una voce da salem

di vamp91
(/viewuser.php?uid=185639)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Presentazioni ***
Capitolo 3: *** 24 ore prima... ***



Capitolo 1
*** prologo ***


PROLOGO
 
Villaggio di Salem, New England (Americhe) anno 1692.

20 marzo 1692
“domani finalmente entrerò a far parte della Congrega a tutti gli effetti. Sono molto eccitata all’idea. Aradia mi ha assicurato che la Dea mi benedirà come sua prossima sacerdotessa. Ne sono così felice e onorata! Però allo stesso tempo quest’incarico mi preoccupa; e se non ne fossi all’altezza?
L’ultima cosa che vorrei è offendere la Madre. 

Quante paure! Ma credo sia normale averne la vigilia della propria affiliazione.
Inutile dire che la cerimonia avverrà in gran segreto. Da tempo ormai Salem è scossa da quella che si può definire una vera e propria persecuzione. I cacciatori di streghe si fanno sempre più audaci e la colpa è da dare anche al quel libro che li guida nelle ricerche.
Il “Malleus Maleficarum”... si lo conosco bene. Tutti coloro in grado di leggere ne hanno dovuto acquistare una copia. Se non lo avessimo fatto avrebbero sospettato di noi.
Ci sono già stati degli arresti e solo la Dea sa a quali torture sono state sottoposte quelle povere donne.
“Puttane del diavolo” così di definisce quell’obbrobrio.
Nessuna di noi ha mai adorato il maligno; siamo serve della Dea, ancelle della natura. Ma nessuno ci crederebbe. Ciò che non si conosce fa paura, e per scacciare la paura molto spesso si usa l’unica arma di cui si è a disposizione: la violenza.
Non so quanto tutto questo durerà.
Prego solo che nessun innocente paghi per qualcosa che non ha commesso.
Un tempo non era così. Aradia me lo racconta spesso. Prima di questa religione maschilista, con il suo messia e i suoi martiri; noi streghe eravamo rispettate e ammirate. Ci chiedevano consiglio, aiuto per le malattie, pozioni, o soltanto una preghiera per il raccolto.
La Dea benevola ci accordava tutti i favori perché noi veneravamo la natura e la gente ci era riconoscente.
Eretici!
Così ci definiscono adesso.
Chi ha stabilito che questo Dio cristiano sia l’unico a dover essere adorato? Chi ha detto che tutte le altre religioni o credenze sono sbagliate?
La Grande Madre esiste dai tempi della nascita dell’uomo; tuttavia non ha mai obbligato le persone a servila. Decidere in cosa credere o chi adorare era una scelta che aveva sempre lasciato fare alle persone. Lei non faceva altro che accogliere chi credeva nel suo culto.
Cosa ne sarà di noi?
Vivere qui diventa più pericoloso ogni giorno che passa. Dobbiamo stare sempre attenti a cosa diciamo o come ci comportiamo per non destare nessun sospetto.  Ma lasciare la città tutti insieme porterebbe i cacciatori alla conclusione di ritenerci colpevoli. Ci darebbero la caccia e qualsiasi altro luogo diventerebbe pericoloso.
Spero che la Congrega riesca a trovare una soluzione, per il bene di tutti”.
 
B. H.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Presentazioni ***


Clairy guardò ancora una volta fuori dalla finestra sospirando. Quelle sedute, sebbene non fisicamente, la affaticavano sempre. Ma forse avrebbero fatto quell’effetto a chiunque. Raccontare a un estraneo i propri pensieri più intimi la faceva sentire come se fosse completamente nuda. In effetti non capiva perché i suoi genitori la obbligassero con quella tortura. Ormai erano passati mesi da quando aveva iniziato a sottoporsi alla terapia con il dottor Channing; o meglio, Alex, così come lui l’aveva pregata di chiamarlo. Ma lei aveva sempre rifiutato qualsiasi tipo di rapporto al di fuori di quello professionale. Anche se, fin dal primo incontro, aveva intuito di non essergli indifferente. Come in quel momento; sebbene non potesse vederlo riusciva a percepire che la stava fissando con i suoi grandi occhioni da cerbiatto. Sapeva che non avrebbe mai provato ad avere un contatto diretto; perché sebbene avesse poco più che 24 anni, era comunque il suo psicologo e lei era ancora minorenne. Per di più lei era la figlia del sindaco della città e se solo lei fosse stata cattiva avrebbe anche potuto denunciarlo per molestie, rovinandolo per sempre. «Vorrei che non mi fissasse così dottore» sospirò continuando a fissare fuori. Dall’altro lato della stanza si udì un sussulto «Credevo che ormai ci fosse abituato» disse voltandosi nella sua direzione. Sapeva cosa avrebbe letto sul suo viso: sgomento, incredulità e forse anche un pizzico di paura. Avrebbe potuto evitare quel comportamento, ma in fondo era quello lo scopo delle sue sedute; capire perché fosse in grado di percepire cose che non avrebbe dovuto. Tuttavia si sentì in bisogno di rassicurarlo «mi scusi». «No, sono io a dovermi scusare. Siamo qui per capire e risolvere il problema» e sorrise impacciato «Parlami ancora dei sogni...» Clairy sospirò ancora una volta; chiuse gli occhi, come se farlo la aiutasse a concentrarsi e iniziò: «Non mi capita di sognare tutte le volte, o meglio... molto spesso non lo ricordo. Ma capita che in certi giorni i sogni siano molto vividi...». «Dimmi dell’ultimo» «Ah si... più che un sogno era un incubo. Ricordo il fumo che mi entrava nei polmoni, il puzzo nauseabondo della carne bruciata... ricordo le urla; non ho mai sentito nulla di così straziante. Ancora adesso ho i brividi al solo pensiero». E come a volerne dare prova il suo corpo fu scosso da un sussulto. «In realtà non ho visto nulla. Era tutto circondato dal fumo, non so nemmeno dove mi trovassi e non ho idea di chi fosse la donna che bruciava. In effetti non succede mai. Ho la consapevolezza di essere in quel posto; so che cosa sta succedendo, ma non ho mai visto un volto in nessuno dei miei sogni. Ho come la sensazione che quel particolare senso sia bloccato. Come se vedere fosse troppo rischioso...» Pensandoci bene non ci aveva mai fatto caso. Era strano che quel particolare le fosse sfuggito per così tanto tempo. «Perché credi sia così importante vedere? Cosa pensi succederebbe se ci riuscissi?» «Non lo so; ma ho come la sensazione che se lo facessi verrei a capo dell’intera storia». «Allora tutto quello che dobbiamo riuscire a fare é sbloccare la vista» e sorrise. «Più facile a dirsi che a farsi, ma ci proverò» ricambiò il sorriso. Dopotutto non era poi così male. Alzandosi lentamente iniziò a recuperare tutte le sue cose; la giacca, la tracolla, la sacca da ginnastica... «Il tempo è scaduto dottor Channing e io ho un impegno a cui assolutamente non posso far tardi». «Oh, certo si! So che ti stai occupando tu della preparazione del balletto per la festa delle mele che si terrà a breve» disse quasi balbettando. «Si, ho promesso a mio padre che quest’anno me ne sarei occupata io; le bambine ci tenevano e come lei saprà non posso tirarmi indietro dagli obblighi pubblici». «Mi hanno detto che sei la migliore, farai un buon lavoro». «Grazie» Si avviò verso la porta. «Ci vediamo settimana prossima Clairy» «Certo dottore, arrivederci». Alex Channing continuò a guardarla finché non scomparve dietro l’angolo del palazzo. E ancora una volta si diede dell’idiota. Si era invaghito di una sua paziente...grosso sbaglio; che per di più era minorenne...colossale sbaglio. Che come se non bastasse era figlia del primo cittadino. E qui si arrivava all’inverosimile. A sua discolpa poteva dire che quando l’aveva vista per la prima volta non aveva idea di chi fosse. Forse era lui che aveva bisogno di uno psicologo! Sdraiandosi sul lettino ripensò al periodo in cui si era trasferito... Si era appena laureato a Yale e aveva deciso di cambiare aria dopo la sua ultima rottura con Mary. Voleva una cittadina tranquilla che lo aiutasse a ritrovare se stesso. Salem sembrava fare proprio al caso suo. Difatti non aveva trovato nessun problema ad ambientarsi. La città era ben organizzata, pulita e in ottimo stato; le persone erano cordiali e sempre ben disposti a dare una mano. Aveva trovato un ufficio perfetto per uno psicologo alle prese con i suoi primi pazienti ed era anche poco distante dall’appartamentino che aveva preso in affitto; per cui faceva spesso il tragitto a piedi o in bici. Ed era stato proprio durante una delle sue tante passeggiate che i suoi occhi l’avevano scorta... Stava camminando verso il parco, immerso nei suoi pensieri, quando all’improvviso la sua attenzione era stata attirata dalle risa di qualcuno. E a quella vista si era bloccato; perché mai in tutta la sua vita i suoi occhi si erano posati su qualcosa di più bello. La ragazza in questione era alta, o almeno doveva esserlo perché superava le altre amiche di media statura; il corpo slanciato, le gambe nude, lunghissime erano fasciate soltanto da un paio di shorts quasi inesistenti che le calzavano come un guanto. Alex aveva quindi potuto notare la forma delle cosce, l’arco dei polpacci, fino alla curva delle caviglie. Con calcolata lentezza era arrivato al busto, anch’esso fasciato da un top alquanto striminzito. Il seno sodo era in evidenza, sebbene nulla in lei apparisse volgare. Infine si concesse di guardarla in viso. Era davvero assurdo. Tutta quella perfezione gli faceva quasi male alla vista. Un viso ovale, ben delineato seppur dai tratti delicati; labbra rosee e invitanti, cariche di sogni peccaminosi. Un naso sottile... ma nulla era paragonabile agli occhi! Anche a quella distanza gli era stato impossibile non notarli. Grandi occhi del blu elettrico più intenso, più brillante che avesse mai potuto vedere. Ne rimase così sbalordito tanto da pensare che occhi così non potevano essere umani... Poi il vento le aveva scompigliato la chioma mettendo in luce dei riflessi straordinari. Non erano di un semplice colore castano, no. Il sole mostrava tutte le loro bellissime gradazioni. Dal marrone più intenso, al castano ramato, al rossiccio, al giallo ocra. Erano i mille colori delle foglie d’autunno. Con piccoli gesti si era prontamente risistemata le ciocche di capelli mosse dal vento, e si era reso conto che anche i suoi movimenti erano aggraziati tanto quanto il suo aspetto. Ammaliato da quella creatura l’aveva guardata allontanarsi insieme al resto delle sue amiche e da quel momento ne era stato tormentato. Quegli occhi, quel viso... lo avevano perseguitato per settimane, insinuandosi perfino nei suoi sogni più intimi. La questione era alquanto allarmante, anche perché non era in grado di dare un nome alla ragazza che così prontamente lo tormentava. Di certo non avrebbe mai potuto immaginare che cosa sarebbe successo di lì a qualche giorno. Il sindaco in persona era andato da lui per dargli il benvenuto nella città. Tra una chiacchiera e l’altra aveva confessato di essere in pensiero per lo stato di salute della propria figlia. «La sento urlare spesso nel sonno» aveva detto il primo cittadino con aria afflitta. Così il dottor Channing si era prontamente offerto di aiutarla, fissandole un appuntamento e impegnandosi a darle una mano in tutti i modi che gli fossero stati possibili. La sua sorpresa non aveva avuto eguali quando aspettando la sua nuova paziente per la sua prima seduta aveva visto entrare nel suo studio la bellissima creatura incrociata per strada. Lei lo aveva salutato e la sua voce gli era parsa armoniosa e dolce come il miele. Ovviamente sapeva come si chiamava, Clairy Bennett. Aveva da poco compiuto 17 anni e frequentava il penultimo anno di liceo. La “Salem High School”. Era la studentessa migliore di tutta la scuola, eccelleva anche nelle associazioni e progetti di qualsiasi tipo si trattassero. Capo cheerleader e del comitato studentesco era anche un’ottima artista e musicista. Suonava il piano, la chitarra e il violino. Praticava diversi sport tra cui aerobica per l’appunto, nuoto e danza. Inoltre era una parte attiva all’interno della comunità, beh sarebbe stato strano non esserlo, essendo la figlia del sindaco... Ovviamente sapeva molte cose su quella ragazza, ma non le avrebbe mai associate al bellissimo angelo che lo tormentava nei suoi pensieri. Tuttavia anche lei aveva degli scheletri nell’armadio, cose a cui però non sapeva dare una spiegazione razionale e di cui lei stessa ne era all’oscuro. I sogni erano iniziati qualche tempo dopo il suo ultimo compleanno e anche tutto il resto. Le sensazioni, la percezione di cose illogiche... Si era imposto che doveva aiutarla. Ormai non era più una questione di lavoro, anzi forse non lo era mai stata; era una cosa personale! Quando Clairy tornò a casa quella sera si sentiva più stanca che mai. Le prove si erano protratte per più di un’ora e mezza, senza contare la miriade di genitori che la bloccavano per chiederle come procedessero i preparativi. Essere la figlia del primo cittadino era un lavoro estenuante, che le portava via la maggior parte delle energie. E poi doveva sempre apparire impeccabile, in ordine, ben vestita in qualsiasi occasione; sempre allegra o comunque di buon umore. «Tesoro» la chiamò sua madre «vieni giù Betty ha preparato un delizioso arrosto per stasera». «Arrivo» disse alzandosi dal letto e dirigendosi verso le scale. Poco più tardi l’intera famiglia era riunita in sala da pranzo in attesa che la cameriera servisse la cena. «Com’è andata oggi tesoro?» Sua madre la guardava con sguardo dolce e sincero. «Molto bene mamma. Il mio saggio di letteratura francese è stato il migliore. La prof. vorrebbe che scrivessi un pezzo sulla festa delle mele e su quello che rappresenta e farlo uscire sul giornale». «Mi sembra un’ottima idea cara». Rispose suo padre. «Per quanto riguarda la seduta?» «Oh, beh è andata bene. Io e il dottor Channing facciamo progressi». «Ci sono novità?» chiese curioso. «Non proprio, ma stiamo iniziando a capire qualcosa in più a ogni incontro». «Mmmh» mugugnò mentre tagliava l’enorme fetta di arrosto che Betty gli aveva appena servito. Sua madre chiese ancora delle prove con le bambine, mostrando la sua preoccupazione affinché il balletto fosse pronto in tempo. Dovette rassicurarla che sarebbe stato tutto perfetto. Sua madre ne parve compiaciuta e riprese a gustarsi la cena. Anche Clairy si concentrò sul cibo, assaporando ogni gustosissimo boccone che le si scioglieva in bocca come fosse burro. E le patate dolci avevano un profumo stupendo. Era felice di poter pensare per un po’ a cose frivole, come la bontà della cena, o di essere fortunata ad avere una domestica. Ma poi tutto si dissolse quando nella sua mente si insinuò un pensiero estraneo. O forse era più un ricordo. Si. LA MIA MAMMA CUCINAVA MEGLIO DI COSÌ! E come a volerne dare prova insieme alla voce, fu pervasa dal ricordo di un delizioso profumo di cibi vari, che le offuscò i sensi. Che cosa le era appena passato per la testa? La sua mamma? La mamma di chi? Chi altro c’era lì dentro con lei? Adesso non si trattava più solo dei sogni; no in quel momento era sveglia, e una voce estremamente familiare le aveva appena comunicato un pensiero all’interno della sua stessa testa. «Tesoro stai bene?» La voce di sua madre la riscosse da quei pensieri assurdi. «Si sto bene, sono solo molto stanca. Posso portare il dolce in camera? Così lo mangio mentre finisco i compiti». «Certo cara, te lo faccio portare su da Betty insieme a un bicchiere di latte caldo. Ti aiuterà a dormire». «Grazie. Allora buona notte mamma, notte papà» disse alzandosi da tavola. «Notte piccola» risposero in coro. Salì le scale svogliatamente come se in qualche modo potesse evitare di dormire. Perché doveva succedere proprio a lei? Aveva una vita perfetta e avrebbe voluto godersela al massimo. Purtroppo però non era così. FORSE LA TUA VITA È TROPPO PERFETTA Di nuovo quella dannata vocina. Però non poté fare a meno di pensare che forse aveva ragione... Niente è perfetto, e se lo é non dura. Stava di nuovo sognando, ne era consapevole. Tuttavia non poté fare altro che aspettare che tutto finisse. Questa volta la sensazione era di correre a perdifiato. Non vedeva ancora nulla, ma riusciva a percepire il bisogno disperato di scappare da chiunque stesse inseguendo la donna. Quando si svegliò era madida di sudore, i capelli le si erano incollati al viso accaldato. Si perché anche se non aveva mai visto il suo volto, ormai sapeva che i suoi sogni o incubi riguardavano sempre la stessa persona. Le situazioni cambiavano, erano diverse, ma lei no. Poteva bruciare, affogare, essere torturata o violentata, o correre come in quel preciso istante; ma la protagonista era sempre la medesima persona. Per cui era arrivata alla conclusione che tutto ciò che le trasmetteva in sogno le fosse accaduto veramente, ed era in quei momenti che si sentiva triste e afflitta per quella donna per cui, sebbene non la conoscesse, provasse dolore e dispiacere. Ma chi poteva essere? E soprattutto perché subiva tutte quelle malvagità? Beh forse la domanda più importante era perché aveva scelto proprio lei? Avrebbe dovuto scoprire l’identità della donna. In fondo lei aveva accesso agli archivi e se davvero aveva vissuto tutti quegli avvenimenti gli annali ne avrebbero dovuto dare una prova. Il giorno dopo Clairy non aspettava altro che la fine delle lezioni per poter iniziare la sua ricerca personale. «Ehi bellissima» La voce di Marcus la riscosse dai suoi pensieri. «Ciao» gli sorrise. «Come sta la mia ragazza?» le chiese avvolgendole la vita con un braccio e schioccandole un sonoro bacio sulle labbra. «Sto bene. Ma tu smettila di dare spettacolo». Rispose truce. «Tesoro ma dobbiamo farlo! Siamo la coppia più invidiata del liceo, dobbiamo pur vantarcene». In effetti aveva ragione. Non c’era ragazza o ragazzo che non li invidiasse. Erano entrambi belli, popolari, intelligenti, con borse di studio per college facoltosi, di buona famiglia ed insieme formavano la coppia perfetta. Guardando loro la gente spesso si chiedeva perché Dio avesse dato tutto a due singole persone, abbandonando gli altri. «Scappo agli allenamenti. Tutto ok per il falò al lago vero?» la baciò ancora prima di scappare verso il campo di football. Aveva proprio dimenticato il falò del week end. In effetti doveva ancora chiedere il permesso ai suoi genitori. Ma era certa che l’avrebbero accontentata; in fondo era una ragazza responsabile. Le prime ore passarono tranquille; aveva consegnato il saggio su Jane Austen e fatto il test di matematica. Tutto sotto controllo. Tuttavia si sentiva un po’ fuori di testa. Forse era tutta la faccenda dell’organizzazione della festa delle mele. Le ci sarebbe voluta proprio una vacanza... un po’ di tregua. Ma come al solito le era impossibile. Proprio durante il cambio della terza ora Amber Mattews la fermò per il corridoio. «Oh eccoti Clairy ti stavo cercando ovunque!» «Ciao, che succede?» «Beh oggi sono arrivati dei nuovi ragazzi e io devo portarli un po’ in giro per la scuola; solo che ho dimenticato di fare un programma perché ho dovuto studiare tutto il week-end per il test di fisica e adesso non so cosa fare!» Accidenti era proprio nel pallone. Come si sarebbe comportata se avesse dovuto affrontare tutto quello che stava passando lei?! Comunque non le fece notare il suo disappunto e cercò di darle una mano nel miglior modo possibile. «Beh sono tutti ragazzi?» «Due fratelli e una sorella» rispose. «Ok, come prima cosa puoi fargli visitare il campo di football; ci sono gli allenamenti e credo che a lei non dispiacerà iniziare a dare un’occhiata ai ragazzi» «Ottima idea» «Poi puoi fargli visitare la palestra, la piscina, il teatro e l’aula di musica» «Bene...si» «E infine...si direi che se è un tipo a cui piacciono i vestiti...e a qualsiasi ragazza piacciono... puoi farle visitare il laboratorio di moda» «Clairy sei grande! Mi hai salvato la vita grazie!» e la strinse in un abbraccio talmente forte da stritolarla, prima di correre via. Non avrebbe mai capito certe persone. Alcuni odiavano Amber. La definivano cattiva, egocentrica. Ma con lei non si era mai comportata così. Era sempre stata gentile e affettuosa; sempre disponibile. Chissà... Il resto della mattinata passò noioso fino all’ora di pranzo quando si diresse verso la mensa. In effetti non aveva voglia di sedersi insieme al resto del suo gruppo, sentiva il bisogno di starsene da sola all’aria aperta. Ma dovette rinunciarci quando Marcus la salutò da lontano con la mano. Aveva a stento notato le tre nuove figure sedute accanto a lui, forse perché le davano le spalle, ma poi quello in mezzo si girò fissandola dritta negli occhi e in quel momento successe qualcosa a cui non avrebbe saputo dare un nome per un bel po’ di tempo. I loro sguardi si incatenarono; blu e verde si fusero in totale armonia...

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 24 ore prima... ***


Eccoli la...ormai c’erano quasi. Il cartello autostradale diceva che mancavano giusto 8 miglia prima di prendere l’uscita per Salem. Guardò ancora una volta fuori dal finestrino lo scorrere veloce degli alberi. Il clima e la vegetazione di quella zona erano del tutto diversi da quello dell’Arizona. Beh ovvio lì era molto più caldo. In quel posto invece era tutto fin troppo rigoglioso. Però allo stesso tempo iniziava a piacergli sempre di più. In un certo senso si sentiva come se stesse ritornando a casa. Assurdo! Perché lui da quelle parti non c’era mai proprio stato. Aveva come un senso di déjà vu. Ma forse era tutto dovuto allo stress del trasloco, del dover lasciare la scuola, la città, gli amici... anzi un solo amico. A essere sincero sperava che quel trasferimento migliorasse un po’ la sua situazione. Spostò lo sguardo avanti, osservando i suoi due fratelli. Richard, o Rick, come preferiva essere chiamato ovviamente stava al posto di guida, mentre Isabel in arte “Isa” occupava il sedile del passeggero. A lui non dispiaceva starsene dietro; non era mai stato invidioso del rapporto che avevano quei due e di certo non gli era mai importato del fatto che lo trattassero con sufficienza, come se fosse un estraneo e non un membro della famiglia. Non aveva bisogno di quei due, sapeva cavarsela benissimo da solo, e poi i suoi genitori davano a tutti e tre la stessa importanza ed era questo a contare davvero. Paul e Mary Allen erano i genitori che tutti avrebbero voluto avere. Gentili, altruisti, sempre pronti a dare una mano, compassionevoli e generosi. Avevano un’infinità di qualità, e nonostante fossero benestanti non avevano alcun tipo di superbia; non si davano arie e soprattutto non discriminavano la gente. Anzi facevano di tutto per far sentire chiunque a proprio agio. Lo stesso non si poteva dire dei due gemelli. Erano tutto il contrario dei genitori, al punto che Caleb aveva avuto la folle idea che fossero stati adottati. Ma le somiglianze fisiche erano fin troppo evidenti. Rick non era esageratamente alto; era in perfette proporzioni per non sfigurare con una ragazza di media statura. Aveva dei capelli biondo scuro che si ostinava a pettinare sempre allo stesso modo, e dei normalissimi occhi castani. Isabel era un po’ più bassa del fratello, aveva lunghi capelli castano chiaro che portava meticolosamente lisci, occhi anch’essi castani. Era magra, fin troppo a suo avviso. In effetti era quasi priva di forme, se non che per quell’accenno di seno che si intravedeva da sotto i vestiti e che lei cercava disperatamente di mettere in risalto con scollature a dir poco volgari. Ma come spesso lei stessa gli faceva notare lui non capiva un tubo di ragazze e soprattutto non sapeva riconoscere quelle belle. Finalmente dopo ancora un’ora intera di viaggio erano arrivati in città e Caleb poté godersi quella vista meravigliosa. Salem si stava dimostrando davvero una rivelazione. Forse tutto sarebbe andato per il verso giusto da quel momento in poi. ANDRÀ BENE! Aveva per caso pensato ad alta voce? Mah no... Però quel pensiero era stato così prepotente che gli era sembrato come se qualcuno glielo avesse urlato nelle orecchie. Stava diventando paranoico, non c’era altra soluzione. I suoi genitori li accolsero con un sorriso. “Siete arrivati! Come sono contenta!” esclamò sua madre correndo ad abbracciare ognuno di loro. “Vi piacerà qui, è un posto meraviglioso. Abbiamo già conosciuto un mucchio di persone simpatiche, vi abbiamo iscritto a scuola e devo ammettere che è proprio fantastica! Non è vero tesoro?” chiese al marito. “Spettacolare” sorrise lui di rimando. “Vi troverete bene, ve lo assicuro”. Dopo altre chiacchiere sulla cittadina si diressero verso l’interno per disfare i bagagli. Caleb fu subito sorpreso dall’immensità e dalla bellezza della villa in stile coloniale. Era ampia e ariosa e piena di mobili antichi. I pavimenti erano tutti in legno pregiato, così come la ringhiera della grande scala che conduceva al piano superiore dove c’erano le camere da letto. Molto meglio della vecchia suite dell’albergo in Arizona. “Sul retro c’è il giardino con un gazebo, barbecue e la piscina; anche se mi hanno detto che qui vicino c’è un lago e poi l’oceano è proprio a pochi passi” osservò suo padre. “Forte” rispose Caleb sorridendo. “Niente di che... allora dove sono i miei vestiti? Devo scegliere cosa metterò domani”. Isabel era la solita stronza e anche se Rick non aveva aperto bocca sapeva che anche lui come la sorella era uno stronzo coi fiocchi! Il mattino dopo Caleb si alzò di buon umore e carico di ottimismo. Era ansioso di andare a scuola e conoscere qualcuno di diverso dai suoi fratelli. Ma rimase un po’ deluso quando vide chi venne ad accoglierli. “Ciao! Voi dovete essere i nuovi arrivati; io sono Amber e per oggi sarò la vostra guida all’interno dell’istituto.” Si presentarono tutti e prima di iniziare il giro la ragazza non poté trattenersi dal mostrare il suo apprezzamento per l’abbigliamento della sorella. Fu la prova che quelle due erano davvero identiche. “Venite vi porto a visitare il campo di football...e Isa? Sei fortunata! Stamattina la squadra al completo si sta allenando per la prossima partita quindi potrai vedere un bel po’ di bei ragazzacci in campo...” “Meraviglioso” rispose lei di rimando, davvero interessata. Caleb ruotò gli occhi ma non disse nulla. Non voleva dare spettacolo di fronte a un’estranea. Sebbene il suo intervento del tutto inappropriato, apprezzò il fatto di portarli al campo. Come aveva detto Amber la squadra si stava allenando e Isabel non aveva perso tempo a selezionare qualche possibile preda. “Chi è quello?” chiese indicandone uno... “Il numero 9” “Oh bene, hai buon gusto. Quello è Marcus Laurens; è il capitano della squadra, ha una borsa di studio di football per Harvard, ma non sa ancora se accetterà”. “Stai scherzando? Perché non dovrebbe?” “Perché... mia cara non è il solito campagnolo senza cervello che sa solo fare sport. Si dà il caso che sia uno dei migliori allievi della “Salem High School”; quindi ha tante altre infinite possibilità tra cui scegliere e credimi se ti dico che i migliori College farebbero carte false per averlo!” “Beh non lo metto in dubbio...” sussurrò Isabel leccandosi le labbra. Amber fece un risolino. “So cosa stai pensando, ma credimi se ti dico che non potrai mai averlo”. Lei divenne viola “Cosa te lo fa pensare? Io sarei perfetta per lui!”. “Forse nella tua vecchia città, ma qui non saresti meno che niente per lui. Non arrabbiarti, lo capirai quando conoscerai la sua ragazza”. “Non ho paura di nessuno e cosa più importante non sono mai stata seconda a nessuno!”. “Mi dispiace dirtelo cara, ma qui la prima è e resterà sempre Clairy. Nessuno è in grado di competere con lei e a dirla tutta nessuno ha mai voluto farlo. Non è solo bellissima, è dolce, gentile, una persona fantastica. L’intera città la adora”. Caleb si chiese se quello che Amber stava dicendo fosse vero. Eppure c’era una tale sincerità nelle sue parole! “Comunque vi presento il quarterback...” Proprio in quel momento la persona in questione si avvicinò a loro togliendosi il casco e mostrandosi in tutta la sua gloria. Aveva il tipo di bellezza di cui Isabel andava matta; ovvero modello di intimo sexy sbattuto in copertina e su tutti i manifesti pubblicitari a grandi dimensioni. “Ehi Amber...chi sono i tuoi amici?” chiese sorridendo. “Loro sono Rick, Bell e Caleb McCarty” li presentò “Lui é Marcus Laurens. Sono arrivati da poco in città e dal momento che la tua dolce metà era molto impegnata con il giornale io ho avuto l’incarico di fargli da guida per l’intera giornata”. Quindi quel compito le era stato assegnato come seconda scelta... interessante. “Spero che vi troverete bene qui. Se uno di voi due gioca a football facciamo dei provini la settimana prossima”. “Rick non gioca; in effetti lui non fa nulla che possa portarlo a sudare o sporcarsi, però a me interessa”. Rispose Caleb con un mezzo sorriso sbieco. “Perfetto! Allora ti aspetto. Adesso devo andare, ma possiamo pranzare insieme, così conoscerete la mia Clairy. Amber vi farà vedere dove ci sediamo di solito. A dopo ragazzi” e corse via così velocemente di come era arrivato. “Allora continuiamo il giro?” Tre ore più tardi finalmente Amber li accompagnò in quella che Caleb sperava fosse la mensa. Non aveva mai camminato tanto in vita sua, né ascoltato parlare per ore ininterrottamente la stessa persona. Aveva proprio bisogno di una pausa. “Ecco questo è il nostro tavolo. Non importa a che ora arrivate, lo troverete sempre libero, perché tutti sanno che è nostro. Adesso non avrete più il problema di trovare dei posti liberi” e sorrise. Se per lei era normale... Si erano appena seduti quando arrivò Marcus che li salutò. Non sembrava male in fondo. Forse era il primo quarterback che gli andava a genio. Isabel, dal canto suo, cercava di mettere in atto quelle che secondo lei erano armi di seduzioni; ovvero abbassare ancora di più quella già volgarissima scollatura sperando che lui la notasse. Ma non successe nulla; anzi Marcus si buttò in una conversazione sullo sport facendo domande a cui Caleb fu ben lieto di rispondere. Possibile che per la prima volta in tutta la sua vita lui fosse diventato quello simpatico, popolare e accettato? Sembrava che tutto fosse concesso in quella cittadina. Poi notò Marcus alzare il braccio e fare cenno a qualcuno di avvicinarsi. “Eccola che arriva. Ti piacerà, vedrai”. Caleb aveva già capito di chi si trattasse ancora prima di girarsi a guardarla. E fu in quel preciso istante che tutto successe... È LEI!!!!!! È QUI!! L’ABBIAMO TROVATA!!! Un dolore lancinante lo colpì alle tempie, seguito da delle fitte assurde. Cos’era quella voce che aveva appena sentito nella sua testa? Non riusciva a concentrarsi, la sua mente era offuscata. Non era lucido abbastanza. La creatura che aveva di fronte doveva per forza essere una Dea scesa sulla terra; perché non c’era nessun essere umano di tale bellezza in tutto il mondo, ne era certo. Quegli occhi! Li conosceva. Non capiva come, dove o quando li avesse visti, ma li conosceva. Quegli occhi da fattucchiera, così strani ma allo stesso tempo così paurosamente belli e ipnotici. Quegli stessi occhi che adesso lo fissavano con incredulità, quasi come se anche lei avesse provato le stesse identiche sensazioni. Sentiva Marcus che li presentava, e vedeva se stesso fare un cenno con la testa verso di lei, mentre lo ricambiava; ma il suono era ovattato, come se fosse lontano chilometri. I loro sguardi si fusero... e Caleb ebbe la sensazione che anche i loro cuori presto avrebbero seguito quello stesso destino...

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3755380