Ho paura

di Luna_Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
L’aeroporto di Heathrow non è niente male. Moderno, pulito, ma caotico. Quello è il problema. Troppe persone. Chi sono? Qual è la loro storia?
Sono tutti sorridenti, accompagnati da familiari e amici. Tutti tranne uno. O meglio: una. Una ragazza che colpisce a prima occhiata. Una ragazza di, a vista, diciassette anni, forse meno, forse più. Pelle chiara, capelli lunghi, lisci e neri. Ma il dettaglio che colpisce di più sono gli occhi. Occhi azzurro ghiaccio tristi. Molto tristi. Indossa una maglia nera, sotto la giacca di pelle corta, aperta, leggins neri e Converse alte bianche e nere. Si trascina il trolley come se fosse un peso, nonostante le ruote. Si guarda intorno, guardinga. Supera i controlli e si dirige verso il parcheggio. Cammina decisa verso un’auto sportiva nera. Sale e parte. Guida fino a un palazzo a Londra. Il condominio è abbastanza semplice. La ragazza parcheggia davanti alla casa e scende. Guarda il cielo. È grigio. Come il suo umore. Ogni volta che cambia città è sempre la stessa storia. Sempre sola, sempre triste. Decide di lasciar stare i suoi pensieri, così, scuote la testa per risvegliarsi e entra all’interno di quel palazzo a Chelsea. Ha scelto quel quartiere di Londra perché è tranquillo. Non può permettersi di avere troppe persone in giro. È pericoloso. Ma per chi ancora non lo sa. Per loro? O forse per lei?
Sale le scale fino a una porta di legno laccata di bianco. Tira fuori le chiavi e le inserisce nella serratura. Un giro. Due giri. Tre giri. La porta di apre con un piccolo scatto. L’interno è molto semplice. Un divanetto bianco con una finestra a figura intera che si affaccia sulla strada a destra e un televisore abbastanza grande a sinistra. Ai lati del televisore ci sono due porte. Una porta in cucina, l’altra in corridoio. Tutte le porte di quella casa sono laccate di bianco, come quella d’ingresso tranne due. Una è nera ed è camera sua. L’altra è oro. È chiusa. Solo lei può aprirla. Sarebbe troppo pericolo se il mondo scoprisse cosa c’è dietro quella porta.
La ragazza si dirige verso la porta nera. La apre. All’interno di quella stanza vi è un letto a due piazze, appoggiato a una parete decorata da una tappezzeria che raffigura il mare in tempesta. La tapparella è abbassata, ma non chiusa del tutto. Uno spiraglio di luce entra e delinea il contorno dei mobili. Un piccolo comodino affianca il letto. È di legno chiaro. Sulla parete opposta al letto c’è un armadio che occupa tutta la parete.
La diciassettenne lascia cadere a terra la valigia. In quel momento ha solo voglia di sparire. Il mondo non le piace. Ce l’ha con lei. Chiude la porta con rabbia per poi lasciarsi scivolare contro la parete, fino a toccare terra. Ha le ginocchia al petto. Ci appoggia la fronte. Non riesce più a trattenersi. Ne ha abbastanza di questa vita crudele. Piange. Piange per un tempo che nemmeno lei sa. Sa solo che doveva piangere. Non porterà a niente piangersi addosso. Ma che doveva fare? Uscire con il sorriso più falso di questo mondo e dire di stare bene? No, lei non stava bene. Per niente. E uscire? Non poteva. Non poteva mettere in pericolo nessuno. Ecco. Questo è il suo difetto. Pensa prima agli altri. Sempre. Ma chi pensa a lei?

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La sveglia suona incessantemente. Una mano tasta il comodino in cerca di essa per porre fine a quella tortura. “Devo scoprire chi ha inventato il lunedì mattina e maledirlo in tutte le lingue possibili e immaginabili!” pensa il ragazzo. Ha la testa affondata nel cuscino e una voglia esagerata di rimettersi a dormire. Con un pugno spegne quella dannata sveglia. Si rimette a dormire. Non fa in tempo a chiudere gli occhi che il telefono squilla. -Ma questa è una tortura! - urla. Si alza e, strisciando i piedi, raggiunge lo scaffale su cui ha appoggiato il telefono. -Pronto? - risponde. -Ehi Chris! Andiamo insieme a scuola? - chiede Brian, l’amico di Chris. -Non me lo potevi chiedere tra, non so… mezz’ora? - dice Chris scocciato. -Tra dieci minuti iniziano le lezioni! Quando te lo dovrei dire? Oggi pomeriggio?! - dichiara, ridendo, l’amico. Ed è in quel momento che Chris si sveglia dal suo stato di dormiveglia (più dormi che veglia) e parte a razzo. -Ehi, Chris… Ci sei? Pronto! - lo richiama Brian, ma Chris pensa solo a non fare tardi.
In tempo record si prepara, prende al volo una brioche confezionata dalla cucina e lo zaino e corre giù dalle scale. Brian è lì che lo aspetta.
Brian è un ragazzo bassetto, capelli scuri, occhi verdi e sorriso radioso. Riesce sempre a far sorridere tutti.
-Ma come sei conciato?! - dice, ridendo come un matto. Chris si guarda. In effetti Brian ha ragione… Le scarpe sono slacciate, i pantaloni spiegazzati, la camicia con alcuni bottoni aperti e la cravatta allentata. Si aggiusta per quello che può.
Chris è diverso da Brian. È alto, capelli neri, occhi nocciola e un sorriso quasi assente. Sorride principalmente per l’aiuto di Brian. Non ha mai raccontato a nessuno il perché. Lo prenderebbero per pazzo.
-Andiamo? - chiede all’amico, che è a terra, tenendosi la pancia dalle risate. -Sì, sì. Ci sono. -risponde.
La Holloway Secondary School è una scuola piuttosto severa. Non si possono indossare abiti e gonne. È obbligatorio indossare la cravatta. Per il resto puoi indossare ciò che vuoi.
Brian si dirige verso l’ingresso. Chris si è fermato. Una macchina nera l’ha incuriosito. Non aveva mai visto uno studente con una macchina del genere. Il parcheggio insegnanti è dietro la scuola, quindi o uno studente o è un genitore che accompagna uno studente.
-Ti raggiungo. Tu comincia ad andare. - dice a Brian. In risposta l’amico lo guarda, fa spallucce e raggiunge l’ingresso della scuola.
Dall’auto scende una ragazza. È vestita totalmente di nero. Maglia corta nera, giacca di pelle nera e pantaloni neri. Le scarpe sono bianche con la punta nera. La cravatta bianca risalta sul nero dei suoi vestiti. Chris non l’ha mai vista. La ragazza apre il bagagliaio e tira fuori uno zaino nero con dei disegni bianchi e diversi nomi di città scritti sopra. Deve aver viaggiato molto. O magari vorrebbe andare in quelle città.
-Sei nuova? - le chiede, non appena lei gli passa accanto. La ragazza si ferma di botto. –Sì- dice sbrigativa. -Mi chiamo Chris. Tu sei…? - annuncia lui, ignorando il tono della ragazza in questione. I suoi occhi… Sono bellissimi. Sono di un azzurro ghiaccio perfetto. Le porge la mano. -Mi chiamo Ash. - risponde, guardando la sua mano, senza accennare a muovere la sua. Chris si arrende. Lascia ricadere la mano lungo il fianco. -Hai un’auto? - chiede, curioso. - Sì- risponde. -Non sembri maggiorenne- ammette. -Non lo sono- dichiara Ash. -Qui non si può guidare se non hai più di diciotto anni. I tuoi genitori sono d’accordo? - chiede Chris. -Te l’hanno mai detto che fai troppe domande?!- risponde Ash, dura. Poi se ne va, lasciando lì il ragazzo, interdetto. I capelli della ragazza si muovono seguendo il lieve venticello che si è alzato. “Che ragazza interessante” pensa Chris, prima di entrare all’interno dell’edificio chiamato scuola. O tortura. Per Chris è più adatto il secondo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


No. Decisamente no. Cosa? Come cosa?! L’algebra!
La ragazza guardava il foglio davanti a sé con disprezzo. Un 3 scritto in rosso scritto in alto a destra era la causa di quella rabbia. Il banco cominciò a tremare, prima piano poi più forte. La diciassettenne chiuse gli occhi, per calmarsi. Prese qualche respiro profondo. Per fortuna era infondo alla classe e nessuno aveva notato niente. Doveva calmarsi. Fin lì c’era arrivata. Il problema era… come?
La voce squillante del professor Antroni la risvegliò dai suoi pensieri: -Signorina Winther! Ci farebbe l’onore di prestare attenzione, grazie. -. Dio, quanto era noioso. E antipatico. E insensibile. E… basta. Se continuasse andrebbe avanti per ore.
-Dicevo… Per la signorina Klintis, il signorino Argenti e la signorina Winther- quanto odia quel “Signorina” detto da lui! - ci saranno delle lezioni supplementari. Vi seguiranno degli alunni di quinta, per la precisione. -. “Lezioni supplementari” è semplicemente un modo diverso per dire “Ripetizioni”. Ash non aveva mai preso ripetizioni. L’unica materia che non aveva un voto superiore all’otto era algebra, ma se l’era sempre cavata. Prova ad opporsi, ma il professore ha già preso la sua decisione. -Basta così! Prenderà ripetizioni di algebra dal signorino Davies. Signorina Klintis, lei verrà aiutata da… -diceva l’insegnante, ma Ash lo ignorava. Era un casino. Un enorme casino. Stavolta niente l’avrebbe tirata fuori dai guai. Non avrebbe fatto in tempo a trasferirsi di nuovo. E poi non voleva. A Londra aveva trovato la tranquillità che mancava nel resto del mondo. I classici “cattivi” non erano a Londra. E poi dove sarebbe andata?
Proprio in quel momento, qualcuno bussa alla porta. Un “avanti” appena borbottato dal professore e la porta si apre. È lui. Il ragazzo che aveva incontrato il primo giorno. Come si chiamava? Chris. Un nome che le era rimasto impresso. Forse perché era la prima volta che qualcuno le parlava e non la insultava? Forse perché sembrava un bambino con quegli occhioni nocciola con uno sguardo triste? Forse il fatto che le ricordava lei. Sorriso falso, occhi maledettamente tristi. Era la sua condanna e la sta ancora scontando. Ma quale è la sua colpa? Essere diversa? Forse. È tutto un’enorme “forse”. Tutto il suo mondo è costituito da dubbi, incertezze, paure, bugie. Tutto. E lei non può scappare. “È la mia condanna.” è il suo pensiero. È fisso. Non vuole saperne di lasciarla neanche un secondo. Eppure, per pochi istanti, l’aveva quasi abbandonata. Era successo quando qualcuno le aveva rivolto la parola.
-Oh bene! Stavamo proprio parlando di lei! Dovrà semplicemente dare ripetizioni di algebra alla signorina Winther. – annuncia il professore. La “signorina Winther” in questione lo guarda. Lui ricambia. Annuisce, consegnando al professore una circolare. Il professore gli sorride. Chris esce dall’aula.
-Quando? -. –Quando? – ripete lei, confusa. È appena uscita dall’aula e si sta dirigendo in un punto isolato nella scuola. –Le ripetizioni- spiega sorridendo Chris. Ash scuote la testa. –Mai- risponde. Il ragazzo la guarda. Ha un sorriso divertito sul volto. –Non puoi evitare le ripetizioni- spiega ridendo –solo perché sei un genio nelle altre materie o perché sei svogliata! -. Ash lo guarda male, poi abbassa lo sguardo o avrebbe fatto qualcosa di cui si sarebbe pentita. –Non sono svogliata. – dice a denti stretti. –Non puoi giudicarmi- conclude. Quel ragazzo non ha la minima idea di cosa abbia passato. Le ripetizioni sono solo una bazzecola. Ma non per lei. Per lei è anche solo difficile guardare negli occhi quel ragazzo gentile che sta cercando di aiutarla. –Mi dispiace ma sei obbligata- riprende Chris. E lì prende la parola il suo amico, che era rimasto in silenzio fino a quel momento. Ash non si era nemmeno accorta che ci fosse. –Sei fortunata! Stare due ore alla settimana con il ragazzo più figo di quinta! - dice ridendo. Chris lo fulmina con lo sguardo e Ash rotea gli occhi, scocciata. Se ne va. Chris la insegue, fino a raggiungerla. Stanno camminando insieme verso le macchinette. –Non ascoltare quell’idiota- dice, soffocando le risate. Un “ehi” di protesta si alza un po’più indietro, in fondo alla calca di studenti. Dopo alcuni istanti di silenzio Chris prende la decisione per lei: -Martedì dalle sei di sera alle otto, nella biblioteca della scuola. -. Capendo che Ash non gli vuole parlare torna dall’amico. Ash, invece, raggiunge le macchinette e prende una bottiglia d’acqua, prima di rientrare in classe.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


"Si guarda attorno. Un bosco. Gli alberi svettano alti e coprono il cielo, ma il buio suggerisce che è sera tardi. La ragazza cammina nella nebbia, i muscoli pronti a scattare, le orecchie in ascolto. Una voce, quasi un sussurro, le arriva all’orecchio. Ash. La chiama. Lei si gira. Si guarda attorno. Nessuno. Forse è solo stanca. Le sembra di vagare in quel bosco da giorni. Cade a terra. È stanca. I capelli scompigliati le ricadono sul viso sporco. I pantaloni sono strappati in alcuni punti, la maglietta macchiata di terra e qualcosa di scuro. Lo tocca e, con disgusto, capisce che è sangue secco. La voce si fa risentire, più forte. Con uno scatto Ash si alza. La voce si fa sempre più forte. È strana. È simile alla voce negli horror. Un brivido le percorre la schiena quando, dalla nebbia, spuntano fuori delle figure ammantate di nero. La voce adesso le urla: -Siamo qui per te. Non puoi fuggire per sempre. -. La ragazza si prende la testa tra le mani, cercando di evitare quella voce maligna, ma quella resta e si fa sentire, ogni volta più forte. Le ombre avanzano verso di lei. Impugnano qualcosa simile a una balestra. Ash respira lentamente, seguendo con lo sguardo i movimenti degli uomini. Quando vede che uno di essi sta caricando l’arma comincia a correre. Corre verso l’ignoto. I capelli volano dietro di lei, spinti dal vento, i rami le graffiano il viso, le gambe e le braccia e la testa le pulsa dolorosamente. Un tuono in lontananza indica l’arrivo di una tempesta. La sua tempesta. Guardando indietro la ragazza vede i mantelli dei suoi inseguitori svolazzare e le punte delle balestre scintillare dalla fievole luce lunare che filtra attraverso le foglie. -È la tua ora- continua la voce, ora ridotta nuovamente a un sussurro, prima di riprendere a urlare. Ash si blocca. Altri uomini si piazzano davanti a lei. Non ha scampo: è circondata. Le mani si stringono in due pugni, stese contro il fianco. Ash le sente diventare incandescenti. Uno degli uomini prende la mira. È dietro di lei. Con un piccolo scatto la ragazza si gira e punta i palmi aperti verso di lui. Il fuoco esce da essi e intrappola l’uomo. Lui lascia cadere l’arma e, tra urla strazianti, viene avvolto dal fuoco, che lo carbonizza. Di lui rimane solo un mucchietto di cenere. Ashley punta i palmi verso l’uomo di fianco e il fuoco prende la forma di un serpente. Il fuoco striscia verso di lui e lo avvolge, lasciandolo come il suo compagno. Un lieve venticello si alza e fa volare via i granelli di cenere. La ragazza sorride in modo inquietante alla ventina di Cacciatori. –Chi vuole essere il prossimo? – dice, continuando a sorridere, mentre su di loro si abbatte la sua tempesta. Poi lo vede. Il ragazzo dai capelli neri e gli occhi nocciola. Lo guarda un istante. Solo uno. E in quell’istante il ragazzo ne approfitta e spara con la sua balestra. Qui, dove ha la mano lei. Sul cuore. E in quel momento tutto diventa buio e confuso." Ash si sveglia urlando. È sudata e confusa. Quel sogno… ormai erano tre settimane che lo viveva. Magari in un luogo diverso, magari con persone diverse, magari lei uccideva tutti, magari nessuno, magari non correva e non scatenava la tempesta o magari non era notte. Ma l’incubo finiva sempre nello stesso modo. Chris le sparava al cuore. Sempre.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


-Signorina Winther! – la chiama insistentemente il professore Antroni. Ash ha il viso nascosto tra le braccia, incrociate sul banco e sta dormendo profondamente. Nelle ultime settimane non ha dormito molto. L’incubo tornava, anche più volte. Quel giorno era quel martedì. Ripetizioni. Le sta perforando il timpano con quelle grida acute. Con un mugolio sommesso, Ashley alza la testa. –Ascoltare per lei è un optional? -  la rimprovera lui, con la sua voce fastidiosa. –Dorma di notte! – conclude, tornando alla cattedra. –Non sa quanto vorrei poterci riuscire. – sussurra una Ash assonata.

La lezione continua, noiosa come sempre del resto, e Ashley rischia di addormentarsi almeno dieci volte in quelle due ore snervanti. –Qualcuno lo spenga- prega a bassa voce. Gli umani sono veramente stupidi. Annoiarsi per sei ore al giorno tutte le settimane! Fortunatamente suona la campanella tanto attesa. Ashley si butta fuori dall’aula dimenandosi tra la folla urlante di ragazzi della sua età, che hanno solo voglia di scatenarsi. Di mangiare non aveva tanta voglia, ma si promette di sforzarsi. Si dirige nella mensa con le pareti macchiate dal cibo e dalle salse. Il colore originale non è più visibile. La ragazza si abbassa proprio quando un panino con quello che sembra essere insalata le vola sopra la testa. Si sentono delle risate, ma Ash le ignora, come fa sempre. Dopo aver preso una piadina al prosciutto cotto, l’unica cosa commestibile in quel posto, si gira, il vassoio in mano. Sempre che mangiare un pezzo di cartone con dentro qualcosa di non ben identificato sia mangiabile. Ashley fa passare lo sguardo su tutta la stanza e si accorge che ci sono solo due tavoli vuoti. Si dirige ad uno di questi. Ci sono quattro posti per tavolo. Ash si siede silenziosamente nel posto più vicino al muro, appoggiando la schiena ad esso. Sospira mentre si rigira il coltello tra le dita della mano sinistra. Chiude gli occhi un secondo, per concentrarsi. Il leggero peso del coltello sparisce. Li riapre. Il suo sguardo corre alla sua sinistra. Il respiro si fa ansioso, quasi ansioso. Un brivido le corre per tutta la schiena. Il cuore perde un battito. La posata cade a terra, con un suono metallico. Ashley non si muove, continua ad osservare la persona che ha davanti. Due occhi nocciola la scrutano, per capire il perché del suo strano comportamento. Ha il sorriso stampato in faccia, che però sta scomparendo, preoccupato per la ragazza. –Stai bene? Sei pallidissima! – le dice. Ash esulta mentalmente. Per fortuna la sua mano era sotto il tavolo quando stava giocando, nonostante si fosse ripromessa di non fare più cose del genere. La voce non accenna a tornare. Chris se ne sta lì, in attesa di un suo segnale. È seduto a cavallo della panca, i capelli neri illuminati dalla debole luce proveniente dalla finestra. In mano ha un vassoio pieno di cibo: un piatto di pasta abbondante, un pezzo di merluzzo (che Ashley sospetta non sia realmente pesce), degli spinaci, una mela e un panino, il tutto accompagnato da una lattina di Fanta. La ragazza non riesce a parlare perciò passò al piano B: alzarsi e andarsene. Si sta alzando quando il corvino parla: -Continui a scappare... – osserva. Ashley distoglie lo sguardo. -Quando ti fermi e ti accorgi che ci sono persone che ti vogliono aiutare?! -. Era esploso. Chris ne aveva abbastanza. Cercava di aiutare la nuova in tutti i modi, ma, qualsiasi cosa facesse, lei scappava via. Stavolta sarebbe stato diverso. Ashley si fermò, in piedi per metà, con gli occhi sgranati dalla sorpresa. Il calmo e placido Chris Andrea Davies che urlava davanti a tutti?! –Non c’è nessuno per me. Non per me. - rispose, sussurrando la ragazza mentre le bruciavano gli occhi. Non avrebbe pianto davanti a tutti. Lei non piangeva praticamente mai. Ma quello che il ragazzo davanti a lei diceva, le ricordava il suo passato, ma anche il suo futuro. Persino il suo presente. Non poteva scappare dai suoi problemi perché loro la seguivano dovunque andasse. Perché il problema era lei. –Adesso fai anche la melodrammatica? Complimenti. – dice con sarcasmo, il ragazzo. Ashley capisce che era inutile discutere. Probabilmente sarebbe arrivata alle mani senza esitazioni o peggio. Era già successo in una scuola: il periodo in Liguria, in Italia. Ash scaccia quel ricordo dalla mente e fa l’unica cosa che le riesce bene: scappare. Con un paio di gomitate si fa largo tra la folla di curiosi che si era radunata intorno ai due, per assistere. Sente Chris che la chiama, che le chiede di fermarsi. Più si allontana, più la voce diminuisce, spegnendosi appena Ashley si chiude la porta alle spalle. Non andrà alle ripetizioni, lo ha già deciso. Sorride tristemente alla pioggia. Uno dei bidelli borbotta qualcosa sul meteo: -Mai affidabili quei mangiasoldi! Era previsto sole tutto il giorno! -. Attraverso le porte a vetri, la ragazza vede il professore Antroni che si avvicina all’uscita. Sospira e ricomincia a correre.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


-Fratello, te lo dico col cuore... Sei un’idiota! – sbotta Brian, dopo aver saputo della scenata di Chris in mensa dall’amico del cugino della sorella del… Insomma, un bel po’ di gente.
-Giuro che non volevo! – Chris alza le mani, come a dimostrare la sua innocenza. Un pugno, non forte, gli arriva sul braccio. – “Giuro che non volevo” non lo devi dire a me! – gli fa il verso l’amico, esasperato. Hanno cominciato quella conversazione da più di mezz’ora e sono ancora a un punto morto. Brian sbuffa. Solo lui può avere un amico così degenere. -Sei tu lo stupido che fa scappare tutte le ragazze che ti ronzano attorno! E fidati se ti dico che non sono poche! -. Il corvino apre la bocca per protestare, ma l’altro è fermamente deciso a chiudere lì la conversazione.

I due camminano in completo silenzio per un tempo indefinito. Brian osserva il mondo intorno a lui come se lo stesse scoprendo per la prima volta. L’aria pungente gli scompiglia i capelli e lo fa rabbrividire. Forse sarebbe dovuto uscire con una felpa più pesante, pensa. I diversi colori delle foglie lo fanno sorridere come un bambino che riceve una caramella. Verde, giallo, arancione, rosso, marrone. Brian ripete queste parole nella sua testa per una decina di volte. Gli piace provare a immaginarli. Le punte delle dita della mano gli fremono. Vorrebbe allungare la mano e, come in quegli stupidi giochi sul telefono, colorare il mondo. Chris, una volta, molti anni prima, quando si erano appena conosciuti, gli aveva detto “il mondo è bello perché è colorato”. Non ha mai provato a vivere in un mondo in bianco e nero. Non ha mai sentito il desiderio di poter vedere come tutti. Non ha mai saputo com’è non sapere il colore delle cose. Una volta gli aveva chiesto “di che sfumatura sono i miei occhi?”. Chris l’aveva guardato a lungo, stranito. Poi c’era arrivato. “Sei daltonico? Totalmente?”. Era una domanda semplice, ma Brian si era preso del tempo prima di dargli la risposta che il ragazzo attendeva. Era la prima volta che ne parlava con qualcuno che non fosse della sua famiglia. Come si sarebbe comportato? Si sarebbe allontanato urlando, pensando, erroneamente, che il daltonismo fosse contagioso? Dopotutto avevano solo cinque anni all’epoca. “Sì”. Le due lettere erano uscite dalla sua bocca, non poteva tornare indietro. L’amico era rimasto a lungo in silenzio. Molto a lungo. Al piccolo Brian ogni singolo secondo era sembrato lungo un’eternità. “Vuoi che ti descrivo i colori che vedo?” aveva chiesto timidamente Chris. Tutti i dubbi infondati del daltonico si erano dissolti. Il corvino era suo amico e lo sarebbe stato per sempre. Quel Davies era riuscito a colorare, in parte, il mondo di Brian…

-Ti piacciono gli unicorni? -. Chris lo interrompe dai suoi pensieri in questo modo. Brian si sforza di non ridere. –Stavo formulando pensieri profondi, mi hai interrotto! – protesta. Ha una scintilla divertita negli occhi. –Sì, sì, ok, ma io ti ho posto una domanda – si giustifica il corvino. –Ma che ne so! Credo di sì. – risponde l’altro. L’amico lo guarda storto. –O sì o no. -. A Brian non resta altro da fare se non annuire. A chi non piacciono?, pensa. –Pensi che se regalo ad Ashley un unicorno di pezza mi perdona? -. Il daltonico vorrebbe rispondergli dicendo qualcosa come “Ti sembro Ashley?” o, meglio, “Non sono una sfera di cristallo per vedere il futuro”, ma le scarta optando per: -Prova a regalarglielo e vedi la sua reazione. -. –SEI UN GENIO! – grida Chris, entusiasta. La conversazione si chiude così e un altro silenzio cala tra i due.
- Ohi, mi accompagni a comprare un unicorno? -. Brian non risponde, si limita ad alzare gli occhi al cielo e a cambiare strada, subito seguito dall’amico, che lo ringrazia. Tanto sa già che alla fine il corvino gli chiederà i soldi per comprare il fantomatico unicorno e prometterà di restituirglieli subito. Come le scorse volte.

-Mi devi ancora i soldi del cinema – gli ricorda Brian.
–Quale cinema? –
-Ci siamo andati due anni fa. –
-Ah. Domani ti porto anche quelli! –
Brian si limita a sorridere, scuotendo la testa.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


I corridoi della scuola sono caotici. Studenti, insegnati, bidelli e, qualche volta, anche genitori. La varietà di persone affascina e spaventa al tempo stesso. Ci sono ragazzi chini sui libri, chiusi in aula studio, altri in cerca degli amici in mezzo ai corridoi, altri che già li hanno trovati e vi conversano insieme, mangiando un panino, probabilmente proveniente dal bar al piano terra. Ci sono insegnanti che raggiungono le proprie aule, in attesa della campanella, qualcuno che, essendo nuovo, cerca di ambientarsi, e altri ancora che restano seduti su una sedia in aula insegnanti a rimuginare sulla lezione in compagnia di una tazza di caffè bollente. Ci sono bidelli che rimproverano gli alunni per la sporcizia e che passano le ore lavorative a pulire, anche se ce ne sono un paio che giocano con i nuovi giochi disponibili sul telefono. E poi c’è Chris. Sì, il Chris che ha comprato l’unicorno di peluche durante il weekend e che deve ancora i soldi del cinema all’amico Brian. Lo stesso che ora gira per l’edificio, sperando di notare dei capelli neri sul suo cammino, con in braccio un grosso unicorno azzurro e che fa lo slalom per tentare di raggiungere uno spazietto tra tutta quella folla per respirare. La massa di gente, quando si ha un oggetto grande in mano, può essere un tantino soffocante. Dietro di lui, a suon di “permesso!” urlato, sta Brian. Lo insegue, cercando di raggiungerlo. Quando, finalmente, entrambi riescono a trovare un quadrato di spazio vuoto, nel quale si può respirare, tirano un sospiro. Ma perché quel giorno c’è così tanta gente nello stesso corridoio? Almeno ci stanno. Chris, Brian e l’unicorno.
-Non c’è. – sbuffa il corvino. -Probabilmente non è neanche venuta a scuola- ribatte l’altro. Un “così non aiuti per niente” borbottato è la risposta. –Lasciaglielo in segreteria- gli suggerisce l’amico.
Cinque minuti dopo Chris e Brian escono dalla segreteria, soddisfatti. Sono riusciti a spuntarla contro la segretaria, una sessantenne scorbutica che odia i giovani. Lei, reticente all’inizio, si è lasciata convincere dalla loro supplica, quale non era che una misera scusa. Secondo ciò che le hanno raccontato i due, il peluche è per la sorellina sul punto di morte di Ashley, la quale avrebbe perso tutta la sua famiglia la notte appena passata. Se lo avesse mai scoperto, Chris era sicuro che la ragazza li avrebbe torturati e uccisi nei modi più orribili di sempre. Ora l’unicorno aspettava solo che la ragazza lo passasse a ritirare. Brian lo aveva convinto ad attaccarci un semplice biglietto di scuse. L’amico aveva cominciato a suggerirgli poesie, poemi e roba varia. Il corvino aveva optato per un semplice “scusa”. Neanche firmato.
-Io non ti conosco. – aveva esordito un Brian sconfortato, uscendo, con le mani dei capelli. L’amico non ci sapeva proprio fare con le scuse.  E l’altro aveva pure avuto il coraggio di chiedergli il perché di quelle parole.
 
Erano passati due giorni e l’unicorno era ancora in segreteria. La donna, nominata responsabile dai due amici, se ne era presa cura, spazzando via la polvere dal pelo. Tutto solo per la scusa inventata sul momento da Chris e Brian. Se così non le avessero detto, per lei il peluche poteva pure volare giù dal secondo piano della scuola e venire investito da qualche ragazzino in moto.
Al terzo giorno, però, una ragazza con gli occhi tanto magnetici quanto tristi, si è presentata, dicendo di essere stata chiamata durante la lezione per andare a ritirare qualcosa di indefinito dalla segreteria.
-Ashley Winther? – chiede una donna, sistemandosi gli occhialetti, sconosciuta per la giovane. Lei annuisce. La segretaria si alza ed entra in uno stanzino. Torna poco dopo con un sacchetto gigantesco in mano. –Ecco a lei. – dice, mentre glielo consegna.
Quando Ash sta per uscire, la donna aggiunge: -Condoglianze. –
La corvina la guarda, stranita. “Che?” pensa. Non è in lutto in quel periodo. La ragazza decide di lasciar perdere la donna e se ne va con un sacchetto a pois blu e verdi in mano.
 
Ashley è a casa, dopo un’estenuante giornata di scuola. Dopo aver chiuso la porta d’ingresso, si dirige verso la sua camera da letto. Deve ancora svuotare gli scatoloni in corridoio e in sala, ma la sua stanza è già in ordine. Per quanto libri sparsi sugli scaffali, armadi pieni di cofanetti, contenenti oggetti provenienti da ogni parte del mondo, vestiti sparsi sul pavimento e sulla sedia vicino alla finestra con la tapparella abbassata, uno specchio rotto e una lampada da terra posizionata un po’ a casaccio possano essere definiti “ordine”. Un letto, coperto da un lenzuolo nero e, sopra, un runner viola scuro, si trova al centro della stanza.
Lei si siede per terra, a contatto con il pavimento freddo, e appoggia la schiena al letto. È il momento di aprire il sacchetto. Ash lo prende, esitante. Nessuno le ha mai fatto un regalo. Un biglietto scivola fuori dalla busta. “Scusa” dice. Chi glielo manda? Vinta dalla curiosità prende anche il resto del contenuto del sacchetto. Un grosso unicorno di pezza, azzurro chiaro e la coda e la criniera neri, per lei. Ash trattiene a stento le lacrime, mordendosi la lingua. Qualcuno le ha fatto un regalo. Qualcuno ci tiene a lei. E anche se non dovrebbe ne è felice. Mentre stringe forte a sé il peluche, si addormenta, e, per una volta, non ha neanche un incubo.

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