And then I met you - Missing Moments

di La Polly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Soltanto un brutto sogno ***
Capitolo 2: *** Punto d'incontro ***
Capitolo 3: *** Cheeseburger first ***
Capitolo 4: *** In vodka veritas ***
Capitolo 5: *** Colto in flagrante ***
Capitolo 6: *** Il mio primo Natale insieme a te ***
Capitolo 7: *** Hot chocolate ***
Capitolo 8: *** Photograph ***
Capitolo 9: *** Una gradita sorpresa ***



Capitolo 1
*** Soltanto un brutto sogno ***


Prompt: Wanda ha un incubo su Pietro e bussa alla porta di Denise in piena notte.
 


Le persone piangono non perché sono deboli, ma perché sono state forti per troppo tempo.
 
 
 
«Non lasciarmi, ti prego! Ho bisogno di te! Pietro! Pie-»
Wanda si svegliò di soprassalto, scossa da quell'incubo che l’aveva fatta agitare e piangere nel sonno.
C'era un silenzio quasi innaturale nella stanza, un silenzio rotto solo dai suoi respiri colmi d'affanno e dal battito furioso del suo cuore.
Era solo un incubo – pensò, stringendo il lenzuolo, ma quel lampo di realizzazione non la tranquillizzò affatto e nel giro di pochi secondi le lacrime ripresero a scorrere lungo il suo viso delicato, confondendosi con il sudore che le imperlava la pelle.
La ragazza portò le mani fra i capelli, prima di stringerli con forza.
Erano passati diversi mesi dalla morte di Pietro, eppure quel dolore non voleva saperne di lasciarla in pace – provocandole sensi di colpa che a volte le avevano fatto desiderare di essere morta al posto del fratello.
Le immagini di quell’incubo la fecero piangere ancora di più – perché lui era morto davanti ai suoi occhi, in una pozza di sangue che si era espansa a macchia d'olio sul pavimento e sotto i suoi piedi.

Era soltanto un brutto sogno.

Avrebbe tanto voluto che fosse così – che fosse soltanto un brutto sogno – invece quella era la triste realtà: Pietro era morto davvero e lei non avrebbe mai più potuto abbracciarlo.

Se solo non ci fossimo alleati con quel mostro…

Ma ormai i “se” non contavano più – e forse non avevano mai contato, in fondo.
Allora perché non riusciva a smettere di pensare a quell’eventualità? Perché non riusciva a darsi pace?

Perché non vuoi darti pace. Perché sai che in un certo senso Pietro è morto anche per colpa tua.

Quel pensiero le mozzò il fiato – un groppo alla gola sempre più stretto e fastidioso che la fece annaspare.
Il cuore prese a batterle ancora di più, con così tanta forza che per un attimo la portò a credere che le sarebbe scoppiato nel petto.
Quello era il principio di un attacco di panico – lo sapeva perché non era la prima volta che le succedeva. Ma in quel momento non c'era Pietro e nemmeno Clint – che con le sue parole fredde, ma non per questo meno incoraggianti, l'avevano fatta reagire come mai nessun'altro.
Wanda provò a calmarsi, cercando di riprendere il controllo del suo respiro. Era in un bagno di sudore freddo che la faceva rabbrividire, ma non si arrese – lei era più forte.
Solo un manciata di minuti dopo riuscì nel suo intento, tuttavia non si sentì affatto meglio – la testa le faceva ancora male e una sensazione di spiacevole torpore si era impossessata del suo corpo.
Un’idea le attraversò il cervello e senza attendere oltre scese dal letto, incamminandosi poi in direzione della porta.
Una volta fuori, si diresse con passo leggero verso la stanza dell’unica persona con cui – ne era più che sicura – avrebbe potuto parlare anche a quell'ora della notte.

****

Denise aveva da poco chiuso gli occhi, complice l'ennesimo libro, quando sentì bussare alla porta della sua camera. All'inizio pensò che fosse solo frutto della sua immaginazione – chi avrebbe mai potuto presentarsi a quell'ora della notte? – ma dovette ricredersi, quando quei colpi leggeri non cessarono.
La donna, sempre più stranita, accese la lampada del comodino, poi posò i piedi scalzi sul pavimento freddo – che la fece per un attimo rabbrividire.
Quando fu a un passo dalla porta, l'aprì senza esitazione e in quell'istante il viso sconvolto di Wanda entrò nel suo campo visivo.
La ragazza però non disse nulla – anche se i suoi occhi arrossati dal pianto parlavano chiaro.
«Tesoro, che succede?» le chiese, con una dolcezza che nascose per un attimo la sua preoccupazione.
«Io… non…» pronunciò con fatica quelle poche parole – la voce impastata dall'angoscia e dalla paura. Conosceva benissimo quelle due sensazioni, ma Wanda non lo sapeva – non ancora.
«Scusa, non dovrei nemmeno essere qui. Ti avrò sicuramente svegliata. Mi dispiace» disse, abbassando lo sguardo.
«Non ti preoccupare. Dimmi cosa c'è che non va» la rassicurò lei, sfiorandole il viso in un carezza colma di conforto.
Wanda, a quel contatto, sussultò – ma contro ogni aspettativa non si allontanò da lei.
«Ho sognato Pietro.»
Denise non ne rimase affatto sorpresa, perché durante le loro sedute spesso le aveva confidato di aver sognato suo fratello – ma mai prima d'ora si era presentata davanti alla porta della sua stanza in piena notte per parlargliene, quindi doveva esserci dell'altro.
«Entra, tesoro.»
La ragazza la seguì senza dire nulla e una volta ai pressi del letto, la donna le fece cenno di accomodarsi.
«Allora, raccontami tutto» la incitò, dopo essersi seduta al suo fianco.
Wanda parve esitare per un secondo, poi iniziò a parlare: «Ero nella nostra vecchia casa – la casa dove abbiamo vissuto fino alla morte dei nostri genitori».
La ragazza si fermò per un attimo in cui iniziò a torturarsi le mani. Denise sapeva quanto il ricordo di quella casa le facesse ancora male – gliene aveva parlato spesso e ogni volta aveva trattenuto a forza le lacrime.
«Hai notato qualcosa di diverso? C'era un dettaglio che ti ha fatto capire che era soltanto un sogno?» le chiese con cautela.
Wanda scosse la testa, guardandola, per la prima volta da quando era entrata nella stanza, dritta negli occhi.
«No, nulla, era esattamente come la ricordavo – forse anche troppo. Però c’era qualcosa di strano nell'atmosfera, non so come spiegarlo…»
«Non importa, tranquilla. Dopo cos'è successo?» le domandò ancora, posando la mano destra su quella della ragazza.
«Ho sentito come una folata di vento più forte delle altre. Proveniva da quella voragine nel pavimento in cui sono morti i miei genitori. All’inizio non volevo avvicinarmi, ma era come se non possedessi più il controllo del mio corpo, così nel giro di pochi secondi ero a qualche passo dal bordo, poi ho gettato un'occhiata all'interno. A un certo punto ho perso l’equilibrio e ci sarei caduta dentro, se-»
Denise la vide chiaramente sussultare, nel momento in cui s'interruppe di colpo. Aveva intuito cosa stava per dire, e non solo perché i suoi occhi si erano di nuovo riempiti di lacrime.
«Se…?» la incitò la donna, stringendole con delicatezza la mano per trasmetterle quanto più conforto possibile.
«Se Pietro non mi avesse afferrata.»
 
****

Non fu affatto facile per lei dirlo, perché il ricordo di quel brutto sogno era ancora vivido nella sua mente e faceva male.
La mano della dottoressa Cooper era ancora stretta alla sua. Mai prima d'ora – a parte i suoi genitori e Pietro – qualcuno aveva azzardato un contatto fisico così spontaneo con lei, ma Denise era diversa, perché non la temeva, non la guardava con sospetto. Neanche gli altri lo facevano, ma con loro era tutta un'altra storia, perché era stata dalla parte del nemico, quindi per conquistare la loro piena fiducia avrebbe dovuto lavorarci sopra ancora un po'.
«Poi cos'è successo? Cos'hai provato quando lo hai visto?»
La ragazza prese un altro bel respiro, cercando con tutta se stessa di non mettersi di nuovo a piangere – odiava mostrarsi debole e indifesa di fronte agli altri.
Cos'aveva provato quando aveva visto il suo amato fratello? Difficile capirlo, ancora più difficile esternarlo – nonostante fosse andata lì di sua spontanea volontà.
«Quando ho percepito quella stretta ho subito capito che si trattava di lui, così mi sono girata e l'ho visto. Come sai non è la prima volta che mi capita di sognarlo, però era tutto molto più reale, come se fosse stato davvero lì davanti a me, infatti sono balzata all’indietro, spaventata, e lui mi ha sorriso…»

«Che c'è, sorellina? Hai forse visto un fantasma?»

Così le aveva detto, con quel suo tono di voce ironico, lo stesso che aveva usato spesso per prenderla in giro – ma non lo disse a Denise.
«Ti ha detto qualcosa in particolare?» le chiese la donna, senza smettere di guardarla negli occhi.
Sì, lo aveva fatto – ma se solo pensava a quelle parole si sentiva male.
Wanda abbassò di nuovo lo sguardo e sentì chiaramente gli occhi riempirsi di lacrime – sapeva benissimo che non sarebbe più riuscita a trattenerle.
«Tesoro, so che non è facile e di certo non posso e nemmeno voglio forzarti a parlare. La decisione spetta a te. Sei una ragazza molto forte, l'ho capito subito, sai? Come ti ho già detto durante la nostra prima seduta, non devi vergognarti con me, perché non sono qui per giudicarti. Quindi piangi, urla – anche se forse a quest'ora non è il caso – sfogati se e come vuoi. Io sono qui con te.»
Wanda la guardò sorpresa. Nessuno le aveva mai detto una cosa simile, nessuno che la conoscesse da così poco tempo, e non era solo perché lei stava facendo il suo lavoro, no – lo aveva capito fin da subito – ma perché voleva aiutarla davvero, indipendentemente da quello.
Quelle parole e il suo sorriso incoraggiante la spronarono, così, dopo averle rivolto un'occhiata colma di gratitudine, parlò: «Mi ha detto che gli manco e che non devo sentirmi in colpa per la sua morte. Mi ha anche detto che lui sarà sempre con me, nel mio cuore».
Era stato tutto così dolorosamente bello in quel momento, perché si era sentita un po' più serena. Se solo quell'incubo fosse finito lì…
«Però non è tutto...» aggiunse, prendendo un bel respiro, poi proseguì: «Lui mi ha detto di abbracciarlo e io non me lo sono fatto ripetere due volte. Stavo per farlo, quando all'improvviso… io me ne sono accorta troppo tardi, non-»
Il dolore la colpì di nuovo dritta al cuore e crebbe dentro di lei come un fiume in piena. Si coprì gli occhi con entrambe le mani e le lacrime ricominciarono a scorrere sul suo volto – bruciavano come lava incandescente.
Nel momento in cui le mani di Denise si posarono sui suoi polsi e le scoprirono il viso, Wanda sussultò, colta alla sprovvista.
All'improvviso le parole uscirono dalle sue labbra senza il suo più totale consenso – ma forse era meglio così, forse era quello che sarebbe dovuto succedere fin da subito.
«Stavo per abbracciarlo, quando dei colpi di mitragliatrice hanno interrotto quel momento e Pietro è caduto a terra davanti ai miei occhi, in un lago di sangue. Morto, come se non lo fosse già stato. Assurdo, vero?»
Quella fu l'ultima cosa che disse, prima che la donna l'attirò a sé e la strinse fra le sue braccia.

****

Denise l'aveva abbracciata, non aveva potuto farne a meno. Perché? La risposta era soltanto una: sapeva cosa si provava, sapeva cosa significava fare un incubo simile – lei ne aveva fatti tanti in quei ventotto anni. Il cuore le si era stretto in una morsa dolorosa quando le aveva raccontato quel triste e orribile epilogo. Non sapeva come la ragazza avrebbe potuto reagire a quel gesto, ma lei aveva deciso di rischiare. Wanda non ricambiò quell'abbraccio, era ancora troppo presto, però posò il viso sulla sua spalla e quando Denise la sentì distintamente singhiozzare, le accarezzò lentamente i lunghi capelli.
«Era soltanto un brutto sogno, tesoro. Nulla di più. Non lasciarti abbattere, tu sei più forte» le disse, con una dolcezza quasi materna.
«Grazie, Denise.»
Quelle due semplici parole le scaldarono il cuore.

Da quel momento – quella notte – il loro legame si rafforzò ancora di più.

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Capitolo 2
*** Punto d'incontro ***


Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare.
(George Bernard Shaw)
 
 
Se il giorno in cui era arrivata al Facility le avessero detto che avrebbe dato lezioni di cucina a un'ex spia russa, probabilmente non ci avrebbe creduto.


Denise era da poco rientrata nell’appartamento per preparare la cena. Non c'era nessuno lì con lei, gli Avengers erano impegnati in altre attività; così si era messa degli abiti comodi, aveva raccolto i lunghi capelli dietro la nuca, poi aveva acceso l’impianto audio e si era messa ai fornelli.

Trovava estremamente rilassante cucinare; ricordava ancora gli insegnamenti di sua zia e ne aveva fatto tesoro, cercando di imparare quante più ricette possibili e da quando si era trasferita lì – circa un mese e mezzo – le aveva proposte ai suoi nuovi coinquilini, conquistando la loro approvazione.

Stava cominciando a legare un po' con tutti, lì dentro, anche se non era stato molto facile all’inizio. L'unica che si era mostrata meno reticente a instaurare un rapporto, era la Vedova Nera. Lei e Natasha spesso conversavano tranquillamente, ma la bella agente Romanoff non si era sbilanciata più di tanto nei suoi confronti. Faceva parte del suo carattere, Denise lo aveva capito quando si era ritrovata a osservarla di sottecchi e anche se Natasha se ne era accorta – a quella donna non sfuggiva mai niente – non le aveva mai detto nulla.
Però – sì, c'era un però – le sarebbe piaciuto creare un legame, ed era intenzionata non tanto a insistere ma quanto meno a provarci.

I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta d'ingresso che si apriva e chiudeva subito dopo, lasciando spazio a dei passi che si avvicinavano sempre di più nella sua direzione.


«Cosa cucini di buono?»

Denise sorrise, voltandosi verso la donna – che nel frattempo si era avvicinata al bancone della cucina – e le rispose: «Risotto allo zafferano con speck».

Prese una noce di burro e la mise a far sciogliere nella pentola insieme allo scalogno soffritto, sotto lo sguardo dell'agente Romanoff.

«Da quando sei arrivata ho messo su quasi due chili. In un certo senso, però, te ne sono grata: prima ordinavamo soltanto cibo d’asporto!»

Denise ridacchiò alle sue parole. «Ne sono felice. Adoro cucinare, specialmente per gli altri.»

Un piccolo sorriso increspò le labbra carnose della Vedova.

«Sì, lo abbiamo notato tutti.»

Denise sorrise, divertita, e Natasha fece lo stesso, poi però si mise ad osservare i suoi movimenti con un’attenzione e una curiosità che mai aveva colto prima d'ora nel suo sguardo.

All'improvviso, la voce di sua zia Helena si fece spazio nella sua testa come un'eco lontano: «La cucina unisce, tesoro. Se vuoi entrare in contatto con una persona, mettiti ai fornelli insieme a lei».
In quel momento capì cosa doveva fare, anche se il rischio di un fallimento totale era alto, ma non sarebbe stata del tutto se stessa se non avesse fatto almeno un tentativo.

«Ti andrebbe di darmi una mano?»

Natasha, di fronte a quella domanda, la guardò spaesata e a tratti sorpresa da quella specie di invito: l'aveva colta alla sprovvista.

«Lo farei pure, se non rischiassi di dare fuoco alla cucina!»

A quella rivelazione, Denise scoppiò a ridere. In effetti non era stato difficile per lei capire che la donna non era particolarmente in grado di cucinare.

«Ehi, guarda che ho ucciso per molto meno» le disse Natasha, seria e fredda come mai prima d’ora: il suo sguardo non prometteva nulla di nuovo e per un attimo la dottoressa sentì il bisogno di deglutire.

Brava, Denise, l'hai fatta incazzare.

Natasha Romanoff era stata molto pericolosa in passato e in un certo senso lo era ancora, anche se faceva parte dei buoni. Spesso aveva notato nei suoi occhi un'ombra di inadeguatezza, come se lì si sentisse fuori posto. A volte ogni suo più piccolo movimento sembrava che urlasse: “Io non sono un'eroina. Sono un mostro”.
Ma non lo era affatto, no, e Denise ne aveva la certezza.

Non voleva mandare all'aria tutto, così decise di giocare quella carta: «Lo so, ma so anche che non mi faresti del male» le disse, senza staccare gli occhi da quelli chiari della donna.

Passarono circa una ventina di secondi in cui nessuna delle due fiatò – la tensione si poteva toccare con mano – poi l’agente Romanoff, da seria e impassibile, si rilassò, rivolgendole uno sguardo che sapeva di gratitudine – un’espressione che scomparve immediatamente, tanto che Denise per un istante credette di essersela immaginata.

«Dimmi cosa devo fare.»

Denise, prima di risponderle, sorrise: avevano trovato un punto d’incontro.

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Capitolo 3
*** Cheeseburger first ***


 

 

Quando vide Tony rientrare, non poté fare a meno di sorridere.

Era rimasto chiuso nel suo laboratorio tutta la mattina, dopo essersi portato dietro la tazza di caffè che lei gli aveva lasciato, ancora caldo, sul bancone della cucina.

«Ma guarda chi si rivede…»

«Era preoccupata per me, dottoressa?» la stuzzicò, ammiccando.

Sembrava essere passata un'eternità da quando si rivolgeva a lei soltanto in quel modo, invece erano trascorse soltanto alcune settimane. Era cambiato qualcosa tra loro dal giorno in cui gli aveva raccontato tutta la verità sul suo passato. Il loro rapporto si era come rafforzato e la fiducia che provavano l'una per l'altro era aumentata ancora di più.

Ma c'è anche dell'altro, vero, Denise?

La donna, a quel pensiero, pregò di non arrossire.

Sì, qualcosa d'altro c'era, solo che stava cercando di soffocarlo il più possibile nel profondo di se stessa.

«Sì, lo ammetto: temevo che il pavimento del laboratorio l'avesse inghiottita, signor Stark.»

A quelle parole, Tony scoppiò a ridere, contagiando subito anche lei.

«Non mi sorprenderei se un giorno di questi accadesse davvero» le disse, mentre ancora ridacchiava divertito, poi, mentre la raggiungeva, aggiunse: «In realtà solo salito per prendere qualcosa da sgranocchiare… Ho una fame!»

Denise gli rivolse uno sguardo confuso.

«Ma come? Non pranzi con noi?»

Tony scosse la testa, stringendosi nelle spalle.

«Ho un sacco di lavoro arretrato, devo portarmi avanti» spiegò, rivolgendole uno sguardo che somigliava tanto a un "mi dispiace".

Denise sentì una punta di tristezza attanagliarle lo stomaco.

«Capisco… Beh, allora ti terrò da parte un piatto di pasta.»

«Ti ringrazio, Denise, ma non ce n'è bisogno. Non so nemmeno quando finirò…» disse mentre apriva l'anta dell'armadietto, prendendo in mano un grosso pacco di patatine.

«Dovrebbero bastare, almeno spero» cercò di sdrammatizzare lui, con un sorriso che però non era molto convincente – almeno per lei – recuperando dal frigo un paio di lattine di Cola.

Negli ultimi giorni stava sempre più rintanato nel suo laboratorio, spesso anche fino a tarda notte, ma non era mai successo che rinunciasse a un pasto. Doveva essere davvero pieno di lavoro.

«In caso contrario sali a perdere qualcos'altro, d'accordo?»

Maledisse se stessa non appena si rese conto di quello che aveva detto e, soprattutto, di come lo aveva detto: con quel tono apprensivo da mamma chioccia.

Dovrei prendere a testate il muro.

Tony, però, non le sembrò affatto infastidito, anzi, parve piacevolmente sorpreso – e vedere Tony Stark sorpreso era una cosa più unica che rara.

Denise fece per dire qualcosa ma lui l'anticipò: «D'accordo, mammina!»

La donna scosse la testa; doveva aspettarsi che l'avrebbe stuzzicata, non sarebbe stato del tutto se stesso se non lo avesse fatto.

«Torna in laboratorio, forza, prima che ti metta in punizione» lo punzecchiò lei a sua volta.

L'occhiata penetrante che le rivolse per poco non la fece arrossire. Quei suoi occhi scuri e profondi erano davvero un bel problema, sapevano come intenerirti e al tempo stesso farti capitolare – e Tony era un esperto nel far cadere le donne ai propri piedi.

Cadrai anche tu, alla fine, Denise?

«Allora, in questo caso, non mi muoverò da qui!» esclamò lui, ridestandola da quei pensieri nocivi per la sua salute mentale.

«Muoviti, dai, altrimenti non finirai più per davvero» lo rimproverò scherzosamente, incrociando le braccia sotto al seno. Gli occhi di Tony, per un millesimo di secondo, si posarono proprio lì.

«Quindi niente manette e frustino?» le chiese, mettendo il broncio come un bambino capriccioso.

«Vai!» esclamò lei, alzando gli occhi al cielo, cercando di non scoppiare a ridere.

«D'accordo, d'accordo…» sbuffò l'uomo, simulando tristezza e rassegnazione, poi le fece l'occhiolino sorridendo con malizia prima di allontanarsi e sparire oltre il corridoio.

Denise sorrise a sua volta, mentre percepiva un calore familiare – una strana e piacevole sensazione che, dopo tanto tempo, aveva cominciato di nuovo a provare – espandersi dentro di lei.




Chiuse la portiera dell'auto, posando il sacchetto della spesa sul sedile accanto, poi mise in moto e accese lo stereo.

"I want your sex" di George Michael partì subito a tutto volume e Denise, sempre facendo attenzione alla strada, iniziò a muovere la testa su e giù, seguendo il ritmo.

"There's things that you guess and things that you know. There's boys you can trust and girls that you don't. There's little things you hide and little things that you show. Sometimes you think you're gonna get it but you don't and that's just the way it goes."

Adorava quella canzone, le trasmetteva un scarica di adrenalina che la scuoteva ogni volta.

"I swear I won't tease you, won't tell you no lies. I don't need no bible, just look in my eyes. I've waited so long baby, now that we're friends, every man's got his patience and here's where mine ends."

Denise continuò a cantare, picchiettando le dita sul volante e fu proprio in quel momento che un ricordo ben preciso le attraversò il cervello: Tony, solo qualche settimana prima, l'aveva beccata mentre canticchiava, improvvisando pure qualche passo di danza, proprio quella canzone.

Ricordò la sua espressione sorpresa e al tempo maliziosa ma soprattutto ricordò il modo in cui l'aveva guardata solo un attimo prima che le rivolgesse la parola.
Denise, nonostante fosse riuscita a dissimulare l'imbarazzo iniziale, non aveva potuto fare nulla per fermare i battiti sempre più forti del suo cuore.

Non sapeva cosa le stava accadendo negli ultimi tempi, o meglio, lo sapeva solo che non poteva accettarlo.

Però vorresti, non è così?

No. Non poteva, punto e fine della storia. Era del tutto fuori discussione.

Sbuffando, spense la radio, che tutto d'un tratto aveva iniziato a irritarla, poi svoltò a destra, accelerando un po'. Voleva mettere a tacere il cervello e uno dei pochi modi per farlo era lasciarsi cullare dal getto d'acqua calda e dal profumo inebriante dell'olio di Argan.

Mancavano pochi chilometri a destinazione e quindi alla sua amata doccia, quando i suoi occhi inquadrarono il fast food dove preparavano dei cheeseburger davvero ottimi. In quell'istante un sorriso spuntò sulle sue labbra: aveva appena avuto un'idea.

 

****


Tony entrò nell'appartamento chiudendo la porta alle sue spalle. Aveva recuperato una buona parte del lavoro e ora voleva soltanto ricaricare le batterie.

Lo stomaco gli brontolò, ricordandogli che non aveva nemmeno pranzato. Doveva rimediare.

Si diresse verso la cucina, pensando a cosa avrebbe potuto mettere sotto i denti. Non sapeva se Denise gli avesse messo da parte quel piatto di pasta, nonostante le avesse detto che non era necessario. La donna, con lui, ma anche con gli altri, era sempre gentile e a volte anche apprensiva. Tony però non la trovava invadente, anzi, apprezzava tutti i suoi piccoli gesti, come per esempio preparargli i suoi favolosi pancake o fargli trovare una tazza di caffé nero fumante quando rientrava dal laboratorio.

Aveva detto più volte che era abituata a prendersi cura delle persone a cui voleva bene, lo faceva con tutti, lì dentro, ma a Tony piaceva pensare che con lui lo faceva per un motivo diverso.

Non si era mai fatto problemi con le donne e Denise, in fondo, gli era piaciuta fin dall'inizio, ma se prima si trattava solo di una questione fisica, adesso c'era qualcosa di più.

Ma cosa, esattamente?

Un altro brontolio proveniente dal suo stomaco lo distrasse per un attimo dai suoi pensieri e prima che potesse afferrarli di nuovo, i suoi occhi si posarono su un sacchetto marroncino che si trovava sul bancone della cucina. C'era un post-it giallo attaccato sopra.

Tony vi si avvicinò e subito un profumo familiare arrivò dritto alle sue narici, facendogli venire l'acquolina in bocca.

Afferrando il bigliettino tra l'indice e il medio scoprì che era destinato a lui. Su di esso c'erano scritte, con una grafia elegante, altre poche parole: "Nel caso avessi ancora fame…"

Denise. Era stata lei a lasciargli quel piccolo regalo, ne era più che certo.

Tony aprì il sacchetto e trovò quelli che dovevano essere due doppi cheeseburger e un cartoccio di patatine fritte.

Ne prese uno tra le mani e quando diede il primo morso, per poco non si mise a piangere dalla gioia: non solo era ancora caldo ma era pure squisito.

Mentre ne masticava un altro pezzo, Tony pensò che avrebbe tanto voluto ringraziarla con un bacio.

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Capitolo 4
*** In vodka veritas ***


Prompt: Natasha, Denise e Wanda organizzano un pigiama party e si fanno confidenze. (Bonus se Natasha invita le altre donne. Altro bonus se le confidenze sono... intime.)
 
 

Sotto l’effetto dell’alcol, l’adulto ritorna un bambino che prova il piacere di pensare liberamente come vuole senza dover fare attenzione alla costrizione della logica.
(Sigmund Freud)
 
 

Quella sera Denise, Natasha e Wanda avevano organizzato una specie di pigiama party tra donne, a cui era stata invitata anche Maria Hill – che si era presentata con una bottiglia di ottimo vino rosso.

Verso l’ora di cena avevano letteralmente cacciato via gli uomini dal complesso.
Tony, fingendosi offeso, aveva proposto agli altri di andare alla Tower – dove sicuramente avrebbero giocato alla PS4 e bevuto birra finché non si sarebbero addormentati.
Le quattro donne avevano trascorso la prima parte della serata mangiando il trancio di pizza e la cheesecake al cioccolato preparata dalla dottoressa Cooper, guardando nel frattempo un paio di film – poi, verso la mezzanotte, avevano recuperato alcune bottiglie dal mobiletto degli alcolici.


«Alla nostra!» esclamarono all’unisono, facendo tintinnare i bicchierini di vetro, prima di bere tutto d’un fiato il liquido trasparente che Natasha aveva versato loro con un sorriso euforico stampato sulle labbra – uno che mai prima d'ora aveva mostrato a qualcuno.
Subito alcuni colpi di tosse echeggiarono nella stanza.
«Accidenti, che diavolo è questa roba? Fuoco liquido?»
Denise tossì di nuovo, lanciando contemporaneamente un’occhiataccia in direzione della Vedova Nera.
«Questa roba è vera vodka russa! Non quella specie di brodaglia che gira qui in America…» replicò l'altra, con fare altezzoso.
La psicologa, a quelle parole, fissò il bicchierino vuoto per circa dieci secondi.
«Oh, allora voglio fare un altro giro!» disse, con fin troppa enfasi.
Natasha accontentò subito la sua richiesta.
«Voi ne volete ancora?» chiese poi a Maria e Wanda.
La prima annuì senza esitazione – porgendo il bicchierino all'agente Romanoff.
La giovane ragazza, invece, scosse la testa.
«Io passo! Credo di aver esagerato.»
«Stai bene, tesoro?» le chiese Denise, guardandola preoccupata.
«Sinceramente non ne ho idea… so solo che non avevo mai bevuto così tanto prima d'ora!»
Natasha le puntò il dito contro, scrutandola con i suoi occhi chiari resi lucidi dall'alcol.
«Hai ancora molto da imparare, ragazzina.»
«Non sono una ragazzina» ribatté subito lei, infastidita.
Natasha scosse le spalle con noncuranza.
«Senza offesa, ma in quanto a sbronze lo sei.»
Wanda, con un movimento della dita, fece fluttuare la bottiglia verso di sé – ma prima che potesse avvicinarla alle labbra, Denise gliela tolse di mano.
«Ehi!» protestò, fissando la dottoressa con aria truce.
«Hai detto tu stessa di aver esagerato, quindi per stasera basta… altrimenti poi domattina chi lo sente Steve?»
La ragazza sbuffò, stendendosi poi sul letto senza dire altro.

«Passiamo alle cose serie…»
Natasha riprese possesso della bottiglia, da cui bevve un abbondante sorso di vodka, poi proseguì: «Non so come funzionano questi pigiama party, però... a un certo punto si spettegola sugli uomini o sbaglio?»
Maria ridacchiò sotto i baffi.
«Intendi pettegolezzi sconci, vero? Mi sembra di essere tornata ai tempi del college» disse Denise, divertita.
«Bene, allora parlaci un po’ di Stark!» esclamò la Vedova, sorridendo maliziosamente.
La protesta della psicologa non si fece attendere: «Cosa??? Scusa, ma perché proprio di Tony?»
«Perché sei la sua fidanzata. Ma soprattutto perché quando bevo così tanto divento particolarmente impicciona» le rispose Natasha.
Denise non riuscì a replicare, non il quel momento – non con la mente annebbiata dall'alcol.
«D'accordo, ci sto! Cosa volete sapere?»
«Vediamo… qual è il posto più strano dove lo avete fatto?» le domandò la Vedova Nera, mentre sgranocchiava una manciata di popcorn.
«Nel bagno del suo jet privato. All’inizio non ero molto convinta, però Tony sa essere molto persuasivo» rispose, con malizia.

Ricordava il modo in cui Tony le aveva fatto cambiare idea, le parole che aveva sussurrato al suo orecchio e soprattutto i baci e le carezze sensuali che l’avevano fatta fremere sempre di più.

D’un tratto la voce di Natasha la fece tornare alla realtà.
«E nel tuo ufficio non lo avete ancora fatto? Il lettino per le sedute sembra molto comodo...»
«No, lì non ancora. Ma se un giorno dovesse accadere, penso proprio che punterei alla scrivania: è molto più eccitante» rispose Denise, sogghignando.
«Concordo!» esclamò Maria, con decisione.
«Però un mesetto fa sono andata nel suo laboratorio e l’ho convinto a prendersi una... pausa – chiamiamola così.»
«Praticamente lo avete fatto nel suo habitat naturale» ridacchiò Natasha, dopo aver bevuto l'ennesimo sorso di vodka.
«Esatto. Se solo non dovessi attraversare tutto l'edificio per raggiungerlo, mi piacerebbe molto presentarmi da lui con indosso il completino da Ironette.»
La Vedova strabuzzò gli occhi, come colta da un'improvvisa illuminazione.
«Aspetta un secondo. Intendi il costumino striminzito usato dalle ballerine ingaggiate per l'apertura della Stark Expo?»
«Proprio quello! L’ho comprato la settimana scorsa su Ebay, solo che a Tony non ho ancora detto nulla…»
«Gli farai venire un infarto, lo sai?»
La compagna di Tony Stark lanciò subito uno sguardo eloquente a Natasha, poi rispose: «Certo che lo so! Ma non preoccuparti, troverò un modo per rianimarlo, non so se mi spiego...»
Le tre donne scoppiarono di nuovo a ridere.
«Non avrei mai pensato di passare la serata mezza sbronza a parlare della vita sessuale del mio ex capo» disse all'improvviso Maria, con le lacrime agli occhi.
«E ringrazia il cielo che non stiamo parlando di quella di Fury!» la stuzzicò Denise, tra una risata e l'altra.
«A proposito di Fury: secondo voi in questo periodo starà facendo sesso con qualcuno?»
Improvvisamente un silenzio tombale invase la stanza.
«Nat… seriamente?» le chiese Denise, guardandola sconvolta – insieme alla Hill, che per poco non si era strozzata con una patatina.
«Che c'è? In fondo è un uomo, avrà anche lui dei bisogni da soddisfare
«Perché non glielo chiedi?»
Passarono circa venti secondi in cui si guardarono l'un l'altra, senza dire una sola parola. Quella situazione stava diventando un po’ troppo imbarazzante.
«Ok!»
Le altre due donne non fecero quasi in tempo a rendersene conto, che subito la spietata – e decisamente troppo ubriaca – Vedova Nera prese il suo cellulare e compose il numero. Denise fortunatamente ebbe la prontezza d’intervenire, prima che fosse troppo tardi.
«Frenafrenafrena! Che diavolo stai facendo?» le sbraitò addosso, strappandole il cellulare di mano e chiudendo la chiamata.
«Ma lei mi ha de-»
«Stava scherzando, Nat!» urlò di nuovo la dottoressa.

Forse avevano davvero esagerato con gli alcolici – forse ne avevano mischiati un po' troppi.

Maria stava per aggiungere qualcosa, quando un tonfo sordo le fece sobbalzare per lo spavento.
«Ahia!» esclamò Wanda, dolorante.
Era rotolata giù dal letto mentre dormiva, battendo probabilmente la testa.
«Tesoro, ti sei fatta male?» le chiese Denise, allarmata.
Subito si precipitò da lei – con non poca fatica – per aiutarla ad alzarsi.
«No, sto bene. Che ore sono? Non è già mattina, vero?»
«Spero proprio di no. Ho in programma una giornata a dir poco infernale» si lamentò Maria, sbadigliando subito dopo.
«Merda! Domani devo andare nell'ufficio di Fury.»
Denise nascose il viso tra le mani, maledicendosi mentalmente. Come avrebbe fatto a presentarsi nel suo ufficio dopo una sbronza simile? Non ne aveva la più pallida idea.
«Avete intenzione di finire questa preziosissima vodka o da brava russa devo farlo da sola?»
Le tre donne non ebbero nemmeno il tempo di rispondere alla domanda di Natasha, perché subito portò la bottiglia alle labbra e ne bevve tutto il restante contenuto in un unico sorso.
«Troppo tardi» disse mentre scendeva dal letto – barcollando vistosamente.
«La prima che farà il minimo rumore se la vedrà con me! Buonanotte.»
Denise, Wanda e Maria si scambiarono uno sguardo perplesso e quando posarono di nuovo gli occhi sulla donna, lei stava già dormendo.
Era proprio andata.

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Capitolo 5
*** Colto in flagrante ***


«Ma dove diavolo lo avrà messo?» borbottò l'uomo, frugando nel cassetto con fin troppa foga.

Era sempre stato curioso, specialmente quando si trattava di regali – nonostante avesse spesso cercato di non mostrare quel lato di sé agli altri, anzi, preferiva far credere che non fosse affatto il tipo. Ci riusciva piuttosto bene, visto il suo discutibile gusto in merito.

Continuò a spostare gli indumenti di raso e pizzo, senza successo, gettando però ogni tanto qualche sguardo interessato su alcuni capi in particolare.

E questo babydoll da dove spunta? Niente male… – pensò, malizioso.

Se fosse stato quello il suo regalo di Natale – anche se ne dubitava – lo avrebbe sicuramente apprezzato.

«Si può sapere che stai facendo?»

Bloccandosi di colpo, Tony si voltò in direzione della porta, chiudendo di scatto il cassetto, sotto gli occhi insolitamente divertiti della Vedova Nera.

Merda.

«Ehm, io…»

Natasha incrociò le braccia al seno – un sorrisino eloquente sulle labbra.
«Fammi indovinare: stavi rovistando nel suo cassetto per trovare il regalo che ti ha fatto.»

Tony imprecò mentalmente. Nessuno doveva saperlo, soprattutto la sua compagna – ed era stato beccato niente meno che da Natasha Romanoff.

Ma che fortuna!

Sapeva che una banale scusa non sarebbe servita, non con lei.
Guardandola supplicante, fece quello che mai avrebbe fatto, gettando via tutto il suo orgoglio: «Per favore, non dirlo a Denise».

L'espressione compiaciuta che apparve sul viso della donna, lo fece deglutire.
«Sei in debito con me, Stark.»

Ora sì che sono fottuto.
 
 
 
 

Spazio Autrice
Buonsalve a tutti! Natale si avvicina e io ho scritto qualche one-shot per l'occasione.
In questa raccolta ce ne saranno tre, quindi presto pubblicherò anche le altre due.
Un bacio!
Polly

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Capitolo 6
*** Il mio primo Natale insieme a te ***


“Christmas is more magical
now that you're in my life.”
 
 
Denise si chiuse la porta alle spalle, preceduta da Tony.
Era uscita fuori con la scusa di una sigaretta, quando in realtà voleva soltanto stare un po' da sola con lui, visto che lì – insieme alla sua famiglia – non poteva lasciarsi andare a certe smancerie oppure a baci troppo focosi, di cui sentiva un impellente bisogno.

«Secondo me non se la sono bevuta nemmeno un po'» disse l’uomo, divertito, appoggiando la schiena a una colonna della veranda.
«Poco ma sicuro, specialmente Margot… mi conosce fin troppo bene» aggiunse, dopo averlo affiancato, mettendosi a ridere al ricordo dello sguardo malizioso che la cugina le aveva rivolto solo un attimo prima.
«Oh, sì, e soprattutto sa un sacco di cose molto interessanti sul tuo conto» la stuzzicò, prima di voltare il corpo nella sua direzione e stringerla forte fra le sue braccia.

Denise, posando la testa nell'incavo tra il suo collo e la spalla, si sentì felice e serena come mai prima d'ora. Non poteva desiderare di meglio per quel Natale, e il merito era di quell'uomo che le aveva fatto battere il cuore come nessun altro.

«Vedo che ti stai trovando bene…» gli disse all'improvviso, tornando a guardarlo dritto negli occhi.
«Molto. Lo ammetto: ero un pochino preoccupato, all’inizio, ma sono riusciti a mettermi subito a mio agio.»
Sorridendo, gli disse: «Perché hanno capito che i tuoi sentimenti sono sinceri. Gli piaci, fidati.»
«Beh, non poteva essere altrimenti» si pavoneggiò, facendola ridere – era sempre il solito…
Quando vide che la stava fissando come incantato, Denise sentì tutto il calore di ciò che provava per lui farsi spazio nel proprio cuore.

Abbassò un attimo lo sguardo, prima di dirgli ciò che premeva sulla punta della sua lingua da quando erano arrivati lì.
«Sai, dopo quella notte, il Natale per me ha sempre avuto una specie di retrogusto amaro. Loro mi sono stati accanto nel migliore dei modi, è vero, ma il ricordo dei miei genitori continuava a tormentarmi, e di conseguenza non riuscivo a godermi del tutto questo giorno. Per me il Natale, in un certo senso, significava nostalgia e rimpianto.»

Tony, toccato dalla sua rivelazione, le sfiorò la guancia con le dita. La donna capì che anche lui aveva provato lo stesso, lo leggeva chiaramente nei suoi occhi.

Stringendolo ancora di più, proseguì: «Oggi, invece, sto festeggiando con serenità, senza quel dolore sordo dentro di me. Vorrei comunque che fossero qui, è vero, però per la prima volta sento di avere tutto quello di cui ho bisogno: non solo la mia famiglia, ma anche qualcuno da amare, qualcuno con cui condividere ciò che sono… e il mio cuore».

Tony sussultò di fronte a quelle ultime parole.
«Denise, io…»
Senza dire nulla, avvicinò il viso a quello dell'uomo, per baciarlo, ma prima che potesse riuscirci, lui alzò gli occhi verso il soffitto. Facendo lo stesso, vide cosa aveva attirato la sua attenzione.
Un rametto di vischio era proprio sopra le loro teste.

«Non lo avevo notato, prima» disse, riportando lo sguardo su di lei.
«Sai come si dice: i baci dati sotto il vischio portano fortuna…. E baciare il sottoscritto, poi, ne porta ancora di più» aggiunse Tony, con un sorriso eloquente.
«Allora non posso di certo lasciarmi scappare questa grande occasione» lo punzecchiò, maliziosa.
«Direi proprio di no» concluse lui, prima di posare le labbra sulle sue e iniziare a baciarla con sempre più trasporto e passione.

Sei tutto quello che desidero, ciò che ho sempre desiderato fin dal primo momento in cui ti ho visto, prima ancora che potessi rendermene conto.

Lo amava con tutta se stessa, perché l'aveva salvata dalle sue paure, e in un certo senso anche dal suo passato.

Riaprì gli occhi nell'istante in cui le loro labbra si separarono, per permettere a entrambi di riprendere fiato.
«Buon Natale, piccola.»
«Buon Natale a noi» sussurrò lei, posando la fronte contro la sua.

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Capitolo 7
*** Hot chocolate ***


Era il 30 Dicembre 2015, mancava solo un giorno alla fine di quell'anno che aveva completamente stravolto la vita di Tony Stark.

Erano successe così tante cose che quasi faticava ancora a crederci, eppure eccolo lì, dentro quell’ascensore, intento a fischiettare un motivetto natalizio.
Fissando il proprio riflesso nello specchio, sorrise: gli ultimi giorni trascorsi a Los Angeles erano stati a dir poco incredibili. Ora faceva parte di quella famiglia che si era presa cura della sua Denise per anni e non poteva essere più felice di così.

Attraversando le porte scorrevoli, pensò al giorno in cui l'aveva conosciuta, a tutto quello che era successo e a come il loro rapporto di stima e rispetto reciproco si fosse trasformato in qualcosa di più – qualcosa che avrebbe voluto provare fino alla fine dei suoi giorni, solo con lei.

Chi lo avrebbe mai detto che saresti diventata così fondamentale per la mia vita?

Entrò nell’appartamento e la prima cosa che notò fu l’invitante profumo di cioccolata che permeava l'ambiente, facendogli venire l'acquolina in bocca.
Dopo qualche altro passo, vide Denise seduta sul divano, con un libro sulle gambe e una tazza fumante fra le mani.
Non si era accorta della sua presenza, troppo concentrata per notarlo – quando leggeva tutto il resto intorno a lei sembrava scomparire. Era così bella…

Sarebbe rimasto lì a guardarla per ore.

Tossicchiò leggermente, per attirare la sua attenzione, e l'espressione sorpresa che gli rivolse lo intenerì.
«Ehi, quando sei entrato?» gli chiese, sorridendo a sua volta.
«Circa un minuto fa.»
Tony si sedette accanto a lei, senza staccare gli occhi dai suoi.
«Scusa, non ti avevo sentito» ammise lei, con una punta d'imbarazzo.
«Potrei offendermi, sai?» la punzecchiò, con tono serio.
Adorava stuzzicarla, anche se non ci cascava mai, lei stava sempre al gioco, e molto spesso andava a finire in un modo…

Siamo qui, da soli, quindi perché non approfittarne?

«Oh, come posso farmi perdonare?» gli chiese, maliziosa, guardandolo come se stesse per saltargli addosso.

Deve avermi letto nel pensiero – disse a se stesso, sentendo l'eccitazione crescere sempre di più.

Posò una mano sulla coscia della donna e con calcolata lentezza iniziò ad accarezzarla, sentendola rabbrividire sotto il tessuto dei leggings neri.
«Dimmelo tu, dolcezza…»
Denise fece finta di pensarci su, un dito sulle labbra e lo sguardo fisso nel suo.
«Ti va un po' di cioccolata calda?» gli chiese, dopo qualche secondo, con un ampio sorriso.
Tony rimase un pochino deluso da quella domanda. Si aspettava ben altro, in realtà.
«Non è esattamente quello che intendevo, ma-»
La donna lo zittì, coprendogli la bocca con la mano destra
«Non ho detto che dovrai per forza berla dalla tazza…» disse, facendogli l'occhiolino.

Oh.

«Gli altri non torneranno subito, abbiamo tutto il tempo che vogliamo a nostra disposizione, e la cioccolata è ancora calda – non troppo da scottarmi la pelle ma abbastanza da essere ancora buona!»

Quelle parole lo fecero andare fuori di testa. Era una proposta molto allettante…

«Allora che stai aspettando? Lasciati assaggiare, piccola» la provocò lui, con voce arrochita dall'eccitazione.
Denise non se lo fece ripetere due volte, e dopo aver bevuto un piccolo sorso dalla tazza, si mise a cavalcioni su di lui, baciandolo appassionatamente con quelle labbra invitanti che sapevano di cioccolata.

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Capitolo 8
*** Photograph ***


“We keep this love in a photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts are never broken
And time's forever frozen still”



«Forza, Tony!»

L'uomo sbuffò, mentre cercava di stare al passo della sua fidanzata, che correva davanti a lui.

Denise si era alzata quella mattina con la malsana – come l'aveva definita Tony – idea di recarsi a Central Park per fare un po' di jogging.
Non era una novità, in effetti, visto che da quando si erano trasferiti alla Tower era diventato una specie di rito per lei, ma era convinto che alzarsi presto la domenica mattina per andare a correre fosse una follia.

«Non può farti che bene» gli aveva risposto lei quando aveva espresso il suo disappunto, e alla fine aveva ceduto, guardandola sorridere trionfante solo un attimo dopo.

Ora era lì, nel bel mezzo del parco, con il fiato corto e gli occhi ridotti a due fessure fissi sulla donna che, come se nulla fosse, correva come una
gazzella nonostante fossero passate quasi due ore – e avrebbe continuato a fulminarla se solo il suo sguardo non fosse sceso sul suo fondoschiena coperto dal tessuto aderente dei leggings neri.

Almeno da qui ho un'ottima visuale – pensò, sogghignando con malizia.

«Smettila di fissarmi il culo. So che lo stai facendo…» disse all’improvviso Denise, senza però voltarsi nella sua direzione.

Beccato.

«Non è assolutamente così, tesoro, te lo assicuro» replicò lui, simulando sicurezza.

«Allora non ti dispiacerà se correrò accanto a te!»

Tony non fece quasi in tempo a realizzare quelle parole, che subito vide Denise accostarsi a lui.
Lo aveva fatto apposta, il sorriso eloquente che aveva stampato sul bel volto glielo confermò.

«Non guardarmi in quel modo, lo so che mi stai prendendo in giro» le disse, rivolgendole un’occhiataccia.
«Non è assolutamente così, tesoro, te lo assicuro!» esclamò lei, sorridendo divertita.
«E poi, se ho rallentato il passo, l'ho fatto per te. Dopotutto hai una certa età…»

Perfida.

Tony la fulminò di nuovo con lo sguardo, del tutto intenzionato a stuzzicarla.

«Aspetta di arrivare a casa, poi ti faccio vedere io chi ha una certa età!»
«Non vedo l'ora, signor Stark» ribatté lei, facendogli l'occhiolino, maliziosa, e subito Tony avvertì l'erezione stringergli il cavallo dei pantaloni.

Ok, stai buono, tu, qui c'è gente.

Quando la vide svoltare a destra, lui la seguì; insieme attraversarono la Bethesda Terrace, passando di fronte alla famosa fontana.
Doveva ammettere che, nonostante lo avesse fatto alzare presto, non gli dispiaceva affatto essere lì.
Si era creata una sorta di quotidianità tutta nuova da quando avevano iniziato la loro convivenza privata, e anche le più piccole cose avevano acquisito tutto un altro sapore.

Continuarono a correre, fianco a fianco, finché non arrivarono a uno dei punti più suggestivi di tutto Central Park: il Bow Bridge.
Solo in quel momento la vide rallentare il passo, così fece lo stesso, e Denise un attimo dopo lo prese per mano. Si diresse insieme a lui verso il muretto di pietra dove lei vi poggiò entrambe le mani, perdendosi ad ammirare il lago che si estendeva davanti a loro.
Restarono così per qualche istante, senza dirsi una sola parola, ma questo non gli pesò affatto. I silenzi fra di loro non erano mai imbarazzanti.
Sarebbe rimasto lì per ore a guardare lei che, come rapita, osservava quel panorama verde, quell’angolo di paradiso collocato in mezzo al caos della città.

«Sai, l’altro giorno ho sfogliato il mio vecchio album di fotografie. Era da un po' che non lo facevo, ma quando mi è capitato fra le mani non ho potuto resistere. Fra le tante, ne ho trovata una scattata proprio su questo ponte.»

Denise voltò il viso nella sua direzione, guardandolo dritto negli occhi, poi proseguì: «Ero insieme ai miei genitori. Avrò avuto più o meno cinque anni. Io non ricordo nulla di quel giorno, ovviamente, eppure quando l'ho vista, ho sentito il bisogno di venire qui».
Abbozzò una risata, prima di continuare: «È buffo, perché non è la prima volta che lo faccio, anzi… ogni volta che venivo a correre, prima di ritrovare quella foto, mi fermavo sempre in questo punto».
Stava condividendo con lui quel ricordo. Poteva sembrare la cosa più normale del mondo, eppure per Tony significò tanto.
«È anche per questo che stamattina ti ho trascinato qui: ho scattato una foto con la mia famiglia, tanti anni fa, e ora voglio scattarne una con te, perché adesso sei tu la mia famiglia» disse, guardandolo con un'intensità tale da colpirlo dritto al cuore.
«Allora vieni qui, piccola.»
Tony le passò il braccio attorno alla vita e la strinse a sé, poi prese il cellulare dalla tasca e attivò la fotocamera interna ad alta risoluzione.
«Fai un bel sorriso!» esclamò, provocandole una risata colma di gioia e divertimento, e un secondo dopo scattò la foto.

Ne avevano già un bel po’ a casa: alcune le avevano incorniciate e appese al muro oppure posate su alcuni dei mobili del salone e della camera da letto, altre invece erano finite nell'album che Denise aveva comprato circa un mese prima, ma Tony – e anche Denise, ne era sicuro – sapeva che quella foto, con loro due insieme, su quel ponte dove tanti anni prima lei era stata con i suoi genitori, avrebbe avuto, in un certo senso, un significato più importante.







Spazio Autrice

Buonsalve a tutti!
Rieccomi con questa nuova one-shot della raccolta dedicata a “And then I met you”.
Sì, lo so, non aggiorno da tanto (sia questa che la long, soprattutto) ma tra una cosa e l’altra, per esempio un periodo in cui l'ispirazione era andata a farsi un giro e l'uscita di Endgame, la stesura del nuovo capitolo si è prolungata più di quanto avessi previsto.
Ieri, però, finalmente sono riuscita a finirlo, quindi cercherò di pubblicarlo il prima possibile! E presto arriveranno altri missing moments, promesso!
Un bacio ❤
Polly

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Capitolo 9
*** Una gradita sorpresa ***


«Avevo proprio bisogno di una giornata così!»

Denise sorrise alle parole della donna. Proporre una sessione di shopping “rilassante” – come lo aveva definito lei – a Wanda e Natasha era stata davvero un’ottima idea.

Nonostante si fosse trasferita alla Tower da circa un mese, ogni occasione era buona per passare del tempo con loro e con gli altri, tra cene, passeggiate a Central Park e uscite notturne nei locali della città.

Nulla era cambiato, fra loro, nonostante non vivessero più sotto lo stesso tetto.

«A chi lo dici, Nat…» rispose, con uno sbuffo divertito.

«A proposito: come procede la tua ricerca?» le domandò Wanda, dopo aver bevuto un abbondante sorso di Cola.

Denise sbuffò, sconsolata.

«Procede, anche se a rilento…»

Dopo aver lasciato il Facility – e di conseguenza il suo incarico di psicologa degli Avengers – Denise aveva capito che era arrivato il momento di dare alla sua carriera la svolta definitiva: aprire uno studio tutto suo.

Sapeva che sarebbe stata una vera e propria impresa; gli affitti a New York erano molto costosi ma anche crearsi una clientela avrebbe richiesto tempo e impegno. Tuttavia lei non aveva nessuna intenzione di mollare, anzi, era più determinata che mai.

«Stark si è già offerto di pagare tutto, vero?»

L'inflessione sarcastica nella voce di Natasha le fece capire che in realtà sapeva già la risposta.

«Sì, e abbiamo anche discusso per questo» disse lei, grattandosi la nuca, completamente libera dai lunghi capelli che quella mattina, prima di recarsi al centro commerciale, aveva raccolto in uno chignon alto.

Amava Tony e apprezzava il fatto che volesse aiutarla, ma quella era una cosa che doveva fare da sola. Aveva lavorato sodo in tutti quegli anni, mettendo da parte il frutto dei suoi sforzi, perciò aveva promesso a se stessa che ce l'avrebbe fatta a qualunque costo.

«Immaginavo…»

Denise sorrise divertita, scuotendo la testa, poi un negozio in particolare entrò nel suo campo visivo, facendole brillare gli occhi.

«Ragazze, qui dobbiamo per forza entrarci!»

A quelle parole, Wanda la fissò preoccupata mentre Natasha le rivolse un'occhiata di ghiaccio, bloccandosi di scatto.

«No.»

Sapeva benissimo perché stava reagendo in quel modo: l'ultima volta che erano entrate insieme da Victoria's Secrets, Denise l'aveva trattenuta lì per quasi due ore.

Quel giorno aveva seriamente rischiato di morire strangolata dalla Vedova Nera.

«Oh, andiamo, Tasha…» la supplicò lei, determinata a farle cambiare idea.

«Non ci provare, Denise.»

Sbuffò, sconsolata, poi però, all’improvviso, le venne in mente un'idea geniale.

«In cambio ti offrirò tutti i sandwich che vorrai, quando usciremo dal negozio.»

Natasha andava matta per i sandwich di qualsiasi tipo, e Denise lo sapeva bene, infatti, quando ancora alloggiava al Facility, ne preparava sempre uno in più solo per lei.

La donna assottigliò lo sguardo, minacciosa – perché quello era uno dei suoi piccoli punti deboli – poi però alzò agli occhi al cielo, fingendosi rassegnata.

«Andata. Hai vinto.»

Denise non poté fare a meno di sorridere soddisfatta.



«Che ne dici di questo?» le chiese Wanda, sollevando una gruccia su cui era appeso un babydoll di pizzo bianco.

Denise gli lanciò una rapida occhiata, poi scosse la testa.

«Molto carino, ma ne ho già uno simile. Sto cercando qualcosa di più… particolare

Wanda lo mise a posto, poi, guardandosi attorno, sbuffò.

«Non credo che avrò mai il coraggio di indossare una cosa simile.»

«Dicevo lo stesso quando avevo la tua età, tesoro» le confessò, sorridendole complice.

Il suo rapporto con Wanda si rafforzava ogni giorno di più. Ricordava ancora quando lei le aveva detto che ormai la considerava come la sorella che non aveva mai avuto; gli occhi le si erano subito riempiti di lacrime di commozione e, mentre la stringeva fra le braccia, le aveva risposto che per lei era lo stesso.

«E poi non devi vergognartene. Nessuno ti obbliga e se mai qualcuno di sesso maschile tentasse di farlo, potrai sempre prenderlo a colpi di telecinesi dove non batte il sole» aggiunge, con noncuranza, scatenando l’ilarità della giovane donna.

Voltando per metà lo sguardo, scorse Natasha raggiungerle.

«Hai trovato qualcosa di interessante, Nat?» le chiese, incuriosita.

«Sì, ma non per me…» rispose, maliziosa.

Quando la donna le mostrò quello che teneva nascosto dietro la schiena, a Denise brillarono gli occhi.

«Oh. È a dir poco perfetto!»

«A Stark verrà un infarto» disse Wanda, ridacchiando.

«Puoi dirlo forte.»

«Allora, che aspetti? Corri a provarlo» la incoraggiò Natasha,

«Solo un attimo. Voglio ricambiare il favore. Non usciremo di qui finché non avrò trovato qualcosa anche per te.»

Subito si mise a rovistare tra le varie grucce e dopo una manciata di secondi vide un bellissimo reggiseno a balconcino di raso nero.

«Che te ne pare?» chiese alla donna, mettendoglielo davanti agli occhi.

«Niente male. Ma non credi che mi farebbe le tette troppo grosse?» chiese, storcendo il naso.

«Come se non le avessi già...»

Tutte e tre scoppiarono a ridere in contemporanea, divertite.

Era quello che a Denise piaceva del loro rapporto: la complicità che si era creata, il modo in cui ridevano e scherzavano su qualsiasi cosa senza che si creassero imbarazzi o tensioni; perché sia Natasha che Wanda, in un certo senso, erano diventate delle sorelle: le sorelle che non aveva mai avuto e che aveva sempre desiderato.


****


Tony entrò nell’appartamento, sbuffando.

La giornata si era rivelata più stressante di quanto avesse immaginato. Tutto ciò di cui aveva bisogno era una doccia calda, qualcosa da mettere sotto i denti e stendersi nel letto con Denise fra le braccia. Nient'altro.

Solo un attimo dopo si accorse che c'era troppo silenzio.

La musica non era accesa come solito, quando la donna era in casa, né tantomeno la tv. Per un secondo credette che Denise fosse ancora fuori con Wanda e Natasha, eppure solo venti minuti prima gli aveva scritto che lo stava aspettando.

«Tesoro, dove sei?» chiese ad alta voce, ma non ottenne risposta.

Quando voltò l'angolo, entrando nel salone open space, però, per poco non gli venne un colpo.

Denise era a pochi passi da lui, in piedi a fianco del muro, su cui teneva appoggiata la mano sinistra. Indossava un body di tessuto nero aderente, con le maniche e alcuni inserti in pizzo che creavano un sensuale effetto vedo non vedo e la scollatura profonda le metteva in risalto il seno, nonostante fosse in parte nascosto dai lunghi capelli. L'altra mano era posata sul fianco destro, conferendole una posa provocante che gli mozzò il fiato in gola. Le belle gambe, inoltre, erano fasciate da un paio di autoreggenti nere che aderivano perfettamente alle cosce.

Lo sguardo languido della donna era fisso su di lui e, insieme al suo sorriso malizioso, gli trasmise le sue intenzioni in modo parecchio esplicito.

La reazione del suo corpo fu immediata e all’improvviso tutta la spossatezza che lo aveva attanagliato fino a qualche secondo prima, svanì.

«Bentornato a casa, signor Stark» disse, avvicinandosi lentamente a lui con passo deciso, e Tony non poté fare a meno di sussurrare un porca puttana mentre con gli occhi la scrutava attentamente dal basso verso l'alto, sentendo l'eccitazione crescere sempre di più.

La vide tentare di trattenere una risata, a quell'imprecazione, riacquistando serietà in men che non si dica prima di fermarsi di fronte a lui e afferrare con entrambe le mani la cravatta grigia, sfilandola dalla giacca.

Tony deglutì, nonostante la salivazione sembrava essersi del tutto azzerata.

«A cosa devo tutto… », si schiarì la gola, facendo di nuovo scorrere gli occhi sul suo corpo snello e invitante, «questo?» aggiunse alla fine, con tono eloquente.

«Beh, oggi ho comprato tante cose solo per me, durante la sessione di shopping con le ragazze… quando poi ho visto il negozio di Victoria’s Secrets ho pensato che avrei potuto trovare qualcosina di interessante per fare una sorpresa al mio supereroe…» rispose lei, facendogli l'occhiolino.

Tony, sempre più impaziente, le cinse i fianchi e l’attirò a sé.

«E che sorpresa…» ammiccò, facendola volteggiare per poter godere di tutta la vista.

Quando furono di nuovo occhi negli occhi, Denise lo guardò con tutto l'amore e la passione che provava per lui, poi si sporse verso le sue labbra e, sfiorandole appena, gli sussurrò: «Allora, vuoi andare in camera da letto o preferisci restare qui?»

«In realtà dovrei farmi una doccia, prima, sai com’è…»

«Oh, be’, vorrà dire che ti aspetterò tra le lenzuola, purché tu non mi faccia attendere troppo. Sai com'è…» lo stuzzicò, provocatoria.

«Tranquilla, bambolina, farò il più in fretta possibile così poi sarò tutto tuo!» esclamò, dopo averla presa in braccio di scatto, facendola ridacchiare divertita.

Con passo affrettato si diresse al piano superiore, pregustando il momento in cui l'avrebbe raggiunta a letto.

Quella sarebbe stata una serata molto piacevole.

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