Bloody Mary's Island

di mystery_koopa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Parte Prima ***
Capitolo 2: *** II. Parte seconda ***
Capitolo 3: *** III. Epilogo ***



Capitolo 1
*** I. Parte Prima ***



Avviso: La storia è stata corretta, allungata e revisionata nel luglio 2021. Nessuna delle modifche apportate ha modificato la trama, la caratterizzazione o l'intreccio, ma soltanto la forma e il livello di approfondimento.
 


BLOODY MARY’S ISLAND

 

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Parte prima
 

Antananarivo, dicembre 1829

L’afa dell’estate australe rendeva impossibile il cammino a chiunque, nonostante la città si trovasse nella regione degli altopiani: l’umidità faceva sì che l’aria fosse quasi irrespirabile e le fronti dei rari passanti che si muovevano per le strette vie della città vecchia erano imperlate di sudore.

Un uomo era seduto ai bordi della strada, ricoperto di polvere, riparandosi dal sole cocente dietro a un arbusto reso secco dalle insostenibili temperature. Erano ormai mesi che provava a fuggire dalla città, ma essa era costantemente presidiata dalle guardie reali, che avevano ricevuto ordine dalla regina di arrestare tutti gli stranieri che avessero visto, senza nemmeno accertarsi della loro nazionalità. Gerald Royne stringeva una croce di ferro tra le mani, ma se fosse stato visto da qualcuno per lui sarebbe stata la fine: né il governo inglese né la società missionaria¹, ormai privata di tutta la propria influenza, avrebbero potuto prestargli aiuto nel caso fosse stato catturato. Doveva perciò trovare assolutamente un modo per raggiungere al più presto le coste dell’isola, da cui era giunta notizia che alcune navi occidentali fossero perennemente attraccate nell’attesa di qualche ultimo superstite che fosse riuscito a raggiungerle.

L’uomo sentì qualcuno procedere lungo la strada, con passi cadenzati che ormai aveva udito fin troppe volte: l’esercito Merina era di ronda, era in corso l’ennesima ispezione della città, la terza di quel lungo giorno che si accingeva a giungere al termine.
Royne si spostò velocemente, scendendo lungo una piccola scarpata che lo portò in una strada dove le truppe erano già passate: ormai, fuggendo da così tanto tempo, conosceva perfettamente ogni vicolo e ogni segreto della città.
Se qualcuno l’avesse visto in quel momento avrebbe potuto tranquillamente scambiarlo per un comune vagabondo di strada, con i vestiti logori, la barba incolta e i capelli biondi sporchi e malamente riportati all’indietro, coperti da uno straccio scuro per nasconderne il più possibile il colore. Proprio lui, che era stato un tempo uno dei reverendi più stimati d’Africa.
Dopo meno di un’ora giunse l’oscurità, e finalmente l’umidità si placò: Royne ripercorse la strada a ritroso, giungendo nei pressi di un ridotto angolo di verde. Lì, sdraiato dietro una siepe, venne avvolto dal sonno.

 
*

Il giorno seguente l’alba non giunse luminosa, ma scura e bagnata: finalmente pioveva. L’acqua continuò a scendere per ore, aumentando sempre più la sua intensità: sembrava quasi una tempesta monsonica, sebbene la zona non potesse essere soggetta a fenomeni atmosferici di quel tipo, essendo protetta dalle montagne. Ciononostante, tutte le strade sterrate erano divenute fangose e inagibili, rendendo impossibili gli spostamenti; quando anche l’esercito non passò per nessuna delle prime due ispezioni quotidiane, Gerald capì che quella pioggia era frutto di un intervento divino, e iniziò subito la sua fuga verso le foreste orientali, deciso a non perdere quell’unica occasione che gli era stata concessa.
Attraversò faticosamente la città, tenendosi il più lontano possibile da quelle stesse strade principali in cui un tempo aveva marciato orgogliosamente, cercando al tempo stesso di non restare impantanato negli strati di fango che iniziavano a depositarsi ciascuno al di sopra del precedente.

Si lasciò infine Antananarivo alle spalle: superando le sguarnite porte della città, sentendo la pioggia scorrergli sul viso e lavargli via la polvere e il sudiciume che vi si erano depositati, per la prima volta in molti mesi respirò un’aria di libertà.
Nonostante le ampie fronde vegetali non lasciassero penetrare la pioggia battente fino al sottosuolo, il cammino all’interno della foresta tropicale nella quale era entrato era reso ancor più impervio dalla bassa vegetazione, dalle radici arboree e dalla frequente presenza di paludi e acquitrini stagnanti che, oltre a rallentare i suoi movimenti, ospitavano zanzare e altri insetti esotici, che Gerald ritenne a prima vista portatori di malattie altrettanto letali.

Avanzando a fatica, dopo quelle che non potevano essere più di poche ore il missionario credeva di aver percorso un’infinità di miglia, quando udì in lontananza quelle che parevano grida di dolore. Proseguendo lentamente e con cautela, nel giro di pochi minuti trovò davanti a sé un macabro spettacolo: all’interno di una radura, due uomini erano stati legati e calati sul fondo di un pozzo, che continuava a riempirsi per la pioggia scrosciante; inoltre, dei soldati gettavano secchi d’acqua fumante all’interno, provocando ai condannati atroci sofferenze. Royne, riparatosi dietro un imponente tronco d’albero, vide un libro ormai rovinato dall’acqua abbandonato ai margini del piccolo spiazzo, e capì perché quegli uomini stessero subendo quella pena disumana: erano cristiani.

Era da più di un anno che Ranavalona I era salita al trono, dopo aver probabilmente avvelenato il marito: la regina aveva espulso tutti gli occidentali dall’isola e vietato il Cristianesimo, che essi avevano portato, in favore delle credenze tradizionali che ancora seguiva, cercando di riportare il Madagascar a un periodo in cui era privo di civiltà, controllato da tribù praticanti rituali barbari e aberranti² che i suoi predecessori avevano cercato di debellare con alterne fortune. Royne vi era rimasto per un banale errore della rappresentanza britannica, e aveva dovuto cercare di sopravvivere da solo, nutrendosi di quelle ridotte provviste che era riuscito a recuperare o rubare e rischiando costantemente la vita.
Urla strazianti provenivano dal fondo della costruzione, sempre più soffocate dalle masse d’acqua fino a cessare definitivamente: al che i soldati estrassero i due corpi e li abbandonarono in una fossa naturale, affinché se ne nutrissero i cani che essi avevano rilasciato in precedenza.
Gerald si girò per non vedere quell’orribile scena, notando qualcosa che si muoveva in un cespuglio posto a pochi metri da lui; decise di andare a controllare, strisciando sul suolo fangoso ma, quando si trovò a un solo passo dall’arbusto, qualcosa lo colpì in testa e tutto si ricoprì di nero.

 
*

Royne aprì faticosamente gli occhi, cercando di guardarsi intorno: si trovava sicuramente in una caverna, solo un debole fascio di luce proveniva dall’esterno. La testa e la schiena gli dolevano enormemente, in modo ancora più intenso rispetto alle altre occasioni in cui aveva dormito a terra; si accorse, però, di non essere legato: almeno non era caduto in mani ostili, pensò con un filo di speranza. Non appena il suo sguardo si abituò alla fioca luce della grotta, lungo la buia parete del rifugio egli iniziò a distinguere una sagoma umana che si stava avvicinando: era un uomo, di pelle bianca. L’individuo sembrava avere all’incirca una trentina d’anni, una corporatura abbastanza esile e i capelli neri, tagliati molto corti. Indossava degli abiti di ricca fattura ma abbastanza logori, quali una camicia, probabilmente di seta, e un paio di pantaloni chiari, tagliati sopra al ginocchio con l’ausilio di un coltello.
L’uomo prese la parola, in francese:
“Buonasera, signore. Vorrei scusarmi per il modo in cui l’ho colpita ieri, pensavo che ad avvicinarsi fosse stato uno di quei selvaggi, così ho dovuto difendermi. Tuttavia, dopo che l’ho vista in faccia, ho deciso di salvarla. Io sono Christophe Moulin, un commerciante francese”.

Royne guardò il giovane di traverso, pensando di essersi imbattuto in un papista d’oltremanica.  Incontrò i suoi espressivi occhi grigi, poi, attenuatosi il dolore alla testa, gli rispose, presentandosi e raccontandogli della sua fuga dalla capitale.
Il francese decise così di raccontare anch’egli la propria storia: la sua nave era approdata sull’isola esattamente lo stesso giorno in cui era stata emanata la legge reale, così le guardie che la sovrana aveva inviato presso i porti l’avevano bruciata e ne avevano ucciso tutto l’equipaggio. Lui si era salvato solamente grazie alla confusione creatasi, riuscendo a rifugiarsi sopra un albero. In quel momento si trovava però sulla costa ovest dell’isola, mentre i soccorsi organizzati dalle compagnie commerciali erano localizzati a est, sull’Oceano Indiano, dove la debole flotta malgascia non avrebbe potuto affrontare le navi europee così come accadeva nel Canale di Mozambico. Aveva deciso così di attraversare il Madagascar a piedi, cercando di salvarsi.

Gerald lo guardò in modo interrogativo, sorpreso: lui stesso aveva dovuto adattarsi a condizioni estreme, ma era certo che sopravvivere non solo alle ispezioni dell’esercito, ma all’attraversamento di un intero Paese pericoloso e sconosciuto fosse impossibile.
Christophe notò il turbamento sul volto del suo interlocutore, chiedendosi se avesse detto qualcosa di sbagliato.
“Non avrei mai pensato che ci fosse un altro europeo ancora vivo e libero, su quest’isola”.
“Come se il pensiero non fosse lo stesso anche per me. Un cammino nella giungla non è certo agevole, ma proteggersi dagli animali non è certo arduo come sfuggire a tre plotoni di guardie al giorno… La lunghezza del viaggio non mi ha mai spaventato, vivo la mia vita un quarto di miglio alla volta, proseguendo per la mia strada senza pensare al futuro, ma solo al presente: per quei dieci minuti sono libero, in pericolo, ma libero, e mantengo viva la speranza di poter ritornare a casa”.
Gerald concordò con il suo interlocutore, chiedendogli poi dove si trovassero in quel momento, ma Christophe non riuscì a rispondergli con precisione; i due allora decisero, nonostante le differenze di nazionalità e religione, di proseguire insieme il lungo viaggio per la salvezza.

 
*

Quello stesso giorno, non appena il sole fu alto in cielo, i due s'incamminarono verso oriente, districandosi tra la folta vegetazione della foresta tropicale; lemuri e altre strane specie di uccelli e primati si spostavano da un ramo all’altro, mentre al livello del terreno si nascondevano serpenti e altri rettili pronti a saltare addosso alle sventurate prede che si sarebbero avvicinate loro.
La marcia dei due europei tuttavia proseguì tranquilla fino a sera, quando avvistarono un’imponente costruzione campeggiare sull’estremità di una collina. Liberando la visuale, i due riuscirono così a capire dove si trovassero: erano giunti al complesso di Ambohimanga, un piccolo villaggio fortificato comprendente le tombe dei re Imerina e un santuario sacro all’animismo locale, e perciò presidiato da un grande numero di soldati pesantemente armati. Vedendoli, Christophe disse a Gerald di appostarsi dietro un albero, aspettando l’alba per poter fuggire dalla zona; l’inglese però si oppose con forza, affermando che sarebbe stato meglio fuggire durante le ore buie, diminuendo così il rischio di essere scoperti. I due iniziarono così a litigare animatamente sul da farsi, finché un soldato della guarnigione si accorse di loro e, senza emettere alcun rumore, scese dalle mura e si appostò alle loro spalle, puntandoli con un fucile e catturandoli facilmente.

I due europei vennero scortati all’interno della costruzione principale, lungo corridoi debolmente rischiarati da lugubri fiaccole e decorati con immagini pagane, fino a raggiungere un ampio salone, completamente illuminato tranne che in un angolo, dove vennero rinchiusi in un’angusta gabbia metallica. Una giovane donna locale passò di fronte a loro, guardandoli con velata tristezza, dirigendosi poi fino all’estremità opposta dell’ambiente, dove accese tutte le candele di un lucernario. Dal buio emerse inizialmente una figura massiccia e indefinita, che poi si rivelò essere un trono completamente costruito in oro, sul quale sedeva una donna di mezza età, ma dall’aspetto ancora abbastanza piacente. Il suo corpo era coperto da una lunga veste rossa, mentre il collo e le braccia presentavano vistosi ornamenti come anelli, bracciali e amuleti costituiti da enormi pietre preziose.

Era lei, Ranavalona.
 



Note:
1 La London Missionary Society, che operava nell’isola per conto del governo dell’Impero Britannico;
2 Uno di essi è il seguente, citato nella “Storia del Madagascar” di Mervyn Brown: “[…] c’era l’usanza di avvelenare coloro che erano sottoposti a processo in modo che gli dèi potessero provare la loro eventuale innocenza salvandoli […]”

 
 

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Capitolo 2
*** II. Parte seconda ***


 
Parte seconda
 
Lo sguardo di Gerald, da spaventato qual era, si fece improvvisamente risoluto non appena l’imponente figura si rese visibile nella sua interezza, mentre il suo compagno indietreggiò vistosamente, urtando il retro della gabbia con la nuca. Il sordo rumore metallico rimbombò nel salone semivuoto, rendendo l’atmosfera ancor più pressante e, quasi nello stesso istante, i servitori di Ranavalona si inginocchiarono al suo cospetto.

D’improvviso, con tono duro, la sovrana pose una domanda secca alla guardia che li aveva catturati in una lingua ai due sconosciuta; poi, con evidente fastidio, si rivolse loro in francese:
“Mi sorprende che non abbiate ancora domandato perché siete ancora in vita, solitamente è la prima cosa che dicono gli invasori come voi quando si ritrovano chiusi in gabbia. Proprio come siete voi in questo momento.”
Si interruppe un secondo, rinnovando loro un’occhiata di disprezzo come ad accompagnare le parole. Inspirò ed espirò profondamente, poi, non appena si fu ristabilito un silenzio assoluto all’interno della sala, proseguì.
“Ebbene, tra quattro giorni ci sarà quella ricorrenza che voi chiamate Natale, quando festeggiate stupidamente la nascita di qualcuno che non sapete neanche se sia esistito veramente. Come se i riti insensati fossero i nostri…
Sappiate solo che quel giorno sarete pubblicamente uccisi davanti a questa fortezza, e tutti coloro che vedranno capiranno quale tradizione devono seguire, per la legge e per gli dèi! Giudicatemi come volete, stranieri. Io sto solo difendendo il mio popolo e il suo onore da persone spregiudicate come voi, che pensano che quest’isola possa diventare di loro proprietà!”

Poi, tornando ancora ad una delle lingue locali, forse la stessa con cui si era espressa in precedenza, diede una severa indicazione alla guardia, che ordinò a degli schiavi di spingere la gabbia dei due occidentali verso un portone, dietro al quale era celato uno stretto corridoio. Esso, chiuso all’altra estremità da un portone identico, li condusse a un'umida e buia grotta, con le nere pareti impregnate d’acqua e soggette alla più totale incuria. Gerald e Christophe vi vennero rinchiusi, e anche il portone d’ingresso fu serrato con chiavi e assi.

Quando furono ormai soli il francese prese la parola, rivolgendosi al suo compagno con tono amareggiato e affranto: “Penso sia inutile colpevolizzare qualcuno per ciò che è successo, ora l’importante è riuscire a uscire da qui al più presto, ma penso che sarà impossibile…”
Royne allungò la mano nel buio, toccandogli una spalla per tentare di tranquillizzarlo, nonostante fosse perfettamente consapevole della verità di quelle parole. In seguito gli rispose debolmente, concordando con lui, ma invitandolo a non demoralizzarsi nonostante l’estrema situazione:
“Faremmo solo il gioco di quella folle regnante”.

 
*

Passò molto tempo, forse ore, ma i due non parlarono più.
Nell’oscurità totale della caverna si sentivano solo i rumori metallici delle sbarre contro le quali essi erano appoggiati, stretti nella loro angusta prigione.
Christophe provò più volte a iniziare una discussione, ma i ripensamenti e i sensi di colpa per l’accaduto lo bloccarono. Proprio mentre stava per aprir bocca, forse deciso a parlare una volta per tutte, il massiccio portone si aprì con un inquietante scricchiolio, facendo penetrare un raggio di fioca luce all’interno dell’ambiente; un’esile figura si affacciò dalla soglia, guardando intensamente i due prigionieri: era la ragazza delle candele, vestita solamente di un lungo abito bianco.
Senza dire nessuna parola si avvicinò ai due, aprì la cella con una chiave argentea e diede all’inglese una sottile carta da lettere raffigurante quella che sembrava essere una mappa della roccaforte, e al francese una torcia accesa. Dopodiché, scostando una piega del vestito posta all’altezza del seno, mostrò loro una croce: a gesti, la giovane cercò di indicare che quella fosse la sua vera religione e che per questo motivo era sorta in lei la volontà di aiutarli a sfuggire dall’atroce destino progettato per loro dalla regina. Uscì successivamente dall’antro, lasciandoli soli, senza neanche guardarsi indietro.

Il reverendo osservò la mappa: vi erano indicati due percorsi, colorati in modo approssimativo: una via di fuga passante per un’uscita secondaria posta sul lato della costruzione, in verde, e, in rosso, un insieme di stretti cunicoli che conducevano alla porta principale. I due, ben conoscendo la quantità di soldati che sorvegliavano il portone principale, scelsero la prima via, che iniziava dietro a un ritratto della regina ad altezza naturale posto nel salone in cui l’avevano incontrata per la prima volta.
Dopo aver aperto la gabbia attraversarono il corridoio, le cui porte erano entrambe aperte, e guidati dalla luce della torcia raggiunsero il salone, completamente deserto. Spostato l’ingombrante quadro, ulteriormente appesantito da una cornice in oro massiccio, i due iniziarono a percorrere velocemente la via indicata sulla mappa, passando per quello che sembrava un antico corridoio ormai in disuso: le pareti erano scolorite, dal pavimento trasudava acqua sporca e dal soffitto pendevano intricate ragnatele.
Royne, con la mappa in mano, faceva strada, mentre Moulin lo seguiva a stretta distanza, senza mai perdere il contatto. Procedettero a lungo, senza intravedere alcuna luce di fronte a loro, fino a quando si trovarono davanti ad una porticina in logoro legno che decretava la fine del passaggio. Esitanti la aprirono, cercando di farla scricchiolare il meno possibile.

Si trovavano a circa un metro dal pavimento, dietro la colonna che sorreggeva il soffitto di una stanza da letto; solo la luce di una candela morente proveniva da un punto che nessuno dei due sarebbe riuscito a individuare senza farsi scoprire dalla persona presente all’interno, i cui passi decisi risuonavano nell’ambiente. La camera era riccamente decorata, sia sui muri, dove campeggiavano diversi sampy, preziosi amuleti pagani costituiti da smeraldi grandi come piatti da servizio e ritenuti miracolosi dalla regina, sia negli arredi, quali poltrone rivestite di stoffe pregiate, cassettiere d’ebano e tappeti persiani.
I passi all’interno aumentarono d’intensità, sembrando avvicinarsi ai due. Lo sguardo di Christophe si fece insicuro, e Gerald, solo sfiorandogli la mano, poté sentire quanto il suo corpo stesse tremando e sudando freddo. Respirando profondamente per prendere coraggio, Cristophe si sporse oltre la soglia, intravedendo, attraverso uno specchio, la figura presente, riconoscendone subito l’identità: era la regina, che camminava con la testa china.
Il francese riferì al suo compagno, senza distogliere lo sguardo, ciò che aveva visto ma la donna, alzando il capo d’improvviso, vide il suo riflesso nello specchio. Ranavalona urlò, richiamando così l’attenzione delle sue milizie che irruppero nella stanza.

I due, presi alla sprovvista e assaliti dal panico, gettarono via la torcia, che si spense al contatto col pavimento bagnato, e tentarono una fuga disperata attraverso l’antico corridoio. Tuttavia, giunti alla fine del passaggio, furono bloccati da due guardie, seguite subito dopo dalla regina stessa, che aveva corso disperatamente per assistere alla loro immediata uccisione, e dalla ragazza delle candele, apparentemente apparsa dal nulla.
Quest’ultima prese la parola, rivolgendosi a Ranavalona: “Ho fatto un buon lavoro, non è vero mia Regina? Questi due infedeli sono caduti nel mio tranello, e ora dovranno pagare per l’affronto che hanno fatto alla nostra terra!”
Lei le rispose, ridendo, con delle parole che Royne conosceva molto bene: “Ny ranomasina no valapariako¹!”

La sovrana si rivolse poi a una delle due guardie, afferrando con veemenza la sua spada e preparandosi a colpire di persona uno dei due fuggitivi che, pietrificati entrambi contro la sudicia parete, chiusero gli occhi.
Ma quando li riaprirono dopo aver sentito un assordante rumore, la crudele sovrana era stesa a terra priva di sensi, mentre un soldato e la crudele serva avevano la testa forata da una raffica di proiettili. L’altro militare, invece, li stava guardando intensamente, con un fucile dalla canna fumante tra le mani. Gerald lo riconobbe: era colui che, la notte precedente, li aveva catturati. Egli, dopo aver controllato che la regina fosse svenuta, iniziò a parlare in un francese stentato, ma sufficiente per farsi comprendere:
“Mi è dispiaciuto molto catturarvi così brutalmente, ieri, ma ho dovuto farlo per compiacere la mia sovrana: avrà anche regione a difendere la nostra isola da chi vuole colonizzarla, ma non accetterò mai il suo odio ingiustificato verso i Cristiani, sia europei che locali, e le sue barbarie tradizionaliste, alle quali la mia famiglia si è sempre opposta. Tuttavia non ho alternative, se non ubbidire ciecamente a ogni suo ordine, senza essere sicuramente ucciso dalla sua cieca furia.
Voi dovete fuggire immediatamente, io vi coprirò la fuga: passate per l’ingresso principale, che ora non è controllato da nessuno… io tra poco sarò costretto ad avvisare le altre guardie della vostra sparizione per non essere accusato di tradimento, quindi dovrete essere molto veloci. Non parlate e non fatemi alcuna domanda, andate!”

I due lo ascoltarono senza nemmeno pensarci, girandosi e iniziando a correre freneticamente verso l’uscita che, effettivamente, era sguarnita. Dall’interno provenivano i passi delle guardie, ormai avvisate del pericolo e sempre più vicine, e le grida della regina che, dopo essersi ripresa, era più infuriata che mai.

Era appena giunta l’alba. Royne afferrò il suo compagno per un braccio, trascinandolo all’interno della foresta. Vi si addentrarono senza esitazione, orientandosi con il sole nascente e fuggendo ancora verso est, fino a quando il rumore dei passi delle guardie si perse in lontananza, presto sostituito da un leggero sciabordio, che nulla al di fuori di un corso d’acqua avrebbe mai potuto produrre. Seguendo il flebile suono, nonostante ogni pochi passi esso sembrava cambiasse direzione, i due trovarono un fiume, sulla cui sponda argillosa era spiaggiata una rudimentale zattera, assemblata solamente con legni e corde. L’inglese e il francese vi salirono, lasciandosi trascinare dalla corrente. Non era importante la direzione, ma solo la speranza di allontanarsi il più possibile dalla maledetta reggia della regina sanguinaria.

 
*

Christophe, guardando il suo compagno negli occhi per poi distogliere subito lo sguardo, iniziò a pensare a come poteva essere riuscito a fuggire da quel posto, a come la vita era sembrata scappargli tra le dita e a come l’aveva ripresa, a quella persona che aveva conosciuto da poco più di un giorno e di cui non sapeva nulla, ma con il quale stava trascorrendo i giorni forse più importanti della sua vita: lo conosceva a malapena come uomo di chiesa, ma anche come persona decisa nella vita.
Gli sembrava strano provare interesse per la vita di un’altra persona, lui che era sempre stato riservato, che non aveva mai intessuto alcun legame umano: ma quell’uomo aveva qualcosa che lo contraddistingueva da ogni altro che avesse mai conosciuto, sebbene non riuscisse a indentificarlo.

La zattera proseguì lungo il corso del fiume, allontanandosi dalla nefasta fortezza e facendo dissolvere gradualmente nell’aria qualsiasi traccia di essa.
 



Note:
1 “Il confine della mia risaia è il mare”, celebre affermazione pronunciata dal fondatore del Regno del Madagascar Andrianampoinimerina, suocero di Ranavalona, che indicava il predominio della dinastia Merina sull’isola.
 
Spazio Autore:
Il prossimo capitolo sarà l'epilogo della storia, spero di riuscire a pubblocarlo entro la scadenza del contest... un saluto,
mystery_koopa

 

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Capitolo 3
*** III. Epilogo ***


 
Epilogo

La zattera continuava lenta nella sua apparentemente placida discesa lungo il corso del fiume, mentre i suoi due occupanti si limitarono per ore ad ascoltare i diversificati rumori provenienti dagli anfratti più nascosti della foresta: acuti versi di animali selvaggi erano interrotti solamente da sporadiche urla di desolata disperazione emesse da chi era stato condannato a morte dalla regina, legato e costretto a perire di fame o ricoperto di pelli insanguinate e fatto sbranare dai cani, che concludevano i loro convivi con oscuri latrati.
Questa lugubre situazione di solitudine fu interrotta improvvisamente da alcuni cavalli in corsa verso la direzione opposta a quella dello scorrere dell’acqua ma il frastuono, così com’era iniziato, cessò nel giro di pochi istanti.

 Christophe, volgendo ancora una volta lo sguardo verso quello che ormai era divenuto il suo compagno in quell’avventurosa fuga, ripensò all’incredibilità di ciò che gli era accaduto in quegli ultimi giorni: a come stesse attraversando una giungla selvaggia senza neanche l’ombra di alcun grave pericolo, e all’inglese stesso, che dal loro primo incontro in quella radura era entrato prorompentemente nella sua vita, nonostante non fossero trascorsi nemmeno tre giorni. Era come se sentisse una connessione, umana e sincera, un qualcosa di indefinito in grado di alterargli qualsiasi normale percezione della realtà.

Le sue riflessioni furono tuttavia bruscamente interrotte da un fragoroso rumore d’acqua cadente, proveniente da una direzione indefinita persa tra gli intricati meandri del fiume, la cui corrente dava l’impressione di accelerare…
Si girò verso Royne, che sembrava aver già capito tutto. Poi, non appena l’improvvisata imbarcazione ebbe svoltato dietro a una mangrovia, i due ebbero la conferma visiva del loro peggior presagio: davanti a loro, un’ampia cascata si gettava in un minuscolo lago sottostante e, al di là di essa, finalmente l’oceano, blu come un lapislazzulo sotto il cielo terso del tropico ma lontano come non mai.

 
*

Dalla sala del trono della fortezza sacra provenivano furiose urla: Ranavalona, ridestatasi dopo essere svenuta, era infatti venuta a sapere della fuga degli europei, della scomparsa di una guardia e della morte della sua più fedele schiava. Sembrava una leonessa indomabile chiusa nella sua gabbia, quel palazzo, da cui poteva solamente osservare le continue e disumane esecuzioni di prigionieri che ordinava, per le quali si era ormai guadagnata l’appellativo di Bloody Mary.
A lei, tuttavia, quel nome non dispiaceva affatto: si sentiva soddisfatta e realizzata nell’essere paragonata a una delle poche figure europee che apprezzava, una donna forte che aveva imposto la propria fede al suo paese e che aveva fatto di tutto per rafforzarne la forza e la presenza, senza doverne invadere altri.
La regina, calmatasi improvvisamente, guardò la culla alla sua destra, dove dormiva beato, nonostante tutto quel frastuono, un bambino di pochi mesi, suo figlio Radama, l’erede al trono che era nato dal suo secondo matrimonio ma che portava il nome del suo primo marito, il precedente sovrano. Ranavalona aveva anche imparato ad amare quell’uomo, nonostante si fossero sposati per ragioni dinastiche¹, ma aveva dovuto ucciderlo quando la sua apertura verso le potenze europee che si apprestavano a colonizzare il continente australe era divenuta fin troppo evidente. Non avrebbe mai potuto accettare tale concordata schiavitù: non erano i suoi atti, ad essere disumani.

La sovrana fece uscire tutte le guardie dalla stanza e si sedette a terra, con le gambe incrociate, intonando quella che pareva una lamentazione, ma che in realtà era una supplica rivolta ai suoi dei, con la quale sperava di ottenere la morte di quelli che erano diventati i suoi più grandi rivali, gli unici ad essere sfuggiti alla sua legge sacra: il predicatore inglese e il trafficante francese.

 
*

I due europei si guardarono negli occhi, capendo immediatamente cosa avrebbero dovuto fare: si gettarono entrambi dall’imbarcazione, aggrappandosi alla mangrovia e tirandosi faticosamente a riva mentre la zattera, dopo pochi metri di caduta, s'infranse contro una sporgenza rocciosa. Sdraiato sull’argine, Gerald guardò il suo compagno, impegnato a provare ad asciugarsi i logori vestiti: credeva quasi di averlo già visto in passato, nonostante la sua giovane età, ma non ricordava dove e come ciò fosse accaduto. Osservò anche il lago sottostante, distante dal punto in cui si trovavano più di venti metri, centrando infine lo sguardo sul polveroso e ripido sentiero che dall’altopiano conduceva alla stretta fascia costiera orientale.

Meno di un’ora dopo, quando ormai i loro abiti si erano parzialmente asciugati, Gerald e Christophe iniziarono la discesa che li avrebbe condotti alla spiaggia; l’aria calda e afosa dell’estate sferzava i loro volti madidi di sudore, mentre il calore solare era sempre più opprimente a mano a mano che essi scendevano di quota. La sabbia della spiaggia si sollevava trainata dal vento, colpendo le pendici della discesa e spingendosi poi fino alla cascata dove, in un gioco di suggestioni, si fondeva con il potente getto d’acqua.

Non appena i due furono giunti al livello del mare, si diressero di corsa verso il bagnasciuga e immersero i piedi nell’acqua fredda, abbandonandosi a un momento di contemplazione dell’infinita tavola blu.
Poi, osservando da entrambe le parti, scorsero una piccola nave in legno, arenata su un banco di sabbia a circa un paio di miglia da loro; senza neanche prendersi il tempo di pensare la raggiunsero, richiamando a gran voce l’attenzione dei marinai. Essi, che stavano oziando sul ponte in attesa dell’alta marea, si sorpresero di trovare altri occidentali superstiti così tanto tempo dopo l’approvazione dei decreti della regina.
Li accolsero sull’imbarcazione offrendo una stanza sottocoperta, dove poterono finalmente lavarsi con dell’acqua pulita, e un pasto completo, dopo settimane di privazioni.

Moulin, dopo aver terminato di sistemarsi, risalì sul ponte della nave, dove vide quello che era stato il suo compagno di viaggio: per la prima volta egli gli appariva da un punto di vista completamente diverso, nel suo reale aspetto, dimostrando così la sua vera età, sui trentacinque anni, e le forme del suo viso, prima nascoste da una barba incolta da mesi.
Anche Royne guardò Christophe, quasi come a chiedersi cosa ci trovasse di così interessante in lui: aveva infatti notato che lo guardava spesso, con aria completamente assente, come se gli ricordasse qualcuno.

Si stava alzando l’alta marea e la nave partì, con uno scossone, diretta all’isola francese di Réunion, dove avrebbe lasciato i due superstiti.
In breve, a mano a mano che l’imbarcazione proseguiva il suo viaggio in mare aperto, il torrido sole che ardeva le rosse terre della grande isola lasciò il posto a uno sciame di minacciose nubi che, sopra l’oceano, iniziarono a riversare il loro contenuto sulla superficie sottostante; la piccola nave si ritrovò sbattuta in una tempesta, in balìa del vento e delle acque.
Royne e Moulin non persero tempo, offrendo il proprio aiuto ai pochi marinai per riversare in mare le sempre più consistenti quantità di acqua salmastra che inondavano il ponte, ma l’imbarcazione aveva ormai iniziato il suo lento e inesorabile affondamento. In lontananza, sventolava alta una bandiera francese.

 
*

La regina, nel buio di una stanza del complesso funerario, osservava la tomba del marito con uno sguardo colmo d’odio, ma finalmente soddisfatto: le sue preghiere erano state ascoltate, e probabilmente nessuno avrebbe mai più rivisto gli unici prigionieri che erano riusciti a sfuggirle. Ranavalona, alzandosi da terra altera, tornò lentamente nella sala del trono: oltre a perseguitare gli infedeli, doveva anche governare la sua risaia così come né loro, né Radama sarebbero mai stati in grado di fare.
 
*

La leggera imbarcazione, scossa da un’onda particolarmente potente, si schiantò contro uno scoglio, spezzandosi in due. I suoi occupanti, vincitori contro la regina ma sconfitti gravemente dalla natura, vennero sbalzati in mare, provando ad aggrapparsi a delle assi di legno. Royne chiuse gli occhi, steso su una trave che strinse con tutte le forze rimanenti nel suo corpo, abbandonandosi alla furia impetuosa dell’Oceano Indiano.
 
Quando si svegliò si trovava su una spiaggia, la testa a terra, gli occhi al cielo; non ricordava perché fosse arrivato lì ma ricordò che, un secondo prima che la nave colasse a picco, aveva scorto all’orizzonte una bandiera che gli aveva indicato che la sua destinazione era giunta. Non trovò vicino a sé Christophe e, preso dallo sconforto, affondò le mani nella sabbia, rendendosi conto di aver raggiunto la libertà, quella stessa libertà che il suo compagno gli aveva sussurrato all’orecchio e che per anni gli sarebbe stata vuota e solitaria.
 


Nessuno, a Réunion, avrebbe mai visto il commerciante francese, anche se un marinaio superstite affermò di averlo visto aggrapparsi a un frammento della nave, salvandosi. Non si sa se la sua esistenza abbia continuato a scorrere nel pozzo del tempo, ma sicuramente il suo ricordo sarà rimasto impresso, per sempre, nelle menti di una regina e di un solitario ecclesiastico dell’Impero di Sua Maestà.





Note:
1 Ranavalona, da nubile, era la principessa del regno Sakalava di Menabe, uno dei regni principali dell’isola prima delle conquiste di Andrianampoinimerina e di Radama, insieme ai regni Merina, Boina e Betsimisaraka.

Spazio Autore:
Vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che hanno letto e recensito questa storia: Nina Ninetta, Old Fashioned, queenjane, Saelde_und_Ehre, alessandroago_94 e evelyn80. Una menzione speciale va anche a milla4, che ha indetto il contest che mi è stato d'ispirazione. 
Alla prossima!
mystery_koopa

 

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