Zodiac

di CHAOSevangeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bellezza ***
Capitolo 2: *** Eroe ***
Capitolo 3: *** Sogni ***
Capitolo 4: *** Fioritura ***
Capitolo 5: *** Solitudine ***
Capitolo 6: *** Anima ***
Capitolo 7: *** Gli amanti ***



Capitolo 1
*** Bellezza ***


A Rika, che l'ha letta per prima perché è sempre raccomandata e che con la sua Viktuuri mi ha fatto tornare la scintilla per concludere questa. Segui ogni mio sclero e mi sopporti sempre, nel bene e nel male. Questo vuole essere un ringraziamento, per quanto piccolo, per tutto.



 
"You taught me the courage of stars before you left.
How light carries on endlessly, even after death.
With shortness of breath, you explained the infinite.
How rare and beautiful it is to even exist."


Zodiac
 
 
I. Bellezza

 
“In un tempo lontano, un tempo in cui ancora le leggende erano credute vere da tutti, esistevano delle creature speciali la cui pelle riluceva e il cui corpo era circondato da un’aura luminosa.
Esse erano le costellazioni, abitanti del firmamento. Degli esseri senza età e senza tempo dall’origine incerta.
Vagavano sulla terra senza timore, camuffandosi tra le persone o talvolta senza nemmeno curarsi di nascondere il proprio bagliore; erano viste come un segno di buon auspicio, una benedizione.
Uno di questi abitanti della volta celeste era conosciuto per la propria bellezza: i suoi capelli corvini e il suo volto latteo mozzavano il fiato a chiunque lo guardasse. I suoi occhi a mandorla portavano a fremere persino il cuore più forte.
Un sorriso e uno sguardo erano sufficienti a stregare.”
 


« Voglio catturare una stella! »
La frase preferita del piccolo Viktor era quella.
Chiara, coincisa.
Voleva una stella e nella sua innocenza di bambino era legittimo che un desiderio tanto intenso e bruciante venisse espresso una, cinque, dieci volte al giorno. Lo ripeteva quasi fosse un mantra e servisse a darsi la forza necessaria per riuscire nell’intento.
Nessuno osava contraddirlo o fargli presente quanto fosse irrealizzabile il suo sogno perché sarebbe stato inutile e crudele.
« Addirittura? » domandò una donna dai lunghi capelli biondo cenere seduta di fronte alla finestra e con un telaio in mano. « Fino a ieri sera dicevi che ti saresti accontentato di vederne una e basta. »
Stava ricamando dei punti dorati su sfondo blu. Un notturno campo di fiori di scarso interesse, per Viktor.
Il bambino annuì con energia.
« Ma non ci si deve mai accontentare. »
Era così, Viktor: rubava qualche frase agli adulti e la ripeteva, lasciando tutti sbalorditi dimostrando di averne compreso il senso.
« Su questo hai ragione », rispose la donna con un lieve sorriso.
Viktor era un bambino che non odiava la compagnia: era circondato da amici, ma non disdegnava nemmeno la solitudine, starsene per conto proprio a leggere i libri che tanto gli piacevano. I libri sul firmamento, che suo nonno Yakov gli portava dai luoghi lontani in cui si avventurava durante la bella stagione.
Tornava con il freddo, il ghiaccio e la neve, portando con sé qualche dono che Viktor attendeva sempre con impazienza. Se solo fosse stato vestito di rosso e con una lunga barba bianca avrebbe saputo a chi associarlo, ma per contro Yakov non era tanto gioviale e amichevole come la persona con cui voleva metterlo a confronto.
« Vado a vedere se lo zio Yakov arriva! »
Era la sua scusa per tutto.
Sapeva che il ritorno dell’uomo era previsto almeno per il mese successivo, così come lo sapeva sua madre. Questa sapeva anche quanto Viktor ne fosse cosciente, perché pur essendo giovane ed innocente non era uno sciocco.
Quella era la scusa che usava per correre dovunque gli andasse ad esplorare, talvolta con un libro sotto braccio. Si ritagliava un angolo di tranquillità in cui stare, mentre i suoi vispi occhi azzurri sbirciavano, ammiravano.
« Non fare tardi. »
Una raccomandazione, ma Viktor era già sgusciato fuori dalla casa.
Con calma, perché poteva essere curioso, ma non era un bambino troppo irrequieto.
Avrebbe raggiunto la collina, quella dietro casa propria, e all’ombra dell’albero che lì sorgeva avrebbe guardato l’orizzonte: la pianura che si estendeva a perdita d’occhio, le case che punteggiavano la prateria con il loro grigiore.
La linea degli alberi e poi le montagne, a nord. Avrebbe seguito il confine dei cocuzzoli innevati con il cielo e poi avrebbe sbirciato il sole dalle fronde rigogliose dell’albero.
Ecco cosa voleva fare il piccolo Viktor.
Solo questo.
Aveva scelto le scorciatoie più rapide e defilate per giungere all’enorme albero. Una sequoia secolare, su cui suo padre gli raccontava spesso delle storie quando lo portava lì tenendolo sulle proprie spalle.
Ci si arrampicava anche, sentendosi invincibile con delle forti braccia pronte a sorreggerlo nel caso fosse caduto.
Non c’era nulla di nuovo da scoprire su quella collina, su quell’albero. Era bella proprio perché la conosceva, perché Viktor aveva la garanzia del paesaggio da osservare da lì. Non si aspettava di incontrare qualche tesoro e non era nemmeno ciò che cercava, quel giorno.
Dopo essersi seduto tra le radici nodose che si tuffavano sottoterra, disposte quasi a creare un trono solo per lui, Viktor alzò lo sguardo verso l’alto, puntandolo fra i rami che sembravano abbracciare la sua visuale.
Un luccichio.
Qualcosa a pochi metri di altezza sopra di lui aveva riflesso la luce del sole. Un riflesso caldo, luminoso.
Viktor si mise in piedi.
Cosa avrebbe dovuto fare? Provare ad arrampicarsi?
Non era un bambino irrequieto, ma non era nemmeno un bambino pauroso, capace di rifiutare una sfida.
L’incavo nel tronco d’albero in cui si trovava il prezioso oggetto che già Viktor pregustava di portare a terra con sé era ai suoi occhi uno scrigno inestimabile. Cosa avrebbe trovato? Un vecchio orologio? Degli orecchini? Una gemma?
Non lo avrebbe mai scoperto aspettando.
Prima una mano, poi l’altra. Un piede, un altro ancora.
Abbracciando l’albero dapprima un po’ goffamente, aggrappandosi ai pezzi di corteccia che pregava fossero abbastanza solidi da sostenerlo, Viktor provò ad arrampicarsi.
Un fallimento.
Si sbucciò le ginocchia nella caduta, ma non si arrese.
Così salì su una radice sporgente, elevata sopra il terreno. Vi salì in punta di piedi, poi saltò.
Un tentativo, un altro ancora.
Al settimo salto finalmente le sue dita raggiunsero qualcosa.
Una catenina.
Mentre i suoi piedi tornavano ancorati per terra Viktor si rigirò il misterioso oggetto tra le mani. Lo pulì con il polpastrelli, la terra sotto le unghie, allontanando le briciole di foglie secche, la polvere e la sporcizia dal ninnolo.
Sembrava un guscio di un qualche metallo prezioso che non credeva di aver mai avuto occasione di vedere. Oro e argento non avrebbero retto il confronto. Lo avrebbe confuso con il platino, se solo quel materiale non gli fosse sembrato quasi costellato da una miriade di puntini colorati. Pareva quasi brillare di luce propria, all’ombra delle fronde dell’albero. Le fibre di materiale si intrecciavano come una gabbia d’edera intorno ad una pietra levigata e incastonata al centro.
Viktor vi si specchiò, chiedendosi ancora una volta di che pietra si trattasse.
Brillava come un astro, quel ciondolo.
Non aveva catturato una stella, ma era un buon inizio.
 
*
 
Giorno dopo giorno a pendere dal collo di Viktor c’era la confortante sicurezza di trovare quel medaglione.
Il prezioso medaglione che il bambino aveva osato mostrare solo alla madre, anche se non senza timore.
Viktor aveva paura. Paura che potesse dirgli di consegnarglielo per poterlo vedere.
Ancora una volta era un bambino, era innocente, non uno stolto.
La sua famiglia non era povera, ma nemmeno ricca; il materiale con cui era stato forgiato il suo pendente avrebbe anche potuto fare la differenza.
Era egoista volerlo tenere, lo sapeva, ma non poteva fare a meno di soddisfare in tal modo la propria avida sete di conoscenza.
Però Viktor si dimenticava in fretta di tutti quei problemi, perché pensare che quello era il suo pendente, ora, non poteva che farlo riflettere su chi lo avesse posseduto prima: chi lo aveva nascosto nell’incavo del tronco d’albero? Chi aveva affidato alla sequoia sulla collina il compito di proteggerlo?
Magari qualche principessa, o un mago che prima o poi sarebbe tornato a riscuoterlo. Si sarebbe arrabbiato con lui per averlo rubato?
Solo preso in prestito o custodito, si sarebbe difeso lui se fosse successo.
Viktor pensava che sarebbe potuto partire per un lungo viaggio, volgendo a proprio vantaggio la situazione: l’orologio in cambio della conoscenza.
Gli sembrava equo.
Mentre attendeva che il proprio destino – da lui in tutto e per tutto deciso – si realizzasse, Viktor leggeva.
Lo stava facendo anche in quel momento, mentre suo padre e Yakov finivano di cenare.
Erano tornati da qualche settimana e Viktor, come di consueto, era stato lasciato in disparte qualche momento affinché gli adulti potessero godersi una discussione in pace.
Allontanato in modo metaforico, s’intende: Viktor era seduto al tavolo, gli occhi che in altezza superavano a malapena il ripiano di legno nodoso il cui colore veniva scaldato dal riflesso scoppiettante delle fiamme strette nel camino. L’unica parte davvero lontana da loro, dai loro discorsi, era la sua mente. Stava studiando con lo sguardo ceruleo un atlante cosmico, osservando le tracce precise delle costellazioni e i loro nomi.
Aveva letto e riletto informazioni su di loro e conosceva a memoria ogni leggenda. Conosceva il ragazzo che aveva fronteggiato la siccità del proprio paese, la costellazione del fiume; conosceva l’uomo che aveva vagato sulla terra per anni e anni sconfiggendo nemici di ogni sorta. Era un eroe mercenario, di cui Viktor sapeva anche il nome. L’unico dettaglio che aveva scordato, però. Iniziava con la C… o con la J, forse? Avrebbe dovuto controllare.
Il suo racconto preferito però riguardava la costellazione della bellezza.
Una sorta di stella fatta di stelle, forse un fiocco di neve.
Inciso sul medaglione gli era parso di aver visto un simbolo simile, sotto la cupola levigata della pietra che supponeva preziosa.
Nel vederla sulle pagine del libro portatogli in dono da Yakov e suo padre, Viktor provò l’istinto di stringere tra le dita il proprio tesoro.
Sua madre si era battuta affinché potesse conservarlo, contro ogni sua aspettativa. Erano modesti e a conti fatti non avevano la sicurezza che quel gioiello, di materiali per certo non conosciuti, potesse essere di qualche valore.
Avere per padre un cercatore di tesori, un viaggiatore, gli aveva dato la garanzia ultima di non aver nulla da temere.
Nello stringere tra le dita la catenina la manica di Viktor si sollevò, rivelando la pelle candida del suo braccio.
Un momento e sua madre fu subito su di lui, stringendo tra le dita il suo polso.
« E quello cos’è? »
La pelle di Viktor era sempre stata lattea, priva di imperfezioni.
Sul suo avambraccio, ora, spiccavano dei segni. Delle voglie, così piccole da sembrare lentiggini.
Una, due… in otto punti.
Viktor le congiunse con la mente.
Un simbolo.
La costellazione. La sua preferita.
Perché fosse comparso, perché se ne fossero accorti ora, era un mistero.
« Sei destinato a grandi cose, Vitya », gli disse suo padre.
Gli occhi di Viktor brillarono.
Si narrava che chiunque portasse il marchio di una costellazione sul proprio corpo fosse destinato a grandi imprese, che fosse protetto da tale entità.
Viktor non possedeva quel marchio dalla nascita, ne aveva sempre sofferto e ora non poteva non pensare che fosse un onore.
Se l’era guadagnato, perciò valeva ancor di più.
Magari l’aveva ottenuto proprio grazie al medaglione. Magari quel gioiello non apparteneva ad un mago o una principessa che non voleva venisse trovato, magari era stato nascosto da una costellazione che aspettava solo l’arrivo di un prescelto capace di trovarlo.
Ciò che Viktor non sapeva era quanto i sogni di un bambino potessero talvolta assomigliare alla realtà.



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Volevo pubblicare questa storia a gennaio, perché l'idea mi è venuta prima di Natale e credevo sarei stata di gran lunga più rapida nel realizzarla. Chi ha letto l'altra mia storia in corso sa che sono in una fase di rallentamento generale per le storie e anche questa ha risentito degli sbalzi di ispirazione.
Devo dire però di essere felice di aver aspettato, perché il risultato mi piace molto più di quanto sarebbe potuto piacermi se mi fossi imposta di concluderla a gennaio.
Questa vuole essere una breve fiaba, mentirei spacciandola per una storia senza pretese, ma posso dire che è un esperimento. È già conclusa e i capitoli saranno sette. Conto di postarli in date alquanto ravvicinate per non lasciare troppa attesa!
Se vi va vi consiglio di ascoltare la canzone Saturn dei Sleeping at last: mi ha ispirata tantissimo per la storia.
Ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fino a qui e spero davvero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e vi vada di dirmi che cosa ne pensate: mi fareste davvero felice.
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Eroe ***


II. Eroe
 
“Ma se c’era chi sospirava per l’emozione alla sua vista, c’era anche chi digrignava i denti per l’invidia.
L’Eroe per antonomasia, l’unico nella vasta landa del cielo, privo di rivali in alcun campo, era stato superato.
Con il cuore colmo d’odio maledì la splendida costellazione: « Nessuno mai si innamorerà di te, nessuno noterà più la tua luce e la tua bellezza. Passerai inosservato agli occhi di tutti, meno a quelli di chi porta il tuo marchio sulla pelle dalla nascita. Ma bada bene, non riuscirai mai a tornare sulla terra finché un nato sotto il tuo segno sarà in vita. »”
 


Essere invisibile sarebbe stato ambrosia, per Yuri.
La sua condanna lo vedeva costretto a sopportare gli sguardi d’odio da parte degli altri, le parole solenni con cui si era espresso quel suo crudele simile che ancora rimbombavano come un monito anche dopo molti secoli. Perché sì, più che con l’indifferenza Yuri era stato punito con il disprezzo delle persone; lo guardavano passare e lo odiavano, odiavano il suo grigiore, la sua pelle mortalmente pallida, il volto smunto e gli occhi spenti.
Lo odiavano per ciò che non era, lo allontanavano come un malato da isolare per non vederne i sintomi: se non c’è non esiste, dovevano pensare tutti, se non lo vediamo non c’è verso che qualcosa di simile capiti a noi.
Oh, se solo si fossero resi conto di quanto già fossero grigi e spenti nel trattarlo in tal modo.
Eppure Yuri viveva una contraddizione, l’eterna dicotomia di amare le persone almeno tanto quanto loro lo ferivano. Gli piaceva osservarle, vederle sorridere tra una commissione e l’altra.
Il mercato era il luogo ideale per studiare la dedizione alla famiglia delle donne, l’impegno dei mercanti a guadagnarsi la giornata trascorsa dietro uno dei banconi delle ghermite strade del centro città.
Era il luogo ideale per vivere la vita. Yuri lo amava.
Pensò a Phichit.
« Perché devi sempre farti del male, Yuri? » gli aveva chiesto una volta. « Se sai che ti feriranno allora resta qui, non essere masochista. Non ti farà stare bene scendere sulla terra, rinuncia del tutto. »
Sarebbe stato complicato spiegare. Sarebbe stato complicato spiegare il proprio essere in contraddizione così come l’odiarsi per questo stesso motivo.
« La verità è che mi fa stare bene, Phichit. »
Phichit capiva solo perché era lui, il migliore amico di Yuri, ma capiva a modo proprio; non riusciva ad afferrare ogni sfaccettatura e Yuri era complicato, ma non credergli era privo di senso: forse non sapeva sempre cosa fosse meglio per sé o spiegarlo nel modo migliore ma, con i sentimenti, Yuri era sempre stato il più bravo.
Con un pesante cappuccio calcato sul volto e una mantella avvolta intorno al corpo Yuri non doveva avere paura: poteva sfilare tra le persone come un passante qualsiasi, come un umano. Li osservava quasi come un estraneo fa con degli attori di teatro; l’unica differenza era la sua vicinanza, l’essere immerso nella loro vita. Dava l’illusione di avere più cose in comune con loro di quante davvero ce ne fossero.
Yuri amava le persone quanto amava stare solo.
Rifletteva sulla gente quando era solo e rifletteva sulla solitudine quando era in compagnia.
Passo dopo passo sfuggì alla presa della folla. Le persone intorno a lui erano diminuite e l’attenzione di Yuri tornò a prendere un respiro, privata dell’eccessivo numero di stimoli.
In fondo alla strada la sua attenzione venne catturata.
C’era una stalla dalla cui staccionata sbucava il muso di un puledro di colore bianco.
Non aveva potuto fare a meno di avvicinarglisi.
Yuri si guardò intorno.
Ogni parte del suo corpo era celata dalla mantella: anche solo le mani, per come le vedevano tutti, sarebbero state un lembo di pelle di troppo, cadaverico, capace di far inorridire.
Ma non c’era nessuno.
Così sollevò il braccio, le dita si tesero e fecero capolino dalla cappa, esitando. Si allungarono e le posò sul muso del cavallo. Quasi sentì una scossa e poi lo sbuffo dell’animale, compiaciuto da quelle attenzioni.
Yuri si sentiva improvvisamente in pace con se stesso, rilassato, connesso a qualcosa che non fossero solo i propri pensieri.
Poi lo sentì. Uno sguardo che scivolava su di sé, sulla propria mano.
Yuri si voltò.
Un ragazzo dai capelli argentati era lì in piedi, a qualche passo da lui. Fissava la sua mano con le labbra schiuse e gli occhi sbarrati.
Quando lo guardò se possibile li spalancò ancor di più.
Non lo guardava come facevano tutti: sembrava stupito, lo sguardo illuminato dalla curiosità.
« La tua pelle… »
Yuri rimase in silenzio, il cuore che doleva nel petto per quanto forte batteva. La mano era ad un soffio dal muso del cavallo, contrariato per l’improvvisa assenza di carezze.
« Brilla… » concluse lo sconosciuto.
Lo vedeva davvero?
Lo vedeva davvero per com’era in realtà?
Yuri sapeva che prima o poi scendere sulla terra non sarebbe stato solo dolore e delusione. Era felice di non aver smesso di esserne convinto, per quanto il tempo lo avesse ferito.
« Sei una stella? »
Quella domanda gli giunse repentina, fulminea di fronte a degli occhi azzurri di bambino. Yuri non sapeva come fronteggiarli: gli leggevano dentro, nell’anima, vedevano anfratti che nemmeno lui si sarebbe sognato di possedere ancora. Ed era buffo sentirsi così di fronte a quel ragazzo, un umano, di secoli più giovane di lui.
Sembrava più grande e nel fisico lo era di certo, più impostato, più solido. Yuri si sentiva piccolo anche per altre ragioni, perché pur avendo visto di lui solo un’innocente sorpresa si sentiva come se con quegli occhi potesse scrutare tutto, come se vedesse più di lui e di qualsiasi altro corpo celeste avesse mai conosciuto.
Sembrava saggio, in qualche modo.
Ancora non gli aveva risposto. Il silenzio aleggiava, sospeso su di loro come un velo mistico da non spostare.
« Una costellazione. »
Aveva ragione di mentire, di negare di fronte all’evidenza? Aveva ragione di negare di fronte alla prima creatura che dopo secoli lo vedeva senza provare disgusto, rabbia o odio nei suoi confronti?
Era tornato a splendere per qualcuno che non fosse se stesso o un suo simile e questo per Yuri voleva dire tutto. Per un astro donare la propria luce voleva dire la vita.
Sentiva mille domande, mille pensieri bloccati in fondo alla gola. A quale avrebbe dovuto dare voce per primo? E soprattutto iniziare a parlare, parlare e parlare, mostrare la propria vera indole curiosa, quella che dimenticava la timidezza, sarebbe stato appropriato? Lui, quello sconosciuto, lo avrebbe apprezzato?
Lui.
Chissà qual era il suo nome.
Avrebbe dovuto chiederglielo subito, non esitare.
Non una parola era uscita dalle labbra di Yuri. Erano sigillate. Sì, ma in un sorriso radioso, in cui l’uomo dai capelli argentati si era perso.
Sembravano degni di un astro i suoi capelli, Yuri lo aveva pensato subito. La sua bellezza era senza eguali e il respiro gli si era mozzato dietro la sicura protezione del suo sorriso; se non è una costellazione deve essere almeno una stella – aveva pensato subito – non ci può essere altra spiegazione.
E invece il suo incarnato pallido ma roseo, le sue iridi di vetro che rilucevano ma solo per l’emozione e le labbra rosse erano quanto di più umano Yuri avesse mai incontrato.
« Perché? »
Yuri credette di non aver udito parte della sua domanda per distrazione.
« Perché ti sei fatto vedere solo ora? »
Avrebbe dovuto chiedergli il suo nome, far sbocciare una conversazione da quella domanda, fargli capire che era lì per lui. Non perché sapeva lo avrebbe incontrato lì e in quel momento, ma perché viveva con il proposito di essere visto ancora da qualcuno che non conosceva.
Il sorriso sulle labbra di Yuri si spense.
« Sei… Dio, lo so chi sei », si frenò l’uomo.
Si sentiva patetico e Yuri con lui. Sapeva cosa gli stava rimproverando: non aveva parlato, non aveva concluso, ma lo sapeva e pensava avesse ragione.
Le costellazioni portano fortuna, è bene si facciano vedere spesso sulla terra.
E lui come un codardo non ci era andato. Come un codardo non si muoveva dalla coperta di velluto blu che era il cielo, perché pensava sulla terra ci fosse solo dolore ad aspettarlo. Era stato dimenticato perché si era lasciato dimenticare e aveva perso il coraggio di splendere.
Forse si faceva troppe colpe. Forse chi l’aveva maledetto era responsabile anche del lento scivolare di Yuri nella disperazione, che l’aveva portato ad ascoltare le parole di Phichit e a non raggiungere la terra anche quando avrebbe potuto, perché non era pronto.
Ciò che Yuri non sapeva era di avere di fronte quello che una volta era stato un bambino pieno di speranza e di sogni, il cui unico desiderio era vedere almeno una stella. E con una costellazione davanti, quel bambino cresciuto di ormai dieci anni non sapeva più che fare se non andarsene.
« Lasciamo perdere », sospirò.
Tutto il coraggio non usato da Yuri, quello rimasto sopito per secoli anche solo per muovere un dito animò il suo braccio. Le dita si chiusero intorno a quello dell’uomo, vi si posarono con una delicatezza tale che un soffio sarebbe stato sufficiente a spazzarle via.
« Mi dispiace », rispose. « Mi dispiace tanto, hai ragione. Sono stato un codardo, ma non ho avuto il coraggio di tornare. Ero stanco di scoprire ancora una volta che nessuno mi voleva qui. Avrei dovuto esserci per… qualsiasi cosa avessi bisogno. »
Di nuovo quel bambino nello sguardo del ragazzo. Gli enormi occhi azzurri spalancati lo guardavano, le ciglia chiare e trasparenti sotto la luce del sole mattutino.
Quelle scuse gli parvero sincere, reali. Viktor realizzò che per anni aveva rimproverato il capro espiatorio più conveniente.
Gli era bastato guardare Yuri per comprenderlo.
« Che cosa ti è successo? » domandò la flebile voce della costellazione.
Esitazione, ecco cosa sentì Viktor. Stava per raccontare la propria vita ad un emerito sconosciuto, per quanto mitico, perché non aveva nemmeno contemplato l’idea di non farlo.
« La mia famiglia è stata distrutta da una malattia. »
E si era ridotto a lavorare per un nobile del posto, a catalogare la sua biblioteca e a trascrivere e copiare manoscritti. Tutto pur di rimanere vicino alle sue stelle, le stesse con cui era tanto arrabbiato. Almeno in quella biblioteca poteva leggere libri, studiare atlanti. Metteva la testa fuori dalla finestra e cercava i bagliori nel cielo che componevano chi gli stava davanti in quell’istante.
Era deluso, ma aveva sempre sperato.
Non poté fare a meno di pensare che quelle dita, ogni falange, ogni giuntura, nel cielo fosse una stella. Invece era lì, di fronte a lui, nella fragilità di un corpo umano.
Chissà se sarebbe stato fragile come un umano nel rendere imbarazzante il momento con un “mi dispiace”. Chissà se…
« Non sei più da solo. »
Viktor venne colpito come da una pugnalata. La sensazione di solitudine di anni parve investirlo nonostante prima non l’avesse mai sentita o voluta sentire. Non credeva ci fosse, tutto qui. Invece Yuri l’aveva vista. Yuri che non lo conosceva, Yuri che era lì di fronte a lui per la prima volta.
La predestinazione esisteva?
Non si era creato imbarazzo, solo una spontanea stranezza.
Lo aveva scalfito ed era il momento giusto.
« Come ti chiami? »
Yuri aveva preso il coraggio per quella domanda. L’aveva trovato in fondo al cuore, forse un po’ negli occhi di quel ragazzo il cui braccio era ancora stretto fra le proprie dita.
« Viktor. »
« Viktor… » lo ripeté, rigirando ogni lettera fra le labbra, pronunciandola piano per assaporarla.
La sentì sulla punta della lingua, mentre parlava.
Un altro sorriso pieno di fiducia e di speranza.
« Cercherò di rimediare. »
La faceva semplice, lui, ma Viktor pensò potesse permetterselo, che avesse ragione.
Quasi scosse la testa per scrostarsi di dosso quelle sensazioni.
« Tu sei Yuri. »
Lo affermò, nessuna domanda: non serviva.
« E tu sei il mio prescelto, Viktor. »
Anni e anni pesi avevano gravato sul cuore di Viktor, pieno d’emozioni, di dolore, di rabbia.
Mai era stato così leggero nel sentirlo colmo di qualcosa di nuovo.
Qualcosa che non faceva paura.

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Capitolo 3
*** Sogni ***


III. Sogni
 
 
“Le lacrime di Yuri scorsero allora per la prima volta; gocce sature di paure e d’inquietudine. Spalle scosse da singhiozzi d’amarezza e rabbia, rassegnazione.
« Come farò », pensava. « Come farò senza più nessuno? »
« Come farò senza gli umani? »
« Come farò senza amore? »"
 


Se alzava gli occhi verso il tetto di legno Yuri vedeva ancora il primo giorno in cui Viktor lo aveva portato lì, nella sua casa. Ricordava la prima volta in cui aveva osservato le travi del soffitto, le sensazioni che provava. Gli aveva aperto il suo cuore e la sua porta; era accaduto in modo spontaneo e forse Viktor non voleva davvero, ma l’istinto e gli avvenimenti lo avevano portato a questo.
Ad avvicinarsi a lui.
« Ti servirà un posto dove stare », aveva detto.
O forse non gli serviva, forse Yuri poteva salire in cielo e discendere come meglio credeva, perché Viktor sapeva molto, ma non tutto. Forse Yuri se ne sarebbe andato per sempre quando avrebbe scelto di allontanarsi e questo Viktor non lo voleva, perché il calore che aveva provato gli era estraneo da anni, perché lo svanire di ogni preoccupazione era una mera utopia per lui.
Perché Yuri era più di quanto sapesse e lo voleva conoscere con tutto se stesso.
Tutto questo, lo aveva sentito in pochi secondi. “Se ti sei accorto di questo in pochi attimi, Viktor”, si era detto, “Immagina cosa potresti sentire in ore, giorni, mesi di conoscenza.”
E Yuri era rimasto, perché di andarsene non voleva saperne. Perché aveva sentito lo stesso, i suoi sentimenti uno specchio di quelli di Viktor.
Voleva conoscerlo, rimediare, riparare al passato. Voleva occuparsi di ciò che non aveva potuto fare anche se a causa di altri.
E così aveva iniziato a vivere lì, senza che nessuno sapesse. Solo Viktor, il suo complice, che tornava a casa ogni sera con dei tomi pieni di polvere.
Ne aveva portati molti la prima sera, per scoprire di più di lui, dei suoi viaggi. Perché poteva chiederglielo, ma doveva anche documentarsi, quasi sperasse in un complimento.
Yuri aveva scoperto che sapeva molto, ma non troppo. Di lui, della sua leggenda. Lo adorava, aveva confessato una sera con la voce impastata, poco prima di addormentarsi.
Lo aveva guardato attento, perché Yuri non dormiva, non ne aveva bisogno: passava la notte alla finestra e quando le imposte erano chiuse per difendere Viktor dal buio, vagava per la casa, fra i libri e le cose di Viktor. Fra i suoi ricordi.
Così aveva conosciuto la storia del ricamo appeso in cucina, sopra il camino. Un prato fiorito, dove sottili fili colorati s’intrecciavano dando vita a fiori, erba, una casa sullo sfondo. Sembrava un campo di papaveri nato sulla stoffa, dove un filo da ricamo faceva capolino dalla tela bianca e poi spariva tuffandosi tra i gemelli verdi, steli ricamati.
Lo aveva fatto la madre di Viktor.
« Lo stava ricamando la volta in cui sono uscito e ho trovato il tuo medaglione », aveva spiegato.
Yuri gli aveva chiesto solo una volta di vederlo. Le sue dita avevano indugiato su di esso ancora al collo di Viktor, che non lo aveva voluto togliere. Aveva sfiorato anche la sua pelle come se fosse una scusa. Poi lo aveva ringraziato con un sorriso.
Aveva fatto bene a lasciare quel dono per gli umani, che altro non era se non questo. Viktor si era sentito travolto da un’ondata di bontà nello scoprire il totale disinteresse nel gesto di Yuri.
Avrebbe potuto curiosare nella mente di Viktor, Yuri, nei suoi sogni, ma sarebbe stato scortese e scorretto e lui non era così; Viktor aveva iniziato a fidarsi di lui, non poteva rovinare tutto.
Poteva concederselo solo per emergenza, questo si era detto.
E quella sera lo era, un’emergenza, un caso eccezionale. Yuri se n’era accorto durante la propria esplorazione serale: Viktor mugugnava contorcendosi nel letto, il volto imperlato di sudore e le labbra serrate, talvolta i denti digrignati. Strizzava gli occhi e mormorava.
« No… »
Yuri doveva aiutarlo, perché svegliarlo mentre doveva riposare sarebbe stato crudele, ma ancor più crudele sarebbe stato lasciarlo soffrire.
I palmi sul materasso ai lati del suo corpo, i gomiti che si piegavano. Yuri poggiò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi. Vide il volto cereo di una donna sdraiata sul letto, sorridente ma esausta, gli ultimi barlumi di vita consumati da quel sorriso. Un bambino gridava mentre un uomo incupito dagli anni lo trascinava via. Quell’uomo se n’era andato poche settimane dopo, lungo lo stesso sentiero che in piedi accanto a Viktor, nel suo sogno, Yuri credette di vedere calcato da un’altra persona ancora: il padre del bambino. Un cattivo ricordo si schiudeva e ne mostrava uno nuovo, ancor più terribile. Viktor veniva risucchiato da uno all’altro in quella spirale di frustrazione e dolore.
« Sogna Viktor », sussurrò Yuri, gli occhi chiusi.
Delle lacrime scesero lungo i suoi zigomi.
Se solo fosse andato da lui prima, magari…
« Sogna solo ciò che ti rende felice. »
Quando si sollevò, l’indice ad asciugare le lacrime, Yuri carezzò il suo viso. Piano, con delicatezza per non svegliarlo. Mentre la mano si allontanava piano, quasi temesse di disturbare l’aria intorno a sé, il volto di Viktor si fece sereno, rilassato. Felice.
Yuri sospirò e si alzò dal letto.
Ciò che non sapeva era che nella mente di Viktor, dietro il sipario delle sue palpebre, stava vedendo Yuri.
Le loro dita erano intrecciate e Yuri aveva appena sussurrato parole che Viktor avrebbe voluto trovare il coraggio di dire per primo per avvicinarlo, legarlo a sé senza più lasciarlo andare.
Yuri questo non lo poteva sapere: se Viktor era sereno non poteva più sbirciare nei suoi sogni. Non poteva scoprire che ciò a cui lui aspirava sospirando di fronte alla finestra era lo stesso che desiderava Viktor.
Ma non si può fermare quel che è deciso.
Non si può allontanare chi è predestinato.

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Capitolo 4
*** Fioritura ***


IV. Fioritura
 

“E mentre temeva la propria sorte, quella maledizione divenne reale e Yuri non poté più fare nulla. Venne allontanato dalla terra, potendovi tornare ogni cent’anni.
Ma se lo scopo delle stelle è proteggere e portare fortuna, illuminare con la propria luce, quale mai poteva essere il suo ora che si era spento?”

 


 
« Lo fissi troppo. »
Era stata una frase interessante quella, per Viktor. L’aveva colpito come una rivelazione ed era rimasta incollata alla sua mente troppo perché si trattasse di qualcosa di diverso dalla verità.
La verità a cui Viktor pensava andava oltre la semplice correttezza di quella frase, nella forma e nel significato. La verità era legata a doppio filo con queste parole, perché se lui fissava tanto qualcuno era perché lo incuriosiva, perché lo desiderava.
Se n’era accorto persino Yura, il ragazzino che ricordava di aver visto in fasce il giorno dopo la sua nascita. Viktor era piccolo e si era affacciato da fuori al balcone, in punta di piedi, per riuscire a vedere chi fosse a fare tutto il baccano che tanto lo aveva attirato. Poi la madre di Yura lo aveva invitato ad entrare e così lo aveva conosciuto.
Avevano molti anni di differenza e poche cose in comune, ma erano uno presente nella vita dell’altro come una costante.
Così Yura aveva visto cambiare gli occhi di Viktor dall’arrivo di Yuri lì, nella sua casa. Viktor aveva scelto di ospitarlo e con sua enorme sorpresa per una volta Yura non aveva ribattuto, non aveva detto nulla; era strano gli sembrasse così rassegnato, accondiscendente.
Non accettava le nuove presenze e con Yuri lo faceva, pur essendosi parlati forse due volte. Lo evitava, era diffidente come con tutti, ma non troppo.
Cercare uno schema era sciocco, ma Viktor sapeva perché prestava tanta attenzione a quei piccoli avvenimenti: voleva che Yura accettasse Yuri. E quella verità dietro il semplice “lo fissi troppo” diventava ancor più concreta, così.
Tutto ciò che aleggiava intorno a Yuri era surreale e in qualche modo la sua presenza, il suo respiro contagiavano l’aria di Viktor rendendola fantastica, diversa.
Era strano e non lo sapeva spiegare. E lui odiava non tanto non poter dare una spiegazione logica, quanto non capire. A costo di prendere le cose così com’erano, a costo di limitarsi all’accettazione, lui doveva capire.
Così si era posto un obiettivo: comprendere o tacere.
Sarebbe andato da Yuri e l’avrebbe osservato. Avrebbe compreso se lo fissava davvero troppo, come Yura aveva constatato prima di saltare giù dallo steccato su cui si era seduto mentre stavano parlando qualche mattina prima, Viktor appoggiato al legno con i gomiti.
Aveva bussato sommessamente con il dorso della mano sulla porta, ma non aveva atteso risposta e aveva varcato l’uscio.
Yuri era seduto di fronte alla finestra e udendo i suoi passi si strofinò il braccio sugli occhi.
« Che cosa succede? »
Viktor era smarrito. Yuri piangeva. Ma perché piangeva?
Aveva portato via le lacrime con la stoffa della giacca larga prestatagli da Viktor, ma le guance erano ancora rigate.
Mimò un sorriso, lo falsificò così male che per un istante Viktor credette volesse piangere per quello.
« Nulla. »
« Non è “nulla” », lo rimproverò Viktor mentre si avvicinava.
Cadde il silenzio mentre lo raggiungeva, piano. Lo avvicinava quasi fosse una creatura da non spaventare. Un ramo secco sotto il piede e sarebbe fuggita senza che potesse mai più raggiungerla.
Era buffo, perché da quando Yuri era lì, solo Viktor aveva tentato di essere irraggiungibile e si odiava per questo. Aveva iniziato a costruire un muro tra lui e Yuri, gli aveva rovesciato addosso anni di sofferenze al primo incontro, questo solo perché aveva capito chi era.
Fosse stato Yuri, lui non sarebbe rimasto. Forse lo fissava perché non lo capiva e gli sembrava impossibile fosse ancora lì, che avesse accettato proprio lui.
Nessuno ruppe il silenzio.
Viktor appoggiò i fianchi alla scrivania. Un sospiro spezzato. Yuri singhiozzava ancora.
Non voleva vederlo così, faceva male anche a lui.
« Mi succede », spiegò infine Yuri.
Viktor si era perso a guardare fuori dalla finestra e non smise.
Aveva chiesto, ma sapeva perché accadeva. Voleva solo essere certo non ci fosse qualche altro motivo. Era nella natura di Yuri essere così sensibile, la sera, di fronte all’immensa oscurità del cielo notturno; che le stelle fossero o non fossero visibili, Yuri doveva sentirsi vuoto.
Si chinò, una mano su quella di Yuri.
« Lo so », sussurrò.
Quante volte lo aveva ripetuto, quando si trattava di Yuri, perché aveva letto tutto ciò che poteva sulle costellazioni?
Yuri sorrise.
« Sai sempre tutto. »
« So poco delle cose davvero importanti. »
Sapeva poco, ma iniziava a comprendere. La mano su quella di Yuri, la pelle del palmo contro quella del suo dorso. Gli occhi castani e a mandorla in quelli di Viktor, non stupiti o spaventati, ma solo sollevati. Avevano dato vita a Viktor.
Quei due pozzi d’ardesia si erano fatti curiosi, vispi. Le lacrime li velavano d’innocenza rendendoli solo più belli.
Sapeva quali erano quelle cose? No, ma poteva immaginarlo.
« Forse potrei insegnarti io. »
Un grande sforzo da parte di Yuri essere così sicuro di sé. Viktor lo apprezzò.
« Oh, lo stai già facendo. »
La confusione ora era sul volto di Yuri.
« Lo fissi troppo », ecco cosa aveva detto Yura scendendo dallo steccato.
Aveva ragione.

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Capitolo 5
*** Solitudine ***


V. Solitudine
 

“La costellazione di Yuri si divise e del fiocco di neve che occupava il cielo non ne rimase che una metà.
Confinato nella volta celeste e a vagare sulla terra ingrigendo gli animi di chi lo incontrava per la sua parvenza cupa e priva di ogni bellezza, Yuri si riempì di tristezza.
Si narra che da dopo la maledizione che lo ha colpito il cielo sia diventato più brillante. Yuri piange ogni notte per la solitudine, per l’amore che non può né donare, né ricevere da nessuno.
E da ogni lacrima, nasce una stella.”
 


L’aria serale pungeva, ma non a sufficienza da spingerli a voler rientrare.
Viktor e Yuri erano seduti sulla collina, sotto la sequoia, a guardare il cielo.
Avevano con loro un’ampia coperta di lana sotto il quale si erano rifugiati, riuscendo a resistere all’intemperia abbastanza da non dover allontanare lo sguardo dal cielo, dalla fulgida luce delle stelle.
Era fredda quella luce, ma dava loro tepore e conforto.
Viktor, ecco, doveva fare un’ammissione: le stelle avevano perso tutto il suo interesse.
Lo avevano perso perché non c’era un senso, secondo lui, nel guardare qualcosa di lontano, nell’aspirare a raggiungerlo, quando aveva un’intera costellazione accanto a sé, tutta per lui.
Nel buio della notte Yuri riluceva e ogni suo poro emanava un bagliore azzurro, incantando la vista di Viktor. Tanti piccoli brillanti iridescenti sembravano cospargerlo.
Fianco contro fianco, spalla contro spalla.
Erano vicini, condividevano la stessa aria.
Viktor non aveva mai desiderato tanto la vicinanza di qualcuno.
Qualcuno con cui spartire quella collina, l’ombra delle fronde della sequoia anche se di notte.
Era tutto perfetto.
« Stanno per passare delle comete », annunciò Yuri.
Guardava il cielo come se fosse la meraviglia più grande, lui. Come se non desse peso al fatto di essere uno dei suoi abitanti di maggior valore.
Solo a quel punto Viktor guardò in alto. Si diede un contegno e smise di fissare Yuri come se da lui dipendesse il proprio respiro, il battito del proprio cuore.
« Puoi sentirle? »
« Sì. »
Un istante e due bagliori gemelli, per loro a pochi centimetri l’uno dall’altro, comparvero. Tracciarono una breve traiettoria e sparirono di nuovo nel buio del cielo.
Silenzio.
Quell’immagine mise a Viktor una certa malinconia, una sorta di timore in corpo.
Yuri si voltò verso di lui.
Sapeva che lo stava guardando, lo aveva sempre saputo.
Il suo volto non poteva arrossire, ma era come se lo stesse facendo. Aveva mostrato imbarazzo in altro modo, facendo guizzare talvolta lo sguardo verso il russo e scoprendo che questo non lo spingeva a desistere, ad allontanare gli occhi da lui.
Lo trovava bello?
Gli fu sufficiente un’occhiata per capire che Viktor si sentiva triste.
« Non devi soffrire per loro, Viktor », tentò di confortarlo. « Le stelle cadenti non si perdono. Cercano solo un posto migliore dove stare. »
Viktor schiuse le labbra.
Una spiegazione fin troppo esoterica per lui, che con gli anni aveva rinunciato a tutte le leggende troppo fantasiose e prive di prove o fondamento.
« Sei sicuro? »
Sembrava un bambino.
« Certo che lo è! » rispose Yuri, entusiasta solo per poterlo convincere. « Non ti fidi? Se non lo so io. »
Yuri non lo aveva detto con fare saccente e non irritò nemmeno Viktor. Era stato anzi carino.
« Perciò anche le stelle hanno un luogo che può non piacergli? »
« Ovvio », rispose Yuri. « Beh, forse non tanto. Le stelle non sono come me, non hanno volontà propria, ma… sì, può succedere. Trovare la collocazione migliore è la direzione verso cui tende la natura. »
Viktor annuì, silenzioso. Gli occhi ancora puntati verso il cielo.
Avrebbe potuto chiedergli mille cose: senti dolore quando si separano da te? Cosa provi? Ti dispiace? Ti mancano?
Si dimenticò subito di tutti quei quesiti.
« Io lo so dov’è il mio posto. »
Yuri sussultò sotto la coperta. Schiuse le labbra e guardò Viktor.
Era quasi… speranzoso?
« Dov’è? » domandò.
« Accanto a te. »
Viktor gli sorrise.
Ancora una volta, Yuri immaginò di arrossire.
« Sei bellissimo », sussurrò Viktor.
Dita calde sulla guancia. Scivolarono verso la nuca e lo attirarono a sé.
Viktor era come una calamita.
Respiro nel respiro, labbra su labbra.
Per Yuri che alle stelle non poteva chiedere nulla, era un miracolo che quel desiderio si fosse realizzato.
Non pianse, quella notte.

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Capitolo 6
*** Anima ***


VI. Anima
 

“Ma non tutto era perduto, per Yuri: aveva nascosto sulla terra un medaglione d’oro. Un dono per lui dagli umani, per la bellezza di anni orsono e che mai più avrebbero visto.
Trovandolo, un prescelto sarebbe stato in grado di vederlo. E forse sarebbe stata proprio la sua metà.
Perché ogni maledizione, persino la più eterna, ha dentro di sé il seme della propria rovina, il germoglio in grado di spezzarla.”
 


Il corpo di Yuri sembrava una tela. Una splendida tela la cui superficie si alzava e abbassava per i respiri rotti, i gemiti rochi.
Le gambe strette intorno ai fianchi di Viktor, le dita arpionate alla sua schiena.
La luce che avvolgeva Yuri sembrava quasi singhiozzare proprio come la sua voce, brillando talvolta in modo più fioco o più intenso in quel momento di continua emozione.
Quando si abbandonarono entrambi esausti sul letto, Yuri rivolse a Viktor un sorriso caloroso.
Il suo corpo, la sua pelle candida era cosparsa di macchie che quasi parevano lentiggini, o forse voglie. Sulla pelle di una costellazione quei tratti distintivi erano molto più belli: sembravano quasi dei diamanti incastonati sulla superficie del suo corpo, privi di rilievo, ma capaci di conferire ancor più luminosità.
Yuri ne era cosparso: sulle braccia, sulle spalle, sul ventre e sulle cosce.
Viktor giurava di aver visto qualche segno anche sui suoi piedi.
« Perché hai tutti questi segni? » domandò Viktor, portando un polpastrello su uno di essi e picchiettando poi su un secondo, un terzo, un quarto.
Sembrava quasi si stesse divertendo, inventando quella danza di dita sulla sua pelle.
Yuri sorrise.
Il tono di Viktor non sembrava volerlo provocare, non sembrava infastidito dalla presenza di marchi.
« Guarda bene », gli suggerì Yuri.
Viktor aveva il sentore che quei punti fossero disposti secondo una logica, che non occupassero la pelle di Yuri senza motivo.
Era l’incarnazione dell’armonia, doveva esserci una spiegazione.
Yuri concesse a Viktor qualche istante, ma rendendosi conto che non rispondeva sorrise con dolcezza e portò una mano sulla sua guancia. Saggiò lo zigomo sporgente con la punta delle dita, poi raggiunse la sua nuca e carezzò le ciocche argentate dell’uomo.
La sfavillante luce dell’incarnato di Yuri e i capelli argentei di Viktor erano un connubio da mozzare il fiato.
« Sono costellazioni. »
Yuri prese il polso di Viktor con la mano e portò il suo indice ancora teso sul proprio petto.
Non aveva bisogno di guardare per guidarlo seguendo il tracciato di costellazioni; le conosceva a memoria.
« Vedi? Guarda questa … »
Con quella traccia Viktor avrebbe potuto individuarle tutte e lo dimostrò a Yuri; non fu più la mano del moro a guidarlo, ma divenne il dito di Viktor a tracciare quel reticolo intricato facendosi seguire dalla mano di Yuri.
« Perché sono tutte su di te? » domandò Viktor, lo sguardo luminoso non solo per la luce che vi si rifletteva, ma anche per la curiosità.
Quando parlava con Yuri di certi argomenti, quando scopriva di più gli sembrava di tornare un po’ bambino. E Yuri lo vedeva, il bambino davanti a sé. Trovava adorabile il modo in cui Viktor si interessava a lui, alle leggende che più che essere tali erano in tutto e per tutto storie di vita vissuta.
« Conosci la leggenda che mi riguarda, no? » domandò Yuri.
Non riusciva nemmeno più a parlarne con amarezza, senza un sorriso dolce stampato sul volto.
Vicino a Viktor non perdeva mai l’allegria. Era felice ormai, finalmente.
Viktor annuì e schiuse le labbra.
« Per la solitudine piangi ogni notte e dalle tue lacrime… »
« Nascono le stelle », concluse Yuri. « Sì, esatto. »
Quell’immagine straziava Viktor. Lo straziava a tal punto che pensarci con troppa intensità avrebbe potuto portarlo a sentire delle lacrime scorrere anche sulle proprie, di guance.
Non voleva che Yuri rimanesse solo, non voleva che soffrisse.
Eppure prima o poi sarebbe accaduto. Prima o poi sarebbero stati divisi dal fato.
C’era un luogo spaventosamente vuoto per la trama fitta di segni sul corpo di Yuri. Sembrava ancor più vuoto dopo aver guardato uno per uno ogni singolo punto di luce sulla sua pelle.
Yuri parve leggere la sua mente e fece aprire il palmo della mano di Viktor all’altezza del proprio cuore, dove la pelle candida riluceva senza che vi fosse alcun segno a marcarla.
« Mi manca la mia metà », asserì soltanto Yuri. « Ma posso trovarla. So che lo farò. »
« Come fai ad esserne tanto sicuro? »
Un groppo in gola. Viktor temeva forse di sentirsi dire che quella metà, per qualsiasi motivo, non sarebbe stata lui.
« Perché l’ho già trovata », rispose Yuri.
Riusciva sempre a spiazzarlo, lui, in un modo tanto fresco e genuino che Viktor nemmeno riusciva a percepire come fastidioso.
Un piccolo sorriso sulle labbra, poi un bacio. Il rumore delle lenzuola che frusciava dopo che Yuri si era proteso verso di lui per poi finire di nuovo sul materasso, sotto il corpo di Viktor.
« Ma questo solo se tu vuoi », soffiò sulle sue labbra Yuri.
« Perché non dovrei volerlo? »
« Dovresti stare con me, Viktor », mormorò.
Il capo di Yuri parve indicare verso l’alto e il suo sguardo fugò ogni dubbio su cosa intendesse.
« In mezzo alle stelle. »
Viktor sorrise.
« Ho sempre pensato che quello fosse il mio posto », si vantò, mentre Yuri rideva con allegria.
Come poteva rendere tutto tanto leggero?
Tanto bello.
Con Viktor persino nella sofferenza c’era la speranza.


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Non mi faccio sentire nelle note da un po' di capitoli, ma ci tenevo a fare un salutino per ringraziare tutte le persone che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate. Ero un po' arrivata a credere di non aver fatto chissà quale lavoro con questo racconto, ma ecco, spero che chiunque stia leggendo questa fanfiction la stia apprezzando.
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e nulla, spero vi vada di dirmi che cosa ne pensate, magari! Mi fareste davvero felice ~
Colgo l'occasione per ringraziare cutiepye, supporter numero uno appunto per l'infinito supporto qui con le recensioni e ancor di più in privato, dove do sfogo al mio essere una complessata in modo pressoché costante, tra paranoie e minacce di mandare all'aria fanfiction, in particolar modo questa. Voglio ringraziare anche riiko88 dragonfly92 che trovano sempre un po' di tempo per recensire i miei lavori. Per me vuol dire davvero tantissimo!
... Questi sanno un po' di ringraziamenti da capitolo finale, ora dovrò inventarmi qualcosa di nuovo in vista del capitolo sette.
Ops.
Alla prossima!

 

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Capitolo 7
*** Gli amanti ***


VII. Gli amanti
 

“Quel prescelto nacque davanti un albero in cima ad una collina, le mani sporche per aver frugato nell’incavo del tronco in cui il medaglione era rimasto tanto a lungo protetto.
Il suo nome era Viktor.
Un ragazzo che guardava il cielo colmo di sogni e di speranze per il futuro, bramando quel mondo celeste più di ogni altra cosa.
Conobbe Yuri quando ormai pensava che nell’esistenza uno scopo non ci fosse più. Lo incontrò e capì qual era il suo, perché la vita era stata con lui tanto aspra ma poi inaspettatamente tanto dolce e se per anni aveva lottato e si era opposto, non c’era più motivo per farlo.
Non se era destinato a quell’amore.”
 


« Non voglio. »
« Lo so. »
« Non voglio lo stesso. »
« Lo so. » E quel sipario si sarebbe ripetuto ancora. « Ma passerà in fretta. »
Viktor si sentiva un bambino capriccioso, ma mai come in quel momento credeva di avere l’inoppugnabile diritto di esserlo.
Sotto l’albero, quello sulla collina, derubato del medaglione d’oro da lui custodito per tanti anni, stavano Viktor e Yuri; stretti l’uno all’altro, avvinti con le dita sul volto altrui. Rapidi baci schioccati a fior di labbra e poi parole, respiri, sguardi.
Il ciondolo pendeva dal collo di Viktor, sul suo petto scoperto dalla blusa larga.
« Non passerà presto », ribatté Viktor. « Sarà un’eternità senza di te. E sarà vuota, perché non sarai con me. »
Yuri baciò le palpebre di Viktor, poi la sua fronte.
Era difficile per entrambi.
« Ma so che esisti ora, che sei qui e veglierò su di te ogni giorno! » rispose.
Come se fosse sufficiente: non bastava nemmeno a lui. Il pensiero di non poter toccare Viktor, di non poterlo vedere più lo uccideva.
Sapeva di chi era la colpa, di che cos’era. Di quella maledizione, che dopo una manciata di giorni – quasi un mese, ma era stato troppo poco – lo obbligava a tornare nella propria dimora, il cielo, per un secolo.
Un mese sulla terra e un secolo nel firmamento.
Lo angosciava.
Viktor socchiuse le ciglia pallide e lo guardò con uno sguardo languido, ferito.
« Non andare, non lo fare », sembravano dire i suoi occhi. « Se mi lasci così non so che ne sarà della mia vita. »
Tutto questo Yuri lo sentì dalla voce di Viktor, anche se immaginaria. Rimbombò nelle sue orecchie e Yuri pensò di dover rispondere, di avere il bisogno di non lasciare quella preghiera irrisolta perché Viktor poteva anche non averle dato voce, ma Yuri sapeva quanto fosse importante per lui ricevere qualcosa, un segno, un gesto.
« Devi finire le tue ricerche, i tuoi studi su… beh, tutti i libri che hai su di noi. Io posso aspettare. »
« E che senso ha se so che ci sarai tu a potermelo spiegare? »
« Perché potrai scoprirlo da solo, Viktor, se avevi ragione o no! »
La fronte contro quella di Viktor, gli occhi semichiusi.
« Passerà presto », ripeté Yuri.
« E me lo dici mentre piangi? »
Non se n’era accorto, che le calde lacrime lucenti stavano cadendo lungo i suoi zigomi, sulle guance, sul mento.
« Vuol dire che sono sincero. »
E lo era anche Viktor, sincero mentre diceva di credere di non potercela fare, perché anche lui piangeva.
Yuri sfiorò il medaglione.
« Solo fino all’anniversario di quando l’hai trovato », sussurrò. « Amami fino ad allora e staremo insieme per sempre. Non dimenticarmi. »
Sentiva di non doverlo temere, Yuri.
Viktor annuì.
« Posso dimenticarmi del mio cuore? »
Sarebbe passato poco meno di un anno, perché la data la ricordava bene.
Poco meno di un secondo, perché la fredda notte di dicembre di un anno dopo arrivò e a Viktor parve di vedere un cancello luminoso aprirsi dinnanzi a sé. Solo Yuri davanti ad esso, più luminoso che mai. Proprio come quando si era dissolto fra le sue braccia.
E se tra lacrime e baci si erano lasciati, tra lacrime e baci di gioia si erano riuniti.
 

 
“Ancora oggi alzando gli occhi e puntandoli fra le stelle, lontano dall’eroe invidioso che aveva solo migliorato la vita d’entrambi, si possono scorgere Viktor e Yuri.
La loro costellazione è fra le mille stelle che ora Yuri non piange più, figlie delle avversità fra cui è sbocciato il loro amore. Come se i loro corpi umani si tenessero per mano, si abbracciassero, intrecciassero e ricalcassero a vicenda, compare un reticolo che pare ghiaccio, forse un fiocco di neve di fulgida luce; non più simbolo della bellezza delicata di Yuri, ma del candore innocente e splendido del loro eterno amore.”



 
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Ed eccoci alla fine anche di questa piccola fiaba!
Confesso di aver temporeggiato un pochettino prima di postare quest'ultimo capitolo, tra impegni ma anche la scarsa voglia di mettere il punto finale a questa storia.
Che dire? Forse Zodiac non è il mio progetto più ambizioso, ma è stata di sicuro una ventata d'aria fresca di diversità rispetto agli altri miei lavori più recenti. Avevo bisogno di staccare con qualcosa di nuovo, con un genere nuovo in questo caso, molto più favolistico e che mi ha consentito di scrivere le cose come volevo che uscissero, senza pensare troppo al perché o al come. È stato un racconto leggero ma incisivo da parte mia e mi auguro abbiate avuto la stessa impressione!
Non è la mia storia più ambiziosa, ma non è stata senza impegno, anzi: ha richiesto una certa dose di lavoro che beh, sono ben felice di averle dedicato.
Sarò monotona, ho ringraziato moltissimo anche nelle note dello scorso capitolo, ma ci tengo a dire grazie ancora a tutte le persone che hanno seguito questo racconto, magari in silenzio: spero che il quadro generale della storia, con la sua conclusione, vi abbia lasciato qualcosa <3 Ringrazio anche chi l'ha inserita tra le preferite e le ricordate!
Spero davvero che con quest'ultimo capitolo vi vada di darmi le vostre impressioni, anche a caldo, magari sull'intero racconto: mi farebe davvero felice.
Ringrazio ovviamente anche le persone che hanno commentato assiduamente i capitoli o anche solo quando avevano un momento da dedicarmi.
Spero di vedervi in qualche altra mia storia, magari Automata che è in corso, o magari in qualche nuovo progetto già in cantiere.
Per tenervi sempre aggiornati vi lascio il link alla mia pagina di FaceBook, dove avviso sempre dei miei nuovi aggiornamenti. Un po' di pubblicità non fa mai male!
Alla prossima!

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