avresti potuto non riuscirci.”
“Sì, avevi ragione tu… grazie per il consiglio.”
“Beh, dopotutto io ho ragione quasi sempre, non dovresti stupirti.”

Iphigenia inarcò un sopracciglio, guardando il ragazzo quasi a mo’ di rimprovero mentre Andrew sorrideva, annuendo e allungando una mano per darle un colpetto affettuoso sulla spalla:

“Scusa, hai ragione, dimenticavo che sei tu quella saggia.”

Jade avrebbe tanto voluto aggiungere “e stupida”, ma decise di non interromperli e si limitò ad alzare gli occhi al cielo, restando in silenzio e allontanandosi scuotendo il capo con disapprovazione.

“Ma cos’ha Jade?”
“Non so, è strana di recente…”


*


Il falco che era finalmente riuscito ad evocare, grazie ad un ricordo che vedeva protagonisti lui e suo padre quando aveva otto anni, in barca sulla Manica, e Jack aveva potuto tenere il controllo di un’imbarcazione per la prima volta in vita sua, stava planando sopra le loro teste, ma Jack smise di prestarci attenzione quando sentì la voce di Evangeline, che teneva la bacchetta stretta in mano e le braccia abbandonate lungo i fianchi, quasi tremando dall’altra frustrazione. 

“Non… non ci riesco. Perché non ci riesco?!”
“Evie, non è la fine del mondo, è solo un incantesimo…”
“Un incantesimo importantissimo, per cui danno un sacco di punti in più all’esame! Perché ci stanno riuscendo tutti e io no?!”

Jack le si avvicinò, sorridendole con fare comprensivo e mettendole una mano sulla spalla, suggerendole di rilassarsi:

“Non è un dramma, gli esami non sono domani, Evie… ci riuscirai, ne sono sicuro. Non demoralizzarti, ok?”
“Ok…”

Evie sbuffò, parlando a mezza voce e apparentemente poco convinta mentre Jack, sorridendole, le metteva un braccio intorno alle spalle e la campanella segnava la fine della lezione. 

“Coraggio, ora c’è Astronomia, la tua materia preferita… sorridi Evie, vederti giù di morale mi rattrista.”


*


“Non avresti dovuto restare a farmi compagnia, ti sei perso tutta la lezione! Una delle più importanti dell’anno, per giunta.”
“Ti ripeto che non è un problema, recupereremo. Se questo tuo insistere è un modo per dirmi che avresti preferito non avermi intorno, dillo apertamente.”

Elena sbuffò alle parole del ragazzo, rivolgendogli un’occhiata eloquente mentre attraversavano il corridoio insieme per raggiungere l’aula di Astronomia:
“Sai benissimo che non è così, ovviamente mi ha fatto piacere stare con te… È solo che non vorrei vederti prenderti indietro per colpa della mia famiglia.”          

“Non succederà, per una lezione non casca il mondo… Cavendish ne salta parecchie e non ha mai avuto troppi problemi.”
“Sì, ma Cavendish riesce a mettere nel sacco gli insegnanti perché è schifosamente intelligente. Quasi odioso, ma li mette tutti ai suoi piedi e nessuno si sogna di punirlo esageratamente.”

“Stai dicendo che io non sono intelligente, Elly?”  Gabriel aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo per incrociare quello della ragazza, che gli sorrise con affetto e scosse il capo mentre lo prendeva sottobraccio:

“No, certo che no… vai benissimo così come sei.”


*


“Ehy! Com’è andata la giornata?”

Charlotte sorrise quando, raggiunto il fratello, prese il ragazzo sottobraccio dopo averlo intercettato mentre si accingeva a raggiungere la Sala Grande per cenare. 
Il Serpeverde si voltò verso di lei e ricambiò il sorriso, altrettanto di buon umore:

“Bene, abbiamo evocato i Patronus.”
“Ci sei riuscito di nuovo subito, scommetto. Non vedo l’ora di imparare anche io, sono curiosa riguardo la forma del mio Patronus. Cosa potrebbe essere, secondo te?”

“Non so, magari un giaguaro, o un puma… un animale mansueto e coccoloso.”
Sean sorrise mentre la sorella minore sbuffava, intimandogli di non prenderla in giro prima di chiedergli a cosa avesse pensato per evocare la sua aquila:

“A te, a dire la verità.”
“Davvero? Che carino, grazie… quale ricordo in particolare?”  Charlotte parve illuminarsi alle parole del fratello, il suo sorriso si allargò e lo guardò con sincera curiosità, chiedendosi a cosa potesse aver pensato:

“Ricordi quando avevi quattro anni e per il mio compleanno mi facesti un disegno? Non sapevi scrivere ma hai chiesto ad Aurora di aiutarti per scrivere il mio nome e la “dedica”.”
“Sì, non farmici pensare, allora non avevo la percezione di non essere affatto in grado di disegnare alcunché.”

“Beh, è il pensiero che conta, e tu sei stata dolcissima, lo conservo ancora. ERI dolcissima, in effetti, cosa ti è successo dopo?”
“Non so proprio risponderti.”
“Sciocchezze, sotto sotto sei ancora adorabile, solo che tiri fuori il tuo lato tenero praticamente solo con me.”

Sean sorrise con affetto alla sorella, cingendole le spalle con un braccio per stringerla a sè e intuendo dal silenzio della Corvonero – che per una volta non ebbe nulla da obbiettare – che era d’accordo con lui. 




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Capitolo 22
*** Vacanze pasquali ***


Capitolo 20: Vacanze pasquali 
 
Martedì 15 Aprile 


“Non immagini quanto mi rende felice il fatto che tu e mio fratello stiate insieme! Per una volta io e mia madre ci siamo trovate d’accordo su qualcosa, ha fatto i salti di gioia quando l’ha saputo.”

Charlotte sorrise allegramente mentre, in sella ad un cavallo grigio pomellato, procedeva al passo accanto ad Aurora nella tenuta della famiglia di quest’ultima. 
La maggiore annuì, sorridendo a sua volta mentre accarezzava distrattamente il collo di Wellington che quasi brillava sotto il sole:

“Mi fa piacere saperlo. Anche mia madre è molto contenta.”
“Lo so, prima mi ha detto che si stava iniziando a chiedere se ti saresti arresa o avresti fatto un passo avanti… in realtà è stato merito mio, ovviamente.”
“Ovviamente. E smettila di spettegolare su di me con mia madre!”

Charlotte ridacchiò, guardando l’amica con affetto prima di parlare nuovamente:

“Sean mi ha assicurato che stasera sarebbe venuto, a cena… contenta?”
“Certo. Speravo ci raggiungesse già nel pomeriggio, ma pare che fosse occupato.”
“Ha chiesto a mio padre di portarlo a fare un giro all’Accademia. Sarei voluta andare anche io, ma mia madre si è messa a ridere e ha detto che “quello non è un posto per signorine”! È ingiusto.”

“Guarda il lato positivo Charlie, puoi godere della mia compagnia!”
Aurora sfoggiò un gran sorriso con tutta l’intenzione di rallegrare l’amica, che però si limitò ad annuire e a borbottare qualcosa di poco comprensibile, facendole aggrottare la fronte:

“Se la mia compagnia non è di tuo gradimento puoi anche tornare a casa!”
“Scherzi, qui posso cavalcare con i pantaloni e nessuno mi dice nulla, non mi perderei mai un’occasione simile.”

“Fammi capire, pianti le tende da me solo per sfuggire a tua madre?”
“No, anche perché ti voglio bene, che domande mi fai?”


*


Quando Andrew e Clare Ashworth vennero “convocati” dalla figlia maggiore in sala da pranzo presero posto uno accanto all’altra intorno al tavolo scambiandosi un’occhiata incerta, entrambi dubbiosi:

“Cosa pensi che ci voglia dire?”
“Non ne ho idea, a me non ha accennato nulla… strano, non si comporta mai in questo modo.”

Clare scosse il capo, le braccia conserte e la fronte aggrottata, sinceramente curiosa – e quasi preoccupata –. Quando Iphigenia li raggiunse la ragazza sorrise e prese posto di fronte ai genitori, schiarendosi la voce prima di parlare mentre entrambi la osservavano con attenzione:


“Allora… avrei una richiesta da farvi.”
“È successo qualcosa di grave, Iphe?”
“No mamma, rilassati…. Voglio solo chiedervi il permesso di andare in Scozia, martedì, dopo le feste.”
“Vuoi andare a trovare qualcuno?”

Iphigenia annuì alla domanda del padre, un sorriso speranzoso stampato sul volto e gioendo interiormente quando Andrew annuì, dandole rapidamente il suo consenso con un cenno della mano:
“Va bene, non preoccuparti.”
“Grazie!”

Clare invece sorrideva e guardava la figlia con l’aria di chi la sa lunga, parlando a metà tra il divertito e l’intenerito:

“Vuoi andare a trovare Andrew, vero? Fai bene, quel ragazzo è così carino…”
“Mamma!”

Iphigenia sbuffò debolmente e rivolse un’occhiata torva in direzione della madre, suggerendole caldamente di non fare commenti mentre invece il padre sgranava gli occhi, allarmato: 
“Intendi quindi andare a trovare quel ragazzo?“ 
“Caro quale altra persona potrebbe mai andare a trovare in Scozia la nostra piccola?“ Clare sorrise, apparentemente divertita dalla situazione, ma il marito non la imitò e si rivolse invece alla figlia maggiore quasi con aria truce, la mascella contratta e parlando con un tono molto più duro:

“Bene… Puoi andare tesoro, ma verrà con te tua sorella.“ 
“COSA?! Papà, non puoi…”
“Certo che posso. Electra? Martedì accompagnerai tua sorella in Scozia.”

Electra, che era appena entrata nella stanza, sfoggiò un sorrisetto e si rivolse immediatamente alla sorella maggiore, che sospirò interiormente e si chiese se la situazione sarebbe potuta peggiorare. Capì che la risposta era affermativa nel momento esatto in cui Electra aprì la bocca:

“Vai a trovare il tuo fidanzato?”
“Ele! Ti ho già detto che non è il mio fidanzato.”

Iphigenia la fulminò con lo sguardo prima di rivolgersi al padre e sfoggiare il sorriso più angelico che le riuscì, prima che l’uomo parlasse di nuovo, sempre meno contento:

“COME SAREBBE A DIRE CHE È IL TUO FIDANZATO?!”
“M-ma papà, Ele scherza, non è così! Mamma, aiutami!”

Sua madre spedì le foglie fuori dalla stanza con la promessa di farlo ragionare, ma Andrew non sembrò cambiare idea e rimase fermo sulla sua posizione, ovvero di appioppare Electra alla figlia maggiore.
E quella era l’idea, finché martedì mattina Electra non si svegliò con la febbre alta…


“Iphe, non mi terrò questa borsa piena d’ acqua bollente nel letto per tutta la notte!”
“Ma così ti salirà la temperatura! Ti prego Ele… ti aiuterò con i compiti di Aritmanzia fino alla fine dell’anno!”

Vedere sua sorella implorare era molto raro ed Electra capì di doverle fare quel favore… anche se prima si fece pregare un po’, ma alla fine acconsentì e il mattino dopo si svegliò inscenandosi il più sofferente possibile.

“Papà, posso andare da sola? Per favore, non posso disdire all’ultimo!”
In realtà Andrew non sapeva della sua visita, ma Iphe si concesse quella piccola bugia pur di convincere il padre, che alla fine annuì e sospirò, cedendole il permesso:
“… va bene. Ma alle otto ti voglio a casa, capito?”

Iphigenia sorrise e annuì, abbracciando il padre e stampandogli un bacio su una guancia prima di correre a prendere il suo mantello per Materializzarsi a South Queensferry. 



Iphigenia era seduta davanti ad un piccolo tavolo quadrato, la gamba destra accavallata sulla sinistra che dondolava con leggera impazienza mentre, tenendo il mento appoggiato sulle nocche di una mano, la ragazza si guardava intorno, in attesa.
E non tanto del suo pranzo, in realtà, quanto di un certo cantiere dai capelli rossi che ancora non era riuscita ad intravedere.



“Andrew, porta fuori questi, per favore.”  Sua madre gli mise tra le mani due piatti incandescenti pieni di pesce e il ragazzo li prese al volo con una prontezza di riflessi data da anni di rugby, Quidditch ma anche di lavoro in cucina. 
Il Tassorosso annuì e si affrettò ad uscire dalla cucina, aprendo l’anta con una spallata, per portare i piatti a destinazione e non fece caso, preso dalla fretta, allo sguardo di una familiare ragazza dai capelli biondi seduta ad una decina di metri di distanza, che sorrise istintivamente quando lo vide uscire dalla cucina. 

Fece per chiamarlo e attirare la sua attenzione, ma all’ultimo decise di non farlo per lasciarlo lavorare in pace, prendendosi qualche attimo per studiare il caldo sorriso che rivolse ai clienti che stava servendo e sopratutto quelle adorabili fossette, la camicia bianca immacolata e stirata – sicuramente per merito di mamma Iona – con le maniche arrotolate sotto i gomiti, il grembiule nero allacciato in vita. 
Iphigenia indugiò quasi senza volerlo con lo sguardo dapprima sulle sue spalle larghe e poi sui bicipiti messi in evidenza dallo sforzo per tenere i piatti in equilibrio e dalle maniche arrotolate della camicia. 
All’improvviso le parve di sentire la risata della sorella minore e scosse il capo, dicendosi di lasciar perdere le sue braccia – era tutta colpa delle maniche arrotolate, non avrebbe potuto lasciarle al loro posto? – e schiarendosi la voce quando il ragazzo fece per tornare in cucina:

“Cameriere?! Dove sono le mie Scotch pies?! Vuole che rimanga qui a fare la muffa mentre aspetto?!”

Iphigenia parlò con il tono più scocciato che le riuscì e quando, un attimo dopo, Andrew si voltò nella sua direzione dovette sforzarsi non poco per evitare di ridere di fronte alla sua espressione:

“Iphe! Cosa ci fai qui?”
“Che domande, sono venuta a trovarti… ma sono molto delusa, il servizio è pessimo!”

Andrew le si avvicinò con un sorriso sulle labbra per salutarla, ma di fronte alle parole della ragazza sgranò gli occhi, quasi sinceramente dispiaciuto:

“Mi dispiace, aspetti da molto?”
“Macché, cinque minuti, stavo scherzando…”


“Sono felice di vederti. Vado a dire a mia madre di darsi una mossa, non è carino farti aspettare dopo essere venuta fin qui.”
Iphigenia fece per dire all’amico di non preoccuparsi, ma il ragazzo si era già voltato per tornare in cucina e informare la madre della presenza della ragazza, scatenando un largo sorriso da parte di Iona, che si mise all’opera e poco dopo sfornò tre tortine molto più grandi del normale con tanto di dose abbondante di contorno:

“Ecco, portalo ad Iphigenia, spero che le piacciano.”
“Mamma, com’è che quando le prepari per me non le fai così grandi?!”
“Perché tu non hai certo bisogno di crescere ancora, signorino! Su, non farla aspettare ancora.”

Andrew venne quasi spinto fuori dalla cucina dalla madre, che lo ammonì di sistemarsi il grembiule, per poi dirigersi con un sorriso verso Iphigenia, poggiandole il piatto davanti con delicatezza:

“Ecco, signorina. Spero saranno di suo gradimento.”
Iphigenia annuì, sospirando con aria grave mentre si sistemava il tovagliolo sulle ginocchia e parlando con il tono più snob che le riuscì: 
“Grazie, cameriere. Ti darei la mancia, ma mi hai fatto aspettare troppo e hai perso il treno.”

“Esagerata!”

“Andrew? Fai compagnia ad Iphigenia, poverina, non vorrai farla magiare da sola! Ciao, cara.”
“Salve Signora Magui- Iona.”

Iphigenia sorrise alla donna, affrettandosi a correggersi mentre Andrew si rivolgeva alla madre, la fronte aggrottata!

“Sicura?”
“Certo, dopotutto ti stiamo già sfruttando a sufficienza… siediti e riposati un po’.”
“Ok, grazie mamma.”

Andrew sorrise e si sfilò il grembiule prima di sedersi accanto ad Iphe, che sorrise a sua volta mentre Iona, dopo aver fatto per allontanarsi, si voltava nuovamente verso i due:

“Volete che vi porti una candela?”
“Mamma!”
“Beh, non si sa mai…”


*


Gabriel era seduto di fronte a lei e Katherine poteva leggergli sul volto la sua stessa voglia disperata di alzarsi e sparire: la sua famiglia le era mancata, assolutamente, ma quel pranzo stava durando davvero molto.
E cominciava a non sopportare più i commenti supponenti di sua sorella Annabelle. 

Gabriel le rivolse un cenno e Katherine non esitò a coglierlo, annuendo appena percettibilmente prima di alzarsi, lasciare educatamente il tovagliolo sul tavolo e congedarsi per andare in bagno. 

Ovviamente non andò in bagno ma raggiunse frettolosamente la biblioteca, lasciandosi scivolare su una sedia con un sospiro e aspettando pazientemente che Gabriel la raggiungesse, cosa che avvenne dopo solo un paio di minuti. 

“Ho davvero bisogno di una pausa dalle loro chiacchiere… stanno stordendo anche te?”
“Certo. Sono a casa da due giorni e già non sopporto più mia sorella, credo sia un record. A volte ti invidio per essere nato figlio unico…”

Gabriel la raggiunse, sedendo accanto a lei mentre la Grifondoro sospirava, gli occhi chiari fissi sulla grande finestra dai vetri colorati che proiettava luce sul parquet. 

“Non dire così, vuoi molto bene a Maxi e a Nate. E poi, io ho comunque avuto la mia sorellina, in un modo o nell’altro.”
Il ragazzo sorrise, allungando una mano per sfiorarle quella dell’amica che lo imitò, rilassandosi leggermente e guardandolo con affetto:

“Vale anche per me.”
“Lo so.”
“Allora… a proposito di famiglie complicate, come sta Elena? Credo sia una fortuna che abbia te, adesso.”

“Non voleva tornare a casa, ma l’ho convinta a farlo per stare vicina a sua madre. Probabilmente suo padre starà cercando di mettersi in contatto con lei… fatico a capirlo, in effetti. Credo che tenga molto a lei, anche se forse l’ha capito solo quando l’ha vista voltargli le spalle.”

“Tipico, ti accorgi che ti manca qualcosa solo quando lo perdi… spero per Elena che ottengano il divorzio in fretta e che possa lasciarsi suo padre alle spalle, per quanto possibile.”
“Tu invece, Kat? Come stai?”

La ragazza si strinse nelle spalle, giocherellando distrattamente con una ciocca di capelli scuri prima di rispondere:

“Bene. Insomma, mi passerà, come a te è passata con Giselle… ora hai Elena e sei felice, magari anche io tra un anno l’avrò completamente dimenticato.”
“Sicura? Non sarò Beatrix, ma puoi parlare di Sean anche con me.”
“È strano parlarne con te, Gabri, siete molto amici.”

Katherine scosse il capo e sospirò, continuando ed evitare di guardare l’amico negli occhi e muovendosi sulla sedia quasi  come se fosse a disagio mentre Gabriel le sorrideva con fare rassicurante:
“Giuro che non gli ho mai detto nulla, e mai lo farò, anche se credo che se ne sia reso conto da solo… non disperarti Kat, sei molto giovane, intelligente, divertente, molto carina e persino di buona famiglia. Avrai la fila davanti alla porta, ne sono sicuro.”

“Ah, ma davvero?”

Katherine sorrise per la prima volta da quando erano entrati in Biblioteca e alzò finale te lo sguardo per incrociare quello del ragazzo, che annuì e non accennò a sorridere, come se fosse perfettamente serio:
“Certo. E io mi unirò a Maxi in veste di fratello maggiore geloso.”
“Naturalmente… ma seriamente, grazie di essere qui, Gabri.”


*


“Chi è il tesorino della zia? Ma sei cresciuto tantissimo dall’ultima volta in cui ti ho visto, di questo passo quando mi sarò diplomata non ti riconoscerò più!”

Evangeline sorrise con affetto al nipotino prima di dargli un bacio su una guancia paffuta, guadagnandosi un sorriso dal bambino di quattro mesi e mezzo, che allungò una manina per toccarle i capelli biondi.

“Non è giusto che mi debba perdere i suoi primi mesi di vita, per quando tornerò a casa la prossima volta avrà già quasi sette mesi!”
“Tranquilla, di sicuro Caroline avrà altri marmocchi che potrai riempire di attenzioni.”

Benjamin era seduto di fronte a Robert, impegnati a giocare a scacchi me tre la sorella gironzolava per la grande sala da pranzo con il nipotino in braccio, continuando a sorridergli, ripetergli quanto fosse carino e a pizzicargli leggermente le guance paffute. 

“Bene, almeno si renderà utile in qualche modo!”


“Dici che è normale?! Sta abbracciando quel bambino più di quanto non abbia abbracciato me in sedici anni di vita!”
“Ti sbagli, quando eri piccolo ti sequestrava sostenendo che tu fossi il suo “bambolotto”. Lo faceva anche con Greg.”
“Davvero?!”

Robert sgranò gli occhi, sinceramente colpito mentre si voltava nuovamente verso la sorella maggiore, rivolgendole un’occhiata scettica di fronte a tutto quell’affetto mentre il suo alfiere veniva mangiato dalla Regina del maggiore.

“Andiamo a giocare in salotto, Ray? Sì?”
“Merlino, non ce la faccio a sentirla parlare con quel tono zuccheroso… secondo te perché quando parlano con i bambini usano tutti un tono da idioti?!”
“Non saprei, credo si pensi che così i bambini rimangano tranquilli… Billie, saluta la tua Regina.”

Benjamin sfoggiò un sorriso soddisfatto mentre Robert invece sbuffava e la sorella lasciava la stanza continuando a le fusa al nipotino, dando modo al fratellino di sporgersi leggermente sul tavolo verso il maggiore:

“Ok, ora che siamo soli… Evie ti ha parlato di Jack Keegan?”
“No. Chi è?”
“Il suo fidanzato!”
“Cosa?! Perché io non ne sapevo niente?! Tu e Greg avreste dovuto dirmelo prima!”

L’ex Grifondoro rivolse un’occhiata piuttosto torva al fratello minore, che sfoggiò un sorriso colpevole mentre la voce attenta di Evangeline giungeva alle loro orecchie attraverso la porta aperta:

“Di cosa state parlando?! Vi sento confabulare.”
“Niente, niente Evie!”


*


Quando Iphigenia si Materializzò nel salotto di casa sua, quella sera, trovò sua sorella minore seduta sul divano e già pronta a ricoprirla di domande: Electra stava scrivendo una lettera, ma quando vide la sorella sorrise e smise immediatamente, guardandola con curiosità.

“Allora?! Raccontami!”
“Shhh! E ricordati che tu sei molto malata, devi continuare con la farsa… quindi se entra papà stenditi e fai la faccia sofferente.”
“Sì, sì, va bene, tanto ho la mamma come complice… ma ora papà non c’è, quindi racconta.”

Electra sorrise e diede qualche colpetto alla porzione di divano vuota accanto a sè, facendo cenno alla sorella maggiore di avvicinarsi e raggiungerla. Iphigenia sapeva che l’avrebbe tormentata fino all’alba se necessario, così roteò gli occhi e obbedì, sedendo accanto a lei prima di sorridere:

“Beh… grazie per il favore, è andata bene. Era felice di vedermi.”
“Certo che era felice, ti adora, pensavi forse che ti cacciasse a pedate? Te l’ha per caso dimostrato con un bel bacio? Sarebbe anche ora, io e Jade stiamo progettando di rifilarvi il Veritaserum.”

“Sei per caso diventata l’assistente di Jade?!”
“Diciamo di sì. Allora?! Non farti pregare, Iphe!”
Electra sbuffò, assestando una leggera gomitata alla sorella maggiore che invece sfoggiò un sorrisetto, parlando con tono vago:

“Beh… non lo dico spesso perché succede di rado, ma questa volta potresti aver ragione.”
“In che senso? Aspetta, vuoi dire che vi siete baciat- MERLINO, CHE MAL DI FESTA! Iphe, passami le medicine.”

Electra s’interruppe bruscamente quando sentì i passi del padre alle loro spalle, portandosi una mano sulle fronte con aria grave mentre la sorella obbediva, rivolgendole un’occhiata scettica prima di voltarsi verso il padre e sorridere:

“Ciao papà!”
“Ciao tesoro… come stai, Ele?”
“Sono stata meglio, grazie. Mi farete una giustifica per i compiti?”
“Scordatelo.”

Il padre si diresse verso il suo studio per lavorare e la figlia minore sbuffò, borbottando che fingersi malate non le stava servendo a nulla mentre Iphigenia l’ammoniva: 

“Sei troppo teatrale Ele, calca meno la mano!”
“Scusami tanto Iphe, la prossima volta in cui vorrai andare in Scozia per fare gli occhi dolci a Mr Muscoli chiama un’attrice professionista.”


*


Giovedì 17 Aprile 



“Di cosa volete parlarmi?”

Gabriel spostò lo sguardo da un genitore all’altro, la fronte aggrottata e le braccia conserte mentre era seduto di fronte a loro, per nulla rilassato: ogni volta in cui gli chiedevano di parlare, la conversazione finiva nel sfociare in un’accesa discussione.

Suo padre rivolse una fugace occhiata di sbieco a sua madre prima di parlare, schiarendosi la voce, mentre accanto a lui la moglie si limitava ad osservare il figlio con le mani appoggiate sul tavolo:

“Di Elena.”

Gabriel inarcò un sopracciglio, irrigidendosi leggermente e intuendo che quella conversazione non gli sarebbe stata affatto gradita ancora prima che il padre iniziasse:

“Allora?”
“Gabriel, sai cosa è successo, recentemente, tra i suoi genitori?”

“Ovviamente.”
“E sei sicuro di quello che stai facendo?”

“Mi stai dicendo che sarebbe meglio lasciar perdere Elena?”
“Pensiamo solo che non sia un buon momento per la sua famiglia… e per la loro immagine.”

“Certo. Dovevo immaginarlo… avete paura di vedere il nostro nome associato al loro perché sua madre vuole divorziare? Non vi facevo così retrogradi.”
Il Serpeverde contorse la mascella, gli occhi chiari carichi d’irritazione mentre sua madre sospirava, guardandolo come a volerlo pregare di capire, di mettersi nei loro panni… ma Gabriel non c8 era mai riuscito.

“Sono, siamo felici che tu sia felice, Gabriel. È solo un… momento sbagliato.”
“Appunto per questo non le volterò le spalle adesso! Non credete che la sua vita sia già andata abbastanza a rotoli, di recente? Sarebbe il colpo di grazia. Non è colpa sua se suo padre si è comportato in modo da meritare quel trattamento da parte di sua madre, mettetevi nei suoi panni.”

“Gabriel…”
Sua madre sospirò, scuotendo il capo, ma il ragazzo si alzò e non le diede il tempo di parlare, interrompendola con aria risoluta:
“No mamma. Scusate, vi ho sempre ascoltato, o almeno ci ho provato… volevi che scegliessi una ragazza Purosangue, e l’ho fatto. Adesso non cambierò idea solo per la vostra superficialità.”

Poi Gabriel si allontanò dal tavolo, congedandosi e lasciando la stanza prima di iniziare a litigare seriamente. 


“Non credo che cederà.”
“Neanche io. Non ci resta che sperare che gli passi in fretta.”


*


“Tesoro, sei SICURO che non possa passare? Completamente certo?”
“Sì, mamma.”

Hector annuì, parlando con il tono più piatto e deciso che gli riuscì alla domanda di sua madre, che sospirò quasi con delusione mentre sparecchiava la tavola:

“Va bene… ma ce la farai conoscere dopo il Diploma, vero?”
“Ma certo.”

Hector annuì, non riuscendo a non addolcirsi di fornite al tono speranzoso della madre, che sorrise con gioia alle sue parole, improvvisamente un poi più rallegrata.

“Bene! C’è qualcosa che non le piace mangiare?”
“Mamma, non devi pensare al menu adesso!”
“Beh, non è mai troppo presto! Non hai una sua foto, vero? Sono così curiosa!”

“No mamma, non ce l’ho.”

Bugiardo 


“Peccato…”
“Mamma, l’hai già vista di sfuggita alcune volte alla stazione!”

“Beh, ma voglio vederla meglio!”


Hector alzò gli occhi al cielo di fronte all’obiezione della madre, trattenendosi dal farle notare che non fosse affatto lei il problema: la verità era che il ragazzo aveva il terrore di presentare Adela alla sua famiglia. La sua tremendamente caotica, confusionaria e priva di tatto famiglia. 
No, Adela era così gentile, a modo ed educata… conoscendo la sua famiglia si sarebbe chiesta Se fosse il caso di essere associata a simili buzzurri quali i suoi fratelli, zii e cugini, probabilmente.

Si sentiva raggelare al solo pensiero, avrebbe dovuto istruirli su come comportarsi come minimo per una settimana, intimando loro di non fare commenti sul suo aspetto, neanche se di apprezzamento, di non abbracciarla e di non farle domande invadenti, di non prenderlo in giro davanti a lei e di non raccontare storie imbarazzanti. Sarebbe stato un incubo, e Hector aveva il forte timore di vedere l’ignara ragazza cambiare idea sul suo conto e voltargli le spalle.

Quando parlava della sua famiglia lei era solita ridere, sorridere e rimproverarlo per la sua criticità e vena melodrammatica, ma Hector le assicurava sempre che non esagerava nel parlare della sua famiglia, mai. 
Esagerata… ecco l’aggettivo perfetto per descrivere i Grayfall.


“È PRONTA LA CENA MAMMA?! QUANTO CI VUOLE?!”
Ecco, appunto. Suo fratello maggiore Demetrius irruppe nella stanza con la sua solita grazia e parlò a voce alta per farsi sentire dalla madre – e Hector dovette trattenersi dal ricordare al fratello che la donna non era sorda, il che era un miracolo vista la gran quantità di urls che sentiva ogni giorno da più di vent’anni.

“Tra cinque minuti a tavola!”

MiraJane parlò mentre suo padre entrava a sua volta nella stanza, avvicinandosi al figlio maggiore e sbuffando mente gli assestava una sonora sberla sul copino:

“NON PARLARE COSÌ A TUA MADRE, CAFONE!...  MIRAJANE, È PRONTA LA CENA?!”
“Papà, adesso hai urlato anche tu!”
“Ma io urlo con più garbo.”

Certo

Hector roteò gli occhi, imponendosi di non fare commenti mentre la madre parlava di nuovo dalla cucina, rivolgendosi direttamente al marito:

“Tra cinque minuti e l’ho appena detto a tuo figlio, vecchio sordo che non sei altro.”
“Non è colpa mia, ma di questi due sciagurati che urlano dalla mattina alla sera, mi hanno fatto perdere l’udito… CICERUS, NON FARTI ATTENDERE COME UNA RAGAZZINA E VIENI SUBITO QUI!”

Hector sospirò, sfiorandosi le tempie con le dita e chiedendosi quanti mal di testa avrebbe dovuto smaltire una volta tornato ad Hogwarts, ritrovandosi a compatire la madre per l’ennesima volta in vita sua: si chiedeva sinceramente cosa la trattenesse dal fuggire, e già da tempo. 


*


Regan continuava a tormentarsi il colletto della camicia che sua madre lo aveva costretto ad indossare – ignorando con ferma determinazione le sue lamentele mentre gli pettinava 8 capelli a forza dopo averlo immobilizzato –, fermo sotto al portico e davanti alla porta chiusa. Si stava chiedendo se non sarebbe stato il caso di girare sui tacchi e andarsene quando la porta si aprì, infrangendo sul nascere i suoi piani di fuga. 
Sulla soglia della casa comparve la figura sorridente di Stephanie, visibilmente più rilassata di lui, che lo guardò con affetto e gli fece cenno di entrare: 
“Reg! Cosa ci fai qui fuori, vieni dentro!”
“Ecco, io… stavo…”

Si stava preparando psicologicamente, ma il ragazzo preferì non farglielo sapere e lascio che la Grifondoro sorridesse e lo trascinasse con sè all’interno della casa prendendolo delicatamente per un braccio. 

“Non vedevo l’ora che arrivassi… vieni.”
Lui invece aveva atteso quel momento con tanta più ansia dei G.U.F.O., ma preferì non farglielo sapere mentre la ragazza, prendendolo per mano, lo conduceva verso il salotto.

“Nervoso?”
“Un po’.”
“Non devi, mia madre ti adorerà! E poi già conosci mio fratello… mia sorella invece non c’è, te la presenterò un’altra volta. Come siamo belli… ti sei tirato a lucido per la mia famiglia?”

Stephanie si fermò e gli sorrise, sistemandogli il colletto ormai leggermente stropicciato della camicia mentre il ragazzo annuiva. Fece per farle un complimento a sua volta, trovandola davvero graziosa con i capelli biondi raccolti sulla nuca, il vestito blu addosso e l’immancabile sorriso ad illuminarle il volto, ma l’entrata in scena del fratellino della ragazza glielo impedì:

“Ciao Reg! Sbrigatevi piccioncini, sto morendo di fame!”
“Gwain, non essere sgarbato, Regan è un ospite. Vieni.”

Stephanie gli sorrise e, facendogli cenno di seguirla, lo condusse verso la soglia del salotto mentre il giovane Grifondoro, passando accanto al “cognato”, gli rivolse un’occhiata quasi compassionevole.

“Mamma, papà? Vi presento Regan.”

Nell’arco di un attimo il Serpeverde si ritrovò con gli occhi dei genitori della ragazza puntati addosso, che sembravano aver parlato – probabilmente di LUI, immaginò – fino ad un attimo prima, la Signora Noone seduta sul divano e il marito accanto e sporto leggermente verso di lei che occupava una poltrona. 

Dopo una frazione di secondo passata a studiarlo la medimaga piegò le labbra in un sorriso, alzandosi per avvicinarsi a figlia e ospite:

“Salve Regan… è bello conoscerti, finalmente.”

Una vocina nella sua testa gli suggerì caldamente di sfoggiare tutto il suo lato adorabile e il ragazzo si affrettò a sorridere di rimando, assicurando alla futura suocera che conoscerla era un piacere e che la casa era splendida, il tutto mentre Stephanie stringeva ancora delicatamente il suo braccio coperto dalla giacca 
Vide la sua espressione addolcirsi ulteriormente e provò un leggero moto di soddisfazione, rilassandosi leggermente: come gli aveva insegnato sua madre, i complimenti non erano mai troppi in certe situazioni… e lui era sempre stato un maestro, fin da bambino, a farsi benvolere dalla gente.

Certo, bisognava sperare che la regola valesse anche per i genitori di Stephanie… l’avrebbero adorato, ma questo Regan ancora non poteva saperlo.


“Garret? Non farti pregare, vieni a salutare Regan.”

Megan si voltò e rivolse un cenno perentorio al marito, che roteò gli occhi mentre si alzava, sbuffando leggermente, per poi avvicinarsi al ragazzo e porgergli la mano, osservandolo con attenzione:

“Piacere di conoscerla, Signor Noone. Stephanie mi ha parlato moltissimo di lei.”

E di come fosse sempre stata la sua “principessa”.
Ahia. 

“Anche lei ci ha parlato molto di te…”

Dal modo in cui lo guardò, Regan seppe che stava per arrivare la prima di una lunga serie di domande, così si preparò ad accoglierla nel miglior modo possibile, senza battere ciglio o scomporsi minimamente:

“… Dimmi, ti ha detto del suo voler entrare all’Accademia per diventare Auror?”
“Certamente.”
“E cosa pensi a riguardo?”

“Che Stephanie deve seguire la sua strada, ha perfettamente le potenzialità per riuscirci. È molto determinata.”
“Lo so.”

L’Auror annuì, sorridendo e rivolgendo un’occhiata quasi adorante alla figlia mentre la moglie suggeriva caldamente di andare a prendere posto a tavola per evitare che si facesse troppo tardi per cenare e Stephanie arrossiva leggermente, sorridendo con orgoglio.

Anche Regan sorrise, con una punta di soddisfazione che nessuno nella stanza colse: aveva l’impressione di aver appena guadagnato qualche punto. Sua madre aveva ragione, dopotutto, sull’efficacia dei complimenti. 



*


“… Il Re, umiliato, eseguì gli ordini. Infine, quando tutti se ne furono andati, un coniglio con una bacchetta in bocca uscì da sotto il ceppo, e se ne andò saltellando. Nessuno cacciò più i maghi e le streghe da quel regno e Baba continuò serena con la propria vita.”

Henry MacMillan, seduto sul letto della figlia e appoggiato alla testiera, si voltò verso la bambina dopo aver terminato la storia, sorridendo leggermente quando la vide strofinarsi gli occhi:

“Finita. È ora di andare a dormire?”
“No. Un’altra.”  La bambina, già sotto le coperte e rannicchiata accanto a lui, scosse il capo e parlò con un mormorio assonnato prima di sbadigliare, facendo sorridere il padre che chiuse il libro per accarezzarle la testa e poi darle un bacio tra i capelli.

“Domani, Elly, non vedi come sei stanca?”
“Ma voglio stare con te!”
“Posso restare qui finché non ti addormenti, se vuoi.”

La bambina annuì e lo abbracciò, appoggiando la testa sul suo petto mentre il padre lasciava il libro sul comodino e spegneva tutte le candele con un pigro colpo di bacchetta, accarezzandole delicatamente i capelli subito dopo finché Elena non si addormentò, smettendo di sentire il tocco delle sue dita.



“Sono felice che tu abbia accettato di parlare.”
“Solo perché mi hai incastrata piombando qui a sorpresa.”

Elena sbuffò, rivolgendo un’occhiata torva al padre prima di tornare a concentrarsi sulla tazza di thè che teneva in mano, leggermente a disagio. Era andata a trovare la nonna paterna e sembrava che suo padre avesse avuto la stessa idea, visto che se l’era trovato davanti… aveva provato a girare sui tacchi e andarsene, ma alla fine aveva ceduto. 
Ed ora, eccoli lì.


“Ascolta, Elly… capisco che tu sia arrabbiata con me e che stia prendendo le parti di tua madre, ma spero che tu un giorno possa perdonarmi. Sei mia figlia, non voglio perderti.”
“Non preoccuparti, hai già sostituito mamma e a breve potrai sostituire anche me.”

“Non essere sciocca, non potrei mai sostituirti. Tua madre si è sempre colpevolizzata di non essere riuscita ad avere altri figli dopo di te, ma non è stato QUESTO. Ho sofferto anche io dopo gli aborti ma non le ho mai fatto pesare niente, non era così importante avere altri figli.”

“Beh, evidentemente io e lei non ti siamo bastate lo stesso.”
“Tu sei un altro discorso, Elly, sei mia figlia e non voglio che fu mi escluda completamente dalla tua vita.”

Elena sbuffò alle parole del padre, continuando ad evitare di guardarlo e borbottando qualcosa su come Gabriel non si fosse sbagliato sul fatto che il padre si sentisse in colpa nei suoi confronti.
Henry invece aggrottò la fronte cogliendo qualche parola della figlia, guardandola con curiosità:

“Chi è Gabriel?”
“Nessuno che debba interessarti. Davvero, non ti capisco. Non capisco che cosa vuoi da me… prima sparisci per settimane e poi mi assilli perché non mi vuoi perdere? Ti senti solo in colpa, papà, e forse anche in trappola. Vorresti tornare indietro come hai sempre fatto, ma questa volta non puoi farlo.”
“Io non sono sparito dalla TUA vita, Elena, tu hai deciso di tagliarmi fuori non leggendo le mie lettere o rifiutandoti di vedermi, sai che m’importa di te.”

“Come sta Victoria?”
“Bene.”
“Il bastardo quando dovrebbe nascere? Sei sicuro che sia tuo, a proposito?”


“Lo vedi? Non sei felice. Io SO che non sei felice, perché le tue storie non sono mai durate, ti sei sempre pentito e sei tornato dalla mamma. A Natale mi hai detto di non amarla più, ma è l’unica da cui sei sempre tornato, alla fine… questa volta invece non puoi farlo, sei legato a quella, ormai. Guarda il lato positivo, perdi una famiglia ma ne guadagni un’altra nuova di zecca. Sono sicura che non la ami… c’è qualcuno che hai mai amato davvero?”

“Elena. Sei davvero sicura di volermi fuori dalla tua vita? Se avrai bisogno di me ci sarò, ma posso sparire dalla tua vista, se proprio lo desideri.”

Elena esitò, non sapendo cosa rispondere. Se l’era chiesto molte volte, sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma forse non era ancora pronta a dare quella risposta.

“Io… Se ti rivorrò nella mia vita verrò a cercarti. Altrimenti, ti prego di starmi lontano… vorrei davvero lasciarmi tutto questo alle spalle, per quanto possibile.”

Elena strinse la presa sulla tazza che teneva in mano, sentendolo sospirare e immaginandolo annuire mentre si alzava lentamente dal divano, avvicinandolesi per superarla e uscire dal salotto.
Pensava che se ne sarebbe andato senza dire nulla – dopotutto era un maestro in quello – ma suo padre esitò quando l’ebbe raggiunta, sfiorandole la testa con una carezza: 

“D’accordo, come vuoi. Ma certo che c’è qualcuno che ho amato davvero, Elly.”

La ragazza s’irrigidì, mordendosi il labbro e imponendosi di non dire niente e di non alzare la testa per incrociare il suo sguardo, certa che in quel caso sarebbe stato tutto molto più difficile. Lasciò che se ne andasse senza aggiungere altro, sospirando quando sentì la porta chiudersi. 

Sua nonna, che li aveva lasciati soli, la raggiunse sentendo che il figlio se n’era andato, sospirando quando trovò la nipote rannicchiata su una poltrona con gli occhi lucidi e avvicinandolesi per abbracciarla:

“Se n’è andato? Oh, tesoro… vieni qui, sfogati pure. Ma tu guarda cosa mi tocca vedere, io non ho cresciuto un simile imbecille! Gli ho detto di non farsi più vedere, sai? Non la voglio neanche guardare, quella donna!”


*


Quando vide il gufo planare sul davanzale e picchiettare sul vetro della finestra per attirare la sua attenzione Jade era seduta sul suo letto e impegnata a chiacchierare con la cugina, sprofondata nella sua poltrona. 

“Scusa un attimo.”
Jade si alzò, riconoscendo il gufo e dimenticandosi momentaneamente di avere il gatto Ball sulle ginocchia, che scivolò sul pavimento miagolando in segno di protesta prima di guardare la padrona con stizza e trotterellare verso Mandy, saltandole sulle ginocchia mentre Jade apriva la finestra per far entrare il rapace:

“Scusa Ball… vediamo cosa mi racconta Iphe.”
“Lei e Andrew hanno fatto qualche passo avanti?”
“Mi faranno venire un esaurimento entro il diploma, Mandy…”

Jade sospirò e scosse il capo con aria rassegnata mentre chiudeva la finestra, tornando poi a sedersi sul letto mentre apriva la busta con curiosità. 
Lesse rapidamente le righe che l’amica le aveva scritto con evidente fretta a causa dell’inclinazione della calligrafia, sgranando gli occhi sempre con maggior stupore mentre andava avanti con la lettura.

“Jade? Tutto bene? Hai una faccia…”
“MERLINO! Non ci credo! Finalmente… aspetta qui, vado a prendere un rotolo di pergamena, le devo assolutamente rispondere subito!”

Jade sfoggiò un largo sorriso prima di balzare giù dal letto e correre fuori dalla camera, lasciando la cugina sola con Ball sulle ginocchia e un sopracciglio inarcato:

“Santo Godric, temo che abbia già avuto l’esaurimento… cosa le sarà preso secondo te?!”



*


“È proprio necessario affrontare nuovamente l’argomento? Ho già chiarito come la penso e non intendo cambiare idea, non sono un soprammobile da tirare fuori da una credenza per essere messo in mostra dopo 17 anni.”

Beatrix, seduta in soggiorno su una poltrona, di fronte alla madre, guardò la donna sospirare con le braccia conserte e un’espressione quasi tesa che di rado le si poteva scorgere sul volto:

“Tesoro, so come la pensi, ma tuo padre vuole solamente…”
“Già, perché non viene ad affrontare l’argomento di persona? È forse occupato con i festeggiamenti per il lieto evento?”

Sua madre sembrò voler ignorare il suo tono eloquente – e anche la debole risata che Markus non tentò nemmeno di nascondere, da un angolo della stanza – e si rivolse alla figlia con tono quasi implorante:

“Beatrix, è importante. Per favore, prendi una decisione pensata e non per far ripicca a tuo padre.”
“Non si tratta di ripicca, mamma! Io voglio allontanarmi da quella famiglia, sono stanca di essere sempre e solo la bastarda dei Burke, non voglio chiamarmi come lui!”
“Se ti riconoscesse non saresti più solo questo.”
“Oh, ti prego, noi saremo sempre e solo i bastardi di Marcellus Burke, anche Mark. Vuoi forse dirmi che pensi che sia una scelta dettata da affetto o una qualche forma di pentimento? No mamma, sono maggiorenne e tra un anno sarò sul punto di diplomarmi, probabilmente vuole solo vendere sua figlia al miglior offerente e infondo lo sai anche tu. Come fai a sopportare tutto questo?”

Beatrix guardò la madre con gli occhi chiari sgranati, carichi di stupore: più il tempo passava, meno la capiva. Lei già mal sopportava la sua situazione ma quella di sua madre era peggiore… com’era intrattenere una relazione da così tanto tempo con un uomo sposato, che ora stava persino per avere l’ennesimo figlio con sua moglie? 
Voleva bene a sua madre, le era grata per averli praticamente cresciuti da sola… ma non poteva fare a meno di non condividere molte sue scelte. 

“Non tutti possono permettersi una vita perfetta, Beatrix. E sai che voglio solo il meglio per voi.”
“Beh, abbiamo opinioni diverse. Ti voglio bene mamma, ma se forse tu accetti passivamente la tua etichetta, io sono stanca della mia e vorrei liberarmene… voglio essere solo Beatrix Morgan, nient’altro. Posso sapere, invece, cosa pensi di questo sesto figlio?”

“Non ne voglio parlare con te, stiamo affrontando un’altra conversazione.”
“Ma come ci riesci? Come lo sopporti? Tu e mio padre non siete legalmente vincolati, avete quattro figli e una relazione alle spalle che dura da vent’anni, ma tu potresti prendere a lasciarlo da un giorno all’altro, volendo… hai scelto di avere una relazione con un uomo sposato appartenente ad una famiglia in vista, hai avuto quattro figli con lui e hai continuato a vivere nella sua stessa comunità, in una casa di SUA proprietà. Ci hai esposti al giudizio e agli occhi di chiunque e sono stanca, mamma, di essere ritenuta da tutti un errore, quindi non cambierò idea, prima mi libero dell’ombra di mio padre è meglio sarà… buonanotte.”

La Tassorosso si alzò e raggiunse la soglia della stanza, cogliendo distrattamente un sorriso soddisfatto sul volto del fratello prima che la madre la chiamasse nuovamente, pregandola di pensarci e di non prendere una decisione affrettata, ma Beatrix sentenziò di aver già deciso prima di allontanarsi, senza fermarsi o voltarsi nuovamente indietro.

 “Scusa mamma, Beatrix è molto buona e accondiscendente, ma prima o poi sapevate che avrebbe fatto valere la propria opinione… e mentirei se dicessi che non ne sono felice. Io stesso voglio liberarmi di questo cognome, non la biasimo se non vuole smettere di chiamarsi Morgan. Solo, posso essere presente quando lo dirai a papà? Sarà piacevole vedere, per una volta, la sua faccia nel rendersi conto che qualcosa non andrà come aveva pianificato. A chi voleva vendere mia sorella?”

“Non ha importanza, suppongo. E sappi che non fa piacere nemmeno a me, vorrei solo assicurarvi la miglior condizione possibile.”
‘Lo sappiamo, mamma, ma restando qui, vicino a nostro padre, ci hai esposti a dicerie, insulti, maldicenze, giudizi… non è stato facile per te, ma nemmeno per noi. E se a differenza nostra tu hai potuto scegliere, al tempo, ora è il turno di Beatrix.”


*


Elisabeth rideva mentre, sul tavolo davanti a cui era seduta per fare i compiti, il suo libro di matematica faceva le piroette e ballava il tip-tap dopo essere stato incantato da Axel.

“D’accordo signorina, forse adesso dovresti usare il libro per fare i compiti…”
“Di certo i tuoi sono più divertenti! Fammi vedere qualcos’altro!”

La bambina di nove anni sorrise, gli occhi azzurri luccicanti mentre il fratello annuiva, sfoderando di nuovo la bacchetta:

“Va bene… cosa vuoi vedere?”
“Fai qualcosa su di me!”

Axel aggrottò la fronte, indeciso sul da farsi: di certo trasformarla in qualcosa non era una buona idea, sua madre l’avrebbe ucciso… così sorrise e agitò leggermente la bacchetta e un attimo dopo Elisabeth, con un urletto di sorpresa, si ritrovò a testa in giù, galleggiando a mezz’aria. 
Dopo un attimo di stupore la bambina scoppiò a ridere, decretando che essere un mago doveva essere fantastico prima che il fratello la rimettesse con I piedi per terra, dando comunque il tempo ad Edward di entrare in cucina e assistere alla scena.

“Papà non vuole che fai quelle cose su di lei, Axel.”
“Allora è una fortuna che ora non sia qui. E poi sta benissimo, non le farei mai niente che potrebbe recarle danni.”
“Dai Ed, è divertente! Prova anche tu, Axel sa fare un sacco di cose.”

Elisabeth sorrise, guardando il fratello maggiore con affetto: da quando aveva compiuto 17 anni, l’anno prima, quando tornava a casa per le vacanze adoro guardarlo fare “quelle cose strane con il legnetto”.

“No, grazie, non mi interessa.”
Edward rivolse un’occhiata torva al fratello maggiore prima di uscire dalla cucina, lasciandoli di nuovo soli mentre la bambina scuoteva il capo con decisione:

“Lui e papà non capiscono niente, io darei qualunque cosa per essere come te!”
“Sei speciale anche tu, Lis.”

Axel sorrise con affetto alla sorellina, che si strinse nelle spalle, incupendosi leggermente:

“Mi prometti che non farai lo stesso lavoro di papà?”
“Certo. È abbastanza raro che persone come me intraprendano carriere del genere, sai? A parte il padre di un mio amico, faceva il militare come nostro padre. Ma era un mago come me.”
“E perché lo ha fatto?”
“Beh, alcuni maghi non sono molto gentili con le persone come me. Io sono un mago, ma la mia famiglia non lo è… e nemmeno quella del padre del mio amico lo era. Così ha deciso di cambiare vita.”
“E ora?”

Era morto durante la prima Guerra Mondiale, in realtà, ma Axel ritenne che non fosse il caso di farlo sapere alla sorellina, già abbastanza preoccupata per il lavoro del padre che Edward sembrava voler emulare… così si costrinse a sorridere, stringendosi nelle spalle:

“Beh, ora sta bene.”
“Quindi c’è qualcuno che ti tratta male, Axel?!”

Elisabeth aggrottò la fronte e Axel scosse il capo, cercando di non ridere immaginando la sorellina insultare i Purosangue che maltrattavano il suo adorato fratellone:

“No, no, tranquilla, so cavarmela… e poi Elena mi difende.”
“Meno male! A proposito, si è messa insieme a quel ragazzo?!”

La bambina sorrise con aria complice e si sporse leggermente verso di lui, parlando con curiosità mentre il fratello aggrottata la fronte, rispondendo con fare dubbioso: 

“Dovrei smetterla di raccontarti le cose, signorina, ne sai un po’ troppe…”






……………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non ci siano errori, ma sono tornata un’ora fa dopo alcuni giorni passati in giro per il Paese e l’ho riletto a “grandi linee”. 
A presto! 
Signorina Granger 

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Capitolo 23
*** Grifondoro - Tassorosso ***


Sono riuscita a ritagliarmi qualche minuto dall’oppressione dei parenti Per pubblicare , quindi ecco il capitolo… Buona Pasqua!



Capitolo 21: Grifondoro – Tassorosso 

 
Domenica 20 Aprile


Iphigenia stava sistemando il baule in uno scompartimento vuoto quando sentì dei passi affrettati alle sue spalle. Voltandosi istintivamente, quasi senza pensarci, per vedere di chi si trattasse la bionda si ritrovò stretta in un abbraccio dalla sua migliore amica quasi senza avere il tempo di riconoscerla.

“Ciao Jade, mi sei mancata anche tu…”
“Non immagini quanto sono felice! Ma allora avete due cervelli nascosti da qualche parte! Sapevo che non potevi essere così stupida!”

“Ti ringrazio…”

Iphigenia inarcò un sopracciglio mentre Jade, ignorando deliberatamente il suo tono, continuava bellamente a sorridere e scioglieva l’abbraccio, guardandola con soddisfazione:

“Adesso ovviamente mi devi raccontare tutto per bene.”
“Mia sorella non ti ha scritto per raccontarti i dettagli?”
“Certo, ma voglio sentire anche la versione a voce alta!”

Jade appellò il suo baule con un sorriso per sistemarlo accanto a quello dell’amica, che sgranò gli occhi: in realtà la sua era stata una domanda retorica, ma a quanto sembrava Electra l’aveva fatto davvero.
Si chiese da quanto tempo fossero in combutta quelle due, ma decise che infondo preferiva non saperlo.


*



“Cosa stai leggendo, questa volta?”
Katherine alzò lo sguardo su Gabriel e sorrise mentre, seduta in uno scompartimento in compagnia del ragazzo e di una Beatrix mezza addormentata, leggeva tenendo un Darcy acciambellato sulle ginocchia:

“È nuovo, è uscito da poco… s’intitola “Omicidio sull’Orient Express”!”
“Parla di un treno?”
“Sì! Il protagonista è un detective belga che si trova su questo lussuoso treno, ma durante il tragitto si scopre che uno dei passeggeri è stato ucciso brutalmente con dodici coltellate.”
“Brutta fine, direi.”

“Una pessima fine, ma da quel che ho capito finora non era certo uno stinco di santo! Ti immagini, sei su un treno che ti godi il viaggio ed ecco che viene trovato un cadavere martoriato con tanta brutalità! Fantastico!”

Katherine sorrise prima di tornare a leggere mentre Gabriel invece, aggrottò la fronte, parlando con tono dubbioso mentre scrutava l’amica:

“Sì, Kat, potremmo parlarne una volta scesi dal treno?”
“Cosa c’è Gabri, paura che dodici persone possano accoltellarti stanotte, mentre dormi? Tranquillo, ti difenderò io.”
“Perché dovrebbero volermi morto in 12?!”

“Non so, magari tutte le ragazze che hai snobbato per Elena…”
“È assurdo che dodici persone si coalizzino per uccidere qualcuno!”
“Secondo me invece è andata così… vedremo, vedremo.”

“Shhh! Voglio dormire, parlate di omicidi in un altro scompartimento!”


*


Venerdì 25 Aprile


Quando Aurora Temple raggiunse la Sala Comune di Corvonero in compagnia di Evie il suo sorriso aumentò vistosamente, affrettandosi a raggiungere il ragazzo che fino a quel momento era rimasto seduto su una poltrona e che si alzò appena in tempo per ricambiare il suo abbraccio, sorridendo:

“Buongiorno Aury… Buon compleanno.”
“Devi proprio continuare a chiamarmi così?”
“Sì.”

Sean annuì mentre la Corvonero, continuando a tenere le braccia strette intorno al suo collo, si allontanava di qualche centimetro per poterlo guardare in faccia. Un sorriso allegro tornò irrimediabilmente a fare capolino sul viso pallido della ragazza di fronte a quello del Serpeverde, incapace di non ricambiarlo mentre Sean si chinava leggermente per baciarla, stringendola per la vita.

Evangeline, invece, roteò gli occhi e decise di risparmiare l’amica da qualche commento acido – dopotutto era il suo compleanno e voleva essere buona – mentre un’altra figura li raggiungeva, fermandosi accanto alla bionda con un gran sorriso sulle labbra carnose:

“Non sono carini?!”
“Ciao Charlie. Sì, sono felice per loro anche io… di te però non l’avrei mai detto, sei molto gelosa di tuo fratello.”
“Certo, ma voglio bene ad Aurora e sarei felice di averla in famiglia… e poi lei si che è alla sua altezza, non come quel branco di oche bavose…”

Charlotte storse il naso con stizza, liquidando il discorso con un rapido gesto della mano mentre Evangeline sorrideva, divertita, e Aurora si voltava verso le due sbuffando debolmente:

“Potreste fare commenti a voce più bassa?”
“Scusa cara, abbiamo disturbato il tuo momento romantico con Seannie… buon compleanno, comunque.”

Charlotte sorrise un’ultima volta, strizzando l’occhio al fratello prima di uscire dalla Sala Comune con aria allegra, seguita da Evangeline e subito dopo anche da Sean e Aurora, che lasciarono la stanza mano nella mano.


*


Domenica 27 Aprile 


Iphigenia, dopo essersi alzata prima del solito come sempre quando doveva giocare una partita, sorrise quando trovò Andrew ad aspettarla appena fuori dalla porta che conduceva al Dormitorio femminile, rilassandosi leggermente nel scorgere il sorriso rassicurante del ragazzo:

“Buongiorno. Sei pronta a fare buon uso della tua temibile mazza?”
“Credo di sì. Non mi perdonerei mai se dovessi farmi sfuggire la Coppa da sotto al naso proprio al nostro ultimo anno… Come sapevi che sarei scesa a quest’ora?”

Iphigenia aggrottò la fronte, guardando il rosso con una punta di perplessità mentre questi, quando lei fece per passargli davanti, la prese delicatamente per la vita per attirarla gentilmente a sè e baciarla dolcemente. 
Di norma alla Tassorosso non andava particolarmente giù l’essere zittita, ma in quel momento non ci badò e gli prese il viso tra le mani, alzandosi in punta di piedi per diminuire in piccola parte la differenza d’altezza che c’era tra loro. In fin dei conti, si disse, quello era un modo decisamente piacevole di essere zittita. 

Andrew le sorrise quando si staccò, guardandola con una nota quasi divertita negli occhi color cioccolato:

“Scendi sempre a quest’ora quando giochiamo, Iphe. Mi accorgo di un sacco di cose, sai?”
“Ah, davvero? Però non mi hai osservata abbastanza bene da accorgerti di piacermi, pare.”
“Avevo paura di prendere un granchio e rovinare tutto! Ma hai ragione, sono stato stupido… come si può pensare di resistermi, dopotutto?”

“Adesso non esagerare… andiamo, Marcantonio, abbiamo una Coppa da portare a casa.”


Iphigenia sorrise a sua volta mentre, dopo aver sciolto l’abbraccio e ignorato la debole protesta di Andrew, prendeva il ragazzo per mano per condurlo verso la porta della Sala Comune, sentendosi molto meno nervosa rispetto al solito quando aveva una partita da giocare. 


*


“Buona fortuna.”
Dopo averla accompagnata fino alla soglia degli spogliatoi Regan sorrise a Stephanie mentre la cingeva delicatamente con le braccia, dandole un lieve bacio a fior di labbra e facendo sorridere la Grifondoro di riflesso:

“Grazie, ne avrò bisogno… è la mia ultima partita, è così strano!”
“Un motivo in più per impegnarsi e fare del proprio meglio… stai attenta, però.”

“Tranquillo, farò il possibile per evitare i Bolidi di Iphigenia. Di norma è carina, ma sul campo diventa una specie di macchina da guerra…”
“Beh, in tal caso stalle alla larga. Ci vediamo dopo biondina, stendili.”

Regan le sorrise un’ultima volta prima di sciogliere l’abbraccio e allontanarsi, mentre Stephanie, dopo aver brevemente indugiato con lo sguardo sulla sua mano che scivolava dalla presa del ragazzo, respirò profondamente prima di entrare nel suo spogliatoio, rischiando di essere investita da una Katherine impegnata a misurare la stanza a grandi passi. 

“Ehm… ciao a tutti.”
“Steph, eccoti! Temevo ci volessi dare buca.”
“Scusa, ero qui fuori con…”
“Sì, sì, con bei capelli, lo sappiamo.”

Stephanie aggrottò la fronte e fece per chiedere alla Capitana se per caso non li avessero spiati fino a due minuti prima, ma la voce di Markus la precedette: 

“Kat, rilassati e ti prego smettila di camminare! Mi stai facendo venire il mal di mare.”
“Cammino quanto mi pare Mark, smettila di fare così!”
“Non sto facendo niente!”
“… è proprio questo il punto, fai qualcosa e renditi utile in qualche modo invece di parlare!”


Markus sospirò, alzando gli occhi al cielo e decidendo di lasciar perdere mentre la bionda, sorridendo leggermente, si avvicinava a Katherine per metterle una mano sulla spalla:

“Kat, Mark ha ragione… rilassati.”
“Non mi posso rilassare, è la finale!”
“Beh, sei al sesto anno, se anche perdessimo ti rifarai l’anno prossimo, ok? E poi, sempre meglio perdere contro i Tassorosso che contro i Serpeverde, no?”
Stephanie sorrise, parlando con il tono più gentile ed incoraggiante che le riuscì ma voltandosi di nuovo verso il compagno di squadra quando Markus parlò, questa volta rivolgendosi direttamente a lei:
“Scusa Steph, ma tecnicamente il tuo ragazzo non è in quella Casa?”

“Kat ha ragione Mark, fai qualcosa di utile e non parlare!”
“E poi le femministe hanno tanto da parlare, se vedessero come vengo trattato da voi cambierebbero subito bandiera!”


*


“Perché ho la sensazione che oggi sarai molto più gentile del solito visto che giocano Grifondoro e Tassorosso?”
“Chi sono io per giudicare le tue sensazioni, Gabri?”

Elena sorrise a Gabriel con aria divertita alla domanda del ragazzo, che le rivolse un’occhiata arrendevole mentre erano fermi davanti alle scale che portavano alla Tribuna d’Onore:

“Beh, sento che oggi non mi sbaglierò. Spero che vinca Grifondoro, comunque, quindi sono con te.”
“Katherine ti ucciderebbe se non tifassi per lei?”
“Sta leggendo dei libri pieni di omicidi, ho paura che possa prendere ispirazione e farsi venire strane idee!”

Elena rise ma il ragazzo non la imitò, guardandola con gli occhi chiari spalancati mentre le teneva distrattamente una mano:

“Non sto scherzando, nell’ultimo un poveretto veniva ucciso con docili coltellate! Ti immagini?!”
“Non penso che Kat ti ucciderebbe mai in quel modo tesoro, dev’essere molto faticoso!”

“Magari si troverebbe un complice.”
“Tipo chi, Giselle?!”
“Esattamente.”

Gabriel annuì, serio in volto, ma Elena sbuffò e roteò gli occhi, guardandolo con un sopracciglio inarcato:

“Non essere ridicolo, non le hai fatto niente di male. Vi siete lasciati e basta, ma non l’hai certo tradita o simili! Anzi, secondo me potresti piacerle ancora.”
“Era ben felice quando abbiamo rotto Elly, ne dubito fortemente.”

“Sai come si dice, ci si accorge dell’importanza di qualcosa solo quando la si perde… Pazienza, se anche si fosse accorta solo ora di quanto tu sia speciale ormai qualcuna ti ha già accalappiato. Adesso vado, ci vediamo dopo.”

Elena si alzò in punta di piedi per dare un fugace bacio a stampo sulle labbra del ragazzo prima di affrettarsi a salire le scale, sparendo dalla sua visuale prima di dargli il tempo di dire qualcosa, magari per chiederle di ripetere la parte dove lo aveva definito “speciale”. 


*


Quella mattina Jade si era svegliata con una gran voglia di dormire e molta meno voglia di vedere la partita, ma non aveva potuto sottrarsi considerando che giocava non solo la sua stessa Casa, ma più nello specifico i suoi migliori amici. 

“Ho sentito che Andrew ed Iphigenia stanno insieme… hai usato il Veritaserum, alla fine?”
“Chi te lo ha detto? Comunque no, ho lasciato che le cose seguissero il loro corso e miracolosamente sono andate per il verso giusto, alla fine.”

Jade sorrise mentre si voltava verso Axel, che era appena comparso accanto a lei e ora teneva gli occhi chiari fissi su Stephanie, che stringeva la Pluffa sottobraccio mentre sfrecciava verso gli anelli dei Tassorosso, davanti ai quali Andrew galleggiava a mezz’aria.

“Steph ed Elly. Quelle due sanno sempre tutto, non chiedermi come.”
“Beh, io stessa devo ammettere che facendo le ronde e andando sempre in giro per la scuola si scoprono un sacco di cose. E sappiamo tutti quanti Elena sia curiosa… come sta? Meglio? Dalla sua cronaca mi sembra di sì.”

Axel abbozzò un sorriso e si voltò verso la Tribuna d’Onore, dove la figura di Elena era possibile da scorgere anche a distanza grazie alla chioma caratteristica che scintillava sotto il sola. 

“Sì, abbastanza. Anche se in realtà penso che non voglia semplicemente darlo a vedere… ma ora non vedrà i suoi genitori per un bel po’, le farà bene. E anche se non mi piace particolarmente ammetterlo, Greengrass le è stato molto d’aiuto. Credo che lei gli piaccia davvero.”
“Se te ne sei reso conto solo ora Axel, sei cieco come una talpa anche tu! E meno male che sono io quella che porta gli occhiali qui!”


*


“Finalmente una partita senza il gelo ad attanagliarmi le viscere! Aprile è praticamente finito, non è fantastico?”

Adela sorrise allegramente mentre seguiva la partita con interesse, seduta accanto ad Hector e ben lieta di non essersi presentata allo stadio imbacuccata come “un inuit con il raffreddore”, come l’aveva definita Charlotte in passato. 

“Già, tra meno di due mesi la scuola sarà finita… e quest’anno non abbiamo nemmeno gli esami. Non quelli importanti, almeno.”

Hector sorrise, a sua volta di buonumore grazie al bel tempo che aveva finalmente deciso di far loro visita mentre qualcuno, a poca distanza, si teneva il viso tra le mani e sbuffava come una ciminiera, pentita di essere andata alla partita:

“Charlotte, cos’hai?”
“Mi annoio! Ecco cosa succede a prodigarsi per far finire tutti felici e contenti, all’improvviso le tue  migliori amiche sono tutte impegnate a fare gli occhi dolci a tuo fratello o al tuo migliore amico! A parte Kat, ma lei sta giocando, quindi….”

“Povera Charlie… se ti senti sola puoi sempre andare a fare gli occhi dolci a Cavendish!”

Adela e Hector ridacchiarono ma l’amica non li imitò, piegando le labbra in una smorfia disgustata e lanciando un’occhiata più che torva nella loro direzione:

“Piuttosto vado a farli allo stupido gatto di Aurora. E poi il Piccolo Lord ha già chi gli fa gli occhi dolci, anche se non capisco perché… cosa ci trovano in lui tutte quelle galline?!”

Charlotte sbuffò, immaginando chiaramente William in quel momento, seduto da qualche parte con una mandria di sanguisughe attorno mentre Adela si stringeva nelle spalle, parlando con tono neutro:

“Vuoi dire a parte la bellezza, il denaro, l’intelligenza… che c’è? Non guardami così Thor, facevo solo una lista di cose che gli si devono riconoscere per forza!”

Mentre Adela sgranava gli occhi e si difendeva dall’occhiata piuttosto torva che Hector le aveva rivolto Charlotte tirò fuori un libro dalla borsa, ringraziando mentalmente di essersi ricordata di portarlo con sè al campo. 

“Omicidio sull’Orient Express, questo sì che sembra interessante, altro che quella melensaggine infinita di Via col Vento!”

“Un libro su omicidi in mano a Charlie? Non sarà pericoloso?”
“Tranquillo Thor, a noi vuole bene e ne usciremo immuni, quello che dovrebbe preoccuparsi e un certo Serpeverde… ieri le ha fatto cadere il succo sui capelli, non l’ha presa bene.”


*


“Ma è mai possibile che tu sia ovunque?! Smettila di darmi il tormento e dedicati a qualche gallina che ti cade ai piedi solo perché respiri!”
“Io non ti do il tormento, è pura casualità, o in alternativa TU mi segui.”

“IO? Sprecare il mio tempo per seguire TE? Stai vaneggiando Black, forse guardandoti così tanto allo specchio ti stai ammattendo. E ora spostati dal mio tavolo!”
“Non c’è il tuo nome sopra, mi risulta!”

“Sì, ma io sono arrivata per prima e ci ho lasciato sopra le mie cose prima di andare a prendere un libro, torno e ti trovo qui con questa gallina! Ci sono decine di tavoli Black, sloggia.”

“Non ci penso nemmeno, finché continuerai a parlarmi con questo tono.”


William sospirò, massaggiandosi le tempie con esasperazione: tecnicamente la Biblioteca era un luogo tranquillo, perfetto per concentrarsi, ma quei due glielo stavano deliberatamente impedendo. E a William non era mai piaciuto quando i suoi piani non andavano come da programma. 

Certo, si era preso un periodo di “pausa” per recarsi ad Hogwarts ma doveva comunque lavorare… e non era affatto facile con quei due che battibeccavano a pochi metri di distanza. William alzò lo sguardo per vedere la scena con i propri occhi, quasi ridendo quando scorse Elizabeth Abbott con le mani sui fianchi che ordinava ad Altair Black di spostarsi, mentre il Serpeverde sembrava intenzionato a non muoversi e la poveretta seduta accanto a lui non poteva far altro che tacere e assistere alla scena completamente inerme. 
O almeno, provò a dire qualcosa, forse in difesa del ragazzo, ma venne prontamente fulminata dallo sguardo glaciale della Tassorosso, che sibilò qualcosa ancor prima che la bionda aprisse bocca:

“Non osare dire nulla, tu.”

“Lizzy, non essere così acida, se sei frustrata perché vorresti trovarti al suo posto basta dirlo apertamente… suvvia, rilassati, o ti verranno le rughe e sarebbe un vero peccato per il tuo bel visino.”
Altair sfoggiò un sorrisetto e fece per allungare una mano per sistemarle una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio, ma la ragazza gli afferrò prontamente il polso con una smorfia, informandolo che se avesse provato a toccarla gli avrebbe staccato la mano, oltre che rotto il naso una seconda volta. 

“E non chiamarmi Lizzy!”
“Scusa cara, come posso chiamarti, allora?”
“Come ti pare, ma non così, altrimenti non vorrai farmi ripetere il modo in cui ti chiamerò io se lo rifarai. E ora prendi le tue cose più la gatta morta e sloggia, Black! Ti sei piazzato qui solo perché il tavolo è semi nascosto dallo scaffale di Erbologia e avresti potuto fare i tuoi comodi con questa qui liberamente.”

“O magari ho riconosciuto le tue cose e volevo vederti.”

Altair sorrise, visibilmente divertito mentre si rigirava una penna tra le mani e la Tassorosso continuava ad inveirgli contro.
Mentre William seguiva la scena con discreto interesse, certo.

“Andiamo Lizzy, so che infondo ti piaccio, non fare la preziosa.”
“Continui a vaneggiare Black, trovo molto più attraente l’armatura arrugginita del corridoio qui fuori!”


William sorrise appena alle parole della ragazza, prima di schiarirsi la voce e chiedere cortesemente ai due di fare silenzio, se non volevano perdere una considerevole quantità di punti per le rispettive Case. Lizzy, a quell’avvertimento, rivolse un’ultima occhiata in cagnesco al Serpeverde prima di raccogliere le sue cose e allontanarsi mentre un’altra figura, dopo aver raggiunto la scena, si fermava accanto al tavolo occupato da William:

“Mi sembrava di sentire delle voci… stavano discutendo?”
“Come al solito.”
“Per una stupidaggine?”
“Come al solito.”

“Come sei loquace, Cavendish… comunque, mi ricordano qualcuno.”
“Sì, vagamente.”

William annuì distrattamente, continuando a scarabocchiare sul suo rotolo di pergamena mentre Charlotte, dopo aver osservato Elizabeth allontanarsi con la fronte aggrottata, abbassava lo sguardo su di lui:

“Eri così irritante e supponente.”
“E tu così snervante… ma se parli al passato vuol dire che ho fatto progressi.”
“Magari un po’, sì. Beh, comunque ora devo andare.”
“Bene, ho da fare.”
“Anche io.”
“Bene.”
“Benissimo.”
“Non stavi andando?”
“Un momento, ora me ne vado! Sei ancora irritante, Cavendish.”

Charlotte sbuffò debolmente prima di allontanarsi a grandi passi, non potendo accorgersi dell’occhiata che William le rivolse prima di abbassare di nuovo lo sguardo, scuotendo il capo ma sorridendo comunque debolmente.


*


“Noone tira…! Ma non segna, Maguire prende la Pluffa, mannaggia. Professor Silente, non pensa che i Portieri così alti siano contro le regole, coprono gli anelli restando fermi?! Come dice? … Ops, il Sonorus era ancora attivato… dicevo, la Pluffa è in mano ai Tassorosso, ma viene intercettata da Burke – Bravo Mark! –… Iphigenia Ashworth gli lancia contro un Bolide che avrebbe potuto lasciarci con un Grifondoro in meno, ma per fortuna Wright lo rimanda indietro. Burke supera la metà campo, ma viene tallonato – levati Jackson! –, tira e… segna! 50 a 50, alla faccia di Maguire! Scusa Andrew! Mi raccomando, non danneggiate il Portiere di Tassorosso,  non vogliamo privare Iphigenia della sua nuova metà!”

Le tribune vennero attraversate da una scia di risatine, commenti e fischi alle parole della sorridente e visibilmente divertita Elena, mentre al contrario Iphigenia sbuffò e rivolse un’occhiata torva nella sua direzione, leggermente rossa in volto:

“Se lancio un Bolide contro la Tribuna d’Onore dici che mi espellono?!”
“Non ascoltare Iphe, pensa solo a buttare qualcuno giù dalla scopa!”

“D’accordo…”

La bionda sbuffò ma di fronte al sorriso di Andrew decise di ascoltarlo, sfrecciando in direzione di Katherine.

“Burke ha la Pluffa. Intendo Katherine. Ci sono troppi Burke da queste parti, come si fa poi a non far confusione?!”


*


Iphigenia gli aveva chiesto di farle vedere la cittadina e Andrew era tornato in cucina per chiedere alla madre di potersi prendere il pomeriggio libero. Con sua scarsa sorpresa, la donna aveva sorriso e lo aveva quasi spedito fuori dalla cucina esultando, ma non prima di avergli ordinato di “andare a darsi una sistemata perché lei non aveva cresciuto un barbone, quella barba non le piaceva affatto e doveva cambiarsi la camicia per fare bella figura con quella cara ragazza”. 
Andrew era così uscito dalla cucina sospirando e borbottando un mesto “sì, mamma” prima di intercettare Iphigenia per chiederle di aspettarlo brevemente e rimproverarla quando disse che nel frattempo sarebbe andata a pagare, assicurandole che avrebbe “offerto la casa” e ignorando le sue lamentele.

  
“Sono davvero felice di vederti. Non me l’aspettavo, non sei mai venuta a trovarmi e ora due volte in pochi mesi, ti mancavo così tanto?”
“No, in realtà volevo mangiare qualcosa di buono preparato da tua madre…”

Iphigenia sorrise e Andrew la imitò, camminando sul lungomare accanto a lei con le mani sprofondate nelle tasche. Restò in silenzio per un attimo, prima che Iphigenia parlasse nuovamente, alzando gli occhi al cielo:


“Anche se riuscire a venire qui è stato un vero parto, mio padre non voleva darmi il permesso.”
“Come mai? Sai badare a te stessa.”
“Inizialmente infatti mi ha detto di sì, ma poi mia madre ha avuto la cattiva idea di fare il tuo nome… è un po’ geloso, credo. E mia sorella come sempre invece di aiutare è saltata fuori chiamandoti il mio fidanzato, quindi…”

Iphigenia alzò gli occhi al cielo mentre Andrew, accanto a lei, annuiva leggermente e abbassava lo sguardo per cercare di nascondere il rossore. 

Dopo un attimo di esitazione la ragazza smise di camminare, prendendo delicatamente Andrew per un gomito per invitarlo a fare altrettanto prima di parlare nuovamente, schiarendosi la voce. 
Sapeva che il ragazzo la stava guardando con leggera confusione e si decise ad alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi, parlando con il tono più pacato del suo repertorio:

“Andrew… io ti piaccio?”

Andrew non rispose, limitandosi a guardarla mentre si sentiva quasi confuso, cercando di convincersi di aver capito bene: disgraziatamente, Iphigenia era sempre stata fin troppo diretta.

“C-come?”
“Ti ho chiesto se ti piaccio.”

Iphigenia, che si stava tormentando le mani, si morse nervosamente il labbro, maledicendo mentalmente la sua migliore amica per averle messo in testa quell’idea. 
Merlino, che figuraccia 

Andrew invece, dal canto suo, di fronte a quel gesto si trattenne dall’avvicinarsi e baciarla fino a farla implorare di smettere e non disse nulla, guardandola sospirare e sollevare entrambe le mani:

“Ok, scusa, dimentica quello che ho detto. È tutta colpa di Jade e di mia sorel-“

Iphigenia, che aveva fatto per superare il ragazzo mentre parlava, si sentì afferrare per un braccio e un attimo dopo si ritrovò stretta tra le braccia del ragazzo, con le labbra premute sulle sue e le sue mani sui fianchi.


“Mi hai zittita. Io detesto essere zittita, Maguire.”
“Forse dovrai farci l’abitudine.”


      

Andrew planò verso il suolo così rapidamente da rischiare di schiantarsi, ma saltò giù dalla scopa ad un metro da terra e, sorridendo, raggiunse Iphigenia con un paio di lunghe falcate prima di abbracciarla, sollevandola da terra. 

“Sapevo che avremmo vinto! Tutto merito della mia nanetta letale.”
“Come scusa?! La mia altezza è quasi nella norma, tanto perché tu lo sappia, infatti sono alta 1,60 e mi mancano solo cinque cm per…”

Andrew roteò gli occhi e interruppe la sua filippica baciandola, sorridendo sulle sue labbra quando Iphigenia non lo sgridò o non lo colpì in testa con la sua mazza per averla zittita, ma anzi la sentì sospirare mentre affondava le dita nei suoi ricci color rame. 

“E pensare che lo volevo fare già quando abbiamo vinto l’altra volta…”
“E perché non l’hai fatto?”
“Temevo mi colpissi con la mazza.”
“Non sono così violenta! Cosa pensi, che vada in giro a colpire la gente che non mi va a genio, per caso?”

Iphigenia sbuffò e alzò gli occhi al cielo mentre Andrew, sorridendo, la rimetteva con i piedi per terra e le faceva cenno di raggiungere il resto della squadra dopo averla presa per mano:

“Beh, andiamo, abbiamo una Coppa da sollevare per far rosicare i Serpeverde.”
“Con piacere, aspetto questo momento da Settembre…” 


*


Quando Elena incrociò Gabriel sul campo gli rivolse un inequivocabile cenno in direzione di una Katherine piuttosto giù di corda, ferma s qualche metro di distanza in compagnia del cugino e di Beatrix, che la stava consolando:

“Tu vai da Kat, io da Steph.”
“D’accordo.”

Gabriel annuì e dopo averle rivolto un lieve sorriso si diresse verso l’amica, abbracciandola quando l’ebbe raggiunta:

“Ciao Kat… Mi dispiace, ma sono sicuro che ti rifarai l’anno prossimo.”
“Che vergogna Gabri, sono persino il Capitano! Con che coraggio mi presenterò dalla mia famiglia?! Sento già le prese in giro di Adrian e di mio fratello…”

“Sì, anche io.”  Markus annuì, sfoggiando una smorfia contrariata mentre Katherine si lasciava abbracciare dall’amico e Stephanie, a poca distanza, si faceva invece consolare da Elena ed Axel.

“Ehy.”  Regan sorrise alla bionda quando l’ebbe raggiunta, abbracciandola e assicurandole che era stata bravissima e che non era assolutamente colpa sua se avevano perso. 

“Non mi è mai piaciuto perdere.”
“Lo sappiamo, ma non si può vincere sempre. Come dice sempre mia madre, devi guardare il lato positivo!”

“E quale sarebbe?!”  Stephanie inarcò un sopracciglio e sollevo lo sguardo per incrociare gli occhi chiari del Serpeverde, che invece sfoggiò un largo sorriso e parlò con tono allegro:

“Hai me!”
“… hai ragione Reg, perché non ci ho pensato prima?”
“Non saprei, è una bella domanda.”
“Ed era anche retorica, razza di vanesio!”


*



Sean stava andando in Sala Grande per cenare quando scorse sua sorella camminare nella direzione opposta, come se avesse già cenato, tenendo un libro tra le mani e apparentemente molto presa dalla lettura.
Il Serpeverde sorrise, chiedendosi come facesse la sorella a non inciampare dal momento che teneva gli occhi incollati alle pagine, mentre le si avvicinava, chiamandola per attirare la sua attenzione:

“Ciao! Hai già cenato, così presto?”
Charlotte sollevò lo sguardo dal suo libro e incrocio quello del fratello, ma non gli sorrise e rimase pressoché impassibile mentre parlava con tono piatto:
“Oh, sei tu. No, non mangio, ho da fare, ho solo accompagnato Adela, ora torno di sopra.”

“Non penso proprio signorina, ceni eccome, stasera. Quest’abitudine non mi piace.”

Sean sbuffò e, presa la sorella per un braccio, la condusse verso la soglia della Sala Grande quasi di peso, facendola sbuffare di conseguenza:

“Quando fai così somigli a nostra madre.”
“Pazienza. Come mai questa faccia? Mangiamo insieme, non ti va?”
“Beh, sono felice che tu ti ricordi ancora di avere una sorella, da quando siamo tornati dalle vacanze non mi hai considerata per neanche cinque minuti!”

Sean fece per protestare e dire che si sbagliava, ma riflettendoci forse aveva ragione lei: non ricordava di aver mai mangiato insieme a lei o di essere andato a salutarla per scambiare due parole da quando erano tornati a scuola.

“Scusa. Non preoccuparti Charlie, non mi potrei mai dimenticare della mia cucciola!”
“Non mi chiamare così, e non… !e non mi abbracciare! Basta, lasciami!”


Charlotte non ricambiò la stretta, restando rigida come un tronco, e sbuffò, borbottando che doveva leggere e scoprire chi aveva ucciso la vittima e che non aveva tempo per cenare o per futili abbracci, ma Sean la ignorò e anzi sorrise mentre la stringeva, mormorando che le voleva bene.



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Capitolo 24
*** Compleanni e piccole vendette ***


Capitolo 22: Compleanni e piccole vendette
 
Mercoledì 7 Maggio 



Adela stava seduta sul suo letto, ancora in camicia da notte e i capelli castani leggermente arruffati mentre leggeva con un accenno di sorriso sulle labbra i biglietti che aveva trovato infondo al letto, allegati ai regali che aveva ricevuto e che doveva ancora scartare.

“Sei ancora lì? Faremo tardi!”
“Non cascherà il mondo per una volta, è il mio compleanno!”

Charlotte, che era appena uscita dal bagno impegnata a spazzolarsi i capelli castani, abbozzò un sorriso e si avvicinò al letto dell’amica, sedendo accanto a lei:

“Va bene Signorina Quested, lo dirai tu a Silente?”
“Ho quasi finito, poi mi cambierò in un lampo, giuro.”

“Come stanno i tuoi genitori?”
“Bene. Mia madre ti saluta.”

Charlotte si abbandonò sul materasso, appoggiando la testa sul cuscino dell’amica mentre si rigirava distrattamente la spazzola tra le mani, pensierosa. Parlò solo dopo qualche istante di silenzio, rivolgendo un’occhiata di sbieco all’amica:

“Hanno più detto nulla a proposito di Heslop?”
“No, credo che l’argomento sia stato chiuso durante le vacanze di Pasqua. Ci tenevano e so che ne sono rimasti delusi, ma per fortuna hanno capito e non hanno insistito. Sono sicura che adoreranno Thor.”

“Tutti adorano Thor! Piace anche a mia madre. Quel ragazzo è così educato!”
Charlotte roteò gli occhi mentre Adela, ripiegando con cura il biglietto dei genitori, sorrideva appena e si alzava per mettersi la divisa. Sul letto, intanto, Charlotte non si era mossa di un centimetro e ora osservava il soffitto del baldacchino con la fronte aggrottata, come se fosse stata colpita da una nuova consapevolezza:

“In effetti anche tu piaci a mia madre. E anche Aurora… e anche Evangeline! Le piacciono praticamente tutti i miei amici!”
“Beh, questo è un bene, no?”
“Sì, peccato che passi il tempo a ricordarmi quanto tu e Aurora siate gentili e beneducate… Charlotte, smettila di gesticolare, da chi l’hai imparato? Stai seduta composta, non prendere i cani in braccio! Mi consolo pensando che almeno Kat vive in una situazione simile. Quello non lo leggi?”

“Dopo. Mi passi la cravatta?”

Charlotte si alzò dal letto e lancio la cravatta blu e nera all’amica, guardandola allacciarsela intorno al collo con un sopracciglio inarcato e un debole sorriso sul volto:

“È del tuo amico del cuore?”
“Sì, è di Aziz, e non ricominciare, ti prego.”
“Scusa mia cara, ma se sei così cieca da non renderti conto che ha un debole per te mi sento in dovere di informarti. Cosa direbbe Thor se lo sapesse?”
“Non direbbe niente perché non è così. Ronny non lo sopportava, ma voglio bene ad Aziz e vorrei che lui e Thor andassero d’accordo, quindi tieni le tue insensate teorie per te.”

“Insensate un corno, basta leggere le lettere che ti scrive per capirlo, anche senza che io l’abbia mai visto in faccia! Ti sei mai chiesta perché Ronny non lo sopportasse? A parte perché lui è indiano e probabilmente lo ritiene inferiore a voi, certo… Cielo Adela, prima o poi mi ritroverò a gestire la tua fila di spasimanti come uno vigile in piena Londra!”

Adela sbuffò e la prese per un braccio prima di dirigersi a grandi passi verso la porta della stanza, il biglietto dell’amico indiano infilato in tasca e ignorando i commenti della compagna.


*


Regan stava raggiungendo l’aula di Astronomia insieme a Stephanie quando un ragazzo a lui molto familiare gli si parò davanti, scusandosi ma assicurando che era importante prima di prendere la bionda per un braccio e costringerla a seguirlo qualche metro più in là nel corridoio gremito di studenti, lasciando l’amico sbigottito ma senza dargli il tempo di indagare:

“Gabriel, cosa c’è?”
“Riguarda Elena.”
“È successo qualcosa?”

“No, non preoccuparti… non abbiamo più parlato della sua famiglia, credo che il divorzio stia procedendo. In realtà, volevo chiederti una cosa: tra meno di due settimane è il suo compleanno e tu la conosci meglio di chiunque altro… hai qualche consiglio per il regalo?”

L’espressione tesa sparì dal volto della ragazza, lasciando il posto ad un sorriso radioso mentre guardava il ragazzo quasi intenerita:

“Avrei dovuto immaginarlo. Chi avrebbe mai pensato che fossi così dolce, Greengrass?”
“Eravate voi ad essere piene di pregiudizi, in realtà. Allora, mi aiuterai?”
“Certo, ci penserò e domani ti farò sapere.”

Stephanie annuì, sorridendo al ragazzo prima di voltarsi e tornare da Regan, che l’aspettava con le mani in tasca e lo sguardo carico di curiosità:

“Cosa voleva Gabri?”
“Nulla, chiedermi una cosa per Elly… non sarai mica geloso del tuo amico, vero Reg?”
“Ma figurati.”

Regan sbuffò debolmente mentre la bionda lo prendeva sottobraccio e, continuando a sorridere con visibile divertimento, entrava nell’aula insieme a lui.

“Certo, scusa, che stupidaggini vado dicendo…”


*


“Evangeline, vuoi rallentare?! È presto per correre!”

Aurora gemette mentre affrettava il passo per cercare di stare dietro all’amica, che sfrecciava tra la folla di studenti con una facilità disarmante, visibilmente impaziente di arrivare in classe:

“Non voglio arrivare tardi per Astronomia, sai che ci tengo!”
“Sì, ma la mia testa è ancora sotto le coperte e le mie gambe desiderano tornarci, non muoio dalla voglia di correre!”
“Dovresti ringraziarmi, ti faccio smaltire la colazione!”

Aurora sbuffò, borbottando che le sarebbe servito un altro brownie per riprendersi dalle scale che l’amica le aveva fatto salire di corsa mentre raggiungevano finalmente la porta giusta, affrettandosi a seguire i compagni in classe.
Jack aveva tenuto il posto ad Evie e la bionda lo raggiunse con un sorriso, così ad Aurora non restò che lasciarsi scivolare con un sospiro sulla sedia vuota accanto a Sean, che le sorrise con aria divertita:

“Buongiorno. Già stanca?”
“Io mi sono svegliata già stanca, Sean. Accidenti ad Evie… non hai un brownie nella borsa, vero?”
“No, per queste cose hai chiesto al Selwyn sbagliato, temo.”


*


Beatrix smise momentaneamente di scrivere sul suo rotolo di pergamena per lanciare un’occhiata speranzosa all’orologio appeso sul muro alle spalle della cattedra, inclinando le labbra in una smorfia tetra e carica di delusione nell’appurare che la lezione era solo giunta a metà. 
La bionda sospirò prima di tornare a concentrarsi su ciò che l’insegnante stava dicendo, lanciando un’occhiata di sbieco a Katherine che, seduta accanto a lei, non stava scrivendo già da qualche minuto.

Beatrix sgranò gli occhi quando si rese conto che l’amica stava leggendo un libro – e capì perché la Grifondoro avesse insistito per occupare uno dei banchi infondo all’aula –, e anche con evidente interesse, senza prestare particolare attenzione alla lezione di Incantesimi in corso.

“Kat! Smettila di leggere in classe, prima o poi ti beccheranno!”
“William Cavendish a volte DORME e io non posso leggere?! Almeno faccio qualcosa di stimolante per il mio cervello. Finisco il capitolo, un momento.”

Beatrix sospirò, scuotendo il capo e decidendo di lasciar perdere prima di riprendere a scarabocchiare sul suo rotolo di pergamena. Accanto a lei Katherine tornò a concentrarsi sul libro che teneva sulle ginocchia, divorando le righe con lo sguardo per andare avanti con la lettura il più rapidamente possibile. 

O almeno, finché la voce tagliente ed eloquente dell’insegnate non le fece gelare il sangue nelle vene:

“Signorina Burke, trova la lezione interessante?”

Beatrix sospirò leggermente mentre Katherine si affrettava ad alzare lo sguardo, rivolgendo alla cugina un’occhiata con cui le disse silenziosamente che glie l’aveva detto mentre la Grifondoro abbozzava un sorriso:

“Naturalmente.”
“E di cosa stiamo parlando, me lo sa dire?”
“Dell’Incantesimo di Disillusione e dei suoi effetti collaterali se applicato scorrettamente, professoressa.”

Katherine, per nulla a disagio, sostenne senza battere ciglio lo sguardo della professoressa, forse abituata dopo essere stata colta in flagrante in passato da sua madre. E niente era più agghiacciante dello sguardo gelido di sua madre quando la beccava a fregarsene dei pranzi che organizzava.

“Certo… e immagino che il libro che ha sulle ginocchia parli proprio di questo.”

“In effetti no, ma stavo semplicemente controllando di non averci lasciato dentro il figlio con gli appunti della scorsa lezione… sono molto disordinata.”

Il sorriso angelico non vacillò sulle labbra di Katherine mentre, un paio di file più avanti nella colonna a destra di banchi, William si lasciava sfuggire un debole sbuffo, sibilando qualcosa a mezza voce in direzione di Ronald:

“Certo, stava controllando da dieci minuti…”
“Ha detto qualcosa, Signor Cavendish?”

“Professoressa, le assicuro che l’aveva appena aperto! Le ho chiesto poco fa se potesse farmi vedere i suoi appunti.”

Charlotte si stampò un sorriso tirato sul volto e alzò leggermente la mano, attirando così l’attenzione della Direttrice della sua Casa su di sè:

“Signorina Selwyn, ha per caso conseguito una laurea una Magisprudenza?”

Charlotte si trattenne dal sbuffare apertamente e far notare alla professoressa che per una volta lei era totalmente e assolutamente innocente, limitandosi a borbottare qualcosa con leggera irritazione.
Certo, Cavendish poteva fare tutti i commenti che voleva e nessuno gli diceva nulla 


“No professoressa, volevo solo...”
“Allora le consiglio di non fare l’avvocato della sua amica. Cosa stavo dicendo, Signor Cavendish?”

“Oh, nulla, solo che dalla copertina oserei dire che quel libro è un romanzo Babbano, non vedo come degli appunti potrebbero esserci finiti dentro. E Charlotte, tu non lo stavi leggendo l’altro giorno? È per caso tuo?”


Charlotte aveva imparato, in 17 lunghi anni, ad esitare prima di agire se si trovava in situazioni di un certo tipo, come in classe o a casa sua, di fronte ai suoi genitori.
Il che fu una vera fortuna in quella mattina di Maggio, perché mentre contraeva la mascella e osservava il Serpeverde con visibile astio si ripetè che non poteva trasformarlo in un Avvicino, -anche se di certo Silente le avrebbe fatto i complimenti – o meglio ancora prendere quel libro e farglielo mangiare. 
Oppure avrebbe potuto colpirlo proprio su quella faccia da schiaffi che la fissava con una nota di soddisfazione, ma dovette limitarsi ad immaginare quegli scenari piacevoli prima di sibilare qualcosa a mezza voce:

“Non so di che parli.”
“Professoressa, davvero, è come dice Charlot-.”

“Accio.”

Il libro sfrecciò dalle mani di Katherine per planare in quelle della Hobskins, che dopo aver letto il titolo con un sopracciglio inarcato sospirò e lo lasciò sulla scrivania prima di parlare con tono neutro:

“Direi dieci punti in meno a Grifondoro per fondare ogni dubbio. I libri Babbani possono essere letti in Biblioteca, signorina Burke. E cinque punti in meno anche all’avvocato delle cause perse lì infondo.”

“COME SCUSI?!”
“E il libro lo tengo io fino a domani, ovviamente.”

“Come?! Non può farmi questo, Beth March stava malissimo, devo sapere se morirà!”
Katherine sgranò gli occhi con orrore, parlando in un sussurro affranto mentre Adela, dall’altra parte dell’aula, spostava lo sguardo da un William sogghignate ad una Charlotte che teneva gli occhi verdi fissi su di lui con fare poco rassicurante.

“Oh oh. Credo che dopo il succo e la punizione che le ha fatto prendere denunciando di averla vista entrare al Club dei Duellanti questa sia stata la goccia di troppo…”
“Dovremmo aspettarci di vederla pianificare vendetta a breve?”
“Direi che lo sta facendo già adesso.”

 
“Beh, mi dispiace ma io te l’avevo detto…”
“Beatrix, dopo. È tutta colpa di Cavendish, dannazione!”


*


“Ho parlato con Beatrix, ma non ha voluto dirmi la parola d’ordine. Quella ragazza è troppo di buon cuore, ma come fa ad essere mia parente?!”
“Se Beatrix non te l’ha detta pazienza, ci giocheremo il pezzo da novanta.”

“Ovvero?”
“Il mio fratellone. Stasera a cena ti dirò la parola d’ordine, non temere Kat.”

Charlotte piegò le labbra in un sorriso – o forse sarebbe stato meglio dire un ghigno – così poco rassicurante che Katherine si ritrovò a ringraziare il Fato per averle rese amiche: in quel momento non avrebbe voluto trovarsi nei panni di un certo Serpeverde per nulla al mondo.

“Mi ricordi perché TU non la sai, visto che sei Capitana di Grifondoro?”
“Ehm, ci vado così di rado che temo di averla scordata. Beatrix mi dice sempre di scrivermi tutte le parole d’ordine su un foglio, ma lo perdo in continuazione.”

“Fa niente, ce la caveremo per altre vie. Ci vediamo stasera, adesso ho Aritmanzia.”
Charlotte sorrise all’amica, che annuì e le rivolse un’occhiata incerta mentre mormorava che lei doveva andare nel parco per Cura delle Creature Magiche, salutandola prima di guardare la Corvonero girare sui tacchi e allontanarsi con fare allegro.

Troppo allegro, in effetti.



*


“Cosa state combinando tu e Stephanie?!”
“Ciao anche a te tesoro. Ti siedi con me?”

Gabriel sorrise docilmente e alla fidanzata, facendole cenno di prendere posto accanto a lui mentre Elena incrociava le braccia al petto dopo esserglisi piazzata davanti al tavolo dei Serpeverde, osservandolo con sguardo sospettoso:

“Prima mi dici di cosa parlavate poco fa, e questa mattina prima di Astronomia.”
“Di nulla, cose di scuola.”
“Davvero?”
“Certo. Ti fidi così poco?”
“Certo che mi fido poco, conoscendoti potresti avermi organizzato un terribile scherzo! Mi hai piazzato un petardo sotto al materasso per mano di Steph, per caso?”

“Non farei mai una cosa simile! O meglio, l’ho fatto a Jack l’anno scorso, ma non lo farei ad una signorina. Coraggio, siediti e non pensare sempre al peggio.”

Gabriel sorrise innocentemente alla rossa, che dopo un attimo di esitazione annuì e prese posto di fronte a lui, lasciando che allungasse le mani sul tavolo per stringere le sue.
“Va bene, scusa. È solo strano vedervi parlare da soli.”
“Non sarai mica gelosa della tua amica, vero Elly?”

Gabriel inarcò un sopracciglio e il suo sorriso aumentò, così come il suo divertimento, quando vide la rossa sbuffare e scuotere il capo quasi con stizza, parlando con supponenza:

“Non dire assurdità! Io non sono gelosa di nessuno.”
“Immagino che le occhiate che lanci a Giselle quotidianamente allora siano frutto della mia immaginazione.”
“Esattamente, vedo che cominci a capire.”


*


“Cosa stai leggendo?”
“È il biglietto di auguri di Aziz.”

Adela si voltò quando sentì la voce di Hector, che prese posto accanto a lei sulla panca in Sala Grande e aggrottò leggermente la fronte al sentire quel nome:

“Capisco. Cosa dice?”
“Niente, mi chiede come vanno le cose qui e mi racconta di Chandrapore. Un po’ mi manca.”
“Chi, il tuo amico?”

“Parlavo di Chandrapore!”
Adela sbuffò leggermente e assestò un colpetto sul braccio del ragazzo di fronte al suo tono quasi seccato. Fece per dire ad alta voce che forse infondo Charlotte aveva ragione – disgraziatamente, odiava vederla compiaciuta quando lo riconosceva – ma poi cambiò idea, decidendo di lasciar perdere d di cambiare argomento in fretta: ora che ci faceva caso, non la vedeva da un po’ .

“Un momento… dov’è Charlie?!”


*


Dopo aver scorto Sean e Aurora studiare in mezzo a molti altri studenti Charlotte si fermò, esitando per qualche istante dietro ad uno degli scaffali dedicati a Storia dell Magia.
La Corvonero respirò profondamente e poi chiuse gli occhi con decisione, riaprendoli poco dopo; sbattè le palpebre per un altro paio di volte, finché un sorriso soddisfatto non andò ad incresparle le labbra nel sentirsi gli occhi lucidi. 
Poi, si schiarì la voce e fece sparire quel sorriso rapidamente così come era apparso prima di muovere qualche passo avanti, avvicinandosi di corsa al fratello e parlando con tono grave:

“Sean!”
Il ragazzo si voltò immediatamente sentendosi chiamare, sgranando gli occhi chiari nel vedere la sorella in lacrime mentre gli andava incontro:
“Charlie? Cosa è successo?”

Charlotte non rispose subito, abbracciandolo e sedendo sulle sue ginocchia mentre nascondeva il viso nell’incavo del suo collo, sentendo una mano del fratello sfiorarle la schiena e l’altra tra i suoi capelli:

“Charlie? Stai bene? Guardami.”  Sean la costrinse ad alzare lo sguardo per incontrare il suo, mentre Aurora seguiva la scena in silenzio, a metà tra il confuso e il preoccupato, con la penna ancora in mano. Charlotte sollevò una mano, asciugandosi le lacrime prima di parlare con voce flebile:

“Scusa. Non volevo disturbarti e so che non è il luogo, ma avevo bisogno di un abbraccio. È così… irritante!”
“Ho sempre tempo per te. Che cosa c’è?”
Sean le sorrise, così dolcemente da farla sentire quasi in colpa – se non fosse stato per vendicarsi di quel Lord da quattro soldi avrebbe anche fatto cadere la maschera –, mentre sollevava una mano per accarezzarle i capelli, invitandola a parlare.
E la Corvonero, dopo una breve pausa ad effetto, obbedì con somma gioia:

“Non lo sopporto davvero più, Seannie. Questa volta ha superato il limite!”
“Chi?”
“Quell’idiota!”
“Quale idiota?!”

“Cavendish! Giuro, io mi faccio gli affari miei e cerco di non dargli fastidio, ma a quanto pare darmi il tormento è il suo nuovo hobby. Prima, a lezione, mi ha fatto perdere punti e mi sono guadagnata una strigliata dalla Hobskins per niente… per non parlare della punizione dell’altro giorno! Ma non posso dire o fare niente, è il cocco degli insegnanti.”

“Charlie… lo sai che non gli piaci. Ignoralo.”
“Sì, beh… mi faresti un favore? Ho bisogno di rilassarmi e stare un po’ da sola.”

“Cosa vuoi?”
“Mi diresti… la parola d’ordine del Bagno dei Prefetti? Insomma, tutti non fanno altro che parlare di quella vasca, vorrei vederla anche io. Non mi farò vedere da nessuno, giuro! Non finirai nei guai per colpa mia.”

Sean esitò e sembrò rifletterci ma poi, di fronte allo guardò speranzoso ed implorante della sorellina, annuì, cedendo:

“Va bene. Dopo te la scrivo, qui sentirebbe mezza scuola.”
“Grazie. Ti voglio bene.”

Charlotte gli diede un bacio su una guancia prima di salutare Aurora e allontanarsi sotto lo sguardo del fratello, mentre Aurora sorrideva appena, guardandolo intenerita:

“È sempre divertente vederla farti fare quello che vuole.”
“Lo so. Non so dirle di no, purtroppo.”

E non sapeva nemmeno accorgersi quando recitava, si disse Aurora con un debole sorriso, abbassando lo sguardo per continuare a fare i compiti di Trasfigurazione che Silente aveva assegnato loro quella mattina.
Era piuttosto sicura, in effetti, che l’amica fosse in grado di piangere a comando… ma non voleva essere lei a dirlo al suo amato fratello maggiore.

“Comunque, se non la smette di dar fastidio a mia sorella lo concio per le feste. Me ne frego se è il mio Capitano.”
Aurora sorrise e allungò una mano per metterla su quella del ragazzo mentre Sean osservava il suo rotolo di pergamena con astio, la fronte aggrottata con irritazione.
“Calmati fratello orso, Charlie sa badare a se stessa… anche troppo bene, oserei dire.”


*


Katherine Burke aveva fatto parecchie cose poco consigliabili da quando era ad Hogwarts, quasi sempre a causa delle numerose sfide che Gabriel era solito lanciarle.
Quella sera, tuttavia, mentre scendeva rapidamente le scale senza far rumore per raggiungere il quarto piano Gabriel non c’entrava assolutamente nulla. 

Trovò Charlotte ad aspettarla, appoggiata al muro accanto alla statua di Boris il Basito, e la Corvonero le sorrise, apparentemente affatto nervosa. 

“Ciao Kat.”
“Ciao… vieni, di qua.” Katherine le fece cenno di seguirla, portandola di fronte alla quarta porta a sinistra della statua prima di voltarsi verso di lei, un sopracciglio inarcato e parlando con una leggera nota di preoccupazione nella voce:

“Sei sicura che verrà qui?”
“Al 98%, pare che dopo gli allenamenti il nostro caro amico venga sempre qui a farsi il bagno… e al momento, come sappiamo entrambe, i Serpeverde sono al campo.”

“Come fai a sapere che viene sempre qui?”
“Facile, non fa altro che pavoneggiarsi dall’inizio dell’anno perché ora può usare questo bagno, l’ho sentito dire più di una volta quanto sia bello essere Capitano proprio per questo, così può rilassarsi dopo gli allenamenti. Ok, entriamo. Sono curiosa di vedere questo famoso bagno.”


Quando, un attimo dopo, le due ragazze misero piede nell’ampio bagno Charlotte sgranò gli occhi, guardandosi intorno meravigliata prima di abbozzare un sorriso:

“Immagino che potrei chiedere a mio padre di pagare Dippet per farmi diventare Caposcuola, l’anno prossimo. Ora… quei magnifici rubinetti funzionano?”
“Tutti, ognuno ha una qualche particolarità… no Charlie, non guardarmi così, non ce n’è uno da cui esce acido o lava.”
“Peccato. Beh, pazienza. Ci arrangeremo lo stesso… Per quando avremo finito Silente dovrebbe farci un applauso e darci due belle E.”
“Peccato che non dovrà mai saperlo, allora… oh, Charlie? Beth March non muore, vero?”

“… Cosa esce da quel rubinetto?!”

*


Domenica 18 Maggio 


Elena avrebbe voluto dormire ancora un po’, ma Stephanie l’aveva buttata giù dal letto alle nove e mezza per poi suggerirle caldamente di scendere in Sala Comune, esattamente come aveva fatto lei stessa settimane prima per il compleanno della bionda.
Così, la rossa scese le scale del suo Dormitorio in pantofole e sbadigliando, incurante della vestaglia che indossava o della mascherina sulla sua testa. Quando Stephanie le aveva chiesto se volesse davvero farsi vedere da Gabriel in quelle condizioni Elena si era limitata a stringersi nelle spalle, allacciandosi la vestaglia e decretando solennemente che era un test. 

“Se mi ama resterà, se scapperà a gambe levate vedendomi in questi stato capirò che non è così.”



“Ben svegliata! Buon compleanno.”

Gabriel, che fino a quel momento aveva atteso seduto su una poltrona come al compleanno di Katherine, sorrise quando vide la ragazza, alzandosi per avvicinarlesi e abbracciarla subito dopo.
“Grazie.”

Elena ricambiò il sorriso, tenendo le mani intrecciate dietro il collo del ragazzo, che la baciò prima di accennare al cestino che teneva in mano:

“Ho una cosa per te.”
“Lo sapevo. Ok, sono pronta. Una torta che mi arriverà in piena faccia? Una specie di fuoco d’artificio?”
“No, nulla del genere. Aprilo e scoprilo da te.”

Gabriel sorride e le mise il cestino tra le mani, quasi compiaciuto di fronte al suo smarrimento: se non altro, Stephanie aveva tenuto fede alla parola data e non le aveva detto niente.
Quando però sentì il cestino muoversi leggermente tra le sue mani Elena sgranò gli occhi, inorridita e ritraendosi appena:

“Ti prego, dimmi che non c’è un pipistrello dietro. Odio i pipistrelli.”
“Ma quale pipistrello! E dove dovrei averne trovato uno, tanto per sapere?”
“Non ne ho idea, ma non si può mai sapere… ok, lo apro.”

Elena respirò profondamente, sollevò una metà del coperchio di vimini pronta al peggio… e sgranò gli occhi con sincera sorpresa quando si trovò davanti una palla di pelo rossiccio con due enormi occhi verdi fissi su di lei.

“Santo Godric! È… è bellissimo! O bellissima?”
“Bellissimo.”

Gabriel sorrise con una punta di soddisfazione mentre Elena tirava fuori il minuscolo gattino dal cestino per prenderlo in braccio, sorridendogli:

“Grazie… non me l’aspettavo, è un regalo bellissimo.”
“Stephanie mi ha detto che il tuo gatto Rufus è morto l’anno scorso e che ti sarebbe piaciuto averne presto un altro, così ho pensato…”
“Grazie. Ecco su cosa confabulavate, sapevo che c’era sotto qualcosa, non sono ancora diventata paranoica.”

Elena sfoggiò un sorriso soddisfatto, lieta come sempre di aver ragione mentre Gabriel, annuendo, l’abbracciava nuovamente e cercava di reprimere un sorrisetto divertito:

“Scusa Elly, devo chiedertelo. Sei venuta ad accogliermi in pantofole, vestaglia e tanto di mascherina sulla testa? Le ragazze di solito cercano di farsi vedere al loro meglio da me.”
“La mia vestaglia l’avevi già vista, ti ricordo, e la mia mascherina è tremendamente chic, non permetterti di dire il contrario. E poi, come ho già detto a Steph, ne ho approfittato per farti un test.”

“Ah sì? Spero di averlo superato.”
“Penso di sì.”
“E che test era?”

“Beh, se vedendomi in questi stato non fossi scappato di corsa dalla Torre avrei saputo che mi ami davvero.”

Elena sorrideva mentre parlava, ma un attimo dopo si ritrovò ad esitare, dandosi mentalmente della stupidì per averlo detto a voce alta davanti a lui e distogliendo lo sguardo da quello del ragazzo mentre arrossiva leggermente, improvvisamente a disagio:

“Cioè, insomma…”

“Certo che ti amo.”
Gabriel, sorridendo, la guardò alzare di scatto lo sguardo alle sue parole prima di sfiorarle la guancia sinistra con il pollice. Si prese qualche altro attimo per guardarla prima di chinarsi leggermente e baciarla di nuovo, staccandosi con un lieve sbuffo quando sentì un debole miagolio di protesta: il Serpeverde rivolse un’occhiata vagamente torva al micetto mentre Elena, al contrario, gli sorrideva con calore:

“Scusa piccolino! Devo anche trovarti un nome…”
“Forse avrei dovuto ignorare Stephanie e comprarti un vestito.”
“Assolutamente no, questo regalo è stato apprezzatissimo. Vado a vestirmi, aspettami per un momento, ok?”

“D’accordo, ma sbrigati, muoio di fame.”

Elena annuì e, dopo avergli assicurato che avrebbe fatto in fretta, rimise con delicatezza il gattino nel cestino che teneva ancora in mano prima di girare sui tacchi e iniziare a salire le scale. 
Gabriel non si mosse e non disse altro, limitandosi a seguirla con lo sguardo mentre si chiedeva mentalmente che cosa provasse LEI nei suoi confronti, ma Elena sembrò leggergli nel pensiero perché quando fu quasi arrivata in cima alla rampa si fermò, voltandosi verso di lui e sorridendo nuovamente:

“Stavo scordando la cosa più importante… ti amo anche io, Gabri.”
“Me lo dovevi dire proprio dove non posso raggiungerti e baciarti?! Sbrigati a scendere, MacMillan.”




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Capitolo 25
*** Ripassiamo ***


Capitolo 23: Ripassiamo 
 
Sabato 31 Maggio 


La giornata era iniziata bene per Evangeline Rosehealty. 
Si era svegliata nel suo comodo, familiare letto e baldacchino nel dormitorio femminile della Torre di Corvonero e un sorriso rilassato le aveva inclinato le labbra quando si era resa conto che era sabato: un’altra settimana era finita e non doveva correre per prepararsi e andare a lezione.

La Corvonero chiuse gli occhi e si stiracchiò pigramente, appuntandosi di chiedere a Jack di andare a fare una passeggiata in riva al Lago per approfittare del bel tempo, prima che un’orribile consapevolezza non la investì. Evangeline spalancò gli occhi chiari, irrigidendosi e sentendosi raggelare mentre prendeva coscienza di che giorno fosse: non era solo sabato. Era sabato 31 Maggio.

“AURORA!”
La Corvonero scattò in piedi e, tirate le tende blu notte del baldacchino, si scaraventò verso il letto della sua migliore amica per tirare anche le sue tende, ignorando il suo mugolio di protesta mentre si chinava per scuoterla leggermente:

“Aurora! Svegliati, è tardissimo!”
“Eh? Che ore sono?”

Aurora sbuffò mentre si girava pigramente su un fianco, abbandonando le braccia a peso morto sul materasso e aprendo pigramente gli occhi per puntarli sul soffitto del baldacchino mentre accanto a lei Evangeline scuoteva il capo quasi con disperazione:

“Le nove, ma non è questo il punto! È il 31 Aurora, il 31!”
“Bene, fantastico… torno a dormire, svegliami a Giugno.”

“No Aurora, non capisci?! È il 31! Tra una settimana e due giorni iniziano gli esami e io… e io NON SONO PRONTA! Devo ripassare, studiare tutto! È TARDISSIMO!”

La bionda si mise le mani nei capelli con fare disperato e l’amica sospirò, chiedendosi perché capitassero tutte a lei prima di alzarsi a sedere sul letto, mentre il suo gatto Roosevelt saltava sulle sue ginocchia, soffiando con irritazione contro Evangeline per averlo svegliato.

“Evie, stai ripassando dall’inizio dell’anno, credo. Sei l’ultima che deve preoccuparsi per gli esami, dammi retta… vai a fare una passeggiata e prendi un po’ d’aria, ti farà bene.”
“Non posso, non ho… non ho tempo! Non ho più tempo! E tieni quel gatto lontano da me, mi manca solo una reazione allergica per capitolare del tutto!”

Evangeline giro sui tacchi e sfreccio in bagno per cambiarsi e probabilmente correre in Biblioteca mentre Aurora sospirava, facendo cenno ad una Giselle piuttosto confusa di rimettersi a dormire:

“È normale, tranquilla, tra un paio di settimane tornerà quella di sempre… credo.”

La giornata era iniziata bene per Evangeline Rosehealty. 
Ed era continuata capitolando bruscamente.


*


Axel scese le scale del suo Dormitorio per, come sempre, trovare Stephanie ed Elena per andare a fare colazione con loro, ma giunto in Sala Comune trovò solo una specie di cortina di ragazze attorno proprio alla sua amica, a giudicare dalla chioma che riuscì a scorgere.
Confuso, il ragazzo si fece spazio per raggiungere Elena, che stava seduta su un divano accanto a Stephanie e teneva tra le braccia un micetto dal pelo rossiccio con aria orgogliosa. 

“È carinissimo, posso tenerlo in braccio?”
“Quanto ha?!”
“Da quanto ce l’hai?”
“Dove l’hai preso?”


“Darcy, guarda, c’è un nuovo gattino… vai a fare amicizia.”

Kat sorrise al suo gatto e abbassò lo sguardo verso il micio, che l’aveva seguita come sempre fino alla Sala Comune, ma invece di avvicinarsi Darcy soffiò e si voltò, allontanandosi con aria sdegnosa verso la poltrona più vicina per poi acciambellarcisi sopra sotto lo sguardo perplesso della padrona:

“Ma… Che razza di cafone! Io non ti ho cresciuto così!”

Anche se forse, riflettendoci, avendolo chiamato Darcy non ci si poteva aspettare molta loquacità da lui…

“Scusate, fate spazio… Ciao piccolo Godric! Vieni dalla zia!”

Kat rivolse un larghissimo sorriso al micino e lo prese in braccio sotto lo sguardo divertito di Elena, che guardò il piccolo felino con affetto:

“Gabriel è stato davvero un tesoro.”
“È vero, ha fatto davvero una scelta accorta. Anche se l’ho sentito lamentarsi, dice che ora non lo degni più di un solo sguardo.”
“Forse l’ho un po’ trascurato… ma come si fa a resistere a questi occhioni?”


Axel intanto, fermo in un angolo, alzò gli occhi al cielo e sollevò le mani in segno di resa prima di scuotere il caso e uscire dalla Sala Comune, intuendo che le moine alla nuova mascotte di Grifondoro sarebbero durante ancora per molto.


*

31 Maggio 1944


Regan Carsen sorrise mentre prendeva in mano la foto che lo ritraeva insieme a Stephanie il giorno del loro matrimonio, incorniciata e tenuta per settimane sul comodino posto accanto al suo letto. 

Restò immobile per qualche istante, osservando le immagini in bianco e nero muoversi magicamente: Stephanie aveva le mani intrecciate dietro il suo collo e rideva, rivolta verso la macchina fotografica mentre invece lui teneva gli occhi fissi su di lei, sorridendo con le braccia che le circondavano la vita.

Un po’ gli dispiaceva lasciare Hogwarts per la seconda volta, in realtà... avrebbe mai pensato, dieci anni prima, di tornarci? 
Decisamente no... e anche se si era divertito, non vedeva l'ora di tornare a casa per poterla abbracciare. 

Rimise la foto sul comodino, l'unica cosa che doveva ancora mettere via, prima di avvicinarsi alla porta della stanza e spalancarla per scendere un’ultima volta a fare colazione.

Il mago esitò quando si trovò davanti Charlotte, guardandola con gli occhi chiari spalancati:


“CeCe? Che ci fai qui?” 

“Sette minuti... sei decisamente migliorato da quando siamo arrivati qui, ma secondo me puoi fare di meglio.” 


Charlotte sorrise, chiudendo l'orologio che teneva in mano e sollevando lo sguardo su di lui, che sospirò leggermente prima di chiudersi la porta alle spalle, mettendole un braccio intorno alle spalle e sospirando:

 “Sei veramente assurda a volte, lo sai?” 

“Forse. Però mi vuoi bene, no? E poi dovevo cronometrarti Reg, è come un cerchio che si chiude!” 




“Regan, si può sapere quanto ci metti?! Ci sono delle primine lì fuori che di questo passo staranno per diventare maggiorenni!”

“Ecco, arrivo, quanto la fate lunga… e pensare che dovrete aver imparato ad avere pazienza grazie alle vostre dolci metà.”
Regan sbuffò debolmente mentre, dopo aver aperto la porta del bagno, usciva dalla stanza allacciandosi distrattamente la cravatta verde e nera e rivolgendo un’occhiata torva a Jack, che se ne stava seduto sul suo letto già vestito di tutto punto:

“Ti stupirà sapere che Evie non è mai in ritardo, Reg. credo ci metta meno tempo di te davanti allo specchio…”
“E poi loro sono ragazze, quindi possiamo almeno provare a giustificarle, tu non hai scuse… povera Stephanie! Dite che sa a cosa sta andando incontro?”

Gabriel si rivolse ai compagni di stanza con teatrale tragicità, facendo ridacchiare gli amici mentre Regan imbevve sbuffava debolmente, facendo loro cenno di andare mentre raggiungeva la soglia della stanza a grandi passi:

“Di sicuro il suo destino non sarà peggiore rispetto a quello della povera Elena, simpaticone. E ora invece di far prendere aria alla bocca andiamo, visto che avevate tanta fretta.”

“Sean, la prossima volta dovresti cronometrarlo con il tuo orologio.”
“Sì, penso che potrei farlo, dopotutto.”


*


“Che meraviglia, tra meno di un mese saremo in vacanza, non mi sembra vero! Perché quelle facce?”

Adela, stesa sul prato, rivolse un’occhiata confusa in direzione di fidanzato e migliore amica, che non sembravano condividere la sua allegria: Hector sedeva in riva al Lago tenendo gli occhi fissi sull’acqua con fare cupo e Charlotte stava scarabocchiando qualcosa su un rotolo di pergamena, compilando o una specie di tabella:

“Scusa Adela, non ti seguo, sto programmando le mie vacanze.”
“In che senso?!”

“Allora, le vacanze cominciano il 21 giugno e il 1 settembre si tornerà a scuola, penso che potrei passare l’ultima settimana di Giugno a casa Temple prima che Aurora parta per l’America, a quel punto mi trasferirò da Kat per un’altra settimana… e poi potrei stare da te fino alla fine di Luglio. A metà Agosto c’è il mio compleanno e per allora dovrò essere a casa, ma prima mio fratello andrà di certo da qualche parte e potrei implorarlo di portarmi con lui… in questo modo dovrei passare con la mia famiglia solo pochi giorni, perfetto… Thor, posso venire a stare da te nella settimana compresa tra il 17 e il 23 Agosto?”

“Siamo a fine Maggio e pensi già alla fine delle vacanze, Charlie?”
“Chiamasi anche lungimiranza, mio caro Thor.”
“Penso che potrei adottare la stessa tattica per sfuggire agli infiniti pranzi domenicali della mia famiglia… Adela ci accoglieresti in India?”

“Oh no, rimangono fuori i giorni dal 24! Come faccio?”
“Puoi sempre sostare a casa di Cavendish, Charlie.”
“Certo, lo farò di sicuro… lui nemmeno vive con suo padre, Adela. Credo viva in una casa in campagna che il padre gli ha lasciato a disposizione per non doverlo avere tra i piedi – come dargli torto –.”

“So che non si comporta spesso molto bene nei tuoi confronti, ma non vive una situazione facile, potresti essere il gentile su questo argomento.”
“E infatti non ne faccio mai parola, ti stupirà sapere che so essere alquanto delicata anche io… anche se chiamarlo Piccolo Lord è fin troppo divertente per rinunciarci. In effetti potrei andare dai miei zii… sempre meglio dei miei genitori, e poi badare alla il cuginetta Imogen è divertente. Fatto, la mia estate è sistemata signori.”


*


“Jack? Ti prego, parlaci tu e vedi di calmarla, io ci ho rinunciato… sai dov’è Sean?”
“Fuori, credo.”

Aurora annuì e superò il Serpeverde dopo avergli dato una leggera pacca sulla spalla – quasi a volerlo incoraggiare –, dirigendosi verso l’uscita della Biblioteca e lasciando che Jack, al contrario, si dirigesse dopo aver respirato molto profondamente verso una certa ragazza dai capelli chiarissimi china sui libri, la testa tra le mani. 

“Evie? Tutto bene?”
“No, tutto malissimo, non ce la farò mai! Rovinerò tutte le mie medie e farò degli esami penosi, me lo sento.”

Evangeline scosse il capo, parlando con aria grave mentre Jack, dopo averle messo delicatamente una mano su una spalla, prendeva posto accanto a lei. Il ragazzo abbozzò un sorriso e le prese entrambe le mani tra le due, costringendola a guardarlo:

“Hai fatto colazione?”
“No.”
“Posso portarti qualcosa, se vuoi.”
“No, grazie, sei gentile ma non ho fame, davvero.”

“Ok… senti Evie, gli esami sono importanti ma puoi fare una pausa, è sabato, è una bella giornata e non inizieranno domani… e poi sappiamo che sei più che preparata. Se mi rilasso io che di norma studio quanto te puoi farlo anche tu, non pensi? Cosa vorresti fare?”

“Scappare in Finlandia.”
“Perché proprio in Finlandia? Fa molto freddo, e io preferisco posti soleggiati, con il mare.”
“Perché nessuno controlla mai in Finlandia Jack, proprio per questo motivo.”

“Sii seria… vuoi andare fuori? O andare alla Torre di Astronomia per usare i telescopi? Oppure tornare semplicemente a dormire? Sembra che tu non dorma da una settimana, da quanto sei qui dentro?!”
“Non saprei, che ore sono?”
“L’ora di pranzo è passata da un pezzo… hai mangiato?”
“No.”
“E allora è deciso, andiamo nelle cucine.”

Jack la prese per mano e la costrinse ad alzarsi, ignorando le sue proteste e trascinandola verso l’uscita della Biblioteca con aria risoluta.


*


“Stai ancora studiando? Fai una pausa, ogni tanto, accresci la mia ansia!”
“Scusa tanto, ma se voglio poter almeno provare ad entrare all’Accademia ho bisogno di voti molto alti, ti ricordo.”

“Lo so, lo so… Sean non fa altro che ripeterlo di continuo, e anche Jack, per fortuna io ho ben altre aspirazioni. Se dovessi entrare all’Accademia troverai comunque tempo per me, vero?”
Regan era seduto sul prato, all’ombra di un faggio, e sorrise debolmente a Stephanie mentre le avvezzava delicatamente i capelli con le idea, guardandola mentre la Grifondoro – stesa sull’erba con la testa sulle sue gambe – teneva un libro in mano, impegnata a ripassare.

“Non saprei, forse mi innamorerò perdutamente di un qualche futuro Auror in fase di addestramento, chi lo sa…”
Regan aggrottò la fronte, rivolgendole un’occhiata torva mentre smetteva di accarezzarle i capelli, facendo ridacchiare la ragazza e guadagnandosi un’occhiata carica d’affetto da parte sua:

“Sì, certo. Mi mancherà non poterti vedere ogni giorno, però, devo ammetterlo.”
“Mi preoccuperebbe il contrario. Anche tu mi mancherai, biondina… vieni a trovarmi, ogni tanto.”
“Magari dovrai farmi ripetizioni di Pozioni, dovrò superare esami anche su quello all’Accademia… Merlino Reg, perché mi sono dovuta interessare alla strada più tortuosa possibile, me lo spieghi?!”

La bionda sospirò con aria grave e abbandonò le braccia a peso morto lungo i fianchi, appoggiandosi il libro sullo stomaco e mettendosi le mani sul viso mentre Regan invece abbozzava un sorriso, guardandola con aria divertita mentre continuava a sfiorarle i capelli biondi:
“Non so dirti Steph, forse hai delle inclinazioni masochiste. Ma guarda il lato positivo…”

“Reg, se dici “hai me” ti affogo nel Lago, giuro.”

“… Stavo per dire “rendersi fiero tuo padre”, a dire il vero. Ma c’è anche da considerare quell’aspetto, certo.”


*


Katherine era seduta al tavolo dei Grifondoro in Sala Grande, approfittando del fatto che praticamente tutta la scuola fosse ammassata in Biblioteca per studiare in vista degli esami o in giardino a godersi il sole per bere una tazza di thè in santa pace.

“Ciao… sapevo che ti avrei trovata qui. Come va?”
“A parte la quantità vergognosa di compiti che abbiamo da fare per la prossima settimana, direi bene. Perché ci sommergono di cose da fare proprio fino all’ultimo, credo proprio che non lo capirò mai.”
“Nemmeno io, ma almeno quest’anno i G.U.F.O. o i M.A.G.O. non toccano a noi… Posso?”

Katherine annuì e Beatrix, che aveva preso posto di fronte a lei, prese una tazza di porcellana per versarci dentro un po’ di thè nero insieme a del latte, esitando prima di parlare con aria pensierosa:

“Nessuno ha detto niente a te o a Charlotte a proposito di William, ultimamente?”
“Mh, no, silenzio assoluto. Pare che l’abbiamo fatta franca… Certo, lui di sicuro saprà chi c’è dietro, non è uno stupido, ma ovviamente non ne ha le prove. E la mia cuginetta è pronta ad affermare che quella sera, quando era di ronda, non ha visto o sentito niente, vero?”

“E in effetti non ho né visto né sentito nulla, siete state piuttosto rapide e silenziose. I miei complimenti Kat, hai un futuro come criminale.”  Beatrix accennò ad un sorriso mentre allungava una mano per prendere uno dei cookies dalla biscottiera, destando così l’indignazione della cugina:

“In realtà preferirei una carriera con i draghi… Ehy! Giù le mani!”
“Quante storie, per un biscotto! Comunque, mi dici come facevi a non ricordare la parola d’ordine del bagno? Ti ho detto mille volte di scrivertele!”

“L’ho fatto, ma ho perso il dannato foglietto. Spero che nessuno lo trovi, passerei dei guai seri e non mi va proprio visto che siamo alla fine dell’anno… se non altro la Hopkins si è degnata di restituirmi Piccole Donne Crescono e ho potuto finirlo, ma sono ancora in lutto. Dovresti leggerlo.”

“Sono già la vergogna della famiglia Kat, vuoi che mi metta a leggere anche libri Babbani, così i Burke mi lapiderebbero pubblicamente? Anzi, forse questo spingerebbe mio padre a lasciarmi perdere una volta per tutte.. ma sì, prestamelo. Oh, è da qualche giorno che non vedo William, la sua pelle è tornata alla sua carnagione naturale?”

“Non saprei, è stato per un po’ in Infermeria… ma l’idea di Charlie è stata fenomenale, mi sono divertita moltissimo.”
Katherine, le mani ancora strette sulla sua tazza, sorrise con aria divertita mentre la bionda, al contrario, inarcò un sopracciglio con evidente scetticismo, poco convinta dalle sue parole:
“Non pensi che fargli diventare la pelle verdastra e squamosa sia stato un po’ crudele?”

“Squamosa solo alla vista, non gli ha fatto certo male, per chi ci hai prese? All’inizio anche io ero un po’ scettica, ma poi Charlie ha detto “facciamolo diventare un viscido rettile per davvero” e mi ha convinto. L’incantesimo dev’essere anche riuscito bene, perché ci ha messo parecchio ad andare via.”

“Povero William…”
“Ha tolto un libro, fatto perdere punti e tirato troppo la corda con le ragazze sbagliate.”








………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Chiedo scusa se il capitolo è piuttosto corto, ma purtroppo sono davvero con l’acqua alla gola e di più non sono riuscita a fare… Ci sentiamo verso il fine settimana con il penultimo capitolo!
Signorina Granger 

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Capitolo 26
*** Esami e compleanni ***


Capitolo 24: Esami e compleanni
 
Martedì 16 Giugno



Hector, sprofondato in una poltrona nella sua Sala Comune, teneva gli occhi fissi sul piccolo orologio a cucù che stringeva tra le mani, osservando gli ingranaggi e giocherellandoci. La stanza oltre a lui era deserta, gli studenti del quinto o settimo anno erano nelle varie aule per gli esami mentre gli altri probabilmente si godevano le ore di sonno extra degli ultimissimi giorni al castello, privi di lezioni. 
Non che gli dispiacesse, certo, era piacevole stare un po’ da solo e in silenzio dopo il considerevole trambusto dei giorni passati… ma quando sentì la porta del Dormitorio femminile aprirsi e si voltò abbozzò comunque un sorriso alla vista di Charlotte, che ricambiò e gli si avvicinò per poi chinarsi e dargli un bacio su una guancia:

“Buon compleanno Thor... Ma che ci fai qui tutto solo?”
“Non avevo sonno, mi sono svegliato presto… Adela?”

“Mi spiace, la tua principessa sta ancora dormendo… non sono tutti mattinieri come noi due. Vuoi aspettarla o scendi con me per fare colazione?”
“Aspetto qui.”
“Come vuoi… cosa stai facendo?”
La ragazza accennò all’orologio ormai quasi smembrato che l’amico teneva tra le mani con la fronte aggrottata, una mano ancora sullo schienale della poltrona e l’altra sulla spalla del ragazzo che si limitò a stringersi debolmente nelle spalle:

“Passo il tempo.” Hector sorrise quasi con aria colpevole e l’amica annuì, alzando brevemente gli occhi al cielo prima di allontanarsi:

“Beh, ad ognuno i suoi passatempi… ci vediamo dopo, e se Adela non dà segni di vita chiamami, la sceglierò io con i miei metodi infallibili.”
“Grazie per la premura, ma preferirei evitarle questa sorte. Dove vai?”
“A fare supporto morale al mio fratellone, che domande!”


*


Quando Gabriel uscì dall’aula sospirò con sincero sollievo, felice che anche quell’esame fosse giunto al termine, prima di individuare Katherine, che era seduta su una delle pance disseminate lungo il corridoio. Vedendolo la ragazza si alzò e il Serpeverde la raggiunse, guardandola sorridergli con fare incoraggiante con espressione neutra:

“Ciao! Com’è andata Trasfigurazione?”
“È andata.”
“Non fare questa faccia, di certo sarai andato benissimo.”  Katherine lo abbracciò con affetto e Gabriel abbozzò un sorriso, ricambiando la stretta mentre, a poca distanza, Jack ed Evie discutevano sulle domande a cui avevano risposto diversamente – ovviamente ognuno sosteneva di aver ragione e l’altro torto – e Stephanie, dopo aver preso Regan sottobraccio, gli sorrideva:

“Com’è andata?”
“Bene, credo. Oggi pomeriggio abbiamo la prova pratica di Pozioni, finalmente qualcosa per cui non doversi preoccupare.”
“Parla per te piccolo genio, non siamo tutti così portati! Devo ripassare una lista infinita di ricette diverse…”

La bionda piegò le labbra in una smorfia mentre il ragazzo si proponeva gentilmente di aiutarla e, a poca distanza, una Elena vagamente disperata abbracciava Axel in cerca di supporto.

“È stato terribile!”
“Non dire così, non sei andata peggio di molti altri!”
“Ma avrei potuto fare molto meglio… Chissà cosa avrà pensato Silente, che vergogna!” 

Elena gemette contro la spalla del compagno di Casa, che abbozzò un sorriso consolatorio mentre le sfiorava la schiena con affetto:

“Ti rifarai lunedì.”
“Lunedì c’è Difesa Contro le Arti Oscure, non ricordarmelo! Almeno sono andata bene in Erbologia e Incantesimi… Dopo c’è Pozioni, non posso andare male in Pozioni. Andiamo a ripassare!”
Axel fece per informarla che avrebbe preferito andare a riposarsi, o magari fare una passeggiata per prendere un po’ d’aria, ma l’amica lo prese sottobraccio senza dargli tempo o diritto di replica e se lo trascinò appresso, sostenendo solennemente che non c’era tempo per oziare.


*


Araggiunse la Sala Comune sbadigliando e sorrise quando vide Hector armeggiare con gli ingranaggi di un orologio, avvicinadoglisi in fretta e furia per sederglisi sulle ginocchia, prendergli il viso tra le mani e dargli un bacio a fior di labbra:

“Buon compleanno! Sei sveglio da molto?”
“Un po’… Charlotte mi ha proposito di svegliarti alla sua maniera, ma ti ho evitato un trauma.”
“Meno male… ti ringrazio sentitamente. Cosa stai facendo?”
“Uhm, niente, passo il tempo mentre ti aspettavo… Ora andiamo a fare colazione, sto morendo di fame!”
Hector fece scivolare Adela dalle sue gambe per alzarsi, prenderla per mano e lasciare l’orologio sulla poltrona, ignorando l’occhiata quasi mortificata che la ragazza sfoggiò quando parlò con un tono sinceramente dispiaciuto:

“Mi dispiace… Potevi svegliarmi!”
“Non esiste proprio, non si butta una signorina giù dal letto di prima mattina, la si aspetta e basta.”

“Sei un vero gentiluomo Thor, se non ci fossi dovrei inventarti.”
Adela gli sorrise mentre lo prendeva sottobraccio, guardandolo annuire e stringersi nelle spalle con nonchalance:
“Mia madre con me ha fatto un bel lavoro… dopo due fallimenti totali ha deciso che era stanca di avere buzzurri in casa, probabilmente.”


*


Iphigenia era seduta appena fuori dall’aula di Pozioni, nei Sotterranei, la testa appoggiata contro la spalla di Andrew mentre il braccio del ragazzo le cingeva delicatamente le spalle. Davanti a loro, intanto, Aurora sembrava aver deciso di lasciar perdere il buon proposito di rilassarsi e continuava a misurare il corridoio a grandi passi, le mani dietro la schiena e gli occhi chiari rivolti verso il pavimento mentre rilassava mentalmente chissà quali ricette.

“Tra poco mi chiameranno.. non so se mi sento pronta.”
“Guarda il lato positivo Iphe, almeno ti toglierai subito il pensiero… io dovrò restare qui sotto per un bel po’, temo. Andrà bene.”

Andrew abbassò lo sguardo e le sorrise dolcemente, confortandola leggermente mentre si sistemava più comodamente contro la sua spalla:

“Spero che tu abbia ragione. Non ne mancano ancora molti, se non altro.”
“Solo questo e poi lunedì Iphe, dopodiché saremo finalmente liberi… aggrappati a questo.”  

Iphigenia annuì, pensando all’esame di Storia della Magia e di Difesa contro le Arti Oscure che l’aspettavano due giorni dopo. Sicuramente quello che aveva affrontato più serenamente era stato quello di Aritmanzia, la sua materia preferita, ma lo stesso non si poteva dire di molte altre materie.

“Iphe?”
La Tassorosso si voltò quando si sentì chiamare, non dagli esaminatori ma dalla sorella minore, che le si stava avvicinando con un debole sorriso sulle labbra:

“Sono venuta a farti gli auguri… cerca di impegnarti, non come tuo solito.”
“Grazie Ele, ma da quando tu fai la predica a ME? Specie considerando che sei sotto esami anche tu adesso.”

“Dì quello che vuoi, ma Andrew è d’accordo con me, VERO?”  Electra sfoggiò un sorrisetto e si rivolse al ragazzo, che sentendosi preso in causa ammutolì e spostò nervosamente lo sguardo da una sorella all’altra mentre la maggiore si era voltata per rivolgergli un’occhiata eloquente:
“Emh… mi appello al diritto di non rispondere.”

Iphigenia fece, probabilmente, per dire qualcosa e manifestare il suo disappunto a riguardo, ma la porta dell’aula si aprì e la voce dell’esaminatore salvò il Tassorosso:

“Ashworth, Iphigenia.”
“Che peccato, devi andare… buona fortuna, nanetta.”  Andrew sorrise con sollievo e la ragazza sbuffò, digrignando i denti prima di parlare a mezza voce e con tono carico d’irritazione:
“Falla finita! No, non dicevo a lei, si figuri, mi scusi…”


*


“Allora, dimmi… com’è andato questo penultimo giorno di esami?”
“Direi bene. Lo spero almeno, sai quanto sono importanti i voti per me.”

“Lo so che ti serve una buona media, Seannie… ma sei sempre stato molto bravo, di sicuro la raggiungerai tranquillamente. Felice che sia finita, ormai?”
“Abbastanza. Mi mancherà il castello. E anche tu, certo.”

Sean, seduto sul divano accanto alla sorella, le sorrise con affetto prima di allungare una mano per prendere quella di Charlotte, che ricambio e annuì, parlando a bassa voce e con un tono quasi malinconico:

“Mi mancherai anche tu… sarà strano tornare a non vedersi tutti i giorni.”
“Ti scriverò papiri frequentemente, lo prometto.”
“Anche io. Ma se ti farai usare come postino da nostra madre ti toglierò il saluto Sean, voglio che tu lo sappia. Non voglio lettere con messaggi subliminali come “ti stai comportando bene?!”, chiaro?”

“Cristallino, sorellina.”


*


Giovedì 18 Giugno


Gabriel non si era allontanato dalla Sala Grande una volta terminato l’esame di Difesa Contri le Arti Oscure, era rimasto nel Salone d’Ingresso  per aspettare che i suoi amici ed Elena finissero a loro volta. Proprio per questo motivo sorrise e si alzò in piedi quando vide la suddetta ragazza sfrecciare fuori dalla sala con un enorme sorriso stampato sul volto, e diretta proprio verso di lui… Elena lo abbracciò senza dargli il tempo di dire nulla o di chiederle come fosse andata, dandogli così la conferma che l’esame andato bene e Gabriel sorrise mentre la stringeva:

“Deduco che è andata bene anche per te.”
“Direi di sì, ma sono felice in ogni caso che sia finita. Sai, mi hanno chiesto di evocare il mio Patronus… anche a te?”
“Sì. Ci sei riuscita?”
“Sì, anche se non ci avrei sperato, mi ci sono allenata pochissimo… è un cocker, avresti dovuto vederlo, era così carino! Il tuo?”

Elena sorrise con evidente allegria e Gabriel rise appena, trovando l’animale piuttosto azzeccato per l’esuberante fidanzata, prima di risponderle con un sorriso affettuoso, sfiorandole i capelli rossicci con dolcezza:

“Un lupo.”
“Davvero? Non l’avrei detto.”
“Ah no?”
“No, pensavo più ad un tenero micetto…”
“Per favore. Tra te e Kat i gatti mi daranno il tormento fino alla fine dei miei giorni, forse dovevo comprarti un cocker!”

“Ora che ci penso, devo dare da mangiare a Godric!”
“Ecco, appunto… non ti regalerò mai più un animale.”

“Esagerato, sei geloso di un gattino!”
“E non mi piace il nome che gli hai dato, comunque!”
“Perché, me lo ha consigliato Kat!”

“Non avevo dubbi a riguardo.”

Gabriela sbuffo debolmente ma Elena sembrò non farci caso, limitandosi a ridacchiare mentre lo prendeva per mano e gli suggeriva di andare a fare una passeggiata mentre aspettava che anche Stephanie terminasse la prova. 
“Va bene Elly… andiamo. È finita, riesci a crederci?”

“No, è meraviglioso! … aspetta, mi dici a cosa hai pensato?”
“Primo giorno qui… un po’ mi mancherà, in effetti, forse da una parte mi dispiace. E tu invece?”

“La mia prima cronaca, quando ti prendevo in giro.”
“… sul serio?”
“Forse, non te lo dirò mai.”


*


“Ciao. Com’è andata Storia?”
Jack sedette accanto ad Evie e le sorrise gentilmente mentre la ragazza invece si strinse debolmente nelle spalle, osservando il suo pranzo con aria torva:

“Bene, Storia non è mai stato un problema per me…”
“Beata te. So a cosa stai pensando Evie, ma vedrai, andrà bene anche questo… e poi pensa che è l’ultimo, poi sarà tutto finito. Il peggio è passato.”
Jack sorrise ma la ragazza non lo imitò, poco convinta: non ne era tanto sicura, considerando che l’unica materia dove non riusciva alla perfezione era proprio Difesa contro le Arti Oscure.
E ovviamente quell’esame era stato piazzato proprio il giorno del suo compleanno, tanto per renderla felice.

“Spero che tu abbia ragione… grazie, comunque, hai portato davvero molta pazienza con me nelle ultime settimane.”
“Oh, siamo un po’ tutti con i nervi a fior di pelle dopotutto, non sei l’unica ad aver avuto delle mezze crisi… è normale. E poi oggi è un giorno speciale, non devi permettere ad uno stupito esame che durerà meno di venti minuti di rovinartelo.”

Evangeline annuì, leggermente rincuorata, e si sforzò di sorridere al ragazzo, rivolgendogli un’occhiata carica di gratitudine prima di sporgersi e dargli un bacio su una guancia:

“Grazie, senza di te avrei davvero dato di matto. Ci pensi, tra tre giorni ce ne andremo! Questo è uno dei nostri ultimi pasti qui dentro.”
“E allora mangia, dove pensi di trovare una cucina migliore di quella degli elfi?!”


*


Evangeline non si era svegliata di buon umore mattina, proprio per nulla. Del resto, chi avrebbe potuto svegliarsi con il sorriso quando proprio nel giorno del proprio compleanno avrebbe dovuto affrontare gli esami finali?
Con quello di Storia non aveva avuto ovviamente il benché minimo problema, ma lo stesso non si poteva dire dell’esame pratico di difesa contro le arti oscure… La ragazza non aveva mai amato particolarmente quella materia e temeva che un brutto voto potesse danneggiare la sua media pressoché perfetta. Ovviamente gran parte della sua preoccupazione era rivolta ad un incantesimo specifico, l’unico che ancora non era riuscita a praticare correttamente e per il proprio per questo motivo era sicura che sarebbe stato chiesto di evocare il suo Patronus durante la prova.  

Forse fu proprio per questo motivo che quando l’esaminatore le chiese di di farlo Evangeline non si scompose nemmeno più di tanto, all’improvviso le sembrò soltanto di sentire le parole confortanti di Aurora e di Jack, che settimane prima le avevano assicurato che alla fine ci sarebbe riuscita a sua volta… Lei non era tanto sicura, ma forse per la prima volta in vita sua la ragazza sperava vivamente di sbagliarsi.            

Evangeline annuì, chiuse gli occhi e, perfettamente consapevole degli sguardi puntati su di sè (dell’esaminatore ma anche di Aurora, che stava aspettando il suo turno per essere esaminata), cerco di concentrarsi su qualcosa di felice, di davvero felice. Non le era mai piaciuto fallire e non avrebbe accettato che accadesse, non quel giorno. 

Era il suo compleanno, si disse. Quale giorno migliore per trovare pensieri felici?

Aveva sempre pensato alla sua famiglia, ai suoi fratelli, ma a quanto sembrava non era stato sufficiente, così decise di concentrarsi solamente su Jack. Pronunciò l’incantesimo quasi pregando mentalmente e aprì gli occhi solamente quando sentì uno stridio rompere il silenzio che si è andato a creare.
Evangeline sorrise quasi senza volerlo quando si ritrovò a guardare un animale argenteo volare sopra di lei, ma solo in un secondo momento si rese davvero conto di che cosa aveva davanti. Quasi non sentì le parole dell’esaminatore, che si congratulò con lei, troppo concentrata ad arrossire mentre ricordava quella lontana lezione, quando aveva visto Jack evocare un falco, lo stesso animale che aveva davanti agli occhi in quel momento.

“Molto bene, Signorina Rosehealty… può andare.”
“Grazie.”

Evangeline sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi in fretta, sentendosi ad un metro dal pavimento mentre si accingeva raggiungere la soglia della sala grande… E forse non solo perché era il suo compleanno e perché aveva appena concluso gli esami finali.  








…………………………………………………………………………..
Angolo Autrice:

Buonasera! 
Mi scuso nuovamente per la brevità del capitolo, che in effetti avrei voluto pubblicare ieri, ma sono giorni davvero molto pieni e non ho avuto tempo di aggiungere altro per pubblicarlo oggi. 
Ci sentiamo molto presto con l’Epilogo, buona serata!

Signorina Granger 

Ps. Mi scuso per eventuali errori ma proprio non ho tempo di rileggerlo, casomai lo riguarderò domani mattina

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


Magisterium – 1933 


Epilogo 
 
Domenica 21 Giugno 


Regan osservò la sua spilla, dove un’elegante C argentea scritta in corsivo spiccava su uno sfondo verde scuro. L’aveva indossata ogni giorno, sopra la veste, il maglione o la camicia per tutto l’anno scolastico e ora doversene liberare era quasi strano. 
Triste, forse. 

“Beh, per coloro che hanno finito il quinto e il sesto anno buon proseguimento, per i miei compagni di corso invece… congratulazioni per essere arrivati illesi fino a qui. È stato un piacere aver “lavorato con voi”, quindi grazie a tutti.”
Evangeline, in piedi accanto a lui di fronte a tutti i Prefetti, abbozzò un sorriso e si voltò verso il “collega” quando Axel, Elena, Aurora, Sean e Jade si avvicinarono per lasciare le rispettive spille nella custodia che sarebbe ritornata nelle mani di Silente.

“Non dici niente, Regan?”
“È solo un po’ strano pensare che sia tutto finito Evie. Mi mancherà dare ordini, togliere punti… a te no?”
“Forse un po’. Stai ancora rosicando perché abbiamo vinto noi la Coppa delle Case?”
La bionda sfoggiò un sorrisetto divertito che lo fece sbuffare sommessamente scuotendo il capo prima di lasciare a sua volta la spilla nella custodia, imitato subito dopo dalla ragazza prima che Sean gli si avvicinasse con un sorriso, assestandogli una quasi dolorosa pacca sulla spalla:

“Beh Carsen, grazie per questi sette anni, ci siamo divertiti, infondo.”
“Intendi a parte quando ci trattenevamo dal soffocare Gabriel nel sonno perché a volte russava?”
“Ormai ci avevo fatto l’abitudine. Sarà strano non dover più condividere la stanza con voi, in effetti!”

“Strano?! Sarà una liberazione. Torniamo da Jack e Gabriel?”

Sean annuì e si voltò per rivolgere un cenno ad Aurora, che gli sorrise mentre lo prendeva sottobraccio e Regan li precedeva uscendo dallo scompartimento, discutendo insieme ad Evangeline su chi dei due avesse svolto il ruolo di Caposcuola nel modo migliore.

“Sei felice di tornare a casa?”
“Molto, non vedo l’ora di vedere Wellington! E anche i miei genitori, certo, ma sopratutto Wellington. E poi passerò un mese intero in America, non vedo l’ora.”

“Non ti mancherà il tuo Sean?”
“Certo, ma ci vedremo quando tornerò… o puoi passare a trovarmi quando vuoi, la famiglia di mia madre sarebbe ben felice di conoscerti, ha sentito tanto parlare dei fratelli Selwyn. Ti ho detto che Charlotte ha già pianificato di stare da me per dieci giorni?”
“No, ma lo immaginavo, pare che andrà anche a stare da Adela per un po’, e da Hector. E mi sta implorando di portarla con me sulle Dolomiti.”

“E tu portacela!”
“Lo farò, ma lei ancora non lo sa.”

Sean sfoggiò un sorrisetto divertito – ben lieto di poter essere lui, per una volta, a prendersi gioco della sorellina – che fece ridacchiare Aurora:

“Povera Charlie, l’hai lasciata in agonia per tutto questo tempo, crogiolandosi nell’incertezza di non sapere?”
“Forse. Ma con tutte le volte in cui lascio correre le sue malefatte, direi che è il minimo.”


*


Charlotte Selwyn sorrideva mentre faceva ritorno al suo scompartimento, occupato come sempre insieme ad Adela e ad Hector, dopo essere andata a salutare Katherine e Beatrix. Certo, non moriva dalla voglia di tornare a stare a stretto contatto con i suoi genitori, ma almeno non avrebbe dovuto sopportare il fastidioso peso dei compiti, delle lezioni, dello stress e della sveglia ogni mattina.
E poi le mancava molto sia Daisy che andare a cavallo. 
Certo, lasciare la scuola significava non poter fare magie fino al suo compleanno, un mese e mezzo più tardi… e significava anche non vedere i suoi amici tutti i giorni, ma erano solo poco più di due mesi.

“Selwyn!”

Quando si sentì chiamare Charlotte si fermò quasi senza pensarci, esitando prima di voltarsi: tirò un profondo respiro prima di farlo, ripetendosi di non dare in escandescenza. 
Ecco, se c’era qualcosa che non le sarebbe mancato, oltre alle moine di Lumacorno, era quella voce.

E anche l’espressione di sufficienza che faceva capolino sul volto di Will Cavendish mentre le s8 avvicinava a passo di aria, osservandola con aria torva:

“Ciao Cavendish, sei venuto a salutarmi e a dirmi che ti mancherò?”

Charlotte piegò le labbra in un sorriso, inarcando un sopracciglio e parlando con un tono divertito e zuccheroso che se possibile fece solo irritare ulteriormente il ragazzo, che le si parò davanti e serrò la mascella, guardandola con evidente irritazione:

“Mi mancherai come agli europei mancò la peste nera dopo il 1352, Selwyn.”
“Come sei sgarbato, in collegio non ti hanno insegnato le buone maniere da usare con una signorina?”
“Naturalmente, ma non posso darne prova quando è di te che si parla, Selwyn. Sai quanto ci ha messo quella roba ad andarsene?!”

“Secondo me ti donava, faceva esaltare il colore dei tuoi occhi.”
Charlotte non smise di sorridere, osservandolo con sincero divertimento. William invece esitò per un istante prima di parlare nuovamente, stringendo le mani a pugno:

“Certo, e sono sicuri che tu non ne sai niente.”
“Io?! Come potevo entrare nel Bagno dei Prefetti?!”
“Tuo fratello, ovviamente, o la tua amica Burke. Casualmente, è successo proprio dopo la strigliata della Hopkins.”

“Sarà stato il destino per punirti della tua sfacciataggine. Sai come si dice, chi pensa per sè campa cent’anni.”
“So benissimo che sei stata tu Selwyn, e quella sera mi hai anche fatto perdere punti perché non avrei dovuto andarmene in giro a quell’ora!”
“Davvero? Sono desolata.”

“Ridi meno Selwyn, l’anno prossimo non avrai più il tuo caro fratello dietro cui nasconderti e dovrai cavartela da sola.”
Charlotte smise di sorridere, stringendo leggermente gli occhi e guardando il ragazzo con irritazione, il divertimento improvvisamente sparito dal suo volto e, quando sibilò qualcosa con tono piatto, anche dalla sua voce:
“Almeno io non mi nascondo dietro il mio cognome. E so cavarmela benissimo da sola, Cavendish.”


“Io non… non mi nascondo dietro il mio cognome, non parlare di cose che non conosci. Non sai proprio niente di me, Selwyn.”
“Bene, nemmeno tu, quindi taci, se ci riesci, e lasciami in pace.”

Charlotte girò sui tacchi e si allontanò a passo svelto, lo sguardo fisso davanti a sè e imponendo di non voltarsi e scusi tarlo quando la sua voce fastidiosamente soddisfatta giunse alle sue orecchie, forse consapevole di aver toccato uno dei pochi nervi scoperti della ragazza:

“Ne riparliamo l’anno prossimo, Selwyn. Voglio proprio vederti senza tuo fratello, a settembre.”


*


21 Giugno 1944

“Sei cambiata. Sei mesi fa non eri certo così bendisposta... probabilmente Hogwarts ti ha fatto bene. Perché non mi racconti brevemente com’è andata?” 

“Immagino di dover fare una bella sintesi allora, altrimenti potrebbe volerci un bel po’.” 

Charlotte sorrise e Luisa le rivolse un cenno del capo, invitandola ad iniziare: era passato un po’ dalla loro ultima chiacchierata... ed era curiosa di sentire cosa avrebbe detto, e sopratutto in che modo l'avrebbe fatto. 




Sean stava camminando lungo il corridoio osservando attentamente l’interno di tutti gli scompartimenti, cercando la sorella. Aveva incrociato Adela ed Hector, ma avevano dichiarato di non averla vista dopo che la ragazza se andata a salutare Katherine e Beatrix. 

Dove si era cacciata?!
Sean, sperando che non si fosse intrufolata nel vagone del capotreno – sosteneva da anni di essere curiosa di vedere come funzionasse la locomotiva – si sporse per sbirciare l’interno dell’ultimo scompartimento del vagone e sorrise nel trovarvi dentro la sorella, seduta vicino al finestrino abbracciandosi le gambe e osservando la campagna inglese sfrecciarle davanti agli occhi.

Il ragazzo fece scivolare la porta di vetro e bussò leggermente, attirando così la sua attenzione, prima di sorriderle, inclinando leggermente il capo:

“Ciao. Come mai qui tutta sola?”
“Avevo voglia di pensare un po’… e poi di tanto in tanto sento il bisogno di stare da sola, lo sai.”

Charlotte si strinse nelle spalle prima di abbassare lo sguardo, distogliendolo dal fratello che inarcò un sopracciglio, guardandola attentamente:

“Allora è meglio che me ne vada?”
“No, resta pure.”

Sean obbedì e, entrato nello scompartimento, si chiuse la porta alle spalle prima di raggiungerla e sedersi di fronte a lei, osservandola con la fronte aggrottata:

“Che cosa c’è? La scuola è finita, dovresti fare i salti di gioia. So che magari non muori dalla voglia di tornare a casa, ma…”
“Non è per questo, per quanto mi riguarda non sarò molto a casa quest’estate. Sto solo pensando ad una cosa che mi ha detto Cavendish poco fa.”

“Oh, ti prego, non dargli retta, è ovvio che ti dica cose poco gentili.”
“Non mi ha insultata Seannie, e se anche l’avesse fatto, sai quanto me ne importa… no. Tu pensi che me la caverò bene senza di te, l’anno prossimo?”

“Charlie, sai cavartela egregiamente da sola, lo sai anche tu. Basta pensare a come lo hai ridotto, non sei venuta da me per chiedermi di prenderlo a calci, ci hai pensato da sola, avevi solo bisogno della parola d’ordine – e non provare più a raggirarmi simulando le lacrime –, ma non sei una che chiede aiuto, a te piace pensarci da sola, sei troppo orgogliosa per farlo.”
“Non è per il tuo aiuto, Sean… è che mi mancherai. E poi siamo sempre stati molto uniti, fin da piccoli, dove andavi tu c’ero anche io e viceversa. L’anno passato a casa senza di te è stato il peggiore della mia vita.”

“Beh, questa volta sarai a scuola, non a casa con mamma e papà. Non sarai sola Charlie, dopo i primi giorni non ti accorgerai nemmeno della mia assenza, te l’assicuro.”

Sean sorrise ma la sorella non lo imitò, evitando di guardarlo e continuando a tenere gli occhi verdi fissi su un punto della moquette scura mentre il fratello allungava le mani per stringere le sue. 

“… o magari non è proprio questo il punto?”
“Tu ti sei diplomato Sean, e con i risultati che hai ottenuto puoi benissimo entrare all’Accademia, a settembre. Sono felice per te, è quello che volevi, ma all’improvviso è come se… non andrai avanti con la tua vita e mi lascerai indietro, vero?”

Sean esitò per un istante di fronte alle parole della sorella e all’occhiata malinconica che gli rivolse, ma poi sorrise e si alzò per sedersi accanto a lei e abbracciarla, appoggiando il mento sul suo capo:

“Certo che no. Se tutto andrà bene diventerò un Auror e pensaci bene nei prossimi mesi, perché puoi riuscirci anche tu. E se andrà così sarò ben felice di averti tra i piedi anche al lavoro, piccola Charlie. Se invece tu dovessi cambiare idea, ma spero davvero che tu non ti faccia influenza da ciò che ti senti ripetere, non importa, sei mia sorella e la mia migliore amica, ci sarà sempre spazio per te, te lo prometto. Hai capito?”

Charlotte non rispose, limitandosi ad annuire contro la sua spalla, prima di udire il fratello maggiore parlare dopo una breve pausa, con un tono appena più allegro:

“… anche quest’estate.”
“Come?!”
“Ho praticamente tormentato nostro padre con decine di lettere, e ha dato il consenso. Puoi venire con me, Charlie.”
Charlotte si mosse, allontanandosi improvvisamente dal fratello per poterlo guardare in faccia e assicurarsi che non la stesse prendendo in giro. Ma quando lo vide sorriderle lo imitò, abbracciandolo con slancio di nuovo:
 
“Davvero?! Grazie Seannie.”  


*


“Sei felice di aver accettato?”
“La proposta di Dippet? Sì, senza dubbio. Nessun rimpianto su questo… anche se forse sul momento l’ho fatto per motivi sbagliati.”

“Ossia?”

“Io credo… ho accettato perché ho visto nella proposta del Professor Dippet un’opportunità per andarmene, per lasciarmi momentaneamente la mia vita alle spalle. E mi è servito, avevo bisogno di stare lontana da Londra, dalla mia famiglia e dal Dipartimento, anche se mi è mancato e sono felice di essere tornata, ora. Però ne avevo bisogno.”
“Quindi, alla fine, pensi che tuo padre non abbia sbagliato a darti il congedo di sei mesi?”

“Penso che non sia stata una scelta, alla base, sconsiderata, ma per quanto riguarda mio padre… credo abbia sperato che una volta lasciato non avrei mai ripreso. Non è mai stato felice di sapere sua figlia un’Auror, lui e mia madre avevano progetti diversi per me, lei alla mia età era già sposata e aveva avuto sia Sean che me.”

Charlotte si strinse nelle spalle, tormentandosi distrattamente la mano mentre faceva oscillare lo sguardo dalla finestra appannata dalla pioggia e dalle sue dita. Luisa annuì e sorrise debolmente, sapendo che non mentiva, prima di parlare di nuovo, osservandola con attenzione:

“E dimmi… adesso che è tutto finito, sia il congedo, sia la tua esperienza nella tua vecchia scuola... E oggi sono sei mesi esatti da quando Sean è morto, giusto?”
Charlotte non disse nulla, non potendo far altro che annuire e aspettare che la donna continuasse mentre faceva tremare leggermente la gamba sinistra, tamburellando distrattamente il piede sul pavimento.

“… bene. Ora, guardando a tutti questi mesi… Pensi di essere cambiata o sei la stessa che è entrata qui per la prima volta sei mesi fa?”
“Non dovresti dirlo tu, questo?”
“Noi non dobbiamo dare giudizi mentre ascoltiamo le persone parlare, Charlotte, lo sai.”

“Allora fai proprio un lavoro idiota, Luisa, anche se mi sei simpatica.”
“Lo so, grazie. Ma davvero, Charlotte… rispondi.”


*


Elena era seduta tra Gabriel e Stephanie nel a dir poco affollato scompartimento, occupato da lei, l’amica, il fidanzato, Regan, Jack, Evangeline e Aurora. Sean se n’era andato poco prima per cercare Charlotte e la rossa, dopo aver scoccato un bacio sulla guancia di Gabriel lo imitò alzandosi in piedi, destando la sua curiosità:

“Dove vai?”
“Vado a salutare una persona anche io, siamo quasi arrivati e dopo sarà un disastro come sempre, quindi preferisco farlo ora. Torno subito.”

Elena sorrise prima di uscire attraverso la porta di vetro sotto lo sguardo della sua migliore amica, affatto confusa a differenza di Gabriel, e incamminarsi con un sorriso sulle labbra lungo il corridoio, cercando Axel.

Quando lo trovò, in compagnia di Jade, Andrew ed Iphigenia, aprì la porta con un sorriso dopo aver bussato leggermente, rivolgendo un cenno all’amico:

“Scusate, posso rubarvi Axel?”

“Certo… che cosa c’è?”
Il ragazzo si alzò e la raggiunse nel corridoio con la fronte aggrottata, guardando l’amica con leggera confusione. Che aumentò quando lei, per tutta risposta, lo abbracciò:

“Niente, ti volevo solo salutare. E ringraziare, in realtà.”
“Ringraziare? Per cosa?”
“Come per cosa, per essermi stato vicino tutto l’anno! Ho detto a Gabriel che senza di lui sarebbe stato tutto molto più difficile, ma vale anche per te, se non di più: tu mi sei stato accanto dall’inizio, sei stato il primo a cui l’ho confidato e mi hai spinto a stare vicino a mia madre ma anche a reagire come lei non è riuscita a fare. Credo che senza di te sarebbe stato tutto diverso, quindi grazie Axel.”


Elena sciolse l’abbraccio e sorrise all’amico, che la imitò dopo un attimo di esitazione arrossendo leggermente e stringendosi nelle spalle, quasi a disagio:

“Non mi devi ringraziare Elly, non ho fatto niente.”
“Non dire così, sei un amico meraviglioso. E mi mancherai moltissimo.”
“Anche tu a me… ora chi dovrò cercare di tenere a bada?!”
“Posso sempre passare a casa tua e mettere Elisabeth sulla mia stessa strada…”
“Sei sempre la benvenuta, ma ti prego, non farlo, ho già dato come baby-sister, credo.”


*


“Io credo… credo di aver capito che la mia vita non è finita quella sera, insieme a quella di mio fratello. Anche se sembrava così, all’inizio. Non ti ho mai parlato come si deve di lui.”
“Immagino che all’inizio fosse troppo presto… ma meglio tardi che mai, no?”


“Sean e io… avevamo un rapporto particolare. Non credo che il nostro sia – fosse – un legame che tutti i fratelli condividono… lui era la mia famiglia, in tutto e per tutto, c’è sempre stato per me e sapevo che qualunque cosa facessi avrei sempre potuto contare su di lui. Sean non era solo mio fratello, era il mio migliore amico e quando pensavo alla mia famiglia pensavo a lui, sempre. C’è stato per me più dei miei genitori, penso. Ma mia madre non è cattiva, solo un po’ fredda. Lei non mostra quello che prova davvero, mai, tutto deve essere perfetto e non importa che cosa provi, ti devi comportare esattamente come le persone si aspettano. 
Forse se fosse stata diversa io sarei riuscita ad affrontare la perdita di Sean diversamente, credo di aver imparato da lei a non mostrare mai niente. Abbiamo caratteri difficili e non siamo mai riuscite a conciliarli, e mio padre si è sempre concentrato su mio fratello, più che altro… Così, credo di essermi totalmente affidata a Sean, mi ci sono gettata a peso morto e l’ho usato come ancora di salvezza per tutta la vita. A volte penso che se avessi avuto un rapporto diverso con i miei genitori la sua morte mi avrebbe toccata diversamente. Ho capito che posso vivere la mia vita anche senza di lui, per quanto mi manchi. Posso essere Charlotte anche senza Sean, anche se sono certamente una persona diversa…”
“È normale.”

“Credo che sia impossibile non essere toccati da una perdita di questo tipo. Comunque, sono sicura che lui vorrebbe vedermi godermi la vita, lui era così.”


*


“E adesso che si fa?” 
“Beh, io penso che mi dedicherò finalmente allo studio di quello che mi piace davvero… mio padre ne è felice, credo, anche se non mi capisce. Essere un mago è sempre stato il suo sogno e sua figlia invece, che è una strega, vorrebbe studiare Fisica.”

“Sappiamo che sei strana Iphe, e lo sa anche lui.”
Iphigenia assestò una leggera gomitata ad Andrew che, seduto accanto a lei, rise debolmente mentre Jade si era accomodata sui sedili di fronte, approfittando della momentanea assenza di Axel per stendersi su di essi.

“A me piacerebbe approfondire lo studio di Antiche Rune, credo. Quindi dovremo continuare a sentirti blaterare di Fisica ancora a lungo, Iphe?”
“Temo proprio di sì.”

Andrew e Jade si scambiarono un’occhiata quasi schifata ma nessuno dei due disse nulla, anche se il ragazzo pensò a tutti i libri pieni di parole e simboli strani che avrebbe sicuramente visto la ragazza leggere e studiare negli anni successivi. Forse era anche per quel motivo che Electra si era presentata da lui per fargli le condoglianze dopo le vacanze di Pasqua?


“Bene, ma in cambio tu verrai alle mie partite di rugby.”
“Quel gioco barbaro e violento?! Non mi piace per niente, non potresti giocare a qualcosa di meno potenzialmente mortale?!”
“All’improvviso parli come mia madre, Iphe.”

“E potrà solo peggiorare, rosso…”
“Jade, hai finito di commentare?!”
“Con tutte le camicie che ho sudato per vedervi insieme ora mi vuoi togliere il divertimento?”


*


“Mio fratello diceva sempre una cosa: strofina il pavimento e pulirai il cielo. Voleva fare ogni cosa, vedere ogni cosa che valesse la pena di essere vista, voleva vedere i punti più alti e più bassi del mondo perché pensava che ci si senta più vivi agli estremi dell’esperienza umana… e mi dispiace che non ne abbia avuto il tempo, lo meritava. 
Era più incline di me ad assecondare i nostri genitori ma faceva comunque quello che desiderava, diceva che la vita è troppo breve per restare nelle costrizioni: nasciamo costretti in delle fasce e ce ne andiamo inchiodati dentro una bara, tanto vale quindi cercare di vivere come si deve, così diceva.”

“Doveva essere straordinario.” Luisa abbozzò un sorriso e Charlotte annuì, alzando finalmente lo sguardo per posarlo sulla donna, gli occhi chiari lucidi mentre parlava:
“Lo era. Dicono che i migliori se ne vadano troppo presto.”



*


Beatrix scese sulla banchina ferroviaria tenendo il manico della gabbia della su gatta Ecathe con una mano, guardandosi intorno per cercare qualche traccia della madre.
Non si pose nemmeno il problema di cercare suo padre con lo sguardo, era raro che venisse alla stazione e di solito, quando succedeva, si preoccupava più che altro dei figli legittimi. Non le interessava vederlo, in realtà, e probabilmente lo stesso si poteva dire dei suoi fratelli, eccetto forse per Edward.

“Stai cercando tua madre?”
Katherine comparve accanto a lei tenendo Darcy in braccio e le sorrise, guardandola annuire con espressione neutra:

“Sì. L’hai vista?”
“No, mi dispiace… Mark?”
“Sì sta rendendo utile recuperando il mio baule.”
“Ma sei maggiorenne, potresti portarlo con la magia!”
“Sì, ma è bello fargli fare qualcosa.”
“Ma allora la mia influenza è servita a qualcosa, sono contenta. Ti capisco, io aspetto Maxi per prendere il mio, ha promesso che sarebbe tornato in Inghilterra per il nostro ritorno a casa. Nate! Vieni qui, altrimenti ti perdo.”

La Grifondoro fece cenno al fratellino di avvicinarsi, che obbedì tenendo la gabbia del suo gufo tra le braccia prima di sgranare gli occhi e sorridere con gioia, correndo verso un ragazzo dai capelli scuri fermo accanto alla colonna magica.

“E ora dove sta andando?!”
“Credo che abbia visto tuo fratello.”

“Maxi! Tienimi Darcy.”
“Ma…”

Senza dare il tempo alla cugina di dire qualcosa Katherine lasciò il gatto tra le braccia della bionda prima di affrettarsi a seguire il fratello minore di raggiungere il maggiore per stringerlo in un abbraccio. Beatrix invece sospirò, restando ferma sulla banchina con il gatto della cugina tra le braccia e la gabbia di Ecathe stretta in mano prima di sentire la voce del fratello maggiore alle sue spalle:

“Ciao gattara, eccoti qui.”
“Non chiamarmi così.”
“E dire che ti ho anche portato il baule!”
“Hai ragione, scusa, sei il miglior facchino del mondo.”
Beatrix si voltò verso il Grifondoro e sfoggiò un sorrisetto divertito che venne ricambiato dal ragazzo, che la guardò inarcando un sopracciglio:
“Me la dà la mancia, Signorina?”
“Scordatelo, dovresti aiutarmi per affetto, non per un tornaconto!”

Markus fece per replicare, ma la voce di Davina, che si era sporta da un finestrino, lo precedette:
“Ehy, Mark! Vieni ad aiutarmi!”
“Anche tu?!”
“È troppo pesante, non ce la faccio da sola! Per favore!”
“Va bene, arrivo. Ma perché non ho avuto solo fratelli maschi…”


Markus roteò gli occhi ma giro sui tacchi e torno sul treno per andare in soccorso anche della seconda sorella, che si scambiò un sorrisetto soddisfatto con la maggiore:

“Non dire così, se non ci fossimo ti mancheremmo!”
“Certo, sicuramente.”


*


“Signora Bennet?”

Quando Luisa, che aveva appena messo piede fuori dal suo studio, si voltò abbozzò un sorriso in direzione dell’uomo che aveva davanti, osservandolo con scarsa curiosità: sapeva perfettamente perché era lì.

“Salve, Signor Selwyn. Desidera?”
“Sa benissimo cosa voglio. Mia figlia è stata qui oggi, no?”
“Sì, la nostra ultima seduta, il patto era questo. Sei mesi di congedo e di terapia. In realtà credo che Hogwarts le abbia fatto anche meglio. L’ha vista?”

“Di sfuggita. Stamattina è venuta al Dipartimento per informarmi che domani tornerà al lavoro, ma non ha detto altro. A lei cosa ha raccontato?”
“Signor Selwyn, sa che non posso dirglielo.”

Luisa abbozzò un sorriso mentre, dopo essersi infilata la giacca, si allontanava con calma lungo il corridoio. Edgar però la seguì, osservandola con insistenza prima di parlare nuovamente:

“Le ha detto cosa è successo? Voglio sapere come è morto mio figlio, Signora Bennet.”
“Può sempre chiederglielo di persona.”
“Se ha parlato con mia figlia saprà che charlotte praticamente non parla con me, e nemmeno con sua madre. A Dicembre, quando l’ha conosciuta, mi ha detto che Charlotte non lo ricordava.”

“Non è così insolito Signor Selwyn, non stava mentendo, aveva rimosso alcuni momenti di quella sera… è normale, quando si subisce un trauma.”
“E ora lo ricorda?”
“I ricordi tornano, di solito, con il tempo. Sì, ricorda tutto. Non glie l’ho chiesto, ma l’ho visto.”

“E allora me lo dica lei, com’è morto mio figlio.”
“Non spetta a me. Parli con sua figlia, forse vi farà bene. Capisco che voglia sapere come è morto Sean, Signor Selwyn, ma forse dovrebbe ricordarsi che ha anche una figlia e che lei è ancora viva.”


*


Quando scorse i suoi genitori e i suoi fratelli Hector sospirò sommessamente, perfettamente consapevole dei loro sguardi su di lui ma sopratutto sulla ragazza che teneva per mano in quel momento, che intuì il motivo del suo cambiamento d’espressione gli sorrise, divertita:

“Beh? Non me li presenti?”
“Se proprio devo…”
“Hai paura che possa metterti in imbarazzo, Thor?”

“Oh, ti prego, sai benissimo che non è così… Semmai temo proprio il contrario.“ 
“Non dire così, per quanto possa essere diversa da te e pure sempre la tua famiglia. E se ti hanno cresciuto loro sono sicura che sono meravigliosi.“ 

Il ragazzo la guardò e abbozzò un sorriso, annuendo debolmente prima di alzare nuovamente lo sguardo sulla sua famiglia, intuendo che stessero parlottando proprio a proposito di Adela.
Oh, beh, cosa mai poteva succedere? Mal che andasse lo avrebbero messo in forte imbarazzo...

“D’accordo, se ne sei sicura… Ma io ti ho avvertita, Adela, ricordatelo. Bene, andiamo a conoscere i Grayfall, allora, penso che non dimenticherai questo giorno troppo facilmente.”
“Lo spero tanto.”

Adela gli sorrise e si lasciò condurre verso la famiglia del ragazzo, stampandosi il suo sorriso migliore sulle labbra prima di lasciarsi presentare da Hector e arrossendo leggermente quando MiraJane asserì che era “davvero deliziosa” prima di abbracciarla.

Anche solo dai racconti del ragazzo Adela era certa che si trattasse di una famiglia piuttosto diversa dalla sua… e per quanto potesse amare i suoi genitori era sicura che l’avrebbe adorata proprio per questo motivo.
Contrariamente a quanto, lo sapeva, Hector pensava era certa che non l’avrebbero fatta scappare  a gambe levate. 


*



5 Gennaio 1944

“… Allora, che cosa ne pensa? Accetta?”

Charlotte esitò, gli occhi chiari fissi sull’uomo dai tratti familiari, anche se era invecchiato dall’ultima volta in cui lo aveva visto, che aveva davanti: era certa che sapesse, per questo le aveva chiesto di incontrarlo… ma una parte di lei ne era felice, o almeno così credette, faticava a distinguere chiaramente le emozioni da quando Sean non c’era più. 

Però, si disse l’Auror, infondo peggio di così non poteva andare. Non avrebbe comunque potuto lavorare in quei mesi, e piuttosto che stare a casa senza fare niente, dovendo subire i suoi genitori, sarebbe andata anche a lavorare in miniera.
Che cosa mai sarebbe potuto succedere da lì a fine Maggio?

“… Sì. Accetto, Professor Dippet.”
“Meraviglioso, Signorina Selwyn.”


Il Preside annuì e Charlotte ricambiò appena, non potendo assolutamente immaginare di come sarebbe uscita, settimane dopo, da quel castello e di chi avrebbe rincontrato al suo interno.

Nei giorni precedenti, talvolta Charlotte si era chiesta se Sean sarebbe morto se lei non fosse diventata Auror, o se non fosse stata assegnata alla sua squadra, o se gli avesse dato retta e non si fosse presentata. 
L’aveva confidato a Luisa solo il giorno prima e lei le aveva detto che tutto accadeva per un motivo, ma non l’aveva convinta, Charlotte era sempre stata fin troppo pragmatica per credere nelle coincidenze o nel destino, non per niente aveva sempre snobbato Divinazione.

Eppure, qualche settimana più tardi, forse per una volta sarebbe stata costretta a ricredersi.










……………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Ed eccoci giunte all’Epilogo anche di questa storia, che spero davvero abbiate apprezzato quanto io mi sono divertita a scriverla. 
Grazie, come sempre, a tutte per aver partecipato, specie considerando che c’è stata una sola eliminazione, ossia grazie a Phebe, Bea, Em, Fede, Sesy, Mary, Nene, Amilcara, Carolina, Chauve Souris, Carme e Michelena per aver seguito la storia fino alla fine; e poi ovviamente grazie a tutte le persone che l’hanno messa tra le Preferite, Seguite e Ricordate.

Un sentito grazie anche per aver apprezzato Sean e CeCe: questa storia, così come Magisterium, e loro due sono davvero molto importanti per me.
Ci sentiamo presto con le OS, e visto che i personaggi e le coppie sono parecchie e non so decidermi ho un’ultima domanda per voi… a chi vorreste che fosse dedicata? Ovviamente non potete votare il vostro personaggio.
Piccola nota finale: non voletemene (e scusa amilcara) ma non credo che ci sarà una OS per Charlotte e per i Reganie, la prima perché senza Will non avrebbe molto senso e i secondi perché credo di aver già scritto in abbondanza su di loro.

A presto, 
Signorina Granger 

Ps per chi partecipa anche ad Half-Blood: non sono morta, mi farò viva anche lì, giuro




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