Apnea di BerriesTart_LilacSweet (/viewuser.php?uid=844070)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Heat ray ***
Capitolo 2: *** Focus on the pain... The only thing that's real. ***
Capitolo 3: *** Life in technicolor ***
Capitolo 4: *** (I) Bloom - The fountains and the waters are begging just to know ya. ***
Capitolo 1 *** Heat ray ***
Heat ray
Calore.
Questo è quello che sente Victor poco prima di svegliarsi
del tutto.
Luce.
Morbidezza.
Un delicato profumo agrumato.
Se
solo potesse svegliarsi così tutte le mattine... Invece di
sentire ogni mattina i clacson suonare dalla strada di fronte a casa
sua.
Che per altro puzza di chiuso.
Dovrà decidersi e dare una sistemata in quella casa dove
regna il caos...
Che
non c’è questa mattina.
Un momento... Non c’è!
Questo
è abbastanza per costringere Victor ad abbandonare quel
senso di calma e beatitudine che l’ha cullato per tutta la
notte.
Nella
stanza dell’hotel in cui si è svegliato regna la
calma, è bella, ordinata, essenziale.
Dall’arredamento moderno, come piace a lui. Con quel
lampadario così
particolare,
che si stacca da terra e che aveva catturato la sua attenzione mentre
scorreva le foto delle varie stanze al momento della prenotazione e che
ora aveva i suoi slip neri appesi...
I
suoi slip.
I
suoi slip lì.
Il
letto... Sfatto.
Particolari che gli ricordano, assieme al suo essere nudo e a quel
profumo agrumato causa di vari deja-vu, che ha trascorso una
piacevolissima nottata dopo quella festa di fine anno scolastico della
sua Università a Detroit.
Peccato
che il bellissimo ragazzo con cui si è intrattenuto non
è accanto a lui.
In
realtà dovrebbe essersene andato da molto tempo, visto che
l’altra metà del letto matrimoniale è
fredda. Un po’ come Victor ora a non avere più
quel ragazzo vicino, come invece lo era ieri sera.
Lui
era bellissimo. Non di quella bellezza perfetta, irraggiungibile,
noiosa, ma di una bellezza rara e particolare. Con quei capelli neri,
un po’ ribelli, lisci, folti, che a tirarli era un piacere...
E
gli occhi. Gli occhi poi... Scuri, grandi, vivaci, di un marrone scuro
che a tratti ricordava il mogano.
Li
avrebbe potuti guardare in eterno quegli occhi, senza mai stancarsi.
Mica come i suoi, di quell’azzurro così noioso che
portava tutti i suoi spasimanti a fargli i complimenti. È la
prima cosa che la gente gli fa notare per attaccare
bottone:”Victor, ma che occhi che hai!”,
“sono così blu e particolari”,
“oddio, speriamo ci sia un bagnino nei dintorni,
perché ehi, potrei annegare nel mare dei tuoi occhi
blu!”.
N-o-i-a.
P-r-e-v-e-d-i-b-i-l-i.
Invece
quegli occhi marroni lo avevano guardato con
un’intensità tale durante quella festa, che Victor
si era quasi sentito costretto ad andare incontro al loro possessore,
come se lui fosse Ulisse e quel ragazzo una meravigliosa Sirena.
Oh
se gli sarebbe piaciuto morire in quel modo!
Fra
le braccia del suo, a giudicare da quei meravigliosi occhi a mandorla,
sirenetto giapponese, forse?
Sicuramente
era orientale.
Ballavano
come se fosse l’ultima festa a cui avrebbero partecipato
nella loro vita.
E
Victor si era lasciato trasportare dal suo sirenetto, dalle sue mani
che sapevano come accarezzarlo, dal suo modo di muoversi,
meravigliosamente avrebbe aggiunto e dal modo in cui lo faceva sentire.
Leggero.
Libero.
Spensierato.
Felice.
Vivo.
“Che ne
dici...”
La meravigliosa creatura dal profumo delicato e agrumato
(ecco dove lo aveva sentito!) aveva una voce così melodiosa,
anche se leggermente impastata dall’alcool, che Victor non
riusciva nemmeno a concentrarsi in maniera decente...
“Come
scusa?”
Bene
Victor. Bella figura di merda che hai fatto, infatti la bellissima
creatura davanti a te ha arricciato leggermente il naso e ti ha
guardato torvo.
“Dicevo... Che
ne dici di continuare in una delle stanze
dell’albergo?”
Il
cuore di Victor perde un battito.
E
poi prende ad accelerare violentemente. Dall’eccitazione,
dalla sorpresa, per le sensazioni sconosciute provate...
“...Ciucchi..
Cioè...”
“Che?”
Ah-ha.
Altra figura di merda!
“Siamo un po’ brilli... Credi sia il caso?
Cioè...”
Che
poi a rispondere così, un bello schiaffo se lo sarebbe
tirato volentieri Victor. Si può tornare indietro nel tempo
e dire semplicemente sì, per favore?
“Lo
devo prendere per un no?”
E
il ragazzo dagli occhi profondi lo guarda con sfida.
Che
Victor deve accettare.
Non
si può tornare indietro nel tempo, questo lui lo sa molto
bene, ma a volte il tempo stesso regala occasioni per rimediare.
“No!
Cioè sì! Sì, continuiamo in una
stanza! Io ho prenotato una stanza qua!”
Victor non sa bene cosa abbia risposto quella splendida creatura alla
sua affermazione, visto che ha parlato in una lingua diversa, ma a
giudicare dal modo in cui lo sta trascinando per il polsino della
camicia su per le scale, dovrebbe, ad occhio e croce, essersi trattato
di un “va bene” o un “perfetto”.
E
lo era.
“Portami
nella tua stanza”.
Bastano
pochi passi e si ritrovano davanti alla stanza 405. Una volta entrati e
chiusa a chiave la porta, bastano altrettanti pochi passi e si
ritrovano a baciarsi. Appassionatamente, lingue che si intrecciano,
sapore di alcool che mai è stato così dolce per
Victor...
Mani
che si cercano, mani che tolgono quegli strati di stoffa inutili di
dosso. Che spingono Victor sul letto. Corpi che si vogliono e si
uniscono. Lui ci sa veramente fare e in più ha un culo
pazzesco.
E
Victor pensa che non c’è stata volta
più bella di quella.
Che
non si sentiva così vivo da tempo a far l’amore
con qualcuno.
E
lui è così bello anche dopo l’orgasmo,
mentre dorme con quei capelli sfatti, quel rossore che ancora gli
illumina le guance, è così bello che Victor non
può fare a meno di accoccolarglisi accanto e respirare quel
profumo agrumato che ha scoperto quella sera di adorare fino alla
pazzia.
E che ora è quasi scomparso.
Gli
rimangono solo segni violacei sul collo, sul petto e sulle cosce.
Questo
basta a riportare Victor all’amara realtà, insieme
a quell’incessante e irritante bussare alla porta...Che lo
porta a far rispondere con un secco:
“Chi
è?”
“Ammazza
Vitya, che acidità di prima mattina! Chris,
comunque!”
Allora
Victor si alza con riluttanza da quel letto meraviglioso e va ad aprire
la porta a quello che è il suo migliore amico.
Che
lo fissa con uno sguardo malizioso.
Troppo.
Lo
infastidisce.
Ah.
È
nudo.
E
quindi un ottimo soggetto per i doppi sensi di Christophe.
“Vitya!
Mon Cher! Che accoglienza!!! Deduco che tu ti sia divertito questa
notte con quel bel culetto orientale!”
“...”
“Cheri,
non fare quella faccia da cane bastonato! Hai fatto cilecca? E per
questo che sei...”
"NO!
A dire la verità non... Insomma è stato lui
che...Era sopra di me...”
“Mon
Dieu, Vi! È stato lui a scoparti!!! Deve essere speciale
per...”
“Basta
Chris! Se ne è andato... Mi ha lasciato così
senza nemmeno un numero, non so nemmeno il nome... Niente”.
“Perdonami,
cheri, ma con le botte e via sai, funziona così. Si seduce e
si abbandona!”
No.
Victor non lo accetta!
Doveva,
ma non è stata una botta e via, non per lui almeno.
“Chris...
Io ho provato sensazioni strane... Mi sono sentito... Felice! Vivo!
Insomma, hai presente quando vedi una persona e il tempo si ferma e
tutto va al rallentatore e tu non fai altro che vedere solamente lei e
il cuore ti batte all’impazzata...”
“Vitya...”
“Chris,
io devo ritrovarlo! Non so come, non so di preciso dove, so solo che fa
parte della nostra stessa università...”
“Vitya,
svegliati! La nostra università ha tantissime
facoltà! Non è detto che frequenti Medicina! Come
pensi di ritrovarlo qui a Detroit? Vuoi che ti scambino per una specie
di stalker?”
“Se
fosse necessario sì!”
Chris
non può fare altro che sospirare davanti a un Victor dagli
occhi particolarmente luminosi e vivaci, a un Victor dal sorriso a
cuore che non vedeva da tanto tempo ormai...
Ma
si rende conto che questo non può che fargli abbozzare un
sorriso.
“Vederti
così però, cheri, mi rallegra il cuore.
Meriteresti di sentirti così ogni giorno della tua vita. Lo
sai perché.”
Dopo
quelle parole non può che scendere una lacrima dagli occhi
azzurri e tristi di Victor.
Poche
parole, ma giuste.
Al
momento giusto. Un abbraccio fra due amici che riporta un po’
di calore in quella stanza ormai fredda.
Angolo dell’
“autrice”.
Beh
girlz and boyz... Sono tornata con una storia un po’ strana.
Innanzitutto
è una storia a capitoli, cosa strana e nuova per me, visto
che sono abituata a pubblicare sole one shot...
Non
credo che saranno molti capitoli!
D’altronde
è la prima volta che scrivo davvero e devo un po’
imparare! Perciò accetto ogni correzione e consiglio, quindi
largo anche a “critike pls”, ma fatte con amore!
Questa storia ha una presunzione abbastanza grossa: in Victor e Yuuri
ci saranno molti pezzi di me e per me scriverne sarà una
sorta di esperienza mistica/purificatrice.
Mano
a mano sceglierò a chi dare questi pezzi:
dall’università scelta alle esperienze di vita.
Questo
per chiudere definitivamente un capitolo della mia vita che si
è protratto per troppo tempo, ma che allo stesso tempo non
voglio dimenticare.
Il
titolo di questo capitolo è volutamente scritto in inglese,
non so se anche i prossimi lo saranno, probabilmente sì,
perché preferisco adottare un regime di
continuità, ma in inglese “buttava”
decisamente meglio.
Ed
è dedicato al mio compagno, alla sua passione per i tcg.
Infatti prende il nome dalla carta “Magic stone of Heat
Ray”.
Niente,
ci tenevo a dirlo.
Grazie
a voi tutti.
|
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Capitolo 2 *** Focus on the pain... The only thing that's real. ***
Focus on the pain...
...The only thing that’s real.
È
un bel sabato mattina in centro a Detroit.
Di quelli che
Yuuri passerebbe scattando foto a monumenti e vicoli particolari, o
semplicemente passerebbe passeggiando nella natura.
Invece la mattina
dopo la festa di fine anno scolastico universitario, si è
trovato all’incirca 30 chiamate e 50 messaggi, tutti dallo
stesso mittente.
Phichit. Il suo
migliore amico nonché coinquilino.
Buongiorno
Phichit, scusa se ti scrivo solo ora, ma dopo aver lasciato
l’hotel sono passato nel nostro appartamento, ho fatto una
doccia e sono uscito... Stavi dormendo, non ti ho voluto svegliare...
Yuuri preme invio
e manda il messaggio.
Può
tirare un sospiro di sollievo.
Forse, visto che
il cellulare prende a squillare insistentemente.
Phichit.
"Non
è una scusa Yuuri. Voglio i dettagli!”
“Buongiorno
anche a te Phichit! Quali dettagli?”
“Andiamo
Yuu! Ti abbiamo visto tutti rimorchiare nient’altro che
Victor Nikiforov, lo studente di medicina più sexy di
Detroit!”
“Chitty...
Sì è vero, qualcosa è successo con
Nikiforov, abbiamo ballato e...”
“Scopato,
visto che ti sei appartato con lui e nemmeno sei tornato a casa! E non
chiamarmi Chitty! Non provare a infastidirmi così! Non
cambierò argomento. Voglio i dettagli. Ci vediamo fra 50
minuti al Twelve Oaks. Ciao!”
Bene.
Ha chiuso. Ciao anche a te, Phichit.
Il
Twelve Oaks è un bel centro commerciale situato a Detroit in
centro, enorme a dire il vero. Certo, Yuuri deve prendere uno dei mille
bus affollati per arrivarci, ma vale sempre la pena di vedere quel
meraviglioso palazzo con un bel porticato in vetro pieno di luci, anche
se la gente si concentra di più sui mille bar e i mille
negozi all’interno.
Tipico.
Non
si riesce mai a vedere oltre.
Un
sospiro.
Se Yuuri potesse
utilizzare il mantello dell’invisibilità e fuggire
lo farebbe e di corsa.
Non ha molta
voglia di parlare di quello che è successo; è
stata una scopata, tutto qua. Niente di più, niente di meno,
una scopata come tante, una di quelle che evidentemente possono
accadere quando sei un po’ brillo.
Perché
Yuuri era brillo, non ubriaco e ricordava benissimo ogni momento di
quella serata e che si fosse sentito felice era un dettaglio
insignificante.
Yuuri infatti
reputa colpevoli delle sue,non tanto benaccette, esuberanza,
sfacciataggine e felicità i troppi calici di champagne
bevuti; d’altronde che colpa ne ha lui se da alticcio diventa
come il padre e inizia a parlare a vanvera e a saltare sui tavoli e
ballare?
O appunto ballare
e rimorchiare.
È
l’alcool il problema, mica lui!
Lui vorrebbe
solamente poter bere senza diventare molesto.
Sì, se
potesse far aprire una voragine nella terra sotto a lui, ci
sprofonderebbe con estremo piacere.
Ma allo stesso
tempo deve ammettere che prima che l’alcool lo rendesse
disinibito, un po’ aveva notato il tipo argentato:
sì era sexy, aveva quel non so che di particolare a
guardarlo e c’era una tristezza nei suoi occhi che sembrava
accomunarlo a lui...
Ma lui mica si
era sentito attratto!
Non avrebbe
dovuto e potuto!
È
stato l’alcool a portarlo a fare le capriole con lui nel
letto dell’albergo!
Se
non avessi bevuto sarei rimasto sicuramente con Phichit!
Così
Yuuri si spinge a non pensarci e mentre aspetta osserva Detroit:
è proprio bella coi suoi mille grattacieli, qualche albero
che tappezza le varie vie, le sue mille strutture architettoniche
particolari, ma allo stesso tempo ordinate, regolari, fatte di cerchi,
semicerchi e chi più ne ha più ne metta.
Forse
è un po’ caotica e chiassosa rispetto ad Hasetsu,
sua città natale in Giappone, ma sicuramente viva, piena di
gente e in grado di aprire la mente.
Ora che ci pensa
però, l’oceano di Hasetsu un po’ gli
manca.
E anche la sua
famiglia, i suoi affetti.
Questo
sì, questo gli manca e Yuuri pensa che, per quanto Detroit
sia bella, forse sarebbe stato meglio se all’età
di 14 anni non ci si fosse mai trasferito.
Il flusso di
pensieri contrastanti viene interrotto dalla squillante voce di
Phichit.
“Yuuriiii!!!!
Parliamo. Ora. Dettagli.”
“Buongiorno
anche a te. Che ne dici di mangiare qualcosa? Magari parlare seduti ad
un tavolo, eh?”
“Quanti
convenevoli! Va bene!”
————–——————–——————–——————–——————–——————–——
Il
cornetto è veramente buonissimo.
Fragrante
e strabordante di quella deliziosa crema gialla che...
Sarebbe
ancor più buona se Phichit non condisse il tutto con i suoi
inutili sproloqui.
Un sospiro non
può altro che levarsi dalla bocca di Yuuri.
“Non
sospirare. Non provarci. Non ti lascerò in pace
finché non mi racconterai tutto!”
“Va
bene! Sí ci ho scopato! È successo! Non farne un
caso nazionale!”
“Abbiamo
visto tutti la chimica che c’era fra voi! Io vi shippo
già! Potrei coniare un nome per voi... Come Shamy per
Sheldon e Amy! Ci devo pensare su... E comunque dovresti darti una
possibilità, provarci...”
Una possibilità.
Cosa dia fastidio
a Yuuri di quelle parole non lo sa.
Troppe ferite
inferte in passato e che ancora sanguinano.
Se le ha
è perché le ha meritate.
E onestamente non
vuole sentire altro dolore.
Quale
possibilità dovrebbe darsi?
Al massimo
potrebbe concedersi una relazione puramente sessuale senza
possibilità di sofferenza, che per altro è
un’alternativa più che valida.
E poi di cosa sta
parlando Phichit?
Non è
mica detto che Nikiforov lo abbia notato in quel senso!
Anzi, potrebbe
appunto essere stata una scopata anche per lui!
Non si sta
parlando di amore!
Forse
attrazione.
No.
No.
No, a Yuuri non
importa cosa abbia pensato o pensi questo Victor Nikiforov!
Yuuri sente
solamente quella sensazione di pesantezza al petto.
Una cara e
vecchia amica, una di quelle amicizie che in realtà non ti
piacciono molto, ma quando sei solo ti tengono compagnia, anche se non
vorresti. Ma non ce l’ha mai fatta Yuuri a tagliare qualsiasi
ponte con lei.
Il
respiro che accelera.
Per
poi diventare irregolare.
Ansia,
paura...
“È
russo. Ha gli occhi azzurri. I russi con gli occhi azzurri sono
malefici. In più si chiama Victor. Conversazione
chiusa.”
Phichit si
innervosisce e lo osserva attentamente.
“Yuuri,
per favore... Quello che è successo nel passato non
deve...”
A Phichit basta
vedere gli occhi di Yuuri, basta vedere la rabbia, la tristezza che li
oscura per smettere di parlare.
Per
decidere di gettare le armi a terra.
Gli
vuole troppo bene per vederlo sanguinare così, anche se in
cuor suo Phichit sa bene che le paure vanno affrontate e le ferite
medicate, prima che si infettino.
E
che ti infettino.
Prima
che sia troppo tardi.
Ma
Phichit sbaglia.
“Ti
voglio bene Yuuri. Solo questo.”
Un
sorriso grato sul volto di Yuuri.
“Ti
voglio bene anche io”.
“Bene,
che ne diresti di tornare a casa? Abbiamo un esame da preparare!
Maledetto il giorno in cui ci siamo iscritti a veterinaria!”
Angolo
dell’ “autrice”
Questi primi due capitoli sono stati un po’
un’infarinatura.
Ho preferito mostrare le emozioni diverse che entrambi i personaggi
provano.
Da una parte c’è Victor che si è
sentito vivo e che inizia a pensare di meritare di sentircisi;
dall’altra abbiamo un giappino su una montagna russa
emozionale, dove sta viaggiando in preda a emozioni incredibilmente
contrastanti e che lo portano al risultato di chiudersi in
sè stesso e non sentire altro che il suo dolore legato al
suo passato.
E pensa che quel dolore sia l’unica cosa reale.
E pensa di meritare tutto quello che sente, pensa che niente possa
cambiare.
Poco importa se si è sentito felice con il russo!
Che poi, cosa avrà mai contro i russi?
Cosa sarà successo di così grave ad entrambi i
personaggi?
Per ora l’angst è lontano, ma non tanto...
Nel prossimo capitolo vedremo più in dettaglio la nottata
danzante all’hotel! ;)
Ps: Ringrazio le persone che hanno speso del tempo per leggere questa
piccola long, chi ha recensito, chi ha messo la stpria fra le
preferite, seguite e da ricordare.
Sperando che anche questo capitolo e i prossimi siano all'altezza, vi
dico grazie davvero con tutto il cuore!
Il titolo è
preso da una bellissima canzone, Hurt, la cover realizzata da Johnny
Cash.
Di
seguito il link YouTube: https://youtu.be/vt1Pwfnh5pc
|
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Capitolo 3 *** Life in technicolor ***
Life
in technicolor
2
giorni prima. Facoltà di Medicina Veterinaria di Detroit.
Yuuri non avrebbe
mai pensato che essere uno studente al terzo anno di medicina
veterinaria potesse essere così stressante.
Così
tante lezioni da seguire, così tante esercitazioni da fare!
In
più, c’è lo stress dovuto al fatto che
si deve occupare delle vite di piccole creature innocenti, la paura di
sbagliare, la paura di non essere abbastanza.
Come in questo
caso, quando pensa che fra poco sarà il suo turno per
mettere un’ago cannula a quel bellissimo cane che
dovrà essere poi sottoposto ad anestesia generale e in
seguito operato e che per altro gli ricorda il suo adorato cane Vicchan
E se
lo incannulassi male e si dissanguasse?
Per un attimo
Yuuri si sente mancare l’aria, sente che il respiro si
arresta.
Devo
uscire da questa sala di premedicazione, pensa.
Esce e finalmente
può respirare.
Lentamente sente
l’aria arrivare ai polmoni, che prima erano come bloccati da
un peso troppo grande per potersi espandere.
Decide di
sgranchire un po’ le gambe andando a prendersi un
caffè.
Un
caffè, si fa per dire, visto che non sa bene come chiamare
quella brodaglia da pochi cents che si trova al distributore
automatico.
Però
magari può sorseggiarlo nel giardino della
facoltà; chissà, in quel modo potrebbe andargli
giù meglio, vista la bella giornata di sole.
Ho
sbagliato tutto,
pensa.
Non
credo sia questa la mia strada...
Non
sono in grado...
Come
faccio a occuparmi di...
Lo sente di nuovo
quel peso ingombrante in grado di bloccare i polmoni da un momento
all’altro.
“Yuuuriiiiiii!”
Forse
è una fortuna il fatto che il flusso di pensieri si sia
interrotto a causa degli schiamazzi di Phichit.
Yuuri respira.
Decisamente
una fortuna.
“Guarda
che ho in manooo! Un manifesto! Venerdì sera ci
sarà la festa dell’Università al
GreekTown! Andiamo!”
“Se
tu vuoi andare vai, Phi, io rimango a casa e magari studierò
o guarderò un film...”
“Oh
sciocco Yuuri. La mia era un’affermazione, non una domanda.
È una festa. Non morirai per una festa. Verrai con le buone
o con le cattive.”
Yuuri nota che
Phichit lo sta guardando come un leone affamato guarderebbe una
bistecca.
Lo conosce
abbastanza bene e non si fa ingannare dal sorriso che sta sfoggiando.
E poi ci tiene
fin troppo alla sua pellaccia.
Il sospiro di
Yuuri è un segnale di resa e Phichit ne è
più che felice.
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Nello
stesso momento.
Camera
da letto di Victor nell’appartamento a Detroit.
Victor oggi non ha avuto voglia di andare a lezione e seguire quella
dannata materia infernale che ha il nome di anestesiologia.
No, non avrebbe mai scambiato il suo adorato letto con quei gas
anestetici.
È il suo ultimo anno a medicina e vuole prendersela un
po’ comoda, come con tutte le cose che lo riguardano.
Infatti, per quanto adori il suo letto, la sua stanza fa estremamente
schifo, sembra un campo di battaglia e forse dovrebbe metterla in
ordine.
Ma Victor oltre che essere un genio e un ottimo studente, è
anche il re dei procrastinatori e decide di uscire e fare un giro in
città, prima di incontrarsi con Christophe per pranzo.
A Victor Detroit è sempre piaciuta.
Detroit, con la sua storia, rappresentava per Victor la
città ideale.
Anni di rivoluzione fra la popolazione bianca e la popolazione nera
l’hanno dilaniata, spaccata, ferita profondamente.
“Cosa devo
fare per essere salvata?”
Victor si era innamorato subito di quella frase scritta
sull’edificio accanto alla Michigan Central Station,
perché quella frase rappresentava rassegnazione,
demoralizzazione e smarrimento, sentimenti fin troppo conosciuti a
Victor.
Ma Detroit lentamente si è ripresa in mano, è
rinata, ed oggi si mostra in tutta la sua bellezza, con quel cielo
cobalto, le candide nuvole e la luce accecante del sole.
E per Victor non poteva esserci città più bella
di Detroit dove trasferirsi, dove salvarsi.
Senza rendersene conto si trova davanti al ristorante dove si era dato
appuntamento con Chris.
“Vitya! Mon
ami, ho molta fame...”
A Victor era mancata la scherzosa malizia dell’amico.
Lo fa sorridere e con un occhiolino altrettanto eloquente risponde:
“Andiamo a
mangiare, allora!”
“Oh, prima che
me ne dimentichi cherie, venerdì sera ci sarà la
festa dell’Università al GreekTown. Non possiamo
non andare Vitya!”
“Ovviamente
non mancheremo. Ma so bene che ci ubriacheremo e credo che dovremmo
prenotare una stanza là, visto che è anche un
hotel...”
“Concordo mon
frère... Stanze separate però! Conto di fare cose
grandiose quella sera e avrò bisogno di privacy!”
Victor non può che ridere.
E acconsentire.
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Venerdì
sera. GreekTown Hotel.
Caos,
luci, colori.
Tutte queste
sensazioni arrivano a Yuuri e lo travolgono come un fiume in
piena.
GreekTown
è tutto questo: un fiume in piena che ti travolge con le sue
mille
luci al neon, il vociare scoordinato della folla e la sua allegria.
Un po’
tutto ciò lo fa sentire inadatto e a tratti anche un
po’ stupido; in
fondo lui è un timido ragazzo giapponese, abituato alla
tranquillità e poco
amante dei cambiamenti, che lo fanno sentire come un pesce fuori
dall’acqua, in
un ambiente che non conosce, che non gli è proprio...
Sospira pensando
a quanto si senta stupido nel non riuscire ad adattarsi ad una
situazione a cui tutti i ragazzi della sua età si adattano e
a volte anche più
che volentieri, la rendono propria e la padroneggiano più
che bene.
Sono proprio il peggiore
di tutti.
Come
sopravviverò in questo mondo?
A volte Yuuri
vorrebbe non lasciarsi trascinare dal fiume in piena; vorrebbe
poter combattere e riuscire a fare qualche passo controcorrente.
Vorrebbe non
farsi travolgere da luci, suoni e rumori questa sera, vorrebbe
poter reagire e sentirsi adatto a quella situazione, poter capire che
si
divertirà, perché lui è una persona
buona, bella, adatta.
Ma stasera non ce la
faccio.
E inevitabilmente
si trova all’interno dell’hotel, nella
sala/discoteca dove si
svolgerà la festa.
“Yuuri!
Bello il GreekTown Hotel, vero?”
Yuuri fa un
semplice cenno del capo a Phichit.
Sí,
effettivamente dall’esterno è un hotel
particolare, di un bel blu non
uniforme, visto che somiglia quasi a un mosaico dalle tessere blu scure
e
alcune azzurre oceano.
Ma Yuuri
lo trova eccessivamente caotico; niente a che vedere con i monumenti
cittadini,
così regolari, così perfetti, così
ordinati...
Non che
all’interno la situazione sia migliore!
Lui e Phichit
sono arrivati in perfetto orario, eppure in sala già si
sentono
urla, schiamazzi e risate.
Decisamente
troppo per il povero cuore del giapponese, così tanto legato
all’ordine, al vivere secondo degli schemi e
all’interno di binari che non
oserebbe mai oltrepassare; d’altronde come è che
si dice?
“Non
abbandonare mai la strada vecchia per una nuova!”
E a proposito di
abbandono, Yuuri vede Phichit trotterellare allegramente verso
un tavolo per parlare con altri studenti suoi amici.
“Yuuri,
stai tranquillo, alla festa sarò sempre vicino a
te!”
Sì, come no.
Sono passati 10
minuti e già lo ha cestinato.
L’unica
cosa che Yuuri può fare è quello di distrarsi, di
guardarsi un po’
intorno.
La sala
è immensa: il pavimento di marmo bianco grazie alle pareti
beige e ai
faretti posizionati sul soffitto, sembra risplendere e dare una
sensazione di
grandezza, quasi fosse la stanza dello spirito e del tempo di uno dei
suoi
anime preferiti, Dragon Ball.
Peccato le urla.
Ci sono alcune
colonne di stile romanico e delle piante piante verdi a rendere
il tutto meno asettico e più personale, dei tavoli
apparecchiati dove gli
studenti possono sedere e dei tavoli posizionati centralmente dove
c’è del cibo
e ovviamente, come ogni festa che si rispetti, l’alcool.
Fiumi di
alcool.
Nella
stanza, in posizione sopraelevata, è presente anche una
pista da ballo, dove
vengono puntate delle luci accecanti e stroboscopiche.
Musica indecente
e per giunta a tutto volume.
Per
carità.
Mai nella vita
Yuuri oserebbe avvicinarsi a quella parte della sala.
Non
ballerò mai. Decisamente.
Non l’ho mai fatto.
E poi sembrerei stupido.
Mi prenderebbero in giro.
Non voglio.
Non di nuovo.
E non sono capace.
E poi sono solo.
Però, un
bicchiere di champagne posso concedermelo, in attesa che Phichit
torni...
Peccato che a un
bicchiere di champagne ne seguano ben altri: il numero
necessario per rendere il giapponese un po’ più
accaldato, il numero necessario
per rendere i suoi pensieri velenosi.
Guardali! Come si
divertono.
Mentre io sono qui, da solo, brillo, a pensare a quanto sia sfigato e
al niente
che ho ottenuto e che otterrò.
È
in quel momento che i suoi occhi si posano su di lui.
Quello poi! Nikiforov del cazzo.
Mister
"sonotuttoiosofaretuttoiolamiafamamiprecede".
Appena
laureato troverà subito
lavoro.
Ha mille amici.
È adorato da tutti.
Non ha un cazzo di problema e...
Cazzo, Dio è ingiusto, gli ha donato pure la bellezza.
‘Fanculo.
E forse
è vero che quando qualcuno ti pensa le orecchie fischiano,
perché nello
stesso istante Victor smette di seguire l’insensato discorso
di Chris ed altri
suoi amici ed i suoi occhi incrociano quelli di Yuuri.
E Yuuri non
può evitarli.
Sono azzurri, non
ama gli occhi azzurri, questo è vero, ma in quegli occhi
vede
qualcosa che lo accomuna a lui.
Sembra che stia
provando solitudine.
Sembra triste,
spento.
Eppure Yuuri era
certo che lui avesse tutto.
Era certo che mai
potesse sentirsi come lui. In più vede nei suoi occhi
anche...
Stupore, bisogno.
Aiutami a
dimenticare.
È il
pensiero comune ad entrambi, le sensazioni provate sono così
strane e
forti da far fare loro dei passi, l’uno verso
l’altro, finché Yuuri non
interrompe quel momento di silenzio.
“Ti va di
ballare?”
E Victor non
può dire di no a quegli occhi belli, a quel viso arrossato e
leggermente rotondo ma delicato.
“Certamente”.
E lo segue fino
al centro della pista, incantato dalla sua aura, dal suo
sorriso, incantato dai suoi occhi malinconici.
E si fa condurre
in un ballo sfrenato, fatto di piroette, giravolte, mani che
si toccano, mani che sfiorano guance e fianchi, prese, sorrisi, risate.
E Victor si sente
vivo.
Brillo, ma
felice.
Così
tanto da sfoggiare quell’adorabile sorriso a cuore che
nemmeno Chris
vedeva da tempo.
E che fa sentire
Yuuri, nonostante tutto, colorato.
Spensierato.
Libero dai
possibili pregiudizi degli altri, libero dai suoi.
Così
tanto da chiedere a Victor:
“Che ne
dici di continuare in una delle stanze
dell’albergo?”
Angolo
dell' "autrice".
Un po'
(tanto) in ritardo torno con il terzo capitolo.
Purtroppo il tirocinio che ho iniziato mi sta togliendo la vita e
dovrò aggiornare più lentamente rispetto al
previsto.
Dunque, visto che nel primo capitolo mancavano dei tasselli, in
particolare riguardo alle sensazioni di Yuuri, le sue motivazioni che
lo hanno spinto verso Vitya, ho deciso di scrivere questo capitolo.
Sono sensazioni decisamente in contrasto con quelle provate nel secondo
capitolo.
Infatti Yuuri tende un po' troppo a razionalizzare, un po' troppo a
lasciarsi in balia delle proprie paure, dei ricordi.
Ho, anche in questo capitolo, cercato di far intravedere qualcosa sul
passato di entrambi.
Qualcosa che li perseguita.
E che secondo me deve essere trattato in capitoli diversi!
Vorrei, prima di spiegare il titolo del capitolo, ringraziare chi ha
inserito questa storia fra le preferite, seguite, ricordate.
Chi ha letto (non pensavo così tante persone!) e chi ha
recensito (in maniera particolare).
Il titolo come qualcuno avrà capito, è ispirato
all'omonima canzone dei Coldplay
(https://www.youtube.com/watch?v=fXSovfzyx28):
"Il protagonista di questa
canzone è un uomo che fugge,è braccato forse da
una vita intera e le sue iniziali parole a stento trattengono una paura
che si manifesta nella frase “Baby,it’s a violent
world” e successivamente nella ripetizione quasi maniacale
del presentimento “I can hear it coming”. Dunque
abbiamo un monologo di un fuggitivo ma non sappiamo bene da che cosa
fugga. Certo è che comunque trova conforto nel parlare
insieme alla sua ragazza,con la quale intesse il dialogo che poi
è la canzone che noi ascoltiamo. Chiede ripetutamente di non
portarlo “dove i lampioni risplendono”. Ma
già dalle prime parole della canzone traspare una sorta di
fuga dalla luce. Bisogna immaginare dunque questo fuggitivo che rimane
come in uno scantinato,al buio,e parla alla sua ragazza tentando di
trovare requie dal suo dolore. Fuori dunque impazza una guerra e dal
mondo di fuori arrivano rumori e suoni."
technicolor
s.
ingl. inv. (iniziale
maiusc.); in
it. s.m.
inv., pr.
adatt., anche
adatt. tecnicolor
|
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Capitolo 4 *** (I) Bloom - The fountains and the waters are begging just to know ya. ***
(I) Bloom -
The fountains and the waters are begging just to know ya.
È una splendida giornata estiva a Detroit: Il cielo
è limpido, il clima è abbastanza caldo, ma
mitigato dal leggero venticello che soffia e che fa muovere i rami dei
cipressi con un ritmo calmo e quasi ipnotico...
Cosa potrebbe mai andare male in una giornata come questa?
Forse il fatto che Victor, per la prima volta nella sua vita, desideri
essere un medico veterinario e non uno studente di medicina.
E anche una macchina del tempo che ponga rimedio alla sua pigrizia e al
suo stupido cervello che dimentica continuamente tutto ciò
che dovrebbe fare.
Ieri, dopo l’ennesimo pomeriggio passato a lamentarsi e a
disperarsi, con grande gioia del coinquilino Chris, a causa di un altro
giorno in cui la ricerca del suo amore orientale che l’ha
sedotto e abbandonato è miseramente fallita, ha deciso di
uscire e comprare qualsiasi schifezza calorica in grado di tirarlo su,
come se fosse una donna in sindrome premestruale.
Nessuno snack però riusciva a catturare la sua attenzione e
già stava pensando di rassegnarsi e ingozzarsi di patatine,
fino a quando un convenience store che vendeva anche prodotti
alimentari giapponesi non gli si era presentato davanti agli occhi.
Se non è
destino questo! Posso
mangiare schifezze e per di più giapponesi, giapponesi come
lui!
In particaolare,
la sua attenzione era stata catturata da delle palline bianche ripiene
di carne di maiale, che dall’etichetta sembrava si
chiamassero nikuman
e che avevano convinto Victor ll’acquisto;
forse per il colore bianco come la pelle candida del suo sirenetto
giaponese, forse per il fatto che fossero snack giapponesi come lui,
forse perché sono ripieni di carne di maiale e Victor stava
fantasticando oltremodo, pensando di affibbiare, una volta fidanzati,
al suo giapponese nomignoli come “maialino”.
Beh, a letto lo
è.
Accortosi del pensiero sconcio che lo aveva fatto avvampare
improvvisamente, aveva pagato i suoi nikuman, sperando che il cassiere
non si fosse accorto del rossore sul suo viso, era tornato a casa e
aveva deciso di spararseli durante la visione di un film.
Per poi dimenticare intelligentemente di metterli a posto e lasciarli
lì in bella vista, prede del più ingordo degli
esseri viventi: Makkachin.
E stamattina non ha potuto fare niente se non assistere allo spettacolo
del suo adorato cane che si è ingoiato un intero nikuman che
gli si è incastrato in gola.
E Victor è terrorizzato all’idea di perdere il suo
adorato Makkachin e non può che portarlo nella clinica
universitaria lì vicino.
Una volta in clinica il destino gli gioca uno scherzo beffardo: Victor
è lì che si dispera mentre portano il suo adorato
cane in pre chirurgia e vede il dottore chiamare uno dei suoi studenti
e quello studente a cui il dottore sta parlando, non è altri
che il suo principe azzurro, che si volta verso di lui, costringendo
entrambi a guardarsi negli occhi di nuovo.
E lo vede rosso in viso, mentre il ragazzo dalla pelle ambrata accanto
a lui è scoppiato a ridere, farfugliare parole sconnesse al
dottore, che risponde qualcosa che al ragazzo non ha fatto piacere e
così si dirige sospirando verso Victor, al quale il cuore
sta per scoppiare a causa di Makkachin e a causa di quegli occhi
meravigliosi che si stanno avvicinando sempre di più verso i
suoi.
“Ciao
Victor...”
Oddio conosce il mio
nome!
“Devo farti
alcune domande su Makkachin. Capisco che per te sia un momento
delicato, ma abbiamo bisogno di sapere delle informazioni su di lui, in
particolare su cosa è successo, quando, quanti anni ha e il
suo peso”
“Makkachin... Oddio... Si salverà,
vero?”
“Victor... Faranno il possibile, ma c’è
bisogno di sapere queste informazioni che ti ho chiesto. Stai
tranquillo, fidati di me.”
E non sa Victor come quella voce lo abbia reso più
tranquillo, ma riesce ad aprire bocca e proferire poche parole, ma
necessarie: “Makkachin
è un cane di razza barbone, è maschio, ha 15 anni
e pesa 27 chili. Stamattina l’ho trovato che respirava a
fatica e aveva un corpo estraneo incastrato in gola...”
Victor si sta vergognando a morte e l’ultima domanda al mondo
che vorrebbe che gli fosse fatta è una e una soltanto.
“Che genere di
corpo estraneo? Per caso ne hai idea?”
“Oh Signore...
Cioè... Ecco, un nikuman...”
Il giapponese davanti a lui spalanca un po’ la bocca e alza
le sopracciglia, come fosse stupito da quell’affermazione,
per poi ricomporsi e ringraziare Victor, tranquillizzandolo e
dicendogli che deve riferire quelle informazioni al dottore.
E Victor lo afferra per il polso e con sua grande sorpresa il ragazzo
non si sottrae al contatto e gli sussurra piano:
“Per favore,
fate il possibile... Makkachin è un compagno di vita
indispensabile, inseparabile... Mi è stato vicino in momenti
difficili e se se ne andasse... So che ha 15 anni ed è
anziano... Ma...”
Yuuri è ipnotizzato.
Dalla voce e dagli occhi di Victor, dalla tristezza che trasmette.
E per quanto Yuuri invidi Victor, per quanto lo consideri uno dei
classici fighetti della Detroit bene, in questo momento vorrebbe
abbracciarlo, addirittura... Accarezzarlo.
E forse anche di più.
E di più davvero, qualcosa di più profondo di
quella notte.
“Victor,
fidati di me, Makkachin starà meglio...”
Ed inaspettatamente, come guidato da non qualcosa che non sa bene come
chiamare aggiunge qualcosa in più, qualcosa che fa
deliziosamente arrossire il russo difronte a lui.
Lo sguardo di Yuuri prende una piega dolce, che normalmente non concede
a chiunque, i suoi occhi commossi si fissano in quelli di Victor. “Tornerò
da te non appena saprò qualcosa di Makkachin. Aspettami su
questa panchina. A più tardi.”
Non se lo aspettava mica Victor, non si aspettava che lo guardasse in
quel modo, dopo essere sparito quella notte.
Si aspettava freddezza, di certo non comprensione, vicinanza, calore.
Di certo non la promessa che sarebbe stato di nuovo lui a dargli
notizie di Makkachin, che sarebbe tornato lui e lui soltanto, non dopo
lo sbuffo che aveva rivolto al veterinario dopo l’ordine di
andare dal povero russo.
Yuuri d’altro canto, percorre il corridoio pieno di dubbi:
non vuole avvicinarsi a Victor, che gli ricorda così tanto
il suo passato doloroso, con cui passeggia mano nella mano ancora oggi
e che non riesce, per quanto voglia, a lasciarlo andare, ormai compagno
silenzioso di una vita.
Dall’altra parte c’è la voglia di
guardare al futuro, di andare oltre, non di dimenticare il passato e
quindi di dimenticarsi, semplicemente di poter imparare da esso e di
non fare in modo che esso lo limiti in ogni aspetto della vita.
C’è qualcosa di bellissimo nel russo che lo attrae
inesorabilmente, c’è qualcosa che dopo i fatti di
quella notte, dopo il rinnegare le proprie emozioni nonostante i
pensieri volti sempre a lui, lo spinge verso Victor.
Quello che sento...
Posso fare un passo in più?
Posso farlo senza
cadere? Me lo merito?
E poi lui... Cosa pensa?
E non lo conosco... Se fosse come tutti gli altri?
Se fosse... Come lui?
L’indecisione, la paura, per sé stesso e per il
cane di Victor, sono sensazioni che lo accompagnano anche durante il
delicato intervento di estrazione del nikuman dalla gola di Makkachin.
Ma l’intervento è andato a buon fine e su questo
Yuuri può tirare un sospiro di sollievo e si sorprende al
pensiero di voler correre da Victor a dargli la buona notizia.
Ed è per questo che si ribella educatamente quando il
veterinario chiede a Phichit di informare il russo, chiedendo di andare
lui al suo posto.
E Yuuri corre lungo quel corridoio, che adesso sembra infinito, che gli
lascia troppo tempo per pensare, per capire il perché di
tutte quelle sensazioni.
Dimentica però che a certe sensazioni non si possono dare
nomi, etichette, spiegazioni razionali.
“Victor!
Victor!”
Il russo lo vede correre verso di lui, affannato, ma felice.
Basta questo per farlo alzare velocemente dalla panchina, con gli occhi
lucidi per il pianto.
E Yuuri si slancia e in un secondo è addosso a Victor,
mentre lo abbraccia forte.
“Makkachin sta
bene! È andato tutto bene!”
Victor si trova spiazzato, è felice. Felice davvero
perché il suo adorato cagnolone è salvo, pronto a
trascorrere altri giorni insieme a lui...
E la sua cotta lo sta abbracciando, le sue braccia intorno alle sue
spalle che lo stringono come a pregargli di non sottrarsi a quel
contatto. Yuuri ne è consapevole di quella sensazione, le
parole di Phichit che rimbombano nella sua testa.
Dovresti darti una
possibilità, Yuuri... La meriti. La meriti davvero.
Scioglie l’abbraccio, mentre Victor lo guarda dispiaciuto,
Yuuri respira lentamente, il sangue che arriva alle orecchie e che gli
fa pulsare le tempie in maniera frenetica.
“...”
“Vi-Victor...
So bene c-che dopo quella notte non ci sono stati più
contatti fra noi...”
Gli occhi di Victor mutano, mostrando stupore, speranza.
“Ma io...
Io... Non sono riuscito a toglierti dalla mia testa. E non so, magari
questo sarà un salto nel vuoto, magari mi pentirò
fra un secondo esatto, magari verrò rifiutato nel peggiore
dei modi... Mi piacerebbe... Poter uscire con te.
O-ogni tanto.
C-cioè se
v-vuoi.
Non - non devi.
In-insomma...”
Victor lo trova estremamente dolce, buffo, un fumetto. Vorrebbe anche
piangere per la troppa felicità che gli riempie il petto.
“Calmati. Sai,
non posso darti una risposta...
...Senza prima sapere il
tuo nome.”
“Oh! Cazzo.
Yuuri...”
“Bene,
Yuuriii...”
E Yuuri pensa che quell’accento e quella r pronunciata in
quella maniera musicale, siano una delle cose più belle che
abbia mai ascoltato nel pronunciare il suo insulso nome.
“Sei sempre
stato nei miei pensieri anche tu. Anche nei miei gesti se è
per questo... Nel cibo che mangio, come avrai potuto ben notare. Non
hai bisogno di un sì o di un no, credo che dopo queste mie
parole la risposta sia abbastanza evidente.”
Yuuri arrossisce fin troppo a sentire quelle parole che hanno il sapore
di qualcosa di importante, le mani a coprire il viso che gli fa provare
vergogna, le gambe che tremano, ma gli occhi rimangono fissi in quelli
di Victor.
“Che ne dici,
моя постоянная мысль, di domani?”
E Victor vede il cellulare di Yuuri nella tasca della divisa e ben
pensa di prenderlo e segnare il suo numero.
Pensa di essere stato troppo spavaldo, ma a volte la
felicità eccessiva, specialmente se non si è
abituati a provarla e a contenerla porta a gesti un po’
strani.
“Oh ho segnato
il mio numero in caso... Ci fossero problemi con l’orario
dell’appuntamento o... Ci volessimo sentire.”
E Yuuri vorrebbe morire dopo l’occhiolino che gli rivolge
Victor, apre la bocca per rispondere...
“Signor
Nikiforov!”
... Benedetta sfortuna. Il veterinario ha riportato Makkachin a Victor,
lo prende in disparte e gli spiega brevemente cosa hanno fatto e cosa
deve fare, lasciando Yuuri in uno stato di felice confusione. Pochi
minuti e Victor è di nuovo da lui:
“Scusami...
Quindi? Per domani?”
“S-sì
va bene..”
“Potremmo
vederci domani pomeriggio verso le 16 alla Rocca qui vicino, che ne
dici?”
“Oh,
sì perfetto.”
“Perfetto, ci
vediamo domani allora.”
Victor lo saluta, con un bacio sulla guancia che fa perdere a Yuuri la
sensazione del tempo e che fa crollare definitivamente tutti quei
pregiudizi che aveva sul russo.
“... A...
Domani...”
E Victor torna a pensare che questa giornata è partita col
piede storto è vero, ma che si è risolta nel
migliore dei modi possibili, mentre Yuuri lo guarda andarsene e
vorrebbe rimuginare su tante cose, vorrebbe chiedersi se ha fatto bene
a lasciarsi andare o se fosse stato meglio continuare a difendersi...
Ma Yuuri vede sbucare dal lato della macchinetta del caffè
il suo amico Phichit.
“AH! LO
SAPEVO. VICTUURI. SONO ISPIRATO. Ho coniato il nome di coppia.
Raccontami. Ora. Scherzi a parte... Sono felice Yuuri. Sono felice che
tu ti sia ascoltato.”
“Beh... Non
c’è molto da dire...”,
dice, mentre scrive ed invia un messaggio.
Il destinatario?
-A
Vitya-
“Ciao! :)
Indovina chi sono?”
Angolo
dell' "autrice"
Dopo
mille anni circa torno con il quarto capitolo...
Non sono molto
soddisfatta in realtà di questo capitolo, o in generale di
tutta la mia long, però ancora una volta vorrei ringraziare
chi recensisce, chi ha aggiunto la storia fra le preferite e le seguite
e chi legge.
E in questo capitolo
finalmente Yuuri "abbandona" pregiudizi, paure, dubbi e cerca di darsi
e dare una possibilità a quello che sente realmente, come si
è visto anche nei capitoli scorsi.
Victor ovviamente ne
è più che felice! xD
Questo
è un capitolo un po' fluff, chissà se anche i
prossimi lo saranno? :/
Note:
моя
постоянная мысль -> Mio costante pensiero in russo (Secondo
google traduttore).
Bloom è una parola che vuol dire "fiorire". La frase
tradotta è: " Fiorisco - Le fontane e le acque supplicano
affinchè io ti conosca".
E' una canzone di Troye Sivan, dal titolo "Bloom", ed è un
chiaro riferimento sia a Yuuri sia a Victor, in particolare a
Yuuri, che si libera dalle paure e pregiudizi per dare ascolto a
ciò che di bello sente dentro.
https://www.youtube.com/watch?v=41PTANtZFW0
Questa cosa la voglio
dire, il messaggio
"Ciao! :)
Indovina chi sono?” mi è stato veramente scritto.
Dal mio compagno, è stato il suo primo messaggio. Niente,
era una piccola dedica.
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