The Jewel

di Scaramouch_e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


indillegolas
araboro
faraE
The jewel

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.
Prologo.

Frodo e Sam avevano incontrato un essere deforme e l’avevano domato quella stessa sera. Ora erano in tre a viaggiare insieme, con la corda elfica legata attorno al collo della creatura che urlava e piangeva perché non sopportava quel laccio.
La donna che li seguiva di nascosto era sempre più contenta di non essersi mostrata, perché quella presenza le era insopportabile alla vista: odiava la creatura che stava con i due hobbit, ma voleva seguirli comunque.
Li rincorreva per curiosità, poiché non si vedevano molti mezz’uomini negli Emyn Muil, e perché aveva sentito parlare dagli orchetti di un hobbit che portava un oggetto di grande valore per il Signore Oscuro.
Era lo hobbit con i capelli neri ad avere l’elemento prezioso che il Signore Oscuro voleva. Da quando si trovava nelle terre oscure non aveva mai visto né sentito nulla del genere, e per questo motivo inseguiva i due mezz’uomini, appiattita, nascosta alla loro vista. 

Fin da quand’era piccola amava giocare con spada e arco, per poter uguagliare le leggendarie donne delle storie che Luine, sua madre, le leggeva da un grande tomo scritto decenni prima.
Ella era brava e metteva passione nei 
suoi gesti, tanto da esser notata da Boromir, figlio del Sovrintendente di Gondor.
“Ti va se giochiamo insieme alla guerra?” le aveva chiesto 
un giorno Boromir, che era già grande abbastanza a quell’epoca, anche se non troppo da non poter giocare.
“Prima devi parlare con mia mamma” aveva 
risposto la giovane fanciulla, senza provar timore nel guardare negli occhi del ragazzo.
Boromir aveva annuito
, facendosi guidare verso la casa umile e popolare dove lei viveva con sua madre, una donna mortale che aveva amato un elfo con poteri di guarigione.
Il figlio del Sovrintendente 
 parlò con la donna, e se questa inizialmente sembrò sorpresa e un po’ indispettita, quando capì che i giochi non avrebbero tolto tempo agli studi della figlia parve riflettere. “Anzi, potrebbe studiare anche meglio: giocheremmo vicino al palazzo dove, come ben sa, c’è la biblioteca” aveva proseguito il giovane, e sua madre aveva accettato.
“Il mio nome è Eliean” si era presentata la ragazza e Boromir l’aveva salutata militarmente prima di andarsene.
“Mi chiamo Boromir” si era presentato 
a sua volta il figlio del Sovrintendente.
“Vi conosco
, messer Boromir!” aveva urlato  la giovane guardando il condottiero andarsene. 

Nel cuore della giovane c’erano stati gratitudine e sorpresa. Mai si sarebbe immaginata di poter giocare con un condottiero come Boromir.  Gli allenamenti erano cominciati quella settimana stessa. Erano stati duri, ma lei non si era mai lamentata, anzi, era orgogliosa delle sue cicatrici.
Aveva continuato
 a allenarsi  duramente e, allo stesso tempo,  aveva studiato sui tomi antichi e polverosi della biblioteca di Minas Tirith con Faramir, il fratello minore di Boromir, e un vecchio saggio con il mantello grigio, che lei conobbe con il nome di Apeliote. [1]
Costui era un viaggiatore e un uomo assai sensato che presto si era preso a cuore il destino di Faramir e della fanciulla, facendo loro da maestro. 

“Miss Eliean, miss Eliean!” l'aveva chiamata una donna mentre stava giocando con Boromir.
I lunghi capelli rossi acconciati 
in treccine per non esser di peso durante gli allenamenti, gli abiti maschili e la spada puntata contro l’uomo. Così appariva la fanciulla in quel momento. Faceva caldo e difatti goccioline di sudore imperlavano il corpo tonico e scattante della giovane donna.
“Un momento” 
aveva detto Eliean e aveva colpito il fianco destro di Boromir, facendo applaudire il fratello minore che stava assistendo al combattimento.
“Mi avete distratto
, donna Jilly. Cosa c’è?” aveva domandato Boromir alla donna grassoccia che aveva chiamato Eliean.
“Scusate. Ma penso che miss Eliean debba esser informata. Sua madre è deceduta.”
Gli occhi 
della fanciulla si erano allargati e una lacrima le aveva solcato le guance. 
Era corsa
 verso casa abbandonando la spada.
Vi era arrivata trafelata
, trovando già alcuni uomini fuori della porta, che avevano il cappello in mano. Era entrata e aveva visto sua madre che veniva portata fuori su una barella di legno. Era sempre stata una bella donna, anche nel momento della morte.
“Soffriva di cuore” 
aveva detto il vecchio saggio, Apeliote, che Eliean, piena di angoscia, non aveva visto. Era appoggiato allo stipite della porta e fissava il vuoto.
“Mi dispiace amica mia” 
aveva ripreso l’uomo stringendo la mano alla fanciulla, che si era messa a piangere, liberando infine la disperazione trattenuta.
“Parti con me, devo andare lontano da qui. Cosa ti lega a queste terre
, dopotutto?” le aveva detto il vecchio saggio, sorridendole in modo triste.
Eliean 
aveva annuito asciugandosi gli occhi. “Lasciatemi solo salutare i miei amici” aveva detto, riferendosi a Boromir e a Faramir.
“Ti aspetterò alla locanda” aveva replicato 
Apeliote, “e poi partiremo.” La giovane aveva annuito ancora, abbracciando il vegliardo. 

Era corsa verso il castello, come se avesse avuto i piedi alati, ed era entrata dentro salutando la guardia. Velocemente era arrivata nel cortile e si era fermata a guardare i suoi migliori amici che stavano bisbigliando fra loro.
“Eliean” 
aveva mormorato Faramir guardando verso l’amica che, con un colpo di tosse, aveva comunicato la sua presenza. “Mi dispiace tanto per tua mamma” aveva detto il ragazzo più giovane, stringendo la mano della fanciulla e guardandola tristemente.
 “Sto bene, Faramir. Per davvero. Apeliote mi ha chiesto di viaggiare con lui” 
aveva spiegato la giovane donna, e si era messa a raccontare ai due giovani ciò che si era detta con il vecchio della biblioteca.
Gli occhi di Faramir si 
erano riempiti di lacrime al sentire che l’amica lo lasciava. “Se potessi fuggirei anche io, e tu lo sai bene” le aveva detto asciugandosi le lacrime.
“Se Apeliote ti fa del male, sai che non avrà vita facile” 
aveva borbottato il maggiore. 
Nonostante il dolore,
 Eliean aveva riso di gusto vedendo l’espressione sul volto del ragazzo.
“Ah
, Boromir... Non ti preoccupare, starò bene” aveva detto la fanciulla e Faramir l'aveva abbracciata di slancio. Eliean aveva nascosto il viso sulla spalla del giovane, annusando l’odore buono del suo amico.
Questo non è un addio, Faramir. È un arrivederci” aveva bisbigliato la giovane lasciando andare il figlio minore del Sovrintendente, che le aveva sorriso.
“E allora vai amica mia, e fai grandi cose, se questo è il tuo destino” aveva detto Faramir e lei 
aveva annuito piano, staccandosi dal ragazzo.
Era corsa, infine,
 alla locanda sperando di non essersi sognata tutto. 

Aveva trovato Apeliote seduto ad uno dei vecchi tavolacci di legno duro. “Partiamo?” aveva chiesto il vecchio, e la giovane aveva annuito.
Apeliote si era rivelato esser un ottimo maestro
, e così i suoi sensi erano stati sviluppati con allenamenti sempre più stancanti, ma anche assai appaganti.
Si erano divisi quando l’uomo 
era dovuto partire per la Contea; da allora lei aveva viaggiato per le terre libere e non, offrendo la sua spada come soldato di ventura.

Si trovava nelle terre oscure perché aveva visto che qualcosa si stava svegliando, e dove c’era guerra e distruzione lei, la guerriera, era là a combattere.
Era l’unica cosa che la faceva sentire viva.

NOTE.
Salve, sono orgogliosa di presentarvi le nuove avventure per Indil e compagni. 
In questo capitolo però l'elfa non compare, bensì si rivela a voi un nuovo personaggio, del tutto estraneo al'opera di Tokien, un altro OC per dire, che però è asssai legata a Faramir e a Boromir, e che seguirà le vicende di Frodo e Sam. 
Spero tanto di avervi incurisito. 

[1] Apeliote. E' il nome greco del vento dell'est: ho pensato che per il personaggio misterioso, può andar bene come nomignolo. Probabilmente avete già capito di chi parlo, ma mi illudo di fare la misteriosa.  

 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.

Capitolo I.

 
I quattro compagni erano infaticabili nel loro inseguire gli orchetti. Come delle macchine da guerra percorrevano miglia su miglia quasi senza fermarsi. Ormai erano tre giorni e tre notti che pedinavano il gruppo che aveva preso gli hobbit.
I due uomini erano sempre chini a fissare il terreno, per individuare eventuali impronte o tracce lasciate dai due hobbit, mentre i due elfi fissavano avanti a loro nella speranza di scorgere un segno.

Il terzo giorno Aragorn trovò un indizio.
“Mai a caso cadono le foglie di Lorien” disse sollevato il ramingo, prendendo in mano la spilla caduta a terra e sorridendo.
“Dunque, c’è ancora speranza” commentò Boromir, sorridendo a sua volta.
“La speranza non muore mai” rispose Indil, arrossendo mentre lo guardava. La principessa ricordava come l’uomo di Gondor l’avesse ringraziata per avergli praticamente salvato la vita, appena la compagnia aveva ripreso il viaggio.

Era notte e Indil era di guardia. Boromir si era alzato, turbato dai molti incubi che si avvicendavano nella sua mente da quando la giovane principessa l’aveva salvato, e le si era seduto accanto.
Per un po’ non avevano parlato, poi lui le aveva alzato il viso e le aveva accarezzato la guancia destra; aveva fatto sfiorare i loro nasi in un tenero contatto,  quindi il gondoriano aveva posato le labbra sulle sue.
L’aveva baciata.
Le labbra di Boromir avevano aderito alle sue in modo inaspettato, ma dolce e perfetto, e si era staccato da lei solo dopo parecchio tempo.
“Grazie” aveva mormorato l’uomo di Gondor e Indil era semplicemente arrossita, per poi appoggiare la testa bionda sulla forte spalla del condottiero.
“Sono contenta che tu sia vivo” aveva sussurrato lei, e lui le aveva fatto passare un braccio attorno alla vita sottile. Erano rimasti così a contemplare le stelle e a vegliare il sonno degli altri compagni, per tutto il resto della nottata.

***

I quattro compagni continuarono a correre scorgendo i pochi indizi degli hobbit, che si facevano sempre più rari, fin quando Aragorn non si arrestò.  “Legolas, cosa vedono i tuoi occhi di elfo?” domandò l’uomo con preoccupazione.
“Ci sono dei cavalieri che vengono verso di noi, Aragorn. Vedo che tre cavalli non hanno cavaliere, e intravedo anche del fumo dietro le loro spalle” fu la risposta accorata dell’elfo biondo.
“Descrivili fisicamente” ordinò il Dunedain. “Sono molto alti, hanno i capelli biondi lasciati cadere in ciocche e i loro volti sono duri. Cavalcano destrieri imponenti e stupendi.”
Legolas si interruppe nel descrivere perché  Boromir prese la parola. “Quelli sono i cavalieri di Rohan, Aragorn. Sono i Rohirrim. Non abbiamo nulla da temere, da loro” disse con voce concitata l’uomo di Gondor.
“Aspettiamoli, allora. Non possiamo andare da nessuna altra parte, e poi potremmo anche chiedere il loro aiuto” propose Aragorn e il resto della compagnia non poté che rimanere ferma e immobile.

Tuttavia i cavalieri, notò Aragorn, trottavano non nella loro direzione, bensì dalla parte opposta.
“Cavalieri di Rohan, quali notizie dal Mark?” domandò dunque con voce tonante per attirare la loro attenzione.
Gli agili cavalieri fecero rapidamente dietrofront e circondarono i quattro compagni puntando loro contro le lance.
“Chi siete? Come mai andate a piedi in queste terre?” domandò un uomo dal volto coperto da un elmo raffinato, che si poteva vedere esser giovane e scattante.
“Io so chi sei: Éomer, terzo maresciallo del Riddermark. Io sono Boromir, figlio di  Denethor” si rivelò il gondoriano con voce possente.
“Boromir? Sì, ora ti riconosco. Sei proprio tu! Ma che ci fai in simil compagnia? Chi sono costoro? Perché non sei a Gondor, com’è tuo diritto?” domandò incuriosito l’uomo chiamato Éomer.
“Loro sono Grampasso figlio di Arathorn, uno dei Raminghi del Nord, un Dúnedain; e Indil e Legolas, che provengono dal reame Boscoso e sono eredi di sire Thranduil. Siamo qui per conto di Elrond di Gran Burrone e ti vorremmo porgere alcune domande” spiegò brevemente Boromir, evitando di rivelare il nome di Aragorn.

“Che strani tempi sono questi: un ramingo, due elfi - uno dei quali femmina - e un uomo di Gondor che si fanno una bella scampagnata. Ebbene, i miei occhi però sono buoni, e so che sei veramente tu Boromir di Gondor, quindi porgimi pure le domande che vuoi” acconsentì Éomer.
“Legolas ha visto del fumo. Avete per caso lottato con degli orchetti e poi bruciato i loro corpi, com’è vostra abitudine?” domandò Boromir.
“C’è stata una grossa battaglia contro gli orchetti, e poi ne abbiamo bruciato i corpi, sì!” confermò Éomer con il volto serio.
Indil, vicino a Legolas, vacillò quando si rese conto di cosa ciò significava.  “Per i Valar...” mormorò l’elfa e poi domandò concitatamente: “C’erano due hobbit… due mezz’uomini con loro?”
“Non c’era nessun altro, a parte gli orchetti e degli strani esseri ancor più mostruosi con disegnata una mano bianca in fronte” disse Éomer rivolgendosi all’elfa, che mormorò poche parole in una lingua a lui sconosciuta, ma che sembrava una preghiera. “Dove è accaduta la vicenda dei vostri amici?” domandò il Rohirrim, “Negli Emyn Muil. Abbiamo corso per tre notti e tre giorni, quasi senza mai fermarci” spiegò Aragorn.
Éomer fischiò in segno d’approvazione. “Piedealato ti chiamerò. Grampasso è un nome troppo comune! Perché non venite a Rohan? Il mio re è purtroppo malato: è stato contaminato dalle parole crudeli di un servo, e ora caccia tutti i suoi buoni consiglieri e combattenti come me e la mia Eorlingas. Un tuo aiuto ci servirà sicuramente.” Éomer aveva deciso di fidarsi e di aprirsi con Grampasso avendo visto che al suo fianco c’era Boromir di Gondor. “Il mio cuore direbbe di seguirti, ma non la mente. Non sappiamo ancora se gli hobbit siano realmente morti o no, vorremmo assicurarcene” rispose Aragorn e il Rohirrim lo guardò con stupore.

“Se è questo il tuo volere, non posso che acconsentire, però vi debbo metter in guardia da un’altra cosa: c’è un vecchio stregone che vaga in queste terre. Egli somiglia tanto a Gandalf il grigio, a parte il colore delle vesti: sono bianche, ma in lui non c’è purezza, anzi è pieno di malvagità.” Éomer li guardò uno per uno, come se stesse pensando a qualcos’altro.
“Staremo attenti, Éomer” parlò Boromir e il viso del Rohirrim si distese.
“Portatemi Hasufel, Arod e Haleth” ordinò il maresciallo, e i tre splendidi cavalli che Legolas aveva visto senza cavaliere vennero condotti per le briglie da un uomo.
Erano tutti senza padrone, spiegò rapidamente Éomer, morti durante la piccola battaglia, e tutti desiderosi di intraprendere una cavalcata con nuovi alleati.
“Mi dispiace che non ci sia un cavallo per voi, mia signora” disse il Rohirrim riferendosi a Indil, che sorrise.
“Non vi preoccupate, cavalcherò con mio fratello” rispose l’elfa, gettando un’occhiata a Legolas.
I quattro amici lo ringraziarono e mentre Boromir e Aragorn prendevano Hasufel e Haleth, salendo loro in sella, Legolas prese Arod ma chiese che la sella venisse tolta. “Noi cavalchiamo i buoni cavalli liberi, senza costrizioni” spiegò prendendo la mano della sorella e facendola sedere dietro di sé.
Fu con queste parole che i quattro cavalieri abbandonarono i Rohirrim.

I cavalli erano come fulmini e quando Indil guardò dietro di sé si accorse che erano già a molte miglia di distanza dai cavalieri di Éomer. Si aggrappò al fratello per non cadere.
Continuarono a galoppare nell’erba fresca fino a quando Aragorn non dette il segnale di fermarsi.
Erano vicini alla foresta di Fangorn, notò con stupore l’elfa, scendendo da cavallo e vedendo il brutto muso di un orchetto infilzato su una lancia.
“È qui che è avvenuto lo scontro, ed è qui che sono morti gli hobbit” disse tristemente Boromir.
“Non eravamo con loro, purtroppo” tentò di consolarlo Aragorn, che nel frattempo si guardava intorno misurando le impronte lasciate da qualcuno prima di loro.
“Qui c’era un’hobbit. E qui un altro” mormorò con affetto accarezzando la nuda terra. Trovò una corda tagliata. “Guardate. Hanno tagliato la corda” disse stringendo il pezzo di spago fra le mani, e poi, avanzando carponi, poco lontano trovò altri indizi: un coltello e un altro pezzo di corda.  “Si sono liberati. Hanno corso” proseguì Aragorn seguendo le impronte lasciate dai piccoli amici. “E poi sono entrati nella foresta di Fangorn.” Si arrestò, guardando l’antica e impenetrabile foresta con orrore e raccapriccio.
“Perché l’hanno fatto?” domandò Boromir.
“Non hanno avuto altra possibilità” rispose tristemente Aragorn.
“E neppure noi ce l’abbiamo. Dobbiamo attraversarla” fece Legolas con gli occhi raggianti, fissando la sorella. Gli elfi si trovavano benissimo nella natura selvaggia.

 NOTE
Eccoci qui con un nuovo capitolo dopo le vacanze. Tutto bene Pasqua e Pasquetta? Spero di sì!
Dunque spero che il capitolo vi piaccia. Boromir e Indil si sono finalmente baciati! #grandefestaallacortediGondor, *cofcof*, e abbiamo conosciuto il buon Éomer... Che impressione vi hanno fatto questi due eventi? Come li avete vissuti? Fatevi sentire nelle recensioni mi raccomando. <3 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.
Prologo.

 

“Merry, Merry! Svegliati, Merry! Aiuto il mio amico non si sveglia.” Pipino fece fermare gli orchetti che, per niente delicati, misero a terra i due hobbit.
“Non si sveglia, eh?” domandò un brutto orchetto. Pipino deglutì.
“Per favore, fate qualcosa” implorò lo hobbit.
“Ancora non ho capito perché li dobbiamo portare vivi” disse l’orchetto fissando Pipino con occhi famelici.
“Perché se no il padrone ci fa fuori noi” borbottò un Uruk-hai con disegnato il simbolo della bianca mano in fronte. Avvicinandosi agli hobbit egli si chinò davanti a Merry; senza nessuna delicatezza gli fece alzare la testa e prese una boccetta da un orchetto lì vicino.
Gli orchi e gli Uruk-hai gettarono un’occhiata diffidente al nuovo capo, che fece bere il liquido a Merry.
L’hobbit sputò buona parte del liquido a terra, ma il resto lo ingoiò tutto e gli orchetti cominciarono a ridere a crepapelle sotto gli occhi seri e vigili degli Uruk.
L’Uruk-hai chiuse la boccetta e fissò Merry negli occhi. “Sì, sta bene. Possiamo continuare. Topi di fogna, in marcia!” urlò poi ai sottoposti.
Due orchetti presero gli hobbit sulle spalle e, borbottando, seguirono gli altri.

“Cos’è successo?” chiese Merry, e Pipino si mise a piangere dalla felicità. Il suo amico stava bene.
“Sono felice di sentirti parlare ancora, Merry, non sai quanta preoccupazione mi hai dato” bisbigliò il giovane hobbit. “Comunque ci hanno catturato. E ci stanno portando, penso, a Isengard, da Saruman.”
Merry rabbrividì, il viso pallido e smunto.
“Boromir?” volle sapere e Pipino abbassò il capo. “Non è con noi, è rimasto con Indil” spiegò piano e Merry chiuse gli occhi, pregando che Boromir stesse bene.

 
Altri giorni passarono, e gli infaticabili orchi e Uruk-hai avanzavano come se avessero avuto dietro il loro padrone che li frustava.
Parlavano poco ma, da quello che dicevano, Merry e Pipino avevano compreso che fra Uruk e orchi non scorreva buon sangue, perché i primi si consideravano una razza superiore e volevano comandare gli orchetti, e questi ultimi non ne erano affatto contenti.
Si arrestarono solamente quando videro un’imponente foresta.
“Noi lì non ci entriamo” borbottarono con sdegno gli orchetti guardando gli Uruk-hai, e questi ultimi ringhiarono. “È la via più veloce per Isengard, idioti. Noi ci entriamo, ecco.”
“Noi non prendiamo ordini da Saruman” urlò un orchetto.

L’Uruk, sotto lo sguardo disgustato degli hobbit, gli staccò la testa con un colpo della sua rozza scimitarra. 
“Siamo tutti sotto ai suoi ordini. E voi altri volevate carne? Eccola!” urlò.
Ci fu un vero e proprio macello mentre gli Uruk e gli stessi orchetti banchettavano con il corpo del loro compagno sconfitto.
I due hobbit guardarono quel massacro troppo spaventati per fare niente.
Mentre Uruk e orchetti finivano il pasto, si sentirono in lontananza canti e un corno da guerra. Gli orchetti si spaventarono e gli stessi Uruk furono troppo impauriti per fare qualcosa. Rimasero a farsi massacrare dai cavalieri umani.

 
Durante la confusione della battaglia, Merry e Pipino erano riusciti a lacerare la corda che li legava con un coltello caduto; quindi Pipino aveva lasciato il coltello sul terreno.
“Così li aiuteremo a trovarci!” aveva bisbigliato a uno stupito Merry, che aveva sorriso. “Mentre eri svenuto ho pure buttato a terra la foglia di Lorien che ci ha regalato Dama Galadriel, come indizio.” Il sorriso di Merry si era ampliato. “Geniale!” aveva sussurrato lo hobbit e poi Pipino aveva preso Merry per mano e insieme si erano inoltrati nella foresta alle loro spalle.
“Ce l’abbiamo fatta, Merry” rise Pipino, asciugandosi la fronte con la mano.
Un orchetto scampato al massacro, però, si affacciò anche lui nella foresta. La sua brutta faccia si illuminò quando vide gli hobbit.
“Eccovi. Venite qui, amici miei, andremo a Isengard insieme. Oppure prima vi mangerò” disse parlando in un modo gutturale che niente aveva di umano.
Merry e Pipino erano bloccati dalla paura, ma un grande ramo li prese e li sollevò. Urlarono quando si resero conto di cosa li aveva afferrati. Un albero: un albero con la bocca e gli occhi.
“Burarum! Che ci fanno questi tre orchetti, qui?” domandò l’albero.
“Messere, noi non siamo orchi, siamo hobbit” disse Merry con voce un po’ insicura nonostante avesse riconosciuto quell’essere.
I Brandibuck si tramandavano storie circa alberi parlanti, chiamati ent, ma lui mai si sarebbe aspettato di vederne uno.
“Burarum. Hobbit? Cosa sono gli hobbit? E quello a terra cos’è?” domandò l’albero, fissando l’orchetto che tentava di ripararsi contro una roccia.
“Noi hobbit siamo esseri semplici, che amano la natura. E quello laggiù, invece, è un orchetto” rispose coraggiosamente Merry. 
L’ent uccise l’orchetto schiacciandolo con il piede, e Merry guardò quella morte con in viso una sorta di ghigno di vittoria, mentre Pipino si copriva gli occhi con le mani.
“Ora vi porto dallo stregone. Burarum.”
“Chi? No messere, per favore” pregò Merry, ma era troppo tardi.
In pochi passi i due hobbit si trovarono davanti a uno stregone vestito di bianco.

 

***

“La foresta di Fangorn, ancora non ci posso credere che si siano inoltrati qui. Dicono leggende che ci sono cose vive e che queste cose non siano umane” borbottò inquieto Boromir mettendo piede, per la prima volta, in quella foresta impenetrabile.
“Si chiamano ent! E sono alberi” spiegò felice Legolas mentre respirava l’odore di alberi e di bosco verde tanto amato dagli elfi. Anche la sorella era felice e lo si vedeva dal sorriso che aveva sulle labbra.
Camminavano a piedi tenendo i cavalli per le redini. “Sono alberi parlanti, sono esseri antichi. Se non hai niente contro di loro, non ti faranno niente” spiegò l’elfa.
“E noi non abbiamo nulla contro di loro” confermò Aragorn che, come pure Boromir, sembrava inquieto ad attraversare quella foresta millenaria.

Il futuro re era chino alla ricerca di impronte; ne aveva trovate molte e parecchio strane. Non erano impronte né di orchetti, né di hobbit.
“Dove saranno andati?” domandò a voce alta Aragorn mentre fissava un’impronta.
“In un luogo sicuro, Aragorn figlio di Arathorn.” Una voce sicura e forte fece voltare i quattro compagni che impugnarono subito le armi: i due elfi l’arco e i due uomini la spada.
Nella luce prodotta da un bastone si vedeva un vecchio con un cappuccio, vestito di bianco.
“È lui” bisbigliò Aragorn. “Non sbagliare, Legolas. Va’.”
L’elfo capì e scagliò una freccia che però il vecchio parò, allora Boromir si gettò contro di lui, la spada in mano, ma il vegliardo la fece cadere.
“Boromir, sono contento di vederti vivo” mormorò lo stregone fissando l’uomo, che subito si inginocchiò riconoscendo chi si celava dietro il fascio di luce.
“Gandalf” bisbigliò e quel sussurro bastò agli amici che subito fecero come il condottiero e si chinarono a terra in segno di reverenza. “State in piedi per favore” pregò il loro vecchio amico, e la luce che lo avvolgeva scomparve.
“Sono Gandalf, ma non lo sono totalmente. Sono anche Saruman, ma come avrebbe dovuto essere” spiegò fissando i quattro compagni.
“Parli per enigmi, amico mio” disse Aragorn fissando il vecchio, che sorrise.
“Ma dimmi degli hobbit? Stanno bene?” domandò preoccupato il re senza corona.
“Gli hobbit hanno risvegliato forze a loro superiori, ma positive, e in questo momento sono con loro. Per loro l’avventura è appena iniziata, così come per noi” spiegò l'istari mettendosi a sedere.

Avevano parlato per parecchio tempo. Gandalf li aveva aggiornati sulla sua lotta contro il Balrog nelle profondità della terra, e loro in cambio avevano raccontato allo stregone della loro battaglia contro gli orchetti e gli uruk, e della loro ricerca disperata dei due hobbit rapiti dal nemico.
“So che Frodo e Sam si sono divisi da voi, ma non vi preoccupate, sono ben guidati anche loro” disse lo stregone bianco, fissando Boromir che abbassò la testa, versando una singola lacrima.

 

***

“Piano, i piccoli hobbit devo fare attenzione, oppure nelle brutte pozzanghere cadranno.” Gollum, quello il nome dell’essere che guidava Sam e Frodo, così si rivolse ai due hobbit che si tenevano per mano per non cadere negli acquitrini.
Frodo gli aveva chiesto una via per essere condotto al Nero Cancello e Gollum, da che lo avevano domato, si era dimostrato esser assai disponibile nei confronti del portatore. Anche troppo, secondo Sam, che non vedeva di buon occhio l’essere infido, in particolare da quando l’aveva scoperto a mangiare pesci vivi con la polpa e il sangue che gli colavano sulle gengive. 
Da quel momento, il povero giardiniere sognava di esser lui il pesce, e non era certo un bello spettacolo.
Rabbrividì tenendo per mano Frodo, il quale pareva più stanco del solito. 
“Cosa sono quelle luci?” domandò a Gollum, giusto per fare conversazione. “Lanterne, sono, lanterne che richiamano i morti e che fanno essssere morti i piccoli poveri hobbit. Proprio non sarebbe bello per nesssssuno se il padrone sprofondasssse negli acquitrini. Una lunga e dolorosssssa battaglia ci fu tempo fa in queste terre” spiegò rapido Gollum, e Sam, che era rimasto ad ascoltare i racconti dell’essere, notò solo in quel momento che il padrone si era allontanato da loro.
“Frodo?” domandò, guardandosi intorno.
Gollum emise un verso strozzato e si arpionò il collo per la paura di aver perso il portatore e l’anello. 

Frodo si trovava più in là e fissava incantato le lanterne, e mentre lo faceva pian piano sprofondava giù nelle paludi, ove galleggiavano morti di bell’aspetto e orchetti.
Sam fece uno scatto come mai prima di allora aveva fatto, ma si trovò a corto di fiato: una ragazza aveva appena salvato il padron Frodo dalla morte certa. Era di età indefinita e di una bellezza rude, aveva lunghi capelli rossi e occhi color del mare. 
Fermò l’avanzata di Sam con sguardo feroce, poi si abbassò su Frodo che era mezzo svenuto fra le sue braccia. “Sta bene” disse la donna parlando il linguaggio corrente. “Si deve solo riprendere.”
“Chi sei tu? Come ci hai trovati?” domandò Sam, che era stato ben felice di vedere che Gollum se n’era andato, probabilmente avendo intuito il pericolo.
“Mi chiamo Eliean, giovane hobbit. Vi seguo da quando avete attraversato gli Emyn Muil. Non si vedono hobbit da parecchio tempo in queste terre” rispose lei.
In quel mentre Frodo si riprese:  udì quello che la giovane aveva detto e, aprendo piano gli occhi e sbattendo le lunghe ciglia, la fissò incuriosito.
“Non ho mai sentito parlare di te, e non so se mi devo fidare o meno” disse Sam, parlando anche a nome di Frodo.
“Nemmeno io so se mi devo fidare di voi. So solo che siete hobbit e che in genere siete amanti della natura e disprezzate il pericolo. Che cosa ci fate qui? Perché siete giunti in queste terre?” domandò la donna con voce dura.
Frodo guardò Sam: erano in una terra straniera e la signora, che possedeva delle armi - aveva notato il giovane hobbit – avrebbe potuto ucciderli subito dopo averlo salvato, prendersi l’anello e farci qualsiasi cosa. Non sembrava pericolosa. 
Almeno non per loro.
“Siamo qui per conto di Gandalf, Gandalf il grigio” fu la risposta di Sam, interpretando l’occhiata di Frodo. “Gandalf? Lo stregone?” domandò la donna, e Frodo annuì portando l’attenzione della dama su di lui. 
Ella lo guardò preoccupata, mentre lo hobbit si metteva a sedere e si tastava il petto alla ricerca dell’anello, che per fortuna trovò. Lo strinse con affetto nella mano e tutto questo venne notato dalla donna, che però non disse niente. 

Frodo stava per parlare quando la signora gli impose il silenzio. Lo hobbit ubbidì all’istante mentre, da sotto la tunica, la donna cacciò fuori un coltello che conficcò nel collo di un orchetto. La creatura si accasciò a terra con un lamento; un altro orchetto sbucò fuori come dal nulla e la signora impugnò la spada che aveva posato a terra e lo uccise.
Non si vide più movimento. Tutto quello era durato solo un secondo, ma Frodo inizialmente ebbe paura che lei potesse volerli uccidere.
“Dobbiamo andare, giovani hobbit, abbiamo attirato troppa attenzione. Dove vi stava portando l’essere grigio?” chiese la strana dama riponendo il coltello e la spada.
Solo in quel momento Frodo si accorse che Gollum era scomparso.
“Al nero cancello” bisbigliò con voce soffocata per le emozioni che aveva vissuto. “Andiamo” disse la gentildonna e Sam sorrise, contento di non dover più sopportare la presenza di Gollum.
Il giardiniere si incamminò con decisione seguendo Frodo e la loro, strana, nuova guida.

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. Un ringraziamento infine va a tumblr per le gif a inizio capitolo...
Buona lettura.

Capitolo III

 

 

 
“Dove andiamo, Gandalf?” chiese Aragorn.
“Ci divideremo: Legolas, Aragorn e io andremo a Rohan, dove Theoden ha bisogno di un aiuto, poiché ha la mente avvelenata da un uomo infido. Boromir e Indil andranno a Minas Tirith, dove Sire Denethor ha bisogno di vedere suo figlio per saperlo vivo” spiegò il vecchio stregone, facendo un cenno con la testa verso il figlio del sovrintendente.
“Se questi sono i compiti, partiremo subito. E poi rivedere mio padre, e mio fratello soprattutto, non può che farmi felice” disse Boromir.
“Io ti seguirò, Boromir, non soltanto perché è un ordine di Gandalf, ma anche perché lo faccio con piacere” spiegò Indil, mettendosi al suo fianco. Sul volto dell'uomo apparve un piccolo sorriso. “Ti ringrazio” disse rivolto all'elfa.
 “Allora arrivederci, Boromir, le nostre strade si incontreranno di nuovo” parlò Aragorn sorridendogli e l’uomo di Gondor annuì.
“Sono sicuro che le nostre avventure non siano finite, Aragorn.” Abbracciò di slancio il re che non lo rifiutò.  
“Arrivederci sorellina, che la benedizione di tutti gli elfi ti protegga. E se Boromir oserà allungare le mani su di te, mandami Meneldor e io correrò ad aiutarti” bisbigliò Legolas parlando in elfico e Indil ridacchiò abbracciando stretto il fratello. 

 “Che cosa ti ha detto tuo fratello, prima?” domandò Boromir a Indil mentre cavalcavano verso Minas Tirith. 
Avevano preferito tenersi Haleth e lasciare Hasufel e Arod ad Aragorn e Legolas. Gandalf aveva richiamato un bellissimo stallone dal manto bianco come la neve il cui nome, aveva detto lo stregone, era Ombromanto. Legolas era rimasto ammirato da tale creatura e lo stesso era accaduto ad Hasufel, Arod e Haleth. Indil aveva spiegato che quello non era un cavallo qualunque, ma una sorta di re della sua razza, e poi aveva chiesto al destriero se poteva accarezzargli il muso. L’animale aveva accettato abbassando il capo; poi Gandalf era salito in groppa all’amazzone, ed era partito seguito da Hasufel e Arod, che pure erano buoni cavalli ma erano lenti in confronto a Ombromanto.
“Mio fratello ci ha augurato buona fortuna per l’impresa, Boromir, tutto qui” spiegò l’elfa, senza non provare vergogna per la mezza bugia che aveva appena detto.
L'uomo sbuffò piano: evidentemente non credeva del tutto alle parole della principessa, ma non disse niente.
“Tieniti a me” borbottò il Capitano di Gondor e Indil ubbidì, allacciandosi alla vita del condottiero. Egli diede un ordine al cavallo che partì al galoppo, veloce quasi come Ombromanto.

***

Il viaggio durò parecchi giorni. Indil stava sempre aggrappata a Boromir, mentre l’uomo era silenzioso, con lo sguardo concentrato e attento fisso davanti a sé.
Parlavano poco i due compagni, quasi sempre la sera prima che uno dei due si mettesse a dormire e l’altro montasse la guardia. Era quasi sempre Indil a farlo, poiché Boromir era spesso troppo stanco e lei non aveva bisogno di dormire molto. Quelle sere erano per lei serate di solitudine in cui perdersi nella contemplazione del bel profilo del gondoriano, chiedendosi cosa celassero i suoi occhi chiusi.
Durante le pause si esercitavano con gli allenamenti che Boromir aveva promesso a Indil e l’elfa, sotto la guida dell’uomo, migliorava sempre di più, fino a diventare brava nella spada  com’era con l’uso dell’arco.

Si stavano avvicinando sempre di più a Minas Tirith e Boromir pareva esser di cattivo umore, sempre sulle sue. Non chiacchierava nemmeno più con Indil, la sera, e l’elfa  stava iniziando a impensierirsi. “Cosa ti preoccupa, Boromir?” domandò nervosa la fanciulla, una sera, dopo che l’uomo era tornato con un coniglio e aveva imprecato perché si era bruciato un dito con il fuoco da campo.
“La mia città! Mio padre! Ecco cosa c’è: da una parte mi fa piacere vedere mio padre, ma dall’altra non voglio entrare a Minas Tirith così. A chiedergli se è disposto a combattere, perché so che mi risponderà di no, che per il re che lui nega non combatterà. Ne ora ne mai. Vorrei entrare come un vincitore, dopo aver sconfitto il Signore Oscuro, con i cittadini che mi acclamerebbero” sbottò Boromir.
L’elfa vide preoccupazione negli occhi del primogenito di Denethor, ma pure oscurità, e questo la spaventò non poco. “Non avresti dovuto accettare la proposta di Gandalf, allora” mormorò la principessa abbassando il viso.
Boromir sembrò rendersi conto di quanto le sue parole, e il loro tono, avessero preoccupato Indil e le si avvicinò abbracciandola. “Scusami, non avrei dovuto parlati così” disse in tono dolce.
“Va tutto bene, non ti preoccupare, Boromir. Sono stati attimi di debolezza, non ce l’ho con te, né tu con me” mormorò l’elfa più serena e l’uomo annuì.
Mangiarono in silenzio il loro coniglio.E 

Il decimo giorno di viaggio Boromir vide Minas Tirith profilarsi all’orizzonte e il suo cuore sussultò: gli era mancata la sua città, costatò, mentre la fissava con affetto.
Era addossata a una montagna ed era fatta di pietra bianca, il cui candore risplendeva alla luce del giorno. Era divisa in sette cerchi concentrici e spesse mura ne difendevano gli abitanti. Alzando gli occhi, Boromir notò la Torre Bianca di Ecthelion risplendere nel sole di quella giornata.
- Sono a casa – pensò Boromir, e impose al cavallo un'andatura più veloce di quanto non avesse fatto fino ad allora.
Giunti davanti alla porta, una guardia della cittadella chiese loro chi fossero e da dove venissero.
“Sono Boromir. Desidererei parlare con il Sovrintendente mio padre” furono le parole del Capitano Generale. 
La guardia strabuzzò gli occhi.
“Per i Valar...” mormorò l’uomo osservando il condottiero. “Se siete veramente lui, allora…” ma si fermò. “Venite con me” borbottò poi, senza dare particolari riguardi all’elfa che stava con il condottiero. 

La guardia chiese a un altro uomo di prendere il suo posto, e questi lo fece lanciando un’occhiata a Boromir e all’elfa che fece rabbrividire entrambi. L’entrata in città dei tre si svolse nel più completo silenzio: la guardia non aveva gridato a gran voce la notizia che il figlio del sovrintendente era tornato in città e Boromir era corrucciato mentre seguiva l’uomo sempre più in alto.
Arrivarono infine alla cima della città, e Boromir guardò con tristezza l'albero bianco rinsecchito: non aveva mai sopportato di vederlo in quelle condizioni.
La guardia impose ai due di fermarsi davanti al palazzo.
“Cosa c’è?” domandò Indil una volta che l’uomo fu entrato all'interno.
“Mi sento confuso. Non è questo il modo solito di accogliere il figlio del sovrintendente di Gondor” borbottò Boromir fissando la struttura del palazzo.
In quel momento tornò la Guardia e Indil non poté replicare. 
“Il sovrintendente mi ha detto che potete entrare” disse l’uomo fissando i due con occhi sorpresi. Boromir e Indil entrarono, e vennero condotti dall’uomo in una grande sala da pranzo.

Seduto a un tavolo di legno lungo e lavorato finemente vi era un signore dai capelli bianchi, vestito di abiti regali e con la corona in testa, che mangiava un acino d’uva. Lo sguardo con cui perforò Boromir fu tale da far rabbrividire il coraggioso uomo.
“E così tu dici di esser mio figlio. Non ti credo: sei frutto di una menzogna, un complotto contro di me. Io ho visto morire il mio Boromir” sibilò Denethor con voce sicura e senza un minimo di empatia negli occhi chiari.



NOTE.
Finalmente aggiorno, scusate il ritardo, ma in questi mesi ho avuto tanto da fare principalmente per la tesi.
Che dire di questo capitolo? Come potete vedere c'è la svolta per quanto riguarda Boromir e Indil e loro prenderanno un'altra via rispetto a Legolas e Aragorn, andranno a "trovare" Denethor.
Come finirà? A saperlo, vi basta seguirmi, e commentare e anche se non lo saprete subito, spero di avervi incuriosito. (:

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Capitolo 5
*** capitolo IV ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, sono stati scritti da J.R.R. Tolkien e messi sul grande schermo da Peter Jackson; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Ringraziamenti: Ringrazio tantissimo la mia beta, che ha letto e ha corretto gli orrori della fanfic (trovandala anche carina a detta sua!); grazie mille evelyn, per tutto... Se non vi siete letti ancora la sua fanfic, su andatelo a fare. 
Buona lettura.

Capitolo IV


La principessa Eowyn di Rohan fissava il volto amato di suo zio, re Theoden, ormai del tutto privo di volontà, obnubilato da Saruman e dal maledetto Grima Vermilinguo.
Lei era impazzita dalla rabbia quando era morto suo cugino, figlio di suo zio, e il re non aveva fatto niente per vendicarlo: non era da lui essere così immobile e, soprattutto, non era da lui vedere quanto la sua pupilla soffrisse e non fare nulla.
Aveva capito allora che c’era una malia in atto.
Che qualcuno doveva aver fatto una magia alla mente di suo zio, un tempo un uomo alto, fisicamente attraente, forte mentalmente e un buon re amato e rispettato da tutti.
Aveva capito che c’era dietro Grima, perché la guardava peggio del solito; ma pure non poteva essere solo lui: Grima era soltanto un uomo, non uno stregone e, riflettendo attentamente, aveva compreso che  Saruman si stava immettendo nella mente di suo zio.
Solo i valar sapevano quante volte lei e suo fratello avevano pregato perché il re ritornasse, ma le preghiere non avevano dato seguito alcuno.
E allora ecco che la speranza incominciava a diminuire, e a calare sempre di più nel cuore, ormai freddo, di Eowyn.

“Sei bella, Eowyn, bella come una mattinata di primavera.” Grima non esitava a corteggiarla nemmeno in presenza di suo zio, a questo punto.
“Le tue parole sono come veleno per me” sputò Eowyn osservando schifata il traditore, alzandosi dalla sedia dove si era seduta e andando alla finestra, seguita prontamente da Grima. Un tempo era un consigliere saggio, che la faceva ridere quando era più piccina per le facce buffe che faceva. Ma ormai il potere l’aveva logorato.
“Fra poco avrò il contratto matrimoniale firmato da tuo zio, Eowyn, e allora nulla ti proteggerà più,  nemmeno quel guerrafondaio di tuo fratello” sghignazzò l’ometto.
Eowyn si trattenne a stento dal dargli uno schiaffo in pieno viso, solamente perché erano presenti degli alti ufficiali che appoggiavano Grima.
“Non mi sposerò mai. Sicuramente non con te”, sibilò la principessa fissando con sguardo algido l’ometto.
“Allora rimarrai sempre sola. Non amerai mai nessuno, sarà la tua maledizione, bianca dama di Rohan.” Le parole dell’ometto la seguirono mentre, sconvolta, Eowyn lasciava di corsa la sala del trono. Una singola lacrima le solcò il viso.
Avrebbe tanto voluto fuggire, raggiungere Eomer e i suoi cavalieri e cavalcare libera con loro, salvando popolazioni e città dagli orchetti, ma purtroppo era una donna.
Avevano discusso, lei e suo fratello, se farla andare con loro oppure se rimanere a Rohan e alla fine, a malincuore, aveva dovuto cedere alle pressioni che Eomer le faceva perché rimanesse a palazzo: non aveva mai odiato tanto essere una donna come in quel momento.
Corse fuori e respirò aria fresca e pulita.
Doveva essere forte per suo zio, forte per Eomer, forte per la popolazione e, per ultimo, anche per se stessa. Non doveva vacillare.
Il mondo era ingiusto ma lei doveva cercare di sconfiggere gli incubi.
Sospirando entrò di nuovo nel palazzo, nella sua gabbia ormai non più dorata.

                                                                                         ***
I tre compagni cavalcavano ormai da giorni i tre cavalli che, infaticabili, non davano segni di cedimento alcuno, quando come in sogno videro apparire all'orizzonte il palazzo d'oro di Meduseld.
“Un grave male sorge qui, urge decisamente il mio intervento” disse Gandalf dando un colpetto sulle reni di Ombromanto che galoppò, senza esitazione, verso il palazzo.
All'entrata vennero fermati da alcuni uomini.
“Dateci le vostre armi!” intimò un uomo barbuto, capo della compagnia.
“Per ordine...?” domandò Gandalf, fissandolo con i suoi penetranti occhi grigi.
L'uomo sembrò farsi piccolo e balbettò: “Per... ordine di Grima, il consigliere del re.”
Gandalf non si arrabbiò: consegnò lui stesso la spada e fece cenno a Aragorn e a Legolas di consegnare le loro armi agli uomini.
“Trattate bene il mio arco. È stato fatto da una persona a cui tengo particolarmente” bisbigliò Legolas, dando l'arma in mano a un giovane che tremò in presenza di una creatura così leggendaria.
“Il bastone?”, chiese nuovamente il capo delle guardie.
“Oh, suvvia, non vorrai mica privare un vecchio del suo punto di appoggio?” domandò ridendo con gli occhi Gandalf.
A quel punto l'uomo dalla barba rossa sospirò e lasciò entrare i tre compagni nel palazzo d'oro.

L'interno era semplice ma di ottimo gusto, costatò Aragorn,  e al centro del salone si trovava un grande trono con sopra seduto un uomo: un vecchio, con i capelli ormai bianchi e molte rughe sul viso stanco. Il re era immerso in conversazione con un uomo più giovane, dai capelli neri incollati al viso e occhi gelidi; alla sua destra c'era una fanciulla dai capelli rossi e vestita di verde che stringeva le mani del vecchio.
“Ah! Eccolo qui.” La fredda voce dell'uomo più giovane fece fermare Legolas e Aragorn dietro Gandalf, che guardò l'essere.
“Gandalf, corvotempesta. Il malaugurio è un cattivo ospite” continuò l'ometto disgustato, fissando gli occhi grigi dello stregone come a provocarlo.
“Voglio parlare con il re, non di certo con te, Grima Vermilinguo” sibilò Gandalf pericolosamente.
“So chi sei. E so come estirparti, Saruman. Vattene, lascia questa corpo, lascia questa casa” declamò Gandalf, e fu come essere abbagliati da un aura di potere. Aragorn dovette chiudere gli occhi e così anche Legolas, che si trovava vicino a lui.
Theoden urlò parole incomprensibili, ma ecco  che l'incantesimo giungeva a termine, mentre Grima urlava e sputacchiava di togliere il bastone allo stregone.
Legolas prese sotto la sua custodia l'uomo, mentre il re si riprendeva e diventava più giovane sotto gli occhi stupiti di tutti.

“Gandalf, mi serve una spada” furono le prime parole che pronunciò il vero re. Subito mormorii concitati si fecero sentire, e l'uomo che aveva preso le armi a Legolas, Aragorn e Gandalf, porse l'elsa di una spada al re.
“Questa è la vostra arma, mio signore” mormorò l'uomo inchinandosi e Theoden la prese sentendo una sensazione meravigliosa su di sé: si sentì forte e vivo.
“Dov'è?” sibilò poi, riferendosi a Grima. Lo vide inchiodato a terra da Legolas, che capì e lasciò l'uomo al suo destino.
L'ometto si mosse carponi verso l'uscita del palazzo. Il re gli andò incontro sfoggiando sul viso un'espressione crudele. Puntò la spada sulla gola di Grima Vermilinguo che iniziò a borbottare.
“Mio signore, no. Non uccidetelo.” disse Aragorn, colpito dalle sue stesse parole.
“Chi sei tu? Chi sei tu per dirmi cosa devo fare?” domandò il re fissando gli occhi su Aragorn.
“Il mio nome è Aragorn, figlio di Arathorn, e vi ordino di fermarvi, vostra maestà.” Le parole uscirono dalla bocca di Aragorn senza che egli le potesse controllare. Poi, fissando la dama vestita di verde che li aveva seguiti fuori dal palazzo, e che sembrava ancora più bella alla luce del sole, bella come una primavera, inspirò  forte dal naso e aggiunse: “Avete già sofferto troppo, mio signore, a causa sua. Risparmiatelo.”
 Theoden lo fissò a lungo con sconcerto prima di abbassare la spada.
 “Vai e non farti più vedere. Se ritornerai, la mia mano non sarà più piegata.” sibilò il re rivolto a Grima che, dopo aver sputato sui piedi di Aragorn, fuggì.

                                                                     ***

Frodo e Sam seguivano abbastanza fiduciosi la loro nuova guida per Mordor. Per i piccoli hobbit abituati al verde della Contea quel luogo pareva tutto grigio e uniforme, eppure riuscivano a trovare cose belle anche lì, specialmente Sam, che si incantava davanti a ogni cosa. “Guardi quel masso, padron Frodo, non è perfetto?”
“Forza Sam, dobbiamo seguire Eliean.” borbottò piano Frodo.
L'hobbit si stava decisamente affezionando alla figura silenziosa della loro accompagnatrice. Non parlava  molto, Eliean – così aveva detto loro di chiamarsi – ma era proprio quel silenzio che a Frodo serviva: il piccolo hobbit aveva un peso sul cuore dovuto all'anello, che si stava facendo sempre più potente man mano che si avvicinava al suo padrone, e quindi avere qualcuno di silenzioso, ma che gli era simpatico, era una bella sensazione.
“Guardate” bisbigliò Eliean e li portò vicino a un burrone.
Sotto di loro marciava una lunga fila di cavalieri, alcuni a piedi, altri su cavalli imponenti e altri ancora invece  su elefanti dalla doppia proboscide.
Gli uomini erano bellissimi, indossavano vesti rosse e oro, avevano gioielli al viso e i loro occhi erano scuri e crudeli.
“Quelli sono Olifanti” bisbigliò eccitato Sam all'orecchio di Frodo. “Se il vecchio Gaffiere lo sapesse, che li abbiamo visti.”
Il portatore dell'anello ridacchiò.
La donna sibilò rudemente e Frodo si voltò verso di lei per chiedere spiegazioni.
“Vuol dire che non possiamo andare per la via che avevo pensato... No! Dobbiamo per forza andare per l'altra strada, anche se è più pericolosa e tortuosa. Ve la sentite, giovani hobbit?” domandò fissando i due suoi nuovi amici.
Frodo sospirò. “Se ci conduce al nero cancello, non possiamo fare altro che seguirvi.”
La donna annuì e prese a camminare con i due hobbit che la seguivano, piano e attenti a non farsi male.

Note.
Buonsalve, è da tantissimo che non aggiorno, lo so, mea culpa, mea grandissima culpa; avevo perso letteralmente l'ispirazione, poi però trovata nuovamente. (: spero vivamente che ci sia ancora qualcuno fra queste lande (?) perchè adesso la storia inizia a entrare nel vivo della narrazzione; perdonatemi se non ho inserito subito Boromir e Indil, ma il prossimo capitolo capiterete cosa gli sta per succedere. E vi dico già che non è bello. Io amo far soffrire i miei pg, veramente. Fatemi sapere che ne pensate di questo, con una bella recensione. 

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