Mi salvo da sola

di BrokenSmileSmoke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 0 - Prologo ***


Ero diretta lì, a Londra, nella speranza di poter cominciare una nuova vita e di poter scappare dal mio passato, cercando di dimenticare persino il motivo per il quale stavo scappando.
Il mio passato? Difficile da spiegare.
Il mio futuro? Speravo solo fosse migliore di ciò che era il mio presente.
Avevo deciso tutto all'ultimo minuto.
Mi ero svegliata all'alba, in modo che l'uomo da cui scappavo non poteva accorgersi di nulla, avevo messo le poche cose che possedevo in una valigia ed ero corsa all'aeroporto.
Quello strazio di vita che facevo doveva pur finire in qualche modo.
Non avevo lasciato ne post-it ne foglietti volanti per dire dove fossi andata, ne mi ero pentita di non averlo fatto.
E così ero partita, con un biglietto last minute che mi era costato a un occhio dalla testa e nel portafogli i soldi che mi ero messa da parte con il mio lavoro da barista. Non volevo vendicarmi rubando i soldi a lui, non ero una ladra, ero semplicemente una donna che fino al giorno prima aveva sperato che l'uomo che amava cambiasse, ma la verità era che gli avevo dato fin troppo tempo per farlo, e ciò che magari anni prima da parte di lui poteva definirsi amore, adesso non era altro che ossessione.
Quella non era la vita che avevo sempre sognato, e non potevo infrangere i sogni dell'adolescente che ero stata.
I miei genitori non avrebbero approvato la mia situazione attuale, e avrebbero smosso il mondo pur di portarmi via da lì, ed io ci tenevo a non deluderli, nonostante non fossero più in vita.
Avevano lavorato sodo per permettermi gli studi nel miglior liceo linguistico di Torino, per diplomarmi e laurearmi, e farmi rinchiudere in una casa fredda e tetra e andare solo a lavorare per quattro miseri soldi non era il modo di ringraziare una vita di sacrifici, eppure quei quattro soldi mi potevano portare alla salvezza.
Ormai non avevo più alcun motivo di restare in quella città, non avevo più alcuna amicizia lì.. quel mostro era riuscito a farmi allontanare da tutti.
Ero sola, ma finalmente libera.

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


L'aereo sembrava non voler più decollare, e ciò mi mise un ansia assurda.
E se Gianluca era rientrato già dal lavoro e aveva trovato indizi per dove ero diretta?
Impossibile.
Misi a tacere la mia malefica vocina interiore che continuava a mettermi in testa quelle paranoie assurde.
Lui non poteva trovarmi. Non lì.
Potevo essere ovunque.
Rifeci un controllo nella mia mente di ciò che avevo fatto prima di salire su quell'aereo.
Non avevo con me il cellulare, lo avevo gettato in un bidone dei rifiuti sotto casa, non avevo nulla con me. Avevo solo preso documenti e contanti, nessuna carta di credito.
Se mi avesse trovata sarebbe stato solo uno scherzo del destino.
Le hostess erano state brave, non avevano fatto troppe domande ed io avevo fatto il possibile per non sembrare una fuggitiva.
Finalmente dagli altoparlanti si sentì una voce che intimava di allacciare le cinture. Finalmente si decollava.
Avevo dimenticato quanto io amassi viaggiare in aereo.
Guardare il mondo dall'alto, vedere tutto da sopra le nuvole.. era assolutamente una delle cose che sarei tornata a fare una volta risistemata la mia vita.
Presi una biro e un quadernino per gli appunti, iniziando a stilare una lista delle cose che avrei dovuto fare al più presto.
Primo.
Trovare un lavoro.
Secondo.
Trovare una casa.
Tutto questo senza fare conti bancari al mio nome.
Arrivare a crearmi una falsa identità serviva a poco, stavo andando a vivere in una città in cui nessuno mi conosceva, e nessuno si sarebbe mai ricordato di me.

Scesi dall'aereo ed un forte vento gelido mi investì in pieno, nonostante fossero gli ultimi giorni di aprile c'erano meno di venti gradi e in giornata avrebbe piovuto.
Presi una lunga boccata d'aria, quel clima già mi piaceva.
Era veramente un sogno poter vivere a Londra.
Amavo quella città, e amavo anche parlare l'inglese.
Non c'era nulla che potesse andare storto.
Aspettai intrepida che sul nastro arrivasse la mia valigia, quello era l'inizio della mia nuova vita.
Da quando la valigia era arrivata non avevo smesso di sorridere, e fui felice che le persone non mi davano retta.
Ero uscita dall'aeroporto e mi ero piombata dentro una cabina telefonica.
Fra i dépliant che c'erano dell'aereo ce n'era uno riguardo gli appartamenti in affitto, speravo solo che non fossero scaduti.
Avevo fatto il cambio valuta non appena atterrata, e con gli spiccioli stavo facendo le varie chiamate.
Quasi tutti gli annunci erano scaduti tranne uno.
Un piccolo monolocale nel centro di Piccadilly. Sarebbe stato perfetto.
«Va bene, lo prendo. Quando possiamo incontrarci?»
L'altra voce al telefono, una donna potevo dedurre, mi sembrò esitare per un attimo, poi fissò l'incontro nel primo pomeriggio.
Era ottimo, contato il fuso orario non erano nemmeno le dieci del mattino.
Andai a fare l'abbonamento mensile per la metropolitana e i famosi pullman rossi a due piani, non costava molto, e per il momento non avevo alcuna intenzione di comprarmi una macchina. Guidare alla destra non era di certo una delle mie esperienze.
Davanti l'entrata della metro trovai i quotidiani gratuiti e ne presi uno giusto per vedere se c'era qualche offerta lavorativa, e subito ne trovai una che attirò la mia attenzione.
"CERCHIAMO UNA GIOVANE DONNA PER FARE L'INTERPRETE. LINGUE RICHIESTE: ITALIANO, TEDESCO."
Sembrava adatto a me.
La mia laurea in lingue e gli attestati delle varie partecipazioni mi sarebbero tornati utili.
Ero italiana, sapevo parlare perfettamente il tedesco e l'inglese, un po' meno il francese, lo spagnolo e il russo. Il cinese poi lasciamolo proprio da parte.
Insomma, riuscivo a cavarmela.
Misi il giornale nella borsa e presi la valigia, dirigendomi verso l'indirizzo fornito sul notiziario, aiutata da una mappa della città.
Mi sentivo bene in quel posto, ero veramente felice.

Bussai timidamente alla porta in vetro dell'agenzia di viaggio, per poi aprirla ed entrare.
Mi avvicinai alla scrivania dove c'era una donna che riposizionava dei fascicoli, tenendo sempre la valigia al mio fianco.
«Prego signorina, vuole prenotare una vacanza?» mi chiese gentilmente.
«A dire il vero no, avevo trovato il vostro annuncio sul quotidiano, ed ero interessata all'offerta. Vede, io ho una laurea in lingue, specie per quella che lei richiede. Sono italiana» dissi estraendo il mio attestato di laurea e porgendolo alla donna che lo scrutò per bene.
«Laureata con il massimo dei voti.. Mara, lei ha esperienza in campo lavorativo?»
Ecco, quella era senza dubbio una domanda a trabocchetto.
Avessi detto di no, beh, non avevo esperienza, avessi detto di sì sarei sembrata una con la puzza sotto il naso.
«Certamente, ho lavorato in varie agenzie di viaggio, tirocini peraltro, in un hotel dove alloggiavano turisti stranieri, sa.. tedeschi, portoghesi»
La donna mi guardò di sottecchi, e non era di sicuro un buon segno. Avevo parlato troppo? Troppo poco? Ero sembrata spigliata?
«Quindi non ha mai fatto l'interprete o la guida turistica»
Ecco, quella era la domanda da un milione di dollari, o meglio nel mio caso era quella che mi avrebbe evitato di uscire da lì sconsolata alla ricerca di un altro lavoro.
«No, ma ho studiato tanto per poterlo fare, ho buona volontà, so parlare e scrivere le lingue riportate sulla mia laurea, nessuno mi ha mai regalato voti e, soprattutto, amo Londra più di quanto lo possiate fare voi inglesi»
Beh, un applauso per me. Ero riuscita a dire tutte quelle cose senza nemmeno fermarmi per riprendere fiato, era un miracolo.
Ma forse dire che amavo Londra più di loro era esagerato.
Lei mi sorrise.
«Mi piace la tua tenacia, vieni nel mio ufficio, la valigia puoi lasciarla qui, tanto è tutto videosorvegliato» mi fece strada al suo ufficio, piccolo e disordinato ma comunque nei limiti. Aveva poco a che fare con la stanza principale, dove c'erano dépliant per ogni destinazione, delle poltrone, una scrivania e un computer di ultima generazione.
Al confronto l'ufficio in cui mi aveva portata sembrava una topaia.
Due sedie vecchie e sgualcite, fogli sparsi ovunque e un vecchio computer che faceva rumori insoliti.
Ma dove diavolo era capitata?
La donna fece il giro della scrivania, e poi mi invitò a sedermi su una sedia.
Cercai di sedermi il più composta possibile, senza lasciar trafelare l'ansia che avevo addosso.
La vidi cercare qualcosa in tutti quei fogli sparsi, e mi venne l'istinto di aiutarla.
Ma non potevo, avevo già detto qualcosa di troppo riguardo il fatto che amavo Londra più di loro. Se volevo quel lavoro, dovevo solo stare zitta e rispondere alle domande.
«Devi sapere che noi operiamo per conto di alcuni Tour Operator, e come puoi ben sapere questi alcune volte organizzano gite turistiche e così via, ovviamente non ti so dire le ore effettive che farai, per questo chiedo flessibilità, perché ci saranno gite turistiche di due ore massimo ed altre in cui si impiega più tempo, ma puoi stare tranquilla che non ti lasceremo da sola a guidare gruppi di turisti»
Avevo annuito tranquillamente. Non era la parola "flessibilità" a spaventarmi, i miei genitori mi avevano sempre insegnato che i sacrifici fatti portavano sempre ad una ricompensa.
«Quindi, quando posso iniziare?»
La donna mi guardò sorridendo.
«Sono felice che vuoi iniziare subito, domani pomeriggio puoi passare così ti insegno subito le tappe che farai e le informazioni che dovrai sapere, intanto prendi questi opuscoli, giusto per farti un'idea» mi disse porgendomi un dépliant con raffigurato il Big Ben e tutti i vari monumenti e attrazioni di Londra.
«Ah, non mi sono presentata.. sono Lilianne Langdon, ma puoi chiamarmi semplicemente Lily» mi disse sorridendo.
All'improvviso la fredda donna che era pronta a giudicare ogni mia singola mossa sbagliata sembrò dare posto ad una gentile signora, che le avessi fatto veramente una buona impressione?
Mi accompagnò all'uscita, dandomi un biglietto da visita con allegata la mail e il numero di telefono.
«Chiamami pure se c'è un inconveniente, o per qualsiasi evenienza»
«Va bene, la ringrazio»
Avevo ripreso la mia valigia e vagai per la città, senza sapere dove andare.
Il mio orologio da polso segnava mezzogiorno, il tempo passato con la signora Lily era volato.
Ero orgogliosa di me, ero riuscita al primo tentativo ad avere il posto di lavoro per il quale avevo studiato duramente per anni.
Sentì il mio stomaco brontolare, e decisi che forse dovevo mangiare qualcosa.
Mi fermai in uno dei vari Burger King del paese e mi sedetti ad un tavolo aspettando che mi arrivasse ciò che avevo ordinato.
Per la prima volta a distanza di anni ero finalmente tranquilla.
Mangiai con calma, degustando ogni singolo boccone ed uscì dal locale quando mancava mezz'ora all'appuntamento con la proprietaria del monolocale.

Mi feci trovare lì, accanto alla porta del condominio aspettando che qualcuno si presentasse.
Non dovetti aspettare molto, pochi minuti dopo di me arrivò una signora con i capelli grigi e con alcune rughe sul volto che aveva tutta l'aria di essere quella con cui avevo parlato al telefono.
«Salve, sono Mara, la ragazza che l'aveva chiamata stamattina»
«Oh, salga pure che le faccio vedere il monolocale, aveva detto che lo voleva prendere, giusto?»
La guardai titubante, c'era qualcosa che non mi convinceva.
Ma non potevo tirarmi indietro, ormai era fatta ed era l'unica abitazione che potevo permettermi con quei pochi soldi che avevo, magari più in avanti avrei optato per un trasloco.
«Io sono Anne» si presentò gentilmente.
Seguì la signora, e arrivammo fino al terzo piano. Non c'era l'ascensore, ma non me ne feci un problema. I sacrifici andavano fatti.
Mi aprì la porta dell'abitazione, e subito rimasi strabiliata. Non era messa molto male, aveva giusto il minimo indispensabile ma era stata arredata con gusto.
«Allora, cosa gliene pare?» mi domandò.
«Beh, la prendo» risposi con fermezza.
«Posso chiedere come mai questa scelta improvvisa? Sta per caso scappando da qualcuno?» notai una nota di sospetto nel suo tono di voce, ma decisi di non farci caso. Era solo una semplice donna un po' anziana che amava ficcare il naso negli affari degli altri.
«No, semplicemente ho ricevuto una proposta di lavoro all'ultimo minuto e non potevo rifiutare» mentì spudoratamente. Non avevo ricevuto nessuna proposta, e mi era andata a fortuna l'aver trovato il lavoro poco prima.
«Ah, e dimmi dov'è che lavori?»
«Farò l'interprete, ho studiato anni per poterla fare»
Quella risposta sembrò tranquillizzarla, forse voleva solo assicurarsi che io non fossi una casinista.
«Bene, queste sono le chiavi, fra un po' di giorni le manderò il contratto» mi porse le chiavi ed uscì di casa.
Decisi di darmi una rinfrescata, in fin dei conti era dall'alba che ero sveglia, avevo fatto un volo, un colloquio e forse era arrivato il momento di rilassarmi.
Più in la nel pomeriggio sarei uscita a farmi una scheda telefonica, sperando di non farmi rintracciare.

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Capitolo 3
*** 2 ***


Presi al volo la metro che stava per partire non appena ero scesa nella metropolitana, diretta in un luogo non preciso di Londra.
Amavo esplorare e vantavo di un buon senso dell'orientamento, mi sarei persa difficilmente.
La prima cosa che dovevo fare era quella di comprare una scheda telefonica ed un cellulare economico, e così feci.
Al bancone c'era un ragazzo giovane e carino, aveva forse la mia età.
«Salve, ha bisogno di aiuto?»
«In realtà sì, avrei bisogno di una scheda telefonica e di un cellulare»
Fu molto gentile ed era un po' timido ed impacciato, si vede che aveva iniziato da poco a lavorare in quel negozietto.
Mi elencò le varie offerte telefoniche, ed io optai per quella meno costosa.
Aveva minuti, messaggi e traffico Internet inclusi con uno smartphone di ultima generazione.
Pagai all'incirca cento sterline, ed uscì dal negozio soddisfatta e ringraziandolo.
Poi mi diressi alla mia seconda tappa: un supermercato per comprare una tinta per capelli.
I miei capelli li adoravo, erano biondo miele e boccolati, tutti mi facevano i complimenti. Ma cambiare vita per me partiva dal rinnovare me stessa.
Di tagliarli non se ne parlava nemmeno, avevo passato anni per farli crescere in modo che mi arrivassero quasi fino al fondo schiena, piuttosto li avrei tinti. Non so di quale colore, ma lo avrei fatto ugualmente.
Prima di uscire dal supermercato salutai la cassiera, strappandole un sorriso.
Forse ero una delle poche che aveva l'abitudine di salutare e ringraziare, a differenza di quelli che infilavano la spesa nel sacchetto e se ne andavano diretti.
Poco prima di tornare a casa mi fermai in un negozio di oggetti per la casa, dove comprai delle lenzuola ed un piumone.
Mi sentivo un albero di Natale a trasportare tutte quelle cose, ma non me ne importava minimamente. La cosa positiva era che l'ultimo negozio lo avessi trovato direttamente a Piccadilly, almeno non dovevo passare tra le sbarre della metro con un piumone.
Avevo passato un sacco di tempo davanti le vetrine dei negozietti dopo aver fatto la scheda telefonica, mi ero fermata in una tavola calda a sorseggiare del tè seduta fuori.
Era il sogno di una vita.
Non avere preoccupazioni, vivere in una grande città come Londra.. sola e spensierata.
Avevo bevuto il tè con calma, il clima era freddo e la bevanda mi aveva rigenerata. Poi ero rientrata per prendere una ciambella. Amavo i dolci, soprattutto quelli con cioccolato, cocco e caffè. E trovare quelli con i miei tre gusti preferiti era sempre una goduria.

Entrai in casa ed andai di corsa a lavare le lenzuola e a mettere in carica il nuovo cellulare.
Una volta che furono asciutte sistemai il letto e mi ci fiondai sopra, addormentandomi quasi subito, mentre pensavo alla giornata trascorsa.
Ero riuscita a dare una svolta alla mia vita. Speravo che i miei genitori potessero vedermi dal cielo ed essere orgogliosi di me, io lo ero.
Avevo grandi progetti per il mio futuro.
Con il lavoro non avrei dovuto avere problemi. Ormai vivevo a Londra, lì c'erano sempre turisti.
Non avevo fame e decisi di non cenare, avevo solo messo la sveglia per l'indomani alle 9, anche se dovevo lavorare il pomeriggio. Avrei girato un po' per la città.
Mentre aspettavo che la lavatrice finisse avevo letto il dépliant lasciatomi da Lily.
Non erano cose difficili da ricordare.
Big Ben, London Eye, Tower Bridge e relativo Castello, Madame Toussauds.. erano solo una spolverata sulle cose che avevo studiato a scuola.
Per la prima volta, dopo anni, avevo fatto sogni tranquilli, con la certezza di non trovare brutte sorprese al mio risveglio.
Era lì, a Londra, che ero tornata finalmente a vivere, finalmente libera.

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Capitolo 4
*** 3 ***


«Allora, se mi dai i tuoi documenti mi faccio la fotocopia, poi in settimana ti farò firmare il contratto» mi disse gentilmente Lily.
La donna che analizzava ogni mia minima mossa sembrava non esserci più, forse aveva capito che ero una persona sincera e con voglia di lavorare.
Mi ero presentata all'agenzia in anticipo, volevo farle buona impressione, e da subito lei mi aveva fatto vedere tutte le cose di cui si occupava.
Trasferte, escursioni, viaggi.
Poi mi disse tutto ciò che dovevo sapere per fare l'interprete, ed io prendevo appunti.
«Domani stesso ci sarà un gruppo di italiani, perciò preparati, visiterete Londra tutto il giorno, quindi zaino in spalla e scarpe comode» mi consigliò «Domani stesso conoscerai George, ti lascio il suo numero di telefono» prese un foglio e trascrisse un numero telefonico, che poi posai in borsa.
«Ci sono altre informazioni che potrebbero essere utili?» le domandai.
Eravamo sedute nel piccolo ufficio e davanti a me c'erano un sacco di volantini e dépliant.
Lily ci pensò un attimo, poi tornò a parlare.
«Allora.. ovviamente tra una tappa e l'altra ci saranno dei break, tutti i turisti avranno del pranzo a sacco. Vi sposterete in metro, tu hai già il pass?»
Avevo annuito.
«Benissimo, ma te ne daremo comunque uno aziendale. All'arrivo del bus con i turisti, George darà ad ognuno di loro un pass per la metro, tu dovrai solo tradurre. A fine gita ve li dovranno tornare indietro, se un cliente lo perde o non lo torna non gli restituiremo la caparra, tutto qui. Per quanto riguarda l'abbigliamento non ho richieste particolari, solo cose non troppo.. scollate o provocanti, d'accordo? Adesso ti stampo il tuo badge, e così per domani sei pronta»
Avevo ascoltato attentamente, parola per parola, e l'indomani avrei fatto il mio meglio.
«Per i primi giorni ti consiglio di tenere sempre a portata di mano un block notes con le informazioni che potresti dimenticare, poi vedrai che col passare del tempo imparerai la tiritera a memoria»
Le sorrisi.
«E quando non ci saranno visite organizzate di cosa mi occuperò?» domandai curiosa.
«Verrai qui all'agenzia, vengono più clienti di quanto tu possa immaginare, e mi farebbe comodo una mano»
Proprio in quell'istante si sentì il rumore della porta che si apriva, Lily si affacciò dalla scrivania e si alzò immediatamente, uscendo dall'ufficio.
La seguì subito dopo.
«Finalmente ci si rivede Rachel! Com'è andata la luna di miele?» domandò entusiasta Emily alla giovane donna che era appena entrata.
«Oh, è stato tutto fantastico, non potevi organizzarla in modo migliore! Madrid è una città fantastica!»
Lilianne sorrise contenta.
«Lei chi è? Una stagista?» domandò Rachel riferendosi a me.
Mi presentai.
«Sono Mara» le sorrisi.
«Niente affatto, è la mia nuova interprete» mi presentò con orgoglio Lily. Non capivo perché.
Rachel ammiccò, poi rise.
«Beh, George ne sarà contento»
Non capivo se ridere alla battuta, se mi stesse prendendo in giro o se mi dovessi preoccupare.
Guardai dubbiosa le due donne, poi Lily tornò a parlare.
«È ancora totalmente preso dalla tragedia di Brenda»
Tragedia? Cosa diavolo sarebbe mai potuto essere successo a questa Brenda?
«Beh, io comunque adesso dovrei andare, ero passata per ringraziarti e dirti che a Mitchell era venuta voglia di girare il mondo all'improvviso.. se magari puoi organizzarmi qualcosa, in qualsiasi luogo, tanto ormai le sai le mie preferenze, buon lavoro!» disse e ci salutò Rachel.
«Bene, ora iniziamo a preparare un pacchetto vacanza per Rachel, magari una mente giovane come la tua potrà aiutarci» mi disse Lily facendomi l'occhiolino.
Passammo il resto della giornata a programmare il pacchetto, e la mia "mente giovane" mi aveva suggerito di impostare come destinazione l'Australia.
Organizzammo tutto con date improvvisate, e alla fine fui soddisfatta del mio lavoro. Avevo trascritto tutte le idee su un quadernino, poi avevamo fatto un calcolo stimato delle spese, e tutto sommato non era male.
Erano venute altre persone, coppie, famiglie, tutte per organizzare una vacanza estiva, e mi chiesi quanto tempo avrei impiegato per permettermi un viaggio anche io.
«Domattina vieni qui per le 8, George ti aspetterà qui per poi andare insieme al punto d'incontro con i turisti. Vedrai, ti troverai molto bene con lui, è un ragazzo dolce e gentile»
Avevo messo tutte le cose che mi aveva dato Lily nella borsa, badge, altri dépliant e un foglio con il programma delle visite a cui avevo dato una sbirciatina.
Aspettai che lei chiudesse l'agenzia, poi la salutai e mi diressi alla metro per tornare a casa, non era molto tardi ma comunque quella sera non volevo uscire.
Mi sarei messa a studiare le cose che mi sarebbero servite e avrai selezionato i vestiti da mettere l'indomani.

«Sei in anticipo! Piacere, sono George, credo che Lily ti abbia parlato di me» mi disse un ragazzo alto e biondo.
E così era quello George.
«Sì, non ha fatto altro che dirmi che eri un ottimo collega» precisai.
Quella mattina non faceva molto freddo, e devo dire che ci avevo azzeccato in pieno con l'abbigliamento, dei semplici jeans a vita alta, una canotta nera e delle Skechers, giusto per sentir meno la stanchezza, erano le scarpe più comode che i miei piedi avessero mai provato.
Durante il tragitto mi lasciai togliere alcuni dubbi riguardo ciò che si faceva normalmente durante una visita, e arrivammo al punto di incontro in poco tempo, era una stazione degli autobus piena di turisti. Come avremmo fatto a capire quali erano i nostri?
All'improvviso George estrasse un foglio di carta con il nome dell'agenzia di viaggio, e subito iniziarono ad avvicinarsi a noi alcune persone.
Facemmo un veloce appello, giusto per non dimenticarci nessuno, e poi ci avviammo alla metropolitana.
Come previsto, tutti avevano già il pass.
Io e George camminavamo avanti, e il gruppo ci seguiva.
Seguimmo perfettamente il programma, a pranzo facemmo una pausa a Central Park, e poi continuammo fino al tardi pomeriggio.
Io nella mia lingua nativa avevo raccontato la storia di tutti i posti che visitavamo, facendomi raramente aiutare dagli appunti, mentre George ci faceva strada.
Passai una giornata bellissima, ma comunque stancante.
Riportammo il nostro gruppetto alla stazione dei pullman, li salutammo e poi mi lasciai accompagnare da George alla metro.
Durante il tragitto verso casa mi domandai se quello che avevano detto Lily e la signora Rachel fosse uno scherzo, in fin dei conti George mi sembrava una persona solare, ma forse anche lui come me tendeva a non parlare di sé e a non trapelare alcuna emozione negativa.
Feci una cena veloce e andai a dormire tranquilla, ripensando ai miei genitori e al loro tragico incidente.

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Capitolo 5
*** 4 ***


Mi risvegliai con il campanello della porta che suonava, a quanto pare era arrivato qualcuno. Ma chi?
Ero arrivata a Londra da pochi giorni, non mi conosceva nessuno e l’unica persona che poteva sapere il mio indirizzo era la signora Lily, ma dubitavo che le interessasse sapere dove abitavo e probabilmente non avrebbe nessun motivo per venire a cercarmi nella mia abitazione.
Indossai velocemente una vestaglia e corsi alla porta per vedere chi fosse, e ne rimasi veramente sorpresa.
«George! Cosa ci fai qui?»
«Scusami se sono arrivato qui all’improvviso e a quest’ora, avevo anche provato a chiamarti ma il tuo telefono risultava irraggiungibile, quindi ho pensato di farti visita di persona...» si scusò evidentemente dispiaciuto.
«Sì, ieri sera ho dimenticato di mettere in carica il cellulare, anzi, onestamente dovrei dire che nemmeno ricordo dove sia, ma ora che mi hai rintracciato dimmi tutto, devo vestirmi e correre in agenzia?» domandai un po’ alterata, va bene che avevo trovato a filo quel lavoro, però farmi venire a chiamare a casa per fare un turno anticipato lo trovavo esagerato.
George si fece leggermente rosso in volto, e non mi piacque affatto. Che diamine voleva dire?
«A dire il vero no.. Anzi, pomeriggio l’agenzia resterà chiusa quindi sei libera, inoltre la gita di domani è sospesa»
«Come mai? Va tutto bene?»
«Sì assolutamente, solo che oggi Lily ha un incontro con i Tour Operator, e domani ci sarà brutto tempo»

Col passare delle settimane ero sempre più fiera del lavoro che svolgevo all’agenzia. I sorrisi soddisfatti dei miei gruppi di turisti mi rincuoravano facendomi dimenticare il dolore ai piedi che mi veniva camminando a lungo, e le loro mance riuscivano ad aiutarmi a mettere qualche soldo in più da parte.
Oltretutto il mio accento era diventato completamente inglese, e nessuno con cui avevo modo di parlare chiedeva più se fossi straniera.
Il mio orgoglio man mano si ricostruiva, ed ogni violenza subita nella mia città natale era ormai un lontano ricordo.
O almeno quando ero sveglia.
Di notte i pensieri e gli incubi mi mangiavano viva, ogni senso di tranquillità dei primi giorni era svanito. Gli incubi mi tormentavano al punto da farmi stare perennemente in allerta, non permettendomi di riposare il necessario.
Mi facevano sentire sotto minaccia, il mio sesto senso mi diceva che il pericolo era sempre dietro l’angolo ed aspettava solo il momento giusto.
In quelle settimane non ero riuscita a fare amicizia con quasi nessuno, ad eccezione di Lily, George e i turisti.
Avevo sempre voluto vivere in una città in cui le persone non cercavano una minima scusa per attaccare bottone, ma allora perché la reale freddezza degli abitanti di Londra mi aveva fatta ricredere?
Le giornate iniziavano a diventare monotone, quando non erano previste escursioni passavo più tempo in agenzia ad aiutare Lily. Un po’ perché mi dispiaceva lasciarla da sola, d’altronde era divorziata con due figli che erano entrambi all’estero, e un po’ perché volevo entrare il più possibile nelle grazie di Lily, per ridurre al minimo il rischio di perdere il lavoro in caso si presentasse un candidato più giovane o con più esperienza.
Ma in fin dei conti stare all’agenzia mi piaceva, e dopo qualche giorno ero già riuscita a convincere Lily del fatto che l’agenzia avesse bisogno di una sistemata.
Fortunatamente era consapevole di essere disordinata, così mi aveva lasciata libera di fare a modo mio e nel giro di pochi giorni l’agenzia era come nuova. Tutte le locandine, mete e dépliant erano raggruppate per colore, formando un piacevole arcobaleno.
Non c’era alcuna traccia di polvere o sporcizia, e lo squallido stanzino dove avevo fatto il colloquio era diventato un lussuoso back office, dove avevo lasciato solo la fotocopiatrice, la macchina del caffè, la scrivania e blocchi di dépliant.
Ovviamente oltre a Lily c’era George, che ormai vedevo come un classico londinese: estremamente riservato. Però sembrava apprezzarmi come collega, capitava spesso che ci trovassimo insieme a bere caffè in un locale e a parlare del più e del meno durante le visite guidate.
Non me ne facevo un problema, ormai mi sentivo nuovamente sicura di me, pronta a ricominciare da capo.
Ma era una cosa che avevo fatto già da tempo.
Avevo voltato pagina nel momento in cui avevo deciso che era quella la notte in cui fuggire, il diventare amica di George era solo un piccolo dettaglio.
Il mio appartamento, nonostante fosse solo un monolocale, mi sembrava troppo grande per una persona sola, così avevo avuto la brillante idea di adottare un cane.
Ne parlai con Lily, scoprendo anche che lei è un amante degli animali, e dopo varie ricerche avevo trovato un canile non troppo distante da Piccadilly.
Chiamai, compilai un modulo online con tutte le mie esperienze legate agli animali – in realtà avevo solo avuto un pesce rosso – e fissai un appuntamento con una volontaria.
Nei giorni precedenti alla visita avevo sperato con tutto il mio cuore che tutto andasse per il meglio, di essere idonea e che soprattutto lo fosse stato il mio appartamento.

«Allora, ti hanno già chiamata?» mi aveva chiesto Lily.
Erano passati pochi giorni dalla visita della volontaria a casa, e ancora non sapevo se fossi idonea o meno.
Negai con la testa mantenendo lo sguardo chino sui fogli che avevo fra le domani.
L’indomani c’era una visita guidata, e dovevo revisionare l’ordine delle varie tappe. Era assurdo, ogni volta che trovavo un errore nel testo e lo andavo a correggere, per poi ristamparlo, ne appariva un altro. Così mi ero munita di pazienza e rileggevo varie volte.
Sentì l’aria farsi pesante tra me e Lily, aspettava una risposta.
«A dire la verità ho anche paura non chiamino proprio» annunciai, ed era vero. Il dover aspettare mi aveva fatto capire che forse non ero la candidata migliore per tenere un animale in casa.
«Ma cara, non essere troppo dura con te stessa» cercò di confortarmi Lily «Vedrai che chiameranno»
Continuai a correggere le bozze, sperando che fosse veramente così. Una volta finito spazzai a terra ed aiutai a Lily a chiudere l’agenzia. Poi rientrai a casa.

Non appena avevo chiuso la porta a chiave mi squillò il cellulare, ed io risposi senza nemmeno guardare chi fosse.
«Pronto?»
«Signora Vileri?»
Mille pensieri mi pervasero, non riuscivo a capire a chi appartenesse la voce.
Poteva essere un call center, ma anche una chiamata importante.
Balbettai involontariamente fino a riuscire a dire che Vileri ero io.
«È successo qualcosa?»
«Cosa? Oddio, no, mi perdoni. Sono Zaira, la chiamo dal canile. Abbiamo appena elaborato, risulta idonea. Vuole fissare un appuntamento?»
Ci pensai qualche secondo. Durante la mattina c’era una visita guidata, ma nel pomeriggio sarei stata libera.
«Domani pomeriggio, per le sei»
«Va benissimo, la aspettiamo. Scusi ancora il disturbo per l’orario»
La salutai chiudendo la chiamata, poi sospirai.
Cenai, mi feci una doccia e poi andai a dormire, addormentandomi subito.
Alle 7 in punto suonò la sveglia, mi alzai ed alle 8 in punto ero già insieme a George nella reception di un B&B ad aspettare i turisti.
Mi domandai come sarebbe stato lavorare sempre dietro una scrivania, senza dover camminare a lungo.
Noioso, già lo immaginavo.

Tra una tappa e l’altra era ora di pranzo, ci fermammo in un chiosco a Regent’s Park a mangiare. Ciò diede a me e George la possibilità di chiacchierare senza farci interrompere dai turisti.
Mangiavo tranquillamente fino a quando George non mi domandò se ero già stata chiamata dal canile. Per poco non mi strozzai, dovevo ammettere che Lily era proprio una chiacchierona.
«Sì, proprio ieri sera»
«Sono felice per te, allora quando vai a prendere la bestiolina?»
Il termine che usò mi fece sorridere, mi piaceva la sua compagnia. O almeno per il momento.
Non era invasivo, non usava stupidi approcci, anzi, era abbastanza riservato. E poi faceva quelle stupide battute che mi facevano sorridere sia quando le diceva, che quando per caso mi tornavano in mente.
«Pomeriggio, una volta finita la guida»
«Se vuoi ti ci porto io» si propose.
Lo guardai stupita.
«Cosa?»
«Per questioni di comodità, in fin dei conti non hai una macchina, no?»
Restai dubbiosa.
«Sì, per comodità… Allora ci vediamo da me per le sei, non più tardi. Ricordi ancora dove abito?»
George fece sì con la testa.
Riprendemmo a mangiare, poi continuammo la visita.
Nel tragitto continuavo a pensare alla proposta di George ed andai in panico. Era da anni che non avevo amici, e mi imbarazzava non poco. Oltretutto non sapevo come comportarmi visto che con George non ci eravamo mai visti al di fuori del lavoro nemmeno per motivi lavorativi.
Sperai di non mettermi in ridicolo.
La giornata trascorse velocemente, ed ero riuscita a tornare a casa anche prima.
Mi ero divertita – come sempre d’altronde – ed il pensiero che a poche ore avrei incontrato la mia bestiolina mi rendeva euforica come una bambina.    

George non tardò ad arrivare, l’orologio aveva da poco segnato le cinque quando aveva citofonato.
Era straordinariamente in anticipo.
«Come mai così presto?» domandai curiosa «Il canile non è molto distante da qui»
«Beh, pensavo prima di andare a prendere un caffè insieme, poi dirigerci»
Le lusinghe di George mi rincuoravano.
Dopo anni… Sembrava che fossi di nuovo importante per qualcuno.
Mi fece accomodare nella sua macchina, un’utilitaria nera, prendemmo un caffè da Starbucks e poi andammo al canile.

Una ragazza bionda mi salutò non appena varcai la soglia della porta d’ingresso, presentandosi subito dopo.
George era rimasto in auto, e non appena avevo aperto lo sportello si sentirono dei latrati provenire dall’edificio.
Nella stessa stanza in cui ero io c’era la stessa volontaria che era venuta a fare il sopralluogo a casa mia, mi salutò e tornò a parlare con la famiglia che aveva davanti.
«Salve, sono Zaira, responsabile delle adozioni»
Mi presentai a mia volta, e la ragazza sembrava lieta che fossi io quella con cui aveva parlato al telefono e fissato l’appuntamento.
«Ah, perfetto, la signora Mara, mi segua così le faccio vedere i nostri amici a quattro zampe»
Ovviamente aveva sbagliato la pronuncia del mio nome, ma non me ne feci un problema.
Aprì una porta e subito il volume dei latrati aumentò.
Passammo in un corridoio dove ai lati c’erano molte reti con dei cani di tutte le età dietro, ognuno di loro si avvicinava cercando di far passare i musetti attraverso le maglie delle reti.
Uno di loro mi colpì in particolare. Non si avvicinava alle sbarre come tutti gli altri, se ne restava accovacciato rivolto al muro. Come se non gli importasse se qualcuno fosse interessato a lui, sembrava offeso.
«Perché è così triste?» domandai a Zaira, la risposta non tardò ad arrivare.
«Lei è la prima che nota Faith, è il nostro angelo, ed ha una storia difficile»
Mi raccontò di quante volte quella cagnolina fu adottata e riportata indietro qualche giorno, settimana o mese dopo. Mi mise tristezza. Come si poteva essere così crudeli nell’adottare una povera anima e poi riportarla indietro come se fosse un oggetto?
Non era più nemmeno un cucciolo, ma era comunque piccola e abbastanza carina da farmela scegliere. Aveva un pelo lungo e maculato, sembrava un peluche.
Zaira rimase perplessa quando le dissi che volevo adottare proprio lei.
«Beh, Faith è una cucciolona difficile, ci vorrà molto tempo prima che inizi a fidarsi di lei»
Rimasi a pensare. Sarei mai riuscita a farla tornare felice, a fidarsi?
Sì..
«Saprò prendermene cura» affermai convinta.
La ragazza aprì lo sportello della cuccetta di Faith, la prese e me la porse. Era leggerissima.
«Le vado a compilare i moduli, fate amicizia intanto» mi sorrise la ragazza per poi sparire da dietro la porta.
Nel frattempo avevo provato ad attirare l’attenzione di Faith, e dopo qualche minuto di carezze si era voltata ad annusarmi.
Zaira era tornata, dicendomi che i documenti erano pronti e bastava solo la mia firma per portare a casa Faith.
Misi almeno una ventina di firme su vari fogli, poi mi lasciò un post-it con scritto il numero e l’indirizzo della veterinaria che da sempre seguiva Faith.
«Non esiti a chiamarci se succede qualcosa» mi raccomandò la bionda.
Salutai e tornai in macchina dove c’era George ad aspettarmi, scusandomi per averci messo tanto tempo.

George ci lasciò davanti casa, poi andò.
Rientrai in casa con Faith in braccio, poi la poggiai a terra in modo che esplorasse il monolocale.
Ero contenta di ciò che avevo fatto, e sperai lo fosse anche lei.
Cenai ed andai a dormire con Faith che dormiva accanto a me, l’indomani pomeriggio ci sarebbe stata un’altra visita guidata.

Mi svegliai che erano appena le 8, qualcuno aveva suonato al campanello. Indossai velocemente la vestaglia che tenevo ai piedi del letto e corsi alla porta.
Non c’era nessuno. Non appena mi stavo voltando il mio piede calpestò della carta.
Era una lettera rossa.
La aprì con curiosità e rimasi stupita.
Era un avviso di sfratto.

 

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