Limiti

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




Erano passati tre giorni e ancora non erano riusciti a capire come stavano davvero le cose. Forse per paura, forse per semplice timidezza. Se però fosse stato vero, come avrebbero dovuto reagire?
   Steso supino sul proprio letto, Adrien sfogliò la galleria di foto che aveva sul cellulare, soffermandosi su una di quelle fatte al parco con i suoi compagni di classe. In piedi accanto a lui, lì Marinette sorrideva felice, con i suoi grandi occhi azzurri dal taglio molto femminile. Potevano essere gli stessi che lui amava fissare quando Ladybug gli era intorno? Diamine, sì. Ora che ci faceva caso il colore era identico e anche la forma glieli ricordava tantissimo. E i capelli? Neri e raccolti in due graziosi codini proprio come quelli della sua collega di mille battaglie.
   Lasciando ricadere accanto a sé il braccio con il cellulare, il giovane si portò l’altro sul volto, come se nascondersi in quel modo bastasse ad allontanarlo dalla realtà. Aveva passato mesi a sospirare nel tentativo di indovinare chi si celasse dietro la maschera dell’eroina di Parigi e ora che forse aveva scoperto di chi si trattava, non sapeva davvero come sentirsi. Marinette gli piaceva. Molto. Era dolce, buona e onesta. Ed era carina, cosa che non guastava affatto. Eppure Adrien non l’aveva mai associata a Ladybug perché, a differenza di quest’ultima, la sua compagna di classe era anche tremendamente timida e goffa. Come se una maschera sul volto bastasse a dare maggior sicurezza… Quell’osservazione lo fece quasi sentire ipocrita: se lui era il primo a dar sfogo a tutta la propria baldanza quando vestiva i panni di Chat Noir, perché Marinette non poteva fare altrettanto grazie ai poteri del suo miraculous? Dopotutto, aveva dimostrato in svariate occasioni di essere molto in gamba, dandosi da fare per i suoi amici tutte le volte che loro ne avevano avuto bisogno, prendendo in mano la situazione nei panni di rappresentante di classe e mostrando proprio quella stessa risolutezza con cui Ladybug gli aveva rubato il cuore.
    Si alzò a sedere sul letto, tornando a fissare il viso dell’amica attraverso lo schermo. Gli pesava l’idea che fosse lei, la ragazza di cui era innamorato ormai da tanto? In tutta onestà, no. Ciò nonostante, Adrien non poteva fare a meno di sentirsi confuso al riguardo. Aveva bisogno di sapere se le cose stavano davvero così, se Marinette era davvero la sua Ladybug.
   E se lui era semplicemente disorientato da quella possibilità, l’altra diretta interessata non chiudeva occhio ormai da due notti ed era quasi sicura che avrebbe faticato ad addormentarsi anche quella sera, nonostante il calore e la morbidezza delle coperte nelle quali si era avvolta. Adrien era l’amore della sua vita, Marinette ne era sempre stata fermamente convinta. Il destino, però, aveva fatto inciampare quella sua certezza in un intoppo grosso quanto la Tour Eiffel: c’era la seria probabilità che Adrien fosse Chat Noir.
   Sarebbe stato davvero tanto grave? Sì, maledizione. Perché lei non riusciva ad accettare l’idea che il ragazzo di cui era perdutamente innamorata fosse anche l’eroe mascherato dalla battuta pronta, che si divertiva a fare il gradasso e che non mancava mai di fare il dongiovanni con lei alla prima occasione. Adrien era tutto fuorché così. Le differenze fra i due erano abissali.
   Tanto per cominciare, Adrien era bello; d’accordo, poteva esserlo anche Chat Noir, dal momento che lei non lo aveva mai visto senza maschera. E poco importava che entrambi fossero biondi, avessero gli occhi verdi, la stessa statura e la stessa corporatura… Insomma, non significava niente, giusto? E allora perché, più lei li associava da un punto di vista fisico, più le sembrava di essere sempre stata cieca?
   Adrien però è molto gentile, si disse Marinette, alla ricerca di un qualsiasi appiglio che riuscisse a smentire quel terribile sospetto. Ma lo è anche Chat Noir, dovette convenire con se stessa, per amor del vero. Adrien non ostenterebbe mai la propria galanteria come fa Chat Noir, tornò a dirsi, proprio un attimo prima che le si affacciasse alla mente il ricordo di lui che le si inchinava leziosamente davanti, sulla soglia di casa, per offrirsi come interprete dal cinese. Il miraculous di Chat Noir è un anello e Adrien non ne indos… Sì. Sì che ne indossa uno, maledizione! Marinette si portò il cuscino sul volto, spingendoselo contro la bocca quasi come se volesse soffocare un urlo di frustrazione. Tornò a chiedersi: sarebbe davvero stato così grave, se Adrien e Chat Noir fossero stati la stessa persona? Tornò a rispondersi: sì. Perché questo significava soltanto una cosa, e cioè che lei era come tutte le altre sue ammiratrici, che si fermavano unicamente all’apparenza e non si preoccupavano affatto di conoscere a fondo il ragazzo di cui giuravano di essere innamorate perse. Eppure Marinette sapeva che non era così: lei amava davvero Adrien. E voleva un bene immenso anche a Chat Noir, pur con tutti i suoi difetti. Anche lei ne era piena, no?
   Lasciandosi ricadere il cuscino in grembo, si alzò a sedere sul letto con sguardo determinato: doveva scoprire la verità.

Alya non ne poteva più di quei due. Erano giorni che si giravano attorno e si scambiavano occhiate fuggevoli, timorosi quasi di aprire bocca l’uno alla presenza dell’altra. Di più, come se la timidezza di Marinette non fosse stata sufficiente, ora anche Adrien aveva iniziato a chiudersi in un silenzio inconsueto, a ridere con fare sommesso alle battute e a mostrare una ritrosia che non gli era propria. Cosa diavolo era successo, tra loro?!
   «Sono sicura che c’entra l’uscita dell’altro giorno.»
   «Non erano loro.»
   «Sì, invece.»
   «Marinette stava facendo la babysitter e Adrien era impegnato con la lezione di cinese.»
   «Questo è quello che dicono loro.»
   Nino le lanciò uno sguardo implorante: davvero avrebbero passato tutto il pomeriggio ad impicciarsi degli affari dei loro migliori amici anziché pensare un po’ a loro stessi? Proprio adesso che avevano casa libera? «Alya…»
   Lei parve finalmente rendersi conto di essere schiacciata per metà dal suo peso, accoccolati insieme sul divano dell’appartamento del giovane in quello che avrebbe dovuto essere un momento di tenerezze. Gli rivolse un sorriso di scuse. «Mi dispiace», mormorò allora, passandogli una carezza sul viso scuro. «È solo che odio quando gli altri mi nascondono qualcosa. Soprattutto quando si tratta di quei due.»
   «Lo so, me lo hai ripetuto almeno tre volte, da quando sei qui», sospirò Nino, rassegnandosi a tirarsi su. Poggiò il gomito sullo schienale del divano, fissandola dall’alto con pazienza. «Avanti, parla.»
   «No, no, vieni qui…» disse lei, allungando le braccia nella sua direzione e tirandolo per la maglietta per invogliarlo a tornare dov’era prima.
   «Anche se lo facessi, ricominceresti a borbottare dopo due minuti, quindi tanto vale che tu lo faccia subito», le fece notare il giovane con fare pratico. Amava Alya, moltissimo. Era per questo che lasciava correre la maggior parte delle sue follie, come l’ammirazione smisurata per Ladybug e Chat Noir o la discutibile determinazione con cui voleva a tutti i costi far sì che Adrien ricambiasse i sentimenti di Marinette. Con lui Nino ci aveva anche parlato, mantenendo però la promessa di non rivelargli che la loro amica ne era invaghita; ne era venuto fuori che anche ad Adrien piaceva Marinette, e sebbene si ostinasse a sottolineare come quel suo affetto non valicasse l’odioso confine dell’amicizia, per Nino era piuttosto palese il contrario. Si era più volte domandato se non avesse dovuto aprirgli gli occhi, facendogli notare che si illuminava tutto quando si nominava Marinette, ma alla fine rinunciava sempre: era una cosa che Adrien avrebbe dovuto capire da solo. Forzarlo avrebbe potuto essere persino controproducente perché magari non era ancora pronto ad intraprendere quel genere di relazione con una ragazza.
   Era quello che Nino aveva provato a far capire ad Alya, che però continuava a voler aiutare la propria migliore amica a tutti i costi. «Sono fatti l’uno per l’altra», sentenziò difatti lei, come se quello bastasse a spiegare la ragione per cui non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero che quei due li avessero presi in giro. «Non so cosa li abbia spinti a mentirci, però… vorrei che fossero felici come lo siamo noi.»
   Ecco un’altra buona ragione che spingeva Nino a sopportare quegli sproloqui: Alya sapeva essere dolcissima. «Fammi spazio», le disse, tornando a stendersi con lei e abbracciandola con tenerezza. «Cosa hai in mente?» chiese dopo averle dato un bacio fra i capelli castani.
   «Stavo pensando di dar loro una piccola spinta», confessò la sua innamorata, crogiolandosi nel suo tepore.
   «Alya…»
   «Prometto che mi limiterò a quello e non mi intrometterò oltre.»
   «Marinette non aveva espresso il desiderio che tutto avvenisse in modo naturale? Senza artifici di sorta?»
   «Certo», convenne con lui, decisa più che mai a rispettare il volere dell’amica. «Ma se lei non riesce nemmeno ad accettare un invito di Adrien perché si fa sopraffare troppo dalle emozioni, non credi che sia il caso di farlo al posto suo?»
   «Torno a ripeterlo: che hai in mente?»
   Alya si puntellò su un gomito, fissando l’amato con occhi vispi ed un sorrisetto che era tutto un programma. «Mi aiuterai, vero?»
   «Non mentirò ad Adrien.»
   «Non c’è bisogno che tu menta», gli assicurò, colpendolo scherzosamente con un polpastrello sulla punta del naso. «Devi solo reggermi il gioco.»
   «Devo preoccuparmi?» Vedendola scuotere il capo con aria decisa, Nino si lasciò andare ad un nuovo sospiro. «Speriamo bene.»
   Alya rise e si chinò per baciarlo. «Dov’eravamo rimasti?»

«Stavo pensando…» cominciò quando tutti e quattro stavano per entrare in classe per la ripresa delle lezioni. Nino si preparò psicologicamente e abbassò lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe: non sarebbe mai stato in grado di prendere in giro il suo migliore amico, ma non poteva nemmeno deludere le aspettative della sua ragazza, che lo aveva implorato di recitare almeno quella battuta. Se lo avesse fatto lei, gli aveva detto, sarebbe stato troppo sospetto e Marinette sarebbe morta d’imbarazzo. «Vi andrebbe di andare al cinema, dopo la scuola?» buttò fuori tutto d’un fiato. Diamine, aveva fatto molta meno fatica quando si era messo con Alya. «Sempre che non abbiate impegni, si intende.»
   Sia Marinette che Adrien trattennero il fiato. Fino a pochi giorni prima non lo avrebbero fatto e, anzi, sarebbero stati più che felici di accettare, come già era capitato altre volte, in passato. Ora però le cose erano sensibilmente cambiate ed entrambi non riuscivano più a vedere quella semplice uscita fra amici come tale. Non dopo quello che forse avevano scoperto. Soprattutto, non dopo il bacio che si erano dati. Perché, per quanto forzato potesse essere stato sulle prime, Adrien lo aveva accolto con amore e Marinette non aveva potuto fare a meno di provare qualcosa. E questo contribuiva ad inquietarla per un altro motivo non di poco conto: se pure il suo adorato compagno di classe non fosse stato Chat Noir, questo non significava forse che lei era attratta anche da quest’ultimo? I suoi sentimenti per Adrien stavano vacillando? Che fine aveva fatto la sua integrità morale? I suoi sogni romantici erano irrimediabilmente compromessi per colpa di quel gattino dagli occhi vispi e dalla battuta facile, sempre pronto a flirtare quando c’era di mezzo una bella ragazza?
   Ommioddio! Realizzò in quel momento Marinette, strabuzzando le orbite ed estraniandosi del tutto dalla conversazione lasciata in sospeso con i suoi amici. Se Adrien è davvero Chat Noir, significa che in realtà è un dongiovanni?! No, questo davvero non poteva accettarlo, sarebbe stato terribile. Serrò i pugni attorno alle bretelle del suo zaino e il suo cervellino fantasioso cominciò a veleggiare verso lidi catastrofici dai quali, grazie al cielo, la stessa voce di Adrien la trascinò via prima ancora che lei ci si perdesse.
   «Io ci sto», disse il giovane, sorridendo con ritrovato entusiasmo. A differenza della sua graziosa compagna di classe, per lui scoprire la verità riguardo alla propria collega sarebbe stato decisamente meno traumatico. Se davvero Marinette era Ladybug, non avrebbe potuto che fargli piacere: insomma, con lei andava più che d’accordo e la considerava una delle persone migliori che conoscesse. Inoltre, quando l’aveva baciata, Adrien aveva avvertito un calore non indifferente all’altezza del petto, capace di rigenerare l’amore che provava per la sua straordinaria collega. Se invece le cose non stavano così, e cioè se sotto la maschera di Ladybug si nascondeva effettivamente un’altra ragazza, allora cosa sarebbe cambiato? Non molto, rispetto al solito. Adrien poteva soltanto tornare a sperare di conoscere la verità, un giorno. E che il bacio che aveva dato alla sua bella avesse in qualche modo lasciato il segno.
   «Marinette?» la chiamò Alya, che si era accorta del totale estraniamento della sua amica dalla conversazione. «Non dicevi di essere libera, oggi pomeriggio?»
   «Ah… s-sì… ma…» balbettò lei, cercando un modo per svicolarsi da quella situazione senza apparire troppo sospetta. Eppure non aveva deciso appena la sera precedente di scoprire la verità a tutti i costi? Non desiderava essere diversa da tutte le altre ammiratrici di Adrien? Sì, voleva conoscerlo meglio e capire. Alzò timidamente lo sguardo su di lui, incontrando i suoi meravigliosi occhi verdi, che la fissavano con quella che le parve essere… speranza? Sapeva di piacergli, ma non si illudeva che quell’affetto da parte sua valicasse i confini dell’amicizia. Beh, forse era giunto il momento di fargli cambiare idea, stabilì in un improvviso moto di orgoglio e d’amore per se stessa. «Verrò», disse in tono fermo, tornando a rivolgersi a Nino.
   Con la coda dell’occhio scorse l’espressione soddisfatta di Adrien, capace di farle sobbalzare il cuore: ci teneva davvero così tanto alla sua presenza, quel pomeriggio? Marinette andò in brodo di giuggiole e non si rese affatto conto dell’occhiata implorante che il loro amico lanciò ad Alya. Quest’ultima allora prese in mano la situazione. «Decidete insieme ora e luogo di incontro, per noi è indifferente», affermò contenta, agguantando Nino per un polso e trascinandolo in aula con sé.
   «Ti va bene alle quattro davanti al multisala dell’ultima volta?»
   Marinette alzò di nuovo lo sguardo sul viso sorridente di Adrien. Le tremarono le gambe: era in assoluto la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua e lei forse era riuscita a baciarlo non una, bensì due volte – sia pure non nel modo più romantico del mondo. «Qualunque cosa desideri…» le scappò di bocca con voce sognante, prima che potesse rendersene conto. Lo fece un attimo più tardi, quando lo vide spalancare gli occhi per la sorpresa, e arrossì fino alla punta delle orecchie. «Cioè!» esclamò alzando il tono di un’ottava e facendolo sobbalzare. «Q-Qualunque cosa desideri per me va bene… p-perché... non ho impegni, no, proprio no. Non oggi.» Aprì la bocca in un sorriso rigido che nelle sue intenzioni doveva apparire naturale, ma che in realtà sembrava la caricatura di una di quelle bambole dei film horror.
   Adrien cercò di passarci sopra come ogni santa volta, cominciando a dubitare che quella che aveva davanti fosse davvero la sua partner nella lotta contro Papillon: Ladybug non era tipo da tartagliare goffamente in quel modo. Però lo ha fatto in almeno un paio di occasioni, si ricordò mentre entravano in classe e sedevano ai loro posti a causa dell’arrivo della professoressa. Posando la borsa con i libri, lanciò un’occhiata di sfuggita alla ragazza alle sue spalle, troppo impegnata a gestire le proprie emozioni per accorgersene. Se non altro, si disse il giovane tornando a guardare davanti a sé, quel pomeriggio sarebbe forse riuscito a cogliere dei segnali che potevano aiutarlo a scoprire la verità.

«Rilassati, Marinette», le consigliò Tikki attraverso l’apertura della borsetta che la ragazza portava a tracolla. «È solo un’uscita di gruppo, è già successo altre volte, no?»
   «Sì, ma… prima non avevo il sospetto che Adrien potesse essere…» Marinette esitò, guardandosi attorno e sussurrando: «Beh, Chat Noir.»
   «E anche se fosse, cosa cambierebbe?» cercò di capire il kwami, mentre salivano le scale del sottopassaggio della metropolitana per raggiungere il luogo dell’appuntamento.
   L’altra ci pensò su. «In tutta onestà… non lo so», bofonchiò sconsolata. «Certo sarebbe fantastico, visto che questo ci unirebbe ulteriormente», aggiunse poi. E a riprova del fatto che lo pensasse davvero, c’era da dire che era stato quello il primo pensiero che l’aveva colpita quando in lei si era insinuato quel sospetto. «D’altro canto, vorrebbe dire che per tutto questo tempo ho respinto le sue avances senza neanche rendermene conto!» realizzò un attimo dopo, portandosi le mani fra i capelli con una teatralità tale da far girare alcuni passanti, che la fissarono incuriositi. «Ma ci pensi?! Solo una pazza respingerebbe una meraviglia come quella!»
   Tikki ridacchiò divertita. «Ma tu non potevi saperlo», cercò di rassicurarla.
   «Lo so bene, eppure la cosa non mi consola affatto, credimi.» Non finì di dirlo che vide l’amica sparire dentro la borsetta, che si chiuse con uno scatto. Alzò lo sguardo e dall’altro lato della strada, proprio davanti al multisala, scorse la figura bionda di Adrien. Avvertì immediatamente le gambe irrigidirsi e il cuore cominciare a battere più forte. Coraggio, Marinette. Approfitta del ritardo di Alya e Nino per scoprire la verità, si spronò allora, decisa a farsi forza.
   Non appena fu a due passi dall’amico, tuttavia, ogni sua più rosea aspettativa venne del tutto eclissata dallo splendore del sorriso che lui le rivolse. «Ciao, Marinette.» Persino il modo in cui pronunciava il suo nome era paradisiaco. Com’era possibile che non avesse mai notato la medesima cosa in Chat Noir? Forse, allora, non erano la stessa persona?
   Abbozzò un’espressione allegra. «Ehi… ciao», salutò con voce stentata. Prese un grosso respiro. «Gli altri non sono ancora arrivati?»
   «Non credo, no», rispose lui, dando uno sguardo all’ora segnata sul cellulare. Nonostante fossero due ritardatari nati, quella volta erano entrambi in anticipo e questo, pensò Adrien, non poteva che essere un bene. Sbirciò in direzione della ragazza, sorprendendola a fissarsi la punta dei piedi con aria imbarazzata, e si domandò per l’ennesima volta per quale dannato motivo avesse tanta soggezione di lui. Eppure, nonostante tutto, era certo di piacerle in qualche modo; altrimenti perché mostrarsi sempre gentile nei suoi confronti?
   La vibrazione del cellulare lo distolse da quei pensieri poco incoraggianti: un messaggio di Nino. Scusa, amico, io e Alya non verremo. Adrien rimase imbambolato per un attimo davanti a quelle parole, come se cercasse di carpirne un significato più recondito. Il sospetto infine si impadronì di lui e di nuovo il suo sguardo scivolò sull’amica, che ora lo fissava come in attesa di qualcosa. Sospirò. «Marinette… Cosa ti ha risposto, Alya, quando le hai detto l’ora e il luogo dell’incontro?»
   «Che per loro andavano bene», rispose semplicemente lei, non capendo il perché di quella domanda.
   «Ti è sembrata entusiasta?»
   «Di venire al cinema? Sì, direi di sì. Anche più del solito, in verità.»
   Eccolo lì, il trucco. E, a quanto poteva dedurne dalla sincerità del suo sguardo, Marinette non ne sapeva nulla. Per quanta fiducia potesse avere nel prossimo, nell’ultimo periodo Adrien era stato più volte sul punto di credere che i suoi amici si stessero adoperando per spingerlo verso di lei, e lui si era spesso sentito in colpa nei loro confronti, per quei pensieri. Tuttavia, adesso quei dubbi tornarono a rodergli la mente, soprattutto dopo i non troppo velati riferimenti al riguardo, quando Alya e Nino lo avevano visto insieme a Ladybug a spasso per le vie di Parigi, scambiando lei per Marinette.
   Sospirò di nuovo e si massaggiò la nuca, un sorriso indulgente sulle labbra. «Chiamala», consigliò all’amica, deciso a farle scoprire da sola la verità.
   La ragazza increspò la fronte trovando strana quella richiesta, ma alla fine recuperò il telefonino e fece come lui le aveva chiesto. Alya rispose dopo tre squilli. «Non c’è bisogno che mi ringrazi», esordì con voce allegra. «Ma domani dovrai raccontarmi tutti i dettagli.»
   «Ehm… di che parli?» domandò Marinette, stupita da quelle parole.
   Sentì l’altra ridere divertita. «Non l’hai ancora capito? Io e Nino non verremo.»
   «Avete avuto un imprevisto?»
   «Cielo, Marinette!» sbuffò Alya, incredula per l’ingenuità dell’amica. «Se ci pensi, non abbiamo mai detto che saremmo venuti anche noi.»
   «Cos…?»
   «Perché credi che abbiamo lasciato decidere tutto a voi?»
   Marinette tacque, recuperando nella memoria la conversazione avuta con loro prima della ripresa delle lezioni del pomeriggio, e quando realizzò di essere stata raggirata come una sciocca, esplose. «Alya!» esclamò, agitando il braccio libero con enfasi, mentre Adrien faceva un passo indietro per non essere colpito dalla sua irruenza. «Come diavolo ti è saltato in mente?!»
   «Ehi, ehi, calma!» iniziò a difendersi quella, sperando che lei abbassasse il tono della voce per non spaventare il giovane che le era accanto. «Visto che non riesci a cogliere mai al volo l’occasione per chiedere un appuntamento al tuo amato Adrien, ho pensato di darti una mano.» Marinette s’irrigidì tutta. «Lui è già lì?»
   «S-Sì…» farfugliò, occhieggiando timorosa in direzione dell’amico, che se ne rimaneva tranquillo in attesa di conoscere l’esito di quella telefonata. Il pensiero che lui fosse in ascolto la imbarazzò ulteriormente e abbassò le iridi chiare verso un punto imprecisato.
   «Ora fa’ un bel respiro e buttati.»
   «Che…?!»
   «Non balbettare cose insensate come al solito.»
   «M-Ma…!»
   «Sii te stessa e fai del tuo meglio per sedurlo!»
   «Alya!» gracchiò disperata, sentendosi morire di vergogna.
   L’altra tornò a ridere. «Buon pomeriggio», cantilenò infine, chiudendo la chiamata prima che Marinette potesse protestare ancora.
   «Non verranno, eh?» La voce di Adrien la riportò con i piedi per terra, facendola sussultare. Tornò ad alzare lo sguardo su di lui e scosse il capo con aria mortificata. Sebbene fosse conscia di non essere direttamente colpevole, Marinette non poteva fare a meno di ritenersi in qualche modo responsabile per l’aver costretto la sua migliore amica ad escogitare quel tranello per darle una chance con il ragazzo dei suoi sogni. «Ci hanno imbrogliati per bene, quindi…» Adrien non sembrava sorpreso dalla cosa. Si era reso conto del problema? Del fatto che le piaceva e che Alya voleva darle una mano a tutti i costi? Marinette avvertì la vergogna crescere dentro di sé e fu quasi sul punto di farsi prendere dal panico, non sapendo da che parte iniziare a scusarsi con lui. «Beh, peggio per loro», disse invece il giovane, sorprendendola con un’espressione che sembrava tutt’altro che dispiaciuta. «Vorrà dire che ci divertiremo lo stesso come matti», la incoraggiò, strizzandole persino l’occhio.
   Il cuore di lei sobbalzò di nuova speranza e il sorriso tornò ad incurvarle le labbra. «Alla faccia loro», ritenne giusto aggiungere, facendolo scoppiare a ridere e ridendo a sua volta. Dopotutto, nelle ultime settimane aveva fatto progressi nel rapportarsi con lui, dimostrando di essere capace di parlarci senza per questo andare necessariamente in iperventilazione. Le sarebbe bastato davvero essere soltanto se stessa, senza pensare a nient’altro, nemmeno all’eventualità che il giovane accanto a lei potesse essere anche Chat Noir.
   Questo era ciò che si stava dicendo anche Adrien: che Marinette fosse o meno Ladybug, lui avrebbe fatto tesoro di quell’uscita nella speranza di conoscerla meglio. In fondo, per quanto adorasse l’eroina di Parigi, anche la ragazza che gli era accanto gli piaceva molto. Già, molto… si sorprese a pensare, mentre entrava con lei nel multisala. Quella nuova consapevolezza lo turbò non poco: possibile che i suoi sentimenti fossero così mutevoli? O era il sospetto che Marinette fosse Ladybug a fargliela piacere più di quanto fosse lecito supporre? Davvero, Adrien aveva bisogno di fare chiarezza con se stesso il prima possibile.












Or dunque... ecco qui la mia seconda long. In teoria doveva essere molto diversa, molto più leggera, proprio come farebbe presagire questo primo capitolo. Bene, non cullatevi troppo sugli allori, perché mentre scrivevo qualcosa è andato per conto suo e tutto mi si è rivoltato contro, creando situazioni troppo grandi e troppo gravi. Da ciò il bollino arancione. E per chi se lo stesse chiedendo, no, non è per via di eventuali scene di sesso: premetto che non ce ne saranno (la stessa scena fra Alya e Nino, qui, va intesa appunto come un semplice scambio di tenerezze, nient'altro che questo). Ho cercato e sto cercando, poiché non ho ancora finito di scrivere (benché io sia ormai ai capitoli finali), di mantenermi il più vicino possibile all'IC dei personaggi, ma non so quanto io sia riuscita nell'intento; ecco perché ho preferito mettere le mani avanti e segnalare la storia come OOC. Non si sa mai.
Con la speranza di non deludere le aspettative di nessuno, per il momento torno ad eclissarmi come ho fatto nelle ultime settimane, vuoi per via degli impegni lavorativi e personali, vuoi perché ero impegnata nella stesura di questa long.
Un grazie a chiunque abbia letto, a chi volesse lasciarmi due righe per farmi sapere le sue prime impressioni e a chi volesse aggiungere questa storia fra le preferite/ricordate/seguite.
Buona serata e buone feste a tutti! ♥
Shainareth





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO SECONDO




Il vero problema che si presentò nell’immediato fu però di tutt’altro tipo: cos’avrebbero visto? Un film d’amore era da escludere a priori, pensò Marinette; non soltanto perché magari non era il genere che potesse interessare ad Adrien, ma anche e soprattutto perché temeva che il suo cuore non avrebbe retto all’atmosfera che si sarebbe creata. Fece scorrere lo sguardo sulle locandine che occupavano l’atrio del multisala e si soffermò per un attimo su quella di un film di supereroi. Probabilmente quello sarebbe piaciuto al suo amico; tuttavia, visti i recenti dubbi sulle rispettive doppie identità, forse era meglio evitare. Quello che ci voleva, a quel punto, era una commedia. Sì, sarebbe andata bene, ne era sicura.
   «Adrien», chiamò, sollevando gli occhi sul suo accompagnatore, che però sembrava distratto da qualcosa. Seguì il suo sguardo accigliato e notò che stava fissando un gruppetto di ragazzi, poco più grandi di loro, che ridacchiavano per qualcosa. «Tutto bene?»
   Lui annuì, serio in volto, e le passò un braccio attorno alle spalle, sospingendola via da lì, verso la biglietteria. Il cuore di Marinette sobbalzò e lei si irrigidì sotto al suo tocco, ma non protestò, pur non avendo idea della ragione di quel gesto. Quella era un’uscita fra amici, giusto? «Andiamo a fare i biglietti», disse atono Adrien, a riprova che fosse preso da altro. «Cosa vuoi vedere?» le domandò poco dopo, in fila, addolcendo la voce e dedicandole di nuovo tutta la sua attenzione, mentre la lasciava andare.
   La ragazza recuperò la facoltà di respirare più o meno regolarmente. «Ah… ehm… pensavo ad una commedia. Se a te va, si intende.»
   «Buona idea», convenne lui. «In fondo, abbiamo deciso di farci grasse risate, oggi, no?»
   Marinette sorrise e mantenne quell’espressione fin dentro la sala, quando presero posto l’uno accanto all’altra. Quanto aveva desiderato vivere quel momento? Tante, troppe volte. E finalmente adesso quel sogno si stava realizzando. Certo, era più che consapevole che non si trattava di un appuntamento in senso stretto, ma che importanza poteva avere? In realtà, le bastava soltanto essere con Adrien, ogni altra cosa passava in secondo piano.
   Fu a metà dell’ennesimo scambio di battute che la luce in sala si spense ed entrambi rimandarono a dopo il resto delle chiacchiere. Il film era piacevole, pensò Marinette, lieta soprattutto di riuscire a seguirlo più o meno con costanza, benché con la coda dell’occhio spesso e volentieri sbirciasse verso l’amico. Stava facendo un buon lavoro, si congratulò con se stessa, perché nonostante avvertisse un senso di calore al viso e si sentisse molto eccitata, stava riuscendo a tenere sotto controllo le proprie emozioni. Forse ce l’avrebbe fatta a concludere quell’incontro senza inciampare sulla propria goffaggine, come invece era solita fare.
   Presa com’era da queste considerazioni, non si accorse del movimento accanto a sé, che però attirò subito l’attenzione di Adrien. A dispetto del buio, infatti, il giovane riconobbe chi era il tipo seduto sulla poltrona di fianco a quella di Marinette, e cioè uno dei ragazzi che avevano incrociato prima, nell’atrio. Se pure lei non si era accorta di nulla, ad Adrien non erano affatto sfuggiti né le occhiate ammirate né i commenti indirizzati alla sua amica. Che fosse carina era innegabile, ma c’era davvero bisogno di manifestarlo in modo tanto rozzo? Chinò lo sguardo su di lei, trovandola intenta a seguire il film, del tutto inconsapevole di quello che stava accadendo, come se le risatine stupide di quel trio di idioti non la disturbassero affatto. Beh, a lui invece sì, e molto. Non fece in tempo a pensarlo che vide il tizio seduto accanto a lei fingere di sgranchirsi le membra e allungare un braccio fino allo schienale del sedile di Marinette. Adrien agì d’istinto e fece altrettanto, afferrandogli il polso con malagrazia e lanciandogli uno sguardo a dir poco furioso. Quello lo fissò sorpreso, come se fosse stato del tutto impreparato ad un’eventualità del genere. Eppure, non si capacitava Adrien, quel cretino doveva pur essersi accorto che Marinette non era lì da sola, bensì con qualcuno che avrebbe potuto benissimo essere il suo ragazzo.
   La luce in sala si accese per l’intervallo fra primo e secondo tempo ed entrambi i giovani ritirarono il braccio, scambiandosi un’ultima, astiosa occhiata. La voce della ragazza richiamò Adrien sull’attenti e lui le regalò un sorriso dolce, avvertendo un improvviso desiderio di protezione nei suoi confronti. «Stai bene?»
   «Sì, solo… ti spiacerebbe se ci scambiassimo di posto?»
   «C-Certo che no…» rispose lei, pur non capendo il perché di quella richiesta. Si alzarono e poco dopo Marinette si trovò seduta accanto ad una signora di mezza età che stava commentando il film insieme a quello che forse era suo figlio. E mentre lei si perdeva in queste inutili considerazioni, Adrien ne approfittò per lanciare uno sguardo ed un sorriso trionfanti al ragazzo con il quale aveva avuto quel muto, quanto intenso, scambio di opinioni circa l’inviolabilità della sua graziosa accompagnatrice. E ora, pensò il giovane, intrecciando le braccia al petto e posando la caviglia destra sul ginocchio sinistro, vediamo se hai ancora voglia di allungare le mani.
   Pur non avendo il potere della telepatia, l’altro grugnì qualcosa di indecifrabile e spostò la propria attenzione altrove, mentre i suoi amici, più in là, iniziavano a prenderlo in giro per la figuraccia appena fatta, per di più con un ragazzino. Era tutta colpa di quel damerino biondo, pensò fra sé con profondo risentimento. Lo aveva riconosciuto, ovviamente, si trattava del figlio di Gabriel Agreste e il suo bel faccino la faceva da padrone su molti cartelloni pubblicitari sparsi per l’intera città ormai da diversi mesi. Credeva di poter avere tutto perché era bello e ricco? Anche l’attenzione di tutte le ragazze carine che gli capitavano a tiro? Quel pensiero lo infastidì ulteriormente: se non fosse stato per quel damerino, la moretta che gli era appena sfuggita di mano avrebbe benissimo potuto interessarsi a lui. Sbottò un’imprecazione, attirando l’attenzione di chi gli era intorno e questo giocò a sfavore della piccola farfalla nera comparsa magicamente in sala. Gli occhi di Adrien e di Marinette catturarono all’istante il suo svolazzare sulle teste del pubblico presente e proprio quando stavano per lasciarsi andare ad un’esclamazione allarmata, le luci tornarono a spegnersi per l’inizio del secondo tempo. L’akuma s’impossessò del ragazzo, che lanciò un urlo come a volersi dare la carica, mentre un alone scuro lo avvolgeva interamente, sollevandolo da terra e facendo strillare di spavento tutti gli altri.
   «Via di qui!» gridò Adrien, afferrando l’amica per un braccio con l’intenzione di metterla in salvo. Nella calca che si venne a creare fra le file di sedili, caddero l’uno sull’altra e rischiarono di essere calpestati da chi subito aveva iniziato a correre e a scavalcare le poltrone per raggiungere l’uscita e mettersi in salvo. Marinette strisciò sul pavimento, cercando di allontanarsi dalla vittima di Papillon e stando ben attenta che Adrien la seguisse. Riuscirono a riprendere fiato fra le prime file, non lontani dal grande schermo che intanto continuava a proiettare il film, a testimonianza di come probabilmente il tecnico della sala era scappato insieme a tutti gli altri, abbandonando la sua postazione.
   L’akumizzato si liberò dalla nube oscura che lo aveva avvolto, rivelando il suo nuovo aspetto: un enorme corpo scuro, viscido e quasi gelatinoso, dal quale si irradiavano diverse protuberanze, molto simili a dei grossi tentacoli. «Lo sapevo che era un polipone!» si lasciò sfuggire Adrien tra i denti, non sapendo se essere arrabbiato più con quel tipo o se con se stesso per averlo provocato fino a farlo diventare una vittima di Papillon. Ma che altro avrebbe dovuto fare? Lasciare Marinette nelle sue grinfie, senza muovere un dito per difenderla? Col cavolo.
   «Sai, Adrien…» considerò lei con voce malferma, guardandosi attorno in cerca di una via di fuga. «Non credo sia stato molto furbo rifugiarci lontani dall’uscita…»
   «No, decisamente no», convenne l’altro, gli occhi incollati sul mostro. «Ma era il solo modo per non essere calpestati dalla folla.» Ora la loro unica, vera preoccupazione era un’altra: trovare un posto sicuro in cui effettuare la trasformazione. Spostò lo sguardo sull’amica, trovandola rigida quanto lui, ma non davvero impaurita da quanto stava accadendo. Le cose erano due, concluse Adrien: o Marinette aveva dei nervi d’acciaio quando si trovava in pericolo oppure, e questo lo riteneva assai più probabile, anche lei stava cercando di capire quando e dove avrebbe potuto ricorrere ai propri poteri.
   Quella distrazione gli costò caro. Uno dei tentacoli del mostro saettò verso di loro e Marinette urlò spaventata quando quello si attorcigliò attorno al collo di Adrien, spingendo con violenza quest’ultimo contro la parete in fondo. «Tu», ringhiò l’akumizzato con voce minacciosa. «È tutta colpa tu…!» Si interruppe bruscamente quando fu colpito alla testa da una lattina di aranciata, abbandonata sul pavimento durante il fuggifuggi generale. Si volse e i suoi occhi si posarono su Marinette che, pur preoccupata per la propria sorte, in quel momento aveva molto più a cuore quella dell’amato. «Oh, ma chi abbiamo qui…»
   «Scappa, Marinette!» gridò Adrian d’istinto, sia pure a fatica per via del tentacolo che gli stringeva la gola. Apprezzava il suo tentativo di aiutarlo, ma se la sua amica non era Ladybug, allora era molto meglio che sparisse di lì il più in fretta possibile.
   «Non ti lascio solo!» ribatté lei, mentre il mostro sembrava quasi ridere divertito. Si mosse nella sua direzione e allungò un altro tentacolo, che la ragazza schivò gettandosi di nuovo sotto ai sedili.
   «Andiamo, carina, non voglio farti del male…» le disse quello, con una voce lasciva che fece venire i brividi a lei e fece infuriare ulteriormente Adrien.
   «Non azzardarti a toccarla!» ruggì difatti il giovane, non volendo neanche immaginare cosa sarebbe potuto accadere se quel maledetto fosse riuscito ad acciuffare Marinette.
   «Sta’ zitto, tu!» ribatté quello, strattonandolo e facendolo cozzare di nuovo contro la parete.
   Ormai ad un passo dall’uscita dalla sala, la ragazza tornò indietro: non poteva davvero lasciare che quel dannato akumizzato facesse del male a qualcuno, soprattutto se si trattava di Adrien. «Sono qui!» esclamò, attirando di nuovo la sua attenzione. Possibile che fosse l’unico modo per distoglierlo dalla sua furia distruttiva nei confronti del giovane? Marinette non sapeva quale fosse la ragione di quel risentimento, ma in quel momento non le importava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa affinché Adrien potesse tornare libero. «Se è me che vuoi, lascialo andare!»
   Divertito da quella caccia al topolino, il mostro allentò la presa attorno al collo del ragazzo, che crollò al suolo da un’altezza capace di intontire chiunque. Marinette urlò, osservando impotente la scena. Avvertì un nodo allo stomaco nel vedere Adrien steso sul pavimento, apparentemente privo di sensi. Pregò che fosse solo quello, il suo problema, e quando spostò di nuovo il suo sguardo sull’akumizzato e si rese conto di quanto si fosse avvicinato a lei, fu costretta a fuggire fuori da lì a gambe levate. Portarlo lontano da Adrien era la soluzione più sensata, al momento: era lui la sua priorità.
   Corse lungo i corridoi e l’atrio ormai deserti, e raggiunse la strada, il mostro sempre alle calcagna. Doveva trovare un modo per seminarlo, rifugiarsi in un posto sicuro ed effettuare la trasformazione. Libero dallo spazio ristretto del multisala, però, l’akumizzato fu in grado di sfruttare al meglio i propri poteri, allungando maggiormente i propri tentacoli e avvinghiando la sua preda per un braccio ed una caviglia. La sollevò a mezz’aria e rise sguaiatamente. «Ed eccoci qui, carina», disse soddisfatto, avvicinandosi a lei e disgustandola con il suo orribile aspetto. «Indovina un po’?» continuò passandosi la lingua verdognola sulle labbra viola. «Ora noi due faremo un bel gioco.»
   Marinette non seppe mai cos’avesse in mente il suo assalitore, perché un attimo dopo quello lanciò un grido di dolore, che lo indusse a lasciarla andare di scatto. Qualcosa lo aveva colpito alle spalle, realizzò la ragazza, ritrovandosi bocconi sull’asfalto, in mezzo alla folla urlante. Provò a guardare oltre la creatura e ciò che vide le fece tirare un grosso sospiro di sollievo. Chat Noir fece tornare il proprio bastone alle consuete dimensioni e la raggiunse con un balzo, parandosi davanti a lei e mettendosi in posizione d’attacco. «Marinette, va’ via di qui. Subito», le disse in tono perentorio, lo sguardo furioso rivolto all’akumizzato che ancora si lamentava per quella vigliaccata.
   Dal tono della sua voce, prima ancora che dall’espressione del suo volto, Marinette comprese che Chat Noir – Adrien? – doveva essere a dir poco furibondo. Non questionò, decidendo di obbedire all’istante per due motivi molto semplici: anzitutto, rimanendo ferma dov’era, gli sarebbe stata solo d’intralcio, oltre che una fonte costante di distrazione; in secondo luogo, il suo intervento le avrebbe consentito di raggiungere un posto appartato per richiamare i poteri del miraculous della Coccinella. «Sta’ attento, per favore!»
   «E ora a noi due», minacciò l’eroe, rimasto da solo a fronteggiare il mostro. Non fosse stato per il fatto che sotto quella massa disgustosa ci fosse una vittima inconsapevole, Chat Noir gli avrebbe volentieri fatto passare un brutto quarto d’ora – soprattutto al pensiero che, dopotutto, quella vittima inconsapevole non era del tutto innocente, visto il modo in aveva guardato Marinette già prima che l’akuma lo rendesse schiavo di Papillon.
   Frattanto, la ragazza aveva trovato riparo fra le siepi di un giardino non distante da lì. «Tikki, dobbiamo sbrigarci», cominciò con fare concitato. Se Adrien non era Chat Noir, c’era il serio rischio che fosse rimasto svenuto – e magari ferito – all’interno del cinema.
   «Sono pronta», le assicurò il kwami, volando fuori dalla borsetta con la stessa determinazione che anche la sua amica aveva nello sguardo.
   Un attimo dopo, Ladybug saltava sui tetti dei palazzi circostanti, diretta a tutta velocità verso il multisala. Vide Chat Noir impegnato in una lotta impari contro quel bestione pieno di tentacoli e subito si precipitò in suo soccorso, imprigionando una di quelle escrescenze nel filo del proprio yo-yo. «Attenta!» l’avvisò il suo collega, giusto un attimo prima che il mostro l’afferrasse per una caviglia, sballottandola per aria e lanciandola poi lontano. Piombò fra le fronde di un grosso albero e non fece in tempo a riprendersi dalla botta che qualcosa si schiantò fra i rami vicini.
   «Chat Noir!» chiamò allarmata, avvistando il suo braccio destro sbucare dal groviglio di foglie.
   «Sto bene, my lady», la rassicurò lui, pur con voce soffocata. Si districarono goffamente da quella situazione, riuscendo infine a trovare un appoggio saldo sull’albero. «Tutto ok?» volle sapere subito il giovane, rivolgendole uno sguardo preoccupato. E no, non soltanto per il volo fatto fin lì, ma anche e soprattutto per via del sospetto che sotto quella maschera a pois si nascondesse la sua amica Marinette.
   «Solo un po’ ammaccata…» lo tranquillizzò l’eroina, facendo vagare i propri occhi su di lui, quasi come se volesse accertarsi che fosse tutto intero, specie dopo che il mostro lo aveva quasi strangolato nel cinema e lo aveva fatto cadere da un’altezza pericolosa – sempre ammesso che ci fosse Adrien, sotto quella maschera nera. «E tu?»
   Chat Noir le regalò un sorriso incoraggiante e ammiccò allegro, lieto del fatto che lei fosse al suo fianco. «Non lo sai che i gatti atterrano sempre sulle zampe?»
   «Poco fa mi pareva che tu fossi atterrato su qualcos’altro», lo prese in giro Ladybug, risollevata dalla sua voglia di giocare.
   Lui rise, balzando verso il suolo e attutendo la caduta con il proprio bastone. «Sì, il mio fondoschiena non è proprio entusiasta del modo in cui è stato trattato.»
   «Hai avuto modo di osservarlo?» domandò la ragazza, calandosi con l’ausilio dello yo-yo e raggiungendolo. «Dove credi che sia l’akuma
   L’altro strinse le labbra, non del tutto sicuro di essere in grado di rispondere a quella domanda. Il punto era che, sebbene lo avesse squadrato non poco mentre si trovavano nell’atrio del multisala, quando gli aveva sentito fare dei commenti non troppo galanti nei confronti di Marinette, ora che lo aveva affrontato in un corpo a corpo, non si era concentrato a sufficienza al riguardo. Non per superficialità, bensì per rabbia: se solo avesse osato torcere un capello alla sua amica, poteri o non poteri, lui gli avrebbe spaccato la faccia. Senza contare che, se Marinette non era lì con lui, allora si era nascosta chissà dove, magari in preda alla paura. Di colpo Adrien desiderò correre da lei, abbracciarla e rassicurarla che tutto sarebbe andato per il meglio, che lui l’avrebbe protetta a qualunque costo.
   «Chat Noir?»
   Riscosso da quella valanga di pensieri, il giovane sospirò. «Non ne ho idea», rispose infine. Si sentiva troppo coinvolto emotivamente per ragionare con lucidità. Eppure non era la prima volta che si trovava a salvare Marinette o qualche altro amico da una situazione pericolosa. Si sentiva responsabile della trasformazione di quel tipo in un mostro? Forse. Ciò nonostante, sapeva di aver fatto la cosa giusta, fermandolo prima che potesse infastidire Marinette.
   «Allora non ci resta che bloccarlo in qualche modo, in attesa di capire come risolvere la cosa», ragionò Ladybug, roteando lo yo-yo e lanciandolo per tornare sul campo di battaglia. Chat Noir la seguì immediatamente, provando per lei un senso di protezione persino più forte del solito. Non andava bene, doveva rimanere concentrato o avrebbe finito per diventare un peso piuttosto che un aiuto.
   «Potremmo imprigionarlo in un barattolo», esordì fra il serio ed il faceto, quando furono di nuovo sul campo di battaglia, mentre il mostro agitava i tentacoli e li avvinghiava attorno a tutto ciò che gli capitava a tiro, scaraventando auto e altro contro i palazzi circostanti. «Ce ne servirebbe uno molto grosso, però.»
   «Non lo sai che i polpi sono capaci di aprire persino quelli?» gli fece notare Ladybug, scervellandosi alla ricerca di una soluzione.
   «I polpi veri sì», annuì Chat Noir, «ma quel tipo non credo abbia la loro stessa intelligenza.»
   L’altra aprì la bocca per chiedergli se avesse capito almeno il perché il loro avversario fosse stato akumizzato, visto che si trovava seduto accanto a lui nel momento in cui l’akuma era sopraggiunta, ma si morse la lingua e tacque: non era certa che il suo partner fosse Adrien, non poteva rischiare di dire qualcosa di avventato, scoprendo così anche le sue carte. E se le cose non stavano così, significava che il suo amico era ancora nel cinema, solo e bisognoso di aiuto. Quel pensiero le rimescolò lo stomaco. Dovevano mettere fine a quel combattimento il prima possibile, cosicché anche le eventuali ferite di Adrien si rimarginassero grazie al potere del suo miraculous e lui potesse tornare da lei sano e salvo.
   Strinse lo yo-yo nella mano destra e lo lanciò in aria con più foga del solito. «Lucky Charm!» L’istante successivo una voluminosa sacca rossa a pois neri apparve in cielo e piombò fra le sue braccia.
   «Stavolta sembra che tu abbia fatto le cose in grande», commentò stupito Chat Noir, non perdendo però d’occhio il mostro, che, come aveva sospettato, non sembrava possedere poi troppo cervello, visto che continuava a muoversi a rilento e ad agitarsi a destra e a manca senza un reale obiettivo. Chissà quanto starà penando il povero Papillon, ad averci a che fare, ragionò fra sé, provando quasi pena per il proprio nemico.
   Ladybug posò la sacca davanti a sé e l’aprì, rivelando qualcosa di assolutamente inaspettato: decine di piccoli Chat Noir di peluche, non troppo dissimili da alcuni pupazzetti che venivano dati in premio alle giostre o alle sale giochi. Non riuscendo ad evitare che accadesse, al pensiero che fossero invece dei piccoli Adrien, Marinette squittì per l’entusiasmo e ne prese alcuni, stringendoli a sé con amore e riuscendo ad evitare per un soffio di commentare qualcosa di compromettente.
   Adrien fissò ora le sue miniature ora la collega, incapace di credere ai propri occhi. «Io sono molto più bello, di questi affari!» protestò a viva voce, afferrandone uno e rigirandoselo fra gli artigli per esaminarlo da vicino. «Guarda!» insistette, mostrandolo alla ragazza. «Manca la cosa più importante!»
   «Cosa?»
   «Il fascino!» Lei ruotò le pupille verso il cielo. «E comunque, seriamente… perché non riservi lo stesso trattamento anche allo Chat Noir a grandezza naturale?!» si sentì chiedere subito dopo, quasi in tono supplice.
   Rise e scosse il capo con fare dispettoso. «Non abbiamo tempo per queste cose», disse poi, rimettendolo in riga. «Devo solo capire cosa diamine farci, con tutti questi adorabili micetti.»
   «Se fossero veri, potrebbero essere la nostra cucciolata», scherzò il giovane, facendola sospirare con sopportazione e tornando ad osservare il mostro alla ricerca del posto in cui poteva essersi nascosta l’akuma. Da qualunque parte lo guardasse, però, non notava nulla poiché i suoi tentacoli, agitandosi in continuazione, nascondevano alla vista il resto del corpo.
   «Si muovono!» esclamò Ladybug, che nel frattempo aveva dato un’occhiata più accurata ai pupazzi e si era accorta che bastava schiacciare loro la zampina destra per metterli in funzione. «Mi è venuta un’idea. Aiutami ad azionarli tutti e rimettili dov’erano», esortò il collega, che subito obbedì senza obiezioni di sorta.
   «Credi che si metterà a giocare con loro?»
   «Più o meno», rispose la ragazza, richiudendo la sacca a pois e caricandola sulle spalle di Chat Noir.
   «Non è un po’ presto per il caro, buon, vecchio Babbo Natale?»
   «Ma tu sei più affascinante di lui.»
   «Un giorno me lo dirai senza quel sorrisetto da sfottò dipinto sulle labbra», le garantì il giovane, piccato per quella palese presa in giro.
   Ladybug colpì con una schicchera la campanella che lui aveva al collo, facendola tintinnare allegramente. «Oh-Oh-Oh!»
   «Sappi che mi aspetto una bella ricompensa, visto che stavolta sarò io a fare tutto il lavoro», l’avvisò l’altro, prima di spiccare un balzo verso il tetto del multisala, che si trovava dall’altra parte della strada. Sorvolando il mostro, però, richiamò il potere del Cataclisma e lo usò sulla sacca a pois, che si squarciò a mezz’aria, lasciando ricadere una pioggia di piccoli Chat Noir che andò ad investire l’akumizzato. Preso di sorpresa, questi iniziò a colpire i pupazzi con i tentacoli, ma più ne scacciava, più quelli tornavano da lui a causa del loro continuo movimento meccanico. Osservando la scena dall’alto del tetto su cui era atterrato, l’eroe in nero si rese conto che, a furia di intrecciare i suoi tentacoli, il mostro era ormai sul punto di perdere l’equilibrio. Chat Noir sorrise, pregustando la vittoria, quando l’altro lo sorprese: stufo di quella situazione, sembrò ricordarsi di poter levitare e si sollevò dal suolo, evitando così che quei pupazzetti molesti continuassero ad infastidirlo.
   Fu allora che Ladybug entrò in azione, lanciando lo yo-yo e intrappolando i suoi tentacoli in una presa ferrea. «Chat Noir!»
   «Arrivo!» Adrien balzò giù, ruotando il bastone sopra la testa per planare in mezzo alle sue miniature e finalmente si accorse che la parte inferiore del mostro aveva ancora sembianze vagamente antropomorfe ed fasciata in un paio di jeans stracciati in più punti a causa dell’aumento della mole del loro proprietario. Un tentacolo sfuggito alla presa di Ladybug gli saettò fra le gambe, rischiando di mandarlo a terra, ma lui lo inchiodò all’asfalto con la propria arma, facendo gridare di dolore il mostro. «Così impari a tenere le mani al loro posto, polipone», ringhiò Chat Noir, che proprio non riusciva a perdonargli il modo in cui aveva guardato Marinette. Alzò lo sguardo e la vide: dalla tasca posteriore dei jeans dell’akumizzato fuoriusciva qualcosa che sembrava essere una rivista arrotolata. Tenendosi ben saldo al bastone, il giovane lo allungò fino a raggiungerla e a sottrarla al legittimo proprietario. Quando si fu allontanato ed ebbe modo di guardarne la copertina, strabuzzò gli occhi, del tutto impreparato a quella visione: si trattava di una rivista per soli adulti. Pur avvertendo l’imbarazzo salire al volto, imprecò per l’ennesima volta contro quel tipo. «Ecco perché dimostri di avere poco cervello, il sangue ti è andato tutto altrove», borbottò fra sé, strappando con sadica violenza le pagine che aveva fra le mani e non osando neanche immaginare quali dannati pensieri avesse fatto quell’idiota sulla sua amica.
   L’akuma fu liberata e quando Ladybug se ne accorse, mollò la presa sul mostro, che crollò al suolo con un tonfo sordo. La ragazza lanciò lo yo-yo per intrappolare e purificare la farfalla nera, e tutto tornò alla normalità, i palazzi, le automobili e anche la vittima di Papillon, che si ritrovò in ginocchio in mezzo alla strada e si guardò attorno spaesato, ignaro di ciò che era accaduto. Qualcosa lo colpì con violenza sulla testa e lui si lasciò scappare un verso di dolore. Si volse e vide due furenti occhi verdi che lo fissavano dall’alto. «Allunga di nuovo le tue sordide manacce sulle ragazze che non gradiscono le tue attenzioni e giuro che questa schifezza te la faccio ingoiare», lo minacciò Chat Noir, inginocchiandosi davanti a lui e porgendogli con rabbia la rivista tornata come nuova e arrotolata affinché nessun altro potesse capire di cosa si trattasse. «Intesi?» sibilò ancora, come se d’improvviso, anziché quello dell’eroe, il suo ruolo fosse diventato quello dell’aguzzino.
   Il ragazzo ingollò un grosso quantitativo di saliva, sudando freddo e giurando a se stesso che avrebbe fatto il bravo. «Tutto bene?» chiese perplessa Ladybug, raggiungendo il collega mentre il giovane appena tornato in sé scappava via da lì.
   Chat Noir si rimise in piedi e le porse il pugno. «Bel lavoro, my lady
   «Bel lavoro a te, chaton», rispose lei, battendo le nocche contro le sue. «È quasi tutto merito tuo.»
   «Me li sono guadagnati o no, dei grattini dietro le orecchie?»
   Lei rise, ma non riuscì a dire altro perché il suo miraculous iniziò ad avvertirla dell’imminente trasformazione. «Alla prossima, collega!» salutò in fretta, lanciando lo yo-yo per allontanarsi il prima possibile da lì.
   L’altro la seguì con lo sguardo fino a che non scomparve alla sua vista. Alla fine, non era stato in grado di a scoprire se quella fosse davvero Marinette; eppure in quel momento non gli importò. La sua priorità era un’altra, e cioè assicurarsi che la sua amica fosse sana e salva. Sollevò la mano destra e si guardò l’anello del Gatto Nero: rimaneva appena un minuto prima che tornasse ad assumere le sembianze di Adrien. Non ce l’avrebbe fatta a cercare Marinette in quel breve lasso di tempo, perciò decise di affidarsi al potere del portafortuna che lei gli aveva regalato tempo addietro e dal quale non si separava mai.
   Riuscita a trovare appena in tempo un riparo dietro il quale sciogliere la trasformazione, Marinette si diresse a passo spedito verso il cinema, con la speranza che, in un modo o nell’altro, Adrien se la fosse cavata senza troppi traumi. Quando svoltò l’ultimo angolo che la separava dall’edificio, scorse il giovane guardarsi attorno con fare preoccupato. «Adrien!» chiamò, sentendosi rinata nel vederlo in buona salute. Lui subito si volse nella sua direzione e le corse incontro, avviluppandola in un abbraccio che la spiazzò non poco, togliendole il fiato.
   «Meno male che stai bene!» lo sentì dire, la voce che tradiva tutta l’ansia trattenuta fino a quel momento. Si rese conto solo dopo di ciò che aveva fatto e subito si allontanò da lei, abbozzando un sorriso di scuse piuttosto imbarazzato.
   Pur col cuore che batteva all’impazzata per l’emozione, Marinette ricambiò l’espressione. «H-H-Ho temuto che quel mostro ti avesse fatto del male», gli fece sapere, ricordando fin troppo chiaramente il modo in cui il giovane era stato aggredito sotto ai suoi occhi. «Non ho ben capito cos’è successo, ma…»
   Trovando adorabile il modo in cui lei era arrossita, Adrien addolcì i tratti del volto. «Non ti sei accorta di nulla, quindi?» La vide scuotere il capo, le labbra socchiuse in attesa che lui la illuminasse al riguardo. «Il ragazzo che era seduto accanto a te…» cominciò allora il giovane, cercando di essere il più delicato possibile. «Beh, diciamo che lo avevi ammaliato.»
   «Che?» uscì di bocca alla sua amica, cadendo dalle nuvole.
   Davvero Marinette aveva così poca considerazione di se stessa? Adrien quasi stentò a crederci. «Mettiti in testa che sei molto carina e che non è certo il primo che ti guarda in quel modo. Né sarà l’ultimo», ci tenne a farle sapere, sperando che tanto bastasse a smaliziarla un po’ per il futuro.
   La ragazza arrossì più di prima a causa di quelle parole, del tutto insperate. «Non… Non mi sono accorta di niente…»
   «Lo avevo fatto io per te», continuò lui, rassegnato al riguardo. «Ecco perché ti avevo chiesto di scambiarci di posto. Era stato a tanto così da metterti le mani addosso.» Ora Marinette sembrava diventata una sorta di luce al neon vermiglia e questo, contrapposto all’immagine fiera e sicura di Ladybug, lo fece quasi scoppiare a ridere. Erano così diverse! Possibile che fossero davvero la stessa persona? Qualunque fosse la risposta a quella domanda, Adrien la prese dolcemente per mano e s’incamminò via da lì insieme a lei. «Vieni, ti riaccompagno a casa.»












E questo è il capitolo che mi ha fatto orientare per l'OOC. Se credete che sia esagerato inserirlo fra gli avvertimenti, allora corro a toglierlo, perché credo (ma sarete voi a dirmelo leggendo il resto della storia) che nel resto della fanfiction i personaggi siano più o meno resi simili a quelli originali.
Detto ciò, vorrei ringraziare tutti voi dal più profondo del cuore: non mi aspettavo minimamente un'accoglienza del genere per questa long, anzi. Sono davvero, davvero commossa, pertanto spero con tutta me stessa di non deludere le vostre aspettative.
Purtroppo, con le feste di mezzo e imprevisti vari, ho rallentato il ritmo di scrittura, quindi soltanto oggi sono riuscita a concludere il nono capitolo. Che non è l'ultimo, sia chiaro. Come dicevo a qualcuno, in risposta ad una recensione, credo (e spero) che la storia non supererà i dodici capitoli. È ormai in dirittura d'arrivo, devo solo riordinare le idee (che ho già tutte in mente) e metterle nero su bianco per dare, spero, un degno finale a questa storia.
E per il momento è tutto, e torno a ringraziare tutti voi che mi avete dato una grandissima carica con le vostre parole e con il vostro silenzioso sostegno.
Un abbraccio a tutti e buona serata! ♥
Shainareth





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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





CAPITOLO TERZO




La mano di Adrien era gentile e calda. Marinette pensò che non vi fosse nulla al mondo che potesse competere col senso di protezione che le dava quel semplice tocco. Si domandò come avesse fatto, il giovane, a non risentire della caduta causata dal mostro e ad essere accorso in suo aiuto non appena ne aveva avuta la possibilità; sempre ammesso che lui fosse Chat Noir, certo. Alla mente le tornò che Adrien faceva anche karate, il che presupponeva che sapesse come cadere al tappeto senza farsi male. Questo, unito alla spiegazione che lui le aveva dato circa le intenzioni del ragazzo che era stato akumizzato, spinsero Marinette a ritenere davvero possibile che il suo amico fosse anche il suo collega mascherato. Lo sguardo furioso che aveva scorto sul viso di Chat Noir quando l’aveva salvata dalle grinfie del mostro era stato altrettanto chiaro.
   Quel dubbio le serrò il cuore in una morsa capace quasi di soffocarla.
   La suoneria del suo telefono squillò forte e vivace, così Adrien rallentò il passo, consentendole di rispondere. Era Alya. «Ho sentito del disastro che c’è stato al cinema!» esordì agitata, manifestando tutta la propria preoccupazione per i suoi amici. «State bene, vero?!»
   «Sì, tutto si è risolto per il meglio, sta’ tranquilla», la rassicurò Marinette, dimenticando per un momento le proprie elucubrazioni mentali.
   «Ladybug e Chat Noir sono intervenuti subito?»
   «Veloci come un lampo.»
   «Dovevano trovarsi nelle immediate vicinanze, allora.»
   «Ehm…» Esitò, sbirciando in direzione di Adrien, che si era persino fermato e ora aspettava tranquillo che lei finisse di parlare. «Sì… credo di sì…» suppose Marinette, sempre più frastornata dalla consapevolezza di essere andata al cinema con Chat Noir. Diamine, era persino innamorata di lui! Abbassò lo sguardo, sentendosi morire dentro. «A-Alya, posso richiamarti più tardi?»
   «Oh, sei ancora con Adrien, giusto?» sembrò realizzare l’altra in quel momento. «Mi spiace che il vostro primo appuntamento sia stato un disastro… Sono certa che vi rifarete!»
   «Alya… per favore…»
   «Ricevuto! Ma domani raccontami tutti i dettagli! Anche dello scontro! A meno che non abbiate fatto delle riprese di Ladybug e Chat Noir! Perché le avete fatte, vero?»
   «Alya!»
   «Me lo dirai dopo, d’accordo! Un bacio!»
   Chiusa la chiamata, Marinette osservò il display del cellulare con aria rassegnata. «Mi chiedo perché la mia migliore amica sia una fangirl sfegatata.»
   Adrien rise, tornando a richiamare la sua attenzione. «Ti ha chiesto se eravamo riusciti a vedere i due eroi di Parigi?»
   «Se li avessimo filmati, per la precisione», rispose lei, lieta che, nonostante tutto, fosse ancora in grado di mettere insieme due parole in un discorso con il giovane che ancora la teneva per mano. «Adrien… senti…» Avrebbe voluto chiedergli se era vero, se per tutto quel tempo avevano sul serio condiviso tutte le emozioni, le paure e i sorrisi di Ladybug e Chat Noir senza saperlo. Quando però le sovvennero tutti i tentativi di approccio di lui nei suoi confronti, si bloccò; non solo perché il pensiero che Adrien si comportasse davvero in modo tanto sfacciato la stordiva non poco, ma anche e soprattutto perché lei lo aveva respinto ogni santa volta. Il solo ripensarci le faceva venir voglia di mangiarsi i gomiti.
   «Marinette?» la chiamò lui, riportandola di nuovo con i piedi per terra. «Cosa volevi dirmi?»
   Il rifiuto. Fu lì che la ragazza decise di rifugiarsi in attesa di schiarirsi a dovere le idee. «Visto che il nostro appunt… cioè… il nostro… ehm… incontro? Beh, quello che era…» iniziò a tartagliare, senza riuscire a trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. «Insomma, mi chiedevo se non ti andasse di…» Tacque. Prese fiato. Continuò. «Rivederci.» C’era riuscita? Sì, sì, ce l’aveva fatta! Avrebbe dovuto festeggiare l’avvenimento, in qualche modo, magari scrivendo un’ode commemorativa.
   «Ne sarei felice», fu la risposta che ricevette e che le mandò il cuore in subbuglio. Trovò infine il coraggio di incrociare lo sguardo di Adrien, che la fissava con la sua innata gentilezza e tutto l’affetto che sentiva di provare per lei in quel momento.
   Fu solo quando tornò a casa, nel silenzio della sua camera, che Marinette realizzò un dettaglio tutt’altro che irrilevante: aveva sì chiesto un appuntamento ad Adrien, ma in quel modo non ne aveva chiesto uno anche a Chat Noir?
   «Credo che impazzirò prima di domani», uggiolò, raggomitolandosi sulla chaise longue, le mani a coprirle il viso rosso per l’imbarazzo.
   «Non è mica detto che le cose stiano così», cercò di farla ragionare Tikki, seduta sulla scrivania a sgranocchiare un biscotto per riprendersi dalle fatiche di quel pomeriggio. «E anche se fosse, che male ci sarebbe?»
   Nessuno, concluse Marinette, trovando finalmente una nuova, e più obiettiva, risposta a quella domanda. Sospirò, stendendosi supina, gli occhi al soffitto. «Mi chiedo se anche lui abbia capito.»
   «Ti ha dato l’idea di averlo fatto?»
   «No… non mi pare.» Rimaneva, però, lo sguardo che si erano scambiati qualche giorno prima, quando Alya e Nino avevano chiesto loro spiegazioni dopo averli visti in giro per le vie di Parigi. «Come dovrei comportarmi, secondo te?»
   «Segui il tuo cuore, come sempre.»
   «Se seguissi il mio cuore, correrei a casa sua e gli salterei addosso», commentò in tutta sincerità, facendo ridere la sua piccola amica. «La cosa divertente, però, è che non saprei se per baciarlo o prenderlo a ceffoni, viste tutte le spacconerie di Chat Noir», scherzò subito dopo, cercando di sdrammatizzare la situazione per farsi coraggio. «In ogni caso», aggiunse poi, mettendosi a sedere, «fino a che lui non mi darà la conferma di aver capito che io sono Ladybug, mi comporterò come se nulla fosse.» Per lo meno, avrebbe provato a farlo, benché non fosse poi troppo sicura di riuscirci. «Preferisco non rischiare. Senza contare che esiste sempre la remota possibilità che io mi stia sbagliando e che Adrien non sia Chat Noir.»
   «Vorresti che lo fosse?» si sentì chiedere da Tikki poco dopo.
   Quella domanda rimase sospesa nel vuoto per una manciata di secondi, prima che Marinette fosse in grado di rispondere un confuso: «Forse.»
   Di tutt’altro umore era invece Adrien che, riordinando i libri di scuola sul tavolino posto davanti al divano della sua camera, lanciò uno sguardo divertito al suo kwami, intento ad abbuffarsi di formaggio come suo solito. «Sarebbe pazzesco, non trovi?»
   «Non mi pare che la cosa ti sconvolga più di tanto», osservò Plagg, troppo preso dal suo brie per prestargli la dovuta attenzione, benché continuasse ad ascoltarlo e a rispondergli in modo appropriato.
   «Se devo essere sincero», prese a spiegare il giovane, tornando ad occuparsi delle sue cose, «un po’ lo fa, sì. Insomma… lo sai anche tu che Marinette è timidissima, anche se alle volte dimostra di avere una gran bella faccia tosta», ragionò fra sé, una piccola ruga fra le sopracciglia bionde a sottolineare la perplessità di quella riflessione.
   «È timida solo con te», gli rivelò il kwami, affondando ancora una volta le fauci nella morbida pasta del formaggio e producendo un suono simile a quello delle fusa.
   «In effetti non mi pare si sia mai messa a balbettare con gli altri…»
   «Indovina un po’ perché…»
   «Le faccio paura?»
   «Perché è logico chiedere un appuntamento a qualcuno che ti fa paura, certo.»
   Adrien ritenne piuttosto legittimo quell’appunto sarcastico, perciò non ribatté preferendo chiudersi in una silenziosa meditazione. Perché Marinette si mostrava timida solo con lui? Avrebbe potuto capire se lo avesse fatto con Chat Noir, vista l’epicità e il coraggio del suo alter ego, ma imbarazzarsi davanti ad Adrien…?
   «Plagg», chiamò all’improvviso, facendo quasi sobbalzare l’amico. «Pensi che Marinette sia una mia fan?»
   «Hai dello champagne?»
   «Eh?» balbettò Adrien, non capendo la ragione di quella domanda che non c’entrava assolutamente nulla con ciò che lui aveva chiesto.
   «Dobbiamo festeggiare l’inaspettato scatto evolutivo del tuo cervello», lo prese ancora in giro il kwami.
   «Cos…?»
   «Ma no, non direi propriamente che Marinette è una tua fan», cercò poi di venirgli incontro. Possibile che avesse uno Chat Noir tanto ottuso?
   «E allora perché, secondo t…»
   «È innamorata di te, sciocco.»
   Cadde il silenzio. Un lungo, interminabile attimo di silenzio, durante il quale nessuno dei due osò muovere muscolo né fiatare.
   Infine, Adrien si lasciò sfuggire una risatina nervosa. «Sei incorreggibile, Plagg. Possibile che non ti passi mai la voglia di scherzare?» Il kwami affondò di nuovo i piccoli denti aguzzi nel brie, soffocando così l’insulto che gli era salito alle labbra: quante altre volte, quella povera ragazza, avrebbe dovuto dirgli in faccia che era persa per lui, prima di farsi prendere sul serio?! Sì, perché fra un tartagliamento e l’altro lei si era dichiarata tante, tantissime volte e quello scemo neanche se n’era reso conto. «E poi di recente mi pare che le cose fra me e Marinette siano migliorate, no? Non balbetta più come prima. Non troppo, per lo meno.»
   «Ti ha chiesto un appuntamento», disse Plagg con la bocca piena, in un secondo, disperato tentativo di aprirgli gli occhi.
   «Sì, beh, gli amici se ne danno diversi.»
   «E non ti sei accorto di avere una cotta per lei.»
   Quell’affermazione fu seguita da un sonoro rumore e Adrien, con la punta delle orecchie rosse per l’imbarazzo, si piegò sulle ginocchia per raccogliere i libri che gli erano caduti dalle mani. «Dici cose senza senso», ribatté, questa volta quasi infastidito da ciò che gli era appena stato rinfacciato. Voleva bene a Marinette, gli piaceva un sacco e… sì, forse se lei fosse stata davvero Ladybug avrebbe potuto innamorarsene facilmente, viste le solide basi sulle quali si sarebbe sviluppato quel sentimento, ma…
   Arrestò i movimenti, fissando il vuoto davanti a sé. A chi voleva darla a bere? Lo realizzò solo in quel momento, ma Marinette gli piaceva. A prescindere dalla possibilità che fosse la sua compagna di battaglia contro i malvagi piani di Papillon. Altrimenti perché aveva accettato di uscire con lei una seconda volta? Da soli, oltretutto. Plagg aveva ragione e, giunti a quel punto, Adrien sperò che il suo kwami non si sbagliasse neanche riguardo al fatto che la ragazza fosse innamorata di lui. Quanto a Ladybug… i suoi sentimenti per lei erano ancora lì, forti e solidi, nonostante tutto. Aveva dunque iniziato a tenere i piedi in due scarpe? Da quando? Perché, a voler essere del tutto onesto con se stesso, Adrien doveva riconoscere che la sua cotta per Marinette risaliva a molto prima che lui venisse colto dal sospetto che fosse lei a nascondersi dietro la maschera di Ladybug.
   Scivolò a sedere sul pavimento della propria camera, il gomito sul ginocchio tirato al petto e la mano fra i capelli in un gesto che esprimeva tutta la sua confusione. «Plagg… vorrei davvero che fossero la stessa persona.»

«Come sarebbe a dire che non avete fatto neanche una foto?!» sbottò Alya quando, nei pressi degli armadietti, Marinette l’aggiornò sullo scontro avvenuto il pomeriggio precedente.
   «Sai com’è… eravamo troppo impegnati a scappare», le fece presente lei. In tutta onestà, se non avesse avuto il miraculous della Coccinella, col cavolo che avrebbe seguito le battaglie con lo stesso entusiasmo mostrato dalla sua migliore amica. «Adrien è stato quasi strangolato e poi tramortito, mentre io sono stata catturata dal mostro e…»
   «Cos’è successo?» volle sapere Alya, questa volta mostrando preoccupazione e dispiacere alle parole della ragazza.
   «Chat Noir mi ha salvata», continuò quindi Marinette, ricordando ancora lo sguardo e il tono della voce dell’eroe, tesi e seri come mai le era capitato di notare prima di allora.
   «Meno male che c’era lui», le sorrise l’altra, sperando che il suo buonumore potesse aiutare l’amica ad abbandonare quell’espressione pensierosa che rabbuiava in parte i tratti graziosi del suo viso.
   Quella stese le labbra verso l’alto. «Sono stata molto fortunata ad averlo avuto lì vicino.»
   «E, dimmi, com’è che hanno catturato l’akuma, stavolta?» tornò quindi alla carica Alya, mentre altri loro compagni di classe si avvicinavano ad ascoltare il racconto, compreso Adrien, che però rimase più indietro. «È vero che è stato Chat Noir a trovarla?»
   Marinette si strinse nelle spalle, poiché in effetti non aveva visto quanto aveva fatto il suo collega – né lei aveva avuto il tempo di chiederglielo. «Ho preferito nascondermi da qualche parte, piuttosto che rimanere a guardare.»
   «Sei una grandissima fifona», la prese in giro Alya, portandosi le mani sulle anche. «Ma preferisco sapervi sani e salvi, piuttosto che all’ospedale.»
   «Impossibile che accadesse», si intromise Adrien, facendosi avanti per avvicinarsi al proprio armadietto. «Se anche fossimo rimasti feriti seriamente, Ladybug avrebbe sistemato tutto come al solito.»
   «Ma non è successo nulla di grave, perché Chat Noir è intervenuto giusto in tempo», aggiunse subito Marinette, decisa a non prendersi alcun merito di quella battaglia.
   Il giovane si volse per lanciarle uno sguardo da sopra la spalla, che lei ricambiò coraggiosamente fino a che la voce esagitata di Chloé non irruppe nel gruppo. «Che diavolo ci facevate voi due insieme?!» pretese di sapere, fronteggiando con rabbia la sua eterna rivale.
   Bella domanda. Cos’avrebbero potuto rispondere? Che avevano un appuntamento? Non sarebbe stata la verità. Inoltre un’affermazione del genere avrebbe sollevato un bel polverone in classe, fra pettegolezzi e battutine varie da parte di tutti gli altri.
   «Dovevamo andare al cinema insieme», intervenne Alya, assumendosi tutta la responsabilità della cosa. «Solo che all’ultimo momento sia io che Nino siamo rimasti bloccati a casa.»
   «Ma che strana coincidenza…» notò Chloé, intrecciando le braccia sotto ai seni con l’aria di non essersela bevuta affatto.
   «Vero?» convenne l’altra, sorniona. Marinette ruotò le iridi azzurre verso l’alto, preferendo non immischiarsi; quando però il suo sguardo tornò su Adrien e notò che la stava fissando con un certo divertimento negli occhi, sorrise a sua volta sia pur con malcelato imbarazzo.
   Mancava poco al suono della campanella, perciò tutti insieme si avviarono verso l’aula, riprendendo le solite chiacchiere che li accompagnavano ogni mattina, prima dell’inizio delle lezioni. Affiancata dalla fida Sabrina, Chloé rimase dov’era, invece, seguendo con fronte accigliata la figura di Adrien che si portava accanto a Marinette e scambiava con lei una battuta di spirito, facendola ridacchiare. «Non mi piace la piega che sta prendendo questa loro malsana amicizia», borbottò fra sé.
   Sabrina la guardò, domandandosi se lei si fosse mai resa conto del fatto che quella fra i due non poteva più chiamarsi soltanto in quel modo, visto che Adrien sembrava avere una predilezione neanche troppo velata per Marinette. Se Chloé fosse stata meno presa da se stessa, lo avrebbe realizzato da sola, ma così…
   Gli occhi chiari di lei saettarono nella sua direzione, facendola sobbalzare. «Che hai da guardare?»
   «N-Niente!» rispose d’istinto Sabrina, mettendosi sulla difensiva e agitando le mani davanti a sé. Non sarebbe certo stata lei a dirle come stavano le cose, soprattutto perché, conoscendo il suo carattere permaloso, sarebbe stato su di lei che la figlia del sindaco avrebbe scaricato tutta la propria frustrazione.
   «Allora sbrigati, la campanella sta per suonare», sbraitò Chloé, avviandosi verso l’aula con passo nervoso. «E non dimenticare i miei libri!»

I giorni passarono senza grosse novità. Fra i numerosi impegni di Adrien, che in quel periodo sembravano improvvisamente aumentati, e il lavoro da babysitter di Marinette, i due ragazzi non furono in grado di concordare un giorno per il loro appuntamento. Solevano definirlo così fra sé e sé, benché non ne facessero parola con l’altro, e l’attesa non faceva che accrescere il desiderio nascosto in fondo al loro cuore. Le sole opportunità che avevano di vedersi erano quelle concesse dalle lezioni scolastiche. Durante quegli incontri, però, pur rivolgendosi più sguardi e sorrisi del consueto, e rimanendo fedeli a se stessi, nessuno dei due diede mai prova di conoscere il segreto dell’altro: era il loro tacito modo di dimostrare tutta l’incrollabile lealtà che li univa sin dal principio.
   Fu dunque con una certa eccitazione che accolsero la notizia di un incidente nei pressi di Notre Dame, dove sembrava infatti che qualcosa fosse saltato per aria, provocando una grossa esplosione. Quando però i due eroi giunsero sul posto, persero ogni voglia di scherzare e, soprattutto, di essere lì: la deflagrazione non era avvenuta vicino Notre Dame, ma allo Shoah Memorial, dove si stavano riversando in gran numero le forze dell’ordine. La cosa peggiore fra tutte fu che non sembrava affatto opera di un akumizzato, quanto un atto terroristico fine a se stesso; se opera di dissidenti politici o religiosi, lì per lì nessuno seppe dirlo. L’unica certezza era che c’erano state diverse vittime e che niente, nemmeno il miraculous della Coccinella, avrebbe potuto fare qualcosa per rimettere a posto le cose. Non stavolta.
   Pur col cuore in gola e l’ansia per quanto stava accadendo attorno a loro, Chat Noir e Ladybug si diedero da fare per aiutare chiunque ne avesse bisogno, a cominciare da chi era rimasto intrappolato fra le macerie. Quando però l’eroina di Parigi si trovò davanti il primo corpo martoriato e senza vita, tutto il suo coraggio parve venir meno e lei s’immobilizzò fra gli altri soccorritori, che invece continuavano a scavare senza sosta. Fu a quel punto che Marinette si rese conto di avere soltanto quattordici anni, e che, a dispetto dei superpoteri e della superforza, quelle scene così diverse dalla realtà a cui era abituata mentre saltava da un tetto all’altro della città, la schiacciarono fino a mozzarle il fiato.
   Due braccia calde e protettive l’avvolsero, e lei nascose il viso contro la spalla di Chat Noir, che non l’aveva persa d’occhio per un solo istante. Rimasero chiusi in quell’abbraccio per diversi minuti, senza dire una sola parola. Poi, quando il respiro della ragazza tornò a farsi regolare e le lacrime smisero di scendere sul suo viso pallido e sporco di fuliggine, si scambiarono uno sguardo profondo quanto il mondo e tornarono da chiunque in quel momento stava aspettando il loro aiuto o anche solo un loro sorriso.
   «A cosa servono, questi poteri, se non possiamo evitare che accadano certe tragedie?» La voce di Ladybug era cupa e rotta dal pianto represso. Era ormai l’alba e i soccorritori avevano lavorato per tutta la notte, sgombrando la zona da ciò che era andato distrutto – o ucciso. I due salvatori di Parigi erano rimasti lì fino a che era stato necessario, ingoiando tutta la sofferenza che i loro occhi e le loro orecchie erano stati capaci di catturare, loro malgrado. E ora, con le membra doloranti e il cuore in pezzi, si erano rifugiati insieme fra i gargoyles di Notre Dame, che con il loro tetro aspetto sembravano riflettere l’umore di entrambi.
   «Credi che sia per cose del genere che Papillon cerca di mettere le mani sui nostri miraculous?» rifletté atono Chat Noir, ricordando le spiegazioni del maestro Fu circa le reali, straordinarie e pericolose capacità dei loro poteri.
   «Non lo so, ma…»
   La voce di Ladybug venne meno e lui completò la frase al suo posto. «…all’improvviso non ci sembra più tanto pazzo, eh?»
   «Non ho detto questo», ribatté la ragazza dopo un attimo, accucciandosi sui talloni. «Continuo a condannare il suo malsano desiderio di impossessarsi di un potere tanto grande.»
   «Forse vuole riportare indietro qualcuno», mormorò quasi fra sé il giovane, provando un’insopportabile sensazione di empatia verso il loro nemico. Davanti ai suoi occhi stanchi comparve come un fantasma il viso gentile di sua madre e lui serrò le palpebre per scacciarlo dalla mente.
   «Se lo facesse… forse qualcun altro perderebbe la vita al posto suo.»
   «Lo so.»
   «Sarebbe orribile.»
   «Lo so.»
   Rimasero in silenzio per alcuni istanti. Poi Ladybug riprese, pur con un filo di voce: «Chat Noir?» Lui si volse a guardarla e realizzò che era di nuovo sul punto di scoppiare in lacrime. «Scusami se sono crollata, prima.»
   Le sorrise con tenera comprensione, si inginocchiò e mosse una mano verso di lei, sfiorandole il viso con il dorso delle dita. «Se anche dovesse succedere di nuovo, mi troverai sempre al tuo fianco.»
   Marinette non disse più nulla, ma si avvicinò ad Adrien, che scivolò a sedere e l’accolse in grembo. Si chiusero così in un silenzioso abbraccio, crogiolandosi in quel calore e nell’amore che provavano l’uno per l’altra, l’unica cosa capace di combattere lo strazio vissuto nelle ultime ore.

«Grazie per avermi coperta con i miei genitori», disse la ragazza non appena salirono in camera sua.
   «Di nulla», rispose la sua amica, sedendo insieme a lei sulla chaise longue e osservandola quasi con timore.
   Quando era esplosa la bomba, si trovavano insieme a casa di Alya. Quest’ultima era quindi scappata in strada con l’intento di documentare ogni cosa, soprattutto perché credevano che si trattasse di un incidente provocato da una delle vittime di Papillon e che quindi Ladybug e Chat Noir avrebbero fatto la loro comparsa di lì a poco. Cosa che in effetti era avvenuta, ma in uno scenario ben più tragico di quanto tutti si erano aspettati. Trovando l’intera zona bloccata, Alya aveva preferito fare marcia indietro; stava ancora osservando il display del proprio cellulare quando Marinette l’aveva chiamata. «Ho bisogno di un favore», le aveva detto col cuore in gola. «Se i miei dovessero interpellarti, rispondi che sono rimasta a dormire da te, stanotte. Non farmi domande, te ne supplico. Non stavolta. È importante.» E senza darle tempo di rispondere, aveva riattaccato.
   Alya si era chiesta e richiesta perché mai Marinette avesse dovuto inventarsi una scusa del genere. Si era forse cacciata in qualche guaio? Parlandone con Nino, era venuto fuori che anche lui aveva ricevuto una telefonata simile da parte di Adrien. A quel punto, non era stato più tanto difficile capire quale fosse il segreto di entrambi.
   «Marinette…» Lei alzò lo sguardo stanco sull’amica, in attesa di sapere cosa volesse dirle. «Lo so che mi hai detto di non farti domande, ma devo chiedertelo.» Marinette trattenne il fiato. Era giunto il momento di essere smascherata anche da Alya? «Tu e Adrien avete una tresca, vero?»
   «Cos…?!» esclamò con voce stridula, gli occhi sgranati e il volto paonazzo. «No!» gracchiò, cercando di contenere l’imbarazzo comportato da quella domanda.
   «E allora perché ieri sera avete dormito entrambi fuori casa, chiedendo a me e Nino di coprirvi?!» volle sapere Alya, sentendosi presa in giro.
   Marinette si portò le mani davanti al volto, respirando a fondo. Ecco l’ennesima prova che Adrien era Chat Noir, pensò fra sé, trovando ora conforto in quell’idea. Non che avesse bisogno di ulteriori conferme, in effetti, non dopo la dolcezza con cui il suo collega l’aveva trattata non più tardi di una decina di ore prima. «È… più complicato, di così», fu l’unica cosa che si sentì in grado di dire.
   Cogliendo tutta la stanchezza nell’aspetto, nei gesti e nel tono di voce dell’amica, Alya desistette: se Marinette non le diceva la verità, era semplicemente perché non poteva. Lei e Adrien avevano un segreto in comune e lei, fidandosi di entrambi, decise di rispettare quel loro silenzio. «Va bene», disse allora, sorridendo con comprensione. «Però sappi che sarò sempre pronta ad ascoltarti, semmai volessi parlarne. E ti aiuterò ancora, se ne avrai bisogno.» Marinette alzò su di lei due occhi pieni di commossa gratitudine. «Non farmene pentire, però», aggiunse Alya a mo’ di scherzo, risollevandole finalmente l’umore.
   «Sei la migliore amica del mondo», le assicurò l’altra, sporgendosi per abbracciarla.
   «Lo so, lo so», convenne lei, ricambiando il gesto con affetto. Il suo sguardo catturò una stoffa rosa fragola in un angolo della scrivania. «Stavi lavorando a qualcosa?» le venne spontaneo chiedere, sciogliendo l’abbraccio e facendo cenno verso la macchina da cucire.
   «Ah», sorrise Marinette, stropicciandosi un occhio. «È per Manon. Tra poco sarà il suo compleanno e le ho promesso un vestito da principessa in regalo. È basato su un suo disegno.»
   «Che cosa carina, da parte tua», commentò Alya, non aspettandosi niente di meno da lei. E quando le venne passata l’opera d’arte che la bambina aveva lasciato lì un paio di settimane prima, sorrise alla vista degli occhiali da sole a forma di cuore: erano uguali a quelli che aveva visto sul naso di Marinette quel giorno, quando lei e Nino l’avevano sorpresa in giro con Adrien. E poco importava che i due continuassero a negare la cosa; alla luce delle loro più recenti e conclamate menzogne, era chiaro che fossero davvero loro la coppietta che passeggiava in Rue Azais. Ciò nonostante, Alya non riprese il discorso, mantenendo la parola appena data alla sua amica del cuore.

«Pont de l'Archevêché. Domani al tramonto.» Ladybug si volse a guardarlo come se avesse parlato una lingua aliena. «È un posto romantico, non trovi anche tu, buginette
   «Ti ho detto mille volte di non chiamarmi in quel modo…»
   «Mi fa piacere sapere che è questa l’unica protesta che muovi al mio invito», sorrise contento Chat Noir. Lei sospirò rassegnata, poggiando il mento sui palmi delle mani, i gomiti sulle ginocchia e lo sguardo annoiato fisso sul Jardin des Tuileries, dove qualcuno aveva lanciato un allarme akuma circa un’ora prima. I due eroi se ne stavano appollaiati sul tetto della Galleria Nazionale dello Jeu de Paume già da un pezzo, ma non avevano visto né sentito nulla di anomalo, tanto da iniziare a sospettare che si trattasse di uno scherzo o, peggio ancora, di un inutile allarme dovuto alla paura che il terribile incidente di due giorni prima aveva instillato nell’animo della gente comune. «Ti aspetterò con ansia», continuò Chat Noir, cercando di attirare in qualche modo l’attenzione della sua partner.
   «Perché dovrei accettare?» fu la legittima domanda che gli venne rivolta a quel punto.
   «Perché mi devi dei grattini dietro alle orecchie, ricordi?»
   «È vero», rise Ladybug, scoccandogli uno sguardo divertito. Adrien era adorabile, eppure quando assumeva le sembianze di Chat Noir era capace di diventare un’autentica peste. Era principalmente questa la ragione per cui le riusciva facile rapportarsi con lui quando si trovavano a calarsi nei panni dei protettori di Parigi. «Ma domani non posso.»
   «Speravo fossi libera», mormorò lui, rattristandosi di colpo.
   «Speravo di vedere un’altra persona», gli rivelò lei, tornando a prestare attenzione all’ambiente circostante e sperando che lui cogliesse il riferimento a se stesso.
   Adrien aggrottò la fronte. «Un’amica?»
   «Un amico.»
   «Ah», si lasciò scappare, come se fosse stato schiaffeggiato all’improvviso. «E mi tradisci così?»
   L’altra gli lanciò un’occhiata stranita. «Tradirti
   «Non puoi negare che ci sia qualcosa fra noi, buginette», insistette lui, recuperando la propria spavalderia. «Non dopo i nostri baci appassionati.»
   Marinette arrossì di colpo. «Non rinfacciarmi certe cose!» borbottò imbarazzata. «E comunque il primo neanche te lo ricordi.»
   «Il secondo sì, però.»
   «Non era appassionato.»
   «Lo sarebbe stato se non me lo avessi praticamente estorto.»
   Urlò esasperata, portandosi le mani fra i capelli. «Non potevo avere un collega meno fastidioso?!» La risata di Chat Noir la contagiò, ma non poté fare a meno di domandarsi come diamine facesse, quel disgraziato, a cambiare atteggiamento soltanto grazie ad uno stupido pezzo di stoffa sul volto. «Per che ora?» si arrese a domandare.
   «Al tramonto, te l’ho detto.»
   «È molto vago, così.»
   «Vorrà dire che ti aspetterò lì sin dalle sei.»
   «Allora magari prima riuscirò a vedere il mio amico», lo provocò per ripicca.
   «Che tipo è?»
   «Che ti importa?»
   «Ho bisogno di conoscere il mio rivale in amore, non trovi?»
   «Non è un tuo rivale.»
   «No?»
   «No.»
   «Perché non ti interessa in quel senso?»
   «Perché tu non mi interessi in quel senso.»
   «Questo è un colpo basso», protestò Chat Noir, avvertendo un improvviso nodo alla bocca dello stomaco e perdendo la voglia di scherzare.
   Accortasi della sua espressione rabbuiata e notando le sue orecchie a punta rivolte verso il basso, Ladybug alzò il braccio e affondò la punta delle dita fra i suoi capelli biondi, proprio dietro uno di quei triangolini neri, iniziando a solleticarlo con tenerezza. Bastò poco e il silenzio sceso fra loro fu colmato da un verso basso e rilassante, che nulla aveva di umano e che ricordava in tutto e per tutto le fusa di un felino. Vide Chat Noir arrossire e agitarsi per l’imbarazzo, rimanendo tuttavia alla sua mercé. La ragazza ridacchiò e gli si fece più vicina. «Anche il Jardin des Tuileries, volendo, può diventare un posto romantico», gli fece sapere con voce sommessa, quasi avesse timore di esprimere quel pensiero a voce alta.
   Adrien sollevò le iridi chiare su di lei. Era un invito ad approfondire quel contatto? Furono i grandi occhi azzurri di lei, che ora lo fissavano con amore, a dargli il coraggio di muovere il capo nella sua direzione. Le frange dei loro capelli si intrecciarono, la punta dei loro nasi si sfiorò, ma come sempre lui non si azzardò ad invadere oltre lo spazio vitale di Marinette. Poteva davvero farlo? Ammaliata dal suo richiamo chimico e dal pensiero che sotto quella maschera potesse davvero nascondersi l’amato, fu lei a decidere per entrambi, schiudendo le labbra e posandole morbidamente sulle sue. Adrien abbassò le palpebre e si godette quel meraviglioso momento, non riuscendo quasi a credere che finalmente stesse accadendo in modo del tutto naturale e senza alcun tipo di sotterfugio o costrizione di sorta.
   Durò appena una manciata di attimi, che a loro parvero infiniti, e quando il bacio si sciolse, Marinette si sentì stordita dalle intense sensazioni provate e dal forte batticuore che le pulsava fin dentro le orecchie. Non appena i loro occhi si incrociarono di nuovo, però, la ragazza tornò del tutto in sé e s’irrigidì senza che potesse evitarlo. Aveva davvero baciato Adrien? E se invece quello accanto a lei era solo e semplicemente Chat Noir? Quel pensiero improvviso la mise in allarme: rimaneva pur sempre la possibilità, seppur remota, che i suoi amici fossero due persone ben distinte e questo le causò un comprensibile senso di colpa. Se nei confronti di Chat Noir, per averlo baciato pensando ad un altro, o se in quelli di Adrien, per aver baciato un altro pur pensando a lui, Marinette davvero non avrebbe saputo dirlo.
   «Ma…»
   Prima che lui avesse la possibilità di continuare, Ladybug scattò in piedi. «Devo andare», disse lapidaria, non riuscendo a reggere più la tensione. Chat Noir stava per pronunciare il suo vero nome? O forse stava soltanto per chiamarla my lady, come al solito? Non volle saperlo, non in quel momento: benché necessitasse di certezze al riguardo, aveva anche e soprattutto un disperato bisogno di rimanere da sola.
   «Aspetta!» esclamò il giovane, alzandosi dritto sulle gambe con l’intento di fermarla.
   «Non seguirmi, per favore», lo implorò lei un attimo prima di fuggire via senza voltarsi indietro.
   Adrien rimase ad osservarla mentre scompariva alla sua vista, un peso non indifferente all’altezza del cuore che ora andava a sovrastare il meraviglioso calore provato appena pochi attimi prima, quando avevano condiviso quel momento di tenerezza e d’amore. Perché Marinette era fuggita in quel modo? Ripensando alla loro conversazione, fu colto dall’improvviso, terribile dubbio che lei non fosse Ladybug. Non avrebbe parlato di lui e di quel suo fantomatico amico come di due entità differenti, in caso contrario. Di più, questo gli faceva temere sul serio che la sua amata buginette frequentasse anche qualcun altro, tenendo così il piede in due scarpe. Sarebbe stato orribile!
   Un istante dopo si lasciò cadere di nuovo seduto sul tetto dell’edificio, dandosi dell’ipocrita: aveva ben poco da rimproverarle, visto che lui per primo si sentiva confuso e diviso fra lei e Marinette. Se solo avesse avuto la certezza che quelle due erano la stessa persona! Sarebbe stato tutto più semplice e, soprattutto, lui non si sarebbe sentito così orribilmente in colpa. Era dura digerire l’eventualità di non essere poi così integro e fedele come aveva sempre pensato; lui, da sempre leale all’idea dell’amore vero, puro e incondizionato. E ora? Era lì, come uno stupido, ad amare due ragazze contemporaneamente.

Nelle sue intenzioni, avrebbe davvero voluto chiedere ad Adrien di uscire con lei il pomeriggio successivo, ma dopo quanto successo quella sera Marinette si sentiva talmente sporca da non riuscire neanche più a pensare in modo lucido. E a niente valevano le parole di Tikki, che le stava consigliando di inviargli comunque un messaggio. «Per dirgli cosa?» protestò la ragazza, sull’orlo delle lacrime, nascondendosi sotto alle coperte nel buio della propria camera. «Che ho baciato qualcun altro prima ancora di avere la possibilità di iniziare qualcosa con lui?»
   «Non ti eri convinta che lui fosse Chat Noir, dopo aver parlato ieri con Alya?»
   «E se così non fosse?!»
   Il kwami non poté ribattere a quella domanda. Sapeva chi si celava dietro la maschera dell’altro eroe di Parigi e le piangeva il cuore a veder soffrire inutilmente la sua amica; ma non poteva rivelarle la verità, poiché il suo ruolo glielo impediva categoricamente. «Marinette…» la chiamò con dolcezza, infilandosi sotto le coperte con lei e strofinando il visetto contro la sua guancia. «Comunque stiano le cose, sono sicura che tutto si risolverà per il meglio.»
   Lei tirò su col naso, confortata dal calore di quella piccola, adorabile creatura, diventata per lei un sostegno prezioso in qualunque situazione. «Grazie, Tikki… anche se… ora come ora… non so davvero in che modo potrebbe accadere…» mormorò, affranta. «Non posso neanche affrontare di petto Adrien e chiedergli se è Chat Noir, perché se non lo fosse finirei soltanto per esporre inutilmente la mia vera identità… cioè, quella di Ladybug… e… potrebbe diventare rischioso soprattutto per lui.» E metterlo in pericolo era l’ultima cosa che voleva. Amava profondamente Adrien. E questo, unito alla consapevolezza di aver provato quelle travolgenti sensazioni baciando Chat Noir, la straziava non poco. Dov’era finita la sua integrità morale? Come poteva asserire di amare davvero una persona e poi rivolgere la propria attenzione verso qualcun altro?












Mi ero ripromessa di aggiornare una volta a settimana, ma dal momento che ho finito anche il decimo capitolo e che non so quando potrò postare ancora, intanto mi porto avanti con il lavoro. Ad ogni modo, confermo: i capitoli dovrebbero essere dodici. E intanto mi sale l'ansia di cimentarmi con il finale. Sigh.
Tornando a noi, come avrete notato, la svolta si è verificata qui. Una doppia svolta, in effetti, perché se da un lato la storia ha abbandonato i toni più leggeri per intraprendere tematiche più serie, dall'altra si è fatta più... romantica? Diciamo così, va'. Ma credo fosse naturale che - avvinta dalla stanchezza, dai momenti difficili vissuti con lui e dalla (quasi) certezza che sotto quella maschera ci sia Adrien - Marinette si sia abbandonata ad un bacio con Chat Noir. Ovviamente noi sappiamo che non è stato un errore, però lei non riesce a ragionare con lucidità a causa di tutto quello che è successo e dei dubbi che ancora ha riguardo all'identità del suo collega.
Al momento ho evitato di descrivere scene troppo crude, perciò forse è stato esagerato da parte mia mettere il bollino arancione a questa fanfiction, tuttavia anche in questo caso, come per l'avviso di OOC, ho preferito mettere le mani avanti (dopotutto devo ancora scrivere gli ultimi due capitoli e non so fino a che punto potrò arrivare con certe descrizioni). Datemi il vostro parere in proposito, se vi va, e anche riguardo a tutta la situazione sentimentale che ha fatto diversi passi avanti in questo capitolo che ha sorpreso me per prima nel momento esatto in cui l'ho scritto. Sappiate che il prossimo sarà più tranquillo e che, come già detto in risposta ad una recensione, è uno dei miei preferiti.
E anche per questa volta è tutto, ma prima di passare ai saluti ne approfitto per ringraziare tutti voi che state continuando a leggere, chi recensisce e chi inserisce questa storia fra le preferite/ricordate/seguite. Sappiate che mi riempite di gioia. ♥
Buona serata!
Shainareth





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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***





CAPITOLO QUARTO




«Tu e Adrien vi state di nuovo evitando», constatò Alya a tradimento, facendola sussultare e facendole dare una passata di troppo sul pannello che stavano verniciando. Di lì a pochi giorni, infatti, ci sarebbe stata una sfilata di moda organizzata dalla scuola con il patrocinio di Gabriel Agreste e loro erano al lavoro sulla scenografia nel cortile interno dell’edificio. Era la seconda volta che il padre di Adrien si interessava a cose di questo genere e ciò, oltre a far accrescere la fama dell’istituto, rendeva felice suo figlio, che finalmente riusciva a sentirsi più vicino a lui.
   «Evitando?» ripeté Marinette, ridacchiando nervosamente e cercando di rimediare all’errore commesso. «Non è mai successo. Né prima né adesso», chiarì senza aver bisogno di mentire. Quello che era calato fra loro era soltanto un goffo silenzio che nessuno dei due sapeva esattamente come gestire.
   Alya incrociò le braccia sul petto formoso. «E allora com’è che quasi non vi rivolgete la parola? Credi che non lo abbia notato?»
   «È solo una tua impressione», le assicurò l’altra, preferendo tenere gli occhi ben incollati sul lavoro pur di non incrociare quelli dell’amica.
   «So che ho promesso di non intromettermi, ma… sono preoccupata», confessò lei, sentendola più distante di quanto entrambe avrebbero voluto ammettere. Era forse questo a farle più male in assoluto, insieme all’idea di non poter fare nulla per risollevare il morale di quell’amica che nel giro di pochi mesi le era diventata cara quanto una sorella.
   Marinette le rivolse uno sguardo mortificato, ma sulle sue labbra aleggiava l’ombra di un sorriso che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere rassicurante. «Grazie, Alya, però non ne hai motivo.»
   «Avete litigato?»
   «Non potrei mai litigare con Adrien! Lo sai che è…»
   «…il grande amore della tua vita, sì», concluse Alya per lei.
   «Sssh! Abbassa la voce!» la pregò Marinette, guardandosi attorno con fare ansioso, dal momento che tutta la classe era al lavoro insieme a loro – ad eccezione di Chloé, che preferiva perdere il suo tempo seduta su una panchina a smanettare con il cellulare, infischiandosene di tutto il resto.
   «Marinette, posso disturbarti un momento?»
   La voce di Adrien la fece scattare come una molla e lei lanciò un urletto buffo che riuscì finalmente a far sorridere Alya. «A-Adrien!» balbettò con la sua solita aria impacciata, nascondendo dietro la schiena il pennello sporco di vernice come se fosse stato qualcosa di cui vergognarsi. «Certo, dimmi pure!»
   Il giovane tirò un sospiro di sollievo. Dopo quella sera, quella in cui lui e Ladybug si erano scambiati il loro primo, vero bacio, Adrien non era stato più in grado di rivolgersi a Marinette come prima e lei sembrava fare altrettanto, quasi come se tutti i progressi fatti nel loro rapporto negli ultimi mesi fossero solo un lontano ricordo. Per questo, pur provando ancora delle remore nel parlare a tu per tu con lei, Adrien aveva deciso che fosse giunto il momento di mettere da parte gli indugi e affrontare di nuovo una conversazione con lei, sia pure in presenza di una terza persona – in questo caso Alya. «Volevo comunicarti che uno dei membri della squadra di scherma ha deciso di abbandonare le lezioni alla fine del mese», prese a dire, felice di essere riuscito ad apparire piuttosto naturale. «Perciò, nel caso tu fossi ancora interessata, potresti tentare di nuovo le selezioni. L’altra volta non ce l’hai fatta per un soffio, perciò penso che tu abbia buone possibilità.»
   In un altro momento, Marinette avrebbe fatto i salti di gioia per quella proposta. Adesso che però non si sentiva più sicura di nulla, riguardo ad Adrien, si domandò se lui le avesse dato quell’informazione perché voleva averla al suo fianco anche dopo le lezioni scolastiche o se, più semplicemente, per mera gentilezza. «Io… in realtà non lo so», rispose con un groppo in gola. Davvero voleva gettare alle ortiche la possibilità di entrare all’accademia di scherma di monsieur D’Argencourt, e di passare così più tempo con il suo adorato Adrien, solo perché non riusciva più a capire da che parte volgesse il suo cuore? «Ho troppe cose da fare… troppi impegni… con… ehm… sai, la sfilata, il mio lavoro da babysitter… aiutare i miei al negozio…»
   «D’accordo, non preoccuparti», la interruppe gentilmente lui per trarla d’impaccio e cercando di non dare a vedere di esserci rimasto male. Non che si aspettasse davvero una risposta diversa da quella, ma un po’ ci aveva sperato. «In ogni caso, puoi decidere con calma. C’è ancora tempo prima della fine del mese e la sfilata sarà solo fra pochi giorni.»
   «Giusto», commentò la ragazza, trovando comunque un certo conforto in quelle parole. Forse per allora avrebbe fatto chiarezza con se stessa, benché non ci contasse troppo. «Ti farò sapere, allora.»
   «Quando vuoi», rispose lui, un sorriso di circostanza sulle labbra. Alzò gli occhi al pannello che le sue amiche stavano verniciando e gli venne spontaneo domandare: «Avete bisogno di aiuto?»
   «No, no, non preoccuparti!» si affrettò a dire Marinette, lieta di essere riuscita comunque ad articolare un discorso di senso compiuto con lui, nonostante il nervosismo. Tuttavia, non era certa di reggere ancora a lungo, perciò negò con tutte le sue forze di aver bisogno di qualcosa. «Siamo perfettamente in grado di usare un pennello!» buttò lì senza un perché, agitando per aria quello che aveva in mano e schizzando vernice dappertutto. «Io di sicuro meglio di una sciabola!» straparlò poi come suo solito, mimando un affondo che colpì Adrien all’altezza del petto e gli imbrattò inevitabilmente gli abiti.
   «Figurarsi come usi quella, allora…» non poté fare a meno di commentare Alya, portandosi i pugni sulle anche e sospirando per la goffaggine dell’amica.
   Quest’ultima arrossì tantissimo e mulinò le braccia davanti a sé, osservando con occhi sbarrati quel che aveva appena combinato. «Adrien, mi spiace tremendamente! Sono un disastro ambulante! Giuro che non l’ho fatto apposta! Non potrei mai dipingerti di rosa!»
   «Di azzurro sì?» ci tenne ad informarsi il giovane, ridendosela sotto ai baffi, nonostante tutto. Marinette era adorabile e se solo lui avesse potuto, l’avrebbe abbracciata e stretta a sé fino a che non gli fossero venuti i crampi.
   «Di nero!» lo corresse d’istinto lei, ormai nel pallone. «Risalterebbe quei tuoi magnifici occhi verdi!» Sentendo Alya ridacchiare alle sue spalle, si rese conto di ciò che aveva appena detto e sprofondò il viso fra le setole del pennello. «Gah!» esclamò un attimo dopo in tono lamentoso. «Mi è entrata la vernice negli occhi!»
   «Ed ecco perché, nonostante la nostra età, abbiamo preferito usare quella atossica e lavabile…» cantilenò Alya, togliendole di mano il pennello prima che quell’imbranata combinasse qualche altro guaio. «Va’ subito a lavarti la faccia, sbadatella.»
   «Sì, corro», obbedì lei. Poiché però non vedeva granché, inciampò nel sostegno sul quale avevano poggiato il barattolo di vernice, che cadde sul pavimento, creando una pozzanghera proprio dove lei aveva i piedi e attirando l’attenzione di chiunque si trovasse lì con loro.
   «Marinette!» la richiamò esasperata la sua amica, mentre lei farfugliava parole senza senso e muoveva in modo goffo le gambe, rischiando così di scivolare a terra.
   «Ci penso io», si offrì volontario Adrien, sempre più divertito dai disastri combinati dalla sua compagna di classe. «Pronta, Marinette?»
   «Eh? Per cosa?» chiese lei, completamente spaesata. L’istante successivo qualcuno le passò un braccio attorno alle spalle e un altro sotto le ginocchia, sollevandola da terra come una graziosa sposina. D’istinto, la ragazza soffocò un’esclamazione e si aggrappò al collo del giovane, arrossendo fino alla punta delle orecchie. «A-Adrien! Mettimi giù!» lo implorò, avvertendo lo sguardo dell’intera classe su di sé, benché fosse costretta a tenere gli occhi chiusi e non riuscisse a vedere molto.
   «Col rischio che tu possa cadere e farti male? Non se ne parla», le assicurò lui, iniziando a portarla via di lì. «Ti accompagno a casa, così potrai darti una ripulita come si deve.»
   «Fino a casa?!» stentò a crederci Marinette, non riuscendo a muovere muscolo per l’imbarazzo e la gioia. «Ti peserò!»
   «Sono più forte di quanto sembri», le assicurò Adrien, felice della situazione in cui erano andati a cacciarsi e di poterla stringere a sé senza necessariamente abbracciarla. «E poi abiti solo dall’altro lato della strada.»
   «Ma…!»
   «Ragiona, hai le scarpe inzaccherate e non vedi nulla. Hai una soluzione migliore?»
   L’altra si arrese e tacque, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e provocandogli inconsapevolmente tanti, piccoli piacevoli brividi. Adrien inspirò a fondo, deciso a mantenere intatta la propria lucidità mentale nonostante quell’insperata vicinanza. Più indietro, fra le risatine e i borbotti del resto della classe, Alya recuperò il cellulare dalla tasca e compose un numero. «Madame Cheng?» iniziò poco dopo. «Sono Alya. Volevo annunciarle che fra non molto Adrien vi porterà un pacchetto sporco di vernice a domicilio.»
   «Marinette, eh?» sentì rispondere con un sospiro rassegnato. «Preparo degli asciugamani, grazie per avermi avvisata.» Chiusa la chiamata, Sabine diede voce a suo marito, che rimase da solo in negozio, e subito si adoperò per recuperare dei teli da bagno e aspettò Adrien davanti alla porta di casa. «Mi dispiace immensamente per l’incomodo», gli disse non appena lui arrivò a destinazione con il suo bel fagottino tra le braccia.
   «Nessun problema», le assicurò il giovane, entrando nell’edificio e aspettando che la donna togliesse le scarpe a sua figlia e le asciugasse i piedi prima di metterla giù.
   «Mi spieghi perché sei tutta sporca di vernice?» s’informò Sabine, cercando di portare pazienza. «Anzi, lascia perdere quella parte e dimmi solo perché ti sei data al bricolage anziché al cucito. Non dovevi occuparti tu dei modelli della sfilata?»
   «Solo di uno», rispose Marinette, poggiando finalmente i piedi sul pavimento e alleggerendo il povero Adrien del suo peso. Sbirciò nella sua direzione, ma non osò fiatare.
   Fu lui a parlare, allora, intuendo già quale fosse il problema. «Il mio, immagino.» Lei non rispose, prendendo dalle mani della madre un asciugamano pulito per togliersi parte della vernice dal volto. «Perché non me lo hai detto prima?»
   «Mi mancano le tue misure», borbottò con imbarazzo, nascondendosi nella spugna che stringeva fra le dita.
   «E non potevi chiedere?»
   Mugugnò qualcosa di indecifrabile e, da brava mamma, Sabine venne in suo aiuto. «Ti ha macchiato i vestiti, Adrien, mi dispiace… Ti pagheremo il conto della tintoria.»
   «Oh, no, non ce n’è bisogno, davvero.»
   «Insisto», continuò lei, passandogli un altro asciugamano. «Intanto tieni questo, Marinette ti ha sporcato anche il collo. Sembra che ti abbia fatto delle mèches rosa sulla nuca.»
   «Dovrei esserle riconoscente, dopotutto: ha esaudito un mio ambiguo, recondito desiderio», scherzò allora il giovane, pur di riuscire a risollevare il morale della sua amica. La sentì ridere contro la spugna e la vide occhieggiare di nuovo nella sua direzione. «Me le prenderai, ora, le misure?» le domandò con dolcezza.
   Lei annuì timidamente e, intenerita da quella scena, Sabine si allontanò con discrezione. «Preparo un po’ di tè», disse a mezza voce a tutti e nessuno, decisa a ringraziare la gentilezza di Adrien con qualche leccornia della loro pasticceria e al tempo stesso a lasciare ai due lo spazio necessario per dirsi o non dirsi ciò che lei aveva capito sin dall’inizio.
   Dopo essersi data una rapida rinfrescata in bagno, Marinette tornò in soggiorno, sperando con tutta se stessa di non tremare o arrossire nel prendere le misure ad Adrien. Trovò quest’ultimo seduto sul divano a gustarsi uno dei deliziosi croissant che Sabine gli aveva servito pochi minuti prima insieme ad una tazza di tè, e nell’attesa stava raccontando alla donna dei preparativi per il nuovo progetto scolastico. Quando lei vide arrivare Marinette, finse di ricordarsi di qualcosa e si allontanò per la seconda volta verso l’angolo cucina.
   Col metro a nastro fra le mani e un taccuino nella tasca posteriore dei jeans, la ragazza esitò qualche istante, perciò toccò di nuovo ad Adrien fare la prima mossa, alzandosi in piedi e allargando le braccia ai lati del corpo. «Iniziamo?» Lei abbozzò un sorriso e gli si fece vicino, passando il metro attorno al suo torace e pregando di riuscire a mantenere il sangue freddo nonostante l’imbarazzo di avvertire il respiro dell’amato sulla pelle del viso. Le tornò alla mente il bacio con Chat Noir e quasi le si intrecciarono le dita. Così non andava bene, c’era anche sua madre con loro, non poteva davvero perdere la testa in quel modo. Inspirò a fondo e tentò di placare i furiosi battiti del cuore che le scuotevano il petto, rimbombandole nelle orecchie così forte da farle temere che Adrien potesse sentirli. Decise di concentrarsi sul proprio lavoro e passò a misurare la lunghezza delle maniche e l’ampiezza delle spalle, lo spazio compreso fra l’ascella e il punto vita e infine quest’ultimo. Annotò tutto sul taccuino in assoluto silenzio e Adrien non poté fare a meno di ammirare la destrezza e la professionalità con cui la sua amica si stava dedicando a quel lavoro.
   Durò poco, comunque, perché qualche istante dopo la vide di nuovo insicura su come procedere. Dopo aver passato il metro attorno ai suoi fianchi e aver misurato la lunghezza della gamba fino alla caviglia, Marinette sembrò cedere ancora una volta il passo all’ansia, poiché Adrien la vide torturarsi il labbro inferiore e ostinarsi a tenere lo sguardo basso, senza riuscire a spiegargli cos’altro le servisse conoscere. Per sua fortuna, il padre del giovane era uno stilista e lui era cresciuto nel campo della moda, nel quale oltretutto lavorava, e questo le consentì di ricevere un aiuto insperato. «Occupati della parte inferiore del metro», la rassicurò Adrien in un sussurro complice, provando tenerezza nei suoi confronti. «All’estremità superiore ci penso io.»
   Marinette gli rivolse uno sguardo di disperata gratitudine e subito si chinò sulle ginocchia per misurare insieme a lui l’altezza del cavallo, mentre Sabine assisteva alla scena da lontano e ridacchiava fra sé. Fu distratta dallo squillo del telefono, al quale rispose subito. Alla fine della chiamata, fu costretta ad interrompere i ragazzi, suo malgrado. «Marinette, era madame Chamack. Dice che passerà fra due minuti per prendere le cose che Manon ha dimenticato qui ieri pomeriggio. Dove sono?»
   «In camera mia», disse l’altra, finendo di appuntare le ultime cifre sul taccuino e lasciando così Adrien libero di tornare ai suoi croissant.
   Sabine salì di sopra e loro rimasero soli per la prima volta, avvertendo di colpo tutto l’imbarazzo della cosa. Il giovane osservò l’amica mentre sedeva rigidamente sul divano, lontana da lui, tenendo di nuovo gli occhi bassi, le mani strette a pugno poggiate sulle ginocchia unite. Si domandò se ciò che gli aveva detto Plagg fosse vero, e cioè se tutta quella timidezza che assaliva Marinette quando lui era nei paraggi era dovuta al fatto che lei lo amava. Soprattutto, facendo scivolare lo sguardo sul viso della ragazza, si domandò se erano davvero quelle le labbra che aveva potuto baciare con amore appena poche sere prima. Sperò con tutto se stesso di sì.
   «Credi di fare in tempo?» esordì dopo una manciata di secondi, non tollerando più quell’assordante silenzio sceso fra loro. Finalmente Marinette trovò il coraggio di guardarlo, questa volta con espressione stupita, chiaro segno che non aveva capito ciò a cui lui si stava riferendo. «A cucire il modello, intendo…» continuò allora Adrien. «Non manca molto, alla sfilata.»
   «Sono piuttosto veloce a cucire», gli assicurò la ragazza, in uno di quei pochi sprazzi di autostima che mostrava di rado in sua presenza. «Ci lavorerò nel fine settimana, ma… temo che dovrò chiedere ancora il tuo aiuto… sai, per le prove.»
   L’altro le sorrise, felice per quella nuova opportunità di passare altro tempo con lei. «Chiamami pure tutte le volte che ne avrai bisogno.»
   Quella risposta le fece sobbalzare il cuore di gioia, tanto da indurle a rilassare finalmente i muscoli del corpo e ad inarcare le labbra verso l’alto. «Grazie», mormorò. «Per tutto.» Sabine li raggiunse poco dopo con la bacchetta da fatina di Manon in una mano e nell’altra un paio di occhiali da sole con le lenti a forma di cuore. Non appena Marinette li vide, scattò in piedi e li prese fra le dita, mettendoli in tasca. «Dalli a me», disse alla madre, agitando per aria anche la bacchetta magica affinché Adrien fosse distratto da quella piuttosto che da altro. «Glieli restituirò io non appena madame Chamack sarà qui.»
   Lanciò un’occhiata furtiva alle proprie spalle e vide l’amico intento ad alzarsi dal divano. «Sarà meglio che vada», le disse affiancandosi a lei. «State anche per avere ospiti, non mi sembra il caso di disturbarvi ancora.»
   «Nessuno disturbo», gli assicurò Sabine con uno di quei sorrisi da mamma capaci di sciogliere il cuore. Adrien ne fu conquistato e desiderò di cuore di potersi imparentare con quella donna. Resosi conto di quel pensiero audace e avvertendo perciò un comprensibile calore salirgli al volto, fece saettare lo sguardo su Marinette, che però sembrava nervosa per un qualche motivo che a lui sfuggiva. Cos’altro era successo, ora?
   «Ti… Ti accompagno di sotto», si offrì la ragazza, facendogli strada.
   «Arrivederci, madame Cheng», salutò il giovane, ricevendo in cambio un altro di quei sorrisi che tanto amava.
   «Grazie ancora per avermi aiutata», disse Marinette quando furono in strada, davanti al portone dell’edificio. «E… mi spiace di averti sporcato di vernice.»
   «Il rosa mi dona», replicò lui strizzandole l’occhio e facendola ridere.
   Qualcuno lì vicino chiamò la ragazza e un attimo dopo la piccola Manon fu fra le braccia di lei per darle un bacio. «Manon, dalle tregua…» sospirò Nadja non appena li raggiunse. «Buonasera, Marinette», salutò poi, accorgendosi solo dopo della presenza di Adrien – e chiedendosi perché fosse sporco di vernice. Riconobbe in lui il giovane con cui si era accompagnata Marinette qualche tempo prima, quando lei e Manon li avevano incrociati per strada mentre si scambiavano un bacio inequivocabile. Sorrise sorniona. «Tu sei Adrien Agreste», commentò soltanto, convinta che Marinette avesse fatto il colpaccio, conquistando nientemeno che il figlio del più famoso stilista di Parigi.
   «Buonasera, madame Chamack», rispose lui con un galante cenno del capo. Era divertente pensare che quella donna, così affamata di notizie e gossip di vario genere, ignorasse di trovarsi ora a tu per tu con i migliori ospiti che avesse mai ricevuto nel suo programma televisivo in prima serata.
   «Purtroppo ora vado un po’ di fretta, ma mi piacerebbe invitare te e tuo padre a Faccia a faccia, una di queste volte», iniziò Nadja, che non si lasciava mai sfuggire l’occasione di mettere per prima le mani su un qualsivoglia scoop.
   «Ehm…» prese tempo Adrien, massaggiandosi la nuca con un certo imbarazzo. «Non posso parlare a nome di mio padre, ma… potremmo discutere della mia presenza, se le va.»
   «Molto volentieri», annuì la donna, lanciando poi un’occhiata a Marinette, che subito comprese dove volesse andare a parlare con quello sguardo complice e s’irrigidì tutta. «Vado a salutare i tuoi genitori», disse allora, prima di sparire dentro il negozio.
   «La mia bacchetta!» esclamò Manon, rubandola dalla tasca posteriore dei jeans della sua babysitter. «E i miei occhiali?»
   La ragazza sudò freddo. «Ah… ehm… eccoli…» balbettò, infilando la mano nella stoffa della giacca che indossava. Esitò, sbirciando in direzione di Adrien che fissava la scena senza capire.
   «Marinette!» sbuffò la bambina, protestando per quel ritardo. «Non vuoi darmeli?» domandò, facendole gli occhioni da gattina come ogni qual volta voleva ottenere qualcosa.
   L’altra uggiolò davanti a quell’espressione e si costrinse a trattenere il fiato e a tirare fuori dalla tasca gli occhiali giocattolo, senza però avere più il coraggio di guardare l’amico. Non appena Manon inforcò le lenti a forma di cuore sul nasino all’insù, Adrien spalancò le orbite, riconoscendole al volo: erano davvero quelle che Ladybug aveva indossato quel giorno? Spostò la sua attenzione su Marinette che ora, rossa in volto, cercava di sfuggire alla sua vista.
   «Come sto?» volle sapere Manon, tirandolo per un lembo della camicia.
   Pur sopraffatto dalle tumultuose emozioni che gli stavano scombussolando il battito cardiaco, Adrien sorrise – come gli veniva facile, farlo! – e si chinò sui talloni per essere quasi alla stessa altezza della bambina. «Bene, ma… a me starebbero meglio.»
   Lei lo fissò contrariata. «Sono occhiali da femmina e tu sei maschio.»
   «Scommettiamo?» la provocò lui, porgendole il palmo della mano. Manon accettò la sfida e gli passò gli occhiali, che un attimo dopo Adrien indossò con gran faccia tosta, facendola scoppiare a ridere. «Non sono bellissimo?» si pavoneggiò, puntando il naso in aria. «Guarda, si intonano anche alle mie nuove mèches», aggiunse, mostrandole le ciocche bionde di capelli che, all’altezza della nuca, erano rimaste incrostate di vernice rosa. Alle orecchie gli arrivò una risatina divertita e lui alzò lo sguardo su Marinette che, con il viso ancora scaldato dall’imbarazzo, lo fissava ora con quella che gli parve essere gratitudine.
   Un attimo dopo, Nadja uscì dalla pasticceria con una busta fra le mani. «Manon, andiamo?» chiamò, prima che le parole le morissero in bocca per quella visione.
   Adrien balzò in piedi, togliendosi gli occhiali e restituendoli alla bambina. «Ehm… le sarei grato se non mi ponesse domande al riguardo, semmai dovessi essere ospite della sua trasmissione», pregò la donna, mentre Marinette si mordeva le labbra per non ridere più forte di quanto già non stesse facendo.
   «Non ti prometto nulla», lo prese in giro la giornalista, strizzandogli l’occhio. «Ma intanto vi auguro buona serata.»
   «Ciao, Marinette!» salutò Manon, agitando la manina a mezz’aria, mentre si allontanava insieme alla sua mamma.
   «Vuoi davvero partecipare alla sua trasmissione?» chiese Marinette, quando lei e Adrien rimasero nuovamente da soli.
   «Perché no?» rispose lui, facendo spallucce. «Potrebbe essere divertente.»
   «E…» Tentennò, ma poi fece appello a tutto il proprio coraggio e proseguì: «Non hai paura di eventuali domande scomode?» Dopotutto, Nadja li aveva visti mentre si baciavano.
   «Quali domande scomode?» ribatté Adrien, facendole dono di un sorriso sghembo e di uno sguardo inconfondibile: quella era senz’ombra di dubbio un’espressione alla Chat Noir.
   Pur col cuore che le batteva in petto all’impazzata, Marinette si convinse che il giovane avesse capito tutto e che ora volesse stuzzicarla. «Fa’ finta che non abbia detto nulla», borbottò, rossa in volto.
   Preferendo non provocarla oltre, e ritenendo che entrambi necessitassero di tempo per riflettere sull’intera faccenda, Adrien decise di lasciarla in pace. «Ci vediamo domani», la salutò in tono gentile, tornando a guardarla con affetto.
   Lei abbozzò un sorriso timido e imbarazzato. «A domani.»












Perdonate l'attesa, ma ho avuto una settimana infernale e non sono riuscita a scrivere molto (appena mezzo capitolo, sigh). Di più, ho iniziato a farmi prendere dai dubbi su tutta la storia, il che è un male, ne sono consapevole, però credo di aver superato queste insicurezze e pertanto spero di riuscire a concludere almeno l'undicesimo capitolo entro oggi.
Tornando a ciò che avete appena letto, finalmente c'è stato un punto di svolta. Non che prima non ve ne fossero stati, in effetti, ma almeno adesso i nostri due belli addormentati hanno avuto la conferma che sì, hanno strati e strati di prosciutto sugli occhi e che d'ora in poi potranno giocare a carte scoperte. Pur con i loro tempi, si intende, ché lo sappiamo tutti quanto sono lenti... sigh. Ma io li trovo adorabili anche per questo.
A parte tutto, non so se qualcuno di voi ha visto l'episodio uscito ieri sulla TV francese, perciò taccio. Dico solo che sono due giorni che non ho parole per descrivere la meraviglia. ♥ E anche che sto elargendo cuoricini a destra e a manca, per questo. ♥ Più del solito, intendo. ♥ E io già ne uso un sacco. ♥
Chiudo qui e, ringraziandovi per essere sempre così adorabili con me e le mie storie, vi do appuntamento al prossimo capitolo. ♥
Shainareth





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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***





CAPITOLO QUINTO




I suoi occhi si spalancarono alla vista del suolo che si avvicinava a tutta velocità e lui lanciò un urlo strozzato, certo ormai di diventare un tutt’uno con l’asfalto e di dover dire addio ai suoi giorni di gloria e al grande amore della sua vita. Qualcosa, tuttavia, gli si avviticchiò saldamente attorno ad una caviglia, strattonandolo verso l’alto e arrestando bruscamente la sua corsa verso un’orribile fine appena prima di diventare della stessa consistenza della marmellata.
   «Sul serio, chaton?» si sentì chiedere da qualche parte, più o meno in direzione del punto dal quale era precipitato giù come un sasso.
   «My lady!» chiamò lui, tirando il più grande sospiro di sollievo della sua vita. «Sapevo che saresti venuta! Sono troppo bello per morire!»
   Il filo dello yo-yo che lo aveva salvato da morte certa smise di tendersi e Chat Noir crollò a terra come un sacco di patate. Il rumore sordo di qualcosa che atterrava accanto a lui lo indusse ad alzare lo sguardo e i suoi occhi verdi percorsero le gambe affusolate della sua partner in tutta la loro lunghezza prima che lei si chinasse per districare la propria arma dalla sua caviglia e ripetere la domanda: «Sul serio? Ti sei davvero fatto intrappolare da una ciambella?»
   Accartocciato sull’asfalto con il busto e le braccia incastrati in quello che sembrava essere un enorme salvagente di pasta dolce, il giovane accennò un sorriso. «È una storia buffa.»
   «Non stento a crederlo», sospirò lei, aiutandolo a mettersi seduto e iniziando a sfaldare fra le mani la soffice ma spessa consistenza della ciambella. «Chi hai fatto arrabbiare, stavolta?» chiese poi, facendo inaspettatamente riferimento alla vera identità del collega e a ciò che era successo tempo prima al cinema.
   Adrien ne fu felice, ma evitò di darle corda per un semplice motivo: erano ormai passati tre giorni da quando entrambi avevano avuto la conferma di chi fosse chi, eppure Marinette aveva fatto di tutto per non darlo a vedere, segno che probabilmente non si sentiva ancora pronta ad affrontare l’argomento – forse anche per via di quello che c’era stato fra loro l’ultima volta che avevano vegliato su Parigi nei panni dei loro alter ego. Per questa ragione, Adrien aveva deciso di rispettare quella sua decisione, lasciandole tutto il tempo di ragionarci su a fondo.
   «Che tu ci creda o no, me ne stavo beato a letto quando Papillon ha deciso di farci fare la levataccia anche di domenica mattina», rispose Chat Noir, ormai libero e incurante del fatto che fossero già le dieci. Prese un pezzo di dolce fra le dita e se lo portò al naso, annusandolo con diffidenza. Ne leccò la superficie. «Mh. Buono», commentò fra sé, infilandolo in bocca con un gesto rapido che fece inorridire la sua amica.
   «Pazzo incosciente! Non hai pensato che potrebbe essere avvelenato?!»
   «È per questo che l’ho esaminato prima.»
   «Con perizia scientifica, a quanto mi è parso di vedere…» fu il sarcastico commento di Ladybug.
   Lui scrollò le spalle, mangiandone un altro boccone. «Non ho avuto il tempo di fare colazione, e se la mattina non mangio, non riesco ad ingranare.»
   «Prega solo che quella roba non nasconda qualche arcano potere che ti spinga a schierarti dalla parte del nemico.»
   «Solo perché è successo in un paio di occasioni, non vuol dire ch…» Le parole gli morirono in bocca non appena si accorse di ciò che era comparso in lontananza, alle spalle della ragazza. «Attenta!» gridò, tuffandosi su di lei prima che venisse colpita da qualcosa che rimbalzò contro il palazzo accanto al quale si erano trovati fino ad un attimo prima.
   Pur essendosi già trovata schiacciata più volte sotto al peso di Chat Noir, Ladybug annaspò per l’imbarazzo di quella situazione: adesso sapeva che lui era Adrien, il ragazzo del quale era innamorata ormai da mesi e che la mandava nel pallone tutte le volte che le si faceva troppo vicino. Come in quel caso. «Bonjour, mademoiselle~» flirtò il giovane, che pur provando le medesime sensazioni, preferiva continuare a comportarsi come un idiota pur di spronarla a reagire come faceva di solito davanti alle sue avance.
   Ebbe il successo sperato, poiché Marinette lo trucidò con lo sguardo. «Spostati. Subito», gli ordinò con fare perentorio, inducendolo a rialzarsi e a darle persino una mano per tornare ritta sulle gambe. «Cos’era?» domandò, guardandosi attorno.
   «L’akumizzato fresco di giornata», rispose Chat Noir, mettendosi sulla difensiva.
   Solo in quel momento l’altra si accorse che non era armato. «Che fine ha fatto il tuo bastone?»
   «Anche questa è una buffa storia», sviò il discorso lui, inducendola a roteare gli occhi verso l’alto.
   «Va’ a recuperarlo, ti copro le spalle.»
   «Fa’ attenzione. Per quanto innocuo possa sembrare, ti assicuro che quel tipo è davvero tosto.» Detto ciò, Chat Noir prese la rincorsa e si diede lo slancio per balzare sulle sporgenze dei palazzi circostanti e raggiungere il punto da cui era caduto, sperando che la sua bella non si facesse sopraffare dalla paradossale abilità del nemico, un buffo ominide il cui corpo sembrava avvolto in decine di appetitose ciambelle di varie dimensioni. E se non fosse stato disgustoso pensare che sotto quegli strati di pasta dolce c’era una persona, il giovane gli avrebbe volentieri dato un morso. Giunto sul luogo del loro precedente scontro, si guardò attorno alla ricerca del proprio bastone e non appena lo vide lo raggiunse con un salto, lo afferrò fra gli artigli e si preparò a lanciarsi in aiuto della sua collega. Proprio un attimo prima di farlo, un enorme boato lo colse di sorpresa e lo spostamento d’aria fu tale da farlo quasi cadere in ginocchio. Allarmato, si voltò indietro e subito i suoi occhi catturarono una nuvola di fumo in lontananza. Non poteva essere opera dell’akumizzato, lui era da tutt’altra parte insieme a Ladybug. O no?
   Col cuore in gola, Chat Noir balzò di sotto e ruotò il bastone sopra la testa per fare attrito con l’aria e atterrare senza traumi. «Ladybug!» chiamò spaventato. La individuò in fretta, non lontana da lì, immobile così come sembrava esserlo anche l’uomo-ciambella.
   «Cos’era?» domandò la ragazza con voce malferma.
   «Forse… una fuga di gas…» ipotizzò il giovane per non spaventarla più di quanto non fosse.
   Pochi istanti dopo, Ladybug lanciò per aria lo yo-yo, richiamando il suo potere speciale e adoperandosi per sconfiggere il prima possibile l’avversario. Chat Noir le fu subito accanto, avvertendo tutta la sua determinazione; sapeva, però, che dietro quello sguardo risoluto, dietro quelle azioni rapide e decise, si nascondeva in realtà una paura che entrambi avevano già sperimentato non troppo tempo prima.
   L’uomo-ciambella venne sconfitto di lì a poco e i due eroi furono liberi di accorrere verso il luogo dell’esplosione, incuranti per una volta di ciò che si lasciavano alle spalle. Non appena si fermarono sul tetto di un edificio non distante dalla nuvola di fumo che impediva loro di capire cosa fosse accaduto, Adrien sbirciò verso Marinette, che serrava le mascelle e i pugni, gli occhi lucidi per la rabbia e l’impotenza: neanche il miraculous di Ladybug era riuscito a sistemare quel disastro.
   «Allontanati», disse Chat Noir in tono fermo. Vide l’amica scuotere il capo, ostinata. «Stai per ritrasformarti», le fece notare, visto che l’altra pareva non essersene neanche accorta. «Ci penso io, qui», continuò. «Non ho usato il mio Cataclisma, posso gestire la cosa fino a che tu non sarai di ritorno.» Le iridi azzurre di Ladybug si posarono finalmente su di lui, e il giovane vi lesse lo stesso dolore che ora attanagliava anche il suo cuore. «Non farti vedere dagli altri. In un modo o nell’altro, hanno bisogno di noi.»
   Detto questo, spiccò un salto e si tuffò nella nube scura senza pensarci un secondo di più. «Adrien!» urlò Marinette, mentre la trasformazione si scioglieva e lei tornava ad essere semplicemente un’adolescente senza poteri. Cadde sulle ginocchia e si strinse nelle spalle, furiosa con se stessa: perché riusciva ad essere fredda e determinata nella lotta contro Papillon, anche nei momenti più critici, ma non era capace di mantenere ugualmente i nervi saldi quando si trattava di salvare davvero la vita di qualcuno? Anzi, quando si trattava di fare i conti con la crudeltà di esseri umani peggiori persino di Papillon, persone che non avevano bisogno di poteri magici o di un aspetto bizzarro per poter essere definite mostri.
   «Marinette…» La voce di Tikki le arrivò come un pigolio alle orecchie e lei subito tese le mani nella sua direzione. «Per quanto possa essere difficile, ha ragione lui: hanno bisogno di voi.»
   La ragazza annuì e si passò le dita sugli occhi, asciugando le lacrime che erano scese a bagnarle il viso. «Dobbiamo fare in fretta», disse, passando all’amica uno dei dolcetti che teneva sempre nella borsetta per ogni evenienza. E mentre il suo kwami si rifocillava, lei guardò in basso: la nube iniziava a diradarsi, ma l’unica cosa che riusciva a vedere erano soltanto i lampeggianti dei mezzi dei soccorritori. Sembrava esserci una bolgia infernale, lì sotto, eppure Adrien non aveva esitato neanche per un secondo e ci si era buttato dritto in mezzo, prendendosi solo un momento per farle coraggio. Forse Chat Noir alle volte non riusciva ad essere decisivo nella lotta contro gli akumizzati, ma era molto più in gamba di lei quando si trattava di affrontare le battaglie più difficili e dolorose.
   «Ha bisogno di me…» sussurrò a se stessa, avvertendo la determinazione tornare ad impadronirsi di lei. «Tutti loro hanno bisogno di me.»
   «Sono pronta», le rispose Tikki, sentendo di aver recuperato tutte le energie necessarie per una seconda trasformazione. «Andiamo.»
   Quando si immerse nella nuvola di fumo, scoprì che essa si trovava sospesa a mezz’aria e che al suolo la visuale era decisamente migliore, a parte nelle zone in cui aveva iniziato a propagarsi un incendio. Si affrettò verso il luogo del disastro, ma si bloccò non appena vide Chat Noir, in piedi, immobile dietro ai soccorritori che cercavano di domare le fiamme. Lo chiamò, raggiungendolo, e quando fece per superarlo lui le si parò davanti, afferrandola per le spalle e bloccandola. I suoi occhi erano arrossati non solo per il fumo. Ci mise qualche attimo prima di riuscire a parlare, e quando lo fece la sua voce manifestò tutta la sua angoscia. «Non andare.» Lo sguardo interrogativo di lei lo indusse a proseguire. «Non c’è nulla che possiamo fare. Non ora.»
   Vide Ladybug afferrarsi il labbro inferiore fra i denti, le lacrime che salivano di nuovo a bagnarle le ciglia scure. «Cosa… Cosa è successo?»
   «Stanno cercando di capirlo, ma… non credo ci sia rimasto niente da salvare.»
   «Forse… Forse qualcuno c’è…» sperò con tutto il suo cuore, facendo scivolare lo sguardo oltre le spalle del compagno.
   Lo vide scuotere il capo con desolazione. «Non per quello che ho visto io…»
   Il sangue le si ghiacciò nelle vene e i suoi occhi tornarono a cercare quelli di lui, pallido in volto come se fosse sul punto di sentirsi male. Cos’aveva visto, Adrien? Quale strazio voleva evitarle? Era per questo che l’aveva fermata, per proteggerla ancora una volta. Sollevò le braccia per cingergli il viso fra le mani e si sollevò sulla punta dei piedi per baciargli una guancia; lui si aggrappò a lei con forza e Marinette lo tenne stretto contro di sé, mentre Adrien nascondeva il volto contro la sua spalla. Tutto attorno a loro parve rallentare, persino i suoni giungevano ovattati. Fu il grido di qualcuno a dare loro la scarica di adrenalina necessaria per reagire. Si scambiarono un ultimo sguardo, infine, decisero che sarebbero stati ancora una volta il simbolo di speranza dell’intera città.

«Sono davvero straordinari», affermò Alya il giorno dopo, a scuola, mentre scorreva sul cellulare le immagini delle riprese televisive in cui Chat Noir e Ladybug erano stati immortalati insieme agli altri soccorritori mentre tentavano di portare in salvo i superstiti. «Anche in situazioni del genere continuano a dare prova di essere degli eroi.»
   «Non sono loro i veri eroi», si sentì smentire. «Non stavolta.»
   Spostò lo sguardo sull’amica, che se ne stava curva sul banco con le braccia incrociate e il viso nascosto su di esse. Quella mattina Marinette non aveva affatto una bella cera e Alya si era permessa di preoccuparsi. Le aveva chiesto se non fosse malata, ma lei le aveva assicurato che era soltanto molto scossa per quanto stava accadendo negli ultimi giorni nella loro città. Non aveva faticato a crederle, Marinette era un tipo sensibile e, soprattutto, l’intera Parigi viveva ore di autentica paura. Dopo la bomba di quella domenica mattina alle Galeries Lafayette, che aveva praticamente fatto crollare buona parte dell’edificio, l’esplosione allo Shoah Memorial non poteva più essere considerato un semplice atto fine a se stesso. Secondo la polizia, i due eventi potevano essere collegati, ma le indagini erano ancora in corso e nessuno voleva azzardare ipotesi di alcun genere.
   «Chloé non è venuta», mormorò Alya con un certo dispiacere, a dispetto dell’antipatia provata per la compagna di classe. Il sindaco era sommerso di lavoro e sua figlia probabilmente stava risentendo di tutta quella situazione. Persino i loro genitori erano ansiosi e indaffarati, tant’è che avevano espressamente raccomandato loro di non prendere mezzi pubblici per timore che anche le linee metropolitane potessero essere prese di mira dagli eventuali terroristi che stavano mettendo in ginocchio la città.
   Nino e Adrien entrarono in aula, trovando diversi posti vuoti. Era prevedibile, pensò il ragazzo biondo, mentre faceva scivolare lo sguardo sulla figura china sul banco dietro al suo. Proprio come lui, anche Marinette doveva essere ancora del tutto scombussolata per quanto accaduto, eppure si era fatta forza e ora era lì, a scuola, come ogni mattina. Adrien era l’unico a capire come si sentisse, l’unico a condividere la stessa angoscia e lo stesso nodo allo stomaco che a volte gli riportava alla mente scene che avrebbe voluto strapparsi dalla testa, specie quando gli balenavano nitide e crudeli alla memoria ogni qual volta provava a chiudere gli occhi.
   «Ehi…» salutò Nino, sedendo al suo posto. Alya gli rispose con un sorriso, mentre Marinette grugnì qualcosa di poco intelligibile.
   La professoressa entrò in aula poco dopo, il viso pallido e tirato come quello della maggior parte dei parigini. Si guardò attorno e, notando gli assenti, strinse le labbra in un’espressione angosciata. «Vorrei potervi dare il buongiorno, ma… speriamo davvero che lo sia. Almeno oggi», esordì con un pallido sorriso sulle labbra. «Prima di iniziare, ho una comunicazione da darvi: il progetto della sfilata è sospeso e rimandato a data da destinarsi.» In un altro momento Marinette avrebbe accolto quella notizia con enorme dispiacere, ma visti gli ultimi avvenimenti, non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. «Monsieur Damocles, in accordo con monsieur Agreste, preferirebbe evitare qualunque tipo di attività extrascolastica, almeno per il momento, e non me la sento di dargli torto.»
   «Nessuno lo fa, mi creda…» si lasciò sfuggire Alya, ricevendo un segno d’assenso dalla professoressa Bustier.
   «Per tale ragione, anche le lezioni di oggi e di domani sono sospese», riprese a parlare la donna. «Ci sono molti assenti e… immagino che questa sia la situazione nella maggior parte delle classi, perciò… Grazie per esservi fatti forza ed essere venuti comunque qui, oggi. Potete tornare a casa, ma state attenti, per favore.»
   Prima di riprendere la via di casa, i quattro amici si fermarono per alcuni istanti davanti all’ingresso della scuola. «Notizie di chi non è venuto?» domandò Alya, preoccupata per i loro compagni.
   «Ieri sera Rose mi ha chiamata dicendomi di essere salva per miracolo…» prese a raccontare Marinette, cercando di vedere almeno un lato positivo in tutta quella situazione. «Lei e Juleka dovevano andare insieme alle Galeries Lafayette, ma aveva dimenticato i soldi a casa, perciò sono dovute tornare indietro.» Le tremò il labbro inferiore e i suoi occhi cercarono spasmodicamente quelli di Adrien: era già abbastanza straziante così, ma che avrebbero fatto se tra le vittime degli attentati ci fossero state anche persone che conoscevano?
   «Chloé è bloccata in casa anche per colpa della stampa», disse il giovane in risposta alla domanda di Alya, mentre sfiorava la mano di Marinette con la propria e lei gliela stringeva con forza, in un gesto che non sfuggì ai loro amici, che tuttavia rimasero in silenzio, rispettando l’atmosfera tutt’altro che allegra che aleggiava in ogni angolo di Parigi.
   «Ivan è solo a letto con l’influenza», li rassicurò allora Nino, che aveva sentito il giovane proprio quella mattina.
   «Meglio così, almeno sappiamo che stanno tutti bene. Beh, a parte Ivan, ma comunque nulla di grave», commentò Alya, sentendosi più sollevata. «Tu, piuttosto», non si trattenne più dal chiedere, scrutando Adrien che fare incuriosito, «che ci fai, qui? Mi ero convinta che tuo padre non ti avrebbe fatto uscire di casa.»
   «Questo era quello che avrebbe voluto, in effetti.»
   «Sei scappato di nuovo?» Lui si strinse nelle spalle e l’altra ridacchiò divertita. «Penso che avrei fatto lo stesso, al posto tuo.»
   «Non potevo rimanere a casa», spiegò semplicemente Adrien, che pur avvertendo il disperato bisogno di riposare nel caldo bozzolo delle coperte del proprio letto, al riparo dagli orrori vissuti il giorno addietro, si era comunque spinto fino a scuola solo ed esclusivamente per vedere Marinette e accertarsi che lei stesse bene e non avesse avuto un nuovo crollo emotivo. «Sei riuscita a dormire, stanotte?» le domandò infatti una manciata di attimi dopo, mentre tutti insieme si dirigevano verso il negozio dei genitori di lei, in attesa dell’arrivo dell’auto della famiglia Agreste, che li avrebbe accompagnati a casa.
   «Non più di te», rispose la ragazza, condividendo appieno la sua preoccupazione. Se Adrien non si fosse presentato a scuola, quella mattina, non ci avrebbe pensato due volte a trasformarsi in Ladybug per intrufolarsi nella villa di suo padre e assicurarsi che lui stesse più o meno bene.
   Quando entrarono nel negozio, i coniugi Dupain-Cheng non sembrarono stupiti di vederli. «Abbiamo appena saputo dell’ordinanza del sindaco», spiegò Tom, subito dopo aver salutato una cliente che aveva appena fatto i suoi acquisti. «Scuole chiuse per almeno due giorni. Avrebbero potuto diradarla prima, la notizia…»
   «Vi spiace se i miei amici aspettano di sopra che qualcuno venga a prenderli?» domandò Marinette, pur sapendo già quale sarebbe stata la risposta.
   «Possono restare tutto il tempo che vogliono», disse difatti Sabine, indaffarata a sistemare dei muffin in vetrina. «Oh, questi sono per voi», aggiunse poco dopo, porgendo un vassoio a sua figlia, che le sorrise e la ringraziò con un bacio.
   Non ci volle molto prima che l’auto della famiglia Agreste si presentasse davanti al portone del palazzo e, ormai sulla soglia di casa, Alya si volse verso l’amica, indecisa se parlare o meno. Lo fece. «I miei sono al lavoro e sicuramente tra poco le mie sorelline torneranno a casa dall’asilo, perciò mi tocca fare da babysitter, ma… più tardi possiamo vederci? Mi manchi», le confessò.
   Marinette si sciolse come neve al sole e le gettò le braccia al collo. «Mi manchi tantissimo anche tu», le giurò con tutto il cuore. «Scusami se sono stata un po’ scostante, in questi ultimi giorni… Vuoi che venga da te?»
   «Lascia stare, tornerò io qui», rispose l’altra, sciogliendo l’abbraccio per guardarla affettuosamente negli occhi. «So che i tuoi hanno da fare in negozio e non potranno accompagnarti fino a casa, perciò chiederò a mio padre di darmi un passaggio.»
   «Va bene, allora ti aspetto. A più tardi.» Marinette rimase a salutarli con un cenno della mano fino a che l’auto non scomparve in lontananza e il suo cellulare emise un suono: un messaggio da parte di Nadja Chamack, che le chiedeva se poteva darle una mano con Manon. Immaginando che anche lei avesse il suo bel daffare a causa di ciò che stava succedendo, e che la bambina rischiasse di rimanere da sola in casa per via della chiusura delle scuole, la ragazza accettò volentieri di dare loro una mano. In fondo, si disse, tenersi occupata con quel terremoto dai capelli castani l’avrebbe aiutata non poco a distrarsi dai brutti pensieri.

«Mi è parso di capire che ci sono stati dei progressi», iniziò Alya poco dopo che Manon si era appisolata. Indaffarata con le notizie che si susseguivano in seguito alle indagini in corso, alla fine Nadja aveva dovuto chiedere ai Dupain-Cheng il favore di occuparsi di sua figlia fino a sera; perciò la piccola era rimasta a pranzo da loro e adesso, dopo essersi scatenata nel gioco insieme a Marinette e alla sua migliore amica, era letteralmente crollata dal sonno sulla chaise longue, dove le ragazze le avevano rimboccato una coperta addosso.
   Sin dall’inizio, Marinette si era aspettata quella domanda, sia pur indiretta, perciò non fu sorpresa di sentirsela porre. Sedendo sulla sedia della propria scrivania, sorrise ad Alya. «È vero», confessò a quel punto. Anche se lei e Adrien non ne avevano ancora parlato apertamente, non sembravano più intenzionati a far finta di non aver capito come stavano le cose, quindi non aveva più molto senso tenere il segreto anche con i loro migliori amici.
   Vide Alya illuminarsi tutta. «Vi siete messi insieme?!»
   «Cosa?! No!» esclamò lei, temendo per un attimo di aver alzato troppo il volume della voce e di aver svegliato Manon. «Ma è anche vero che…» Esitò, non sapendo bene che parole usare. «Non credo ch’io possa più definire la nostra relazione come quella di due semplici amici.»
   «Vi siete baciati?» Arrossì e cercò di rifuggire lo sguardo dell’altra, che però afferrò subito la situazione e le fece un piccolo applauso. «Quando? Dove? Come?» iniziò allora, decisa a condividere ogni singola gioia della sua migliore amica. «Devi raccontarmi tutto.»
   Marinette intrecciò le braccia al petto, fissandola con disappunto. «Non mi pare che tu abbia fatto lo stesso riguardo te e Nino», le ricordò.
   La vide strizzare le palpebre e serrare le mascelle. «Sì, hai ragione», fu costretta ad ammettere Alya, per amor del vero. Sospirò rassegnata. «D’accordo, ma almeno raccontami il minimo indispensabile, per favore.»
   L’altra si lasciò sfuggire un sorriso divertito. «Eravamo davvero noi, quel giorno, in Rue Azais», confessò.
   «Lo sapevo
   «Ma non era un appuntamento vero e proprio», ci tenne a farle sapere. «O meglio… non avrebbe dovuto essere nulla del genere, però…»
   «…però è stato proprio quel pomeriggio che vi siete baciati per la prima volta», concluse per lei Alya.
   Poteva davvero considerarsi quello, il loro primo bacio? Marinette non ne era tanto sicura, perché lo aveva estorto con la forza al giovane, proprio come quello con cui li aveva salvati dai malvagi piani di Papillon. A ben pensarci, però, pur essendo sotto effetto del potere di Dark Cupido e pertanto incapace di ricordare quanto accaduto, Chat Noir aveva ricambiato d’istinto anche quello…
   «Non… è stato propriamente il primo», disse allora la ragazza, correggendo l’amica, che sgranò gli occhi scuri dietro alle lenti degli occhiali. «Non chiedermi i dettagli, non saprei davvero cosa risponderti.»
   «Da quanto va avanti, questa storia?» volle comunque sapere Alya, incredula. Per quale dannato motivo Marinette le aveva tenuta nascosta una cosa come quella?!
   Mordicchiandosi il labbro inferiore, l’altra cercò di portare il conto sulla punta delle dita, ma rinunciò poco dopo, agitando le mani a mezz’aria. «Non lo so, onestamente.» Perché se il primo bacio che lei e Adrien si erano dati risaliva all’ultimo San Valentino, c’era da considerare tutto il contorno, e cioè i tentativi di lei di farsi avanti a scuola e quelli di lui di far colpo durante i loro incontri nei panni dei supereroi parigini. Quindi, se proprio doveva dare una risposta a quella domanda, quale sarebbe stata? Da sempre?
   Alya la fissò con un’espressione a metà fra delusione e felicità. «Sei stata crudele a non dirmi nulla.»
   «Mi dispiace, davvero.»
   «Mi spieghi solo perché, nonostante tutto, non state insieme?»
   Eh, altra bella domanda. Marinette assottigliò le labbra in una linea pensosa e cercò di rispondere di nuovo sinceramente. «È… complicato, suppongo.»
   «In che senso?»
   «Non ne abbiamo ancora parlato.»
   «E che aspettate a farlo?»
   «Colpa mia, immagino», ammise suo malgrado, stringendosi nelle spalle. Conoscendo la sua timidezza, Adrien sicuramente stava cercando di non farle pressione, e lo testimoniava anche il fatto che continuasse a flirtare con lei solo quando era nei panni di Chat Noir, per farle mettere da parte l’imbarazzo e farla reagire. Inoltre, c’era da considerare anche il delicato periodo che stavano vivendo per colpa degli attentati e, sul serio, nessuno dei due al momento aveva davvero testa per parlare di quanto stava invece accadendo fra loro. «Non lo so, te l’ho detto, è complicato.»
   «Tu gli piaci, lui ti piace… mi spieghi cosa c’è di complicato? Vi fate troppi problemi!»
   Forse aveva ragione lei, ponderò Marinette, rimanendo però ferma sulle sue posizioni: non poteva certo chiedere così di punto in bianco ad Adrien di diventare il suo ragazzo, non prima di aver chiarito a dovere la faccenda dei loro alter ego. Inoltre, non poteva fare a meno di chiedersi se non fosse proprio quella la ragione che avesse spinto il giovane nella sua direzione: Chat Noir era interessato a Ladybug praticamente da sempre, e quindi lo era anche Adrien. Ma Marinette poteva vantare di averlo conquistato allo stesso modo? Magari si stava solo facendo delle fisime inutili.
   «Dimmi una cosa, una sola e poi non ti farò più domande», tornò a dire Alya, distraendola da quei ragionamenti nocivi. «La notte in cui entrambi avete finto di dormire da me e Nino… l’avete passata insieme?»
   Pur presa alla sprovvista, e a dispetto del sangue che sentì affluire al viso, Marinette ebbe la prontezza di ribattere con decisione. «Sì, ma non per il motivo che credi. E siccome hai promesso di non fare altre domande, la questione è chiusa», stabilì, intrecciando di nuovo le braccia al petto e fissandola dritta negli occhi per dimostrarle che non aveva paura delle sue bieche insinuazioni.
   L’altra sbuffò, muovendosi sul posto con fare impaziente proprio come avrebbe fatto Manon. «Sei testarda da morire, accidenti a te!» Marinette rise, per la prima volta dopo almeno ventiquattr’ore e, paradossalmente, ad Alya apparve più evidente il velo di tristezza che oscurava il suo sguardo. Non poteva certo immaginare quale fosse la ragione per cui la sua amica aveva quell’aria mesta, ma le si stringeva il cuore nel vederla in quello stato. «So che ho detto che non ti avrei fatto altre domande, però questa è la più importante di tutte e vorrei che tu fossi sincera.»
   «Di che si tratta?»
   «Adrien ti rende infelice?»
   Gli occhi di Marinette si addolcirono e le sue labbra si aprirono in un sorriso pieno d’amore. «Non potrebbe mai farlo.»












E per il momento posterò un capitolo ogni lunedì mattina. L'undicesimo è bello che concluso da giorni, ma da altrettanti giorni sono bloccata con il dodicesimo (che è anche l'ultimo, come previsto): non per mancanza di idee o ispirazione, quanto per un problema che non mi consente di passare molto tempo davanti al PC. Spero comunque in settimana di riuscire ad andare avanti.
A parte ciò, sono l'unica ad essersi posta il problema dell'incoscienza di Adrien, nell'episodio Kung Food, quando assaggia il caramello che ricopre l'hotel dei Borgeois? No, sul serio, poteva essere avvelenato o che so io! XD Più che altro, mi domando come riesca, questo benedetto ragazzo, a passare da momenti di ottimismo come questo a momenti di totale sconforto come nell'episodio dello special di Natale (cosa che ho cercato di evidenziare in questo capitolo)... Forse è anche per questo che amo il suo personaggio, perché è molto più complesso e sfaccettato di quanto possa apparire. Quanto a Marinette, invece, il suo principale problema è l'insicurezza iniziale con cui affronta le situazioni; una volta che supera quella, diventa inarrestabile e dimostra tutto il suo valore. Insomma, penso siano entrambi davvero ben caratterizzati e realistici sotto parecchi aspetti. Spero che anche in futuro, pur crescendo, restino due personaggi interessanti proprio come lo sono adesso.
E niente, la storia va avanti e gli attentati pure. Nel prossimo capitolo, tuttavia, ci aspetta qualcosa di diverso poiché avevo a cuore trattare anche di un'altra situazione a mio avviso importante per la relazione fra Adrien e Marinette. Ah, e ci sarà finalmente anche il vero faccia a faccia. XD
La chiudo qui e ringrazio come sempre tutti voi che leggete, recensite e/o aggiungete la presente long fra le storie preferite/ricordate/seguite. Spero di cuore di non deludervi con i capitoli che seguiranno. ♥
Buona settimana a tutti! ♥
Shainareth





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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***





CAPITOLO SESTO




Le sue dita scivolavano sui tasti con leggerezza, diffondendo per tutta la camera una melodia lenta e triste. Benché a volte cercasse di evitare gli esercizi al pianoforte, quel giorno Adrien avvertiva il bisogno di esprimere se stesso attraverso la musica. Era convinto che, con la rabbia sepolta in fondo allo stomaco, si sarebbe dedicato a qualcosa di più energico e impetuoso; invece, non appena si era seduto davanti alla tastiera, gli occhi lucidi di Marinette gli avevano riempito la mente, soffocando quella rabbia e sostituendola con un sentimento forse meno aggressivo, ma altrettanto irruente.
   Il suo sguardo catturò la luce del display del cellulare posato sul piano e vi lesse il nome di Chloé. Adrien era cresciuto con lei, la sua unica amica in quasi quattordici anni di vita, e le voleva bene come ad una sorella, pur con tutti i suoi difetti. E a dispetto di ciò che lei diceva o faceva, il ragazzo sapeva che quei sentimenti erano ricambiati appieno.
   Lasciando morire la sonata, la sua mano si posò sul telefono. «Adrien…» sentì quando rispose. «Qui continua ad esserci il caos…»
   La voce di Chloé era quasi irriconoscibile a causa della stanchezza e della preoccupazione. «Tuo padre è ancora nell’occhio del ciclone, immagino.»
   Un singhiozzo. «Come se fosse colpa sua, capisci…? Ma lui come poteva sapere quello che sarebbe successo?!»
   «Ehi… calma… Non ti fa bene arrabbiarti in questo modo, tanto più che non serve a nulla.» Era davvero bravo a dare consigli che forse lui stesso non sarebbe riuscito a seguire. Fu questo che si disse Adrien subito dopo aver pronunciato quelle parole. Era ipocrita? Forse, ma voleva davvero aiutare Chloé per quel che poteva. «Sei da sola?»
   «No, c’è Sabrina, qui. Anche suo padre sta lavorando come un matto e…» La ragazza sospirò stancamente, prendendosi qualche istante per riordinare le idee. «Vorrei tanto che anche tu fossi qui», disse poi, in tono più fermo.
   «Chloé…»
   «Lo so che non puoi venire», lo interruppe subito lei, nervosa, prima di essere fraintesa. Il suo non era un capriccio, non stavolta. «Va bene così, abbiamo già abbastanza problemi… non è il caso di coinvolgere anche te.» Con la stampa accampata dietro le porte del municipio e quelle de Le Gran Paris, era assai probabile che la presenza di un ulteriore personaggio pubblico non passasse inosservata, distogliendo l’attenzione da cose molto più importanti. «Volevo solo sentire la tua voce e sapere che stai bene.»
   Fu un tuffo al cuore, che indusse Adrien a sorriderle con affetto, sebbene lei non potesse vederlo. Ecco perché le voleva bene, per quella dolcezza che di tanto in tanto riaffiorava in superficie, sotto quella maschera di egoistica spocchia che Chloé aveva deciso di indossare negli ultimi anni, forse per quella stessa rabbia che divorava quotidianamente anche lui. «Ti prometto che ci vedremo non appena le acque si saranno calmate.»
   «Sul serio?»
   «Certo. Perché ne dubiti?»
   La ragazza rimase in silenzio. Non perché non si fidasse davvero di Adrien, tuttavia sapeva che ormai lui aveva altre priorità. Negli ultimi giorni, infatti, neanche a lei erano sfuggite le attenzioni che il giovane riservava a Marinette, soprattutto dopo che li aveva visti sparire insieme durante i preparativi della sfilata, quando lui l’aveva presa in braccio e l’aveva praticamente coccolata davanti all’intera classe. Davvero credeva che nessuno lo avesse notato?
   Tu… la ami? Era questo ciò che avrebbe voluto chiedergli, e non era la prima volta che si trovava costretta ad ingoiare quelle parole: era fermamente intenzionata a rivolgergli quella domanda, un giorno, ma il suo orgoglio pretendeva un confronto faccia a faccia.
   «Chloé?»
   «Spero che tutto questo finisca presto.»
   «Lo speriamo tutti.»
   «Scusa se ti ho disturbato.»
   «Non lo hai fatto, sta’ tranquilla.»
   «A presto.»
   «A presto.»
   Adrien guardò il display del cellulare con una nuova preoccupazione a stringergli la bocca dello stomaco: anche Chloé stava vivendo un periodo difficile. Lui non poteva starle accanto e questo contribuiva a farlo sentire impotente di fronte a tutta quella maledetta situazione.

Quando Marinette lesse il mittente del messaggio che le era appena arrivato, strabuzzò gli occhi: Adrien. Le poneva una sola, semplice domanda, che però per lei voleva dire il mondo: Come stai?
   Mise da parte il vestito di Manon sul quale stava lavorando, nonostante l’ora tarda, e si concentrò sulla risposta. Voleva essere sincera con lui, eppure al tempo stesso non voleva farlo preoccupare. Sospirò, lanciando uno sguardo a Tikki in cerca di un aiuto che però lei poteva darle solo per metà. «Se avete davvero deciso di non nascondervi più nulla, digli la verità.»
   Facendosi coraggio, la ragazza digitò la risposta: Non riesco a dormire.
   Il telefono vibrò di nuovo l’istante successivo: Arrivo.
   Marinette rimase imbambolata a fissare quella parola di sole sei lettere per un tempo indefinito, cercando di capire cosa volesse significare. Non che fosse davvero di difficile interpretazione, è chiaro, ma Adrien aveva sul serio scritto una cosa del genere? Intendeva andare lì da lei? Subito? Quando infine riuscì a realizzarlo, lanciò un verso strozzato e si alzò sulle gambe, lasciando cadere sulla sedia della scrivania la coperta che si era messa sulle spalle. «Sta venendo qui…» mormorò con voce incerta.
   «E la cosa ti sconvolge tanto?» le domandò Tikki, guardandola con affetto.
   La ragazza si portò le mani al viso, trovandolo bollente. «Non sono psicologicamente preparata…»
   «Adrien è già stato in camera tua.»
   «Sì, ma… non di notte!» esalò con una teatralità che fece ridacchiare il kwami.
   «Vi siete spesso ritrovati insieme proprio nelle ore più buie», le ricordò poi la piccola creatura, suo malgrado. «Forse anche lui ha bisogno di te, non ci hai pensato?»
   Sì, era assai probabile che le cose stessero in quel modo. Si passò le dita sugli occhi chiusi e poi fra i capelli sciolti, cercando di recuperare la lucidità necessaria per quel faccia a faccia. Non che fosse davvero una resa dei conti, quella non era neanche più necessaria; però sarebbero stati da soli e di conseguenza avrebbero dovuto fare ammissioni di un certo peso. Alzò lo sguardo alle pareti: doveva far sparire le foto di Adrien, subito, o sarebbe morta di vergogna.
   Fece appena in tempo a nasconderle tutte nel cassetto della scrivania, che un bussare discreto al vetro della finestra le fece sobbalzare il cuore. Aprì la tenda e si accorse che avrebbe faticato non poco a vedere Chat Noir nell’oscurità della notte se non fosse stato per i suoi capelli biondi e i suoi luminosi occhi verdi. Schiuse le imposte e lui esitò sul davanzale. «Posso entrare?»
   Marinette sorrise, quasi divertita da quella sua timidezza improvvisa. «Solo se sei la stessa persona che stavo aspettando.»
   «Oh», ribatté il giovane, ammiccando con fare allegro, «aspetti l’amante alla finestra? Che ragazza audace…» Quando lei fece per chiudergli i vetri in faccia, Chat Noir rise e le impedì di farlo. «Va bene, faccio il bravo, promesso.»
   «Devo ricordarmi di preparare uno spruzzino con l’acqua per tutte le volte che dici o fai qualcosa di stupido», si ripromise Marinette, lasciandolo infine entrare e ringraziandolo, sia pure in cuor suo, per essere sempre pronto a sdrammatizzare ogni imbarazzo di sorta.
   «Me ne ricorderò anch’io, la prossima volta che mi dipingi di rosa», le rinfacciò allora lui, inarcando le braccia sui fianchi, i pugni sulle anche.
   «Q-Questo è giocare sporco…» borbottò lei, mentre arrossiva sotto al suo sguardo. Abbassò il proprio e fece per dire qualcos’altro, ma Chat Noir la spiazzò, abbracciandola senza alcun preavviso. Marinette si sentì sciogliere come burro fuso e si aggrappò a lui, chiudendo con forza le palpebre e sperando che quello non fosse solo un sogno: Adrien era lì con lei e la stringeva a sé con amore.
   «Plagg, trasformami», la sorprese ancora il giovane, tornando ad essere semplicemente se stesso. Non voleva più nascondersi, non con Marinette. Voleva che il loro fosse un rapporto onesto sotto ogni punto di vista e questo implicava anche lasciar perdere ogni remora riguardo alla loro vera identità.
   «Grazie… per essere venuto…»
   «Grazie a te per non avermi buttato giù dalla finestra.» La sentì ridere sommessamente contro la spalla e, piano, sciolse l’abbraccio che lo teneva legato a lei, fissandola dritta negli occhi e rendendosi conto che sì, diamine, era davvero innamorato di quella ragazza. Quest’ultima, invece, trovandosi davanti Adrien, si lasciò andare ad uno dei più grandi sospiri di sollievo della sua vita: un conto era essere convinta che ci fosse lui sotto la maschera di Chat Noir, ben altro era averne la conferma visiva e tangibile.
   «Glielo hai detto tu, come stavano le cose?»
   «No, e questa tua mancanza di fiducia mi offende.»
   Quel piccolo battibecco attirò la loro attenzione ed entrambi spostarono lo sguardo sui piccoli kwami che, poco più in là, erano intenti a chiarire la loro situazione. «È vero… Plagg non mi ha detto nulla», intervenne allora Adrien, in difesa del proprio amico.
   «Sentito?» confermò lui, puntando il musetto in aria con fare snob per stizzire Tikki. «Stavolta ha fatto tutto da solo, anche se è pur vero che di solito fatica a capire le cose. Proprio come la tua Ladybug.»
   «Ehi!» protestò il giovane, indispettito.
   Marinette si permise di dissentire. «Ha ragione lui, temo: siamo negati per questo genere di cose», commentò con autoironia.
   «Sì, beh… era difficile riconoscerti, con quel cappuccio e quegli occhiali», tentò di giustificarsi Adrien.
   «Il maestro Fu lo ha fatto comunque», gli fece notare lei, che col senno di poi si era resa conto di quel particolare non indifferente.
   «Magari ha avvertito la nostra aura.»
   «Cos…?»
   «Come nei cartoni animati.»
   «E… lo hanno fatto anche Alya, Nino, Manon e sua madre?» contò poi sulla punta delle dita. Le venne da ridere. «Ammettiamolo, siamo pessimi.»
   Il giovane fece una smorfia, ma annuì rassegnato. «Che ci fai ancora sveglia?» chiese poi, notando ancora una volta la sua aria stanca.
   «E tu?» rigirò la domanda Marinette, benché entrambi conoscessero bene la risposta. Ogni volta che provavano a chiudere gli occhi, le orribili immagini dei disastri capitati nei giorni addietro li assalivano spietati, piegandoli e consumandoli come fiammiferi in preda al fuoco. «Pensavo… che potremmo tornare dal maestro.»
   «Ci ho pensato anch’io, ma… credi davvero che, se avessimo potuto fare qualcosa di più, lui non ci avrebbe avvertiti per tempo?»
   «Forse… ci sono cose che neanche lui sa…»
   «Cose scritte nel libro di mio padre?» Adrien sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli. «Può darsi. Ma non posso portarglielo via di nuovo.»
   «Chi ha detto che devi farlo?» lo rassicurò Marinette. «Ho personalmente fotografato ogni singola pagina di quel manoscritto», gli rivelò, prendendo il cellulare e recuperando i file dalla galleria di immagini.
   «Sei stata geniale!» si complimentò il giovane, recuperando il sorriso. «A proposito…» cominciò poi, facendosi pensieroso. «Davvero ti trovavi lì, quando io e Lila ci siamo incontrati al parco?»
   La ragazza arrossì ed evitò il suo sguardo, fingendo di interessarsi alle fotografie e scorrendole fin troppo velocemente con la punta del dito. «Beh… sì, perché… in realtà, vi ho seguiti dalla biblioteca», confessò infine, sentendosi morire dalla vergogna.
   Intuendo quale fosse il motivo che l’avesse spinta a farlo, Adrien inarcò le sopracciglia bionde, un sorriso sghembo sulle labbra. «Davvero?»
   «Sì, beh… ho visto che sfogliavi quel libro in biblioteca e mi sono incuriosita, ecco.»
   «E perché non me lo hai semplicemente chiesto?»
   «Perché poi quella… bugiarda», si autocensurò lei, come sempre, «te lo ha rubato e lo ha infilato nella sua borsa.»
   A quello il giovane poteva credere, anche perché a conti fatti Marinette non gli aveva davvero mentito, la prima volta; gli aveva solo taciuto delle cose, che comunque non intaccavano il succo della storia. «Ed era proprio necessario farmi quella scenata di gelosia?» non si trattenne però dal chiedere.
   Il cuore di lei sussultò così tanto che le guance di Marinette sembrarono andare a fuoco. «N-Non era una scenata di gelosia!» ribatté, sempre più intenzionata a tenere lo sguardo sul cellulare.
   «Lo era», la contraddisse lui, divertito, incrociando le braccia al petto con aria di sfida.
   «E comunque, non l’ho fatta a te!»
   «Quindi lo era», concluse, provando un moto di tenerezza nei suoi confronti. Marinette sbuffò seccata. «Non ti sto condannando, io ho fatto di peggio», confessò a quel punto Adrien, per amor di pace. Gli occhi della ragazza tornarono finalmente su di lui, fissandolo da sotto in su con una certa timidezza. «Ricordi l’artista che ha realizzato quella bellissima statua che ci rappresenta?»
   «Quella a Place des Vosges?»
   «Prrrecisamente», rispose lui.
   «Che hai combinato?» domandò a quel punto Marinette, guardandolo con sospetto, visto che l’artista di quella statua era stato akumizzato e trasformato in una copia esatta di Chat Noir.
   «È l’ennesima storia buffa», cercò di minimizzare Adrien, massaggiandosi la nuca.
   «Perché le tue storie buffe sono giustificabili e le mie no?» pretese di sapere Plagg, intromettendosi per questione di principio.
   «Il tipo si era invaghito di te, come ben sai…» lo ignorò l’altro, selezionando le parole da usare per non apparire troppo colpevole.
   «Va’ avanti», lo esortò Marinette, il cui sguardo si era fatto molto più simile a quello della sua controparte a pois.
   «Ok… diciamo che potrei avergli fatto capire che fra noi due c’era un legame più profondo di quello che dovrebbe esserci fra due semplici colleghi», buttò fuori d’un fiato Adrien, attendendo infine la sfuriata. Che tuttavia non venne, perché la ragazza al momento era troppo impegnata a cercare di capire che tipo di sentimento provare: non era abituata ad arrabbiarsi con lui, proprio no. Soprattutto, la spiazzava il fatto che Adrien riuscisse ad essere tanto candido riguardo ai propri sentimenti nei suoi confronti anche senza la protezione della maschera.
   Non sapendo davvero cosa dire o fare, Marinette si limitò a portarsi una mano alla fronte e ad emettere un verso strano e sgraziato. «Almeno adesso so perché voleva farti la festa.»
   «Sì, il miraculous del Gatto Nero non c’entrava nulla, in effetti», le diede ragione lui, sentendosi ancora in colpa. «Mi dispiace.»
   «Quando la smetteremo di comportarci come due idioti?»
   «Domanda legittima.»
   «Adrien…?» Facendosi coraggio, Marinette lasciò ricadere lentamente le braccia lungo i fianchi e fissò il giovane con un vago, ormai inutile senso di paura nell’animo. «Sei… rimasto deluso? Dal fatto che sia io…»
   Adrien quasi stentò a credere che lei potesse avergli rivolto quella domanda, tanto che, quando lo realizzò, agì d’istinto prendendole il viso fra le mani con ferma dolcezza. «Tu mi piaci, Marinette», le disse d’un fiato. «Mi sei piaciuta subito, credo. E ti giuro che nell’ultimo periodo ho pregato con tutto me stesso affinché ci fossi tu, dietro la maschera di Ladybug. Temo che sarei diventato matto, se così non fosse stato.» Vide gli occhi della ragazza farsi lucidi per l’emozione e lui le sorrise con amore. «Spero che la cosa sia stata reciproca.» Incapace di spiccicare parola, lei annuì. «Allora… perché sei scappata, l’altra sera?» le soffiò Adrien sulle labbra, la fronte contro la sua.
   Marinette sentì le gambe tremare e boccheggiò a vuoto per qualche attimo, prima di riuscire ad articolare una frase di senso compiuto. «Avevo… paura che non fossi tu… e… mi sentivo in colpa…»
   «Per cosa?»
   «Perché… i baci di Chat Noir erano riusciti a conquistarmi…» ammise con un fil di voce, gli occhi nei suoi. Non disse più nulla, non poté farlo perché Adrien vinse la distanza che c’era fra loro, premendo morbidamente la bocca contro la sua. Fu un bacio dolce e, finalmente, del tutto consapevole, senza menzogne o artifici di alcun tipo. Erano soltanto loro, Adrien e Marinette, decisi a volersi bene fino in fondo per ciò che erano, mettendo il proprio cuore nelle mani dell’altro senza più alcuna remora.

Da quanto tempo non riusciva a godersi un risveglio come quello? Così calmo, caldo, sereno… Marinette si stiracchiò sotto le coperte, un piacevole tepore che non aveva mai provato prima e che la invogliava più del solito a rimanere lì dov’era. Avvertendo però la luce del giorno entrare dalle finestre, si accoccolò sul fianco e sollevò le palpebre. Fu allora che li vide: due meravigliosi occhi verdi che la stavano letteralmente divorando. Sussultò così tanto che, lasciandosi sfuggire un verso strozzato, saltò fuori dal letto, rischiando di cadere giù e di spaccarsi l’osso del collo. Furono i riflessi pronti di Adrien a salvarla, poiché la mano del giovane l’agguantò per un braccio prima che lei perdesse del tutto l’equilibrio e lui la tirò verso di sé, facendola tornare completamente sul materasso. «Speravo in un risveglio meno traumatico…»
   Marinette lo fissò con occhi sbarrati, rossa in viso come mai lo era stata prima di allora, mentre alla sua mente riaffioravano infine i ricordi della notte appena trascorsa: dopo aver chiarito le cose, lei e Adrien avevano deciso di stendersi insieme sul letto, nella speranza che almeno per una volta gli orrori vissuti nei giorni appena passati non li investissero come al solito, torturandoli e obbligandoli a rigirarsi inutilmente fra le coperte. Era servito davvero, perché entrambi, forti l’uno della vicinanza dell’altra, erano riusciti a dormire per qualche ora, serenamente, senza interruzioni o incubi di sorta.
   «Tutto bene?» si sentì domandare la ragazza.
   Annuì, recuperando la calma oltre che la lucidità. «Ti avevo completamente dimenticato.»
   «Oh, grazie», replicò Adrien, fingendosi offeso e sporgendo il labbro inferiore per soffiare sulla frangia bionda che, spettinata, gli ricadeva davanti agli occhi. La vide ridere divertita e tanto bastò per restituire anche a lui il sorriso.
   «Da quanto sei sveglio?»
   «Da un po’.»
   Marinette tentennò. «E… sei rimasto ad osservarmi fino ad ora?»
   «Inquietante, vero?» Rise di nuovo e lui si sporse per baciarla sul viso. «Buongiorno, my lady
   «Buongiorno, mon chaton
   «Mi duole dovertelo dire subito, ma… devo andare, prima che qualcuno si accorga della mia assenza e mio padre allerti l’esercito.»
   «…o che il mio ti trovi qui e ti cuocia in forno insieme ai croissant che ti piacciono tanto.»
   «Morirei mangiando quelle delizie. Sarebbe piacevole, tutto sommato.»
   «Non ti stanchi mai di dire idiozie?» volle sapere Marinette, per pura curiosità.
   Lui scrollò le spalle con noncuranza. «D’accordo, parliamo di cose serie», l’accontentò poi. Anche perché, in effetti, aveva davvero qualcosa di importante da chiederle. «Avrei bisogno di un favore.»
   «Quindi è per questo che mi hai sedotta, stanotte?»
   Non aspettandosi quella risposta sfacciata, Adrien arrossì. «Avrei potuto farlo davvero, se solo avessi voluto», ribatté, fingendosi piccato.
   Marinette rise ancora e sedette in modo più comodo. «Di che si tratta?» domandò in tono dolce, certa che non avrebbe mai potuto dire di no ad una qualsiasi sua richiesta.
   L’altro si passò la lingua sulle labbra, cercando un modo non troppo traumatico per comunicarle ciò che doveva. «Di Chloé.» Come aveva previsto, l’espressione sul viso della ragazza mutò di colpo e lui si affrettò ad aggiungere: «Ti prego, è stata la mia unica amica prima di iniziare la scuola e…»
   «Continua…» sospirò Marinette, decisa a portare pazienza anche e soprattutto perché conosceva bene il legame che univa i due.
   «Mi ha chiamato, ieri pomeriggio, e sembrava davvero giù di morale», riprese a spiegare Adrien, sollevato al pensiero di essere libero di parlare con lei di ciò che lo affliggeva.
   La ragazza annuì, comprensiva. «Posso solo immaginare cosa stia passando… si sono accaniti tutti contro suo padre, è ovvio che sia triste.»
   «Con lei c’è Sabrina, ma…»
   «…tu sei tu», concluse per lui, abbozzando un sorriso che di allegro aveva ben poco. «Vuoi andare da lei?»
   «Non posso farlo», ci tenne a precisare Adrien. «Temo che Le Gran Paris sia piuttosto blindato, al momento. Per via della stampa. Ed io sono un personaggio pubblico, mi mangerebbero vivo.»
   «E quindi, che intenzioni hai?»
   «Pensavo che magari potremmo andarci insieme.»
   Marinette corrucciò di colpo la fronte. «Chloé mi detesta, perché m…» Si interruppe quando comprese ciò che lui aveva in mente. «Ti prego, non…» Le parole le morirono in bocca davanti allo sguardo carico di speranza del giovane. Si portò i pugni sulle palpebre serrate, mentre dal profondo della sua gola fuoriusciva un ringhio basso e cavernoso. «Non farmi quegli occhi da gattino, maledizione!» sbottò poi. «È già difficile resistere a quelli di Manon! Non mettertici anche tu!»
   «Sono giustificato», si permise di contraddirla Adrien, col suo solito candore. «Sono Chat Noir.»
   «Lei è giustificata: è una bambina.»
   «Meow!» insistette lui, strusciando la punta del naso contro la sua guancia. Marinette si lasciò andare ad un sospiro arrendevole che lo fece sorridere vittorioso. «Ci andiamo dopo la scuola?» le domandò, dandole un bacetto sul viso per ringraziarla e consolarla al contempo.
   «Solo se anche oggi Chloé non si presenterà in classe», pose come condizione la ragazza, affondando le dita fra i suoi capelli biondi e accarezzandoglieli, nonostante tutto. Adesso che aveva potuto sperimentarla a dovere, la vicinanza di Adrien le sembrava davvero terapeutica quanto quella di un gatto o di un altro, affettuoso animale domestico. Quel pensiero la divertì, ma la lasciò anche un po’ spaesata: doveva considerarla una cosa preoccupante? Vinta da quelle coccole, decise di non curarsene e di godersi quel momento di tenerezza prima che lui fosse costretto a tornare a casa.












D'ora in poi aggiornerò il lunedì mattina! Le ultime parole famose... Il punto è che lunedì non so se riuscirò a farlo, pertanto accontentatevi di un capitolo in anticipo. Spero che la cosa non vi dispiaccia troppo.
Ora, quanti vogliono picchiarmi per aver dato tanta importanza al rapporto fra Adrien e Chloé? Perdonatemi, ma io credo che meriti più spazio anche all'interno della serie: dopotutto lei è stata l'unica amica di Adrien fino a che lui non ha iniziato ad andare a scuola, perciò il loro rapporto deve per forza essere importante. Inoltre, non so se ci avete fatto caso, ma quando Marinette prendeinprestito il cellulare di Adrien e riesce a sbloccarlo, guardando fra le ultime chiamate ce ne sono un sacco col nome di Chloé, appunto. La stessa Marinette neanche ci bada proprio perché sa che i due sono grandi amici. Inoltre, è Chloé quella che viene a sapere per prima che Adrien non potrà più tornare a scuola per la faccenda del libro scomparso. Anche durante il secondo episodio della seconda stagione la loro amicizia viene rimarcata, a partire dall'infanzia, e non poco. Insomma, ho voluto dare alla cosa dello spazio più che meritato, ecco. E no, non solo perché a me Chloé piace e mi piace persino il suo rapporto con Adrien (non inteso come coppia, si intende), ma anche perché lo reputo importante per entrambi i personaggi e, spero, anche per la loro crescita negli episodi a seguire.
Detto ciò, passo ad altro, e cioè al rapporto che invece Adrien ha con Marinette in questa long. Il loro chiarimento (?) è stato piuttosto sereno, qui, per un motivo semplicissimo: erano già certi delle rispettive identità, non avevano quasi più nascosto la cosa nell'ultimo periodo, e, oltretutto, i drammi vissuti gomito a gomito li hanno necessariamente fatti maturare di botto, sotto certi aspetti, dando loro modo di vedere la loro relazione da un punto di vista differente rispetto a quanto avrebbero fatto in un altro contesto più spensierato (che fossero stati comunque degli eroi o meno). Certe cose segnano profondamente, soprattutto in un'età delicata come la loro.
Ovviamente è il mio punto di vista, siete liberi di condividerlo o meno, però... però continuo anche a credere che, amore o amicizia, Adrien e Marinette si vogliano troppo bene per tenersi il muso, mancarsi di rispetto o roba simile.
Detto ciò, credo di potermi eclissare. Perdonate soltanto la lentezza con cui rispondo alle vostre recensioni, purtroppo il lavoro e gli altri impegni (più imprevisti vari) mi tengono lontana dal PC. Ah, piccolo aggiornamento: sono a buon punto con il capitolo finale e credo che, come per la long Fiducia, scriverò poi una shot a parte ambientata qualche tempo dopo l'epilogo della storia.
Ringraziandovi come sempre per l'essere ancora qui a leggere, vi auguro un buon fine settimana. ♥
Shainareth





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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***





CAPITOLO SETTIMO




Quando Adrien scese dall’automobile che lo aveva accompagnato fin davanti all’istituto Françoise Dupont, gettò automaticamente lo sguardo verso il negozio dei Dupain-Cheng giusto un attimo prima che ne venisse fuori un’esagitata Marinette che, zaino in spalla, si dirigeva a rotta di collo verso la scuola. Il giovane fissò la scena quasi incredulo, domandandosi come potesse, quella ragazza, riuscire ad arrivare persino dopo di lui, che nel frattempo era tornato a casa propria, aveva dato il buongiorno a tutti fingendo di essersi appena svegliato nel proprio letto, fatto colazione con calma e fornito finanche un servizio taxi per i loro amici, per via dello stato di allerta della città. Sospirò rassegnato e divertito a un tempo, mentre Alya andava incontro alla sua compagna di banco e, infine, le gettava le braccia al collo come capitava spesso quando passavano un paio di giorni l’una lontana dall’altra.
   «Vi ha accompagnati Adrien?» domandò Marinette quando si accorse dell’auto, che stava ripartendo in quel momento, e degli altri due ragazzi intenti a raggiungerle.
   «Gentile da parte sua, vero?» affermò Alya, prima di sussurrarle all’orecchio: «Guai a te se te lo fai sfuggire.»
   L’altra inalberò un’espressione compiaciuta. «Tranquilla, ormai l’ho fatto mio», scherzò platealmente a voce alta, facendo ridere Adrien e lasciando di stucco gli altri due.
   «Oh, grazie al cielo!» esclamò subito dopo Nino, che poteva infine tornare a sentirsi libero dai sensi di colpa per tutti i sotterfugi della propria innamorata ai danni del suo povero migliore amico.
   «Perché non ce lo hai detto?!» pretese di sapere Alya, dando un buffetto sul braccio del diretto interessato, che avrebbe benissimo potuto metterli al corrente della cosa durante il tragitto fino a scuola.
   «Non me l’avete chiesto», rispose semplicemente lui, stringendosi nelle spalle.
   «Dovete raccontarmi tutto!»
   «Neanche per sogno», puntualizzò Marinette, incrociando le braccia al petto.
   «Ci sono troppi dettagli scabrosi», concordò Adrien, beccandosi un’occhiataccia dalla ragazza.
   «Piantala. Semmai dovesse crederci, sarei finita.»
   «Nessuno ci cascherebbe, sapendo quanto siete bacchettoni», chiarì Alya, giusto per la cronaca – e per semplice ripicca – e lasciandoli senza parole, perché consci che avesse perfettamente ragione.
   «Ora possiamo lasciarli in pace, sì?» la pregò Nino, implorandola con lo sguardo. «Come vedi sanno sbrigarsela da soli, perciò…»
   «Ma sì, ma sì, prometto che non ti coinvolgerò più nei miei malefici piani.»
   «E cerca di non coinvolgere più neanche noi, per favore», si intromise Marinette, provando empatia per il povero Nino.
   Alya quasi la prese sul personale. «Guarda che è merito mio, se le cose fra voi sono arrivate fino a questo punto.»
   «Uhm… no, non direi», le assicurò Adrien, alzando gli occhi al cielo e facendo una smorfia pensosa. «Anzi, va avanti da molto prima che tu potessi metterci il becco.»
   «Cosa?!» esclamò l’altra, sgranando gli occhi e sentendosi tradita dai suoi migliori amici. «Perché non me lo avete detto?!» tornò a chiedere, sempre più interdetta.
   «Proprio per questa ragione», le fece notare Marinette, decisa a chiudere lì la conversazione. «E ora andiamo in classe: non ho rischiato di farmi investire, poco fa, per arrivare di nuovo in ritardo.»
   «A tal proposito», cominciò Adrien, affiancandosi a lei sulla scalinata d’ingresso, «potresti farmi il favore di non morire così giovane? Avrei pianificato il nostro futuro per almeno altri ottanta, novant’anni. Insieme, possibilmente.»
   La ragazza arrossì e si imbronciò al tempo stesso. «Pensi davvero che camperemo così a lungo?»
   «Anche di più, stando al nostro comune amico dagli occhi a mandorla», le ricordò l’altro sottovoce, poiché durante la loro visita al maestro Fu era venuto fuori che quest’ultimo aveva sulle spalle ben più di centottanta primavere.
   Marinette fu turbata da quella prospettiva. «Non so se riuscirei a sopportare le tue battute così a lungo.»
   «Questo è tutto quello che hai da dire al riguardo?» si ritenne offeso Adrien, che invece sperava in una reazione più romantica da parte sua. Il suono della sua risata e lo sguardo affettuoso che lei gli riservò, tuttavia, lo ripagarono di ogni cosa, dandogli la certezza che Marinette condivideva le sue stesse speranze per il futuro.
   Quando entrarono in aula, entrambi cercarono subito il posto di Chloé, trovandolo vuoto, così come quello di Sabrina, uniche assenti in tutta la classe. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata e Marinette sorrise indulgente. «Manterrò la mia promessa, non preoccuparti.» Vide Adrien illuminarsi e ciò le diede la conferma di aver preso la decisione giusta.

Attraverso il display del bastone di Chat Noir, poterono vedere Chloé che se ne stava seduta scompostamente sul divano della propria camera a sfogliare con fare annoiato una rivista di moda, mentre Sabrina, più in là, era alla scrivania intenta a fare i compiti per entrambe con aria tutt’altro che allegra. La tensione era palpabile anche attraverso tutta quella distanza, tanto più che davanti a Le Grand Paris continuava ad esserci un instancabile nugolo di giornalisti, che logorava i loro nervi ed impediva alle due ragazze di rifiatare dalle preoccupazioni non soltanto per l’intera Parigi, ma anche e soprattutto per i propri genitori.
   «Non mi sembra si stiano godendo la vacanza forzata», commentò Ladybug, provando pena per le due compagne di classe.
   «Te l’avevo detto…» borbottò Chat Noir, a cui stringeva il cuore vedere Chloé così giù di morale.
   Marinette lo fissò in tralice, intuendo solo in parte quale potesse essere il suo stato d’animo: pur essendo spesso e volentieri in contrasto con i comportamenti della figlia del sindaco, Adrien non mancava mai di sottolineare che si trattava della sua prima amica e che perciò il loro legame aveva alle spalle parecchi anni, durante i quali Chloé gli aveva mostrato anche i lati più gentili e sensibili della propria personalità. Marinette non aveva alcun motivo per non credergli, poiché era fermamente convinta che uno come lui non potesse sopportare di avere a che fare con una persona del tutto negativa per così tanto tempo; eppure faticava ad immaginare una Chloé diversa da quella che lei conosceva, e cioè una ragazza viziata, testarda, orgogliosa e, soprattutto, egoista. Si chiese se Adrien fosse conscio anche di un’altra cosa e, per scrupolo, volle sincerarsene. «Cosa provi per lei?»
   Preso in contropiede da quella domanda, Chat Noir si volse a fissarla con espressione stupita. «In che senso?» Era forse gelosa di Chloé? Eppure gli pareva di averle dato ben più di una ragione per non esserlo.
   Ladybug gli sedette accanto, lasciando penzolare le gambe affusolate oltre il bordo del tetto sul quale si trovavano già da alcuni minuti. «So che le sei molto affezionato e che siete buoni amici», spiegò per tranquillizzarlo al riguardo: si fidava di lui.
   «Per me è come una sorella», ci tenne a precisare il giovane, nonostante tutto.
   Lei gli sorrise comprensiva, carezzandogli il viso con tenerezza. «E hai mai pensato che lei potrebbe vederla in modo differente?» Vide una certa confusione nel suo sguardo e, sospirando, si trovò costretta a fargli presente un aspetto che, a quanto pareva, Adrien ignorava o faceva finta di farlo. «Se avessi un fratello, non mi verrebbe mai in testa di saltargli addosso ogni volta che ne ho l’occasione. Né proverei a baciarlo.»
   Quelle parole parvero andare a segno, perché il giovane abbassò lo sguardo, turbato da ciò che lei gli aveva appena detto. Non che non ci avesse davvero mai pensato, però… «Credi che dovrei essere più chiaro, con lei?»
  Marinette strinse le spalle. «È una decisione che spetta a te, ma… se fossi al suo posto, vorrei evitare di farmi inutili illusioni e preferirei mettermi subito il cuore in pace», rispose. «È anche vero che io e Chloé siamo diverse come il giorno e la notte, e che quindi quello che potrebbe essere giusto per me potrebbe non esserlo per lei…» aggiunse poi, per amor di sincerità.
   «In ogni caso, non me la sentirei di dirglielo ora», confessò poco dopo Adrien, gli occhi di nuovo fissi sul display, dove la scena nella stanza dell’hotel non era cambiata neanche di una virgola.
   «No, non è il caso», convenne con lui Ladybug, facendo scivolare la mano attorno al suo braccio e poggiando il mento sulla sua spalla. «Ora siamo qui per risollevarle il morale, no?» Le iridi verdi di lui cercarono timidamente quelle azzurre di lei, e Marinette sorrise di nuovo. «Qualunque cosa tu decida di fare, mi troverai sempre al tuo fianco, perciò… andiamo?»

Benché fosse concentrata sui compiti, Sabrina scorse un’ombra con la coda dell’occhio e subito si voltò verso il balcone della camera, dove catturò la figura di uno dei due eroi parigini. «Chloé!» chiamò d’istinto, balzando in piedi con un enorme sorriso sul volto. «Guarda!»
   L’altra si volse a fissarla con fare seccato, domandandosi cosa diamine avesse, quella sciocca, da entusiasmarsi tanto per quelli che molto probabilmente non erano altro che stupidi piccioni; quando però il suo sguardo si posò su Chat Noir, spalancò le orbite e saltò giù dal divano, raggiungendo la portafinestra a grandi falcate e spalancandola con vigore. «Alla buon’ora!» Il giovane inarcò le sopracciglia bionde, fortemente interdetto da quell’esclamazione. «Cosa deve fare, una fanciulla in pericolo, per avere un po’ della vostra attenzione?!»
   «Non so… essere davvero in pericolo?» azzardò quando lei insistette con la sua sceneggiata.
   «Poche ciance, gatto», ribatté Chloé, intrecciando le braccia sotto ai seni e fissandolo con aria di sufficienza. «Dov’è la vera eroina?» Adrien cominciò a pentirsi di essersi precipitato lì per lei, ma ingoiò la propria delusione e fece cenno in direzione della collega che, più in là, se ne stava ancora appollaiata sul parapetto del balcone. Quando Chloé la vide si illuminò tutta e le corse persino incontro. «Ladybug!»
   Questa schivò appena in tempo il suo abbraccio, saltando giù dalla ringhiera e affiancandosi immediatamente al proprio partner. «Ciao, Chloé…» salutò con un sorriso forzato sulle labbra.
   «Sei venuta per me?» si interessò di sapere l’altra, intrecciando le dita delle mani davanti al petto, quasi fosse in preghiera.
   «Sì, beh, sai… sapevamo che eri in difficoltà, e così…» iniziò Marinette, cercando di apparire gentile, sebbene le avesse dato non poca noia il modo in cui quell’esagitata aveva trattato il povero Adrien. «Chat Noir ha insistito per venire a vedere come stavi.» Si ricordò di Sabrina, rimasta all’interno della camera, sia pure sull’uscio del balcone. «Come stavate», si corresse allora.
   Chloé ruotò gli occhi azzurri in direzione dell’eroe, la linea della bocca stretta in una mezza smorfia. «So che col mio fascino conquisto tutti, ma temo che dovrò spezzarti il cuore: non sono alla tua portata», ebbe la faccia tosta di dirgli.
   Lui non seppe se ridere o meno; nel dubbio, abbozzò un sorriso divertito. «Sì, decisamente mi stai spezzando il cuore», rispose in tono scherzosamente affranto. «Fortuna che qui ho la mia bella buginette a consolarmi», aggiunse poi, passando un braccio attorno alla vita di Ladybug, che subito lo rimise al suo posto con una lieve gomitata al fianco.
   «Piuttosto, Chloé», riprese poi, decisa comunque ad aiutare Adrien, «non ti ho vista spesso in giro, ultimamente… Capisco che il periodo sia difficile per tutti, ma potresti almeno fare lo sforzo di andare a scuola.»
   L’altra ragazza rimase spiazzata. «Come fai a sapere che non sono andata a scuola?»
   «Stai parlando con Ladybug», le rammentò Chat Noir, fan numero uno dell’eroina – checché ne dicessero Alya e la stessa Chloé. «Lei sa sempre tutto.»
   «Non serve più fare il ruffiano per avere le mie attenzioni», gli sussurrò Marinette, quasi seccata per quell’adulazione gratuita.
   «Non lo faccio per avere i tuoi favori», puntualizzò Adrien, risentito per quella mancanza di fiducia e di riconoscenza.
   Resasi conto di essere stata poco carina nei suoi confronti anche per via del nervosismo dovuto a quell’ingrato compito, la ragazza gli rivolse un sorriso di scuse e gli fece tintinnare la campanella che aveva al collo con la punta di un dito. «Al di là di tutto…» ricominciò dopo un attimo, tornando a rivolgersi a Chloé, «penso davvero che dovresti farti forza e tornare almeno a scuola. Non serve a nulla rimanere chiusa in casa a piangersi addosso.»
   «Lo so bene, cosa credi?» replicò l’altra, immusonita. Persino Ladybug la faceva così deboluccia? Il suo orgoglio ruggì per lo sdegno e lei faticò a trattenersi dal dire cose di cui si sarebbe sicuramente pentita a mente più lucida. Prese fiato e spiegò: «Non è solo per colpa di quegli stupidi giornalisti qui sotto, se sono rimasta a casa.»
   «E che altro c’è, allora?»
   Scoccò un’occhiata poco gentile in direzione di Chat Noir, reo di averle rivolto quella domanda innocente. «Roba da donne.»
   «Cioè… hai le tue cose?»
   Marinette lo afferrò per la campanella e lo strattonò con forza verso di sé. «Dove diavolo è finita la delicatezza che ti contraddistingue senza quella dannata maschera?!» volle sapere, inferocita per quell’atteggiamento strafottente.
   «Ho fatto solo una domanda», si difese lui, sudando freddo per il modo in cui lei lo stava divorando con gli occhi. E no, non con affetto o fare appassionato. Possibile che non sapessero distinguere uno scherzo?
   «Con te non ci parlo, stupido felino!» strepitava frattanto la povera Chloé, offesa nel profondo per quell’assoluta mancanza di rispetto.
   «Puoi parlare con Ladybug, allora», concluse Adrien, tutto contento nonostante avesse appena rischiato di aver fatta la festa dalle due.
   «Cosa?!» stentò a crederci Marinette, tentata di strattonarlo ancora per il collo.
   «Fra donne sicuramente riuscirete ad intendervi, no?» provò a farla ragionare lui, giocandosi, già che c’era, anche la carta degli occhi da gattino. «Per favore…» sussurrò in tono supplice.
   La ragazza incassò il colpo, ma imprecò fra sé per la propria debolezza: scoperto il trucco, ora quel disgraziato aveva il potere di rigirarsela come gli pareva e piaceva. Sbuffò sonoramente e lo lasciò andare. «Mi devi un favore», ci tenne però a puntualizzare. «Bello sostanzioso.»
   «Tutto ciò che la mia lady desidera», annuì Chat Noir, con voce impostata ed inchino lezioso.
   Ladybug ruotò le pupille verso l’alto. «Chloé, ti va di fare quattro chiacchiere a tu per tu?» recitò poi, quasi con la stessa cantilena di un bimbo dell’asilo alla recita di Natale.
   Quella tornò ad illuminarsi di gioia. «Oh, Ladybug! Con te farei qualunque cosa!» A Marinette vennero i brividi, ma si sforzò di sorridere e di non opporre troppa resistenza quando quell’esagitata dai capelli biondi l’afferrò per un polso e la trascinò dentro la stanza, facendola accomodare sul divano e ordinando il servizio in camera per del tè e dei biscotti.
   Rimasto educatamente sull’uscio esterno del balcone, poiché non era stato invitato ad entrare, Chat Noir appoggiò l’avambraccio sinistro sul telaio della portafinestra, il pugno destro sull’anca. «Allooora…» cominciò, occhieggiando verso Sabrina, che si volse a fissarlo stupita. «Un uccellino mi ha detto che, quando assecondi Chloé nei suoi giochi, ti travesti da Chat Noir, eh? Ottima scelta», ammiccò il giovane, facendola sorridere felice: finalmente qualcuno che si accorgeva di lei e la trattava come un essere umano!
   «Potresti mettere via quell’affare?» stava chiedendo intanto Marinette alla sua ospite, che la teneva saldamente per le spalle con un braccio e con l’altro cercava di scattare il maggior numero di foto in sua compagnia.
   «Ancora una, per favore», rispose l’altra, sporgendo le labbra in fuori come nella miglior tradizione dei selfie. «Non potresti sorridere un po’?» domandò poi, notando con disappunto che il suo idolo non si sforzava neanche un po’ di mostrare un briciolo di allegria per quell’evento.
   «Sono qui per sentire quello che hai da dire, non per delle stupide foto.» Subito dopo averlo detto, Marinette quasi si morse la lingua: aveva promesso ad Adrien che si sarebbe comportata in modo gentile con la sua amica, e invece stava già cominciando a farsi prendere dai pregiudizi dovuti a quella rivalità che le metteva in contrasto da ben quattro anni.
   Chloé finalmente la lasciò andare e fece scorrere la galleria di immagini del cellulare fino a che sul display non comparve una foto di Adrien. «Lo vedi questo ragazzo qui?» chiese allora, mostrandoglielo.
   «Non è Adrien Agreste?» recitò ancora una volta l’eroina, fingendosi sorpresa. «Il suo volto è su molte riviste e anche su diversi cartelloni pubblicitari.»
   «Dovrebbe avere ancora più spazio, secondo me», ragionò l’altra, tornando a contemplare la foto fra sé e sé. «È il ragazzo migliore del mondo ed è mio amico da una vita, praticamente», le raccontò con la solita boria che la contraddistingueva. «Adrien è perfetto: è bello, intelligente, ricco, alla moda… davvero, sarebbe impossibile trovargli un difetto.»
   «Posso fartene un elenco, se vuoi…» borbottò Marinette, lanciando un’occhiata rassegnata alle proprie spalle, dove Chat Noir stava mostrando a Sabrina come eseguire un carpiato all’indietro pur di guadagnarsi l’ammirazione e gli applausi della compagna di classe.
   «Come?»
   La voce di Chloé la riportò con i piedi per terra e Ladybug si lasciò andare ad una risatina nervosa. «No, niente, niente, scusa…» Si schiarì la gola, cercando di recuperare un’aria seria e composta. «Dicevi?»
   «Che sarebbe impossibile trovare un difetto in questa meraviglia», ribadì Chloé, tornando a mostrarle la foto di Adrien. «Se non fosse che, da quando ha iniziato a frequentare la scuola, si è circondato di persone negative, che lo stanno manipolando e lo stanno plagiando fino a fargli perdere del tutto la testa!»
   Marinette serrò le mascelle e restrinse le palpebre in un’espressione indispettita. «Ma davvero?»
   L’altra annuì. «E sai chi è la principale responsabile di tutto questo?» Ovviamente lei lo sapeva, ma si costrinse a tacere, aspettando con encomiabile pazienza che Chloé continuasse nel proprio ingiurioso sproloquio. «Marinette Dupain-Cheng», sentenziò infine quella, incrociando le braccia al petto con fare oltraggiato. «Quella vipera mezza cinese che si crede la reginetta della classe!» Ladybug inspirò a fondo e le sue narici si allargarono così tanto che avrebbe fatto impensierire un qualsiasi altro interlocutore, facendogli intuire che stava parlando troppo. «Deve aver nasato che fra me e Adrien c’è del tenero, ecco perché si sta intromettendo, per accaparrarselo lei. C’è da capirla, dopotutto, è una plebea che non ha alcuna speranza di far colpo su uno splendore come questo», e nel dirlo, Chloé mise per la terza volta a foto di Adrien sotto al naso di Ladybug. «Non so quali sporchi mezzi stia usando, ma il suo malvagio piano sta funzionando», grugnì poi, iniziando a rosicchiarsi la punta dell’unghia del pollice fra gli incisivi, a testimonianza di come lei per prima credesse a quell’enorme bugia che si era costruita. «Un ragazzo d’oro come questo nelle grinfie di quella mocciosa senza buon gusto, te ne rendi conto?! Guarda!» ripeté ancora, mostrando nuovamente il cellulare all’eroina.
   Non potendone più, lei glielo scippò di mano e lo gettò dall’altro lato della stanza, facendola urlare per la sorpresa. «Di’ un po’», la zittì subito in tono autoritario e sguardo severo. «Non ti è mai saltato in testa che magari, e sottolineo magari, quella ragazza non sta usando nessun trucco e che potrebbe davvero piacere alla meraviglia di cui parli?» pretese di sapere a quel punto. Non che Marinette fosse tipo da incensarsi da sola, non troppo per lo meno; però doveva essere obiettiva almeno su questo e sul fatto che Adrien le volesse bene per davvero: non le aveva forse detto chiaro e tondo che si era innamorato di lei per ben due volte, sia come Ladybug che come Marinette?
   «Impossibile! Nessuno degnerebbe di uno sguardo quella ragazzina!» protestò Chloé, stentando a credere che il suo idolo potesse parlarle il quel modo.
   «Beh, stando a quel che mi hai appena raccontato, lui lo fa», rincarò la dose l’altra, ormai partita in quarta nella sua predica. D’accordo l’aver promesso di essere gentile con lei, ma non le avrebbe mai permesso di insultarla né di mancare di rispetto allo stesso Adrien. «Se davvero pensi che questa Marinette stia giocando sporco, allora perché non affronti Adrien e non glielo dici in faccia, anziché scappare dai problemi e accusare gli altri di… di…» La voce le venne meno quando si accorse che gli occhi di Chloé si erano fatti lucidi e che lei stava tremando. Aveva esagerato, dicendole tutte quelle cose? Marinette non ne era del tutto convinta, anzi, si era persino trattenuta dal ricambiare ogni singola offesa.
   «Vattene», sibilò Chloé a labbra strette, il viso arrossato dall’ira.
   «Chloé…» mormorò l’altra, sentendosi stringere il cuore, nonostante non provasse davvero rimorso per ciò che aveva detto.
   «Non ho bisogno di te.»
   «Ascolta, forse c’è un altro modo per…»
   Il suo tono turbato fece infuriare ancora di più Chloé, che balzò in piedi e la fronteggiò con occhi carichi di orgoglio. «Non ho bisogno neanche della tua pietà», chiarì a scanso di equivoci. «Ora prendi quel dannato randagio che ti porti appresso e andatevene subito da qui o giuro che chiamerò la sicurezza.»
   «Ehi… che succede?» si intromise Adrien, notando solo allora che c’era qualcosa che non andava e che la tensione fra le due era salita alle stelle. Davvero era impossibile che andassero d’accordo persino in quelle condizioni?
   «Vi voglio fuori di qui, subito», ribadì ancora Chloé a voce alta, pestando in piede a terra e tendendo di scatto un braccio verso il balcone, in un chiaro invito ad uscire dalla stanza.
   A quel punto, Marinette non si lasciò pregare oltre. Scattò in piedi e marciò lontano da lei, in direzione della portafinestra. «Ladybug…» La voce malferma di Adrien le ferì le orecchie, ma non abbastanza da farla desistere dalla decisione appena presa. Afferrò il giovane per un braccio e lo portò verso il parapetto. «Ci ho provato. Davvero. Ma non ce la faccio.» Non disse altro, né lo guardò in volto. Si limitò soltanto a far roteare il proprio yo-yo a mezz’aria e a prendere lo slancio per lasciare definitivamente l’albergo.
   «Ladybug!» chiamò Chat Noir a gran voce, facendosela scivolare via da sotto al naso. Strinse i denti e si voltò verso Chloé, che sembrava ferita nel profondo; cosa diamine era successo?! Marinette non era tipo da offendere gratuitamente qualcuno, anche se si trattava della sua antica rivale. Pur col cuore colmo di inquietudine, Adrien si arrese a seguire la compagna, lasciando solo un breve cenno di saluto alla povera Sabrina, l’unica a non avere la minima consapevolezza di trovarsi alla ribalta di quel fragile palcoscenico.












Far fare pace a Chloé e Marinette è un'impresa: hanno lo stesso temperamento e sono entrambe testarde da far schifo. Le adoro tutte e due, per un verso o per l'altro, ma ancora devo capire come e perché Chloé riceverà il suo miraculous. In tutto questo, mi dispiace per Adrien, che è molto più paziente, e per nulla insofferente come loro, e che vorrebbe soltanto che le sue migliori amiche (perché alla fine Marinette è anche la sua migliore amica) andassero d'accordo. Nel prossimo capitolo, comunque, la questione sarà ulteriormente approfondita (soprattutto dal punto di vista di Chloé) e voi mi direte se l'intero discorso fila o meno.
Nel frattempo vorrei chiedervi scusa se sono piuttosto assente nel fandom, ma tra il lavoro e altri impegni non mi riesce di star dietro a tutto. Al momento posso dedicarmi soltanto a rispondere alle vostre recensioni (quasi sempre in ritardo, perdonatemi!) e alla lettura delle vostre shot o di quelle long con le quali sono più o meno in pari (e anche qui ci metto comunque qualche giorno dai vostri aggiornamenti per recuperarle). Prometto che, non appena avrò concluso questa mia long, mi dedicherò alla lettura delle vostre. Mi farebbe molto piacere, sia perché questo mi darà la possibilità di ricambiare la gentilezza che avete sempre per me, sia perché potrò conoscere il vostro mondo, il vostro punto di vista sulla serie e sui personaggi. Per ora, però, sto cercando di concentrarmi il più possibile sulla stesura di Limiti (salvo distrazioni dovute ad un'ispirazione improvvisa per qualche shot istantanea) perché voglio assolutamente portarla a termine anziché lasciarla in sospeso come mi capita troppo spesso quando mi cimento in una storia a capitoli. Tanto più che ormai sono davvero agli sgoccioli, ho quasi chiuso tutto ciò che era in sospeso (manca davvero poco) e quindi dovrei cavarmela con un paio di altri capitoli (proprio ieri ho finito di scrivere il tredicesimo).
Detto questo, torno a ringraziarvi come sempre per il vostro sostegno e le vostre parole: mi date la carica necessaria per portare a termine questo progetto.
Buona domenica a tutti!
Shainareth





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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***





CAPITOLO OTTAVO




La trovò accucciata accanto ad uno dei gargoyles di Notre Dame, le ginocchia al petto e le braccia incrociate su di esse, la bocca nascosta alla sua vista. Non si mosse né diede segno di averlo visto o sentito arrivare, ma era certo che si fosse accorta della sua presenza. Le sedette accanto, rispettando il silenzio in cui si era chiusa, e rimase lì con lei, a fissare le acque scintillanti della Senna alla luce del tramonto. Era però consapevole di non poter lasciare le cose così come stavano, pertanto attese una manciata di minuti prima di proferire parola. «Mi… dispiace.» Lei non rispose e lui si sentì autorizzato a continuare. «Non avrei dovuto obbligarti a farlo.»
   Ladybug infine si mosse e, pur senza guardarlo, gli porse il proprio yo-yo. «Ho registrato tutta la conversazione», spiegò poi, la voce che tradiva tutta la frustrazione di quel momento.
   «Non ne ho bisogno», le garantì Chat Noir. «Ti credo.»
   «Ascoltala, ti prego», insistette la ragazza, affranta. «Sono io ad aver bisogno di capire… Sono convinta di essere dalla parte della ragione, ma… forse mi è sfuggito qualcosa?» azzardò, ben sapendo che fosse solo un blando tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Il punto era che, da qualunque parte analizzasse ancora la discussione avuta con Chloé, non riusciva minimamente a comprendere cosa avesse sbagliato. Soprattutto, non capiva come potesse, Adrien, voler bene ad una persona tanto odiosa. Per amor suo, però, avrebbe provato ad andarle incontro ancora una volta, se solo lui glielo avesse chiesto. «Quello che mi manda davvero in bestia… non sono gli insulti rivolti a me», ci tenne a precisare, passandosi una mano sulla guancia per scacciare via una lacrima traditrice, «ma l’assoluta mancanza di rispetto che ha nei tuoi confronti. Parla di te come se fossi uno stupido, una marionetta nelle mie mani, come se tu non fossi capace di prendere delle decisioni da solo. È questo che davvero non riesco ad accettare.» Come potesse farlo lui, poi, le sembrava ancora più assurdo.
   Adrien le restituì lo yo-yo, deciso a non ascoltare quella che avrebbe dovuto rimanere una conversazione privata, nonostante ora fosse lì a discuterne con Marinette. «È quello che ti ha detto?»
   «Grosso modo», gli assicurò lei, ingoiando un singhiozzo. Odiava la posizione in cui si trovava in quel momento e sperò che il giovane non le chiedesse di fare un ulteriore tentativo. Inoltre, era troppo coinvolta emotivamente e si rendeva conto di non essere in grado di vedere le cose con sufficiente lucidità. Era per questo che avrebbe voluto che lui ascoltasse tutto, perché forse le avrebbe aperto gli occhi e mostrato un’altra prospettiva, come spesso accadeva quando lei si faceva accecare dalle proprie antipatie o giungeva a conclusioni affrettate perché troppo presa dai propri sentimenti. Fra i due, era sicuramente Adrien quello più pacato e riflessivo.
   «Domani andrò a parlarle di persona», lo sentì dire d’un tratto.
   Si volse infine a guardarlo e lo trovò assorto nella contemplazione della città al crepuscolo. «Ci saranno un sacco di giornalisti», gli ricordò.
   «Ti ha fatta piangere», replicò subito lui, incrociando i suoi occhi lucidi. «Non posso perdonarglielo.»
   «Adrien…» lo supplicò Marinette, timorosa di essersi davvero messa in mezzo ai due. Non approvava quel legame malsano, ma non per questo avrebbe mai imposto nulla al proprio innamorato. Tanto più che lei stessa era conscia che, sepolte sotto una montagna di difetti, persino Chloé avesse le sue belle qualità; forse Adrien si aggrappava a quelle, che conosceva meglio di chiunque altro, ma che a lei invece sfuggivano puntualmente a causa di tutto il sudiciume che quella dannata ragazza le vomitava addosso ogni volta che si trovavano a tu per tu. «Non farlo, per favore.»
   «Non farò alcun riferimento a ciò che mi hai appena detto. Voglio solo parlarle e sentire ciò che ha da dirmi», la rassicurò il giovane, sfiorandole uno zigomo con il dorso delle dita. «Perdonami per averti costretta ad andare da lei», ripeté poi, avvertendo un rimescolio allo stomaco dovuto ai sensi di colpa. Eppure desiderava così tanto che la sua amica d’infanzia e la ragazza che amava andassero d’accordo! Giunti a quel punto, però, era impossibile farsi altre illusioni in proposito. Doveva gettare la spugna e accettare quello stato di cose.
   Di più, come poteva costringere ancora Marinette ad andare contro la propria volontà? Lei, con quei grandi occhi azzurri, resi ancor più belli dalla luce della sera che iniziava ad inghiottire la città. Lei, con quel cuore immenso in grado di perdonare tutto e tutti. Lei, con quelle labbra morbide e deliziose, capaci di illuminargli la giornata con il più incantevole dei sorrisi. E se ora non riusciva a perdonare, se non riusciva a sorridere, se quegli occhi erano lucidi per le lacrime represse, la colpa era unicamente sua. Adrien si detestò per questo.
   «Sono davvero un disastro, come fidanzato…» si autocommiserò, non riuscendo a tenere per sé quello che riteneva essere un dato di fatto.
   Marinette lo fissò costernata. «Non dirlo neanche per scherzo», lo rimbrottò all’istante, accigliandosi e prendendogli la mano nella propria con decisione. «Potrai sempre contare su di me, lo sai.»
   «Sì, ma temo di essermene approfittato.»
   «Si tratta di qualcosa a cui tieni in particolar modo, non potevo dirti di no. Non lo farei neanche se me lo chiedessi ancora.»
   «Non commetterò due volte lo stesso errore», le assicurò lui, ancora mortificato. «Tanto più che…»
   …entrambi abbiamo cose più importanti per la testa, conclusero fra sé i due, limitandosi a scambiarsi uno sguardo affranto. Per quanto avessero voluto allontanare quei pensieri spiacevoli dalla mente, era impossibile sfuggire alla cruda realtà.
   «Vuoi ancora andare dal guardiano?» domandò Adrien poco dopo.
   «Forse hai ragione a dire che, se avesse potuto fare qualcosa per noi, ci avrebbe già contattati», ipotizzò Marinette. «Stamattina anche Tikki mi ha detto la stessa cosa.»
   «Possiamo sempre toglierci il dubbio. Non ci farà male attraversare di nuovo mezza Parigi conciati come due idioti», la incoraggiò il giovane. Finalmente la vide tornare a ridere, divertita per quelle sue battute, stupide ma snocciolate al momento opportuno. «Marinette?»
   «Cosa?»
   «Non smettere mai di sorridere, per favore.» Gli occhi di lei tornarono ad inumidirsi di lacrime, questa volta di gioia e lui sospirò, sporgendosi nella sua direzione per posare la fronte contro la sua. «Ehi… ti ho chiesto di sorridere, non di piangere…» Marinette si aggrappò al suo collo e Adrien la circondò con le braccia, sollevandola di peso per farsela sedere in grembo e baciarle una tempia.

«È una vera seccatura che non si possa più andare al cinema», borbottò Alya attraverso il telefono, quando quella sera lei e la sua migliore amica si sentirono per i compiti del giorno successivo.
   «È una situazione d’emergenza», le ricordò l’altra, sollevando per un attimo lo sguardo dai libri per posarlo sullo schermo che aveva in camera, dove per fortuna da diverse ore non venivano trasmesse edizioni straordinarie del telegiornale. Che finalmente tutto stesse tornando alla normalità? Forse in questo modo anche il sindaco avrebbe potuto rifiatare, e con lui anche Chloé. Marinette continuava a credere di non aver detto nulla di sbagliato, durante il loro confronto, ma poteva concedere delle attenuanti alla sua compagna di classe, a cominciare dal nervosismo dovuto alla delicata situazione che tutti loro stavano vivendo ormai da diversi giorni. «Vedrai che l’allarme rientrerà presto e noi potremo tornare a frequentare liberamente luoghi affollati, senza vivere costantemente con la paura che possa succedere qualcosa da un momento all’altro.» Questo era quello che lei per prima si augurava con tutto il cuore, e non solo perché non avrebbe saputo reggere ad un altro spettacolo orribile come i due ai quali aveva già dovuto assistere, quanto soprattutto perché temeva che il prossimo bilancio dei conti, fra danni e vittime, sarebbe stato persino peggiore dei precedenti.
   «Non ti secca non poter vedere Adrien quanto vorresti?» si sentì domandare poco dopo da Alya, avvertendo una certa malinconia nel tono della sua voce. Forse per lei e Nino era più difficile incontrarsi fuori dalle mura domestiche?
   «Le lezioni di scherma al momento sono sospese, quindi ha più tempo libero.»
   «Riuscite a vedervi comunque, allora? Come?»
   Marinette si strinse nelle spalle, benché sapesse che la sua amica non potesse vederla. «In un modo o nell’altro…» fu la vaga risposta che diede.
   «Vi ho visti entrambi più distesi stamattina… sono felice che le cose fra voi vadano bene», si congratulò di cuore Alya, che aveva voluto quell’unione quasi quanto la stessa Marinette. «So che hai deciso di non entrare nei dettagli, ma… com’è stare niente meno che con Adrien Agreste? È come te lo aspettavi?»
   «No, affatto», si lasciò scappare l’altra, con un risolino che poteva voler dire tutto e niente, alle orecchie di Alya.
   «In che senso? È meglio o peggio?»
   «Né l’una né l’altra cosa», le assicurò Marinette, ammirando il volto dell’amato ritratto in una foto che aveva tirato fuori dal cassetto della scrivania e che aveva messo accanto ai libri prima di iniziare a studiare. «È solo diverso, tutto qui. Ma sto bene con lui, e questa è la cosa più importante.»
   «Quando le acque si saranno calmate, dobbiamo assolutamente uscire tutti e quattro insieme.»
   «Come facevamo prima, insomma.»
   «Beh… sì, ma da un punto di vista psicologico sarà molto diverso, perché non dovrò più preoccuparmi di spingerti fra le sue braccia e avrò più tempo da dedicare al mio povero Nino.»
   Marinette rise di nuovo, portandosi una mano davanti agli occhi. «Dovresti fargli una statua, lo sai?»
   «Sì», concordò subito Alya, divertita da quell’idea. «Se la merita davvero. L’ho messo a dura prova, ha la pazienza di un santo. Credo che lo premierò, per questo.»
   Non sapendo bene come interpretare quell’ultima frase, e sentendosi in colpa per aver subito pensato male, l’altra preferì glissare. «Meglio se mi rimetto a studiare, ho ancora parecchi esercizi da svolgere. Ci vediamo domani a scuola.»
   Chiusa la telefonata, Tikki le svolazzò accanto, lieta di vederla più serena nonostante la discussione avuta con Chloé. «Gli abbracci di Adrien fanno bene, eh?»
   Marinette sorrise quasi con imbarazzo, ripensando a quelli che il giovane le aveva regalato fino a che non si era davvero fatta ora di tornare a casa. «Domani andremo dal maestro», le raccontò, sebbene il kwami sapesse già tutto. «Forse non servirà a nulla, ma… magari parlare con lui ci aiuterà a metterci il cuore in pace.» O per lo meno, si disse, avrebbero provato a farlo. «Vorrei davvero che non accadessero più, cose come queste…»
   «Purtroppo è un’utopia», fu costretta a disilluderla subito Tikki. Voleva bene a Marinette e avrebbe fatto di tutto pur di vederla felice; tuttavia, mentire al riguardo le dava l’impressione di volerla prendere in giro. «La storia si ripete. Sempre.»
   «E dire che la studiamo anche per imparare dagli errori passati…» borbottò la ragazza, dando uno sguardo deluso al libro di storia che aveva lasciato da parte, insieme a quelli che non avrebbe dovuto mettere nello zaino per le lezioni del giorno dopo. Posò i palmi delle mani contro il bordo della scrivania e si diede lo slancio per muovere la sedia verso il volume, che prese fra le dita e aprì, facendo scorrere le pagine fino a che non trovò quello che le interessava: il capitolo sull’antico Egitto, dove spiccava la foto di un papiro vecchio di millenni, sul quale si poteva notare la figura di quella che molto probabilmente era stata la Ladybug di quell’epoca. «Tikki… anche le altre Ladybug non riuscivano a sistemare tutto, vero?»
   La piccola creatura scese a sedere sul ripiano della scrivania, un’espressione mogia sul musetto grazioso. «No, non potevano», fu l’onesta risposta che le diede. «Però erano in grado di ridimensionare non poco i danni delle disgrazie che capitavano intorno a loro, e questo era già tanto, credimi. È stato sempre così ed è esattamente ciò stai facendo anche tu.»
   «Lo pensi davvero?» mormorò Marinette, lanciandole uno sguardo incerto.
   «Hai sentito quello che ha detto il maestro l’ultima volta: tu e Adrien meritate i vostri miraculous. Siete stati scelti per una ragione.»
   «E quale sarebbe?»
   Pur non rispondendo a quella domanda, Tikki le sorrise con affetto, sperando che prima o poi lei riuscisse a capirlo da sola.

Quando Marinette entrò a scuola insieme ad Alya, la mattina dopo, non avrebbe certo immaginato di ritrovarsi davanti una scena come quella. Nello spazio antistante i bagni, quello in cui si trovavano gli armadietti degli studenti, Adrien cercava gentilmente di costringere Chloé ad allentare la presa attorno al suo collo. Si era presentata a scuola, quella mattina, decisa a mettere fine una volta per tutte a quella situazione che le faceva male al cuore; manco a dirlo, non appena aveva visto il giovane, lo aveva preso alla sprovvista e gli era corsa incontro per abbracciarlo come faceva sempre quando era felice di incontrarlo.
   Alya volse lo sguardo all’amica, che fissava la scena più con rassegnata sopportazione che con vera e propria gelosia, e la cosa la stupì. Davvero a Marinette non dava fastidio che un’altra si prendesse quelle confidenze con il suo ragazzo? A dirla tutta, Marinette non solo stava digrignando i denti per quella scena, per di più stava facendo uno sforzo sovrumano per non correre a cavare gli occhi alla rivale. Se riuscì a trattenersi fu solo per rispetto ai sentimenti di Adrien.
   Si limitò dunque a schiarirsi rumorosamente la voce, inducendo i due a voltarsi nella sua direzione. Vedendola, il giovane sbiancò e s’irrigidì più di prima, mentre Chloé divenne paonazza e serrò le labbra con rabbia. «Hai dimenticato le pastiglie per la tosse?» le domandò con fare stizzito. «Se sei appestata, avresti potuto rimanertene a casa, anziché venire qui a contagiarci con i tuoi stupidi germi.»
   «Chloé», la richiamò d’istinto Adrien, afferrandola con decisione per le spalle e allontanandola da sé con fare più brusco di quanto avesse voluto. La ragazza lo fissò quasi stordita, benché sapesse bene quanto lui non gradisse i suoi modi di fare strafottenti nei confronti degli altri. «Non puoi sempre dire o fare quello che ti passa per la testa, senza mai tenere in considerazione i sentimenti degli altri.»
   «Ma io tengo molto in considerazione i tuoi, di sentimenti, Adrien…» gli assicurò Chloé, portandosi una mano al petto come volesse persino giurarlo.
   Non era quello che era parso a Marinette il pomeriggio addietro, e questo la fece innervosire più di prima. Tacque non soltanto perché non poteva rinfacciarle la cosa – dopotutto, aveva parlato con lei nei panni di Ladybug – ma anche perché spettava ad Adrien intervenire e lei non aveva alcuna intenzione, né soprattutto il diritto, di scavalcarlo.
   «Se fosse vero, non ti comporteresti in modo tanto sgarbato con Marinette», ribatté difatti il giovane, fissando l’amica dritta negli occhi. Chloé ne rimase turbata: quello sguardo era serio, deciso e… arrabbiato?
   «Che c’entra lei con te?» non si trattenne dal chiedere, ben sapendo già quale sarebbe stata la risposta.
   Marinette preferì non sentirla, non era giusto invadere la privacy di quel momento. Afferrò Alya per un polso e la trascinò via di lì. Adrien le vide allontanarsi e neanche per un secondo fu sfiorato dal dubbio che l’amata avesse fatto quella scelta perché in collera con lui.
   «L’ho visto come la guardi, cosa credi?» lo sorprese Chloé dopo un istante, la voce che tremava per l’irritazione e la delusione. «Solo che… non posso accettarlo», aggiunse in tono più aggressivo, pur contenendosi.
   Che razza di discorso era, quello? Conoscendola, forse Adrien non avrebbe dovuto sorprendersi poi troppo, però sperava che, forte dell’affetto che li univa, lei potesse comprendere. «Sono io che non posso accettare questo genere di comportamento da parte tua», ribatté allora, più che mai determinato a mettere le cose in chiaro una volta per tutte. «Perché ce l’hai tanto con lei?»
   Chloé aprì la bocca per rispondere, ma si bloccò e catturò il labbro inferiore fra i denti. No, non avrebbe mai ammesso ad alta voce che la vera ragione per cui asseriva di odiare Marinette era una stupida, mera invidia: quella ragazzina riusciva a piacere a tutti così com’era, senza artifici di sorta e senza aver bisogno di ostentare alcunché. Di più, riusciva in tutto ciò che faceva, attirando ammirazione e nuove simpatie. In ultimo, era stata capace di portarle via anche Adrien, l’affetto più caro che avesse al mondo dopo suo padre. Come poteva, Chloé, non avercela a morte con lei? Marinette la eclissava.
   «Non voglio che ci divida», le scappò detto con un filo di voce, gli occhi lucidi che tradivano tutta la sua disperazione.
   Di nuovo, Adrien la fissò costernato: era quello, il problema principale? Temeva che Marinette si sarebbe messa fra loro, ostacolando quella bella amicizia che li univa fin da bambini? Che assurdità… Ciò nonostante, lui riusciva a capirla. Avvertiva nel suo sguardo la stessa, maledetta angoscia che lo affliggeva da tempo e che, quasi per prendersi in giro, aveva etichettato come sindrome dell’abbandono. Come lui, anche Chloé aveva dovuto salutare sua madre prima del tempo, crescendo con un padre iperprotettivo, benché spesso assente per lavoro, e che forse le aveva causato più danni che benefici. E ora che anche il suo più caro amico aveva rivolto lo sguardo altrove, temeva seriamente di perdere anche lui, di rimanere più sola di quanto già non si sentisse normalmente. Era questa la ragione per cui aveva sviluppato quell’insano sentimento di possessione nei suoi confronti? Non era da escluderlo, eppure Adrien non volle pretendere di sminuire l’affetto di lei.
   «Non accadrà», le assicurò allora, addolcendo sia i tratti del viso che il tono della voce. «Amo Marinette anche per questo, perché rispetta i miei sentimenti e i miei spazi. Non le salterebbe mai in testa di impormi delle scelte.» Sentirglielo dire faceva ancora più male, constatò Chloé, tornando a stringere le labbra e a serrare i pugni, ignorando le unghie che si conficcavano nella carne. «L’hai vista tu stessa, poco fa: si è allontanata per lasciarci parlare in tutta tranquillità.»
   «Era solo gelosa», ribatté, un nodo non indifferente alla bocca dello stomaco.
   «Forse», le diede ragione lui, sia pure solo in parte. «Non per questo me lo rinfaccerà. Né se la prenderà con te.»
   «Come puoi esserne sicuro?»
   «Si fida di me.»
   Mentre io non lo sto facendo, si rese improvvisamente conto Chloé, allentando la pressione delle dita contro i palmi delle mani. Si sentì peggio di prima e quasi le venne da piangere: era questo che aveva cercato di dirle anche Ladybug? In ogni caso, decise di non essere da meno e di dar credito alle parole di Adrien. «Se dovesse mettersi fra noi, le renderò la vita un inferno», non poté fare a meno di affermare, nonostante tutto. Il giovane sorrise, sollevato al pensiero che, a dispetto di quella minaccia, Chloé avesse almeno scelto di non intromettersi a sua volta. «Che sia chiaro, quella ragazza continua a non piacermi: meriti di meglio.»
   Scosse le spalle con noncuranza. «Punti di vista, immagino.»
   «Non sarò mai sua amica.»
   «Non ti sto chiedendo di esserlo», precisò a scanso di equivoci. «Vorrei solo che la lasciassi in pace.»
   Vide Chloé fissarlo da sotto in su con aria quasi intimidita, le labbra socchiuse, come se volesse dirgli qualcos’altro e non ne avesse il coraggio. Lo trovò poco dopo, quando tornò a parlare con un filo di voce. «Ma noi… resteremo comunque amici… vero?»
   «Ti ho fatto una promessa, tempo fa, e intendo mantenerla», le ricordò Adrien, porgendole il mignolo proprio come facevano da bambini. Lei ricacciò indietro le lacrime e abbozzò un sorriso, prima di stringergli il dito col proprio per rinnovare quel giuramento.

Quando vide Chloé varcare la soglia dell’aula, Marinette drizzò la schiena e la seguì con lo sguardo, benché lei camminasse a testa alta, senza neanche voltarsi nella sua direzione. Poco dopo, entrò anche Adrien, che rivolse a Marinette un’espressione di scuse. Il sorriso dipinto sulle sue labbra, tuttavia, le fece intuire che, in un modo o nell’altro, le divergenze fra lui e Chloé dovevano essersi appianate. Ne fu felice, e sperò che in futuro non dovessero sorgere nuovi problemi e che Adrien non avesse più nulla di cui preoccuparsi almeno riguardo a quell’amicizia a cui teneva tanto.
   La conferma che tutto fosse andato per il verso giusto la ebbe al termine delle lezioni della mattina, quando il giovane l’avvicinò all’uscita di scuola. «Chloé non è così irragionevole come potrebbe sembrare.»
   «Ma se ha trattato male persino il suo idolo, ieri…»
   «Forse ha davvero le sue cose…» borbottò dubbioso.
   Marinette ruotò le pupille verso l’alto. «La verità è che chiunque cederebbe davanti ai tuoi meravigliosi occhi verdi», lo prese in giro, senza neanche aver davvero bisogno di mentire.
   Lui le riservò uno sguardo piccato. «Non sminuire la mia virilità.»
   «Non sto dicendo che hai gli occhioni di un bambino», si difese la ragazza, ridendo per quella sua adorabile protesta.
   «Quindi ti riferivi al mio fascino magnetico?» azzardò Adrien, portandosi una mano al mento con fare pensoso. «Ha senso, sì», annuì poi, convinto della cosa.
   «Mi viene il mal di testa tutte le volte che ho a che fare con questo tuo lato vanesio, chaton», sospirò Marinette, iniziando a scendere la scalinata d’ingresso.
   «Vorrà dire che te lo farò passare dopo le lezioni del pomeriggio», affermò lui, affrettandosi a seguirla. «Ci diamo di nuovo appuntamento al buio a Montmartre?»
   «Sarebbe divertente, ma no», rispose l’altra, prendendolo affettuosamente a braccetto. «Preferisco un appuntamento in piena regola. Non ne abbiamo ancora avuto uno. Beh, non uno che finisse in tragedia…»
   «A dire il vero…» Adrien esitò, indeciso se rivelarle o meno qualcosa che non le aveva mai detto. Preferì essere sincero. «Ricordi quella sera, al Jardin des Tuileries?» Sì, Marinette lo ricordava perfettamente, e il pensiero del loro bacio la faceva ancora vagamente arrossire, nonostante a quello ne fossero seguiti altri. «Ti avevo dato appuntamento per il giorno dopo.»
   «Al Pont de l'Archevêché?»
   «Esatto.»
   Come fosse stata colpita all’improvviso da una folgorazione, la ragazza arrestò il passo e si voltò a guardarlo con occhi sgranati. «Mi… Mi hai davvero aspettata lì?»
   Lui si fermò a sua volta un gradino più in basso e si strinse nelle spalle, quasi con aria colpevole. «Sì, beh… un pochino.»
   «Adrien…»
   «Fino alle nove», ammise infine.
   Marinette si sentì un verme. Era stata talmente preda dei sensi di colpa e della confusione sentimentale per via di quel bacio, da non aver pensato nemmeno lontanamente a quell’eventualità. Si portò entrambe le mani davanti alla bocca, mortificata dal più profondo del cuore. «Sono una persona orribile…»
   «Cosa…? No, non è vero!» la smentì Adrien con decisione. «Immaginavo già che non saresti venuta», le spiegò, cercando di tranquillizzarla. «Solo che… nel dubbio, ho preferito aspettarti lo stesso. Insomma, è colpa mia.»
   Quasi non finì di dirlo, che la ragazza si sporse verso di lui e gli circondò il collo con le braccia. «Non voglio che il nostro primo, vero appuntamento abbia come obiettivo finale una riunione fra portatori di miraculous», disse allora, avvertendo il bisogno di passare del tempo da sola con lui. E no, non soltanto per farsi perdonare per avergli dato inconsapevolmente buca la prima volta.
   «In tal caso», l’accontentò subito il giovane, stringendola a sé con tenerezza, «potremmo rimandarlo a sabato, magari.»
   «Devo fare la babysitter…» mugolò Marinette, seriamente dispiaciuta per la cosa.
   «Tutto il giorno?»
   «Beh, no, solo nel pomeriggio… ma ho promesso ad Alya che di mattina sarei andata da lei.»
   «Quindi… ci rimane la sera.»
   Il tono con cui Adrien pronunciò quelle parole la divertì e la imbarazzò al contempo. «Ti prego, dimmi che non dovrò di nuovo accogliere il mio amante alla finestra…»
   «Oppure potresti venire tu da me.»
   «Mi fai tanto sfacciata?»
   «Che ne è della parità dei sessi? E poi, non mi pare ti sia fatta problemi a spalancare la porta del mio bagno, tempo fa, pur sapendo che ero sotto la doccia.»
   Marinette annaspò in cerca d’aria, ma si tenne stretta a lui, nonostante l’imbarazzo, perché almeno in quel modo poteva nascondersi alla sua vista. «T-Tu stavi fingendo di essere sotto la doccia!»
   «Sì, ma tu non potevi saperlo.»
   «Era una situazione d’emergenza!»
   «Non lo era sul serio… non per me.» Adrien la sentì uggiolare contro di sé e rise. «Sono proprio un disgraziato.»
   «Non immagini quanto», confermò lei, ritrovando in parte la calma e allentando finalmente l’abbraccio. «Ci vediamo più tardi, allora.»
   «Dopo la scuola ci faremo dare un passaggio dal mio autista almeno fino a metà strada», stabilì il giovane per entrambi. «Non voglio che sappia dove stiamo andando.»
   «Non deve saperlo nessuno», annuì Marinette, con la speranza che quel pomeriggio avrebbero ricevuto le risposte necessarie per affrontare situazioni ben più gravi di quelle in cui li cacciava spesso Papillon e alle quali, purtroppo, nessuno di loro due sapeva come porre rimedio.












L'ho finita. Giuro, ho concluso proprio stamattina l'ultimo capitolo, il quattordicesimo. Non sapete che liberazione. XD
No, scherzo, un po' mi spiace, ma avevo davvero bisogno di non essere più condizionata da una storia a capitoli, iniziata a scrivere esattamente due mesi fa. Adesso posso dedicarmi alla lettura delle altre fanfiction e all'eventuale stesura di altre shot. Anzi, una ce ne sarà di sicuro, e sarà sempre legata a questa saga, perché c'è una cosa, una sola, che ancora non ho affrontato. Vediamo chi indovina...
Intanto vorrei sottolineare che ho scritto questa cosa di Adrien (Chat Noir) che aspetta Marinette (Ladybug) al Pont de l'Archevêché ben prima di vedere il nono, meraviglioso episodio della seconda stagione. Che bello aver saputo mantenere un personaggio IC, almeno sotto certi punti di vista...
Ora, archiviata (momentaneamente) la faccenda Chloé, si torna a parlare dei miraculous e dei loro limiti. Ma anche d'amore. Tanto amore.
Sperando che questo aggiornamento anticipato non sia stato sgradito, vi saluto e vi do appuntamento al nono capitolo.
Buona giornata a tutti! ♥
Shainareth





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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***





CAPITOLO NONO




Quando si affacciarono sulla soglia, il vecchio Fu li accolse con un sorriso paterno che fece scivolare loro di dosso parte del nervosismo. «Vi stavo aspettando», annunciò con quella sua voce pacata, capace di mettere chiunque a suo agio. «Avete infine deciso di gettare la maschera», esordì quando i ragazzi si accomodarono dopo un suo invito.
   «Non è stata proprio una cosa voluta», ammise quasi in imbarazzo Marinette, osservando Tikki e Plagg che raggiungevano Wayzz, gioiosi per quella piccola riunione.
   «Ma scommetto che ora ti starai mangiando i gomiti per non averlo fatto prima», commentò ancora il maestro, fingendo di non dar peso al rossore che era salito al viso della ragazza.
   Adrien la fissò intenerito. «Quindi lo sapeva anche lui…» constatò compiaciuto, giusto un attimo prima di affondare la punta di un dito proprio in una delle sue guance bollenti. «Che scemotta…»
   Lei gli schiaffeggiò scherzosamente la mano, lanciandogli un’occhiata indispettita. «L’unico scemotto, qui, sei tu: il solo a non aver capito un accidenti fino a che non glielo ha detto qualcun altro.»
   «Gradite una tazza di tè?» riportò la pace il maestro, mettendo sotto ai loro occhi una ciotola piena di biscotti, che Adrien divorò subito con lo sguardo.
   «Ah, sì, grazie…» rispose Marinette per entrambi, mentre il suo innamorato già allungava una mano per servirsi dei dolciumi. «Mi spiace, approfittiamo sempre della sua ospitalità. E senza neanche avvisarla, per di più.»
   «Non scusarti, ve l’ho pur detto che vi stavo aspettando», le rammentò l’uomo, mentre si adoperava per preparare loro una tisana calda. «Anzi, mi stavo giusto chiedendo come mai non foste venuti qui prima.»
   Fu Adrien a rispondere a quella domanda implicita, dopo aver mandato giù il primo boccone. «Eravamo piuttosto frastornati da ciò che era successo. Anzi, sarebbe più onesto dire che lo siamo ancora», confessò senza remore, dal momento che era convinto che fosse inutile nascondere qualcosa al guardiano dei miraculous. «È stato parecchio…»
   «…traumatizzante, lo so», completò l’altro per lui. Capiva perfettamente cosa stavano provando i due ragazzi, visto ciò a cui lui stesso era stato costretto ad assistere tanti, troppi anni prima. Evitò perciò di insistere al riguardo e passò oltre. «Immagino abbiate delle domande da pormi.»
   «In effetti è così», convenne Marinette, strofinando i palmi delle mani sui jeans, a testimonianza dell’ansia che l’aveva assalita non appena si erano trovati davanti all’edificio in cui viveva il maestro: lì avrebbero forse avuto delle risposte capaci di migliorare o peggiorare il loro stato umorale e psicologico. Si umettò le labbra con la punta della lingua. «Quello che ci stavamo chiedendo da un po’… è…» Tentennò e Adrien venne subito in suo aiuto, stringendole una mano nella propria. Si scambiarono uno sguardo per farsi coraggio a vicenda e infine Marinette tornò a parlare. «C’è nulla che i nostri miraculous possano fare, in situazioni d’emergenza? Come quelle che ci sono state nei giorni scorsi, intendo.»
   Il maestro Fu rimase in silenzio per alcuni interminabili attimi, durante i quali aveva messo l’acqua sul fuoco ed era tornato a sedere al tavolo con loro, mentre i tre piccoli kwami raggiungevano i rispettivi portatori dei miraculous. «Mi state chiedendo se quello della Coccinella può essere la soluzione a tutto, come accade di solito durante i vostri scontri con gli akumizzati di Papillon, dico bene?» I due ragazzi annuirono e lui serrò le labbra, cercando il modo più delicato per condividere con loro le informazioni che possedeva. «Come sapete, a causa dell’incidente occorso al mio ordine, non ho mai concluso fino in fondo l’addestramento di guardiano, perciò forse le nozioni che ho appreso al riguardo potrebbero essere imprecise o, peggio ancora, incomplete», prese a spiegare, suo malgrado. «Tuttavia, lì dove non posso aiutarvi con la conoscenza, posso farlo con la logica.»
   «A cosa si riferisce, nello specifico?» chiese Adrien, che più ancora di Marinette si sentiva del tutto inutile dal momento che il suo, di miraculous, non portava altro che distruzione.
   «Alla storia», rispose semplicemente l’uomo. «Se guardiamo indietro nel tempo, e più nello specifico ai precedenti possessori del miraculous della Coccinella, li ritroviamo sempre nei momenti più bui dell’umanità. Nell’antico Egitto, fra le amazzoni greche, fra le schiere dei guerrieri aztechi o, ancora, fra i campi di battaglia durante la guerra dei cent’anni», prese ad enumerare con calma, dando ai suoi giovani ascoltatori tutto il tempo per assorbire quelle nozioni. «L’elenco sarebbe molto più lungo, ma ve lo risparmierò. Ciò che è importante è che comprendiate cos’è accaduto durante tutti questi secoli. Millenni, per essere precisi. Cos’è che ricorre perennemente nei libri di storia, indipendentemente dall’epoca?»
   «La guerra», sospirò Adrien, intuendo già dove volesse arrivare il maestro.
   Quello annuì, suo malgrado. «La guerra, che causa distruzione, uccisioni, carestie, pestilenze…»
   «…e anche nel corso dei millenni, il miraculous della Coccinella non ha potuto fare nulla per evitare che accadessero quelle tragedie…» mormorò Marinette, trovando conferma in ciò che le era già stato detto dal suo kwami e abbassando lo sguardo davanti a sé. Gli occhioni azzurri di Tikki la fissarono affranti e lei si domandò quale e quanta sofferenza avesse vissuto quella piccola creatura millenaria. Di più, aveva dovuto sopportare anche la perdita dei portatori e delle portatrici, dei suoi amici, ai quali si era legata fin da che ne aveva memoria; sarebbe sopravvissuta persino a lei, quando sarebbe arrivata l’ora, senza poter fare nulla per cambiare quello stato di cose. Le sfiorò la testolina con la punta di un polpastrello, avvertendo le lacrime salire a bagnarle le ciglia scure, un nodo non indifferente in gola, il cuore stretto in una morsa soffocante: era lei, la piccola, grande Tikki la vera eroina. Lei e tutti gli altri kwami, che condividevano quel maledetto, immutabile destino.
   «Non c’è davvero nulla che possiamo fare?» La voce di Adrien le giunse come se fosse lontana, ovattata da quel dolore sordo che quasi le toglieva il fiato.
   «State già facendo il possibile», assicurò loro il maestro, che si era accorto del malessere della ragazza e la fissava ora con affetto e dispiacere. «Senza il vostro aiuto, ci sarebbero state molte, molte più vittime», fece presente loro, cercando di mantenere un tono di voce dolce per rispettare lo stato d’animo dei suoi giovani colleghi. «E vorrei che anche tu comprendessi una cosa, Adrien», aggiunse dopo un attimo, tornando a rivolgersi soltanto a lui. «Il miraculous del Gatto Nero porta con sé la distruzione, è vero. Eppure è stato proprio grazie al suo potere se è stata fatta la differenza durante le ultime tragedie successe qui.»
   Ripercorrendo dolorosamente i frenetici ricordi di ciò che era accaduto nelle ultime settimane, Adrien si rese conto che il maestro Fu aveva ragione: era stato grazie al suo Cataclisma, alla sua forza sovrumana e alla sua arma indistruttibile che molte delle persone rimaste sepolte dalle macerie erano riuscite a cavarsela.
   «Ciò che conta davvero», stava continuando il maestro, «non è il tipo di potere che possediamo, quanto il modo in cui decidiamo di usarlo.»
   E Papillon per primo ne era la dimostrazione. Adrien non avrebbe commesso lo stesso errore, non sarebbe mai caduto preda della rabbia che lo divorava continuamente, anche e soprattutto perché aveva trovato un modo infallibile per sconfiggerla: Marinette. Quando gli sembrava di soffocare per quei sentimenti negativi che minacciavano spesso di sopraffarlo, chiudeva gli occhi e pensava a lei, ai suoi occhi e al suo sorriso, al suono della sua voce e al calore del suo abbraccio. Nulla poteva scalfire il potere che gli dava l’amore che provava per lei.
   Il fischio del bollitore interruppe il discorso e il maestro Fu si alzò per versare l’acqua nelle tazze. Approfittando del momento, Adrien si sporse per baciare Marinette sul viso, facendole sussultare il cuore per quel gesto inatteso. Lo fissò stupita e lui le regalò un sorriso silenzioso, mentre con le dita le scostava una ciocca di capelli ribelli dalla guancia: quella ragazza non aveva la minima idea di quanto fosse importante per lui, di quanto colmasse d’amore il suo animo, di quanto gli facesse battere il cuore. Era paradossale, ma Marinette era in grado di farlo entusiasmare e rasserenare al contempo, e Adrien sapeva che niente e nessuno al mondo avrebbe mai potuto sostituire quel prezioso legame che entrambi avevano inconsapevolmente iniziato a tessere dal primo istante in cui si erano incontrati.

Uscirono da casa del maestro tenendosi per mano e avvertendo un disperato bisogno di condividere almeno quel contatto fisico. «Non voglio aspettare sabato», affermò Marinette, fissandolo dritto negli occhi. «Posso venire da te, stasera?»
   «Verrò io», preferì il giovane. «So come eludere le telecamere che sono disseminate all’esterno di casa mia», spiegò pratico. «In più, un gatto nero dà meno all’occhio di una coccinella con una tutina sgargiante», aggiunse in tono più leggero, sperando di risollevarle almeno un po’ il morale. Parve riuscirci, perché lei gli sorrise con gratitudine. «Per le dieci va bene?»
   «Meglio se facciamo per le dieci e mezza», rispose per prudenza. «È probabile che i miei siano già a letto, a quell’ora, ma preferisco non rischiare.»
   «Non è che potresti far trovare un premio al tuo bel gattone?» domandò Adrien, sfacciato, avviandosi con lei verso il punto in cui il suo autista sarebbe venuto a prenderli di lì a poco.
   «Una ciotola di latte caldo può andare?»
   Storse la bocca in una smorfia di disappunto. «Ci aggiungeresti anche dei biscotti?»
   «E dei croissant, immagino.»
   «Per quelli, il tuo chaton potrebbe anche decidere di miagolarti quella serenata di cui parlava tempo fa.» Marinette finalmente rise e lui si deliziò per quel suono che amava sopra ogni altra cosa al mondo. Avrebbe voluto farglielo sapere, ma preferì rimandare quella confessione ad un momento più propizio; ora, la sola cosa che gli importava era che lei continuasse a sorridere: ne valeva la sua sanità mentale.
   Alla fine, tuttavia, Marinette fu costretta a mandargli un messaggio per rinviare quell’incontro. Sabine aveva preso una fastidiosa infreddatura e sua figlia le aveva imposto di rimanere a riposo: ci avrebbe pensato lei ad aiutare suo padre al negozio e questo, oltretutto, le avrebbe dato quella buona dose di distrazione che le occorreva per non fossilizzarsi su riflessioni non del tutto felici. Le preoccupazioni, però, erano sempre lì pronte ad assalirla, e Marinette ne ebbe la riprova non appena la giornata lavorativa finì e lei si ritirò in camera sua per riposare. O meglio, per fare i compiti che aveva tralasciato nel pomeriggio. Pur esausta, si costrinse a sedere alla scrivania e a prendere i libri in mano, con Tikki che la guardava con comprensibile preoccupazione.
   Il cellulare della ragazza vibrò per l’ennesima volta, quel giorno. Dopo aver contattato Adrien, Marinette lo aveva messo da parte e non vi aveva più badato. Adesso avrebbe dovuto fare la medesima cosa, dal momento che lo studio aveva la priorità, ma fu il piccolo kwami a spronarla a rispondere, un sorriso allegro sul visetto rotondo. Pur non comprendendo la ragione per cui avrebbe dovuto farlo, dal momento che si trattava per di più di un numero anonimo, la ragazza decise di fidarsi di lei e aprì la chiamata. «Dovresti considerare l’idea di mettere una gattaiola per facilitarmi l’ingresso in camera tua», le consigliò caldamente la bella voce dall’altra parte della linea.
   Marinette si illuminò di gioia. «Chat Noir!» le venne spontaneo esclamare, sentendosi subito meglio.
   «So che non ero atteso, ma sono sul tuo balcone. Verresti ad aprirmi, buginette?» Il giovane non finì di dirlo che la botola che conduceva di sotto si aprì e la ragazza ne uscì fuori in un lampo, correndo ad abbracciarlo. Pur colto alla sprovvista da quella reazione impulsiva, Chat Noir la strinse subito a sé. «Lo so, lo so, faccio quest’effetto alle donne.»
   «Non costringermi a morderti», mormorò Marinette contro la sua spalla, crogiolandosi nel suo tepore e facendo quasi le fusa al posto suo.
   Lui rise e le baciò il capo. «Anche se mi avevi detto di non venire, ho pensato che fossi troppo stanca per studiare e così… ti ho portato i miei compiti», le spiegò, allentando suo malgrado l’abbraccio e porgendole una cartellina piena di fogli e appunti. «Ti autorizzo a copiarli tutti.»
   «Grazie, ma non avresti dovuto…»
   «Sì, invece», contestò deciso.
   «Però…»
   «Lasciati viziare, ogni tanto.»
   Sorridendogli grata, Marinette accettò infine il suo aiuto. Lo prese per mano e lo trascinò di sotto con sé. «Già che sei qui, mi sembra il minimo ricompensarti a dovere.»
   «Potresti fare a meno di dire cose equivoche?»
   «Vuoi che ti lasci al freddo e al gelo per raffreddare i bollenti spiriti?»
   «Come sta tua madre?» glissò l’altro, divertito dalle sue risposte pronte.
   «È solo una leggera influenza, per fortuna», rispose la ragazza, poggiando sulla scrivania i compiti che lui le aveva portato. Tikki volò intorno a loro e Adrien allungò un dito per darle una carezza affettuosa sul pancino, solleticandola e facendola ridere. «Lo avevi visto arrivare?» volle sapere da lei Marinette, osservandoli con tenerezza. «È per questo che mi hai detto di rispondere al telefono?»
   «Esattamente», annuì il kwami. «Ero certa che ti avrebbe risollevato subito il morale.»
   «Lieto di avere tanto potere su di te, my lady», si intromise Chat Noir, ostentando una spocchia che fece ruotare le iridi dell’amata verso l’alto. «Ma non voglio rubarti altro tempo. Hai bisogno di riposare», aggiunse poi, recuperando quella dolcezza innata che lo contraddistingueva e che aveva contribuito a far innamorare Marinette.
   «Non ti fermi neanche per uno spuntino?»
   «Hai davvero l’istinto della gattara?»
   «Temo che sarà davvero la fine che farò, a furia di frequentarti. E dire che di solito non ho un bel rapporto con voi felini.»
   «Quindi sarai una gattara monogama?»
   «Suppongo di sì.»
   «Buono a sapersi, potrei diventare geloso.» Adrien si sporse per baciarla e stringerla un’ultima volta a sé. «Se hai difficoltà a capire la mia calligrafia, non esitare a chiamarmi. Per il resto… ci vediamo domani a scuola.»
   Anche dopo che Chat Noir sparì nell’oscurità della notte, Marinette rimase a contemplare il cielo buio stringendosi nelle spalle. Sebbene quella visita fosse durata appena una manciata di minuti, grazie a lui adesso si sentiva rinvigorita; non era il solo, Adrien, ad aver bisogno della sua presenza e del suo amore. Ora più che mai, Marinette era felice di poter condividere ogni cosa con lui non soltanto nel quotidiano, ma anche e soprattutto quando il destino decideva di metterli a dura prova a causa dei miraculous che erano stati affidati loro. Quel pomeriggio, il maestro Fu aveva ribadito che era più che mai certo di aver preso la decisione giusta, scegliendoli come i nuovi Ladybug e Chat Noir, quegli eroi che tutta Parigi amava e ammirava. E per quanto questo facesse bene alla loro autostima, era difficile per i due ragazzi accettare anche il rovescio della medaglia, ed entrambi lo stavano scoprendo sulla loro pelle.

«È bellissimo, Marinette!» esclamò Manon, saltellando davanti a ciò che lei le stava mostrando. Ci aveva speso su un bel po’ di tempo e fatica, nonostante il periodo non proprio roseo, la stanchezza e la miriade di impegni personali e non; eppure la gioia incontenibile di quella bambina, che la guardava con due occhi pieni di meraviglia e le rivolgeva il sorriso più grande che le avesse mai visto in volto, ripagavano Marinette di ogni singolo sforzo.
   «Sono felice che ti piaccia», disse con orgoglio. «Vuoi provarlo? Così, se c’è qualcosa che non va, la sistemiamo subito.»
   Manon non se lo fece ripetere due volte, e subito si adoperò per slacciare la salopette che indossava. La ragazza l’aiutò a mettere il vestito e la piccola si mosse il meno possibile, manifestando tutto il suo sacro timore di rovinarlo o di strapparlo in qualche punto. Quando però si vide allo specchio, la sua allegria fu tale che iniziò di nuovo a saltellare per l’entusiasmo. «Sembro davvero una principessa!»
   «Oh, ma lo sei», le assicurò Marinette, riempiendosi di gioia per quella visione. In fin dei conti, si ritrovò a pensare mentre osservava il modo in cui Manon rimirava la propria immagine riflessa, anche la compagnia di quella bambina così vivace e piena di vita riusciva a risollevarle l’umore e a distrarla dalle preoccupazioni. La stessa Alya, quella mattina, l’aveva aiutata non poco al riguardo, coinvolgendola prima in una sessione di sfide ai videogames e poi negli schizzi di restyling per il Ladyblog. Era stato piuttosto strano e imbarazzante doverci lavorare su, dal momento che l’oggetto di tutta quella celebrazione virtuale era proprio lei… Di una cosa, però, andava fiera: aveva convinto Alya a dare più spazio a Chat Noir all’interno del blog; non che prima l’eroe non ne avesse avuto, ma per lei che ora guardava al giovane con gli occhi dell’amore, sembrava sempre troppo poco.
   Quando Nadja tornò a prendere Manon e la trovò vestita in quel modo, ne rimase piacevolmente ammirata e non mancò di dirlo a Marinette. «Hai davvero talento da vendere», si complimentò, mentre la bambina raccoglieva la propria roba e la metteva nello zainetto. «Non mi stupisce che tu sia molto amica del figlio di Gabriel Agreste.»
   Pur essendole grata per aver usato il termine amica anziché qualcosa di più intimo per descriverla, la ragazza non poté fare a meno di increspare la fronte, non del tutto sicura di aver afferrato il senso di quell’affermazione: la stava forse accusando di sfruttare il suo rapporto con il giovane per farsi strada nel campo della moda, in futuro? «Io e Adrien siamo in classe insieme.»
   «E andate anche parecchio d’accordo, da quel che ho potuto notare alcune settimane fa», osservò Nadja, ammiccando a quell’ormai lontano giorno in cui li aveva visti impegnati in un bacio che non lasciava molto adito a dubbi.
   Marinette arrossì. «La prego, non gli faccia domande personali al riguardo, se davvero dovesse venire ospite alla sua trasmissione…» si raccomandò allora, temendo che l’indole della giornalista di madame Chamack venisse a galla come al solito.
   Lei le sorrise con fare materno. «Non ti nascondo che non sarebbe male, come scoop… Dopotutto hai avuto anche tu, la tua bella copertina su una famosa rivista di musica», constatò, ricordando la sua collaborazione con Jagged Stone, con il quale Marinette continuava a mantenere i contatti.
   «S-Sì, ma…» iniziò a balbettare la ragazza, cominciando a temere il peggio.
   «Potresti venire anche tu come ospite, insieme ad Adrien», la provocò Nadja, che in realtà voleva solo prenderla affettuosamente in giro. Quando la vide sbiancare, però, gettò via la maschera e le sorrise con fare materno. «Rilassati, stavo scherzando.» L’altra tornò a respirare. «Non mi permetterei mai di giocare con i tuoi sentimenti.» Dopo quell’affermazione, si sentì persino in colpa per aver pensato che madame Chamack l’accusasse di trarre profitto dalla sua relazione con Adrien. Eppure, nonostante tutto, memore del pericoloso precedente della prima puntata della trasmissione della donna, Marinette decise di rimanere sul chi va là. «Manon, vogliamo andare? Si sta facendo tardi.»
   «Eccomi!» esclamò la bambina, avanzando solennemente nel suo abito da principessa. «Ci vediamo presto, Marinette!»
   «Mi trovi sempre qui», le garantì lei, abbracciandola e affondando la bocca nella sua guancia paffuta. «E anche se mancano ancora due giorni… buon compleanno.»
   Nel momento stesso in cui le due uscirono dalla sua camera, la ragazza si lasciò cadere stancamente sulla sedia della scrivania e Tikki fece capolino dal suo nascondiglio, volandole vicina. «Manon era davvero contenta del suo regalo. Devi essere fiera di te, Marinette», si complimentò, condividendo con lei quel piccolo momento di orgoglio.
   L’altra le sorrise e le porse una mano per accarezzarla. «Grazie infinite, Tikki.» E no, non solo per il tuo immancabile sostegno, avrebbe voluto aggiungere. Da quando le parole del maestro le avevano aperto gli occhi, cercava di avere maggior riguardo per quella piccola creatura, senza darla mai per scontata: le doveva moltissimo.
   «Ora che hai finito il suo vestito, potrai finalmente concederti un po’ di riposo.»
   «Neanche per sogno», replicò con sguardo deciso. «C’è ancora la sfilata della scuola.»
   «Non era stata rinviata?»
   «Sì, ma grazie al cielo per il momento sembra sia tornata la pace, in città, per questo sono certa che da un giorno all’altro il preside ci comunicherà una nuova data per l’esibizione», prese a spiegare, recuperando fra gli scaffali della scrivania il suo blocco degli schizzi e aprendolo alla pagina in cui aveva abbozzato il completo che avrebbe dovuto indossare Adrien. «Mi manca ancora così tanto per finirlo…» ragionò fra sé, picchiettando il dorso della matita sul disegno fatto.
   «Stasera Adrien verrà qui, puoi chiedergli di darti una mano», le suggerì Tikki, spronandola a non preoccuparsi troppo. «Hai ancora un mucchio di tempo per finire tutto.»
   «In realtà, vorrei chiedergli anche un’altra cosa», le rivelò Marinette, che avvertiva un disperato bisogno di tenersi impegnata. Sospirò, passandosi una mano sulla fronte con aria stanca. «Anche se temo che di questo passo mi accuserà di sottrarre tutto il tempo libero a sua disposizione…»
   «Mh, non credo, sai?» la rassicurò il kwami, che aveva inquadrato Adrien anche meglio di lei. «Anzi, sarà felice di passarlo con te.»

«No, non hai capito», ricominciò Plagg, paziente, mentre Tikki, seduta davanti alla TV insieme a lui, lo fissava coi suoi grandi occhi azzurri. «Donna Ester ha sposato il barone perché credeva che il figlio di lui, Ignazio, l’avesse abbandonata, mentre in realtà era stata la suocera del barone a mettere zizzania fra loro. Perciò, a sua volta, Ignazio ha sposato Alice, che però è stata col fratello di lui, Abelardo, che la ama da sempre. Oltretutto, Abelardo e Ignazio non hanno neanche lo stesso padre, ma loro non lo sanno, e Abelardo è convinto di essere invece fratello di Alice. Ma c’è stato insieme comunque.»
   «Ne hanno di fantasia, nelle telenovelas…» mormorò Marinette, ascoltando quello sproloquio dall’alto del soppalco e arricciando il naso per quell’ultima rivelazione.
   «In realtà, se proprio vuoi saperlo», protestò Plagg dabbasso, quasi come se l’avesse presa sul personale, «nella mia lunga vita ho visto cose ben peggiori di queste.»
   «Persino del figlio che Alice aspetta da Abelardo e che vuole spacciare per figlio di Ignazio?»
   «Oh, allora sei stata attenta…»
   «Come una brava comare», assicurò Marinette, ridendosela sotto ai baffi. Chi diamine se l’aspettava che quel piccolo kwami pasticcione fosse anche interessato a storie del genere?
   «Ha iniziato a guardarle per noia e per prenderle in giro», spiegò allora Adrien, steso a metà sul letto insieme a lei, «ma ho il più che giustificato sospetto che con l’andare del tempo si sia appassionato sul serio.»
   «Ma perché Alice è stata con Abelardo, pur sapendo che sono fratello e sorella?» s’incuriosì Tikki, che a dirla tutta non trovava davvero strane quelle relazioni incestuose o presunte tali. Aveva vissuto ai tempi dei faraoni, dopotutto, dove nella famiglia reale unioni del genere erano più che incoraggiate per preservare la purezza del sangue della dinastia.
   «Non sono davvero fratelli», le svelò Plagg, spalancando gli occhi verdi. «Anni prima, la moglie del rivale del barone aveva perso il bambino che aveva dato alla luce, ma siccome è pazza e voleva dare a tutti i costi un figlio a suo marito, ha rapito una neonata e l’ha spacciata per figlia sua.»
   «Io comincio a perdere il filo», si arrese Marinette, decidendo di non ascoltare un’altra parola di quell’assurdità.
   «Pensa a me, che devo sorbirmi questa roba anche mentre studio», sospirò sconsolato Adrien, ruotando le pupille verso il soffitto. «E ha pure il coraggio di accusarmi di essere melenso.»
   «Tu sei melenso», ribadì il kwami per dovere di cronaca.
   Adrien lo ignorò a bella posta. «Allora, me lo fai vedere, questo schizzo?» domandò all’amata, tirandosi un pochino su e poggiando la schiena contro i cuscini. La ragazza gli passò il blocco con gli appunti e i disegni fatti per la sfilata, indicandogli le sue preferenze e lui annuì soddisfatto. «Adoro i tuoi modelli…»
   «Sei di parte», si schermì Marinette.
   «No, non è vero», le assicurò il giovane. «Se ben ricordi, mi piacevano già molto tempo prima che noi due…» Lasciò cadere la frase nel vuoto, non del tutto sicuro di come continuarla. Vide la sua innamorata fissarlo accigliata e questo contribuì a renderlo teso. «Beh, che ci…»
   «Sul serio non sai come definire il nostro rapporto?» volle sapere a quel punto Marinette, incrociando le braccia al petto con aria sconcertata. Non era stato lui stesso a definirsi il suo fidanzato e ad augurarsi di passare l’intera vita insieme a lei non più tardi di una manciata di giorni prima?
   «No, no», scattò subito sulla difensiva Adrien, le labbra stese in un sorriso tirato. «Certo che lo so. È solo che… non ne abbiamo mai parlato davvero.» Lei aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò e sbuffò, agitando le mani con fare nervoso. «Ok, ascolta», ricominciò il giovane, mettendo da parte il blocco da disegno e prendendole le dita fra le sue con dolcezza. «C’è una cosa che dovrei dirti da un po’… da un bel po’ e se ho esitato fino ad ora è stato solo per una stupida… paura, credo.»
   «Aspetta, ho capito», lo interruppe Marinette, raccogliendo le ginocchia al petto e fissandolo dritto negli occhi con aria seria e compassata. «In realtà siamo fratello e sorella pure noi.» Adrien fu tentato di scipparle il cuscino da dietro la schiena e di usarlo per colpirla in faccia, ma alla fine riuscì a domare l’istinto e incrociò le braccia al petto, regalandole un’espressione immusonita. «Scusa, scusa!» esclamò lei, tentando di recuperare e sbaciucchiandogli il volto, benché lui fingesse di non gradire quelle attenzioni. «E dài! Ammettilo, te lo sei meritato!»
   «Anche tu, fidati!» le garantì il giovane, contrattaccando di sorpresa con vigore e dandole tregua solo quando la vide stramazzata sotto di sé, gli occhi lucidi e le labbra ancora socchiuse per quella reazione inaspettata. Si chinò per baciarla ancora. «Ti amo.» Marinette avvertì il cuore perdere un battito e lo guardò come se non lo avesse mai visto prima di allora. Adrien la baciò per l’ennesima volta, sentendola sciogliersi sotto al suo peso.
   «Abelardo ha sfidato suo padre a duello!»
   «Plagg!» gridò esasperato, facendo leva sulle braccia per alzarsi e andare a litigare con lui, reo di aver spezzato l’incanto del momento.
   Le mani di Marinette si aggrapparono alla sua maglietta, costringendolo a rimanere fermo dov’era, e lei iniziò di nuovo a sbaciucchiargli il viso, più dolcemente, trattenendo a stento le risate. «Sssh! Vuoi svegliare i miei?»
   No, decisamente non voleva, perciò Adrien tornò a stendersi al suo fianco, sia pure imbronciato. «Scusa.»
   «Scusami tu», rispose la ragazza, carezzandogli una guancia. «Avevi qualcosa di importante da dirmi e non me ne sono resa conto.»
   «Marinette~» cantilenò Tikki dal ripiano della scrivania, fingendo nonchalance.
   Lei strizzò le palpebre e si vide costretta ad essere sincera. «No, non è vero», ammise allora, tornando a guardare Adrien. «Lo avevo capito, ma… mi sono fatta prendere dal panico.»
   «Perché?» le chiese il giovane, cercando di capire il suo punto di vista.
   «Non me lo chiederesti, se solo ti ricordassi come reagisco quando sono in preda all’ansia…»
   «Intendi quando inizi a sproloquiare o combini qualche guaio?» fu la domanda retorica che seguì quell’osservazione. Lei annuì. «Quindi era per questo che il novanta percento di ciò che mi dicevi quando abbiamo iniziato a fare amicizia… era incomprensibile?»
   «Beh, almeno alla fine te ne sei reso conto…» sospirò Marinette, coprendosi il viso con le mani per la vergogna. «E poi… c’è un’altra cosa…»
   Intenerito, Adrien le prese i polsi fra le dita per liberare ogni ostacolo che gli impedisse di fissare ancora quegli occhi che amava profondamente. «Quale?»
   Trovando giusto essere sincera come lo era stato lui, la ragazza si armò di coraggio e prese un grosso respiro prima di rispondere: «Ti amo anch’io. Tantissim…» Non finì di dirlo, che Adrien soffocò le sue parole con un altro bacio e divenne del tutto sordo al resto delle rivelazioni sensazionali su Ignazio e Abelardo che riempirono la camera al di sotto del soppalco.
   A quella reciproca dichiarazione d’amore, che aveva infine chiarito del tutto il loro rapporto, avevano fatto seguito diverse altre ammissioni. Tra queste, quella di non riuscire a dormire in modo decente da almeno tre settimane, e cioè da quando erano stati testimoni del primo attentato avvenuto in città. Per quanto il loro spirito altruista avesse avuto la meglio e li avesse spinti a dare il massimo per aiutare la popolazione, in quella e nella successiva situazione di estrema emergenza, il loro animo sensibile era stato messo a dura prova e ancora ne pagava le conseguenze. Nessuno dei due era in grado di dimenticare le orribili scene a cui avevano assistito, né le strazianti urla di dolore delle vittime di quei maledetti attentati. «A volte», aveva confessato Marinette con voce tremula e occhi lucidi, «mi sveglio di soprassalto e piango.» Adrien l’aveva stretta a sé, comprendendo appieno quel dolore perché lo provava in prima persona. L’unica volta in cui era riuscito a riposare davvero, le aveva rivelato a sua volta, era stato quando avevano dormito insieme. Ciò li persuase a condividere il letto anche quella notte, le mani intrecciate, le fronti vicine e il caldo respiro dell’altro sul viso: era tutto ciò di cui avevano bisogno per sentirsi in qualche modo protetti dalla cruda realtà.
   Con le pile ricaricate, dopo aver salutato l’amato un attimo prima che lui balzasse sui tetti vicini per tornare a casa, Marinette si soffermò a fissare la luce del cielo immediatamente prima dell’alba. Le capitava di rado di ammirare quello spettacolo e rimase sul balcone, stringendosi in un plaid, a respirare a pieni polmoni l’aria frizzante del mattino. Anche questo contribuì a rasserenarle l’animo e quando il sole sorse del tutto, tornò in camera sua, pronta ad affrontare una nuova giornata.












Ho sempre pensato che il miraculous di Ladybug non sia in grado di riportare davvero tutto alla normalità. Come ragionavo tempo fa con Florence (che ringrazio di cuore per tutto l'aiuto e il supporto), i morti non possono resuscitare. In più, se davvero fosse esistito un potere come quello di Ladybug, quante brutte cose sarebbero potute andare diversamente, nel corso della storia umana? Purtroppo così non è stato e ciò mi ha spinto a credere che, pur nell'universo fantastico creato da Thomas Astruc, ogni miraculous abbia i suoi limiti per questo o quel motivo.
Al di là di tutto, comunque, penso che in effetti i veri eroi siano sul serio i kwami: creature millenarie che sopportano tante, troppe sofferenze, a cominciare dalla morte dei loro portatori (e amici). Quanto diamine sono forti, psicologicamente ed emotivamente?
Parlando di cose più allegre, mi è stato fatto notare una cosa riguardo a questo capitolo e più in particolare all'interesse di Plagg per la telenovela. Non ho (ancora) letto Miraculous Heroes di Ecochide, perciò non avevo la più pallida idea che lì ogni kwami avesse una fissa per qualcosa. Si sono premurati di avvertirmi della cosa, temendo che la mia idea riguardo Plagg possa essere vista come un plagio (o un omaggio, a seconda dei punti di vista). Non credo però di correre questo rischio: Plagg non è davvero appassionato di quella roba, c'è un motivo (idiota) per cui la guarda e verrà rivelato verso la fine della storia, come leggerete voi stessi. Posso essere assolta da ogni accusa o devo ugualmente cospargermi il capo di cenere per un qualcosa che non ho fatto, visto che comunque non ho letto le opere di Ecochide (a parte una, che ho anche recensito mesi fa ed è slegata dalla sua saga)? XD
Detto questo, vi ringrazio come sempre per la vostra gentilezza e il vostro calore, siete molto importanti per me, perché siete stati voi a spingermi a portare a termine questa storia. Mi auguro di cuore di non deludere le vostre aspettative con i prossimi capitoli!
Buon inizio di settimana a tutti!
Shainareth





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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***





CAPITOLO DECIMO




Le forze dell’ordine erano riuscite a sventare un nuovo attentato, il secondo in pochi giorni. Una telefonata anonima aveva allertato la polizia, e gli artificieri erano intervenuti in tempo per disinnescare quello che aveva tutta l’aria di essere un pacco bomba lasciato in una stazione metropolitana locale. Quando Adrien ascoltò la notizia al telegiornale, provò un senso di sollievo non indifferente, forse persino più del resto dei suoi concittadini. Ciò nonostante, si domandò se quel modus operandi fosse il medesimo dei precedenti attentati e il suo istinto gli disse di no, poiché quando era stato nella bolgia delle macerie, in entrambe le occasioni nessuno aveva fatto cenno a pacchi bomba. Glielo confermò pochi attimi dopo lo stesso speaker del notiziario, comunicando che, secondo le dichiarazioni della polizia, il rozzo e artigianale ordigno rinvenuto quella mattina non poteva in alcun modo essere ricollegato alle carneficine delle settimane precedenti, che sembravano invece essere state eseguite da militanti ben addestrati. L’unica cosa che si ignorava ancora era l’identità degli autori: nessuno aveva rivendicato le stragi. Significava forse che quegli assassini anonimi avevano degli emuli? Questo avrebbe di certo contribuito a seminare il panico in una città che era ormai blindata dalle forze dell’ordine.
   Sullo schermo iniziarono a scorrere le immagini di ciò che il giovane aveva vissuto in prima persona e subito spense la televisione, lanciando il telecomando sul divano, lontano da sé, e portandosi le mani al volto: perché i giornalisti dovevano insistere con quegli orrori? Non era stato già abbastanza, per tutti, dover assistere impotenti alle dirette televisive fatte durante le ore immediatamente successive alle stragi?
   Un trillo lo ridestò da quei tetri e rabbiosi pensieri e Adrien recuperò il cellulare lasciato sul tavolino davanti a sé: Alya aveva appena creato una chat di gruppo che includeva loro due, Nino e Marinette. Visto che il destino ci impedisce di andare al cinema, che ne dite di organizzare una visione casalinga?
   Adrien la trovò un’ottima idea e riuscì a bruciare gli altri sul tempo con la sua risposta, invitandoli da lui per quel pomeriggio. «A tuo padre non dispiacerà?» gli domandò Plagg, fluttuandogli davanti al naso.
   «No, pare stia cominciando ad accettare il fatto che io abbia degli amici», fu la serena risposta che diede il giovane. «Oltretutto, sarà una buona occasione per presentargli a dovere Marinette.»
   «Papà, ti presento la donna che un giorno sposerò!» lo scimmiottò il kwami, ricevendo un’occhiataccia dall’amico. «E dài, lo so che lo hai pensato.»
   «Ciò non significa che lo dirò», ribatté Adrien, non negando alcunché, nonostante il rossore diffuso sulle guance. «E comunque, preferisco evitare di essere troppo brusco nel comunicargli che ho la ragazza. Non che ci sia nulla di male, ma, conoscendolo, potrebbe avere da ridire al riguardo. Tipo che sono troppo giovane o roba simile. Procederò un passo per volta.»
   «E se non dovesse piacergli?»
   «Impossibile», gli assicurò con un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Marinette è adorabile, piace a tutti.»
   «Meno che a Chloé», puntualizzò Plagg, ricordandogli dell’eterna rivalità fra le due ragazze.
   «Beh, lei non sarà qui, oggi, perciò non vedo cosa possa andare storto», replicò Adrien, leggendo le risposte entusiaste dei suoi amici sul display del cellulare.
   Una di quelle, però, nascondeva sentimenti contrastanti.
   «Tikki! Conoscerò suo padre!» esclamò Marinette, portandosi le dita fra i capelli con aria sconvolta.
   «Lo hai già conosciuto», le ricordò la creaturina, dando un morso ad uno dei biscotti che l’altra le aveva portato in camera poco prima. «E come Ladybug ci hai anche avuto a che fare più volte.»
   «Sì, ma monsieur Agreste non sa che sono io!» protestò la ragazza. «E l’ultima volta che ci siamo visti… oddio, che figura!» Si coprì il volto con le mani, temendo che avrebbe avuto un esaurimento nervoso, prima o poi.
   «Invece di fossilizzarti solo sui lati negativi della cosa, perché non pensi piuttosto a dare il massimo per rendere Adrien orgoglioso di te?» cercò di incoraggiarla Tikki, guardandola con tenerezza. «Hai così tante belle qualità… Dovresti solo avere un po’ più di fiducia in te stessa.»
   C’era saggezza in quelle parole, Marinette se ne rendeva conto. Tuttavia, non era davvero semplice mettere in pratica certi buoni propositi quando c’erano di mezzo determinate emozioni. Oltretutto, l’ultimo incontro con Nadja Chamack le aveva aperto un nuovo, disastroso orizzonte al quale non riusciva a smettere di pensare. Sarebbe davvero stata in grado di mantenere la calma?

Lo scoprì nel momento esatto in cui, con Alya e Nino, si trovò davanti all’ingresso della villa della famiglia Agreste. Fu il giovane a bussare al campanello, poiché Alya era troppo impegnata ad osservare lo strano fenomeno che aveva di fianco e che la stava portando a credere che, quello stesso strano fenomeno, avrebbe avuto un collasso da un minuto all’altro.
   «Marinette, vuoi rilassarti?» tentò di farla ragionare, posandole affettuosamente una mano sulla spalla. «È solo Adrien. Il tuo ragazzo. Colui con cui, si presuppone, tu possa essere liberamente te stessa. Non può davvero farti ancora quest’effetto. Anche perché mi pare che tu sia riuscita a vincere del tutto la timidezza, con lui.»
   «Non è a causa sua che sto per avere un ictus», le assicurò lei, con gli occhi spiritati di una pazza isterica. Alya non fece in tempo a chiederle altro che il cancello si aprì e dal portone in fondo al viale si affacciò la figura bionda di Adrien, che li salutava da lontano con entusiasmo. Marinette tornò a respirare, sciogliendosi davanti a quella visione divina. «Awww, è meraviglioso~» cinguettò, portandosi le mani al petto, quasi avesse paura che il cuore potesse sfondarle la cassa toracica e saltellare fino a lui per comunicargli tutto il suo amore.
   «Dovresti fare qualcosa per questa storia della perdita di controllo delle emozioni», le consigliò caldamente Alya, alzando gli occhi al cielo e afferrandola per un polso per trascinarla dentro la proprietà.
   «Benvenuti!» esclamò Adrien, aprendo le braccia ai lati del corpo non appena varcarono la soglia. Fece scivolare lo sguardo sui loro volti, soffermandosi su quello di Marinette, al quale riservò una strizzatina d’occhio.
   Lei sorrise con amore. Fu solo per un attimo, però, perché una voce irruppe tra loro. «Dunque sono loro, gli amici che hai invitato.» La figura di Gabriel comparve imponente e severa in cima alla scalinata d’ingresso, squadrandoli tutti dall’alto quasi come se volesse studiarli e decidere se dare o meno la propria approvazione alla cosa.
   «Papà…» mormorò Adrien, stupito per quell’apparizione ma felice di poter condividere quel momento insieme a lui. «Nino lo conosci già», iniziò allora, recuperando l’entusiasmo mentre l’uomo scendeva verso di loro. «Lei invece è Alya, e lei…»
   «Marinette Dupain-Cheng», completò Gabriel per lui, gli occhi fissi sulla ragazza che ora sembrava di nuovo una statua di sale.
   «Ti ricordi di lei?» si meravigliò il giovane, contento di quella scoperta. «È per via del concorso che ha vinto tempo fa, vero? Quello della bombetta.»
   Suo padre aggrottò appena la fronte. «Ah, era lei?»
   Adrien inarcò le sopracciglia bionde. «Sì… non te lo ricordavi?»
   «Ti chiedo di scusarmi per questa mia mancanza», disse l’altro, rivolgendosi direttamente a Marinette. «Ottimo lavoro, comunque.»
   La ragazza stese le labbra in un sorriso inquietante, di quelli capaci di infestare gli incubi peggiori non soltanto dei bambini. «G-Grazie…» balbettò con voce stridula. Adrien la guardò stranito e lei si sentì ancora più sotto pressione.
   «Marinette si sta occupando anche del modello che indosserò alla sfilata della scuola», spiegò il giovane, cercando di rendere giustizia alla propria innamorata e, al tempo stesso, non riuscendo a smettere di chiedersi come facesse suo padre a conoscerla.
   Lei avvertì l’ansia crescere ulteriormente: e se adesso monsieur Agreste si fosse convinto che era un’arrampicatrice sociale, nonché rea di sedurre suo figlio per arrivare a lavorare per lui e la sua pluripremiata casa di moda, in futuro?
   «In tal caso, cercherò di non mancare all’evento», affermò l’uomo, mantenendo la stessa espressione e lo stesso tono di voce.
   Marinette avrebbe potuto essergliene grata, se Adrien, trovando tutta quella storia inverosimile, non fosse stato divorato dalla curiosità e non avesse domandato quasi a bassa voce: «Come fai a sapere il suo nome, se non ti ricordavi del concorso?»
   Suo padre non si scompose e non parlò, lanciando solo uno sguardo in direzione della ragazza: era chiaro che non avesse alcuna intenzione di tradire la promessa che le aveva fatto l’ultima volta che si erano incontrati e Marinette comprese che toccava a lei spiegare la cosa. Ne fu lusingata e terrorizzata al contempo. Aprì la bocca, ma si accorse di averla secca e tossì. «Ehm…» riuscì a gracchiare infine, prima di prendere un respiro profondo e dire: «Ti ricordi il libro?»
   Adrien s’irrigidì d’istinto. «Oook…» mormorò, non del tutto certo di voler sapere il resto della storia. «Cosa c’entra, ora?»
   «Ecco… diciamo che potrei essere stata io a riportarlo a tuo padre», confessò l’altra. Lui sgranò gli occhi: si era esposta fino a quel punto? Che scusa aveva inventato per coprire la verità? «Lo so, lo so, sei stupito…» continuò Marinette, notando la sua espressione allarmata e iniziando a gesticolare come le capitava tutte le volte che cedeva il passo all’ansia. «Il punto è che tu, Adrien, lo avevi lasciato in biblioteca, incustodito. E io, essendo una tua graaande fan», accentuò, aprendo le braccia ai lati del corpo e gettando un occhio a monsieur Agreste per enfatizzare ulteriormente il tutto, «ho creduto che fosse un tuo book fotografico. Così l’ho preso in prestito con l’intento di ridartelo, ma poi tu non sei più venuto a scuola e quindi non mi è stato possibile farlo. Perciò, quando ho saputo che era quello il motivo per cui eri assente, cioè perché tuo padre credeva che fossi stato tu a sottrargli il libro, sì, insomma, mi sono precipitata qui per spiegargli come stavano le cose. Vale a dire che era tuuutta colpa mia e del fatto che ho un debole per te.»
   Tacque e recuperò il fiato che aveva trattenuto durante tutto il suo sproloquio, gli occhi fissi in quelli di Adrien, che ora la guardava ancora più sconvolto di prima. E no, non soltanto perché quella matta aveva avuto la faccia tosta di dichiarare senza remore che aveva una cotta per lui davanti a suo padre. «Ti… Ti sei assunta tutta la responsabilità?»
   Lei si strinse nelle spalle: di certo non poteva parlare di Lila e di tutto il resto. «Per forza. È stata colpa mia. Solo e soltanto colpa mia.»
   «Marinette…»
   «Ovviamente ci tengo a precisare che non sfrutterò la nostra amicizia per arrivare a tuo padre.»
   Calò il gelo.
   Alya si schiarì la voce. «Sembra un po’ equivoco, così», si azzardò a farle notare sottovoce.
   Marinette arrossì fino alla punta delle orecchie e si lanciò a tutta velocità verso il panico più completo, alzando il tono di un’ottava. «Nel senso che non ho alcuna intenzione di sfruttare quello che c’è fra noi per arrampicarmi socialmente come un koala. Non mi interessa lavorare nel campo della moda. Cioè, mi interessa eccome, poffarbacco! Ma me ne infischio del marchio Agreste! No! Io adoro il marchio Agreste! Però non voglio essere una parassita! Non sono una sanguisuga assetata di stoffa!»
   «Dovremmo fermarla?» s’interessò di sapere a quel punto Nino, che era rimasto ad assistere a tutta la scena con reale sconcerto.
   «Non ne sono sicura…» rispose Alya, provando comunque pena per l’amica. «Dovrebbe toccare ad Adrien, suppongo.»
   Un verso esasperato li costrinse a tacere e Marinette, dopo essersi lasciata andare a quella libertà, parve recuperare parte della propria sanità mentale. «Quello che sto cercando di dirle, monsieur Agreste, è che sono sinceramente affezionata a suo giglio.»
   «…figlio…» le suggerì qualcuno, che però rimase puntualmente ignorato.
   «E nutro una profonda ammirazione per il suo lavoro. Spero di diventare brava almeno un decimo di quanto lo è lei», concluse la poveretta, sentendo il volto bruciare per l’imbarazzo e il cuore minacciare di collassare da un momento all’altro.
   Rimasero in silenzio per alcuni, interminabili istanti. Poi Gabriel, che era rimasto stoicamente inespressivo fino a quel momento, parlò. «Interessante.»
   Marinette ebbe tutta l’impressione che in realtà intendesse dire: Che caso umano.
   «Hai un’amica piena di sorprese», continuò l’uomo, rivolgendosi ad Adrien, che ancora fissava l’amata con aria stordita. E un po’ anche divertita, a dirla tutta.
   «Sì, in effetti Marinette non smette mai di sorprendermi», confermò con un sorriso accennato sulle labbra.
   «Sì, beh…» si schermì la ragazza, non volendo affatto apparire presuntuosa. «La verità è che sono plurispecializzata in figure di…» Si bloccò: lo stava per dire davvero? Pregò affinché la sua bocca rimanesse in silenzio. Fallì miseramente un millesimo di secondo dopo. «…pongo.»
   «Pongo?» ripeté Adrien, trattenendosi a malapena dallo scoppiare a ridere.
   «Pongo», confermò atono suo padre, continuando a guardare Marinette con interesse sempre crescente. Davvero suo figlio voleva portare in casa quella creatura così in bilico fra genialità e follia? Perché sì, Gabriel poteva anche fingere indifferenza, ma non era stupido e aveva capito benissimo che fra i due ragazzi c’era qualcosa che valicava di molto il confine dell’amicizia. La logica gli urlava di mettere un freno a quell’assurdità, mentre il suo cuore – e anche un po’ la curiosità – gli consigliava di lasciarli in pace e vedere dove sarebbero andati a parare insieme. Se ricordava il nome per intero di Marinette, in effetti, non era soltanto perché lei gli aveva riportato il manoscritto sui miraculous; quello, in verità, era stato solo l’elemento scatenante, poiché in seguito a quell’episodio Gabriel aveva chiesto alla sua assistente di svolgere qualche ricerca sulla ragazza, venendo così a sapere che era davvero talentuosa: era stata lei a disegnare e realizzare la bombetta che Adrien aveva indossato in seguito al concorso scolastico di qualche tempo prima, lo stesso del quale l’uomo aveva finto di aver dimenticato; in più, aveva collaborato con una star della musica, ottenendo persino un riconoscimento sulla copertina di un’importante rivista nazionale. Non c’era alcun motivo di credere che avesse avvicinato Adrien per ingraziarsi suo padre, tutt’altro. Visti i traguardi raggiunti alla sua giovane età, Marinette sarebbe di certo andata lontano, se avesse perseverato nelle proprie ambizioni – e se avesse imparato a gestire le emozioni.
   «Marinette», ricominciò Gabriel, pacato come sempre.
   «Signorsì, signore!» scattò sull’attenti lei, immaginando di essere davanti ad un plotone d’esecuzione. Il che non aveva molto senso, vista la risposta che gli aveva appena dato.
   «Spero saprai sorprendermi anche alla sfilata della scuola», la incoraggiò invece l’uomo. Si rivolse al proprio figlio un’ultima volta. «Dal momento che la situazione in città sta ritornando alla calma, a dispetto dell’episodio di stamattina alla metropolitana, mi metterò personalmente in contatto con monsieur Damocles per accelerare i tempi affinché si proceda con l’evento il prima possibile. Nel frattempo, vi auguro buon divertimento.» Detto ciò, voltò le spalle a tutti e si diresse con passo misurato verso il suo studio privato.
   Adrien lo seguì con lo sguardo, a dir poco stupito per tutto quell’interesse da parte di suo padre. A cosa era dovuto? Al fatto che volesse controllare più da vicino le sue amicizie? O forse Marinette lo incuriosiva davvero e voleva capire se avesse talento per la moda? Qualunque fosse la ragione di quel comportamento, il giovane si volse a guardare la propria innamorata con un certo orgoglio: nel bene o nel male, Marinette era riuscita a lasciare il segno.
   «Vogliamo andare?» domandò anche ad Alya e Nino, che erano rimasti in religioso silenzio per rispetto alla defunta autostima della loro povera amica. Quest’ultima si riscosse solo quando Adrien la prese per mano per condurla in camera sua insieme agli altri. Le sembrava di aver appena vissuto un incubo, come se fosse stata manipolata da una forza aliena che l’aveva costretta a dire tutto ciò che non avrebbe dovuto davanti all’uomo che aveva messo al mondo il ragazzo che amava – nonché il suo stilista preferito. Il suo amor proprio, comunque, le fece presente una cosa di non poca importanza: a dispetto della figura di pongo appena fatta, la strada per conquistare la simpatia di monsieur Agreste ora sarebbe stata tutta in salita, per lei. Dopotutto, obiettivamente, come poteva fare peggio di così?
   «Darò il massimo per la sfilata», si ripromise a voce alta, suscitando tenerezza nei suoi amici.
   «A proposito, bella fortuna che nel sorteggio sia capitato proprio io, come tuo modello», disse candidamente Adrien. Nino sospirò con pazienza, volgendo lo sguardo altrove, e Alya quasi rise, alzando gli occhi al soffitto. «Cosa?» volle sapere il giovane, trovando strane quelle reazioni.
   Fu Marinette, allora, a rivelare l’arcano. «Non… Non è stato un sorteggio.»
   «No?»
   «In apparenza sì», precisò la ragazza, tornando quasi a balbettare come aveva fatto per gli ultimi dieci, traumatizzanti minuti. «In realtà è stato biecamente manipolato dalle nostre compagne di classe. Sapevano che sono innamorata di te, e così… mi hanno dato una mano.»
   «Ah.»
   «Mi dispiace…» uggiolò, rivolgendogli uno sguardo mortificato. «Giuro che non ne sapevo nulla, hanno fatto tutto a mia insaputa! Era anche per questa ragione che non ti avevo detto niente fino a che non sono stata costretta a farlo!»
   Adrien scosse il capo. «No, no… Non mi dà fastidio l’imbroglio di per sé», chiarì a scanso di equivoci, benché non lo trovasse comunque giusto. «È solo che… davvero lo sapevano anche loro?» Sul serio lui era l’unico idiota a non essersene accorto?!
   «A quanto pare lo sapeva persino tuo padre», mise il dito nella piaga Alya. «La cosa ha stupito anche me, in effetti…» aggiunse poi, lanciando uno sguardo sospetto all’amica che rispose con un sorriso vago e imbarazzato. «Quindi eri stata tu a far sparire il libro?»
   «Ehm…»
   «Acqua passata, non pensiamoci più», affermò Adrien, che non voleva approfondire l’argomento a causa di tutto ciò che c’era dietro a quella storia. «Siamo qui per divertirci, dopotutto.»
   «Adrien ha ragione», convenne Nino, che, da buon amico, avrebbe voluto subito distrarre Marinette per farle dimenticare il disastroso incontro con monsieur Agreste e risollevarle così il morale. «Dovreste vedere camera sua, è un’autentica stanza dei giochi.»
   La conferma a quelle parole la ebbero non appena ne varcarono la soglia. Alya, l’unica a non essere mai stata ancora lì, rimase a bocca aperta: Nino non aveva esagerato, quando gliel’aveva descritta. «C’è persino una parete per arrampicata!» esclamò la ragazza. «Marinette, dobbiamo provarla!»
   Lei scosse il capo con fare deciso. «Vuoi davvero che mi spezzi l’osso del collo?»
   «Che tu sia imbranata non conta, basterà una bella imbracatura, no?» insistette la sua amica.
   «Soffro di vertigini.»
   «Non mi pare, visto che sei stata sulla Tour Eiffel più di una volta.»
   «Lì è diverso, c’è il pavimento sotto ai miei piedi», chiarì Marinette, cercando di convincerla della cosa. Non poteva certo dirle che passava molto tempo sospesa nel vuoto e appesa al filo dello yo-yo di Ladybug, no? «Mentre qui… non avrei alcun appoggio vero e proprio e…»
   «Ho capito, lascia perdere», sospirò Alya. «Ma dovresti comunque iniziare a praticare un po’ di sport, ti farebbe bene.»
   Con tutto l’esercizio fisico che faceva nei panni dell’eroina di Parigi, Marinette non ne aveva assolutamente bisogno. Ciò nonostante, non le diede del tutto torto. «In effetti stavo pensando di riprovare con la scherma.»
   «Sul serio?» ne fu piacevolmente sorpreso Adrien, dal momento che non ne avevano più parlato.
   «Sì, volevo dirtelo ieri, ma alla fine mi è sfuggito di mente», spiegò la ragazza. Ed era vero, perché nelle sue intenzioni avrebbe voluto chiedergli di darle una mano, esercitandosi insieme prima delle nuove selezioni che ci sarebbero state di lì a poco; tuttavia, tra le vicissitudini di Ignazio e Abelardo, e le ben più importanti confessioni che si erano fatti lei e Adrien, la faccenda era passata in secondo piano.
   «Sarò felice di aiutarti», le assicurò il giovane, entusiasta al pensiero che avrebbe potuto vedere l’amata anche durante le sue lezioni con monsieur D’Argencourt.

I giorni passarono e, come aveva annunciato, il padre di Adrien contattò il preside della scuola per riprendere il progetto della sfilata. Benché fosse un evento organizzato dagli studenti per gli studenti, il nome di Gabriel Agreste era uno sponsor e un giudice non indifferente, pertanto non appena la mamma di Manon era venuta a sapere della cosa da Tom e Sabine, subito aveva deciso che sarebbe stata fra il pubblico: poteva essere una buona occasione per farsi rilasciare un’intervista o, perché no?, scoprire nuovi talenti nel campo della moda. Nella classe di Marinette la maggior parte degli alunni aveva preferito aiutare con i preparativi, perciò alla sfilata vera e propria avrebbero partecipato soltanto sei studenti, divisi in coppie sorteggiate a caso: Rose si era occupata del modello che avrebbe indossato Nathaniel, Juleka – suo malgrado – di quello di Chloé, e la stessa Marinette aveva lavorato a lungo su quello di Adrien.
   Cercando di dimenticare il disastroso – ma in qualche contorto modo divertente – incontro avvenuto quella domenica pomeriggio a villa Agreste, i due ragazzi si erano impegnati molto al riguardo. O meglio, Marinette lo aveva fatto, tagliando, imbastendo, cucendo e rifinendo il completo che aveva disegnato fino a fare anche le ore piccole; non che le fosse pesato, amava quel tipo di lavoro e il pensiero che lo faceva per Adrien, oltre che per se stessa, le aveva dato energie extra per portarlo a termine nel migliore dei modi.
   «Se non la pianti di mangiare, finirai per non entrarci più, qui dentro», sbraitò esasperata, mentre si chinava sulle ginocchia armata di spilli per prendere le misure per l’orlo dei pantaloni. La sfilata si sarebbe tenuta l’indomani e Adrien si trovava a casa sua per un’ultima prova generale. In quei giorni, dopo la scuola, era stato spesso da lei proprio per indossare la creazione di Marinette man mano che lei ci lavorava e assicurarsi che fosse tutto in ordine. La novità di quelle visite consisteva nel fatto che non era più andato da lei nei panni di Chat Noir, miagolando di notte sul balcone della sua camera in cerca di attenzioni e coccole, bensì come amico e compagno di scuola della ragazza. In verità, nessuno dei due si illudeva che i coniugi Dupain-Cheng continuassero a bersi quella frottola, ma, dal momento che non facevano domande, anche loro si guardavano bene dal dare risposte non richieste – e solo perché Marinette asseriva che, se lo avessero fatto, si sarebbe sentita ulteriormente sotto pressione per la sfilata e quindi aveva promesso ad Adrien che avrebbe parlato con i propri genitori appena se la fossero lasciati alle spalle.
   «Non è colpa mia, se tuo padre continua a sfornare dolci e tua madre continua a portarmeli», si giustificò il giovane, per nulla pentito della propria golosità. Pur rimanendo china a lavorare sull’orlo dei pantaloni, Marinette gli lanciò un’occhiata piuttosto espressiva che lo fece quasi scoppiare a ridere. «Sarebbe scortese rifiutare. I tuoi genitori sono adorabili.»
   «Tu sei adorabile», precisò lei, tornando a prestare attenzione al proprio lavoro. «È per questo che stravedono per te.» Sospirò con rassegnazione, soprattutto perché in sottofondo avevano di nuovo la telenovela che Plagg e Tikki stavano guardando in streaming per ammazzare il tempo. «Quanto vorrei riuscire a fare breccia nel cuore di tuo padre…»
   Adrien strinse le labbra in una smorfia perplessa. «Non è proprio tipo da manifestare le proprie simpatie», fu costretto a rivelarle. «Con le antipatie, invece, non si fa problemi. Per questo penso che l’incontro dell’altro giorno non sia stato poi così pessimo come credi; in caso contrario, non avrebbe esitato a cacciarti di casa, te l’assicuro. Lo fece il giorno del mio compleanno con Nino. Ecco perché poi lui fu akumizzato
   «Oh», balbettò la ragazza, non sapendo bene come prendere quell’informazione. Doveva consolarsi al pensiero che Gabriel Agreste non l’aveva spedita fuori dalla sua villa a calci nel sedere? Forse sì, eppure la cosa non riusciva a tranquillizzarla.
   «Grazie per quello che hai fatto per me», disse all’improvviso Adrien, fissandola dall’alto con amore. Lei tornò ad alzare gli occhi sul suo viso. «Per esserti assunta tutta la responsabilità della sparizione del libro e per averlo restituito a mio padre, permettendomi così di tornare a scuola.»
   Marinette sorrise, vagamente imbarazzata. «Sì, beh… in parte era anche colpa mia. Non è stata una completa bugia, quella che ho detto. Ho solo omesso la storia di Lila. In fondo, il libro lo avevo davvero preso io, dopo.» Appuntato l’ultimo spillo, tornò ad ergersi sulle gambe e a guardare Adrien più da vicino. «Piuttosto, mi spiace avergli detto anche della mia… infatuazione per te. Non volevo metterti in imbarazzo.»
   «Credi che mio padre non sappia che ho diverse ammiratrici?» le fece notare il giovane. «La mia cassetta della posta è sempre stracolma di lettere e cartoline. Non sai che seccatura.»
   «Questo mi rende molto, molto felice», borbottò sarcastica lei, armeggiando con il collo della giacca da lui indossata per sistemare anche quello.
   «Se può consolarti, l’unico biglietto di cui mi è mai importato realmente è quello che ho ricevuto a San Valentino», le rivelò Adrien, scrutandola in volto con tenerezza. La vide arrossire. «Sei stata tu a mandarmelo?»
   «Solo se era a forma di cuore.»
   «Perché non lo hai firmato?»
   «Ho dimenticato di farlo.»
   «Quindi… non sono l’unico caso perso nello gestire questo genere di cose, fra noi due.»
   Marinette ridacchiò. «No, direi proprio di no.»
   «Ho adorato quello che hai scritto su quel biglietto. Sembrava una risposta ad una cosa che avevo scritto quella stessa mattina, in classe…»
   «…e che avevi cestinato alla fine delle lezioni.»
   «Ho una stalker», concluse Adrien, accigliandosi ma mantenendo un sorriso divertito sulle labbra socchiuse.
   «In effetti ho sempre pensato che, se tu avessi scoperto quanto ero ossessionata da te, mi avresti come minimo tolto il saluto», confessò la ragazza, non avendo più il coraggio di guardarlo.
   «Eri?» fu l’unico appunto che fece il giovane a quella dichiarazione degna di un verbale di polizia. «Ora non lo sei più?»
   «Certo che sì, ma adesso mi basta chiederti ciò che voglio sapere, senza più dover rovistare nella spazzatura o seguirti di nascosto.»
   «Tutto ciò ha un che di preoccupante.»
   «Ricordati che mi hai detto che mi ami appena pochi giorni fa», gli rinfacciò Marinette per pararsi il fondoschiena. «E poi scommetto che anche tu hai fatto cose simili con me.»
   «Affatto», ribatté con orgoglio l’altro, mostrandosi molto più integro di lei. Sebbene fosse tutto preso dalla telenovela, Plagg tossì platealmente e lui ammise ridendo: «Ma solo perché non sapevo dove poter trovare la mia buginette
   «Lo immaginavo», fu il commento soddisfatto che ricevette da lei. «Però non mi hai detto perché hai cestinato quella poesia: a me piace molto.»
   «Alla fine mi sono detto che preferivo dirti quello che provavo guardandoti negli occhi.»
   «Beh, è quello che hai fatto, sia pure con diversi mesi di ritardo.»
   Adrien prese fiato. «In realtà… stavo per dirtelo anche quel giorno.» Marinette tornò a fissarlo nelle iridi chiare, questa volta con aria sorpresa. «Dark Cupido ci ha interrotti con quella freccia.»
   Allora era per questo che lui aveva abbassato la guardia, facendo di loro un bersaglio facile durante quel combattimento? Ciò nonostante, si era preso la freccia indirizzata a lei, proteggendola con il suo stesso corpo – non era la prima volta che accadeva – e dichiarandole comunque i suoi sentimenti con quel gesto tanto altruista. «Sono contenta che tu non sia riuscito a dichiararti, quella volta.»
   «Questa è cattiva», ci rimase male Adrien, imbronciandosi.
   «Ragiona: se lo avessi fatto con le sembianze di Chat Noir, avresti ricevuto un rifiuto.»
   «Invece, diventando uno scagnozzo del nemico, ci ho guadagnato un bacio», concluse per lei, guardando la cosa da una prospettiva differente. «Però non me lo ricordo.»
   Marinette sorrise in maniera birichina. «Potrei sempre rinfrescarti la memoria…»
   «…e la cosa non mi dispiacerebbe affatto…» mormorò Adrien, chinandosi verso di lei.
   Il rumore della botola che si spalancava li fece sussultare e prima ancora che le loro labbra potessero sfiorarsi, i due kwami corsero a nascondersi e Marinette spinse via il giovane, pungendolo con l’ago che aveva in mano. «Ah!» si lasciò sfuggire Adrien, massaggiandosi il petto.
   «Oddio, mi dispiace!» esclamò lei, portandosi le mani davanti alla bocca con aria mortificata.
   «Tutto bene?» si sentirono chiedere da Sabine, che si era affacciata dal piano di sotto insieme a suo marito.
   I due ragazzi si volsero nella loro direzione con un sorriso a trentadue denti, che nascondeva tutto il disagio del momento. «Benissimo!» assicurarono a voce un po’ troppo alta.
   «Oh, Adrien, come stai bene!» cinguettò la donna, osservando con attenzione e ammirazione il lavoro di sua figlia mentre entrava in camera.
   «Grazie, ma è tutto merito di Marinette», si schermì il giovane, gongolando fra sé per l’essere riuscito ad entrare nelle grazie dei genitori dell’amata senza dover fare praticamente nulla.
   «Bugiardo, sai perfettamente che staresti bene pure con un sacco dell’immondizia addosso», lo smentì la stessa Marinette, a metà fra il rassegnato e il compiaciuto: quella meraviglia dal corpo statuario era il suo innamorato, dopotutto.
   «Vi abbiamo portato qualche leccornia per recuperare le energie», esordì invece Tom, muovendosi goffamente nella stanza per posare sulla scrivania un piatto pieno di dolciumi che aveva preparato apposta per Adrien. Come Sabine, anche lui aveva un debole per quel ragazzo: al di là del suo bell’aspetto, era educato, a modo, gentile, allegro, adorava la sua cucina, ma sopra ogni altra cosa guardava Marinette con uno sguardo pieno d’amore. Come poteva, da padre, rimanere indifferente soprattutto a quest’ultimo, fondamentale dettaglio?
   «La ringrazio, monsieur Dupain», disse Adrien, già pronto ad allungare le mani su quel ben di Dio.
   «Fermo là!» intervenne la ragazza togliendogli il piatto da sotto al naso. «Prima togliti il completo di dosso: se lo sporchi ti dipingo di nuovo di rosa», minacciò con fare severo. «E se ingrassi prima che la sfilata sia finita, ti farò ben di peggio.»
   «Uh, che aguzzina…» commentò Tom, provando pena per il suo protetto.
   «Marinette, non esagerare, non può certo ingrassare nel giro di ventiquatt’ore», la rimbrottò ridendo Sabine.
   Anche Adrien si lasciò andare ad un sorriso. «Però è vero, potrei correre il rischio di sporcare il tuo lavoro, perciò vado a cambiarmi.»
   «Bravo bambino», approvò Marinette, mentre il giovane scendeva di sotto per tornare a cambiarsi nella camera dei genitori di lei.
   «Quindi avete finito?» domandò la donna, un po’ triste all’idea che, dopo la sfilata, Adrien non sarebbe più stato troppo presente in casa.
   «Devo solo fare l’orlo ai pantaloni», confermò la ragazza, tornando a posare il piatto di dolciumi sulla scrivania e spegnendo il monitor del computer dove quella lagna di una telenovela continuava a torturarle le orecchie. «Spero che vada tutto bene, ci sarà anche suo padre, domani, e vorrei fare una buona impressione, visto che è anche fra i giudici del concorso. È uno stilista rinomato, perciò il suo parere è fondamentale.»
   «Sono certo che andrà tutto bene», la incoraggiò Tom, posando con affetto una mano sulla sua spalla minuta.












E via anche il decimo capitolo. Altri quattro e avremo finito. Il prossimo, vi avverto, sarà movimentato.
A parte questo, qualcuno mi ha (legittimamente) chiesto dove io voglia andare a parare con questa storia e la mia riposta è stata la seguente (perdonate il copia/incolla):
Speravo che il titolo della storia fosse di per sé rivelatore: parlo dei limiti che tutti noi abbiamo, come esseri umani. Ma, nello specifico, parlo di quelli di questi due ragazzini che si ritrovano catapultati in situazioni più grandi di loro, con responsabilità enormi e poteri che non sanno gestire appieno per un motivo o per un altro. Parlo di due bambini, alla fin fine, che devono fare i conti con la realtà e con la vita di tutti i giorni - e non solo, nel loro caso, soprattutto quando di mezzo ci sono tragedie che lasciano non poco il segno.
Siamo sempre abituati a vederli infallibili (o quasi) nella serie animata. Ecco, io invece voglio solo portare a galla anche tutto il resto. Considerate questa storia una sorta di viaggio introspettivo, tutto qui.
Insomma, ho scelto il titolo
Limiti proprio per questa ragione, per sottolineare che ognuno di noi - adulti e bambini, supereroi e non, personaggi di spicco e gente comune - ha, appunto, i suoi limiti. Niente più di questo, davvero.
Se ciò che leggerete sarà o meno una delusione (o una grande sorpresa), a questo punto non dipende da me, ma dalle aspettative che ogni lettore si sarà fatto al riguardo.

Precisato questo, vi ringrazio come sempre di cuore per essere ancora qui a leggere e/o a commentare e/o ad inserire questa long fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buon fine settimana a tutti! ♥
Shainareth





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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***





CAPITOLO UNDICESIMO




Sabine seguì Marinette con lo sguardo, mentre quest’ultima si allontanava dietro la scenografia per raggiungere i propri compagni di classe, il prezioso fagotto con la creazione fatta su misura per Adrien fra le mani. La donna aveva fatto finta di niente, ma nell’ultimo mese sia lei che Tom erano stati molto preoccupati per la loro bambina. Avevano notato subito che qualcosa la turbava, perché a giudicare dalla sua aria stanca e dalle occhiaie visibili anche sotto il leggero strato di trucco da lei usato, era chiaro che Marinette stesse vivendo un momento difficile della sua vita – forse non soltanto a causa dell’allerta cittadina. I suoi genitori ne avevano discusso insieme, domandandosi perché mai lei non volesse parlarne con loro, dato il rapporto molto aperto che avevano da sempre; vista l’età difficile, non volevano forzarla a confidarsi eppure quando si erano decisi ad affrontare la questione con la ragazza, lei aveva ripreso a sorridere come un tempo, sia pure solo in presenza di Adrien. Era questa la ragione per cui Tom e Sabine erano tornati a fare un passo indietro: sebbene il loro ruolo di genitori non fosse affatto finito, era ormai chiaro che quella meravigliosa figlia che amavano con tutto il cuore avesse bisogno anche di qualcun altro. E se da un lato una parte di loro se ne rattristava, dall’altro li rasserenava il pensiero che Marinette potesse contare sull’appoggio di un ragazzo altrettanto splendido, che ora stava accogliendo l’arrivo di lei con la più gioiosa delle espressioni.
   D’altronde, come poteva, Adrien, non essere al settimo cielo, quel giorno? Non soltanto avrebbe partecipato ad un progetto in coppia con l’amata, per di più quella era la prima volta in assoluto che suo padre decideva di prendere parte attivamente – e di persona! – ad un evento che lo portasse lontano da casa. Ancora, quella era anche la prima volta che Gabriel visitava la scuola alla quale si era iscritto suo figlio, la prima volta che si interessava a ciò che lui faceva e alle persone che lui amava – in questo caso, Marinette. Cosa poteva andare storto? Il modello di lei era perfetto, lui lo avrebbe indossato con la consueta professionalità e tutti li avrebbero applauditi e premiati per il loro talento – beh, magari soprattutto per quello della stilista. Ma Adrien avrebbe fatto di tutto per rendere giustizia alle doti creative e pratiche della sua innamorata, perché sapeva che lei si era impegnata tantissimo e meritava l’entusiasmo del pubblico e della critica. Senza contare che quella sarebbe stata l’occasione migliore per far colpo su suo padre, per fargli capire che Marinette valeva molto e che non era una ragazza superficiale né un’arrivista.
   «Penso che sverrò da un momento all’altro», mormorò lei, sbirciando da dietro ai pannelli della scenografia per dare uno sguardo panoramico al cortile interno della scuola, che si stava affollando dei genitori degli studenti e di altri ospiti vari. Come se non fosse bastata l’ansia di dover dimostrare il proprio valore al padre di Adrien, ora se ne aggiungeva altra, dovuta principalmente alla presenza di Nadja Chamack, che si era portata dietro un operatore e stava parlando con Alya sulle immagini della sfilata che quest’ultima avrebbe ripreso con il proprio cellulare, al fine di utilizzarle, insieme alle proprie, per un servizio televisivo. E poi di lì a poco sarebbe arrivata la giuria, che contava fra i membri anche il padre di Chloé, il sindaco, e Jagged Stone, e tutti gli occhi sarebbero stati puntati sul modello da lei creato perché sarebbe stato Adrien a portarlo in passerella.
   Una carezza gentile all’altezza della nuca la fece rabbrividire per il calore che le comunicò, facendola rilassare all’istante quasi del tutto. «Dovresti esserci abituata, ai riflettori, buginette», le sussurrò il giovane all’orecchio, prima di sfiorarle la guancia con un bacio.
   «È diverso…» mugugnò lei, guardandosi attorno con imbarazzo: li aveva visti qualcuno? Perché, sul serio, quello era il momento meno adatto per attirare anche l’attenzione degli appassionati di gossip – o anche solo quella dei loro genitori. «Qui tutti sanno il mio nome e possono vedermi in faccia. Di solito, poi, non devo impressionare nessuno.»
   «Ma lo fai puntualmente tutte le volte, perciò non ha senso che tu ti faccia prendere dal panico proprio ora», cercò di incoraggiarla l’altro, molto più sereno di lei. «Vado a cambiarmi, credi di potercela fare?»
   Marinette guardò oltre le spalle di Adrien, dove Juleka, vessata dalle proteste di Chloé, sembrava sul punto di usare l’abito che aveva fra le mani come arma impropria per soffocare colei che la malasorte le aveva affibbiato come partner. «Sì, anche perché temo che dovrò calarmi nella parte dell’eroina anche senza vestirmi a pois…»
   «Fai la brava capoclasse», si raccomandò il giovane, strizzandole l’occhio.
   Lei sospirò, regalando un ultimo sorriso all’amato prima di affidargli il completo per la sfilata e di accorrere in aiuto dell’amica. «Chloé, Adrien sta andando a cambiarsi e vedo che Nathaniel e gli altri modelli lo stanno seguendo… Non dovresti farlo anche tu?»
   Braccia conserte, quella le riservò un’occhiataccia. Da quando lei e Adrien si erano chiariti, le due non si erano rivolte la parola neanche per sbaglio. Questo perché, pur essendo molto diverse sotto tanti aspetti, per parecchi altri erano così tremendamente simili da lasciare storditi, e l’orgoglio di entrambe bruciava al pensiero di dover anche solo fingere di scambiarsi un sorriso. Sebbene fosse consapevole di essere in torto, Chloé si lasciò sfuggire un verso insofferente dalle labbra ben truccate. «Quest’incompetente ha realizzato il vestito che avevamo concordato insieme usando un colore che non mi piace. E che porta sfortuna, oltretutto.»
   Marinette inarcò le sopracciglia scure: sul serio lei e Juleka erano riuscite ad andare d’accordo su qualcosa? Che il chiarimento con Adrien avesse sortito anche questo magico effetto? «Ma a te sta bene qualunque cosa», tentò allora di rabbonirla.
   «Certo, lo so. È una dote naturale», convenne l’altra, puntando il naso in alto con fare snob.
   «E poi il successo di un abito dipende anche da chi lo indossa, sai?»
   Rose, che se ne stava poco distante a guardare la scena, emise un sospiro rassegnato. «Allora non ho speranze: Nathaniel è carino ed è un amore di ragazzo, ma… come può competere con Chloé e Adrien?»
   «Sono sicura che la tua creazione attirerà molti consensi», la consolò Marinette, non sapendo a chi rivolgersi per prima. C’era di buono che, troppo impegnata a preoccuparsi per gli altri come sempre, non avrebbe avuto tempo per tornare a farsi prendere dal panico.
   «Ma saremo io e Adrien a ricevere i migliori applausi», se ne compiacque Chloé, rimirandosi le unghie con fare vanesio. «E non certo per gli straccetti che indosseremo.»
   Per amor di pace, Marinette ignorò quel commento. «Ciò che conta è che ora tu vada a cambiarti: non manca molto all’inizio della sfilata.»
   Per una volta, l’altra le diede ascolto e, recuperato l’involucro protettivo in cui Juleka aveva amorevolmente sistemato il proprio abito, voltò le spalle a tutti e si avviò verso il piano superiore, seguita solo dalla fida Sabrina anziché dalla propria compagna di progetto. «È insopportabile», borbottò quest’ultima, portandosi una mano davanti al viso con aria scoraggiata. «Fortuna che da domani non dovrò più averci a che fare così da vicino.»
   Provando forte empatia per l’amica, Marinette abbozzò un sorriso: era un miracolo che Juleka non fosse stata di nuovo presa di mira da Papillon, visto che nelle ultime settimane aveva dovuto collaborare gomito a gomito con la terribile reginetta della classe – se non della scuola. Anzi, era un miracolo che la stessa Chloé non fosse stata akumizzata quel giorno, quando aveva deciso di cacciare Ladybug dalla sua camera. A ben pensarci, che fine aveva fatto Papillon? Non che Marinette non gradisse quell’insperata pausa dai combattimenti contro i suoi supercattivi, dato il periodo difficile che stava vivendo tutta la città. Che anche lui si fosse reso conto che bisognava sospendere le ostilità? Persino l’ultimo avversario, l’uomo-ciambella, si era lasciato sconfiggere facilmente il giorno del secondo attentato, come se avesse abbandonato la voglia di combattere dopo l’esplosione che aveva distrutto le Galeries Lafayette. Marinette non si illuse che Papillon avesse davvero gettato la spugna – il potere combinato dei miraculous della Creazione e della Distruzione avrebbe fatto gola a chiunque, dopotutto – eppure in cuor suo sperò davvero che le cose potessero continuare in quel senso. E se solo anche gli attentati fossero finiti lì…
   «Stanno arrivando i giudici», constatò Rose, sbirciando da dietro ai pannelli. «Comincio ad avere la tremarella…»
   «Io invece non vedo l’ora di finirla», commentò Juleka, volendo togliersi di torno Chloé il prima possibile. Marinette volse lo sguardo preoccupato al punto in cui era sparito Adrien e l’amica le pose una mano sulla spalla, rivolgendole un sorriso affettuoso. «Vedrai che andrà tutto bene, sei la migliore in questo genere di cose.»
   «È vero», convenne Rose. «Al padre di Adrien piacerà senz’altro il modello che hai disegnato e cucito per la sfilata.»
   Quella cieca fiducia commosse la ragazza, che subito si sentì rincuorata dalle loro parole. «Abbiamo fatto tutte e tre del nostro meglio, perciò… qualunque sia il risultato di oggi, potremo comunque dichiararci soddisfatte del nostro lavoro.»

Mentre si dirigevano verso l’aula adibita a spogliatoio maschile, Nathaniel occhieggiò in direzione di Adrien. Loro due non parlavano molto, a dire il vero, ciò nonostante nutrivano una simpatia reciproca, dovuta principalmente al fatto che erano entrambi di indole pacifica. C’era, invero, anche un’altra cosa che li accomunava parecchio: l’affetto per Marinette. Nonostante fosse in classe con lei da anni, Nathaniel non si era mai dichiarato in modo aperto, vuoi per via della timidezza, vuoi soprattutto perché, proprio quando era stato sul punto di trovare il coraggio per farlo, era arrivato Adrien e l’attenzione della ragazza era stata subito calamitata da lui e dal suo bell’aspetto, dal suo carisma e dai suoi modi educati e socievoli. Abituato com’era ad ammirarla da lontano e con un occhio diverso da quello di molti altri, i sentimenti di Marinette per Adrien erano stati immediatamente chiari al giovane artista, e se anche sulle prime ci era rimasto male, con il passar del tempo si era reso conto che l’unico con cui avrebbe dovuto prendersela era se stesso, per non aver avuto il coraggio di fare la sua mossa prima che lei volgesse le proprie attenzioni altrove. Inoltre, a voler essere onesto, come poteva avercela con Adrien? Era sempre così gentile e premuroso con tutti e…
   «Tutto… bene?» si sentì chiedere con fare titubante. Colto in flagrante mentre lo stava fissando di sottecchi, Nathaniel sobbalzò. «Sei nervoso per la sfilata?»
   «N-No… Cioè, sì», si corresse subito dopo. Insomma, era talmente timido e rigido, quando si trovava al centro dell’attenzione, da avere il più che giustificato timore che una volta in passerella sarebbe arrossito come non mai e avrebbe persino finito con il cadere – magari addosso a qualcuno dei giudici. «Non sono granché, rispetto a te…»
   Adrien corrucciò la fronte, contrariato da quell’ultima affermazione. «Io ho soltanto la pratica, dalla mia.»
   «E un bel faccino», lo corresse l’altro, non sapendo se essergli grato o meno per non aver sottolineato l’ovvio. «Per non parlare dell’altezza, che a me manca. Questo non puoi certo negarlo.» Adrien strinse le labbra, incapace di ribattere, e lui apprezzò quel silenzio, a testimonianza che il suo compagno di classe non era un ipocrita. Trovandosi ora a tu per tu con lui, Nathaniel si convinse che fosse un buon momento per parlargli; perciò, prima che varcassero la soglia dell’aula, arrestò il passo e chiese: «Quindi… ora state insieme?»
   L’altro sgranò gli occhi e si fermò a sua volta, sorpreso da quella domanda. Aveva quasi dimenticato che anche a Nathaniel piaceva Marinette e, benché sapesse di non avere alcuna colpa per l’essere riuscito a conquistare la ragazza, ammazzando così qualunque tipo di sogno romantico del suo compagno di classe, quasi si sentì mortificato per averlo fatto. Inoltre, lui e Marinette non avevano detto apertamente a tutta la classe dell’evoluzione che c’era stata nel loro rapporto, ma non era da escludere che lei avesse deciso di aggiornare le sue amiche al riguardo, visto che si erano premurate di farli capitare in coppia per la sfilata. Forse Nathaniel era venuto a saperlo da una di loro?
   «Te lo ha detto Rose?» suppose, dato che era stata lei ad occuparsi del modello che avrebbe indossato di lì a poco il suo interlocutore.
   Questi scosse le spalle. «Amico… non serve la sfera di cristallo per capire che Marinette è innamorata di te», iniziò, torturando inconsapevolmente Adrien con quella storia: possibile che fosse davvero l’unico a non averlo mai capito?! «O che tu ricambi i suoi sentimenti praticamente da sempre.»
   «Ah», balbettò, sentendosi sempre più stupido.
   «Quello che mi infastidisce non è tanto il fatto che lei preferisca te, chi non lo farebbe?» chiarì Nathaniel a scanso di equivoci, peccando forse di troppa modestia. «Quanto che tu ci abbia messo tanto per capirlo. E per accorgerti di ciò che provi per lei.»
   Adrien si portò una mano dietro alla nuca, massaggiandola con fare imbarazzato. «Lo so, sono un caso disperato.»
   Il suo compagno di classe gli concesse un sorriso timido ma gentile. «Almeno ne sei consapevole», sospirò, mettendosi il cuore in pace per aver infine ricevuto la conferma che ormai aveva perso ogni speranza di dichiararsi a Marinette. In fin dei conti, a cosa sarebbe servito? Lei conosceva già i suoi sentimenti, eppure non gli aveva mai dato l’illusione di ricambiarli, continuando ad avere occhi soltanto per Adrien. «Beh, l’importante è che tu lo abbia capito e che lei abbia smesso di starci male. Adesso mi sembra più serena, quando ci sei anche tu.»
   «Lo pensi sul serio?» si stupì l’altro. Quindi Nathaniel non ce l’aveva con lui per l’intera faccenda? Era decisamente più maturo di Chloé e di molti altri loro coetanei. Forse persino di qualche adulto.
   Ad ogni modo, Adrien non ricevette mai risposta a quella sua ultima domanda, poiché un boato improvviso fece tremare l’intero edificio sin dalle fondamenta.

Cadde sulle ginocchia quando la terra le tremò sotto ai piedi ed un enorme scoppio le ferì le orecchie. Intontita da quanto appena accaduto, udì il frastuono crescente della gente attorno a lei che si faceva prendere dal panico. Urla, pianti e rumori talmente forti da coprire i suoi stessi pensieri. Poi, di colpo, Marinette tornò in sé: aveva già vissuto quel tipo di esperienza, sapeva cos’era accaduto, ma non si era mai trovata nell’occhio del ciclone come in quel momento. Vide Rose e Juleka, che poco più in là si stringevano l’un l’altra sotto ai pannelli che avevano ceduto e si erano inclinati all’indietro, rischiando di travolgerle e schiacciarle se non si fossero incastrati fra loro. Le sue amiche erano spaventatissime, ma almeno sembravano incolumi. E lei? Anche lei avvertiva la paura crescere dentro di sé e gli occhi riempirsi di lacrime. Neanche per un secondo pensò che qualcuno poteva non avercela fatta: erano in uno spazio aperto, il pubblico della sfilata si trovava nel cortile interno della scuola, perciò la maggior parte delle persone doveva essere salva. A meno che la bomba, esplodendo, non avesse fatto crollare le mura dell’edificio addosso a qualcuno. Come un lampo, le passarono davanti agli occhi i volti di Adrien, Nathaniel, Chloé e Sabrina: loro quattro, insieme a chissà quanti altri, si trovavano dentro le aule.
   Senza pensare a nient’altro, scattò in piedi e si fece largo per correre in loro aiuto, infischiandosene del pericolo o del fatto che in quel momento era semplicemente Marinette. Quando uscì da dietro ai pannelli della scenografia, non le fu facile capire cosa rimanesse in piedi della scuola: troppo fumo, troppa confusione. I suoi genitori? Erano lì in mezzo, ma non riusciva a vederli. Col cuore stretto in una morsa dolorosa, e aggrappandosi con tutta se stessa alla speranza che loro potessero mettersi in salvo grazie anche al tempestivo intervento delle forze dell’ordine che presidiavano l’intera zona, la ragazza scattò nella direzione opposta e quando fu in prossimità delle scale, fu costretta ad arretrare: la rampa che stava per imboccare era pericolante e, nonostante ciò, diversi ragazzi stavano scendendo di corsa da lì, col rischio di farsi seriamente male. Marinette puntò all’altra scalinata, meno affollata, e risalì fino al piano superiore, dove pure la visuale non era delle migliori. Chiamò più volte a gran voce il nome di Adrien, ma lui non le rispose. Bisognosa di recuperare il fiato, respirò a pieni polmoni ed inalò la polvere che si era alzata tutt’intorno. Tossì così forte che le parve di sentire il petto squarciarsi da qualche parte. Con gli occhi accecati dal pulviscolo e dalle lacrime, le sembrò di scorgere un bagliore ed un attimo dopo una mano scura l’agguantò per un polso.
   «Stai bene?!» le gridò qualcuno, agitato almeno quanto lo era lei. «Marinette, stai bene?!» La ragazza ci mise qualche istante per capire che si trattava di Chat Noir. Dunque Adrien era riuscito a mantenere i nervi saldi abbastanza da trasformarsi subito? Non si pose ulteriori domande e gli gettò le braccia al collo, sentendosi morire dalla gioia: lui era vivo e stava bene, i dettagli glieli avrebbe chiesti dopo. «Devi allontanarti da qui», le disse il giovane, stringendola a sua volta con tutto l’amore che sentiva di provare per lei in quel momento: vederla sana e salva gli aveva restituito la facoltà di respirare e di ragionare con maggior lucidità, e lui si sentì rinvigorire. «Nathaniel e quelli che erano con me sono al sicuro. Gli altri?»
   «Non lo so», balbettò Marinette, tremando appena fra le sue mani. «Rose e Juleka stanno bene, ma i nostri genitori sono rimasti di sotto e… non lo so…» concluse con un ansito, le lacrime che minacciavano di traboccare dagli occhi arrossati.
   «Cerca un posto sicuro e poi raggiungimi di sotto», disse Adrien, afferrandola per le spalle per farle coraggio. «Non dubitare di te stessa. Ce la possiamo fare», le assicurò, fissandola dritta nelle iridi chiare. Lei annuì freneticamente e si passò le dita sulle guance, pronta a tornare in sé e a dare man forte al proprio partner, che le sorrise e le lasciò un ultimo bacio sulla fronte prima di balzare giù per unirsi ai soccorsi.
   «Marinette, devi trasformarti!» le ricordò Tikki, sbucando dalla sua borsetta. Anche lei sembrava piuttosto frastornata, a causa di tutto quel che era successo e dello sballottolamento a cui era stata sottoposta.
   «Subito», annuì lei, sentendosi di colpo più sicura di sé grazie al supporto di Adrien. Quando però pensò ad un posto in cui far ricorso ai propri poteri, si ricordò di Chloé e Sabrina. «Maledizione!» imprecò fra i denti, correndo verso l’aula che era stata adibita a spogliatoio delle ragazze.

Nessuno lo aveva notato, in mezzo a tutta quella confusione. E, sinceramente, in quel momento neanche gliene importava. La sua unica preoccupazione era un’altra: trovare Adrien. Se avesse perso anche lui, che altro avrebbe potuto fare? Non gli sarebbe rimasto più nulla. Nulla.
   Si era perciò fatto forte del caos e dell’enorme nuvola di polvere che si era levata tutt’intorno a loro ed era ricorso alla propria trasformazione, imprecando contro l’incompetenza del sindaco e delle forze dell’ordine, che pure avevano assicurato controlli e avevano presidiato la scuola affinché si evitassero disastri di quel tipo. E se loro non erano capaci di fare davvero qualcosa per tutti quelli che erano rimasti coinvolti in quel nuovo incidente, beh, allora ci avrebbe pensato lui: c’era la vita di suo figlio, in gioco. Del resto, non gliene importava un accidenti.
   Fra il pulviscolo creato dalla denotazione, si levò in volo un vero e proprio sciame di piccole farfalle bianche che ad un solo cenno del loro padrone si insinuarono nel cuore di diverse persone rimaste illese, tramutandole in esseri dalle sembianze stravaganti e dalla forza e dai poteri sovrumani: eccolo lì, l’esercito che lo avrebbe aiutato a trovare Adrien.
   Qualcuno urlò il suo nome con tutto il fiato che aveva in corpo, sovrastando la confusione e le grida disperate di chi si era recato all’evento nella vana speranza di tornare alla vita di tutti i giorni. I suoi occhi grigi si posarono su quelli verdi dell’eroe in nero, che lo fissava con rabbia, i pugni serrati attorno al proprio bastone da combattimento. Pur comprendendo il motivo di tanta ostilità, Papillon non si scompose e con un leggero cenno del capo lo indusse a volgere la propria attenzione verso ciò che stava accadendo lì intorno. Chat Noir abbassò l’arma, incredulo: per la prima volta da che era iniziata la loro guerra, le akuma del suo nemico non stavano contaminando il cuore di qualcuno, tutt’altro. Alla mente gli tornarono le parole del maestro Fu e una volta di più si convinse che avesse ragione lui: ciò che contava non era il tipo di potere in loro possesso, quanto il modo in cui loro sceglievano di utilizzarlo.
   Il suo sguardo saettò di nuovo su Papillon, che ormai sembrava essersi dimenticato di lui e seguiva con occhi febbrili le operazioni di soccorso. Era disperato proprio come tutti gli altri, concluse Adrien, riconoscendo in lui una sensibilità che aveva sempre sottovalutato. Il suo acerrimo nemico aveva un cuore come tutti gli altri, e di nuovo si domandò quale fosse il motivo che spingesse Papillon a cercare di impadronirsi con tutte le sue forze del miraculous della Creazione e di quello della Distruzione. Quale oscuro, umano desiderio nascondeva il suo animo travagliato? Per la seconda volta da che erano iniziati gli attentati, Adrien si sentì tremendamente vicino a quell’uomo. Decise di dargli credito. Se lì sotto c’erano lui e il suo esercito di burattini, votati al bene almeno per quella tragedia, Chat Noir e Ladybug si sarebbero occupati di chi era rimasto invece di sopra.
   Con una serie di balzi e acrobazie, Adrien riguadagnò il piano superiore in pochissimi secondi e tornò a cercare Marinette. «Ladybug!» chiamò, convinto che lei si fosse ormai trasformata. Non ottenne risposta e il suo cuore tremò.
   «Chat Noir!»
   La voce di Sabrina gli arrivò forte alle orecchie e subito scattò in direzione dell’aula in cui lei si trovava. Quel che vide quando fu dentro lo lasciò atterrito: non solo Marinette non era ancora ricorsa al proprio miraculous, per di più teneva a stento la mano di Chloé insieme a Sabrina. Parte della stanza era collassata e si era aperta una voragine nella quale la figlia del sindaco stava rischiando di precipitare, così com’era già successo ad altre ragazze. Le sue compagne di classe stavano facendo di tutto per reggerla e portarla in salvo, ma nonostante fossero in due, stavano incontrando forti difficoltà per via del pavimento che rischiava di crollare sotto ai loro piedi e della polvere che continuava ad entrare negli occhi, provocando loro un bruciore non da poco ed impedendo a tutte e tre di vedere nel migliore dei modi. L’eroe le raggiunse in un attimo e agguantò Chloé per il braccio, issandola con estrema facilità sulla porzione di pavimento ancora intatta e incitando le altre due ad allontanarsi da lì. Avvertì l’amica aggrapparsi a lui con forza, tremante e piangente, e la strinse a sua volta a sé, carezzandole la schiena con affetto. «Va tutto bene, sei salva, ora», le sussurrò all’orecchio, provando non poco sollievo per essere intervenuto tempestivamente a salvare la situazione.
   Il suo sguardo cercò quello di Marinette che, con occhi lucidi e arrossati, tossì e spiegò con voce provata: «Mi sono ricordata di loro… Erano salite qui subito dopo di te…»
   Compresa l’emergenza, Adrien le sorrise con gratitudine, senza neanche far caso alle parole rivelatorie di lei; in quella circostanza, nessuno vi avrebbe badato. Allentò l’abbraccio di Chloé e la guardò in volto. «Riesci a camminare?» le domandò con dolcezza. Lei annuì, trattenendo a stento i singhiozzi. «Sabrina», chiamò poi, rivolgendosi all’altra ragazza, che pareva incolume come Marinette. «Tuo padre è di sotto, il suo aiuto si sta rivelando prezioso: sii degna di lui e porta la tua amica in salvo. Sei il mio Chat Noir in seconda, ricordi?»
   «Lo farò!» esclamò l’altra, fiera del proprio genitore e della fiducia che uno dei supereroi di Parigi riponeva in lei. Si chinò su Chloé e l’aiutò a rimettersi in piedi. Prima che potessero avviarsi per andare di sotto, però, la figlia del sindaco esitò un attimo davanti a Marinette, senza tuttavia dire una sola parola.
   «Papillon è qui», disse Adrien non appena le due ebbero guadagnato l’uscita dall’aula. La sua innamorata si voltò di scatto a fissarlo con aria atterrita e lui subito la tranquillizzò. «Sta dando una mano con i soccorsi.» Scorse meraviglia sul viso di lei e azzardò: «Forse c’è qualcuno che ama, qui, e vuole aiutarlo.»
   Marinette non questionò; si limitò ad annuire e a richiamare i poteri del proprio miraculous, mentre l’altro saltava nella voragine per accertarsi della sorte delle ragazze cadute di sotto. Ladybug lo raggiunse l’istante successivo ed entrambi si caricarono del loro peso per spostare quelle poverette, ferite ma vive, in uno spazio aperto, lontano da eventuali crolli. Per ore intere girarono l’intero istituto in cerca di altri superstiti o eventuali corpi, facendosi strada tra le forze dell’ordine e gli akumizzati di Papillon. Faceva un effetto stranissimo trovarsi a collaborare con il loro acerrimo nemico. In uno di quei burattini, Marinette riconobbe suo padre e, anziché preoccuparsi per la cosa, per una volta si sentì sollevata: almeno lui stava bene. Sua madre, invece? La scorse alcuni minuti più tardi, insieme ad Alya e alla sua famiglia, tutti radunati in strada, fuori dalle mura dell’edificio scolastico. I suoi compagni di classe erano tutti lì, eccetto Ivan e Kim. Vista la mole e la forza fisica, Papillon aveva deciso di usarli per i soccorsi? Marinette lo sperò con tutto il cuore.
   «Mio padre non c’è.»
   Quell’osservazione, pronunciata con un tono di voce teso e vibrante, le arrivò attraverso l’auricolare posto all’orecchio destro e la indusse voltarsi in direzione dell’amato proprio un attimo prima che lui allineasse il corpo senza vita di un ragazzino a quelli delle altre vittime, stese su quel lembo di strada che divideva la scuola dalla pasticceria dei Dupain-Cheng. Si chiamava Matthieu, era al secondo anno, e frequentava la loro stessa sezione. Le grida disperate di chi lo identificò trapassarono il cuore di Marinette che non riuscì ad impedirsi di versare l’ennesima lacrima silenziosa di quel maledetto pomeriggio pieno di orrore. Ogni volta che avesse guardato oltre le vetrine del negozio dei suoi genitori o le finestre di casa, avrebbe rivisto quella distesa di cadaveri?
   «Forse non l’hai scorto a causa della polvere», disse con un groppo in gola, raggiungendo Chat Noir e aggrappandosi al suo braccio.
   Era sporco di fumo e sangue non suo, e levò su di lei due occhi stanchi e colmi di preoccupazione. «Il mio visore mi consente di vedere nitidamente anche di notte», le ricordò atono. «Non c’è.»
   «È possibile che non fosse ancora arrivato?»
   «Nathalie era con lui e ora lei è in salvo, vicino a Place des Vosges.»
   «Allora anche tuo padre potrebbe essere lì.»
   «Non c’è», ripeté ancora il giovane, questa volta fra i denti, le mascelle serrate. Gabriel non era né fra i sopravvissuti né fra le vittime, e questo voleva poter dire solo una cosa: era ancora lì, da qualche parte, sepolto sotto cumuli di macerie. Quante speranze c’erano che potesse essere ancora vivo? Adrien avvertì la rabbia rimescolargli lo stomaco e risalire fino ad annebbiargli i sensi. «Devo trovarlo. A qualunque costo.»
   Detto questo, scappò di nuovo dentro l’edificio, senza darle tempo di ribattere. Marinette lo chiamò indietro, ma lui non l’ascoltò. Stringendo a sua volta i denti, la ragazza si diede lo slancio a mezz’aria per dirigersi verso Place des Vosges e fu lì che Alya la bloccò. «Ladybug!» esordì disperata. «Marinette! La mia amica… non la troviamo da nessuna parte!»
   L’eroina spostò lo sguardo sulla figura di Sabine che, piccola e pallida, si aggrappava con forza al braccio della sua amica del cuore, gli occhi rossi per il pianto e intrisi di una speranza che avrebbe potuto ucciderla se si fosse rivelata infondata. Ladybug sorrise. «Marinette Dupain-Cheng, giusto?» chiese in tono gentile, posando con dolcezza una mano sulla sua spalla e rincuorandola con una carezza. «Sta bene, è del tutto incolume.» Vide sua madre scoppiare in un pianto liberatorio, mentre Alya tornava a respirare a sua volta e abbracciava la donna per tranquillizzarla. «Con lei c’è anche Adrien Agreste», aggiunse, affinché passassero parola agli altri. «Abbiate pazienza, in mezzo a questo caos è difficile riuscire a trovarsi.»
   Rasserenate loro sulla sorte sua e di Adrien, Ladybug tornò a dirigersi verso il centro di Place des Vosges, dove, dall’alto di un lampione, scorse Chloé insieme a Sabrina e a Nathalie. Subito si precipitò da loro e, non appena la vide, la figlia del sindaco le corse incontro, allacciando le braccia attorno al suo collo. «Mi dispiace!» esclamò di getto, la voce rotta dai singhiozzi a stento trattenuti. «Sono stata crudele, l’altro giorno, e invece voi… voi…!»
   Per la prima volta in quattro anni, Marinette strinse Chloé a sé, con affetto sincero. «Va tutto bene, non piangere…» la incoraggiò, massaggiandole la schiena per farla smettere di tremare. «Non sono arrabbiata.» Non era una bugia, perché davvero in quel momento era soltanto felice di vederla in salute – e anche pentita per aver trattato male sia lei che Chat Noir. E benché la ragazza fosse ancora avviticchiata al suo collo, spostò la propria attenzione su Nathalie. «Mademoiselle Sancoeur, monsieur Agreste è con lei?»
   La donna scosse il capo. «Ma sta bene, l’ho visto con i miei occhi.» Marinette si sentì rinascere, quasi come se quella notizia avesse riguardato il suo stesso padre. «Suo figlio, però…»
   Ladybug la interruppe subito: «Anche lui sta bene. Avverta della cosa monsieur Agreste, la prego. Sarà in ansia per lui.» Allontanò gentilmente da sé Chloé e si portò una mano all’auricolare.

Di nuovo all’interno dell’edificio scolastico, Chat Noir si guardava attorno: l’esercito di Papillon sembrava aver terminato la rimozione delle macerie e, con esse, anche l’estrazione di chi, tra feriti e deceduti, vi era stato sepolto a causa dell’attentato. Nessuna traccia di suo padre. Possibile che non l’avesse visto?
   «Continuate a cercare!» urlò qualcuno alla sua sinistra. Voltò lo sguardo e scorse il portatore del miraculous della Farfalla sul punto di crollare: era pallido, le sue labbra erano tirate in una smorfia sofferta e tutto il suo corpo sembrava un fascio di nervi pronto a spezzarsi da un momento all’altro.
   «Chi cerchi?»
   La domanda del ragazzo non ottenne risposta, ma un istante dopo ricevette la chiamata della propria compagna. «È vivo.» Quelle due semplici parole bastarono a farlo rinascere. Calde lacrime di gioia salirono a riempirgli gli occhi e lui si accasciò in ginocchio al suolo, avvertendo di colpo la stanchezza impadronirsi di ogni fibra del suo corpo. «Chaton
   «Grazie», disse soltanto. «Grazie», ripeté, sentendo di dovere a quella voce amata tutto il proprio mondo. Aveva perso già sua madre, non era pronto a dire addio anche a suo padre. Quell’uomo, per quanto imperfetto e severo potesse essere, era tutto ciò che rimaneva della sua famiglia. E se anche finiva per litigare con lui, per arrabbiarsi e portargli rancore, Adrien lo amava con tutto se stesso.
   «Chaton…» Il tono dolce e tenero di Marinette lo riportò vagamente alla realtà e lui tornò a guardarsi attorno, pur con fare confuso. «Ho detto all’assistente di tuo padre che stai bene, così anche lui potrà tranquillizzarsi. Com’è la situazione, lì dentro?»
   Il giovane rivolse di nuovo la sua attenzione a Papillon, che, come lui, ora sembrava impegnato in una conversazione privata con qualcuno. Che avesse un aiutante? Un altro portatore di miraculous? «Il sindaco e monsieur Damocles, insieme al padre di Sabrina, sono qui a…» Diamine, gli veniva persino difficile trovare le parole per esprimersi. Sospirò a fondo. «Sono feriti, eppure sono qui a tenere il conto di coloro che mancano all’appello e a dirigere le operazioni insieme al nostro farfallone mascherato. A proposito… credo stia davvero cercando qualcuno.»
   Marinette immagazzinò quell’informazione con una certa sorpresa: benché Adrien lo avesse già supposto, qualche ora prima, avere quella conferma le faceva vedere il loro nemico sotto una luce diversa, più umana. «Sto arrivando.»
   «No, aspetta», la fermò Chat Noir, prima che lei potesse chiudere la conversazione. Papillon aveva steso un braccio avanti a sé, poggiando il palmo della mano contro uno dei muri ancora intatti e ciondolando la testa in avanti, la bocca finalmente stesa in quella che gli parve un’espressione di puro sollievo. «Credo che gli sia arrivata una buona notizia… Sta sorridendo in modo… genuino. È inquietante», commentò poi, stranito da ciò che vedeva ma felice che non vi fossero state nuove vittime da aggiungere al già tragico elenco. «Vado a parlargli», decise infine.
   «Stai scherzando? Non da solo, per favore», si allarmò subito Ladybug, avviandosi per raggiungere di nuovo la scuola.
   «Non ha intenzioni ostili. Non oggi», le garantì l’altro, mettendosi in piedi sebbene le gambe gli tremassero spaventosamente. «Resta fuori, in mezzo a chi ce l’ha fatta: hanno bisogno di te, dei tuoi sorrisi e delle tue parole di conforto.»
   Marinette dovette dargli ragione, suo malgrado. Avrebbe voluto essergli accanto in quel momento delicato e potenzialmente rischioso, ma doveva fidarsi di lui proprio come lui si fidava di lei. Fece scorrere lo sguardo sull’intera folla ammassata lì a Place des Vosges, dove le autorità stavano finendo di radunare i superstiti dell’attentato, e per la prima volta si accorse che, chi più chi meno, tutti guardavano nella sua direzione: era il loro faro di speranza in quell’orribile oscurità che da troppe settimane stava devastando Parigi nel corpo e nell’anima.
   «Chiamami, se dovessi averne bisogno.»
   «Lo farò», le promise Adrien, chiudendo la comunicazione.












Ebbene sì, siamo giunti al capitolo chiave. Potrebbe dare l'impressione di essere risolutivo per certi versi, ma per certi altri, come avrete intuito, non sembra altro che nuova benzina gettata sul fuoco. Ai posteri l'ardua sentenza.
Frattanto lasciate che vi porga le mie scuse: non sono mai brava con i capitoli d'azione. Certo qui non racconto di una battaglia vera e propria, né mi interessava farlo, a dirla tutta. Come per il resto della storia, la mia priorità qui consiste nel descrivere gli stati d'animo dei personaggi - e dei protagonisti nel caso specifico - creando poi tutta una serie di evoluzioni - o involuzioni - dovute al catastrofico scenario che ho imbastito intorno a loro. Spero di essere riuscita almeno in parte nell'intento, perché ho sempre il dubbio di non esserne del tutto capace.
Gabriel/Papillon. L'ho volutamente trascurato fino al capitolo scorso per questa ragione, benché già nell'incontro fra Adrien e Marinette e il maestro Fu io avessi già in mente di sottolineare anche i pregi del suo potere. Perché ne ha, è fuor di dubbio. Peccato solo che Gabriel, allo stato attuale delle cose (nella serie, intendo), decida di utilizzarlo per meri scopi egoistici. Spero davvero che riesca a ravvedersi, soprattutto prima che diventi inevitabile una resa dei conti (mi auguro non fisica) con il povero Adrien. Ovviamente con lui non ho finito. Né ho finito con Chloé. Li ritroverete anche nei prossimi capitoli, quindi fateveli piacere, per favore. XD
Quanto ai nostri pupilli... anche loro subiranno le conseguenze di quanto già accaduto, purtroppo. Ad un certo punto, anche in modo più o meno straziante. Nessun morto, tranquilli. E nemmeno una separazione, vi faccio questo spoiler così almeno non mi insulterete senza motivo. XD
Credo di non aver più nulla da aggiungere, per questa volta. Vi aspetto al prossimo aggiornamento, ringraziandovi come sempre di cuore per il sostegno e l'affetto che mi dimostrate con le vostre impressioni sulla fanfiction.
Buona serata a tutti! ♥
Shainareth

P.S. Quasi dimenticavo! Non ci sarà alcuna shot a chiusura della saga. Non perché io sia cattiva, quanto perché ho tirato giù un ulteriore capitolo, a mo' di epilogo vero e proprio, anche se un pochino più lungo. Spero vi piacerà!





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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***





CAPITOLO DODICESIMO




Tom si passò una mano sul viso stanco e sospirò, volgendo lo sguardo oltre le vetrine rotte del suo negozio. La distesa di corpi senza vita era stata appena rimossa: dodici vittime, tanti feriti e nessun disperso. Questo era stato il conteggio finale, stilato a notte fonda dalle autorità. Solo quando si era accertato che gli scavi potevano fermarsi lì, il sindaco Bourgeois si era convinto a farsi portare in ospedale, dopo una prima medicazione di fortuna alla spalla e al volto, che aveva battuto violentemente in seguito all’esplosione. Come lui, anche molti agenti di polizia erano rimasti feriti, eppure chi aveva potuto era rimasto fermo al proprio posto, cercando di garantire un minimo di sicurezza ai cittadini presenti sul luogo dell’attentato. Fra i tre che avevano scosso Parigi nell’ultimo mese, quello era stato il meno cruento, benché fosse chiaro a tutti che gli artefici avessero scelto l’istituto Françoise Dupont proprio perché quel pomeriggio avrebbe accolto diverse autorità – a cominciare dal primo cittadino. Il sospetto che non si trattasse più di terrorismo religioso o internazionale ora poteva forse essere confermato: era una questione interna alla città – o all’intera nazione, questo era ancora da appurare. Nessuno, comunque, aveva più alcun dubbio riguardo alla totale estraneità di Papillon ai fatti, non dopo averlo visto dare man forte ai soccorsi, schierandosi per una volta accanto a Ladybug e Chat Noir.
   Lo spostamento d’aria dovuto alla deflagrazione della bomba, e la conseguente pioggia di detriti, aveva causato danni alle abitazioni circostanti. Nulla che non potesse risolversi in capo a pochi giorni, ma di certo i residenti della zona non potevano rimanere lì. Il sindaco si era perciò preso ogni responsabilità al riguardo – anche perché in troppi puntavano il dito contro di lui e la sua incompetenza nel non riuscire a sventare gli attacchi terroristici – e si era esposto in prima persona, proponendosi di ospitare gli sfollati per tutto il tempo che fosse stato necessario. Quando perciò Sabine e Marinette lo raggiunsero di sotto con due borse piene dei propri effetti personali più importanti, Tom le strinse a sé con amore e le guidò fuori dall’edificio. Non ricordava nulla dell’akumizzazione che aveva subito, ma si riteneva fortunato ad essere caduto sotto l’effetto dei poteri di Papillon: aveva contribuito a salvare quante più vite possibili.
   Adrien e Chloé rizzarono la schiena non appena i Dupain-Cheng uscirono in strada e subito il giovane andò loro incontro, trattenendosi a stento dall’abbracciare Marinette. Non erano ancora riusciti a parlare fra loro, dopo quella chiamata, perciò non avevano avuto modo di discutere riguardo a ciò che Papillon aveva detto o non detto a Chat Noir. Quella conversazione poteva aspettare, ora tutti loro avevano qualcosa di più importante a cui pensare. «Non era necessario che rimanessi fino a quest’ora…» disse Marinette, ringraziando l’amato con un sorriso stanco. Solo un attimo più tardi si accorse che, poco più in là, accanto all’auto di famiglia, c’era anche monsieur Agreste che li fissava da lontano. La ragazza non riusciva a vedere l’espressione del suo volto, ma non doveva essere poi troppo diversa da quella di tutti gli altri. «Va’ a casa con tuo padre, anche lui sarà esausto.»
   «Sì, è vero», confermò Adrien, rivolgendo uno sguardo sollevato in direzione dell’uomo. «Ma avevo bisogno di vederti un’ultima volta», ammise, infischiandosene del fatto che i genitori di lei potessero sentirlo. Anche Marinette, allora, abbandonò ogni remora e si sporse verso di lui per stringerlo a sé con amore.
   «Ci sentiamo domani», si promisero prima di sciogliere l’abbraccio.
   Dopo gli ultimi saluti e dopo che l’auto degli Agreste cominciò ad allontanarsi, fu il turno di Chloé di avvicinarsi alla compagna di classe. Era pallida e stanca come tutti loro, i suoi occhi erano ancora arrossati dal fumo e dal pianto, ma nel complesso stava bene. Sembrava persino più bella, così scarmigliata e col trucco ormai rovinato. «Se siete pronti, possiamo andare», esordì con voce gentile ma ferma. Davanti a quella tragedia e al coraggio mostrato da Marinette, che aveva messo a repentaglio se stessa per salvarle la vita, aveva deciso di mettere da parte ogni screzio, ogni spocchia, preferendo di gran lunga concentrare le sue energie su altro, a cominciare dalla preoccupazione per la salute di suo padre – che comunque non correva alcun serio rischio.
   «Grazie», disse Marinette, imitata subito dai suoi genitori mentre tutti insieme salivano nell’auto del sindaco.
   «È mio dovere condurvi fino all’albergo di mio padre», chiarì Chloé, non perdendo tuttavia l’orgoglio che fungeva da pilastro alla sua personalità, a dispetto del fatto che la famiglia della sua rivale era stata l’unica a ricevere quel trattamento di favore. Marinette sorrise, divertita e sollevata a un tempo, e non appena la vettura si mosse per portarli lontani da lì, si concesse infine il lusso di tirare davvero il fiato, rilassando il capo contro il poggiatesta del sedile. Nessuno più parlò.
   Avvolta nell’oscurità della notte, complice anche un guasto ad alcune centraline elettriche in seguito all’attentato, Parigi sembrava più silenziosa del solito. Le luci della Tour Eiffel erano saltate per diversi minuti, prima che i generatori d’emergenza tornassero a funzionare e a garantire almeno la visibilità di sicurezza per gli aerei che sorvolavano la città, ormai da oltre un mese sconquassata da morte e distruzione, spezzata e in seria difficoltà. In lontananza, persino Notre Dame appariva più solenne e spettrale del solito, quasi volesse adeguarsi al luttuoso clima che si respirava tutt’intorno. Sarebbe mai finita, quella scia di morte che i veri mostri di Parigi stavano lasciando lungo il loro cammino?
   Quando giunsero a Le Grand Paris, la situazione mutò: c’era molto più movimento, lì intorno, e non soltanto per la presenza di alcune troupe di giornalisti. Come anche alle altre famiglie di sfollati, ai Dupain-Cheng venne concessa un’unica stanza; e se da un lato quella mancanza di privacy le lasciò un leggero senso di dispiacere a causa soprattutto del pensiero a Tikki, Marinette fu contenta di poter condividere quello spazio ristretto insieme ai suoi genitori. La paura di poterli perdere era stata tale da farle sentire con prepotenza il bisogno di stare con loro, al punto da farle ignorare, almeno per quella notte, l’esistenza di un letto singolo nella camera e da indurla ad infilarsi sotto le coperte insieme – e in mezzo – alla sua mamma e al suo papà. Da quanto tempo non dormivano tutti insieme nel lettone? Da tanti, troppi anni. Quel dolce, nostalgico ritorno all’infanzia fu forse l’unica nota positiva dell’orrore vissuto nelle ultime ore.

Ancora frastornata per via della notte insonne, Chloé osservò il proprio riflesso quasi con disgusto: i capelli del tutto in disordine, le occhiaie marcate nonostante la pelle abbronzata e il viso tirato la rendevano irriconoscibile persino a se stessa. Mise via lo specchio sul comodino, dove si trovava la colazione che le era stata portata pochi minuti prima da una cameriera. Non aveva appetito e tutto ciò che avrebbe voluto fare, in verità, era tornare sotto le lenzuola di seta e sprofondare in un sonno ristoratore che avrebbe giovato al suo aspetto assai sciupato.
   Stava davvero per farlo quando le parve di udire un rumore. Subito si mise in allerta e il cuore iniziò a batterle forte in petto: i terroristi erano giunti fin lì nonostante l’intero palazzo fosse stato blindato dalla polizia e dai paramilitari agli ordini di suo padre?
   «Chloé?»
   Quella voce. Quella dannata voce.
   Trovando finalmente il coraggio di guardare verso la porta della camera, Chloé serrò con forza i pugni attorno alle lenzuola. «Che diavolo ci fai, qui?!»
   Marinette le rivolse un sorriso di circostanza e richiuse l’uscio alle sue spalle, decisa a non uscire da lì prima di averle parlato. «Scusa se sono entrata senza permesso», cominciò allora, avvicinandosi al grande letto su cui la compagna di classe era seduta. «Volevo sapere come sta tuo padre.»
   Davanti a quella domanda, Chloé rilassò i muscoli e sospirò stancamente. «Meglio, pare», rispose asciutta.
   «Sta riposando?»
   «Macché. Non appena l’hanno dimesso dall’ospedale è tornato qui solo per rinfrescarsi e cambiarsi. È di nuovo al lavoro», spiegò quasi controvoglia. Era encomiabile che il sindaco stesse dando fondo a tutte le proprie energie per quella situazione d’emergenza, ma quello che era successo appena poche ore prima alla scuola Françoise Dupont appariva come l’ennesimo dito puntato contro la sua incompetenza. Tutto ciò che gli rimaneva da fare, ora, era salvare il salvabile e, una volta superata la crisi, raccogliere i cocci del proprio mandato e rassegnare le dimissioni come sindaco. Eppure, continuava a ripetersi Chloé, nessun altro avrebbe saputo fare di meglio, al posto suo: non era stato forse grazie alla sua lungimiranza e ai severi controlli da lui imposti se erano stati sventati altri due potenziali attentati nelle settimane precedenti?
   «Sono certa che farà del suo meglio per garantire la sicurezza in tutta la città», la incoraggiò Marinette con fare gentile, avvicinandosi al letto.
   Choé levò su di lei due occhi titubanti. «Certo che lo farà, stiamo parlando di mio padre.» Si accorse di ciò che la compagna stringeva fra le mani e aggrottò la fronte. «Stavi parlando con Adrien?» domandò, quasi volesse farsi male da sola.
   L’altra alzò il cellulare davanti al volto, mostrandoglielo senza alcun problema. «Mi ha mandato solo un messaggio di buongiorno, ma non gli ho ancora risposto. Volevo farlo insieme a te.»
   Quella rivelazione indusse Chloé a sgranare le orbite. «Che c’entro, io?» Per quale dannata ragione quella intrigante ragazzina riusciva sempre a sorprenderla con certe idee del tutto inaspettate?!
   «Hai una vaga idea di quanto ti voglia bene Adrien?» snocciolò lì su due piedi Marinette, lasciandola ancora più basita di prima e prendendo prepotentemente posto accanto a lei. Approfittando del fatto che Chloé fosse rimasta senza parole per la sorpresa, le passò un braccio attorno al collo e avvicinò il viso al suo. «Sorridi~», chiocciò allegra, scattando un selfie che ritraeva entrambe.
   «Cos…?!» si riscosse infine l’altra, assistendo impotente alla visione di lei che inviava quella foto ad Adrien. «Ma sei completamente impazzita?!» strepitò un attimo dopo, allungandosi nella sua direzione per sottrarle il cellulare. Marinette le sfuggì e balzò giù dal letto ridacchiando divertita. «Sono un totale disastro! Non puoi mostrargli la faccia che ho in questo momento!» protestò ancora la sua rivale, del tutto fuori di sé.
   «Perché, la mia ti sembra migliore?» si sentì rispondere con fare ovvio. «Guardami, Chloé: ho le occhiaie più marcate delle tue, sono senza trucco e ho i capelli sporchi. Ma sono certa che Adrien lo noterà appena, felice com’è di sapere che siamo vive e in salute.»
   Su questo non le si poteva dar torto. Ciò nonostante, Chloé tornò a rannicchiarsi su se stessa, issando le ginocchia al petto e nascondendo il viso contro di esse, i bei capelli biondi che cadevano a pioggia sulle spalle e attorno al capo. «Te la farò pagare», bofonchiò offesa, provando tuttavia una sensazione di insperato calore al petto ed una voglia non indifferente di scoppiare a piangere. Erano vivi, sì, e questo era di per sé un motivo più che sufficiente per essere felici.
   Il suono del cellulare di Marinette la fece sobbalzare. Un istante dopo, sentì la ragazza ridere di gusto e avvertì il suo peso tornare a schiacciare il materasso proprio accanto a lei. «Adrien ha risposto. Guarda», le disse in tono dolce, porgendole lo smartphone.
   Pur con un certo timore, Chloé decise di farsi coraggio e di sbirciare sul display, sul quale spiccava uno scatto di Adrien che, del tutto devastato dalla notte insonne e dai dispiaceri vissuti insieme a loro appena una manciata di ore prima, sorrideva allegro e mostrava loro l’autografo di Ladybug che Marinette gli aveva fatto per gioco pochi giorni addietro. Chloé si lasciò scappare un verso buffo dalle labbra, forse una risata soffocata a malapena. «Che idiota…» non riuscì a trattenersi dal dire. «Non lo sa che sono io la preferita di Ladybug?»
   «Litigatevela pure», rispose Marinette, lieta di sentirla parlare in quel modo. «Io preferisco Chat Noir.»
   Chloé stentò a credere alle proprie orecchie. «Ladybug è molto meglio!»
   Vide l’altra stringersi nelle spalle. «Vuoi mettere il fascino del gentiluomo mascherato?» commentò prosaica, senza vergogna. «E poi, credevo lo avessi rivalutato, dopo che ti ha salvato la vita.»
   «Sì, beh… non è davvero inutile come pensavo», le concesse la figlia del sindaco, tornando pian piano a calarsi nel solito personaggio che mostrava nel quotidiano in presenza degli altri. Marinette si sentì risollevata: forse non sarebbero mai diventate amiche, ma quel momento di tranquillità, in cui erano capaci di chiacchierare senza saltarsi al collo, era senza dubbio un primo, importante passo per il rapporto che entrambe avevano tacitamente deciso di instaurare per l’avvenire.

«Adrien?»
   La voce di Gabriel lo riscosse dalla contemplazione della foto che Marinette gli aveva inviato pochi minuti prima, e subito lui scattò fuori dal letto per correre ad aprirgli la porta. Non capitava mai che suo padre si premurasse di venire a svegliarlo in prima persona, perciò quella novità fu accolta dal giovane con sincera gioia. «Buongiorno, papà», esordì quando i suoi occhi verdi incontrarono quelli grigi di lui.
   Senza che nessuno dei due avesse potuto sospettarlo, quello stesso contatto visivo era avvenuto il giorno addietro, quando Chat Noir e Papillon si erano studiati e confrontati nei minuti immediatamente successivi all’esplosione avvenuta alla scuola Françoise Dupont. Non era stata una resa dei conti, soltanto un semplice, pacato scambio di opinioni circa le loro intenzioni per il futuro.
   «Sai fare grandi cose», aveva iniziato Chat Noir, quando aveva chiuso la chiamata con Ladybug e si era trascinato a pochi metri di distanza dal nemico. «Perché non ti unisci a noi, anziché combatterci?» gli aveva domandato, sperando davvero in cuor suo che l’altro accettasse quella proposta.
   Papillon non lo aveva fatto. «Non posso», gli aveva risposto, in tono asciutto.
   Chat Noir aveva osservato quel volto pallido, gli occhi lucidi e inquieti, la linea severa della mascella, la bocca tremula a causa delle emozioni che erano riuscite a sopraffare persino lui, in quel momento. «Cos’è che desideri così ardentemente da rischiare di perdere te stesso?» aveva voluto sapere, non riuscendo a provare alcun tipo di rabbia nei suoi confronti, nonostante tutto. Quando lo aveva visto affannarsi nei soccorsi e dirigere con trasporto i suoi akumizzati al fine di portare in salvo tutti coloro che erano rimasti sepolti sotto le macerie, nella speranza di trovarvi quel qualcuno, a Chat Noir era parso di capirlo, di capirlo fin troppo bene: anche lui aveva vissuto lo stesso terrore al pensiero che suo padre potesse non avercela fatta.
   Dapprima Papillon non aveva risposto e al ragazzo era parso che non lo avrebbe mai fatto; ma poi, dopo un tempo che gli era parso interminabile, l’uomo gli aveva rivolto un’altra domanda. «Hai mai amato qualcuno al punto da sentirti morire al solo pensiero di perderlo?» A quella rivelazione aveva fatto seguito una pausa. Poi, quasi come se avesse parlato fra sé, Papillon aveva aggiunto con voce esausta: «A me è successo. E l’ho persa. La rivoglio indietro. A qualunque costo.»
   Chat Noir era rimasto in silenzio, incapace di trovare parole che potessero anche solo sperare di colmare il vuoto che doveva provare nel cuore l’uomo che gli stava di fronte, un uomo distrutto dal dolore e consumato dall’amore travolgente per una donna. Un’amante? Una moglie? Una figlia? Chat Noir non avrebbe saputo dirlo né si era azzardato a chiederlo, preferendo rispettare la sofferenza del proprio nemico. Quasi avesse voluto ringraziarlo per la reciproca lealtà dimostrata in quell’occasione, Papillon aveva infine sollevato il proprio bastone e si era sfiorato una tempia con il pomo in cenno di saluto un attimo prima di voltare le spalle al giovane e farsi strada all’interno dell’edificio pericolante. E lui? Non lo aveva fermato. Era stato un dialogo fra gentiluomini, divisi da obiettivi differenti eppure così simili fra loro per via di quel sentimento che li divorava quotidianamente: una tristezza così schiacciante da tramutarsi in una rabbia capace di far perdere il lume della ragione. E se Adrien riusciva ancora a dominarla era solo grazie all’amore per una donna, un amore che Gabriel aveva perso e al quale non voleva e non poteva in alcun modo rassegnarsi.
   «Buongiorno a te», disse l’uomo quando suo figlio si affrettò ad aprirgli la porta della camera. Il terrore di aver perso per sempre anche lui aveva sortito quasi lo stesso effetto di un sonoro schiaffo atto a risvegliarlo, facendogli comprendere una volta di più di avere ancora qualcosa che lo teneva legato indissolubilmente alla sua amata moglie scomparsa. Quando si erano rivisti, fuori dalle mura devastate dell’istituto scolastico, si erano corsi incontro e si erano stretti in un abbraccio così soffocante da lasciarli storditi per diversi minuti, a testimonianza che l’affetto che provavano l’uno per l’altro fosse molto più forte di qualsiasi altra cosa al mondo, al pari dell’amore passionale che agitava continuamente l’animo di entrambi. Era stata per questa ragione che Gabriel aveva deciso di accontentare la richiesta di Adrien, aspettando con lui di salutare Marinette prima di prendere insieme la via di casa; in un altro momento l’uomo avrebbe preteso di allontanarsi subito dal luogo dell’attentato per mettere in salvo la propria creatura, ma quando il ragazzo gli aveva spiegato, con un ardore che non gli aveva mai visto nello sguardo, che se era salvo era soltanto grazie a Marinette e al fatto che si erano guardati le spalle a vicenda, Gabriel aveva deciso di lasciarlo fare. Gli era ormai chiaro che, nonostante la giovane età, Adrien avesse ereditato da lui quella stessa, indomita capacità di amare fino allo stremo, e non lo avrebbe ostacolato in alcun modo: era nella loro indole e non sarebbe valso a nulla cercare di fermarli. Lui lo sapeva bene.
   «Sei riuscito a riposare?»
   «Non molto, a dire il vero», fu la sincera risposta che gli diede Adrien. «Ma sono felice che siamo ancora insieme.»
   Gabriel sorrise a labbra chiuse, come al solito, ma per una volta i suoi occhi lasciarono trasparire senza vergogna tutta la vasta gamma di sentimenti che gli riempiva il cuore. «Mi spiace non aver potuto vedere il modello realizzato della tua ragazza.» Vide il giovane irrigidirsi per via di quelle parole e sospirò. «Adrien, pensi che sia nato ieri?»
   «No, è solo che…» prese a balbettare l’altro, spostando il peso del corpo da un piede all’altro con evidente imbarazzo.
   «Credi che potrò vedere almeno qualcuno degli schizzi di Marinette?» sorvolò suo padre, preferendo alleviarlo da quella inutile tortura psicologica.
   «Certo!» esclamò Adrien, recuperando subito il buon umore. «Anzi, farò di più», riprese subito dopo, tornando verso il letto sul quale aveva abbandonato il cellulare. «Quando ha finito il lavoro per la sfilata, due giorni fa, Marinette mi ha scattato alcune foto per rendersi conto di cosa avesse sbagliato e, in caso, cercare di correggerlo al volo.»
   Gabriel sollevò un sopracciglio con aria sorpresa e gli si fece vicino per curiosare sul display del telefonino. «Una perfezionista?»
   «E anche stacanovista, sotto certi aspetti», gli assicurò il ragazzo, mostrandogli le foto di cui gli aveva appena parlato. L’uomo le scrutò attentamente, ingrandendole per osservarne meglio i particolari, e Adrien attese con una certa ansia il suo giudizio al riguardo. «Che ne pensi?»
   «Che sia un vero peccato che questo completo sia andato perso nel disastro di ieri», commentò Gabriel, non lesinando la propria ammirazione per l’abilità innata della stilista del modello. Era la seconda volta che gli capitava di osservare una delle creazioni di Marinette e di nuovo ne apprezzò il design e la precisione maniacale con cui lei aveva curato ogni singolo dettaglio. In cuor suo sperò che avesse le stesse, identiche premure anche per Adrien. «Quando le acque si saranno calmate, in città, dille di venire da me con i suoi schizzi», aggiunse poi, stupendo non poco suo figlio e riconsegnandogli il cellulare.
   «Sono certo che li adorerai», gli assicurò il giovane, gli occhi che brillavano per l’entusiasmo ed un sorriso luminoso che gli abbelliva il volto sciupato dalla stanchezza.

Chat Noir attendeva sotto la luna piena in quella placida notte parigina. Dall’alto della Tour Eiffel, i suoi occhi verdi scandagliavano l’intera città, mentre il suo cuore si piegava davanti a quelle ferite che deturpavano lo splendore della Ville Lumière lì dove i terroristi avevano colpito. Poteva scorgere le impalcature che recintavano lo Shoah Memorial e quelle più imponenti che erano state poste lì dove fino a non troppo tempo prima si ergevano le Galeries Lafayette. Spostò lo sguardo più vicino, su ciò che rimaneva dell’istituto Françoise Dupont; l’edificio era stato danneggiato solo in parte, a dire il vero, ma era indubbio che ormai fosse impraticabile e le autorità vi avevano apposto i sigilli fino a che non fossero stati effettuati i dovuti controlli e l’ala che era crollata non fosse stata ricostruita. Un tempismo perfetto, dal momento che mancavano appena poche settimane alla fine dell’anno scolastico. Gli alunni di quell’istituto lo avrebbero perso? C’è chi ha perso ben di più, si ritrovò a riflettere Adrien, allo straziante ricordo dei corpi senza vita che aveva visto e toccato durante l’ultimo attacco terroristico.
   Seduto sul parapetto posto in cima alla torre, il giovane si fissò il palmo della mano guantata di nero. Nell’ultimo mese e mezzo gli sembrava di essere cresciuto più di quanto avrebbe dovuto. I suoi pensieri, i suoi sentimenti, erano diventati più profondi e più chiari, a dispetto della confusione che regnava tutt’intorno a lui. Aveva avuto persino l’impressione che suo padre lo guardasse in modo differente, forse con maggior rispetto… o era soltanto l’illusione che lui stesso si era creato? Questa era l’unica, vera incognita che ancora lo turbava, benché avesse almeno un motivo per essere felice: pur avendo comprensibilmente stretto la presa attorno a lui, standogli col fiato sul collo più di prima, quell’uomo imperscrutabile e distaccato adesso non era più così distante, poiché non ordinava più ai propri sottoposti di controllare suo figlio tutto il giorno, no; lo faceva in prima persona, come se lo spavento preso a causa dell’ultima bomba gli avesse improvvisamente ricordato di avere ancora qualcosa di molto, troppo importante e che lui avrebbe fatto qualunque cosa pur di non perderla.
   Questa nuova consapevolezza da parte di entrambi, aveva portato Adrien a riflettere a fondo anche sull’incontro che aveva avuto con Papillon, quel faccia a faccia che lo aveva fatto sentire così maledettamente vicino al suo nemico, al punto da desiderare quasi di aiutarlo nella sua ricerca, pur cambiando rotta rispetto alle sue idee malsane. Ciò che però preoccupava davvero il ragazzo era altro, ovvero l’orribile sospetto che, sul serio, quell’uomo e suo padre avessero troppo in comune. L’akumizzazione di Gabriel avrebbe dovuto essere una prova schiacciante sulla sua estraneità ai miraculous, eppure nella cassaforte del suo ufficio custodiva gelosamente quell’antico manoscritto che non voleva condividere con nessuno. Il suo cuore di figlio scacciava con prepotenza quel pensiero; il suo lato lucido e riflessivo, tuttavia, non riusciva a trovare pace.
   «Chat Noir!»
   La voce della sua collega lo ridestò da quei terribili pensieri e lui non fece quasi in tempo a rimettersi in piedi che Ladybug gli piombò addosso, rischiando di farlo crollare di nuovo a terra. L’agguantò per la vita ed indietreggiò di un passo, piantando bene la suola dello stivaletto sul pavimento e scongiurando così la caduta, mentre lei gli si avvinghiava al collo con tutta la forza che aveva e si azzardava persino ad arpionargli il bacino con le gambe. Temendo che potesse sfuggire alla sua presa, Adrien agì d’istinto e spostò una mano per sorreggerla anche da giù, finendo così per ghermirle una coscia. Rabbrividì per quel contatto morbido ed intimo, ma non fiatò né si mosse più per timore di fare qualcosa di peggio. Marinette parve non farci neanche caso, poiché tutto ciò che ebbe da dire fu: «Mi sei mancato. Tantissimo
   Il giovane sorrise: erano tre giorni che si accontentavano di telefonate e messaggi, senza riuscire a trovare il modo o il tempo per vedersi a causa della stretta sorveglianza del padre di lui e della condivisione di un’unica camera da parte dei genitori di lei. Quella notte, però, sarebbe stata tutta per loro, quali che fossero state le conseguenze di quella loro fuga avventata. Recuperando del tutto l’equilibrio, Adrien si lasciò scivolare a sedere per terra per due motivi: il primo, per poter guardare e accarezzare meglio la propria innamorata; il secondo, scostarla almeno un po’ da sé per evitarle una spiacevole scoperta che il suo cuore ancora troppo puro non sospettava neanche. E finché avesse potuto, lui le avrebbe risparmiato quella novità; qualcosa di assolutamente naturale, in effetti, ma i grandi occhi azzurri di Marinette erano così limpidi e luminosi che Adrien si sarebbe sentito mortalmente in colpa se vi avesse scorto del turbamento causato da lui stesso.
   Smise di pensarci e si concentrò su qualcosa di molto più importante: tempestare quel viso amato di quanti più baci possibili. La sentì ridere e ricambiare almeno la metà di quelle tenerezze, fino a che le loro bocche non si incontrarono e loro si persero per qualche minuto nell’intimità di quel momento che sperarono durasse per sempre.
   «Mio padre vuole vederti», disse Adrien, non appena ebbero la forza di sciogliere quel bacio, le labbra ancora ad un soffio le une dalle altre. Vide Marinette sgranare gli occhi e, sorridendo intenerito, le colpì piano la punta del naso con il polpastrello di un dito, attento a non farle male a causa degli artigli dei suoi guanti. «Gli ho detto di noi. O meglio, lo ha capito da solo, penso fosse inevitabile… E credo che tu gli piaccia, sai?» L’espressione stralunata della ragazza lo fece quasi scoppiare a ridere, perciò le stampò un altro sonoro bacio sul viso e aggiunse: «Gli ho fatto vedere le foto del modello che avevi cucito per la sfilata e lo ha apprezzato non poco. Vuole vedere gli altri tuoi lavori.»
   «Sul… serio?» stentò a crederci lei.
   «Mi ha chiesto di portarti da lui non appena le acque si saranno calmate», le assicurò il giovane, divorandola con lo sguardo. Adesso che aveva avuto anche l’approvazione di quell’orso di suo padre, nessuno lo avrebbe separato da quella meraviglia.
   Finalmente Marinette parve recuperare un po’ di sicurezza e passò al contrattacco. «Mio padre, invece, ti aspetta per sfidarti ai videogiochi.» Adrien rise di cuore a quella rivelazione. «Cosa? Credevi che ti avrebbe tolto il saluto solo perché hai deciso di insidiare la sua bambina?» gli domandò lei, contagiata dal suo buon umore.
   «Io non ti sto insidiando», ci tenne a precisare l’altro, fissandola allegro. «Fino a prova contraria, sei stata tu a saltarmi addosso, stasera, perciò comincio a sospettare che quello insidiato sia io.»
   «Cosa?» si finse oltraggiata Marinette, non riuscendo però a trattenere il divertimento né nell’espressione del volto né nel tono della voce.
   «Ammettilo, mi hai attirato fin qui con l’inganno per fare di me un gatto disonesto.»
   «Sì, ti piacerebbe.»
   «Molto, lo confesso», fu la limpida ammissione che Adrien le fece, scuotendo le spalle con noncuranza. La vide arrossire e le baciò una guancia, trovandola bollente sotto al tocco delle sue labbra. «Ma per ora mi accontento più che volentieri dei tuoi agguati coccolosi», le garantì con tenerezza, strusciando la punta del naso contro la pelle liscia del suo collo e facendola rabbrividire non solo per il solletico.
   Marinette si strinse a lui, passando una mano dietro alla nuca del giovane e premendogli dolcemente il capo contro di sé, fino a che la bocca di Adrien non tornò a contatto con lei, baciandole la linea della mascella e persino il lobo di un orecchio. Un calore inatteso e sconosciuto la investì come pioggia di fuoco e quasi si sentì annaspare. Chiuse gli occhi, ma lui avvertì quello che le stava accadendo e per evitare di essere contagiato da quell’eccitazione più di quanto già non gli fosse capitato, fu costretto ad allentare il suo abbraccio e a scostarsi da lei, senza tuttavia avere ancora il coraggio di alzarsi.
   «Marinette…» mormorò con voce roca, risvegliandola suo malgrado da quel meraviglioso torpore. Lei lo guardò quasi stordita e tornò a respirare l’aria fresca della notte, il cuore che batteva come un tamburo nel petto che si alzava e abbassava affannosamente. Era la prima volta che le capitava di perdere il controllo in quel modo e quella novità la lasciò spiazzata, poiché mai si sarebbe aspettata che le bastasse così poco per sciogliersi fra le sue mani: un gioco piacevole e spaventoso al quale non si sentiva affatto pronta a partecipare, sebbene la tentazione di tornare a perdersi in quelle sensazioni obnubilanti fosse forte e prepotente. Vide l’amato sorridere comprensivo, benché in realtà dentro di sé Adrien stesse lottando strenuamente quanto lei per non cedere di nuovo all’impulso di baciarla – questa volta davvero. «Per il momento, dovremo accontentarci di questi incontri furtivi», le disse pacato.
   La ragazza invidiò la sua capacità di mantenere il controllo e si sforzò di seguirne l’esempio. «Chloé…» iniziò allora incerta, pronunciando di proposito quel nome che fu per entrambi un doloroso secchio di acqua gelata atto a raffreddare i loro animi surriscaldati. Si schiarì la voce e ricominciò: «Chloé mi ha detto che tra qualche giorno potremo riprendere a studiare. Suo padre ha messo a disposizione l’hotel anche per le lezioni scolastiche», spiegò più nel dettaglio, accennando un sorriso.
   «Quindi la convivenza forzata vi ha fatte diventare amiche?» la prese in giro il giovane.
   «Neanche il mio Lucky Charm ci riuscirebbe», sospirò lei, facendolo ridere di nuovo. «Ma almeno adesso siamo in grado di parlare senza necessariamente saltarci addosso. È un bel progresso, direi.»
   «Lo è sul serio», se ne compiacque Adrien. «Grazie per tutto.» Lei si strinse nelle spalle, minimizzando i propri meriti. «Anche con mio padre ce ne sono stati», le rivelò a quel punto l’altro, stupendola piacevolmente. «Si interessa di più a ciò che faccio, alle mie passioni e alle mie amicizie. E alla mia ragazza, come ti dicevo. Spero solo che, dopo tutto quello che è successo, non decida di tenermi di nuovo a casa da scuola», aggiunse poi, smorzando inevitabilmente l’entusiasmo di entrambi.
   «Se dovesse accadere, verrò a rapirti», promise Marinette.
   «Non vedo l’ora che accada», giurò Adrien.












Meno due alla fine. Anzi, meno tre, se consideriamo anche l'epilogo.
Sono felice di sapere che la storia vi stia piacendo e che lo scorso capitolo vi abbia coinvolto, perché, come già detto, era quello più importante. In quello che avete appena letto e nei prossimi ci si avvia davvero verso la chiusura, andando a sciogliere gli ultimi nodi e ad approfondire le ultime questioni (soprattutto psicologiche).
In molti aspettavano di sapere cosa si erano detti Chat Noir e Papillon. Come avete letto, nulla di troppo eclatante, anche e soprattutto perché erano entrambi provatissimi da quanto accaduto e (neanche troppo stranamente) empatici l'uno verso l'altro. Noi sappiamo perché, e anche Adrien inizia a sospettarlo, suo malgrado. E proprio quel breve scambio di battute è comunque importante.
In tutto questo, credo che il personaggio per cui mi dispiace maggiormente sia il padre di Chloé: quelle in alto sono quasi sempre le prime teste a saltare (quando un Paese funziona). Approfondirò anche questo, nel corso del prossimo capitolo, perché è giusto analizzare anche questo aspetto.
Quanto al resto, credo non ci sia altro da aggiungere, a parte il fatto che sì, come lo stesso Adrien ha avuto modo di riflettere, i nostri protagonisti sono cresciuti più di quanto avrebbero dovuto nel giro di pochissimo. E penso che non potesse essere altrimenti, visto quanto sono stati messi duramente alla prova (da questa disgraziata che sta scrivendo, pardon).
Chiudo qui, ringraziando come sempre chi legge, chi ha la cortesia di lasciarmi il proprio parere (finito qui, giuro che rispondo alle ultimisse recensioni che mi avete lasciato qui e all'ultima shot) e chi ha aggiunto (o lo farà) questa long fra le storie preferite/ricordate/seguite.
Buona giornata! ♥
Shainareth





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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***





CAPITOLO TREDICESIMO




Quella era la terza volta che si trovavano tutti lì, insieme, a piangere per le vittime di crimini ingiustificati di cui ancora non si riusciva a stabilire la provenienza. Sfidando la collera dei terroristi con la propria, molto più forte e determinata, l’intera città seguiva il lungo corteo di carri funebri per le vie centrali di Parigi. Per tenere la situazione sotto controllo e scongiurare nuovi attacchi, che in quell’occasione sarebbero stati catastrofici, a polizia e paramilitari questa volta si era affiancato anche l’esercito, a testimonianza di come, finalmente, anche lo Stato aveva deciso di prendere in mano la situazione, sia pure in ritardo.
   Si era mosso solo quando Nadja Chamack aveva puntato i piedi in terra, mandando alla malora il telegiornale del pomeriggio per esibirsi in una sfuriata coi controfiocchi, un’arringa in difesa del sindaco che neanche il più abile degli avvocati avrebbe saputo contrattaccare. Non era colpa di André Bourgeois se Parigi era in quelle condizioni, aveva detto come una furia, determinata a non lasciarsi scappare l’occasione di spalleggiarlo anche a scapito della propria promettente carriera di giornalista. La situazione di terrore che tutti loro stavano vivendo nella capitale non poteva e non doveva essere guardata più come un fatto interno alla città, perché, se pure gli attentati si erano verificati unicamente lì, a pagarne lo scotto era comunque tutta la Francia. Che fine aveva fatto l’orgoglio nazionalista? Che fine avevano fatto tutti quegli elettori che avevano affidato le proprie speranze a quell’uomo che, dopo diversi mandati, ancora raccoglieva voti quasi all’unanimità durante le elezioni cittadine? Era impensabile che André Bourgeois avesse così, di punto in bianco, deciso di non fare più il bravo sindaco. Era amato, rispettato, e continuava a ricevere applausi, sempre e comunque, perché tutti i parigini riconoscevano in lui una guida valida ed efficace. Perché, dunque, davanti alla prima, seria difficoltà ne avevano fatto un maledetto capro espiatorio? Come se fosse stato lui a mettere le bombe. Ad uccidere tutte quelle povere persone innocenti. Anzi, sin dall’inizio André Bourgeois si era messo in gioco dando il tutto e per tutto, facendo fronte ai problemi comunali persino di tasca propria, aiutando e ospitando gli sfollati, dedicandosi anima e corpo alle proprie responsabilità, nonostante lui stesso fosse rimasto ferito nell’ultimo attacco. Di più, sotto la sua guida le forze dell’ordine erano riuscite a scongiurare altri due attentati, ma nessuno di quelli parlava già più. Nadja Chamack non aveva potuto accettarlo, non dopo essersi ritrovata in prima linea, nell’occhio del ciclone, non dopo aver visto con quanta dedizione quell’uomo e i suoi collaboratori si erano preoccupati di far fronte all’emergenza che aveva investito tutti loro.
   Parigi aveva applaudito a quelle parole, e il sindaco si era ritrovato davanti al municipio un’orda di cittadini che acclamavano il suo nome, che lo sostenevano, che gli chiedevano di non mollare. E lui non si era trattenuto, crollando in lacrime di commozione e liberando tutto il peso che portava nel petto ormai da tanto, troppo tempo. La forza che ne aveva tratto era stata tale da dargli nuovo coraggio e subito aveva seguito l’esempio di madame Chamack, pretendendo di essere ascoltato dallo Stato e di avere supporto immediato alla terribile situazione che l’intera Francia, e non solo Parigi, stava vivendo.
   Quando le dodici bare furono esposte al pubblico, i ragazzi dell’istituto Françoise Dupont si schierarono in prima fila insieme ai parenti di coloro che non ce l’aveva fatta. Sigillati in quelle tristi scatole di legno c’erano i resti di alcuni dei loro compagni di scuola, poco più che bambini, vittime di mostri sconosciuti che ne avevano reciso le radici troppo presto. Come ogni capoclasse, in quell’occasione Marinette avrebbe dovuto portare una corona di fiori ai piedi del palco su cui erano eretti i feretri, ma quel compito le gravava non poco nell’animo. Era stanca di tutta quella morte, stanca di quei corpi straziati, stanca delle lacrime di chi li reclamava per sé nonostante fosse ormai inutile, stanca di dover vivere ancora momenti come quelli. Sentì le dita di Adrien stringersi maggiormente alle sue nel tentativo di infonderle una forza che forse neanche lui possedeva più. Fu allora Chloé a farsi avanti al posto di Marinette; ritta sulla schiena, il viso alto e lo sguardo deciso, lasciò i propri compagni e avanzò verso la corona di fiori. Se quella ragazzina non ce la faceva, allora ci avrebbe pensato lei. Era la figlia del sindaco, dopotutto, e, senza voler fare sterili polemiche, il suo ruolo in quel momento era obiettivamente più importante di quello di una semplice capoclasse. Davanti a quella scena, vedendola in difficoltà nel sollevare l’enorme corona di fiori, Adrien si mosse per aiutarla e ad un passo di distanza, dopo un profondo respiro, lo fece anche la stessa Marinette. Tutti e tre disposero silenziosamente la ghirlanda funebre ai piedi dei feretri e tornarono al loro posto con uno sguardo devastato dal dolore, proprio come se la tragedia fosse appena avvenuta.

Negli ultimi dieci giorni, anche a causa della convivenza forzata, le due ragazze avevano iniziato di nuovo ad interagire fra loro come ai vecchi tempi, con la differenza che si sforzavano di non litigare ogni volta che erano in disaccordo su qualcosa – e ciò capitava meno di prima. E, sempre col passare dei giorni, la scuola ricominciò davvero per gli studenti dell’istituto Françoise Dupont, non più alla vecchia sede ormai inagibile, bensì all’interno degli spaziosi locali de Le Grand Paris. Non potendone fare a meno, Chloé era scesa a patti con se stessa anche davanti a questa nuova prova e si era mostrata più malleabile con i propri compagni di classe, benché dentro di sé a volte ancora mal sopportava determinate situazioni. Come quella che stava vivendo in quel momento, sull’ampia terrazza dell’albergo dove, un po’ per distrarsi un po’ per dovere, aveva deciso di invitare tutti per un pomeriggio di svago collettivo. E ora era lì, stesa su una delle sdraio, in bikini e con gli occhiali da sole sul naso, che poteva dire addio al suo intento di rilassarsi perché nelle orecchie continuavano ad arrivarle non soltanto le grida allegre dei suoi compagni di classe, ma soprattutto la voce impostata e suadente di Kim.
   A dispetto delle sue spacconate e della posa da copertina da lui assunta per mettere in risalto i muscoli, nel vano tentativo di far colpo sulla figlia del sindaco, dentro di sé il giovane stava tremando. Chloé era sempre stata inavvicinabile per tutti, e se pure ogni tanto era riuscito ad ottenere qualche favore da lei – come ballare un lento o uscire in coppia con la speranza che la sua bella gli desse un contentino anziché sfruttarlo soltanto come portaborse nelle sue razzie ai negozi del centro – Kim viveva perennemente nell’incertezza di non riuscire ad ottenere più di questo. E, invero, per Chloé le cose non sarebbero mai cambiate: aveva un cagnolino fedele, pronto a difenderla, a portarle i pesi, ad obbedire ai suoi ordini in cambio di un sorriso o di uno sfarfallamento di ciglia… perché mai avrebbe dovuto sforzarsi di far maturare quel rapporto per lei così conveniente? Non solo non le importava, per di più non aveva neanche voglia di scoprire se ne valesse la pena, nemmeno ora che Adrien le era sfuggito dalle mani, preferendo concedere le proprie attenzioni amorose ad un’altra. Non era Kim a non andare, in definitiva, ma lei a non essere in grado di provare un qualsivoglia interesse nei confronti di chicchessia. Una volta, timidamente, Sabrina le aveva fatto notare che forse non aveva ancora incontrato la persona giusta e questo le aveva dato da riflettere non poco, riconoscendo saggezza nelle parole dell’amica.
   «Palla!» si sentì gridare. Un attimo dopo, un furioso spostamento d’aria ed un rumore sordo la fecero sobbalzare, inducendola a tirarsi su col busto e a far scivolare gli occhiali da sole sulla punta del naso. Vide Kim piegato in due che si teneva la testa e imprecava a denti stretti, mentre in lontananza qualcuno lo derideva apertamente e a voce alta. Chloé volse lo sguardo verso Alix che, ridendo allegramente, si sporgeva oltre il bordo della piscina dove stava giocando insieme ad altri loro compagni. «Suvvia, Kim! Non ti farai davvero abbattere da una pallonata!» stava dicendo in direzione dell’amico-rivale.
   Con un moto d’orgoglio, il giovane recuperò il pallone e, in barba al rossore diffuso che iniziava a scorgersi sul lato sinistro del suo volto, si precipitò nella sua direzione più agguerrito che mai, giurando e spergiurando che gliel’avrebbe fatta pagare. Chloé lo osservò mentre si tuffava in acqua come un sasso, schizzando chiunque si trovasse nei paraggi, compreso lei. Bofonchiando infastidita, la ragazza tornò a stendersi e si tirò di nuovo le lenti scure sugli occhi. Com’erano infantili, i suoi coetanei… Solo Adrien mostrava una maturità diversa, ma lui ormai non era più sul mercato, e aveva altri pensieri, altre priorità. A cominciare da quella ragazzina dagli occhi azzurri che sembrava davvero avergli fatto consapevolmente perdere la testa. Chloé girò ancora una volta lo sguardo nella loro direzione e sospirò.
   A differenza degli altri, che non avevano esitato a indossare il costume da bagno e a darsi alla pazza gioia approfittando della piscina dell’albergo, Adrien e Marinette si erano imbottiti da capo a piedi e, fioretto alla mano, se ne stavano l’uno di fronte all’altra, pronti all’attacco. Anche le lezioni di scherma di monsieur D’Argencourt erano riprese e di lì a poco ci sarebbero state le selezioni per il nuovo membro della squadra, e questo li aveva fatti mettere subito all’opera: era un modo come un altro per sfogare liberamente la rabbia, la tristezza, la stanchezza emotiva che continuava a devastarli – e chissà per quanto ancora avrebbero dovuto reggere quella maledetta gamma di emozioni più grandi di loro. Chloé non si capacitava di come riuscissero, quei due, a sopportare il caldo e tutto il sudore dovuto a quegli scambi in cui continuavano ad esibirsi da oltre mezz’ora. Due fidanzati non avrebbero dovuto avere ben altro, per la testa? Lei di certo avrebbe preferito qualcosa di meno sportivo e più romantico, e questo l’aiutò ancora una volta a dare ragione a Sabrina: Adrien aveva degli strani gusti e forse, davvero, non era adatto a lei. Il ragazzo giusto prima o poi sarebbe arrivato. Doveva solo portare pazienza.
   Un’ombra le oscurò il sole, inducendola a voltarsi con aria accigliata verso quella che le parve essere un’illustre sconosciuta: era esile, bassina, con i capelli scuri e due occhi a mandorla che tradivano inequivocabilmente la sua nazionalità d’origine. «Chiedo scusa», iniziò la nuova arrivata, «tu sei Chloé Bourgeois, se non sbaglio.»
   «So chi sono», rispose lei, inarcando un sopracciglio e squadrandola da capo a piedi con espressione critica. Quella tipa aveva persino un fioretto, con sé, e da ciò dedusse che doveva essere una delle compagne di scherma di Adrien.
   «Mi chiamo Kagami Tsurugi», si presentò l’altra, non raccogliendo la provocazione implicita nel tono di lei, sebbene le avesse dato non poca noia. «Sto cercando Adrien. Di sotto mi hanno detto che lo avrei trovato qui in terrazza.»
   Un’altra sua ammiratrice? Ormai non avrebbe dovuto importarle più, eppure Chloé arricciò il naso con fastidio. Un conto era Marinette, lei aveva imparato a sopportarla; ben altro era un’illustre sconosciuta che si presentava lì chiedendo di Adrien senza spiegarne la ragione. «Aspetta un momento», disse allora, alzandosi lentamente in piedi. Sollevò gli occhiali sul capo, avvolse i fianchi in un pareo e le diede le spalle, raggiungendo con passo misurato l’amico di infanzia. «Adrien?» lo chiamò con lo stesso entusiasmo con cui avrebbe chiamato un fratello molesto. «C’è una tappetta per te», annunciò puntando il pollice oltre la propria spalla, quando lui le prestò attenzione.
   Il giovane sollevò la visiera della maschera da schermidore e vide Kagami in lontananza che si esibiva in un rigido inchino. Sorpreso da quella visita inaspettata, sorrise e si scusò con le due ragazze prima di dirigersi verso l’ultima arrivata. Chloé corrucciò lo sguardo. «Chi diavolo è, quella?»
   «Kagami», disse Marinette, affiancandosi a lei e sollevando la visiera della propria maschera.
   «Questa era l’unica cosa che sapevo, genio.»
   «Lei e Adrien sono… rivali, credo», fu più chiara, sorvolando sull’epiteto sarcastico usato dalla compagna di classe.
   Quest’ultima la fissò in tralice. «Anche lei ti fa il filo?»
   «Cos…?!» annaspò Marinette, voltandosi a guardarla con occhi sgranati. Vide quelli azzurri di Chloé ruotare verso il cielo e comprese che la stava solo prendendo in giro. S’immusonì, ma non si curò di risponderle e continuò invece nelle spiegazioni che stava elargendo a singhiozzi. «Non troppo tempo fa, Kagami ha sfidato Adrien per entrare all’accademia di monsieur D’Argencourt, ma… ecco… c’è stato un piccolo incidente, un’akuma ha deciso di mettersi di mezzo e… puff! Si è concluso tutto con un nulla di fatto.»
   Chloé non le risparmiò un’occhiata perplessa per quel riassunto assai poco chiaro e, soprattutto, per il modo ridicolo in cui lei glielo aveva fornito. «Quindi, ora che si è di nuovo liberato un posto, è venuta a reclamarlo?»
   Marinette sbiancò. «Sarebbe terribile!» esclamò di getto, alzando forse troppo la voce. Al punto che Adrien si voltò verso di loro e, facendole cenno con una mano, la invitò a farsi avanti. Lei s’irrigidì all’istante e, muovendo le gambe tese proprio come avrebbe fatto il mostro di Frankenstein, si avvicinò ai due.
   Inciampò sui piedi della sdraio sulla quale era stata fino a poco prima Chloé e per poco non cadde di faccia a terra. Adrien l’afferrò prima che fosse tardi e la sorresse fino a che non fu davvero salda sulle gambe. «Tutto bene?» le domandò con la solita dolcezza con cui si rivolgeva a lei quando si esibiva in disastrose performance simili a quella appena regalata ai suoi spettatori. Marinette abbozzò un sorrisetto nervoso e, cercando di ignorare il rossore dovuto alla figuraccia appena fatta, annuì. «Kagami, lascia che ti presenti…»
   «…la famosa Marinette», concluse quella, fissando negli occhi colei che, sia pure senza averne l’intenzione, l’aveva resa facile preda di un’akuma. Le riservò un sorriso enigmatico e le porse la mano. «Adrien mi ha parlato molto bene di te.»
   «Ah…» balbettò l’altra, imbarazzata per quell’ultima frase. In verità, sapeva esattamente quello che Adrien aveva detto a Kagami, poiché era stata lì a spiare l’intera scena proprio come aveva fatto quando Adrien si era incontrato al parco con Lila, diverso tempo prima. La consapevolezza di essersi comportata ancora una volta come una stalker seriale la fece vergognare più che mai. «Moso norficata par guanto suvvecco l’ottima sciolta.» Adrien si lasciò scappare un risolino, coprendo educatamente la bocca con la mano, e lei si riscosse. «Cioè! Sono mortificata per quanto successo l’ultima volta!» si corresse in fretta, stringendo la mano di Kagami con un sorriso poco convincente.
   Le iridi scure di lei saettarono in direzione di quelle di Adrien: davvero quel damerino così bello e perfetto era innamorato di quella ragazza così adorabilmente imbranata? Perché sì, al di là delle chiacchiere di lui, Kagami aveva capito al volo che Adrien non vedeva affatto Marinette come un’ottima amica, come l’aveva definita l’ultima volta. Era rimasta col dubbio che lui non le avesse detto la verità, poiché le era parso piuttosto palese quello che si agitava nel cuore del giovane mentre parlava di lei. Ad ogni modo, dal momento che non erano affari suoi, Kagami decise di non curarsene. «Onorata di fare la tua conoscenza», rispose con il tono misurato che la contraddistingueva, senza lasciar tradire il suo reale pensiero. «E non preoccuparti per quanto è accaduto: sono qui per prendermi la mia rivincita.»
   Era una minaccia? Probabilmente no, ma fu così che arrivò alle orecchie di Marinette, la cui bocca socchiusa si inarcò verso il basso senza che lei potesse evitarlo, rendendo più che evidente il terribile stupore che l’aveva colta udendo quelle parole. «Hai deciso di tentare di nuovo l’ingresso all’accademia?» domandò Adrien, ben più rilassato della propria innamorata.
   «Solo a patto che questa volta ci sia un arbitro competente.» Quella risposta fu un’autentica stilettata a tradimento e Marinette abbassò lo sguardo con aria mortificata. Kagami se ne accorse e corresse il tiro. «Non era mia intenzione offenderti», la rassicurò senza aver bisogno di mentire. «Adrien mi ha detto che sei alle prime armi con la scherma, perciò ho pensato che non avessi dimestichezza neanche nell’arbitraggio.»
   «Marinette si è impegnata molto, nell’ultimo periodo», intervenne il giovane, prendendo subito le difese dell’amata. «E a questo punto, immagino che dovrete contendervi il posto», aggiunse poi, con voce meno ferma, lanciando uno sguardo incerto nella sua direzione. La vide sorridere rassegnata, come a chiedergli se valesse davvero la pena continuare ad allenarsi dal momento che anche Kagami avrebbe preso parte alle selezioni; vista la sua abilità con la spada, il risultato sarebbe stato più che scontato.
   «In tal caso, che vinca la migliore», fu l’ultima cosa che disse la ragazza giapponese, lasciandoli con un inchino di commiato.
   E mentre lei si voltava e tornava da dov’era venuta, Chloé si avvicinò a loro con diffidenza. «Perché è venuta qui?»
   «Visto il caos presente in città, voleva avere da me la certezza che le selezioni per l’accademia di monsieur D’Argencourt si svolgeranno davvero fra due settimane», spiegò Adrien, osservando con la coda dell’occhio Marinette che si portava le mani ai lati del casco e lo sfilava dalla testa con espressione rassegnata. «Vuoi già smettere l’allenamento?»
   «Sei davvero convinto che in due settimane io riesca a raggiungere il vostro livello?» fu la domanda che gli pose lei a mo’ di risposta. «Sii obiettivo», lo pregò con un sorriso poco convinto sulle labbra.
   «Quindi è brava?» s’interessò di sapere Chloé, che indagava sempre a fondo su qualunque essere di sesso femminile si avvicinasse ad Adrien. Anche se aveva dovuto rinunciare a lui da un punto di vista romantico, non significava certo che avesse smesso di volergli bene. E se proprio qualcun’altra doveva portarglielo via, che almeno fosse una persona di cui si potesse fidare – e, anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, si fidava davvero molto di Marinette.
   «Dannatamente», enfatizzò quest’ultima, sollevando gli occhi al cielo e allargando le braccia ai lati del corpo. Se avesse avuto la faccia tosta di dirlo a voce alta, avrebbe persino confessato di aver provato un brivido di eccitazione guardando Adrien e Kagami che duellavano a punta di fioretto o, peggio ancora, quasi corpo a corpo. Anche per questo aveva seguito i due fuori dalla scuola, al di là dell’akuma che si era messa alle loro calcagna. E ora quella ragazza sarebbe stata ammessa alla stessa accademia di Adrien, si sarebbe esercitata con lui, avrebbero ripreso i loro combattimenti, la forte rivalità avrebbe bruciato le loro viscere, e i due sarebbero stati infine travolti dalla passione, relegando la povera, piccola Marinette in un angolo buio del cuore del suo amato Adrien. Poteva esserci qualcosa di peggio?
   Qualcuno la chiamò. Si trattava di Nadja Chamack che, grazie all’infuocata difesa che continuava a portare avanti in favore del sindaco, adesso era l’unica giornalista ammessa all’interno de Le Grand Paris. «Stavo per andar via e ho pensato di passare a farti un saluto», spiegò alla ragazza, aprendo la borsa e tirandone fuori un tablet. «E poi volevo farti vedere una cosa», continuò con un sorriso soddisfatto sulle labbra rosse. «La tua amica Alya?»
   «È laggiù, insieme agli altri», rispose Marinette, lanciando uno sguardo alla compagna di banco, che in quel momento era impegnata in un gioco di gruppo acquatico piuttosto movimentato. «Devo chiamarla?»
   «No, va bene così, lasciala in pace», la rassicurò Nadja, accendendo il tablet e iniziando a smanettarci. «Almeno così posso essere sicura di non dover avere la concorrenza del suo Ladyblog
   Adrien corrucciò la fronte. «Perché? Che è successo?» domandò, dal momento che erano diversi giorni, ormai, che Ladybug e Chat Noir non si vedevano per le strade di Parigi. Con tutta la sorveglianza e il dispiego di forze dell’ordine, a che sarebbero serviti? In più, al momento Papillon sembrava fare di nuovo il bravo.
   «Ora lo saprai», cinguettò la giornalista con voce allegra. «In verità non sono del tutto certa che siano immagini adatte a dei ragazzini della vostra età, ma… diamine, avete quanto? Quattordici? Quindici anni? Sicuramente sono cose che fate anche voi», aggiunse inaspettatamente, girando il tablet nella loro direzione e facendo partire un video. Si trattava di un filmato in bianco e nero, tipico delle telecamere di sicurezza, e ritraeva Chat Noir da solo, che fissava davanti a sé. Cosa? Soprattutto, dov’era? E mentre Adrien tremava al pensiero di essere stato ripreso mentre tornava a prendere le proprie sembianze civili, sul display del dispositivo comparve come un lampo l’altra eroina di Parigi, che piombava addosso al collega come una furia. I due si abbracciarono e quando iniziarono a scambiarsi effusioni inequivocabili, fu chiaro che quel filmato era un estratto preso dalle videocamere di sorveglianza della Tour Eiffel, che appena pochi giorni prima avevano immortalato qualcosa dal valore inestimabile. «E hanno anche il coraggio di negare che sono una coppia», stava dicendo Nadja, in tono allegro ed entusiasta.
   I due diretti interessati, però, neanche l’ascoltavano più, presi com’erano dall’imbarazzo di essere stati colti in flagrante in uno dei loro momenti più intimi. Ed eccoli lì, alle prese con i loro baci, le loro coccole, fino a che Chat Noir non si era dedicato al collo della sua innamorata, accendendo in lei il desiderio all’istante. Marinette si portò le mani al viso e, trovandolo bollente, dedusse che doveva essere arrossita tantissimo. E no, non soltanto perché si vergognava del modo piuttosto inequivocabile in cui si era comportata quella notte, quanto perché non si era resa conto che anche Adrien si era infiammato allo stesso modo – le immagini parlavano chiaro. E lei che si preoccupava di Kagami…
   Nadja sottrasse il tablet alla loro vista e lo strinse al petto come se fosse stato un tesoro prezioso. «Non è fantastico? Ho uno scoop sensazionale e non vedo l’ora di diramarlo!»
   «Ma lei non dovrebbe occuparsi di pilotare l’opinione pubblica a favore di mio padre?» volle sapere Chloé, schioccando la lingua sotto al palato con aria seccata e intrecciando le braccia sotto ai seni. «Ha davvero tempo anche per i gossip?»
   «La gente ha bisogno di svagarsi», rispose la donna senza perdere il sorriso, mentre riponeva il tablet nella borsa. «Non possiamo pensare sempre e solo alle brutte cose. Non è per questo che hai invitato i tuoi amici in piscina, oggi?» le domandò, strizzandole l’occhio con affetto. Si rivolse poi a Marinette, trovandola ancora rossa in volto e visibilmente sconvolta da quanto aveva appena visto. Davvero era ancora tanto innocente? E sì che aveva un fidanzato bello e prestante, che a dirla tutta le pareva anche piuttosto sveglio… Nadja spostò allora lo sguardo su Adrien, che sembrava meno imbarazzato, ma ugualmente scosso, e sorrise con fare materno, sollevata al pensiero che ci fossero ancora dei ragazzini così puri e ingenui. Sperò che anche per Manon sarebbe stata la stessa cosa, quando avrebbe avuto la loro età.
   «Madame Chamack», prese parola Adrien, cercando di dominare le emozioni che lo avevano assalito quando si era reso conto di quanto fosse visibile la passione taciuta fra lui e Marinette. «Mi chiedevo… è legale diffondere materiale del genere?» La sua innamorata si riscosse e subito lo appoggiò moralmente: sarebbero davvero riusciti ad evitare la catastrofe?
   «Certo che lo è», fu la risposta che arrivò come un pugno nello stomaco.
   «Ma… non sarebbe comunque imprudente?»
   «Perché? Nessuno sa chi sono, non credo che un loro love affair possa nuocere a qualcuno.»
   «Magari a loro stessi», intervenne allora Marinette, facendosi coraggio. «Insomma, se Papillon o chicchessia volesse metterli fuori gioco, potrebbe benissimo usare questo loro punto debole per… per…»
   «…per riuscire ad ottenere ciò che vuole», venne in suo aiuto Adrien.
   Nadja li fissò con tenerezza e fece notare loro: «Anche se fossero soltanto compagni nella lotta al crimine, credete davvero che non farebbero di tutto per proteggersi l’un l’altra?» Scosse il capo, sempre più decisa nella sua posizione. «Ricordiamoci che sono gli stessi Ladybug e Chat Noir che danno l’anima per salvare quante più vite possibili, da che hanno messo piede per la prima volta a Parigi. Stiamo parlando di persone che loro neanche conoscono, eppure non si sono mai tirati indietro, mettendo a repentaglio se stessi pur di evitare l’inevitabile.»
   «E per questo non dovrebbero essere premiati?» insistette Marinette, sia pur lusingata dalla considerazione che Nadja aveva di loro. «Non chiedono mai niente in cambio, potreste almeno lasciarli vivere in pace i loro momenti di vita privata…»
   L’altra parve rifletterci un attimo su e infine annuì. «Questo ha già più senso», ammise suo malgrado. «Ci penserò.»
   Quando infine li salutò e li lasciò soli, Chloé si portò le mani sulle anche e ruppe il silenzio calato fra loro. «Ma che cavolo ci troverà, Ladybug, in quel pulcioso mascherato?»
   «Ehi!» protestò d’istinto Adrien, mentre Marinette si mordeva il labbro inferiore per non scoppiare a ridere. «Non dovresti parlare così di chi ti ha salvato la vita!»
   «Lo sai che la tua bella ha un debole per lui?» ribatté Chloé, facendo cenno con la testa alla compagna di classe. «Me l’ha confessato l’altro giorno.»
   Adrien sollevò le sopracciglia con aria sorpresa, un sorriso compiaciuto sul volto ed una scintilla d’orgoglio che gli brillava negli occhi verdi. Marinette si strinse nelle spalle. «Giusto un pochino», ammise, cercando di minimizzare la cosa, sebbene le immagini appena mostrate loro da Nadja la smentissero appieno.
   «Posso accettarlo», le concesse il giovane, fingendosi comprensivo. «Dopotutto, chi potrebbe resistergli? È affascinante, galante, atletico…»
   «Mi sa che il debole ce lo avete tutti e due…» borbottò Chloé, agitando una mano davanti a sé come se volesse scacciare una mosca fastidiosa e voltando loro le spalle per tornare a prendere il sole prima che calasse oltre la linea dell’orizzonte. «E fatevi una doccia! Bardati come siete, puzzate di sudore!» fu ciò che urlò loro mentre si congedava, facendoli ridere entrambi.
   Rimasti soli, i due si scambiarono uno sguardo imbarazzato. Erano stati colti con le mani nella marmellata, e anche se non avevano fatto niente più di quello che madame Chamack aveva mostrato, rimaneva il fatto che la loro privacy era stata violata. Finché Marinette fosse rimasta ospite dell’albergo, sarebbe stato meglio evitare qualsiasi tentativo di incontro al di fuori di quelli canonici, durante le lezioni scolastiche o per un pomeriggio di relax insieme agli amici. A meno che non fosse stata Ladybug ad andare da Adrien… e in quel caso, sarebbe riuscita a sfuggire alle telecamere di sicurezza di villa Agreste?












E siamo quasi alla fine.
Scrivendo questo e il capitolo precedente, mi sono resa conto di quanto, pur in mezzo alla morte, la gente abbia bisogno di sentirsi viva. Quindi, onestamente, non credo di essere stata troppo indelicata mostrando atteggiamenti più leggeri e vivaci da parte dei vari personaggi (in particolare dei due protagonisti), anche perché penso che abbiano davvero bisogno di non pensare continuamente a ciò che è successo: se lo facessero, sarebbe a dir poco deleterio. Penso sia un modo come un altro di sopravvivere, anche se solo psicologicamente. Liberi di smentirmi, eh, però credo che faccia parte dell'animo umano questo tipo di atteggiamento. Poi, ovvio, in questo capitolo sarà passata una quindicina giorni dall'ultimo attentato, perciò penso che i ragazzi abbiano tutto il diritto di comportarsi in modo più spensierato. Ma anche nel precedente, quello ambientato poche ore dopo l'attacco alla scuola, penso che soprattutto Adrien e Marinette avessero bisogno di sorridere a qualunque costo, nonostante tutto, di imporre il loro desiderio e la loro gioia di vita sulla morte che li aveva circondati fino a quel momento.
Tornando al presente capitolo, ho voluto qui porre l'attenzione su due cose: la situazione cittadina e, di nuovo, Chloé. Per quel che riguarda il primo punto, confesso di essere stata fortemente tentata di cimentarmi in un ulteriore approfondimento della cosa, ma avrei rischiato di impelagarmi in qualcosa di complicato e, forse, persino noioso, che avrebbe di sicuro stravolto l'obiettivo di questa fanfiction: non già raccontare una storia incentrata sulla politica e sulla criminalità, bensì raccontare dei limiti (e di nuovo...) di tutti - o quasi - i personaggi che vi sono comparsi. Alcuni di questi limiti sono più marcati, altri appena accennati. Come nel caso di Kagami, che ha evidenti problemi nel modo di rapportarsi con il prossimo (almeno per quel poco che ci è stato mostrato, a mio avviso); lei, a sua volta, rappresenta un limite di Marinette (che le è inferiore nell'arte della scherma) e mette in evidenza quello di Adrien (che non si era reso conto che a Kagami era bastato un attimo per capire ciò che a lui invece nella serie continua a sfuggire, e cioè la sua cotta per Marinette).
Abbiamo poi Chloé, che non mi stancherò mai di approfondire, credo. Mi piace pensare (e sperare) che un giorno avrà davvero un comportamento del genere con Adrien (arrivando a considerarlo alla stregua di un fratello) e con Marinette (rivale, sì, ma quasi amica), senza però rinunciare al proprio incrollabile orgoglio. Incrocio le dita. E spero di non averla snaturata, in questa sua nuova veste meno capricciosa e più consapevole.
Infine, abbiamo Nadja Chamack, che non smette mai di combinare guai pur senza averne l'intenzione. Diffonderà il video? Non lo farà? Per ora vi lascio con questo dubbio.
Ho scritto tantissimo in queste note, perdonatemi. Mi auguro solo che questa storia continui a piacervi fino alla fine, tanto ormai ci siamo: il prossimo sarà l'ultimo capitolo e poi si passerà all'epilogo vero e proprio.
Un grazie di cuore a tutti voi che siete ancora qui e che mi sostenete sempre con le vostre parole di incoraggiamento. ♥
Buona giornata,
Shainareth





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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***





CAPITOLO QUATTORDICESIMO




Abbracciato alla sua forma di camembert ancora intonsa, Plagg sbadigliò. Quella roba che stava guardando era una vera noia. Melensa più di Adrien e Marinette quando decidevano di sbaciucchiarsi senza minimamente considerare la presenza sua e di Tikki. Almeno, si consolò, i due portatori sapevano essere divertenti, a modo loro; Matteo e Giuliana, invece, erano inguardabili. Anzi, inascoltabili. «Ne ho piene le scatole, di questa cosa…» borbottò fra sé, sperando che quella scena piena di frasi fatte e inconcludenti terminasse alla svelta.
   «Allora perché diavolo la guardi?!» pretese di sapere il povero Adrien che, seduto alla scrivania, stava cercando di fare i compiti di matematica senza troppo successo.
   «Sto studiando.»
   Boccheggiò a vuoto per qualche istante, incredulo per quell’affermazione. «Io sto studiando», puntualizzò, battendo una mano sul libro aperto davanti a sé. «Tu stai solo guardando una dannata telenovela che nemmeno ti piace!» Plagg grugnì ma non disse nulla e lui sospirò, paziente come sempre. «Fammi capire…» cominciò dopo qualche secondo, decidendo di cambiare strategia. Forse se avesse mostrato maggior comprensione, avrebbero potuto trovare un punto di incontro e magari lui sarebbe riuscito a sfuggire a quel supplizio almeno mentre faceva i compiti. «Ti piacciono le telenovelas?»
   «Puah!» ribatté il kwami, trovando ridicola e persino offensiva quella domanda. «Come puoi anche solo pensare che io sia davvero interessato a questa lagna?!»
   «Dio sia lodato…» soffiò Adrien con sollievo, sentendo le sue speranze crescere. «Allora ti piacciono le storie in costume?» chiese poco dopo. Le vicissitudini di Ignazio e Donna Ester erano ambientate in pieno 1800, mentre quelle di Matteo e Giuliana sembravano risalire alla fine di quello stesso secolo, durante gli anni dell’emigrazione degli italiani in Sud America. «In questo caso, ti consiglierei qualcosa di molto, molto più interessante. Magari delle trasposizioni cinematografiche di importanti opere letterarie, come I tre moschettieri o L’isola del tesoro
   «Conosco la storia dei moschettieri di Francia molto meglio di te», gli assicurò Plagg stizzito, dal momento che in quel periodo aveva affiancato La Coccinelle al servizio di Sua Maestà. «E se ne L’isola del tesoro non viene fatto cenno ad una fazenda, allora non mi interessa.»
   Adrien lo fissò stranito. Cosa c’entravano le fazendas? Solo in quel momento si rese conto che le telenovelas a cui il suo kwami si era appassionato erano entrambe brasiliane e, per di più, ambientate in una o più fazendas. «Sei… interessato alle piantagioni di caffè?» osò chiedere a quel punto.
   «Chi se ne importa del caffè?!» protestò Plagg, sempre più spazientito. «Sto solo cercando di capire quanto si può guadagnare dalla produzione di formaggio!» Al giovane cadde la penna di mano. «Ma questi stupidi idioti non fanno altro che parlare di amori, tradimenti e sotterfugi, accoppiandosi come conigli! Sono di una noia colossale!» si sfogò infine la piccola creatura, lanciando un pezzetto di camembert contro il monitor del computer. Se ne pentì subito dopo, perché corse a prenderlo e lo accarezzò e cullò come se si fosse trattato di un bambino piccolo.
   Deciso a non strizzarlo fra le dita unicamente per questioni legate ai poteri dei miraculous, Adrien si passò una mano sul volto con fare stanco, ingoiando più di un’imprecazione. «Plagg», cominciò poi, la voce che tuttavia tradiva il suo reale stato d’animo. «Nelle fazendas si coltivava il caffè.»
   «L’ho capito anch’io, cosa credi?» rispose l’altro, immusonito per l’essersi dovuto subire centinaia di puntate prima di scoprirlo. «Però almeno qui Gumercindo e Bartolomeo parlano anche di uva», spiegò animatamente, convinto di ciò che diceva, «quindi non vedo l’ora che passino a discutere di formaggio.»
   «Non succederà», gli assicurò Adrien, benché non avesse idea di cosa sarebbe accaduto fra quei due emeriti sconosciuti. «E anche se fosse, ricordati che è una storia ambientata più di cento anni fa, oltretutto in un altro continente. Faresti meglio a fare ricerche online sui caseifici francesi dei giorni nostri, se proprio ti interessa l’argomento.»
   «A che pro? Tanto non mi passeresti un soldo per un investimento del genere», s’impuntò Plagg, che ormai l’aveva presa sul personale. Insomma, un conto era guardare passivamente qualcosa, ben altro era doversi documentare sul serio, leggendo chissà quante pagine di noiose spiegazioni e tecnicismi di varia natura.
   Solo la vibrazione del cellulare impedì al giovane di lanciargli contro la gomma per cancellare. Si trattava di un messaggio da parte di Marinette, che gli annunciava che, se tutto fosse andato per il meglio, lei e i suoi genitori avrebbero potuto tornare a casa di lì a due giorni. Digitando la risposta, Adrien sorrise al pensiero che le cose finalmente stessero iniziando a tornare alla normalità almeno per loro. Di più, sarebbe stato un sollievo soprattutto da un punto di vista psicologico: da quando non potevano vedersi la sera e passare la notte insieme, entrambi erano stati di nuovo colti dall’insonnia e dagli incubi, soprattutto dopo l’ultimo attentato. Adrien si domandò se Marinette vedesse il rientro a casa come un sollievo o, piuttosto, come una tortura; in fin dei conti, dalle sue finestre avrebbe avuto sempre sotto gli occhi la scuola teatro del disastro e, peggio ancora, la strada sulla quale, insieme agli altri soccorritori, durante quelle maledette ore di terrore avevano disposto le vittime della tragedia.
   Altro che investire in un caseificio… Se Adrien avesse avuto la possibilità di mettere mano agli introiti dei servizi fotografici a cui si prestava per volere paterno, e soprattutto se avesse avuto qualche anno in più, non ci avrebbe pensato due volte a sposare Marinette e portarla a vivere altrove. Aveva bisogno di vederla, assicurarsi che stesse bene. Ma dopo che madame Chamack aveva mostrato loro quel filmato, si erano ripromessi di stare più attenti, di non commettere altre ingenuità del genere. Avrebbero potuto incontrarsi in un posto più sicuro, senza videocamere di sorveglianza, certo; ma avrebbero sfidato troppo la sorte, dal momento che Marinette condivideva ancora la stanza con i propri genitori e che questi ultimi avrebbero potuto accorgersi della sua assenza se si fossero svegliati durante la notte. Incontrarsi di giorno? Impossibile, suo padre lo braccava come un mastino; e se pure all’inizio questa novità lo aveva in qualche modo reso felice, perché finalmente l’uomo mostrava il proprio interesse per lui, adesso Adrien cominciava ad avvertire tutti i disagi di quella nuova condizione. Inoltre, al momento gli sembrava ancora prematuro accontentare la richiesta di suo padre, invitando Marinette a casa per mostrargli i suoi schizzi; non ci sarebbe stato nulla di male, in realtà, e anzi gli avrebbe persino fatto piacere, ma temeva che questo avrebbe messo pressione alla ragazza, che allo stato attuale delle cose aveva solo bisogno di starsene tranquilla e di non pensare ad altro che a se stessa – e magari anche a lui, certo.
   Le voci melense di Matteo e Giuliana furono di colpo soppiantate dall’audio dei normali canali televisivi nazionali, segno che Plagg aveva finalmente deciso di mettere da parte quel supplizio in favore di un semplice zapping. Quando arrivò su TVi News la figura di Nadja Chamack apparve con prepotenza sullo schermo, parlando animatamente di qualcosa che era successo in città. «Alza il volume», chiese Adrien al kwami, che subito lo accontentò.
   …sia stato provvidenziale l’intervento delle forze dell’ordine, che, stando alle prime notizie, sono riusciti non soltanto a sventare l’ennesimo attentato, ma anche e soprattutto a fermare quello che sembrerebbe essere uno degli autori. Udendo quelle parole, Adrien schiuse le labbra, gli occhi ben aperti sulle immagini che stavano scorrendo in video in quel momento. Sembravano delle riprese amatoriali e perciò non erano troppo nitide o ravvicinate, ma si poteva comunque intuire che ci fosse stato parecchio movimento nei pressi di Montmartre. Che il nuovo obiettivo fosse il Sacré-Coeur? Adrien ripensò a quando era stato lì con Marinette un paio di mesi prima, durante quel loro primo ed unico appuntamento al buio, quando entrambi erano stati insieme dal guardiano dei miraculous. La giostra di Montmartre era uno dei più importanti simboli di Parigi, meta di turismo e luogo di incontri fra innamorati e di divertimento per bambini. Dopo una scuola media, quei dannati terroristi avevano davvero deciso di far saltare in aria anche quella? O forse preferivano profanare la santità della basilica? Qualunque fosse la risposta a quelle domande, Adrien non poté fare a meno di sperare che in effetti la persona posta in stato di fermo fosse davvero uno degli attentatori e che, magari, da lui le autorità sarebbero riuscite a cavare delle informazioni preziose per la risoluzione di quella maledetta situazione che teneva l’intera capitale sulle spine da troppo tempo.
   Da quando lo Stato si era infine deciso ad affiancare il sindaco Bourgeois in quella crociata, Adrien e Marinette avevano preferito tagliarsene fuori. Si trattava di una questione sempre più politica, nella quale due ragazzini della loro età non avrebbero saputo muoversi. Avevano perciò stabilito di intervenire solo nel momento del bisogno e, in cuor loro, speravano che Ladybug e Chat Noir sarebbero rimasti per parecchio tempo con le mani in mano, complice anche la sopita attività di Papillon. Se solo quest’ultimo si fosse persuaso ad ascoltarli e ad allearsi con loro… Alla luce di quanto Adrien aveva scoperto sul suo conto, in tutta onestà, cos’avrebbe fatto se si fosse trovato nei suoi panni? Se avesse perso suo padre? Nulla. Non avrebbe fatto proprio nulla, altrimenti si sarebbe già impossessato del miraculous della Coccinella per riportare indietro sua madre. Marinette non aveva forse tutta la sua fiducia? Ecco, lui avrebbe potuto approfittarsi della cosa da molto, molto tempo, ma non aveva voluto farlo. Non gli era neanche passato per l’anticamera del cervello. E se invece avesse perso Marinette?
   Una fitta non indifferente alla bocca dello stomaco gli mozzò quasi il fiato e Adrien strinse i pugni e strizzò gli occhi a causa di quel pensiero, che lo aveva colpito come un pugno a tradimento. Se avesse perso Marinette, forse anche lui avrebbe smarrito il senno proprio com’era capitato all’uomo che si nascondeva dietro la maschera di Papillon. Di nuovo… Di nuovo il giovane ebbe la spiacevole sensazione di capire fin troppo bene il loro nemico, di essergli vicino più di quanto avrebbe voluto.
   Avrebbe dovuto parlarne con Marinette?

Le tremò il cuore non appena il taxi si fermò davanti all’ingresso dell’edificio fresco di restauro. Aveva amato quella casa con tutta se stessa, perché era lì che era nata e cresciuta, che aveva iniziato a fantasticare sul suo futuro e a concretizzare parte dei suoi sogni. Era lì che aveva mosso i primi passi come Ladybug, che soleva guardare il cielo pensando all’amore, che aveva baciato Adrien per la prima volta con sincerità. Ora quei ricordi erano stati calpestati dalla brutalità di altre immagini, molto più violente e spaventose. Decise di non pensarci, non subito, e si lasciò trascinare dalla necessità del momento, aiutando i suoi genitori a portare su la loro roba, a sistemarla e a ripulire ciò che si era sporcato durante i lavori appena terminati. Tutt’intorno si poteva sentire l’odore ancora fresco dei materiali usati per riparare i danni, conferendo ulteriore estraneità a quel luogo che era stato per lei un rifugio sicuro per quasi quindici anni. La strada che la divideva dall’edificio scolastico pericolante neanche voleva guardarla.
   Mentalmente troppo stanca per pensare anche solo di mettere qualcosa nello stomaco, Marinette rifiutò la cena e dopo un ultimo, rassicurante abbraccio ai suoi genitori, capace quasi di indurla al pianto, fuggì di sopra, in quella camera che era sempre stata il suo mondo. Lì l’odore era rimasto quasi lo stesso, ma il senso di distacco da ciò che era stato si era ormai ben radicato dentro di lei. Avvertì un nodo soffocante in gola e, senza pensarci, salì sul letto e allungò un braccio verso l’alto, premendo il palmo della mano contro la botola che l’avrebbe portata sul suo terrazzino. Quella si schiuse, ma quando l’aria fresca della sera appena scesa sulla città le sfiorò il viso, ritirò il braccio e rimase inginocchiata sul materasso, silenziosa e immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.
   «Marinette…?»
   La vocina preoccupata di Tikki non bastò a scuoterla. Aveva solo voglia di piangere, eppure continuava a far violenza su se stessa, impedendosi di cedere – e non certo per orgoglio. Cos’avrebbe fatto, d’ora in poi? Sarebbe davvero riuscita a vivere ancora lì, ad un passo dal teatro dell’orrore che aveva vissuto appena una manciata di giorni prima? Serrò le mascelle e strinse le labbra, avvertendo un’improvvisa nausea attanagliarle lo stomaco. Stava male, la testa le girava e non riusciva a pensare ad alcun motivo valido per non tornare di corsa all’albergo del sindaco.
   Lo trovò pochi minuti dopo, quando un lieve bussare alla finestra posta accanto al letto la fece sussultare spaventata. Due occhi amici la fissavano con dolore e lei scattò verso l’alto, spalancando la botola e tuffandosi nel caldo abbraccio dell’amato che la stava aspettando. Chat Noir la strinse al cuore, affondando la bocca fra i suoi capelli scuri e facendosi carico del pianto dirotto a cui Marinette cedette l’istante successivo. Il giovane rimase lì, in silenzio, ad ascoltare i suoi singhiozzi e a cullarla con tutto l’amore di cui era capace. Solo loro due, accucciati sul freddo gres del pavimento. Passò diverso tempo prima che la ragazza, bisognosa di recuperare fiato, il respiro ancora spezzato dai singulti, riuscì a guardarlo negli occhi. Fu allora che Adrien capitolò, sciogliendo la trasformazione e posando le labbra sulle ciglia bagnate di lei, sulla pelle del viso, sulla punta del naso e sulle labbra tremanti. Realizzò in quel momento che Marinette era la sola cosa al mondo capace di riempire il vuoto del suo cuore e di mantenerlo sano di mente. Lo stesso fece lei, perché Adrien era l’unico a darle il coraggio e la forza necessari per rialzarsi ancora.
   Quando la bocca di lui cercò di nuovo la sua, Marinette lo baciò con passione, fra le ultime lacrime che ancora scivolavano sul viso. Ne sentì il sapore e schiuse le labbra, condividendo con lui quel primo, vero contatto intimo, come se da esso fosse dipesa l’esistenza di entrambi. Nell’ultima decina di giorni avevano potuto vedersi solo durante le lezioni scolastiche e in poche altre occasioni, e non era bastato a nessuno dei due. Quella lontananza aveva impedito loro di condividere emozioni e pensieri fino in fondo, ed entrambi avevano finito per accatastarli tutti in un unico ammasso di sentimenti, così aggrovigliato e profondo che adesso non poteva far altro che esplodere in modo fisico. Adrien l’afferrò per la vita con fare possessivo e l’attirò maggiormente a sé, mentre Marinette si aggrappava al suo collo con forza, desiderosa soltanto di perdersi in quel bacio fatto di sospiri, lacrime e dolore. Ma c’era anche l’amore, tanto. E lo scoprirono quando le loro labbra chiesero una tregua, i loro respiri si confusero ancora e le loro dita si intrecciarono con tenerezza. Occhi negli occhi, trovarono la forza di scambiarsi finalmente un sorriso di gioia: si erano ritrovati e non si sarebbero lasciati più. Avevano un disperato bisogno l’uno dell’altra.

Gli accarezzò il sopracciglio biondo con la punta di un polpastrello, seguendone la linea gentile fino a che non si accorse che Adrien la stava ancora guardando. Quegli occhi buoni erano tutti per lei, intenti a rimirare le sue ciglia scure, la curva sensuale delle labbra e quella lieve spruzzata di lentiggini che lui tanto amava. Le posò un leggero bacio sulla punta del naso, facendola sorridere e mosse il braccio con cui le cingeva la vita, spostando la mano più su e aprendola per accarezzarle la schiena con l’intero palmo. «Sono felice che tu sia qui», la sentì dire in un mormorio sollevato, rimanendo stesa accanto a lui sul letto, le gambe intrecciate alle sue.
   «È un bene, perché ho deciso che verrò ad infastidirti tutte le sere», le assicurò, baciandola ancora, questa volta a fior di labbra. Marinette non lo lasciò fuggire, muovendo le dita della mano dietro alla nuca di lui, premendola verso di sé. Non approfondì di nuovo il contatto, preferendo invece continuare a cullare entrambi fra quelle tenerezze che avrebbero consentito loro di rigenerarsi.
   «Cos’hai?» gli chiese poco dopo, incrociando il suo sguardo.
   Adrien fece scivolare la mano fino al suo polso sottile, prendendole poi le dita fra le proprie e portandosele al petto. Marinette avvertì nitido il battito del suo cuore, lento, caldo, gentile, rilassante. «Ho paura», le confessò abbassando appena le ciglia bionde sul volto chiaro. «Ho scorto delle somiglianze fra me e Papillon.»
   «Cosa vi siete detti, quella volta?» Aveva aspettato a lungo che lei gli ponesse quella domanda e lui a lungo aveva riflettuto sulla risposta da darle. Non voleva mentirle, ma non ricordava nel dettaglio le parole che aveva scambiato con il loro nemico, solo quella maledetta, terribile sensazione di empatia nei suoi confronti. «Adrien?»
   Prese un grosso respiro. «Avevamo ragione», iniziò allora, tornando a guardare Marinette negli occhi. «Papillon ha perso qualcuno. Una persona amata.»
   Dunque era per questo che aveva bisogno dei loro miraculous. «Temi che finiresti per comportarti allo stesso modo, se dovessi perdere me?» gli chiese diretta la ragazza, la voce troppo dolce per sembrare anche solo vagamente un rimprovero. Adrien annuì e lei sorrise con affetto. «Non accadrà», lo tranquillizzò, muovendo appena le dita contro il suo petto in una confortante carezza d’amore.
   «Come fai ad esserne tanto sicura?»
   «Perché sei tu», fu la semplice risposta che gli diede. «Papillon non sa cosa comporterebbe il suo desiderio. Tu sì. Non saresti mai capace di commettere un’azione tanto sconsiderata.»
   Su questo Marinette aveva pienamente ragione, riconobbe Adrien. «E se perdessi la testa?» insistette ancora, svelandole il lato più fragile del proprio essere. «Se non mi importasse più di niente, dopo aver perso te?»
   La vide arricciare il naso con fare contrariato. «Chaton, perché devi essere così pessimista?» questionò, cercando di tirarlo su di morale. «Ti assicuro che ho tutta l’intenzione di non lasciarti. Non ti libererai facilmente di me, neppure se tu lo volessi.»
   Adrien ricambiò il suo sorriso, si portò la sua mano alle labbra e ne baciò il palmo. «È una minaccia?»
   «Lo è.»
   «Fammene altre del genere, ti prego.» Il suono della risata di Marinette colmò di gioia il suo animo disorientato, facendogli recuperare parte della fiducia che sembrava aver perso in se stesso. Era andato lì per proteggerla e rassicurarla, ma alla fine era stata lei a risollevargli il morale. Come poteva non amarla? «Vorrei poterti portare via di qui.»
   Marinette si sentì sciogliere e i suoi occhi tornarono lucidi per la commozione. «Adrien…» cercò di farlo ragionare in un sussurro.
   «Un giorno lo farò», le fece sapere, lo sguardo deciso di uomo che prometteva alla propria donna di fidarsi di lui. «E ce ne andremo lontani da tutto questo orrore.»
   «Dove?»
   «Ovunque vorrai.»
   Lei non rispose subito, limitandosi a fissarlo per qualche attimo. Poi chiese: «C’è dell’altro, vero?»
   Era tanto evidente il suo desiderio di scappare? Di fuggire dalle sue paure più grandi? Adrien stirò le labbra, arrendendosi a condividere con lei anche l’unica cosa che ancora non le aveva detto. «Così come ho scorto delle somiglianze fra me e Papillon… ne ho scorte anche fra lui e mio padre.» Vide Marinette schiudere la bocca e aggrottare lievemente le sopracciglia scure, mentre con la punta delle dita gli accarezzava il mento sul quale iniziava ad avvertire una leggera peluria bionda. «Quel giorno… era terrorizzato dall’idea di aver perso qualcun altro di molto importante per lui… e non ho potuto fare a meno di pensare che quel qualcuno fossi io», continuò il giovane, con voce malferma. «Mentre la persona che ha già perso… potrebbe essere mia madre.»
   «Ci sono molti indizi che legano Papillon a tuo padre», fu costretta ad ammettere la ragazza, suo malgrado, «ma ce ne sono altri che ci spingono a scartare questa ipotesi.»
   «Lo so, ma se dovesse…»
   «Ci sono io», lo interruppe gentilmente, spostando la mano più su per passargli una carezza rassicurante fra i capelli chiari. «Non sei da solo, Adrien. Lo affronteremo insieme. E cercheremo di farlo ragionare, di spiegargli quali sono i rischi che corre.» Lui rimase in silenzio, un groppo alla gola non indifferente che gli impediva di parlare. Marinette gli sorrise e lo baciò ancora, tenera e delicata come se avesse avuto fra le mani qualcosa di fragile e prezioso. «Potrebbe anche darsi che le cose non stiano così, però», riprese poco dopo, quasi in un sussurro. «Perciò, concentriamoci sulle certezze del presente, adesso.»
   L’unica che Adrien aveva era fra le sue braccia in quel momento e sentiva di amarla con tutta l’anima. Non l’avrebbe lasciata andare, mai e poi mai. Si sarebbe fatto ammazzare, piuttosto che rischiare di perderla. Questo pensiero gli diede un’altra certezza: che suo padre fosse o meno Papillon, lui non sarebbe mai diventato come loro, perché non avrebbe permesso a nessuno di portargli via Marinette.
   Non disse altro, ma, tornando a circondarle la vita con un braccio, l’attirò a sé con vigore e le catturò le labbra con le proprie, cercando e regalando lo stesso, identico calore che li aveva travolti quando si erano rivisti. Sarebbe stata una lunga, lunga notte, costellata dei soliti incubi e delle solite paure; ma l’avrebbero affrontata insieme, come sempre forti l’uno della presenza dell’altra. Un’unica anima, un’unica essenza.












La storia in realtà avrebbe dovuto concludersi qui. Sì, lasciando diverse faccende in sospeso per un unico, importante motivo che, aridaje, viene specificato nel titolo: i limiti di ognuno di noi.
Non è importante sapere chi abbia compiuto quegli attentati, non era mio interesse approfondire la questione perché, che fossero terroristi religiosi o sovversivi politici o che so io, il risultato non sarebbe cambiato: si tratta comunque di mostri, incapaci di rendersi conto che non è togliendo la vita ad altre persone o distruggendo città che si risolvono i problemi. Forse il loro obiettivo è seminare il panico, far vivere costantemente la gente nell'ansia; ma anche gli stessi governi e i mass media giocano sporco al riguardo, quindi c'è davvero bisogno di arrivare a questo punto per far valere le proprie ragioni? Probabilmente sono poco realista e/o troppo ottimista, me ne rendo conto...
Parlando di cose meno pesanti, come avevo accennato, ecco qui spiegato l'interesse di Plagg per le telenovelas. Era una sciocchezza, appunto, e se fosse dipenso da me non avrei neanche creato tutta questa suspense; però mi era stato fatto notare questo potenziale punto in comunque con un'altra long e allora ho preferito mettere le mani avanti. Che poi, in tutta onestà, ce ne sono a centinaia di fanfiction che hanno punti in comune, voluti o meno che siano; e finché non si scade nel plagio vero e proprio, non ci vedo nulla di male nell'ispirarsi a qualcos'altro di già scritto, magari avvisando comunque l'altro autore giusto per correttezza (io non l'ho fatto perché, appunto, secondo me non c'era nulla di cui preoccuparsi in proposito).
Un'altra cosa che avevo annunciato è la crisi, il momento in cui Adrien e Marinette sarebbero crollati. È giunto e, a quanto pare, si stanno già aggrappando l'uno all'altra per rialzarsi a vicenda. Chiunque al loro posto avrebbe reagito allo stesso modo, se non peggio, perché stremati da quella orribile situazione: sono stati testimoni di tutti e tre gli attentati, ci si sono dovuti tuffare per il bene comune, e per di più l'ultimo lo hanno vissuto dall'inizio alla fine sulla propria pelle, rischiando di perdere le persone a loro più care e vedendone morire altre che conoscevano. E se da una parte mi chiedo davvero come Marinette riuscirà a guardare ancora la strada che separa casa sua dalla scuola ormai in rovina (giuro, per un'esperienza meno cruenta ma comunque traumatica, io ci ho messo mesi per superare una cosa del genere), dall'altra credo sia legittimo che anche Adrien si senta sul punto di esplodere per via della consapevolezza che forse il loro nemico è niente meno che suo padre. Io l'ho gestita in un modo (leggerete anche nell'epilogo), ma sono certa che nella serie la cosa sarà molto, molto più sentita e ben scritta. Ad ogni modo, Adrien e Marinette rimarranno insieme e si sosterranno sempre a vicenda, perché sanno capirsi, sanno amarsi e rispettarsi. Sono solo dei ragazzini, ma già come amici (nella serie animata) sono di grande esempio anche per gli adulti: la fiducia, la comprensione, la dolcezza e il rispetto dovrebbero essere alla base di ogni relazione (di qualunque tipo di rapporto si tratti).
Chiudo qui e vi do appuntamento alla settimana prossima (non so dirvi il giorno preciso) con l'epilogo, quello vero.
Grazie a tutti voi che siete ancora qui a leggere, a chi recensisce e anche a chi inserisce questa storia fra quelle preferite/ricordate/seguite.
Un abbraccio e buona giornata! ♥
Shainareth





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Capitolo 15
*** Epilogo ***





EPILOGO




Richiuse la porta della camera alle proprie spalle e si lasciò andare ad un sospiro profondo, rassegnato, mentre Plagg faceva capolino dal taschino della sua camicia e si librava a mezz’aria per fissarlo in volto. «Un bel guaio, eh?»
   Adrien non rispose, ma ricambiò il suo sguardo con espressione pensierosa. Quindi, si mosse verso l’ampia finestra in fondo alla stanza e si soffermò a guardare il cielo scuro della sera. Erano passati sei mesi da quando uno dei terroristi era stato arrestato, ma le autorità non erano riuscite a cavare un ragno dal buco perché quello si era chiuso in un inviolabile silenzio di tomba; prima per pura ostinazione, poi perché un bel giorno aveva deciso di farsi trovare appeso al soffitto della propria cella. E tutto era tornato al punto di partenza. Si stava ancora scavando sul suo passato, sulle sue frequentazioni, sui luoghi in cui era stato, ma allo stato attuale delle cose i progressi fatti non erano sufficienti alla risoluzione del caso. Di buono, tuttavia, c’era che gli attentati sembravano solo un brutto ricordo, come se quell’arresto fosse stato il punto finale di una scia di sangue rimasta ancora senza motivazione – sbagliata che fosse.
   Parigi era dunque tornata a respirare, benché l’allerta cittadina non fosse rientrata del tutto, e la routine quotidiana sembrava essere ripresa per la maggior parte delle persone. Persino i programmi televisivi erano di nuovo più spensierati, nessun’edizione straordinaria del notiziario, nessuna diretta con terribili immagini da dimenticare. Nadja Chamack appoggiava ancora il sindaco, ma da quando l’intera Francia aveva deciso di prendere in mano la situazione, lei era tornata a dedicarsi anche al resto dei suoi interessi. Per questa ragione, non appena le era stato dato il via, non aveva perso tempo a riproporre il suo show in prima serata, quel Faccia a faccia che stava di nuovo creando non pochi problemi e imbarazzi ai due eroi parigini.
   Dopo aver concordato con lei domande e risposte circa l’intervento che Adrien avrebbe fatto in trasmissione come ospite, Gabriel Agreste aveva dato il suo consenso a quell’apparizione televisiva. E tutto era anche andato per il meglio, perché madame Chamack si era davvero limitata al copione, senza indagare a fondo sulla vita privata del giovane, senza fare minimamente cenno a quelle curiosità morbose che affliggevano invece i suoi fan. Il nome di Marinette non era stato fatto anche per rispetto alla privacy della ragazza e per l’affetto che la donna provava per lei. Adrien aveva apprezzato la cosa non poco, ma quando era stato sul punto di tirare il fiato sul finale della trasmissione, l’indole della giornalista aveva avuto la meglio e proprio sui titoli di coda, mentre sul grande schermo alle sue spalle compariva un fermo immagine di Ladybug e Chat Noir avvinghiati in un abbraccio inequivocabile, Nadja aveva annunciato uno scoop sensazionale che riguardava gli eroi cittadini per la prossima puntata di Faccia a faccia.
   «Non oso immaginare come stia Marinette…» mormorò fra sé Adrien, seriamente dispiaciuto per la cosa. Spostò lo sguardo verso il suo kwami, accucciato sul tavolino di vetro a mangiucchiare un pezzo di formaggio in santa pace. «Beato te che non hai di queste preoccupazioni», aggiunse poi il giovane con un pizzico di sana invidia, mentre si avvicinava a lui e gli sfregava affettuosamente il polpastrello di un dito sulla testolina scura.
   «Questo perché mi dedico a cose più importanti», ebbe la faccia tosta di rispondere Plagg, la bocca ancora piena di soffice pasta salata.
   Adrien scosse il capo, ma si lasciò sfuggire un sorriso divertito. «Se ritieni il formaggio più importante di una compagna… beh, abbiamo davvero priorità diverse, noi due.»
   Non era esattamente ciò che lui aveva detto, pensò la creatura, fissandolo da sotto in su senza però ribattere a quella sua convinzione. Anche perché il suo sguardo fu attirato da qualcosa che sembrava precipitare contro i vetri alle spalle del suo portatore e lui spalancò le fauci in un’espressione allarmata. «Apri le finestre, sbrigati!» lo avvertì subito, sputacchiando parte del bolo tutt’intorno. Ma poiché l’altro non fu abbastanza lesto da capire quello che stava accadendo e, per fortuna, il telecomando per eseguire l’azione era proprio lì accanto, Plagg pigiò il pulsante prima che fosse troppo tardi, evitando ad entrambi una pioggia di vetri in frantumi.
   Un attimo dopo, un fulmine rosso fece irruzione nella stanza, travolgendo il povero Adrien e rotolando con lui sul pavimento. Steso supino e stordito dalla botta ricevuta, il giovane avvertì qualcosa premergli sul petto e poi il peso che lo schiacciava spostarsi sull’addome. Solo quando fu in grado di guardarla negli occhi comprese cosa diamine era successo e il suo cervello smise di funzionare quando realizzò che Ladybug, il dolce sogno proibito che per mesi lo aveva tenuto sveglio di notte, era lì, seduta a cavalcioni sul suo stomaco. Si portò i palmi delle mani sulle palpebre chiuse, sforzandosi di rimanere lucido. «Dobbiamo impedirle di mandare in onda quel filmato», fu la prima cosa che lei disse, senza neanche pensare per un istante a scusarsi per quanto aveva appena combinato.
   «Marinette…» esalò invece il giovane, ripetendosi come un mantra che l’ultima cosa che voleva era turbare la propria innamorata.
   «Aveva promesso che non l’avrebbe fatto!»
   «Aveva detto che ci avrebbe pensato su, non che non l’avrebbe mandato in onda…»
   «Rubiamole il materiale!»
   «Siamo degli eroi, non dei ladri.»
   «La prima ladra è lei! Ci ha rubato l’intimità del momento!»
   Ripensare a quanto successo quella volta costrinse Adrien a puntellarsi sui gomiti e a fissare di nuovo Ladybug negli occhi. «Possiamo parlarne dopo che ti sarai alzata?» le domandò in tono supplice.
   Solo in quel momento lei parve accorgersi della cosa e, portandosi le mani davanti alla bocca con aria imbarazzata, si rimise subito in piedi. «Perdonami, devo essere pesante…» L’altro le lanciò uno sguardo a metà fra il rimprovero e lo sconcerto: era seria o lo stava prendendo in giro? Fu quello il campanello d’allarme che finalmente indusse Marinette a realizzare quale fosse il vero problema e, arrossendo più di prima e farfugliando delle scuse incomprensibili, si allontanò da lui per andare a sedersi compostamente sul divano, proprio davanti a Plagg, che si stava godendo lo spettacolo senza smettere di mangiare.
   «Siete decisamente più divertenti voi delle telenovelas», constatò soltanto, riuscendo a strappare una risatina nervosa alla ragazza.
   «Guardi ancora quella robaccia?»
   «Nah», rispose, prendendo un altro gustoso morso dal suo pezzo di camembert. «Non so come, Adrien mi ha scovato un documentario sulla produzione artigianale del formaggio», spiegò in tono appassionato. «Dovrebbe prendere seriamente in considerazione l’idea di lasciare la città e di trasferirsi in campagna, quando sarà maggiorenne. Puoi venire con noi, se ti va.»
   Marinette inarcò le sopracciglia scure e si morse il labbro inferiore. «Grazie per la concessione», rispose, cercando di non cedere al divertimento. Uno sbuffo alle sue spalle la indusse a sbirciare in quella direzione, dove finalmente Adrien pareva essersi calmato ed era tornato ritto sulle gambe. «Meglio?» si azzardò a chiedergli con un filo di voce.
   «Più o meno», bofonchiò lui, passandosi stancamente la mano sul volto.
   «Scusa», balbettò ancora l’altra con seria mortificazione. «Ho visto l’intera puntata dello show col fiato sospeso per paura che madame Chamack ti facesse domande indiscrete, e proprio quando stavo per rilassarmi, ecco che ha tirato fuori dal cilindro quel filmato», prese a raccontare subito dopo, con quella solita enfasi che lasciava trasparire tutta la sua ansia. «Sono entrata nel panico e mi sono precipitata qui.»
   «Capisco perfettamente come ti senti, credimi…» la rassicurò Adrien, cercando di essere comprensivo, nonostante tutto. «Però… la prossima volta evita.»
   «Perché?»

«Signore?»
   «Lo so già.»
   «Vuole che vada a vedere?»
   La voce di Nathalie arrivò come un sottofondo alle orecchie di Gabriel che, gli occhi fissi sul monitor, guardava e riguardava la ripresa appena effettuata da una delle telecamere di sorveglianza poste all’esterno della villa. Ladybug si era introdotta in casa sua, diretta in camera di Adrien. Questo avrebbe dovuto allarmarlo? Forse.
   Lasciò ricadere lungo il fianco la mano che fino a quel momento aveva tenuto premuta sulla bocca con fare pensieroso e, senza dire una sola parola, raggiunse l’uscita del proprio studio, subito tallonato da Nathalie. «Signore, cosa pensa…» La donna tacque quando si rese conto che lui non l’avrebbe ascoltata, preferendo piuttosto proseguire verso l’ampia scalinata che lo avrebbe condotto al piano di sopra. Si limitò perciò a seguirlo fino a metà strada e arrestò il passo quando lo vide fermarsi davanti alla porta della stanza di suo figlio. Nathalie strinse fra loro le labbra sottili, tremando al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se le cose fossero precipitate.
   Gabriel bussò. «Adrien?»
   Dall’altra parte della porta avvertì un tramestio sommesso, sussurri concitati e, dopo qualche attimo, l’uscio si aprì, mostrando un giovane che si esibiva in un sorriso in apparenza innocente. Non ingannò neanche per un secondo suo padre, ma questi non lo diede a vedere. Si limitò a constatare soltanto quanto, in quei lunghi mesi, suo figlio fosse diventato alto, arrivando quasi a guardarlo direttamente in faccia senza sforzo. Eppure, lo si capiva a colpo d’occhio, Adrien non era cresciuto soltanto in statura. Quelle spalle diventate più ampie e robuste sembravano portare il peso di qualcosa di molto diverso rispetto agli altri suoi coetanei, e Gabriel non poté fare a meno di chiedersi se, al di là delle tragedie vissute a causa dei terroristi, non fosse stato lui stesso il primo colpevole.
   «Volevi qualcosa?» Anche la voce di Adrien si era fatta più matura, più bassa e posata. A soli quindici anni, sembrava ormai diventato un uomo, soprattutto nello sguardo. Se solo sua madre avesse potuto vederlo ora, ne sarebbe rimasta estasiata e preoccupata a un tempo.
   Fu questo il pensiero che spinse Gabriel a rilassare i muscoli del corpo e a dirsi che, a dispetto della ragione che lo aveva condotto fin lì, forse non era ancora arrivato il momento di scoprire le carte – se ancora c’erano carte da scoprire. Schiuse le labbra per parlare, ma un tonfo proveniente dal bagno li indusse a voltarsi di scatto verso la porta chiusa, la stessa oltre la quale, in fretta e furia, Adrien aveva spinto Marinette e Plagg per nasconderli alla vista paterna.
   «Oh…» balbettò il giovane, cercando di ignorare il guaito che aveva fatto seguito al rumore. «Ho lasciato la finestra del bagno aperta… Sarà entrato il solito gatto.»
   Era bravo a mentire, ma non avrebbe mai potuto sperare di competere con suo padre. «A quest’altezza?»
   Adrien si strinse nelle spalle. «Lo sai come sono… agilissimi, saltano dappertutto…»
   «E combinano guai», concluse Gabriel, riportando lo sguardo su di lui, quasi volesse accusarlo di essere il primo a farne. E beh, non che avesse tutti i torti, dovette riconoscere l’altro, abbozzando un sorriso che, pur bellissimo, non poteva in alcun modo raggirare l’uomo che lo aveva messo al mondo.
   I lineamenti del suo volto rimasero impassibili, eppure i suoi occhi lo trapassarono da parte a parte. Fu allora che il cuore del giovane tremò: aveva visto Ladybug dalle telecamere di sorveglianza? Se sì, perché non dirlo apertamente? L’unica spiegazione che si diede Adrien fu che suo padre aveva capito. Ogni cosa. Era per questo che negli ultimi mesi Papillon sembrava sparito nel nulla? Perché lui, Gabriel, non sapeva come affrontare la cosa? Oppure si trattava di una mera coincidenza? Ciò fece nascere comunque in Adrien il fondato sospetto che nell’ultimo periodo suo padre lo avesse marcato stretto anche per un’altra ragione, che con gli attentati non c’entrava nulla: coglierlo in fallo e scoprire se davvero era lui il giovane dalla maschera nera con cui si era confrontato durante i soccorsi congiunti all’istituto Françoise Dupont. Dopotutto, lo aveva sorpreso più di una volta a guardare il suo anello e a scrutare Marinette come se avesse voluto studiarla non soltanto per capire se fosse o meno alla sua altezza.
   «Papà…» mormorò Adrien, cercando di mantenere un tono fermo.
   «Non fate troppo tardi», disse soltanto l’uomo, sibillino, abbassando infine lo sguardo e facendo un passo indietro. L’ennesimo.
   Voltò le spalle e discese di nuovo le scale, dove Nathalie lo stava aspettando, silenziosa, le unghie delle dita nei palmi delle mani a causa di quel nervosismo che non avrebbe manifestato in altra maniera davanti al proprio principale. I suoi occhi azzurri non riuscirono ad intercettare quelli grigi di Gabriel, che la superò e continuò verso il piano di sotto; né incrociarono quelli verdi di Adrien che, più in alto, seguiva suo padre con lo sguardo ed un evidente rammarico nell’espressione del viso. Nathalie si domandò quanto ancora sarebbe passato prima che quei due uomini cocciuti, pur amandosi con tutta l’anima, decidessero di abbassare le armi e di parlare apertamente di ciò che avevano nel cuore. L’uscio dello studio del padrone di casa venne richiuso e poco dopo anche quello della camera di suo figlio la lasciò ancora una volta fuori dalla loro vita. Toccò allora a lei calare le ciglia sul viso con la consapevolezza che l’unica cosa che avrebbe potuto fare era aspettare.

Trovò Marinette ferma davanti allo specchio del lavabo, intenta a rimirare il proprio riflesso con fare tutt’altro che vanesio. Con una mano si era scostata la frangia scura dagli occhi e con l’altra si tamponava la fronte con un fazzoletto bagnato. «Che è successo?» domandò allarmato Adrien, quasi non facendo caso alla presenza di Tikki accanto a lei.
   Vide la ragazza accennare un sorriso non troppo convinto. «Sono inciampata e ho battuto la testa contro uno spigolo», spiegò cercando di minimizzare l’accaduto. L’altro la raggiunse in poche falcate, sovrastandola con la sua altezza e prendendole il viso fra le mani grandi e gentili per accertarsi che non si fosse rotta nulla. Se Adrien era cresciuto parecchio, in quei mesi, Marinette era rimasta pressoché uguale, piccola e minuta. Aveva ereditato il fisico da sua madre, pertanto era impensabile che potesse diventare una spilungona. Forse era anche per questo che aveva sperato di passare inosservata mentre si introduceva – non proprio – di soppiatto in casa dell’amato, ma aveva dovuto arrendersi all’evidenza e ora, mentre lui si prendeva cura di lei, lo fissava da sotto in su con aria mortificata. «Mi… ha vista?»
   Gli occhi di Adrien scivolarono sui suoi, regalandole un fremito caldo. Era ormai da un po’ che avvertiva quel genere di sensazioni quando lui le era così vicino, e Marinette stava lentamente capitolando davanti all’idea che non avrebbero retto ancora a lungo nel loro ruolo di ragazzi ingenui. «Credo che sappia. Di te, di me, di loro», aggiunse, facendo cenno verso i piccoli kwami che si scambiarono uno sguardo senza emettere fiato.
   «Se le cose stanno così…» mormorò Marinette, senza però concludere la frase. Non era necessario: se Gabriel aveva capito, significava che era davvero Papillon.
   Ciò nonostante, Adrien sorrise e le baciò il viso, lì dove le lentiggini erano più evidenti. «Magari ha deciso di gettare la spugna, magari no, non mi importa», disse poi, sciacquando il fazzoletto sotto l’acqua fredda per tornare a tamponare lui stesso il piccolo bernoccolo dell’amata. «Penso solo che, se avesse voluto fare la sua mossa per impossessarsi dei nostri miraculous, sarebbe già successo.»
   «E se invece stesse aspettando per coglierci di sorpresa?»
   «Marinette… è Papillon», rise quasi con divertimento. Stava dando di matto davanti a quella non troppo remota possibilità? «Potrebbe soggiogarci con una delle sue akuma, nel bene o nel male, ma non lo fa. Non vuole. O forse non può.» O forse era lui che si stava illudendo, riconobbe con se stesso. Poteva davvero fidarsi di suo padre? Sì, perché quell’uomo teneva a lui più di ogni altra cosa al mondo. E, di conseguenza, Gabriel non poteva non tenere anche a Marinette, perché se solo avesse provato a portargliela via, avrebbe perso anche suo figlio. «Mio padre potrebbe anche essere distrutto dalla scomparsa di mia madre, ma non è stupido.»
   «Dovremmo comunque indagare», gli fece presente la ragazza, in tono gentile. «Che forma ha il miraculous della Farfalla?»
   «È una spilla», rispose prontamente Tikki. «Ma non mi pare di avergliela mai vista addosso.» Rivolse la propria attenzione a Plagg per interpellarlo al riguardo, ma lui scosse la testolina nera. «Certo potrebbe portarla sotto la giacca… o nasconderla da qualche altra parte.»
   «Comunque stiano le cose», riprese Marinette, cercando di trovare il lato positivo della faccenda, «sembra che per il momento Papillon non costituisca più un problema.»
   «Non ho intenzione di abbassare la guardia, in ogni caso», le assicurò Adrien, passandole un braccio attorno alle spalle e portandola di nuovo in camera. «Voglio aiutare mio padre, in un modo o nell’altro.»
   «Voglio aiutarlo anch’io», affermò decisa lei, andando a sedere sul suo letto.
   «Dovrai farlo per forza», le fece presente il giovane, rimanendo in piedi e curvandosi per guardarla di nuovo negli occhi. «Non valgo niente, senza di te.» Contrariata da quella dichiarazione ingiusta, Marinette aprì la bocca per ribattere, ma lui l’anticipò con un bacio, zittendola all’istante. «Vado a prenderti del ghiaccio», disse poi in tono più dolce, avviandosi verso l’uscita. «Stenditi e non pensarci più. Non stasera.»
   La faceva facile, lui. La ragazza premette la punta di un piede sul tallone opposto e si sfilò una scarpa, poi l’altra, e infine gattonò sull’enorme letto per mettersi più comoda. La fronte le pulsava per il dolore della botta presa, ma questo non le impediva di continuare a ripensare al danno fatto da Nadja Chamack con quell’immagine mostrata alla fine della sua trasmissione: non aveva idea del come e del perché il padre di Adrien si fosse convinto che loro due erano Chat Noir e Ladybug, ma era assai probabile che anche l’annuncio della loro relazione amorosa poteva aver alimentato ulteriormente i sospetti dell’uomo. «Che cosa dovremmo fare, secondo voi?»
   I piccoli kwami la raggiunsero e si adagiarono sul suo petto, ragionando con lei della cosa. «Forse Adrien ha ragione, Papillon potrebbe aver rinunciato ai suoi progetti originari», ipotizzò Plagg, sia pure non del tutto convinto. «C’è da dire, però, che quell’uomo è testardo proprio quanto suo figlio.»
   «Non abbassare la guardia è la prima cosa da fare», stabilì Tikki, d’accordo con il suo compagno. «Ma non preoccuparti per Adrien», aggiunse poi, guardando l’amica con affetto. «Sono certa che è sincero quando dice che non gli importa della cosa.»
   Di quello ne era convinta anche lei. Sebbene lui non glielo avesse detto, Marinette aveva il più che giustificato sospetto che quegli ultimi mesi erano serviti al giovane per realizzare appieno la possibilità che suo padre fosse davvero il nemico contro cui avevano combattuto in passato, e questo doveva aver fatto nascere e crescere in lui la ferma convinzione di volerlo proteggere da se stesso, nel caso Gabriel avesse cercato di tornare sui propri passi e servirsi di nuovo del miraculous della Farfalla per il proprio tornaconto personale.
   Quando Adrien tornò in camera, si stese accanto a lei e le pose il ghiaccio sulla fronte, facendole stringere i denti e serrare gli occhi per il freddo. «Che ti serva di lezione contro la tua goffaggine», la rimproverò bonariamente, circondandole il corpo sottile con il braccio libero per stringerla a sé. «Resti con me, stanotte?» le domandò poi in un sussurro, baciandole l’orecchio.
   «Demone tentatore…» si lagnò Marinette, aggrappandosi alla sua camicia con entrambe le mani e facendolo ridere.
   «Farò il bravo, promesso.»
   «Sei più falso di Volpina.»
   «Ce l’hai ancora con lei?»
   «Ce l’avrò sempre con lei, per averti messo gli occhi addosso.»
   «Allora temo dovresti avercela con una buona metà delle adolescenti francesi.»
   «Non ricordarmelo…»
   «Sei stata tu ad insistere affinché non facessi il tuo nome dalla Chamack.»
   Marinette tacque per un istante, dimenticandosi di colpo dei loro giochi. «Cosa dovremmo fare, con lei?»
   Sentì l’amato inspirare a fondo prima di rispondere: «Beh, potremmo sempre presentarci a casa sua, stanotte, e minacciarla di farle trovare una testa equina nel letto se non la pianta di importunarci.» Lei scoppiò a ridere. «Dici che non è in linea con il nostro essere supereroi?»
   «Più che altro, mi dispiacerebbe per il cavallo», obiettò sincera. «Potremmo però ovviare con la testa di Volpina.»
   Fu la volta di Adrien di lasciarsi andare ad una risata. «Ecco la prima cosa che rinfacceremo a mio padre, quando verrà fuori che è davvero lui, Papillon», stabilì allora. «Nel frattempo, come mi hai consigliato tu stessa qualche mese fa, concentriamoci sul presente», aggiunse poi in tono rilassato, baciando Marinette sul capo con tenerezza e deciso a tenerla stretta a sé per tutta la notte.

Madame Chamack si rigirò nel letto. Era già molto tardi, ma lei non riusciva a prendere sonno nella maniera più assoluta. L’eccitazione che la pervadeva era tale da farle battere il cuore come se fosse stata alle prese con il primo amore: se già il suo programma in prima serata si era conquistato una fetta di pubblico non indifferente, con lo scoop che aveva lanciato appena poche ore prima, e che avrebbe approfondito nel corso della puntata successiva, era certa che avrebbe sbaragliato ogni pallido tentativo di concorrenza.
   E mentre lei si perdeva in queste fantasie, un suono iniziò a propagarsi per la stanza buia, facendola irrigidire e sbiancare di colpo. Si trattava di un fischio, una melodia sommessa che lei riconobbe come uno dei temi principali di un celebre film degli anni Settanta. Qualcuno era entrato di soppiatto in casa sua. Era lì con lei. Il fischio proveniva da un angolo della camera e lei ora stava morendo di paura: era un tentativo di rapina? Di estorsione? Un rapimento? La sua mente viaggiò rapida alla piccola Manon che dormiva nella stanza accanto e il suo istinto materno ebbe la meglio: cercando di non fare alcun rumore, allungò un braccio fuori dal letto e cercò il cellulare lasciato sul comodino. Non lo trovò.
   La melodia si interruppe. «Cerchi questo?»
   La donna si lasciò scappare un grido strozzato, mentre la piantana posta accanto alla finestra veniva accesa, rivelandole l’identità dell’intruso: comodamente seduto in poltrona, le lunghe gambe accavallate, Chat Noir le rivolse un sorriso da schiaffi, mostrandole lo smartphone che le aveva sottratto per precauzione.
   «Che diavolo ci fai, qui?!» gracchiò Nadja, tirando un sospiro di sollievo, nonostante tutto.
   «Abbiamo bisogno di parlare con te», rispose una voce femminile, inattesa al punto che la povera giornalista sobbalzò di nuovo e scattò a sedere sul letto. Ladybug venne fuori dal cono d’ombra in cui si era rifugiata e lei si passò una mano sul viso stravolto da quella sorpresa da infarto.
   «Lo sapete che potrei denunciarvi per irruzio…»
   La voce, provata dallo spavento, le venne meno quando l’eroina in tuta a pois le si fece vicina, porgendole un bicchiere d’acqua con fare premuroso. «Ti chiediamo scusa, ma abbiamo davvero qualcosa di importante da dirti.»
   Madame Chamack li fissò stralunata, ma accettò di buon grado ciò che lei le stava offrendo. «Lasciatemi indovinare… si tratta dello scoop che vi riguarda.» Chat Noir emise un verso che ricordò molto il suono di uno di quei quiz a premi d’altri tempi, lo stesso che annunciava una risposta esatta da parte di un concorrente. «Beh, ormai l’ho annunciato», continuò la donna, come a dire che non avrebbe potuto fare nulla neanche se avesse voluto.
   «Ti faremo un’offerta che non potrai rifiutare», ribatté il giovane, con un marcato accento del sud Italia che fece sospirare la sua collega.
   «Non siete dei criminali, non mi farete un bel niente», lo smentì Nadja, tranquilla, mentre metteva via il bicchiere d’acqua sul comodino. Che avessero o meno fatto irruzione in casa sua, rimanevano sempre i due supereroi di Parigi, pertanto era certa di poter dormire fra due guanciali. «Non vi si vede spesso, ultimamente.»
   «Papillon sembra essere andato in pensione… o almeno è quello che ci auguriamo», le spiegò ancora Chat Noir, dandoci finalmente un taglio con le citazioni cinematografiche. «E grazie al cielo Parigi è tornata tranquilla. Beh, per gli standard di una capitale europea, si intende.»
   «L’ultima volta che siete intervenuti è stato tre giorni fa, quando avete salvato quelle persone intrappolate nella metropolitana a causa di un principio di incendio.»
   «Siamo venuti qui per altro, non per rilasciare un’intervista», volle chiarire Ladybug, portandosi i pugni sulle anche. «E dal momento che sai già il perché, andiamo subito al sodo.»
   Nadja annuì, trovandosi d’accordo con lei. «Tornate a Faccia a faccia», propose allora, pregustando una puntata capace di battere ogni record di ascolti.
   «Sii seria», la pregò Chat Noir, un sorriso paziente sulle labbra. A quella trasmissione lui ci era stato appena poche ore prima, sia pure in abiti civili, ed era anche per questa ragione che continuava a rimanere seduto dov’era: durante la diretta conclusa da poco, Nadja non aveva potuto fare a meno di sottolineare quanto Adrien fosse cresciuto nel giro di una manciata di mesi; non era davvero il caso di farle notare che anche Chat Noir era diventato più alto nello stesso lasso di tempo. Anche perché questo sarebbe andato a confermare che si trattava soltanto di un ragazzino in fase di crescita e ciò avrebbe potuto restringere il campo circa la sua vera identità. «Dopo lo scherzo dell’ultima volta, e con le premesse con cui hai annunciato la prossima puntata…»
   La donna non demorse. «Almeno rispondete a questa domanda: perché mi avete mentito? È chiaro che siete amanti.»
   Marinette arrossì. Molto. Ringraziò la presenza della maschera sul viso e anche la penombra della stanza che l’aiutò a nascondere il suo reale stato d’animo. «Non era una bugia», ribatté subito, sforzandosi di mantenere un tono di voce fermo. «Non siamo amanti.» Ed era vero, dal momento che lei e Adrien non erano ancora arrivati a compiere il grande passo. Entrambi erano consapevoli che sarebbe stata solo questione di tempo, ma a madame Chamack o a chicchessia non doveva interessare.
   «E il video in cui vi lasciate andare a quelle effusioni sulla Tour Eiffel?» volle sapere Nadja, intrecciando le braccia al petto con sguardo indagatore. Era chiaro che non si bevesse quella che a suo avviso era una frottola bella e buona. «E non dite che non eravate voi, siete gli unici in grado di scalarla dall’esterno. In piena notte.»
   Fu Chat Noir, allora, a prendere parola – con grande scorno della sua collega, che andò ad accomodarsi sul bracciolo della poltrona, proprio accanto a lui. «No, dico, ma l’hai vista?» ci tenne a chiedere l’eroe con fare ovvio, squadrandola da capo a piedi. «Solo un pazzo resisterebbe a questa meraviglia.» Ladybug gli pose una mano sulla testa e lo costrinse a ruotarla di nuovo verso la padrona di casa. «E se proprio ci tieni a saperlo, Nadja», continuò lui, come se nulla fosse, «anch’io non sono affatto male», concluse con un occhiolino.
   «Chaton…» sospirò la sua partner, rivolgendogli uno sguardo di bonario rimprovero.
   «Quindi state ammettendo la cosa?» domandò madame Chamack, elettrizzata all’idea di aver avuto ragione sin dall’inizio.
   «Un momento di debolezza sarebbe più che giustificato, visto anche il difficile periodo in cui tutti noi ci siamo ritrovati mesi fa», cercò di farla ragionare ancora il giovane. «Ma… no, non si trattava certo di questo.»
   L’altra corrucciò la fronte, perplessa e si umettò le labbra con la lingua. «E allora cosa diamine stavate facendo? Non mi pare foste alle prese con una partita a carte.»
   «Non possiamo togliere i nostri costumi», tornò a dire Chat Noir, mostrandole come, pur volendo, non poteva sfilare via il guanto dalla mano. «Sarebbe stato comunque inutile provarci, se è questo che stai insinuando.»
   «E quindi? Stavate recitando una commedia?»
   «Era una bieca illusione», sparò d’un fiato Ladybug, anticipando la risposta che senza dubbio avrebbe dato il suo compagno: non erano amanti e quello non poteva essere definito un momento di debolezza per il semplice motivo che loro erano innamorati. Udì Adrien sbuffare sommessamente, ma non se ne curò e proseguì: «Sospettiamo che Volpina sia tornata alla carica.»
   Chat Noir fu costretto a portarsi una mano davanti alla bocca per nascondere la risatina dovuta a quell’affermazione. La trovata di Marinette, in effetti, poteva salvare il fondoschiena di entrambi, ma per lui, che conosceva i retroscena, era piuttosto ovvio che nascondeva del risentimento nei confronti di Lila – forse c’entrava anche il fatto che quest’ultima non avesse accettato le scuse che Ladybug le aveva porto una volta sciolta l’akumizzazione. Possibile che a Marinette ancora non fosse passata? Adrien pregò che alla povera Lila non arrivasse mai alle orecchie quella storia.
   «Mi state dicendo che si tratta di un inganno?» Gli occhi di Nadja adesso erano accesi d’ira, a testimonianza di quanto quella versione dei fatti non soltanto le sembrava una presa in giro, ma soprattutto le bruciava non poco l’orgoglio.
   Ladybug scosse le spalle con noncuranza. «Credi davvero che siamo così stupidi da correre certi rischi, esponendo così pubblicamente la nostra vita privata?»
   «Non commetteremmo mai un’imprudenza del genere», concordò Chat Noir, con una faccia tosta che faceva il paio con quella dell’amata. «Non siamo certo due ragazzini.»
   «Siamo ben consapevoli che i luoghi più importanti della città sono disseminati di telecamere di sorveglianza», insistette lei. «E crediamo che Volpina contasse proprio su questo, per crearci problemi e distrarci da cose più importanti.»
   «E cioè?» domandò ancora Nadja, con evidente scetticismo.
   «È quello che stiamo cercando di capire», riprese Chat Noir, deciso a dar corda alla propria innamorata nella speranza che lei finalmente si rilassasse riguardo a tutta quella faccenda. Sì, perché in realtà a lui non importava se il mondo intero fosse venuto a conoscenza della loro storia d’amore, ma Marinette asseriva che non poteva sopportare che tutti li vedessero amoreggiare in quel modo – soprattutto i loro genitori. «Ma se diffondi quel video, darai risonanza mediatica agli inganni di quella…» Lanciò uno sguardo alla compagna, che tese le labbra e si rifiutò di cadere nel suo tranello, pronunciando l’esatto epiteto con cui soleva definire Lila fra sé e sé. «…bugiarda», risolse di concludere allora il giovane, divertito e ammirato dallo stoicismo di lei, «e questo attirerà l’attenzione generale su di noi, che invece abbiamo bisogno di calma e lucidità per investigare e andare a fondo alla questione.»
   Tacquero, in attesa che madame Chamack dicesse la sua. La videro sistemarsi i cuscini dietro la schiena, contro i quali si adagiò comodamente, e tornare a rivolgere loro la propria attenzione, mentre la sua espressione meditabonda rifletteva il suo rimuginare sulle informazioni appena ricevute. Ladybug e Chat Noir non le avevano mai mentito, questo era un dato di fatto. Perché iniziare a farlo adesso? Senza contare che la storia di Volpina avrebbe anche potuto reggere… se non fosse stato per un piccolo, enorme particolare. «Non dicevate che Papillon aveva smesso di akumizzare le persone?»
   «È proprio quello che ci perplime», rispose prontamente Ladybug.
   «Hai il calendario con le parole del giorno?» s’incuriosì Chat Noir, sottovoce.
   Lei lo ignorò a bella posta. «Per questo abbiamo bisogno di lavorare sul caso senza distrazioni di sorta.»
   «Quel video risale a più di sei mesi fa», insistette la donna, ancora non del tutto convinta.
   «Nadja, sei una giornalista!» tornò alla carica l’eroe in nero, pronto ad imbastire un discorso degno di un foro romano, nel caso fosse servito. «Lo sai che certi piani elaborati richiedono mesi, se non addirittura anni di preparazione! Di sicuro è questo che hanno fatto gli attentatori che hanno devastato la città.»
   «Diffamando la vostra immagine per agire indisturbati?» lo provocò lei, sospettosa. «Anche se volessi credervi, e non è detto che lo faccia, ormai ho lanciato la bomba. Cosa dovrei fare, tirarmi indietro? Ne verrebbe meno la mia credibilità.»
   Anche questo era vero, ragionarono i due ragazzi, scambiandosi uno sguardo vagamente preoccupato. «E… non sarebbe lo stesso, se tu diffondessi delle menzogne?» ci riprovò Ladybug, aggrappandosi a qualunque appiglio le venisse in mente.
   «Allora permettetemi di diffonderle, raccontando quel che mi avete appena detto. Sempre ammesso che sia la verità.»
   «No-no-no-no-no», la fermò subito Chat Noir, sporgendosi in avanti con il busto, i gomiti sulle ginocchia e un sorriso sghembo sulle labbra. Se quella storia fosse diventata di dominio pubblico, allora sì che Lila li avrebbe odiati a vita. Sarebbe stato decisamente meglio non coinvolgerla sin dall’inizio, poverina, e Adrien si ripromise di strigliare Marinette non appena si fossero liberati di Nadja. «Non puoi farlo, salterebbe tutto il piano e le nostre indagini andrebbero a farsi benedire.»
   «Devono rimanere segrete», lo appoggiò Ladybug.
   «Supersegrete.»
   «Segretissime.»
   Madame Chamack li fissò a metà fra indignazione e divertimento. Dovevano essere davvero disperati per ricorrere a quel genere di messinscena. Non era abbastanza palese che quei due fossero una coppia a tutti gli effetti? Bastava osservare il modo in cui Chat Noir guardava la sua collega o quello in cui lei gli sorrideva. Lo aveva già capito durante la prima puntata della sua trasmissione, quando erano andati ospiti in studio e avevano flirtato per tutto il tempo davanti a lei e alle telecamere, pur negando apertamente qualcosa che, di fatto, era piuttosto ovvio. E se pure Alya Césaire, che gestiva il Ladyblog ed era ritenuta la più grande esperta degli eroi parigini, aveva confermato che fra i due non ci fosse nulla più che una collaborazione ed una bella amicizia, Nadja non ci aveva creduto. Dopotutto, cosa poteva saperne una ragazzina, sia pure sveglia come Alya, di come funzionava l’alchimia fisica fra due persone?
   «Datemi un piano B, allora», si arrese comunque a venir loro incontro. Non lo aveva fatto anche per Adrien e Marinette, rimanendo muta come una tomba riguardo alla loro relazione? Beh, sarebbe stato il suo modo di ringraziare Chat Noir e Ladybug per tutto quello che avevano sempre fatto per gli abitanti di Parigi.
   «Potresti dire che si tratta di una trovata di due cosplayer», buttò lì il giovane, spolverando via la questione con un gesto rapido della mano.
   «E su cosa monterei l’intera puntata? Su un gruppo di fan che nemmeno esistono?»
   «Chloé!» esclamò Ladybug, così d’improvviso che Chat Noir sobbalzò e per poco non si mise a soffiare come un gatto vero. «Lei e la sua amica Sabrina sono nostre grandi ammiratrici, lo sai anche tu, visto che una volta le hai sorprese mentre indossavano dei costumi uguali ai nostri…» iniziò a dire la ragazza, esponendo il piano man mano che lo elaborava e non facendo caso al fatto che il suo collega si era portato una zampa alla fronte con aria sconsolata: perché Marinette doveva continuare a complicare la cosa?! Non sarebbe stato più semplice ammettere che si amavano senza dover coinvolgere altre persone?! «Potresti chiedere loro di intervenire in trasmissione per far venire a galla la differenza che c’è tra i fan autentici e i discreditori
   «Buginette, il tuo calendario con le parole del giorno… credo sia tarocco», si limitò a sospirare Adrien, portando pazienza.
   «E dovrei scomodare la figlia del sindaco per questo?» chiese Nadja, l’unica a concordare con lui.
   «Sarebbe una buona occasione per dare un’ulteriore lezione ai diffamatori», insistette Ladybug, ormai lanciata come un treno in corsa. «Mentre Parigi è sotto assedio, questi incoscienti se ne vanno in giro in luoghi pericolosi per gettare fango sulla reputazione di chi invece cerca di proteggerli.»
   Gli occhi di madame Chamack cercarono quelli di Chat Noir, che comprese e, sospirando per l’ennesima volta, annuì. «Buginette», cominciò in un sussurro, ghermendo affettuosamente la mano della compagna ed intrecciando le dita alle sue. Lei cercò di sottrarsi per timore che Nadja potesse capire, ma lui rese salda la presa, costringendola a guardarlo. «Non si è bevuta una sola delle nostre frottole.» La vide irrigidirsi e schiudere le labbra con orrore. «Lasciamo perdere e chiediamole semplicemente la cortesia di non mandare in onda quel dannato filmato, d’accordo?» la esortò il giovane in tono persuasivo. Marinette abbassò lo sguardo e annuì, mortificata come una bambina, e ad Adrien venne voglia di mangiarla di baci.
   «Mi inventerò qualcosa», la rassicurò madame Chamack, comprensiva. Se Ladybug ci teneva tanto a mantenere segreta la loro relazione, un motivo doveva pur esserci. Glielo doveva: quei due avevano salvato sia lei che Manon dalle akuma di Papillon. «Ma voi, per favore», li implorò sollevando gli occhi al soffitto e muovendo le mani in un gesto esasperato, «non fatemi più prendere infarti del genere!»
   «Ancora scusa», mormorò la ragazza, sempre più dispiaciuta e delusa dal fatto che il suo malefico piano fosse andato in frantumi.
   «Grazie, Nadja. La prossima volta verremo a parlarti a quattr’occhi», promise Chat Noir, rimettendosi in piedi e, al contempo, sollevando l’amata fra le braccia per evitare che madame Chamack si accorgesse del divario d’altezza che era sorto di colpo fra loro. Ladybug si aggrappò al suo collo con fare goffo, tremendamente in imbarazzo per quella dimostrazione d’affetto davanti alla donna. «Togliamo subito il disturbo», aggiunse il giovane, prima di lasciarsi andare all’ennesima citazione. «Baciamo le mani.»
   «Oh, siete così adorabili…» cinguettò la giornalista, seguendoli con lo sguardo mentre attraversavano la stanza. Avrebbe voluto far loro una fotografia, benché sapesse di non poterla mostrare ad anima viva, perciò cercò spasmodicamente il cellulare e si ricordò che lo aveva preso Chat Noir. Spostò a propria attenzione sulla poltrona, dove lo smartphone  era stato abbandonato, e subito saltò giù dal letto per recuperarlo. Non fece in tempo a girarsi di nuovo verso il resto della camera che i due eroi erano scomparsi. Sbuffò, portandosi le mani sui fianchi. «Mi hanno tenuta sveglia fino a quest’ora, e mi hanno pure lasciata senza scoop…»

Chat Noir la mise giù solo quando furono al riparo sul tetto di un palazzo anonimo, lontano da occhi, telecamere e orecchie indiscrete. «Tutto bene?» volle sincerarsi, carezzandole il viso. Ladybug gli regalò un’espressione incerta, a riprova che non fosse del tutto soddisfatta di come era andata a finire: non voleva che madame Chamack sapesse, perché la sua indole da giornalista la faceva sembrare ai suoi occhi una mina vagante. Lui le sorrise. «Ha detto che ci coprirà, quindi non fare quel faccino o dovrò davvero ricorrere al mio repertorio per tirarti su il morale.»
   «La tua idiozia è la soluzione per tutto?» domandò a quel punto la ragazza, abbozzando un sorriso.
   «È sempre al tuo servizio, my lady», le diede corda il giovane, esibendosi in un inchino affettato. «Piuttosto, che si fa ora?» domandò poi, tornando dritto con la schiena. «Domani non c’è scuola, perciò… ti va di andare da qualche parte?»
   Ladybug si strinse nelle spalle. «Beh… è già molto tardi…»
   «Se fosse dipeso da me, saremmo rimasti sul mio letto, anziché improvvisarci gangster da due soldi», le rinfacciò Chat Noir, che era stato praticamente costretto dall’amata a fare quell’incursione a casa di madame Chamack.
   Un guizzo negli occhi di Marinette ed il sorriso che lei gli rivolse lo fecero zittire di colpo. «Possiamo sempre tornarci…» mormorò, sollevandosi sulla punta dei piedi per sfiorargli le labbra con le proprie, senza toccarle davvero.
   Adrien rabbrividì, avvertendo un meraviglioso, inebriante calore percorrergli tutto il corpo, fino a concentrarsi in un unico punto. Subito si mosse per avvolgerla fra le braccia, ma la sua innamorata fu più lesta e gli sfuggì, lasciandolo con un pugno di mosche. «Ehi!»
   «Prima dovrai riuscire a prendermi, però!» lo sfidò Ladybug, ridendo e correndo via nella notte. Chat Noir non si tirò indietro e, ripromettendosi di fargliela pagare, subito si mise sulle sue tracce con un unico desiderio nel cuore: che quella complicità e quella passione non venissero mai meno.












Stavolta è finita sul serio. Dubito ci saranno eventuali sequel o semplici shot a chiusura della vicenda.
Ci tengo a precisare che l'ultima scena, quella che chiude l'epilogo e l'intera storia (dove Chat Noir si tuffa all'inseguimento di Ladybug), nasce da un'idea di Florence, che mi ha dato il permesso di usarla e riscriverla a mio piacimento. Per questo, e per essermi stata di grande aiuto per tutta la seconda parte della long con la sua amicizia e i suoi incoraggiamenti, la ringrazio dal più profondo del cuore.
Forse per questo finale vi aspettavate qualcosa di diverso, ma volevo occuparmi anche di Nadja e del suo rapporto con i due protagonisti, sia nelle vesti di Adrien e Marinette, sia in quelle di Chat Noir e Ladybug. Inoltre, parlandone con Florence, mi era venuta in mente questa cosa de Il Padrino e ci avevamo riso su insieme, senza però prenderla sul serio. Alla fine, nella mia infinita idiozia, non ho potuto resistere alla tentazione e, come ho detto anche a lei, se non ho messo un gatto in braccio a Chat Noir durante la scena in camera di Nadja è solo perché un gatto lo è già di suo, e non mi pareva il caso che si accarezzasse da solo davanti a madame Chamack e Ladybug - come minimo, sarebbe scattata una denuncia da parte della giornalista.
La prima parte dell'epilogo, invece, riprende il personaggio di Gabriel e il suo rapporto con Adrien. Giuro che l'ho scritto settimane prima della messa in onda dell'episodio Gorizilla (e d'altra parte avevo comunque già annunciato che non avevo ancora finito di parlare di lui), quindi eventuali similitudini non sono assolutamente volute (ma permettetemi comunque di gongolare all'idea di averci in parte preso, almeno nella caratterizzazione dei due). Forse Adrien potrebbe sembrare un po' troppo trallallero, riguardo alla possibilità che suo padre sia Papillon, ma in generale a me pare che per indole lo sia un po' di suo per buona parte della serie (ultimo esempio: non ha battuto quasi ciglio davanti alla prospettiva di scorrazzare in giro per la città con una Marinette in pigiama e/o di travestirsi con lei in modo più o meno assurdo pur di passare inosservato). E poi tocca ricordare anche che sono passati più di sei mesi, da quando è stato sfiorato per la prima volta dal sospetto di essere figlio di Papillon, quindi Adrien dovrebbe aver avuto tutto il tempo per far sua questa possibile verità.
Questione OoC e Rating. Mi avete detto che per il primo non avevo bisogno di preoccuparmi, tant'è che ho già tolto da tempo l'avvertimento. Ma del rating arancione cosa mi dite? Trovate sia esagerato o lo lascio lì dov'è? Non mi pare di essere mai scesa in particolari cruenti o in qualche modo disturbanti, ma resta il fatto che la sensibilità di uno non è uguale a quella di un altro. Sappiatemi dire se devo o meno abbassare il rating a giallo, per favore.
In conclusione, lasciatemi dire che il maggior merito di questa storia è vostro. Non credo sia nulla di eccezionale, ma per me lo è il fatto di essere riuscita a portarla a termine (sono una recidiva delle long lasciate in sospeso, purtroppo). Pertanto lasciate che ringrazi tutti voi che avete letto l'intera storia, chi in silenzio, chi manifestando o meno il proprio apprezzamento e/o eventuali critiche. Un grazie speciale va a chi ha avuto appunto la gentilezza di lasciarmi la propria opinione in uno o più capitoli: sappiate che siete stati preziosissimi e che se sono riuscita a credere di poter dare una conclusione a questa long è soprattutto merito vostro.
Detto questo, penso di potermi infine accomiatare da Limiti. Non da voi, però, perché sono già alle prese con una nuova storia (sì, è una minaccia).
Vi abbraccio tutti di vero cuore e, per l'ennesima volta, GRAZIE per essermi stati vicini.
Shainareth





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