The Jewel di Scaramouch_e (/viewuser.php?uid=2646)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** capitolo IV ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e
messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio
tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della
fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn,
per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a
fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio
capitolo...
Buona
lettura.
Prologo.
Frodo
e Sam avevano incontrato un essere deforme e l’avevano domato
quella stessa sera. Ora erano in tre a
viaggiare insieme, con la corda elfica legata
attorno al collo della creatura che
urlava e piangeva perché non sopportava quel laccio.
La donna che li seguiva di nascosto era
sempre più contenta di non essersi mostrata, perché
quella presenza le era insopportabile alla vista: odiava la creatura
che stava con i due hobbit, ma voleva seguirli comunque.
Li rincorreva per curiosità, poiché non si
vedevano molti mezz’uomini negli Emyn
Muil, e perché aveva sentito parlare dagli orchetti di un
hobbit che portava un oggetto di grande valore per il Signore Oscuro.
Era lo hobbit con i capelli neri ad avere
l’elemento prezioso che il Signore Oscuro voleva. Da quando
si trovava nelle terre oscure non aveva mai visto né sentito
nulla del genere, e per questo motivo
inseguiva i due mezz’uomini, appiattita,
nascosta alla loro
vista.
Fin
da quand’era piccola amava
giocare con spada
e arco, per poter uguagliare le leggendarie
donne delle storie che Luine, sua madre,
le leggeva da
un grande tomo scritto decenni prima.
Ella era brava e metteva passione nei suoi gesti, tanto
da esser notata da Boromir, figlio
del Sovrintendente di Gondor.
“Ti va se giochiamo insieme alla guerra?” le aveva
chiesto un giorno Boromir,
che era già grande
abbastanza a quell’epoca, anche se non troppo da non poter
giocare.
“Prima devi parlare con mia mamma” aveva risposto la
giovane fanciulla, senza
provar timore nel guardare negli occhi del ragazzo.
Boromir aveva annuito, facendosi
guidare verso la casa umile e popolare dove lei viveva con sua madre,
una donna mortale che aveva amato un elfo con poteri di
guarigione.
Il figlio del Sovrintendente parlò
con la donna, e se questa inizialmente
sembrò sorpresa e un po’ indispettita, quando
capì che i giochi non avrebbero tolto tempo agli studi della
figlia parve
riflettere. “Anzi, potrebbe studiare anche
meglio: giocheremmo vicino al palazzo dove, come
ben sa, c’è la biblioteca” aveva proseguito
il giovane, e sua
madre aveva accettato.
“Il mio nome è Eliean” si era presentata
la ragazza e Boromir l’aveva salutata militarmente prima di
andarsene.
“Mi chiamo Boromir” si era presentato a
sua volta il figlio del Sovrintendente.
“Vi conosco, messer
Boromir!” aveva
urlato la
giovane guardando il condottiero andarsene.
Nel
cuore della giovane c’erano stati gratitudine e sorpresa. Mai
si sarebbe immaginata di poter giocare con un condottiero come Boromir.
Gli allenamenti erano
cominciati quella
settimana stessa. Erano
stati duri, ma lei
non si era mai
lamentata, anzi, era
orgogliosa delle sue cicatrici.
Aveva continuato a
allenarsi duramente e, allo stesso tempo, aveva
studiato sui tomi
antichi e polverosi della biblioteca di Minas Tirith con Faramir, il
fratello minore di Boromir, e
un vecchio saggio con il mantello grigio, che lei conobbe con il nome di Apeliote. [1]
Costui era un viaggiatore e un uomo assai sensato che presto si era
preso a cuore il
destino di Faramir e della fanciulla, facendo loro da
maestro.
“Miss
Eliean, miss Eliean!” l'aveva
chiamata una donna
mentre stava giocando con Boromir.
I lunghi capelli rossi acconciati in treccine
per non esser di peso durante gli allenamenti, gli abiti maschili e la
spada puntata contro l’uomo. Così
appariva la fanciulla in quel momento. Faceva
caldo e difatti goccioline di sudore imperlavano il corpo tonico e
scattante della giovane donna.
“Un momento” aveva
detto Eliean e aveva
colpito il fianco
destro di Boromir, facendo applaudire il fratello minore che stava assistendo
al combattimento.
“Mi avete distratto, donna
Jilly. Cosa
c’è?” aveva
domandato Boromir
alla donna grassoccia che aveva chiamato Eliean.
“Scusate. Ma penso che miss Eliean debba esser informata. Sua
madre è deceduta.”
Gli occhi della
fanciulla si erano
allargati e una
lacrima le aveva
solcato le guance.
Era corsa verso
casa abbandonando la spada.
Vi era arrivata trafelata, trovando già alcuni uomini
fuori della porta, che
avevano il cappello in mano. Era
entrata e aveva
visto sua madre
che veniva portata fuori su una
barella di legno. Era sempre stata una bella donna, anche
nel momento della morte.
“Soffriva di cuore” aveva
detto il vecchio
saggio, Apeliote, che
Eliean, piena di angoscia, non
aveva visto. Era appoggiato
allo stipite della porta e fissava il vuoto.
“Mi dispiace amica mia” aveva
ripreso l’uomo
stringendo la mano alla
fanciulla, che si era
messa a piangere, liberando infine la
disperazione trattenuta.
“Parti con me, devo andare lontano da qui. Cosa ti lega a
queste terre, dopotutto?” le
aveva detto il
vecchio saggio, sorridendole
in modo triste.
Eliean aveva
annuito asciugandosi
gli occhi. “Lasciatemi solo salutare i miei amici” aveva
detto, riferendosi
a Boromir e a Faramir.
“Ti aspetterò alla locanda” aveva
replicato Apeliote,
“e poi partiremo.” La giovane aveva
annuito ancora, abbracciando il vegliardo.
Era
corsa verso il
castello, come se avesse
avuto i piedi
alati, ed era
entrata dentro
salutando la guardia. Velocemente era
arrivata nel
cortile e si era
fermata a
guardare i suoi
migliori amici che stavano bisbigliando fra loro.
“Eliean” aveva
mormorato Faramir
guardando verso l’amica che, con
un colpo di tosse, aveva
comunicato la sua presenza. “Mi dispiace tanto per tua
mamma” aveva
detto il ragazzo
più giovane, stringendo
la mano della fanciulla e
guardandola tristemente.
“Sto bene, Faramir. Per
davvero. Apeliote mi ha chiesto di viaggiare con lui” aveva
spiegato la
giovane donna, e si era
messa a raccontare
ai due giovani ciò che si era detta con il vecchio della
biblioteca.
Gli occhi di Faramir si erano
riempiti di lacrime al sentire
che l’amica lo lasciava. “Se potessi fuggirei anche
io, e tu lo
sai bene” le
aveva detto asciugandosi
le lacrime.
“Se Apeliote ti fa del male, sai che non avrà vita
facile” aveva
borbottato il
maggiore.
Nonostante il dolore, Eliean aveva
riso di gusto
vedendo l’espressione sul volto del ragazzo.
“Ah, Boromir... Non
ti preoccupare, starò bene” aveva
detto la
fanciulla e Faramir l'aveva abbracciata di
slancio. Eliean
aveva nascosto il
viso sulla spalla del giovane, annusando
l’odore buono del suo amico.
“Questo non
è un addio, Faramir. È un arrivederci” aveva
bisbigliato la
giovane lasciando andare il
figlio minore del Sovrintendente, che le aveva
sorriso.
“E allora vai amica mia, e fai grandi cose, se questo
è il tuo destino” aveva detto Faramir e lei aveva
annuito piano, staccandosi
dal ragazzo.
Era corsa, infine, alla
locanda sperando di non essersi sognata tutto.
Aveva
trovato Apeliote
seduto ad uno
dei vecchi tavolacci di legno duro. “Partiamo?”
aveva chiesto il vecchio, e la giovane aveva annuito.
Apeliote si era rivelato esser un ottimo maestro, e
così i suoi sensi erano stati sviluppati con allenamenti
sempre più stancanti, ma anche assai appaganti.
Si erano divisi quando l’uomo era dovuto
partire per la Contea; da allora lei aveva
viaggiato per le
terre libere e non, offrendo la sua spada come soldato di ventura.
Si
trovava nelle terre oscure perché aveva visto che qualcosa
si stava svegliando, e dove
c’era guerra e distruzione lei, la guerriera, era
là a combattere.
Era l’unica cosa che la faceva sentire viva.
NOTE.
Salve, sono orgogliosa di presentarvi le nuove avventure per Indil e
compagni.
In questo capitolo però l'elfa non compare, bensì
si rivela a voi un nuovo personaggio, del tutto estraneo al'opera di
Tokien, un altro OC per dire, che però è asssai
legata a Faramir e a Boromir, e che seguirà le vicende di
Frodo e Sam.
Spero tanto di avervi incurisito.
[1] Apeliote. E'
il nome greco del vento dell'est: ho pensato che per il personaggio
misterioso, può andar bene come nomignolo. Probabilmente
avete già capito di chi parlo, ma mi illudo di fare la
misteriosa.
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Capitolo 2 *** Capitolo I ***
Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e
messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti:
Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori
della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille
evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su
andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a
inizio capitolo...
Buona lettura.
Capitolo I.
I quattro compagni
erano infaticabili nel loro inseguire gli orchetti. Come delle macchine
da guerra percorrevano miglia su miglia quasi senza fermarsi. Ormai
erano tre giorni e tre notti che pedinavano il gruppo che aveva preso
gli hobbit.
I due uomini erano
sempre chini a fissare il terreno, per individuare eventuali impronte o
tracce lasciate dai due hobbit, mentre i due elfi fissavano avanti a
loro nella speranza di scorgere un segno.
Il terzo giorno
Aragorn trovò un indizio.
“Mai a caso
cadono le foglie di Lorien” disse sollevato il ramingo,
prendendo in mano la spilla caduta a terra e sorridendo.
“Dunque,
c’è ancora speranza” commentò
Boromir, sorridendo a sua volta.
“La speranza
non muore mai” rispose Indil, arrossendo mentre lo guardava.
La principessa ricordava come l’uomo di Gondor
l’avesse ringraziata per avergli praticamente salvato la
vita, appena la compagnia aveva ripreso il viaggio.
Era
notte e Indil era di guardia. Boromir si era alzato, turbato dai molti
incubi che si avvicendavano nella sua mente da quando la giovane
principessa l’aveva salvato, e le si era seduto accanto.
Per
un po’ non avevano parlato, poi lui le aveva alzato il viso e
le aveva accarezzato la guancia destra; aveva fatto sfiorare i loro
nasi in un tenero contatto, quindi il gondoriano aveva posato
le labbra sulle sue.
L’aveva
baciata.
Le
labbra di Boromir avevano aderito alle sue in modo inaspettato, ma
dolce e perfetto, e si era staccato da lei solo dopo parecchio tempo.
“Grazie”
aveva mormorato l’uomo di Gondor e Indil era semplicemente
arrossita, per poi appoggiare la testa bionda sulla forte spalla del
condottiero.
“Sono
contenta che tu sia vivo” aveva sussurrato lei, e lui le
aveva fatto passare un braccio attorno alla vita sottile. Erano rimasti
così a contemplare le stelle e a vegliare il sonno degli
altri compagni, per tutto il resto della nottata.
***
I quattro compagni
continuarono a correre scorgendo i pochi indizi degli hobbit, che si
facevano sempre più rari, fin quando Aragorn non si
arrestò. “Legolas, cosa vedono i tuoi
occhi di elfo?” domandò l’uomo con
preoccupazione.
“Ci sono dei
cavalieri che vengono verso di noi, Aragorn. Vedo che tre cavalli non
hanno cavaliere, e intravedo anche del fumo dietro le loro
spalle” fu la risposta accorata dell’elfo biondo.
“Descrivili
fisicamente” ordinò il Dunedain. “Sono
molto alti, hanno i capelli biondi lasciati cadere in ciocche e i loro
volti sono duri. Cavalcano destrieri imponenti e stupendi.”
Legolas si interruppe
nel descrivere perché Boromir prese la parola.
“Quelli sono i cavalieri di Rohan, Aragorn. Sono i Rohirrim.
Non abbiamo nulla da temere, da loro” disse con voce
concitata l’uomo di Gondor.
“Aspettiamoli,
allora. Non possiamo andare da nessuna altra parte, e poi potremmo
anche chiedere il loro aiuto” propose Aragorn e il resto
della compagnia non poté che rimanere ferma e immobile.
Tuttavia i cavalieri,
notò Aragorn, trottavano non nella loro direzione,
bensì dalla parte opposta.
“Cavalieri
di Rohan, quali notizie dal Mark?” domandò dunque
con voce tonante per attirare la loro attenzione.
Gli agili cavalieri
fecero rapidamente dietrofront e circondarono i quattro compagni
puntando loro contro le lance.
“Chi siete?
Come mai andate a piedi in queste terre?” domandò
un uomo dal volto coperto da un elmo raffinato, che si poteva vedere
esser giovane e scattante.
“Io so chi
sei: Éomer, terzo maresciallo del Riddermark. Io sono
Boromir, figlio di Denethor” si rivelò
il gondoriano con voce possente.
“Boromir?
Sì, ora ti riconosco. Sei proprio tu! Ma che ci fai in simil
compagnia? Chi sono costoro? Perché non sei a Gondor,
com’è tuo diritto?” domandò
incuriosito l’uomo chiamato Éomer.
“Loro sono
Grampasso figlio di Arathorn, uno dei Raminghi del Nord, un
Dúnedain; e Indil e Legolas, che provengono dal reame
Boscoso e sono eredi di sire Thranduil. Siamo qui per conto di Elrond
di Gran Burrone e ti vorremmo porgere alcune domande”
spiegò brevemente Boromir, evitando di rivelare il nome di
Aragorn.
“Che strani
tempi sono questi: un ramingo, due elfi - uno dei quali femmina - e un
uomo di Gondor che si fanno una bella scampagnata. Ebbene, i miei occhi
però sono buoni, e so che sei veramente tu Boromir di
Gondor, quindi porgimi pure le domande che vuoi”
acconsentì Éomer.
“Legolas ha
visto del fumo. Avete per caso lottato con degli orchetti e poi
bruciato i loro corpi, com’è vostra
abitudine?” domandò Boromir.
“C’è
stata una grossa battaglia contro gli orchetti, e poi ne abbiamo
bruciato i corpi, sì!” confermò
Éomer con il volto serio.
Indil, vicino a
Legolas, vacillò quando si rese conto di cosa ciò
significava. “Per i Valar...”
mormorò l’elfa e poi domandò
concitatamente: “C’erano due hobbit… due
mezz’uomini con loro?”
“Non
c’era nessun altro, a parte gli orchetti e degli strani
esseri ancor più mostruosi con disegnata una mano bianca in
fronte” disse Éomer rivolgendosi
all’elfa, che mormorò poche parole in una lingua a
lui sconosciuta, ma che sembrava una preghiera. “Dove
è accaduta la vicenda dei vostri amici?”
domandò il Rohirrim, “Negli Emyn Muil. Abbiamo
corso per tre notti e tre giorni, quasi senza mai fermarci”
spiegò Aragorn.
Éomer
fischiò in segno d’approvazione.
“Piedealato ti chiamerò. Grampasso è un
nome troppo comune! Perché non venite a Rohan? Il mio re
è purtroppo malato: è stato contaminato dalle
parole crudeli di un servo, e ora caccia tutti i suoi buoni consiglieri
e combattenti come me e la mia Eorlingas. Un tuo aiuto ci
servirà sicuramente.” Éomer aveva
deciso di fidarsi e di aprirsi con Grampasso avendo visto che al suo
fianco c’era Boromir di Gondor. “Il mio cuore
direbbe di seguirti, ma non la mente. Non sappiamo ancora se gli hobbit
siano realmente morti o no, vorremmo assicurarcene” rispose
Aragorn e il Rohirrim lo guardò con stupore.
“Se
è questo il tuo volere, non posso che acconsentire,
però vi debbo metter in guardia da un’altra cosa:
c’è un vecchio stregone che vaga in queste terre.
Egli somiglia tanto a Gandalf il grigio, a parte il colore delle vesti:
sono bianche, ma in lui non c’è purezza, anzi
è pieno di malvagità.” Éomer
li guardò uno per uno, come se stesse pensando a
qualcos’altro.
“Staremo
attenti, Éomer” parlò Boromir e il viso
del Rohirrim si distese.
“Portatemi
Hasufel, Arod e Haleth” ordinò il maresciallo, e i
tre splendidi cavalli che Legolas aveva visto senza cavaliere vennero
condotti per le briglie da un uomo.
Erano tutti senza
padrone, spiegò rapidamente Éomer, morti durante
la piccola battaglia, e tutti desiderosi di intraprendere una cavalcata
con nuovi alleati.
“Mi dispiace
che non ci sia un cavallo per voi, mia signora” disse il
Rohirrim riferendosi a Indil, che sorrise.
“Non vi
preoccupate, cavalcherò con mio fratello” rispose
l’elfa, gettando un’occhiata a Legolas.
I quattro amici lo
ringraziarono e mentre Boromir e Aragorn prendevano Hasufel e Haleth,
salendo loro in sella, Legolas prese Arod ma chiese che la sella
venisse tolta. “Noi cavalchiamo i buoni cavalli liberi, senza
costrizioni” spiegò prendendo la mano della
sorella e facendola sedere dietro di sé.
Fu con queste parole
che i quattro cavalieri abbandonarono i Rohirrim.
I cavalli erano come
fulmini e quando Indil guardò dietro di sé si
accorse che erano già a molte miglia di distanza dai
cavalieri di Éomer. Si aggrappò al fratello per
non cadere.
Continuarono a
galoppare nell’erba fresca fino a quando Aragorn non dette il
segnale di fermarsi.
Erano vicini alla
foresta di Fangorn, notò con stupore l’elfa,
scendendo da cavallo e vedendo il brutto muso di un orchetto infilzato
su una lancia.
“È
qui che è avvenuto lo scontro, ed è qui che sono
morti gli hobbit” disse tristemente Boromir.
“Non eravamo
con loro, purtroppo” tentò di consolarlo Aragorn,
che nel frattempo si guardava intorno misurando le impronte lasciate da
qualcuno prima di loro.
“Qui
c’era un’hobbit. E qui un altro”
mormorò con affetto accarezzando la nuda terra.
Trovò una corda tagliata. “Guardate. Hanno
tagliato la corda” disse stringendo il pezzo di spago fra le
mani, e poi, avanzando carponi, poco lontano trovò altri
indizi: un coltello e un altro pezzo di corda. “Si
sono liberati. Hanno corso” proseguì Aragorn
seguendo le impronte lasciate dai piccoli amici. “E poi sono
entrati nella foresta di Fangorn.” Si arrestò,
guardando l’antica e impenetrabile foresta con orrore e
raccapriccio.
“Perché
l’hanno fatto?” domandò Boromir.
“Non hanno
avuto altra possibilità” rispose tristemente
Aragorn.
“E neppure
noi ce l’abbiamo. Dobbiamo attraversarla” fece
Legolas con gli occhi raggianti, fissando la sorella. Gli elfi si
trovavano benissimo nella natura selvaggia.
NOTE
Eccoci qui con un
nuovo capitolo dopo le vacanze. Tutto bene Pasqua e Pasquetta? Spero di
sì!
Dunque spero che il
capitolo vi piaccia. Boromir e Indil si sono finalmente baciati!
#grandefestaallacortediGondor, *cofcof*, e abbiamo conosciuto il buon
Éomer... Che impressione vi hanno fatto questi due eventi?
Come li avete vissuti? Fatevi sentire nelle recensioni mi raccomando.
<3
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Capitolo 3 *** Capitolo II ***
Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e
messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio
tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della
fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn,
per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a
fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio
capitolo...
Buona
lettura.
Prologo.
“Merry,
Merry! Svegliati, Merry! Aiuto il mio amico non si sveglia.”
Pipino fece
fermare gli orchetti che, per niente delicati, misero a terra i due
hobbit.
“Non si
sveglia, eh?” domandò un brutto orchetto. Pipino
deglutì.
“Per
favore, fate qualcosa” implorò lo hobbit.
“Ancora non ho capito perché li dobbiamo portare
vivi” disse l’orchetto fissando
Pipino con occhi famelici.
“Perché
se no il padrone ci fa fuori noi” borbottò un
Uruk-hai con disegnato il simbolo
della bianca mano in fronte. Avvicinandosi agli hobbit egli si
chinò davanti a
Merry; senza nessuna delicatezza gli fece alzare la testa e prese una
boccetta
da un orchetto lì vicino.
Gli orchi
e gli Uruk-hai gettarono un’occhiata diffidente al nuovo
capo, che fece bere il
liquido a Merry.
L’hobbit
sputò buona parte del liquido a terra, ma il resto lo
ingoiò tutto e gli
orchetti cominciarono a ridere a crepapelle sotto gli occhi seri e
vigili degli
Uruk.
L’Uruk-hai
chiuse la boccetta e fissò Merry negli occhi.
“Sì, sta bene. Possiamo
continuare. Topi di fogna, in marcia!” urlò poi ai
sottoposti.
Due
orchetti presero gli hobbit sulle spalle e, borbottando, seguirono gli
altri.
“Cos’è
successo?” chiese Merry, e Pipino si mise a piangere dalla
felicità. Il suo
amico stava bene.
“Sono
felice di sentirti parlare ancora, Merry, non sai quanta preoccupazione
mi hai
dato” bisbigliò il giovane hobbit.
“Comunque ci hanno catturato. E ci stanno
portando, penso, a Isengard, da Saruman.”
Merry
rabbrividì, il viso pallido e smunto.
“Boromir?”
volle sapere e Pipino abbassò il capo. “Non
è con noi, è rimasto con Indil”
spiegò piano e Merry chiuse gli occhi, pregando che Boromir
stesse bene.
Altri
giorni passarono, e gli infaticabili orchi e Uruk-hai avanzavano come
se
avessero avuto dietro il loro padrone che li frustava.
Parlavano
poco ma, da quello che dicevano, Merry e Pipino avevano compreso che
fra Uruk e
orchi non scorreva buon sangue, perché i primi si
consideravano una razza
superiore e volevano comandare gli orchetti, e questi ultimi non ne
erano
affatto contenti.
Si
arrestarono solamente quando videro un’imponente foresta.
“Noi lì
non ci entriamo” borbottarono con sdegno gli orchetti
guardando gli Uruk-hai, e
questi ultimi ringhiarono. “È la via
più veloce per Isengard, idioti. Noi ci
entriamo, ecco.”
“Noi non
prendiamo ordini da Saruman” urlò un orchetto.
L’Uruk,
sotto lo sguardo disgustato degli hobbit, gli staccò la
testa con un colpo
della sua rozza scimitarra.
“Siamo tutti sotto ai suoi ordini. E voi altri
volevate carne? Eccola!” urlò.
Ci fu
un vero e proprio macello mentre gli Uruk e gli stessi orchetti
banchettavano
con il corpo del loro compagno sconfitto.
I due
hobbit guardarono quel massacro troppo spaventati per fare niente.
Mentre
Uruk e orchetti finivano il pasto, si sentirono in lontananza canti e
un corno
da guerra. Gli orchetti si spaventarono e gli stessi Uruk furono troppo
impauriti per fare qualcosa. Rimasero a farsi massacrare dai cavalieri
umani.
Durante
la confusione della battaglia, Merry e Pipino erano riusciti a lacerare
la
corda che li legava con un coltello caduto; quindi Pipino aveva
lasciato il
coltello sul terreno.
“Così
li aiuteremo a trovarci!” aveva bisbigliato a uno
stupito Merry, che aveva sorriso. “Mentre eri svenuto ho pure
buttato a terra
la foglia di Lorien che ci ha regalato Dama Galadriel, come
indizio.” Il
sorriso di Merry si era ampliato. “Geniale!”
aveva sussurrato lo hobbit e poi Pipino aveva preso Merry per mano e
insieme si
erano inoltrati nella foresta alle loro spalle.
“Ce
l’abbiamo fatta, Merry” rise Pipino, asciugandosi
la fronte con la mano.
Un
orchetto scampato al massacro, però, si affacciò
anche lui nella foresta. La
sua brutta faccia si illuminò quando vide gli hobbit.
“Eccovi.
Venite qui, amici miei, andremo a Isengard insieme. Oppure prima vi
mangerò”
disse parlando in un modo gutturale che niente aveva di umano.
Merry
e Pipino erano bloccati dalla paura, ma un grande ramo li prese e li
sollevò.
Urlarono quando si resero conto di cosa li aveva afferrati. Un albero:
un
albero con la bocca e gli occhi.
“Burarum!
Che ci fanno questi tre orchetti, qui?” domandò
l’albero.
“Messere,
noi non siamo orchi, siamo hobbit” disse Merry con voce un
po’ insicura
nonostante avesse riconosciuto quell’essere.
I Brandibuck si
tramandavano
storie circa alberi parlanti, chiamati ent, ma lui mai si sarebbe
aspettato di
vederne uno.
“Burarum.
Hobbit? Cosa sono gli hobbit? E quello a terra
cos’è?” domandò
l’albero,
fissando l’orchetto che tentava di ripararsi contro una
roccia.
“Noi
hobbit siamo esseri semplici, che amano la natura. E quello
laggiù, invece, è
un orchetto” rispose coraggiosamente Merry.
L’ent
uccise l’orchetto schiacciandolo con il piede, e Merry
guardò quella morte con
in viso una sorta di ghigno di vittoria, mentre Pipino si copriva gli
occhi con
le mani.
“Ora
vi porto dallo stregone. Burarum.”
“Chi?
No messere, per favore” pregò Merry, ma era troppo
tardi.
In
pochi passi i due hobbit si trovarono davanti a uno stregone vestito di
bianco.
***
“La
foresta di Fangorn, ancora non ci posso credere che si siano inoltrati
qui.
Dicono leggende che ci sono cose vive e che queste cose non siano
umane” borbottò
inquieto Boromir mettendo piede, per la prima volta, in quella foresta
impenetrabile.
“Si
chiamano ent! E sono alberi” spiegò felice Legolas
mentre respirava l’odore di
alberi e di bosco verde tanto amato dagli elfi. Anche la sorella era
felice e
lo si vedeva dal sorriso che aveva sulle labbra.
Camminavano
a piedi tenendo i cavalli per le redini. “Sono
alberi parlanti, sono esseri antichi. Se non hai niente contro di loro,
non ti
faranno niente” spiegò l’elfa.
“E noi
non abbiamo nulla contro di loro” confermò Aragorn
che, come pure Boromir,
sembrava inquieto ad attraversare quella foresta millenaria.
Il
futuro re era chino alla ricerca di impronte; ne aveva trovate molte e
parecchio strane. Non erano impronte né di orchetti,
né di hobbit.
“Dove
saranno andati?” domandò a voce alta Aragorn
mentre fissava un’impronta.
“In un
luogo sicuro, Aragorn figlio di Arathorn.” Una voce sicura e
forte fece voltare
i quattro compagni che impugnarono subito le armi: i due elfi
l’arco e i due
uomini la spada.
Nella
luce prodotta da un bastone si vedeva un vecchio con un cappuccio,
vestito di
bianco.
“È
lui” bisbigliò Aragorn. “Non sbagliare,
Legolas. Va’.”
L’elfo
capì e scagliò una freccia che però il
vecchio parò, allora Boromir si gettò
contro di lui, la spada in mano, ma il vegliardo la fece cadere.
“Boromir,
sono contento di vederti vivo” mormorò lo stregone
fissando l’uomo, che subito
si inginocchiò riconoscendo chi si celava dietro il fascio
di luce.
“Gandalf”
bisbigliò e quel sussurro bastò agli amici che
subito fecero come il
condottiero e si chinarono a terra in segno di reverenza.
“State
in piedi per favore” pregò il loro vecchio amico,
e la luce che lo avvolgeva
scomparve.
“Sono
Gandalf, ma non lo sono totalmente. Sono anche Saruman, ma come avrebbe
dovuto
essere” spiegò fissando i quattro compagni.
“Parli
per enigmi, amico mio” disse Aragorn fissando il vecchio, che
sorrise. “Ma
dimmi degli hobbit?
Stanno bene?” domandò preoccupato il re senza corona.
“Gli
hobbit hanno risvegliato forze a loro superiori, ma positive, e in
questo
momento sono con loro. Per loro l’avventura è
appena iniziata, così come per
noi” spiegò l'istari mettendosi a sedere.
Avevano
parlato per parecchio tempo. Gandalf li aveva aggiornati sulla sua
lotta contro
il Balrog nelle profondità della terra, e loro in cambio
avevano raccontato
allo stregone della loro battaglia contro gli orchetti e gli uruk, e
della loro
ricerca disperata dei due hobbit rapiti dal nemico.
“So che Frodo e Sam si sono divisi da voi,
ma non vi preoccupate, sono ben guidati anche loro” disse lo
stregone bianco,
fissando Boromir che abbassò la testa, versando una singola
lacrima.
***
“Piano,
i piccoli hobbit devo fare
attenzione, oppure nelle brutte pozzanghere cadranno.”
Gollum, quello il nome
dell’essere che guidava Sam e Frodo, così si
rivolse ai due hobbit che si
tenevano per mano per non cadere negli acquitrini.
Frodo gli aveva chiesto una via per essere
condotto al Nero Cancello e Gollum, da che lo avevano domato, si era
dimostrato
esser assai disponibile nei confronti del portatore. Anche troppo,
secondo Sam, che non vedeva
di buon occhio l’essere infido, in particolare da quando
l’aveva scoperto a
mangiare pesci vivi con la polpa e il sangue che gli colavano sulle
gengive.
Da
quel momento, il povero giardiniere sognava di esser lui il pesce, e
non era
certo un bello spettacolo.
Rabbrividì tenendo per mano Frodo, il quale
pareva più stanco del solito.
“Cosa sono quelle luci?” domandò a
Gollum, giusto
per fare conversazione. “Lanterne, sono, lanterne che
richiamano i
morti e che fanno essssere morti i piccoli poveri hobbit. Proprio non
sarebbe
bello per nesssssuno se il padrone sprofondasssse negli acquitrini. Una
lunga e
dolorosssssa battaglia ci fu tempo fa in queste terre”
spiegò rapido Gollum, e
Sam, che era rimasto ad ascoltare i racconti dell’essere,
notò solo in quel
momento che il padrone si era allontanato da loro.
“Frodo?” domandò, guardandosi intorno.
Gollum emise un verso strozzato e si
arpionò il collo per la paura di aver perso il portatore e
l’anello.
Frodo
si trovava più in là e fissava
incantato le lanterne, e mentre lo faceva pian piano sprofondava
giù nelle
paludi, ove galleggiavano morti di bell’aspetto e orchetti.
Sam fece uno scatto come mai prima di
allora aveva fatto, ma si trovò a corto di fiato: una
ragazza aveva appena
salvato il padron Frodo dalla morte certa. Era di età
indefinita e di una bellezza
rude, aveva lunghi capelli rossi e occhi color del mare.
Fermò l’avanzata di Sam
con sguardo feroce, poi si abbassò su Frodo che era mezzo
svenuto fra le sue
braccia. “Sta bene” disse la donna parlando il
linguaggio corrente. “Si deve solo riprendere.”
“Chi sei tu? Come ci hai trovati?”
domandò
Sam, che era stato ben felice di vedere che Gollum se n’era
andato,
probabilmente avendo intuito il pericolo.
“Mi chiamo Eliean, giovane hobbit. Vi seguo
da quando avete attraversato gli Emyn Muil. Non si vedono hobbit da
parecchio
tempo in queste terre” rispose lei.
In quel mentre Frodo si riprese: udì
quello che la giovane aveva detto e,
aprendo piano gli occhi e sbattendo le lunghe ciglia, la
fissò incuriosito.
“Non ho mai sentito parlare di te, e non so
se mi devo fidare o meno” disse Sam, parlando anche a nome di
Frodo.
“Nemmeno io so se mi devo fidare di voi. So
solo che siete hobbit e che in genere siete amanti della natura e
disprezzate
il pericolo. Che cosa ci fate qui? Perché siete giunti in
queste terre?”
domandò la donna con voce dura.
Frodo guardò Sam: erano in una terra
straniera e la signora, che possedeva delle armi - aveva notato il
giovane
hobbit – avrebbe potuto ucciderli subito dopo averlo salvato,
prendersi
l’anello e farci qualsiasi cosa. Non sembrava
pericolosa.
Almeno non per loro.
“Siamo qui per conto di Gandalf, Gandalf il
grigio” fu la risposta di Sam, interpretando
l’occhiata di Frodo. “Gandalf? Lo
stregone?” domandò la donna, e
Frodo annuì portando l’attenzione della dama su di
lui.
Ella lo guardò
preoccupata, mentre lo hobbit si metteva a sedere e si tastava il petto
alla
ricerca dell’anello, che per fortuna trovò. Lo
strinse con affetto nella mano e
tutto questo venne notato dalla donna, che però non disse
niente.
Frodo
stava per parlare quando la signora
gli impose il silenzio. Lo hobbit ubbidì
all’istante mentre, da sotto la
tunica, la donna cacciò fuori un coltello che
conficcò nel collo di un
orchetto. La creatura si accasciò a terra con un lamento; un
altro orchetto
sbucò fuori come dal nulla e la signora impugnò
la spada che aveva posato a
terra e lo uccise.
Non si vide più movimento. Tutto quello era durato solo un
secondo, ma
Frodo inizialmente ebbe paura che lei potesse volerli uccidere.
“Dobbiamo andare, giovani hobbit, abbiamo
attirato troppa attenzione. Dove vi stava portando l’essere
grigio?” chiese la
strana dama riponendo il coltello e la spada.
Solo in quel momento Frodo si accorse che
Gollum era scomparso.
“Al nero cancello” bisbigliò con voce
soffocata per le
emozioni che aveva vissuto. “Andiamo” disse la
gentildonna e Sam
sorrise, contento di non dover più sopportare la presenza di
Gollum.
Il
giardiniere si incamminò con decisione seguendo Frodo e la
loro, strana, nuova
guida.
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Capitolo 4 *** Capitolo III ***
Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e
messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio
tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della
fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn,
per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a
fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio
capitolo...
Buona
lettura.
Capitolo
III
“Dove andiamo, Gandalf?” chiese Aragorn.
“Ci divideremo: Legolas, Aragorn e io
andremo a Rohan, dove Theoden ha bisogno di un aiuto, poiché
ha la mente
avvelenata da un uomo infido. Boromir e Indil andranno a Minas
Tirith, dove Sire Denethor ha bisogno di vedere suo figlio per saperlo
vivo” spiegò il vecchio stregone, facendo un cenno
con la testa verso il figlio
del sovrintendente.
“Se questi sono i compiti, partiremo subito.
E poi rivedere mio padre, e mio fratello soprattutto, non
può che farmi felice”
disse Boromir.
“Io ti seguirò, Boromir, non soltanto
perché è un ordine di Gandalf, ma anche
perché lo faccio con piacere” spiegò
Indil, mettendosi al suo fianco. Sul volto dell'uomo apparve un piccolo
sorriso. “Ti ringrazio” disse rivolto all'elfa.
“Allora
arrivederci, Boromir, le nostre strade
si incontreranno di nuovo” parlò Aragorn
sorridendogli e l’uomo di Gondor
annuì.
“Sono sicuro che le nostre avventure non
siano finite, Aragorn.” Abbracciò di slancio il re
che non lo rifiutò.
“Arrivederci sorellina, che la benedizione
di tutti gli elfi ti protegga. E se Boromir oserà allungare
le mani su di te,
mandami Meneldor e io correrò ad aiutarti”
bisbigliò Legolas parlando in elfico
e Indil ridacchiò abbracciando stretto il fratello.
“Che
cosa ti ha detto tuo fratello, prima?” domandò
Boromir a Indil mentre
cavalcavano verso Minas Tirith.
Avevano preferito tenersi Haleth e lasciare
Hasufel e Arod ad Aragorn e Legolas. Gandalf aveva richiamato un
bellissimo
stallone dal manto bianco come la neve il cui nome, aveva detto lo
stregone,
era Ombromanto. Legolas era rimasto ammirato da tale
creatura e lo stesso era accaduto ad Hasufel, Arod e Haleth. Indil
aveva
spiegato che quello non era un cavallo qualunque, ma una sorta di re
della sua
razza, e poi aveva chiesto al destriero se poteva accarezzargli il
muso.
L’animale aveva accettato abbassando il capo; poi Gandalf era
salito in groppa
all’amazzone, ed era partito seguito da Hasufel e Arod, che
pure erano buoni
cavalli ma erano lenti in confronto a Ombromanto.
“Mio fratello ci ha augurato buona fortuna
per l’impresa, Boromir, tutto qui”
spiegò l’elfa, senza non provare vergogna
per la mezza bugia che aveva appena detto.
L'uomo sbuffò piano: evidentemente non
credeva del tutto alle parole della principessa, ma non disse niente.
“Tieniti a me” borbottò il Capitano di
Gondor e Indil ubbidì, allacciandosi alla vita del
condottiero. Egli diede un
ordine al cavallo che partì al galoppo, veloce quasi come
Ombromanto.
***
Il
viaggio durò parecchi giorni. Indil
stava sempre aggrappata a Boromir, mentre l’uomo era
silenzioso, con lo sguardo
concentrato e attento fisso davanti a sé.
Parlavano poco i due compagni, quasi sempre
la sera prima che uno dei due si mettesse a dormire e l’altro
montasse la
guardia. Era quasi sempre Indil a farlo, poiché Boromir era
spesso troppo
stanco e lei non aveva bisogno di dormire molto. Quelle sere erano per
lei
serate di solitudine in cui perdersi nella contemplazione del bel
profilo del
gondoriano, chiedendosi cosa celassero i suoi occhi chiusi.
Durante le pause si esercitavano con gli
allenamenti che Boromir aveva promesso a Indil e l’elfa,
sotto la guida
dell’uomo, migliorava sempre di più, fino a
diventare brava nella spada com’era
con l’uso dell’arco.
Si
stavano avvicinando sempre di più a
Minas Tirith e Boromir pareva esser di cattivo umore, sempre sulle sue.
Non
chiacchierava nemmeno più con Indil, la sera, e
l’elfa stava
iniziando a impensierirsi. “Cosa ti preoccupa,
Boromir?” domandò
nervosa la fanciulla, una sera, dopo che l’uomo era tornato
con un coniglio e
aveva imprecato perché si era bruciato un dito con il fuoco
da campo.
“La mia città! Mio padre! Ecco cosa
c’è: da
una parte mi fa piacere vedere mio padre, ma dall’altra non
voglio entrare a
Minas Tirith così. A chiedergli se è disposto a
combattere, perché so che mi
risponderà di no, che per il re che lui nega non
combatterà. Ne ora ne mai.
Vorrei entrare come un vincitore, dopo aver sconfitto il Signore
Oscuro, con i
cittadini che mi acclamerebbero” sbottò Boromir.
L’elfa vide preoccupazione negli occhi del
primogenito di Denethor, ma pure oscurità, e questo la
spaventò non poco. “Non avresti dovuto accettare
la proposta
di Gandalf, allora” mormorò la principessa
abbassando il viso.
Boromir sembrò rendersi conto di quanto le
sue parole, e il loro tono, avessero preoccupato Indil e le si
avvicinò
abbracciandola. “Scusami, non avrei dovuto parlati
così” disse in tono dolce.
“Va tutto bene, non ti preoccupare,
Boromir. Sono stati attimi di debolezza, non ce l’ho con te,
né tu con me”
mormorò l’elfa più serena e
l’uomo annuì.
Mangiarono in silenzio il loro coniglio.E
Il
decimo giorno di viaggio Boromir vide
Minas Tirith profilarsi all’orizzonte e il suo cuore
sussultò: gli era mancata
la sua città, costatò, mentre la fissava con
affetto.
Era addossata a una montagna ed era fatta
di pietra bianca, il cui candore risplendeva alla luce del giorno. Era
divisa
in sette cerchi concentrici e spesse mura ne difendevano gli abitanti.
Alzando
gli occhi, Boromir notò la Torre Bianca di Ecthelion
risplendere nel sole di
quella giornata.
- Sono a casa – pensò Boromir, e impose al
cavallo un'andatura più veloce di quanto non avesse fatto
fino ad allora.
Giunti davanti alla porta, una guardia
della cittadella chiese loro chi fossero e da dove venissero.
“Sono Boromir. Desidererei parlare con il
Sovrintendente mio padre” furono le parole del Capitano
Generale.
La guardia strabuzzò gli occhi.
“Per i Valar...” mormorò
l’uomo osservando
il condottiero. “Se siete veramente lui,
allora…” ma si fermò. “Venite
con me” borbottò poi, senza dare
particolari riguardi all’elfa che stava con il condottiero.
La
guardia chiese a un altro uomo di
prendere il suo posto, e questi lo fece lanciando un’occhiata
a Boromir e
all’elfa che fece rabbrividire entrambi. L’entrata
in città dei tre si svolse nel
più completo silenzio: la guardia non aveva gridato a gran
voce la notizia che
il figlio del sovrintendente era tornato in città e Boromir
era corrucciato
mentre seguiva l’uomo sempre più in alto.
Arrivarono infine alla cima della città, e
Boromir guardò con tristezza l'albero bianco rinsecchito:
non aveva mai
sopportato di vederlo in quelle condizioni.
La guardia impose ai due di fermarsi
davanti al palazzo.
“Cosa c’è?” domandò
Indil una volta che
l’uomo fu entrato all'interno.
“Mi sento confuso. Non è questo il modo
solito di accogliere il figlio del sovrintendente di Gondor”
borbottò Boromir
fissando la struttura del palazzo.
In quel momento tornò la Guardia e Indil
non poté replicare.
“Il sovrintendente
mi ha detto che potete entrare” disse l’uomo
fissando i due con occhi sorpresi. Boromir e Indil entrarono, e vennero
condotti dall’uomo in una grande sala da pranzo.
Seduto
a un tavolo di legno lungo e
lavorato finemente vi era un signore dai capelli bianchi, vestito di
abiti
regali e con la corona in testa, che mangiava un acino d’uva.
Lo sguardo con cui perforò Boromir fu tale
da far rabbrividire il coraggioso uomo.
“E così tu dici di esser mio figlio. Non ti
credo: sei frutto di una menzogna, un complotto contro di me. Io ho
visto
morire il mio Boromir” sibilò Denethor con voce
sicura e senza un minimo di
empatia negli occhi chiari.
NOTE.
Finalmente aggiorno,
scusate il ritardo, ma in questi mesi ho avuto tanto da fare
principalmente per la tesi.
Che dire di questo capitolo? Come potete vedere c'è la
svolta per quanto riguarda Boromir e Indil e loro prenderanno un'altra
via rispetto a Legolas e Aragorn, andranno a "trovare" Denethor.
Come finirà? A saperlo, vi basta seguirmi, e commentare e
anche se non lo saprete subito, spero di avervi incuriosito. (:
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Capitolo 5 *** capitolo IV ***
Disclaimer: Questi
personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e
messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio
tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della
fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn,
per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a
fare.
Buona
lettura.
Capitolo IV
La principessa Eowyn
di Rohan fissava il volto amato di suo zio, re Theoden, ormai del tutto
privo di volontà, obnubilato da Saruman e dal maledetto
Grima Vermilinguo.
Lei era impazzita
dalla rabbia quando era morto suo cugino, figlio di suo zio, e il re
non aveva fatto niente per vendicarlo: non era da lui essere
così immobile e, soprattutto, non era da lui vedere quanto
la sua pupilla soffrisse e non fare nulla.
Aveva capito allora
che c’era una malia in atto.
Che qualcuno doveva
aver fatto una magia alla mente di suo zio, un tempo un uomo alto,
fisicamente attraente, forte mentalmente e un buon re amato e
rispettato da tutti.
Aveva capito che
c’era dietro Grima, perché la guardava peggio del
solito; ma pure non poteva essere solo lui: Grima era soltanto un uomo,
non uno stregone e, riflettendo attentamente, aveva compreso
che Saruman si stava immettendo nella mente di suo zio.
Solo i valar sapevano
quante volte lei e suo fratello avevano pregato perché il re
ritornasse, ma le preghiere non avevano dato seguito alcuno.
E allora ecco che la
speranza incominciava a diminuire, e a calare sempre di più
nel cuore, ormai freddo, di Eowyn.
“Sei bella,
Eowyn, bella come una mattinata di primavera.” Grima non
esitava a corteggiarla nemmeno in presenza di suo zio, a questo punto.
“Le tue
parole sono come veleno per me” sputò Eowyn
osservando schifata il traditore, alzandosi dalla sedia dove si era
seduta e andando alla finestra, seguita prontamente da Grima. Un tempo
era un consigliere saggio, che la faceva ridere quando era
più piccina per le facce buffe che faceva. Ma ormai il
potere l’aveva logorato.
“Fra poco
avrò il contratto matrimoniale firmato da tuo zio, Eowyn, e
allora nulla ti proteggerà più, nemmeno
quel guerrafondaio di tuo fratello” sghignazzò
l’ometto.
Eowyn si trattenne a
stento dal dargli uno schiaffo in pieno viso, solamente
perché erano presenti degli alti ufficiali che appoggiavano
Grima.
“Non mi
sposerò mai. Sicuramente non con te”,
sibilò la principessa fissando con sguardo algido
l’ometto.
“Allora
rimarrai sempre sola. Non amerai mai nessuno, sarà la tua
maledizione, bianca dama di Rohan.” Le parole
dell’ometto la seguirono mentre, sconvolta, Eowyn lasciava di
corsa la sala del trono. Una singola lacrima le solcò il
viso.
Avrebbe tanto voluto
fuggire, raggiungere Eomer e i suoi cavalieri e cavalcare libera con
loro, salvando popolazioni e città dagli orchetti, ma
purtroppo era una donna.
Avevano discusso, lei
e suo fratello, se farla andare con loro oppure se rimanere a Rohan e
alla fine, a malincuore, aveva dovuto cedere alle pressioni che Eomer
le faceva perché rimanesse a palazzo: non aveva mai odiato
tanto essere una donna come in quel momento.
Corse fuori e
respirò aria fresca e pulita.
Doveva essere forte
per suo zio, forte per Eomer, forte per la popolazione e, per ultimo,
anche per se stessa. Non doveva vacillare.
Il mondo era ingiusto
ma lei doveva cercare di sconfiggere gli incubi.
Sospirando
entrò di nuovo nel palazzo, nella sua gabbia ormai non
più dorata.
***
I tre compagni
cavalcavano ormai da giorni i tre cavalli che, infaticabili, non davano
segni di cedimento alcuno, quando come in sogno videro apparire
all'orizzonte il palazzo d'oro di Meduseld.
“Un grave
male sorge qui, urge decisamente il mio intervento” disse
Gandalf dando un colpetto sulle reni di Ombromanto che
galoppò, senza esitazione, verso il palazzo.
All'entrata vennero
fermati da alcuni uomini.
“Dateci le
vostre armi!” intimò un uomo barbuto, capo della
compagnia.
“Per
ordine...?” domandò Gandalf, fissandolo con i suoi
penetranti occhi grigi.
L'uomo
sembrò farsi piccolo e balbettò:
“Per... ordine di Grima, il consigliere del re.”
Gandalf non si
arrabbiò: consegnò lui stesso la spada e fece
cenno a Aragorn e a Legolas di consegnare le loro armi agli uomini.
“Trattate
bene il mio arco. È stato fatto da una persona a cui tengo
particolarmente” bisbigliò Legolas, dando l'arma
in mano a un giovane che tremò in presenza di una creatura
così leggendaria.
“Il
bastone?”, chiese nuovamente il capo delle guardie.
“Oh, suvvia,
non vorrai mica privare un vecchio del suo punto di
appoggio?” domandò ridendo con gli occhi Gandalf.
A quel punto l'uomo
dalla barba rossa sospirò e lasciò entrare i tre
compagni nel palazzo d'oro.
L'interno era semplice
ma di ottimo gusto, costatò Aragorn, e al centro
del salone si trovava un grande trono con sopra seduto un uomo: un
vecchio, con i capelli ormai bianchi e molte rughe sul viso stanco. Il
re era immerso in conversazione con un uomo più giovane, dai
capelli neri incollati al viso e occhi gelidi; alla sua destra c'era
una fanciulla dai capelli rossi e vestita di verde che stringeva le
mani del vecchio.
“Ah! Eccolo
qui.” La fredda voce dell'uomo più giovane fece
fermare Legolas e Aragorn dietro Gandalf, che guardò
l'essere.
“Gandalf,
corvotempesta. Il malaugurio è un cattivo ospite”
continuò l'ometto disgustato, fissando gli occhi grigi dello
stregone come a provocarlo.
“Voglio
parlare con il re, non di certo con te, Grima Vermilinguo”
sibilò Gandalf pericolosamente.
“So chi sei.
E so come estirparti, Saruman. Vattene, lascia questa corpo, lascia
questa casa” declamò Gandalf, e fu come essere
abbagliati da un aura di potere. Aragorn dovette chiudere gli occhi e
così anche Legolas, che si trovava vicino a lui.
Theoden
urlò parole incomprensibili, ma ecco che
l'incantesimo giungeva a termine, mentre Grima urlava e sputacchiava di
togliere il bastone allo stregone.
Legolas prese sotto la
sua custodia l'uomo, mentre il re si riprendeva e diventava
più giovane sotto gli occhi stupiti di tutti.
“Gandalf, mi
serve una spada” furono le prime parole che
pronunciò il vero re. Subito mormorii concitati si fecero
sentire, e l'uomo che aveva preso le armi a Legolas, Aragorn e Gandalf,
porse l'elsa di una spada al re.
“Questa
è la vostra arma, mio signore” mormorò
l'uomo inchinandosi e Theoden la prese sentendo una sensazione
meravigliosa su di sé: si sentì forte e vivo.
“Dov'è?”
sibilò poi, riferendosi a Grima. Lo vide inchiodato a terra
da Legolas, che capì e lasciò l'uomo al suo
destino.
L'ometto si mosse
carponi verso l'uscita del palazzo. Il re gli andò incontro
sfoggiando sul viso un'espressione crudele. Puntò la spada
sulla gola di Grima Vermilinguo che iniziò a borbottare.
“Mio
signore, no. Non uccidetelo.” disse Aragorn, colpito dalle
sue stesse parole.
“Chi sei tu?
Chi sei tu per dirmi cosa devo fare?” domandò il
re fissando gli occhi su Aragorn.
“Il mio nome
è Aragorn, figlio di Arathorn, e vi ordino di fermarvi,
vostra maestà.” Le parole uscirono dalla bocca di
Aragorn senza che egli le potesse controllare. Poi, fissando la dama
vestita di verde che li aveva seguiti fuori dal palazzo, e che sembrava
ancora più bella alla luce del sole, bella come una
primavera, inspirò forte dal naso e aggiunse:
“Avete già sofferto troppo, mio signore, a causa
sua. Risparmiatelo.”
Theoden lo
fissò a lungo con sconcerto prima di abbassare la spada.
“Vai
e non farti più vedere. Se ritornerai, la mia mano non
sarà più piegata.” sibilò il
re rivolto a Grima che, dopo aver sputato sui piedi di Aragorn,
fuggì.
***
Frodo e Sam seguivano
abbastanza fiduciosi la loro nuova guida per Mordor. Per i piccoli
hobbit abituati al verde della Contea quel luogo pareva tutto grigio e
uniforme, eppure riuscivano a trovare cose belle anche lì,
specialmente Sam, che si incantava davanti a ogni cosa.
“Guardi quel masso, padron Frodo, non è
perfetto?”
“Forza Sam,
dobbiamo seguire Eliean.” borbottò piano Frodo.
L'hobbit si stava
decisamente affezionando alla figura silenziosa della loro
accompagnatrice. Non parlava molto, Eliean –
così aveva detto loro di chiamarsi – ma era
proprio quel silenzio che a Frodo serviva: il piccolo hobbit aveva un
peso sul cuore dovuto all'anello, che si stava facendo sempre
più potente man mano che si avvicinava al suo padrone, e
quindi avere qualcuno di silenzioso, ma che gli era simpatico, era una
bella sensazione.
“Guardate”
bisbigliò Eliean e li portò vicino a un burrone.
Sotto di loro marciava
una lunga fila di cavalieri, alcuni a piedi, altri su cavalli imponenti
e altri ancora invece su elefanti dalla doppia proboscide.
Gli uomini erano
bellissimi, indossavano vesti rosse e oro, avevano gioielli al viso e i
loro occhi erano scuri e crudeli.
“Quelli sono
Olifanti” bisbigliò eccitato Sam all'orecchio di
Frodo. “Se il vecchio Gaffiere lo sapesse, che li abbiamo
visti.”
Il portatore
dell'anello ridacchiò.
La donna
sibilò rudemente e Frodo si voltò verso di lei
per chiedere spiegazioni.
“Vuol dire
che non possiamo andare per la via che avevo pensato... No! Dobbiamo
per forza andare per l'altra strada, anche se è
più pericolosa e tortuosa. Ve la sentite, giovani
hobbit?” domandò fissando i due suoi nuovi amici.
Frodo
sospirò. “Se ci conduce al nero cancello, non
possiamo fare altro che seguirvi.”
La donna
annuì e prese a camminare con i due hobbit che la seguivano,
piano e attenti a non farsi male.
Note.
Buonsalve,
è da tantissimo che non aggiorno, lo so, mea culpa, mea
grandissima culpa; avevo perso letteralmente l'ispirazione, poi
però trovata nuovamente. (: spero vivamente che ci sia
ancora qualcuno fra queste lande (?) perchè adesso la storia
inizia a entrare nel vivo della narrazzione; perdonatemi se non ho
inserito subito Boromir e Indil, ma il prossimo capitolo capiterete
cosa gli sta per succedere. E vi dico già che non
è bello. Io amo far soffrire i miei pg, veramente. Fatemi
sapere che ne pensate di questo, con una bella recensione.
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