Le Cronache del Mondo Invisibile di AriaJaneRothfeller (/viewuser.php?uid=1056665)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 1 *** PROLOGO ***
PROLOGO
Jane si
svegliò, rizzò la schiena assumendo una posizione
più confortevole nel sedile
posteriore della macchina di Mike, il compagno di sua madre, era da lei
che i
due si stavano dirigendo, a casa loro.
<<
Dormito bene? >> le chiese Mike, sorridendole mentre la
guardava dallo
specchietto retrovisore.
<<
Oh sì, i venti minuti di sonno migliori della mia vita
>> rispose
sarcastica, ma ricambiando il sorriso.
<<
Com'è andato il viaggio? >>
<<
In Aereo dici? è andato abbastanza bene, soprattutto
considerati gli standard
delle compagnie aere islandesi >>
Mike
rise.
<<
Com’è stata mamma? >> gli chiese
Jane.
<<
Era preoccupata, tentavo di dirle che Reykjavík è
un posto tranquillo e che non
c'era bisogno di chiamarti ogni cinque minuti, ma ovviamente con Sarah
è tutto
inutile, cocciuta fino al midollo >> sorrise.
<<
Già >> confermò Jane con l'aria di
chi la sapeva lunga.
<<
Tale madre, tale figlia >>
<<
Ehi! >> esclamò fingendosi offesa.
Fuori
era buio, ormai era calata la notte, come mai ci stavano mettendo
così tanto?
<<
Mike, che ore sono? >> gli chiese Jane ancora con
un’aria un po'
assonnata.
Mike
abbassò gli occhi sull'orologio che teneva al polso destro,
proprio mentre
stavano attraversando un incrocio, si sentì il rumore di una
sgommata, una
forza d'impatto immensa e poi, il buio.
L'aria
sapeva di disinfettante, le luci al neon, a primo impatto, diedero
fastidio
agli occhi di Jane, ma si abituò in fretta, si
guardò intorno, era in una
stanza da letto bianca, le coperte erano ruvide e fredde al tatto,
accanto a
lei c'erano delle sacche di sangue collegate da un tubicino di plastica
al suo
avambraccio, era in ospedale.
<<
Jane? >>
Sua
madre la chiamò, Jane si girò a guardarla, era
bella come sempre, con i suoi
capelli castani raccolti in un disordinato chignon, gli stessi di Jane,
si
sarebbero assomigliate molto se non fosse stato per il colore degli
occhi,
quelli di Sarah erano verdi, i suoi marroni.
Si
vedeva lontano un miglio che non era riuscita a chiudere occhio.
Accanto a lei
c'era Mike, era esattamente dove doveva essere, dov'è sempre
stato da quando
Jane ne ha memoria, accanto alla sua mamma, le teneva una mano sulla
spalla.
<<
Mamma... >> cercò di alzarsi, ma nel farlo le
presero delle fitte alla
testa, che scoprì fasciata quando si portò la
mano alla fronte.
<<
No, no, Janny, non ti alzare resta sdraiata >> la
ammonì sua madre.
Mike
sospirò.
L'incidente.
<<
La macchina? >> chiese Jane.
Sarah e
Mike la guardarono sorpresi, un po' accigliati anche.
<<
Com'è messa la macchina? >> insistette.
<<
Jane Rothfeller, solo tu puoi preoccuparti di una stupida macchina in
un
momento del genere! >> disse sua madre mettendosi a
ridere anche se le
lacrime non smettevano di rigarle il viso. Mike la strinse a
sé, lei si rifugiò
tra le sue braccia.
<<
Quanto sono messa male? >> chiese a Mike.
<<
Hai perso parecchio sangue, ti stanno facendo delle trasfusioni
>> c'era
preoccupazione nella sua voce << Jane... >>
Si interruppe,
probabilmente nel tentativo di trovare le parole << Mi
dispiace, è stata
colpa mia >>
Era una
delle cose che Jane preferiva di Mike, Si assumeva le sue
responsabilità, non
aveva problemi a scusarsi, lo faceva a testa alta, con una sicurezza ed
una
fermezza unica nel suo genere.
|
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Capitolo 2 *** CAPITOLO 1 ***
CAPITOLO 1
Lo vide
per la prima volta di sabato pomeriggio a Hyde Park, vicino al laghetto
delle
anatre. Jane stava passeggiando con il suo cane, Kaito, un Akita dal
pelo
rossiccio. Era con le cuffiette alle orecchie, intenta a godersi le
note di
"Have a nice day" di Bon Jovi quando le sembrò di vedere una
bambina
di colore nei pressi del lago giocare con una sfera d'acqua sospesa in
aria ad
una distanza di almeno trenta centimetri da terra. Si fermò.
Non poteva credere
ai suoi occhi. Rimase a fissarla per qualche secondo, pensando di star
sognando, ma com'era possibile che un sogno fosse così
vivido? No, non poteva
essere un sogno, magari qualche artista di strada stava facendo dei
giochi di
prestigio? Si guardò intorno tentando di scorgere qualcosa
che spiegasse quello
strano fenomeno che le si era parato davanti agli occhi con tanta
prepotenza.
Nulla faceva pensare ad un trucchetto di magia, o a nient'altro a dire
la
verità, le persone nei dintorni sembravano non fare caso a
quella bambina o
alla sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa, sembravano non vederla.
<<
Ehi, Jane! >> Era Lucas, il suo compagno di banco, che
per qualche strana
coincidenza passava di lì, la salutò,
riconoscendola tra decine di persone.
Jane
voltò il capo vero di lui, era sorpresa di vederlo
lì, Londra era una città
grande, così come il parco dove si trovava. Lucas era un
ragazzo gentile,
intelligente. Si conoscevano da circa un anno e mezzo, da quando si era
trasferito da Liverpool alla sua città. Ricordò
il suo primo giorno di scuola,
teneva la testa bassa, nascondendo gli occhi dietro i riccioli biondi
che gli
cadevano sulla fronte, si vergognava di parlare con chiunque. Troppo
timido, fu
la prima cosa che Jane pensò quando lo vide entrare nella
sua classe, dovette
ricredersi quando pochi secondi dopo fece spostare Lydia dalla sedia
vicino a lei
solo allo scopo di occuparla lui.
Gli fece
un cenno veloce con la testa, poi si girò nuovamente verso
la ragazzina, ma,
sorprendentemente, era sparita, volatilizzata nel nulla, risucchiata da
un buco
nero.
<<
Ma che sta succedendo? >> sussurrò tra
sé e sé, confusa.
<<
Che cosa guardi? >> le chiese Lucas seguendo il suo
sguardo.
<<
Niente >> gli rispose scuotendo il capo, più
per riprendersi che per
altro.
Kaito
abbaiò ad uno scoiattolo.
<<
Ciao Kaito! >>
Lucas si
inginocchiò per coccolarlo, aveva sulle labbra un sorriso
tenero. Kaito non era
il tipo di cane che rifiutava le coccole, soprattutto quelle di Lucas,
si
sdraiò ai suoi piedi dopo pochi grattini dietro le orecchie.
<<
Direi che è felice di vederti >> Disse Jane,
cercando di ignorare quello
che i suoi occhi avevano visto qualche attimo fa, doveva esserselo
immaginato,
magari per la stanchezza, da qualche tempo aveva problemi a dormire.
<<
È un tenerone >> commentò lui.
<<
Come mai da queste parti? >> domandò Jane.
<<
Devo passare in biblioteca per restituire un libro >>
<<
E passi per il parco? >> Gli chiese Jane con
un’espressione che diceva
tutto: sopracciglio sinistro alzato, occhi socchiusi e labbra strette.
<<
Non guardarmi così, mi piace passeggiare >>
<<
Tu odi passeggiare! >>
Lucas
tornò ad accarezzare Kaito, ignorando Jane.
<<
Senti, ti volevo chiedere... >> Disse, finalmente
alzandosi da terra, si
era sporcato i Jeans chiari di terra sulle zone corrispondenti alle
ginocchia,
ma sembrava non importargli. << ...Possiamo studiare
insieme per il
compito di scienze di lunedì? >>
<<
Sei di nuovo indietro con il programma vero? >>
<<
Perché tu no? >> chiese con un sorrisetto
arrogante sulle labbra.
Jane
alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva.
<<
D'accordo, ci vediamo domani pomeriggio al caffè vicino casa
mia >> Gli
disse.
<<
Perfetto! Ora vado, se no chi la sente mia madre se non rientro in
tempo? >>
Stava
per allontanarsi.
<<
Aspetta, ti accompagno >> Gli disse Jane fiancheggiandolo.
<<
Grazie, mademoiselle >>
Jane
rise. << Idiota >>
Si girò
per chiamare Kaito, stava giocando con un ramoscello, probabilmente
caduto
dall'albero lì vicino. Vide ai piedi dell'albero la bambina
di colore di prima,
quasi le venne un colpo. Era seduta sulle ginocchia e teneva il piccolo
palmo
della mano sinistra rivolto verso dei fiori bianchi ancora chiusi.
Stava per
caso facendo sbocciare delle margherite?
Dante
si
trovava nell’ufficio di suo padre, era un ufficio grande
dall’arredamento
classico. Davanti a lui c’era una scrivania di legno di
mogano intagliato,
piena di scartoffie ufficiali con il timbro in ceralacca del Consiglio.
La
parete dietro alla scrivania era completamente nascosta da librerie
piene di
antichi volumi enciclopedici e storici, il tutto illuminato dalle luci
calde
del lampadario in vetro veneziano sopra la sua testa e dalle fiamme del
camino
alla sua sinistra. Lorenzo De Marchi, rappresentante dei viaggiatori
nel tempo
del Consiglio, era seduto sulla poltrona di pelle scura, i suoi occhi
azzurri,
come quelli del figlio, erano puntati sullo schermo del computer.
<<
Di cosa mi volevi parlare, Dante? >> Chiese al ragazzo di
fronte a lui.
<<
Del mio ruolo in tutta questa storia >> Gli rispose.
Prese un respiro
profondo, cercando di trovare le parole e ripromettendosi di mantenere
la
calma. << La ricerca di Marcus è importante,
tutti i membri del consiglio
e le loro reclute contribuiscono al suo ritrovamento, io sono tuo
figlio e… >>
<<
Non capisco dove vuoi arrivare >> Lorenzo lo interruppe,
spostò lo
sguardo sul figlio.
<<
Dovrei partecipare alle missioni di livello uno >>
Arrivò al punto. Si
vedeva da un miglio di distanza che il modo di fare di suo padre lo
infastidiva, ma cercava di controllarsi, doveva fasi ascoltare senza
concedergli la possibilità di cacciarlo
dall’ufficio.
<<
Non se ne parla >> Lo liquidò tornando a
guardare i file sul computer.
<<
Cerca di ascoltarmi almeno questa volta >> insistette
Dante.
<<
Ne abbiamo già parlato, Marcus è pericoloso,
è una minaccia anche per i
combattenti più forti che abbiamo, non posso permettermi di
lasciare che tu gli
dia la caccia >> Gli spiegò con un tono calmo,
nonostante l’autorità che
emanava fosse palpabile.
<<
Io sono uno dei combattenti
migliori
che avete! Se non mi lasci partecipare alla ricerca tutti crederanno
che pensi
al il mio bene prima che a quello degli invisibili e del Consiglio
>>
Stava iniziando a perdere il controllo, si stava scaldando e non andava
bene,
non avrebbe ottenuto niente in quel modo.
<<
Io penso al tuo bene prima che a
quello degli altri invisibili >> Gli spiegò
Lorenzo.
<<
Non è questo il punto, nessuno è mai morto in una
missione di ricerca >>
Cercò di riprendersi.
<<
Adesso ascoltami tu, sei troppo giovane perché ti assegni
una missione del
genere, non hai esperienza sul campo e… >>
Anche lui iniziava ad
irritarsi, ma il suo discorso fu interrotto dalle parole di Dante.
<<
Certo che non ho esperienza sul campo! E non
l’avrò mai se non mi assegni una
missione! >>
<<
Non ti rivolgere a me con quel tono >> Lo
ammonì, ma suo figliò sembrò
non sentirlo
<<
Hai detto che sono troppo giovane? Tamira ha diciassette anni, uno meno
di me,
e le vengono assegnate missioni di primo livello da mesi!
>> Aveva
decisamente perso il controllo, e la cosa lo faceva arrabbiare, la
rabbia lo
innervosiva e le parole diventavano più aggressive, era un
circolo vizioso.
<<
Non è colpa mia se James è un pazzo!
>> Anche suo padre perse le staffe.
<<
Beh, sarà felice di saperlo >>
Era una minaccia a vuoto la
sua, non si
sarebbe mai permesso di fare una cosa del genere, sarebbe stato
infantile e
meschino, e se ne rendeva conto. Si sentì uno stupido per
averlo detto.
<<
Non ti azzardare, Dante! >> Lo avvertì Lorenzo
con tono minaccioso
<< Non hai mai pensato che magari James non tiene a
Tamira quanto io
tengo a te? >>
<<
Perché non dovrebbe? È sua figlia
>> Gli chiese Dante tornando in sé.
<<
Lo sanno tutti che non lo è >> Le parole gli
uscirono dalla bocca prima
ancora che potesse pensarci.
Dante
rimase in silenzio per un po’, incredulo, non riusciva a
capire come quel
pensiero gli fosse passato per la testa, che quell’idea
avesse solo sfiorato
suo padre.
<<
James è una brava persona, papà, e ama Tamira
>> Disse poi. << Non
riesco a credere che lo pensi veramente >>
Dante,
deluso da quelle parole e arrabbiato per non essere riuscito a
persuadere suo
padre, uscì dall’ufficio sbattendo la porta alle
sue spalle.
Finito
di accompagnare Lucas, Jane tornò a casa, durante il
tragitto cercò in tutti i
modi che conosceva di convincersi che quella bambina fosse solo frutto
della
sua vivida immaginazione. Nonostante tutto, però, c'era una
parte di lei che si
sentiva estremamente eccitata per gli strani avvenimenti di quello
stesso
pomeriggio.
Con
tutti i pensieri che le passavano per la testa quasi non si rese conto
di
essere arrivata a casa. Casa, ovvero una villetta stretta, ma
confortevole, una
delle poche rimaste vicino al centro di Londra. L'entrata era preceduta
da un
piccolo giardino recintato ormai di proprietà di Kaito. Nei
pomeriggi autunnali
si divertiva a giocare con le foglie arancioni che cadevano dall'acero
del
vicino nel nostro giardino, come se non fosse abbastanza, il terreno
era
cosparso di buche in cui Kaito nascondeva i suoi "tesori"
(consistevano principalmente in pezzi di pneumatico morsicati,
ramoscelli e
sassi dalla forma strana). Jane aprì il cancelletto bianco
ed entrò insieme al
suo cane, salì i tre gradini che precedevano il portone
cercando le chiavi
nella borsa di cuoio marrone, aprì poi la porta.
<<
Sono tornata! >> Annunciò prima di chiudere il
portone blu dietro di sé.
Appese
il giacchetto di jeans all'attaccapanni, così come la borsa,
e posò le chiavi
sopra al mobile dell'ingresso. Sentì un rumore provenire dal
sottoscala, il
cuore le iniziò a battere più velocemente, in
altre occasioni non avrebbe fatto
caso a certe cose, ma era stata una giornata strana, erano successe
cose
strane, chi le assicurava che non vi fossero altre stranezze ad
attenderla
dietro l'angolo? Magari stranezze pericolose, anche. La mente di Jane
iniziò a
creare degli scenari che, da quella situazione, finivano tutti con la
sua
morte. Raccolse, dopo qualche secondo, il coraggio di avvicinarsi, con
cautela.
I passi, per quanto leggeri potesse cercare di renderli, sembravano
facessero
un gran chiasso, ma forse era solo la testa che le stava giocando
brutti
scherzi. Improvvisamente una figura slanciata uscì dal
sottoscala, facendola
sobbalzare. Jane, per istinto forse, assunse una posizione di difesa,
con le
braccia alte davanti a sé e il piede destro leggermente
più avanti rispetto al
sinistro.
<<
Mamma?! >>
Tornò ad
una posizione normale, si portò la mano destra al petto per
controllale i
battiti del cuore che iniziarono a rallentare, anche se di poco.
Sua
madre la guardò come fosse appena uscita da un ospedale
psichiatrico.
<<
Certo! Chi ti aspettavi? Babbo Natale? >> La prese in
giro Sarah.
<<
Porca miseria, mi hai fatto prendere un colpo! >>
Sarah
strinse le labbra cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere.
<<
Si può sapere che stavi facendo nel sottoscala?!
>>
<<
Stavo cercando questa copia del romanzo >> le disse
mostrandole i fogli
che teneva in mano << Questa casa editrice la vuole
cartacea >>
Sarah
faceva la scrittrice, amava i libri, soprattutto quelli
fantascientifici, amava
leggerli ed amava ancor di più scriverli, Jane ammirava che
la sua mamma fosse
riuscita a trasformare la sua passione in un lavoro, passione che, tra
l'altro,
aveva trasmesso anche a lei, a differenza sua però, Jane non
scriveva, non
aveva lo stesso talento della madre, il suo problema principale: non
era brava
con le parole.
<<
Strano >> Si limitò a dire.
Strano
è la parola del giorno.
Pensò.
<<
Già >> Confermò Sarah alzando le
spalle, rassegnandosi a tutte le
assurdità che il suo lavoro comportava.
<<
Cosa c'è per cena? >> Le chiese sua figlia, un
po' per cambiare discorso
e un po' perché non sapeva cosa dire.
<<
Mike è uscito a prendere le pizze, per te ho ordinato quella
ai peperoni >>
La
sala
d’addestramento era vuota a quell’ora tarda, era il
momento che Tamira
preferiva per allenarsi. Aveva raccolto i capelli scuri in una coda,
addosso
aveva una t-shirt larga e dei pantaloni di tuta grigi.
Un
pesante sacco da boxe rosso pendeva a qualche metro di distanza da lei.
Intorno
a lei, invece, aveva posto una ciotola d’acqua, dei sassi
ammassati l’uno
sull’altro e una candela accesa. Si posizionò con
le gambe leggermente
divaricate e le braccia stese lungo i fianchi, chiuse gli occhi e fece
un
respiro profondo.
Tamira
sentì l’aria attorno a lei muoversi, come se le
finestre fossero aperte e il
vento le accarezzasse pelle. L’acqua nella ciotola
iniziò a muoversi senza che
nessuno la toccasse, alcuni dei sassi posti più in alto nel
mucchio caddero e
la fiamma della candela si alzò e danzò.
Aprì gli
occhi di scatto, con altrettanta velocità
posizionò i piedi uno davanti
all’altro tenendo le gambe piegate. Allungò il
braccio destro verso la ciotola,
e fece un gesto con la mano come a voler tirare una corda piantata a
terra
verso l’alto. L’acqua formò una colonna
e si divise in centinaia di piccole
sfere quando Tamira glielo ordinò. Chiuse il pugno e le
sfere d’acqua si
trasformarono in schegge di ghiaccio affilatissime. Nel frattempo, con
l’alta
mano, aveva iniziano ad utilizzare la fiamma della candela per creare
degli
anelli di fuoco che non smettevano di ruotare mentre lei li teneva
sospesi a mezz’aria.
Scagliò le schegge di ghiaccio contro il bersaglio, erano
talmente veloci che
sarebbe stato impossibile individuarle ad occhio nudo.
Lanciò gli anelli di
fuoco contro le schegge, distruggendole, una frazione di secondo prima
che
bucassero il sacco.
Con
alcune pietre costruì un solido muro che lo bloccava, mentre
con le altre
cercava di distruggere la catena di ferro che lo sorreggeva.
Il sacco
si staccò, Tamira tirò via le pietre distruggendo
il muro e creò delle lame
d’aria con l’intenzione di fermarle prima che
squarciassero la pelle dello
stesso sacco. Fallì durante l’ultimo passaggio e
la sabbia che conteneva si
riversò sul pavimento di marmo nero.
<<
Merda! >> disse.
<<
A me non sembrava tanto male >> La voce proveniva dal
ragazzo appoggiato
all’anta della porta d’entrata.
<<
Dante >> Gli sorrise. << Che fai qui?
>>
Lui alzò
le spalle.
<<
Osservo >> Le rispose.
Tra loro
non c’era imbarazzo, si conoscevano da quando Tamira fu
portata a Buckingham
Palace, la Sede del Consiglio di Londra, a sei anni.
Ovviamente
la Sede era nascosta alla vista degli esseri umani grazie ad alcune
malie
protettive che gli stregoni del Consiglio avevano creato.
<<
Non riesco ancora a controllare bene l’aria >>
Ammise Tamira.
<<
Sì, ma rimani comunque l’unica elementale in grado
di controllare tutti e
quattro gli elementi >> La rassicurò Dante.
<<
Sarebbe carino se riuscissi a controllare bene
tutti e quattro gli elementi >> Tamira rise.
Dante si
avvicinò a lei, osservando la sabbia a terra.
<<
Ti aiuto a ripulire >> Si offrì.
<<
Dante, è sabbia, posso controllarla, non mi serve una mano
>> Gli disse
come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
<<
Sembra che il mio aiuto non serva a nessuno >> Disse
scocciato abbassando
lo sguardo.
<<
Che è successo? >>
Dante la
guardò e, senza dire una parola, lei capì.
<<
Hai parlato di nuovo con tuo padre? >> Sentiva la rabbia
salirle in corpo
come la lava di un vulcano in eruzione.
Lui
annuì.
<<
Scusa se te lo dico, ma è un idiota! >> Gli
disse cercando di contenersi
il più possibile.
<<
No, lo so. Non capisco che cosa gli costa a farmi partecipare alle
ricerche,
non sto chiedendo il mondo! Sto chiedendo di dare una mano, dannazione!
>>
Si sfogò, sapeva che Tamira lo avrebbe ascoltato
perché lo faceva sempre.
<<
Non so che cosa gli passi per la testa e probabilmente non lo
capirò mai, ma se
vuoi dargli due calci nel sedere hai tutto il mio appoggio
>>
Dante
rise e si sentì un po’ meglio.
<<
Sì, beh, gli servirebbero >>
Sospirò << Non riesce a capire che
sono il miglior combattente che abbia a disposizione! >>
<<
Non essere arrogante >> Lo riprese.
<<
Non è arroganza, non voglio essere arrogante, è
un dato di fatto >>
Si
guardarono per qualche istante in cerca di una possibile soluzione, fu
Tamira a
rompere il silenzio.
<<
Dovremo parlarne con Will e decidere cosa fare >> Disse
decisa.
<<
Sì, dovremmo >> Concordò Dante.
Nella
sala entrò fischiettando un uomo bizzarro, aveva i capelli
biondi ricoperti di
brillantina, indossava una camicia bianca ed un gilet arancione,
pantaloni
eleganti grigi e scarpe da tennis.
<<
Papà >> Lo salutò Tamira.
<<
’Sera tesoro >> James si avvicinò ai
due fulminando Dante con lo sguardo.
<< Ehi zuccherino, mantieni una distanza di almeno tre
metri da mia
figlia >> Gli disse.
<<
Non la tocco James! >> Dante alzò le mani
sorridendo ed allontanandosi di
un paio di passi.
<<
Papà… >> Lo chiamò
Tamira con un tono di voce che era a metà tra il
rimprovero e il divertimento
<<
Che c’è? >> Gli chiese lui.
Tamira
incrociò le braccia al petto alzando un sopracciglio.
<< No, non
capisco proprio cosa tu
voglia dire con quello sguardo >> Le disse lui.
<<
Devi dirmi qualcosa? >> Si arrese, alla fine, Tamira.
<<
Sì, in effetti sì, ti è stata
assegnata una missione >>
Tamira
si irrigidì e Dante smise di sorridere tornando ad essere
nervoso. Tamira le
rivolse uno sguardo veloce mentre lui non guardava, provò
dispiacere.
<<
Domani pomeriggio seguirai ed interrogherai un mutaforma che si pensa
abbia dei
contatti con Marcus >> Le spiegò James.
<<
Sì, certo >> Disse secca, volendo liquidare in
fretta la conversazione.
<<
Rendimi orgoglioso, bambina >> James le fece
l’occhiolino. << Dante
>> lo chiamò. << Prima o poi
riuscirò a convincere tuo padre ad
assegnarti una missione >>
<<
Come? >> Chiese Dante lasciando trasparire della rabbia.
<<
Parlerò di te e delle tue doti nel combattimento al
consiglio, se sapessero
quello che vali metterebbero pressione a Lorenzo, e alla fine
sarà costretto ad
assegnarti una missione >> Gli spiegò James.
Dante
accennò ad un sorriso.
<<
Grazie, James >>
James
gli diede una pacca sulla spalla in un gesto di solidarietà,
poi si voltò ed
uscì dalla sala.
Mike
rientrò con tre cartoni fumanti e profumati dopo una
mezz'ora. Lui, Sarah e
Jane si misero a tavola, ognuno occupando il posto a cui ormai era
abituato.
Sarah a capotavola, Mike alla sua destra e Jane a sinistra. Le piaceva
la
tendenza che sua madre aveva nell'assumere il ruolo di "Uomo di
casa", "Alpha del branco", mentre Mike le faceva da spalla,
anche a tavola durante la cena.
<<
Jane, domani devi sistemare il giardino, le buche si stanno
moltiplicando e il
cane è il tuo >> disse Sarah interrompendo il
dibattito di Jane e Mike su
quale condimento fosse il migliore sulla la pizza.
<<
No, mamma, domani non posso, ho promesso a Lucas che avremmo studiato
insieme
per il compito di lunedì >> Le rispose Jane,
sperando che l'impegno preso
la aiutasse a sfuggire da un pomeriggio con la sua amica "terra" ed
il suo ragazzo "sporco".
<<
Quand'è che ti sei messa d'accordo con Lucas esattamente?
>> continuò
Sarah diffidente.
<<
Oggi pomeriggio, mamma! L'ho incontrato ad Hyde Park, mentre portavo
fuori
Kaito >> Disse.
Mike e
Sarah ripresero a mangiare la loro pizza, a Jane passò la
fame.
<<
Mi è successa una cosa strana oggi >> Le
parole le uscirono dalla bocca
prima ancora che avesse il tempo di rifletterci, ma infondo,
perché non avrebbe
dovuto dirglielo? Loro erano gli unici che non l'avrebbero considerata
una
schizzata, loro e forse Lucas. Comunque, ormai, non poteva tirarsi
indietro.
<<
Che ti è successo? >> le chiese Mike.
<<
Ho visto una cosa... >> Si interruppe trattenendo il
fiato. Ripensando
alla bambina le era venuta la pelle d'oca e sentiva brividi percorrerle
tutto
il corpo. << Ho visto una ragazzina, al parco, giocare
vicino al laghetto
delle anatre >> Si interruppe di nuovo. Sarah e Mike la
stavano
ascoltando con attenzione, non che ci fosse qualcosa di strano in
quello che
stava dicendo, era Jane che aveva assunto un atteggiamento strano, era
visibilmente scioccata ed era anche impallidita.
<<
Stava giocando con una sfera d'acqua sospesa sopra la sua testa! La
cosa
peggiore è che nessuno sembrava vederla! >>
quasi urlò << Poi è
arrivato Lucas, mi ha chiamata e io mi sono girata a salutarlo, poi,
quando mi
sono rigirata, la bambina era sparita! Credo sia per la stanchezza, ma
è
davvero brutto vedere cose che gli altri non vedono ed è
ancora peggio che le
cose in questione spariscano nel nulla >>
Seguirono
attimi di silenzio.
<<
Da quant'è che vedi queste cose? >> Le chiese
Mike.
Mike era
laureato in psicologia, nonostante avesse deciso di dedicarsi a lavori
più
manuali, come fare l'idraulico e l'elettricista. Lui diceva che era
perché si
era reso conto di non volersi addossare i problemi degli altri, di non
volerne
portare il peso sulle spalle. Jane e Sarah sospettavano che fosse
perché non
riusciva a trovare lavoro in quel settore.
<<
Oggi è stata la prima volta >>
Mike le
sorrise.
<<
Tranquilla, probabilmente hai ragione, la stanchezza porta brutti
scherzi. Hai
detto che ultimamente hai problemi a dormire, vero? >>
Jane
annuì.
<<
Domani vado a comprarti delle gocce di biancospino, sono un sonnifero
naturale,
ti aiuteranno a riposare >>
Da
quando avevano avuto l'incidente, due anni prima, Mike aveva assunto un
atteggiamento estremamente premuroso nei confronti di Jane. La causa
principale
erano i sensi di colpa che tutt'ora provava.
<<
Grazie >> sussurrò.
William
Bennett, uno degli stregoni più sottovalutati tra gli
invisibili, era nel suo
laboratorio, o meglio, era nell’ex-laboratorio di suo padre,
Henry Bennett, prima
che diventasse il Medico ufficiale del consiglio, carica a cui tutti
gli
stregoni ambivano, tutti tranne Will.
Stava
lavorando alla sua ultima invenzione: una coppia di anelli gemelli che
fossero
in grado di portare stregoni ed elementali indietro nel tempo con
l’aiuto di un
viaggiatore, o perlomeno era quello che avrebbero dovuto fare.
Purtroppo, questa
sua ultima invenzione, non funzionava bene come le altre e si
scoprì molto più
difficile da realizzare. Era partito dagli anelli standard dei
viaggiatori nel
tempo, congegni ufficiali che funzionavano come macchine del tempo,
permettevano ai viaggiatori di controllare con precisione
l’epoca ed il luogo
del balzo spazio-temporale.
Will
stava tracciando con dei gessetti dei simboli sul tavolo di pietra
scuro,
posizionò due ciotole di bronzo, contenenti una polvere
argentata
innaturalmente luminosa, negli spazi lasciati vuoti e vi mise dentro
gli
anelli. Stava eseguendo un incantesimo di sua invenzione, un mix tra
una malia
di legame e un rituale di unione materiale. Rivolse i palmi delle mani
verso le
ciotole, da essi uscirono dei flussi morbidi di energia blu che
circondarono
gli anelli imprigionandoli in una sfera solida. Recitò
l’incantesimo in latino
e le sfere che circondavano gli anelli si spaccarono.
L’incantesimo era
concluso. Ora era necessario scoprire se fosse riuscito nel suo
intento. Doveva
trovare Dante.
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Capitolo 3 *** CAPITOLO 2 ***
CAPITOLO 2
Era
domenica pomeriggio, una domenica particolarmente soleggiata nonostante
fosse
ottobre, non faceva freddo, l'unica nota stonata era l'odore di
umidità
nell'aria, tipico di quando si esce presto la mattina e ancora si trova
la
rugiada riposare sui fili d'erba del prato.
Jane
stava aspettando Lucas, era in salotto a guardare la televisione per
far
passare il tempo. Accanto a lei, sul divano rosso, era appoggiato il
suo zaino,
pieno di appunti e di pennarelli colorati, ovviamente non poteva
mancare quel
mattone del libro di biologia. Si sentiva energica, aveva dormito
benissimo la
notte precedente, nonostante non avesse le gocce di biancospino, e
quello
stesso sonno era quasi riuscito a farle dimenticare gli eventi del
giorno
prima. Quasi.
Si sentì
il campanello suonare.
Jane
spense la TV, si mise la giacca e prese lo zaino, aprì la
porta. Lucas le
sorrise.
<<
Buongiorno splendore! >> lo salutò lei
baciandogli la guancia.
Il
sorriso di Lucas sparì per lasciare posto ad
un’espressione di confusione e di
imbarazzo.
<<
Va tutto bene, Jane? >>
Invece
di rispondere Jane uscì di casa chiudendosi la porta alle
spalle, afferrò Lucas
per un braccio e lo trascinò con sé. Percorsero
la stradina in salita fino alla
curva, svoltarono l'angolo e si infilarono nel Cinnamon Roll
Caffè, dove
presero due girelle alla cannella, la specialità della casa.
Si misero seduti
ad un tavolo vicino alla finestra che si affacciava sulla strada, in
modo da
avere più luce. Jane tirò fuori i suoi appunti e
Lucas il mattone-libro di
biologia.
<<
Okay, io direi di partire dalla cellula, vediamo >> Jane
sfogliò i sui appunti.
<< Differenza tra procariotica ed eucariotica, te lo
ricordi? >>
Gli chiese.
<<
Sì, va bene, allora... >>
Tamira
si stava preparando per la missione, era sotto copertura
perciò non avrebbe
indossato la divisa da combattimento, si mise dei vestiti semplici, da
tutti i
giorni, non aveva bisogno di armi essendo un’elementale, le
sue armi la
circondavano ovunque andasse.
James le
aveva dato un nome e un luogo: Derek Glade, David’s Ink
Tattoo Shop. Era lì che
stava andando.
L’aria
non era fredda, la strada pullulava di persone incapaci di vederla, si
ritrovò
a dover fare lo slalom per non urtarli. In fondo alla strada si vedeva
l’insegna nera a caratteri bianchi del David’s Ink
Tattoo Shop, accanto alla
scritta era raffigurato uno scheletro old school vestito da casalinga
anni
cinquanta che spingeva un carrello. Tamira entrò. Il posto
emanava un odore di
metallo, le pareti erano grigio scuro, ricoperte da bozze di tatuaggi
incorniciati. Si sentiva il rumore della bobina in azione provenire da
una
stanzetta lì accanto, Tamira si affacciò, un uomo
con una giacca di pelle verde
stava tatuando il braccio di un altro uomo dai capelli rossi, seduto su
una
poltrona da barbiere vintage.
<<
Il signor Glade? >> Chiese Tamira, assumendo un
atteggiamento il più
innocente possibile.
L’uomo
dalla giacca verde alzò il viso, puntando gli occhi chiari
su di lei, aveva una
barba scura che gli copriva parte del collo.
Chissà
se è questo il tuo vero
aspetto. Penso
Tamira.
<<
Sì, piccola, fammi finire qui e sono da te >>
Le sorrise lui, per poi
riprendere a lavorare.
L’uomo
con i capelli rossi si girò verso Tamira, era umano, non
poteva vederla.
<<
Con chi stai parlando? >> Chiese, piuttosto confuso, al
suo tatuatore.
Derek si
fermò. Puntò nuovamente gli occhi su di lei, era
ancora appoggiata alla porta.
<<
Nessuno, una ragazzina, ma adesso è andata via
>> Disse senza distogliere
lo sguardo, aveva capito che non era umana, era una di loro, le sorrise
e
Tamira ricambiò.
<<
Hm >> Il rosso parve poco convinto.
<<
Ti aspetto qui fuori >> Disse Tamira a Derek con
sensualità.
Derek le
annuì e, sorridendo, riprese a lavorare.
Si
sedette su una poltrona di velluto bordeaux vicino alla cassa
ripassando il
piano. Per prima cosa avrebbe dovuto attirarlo fuori, c’erano
dei tubi di ferro
nel vicolo vicino all’entrata, il ferro non è
altro che terra purificata,
sarebbe riuscita a controllarli, lo avrebbe bloccato con quelli e poi,
minacciandolo, lo avrebbe interrogato.
Derek
usci dalla saletta insieme al suo cliente, il rosso pagò e
se ne andò via tutto
contento, evidentemente aveva fatto un buon lavoro con il suo tatuaggio.
Derek Guardò
Tamira.
<<
Che cosa sei? >> Le chiese.
<<
Elementale >> Rispose.
<<
Di che elemento? >> Sembrava semplicemente curioso, ma
Tamira riusciva a
leggere del sospetto nella sua voce.
<<
Acqua >> Gli rispose, in parte era vero. <<
So che sei un mutaforma
>> azzardò.
<<
Saprai anche che non posso parlarne e che non posso esercitare i miei
poteri >>
Le rispose lui, sorridendole, Tamira doveva piacergli.
<<
Sì, lo so >> Disse ricambiando il sorriso.
Derek sospirò.
<<
Ti conviene non chiedere certe cose, piccola. Io sono un uomo per bene,
ma un
altro mutaforma avrebbe potuto tentare di ucciderti, specialmente uno
timoroso del
Consiglio >>
<<
E tu non hai paura del consiglio? >> Gli chiese,
avvicinandosi. Gli piaceva,
no? Bene, lo avrebbe sfruttato a suo favore.
<<
Non capisco perché si dovrebbe aver paura di un mucchio di
bibliotecari
altezzosi >> Le spiegò.
<<
Io so che hanno un esercito >> Disse lei.
<<
Quell’esercito non durerebbe un’ora contro un
esercito di mutaforma >>
Derek sembrava sicuro di sé.
Un esercito
di mutaforma?
<< Ora basta parlare di
loro, sei qui
per fare un tatuaggio? >> Cambiò discorso.
<<
Si, mi piacerebbe, ma devi sapere che ho un... problemino
>> disse
fingendo di andare in agitazione.
<<
Hai paura degli aghi, vero? >> Derek sollevò
un angolo della bocca
divertito. << Non preoccuparti, non sei la prima che
passa di qui >>
tentò di rassicurarla.
<<
Mi accorgerò dell’ago? >> Gli chiese
fingendosi ancora più agitata.
<<
No >> Le rispose secco.
<<
Ne sei sicuro? Ho degli amici che mi hanno detto il contrario
>> Gli
disse.
<<
Sono un tatuatore, fidati di me, piccola >> Derek
sembrava che si stesse
innervosendo.
Perfetto.
<<
Ho bisogno d’aria >> Disse Tamira dopo un
po’.
<<
Vieni, ne parliamo fuori, okay? >> Lui le mise una mano
dietro la schiena
e la spinse fuori dallo studio.
<<
Allora… >>
Derek
non fece in tempo a finire la frase che si ritrovò bloccato
al muro da pezzi di
ferro che gli stringevano polsi e caviglie.
Tamira
rise.
<<
Che diavolo fai?! >> Era sorpreso.
<<
Forse dovrei presentarmi. Piacere, Tamira Collins. Sono il tuo peggior
incubo,
amore >> Lo prese in giro.
<<
Collins? Fai parte del consiglio! >>
<<
In effetti, sono qui in missione >> Gli
confessò. Aveva un sorriso
soddisfatto stampato in faccia.
<<
Avrei dovuto capirlo >> Disse più a
sé stesso che a lei.
<<
Sì, beh, non lo hai fatto. Sappiamo che hai contatti con
Marcus >> Disse
Tamira.
<<
Da questa bocca non uscirà una parola >>
Ringhiò Derek.
<<
Bene >> Tamira prese un tubo di ferro arrugginito dal
mucchio, voleva
utilizzarlo per minacciare Derek, ma quando si voltò
nuovamente verso la parte
lui era sparito.
Spuntò
alle sue spalle e la bloccò al muro tenendole un braccio
sulla gola, solo che
quel braccio non era di Derek.
<<
Dante?! >> Adesso era lei quella sorpresa.
<<
No, sono sempre io, piccola >>
Derek
aveva cambiato forma, ma com’era possibile? I mutaforma non
erano in grado di
mutare così velocemente, non erano in grado di trasformarsi
in qualcuno con cui
non avevano un contatto diretto. O sì? Forse il Consiglio si
era sbagliato,
forse erano diventati più forti di quello che si pensava, ma
come? Come?
Marcus.
Doveva
aver trovato il modo di renderli più forti. Sì,
non c’era altra spiegazione.
Comunque non era certo il momento di formulare ipotesi, doveva
scappare, per
quanto forte e ben addestrata fosse, non aveva possibilità
contro un nemico con
le capacità di Dante. Doveva farlo stancare. Se si fosse
stancato sarebbe
tornato alla sua forma originale. L’unico modo per farlo era
quello di fargli
usare il suo potere, i balzi spaziotemporali. Dante li utilizzava per
teletrasportarsi. Doveva bloccarlo, così sarebbe stato
costretto ad esaurire le
sue energie.
Tamira
richiamò a sé la terra degli alberi piantati
lungo la strada, silenziosamente
la fece strisciare a terra, fino a fargli raggiungere i piedi di Derek
e a
circondarli, lui, sentendo una strana sensazione corrugò le
sopracciglia e
guardò in basso, distraendosi. Tamira ne
approfittò per scagliarlo lontano da
sé, mentre la terra continuava a tenerlo bloccato a qualche
metro di distanza.
Derek parve inizialmente sorpreso, ma poi la guardò e
sorrise, pensando di
averla in pugno, fece un balzo e si teletrasportò fuori
dalla trappola. Non si
era reso conto che stava facendo esattamente il gioco di Tamira. Lei lo
bloccò
nuovamente e lui fece un altro balzo più vicino a lei, la
cosa andò avanti per
altre due volte nel giro di pochi secondi, fin quando Derek, esausto,
riprese
la propria forma. I viaggi nel tempo richiedevano un enorme dispendio
di
energia. Tamira, approfittandone, iniziò a correre lontano
da lui. Derek la seguì.
Ormai
erano passate due ore, fuori stava iniziando a fare buio, il bar era
inondato
dalla luce calda del sole al tramonto, che si faceva da parte per
lasciare
posto alla luna e alle stelle. Era quasi fatta, presto sarebbero
tornati a
casa, Lucas doveva soltanto finire di ripetere, per la ventesima o
ventunesima
volta, ormai aveva perso il conto, il programma a Jane. Lei, d'altro
canto, non
ne poteva più di stare a sentire sempre le stesse cose,
tanto più che aveva
smesso di ascoltarlo. Voltò lo sguardo verso la finestra
stiracchiandosi il
collo, fuori c'era gente che passeggiava, famiglie, gruppi di amici,
coppie, a
volte anche qualche vecchietto solitario, che camminava lentamente,
guardandosi
intorno e godendosi la semplicità della vita. Una ragazza
dai capelli scuri
stava correndo. Catturò la sua attenzione. Sì,
stava correndo, ma non era
vestita per fare jogging, aveva addosso un paio di jeans chiari ed una
maglietta nera un po' troppo grande, gli anfibi poi non erano certo
scarpe con
cui si andava a fare esercizio, no?
La
spiegazione arrivò correndo dietro di lei: un uomo con una
giacca di pelle
verde. La stava inseguendo, lei stava scappando!
Qualcosa
scattò nella testa di Jane, che drizzò il collo e
si mise sull'attenti.
Possibile che nessuno facesse niente? Le persone che la vedevano
passare non si
preoccupavano? Non gli importava niente? Come si può restare
indifferenti
vedendo una ragazza scappare da un uomo più grade di
lei?
La
ragazza accelerò, guadagnando qualche metro di vantaggio,
girò, imbucandosi in
un vicolo stretto, poi si fermò e si voltò
facendo un gesto con la mano. Fu
come se l'asfalto prendesse vita, si innalzò tra i due
edifici a mattoni rossi,
costruendo un muro solido che impedisse al suo inseguitore di
raggiungerla.
Jane
scattò in piedi, in preda allo stupore, continuava a fissare
la parete
d'asfalto.
<<
Jane? >> La chiamò Lucas, ma lei sembrava non
sentirlo.
L'uomo con
la giacca verde si fermò davanti al vicolo ormai chiuso, si
guardò intorno, poi
successe una cosa ancora più incredibile di quella
precedente: Emanò luce,
un'intensa luce bianca che sembrava uscire da tutti i pori della sua
pelle.
<<
Jane! >> tentò ancora Lucas.
La luce
illuminò i volti dei passanti fin quando non smise di
brillare. Al suo
estinguersi l'uomo aveva cambiato aspetto. Non era più un
uomo alto e
minaccioso, non aveva più addosso la giacca verde, si era
trasformato in un
ragazzo biondo di bell'aspetto, anche troppo bello, con quella figura
slanciata, ma Jane era troppo sconvolta per notarlo. Il ragazzo, o
l'uomo, o
quell'essere, che dir si voglia, fece qualche passo indietro per poi
svanire
nel nulla, lasciandosi alle spalle solo qualche scintilla rossa.
<<
Jane Clara Rothfeller! Siediti per favore, ti stanno guardando tutti!
>>
Questa
volta Lucas riuscì nel suo intento. Jane si voltò
verso di lui con
un’espressione sconvolta, confusa, scioccata, da parte sua
Lucas era
imbarazzato, troppi occhi puntati su di loro, troppa attenzione rivolta
a loro.
Jane diede una rapida occhiata alle persone all’interno del
caffè, era vero, la
stavano guardando tutti come fosse pazza. Jane si sedette tenendo gli
occhi
bassi.
<<
Si può sapere che succede? >> Le chiese.
<<
Non l’hai visto? >> Era sconcertata.
<<
Visto cosa? >>
<<
Mi prendi in giro, vero? >> Chiese con un tono che era
tutto al di fuori
del sarcastico, come era solita fare, un tono di voce che lasciava
trasparire
insicurezza e bisogno d’appoggio.
<<
Ho la faccia di uno che ti sta prendendo in giro? >> Era
Lucas quello che
faceva del sarcasmo, sembrava che i ruoli fossero stati invertiti.
<<
Andiamo, non puoi non averlo visto! Era proprio lì fuori!
>> La voce di
Jane riacquistò un po’ di decisione.
<<
Jane, di che diavolo stai parlando? >> Era confuso.
<<
Sto parlando di quella tizia che ha innalzato un cazzo di muro
d’asfalto tra
quei due edifici e del tizio che la inseguiva che ha cambiato corpo!
Ecco di
che sto parlando! >> Jane iniziò a scaldarsi,
ma mantenne comunque un
tono di voce tale che le altre persone nel caffè non fossero
in grado di
sentirla.
<<
Okay, adesso sei tu a prendermi in giro >> Era ancora
più confuso, decisamente
più confuso.
<<
No no, Lucas… >> Jane nascose il viso tra le
mani, massaggiando le tempie
con i pollici, nel tentativo di calmarsi e di far sciogliere un
po’ di
tensione. Tornò a guardare Lucas. << Non
è la prima volta che mi succede,
ieri al parco ho visto una bambina giocare con una sfera
d’acqua sospesa a
mezz’aria… mi stanno succedendo delle cose che non
riesco a capire e io odio
non capire le cose >>
<<
Forse hai delle allucinazioni, forse sei schizofrenica >>
Fu la prima
ipotesi sensata che gli venne in mente.
<<
Non sono pazza! >> Non riusciva a credere alle parole di
Lucas.
<<
Tutto può essere >> insistette lui.
<<
Lucas! >> Ora era indignata.
<<
Okay, scusa. Ne hai parlato con Mike? >> Le chiese
cercando di addolcire
il tono.
<<
Sì >> Rispose secca.
<<
E… >> La spronò.
<<
E ha detto che probabilmente è per via della stanchezza che
mi immagino le
cose, ma… io so quello che ho visto, non è frutto
della mia immaginazione, è
reale, so distinguere le due cose >> Cercò di
convincerlo al meglio che
poteva in quel momento, in preda a quello strano mix di emozioni.
<<
Ne sei sicura? >> Purtroppo Lucas sembrava ancora un
po’ scettico.
<<
Puoi cercare di metterti nei miei panni per cinque secondi?
>> Gli chiese
un po’ aggressiva.
<<
Ehi, non ti scaldare, sto solo cercando di aiutarti >> Si
difese lui.
Jane
sospirò.
<<
Hai ragione, scusa >> Disse poi.
Seguirono
attimi di silenzio. Se le persone nel Cinnamon Roll Caffè
avessero smesso di
parlare e i rumori delle tazzine di ceramica uniti a quello delle
macchine per
il caffè fossero cessati, si sarebbe certamente sentito il
suono degli
ingranaggi delle teste di Jane e Lucas lavorare in cerca di una
spiegazione
plausibile.
<<
Okay, senti, mettiamo che le cose che vedi siano reali,
perché sei l’unica che
riesce a vederle? >> Le chiese Lucas.
<<
Te l’ho detto, non lo so >> Gli rispose, doveva
esserci per forza una
spiegazione logica, ma non era ancora riuscita a trovarla, e la cosa la
seccava.
<<
Che hai intenzione di fare? >> Le chiese, arrendendosi a
cercare una
risposta a quelle assurdità.
<<
Niente, per ora non c’è niente che posso fare
>> L’unica cosa che le
veniva in mente era un grande buco nero.
<<
Questa non è una risposta da Jane >> Lucas le
sorrise cercando di darle
conforto.
<<
Questa è una risposta da Jane spaventata >>
<<
Che vuol dire che si è trasformato in me?! >>
Le chiese Dante.
<<
Vuol dire esattamente quello che credi >> Gli rispose
Tamira.
Era
rientrata dalla missione da un paio d’ore, si era fatta una
doccia e aveva
chiamato Dante e Will, aveva bisogno di parlare con loro. Attualmente
si
trovavano nella sua stanza. Al centro del pavimento di parquet
c’era un tappeto
rosso circolare sopra il quale era posizionato il letto, Tamira
c’era seduta
sopra, i capelli bagnati le solleticavano il viso. Will, invece, era
seduto a
terra, con la schiena poggiata sul comodino. Era talmente alto che,
anche da
seduto, i suoi capelli rossi arrivano sopra al ginocchio di Dante, in
piedi
accanto a lui.
<<
Ma non è possibile, i mutaforma devono avere un contatto
diretto con la persona
di cui prendono le sembianze, no? >> Chiese Will.
<<
Oppure con qualcosa a cui la persona tiene >> Lo corresse
Dante.
<<
Qualcosa con valore affettivo? >> Chiese Tamira.
<<
Sì >> Confermò Dante, si stava
sforzando a capire com’era possibile che
fosse successa una cosa simile.
<<
Hai perso qualcosa ultimamente? >> Gli chiese Will.
<<
Non ho perso niente, Will. Non pensi che me ne sarei accorto?
>> Gli
chiese, sarcastico, Dante.
<<
Dante, non-ti-scaldare >> Gli ordinò Tamira.
<<
Scusa, ma mi dà fastidio che qualcuno prenda le mie
sembianze, sai com’è? >>
Fece ancora del sarcasmo, era il suo modo di sfogarsi.
<<
Se vuoi sfogare la rabbia urla nel cuscino >> Tamira gli
passò il cuscino
con la fodera di raso rosso.
<<
Non sono arrabbiato, ma non capisco che sta succedendo >>
Dante rimise il
cuscino al suo posto.
<<
E se c’è una cosa che Dante De Marchi non
sopporta… >> Iniziò Tamira
guardando Will.
<<
…è non capire le cose >>
Finì Will sorridendole.
<<
Io avrei detto “non avere il controllo della
situazione” >> Disse lei.
Nella
stanza piombò il silenzio, l’unico rumore
percettibile erano i sospiri
scocciati di Dante.
<<
Comunque Derek ha accennato ad un esercito di mutaforma
>> Confessò
Tamira rompendo quel silenzio.
Gli
occhi di Dante guizzarono verso di lei a sentire quelle parole,
stranamente,
non ne rimase troppo sorpreso.
<<
Un… che?! >> Will parve seriamente allarmato,
impaurito anche.
<<
Non so se lo ha detto tanto per dire… ma…
>> Iniziò a dire Tamira con la
voce che le tremava leggermente, anche lei non si sentiva tranquilla e,
solo al
ripensare alle parole di Derek, un mare di brividi le percorsero la
schiena
arrivando dritti alla nuca.
<<
Non è da escludere, sono vent’anni che Marcus
è sparito dalla circolazione
eppure non si è mai smesso di parlare di lui, le ricerche
non sono mai cessate >>
Disse Dante incrociando le braccia al petto.
<<
Parla chiaro >> Gli ordinò Tamira.
<<
Potrebbe essersi riorganizzato, no? Le rivolte dei mutaforma sono
cessate dopo
tre anni dalla sua scomparsa, volete saper che penso? >>
Chiese. I due
annuirono, ma avevano intuito dove voleva arrivare.
<<
Penso che abbia radunato i mutaforma ribelli, che li abbia addestrati a
combattere e li abbia resi più forti, come Derek
>> Finì di spiegare.
<<
Credi che abbia formato un esercito? >> Chiese Will, gli
venne la pelle
d’oca al solo pensiero.
Dante
annuì.
<<
Se è vero quello che dici, la guerra è alle
porte, te ne rendi conto? >>
Gli chiese Tamira.
<<
Fin troppo bene >> Ammise.
Henry
era nell’ufficio di Lorenzo, lo aveva chiamato per discutere
di una questione
urgente, ma personale.
<<
Riguarda Dante, vero? >> Gli chiese Henry. Aveva saputo
del litigio con
il figlio, in realtà, non c’era persona a
Buckingham Palace che non ne era al
corrente, ormai erano abituati ai loro continui battibecchi, la maggior
parte
tifava per Dante, ritenendo inaccettabile il comportamento del padre.
<<
Non riesce capire che lo faccio per il suo bene >> Si
difese Lorenzo.
<<
Non puoi tenerlo sotto la tua ala protettiva per sempre, lo sai, no?
>>
Gli chiese Henry.
<<
Ma non posso neanche affidargli una missione di primo livello!
>> Ribatté
lui.
<<
Perché no? Dante è un ottimo combattente, si sa
difendere e sicuramente
migliorerebbe il vostro rapporto >> Cercò di
spiegargli, nonostante non
fosse la prima volta che affrontavano quel discorso.
<<
è pericoloso, Marcus potrebbe essere ovunque, non ho il
controllo >> Gli
disse Lorenzo.
<<
Magari è questo il problema, non devi sempre avere il
controllo su tutto >>
Gli rispose.
Lorenzo
poggiò i gomiti sulla scrivania di mogano per poi sospirare.
<<
Io non so che devo fare >> Confessò.
<<
Lauren che ne pensa? >> Gli chiese Henry
<<
Oh, sua madre dice che dovrei lasciarlo “lavorare sul
campo”, come se stesse
facendo delle ricerche geologiche >> Gli venne da ridere,
una risata
amara.
<<
Affidagli una missione di ricerca >> Suggerì
Henry, anche se più che un
suggerimento sembrava un ordine.
<<
Come? >> Gli chiese Lorenzo un po’ incredulo.
<<
Una missione di ricerca. Tamira è stata aggredita da un
mutaforma questo
pomeriggio, lui è fuggito, affida a Dante il compito di
indagare sul luogo
della scomparsa >> Spiegò.
<<
Ma se il mutaforma… >> Iniziò
Lorenzo, ma Henry lo interruppe.
<<
Abbiamo perso le sue tracce, non è più
lì, Dante sarà al sicuro e in più
avrebbe la sua missione >>
<<
Capirà che non gli sto dando altro che un contentino
>> Pensò ad alta
voce.
<<
Lo so, ma è un inizio, anche per te >>
<<
Devo soltanto fare un salto temporale? >> Chiese Dante a
Will,
infilandosi l’anello di sua invenzione.
<<
Sì, come sempre >> Will fece per allontanarsi.
Erano
nel laboratorio di Henry insieme a Tamira, che li guardava divertita,
sperava
davvero che gli anelli funzionassero, Will ci aveva lavorato molto e
duramente.
Dante
chiuse gli occhi preparandosi per il balzo.
<<
Aspetta! Devo mettere il mio! >> Disse Will, per poi
mettersi l’anello.
Guardò Dante. << Se non mi vedi affianco a te
dopo il salto, torna
indietro >> Disse poi.
<<
Posso? >> Gli chiese Dante con sarcasmo.
<<
Adesso sì >> Gli rispose Will ignorando il suo
tono.
Dante
chiuse gli occhi, concentrandosi, avrebbe dovuto scegliere una data, 9
novembre
1989, la caduta del muro di Berlino, uno dei suoi eventi storici
preferiti.
Fece il
balzo.
Tamira e
Will trattennero il respiro.
Il tempo
passava e Will era ancora nel laboratorio. Tamira lo guardò,
poteva leggere la
delusione nei suoi occhi, le faceva male.
Dante
riapparse nella stanza, teneva la testa bassa, anche il suo sguardo
cadde su
Will.
<<
Continuerò a provare >> Disse
quest’ultimo.
Tamira
gli sorrise.
<<
Prima o poi funzionerà, ci riesci sempre >>
Gli disse.
Will
arrossì, sorrise imbarazzato.
Si sentì
il rumore delle porte del laboratorio aprirsi, i Tre si scambiarono uno
sguardo
allarmato. Dante si sfilò l’anello,
così come Will. Quest’ultimo si sbrigò
a
nasconderli nella tasca della sua giacca.
Era
stato Lorenzo ad entrare.
<<
Papà? >> Lo chiamò Dante.
<<
Ti è stata affidata una missione >> Disse
Lorenzo con tutta la calma e
l’autocontrollo possibile.
Dante
batté le palpebre più volte, incredulo, stupito
dalle parole del padre, anche
se suonavano meccaniche, come una registrazione su un nastro.
Tamira e
Will non erano da meno, si scambiarono uno sguardo fugace.
<<
Devi… >> Lorenzo si schiarì la
gola. << Devi indagare sul luogo
della sparizione del mutaforma Derek Glade >> Disse poi
più deciso.
Tamira
perse un battito ripensando al mutaforma trasformarsi in Dante.
<<
E dove sarebbe? >> Gli chiese Dante a voce bassa, ancora
incredulo.
<<
Nel primo vicolo dopo il David’s Ink Tattoo shop
>> Rispose Tamira.
Dante la
guardò con una domanda negli occhi: è lui?
Tamira
annuì.
<<
Partirai seduta stante >> Gli ordinò il padre.
Detto
ciò Lorenzo si voltò ed uscì dal
laboratorio, lasciando la porta aperta, come
se se ne fosse dimenticato.
<<
Hai una missione! >> Will sembrava più
eccitato di Dante che, invece, era
pensieroso. << Che c’è?
>> Gli chiese poi alzando gli occhi al
cielo.
<<
Potremmo indagare per conto nostro, su Marcus intendo >>
Propose Dante.
<<
Okay, è impazzito >> Disse Tamira a Will.
<<
Dico sul serio! Marcus potrebbe avere un esercito e il Consiglio non ne
è al
corrente >> Insistette Dante.
<<
Dovremo avvertirli allora >> Continuò Tamira.
<<
No, non possiamo >> Intervenne Will, aveva capito cosa
volesse dire
Dante.
<<
Perché no? Siamo dalla stessa parte >> Chiese
Tamira confusa dalle parole
dei due.
<<
Vero, ma immagina cosa farebbero se solo sospettassero che
lì fuori c’è un
esercito di pericolosi mutaforma pronti a muoversi contro di loro
>> Le
disse Dante.
<<
Proveranno a fermarli >> Suppose Tamira.
<<
Sì ma come? Non sappiamo con precisione chi siano i
mutaforma coinvolti >>
Continuò Dante.
<<
E non credi che li cercherebbero? >> Gli chiese Tamira
retoricamente.
<<
No >> Rispose Will.
<<
Ragazzi, non vi seguo >> Si arrese Tamira.
<<
Se il Consiglio si sentisse minacciato non esiterebbe ad uccidere ogni
mutaforma che gli si presenti davanti, non basterà
più che si nascondano, per
loro non dovranno più esistere >> Le
spiegò Dante.
<<
No, non lo farebbero >> Tamira era inorridita dalle
parole dell’amico,
anche i loro genitori facevano parte del consiglio! Come poteva pensare
che
fossero in grado di fare una cosa del genere?
<<
Eccome se lo farebbero, l’ho visto, durante uno dei miei
viaggi
spaziotemporali, ho visto la rivolta di Liverpool >>
Confessò Dante.
I due
ragazzi trattennero il respiro, non si doveva parlare della rivolta di
Liverpool,
era severamente vietato, se li avessero sentiti avrebbero passato non
pochi
guai.
<<
Ce n’erano a migliaia, migliaia di mutaforma, lottavano per i
propri diritti
urlando per le strade, ma i nostri soldati erano milioni e non hanno
esitato,
non si sono fermati a pensare neanche un attimo a quello che stavano
facendo.
Li hanno massacrati, tutti. Anche i bambini >>
Raccontò Dante, sentendo
la rabbia scorrergli nelle vene.
Gli
occhi di Tamira diventarono umidi.
Will
abbassò la testa vergognandosi di quello che i suoi
predecessori avevano fatto.
<<
Non possiamo dirlo al Consiglio >> Disse Dante.
Era
calata la sera, l’aria era gelida, Dante avrebbe descritto la
sensazione alla
nuca come tanti piccoli aghi che gli perforavano la pelle, il che era
abbastanza in tema con il posto dove si stava dirigendo: un vicolo
vicino ad
uno studio di tatuaggi.
Trovò il
posto in meno di dieci minuti. Un muro d’asfalto tra due
edifici si fa notare,
da chi era in grado di vederlo almeno.
Dante
toccò la parete, era solida e spessa, robusta, decisamente
opera di Tamira.
Controllò a terra, ma niente faceva pensare al passaggio del
mutaforma. Se non
avesse lasciato tracce? Era possibile? Creto che era possibile! Ma non
poteva
tornare a Buckingham Palace a mani vuote, era la sua prima missione e
aveva
lottato con le unghie e con i denti per ottenerla. No, non se ne
sarebbe andato
a mani vuote.
Continuò
a cercare nei dintorni per una ventina di minuti, stando attento a
qualsiasi
suono, a qualsiasi odore o cambiamento di temperatura alla disperata
ricerca di
una traccia, purtroppo non trovò niente. Frustrato e
arrabbiato, Dante diede un
pugno alla parete d’asfalto, sbucciandosi le nocche, ora
dipinte di un rosso
cremisi.
<<
Dannazione! >> Commentò.
Decise
di farsi un giro per quelle stradine, cercando di schiarirsi le idee,
aveva la
mente offuscata dalla frustrazione, in quello stato non avrebbe
concluso
niente.
Jane
e
Lucas uscirono dal Caffè, i dipendenti li avevano
praticamente cacciati e
avevano ragione dato che stavano chiudendo.
<<
Ci vediamo a scuola >> La salutò Lucas
abbracciandola.
<<
A domani >> Gli disse lei sciogliendo
l’abbraccio.
<<
Sei sicura che non vuoi che ti accompagni a casa? >> Le
chiese per
l’ennesima volta Lucas.
<<
Sicura, casa mia è qui dietro, ci metto un attiamo
>> Gli rispose alzando
gli occhi al cielo, anche se era intenerita dal suo atteggiamento.
<<
D’accordo, d’accordo, allora a domani
>> Le disse, per poi allontanarsi.
<<
Ricorda di riportarmi gli appunti di letteratura! >> Gli
urlò lei quando
fu a qualche metro di distanza.
<<
Contaci >> Le rispose prima di svoltare
l’angolo.
<<
Tanto lo so che te li dimenticherai >> Disse tra
sé e sé.
Jane si
girò percorrendo la strada di ritorno, ma rimase impietrita
quando i suoi occhi
incrociarono la figura del ragazzo biondo dall’altra parte
della strada, lo
stesso che nel primo pomeriggio era svanito nel nulla.
No, no, no!
Non di nuovo!
Il
ragazzo diede un pugno al muro d’asfalto. Jane
sussultò, istintivamente si
nascose dietro una quercia. Com’era finita in quella
situazione?
Prese un
respiro profondo per poi tornare a guardarlo. Stava osservando la
parete,
sembrava arrabbiato, si mise le mani in tasca e si allontanò
percorrendo la
salita.
Lui vede la
parete! Lui ha
cambiato il suo aspetto e poi è sparito nel nulla! Potrebbe
essere l’unico ad
avere delle risposte. Pensò.
Sapeva
che era una pessima idea, sapeva che poteva essere pericoloso, ma prima
che se ne
accorgesse i suoi piedi iniziarono a muoversi e si ritrovò a
seguirlo.
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Capitolo 4 *** CAPITOLO 3 ***
CAPITOLO 3
Era
circa da mezz’ora che Dante girava a vuoto per le strade del
quartiere, strade
illuminate solamente dalla flebile luce giallastra dei lampioni che le
percorrevano. Non era riuscito a fare nulla, la sua prima missione, il
suo
primo incarico, così tanto desiderato, si era rivelato un
totale fallimento.
Cominciò a pensare che la colpa non era interamente sua, ma
anche di suo padre,
insomma, cosa si poteva dedurre da una parete d’asfalto?
Niente. Magari gli era
stata assegnata con il preciso scopo di farlo fallire, così
che il Consiglio si
sarebbe opposto al suo intervento futuro nei loro affari, probabilmente
era
proprio questo l’intento di Lorenzo.
No.
Doveva smettere di pensare a certe cose, erano pensieri ignobili,
soprattutto
se rivolti al proprio padre.
Sospirò.
Alzò lo sguardo su una vetrina di una libreria per vedersi
riflesso, lo faceva spesso
quando era sovrappensiero, era come se, in qualche modo, lo aiutasse a
riordinare le idee.
Dal
riflesso del vetro scorse una figura sfocata nascondersi
frettolosamente in un
vicolo, lo stavano seguendo.
Bene.
Dante
sorrise beffardo.
Non
sarebbe tornato a mani vuote.
<<
Sarah, sai dov’è Jane? >> Chiese
Mike entrando in cucina.
<<
Non è con Lucas? >> Gli chiese lei mentre era
intenta a preparare la
cena.
<<
Sì, ma dovrebbe essere già rientrata da un pezzo
>> Rispose Mike. Iniziò
a camminare per la cucina cercando di non pensare a Jane lì
fuori, al buio.
Sentiva un peso sul torace.
<<
Mike, rilassati, sono ragazzi, magari c’è una
buona motivazione per il suo
ritardo, non credi? >> Sarah lo guardò alzando
un sopracciglio.
<<
Non ti capisco >> Confessò Mike.
Sarah
alzò gli occhi al cielo, possibile che gli uomini fossero
così ciechi?
<<
Okay, diciamo che secondo me più che un appuntamento di
studio il loro è stato
un appuntamento romantico, anzi ne sono sicura. Possiamo concederle
qualche
minuto di ritardo! >> Gli spiegò.
<<
Appuntamento romantico? Jane? Jane e Lucas? >> Mike
sembrava più confuso
di prima.
<<
Sì, Mike, Jane e Lucas >> Gli rispose Sarah
seccata.
<<
Io la chiamo >> Annunciò mentre prendeva il
telefono dalla tasca
posteriore dei Jeans.
<<
Fallo e ti spezzo le ossa >> Lo minacciò.
Jane
si
nascose in fretta, perché si era fermato? Forse per vedere
che viso avesse
indosso, magari cambiava aspetto più volte al giorno e non
si ricordava quale
fosse al momento.
Ma che idea
stupida!
Sembrava
decisamente poco probabile.
Che cosa
le aveva detto il cervello? Seguire un perfetto sconosciuto!
L’ennesima idea
stupida. Era pericoloso, soprattutto considerando che lo aveva visto
rincorrere
una ragazza. Allora perché si sentiva così
eccitata? Con il cuore che le
batteva all’impazzata e l’adrenalina a livelli
sovrumani, le piaceva. Le
piaceva la sensazione del sangue gelato nelle vene, le piaceva sentire
le gambe
formicolare e il respiro corto, si sentiva come le protagoniste dei
libri che
tanto amava, il che, probabilmente, rendeva la sua stolta decisione di
seguirlo
ancora più stupida, ma la cosa ancora peggiore è
che non le importava, non le
importava neanche che non le importava. Il suo unico pensiero era
seguirlo.
Si
affacciò sulla strada, notò che il ragazzo aveva
ricominciato a camminare, lo
seguì stando attenta a mantenere una certa distanza e
facendo meno rumore
possibile.
Il
ragazzo svoltò alla fine della salita, Jane fece lo stesso
pochi secondi dopo,
ma lui non c’era, si fermò.
Oh. E adesso?
Non
si
diede una risposta dato che venne scaraventata al muro e bloccata da
due
braccia forti.
Per
istinto chiuse gli occhi, durante l’impatto diede una botta
alla testa che ora
le faceva male. Si divincolò nel tentativo di liberarsi.
<<
Stai ferma! >> Le intimò
l’aggressore.
Jane lo
guardò in faccia, era lui. Rimase incantata per qualche
secondo, aveva il viso
più bello che avesse mai visto…
Si
riprese subito, per sua fortuna si sapeva controllare.
<<
Che diavolo fai?! >> Sbottò.
<<
Chi sei? Perché mi segui? >> Le chiese Dante
impaziente.
<<
Chi vorrebbe saperlo? >> Chiese di rimando Jane.
<<
Non scherzare, non sei nella posizione per farlo >> La
ammonì.
Lei
strinse i denti, fulminandolo con lo sguardo, tuttavia era consapevole
che aveva
ragione.
<<
Allora, perché mi stai seguendo? Sei una mutaforma?
Un’alleata di Marcus? Dimmi
di lui, avanti! >> La interrogò.
<< Ma di che parli? >> Gli chiese lei
confusa.
<<
Rispondi! >> Strillò spingendola ancora di
più.
<<
Lo farei se sapessi di cosa stai parlando! Lasciami! >>
Gli urlò lei.
<<
Non ti lascio scappare >> Le disse.
<<
Non ho intenzione di scappare! Sono stata io a seguirti, ricordi? O
soffri di
amnesia? >> Gli rispose sarcastica.
Dante sorrise,
non riuscendo a trattenersi, trovava buffo il suo tono arrogante,
certamente
non era una che abbassava la testa, non riusciva a capire se lo
irritava o se
l’ammirava.
Oh,
fantastico! È anche lunatico.
Pensò lei.
Si
decise a liberarla dalla presa.
<<
Finalmente >> Disse Jane.
<<
Adesso mi dici cosa sei? >> Le chiese lui, sollevato nel
vedere che non
tentava di fuggire, non che avesse avuto scampo, l’avrebbe
raggiunta e
catturata nuovamente.
<<
In che senso? >> Le chiese lei, cominciava a chiedersi se
il ragazzo
avesse tutte le rotelle a posto.
<<
Elementale, viaggiatrice, stregone, mutaforma…?
>> La spronò.
L’espressione
di Jane era chiara, esprimeva tutto il suo stupore e la sua confusione.
Dante,
leggendole sul volto che cosa le passava per la testa, le chiese:
<<
Hai idea di quello che sto dicendo? >>
Lei fece
di no con la testa, mantenendo la stessa espressione.
<<
Allora perché mi seguivi? >> Le chiese, ora
era lui ad essere confuso.
Jane si
risvegliò da quello stato come colpita da un fulmine.
<<
Perché ti ho visto! >> Quasi urlò.
<<
Come? >> Le chiese.
<<
Ti ho visto rincorrere quella ragazza! Oggi pomeriggio. Hai cambiato
aspetto,
non dirmi che non è vero, l’ho visto, prima avevi
la barba ed eri più grande!
Poi sei sparito nel nulla! Come diavolo hai fatto a sparire nel nulla?!
>>
stava parlando velocemente, aveva troppi pensieri e troppe domande.
<<
Tu l’hai visto! >> Dante sentì la
scintilla della speranza accendersi
dentro di lui.
<<
Ti ho visto, si >> gli disse.
<<
No, non ero io, era un mutaforma >> guardò
altrove pensando a come
potesse estrapolarle informazioni. << Aspetta un attimo,
come hai fatto a
vederlo? Come fai a vedermi? >> chiese più a
sé stesso che a lei,
rendendosi conto che per via della malia doveva risultare invisibile
agli occhi
umani, magari la malia era difettosa? No, la ragazza aveva visto Tamira
scappare
ed il mutaforma rincorrerla per poi teletrasportarsi con le sue
sembianze,
c’era qualcosa che non andava, doveva assolutamente portarla
a Buckingham
Palace.
<<
Tutto bene? >> gli chiese lei vedendolo sovrappensiero.
<<
D’accordo >> disse lui in un sussurro. Prese
dalla tasca della giacca una
catena dorata che si chiuse sul polso di Jane.
<<
E questa che roba è? >> chiese cercando di
togliersela di dosso.
<<
Catene incantate, nel caso dovesse venirti la malsana e mortale idea di
fuggire
>> spiegò Dante.
<<
Mortale? Ma che gentiluomo >> lo canzonò lei
arrendendosi al fatto che
non sarebbe riuscita a togliere il braccialetto.
<<
Come ti chiami? >> le chiese lui.
Jane lo
squadrò da testa a piedi.
Dante
sollevò un sopracciglio in attesa della risposta.
<<
Jane >> gli rispose dopo qualche attimo.
<<
Io sono Dante, piacere, ora devi venire con me >> le
afferrò la mano e si
incamminò.
<<
Io non vengo da nessuna parte >> gli disse Jane
liberandosi bruscamente
dalla sua presa, il braccialetto scottava. Jane lo ignorò.
Dante
alzò gli occhi al cielo, perché nessuno lo
ascoltava?
<<
Da quanto tempo vedi cose strane? >> Le chiese.
<<
Due giorni >> Gli rispose. << Ma
perché le vedo? >> Gli
domandò.
<<
Vorrei saperlo anch’io, non vuoi delle risposte?
>> Cercò di persuaderla.
<<
Certo! >>
<<
Allora devi venire con me >>
La
sala del
Consiglio era la stanza più grande di Buckingham Palace, la
stanza più
importante di tutta Londra. Era una sala molto ampia e luminosa,
arredata con
mobili di preziosi e tende di stoffe pregiate. Il lampadario in
cristallo era
posizionato al centro della stanza, proprio sopra il grande tavolo
ovale. Era
lì che sedevano i membri del Consiglio, con il capo del
Consiglio di Londra
seduto ad una delle due estremità. Proprio in quel momento
si stava tenendo una
riunione ufficiale.
<<
Come sapete abbiamo ricevuto delle lettere dal Consiglio Superiore
>> A
parlare era Donna Hastings, l’attuale capo del Consiglio. Era
una donna sulla
sessantina, con lunghi capelli argentati e occhi chiari. Aveva
un’aria risoluta
e decisa, molti membri avevano timore di lei. << Le
informazioni di cui i
nostri superiori sono venuti a conoscenza sono spaventose
>> Dichiarò.
<<
Venga al punto, non abbiamo tutto il giorno >> La sprono
James, che non
era tra coloro che la temevano.
<<
Le consiglio di chiudere la bocca James, o ne risponderete
personalmente >>
Lo ammonì Donna in tono severo.
<<
Ma che ti salta in testa? >> Sussurrò Henry a
James, cercando di
trattenere una risata.
<<
Come stavo dicendo >> Riprese Donna. <<
Sono giunte delle voci
secondo le quali Marcus Rowland stia formando un suo esercito
>>
Alcuni
dei sessanta membri sobbalzarono alle parole della loro superiore. Un
brusio
preoccupato si fece largo tra le mura della sala.
<<
Queste voci sono fondate? >> Chiese Lorenzo interrompendo
il brusio.
<<
Sappiamo che Marcus ha già minacciato
l’integrità del consiglio vent’anni fa,
prima di sparire, giurando di portarci alla rovina. Anche delle
semplici voci
dovrebbero bastare per allarmarci >> Gli rispose Donna,
rivolgendosi
all’intero Consiglio.
<<
E che cosa intende fare? >> Chiese
un’elementale.
<<
Dobbiamo scoprire se i sospetti che il Consiglio Superiore nutre sono
fondati,
seguiremo delle nuove piste ed addestreremo i nostri guerrieri al
meglio delle
loro capacità >> Rispose Donna mantenendo un
tono fermo.
<<
Sembra che ci stiamo preparando per affrontare una guerra
>> Si sentì
dire da uno dei viaggiatori.
<<
No, non sono le nostre intenzioni, ma se dovessimo subire un attacco i
nostri soldati
devono essere pronti a difenderci >> Li
rassicurò Donna.
<<
E, ditemi, che cosa farete se i sospetti si rivelassero effettivamente
fondati,
mia cara? >> Le chiese James.
<<
Porti rispetto signor Collins, è l’ultimo
avvertimento >> Lo riprese lei.
<<
Risponda alla mia domanda >> Insistette lui.
<<
Faremo ciò che è necessario >>
Disse Donna.
<<
Cioè? Uno sterminio? Avete intenzione di porre fine a delle
vite innocenti? >>
James era arrabbiato, furioso, ma cercava di nasconderlo quanto
più possibile.
<<
Se sono con Marcus non si possono definire innocenti >>
Intervenne Henry,
che ricevette uno sguardo d’approvazione dalla sua superiore.
<<
Non possiamo saperlo! Crede di avere potere decisionale anche sulla
vita o
sulla morte delle persone? Perché non è
così! >> Insistette James.
<<
Si calmi James! >> Gli ordinò Donna.
<< Se ci tiene a saperlo gli
ordini del Consiglio Superiore sono quelli di uccidere ogni mutaforma
che ci
capita tra le mani, decidendo di accertarmi della loro colpevolezza sto
mettendo in pericolo la mia carica e quella di tutti voi, quindi non mi
venga
ad accusare di simili sciocchezze! >>
La
confessione di Donna bastò ad azzittire James e tutti gli
altri uomini seduti a
quella tavola.
<<
Un’ultima cosa >> Aggiunse Donna.
<< Per non scatenare il panico
tra gli invisibili queste informazioni dovranno rimanere segrete
>>
<<
Non avevo dubbi >> Sussurrò seccato James.
<<
Quindi tu sei, una… una specie di mago? >>
Cercò di capire Jane.
<<
No, io viaggio nello spazio-tempo, gli stregoni sono più
simili al concetto
umano di mago >> le spiegò Dante.
<<
Concetto umano di mago >> ripeté Jane.
<< Wow, sembra di parlare
con un essere superiore >> disse sarcastica.
Dante
non rispose, continuò a camminare come se non avesse sentito.
<<
Posso sapere dove stiamo andando? >> gli chiese allora
Jane.
<<
A Buckingham Palace >> rispose Dante.
<<
Come? Quel Buckingham Palace? >> Jane non riusciva a
crederci, tutta
quella storia era assurda. Viaggiatori nel tempo,
stregoni, elementali… se non
avesse visto con i suoi occhi quello di cui queste persone erano
capaci, non ci
avrebbe mai creduto.
<<
Quanti Buckingham Palace conosci? >> le chiese Dante
sarcastico.
Jane
alzò gli occhi al cielo.
Lui
sollevò un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
<<
Comunque è una parte nascosta del palazzo >>
le disse poi.
<<
Come una parte sotterranea? >> chiese Jane.
<<
No, è in piena vista, ma le malie di protezione impediscono
che si noti >>
le spiegò.
<<
Malie? Stai scherzando? >> gli chiese con tono scettico.
<<
No, ne ho una anch’io, è per questo che non
dovresti vedermi >> le
rispose Dante con massima naturalezza.
<<
Ne aveva anche quella ragazza? È per questo che nessuno
riusciva a vedere che
cosa stesse succedendo? >> gli chiese.
<<
Quella ragazza si chiama Tamira >> la informò
<< E sì, le malie
sono d’obbligo per tutti gli invisibili >> le
rispose.
<<
Come quella bambina a Hyde Park >> disse tra
sé e sé.
Jane era
talmente sovrappensiero che non si rese conto di aver percorso tutta
Palace Street,
né di essere difronte all’entrata del palazzo
reale. Aveva il respiro corto,
sentiva dei brividi percorrerle tutta la schiena fino alla nuca sulla
quale le
si rizzarono i capelli. Lo stava facendo davvero? Stava entrando a
Buckingham
Palace con un perfetto sconosciuto? Sì, lo stava facendo.
Non che avesse molta
scelta, ogni volta che si azzardava a pensare di girare i tacchi ed
andarsene
la catenina iniziava a bruciarle la pelle intorno al polso, sospettava
che se
sé ne fosse andata sarebbe finita carbonizzata.
<<
Vieni >> le intimò Dante, che
iniziò a camminare superandola.
Jane lo
raggiunse a passo svelto, fiancheggiandolo.
<<
Bevi questa >> le ordinò poi passandole una
provetta contenente un
liquido trasparente.
<<
No che non la bevo >> disse lei.
<<
Sì che la bevi, è una malia, le guardie non
devono vederti >> le spiegò.
<<
Come faccio ad esserne sicura? >> chiese alzando un
sopracciglio con aria
interrogativa.
Dante si
fermò, tolse il tappo alla provetta e se la portò
alle labbra, bevendone un
piccolo sorso, guardò poi Jane spazientito.
<<
Tocca a te >> le disse porgendole il piccolo contenitore.
Jane lo
prese, osservò per un po’ la provetta, se
l’aveva bevuto anche lui non poteva
farle del male. Mandò giù il liquido tutto
d’un fiato, la cosa che la sorprese
è che la malia non avesse sapore, sembrava di star bevendo
dell’acqua, solo un
po’ più densa.
<<
Buona? >> le chiese mentre superavano il cancello.
<<
Insipida >> gli rispose facendolo ridere.
Entrarono
nel palazzo, come da programma nessuno li aveva visti. Dante,
ovviamente, era
abituato, ma a Jane fece uno strano effetto.
Superarono
l’ingresso trovandosi davanti ad un immenso portone nero che
stonava con il
resto del Palazzo. Sulla sommità del portone vi era incisa
in oro una frase: Dulce bellum inexpertis,
expertus metuit.
<<
È latino >> le disse Dante.
<<
Sì, lo so >> gli rispose. << La
guerra è dolce per chi non ha
esperienza, l’esperto la teme >> tradusse senza
staccare gli occhi dalle
parole.
Dante ne
rimase colpito.
<<
Esatto, è il credo del Consiglio >>
spiegò. << O lo era…
>> disse
poi sospirando.
Lei spostò
gli occhi su di lui, osservandolo con uno sguardo interrogativo.
Dante si
riprese dallo stato di trans in cui era caduto ed aprì il
portone. Entrò
tenendo la porta aperta per Jane.
<<
Questa quindi è la parte nascosta? >> gli
chiese.
<<
Sì, ti porto nella sala del Consiglio, stanno tenendo una
riunione, ma la tua
questione è più importante >>
La
discussione tra i membri del consiglio fu bruscamente interrotta da
Dante che
spalancò la porta d’ingresso attirando gli sguardi
di tutti su di lui.
Non era
permesso agli invisibili al di fuori del Consiglio di stare nella sala
delle
riunioni, figurarsi entrare mentre i membri sono riuniti per discutere
di
argomenti che dovevano restare segreti. Stava infrangendo le regole, il
sangue
gli si gelò nelle vene procurandogli un formicolio sui palmi
delle mani e sugli
avambracci, sentiva una pressione sul petto, come se l’aria
fosse diventata più
densa, più difficile da respirare. Nonostante ciò
sostenne gli sguardi di
rimprovero delle persone nella stanza a testa alta.
Spostò
lo sguardo su suo padre, Lorenzo ribolliva di rabbia.
Tutti
gli uomini seduti a quel tavolo lo guardarono allibiti e con
rimprovero, ma lui
ricambiò con sguardi ancora più severi che
costrinsero alcuni di loro a
voltarsi verso Donna.
<<
Lorenzo, non è vostro figlio il giovane che è
appena entrato? >> gli
chiese Donna senza staccargli gli occhi di dosso.
<<
Sì, e non ho la minima idea di cosa gli sia passato per la
testa >> gli
rispose Lorenzo fulminando Dante con lo sguardo.
<<
C’è una questione urgente sulla quale dovete
essere informati >>disse
Dante con la massima fermezza e autorevolezza di cui era capace.
<<
Dante, abbiamo da fare, questo non è né il
momento né il luogo >> Lo
liquidò suo padre.
<<
Ha detto che è urgente, io direi di ascoltarlo
>>Lo difese James,
facendogli poi l’occhiolino, Dante gli sorrise riconoscente.
<< O non vi
importa di quello che i nostri migliori guerrieri hanno da dire?
>>
Chiese a Donna puntando gli occhi chiari nei suoi.
Donna
guardò James con severità e rimprovero, per poi
spostare lo sguardo su Dante.
<<
Parla >> Gli ordinò.
<<
Durante la missione ho trovato una ragazza… >>
Incominciò a raccontare.
No, io ho
trovato te.
Pensò Jane. Era rimasta vicino
alla porta d’ingresso, lontana dagli occhi dei membri, come
le aveva suggerito
Dante.
<<
Un’umana >> Continuò.
<< Ha visto Tamira e Derek usare i loro
poteri questo pomeriggio e ha visto me indagare durante la missione
nonostante
fossimo tutti protetti dalle malie >>
<<
Come?! Com’è possibile? >> Donna
sembrava allarmata.
<<
Non lo so, è per questo che ve lo sto dicendo
>> Le rispose Dante.
<<
Come fai ad essere sicuro che fosse umana? >> Gli chiese
Henry.
Già,
come? Non lo sapeva, lo aveva dato per scontato, era talmente
concentrato sulla
missione e sulla sua scoperta che il pensiero che Jane stesse mentendo
non lo
aveva neanche sfiorato. Come aveva potuto commettere un simile errore?!
Lui che
era sempre così attento! Così sveglio! Che cosa
avrebbe detto ora al Consiglio?
<<
Non lo sono, ma non può fuggire fin che non decido di
toglierle la catena
incantata >> si giustificò.
<<
Vede? Ha catturato una creatura sospetta senza lasciarle via di fuga e
l’ha
consegnata direttamente a lei, direi che la sua prima missione
è stata un
successo >> disse James continuando a difendere il
ragazzo.
<<
E comunque lo sono >> Dichiarò Jane entrando
nella sala, mostrandosi agli
occhi degli uomini lì seduti. Non ce la faceva
più a restare in disparte mentre
dozzine di persone parlavano di lei.
I membri
del consiglio si stupirono nel vederla entrare, alcuni addirittura
sobbalzarono. Jane poteva intuire i loro pensieri dalle espressioni di
disapprovazione che avevano, soprattutto la donna dai lunghi capelli
grigi,
probabilmente aveva commesso un passo falso, ma non poteva neanche
rimanere
dietro quella porta per tutto il tempo, no? Non ora che era
così vicina ad
ottenere delle risposte, non ora che la sua realtà era stata
bruscamente
capovolta, cancellata e riscritta.
<<
Dante, che cosa… >> Iniziò suo
padre, ma venne interrotto.
<<
Lei è Jane, la ragazza di cui vi parlavo >>
Spiegò al Consiglio.
<<
Sei stato avventato a portarla qui, potrebbe essere una spia
>> Lo
rimproverò un elementale.
<<
Spia? >> Chiese Jane confusa, ma venne ignorata.
<<
Potrebbe, ma lo sapremo con certezza dopo averla interrogata con la
malia della
verità >> Disse Dante.
Jane lo
guardò con rimprovero. Si aspettava che volessero
interrogarla, lei al loro
posto avrebbe fatto lo stesso, ma ricorrere a una… malia?
Dante si
accorse del suo sguardo.
<<
Tranquilla, se quello che mi hai raccontato è vero, non hai
nulla da temere >>
Le sussurrò rassicurandola.
<<
Era il tuo piano fin dall’inizio? >> Gli chiese.
<<
No, mi è venuto in mente qualche attimo fa >>
Le rispose con
disinvoltura.
Ma che
bastardo! Pensò,
anche se il suo modo di
fare la intrigava.
Dante
notò che James stava armeggiando con il suo smartphone,
conoscendolo stava
avvertendo Tamira dell’arrivo di Jane.
<<
E sia, procediamo >> Decretò Donna.
<< Henry >> Lo chiamò.
Henry,
che sapeva già cosa fare, si alzò dalla sedia e
uscì dalla stanza.
<<
Sta andando a prendere il siero della verità?
>> Chiese Jane a Dante.
<<
La malia >>La corresse lui. <<
Sì >> Rispose poi.
Tamira
era nel laboratorio di Henry insieme a Will che stava sfogliando un
librone
dalle pagine ingiallite con l’intenzione di trovare qualche
incantesimo che
potesse aiutarlo con il suo progetto.
<<
Trovato niente? >> Gli chiese mentre giocava con uno
degli anelli
passandoselo tra le dita. Non ci aveva fatto troppo caso fino a quel
momento,
ma gli anelli temporali avevano un certo stile, con quella placcatura
in oro e
i numeri romani da uno a dodici incisi sulla circonferenza.
<<
Non ancora >> Le rispose Will senza staccare gli occhi
dalle pagine.
<<
Mi piacerebbe poterti aiutare >> Gli disse Tamira.
<<
La tua compagnia è di grande aiuto >> La
rassicurò Will.
<<
Dico sul serio >> Disse Tamira pensando che la stesse
prendendo in giro.
<<
Anche io >> Gli disse Will senza pensarci troppo.
Tamira
perse un battito, lo guardò cercando di nascondere lo
stupore.
Will si
rese conto di ciò che le aveva detto e arrossì
violentemente. Non la guardò per
l’imbarazzo, decise invece di voltare pagina fingendo di
essere concentrato
sulla ricerca.
Tamira
riprese a giocare con l’anello, sospirò.
Nel
laboratorio calò un silenzio imbarazzante, silenzio che
venne interrotto dalla
suoneria del cellulare di Tamira. Lei lo prese e
guardò lo schermo.
<<
Chi è? >> Le chiese Will.
<<
Mio padre >> Gli rispose leggendo il messaggio.
<< Oddio… >>
Commentò incredula dopo aver finito di leggerlo.
<<
Cosa? >> Gli chiese Will estremamente incuriosito dalla
reazione che
Tamira aveva avuto.
Tamira
gli passò il cellulare.
<<
Nuova arrivata? Che vuol dire? >> Chiese confuso.
<<
è quello che ha detto al padre di Dante quando mi ha portata
qui >> Gli
spiegò lei.
<<
Cioè? C’è una nuova invisibile nel
palazzo? >> Chiese.
In quel
momento Henry entrò nel laboratorio.
<<
Papà, che fai qui? >> Chiese Will.
<<
Devo prendere una malia della verità >> Gli
rispose prendendo una fiala
di vetro dal cassetto del tavolo da lavoro.
<<
è per la nuova arrivata? >> Gli chiese Tamira.
Henry li
guardò interrogativo per qualche secondo, posando lo sguardo
prima su uno e poi
sull’altra.
<<
E voi due come... >> Iniziò, ma
capì da solo. << James? >>
Chiese.
I
ragazzi annuirono.
<<
Avrei dovuto immaginarlo. A questo punto venite con me >>
Gli disse uscendo
dalla stanza, Tamira e Will non se lo fecero ripetere due volte.
<<
Mi piacerebbe che smettessero di fissarmi >>
Sussurrò Jane.
<<
Non credo sia possibile, per loro sei come… >>
Iniziò Dante.
<<
Un cane che parla >> Finì Jane per lui.
<<
Diciamo così >> Le disse poco convinto.
Henry
entrò nella sala seguito da Will e Tamira, i due si
fermarono poco dopo la
porta, i loro occhi incontrarono la figura di Jane, Will le sorrise,
sorriso
che lei ricambiò, mentre Tamira iniziò a
studiarla.
<<
Lei è Tamira, vero? >> Chiese Jane riferendosi
alla ragazza appena
entrata.
<<
Sì, è lei che hai visto >> Le
rispose Dante bisbigliando.
<<
Ha costruito un muro da nulla >> Disse Jane meravigliata
dalle sue
capacità.
<<
Ha solo mosso l’asfalto da terra >> Disse Dante
some fosse stato del tutto
normale.
<<
Solo… >> Commentò sarcastica.
<<
Bene >> Donna parlò attirando
l’attenzione di tutti i presenti su di sé.
<< Procediamo >> Ordinò facendo
un cenno a Henry. Quest’ultimo
prese una sedia imbottita di velluto rosso e la portò
all’estremo del tavolo
vuoto.
<<
Prego signorina, si accomodi pure >> Disse facendole
gesto di sedersi.
Ci siamo. Pensò.
Prese un respiro profondo,
l’aria nei polmoni le faceva male e le mani le formicolavano.
Quando iniziò ad
avvicinarsi alla sedia temette di cadere, sentiva le gambe molli,
quando si
sedette ringraziò di non aver fatto una figuraccia davanti a
decine di persone.
Assurdo che quella fosse la sua più grande preoccupazione
quando stavano per
interrogarla, lo riconosceva anche lei.
<<
Tutto d’un fiato >> Le disse Henry passandole
la malia e sorridendole nel
tentativo di metterla a suo agio.
Jane
afferrò la fiala, il colore della sostanza che conteneva le
suscitò nella mente
l’immagina di alcuni smeraldi che si fondevano assieme.
<<
Alla salute >> commentò prima di bere, sul
viso le si dipinse
un’espressione di disgusto << Dio! È
amarissima! >> Commentò.
I membri
del consiglio spostarono i loro sguardi su Donna, in attesa che
iniziasse ad
interrogarla.
<<
Bene, signorina, iniziamo con una domanda semplice, qual è
il tuo nome? >>
Le chiese.
<<
Jane >> Rispose lei, senza capire il motivo della
domanda, sapevano il
suo nome.
<<
Il tuo nome completo >> Specificò.
Ah, ecco.
<<
Jane Clara Rothfeller >> Rispose. Cavolo! Quella malia
funzionava bene!
<<
Quanti anni hai, Jane? >> Continuò.
<<
Diciassette >>
<<
Bene, passiamo al succo della questione, raccontaci come sai del mondo
invisibile >>
Jane le
raccontò della bambina ad Hyde Park, delle cose che aveva
visto dalla vetrina
del Cinnamon Roll Caffè e del perché aveva deciso
di seguire Dante una volta
averlo riconosciuto, di come lui la aveva attaccata e del
perché aveva deciso
di portarla lì.
<<
Sembra pulita >> Disse James.
<<
Sembra di sì >> Confermò Donna.
<< Tuttavia mi chiedo come un
essere umano possa sconfiggere le barriere magiche >> Si
chiese senza
staccare gli occhi scrutatori da Jane.
Le
sembrava che quegli occhi potessero scavarle nell’anima. Che
sensazione
fastidiosa!
<<
Dissolva il potere della malia, Henry >> Gli
ordinò Donna.
Henry si
avvicinò a Jane e le mise due dita sulla fronte applicando
una leggera
pressione. Jane avvertì una strana sensazione stranissima,
come se fino a quel
momento la testa le fosse stata fasciata con bende troppo strette e ora
gliele
avessero tolte, o come quando si scioglieva i capelli dopo averli
tenuti legati
in una coda di cavallo troppo tirata, troppo a lungo. Intuì
che la malia era
stata sciolta.
<<
Ecco cosa faremo: Henry, domani effettuerà degli esami sulla
ragazza, voglio
sapere se possiede qualche potere fin ora dormiente >>
<<
Esami? >> Chiese Jane allarmata.
<<
Non preoccuparti, non sono diversi da quelli che si fanno nei normali
ospedali >>
La rassicurò lo stesso Henry.
<<
Quanto a lei, signorina Rothfeller >> Riprese Donna.
<< È libera di
tornare a casa, ma non dovrà parlare del mondo invisibile
con nessuno. Domani
mattina tornerà qui e controlleremo con un’altra
malia della verità se ha
rispettato le restrizioni che le ho appena imposto >>
<<
E se non volessi tornare? >> Chiese Jane sfidandola.
<<
Manderò qualcuno a cercarla e vi farò portare qui
con la forza >>
Jane rise.
<<
Immagino che le hai dato una malia per entrare >> Chiese
Donna a Dante.
<<
Sì, la malia celante >> Rispose lui.
<<
Bene, ti prego di dargliene un’altra per domani e
l’antidoto per quando sarà
tornata a casa. Accompagnala fuori >>
<<
Quindi mi hai vista oggi? >> Le chiese Tamira una volta
usciti dalla
sala. La stava accompagnando all’ingresso insieme a Will e
Dante. Era eccitata
all’idea che quella Jane potesse essere una di loro,
finalmente qualcuno con
cui poter parlare di cose da ragazze, come cicatrici e coltelli
tascabili.
<<
Sì, so che magari per voi è normale, ma sei stata
incredibile! >> Le
confessò.
<<
È incredibile anche per i nostri standard, Tamira
è l’unica elementale capace
di controllare tutti gli elementi >> Spiegò
Dante.
<<
Con l’aria ho qualche difficoltà, ma me la cavo
>> Confessò.
<<
Io sono Will, uno stregone, Henry è mio padre
>> Si presentò.
<<
Tuo padre è l’unico tra quei musi lunghi ad avermi
trattata con gentilezza >>
Gli disse Jane.
<<
Guarda che tra quei musi lunghi c’erano anche mio padre e il
suo >> La
informò Tamira indicando prima sé stessa e poi
Dante.
<<
Ops, scusate >> La voce le uscì flebile.
<<
Tranquilla, “muso lungo” è la
descrizione perfetta del padre di Dante >>La
rassicurò Will.
<<
Taci, Will >> Gli intimò Dante.
Jane
aveva l’impressione che tra quei tre ci fosse un legame
profondo, forse per la
disinvoltura con cui si rivolgevano l’un l’altro.
I tre la
accompagnarono fino al cancello esterno dove Dante le diede la malia
celante e
l’antidoto che bevve non appena glielo porse.
<<
A domani, Jane >> la salutò Tamira.
Lei fece
un gesto con la mano allontanandosi.
Marcus
Rowland quella sera ricevette un messaggio, due parole:
È qui.
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Capitolo 5 *** CAPITOLO 4 ***
CAPITOLO 4
Jane
tornò, come promesso, a Buckingham Palace la mattina
seguente. Le fecero bere
la malia della verità e la interrogarono nuovamente.
Henry
Bennett, che da quanto aveva capito era il medico ufficiale del
consiglio, la
portò nel laboratorio.
A
differenza del laboratorio da stregone dove di solito Will trascorreva
il suo
tempo, il laboratorio medico somigliava più a quello di un
chimico. Le pareti
erano completamente bianche, una di esse era ricoperta da scaffali
piene di
boccette di vetro variopinte (Jane intuì fossero malie), al
centro del
pavimento piastrellato c’era una sedia imbottita che
somigliava
straordinariamente ad una poltrona da dentisti. Vicino alla scrivania
c’era un
computer che aveva l’aria d’essere molto complicato.
-Come
stai, Jane? - le chiese Henry cercando di metterla a suo agio.
-Al
momento, signor Bennett, non so risponderle- gli confessò
Jane. Era vero, non
avrebbe saputo rispondere, provava uno strano miscuglio di emozioni
dalla sera
precedente, tanto che, una volta tornata a casa e andata a letto, non
era
riuscita a chiudere occhio, neanche le gocce di biancospino di Mike
l’avevano
aiutata.
Henry
rise.
-Beh,
credo sia piuttosto normale considerato tutto- Henry prese un ago
sterilizzato
dal cassetto. -Siediti, per favore- le disse indicandole la poltrona da
dentista.
-Cosa mi
farà? - chiese Jane.
-Ho
bisogno di un campione del tuo sangue, nulla di terrificante,
tranquilla- le
rispose Henry.
Jane si
sedette mettendosi più comoda possibile, Henry le prese il
braccio e posizionò
la sua mano sulla vena. Jane percepì un calore confortevole
attraversarle la
pelle per poi dissolversi.
-Che
cos’era? - gli chiese Jane.
-Ti ho
anestetizzato la zona- le rispose Henry mentre le prelevava il sangue.
Jane non
si accorse neppure dell’ago.
Henry,
con la siringa piena, si avvicinò al computer ed
inserì il sangue in un
contenitore ad esso collegato, apparvero dei dati sullo schermo.
Henry
diventò di ghiaccio. Non si muoveva, non parlava,
l’unica cosa che faceva era
continuare a fissare il monitor.
Jane,
notando quello strano comportamento, iniziò a sudare freddo.
C’era qualcosa che
non andava?
-Signor
Bennett? - trovò il coraggio di chiamarlo.
Henry si
girò verso di lei risvegliandosi dallo stato di trance in
cui era caduto. Jane
notò che era sbiancato.
-Va
tutto bene? - chiese preoccupata.
-Sì,
è
tutto a posto, permettimi di controllare un’ultima cosa-
disse prendendo due
fili collegati al computer.
Avevano
una ventosa all’estremità che Henry
posizionò sulle tempie di Jane.
-Chiudi
gli occhi e cerca di rilassarti- le disse sorridendole.
Rilassarsi
non è facile quando si hanno dei fili colorati collegati
alla testa. Nonostante
ciò cercò di fare quello che il signor Bennett le
aveva consigliato, anzi,
ordinato.
Henry
tornò a guardare lo schermo del computer e, ancora una
volta, rimase di sasso.
Non poteva essere vero, i dati sullo schermo non avevano alcun senso,
com’era
possibile una cosa del genere? Com’era possibile un essere
del genere?
Dei
rumori provenivano dalla sala d’addestramento, Tamira
entrò trovando Dante ad
allenarsi con l’uomo di legno, uno strumento per perfezionare
le tecniche di
combattimento orientali. Stava mettendo troppa forza nei movimenti, se
avesse
continuato a colpirlo così forte lo avrebbe di certo rotto,
nonostante ciò, non
si fermò.
Solo una
volta lo aveva visto allenarsi con altrettanta foga, durante la prima
missione
di Will.
-Stressato?
- Gli chiese facendolo girare verso di lei.
Dante le
sorrise voltandosi per prendere l’asciugamano sulla panca.
-Tu che
ne dici? - le chiese sarcastico.
-È
per
la nuova ragazza? - azzardò Tamira.
-Jane-
la corresse Dante. Tamira sorrise beffarda -Sì- ammise lui.
-Credevo
ti piacesse- disse Tamira.
-Beh, a
differenza di quanto si può credere, non mi fido di lei- le
spiegò Dante.
-Sei
stato te a portarla qui o sbaglio? - gli fece notare Tamira con una
punta di
rimprovero nella voce.
-Non
sbagli, ma l’ho fatto solo perché possano tenerla
sotto controllo- disse Dante
saccente.
-Solo
per questo? - gli chiese alzando un sopracciglio.
-Non
fare quella faccia- la avvertì.
-Quale
faccia? - chiese lei.
-la
faccia da “Io sono Tamira Collins e so tutto”-
disse imitandola.
-È
così?
- lo stuzzicò sorridendo beffarda.
-Ah, sta
zitta! - le disse ridendo e lanciandole l’asciugamano.
Tamira
lo afferrò prima che le finisse in faccia.
-Voglio
sentirtelo dire, avanti- lo sfidò appallottolando
l’asciugamano per poi lanciarglielo
indietro.
Dante lo
prese, guardò Tamira per un po’, aveva la
determinazione di un leone quella
ragazza.
-L’ho
portata qui perché non avevo alcuna intenzione di tornare a
mani vuote- ammise
sospirando.
-Ah, il
dolce suono della verità.
Henry si
avvicinò a Jane togliendole i cavi dalla testa. Jane,
sentendo il signor
Bennett così vicino aprì gli occhi, la prima cosa
che vide fu proprio il volto
diafano del medico, la sua pelle aveva assunto uno strano colore
grigiastro e
aveva gli occhi vigili spalancati, respirava pesantemente anche se
stava
cercando di nasconderlo. Era spaventato? Era Jane quella che doveva
esserlo,
era a lei che era stato prelevato del sangue, era lei quella che era
stata
collegata al computer. Che cosa aveva letto su quello schermo che lo
turbava
tanto?
-Puoi
aspettarmi un attimo qui, Jane? - Le chiese lui in tono gentile.
Lei
annuì.
Henry le
sorrise ed uscì dal laboratorio.
Jane
aspettò che fu abbastanza lontano per scendere dalla sedia e
scappare via. Se
il signor Bennett credeva che non si fosse accorta del suo strano
atteggiamento
si sbagliava, se credeva di averla incantata con le parole gentili si
sbagliava, se credeva che non avesse provato a scappare…beh,
non poteva essere
più in errore.
Si
ritrovò a camminare per un lungo corridoio della sera prima,
la porta d’uscita
non era troppo lontana, certo sarebbe stato strano per le guardie
trovare una
perfetta sconosciuta in mezzo all’ingresso di Buckingham
Palace ora che la
malia celante aveva esaurito il suo effetto. Jane frugò
nella tasca del
giacchetto di Jeans tirando fuori la fiala in vetro che Dante le aveva
dato la
sera prima, era vuota, l’aveva utilizzata tutta per entrare a
palazzo.
-Magnifico-
disse tra sé e sé.
Percepì
una strana sensazione al polso, un pizzicore, si ricordò
della catenina dorata
con cui Dante le aveva gentilmente sottratto la libertà di
andarsene. Alzò gli
occhi al cielo, come mai l’effetto della catena non si
esauriva e quello della
malia celante sì?
Jane
sentì delle voci poco lontane.
-È
per
la nuova ragazza?
-Jane,
sì.
Sentendo
il suo nome decise di avvicinarsi arrivando all’ingresso di
una specie di
palestra, non entrò, rimase nascosta dietro la porta.
Erano
Dante e Tamira a parlare, perché stavano parlando di lei?
Domanda stupida, era
ovvio che parlassero di lei! Era quella nuova, il nuovo giocattolino,
chissà
quanto doveva essere eccitante per loro avere questo mistero tra le
mani.
-Beh, a
differenza di quanto si può credere, non mi fido di lei-
disse Dante.
Jane non
aveva alcun dubbio su questo, non ne rimase sorpresa la cosa che la
fece
arrabbiare fu sentirlo dire che l’aveva portata qui solo per
non tornare a mani
vuote, cos’era lei? Un osso per cani da riportare al
padroncino?
-Che
cosa fai qui fuori?
Henry
entrò nell’ufficio di Donna, era un ufficio
abbastanza grande e luminoso, i
mobili erano in legno di rosa ed il colore predominante era il blu
delle
pareti, Henry sapeva, come tutti i consiglieri, che quel blu grigiastro
era il
colore preferito da Donna.
-Spero
che tu sia qui per darmi delle risposte, Henry.
-Ho
effettuato i test sulla ragazza- disse Henry con voce spezzata.
-Ebbene?
- chiese severamente Donna.
-Non ho
mai visto niente del genere- confessò Henry, la sua fronte
era imperlata di
sudore freddo, solo ora Donna sembrava averci fatto caso.
-Parla
Henry, non mi piace essere tenuta sulle spine- chiese, quindi,
impaziente.
-Dai
risultati emerge che ha sangue di elementale nelle vene…-
disse Henry prima di
venire interrotto.
-È
un
invisibile dunque, e io che credevo…
-…e
di
stregone- finì Henry interrompendo Donna.
Quest’ultima
aveva gli occhi chiari spalancati e le labbra socchiuse, forse non
aveva capito
bene.
-Che
cosa hai detto? - chiese Donna con un filo di voce.
-Possiede
sangue di elementale e, di stregone- ripeté Henry con
più convinzione.
Com’era
possibile una cosa del genere? In tutta la loro storia non si era mai
sentito
di un essere dalla doppia natura, persino i mutaforma più
temibili ed esperti
non erano in grado di esercitare due diversi poteri nello stesso corpo.
Se
quella ragazza fosse finita nelle mani sbagliate… no, non
doveva succedere e
non sarebbe successo, non lo avrebbe permesso.
-Henry,
chiama i rappresentanti e porta la ragazza nella sala del consiglio.
-Che
cosa vuole farne? Di Jane, intendo- chiese con un filo di
preoccupazione.
-Non
c’è
da preoccuparsi.
Il
ragazzo alle sue spalle la colse di sorpresa, con le mani nel sacco,
spaventandola, dannazione! Poteva andare peggio?
Jane si
voltò riconoscendo la figura del giovane dai capelli rossi.
-Will,
era Will, vero? - chiese imbarazzata.
Will
annuì appena.
-Stai
spiando? - le chiese.
-No! -
esclamò Jane indignata.
-A me
sembra proprio di sì, invece- insistette lui.
-Ho
sentito che parlavano di me e mi sono avvicinata, ecco tutto-
spiegò lei.
-Quindi
stai spiando.
-Cosa?
No, io…ah! Pensa quello che ti pare! - Jane
diventò rossa in viso per la
vergogna, sentiva una voragine nel petto.
-D’accordo,
d’accordo- disse Will liquidando la faccenda,
guardò all’interno della sala
d’addestramento, Dante e Tamira stavano ancora discutendo
ignari della loro
presenza.
-Non dice
sul serio- disse a Jane.
-Di chi
parli? - chiese lei.
-Di
Dante, non ti ha portata qui solo perché non voleva tornare
a mani vuote, cioè,
in parte è così, ma portarti qui costituisce un
enorme rischio per lui, non ci
si può fidare di nessuno ultimamente- sospirò.
-Perché?
Che succede “ultimamente”? - chiese Jane
incuriosita.
-Ah no,
mi dispiace, ho detto anche troppo, sono affari del consiglio- si
difese Will.
Jane
alzò gli occhi al cielo, perché loro dovevano
sapere tutto di lei al punto di
esaminarla e lei non poteva sapere niente su di loro? E la chiamano
giustizia…
-Ah! -
Will si lamentò portandosi le dita alle tempie. Le fitte dei
messaggi telepatici
erano ancora troppo intense per uno stregone del suo livello.
-Ehi, va
tutto bene? - gli chiese Jane sinceramente preoccupata.
-Si, si,
non è niente- liquidò in fretta lui. -Dobbiamo
andare alla sala del consiglio-
le disse.
-E chi
lo dice? - gli chiese incrociando le braccia.
-Mio
padre, tra l’altro credono che tu sia scappata e se non vuoi
finire in guai
seri dobbiamo fare in fretta.
Jane si
chiese se le avessero inflitto qualche tipo di tortura come punizione,
al
pensiero le venne la pelle d’oca.
-Ehi,
ragazzi! - Will entrò nella sala chiamando Dante e Tamira,
Jane lo seguì senza
pensarci troppo, i due si voltarono verso Will, gli occhi di Dante si
posarono
severi su Jane.
-E lei
che fa qui? Non dovrebbe essere con Henry? - chiese.
-Sì,
a
questo proposito, siamo tutti convocati dal capo consigliere- disse
Will.
-Perché?
Che è successo? - chiese Tamira, confusa ed anche un
po’ preoccupata, non è mai
un buon segno quando si è convocati da Donna Hastings.
-Non ne
sono sicuro, ma credo abbiano scoperto qualcosa sulla nostra ospite-
suppose
Will.
-Potreste
non parlare come se non ci fossi- chiese irritata Jane.
-Allora
non c’è tempo da perdere- continuò
Dante ignorandola completamente.
-No,
credo anch’io- concordò Will.
Jane
sospirò.
I due
ragazzi si diressero a passo svelto verso il corridoio, seguiti dalla
figura
snella di Tamira che, poco dopo, si voltò verso Jane
sorridendole.
-Andiamo?
Nella
sala del consiglio dominava un’atmosfera carica di tensione,
i quattro ragazzi
ne sentirono il peso sulle spalle da subito. Donna era al centro della
sala
spalleggiata dal padre di Dante, James ed una donna dai lineamenti
asiatici.
Poco distante da loro sedeva Henry, palesemente contrariato dal
comportamento
di Jane.
-Ci
siete tutti, bene- disse Donna.
-Perché
siamo qui? - le chiese Tamira.
-Per i
risultati dei test di Jane- rispose lei.
-Qualcosa
non va? - chiese Dante cercando di nascondere la tensione.
-Jane
è
un’invisibile- dichiarò Donna.
Tamira
sorrise, felice della notizia, se Jane era un’invisibile
voleva dire che
sarebbe dovuta restare, che avrebbe avuto un’amica, una
specie di sorella
magari.
-Come?
Io?
La voce
di Jane tremava, non riusciva a capire come si sentiva, percepiva il
sangue
pulsarle sino alla testa.
Tamira
smise di sorridere, dalla sua espressione si capiva che Jane non la
pensava
come lei.
-Hai
sangue di stregone nelle vene- continuò Donna.
-Lo dice
come se fosse una brutta cosa- disse Will nel vano tentativo di
alleggerire
l’atmosfera.
-Non
è
tutto…- gli occhi di tutti i presenti scattarono sulla capo
consigliera, sia
Lorenzo che James che la donna asiatica sembravano sapere che cosa
avrebbe
detto. -…sei anche un’elementale- concluse.
Jane
sentì i tre ragazzi accanto a lei trattenere il fiato
sconvolti dalle parole
appena sentite.
-Cosa?!
- chiese Dante sbigottito.
-Com’è
possibile? - si aggiunse Tamira.
-Non ne
abbiamo idea, ma una cosa è certa, può essere una
risorsa utile per il
consiglio- disse Donna.
Una
risorsa, cos’era? Una fonte di energia rinnovabile? Jane era
stufa di essere
trattata come un oggetto, da quando era arrivata non avevano fatto
altrimenti,
prima l’interrogatorio, poi i test e ora questo, avevano
superato il punto di
rottura.
-Io non
sono una risorsa, sono una persona! Ho il diritto di scegliere se
restare o
meno, non mi interessa che politica avete qui, non osate prendere
decisioni al
posto mio! - quasi urlò.
Nella
sala calò il silenzio, erano tutti stupiti dal tono con cui
le aveva risposto,
tutti tranne la stessa Donna, lei sembrava compiaciuta.
-Bene,
scegli dunque, vuoi restare o andar via? Sappi però che se
deciderai di
andartene la tua memoria verrà cancellata, sarai tenuta
d’occhio, sia te che le
persone che ti circondano, giorno e notte, i miei subordinati sono
stati addestrati
a spiare e pedinare criminali internazionali e ti do la mia parola che
verrai
trattata come tale- disse.
Jane
sentiva la rabbia salirle al petto fino a creare una voragine che
sarebbe stata
riempita solo dopo aver preso a schiaffi Donna, strinse il pugno fino a
farsi
male, le unghie nella carne pizzicavano.
Dante le
mise una mano sulla spalla, Jane sobbalzò a quel contatto,
si voltò verso di
lui, la sua espressione era indecifrabile.
-D’accordo-
si arrese alla fine.
-Ci
avrei giurato- commentò Donna -Sarai addestrata alle arti
magiche ed
elementali, lascerò che i miei rappresentanti nominino i
tuoi tutori- disse
rivolgendosi ai tre accanto a lei.
-Tamira
ti darà filo da torcere, ma non c’è
elementale migliore di lei in tutto il
mondo- disse James.
-Lavinia?
- Donna si rivolse alla ragazza asiatica.
-Dato
che sei qui, Will, sarai tu ad insegnarle la stregoneria-
decretò lei.
-Bene,
Dante- lo chiamò Donna. -Tu la addestrerai nel combattimento
e nella strategia
militare.
-Come?
Perché io? - protestò lui.
-Sei o
non sei il miglior soldato che abbiamo? - chiese Donna sarcastica.
Un’altra
faccenda che lo avrebbe tenuto lontano dalle missioni sul campo. Dante
sbuffò.
-Potete
andare.
I tre
ragazzi uscirono dalla stanza portando Jane con loro.
-Non
sono del tutto convinto della ragazza- disse Henry.
-No,
neanche io- concordò Lorenzo.
-La sua
duplice natura è a dir poco sospetta- disse Donna.
-Bisognerà
tenerla d’occhio- decretò Lavinia.
-Chiedo
il permesso di indagare più a fondo sul conto della ragazza-
chiese Henry a
Donna.
-Accordato.
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