Le Cronache del Mondo Invisibile

di AriaJaneRothfeller
(/viewuser.php?uid=1056665)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO

 

Jane si svegliò, rizzò la schiena assumendo una posizione più confortevole nel sedile posteriore della macchina di Mike, il compagno di sua madre, era da lei che i due si stavano dirigendo, a casa loro.
<< Dormito bene? >> le chiese Mike, sorridendole mentre la guardava dallo specchietto retrovisore.
<< Oh sì, i venti minuti di sonno migliori della mia vita >> rispose sarcastica, ma ricambiando il sorriso.
<< Com'è andato il viaggio? >>
<< In Aereo dici? è andato abbastanza bene, soprattutto considerati gli standard delle compagnie aere islandesi >>
Mike rise.
<< Com’è stata mamma? >> gli chiese Jane.
<< Era preoccupata, tentavo di dirle che Reykjavík è un posto tranquillo e che non c'era bisogno di chiamarti ogni cinque minuti, ma ovviamente con Sarah è tutto inutile, cocciuta fino al midollo >> sorrise.
<< Già >> confermò Jane con l'aria di chi la sapeva lunga.
<< Tale madre, tale figlia >>
<< Ehi! >> esclamò fingendosi offesa.
Fuori era buio, ormai era calata la notte, come mai ci stavano mettendo così tanto?
<< Mike, che ore sono? >> gli chiese Jane ancora con un’aria un po' assonnata.
Mike abbassò gli occhi sull'orologio che teneva al polso destro, proprio mentre stavano attraversando un incrocio, si sentì il rumore di una sgommata, una forza d'impatto immensa e poi, il buio.

L'aria sapeva di disinfettante, le luci al neon, a primo impatto, diedero fastidio agli occhi di Jane, ma si abituò in fretta, si guardò intorno, era in una stanza da letto bianca, le coperte erano ruvide e fredde al tatto, accanto a lei c'erano delle sacche di sangue collegate da un tubicino di plastica al suo avambraccio, era in ospedale.
<< Jane? >>
Sua madre la chiamò, Jane si girò a guardarla, era bella come sempre, con i suoi capelli castani raccolti in un disordinato chignon, gli stessi di Jane, si sarebbero assomigliate molto se non fosse stato per il colore degli occhi, quelli di Sarah erano verdi, i suoi marroni.
Si vedeva lontano un miglio che non era riuscita a chiudere occhio. Accanto a lei c'era Mike, era esattamente dove doveva essere, dov'è sempre stato da quando Jane ne ha memoria, accanto alla sua mamma, le teneva una mano sulla spalla.
<< Mamma... >> cercò di alzarsi, ma nel farlo le presero delle fitte alla testa, che scoprì fasciata quando si portò la mano alla fronte.
<< No, no, Janny, non ti alzare resta sdraiata >> la ammonì sua madre.
Mike sospirò.

L'incidente.
<< La macchina? >> chiese Jane.
Sarah e Mike la guardarono sorpresi, un po' accigliati anche.
<< Com'è messa la macchina? >> insistette.
<< Jane Rothfeller, solo tu puoi preoccuparti di una stupida macchina in un momento del genere! >> disse sua madre mettendosi a ridere anche se le lacrime non smettevano di rigarle il viso. Mike la strinse a sé, lei si rifugiò tra le sue braccia.
<< Quanto sono messa male? >> chiese a Mike.
<< Hai perso parecchio sangue, ti stanno facendo delle trasfusioni >> c'era preoccupazione nella sua voce << Jane... >> Si interruppe, probabilmente nel tentativo di trovare le parole << Mi dispiace, è stata colpa mia >>
Era una delle cose che Jane preferiva di Mike, Si assumeva le sue responsabilità, non aveva problemi a scusarsi, lo faceva a testa alta, con una sicurezza ed una fermezza unica nel suo genere.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1

 

Lo vide per la prima volta di sabato pomeriggio a Hyde Park, vicino al laghetto delle anatre. Jane stava passeggiando con il suo cane, Kaito, un Akita dal pelo rossiccio. Era con le cuffiette alle orecchie, intenta a godersi le note di "Have a nice day" di Bon Jovi quando le sembrò di vedere una bambina di colore nei pressi del lago giocare con una sfera d'acqua sospesa in aria ad una distanza di almeno trenta centimetri da terra. Si fermò. Non poteva credere ai suoi occhi. Rimase a fissarla per qualche secondo, pensando di star sognando, ma com'era possibile che un sogno fosse così vivido? No, non poteva essere un sogno, magari qualche artista di strada stava facendo dei giochi di prestigio? Si guardò intorno tentando di scorgere qualcosa che spiegasse quello strano fenomeno che le si era parato davanti agli occhi con tanta prepotenza. Nulla faceva pensare ad un trucchetto di magia, o a nient'altro a dire la verità, le persone nei dintorni sembravano non fare caso a quella bambina o alla sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa, sembravano non vederla.
<< Ehi, Jane! >> Era Lucas, il suo compagno di banco, che per qualche strana coincidenza passava di lì, la salutò, riconoscendola tra decine di persone.
Jane voltò il capo vero di lui, era sorpresa di vederlo lì, Londra era una città grande, così come il parco dove si trovava. Lucas era un ragazzo gentile, intelligente. Si conoscevano da circa un anno e mezzo, da quando si era trasferito da Liverpool alla sua città. Ricordò il suo primo giorno di scuola, teneva la testa bassa, nascondendo gli occhi dietro i riccioli biondi che gli cadevano sulla fronte, si vergognava di parlare con chiunque. Troppo timido, fu la prima cosa che Jane pensò quando lo vide entrare nella sua classe, dovette ricredersi quando pochi secondi dopo fece spostare Lydia dalla sedia vicino a lei solo allo scopo di occuparla lui.
Gli fece un cenno veloce con la testa, poi si girò nuovamente verso la ragazzina, ma, sorprendentemente, era sparita, volatilizzata nel nulla, risucchiata da un buco nero.
<< Ma che sta succedendo? >> sussurrò tra sé e sé, confusa.
<< Che cosa guardi? >> le chiese Lucas seguendo il suo sguardo.
<< Niente >> gli rispose scuotendo il capo, più per riprendersi che per altro.
Kaito abbaiò ad uno scoiattolo.
<< Ciao Kaito! >>
Lucas si inginocchiò per coccolarlo, aveva sulle labbra un sorriso tenero. Kaito non era il tipo di cane che rifiutava le coccole, soprattutto quelle di Lucas, si sdraiò ai suoi piedi dopo pochi grattini dietro le orecchie.
<< Direi che è felice di vederti >> Disse Jane, cercando di ignorare quello che i suoi occhi avevano visto qualche attimo fa, doveva esserselo immaginato, magari per la stanchezza, da qualche tempo aveva problemi a dormire.
<< È un tenerone >> commentò lui.
<< Come mai da queste parti? >> domandò Jane.
<< Devo passare in biblioteca per restituire un libro >>
<< E passi per il parco? >> Gli chiese Jane con un’espressione che diceva tutto: sopracciglio sinistro alzato, occhi socchiusi e labbra strette.
<< Non guardarmi così, mi piace passeggiare >>
<< Tu odi passeggiare! >>
Lucas tornò ad accarezzare Kaito, ignorando Jane.
<< Senti, ti volevo chiedere... >> Disse, finalmente alzandosi da terra, si era sporcato i Jeans chiari di terra sulle zone corrispondenti alle ginocchia, ma sembrava non importargli. << ...Possiamo studiare insieme per il compito di scienze di lunedì? >>
<< Sei di nuovo indietro con il programma vero? >>
<< Perché tu no? >> chiese con un sorrisetto arrogante sulle labbra.
Jane alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva.
<< D'accordo, ci vediamo domani pomeriggio al caffè vicino casa mia >> Gli disse.
<< Perfetto! Ora vado, se no chi la sente mia madre se non rientro in tempo? >>
Stava per allontanarsi.
<< Aspetta, ti accompagno >> Gli disse Jane fiancheggiandolo.
<< Grazie, mademoiselle >>
Jane rise. << Idiota >>
Si girò per chiamare Kaito, stava giocando con un ramoscello, probabilmente caduto dall'albero lì vicino. Vide ai piedi dell'albero la bambina di colore di prima, quasi le venne un colpo. Era seduta sulle ginocchia e teneva il piccolo palmo della mano sinistra rivolto verso dei fiori bianchi ancora chiusi. Stava per caso facendo sbocciare delle margherite?

 Dante si trovava nell’ufficio di suo padre, era un ufficio grande dall’arredamento classico. Davanti a lui c’era una scrivania di legno di mogano intagliato, piena di scartoffie ufficiali con il timbro in ceralacca del Consiglio. La parete dietro alla scrivania era completamente nascosta da librerie piene di antichi volumi enciclopedici e storici, il tutto illuminato dalle luci calde del lampadario in vetro veneziano sopra la sua testa e dalle fiamme del camino alla sua sinistra. Lorenzo De Marchi, rappresentante dei viaggiatori nel tempo del Consiglio, era seduto sulla poltrona di pelle scura, i suoi occhi azzurri, come quelli del figlio, erano puntati sullo schermo del computer.
<< Di cosa mi volevi parlare, Dante? >> Chiese al ragazzo di fronte a lui.
<< Del mio ruolo in tutta questa storia >> Gli rispose. Prese un respiro profondo, cercando di trovare le parole e ripromettendosi di mantenere la calma. << La ricerca di Marcus è importante, tutti i membri del consiglio e le loro reclute contribuiscono al suo ritrovamento, io sono tuo figlio e… >>
<< Non capisco dove vuoi arrivare >> Lorenzo lo interruppe, spostò lo sguardo sul figlio.
<< Dovrei partecipare alle missioni di livello uno >> Arrivò al punto. Si vedeva da un miglio di distanza che il modo di fare di suo padre lo infastidiva, ma cercava di controllarsi, doveva fasi ascoltare senza concedergli la possibilità di cacciarlo dall’ufficio.
<< Non se ne parla >> Lo liquidò tornando a guardare i file sul computer.
<< Cerca di ascoltarmi almeno questa volta >> insistette Dante.
<< Ne abbiamo già parlato, Marcus è pericoloso, è una minaccia anche per i combattenti più forti che abbiamo, non posso permettermi di lasciare che tu gli dia la caccia >> Gli spiegò con un tono calmo, nonostante l’autorità che emanava fosse palpabile.
<< Io sono uno dei combattenti migliori che avete! Se non mi lasci partecipare alla ricerca tutti crederanno che pensi al il mio bene prima che a quello degli invisibili e del Consiglio >> Stava iniziando a perdere il controllo, si stava scaldando e non andava bene, non avrebbe ottenuto niente in quel modo.
<< Io penso al tuo bene prima che a quello degli altri invisibili >> Gli spiegò Lorenzo.
<< Non è questo il punto, nessuno è mai morto in una missione di ricerca >> Cercò di riprendersi.
<< Adesso ascoltami tu, sei troppo giovane perché ti assegni una missione del genere, non hai esperienza sul campo e… >> Anche lui iniziava ad irritarsi, ma il suo discorso fu interrotto dalle parole di Dante.
<< Certo che non ho esperienza sul campo! E non l’avrò mai se non mi assegni una missione! >>
<< Non ti rivolgere a me con quel tono >> Lo ammonì, ma suo figliò sembrò non sentirlo
<< Hai detto che sono troppo giovane? Tamira ha diciassette anni, uno meno di me, e le vengono assegnate missioni di primo livello da mesi! >> Aveva decisamente perso il controllo, e la cosa lo faceva arrabbiare, la rabbia lo innervosiva e le parole diventavano più aggressive, era un circolo vizioso.
<< Non è colpa mia se James è un pazzo! >> Anche suo padre perse le staffe.
<< Beh, sarà felice di saperlo >>
Era una minaccia a vuoto la sua, non si sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere, sarebbe stato infantile e meschino, e se ne rendeva conto. Si sentì uno stupido per averlo detto.
<< Non ti azzardare, Dante! >> Lo avvertì Lorenzo con tono minaccioso << Non hai mai pensato che magari James non tiene a Tamira quanto io tengo a te? >>
<< Perché non dovrebbe? È sua figlia >> Gli chiese Dante tornando in sé.
<< Lo sanno tutti che non lo è >> Le parole gli uscirono dalla bocca prima ancora che potesse pensarci.
Dante rimase in silenzio per un po’, incredulo, non riusciva a capire come quel pensiero gli fosse passato per la testa, che quell’idea avesse solo sfiorato suo padre.
<< James è una brava persona, papà, e ama Tamira >> Disse poi. << Non riesco a credere che lo pensi veramente >>
Dante, deluso da quelle parole e arrabbiato per non essere riuscito a persuadere suo padre, uscì dall’ufficio sbattendo la porta alle sue spalle.

 Finito di accompagnare Lucas, Jane tornò a casa, durante il tragitto cercò in tutti i modi che conosceva di convincersi che quella bambina fosse solo frutto della sua vivida immaginazione. Nonostante tutto, però, c'era una parte di lei che si sentiva estremamente eccitata per gli strani avvenimenti di quello stesso pomeriggio.
Con tutti i pensieri che le passavano per la testa quasi non si rese conto di essere arrivata a casa. Casa, ovvero una villetta stretta, ma confortevole, una delle poche rimaste vicino al centro di Londra. L'entrata era preceduta da un piccolo giardino recintato ormai di proprietà di Kaito. Nei pomeriggi autunnali si divertiva a giocare con le foglie arancioni che cadevano dall'acero del vicino nel nostro giardino, come se non fosse abbastanza, il terreno era cosparso di buche in cui Kaito nascondeva i suoi "tesori" (consistevano principalmente in pezzi di pneumatico morsicati, ramoscelli e sassi dalla forma strana). Jane aprì il cancelletto bianco ed entrò insieme al suo cane, salì i tre gradini che precedevano il portone cercando le chiavi nella borsa di cuoio marrone, aprì poi la porta.
<< Sono tornata! >> Annunciò prima di chiudere il portone blu dietro di sé.
Appese il giacchetto di jeans all'attaccapanni, così come la borsa, e posò le chiavi sopra al mobile dell'ingresso. Sentì un rumore provenire dal sottoscala, il cuore le iniziò a battere più velocemente, in altre occasioni non avrebbe fatto caso a certe cose, ma era stata una giornata strana, erano successe cose strane, chi le assicurava che non vi fossero altre stranezze ad attenderla dietro l'angolo? Magari stranezze pericolose, anche. La mente di Jane iniziò a creare degli scenari che, da quella situazione, finivano tutti con la sua morte. Raccolse, dopo qualche secondo, il coraggio di avvicinarsi, con cautela. I passi, per quanto leggeri potesse cercare di renderli, sembravano facessero un gran chiasso, ma forse era solo la testa che le stava giocando brutti scherzi. Improvvisamente una figura slanciata uscì dal sottoscala, facendola sobbalzare. Jane, per istinto forse, assunse una posizione di difesa, con le braccia alte davanti a sé e il piede destro leggermente più avanti rispetto al sinistro.
<< Mamma?! >>
Tornò ad una posizione normale, si portò la mano destra al petto per controllale i battiti del cuore che iniziarono a rallentare, anche se di poco.
Sua madre la guardò come fosse appena uscita da un ospedale psichiatrico.
<< Certo! Chi ti aspettavi? Babbo Natale? >> La prese in giro Sarah.
<< Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo! >>
Sarah strinse le labbra cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
<< Si può sapere che stavi facendo nel sottoscala?! >>
<< Stavo cercando questa copia del romanzo >> le disse mostrandole i fogli che teneva in mano << Questa casa editrice la vuole cartacea >>
Sarah faceva la scrittrice, amava i libri, soprattutto quelli fantascientifici, amava leggerli ed amava ancor di più scriverli, Jane ammirava che la sua mamma fosse riuscita a trasformare la sua passione in un lavoro, passione che, tra l'altro, aveva trasmesso anche a lei, a differenza sua però, Jane non scriveva, non aveva lo stesso talento della madre, il suo problema principale: non era brava con le parole.
<< Strano >> Si limitò a dire.

Strano è la parola del giorno. Pensò.
<< Già >> Confermò Sarah alzando le spalle, rassegnandosi a tutte le assurdità che il suo lavoro comportava.
<< Cosa c'è per cena? >> Le chiese sua figlia, un po' per cambiare discorso e un po' perché non sapeva cosa dire.
<< Mike è uscito a prendere le pizze, per te ho ordinato quella ai peperoni >>

 La sala d’addestramento era vuota a quell’ora tarda, era il momento che Tamira preferiva per allenarsi. Aveva raccolto i capelli scuri in una coda, addosso aveva una t-shirt larga e dei pantaloni di tuta grigi.
Un pesante sacco da boxe rosso pendeva a qualche metro di distanza da lei. Intorno a lei, invece, aveva posto una ciotola d’acqua, dei sassi ammassati l’uno sull’altro e una candela accesa. Si posizionò con le gambe leggermente divaricate e le braccia stese lungo i fianchi, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
Tamira sentì l’aria attorno a lei muoversi, come se le finestre fossero aperte e il vento le accarezzasse pelle. L’acqua nella ciotola iniziò a muoversi senza che nessuno la toccasse, alcuni dei sassi posti più in alto nel mucchio caddero e la fiamma della candela si alzò e danzò.
Aprì gli occhi di scatto, con altrettanta velocità posizionò i piedi uno davanti all’altro tenendo le gambe piegate. Allungò il braccio destro verso la ciotola, e fece un gesto con la mano come a voler tirare una corda piantata a terra verso l’alto. L’acqua formò una colonna e si divise in centinaia di piccole sfere quando Tamira glielo ordinò. Chiuse il pugno e le sfere d’acqua si trasformarono in schegge di ghiaccio affilatissime. Nel frattempo, con l’alta mano, aveva iniziano ad utilizzare la fiamma della candela per creare degli anelli di fuoco che non smettevano di ruotare mentre lei li teneva sospesi a mezz’aria. Scagliò le schegge di ghiaccio contro il bersaglio, erano talmente veloci che sarebbe stato impossibile individuarle ad occhio nudo. Lanciò gli anelli di fuoco contro le schegge, distruggendole, una frazione di secondo prima che bucassero il sacco.
Con alcune pietre costruì un solido muro che lo bloccava, mentre con le altre cercava di distruggere la catena di ferro che lo sorreggeva.
Il sacco si staccò, Tamira tirò via le pietre distruggendo il muro e creò delle lame d’aria con l’intenzione di fermarle prima che squarciassero la pelle dello stesso sacco. Fallì durante l’ultimo passaggio e la sabbia che conteneva si riversò sul pavimento di marmo nero.
<< Merda! >> disse.
<< A me non sembrava tanto male >> La voce proveniva dal ragazzo appoggiato all’anta della porta d’entrata.
<< Dante >> Gli sorrise. << Che fai qui? >>
Lui alzò le spalle.
<< Osservo >> Le rispose.
Tra loro non c’era imbarazzo, si conoscevano da quando Tamira fu portata a Buckingham Palace, la Sede del Consiglio di Londra, a sei anni.
Ovviamente la Sede era nascosta alla vista degli esseri umani grazie ad alcune malie protettive che gli stregoni del Consiglio avevano creato.
<< Non riesco ancora a controllare bene l’aria >> Ammise Tamira.
<< Sì, ma rimani comunque l’unica elementale in grado di controllare tutti e quattro gli elementi >> La rassicurò Dante.
<< Sarebbe carino se riuscissi a controllare bene tutti e quattro gli elementi >> Tamira rise.
Dante si avvicinò a lei, osservando la sabbia a terra.
<< Ti aiuto a ripulire >> Si offrì.
<< Dante, è sabbia, posso controllarla, non mi serve una mano >> Gli disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<< Sembra che il mio aiuto non serva a nessuno >> Disse scocciato abbassando lo sguardo.
<< Che è successo? >>
Dante la guardò e, senza dire una parola, lei capì.
<< Hai parlato di nuovo con tuo padre? >> Sentiva la rabbia salirle in corpo come la lava di un vulcano in eruzione.
Lui annuì.
<< Scusa se te lo dico, ma è un idiota! >> Gli disse cercando di contenersi il più possibile.
<< No, lo so. Non capisco che cosa gli costa a farmi partecipare alle ricerche, non sto chiedendo il mondo! Sto chiedendo di dare una mano, dannazione! >> Si sfogò, sapeva che Tamira lo avrebbe ascoltato perché lo faceva sempre.
<< Non so che cosa gli passi per la testa e probabilmente non lo capirò mai, ma se vuoi dargli due calci nel sedere hai tutto il mio appoggio >>
Dante rise e si sentì un po’ meglio.
<< Sì, beh, gli servirebbero >> Sospirò << Non riesce a capire che sono il miglior combattente che abbia a disposizione! >>
<< Non essere arrogante >> Lo riprese.
<< Non è arroganza, non voglio essere arrogante, è un dato di fatto >>
Si guardarono per qualche istante in cerca di una possibile soluzione, fu Tamira a rompere il silenzio.
<< Dovremo parlarne con Will e decidere cosa fare >> Disse decisa.
<< Sì, dovremmo >> Concordò Dante.
Nella sala entrò fischiettando un uomo bizzarro, aveva i capelli biondi ricoperti di brillantina, indossava una camicia bianca ed un gilet arancione, pantaloni eleganti grigi e scarpe da tennis.
<< Papà >> Lo salutò Tamira.
<< ’Sera tesoro >> James si avvicinò ai due fulminando Dante con lo sguardo. << Ehi zuccherino, mantieni una distanza di almeno tre metri da mia figlia >> Gli disse.
<< Non la tocco James! >> Dante alzò le mani sorridendo ed allontanandosi di un paio di passi.
<< Papà… >> Lo chiamò Tamira con un tono di voce che era a metà tra il rimprovero e il divertimento
<< Che c’è? >> Gli chiese lui.
Tamira incrociò le braccia al petto alzando un sopracciglio.
<< No, non capisco proprio cosa tu voglia dire con quello sguardo >> Le disse lui.
<< Devi dirmi qualcosa? >> Si arrese, alla fine, Tamira.
<< Sì, in effetti sì, ti è stata assegnata una missione >>
Tamira si irrigidì e Dante smise di sorridere tornando ad essere nervoso. Tamira le rivolse uno sguardo veloce mentre lui non guardava, provò dispiacere.
<< Domani pomeriggio seguirai ed interrogherai un mutaforma che si pensa abbia dei contatti con Marcus >> Le spiegò James.
<< Sì, certo >> Disse secca, volendo liquidare in fretta la conversazione.
<< Rendimi orgoglioso, bambina >> James le fece l’occhiolino. << Dante >> lo chiamò. << Prima o poi riuscirò a convincere tuo padre ad assegnarti una missione >>
<< Come? >> Chiese Dante lasciando trasparire della rabbia.
<< Parlerò di te e delle tue doti nel combattimento al consiglio, se sapessero quello che vali metterebbero pressione a Lorenzo, e alla fine sarà costretto ad assegnarti una missione >> Gli spiegò James.
Dante accennò ad un sorriso.
<< Grazie, James >>
James gli diede una pacca sulla spalla in un gesto di solidarietà, poi si voltò ed uscì dalla sala.

Mike rientrò con tre cartoni fumanti e profumati dopo una mezz'ora. Lui, Sarah e Jane si misero a tavola, ognuno occupando il posto a cui ormai era abituato. Sarah a capotavola, Mike alla sua destra e Jane a sinistra. Le piaceva la tendenza che sua madre aveva nell'assumere il ruolo di "Uomo di casa", "Alpha del branco", mentre Mike le faceva da spalla, anche a tavola durante la cena.
<< Jane, domani devi sistemare il giardino, le buche si stanno moltiplicando e il cane è il tuo >> disse Sarah interrompendo il dibattito di Jane e Mike su quale condimento fosse il migliore sulla la pizza.
<< No, mamma, domani non posso, ho promesso a Lucas che avremmo studiato insieme per il compito di lunedì >> Le rispose Jane, sperando che l'impegno preso la aiutasse a sfuggire da un pomeriggio con la sua amica "terra" ed il suo ragazzo "sporco".
<< Quand'è che ti sei messa d'accordo con Lucas esattamente? >> continuò Sarah diffidente.
<< Oggi pomeriggio, mamma! L'ho incontrato ad Hyde Park, mentre portavo fuori Kaito >> Disse.
Mike e Sarah ripresero a mangiare la loro pizza, a Jane passò la fame.
<< Mi è successa una cosa strana oggi >> Le parole le uscirono dalla bocca prima ancora che avesse il tempo di rifletterci, ma infondo, perché non avrebbe dovuto dirglielo? Loro erano gli unici che non l'avrebbero considerata una schizzata, loro e forse Lucas. Comunque, ormai, non poteva tirarsi indietro.
<< Che ti è successo? >> le chiese Mike.
<< Ho visto una cosa... >> Si interruppe trattenendo il fiato. Ripensando alla bambina le era venuta la pelle d'oca e sentiva brividi percorrerle tutto il corpo. << Ho visto una ragazzina, al parco, giocare vicino al laghetto delle anatre >> Si interruppe di nuovo. Sarah e Mike la stavano ascoltando con attenzione, non che ci fosse qualcosa di strano in quello che stava dicendo, era Jane che aveva assunto un atteggiamento strano, era visibilmente scioccata ed era anche impallidita.
<< Stava giocando con una sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa! La cosa peggiore è che nessuno sembrava vederla! >> quasi urlò << Poi è arrivato Lucas, mi ha chiamata e io mi sono girata a salutarlo, poi, quando mi sono rigirata, la bambina era sparita! Credo sia per la stanchezza, ma è davvero brutto vedere cose che gli altri non vedono ed è ancora peggio che le cose in questione spariscano nel nulla >>
Seguirono attimi di silenzio.
<< Da quant'è che vedi queste cose? >> Le chiese Mike.
Mike era laureato in psicologia, nonostante avesse deciso di dedicarsi a lavori più manuali, come fare l'idraulico e l'elettricista. Lui diceva che era perché si era reso conto di non volersi addossare i problemi degli altri, di non volerne portare il peso sulle spalle. Jane e Sarah sospettavano che fosse perché non riusciva a trovare lavoro in quel settore.
<< Oggi è stata la prima volta >>
Mike le sorrise.
<< Tranquilla, probabilmente hai ragione, la stanchezza porta brutti scherzi. Hai detto che ultimamente hai problemi a dormire, vero? >>
Jane annuì.
<< Domani vado a comprarti delle gocce di biancospino, sono un sonnifero naturale, ti aiuteranno a riposare >>
Da quando avevano avuto l'incidente, due anni prima, Mike aveva assunto un atteggiamento estremamente premuroso nei confronti di Jane. La causa principale erano i sensi di colpa che tutt'ora provava.
<< Grazie >> sussurrò.

William Bennett, uno degli stregoni più sottovalutati tra gli invisibili, era nel suo laboratorio, o meglio, era nell’ex-laboratorio di suo padre, Henry Bennett, prima che diventasse il Medico ufficiale del consiglio, carica a cui tutti gli stregoni ambivano, tutti tranne Will.
Stava lavorando alla sua ultima invenzione: una coppia di anelli gemelli che fossero in grado di portare stregoni ed elementali indietro nel tempo con l’aiuto di un viaggiatore, o perlomeno era quello che avrebbero dovuto fare. Purtroppo, questa sua ultima invenzione, non funzionava bene come le altre e si scoprì molto più difficile da realizzare. Era partito dagli anelli standard dei viaggiatori nel tempo, congegni ufficiali che funzionavano come macchine del tempo, permettevano ai viaggiatori di controllare con precisione l’epoca ed il luogo del balzo spazio-temporale.
Will stava tracciando con dei gessetti dei simboli sul tavolo di pietra scuro, posizionò due ciotole di bronzo, contenenti una polvere argentata innaturalmente luminosa, negli spazi lasciati vuoti e vi mise dentro gli anelli. Stava eseguendo un incantesimo di sua invenzione, un mix tra una malia di legame e un rituale di unione materiale. Rivolse i palmi delle mani verso le ciotole, da essi uscirono dei flussi morbidi di energia blu che circondarono gli anelli imprigionandoli in una sfera solida. Recitò l’incantesimo in latino e le sfere che circondavano gli anelli si spaccarono. L’incantesimo era concluso. Ora era necessario scoprire se fosse riuscito nel suo intento. Doveva trovare Dante.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2

 

Era domenica pomeriggio, una domenica particolarmente soleggiata nonostante fosse ottobre, non faceva freddo, l'unica nota stonata era l'odore di umidità nell'aria, tipico di quando si esce presto la mattina e ancora si trova la rugiada riposare sui fili d'erba del prato.
Jane stava aspettando Lucas, era in salotto a guardare la televisione per far passare il tempo. Accanto a lei, sul divano rosso, era appoggiato il suo zaino, pieno di appunti e di pennarelli colorati, ovviamente non poteva mancare quel mattone del libro di biologia. Si sentiva energica, aveva dormito benissimo la notte precedente, nonostante non avesse le gocce di biancospino, e quello stesso sonno era quasi riuscito a farle dimenticare gli eventi del giorno prima. Quasi.
Si sentì il campanello suonare.
Jane spense la TV, si mise la giacca e prese lo zaino, aprì la porta. Lucas le sorrise.
<< Buongiorno splendore! >> lo salutò lei baciandogli la guancia.
Il sorriso di Lucas sparì per lasciare posto ad un’espressione di confusione e di imbarazzo.
<< Va tutto bene, Jane? >>
Invece di rispondere Jane uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle, afferrò Lucas per un braccio e lo trascinò con sé. Percorsero la stradina in salita fino alla curva, svoltarono l'angolo e si infilarono nel Cinnamon Roll Caffè, dove presero due girelle alla cannella, la specialità della casa. Si misero seduti ad un tavolo vicino alla finestra che si affacciava sulla strada, in modo da avere più luce. Jane tirò fuori i suoi appunti e Lucas il mattone-libro di biologia.
<< Okay, io direi di partire dalla cellula, vediamo >> Jane sfogliò i sui appunti. << Differenza tra procariotica ed eucariotica, te lo ricordi? >> Gli chiese.
<< Sì, va bene, allora... >>

 Tamira si stava preparando per la missione, era sotto copertura perciò non avrebbe indossato la divisa da combattimento, si mise dei vestiti semplici, da tutti i giorni, non aveva bisogno di armi essendo un’elementale, le sue armi la circondavano ovunque andasse.
James le aveva dato un nome e un luogo: Derek Glade, David’s Ink Tattoo Shop. Era lì che stava andando.
L’aria non era fredda, la strada pullulava di persone incapaci di vederla, si ritrovò a dover fare lo slalom per non urtarli. In fondo alla strada si vedeva l’insegna nera a caratteri bianchi del David’s Ink Tattoo Shop, accanto alla scritta era raffigurato uno scheletro old school vestito da casalinga anni cinquanta che spingeva un carrello. Tamira entrò. Il posto emanava un odore di metallo, le pareti erano grigio scuro, ricoperte da bozze di tatuaggi incorniciati. Si sentiva il rumore della bobina in azione provenire da una stanzetta lì accanto, Tamira si affacciò, un uomo con una giacca di pelle verde stava tatuando il braccio di un altro uomo dai capelli rossi, seduto su una poltrona da barbiere vintage.
<< Il signor Glade? >> Chiese Tamira, assumendo un atteggiamento il più innocente possibile.
L’uomo dalla giacca verde alzò il viso, puntando gli occhi chiari su di lei, aveva una barba scura che gli copriva parte del collo.

Chissà se è questo il tuo vero aspetto. Penso Tamira.
<< Sì, piccola, fammi finire qui e sono da te >> Le sorrise lui, per poi riprendere a lavorare.
L’uomo con i capelli rossi si girò verso Tamira, era umano, non poteva vederla.
<< Con chi stai parlando? >> Chiese, piuttosto confuso, al suo tatuatore.
Derek si fermò. Puntò nuovamente gli occhi su di lei, era ancora appoggiata alla porta.
<< Nessuno, una ragazzina, ma adesso è andata via >> Disse senza distogliere lo sguardo, aveva capito che non era umana, era una di loro, le sorrise e Tamira ricambiò.
<< Hm >> Il rosso parve poco convinto.
<< Ti aspetto qui fuori >> Disse Tamira a Derek con sensualità.
Derek le annuì e, sorridendo, riprese a lavorare.
Si sedette su una poltrona di velluto bordeaux vicino alla cassa ripassando il piano. Per prima cosa avrebbe dovuto attirarlo fuori, c’erano dei tubi di ferro nel vicolo vicino all’entrata, il ferro non è altro che terra purificata, sarebbe riuscita a controllarli, lo avrebbe bloccato con quelli e poi, minacciandolo, lo avrebbe interrogato.
Derek usci dalla saletta insieme al suo cliente, il rosso pagò e se ne andò via tutto contento, evidentemente aveva fatto un buon lavoro con il suo tatuaggio.
Derek Guardò Tamira.
<< Che cosa sei? >> Le chiese.
<< Elementale >> Rispose.
<< Di che elemento? >> Sembrava semplicemente curioso, ma Tamira riusciva a leggere del sospetto nella sua voce.
<< Acqua >> Gli rispose, in parte era vero. << So che sei un mutaforma >> azzardò.
<< Saprai anche che non posso parlarne e che non posso esercitare i miei poteri >> Le rispose lui, sorridendole, Tamira doveva piacergli.
<< Sì, lo so >> Disse ricambiando il sorriso.
Derek sospirò.
<< Ti conviene non chiedere certe cose, piccola. Io sono un uomo per bene, ma un altro mutaforma avrebbe potuto tentare di ucciderti, specialmente uno timoroso del Consiglio >>
<< E tu non hai paura del consiglio? >> Gli chiese, avvicinandosi. Gli piaceva, no? Bene, lo avrebbe sfruttato a suo favore.
<< Non capisco perché si dovrebbe aver paura di un mucchio di bibliotecari altezzosi >> Le spiegò.
<< Io so che hanno un esercito >> Disse lei.
<< Quell’esercito non durerebbe un’ora contro un esercito di mutaforma >> Derek sembrava sicuro di sé.

Un esercito di mutaforma?
<< Ora basta parlare di loro, sei qui per fare un tatuaggio? >> Cambiò discorso.
<< Si, mi piacerebbe, ma devi sapere che ho un... problemino >> disse fingendo di andare in agitazione.
<< Hai paura degli aghi, vero? >> Derek sollevò un angolo della bocca divertito. << Non preoccuparti, non sei la prima che passa di qui >> tentò di rassicurarla.
<< Mi accorgerò dell’ago? >> Gli chiese fingendosi ancora più agitata.
<< No >> Le rispose secco.
<< Ne sei sicuro? Ho degli amici che mi hanno detto il contrario >> Gli disse.
<< Sono un tatuatore, fidati di me, piccola >> Derek sembrava che si stesse innervosendo.

Perfetto.
<< Ho bisogno d’aria >> Disse Tamira dopo un po’.
<< Vieni, ne parliamo fuori, okay? >> Lui le mise una mano dietro la schiena e la spinse fuori dallo studio.
<< Allora… >>
Derek non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò bloccato al muro da pezzi di ferro che gli stringevano polsi e caviglie.
Tamira rise.
<< Che diavolo fai?! >> Era sorpreso.
<< Forse dovrei presentarmi. Piacere, Tamira Collins. Sono il tuo peggior incubo, amore >> Lo prese in giro.
<< Collins? Fai parte del consiglio! >>
<< In effetti, sono qui in missione >> Gli confessò. Aveva un sorriso soddisfatto stampato in faccia.
<< Avrei dovuto capirlo >> Disse più a sé stesso che a lei.
<< Sì, beh, non lo hai fatto. Sappiamo che hai contatti con Marcus >> Disse Tamira.
<< Da questa bocca non uscirà una parola >> Ringhiò Derek.
<< Bene >> Tamira prese un tubo di ferro arrugginito dal mucchio, voleva utilizzarlo per minacciare Derek, ma quando si voltò nuovamente verso la parte lui era sparito.
Spuntò alle sue spalle e la bloccò al muro tenendole un braccio sulla gola, solo che quel braccio non era di Derek.
<< Dante?! >> Adesso era lei quella sorpresa.
<< No, sono sempre io, piccola >>
Derek aveva cambiato forma, ma com’era possibile? I mutaforma non erano in grado di mutare così velocemente, non erano in grado di trasformarsi in qualcuno con cui non avevano un contatto diretto. O sì? Forse il Consiglio si era sbagliato, forse erano diventati più forti di quello che si pensava, ma come? Come?

Marcus.
Doveva aver trovato il modo di renderli più forti. Sì, non c’era altra spiegazione. Comunque non era certo il momento di formulare ipotesi, doveva scappare, per quanto forte e ben addestrata fosse, non aveva possibilità contro un nemico con le capacità di Dante. Doveva farlo stancare. Se si fosse stancato sarebbe tornato alla sua forma originale. L’unico modo per farlo era quello di fargli usare il suo potere, i balzi spaziotemporali. Dante li utilizzava per teletrasportarsi. Doveva bloccarlo, così sarebbe stato costretto ad esaurire le sue energie.
Tamira richiamò a sé la terra degli alberi piantati lungo la strada, silenziosamente la fece strisciare a terra, fino a fargli raggiungere i piedi di Derek e a circondarli, lui, sentendo una strana sensazione corrugò le sopracciglia e guardò in basso, distraendosi. Tamira ne approfittò per scagliarlo lontano da sé, mentre la terra continuava a tenerlo bloccato a qualche metro di distanza. Derek parve inizialmente sorpreso, ma poi la guardò e sorrise, pensando di averla in pugno, fece un balzo e si teletrasportò fuori dalla trappola. Non si era reso conto che stava facendo esattamente il gioco di Tamira. Lei lo bloccò nuovamente e lui fece un altro balzo più vicino a lei, la cosa andò avanti per altre due volte nel giro di pochi secondi, fin quando Derek, esausto, riprese la propria forma. I viaggi nel tempo richiedevano un enorme dispendio di energia. Tamira, approfittandone, iniziò a correre lontano da lui. Derek la seguì.

 Ormai erano passate due ore, fuori stava iniziando a fare buio, il bar era inondato dalla luce calda del sole al tramonto, che si faceva da parte per lasciare posto alla luna e alle stelle. Era quasi fatta, presto sarebbero tornati a casa, Lucas doveva soltanto finire di ripetere, per la ventesima o ventunesima volta, ormai aveva perso il conto, il programma a Jane. Lei, d'altro canto, non ne poteva più di stare a sentire sempre le stesse cose, tanto più che aveva smesso di ascoltarlo. Voltò lo sguardo verso la finestra stiracchiandosi il collo, fuori c'era gente che passeggiava, famiglie, gruppi di amici, coppie, a volte anche qualche vecchietto solitario, che camminava lentamente, guardandosi intorno e godendosi la semplicità della vita. Una ragazza dai capelli scuri stava correndo. Catturò la sua attenzione. Sì, stava correndo, ma non era vestita per fare jogging, aveva addosso un paio di jeans chiari ed una maglietta nera un po' troppo grande, gli anfibi poi non erano certo scarpe con cui si andava a fare esercizio, no?
La spiegazione arrivò correndo dietro di lei: un uomo con una giacca di pelle verde. La stava inseguendo, lei stava scappando!
Qualcosa scattò nella testa di Jane, che drizzò il collo e si mise sull'attenti. Possibile che nessuno facesse niente? Le persone che la vedevano passare non si preoccupavano? Non gli importava niente? Come si può restare indifferenti vedendo una ragazza scappare da un uomo più grade di lei? 
La ragazza accelerò, guadagnando qualche metro di vantaggio, girò, imbucandosi in un vicolo stretto, poi si fermò e si voltò facendo un gesto con la mano. Fu come se l'asfalto prendesse vita, si innalzò tra i due edifici a mattoni rossi, costruendo un muro solido che impedisse al suo inseguitore di raggiungerla.
Jane scattò in piedi, in preda allo stupore, continuava a fissare la parete d'asfalto.
<< Jane? >> La chiamò Lucas, ma lei sembrava non sentirlo.
L'uomo con la giacca verde si fermò davanti al vicolo ormai chiuso, si guardò intorno, poi successe una cosa ancora più incredibile di quella precedente: Emanò luce, un'intensa luce bianca che sembrava uscire da tutti i pori della sua pelle.
<< Jane! >> tentò ancora Lucas.
La luce illuminò i volti dei passanti fin quando non smise di brillare. Al suo estinguersi l'uomo aveva cambiato aspetto. Non era più un uomo alto e minaccioso, non aveva più addosso la giacca verde, si era trasformato in un ragazzo biondo di bell'aspetto, anche troppo bello, con quella figura slanciata, ma Jane era troppo sconvolta per notarlo. Il ragazzo, o l'uomo, o quell'essere, che dir si voglia, fece qualche passo indietro per poi svanire nel nulla, lasciandosi alle spalle solo qualche scintilla rossa.
<< Jane Clara Rothfeller! Siediti per favore, ti stanno guardando tutti! >> 
Questa volta Lucas riuscì nel suo intento. Jane si voltò verso di lui con un’espressione sconvolta, confusa, scioccata, da parte sua Lucas era imbarazzato, troppi occhi puntati su di loro, troppa attenzione rivolta a loro. Jane diede una rapida occhiata alle persone all’interno del caffè, era vero, la stavano guardando tutti come fosse pazza. Jane si sedette tenendo gli occhi bassi.
<< Si può sapere che succede? >> Le chiese.
<< Non l’hai visto? >> Era sconcertata.
<< Visto cosa? >>
<< Mi prendi in giro, vero? >> Chiese con un tono che era tutto al di fuori del sarcastico, come era solita fare, un tono di voce che lasciava trasparire insicurezza e bisogno d’appoggio.
<< Ho la faccia di uno che ti sta prendendo in giro? >> Era Lucas quello che faceva del sarcasmo, sembrava che i ruoli fossero stati invertiti.
<< Andiamo, non puoi non averlo visto! Era proprio lì fuori! >> La voce di Jane riacquistò un po’ di decisione.
<< Jane, di che diavolo stai parlando? >> Era confuso.
<< Sto parlando di quella tizia che ha innalzato un cazzo di muro d’asfalto tra quei due edifici e del tizio che la inseguiva che ha cambiato corpo! Ecco di che sto parlando! >> Jane iniziò a scaldarsi, ma mantenne comunque un tono di voce tale che le altre persone nel caffè non fossero in grado di sentirla.
<< Okay, adesso sei tu a prendermi in giro >> Era ancora più confuso, decisamente più confuso.
<< No no, Lucas… >> Jane nascose il viso tra le mani, massaggiando le tempie con i pollici, nel tentativo di calmarsi e di far sciogliere un po’ di tensione. Tornò a guardare Lucas. << Non è la prima volta che mi succede, ieri al parco ho visto una bambina giocare con una sfera d’acqua sospesa a mezz’aria… mi stanno succedendo delle cose che non riesco a capire e io odio non capire le cose >>
<< Forse hai delle allucinazioni, forse sei schizofrenica >> Fu la prima ipotesi sensata che gli venne in mente.
<< Non sono pazza! >> Non riusciva a credere alle parole di Lucas.
<< Tutto può essere >> insistette lui.
<< Lucas! >> Ora era indignata.
<< Okay, scusa. Ne hai parlato con Mike? >> Le chiese cercando di addolcire il tono.
<< Sì >> Rispose secca.
<< E… >> La spronò.
<< E ha detto che probabilmente è per via della stanchezza che mi immagino le cose, ma… io so quello che ho visto, non è frutto della mia immaginazione, è reale, so distinguere le due cose >> Cercò di convincerlo al meglio che poteva in quel momento, in preda a quello strano mix di emozioni.
<< Ne sei sicura? >> Purtroppo Lucas sembrava ancora un po’ scettico.
<< Puoi cercare di metterti nei miei panni per cinque secondi? >> Gli chiese un po’ aggressiva.
<< Ehi, non ti scaldare, sto solo cercando di aiutarti >> Si difese lui.
Jane sospirò.
<< Hai ragione, scusa >> Disse poi.
Seguirono attimi di silenzio. Se le persone nel Cinnamon Roll Caffè avessero smesso di parlare e i rumori delle tazzine di ceramica uniti a quello delle macchine per il caffè fossero cessati, si sarebbe certamente sentito il suono degli ingranaggi delle teste di Jane e Lucas lavorare in cerca di una spiegazione plausibile.
<< Okay, senti, mettiamo che le cose che vedi siano reali, perché sei l’unica che riesce a vederle? >> Le chiese Lucas.
<< Te l’ho detto, non lo so >> Gli rispose, doveva esserci per forza una spiegazione logica, ma non era ancora riuscita a trovarla, e la cosa la seccava.
<< Che hai intenzione di fare? >> Le chiese, arrendendosi a cercare una risposta a quelle assurdità.
<< Niente, per ora non c’è niente che posso fare >> L’unica cosa che le veniva in mente era un grande buco nero.
<< Questa non è una risposta da Jane >> Lucas le sorrise cercando di darle conforto.
<< Questa è una risposta da Jane spaventata >>

 << Che vuol dire che si è trasformato in me?! >> Le chiese Dante.
<< Vuol dire esattamente quello che credi >> Gli rispose Tamira.
Era rientrata dalla missione da un paio d’ore, si era fatta una doccia e aveva chiamato Dante e Will, aveva bisogno di parlare con loro. Attualmente si trovavano nella sua stanza. Al centro del pavimento di parquet c’era un tappeto rosso circolare sopra il quale era posizionato il letto, Tamira c’era seduta sopra, i capelli bagnati le solleticavano il viso. Will, invece, era seduto a terra, con la schiena poggiata sul comodino. Era talmente alto che, anche da seduto, i suoi capelli rossi arrivano sopra al ginocchio di Dante, in piedi accanto a lui.
<< Ma non è possibile, i mutaforma devono avere un contatto diretto con la persona di cui prendono le sembianze, no? >> Chiese Will.
<< Oppure con qualcosa a cui la persona tiene >> Lo corresse Dante.
<< Qualcosa con valore affettivo? >> Chiese Tamira.
<< Sì >> Confermò Dante, si stava sforzando a capire com’era possibile che fosse successa una cosa simile.
<< Hai perso qualcosa ultimamente? >> Gli chiese Will.
<< Non ho perso niente, Will. Non pensi che me ne sarei accorto? >> Gli chiese, sarcastico, Dante.
<< Dante, non-ti-scaldare >> Gli ordinò Tamira.
<< Scusa, ma mi dà fastidio che qualcuno prenda le mie sembianze, sai com’è? >> Fece ancora del sarcasmo, era il suo modo di sfogarsi.
<< Se vuoi sfogare la rabbia urla nel cuscino >> Tamira gli passò il cuscino con la fodera di raso rosso.
<< Non sono arrabbiato, ma non capisco che sta succedendo >> Dante rimise il cuscino al suo posto.
<< E se c’è una cosa che Dante De Marchi non sopporta… >> Iniziò Tamira guardando Will.
<< …è non capire le cose >> Finì Will sorridendole.
<< Io avrei detto “non avere il controllo della situazione” >> Disse lei.
Nella stanza piombò il silenzio, l’unico rumore percettibile erano i sospiri scocciati di Dante.
<< Comunque Derek ha accennato ad un esercito di mutaforma >> Confessò Tamira rompendo quel silenzio.
Gli occhi di Dante guizzarono verso di lei a sentire quelle parole, stranamente, non ne rimase troppo sorpreso.
<< Un… che?! >> Will parve seriamente allarmato, impaurito anche.
<< Non so se lo ha detto tanto per dire… ma… >> Iniziò a dire Tamira con la voce che le tremava leggermente, anche lei non si sentiva tranquilla e, solo al ripensare alle parole di Derek, un mare di brividi le percorsero la schiena arrivando dritti alla nuca.
<< Non è da escludere, sono vent’anni che Marcus è sparito dalla circolazione eppure non si è mai smesso di parlare di lui, le ricerche non sono mai cessate >> Disse Dante incrociando le braccia al petto.
<< Parla chiaro >> Gli ordinò Tamira.
<< Potrebbe essersi riorganizzato, no? Le rivolte dei mutaforma sono cessate dopo tre anni dalla sua scomparsa, volete saper che penso? >> Chiese. I due annuirono, ma avevano intuito dove voleva arrivare.
<< Penso che abbia radunato i mutaforma ribelli, che li abbia addestrati a combattere e li abbia resi più forti, come Derek >> Finì di spiegare.
<< Credi che abbia formato un esercito? >> Chiese Will, gli venne la pelle d’oca al solo pensiero.
Dante annuì.
<< Se è vero quello che dici, la guerra è alle porte, te ne rendi conto? >> Gli chiese Tamira.
<< Fin troppo bene >> Ammise.

 Henry era nell’ufficio di Lorenzo, lo aveva chiamato per discutere di una questione urgente, ma personale.
<< Riguarda Dante, vero? >> Gli chiese Henry. Aveva saputo del litigio con il figlio, in realtà, non c’era persona a Buckingham Palace che non ne era al corrente, ormai erano abituati ai loro continui battibecchi, la maggior parte tifava per Dante, ritenendo inaccettabile il comportamento del padre.
<< Non riesce capire che lo faccio per il suo bene >> Si difese Lorenzo.
<< Non puoi tenerlo sotto la tua ala protettiva per sempre, lo sai, no? >> Gli chiese Henry.
<< Ma non posso neanche affidargli una missione di primo livello! >> Ribatté lui.
<< Perché no? Dante è un ottimo combattente, si sa difendere e sicuramente migliorerebbe il vostro rapporto >> Cercò di spiegargli, nonostante non fosse la prima volta che affrontavano quel discorso.
<< è pericoloso, Marcus potrebbe essere ovunque, non ho il controllo >> Gli disse Lorenzo.
<< Magari è questo il problema, non devi sempre avere il controllo su tutto >> Gli rispose.
Lorenzo poggiò i gomiti sulla scrivania di mogano per poi sospirare.
<< Io non so che devo fare >> Confessò.
<< Lauren che ne pensa? >> Gli chiese Henry
<< Oh, sua madre dice che dovrei lasciarlo “lavorare sul campo”, come se stesse facendo delle ricerche geologiche >> Gli venne da ridere, una risata amara.
<< Affidagli una missione di ricerca >> Suggerì Henry, anche se più che un suggerimento sembrava un ordine.
<< Come? >> Gli chiese Lorenzo un po’ incredulo.
<< Una missione di ricerca. Tamira è stata aggredita da un mutaforma questo pomeriggio, lui è fuggito, affida a Dante il compito di indagare sul luogo della scomparsa >> Spiegò.
<< Ma se il mutaforma… >> Iniziò Lorenzo, ma Henry lo interruppe.
<< Abbiamo perso le sue tracce, non è più lì, Dante sarà al sicuro e in più avrebbe la sua missione >>
<< Capirà che non gli sto dando altro che un contentino >> Pensò ad alta voce.
<< Lo so, ma è un inizio, anche per te >>

 << Devo soltanto fare un salto temporale? >> Chiese Dante a Will, infilandosi l’anello di sua invenzione.
<< Sì, come sempre >> Will fece per allontanarsi.
Erano nel laboratorio di Henry insieme a Tamira, che li guardava divertita, sperava davvero che gli anelli funzionassero, Will ci aveva lavorato molto e duramente.
Dante chiuse gli occhi preparandosi per il balzo.
<< Aspetta! Devo mettere il mio! >> Disse Will, per poi mettersi l’anello. Guardò Dante. << Se non mi vedi affianco a te dopo il salto, torna indietro >> Disse poi.
<< Posso? >> Gli chiese Dante con sarcasmo.
<< Adesso sì >> Gli rispose Will ignorando il suo tono.
Dante chiuse gli occhi, concentrandosi, avrebbe dovuto scegliere una data, 9 novembre 1989, la caduta del muro di Berlino, uno dei suoi eventi storici preferiti.
Fece il balzo.
Tamira e Will trattennero il respiro.
Il tempo passava e Will era ancora nel laboratorio. Tamira lo guardò, poteva leggere la delusione nei suoi occhi, le faceva male.
Dante riapparse nella stanza, teneva la testa bassa, anche il suo sguardo cadde su Will.
<< Continuerò a provare >> Disse quest’ultimo.
Tamira gli sorrise.
<< Prima o poi funzionerà, ci riesci sempre >> Gli disse.
Will arrossì, sorrise imbarazzato.
Si sentì il rumore delle porte del laboratorio aprirsi, i Tre si scambiarono uno sguardo allarmato. Dante si sfilò l’anello, così come Will. Quest’ultimo si sbrigò a nasconderli nella tasca della sua giacca.
Era stato Lorenzo ad entrare.
<< Papà? >> Lo chiamò Dante.
<< Ti è stata affidata una missione >> Disse Lorenzo con tutta la calma e l’autocontrollo possibile.
Dante batté le palpebre più volte, incredulo, stupito dalle parole del padre, anche se suonavano meccaniche, come una registrazione su un nastro.
Tamira e Will non erano da meno, si scambiarono uno sguardo fugace.
<< Devi… >> Lorenzo si schiarì la gola. << Devi indagare sul luogo della sparizione del mutaforma Derek Glade >> Disse poi più deciso.
Tamira perse un battito ripensando al mutaforma trasformarsi in Dante.
<< E dove sarebbe? >> Gli chiese Dante a voce bassa, ancora incredulo.
<< Nel primo vicolo dopo il David’s Ink Tattoo shop >> Rispose Tamira.
Dante la guardò con una domanda negli occhi: è lui?
Tamira annuì.
<< Partirai seduta stante >> Gli ordinò il padre.
Detto ciò Lorenzo si voltò ed uscì dal laboratorio, lasciando la porta aperta, come se se ne fosse dimenticato.
<< Hai una missione! >> Will sembrava più eccitato di Dante che, invece, era pensieroso. << Che c’è? >> Gli chiese poi alzando gli occhi al cielo.
<< Potremmo indagare per conto nostro, su Marcus intendo >> Propose Dante.
<< Okay, è impazzito >> Disse Tamira a Will.
<< Dico sul serio! Marcus potrebbe avere un esercito e il Consiglio non ne è al corrente >> Insistette Dante.
<< Dovremo avvertirli allora >> Continuò Tamira.
<< No, non possiamo >> Intervenne Will, aveva capito cosa volesse dire Dante.
<< Perché no? Siamo dalla stessa parte >> Chiese Tamira confusa dalle parole dei due.
<< Vero, ma immagina cosa farebbero se solo sospettassero che lì fuori c’è un esercito di pericolosi mutaforma pronti a muoversi contro di loro >> Le disse Dante.
<< Proveranno a fermarli >> Suppose Tamira.
<< Sì ma come? Non sappiamo con precisione chi siano i mutaforma coinvolti >> Continuò Dante.
<< E non credi che li cercherebbero? >> Gli chiese Tamira retoricamente.
<< No >> Rispose Will.
<< Ragazzi, non vi seguo >> Si arrese Tamira.
<< Se il Consiglio si sentisse minacciato non esiterebbe ad uccidere ogni mutaforma che gli si presenti davanti, non basterà più che si nascondano, per loro non dovranno più esistere >> Le spiegò Dante.
<< No, non lo farebbero >> Tamira era inorridita dalle parole dell’amico, anche i loro genitori facevano parte del consiglio! Come poteva pensare che fossero in grado di fare una cosa del genere?
<< Eccome se lo farebbero, l’ho visto, durante uno dei miei viaggi spaziotemporali, ho visto la rivolta di Liverpool >> Confessò Dante.
I due ragazzi trattennero il respiro, non si doveva parlare della rivolta di Liverpool, era severamente vietato, se li avessero sentiti avrebbero passato non pochi guai.
<< Ce n’erano a migliaia, migliaia di mutaforma, lottavano per i propri diritti urlando per le strade, ma i nostri soldati erano milioni e non hanno esitato, non si sono fermati a pensare neanche un attimo a quello che stavano facendo. Li hanno massacrati, tutti. Anche i bambini >> Raccontò Dante, sentendo la rabbia scorrergli nelle vene.
Gli occhi di Tamira diventarono umidi.
Will abbassò la testa vergognandosi di quello che i suoi predecessori avevano fatto.
<< Non possiamo dirlo al Consiglio >> Disse Dante.

 Era calata la sera, l’aria era gelida, Dante avrebbe descritto la sensazione alla nuca come tanti piccoli aghi che gli perforavano la pelle, il che era abbastanza in tema con il posto dove si stava dirigendo: un vicolo vicino ad uno studio di tatuaggi.
Trovò il posto in meno di dieci minuti. Un muro d’asfalto tra due edifici si fa notare, da chi era in grado di vederlo almeno.
Dante toccò la parete, era solida e spessa, robusta, decisamente opera di Tamira. Controllò a terra, ma niente faceva pensare al passaggio del mutaforma. Se non avesse lasciato tracce? Era possibile? Creto che era possibile! Ma non poteva tornare a Buckingham Palace a mani vuote, era la sua prima missione e aveva lottato con le unghie e con i denti per ottenerla. No, non se ne sarebbe andato a mani vuote.
Continuò a cercare nei dintorni per una ventina di minuti, stando attento a qualsiasi suono, a qualsiasi odore o cambiamento di temperatura alla disperata ricerca di una traccia, purtroppo non trovò niente. Frustrato e arrabbiato, Dante diede un pugno alla parete d’asfalto, sbucciandosi le nocche, ora dipinte di un rosso cremisi.
<< Dannazione! >> Commentò.
Decise di farsi un giro per quelle stradine, cercando di schiarirsi le idee, aveva la mente offuscata dalla frustrazione, in quello stato non avrebbe concluso niente.

 Jane e Lucas uscirono dal Caffè, i dipendenti li avevano praticamente cacciati e avevano ragione dato che stavano chiudendo.
<< Ci vediamo a scuola >> La salutò Lucas abbracciandola.
<< A domani >> Gli disse lei sciogliendo l’abbraccio.
<< Sei sicura che non vuoi che ti accompagni a casa? >> Le chiese per l’ennesima volta Lucas.
<< Sicura, casa mia è qui dietro, ci metto un attiamo >> Gli rispose alzando gli occhi al cielo, anche se era intenerita dal suo atteggiamento.
<< D’accordo, d’accordo, allora a domani >> Le disse, per poi allontanarsi.
<< Ricorda di riportarmi gli appunti di letteratura! >> Gli urlò lei quando fu a qualche metro di distanza.
<< Contaci >> Le rispose prima di svoltare l’angolo.
<< Tanto lo so che te li dimenticherai >> Disse tra sé e sé.
Jane si girò percorrendo la strada di ritorno, ma rimase impietrita quando i suoi occhi incrociarono la figura del ragazzo biondo dall’altra parte della strada, lo stesso che nel primo pomeriggio era svanito nel nulla.

No, no, no! Non di nuovo!
Il ragazzo diede un pugno al muro d’asfalto. Jane sussultò, istintivamente si nascose dietro una quercia. Com’era finita in quella situazione?
Prese un respiro profondo per poi tornare a guardarlo. Stava osservando la parete, sembrava arrabbiato, si mise le mani in tasca e si allontanò percorrendo la salita.

Lui vede la parete! Lui ha cambiato il suo aspetto e poi è sparito nel nulla! Potrebbe essere l’unico ad avere delle risposte. Pensò.
Sapeva che era una pessima idea, sapeva che poteva essere pericoloso, ma prima che se ne accorgesse i suoi piedi iniziarono a muoversi e si ritrovò a seguirlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3

 

Era circa da mezz’ora che Dante girava a vuoto per le strade del quartiere, strade illuminate solamente dalla flebile luce giallastra dei lampioni che le percorrevano. Non era riuscito a fare nulla, la sua prima missione, il suo primo incarico, così tanto desiderato, si era rivelato un totale fallimento. Cominciò a pensare che la colpa non era interamente sua, ma anche di suo padre, insomma, cosa si poteva dedurre da una parete d’asfalto? Niente. Magari gli era stata assegnata con il preciso scopo di farlo fallire, così che il Consiglio si sarebbe opposto al suo intervento futuro nei loro affari, probabilmente era proprio questo l’intento di Lorenzo.
No. Doveva smettere di pensare a certe cose, erano pensieri ignobili, soprattutto se rivolti al proprio padre.
Sospirò. Alzò lo sguardo su una vetrina di una libreria per vedersi riflesso, lo faceva spesso quando era sovrappensiero, era come se, in qualche modo, lo aiutasse a riordinare le idee.
Dal riflesso del vetro scorse una figura sfocata nascondersi frettolosamente in un vicolo, lo stavano seguendo.

Bene.
Dante sorrise beffardo.
Non sarebbe tornato a mani vuote.

<< Sarah, sai dov’è Jane? >> Chiese Mike entrando in cucina.
<< Non è con Lucas? >> Gli chiese lei mentre era intenta a preparare la cena.
<< Sì, ma dovrebbe essere già rientrata da un pezzo >> Rispose Mike. Iniziò a camminare per la cucina cercando di non pensare a Jane lì fuori, al buio. Sentiva un peso sul torace.
<< Mike, rilassati, sono ragazzi, magari c’è una buona motivazione per il suo ritardo, non credi? >> Sarah lo guardò alzando un sopracciglio.
<< Non ti capisco >> Confessò Mike.
Sarah alzò gli occhi al cielo, possibile che gli uomini fossero così ciechi?
<< Okay, diciamo che secondo me più che un appuntamento di studio il loro è stato un appuntamento romantico, anzi ne sono sicura. Possiamo concederle qualche minuto di ritardo! >> Gli spiegò.
<< Appuntamento romantico? Jane? Jane e Lucas? >> Mike sembrava più confuso di prima.
<< Sì, Mike, Jane e Lucas >> Gli rispose Sarah seccata.
<< Io la chiamo >> Annunciò mentre prendeva il telefono dalla tasca posteriore dei Jeans.
<< Fallo e ti spezzo le ossa >> Lo minacciò.

Jane si nascose in fretta, perché si era fermato? Forse per vedere che viso avesse indosso, magari cambiava aspetto più volte al giorno e non si ricordava quale fosse al momento.
Ma che idea stupida!
Sembrava decisamente poco probabile.
Che cosa le aveva detto il cervello? Seguire un perfetto sconosciuto! L’ennesima idea stupida. Era pericoloso, soprattutto considerando che lo aveva visto rincorrere una ragazza. Allora perché si sentiva così eccitata? Con il cuore che le batteva all’impazzata e l’adrenalina a livelli sovrumani, le piaceva. Le piaceva la sensazione del sangue gelato nelle vene, le piaceva sentire le gambe formicolare e il respiro corto, si sentiva come le protagoniste dei libri che tanto amava, il che, probabilmente, rendeva la sua stolta decisione di seguirlo ancora più stupida, ma la cosa ancora peggiore è che non le importava, non le importava neanche che non le importava. Il suo unico pensiero era seguirlo.
Si affacciò sulla strada, notò che il ragazzo aveva ricominciato a camminare, lo seguì stando attenta a mantenere una certa distanza e facendo meno rumore possibile.
Il ragazzo svoltò alla fine della salita, Jane fece lo stesso pochi secondi dopo, ma lui non c’era, si fermò.

Oh. E adesso?
Non si diede una risposta dato che venne scaraventata al muro e bloccata da due braccia forti.
Per istinto chiuse gli occhi, durante l’impatto diede una botta alla testa che ora le faceva male. Si divincolò nel tentativo di liberarsi.
<< Stai ferma! >> Le intimò l’aggressore.
Jane lo guardò in faccia, era lui. Rimase incantata per qualche secondo, aveva il viso più bello che avesse mai visto…
Si riprese subito, per sua fortuna si sapeva controllare.
<< Che diavolo fai?! >> Sbottò.
<< Chi sei? Perché mi segui? >> Le chiese Dante impaziente.
<< Chi vorrebbe saperlo? >> Chiese di rimando Jane.
<< Non scherzare, non sei nella posizione per farlo >> La ammonì.
Lei strinse i denti, fulminandolo con lo sguardo, tuttavia era consapevole che aveva ragione.
<< Allora, perché mi stai seguendo? Sei una mutaforma? Un’alleata di Marcus? Dimmi di lui, avanti! >> La interrogò.
<< Ma di che parli? >> Gli chiese lei confusa.
<< Rispondi! >> Strillò spingendola ancora di più.
<< Lo farei se sapessi di cosa stai parlando! Lasciami! >> Gli urlò lei.
<< Non ti lascio scappare >> Le disse.
<< Non ho intenzione di scappare! Sono stata io a seguirti, ricordi? O soffri di amnesia? >> Gli rispose sarcastica.
Dante sorrise, non riuscendo a trattenersi, trovava buffo il suo tono arrogante, certamente non era una che abbassava la testa, non riusciva a capire se lo irritava o se l’ammirava.

Oh, fantastico! È anche lunatico. Pensò lei.
Si decise a liberarla dalla presa.
<< Finalmente >> Disse Jane.
<< Adesso mi dici cosa sei? >> Le chiese lui, sollevato nel vedere che non tentava di fuggire, non che avesse avuto scampo, l’avrebbe
raggiunta e catturata nuovamente.
<< In che senso? >> Le chiese lei, cominciava a chiedersi se il ragazzo avesse tutte le rotelle a posto.
<< Elementale, viaggiatrice, stregone, mutaforma…? >> La spronò.
L’espressione di Jane era chiara, esprimeva tutto il suo stupore e la sua confusione.
Dante, leggendole sul volto che cosa le passava per la testa, le chiese:
<< Hai idea di quello che sto dicendo? >>
Lei fece di no con la testa, mantenendo la stessa espressione.
<< Allora perché mi seguivi? >> Le chiese, ora era lui ad essere confuso.
Jane si risvegliò da quello stato come colpita da un fulmine.
<< Perché ti ho visto! >> Quasi urlò.
<< Come? >> Le chiese.
<< Ti ho visto rincorrere quella ragazza! Oggi pomeriggio. Hai cambiato aspetto, non dirmi che non è vero, l’ho visto, prima avevi la barba ed eri più grande! Poi sei sparito nel nulla! Come diavolo hai fatto a sparire nel nulla?! >> stava parlando velocemente, aveva troppi pensieri e troppe domande.
<< Tu l’hai visto! >> Dante sentì la scintilla della speranza accendersi dentro di lui.
<< Ti ho visto, si >> gli disse.
<< No, non ero io, era un mutaforma >> guardò altrove pensando a come potesse estrapolarle informazioni. << Aspetta un attimo, come hai fatto a vederlo? Come fai a vedermi? >> chiese più a sé stesso che a lei, rendendosi conto che per via della malia doveva risultare invisibile agli occhi umani, magari la malia era difettosa? No, la ragazza aveva visto Tamira scappare ed il mutaforma rincorrerla per poi teletrasportarsi con le sue sembianze, c’era qualcosa che non andava, doveva assolutamente portarla a Buckingham Palace.
<< Tutto bene? >> gli chiese lei vedendolo sovrappensiero.
<< D’accordo >> disse lui in un sussurro. Prese dalla tasca della giacca una catena dorata che si chiuse sul polso di Jane.
<< E questa che roba è? >> chiese cercando di togliersela di dosso.
<< Catene incantate, nel caso dovesse venirti la malsana e mortale idea di fuggire >> spiegò Dante.
<< Mortale? Ma che gentiluomo >> lo canzonò lei arrendendosi al fatto che non sarebbe riuscita a togliere il braccialetto.
<< Come ti chiami? >> le chiese lui.
Jane lo squadrò da testa a piedi.
Dante sollevò un sopracciglio in attesa della risposta.
<< Jane >> gli rispose dopo qualche attimo.
<< Io sono Dante, piacere, ora devi venire con me >> le afferrò la mano e si incamminò.
<< Io non vengo da nessuna parte >> gli disse Jane liberandosi bruscamente dalla sua presa, il braccialetto scottava. Jane lo ignorò.
Dante alzò gli occhi al cielo, perché nessuno lo ascoltava?
<< Da quanto tempo vedi cose strane? >> Le chiese.
<< Due giorni >> Gli rispose. << Ma perché le vedo? >> Gli domandò.
<< Vorrei saperlo anch’io, non vuoi delle risposte? >> Cercò di persuaderla.
<< Certo! >>
<< Allora devi venire con me >>

La sala del Consiglio era la stanza più grande di Buckingham Palace, la stanza più importante di tutta Londra. Era una sala molto ampia e luminosa, arredata con mobili di preziosi e tende di stoffe pregiate. Il lampadario in cristallo era posizionato al centro della stanza, proprio sopra il grande tavolo ovale. Era lì che sedevano i membri del Consiglio, con il capo del Consiglio di Londra seduto ad una delle due estremità. Proprio in quel momento si stava tenendo una riunione ufficiale.
<< Come sapete abbiamo ricevuto delle lettere dal Consiglio Superiore >> A parlare era Donna Hastings, l’attuale capo del Consiglio. Era una donna sulla sessantina, con lunghi capelli argentati e occhi chiari. Aveva un’aria risoluta e decisa, molti membri avevano timore di lei. << Le informazioni di cui i nostri superiori sono venuti a conoscenza sono spaventose >> Dichiarò.
<< Venga al punto, non abbiamo tutto il giorno >> La sprono James, che non era tra coloro che la temevano.
<< Le consiglio di chiudere la bocca James, o ne risponderete personalmente >> Lo ammonì Donna in tono severo.
<< Ma che ti salta in testa? >> Sussurrò Henry a James, cercando di trattenere una risata.
<< Come stavo dicendo >> Riprese Donna. << Sono giunte delle voci secondo le quali Marcus Rowland stia formando un suo esercito >>
Alcuni dei sessanta membri sobbalzarono alle parole della loro superiore. Un brusio preoccupato si fece largo tra le mura della sala.
<< Queste voci sono fondate? >> Chiese Lorenzo interrompendo il brusio.
<< Sappiamo che Marcus ha già minacciato l’integrità del consiglio vent’anni fa, prima di sparire, giurando di portarci alla rovina. Anche delle semplici voci dovrebbero bastare per allarmarci >> Gli rispose Donna, rivolgendosi all’intero Consiglio.
<< E che cosa intende fare? >> Chiese un’elementale.
<< Dobbiamo scoprire se i sospetti che il Consiglio Superiore nutre sono fondati, seguiremo delle nuove piste ed addestreremo i nostri guerrieri al meglio delle loro capacità >> Rispose Donna mantenendo un tono fermo.
<< Sembra che ci stiamo preparando per affrontare una guerra >> Si sentì dire da uno dei viaggiatori.
<< No, non sono le nostre intenzioni, ma se dovessimo subire un attacco i nostri soldati devono essere pronti a difenderci >> Li rassicurò Donna.
<< E, ditemi, che cosa farete se i sospetti si rivelassero effettivamente fondati, mia cara? >> Le chiese James.
<< Porti rispetto signor Collins, è l’ultimo avvertimento >> Lo riprese lei.
<< Risponda alla mia domanda >> Insistette lui.
<< Faremo ciò che è necessario >> Disse Donna.
<< Cioè? Uno sterminio? Avete intenzione di porre fine a delle vite innocenti? >> James era arrabbiato, furioso, ma cercava di nasconderlo quanto più possibile.
<< Se sono con Marcus non si possono definire innocenti >> Intervenne Henry, che ricevette uno sguardo d’approvazione dalla sua superiore.
<< Non possiamo saperlo! Crede di avere potere decisionale anche sulla vita o sulla morte delle persone? Perché non è così! >> Insistette James.
<< Si calmi James! >> Gli ordinò Donna. << Se ci tiene a saperlo gli ordini del Consiglio Superiore sono quelli di uccidere ogni mutaforma che ci capita tra le mani, decidendo di accertarmi della loro colpevolezza sto mettendo in pericolo la mia carica e quella di tutti voi, quindi non mi venga ad accusare di simili sciocchezze! >>
La confessione di Donna bastò ad azzittire James e tutti gli altri uomini seduti a quella tavola.
<< Un’ultima cosa >> Aggiunse Donna. << Per non scatenare il panico tra gli invisibili queste informazioni dovranno rimanere segrete >>
<< Non avevo dubbi >> Sussurrò seccato James.

<< Quindi tu sei, una… una specie di mago? >> Cercò di capire Jane.
<< No, io viaggio nello spazio-tempo, gli stregoni sono più simili al concetto umano di mago >> le spiegò Dante.
<< Concetto umano di mago >> ripeté Jane. << Wow, sembra di parlare con un essere superiore >> disse sarcastica.
Dante non rispose, continuò a camminare come se non avesse sentito.
<< Posso sapere dove stiamo andando? >> gli chiese allora Jane.
<< A Buckingham Palace >> rispose Dante.
<< Come? Quel Buckingham Palace? >> Jane non riusciva a crederci, tutta quella storia era assurda. Viaggiatori nel tempo,
stregoni, elementali… se non avesse visto con i suoi occhi quello di cui queste persone erano capaci, non ci avrebbe mai creduto.
<< Quanti Buckingham Palace conosci? >> le chiese Dante sarcastico.
Jane alzò gli occhi al cielo.
Lui sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
<< Comunque è una parte nascosta del palazzo >> le disse poi.
<< Come una parte sotterranea? >> chiese Jane.
<< No, è in piena vista, ma le malie di protezione impediscono che si noti >> le spiegò.
<< Malie? Stai scherzando? >> gli chiese con tono scettico.
<< No, ne ho una anch’io, è per questo che non dovresti vedermi >> le rispose Dante con massima naturalezza.
<< Ne aveva anche quella ragazza? È per questo che nessuno riusciva a vedere che cosa stesse succedendo? >> gli chiese.
<< Quella ragazza si chiama Tamira >> la informò << E sì, le malie sono d’obbligo per tutti gli invisibili >> le rispose.
<< Come quella bambina a Hyde Park >> disse tra sé e sé.
Jane era talmente sovrappensiero che non si rese conto di aver percorso tutta Palace Street, né di essere difronte all’entrata del palazzo reale. Aveva il respiro corto, sentiva dei brividi percorrerle tutta la schiena fino alla nuca sulla quale le si rizzarono i capelli. Lo stava facendo davvero? Stava entrando a Buckingham Palace con un perfetto sconosciuto? Sì, lo stava facendo. Non che avesse molta scelta, ogni volta che si azzardava a pensare di girare i tacchi ed andarsene la catenina iniziava a bruciarle la pelle intorno al polso, sospettava che se sé ne fosse andata sarebbe finita carbonizzata.
<< Vieni >> le intimò Dante, che iniziò a camminare superandola.
Jane lo raggiunse a passo svelto, fiancheggiandolo.
<< Bevi questa >> le ordinò poi passandole una provetta contenente un liquido trasparente.
<< No che non la bevo >> disse lei.
<< Sì che la bevi, è una malia, le guardie non devono vederti >> le spiegò.
<< Come faccio ad esserne sicura? >> chiese alzando un sopracciglio con aria interrogativa.
Dante si fermò, tolse il tappo alla provetta e se la portò alle labbra, bevendone un piccolo sorso, guardò poi Jane spazientito.
<< Tocca a te >> le disse porgendole il piccolo contenitore.
Jane lo prese, osservò per un po’ la provetta, se l’aveva bevuto anche lui non poteva farle del male. Mandò giù il liquido tutto d’un fiato, la cosa che la sorprese è che la malia non avesse sapore, sembrava di star bevendo dell’acqua, solo un po’ più densa.
<< Buona? >> le chiese mentre superavano il cancello.
<< Insipida >> gli rispose facendolo ridere.
Entrarono nel palazzo, come da programma nessuno li aveva visti. Dante, ovviamente, era abituato, ma a Jane fece uno strano effetto.
Superarono l’ingresso trovandosi davanti ad un immenso portone nero che stonava con il resto del Palazzo. Sulla sommità del portone vi era incisa in oro una frase: Dulce bellum inexpertis, expertus metuit.
<< È latino >> le disse Dante.
<< Sì, lo so >> gli rispose. << La guerra è dolce per chi non ha esperienza, l’esperto la teme >> tradusse senza staccare gli occhi dalle parole.
Dante ne rimase colpito.
<< Esatto, è il credo del Consiglio >> spiegò. << O lo era… >> disse poi sospirando.
Lei spostò gli occhi su di lui, osservandolo con uno sguardo interrogativo.
Dante si riprese dallo stato di trans in cui era caduto ed aprì il portone. Entrò tenendo la porta aperta per Jane.
<< Questa quindi è la parte nascosta? >> gli chiese.
<< Sì, ti porto nella sala del Consiglio, stanno tenendo una riunione, ma la tua questione è più importante >>

La discussione tra i membri del consiglio fu bruscamente interrotta da Dante che spalancò la porta d’ingresso attirando gli sguardi di tutti su di lui.
Non era permesso agli invisibili al di fuori del Consiglio di stare nella sala delle riunioni, figurarsi entrare mentre i membri sono riuniti per discutere di argomenti che dovevano restare segreti. Stava infrangendo le regole, il sangue gli si gelò nelle vene procurandogli un formicolio sui palmi delle mani e sugli avambracci, sentiva una pressione sul petto, come se l’aria fosse diventata più densa, più difficile da respirare. Nonostante ciò sostenne gli sguardi di rimprovero delle persone nella stanza a testa alta.
Spostò lo sguardo su suo padre, Lorenzo ribolliva di rabbia.
Tutti gli uomini seduti a quel tavolo lo guardarono allibiti e con rimprovero, ma lui ricambiò con sguardi ancora più severi che costrinsero alcuni di loro a voltarsi verso Donna.
<< Lorenzo, non è vostro figlio il giovane che è appena entrato? >> gli chiese Donna senza staccargli gli occhi di dosso.
<< Sì, e non ho la minima idea di cosa gli sia passato per la testa >> gli rispose Lorenzo fulminando Dante con lo sguardo.
<< C’è una questione urgente sulla quale dovete essere informati >>disse Dante con la massima fermezza e autorevolezza di cui era capace.
<< Dante, abbiamo da fare, questo non è né il momento né il luogo >> Lo liquidò suo padre.
<< Ha detto che è urgente, io direi di ascoltarlo >>Lo difese James, facendogli poi l’occhiolino, Dante gli sorrise riconoscente. << O non vi importa di quello che i nostri migliori guerrieri hanno da dire? >> Chiese a Donna puntando gli occhi chiari nei suoi.
Donna guardò James con severità e rimprovero, per poi spostare lo sguardo su Dante.
<< Parla >> Gli ordinò.
<< Durante la missione ho trovato una ragazza… >> Incominciò a raccontare.

No, io ho trovato te. Pensò Jane. Era rimasta vicino alla porta d’ingresso, lontana dagli occhi dei membri, come le aveva suggerito
Dante.
<< Un’umana >> Continuò. << Ha visto Tamira e Derek usare i loro poteri questo pomeriggio e ha visto me indagare durante la missione nonostante fossimo tutti protetti dalle malie >>
<< Come?! Com’è possibile? >> Donna sembrava allarmata.
<< Non lo so, è per questo che ve lo sto dicendo >> Le rispose Dante.
<< Come fai ad essere sicuro che fosse umana? >> Gli chiese Henry.
Già, come? Non lo sapeva, lo aveva dato per scontato, era talmente concentrato sulla missione e sulla sua scoperta che il pensiero che Jane stesse mentendo non lo aveva neanche sfiorato. Come aveva potuto commettere un simile errore?! Lui che era sempre così attento! Così sveglio! Che cosa avrebbe detto ora al Consiglio?
<< Non lo sono, ma non può fuggire fin che non decido di toglierle la catena incantata >> si giustificò.
<< Vede? Ha catturato una creatura sospetta senza lasciarle via di fuga e l’ha consegnata direttamente a lei, direi che la sua prima missione è stata un successo >> disse James continuando a difendere il ragazzo.
<< E comunque lo sono >> Dichiarò Jane entrando nella sala, mostrandosi agli occhi degli uomini lì seduti. Non ce la faceva più a restare in disparte mentre dozzine di persone parlavano di lei.

I membri del consiglio si stupirono nel vederla entrare, alcuni addirittura sobbalzarono. Jane poteva intuire i loro pensieri dalle espressioni di disapprovazione che avevano, soprattutto la donna dai lunghi capelli grigi, probabilmente aveva commesso un passo falso, ma non poteva neanche rimanere dietro quella porta per tutto il tempo, no? Non ora che era così vicina ad ottenere delle risposte, non ora che la sua realtà era stata bruscamente capovolta, cancellata e riscritta.
<< Dante, che cosa… >> Iniziò suo padre, ma venne interrotto.
<< Lei è Jane, la ragazza di cui vi parlavo >> Spiegò al Consiglio.
<< Sei stato avventato a portarla qui, potrebbe essere una spia >> Lo rimproverò un elementale.
<< Spia? >> Chiese Jane confusa, ma venne ignorata.
<< Potrebbe, ma lo sapremo con certezza dopo averla interrogata con la malia della verità >> Disse Dante.
Jane lo guardò con rimprovero. Si aspettava che volessero interrogarla, lei al loro posto avrebbe fatto lo stesso, ma ricorrere a una… malia?
Dante si accorse del suo sguardo.
<< Tranquilla, se quello che mi hai raccontato è vero, non hai nulla da temere >> Le sussurrò rassicurandola.
<< Era il tuo piano fin dall’inizio? >> Gli chiese.
<< No, mi è venuto in mente qualche attimo fa >> Le rispose con disinvoltura.

Ma che bastardo! Pensò, anche se il suo modo di fare la intrigava.
Dante notò che James stava armeggiando con il suo smartphone, conoscendolo stava avvertendo Tamira dell’arrivo di Jane.
<< E sia, procediamo >> Decretò Donna. << Henry >> Lo chiamò.
Henry, che sapeva già cosa fare, si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza.
<< Sta andando a prendere il siero della verità? >> Chiese Jane a Dante.
<< La malia >>La corresse lui. << Sì >> Rispose poi.

Tamira era nel laboratorio di Henry insieme a Will che stava sfogliando un librone dalle pagine ingiallite con l’intenzione di trovare qualche incantesimo che potesse aiutarlo con il suo progetto.
<< Trovato niente? >> Gli chiese mentre giocava con uno degli anelli passandoselo tra le dita. Non ci aveva fatto troppo caso fino a quel momento, ma gli anelli temporali avevano un certo stile, con quella placcatura in oro e i numeri romani da uno a dodici incisi sulla circonferenza.
<< Non ancora >> Le rispose Will senza staccare gli occhi dalle pagine.
<< Mi piacerebbe poterti aiutare >> Gli disse Tamira.
<< La tua compagnia è di grande aiuto >> La rassicurò Will.
<< Dico sul serio >> Disse Tamira pensando che la stesse prendendo in giro.
<< Anche io >> Gli disse Will senza pensarci troppo.
Tamira perse un battito, lo guardò cercando di nascondere lo stupore.
Will si rese conto di ciò che le aveva detto e arrossì violentemente. Non la guardò per l’imbarazzo, decise invece di voltare pagina fingendo di essere concentrato sulla ricerca.
Tamira riprese a giocare con l’anello, sospirò.
Nel laboratorio calò un silenzio imbarazzante, silenzio che venne interrotto dalla suoneria del cellulare di Tamira. Lei lo prese e
guardò lo schermo.
<< Chi è? >> Le chiese Will.
<< Mio padre >> Gli rispose leggendo il messaggio. << Oddio… >> Commentò incredula dopo aver finito di leggerlo.
<< Cosa? >> Gli chiese Will estremamente incuriosito dalla reazione che Tamira aveva avuto.
Tamira gli passò il cellulare.
<< Nuova arrivata? Che vuol dire? >> Chiese confuso.
<< è quello che ha detto al padre di Dante quando mi ha portata qui >> Gli spiegò lei.
<< Cioè? C’è una nuova invisibile nel palazzo? >> Chiese.
In quel momento Henry entrò nel laboratorio.
<< Papà, che fai qui? >> Chiese Will.
<< Devo prendere una malia della verità >> Gli rispose prendendo una fiala di vetro dal cassetto del tavolo da lavoro.
<< è per la nuova arrivata? >> Gli chiese Tamira.
Henry li guardò interrogativo per qualche secondo, posando lo sguardo prima su uno e poi sull’altra.
<< E voi due come... >> Iniziò, ma capì da solo. << James? >> Chiese.
I ragazzi annuirono.
<< Avrei dovuto immaginarlo. A questo punto venite con me >> Gli disse uscendo dalla stanza, Tamira e Will non se lo fecero ripetere due volte.
<< Mi piacerebbe che smettessero di fissarmi >> Sussurrò Jane.
<< Non credo sia possibile, per loro sei come… >> Iniziò Dante.
<< Un cane che parla >> Finì Jane per lui.
<< Diciamo così >> Le disse poco convinto.
Henry entrò nella sala seguito da Will e Tamira, i due si fermarono poco dopo la porta, i loro occhi incontrarono la figura di Jane, Will le sorrise, sorriso che lei ricambiò, mentre Tamira iniziò a studiarla.
<< Lei è Tamira, vero? >> Chiese Jane riferendosi alla ragazza appena entrata.
<< Sì, è lei che hai visto >> Le rispose Dante bisbigliando.
<< Ha costruito un muro da nulla >> Disse Jane meravigliata dalle sue capacità.
<< Ha solo mosso l’asfalto da terra >> Disse Dante some fosse stato del tutto normale.
<< Solo… >> Commentò sarcastica.
<< Bene >> Donna parlò attirando l’attenzione di tutti i presenti su di sé. << Procediamo >> Ordinò facendo un cenno a Henry. Quest’ultimo prese una sedia imbottita di velluto rosso e la portò all’estremo del tavolo vuoto.
<< Prego signorina, si accomodi pure >> Disse facendole gesto di sedersi.

Ci siamo. Pensò. Prese un respiro profondo, l’aria nei polmoni le faceva male e le mani le formicolavano. Quando iniziò ad avvicinarsi alla sedia temette di cadere, sentiva le gambe molli, quando si sedette ringraziò di non aver fatto una figuraccia davanti a decine di persone. Assurdo che quella fosse la sua più grande preoccupazione quando stavano per interrogarla, lo riconosceva anche lei.
<< Tutto d’un fiato >> Le disse Henry passandole la malia e sorridendole nel tentativo di metterla a suo agio.
Jane afferrò la fiala, il colore della sostanza che conteneva le suscitò nella mente l’immagina di alcuni smeraldi che si fondevano assieme.
<< Alla salute >> commentò prima di bere, sul viso le si dipinse un’espressione di disgusto << Dio! È amarissima! >> Commentò.
I membri del consiglio spostarono i loro sguardi su Donna, in attesa che iniziasse ad interrogarla.
<< Bene, signorina, iniziamo con una domanda semplice, qual è il tuo nome? >> Le chiese.
<< Jane >> Rispose lei, senza capire il motivo della domanda, sapevano il suo nome.
<< Il tuo nome completo >> Specificò.

Ah, ecco.
<< Jane Clara Rothfeller >> Rispose. Cavolo! Quella malia funzionava bene!
<< Quanti anni hai, Jane? >> Continuò.
<< Diciassette >>
<< Bene, passiamo al succo della questione, raccontaci come sai del mondo invisibile >>
Jane le raccontò della bambina ad Hyde Park, delle cose che aveva visto dalla vetrina del Cinnamon Roll Caffè e del perché aveva deciso di seguire Dante una volta averlo riconosciuto, di come lui la aveva attaccata e del perché aveva deciso di portarla lì.
<< Sembra pulita >> Disse James.
<< Sembra di sì >> Confermò Donna. << Tuttavia mi chiedo come un essere umano possa sconfiggere le barriere magiche >> Si chiese senza staccare gli occhi scrutatori da Jane.
Le sembrava che quegli occhi potessero scavarle nell’anima. Che sensazione fastidiosa!
<< Dissolva il potere della malia, Henry >> Gli ordinò Donna.
Henry si avvicinò a Jane e le mise due dita sulla fronte applicando una leggera pressione. Jane avvertì una strana sensazione stranissima, come se fino a quel momento la testa le fosse stata fasciata con bende troppo strette e ora gliele avessero tolte, o come quando si scioglieva i capelli dopo averli tenuti legati in una coda di cavallo troppo tirata, troppo a lungo. Intuì che la malia era stata sciolta.
<< Ecco cosa faremo: Henry, domani effettuerà degli esami sulla ragazza, voglio sapere se possiede qualche potere fin ora dormiente >>
<< Esami? >> Chiese Jane allarmata.
<< Non preoccuparti, non sono diversi da quelli che si fanno nei normali ospedali >> La rassicurò lo stesso Henry.
<< Quanto a lei, signorina Rothfeller >> Riprese Donna. << È libera di tornare a casa, ma non dovrà parlare del mondo invisibile con nessuno. Domani mattina tornerà qui e controlleremo con un’altra malia della verità se ha rispettato le restrizioni che le ho appena imposto >>
<< E se non volessi tornare? >> Chiese Jane sfidandola.
<< Manderò qualcuno a cercarla e vi farò portare qui con la forza >>
Jane rise.
<< Immagino che le hai dato una malia per entrare >> Chiese Donna a Dante.
<< Sì, la malia celante >> Rispose lui.
<< Bene, ti prego di dargliene un’altra per domani e l’antidoto per quando sarà tornata a casa. Accompagnala fuori >>

<< Quindi mi hai vista oggi? >> Le chiese Tamira una volta usciti dalla sala. La stava accompagnando all’ingresso insieme a Will e Dante. Era eccitata all’idea che quella Jane potesse essere una di loro, finalmente qualcuno con cui poter parlare di cose da ragazze, come cicatrici e coltelli tascabili.
<< Sì, so che magari per voi è normale, ma sei stata incredibile! >> Le confessò.
<< È incredibile anche per i nostri standard, Tamira è l’unica elementale capace di controllare tutti gli elementi >> Spiegò Dante.
<< Con l’aria ho qualche difficoltà, ma me la cavo >> Confessò.
<< Io sono Will, uno stregone, Henry è mio padre >> Si presentò.
<< Tuo padre è l’unico tra quei musi lunghi ad avermi trattata con gentilezza >> Gli disse Jane.
<< Guarda che tra quei musi lunghi c’erano anche mio padre e il suo >> La informò Tamira indicando prima sé stessa e poi Dante.
<< Ops, scusate >> La voce le uscì flebile.
<< Tranquilla, “muso lungo” è la descrizione perfetta del padre di Dante >>La rassicurò Will.
<< Taci, Will >> Gli intimò Dante.
Jane aveva l’impressione che tra quei tre ci fosse un legame profondo, forse per la disinvoltura con cui si rivolgevano l’un l’altro.
I tre la accompagnarono fino al cancello esterno dove Dante le diede la malia celante e l’antidoto che bevve non appena glielo porse.
<< A domani, Jane >> la salutò Tamira.
Lei fece un gesto con la mano allontanandosi.
Marcus Rowland quella sera ricevette un messaggio, due parole: È qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO 4

 

Jane tornò, come promesso, a Buckingham Palace la mattina seguente. Le fecero bere la malia della verità e la interrogarono nuovamente.

Henry Bennett, che da quanto aveva capito era il medico ufficiale del consiglio, la portò nel laboratorio.

A differenza del laboratorio da stregone dove di solito Will trascorreva il suo tempo, il laboratorio medico somigliava più a quello di un chimico. Le pareti erano completamente bianche, una di esse era ricoperta da scaffali piene di boccette di vetro variopinte (Jane intuì fossero malie), al centro del pavimento piastrellato c’era una sedia imbottita che somigliava straordinariamente ad una poltrona da dentisti. Vicino alla scrivania c’era un computer che aveva l’aria d’essere molto complicato.

-Come stai, Jane? - le chiese Henry cercando di metterla a suo agio.

-Al momento, signor Bennett, non so risponderle- gli confessò Jane. Era vero, non avrebbe saputo rispondere, provava uno strano miscuglio di emozioni dalla sera precedente, tanto che, una volta tornata a casa e andata a letto, non era riuscita a chiudere occhio, neanche le gocce di biancospino di Mike l’avevano aiutata.

Henry rise.

-Beh, credo sia piuttosto normale considerato tutto- Henry prese un ago sterilizzato dal cassetto. -Siediti, per favore- le disse indicandole la poltrona da dentista.

-Cosa mi farà? - chiese Jane.

-Ho bisogno di un campione del tuo sangue, nulla di terrificante, tranquilla- le rispose Henry.

Jane si sedette mettendosi più comoda possibile, Henry le prese il braccio e posizionò la sua mano sulla vena. Jane percepì un calore confortevole attraversarle la pelle per poi dissolversi.

-Che cos’era? - gli chiese Jane.

-Ti ho anestetizzato la zona- le rispose Henry mentre le prelevava il sangue.

Jane non si accorse neppure dell’ago.

Henry, con la siringa piena, si avvicinò al computer ed inserì il sangue in un contenitore ad esso collegato, apparvero dei dati sullo schermo.

Henry diventò di ghiaccio. Non si muoveva, non parlava, l’unica cosa che faceva era continuare a fissare il monitor.

Jane, notando quello strano comportamento, iniziò a sudare freddo. C’era qualcosa che non andava?

-Signor Bennett? - trovò il coraggio di chiamarlo.

Henry si girò verso di lei risvegliandosi dallo stato di trance in cui era caduto. Jane notò che era sbiancato.

-Va tutto bene? - chiese preoccupata.

-Sì, è tutto a posto, permettimi di controllare un’ultima cosa- disse prendendo due fili collegati al computer.

Avevano una ventosa all’estremità che Henry posizionò sulle tempie di Jane.

-Chiudi gli occhi e cerca di rilassarti- le disse sorridendole.

Rilassarsi non è facile quando si hanno dei fili colorati collegati alla testa. Nonostante ciò cercò di fare quello che il signor Bennett le aveva consigliato, anzi, ordinato.

Henry tornò a guardare lo schermo del computer e, ancora una volta, rimase di sasso. Non poteva essere vero, i dati sullo schermo non avevano alcun senso, com’era possibile una cosa del genere? Com’era possibile un essere del genere?

 

Dei rumori provenivano dalla sala d’addestramento, Tamira entrò trovando Dante ad allenarsi con l’uomo di legno, uno strumento per perfezionare le tecniche di combattimento orientali. Stava mettendo troppa forza nei movimenti, se avesse continuato a colpirlo così forte lo avrebbe di certo rotto, nonostante ciò, non si fermò.

Solo una volta lo aveva visto allenarsi con altrettanta foga, durante la prima missione di Will.

-Stressato? - Gli chiese facendolo girare verso di lei.

Dante le sorrise voltandosi per prendere l’asciugamano sulla panca.

-Tu che ne dici? - le chiese sarcastico.

-È per la nuova ragazza? - azzardò Tamira.

-Jane- la corresse Dante. Tamira sorrise beffarda -Sì- ammise lui.

-Credevo ti piacesse- disse Tamira.

-Beh, a differenza di quanto si può credere, non mi fido di lei- le spiegò Dante.

-Sei stato te a portarla qui o sbaglio? - gli fece notare Tamira con una punta di rimprovero nella voce.

-Non sbagli, ma l’ho fatto solo perché possano tenerla sotto controllo- disse Dante saccente.

-Solo per questo? - gli chiese alzando un sopracciglio.

-Non fare quella faccia- la avvertì.

-Quale faccia? - chiese lei.

-la faccia da “Io sono Tamira Collins e so tutto”- disse imitandola.

-È così? - lo stuzzicò sorridendo beffarda.

-Ah, sta zitta! - le disse ridendo e lanciandole l’asciugamano.

Tamira lo afferrò prima che le finisse in faccia.

-Voglio sentirtelo dire, avanti- lo sfidò appallottolando l’asciugamano per poi lanciarglielo indietro.

Dante lo prese, guardò Tamira per un po’, aveva la determinazione di un leone quella ragazza.

-L’ho portata qui perché non avevo alcuna intenzione di tornare a mani vuote- ammise sospirando.

-Ah, il dolce suono della verità.

 

Henry si avvicinò a Jane togliendole i cavi dalla testa. Jane, sentendo il signor Bennett così vicino aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu proprio il volto diafano del medico, la sua pelle aveva assunto uno strano colore grigiastro e aveva gli occhi vigili spalancati, respirava pesantemente anche se stava cercando di nasconderlo. Era spaventato? Era Jane quella che doveva esserlo, era a lei che era stato prelevato del sangue, era lei quella che era stata collegata al computer. Che cosa aveva letto su quello schermo che lo turbava tanto?

-Puoi aspettarmi un attimo qui, Jane? - Le chiese lui in tono gentile.

Lei annuì.

Henry le sorrise ed uscì dal laboratorio.

Jane aspettò che fu abbastanza lontano per scendere dalla sedia e scappare via. Se il signor Bennett credeva che non si fosse accorta del suo strano atteggiamento si sbagliava, se credeva di averla incantata con le parole gentili si sbagliava, se credeva che non avesse provato a scappare…beh, non poteva essere più in errore.

Si ritrovò a camminare per un lungo corridoio della sera prima, la porta d’uscita non era troppo lontana, certo sarebbe stato strano per le guardie trovare una perfetta sconosciuta in mezzo all’ingresso di Buckingham Palace ora che la malia celante aveva esaurito il suo effetto. Jane frugò nella tasca del giacchetto di Jeans tirando fuori la fiala in vetro che Dante le aveva dato la sera prima, era vuota, l’aveva utilizzata tutta per entrare a palazzo.

-Magnifico- disse tra sé e sé.

Percepì una strana sensazione al polso, un pizzicore, si ricordò della catenina dorata con cui Dante le aveva gentilmente sottratto la libertà di andarsene. Alzò gli occhi al cielo, come mai l’effetto della catena non si esauriva e quello della malia celante sì?

Jane sentì delle voci poco lontane.

-È per la nuova ragazza?

-Jane, sì.

Sentendo il suo nome decise di avvicinarsi arrivando all’ingresso di una specie di palestra, non entrò, rimase nascosta dietro la porta.

Erano Dante e Tamira a parlare, perché stavano parlando di lei? Domanda stupida, era ovvio che parlassero di lei! Era quella nuova, il nuovo giocattolino, chissà quanto doveva essere eccitante per loro avere questo mistero tra le mani.

-Beh, a differenza di quanto si può credere, non mi fido di lei- disse Dante.

Jane non aveva alcun dubbio su questo, non ne rimase sorpresa la cosa che la fece arrabbiare fu sentirlo dire che l’aveva portata qui solo per non tornare a mani vuote, cos’era lei? Un osso per cani da riportare al padroncino?

-Che cosa fai qui fuori?

 

Henry entrò nell’ufficio di Donna, era un ufficio abbastanza grande e luminoso, i mobili erano in legno di rosa ed il colore predominante era il blu delle pareti, Henry sapeva, come tutti i consiglieri, che quel blu grigiastro era il colore preferito da Donna.

-Spero che tu sia qui per darmi delle risposte, Henry.

-Ho effettuato i test sulla ragazza- disse Henry con voce spezzata.

-Ebbene? - chiese severamente Donna.

-Non ho mai visto niente del genere- confessò Henry, la sua fronte era imperlata di sudore freddo, solo ora Donna sembrava averci fatto caso.

-Parla Henry, non mi piace essere tenuta sulle spine- chiese, quindi, impaziente.

-Dai risultati emerge che ha sangue di elementale nelle vene…- disse Henry prima di venire interrotto.

-È un invisibile dunque, e io che credevo…

-…e di stregone- finì Henry interrompendo Donna.

Quest’ultima aveva gli occhi chiari spalancati e le labbra socchiuse, forse non aveva capito bene.

-Che cosa hai detto? - chiese Donna con un filo di voce.

-Possiede sangue di elementale e, di stregone- ripeté Henry con più convinzione.

Com’era possibile una cosa del genere? In tutta la loro storia non si era mai sentito di un essere dalla doppia natura, persino i mutaforma più temibili ed esperti non erano in grado di esercitare due diversi poteri nello stesso corpo. Se quella ragazza fosse finita nelle mani sbagliate… no, non doveva succedere e non sarebbe successo, non lo avrebbe permesso.

-Henry, chiama i rappresentanti e porta la ragazza nella sala del consiglio.

-Che cosa vuole farne? Di Jane, intendo- chiese con un filo di preoccupazione.

-Non c’è da preoccuparsi.

 

Il ragazzo alle sue spalle la colse di sorpresa, con le mani nel sacco, spaventandola, dannazione! Poteva andare peggio?

Jane si voltò riconoscendo la figura del giovane dai capelli rossi.

-Will, era Will, vero? - chiese imbarazzata.

Will annuì appena.

-Stai spiando? - le chiese.

-No! - esclamò Jane indignata.

-A me sembra proprio di sì, invece- insistette lui.

-Ho sentito che parlavano di me e mi sono avvicinata, ecco tutto- spiegò lei.

-Quindi stai spiando.

-Cosa? No, io…ah! Pensa quello che ti pare! - Jane diventò rossa in viso per la vergogna, sentiva una voragine nel petto.

-D’accordo, d’accordo- disse Will liquidando la faccenda, guardò all’interno della sala d’addestramento, Dante e Tamira stavano ancora discutendo ignari della loro presenza.

-Non dice sul serio- disse a Jane.

-Di chi parli? - chiese lei.

-Di Dante, non ti ha portata qui solo perché non voleva tornare a mani vuote, cioè, in parte è così, ma portarti qui costituisce un enorme rischio per lui, non ci si può fidare di nessuno ultimamente- sospirò.

-Perché? Che succede “ultimamente”? - chiese Jane incuriosita.

-Ah no, mi dispiace, ho detto anche troppo, sono affari del consiglio- si difese Will.

Jane alzò gli occhi al cielo, perché loro dovevano sapere tutto di lei al punto di esaminarla e lei non poteva sapere niente su di loro? E la chiamano giustizia…

-Ah! - Will si lamentò portandosi le dita alle tempie. Le fitte dei messaggi telepatici erano ancora troppo intense per uno stregone del suo livello.

-Ehi, va tutto bene? - gli chiese Jane sinceramente preoccupata.

-Si, si, non è niente- liquidò in fretta lui. -Dobbiamo andare alla sala del consiglio- le disse.

-E chi lo dice? - gli chiese incrociando le braccia.

-Mio padre, tra l’altro credono che tu sia scappata e se non vuoi finire in guai seri dobbiamo fare in fretta.

Jane si chiese se le avessero inflitto qualche tipo di tortura come punizione, al pensiero le venne la pelle d’oca.

-Ehi, ragazzi! - Will entrò nella sala chiamando Dante e Tamira, Jane lo seguì senza pensarci troppo, i due si voltarono verso Will, gli occhi di Dante si posarono severi su Jane.

-E lei che fa qui? Non dovrebbe essere con Henry? - chiese.

-Sì, a questo proposito, siamo tutti convocati dal capo consigliere- disse Will.

-Perché? Che è successo? - chiese Tamira, confusa ed anche un po’ preoccupata, non è mai un buon segno quando si è convocati da Donna Hastings.

-Non ne sono sicuro, ma credo abbiano scoperto qualcosa sulla nostra ospite- suppose Will.

-Potreste non parlare come se non ci fossi- chiese irritata Jane.

-Allora non c’è tempo da perdere- continuò Dante ignorandola completamente.

-No, credo anch’io- concordò Will.

Jane sospirò.

I due ragazzi si diressero a passo svelto verso il corridoio, seguiti dalla figura snella di Tamira che, poco dopo, si voltò verso Jane sorridendole.

-Andiamo?

 

Nella sala del consiglio dominava un’atmosfera carica di tensione, i quattro ragazzi ne sentirono il peso sulle spalle da subito. Donna era al centro della sala spalleggiata dal padre di Dante, James ed una donna dai lineamenti asiatici. Poco distante da loro sedeva Henry, palesemente contrariato dal comportamento di Jane.

-Ci siete tutti, bene- disse Donna.

-Perché siamo qui? - le chiese Tamira.

-Per i risultati dei test di Jane- rispose lei.

-Qualcosa non va? - chiese Dante cercando di nascondere la tensione.

-Jane è un’invisibile- dichiarò Donna.

Tamira sorrise, felice della notizia, se Jane era un’invisibile voleva dire che sarebbe dovuta restare, che avrebbe avuto un’amica, una specie di sorella magari.

-Come? Io?

La voce di Jane tremava, non riusciva a capire come si sentiva, percepiva il sangue pulsarle sino alla testa.

Tamira smise di sorridere, dalla sua espressione si capiva che Jane non la pensava come lei.

-Hai sangue di stregone nelle vene- continuò Donna.

-Lo dice come se fosse una brutta cosa- disse Will nel vano tentativo di alleggerire l’atmosfera.

-Non è tutto…- gli occhi di tutti i presenti scattarono sulla capo consigliera, sia Lorenzo che James che la donna asiatica sembravano sapere che cosa avrebbe detto. -…sei anche un’elementale- concluse.

Jane sentì i tre ragazzi accanto a lei trattenere il fiato sconvolti dalle parole appena sentite.

-Cosa?! - chiese Dante sbigottito.

-Com’è possibile? - si aggiunse Tamira.

-Non ne abbiamo idea, ma una cosa è certa, può essere una risorsa utile per il consiglio- disse Donna.

Una risorsa, cos’era? Una fonte di energia rinnovabile? Jane era stufa di essere trattata come un oggetto, da quando era arrivata non avevano fatto altrimenti, prima l’interrogatorio, poi i test e ora questo, avevano superato il punto di rottura.

-Io non sono una risorsa, sono una persona! Ho il diritto di scegliere se restare o meno, non mi interessa che politica avete qui, non osate prendere decisioni al posto mio! - quasi urlò.

Nella sala calò il silenzio, erano tutti stupiti dal tono con cui le aveva risposto, tutti tranne la stessa Donna, lei sembrava compiaciuta.

-Bene, scegli dunque, vuoi restare o andar via? Sappi però che se deciderai di andartene la tua memoria verrà cancellata, sarai tenuta d’occhio, sia te che le persone che ti circondano, giorno e notte, i miei subordinati sono stati addestrati a spiare e pedinare criminali internazionali e ti do la mia parola che verrai trattata come tale- disse.

Jane sentiva la rabbia salirle al petto fino a creare una voragine che sarebbe stata riempita solo dopo aver preso a schiaffi Donna, strinse il pugno fino a farsi male, le unghie nella carne pizzicavano.

Dante le mise una mano sulla spalla, Jane sobbalzò a quel contatto, si voltò verso di lui, la sua espressione era indecifrabile.

-D’accordo- si arrese alla fine.

-Ci avrei giurato- commentò Donna -Sarai addestrata alle arti magiche ed elementali, lascerò che i miei rappresentanti nominino i tuoi tutori- disse rivolgendosi ai tre accanto a lei.

-Tamira ti darà filo da torcere, ma non c’è elementale migliore di lei in tutto il mondo- disse James.

-Lavinia? - Donna si rivolse alla ragazza asiatica.

-Dato che sei qui, Will, sarai tu ad insegnarle la stregoneria- decretò lei.

-Bene, Dante- lo chiamò Donna. -Tu la addestrerai nel combattimento e nella strategia militare.

-Come? Perché io? - protestò lui.

-Sei o non sei il miglior soldato che abbiamo? - chiese Donna sarcastica.

Un’altra faccenda che lo avrebbe tenuto lontano dalle missioni sul campo. Dante sbuffò.

-Potete andare.

I tre ragazzi uscirono dalla stanza portando Jane con loro.

-Non sono del tutto convinto della ragazza- disse Henry.

-No, neanche io- concordò Lorenzo.

-La sua duplice natura è a dir poco sospetta- disse Donna.

-Bisognerà tenerla d’occhio- decretò Lavinia.

-Chiedo il permesso di indagare più a fondo sul conto della ragazza- chiese Henry a Donna.

-Accordato.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3737086