Tempi Supplementari

di ayamehana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fuga dal Villaggio Joketsuzoku ***
Capitolo 2: *** Mi sposo! ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 4: *** Tubi dell'acqua e docce calde ***
Capitolo 5: *** Dubbi e tormenti ***
Capitolo 6: *** Solo un collega di lavoro ***
Capitolo 7: *** Il suo incubo peggiore ***
Capitolo 8: *** Sentimenti contrastanti ***



Capitolo 1
*** Fuga dal Villaggio Joketsuzoku ***


Dedico questa fanfiction a tutti voi, che mi avete sempre incoraggiata a scrivere; mentre ringrazio la mia betareader, Veronica, che mi sta dando una grandissima mano a correggere questa storia. So di essere un'eterna indecisa, quindi, grazie per la pazienza e per tutti i buoni consigli! Un ringraziamento speciale va anche a Sofia per aver creato il banner di questa storia!
Ho inserito la nota OOC per sicurezza per alcuni personaggi, ma cercherò di rimanere fedele il più possibile alla loro caratterizzazione!
 
 
Tutti i personaggi di questa fanfiction sono maggiorenni e appartengono alla fantasia di Rumiko Takahashi.

 
CAPITOLO I

FUGA DAL VILLAGGIO JOKETSUZOKU



 
Come tutte le sere, la terrazza dello Sky Bar era gremita di gente che chiacchierava, flirtava, ballava al ritmo della musica assordante che proveniva dall’interno del locale. Sembravano essere tutti di buon umore, ad eccezione di Akane che – dannazione!– non riusciva a ricacciare indietro il nodo che si era formato all’altezza della sua gola. E dire che avrebbe dovuto fare i salti per la felicità, mentre invece si ritrovava lì a bere come una spugna! Sospirò, mentre la voce del suo ex ragazzo ritornava vivida nella sua mente; arrabbiata, ferita, disperata: «Dimmi che lo ami e io mi farò da parte. Tornerò in Cina, sparirò per sempre dalla tua vita.»

Bella domanda: lei lo amava? Per anni aveva creduto di sì, ma ora non ne era più tanto sicura. A dir la verità, da quando Ranma era ritornato nella sua vita, tutte le sue certezze erano crollate. Non avevo idea di essere così… debole, rimuginò Akane, fissando il bicchiere ormai mezzo vuoto.
Si era fatto tardi, forse avrebbe dovuto tornare a casa. In fondo, l’indomani sarebbe stato il grande giorno. Non poteva certo presentarsi al suo matrimonio con quell’aria stanca e sciupata!
Sospirò, mentre una folata di vento dispettosa le scompigliava i lunghi capelli scuri. Accidentaccio, che freddo! pensò, maledicendosi mentalmente per non essersi portata una giacca.

«Che ci fai qui fuori?» Mannaggia, penso così tanto a Ranma che credo anche di sentire la sua voce. Il sonno mi sta dando davvero alla testa!

«Terra chiama Akane! Sei anche diventata sorda, per caso?»

Si girò. Il codinato era proprio di fronte a lei, non se l’era immaginato! Indossava una vecchia tenuta da ginnastica che gli metteva in risalto i pettorali. I capelli neri, legati come al solito in una treccia, erano in disordine e gli coprivano malamente gli occhi, che ora la scrutavano con aria curiosa. «Ranma…»

 «Accidenti a te, vuoi prenderti un malanno?!» borbottò il ragazzo, sfilandosi la giacca prima di  lanciargliela.

Akane si inebriò per un breve attimo del suo odore: sapeva di profumo da uomo, di sudore… sapeva di Ranma.  Arrossì involontariamente. «G-Grazie. Cosa ci facevi qui?» Mi hai seguita?

«Ti ho vista entrare in palestra», rispose il suo ex fidanzato, ficcando le mani in tasca. «Mi chiedevo che cavolo stessi combinando… Non dovresti essere in giro con Akari e gli altri a festeggiare il tuo addio al nubilato?»

Akane abbassò la testa sul suo bicchiere. «No… cioè, sì. Abbiamo finito presto. E comunque, sono venuta in palestra perché avevo… dimenticato la borsa! Strano, non ti ho visto… C’erano tutte le luci spente. Quale idiota si allenerebbe al buio?!»

«Un vero artista marziale riesce ad allenarsi ovunque e in qualsiasi situazione», esclamò il ragazzo in tono tagliente. «Comunque, non sono affari tuoi quello che faccio e perché!»

Allora non dovresti impicciarti nemmeno tu, cretino! pensò Akane, facendogli la linguaccia.

In quel momento, un cameriere passò di fronte a loro e Ranma colse l’occasione per afferrare due piattini di sakè dal vassoio. «Non ho ancora avuto modo di farti le mie congratulazioni!» No, ti prego, non dirlo. Non voglio ascoltarti, mentre provi a spezzare il mio cuore già lacerato. «Lunga vita ad Akane e Shinnosuke! Spero che il vostro matrimonio vi porti felicità e possa durare in eterno!», esclamò il codinato, porgendole il bicchierino. «Su, bevi!»

«Ranma… Non mi sembra il caso…» provò a dire lei a disagio.

Il suo ex fidanzato sgranò gli occhi e si strozzò con il liquore. «Perché no? Tu lo ami!» affermò, dopo aver ripreso fiato. No, io pensavo di amarlo… ma quello che provo per lui non è amore.

Akane gli batté una mano sulla schiena. «Senti, Ranma, tempo fa mi hai chiesto se… lo amassi veramente. In realtà, non so nemmeno io che cos’è l’amore… Credevo di saperlo, ma poi sei arrivato tu.»

Ranma la guardò: vi era un lampo di sorpresa nei suoi occhi, misto a… qualcos’altro. Che fosse… tristezza? La giovane artista marziale distolse lo sguardo, puntandolo sulla città sottostante. «Non riesco a non pensare che, in tutto questo, ci sono due cose che rimpiango di non aver fatto… anni fa.» Il rossore le salì alle guance. «Avrei dovuto dirti addio quel giorno; invece, sono stata così codarda da non presentarmi nemmeno al porto, quando tu partisti…» Un singulto le bloccò le parole in gola e Akane scoprì di essere scoppiata in un pianto silenzioso.

«Akane, io…» cominciò Ranma, impacciato. «All’inizio ero arrabbiato con te… Ero furioso, dannazione! Ma poi, la mia rabbia si è dissolta… e ho capito che il sentimento che mi lacerava l’anima non era rancore, ma assoluto abbandono… Stavo per partire per un lungo viaggio e la mia ragazza, la mia futura moglie, non si è nemmeno presentata per salutarmi!»

Akane singhiozzò e il codinato la trasse a sé per consolarla. «Nonostante questo, non ho smesso – e non riesco a smettere - di provare quello che provo per te.»

La ragazza lo guardò con la coda dell’occhio: era letteralmente paonazzo! Che carino! Scosse la testa. «La seconda cosa che rimpiango… è di non aver… di non averti mai baciato.» Pronunciò queste ultime parole, chiudendo gli occhi. Non guardarmi, Ranma. Non…

«Ah… beh, io…», balbettò il suo ex fidanzato in imbarazzo. «Pensavo che tu… beh…» Akane gli mise un dito sulle labbra. Basta così. Non dire nulla che possa…

Il codinato le prese la mano e intrecciò le dita con le sue. «Akane, se tu lo vuoi… Sì, insomma… Se tu vuoi… Sappi che non è mai troppo tardi», le disse e la giovane poté giurare di sentire un velo di disperazione nella sua voce.

«Sbagli. È già troppo tardi. Mi dispiace.»
 
***
 
Tre mesi prima…  
 

«Ah-ah! Gliel’hai proprio fatta, Ranma!» urlò il suo vecchio, correndo al suo fianco. «Non pensavo che fossi così furbo! Sei proprio figlio di tuo padre!»

L’unica cosa di me che ti assomiglia è il fatto di avere un pisello, pensò Ranma, ridendosela sotto i baffi. Lanciò un’occhiata furtiva a suo padre: nonostante ormai fosse una mummia decrepita, riusciva a tenergli abilmente il passo. Non si sente affaticato…? Eppure stiamo correndo da ore! E quello…? Dove l’ha preso quello? si chiese, accorgendosi solo allora del grosso sacco di nylon che quell’imbecille stava trasportando sulle spalle. «Vecchio, dove l’hai preso quello?!»

«Oh, è solo un piccolo souvenir!» esclamò l’uomo-panda, distendendo le labbra in un ghigno divertito. Al codinato non piacque la luce che per un attimo gli brillò negli occhi. «Un souvenir dal villaggio delle amazzoni!»

«Non dirmi che…» mormorò Ranma con voce tremante. No, non dire quello che sto pensando, ti prego.

«Sì, figliolo! Ho depredato tutto il villaggio! Gioielli, tesori di famiglia, armi… Sono tutti miei!»

Il giovane frenò improvvisamente la sua corsa e quasi non cadde a terra. «Stai scherzando?! Ho passato sei anni della mia vita a cercare un modo per sottrarmi dalle grinfie di quella pazza di Shan-pu! E adesso tu… tu le dai un altro motivo per inseguirci! Come se non bastasse il fatto che siamo scappati!» sbraitò il ragazzo, portandosi le mani ai capelli. «Non ci posso credere, sei davvero un idiota!» Appena quella lì lo scoprirà, andrà sicuramente su tutte le furie! E non siamo nemmeno tanto lontani dal villaggio! rimuginò Ranma, guardandosi intorno.

Erano passate già alcune ore da quando si erano lasciati il Monte Hooh alle spalle ma, davanti a loro, la provincia di Chinhai si estendeva in tutta la sua grandezza con le sue alture pericolose e i suoi pendii rocciosi – che, a dirla tutta, non erano per niente semplici da scalare! Quelle erano le terre di Shan-pu: lei le conosceva meglio di chiunque altro e probabilmente, non ci sarebbe voluto molto prima che li scovasse per riportarli indietro. Ranma rabbrividì: aveva già passato fin troppo tempo come prigioniero in quel fottuto villaggio! Si morse il labbro. «Ora tu te ne torni indietro e restituisci quegli oggetti ai loro legittimi proprietari!» ringhiò il ragazzo, in preda a una rabbia cieca.

«Ma figliolo», piagnucolò suo padre, scartando di lato per evitare un cazzotto in piena faccia, «tu non capisci! Ho fatto tutto questo per noi… per la nostra famiglia… Non vuoi diventare ricco?»

No, voglio solo tornare a casa! Voglio liberarmi per sempre da quella pazza che ha reso la mia vita un inferno! urlò una voce nella sua mente. Per colpa sua ho dovuto rinunciare alla mia libertà… ho dovuto rinunciare ad… ad Akane! Akane… quel nome aveva ancora il potere di risvegliare in lui sentimenti contrastanti.

«… E poi, gliel’hai già fatta franca una volta, perché la seconda dovrebbe andarti male?» gli stava chiedendo suo padre, cercando di proteggersi dai suoi attacchi con il sacco, che Ranma, un secondo dopo, fece volare via con un calcio. 

«Codardo, fatti avanti e combatti!» sbraitò il ragazzo con il codino, pulendosi il sudore con la manica della casacca.

L’uomo sgranò gli occhi; poi si mise in posizione di attacco, alzò le braccia al cielo e… si prostrò di fronte a lui. «Imploro pietà! Scusami, non pensavo che il denaro ti facesse così… schifo! Credevo di renderti felice e, invece… tu ti fai beffe di questo povero vecchio! Sai, volevo regalare qualche gioiello a tua madre… per farmi perdonare per questa mia lunga assenza! Chissà quanto avrà sofferto, la mia dolce Nodoka!»

«Papà…» cominciò Ranma in tono riconciliante, «… sei così patetico! Dovrei lasciarti qui a marcire in pasto agli avvoltoi!» disse, indicando i grossi rapaci che, con occhio critico, si stavano beando della scena dall’alto.

«… Peccato che… Quello a marcire qui non sarò io, ma tu! Tecnica segreta della scuola di arti marziali Saotome: Spago annodante

«Cos...» cominciò il ragazzo, prima di perdere l’equilibrio e cadere a terra con entrambi i piedi legati. Il suo vecchio, invece, si alzò, si pulì con nonchalance i pantaloni dalla polvere e recuperò il suo sacco, abbandonato qualche metro più in là.  «Bastardo, dove credi di andare?! E slegami, dannazione!» gli urlò dietro Ranma, cercando di allentare il nodo. Invano.

«E se ti dicessi che non mi va?» ribatté Genma, facendogli la linguaccia. «Fossi in te, non mi agiterei molto. I nodi scorsoi hanno la caratteristica di stringersi al tendersi della corda», disse, prima di alzare gli occhi al cielo.

Il giovane seguì il suo sguardo: gli uccellacci erano scesi dalle loro montagne e ora stavano volando in cerchio esattamente sopra le loro teste. Maledizione, non mi va di fare da cena a questi pennuti spelacchiati! «Me la pagherai cara!»

«Ah, davvero? Vorrei proprio vedere come hai intenzione di vendicarti, legato in quel modo», lo sbeffeggiò suo padre, tornando a fissarlo. Scosse le spalle. «Va beh, pazienza! È stato bello finché è durato, figliolo! Io e tua madre piangeremo la tua dipartita ogni giorno, lo prometto!» aggiunse, sghignazzando. Quella risata fece venire a Ranma i nervi a fior di pelle: quanto avrebbe voluto strozzarlo in quel momento con le sue stesse mani!

«Maledetto!» sbottò a denti stretti. Provò a strisciare verso l’uomo, ma quest’ultimo lo batteva in velocità. «Vieni qui se ne hai il coraggio!»

«No! Addio!» rispose il suo vecchio a tono, per poi girarsi improvvisamente come se avesse dimenticato qualcosa. «Ah, nel caso in cui Shan-pu riesca a trovarti, dille che i suoi gioielli di famiglia sono davvero deliziosi. Chissà quanti soldi guadagnerò vendendoli! Diventerò ricco, ricco!»

Detto questo, si dileguò, lasciando Ranma solo e nero di rabbia.
 
***
 
Akane spostò, irrequieta, il proprio peso da un piede all’altro. Quella sera, lei e Shinnosuke avrebbero festeggiato il loro quarto anniversario e, per l’occasione, il suo fidanzato le aveva promesso di farle chissà quale sorpresa. Nonostante la giovane Tendo avesse provato con la sua curiosità a estorcere qualche informazione in più al suo ragazzo, quest’ultimo aveva ostinatamente tenuto la bocca cucita. E così, l’artista marziale si era ritrovata a sprofondare in domande e macchinazioni che non l’avevano lasciata in pace per giorni interi – nemmeno in quel momento!
Lanciò un’occhiata all’orologio. Le 19.30! Idiota di uno Shin! Prima mi ripeti fino allo sfinimento di non arrivare in ritardo e poi quello a tardare sei tu! pensò la ragazza, arricciando le labbra in una smorfia. Se c’era una cosa che Akane Tendo odiava fare, quella era proprio aspettare! Forse non verrà… Forse si è dimenticato come al suo solito… si disse, cercando il suo volto tra quelli dei passanti.  

«Akane!» urlò una voce in lontananza, riecheggiando i suoi pensieri.

La giovane si girò, scorgendo la figura snella e slanciata del suo fidanzato. Indossava dei pantaloni scuri abbinati a una camicia bianca, chiusa fino al penultimo bottone. I capelli castani erano stati pettinati accuratamente all’indietro, lasciando scoperti gli occhi allungati, quasi felini. Nonostante la rabbia, Akane non riuscì a fare a meno di distendere le labbra in un sorriso. Shinnosuke non era muscoloso, forte, abbronzato…  Non era quel tipo di ragazzo, al cui passaggio le altre si giravano, sospirando… No, lui era ingenuo, smemorato e dannatamente goffo… ma lei lo amava e non lo avrebbe cambiato per niente al mondo. «Shin!» disse la ragazza, andandogli incontro. «Kami, sicuro di star bene? Hai il fiatone!»

Il suo fidanzato si piegò in due, prendendo grosse boccate d’aria. «Sì… Scusami», mormorò. «Stavo per uscire di casa, quando mi sono ricordato che forse stavo dimenticando una cosa importante…» Lanciò un’occhiata ad Akane, che ora lo guardava perplessa. «Solo che non riuscivo a ricordare cosa, dannazione! Sono rimasto a scervellarmi per un buon quarto d’ora… e mi sono reso conto solo allora di essere in ritardo! Odio la mia testa, a volte mi gioca davvero brutti scherzi!»

«Oh, Shin…» sussurrò l’artista marziale, afferrando un fazzoletto dalla borsetta per asciugare il sudore dalle tempie del suo amato. La rabbia era totalmente evaporata. «Non dovresti sforzarti così… I dottori dicono che non fa bene alla tua salute…»

«Akane…» mormorò Shinnosuke, guardando la sua ragazza negli occhi. «Caspita, ma come ti sei conciata?» esclamò tutto d’un tratto, facendo sussultare la povera Tendo.

«Cosa?» chiese Akane, sorpresa. Girò su se stessa, mostrando al suo fidanzato l’abitino azzurro che stava indossando. Caspita, era rimasta ore davanti all’armadio a pensare a cosa mettere e lui la smontava in quel modo! Eppure, era stata sicura di aver fatto la scelta migliore, puntando su quel vestitino lungo fin sopra le ginocchia, che le lasciava scoperta una piccola porzione di schiena. Si era pure pettinata decentemente, legando i lunghi capelli in una coda di cavallo! «Non ti piace, per caso? Forse avresti preferito che venissi in tuta come al mio solito…?»

«No… Scherzi?!» affermò il giovane. «Insomma, sei uno schianto! Allo stesso tempo, però, sei così… strana!»

Akane mise il broncio. «Spero che per strana, tu non intenda nulla di negativo», disse, prima di prenderlo per mano. «Dunque, vogliamo andare? Non mi darai nemmeno un piccolo suggerimento su dove mi vuoi portare?»

Shinnosuke scosse la testa. «Assolutamente no. È un segreto, ma vedrai: sono sicuro che ti piacerà!»
 

L’Aqua City era un complesso gigantesco, che si affacciava sulla baia di Odaiba. C’erano voluti circa venti minuti di taxi per arrivare fin lì, ma il viaggio valeva lo spettacolo. Akane si portò le mani alla bocca, estasiata: da quel punto della città, riusciva a vedere perfettamente il Rainbow Bridge che svettava sopra le acque nere del Sumida, illuminate da centinaia, migliaia di luci. Shinnosuke l’affiancò, passandole un braccio intorno alla vita. «Ti piace?» le chiese dolcemente, posandole un bacio sulla testa.

L’artista marziale si girò verso di lui, le veniva da piangere dall’emozione. «Se mi piace? Oh, Shin, mi hai fatto davvero una bellissima sorpresa! È tutto così… magico!»

«Sorpresa?» le domandò il ragazzo confuso, prima di capire il senso di quelle parole. Scoppiò a ridere. «Oh, no! Non è questa la sorpresa!»

Come no? Cos’altro vuole farmi vedere? pensò Akane, lanciando un’ultima occhiata al paesaggio circostante. Era davvero meraviglioso!
«Vieni con me!» le disse Shinnosuke, trascinandola verso uno dei tanti ristorantini di lusso che si trovavano all’interno dell’Aqua City.

La giovane Tendo aprì la bocca per ribattere: voleva davvero portarla a cena lì, dove costava tutto un occhio della testa?! Si fermò di colpo. «Shin, sei pazzo? Capisco che è il nostro anniversario e tutto, ma… a me basta stare con te! Non ho bisogno di mangiare in un posto simile… Non voglio essere viziata così, lo sai! In più, chissà quanto costa!» esclamò, agitando le braccia.

Il suo fidanzato la guardò per un momento, poi scosse la testa. «Akane, io ti amo. Sarei disposto a spendere qualsiasi cifra pur di  regalarti una serata indimenticabile. E poi…» Shinnosuke arrossì, «… il nonno ha insistito perché ti portassi qui e mi ha pure lasciato i soldi. Ha detto di essere contento di avere una nipotina graziosa come te.»

Nonno… «Prima o poi devo andare a trovarlo in casa di riposo. È da un po’ che non ci metto piede!» affermò Akane. Adorava quel vecchietto che, nel suo piccolo, pensava sempre e solamente alla felicità del nipote.

«Devi venire, sì», la appoggiò Shinnosuke, distendendo le labbra in un sorriso divertito. «E poi… qualcuno, lì dentro, chiede sempre di te!»

Happosai. Era da un sacco di tempo che non vedeva più quel vecchiaccio. Dopo che la palestra era caduta in rovina, suo padre aveva deciso di chiuderlo in una casa di riposo. Diceva di non avere più soldi per mantenerlo, ma Akane sapeva che la verità era tutt’altra: l’anziano maestro era solo un piantagrane e Soun Tendo non vedeva l’ora di sbarazzarsene.
Era stata lei ad accompagnarlo nella sua nuova dimora e lì, aveva incontrato Shinnosuke, che si era trasferito da poco in città per permettere a suo nonno di venire assistito da persone che avrebbero avuto cura di lui. 
Inoltre, anche Shin aveva bisogno di essere visitato da qualche dottore che gli permettesse di far luce sul suo caso… La sua memoria, infatti, era peggiorata ulteriormente. Per lui, era sempre più difficile ricordare le cose importanti, i nomi delle persone appena conosciute… Akane si era commossa a tal punto della sua situazione che aveva deciso di aiutarlo e, con il passare dei giorni, si era accorta di aver maturato dei sentimenti nei suoi confronti.

«… Comunque, questo ristorante fa i migliori takoyaki di tutto il Giappone. Vorrei farteli provare!» stava dicendo il suo ragazzo, che la giovane Tendo si rese conto di non star ascoltando.

«Oh, okay, vuoi che entriamo?»
 
***
 
«Ragazzo, hai bisogno di una mano?» gli chiese per l’ennesima volta l’anziano venditore alla cassa, tamburellando le dita sul bancone.

«Mi servirebbe una mappa dei ristoranti di Ningbo», mormorò Ranma sovrappensiero, sfilando qualche depliant da un espositore.

Il vecchio rise. «È la seconda volta che qualcuno mi fa una richiesta simile, oggi! Non pensavo che in questa città ci fossero così tanti turisti!»

Ma che stai dicendo, vecchio? È una città portuale, è normale che ci siano dei turisti! Scosse la testa. Io, comunque, non sono uno di loro. Non sono certo qui per divertirmi, avrebbe voluto dirgli il codinato che, invece, si morse la lingua. «E dove mi consiglia di andare lei?»

«Al Moon Lake!» rispose una bambina, battendo le mani. Ranma l’osservò: non l’aveva notata prima, da dove era sbucata? Era seduta su una sedia di fianco alla cassa, i piedi a penzoloni. Aveva i capelli neri legati in due odango sulla testa; gli occhi furbi e il viso paffutello. «Anche il panda è andato lì, ne sono sicura!»

«Mei!» la richiamò il vecchio con aria di rimprovero. «Torna dentro e non disturbare i clienti! Quante volte devo dirtelo?»

Ranma allargò le labbra in un sorriso compiaciuto. Un panda! Si tratta sicuramente di mio padre! Di chi altri, se no?! Rimise i depliant al loro posto e si avvicinò alla piccola Mei, che ora lo guardava diffidente. «Un panda, hai detto?»

«Non posso dirtelo, Panda-chan mi ha chiesto di non riferire nulla a nessuno… e per farmi tenere la bocca chiusa, mi ha regalato 37 yuan!* Però… » La bambina allungò una mano di fronte al viso, «… però, fratellone, potrei dirti qualcosa, se me ne offri il doppio!»

Cosa? Questa mocciosa ha la stoffa per divenire una seconda Nabiki! Il pensiero di quella vipera riusciva ancora a mettergli i brividi, nonostante fossero passati sei lunghi anni dall’ultima volta in cui l’aveva vista. Sbuffò, frugando in tasca per cercare gli ultimi spiccioli rimastagli. «Questo è tutto quello che ho, fattelo bastare!» disse, ficcando qualche monetina insignificante in mano alla ragazzina.

Quest’ultima guardò il suo tesoro con occhio critico e storse la bocca: «È troppo poco, mi dispiace. Dalle mie labbra non uscirà una singola parola.»

Dopo aver congedato un cliente, il vecchio si girò nuovamente verso loro due. Sembrava arrabbiato, anzi, lo era. «Piccola monella, mi farai scappare tutti i clienti così! Tornatene in casa o riferirò tutto a tua madre!» disse, afferrando Mei per la collottola. «E restituisci i soldi a questo gentile ragazzo, altrimenti ti prenderò io stesso a sculacciate!»

«No, non voglio e lasciami, nonno!» frignò la bambina, scalciando e urlando. Ranma osservò la scena, reprimendo un sorriso divertito: anche lui veniva ripreso da suo padre in quel modo, ogni volta che commetteva una qualche furbata! E ogni volta, la punizione era sempre peggiore. C’era stato addirittura un periodo in cui Genma, per castigarlo, aveva preso la strana abitudine di legarlo insieme a dei salumi, per poi gettarlo in una cantina piena zeppa di gatti randagi!

«Ahi, piccola impertinente!» urlò il vecchio, lasciando la presa su Mei, che sgusciò via come un’anguilla in fuga. Ma che ha fatto? L’ha morso? si chiese il codinato, cadendo improvvisamente dalle nuvole.

«Mi dispiace, ragazzo. Mia nipote è davvero una maleducata. Ti restituirò tutti i soldi per farmi perdonare», gli disse il venditore, succhiandosi la mano ferita.

Ranma scosse la testa. «No, non serve. Piuttosto, ho bisogno di un favore: la piccola Mei ha detto di aver visto un panda. Vorrei che mi raccontiate per filo e per segno cosa vi ha detto e cos’ha fatto.»
 

Era già calata la sera quando Ranma uscì dal negozietto. Secondo quanto gli aveva riferito il vecchio, suo padre era arrivato lì fradicio e tutto trafelato. Genma gli aveva chiesto subito una mappa dei ristoranti del posto, aggiungendo che gli serviva un locale con molta acqua calda. Per quanto quella richiesta gli fosse sembrata strana e inusuale, l’anziano venditore non aveva perso tempo in domande e gli aveva subito indicato il Moon Lake, una graziosa locanda sulla riva del lago Yue, un piccolo specchio d’acqua al centro di un bellissimo parco. Quel posto era rinomato in città per le sue benefiche sorgenti termali, frequentate soprattutto da vecchietti afflitti dai reumatismi e zitelle in cerca di qualche succulento gossip da raccontare in giro. Il luogo perfetto, insomma, per una persona caduta nelle fonti di Xhou Chuan Xiang!

Il codinato rilesse per l’ultima volta l’insegna della locanda: era arrivato finalmente a destinazione! Scostò la tenda di perline che lo separava dall’ingresso ed entrò in un bel locale arredato in modo piuttosto rustico. Ai tavolini, sparsi per tutta la stanza, sedevano diverse persone: alcune di loro discutevano animatamente senza badarsi a disturbare il resto dei commensali; altri erano concentratissimi sul loro piatto e mangiavano gli spaghetti,  emettendo di tanto in tanto qualche fastidioso risucchio; altri ancora erano silenziosi e chini su riviste o giornali. Nessuno parve far caso all’entrata di Ranma, ad eccezione di una cameriera dai capelli tinti e Genma, che balzò subito in piedi.  Il ragazzo lo osservò per qualche minuto: era tornato nella sua forma umana e ora, quei suoi occhietti da sorcio lo scrutavano da dietro gli occhiali. «Figliolo! Che bello vederti di nuovo! Pensavo di averti perso per sempre!» esclamò il suo vecchio con una punta di ironia nella voce. «Prego, accomodati, siediti accanto a me! Stavo giusto per ordinare un bel piatto di spaghetti di soia! Cameriera, me ne porti due!» disse, facendo segno alla giovincella al bancone che, dopo aver annuito con la testa, si dileguò in cucina.

Ranma serrò i pugni di fronte al viso. «Vecchio...» mormorò a denti stretti. «Che cazzo stai dicendo?! Pensavi di avermi perso per sempre, eh?! Ma se sei stato tu a legarmi e a lasciarmi in pasto agli avvoltoi, ricordi?!» E se mi avesse trovato Shan-pu, sarebbe stato ancora peggio! Me lo sarei sognato il Giappone, altroché!

Genma si lasciò scivolare su una sedia, mordicchiando uno stuzzicadenti. «Oh, è vero… Mi chiedo come tu sia riuscito a liberarti dal mio nodo scorsoio…» disse sovrappensiero, afferrando tra pollice e indice una monetina abbandonata sul tavolo. «… Sai, quella tecnica mi è stata insegnata da un marinaio, quando ero in viaggio di nozze con tua madre… Ah, che bei tempi!»

«Come sono riuscito a liberarmi, dici?!» affermò Ranma, ficcando le mani in tasca per estrarne un paio di minuscole forbicine da unghie. «Ho usato queste! E non sai che faticaccia a tagliare quel dannato spago! Ci ho messo la bellezza di tre ore… Tre ore, mannaggia a te!»

Suo padre, che in quel momento stava togliendo la sporcizia dalla moneta, alzò gli occhi e li posò sul tagliaunghie del figlio. Una risata gli fuggì dalle labbra. «Una forbicina per unghie, eh? Ma cosa se ne fa mio figlio di una forbicina per unghie?! Ah, che vita triste… Il mio ragazzo è cresciuto come un deviato! Eppure, ho fatto di tutto, per insegnargli a essere un vero uomo!»

Il codinato, preso dalla rabbia, si avvicinò al tavolo accanto cui era seduto il suo vecchio e gli sferrò un pugno in testa. «Deviato? Forse non ricordi quello che ho passato per ben sei anni, costretto a vivere in un corpo femminile, senza poter tornare ragazzo!» urlò, attirando inevitabilmente l’attenzione degli altri commensali nella stanza.

Un fruscio di voci si levò tutto intorno a loro. «Ma che stanno dicendo quei due?» bisbigliarono alcuni in cinese.

«Boh, io non capisco il giapponese…» risposero cert’altri, sempre sottovoce. «Quello più vecchio, però, ha pronunciato la parola deviato… intende dire che è gay?»

«Ma certo, guarda i suoi vestiti! Non può che essere gay!»

«Shh… Guarda che ti sente!»

«Ma che ti frega… Pensi davvero che quei due conoscano il cinese?»

Ranma, però, che aveva vissuto in Cina per anni, conosceva abbastanza la lingua da capire quello che quei tizi stavano dicendo e scoccò loro un’occhiataccia. Questi lo guardarono basiti per un momento, poi, imbarazzati, abbassarono gli occhi sulla loro cena.  

Tornò quindi a rivolgersi a Genma, ma si accorse che suo padre era scomparso! Digrignò i denti: quel farabutto approfittava di ogni attimo di distrazione per darsela a gambe! «Papà…» mormorò, mentre la rabbia cominciava ad accecargli letteralmente i sensi.

«Se stai cercando quello strano tizio con la bandana e gli occhiali… beh, è andato di là!» disse la cameriera dai capelli tinti, tornata al loro tavolo con due piatti fumanti di spaghetti. «Oh, ha pure dimenticato di pagare il conto… Sono… la bellezza di 1473.5 yuan!**»

Cosa?! Ma io non ho neanche uno spicciolo con me! pensò Ranma in preda al panico. Beh… se così stanno le cose… «Tecnica finale della scuola Saotome… La Fuga a gambe levate
 
***
 
Quando entrarono nel ristorante, vennero accolti da una graziosa cameriera dal viso candido e gli occhi scuri, che li scortò a un tavolino per due affianco a una gigantesca finestra. Ad Akane sfuggì un gridolino eccitato, quando si accorse che da quel punto poteva rimirare il bellissimo panorama che aveva intravisto qualche minuto prima. 

Shinnosuke rise. «Ti piace proprio, eh?» le chiese, appoggiando una guancia sul palmo della mano.

La giovane lo osservò con la coda dell’occhio e arrossì. «Certamente! Perché? Tu non pensi che sia una meraviglia?» 

«Oh, qualsiasi meraviglia sbiadisce ai miei occhi, quando vedo te», sussurrò il suo ragazzo con voce roca, distogliendo lo sguardo.

Akane si sentì le guance in fiamme e non disse nulla per l’imbarazzo. Shin aveva l’abilità innata di dire sempre quello che pensava e, per questo, lo invidiava un po’. «Ordiniamo qualcosa? Ho una gran fame!» esclamò la giovane di punto in bianco, afferrando un menu e sprofondandoci letteralmente dentro. In quel ristorante servivano davvero una gran quantità di piatti a base di polipo e altri pesci e il costo non era per nulla accessibile al suo mero stipendio di insegnante di arti marziali! Ma dove li trova tutti questi soldi il nonno?! «Ho deciso: prendo i takoyaki alla griglia con verdure miste!» esclamò, scegliendo a caso uno dei piatti più economici.

«Solo questo?» le rispose Shinnosuke deluso, alzando un sopracciglio. «E non dirmi che da bere vuoi prendere una bottiglia di acqua naturale!»

La ragazza allargò un po’ gli occhi: cosa c’era di così strano nell’acqua naturale? «Perché no? Tu cosa volevi prendere?»

Shin scorse velocemente il menu con lo sguardo. «Branzino al vapore e da bere… una bottiglia di vino bianco! Dobbiamo festeggiare e non si festeggia con l’acqua naturale.»

«Ma… Shin, così è troppo e…» cominciò Akane, ma venne interrotta dall’arrivo della cameriera.

«Allora, avete deciso?»
 

La cena arrivò dopo una buona mezz’ora, visti i clienti che affollavano il locale. I suoi takoyaki avevano un aspetto davvero delizioso ed emanavano anche un buon profumo; ma non erano nulla in confronto al branzino che aveva ordinato Shinnosuke: quello sì che doveva essere ottimo. Ad Akane venne l’acquolina in bocca e quasi si pentì di aver ordinato il piatto più economico sul menu.

«Non fare complimenti, questa è la tua serata», le disse Shinnosuke, versandole il vino bianco in un bicchiere.

«La nostra serata, volevi dire», lo corresse l’artista marziale, prendendo delicatamente il calice di cristallo e facendo cenno al ragazzo di fare lo stesso.

Shin fece tintinnare lievemente il suo bicchiere contro quello della fidanzata. «Sì… beh, a noi, allora.»

A noi, pensò Akane, saggiando un sorso di quel delizioso vino italiano. Era dolciastro, frizzante, un perfetto accompagnamento a quel pesce così prelibato. Fece per afferrare uno spiedino con le mani, quando Shin le posò le dita sulle sue. «Stavo dimenticando una cosa importante: prima di cenare, vorrei… sì, vorrei darti il mio regalo.» Ora? Ma io sto morendo di fame! si lamentò controvoglia la piccola Tendo, prima di alzare lo sguardo sul giovane di fronte a lei.

Shinnosuke trafficò un po’ con le tasche della giacca, borbottando imprecazioni sconnesse che Akane non comprese appieno. «Dannazione!» esclamò poi il ragazzo, facendola sussultare. Ma che succede, ora? «Oh, Akane… Sono un disastro! Io… beh, io… volevo chiederti di sposarmi, ma ho lasciato a casa il cofanetto con l’anello! Sapevo di aver dimenticato qualcosa, maledizione!» affermò lui disperato, portandosi le mani alla testa.

L’artista marziale sgranò gli occhi sotto shock. Sposarmi? Ho sentito bene? Oddio, Shin vuole… sposarmi. La vista le si annebbiò a causa delle lacrime, che cominciarono a rotolarle, copiose, lungo le guance. «Oh, Shin… io non sapevo… non immaginavo… Oddio, la mia risposta è , voglio sposarti! Voglio passare la mia vita con te!»

Shinnosuke alzò lo sguardo e incontrò quello di lei. «Non sei… arrabbiata perché non ho portato l’anello?» le chiese a disagio, facendosi piccolo piccolo sulla sedia.

Akane si alzò, fece il giro del tavolo e gettò le braccia al collo del suo fidanzato. «No. Al diavolo l’anello, non è importante.»
 
***
 
Genma Saotome non era andato molto lontano, quando Ranma lo raggiunse. Suo padre si era nascosto all’ombra di un grande albero sulle rive del lago Yue e stava sonnecchiando beatamente, seduto a gambe incrociate. Il codinato gli sferrò un cazzotto su una guancia, facendolo volare dritto dritto dentro le acque scure del lago.

«Che cazzo fai?!» gli disse il suo vecchio, quando vi riemerse, fradicio fino al midollo.

Ranma si scrocchiò le nocche della mano. «Questo è per avermi fatto fare una figura barbina dentro quel ristorante! Per colpa tua, tutti i presenti hanno pensato che fossi gay!» ringhiò in preda all’esasperazione.

Genma scosse le ampie spalle da panda e alzò un secondo cartello. «Non credo siano affari che mi riguardino, figliolo.» L’animale aprì le fauci in un sorriso tra il mostruoso e il divertito. «E poi, vorrei ricordarti che fino a poco tempo fa, eri per metà donna… o vorrei dire, una donna completa.»

Ranma strinse le mani a pugno. «Io ti ammazzo!» urlò, fiondandosi nuovamente contro suo padre, che lo scansò pesantemente di lato, schizzando acqua ovunque. Il codinato colpì l’aria e cadde nel lago con un tonfo. «Maledetto!» ululò, riemergendo e afferrando il panda per un braccio. Questi scivolò sul fango e si trascinò dietro il figlio urlante.

«Non puoi uccidermi», disse, rotolando sull’acqua bassa e sovrastando Ranma con la sua grossa mole.

«Perché no?! Avrei dovuto farlo anni fa, dopo che mi portasti alle fonti maledette per allenarci! Che razza di stupido sceglie un luogo di addestramento a caso, senza prima documentarsi?!» ringhiò il ragazzo, prendendo a pugni il gigantesco ventre del padre.

«Ancora con questa storia? Quante volte devo ripeterti che, al tempo, non sapevo una singola parola di cinese?! Mi sembrava un bel posto, tutto qui!»

«Queste sono tutte… scuse! Per colpa tua, sono diventato una ragazza! E, al posto di aiutarmi a trovare una soluzione, mi hai trascinato in Giappone per sposare la figlia di un tuo amico!»

«Non mi sembra che la piccola Akane ti facesse poi così schifo…» disse il panda e Ranma si fermò di colpo. Genma approfittò della situazione per bloccare le braccia del figlio, che lo guardò con astio.

«Non pronunciare quel nome come se nulla fosse!» urlò il ragazzo in preda al dolore, riuscendo a liberarsi per ribaltare la situazione e salire sulla pancia del suo vecchio. «Io ti ammazzo!»

Nonostante Ranma cercasse di soffocarlo, spingendolo sott’acqua, Genma sogghignò. «Non puoi uccidermi. In fondo, sono tuo padre e mi vuoi bene… e poi, ho preso due posti in prima classe per tornare a Tokyo. Hai bisogno di me, Ranma.»

Il codinato sgranò gli occhi e lasciò la presa. «Come? Due posti in prima classe?» Vuol dire che non torneremo in Giappone a nuoto?

Suo padre annuì e Ranma si sentì come se qualcosa stesse ricominciando a muoversi dentro di lui dopo tanto tempo. Due posti in prima classe… Vuol dire che domani o dopodomani potrei già essere a Tokyo… e potrei far ritorno da lei, dalla mia Akane, che ho dovuto lasciare anni fa.

 
* 37 yuan corrispondono ai nostri 5 euro. Ho fatto un calcolo veloce con un convertitore di monete.
** 1473.5 yuan sono più o meno 200 euro, che ovviamente Ranma non ha.

Angolo Autrice: Ciao a tutti! Questa è la primissima long che pubblico qui e sto sprofondando nella vergogna! In verità, non è la prima che scrivo ma, in genere, non riesco mai a concludere nulla. Tempi Supplementari è una piccola eccezione alla mia regola, visto che voglio assolutamente arrivare al finale che ho pensato (e che io, sinceramente, adoro!)

Ho deciso di pubblicare il primo capitolo come test, sotto consiglio della mia beta: ultimamente la mia autostima è calata a picco, voglio vedere se vale la pena continuare a scrivere questa schifezza! - Per la cronaca, sono già al quarto capitolo e ho già imbastito una scaletta, ma non so se la trama funziona!

Penso che aggiornerò mensilmente: con il lavoro e tutto non riesco a scrivere tutti i giorni, purtroppo!

A presto e grazie per aver letto fin qui!

Ayamehana.

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Capitolo 2
*** Mi sposo! ***


Ciao a tutti e ben ritrovati! Volevo innanzitutto ringraziarvi per aver letto il primo capitolo di Tempi Supplementari e per aver aggiunto la mia storia tra le seguite, le preferite o le ricordate! Sono davvero felice del feedback positivo che ho ottenuto!
Dopodiché, volevo avvisarvi che questo sarà un semplice capitolo di transizione... avevo bisogno di presentare alcuni personaggi - alcuni più importanti, altri meno - che faranno da sfondo alla mia fanfiction!
 
Ringrazio ancora Napee, la mia betareader, per le sue revisioni! E vi consiglio di leggere la sua storia, 'Sposa il Re, ama il Guerriero'... so che ci tiene moltissimo!
 
CAPITOLO II

MI SPOSO!

 
Un raggio di sole filtrava attraverso le persiane chiuse, colpendo sugli occhi Akane, che ficcò la testa sotto il cuscino, mugolando.
Durante la notte, aveva scalciato via le lenzuola e ora, ne sentiva un impellente bisogno. Tastò al proprio fianco, alla loro ricerca, per scoprire a malincuore che Shinnosuke si era già alzato. Ah, è vero… anche se è domenica, è dovuto andare a lavoro, pensò, afferrando un lembo della coperta e tirandoselo su fino alle orecchie.
Dopo essersi trasferito a Tokyo, Shin aveva trovato un impiego in un piccolo zoo non molto lontano da casa sua. Lì, le sue mansioni erano semplicemente quelle di dar da mangiare agli animali e di tenerli a bada, quando necessario. Era un lavoro piuttosto modesto, ma lui diceva di avercelo nel sangue. 
Akane si girò su un fianco, tentando di riaddormentarsi, ma nulla, quel raggio di sole non voleva in alcun modo darle pace! Aprì faticosamente un occhio, poi il secondo, scrutando con aria assonnata la stanza in penombra. Ma che ora era? Cercò il cellulare sul comodino e imprecò a denti stretti, quando questo cadde a terra con un tonfo.

«Porca…» mormorò con la bocca impastata. Ora sì che era del tutto sveglia! Si accovacciò e recuperò il telefono una volta per tutte, prima di guardare l’ora sul display. Le otto e trenta. Va bene, forse poteva anche alzarsi.

Nonostante l’estate stesse per cominciare, un brivido di freddo le percorse le membra, quando toccò il tatami con i piedi nudi. Miseriaccia, qui dentro si gela! Shin deve aver lasciato l’aria condizionata accesa stanotte! pensò, attraversando la stanza per prendere la vestaglia abbandonata sulla sedia.

E ora, un bel caffè! si disse, dopo aver aperto imposte e finestre per far circolare l’aria nella camera da letto.

Quando raggiunse la cucina, notò subito sul frigo un post-it scritto con la calligrafia quasi illeggibile del suo ragazzo: Ti ho preparato il caffè; in frigo trovi anche il succo e lo yogurt, se vuoi. Ci sentiamo stasera. Akane lo staccò e lo buttò nel cestino; poi si versò una tazza di caffè, aggiunse il latte e chiuse il tutto nel microonde. Circa un minuto dopo, quest’ultimo scattò e la piccola Tendo recuperò la sua colazione.

Si sedette, quindi, a tavola e compose un numero sul suo cellulare. Sua sorella le rispose dopo il secondo squillo. «Akane?» esclamò Kasumi, preoccupata. «Sono le nove ed è domenica, cosa ci fai già sveglia?!»

Akane rise. Effettivamente, sin da piccola aveva sempre avuto il vizio del sonno. «Avevo bisogno di parlarti», disse, sorseggiando lentamente il suo caffè.

«È qualcosa di importante? Scusami, ma sono di fretta… Kim ha invitato me, Ono e i bambini a pranzo e le avevo promesso di andare prima per aiutarla a cucinare…»

L’artista marziale posò la tazza e afferrò un biscotto. «Dipende dai punti di vista, ma sì… Per me è importante.»

«Non dirmi che hai rotto di nuovo la tubatura dell’acqua? È già la terza volta in questo mese…» la sgridò dolcemente sua sorella. «Se è solo questo… domani chiamerò l’idraulico e vedrò cosa…»

Akane finì di mordicchiare il suo biscotto e inspirò profondamente. «Mi sposo», disse, tutto d’un fiato.

«… posso fare… e poi… Come scusa?» si interruppe improvvisamente Kasumi, sorpresa.

La ragazza lasciò andare l’aria dai polmoni. «Hai sentito bene. Shin ha chiesto di sposarmi», ripeté più decisa, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano nuovamente di bagnarle gli occhi. Silenzio. Akane guardò il display del cellulare per accertarsi di non aver chiuso la chiamata per sbaglio. «Ehi, Kasumi, ci sei?»

Dall’altro lato, però, non arrivò alcuna risposta. L’artista marziale stava per aprire nuovamente bocca, quando sentì la vocina roca di sua sorella. «S-Sì… È solo che… beh, mi hai sorpresa!»

Sta piangendo? si chiese Akane, stupita. «Dai, non piangere, ora», mormorò, mentre un sorriso si apriva sulle sue labbra. Ma certo: Kasumi l’aveva cresciuta, aveva preso il posto di sua madre, quando quest’ultima era venuta a mancare. Era più che normale che si fosse commossa alla notizia del suo matrimonio!

«S-Sì, ora la smetto…» sussurrò sua sorella, tirando su con il naso. «Comunque, Akane, è magnifico!»

«Già! Volevo che tu fossi la prima a saperlo!» esclamò Akane su di giri. «Fra un’oretta mi vedo con Akari da Ucchan e lo dirò anche a lei!»

«Oh,beh… allora…  se mi aspettate, potrei venire a fare un salto e…»

L’artista marziale scosse la testa, ridendo. «Non serve o farai tardi da tua suocera… Non le avevi promesso di aiutarla a cucinare?» affermò, alzandosi dalla sedia e riponendo la tazza vuota dentro al lavello. «Un giorno di questi, verrò a trovarti, così ti racconto tutto per filo e per segno!»

«Va bene, ci conto. A presto, allora!»

«A presto», la salutò Akane, riagganciando.

 
Ciao Akari, pranziamo insieme? Se sì, ci incontriamo alle undici e mezza da Ucchan! digitò velocemente la piccola Tendo, prima di liberarsi del pigiama per indossare la sua adorata tuta. Controllò per l’ennesima volta nel marsupio per accertarsi di aver preso tutto – portafoglio, chiavi, cellulare – e uscì di casa.

L’appartamento di Shinnosuke si trovava in un quartiere tranquillo di Nerima e affacciava direttamente su una grande via alberata. Akane si stiracchiò e inspirò una boccata d’aria fresca.

Decise di prendere la strada che, costeggiando il canale, passava esattamente di fronte al Furinkan, dopodiché si immise in una viuzza secondaria che portava davanti al Neko Hanten, con le saracinesche abbassate e il cartello con scritto ‘Vendesi’ in rosso. L’artista marziale si era sempre chiesta come mai nessuno avesse deciso di comprare quell’attività… Insomma, erano anni che ormai era chiusa! Scrollò le spalle e si avviò verso il ristorante di Ukyo.
Akari la stava aspettando di fronte alla porta scorrevole con le braccia conserte ma, quando la vide, cominciò ad agitare le mani per farsi notare. Akane la salutò con un sorriso e si affrettò a raggiungerla.

«Ciao», le disse, gioviale.

L’amica guardò l’orologio da polso. «Sei in anticipo di esattamente cinque minuti, è un record!» scherzò. «E io che pensavo che saresti arrivata in ritardo con la tua mania di allenarti sempre e ovunque!»

La giovane Tendo gonfiò le guance e mostrò i muscoli. «L’allenamento è importante, mia cara! Dovresti imparare a farlo anche tu, ogni tanto!» esclamò, facendole la linguaccia.

Akari si chiuse nelle spalle. «Tra il lavoro e Katsunishiki che non mi dà un attimo di tregua, non ho tempo di pensare a cose simili! E poi, ultimamente la vecchia Biancanera sta male e devo stare al suo fianco… Ryoga è talmente affezionato a lei… Non vorrei che venisse a mancare da un momento all’altro!» mormorò con una certa malinconia nella voce.

Ryoga e Akari si erano innamorati circa otto anni prima, quando accidentalmente la piccola Unryu aveva scagliato addosso all’eterno disperso il suo grossissimo maiale da compagnia. Con il tempo, i due erano diventati inseparabili fino a formare coppia fissa.  Per alcuni mesi, avevano avuto una relazione a distanza, fatta di lettere, di incontri fugaci e di regali; poi Akari aveva deciso di trasferirsi definitivamente a Tokyo. Qui si era rifatta una vita, iscrivendosi all’università e intraprendendo la carriera di veterinaria, un lavoro che faceva con passione e dedizione.

Akane le mise una mano sulla spalla. «Sono sicura che Biancanera si riprenderà… Insomma, sei una bravissima veterinaria e sono certa che anche Ryoga creda in te.»

Akari alzò la testa di scatto. «Tu credi? E se lo deludessi…? Ryoga per me è più importante di qualsiasi maiale… Non me lo perdonerei mai, se lo rendessi infelice…»

In quel momento, la porta scorrevole alle spalle delle due amiche si aprì e da essa, vi fece capolino la testa di Konatsu. «Allora, vi decidete a entrare o no?» esclamò il giovane Kunoichi, alzando un sopracciglio. «Insomma, ve ne state qui a parlare e da dentro non riesco a sentire nulla!»

«Konatsu!» lo riprese Akane, dandogli uno spintone. «Comunque, stavamo giusto per entrare, vero?» chiese alla ragazza al suo fianco, che annuì.

Il ristorante di Ucchan era stranamente deserto, nonostante gli affari non le andassero affatto male. L’artista marziale prese posto di fronte alla piastra e Akari la imitò.

«Allora? Cosa stavate dicendo? Qualcosa di importante? Non mi escludete, voglio sentire anch’io, ma solo se si tratta di gossip!» specificò Konatsu, afferrando uno sgabello.

«Konatsu! Smettila di perdere tempo e torna a lavorare!» lo sgridò Ukyo mentre usciva dalla cucina, mischiando l’impasto di un okonomiyaki su una scodella. Della farina le era finita in mezzo ai capelli e sul grembiule, e il tutto la faceva sembrare piuttosto buffa. «Ciao»,  disse, accorgendosi solo allora della presenza di Akane e Akari. «Vi chiedo scusa se Konatsu vi ha dato fastidio…»

Il Kunoichi rispose alla cuoca con una smorfia, prima di alzarsi e rimettersi a lavorare. La piccola Tendo lo seguì con gli occhi, finché non scomparve nello sgabuzzino. «Lo paghi ancora 5 yen al giorno?» chiese, ritornando a rivolgersi a Ukyo che, di tutta risposta, scosse le spalle. 

«Lui sembra essere felice così… e non si è mai lamentato di me! Comunque, qual buon vento vi porta qui?»

Akane abbassò gli occhi sulla piastra. «Ecco… insomma, io… volevo dirvi che… io e Shinnosuke abbiamo deciso di sposarci!» affermò, torturandosi le mani. Il rossore le era salito alle guance, facendola diventare paonazza.

Ukyo spalancò la bocca e quasi non fece cadere a terra l’impasto; mentre Akari, dopo un attimo di disorientamento, le gettò le braccia al collo. «Oddio, Akane, che notizia meravigliosa! Promettimi che mi lascerai fare la damigella! Posso portare anche Katsunishiki? Non darà alcun fastidio durante la cerimonia, te lo giuro!»

Akane rise e ricambiò l’abbraccio dell’amica. «Ma certo… L’importante è, però, che tu lo tenga al… guinzaglio?! Non vorrei mai che si scagliasse contro gli altri invitati!»

Ukyo scosse la testa e mise un okonomiyaki sulla piastra. «Secondo me, non è una buona idea portare quella sottospecie di maiale!» affermò, guadagnandosi un’occhiataccia da Akari. «Comunque, per festeggiare, vi preparerò un ottimo pranzetto! Tranquille, offre la casa!»
 
***
 
«Papà, sei sicuro che sia questo il posto?» sbottò Ranma per l’ennesima volta, alzandosi sulle punte dei piedi per vedere meglio. Poco distante da lì, c’era una casetta di campagna dal cui comignolo usciva del fumo, segno inequivocabile che non era per nulla disabitata.

Il suo vecchio si portò il dito indice alle labbra e con l’altra mano ricacciò giù la testa del figlio. «Certo che sì! Ora, però, stai zitto e smettila di dimenarti per una buona volta!»

Il ragazzo sbuffò e si trattenne dal dargli un cazzotto. «Vecchio, non mi avevi promesso un posto in prima classe su un aereo? Che cavolo ci stiamo facendo qui?!»

«Un aereo?» gli fece eco Genma, guardandolo con aria interrogativa. «Chi ha mai parlato di aerei? Il posto in prima classe ce l’ho, ma su di… lui», disse, indicando un giovane dalla pelle chiara che era appena uscito dalla casa.

Il codinato sgranò gli occhi. Ma lui è…. «Vecchio rimbambito, credi davvero che Collant Taro accetti così facilmente di trasportarci fino in Giappone?!» ringhiò, sferrandogli un pugno in piena testa. «Mi chiedo che cosa ti dica il cervello a volte!»

Suo padre si mise una mano sulla nuca, sul punto su cui era appena stato colpito. «Pensavo che fosse una buona idea e, così facendo, ci saremmo anche risparmiati i soldi del viaggio!»

«Ma se tu sei pieno di soldi, dannazione! Hai trafugato l’intero villaggio delle amazzoni!» urlò Ranma, forse troppo forte, perché Collant Taro si girò di scatto verso di loro.

«Chi va là?» gridò questi con rabbia.

Colto nel fallo, il codinato scattò in piedi, trascinandosi dietro anche Genma. «Solo due vecchi amici! È sempre un piacere rivederti, Collant Taro! Ecco, noi passavamo di qui per caso e…»

Taro sgranò gli occhi, dapprima stupito, poi furioso. «Ti ho mai detto di non chiamarmi così, brutto… finocchio?!» ringhiò, scagliandosi contro Ranma e afferrandolo per la casacca.

Le labbra dell’artista marziale si distesero in un ghigno divertito. «Noto con piacere che il lupo perde il pelo, ma non il vizio. E comunque, non sono più un finocchio come dici tu. Non posso più trasformarmi in donna.»

Il ragazzo-bue lo guardò per un momento, allentando la presa. «Poco importa, per me rimarrai sempre una checca», disse, girando la testa di lato e sputando a terra. «Cosa volete da me? Non vi ho più dato alcun fastidio!»

Genma si intromise tra i due, separandoli, prima che Ranma approfittasse dell’attimo di distrazione dell’altro per picchiarlo. «Ecco… Taro, noi avremmo un favore da chiederti.»
 

La cucina di Collant Taro era piuttosto piccola, con un minuscolo tavolo di legno grezzo da quattro persone nel centro. In un angolo, vi era un piano cottura, sul quale scoppiettava allegramente un fuocherello, sopra cui era stata adagiata una pentola. Il profumo di costine di maiale impregnava l’intera stanza, facendo venire l’acquolina in bocca a Ranma, che si coprì la pancia brontolante. Il padrone di casa afferrò tre bicchieri e una caraffa ricolma d’acqua e li posizionò sopra il tavolo, di fronte ai due ospiti. Quello, probabilmente, era tutto ciò che avrebbe loro offerto; in fondo lì non erano per niente graditi.  

«Insomma, se ho capito bene, io dovrei farvi da mezzo di trasporto?» domandò Taro, inarcando entrambe le sopracciglia. Un sorriso beffardo gli si stampò in viso, mentre incrociava le braccia al petto e si rilassava sulla sedia. «Per chi – o meglio, per cosa– mi avete preso?»

Ranma bevve un sorso d’acqua e si pulì la bocca con la manica della casacca. «Ovvio, per uno yeti con in mano un’anguilla e una gru, a cavallo di un bue», disse con nonchalance.

Taro serrò le mani a pugno. «Molto divertente, donnetta», commentò sarcasticamente, fulminandolo con lo sguardo. «Comunque, non se ne parla proprio.»

Il codinato lo guardò con astio. Brutto imbecille… Come se a me andasse a genio salire su quella tua schiena puzzolente, pensò, per poi mordersi la lingua.

«Ti prego, Taro…» lo supplicò, invece, suo padre. «Farò qualsiasi cosa per contraccambiare il favore.»

«Qualsiasi?» chiese quello sbruffone, ridendosela sotto i baffi. «Oh, e dimmi, Panda-chan, con qualsiasi cosa intendi dire che saresti disposto a portare anche il vecchiaccio qui in Cina? Non mi pare, però, che l’ultima volta sia andata molto bene con lui… Ti ricordo che ha provato a cambiare il mio nome in Slip Ichiro.» Taro scrollò le spalle. «Ormai c’ho rinunciato con lui e mi sono rassegnato a vivere questa vita sfortunata…»

Le labbra di Genma si aprirono in un sorriso languido, un sorriso – notò Ranma– che non prometteva nulla di buono. «E se ci fosse un altro modo per cambiare il tuo nome?» chiese, melenso, dopodiché affondò una mano dentro una manica del karate gi. «Mentre trafugavo i tesori di Joketsuzoku, ho trovato questa», mormorò, estraendo una pergamena ingiallita. «È il tuo atto di nascita.»

Ranma si allungò sul tavolo per vedere meglio, improvvisamente incuriosito dalla faccenda. «E che vuol dire?»

Taro, invece, sgranò gli occhi e rispose al posto del suo vecchio. «Secondo la legge del mio villaggio, il nome di una persona può essere cambiato solo da chi gliel’ha affibbiato… oppure,  da chi entra in possesso dell’atto di nascita», esclamò. «Dove lo hai trovato? Sono anni che cerco quel dannato pezzo di carta!»

Genma rise. «Il maestro lo aveva nascosto in un baule insieme ad alcuni gioielli all’interno di un bordello abusivo. All’inizio, pensavo che fosse un semplice rotolo di carta igienica dimenticato lì per caso e usurato dal tempo… ma poi, aprendolo, ho visto il tuo nome e ho pensato che potesse interessarti.»

«Mi interessa eccome!» urlò Taro, emozionato. «Dammelo subito!»

Suo padre osservò il ragazzo con quei suoi occhi porcini. Si stava sicuramente divertendo da matti a stuzzicare quel pomposo di un Taro! Attento, papà, a giocare con il fuoco ti puoi bruciare… pensò Ranma, afferrando nuovamente il suo bicchiere d’acqua e svuotandolo in un unico sorso; mentre Genma pronunciava la fatidica frase. «Sarà tuo dopo che ci avrai trasportati entrambi fino a Tokyo… Che dici, accetti la mia offerta?»   
 
***
 
Akane Tendo odiava il lunedì. La sveglia sul comodino continuava a suonare a intermittenza e lei non aveva la minima voglia di alzarsi. Maledetto lavoro, pensò, spegnendo quell’orologio diabolico che le stava martellando i timpani, prima di mettersi seduta sul letto.
Casa sua si trovava a circa quaranta minuti di distanza dalla palestra in cui lavorava e, per questo motivo, le toccava svegliarsi sempre troppo presto! Si portò una mano alla bocca, sbadigliando; dopodiché scalciò via le lenzuola e andò in bagno per farsi una doccia veloce. La tubatura dell’acqua si stava sicuramente rompendo di nuovo perché, ogni volta che apriva il rubinetto, questi scricchiolava in un modo, a dir poco, allucinante. Prima o poi, avrebbe dovuto richiamare l’idraulico per fargli dare una controllata - o forse, avrebbe dovuto decidersi a trasferirsi in un nuovo appartamento. Insomma, quella catapecchia ormai era sul punto di crollare!

Almeno l’affitto è buono, si disse Akane, uscendo dalla doccia e frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano.

In dieci minuti, si era già vestita, aveva preparato il borsone con dentro il suo karate gi e, dopo aver fatto una colazione veloce, era uscita di casa per prendere la metro. A quell’ora della mattina, il treno era sempre pieno zeppo di gente: studenti in ritardo; impiegati vestiti di tutto punto con giacca e cravatta; casalinghe dirette al mercato… Akane doveva spingere sempre pur di riuscire a entrare nel vagone - e, accidentaccio, si stava così stretti; le sembrava di essere una sardina in scatola! 

Il dojo Taniguchi era una piccola palestra non molto distante dalla fermata della metro. La proprietaria, Keiko, era una simpatica donnicciola sulla sessantina che aveva dedicato la sua intera vita alle arti marziali. Akane l’aveva conosciuta un po’ per caso, mentre era ancora alla ricerca di un lavoro e – sempre per caso-  le aveva raccontato cosa faceva e quali erano i suoi sogni nel cassetto. Commossa da tutto ciò, Keiko si era offerta di darle un posto nella sua palestra come insegnante di arti marziali.

Come ogni giorno, l’arzilla vecchietta la stava aspettando di fronte al dojo, con una sigaretta tra le labbra truccate di rosso. Aveva i lunghi capelli tinti, legati in una crocchia, dalla quale sfuggiva qualche ciocca argentata. Il suo corpo, minuto e tozzo, era fasciato da una tuta da ginnastica forse troppo grande, abbinata a delle semplici scarpe da tennis.

«Taniguchi-sensei!» la salutò Akane con un inchino. «Mi scuso per il ritardo, il treno non arrivava più, questa mattina!»

«Tranquilla, tesoro», le disse Keiko, sbuffando una nuvola di fumo. «Ho detto ai marmocchi di arrivare mezz’ora dopo.»

La giovane Tendo la guardò con aria interrogativa e l’insegnante spense la sigaretta su un portacenere. «Avevo bisogno di parlarti.»

Cos’è successo? Vuole licenziarmi, per caso? No, impossibile, Taniguchi-sensei non lo farebbe mai! pensò Akane, mentre la sua testa si affollava di domande. «Senta, se vuole licenziarmi, me lo dica e basta. So di essere stata molto impegnata ultimamente, ma adesso Shin si sta riprendendo e…» tagliò corto, lasciando cadere il borsone dalla spalla.

«Licenziarti?» chiese Keiko, sistemandosi gli occhiali sul naso. «Ma che vai a pensare, sciocchina», aggiunse, liquidando quel suo pensiero con un cenno della mano. «Ho incontrato la tua amica Akari al mercato, prima di venire qui. Che cara, quella ragazza! Stava portando a spasso il suo grosso maiale!»

Più che cara, direi strana… pensò affettuosamente l’artista marziale. Akari aveva degli hobby un po’ strambi ma, nonostante ciò, aveva imparato a volerle bene. Alle superiori, Akane aveva avuto moltissime amiche, ma queste le avevano voltato le spalle, quando la sua famiglia era caduta in rovina. Solo Akari e Ukyo le erano state vicine e, per questo motivo, le considerava le persone più importanti della sua vita. Non avrebbe mai rinunciato a loro.

«… e mi ha raccontato che a Settembre ti sposerai. Sono davvero felice per te, Akane!» esclamò Taniguchi-sensei, dandole una pacca sulla spalla. «Spero che a te vada meglio di com’è andata a me…» disse la vecchietta sovrappensiero, probabilmente riferendosi ai suoi due divorzi.

«B-Beh, sì. Shin è un ragazzo fantastico! Sono sicura che con lui andrà benissimo e saremo felici!» affermò Akane, arrossendo un po’. «Comunque, grazie dell’interessamento, Taniguchi-sensei! Ovviamente, lei è invitata alla cerimonia, se è questo che voleva sapere! Adesso, se non le dispiace, vorrei andarmi a cambiare per prepararmi alla lezione», disse la giovane, recuperando la sua borsa per andare verso gli spogliatoi.

Keiko, però, la fermò, mettendole le dita sopra le sue. «No, non era questo che volevo dirti», esclamò dolcemente la proprietaria del dojo, scuotendo la testa. «Il matrimonio comporta moltissime responsabilità, Akane. Non metto in dubbio che Shinnosuke sia un bravo ragazzo, anzi… Per quel poco che l’ho conosciuto, mi sembra una persona squisita! Però… so bene del suo handicap mentale. Come farai con il lavoro quando lui starà male e dovrai stargli vicino?»

Akane la guardò senza capire dove volesse andare a parare. Socchiuse le labbra e le richiuse. «Ma come...? È da anni che lavoro qui e sa bene che il mio ragazzo ha bisogno di me… Non pensavo che le mie assenze fossero un problema per lei… Gli affari vanno comunque bene, no?»

Taniguchi-sensei sospirò. «Già, ma io ormai sono vecchia e non posso allenare i ragazzi da sola... Vedi, Akane, la mia schiena non ce la fa più. Ti conosco e so che, per aiutarmi, ti divideresti anche in due tra il lavoro e il tuo ragazzo… ma non mi va che sia così, tutto qui. Ecco perché ho deciso di assumere una persona che ti affianchi e che ti copra quando tu non ci sei.»

Akane sgranò gli occhi, senza parole. «Cosa? Così senza preavviso?»

Keiko annuì e s'infilò un’altra sigaretta tra le labbra. «Certamente, ho anche già iniziato a cercarla.»

 

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Capitolo 3
*** Ricordi ***


CAPITOLO III

RICORDI



Dopo essersi sposata, Kasumi era andata a vivere con il dottor Tofu sopra l’ambulatorio in cui lui lavorava e si era adattata quasi subito alla vita coniugale. Non particolarmente avvezza ad alcun tipo di lavoro, la più grande delle sorelle Tendo era rimasta la casalinga che era sempre stata fin da giovane. Anche il ruolo di madre le si addiceva: dal suo matrimonio con Ono, infatti, era nata una bellissima bambina, Asuna, dai tratti dolci e i lunghi capelli castani. Tutta la casa era rasserenata da quella sua risata vivace, a cui, da poco, si era aggiunta quella più furba del suo piccolo e maldestro fratellino, Haru.

Akane si sistemò la borsa sulla spalla, lanciando dal basso un’occhiata furtiva alla finestra della cucina con le persiane alzate; dopodiché salì le scale che la conducevano all’appartamento e suonò al campanello. Kasumi le aprì quasi subito e l’artista marziale non si sorprese nel ritrovarla con la scopa in mano.

«Ciao Akane! Ti stavo giusto aspettando! Avanti, entra!» la invitò sua sorella, facendosi da parte. «Scusami il disordine… Ad Asuna è venuta la brillante idea di continuare a giocare, mentre faceva merenda… e ha sparso briciole dappertutto!»

Akane sventolò la mano con disinteresse. «Non importa, dovresti vedere casa mia… Lì sì che regna il caos!»

Kasumi distese le labbra in un sorriso e stava per aggiungere qualcosa, quando Asuna fece capolino dalla cucina. «Zia Akane!» urlò, buttandosi letteralmente tra le braccia della ragazza, che la afferrò al volo e la fece roteare in aria. La bambina rise divertita, poi abbracciò la sua zia preferita. Anche Akane, dal canto suo, la adorava, perché, in quel suo carattere impulsivo e vivace, rivedeva un po’ di se stessa da piccola.

«Asu-chan, hai fatto la brava in questi giorni? La mamma mi ha detto che hai fatto merenda in corridoio oggi e hai sporcato dappertutto… Lo sai che non si fa, vero?» la sgridò dolcemente Akane, mettendola giù.

La bambina gonfiò le guance e incrociò le minuscole braccia al petto, fulminando sua madre con lo sguardo. «Lo so, ma quel gioco era davvero bello… Non potevo fermarmi! La mamma non capisce mai nulla… Perché non mi porti a vivere con te, zietta? Potremmo giocare insieme e mangiare tantissimo gelato!»

Kasumi s’inginocchiò di fronte alla figlia e le diede un buffetto sulla guancia. «Sei proprio una cattivona, Asu-chan! Vorresti abbandonare la mamma e il papà per andare a vivere con zia Akane?»

«Sì! Almeno zia Akane mi vuole bene, mentre voi pensate sempre e solo a Haru-chi…» protestò la bambina, facendole la linguaccia.

«Non è vero, Asu-chan. La mamma e il papà ti vogliono bene tanto quanto ne vogliono al tuo fratellino. Comunque, non puoi andare a vivere con Akane, perché lei è molto impegnata, capisci?» le disse pazientemente Kasumi, prima di girarsi verso Akane. Mimò con le labbra un aiutami, che fece scoppiare a ridere l’artista marziale.

«Ha ragione la mamma, Asu-chan, ma ti prometto che un giorno di questi verrò a prenderti e ti porterò a casa mia! Potrai dormire da me e mangiare tutto il gelato che vorrai, okay?»

«Me lo prometti, zietta? Tutto, tutto il gelato che voglio?» le chiese la bambina, allargando le labbra in un sorriso compiaciuto.

Akane annuì. «Ora, però, vai a giocare... Io e la mamma dobbiamo discutere di qualcosa d’importante!» 

Asuna fece cenno di sì con la testa e si dileguò in camera sua; Kasumi, invece, si alzò in piedi e si spolverò la gonna con le mani. «Asu-chan è proprio tua nipote, Akane! Mi ricordo che, quando andavo alle medie, ti dovevo sempre portare da Ono, perché non facevi altro che sbucciarti ginocchia e gomiti!» le disse sua sorella con una certa nostalgia nella voce.

Stavo giusto pensando alla stessa cosa, pensò Akane, sorridendo. C’era stato un periodo in cui si faceva male apposta, solo per vedere il Dottor Tofu! Le piaceva davvero molto…

«Oh, quasi dimenticavo!» esclamò di punto in bianco, cadendo dalle nuvole. Aprì la cerniera del borsone e ne estrasse una piccola confezione in cartone. «Venendo qui, mi sono fermata a comprare dei sakura mochi. Non è molto, ma…»

Gli occhi di Kasumi s’illuminarono. «Vieni con me, li prenderemo con il the!» affermò tutta contenta sua sorella, facendole strada lungo il corridoio.

 
Kasumi aveva riordinato casa sua in modo, a dir poco, impeccabile. I pochi mobili della sala da pranzo, tra cui uno scaffale con alcuni libri, un vecchio televisore a colori e un basso zataku, brillavano di luce propria. A separare la cucina da quella stanza vi era una spessa tenda di perline, che tintinnava rumorosamente ogni qualvolta qualcuno vi passava attraverso. Akane s’inginocchiò di fronte al tavolo e aprì la confezione di sakura mochi, mentre sua sorella la raggiungeva con un grosso vassoio sopra cui erano state poste due tazze e una piccola teiera fumante.

«Allora, non mi hai ancora detto come stai, sorellina», esclamò Kasumi, versando il the per la sua ospite e per sé.

«Bene, anche se sono un po’ scossa…  La Signora Taniguchi ha deciso di assumere qualcuno che mi affianchi… Ho sempre lavorato da sola e la cosa mi sembra un po’… strana! E come se non bastasse, mi ha fatto pesare il fatto che Shin soffra di amnesia e che, per stargli affianco, debba correre a destra e a sinistra! Ha detto che ormai è vecchia e non ce la fa da sola, ma allo stesso tempo, non vuole che io mi divida in due… come ho sempre fatto, peraltro!»

«Alla fine, però, non ha tutti i torti… Non dovresti affaticarti così, Akane… Finirai con lo strafare!» replicò dolcemente sua sorella, spingendo una tazza verso di lei.

«Lo so… ma non parliamo di me, dai! Come procedono gli affari al dottore?  Vedo che ultimamente vengono molte clienti da lui.»

«Già, dicono che le sue tecniche siano miracolose», rispose Kasumi, soffiando sul suo the per raffreddarlo.

Basta che tu non vada a trovarlo, altrimenti rischi che qualcuno si faccia veramente male, pensò Akane, ridendosela sotto i baffi. Sua sorella e il dottore erano sposati da circa quattro anni, ma lei faceva a lui lo stesso effetto che gli aveva sempre fatto dalla prima volta che si erano incontrati. In fondo, però, erano davvero una bella coppia e stavano bene insieme.

«Shinnosuke, invece, come sta? Ha avuto qualche calo di memoria, recentemente?»

La più piccola scosse la testa. «No… anche se ha ricominciato ad attaccare post-it ovunque! Ha sempre paura di dimenticarsi qualcosa… come l’altra sera, che ha lasciato a casa il nostro anello di fidanzamento!»

Kasumi sgranò gli occhi. «Oddio, deve essere stato terribile! Chissà come si è sentito, poveretto…»

«Già, ma io non gliene ho fatto una colpa… Conosco bene la sua situazione», mormorò Akane, allungando la mano sinistra di fronte al viso per rimirare la piccola fede che brillava al suo anulare. Quasi stentava a credere che, dopo anni di fidanzamento, il suo ragazzo si fosse finalmente deciso a fare il grande passo!

«A proposito, vorrei farti di nuovo le mie congratulazioni, Akane! Sono davvero felice per te!» le disse sua sorella, poggiando le dita sulle sue.

«Oh, e pensare che adesso ci saranno un sacco di cose da fare… tra inviti, ristorante, prove del vestito…» esclamò Akane, prima di afferrare un sakura mochi dalla confezione. «Solo a pensarci, mi gira la testa!»

«Ecco, il vestito…» cominciò Kasumi, sovrappensiero, «… perché non fai aggiustare quello che tieni dentro l’armadio…? So bene che ce l’hai ancora… chiuso dentro a un baule.»

L’artista marziale sussultò, facendo cadere il pasticcino che stava mangiando. Quel vestito… l’aveva fatto cucire in occasione di un altro matrimonio. Perché non lo aveva ancora buttato via? Eppure, la sola vista di quell’abito da sposa era in grado di riaccendere in lei sentimenti che si erano spenti da tempo. Ecco perché, con il passare dei mesi, aveva deciso di rinchiuderlo dentro a un baule, così da non vederlo mai più e non sentire quella vocina che, impertinente, continuava a ripeterle: Stupida! Sei stata piantata a pochi giorni dal tuo matrimonio, come hai potuto credere a lui? Come hai potuto abbassare le barriere che proteggevano il tuo cuore?

«Akane, tutto bene? Hai una faccia…» mormorò sua sorella, guardandola con aria preoccupata. «Comunque, scusami, non volevo farti stare male. So bene che quel vestito è un ricordo dolente del tuo passato… solo che pensavo che ormai avessi superato la tua rottura con… beh, sì, sai con chi. Insomma, ti stai per sposare con Shinnosuke!»

Akane liquidò le parole di Kasumi con un cenno della mano. «Non ti preoccupare, puoi benissimo nominare Ranma. Il suo ricordo non mi tocca più da molto tempo, ormai», mentì, distendendo le labbra in un sorriso. Era sicura di amare Shinnosuke e di voler vivere con lui ma... la verità era che la ferita, che un tempo Ranma le aveva aperto sul petto, era ancora aperta e faceva male. Kami, se faceva male!

Sua sorella annuì con poca convinzione e sorseggiò il suo the. «Allora, dovremo organizzarci per andare a comprare un bel vestito… Hai già pensato chi verrà ad assistere alla prova dell’abito?»

Akane ci pensò un attimo su, allungandosi sul tavolo per recuperare il sakura mochi che aveva fatto cadere qualche minuto prima. «Sì, penso proprio che dovrai venire tu… e poi Ukyo e Akari, ovviamente, visto che mi faranno da testimoni.»

«Oh, che bello!» esclamò Kasumi, appoggiando la sua tazza sul tavolo e prendendo a sua volta un pasticcino. Si bloccò, però, prima di addentarlo e alzò gli occhi su di lei. «E per quanto riguarda… Nabiki?»

L’artista marziale sospirò. «Kasumi… ne abbiamo già parlato: sai bene quello che penso di Nabiki e, se ti stai chiedendo se la inviterò al matrimonio, la risposta è no. È la mia giornata, non voglio che venga rovinata da quella… vipera

Sua sorella abbassò lo sguardo e Akane si morse la lingua. Sapeva bene quanto quella situazione la facesse star male. Dopo che avevano perso la palestra e la casa, la loro famiglia era andata letteralmente in frantumi. La più piccola delle sorelle Tendo era, in qualche modo, riuscita a superare il tutto, però, Kasumi portava ancora dentro di sé alcune cicatrici. E, nonostante ciò, riusciva ancora a trovare del buono nelle persone, anzi, se fosse stato necessario, avrebbe persino accettato le scuse di Nabiki…! Nabiki, che aveva voltato loro le spalle, in un momento assai delicato… egoista e interessata solo ai soldi com’era! Akane la odiava, per questo, altroché! Non l’avrebbe perdonata mai! Mai!
 
***
 
L’insegna della scuola di arti marziali Saotome svettava sul muro accanto al cancello che conduceva direttamente al giardino di casa sua. Ranma la sfiorò delicatamente con la punta delle dita, ricacciando indietro le lacrime. Finalmente era a casa. Da quanto tempo aspettava quel momento?!

Alle sue spalle, Collant Taro grugnì. «Bene, pare che siate arrivati a destinazione. Ora, se non vi dispiace, vorrei il mio attestato di nascita. Sapete, ho un bisogno alquanto urgente di cambiare il mio nome.»

Ranma sogghignò, divertito. «Peccato, ci avevo trovato gusto a chiamarti Collant Taro. Se fossi in te, ci ripenserei.» 

«Davvero divertente », gli rispose a tono quello sbruffone. «Se è per questo, anch’io avevo preso gusto a chiamarti finocchio»

L’artista marziale si girò di scatto verso di lui e ridusse gli occhi a due fessure. «Io non ci proverei a richiamarmi in quel modo, se fossi in te.»

«Oh-oh, anche le minacce, ora! Bel riconoscimento per avervi condotti fin qui!» commentò Taro con una punta di stizza nella voce. Il ragazzo-bue sventolò la mano di fronte al viso. «Non che mi aspettassi nulla da voi, a parte il mio atto di nascita, ovviamente.»

Ah, e tu vorresti pure che ti ringraziassi, dopo essermi fatto un viaggio sulla tua scomodissima schiena! Ho le ossa a pezzi per colpa tua, dannazione! pensò Ranma, tastandosi un punto dolente sopra il fondoschiena. Magari, più tardi, avrebbe fatto un salto dal dottor Tofu. Erano anni che non vedeva quello strambo pranoterapeuta come, del resto, tutti gli abitanti di Nerima!

«A dire il vero, non so come ringraziarti, Taro», s’intromise suo padre, prodigandosi in un lieve inchino. «Come promesso, ti do il tuo atto di nascita», aggiunse, poggiando la pergamena in mano al ragazzo, che lo ringraziò con un mezzo sorriso.

«Bene, credo sia giunto il momento di congedarci.»

«Non vuoi entrare in casa a rinfrescarti? Sono sicuro che questo viaggio abbia stancato anche te», affermò Genma, facendogli cenno verso il cancello.

«Papà!» lo richiamò Ranma. «Per la mamma sarà uno shock solo vederci, non possiamo anche presentarle davanti questa sottospecie di yeti! Potrebbe venirle un colpo!»

Taro sogghignò. «Per questa volta, do ragione alla checca. Grazie dell’invito, ma sarà per un’altra volta!» esclamò, prima di tuffarsi dentro l’acqua del canale che costeggiava la strada.

Il codinato lo osservò, mentre mutava forma e si trasformava nel mostruoso uomo-bue, contro cui aveva combattuto anni prima. Era davvero gigantesco e, sicuramente, possedeva ancora una forza sovrumana. Taro li salutò con un gesto quasi impercettibile della mano e si librò in volo.

«A presto, Collant Taro», mormorò Ranma, osservando quella sua figura, che si faceva sempre più minuta nel cielo. Si rivolse, quindi, al suo vecchio intento a trascinare il suo grosso sacco ricolmo di denaro e gemme preziose. «Di’ la verità, papà. Era davvero il suo attestato di nascita, quello?»

Genma si chiuse nelle spalle e ridacchiò. «Macché, stavo bluffando.»
 

Sua madre doveva averli sentiti dall’interno della casa, perché, quando varcarono il cancello, corse subito loro incontro. In sei anni, Nodoka Saotome non era cambiata di un millimetro. Aveva legato i lunghi capelli castani in un’elaborata acconciatura dietro la testa, tenuta ferma da un fiocco verde acqua a forma di farfalla; mentre il suo corpo era fasciato da un semplice kimono indaco, impreziosito da una vivace trama geometrica. Solo vedendola più vicino, Ranma si accorse che sotto gli occhi aveva delle grosse occhiaie bluastre e che i capelli, una volta lucenti e scuri, erano inframmezzati da qualche ciocca argentata.

«Allora non me l’ero immaginato... Sei proprio tu, Ranma!» esclamò la donna, poggiando le mani sulle sue guance. Gli occhi le si riempirono di lacrime e, in un attimo, sua madre si gettò tra le sue braccia. «Oh, Ranma… non sai quanto mi sei mancato! Pensavo di non rivederti mai più!» mormorò, tra un singhiozzo e l’altro.

Ranma ricambiò il suo abbraccio, stringendola forte a sé. Non piangere, è da femminucce. Non puoi mostrarti così debole di fronte a tua madre, si disse, reprimendo un singulto sul nascere. «Anche tu mi sei mancata, mamma.»

Nodoka lo allontanò da sé per rimirarlo meglio. «Come ti sei fatto grande! I miei desideri si sono avverati: sei diventato davvero un bel ragazzo, grazie a tutti i Kami!»

«Ehi, cara, guarda che ci sono anch’io», s’intromise suo padre, indicandosi e distendendo le labbra in un sorriso. «Non sono diventato bello e muscoloso anch’io?»

Sua madre spostò gli occhi su Genma e sorrise. «Oh, tesoro, ciao! Non ti avevo visto! Da quanto tempo sei qui? Com’è andato il viaggio?»

Il suo vecchio sbuffò e si avviò verso casa, caricandosi il sacco in spalla. «Lascia perdere», borbottò a voce bassa, passando di fianco a Ranma.

«Oh, cielo, e ora che gli è preso?» chiese Nodoka, portandosi una mano sulla guancia. «Eppure sembrava così felice qualche attimo fa…»

È normale, l’hai totalmente snobbato… pensò il codinato, grattandosi la nuca. Comunque, non posso darti torto, mamma, sono più importante e affascinante io di quella vecchia mummia rinsecchita.

«Perché si sta trascinando dietro quel sacco? Che cos’è?» domandò sua madre di punto in bianco, distogliendo lo sguardo dalla figura di suo padre che, nel frattempo, si era rintanata dentro casa. «Immondizia?»

Ranma si chiuse nelle spalle. «Macché, immondizia… come ha detto lui a me, si tratta di un… souvenir dal villaggio delle amazzoni», lo scimmiottò, imitando la voce dura di Genma.

«Ah… a proposito di ciò, vogliamo andare dentro? Vorrei che mi raccontassi per filo e per segno cosa ti è successo in questi anni.»

 
Circa un’ora dopo, Ranma, lavato e con dei vestiti puliti, se ne stava seduto al tavolo della cucina, di fronte a sua madre, che lo guardava con aria interrogativa.

«E così, se ho capito bene, quella Shan-pu ti teneva in ostaggio a casa sua… e ti ha costretto a fare da cameriera nel suo ristorante.»

«Kami, è stato terribile…» mormorò il codinato. Un brivido gli percorse le membra, al ricordo di quello che aveva dovuto subire a causa di quella pazza. «Costretto in un corpo femminile, a correre da un tavolo all’altro per prendere le ordinazioni… con i clienti che allungavano le mani per sfiorarmi la gonna, toccarmi il fondoschiena

«Capisco», disse Nodoka, annuendo lievemente con la testa ed estraendo la lama della katana che teneva stretta al petto.

Aiuto, vuole fare harakiri! pensò Ranma, sussultando. L’idea di aprirsi il ventre con un coltello non lo allettava per niente! Insomma, era così giovane... nel fiore della sua vita… in più, doveva riconciliarsi con Akane al più presto! Già, Akane, chissà cosa stava facendo in quel momento… 

«E poi, quando quella Shan-pu ha scoperto che esisteva un’altra fonte maledetta per farti tornare uomo, ti ha ricattato, dicendo che te l’avrebbe fatta vedere a patto che avessi accettato di diventare suo marito… e tu che cosa le hai risposto?»

Il codinato sbuffò, tornando alla realtà. Perché il pensiero di Akane non faceva altro che tormentarlo, anche a distanza di anni? «Ho accettato, ovviamente, non potevo fare altrimenti», disse, volando con la mente al giorno in cui aveva ceduto alla proposta della cinesina e quest’ultima, felicissima, l’aveva riempito di fusa e parole dolci. Strano come una ragazza all’apparenza così carina potesse, in realtà, celare la sua natura di serpe velenosa. «E poi, il giorno del nostro matrimonio, Shan-pu mi ha portato alla fonte e mi ha fatto tornare normale. Voleva essere sicura che non fuggissi sul più bello, ma io l’ho fregata, altroché!»

«Hai tradito la fiducia di un’amazzone, tesoro, e gli dei sanno quanto possano essere orgogliose quelle donne! Sarà questione di giorni, prima che si faccia di nuovo viva…» commentò sua madre, sovrappensiero, alzandosi in piedi. «Ora, scusami, ma hanno suonato al campanello… Vado ad aprire.»

Rimasto solo, Ranma si guardò i palmi delle mani. Questione di giorni e poi quella pazza sarebbe tornata da lui, per riportarlo indietro, in Cina… e chissà quale sporco trucchetto avrebbe utilizzato questa volta per costringerlo a unirsi a lei in matrimonio! Prima del suo ritorno, devo assolutamente trovare Akane, costi quel che costi. Devo avere l’opportunità di spiegarle quello che è successo… perché l’ho lasciata a pochi giorni dal nostro matrimonio… Ah, eravamo dei semplici ragazzini, al tempo! Era proprio sicura di volersi sposare con me? Con me che non potevo offrirle nulla, se non il mio cuore e – ovviamente - la mia abilità nelle arti marziali? pensò il codinato, volgendo lo sguardo verso il giardino deserto. Una leggera brezza primaverile si stava levando da terra, facendo tintinnare leggermente la campanella appesa alla porta. Tutto lì fuori taceva, ad eccezione del lieve fruscio dell’acqua e l’agitarsi delle fronde degli alberi. Sarebbe mai riuscito a ritrovare quella pace che aveva perso?

«Ranma, vorrei presentarti la mia amica Keiko», esclamò improvvisamente sua madre, entrando nella stanza, seguita da una signora sulla sessantina. «È la sorella maggiore di una mia ex-compagna di scuola… Ti ricordi di Misaki? Ecco, lei.»

«Ah, sì…» disse Ranma, distratto. Come no… Le ricordo tutte le tue amiche, mamma.

«Io e Keiko ci siamo ritrovate da poco e ho scoperto che anche lei possiede un dojo, non è fantastico?» continuò Nodoka, eccitata, totalmente ignara che il codinato la stava ascoltando a malapena. «Mi ha raccontato che sta cercando un nuovo maestro di arti marziali… e ho pensato che tu… beh, che tu facessi al caso suo, capisci?»

«Pratichi anche tu le arti marziali?» gli chiese la presunta Keiko, guardandolo con rinnovato interesse. Ranma la osservò: sembrava una vecchia, con quelle orribili rughe e quelle labbra sbavate di rosso! Per non parlare delle ciglia, impiastricciate di mascara!

Ma che vado a pensare? «Sì, me la cavo abbastanza», rispose il ragazzo, annuendo con la testa.

«Oh, tesoro, non essere così modesto», commentò sua madre, guardando prima lui, poi quella vecchia zitella. «Il mio Ranma è un grandissimo combattente! Penso che sia il più forte di tutto il Giappone!»

Non esageriamo, ora, si disse Ranma, prima di essere interrotto dall’ennesima domanda di quella signora impicciona. «Quanti anni hai, ragazzo?»

«Ventiquattro.»

«Oh, proprio come l’altra insegnante nella mia palestra! Che ne dici di venire a fare un salto da me, domani? Così mi mostri quanto te la cavi!» esclamò Keiko, prendendogli le mani.

Il codinato represse l’impulso di ritrarsi. Cos’era tutta quella confidenza?! «D’accordo.» Tanto non ho di meglio da fare e non saprei nemmeno dove cominciare a cercare Akane… insomma, non posso mica presentarmi da lei così e dirle: ‘Ehi, sono tornato! Come te la passi?!’
 
***
 
Quando tornò a casa, la luna era già alta nel cielo da qualche ora. Solitamente, non le piaceva aggirarsi da sola di notte per il suo quartiere, ma Kasumi aveva insistito tanto, perché rimanesse anche a cena. Come se non bastasse, dopo mangiato, Asuna si era messa a fare i capricci, continuando a ripetere di non volere che la sua zietta preferita se ne andasse. Tornerò un giorno di questi, promesso, le aveva detto Akane, prima di filarsela. Per poco, non aveva perso anche l’ultimo treno!

Lasciò cadere il borsone a terra e si tolse le scarpe all’ingresso. Al contrario dell’appartamento di sua sorella, il suo era davvero silenzioso. A volte, si sentiva un po’ sola… ma forse, quella solitudine sarebbe svanita, una volta che si fosse sposata. Chissà se anch’io e Shin riusciremo a mettere su famiglia, pensò l’artista marziale, accendendo la luce dell’ingresso e ciabattando verso camera sua.

L’arredamento della sua stanza era piuttosto scarno. Un grosso letto a due piazze ne occupava interamente un lato ed era affiancato solo da un comodino di legno, sopra cui Akane aveva posto una lampada e la sua – tanto odiata– sveglia. Più in là, vi era un piccolo comò, su cui erano poggiate alcune fotografie: certe la ritraevano insieme a Ukyo e Akari, le sue amiche di sempre; altre in compagnia di Shinnosuke, durante la loro prima vacanza insieme; mentre una, in particolare, raffigurava i suoi genitori nel giorno del loro matrimonio. In quella fotografia, Soun e Midori Tendo si tenevano per mano e sorridevano felici. Sembravano avere l’uno solo occhi per l’altra. Quanto le mancavano…  
A completare il tutto, accanto alla porta, c’era un armadio a specchio. Akane ne aprì un’anta per prendere il pigiama e l’occhio le cadde inevitabilmente sul baule. In un attimo, le parole di sua sorella tornarono a ronzarle nelle orecchie: Ecco, il vestito… Perché non fai aggiustare quello che tieni dentro l’armadio…? So bene che ce l’hai ancora… chiuso dentro a un baule.

Ancora pensierosa, la piccola Tendo si accovacciò e lo estrasse dall’armadio. Si soffermò, per alcuni secondi, a carezzarne la superficie di legno su cui era stato intagliato un disegno floreale; poi la sua mano scese sulla serratura, facendola scattare.
Il baule si aprì con un cigolio, levando una piccola nube di polvere. Akane starnutì e sventolò una mano di fronte al viso per disperderla. Da quanto tempo non apriva quell’affare? Puzzava dannatamente di vecchio e di chiuso… eppure, le sembrava ancora di conoscere il suo contenuto alla perfezione.

Passò le dita sul tulle bianco dell’abito da sposa, ripiegato su se stesso e riposto accuratamente sul fondo. Era appartenuto a sua madre e Kasumi aveva voluto aggiustarlo e ricucirlo, affinché fosse della sua misura. Alla fine, quando lo aveva indossato per la prima volta, si era sentita una principessa, con quel corpetto impreziosito di perle e quella gonna ricolma di balze. Ranma non l’aveva vista, ma l’aveva comunque presa in giro, dicendo che probabilmente qualsiasi abito le sarebbe stato male, a causa dei fianchi larghi e del suo sex-appeal riconducibile a quello di un bradipo. La piccola Tendo gli aveva mollato un ceffone e gli aveva urlato che era un idiota e un cafone. A quel ricordo, Akane si mise a ridere e scosse la testa. Era davvero uno scemo!

Il suo sguardo si posò, quindi, su un cofanetto in feltro blu, accanto al vestito. L’artista marziale distese le labbra in un sorriso: quello era un regalo di Nodoka, la madre di Ranma… all’apparenza, poteva sembrare un anello di fidanzamento, mentre in realtà era una scatola di medicinali. Per dargliela, il suo ex fidanzato, goffo com’era, aveva scatenato il putiferio a scuola!
Akane la afferrò, ma, nel momento esatto in cui la aprì, qualcosa cadde a terra e tintinnò leggermente sul pavimento.  La ragazza si girò e scorse una fedina d’oro, al centro di cui brillava una piccola pietruzza bianca. Caspita, mi ero dimenticata del mio anello di fidanzamento, pensavo di averlo perso! Lo raccolse e lo ripose accuratamente nella confezione, che richiuse con uno scatto. Ma che sto facendo? pensò, sconsolata, sedendosi meglio sui talloni. Perché sto pensando a Ranma? Dovrei avere occhi solo per Shinnosuke… chissà cosa sta facendo lui in questo momento.

Si allungò per prendere il cellulare, ma l’occhio le ricadde, ancora una volta, all’interno del baule. Appoggiò nuovamente il telefono sul pavimento ed estrasse una vecchia cornice in vetro piena di polvere. Akane vi soffiò sopra, riscoprendo la fotografia al suo interno: la ritraeva insieme a un numeroso gruppo di persone sulla spiaggia dell’Isola delle Illusioni. Ricordava ancora quella sottospecie di vacanza: quell’idiota di un Kuno Tatewaki aveva invitato lei e la sua amata ragazza con il codino a fare un giro sul suo nuovo yacht e a quell’incursione, avevano deciso di unirsi le sue sorelle, suo padre, Genma Saotome… Ukyo, Ryoga… persino quella gatta morta di Shan-pu, Obaba e quella papera starnazzante di Mousse! Un’improvvisa tempesta li aveva colti di sorpresa e così, erano finiti su quell’isola apparentemente deserta! Presto, però, si erano accorti di non essere soli, perché pian piano, tutte le ragazze, lei compresa, erano state rapite per essere portate nel palazzo di un misterioso Toma. Costui avrebbe dovuto decidere tra di loro chi prendere in sposa!
Ranma, dopo essersi trasformato in donna ed essersi vestito in modo indecente, aveva provato in tutti i modi a conquistare quel ragazzino, ma alla fine, la scelta di quest’ultimo era ricaduta su di Akane… solo perché aveva un caratterino tutto pepe!
L’artista marziale rise e si soffermò a osservarsi da sedicenne, con i capelli tagliati a caschetto e quel vestitino bianco, che le copriva a malapena il fondoschiena… poi, spostò gli occhi sul suo ex fidanzato, alle cui braccia erano aggrappate da una parte Shan-pu, dall’altra Ukyo, entrambe sorridenti. Una crepa attraversava il vetro della cornice, dividendola in due. Akane ci passò il dito sopra, stando attenta a non tagliarsi. Era stata lei a romperla.

Quel giorno, aveva ricevuto una telefonata dal codinato sottoforma di ragazza: era andato in Cina per tornare normale ed evidentemente, non aveva ancora avuto modo di immergersi nella fonte della Nan Nichuan.

Lei gli aveva raccontato quanto fosse impegnata con i preparativi del loro matrimonio e, lui, di tutta risposta, aveva sospirato. Dopo un breve silenzio, si era finalmente deciso a parlare. Senti, Akane, devo dirti una cosa, le aveva detto, improvvisamente serio.

La giovane artista marziale si era subito preoccupata; gli aveva chiesto cosa c’era che non andava e lui le aveva risposto: Non voglio più sposarti, non mi va. Questa decisione l’hanno presa i nostri genitori… non dirmi che tu, invece, avevi sul serio intenzione di unire la tua vita alla mia?

Akane aveva aperto la bocca, con la gola improvvisamente secca. Ma che vai dicendo? Certo che non voglio sposarmi con un idiota come te! Io li odio gli uomini, li ho sempre odiati! gli aveva urlato, ricacciando indietro le lacrime, che ostinavano, però, a scendere, bagnandole il viso.

Perfetto, allora tra noi è finita. Non cercarmi mai più, aveva concluso Ranma con una punta di stizza nella voce, prima di chiudere la chiamata.

Non l’aveva nemmeno salutata. La piccola Tendo si era accasciata a terra, singhiozzando, ed era così che l’avevano trovata le sue sorelle.
Più tardi, era andata in camera sua e, in un moto di rabbia, aveva scaraventato la cornice contro il muro. E lì, era restata per giorni interi, settimane… finché lei non l’aveva raccolta, per riporla in quel baule.

Per un po’ di tempo, si era rifiutata a parlare di Ranma, a raccontare in giro quello che era successo, persino a pronunciare il suo nome!... poi, aveva incontrato Shin e la sua rabbia era lentamente calata, fino quasi a dissolversi.

Il suo ex fidanzato faceva parte del passato e, nonostante i suoi sentimenti per lui fossero sbiaditi con il tempo, il suo ricordo non poteva essere cancellato. Akane un po’ lo odiava per questo… «Stupido idiota», mormorò, poggiando la cornice sopra il vestito.

Smettila di pensare a lui, cretina… Fra poco ti sposi con un uomo straordinario che non fuggirebbe mai da te, come, invece, ha fatto quel vigliacco! le sussurrò una voce nella sua mente.

Già, Shin era meraviglioso, premuroso, non l’aveva mai presa in giro… con lui aveva ritrovato la felicità dopo tanto tempo! Non doveva pensare a Ranma, non era giusto nei suoi confronti!

Akane chiuse il baule e lo fissò, incerta, per qualche secondo. Un giorno, avrebbe dovuto buttare via tutte quelle cose. Ma quel giorno, non è oggi, pensò amaramente l’artista marziale, riponendo nuovamente il tutto all’interno del suo armadio.

 
Angolo autrice: Ciao a tutti! Come promesso, sono tornata dopo un mese con un nuovo capitolo!
Devo dire la verità: per questa storia provo una sorta di amore/odio... vorrei che Akane e Ranma si rimettero subito insieme ma, quando scrivo, so bene che non è giusto affrettare le cose... In fondo, la nostra protagonista ora è fidanzata con un altro e, ad essere sincera, odio
quando la ritraggono come una ragazzina 'frivola' che, anche se sta già con qualcuno, va a spassarsela con il nostro adorato codinato!
Comunque, sono particolarmente affezionata a questo capitolo - mi piace un sacco quando Akane pensa a Ranma... (sono disagiata perché mi sto lodando da sola, ahah!) - Spero che piaccia anche a voi e che continuiate a seguirmi! Non sapete quanta carica mi date con i vostri commenti oppure... quando aggiungete semplicemente questa fanfiction alle seguite/preferite/ricordate!
Un grazie di cuore va anche a Napee, la mia betareader, che continua a correggere le mie schifezze! 
Vi mando un abbraccio e ci riaggiorniamo al 6 Agosto.

Ayamehana.

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Capitolo 4
*** Tubi dell'acqua e docce calde ***


Note dell'autrice: Ciao a tutti e ben ritrovati! È già passato un mese, caspita! Innanzitutto, volevo ringraziare tutte le persone che stanno continuando a seguirmi! Siete in 17 e non riesco a crederci che siate così tanti!
Comunque, passiamo alla storia vera e propria, vi lascio un breve glossario perché, verso la fine del capitolo, ho utilizzato dei termini tecnici e vorrei che fosse tutto chiaro!


Budou: spazio riservato agli allenamenti nel dojo.
Kamiza: ‘sede dello spirito’, è lo spazio principale di un dojo. Il kamiza è usato come piccolo tempio di riverenza, rispetto e purezza.
Kagaribi: lampadari per candele.
Ofuda: amuleto che rappresenta lo spirito che risiede nel kamiza; fornisce buona fortuna e protezione.
O-miki: sakè purificato come offerta ai kami.


Infine, ringrazio la mia beta, Napee, per le sue continue revisioni e vi consiglio caldamente le sue fanfiction! Ci leggiamo a fine capitolo!


CAPITOLO IV

TUBI DELL'ACQUA E DOCCE CALDE



«Accidentaccio», biascicò Akane, trattenendo una fascetta di plastica tra le labbra. Quella mattina, la tubatura dell’acqua aveva deciso di abbandonarla definitivamente e dal soffione della doccia non era uscita una singola goccia! Così, armata di tanta pazienza e di una guida sui piccoli lavori ‘fai da te’, aveva deciso di provare ad aggiustare il guasto da sé, anche se con scarsi risultati.
 
Stringi di qua, tieni fermo di là… e ora… il tubo scricchiolò sotto le sue mani e le spruzzò in faccia un getto di acqua fredda. «Dannazione», imprecò a denti stretti, mollando a terra fascette e attrezzi, per andare a recuperare uno straccio. Ecco, ora sì che il danno è irreparabile, pensò, guardando, sconsolata, la pozzanghera che si era già formata ai suoi piedi.

Chiuse la valvola dell’acqua, facendo estinguere il getto, e tamponò il pavimento bagnato alla bell’è meglio. Uscì, quindi, dal bagno e prese la cornetta del telefono.

«Qui parla l’idraulico Sakamoto, come posso aiutarla?» le rispose una voce maschile dall’altra parte dell’apparecchio.

«Buongiorno, Signor Sakamoto! Sono Akane Tendo!» disse lei, giocherellando con il filo del telefono.

«Oh, Akane, è un piacere risentirti! Hai avuto qualche problema con il tubo dell’acqua, come al solito?» esclamò l’idraulico, gioviale.

Akane si grattò una guancia. «Già… Era da qualche giorno che scricchiolava e oggi ha deciso di abbandonarmi del tutto! Ho provato ad aggiustarlo, ma ho finito con l’allagare casa!»

Sakamoto scoppiò a ridere. «Sei un disastro! Hai chiuso la valvola dell’acqua, prima di metterti a trafficare con i tubi?»

«Ehm… in verità, no. Me ne sono dimenticata», ammise, sconsolata. Era davvero una frana in quel genere di lavori! Mantenere una casa non faceva proprio per lei!

«Bene…» mormorò l’idraulico, ironico. «Più tardi, passerò da te a dare un’occhiata al danno. Sei a casa, per caso?»

«No, ma dirò a Kasumi di venire ad aprirle. Ha una copia delle chiavi, quindi non dovrebbe essere un problema.»

«Perfetto, allora passerò nel pomeriggio. Buona giornata, Akane!»

«Altrettanto!» rispose lei, riagganciando. Quel giorno, avrebbe lavorato nel primo pomeriggio, quindi avrebbe avuto tutto il tempo per andare in un onsen a farsi un bagno caldo. Afferrò una borsa e, dopo aver arraffato lo shampoo, il bagnoschiuma, un pettine, un asciugamano pulito… se la caricò in spalla. Ecco, era pronta per andare.
 

Circa un’ora dopo, Akane uscì dal bagno pubblico, lavata e con dei vestiti asciutti. Si sentiva davvero bene! Prese un elastico e si legò i lunghi capelli scuri in una coda di cavallo, poi, frugò in borsa alla ricerca del portafoglio. Ah, ho finito tutti gli spiccioli che mi rimanevano! pensò, guardando il portamonete. Per fortuna, ho l’abbonamento per la metro! Quasi quasi, vado da Ucchan a fare colazione! Non romperà le scatole, se le dico che pagherò la prossima volta! si disse, imboccando la strada che portava alla stazione più vicina.

Di giorno, Roppongi sembrava un quartiere del tutto differente! I turisti, con le macchinette fotografiche appese al collo, affollavano le strade anche di prima mattina. Sui marciapiedi, vi erano già dei venditori con le loro bancarelle multicolori, che esponevano mercanzia e souvenir di ogni genere. Alcuni di loro provavano ad attirare gli stranieri, urlando in un inglese impacciato, che un po’ le ricordava quello dell’eccentrico preside del Furinkan.
Akane rise e passò oltre, prima di alzare lo sguardo su un’insegna su cui era disegnato lo schizzo del nuovo edificio che Tokyo aveva in cantiere da ben quindici anni. Roppongi Hills, il palazzo che svetterà su tutto il quartiere, citava una frase sul cartellone. Il suo scheletro era ben visibile già da tempo. Chissà quando lo inaugureranno… pensò l’artista marziale, affrettandosi verso la metro. Erano già le nove e il treno sarebbe passato a minuti!

 
«Guarda, guarda chi si vede!» la salutò Ukyo, quando Akane entrò nel suo locale.

A quell’ora della mattina non c’era praticamente nessuno, ad eccezione di due arzilli vecchietti, che leggevano il giornale, seduti a un tavolino affianco alla finestra. La giovane li salutò cordialmente con un cenno del capo e prese posto di fronte all’amica.

«Ciao, Ucchan! Mi prepari il solito, per piacere?»

«Certamente!», le rispose la ragazza, afferrando una ciotola e della farina. «Come stai? Immagino che il matrimonio ti stia dando tanto da fare!»

Akane minimizzò con un gesto della mano. «In verità, no. Non ho ancora iniziato alcun preparativo», le confidò, ridendo. «Devo, però, chiamare la boutique per la scelta dell’abito… Hai voglia di accompagnarmi? Avevo pensato di portare te, Akari e Kasumi!»

«Che domande fai?! Ovvio che vengo!» rispose Ukyo, allegra, rigirando un okonomiyaki sulla piastra; mentre l’artista marziale si guardava intorno.

«Dov’è Konatsu? Stamattina non lavora?» chiese, appoggiando una guancia sul palmo di una mano.

«Mhh… no», le disse Ukyo, laconica, prima di aggiungere: «Ieri sera, dopo tanto tempo, ho accettato di uscire con lui, a patto che si vestisse da ragazzo.»

Akane sgranò gli occhi. «Cosa?!»

La cuoca annuì. «Era contento, ma anche molto, molto nervoso. Siamo andati al karaoke e ha ordinato almeno tre cocktail.» La giovane scosse la testa, prendendo un piatto e servendole la colazione. «Se li è scolati tutti e ora… è a letto con una fortissima emicrania!»

Akane afferrò una forchetta con l’acquolina in bocca. Aveva una fame! Buon appetito a me! si disse, ma venne interrotta da Ukyo. «Caspita… ho proprio sfortuna con i ragazzi.»

«Ma no, non dire così…» provò a consolarla lei.

Fin dall’infanzia, la piccola Kuonji aveva sempre avuto una grandissima cotta per Ranma, che era sfumata, quando si era resa conto che con lui non c’era nulla da fare. È troppo preso da te! le aveva urlato contro con le lacrime agli occhi. Non ho speranze con lui! Per un breve periodo, Akane aveva avuto il timore che la cuoca di okonomiyaki la odiasse per questo, ma poi lei le aveva confidato di essersi innamorata di Ryoga. È dolce, penso che sia quello giusto! le aveva detto ma, ancora una volta, si era sbagliata. L’eterno disperso, infatti, aveva perso la testa per la bella Akari, finendo inesorabilmente con lo spezzare il cuore a Ukyo; cui non era restato altro che rintanarsi in un angolino a raccoglierne i cocci e a leccarsi le ferite. Da quel giorno in poi, la giovane aveva deciso di lasciar stare gli uomini e di dedicarsi solamente alla sua cucina. C’era Konatsu, che talvolta ritornava alla carica, ma lei non faceva altro che rifiutare gentilmente le sue avances. È come un fratello maggiore per me… non staremo mai insieme, ripeteva sempre.

Akane appoggiò la forchetta e si pulì la bocca con un tovagliolo. «Su con la vita, Ucchan! Il mare è pieno di pesci!»

«Già, ma pare che la mia canna da pesca non funzioni molto bene», rispose ironicamente la bella cuoca, distendendo le labbra in un sorriso sghembo. «Ahh, ma basta pensare agli uomini! Io posso stare benissimo da sola!» esclamò, nuovamente allegra, allargando le braccia.

Che bugiarda… pensò l’artista marziale, alzandosi in piedi. «Adesso scusami, Ucchan, ma devo andare!»

«Oh, ma di già? Sei appena arrivata!»

Akane lanciò una breve occhiata al suo orologio da polso. Erano quasi le undici. «Eh, sì. Visto che ho un po’ di tempo, faccio un salto dal mio wedding planner. Insomma, dovrò pur cominciare a organizzare questo matrimonio, no?»

«Ah, beh, sì», rispose Ukyo, grattandosi una guancia. «Poi chiamami, eh! Dobbiamo organizzarci per la prova dell’abito!»

La piccola Tendo annuì e sorrise. «Sarà fatto! Comunque, grazie per la colazione! Ti porterò i soldi più tardi, okay?»

La cuoca sbuffò e si chiuse nelle spalle. «Se proprio devi…»
 

Dopo una lunghissima e assai estenuante seduta con Satoru Harada, il suo wedding planner, un uomo tutto papillon e drink con bollicine e ombrellino, Akane s’incamminò verso la palestra in cui lavorava. Harada le aveva assicurato – e ripetuto più e più volte– che, se avesse lasciato tutto nelle sue mani, lei e Shinnosuke avrebbero avuto un matrimonio da favola. L’artista marziale un po’ stentava a crederci, ma alla fine aveva ceduto. Niente sfarzi, però. Vogliamo qualcosa di semplice. Non ci saranno molti invitati.

Il wedding planner aveva sbuffato rumorosamente. Come siete noiosi, voi! le aveva detto, facendo oscillare lo champagne nel flûte che teneva in mano.

Akane sospirò. Cosa c’era di male nella semplicità? Nulla, assolutamente nulla!

«Ciao, Akane», le disse la Signora Taniguchi, distogliendola dai suoi pensieri. Se ne stava in piedi al suo solito posto, a sbuffare nuvole grigiastre di fumo.

«Ciao», la salutò lei, spiccia, passandole accanto. Non aveva voglia di parlarle, non dopo il discorso che le aveva fatto qualche giorno prima! Non condivideva la sua stramba idea di assumere una nuova persona. Lì bastava solamente lei!

«Volevo dirti che ho già trovato qualcuno che fa al caso nostro. Verrà qua a fare una prova più tardi… ti va di restare dopo l’allenamento? Così te lo presento!»

Non particolarmente, pensò Akane, prima di inventarsi una scusa: «Mi dispiace, Taniguchi-sensei, più tardi ho un impegno.»

«Ah sì?»

L’artista marziale si schiarì la voce. «Eh… già! Ho rotto la tubatura dell’acqua e più tardi viene l’idraulico a darle un’occhiata!» esclamò con voce fin troppo euforica. Taniguchi-sensei la guardò con aria curiosa, ma non commentò oltre.

In fondo non è una vera bugia, no?!, si disse Akane, alzando gli occhi al cielo. «Che ne dice di venire dentro, sensei?» le chiese, osservando, con sguardo critico, una minacciosa nuvola nera in avvicinamento. «Oggi, le previsioni hanno chiamato un bell’acquazzone! Se non si ripara dalla pioggia, potrebbe prendersi un raffreddore!»

«Brava, cambia argomento, ma stai certa che non mi scappi!» la canzonò Keiko, spegnendo la sigaretta e seguendola dentro la palestra. 
 
***
 
Quando Ranma si svegliò, quel giorno, una sensazione di estraneità s’impossessò subito di lui. Quella era la sua stanza e lì c’erano le sue cose: un armadio a muro pieno di colorate casacche cinesi e pantaloni scuri, una lampada da tavolo tutta impolverata, un soffice futon bianco; eppure, nonostante tutto, non poteva fare a meno di sentire tutti quegli averi come non suoi.

Sono stato troppo lontano da casa, tutto qui, pensò, cercando di scacciare via quell’insolita e - assai sgradevole- impressione. Si mise a sedere sulla coperta e si sistemò la treccia su una spalla. In sei anni molte cose erano cambiate; altre, invece, erano rimaste le stesse. Avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo per riscoprire quella Nerima tutta nuova.

Ah, basta con questi pensieri! Dovrei andarmi a preparare: oggi ho un colloquio di lavoro con quella strana signora… Come ha detto di chiamarsi…? Beh, chi se ne importa! si disse il codinato, scalciando via le lenzuola. L’appuntamento con l’amica di sua madre era fissato nel pomeriggio, quindi avrebbe avuto qualche ora per sé da dedicare a del sano allenamento e, forse, anche a una capatina per Tokyo.

Andò in bagno e s’infilò sotto la doccia, lavandosi di dosso gli umori della notte appena passata; poi indossò la sua casacca preferita e scese le scale per andare in cucina.

Suo padre era seduto di fronte allo zataku ed era immerso nella lettura di un giornale, mentre sua madre stava trafficando con dei piatti. In quel momento, il suo vecchio allungò una mano verso una scodella e Nodoka gli schiaffeggiò il dorso, sgridandolo e dicendogli che quella colazione era interamente riservata al suo bambino. Ranma sorrise, divertito. Quanto gli mancavano quei quadretti familiari!

Stava per entrare nella stanza, quando la voce di sua madre lo bloccò: «Tesoro, non dovremmo dirglielo, gli si spezzerà il cuore!»

Genma posò il giornale e si sistemò gli occhiali sul naso. «È inevitabile; se non glielo diciamo noi, lo scoprirà comunque da solo. Fa male, lo so… Io stesso ne ho sofferto molto, dovresti saperlo.»

Ranma si accostò maggiormente alla porta, facendo attenzione a non farsi scoprire. Di che diavolo stavano parlando?

«Già… mi ricordo. Al tempo, mi scrivesti una lettera; eri completamente distrutto.»

«E nonostante ciò, Ranma non si è accorto di nulla. Ho continuato a fare la mia solita faccia di bronzo, sembra che mi riesca piuttosto bene», rispose il suo vecchio, allargando le labbra in un sorriso compiaciuto. «E poi, quella squinternata di Shan-pu mi costringeva a rimanere un panda per tutto il giorno e, con quelle sembianze, era piuttosto difficile che capisse qualcosa… Se non fosse stato per quel Mousse, non sarei nemmeno riuscito a tenermi in contatto con te, cara.»

«Che i Kami benedicano quel ragazzo», disse sua madre in un sussurro che arrivò, impercettibile, alle orecchie del codinato. «Come faremo con nostro figlio? Credi che andrà a cercarla?»

Genma si chiuse nelle spalle, afferrando, di nascosto, uno tsukemono dal piatto. «Ehi!» gli urlò dietro Nodoka, sottraendo la colazione dalle grinfie dell’uomo-panda.

Quest’ultimo sbuffò sonoramente e riprese il suo giornale. «Ovvio che andrà a cercarla. È troppo orgoglioso perché lo ammetta, ma, da qualche parte del suo cuore, Ranma sa ancora di amarla.»

«Ma lei…»

A quel punto, il codinato decise di aver origliato fin troppo. Finse uno sbadiglio ed entrò nella stanza, come se non avesse sentito nulla. «Buongiorno, mamma», salutò, occupando il posto di fronte a Genma. «Papà.»

«Ben svegliato, caro», gli rispose sua madre, gioviale, porgendogli il piatto con i sottaceti e una scodella con del riso. «Hai dormito bene?»

Ranma osservò con la coda dell’occhio suo padre, che ora lo stava guardando in cagnesco. Gli fece una boccaccia, prima di tornare a rivolgersi a Nodoka. «Insomma, ho un po’ di mal di schiena… Dovrò abituarmi di nuovo al mio letto», scherzò, spezzando le bacchette per cominciare a gustare la sua deliziosa colazione.

«Tua madre mi ha detto che oggi pomeriggio avrai un colloquio di lavoro», gli disse suo padre, inforcando gli occhiali e ritornando alla sua lettura. «Ah, che bella la gioventù… Anch’io ero pieno di risorse come te, al tempo, sai?»

Ranma sbuffò. «Non credere che ci vada, perché m’interessa davvero. È solo un modo per… ammazzare il tempo, tutto qui. E poi, dovresti saperlo anche tu: un artista marziale deve sempre puntare in alto. Ecco perché, un giorno, avrò una palestra tutta mia.» 
 
Nodoka tossicchiò e si portò la manica del kimono sulla bocca. «Com’è ambizioso il mio ragazzo! Sono proprio orgogliosa di te, Ranma! Tesoro, dovresti prendere esempio da lui!» 

Genma storse le labbra e alzò gli occhi al cielo. «Se è per questo, anch’io se mi metto d’impegno, sono in grado di trovare lavoro in tempo record, cara.»

Ranma scoppiò a ridere. «E dove vorresti trovarlo, in uno zoo, per caso?»

«Oh, non sarebbe una cattiva idea, però!» lo rimbeccò suo padre, poggiando il giornale sul tavolo. Una strana scintilla gli attraversò gli occhi, quando aggiunse: «Scommettiamo che riuscirò a ottenere quel lavoro senza compiere un minimo sforzo?!»

Il codinato lo guardò, distendendo le labbra in un ghigno beffardo. «Scommetto quel che vuoi, invece, che ti cacceranno a calci in culo, paparino. Magari ti diranno di riprovare al circo come mascotte!»

Genma ignorò la sua battuta e tornò a rivolgersi alla moglie. «Tesoro, dove hai messo la mia giacca?»

«Oh, Kami… Non dirmi che fai sul serio?» mormorò Nodoka, portandosi una mano sulla guancia. «Comunque, l’ho appesa all’attaccapanni in corridoio.»

Il suo vecchio si alzò, salutandoli velocemente con un cenno del capo, e si dileguò verso la porta di casa. Ranma, invece, appoggiò le bacchette sul tavolo e si mise a ridere. «Mi sa che faceva davvero sul serio.»

«Così sembra.»
 
***
 
«Come? Un panda?!» chiese Akane, tenendo il cellulare in bilico tra l’orecchio e la spalla, mentre cercava di togliersi di dosso la giacca del suo karate gi. Durante l’allenamento, uno dei suoi studenti era stato colpito in faccia da un pugno, guadagnandosi un bell’occhio nero e l’immancabile sangue da naso. L’artista marziale lanciò un’occhiata disgustata all’orlo della manica che il ragazzino le aveva accidentalmente macchiato quando era accorsa in suo aiuto.

«Sì, un panda! Si è presentato questa mattina qui allo zoo! Inizialmente, pensavamo che fosse scappato dal suo recinto, ma poi, ha dimostrato di non essere un panda qualunque!» esclamò Shinnosuke dall’altro lato dell’apparecchio. Era davvero eccitato, sprizzava felicità da tutti i pori, mentre Akane, dal canto suo, non ci trovava nulla di strano, anzi, aveva visto cose ben più bizzarre nella sua vita!

«Ah…» rispose, esaminando la macchia di sangue. Avrebbe decisamente dovuto portare quella giacca in una lavanderia. «E che ha fatto di strano questo panda?»

«Ha dimostrato di saper accudire gli altri animali! Sembrava quasi… umano!» continuò Shin e dalla sua voce, si poteva capire che anche lui stentava a crederci. «Pensa che ci ha persino detto come si chiama!»

Magnifico! Un panda che parla! si disse Akane, prima che un pensiero affiorasse nella sua mente: quando si bagnava con l’acqua fredda, Genma Saotome, il padre del suo ex fidanzato, si trasformava in un gigantesco panda antropomorfo! Sarà solo una coincidenza… Ranma se n’è andato anni fa! «E come si chiama?!» domandò, con rinnovato interesse.

«Il suo nome è…»

In quel momento, Keiko bussò alla porta, chiamandola. «Akane, posso entrare?»

«Shin, scusami, me lo dirai più tardi, okay? Ora, il lavoro mi chiama!» si affrettò a dire al suo ragazzo, chiudendo la telefonata. Chissà qual è il nome di quel panda…

«Volevo solo ringraziarti da parte di Ryo… Si vergogna di aver perso il sangue dal naso ed è corso a casa. Tu, invece, tutto bene? Ho visto che ti ha macchiato la giacca…» esclamò Taniguchi-sensei, prendendole il braccio e studiando a sua volta la manica sporca. «Ah… ti pagherò la lavanderia, va bene?»

Akane scosse la testa. «Non serve, è solo una macchietta… andrà via facilmente», replicò, sfilandosi il karate gi e rimanendo in reggiseno.

«Adesso, se non le dispiace, Taniguchi-sensei, vorrei finire di cambiarmi.»

Keiko la guardò con aria curiosa e annuì. «Va bene, ti lascio un cambio nell’armadietto, nel caso ti serva, okay?»

«Okay, grazie», le disse l’artista marziale, frugando nella sua borsa. Anche se ce l’ho già… pensò, afferrando una maglietta pulita e una vecchia gonna in jeans.

Dopo qualche minuto, stava già varcando l’uscita della palestra, quando Taniguchi-sensei la chiamò per l’ennesima volta. «Akane, prenditi l’ombrello, sta per piovere!»

«Non importa, sensei, credo che il tempo terrà ancora un po’!»
 

E, invece, non tenne. L’acquazzone la colse, mentre stava attraversando la strada che portava alla stazione. Akane si prese la testa con le mani, cercando di coprirsi i capelli. Dannazione, li ho lavati questa mattina! si disse, rammaricata, trovando riparo sotto il tetto sporgente di un’abitazione. Sbuffò, ricordandosi improvvisamente di non avere nemmeno l’acqua calda in casa. Chissà se l’idraulico è già passato a sistemare la tubatura… Prese il cellulare e digitò il numero di Kasumi per chiederglielo, ma, al primo squillo, partì la segreteria. Maledizione! Che cosa faccio ora?!

Casa di Shinnosuke non era molto distante da lì, ma il suo ragazzo era ancora a lavoro… e lei non aveva le chiavi! Chiamo Ukyo? No, lei non ha il bagno… Akari è impegnata, Ryoga è in negozio… Akane fece scorrere il dito sulla rubrica del suo telefono, ma lasciò stare quasi subito. Tutti i suoi amici avevano da fare e – ironia della sorte- aveva anche finito i soldi e non poteva nemmeno andare in un bagno pubblico!

Vorrà dire che tornerò in palestra… lì ci sono gli spogliatoi… pensò, imboccando nuovamente la via che portava al dojo. Nonostante l’addetta alle pulizie lustrasse le docce quasi ogni giorno, l’idea di lavarsi lì non l’aveva mai allettata. Ecco perché, ogni volta che finiva l’allenamento, se ne tornava dritta a casa. Per una volta, però, avrebbe dovuto fare un’eccezione.

All’ingresso della palestra non c’era nessuno, ma poteva ben sentire la voce squillante di Keiko, che parlava animatamente con qualcuno. Akane si guardò intorno e s’intrufolò, lesta, nello spogliatoio. Non voleva rischiare che la sensei la vedesse: sicuramente era in compagnia del suo nuovo collega di lavoro e lei non aveva la minima voglia di incontrarlo prima del previsto!
 
***
 
Quel pomeriggio, dei brutti nuvoloni neri carichi di pioggia addensavano il cielo che, fino a qualche ora prima, era totalmente sgombro. Ranma affrettò il passo in direzione della palestra Taniguchi, maledicendo mentalmente quel tempaccio. Se non si fosse sbrigato, sarebbe stato colto dall’acquazzone e – mannaggia a lui, non si era nemmeno portato l’ombrello! Per fortuna, non mi posso più trasformare in ragazza con l’acqua fredda, pensò, tirando un sospiro di sollievo. Se fosse arrivato al dojo sotto le spoglie di Ranma-chan, avrebbe sicuramente compromesso la sua reputazione di ragazzo forte e virile… e chissà che idea si era fatta di lui quella Keiko per invitarlo, senza la minima esitazione, a provare quel nuovo lavoro!

Passando per le vie di Nerima, il codinato si guardò un po’ intorno: quel quartiere di Tokyo non era cambiato di una singola virgola! Un’alta rete metallica divideva la strada dal canale con le sue acque torbide, dentro cui Ranma era finito fin troppe volte.
Le case tradizionali affiancavano i negozietti con le saracinesche alzate e la mercanzia in bella vista sulle bancarelle. Un fruttivendolo lo salutò con un cenno del capo e un sorriso, quando il ragazzo gli passò di fronte. Già, i giapponesi sapevano essere davvero cordiali.
L’artista marziale passò oltre, saltando su un muretto e camminandoci sopra in perfetto equilibrio.

Ah, che noia…! Questa città rimane sempre la stessa! si disse, portandosi le mani dietro la testa. Chissà se anche Akane è ancora un brutto maschiaccio senza sex-appeal! Sono proprio curioso di vederla!

Akane… forse, più tardi, avrebbe fatto un salto dai Tendo. Moriva dalla voglia di rivedere quel suo cipiglio, quando gli urlava dietro che era uno stupido. Era così buffa da fargli scaldare il cuore!
 

L’entrata del dojo Taniguchi era piuttosto modesta e affacciava direttamente sulla strada che portava alla stazione di Nerima. Accanto all’ingresso, vi era una zona fumatori con un portacenere, su cui era adagiato un mozzicone di sigaretta ancora fumante.

Una volta varcato il cancello, un piccolo sentiero conduceva a quella che era la vera e propria struttura della palestra. All’entrata, vi era un bancone a mezzaluna, su cui era posto un vecchio telefono e un cartello con scritto ‘Iscrizioni aperte’. Poco più in là, un corridoio portava direttamente a quello che doveva essere lo spogliatoio, sopra la cui porta era incisa una targhetta con un disegno stilizzato di un uomo e una donna.

«Vieni da questa parte, ragazzo, ti mostro il dojo», gli disse l’amica di sua madre, superandolo e facendogli strada verso il luogo degli allenamenti. Ranma la scrutò da dietro, osservando il suo abbigliamento piuttosto eccentrico. Quella donna era strana, curiosa e impicciona; ma - chissà-poteva anche rivelarsi un’ottima combattente. Non a caso, possedeva una palestra tutta sua!

La signora Taniguchi si fermò di fronte a una porta scorrevole, su cui era tratteggiato un intricato dipinto floreale inframmezzato da alcuni kanji. Il codinato li lesse velocemente: meditazione, concentrazione, apprendimento, amicizia e rispetto.

Keiko fece scorrere il fusuma, rivelando l’ampio vano che si trovava al suo interno; dopodiché si tolse le scarpe, invitando Ranma a imitarla. Il ragazzo la seguì dentro il budou, guardandosi discretamente attorno. Gli shoji della parete est erano stati accostati, cosicché dal giardino penetrasse la leggera brezza fresca di fine maggio.

Ranma osservò la proprietaria del dojo, mentre si avvicinava al lato nord della palestra e s’inginocchiava di fronte al kamiza in segno di saluto. Il codinato la imitò e scrutò con la coda dell’occhio l’altare situato tra due kagaribi. Affianco all’ofuda con una dettagliata iscrizione in kanji, vi era la foto in bianco e nero di un anziano insegnante, il cui corpo era fasciato da un kimono scuro. Sotto, erano stati posti alcuni elementi decorativi, tra cui un bonsai e una boccetta contenente l’o-miki.

«Era mio nonno.»

«Uh?» fece il ragazzo, spostando lo sguardo dall’altare alla signora Taniguchi. L’età le aveva disegnato profondi solchi accanto agli occhi e intorno alle labbra, che ora erano distese in un sorriso sereno.

«Mio nonno decise di fondare questa palestra insieme a un suo amico nei primi anni del Novecento. Pensa che i due erano così legati che decisero di far sposare i loro figli. Mio padre, inizialmente, era restio a unirsi in matrimonio con mia madre, ma poi… i sentimenti hanno avuto la meglio», gli raccontò Keiko, continuando a guardare la foto appesa al kamiza. Ranma la osservò in silenzio, ma lei era troppo persa nei suoi pensieri per notare che la stava fissando. Dopo un breve minuto, la proprietaria del dojo si alzò in piedi e si spolverò i pantaloni del karate gi dalla polvere. «Uhm, che ne dici di andarti a cambiare e di mostrarmi di cosa sei capace, ragazzo? Gli spogliatoi si trovano in fondo al corridoio… vuoi che ti accompagni?»

Il codinato si grattò una guancia in imbarazzo. «Ehm, no, non serve… ho già visto dove si trovano, in verità!»

«Se senti il rumore dell’acqua della doccia, non preoccuparti. Le lezioni pomeridiane sono finite da poco ed è normale che qualche ragazzino si sia attardato a tornare a casa! Io non ci faccio nemmeno più troppo caso, lascio che se ne vadano quando hanno finito!» esclamò Taniguchi-sensei, portandosi una mano dietro la nuca e scoppiando a ridere.

Beh, allora va bene… pensò Ranma, chinando leggermente il busto di fronte all’altare, prima di dirigersi verso gli spogliatoi. 
 
***
 
Akane chiuse l’acqua della doccia e si avvolse in un asciugamano che, fortunatamente, aveva lasciato all’interno del suo borsone. Ci voleva proprio una bella doccia calda dopo quell’acquazzone! pensò tra sé e sé, passandosi le dita tra i capelli bagnati per districarne i nodi. Peccato che i miei vestiti siano ancora fradici… si disse, lanciando un’occhiata sconsolata alla maglietta e alla gonna abbandonate tra le sue cose. Sbuffò; alla fine, Taniguchi-sensei aveva fatto bene a lasciarle un cambio nell’armadietto e lei, malfidente, le aveva quasi risposto che non le serviva! Ficcò i vestiti nella borsa e si diresse verso lo spogliatoio vero e proprio… Per fortuna, a quell’ora, tutti i suoi studenti se n’erano già andati – aveva anche controllato per accertarsene! – e poteva girare liberamente in asciugamano, senza avere timore che qualcuno la potesse vedere nuda.

Si avvicinò al suo armadietto, facendo scattare la chiave nella serratura, quando qualcuno pronunciò il suo nome. Era una voce maschile, dal timbro stranamente familiare, e l’aveva chiamata con un tale stupore da far rimanere anche lei interdetta. Ad Akane si gelò il sangue nelle vene, mentre girava meccanicamente la testa verso chi le aveva appena rivolto la parola. E, quando i suoi occhi increduli incontrarono quelli azzurri di lui, un urlo le salì alla gola. 
 
***
 
Ranma entrò nello spogliatoio, guardandosi in giro con aria curiosa. Non capiva per quale assurdo motivo Keiko Taniguchi non avesse fatto costruire due spogliatoi separati, anziché di uno solo. Bah, probabilmente perché l’unica donna qui, oltre a lei, è la mia nuova collega… chissà come si chiama e che tipo è… pensò il codinato, sfilandosi la maglietta. E, soprattutto, non si vergogna a cambiarsi con tutti questi ragazzini che le ronzano intorno?!

L’artista marziale era ancora immerso nei suoi pensieri, quando sentì l’acqua della doccia, nella stanza accanto, smettere di scrosciare. Diamine, ce ne aveva messo di tempo a lavarsi quel ragazzino! Tornò a frugare nella borsa, alla ricerca dei pantaloni della tuta, ma, ancora una volta, fu interrotto da un ennesimo rumore. Si trattava di una canzone, canticchiata a bassa voce, da una… donna. Ranma si pietrificò sul posto: era forse la sua nuova collega?

Si fece piccolo piccolo, mentre quest’ultima entrava nella stanza e si avvicinava a quello che doveva essere il suo armadietto. Il codinato la osservò: il suo corpo, dal seno non eccessivamente grande e dai fianchi sinuosi, era fasciato da un semplice e striminzito asciugamano rosa, che le copriva a malapena il fondoschiena. I capelli, lunghi e lisci, erano di un blu quasi metallico ed emanavano un buonissimo profumo di vaniglia. Il ragazzo se ne inebriò per un breve momento: aveva già sentito quell’odore… era lo stesso che avevano i capelli della sua ex fidanzata! Incredibile, anche a distanza di anni, riusciva ancora a riconoscerlo!

Aspetta un attimo… fianchi larghi, seno piccolo, chioma blu… la sua mente cominciò a muoversi freneticamente, mentre un improvviso pensiero vi si insinuava. Probabilmente, avrebbe preso un ceffone dalla sua nuova collega, guadagnandosi anche l’appellativo di maniaco… Forse, l’avrebbe pure odiato per averla spiata di nascosto… ma pazienza, doveva tentare. Si schiarì la voce.

«Akane?!» chiese e quel nome gli parve strano sulla lingua: erano anni che si ostinava a non pronunciarlo. Si diede dello stupido per averla chiamata così, per aver gracchiato un nome che forse – anzi, probabilmente- non le apparteneva nemmeno... però, lei si girò. La vide irrigidirsi sul posto e spalancare gli occhi color cioccolato, quando li posò sui suoi. Era veramente lei, miseriaccia! Il suo viso non era cambiato di un millimetro, nonostante non fosse più quello di una semplice ragazzina. Il cuore di Ranma fece una capriola: erano anni che sognava di rivederla!

Akane, invece, non sembrava dello stesso avviso. Aveva arricciato le labbra e tremava tutta, mentre tentava di coprire il seno con le mani.

Ranma arrossì. Idiota, l’hai messa in imbarazzo! «E-Ehm, posso spiegare, io…» Passavo di qui per caso e non sapevo che lavorassi in questa palestra?! Non avevo intenzione di spiarti e di vederti nuda?! Ora tolgo il disturbo?! Mettiti qualcosa addosso, per l’amor di tutti i Kami, e dici qualcosa!

La sua ex ragazza inspirò forte e, prima che lui riuscisse ad aggiungere qualcos’altro per scusarsi, cacciò un urlo.

 
 

Note dell'autrice: Bene, siamo arrivati al momento clou della mia storia, in cui Ranma e Akane finalmente si incontrano di nuovo! Come reagirà lei? Riuscirà lui a scusarsi?
Vi anticipo già che dovrete aspettare molto prima di fare i salti di gioia, perché le pene di questi due sono appena iniziate! Mi sento molto sadica per questo, ahaha!
Per quanto riguarda gli interni del dojo della Signora Taniguchi, mi sono ispirata a delle foto che ho trovato su Pinterest, come questa qui, anche se la palestra nella mia mente era molto più luminosa.

Ci tenevo, infine, a ringraziare la bravissima deducienta per il bellissimo disegno che mi ha regalato. Lo adoro, davvero!


Detto questo, vi saluto e ci risentiamo il mese prossimo! Vi mando un abbraccio fortissimo!

Ayamehana.

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Capitolo 5
*** Dubbi e tormenti ***


Premessa dell'autrice: Ciao a tutti! Non ci sono parole per chiedervi scusa per questo mio ritardo nel pubblicare il capitolo 5... non è stato corretto nei confronti di chi sta seguendo questa storia e di chi mi continua a sostenere... Il punto è che ho passato (e sto ancora passando) un periodo in cui tutto quello che scrivo non mi sembra perfetto e, come se non bastasse, comincio a sentire il bisogno di scrivere delle originali (in cui i personaggi sono solo e unicamente miei).
Mi sono promessa, però, che avrei finito di scrivere questa storia, quindi eccomi qui.

Volevo ringraziare e salutare calorosamente, Napee, la mia beta reader che continua ad aiutarmi in ogni cosa di cui ho bisogno. Sei la migliore, non smetterò mai di dirlo!

Piccola noticina: ho deciso che da questo capitolo, il rating della storia si alzerà e diventerà arancione, visto che ho inserito una scena un po' 'spinta'. Vi prego, non odiatemi per quello che succederà!


 
CAPITOLO V

DUBBI E TORMENTI


 
Urlò, urlò talmente forte da ferirsi la gola, da perdere quasi la voce. Il ragazzo, che ora la stava fissando con aria disorientata, era Ranma… Ranma, maledizione! Quell’essere spregevole che, anni addietro, le aveva preso il cuore, per poi ridurlo in cenere. Del diciottenne che era allora, erano rimasti solamente gli occhi azzurri e i capelli neri legati in quella sua bizzarra treccia laterale. Il tempo gli aveva scolpito dei muscoli tutti nuovi sul torace e sugli avambracci; mentre un accenno di barba gli ricopriva le guance. Non portava la maglietta e indossava solamente un paio di consunti pantaloni da ginnastica. La piccola Tendo lo vide arrossire e agitare le mani di fronte al viso, balbettando parole sconnesse: Non era mia intenzione, mi dispiace…

Akane, però, non volle sentire ragioni. Afferrò la sua borsa e gliela scagliò addosso con tutta la forza che aveva in corpo. «Maniaco!» strillò, mentre la rabbia le ribolliva nelle vene. Perché lui si trovava lì?! E, soprattutto, perché ripiombava nella sua vita, così, quando finalmente era riuscita a voltare pagina?!

Il suo borsone beccò il codinato in piena faccia, facendogli perdere sia l’equilibrio sia la pazienza. «Cretina! Sei impazzita, per caso?!» sbraitò lui, massaggiandosi il punto su cui era appena stato colpito. «E copriti, dannazione, nessuno vuole vedere quel tuo corpo nudo!»

Akane si morse le labbra, ingoiando un’imprecazione. «E allora, se non vuoi vederlo, non guardarlo!» gli disse, sistemando il nodo che teneva l’asciugamano stretto intorno al suo corpo. Ci mancava solo che si allentasse, lasciandola totalmente nuda davanti a quell’imbecille!

«Infatti, non ero qui per vedere te!» le rispose Ranma a tono, facendole la linguaccia. Ma cos’era, un bambino, per caso?! «E comunque, sbaglio o i tuoi fianchi sono diventati più larghi negli ultimi anni? Quando ti deciderai a metterti a dieta, una volta tanto?!»

 Akane diventò paonazza dalla rabbia. Vita larga a chi?! Aveva faticato tanto per perdere qualche chilo e sembrare più femminile… e ora, quel cretino la screditava così! Sentì le lacrime pungerle gli occhi. «Idiota! Esci da qui… immediatamente!»

Il codinato, però, non si lasciò scomporre dal tono minaccioso della sua ex fidanzata. Incrociò le braccia al petto e ridusse gli occhi a due fessure, squadrandola dalla testa ai piedi. «Vogliamo parlare, invece, del tuo seno? Sembra divenire ogni anno sempre più piccolo! Mi sa che prima o poi sparirà del tutto! Ci si potrà far surf sopra!» commentò lui, distendendo le labbra in un ghigno beffardo.

Alla piccola Tendo si rizzarono i peli sulla nuca. «Ti odio!» ringhiò, chinandosi verso la panca più vicina per afferrarla.

«C-Che vuoi…» balbettò Ranma, ma venne interrotto dalla Signora Taniguchi, che aprì la porta improvvisamente.

«Che cosa sta succedendo qui?!» chiese la vecchia proprietaria del dojo, puntellandosi i fianchi con le mani. «Diamine, vi ho sentiti urlare fin dentro al budou!» li riprese, soppesando lo sguardo prima su Ranma, poi su di lei. «Pensavo che fossi andata a casa, Akane! Perché, poi, sei tornata?»

Akane arrossì, sentendo le braccia che le diventavano mollicce. Lasciò andare la panca e la ripose per terra, controvoglia. «Io… ho preso la pioggia e volevo farmi una doccia veloce, tutto qui!» esclamò la piccola Tendo, abbassando gli occhi sul pavimento. Era stata davvero una pessima idea, quella di ritornare al dojo per lavarsi! Se solo avesse avuto le chiavi di casa di Shin…

Keiko alzò gli occhi al cielo, esasperata. «Te lo avevo detto io di prendere l’ombrello! E perché, poi, non mi hai avvertita che sei tornata per farti la doccia?! Non avrei di certo detto a Ranma di venirsi a cambiare qui, altrimenti!»

«In realtà, pensavo di filarmela il prima possibile, senza farmi notare», mormorò Akane, torturandosi le mani. «E poi, penso di averle già messo in chiaro, Taniguchi-sensei, che non condivido assolutamente la sua idea di assumere qualcun altro! Soprattutto, se quel qualcuno è… lui», esclamò, puntando il dito contro Ranma che, di tutta risposta, le rivolse uno sguardo colmo d’astio.

«Aspetta… voi due vi conoscete già?!»

«Altroché!» s’intromise il codinato, allargando le labbra in un sorrisetto ironico. «Io e Akane eravamo fidanzati! Un errore colossale, oserei dire!»

Taniguchi-sensei sgranò gli occhi. «Kami… quant’è piccolo il mondo! Scusami, Akane, se solo lo avessi saputo… non avrei detto a Ranma di venire qui…» mormorò, dispiaciuta.

Akane afferrò il suo cambio e chiuse l’armadietto con un tonfo. «Già, spero che saperlo la faccia riflettere su ciò che ha fatto. Qui basto e avanzo solo io», le rispose, superandola e uscendo dallo spogliatoio. Era nera di rabbia e per poco non si era anche messa a piangere per la frustrazione di fronte al suo ex fidanzato e alla sensei! Si cambiò in fretta e furia e si precipitò all’ingresso del dojo. Fuori stava ancora piovendo e lei si era di nuovo dimenticata l’ombrello, idiota che non era altro!

Alzò il viso verso il cielo e lasciò che le gocce di pioggia lavassero via le sue lacrime. Perché diavolo stava piangendo ora?! Si sistemò la borsa sulla spalla e s’incamminò verso casa di Shinnosuke. Aveva un’assoluta voglia di vederlo. Forse lui sarebbe stato in grado di calmarla… in fondo era o non era il suo fidanzato e futuro marito?
 
***
 
«Qui basto e avanzo solo io.»

Ranma osservò, con gli occhi sgranati, la sua ex fidanzata prendere le sue cose e precipitarsi come una furia fuori dallo spogliatoio, sbattendosi la porta alle spalle. Era indubbiamente arrabbiata e lui non aveva fatto altro, se non alimentare la sua collera con commenti poco carini sul suo conto. Il codinato si lasciò scivolare sulla panca più vicina, poggiando le mani aperte sulle gambe.

Non era certo questo che mi aspettavo come primo incontro dopo tanti anni di lontananza… pensò sconsolato, fissandosi i palmi. Sospirò, scuotendo la testa. No, non poteva aspettarsi altro, se non peggio… l’aveva lasciata a pochi giorni dal loro matrimonio ed era già tanto se gli aveva rivolto la parola. Probabilmente lo odiava e non voleva saperne di lui… Ma che ci faccio qui, allora?

La proprietaria del dojo che, dopo l’uscita della ragazza, era rimasta lì congelata sul posto, smise di boccheggiare e si avvicinò a lui, poggiandogli una mano sulla spalla. «Mi dispiace tanto, ragazzo. Non avevo idea… non pensavo che tu e Akane vi conosceste già.»

Ranma incurvò le labbra in un sorriso senza allegria. «Non si preoccupi, Taniguchi-sensei. Non poteva certo immaginarselo… insomma, quanti siamo in Giappone? Centotrenta milioni?!» commentò con una punta di ironia nella voce. «Chi avrebbe mai pensato che, tra tutte le donne che ci sono qui a Nerima… proprio Akane lavorasse in questo dojo? Insomma, lei ha già una palestra sua.»

La Signora Keiko annuì con poca convinzione. «Che ne dici di… venire di sopra nel mio appartamento e prendere una tazza di the insieme a me? Potrebbe stemperare la tensione scaturita dall’incontro tra te e Akane…»

Il codinato alzò finalmente gli occhi dalle sue mani e li puntò sulla proprietaria della palestra. «E il mio colloquio di lavoro?»

Taniguchi-sensei scosse le spalle. «A quello ci penseremo domani, nel caso. A patto che tu voglia ancora lavorare qui.»

Lavorare qui… a stretto contatto con Akane, sapendo dell’odio che prova nei miei confronti? pensò Ranma, mentre un nodo si stringeva all’altezza del suo stomaco. «Potrei provarci, sì.» Forse, stando vicino a lei, riuscirò a spiegarle una volta per tutte, perché l’ho lasciata. Forse, riuscirò a sistemare le cose tra noi.

Keiko gli rivolse uno sguardo eloquente. «Non sentirti costretto, comunque», esclamò, infilandosi una sigaretta tra le labbra. «Vogliamo andare?»

 
Nonostante la casa della sensei fosse in stile prettamente giapponese, nulla del suo arredamento si poteva definire nipponico. All’ingresso, vi era una cassapanca su cui svettavano diversi oggettini occidentali: una riproduzione distorta della Venere di Willendorf, con il seno generoso e le forme approssimate; un vaso sulla cui superficie era raffigurata una serie di eroi greci in combattimento; un set da the in porcellana, probabilmente proveniente dall’Inghilterra. Sulla parete sinistra, era appesa una grande mappa costellata di puntine su diversi paesi del mondo.

«Le piace viaggiare?» chiese Ranma, togliendosi le scarpe.

Di tutta risposta, la Signora Taniguchi si chiuse nelle spalle. «Il mio primo marito era un esploratore. Abbiamo viaggiato in lungo e in largo per il mondo», esclamò, girandosi verso il planisfero attaccato al muro. «Eravamo felici… finché non ho scoperto che mi tradiva con una donna europea.»

«Ah…» si lasciò sfuggire il codinato, mentre l’entusiasmo di poco prima scemava del tutto. «Quindi… è divorziata.»

Keiko gli fece cenno di seguirlo. «Già… ho divorziato non una, ma due volte. In Giappone è talmente semplice mettere fine a un matrimonio! Pensa che in occidente, invece, bisogna consultare avvocati su avvocati e spendere un sacco di soldi!» affermò la padrona di casa, allargando le braccia. «A quest’ora sarei già senza un becco di quattrino!»

«Immagino!» commentò Ranma, prima di sedersi su una delle sedie disposte attorno al tavolo della cucina, sopra cui era adagiato un eccentrico vaso di frutta in vetro soffiato. Il codinato si guardò intorno con aria curiosa: era la prima volta che vedeva così tanti oggetti bizzarri tutti insieme, eppure aveva viaggiato anche lui in lungo e in largo, tra il Giappone e la Cina!
Alle sue spalle, vi era una libreria di legno, sui cui scaffali erano stati posti diversi tomi ed enciclopedie di ogni genere, inframmezzati da qualche statuina africana; una maschera dal becco allungato alquanto macabra, e un orologio a cucù con le lancette ferme. Dall’altro lato della stanza, vi era una televisione a colori, che la sensei accese su un telefilm americano.

«Ti dispiace? Fra poco inizia la mia serie preferita!» gli disse la donna, servendogli del the che emanava un odore piuttosto strano.

Ranma fece cenno di no con la testa e prese la sua tazza, annusandola con aria circospetta. «Che cos’è?»

«Chai indiano», gli rispose Keiko senza distogliere lo sguardo dalla televisione. «Una delle varianti di the che preferisco!»

Il codinato ne prese un sorso, per poi arricciare le labbra in una smorfia disgustata. Che orrore… c’è la cannella!

«Allora, ti piace?»

«È buonissimo, grazie!» disse il ragazzo, distendendo la bocca in un sorriso tirato. Ma cosa sono venuto a fare qui?!

«Se ti piace tanto, perché non lo mandi giù?» scherzò la donna, voltandosi per guardarlo. In fin dei conti, non era per niente antipatica, anzi, la sua compagnia era quasi… piacevole.

Ranma tossicchiò, colto nel fallo, e allontanò la tazza da sé. «Il fatto è che… non vado pazzo per la cannella.»

«Potevi dirmelo subito.»

«Non me l’ha chiesto…»

Taniguchi-sensei roteò gli occhi al cielo e fece per alzarsi. «Ti preparo un altro the, allora. Che cosa preferisci? Earl Grey? Oolong? Bancha?»

«Un bicchiere d’acqua sarà più che sufficiente, grazie.»

Qualche minuto dopo, Ranma stava sorseggiando il contenuto del suo bicchiere, mentre Keiko seguiva con attenzione la sua adorata serie tv. Chissà cosa ci trova di tanto interessante in questa noia mortale… pensò il ragazzo, appoggiando una guancia sulla mano libera.

«Allora, mi vuoi dire che cosa c’era tra te e Akane?» chiese improvvisamente la vecchietta, spegnendo il televisore.

Il codinato si strozzò e quasi non le sputò l’acqua addosso. Quando era finito quel programma?! E perché lui non se n’era minimamente accorto?! «C-Cosa?» gracchiò, pulendosi la bocca con la manica della casacca.

«Hai capito bene, ragazzo. Vorrei sapere cosa c’era tra te e la mia allieva, se è possibile. Siamo o non siamo venuti qua a parlare di questo…?» ripeté Keiko, paziente.

In verità, mi hai semplicemente chiesto di venire a bere un the a casa tua… Non hai mai fatto allusione a questo discorso… Ranma appoggiò il bicchiere sul tavolo e rimase a fissarlo. Sapeva di essere arrossito, perché sentiva uno strano calore sulle guance, che non poteva certo essere dovuto al caldo. Inspirò. «N-Non c’è niente da dire, in realtà», tagliò corto, sperando in cuor suo che la sensei non gli facesse altre domande imbarazzanti come quella. 

La Signora Taniguchi sospirò, ritornando subito alla carica. «Come vi siete conosciuti?» chiese, facendo sbuffare il codinato di esasperazione. Doveva proprio parlare con lei della sua vita privata?!

«Sono stati i nostri padri», cedette, infine, piegando le labbra in una smorfia. Keiko lo guardò, esortandolo a continuare. «Erano molto amici e, all’epoca, si erano messi in testa di far sposare i loro figli per unire le loro due palestre.»

La donna emise un lungo fischio di approvazione. «Ma è fantastico! Ti è capitata la stessa cosa che è successa ai miei genitori!»

Ranma la fulminò con lo sguardo. «Una vera scocciatura, in realtà! Chi diavolo vorrebbe sposare un maschiaccio come Akane?! Quella ragazza è totalmente priva di sex-appeal!»

«Però tu la amavi, non è vero?»

«E-Eh…?» balbettò lui, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, che in quel momento stava torturando.

«Ho indovinato?» lo stuzzicò ulteriormente lei, allargando quel suo ghigno, che tanto lo stava infastidendo. «Sbaglio o la ami ancora?»

Come diavolo faceva a scavargli dentro così a fondo?! Amare Akane? Sì, ne era stato perdutamente innamorato, un tempo, nonostante non avesse mai voluto ammetterlo. Poi, però, era stato costretto a rinchiudere quei suoi sentimenti in una scatola e a nasconderli dentro un angolo del suo cuore, così che nessuno li potesse toccare o cancellare. E ora… ora, che era tornato a Nerima, li avrebbe forse fatti riemergere? Ranma arrossì. «Ma che cavolo dice? Io amare quella?! Preferisco di gran lunga mettermi con una vecchia raggrinzita!»

Keiko scoppiò a ridere. «Voi giovani di oggi siete proprio esilaranti! Perché dovete sempre vergognarvi dei vostri sentimenti?»

«M-Ma io…»

«Conosco abbastanza Akane per dirti che probabilmente è ancora arrabbiata con te, qualunque sia il motivo della vostra rottura. Prova a parlarle, vedrai che le cose tra voi due si sistemeranno, prima o poi», gli disse la Signora Taniguchi, riponendo in un vassoio la sua tazza e quella ancora piena di Ranma.

«S-Se lo dice lei…» mormorò il codinato. Tutto sommato, però, potrei tentare… Non mi costa nulla, alla fine, no?! pensò, alzandosi da tavola. «Grazie mille, sensei, farò esattamente come mi ha consigliato.»

La donna annuì. «Figurati, poi fammi sapere com’è andata, okay?!»
 
***
 
Akane si lasciò cadere su uno dei gradini di fronte all’appartamento di Shinnosuke e si prese la testa con le mani. Perché quell’idiota di un Ranma era tornato a tormentarla? Non se ne poteva rimanere in Cina e continuare a ignorare la sua esistenza, come aveva sempre fatto per sei lunghi anni?

Tirò su con il naso, asciugandosi i rimasugli delle lacrime con la punta delle dita. Non doveva piangere, lei era Akane Tendo e aveva superato ben peggio nella sua vita! Aveva perso sua madre all’età di cinque anni, era stata scaricata a pochi giorni dal suo matrimonio, aveva dovuto essere forte anche per sua sorella Kasumi, quando…

«Ehi, Akane! Non ti aspettavo a casa, potevi mandarmi un messaggio!» la rimproverò Shin, costringendola a riscuotersi dai suoi pensieri.

Akane alzò lo sguardo e incontrò quello sorridente del suo fidanzato. Teneva in una mano una grossa busta della spesa, mentre con l’altra reggeva un ombrello nero. La piccola Tendo scattò in piedi e prese la borsa dalle braccia del suo ragazzo.

«Lascia che ti aiuti.»

Shin annuì, guardandola incuriosito. «Caspita, sei bagnata fradicia, sembri un pulcino! Non avevi l’ombrello?!» le chiese, girando la chiave nella toppa della serratura.

Akane scosse la testa. «Evidentemente no», rispose, ironica, scoppiando a ridere. In un primo momento, non ci aveva fatto molto caso, ma poi… i vestiti inzuppati di pioggia si erano letteralmente incollati al suo corpo, provocandole una viscida sensazione di bagnato. Non vedeva l’ora di liberarsene per indossare qualcosa di asciutto! Per fortuna, teneva sempre un cambio a casa del suo fidanzato…

«Che ne dici di fare una bella doccia calda, mentre io ti preparo una cenetta con i fiocchi? Mi sono fermato al supermercato a fare la spesa, fortunatamente… non avrei sopportato l’idea di mangiare cibo d’asporto anche stasera!» esclamò Shin, accendendo la luce della cucina e cominciando a riporre sul tavolo le cose che aveva comprato.

Un’altra doccia, eh? Quel giorno ne aveva fatte così tante che ormai i suoi capelli dovevano sembrare un groviglio di paglia secca! Sbuffò, legandoseli con un elastico: li avrebbe lavati un altro giorno. «Magari mi faccio una doccia veloce…» borbottò Akane, ciabattando verso la camera del suo ragazzo.

Prese i primi vestiti che le capitarono sotto mano e si diresse in bagno. Ah, è vero, dovrei mandare un messaggio a Kasumi… a quest’ora l’idraulico dovrebbe essere già passato a sistemare la tubatura di casa mia… chissà se reggerà, questa volta, o se, invece, si romperà di nuovo. Sospirò: doveva pazientare solo tre mesi, poi si sarebbe trasferita da Shin oppure… avrebbe cercato un appartamento insieme a lui. Chissà come sarebbe stato vivere sotto lo stesso tetto…

«Ah, ho dimenticato la salsa di soia!» piagnucolò Shin, quando lei rientrò in cucina, con addosso un pigiama estivo rosa su cui erano disegnate delle ridicole fragoline rosse.

«Beh, per una volta puoi farne anche a meno», esclamò Akane, prendendo posto su una sedia.

Di tutta risposta, il suo fidanzato la guardò storto. «Mi rifiuto di mangiare il riso senza salsa; dovresti saperlo anche tu, Akane!»

L’artista marziale represse l’impulso di alzare gli occhi al cielo e decise, invece, di cambiare discorso. «Non mi hai ancora detto qual è il nome di quel panda.» 

Shinnosuke che, intanto, si era messo a trafficare con il bollitore del riso, si girò per un breve momento verso di lei. Sollevò un sopracciglio e fece spallucce. «Un panda? Non ho idea di cosa tu stia parlando.»

Akane tamburellò le dita sul tavolo. «Dai, Shin! Quel panda che si è presentato allo zoo in cui lavori e che ha dimostrato di saper fare qualsiasi cosa!»

A quel punto, il ragazzo scoppiò a ridere di gusto. «Hai mangiato pesante oggi o sbaglio? Un panda che lavora?! Che assurdità!» esclamò, spegnendo il bollitore e afferrando il cellulare.

La piccola Tendo lo guardò storto, incrociando le braccia al petto. Maledette amnesie! Devo proprio portarti da un dottore a farti dare una controllata, Shin! pensò stizzita, prima di chiedergli: «E ora che fai?»

Shinnosuke allargò le labbra in un sorriso. «Non è ovvio? Ordino del cibo da asporto! Chissà perché, mi è passata la voglia di mangiare il riso!»

Strano, chissà perché. E pensare che avevi detto tu stesso di non voler mangiare cibo da asporto!
 

Poco più tardi, Akane, esausta e con la pancia piena di spaghetti cinesi, si buttò sul letto, accanto al suo fidanzato intento a leggere una rivista sulla fauna del Giappone. «Guarda qui, Akane!» esclamò Shin, puntando un dito su una pagina. «Lo sapevi che nel distretto di Fukushima hanno pescato un pesce con il corpo di un’anguilla, i denti di uno squalo e la testa di un salmone rosa?»  

L’artista marziale allungò la testa per vedere. «Mh-mh…» mugugnò, osservando con poco interesse la foto della viscida creatura serpentiforme.

«Sono curioso di sapere che altri strani animali vivono qui in Giappone», mormorò Shinnosuke sovrappensiero, sfogliando velocemente il suo libro.

A me, invece, non interessa granché… pensò Akane. «Oggi ho incontrato Satoru Harada, il nostro wedding planner.»   

Shin chiuse la rivista e l’appoggiò sul comodino affianco al letto. «E che ti ha detto?»

«Mi ha promesso che se lasceremo tutto nelle sue mani, il nostro sarà un matrimonio da favola.»

La piccola Tendo sentì il suo fidanzato sbuffare sonoramente. «Speriamo solo non faccia le cose troppo in grande… ti ho ripetuto mille volte che vorrei qualcosa di semplice.»

Akane allungò una mano e gli carezzò il braccio. «Sì, vedrai che sarà esattamente come vuoi tu… e in un attimo, sarò la signora Mori

Le labbra di Shinnosuke si aprirono in un sorriso compiaciuto. «Signora Mori… suona bene, no?», sussurrò, prendendole delicatamente le dita per trarla più vicina a sé. La ragazza annuì e lasciò che il suo fidanzato la sovrastasse con tutto il corpo. All’apparenza Shin sembrava magrolino e piuttosto gracile, ma, quando la abbracciava e si metteva sopra di lei, Akane si sentiva finalmente al sicuro.

«Signora Mori…» ripeté lui, adesso più piano, avvicinando il viso a quello di lei. Le sfiorò la tempia con la bocca in un bacio a fior di pelle; poi scivolò prima su una guancia, sul lobo dell’orecchio e, infine, sulle labbra, che la giovane dischiuse, lasciando che le loro lingue si incontrassero. Si baciarono a lungo, spogliandosi lentamente per assaporare l’uno il corpo dell’altra; anche se, in realtà, non vi era punto che Akane non conoscesse già.

«Ti amo», le disse Shin, entrando in lei con un unico e semplice affondo. La piccola Tendo inarcò la schiena e mosse i fianchi per accogliere maggiormente il suo fidanzato dentro di sé. «Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo», le sussurrò, prima di riprendere a baciarla con più foga.

Fecero l’amore per un tempo che le parve indefinito e, quando finirono, Akane osservò Shinnosuke che si lasciava scivolare nel mondo dei sogni. Era davvero bello, con quei capelli arruffati e la pelle imperlata dal sudore. La ragazza non resistette alla tentazione e gli sfiorò delicatamente il viso con una mano, prima di avvicinarsi a lui per posargli un bacio sulla fronte. «Ti amo anch’io», mormorò piano, attenta a non svegliarlo.

In quel momento, Shin mosse le palpebre e borbottò qualcosa d’incomprensibile. «Gen… ma.»

Akane spalancò gli occhi e si allontanò da lui. «Cosa?»

«Si chiamava Genma… il panda di cui ti parlavo questo pomeriggio…» sussurrò il suo ragazzo, prima di rimettersi a dormire.

L’artista marziale, invece, si mise a sedere sul letto e si coprì il corpo nudo con un lembo della coperta. Ecco… ora torna tutto. Quindi… sono tornati entrambi?
 
***
 
Quando Ranma uscì dal dojo, aveva finalmente smesso di piovere e ora, le nubi ancora gravide si addensavano in un cielo color perla, sul quale, però, faceva capolino qualche timido sprazzo aranciato. Era quasi il tramonto ma, prima di tornare a casa, il codinato doveva assolutamente fare una deviazione. Imboccò la stessa strada che lo aveva condotto fino alla palestra della sensei Keiko, prima di prendere una via secondaria che ben conosceva. Gli sembrava di averla percorsa solo qualche giorno prima, mentre, in realtà, era passata la bellezza di sei lunghi anni!

Quando arrivò di fronte alla casa dei Tendo, con il fiato corto e la milza dolorante, qualcosa, però, non gli tornò. Al posto dell’insegna recante il nome della famiglia della sua ex fidanzata, vi era una targhetta sulla quale era scritto, in caratteri giapponesi, un cognome a lui sconosciuto. Ranma lo osservò incuriosito, mentre mille domande si affollavano nella sua mente; poi si decise a suonare il campanello.

«Chi può mai essere a quest’ora?!» tuonò una possente voce maschile in giardino.

Il ragazzo sgranò gli occhi, mentre un’altra voce più flebile si frapponeva alla prima. «Tesoro, non fare lo scorbutico e vai ad aprire!»

«Ma non sanno che la gente cena a quest’ora della sera?!»

Dopo qualche minuto, il cancello si spalancò e da esso spuntò la testa di un uomo con una grossa faccia flaccida dai tanti menti tremolanti. Quando vide Ranma, il tipo alzò un sopracciglio e incrociò le braccia sotto il largo petto muscoloso. «Desidera?»

Sorpreso quanto lui, il codinato fece un passo indietro. «E-Ehm… forse ho sbagliato casa, ma… non è qui che vivono i Tendo?»

Il ciccione rovesciò la testa all’indietro e scoppiò in una grassa e - alquanto irritante- risata. «No, ragazzo mio. I Tendo non vivono più qui da…» il tipo allargò una mano di fronte al viso e si mise a contare sulle dita, «… cinque anni, ormai; da quando Soun Tendo, pieno di debiti sino al collo, ha dovuto vendermi casa sua.»

Ranma allargò ancora gli occhi e gli sembrò che tutto il calore fosse improvvisamente defluito dal suo corpo. «C-Come?»

 «Devo ripetere, per caso?!» affermò l’uomo spazientito. «Soun Tendo ha perso tutto al gioco d’azzardo e ha dovuto lasciarmi questa bella casetta.»

«… E la palestra? Che ne è stato di quella?» esclamò il codinato, temendo, però, la risposta dell’altro, che non si fece certo attendere.

«Ah, quella… l’ho trasformata nel mio centro benessere personale! E dire che quella ragazzina, la figlia più piccola di Tendo, ha provato di tutto pur di riconquistarsela!»

Akane… pensò Ranma, mordendosi il labbro inferiore, mentre i sensi di colpa tornavano ad attanagliarlo. Sarebbe dovuto stare al suo fianco e, invece, l’aveva abbandonata a causa di quella pazza di Shan-pu! «Sa, per caso…» iniziò il ragazzo, titubante, «… dove vive adesso la famiglia Tendo?»

Il grassone si chiuse nelle spalle e afferrò il cancello con una delle sue grosse mani. «Non lo so e, detto tra noi, non m’importa granché. Per quanto mi riguarda, potrebbero benissimo vivere sotto un ponte!» esclamò con un’ilarità, che fece venir voglia a Ranma di tirargli un pugno su quell’ampio naso che si ritrovava. «E adesso, scusami, ragazzo, ma ho una bella cenetta che mi aspetta!»

E detto questo, tra una risata e l’altra, il ciccione chiuse il cancello in faccia al codinato, che si ritrovò a fissarlo per qualche minuto. Akane, dove sei? Cos’è successo alla tua famiglia?!
 

Note dell'autrice: Eccoci qui di nuovo! Non odiatemi, vi prego, per la scena lemon tra Shin e Akane... La nostra adorata protagonista non poteva certo buttarsi subito tra le braccia del suo ex fidanzato, anzi! Il loro incontro non è stato dei migliori... lei che urla, lui che riceve un borsone in faccia... diciamo che mi sono divertita a scrivere questa parte!

Piccola curiosità per voi (anche se forse non vi interessa): Shin sta guardando un libro sulla fauna giapponese e vede un pesce con il corpo di un'anguilla, i denti di uno squalo e la testa di un salmone rosa... Quel pesce esiste davvero (e fa anche piuttosto schifo)

Bene, detto questo, vi saluto e vi mando un bacione grandissimo!
A presto, spero!

Ayamehana.

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Capitolo 6
*** Solo un collega di lavoro ***


Note dell'autrice: Cucù! A volte ritorno anch'io con questa fanfiction... ho fatto passare più di un mese, lo so, e me ne scuso, però, come detto in precedenza, avevo perso l'ispirazione. - A tal proposito, ringrazio la mia betareader, Napee, per avermi aiutata a ritrovarla e per aver poi betato il tutto!

Prometto che cercherò di essere più costante... Salvo restando che riesca a terminare di scrivere il capitolo 7 (l'ho già iniziato, tranquilli!) entro il 25 Novembre! Detto questo, vi saluto e vi lascio alla lettura!


 
CAPITOLO VI

SOLO UN COLLEGA DI LAVORO


 
«I Tendo non vivono più qui da cinque anni, ormai.»

Ranma si rigirò nervosamente sul futon, mettendosi a pancia all’aria e allargando le braccia sul pavimento. Le parole di quel grassone non gli avevano dato pace, quella notte, nemmeno quando era sprofondato in un sonno agitato e privo di sogni. Se quella Shan-pu non mi avesse teso una trappola tanto meschina da costringermi a separarmi da Akane… a quest’ora la palestra sarebbe ancora sua… anzi, sarebbe nostra, pensò, serrando le mani a pugno. Come aveva fatto a cascare in un tranello tanto elementare? Lui, che era un esperto di arti marziali, poi.  
Ranma si diede lo slancio e si mise seduto sul materasso. Era inutile piangere sul latte versato; il passato, in fondo, era il passato e non si poteva di certo cambiare… purtroppo.

Un lieve bussare alla porta lo destò immediatamente dai suoi pensieri. «Ranma, sei sveglio?» gli domandò dolcemente sua madre, a cui il codinato rispose con un laconico «sì.»

«Mi potresti fare un favore, allora?»
 

Circa mezz’ora dopo, Ranma stava camminando per le strade di Nerima con una lista della spesa tra le mani. Che cosa da femminucce, pensò infastidito, grattandosi la testa. Ma non potevo certo dire di no a mia madre… «Ti prego», aveva esclamato Nodoka, facendogli gli occhi dolci. «Ho il frigo completamente vuoto e non riesco a portare tutte quelle buste da sola! Tu, invece, sei forte… Saprai cavartela sicuramente meglio di me!»

Il codinato sbuffò, scompigliandosi i capelli. Da dove avrebbe dovuto iniziare? Si avvicinò titubante ad una bancarella ed esaminò attentamente la frutta esposta. Dunque, mi ha detto di prendere un chilo di mele… Allungò una mano verso una mela rossa, ma le sue dita intercettarono quelle esili ed eleganti di una donna.

«Oh, mi scusi», le disse quella, girandosi verso di lui… prima di sbiancare completamente. «Ma tu sei…»

Ranma sgranò gli occhi, sorpreso quanto lei. Kasumi Tendo era pallida come un cencio e lo stava fissando come se avesse appena visto un fantasma. I lunghi capelli castani della ragazza erano legati in una morbida coda laterale, mentre il viso aveva mantenuto quei tratti dolci che l’avevano sempre caratterizzata. Forse era ingrassata un pochino sui fianchi, ma l’artista marziale non si soffermò troppo a guardarla per non metterla in imbarazzo. Lo sguardo, però, gli cadde inevitabilmente sul passeggino che la giovane donna stava trasportando, con dentro un paffuto neonato addormentato.

«E questo chi è?» chiese Ranma, accovacciandosi verso il bambino.

«C-Cosa ci fai tu qui?» balbettò Kasumi con voce tremante, ignorando la sua domanda. «Akane sa che sei tornato?»

Il codinato s’irrigidì sul posto e si lasciò sfuggire un sospiro. «Sì, l’ho incontrata ieri», si limitò a dire, giocherellando con il piedino di quello che doveva essere il figlio della maggiore delle Tendo.

«Oh…» mormorò semplicemente la ragazza, prima di chiudersi in un silenzio imbarazzante.

Era ovvio che quella situazione la stesse mettendo a disagio e lui non poteva certo peggiorare le cose, facendole domande inopportune sulla sua famiglia. «Senti, Kasumi, io…»

La giovane scosse la testa, facendo oscillare la lunga chioma castana. «Non dire nulla, ti prego. Hai chiesto a mia sorella di sposarti e l’hai lasciata poco dopo, senza dare alcuna spiegazione.» Ranma sentì il cuore lacerarsi poco a poco, mentre Kasumi, a modo suo, gli sputava in faccia  tutto il rancore che provava nei suoi confronti. «Ti sei comportato davvero male… Hai idea di quanto Akane abbia sofferto?!»

Il codinato alzò improvvisamente lo sguardo su di lei e, per un attimo, poté giurare di vedere delle lacrime inumidirle gli occhi. Kasumi, a quel punto, si morse il labbro e aggiunse timidamente: «Comunque, ho uno scatolone con delle cose tue, a casa. Quando ti va, passa a prenderle… le ho tenute per troppo tempo ed è ora che te le restituisca.»

«E tu dove…»

«Sopra l’ambulatorio di mio marito, il Dottor Tofu.»

Ah, quindi il dottore si è deciso a fare il grande passo, eh?! pensò Ranma, mentre un sorrisetto divertito si apriva sulle sue labbra. «D’accordo, passerò un giorno di questi… Ehm, grazie, Kasumi.»

«Non c’è di che», esclamò la ragazza con tono più gentile. «Promettimi, però, che poi lascerai Akane in pace. Sembra una tipa dura ma, in realtà, ha ancora il cuore a pezzi.»

Detto questo, Kasumi prese la borsa della spesa e girò sui tacchi, lasciando Ranma con la gola stretta in un nodo soffocante.
 

Dopo quella sottospecie di conversazione con Kasumi, Ranma si ritrovò a vagare per le vie di Nerima, totalmente dimentico della spesa per sua madre. Devo lasciare in pace Akane? pensò amaramente, scalciando un sassolino sull’asfalto. Certo, l’ho fatta soffrire, ma non intenzionalmente… si disse, alzando gli occhi sulla vetrina di un negozio di articoli sportivi. Il codinato si soffermò a osservare la merce esposta, tra cui una tuta da scii, un pallone da calcio autografato e… un karate-gi nuovo di zecca. Ora che ci penso, avrei proprio bisogno di una tuta nuova… La mia è vecchia e in alcuni punti è persino scucita! Beh, un’occhiata non fa certo male…

«Arrivo subito!» esclamò una voce maschile da dietro al bancone, quando l’artista marziale entrò nel negozio. «Se intanto vuole vedere la mercanzia esposta… Oggi facciamo il 10% di sconto su tutti gli articoli in vendita! Un vero affare, non crede?!»

Ranma annuì, cercando di individuare il proprietario di quella voce… gli sembrava vagamente familiare, ma non capiva da dove essa provenisse.

«Dannazione, dove l’avrò messa?! Sembra proprio che oggi abbia perso la testa… come se non bastasse il fatto che mi perda ogni giorno per le strade di questo maledetto quartiere!» sbraitò il commesso, aumentando la curiosità del codinato, che si avvicinò lentamente al bancone.

«Ehm… posso disturbarla un attimo per…?» disse Ranma, sporgendosi un po’ e individuando finalmente la matassa di capelli neri del commerciante, tenuta ferma da una bandana giallo canarino. Le labbra dell’artista marziale si aprirono in un sorriso. Ma certo! Quella voce e anche la bandana…! «Ma tu sei Ryoga!»

Ryoga sbatté rumorosamente la testa sullo scaffale sovrastante e imprecò a denti stretti. «Come conosci il mio nome tu?!» ringhiò, prima di accorgersi finalmente con chi stesse parlando. «Ranma…»

Il codinato si portò le mani dietro alla nuca con fare annoiato. «Già, come stai, vecchio mio?!»

Sul viso dell’eterno disperso, invece, passò una serie di espressioni… di incredulità, di rabbia… persino di panico. «No, maledizione, no!» affermò, raggirando il bancone e afferrando Ranma per un braccio, quasi volesse accertarsi che fosse proprio lui. «E adesso che faccio?! E se Akane scopre che sei tornato?! Cosa le dirò?!» borbottò tra sé e sé, mentre l’angoscia nella sua voce si faceva sempre più evidente.

«Che…?» fece in tempo a dire l’artista marziale, prima che Ryoga lo trascinasse in uno sgabuzzino e lo chiudesse dentro.

«Rimani qui, per piacere… devo trovare una soluzione», mormorò, girando la chiave nella toppa della serratura. «Ah, che faccio?! Chiamo Ukyo…? Forse lei saprà cosa fare! Sì, lei sa sempre come tirarsi fuori dai guai!»

Ma cosa…? Dopo un breve attimo di confusione, Ranma si avvicinò alla porta e cominciò a prenderla a pugni con rabbia. «Che diavolo stai facendo, imbecille?! Fammi uscire da qui… immediatamente!»

Ryoga, però, parve ignorarlo. «Ciao, Ukyo! Scusami se ti disturbo, potresti venire nel mio negozio, per piacere…? Sì, subito, è un’emergenza! Fai in fretta, ti prego!»

 
«Idiota di un Ryoga, fammi uscire!» ululò Ranma, assestando un ennesimo calcio alla porta dello sgabuzzino. Tese l’orecchio, ma dall’altra parte non arrivò alcuna risposta. Maledizione, quello stupido si è dimenticato di me! pensò, reprimendo un’imprecazione sul nascere.
Il codinato si guardò intorno in cerca di una finestra da dove poter scappare, ma pareva che l’unica fessura lì dentro fosse troppo piccola per uno della sua stazza. Ma perché quell’imbecille lo aveva chiuso a chiave in un posto come quello?! Come se non bastasse, poi, faceva dannatamente caldo! Ranma si afferrò la maglia e provò a farsi aria con quella. «Ryoga, te lo ripeterò un’ultima volta, poi spacco tutto: fammi…»

«Ryoga Hibiki!» tuonò una voce femminile dall’interno del negozio, catturando l’attenzione dell’artista marziale. Ukyo?! «Quante volte devo ripeterti che non posso sempre accorrere in tuo aiuto, mentre sono a lavoro?! Spera solo che questa volta sia veramente un’emergenza…! Giuro che se ti sei perso di nuovo qui dentro, farò attaccare dei cartelli stradali su ogni muro! Non puoi continuare così, che sia chiaro!»

«M-Ma Ukyo…» brontolò Ryoga in difficoltà, mentre Ranma se la sghignazzava sotto i baffi. Quello scemo non cambiava mai! «Questa volta non mi sono perso, che idiozie vai a dire?! Il problema è…» La serratura scattò e la porta si aprì con un cigolio.

«Ran-chan?!» esclamò Ukyo con voce rotta, portandosi una mano alla bocca.

Il codinato roteò gli occhi al cielo. «Pare proprio così! Ma cosa è preso a tutti, oggi?» sbottò, allargando teatralmente le braccia. «Prima Kasumi, poi Ryoga e ora… te. D’accordo, sono stato via per sei anni, ma…»

Ucchan sembrò sul punto di mettersi a piangere. «Quando sei tornato?» mormorò piano, tirando su con il naso.

«L’altro ieri.»

«E non potevi avvisare?! Sai quanto siamo stati in pena per te?!» esclamò la sua amica d’infanzia, mentre la tristezza lasciava spazio a una rabbia cieca. «Ma ti ha dato di volta il cervello, quella volta che hai deciso di lasciare Akane per rimanere in Cina?! Tu non hai idea di quanto mi ci è voluto per tirarla su… dopo che tu l’hai abbandonata!»

Ranma si morse il labbro. «Sbagliate. Continuate a criticarmi, mentre in verità non sapete cos’è successo», sibilò, serrando le mani a pugno così forte da impiantarsi le unghie nei palmi. «Ora scusatemi, ma non ho altro da aggiungere.»

Detto questo, il codinato scansò Ryoga con una spallata e fece per dirigersi verso l’uscita del negozio. Begli amici… pensò, prima che Ukyo lo richiamasse un’altra volta. Aveva gli occhi stralunati, ma il suo sguardo era duro come la pietra.

«Ranma, se oserai far di nuovo del male ad Akane… Prometto che questa volta, verrò in capo al mondo pur di prenderti a spatolate.»

L’artista marziale sollevò un lato della bocca in un sorriso. «Va bene. Se le cose stanno così, non vedo l’ora.»
 
***
 
Quando Akane si svegliò, quella mattina, un dolore lancinante la colpì all’altezza del collo, facendola sussultare. Sarà per colpa di tutta la pioggia, che ho preso ieri…? pensò, massaggiandosi delicatamente il punto dolente. Fuori, un uccellino strillò, intonando una canzoncina così fastidiosa, che all’artista marziale venne voglia di strozzarlo. E questo mal di testa? Non dirmi che sono pure raffreddata! si disse, mentre uno starnuto le sfuggiva dalle labbra. Ah, che bel modo di iniziare la giornata!

«Buongiorno, Akane!» la salutò Shinnosuke, quando la piccola Tendo entrò in cucina con una vestaglia addosso.

«Buongiorno…» borbottò lei di malumore, osservando con la coda dell’occhio il suo ragazzo che rigirava una frittella sulla pentola. Era piuttosto buffo, Shin, con quella sua traversa da casalinga annoiata e i capelli spettinati, lasciati sciolti sulle spalle. «Questa mattina non lavori?»

Il giovane smise di canticchiare a bassa voce e spense il fornello, prima di pulirsi le mani sul grembiule. «No, oggi mi sono preso un giorno libero per andare a trovare il nonno», le disse, servendole la colazione su un piatto, «… e penso proprio che dovresti prendertelo anche tu! Hai una faccia…»

Colta alla sprovvista, Akane si portò le dita sul viso. «Che ha di strano la mia faccia?»

Shin si allungò verso di lei e le posò un bacio sulla fronte. «Hai le guance così rosse che si potrebbe cuocere un hamburger sopra! Per fortuna, sembra che tu non abbia la febbre… forse solo qualche linea, ma nulla di grave.»

L’artista marziale lo guardò con rinnovato interesse. «E dimmi, da quand’è che ti sei dato alla medicina?» gli chiese, prima di attirarlo verso di sé per sfiorargli teneramente le labbra con le proprie.

Shinnosuke distese la bocca in un sorriso ironico, ma non privo di allegria. «Da quando ho iniziato a frequentare gli ospedali con più assiduità per via della mia… malattia

Akane si rabbuiò un po’, scostandosi da lui. «Come ti senti ultimamente? Hai bisogno di un controllo?» gli domandò, preoccupata. Odiava vederlo stare male, anche perché, in cuor suo, si sentiva ancora responsabile di tutto quello che Shin aveva dovuto passare a causa delle sue continue amnesie. Se solo quella volta non l’avesse aiutata in quel bosco, rischiando la vita…

Il suo ragazzo sembrò notare il suo disagio e le diede un buffetto sulla guancia. «Non ti preoccupare, su», le sussurrò dolcemente. «Non è mica colpa tua! E, comunque, sto benissimo! A parte qualche sporadico calo di memoria, ma nulla di grave…»

La giovane annuì, annotandosi mentalmente di chiamare un dottore al più presto. Era ovvio che lui stesse mentendo, anche perché, se fosse stato davvero bene, non avrebbe di certo ricominciato ad attaccare post-it ovunque e… cosa più importante, non si sarebbe dimenticato l’anello a casa, quando le aveva chiesto di sposarlo.

«Comunque, tu, oggi, te ne stai a casa a riposare, caso chiuso!» le disse Shinnosuke, sedendosi di fronte a lei.

Akane prese un pezzo di frittata e se lo ficcò in bocca. Era un po’ bruciacchiata, ma il sapore non era poi così cattivo. «Non se ne parla proprio! Ho promesso ai miei allievi che oggi avrei insegnato loro un nuovo kata!» E poi, devo convincere Taniguchi-sensei che, in quel dojo, basto e avanzo solo io come insegnante! Non esiste che mi metta a lavorare fianco a fianco con… sospirò, Ranma, come se nulla fosse accaduto!

Shin la osservò in silenzio, tagliuzzando la sua colazione con le bacchette. «D’accordo… ma se ti senti male, fammi un fischio, okay?» esclamò, addentando anche lui un pezzo di omelette. La sua faccia si contorse in una smorfia disgustata. «Akane, potevi dirmelo che questa frittata fa schifo!»

La piccola Tendo si chiuse nelle spalle. «Sarà, ma a me non sembra poi così malaccio…»
 
***
 
«Ranma, tesoro, hai preso tutto quello che ti ho detto di comprare, vero?» gli chiese sua madre dall’altra stanza, quando il codinato rientrò in casa, sbattendo la porta. «Che sbadata, nella lista della spesa, non ti ho scritto di…» Nodoka si affacciò dalla cucina e, quando vide che le mani di suo figlio erano completamente vuote, la sua espressione serena si fece più cupa. «Non hai preso nulla, dico bene?»

Il giovane scosse la testa. Aveva ben altro a cui pensare… al diavolo la spesa! «Mi dispiace, mamma, mi è passato di mente…» si scusò, dirigendosi verso le scale.

La donna, però, lo richiamò nuovamente. «Tutto apposto?» gli domandò, apprensiva. Notando lo sguardo di sua madre, Ranma si addolcì un po’.

«Sì, non è nulla di cui tu debba preoccuparti! Giuro che sto bene!» la rassicurò lui, salendo i gradini a due a due. La verità era che non aveva nessuna voglia di parlarne: gli sembrava di avere un groviglio di serpenti nello stomaco e quel peso non lo faceva di certo stare meglio! Pareva che tutti si fossero coalizzati contro di lui: Kasumi, Ryoga, Ukyo… ma soprattutto, lei. Il viso ferito e arrabbiato di Akane non voleva abbandonare i suoi pensieri.

Il ragazzo entrò in camera e si accasciò a terra. Perché aveva lasciato che le cose andassero in quel verso? Eppure, al tempo, quella di rimanere in Cina e di sottostare agli ordini di Shan-pu gli era sembrata la scelta migliore, seppur forzata… e l’aveva fatto solo e unicamente per lei, dannazione! Perché voleva proteggerla e perché, dopo aver stretto il suo corpo freddo ed esanime tra le proprie braccia, non avrebbe permesso a nessuno di farle del male! E nonostante tutto, Akane lo odiava… e non pareva essere l’unica!

Ranma si prese la testa fra le mani e, in quel momento, il suo telefono squillò. Alzò gli occhi di scatto e lo afferrò, prima di vedere il nome sul display ‘Keiko Taniguchi’, quella vecchia, che non sapeva se inquadrare come impicciona o solamente troppo apprensiva.

«Pronto?»

«Ciao, Ranma… tutto bene?» gli rispose la voce gracchiante della sua datrice di lavoro, dall’altro capo del ricevitore. «Oggi avresti voglia di fare un salto in palestra? Akane ha promesso ai suoi allievi di insegnare loro un nuovo kata e mi piacerebbe che tu assistessi alla lezione.»

Il codinato si mordicchiò l’interno della guancia. Ad Akane non avrebbe di certo fatto piacere vederlo, lo sapeva già.

«Allora?» lo incalzò la sensei davanti al suo mutismo.

Ranma sospirò. «Se proprio insiste, allora ci sarò.»

«Perfetto, ti aspetto per le tre! Mi raccomando, non tardare!»

E detto questo, la donna riagganciò, senza permettergli di replicare oltre.
 
***
 
Akane si premette le mani sulla pancia: tutta colpa di quella cavolo di frittata che aveva mangiato per colazione! Ma con che razza di ingredienti l’aveva preparata Shin?! E poi, ad accompagnare il mal di stomaco, vi era quel dolore alla testa, che non voleva darle pace da quella mattina! Presto le sarebbe venuta una febbre da cavallo, ne era certa!
Fece forza su se stessa per reprimere quella nausea incalzante ed entrò nella palestra Taniguchi.

«Noto con piacere che sei in perfetto orario, oggi!» la salutò Keiko da dietro il bancone della reception, distendendo le labbra in un sorriso a trentadue denti. L’artista marziale sbuffò sonoramente, passando oltre: si sbagliava di grosso, se credeva davvero che l’arrabbiatura le fosse passata così facilmente! «Siamo di buon umore oggi, eh?»

Già, di ottimo umore! pensò Akane, aprendo la porta dello spogliatoio e… ritrovandosi di fronte Ranma in canottiera e pantaloncini.

«A-Ah», balbettò il suo ex ragazzo, facendosi da parte. «C-Ciao, Akane!»

La giovane lo guardò con occhi che sprizzavano scintille. Ma che diavolo ci faceva lui lì? Aveva deciso di lavorare al suo fianco, nonostante i precedenti che li univano?! Voleva, per caso, rovinarle sia il matrimonio sia la vita? Akane si portò una mano ai capelli e se li scompigliò nervosamente. «Cosa ci fai tu qui, Ranma?» chiese, senza troppe cerimonie.

Il codinato si irrigidì e si girò verso di lei. «Non sembra ovvio? Sto lavorando.»

«Tu che lavori in questa palestra, come se nulla fosse? Ma fammi un piacere!» sbraitò lei, scaraventando la sua borsa su una panca. Si stava comportando come una bambina, lo sapeva bene, ma era più forte di lei. L’idea di lavorare con lui le dava il voltastomaco.

Ranma piegò la bocca in una smorfia annoiata. «Se solo mi stessi ad ascoltare, piuttosto che sputare sentenze come una serpe velenosa…!»

«Serpe velenosa a chi?» ringhiò Akane, puntellandosi i fianchi con le mani.

«A te, brutto maschiaccio senza sex appeal!» le rispose lui a tono, al ché lei si avvicinò e si preparò a tirargli un ceffone.

«Esci subito da qui, idiota che non sei altro!»

«Altrimenti?», la provocò il codinato, inarcando un sopracciglio.

 «Altrimenti ti rispedisco in Cina a calci sul fondoschiena!» esclamò la piccola Tendo, spingendolo fuori dallo spogliatoio e chiudendogli la porta in faccia.

Ma perché Ranma aveva il potere di farla arrabbiare tanto? E poi, come si permetteva a giudicarla in quel modo? Serpe velenosa, a lei?! Maschiaccio privo di sex appeal?! Com’era possibile che in sei anni non fosse cambiato affatto? Sbuffò, afferrando il suo karate-gi. Quella discussione le aveva messo una gran voglia di prendere a botte qualcuno. Chissà, magari grazie alla lezione di quel giorno, sarebbe riuscita a calmarsi una volta per tutte…
 
***
 
Ranma si soffermò ad osservare la porta chiusa, ricacciando indietro l’impulso di prenderla a calci. Quella stupida! Ma che diavolo le era preso? Capiva che era arrabbiata con lui, ma arrivare a comportarsi anche da bambina… Strinse i pugni e girò sui tacchi, incontrando subito lo sguardo eloquente della Signora Taniguchi. Prova a parlarle, vedrai che le cose tra voi due si sistemeranno, prima o poi, le aveva detto la sera precedente, infondendogli un po’ di coraggio.

«Parlare con quella?» esclamò, indicando lo spogliatoio. «Non ci penso nemmeno! Che se ne stia chiusa in quella maledetta stanza, lei e il suo dannatissimo orgoglio!»

Keiko rise. «Dai tempo al tempo, ragazzo», si limitò a dire, infilandosi una sigaretta tra le labbra. «Comunque, stanno arrivando i primi allievi… hai voglia di venire con me nel budou, così te li presento?»

Ranma si lasciò sfuggire un sospiro. «D’accordo», mormorò, seguendo la sensei verso la palestra.
 
***
 
«Allora, ragazzi, vorrei presentarvi il vostro nuovo insegnante, Ranma Saotome», iniziò Keiko, dopo che anche l’ultimo allievo fu entrato nel luogo degli allenamenti. «È stato in Cina e, stando a quanto mi hanno raccontato, conosce diverse tecniche marziali. Cercate di andare d’accordo con lui, va bene?»

«Sì!» risposero in coro i ragazzini, pendendo dalle labbra del loro nuovo maestro.

Akane storse la bocca: cos’aveva quell’imbecille di tanto interessante da meritarsi di essere visto come un esempio da seguire? E poi, l’essere stato in Cina non lo rendeva di certo migliore, anzi, lei non ci trovava nulla di straordinario. Incrociò le braccia sotto il seno, cercando di sbollire la rabbia che aveva accumulato nelle ultime ventiquattro ore… forse era anche la febbre a darle alla testa e a farla innervosire tanto! Si maledisse mentalmente, mordendosi l’interno della guancia. Mai una volta che do ascolto ai consigli di Shin!

«… Akane, ci stai ascoltando?» le chiese improvvisamente la Signora Taniguchi, mettendosi al suo fianco e posandole una mano sulla spalla.

La piccola Tendo si riscosse dai suoi pensieri e lanciò uno sguardo stupito alla sensei. «Eh?» domandò.

«Ho chiesto se ti andrebbe di mostrarci le tue tecniche di combattimento in un amichevole con Ranma», esclamò la donna e dal suo tono di voce, l’artista marziale riuscì a cogliere una certa malizia. Che diavolo aveva in mente?

E il kata che dovevo insegnare loro quest’oggi? E poi, perché devo combattere con questo qui?! avrebbe voluto dirle, ma il suo orgoglio le sussurrò che quella non sarebbe stata la risposta giusta. Non poteva mostrarsi così… debole di fronte ai suoi allievi. «Va bene, ma la avverto: non ci andrò piano, solamente perché un gruppo di ragazzini mi sta guardando.»

«Era proprio quello che volevo sentirti dire», esclamò Keiko, prima di abbozzare un sorriso, cui Akane rispose con un’ennesima smorfia. Quella donna era troppo impicciona, questo era certo!

La ragazza fece vagare lo sguardo tra i presenti e intercettò quello di Ranma, che la stava fissando con una sorta di ghigno sulle labbra. «Dunque, vogliamo iniziare?» le domandò lui, parandosi di fronte a lei e mimando un inchino con la schiena.

La piccola Tendo corrugò la fronte. Mi sta prendendo in giro o fa sul serio? si chiese, chinandosi a sua volta.

«Sappi che nemmeno io ci andrò piano solo perché si tratta di te», le sussurrò il codinato, gelido, provocandole un brivido di freddo lungo tutta la schiena. Senza pensarci oltre, l’artista marziale si mise in posizione e cominciò ad attaccare con un pugno, che Ranma schivò prontamente, compiendo un piccolo salto verso l’alto.

Akane strinse le labbra e provò a colpirlo con un calcio ma, ancora una volta, il suo piede fendette l’aria, picchiando a vuoto.

Che diavolo… questo idiota si sta prendendo gioco di me… «Forza, attacca anche tu, se ne hai il coraggio!» urlò… ottenendo solo un sorriso divertito da parte di quell’imbecille.

«Non ti ricorda un po’ la prima volta in cui abbiamo combattuto insieme, Akane?» le chiese lui, evitando un ennesimo pugno da parte della giovane.

«Taci!» ringhiò lei con una furia sempre crescente, per poi prendere una piccola rincorsa e partire di nuovo all’attacco. «Preparati, perché questa volta ti manderò a gambe all’aria!» esclamò, caricando un cazzotto talmente forte che, ne era sicura, sarebbe stato difficile da scansare anche per Ranma.

Il suo ex fidanzato, però, parve anticipare nuovamente la sua mossa e schivò con un salto e una piroetta, ponendosi alle sua spalle. «Debole come sempre, vedo», la canzonò, quando lei si girò per guardarlo in cagnesco.

«Tu… la vuoi smettere di prendermi in giro?!» urlò la piccola Tendo, al limite dell’esasperazione.

Ranma incrociò le mani dietro la testa. Si era forse dimenticato che stavano combattendo? «Oh, d’accordo… mi dispiace.»

Akane contò fino a dieci, ma non riuscì a reprimere la rabbia. «È la stessa cosa che hai pensato quando mi hai lasciata a pochi giorni dal nostro matrimonio?» sputò fuori con voce incrinata, attaccando il codinato con un ennesimo calcio… e questa volta, il suo colpo non andò a vuoto.

Il ragazzo, infatti, la guardò spaesato e cadde a terra, picchiando il fondoschiena sul tatami. «Eh?» fece in tempo a chiedere, prima di venire interrotto dalla Signora Taniguchi.

«Basta così, dichiaro concluso questo amichevole. Vi siete forse dimenticati i principi del karate?» domandò a entrambi, puntellandosi i fianchi con le mani. «Specialmente, tu, Ranma. Dovresti sapere che la disattenzione è causa di disgrazia in questa disciplina.»

Stupido… pensò Akane, ascoltando in silenzio la sfuriata della sensei. Si asciugò il sudore con la manica del karate-gi e respirò forte per riacquistare il fiato perduto. Bel combattimento… ma ora mi sento più debole… Forse è meglio se me ne vado a casa a riposare… si disse, per poi girare sui tacchi e dirigersi verso l’uscita del budou.

«Akane, aspettami!» provò a chiamarla il codinato, ma le sue urla vennero subito interrotte da un guaito di dolore, quando Keiko lo afferrò per un orecchio.  
 
***
 
«Per tutti i Kami, Akane, ti ho detto di aspettarmi!» gridò Ranma, seguendo la sua ex fidanzata fuori dal dojo. Quella ragazza era orgogliosa, incorreggibile e… stupida! Gli dava proprio sui nervi! Possibile che, nonostante fossero passati sei anni, il suo caratteraccio non fosse cambiato di una virgola?! Stupida e per niente carina, ecco che cos’era!

Il codinato roteò gli occhi al cielo e si preparò a insultarla con qualche insolenza, quando lei si bloccò e si girò di scatto. «La vuoi smettere di seguirmi?! Mi da fastidio!» sbottò la sua ex ragazza, incenerendolo con lo sguardo.

Ranma inspirò profondamente ed espirò. «Se solo mi lasciassi spiegare…» esclamò, cercando di imporre un tono riconciliante alla sua voce. Che diamine, da  quando ci siamo ritrovati, non abbiamo fatto altro se non litigare!

Akane alzò un sopracciglio. «Spiegare?» chiese con rabbia, puntandogli un dito sul petto. «Tu non mi devi alcuna spiegazione. Hai fatto la tua scelta, no? Ormai è troppo tardi per tornare sui tuoi passi, idiota che non sei altro!»

Il giovane sbuffò e si chiuse nelle spalle. «È vero… ti ho lasciata in modo brusco, ma ho avuto le mie ragioni. Non l’ho fatto con l’intenzione di farti soffrire, dico davvero…» mormorò, facendo un passo verso di lei e allungando una mano per carezzarle una guancia... mano che lasciò cadere, quando una voce, alle loro spalle, li interruppe.

«Eccoti qui, Akane!»

Ranma si allontanò velocemente da lei e si diede del cretino. Che cavolo mi è preso? Cosa stavo facendo? pensò, prima di focalizzarsi sul nuovo arrivato. Era un ragazzo alto, magrolino e con un fisico simile a quello di un fuscello… così snello che al codinato parve strano che un colpo di vento non l’avesse già spazzato via. I lunghi capelli castani del tipo erano legati in un buffo codino dietro la testa; mentre gli occhi, di un azzurro intenso e dalla forma magnetica, lo stavano fissando con aria curiosa. L’artista marziale non seppe dirsi dove lo avesse già visto, ma quel giovane gli parve tutt’altro che estraneo.

«Shin! Che ci fai tu qui?» urlò Akane, correndogli incontro, e a Ranma sembrò che qualcuno gli avesse rovesciato addosso un secchio colmo di acqua gelata. Shin? Shinnosuke? Quel Shinnosuke? Quell’imbecille che gli aveva quasi portato via Akane e per il quale lei aveva rischiato la vita?

Shin sorrise amorevolmente e cinse i fianchi della piccola Tendo, scatenando nel codinato una familiare gelosia che non aveva provato per tanto tempo. «Ero preoccupato perché stamattina non sembravi in forma… così ho deciso di venirti a prendere! A proposito, chi è lui, Akane?» chiese, indicando Ranma con un cenno della testa.

La ragazza sembrò irrigidirsi sul posto. «Ah, lui è… solo un nuovo collega di lavoro…» divagò.

Bugiarda, io non sono solo un collega di lavoro! Io sono…

Il nuovo arrivato allungò una mano e la porse all’artista marziale, che la guardò incerto. «In questo caso, piacere di fare la tua conoscenza. Sono Shinnosuke, il fidanzato di Akane.»

Fidanzato…? A Ranma mancò improvvisamente il fiato. Si allontanò da entrambi e distese le labbra in un sorriso di cortesia. «Io sono Ranma… e ora devo andare», esclamò, soffocando il tremolio nella sua voce.

Stupido che non sei altro! si disse subito dopo, ricacciando indietro il magone. Perché hai creduto che il suo cuore ti appartenesse ancora? Come hai potuto illuderti così? Come hai potuto, dannazione?! 

 

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Capitolo 7
*** Il suo incubo peggiore ***


Premessa dell'autrice: Buonasera a tutti! Sono in ritardo mostruoso, lo so, ma ho i miei motivi! - Non è vero, continuo a passare il mio tempo a guardare serie tv al posto di scrivere, ma dettagli. In realtà, è tutta colpa delle mie ship, continuano a tenermi incollata davanti alla televisione.
Comunque, visto che la mia vita da nerd asociale non interessa a nessuno, passiamo alla storia vera e propria! Con questo capitolo, si chiude la prima parte di Tempi Supplementari. Per me è una grandissima soddisfazione essere arrivata fin qui, insomma... ho iniziato a progettare questa storia proprio da qui! Il merito è anche vostro, che continuate a sostenermi... Siete tantissimi e vi sono profondamente grata! Un abbraccio va anche a Napee che ringrazio con tutto il mio cuore, se non ci fosse lei, non saprei davvero dove sbattere la testa!
Bene, smetto di annoiarvi con le mie moine e vi lascio con il capitolo vero e proprio. Spero davvero che vi piaccia!


 
CAPITOLO VII

IL SUO INCUBO PEGGIORE

 

«Io sono Ranma… e ora devo andare.»
 
Quelle parole la colpirono con la stessa violenza di un pugno nello sterno. Ranma le stava sorridendo, ma il suo non era un sorriso felice, anzi, aveva un che di stonato e di irrimediabilmente sbagliato al centro di quel suo sguardo rammaricato. Glielo lesse negli occhi, quel rancore che provava nei suoi confronti, e fece in tempo a mimare un ‘perché’ con le labbra, prima che lui le desse le spalle per andarsene.
Ranma… pensò, mentre la figura del ragazzo che un tempo aveva amato si faceva sempre più distante. Che diavolo stava succedendo? Come mai lui aveva reagito in quel modo di fronte a Shinnosuke? Che gli fosse venuta in mente quella volta in cui…? Scosse la testa, lanciando un’occhiata in tralice al suo fidanzato: anche lui aveva l’aria confusa e si stava scompigliando i capelli, come se stesse cercando di ricordarsi qualcosa… o peggio, di qualcuno. Un’ondata di panico la assalì, quando Shin aprì bocca per mettere fine a quel silenzio imbarazzante. 

«Senti un po’, Akane…» esclamò, corrugando la fronte, «… ho come l’impressione di aver già visto quel tuo collega da qualche parte…»

Akane si asciugò le mani sudaticce sui pantaloni della tuta. «Impossibile», mormorò con i nervi a fior di pelle. «Ranma non è di queste parti… Ha vissuto in Cina per moltissimo tempo, prima di decidersi a ritornare nel suo paese natale. L’avrai di sicuro scambiato per qualcun altro.»

Shinnosuke si chiuse nelle spalle. «Sarà.»

L’artista marziale fece cenno di sì con il capo. «Ti dico che è sicuramente così!» ribadì a denti stretti, distendendo le labbra in un sorriso tirato. Come aveva fatto a cacciarsi in una situazione simile? Il suo ex e il suo fidanzato coinvolti in un faccia a faccia… Le metteva i brividi il solo pensiero di quello che sarebbe potuto accadere! «Piuttosto…» tergiversò, «… che ci fai tu qui?»

Ogni sorta di confusione abbandonò il volto del suo ragazzo, quando questi si girò verso di lei, con una buffa espressione stampata in viso. «Ma come?» le domandò, offeso. «Stamattina non sembravi stare tanto bene e ho pensato… ecco… ho ben pensato di venirti a prendere per accompagnarti a casa.»

Akane rise: Shinnosuke era capace di scaldarle il cuore solamente con delle semplici parole. Si avvicinò a lui e gli sfiorò le labbra con le proprie. «Grazie… è molto gentile da parte tua.»
 
***
 
L’interno del ristorante di Ucchan era esattamente come lo ricordava; gli venne quasi da sorridere al pensiero di tutte le volte in cui si era fermato lì a pranzare dopo la scuola.
Nonostante lo spazio fosse un po’ ristretto, si respirava un clima piuttosto confortevole, capace di attenuare – almeno momentaneamente- l’inquietudine che nell’ultima ora aveva appesantito il suo cuore. Prese posto su uno degli sgabelli di fronte alla piastra, mentre una cameriera, vestita in uno sgargiante kimono, faceva capolino dalle cucine.

«Benven…» cominciò, ma le parole le morirono in gola quando posò lo sguardo su di lui. «Ma io ti conosco! Se la memoria non m’inganna, sei Ranma Saotome, giusto?»

Il codinato sollevò un sopracciglio e la stramba ragazza sbuffò, puntandosi un dito al petto. «Sono Konatsu, ti sei forse dimenticato di me?»

«No, mi ricordo eccome di te, invece!» esclamò Ranma, picchiandosi il palmo di una mano con un pugno. «Se non sbaglio, hai provato a uccidermi, tempo fa…»

«Ma poi la signorina Ukyo mi ha preso con sé e mi ha fatto cambiare idea…» soggiunse Konatsu con aria sognante, prima di compiere una giravolta su se stesso. Era un tipo stravagante, su questo non vi erano dubbi. E, ora che ci penso, lui stravede per Ucchan, anzi, le ha addirittura confessato di amarla… rimuginò l’artista marziale, guardandolo di sottecchi.

«E dimmi… come te la passi, amico?»

Le labbra tinte di rosso del Kunoichi si incresparono in un sorriso compiaciuto. «Oh, meglio di te sicuramente! Ti ho osservato quando sei entrato, sai? Avevi una faccia da funerale…»

Ranma aprì la bocca per replicare ma, in quel momento, la porta della cucina si aprì e da essa fece la sua comparsa Ukyo. Indossava la sua solita giacca blu, sopra cui era stata adagiata una cintura contenente delle spatole di varie dimensioni. A differenza di quella mattina, però, aveva legato i lunghi capelli castani in una coda alta tenuta ferma da un fiocco bianco. «Konatsu, quante volte devo dirti di non intrattenerti con i clienti?» gridò in direzione del ninja, che, colto in flagrante, sobbalzò.

«Ma signorina Ukyo…» si lamentò Konatsu, «… non si tratta di un cliente qualsiasi, ma di Ranma!»

Ucchan sgranò gli occhi e scansò il ragazzo con una manata. «Che ci fai tu qui?!» ringhiò, puntando un dito contro il codinato che, di tutta risposta, si chiuse angelicamente nelle spalle.

«Non hai mai pensato di dare una rimodernata all’arredamento?» esclamò, allargando le braccia e deviando strategicamente la domanda della sua amica d’infanzia. La vide sporgere le labbra in una smorfia, mentre il Kunoichi, dietro di lei, sbuffava una risata divertita.

«Seriamente, Ranma…» replicò la moretta, massaggiandosi le tempie con il pollice e l’indice, «… non ti avevo forse chiesto di startene fuori dalle nostre vite?»

«Mi hai minacciato di picchiarmi se avessi fatto del male ad Akane», la corresse l’artista marziale, «ma non mi hai domandato di tenermi fuori dai giochi.»

«Touché», s’intromise Konatsu, beccandosi poi un’occhiataccia da parte di Ukyo. Il ninja sorrise con finta innocenza e le rivolse uno sguardo che pareva dire: Ma che ho fatto, ora? «D’accordo, mi levo di torno e vado a lavare i piatti.»

«Meglio così», concordò la cuoca. «Ah, Konatsu, ci sarebbe anche la spazzatura da portare fuori… per piacere.»

Il Kunoichi sospirò e lasciò la stanza, borbottando una frase che suonò come ‘tocca sempre a me fare lavori di questo genere’.

«Perché non mi hai detto che lei ha un fidanzato?» chiese Ranma a bruciapelo, una volta rimasto solo con Ucchan. La ragazza trasalì e si mise ad armeggiare con una spatola per rigirare un impasto sulla piastra.

«Non mi sembrava il caso di dirtelo, Ran-chan.»

Il codinato si corrucciò. «Così da farmi fare la figura dell’emerito idiota con Akane e con il suo…» Soffiò, passandosi una mano tra i capelli spettinati, «… con il suo ragazzo?» Odiava dover ricordarsi che lei apparteneva già a un altro… specie perché si trattava di Shinnosuke e non di un tipo qualsiasi.   

Ukyo si morse il labbro inferiore e adagiò un okonomiyaki su un piatto. Ranma la ringraziò per quel pasto non richiesto e ne approfittò per osservarla di sottecchi. La sua amica d’infanzia stava volutamente evitando di guardarlo, lo sapeva bene. Che provasse pena verso di lui? Strinse la bocca in una linea retta: non sopportava quando qualcuno si comportava così nei suoi confronti! «Di’ qualcosa, Ucchan.»

«Vorrei solo che gettassi la spugna…» ammise la moretta, sollevando finalmente lo sguardo. Era seria, pareva tenerci davvero. «Ce n’è voluto di tempo, ma io e Akane siamo diventate grandi amiche con il passare degli anni… e credimi, Shinnosuke è stato in grado di farla rialzare dopo che tu l’hai lasciata. Grazie a lui, Akane ha ricominciato a sorridere. Non distruggere la sua felicità, Ranma… non ora che l’ha finalmente ritrovata.»

Una lama invisibile trafisse il cuore del codinato che, come un automa, si alzò dalla sedia per congedarsi da quella che anni addietro aveva considerato la sua migliore confidente. «Mi dispiace, Ucchan… ma questa volta non potrò darti ascolto. Io ci tengo a lei e voglio… devo provare a fare qualcosa, prima che sia troppo tardi.»
 
***
 
Akane starnutì e afferrò un ennesimo pacchetto di kleenex. Odiava avere le febbre; si sentiva veramente inutile, bloccata in casa e senza alcuna possibilità di muoversi o, ancor peggio, di allenarsi!   

«Che ti avevo detto?» la canzonò Shinnosuke sornione, entrando nella stanza con un vassoio tra le mani. «Non avresti dovuto andare a lavoro ieri!»

«Non dire stupidaggini, Shin», lo rimbeccò l’artista marziale, gettando a terra un fazzoletto usato. «Sai bene anche tu che ieri dovevo insegnare un nuovo kata ai miei allievi!»

«E perché non ti sei fatta sostituire dal tuo nuovo collega di lavoro?»

Akane digrignò i denti. Già, perché non ho lasciato quel maledetto compito a quell’idiota di un Ranma? Sono sicura che se la sarebbe cavata magnificamente, pensò con non poco sarcasmo, prima di prendere la ciotola di miso bollente che il suo fidanzato le stava porgendo. Si soffermò a osservare la brodaglia verdastra che galleggiava al suo interno, sentendo un improvviso buco allo stomaco. Se c’era qualcosa che il suo ragazzo non sapeva fare, quella era proprio cucinare! Ricacciò indietro un conato di nausea e afferrò un cucchiaio. «Perché, come ti dicevo ieri, Ranma è nuovo di qui e, com’è giusto che sia, deve ancora ambientarsi», mentì, sforzandosi di mandare giù qualche sorsata di quella zuppa disgustosa. «Non sarebbe stato carino, da parte mia, se gli avessi scaricato tutto il lavoro, senza dargli l’opportunità di conoscere meglio i nostri studenti.»

«Sei sempre la solita premurosa», mormorò Shinnosuke, sporgendosi per sfiorarle la fronte con le labbra. «Adesso, scusami, ma devo andare…»

Akane mise il broncio. «Di già? Non puoi restare a farmi un po’ di compagnia?»

«Mi dispiace, ma il lavoro chiama… Ma se hai bisogno di qualcosa, di qualsiasi cosa, fammi uno squillo, va bene?»

La piccola Tendo annuì, sollevando un angolo della bocca in un sorriso. «Grazie, Shin», gli rispose, prima di aggiungere: «Sei davvero il migliore, te l’ho mai detto?»

Shinnosuke scoppiò a ridere e, nel farlo, due buffe fossette apparvero ai lati delle sue labbra. «Sì, almeno un centinaio di volte!»

«E allora lascia che te lo ripeta per la centounesima volta», mormorò Akane, afferrandolo per la manica della giacca e costringendolo a chinarsi verso di lei. Già, la sua relazione con Shin era la cosa più bella che le fosse mai capitata; non avrebbe permesso a nessuno di strappargliela via come, invece, era successo con Ranma.
 
***
 
Quando Ranma entrò in palestra, quel giorno, ad accoglierlo vi era solo la Signora Taniguchi. Se ne stava in piedi dietro alla reception, con la cornetta del telefono in bilico tra la spalla e l’orecchio, e borbottava frasi sconnesse come ‘Sì’, ‘No’, ‘Spero davvero che si riprenda’. Il codinato la guardò incuriosito e aspettò che riagganciasse prima di chiederle: «C’è qualcosa che non va?»

La donna scosse la testa e, nel farlo, un ciuffo argenteo sfuggì dallo strettissimo chignon in cui aveva legato i capelli. «Ero al telefono con…» Fece una pausa, durante la quale si mise a picchiettare con le dita sulla superficie in legno del bancone, «… un amico stretto di Akane. Mi ha detto che lei sta male e che oggi non si presenterà a lavoro.»

Ranma inarcò un sopracciglio. «Shinnosuke?» chiese, deglutendo a fatica la bile amarognola che gli aveva appestato la bocca. Per tutti i Kami, com’era possibile che quella testona si fosse invaghita di quello stordito?

Di tutta risposta, Keiko sgranò gli occhi. «Allora hai saputo…?» gli domandò con voce strozzata. Il codinato annuì e lei soggiunse: «Mi dispiace tanto, figliolo…»

«Non importa. Io… non ho intenzione di cedere ora… né mai lo farò!»

 
Durante tutta la lezione, Ranma non fece altro se non pensare ad Akane. L’idea di lei tra le braccia di un altro gli faceva accapponare la pelle dalla rabbia. Aveva così tanta voglia di picchiare quel Shinnosuke… lui e quella sua dannatissima faccia da santarellino!
Per più di una volta, si beccò un pugno da parte di qualche suo allievo, seguito subito da un richiamo della sensei, che continuava a ripetergli di non distrarsi. Ma com’era possibile non ritornare con la mente a quel momento, in cui la sua ex fidanzata gli aveva dimostrato di non provare più alcun sentimento nei suoi confronti?

Alla fine dell’allenamento, Ranma aveva così tanti muscoli indolenziti da faticare a muoversi. Quei ragazzini ci sapevano davvero fare con le arti marziali, altroché! Avevano approfittato della sua disattenzione per colpirlo a destra e a manca!

Aveva già iniziato a cambiarsi nello spogliatoio, quando un lieve bussare alla porta lo fece sussultare. «Ranma, posso entrare?» gli chiese la Signora Taniguchi con quel suo modo di fare da mamma chioccia. Stava cominciando ad abituarsi a quella donna tanto apprensiva e chiacchierona…

«Prego», mormorò il ragazzo, appallottolando la giacca del karate gi per ficcarla dentro la borsa.

Keiko socchiuse l’uscio e sgusciò nella stanza. «So che ti stai cambiando, ma vedi… c’è una persona che desidera vederti. Dice che ha una certa urgenza, quindi…» Le tremava la voce, il che era piuttosto strano.

Ranma inarcò un sopracciglio. «E chi sarebbe questa persona?» domandò, infilandosi la sua adorata casacca rossa e armeggiando con i bottoncini dorati.

La sensei si morse il labbro inferiore. «Non saprei… ma ha detto di conoscerti molto bene», gli rispose, prima di aprire la porta. Al codinato si raggelò il sangue nelle vene appena posò lo sguardo sulla nuova arrivata. Indossava uno stretto abito cinese verde acqua, che le copriva a malapena il fondoschiena. I capelli vaporosi contornavano quel suo visetto dalla parvenza angelica, su cui era stampato un sorriso malvagio; un sorriso che voleva dire solo una cosa: ‘Ti ho trovato, finalmente… Ranma.’
 
***
 
Distesa comodamente su un fianco, Akane stava sfogliando una rivista di cucina, di cui aveva fatto l’abbonamento non poco tempo prima. Si era ripromessa di imparare a cucinare in vista del suo imminente matrimonio con Shinnosuke; voleva essere la mogliettina perfetta, premurosa e affettuosa. Tutte quelle ricette, però, non sembravano fare al caso suo: ogni volta che provava a mettersi ai fornelli, rischiava seriamente di dar fuoco alla cucina.
La piccola Tendo sospirò e chiuse il giornale. Perché non aveva ereditato le stesse doti culinarie di Kasumi? Era davvero ingiusto! Quanto avrebbe voluto avere le mani da fata di sua sorella… le sue, a confronto, erano rozze e poco femminili. Le nocche erano ricoperte di vecchi tagli e cicatrici che si era guadagnata a forza di pugni; mentre le dita… erano tozze e con le unghie corte e piene di pellicine. Chissà come sarebbe apparsa, al suo anulare sinistro, la minuscola fede che Shin le aveva regalato. Akane spostò lo sguardo proprio su quel dito… e scattò subito a sedere. Il mio anello! pensò, frugando sotto la coperta. Dove diavolo è finito?! Non posso averlo perso!
Il panico la stava già divorando, quando si ricordò improvvisamente dove aveva effettivamente lasciato il suo anello di fidanzamento. Era costretta a toglierselo prima di tutti gli allenamenti e, probabilmente, si trovava ancora dentro al suo armadietto. Che sbadata, devo assolutamente andare a recuperarlo!
Si alzò in piedi con non poca fatica a causa della febbre alta, e, dopo aver indossato una felpa leggera, uscì di casa.
 
***
 
Ranma indietreggiò, cozzando contro la panca su cui aveva adagiato le sue cose. Perché lei si trovava lì? Era venuta forse a riprenderlo per riportarlo in Cina con la forza? «S-Shan-pu», mugolò, lasciandosi scivolare a terra.

La ragazza annuì con vigore e si slanciò verso di lui. «Finalmente ti ho trovato, wo qin ai de!*» squittì, gettandogli le braccia al collo e strofinandogli il naso contro la spalla. Il codinato fu tentato di ritrarsi, ma era paralizzato dallo sgomento. Lei era la sua tortura, il suo incubo peggiore e, ora, si trovava lì, in carne e ossa, pronta a strappargli via quel poco di libertà che era riuscito a ritagliarsi.

«S-Shan-pu, come… quando…»

L’amazzone si sciolse dall’abbraccio e si mise in ginocchio davanti a lui. I suoi occhi rossicci, notò Ranma, erano attraversati da una scintilla di puro odio; era indubbiamente arrabbiata con lui, ma come darle torto? «Semplice: sapevo che saresti venuto qui», gli rispose sprezzante, schioccandogli due dita sulla fronte. «In fondo, ti conosco da anni, Ranma… avresti fatto qualsiasi cosa pur di ritornare da lei, non è vero?»

L’artista marziale contrasse la mandibola, gettando un’occhiataccia alla cinesina, la quale, cogliendo il suo disprezzo, scoppiò a ridere. «E poi», soggiunse, «diciamo che ho avuto un piccolo aiuto da una persona di tua conoscenza. A Collant Taro non è piaciuto affatto lo scherzetto dell’attestato di nascita falso, sai? Ora, si trova a casa tua, a fare i conti con quell’idiota di tuo padre.»

Ranma roteò gli occhi al cielo: più tardi avrebbe dovuto risolvere anche i problemi di quello stupido del suo vecchio! Se solo gli avesse dato ascolto e avesse prenotato due posti in un aereo come una qualsiasi persona normale… «Beh, ben gli sta! Una lezione non gli fa di certo male, ogni tanto!» esclamò il codinato, chiudendosi nelle spalle.

La bocca tinta di rosso di Shan-pu si contorse in un ghigno divertito. «Ma parliamo di cose serie, wo qin ai de.»

«Io non ho niente da dirti, Shan-Pu.»

«E, invece, sì», sibilò la cinesina, congiungendo le braccia al petto. «Che cosa credevi di fare con quelle piante soporifere, Ranma?»

Beh… farti addormentare così da approfittarne per scappare? pensò Ranma, prima di mordersi la lingua. «Oh, quello!» rispose, invece, scompigliandosi i capelli. «Suvvia, Shan-pu, è stato solo uno scherzo innocente.» 

L’amazzone espirò rumorosamente dal naso come un toro pronto a partire all’attacco. «Non è stato affatto divertente, invece… risvegliarsi due giorni dopo il mio matrimonio e scoprire che tu e quel lardoso di tuo padre eravate scomparsi!» Aveva la voce rotta dall’isteria e stava stringendo convulsamente le mani a pugno.

Ranma tossicchiò e si alzò in piedi, allontanandosi velocemente da lei. «B-Beh…» iniziò, ma venne interrotto da un gesto brusco di quella pazza.

«Ovviamente me la sono presa con quelle stupide delle tue complici», ringhiò Shan-pu, sollevandosi anche lei da terra e annullando nuovamente la distanza che li separava. Il codinato fece qualche passo indietro, ma finì solo con il ritrovarsi inchiodato tra lei e gli armadietti.

«C-Che ne è stato di Pink e Link?»

«Davvero ci tieni a saperlo?» gli domandò la cinesina, carezzandogli languidamente il petto. L’artista marziale scosse la testa e stava per ribattere che no, non gli interessava realmente, ma le parole gli morirono in gola, quando lei avvicinò le labbra al suo orecchio. «Le ho rinchiuse in una gabbia, in attesa che vengano date in pasto agli avvoltoi.»
 
***
 
Le lezioni pomeridiane erano terminate da un po’, quando Akane fece il suo ingresso nel dojo Taniguchi. Quel luogo appariva sinistramente silenzioso senza la Signora Keiko a farne gli onori di casa. Sopra il bancone della reception svettava un cartello con la dicitura ‘Torno subito’ scritta nella calligrafia spigolosa della sensei. La piccola Tendo tirò un sospiro di sollievo: almeno si sarebbe risparmiata le mille domande di quella vecchia ficcanaso.

Frugò nella borsetta ed estrasse le chiavi del suo armadietto, ma queste le caddero di mano, nel momento in cui udì delle voci provenienti dallo spogliatoio. Ma che diamine? si chiese, avvicinandosi alla porta socchiusa e tendendo l’orecchio.

«Mi spieghi perché fai tutto questo?»

Akane sgranò gli occhi e si morse la lingua per reprimere un’esclamazione di sorpresa. Ranma? pensò, sbirciando dalla fessura aperta dell’uscio. Il suo ex fidanzato aveva la schiena incollata alla parete e teneva le braccia sollevate sopra la testa. Sembrava agitato ed era rigido come uno stoccafisso, mentre una figura più snella e minuta lo teneva saldamente inchiodato al muro. La faccia di quest’ultima era nascosta da una soffice nuvola di capelli color lavanda che Akane avrebbe riconosciuto ovunque: si trattava di Shan-pu, quella serpe velenosa che aveva provato più volte a soffiarle il ragazzo, ricorrendo anche a mezzi meschini pur di riuscire nel suo intento.

«Perché tu mi appartieni, Ranma», rispose la cinesina, prima di sporgersi in avanti e poggiare le labbra su quelle del codinato.

La piccola Tendo si sorprese nel serrare le mani a pugno. Perché doveva assistere a una scena così intima e raccapricciante? E soprattutto, era proprio necessario che quei due facessero quelle smancerie nel luogo in cui lei lavorava? Stava per urlare dalla frustrazione, se lo sentiva. Indietreggiò e, nel momento in cui lasciò andare la porta, quest’ultima la tradì emettendo un lungo cigolio.

La bocca di Akane si aprì in una ‘o’ perfetta, mentre Shan-pu, dopo essersi allontanata da Ranma, girava lo sguardo verso di lei. I suoi occhi rossicci la squadrarono dalla testa ai piedi, in modo critico, quasi indagatore. «Oh, Akane!» esclamò, infine, allargando le labbra in un sorriso falsissimo. «Entra pure, stavamo aspettando solo te!»
 
***
 
Akane? pensò Ranma, prima di venire sopraffatto da un’ondata di panico. Che ci fai lei qui? Non era ammalata? si domandò, spostando lo sguardo sulla diretta interessata. I loro occhi s’incontrarono per un breve istante, e lui riuscì a cogliere una nota di disapprovazione in quelli castani di lei. Era furiosa, indubbiamente, ma sembrava anche molto confusa. Il codinato si mordicchiò il labbro inferiore: presto o tardi, avrebbe dovuto spiegarle tutto sin dal principio.

«Ma che bella sorpresa», ricominciò Shan-pu, avanzando verso la nuova arrivata. «Akane Tendo, ne è passato di tempo dall’ultima volta in cui ci siamo viste.»

Le labbra di Akane, dapprima spalancate in una smorfia di stupore, si distesero in un sorriso privo di allegria. «Shan-pu, ti vedo bene», esclamò la sua ex fidanzata, incrociando le braccia al petto. Stupida imprudente che non sei altro! la maledisse, invece, Ranma. Che cosa credeva di fare, quella scema, rispondendo per le rime a Shan-pu? Voleva sfidarla, per caso?

«Oh, grazie», replicò l’amazzone, fermandosi a qualche passo da lei. Pareva una belva feroce pronta ad azzannare la sua preda. Ranma digrignò la mascella: doveva agire, prima che quella pazza dicesse qualcosa di terribilmente sbagliato.

«Shan…»

«E ho sentito che ti stai per sposare con il tuo ragazzo! Volevo farti i miei più sentiti auguri, Akane!»

Cosa? pensò il codinato, mentre quella notizia lo investiva come la deflagrazione di un ordigno, che distrugge ed elimina tutto quello che incontra. Riuscì quasi a sentirlo, il rumore del suo cuore che si spezzava in tanti minuscoli frammenti difficili da ricomporre. Si ritrovò a cercare con lo sguardo Akane e non si stupì, quando si accorse che anche lei lo stava fissando. Come abbiamo potuto ridurci in questo modo? avrebbe voluto urlarle contro. Come abbiamo potuto, Akane?

«È quasi buffo», continuò Shan-pu, ghignando di fronte all’espressione smarrita di Ranma, «se penso che voi due, una volta, eravate praticamente inseparabili, due anime gemelle. Credevamo tutti che foste destinati l’uno per l’altra, mentre, ora… guardatevi: vi state per sposare con due persone completamente differenti.»

L’artista marziale si riscosse dal suo stato di trance e si preparò a tappare la bocca a quell’amazzone dalla lingua troppo lunga. Akane non doveva sapere, non in quel modo… Si slanciò in avanti, pronto ad acchiapparla, ma lei lo scansò e, con un sorriso crudele stampato in volto, sganciò l’ultima potentissima bomba. «Anch’io e Ranma stiamo organizzando il nostro matrimonio, non è fantastico?»

La sua ex fidanzata sgranò gli occhi e il codinato agitò le braccia davanti al viso, nel pallone più totale. Che diamine poteva mai dirle, ora? «Akane, giuro che non è come pensi… Noi…»

«Ma è meraviglioso!» lo interruppe la ragazza, serrando la mandibola. «Sono davvero felice per voi! Ora, ehm… scusate, devo proprio andare!»

«Akane!» urlò Ranma, ma lei gli aveva già voltato le spalle. Non è possibile! È tutto un malinteso, noi… io… «Devo seguirla!»

Afferrò la maniglia della porta, più che deciso a correre dietro alla donna che amava. Non doveva finire così, lei doveva assolutamente sapere la verità… prima di legarsi per sempre a un altro uomo. Shan-pu, però, non pareva essere del suo stesso avviso. Lo ghermì per la manica della casacca e lo tirò indietro.

«Non ci provare, tesoro», sibilò a pochi centimetri dal suo viso. Ranma sostenne il suo sguardo: non avrebbe più permesso a quella vipera di mettergli i bastoni tra le ruote.

«Altrimenti?»

«Altrimenti… ucciderò Akane con le mie stesse mani.»    

 

*wo qin ai de: 'amore mio' in cinese.

Note dell'autrice: Giuro che sono felicissima di essere riuscita a introdurre Shan-pu! Lei è odiosa e pazza, ma descriverla è bellissimo, giuro! Comunque, prima di salutarvi, volevo avvisarvi che ho creato una pagina autore su Facebook, così da aggiornarvi sui prossimi capitoli, se vi va! La trovate a questo link.
Vi mando un bacione enorme!

Ayamehana.

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Capitolo 8
*** Sentimenti contrastanti ***


Piccola premessa dell'autrice: Sì, insomma, ciao a tutti! Volevo innanzitutto scusarmi immensamente per questo inaccettabile ritardo; come ho scritto diverse volte nella mia pagina Facebook, ho avuto un improvviso calo dell'ispirazione - tanto che avevo pensato persino di cancellare Tempi Supplementari, non uccidetemi, ve ne prego! Tutto quello che scrivevo, insomma, non mi sembrava abbastanza decente... basti pensare che questo capitolo l'ho scritto non una, bensì due volte! La prima stesura non mi convinceva affatto, sembrava troppo 'pacchiana' e non avevo la minima intenzione di pubblicare qualcosa che non mi piaceva solo per accontentarvi. Quindi, eccomi qui! Vi ringrazio di cuore per tutti i commenti che mi avete lasciato finora (sia su EFP sia su Facebook), ve ne sono immensamente grata e il vostro supporto è preziosissimo per me! ♡ Vorrei ringraziare anche la mia betareader per tutta la pazienza dimostratami, e per ultima, ma non meno importante, la dolcissima Desirè, che sta realizzando una fanart su questo capitolo (trovate il link della sua pagina FB nel post fissato in alto nella mia pagina autrice! È un'artista formidabile, vi consiglio vivamente di darci un occhio!)  Bene, vi ho annoiati fin troppo e vi lascio alla lettura. Mando un bacio enorme a tutti, sperando vivamente di non deludervi!
 

CAPITOLO VIII

SENTIMENTI CONTRASTANTI


 
Ranma sgranò gli occhi, digrignando la mandibola talmente forte da farsi quasi male. Shan-pu non poteva dire sul serio, voleva semplicemente intimidirlo per convincerlo a gettare la spugna sulla sua ex fidanzata… ma lui si era già ripromesso di non lasciarsi abbindolare da quei suoi stupidi giochetti, non più. Con uno strattone non troppo delicato, si liberò, quindi, dalla presa di quella pazza e le rivolse uno sguardo velenoso. «Lo dici solo per farmi desistere dal correrle dietro, non è vero?»

Il viso della cinesina si contrasse in un’espressione annoiata. «Certo che no, sciocco», esclamò, sollevando gli angoli della bocca in un sorriso privo di allegria. «Sai bene anche tu che ho degli uomini al mio servizio pronti a far del male ad Akane a mio comando. Mi basta uno schiocco di dita e…»

«Quella storia non regge più, Shan-pu», la interruppe Ranma con rabbia, incrociando le braccia al petto. «Sei riuscita a ingannarmi anni fa, ma ora…»

«Oh, davvero? E, secondo te, perché il Neko Hanten non è ancora stato comprato da nessuno durante questi anni?»

Il codinato aprì la bocca, ma presto si accorse di esser rimasto a corto di parole. Se prima aveva avuto dei dubbi circa la sanità mentale dell’amazzone di fronte a lui, ora non ne aveva più. Era talmente ossessionata da lui e da quell’amore malato, che avrebbe fatto di tutto pur di non farsi mettere i bastoni tra le ruote… Senza quasi volerlo, Ranma si ritrovò a indietreggiare per allontanarsi il più possibile da quella donna che gli stava rovinando letteralmente l’esistenza. «Tu sei completamente fuori di testa», sputò, imprimendo in quelle parole più odio possibile. «E, poi, che senso avrebbe coinvolgere Akane in tutta questa faccenda se, ora, come hai detto tu, si sta per sposare con un altro uomo?»

Shan-pu sollevò un sopracciglio, prima di scoppiare in una risata che gli fece saltare tutti i nervi. «Sul serio non ci arrivi, wo qin ai de? L’ho tenuta d’occhio per tutto questo tempo e mi sono accorta di una cosa: il modo in cui lei guarda Shinnosuke… è totalmente differente dal modo in cui guardava te. Lei crede di amarlo, ma, in realtà, il suo cuore ti appartiene ancora. È solo questione di tempo, prima che se ne accorga e…»

«Basta così», la fermò Ranma, scuotendo il capo con vigore. Shan-pu stava travisando tutto come al solito, ne era certo. «Dovresti smetterla con questa tua fissazione, non è facendo così che conquisterai il mio cuore.»

Salvo che ciò possa essere mai possibile, pensò l’artista marziale, prima di aprire la porta e precipitarsi fuori dallo spogliatoio. Non aveva intenzione di passare un singolo minuto in più in compagnia di quella pazza; doveva assolutamente trovare Akane e darle delle spiegazioni su tutta quella situazione assurda. Le parole di Shan-pu, però, si erano già insinuate prepotentemente nel suo cervello e continuavano a turbinargli nella mente in un fastidioso mantra: il suo cuore ti appartiene ancora… E se fosse stato vero?
 
***
 
Akane era furiosa, diamine se lo era! Perché quell’idiota del suo ex fidanzato continuava a girarle intorno, se si stava per sposare con un’altra donna? E perché, tra tutte, aveva scelto proprio Shan-pu? Non si ricordava, forse, di tutti i tiri mancini che quella pazza le aveva giocato in passato? Di quando, pur di farla allontanare da lui, l’aveva privata della memoria…?

Non gli importa proprio, non è vero? pensò l’artista marziale, fermandosi sul ciglio della strada e appoggiando la testa contro un palo della luce. Tutte quelle emozioni l’avevano travolta con la stessa forza di un uragano, facendola sentire completamente scombussolata. Che cosa provava nei confronti di Ranma? Rabbia, rancore, disgusto… La sua gola si serrò in una morsa sempre più stretta e la piccola Tendo quasi non si accorse di aver iniziato a singhiozzare. Perché quell’imbecille aveva ancora tutto quel potere su di lei? Possibile che i suoi sentimenti fossero così labili?

Akane si asciugò rabbiosamente le lacrime dalle guance e tirò un pugno al palo che aveva di fronte. Una scossa le percorse subito il braccio dal polso sino al gomito, facendola gemere per il dolore. «Dannazione», mormorò con la voce incrinata, massaggiandosi delicatamente la mano ferita. Forse dovrei metterci un po’ di pomata, una volta arrivata a casa…

«Akane!» la chiamò una voce alle sue spalle e lei s’irrigidì sul posto. Possibile che quello scemo l’avesse seguita fin lì? Quante volte doveva ripetergli di lasciarla in pace? La giovane si girò e rivolse un’occhiataccia a Ranma, che se ne stava in piedi a pochi passi da lei.

«Vattene», esclamò, compiendo uno sforzo enorme per non mettersi a frignare come una stupida ragazzina. «Non avevo forse interrotto qualcosa d’importante con Shan-pu?»

«Hai frainteso tutto, credimi. Lascia almeno che ti spieghi… ti prego.»

Akane sollevò le labbra in un sorriso amaro. «Tu… mi preghi?» gli domandò, fulminandolo con lo sguardo, prima di dargli le spalle e incamminarsi verso la stazione. Non aveva alcuna voglia di stare ad ascoltare le menzogne di quel bugiardo… ma lui non sembrava essere del suo stesso avviso. Lo sentì, infatti, imprecare a mezza voce, per poi cominciare a correrle dietro senza alcun ritegno. «Ma dico, Akane, ti hanno mai insegnato le regole della buona educazione?»

La piccola Tendo inspirò bruscamente dal naso, racimolando quel poco di pazienza che le era rimasta. «E a te, non hanno mai detto che non si insegue una ragazza per strada? Potrei denunciarti per stalking.»

«Come se ne fossi realmente capace.»

Akane guardò il codinato di sbieco: stava camminando sopra il muretto che costeggiava il vialetto, con le braccia incrociate dietro la nuca. È vero quando dicono che certe abitudini sono dure a morire… si ritrovò a pensare, suo malgrado, mordendosi nervosamente l’interno della guancia. Un’altra cosa che non era affatto cambiata di lui era la cocciutaggine: quando Ranma si metteva in testa qualcosa, era inutile provare a fargli cambiare idea. «Per quanto ancora hai intenzione di pedinarmi?» chiese, risalendo i gradini della metro per dirigersi verso il suo binario. Magari, una volta raggiunta Roppongi, sarebbe riuscita a seminarlo approfittando del traffico del suo quartiere…

«Fino a quando non avrai intenzione di starmi a sentire», borbottò il suo ex fidanzato, saltando giù dal muretto e seguendola a ruota dentro la stazione. «Certo che sei davvero testarda!»

«Ha parlato lo stalker!» lo rimbeccò lei, roteando gli occhi al cielo, prima di salire sul suo treno. Ranma, ovviamente, fece lo stesso e prese posto sul sedile al suo fianco.

«Quindi, non vivi più a Nerima? E dove abiti, ora?» le domandò, allungando la testa per osservare la cartina della metro. «A Shimbashi oppure a Ueno?»

Akane sbuffò e girò la testa dall’altra parte. Perché diamine continuava a essere così insistente? Che fosse il caso di chiamare davvero la polizia? «A Roppongi», mormorò, scattando in piedi, quando le porte del treno si aprirono. «E non provare a seguirmi ancora!»
 
***
 
Nonostante le parole di Akane, Ranma si alzò ugualmente dal suo posto. «A Roppon…» iniziò, ma non fece in tempo a terminare la frase che le porte si erano già richiuse davanti a lui. Il codinato le guardò per un breve momento, con le labbra socchiuse, dopodiché soffocò un’imprecazione sul nascere. E adesso, come faccio a spiegarle quello che è successo con Shan-pu? pensò, mentre il treno sfrecciava lontano dalla stazione del rinomato quartiere. E, cosa ben più importante, perché Akane vive in un posto simile?

Ben intenzionato a scoprirlo, l’artista marziale sfilò il cellulare dalla tasca e cercò il numero dell’unica persona che avrebbe potuto dargli delle spiegazioni a riguardo. Keiko non si fece attendere molto e gli rispose al secondo squillo. «Qui parla il dojo Taniguchi, come posso aiutarla?»

«Sensei, sono Ranma», tagliò corto il ragazzo, scendendo alla prima fermata disponibile. Doveva raggiungere Akane il prima possibile, se sperava di riuscire a parlarle, una volta per tutte.

«Va tutto bene? Ti sento strano…» mormorò la sua datrice di lavoro, con la voce resa metallica dall’apparecchio telefonico. Ranma roteò gli occhi al cielo e si avvicinò al tabellone con gli orari dei treni.

«Sì, ho bisogno di un’informazione urgente: mi sa dire, gentilmente, dove abita Akane?»

Keiko sospirò. «Non so se posso dirtelo, in realtà; si tratta, comunque, di un dato sensibile… ed io non sono disposta a invadere la sua privacy contro la sua volontà.»

«Per l’amor di tutti i Kami, sensei», esclamò il codinato, reprimendo uno sbuffo. Per chi l’aveva preso, per uno stalker, per caso? Certo, si stava un po’ comportando come tale, ma… «Devo restituirle una cosa e, se non conosco il suo indirizzo, non so davvero come fare.»

«Non gliela puoi restituire domani, quando torna a lavoro?»

«No.»

Dopo varie insistenze, Ranma riuscì finalmente a strappare a quella vecchiaccia l’indirizzo di casa di Akane. A quanto pareva, la sua ex fidanzata viveva in un appartamento in una zona non troppo affollata di Roppongi… e, se la memoria non lo ingannava, quel quartiere era famoso per la sua pessima reputazione. Di notte, infatti, vi si aggiravano delle persone poco raccomandabili e non era affatto consigliabile per una ragazza camminare per le sue strade senza un accompagnatore adeguato. Quella stupida ha la straordinaria abilità di cacciarsi sempre nei guai, pensò il codinato, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Ma, adesso, mi sente, altroché!
 
***
 
Era già calata la sera, quando Akane raggiunse la stradina di casa. I lampioni stavano iniziando lentamente ad accendersi, proiettando fievoli quadrati di luce sul viottolo altresì scarsamente illuminato. La piccola Tendo si gettò un’occhiata alle spalle e tirò un sospiro di sollievo, quando appurò che nessuno la stava effettivamente seguendo. Ranma era stato non poco invadente quel giorno, con quell’assurda convinzione di volerle parlare ad ogni costo. Chissà che cosa voleva mai dirle di tanto urgente riguardo a Shan-pu… si ritrovò a chiedersi l’artista marziale, trafficando nella borsetta per cercare le chiavi del suo appartamento.

«Ehi, bambolina, vai da qualche parte?» le chiese improvvisamente qualcuno con una voce dal forte accento orientale. La ragazza sussultò – più per la sorpresa, che per la paura- e si voltò a guardare il suo interlocutore. Si trattava di un giovane sulla trentina, con gli occhi leggermente allungati e una spruzzata di barba scura sul mento spigoloso. Un accenno di sorriso gli adornava le labbra carnose, mettendogli in risalto gli zigomi alti e pieni.

Akane sollevò un sopracciglio, muovendosi di qualche passo per guadagnare un po’ di distanza. Non le erano mai piaciuti particolarmente gli sconosciuti, e doveva ammettere che vi era un che d'inquietante nella bellezza eterea di  quel tipo. «Sì, me ne stavo giusto andando a casa.»

«Oh, ma che fretta hai?» le domandò il ragazzo, avanzando nuovamente in sua direzione. «La notte è ancora giovane, possiamo andare a divertirci insieme, se ti va.»

«Il problema è che non mi va affatto», replicò Akane, stringendo forte la propria borsetta al petto, come se quella bastasse a proteggerla. Stava ricominciando a sentirsi debole per via della febbre che l’aveva assalita in quei maledettissimi giorni… Perché continuava a trovarsi nei posti sbagliati in momenti poco opportuni?   

«Avanti, una bella ragazza come te non può certo rinchiudersi in casa», insistette il giovane, prima di avvicinarsi ulteriormente a lei e afferrarla per il polso. Akane digrignò i denti, mentre un forte puzzo di sakè le opprimeva le narici, facendole venire il voltastomaco. Quanto diavolo aveva bevuto quel tipaccio?

«Lasciami o giuro che ti metto al tappeto.»

Il ragazzo ghignò, strattonandola forte per il braccio. «Oh, ma davvero? E, dimmi, come credi di fare, bambolina? Pensi di essere un’artista marziale, per caso?»

«Esattamente», esclamò Akane, racimolando più forza possibile, prima di assestargli una bella ginocchiata alle parti basse. Il suo aggressore ululò per lo stupore e si accartocciò su se stesso, con le mani ben premute sui preziosi gioielli di famiglia. Finalmente libera da quella disgustosa presa, la piccola Tendo sgusciò via da lui e si adoperò per ritrovare la sua borsetta, che aveva lasciato accidentalmente cadere a qualche metro da lì.

«Brutta puttana, questa me la paghi!» ringhiò il ragazzo, alzandosi a sua volta e mostrandole i pugni chiusi. Voleva forse combattere contro di lei? Akane sorrise compiaciuta, ma non fece in tempo a mettersi in posizione di attacco, che qualcuno le bloccò i fianchi.

L’artista marziale si girò e i suoi occhi si specchiarono in quelli azzurri di Ranma. Era indubbiamente arrabbiato con lei, perché le rivolse un’occhiata in grado di incenerire chiunque. «Stupida!» le urlò contro senza troppe cerimonie. «Non ti si può lasciare un attimo da sola, che ti metti a fare a botte con il primo che capita!»

Akane si divincolò e pestò i piedi, con il solo risultato, però, di essere stretta maggiormente dal suo ex fidanzato. Ma a che razza di gioco stava giocando? «Mollami, Ranma, non è affar che ti riguarda questo! E poi, posso cavarmela benissimo senza il tuo aiuto!»

«Certo, come no», borbottò il codinato, prima di sollevare lo sguardo sul tipo che l’aveva aggredita. «Ti consiglio vivamente di girare a largo dalla mia ragazza, se non vuoi ritrovarti con il labbro spaccato in due!»

La piccola Tendo sussultò, mentre un ricordo di un tempo lontano si affacciava, timido, alla sua mente. Una sfida su una pista da pattinaggio e un dongiovanni disposto a tutto pur di rubarle un bacio sulle labbra. Ranma, a sedici anni, che la copriva con il proprio corpo e sbraitava contro il suo avversario: Prova a fare qualcos’altro di strano ad Akane… e altro che ginocchia! Ti stendo in una bara! È chiaro?! Akane è la mia fidanzata, prova a toccarla e ti ammazzo! All’epoca, il suo cuore aveva compiuto una capovolta su se stesso per la gioia. Possibile, insomma, che quel ragazzo con il codino nutrisse tanto affetto per lei? si era chiesta più volte, nell’arco di tutta la giornata. E poi… poi, al crepuscolo, era arrivata Shan-pu e aveva rovinato tutto.

«Tienitela pure, amico, non sono interessato a una ragazza tanto violenta», stava dicendo il suo aggressore in quel momento, con un’espressione rabbiosa stampata in faccia.

«Non lo dire a me», bofonchiò Ranma, quando quello se ne fu andato. Akane riuscì a percepire il torace del suo ex fidanzato rilassarsi contro la sua schiena, prima che lui si decidesse finalmente a lasciarla andare. «Mi dispiace, io…»

«Chi sarebbe la tua ragazza?» lo interruppe lei, alzando la voce di un’ottava. Per colpa di quell’imbecille e delle sue stupidissime parole, si sentiva ancora il petto oppresso da un moto di nostalgia…

Ranma aprì la bocca e la richiuse di scatto in una linea retta. «Bel ringraziamento per averti salvata da quel tipaccio», brontolò, girando la testa dall’altra parte. «E comunque, se ci tieni tanto a saperlo, nemmeno io fremo dalla voglia di ripetere quell’esperienza. Insomma, chi vorrebbe mai sposare una donna rozza e con il sex appeal di un ghiacciolo, come…»

… Te. Quella parola rimase sospesa a mezz’aria, soffocata dal suono secco di uno schiaffo. Akane trattenne il fiato, quasi incredula di averlo fatto davvero, mentre sulla guancia del suo ex fidanzato appariva un livido rosso scuro. «E, allora, se mi disprezzi tanto, perché non fai altro se non girarmi intorno?»

«I-Io…» iniziò il ragazzo in evidente difficoltà, toccandosi lo zigomo ferito con la punta delle dita.

Lo aveva lasciato senza parole, e una parte di Akane se ne rallegrò. «Credi che sia tutto un gioco per te, non è vero? Che, adesso che mi hai persa, mi devi riconquistare a tutti i costi per un tuo tornaconto personale… ma ti voglio svelare un segreto, Ranma: io non sono Shan-pu.»

Aveva ripreso a piangere e, ora, le lacrime scendevano, copiose, a bagnarle il viso… ma non le importava. Si sentiva terribilmente ferita nell’orgoglio e presa in giro dal giovane che una volta aveva considerato l’amore della sua vita. Come aveva fatto a essere così sciocca?

Ranma allungò una mano per toccarle una spalla e lei vi si aggrappò con forza, lasciando che i singhiozzi le scuotessero tutto il corpo. Era così stanca…

«Dai, ti accompagno a casa», mormorò il codinato, afferrandola sotto le ginocchia e prendendola in braccio. Akane si morse le labbra, ma non protestò. Si sentiva talmente debole a causa della febbre e di tutto quel maremoto di emozioni, che aveva cominciato a temere di non riuscire più a reggersi sulle gambe. «Sei davvero un cretino, Ranma.»

«Lo so.»
 
***
 
L’aveva fatta piangere, di nuovo. Perché non riusciva a smettere di farla soffrire? Eppure, conosceva perfettamente quella giovane donna da sapere che, sotto quella sua corazza da dura, si nascondeva una fanciulla fragile e dal cuore d’oro. Akane era così piccola tra le sue braccia, uno scricciolo che aveva sopportato in silenzio troppi anni di dolore… e che, infine, era scoppiato in un pianto liberatorio. I singhiozzi avevano smesso da un po’ di scuotere il petto della sua ex fidanzata che, alla fine, vinta dalla stanchezza, si era addormentata con la testa ciondolante contro la sua spalla.

Approfittando della situazione, Ranma le rivolse un’occhiata fugace: un tempo, lui e quella ragazza erano stati alti quasi uguali, ma, ora, lui la superava di diversi centimetri. Nonostante l’avesse sempre presa in giro per il suo sex appeal, non vi era forma in quel corpo minuto che lui non trovasse sensuale. Il seno non eccessivamente grosso si sposava perfettamente con il bacino sottile che, in quel momento, era fasciato semplicemente da un paio di shorts troppo corti per i suoi gusti. Se fosse stato in quell’imbecille di Shinnosuke, pensò il codinato con una punta di rammarico, si sarebbe sentito geloso di tutto quello splendore in bella mostra. Non che non lo fosse già, ovvio, ma ormai si era rassegnato a dover fare i conti con quell’orribile sentimento che continuava a straziargli, prepotente, il petto. Lei appartiene già a un altro, lei non ti ama più…

Ranma sospirò e continuò a scrutare il viso dell’amata, desiderando quasi di poterlo imprimere nel proprio cuore. Vi era un che di angelico in quei suoi tratti rilassati: le ciglia abbassate erano ancora imperlate di lacrime e creavano uno strano effetto sugli zigomi alti e morbidi. Le labbra leggermente socchiuse sembravano fatte per essere baciate… e i capelli lunghi incorniciavano il tutto in una soffice corolla scura. Anni addietro, ricordò il giovane con non poco affetto, Akane li aveva portati corti, in un caschetto che arrivava a sfiorarle a malapena le spalle. Chissà perché, invece, adesso se li è fatti crescere in questo modo… si domandò, recuperando le chiavi dell’appartamento e sgusciandovi silenziosamente dentro.

La casa della sua ex fidanzata non sembrava eccessivamente grande e, quasi a riprova di ciò, l’artista marziale non ebbe difficoltà a trovare la camera. Quella stanza era un vero e proprio disastro: il pavimento era ricoperto di pacchetti vuoti di kleenex e fazzoletti sporchi, e il comodino assomigliava a una farmacia, da quante scatole di medicinali vi erano posate sopra. «Non ti smentisci mai, vero, Akane?» borbottò, adagiando la giovane sul letto sfatto. «Sei proprio un maschiaccio in tutto e per tutto.»

Per una volta tanto, non vi era malizia alcuna in quelle parole e Ranma quasi si stupì della dolcezza con la quale le aveva pronunciate. Da quando era diventato così melenso? si chiese, lasciandosi scivolare stancamente a terra. Che cosa doveva fare? Tornare a casa oppure rimanere a vegliare su quella ragazza pasticciona e malaticcia?

Kami, ditemelo voi, pensò, prima che un oggetto in particolare attirasse la sua attenzione. Incuriosito, il codinato vi si avvicinò e le sue mani si chiusero intorno ai manici usurati di un vecchio baule. Vi era qualcosa di terribilmente familiare nel disegno floreale scolpito nel legno… qualcosa che indusse Ranma a far scattare la serratura. Quando questa si aprì, il ragazzo affondò subito le dita nella stoffa ruvida e ingiallita di un abito da sposa. «Cosa diamine…» iniziò, prima che un’intuizione lo colpisse come un fulmine a ciel sereno. Come mai Akane continuava a conservare quel vestito? Non si trattava, forse, di un ricordo appartenente al passato che avevano condiviso insieme? Il suo cuore ti appartiene ancora… per quanto si fosse sforzato, non era ancora riuscito a cancellare le parole di Shan-pu dalla sua mente. No, lei ama Shinnosuke, lei…

I suoi occhi si posarono su un cofanetto in feltro blu su cui erano incise le iniziali della famiglia Saotome. Adesso mi ricordo, pensò Ranma, afferrando la scatoletta. È la custodia di medicinali che mia madre ha voluto regalare ad Akane, in occasione del nostro fidanzamento… Quest’aggeggio mi ha causato non pochi problemi a scuola, con le mie ‘ragazze’… Il codinato sbuffò, prima di sollevare il coperchio e sussultare, quando una vera d’oro gli ricadde tra le mani. Quella era… «La nostra fede nuziale», sussurrò, sentendo un improvviso nodo alla bocca dello stomaco. «Hai voluto tenere davvero tutto, vero, Akane?»

Ricordava ancora tutti i sacrifici che aveva dovuto compiere, pur di comprare un bell’anello alla sua ex fidanzata… e l’ansia che l’aveva colto, quando finalmente aveva deciso di farsi avanti. Era sempre stato un gran timidone, in fin dei conti. Il sorriso che Akane gli aveva poi rivolto, dopo che si era proposto, era ancora impresso a fuoco nella sua memoria… Come poteva mai dimenticare quel suo meraviglioso viso illuminato dalla gioia? Gli faceva male il petto al sol pensiero di quante lacrime quella ragazza aveva dovuto versare, quando lui l’aveva abbandonata, negandole qualsiasi spiegazione in merito… Eppure, mi ero ripromesso di non farti piangere più…

Con il cuore gonfio di dolore, Ranma posò nuovamente la scatola sopra il vestito e richiuse il baule. Scusami, Akane, non avrei dovuto profanare così i tuoi ricordi… pensò, avvicinandosi al letto e afferrando la mano della sua ex fidanzata. Aveva delle dita davvero esili, in confronto alle sue… «Io…» iniziò, ma le parole inciamparono nella sua gola. Da dove poteva mai iniziare per chiederle scusa? «Posso essere così egoista da sperare in un tuo perdono?»

 
Non si accorse di essersi addormentato, finché qualcuno non lo scosse per la spalla. Ranma sbadigliò e si stropicciò gli occhi, chiedendosi, nel frattempo, che ora fosse. Era seduto sul tatami vicino al letto della sua ex fidanzata, le cui dita erano ancora intrecciate alle sue. Al suo fianco, Akane dormiva profondamente, rannicchiata su un lato in posizione fetale. Il codinato le rivolse un sorriso amorevole, prima di girarsi a guardare la nuova arrivata.

«Che ci fai tu qui?» gli domandò Kasumi con voce grave, squadrandolo da cima a fondo. Il suo sguardo si soffermò, in particolare, sulle mani unite dei due ragazzi, prima di tornare a posarsi sul viso di Ranma… che, colto in flagrante, balzò in piedi.

«Potrei domandarti la stessa cosa, Kasumi», borbottò il giovane, lisciandosi i vestiti spiegazzati, mentre il rossore saliva a imporporargli le guance. Certo che la sua ex cognata aveva davvero un pessimo tempismo… «Come hai fatto a entrare?»

Kasumi si accigliò un poco, arricciando la bocca in una smorfia. «Shinnosuke era preoccupato per Akane, perché non gli rispondeva ai messaggi… e, visto che io ho una copia delle chiavi del suo appartamento, mi ha chiesto gentilmente se potevo venire ad assicurarmi che fosse tutto apposto.»

«Gentile da parte sua», commentò Ranma sarcastico, serrando i pugni. Quel dannato damerino di Shinnosuke… cos’era passato per la testa alla sua ex fidanzata, quando aveva deciso di mettersi con un parassita simile? «Comunque, come vedi, tua sorella sta benone. Si è addormentata tra le mie braccia, mentre la accompagnavo a casa… ma, visto che ora ci sei tu qui con lei, se non ti dispiace, io toglierei il disturbo.»

Si era già voltato per andarsene, quando Kasumi lo fermò, afferrandolo per il polso. «Shinnosuke le vuole molto bene, ecco perché era preoccupato per lei» sibilò… e quelle parole lo colpirono con la stessa forza di uno schiaffo. Gli stava forse rinfacciando tutte le scelte che aveva fatto in passato, pur di proteggere Akane dalle grinfie di Shan-pu? L’artista marziale si morse il labbro inferiore con rabbia, e la sua ex cognata sembrò notare il suo turbamento, perché lo lasciò improvvisamente andare. «Non è possibile… Tu la ami ancora, non è vero?»

Ranma si sentì persino le punte delle orecchie in fiamme. «C-Certo che no!» esclamò con voce più acuta del normale, prima di maledirsi mentalmente e abbassare gli occhi al pavimento. «I-Insomma, chi potrebbe mai innamorarsi di una ragazza rozza e priva di fascino come lei?»

Kasumi sbuffò una risata e gli picchiettò due dita sulla fronte. «Io avrei qualche idea a riguardo. Mia sorella ha proprio ragione quando dice che sei uno sciocco, Ranma… Mi vuoi spiegare perché l’hai lasciata, se ci tieni ancora a lei?»

Ranma guardò la maggiore delle sorelle Tendo di sottinsù. Poteva davvero fidarsi di quella giovane donna? «È una storia lunga…»

«Ed io ho tutto il tempo del mondo per ascoltarla», esclamò la ragazza gioviale, dirigendosi verso la cucina. «Vieni, ti preparo una tazza di latte, così mi racconti.»

Il codinato, seppur titubante, la seguì. «Mi devi giurare, però, che non dirai una singola parola ad Akane», la ammonì, accomodandosi su una delle tante sedie attorno al tavolo. «Vorrei… essere io a raccontarle tutto a tempo debito, se possibile.»

Kasumi gli scoccò un’occhiata interrogativa, prima di annuire, suo malgrado. «D’accordo, terrò la bocca chiusa, te lo prometto.»

«Ti ringrazio, Kasumi», le disse Ranma, sollevando le labbra in un sorriso riconoscente. «Dunque, iniziò tutto, quando io e mio padre arrivammo in Cina…»

 

Annotazioni di Ayamehana: Ed eccoci di nuovo qui! Non volevo mettere anche delle note finali, ma avevo giusto due cosette da mettere in chiaro (due si fa per dire, eh!) Per quanto riguarda l'aggressore di Akane, mi sono ispirata all'aspetto fisico di quel gran figo di Godfrey Gao (per intenderci, è l'attore che ha interpretato il mio adorato Magnus Bane nel film di Shadowhunters - saga che io amo immensamente, per giunta!)
Ebbene sì, ho voluto dare un'alleata 'canon' a Ranma. Kasumi viene spesso e volentieri messa da parte nelle fanfiction e molti preferiscono inserire Nabiki come sorella 'ripara guai'... La mezzana, però in questa fanfiction avrà un ruolo del tutto differente! Eh, sì, apparirà anche lei prima o poi (giusto per la felicità di Nabiki90!) Kasumi, ovviamente, ha un carattere più docile della vipera acchialappasoldi (?) della famiglia Tendo... e nulla, non voglio dire altro sul modo in cui aiuterà il nostro protagonista con Akane.
Infine, Ranma. Ha finalmente fatto i conti con i suoi sentimenti e si è reso conto di amare davvero la sua ex fidanzata. Vuole assolutamente fare pace con lei e spiegarle quanto accaduto... ma riuscirà nel suo intento, prima che quest'ultima si sposi con un altro uomo? Adesso che vi ho messo la pulce nell'orecchio, vi lascio! Spero di riuscire ad aggiornare presto, ho ancora un sacco di cose da scrivere purtroppo! La cosa certa è che non abbandonerò TS tanto facilmente! Quindi, vi chiedo di portare pazienza... spero tanto che ne varrà la pena! Grazie a tutti per aver letto fin qui, siete fantastici!

 

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