Ricomincio con te

di BrokenSmileSmoke
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Addio, vecchi amici ***
Capitolo 2: *** II - Non parlo molto però sono una chiacchierona ***
Capitolo 3: *** III - Di fanciulle e di procioni ***
Capitolo 4: *** IV - Io non ne so nulla ***
Capitolo 5: *** V - Il bacio di Adam ***
Capitolo 6: *** VI - Qui ce n'è per tutti ***
Capitolo 7: *** VII - I consigli della mamma ***
Capitolo 8: *** VIII - Povero Adam ***
Capitolo 9: *** IX - Pugni in faccia ***
Capitolo 10: *** X - Dove sei? ***



Capitolo 1
*** I - Addio, vecchi amici ***


La giornata non era iniziata nel migliore dei modi, mi ero svegliata tardi ed una volta a scuola mi ero ricordata del riassunto di un libro da portare come compito che aveva chiesto il professore… Che ovviamente io non avevo ricordato.
Una cosa positiva però era presente, non leggevo molto ma c’era un buon romanzo a farmi compagnia quei pomeriggi di febbraio. Ero a buon punto, quasi metà libro.
Scrissi un piccolo riassunto a due mani, fantasticando un po’ troppo sul finale. Ma in fondo non avevo terminato il libro, che colpa potevo mai averne?
E così, tra promesse di amore eterno e drammi famigliari, i protagonisti morirono per colpa di un alieno venuto da un altro universo.
Lo stesso professore ebbe tempo di correggere 20 compiti in un’ora, e questo non era un buon segno. O perlomeno non lo era per il mio.
«Mi complimento per la signorina Leonardi, il testo era molto leggero da leggere e di facile comprensione, se non le dispiace vorrei leggerlo ad alta voce»
Qualcun altro avrebbe esultato al fatto che il professore avesse deciso di rendere partecipe la classe a quel tema.
L’unico problema era che la signorina Leonardi ero io, e sapevo che il riassunto era molto lontano dall’essere comprensivo, di facile lettura e dall’avere un senso.
Non mi diede modo di replicare, ed iniziò a leggere il mio racconto davanti tutta la classe.
«”La protagonista del mio libro è una ragazza di nome Morena, che ha un carattere ribelle, ironico e per la maggior parte del tempo ha dei pensieri suicidi, proprio come me, inoltre è innamorata persa di un ragazzo, proprio come me”, ma ho da dire, cari ragazzi, che la parte migliore del testo è il finale, infatti..»
Speravo che almeno si risparmiasse la voglia di umiliarmi di fronte a tutti ma no, il professore continuava imperterrito.
«”Ma tutto finì perché vennero uccisi da un kranken, un piccolo alieno buono venuto da un universo parallelo”, un romanzo molto originale, devo ammettere»
Tutti si misero a ridere, ed io in compenso feci una figura di merda.
Ma la giornata era iniziata male già da prima.
La prima ora fu orrenda, l’interrogazione di scienze era sembrata più che altro una strage di ragazzi innocenti, sotto la supervisione di una professoressa che si comportava come il nuovo Rambo, specialmente con me!
«Leonardi!» la voce della prof era risuonata come una fucilata tra quei banchi, finita per colpirmi in pieno.
Sentivo i sospiri dei miei compagni di classe, contenti che non fosse capitato a loro e rilassati sulle loro sedie, mentre io non sapevo a quale Santo chiedere aiuto, tantomeno cosa dire alla professoressa.
«Dai ti suggerisco io!» mi sussurrò la mia compagna di banco e migliore amica, Elisa.
«Non suggerire!» gridò la prof.
Ad ogni modo era lo stesso, il suggerimento andava bene in un test del sì e no, ma non quando dovevi tenere in testa un millennio di teoremi e studi scientifici.
Cominciai a balbettare qualcosa, come per dare l’impressione di sapere, anche minimamente, ma era la peggior tattica in assoluto.
Oltre a ignorante sembravo anche balbuziente, ed il peggio era che avevo studiato per ore, eppure non ricordavo niente.
«Non lo sa» sentì dire da un altro, era vero ma non me ne importava nulla, mi rivolsi alla ragazza che aveva risposto al posto mio.
«Ma perché non te ne vai a fanculo? Pensi di essere migliore di me perché sai da quale lato è atterrata la famosa mela di Newton? Ma sai dove te la puoi ficcare la mela?»
Avrei dovuto mandarglielo per bigliettino piuttosto che urlarglielo davanti a tutti, magari facendo così mi sarei evitata le minacce del preside sulla presunta ripetizione dell’anno.
Ormai mi ero fatta riconoscere, specie dai professori.
Una volta feci addirittura scappare dalla classe uno di loro.

«Me ne vado da questa classe di psicopatici!» aveva urlato prima di oltrepassare la soglia che divideva la classe dal corridoio.
Non avevo capito il perché, quella volta mi ero comportata bene.
«Leonardi?» mi richiamò per cognome, la cosa che odiavo di più in assoluto.
Mi voltai svogliatamente.
«Ci racconti di cosa parlava!»
«Ti stavo dicendo, Eli, ieri ero andata a quel centro commerciale, e non immaginerai mai chi ho visto!»
«Ha finito? Vorrei riprendere la lezione»
«Mmh, sì» risposi neutra.
«Allora, mi dica chi era Alessandro Magno»
«Beh, probabilmente quello che avevo visto al centro commerciale»
«Risposta esatta, 4!»
«TOMBOLA!» gridò un altro ragazzo, nonché uno dei miei amici.
Era strano come nessuno avesse notato Marco che teneva le cartellette sul banco, mentre un altro estraeva i numeri dalla bustina.
«Cosa hai detto?» domandò il professore minaccioso.
Se con me era un’abitudine, non lo era con gli altri.
«Beh, ho fatto tombola, ho vinto!» disse Marco raccogliendo con la mano gli spiccioli che avevano prefissato come vincita.
Il professore aveva varcato la soglia della porta, ci furono due secondi di puro silenzio, poi il putiferio.
Gente che gridava, saltava o volava.

La mattina forse era stata brusca, orrenda. Ma il pomeriggio era ancora peggio.
C’era l’incontro scuola-famiglia, e mia madre aveva deciso che non poteva assolutamente mancare.

«Marina Leonardi! Vuoi spiegarmi questi voti?» mi chiese mia madre, con un’espressione che mi lasciava intuire che a casa, molto probabilmente, non sarei sopravvissuta.
«Quali voti? Aaah, questi» risposi pacata, come se la cosa non mi importasse affatto.
La mia pagella era piena di voti che non superavano la sufficienza.
«Mi spiace dirlo signora» aveva incalzato il professore.
A quel punto immaginai la solita tiritera, “sua figlia potrebbe avere voti eccellenti ma bla bla bla”.
«Sua figlia di questo passo non verrà ammessa agli esami»
Tornata a casa sembrò di entrare nel girone degli ignavi della Divina Commedia, ciò valeva a dire che qualcosa di letteratura l’avevo pur memorizzata.
Appena entrate in casa mia madre mi si era bloccata davanti.
«Prepara le valigie»
Quella frase mi colpì come un fulmine a ciel sereno.
Non capivo nulla, volevano forse mandarmi in un collegio?

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Capitolo 2
*** II - Non parlo molto però sono una chiacchierona ***


«Cosa? Perché?»
«Ci trasferiamo?»
«Solo perché vado male a scuola?»
Mia madre si batté una mano sul volto.
«No, tuo padre ha trovato lavoro all’estero»
«Ah, e dove?»
«In Spagna»
Rimasi un po’ a fissarli, incerta se essere felice o meno.
Corsi in camera fingendomi dispiaciuta, anche se in realtà ero felice.
Era il mio sogno vivere all’estero.
Presi un trolley da sotto il letto, buttandoci dentro vestiti e altre cose, mentre con l’mp3 ascoltavo gli Evanescence a tutto volume.
Finalmente quello schifo di vita finiva, o almeno ci speravo.
La mattina dopo mi diressi a scuola con un enorme sorriso.
Andai a salutare le mie amiche, se potevo definirle così.
La cosa più brutta era dire della mia partenza ad Elisa, mi dispiaceva più per lei che per me.
Ci conoscevamo dall’asilo, e l’allontanarmi da lei mi rendeva un po’ triste.
Dopo pochi minuti arrivò salutando me e le altre.
Durante la ricreazione le dissi tutto, finendo con un “Ci sentiremo tramite messaggi e videochiamate, comunque verrò per le feste”.
Sapevo che in un modo o nell’altro non l’avrei più vista, ma questo raddolciva la pillola già troppo amara.

Era tutto pronto, i miei genitori mi avevano iscritto in una scuola in Spagna, anche se in realtà non mi interessava affatto.
Il mio obiettivo era avere nuovi amici e ambientarmi.
Appena alzata da quello che non sarebbe stato mai più il mio letto, feci mangiare Lali, il mio Yorkshire Terrier, e tolsi dalla spina di corrente il mio cellulare, giusto per ascoltare la musica mentre eravamo in viaggio.
Sarei diventata pazza, non potevo stare molte ore accanto a quella peste di mia sorella, una mocciosetta di quattro anni appena.
Partimmo.
Durante il viaggio Lali era sulle mie gambe, non potevo di certo tenerla sui bagagli.
Si stava un po’ scomodi nei sedili posteriori dalla vettura, e oltre a Lali sulle mie gambe c’era anche il mio adorato Notebook con gli episodi della mia serie tv preferita.
Dopo poche ore dalla partenza mi accorsi che il tempo passato in macchina fosse infinito, fino a quando non ci fermammo in un fast food.
Presi il solito, ovvero una bibita, delle patatine ed un enorme panino.
Nonostante il mio fisico esile mi piaceva mangiare tanto.
Suonò il mio cellulare, mi era arrivato un messaggio, Elisa.
“Ciao Mar, sei già in viaggio vero? Qui si sente di già la tua mancanza. Marco non fa altro che chiedere quando torni… Quando pensi di tornare?”
Risposi subito, un po’ con l’amaro in gola.
Le dissi in quale posto fossi in quel momento, le chiesi di salutarmi Marco e poi le dissi quello che stavo facendo… E mi resi conto di quanto fossi un libro aperto quando Eli mi chiese se stavo mangiando il mio solito panino.
Tempo di finire il piccolo pranzo tornammo in macchina, aiutai mia sorella a mettersi le cinture e mi sistemai anche io.
Il viaggio proseguì lungo e noioso, fino a quando parecchie ore dopo ci ritrovammo al confine fra Italia e Francia.
Se non altro la prima tappa era stata fatta, ora mancava il resto.
«Posso almeno sapere in quale scuola andrò?» domandai a mia madre dopo ore di silenzio.
«Mi pare si chiami Marquez, dicono sia un istituto molto prestigioso, e che lo studio non è leggero. Forse è la volta buona che ti metti sotto con lo studio»
Mugugnai parole incomprensibili per poi abbandonarmi contro il sedile sbuffando.
La notte ci fermammo in un piccolo motel sull’autostrada, la qualità non era delle migliori ma dopo ore passate in auto non avevo più la forza di lamentarmi.

Dopo parecchie altre ore mi ritrovai davanti ad una piccola villetta a due piani, con un piccolo giardino ed un cancello d’entrata un po’ arrugginito.
Entrai in casa trascinando due trolley, entrambi miei, e lasciandoli davanti ad una scala che portava al piano di sopra.
Al piano terra c’era il salotto con muri bianchi e mobili grigi, una cucina comunicante con la sala da pranzo, viola e con un enorme tavolo in vetro, ed infine c’era un bagno con una vasca enorme. Ci avrei passato le mie giornate lì dentro, era sicuro.
Salì cautamente le scale guardandomi intorno, e mi ritrovai davanti ad un corridoio con quattro porte.
Fu a quel punto che avevo capito che una camera era esclusivamente mia.
Aprì la seconda porta che mi si presentava sulla sinistra e trovai una piccola camera verniciata di rosso ed una porta, la aprì e mi ritrovai nel bagno privato.
Nella vecchia casa c’era un solo bagno per quattro persone, ed in questa molto probabilmente ce n’era uno in ogni camera. Era un sogno.
A fatica riuscì a salire i trolley nella mia camera, per poi abbandonarli in un angolo della stanza, mi rimboccai le maniche ed iniziai a pulire tutto.
Non c’era molto in quella stanza, solo un armadio ed un letto, valeva a dire che i miei non avevano badato a spese per la casa ma che comunque bisognava comprare maggior parte dei mobili.
Iniziai a togliere la polvere da ogni superficie e lavai il pavimento in legno lucido, per poi sistemare i miei vestiti nell’armadio e sistemato il letto.
Tornai nel bagno per posare in un mobiletto dietro lo specchio un’infinità di smalti, quasi tutti dello stesso colore, e tutto i miei effetti personali.
Era pomeriggio, e nonostante l’aver passato due giorni in macchina non sentivo alcuna stanchezza.
Decisi di fare un giro della città con Lali, giusto per orientarmi meglio l’indomani.
La scuola distava meno di un chilometro, così pensai di passarci per farci un giretto.
Passai sotto enormi porticati e trovai davanti a me una donna anziana con un grembiule ed una retina per capelli, che fosse la cuoca?
Nessuno sembrò notarmi, e mi andava bene. Non ero il tipo di persona che amava parlare.
I porticati finirono, e mi ritrovai in un enorme bosco con un campo da calcio ed enormi alberi.
Decisi di non addentrarmi troppo, così tornai a casa prima di perdere l’orientamento.
Cenai tranquillamente, e poi me ne andai in camera a dormire pensando a ciò che magari sarebbe potuto succedere i giorni seguenti.
Infondo ero una nuova studente che veniva da un altro stato, le domande imbarazzanti erano abbastanza prevedibili.

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Capitolo 3
*** III - Di fanciulle e di procioni ***


«Devonne, dove sei?»
Era una voce dolce, femminile. Faceva quel nome ma lì, in quel bianco accecante, c’ero solo io.
Mi guardai meglio intorno e la notai, una donna raggomitolata sul pavimento che stringeva fra le mani un nastro rosa. Ma che diavolo significava?
All’improvviso tutto iniziò a tremare, e la stanza che prima era di un bianco splendente piano piano diventava sempre più scura.
Poi un grido che sembrava più un ruggito mi fece accapponare la pelle.
«È inutile che provi a fermarmi, lei e la sorella ormai sono mie»
Non si capiva bene da dove venisse l’altra voce, ma sembrava fosse dietro di me.
Qualcosa mi tirava indietro, allontanandomi dalla donna che era adagiata al pavimento.

«Oddio mio!» sussultai svegliandomi all’improvviso.
Qualcosa, o  qualcuno, mi stava mordendo la mano, così violentemente la alzai.
Ne uscì un guaito, era Lali.
«Ooooh principessa mia, ti  ho fatto male?»
Confusa e stralunata scesi in cucina a fare colazione, non capivo cosa quel sogno significasse ne tantomeno volevo saperlo.
Mangiai ed andai a farmi un lungo bagno caldo nella vasca da bagno, e ci restai finché il vapore non iniziava ad annebbiarmi la vista.
Uscì in accappatoio e tornai in camera per sdraiarmi sul letto, non c’era cosa più rilassante del potersi distendere dopo un bagno caldo.
Mi alzai qualche mezz’ora dopo congelata, il vapore che usciva dal mio corpo era svanito lasciando che i miei capelli bagnati si raffreddassero con le basse temperature che c’erano in quella casa.
I miei nel frattempo erano usciti, così mi preparai qualcosa da mangiare davanti la tv.
Finito il pranzo indossai una giacchetta ed uscì da sola.

Mentre passavo davanti il cancello del Marquez mi resi conto che ero seguita da qualcuno, e nonostante la cosa migliore da fare fosse il far finta di nulla io all’improvviso scappai dentro i cancelli della scuola.
Magari era solo una mia impressione, ma ormai era tardi.
Senza accorgermene mi ero addentrata dentro il bosco, e come se non bastasse le mie gambe iniziavano a non reggere più.
Mi fermai guardando un’ultima volta indietro per accertarmi che nessuno mi seguisse, poi notai che di fronte a me c’era un gruppetto di ragazzi.
Non c’era ancora stato il mio primo giorno di scuola e già avevo fatto una figura di merda.
Iniziavo proprio bene!
Una ragazza con dei favolosi capelli lunghi e rosa mi si avvicinò preoccupata.
«Va tutto bene?»
Fantastico, era veramente imbarazzante.
Cosa potevo mai dire, che pensavo di essere inseguita da qualcuno? Mi avrebbero preso per pazza sicuramente.
«No… Cioè sì, va tutto bene… Ero inseguita da un… da un procione, si, ho una paura matta dei procioni»
Ecco, la scusa era ancora peggio della verità.
Quale persona potrebbe avere mai paura di un procione, e soprattutto quale procione inseguirebbe mai una persona?
Un ragazzo biondo con degli occhiali a fondo di bottiglia mi guardò comprensivo, o forse con compassione. Non riuscivo a capirne molto, tant’è vero che a capire le persone dal solo sguardo facevo veramente schifo.
Mi guardai le scarpe per qualche secondo, poi mi resi conto che c’era un silenzio imbarazzante e forse era meglio che io me ne andassi. Sempre che non fossi ancora inseguita.
«Io… Credo di dover andare» balbettai come una stupida, rendendomi ancora più ridicola «Scu.. Scusate il disturbo» feci finta di nulla e mi voltai incamminandomi.
«Sei nuova vero? Non ti ho mai vista in giro»
Mi voltai ed era un altro ragazzo, biondo e magrolino.
«Sì» dissi voltandomi e proseguendo la strada verso casa.
Fosse almeno stato possibile.
Correndo ero finita nel bosco vero e proprio, non si vedeva nulla se non alberi e la strada non c’era più.
«Ti sei persa, mia tenera fanciulla?» una voce maschile mi fece sobbalzare, mi voltai verso la voce e, istintivamente e senza volerlo davvero, tirai un pugno al ragazzo che mi aveva chiamata tenera fanciulla.
Ripensandoci però avevo fatto bene, se lo meritava.
Che senso aveva dare della tenera fanciulla ad una ragazza che nemmeno conosceva e che perlopiù aveva trovato sola in un bosco? Si potrebbe dire che aveva rischiato la vita, magari io ero nel bosco non perché scappavo ma perché avevo sotterrato qualcuno.
Una piccola parte di me voleva chiedere scusa al tipo, in fin dei conti era anche un bel ragazzo, ma la parte più orgogliosa prese il sopravvento.
«Prima cosa non mi sono persa, e seconda cosa non sono la tua fottuta tenera fanciulla!» risposi acidamente per poi riprendere il cammino verso casa, o per lo meno la direzione che credevo fosse giusta.
E mi sbagliavo alla grande.
Oltre a non orientarmi ero addirittura tornata da quel gruppetto che prima avevo incontrato per puro caso, facendo calare di nuovo un orribile silenzio imbarazzante.
Mi domandavo che avevano di così segreto da dirsi, ma che diavolo erano, una setta?
«Sei tornata» affermò un altro ragazzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi.
Non sembrava stessi molto simpatica a quei tipi, ma non era un mio problema.
Mi guardai intorno sovrappensiero, stare zitta e sembrare scema o parlare e toglierne il dubbio?
«Oggi è una giornata piena di procioni, eh?» mi stuzzicò uno di loro, lo stesso tipo che prima mi aveva chiesto se fossi nuova, notai con sorpresa che aveva un taglio di capelli che lo faceva sembrare un ananas.
Scelsi la via più semplice. Restare zitta.
Qualsiasi cosa io abbia voluto dirgli non mi avrebbe evitato di ridergli in faccia.
La sua faccia sembrava davvero un ananas, dannazione.
I capelli biondi finivano con le punte in verde scuro, quanto avrei voluto potergli riempire la faccia di puntini…
Tenni a bada il mio umorismo per essere sincera ed evitare malintesi.
«Credo di essermi persa» ammisi.
La faccia d’ananas si propose di aiutarmi a tornare indietro, insieme ovviamente al gruppo.
Si era presentato, diceva di chiamarsi Adam. Mi ero presentata anche io per correttezza, ma il resto del gruppo continuava ad essere ambiguo.
«Adelita, ma non avevamo finito di parlarne» chiamò una ragazza dai capelli neri che fino a quel momento era rimasta seduta su un tronco d’albero caduto.
Adelita. A quanto pare era così che si chiamava la ragazza con i fantastici capelli rosa.
Capelli meravigliosi, certo, ma il nome… Non avrei chiamato Adelita nemmeno il mio cane. Poverina.
Adelita rivolse un’occhiataccia alla ragazza che l’aveva fermata.
«Ti sembra questo il momento, Virginia?»
Mi sentì veramente in imbarazzo.
Non solo fra un gruppo di cinque ragazzi solo uno si era presentato e gli altri avevano fatto finta che non fossi presente, ma oltretutto ai miei occhi sembravano ancora una setta. Giusto per far capire che non ero io esagerata, ma loro veramente ambigui.
Continuavo a camminare dietro i ragazzi, e faccia d’ananas non perdeva occasione per parlarmi. Insomma, più che una persona normale sembrava un cascamorto, ma ognuno ha i suoi pregi e difetti, no?
Mi accompagnarono fino all’uscita del bosco, poi li salutai sempre imbarazzata e li vidi ritornare indietro, più ambigui di prima.
Che avessero veramente ucciso qualcuno ed io ne avessi erroneamente fatto parte?

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Capitolo 4
*** IV - Io non ne so nulla ***


Ero rientrata in casa timorosa e impallidita, tant’è vero che mia madre si era preoccupata nel vedermi in quelle condizioni.
Feci il resoconto di quel pomeriggio.
Un uomo mi inseguiva, io correvo nel bosco della scuola e quando mi trovai di fronte quei ragazzi avevo detto di essere inseguita da un procione... Senza tralasciare il fatto che quel gruppo era strano.
Ma andava bene ugualmente.
Scelsi gli abiti adatti al mio secondo primo giorno di terza media, e andai a dormire dopo aver cenato.
Era d’abitudine scegliere l’abbigliamento la sera prima, anzi. Non capivo come facevano le ragazze che invece la mattina avevano tutto il tempo di abbinare i vestiti, truccarsi e pettinarsi come se dovessero sfilare sul red carpet. Io riuscivo a malapena a fare colazione ed andare in bagno senza arrivare in ritardo. E mi svegliavo anche molto presto.
Comunque sia quella mattina mi ero diretta a scuola tranquilla, se non fosse che appena varcati i cancelli d’entrata notai un’ampia folla di ragazzi che circondavano il preside.
Ecco, lo sapevo.
Ero stata complice di occultamento di cadavere.
Vidi il gruppetto del giorno prima, dove c’erano Adam ed Adelita, venirmi incontro.
Dannazione, volevano sicuramente pagare, o minacciarmi, per il mio silenzio.
Incontrollatamente iniziai a sudare freddo, poi ripensai in pochi secondi come aveva fatto la mia vita a prendere una svolta così orribile.
Certo, non ero una cima nello studio, non lo ero nemmeno come figlia o sorella, e mi ritrovavo così. Colpevole.
Ripassai a mente tutte le frasi epiche che avevo sentito in CSI, giusto per uscirmene con classe da quella conversazione che sarebbe avvenuta da lì a poco con quei gruppo di assassini.
«Ciao! Non mi sono presentata ieri, sono Virginia!» mi sorrise amichevole la ragazza con i capelli che giusto ieri pomeriggio mi sembrava la più inquietante fra tutti.
Era carina, sì, ma il contesto in cui l’avevo conosciuta non era bellissimo, oltretutto sembrava vestirsi solo di nero, quindi... Senza volerlo si arrivava sempre alla stessa conclusione.
L’ananas, o meglio Adam, si offrì di accompagnarmi a lezione. Accettai mio malgrado, magari facevano i gentili per addolcire la pillola. L’essere accompagnata in classe mi faceva sentire stupida, come se fossi talmente scema da potermi perdere.
Entrai in classe seguendo quello strano ragazzo, poi rimasi impalata al centro della classe.
Tutti i banchi, ma proprio tutti, erano occupati.
Non sapevo spiegarmi come ma il gruppo che avevo lasciato al cancello ora era lì di fronte a me.
Il ragazzo con gli occhiali a fondo di bottiglia era seduto alla prima coppia di banchi, insieme ad Adelita, agli ultimi invece l’altro ragazzo.
Entrò una professoressa e notandomi in piedi come un palo mi domandò a bassa voce se fossi io quella nuova, poi fece un rapido appello alla classe facendo come se non esistessi.
«Abbiamo una nuova alunna qui al Marquez, si chiama Marina e viene dall’Italia. Forza, dì qualcosa se non sei timida»
Vabbè, forse era meglio quando faceva come se non ci fossi.
Il chiedere se fossi timida era la peggior tattica in assoluto per farmi parlare.
Guardai le cuciture della sua giacchetta per il laboratorio di chimica.
Susan Hertz.
«Mannò, figurati Susan se sono timida»
Rimase imbambolata per qualche secondo, poi mi consigliò di sedermi vicino ad Adam, così feci.
Mi illustrò  brevemente tutto il percorso dello studio che avevano fatto, e mi meravigliai. Ero indietro di molto, ma non me ne importava veramente.
La prima ora passò in fretta, poi al suono della campanella notai un piccolo battibecco fra il gruppo ambiguo.
Adam si era alzato e diretto verso gli altri tre, lasciandomi al banco. Non che ne fossi dispiaciuta, durante la lezione avevamo parlato raramente.
«Che vuol dire fate? Tu dove hai intenzione di andare?» vidi Adelita rimproverare Adam.
Ecco, stavano nascondendo di nuovo qualcosa di losco.
Poi mi dovetti ricredere.
«Ma dai, Ade, sapete perfettamente che io non reggo se non vado a rubare qualcosa nella cucina, ed inoltre non ho nemmeno bisogno di fare ginnastica»
Bene. O quel testa di ananas rubava per mestiere o aveva qualche serio disturbo alimentare.
Stavo per prendere la mia borsa dal banco quando mi si avvicinò facendomi una proposta che mi suonò alquanto indecente.
«Marina, ti va di venire a mangiare con me?» il ragazzo con gli occhi verdi provò a rimproverare Adam «Raul, ognuno è responsabile delle proprie azioni, non credi?»
Raul.. Così era questo il nome di quel tipo al quale non sembravo essere molto simpatica.
«E poi non vorrai mica far tardi a ginnastica visto che oggi siete con la classe di Virginia» notai Adam fare un occhiolino al tipo.
«Spero non vorrai saltare l’ora di Jim per uno stupido spuntino» incalzò Raul.
Io nel frattempo mi godevo la scena tranquilla, indugiandomi sul confermare la proposta o meno, la risposta la trovai in men che non si dica, in fin dei conti mi importava ben poco del presentarmi alle lezioni, specie se si trattava di ginnastica. Ero abbastanza snella e agile per sopravvivere al non fare sport per un’ora.
«Quello che tu chiami stupido spuntino mi consente di salvarmi la vita!»
Decisi di partecipare al discorso, tanto bene o male mi ci avevano introdotto loro stessi.
«Da Jim?» domandai perplessa.
Lui mi guardò sorpreso, per poi negare.
«Dalla fame!»
Rimasi perplessa.
O aveva un metabolismo pazzesco oppure saltava tutti i pasti, non riuscivo a spiegarmi il suo fisico asciutto. Sembrava un chiodo, oltre che ad un ananas.
«Cosa devo dire a Jim?» sbuffò il tipo, quel Raul.
Adam ci pensò su un pochino, lo potei constatare mentre era assorto nei suoi pensieri nel trovare una scusa plausibile.
«Digli che… Non trovavo il gel per capelli, dovrà capire»
Così fu.
Al termine del battibecco io ed Adam ci allontanammo dal gruppo rifugiandoci nella cucina della scuola a svuotare barattoli di gelato, merendine e quant’altro.
Le ore successive erano passate tranquillamente, ed al termine delle lezioni rientrai a casa senza nemmeno voler pranzare. Era come se in quell’ora avessi fatto il pranzo di Natale.
I ragazzi si erano offerti di riaccompagnarmi a casa, a quanto pare una ragazza che passava del tempo con Adam era degna di far parte del loro gruppo, così nel tragitto mi avevano fatto qualche domanda giusto per conoscermi.
La giornata dopo fu sorprendente, e credo non la dimenticherò mai.
Non avrei mai immaginato che Adam fosse un simile donnaiolo.

 

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Capitolo 5
*** V - Il bacio di Adam ***


Come sempre mi ero preparata per andare a scuola e per una volta mi meravigliai di essere arrivata in anticipo.
All’entrata del cancello avevo fatto un sopralluogo di tutti gli studenti, alla ricerca dei miei nuovi amici, o se potevo definirli tali.
Trovai Adelita, Raul, Virginia e Javier, il ragazzo con gli occhiali a fondo di bottiglia, seduti su una panchina in legno ed Adam seduto sul muretto dietro.
«Ragazzi, ma voi sapete perché tutti ridono di me?» aveva chiesto Adam nel momento in cui ero arrivata.
«Buongiorno ragazzi» salutai sorridendo.
Mi salutarono tutti quanti, persino Raul, la testa di ananas invece venne ad abbracciarmi ed io ricambiai un po’ perplessa.
«Allora, quali sono le ultime news?» domandò Virginia.
Una ragazzina, forse del primo anno, le porse un giornalino e lei lo lesse davanti a tutto il gruppo.
«Allora… Questi due stanno insieme»
«Chi?» la bloccò Adam.
«Lilia e Marcus, li conosci?»
«Lei sì, ci uscivo la settimana scorsa»
Guardai sospetta Adam, stava per caso con qualcuna?
«Poi…» continuò a leggere la mora tranquilla «La nuova studentessa, Marina L. è stata intravista con Adam D., che sia la sua nuova fiamma?»
Ma perché diavolo c’ero anche io lì? Non ero lì da nemmeno due giorni e già facevo parte del giornalino scolastico, come diavolo facevano a sapere di me? E soprattutto, perché dicevano che io fossi la nuova fiamma di Adam?
«Ma cos’è? Una rivista di Gossip Girl?»
Javier mi guardò serio.
«Da te non si usava avere un giornalino scolastico?»
Lo guardai stranita.
«Ma è ovvio, solo che non si parlava di gossip tra studenti, anche se devo ammettere che è interessante»
«Beh, qui ci sono due ragazze del secondo anno, Tamia e Lily, che sono state incaricate dal preside per fare interviste agli studenti, all’inizio si trattava solo di informazioni riguardo le lezioni ed il programma, poi le cose sembrano essergli sfuggite di mano e da allora queste due pubblicano qualsiasi gossip o chiacchiera di corridoio»
Avevo annuito in segno di comprensione, anche se ad essere sincera non ci avevo capito molto. Il gossip era interessante, sì, ma non quando ti ci ritrovavi dentro.
«Occhio e orecchie a me ragazzi, questo è interessante» disse Virginia passeggiandoci davanti leggendo, come se fosse un professore.
«Svelato il mistero della strana piega di Adam L., che il verde dei suoi capelli sia causato di gel di bassa qualità?»
Vidi il biondo sgranare gli occhi.
«Cosa? Ed è per questo che tutti ridono di me?»
Raul aveva fatto spallucce, io anche, seppur dovevo ammettere che non avevo idea se secondo me il motivo dei suoi capelli verdi fosse quello.
«Beh, amico, a quanto pare i tuoi capelli colorati non riscuotono più molto successo fra le ragazze» rise il moro.
Vidi Adam con lo sguardo perso nel vuoto, probabilmente questa notizia lo aveva scombussolato. E lo ero anche io, a quanto pare a lui piaceva fare il dongiovanni.
«Andiamo ragazzi, lo sapete tutti che alla fine nemmeno lo uso il gel! Era solo una scusa per non ridere in faccia a Jim!» tentò di giustificarsi.
«Adam, ma non è noi che devi convincere, piuttosto cerca Lily e Tamia e dì loro di pubblicare un altro articolo dove smentisci tutto, magari poi per i capelli verdi penseranno ad un fattore genetico» tendò di dire Raul senza ridere, ed era alquanto impossibile.
Ad un certo punto notai un’ombra davanti a me che mi sovrastava, poi un terribile vocione.
«Quindi era una scusa, eh Della Robbia?»
«Buongiorno Jim» salutò Adam sbuffando.
A quanto pare quell’armadio era il mio professore di ginnastica.
«Beh, allora avrai due ore di punizione da scontare per non esserti presentato a lezione»
Vidi Adam impallidire.
«Cosa?»
«Ed aggiungiamone altre due, perché era la MIA lezione e l’hai saltata con una scusa che potevi benissimo evitare, facendola finire sul giornalino così come il segreto che mi avevo detto di non dire a nessuno»
Mi guardai intorno e notai tutti gli altri, eccetto Adam, spaesati ed imbarazzati come me, anche se in fin dei conti io ero più spaesata che altro. Che segreto poteva mai nascondere quel professore?
«Tu sei quella nuova, eh? Come mai non ti ho visto a lezione ieri? Avevi dimenticato anche tu di mettere il gel?» domandò anche a me.
Lo guardai ancora più spaesata di prima.
«PROBLEMI DA RAGAZZE» urlai contro il professore.
Forse non era una cosa intelligente da fare, ma sarebbe stata sicuramente meno stupida di Jim stesso.
«Bene, assenza ingiustificata più comportamento scorretto con il personale docente… E sono quattro ore di punizione anche per te»
«Almeno oggi non dovrò fare due ore di ginnastica con un rammollito» dissi fiera.
Vidi il viso del professore diventare rosso dalla rabbia, finché non mi urlò di andare dal preside, Adam si offrì di accompagnarmi, cosa non poco insolita visto che l’ufficio era a pochi metri da noi.
Entrai nel piccolo ufficio guardandomi intorno, c’era un uomo che mi dava le spalle fissando la finestra, poi si voltò verso di me in modo lento e molto teatrale, quasi mi fece venire i brividi.
«Sei la nuova studentessa» affermò senza che nessuno avesse fatto qualche domanda.
Strambo quel preside.
«Sai, mi stupisce vedere una ragazzina con un viso angelico come te qui dentro, cosa ci fai qui?» parlò tranquillamente sedendosi sulla scrivania e accavallando le gambe.
Eravamo proprio sicuri che fosse lui il preside? Sembrava un uomo con la crisi di mezza età, barba incolta, rughe sul viso e si vestiva come se avesse vent’anni. Rimasi a dir poco sorpresa. Come mai i miei genitori mi avevano iscritto in una scuola in un c’era un preside che sembrava avesse crisi di identità?
Lo sentì sbuffare non appena vide Adam.
«Della Robbia, di nuovo qui… C’entri anche tu in questa situazione?» domandò.
Il biondo fece spallucce, e mi chiesi se la normale in tutta quella situazione fossi solo io.
«Non proprio, Jim non crede al fatto che io non usi il gel per capelli»
«Infatti non ci credo nemmeno io, ma lo sai che il gel aumenta le probabilità di diventare calvi?»
Dio mio, non ci credevo. Era come se mi ritrovassi in mezzo a due dementi.
Da una parte un ragazzo che era strano già a vederlo, dall’altro un preside che non sembrava adatto per il suo ruolo.
Vidi Adam guardarlo scandalizzato, dev’essere brutto quando dici la verità e nessuno ti crede.
In un’altra delle sue crisi il preside ci mandò via con un semplice gesto della mano, così uscimmo senza replicare.
«Ma davvero non usi il gel?» domandai innocentemente al ragazzo.
Si bloccò e si voltò verso di me guardandomi come a dire che fossi pazza.
«Va bene, scusami!»
Lo vidi farmi un sorriso furbo.
«Sei perdonata»
«Menomale, altrimenti non saprei come fare» sussurrai ironica.
Lui sembrava avermi sentito, così ne approfittò.
«Solo se mi dai un bacio!»
Ma era stupido o cosa?
Mi guardò con uno sguardo da cane, così decisi di stare al suo gioco. In fin dei conti un bacio non ha mai ucciso nessuno.
Giuda tradì Gesù proprio con un bacio, mi disse una vocina nella mia testa.
La misi a tacere immediatamente.
Avevo seri dubbi che con un bacio Adam mi avrebbe fatto uccidere.
Lo fissai qualche secondo incerta, poi gli detti un semplice bacio dicendo che quella storia si sarebbe chiusa lì.
Di nuovo quel vocione insopportabile, ma possibile che quel professore di ginnastica fosse sempre dietro di me?
«Bene bene, quindi siete già una coppia. Ah… Piccola e tenera Leonardi, ti sei già rovinata» mi guardò come se fossi senza speranza «cos’ha detto il dirigente?»
Una ragazza con un’orribile taglio di capelli ed una voce stridula si aggiunse a noi.
«Esatto, cos’ha detto mio padre a proposito di quella selvaggia?»
La guardai dalla testa ai piedi e si spiegarono molte cose.
Povero preside, ora capivo la sua crisi d’identità. Avere come figlia un’esemplare di scimpanzé in estinzione non doveva essere facile.
«Beh, di certo che non sono brutta come te» la guardai schifata.
La sua voce divenne ancora più stridula. Che orrore.
«Che cosa?» mi urlò contro, e sono sicura se fossimo rimaste da sole in quel momento mi sarebbe saltata addosso per strapparmi i capelli.
«E non ti permettere di dare della selvaggia alla mia ragazza, hai capito Elizabeth?»
Forse ero veramente l’unica normale lì.
Guardai Adam scombussolata, quel donnaiolo la faceva troppo facile.
«Io non sono la tua ragazza» dissi guardandolo come se fosse pazzo.
«Ed io non mi chiamo Elizabeth, sono Sissi!» sbottò l’altra, poi girò i tacchi e se ne andò, non prima di ricadere sui suoi stessi passi e cadere di faccia.
Cavolo, se continuava a cadere in quel modo avrebbe dovuto farsi la plastica facciale per due motivi.
«Che diavolo è, una figlia dei fiori?» domandai riguardo il suo abbigliamento.
Di un rosa fin troppo acceso la sua maglietta, troppo brillantinata la sua gonna.
«A proposito di figli dei fiori… Qual è il tuo colore preferito?» domandò Adam una volta che anche Jim si era allontanato.
«Il nero…» dissi sovrappensiero «come la mia anima»
«Ecco perché hai sempre qualcosa di nero addosso» disse quella frase come se avesse fatto la scoperta del secolo, ma decisi di non farci caso. Se avessi aperto bocca sul suo abbigliamento non so cosa ne sarebbe potuto uscire fuori, anche se in realtà non era così male. Tranne i jeans.
Calati e con strappi. Andavano bene, se solo non fossero troppo calati e troppo strappati.
Lo guardai cercando di non far trasparire la mia incredulità.
«A volte è meglio star zitti ed apparire idioti che parlare e togliere ogni dubbio, non credi?» domandai, sperando lui capisse.
«Sì ma vedi, io sono il playboy della scuola»
Ecco, non aveva capito.
Sospirai ormai sicura che quella conversazione non avrebbe avuto un risvolto intelligente, tanto valeva inventarsi qualcosa.
«Ho fame»
«Già mi piaci» mi sorrise Adam.
Gli sorrisi di rimando, iniziava a starmi simpatico. Un  po’ troppo stupido, ma simpatico.
Poi lo vidi diventare serio tutto d’un tratto.
«Quello invece non mi piace per niente» disse guardando dietro di me.
Mi voltai ed in lontananza vidi Virginia parlare con un ragazzo che aveva l’aria famigliare.
Poi mi ricordai, in fin dei conti mi aveva dato della tenera fanciulla.
«Chi è?» domandai un po’ troppo curiosa.
Visto l’andazzo avrei trovato il tutto scritto sul giornalino degli studenti, ma visto che ero lì potevo saperlo in prima persona.
«Ah, lui è Willam»
Mi invitò a fare una passeggiata nel bosco, così ebbe modo di raccontarmi tutta la faccenda.
Dopo già due frasi avevo iniziato a perdermi, ma la sintesi era questa.
Raul e Virginia sono amici dal primo anno, si amano ma non lo sanno, ad inizio del terzo anno era arrivato William che era capitato in classe di Virginia e da subito avevano avuto un qualcosa che sembrava molto più di un’amicizia, William aveva provato a far parte del gruppo ma già dopo qualche giorno li aveva traditi, ed oltretutto questo aveva generato molta gelosia in Raul, così si erano allontanati tutti da William e giusto nelle ultime settimane il ragazzo ha provato a riavvicinarsi a Virginia.
Insomma, una storia degna di una telenovela.
«C’è una cosa che non capisco però» avevo detto continuando a guardare il sentiero «perché se entrambi sanno di amarsi non si dichiarano?»
«È quello che ho detto più volte anche io, forse hanno solo paura di rovinare tutto»
Che cosa stupida.
Rischiare il tutto e per tutto o soffrire. Io probabilmente avrei preferito la prima, ma in fin dei conti ho detto più volte che sono un gruppo strano.
«Idioti, dovrebbero rischiare» dissi convinta, Adam mi fece spallucce.
Camminammo per tutto il sentiero per poi tornare indietro ed era già ora di pranzo.
Ci dirigemmo alla solita panchina per aspettare gli altri e pranzare insieme, e vidi una scena che mi scandalizzò.
Virginia era ancora lì con William, e c’era anche Raul.
Ma lo scandalo non era questo.
Virginia e Raul si stavano baciando.
Guardai Adam e lui mi fissò spaventato.
«Ma che fai, prevedi il futuro o hai venduto l’anima al diavolo in modo che accada ciò che dici?»
«Preferirei la seconda» risposi basita.

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Capitolo 6
*** VI - Qui ce n'è per tutti ***


La scena era a dir poco esilarante.
Di fronte a noi c’erano Virginia e Raul intenti a baciarsi, gli studenti facevano finta di nulla ma solo una voce si alzò al di sopra di tutte le altre chiacchiere.
«Brutto pezzo di sedano, come hai potuto rubarmi Raul?»
Eccola lì, la dolce Sissi in uno dei suoi momenti di assoluta gentilezza.
Per lo meno aveva censurato la parolaccia con un ortaggio, le faceva onore.
«Ma lei cosa c’entra?» domandai al biondo.
«Niente… Quando una psicopatica ed uno stupido sono andati a letto insieme è nata Sissi» mi raccontò Adam «menomale che è stata adottata»
Mi guardai intorno veramente spaesata. Non ci capivo nulla.
Virginia e Raul si erano finalmente baciati, Sissi era gelosa però era stata adottata… Forse il ragazzo con gli occhiali a fondo di bottiglia e la ragazza con i capelli rosa erano gli unici normali.
Non era nemmeno passata un’ora e ogni studente aveva già in mano la propria copia del gossip.
Tra i banchi quel giornalino veniva spacciato più della droga, gli unici ignari erano Adelita e Javier, che da bravi ragazzi si erano fatti gli affari loro, chissà la loro reazione nel sapere del bacio.
Al cambio dell’ora ci ritrovammo tutti alla solita panchina, e Adelita arrivò sfogliando una copia del giornale, ci fu una cosa che notai non appena arrivata.
Virginia e Raul si tenevano per mano, e nessuno sembrò averlo notato.
O perlomeno non prima che Adelita lesse il titolo dello scoop.
«Virginia I. e Raul S.: un amore complicato»
La guardai fissare la pagina, possibile che solo io ci ero rimasta di sasso alla notizia?
«Aspetta… Virginia e Raul UN AMORE COMPLICATO?» urlò guardando l’amica e il moro, dall’espressione pensavo li avrebbe uccisi.
«Eh eh eh» disse imbarazzata Virginia, ci scommettevo la vita che la situazione era talmente imbarazzante da non poterne parlare nemmeno ad Adelita.
«Beh, cosa c’è di strano? Lo sapevamo tutti infondo» sentenziò tranquillo Adam.
Io, come al solito, ero lì a guardarli senza capirci mai troppo, ma era normale visto che ero la nuova aggiunta al gruppo.
«Fossi in te parlerei di meno, qui ce n’è per tutti» lo zittì Adelita.
Parlava del giornalino come se in realtà fosse una potente arma capace di distruggere l’umanità.
«Passiamo al prossimo, sospetti confermati. Marina L. è la nuova fiamma di Adam D., i due sono stati visti scambiarsi effusioni»
Adelita guardò me ed Adam come se fossimo un’apparizione della Madonna. Cosa c’era che la sorprendeva così tanto?
«Adam, perché?» domandò come se il ragazzo avesse fatto il peggior sbaglio della sua vita e come se io non fossi lì con loro.
Javier la guardò di storto, forse voleva far notare che non aveva fatto proprio una bella figura, poi lo squillo del suo cellulare lo allarmò, e disse una parola che non riuscivo a collegare ai fatti accaduti.
«Procione»
Tutti loro lo guardarono spaventati e ciò mi confondeva sempre più.
All’improvviso si alzarono e mi liquidarono con un semplice saluto.
«A dopo Mar»
Rimasi lì indecisa sul da farmi, tornai a casa e ciò che trovai mi destabilizzò più di tutto il resto.
Anche i miei mi avevano liquidato, con un semplice post it.
Lo trovai attaccato al frigorifero.
Se n’erano andati.
Erano tornati in Italia per tre settimane circa, e mi domandai se fossi così pessima come figlia da non meritare nemmeno una chiamata.
Feci uno spuntino veloce e poi portai Lali a passeggio, provando una sensazione talmente strana quando passai di fronte la scuola che mi fece entrare dentro ed andare nel bosco.
Passavo tra gli alberi con la costante sensazione di essere seguita, eppure non c’era nessuno oltre a me e Lali.
Andava tutto bene, fin quando non sentì un bisbiglio provenire dal posto in cui avevo visto i miei amici la prima volta, così per curiosità mi avvicinai il più possibile per sentire senza farmi vedere, e mi domandai se veramente facevano parte di una setta.
«Ma ne sei sicura?» era la voce di Adam.
«Sì, certo che ne sono sicura, è Devonne, mia sorella!» sussurrò a sua volta Adelita.
Devonne.
Ad un tratto quel nome mi riportò alla mente un sacco di ricordi, e rividi la donna del sogno lì davanti a me mentre faceva quel nome.
Sesto senso? Avevo realmente venduto la mia anima al diavolo, o era una semplice coincidenza?
Ad ogni modo ritornai sui miei passi, non avevo intenzione di farmi vedere da loro, e tutti i dubbi del primo giorno tornavano a galla. Cosa nascondevano quei ragazzi?
Feci un rapido giro della città e ripassai davanti il cancello del Marquez che era già buio, dove trovai Adam che cercava qualcuno.
Cercai di far finta di non vederlo, era una scusa in parte veritiera visto che ero leggermente miope, sperando che lui mi salutasse.
E così fu, si offrì anche di accompagnarmi a casa e rimase sorpreso quando vide che tutte le luci erano spente.
«Ma i tuoi genitori?»
«Sono partiti» dissi tranquillamente mentre aprivo la porta di casa.
Nello stesso istante mi squillò il cellulare, erano i miei. Così invitai Adam ad entrare e risposi alla chiamata.
«Vabbè ormai fa niente, spero di non far andare a fuoco la casa» avvisai prima di salutare e chiudere.
Adam mi guardò perplesso per poi parlare.
«I tuoi non ci sono e tu sei tranquilla?»
Stavolta a guardarlo perplessa ero io.
«Perché non dovrei? Anzi, fammi un favore, chiama tutti gli altri e dì loro che stasera si cena da me, ordino qualche pizza, e visto che ci sei chiedi pure quali gusti vogliono» dissi sguinzagliando Lali e dirigendomi di sopra, poi mi bloccai a metà scala.
«È vero che se compro anche una torta tu mi farai compagnia a mangiarla?» domandai tornando in salotto dove c’era Adam che accarezzava Lali.
Lui mi guardò sorpreso, l’avevo sorpreso, e lui avrebbe detto di sì.
Uscimmo di casa diretti nella pasticceria più vicina, era un posto veramente carino e i dolci in vetrina avrebbero fatto venire l’acquolina in bocca a tutti.
«Allora ragazzi, faccio una torta a forma di cuore?» ci domandò un ragazzo che stava alla cassa.
Lo guardai imbarazzata.
«No... Me ne faccia una al cioccolato»
«A che ora venite a prenderla?»
Pensai un po’.
Erano all’incirca le sei di sera nonostante fosse già buio, così optai per le otto.
Comunicai l’ordine mentre Adam era al cellulare a chiamare gli altri.
Uscimmo per tornare a casa, e non mi stupì quando mi disse che si sarebbero presentati solo Virginia e Raul, a quanto pare non stavo molto simpatica agli altri due.
«Ma secondo te non sono simpatica ad Adelita e Javier?» confessai i miei dubbi mentre camminavo guardando l’asfalto, cosa che invece non fece Adam.
«Oddio stai bene?» domandai preoccupata.
Non guardava ciò che calpestava, così aveva sbattuto in pieno con il ginocchio contro un idrante.
«Sì, sì… Va… Tutto bene» mi disse zoppicando «non è che sei antipatica, è che loro due sono molto riservati, quindi vogliono un po’ di tempo prima ad abituarsi ad una nuova arrivata nel gruppo, sai, con William non hanno fatto problemi nel dargli fiducia, quindi ora fanno una specie di preselezione»
«Ed è per questo che oggi c’è stato l’allarme procione?»
Colto nel segno.
Adam era impallidito ed aveva smesso di parlare, poi mi prese da un braccio e mi tirò, stavamo correndo.
Lo vidi che di tanto in tanto si voltava dietro, mi ero sbagliata, non stavamo correndo.
Stavamo scappando.
Forse l’allarme procione era più forte di quanto non sembrasse.

 

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Capitolo 7
*** VII - I consigli della mamma ***


Rientrammo in casa con il fiatone, chiudendo bene la porta a due mandate, poi cercai di riprendermi stendendomi sul divano.
Nemmeno dieci minuti dopo giunsero Raul e Virginia, e notai uno scambio di sguardi fra i tre.
«Allora è vero» sentenziò Virginia.
Decisi di farmi i fatti miei, così andai in cucina e chiamai una pizzeria.
Qualche minuto dopo Virginia mi raggiunse, iniziando a comportarsi come se non fosse successo nulla.
«Allora sei qui tutta da sola? Perché questi pomeriggi non vieni al dormitorio, così stiamo tutti insieme» mi propose «Adelita si scusa perché non è potuta venire stasera»
La guardai comprensiva, effettivamente Adam non le aveva detto di avermi parlato.
«Fa nulla, non pretendo di stare simpatica a tutti immediatamente» le sorrisi.
La vidi titubante, non sapeva cosa dirmi.
«E così… Tu e Adam, eh?» domandò maliziosa.
Spalancai gli occhi.
«Assolutamente no! È stato solo un semplice bacio!» tentai di spiegare imbarazzata. Era vero, era un semplice bacio, non capivo il perché di tanto gossip e domande.
Certo, gli amici non si baciavano, ma a quanto pare Adam era un donnaiolo e quindi che problema c’era?
Decisi di prendere il coltello dalla parte del manico, ero stanca delle frecciatine che c’erano state durante tutta la giornata.
«Ed invece, tu e Raul?»
La vidi arrossire all’improvviso, ero compiaciuta.
«Beh, dopo anni ti rendi conto che è meglio non perdere altro tempo e cogliere l’attimo, così ho fatto. Il bacio non era per amore o altro, avevo baciato Raul per far capire a William che doveva starmi lontano, poi è successo il resto»
«Adam mi ha raccontato tutto, ma perché restare solo amici per tanto tempo?»
Virginia mi guardò curiosa.
«Deduco che Adam non ti abbia detto proprio tutto»
Feci spallucce, non potevo certo sapere se c’erano parti mancanti, in fin dei conti io li conoscevo solo da pochi giorni.
La ascoltai mentre prendevo le bibite e tutte le altre cose che ci sarebbero servite.
«Abbiamo più volte provato a dichiararci l’un l’altro, solo che per rispetto verso il gruppo, e per altri mille motivi poi non ci siamo mai spinti fino in fondo»
La guardai comprensiva, anche se non la capivo affatto. Rimandare era una cosa che detestavo, la cosa migliore da fare è vivere giorno per giorno, e fare oggi ciò che si potrebbe fare domani.
Certo, non la pensavo in questo modo riguardo lo studio, ma per tutti il resto invece sì.
«Quindi in sintesi è grazie a William che oggi vi siete messi insieme, giusto?» le domandai.
Volente o nolente Virginia doveva ammettermi che era così.
Sentì bussare e rimasi piacevolmente sorpresa.
O quella chiacchierata aveva preso più tempo del dovuto, o la pizzeria faceva le consegne a domicilio in men che non si dica.
Aprì la porta allegra, per poi rimanere delusa quando mi trovai davanti un uomo che teneva una piccola scatola quadrata. Possibile che le quattro pizze fossero così piccole?
«Buonasera, spaghetti a domicilio!» mi disse raggiante l’uomo.
«Credo che lei si sia sbagliato» dissi tranquillamente. Non avrei mai pagato per qualcosa che non avevo chiesto.
Provai a chiudere la porta, ma il tipo era abbastanza agile da infilare il piede ed impedirmelo.
«Mi spiace, ma il conto va pagato»
In mio aiuto accorsero anche gli altri ragazzi, increduli e confusi.
«Mi spiace, ma lei sa che il cliente ha SEMPRE ragione?»
«Si tolga dai piedi, e tolga anche il piede, prima che chiami le forze dell’ordine, e dubito farà ancora lo sbruffone quando Jim le racconterà di come era diventato uno di loro»
Lo guardai perplessa. Cosa diavolo c’entrava il professore di ginnastica in quel contesto? E, soprattutto, perché mai dovrebbe raccontare di quando era nelle forze dell’ordine?
L’uomo sembrò cambiare idea, ritrasse il piede iniziando a sussurrare a bassa voce di quando avrebbe dovuto accettare il consiglio di sua madre e diventare avvocato, invece di dare la caccia a dei ragazzini.
Richiusi la porta alle mie spalle e guardai determinata i ragazzi.
«Credo che voi mi dobbiate dire qualcosa»
Annuirono uno dopo l’altro, finalmente avevo preso il controllo della situazione.

«Ho scritto a Javier, fra non molto saranno qui» mi disse Virginia andandosi a sedere sul divano vicino Raul, Adam era accanto a me.
Le pizze erano arrivate, ed erano proprio davanti a noi, ormai fredde. Gli ultimi quindici minuti avevano rattristato la serata, ma non mi importava, avevo tutto il diritto di saperne di più.
Ero stanca che fossero gli altri a decidere cosa dovessi sapere o cosa no, ormai in quella storia c’ero anche io, e non mi ci ero intromessa di mia volontà.
Javier ed Adelita arrivarono subito, così aprì la porta e li feci accomodare in salotto insieme agli altri.
Adelita era imbarazzata, si vedeva lontano un miglio che non sapeva da dove iniziare.
Così la incalzai io.
«Perché vengo seguita?» domandai.
Non ne avevo mai parlato prima a nessuno, magari Adam pensava che la prima volta che fossi inseguita era stata quella sera stessa, ma non era vero.
Lo era stato quel giorno, quando li avevo incontrati, ed anche il pomeriggio stesso quando pensavo di essere seguita, perché poi mi resi conto che ero seguita veramente.
Javier prese parola.
«Qualche mese fa sono venuto a conoscenza di un codice sorgente, un qualcosa di losco chiamato Codice Genesi. All’inizio non sembrava nulla di che, solo un albero genealogico appartenente ad Ade, poi ci rendemmo conto che era un qualcosa di più grande, era il mezzo con cui un’associazione aveva ucciso la famiglia di Adelita e Devonne, ma le due bambine erano scomparse, qualcuno le aveva portate via, così abbiamo iniziato ad indagare per avere modo di scoprire cosa vogliono e come liberarcene»
Avevo ascoltato con interesse tutta la storia, ma ancora non riuscivo a capacitarmene.
«Ma allora io cosa c’entro? Perché mi seguono?»
Ottenei lo sguardo sorpreso di tutti, sbuffai e iniziai a raccontare la mia versione degli accaduti.
«Quel giorno in cui vi ho trovati al parco non ero inseguita da un procione, anche se ne ho molta paura perché insomma con quelle zampine sembra vogliano derubarti, ma da un tizio che mi inseguiva da fuori del cancello del Marquez, stessa cosa questo pomeriggio»
Javier mi guardò come se fossi pazza.
«Ne sei pienamente convinta?» mi domandò guardando gli altri negli occhi.
Confermai, anche se titubante.
«Bene, allora domani pomeriggio ci incontriamo tutti al parco, ci lavoro un po’ così ho delle risposte… Perché se seguono anche te ci sarà un motivo, e se il motivo c’è siete tutti in pericolo, tu e la tua famiglia»
Avevo annuito ancora più titubante di prima.
Se nel pomeriggio ero felice di avere la casa a mia completa disposizione in quel momento mi faceva paura.
Mangiammo le pizze fredde e poi loro andarono via, mentre Adam mi chiese se magari volevo un po’ di compagnia quella notte.
Avevo detto un «Fai come vuoi», ed ero sollevata quando mi aveva detto di sì, non lo avrei mai confessato ma avevo una paura matta.

Avevo passato una notte felice, Adam si era fermato a dormire da me e saperlo lì, anche se al piano di sotto, sul divano, mi rassicurava.
Il mattino dopo partimmo da casa in anticipo, in fin dei conti lui aveva improvvisato il dormire a casa mia e non aveva i vestiti di ricambio.
Lo salutai con un abbraccio e mi diressi alla solita panchina nell’attesa che arrivassero gli altri, che però non arrivarono mai.
Mi diressi in classe notando che mi avevano lasciato da sola, e la cosa mi dette abbastanza fastidio da rovinarmi la giornata.
Poi ricevetti un messaggio.

«Mar, siediti e, qualsiasi cosa lui dica, ricordati ciò che sei diventata e ciò che vorrai essere» mi disse preoccupata Virginia. Forse sotto quella corazza si celava un animo dolce e gentile.
Javier mi passò davanti una decina di volte balbettando, il che mi fece venire solo molta ansia, poi si decise a parlare, ma non disse ciò che tanto speravo.
«Io… Io non ce la faccio» mi disse guardandomi negli occhi.
Ecco che l’ansia aumentava.
«Leggi tutti questi fogli, lì c’è scritto tutto, io risulterei troppo insensibile, e non sarebbe il caso» mi disse porgendomi un malloppo.
Sgranai gli occhi nel vederlo, avrei impiegato minimo una settimana nel leggere tutto questo.
«Credo sia meglio che tu legga tutto a casa tua, da sola» mi consigliò.
All’inizio pensai fosse un modo per mandarmi via, poi l’arrivo di un altro messaggio mi fece andare a casa allegra.

«Oddio, ciao Eli!» esclamai non appena vidi la faccia della mia migliore amica italiana attraverso lo schermo del pc.
Mi vennero le lacrime agli occhi nel vederla, sembravano passati anni quando in realtà era trascorsa massimo una settimana.
Notai da subito che il rapporto era cambiato, come avevo già previsto, e notai che era un po’ diversa da come la ricordavo.
Il viso scavato, le occhiaie.
«Va tutto bene?» le domandai, lei aveva annuito tranquilla come se andasse veramente tutto bene, anche se capivo non era così, ma comunque lasciai perdere. C’erano un sacco di cose che avevo voglia di raccontarle, ma la maggior parte di loro non si potevano dire.
Mi limitai al giornalino di Gossip Girl e la strana figlia adottiva del preside.
Avevamo riso insieme, poi avevamo terminato la chiamata.
Il rapporto era mutato, non c’era bisogno di un genio per capirlo. Quella distanza ci aveva già divise.
Solo una cosa mi rimase impressa.
Alcuni dei miei vecchi compagni di scuola sarebbe venuto lì per qualche giorno, in merito ad una gita scolastica. Avevo chiesto chi fosse di preciso, ma lei non aveva aperto bocca.
Mi sdraiai sul letto e lessi i fogli uno ad uno con le lacrime agli occhi. Ecco perché Virginia mi aveva detto di tenere bene a mente chi fossi diventata, perché quella che vivevo non era la mia vita.
È difficile quando vieni a sapere che coloro che ti hanno insegnato a camminare, parlare, insegnato il senso della vita e che tu hai sempre chiamato mamma e papà non sono mai stati i tuoi veri genitori. Sapere che tutto ciò che consideravi famigliare non era altro che storia inventata, che in realtà sei orfana e sei stata  adottata dai tuoi zii.
Certo, il legame di sangue era diverso, ma i ricordi, i sentimenti, quelli erano veri.
Mi resi conto che quella che definivo mia sorella in realtà era sempre stata mia cugina, ma cercai di non darci troppa importanza. A volte con un cugino o uno zio si riesce a stabilire un rapporto più forte di quello con un genitore, e a me importava ciò che mamma e papà mi avevano fatta diventare, non ciò che erano realmente.
Mi domandai se al loro rientro sarei rimasta la stessa, e sperai di sì. Magari sarei stata un po’ più ribelle, ma il sentimento rimaneva intatto. Poco importava che non fossero coloro che mi avevano dato la vita, loro mi avevano cresciuta e resa la Marina che sono ora.
Piangere era liberatorio, indispensabile. Rimasi lì sul letto per qualche ora. Quei fogli che credevo di leggere in minimo una settimana li avevo divorati in meno di mezz’ora.
Ora avevo un’altra sorella, Adelita. Ed un altro nome, Devonne.
Ora riuscivo a spiegare il mio sogno, la donna che mi chiamava era mia madre, quella che poi è stata uccisa per soli scopi politici.
Non aveva importanza se sarei dovuta essere Devonne o chi, io sarei rimasta la Mar di sempre.

 

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Capitolo 8
*** VIII - Povero Adam ***


«Stai bene? Non ti ci si vede da giorni, ci eravamo preoccupati»
Era Adam. Era da quel pomeriggio che non uscivo di casa, letteralmente. Lali aveva capito come uscire dalla porta e tornare in casa senza disturbarmi, e volevo capire come avesse fatto.
«Non sto molto bene, e vorrei restare sola, non voglio parlare con nessuno»
«Nemmeno con me?»
Lo guardai con gli occhi gonfi.
«Touchè, Adam»
«Va bene, spero di rivederti presto» mi disse mentre stava per andare via, ci ripensai immediatamente.
«No dai aspetta, è che sono successe una marea di cose che ho perso me stessa»
«Parlamene, cosa c’era scritto su quei fogli? Einstein ha detto che se proprio dovevamo saperlo saresti dovuta essere tu a parlarne»
Lo feci entrare e richiusi la porta, poi lo invitai a salire in camera, e gli porsi un foglio.
«Cosa? Sei stata adottata? Ma come è possibile?»
«È quello che ho pensato anche io» dissi facendo spallucce. Gli chiesi gentilmente se poteva evitare di sbandierare la notizia ai quattro venti, e lui aveva promesso che avrebbe mantenuto il silenzio.
Mi piaceva averlo come amico, aveva quella vena dolce e sarcastica che tutte le ragazze cercavano, non mi meravigliava il fatto che fosse il donnaiolo della scuola.
Sembrava strano ma quella piccola chiacchierata aveva cambiato il mio umore, così mi andai a fare una doccia, in fondo era da quel pomeriggio che non mi lavavo e non mangiavo normalmente, e l’odore non era dei migliori. Poi uscimmo.
Andammo dagli altri, e ciò mi fece stare ancora meglio.
Fino a quando non arrivò Sissi.
«Buon pomeriggio Raul, ciao idioti» il suo sorriso era rincuorante quanto quello di uno psicopatico.
Raul non la guardò nemmeno, in fin dei conti era con Virginia.
«Potrei sapere quand’è che lascerai quello stupido sedano e ti renderai conto che io sono il tuo unico amore?»
Fu Adam a risponderle, Raul faceva segno di spararsi alla testa se non avrebbero tappato la bocca a quell’oca.
«Elizabeth, tenera e dolce, forse non ti sei resa conto che ci sono ben due ragazzi in lista d’attesa per te, aspettano solo che tu guardi oltre ai loro brufoli e punti neri e li veda come i due cretini che sono realmente»
«Stai zitto! O vuoi per caso che dica a mio padre, che si da il caso sia il preside, di ciò che in realtà è la tua ragazza?»
«Chi, Marge? Perché lei è molto più intelligente, simpatica ed intelligente di te!»
Mi stavo gustando la scena fino al momento in cui Adam non aveva detto questa frase. Stava con una ragazza?
«Veramente io parlavo di quella autolesionista» disse indicandomi.
Istintivamente nascosi le mani nelle tasche della felpa, per poi risponderle bruscamente.
«Prima cosa non sono la sua ragazza, e seconda non sono autolesionista»
«Che strano, eppure le tue braccia direbbero il contrario» disse acidamente.
Quell’oca maledetta, l’avrei messa al rogo.
«Beh, io devo andare, non ho tempo da perdere con delle capre ignoranti come voi» disse con fare altezzoso prima di andarsene sculettando.
Adam mi si avvicinò in men che non si dica e mi tirò dai polsi, togliendo le mie mani dal calore delle tasche.
«Non ti preoccupare, è Lali, sai, è da giorni che non la porto fuori» mentì spudoratamente.
«Scusa, è che mi ero preoccupato» disse invece lui.
Quella frase mi rincuorò. Qualcuno si preoccupava per me?
«Sei serio?» domandai senza emozione.
Lui rimase lì fermo, senza negare ne confermare.
Ecco, avevo capito tutto.
Salutai velocemente e tornai a casa con le lacrime agli occhi.
In quella settimana ero stata un’altalena di emozioni, e l’unica fissa era quella che provavo verso Adam.
Pensavo, e speravo, che quel pomeriggio fosse successo qualcosa, che anche lui si era reso conto che qualcosa ci univa. Ma forse era così solo per me.
Credevo fosse il migliore amico perfetto, ma mi dovevo ricredere.
Provavo un sentimento che andava ben oltre l’amicizia, e me ne ero resa conto quando ero rimasta da sola.
Avevo bisogno di lui, del suo conforto, del suo sostegno, delle sue battute e del suo sorriso, e avevo bisogno di lui non solo come amico.
Ricevetti una chiamata da Adelita, e dal suo tono di voce capì che era successo qualcosa di brutto.
«Mar, ti prego dimmi che Virginia è con te, non la troviamo da nessuna parte ed ha anche il cellulare staccato»
Non attesi altro tempo e mi precipitai al Marquez dai ragazzi.
Passarono settimane e Virginia non era tornata, tutte le autorità erano state avvisate ma di lei non c’era traccia, poi una mattina, di punto in bianco, la trovammo ad aspettarci alla solita panchina come se non fosse successo nulla, aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Diceva di non ricordare nulla, ma ciò non ci tranquillizzava. Era spariva per due settimane, non potevamo far finta di nulla, ma non sapevamo cosa fare.
La lasciammo nella sua stanza, e Javier non perse occasione per darci dei braccialetti con incorporato un GPS che aveva ideato lui stesso.
Non era uno studente qualsiasi, era un genio. Andava bene nel decifrare codici al computer e a quanto pare a creare accessori veramente utili che non venivano nemmeno notati.
Ormai eravamo a fine aprile, e a  fine maggio sarebbero iniziate le vacanze estive.
Un bel pomeriggio ricevetti una chiamata da Adam, mi aveva chiesto se potevo uscire con lui quella sera per rovinare la serata a Virginia e Raul.
«Un’uscita a quattro per rovinare la serata ai nostri piccioncini? La cosa mi intriga» avevo risposto entusiasta.
In quelle settimane il rapporto tra me ed Adam era rimasto ad un punto morto, io stavo nel mio e non volevo nemmeno sapere se in quel periodo lui continuasse ad uscire con le ragazze della scuola, sempre se ancora qualcuna di loro gli andasse dietro.
Era cambiato, ed i suoi capelli ad ananas adesso erano di un unico colore, aveva tolto il verde.
«Allora ci vediamo davanti al cancello» avevo detto chiudendo la chiamata.
Ero in crisi, non sapevo cosa indossare.
Mi feci aiutare da Adelita, in quelle settimane il nostro rapporto era diventato più stretto.
«Ti vedo preoccupata, con chi esci?»
«Con Adam, non sapevi? Più che altro è per rovinare la serata a Virginia e Raul»
Ade aveva riso, per poi dirmi che non dovevo andare nel panico solo perché mi piaceva Adam: cosa che ovviamente avevo smentito visto che non avevo parlato con nessuno dei miei problemi di cuore.
«Ho solo bisogno di un consiglio da parte di un’amica, credi di esserne all’altezza?»
Lei aveva fatto spallucce.
«Sai, credevo che le amiche si aiutassero nel momento del bisogno, ma mi sbagliavo! Lo chiederò a Sissi, forse lei saprà come aiutarmi» dissi infuriata richiudendomi nel bagno, prima di sentirla sussurrare «È innamorata persa»
«Guarda che ti ho sentito!» le urlai attraverso la porta.
Alla fine optai per indossare un semplice jeans con una canotta, poi ricordai che nelle condizioni in cui ero era molto meglio indossare anche una felpa.
Arrivai davanti al cancello della scuola e trovai Adam che guardava spazientito l’orologio, aveva fretta.
«Scusa il ritardo» avevo detto dolcemente sorridendogli.
Quando mi vide cambiò espressione.
«No… Figurati»
A differenza di quello che avevamo programmato la serata si era svolta tranquillamente, senza che noi riuscissimo a far qualcosa per rovinarla.
Le battute e tutto il resto non erano servite a nulla, l’unica cosa sarebbe stata versare la bibita sui vestiti di Virginia, ma non volevo arrivare a quel punto.
Adam si offrì di accompagnarmi a casa, e nel tragitto parlammo di come quella serata fosse stata un fiasco.
«Oltretutto mi son dovuto sorbire tutte quelle frasi smielate, che schifo!»
«Non dirlo a me!» avevo detto io delusa.
Maggio arrivò in men che non si dica, e già mancava meno di una settimana alla fine delle lezioni, tutti ormai si erano fatti un’idea di come passare l’estate, e la cosa che più mi piaceva era il ballo di fine anno che ci sarebbe stato fra qualche giorno.
Quella mattina il preside ci convocò tutti nella palestra, doveva comunicare i partecipanti ai corsi di recupero estivi.
«Allora ragazzi, quest’anno, con l’aiuto della professoressa Hertz, abbiamo ideato dei corsi di recupero estivi per i ragazzi che sono a rischio bocciatura, così a settembre anche voi potrete entrare al quarto anno» annunciò facendo un colpo di tosse «i partecipanti saranno i seguenti» e via ad una lunga lista di nomi, mi domandai perché se eravamo così tanti i ragazzi a rischio bocciatura non ci passava direttamente all’anno successivo, in fin dei conti eravamo la maggioranza.
«Poi ci sono anche Marina Leonardi, Adam Della Robbia, Raul Stern e infine… Elizabeth Marquez? Cosa? Susan, credo che qui ci sia un errore» disse chiamando sul palco la professoressa di scienze.
Intanto notai il professore di ginnastica, Jim, che scuoteva la testa come se quella fosse una delusione troppo brutta da superare.
«Esatto papi, io mi chiamo SISSI!»
Nonostante tutti i ragazzi che ci dividevano notai la faccia del preside diventare di un rosso acceso, imbarazzo, rabbia… Forse adottare quella Sissi non era stata la sua scelta migliore.
Finirono le lezioni e tornai a casa, mangiai e mi preparai per uscire di nuovo.
«Dove stai andando?» mi richiamò mia madre dalla cucina.
«Esco, torno stasera»
«E chi ti prepara le valigie? Torniamo in Italia per le vacanze estive»
Ci pensai un po’ su. In Italia, paese in cui ero cresciuta, ormai non avevo più nessuno ad aspettarmi.
Nell’ultima videochiamata Eli mi aveva rimproverato gli errori di una vita, avevamo litigato e avevo deciso di non volerne più sapere nulla, eravamo entrambe cambiate e forse era meglio così.
«Non posso venire, ho i corsi di recupero estivi» la guardai facendo spallucce.
La vidi sbattersi una mano sulla fronte.
«Un giorno, quando sarai grande, mi dirai a cosa pensavi per andare così male a scuola» mi guardò apprensiva. Nemmeno io sapevo come spiegarmi tanto menefreghismo per le materie, in fin dei conti facevo come facevano tutti gli altri studenti. Forse per questo più della metà degli studenti avrebbero fatto i corsi con me.
Ad ogni modo la salutai con un bacio sulla guancia ed uscì, promettendole che non sarei tornata troppo tardi.
Entrai di soppiatto nella stanza di Adam e Raul, sapevo che avrei rischiato di trovarli in situazioni imbarazzanti ma importava ben poco.
Raul e Virginia erano su un letto mentre Adam era sul suo, dall’altro lato della stanza, a guardarli schifato.
«Novità, ragazzi?» la coppia mi fece di no con la testa, Adam invece era ancora assorto nel guardarli male.
«Beh, io sto andando a fare un giro, qualcuno viene con me?» proposi, sperando che almeno Adam dicesse di sì.
E così fu, e quando uscimmo dalla stanza non potei non sentire ciò che Raul disse ad Adam.
«Dille tutto»
Dirmi cosa?
Feci finta di nulla ed entrammo in un parco al centro della città tranquilli, chiacchierando del più e del meno. Lo vidi sorridere quando gli dissi che sarei rimasta lì per tutta l’estate.
Poi il suo sorriso scomparse e si fermò.
«Mar… Ti devo dire una cosa» mi disse senza riuscire a guardarmi negli occhi. E non mi piaceva affatto.
«Mar?»
Mi voltai istintivamente, non capendo chi fosse, non riuscivo a riconoscerne la voce.
Rimasi strabiliata.
«Maurizio?»
Adam impallidì notevolmente, e capivo che si sentiva molto a disagio.
«Da quanto tempo eh… Mi hanno detto che ti eri trasferita qui» mi disse timido il ragazzo.
Decisi che era meglio presentarlo ad Adam, non avrebbe risolto l’imbarazzo generale però avrebbe aiutato.
«Adam, lui è Maurizio, un mio vecchio compagno di scuola, Maurizio, lui è…» non feci in tempo a finire la frase che Adam mi liquidò dicendo di dover andare. Perché ora si comportava in questo modo?
«Ma non dovevi dirmi qualcosa?» domandai sperando tornasse indietro.
«Sarà per un’altra volta» si voltò per uscire dal parco, lasciandomi lì da sola con Maurizio.
Decisi di sfruttare il momento per fare qualche domanda al ragazzo moro che mi trovavo davanti.
In quei pochi mesi era cambiato anche lui, aveva cambiato taglio di capelli e modo di vestire, tecnicamente era solo cresciuto.
«Come mai sei qui da solo? Alla fine Anna ti ha dato buca?» dissi ricordando perfettamente i motivi per i quali io e lui avevamo chiuso ogni rapporto.
«È sempre stata lei a fare tutto, lo sai perfettamente, se ricordi io avevo anche più volte detto che doveva smetterla, ma lei continuava»
Volevo ridere, tanto era assurda quella frase.
Lo avevo conosciuto il giorno di ferragosto dell’anno prima, e da subito era nata una strana amicizia che ci stava portando allo stare insieme, che poi una volta ricominciata la scuola si era affievolita.
«Sì, e guarda caso tu non mi parlavi, non mi salutavi, nulla… Io ora sono cambiata, Maurizio, e ti ho dimenticato, mi facevi soffrire troppo»
Parlarne aveva un effetto liberatorio, dopo mesi in cui ero stata male finalmente mi ero resa conto che non mi faceva più alcun effetto. Probabilmente era la mia prima cotta adolescenziale, prima non riuscivo ad immaginare una vita senza di lui.
«Mar… Io ti amo»
Lo guardai comprensiva, erano le cose giuste dette nel momento sbagliato, ma non ci sarei cascata.
«Mi spiace, io ti amavo, ma adesso ho capito che il mio cuore appartiene ad un altro, non posso darti alcuna possibilità. Ora devo andare, ciao» lo liquidai brevemente senza dar troppe spiegazioni e cercai di chiamare Raul, probabilmente Adam non mi avrebbe mai risposto, non dopo quella gelosia che si era lasciato sfuggire.
Di Raul nessun segno di vita, mi limitai ad inviare un SMS ad Adam con il numero privato, poi mi sedetti su una panchina sperando che venisse.

 

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Capitolo 9
*** IX - Pugni in faccia ***


Dopo un po’ di tempo avevo già perso tutte le speranze, solo uno stupido avrebbe accettato l’invito da un SMS anonimo, specie dopo quello che stava succedendo a tutti noi.
Poi lo vidi arrivare, era abbastanza stupido da accettare un invito anonimo.
Mi assicurai che non mi vedesse, e quando mi dette le spalle presi un respiro e gli corsi incontro saltandogli sulle spalle e facendolo cadere a terra.
Sentì una smorfia di dolore, poi scoppiai a ridere.
«Ciao!» dissi allegra, ero ancora seduta a cavalcioni sulla sua schiena.
«Ah, sei tu» mi disse annoiato.
Restai delusa, ma chi si aspettava di vedere?
«Proprio entusiasta eh»
«Che ci fai tu qui, non eri insieme a quel nano?»
Lo guardai e scoppiai a ridere.
«Adam, quel nano è più alto di te, tu sei un chiodo»
Lo vidi impallidire.
«Io sono piacevolmente asciutto! E se non la smetterai di chiamarmi così ti farai un bel bagno nel lago» mi minacciò.
Mi alzai e lo guardai soddisfatta.
«Beh, dovresti solo provarci, non ci riusciresti»
Sbagliato.
Stavo per dirgli un’altra cosa, prima che lui mi prendesse di peso e buttasse nel lago, che schifo!
«Questa me la paghi!»
Lo vidi piegarsi in due dalle risate, ed immaginavo il perché. Avevo tutto il mascara sbavato, me lo sentivo.
Lo presi dalla maglia e lo buttai insieme a me, così imparava!
«Bella fresca l’acqua, eh?» lo stuzzicai.
«Con chi dovevi incontrarti?» domandai guardandolo negli occhi.
«Con una delle mie tante spasimanti, una che è pazza di me»
Inarcai un sopracciglio, si dava molte arie. Io avevo semplicemente scritto di venire al parco.
«Farò finta di non aver sentito la frase, ma ad ogni modo questa ragazza la conosci molto bene»
Mi fece spallucce, forse veramente non capiva.
Lo baciai.
Un lieve bacio sulle punte delle labbra bastò a mandare in corto circuito il mio cervello.
Ero felicissima, non potevo più aspettare,
«Tu oggi non stai bene» mi disse guardandomi negli occhi felice.
«Ragiono ancora, altrimenti non si spiegherebbe perché lo faccio di nuovo» risposi semplicemente baciandolo ancora.
Era sorpreso, non capiva.
«Ti amo, e mi stai facendo diventare pazzo»
Lo guardai sorridendo e scossi la testa.
«Tu sei il mio pazzo preferito»
«Lo ero anche davanti a quel nano?»
«Ancora con questo nano? Ti avverto, se continui ti chiamerò chiodo a vita, e… Cosa mi dovevi dire prima?» incalzai.
Lo vidi arrossire.
«Io… Ti amo, mi sono innamorato di te dalla prima volta che ti ho visto»
Lo guardai negli occhi ripensando al nostro primo incontro.
Come si poteva reputare normale una ragazza che diceva di scappare da un procione?
«Che ne dici di uscire da qui prima di prenderci entrambi un raffreddore?» proposi.
Mi accompagnò a casa tenendomi per mano, poi lo lasciai fuori dalla porta dopo avergli dato un bacio.
«Ma che hai fatto? Stai sgocciolando!» mi rimproverò mia madre.
Sorrisi al pensiero, poi le dissi che andavo a fare una doccia, ero caduta nel lago.
«Aspetta!» mi richiamò mentre salivo le scale.
«Domani porta questo foglio al preside, visto che passerai l’estate qui da sola ho fatto richiesta per internarti al Marquez, non voglio lasciarti qui da sola»
Presi il foglio felice, quella sarebbe stata la migliore estate della mia vita.
Ricevetti un messaggio da Adam, aveva chiesto se sarei andata al ballo con lui.
Sorrisi ancora ripensando a quella giornata, ed anche ad una precedente.
Ero appena arrivata nel cortile della scuola e, per sbaglio, mi ero scontrata con Adam che aveva un occhio nero.
«Che hai fatto all’occhio?» avevo domandato preoccupata.
«Niente di grave, Sissi mi ha tirato un pugno»
Lo guardai meravigliata.
«Sissi ora tira anche pugni in faccia? Dici che ti passerà prima del ballo?»
Mi guardò come se fossi pazza.
«Non credo di partecipare»
«Ma come? Adam, non credi che i balli siano una cosa fantastica, romantica, affascinante…» venni interrotta.
«Sì certo, nell’ultimo episodio della mia serie tv preferita il protagonista scopre che la sua ragazza del ballo era sua sorella, divertente no?»
Scossi la testa.
«Veramente io parlavo di veri balli, e a quanto pare tu non riusciresti a capire un momento romantico neanche a pugni in faccia, forse riusciresti solo a capire un pugno in faccia se lo ricevessi: non c’è nulla di romantico in te»
«Ecco qualcosa di romantico, non ho più voglia di parlare con te!»
«Bene!» avevo sbottato andandomene via.
Era ironico, sembrava uno scherzo della natura.
Due ragazzi che a volte non si sopportavano in realtà si amavano.
Andai a dormire felice, quella settimana era stata carica di emozioni ed era solo mercoledì.
«Ma ragazzi, si può anche cambiare idea!»
Ero arrivata dai ragazzi nel bel mezzo del discorso, mi ero seduta al tavolo ed avevo iniziato a mangiare il mio pranzo.
«E quindi con chi andrai al ballo?» domandò Adelita ad Adam.
«Non so ancora di preciso, forse Natasha o Natalie» aveva risposto tranquillo lui.
Era il colmo. Giusto la sera prima mi aveva chiesto se volessi andarci con lui e poi cambiava idea? Mi stava prendendo in giro?
Non riuscì a contenermi dal battere un pugno sul tavolo.
Virginia mi guardò spaventata.
«Stai bene?»
«Ne dubiti?» avevo risposto guardandola male.
Me ne pentì subito, lei non aveva fatto nulla.
Guardai Adam e mi alzai dal tavolo.
«Devo prendere un succo di frutta, vieni con me» dissi prendendolo dalla maglietta.
Sentì addosso gli sguardi stupiti di tutto il resto del gruppo.
«Ma si può sapere che ti prende?» mi domandò una volta fuori dalla mensa.
«Cosa mi prende? Ma hai avuto un’amnesia?» lo guardai con odio.
«Non ti ricordi proprio nulla eh?»
«Cosa dovrei ricordare?» mi guardò stupito. Forse veramente non ricordava, e ciò faceva ancora più male.
«Niente, lascia stare» dissi guardando a terra con le lacrime agli occhi «Sai, lo sapevo, non ti interesso. Credevo che dopo ieri ci fossimo avvicinati, ma a quanto pare mi sbagliavo»
Ed avevo pienamente ragione.
Dopo qualche secondo si avvicinò a noi una ragazza, baciò Adam e mi guardò in cagnesco.
«Non credo di aver bisogno di spiegazioni» sussurrai andandomene con il cuore in frantumi.
Non ci potevo credere veramente, dopo quei mesi di amicizia mi fidavo di lui e lui mi ricompensava in quel modo, prendendomi in giro.
Scappai da quella straziante scena, non riuscivo più a reggere.
Solo mezz’ora dopo ero tornata alla mensa, stavo morendo di fame e oltretutto speravo che i miei amici fossero andati via.
Ed invece no.
Mi sedetti al tavolo come se non fosse successo nulla, cercando di evitare Adam, che d’altro canto non faceva altro che cercarmi con lo sguardo. Ma che razza di problema aveva?
Lo vidi alzarsi e sedersi accanto a me, per poi sussurrarmi qualcosa.
«Che cosa mi è preso? Mi è presa la voglia di non farmi prendere per il culo, ecco cosa!» sbottai urlando.
Adelita ci guardò stranita.
«Dovete per caso dirci qualcosa?»
«Devi sapere la verità» mi disse Adam prendendomi la mano e facendomi uscire dalla mensa così com’ero. Con un bicchiere di succo d’arancia in mano.
«Cosa ti è successo?»
Decido di non rispondere. Non è umanamente possibile che sia così stupido e che abbia la memoria così corta.
«Allora?»
«Ma mi prendi in giro? Ieri eravamo al parco a dire che ci amiamo, ed oggi prima dici che non sai chi invitare al ballo, dopo che hai invitato me, e dopo ti baci quella?! Ma sono scema io?»
«Adam, cucciolotto! Che ci fai qui, è da prima che ti cerco!» ecco. Era la ragazza di prima, era tornata e stava per abbracciare Adam se non fosse che lui l’aveva allontanata.
«Natasha, smettila»
«Ma tesoro, cosa dici? Perché stai qui con questa?»
«Questa?» sbottai io.
La vidi pararmi davanti e spingermi, senza riuscirci. Ma come si permetteva?
Contai fino a tre. Dovevo restare calma.
«Non amo essere toccata!» le dissi prima di versarle addosso il bicchiere con il succo sulla sua maglia bianca. Era vero, odiavo essere toccata.
«Ma come ti permetti!» mi urlò contro tirandomi uno schiaffo.
Mi domandai come mai Adam non ci stagliava, poi lo vidi mentre cercava di trattenere la ragazza.
Non mi trattenni e le tirai un pugno in faccia, e non fu una cosa buona, l’istante dopo arrivò urlando Jim, come se fosse un cane da caccia.
«Dal preside, immediatamente!» urlò.
Non ci potevo credere, Adam mi aveva fatto tutto questo.
Ero la vittima e mi son dovuta prendere una settimana di punizione insieme ad Adam mentre Natasha, che a quanto pare era amica stretta di Sissi, se la passava liscia. Ora capivo il perché del pugno di Adam.
Ecco, pensavo di nuovo a lui, ai suoi capelli biondi, ai suoi occhi scuri e al suo fisico asciutto. Lo amavo, e lo amo, e penso che sarà così per sempre, ma a quanto pare io ero solo una delle sue cotte passeggere. Ero solo un giocattolo, una pedina.
Forse avrei dovuto cercare di far finta di nulla e dimenticare, allontanarmi dal gruppo.
Dopo qualche giorno in cui ero rimasta a casa mi arrivò un messaggio da Adam, era previsto un incontro con il resto del gruppo nel bosco.
Andai lì, e non mi stupì di quando una volta arrivata trovai solo lui.
«Dove sono gli altri?»
«Si stanno preparando per il ballo, non si presenteranno»
«E allora perché noi due siamo qui?»
«Io… Voglio essere sincero»
Mi sedetti su un tronco aspettando che parlasse.
«Non avrei voluto che succedesse tutto questo, e… questa è per te» mi disse dandomi una collana a forma di cuore, la guardai, c’erano incisi i nostri nomi.
«Te l’avrei dovuta dare prima che succedesse tutto il casino…» lo bloccai.
Avevo capito tutto.
«Ho pensato a tutto quello che è successo… Ed ho capito che ti amo davvero»

 

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Capitolo 10
*** X - Dove sei? ***


«Ditemi che l’avete trovata» avevo imposto ai miei migliori amici una volta arrivato alla solita panchina, l’ennesima notte in bianco.
Loro mi guardarono tristi, non c’era bisogno di spiegazioni. Nel frattempo in me ripercorrevano tutti i ricordi di quella sera.
Io che mandavo il messaggio a Mar, che mi dirigevo nel bosco con la speranza che venisse e l’ansia che non ci fosse più nulla da fare, la collana, il bacio… Il suo “ci vediamo più tardi”.
Quella fu l’ultima volta che vidi Mar, la mia ragazza.
Avevamo deciso di poter ricominciare.
L’avevo salutata e ci eravamo dati appuntamento al ballo, ma lei non si presentò.
Non venne nemmeno a scuola per i giorni successivi, e, come avevamo fatto per Virginia, allarmammo tutti. Anche Marina era svanita nel nulla, nessuna traccia di lei.
«Ed il GPS che avevi fatto, genio?» avevo chiesto arrabbiato a Javier.
«Ha tolto il braccialetto quel pomeriggio stesso, è rimasto fermo in camera sua da allora»
Ed era successo di nuovo. Un’altra ragazza che svaniva nel nulla.
Mi domandai solo se, come Virginia, tornasse anche lei.
«Ragazzi, vorrei esservi più di aiuto, ma non riesco» aveva detto sospirando Virginia.
Lei era l’unica che poteva veramente aiutarci nel ritrovamento, peccato non ricordasse nulla.
«Non ti preoccupare» aveva detto Javier «in questo momento sto controllando tutte le telecamere del mondo, per vedere se magari il suo volto appare da qualche parte»
Delle volte Javier mi stupiva. Avevamo solo quattordici anni e lui era già un mago del computer ed un ottimo hacker, peccato non mi avesse mai aiutato a scoprire tutte le domande dei test scolastici, mi domandavo come mai ancora ne’ FBI o CIA lo avessero contattato per lavorare con loro, in fin dei conti non era una cosa facile tenere sotto controllo un miliardo di telecamere sparse in tutto il mondo.
«Notizie dalla polizia invece?» aveva chiesto il mio migliore amico Raul, ci conoscevamo sin dalle elementari e negli anni avevamo stretto un’amicizia talmente forte da ritenerci fratelli. Anche se eravamo molto diversi, lui molto riservato e chiuso in se stesso, io invece abbastanza esuberante.
«Non hanno trovato nulla, i genitori di Mar hanno aiutato il più possibile nelle indagini, ma nulla»
Cercavo di non buttare la spugna, Mar era ancora viva in qualche parte del globo, me lo sentivo.
Il computer di Javier iniziò a fare un rumore incomprensibile ed orrendo, e ci allarmò tutti.
«Ragazzi, ho trovato qualcosa» aveva esclamato il mio amico.
Immediatamente ci precipitammo tutti alla sua scrivania, preoccupati e curiosi.
«Quell’associazione non ha trovato Mar per caso, avevano calcolato tutto» iniziò a parlare.
«Cosa vorrebbe dire?» aveva domandato Ade.
«Il padre, o lo zio, di Mar non ha trovato lavoro qui per caso, anzi, non lo stava nemmeno cercando. Il Codice Genesi aveva rintracciato la nostra amica, e per avere lei ed Ade vicine ha contattato i genitori offrendo un lavoro che non potevano rifiutare, così erano sicuri che avrebbero portato anche lei qui»
Non ci potevo credere. Quello che pensavo fosse un segno del destino era stato pianificato nei minimi dettagli, e mi domandai cosa potessero mai volere dalla mia ragazza e da noi.
«Hai più informazioni? Magari la loro base, o il motivo per cui vogliono me e Mar?» era sempre Adelita a parlare.
Sentì Javier fare un lungo respiro, voltarsi verso di noi ed iniziare a raccontare.
Non ce l’avevano con Mar e Ade, ma con le loro famiglie.
Un certo Lambert, padre di Adelita, aveva tradito il capo dell’associazione in un esperimento scientifico che avrebbe trovato la soluzione per evitare il consumo di petrolio, in quanto avevano idee politiche troppo diverse. Lambert aveva trovato la soluzione, ma il suo collega non voleva svelarla a nessuno per via dei guadagni che sarebbero andati via.
Così era sfociata una lite che era terminata con lo sterminio della famiglia di Lambert, coinvolgendo la moglie, i genitori e sua figlia, Adelita. Solo non capivo come mai Marina fosse lì in mezzo.
«Avrei voluto dirlo con Mar presente» continuò Javier «Marina sarebbe… Devonne Lambert. La sorella di Adelita, ho fatto molte ricerche per accertarmi che fosse così, ed i fatti coincidono»
A quanto pare Mar, o Devonne, era la sorella maggiore di Ade, nonostante si passassero solo due mesi: Mar nata a gennaio, Adelita a dicembre,
La prima adottata dagli zii, dalla sorella della moglie di Lambert, e la seconda da un cugino di Lambert stesso.
Rimasi sorpreso. Tecnicamente Adelita era mia cognata.
Guardai la mia amica con i capelli rosa e non era minimamente sorpresa, probabilmente era già a conoscenza del fatto.
Guardai l’orologio e notai che era l’ora di andare ai corsi di recupero, nonostante la brutta situazione non volevo rischiare una bocciatura.
Mi diressi in classe con lo sguardo basso, era da giorni che mi torturavo.
Se solo fossi stato più forte e meno stupido.
Avevo i sensi di colpa ad un livello allucinante, avevo fatto la cosa peggiore che si potesse fare ad una persona che ti ama: tradire la fiducia.
Come un cretino avevo lasciato che Natasha mi baciasse nonostante sapevo che lo faceva apposta.
L’avevo piantata in asso settimane prima, e ciò non le era piaciuto, mi aveva baciato per il solo gusto di farmi perdere la ragazza che amavo.
«Della Robbia, è ancora lì con noi?»
Quella frase mi svegliò da tutti i miei pensieri, ero in classe, l’insegnante mi aveva sorpreso a fissare il vuoto.
Avevo annuito facendo finta di nulla.
La professoressa Hertz mi guardò apprensiva, consigliandomi di andare a prendere una boccata d’aria, tutti erano venuti a conoscenza del rapporto che avevo con Mar, e potevano capire che non fosse facile.
Uscì dalla classe ringraziandola per la prima volta nella mia vita, e mi diressi nel bosco, volevo stare da solo.
Ma non lo ero, non lì.
Sentì un rumore che mi fece accapponare la pelle.
«C’è qualcuno lì?»
Istintivamente mi toccai il polso sperando di avere ancora il bracciale con il GPS che mi aveva fornito Javier, e fui sollevato nel trovarlo lì.
Poi la vidi, era lì davanti a me con uno sguardo stupito.
«Adam!» la vidi sussurrare felice, poi mi corse incontro e mi abbracciò.
La strinsi, non l’avrei lasciata mai più. L’avrei tenuta accanto a me come se fosse il diamante più prezioso di tutti.

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