Il caso M. Johnson

di Cathy Earnshaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** M.J. - Sed.1 - CONSAPEVOLEZZA ***
Capitolo 2: *** M.J. - Sed.2 - ACQUISIZIONE ***



Capitolo 1
*** M.J. - Sed.1 - CONSAPEVOLEZZA ***


Non so come quella consapevolezza si fosse fatta strada in me, né quando. So solo che sapevo. La nostra società, il nostro mondo, tutta una farsa, una ignobile menzogna alla quale tutti eravamo soggiogati. Ma possibile che io fossi l’unica a sapere? Quanti altri, come me, si fingevano ignari per paura di essere messi a tacere? Poteva esistere un modo di cambiare il corso della nostra storia? 





M.J. - Sed.1 - CONSAPEVOLEZZA



Immoto e immutabile, il copione della nostra pacifica vita si stendeva davanti ai miei occhi, come il vago ricordo di un sogno lontano. Un sogno in cui mi sentivo felice e appagata. Il Regime non era oppressivo, anzi, mi aveva aiutata giorno dopo giorno ad individuare le mie attitudini e i miei punti di forza, perché potessero essere messi al servizio di Città Stato. Mi era stato permesso di studiare, di scegliere un’area di specializzazione, e l’unica cosa che mi veniva chiesta in cambio era la lealtà, il rispetto del Garante e delle leggi che questi promulgava. Tutto sommato non era un prezzo alto. 
Nel pieno rispetto della normativa vigente, anch’io avevo condotto i miei studi presso Vera Conoscenza, il polo scolastico principale del pianeta Dea. Là avevo studiato, scoperto, imparato. La città di Capitale era splendida ai miei occhi, un tripudio di elegante marmo bianco a incorniciare i palazzi del governo di Città Stato, il vertice di un impero che si estendeva fino a coprire Dea nella sua interezza, e che il Garante aveva l’onore e l’onere di proteggere. A contrastare meravigliosamente con la pietra stavano le immense chiome degli alberi che ci sovrastavano, oscurando quasi completamente la vista del cielo al di sopra. 
La mia famiglia aveva sempre vissuto a Capitale, e non avevo la minima idea di cosa ci fosse veramente fuori. Le mie fantasiose conoscenze si basavano sulle informazioni e sulle immagini che i documenti raccolti a Vera Conoscenza veicolavano. In realtà non provavo il desiderio di viaggiare, cosa che comunque non sarebbe stata così semplice: per spostarsi da una città all’altra era necessaria una particolare autorizzazione del Garante, e bisognava seguire le rotte prestabilite. Non c’era da scherzare, era una questione di sicurezza. Il mondo al di fuori delle città era pericoloso, popolato da creature ingovernabili. Si tramandava più di qualche storia su quei mostri pallidi e longilinei capaci di sottomettere la volontà delle loro vittime abbastanza a lungo da gustarsi i loro cervelli con tutta calma. Vivevano nutrendosi di pensiero cosciente, e ciò che restava di chi aveva la disgrazia di incrociare il loro cammino non era altro che un guscio vuoto da riempire di nuovo da capo. Ma c’erano anche persone che avevano più coraggio e incoscienza della media e che, facendo del viaggio una ragione di vita, si appiccicavano l’apposita targa sul petto e partivano. 
A proposito di targhe, il sistema identificativo era molto rigido, perché i Tutori, ovvero quelle persone che su mandato del Garante si preoccupavano di mantenere l’ordine di Città Stato, avevano bisogno di capire al primo colpo d’occhio – e di scanner – se si trovassero di fronte ad una persona a posto oppure no. Per questo era necessario segnalare che tipo di affari si conducevano, applicando la giusta targa sul petto: si poteva essere cittadini, turisti, viandanti, ospiti… un elenco standard di giustificazioni alla propria presenza in un certo luogo.
Tutto logico, regolare, consequenziale. Il trionfo del nesso causa-effetto. Una vita semplice e appagante. O almeno era quello che pensavo quando ancora vivevo appieno l’illusione. Che cosa c’era di diverso dagli altri, in me? Tutto iniziò con quel sogno, che non era un sogno come tanti, e al mio risveglio mi aveva lasciato addosso la sensazione di aver vissuto qualcosa di reale. O che per lo meno era stato tale. Da quel momento in poi non mi era stato più possibile liberarmi di quella sensazione di disagio, una consapevolezza che non potevo sopire, o più semplicemente ignorare. Qualunque cosa facessi, qualunque persona frequentassi, in qualunque posto mi trovassi, percepivo la menzogna. E anche se razionalmente sapevo che non avrei dovuto prestare fede a qualcosa visto in sogno, la mia essenza più profonda aveva preso quel qualcosa e l’aveva immediatamente accettato e metabolizzato, come se si fosse trattato non già di un sogno, ma di una promanazione dello stesso Dea, o della condensazione di un ricordo collettivo troppo a lungo rimosso. O imbrigliato.

Camminavo in una città che non era Capitale, che non era nemmeno uno dei centri di Città Stato, ma che sentivo di conoscere bene. Ero su Dea, di questo ero certa. Tutto era diverso da ciò a cui ero abituata, ma non per questo me ne sentivo spaventata o intimorita. Anzi, mi sentivo libera come non lo ero mai stata. Eppure non avevo mai avvertito senso di oppressione nella mia realtà. Ci avevo messo un po’ prima di capire quale fosse il punto: gli alberi. Le loro chiome non racchiudevano la città come uno scrigno, ma sopra di me si apriva un cielo azzurro e limpido, a perdita d’occhio. Mi sentii espandere i polmoni come se avessi ricominciato a respirare dopo tanto tempo. La luce calda mi colpiva il viso e mi faceva bruciare gli occhi, ma tutto era gioia. Un improvviso risveglio. Le case e i palazzi non erano per niente di marmo, ma di mattoni e cemento intonacati di bianco e dipinti di giallo, o di rosa, un’esplosione di colore. Incrociavo, su quelle strade ricoperte di uno spesso strato di catrame e attraversate da rumorosi veicoli a quattro ruote, persone vestite di capi dall’aspetto scomodo, pieni di cerniere e bottoni. Nessuno mi notava, come fossi stata più inconsistente di un fantasma. E, cosa ancora più incredibile, c’erano fontane! Fontane da cui l’acqua zampillava allegra. Non avevo mai visto nulla di simile, eppure era lì, ben oltre le mie capacità di immaginazione, chiaro e reale tra le mie mani. Avevo vagato un po’ per quel mondo stupefacente, scoprendo, appena oltre la periferia della città, fiumi e campi coltivati, l’orizzonte profilato di montagne. Con il cuore colmo di infantile felicità, avevo camminato senza meta, incapace di trattenere la meraviglia, e desiderando di non abbandonare mai quel folle senso di libertà, di autodeterminazione. Ma, così come all’improvviso era cominciato, all’improvviso era tutto finito.

Al mio risveglio gli occhi  si erano inevitabilmente sbarrati sul soffitto bianco della stanza che condividevo con mio fratello. Era stato un sogno, nulla di più. Ma quel senso di nostalgia che cos’era? Dentro di me era nato il seme di una consapevolezza che ero certa non mi avrebbe più abbandonata. 

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Capitolo 2
*** M.J. - Sed.2 - ACQUISIZIONE ***


M. J. – Sed. 2 – ACQUISIZIONE

 
Il giorno seguente ero irrequieta, tremendamente irrequieta. Mi ero alzata prima del solito e, avendo cura di non svegliare mio fratello, ero uscita dalla mia stanza in punta di piedi e con la borsetta sotto braccio, per addentrarmi nell’abitazione deserta. I miei genitori erano andati a lavorare presto, quel giorno. Erano entrambi professori e a Vera Conoscenza era in programma una conferenza sull’utilizzo controllato dell’Acqua nella medicina sperimentale.
Come tutti noi sapevamo, l’Acqua era una sostanza estremamente pericolosa: era assolutamente necessario farne un uso oculato, maneggiarla molto attentamente, sempre protetti dalle apposite tute. Le più basilari nozioni di autoconservazione contemplavano un’ampia gamma di rischi legati all’Acqua. Città Stato aveva elaborato un complicato sistema di canalizzazione per impedire che questa potesse entrare in contatto accidentale con le persone, mettendo in pericolo la loro vita. La conferenza in programma quel giorno toccava quindi corde molto sensibili, e tutti gli studiosi di Capitale erano stati invitati dal Garante in persona a prendervi parte.
Fino a poche ore prima avevo avuto anch’io intenzione di partecipare e in qualità di Dottoranda in Filosofia della Morale ne avrei avuto tutto il diritto, ma di colpo la cosa aveva perso ogni attrattiva. Nel mio sogno avevo visto l’Acqua zampillare da elaborate fontane, senza alcuna protezione, e nonostante questo i bambini che vi immergevano le mani non ne restavano gravemente feriti, né mutilati, e nemmeno erano morti istantaneamente al contatto. Certo, era stato solo un sogno, razionalmente lo sapevo, ma non potevo fare a meno di sentirmene inquietata.
Le attività a Capitale quella mattina sembravano congelate, non si vedeva nessuno oltre ai Tutori per strada. Io non sapevo dove andare: una parte di me mi attirava verso l’abitazione della famiglia di Noël, ma non sarebbe stato educato presentarmi là a quell’ora del mattino. Così mi limitai a lasciarmi guidare dai miei piedi.
Il grande orologio della Torre, il centro del potere giuridico, segnava l’ora del primo pasto. Nel sogno avevo visto le lancette degli orologi indicare i numeri disegnati sui quadranti e ne avevo istintivamente compreso la logica, per quanto improbabile.
Scoprii poco dopo dove le gambe mi stavano portando meccanicamente, e mi stupii della sensatezza di quella scelta. Davanti a me stava l’immensa struttura di Vera Conoscenza, l’unico posto in cui potessi sperare di trovare qualche risposta alle mie domande prive di ragione e di etica. Il cristallo brillava nella luce affusolata che traspariva dalle chiome degli alberi: il Garante l’aveva voluta così, completamente trasparente. Una scelta simbolica che stava a mostrare come non vi fossero nozioni precluse ad uno studioso. Attraverso quelle pareti inconsistenti potevo vedere la sala conferenze già gremita di persone. L’accesso alla sconfinata Docuteca era libero, per lo stesso motivo che stava alla base delle scelte architettoniche, era sufficiente mostrare la propria targa al Tutore posto all’ingresso, cosa che feci. Entravo in quel luogo ogni singolo giorno della mia vita sin da quando ero bambina, e nonostante questo il Tutore non aveva mancato di controllare le mie credenziali, il ché mi aveva sempre fatta sentire al sicuro. Era rassicurante sapere che qualcuno prendeva tanto sul serio la nostra sicurezza… oppure no? Qual giorno non me ne sentivo affatto rassicurata, anzi, quando lo scanner passò con un lieve segnale acustico e la voce atona del Tutore disse “benvenuta a Vera Conoscenza, Mercy Johnson” rabbrividii, attraversata da un ingiustificato moto di ribrezzo, che repressi immediatamente. Non sta bene mostrare ne proprie emozioni in pubblico, questo lo sanno tutti, e io avevo ricevuto un’educazione impeccabile, che non avevo alcuna intenzione di sminuire. I Johnson, una stirpe di brillanti accademici, potevano permettersi certe libertà anche meno di altri.
Come preventivato, la Docuteca era completamente deserta, quella mattina. Il ronzio delle ventole di aerazione era quasi assordante in tutto quel silenzio. Da dove poteva essere più produttivo cominciare? Mitologia, epica, storia…? Mi sedetti alla postazione, posai i palmi sul piano-specchio e chiusi gli occhi. Il lieve pizzicore della pelle a contatto con la superficie fredda mi strappò un sospiro. Normalità confortante. Davanti alle mie palpebre chiuse si dipanò all’istante una sconfinata sequenza di cartelle, non mi restava che sceglierne una. Allungai il mio braccio mentale per selezionare la cartella etichettata “storia” e quella subito mi snocciolò le proprie sottocartelle. “Dea, storia universale, compendio”, scelsi il documento che mi attirava di più e lo estrassi dalla cartella, posandolo sul lato psichico del piano-specchio sotto forma di scatola. Era una cosa che avevo fatto così tante volte nella mia vita che mi sembrava incredibile provare una simile eccitazione davanti ad un gesto tanto abitudinario. Eppure mi sentivo il cuore rimbombare nelle orecchie, e nemmeno la mia rigida disciplina riusciva a placarle la sensazione di fare qualcosa di immorale mettendo in dubbio tutto il bagaglio di conoscenze che il Regime mi aveva premurosamente fornito. Aprii la scatola con gesti misurati, permettendo al suo contenuto di fuoriuscire e riempire ogni angolo della mia mente.
Era tutto lì: nozioni e immagini che conoscevo da sempre, memoria della nostra comunità così efficiente e amalgamata. Davanti al mio sguardo psichico si susseguivano le epoche e i Garanti, i periodi floridi e le carestie, la terribile pandemia della Prima Epoca causata dal guasto del sistema di canalizzazione della falda acquifera di Città-Stato. Constatai freddamente che fino a poche ore prima non mi sarebbe parsa affatto una nota stonata, ma sentivo ancora il gorgogliare delle fontane in sottofondo.
Risalii pazientemente fino alle origini, al Caos Primigenio, prima dell’elezione del primo Garante. Era tutto fuoco e fiamme, l’assenza assoluta di ordine sfociava nella violenza e nel terrore. E prima di quello il niente.
Fui colta da un pensiero e richiusi per un momento la scatola, liberando tutto lo spazio psichico circostante dalle terribili immagini da cui ero stata circondata. Il Garante veniva eletto da un’assemblea di cento cittadini tirati a sorte tra tutta Città-Stato. Questi giuravano di agire nel bene e votavano uno tra i candidati, e chiunque poteva candidarsi, ma prima di essere dichiarato eleggibile un candidato si doveva sottoporre ad una serie di test: un Garante doveva essere esperto di leggi, di scienze, di psicologia e di molto altro, ed era comprensibile dato il ruolo che ambiva a ricoprire. Una volta eletto rimaneva in carica sino a quando ne aveva la forza.
Conoscevo il funzionamento di Città-Stato, conoscevo la legge, i meccanismi che stavano dietro al complesso sistema amministrativo, ma non avevo memoria dell’elezione dell’ultimo Garante. O meglio, ricordavo che si era svolta e ricordavo i festeggiamenti, ma quello che in cui era concretamente consistita era nebuloso. Mi appuntai di approfondire l’argomento e riaprii la scatola.
Più proseguivo nella ricerca più restavo sorpresa di quanto poco materiale si conservasse a Vera Conoscenza sulle origini di Città Stato e, più ampiamente, di Gea. Sì, i testi erano molti, ma contenevano tutti le stesse nozioni ripetute all’infinito, senza approfondire alcuni passaggi, esasperandone altri. La ragione doveva esserci, poteva spiegarsi con le difficoltà contingenti al periodo in esame. Ma c’erano altre cose che mi destavano delle perplessità, ed erano le costanti: il racconto si faceva sempre confuso nei momenti di congedo di un Garante e di elezione del successivo, e a intervalli di circa una due generazioni capitava un incidente catastrofico che aveva a che fare con l’Acqua.
Chiusi definitivamente la scatola “Storia universale” e la riposi tra le altre sottocartelle. C’era qualcosa che mi sfuggiva, ne ero certa, sentivo quel famigliare senso di disagio caratteristico dello studioso frustrato. Pescai una nuova cartella intitolata “Il Caos Primigenio”, la posai sulla superficie e la aprii. I miei occhi si riempirono di vivide immagini di distruzione. Rimasi per un momento senza fiato: ero certa di aver già sondato quel terreno in passato, ma non ne conservavo ricordi particolarmente traumatici. In quel momento, invece, restai lì, psichicamente immobile davanti a quell’immane tragedia. Il fuoco consumava le case e gli alberi, gli edifici crollavano, pietra diversa da quel marmo immacolato che implodeva su sé stessa senza lasciare scampo. E c’erano delle persone, in mezzo a quella distruzione, ombre scure e annichilite, troppo disperate e spaventate persino per scappare. E c’era anche altro. Figure lunghe e sottili che si muovevano flessuosamente, all’apparenza per nulla toccate dal caos che le circondava. Anzi, si avvicinavano silenziosamente alle ombre scure, fino a sovrastarle senza che queste potessero sospettare nulla, e le attaccavano subdolamente alle spalle.
Mi ritrassi, spaventata, e richiusi la scatola. Erano quelli i mostri di cui i viandanti parlavano, quelli che abitavano le zone più pericolose di Gea e che si nutrivano di pensiero cosciente. Avevo già studiato quei documenti, tutti gli studenti di Città-Stato lo facevano, ma io li vedevo quel giorno per la prima volta. Con gli occhi liberi da preconcetti, intendo.
Fu in quel momento che decisi quale sarebbe stata la mia mossa successiva: per qualche motivo istintivo ero certa che tra quelle immagini e l’elezione del primo Garante ci fosse un nesso.

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