Parole d'inchiostro

di TotalEclipseOfTheHeart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 - Helena Montgomery ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 - L'albero di mele ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 - La ruota del tempo ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 - Finalmente in viaggio ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 - Dove cade la mela ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 - Il Maestro ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 - La Voce ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 - Arrivo a Storybrooke ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 - Il Mostro ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 - Il pugnale ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 - Prima impressione ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 - Nuovi incontri ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 - Ingannare l'ingannatore ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 - Oltre il sangue ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 - L'inizio di un'amicizia ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 - Questioni di cuore ***
Capitolo 18: *** Cap. 17 - Sfidare l'oscurità ***
Capitolo 19: *** Cap. 18 - Famiglie spezzate ***
Capitolo 20: *** Cap. 19 - D'amore e amicizia ***
Capitolo 21: *** Cap. 20 - Scandalo ***
Capitolo 22: *** Cap. 21 - Una bambina strana ***
Capitolo 23: *** Cap. 22 - Una nuova vita ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 


“Dove stiamo andando? Sono ore che camminiamo … mi fanno male i piedi.”
Erano ormai ore che camminavano, e il sole stava calando, lasciandosi sfuggire i propri ultimi raggi rosati e apprestandosi a congedarsi, per lasciare il posto alla cara e più silenziosa sorella luna.
La bambina, inizialmente entusiasta all’idea di uscire a raccogliere dei funghi di bosco per la madre, iniziava ormai a stancarsi, ed era con preoccupazione sempre maggiore che si guardava intorno, osservando diffidente le ombre che, come serpi striscianti, avanzavano passo dopo passo nel sottobosco.
Erano usciti che era ancora mattina, prendendo dei cavalli per poi lasciarli laddove la vegetazione si faceva progressivamente più fitta, così da proseguire a piedi.
Tuttavia, erano ormai ore che continuavano ad avanzare in circolo e, sebbene conoscesse bene quei boschi, ormai persino lei aveva completamente perso il senso dell’orientamento.
Osservò incerta l’Uomo Col Cilindro.
Non ricordava se avesse o meno un nome, ma lei amava chiamarlo così.
Era giunto al Castello solo alcuni mesi prima, su richiesta di Regina, e sin dall’inizio si era guadagnato la simpatia di tutta la corte, oltre che della bambina.
Non le importava che, a volte, alcuni gli dessero del pazzo. A lei piaceva così. I suoi giochetti, infatti, erano i più divertenti e coinvolgenti di quelli di tutti i paggi e bardi di corte. Possedeva una parlantina sciolta e dei modi molto spicci, e inoltre conosceva moltissime storie e racconti antichi, cosa che aveva conquistato immediatamente la piccola Helena, permettendogli di guadagnarsi la sua fiducia.
Eppure, ora che ci pensava, aveva visto qualcosa di strano nei suoi occhi, quella mattina, quando era giunto nelle sue stanze per proporle di uscire a raccogliere funghi. Non sapeva cosa fosse con precisione, ma le era parso di scorgere come una nota di tristezza nel suo sguardo sfuggente.
Scosse il capo, scacciando con forza quei pensieri dalla testa.
No, l’Uomo Col Cilindro era una brava persona.
Non poteva farle del male.
Eppure … non era forse vero che nessuno, nemmeno il cuore più dolce e innocente, poteva sfuggire all’influenza di Lui?
Stava per parlare nuovamente quando, all’improvviso, si scontrò contro la sua schiena, cadendo col sedere a terra prima di alzare nuovamente il capo, confusa.
L’Uomo Col Cilindro si era fermato e fissava, ora, le tenebre della notte, con lo sguardo assorto di chi sta combattendo una battaglia interiore e non sa ancora come andrà a finire.
Improvvisamente, un brivido gelido percorse il corpo della bambina, che si avvolse nello scialle di seta blu notte, guardandosi attorno timorosa. Non si era resa conto di quanto la temperatura fosse scesa e, ora che se ne rendeva conto, poteva notare persino un sottile velo di nebbia perlacea, che si innalzava dal terreno per avvolgere progressivamente il sottobosco.
La foresta, che fino ad allora era stata immersa nei tipici rumori degli animaletti selvatici, divenne improvvisamente silenziosa, come in attesa di qualcosa mentre i primi raggi lunari si facevano strada tra le fronde.
“Tutto bene?”, chiese la piccola, un sussurro flebile e incerto, niente di meno che un alito di vento nel gelo delle tenebre.
L’uomo si voltò di scatto, lo sguardo che osservava pensieroso quella bambina, quella vita innocente.
Così giovane, così spensierata, così … così simile a lei.
La sua piccola. Come poteva, realmente, compiere un atto simile?
Con che coraggio avrebbe potuto presentarsi di fronte a sua madre, dopo aver obbedito ai Suoi ordini?
L’Uomo Col Cilindro non ne aveva idea.
Eppure, di una cosa era certo.
Finché fosse stata considerata una minaccia, quella bambina non avrebbe avuto pace. Se Lui la voleva morta allora l’avrebbe perseguitata fino in capo al mondo, e a ben poco sarebbero valsi i suoi sforzi di trarsi in salvo.
Rimaneva, quindi, un’unica opzione.
“Signor Cilindro?”, chiese, nuovamente, la piccola. Questa volta nella sua voce l’uomo poté percepire chiaramente una nota di terrore, e sentì il proprio cuore stringersi, all’idea di ciò che avrebbe dovuto fare.
“Chiamami … chiamami Jeff. Si … Jeff può andare bene.”, rispose lui, avvicinandosi in silenzio.
Improvvisamente allarmata, la piccola balzò in piedi, incespicando all’indietro nel tentativo di allontanarsi dall’uomo che, repentino, le afferrò il braccio, costringendola a guardarlo direttamente negli occhi.
“L-lasciami! Lasciami andare o … chiamerò mia madre. Lo so chi sei … ho capito. Lui ti ha mandato per uccidermi, vero?!?”, gridò, disperata, le lacrime che le rigavano le gote pallide, i ricci color inchiostro che le cadevano sulle spalle come una cascata di notte, “Ha capito che voglio fermarlo, e quindi ti ha ordinato di uccidermi. Perché? Io … io mi fidavo di lei!”, esclamò cercando, invano, di divincolarsi, inutilmente, da quella presa ferrea.
Un’ombra avvolse lo sguardo dell’uomo il quale la spinse contro la corteccia di un albero, bloccandole i polsi e osservandola direttamente negli occhi.
“Ferma dannazione, stai calma … va bene? Non voglio ucciderti.”, disse, cercando di farla tranquillizzare, per poi aggiungere, “E’ vero. Inizialmente, quel mostro mi aveva chiesto di ammazzarti. Tuttavia, non sono un essere così senza cuore, e voglio offrirti una via di fuga. Devi solo fidarti di me.”
La piccola tirò su col naso, osservando con gli occhi ancora colmi di lacrime l’Uomo Col Cilindro che, quasi cercando di ottenere la sua fiducia, la lasciò andare di scatto, arretrando di alcuni passi.
La bambina si osservò sorpresa i polsi, per poi guardarlo, incerta.
“Fammi tornare al castello … ne parlerò con mia madre e … e vedrai che lei risolverà ogni cosa.”, affermò quella, decisa.
Tuttavia, l’altro scosse il capo, avvicinandosi in silenzio e abbassandosi sulle ginocchia, per poi prenderle le mani e inspirando appena.
“Senti, non puoi tornare al castello. È troppo pericoloso.”, disse infine.
La bambina lo osservò, confusa, cercando di protestare: “Ma lei …”
“Lo so che sei convinta che possa aiutarti. Questa volta, però, il tuo nemico è troppo potente … nemmeno tua madre potrebbe proteggerti da lui, e sono convinto che anche tu lo sai bene, anche se ti rifiuti di ammetterlo. Sei intelligente … proprio come tua madre.”, disse, sorridendo appena, l’uomo.
“E allora?”, chiese lei, scostandosi appena, gli occhi ricolmi di lacrime, “Se lei non può proteggermi, dove posso andare? Lui non si fermerà mai … e se nemmeno lei …”, le lacrime iniziarono nuovamente a rigarle il volto, mentre si gettava a terra, singhiozzando disperata.
Fu allora che, improvvisamente, lui decise: “Esiste un posto.”
Helena alzò lo sguardo, osservando l’uomo.
“Forse … posso mandarti in un posto sicuro. Un luogo lontano, molto, molto lontano, dal quale nemmeno lui potrà ferirti. Un luogo dove non esiste la magia.”, affermò l’Uomo Col Cilindro, sorridendo.
“Un posto privo di magia?”, chiese lei, di rimando, “Esiste davvero un luogo del genere? E che ne sarà di me … e di mia madre … io … io vorrei restare qui! Non puoi farmi andare via!”, disperata, la bambina si gettò tra le braccia dell’uomo, cercando invano di persuaderlo da quel proposito.
Eppure, anche lei aveva ormai compreso che non le rimaneva altra scelta.
Se davvero voleva sopravvivere, se davvero voleva salvarsi … allora avrebbe dovuto abbandonare tutto ciò che aveva di più caro, compresa sua madre.
Fu l’Uomo Col Cilindro, ancora una volta, a darle forza.
L’abbracciò, affondando il capo contro i ricci scuri della bambina, che si trovò spiazzata di fronte a quel gesto d’affetto così sincero e spontaneo. I vestiti di lui sapevano d’estate, e racchiudevano in sé tutto il calore del sole, e delle spiagge … un odore di aranci e fiori di garofano che la fece sentire a casa e al sicuro. Lontana da quel posto freddo e isolato dal resto del mondo.
“Non avere paura, Helena. Sarai al sicuro, sono certo che lei non vorrebbe mai perderti e, se fosse qui, farebbe lo stesso. Devi solo fidarti di me. Riesci a farlo?”, chiese, in un sussurro.
La piccola annuì, convinta.
Si, sarebbe stata forte. Sarebbe riuscita a salvarsi e, una volta giunta nel nuovo mondo, almeno, sua madre avrebbe potuto vivere in pace, sapendo che, anche se lontana, era ancora viva e non l’avrebbe mai dimenticata.
E poi chi poteva saperlo … forse si sarebbero riviste.
“Va bene, Signor Cil … ehm, Jeff. Ma … come mi manderete in questo posto?”, chiese, improvvisamente incuriosita.
L’altro sorrise, togliendosi quindi, con fare teatrale, il capello, per depositarlo a terra. “Sai mantenere un segreto?”
La bambina annuì, convinta.
“Ebbene, questo … questo è un portale. Grazie al mio cappello posso condurti direttamente in quel mondo. Non devo fare altro cheee …”, lo fece girare e, improvvisamente, un vortice indaco si sostituì a esso.
Le fronde degli alberi iniziarono a muoversi, mentre la magia entrava in azione e un turbine di energia pura avvolgeva la piccola radura abbandonata in cui si trovavano. Stormi di uccelli si levarono in volo, mentre esemplari spaventati di scoiattoli e altri piccoli mammiferi correvano a rifugiarsi nelle loro tane, al sicuro.
Avvolti dal rumore del vento ululante, la piccola si reggeva al bordo della casacca dell’uomo, i cui capelli danzavano spinti dalle raffiche.
“Eccolo!”, gridò l’uomo, cercando si sovrastare il rumore, “Adesso devi saltare, capito? Ti sentirai risucchiare, ma non dovrai avere paura. Andrà tutto bene, ok?”
“E tu cosa farai?”, chiese la bambina, di rimando.
Non voleva che il suo prezioso amico finisse nei guai a causa sua.
Lui avrebbe potuto fargli del male, vendicarsi … forse persino ucciderlo.
“Non temere. Me la caverò, promesso. Ora … salta!”
La bambina annuì e fu con un ultimo sguardo d’addio che, infine, si gettò tra le raffiche ululanti del vortice magico, svanendo nel nulla.
Poi, non sentì più niente.




Note dell'autrice:
Ebbene, eccomi qui, con questo mio primissimo esperimento sul Fandom di OUaT.
Spero veramente di essere all'altezza di questa bellissima serie, che francamente ho iniziato solo da poco.
Non sarà facile, visti gli intrecci meravigliosi dell'originale, creare qualcosa di nuovo senza fare troppe incongruenze.
Tuttavia sono positiva e spero di entusiasmarvi abbastanza.
Per qualsiasi dubbio, domanda, osservazione, io sono sempre qui!

Teoth

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Capitolo 2
*** Cap. 1 - Helena Montgomery ***


Capitolo 1
Helena Montgomery
 

“Helena … Helena!”
La donna sobbalzò, riscuotendosi improvvisamente dal torpore che l’aveva colpita, per l’ennesima volta in quella dannatissima settimana, proprio nel momento della giornata in cui il locale era più affollato.
Alzò lo sguardo, incrociando, con un brivido di freddo, quello gelido del suo capo, Josh, che la fissava irritato dall’altro lato del bancone.
Uomo di semplici costumi, il proprietario del Fast Break di Nothing Hill, a New York, USA. Severo e impassibile, l’unico motivo per cui aveva accettato di prenderla al suo servizio (privandosi dei suoi preziosismi dollari, sprecati per dei dipendenti che, comunque, non avrebbero mai soddisfatto i suoi altissimi standard) era stata Hana. Le due si conoscevano dai tempi dell’Università e, essendo sua cognata, aveva insistito perché la prendesse, offrendole un posto di lavoro decente e una paga relativamente buona.
Peccato che, per Helena, lavorare in quel posto non fosse proprio il massimo delle prospettive.
Checché ne dicesse infatti Josh, il Fast Break era, e sarebbe sempre stato, un locale tutt’altro che “di classe”. Incuneato nel buco più in culo all’orso di tutta la zona, non era nulla di più che un ammasso di tavoli sparsi alla bell’e meglio, con un bancone fin troppo vasto e una collezione di vini e dir poco pacchiana, le bottiglie ricoperte da un fitto strato di polvere. Alle pareti, memorie di un passato di gloria ben lontano, pendeva un caotico ammasso di quadri, trofei di caccia, vecchie armi, poster, magliette e chi più ne ha più ne metta … il tutto senza dar segno di seguire un qualche genere di ordine precostruito.
I clienti, per lo più vecchi ormai in pensione, se ne stavano sempre chini sui propri giornali, o a giocherellare alle slot machine, buttando via denaro su denaro per nulla e ubriacandosi dalla mattina alla sera.
Insomma, tanti pretesti per un nulla di fatto.
E ogni giorno la solita, irritante, inutile solfa.
Sveglia alle sei, colazione e arrivo al locale. Josh, altrimenti conosciuto (almeno dagli altri dipendenti) come “Lo Stronzo” che la spediva in magazzino a sistemare la merce, per poi metterle in mano quel pezzo di rudere che era la scopa del locale per farle pulire il posto.
Prima delle otto, tutto doveva essere a posto.
Le brioche, un ammasso gommoso di pasta buttato a caso, dovevano sfilare come modelline perfette nell’espositore. Le macchine del caffè dovevano essere pronte a entrare in azione, e i freezer delle bibite pieni fino all’orlo di bevande che, alla fine, sarebbero state acquistate da si e no un paio di persone in croce.
Eppure, se voleva mettere da parte i soldi per la partenza, non aveva molte altre scelte. Ed Helena lo sapeva molto bene.
“Allora?”, fece l’uomo, un tizio tarchiato, dalla capozza completamente rasa e lucida, con una ridicola barbetta grigia a punta che lo faceva sembrare un mulo peloso. Il tutto coronato da una molto discutibile Acqua di Colonia, dall’odore così forte da risultare quasi nauseante.
Sospirò, Helena, chiedendosi per l’ennesima volta perché diamine fosse ancora in quel buco di fogna, invece che a cercare la sua famiglia.
Si stampò in faccia il sorriso più convincente e cordiale che avesse nel suo repertorio, coprendolo mentalmente di ogni insulto possibile e immaginabile, prima di dire: “Mi scusi. Un colpo di sonno … in questo periodo non riesco a dormire bene.”
Effettivamente, erano settimane che, ormai, chiudere gli occhi le sembrava quasi impossibile.
Ovviamente non era la prima volta che faceva degli incubi: nel primo periodo passato all’orfanotrofio quei sogni orribili, rimembranze di una vita che ancora le pare sconosciuta, quasi estranea, erano praticamente all’ordine del giorno.
Ombre cupe e scure, pronte ad afferrarla nel silenzio della notte, proiettandola in un mondo onirico così vivido da sembrare quasi un ricordo. Eppure … ogni mattina quegli stessi sogni le scivolavano via, offuscati, impedendole di capire con chiarezza quale ne fosse l’origine, o cosa raccontassero.
Nonostante ciò, erano anni che quegli incubi non ritornavano con una vividezza simile.
Ormai riusciva a riposare solo per pochissime ore a notte, passando invece il resto del tempo a fissare ostinatamente il soffitto, al punto che, ormai, avrebbe potuto essere in grado di riconoscerne a memoria ogni singolo atomo.
Non ci avrebbe fatto poi molto caso se, purtroppo, i risultati non avessero intaccato anche il suo profitto diurno.
“Si, si … questo lo avevo capito. È la terza volta in questa settimana che ti becco a dormicchiare sulla cassa.”, rispose, con fare scocciato, l’uomo, “E non me ne frega un fottuto accidente se non riesci a dormire. Vuoi un lavoro? Bene, fatti prescrivere delle pastiglie e vedi di risolvere questa faccenda … non ti pago per girarti i pollici.”, concluse, lanciandole sul grembo quello che avrebbe dovuto essere uno straccio per pulizie (ma sembrava, invece, più simile a una vecchia tovaglia ingiallita), “E ora datti una mossa. Devi pulire il bancone.”
Lascia perdere, Helena. Non ne vale la pena.
Si disse la giovane donna, osservandolo inespressiva per un istante, prima di avviarsi con un sospiro verso il bancone.
Iniziò a strofinare la superficie liscia del legno, mettendoci tutta la forza e la frustrazione di cui era capace, fino a quando una voce famigliare non la sorprese, facendola sobbalzare.
“Sai … non è che se ringhi e strofini in quel modo ottieni qualcosa.”, osservò Matt, sorridendo sornione dall’altro capo del bancone.
“Oh … sei tu. Scusa … Josh …”
“Si, lo so. È uno stronzo. Ma questo ormai dovresti averlo capito, no, novellina?”, fece il dipendente più anziano, poggiando il gomito sul bancone e osservandola divertito. E si che, a dire il vero, era già da quattro mesi buoni che lavorava al Fast Break … eppure, quello scemo continuava a darle della novellina.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo con aria falsamente esasperata: “Ancora con questa storia? Guarda che sono più vecchia di te, sai?”
Quello sorrise, facendo spallucce.
Matt era un uomo giovane e avvenente, il tipo sbarazzino e un pelo ribelle che fa colpo al primo sguardo, con quel je ne sais pas di noncuranza che gli permetteva di andare avanti sempre e comunque senza curarsi troppo dei pareri altrui.
Robusto al punto giusto, con quei furbi occhi azzurri e la barba appena visibile era stato uno dei pochi a riservarle un’accoglienza degna di tal nome.
Lì, al Fast Break, erano in quattro in tutto, contando lei e Josh. Solitamente, Helena si occupava della casa, stanziando solo occasionalmente ai tavoli, che invece erano gestiti prevalentemente da Matt. Oltre a loro due, vi era anche Dayanne, la nipote di Josh la quale, tuttavia, ben di rado si presentava al locale.
“Ehi …”, fece lui, nuovamente, facendole cenno di avvicinarsi, “Che ne dici di fuggire, questa sera?”
Helena alzò un sopracciglio, osservando con la coda dell’occhio Josh che, poco distante, stava chiacchierando con alcuni clienti abituali.
“Certo … lo sai che quella vecchia iena non ci lascerà uscire prima della fine del turno.”, osservò, cinica.
Era praticamente impossibile giocare il loro capo.
Non sapeva esattamente come facesse, ma quel dannatissimo stronzo sembrava essere in grado di fiutare una balla a miglia di distanza, e lo stesso fiuto aveva per il denaro. Era il tipo di persona che, purtroppo, non si poteva raggirare facilmente.
“Tranquilla … stasera ci sarà anche Dayanne. Ci farà uscire … e poi è indietro con lo stipendio, non farà storie.”, rispose Matt, per poi proseguire, “Io devo passare a casa. Ti aspetto di fronte alla biblioteca, va bene?”
Helena ci pensò su.
Sin dal suo arrivo a New York, aveva subito cercato di mettere bene in chiaro le sue regole.
Nessuna relazione, nessun impegno.
Non poteva permettersi di creare dei legami, non se, alla fine, avrebbe abbandonato la città dopo solo pochi mesi, come sempre accadeva.
Ormai, quello di viaggiare era diventato uno stile di vita, più che un hobby.
Aveva iniziato quasi per scherzo, perché voleva rintracciare i suoi genitori biologici, poi, però, si era resa conto di non poter tornare indietro. Alle sue spalle non si era lasciata che le ceneri di una vita che non le era mai realmente appartenuta … non aveva un reale posto in cui tornare e, quindi, volente o nolente la sola opzione rimasta era continuare ad andare avanti.
Ovviamente, le era capitato di avere delle relazioni.
Tutte però, nessuna esclusa, erano finite abbastanza male e quindi aveva preso la decisione di lasciar perdere la vita sentimentale, concentrandosi solo su sé stessa. Forse, poteva sembrare abbastanza egoista, ma a lei andava bene così.
Tuttavia, erano giorni che non usciva e Matt sembrava davvero un tipo a posto.
Non le aveva fatto pressioni al suo arrivo, rispettando la sua riservatezza e i suoi silenzi e lasciando che fosse lei ad aprirsi lentamente, senza forzarla troppo.
Non le era parso interessato ad avere una relazione.
Quindi uscire non le avrebbe certo potuto fare male, no?
Sorrise, abbassando lo sguardo: “E va bene. Di fronte alla biblioteca alle otto?”, propose, di rimando.
Quello annuì: “Alle otto.”
 
“E ricordati di venire prima domani, dobbiamo finire l’inventario. Chiaro?”, le rammentò, per la milionesima volta mentre si apprestava a uscire dal locale, Josh, appoggiato contro lo stipite dell’ingresso.
“Si, si … ho mai fatto tardi?”, rispose, questa volta con un velo d’irritazione, Helena, “Ora … posso andare?”
Quello sbuffò, rientrando nel locale con aria scocciata.
Idiota. Almeno avesse un locale decente lo capirei … ma questa bettola? È già tanto che stia ancora in piedi.
Pensò, inforcando il casco e montando sulla sua Bimota Tesi 3D nera e arancio acceso, per poi dare gas. Sorrise … ora si che si ragionava. Osservò per un’ultima volta il Fast Break. Poi ingranò la marcia, dirigendosi con un rombo sordo verso la sua destinazione.
 
A miglia e miglia di distanza, intanto, un’Emma Swan decisamente scocciata superava un cartello stradale color verde acceso.
Sopra, scritto a lettere cubitali: Welcome to Storybrooke.



Note dell'Autrice:

Ebbene, rieccomi col primo vero e proprio capitolo di questa Fanfiction sul magnifico universo di OUaT!
Finalmente, abbiamo potuto incontrare la nostra protagonista nella sua versione da adulta e già da queste prime righe potrete facilmente intuire che tipo di personaggio sia Helena. Diciamo che, come potrete vedere anche col proseguo del racconto, non è che sia proprio il tipo di persona a cui si mette facilmente i piedi in testa (ma d'altra canto visto com'è la madre chi si sorprenderebbe?).
Spero quindi che come introduzione possa entusiasmarvi, e ne approfitto subito per fare un ringraziamento speciale a Ghillyam ed EragonForever per le magnifiche recensioni. Ringrazio anche tutti i miei lettori (confesso che arrivare a 100 così in fretta solo per il prologo mi ha sorpresa non poco) e coloro che hanno aggiunto la storia alla lista delle seguite.
Detto questo, vi anticipo che, in linea di massima, aggiornerò ogni cinque/sette giorni circa.
Grazie ancora a tutti e alla prossima!

Teoth

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Capitolo 3
*** Cap. 2 - L'albero di mele ***


Capitolo 2
L’albero di mele
 

“Tremotino!”, la voce della donna, di Regina, percorse, inflessibile e autoritaria, i corridoi deserti di quell’ala del Castello.
Erano passati ormai alcuni mesi dalla cosiddetta “scomparsa” di Cora.
Sua madre.
Per essere sincera (ma non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno a sé stessa) da quando se n’era andata si era tolta un peso.
Le giornate proseguivano insolitamente tranquille, in una calma quasi statica che, per la prima volta dopo anni, la faceva sentire “libera”.
Ma … c’era un “ma”.
Un “ma” dai capelli neri come ali di corvo, labbra rosse come petali di rose e pelle … una magnifica, candida, pelle bianca come ali di colomba.
Biancaneve.
Ora che, finalmente, si era tolta quel peso dalle spalle, gli occhi della bambina erano diventati il suo inferno personale.
Quelle iridi color cioccolato, quelle fosse di cerbiatta innocente, la seguivano ovunque. Occhi appartenenti a colei che più di ogni altro era responsabile della Sua morte, della morte del suo unico, vero amore: Daniel.
Un nome, un sussurro, un sogno. Un sogno che si era trasformato in un incubo, perseguitandola col miraggio di quella vita che non le sarebbe mai appartenuta. Un sogno che le era scivolato tra le mani come nulla.
E Regina non poteva vivere.
Non con quegli occhi a seguirla ovunque.
Rivoleva il suo amato, e lo rivoleva immediatamente.
Ormai, aveva imparato a conoscere relativamente bene i propri poteri, anche grazie all’aiuto di Quell’Uomo (sempre che uomo si potesse chiamare).
Riteneva che, quindi, forse avrebbe potuto riportarlo indietro.
Come sempre, il Signore Oscuro le comparve alle spalle, materializzandosi come nulla fosse sul divanetto del salotto, comodamente sdraiato con le gambe accavallate sul bracciale, sorridendole divertito.
“Regina … quale onore!”, fece, gli occhi che brillavano d’ironia.
Si conoscevano da ormai alcuni mesi eppure … non era ancora riuscita a capirlo del tutto.
Ovviamente, era ben lungi dal fidarsi di lui.
Tuttavia più apprendeva la magia, più le sembrava di comprenderlo.
Almeno in parte.
Sorrise, accomodandosi di fronte a lui e osservandolo in silenzio.
Sapeva che le avrebbe chiesto qualcosa in cambio, e non era affatto ansiosa di conoscere il prezzo che avrebbe dovuto pagare per la sua richiesta. Eppure, sapeva anche che, ormai, non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
Fece un sospiro, per poi dire: “Voglio riavere il mio Daniel. Sei il Signore Oscuro e …”
“No, no, no.”, Tremotino balzò in piedi, gesticolando divertito, per poi scuotere il dito di fronte a lei, “Mia cara, carissima Regina. Dovresti averlo ormai capito … riportare in vita qualcuno? Ahahah … la Magia può fare molte cose, ma non questa!”
La donna si bloccò.
Era vero, erano mesi che studiava la magia ma, almeno fino ad allora, era stata realmente convinta che lui potesse tutto.
“Quindi … non c’è proprio modo? Io pensavo che …”
“Non importa ciò che pensavi, mia cara.”, la fermò, nuovamente, lui, “Tuttavia … forse potrei aiutarti. Anche se, temo, non potrò restituirti il tuo Daniel.”
Regina inclinò il capo, improvvisamente diffidente. Non le piaceva la piega che stava prendendo il discorso: cosa intendeva dire? Aiutarla, senza riportarlo indietro?
Non riusciva a seguirlo.
Quello sorrise, avvolgendole le spalle con un braccio e guidandola silenziosamente verso la terrazza.
Sotto di loro, il magnifico giardino di Re Leopold riluceva immerso nella rugiada del mattino, mentre i caldi raggi del sole sfioravano, lievi, le foglie delle imponenti siepi, dei rampicanti contorti, delle rose candide.
Proprio nel mezzo di quel paradiso, il Melo.
Tra tutte le piante del giardino, egualmente belle, era quell’albero il preferito di Regina. Lo aveva iniziato a coltivare al suo arrivo al Castello, e in poco tempo il fuscello si era trasformato in un forte arbusto, coraggioso e temerario, che aveva affrontato con successo la crudeltà dell’inverno.
Ne andava incredibilmente fiera. Forse perché, in fondo, le ricordava sé stessa. Bello e solo, condannato a vivere senza il conforto di un amore ma, al tempo stesso, così dannatamente VIVO, e desideroso di speranza e sogni.
Tremotino dovette intuire i suoi pensieri, perché sorrise, porgendole una boccetta in cristallo piena di quella che, a dire il vero, sembrava comunissima acqua.
Regina la prese, osservandole interdetta.
“E questa cosa dovrebbe essere?”, chiese, perplessa.
L’altro sorrise, divertito: “Cosa dovrebbe essere? Cosa è, vorrai dire. Proviene dal Lago di Nostos … è un’acqua miracolosa. Tu …”, gli occhi brillavano, mentre iniziava a girarle attorno, osservandola, “… tu non devi fare altro che versare una goccia del tuo sangue in questa boccetta, e svuotarne il contenuto sulle radici del melo.”
Regina osservò assorta la boccetta, quindi alzò gli occhi, chiedendo: “E poi? Cosa succede?”
Quello rise, un suono stridulo e tutt’altro che rassicurante ma che, ormai, la donna conosceva molto bene.
“Mia cara … che gusto ci sarebbe se te lo dicessi? Comunque … puoi stare tranquilla. Hai la mia parola che sarai soddisfatta.”, fece quello, inchinandosi.
Regina soppesò quelle parole, riflettendo in silenzio.
Che il Signore Oscuro fosse un tipo volubile e ben difficile da interpretare non era certo un segreto, tuttavia sapeva altrettanto bene come, a dispetto di tutto, lui desse un reale valore ai propri cosiddetti “contratti”.
E difficilmente non avrebbe mantenuto la parola data.
Sospirò, osservando nuovamente il melo, prima di chiedere: “E tu, cosa vuoi in cambio?”
Quello rise, facendo spallucce: “Diciamo che … sto investendo sul tuo futuro. Tutto qui, promesso.”
Come se quella risposta avrebbe potuto farla sentire meglio.
Tuttavia, le alternative erano poche per cui, sebbene ancora restia, Regina annuì.
 
“Vostra Altezza! Mia signora, venite!!!”, Regina alzò lo sguardo, distraendosi per un istante dalla sua ora quotidiana di giardinaggio, per osservare in silenzio il fante che, affannato, era appena sopraggiunto.
“Si?”, chiese, inclinando appena il capo.
Improvvisamente, quello parve arrossire.
Accadeva spesso, in effetti. Sia con le guardie, che con i funzionari o gli ambasciatori provenienti da terre lontane. Era una realtà che aveva scoperto da parecchio, quella della sua bellezza, e dell’effetto che sortiva sugli uomini.
A dire il vero, proprio non riusciva a comprenderli.
Che senso aveva gettare via la propria dignità, il proprio onore, tutto per un bel visino? Certo, ne era lusingata, ma non riuscita a capirli.
Non che le dispiacesse, ovviamente.
Sorrise, mentre quello cercava di riprendersi.
Doveva essere nuovo, era la prima volta che lo vedeva.
Un tempo, forse, avrebbe contemplato l’idea di farsi corteggiare. Avrebbe potuto persino piacerle.
Tuttavia erano mesi, ormai, che il suo cuore aveva smesso di provare simili emozioni.
“E-ecco … è una situazione abbastanza delicata. Gli uomini non sapevano che fare e quindi abbiamo pensato di riferirci direttamente a voi. Dovreste venire a vedere.”, spiegò il fante, visibilmente teso.
Lei annuì, sospirando appena e lasciando le forbici nel cesto di vimini in cui, solitamente, teneva i propri attrezzi di botanica.
Si lasciò guidare, attraversando in silenzio il giardino di Re Leopold, SUO MARITO, le sottane in fine raso color lapislazzuli che le volteggiavano silenziose alle spalle, come un manto di pura polvere di stelle.
Fu quando iniziarono ad avvicinarsi al melo che, lentamente, un suono insolito iniziò a giungere alle sue orecchie.
Sembravano dei singulti, dei singhiozzi sommessi, come quelli di un neonato.
Eppure … non le risultava vi fossero neonati, al Castello.
Nemmeno tra la servitù, a dire il vero.
“Posso sapere cosa sta succedendo?”, chiese, facendosi strada nel mezzo del gruppo di guardie, fino a trovarsi di fronte a una giovane cameriera. La osservò per qualche istante, prima di abbassare lo sguardo sul fagotto tra le sue braccia.
La creaturina, un frugoletto dalla chioma color inchiostro, aprì gli occhi.
Due smeraldi, due perfetti, magnifici, smeraldi color primavera.
Smeraldi come … come i SUOI, di occhi.
Non poteva crederci.
Sentì il fiato venirle meno, mentre si avvicinava cauta alla bambina, tendendo quindi le braccia per prenderla con sé.
La piccola ricambiò lo sguardo della donna, osservandola con occhi intelligenti. Vivi.
“D-dove l’avete trovata?”, chiese, cercando di darsi una parvenza di contegno.
La cameriera si osservò attorno, nervosa, quindi prese un sospiro.
“Mia signora noi … ecco … non sappiamo da dove sia arrivata. Stavo portando la merenda alla Principessa quando l’ho sentita piangere, era vicino al melo, avvolta solo da questa coperta e …”
La vista le si offuscò mentre lo sguardo correva, di riflesso, verso l’albero.
Nove mesi … erano passati esattamente nove mesi da quando Tremotino le aveva suggerito di versare l’acqua del lago, col suo sangue, sulle radici di quello stesso albero. Il suo melo.
Abbassò gli occhi, osservando in silenzio la piccola.
Ora che la guardava meglio, non assomigliava solo a Daniel.
Quei capelli neri, quella fronte … erano i suoi, non vi erano dubbi.
Sorrise, sospirando, prima di lasciar spaziare lo sguardo sui presenti: “Beh … cosa state guardando. Andate, e fate preparare una stanza per la bambina. Parlerò col re, col suo favore, vorrei tenerla.”
Le guardie si osservarono, perplesse.
Fu la cameriera a chiedere, dopo alcuni istanti di esitazione: “Quale sarà il suo nome, se posso chiedere?”
Regina sorrise, rispondendo: “Helena. Il suo nome è Helena.”
 
“E’ stata trovata nel giardino. Ho ordinato alle guardie d’indagare, e chiesto alla servitù se ha visto qualcosa ma … nessuno sa niente. È come se fosse comparsa dal nulla.”, spiegò Regina mentre, nelle Stanze Reali, Re Leopold osservava assorto la piccola Helena che, dalla sua culla, fissava coi grandi occhioni verdi l’uomo.
Biancaneve batté le mani, alzandosi sulle punte dei piedi per osservarla meglio, mentre chiedeva, entusiasta: “Padre! Guardate com’è carina … può restare con noi? Ti preeego!”, fece, sgranando gli occhioni.
Regina sorrise.
Normalmente, l’atteggiamento della Principessa le avrebbe, quanto meno, fatto venire l’acidità di stomaco.
Ora che era arrivata Helena, però, la cosa non sembrava toccarla poi molto. Aveva riavuto indietro il suo Daniel.
Certo, forse in un modo un po’ inaspettato, ma era lui, non vi erano dubbi.
Il re sospirò, osservando in silenzio le due donne della sua vita, per poi prendere la figlia per le spalle, spiegandole: “Amore … prima devi vedere se tua madre è d’accordo. Sarei felice di accogliere questa piccola nella nostra famiglia ma … sarà Regina a doverla crescere. Devi chiedere a lei se va bene.”
La donna sorrise, esultando in silenzio, mentre le iridi della figlia correvano verso di lei, in una muta supplica.
Fece un passo avanti, sfiorando appena la spalla del marito: “Va tutto bene. Me ne occuperò io.”
Re Leopold sorrise, per poi tornare a osservare la piccola.
“Ti assomiglia molto, sai? Quando sarà cresciuta, diventerà una bellissima donna.”
Regina sorrise, non le interessava rivelare la verità su Helena al re. Dopotutto, era del tutto superfluo, e finché lui se ne fosse preso cura, non ci sarebbero stati problemi di alcun tipo.




Note dell'Autrice:
Ebbene si!
Eccomi qui con questo nuovissimo capitolo.
Questa volta, abbiamo avuto un piccolo squarcio che ci ha fatto capire un po' meglio chi sia realmente la nostra protagonista e come sia venuta al mondo, sebbene alla fin fine la protagonista assoluta sia stata proprio Regina. Spero di aver caratterizzato adeguatamente sia lei che, in particolar modo, Tremotino. Sono entrambi personaggi a cui tengo molto e quindi renderli IC è per me un obiettivo primario, quindi se trovate qualsiasi genere di incongruenza non esitate a farmelo sapere (si, la frase di Rumpleskin nella versione originale viene detta a Snow, ma ho trovato interessante cambiare i ruoli).
Dopo questa premessa, non vi sorprenderete nel comprendere come la presuta morte di Helena possa averla fatta cadere nelle tenebre, ma il perchè e il per come si giungerà a quel punto lo saprete più avanti.
Per ora vi faccio un'anticipazione sulla struttura della storia che, almeno all'inizio, verrà intervallarsi la vicenda principale con una serie di capitoli flashback che spieghino invece il passato di Helena e come sia arrivata fin dove si trova ora.
Spero vivamente che possiate apprezzarli.
Ringrazio quindi nuovamente Ghillyam ed Eragon Forever per le recensioni, così come tutti i miei lettori che continuano a seguire questa Fanfic!
Alla prossima.

Teoth

 

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Capitolo 4
*** Cap. 3 - La ruota del tempo ***


Capitolo 3
La ruota del tempo
 

Vento, solo vento.
Vento fresco, vento ristoratore … vita, movimento, emozione.
Per questo Helena adorava andare in moto. Saltare su quella sella, senza avere un’idea precisa su dove andare, soli con sé stessi nel brivido del viaggio. Su quella moto, lei poteva finalmente volare via, lontano, in luoghi inesplorati lasciandosi alle spalle ogni preoccupazione, ogni incubo, ogni timore.
Sorrise, forzando l’acceleratore.
Superò alcuni vecchi supermercati, sfrecciando attraverso le strade ormai solo radamente illuminate della città e lasciandosi rapidamente alle spalle il centro di New York.
Accadde con scarsissimo preavviso.
Proprio come quando ricorreva alla Voce, sentì una stretta stringerle lo stomaco, una sensazione pressante e insolita, che la spinse e frenare bruscamente, esibendosi in un’ampia sgommata prima di finire dritta di fiancata contro un albero.
Gemette appena, mentre il peso della moto la schiacciava contro la corteccia umida di frescura serale quando, improvvisamente, un lampo le attraversò gli occhi, facendola collassare a terra priva di sensi.
 
Helena Montgomery non aveva memorie della sua vita Prima.
Si era risvegliata, in un giorno di piena estate, nel bel mezzo di un campo di grano presso la provincia di Los Angeles.
Era accaduto 20 anni prima.
E, da allora, erano cambiate molte cose.
Inizialmente era stata presa in cura dai Servizi Sociali, i quali avevano cercato d’indagare, senza successo, all’interno del suo passato. Tuttavia visto che, oltre al proprio nome, ricordava poco altro del suo passato i risultati erano stati a dir poco scadenti: nessuna denuncia che potesse corrispondere, nessuna sparizione.
Niente di niente.
Semplicemente, sembrava comparsa dal nulla.
E nel nulla sarebbe rimasta, se non fosse riuscita a trovare una famiglia.
Venne quindi affidata all’Orfanotrofio Pascal, in cui si ritrovò a crescere, assieme a un gran numero di bambini, grandi e piccoli.
Eppure, almeno, loro avevano un passato. Per lei invece non c’era nulla, niente a cui aggrapparsi.
Nessuna ancora a sostenerla nei momenti di bisogno, solo il suo silenzio, la sua camera ma, soprattutto, i suoi libri.
Quando Helena si era risvegliata, aveva perso tutte le sue memorie passate. Praticamente, era come se il suo cervello si fosse completamente resettato … non sapeva parlare, non sapeva leggere né scrivere. Il mondo era un mistero eterno, un luogo misterioso e pieno d’insidie di cui, nonostante tutto, non riusciva a sentirsi parte in alcun modo, per quanto si sforzasse.
Come aveva imparato a leggere, poi, non era più stata in grado di fermarsi.
Adorava passare le sue ore a immergersi nelle fiabe, volando su paesi lontani e su terre sconosciute, conoscendo personaggi fantastici e combattendo battaglie epiche. Era quello il mondo che desiderava conoscere, il SUO mondo.
E poco le importava che, così facendo, finisse con l’essere isolata dai suoi stessi compagni.
Purtroppo, però, quel suo atteggiamento ne aveva anche altri, di risvolti negativi. Nessuno desiderava una bambina così strana, così … così insolita. Persino gli istruttori preferivano starle alla larga.
Perché, quindi, una famiglia avrebbe dovuto volerla?
C’erano così tanti bambini. Più piccoli, più socievoli, più … più tutto.
Fu così quindi che, lentamente, Helena iniziò a rinchiudersi in sé stessa. Quei libri divennero il suo rifugio, la sua casa, la sua famiglia.
Essi erano il solo mezzo con cui potesse dimenticare gli incubi che, notte dopo notte, venivano a perseguitarla.
Eppure, a volte, è proprio quando la fiammella della speranza si fa più lieve che, inaspettatamente, la ruota del destino ricomincia a girare a nostro favore.
 
“Stia tranquillo, Signor Parker. La sua amica si rimetterà presto.”, stava dicendo il medico, controllando nuovamente la cartella della paziente.
Helena era giunta all’Ospedale Santa Maria Novella di Brooklyn alle 22.00 di sera, in ambulanza.
Un vecchio giardiniere, che abitualmente era solito potare l’erba del prato di fianco al quale lei era collassata, passava per caso da quelle parti quando si era reso conto della moto, abbandonata sul ciglio della strada. E di Helena, a terra.
Fu lui a chiamare i soccorsi, che la portarono all’ospedale.
Il medico, un giovane avvenente dall’aria decisamente professionale, osservò nuovamente la giovane donna, per poi spostare lo sguardo su Matt: “E’ sicuro che qui in città non abbia dei parenti o … insomma, qualcuno da chiamare?”
L’altro scosse il capo: “No io … ecco. Ci conosciamo solo da qualche mese. Lavora nel mio stesso locale ma non ha mai parlato troppo della sua famiglia. So che viaggia molto e non è di qui … oltre a questo, poco altro.”
Il medico annuì, sospirando.
“Comunque sia, la sua amica sta bene. Ha subito solo una lieve contusione ma, con il giusto riposo, si riprenderà presto. Per stanotte vorremmo tenerla qui ma, già da domani, potrà tornare alla sua dimora.”, concluse, per poi congedarsi.
Matt annuì, tornando a osservare l’amica che, finalmente, pareva iniziare a riprendere i sensi.
“Ehi …”, esordì, sedendosi al suo fianco mentre quella, la gola ancora impastata e gli occhi offuscati dall’incidente, cercava di guardarsi attorno, confusa.
“Che cosa …”, cercò di articolare, nervosa, “… che cosa è successo?”, chiese.
“Hai avuto un incidente in moto. Hai preso i sensi e quindi sei stata portata qui, i medici dicono che non è nulla di grave. Tu come ti senti?”
Helena dovette riflettere per qualche istante.
Ricordava solo quella stretta allo stomaco e poi … poi …
Si alzò si scatto, sorprendendo Matt che, preoccupato, cercò di rimetterla sdraiata: “Ehi, i dottori hanno detto che devi riposare. Si può sapere che ti prende?”
Helena lo osservò, perplessa.
Perché, per qualche strano motivo, ora ricordava tutto.
E, finalmente, il suo viaggio aveva una meta.
Sorrise: “Sto bene … ma domani devo assolutamente partire.”
L’altro la osservò, perplesso: “Partire? Nel senso che … che te ne vai? Aspetta … domani c’è l’inventario. Hai idea di cosa farà lo stronzo se verrà a sapere che ti sei licenziata all’ultimo momento?”
Helena sorrise, cercando la sua mano prima di continuare: “Senti Matt … lo so che ti sto prendendo in contropiede ma … non posso spiegarti subito tutto. Però io devo andare, è una questione molto importante e …”
“Riguarda la tua famiglia, vero?”, la fermò lui, sorridendo appena.
Lei si bloccò, osservandolo perplessa, quindi sorrise a sua volta.
Sin da quando si erano incontrati, aveva capito subito che il giovane era decisamente sveglio. Un peccato … forse, in altre circostante, avrebbero potuto persino stare assieme.
Annuì: “Si, beh … è una questione abbastanza delicata.”
“Ve bene. Va … se è la tua famiglia non posso impedirti di andare. Al capo ci penserò io.”
Helena sorrise, abbracciandolo.
Ora, doveva solo partire per Storybrooke.



Note dell'Autrice:
Rieccomi!
Allora, come mai questo capitolo tanto in anticipo?
Ebbene, a dire il vero ci sono due motivi. Tanto per iniziare, è un modo per ringraziarvi, ho visto che anche il secondo capitolo ha ricevuto 100 visualizzazioni e io non potrei proprio esserne più felice. E poi tra pochissimo ci sarà il venticinquesimo anniversario dei miei, e volevo approfittarne per dedicare loro un capitoletto speciale.
Un po' più corto degli altri, qui finalmente la nostra Helena sembra aver recuperato la memoria (Emma Swan Effect, in termini scientifici) e abbiamo anche un piccolo squarcio sul suo passato dopo essere giunta nel nostro mondo. Se però volete scoprire maggiori informazioni sul suo misterioso potere, la Voce, e sul perchè non parli spesso della sua famiglia temo che dovrete attendere ancora un pochetto.
Il titolo del capitolo, "La ruota del tempo", rimanda al fatto che Emma, decidendo di restare a Storybrooke, ha fatto si che anche lì il tempo ricominciasse a scorrere e lo stesso vale per Helena che fino ad allora non aveva idea delle sue origini. E si ... ho inserito una semicitazione di Harry Potter, altro Fandom che amo moltissimo, vediamo chi sa trovarmela!
Per ora, ringrazio nuovamente Ghylliam ed EragonForever per le recensioni, assieme a tutti i miei lettori.
Alla prossima!

Teoth

 

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Capitolo 5
*** Cap. 4 - Finalmente in viaggio ***


Capitolo 4
Finalmente in viaggio
 

Lasciare New York, per Helena Montgomery, o Hel, fu inaspettatamente difficile, ben più di quanto si fosse aspettata.
Ovviamente, non era la prima volta che abbandonava una città, il casco sui capelli color inchiostro, la moto come sola compagna di avventure, diretta verso chissà dove. Senza alcuna certezza, senza pretesti o obblighi. Solo lei.
Eppure, non le era mai accaduto prima che andarsene, lasciandosi tutto alle spalle, le fosse risultato così difficile.
Sapeva bene che se, infatti, fosse arrivata a Storybrooke, allora la sua vita non sarebbe più stata la stessa.
Sarebbe tornata finalmente a far parte di quel ciclo infinito che è dato dalla magia, composto da cuori infranti, promesse da mantenere e missioni utopiche da compiere. Avrebbe rinunciato definitivamente alla propria “normalità”, alla prospettiva di potersi costruire una famiglia, con due bambini dagli occhi verdi come i suoi e un cane sempre troppo esuberante. Non avrebbe mai vissuto in una casetta piccola ma confortevole, né avrebbe avuto una macchina, con cui andare al lavoro ogni mattina, alla stessa ora, o con cui uscire con le amiche.
No … avrebbe rivisto sua madre, e avrebbe dovuto spiegarle.
Spiegarle il perché della sua scomparsa, dirle che l’aveva fatto per il loro bene ma che ora voleva recuperare tutto il tempo perduto.
Probabilmente, avrebbe reincontrato anche Biancaneve stessa, la sua amatissima sorellina, e forse anche il suo salvatore, l’Uomo Col Cilindro.
Chissà cos’era successo durante la sua assenza dal mondo delle fiabe.
Come stava sua madre? Lui era riuscito a corromperla o, come invece si augurava, era infine riuscita a liberarsi dalle sue catene, trovando il proprio posto nel mondo?
E Biancaneve? Parlava così spesso del “vero amore”, quando erano bambine. Che avesse trovato il suo? Che tipo era? Avevano avuto dei figli?
Ma, soprattutto … perché erano tutti lì?
Perché si.
Lei non sapeva ancora nulla del Sortilegio … eppure, quando aveva recuperato la memoria, aveva capito subito che, durante la sua assenza, doveva essere successo qualcosa di molto, molto grave.
Per qualche strano motivo percepiva, in lontananza, la presenza di sua madre, di sua sorella, e di molte altre persone che, in qualche modo, semplicemente NON SAREBBERO DOVUTE ESSERCI.
Non sapeva cosa ne fosse la causa, ma più aveva cercato informazioni, su quella cosiddetta “Storybrooke”, più le sembrava di avere a che fare con una specie di città fantasma. Nessuno sembrava conoscerla, nessuno ne aveva mai sentito parlare o vi era mai stato.
Eppure, sapeva che quella città esisteva realmente.
O, per meglio dire, lo SENTIVA. Da quando era giunta in quel mondo, aveva perso quasi tutti i poteri che invece, nel mondo delle fiabe, l’aveva sempre accompagnata. Tuttavia, il suo sesto senso magico sembrava funzionare ancora alla perfezione, e con la scoperta della Voce aveva avuto modo di comprendere a fondo quanto fosse diversa dalle altre persone di quel mondo senza magia.
Ed era suo preciso dovere andarci, a Storybrooke, se davvero desiderava rivedere sua madre e trovare una risposta a tutti quegli interrogativi.
Per questo doveva partire.
 
Sospirò, osservando nuovamente quello che, prima, era stato il suo appartamento.
Un posticino decisamente angusto, un misero monolocale che non aveva nulla di pretenzioso in sé ma che, comunque, in quei mesi era diventato la sua casa. Il suo carattere caotico e ribelle, la sua indole indipendente si riflettevano in quelle semplici mura … in quel letto sempre sfatto, o negli abiti sparsi ovunque per il salotto. Erano nel dentifricio sempre aperto del bagno, nelle lattine di birra iniziate e lasciate a metà nel frigo, nel perenne odore di bruciato che proveniva dalla cucina.
Quel luogo era diventato parte di lei, e lei parte di esso.
Lasciarlo le costava uno sforzo immane.
Anche perché, per quanto, ogni volta, si fosse ripromessa di non creare legami, lì aveva coltivato amicizie.
Matt, Hana … i ragazzi del campetto da calcio e quelli della discoteca del sabato sera. Loro erano la sua famiglia.
Certo, forse un po’ caotica, degli eterni “Svalvolati on the road” che bruciavano l’asfalto sotto la forza delle loro moto, con gli occhiali da motociclisti addosso e quell’aria da “non m’importa di nulla” perenne.
E lei avrebbe dovuto lasciarli, per sempre.
Perché, probabilmente, non si sarebbero più rivisti.
Sospirò appena, indossando il casco prima di balzare in sella.
Fece per dare gas quando …
“HEL!”
Si voltò di scatto.
Dall’altra parte della strada c’era Hana, accompagnata da Matt, da Seth, Brandon e tutti i ragazzi che aveva imparato a conoscere e apprezzare.
Reggevano un grosso cartellone, un po’ pacchiano, forse, con quel ridicolo “DIVORA IL MONDO CON QUELLE RUOTE, VECCHIA BEFANA. TI VOGLIAMO BENE, HELENA!” stampato a lettere cubitali sul fronte, con tanto di faccine buffe e foto scalcagnate delle loro gite in montagna.
Sorrise, scuotendo appena il capo.
“Matt! L’hai detto a tutti. Razza di scemo, e io che volevo andarmene con stile.”, borbottò lei, cercando di nascondere come, a dire il vero, quel saluto le stesse facendo salire lacrime di commozione negli occhi.
Quello sorrise, facendo spallucce: “Beh … mica pensavi che ti avremmo fatta andare via così, vero?”
“Prometti di scriverci, chiaro?”, fece invece Hana, correndo ad abbracciare l’amica e avvolgendola in quella morsa letale che era il suo “abbraccio”.
Helena sorrise, ricambiandola, il volto immerso nei boccoli vermigli di lei, a inspirare quel profumo che, ogni volta, sembrava seguirla ovunque.
“Prometto … e appena avrò sistemato le cose tornerò a trovarvi. Tranquilla.”, fece, sebbene con un nodo alla gola.
Probabilmente, non avrebbe mai mantenuto quella promessa.
Ma se significava farli stare meglio, allora ben vada.
Lei annuì, asciugandosi goffamente le lacrime dagli occhi, prima di riprendere: “Ci mancherai, sai? Insomma … ti ho seguita per moltissimo tempo e anche gli altri ti adorano e … mi raccomando, riguardati.
Non farti sbattere in prigione … niente risse, niente alcool e soprattutto …”
“… STARE SEMPRE ALLA LARGA DAI RAGAZZI!”, terminarono insieme, in coro, come facevano fin troppo spesso.
Scoppiarono a ridere, simultaneamente, fino a quando non fu Matt stesso a farle smettere, avvolgendole in un caldo abbraccio.
“Ci mancherai Hel. Il Fast Break non sarà più lo stesso senza di te … insomma, chi mi coprirà quando non mi suona la sveglia alla mattina?”, chiese, con aria falsamente disperata.
“Tranquillo … te la cavi già perfettamente da solo.”, rispose lei, montando nuovamente in sella.
Indossò il casco, osservando ancora una volta quella che era stata, seppure per poco tempo, la sua “famiglia”.
Sentì il cuore stringersi nel petto, a guardare quei sorrisi contenti e ottimisti, quegli occhi così pieni di vita, convinti ancora di poterla rivedere. Anche se, e lei lo sapeva bene, probabilmente quel sogno non si sarebbe mai avverato.
Sospirò, sorridendo nuovamente prima di esibirsi in un ampio saluto e, infine, partire verso la sua meta.
 
Per raggiungere Storybrook, Maine, da New York, USA, Helena Montgomery dovette prendere l’Interstatale 95 North.
Era riuscita a racimolare solo pochissime informazioni sulla cittadina che si, pareva segnata sulle mappe, ma purtroppo oltre a questo né su internet né altrove si riusciva a scoprire molto.
Dopotutto, però, non ne era così sorpresa.
Probabilmente se così tanti personaggi delle fiabe erano giunti in un solo luogo, all’interno di quel mondo, erano anche comparsi in una città magica … magari persino protetta da un qualche tipo di incantesimo che la rendeva quasi inaccessibile agli esterni.
Fortunatamente, però, il suo intuito magico funzionava ancora perfettamente bene e, quindi, sapeva più o meno verso dove dirigersi.
Munita quindi di cartina e bussola (sotto quell’aspetto, preferiva sempre e comunque i vecchi metodi) Helena proseguì spedita per oltre tre ore di viaggio, fino a quando l’immancabile fame da 30enne consumatrice di hamburger confezionati iniziò a farsi sentire.
Fu quindi, sebbene a malavoglia, a quel punto che si trovò costretta a uscire temporaneamente dall’interstatale, cercando un fast food abbastanza economico da permetterle di consumare un pasto in tutta fretta per poi ripartire nuovamente verso la sua tanto ambita meta.
Trovò un Burger King poco prima dell’entrata per Worchester, dove decise infine di fermarsi, anche perché, di quel passo, si sarebbe trovata ben presto a secco. Dopo aver fatto il pieno, lasciò la sua Bimota Tesi presso il parcheggio.
Il Buger distanziava qualche isolato, ma dopo tutte quelle ore di viaggio iniziava a sentire un bisogno disperato di sgranchirsi un po’ le gambe, per cui decise di andare a piedi.
Fu solo dopo alcuni minuti di cammino che, improvvisamente, il suo sguardo venne attratto dall’insegna di un negozio.
Si avvicinò appena, osservandosi attorno incerta mentre lo sguardo percorreva diffidente l’aria sfatta e consumata di quel posto abbandonato dal mondo.
Si trovava in una zona abbandonata, in cui spiccavano alcuni vecchi magazzini ormai in disuso, con pezzi di lamiere ed erbacce che coprivano il pavimento, lattine e vetri di bottiglie rotte sparsi praticamente ovunque e, a coronare il tutto, un odore d’immondizia decisamente acidulo che per poco non le diede il voltastomaco. Sul ciglio della strada poté notare persino alcuni grossi scatoloni di carta, assieme a delle coperte sgualcite e a borse della spesa che dovevano aver avuto giorni migliori … probabilmente, oltre a qualche senzatetto, quella zona doveva essere completamente disabitata.
Il negozio, un vecchio locale d’usato, si trovava proprio sul ciglio della strada. L’insegna in legno risultava a malapena leggibile, tanto era sbiadita la vernice con cui inizialmente era stata dipinta, mentre la vetrina era quasi completamente coperta da un fitto strato di polvere e ragnatele.
Eppure, a dispetto di tutto, qualcosa in quel luogo la invitava a entrare.
Si osservò nuovamente attorno, prima di spingere il battente d’ingresso ed entrare, con un lieve scampanellio, dentro il locale.
Anche lì dentro il posto sembrava aver avuto giorni migliori, e farsi strada fino al banco di vendita non le fu affatto facile, vista la quantità apparentemente finita di cianfrusaglie che ricopriva ogni singolo centimetro della stanza.
Il pavimento, in semplici assi di quercia, cigolava a ogni passo, coperto a intervalli regolari da fogli di giornale ingialliti e grossi tomi polverosi, molti dei quali dall’aria decisamente vissuta e dalle copertine ormai completamente rovinate. Sulle pareti spiccavano quelli che forse, un tempo, dovevano essere stati dei magnifici trofei di caccia … roba da collezionisti non fosse che, ormai, pure quelli erano completamente distrutti. Le pellicce delle fiere erano staccate in più punti, alcune erano persino prive di occhi e l’alce, posta proprio sopra il bancone, non possedeva nemmeno le corna. Oltre a essi poté vedere anche alcune spade d’epoca, completamente coperte dalla ruggine, in aggiunta alle quali vi erano anche dei set di vecchie spille militari. A parte questo, sembrava quasi che, col passare degli anni, tutte le persone che erano passate da lì vi avessero lasciato qualcosa, come una discarica della vita di mille e mille persone: vi erano vecchie bambole di pezza, orologi a cucù, set di porcellane e mappe, molte, moltissime mappe.
Fu un oggetto in particolare ad attirare, però, l’attenzione di Helena.
Un vecchio libro, dalla particolare copertina in cuoio marrone su cui spiccava, in lettere dorate, la semplice ma fin troppo famigliare scritta “Once upon a time”. Un libro di fiabe.
Lo osservò per qualche istante, prima di avvicinarsi appena, sfiorandone la copertina, in un silenzio quasi reverenziale che, da sempre, l’accompagnava quando aveva a che fare con oggetti simili.
Sussultò, mentre un brivido gelido le percorreva la mano, facendola scostare bruscamente, imprecando appena.
Lo sapeva … anzi, più che saperlo, lo SENTIVA.
Quello non era affatto un libro qualsiasi. Aveva qualcosa di particolare in sé, qualcosa di magico che, forse, a qualcun altro sarebbe parso quasi ridicolo.
A lei che, però, con la magia ci aveva avuto anche troppo a che fare, non parve affatto anormale.
Fece per toccarlo nuovamente, quando una voce la fece sussultare, voltandosi bruscamente.
“Davvero un bell’oggetto. Avete un ottimo gusto, signorina.”
Di fronte a lei sorrideva, pacata, una donnina minuta, gli allegri occhi grigi che la osservavano in silenzio mentre i capelli, ormai bianchi e candidi come la neve, erano raccolti in un semplice chignon.
Sorrise di rimando, accennando quindi al libro: “Quanto viene?”
L’altra lo osservò per un istante, prima di dire: “Ohhh, stia tranquilla. Quel vecchio tomo è qui da una vita … se vuole, posso anche regalarglielo.”, rispose, prima di porgerglielo con un sorriso.
Lievemente imbarazzata di fronte a quell’atteggiamento così insolitamente gentile, Helena non sapeva esattamente cosa dire, tuttavia non ve ne fu bisogno, visto che quella, subito, proseguì: “Sapete cara, non mi capita spesso di avere visite. È da molto tempo che nessuno entra nel mio negozio. Ditemi … cosa vi porta da queste parti?”, chiese, invitandola a seguirla nel retrobottega.
Incapace di dire di no alla donna, Helena si trovò, sebbene a malavoglia, a seguirla oltre le tende di perline colorate, fino a un ampio tavolino circolare in legno d’acero, con un servizio di the completo su di esso e alcune candele accese a illuminare l’atmosfera.
Diversamente dal resto della bottega, lì l’odore della polvere e della vecchiaia era molto più ridotto, sormontato da quello più deciso della cera sciolta, della lavanda e dell’incenso, odori che riscaldavano profondamente l’atmosfera.
Osservò per qualche istante la donnina che, decisamente rapida per quel corpo che di anni doveva averne visti molti, iniziava ad armeggiare indaffarata con la teiera del the, fischiettando allegramente un motivetto scozzese.
Si chiese come dovesse essere, vivere una vita del genere. Chissà da quanto tempo quella signora non riceveva visite … probabilmente tutti coloro che conosceva erano morti, o semplicemente scomparsi.
Non c’era da sorprendersi se l’aveva accolta in quel modo.
Probabilmente, era la prima persona a passare in quel posto da molto, molto tempo.
Si morse il labbro.
Effettivamente, le ricordava un po’ lei.
Nessuna casa, nessuna famiglia.
Solo tanti, troppi rimpianti alle spalle e quell’intramontabile sensazione di estraneità che la faceva, sempre e puntualmente, sentire fuori posto.
Aveva passato tutta la sua vita a chiedersi perché si sentisse tanto diversa, come se quel mondo non le appartenesse realmente, come se non fosse quella la vita a cui era destinata semplicemente perché NON ERA NATA PER VIVERE LI’.
Un peso che aveva trovato la sua risposta solo il giorno prima quando la memoria, più forte e dirompente che mai, era tornata.
Ricordandole chi era, da dove veniva ma, soprattutto, cosa si era lasciata alle spalle.
Scosse il capo, rispondendo: “Sono solo di passaggio. Sono diretta verso il Maine … diciamo che devo incontrare delle persone che non vedo da molto tempo, ecco.”, spiegò, senza troppo entrare nei dettagli.
Lei, d’altro canto, annuì, come se sapesse con esattezza ciò di cui stava parlando: “Certo, certo … stai viaggiando verso te stessa, giusto? Tutti coloro che sono in viaggio verso qualcosa di più grande passano qui, ogni tanto … a volte prendono qualcosa con sé, altre lasciano un po’ del loro passato a farmi compagnia.
E dimmi, dove sei diretta esattamente?”
Helena si morse il labbro, quindi fece spallucce, rispondendo: “Sono diretta a Storybrooke.”
Sorprendentemente, quella alzò gli occhi, fermandosi per un istante.
Si era aspettata che, come in tutti i casi precedenti, quando aveva chiesto indicazioni sulla cittadina, nessuno la conoscesse. Eppure la donna sembrava proprio aver fatto il contrario.
Tuttavia, dopo qualche istante di silenzio, riprese: “Capisco … per questo hai scelto il libro. Ebbene, in questo caso meglio che non ti intrattenga oltre, la tua famiglia ti starà aspettando e io non voglio certo farti fare tardi.”
La giovane la osservò per qualche istante, mentre la conduceva nuovamente alla porta.
Più ci pensava, e più quella situazione le sembrava assurda.
Uscì dal negozio col libro in mano, ancora troppo basita per spiccare parola, quando improvvisamente si rese conto di non averle nemmeno chiesto come si chiamasse. Si voltò di scatto, facendo per dire: “Ehm … posso sapere come si chiam …”
E niente.
Il negozio era svanito.



Note dell'Autrice:
Ebbene, eccomi di ritorno.
Dopo una brutta influenza, ho pensato di provare a tirarmi un po' su pubblicando un paio di nuovi capitoli (si, ne inserirò un altro ... eheheh) di questa mia Fanfic.
Come avrete letto, finalmente la nostra Helena è partita, e c'è stata qualche piccola sorpresina.
Anche lei, come Henry, ha trovato un libro di fiabe, sebbene non contenga tutte quelle presenti nella versione originale. Questo perchè, per motivi di trama, al suo interno non sono presenti i racconti inerenti al Sortilegio, di cui come avrete compreso lei di fatto non sa ancora nulla. Dopotutto lei è venuta nel nostro mondo prima che venisse lanciato, e sebbene sappia che i personaggi delle favole sono a Storybrooke non è ancora a conoscenza del motivo di tale viaggio tra i mondi.
Comunque sia, spero che la storia vi stia prendendo.
Ringrazio ancora Ghillyam ed EragonForever per le loro recensioni, assieme a tutti coloro che hanno aggiunto la storia ai preferiti e che tutt'ora mi seguono.
Detto questo, passo al prossimo capitolo!

Teoth

 

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Capitolo 6
*** Cap. 5 - Dove cade la mela ***


Capitolo 5
Dove cade la mela


“Mamma, mamma!”, la bambina inciampò, goffamente, sulla vaporosa gonna invernale, in lana color azzurro cielo, “Guarda cosa mi ha regalato l’Uomo Col Cilindro!”
La piccola saltellò ansiosa verso la madre, tirando con insistenza la sottana di lei verso di sé, così da attirare la sua attenzione.
“Helena! Sei scappata di nuovo, vero? Così Sir Johann finirà davvero col perdere la voglia di farti da istruttore, sai?”, osservò quindi la donna, abbassandosi con un sorriso bonario verso la figlia, senza tuttavia dar segno di volerla realmente rimproverare.
La piccola arrossì, abbassando imbarazzata lo sguardo.
“Però le lezioni di Sir Johann sono noiose. Io voglio imparare la magia, come la mia mamma!”, esclamò, arrampicandosi sull’ampio lettone, per poi indicare con insistenza un cofanetto, sul comodino.
Regina si bloccò, osservando in silenzio la figlia.
“Helena … tu come sai di …”
“Ho visto che usavi il libro per fare un incantesimo. È per questo che la figlia di Marianne è guarita, no? Hai usato la magia per curarla … la magia fa cose buone! Voglio impararla. Posso vero?”, insistette la piccola, del tutto ignara dei pensieri che, repentini, attraversavano la mente della madre.
È vero. La magia può fare cose molto buone ma, allo stesso tempo, può farne anche di veramente cattive. E Regina lo sapeva molto bene, meglio di altri.
Eppure …
“Va bene … però dovrai farmi una promessa, ok?”, disse.
La bambina batté le mani, annuendo entusiasta.
“Farò qualsiasi cosa, promesso!”
L’altra sorrise, proseguendo: “Devi promettermi di non farne parola con nessuno. La magia … vedi, può essere veramente molto pericolosa. E poi non voglio che tu ti illuda … serve una predisposizione di sangue per usarla e quindi non è detto che tu ne sia in grado.”
Helena annuì, abbracciando contenta la madre.
 
I giorni seguenti furono, per la Regina e la giovane Principessa, i momenti più attivi e frenetici da quando la piccola era comparsa ai piedi del melo, unendosi a quella famiglia decisamente insolita.
Le due trascorrevano la gran parte delle giornate chiuse nelle stanze del castello. Quell’ala particolare e oscura che, col tempo, era diventata il rifugio della regnante, trasformandosi in un luogo in cui la donna potesse essere libera di praticare la magia, senza temere il giudizio degli altri.
Ovviamente, questo non impediva alla servitù si sussurrare. Le voci sul potere della regina erano certamente innumerevoli, ma visto che, a quel tempo, era ancora ben lungi dal cadere nel baratro della malvagità, nessuno pareva curarsene poi molto. I poteri di Regina rendevano la terra fertile e il tempo sempre sereno e piacevole, guarivano i malati e rendevano feconde donne sterili da tempo. Certo, tutto ciò accadeva nell’ombra, ma al popolo andava bene.
Peccato che, durante quelle loro ore trascorse chiuse nelle Stanze della Regina, le due si isolassero totalmente dal resto del mondo.
In particolar modo, Biancaneve, sebbene stravedesse sia per la matrigna che per la sorellina adottiva, iniziò presto a risentire non poco dell’assenza delle due a corte. Dopotutto … aveva perso la propria madre naturale e stimava davvero moltissimo Regina, vedendo in lei la donna a cui, un giorno, avrebbe voluto assomigliare. E amava altrettanto anche la piccola Helena, sebbene avessero cinque anni di differenza a separarle.
Effettivamente, Helena era l’unica, al Castello, con cui potesse giocare a divertirsi senza preoccuparsi troppo.
Certo, vi erano anche i figli dei paggi e degli inservienti di corte. Ma erano tutti decisamente troppo schivi e timorosi quando si trattava di avere a che fare con qualcuno di sangue reale, cosa che impediva a Biancaneve di costruire con loro un rapporto abbastanza spontaneo.
Essendo però Helena come una sorella, tra le due si era creato subito un fortissimo legame affettivo.
La Principessa la vedeva un po’ come la sua protetta, la sua allieva super segreta, la sorellina minore da guidare sempre e comunque.
Stravedeva per lei e non sopportava che qualcuno potesse sparlare alle sue spalle, mettendo in discussione il suo diritto a far parte della famiglia reale. Anche se, infatti, non erano vere sorelle, Biancaneve non dubitava affatto che Helena avesse tutto il diritto a essere definita una reale.
Comunque fosse, l’assenza sempre maggiore della madre e della sorella la rese presto cupa e silenziosa, cosa che, ovviamente, non passò certo osservata a Re Leopold, che una sera decise di prendere da parte Regina, per parlarle.
“Moglie amata … posso sapere cosa sta succedendo? Ieri non eri a cena, e non è la prima volta che ti assenti dai pasti. Biancaneve inizia a sentire la tua mancanza … oggi c’era veramente una bella giornata, mi aspettavo che sareste andate a cavalcare nel bosco ma hai passato tutto il tempo nelle tue stanze. Cosa ti succede?”, chiese il re, il tono pacato e del tutto privo di rimprovero, ma che comunque lasciava trasparire una certa preoccupazione nei confronti della figlia.
Tuttavia, non voleva certo fare troppe pressioni alla moglie. Sapeva che era una donna magnifica e, quindi, sapeva anche che gli avrebbe dato una spiegazione più che soddisfacente su tale faccenda.
La donna alzò lo sguardo, distraendosi momentaneamente dal libro che teneva in grembo per osservare, quindi, il marito.
Abbassò gli occhi, tornando a fissare le pagine intrise d’inchiostro, per poi sorridere dolcemente: “Caro … sapete bene che non potrei mai trascurare la piccola Biancaneve. Siamo molto legate, voi stesso lo avete notato, dopo il nostro matrimonio.”
Un matrimonio che lei non aveva mai desiderato. Un matrimonio a cui era stata costretta da quella stessa “figlia” di cui l’uomo adesso voleva che si occupasse … ma lei aveva già una figlia. Una bellissima, splendida bambina dagli occhi color smeraldo, unico ricordo del suo “vero amore”, unica speranza e luce in quella vita altrimenti priva di piaceri e gioie. Una bambina che, ogni giorno che passava, si faceva sempre più bella, dimostrando un talento per le arti magiche senza pari.
Perché si, Helena aveva ereditato il sangue della madre.
Dopotutto, la mela non cade mai troppo lontana dall’albero …
E non solo. Il suo talento nella magia si dimostrava ogni giorno più forte e potente, le sue capacità andavano ben oltre la media, sorprendendo sempre di più la madre che, dal canto suo, non poteva non esserne fiera.
Non aveva idea del motivo di tanto talento. La magia è una dote innata, qualcosa che si trasmette di generazione in generazione col sangue e col sacrificio, ma che, solitamente, non presenta una tale differenza di potere tra madre e figlia. Probabilmente, pensò, era tutto dovuto al modo in cui era nata.
Che le acque del Lago di Nostos fossero intrise di magia non era certo un segreto, e probabilmente, essendo nata da esse oltre che dal suo sangue, Helena ne aveva ereditato parte dell’incredibile potere.
Comunque fosse, non era minimamente intenzionata a trascurare la SUA piccola per quella palla al piede.
Helena era la sola figlia che meritasse realmente il suo amore, e Biancaneve avrebbe dovuto farsene una ragione.
Tuttavia, il fatto che Re Leopold si fosse reso conto di ciò che stava accadendo tra lei e sua figlia rappresentava indubbiamente un problema.
Voleva essere libera. DOVEVA essere libera, di crescere sua figlia come preferiva, senza temere le inutili preoccupazioni di quel vecchio per la Principessina.
L’uomo sospirò, avvicinandosi silenziosamente al caminetto e osservando assorto le fiamme che vi scoppiettavano all’interno.
Le Stanze Reali erano, tra tutte le camere del Castello, la zona in assoluto più sfarzosa e ricca della struttura.
Calde e accoglienti, davano direttamente su un ampio terrazzo da cui era possibile osservare liberamente i magnifici giardini sottostanti, con il melo e le fontane zampillanti di fiotti cristallini.
All’interno, da un lato spiccava l’ampio letto a due piazze, un magnifico esempio di artigianato, con le fitte coltri rosse del baldacchino che proteggevano i due sposi da sguardi indiscreti. Le coperte, anch’esse vermiglie, presentavano ricami color dell’oro mentre morbidi cuscini foderati in piuma d’oca coprivano la testata, intagliata in scuro legno di quercia.
Sul fondo del letto vi era una cassa piena di abiti, mentre dall’altro lato della stanza spiccava una semplice zona giorno.
Un caminetto ampio, sufficiente a riscaldare tutta la stanza, di fronte al quale si poteva notare un semplice tavolino da the, attorniato da innumerevoli poltrone foderate in cuoio rosso acceso. I pavimenti, in muratura, erano coperti inoltre da alcuni tappeti tratti direttamente dai manti di belve esotiche: vi erano un leone, un lupo e persino un orso di montagna.
A terminare il quadro vi era poi una semplice biblioteca, fatta costruire da Re Leopold all’arrivo di Regina al Castello, così da darle modo di coltivare la propria passione per la lettura.
“Lo so.”, riprese infine il sovrano, le mani incrociate dietro l’ampia tunica foderata in pelliccia d’ermellino, per poi voltarsi, sorridendo appena, “Eppure, Biancaneve inizia a sentirsi isolata.
So molto bene dell’affetto che ti lega alla piccola Helena, io stesso la amo come una figlia. È una giovane incredibilmente intelligente per la sua età e ti assomiglia davvero moltissimo, indubbiamente sarà un’ottima Principessa … tuttavia, lei non è tua figlia. Né lo potrà mai essere.”
Un lampo scuro attraversò gli occhi di Regina, ma l’altro non parve notarlo, poiché riprese: “Quando ci siamo uniti in matrimonio, hai giurato di essere mia moglie. Questo giuramento, fatto col sangue, implica anche che, da allora in avanti, saresti stata tu la madre di Biancaneve … l’avresti trattata come fosse sangue del tuo sangue, come la figlia che non hai mai avuto.
Da quando è arrivata Helena, però … ho come l’impressione che tu abbia smesso d’interessarti a nostra figlia. Lei si sente sola, ti cerca, ma tu sei sempre nelle tue stanze con Helena … e nessuno pare sapere a fare cosa.
Quindi … posso sapere cosa sta accadendo? Perché sei cambiata tanto? E se vi è un motivo, puoi tornare a giocare anche con Biancaneve? Sente molto la tua mancanza.”
L’altra si morse il labbro, stizzita.
Dannazione, quel tipo era più assillante di quanto avesse immaginato.
Sorrise nuovamente, stampandosi in faccia il sorriso più falsamente gentile e benevolo del suo repertorio (repertorio, poi, forgiato da anni e anni di maschere e recite, ormai divenute parte della sua vita, di lei), per poi rispondere: “Mi spiace, caro … io …”, si morse nuovamente il labbro, cercando una spiegazione plausibile alle sue domande, prima di proseguire, “… amo moltissimo Biancaneve. È come una figlia per me ma il pensiero del povero destino di Helena. Lei sa benissimo di non essere nostra figlia, lo ha capito da molto tempo e questo … ecco, mi da l’impressione che ne soffra moltissimo. Non ha dei genitori e … e l’idea di essere la sua sola famiglia, seppure non naturale, mi distrugge il cuore.”
Quello annuì, perfettamente convinto.
Dopotutto era certo che, dietro le azioni della moglie, dovesse pur celarsi una valida spiegazione.
Tuttavia …
“Comprendo bene il tuo dolore, moglie cara. Nonostante ciò, però, è mio dovere, sia come padre che come marito, rammentarti che ora è di Biancaneve che sei madre e pertanto è tua responsabilità starle accanto.
La mia adorata figliola ha sofferto moltissimo a causa della perdita della madre, e tu sei la sola donna che potrebbe darle quell’affetto materno che fin’ora non ha mai potuto conoscere. Le tue motivazioni sono giuste,e dimostrano quanto puro sia il tuo cuore e limpido il tuo animo … sono state proprio queste doti a spingermi, più di ogni altra cosa, a chiedere la tua mano.
E pertanto è giusto che tu stia al fianco di Biancaneve. Helena è una bambina eccezionale, ma non potrà mai essere una vera Principessa, e tu lo sai bene. D’altro canto, la sorella necessita di una guida retta e giusta che le insegni a governare, in quanto sarà lei, alla mia morte, a prendere in mano il regno. Nessuno meglio di te potrebbe prepararla a tale compito.”
Terminato il discorso, l’uomo continuava a osservare la moglie, mentre il silenzio tornava ad avvolgere la stanza. Solo l’allegro scoppiettare del caminetto infrangeva quel sacro momento, riscaldando la stanza e facendo ritornare nella memoria di Regina i momenti perduti, col suo Daniel.
Non le importava delle parole del re.
Non le interessava che Biancaneve soffrisse per la sua mancanza, o che fosse suo dovere, come matrigna, guidarla e istruirla.
A dire il vero, non le interessava nulla nemmeno della corte, del re o di quella vita che, in qualunque caso, non aveva nemmeno richiesto.
La sola cosa che le importava era Helena, e se per stare con lei avrebbe dovuto uccidere l’uomo che l’aveva accolta nella sua famiglia, amata e protetta, allora non si sarebbe fatta problemi a toglierlo di mezzo.
Nessuno le avrebbe mai separate, nemmeno Re Leopold.
Sorrise, annuendo appena, mentre lo sguardo andava alla finestra e, più oltre, ai frutti rossi e sanguigni del melo: “Molto bene, mio re. Farò ciò che mi avete chiesto.”



Note dell'Autrice:
Rieccomi!
Allora, finalmente abbiamo qui un flashback di come era Helena da bambina. Premetto che, al fine di spiegare per quale motivo con esattezza Tremotino abbia infine deciso di farla uccidere, ce ne saranno indubbiamente altri, con altri personaggi e altre avventure, ma per questo dovrete attendere un pochetto.
Comunque sia, il titolo, come avrete capitolo, fa riferimento al detto "La mela non cade mai lontana dall'albero". Infatti Helena, proprio come la madre, dimostra subito uno straordinario talento nella magia, da cui il capitolo.
Spero che questo stralcio di vita tra Regina ed Helena sia stato di vostro gradimento.
Premetto già, poi, che il prossimo capitolo sarà quasi interamente dedicato ad Helena e Tremotino, un personaggio a me incredibilmente caro e che spero di essere riuscita a riprodurre al meglio.
Detto questo, ancora grazie a tutti i miei recensori e a coloro che mi seguono.
Alla prossima!

Teoth

 

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Capitolo 7
*** Cap. 6 - Il Maestro ***


Capitolo 6
Il Maestro
 


Silenziosa e impassibile, Regina osservò nuovamente il Corteo Funebre che, lentamente, attraversava il cortile del Castello, seguito da un gruppo decisamente fornito di Guardie Reali bardate di tutto punto, con i vessilli del regno che garrivano al vento e le armature lucenti sotto i raggi lievi della luna sorgente.
Re Leopold era morto.
Sorrise appena … finalmente, lei ed Helena sarebbero state libere. Finalmente, avrebbe potuto crescere la propria bambina come più riteneva opportuno, senza temere le ingombranti insistenze di quel vecchio decrepito.
Per la verità, non aveva nulla contro il vecchio sovrano. Certo, lo aveva odiato, almeno inizialmente … lo aveva odiato con tutta sé stessa perché, su quell’altare, in cui si erano uniti in matrimonio, non avrebbe dovuto esserci lui ma Daniel.
Daniel avrebbe dovuto metterle quell’anello al dito, Daniel avrebbe dovuto trasportarla, su quelle braccia calde e forti, nel loro talamo per la prima notte di nozze … Daniel avrebbe dovuto starle accanto, nella gioia e nel dolore, fino alla loro morte.
E invece era toccato a quello sciocco.
Si … perché qualcuno che, come lui, credeva veramente che avrebbe mai potuto considerare Biancaneve (proprio lei!) come sua figlia non poteva certamente essere altro.
Insomma … quella mocciosa le aveva tolto tutto ciò che aveva di più caro. La sua vita, il suo amore, la sua libertà.
Come avrebbe mai potuto considerarla figlia propria?
L’unico motivo che la teneva ancora in vita era l’affetto che, per qualche motivo a lei ancora ignoto, Helena sembrava nutrire nei suoi confronti. Anche se, a dire il vero, proprio non sapeva spiegarsi il perché di tanto amore tra le due.
Dopotutto, erano completamente diverse. Una calma e gentile, l’altra passionale ed esuberante … non avrebbero potuto essere più differenti eppure, a dispetto di tutto, sembravano andare veramente d’accordo.
Scosse il capo.
Non importava … finché lei fosse stata felice, allora avrebbe sopportato anche quella fastidiosa Biancaneve.
Sorrise appena, osservando il corteo allontanarsi progressivamente. Quindi si voltò, rientrando nelle proprie stanze.
 
“Un lavoro eccellente, mia cara!”, esordì la voce, alle sue spalle.
Gli occhi di Regina scattarono, osservando l’uomo che, tranquillo, se ne stava comodamente spaparanzato sulla SUA poltrona preferita.
Strinse i denti … seriamente, poteva pure essere stato il suo maestro, e averle insegnato tutto ciò che sapeva sulla magia, ma il suo talento nel farle saltare i nervi non era affatto cambiato.
“Cosa vuoi, posso sapere?”, chiese, secca, cercando d’ignorarlo mentre, impassibile, si versava del vino.
Un’abitudine che aveva preso col tempo.
Le riusciva praticamente impossibile interagire civilmente con quel tipo senza una buona coppa di rosso in mano.
L’altro rise, divertito: “Niente … voglio solo farti i miei complimen … ehm, le mie condoglianze. Per la TERRIBILE perdita.”
Sbuffò: “Certo … sai bene quanto me che non sarò io a sentire la mancanza di quel vecchio fallito. Quindi smettila di girarci intorno e dimmi che vuoi.”
“Ahhh … mia cara, carissima amica.”, rispose quello, balzando agilmente in piedi, “Sono veramente sorpreso, sai? Un tempo dicesti che non saresti mai stata come QUELLA DONNA … eppure inizio seriamente a pensare che, forse, siete più simili di quanto non avessi immaginato.”
Una sfera di fuoco partì, rapida, dalla mano di Regina, subito deviata da quella di lui, mentre lo osservava, furiosa, con gli occhi in fiamme.
“Non osare mettermi sullo stesso piano di quella strega, Tremotino!”, sbottò, furiosa, “Io non ho nulla a che vedere con lei. Tutto quello che ho fatto … ogni piano, ogni sacrificio, TUTTO … l’ho fatto solo per Lei. E tu lo sai bene!!!”
Sbatté il calice sul tavolo, iniziando a percorrere a falcate furiose la stanza: “Cosa ti aspettavi che facessi? Quel dannato ficcanaso continuava ad assillarmi … e Biancaneve di qua, e Biancaneve di la. Come se, poi, potesse importarmi veramente di quella mocciosa … è colpa sua, solo sua, se il mio Daniel è morto! Avrei forse dovuto abbandonare mia figlia per una mocciosa simile?
Quindi … non provare a paragonarmi a mia madre, solo perché ho fatto quello che ho fatto. È stato tutto per Helena, solo per lei, chiaro?”, concluse, ansando furiosa.
L’altro scoppiò nuovamente a ridere, alzando le braccia: “Va bene, va bene … come preferisci. Comunque sia, sono davvero sorpreso … all’inizio ero convinto che non saresti mai stata in grado di essere un’allieva adatta ma … a quanto pare mi ero sbagliato.”
Regina annuì appena.
Erano passati anni, ormai, da quando aveva deciso di affidarsi alle sue cure.
Certo, inizialmente era stato difficile … non era mai stato nella sua natura il far del male agli altri.
Era cresciuta nella convinzione che, sempre e comunque, il bene ripaga.
Ma le sfide che la vita le aveva posto di fronte l’avevano presto convinta a cambiare idea e, ormai, non rimaneva quasi nulla della Regina di un tempo.
Anche se aveva sempre sua figlia, le cose erano cambiate.
Se voleva proteggerla, se voleva assicurarle un futuro felice … allora le serviva una sola cosa: IL POTERE. Poco importava se, per ottenerlo, avrebbe dovuto strappare mille cuori, tessere mille intrighi o, ancora, distruggere mille regni. Avrebbe compiuto ogni sacrificio necessario per proteggere la vita di sua figlia.
E, visti i suoi scopi, l’offerta di Tremotino era stata perfetta.
Dopotutto, la Magia E’ potere, e imparandola aveva potuto assicurarsi quel futuro che altrimenti avrebbe rischiato di perdere.
Peccato che, sebbene lei, allora, non ne fosse ancora consapevole, anche Helena aveva notato il suo cambiamento.
 
“E io ti dico che c’è qualcosa che non va, in questo periodo.”, ribatté, per l’ennesima volta, Helena. 
Si trovavano entrambe fuori dal Castello, sopra una bellissima collina punteggiata da fiori di campo, in una pioggia di colori e profumi che riempiva l’aria di gioia e calore. Vi erano innumerevoli varietà di fiori che, altrove, risultavano praticamente introvabili: papaveri, narcisi e orchidee punteggiavano la vallata, scendendo giù, giù fino ai campi di grano, alle fattorie e alle prime casupole dei villaggi.
E lì, proprio sulla cima della collina, svettava, fiero e nobile, un magnifico olmo. Le fronde verdeggianti fornivano, alle due principessine, un rifugio sicuro dai raggi del sole estivo, mentre i rami nodosi si tendevano verso il cielo, in una continua sfida contro il mondo intero.
Era quello, da sempre, il loro piccolo, unico, rifugio segreto.
Non era infatti raro che le due sorelle decidessero di cavalcare, rigorosamente accompagnate da un nutrito gruppo di guardie, fino a quella collina, per trascorrervi gran parte della mattinata a giocare.
E in quel momento, Helena osservava silenziosa la sorella, dondolandosi pigramente sulla semplice altalena in legno e corda, costruita dalla madre appositamente per la figlia.
“Non capisco proprio che cosa ci sia di così strano. Insomma … sappiamo tutte e due che pratica la magia, ha aiutato moltissime persone grazie a essa e quindi non vedo cosa ci sia di male se si è trovata un maestro.”, osservò, invece, Biancaneve, comodamente sdraiata su un ramo poco sopra la sorella.
Indossavano entrambe dei vestiti semplici, ideali per le cavalcate all’esterno e composti, essenzialmente, da un corpetto in comodo cuoio foderato in pelle di visone, oltre che degli aderenti pantaloni di pelle, degli stivali pesanti e una tunica che arrivava loro fino alle ginocchia. Le spalle erano bardate con raffinata pelliccia d’ermellino, e la sola cosa a distinguerle era la differente tonalità del loro vestire: Biancaneve in bianco ed Helena in nero.
“Dici così solo perché non l’hai mai incontrato. Ti dico che quel tipo è veramente strano, mette i brividi solo a vederlo … e da quando prende lezioni da lui nostra madre non è più stata la stessa.”, insistette Helena.
Aveva avuto modo d’incontrare Tremotino solo poche settimane prima, per puro caso in quanto, solitamente, l’uomo preferiva di gran lunga tenere segreta la relazione che aveva con Regina.
Dopotutto, cosa avrebbero pensato le persone, se avessero scoperto che la loro sovrana era niente popò di meno che l’allieva del Signore Oscuro?
Avrebbe rischiato di andare incontro a problemi non certo indifferenti. Per cui era meglio non mostrarsi troppo in giro.
Tuttavia, non poteva certo immaginare che la piccola Helena, a quel tempo di a malapena dieci anni, avesse notato da tempo le continue assenze dal Castello della madre, decidendo persino di seguirla per indagare.
Effettivamente, che la piccola Principessa fosse un tipo decisamente curioso non era certo un segreto.
Immersa nella sua perenne innocenza, era riuscita a scoprire ben presto dove la madre teneva il proprio libro d’incantesimi, oltre che innumerevoli altri segreti … sapeva, per esempio, del misterioso Signore Nello Specchio che consigliava spesso Regina, o ancora della misteriosa scomparsa di Cora, sebbene, a quel tempo, non dubitasse di certo che fosse stata proprio la madre a farla sparire.
Aveva persino costretto la donna a rivelarle come nascevano i bambini, perorando la sua tesi con molto logiche riflessioni su come fosse fisicamente impossibile, per una cicogna, trasportare un fagottino urlante per miglia e miglia fino alla sua futura casa. Per non parlare del fatto che, se così fosse stato, come minimo nel Regno si sarebbero visti volare stormi interi e tutte le ore del giorno, cosa per nulla vera.
Ed era stata proprio quella stessa curiosità a spingerla, qualche settimana prima, a seguire la madre nella foresta, determinata a scoprire il motivo di così tante assenze.
 
“Buongiorno, piccola Helena.”
La bambina sobbalzò, affrettandosi ad assumere un’aria di circostanza, nel timore che qualche guardia potesse averla scoperta fuori dalle mura, senza permesso.
Come minimo, sua madre si sarebbe preoccupata a morte, sapendo che la figlia era uscita di nascosto, senza una scorta, col rischio di finire in chissà quale terribile pericolo.
Tuttavia, l’uomo che aveva di fronte non sembrava affatto una guardia.
Anzi, per essere precisi, non sembrava nemmeno un “uomo”.
La carnagione, per chissà quale motivo assurdo, era costeggiata da una fitta e lievemente brillantinosa trama di scagliette verde sporco, mentre le iridi erano così scure e cupe che, istintivamente, si trovò a indietreggiare di alcuni passi, intimorita.
Non sapeva per quale motivo con esattezza, ma quell’uomo le incuteva un terrore incredibile.
Semplicemente, il suo sangue magico le aveva fatto intuire chiaramente quanto, in quell’essere, vi fosse qualcosa di tremendamente SBAGLIATO.
L’altro, tuttavia, sorrise cordiale, guardandosi attorno con un sorriso, per poi avvicinarsi con aria complice.
“Allora … chi è che non vuoi che ti veda?”, chiese, sorridendo appena.
La bambina arrossì, abbassando il capo colpevole.
“E-ecco … io …”, balbettò, incerta, prima di osservarlo sospettosa, “E tu come fai a sapere che non voglio essere trovata?”
Quello scoppiò a ridere, guardandola divertito: “Mia cara … io so moltissime cose. E anche se non le sapessi, il tuo atteggiamento era già abbastanza chiaro da parlare da sé.”
La piccola parve pensarci su per qualche secondo, prima di proseguire, sempre più diffidente: “Sai anche il mio nome. Però … sono sicura di non averti mai incontrato prima. Chi sei?”
Gli occhi dell’uomo brillarono.
Fino ad allora, aveva solo sentito parlare della giovane Principessa. Regina era incredibilmente affezionata alla piccola e gli aveva accennato più e più volte dello straordinario intelletto di cui era fornita.
Eppure, per essere solo una bambina di dieci anni, non poteva non rimanere sorpreso di fronte al suo acume. Era decisamente sveglia, proprio come la madre. Decisamente … aveva fatto bene a indirizzare Regina su quella strada … probabilmente, con il giusto addestramento, la piccola avrebbe persino potuto rivelarsi un’allieva migliore della madre.
“Diciamo che io e tua madre siamo amici di vecchia data. Comunque … mi scuso per la scortesia.”, fece un ampio inchino, fingendo pure di togliersi in cappello immaginario, “Puoi chiamarmi  Sir Gold. E sono un mago. Molto piacere, è un vero onore fare la tua conoscenza.”
Come sentì la parola “mago” la bambina s’illuminò immediatamente, osservandolo sorpresa prima di dire: “Quindi … sei come la mia mamma!”
Quello parve sorridere, rispondendo: “A dire il vero, mia cara, io sono molto meglio di tua madre. Sono il suo maestro. Per essere sincero …”, si avvicinò, dondolando pigramente prima di dire, “… io e lei saremmo qui proprio per incontrarci. Immagino sia per questo che sei venuta qui, giusto?”
Helena arrossì, colta in fallo.
“Ehm … già. Volevo sapere perché usciva così spesso dal Castello e … mi spiace. Non volevo disturbarvi.”, concluse, sospirando appena.
Tuttavia, lui non parve prendersela troppo … anzi, sorrise divertito, osservando la piccola Principessa e sorprendendosi, nuovamente, di quanto fosse sveglia e intelligente.
Decisamente, aveva fatto un ottimo investimento.
Sorrise, posandole silenziosamente una mano sulla spalla.
La piccola sussultò, sorpresa, mentre quella strana sensazione di gelo le percorreva nuovamente la spina dorsale.
Anche se si era mostrato gentile con lei, quell’uomo continuava a darle un’impressione decisamente insolita.
“Tranquilla … quello che conta è che tu torni subito al Castello. Non vorremo certo far preoccupare tua madre, no?”, fece lui.
Sorrise, tra sé e sé. Dopotutto, non era nei suoi interessi far sapere a Regina dell’incontro con la figlia.
La donna era decisamente sveglia e, ormai, aveva capito bene con chi aveva a che fare. Protettiva com’era, non avrebbe preso affatto bene la scoperta del loro incontro, anzi … probabilmente avrebbe subito iniziato a sospettare, chiedendosi che interessi potesse mai avere nell’entrare in contatto con la figlia.
Come previsto, Helena colse immediatamente l’occasione, annuendo con forza. Nemmeno lei voleva far sapere alla madre della propria scappatella fuori dalle mura: “Promesso … tonerò subito al Castello però … voi non le direte nulla, vero?”, chiese, i grandi occhioni verdi che osservavano supplici l’uomo.
L’altro sorrise, soddisfatto: “Assolutamente … questo sarà il nostro piccolo segreto, mia cara Helena.”



Note dell'Autrice:
Ebbene, popolo di Efp, rieccomi!
Confesso che sono veramente contentissima, anche il terzo e il quarto capitolo hanno raggiunto le 100 visualizzazioni, e io non potrei proprio esserne più soddisfatta!!!
Nuovo capitolo, nuovo scorcio nel passato della nostra Helena.
Come promesso, questo capitolo si è concentrato quasi interamente sulla figura di Tremotino e sul suo primo incontro con la nostra piccola protagonista. Qui ho deciso, per motivi di coerenza, di farlo presentare a Helena con un nome falso, ossia quello di Sri Gold (ispirato alla sua identità di Storybrooke): infatti sebbene la bambina non sappia come sia fisicamente fatto il Signore Oscuro ne conosce bene la fama e il nome e, probabilmente, se le avesse detto la verità lei avrebbe compreso subito la sua vera indole. Spero che come espediente possa andare.
Come si evolveranno quindi ora le cose tra i due? E cosa porterà il Signore Oscuro a cercare di ucciderla?
Lo scoprirete presto, per ora, ringrazio come sempre Ghylliam ed EragonForever per le recensioni, oltre che tutti coloro che continuano a seguirmi.
Detto questo, alla prossima!

Teoth

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Capitolo 8
*** Cap. 7 - La Voce ***


Capitolo 7
La Voce
 

Stava sfogliando silenziosamente il libro.
Dopo la non poco misteriosa scomparsa del negozio, Helena aveva cercato invano di capire cosa fosse successo concludendo, alla fine, che non poteva che trattarsi di una cosa: Magia.
Certo, non era la prima volta che aveva a che fare con un evento simile, tuttavia non le era mai capitato, da quando era fuggita dal mondo delle fiabe, di trovarsi di fronte a un qualcosa di così inatteso.
Comunque fosse, poco importava.
Aveva quel libro e, ora che aveva modo di sfogliarlo meglio, ebbe modo di rendersi realmente conto del perché, inizialmente, quel tomo l’avesse attratta tanto.
Sebbene infatti alcune pagine fossero completamente bianche, quasi che parte della storia fosse stata lasciata in sospeso, quelle poche che aveva avuto modo di leggere raccontavano storie tutt’altro che simili alle classiche fiabe.
La storia di Cenerentola, di Belle, persino di Capitan Uncino … tutti racconti che non avevano assolutamente nulla a che vedere con quelli che si tramandavano in quel mondo e che, anzi, lasciavano intendere una cosa.
Quello non era un libro qualsiasi … quello era il SUO mondo. Raccontava di fatti realmente accaduti, di avvenimenti inerenti a quella casa che si era lasciata alle spalle ma, soprattutto, alla sua vita prima di giungere fin lì.
Perché si … in quel libro c’era anche lei.
Ogni momento, ogni singolo istante … tutto era narrato in quelle semplici pagine, segno che i ricordi che aveva recuperato solo da poco erano tutt’altro che un’illusione.
Addentò nuovamente l’hambuger, masticando affamata mentre, ansiosa, divorava quelle pagine, quasi che da esse dipendesse la sua stessa vita.
Si trovava, in quel momento, presso il Burger King in cui aveva deciso di fermarsi per mangiare.
Il locale era decisamente affollato, ma per fortuna era riuscita a trovarsi un posticino libero, in un angolo proprio di fianco all’ingresso.
Sospirò, stiracchiandosi soddisfatta dopo quel pasto che, doveva ammetterlo, ci era voluto eccome.
Il viaggio l’aveva decisamente stancata, e sebbene fosse partita che erano le 09.00 tutte quelle ore in autostrada l’avevano sfiancata non poco, al punto che, lo sapeva, se avesse insistito col proseguire probabilmente sarebbe collassata sulla sella della sua stessa moto.
Ora che, comunque, aveva mangiato poteva riprendere tranquillamente il proprio viaggio verso casa.
Sorrise, stiracchiandosi appena, prima di uscire dal locale.
 
Ovviamente, se davvero sperava di raggiungere Storybrooke entro sera dovette presto ricredersi.
Normalmente un viaggio del genere avrebbe dovuto impiegarle, come minimo, sei ore buone … comunque nulla che non potesse affrontare, almeno in teoria, nell’arco di una giornata di viaggio.
Peccato che, con la fortuna che si trovava, a pochi minuti dalla partenza si trovò bloccata in una lunghissima fila di traffico, con le corsie così stipate d’auto che persino con la sua moto non aveva modo di avanzare.
Scocciata e con i nervi a fior di pelle, fu con immenso rammarico che, alla fine, alle 20.00 di sera si trovò costretta ad arrendersi all’evidenza: doveva assolutamente trovare in posto in cui passare la notte, altrimenti, sarebbe collassata sulla sella.
Sospirò, uscendo nuovamente dall’Interstatale, alla ricerca di un Motel in cui fermarsi a dormire.
Ne trovò uno a pochi passi dall’uscita per cui parcheggiò la moto, dirigendosi quindi con passo deciso verso l’ingresso.
Si trattava di un semplice Bed&Breakfast, dall’aria tutt’altro che pretenziosa e costruito praticamente a ridosso della strada. La struttura, interamente in legno, ricordava molto, sotto certi aspetti, una baita di montagna, sebbene potesse vantare ben tre piani con tanto di terrazzo, oltre che un ampio cortile e un parcheggio auto.
L’interno rispecchiava perfettamente l’impressione che già da fuori dava: le pareti erano interamente costruite con grossi tronchi di legno di quercia, dall’aria robusta e resistente, così come il soffitto e il pavimento, coperto da alcune pellicce di animali selvatici.
Proprio di fronte all’ingresso, vi era un ampio bancone dietro il quale si trovava un uomo di mezz’età dall’aria burbera e solitaria, l’ispida barba nera che gli copriva gran parte del volto e i vestiti da escursionista che si adeguavano perfettamente all’atmosfera del luogo in cui lavorava.
Subito sulla sinistra, si poteva notare quello che doveva essere un semplice salottino per gli ospiti, con le poltrone foderate in pelliccia rossa ordinatamente disposte attorno a un caminetto accesso, mentre le pareti erano ricoperte da innumerevoli trofei di caccia, oltre che da una collezione non modesta di fucili.
Entrò, osservandosi attorno in silenzio, prima di avviarsi silenziosamente verso il proprietario che, dal canto suo, non alzò nemmeno lo sguardo su di lei.
Stava armeggiando con quello che doveva essere un grosso tomo, in cui stava annotando quelle che dovevano essere le entrate del Motel, senza tuttavia dar segno di prestarle attenzione.
Dopo alcuni secondi di pesante imbarazzo, Helena sbuffò, posando con un tonfo sordo la borsa sul bancone, osservandolo irritata.
Quello, dal canto suo, alzò appena lo sguardo, soppesando in silenzio il giubbotto di lei, un classico capo da motociclista in pelle nera e ricoperto di borchie dorate, prima di schiarirsi la voce e dire, con aria visibilmente scocciata: “Posso aiutarla?”
Stizzita, Helena lo osservò nuovamente, prima di stamparsi in faccia il sorriso più falso del suo repertorio e rispondere: “Certamente … sto cercando una stanza per la notte. Singola, possibilmente.”
L’uomo dovette notare il modo ironico con cui gli aveva risposto, perché assottigliò gli occhi, due minuscole fosse nere, prima di rispondere, a labbra strette: “Non accettiamo carte di credito. E la colazione non è compresa nel prezzo. Se le va bene, le do la chiave, altrimenti può pure togliersi dai piedi.”
Non doveva essere un timo esattamente molto socievole, ma non era certo la prima volta che si trovava ad avere a che fare con un tizio simile, per cui sorrise nuovamente, rispondendo: “Non c’è alcun problema. Prendo quella più costosa.”
Sorrise, mentre quello ritornava improvvisamente sull’attenti. Che facesse pure lo stronzo, non avrebbe potuto continuare a trattarla a pesci in faccia, non se ciò avrebbe rischiato di fargli perdere un’opportunità di guadagno simile.
Come previsto, infatti, l’uomo cambiò subito atteggiamento, sorridendo appena prima di porgerle la mano: “Mi perdoni, non mi sono ancora presentato. Mi chiamo Frank, e sono il proprietario del locale. Mi segua, la condurrò nelle sue stanze.”
Helena annuì, cercando di nascondere una smorfia schifata, prima di seguirlo verso il terzo piano.
 
Sospirò, abbandonandosi spossata contro il materasso caldo e soffice del letto, osservando in silenzio il soffitto.
Per modesto che fosse quel posto, la camera che le era stata assegnata non era affatto male.
La Stanza 237 del Red Roar, Maine, offriva una vista mozzafiato sulla foresta sottostante, permettendo persino d’intravvedere il Kennebec, un fiume che attraversava l’intera regione, per sfociare infine nell’Oceano Adriatico.
Un paesaggio a dir poco sublime, composto da imponenti boschi di sempreverdi, valli sterminate e rupi scoscese, oltre che, ovviamente, fornito di ogni genere di animale. Era solo sera, e già in lontananza poteva distinguere chiaramente il verso cupo dei rapaci notturni, pronti per la caccia.
L’aria era satura di un aroma particolare, pungente: era il sapore della terra fertile, del muschio e degli aghi di pino.
La stanza, relativamente semplice, vantava un ampio letto a una piazza e mezza, le cui coperte erano composte da innumerevoli pellicce d’alce e la testata, in legno, rappresentava una notevole opera d’artigianato.
Di fronte a esso spiccava un caminetto in muratura, accesso, sopra il quale si notava un interessante orologio a cucù di fattura abbastanza grossolana, ma comunque in sintonia col resto dell’ambiente. Sul lato sinistro del letto vi era un ampio armadio in legno d’acero, oltre che un comodino fornito di telefono e lampadina. Sulla destra, invece, vi era la porta che conduceva al bagno, in cui era presente persino un’ampia vasca in marmo.
Sospirò, chiudendo gli occhi e ripensando, per l’ennesima volta, alla sua missione, e a ciò che l’avrebbe aspettata una volta giunta a destinazione.
Chiuse gli occhi, ripensando a sua madre.
Il suo sorriso, caldo e confortevole, capace di riscaldarle il cuore. I suoi occhi, così pieni di luce e di vita. La sua voce, a volte severa, certo, ma comunque carica di un affetto profondo e sincero.
Eppure … eppure Lui aveva cercato di corromperla, di deviarla.
Non sapeva cosa fosse accaduto dopo la sua partenza, ma non poteva assolutamente permettersi di sottovalutare Quell’Uomo.
E, se era riuscito nel suo intento, macchiando per sempre di nero il cuore della persone che più amava al mondo, allora solo gli dei avrebbero potuto sapere come avrebbe fatto a ricondurla sulla buona strada, impresa che avrebbe potuto persino rivelarsi letale.
Si morse il labbro, scuotendo il capo.
No … non era il momento di crucciarsi tanto.
Doveva rimanere concentrata, e per farlo, tanto per iniziare, doveva farsi una bel bagno e, infine, andare a dormire.
Poi si sarebbe preoccupata del resto.
Annuì, sorridendo appena. Si, era quella la cosa migliore.
 
Stranamente quando si svegliò, alcune ore più tardi, non fu affatto a causa della sveglia, che avrebbe dovuto farla alzare dopo due ore buone.
No … fu per tutt’altro motivo che, scattando a sedersi, con la fronte imperlata di sudore, la giovane donna si guardò intorno, mentre quella morsa famigliare alla bocca dello stomaco iniziava a prendere il sopravvento.
Era la prima volta che il suo potere si manifestava con tanta forza, e fu solo con uno sforzo immane che riuscì, infine, ad alzarsi dal letto. Zoppicando faticosamente raggiunse il libro di fiabe che, improvvisamente, aveva iniziato a brillare di una luce soffusa e calda, dorata.
Prima che potesse rendersene conto, si trovò a sfogliarne le pagine, lo sguardo quasi febbrile mentre una forza più potente di lei la costringeva ad andare avanti, fino a quando non si bloccò.
Proprio di fronte a lei, accuratamente disegnata, vi era l’immagine di un’isola. Un’isola strana, un’isola che, nei racconti della sua infanzia, aveva avuto modo di conoscere molto, molto bene: l’Isola Che Non C’è.
Osservò in silenzio la cartina, un’opera indubbiamente raffinata, fatta da una mano tutt’altro che inesperta e in grado di riprodurre perfettamente ogni singola catena montuosa, ogni foresta, ogni radura, con una precisione quasi innaturale.
Innaturale come erano, d’altro canto, le onde che, come vive, andavano a infrangersi sulle coste del luogo, in un tonfo lontano e remoto, ma decisamente reale, non vi erano dubbi.
Osservò in silenzio la cartina che, lentamente, iniziava a prendere vita. Fino a quando una voce, nel mezzo di quel mare di lacrime, le raggiunse chiara l’udito.
Baelfire.
Helena sapeva molto bene quanto, per lei, pronunciare quella parola avrebbe potuto, come sempre, condurre a conseguenze tutt’altro che piacevoli.
Le era capitato più di una volta di dar voce inconsciamente al contenuto di un libro, e non era mai finita esattamente bene.
Eppure, quella volta, semplicemente fu più forte di lei.
La Voce si stava mostrando e premeva per uscire.
Non sapeva perché, ma senza rendersene conto si trovò a sussurrare: “Baelfire …”
Un lampo accecante l’avvolse e prima che potesse rendersene conto indietreggiò di scatto, battendo la testa sul comodino e, successivamente, perdendo i sensi.
 
“Ehi … sveglia, bella addormentata!”
Aprì gli occhi di scatto, mentre una voce dal tono lievemente strascicato la riportava in sé, costringendola a balzare in piedi, scattando rapida verso il giovane uomo che, a pochi metri di distanza, la osservava con aria preoccupata.
Prima che se ne potesse rendere conto, la donna gli balzò addosso, costringendolo a indietreggiare con le mani alzate fino a quando, con una ginocchiata repentina in pieno stomaco, non si trovò a boccheggiare ai suoi piedi.
“E tu chi diamine saresti?”, sbottò lei, puntandogli un coltello alla gola.
Vecchie abitudini … aveva imparato da tempo che per chi, come lei, è costretto a viaggiare continuamente un’arma fa spesso la differenza, specialmente nei confronti di certi malintenzionati, magari attratti dal suo bel fisico o, peggio ancora, dalla sua amatissima moto.
Quello alzò le mani, biascicando: “A-aspetta … posso spiegarti!”
Lo osservò, in silenzio.
Indossava dei vestiti insoliti, consistenti in una semplice mantella sgualcita, intessuta in quelle che parevano quasi foglie secche. Le brache erano fatte da un tessuto aderente, probabilmente cuoio, mentre la giubba era ricavata dalle pelli di svariati animali, così come gli stivali.
Doveva avere massimo venticinque anni, e i capelli erano dei riccioli color inchiostro, completamente ingestibili, così come gli occhi incredibilmente scuri e penetranti. Il fisico era quello di qualcuno abituato a confrontarsi con le insidie peggiori, eppure, non sembrava avere cattive intenzioni.
Si osservarono per qualche istante poi, dopo un po’, Helena iniziò a indietreggiare.
“Parla.”, fece, brusca.
Quello sospirò, iniziando a raccontare: “Il mio nome è Baelfire … diciamo che sono una specie di ombra. Vengo dall’Isola Che Non C’è e tu hai sentito il mio richiamo … il corpo a cui appartengo se ne è andato da tempo, ma nessuno può mai realmente abbandonare quel posto. Anche se un bambino riuscisse a fuggire, una parte della sua anima rimane sempre lì, dannata in eterno, e il bambino a cui ero legato è scomparso da molto, molto tempo. Tu hai sentito il mio richiamo e mi hai evocato qui … era la prima volta che sentivo una cosa simile. Nessuno dovrebbe essere in grado di fuggire da quel posto.”
Helena si sedette, soppesando in silenzio quelle parole.
Aveva letto qualcosa riguardo quell’isola, e le voci che aveva sentito, specialmente riguardo Peter Pan e l’Ombra, non le piacevano proprio per niente.
Lo fissò per un istante, cercando di soppesare le sue parole: “Lavori per lui?”, chiese, infine.
L’altro scosse il capo: “No … io a Peter Pan non abbiamo nulla di che spartire. Sono giunto qui, e ora la sola cosa che desidero è ritrovare mio padre. Penso sia per questo che il tuo potere ci ha fatti incontrare: tu puoi guidarmi da lui.”
La donna rise, nervosamente: “E sentiamo … chi sarebbe mai il tuo paparino?”
Lo sguardo del giovane si oscurò, mentre rispondeva, cupo: “Il suo nome è Tremotino, è il Signore Oscuro.”



Note dell'Autrice:
Ebbene, eccomi di nuovo!
Allora ... si, ci sono molte cose di cui parlare.
Iniziamo con Baelfire.
L'idea di inserirlo è sorta a dire il vero in modo abbastanza casuale, ma visto i precedenti del personaggio con la nostra cara Emma Swan sarebbe stato impossibile metterlo nel racconto senza dover stravolgere ... beh, praticamente tutta la storia originale. E da qui l'idea dell'ombra ... sostanzialmente parte dal presupposto che alla fin fine nessuno può mai realmente fuggire dall'Isola Che Non C'è e che una parte dell'anima di Balefire/Neal vi è rimasta. Questo Balefire, tuttavia, essendo parte dell'isola è più giovane di Neal e la sua età si aggira sui 25 anni.
Questo per delucidarvi un pochino.
Riguardo il resto ... eheheh.
Finalmente un accenno d'indizio sul misterioso potere di Helena!
Qui è solo minimamente mostrato, ma se volete indagare vi inviterei a riflettere sul titolo, altrimenti dovrete aspettare ancora un pochino per vederla all'opera.
Detto questo, ringrazio i miei recensori, EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam, oltre che tutti i lettori che continuano a seguirmi.
Come sempre, qualora avreste dubbi o domande non fatevi problemi a lasciare una recensione, che ovviamente sono sempre ben accette (gialle, bianche o verdi che siano). Io sarò sempre qui per rispondervi!
Alla prossima.

Teoth

 

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Capitolo 9
*** Cap. 8 - Arrivo a Storybrooke ***


Capitolo 8
Arrivo a Storybrooke
 

Silenzio.
Era da un po’ che, ormai, la donna osservava il giovane, improvvisamente assorta, ripensando a quell’ultima frase.
Tremotino.
Quell’uomo, chiunque fosse, era proprio il figlio dell’essere che più di ogni altro al mondo era stato responsabile del suo dolore, di tutti quegli anni trascorsi senza un’identità né una famiglia, di quelle ore passate a piangere lacrime senza nome, incapace di trovare una ragione di fronte al proprio malessere verso il mondo. Il figlio di quel mostro che le aveva tolto tutto: una madre, una casa … una vita.
E ora si trovava proprio di fronte a lei, osservandola teso, gli occhi scuri eppure così dannatamente limpidi, puri, da spingerla a chiedersi come potesse essere realmente il figlio di quell’uomo.
Si morse il labbro, fissandolo per qualche altro istante.
Non sembrava pericoloso, anzi … quando gli era saltata addosso era parso del tutto sorpreso e impreparato e non pareva avere cattive intenzioni. Da quel che era riuscita a capire, l’uomo che chiamava padre era ben diverso da quello che lei aveva conosciuto di persona.
E il suo unico desiderio era ricongiungersi a esso.
Sospirò appena.
Dannazione … come poteva sentirsi in sintonia con un tipo del genere?
Certo, forse stavano cercando entrambi di riunirsi alla propria famiglia ma … il padre di quell’uomo era la stessa persona che le aveva rovinato la vita, cazzo! Come poteva farsi ammorbidire così?
Sospirò, passandosi una mano stanca sulla fronte, per poi esordire: “Beh … Ok. Ehm … e tu pensi di trovarlo in questo mondo?”
L’altro annuì, sorridendo appena.
A dire il vero, si era aspettato una sfuriata, ma a quanto pare era stato fortunato: “Non lo so con certezza. Tu mi hai evocato qui e, non so ancora come, sento che anche mio padre si trova in questo mondo … tu sai dove?”
La donna si morse il labbro, per poi rispondere: “Credo di si. Anch’io vengo dalla Foresta Incantata. Per salvarmi da una … minaccia … venni portata qui, anche se purtroppo durante il viaggio persi la memoria. Non so perché, però, un paio di giorni fa ho recuperato la memoria e da quel che ho capito il tutto è riconducibile a un posto sul Maine, una specie di città fantasma.”
Lui annuì, per poi fare un sospiro, chiedendo: “Pensi che sia lì anche lui?”
Fece spallucce.
A dire il vero, non era esattamente molto ansiosa di rivedere proprio lui, il Signore Oscuro, ma se fosse stato necessario per ricongiungersi a sua madre, allora sarebbe andata fino in fondo.
“Conosco abbastanza bene la magia, e sento che in quel luogo si sono radunate molte persone del mio passato che … ecco … semplicemente non dovrebbero esserci. Teoricamente, dovrebbero trovarsi tutte ancora nella Foresta Incantata.”, spiegò, nervosamente. Continuava ad avere una pessima sensazione in proposito, ma non voleva fasciarsi la testa prima di rompersela e, quindi, avrebbe atteso di giungere alla città prima di decidere il da farsi.
Baelfire annuì, per poi osservarla nervoso.
Helena sospirò, andando verso la finestra e sperando, non sapeva ancora come, che non glielo chiedesse.
Diavolo, non poteva tirarselo dietro!
Assolutamente, era del tutto impensabile.
Quello parve comprendere i suoi pensieri perché, improvvisamente, si schiarì la voce, alzandosi.
“Ehm … allora … se per te va bene io vado. Devo ritrovare mio padre.”, fece, avviandosi a capo chino verso la porta.
Helena si voltò di scatto, sorpresa, e fu senza nemmeno riflettere che, rapida, si mosse per bloccargli la strada, osservandolo preoccupata: “Aspetta un secondo! Si può sapere che hai in mente di fare?”
L’altro parve perplesso, poi rispose: “Beh … pensavo fosse chiaro che tu … non volessi venire con me, no?”
Effettivamente, portarsi dietro proprio Suo figlio era una PESSIMA idea, ma non poteva certo lasciarlo da solo.
Non in quel mondo che, da quel che aveva capito, non conosceva nemmeno.
Sospirò, esasperata: “Si … forse, ma andare da solo sarebbe una pazzia.”, accennò ai suoi vestiti, tutt’altro che “normali”, “Tu non sai nulla di questo mondo, non ci sei mai stato e non hai idea di dove andare o di come andarci. Partire senza una guida sarebbe una follia. Quindi …”, fece un respiro profondo, per poi osservarlo con un sorriso, “… verrai con me.”
Baelfire sorrise, gli occhi illuminati di gioia, per poi annuire con forza: “Non so veramente come ringraziarti … io …”
“Ringraziami quando avremo capito cosa sta succedendo. Per ora, è meglio riposarci, domani partiremo.”, tagliò corto lei, senza tuttavia risparmiarsi un lieve sorriso in risposta, di fronte alla gratitudine del giovane.
“Perfetto … allora domani si parte! Ma … ehm …”, osservò perplesso la stanza fornita di un solo letto, “… come?”
“Io dormo sul divano, tranquillo. Tu riposati che domani avremo un bel po’ di cose di cui occuparci … iniziando dai tuoi vestiti.”, osservò scettica gli abiti del giovane, che la guardò perplesso.
“Che hanno i miei vestiti di strano?”, chiese, incerto.
“Diciamo che non sono proprio del posto.”
Quello fece spallucce, per poi dire: “Comunque non ci penso nemmeno, io sto sul divano, tu sul letto. È questione di buone maniere, e io sono un gentiluomo.”
Helena sbuffò.
Quel tipo iniziava seriamente a darle sui nervi.
“Si, certo. E io ti dico che, se non fai come ti dico, ti stendo di nuovo. Mia la stanza, mie le regole, e ora fila a dormire.”
Balefire osservò, in parte sorpreso e in parte ammirato, la donna che, silenziosa, iniziava a tirare fuori alcune coperte dall’armadio, per poi buttarsi sul divano con un sospiro, dandogli le spalle.
Sorrise … viaggiare con quella tipa avrebbe potuto rivelarsi decisamente più interessante del previsto.
 
“Sveglia, pigrone … ti ho preso della roba per il viaggio.”
Un ammasso di abiti pesanti venne scaraventato, senza troppi preamboli, sul volto dell’uomo che, aprendo appena un occhio, osservò scettico la giovane che poco distante lo osservava a braccia incrociate.
Quel giorno i boccoli color inchiostro erano raccolti in una semplice coda di cavallo, mentre il fisico slanciato e atletico era avvolto in uno stretto dolcevita nero come la pece, assieme a dei pantaloni in pelle da motociclista dello stesso colore e da un paio di ampi anfibi coperti di borchie.
Baelfire sospirò appena, stiracchiandosi pigramente prima di uscire dal letto a osservare, indeciso, gli abiti che lei gli aveva portato.
Maglietta color kaki, ampi pantaloni scuri, pieni di tasche, e delle converse verdi. Inclinò appena il capo, quindi fece spallucce, iniziando a cambiarsi.
Helena gli volse le spalle, dicendo: “Fatti una doccia, quando hai finito raggiungimi pure di sotto. Colazione e poi si parte.”
L’altro annuì appena.
La osservò allontanarsi, chiudendosi la porta alle spalle, poi, con un sospiro, si apprestò a prepararsi per la partenza.
 
Fu con un sopracciglio lievemente inarcato che, quando Baelfire raggiunse la compagna a colazione, il proprietario del Motel lo osservò, quasi a capire da dove diavolo fosse spuntato quello sconosciuto, manco fosse uscito dal nulla.
Tuttavia, non fece troppe domande e fu con aria forse fin troppo ossequiosa che fece preparare per i due una colazione decisamente ricca e abbondante.
Helena sorrise appena, osservando il magnifico dispiegamento di pancake, ciambelle, bacon, uova e succo di fronte a lei, mentre dal canto suo l’uomo osservava con aria tra il sorpreso e il diffidente quelle pietanze mai viste prima.
Prese alcuni pancake, fissandoli incerto, per poi osservarla interrogativo.
Helena scoppiò a ridere, spiegando: “Quello, amico, è un pancake. Sono ottimi col miele, o con la cannella. Prova.”
Lo osservò di nuovo, per poi addentarlo.
Lo sguardo del giovane parve illuminarsi, e superata quindi la diffidenza iniziale cominciò a riempirsi il piatto, masticando affamato e osservando in silenzio la donna che, di fronte a lui, si dava altrettanto da fare col cibo.
Sorrise, era una tipa decisamente divertente, ben diversa dalle femmine a cui era abituato.
Pareva sapere il fatto suo.
Quando ebbero terminato la colazione Helena si avviò verso il bancone, per pagare il proprietario e restituirgli le chiavi della stanza.
Finito, condusse l’uomo fuori dal Motel, nel parcheggio.
Gli occhi di Baelfire osservavano, sorpresi e ammirati, quel mondo completamente nuovo e sconosciuto, sondando indagatori gli edifici tozzi ma robusti, le strade asfaltate e traboccanti di strani mezzi in metallo, i giardini verdeggianti e quello strano odore di fumo che riempiva l’aria di quel mondo.
Tossì, chiedendosi come facessero gli umani di lì a sopportare un tanfo del genere, tuttavia non protestò e si affrettò subito a seguire la compagna, chiedendo: “Allora, come ci andiamo in questa città fantasma? Useremo una di quelle?”, indicò eccitato una delle scatole di metallo, ansioso di scoprirne i segreti.
Helena sorrise, scuotendo il capo.
“No, noi useremo questa.”, appoggiò la mano sulla moto, osservando divertita la reazione di lui.
“Wow … che cavallo strano è questo?”, chiese, fissandolo indagatore.
Lei scosse il capo, sorridendo appena: “Nessun cavallo. Questa è la mia moto, e quindi, come forse avrai intuito, io sto davanti e tu dietro. Monta in sella, su.”
Incapace di protestare, Baelfire assecondò la donna, per poi sussultare quando diede gas.
“Ehm … sei proprio certa che sia sicuro?”, chiese, improvvisamente teso.
Lei scoppiò a ridere: “E tu saresti il figlio di Tremotino? Sei un po’ codardo, per esserlo, sai?”
Quello sbuffò, offeso: “Io non ho paura di nulla, è solo istinto di sopravviven … AAAHHHHH!”, gridò mentre quella, che aveva già smesso di ascoltarlo, partiva con un rombo sordo, sorridendo appena.
 
A dispetto della tensione iniziale, Baelfire iniziò ad apprezzare presto la strana sensazione che quel mezzo gli dava.
Era mille volte più veloce dei cavalli a cui era abituato e l’impressione di libertà e onnipotenza che dava era decisamente qualcosa di unico e mai provato prima, al punto che si trovò a sorridere, saldamente aggrappato alla vita della donna che, silenziosa, macinava chilometri su chilometri di strada come nulla fosse.
La osservò, e per ben più di una volta, trovandosi a pensare che si … era decisamente sexy.
I capelli, simili ad ali di corvo, lucenti come pochi, le davano un’aria misteriosa e attraente al tempo stesso. Gli occhi, poi, erano a dir poco unici, di un verde incredibilmente profondo e ricco di sfumature. Per non parlare, poi, del fisico da urlo che si trovava.
Scosse il capo … non aveva tempo per pensare a cose del genere, doveva trovare suo padre, e per quanto il carattere deciso e forte della donna lo interessasse non poteva distrarsi troppo dal suo obiettivo.
 
Il viaggio fu tutto sommato abbastanza tranquillo.
Proseguirono spediti per gran parte della mattinata, staccandosi dall’Interstatale solo verso le 11.00, e inoltrandosi quindi in una strada laterale, che dava accesso a una regione quasi interamente coperta da una boscaglia fitta e penetrante.
Da lì, non ci volle molto per raggiungere un grosso cartello stradale verde acceso, su cui campeggiava una semplice scritta: WELCOME TO STORYBROOKE.
Helena sorrise, superando il segnale.
Finalmente erano arrivati.




Note dell'Autrice:
Salve a tutti!
Lo so, siete sorpresi che sia già qui con un nuovo capitolo.
Tuttavia volevo assolutamente festeggiare le 300 visualizzazioni del primo capitolo e, quindi, non ho proprio resistito alla tentazione di inserire il seguente.
Ebbene, finalmente Helena arriva a Storybrooke ... inutile dire che, ormai, la reunion con Regina è alle porte. Come reagirà la donna di fronte al ritorno della figlia così a lungo creduta morta? Lo scoprirete presto.
Per ora i nostri due protagonisti non sanno ancora nulla del Sortilegio. Helena ha solo percepito la presenza dei personaggi delle favole, ma non immaginerebbe mai in che condizioni si trovano e, soprattutto, che sia stata proprio la madre a far loro ciò.
Comunque sia, ringrazio ancora di cuore i miei generosissimi recensori EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam, oltre che tutti coloro che continuano a seguirmi.
Detto questo, spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima!

Teoth

 

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Capitolo 10
*** Cap. 9 - Il Mostro ***


Capitolo 9
Il Mostro
 

“Hel … si può sapere che ci facciamo fuori a quest’ora? Hai idea di cosa succederà se mamma ci scopre?”, brontolò, per l’ennesima volta, la piccola Biancaneve.
A dire il vero, non riusciva proprio a capire come ci fosse finita, in quella dannatissima situazione.
Quando infatti, quella mattina, l’amatissima sorellina era corsa da lei, affermando di aver finalmente scoperto chi fosse l’uomo misterioso che, da alcuni anni a quella parte, faceva da maestro di magia a loro madre, non si sarebbe mai immaginata che sarebbero finite proprio in quel modo.
Sole, senza uno straccio di scorta o arma per difendersi, nel bel mezzo della foresta e col tramonto ormai alle porte.
Cavalcavano ormai da alcune ore, e checché ne dicesse Helena, la sorella aveva parecchi dubbi sul fatto che lei sapesse realmente dove stavano andando. Insomma … quei boschi le sembravano tutti uguali, così come il sentiero che, stretto e contorto, le stava guidando sempre più verso il fulcro della foresta.
Tuttavia, la bambina sembrava perfettamente sicura di sé e guidava il cavallo con decisione, come se sapesse esattamente dove fossero diretti.
“Te l’ho detto. Devi vedere una cosa, ok? Continui a dirmi che mi preoccupo per nulla. Bene, ora ti dimostrerò che avevo ragione!”, ribatté l’altra, sempre più convinta.
Aveva cercato invano di mettere in guardia la sorella sulla natura di quell’uomo, ma, per quanto si fosse sforzata, non vi era stato verso. Biancaneve si rifiutava categoricamente di credere che, al mondo, potesse esistere qualcuno di tanto malvagio e crudele … peccato che, invece, una persona simile esistesse eccome e stesse cercando di portarsi via pure lei: la loro mamma.
Aveva capito subito quanto fosse pericoloso, ma, prima che scoprisse la collezione di cuori che la donna teneva nella propria cripta personale, non aveva mai nemmeno dubitato che fosse riuscito a corrompere anche lei. Insomma … Regina si era sempre dimostrata una madre dolce e amorevole, non poteva essere caduta al suo stesso livello, era del tutto assurdo.
Peccato che, ormai, le prove fossero troppo evidenti per essere ignorate.
“Hel … suvvia, ne abbiamo già parlato. Quello che dici è del tutto ridicolo … mamma non avrebbe mai a che fare con una persona del genere!”, osservò, stancamente, la sorella.
Tuttavia, ormai Helena non la stava più nemmeno ascoltando.
Aveva dovuto faticare non poco, per scoprire dove i due si incontrassero, ogni giorno, per le loro lezioni di magia.
Fortunatamente, i suoi poteri erano cresciuti di molto, e la sua Magia Mutaforma le aveva permesso di pedinare comodamente la madre, in forma di rapace, fino al luogo in cui si tenevano le sue lezioni.
E ora mancava solo poco, alla meta.
Fece segno alla sorella di scendere, visto che, se non volevano farsi scoprire, da lì in poi avrebbero dovuto proseguire a piedi.
Si inoltrarono nel sottobosco, camminando per alcuni minuti fino a quando, in lontananza, non iniziarono a sentire alcune voci.
E non solo.
C’erano anche delle grida.
Pallida, Biancaneve la trattenne per una manica, sussurrando: “F-forse dovremmo tornare indietro … non mi piace questa cosa!”
Tuttavia, la sorella scosse il capo: “No. Ormai siamo quasi arrivate, dobbiamo andare avanti, ti dico. Tranquilla, non ci scopriranno …”, o almeno così sperava.
A dire il vero, nemmeno lei era del tutto sicura di ciò che stavano facendo … ma, purtroppo, non aveva altra scelta.
Proseguirono, cercando di fare meno rumore possibile, fino a quando non si trovarono di fronte a una piccola radura, tappezzata da un morbido manto di foglie ormai morte, di tutti i colori dell’autunno.
Ormai, il sole stava calando e i suoi ultimi raggi rosati sfioravano appena le fronde degli alberi, proiettando giochi di luce sul terreno leggermente umido e spesso cedevole.
Helena tirò verso di sé la sorella, costringendola a nascondersi dietro a un fitto cespuglio di bacche color rosso sangue, per poi sporgersi in silenzio a osservare la scena di fronte a loro.
Dovette tappare la bocca della sorella altrimenti, di fronte a quello spettacolo, probabilmente si sarebbe messa a urlare.
Proprio davanti a loro, infatti, si stagliava una scena tanto macabra da gelare letteralmente il sangue nelle vene.
Brutalmente impalati su dei tronchi contorti e scuri, si stagliavano una schiera di figure brutalmente sfigurate. I corpi, magri a smunti, erano coperti solo da alcuni stracci, mentre laddove la pelle era visibile si notava un terribile intreccio di profonde ustioni purulente, tagli orribili e lividi ormai scuri e gonfi.
Gli occhi sgranati, le bocche ancora aperte nel terrore della morte, quei poveretti avevano tutta l’aria di aver patito le peggiori pene dall’inferno, prima di passare all’altro mondo.
E cosa ancora più orribile furono, poi, le due figure al centro della radura, due figure che entrambe conoscevano fin troppo bene.
Regina e lui, il tanto rinomato (e temuto), Signore Oscuro, si stagliavano nel mezzo della radura, osservando in silenzio quel macabro spettacolo mentre, disperata, una donna (probabilmente una contadina, a giudicare dall’abbigliamento) supplicava pietà ai loro piedi.
Helena si morse un labbro, mentre, impotente, osservava la madre strappare il cuore della giovane, per poi sbriciolarlo con freddezza quasi agghiacciante.
Di fianco a lei, sentì la sorella irrigidirsi, gli occhi sgranati su quello spettacolo completamente inatteso.
La tirò indietro, costringendola ad allontanarsi di alcuni passi prima di prenderla per le spalle, scuotendola con forza per poi dire: “Hai visto? Ora capisci ciò di cui ti stavo parlando? Quell’uomo è un mostro e se continuerà a mantenere i legami con lui anche nostra madre farà la stessa fine!”
Biancaneve, ormai in lacrime, dovette sforzarsi non poco per deglutire e, infine, osservare con occhi disperati la sorella: “E noi cosa dovremmo fare? Siamo solo delle bambine, e lui … lui … o cielo. Non riusciremo mai a fermarlo!”, osservò, affranta e amareggiata, “Non abbiamo i mezzi per confrontarci con un mostro del genere … cosa potremmo mai fare per impedirgli di ottenere ciò che vuole? E poi … se dovessimo incorrere nelle sue ire, allora …”
Fu, ancora una volta, la minore a fermare il flusso ormai incontenibile di parole della sorella, stringendola a sé e abbracciandola con trasporto, per poi sussurrare: “Troveremo un modo. Ti prometto, sorella mia, che nessuno ci porterà via la nostra mamma. Nessuno.”
 
Ottenere delle informazioni sul misterioso insegnante della loro tanto adorata madre fu, per le due sorelle, un’impresa per nulla semplice.
Quando Helena aveva avuto modo d’incontrarlo, la prima volta, esso si era astenuto attentamente dal fornire qualsivoglia informazione sul proprio conto, evitando di rivelarle persino il proprio nome. Cosa che, a distanza di mesi, rendeva la Principessa sempre più tesa.
Si era infatti presentato con un nome visibilmente falso, ossia quello di Sir Gold, che tra l’altro non figurava nemmeno nel catalogo dei cavalieri ufficialmente investiti del regno.
Eppure, il tempo ormai stringeva, ed entrambe erano consapevoli di quanto, più tempo avessero lasciato passare, più per la loro amata madre non ci sarebbe stata possibilità di ritorno.
Ogni giorno che passava, infatti, vedevano la donna cadere in un baratro di oscurità senza fine, cosa che Helena constatava con apprensione sempre maggiore, ogni volta che le capitava.
Anche se, comunque, Regina rimaneva inguaribilmente legata alla figlia, e per lei fosse disposta e tutto, era innegabile come proprio tale amore la stesse rendendo sempre più severa e spietata.
Bastava una minima disattenzione, e le guardie incaricate di proteggerla potevano rischiare di trovarsi col cuore strappato. Non tollerava l’idea che la sua amata piccoletta potesse correre dei pericoli e per proteggerla sapeva dimostrarsi incredibilmente crudele verso coloro che non adempivano al loro dovere come dovuto. Ancelle, serve, cuoche … tutti dovevano guardarsi attentamente dal nuocere in qualsivoglia modo la bella Principessina, altrimenti la pena era la morte.
Ed Helena, purtroppo, non ne era affatto contenta. Amava la madre, e stravedeva per lei, ma non era quella la donna che stimava … anzi, così facendo sarebbe diventata esattamente come il maestro: un mostro.
Per questo, nelle loro ricerche, né Helena né Biancaneve si risparmiarono, indagando notte giorno alla ricerca d’informazioni sul misterioso individuo, nel disperato tentativo di trovare un modo per fermarlo.
Chiesero informazioni presso il villaggio, tra le guardie e dalla servitù … eppure tutti sembravano fin troppo terrorizzati per toccare anche solo lontanamente quell’argomento.
Semplicemente, quell’essere, qualsiasi cosa fosse, era troppo crudele e malvagio per essere sfidato, e tutti si guardavano bene dal farlo.
Fu in preda allo sconforto più totale che, un giorno, Biancaneve venne illuminata da un’idea particolare che, forse, avrebbe potuto dare loro le risposte che tanto cercavano. Se quell’uomo c’entrava con la magia, allora, per risolvere il loro problema, avrebbero dovuto affidarsi anch’esse a tale potere, chiedendo però aiuto alle Fate.
Fu così che, anni e anni dopo la morte della madre, Biancaneve decise di chiedere nuovamente consiglio alla Fata Turchina.
 
“Continuo a pensare che sia una cavolata.”, osservò, ancora una volta, la piccola Helena, sbuffando irritata, “Dobbiamo affrontare un essere così potente da tenere in scacco mezzo regno, e tu pensi che una tizia con le ali da libellula possa risolvere i nostri problemi?”
Si trovavano nella foresta.
Ormai, il sole era tramontato da un pezzo e un manto di stelle lucenti ricopriva la volte celeste, simili a mille lucciole immobili, a illuminare appena il sottobosco carico dei fruscii e dei sussurri della vita notturna.
La luna, un’ampia sfera perlacea, riluceva fulgida nel cielo, mentre i suoi raggi perlacei s’infiltravano silenziosi tra le ampie fronde degli alberi, permettendo di orientarsi senza problemi.
Faceva abbastanza freddo, ma le due sorelle si erano adeguatamente preparate, optando per un abbigliamento abbastanza caldo e comodo da permettere loro di allontanarsi rapidamente a cavallo senza tuttavia rischiare di soffrire troppo per le basse temperature.
Biancaneve sorrise.
Helena era una bambina decisamente particolare … per lei, era inconcepibile che delle creaturine piccole come le Fate potessero utilizzare la magia. Dopotutto, era abituata al potere della madre, un potere superbo e pieno di energia, in grado di distorcere le leggi del mondo senza guardare in faccia nessuno.
Era assurdo che un potere simile potesse risiedere anche in delle bamboline in miniatura.
“Capisco la tua perplessità, sorellina, ma posso assicurarti che anche le Fate sanno essere molto potenti, quando vogliono. Inoltre, siamo qui solo per chiederle informazioni su quell’uomo … non sono intenzionata a coinvolgere la mia Fata Madrina in un’impresa che potrebbe non avere un felice lieto fine.”, fece la maggiore, sorridendo appena.
Improvvisamente, un piccolo fascio luminoso parve staccarsi dalla volte stellata, mentre quella che inizialmente pareva una stella cadente avanzava rapida verso la loro direzione.
Lentamente, la luce divenne sempre più accesa, passando dal bianco candido delle stelle a un dolce alone azzurrino, al cui interno pulsava una creatura in carne e ossa, che planò elegantemente di fronte a loro.
La Fata Turchina era un esserino minuscolo, apparentemente fragile non fosse stato per l’alone di energia pura che la avvolgeva come un manto protettivo. Indossava un grazioso abito color turchese, che ne metteva in risalto le forme e pareva brillare di povere di stelle, mentre i capelli erano raccolti in una morbida crocchia.
Biancaneve sorrise, salutando la Fata come una vecchia amica, allorché l’altra esordì: “Mia Principessa … ho sentito la vostra preghiera. Ditemi, cos’è che turba il vostro animo, al punto da necessitare del mio aiuto?”
Biancaneve sospirò appena, per poi osservare di sottecchi la sorella, che si fece avanti.
“Siamo qui per chiedervi se possedete alcune informazioni su un individuo particolare che, da un po’ di tempo a questa parte, ha iniziato a frequentare il Castello.”, fece la piccola, con tono fermo e conciso.
Quella parve oscurarsi, per poi rispondere: “Certamente, vi dirò tutto quello che so. Com’è quest’uomo? Sembrate molto scosse, percepisco un grande peso che assilla i vostri giovani cuori, cosa sta succedendo?”
Helena deglutì, per poi proseguire: “Si tratta di nostra madre. È da qualche mese, ormai, che è cambiata. Ha iniziato a seguire delle lezioni di magia da quest’uomo, un essere insolito, dalla pelle simile a scaglie di coccodrillo e gli occhi neri come la pece e carichi di un odio profondo, un’oscurità senza fine. E da quando lo frequenta … nostra madre non è più la stessa.”, concluse, mentre la gola le si serrava, come oppressa da un macigno inconfessabile.
La Fata parve raggelarsi, guardando silenziosa le due sorelle che, in attesa, la osservavano con l’ansia riflessa nelle iridi giovani.
Fece un sospiro, alzando gli occhi verso il cielo … non vi erano dubbi. Non poteva che essere Lui.
Si morse il labbro, apprestandosi a rispondere.
“L’uomo di cui parlate, l’Essere che sta corrompendo Regina dall’interno … ecco, il suo nome è Tremotino. Il Signore Oscuro.”
L’aria parve bloccarsi mentre, basite, le due sorelle si osservavano con gli occhi sgranati.
Certo, avevano già sentito parlare di quella creatura.
Un mostro senza cuore, un essere il cui potere era al di là di ogni umana comprensione e che aveva fatto del potere la propria ragione di vita. La sua crudeltà era leggenda, ma mai, mai avrebbero immaginato che sarebbe potuto giungere fin lì, nelle loro stesse vite.
Deglutirono, guardando ora con occhi disperati la Fata che, tristemente, si avvicinò loro, sospirando.
“Comprendo il vostro dolore. Avete ragione a essere preoccupate … quando il Signore Oscuro decide un obiettivo, nessuno è in grado di opporglisi, e voi non siete che delle ragazzine. Nemmeno io, con tutto il Consiglio delle Fate alle mie spalle, potrei fare nulla per impedirgli di proseguire con i propri piani scellerati … esso è immortale, e il suo potere non ha limiti. Tuttavia …”, esitò per un istante, prima di proseguire, “… esiste un modo per fermarlo.”
Helena alzò gli occhi, osservandola carica di speranza, ma subito quella la bloccò, fissandola con severità.
“Non fraintendetemi. Dubito fortemente che possiate fare qualcosa … anzi, sarebbe sciocco pensare il contrario. Se volete seguire un mio consiglio, allora tornate al Castello e, semplicemente, rinunciate al vostro proposito … si tratta di un’impresa troppo grande, specialmente per delle bambine, come voi. Molte persone hanno tentato di fermarlo, maghi e streghe mille volte più forti ed esperti di voi hanno perso la vita nel provarci, e nessuno ha mai avuto successo.”
Biancaneve sospirò, osservando in silenzio la sorella.
D’altro canto Helena, per tutto il tempo, non aveva smesso di stringere i pugni, osservando seria la Fata, gli occhi scintillanti di determinazione.
Fu solo con la conclusione del suo discorso che, infine, esplose: “Non ci penso nemmeno. Avete idea di cosa ci state chiedendo di fare? Se rinunceremo, per nostra madre sarà la fine! Lei è la nostra famiglia … da quando il re è morto, ci è rimasta solo lei, e non merita di fare la fine di quel mostro. Il suo cuore è buono, nobile e gentile, noi lo sappiamo e non permetteremo a quell’essere di portarcela via, sia anche a costo della vita!”, gridò, osservandola febbrilmente, il labbro che tremava di fervore mentre gli occhi luccicavano di lacrime appena represse.
Biancaneve sorrise: “Mia sorella ha ragione. Non permetteremo a nessuno di distruggere la nostra famiglia, tantomeno a una creatura che, di amore, non ne sa proprio nulla. E se esiste un modo per fermarlo, allora faremo qualsiasi cosa pur di ricacciarlo da dove è venuto!”
La Fata sorrise, sebbene tristemente.
Non voleva illudersi.
Probabilmente, se avesse detto loro ciò che sapeva esse non avrebbero più potuto fare ritorno.
Eppure … eppure … osservò i loro occhi.
Così diversi, due color cioccolato, due verde smeraldo, ma allo stesso tempo accomunati dalla stessa, incredibile, incrollabile fiducia in un futuro migliore per tutti loro.
E qualcosa, improvvisamente, le disse che il risultato non era poi così scontato.
Perché c’era forza, in quegli sguardi.
Una forza diversa, che non ha nulla a che fare col potere, o con la magia, una forza dettata da uno spirito puro, disposto e tutto pur di proteggere ciò che esse amavano.
Uno spirito che, comprese, avrebbe potuto dare del filo da torcere persino al Signore Oscuro.
Sorrise … iniziando a raccontare.



Note dell'Autrice:
Rieccomi!
Allora, tanto per iniziare, vorrei fare una piccola comunicazione di servizio.
Fin'ora ho pubblicato approssimativamente con quattro/cinque giorni di distanza tra un capitolo e l'altro ma, per motivi di comodità, ho pensato che non sarebbe poi male darvi una data fissa per i miei aggiornamenti (che per come procede la storia potrebbero anche essere di due capitoli per volta). Quindi si ... d'ora in avanti il nostro appuntamente per questa storia sarà il giovedì, mattina o sera in base a come mi viene.
Quindi, riassumendo.
Come vi ho anticipato, quando Helena ha incontrato Tremotino non sapeva ancora chi fosse, sebbene anche lei conoscesse le voci sul Signore Oscuro non sapeva come fosse fatto fisicamente. E da qui l'aiuto della Fata Turchina.
Oltre a questo, è ormai chiaro che nessuna delle nostre due principessina se ne starà con le mani in mano e da qui chissà cosa potrebbe succedere ... ai posteri l'ardua sentenza.
Un ringraziamento ai miei recensori EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam, oltre che a tutti oloro che continuano a seguirmi.
Alla prossima!

Teoth

 

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Capitolo 11
*** Cap. 10 - Il pugnale ***


Capitolo 10
Il pugnale
 

La Fata Turchina tacque, osservano in silenzio le bambine che, silenziose, continuavano a osservarla.
Fu Helena la prima a parlare, facendosi avanti: “Quindi … se noi ottenessimo questo pugnale, potremmo controllare il Signore Oscuro?”
L’altra annuì, affermativa.
Le due si guardavano mentre, improvvisamente tesa, Biancaneve sfiorava piano la manica della sorella: “Hel … non so se sia una buona idea. Controllare il Signore Oscuro … è un potere terribile, nessuno dovrebbe possederlo.”
“Non importa.”, rispose Helena, gli occhi luccicanti di determinazione, “E’ il solo modo per fermarlo … quindi, sarai con me?”
La sorella sospirò, annuendo appena.
“Lo sai che non ti abbandonerò mai, e poi sono la maggiore. Devo assicurarmi che tu non finisca in qualche guaio.”, osservò, sorridendo.
Helena l’abbracciò, affondando il volto nei capelli soffici di lei.
Per ciò che avrebbero dovuto fare, le sarebbe servito tutto l’aiuto e il supporto possibile.
 
Regina osservò, impassibile, la figlia che, le gote rosse di vergogna, osservava con interesse decisamente insolito il pavimento, quasi volesse sprofondarvi dentro, sparendo nel nulla.
Come temeva, la madre non ci aveva messo molto a scoprire della loro scappatella nel bosco sebbene, per sua fortuna, non pareva aver intuito il motivo per cui lei e la sorella si erano spinte a tanto.
La donna, sospirò, massaggiandosi le tempie, per poi avvicinarsi seria alla figlia, osservandola severamente: “Allora … vuoi dirmi cosa ci facevate tu e Biancaneve nel bosco, di notte, e soprattutto senza una scorta a proteggervi?”, chiese, osservandola seria.
La bambina arrossì nuovamente, scostando lo sguardo tesa, per poi balbettare: “N-noi … volevamo uscire per vedere le stelle.”, fece, timidamente.
Regina alzò gli occhi al cielo, per poi prendere la figlia per le spalle. Le sfiorò il mento, costringendola a incrociare il suo sguardo e, per l’ennesima volta da quando era venuta alla luce, si sorprese della straordinario somiglianza di quegli occhi con quelli del suo Daniel.
Sorrise appena, per poi proseguire: “Helena, amore … lo sai che il bosco è un posto molto pericoloso. Non voglio più che tu esca dal Castello senza qualcuno a farti da scorta, intesi?”, chiese, seria.
La piccola sospirò appena, abbassando il capo: “Va bene mamma.”
La donna sorrise, abbracciando la figlia.
Non poteva, non DOVEVA perdere anche lei.
Altrimenti, lo sentiva, nulla avrebbe potuto impedirle di perdere definitivamente il senno.
 
“Helena … Helena! Vuoi ascoltarmi? Forza, ripeti l’ultima parte del testo.”
La bambina si riscosse osservando, cupa, il piccolo Grillo Parlante che, pazientemente, le faceva cenno di leggere quell’ultima parte della loro lezione di astronomia del pomeriggio.
Si trovavano presso l’ampia Biblioteca Reale del Castello, un salone decisamente vasto fornito di ogni genere di manoscritti, da quelli dalle tematiche più semplici a dei veri e propri monumenti della cultura del posto.
La sala, dall’ampio soffitto a cupola, era circolare e costruita interamente in marmo color avorio, mentre le pareti erano decorate da innumerevoli colonne doriche, oltre che da un vasto assortimento di arazzi e piante esotiche dal dolce aroma.
Su un piano sopraelevato, si trovava la Sala di Lettura, alle cui spalle brillava, illuminato dal sole pomeridiano, una magnifica vetrata rappresentante un melo carico di succulenti frutti maturi, che si stagliava verso il cielo stellato. Il luogo era arredato da un insieme di robusti tavoli di studio in spesso legno di quercia, mentre fogli di pergamena e calamai terminavano il quadro.
Sotto il piano, accostate alle pareti, vi erano poi gli innumerevoli scomparti della biblioteca, alti metri e metri e contenenti ogni genere di libro o manoscritto mai visto a memoria d’uomo.
“Scusa, Signor Grillo … ma oggi proprio non riesco a concentrarmi. Possiamo rimandare la lezione a domani?”, fece la piccola, tetra.
Erano giorni che cercavano informazioni su dove potesse trovarsi il pugnale, e ancora non avevano ottenuto nulla.
L’altro la osservò, silenzioso, prima di annuire: “Molto bene, Vostra Altezza. Tuttavia, sento che qualcosa vi turba … se volete, sapete che con me potete parlare liberamente.”
La piccola parve dubbiosa, ed esitò non poco, prima di dire: “Io e Biancaneve vogliamo trovare il pugnale del Signore Oscuro.”
Quello parve oscurarsi, quindi, con un sospiro, le volò lieve sulla spalla: “Sai di cosa stai parlando, vero? Quell’essere è molto pericoloso, non dovresti preoccuparti di lui. È molto meglio non averci niente a che fare, credimi.”
Helena, tuttavia, scosse il capo: “No, tu non capisci. Lui è qui, al Castello.”
L’altro parve bloccarsi, mentre gli occhi scuri andavano a posarsi tesi sulla bambina: “Qui? E perché dovrebbe venire in questo posto?”
La bambina sospirò, portandosi le gambe al petto: “E’ per mia madre. Lei è la sua allieva. Le sta insegnando la magia.”
Il grillo la osservò, sorpreso e interdetto, prima di soppesare bene le sue parole: “Capisco. E tu non vuoi che lei segua la sua strada.”
La piccola annuì, triste: “Però è tutto inutile. Io e Neve abbiamo cercato in tutti i modi di scoprire dove si trovi, ma non abbiamo ottenuto nulla!”
L’altro sospirò, osservandola quindi severamente: “Sai quali rischi corri nello sfidarlo, vero?”
La bambina annuì, e, dentro di sé, il Grillo Parlante non poté non ammirare la straordinaria forza d cui era dotata la piccola, per rischiare tanto pur di salvare la propria madre.
Sorrise appena: “Capisco … immagino di non potere far nulla per farti cambiare idea. Quindi … se per te va bene, vorrei darti una mano. Sono il tuo maestro, e non potrei mai perdonarmi se ti accadesse qualcosa in mia assenza.”
Subito, la bambina si illuminò, prendendo il piccolo esserino tra le manine paffute, e scoccandogli un bacio lieve sul piccolo capo: “Grazie! Grazie, grazie, grazie … non so proprio come …”
L’altro sorrise, arrossendo appena di fronte all’entusiasmo dell’allieva, prima di dire: “Aspetta a ringraziarmi, prima, dobbiamo stabilire un piano per ottenere quel pugnale.”
 
Era da un po’, ormai, che l’insolito trio era chiuso nelle Stanze Reali, a elaborare un modo per portare a termine il proprio compito.
Non appena Biancaneva aveva scoperto che, per quell’impresa, non sarebbero state sole, era stata subito felicissima di accogliere il grillo nel loro gruppo, prodigandosi in ogni genere di ringraziamento per dimostrargli quanto gli fosse grata per l’aiuto offerto loro.
D’altro canto, il Grillo Parlante si sentiva profondamente responsabile delle vite delle due giovani principesse.
Era il solo adulto che potesse affiancarle in quell’impresa, ed era suo specifico dovere assicurarsi che non rischiassero la vita più del necessario.
Motivo per cui, aveva deciso, si sarebbe preso cura di loro fintanto che la missione non fosse giunta al termine.
Sospirò, esordendo: “Allora … per ottenere il pugnale, direi che, innanzitutto, ci servirà un diversivo.”
Le bambine annuirono, ascoltando attente il grillo.
Erano decisamente solevate all’idea di non dover affrontare quella situazione da sole, e la presenza di un adulto a supportarle era un vero toccasana. Da sole, per quanto si fossero rivelate determinate sapevano fin troppo bene di potere ben poco contro il loro nemico … ma con l’aiuto del grillo, con i suoi consigli e la sua esperienza, forse avrebbero potuto riuscire nel loro intento.
L’altro, intanto, proseguì: “Ho già avuto modo di incontrare quell’essere. È stato lui a causare quello che per me è stato uno degli eventi più traumatici della mia storia, e che ora mi ha condotto fin qui. E posso dirvi una cosa.”, le piccole si guardarono, facendogli cenno di proseguire, “Tremotino è un individuo subdolo, sfuggente, difficile da capire. Ma una cosa ama, con tutto sé stesso … gli accordi. È il tipo di persona che, al giusto prezzo, farebbe qualsiasi cosa, e quindi se gliene offrissimo uno, probabilmente, si distrarrebbe abbastanza da permetterci di cercare il pugnale che, a mio parere, si trova nella sua dimora.”
Helena sorrise: “Wow … sembra facile … allora, quando partiamo?”
L’altro sospirò appena, alzando la zampetta per smorzare l’entusiasmo della piccola: “Una cosa per volta, mia allieva. Non possiamo avere fretta, o potrebbe costarci la pelle. Tra qualche settimana, vostra madre partirà per un viaggio … finché sarà al Castello, non potrete allontanarvi dalle mura senza che se ne accorga, e solo allora potremo agire.
La dimora del Signore Oscuro si trova a pochi giorni di viaggio da qui, con il giusto supporto, potremmo andare a tornare senza che nessuno se ne accorga. Avete già conosciuto la Fata Turchina … sono sicuro che sarà felice di assicurarsi che nessuno noti la vostra assenza.”
Helena annuì, fino a quando Biancaneve non chiese, tesa: “E … che accordo gli proporremo?”, il grillo sospirò, osservando silenzioso il sole, fuori dalla finestra.
“Sarò io a proporgli un accordo. Gli chiederò di tornare come ero una volta, e voi potrete cercare il pugnale.”
Le bambine si osservarono, tese, al che la maggiore osservò, preoccupata: “Ma se ti scoprisse …”
L’altro sorrise, scuotendo il capo: “Non posso lasciare questo compito a voi, è troppo rischioso. Mi sono assunto l’incarico di accompagnarvi in questa missione perché è mio preciso dovere, come vostro mentore e amico, quello di proteggervi e assicurarmi che non vi accada nulla di male. Non potrei mai perdonarmi se vi succedesse qualcosa … è molto meglio che sia io a rischiare, piuttosto che voi.”
Le sorelle annuirono, guardando grate a quella piccola creatura che, a dispetto di tutto, pareva possedere un cuore così grande.



Note dell'Autrice:
Come promesso, d'ora in avanti aggiornerò inserendo anche due capitoli per volta (se tutto va bene).
Quindi eccomi con questo capitolo, in cui le nostre due Principessine trovano un nuovo alleato per la loro missione. Ora non resta che scoprire se riusciranno nel loro intento di sottrarre il pugnale a Tremotino o se, invece, le cose andranno diversamente.
Tanti e rinnovati ringraziamenti per i miei preziosissimi recensori e per tutti coloro che mi seguono.
Come sempre, sapete che io sono qui e qualsiasi commento, sia anche solo di due righe, è gradito e ben accetto. Spero vivamente che questa storia vi stia piacendo come la sto amando io e, detto questo, un saluto e a giovedì prossimo!
Ci si vede.

Teoth

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Capitolo 12
*** Cap. 11 - Prima impressione ***


Capitolo 11
Prima impressione
 

Giunsero al Bar da Granny che, ormai, era già ora di pranzo, motivo per cui decisero di lasciare la moto presso il parcheggio, per concedersi un breve spuntino prima di proseguire con le proprie ricerche.
Helena e Baelfire si osservarono rapidamente intorno, ma, per quanto si sforzassero, la città sembrava un posto come tanti altri, senza nulla che lasciasse trasparire la sua vera storia né, tantomeno, il motivo per cui nessuno pareva conoscerla.
Gli edifici, per la maggior parte semplici costruzioni in stile vittoriano, erano allineati ai lati delle strade seguendo un ordine preciso: vi era la zona commerciale, con i bar, alcuni negozi e persino un banco dei pegni, poi si passava alla parte verdeggiante, in cui si trovavano innumerevoli parchi giochi e una scuola, per finire con i quartieri abitati. Nulla che, a dire il vero, non si potesse trovare in tante altre cittadine della regione del Maine.
La donna osservò silenziosa i passanti, cercando qualche viso noto fino a quando, silenziosamente, Baelfire le posò una mano sulla spalla: “Ehi … tutto bene?”, chiese, con tono apprensivo.
Helena strinse le spalle: “Non so … me la aspettavo … diversa. Forse sarà solo una mia impressionema comunque sarà meglio fermarci per prendere qualcosa. Questo locale sembra essere anche un Motel, prenoteremo una stanza e vedremo di raccogliere le informazioni che ci servono.”
L’altro annuì, quindi parve oscurarsi: “Forse … è il caso che io cambi nome.”
Lei lo fissò, interrogativa.
“Baelfire non è un nome comune, e da quel che ho capito in questo mondo darebbe abbastanza nell’occhio. E poi non voglio che qualcuno scopra che il figlio del Signore Oscuro si trova da queste parti.”, spiegò quello.
L’altra annuì: “Allora … che ne dici di Trevor? È abbastanza comune e non suona male.”
“Direi che può andare. Ora, però, andiamo … ho una fame che potrei divorare la tua moto.”, lo fissò, inarcando un sopracciglio, al che quello rise, avviandosi a passo deciso all’interno del locale.
 
L’interno del Bar da Granny possedeva un’atmosfera decisamente piacevole, ed era colmo di un notevole numero di abitanti del posto, giunti apposta per godersi un pasto in perfetta tranquillità.
Il bancone, molto ampio e spazioso, si trovava sulla destra ed era spalleggiato da innumerevoli mensole cariche di ogni genere di alcolico, oltre che da un tavolo con le macchine del caffè e i bicchieri per le varie bevande. Di fronte a esso, si trovavano alcuni tavoli, in stile abbastanza moderno e interamente in metallo, mentre sulla sinistra vi erano delle cassapanche e degli altri tavoli, decisamente più comodi e confortevoli.
Helena e Trevor entrarono, occhieggiandosi rapidamente intorno prima di avviarsi, con passo deciso, verso il bancone.
La proprietaria, un’anziana signora dagli occhiali a mezzaluna e i capelli raccolti in una crocchia, alzò rapidamente lo sguardo, esibendosi in un sorriso gentile prima di venire verso di loro, reggendo uno straccio per le pulizie.
“Buongiorno giovanotti … cosa posso fare per voi?”, chiese, sorridendo solare.
I due si guardarono per qualche istante, prima di rispondere: “Beh … tanto per cominciare vorremmo ordinare qualcosa da mangiare. Poi … se avete una stanza, saremmo intenzionati a fermarci qui per un po’ di tempo.”
Quella annuì, sorridendo con l’aria di chi la sapeva lunga: “Capisco … siete fidanzati?”
Per poco Helena non rischiò di inciampare nei suoi stessi piedi mentre, fortunatamente, una giovane dai vestiti decisamente striminziti e i capelli mori decorati con mash e trecce color porpora non accorse in loro aiuto, dicendo: “Nonna! Non vedi che li stai mettendo in imbarazzo?”
La giovane sorrise, rivolgendo la sua attenzione ai due: “Scusatela, mia nonna inizia a essere vecchia, e non sa proprio quando stare zitta.”
L’anziana sbuffò, arricciando il naso: “Ho molta più esperienza alle spalle di te, signorinella, e so riconoscere una coppia quando la vedo. Ora … se non ti dispiace, ho dei clienti di cui occuparmi.”, sorrise, tornando a osservare Helena e Trevor che, in mezzo a tutta quella discussione, erano rimasti praticamente immobili, senza sapere bene cosa pensare.
“Allora … una camera e …”
“Due camere. Grazie.”, intervenne Helena, sorridendo appena alla giovane che, divertita, osservò la nonna come per dire, “Visto che avevo ragione io?”
La donna alzò gli occhi al cielo, quindi proseguì: “E va bene … Ruby, fa preparare delle stanze per i nostri ospiti.”, la nipote sbuffò, cercando di protestare, ma alla fine fu costretta a desistere, “E per pranzo … cosa vorreste?”
I due sorrisero, guardandosi divertiti, prima di rispondere: “Dei cheeseburger con patatine andranno più che bene, e della birra per mandarli giù meglio.”, fece Trevor, osservando soddisfatto Helena, prima di prendere un posto su una delle cassepanche, dall’altro lato del locale.
Lei lo fissò di sbieco, osservando: “Scusa, chi ti ha detto di ordinare anche per me? Che ne sai, magari la birra non mi piace nemmeno.”
Quello fece spallucce, come nulla fosse: “Ho solo pensato che fossi il tipo da cheeseburger e birra, tutto qui. O forse preferisci l’anatra all’arancia con lo champagne?”
L’altra sorrise, accavallando le gambe: “E va bene, Trevor. Per questa volta farò finta di nulla, ma non credere di potermi passare sopra di nuovo, Ok?”
Quello sghignazzò, scostandosi quando le bevande vennero posate sul tavolo. Prese il boccale, alzandolo verso la compagna, prima di dire: “Certamente. Un brindisi al nostro nuovo inizio. E alle camere separate.”
Helena annuì, alzando la propria birra: “Alle camere separate, allora.”
Si sorrisero, iniziando quindi a mangiare.
Il pranzo fu abbastanza breve, anche perché erano entrambi troppo ansiosi di iniziare le proprie ricerche per perdere troppo tempo in quel locale.
Stavano ormai per terminare, quando un uomo dall’aria decisamente avvenente non si avvicinò al loro tavolo. Indossava un camice bianco, da medico, mentre il volto era quello affascinante di chi è abituato a ottenere ciò che vuole senza sforzarsi troppo, i capelli un ammasso color dell’oro che gli coprivano il capo. Sorrise, posando una mano sul tavolo e osservando Helena, senza tuttavia degnare di altrettante attenzioni Trevor che, irritato, iniziò a fissarlo con aria ostile.
“Buongiorno. È la prima volta che la vedo da queste parti, signorina … ?”, fece, osservando forse con un po’ troppo interesse il seno della donna, che ricambiò lo sguardo, impassibile.
Inspirò, notando con disgusto l’odore di alcool che proveniva dall’uomo, quindi rispose, cinica: “Non sono affari suoi come mi chiamo o perché sono qui. Io e il mio amico abbiamo finito … si faccia da parte.”
Quello, tuttavia, doveva essere decisamente troppo ubriaco per recepire il messaggio, al punto che non parve sentire nemmeno le parole della donna e, anzi, si avvicinò maggiormente a lei, stringendole il braccio e sorridendole divertito.
“Suvvia, non faccia così. Possiamo farci quattro chiacchiere, magari nel mio appartamento. È a pochi isolati da qui, sa?”
A quel punto Trevor, che di quel tipo ne aveva avuto decisamente abbastanza, si alzò di scatto, spingendolo indietro e dicendo: “Non hai sentito la mia amica? Fuori dai piedi, prima che te ne debba pentire.”
L’altro parve vederlo per la prima volta e fu osservandolo con irritazione sempre maggiore che si fece avanti, spingendolo a sua volta e facendolo sbattere contro la parete, rispondendo: “Togliti dalle scatole, idiota. Quello che faccio non sono affari che ti riguardino … se sei geloso della tua fidanzata, potevi scopartela quando avevi tempo!”
Ormai al limite della pazienza, fu con uno scatto improvviso che, appena in tempo, Helena riuscì a bloccare il braccio del compagno, a un soffio dal volto dell’uomo, che scoppiò a ridere, dicendo: “Visto? Anche lei è dalla mia parte.”
Sorpreso, Trevor osservò Helena, che gli si accostò all’orecchio: “Lascia stare, questa non è questione che ti riguardi.”
Un attimo dopo si era voltata di scatto, sferrando un sinistro decisamente potente contro la mascella del medico, che cadde all’indietro, sbattendo il capo contro un tavolo e gemendo. Un rivolo di sangue gli cadde dal labbro, ormai spaccato, mentre i presenti si alzavano di scatto e qualcuno si affrettava a chiamare la polizia.
Senza perdere troppo tempo, Helena trascinò il compagno fuori dal locale, tirandoselo dietro con forza, il volto ancora livido di rabbia.
“Ehi … aspetta. Che stai facendo? Se spariamo in questo modo la polizia …”, cercò di dire quello, fino a quando lei non lo bloccò, fissandolo.
“Lo so … ma quel pezzo di …”, sferrò un calcio contro l’insegna del locale, che cadde a terra, ridotta in mille pezzi, “Se penso che pensava pure di potermi rimorchiare. Ma per chi mi ha preso? Per una puttana di strada? Avrei dovuto spaccargli il naso, cavolo!”
Trevor osservò la donna fare avanti e indietro, sorridendo appena di fronte alla furia leonina della compagna.
Purtroppo, proprio in quel momento la strada venne invasa dal suono delle sirene, e fu guardandosi per un istante che Helena esordì: “Vattene.”
“Cosa?”, chiese lui, sorpreso.
“Tu non hai fatto niente, ma se ti troveranno qui faranno delle domande. E devi trovare tuo padre … io me la caverò, tranquillo.”, fece lei, osservandolo decisa.
Si fissarono per qualche istante, quindi lui fece per andarsene.
Tuttavia, improvvisamente tornò sui propri passi, prendendo la donna per le spalle e fissandola direttamente negli occhi: “Ci ritroveremo, promesso. E quando lo avremo fatto cercheremo i nostri genitori.”
Lei annuì appena, sorridendo amara, prima di osservarlo sparire verso il parco.
 
Lo Sceriffo Swan sopraggiunse sul luogo della rissa solo alcuni minuti dopo, scendendo dalla macchina con un sospiro e osservando in silenzio la donna che, impassibile, la fissava appoggiata al muretto del locale a braccia incrociate.
Il suo sguardo si spostò sull’insegna, a terra, e sui paramedici che si affrettavano a portare il medico nell’ambulanza, giunta poco prima.
La vittima, il Dott. Whale, non era esattamente il genere di persona che la donna avrebbe difeso con piacere, ma in quel caso la situazione era troppo palese per essere ignorata.
Si avviò quindi a passo deciso verso la donna, che alzò le mani, consentendole di metterla con le spalle al muro senza troppi problemi.
“Spero vivamente che lei non voglia fermarsi qui a lungo, perché come primo giorno ha iniziato veramente male. La porterò in centrale, e le farò alcune domande … come si chiama?”
Quella la fissò, prima di rispondere: “Helena, mi chiamo Helena.”
“Molto bene, Helena. Si faccia mettere le manette, poi mi segua.”, l’altra annuì, porgendole le braccia.
Fu solo quando le loro dita di sfiorarono che, improvvisamente, la giovane sgranò gli occhi.
Quella donna … quella donna dai capelli biondi, come l’oro. Emma Swan … lei … era la figlia della sua migliore amica. La figlia di Biancaneve.



Note dell'Autrice:
Ebbene, eccomi per il nostro appuntamento settimanale a base di OUaT!
Che dire?
Intanto, vi anticipo già che il nostro Baelfire/Trevor non è affatto uscito di scena per sempre, ma avrà modo di ricomparire presto, anche se non vi dico come o porché. E finalmente abbiamo anche avuto il tanto atteso incontro di Helena con Emma, incontro a dire il vero non certo dei migliori, ma vi posso assicurare che presto diventeranno ottime amiche ... spero solo che la storia vi stia piacendo e che continui a entusiasmarvi!
Ringrazio, come sempre, i miei fedelissimi recensori EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam per tutti i consigli e le osservazioni (sempre graditi) ricevuti fin'ora e lo stesso vale per tutti quei lettori che continuano a leggere questa mia Fanfic.
Pubblicherò di seguito il dodicesimo capitolo.
Alla prossima!

Teoth

 

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Capitolo 13
*** Cap. 12 - Nuovi incontri ***


Capitolo 12
Nuovi incontri
 

Era da un po’ che Emma Swan osservava, silenziosamente, la nuova arrivata eppure non era ancora riuscita a inquadrarla al meglio.
Quando era arrivata, solo alcuni minuti dopo la chiamata di un cliente del bar, presso il locale, era rimasta decisamente sorpresa nel trovarsi di fronte a una donna che, dall’aspetto, non doveva avere molti anni più di lei. Sorpresa che, successivamente, era aumentata ancor di più nel constatare come, a dispetto di tutto, quella non avesse accennato minimamente nell’opporre resistenza … anzi.
La fissò ancora per qualche istante, riflettendo su come, teoricamente, nessun visitatore fosse mai solito giungere in quella cittadina.
Non che credesse alla storia del Sortilegio, ovviamente. Il piccolo Henry aveva un’immaginazione decisamente fervida, ma persino lei doveva ammettere come, da quando era giunta fin lì, non avesse mai avuto modo d’incontrare avventurieri. Ed era la prima volta che la vedeva in giro.
Helena, dal canto suo, aveva risposto a tutte le domande dello sceriffo facendole notare come, essendosi solo autodifesa, sarebbe bastata una testimonianza a suo favore per farla uscire.
Era quindi con calma a dir poco impassibile che se ne stava comodamente sdraiata e con le mani dietro il capo, sul letto della cella a osservare annoiata il soffitto, senza curarsi troppo della donna.
Emma sospirò, quando un vago scampanellio ebbe modo di annunciarle l’arrivo di alcune visite.
Si voltò di scatto, mentre il piccolo Henry le correva incontro, abbracciandola con entusiasmo: “Mamma! Hai sentito? Ci sono dei nuovi arrivati in città … Ruby mi ha raccontato tutto.”, fece il bambino, per poi osservare Helena, interessato, “E’ lei?”, chiese.
“Henry … non dovresti essere a scuola?”, chiese la donna di rimando, senza tuttavia smettere di sorridere.
“Avevo voglia di vederti … Ruby dice che lei era presente, se le parlerai ti confermerà tutto!”, osservò il piccolo, avvicinandosi quindi alle sbarre. Il suo sguardo si posò sullo zaino di Helena, da cui era possibile notare un ampio bordo del suo libro che faceva capolino dall’interno. Gli occhi del bambino si illuminarono, quindi disse: “Resto io con lei. Tu va pure da Ruby.”
Emma osservò il figlio, incerta, quindi fece spallucce: “Ok, sarò di ritorno tra qualche ora … tu fai il bravo e non infastidire la nostra ospite.”
Il bambino annuì, osservando quindi la madre uscire dalla stanza.
Per tutto quel tempo, intanto, Helena aveva continuato a fissare la coppia, assottigliando gli occhi di fronte al comportamento del bambino che, in quel momento, si era voltato nuovamente verso di lei, guardandola seriamente.
Alzò un sopracciglio, esordendo: “Bene … posso sapere perché avevi così tanta voglia di rimanere solo con me?”, chiese infine.
Il piccolo sorrise, accomodandosi sul divano posto di fronte alla cella: “Te ne sei accorta. Sembri una persona parecchio sveglia.”
L’altra sbuffò: “Quando si cresce su una strada, imparare a capire le intenzioni degli altri può fare la differenza tra la vita e la morte. Comunque … vi ho sentiti parlare, sei suoi figlio?”
Il bambino annuì, sorridendo: “Esatto … e tu invece? Chi sei? Posso vedere il tuo libro?”
La donna sussultò, osservandolo improvvisamente cupa, fino a quando non decise di alzarsi, sporgendosi verso di lui.
“E tu che ne sai del mio libro, piccoletto?”
L’altro sorrise, incurante dell’atteggiamento improvvisamente ostile della donna, prima di riprendere: “So che non è un libro qualsiasi, e lo so perché anch’io ne ho uno simile.
Sai, questa città è avvolta in un Sortilegio. Tutti i personaggi del mio libro vivono qui, ma non ricordano chi sono realmente e per questo mia mamma, la figlia di Biancaneve, è qui. Perché lei è la Salvatrice e spezzerà l’incantesimo.”
Helena si bloccò, incapace di rispondere.
Che voleva dire che nessuno ricordava nulla del proprio passato?
Era giunta fin lì per ritrovare la sua famiglia, per rivedere la propria madre, la donna che aveva amato sin da quando era bambina e per cui aveva sacrificato ogni cosa. Aveva sognato per così tanto tempo il giorno in cui si sarebbero riunite, e ora quel ragazzino le veniva a dire che era impossibile, perché nessuno, li,  ricordava chi fosse realmente.
“Un Sortilegio?”, chiese, in un sussurro.
Il bambino annuì, improvvisamente serio: “La mia mamma adottiva, Regina … lei ha scatenato un Sortilegio su tutti gli abitanti della Foresta Incantata, tutto per ottenere la sua vendetta contro Biancaneve e i suoi compagni. Solo Emma può fermarla, lei è la Salvatrice.”
Rossa in volto, Helena si scagliò contro le sbarre, facendo sussultare il bambino che si ritrasse, improvvisamente spaventato.
Tremante di rabbia a stento repressa, la donna ringhiò, ostile: “Tu non sai neanche di cosa stai parlando, piccoletto. Conosco bene Regina, lei non farebbe mai una cosa del genere, tantomeno a Biancaneve. Le voleva bene quando vivevamo al Castello, non si sognerebbe MAI di farle del male, tantomeno per sete di vendetta!”
Henry la osservò, improvvisamente dubbioso.
“Tu … conoscevi mia madre?”
L’altre fece una smorfia, amara, prima di rispondere: “Certo che la conoscevo. Il mio nome è Helena Montgomery, sono sua figlia.”, disse, mentre gli occhi del piccolo si sgranavano, sorpresi. Sorrise: “Leggi pure il mio libro, troverai tutto scritto lì dentro. Sono venuta in questo mondo per sfuggire a Tremotino, il Signore Oscuro, ma facendolo ho perso la memoria. È stato solo alcuni giorni fa che i ricordi sono tornati.”
“Quando Emma è arrivata a Storybrooke.”, sussurrò Henry.
Si alzò in piedi, avvicinandosi cauto alle sbarre e sfiorando quindi con gentilezza le mani di Helena, che lo osservò sorpresa.
“Mi dispiace molto per quello che ti è successo. Ma Regina è davvero cambiata, non è più la donna che credevi che fosse. Ora è la Regina Cattiva e tiene prigionieri tutti i personaggi delle fiabe, anche la tua amica, Biancaneve, ossia mia nonna.”
Helena si scostò, voltando il capo.
No, non poteva crederci.
Sua madre, malvagia?
Era semplicemente assurdo. A quel punto, se avesse perso la memoria sarebbe stato persino meglio. Aveva affrontato il Signore Oscuro appositamente per impedirgli di distruggere il cuore di sua madre, e anche se, con la sua scomparsa, avrebbe dovuto aspettarsi un risvolto simile, era comunque troppo da accettare.
Regina l’aveva cresciuta con tutto il proprio amore. Le aveva insegnato a camminare, a parlare, a usare la Magia … l’aveva istruita e protetta, amandola come non aveva mai amato nessun altro. Era BUONA, e lei lo sapeva.
Non poteva aver fatto realmente una cosa del genere, era semplicemente inconcepibile.
Sentì un nodo salirle in gola, mentre, per la prima volta dopo anni, delle lacrime facevano forza per uscire.
Deglutì, prima di riprendere: “Non m’importa di quello che pensi. Mi rifiuto di credere che mia madre possa essere diventata un mostro, e non sarai certo tu a convincermi a tirarmi indietro. Ho passato la mia vita a cercare la mia famiglia, non rinuncerò proprio ora.”, il bambino abbassò lo sguardo, tristemente, poi lei proseguì, “Prenditi il mio libro se sei così interessato alla mia storia. Poi però vattene. Sarai anche il nipote di Biancaneve, ma non abbiamo più niente da dirci.”
Henry sospiro, prendendo il tomo a osservandolo in silenzio.
Quindi alzò lo sguardo, improvvisamente determinato: “Va bene. Se vuoi parlarle, allora non ti fermerò. Così, almeno, ti renderai conto di ciò che è realmente e, forse, le impedirai di distruggere le persone che ami.”
Detto ciò si voltò, uscendo di corsa.
 
Dopo il discorso con Henry, Helena rimase ferma per parecchio tempo, riflettendo cupamente sulle parole del bambino, la mente sconvolta e in subbuglio che si rifiutava di farla riflettere razionalmente.
Da un lato, il cervello le suggeriva che il racconto del bambino non era affatto azzardato. Solo qualcuno col potere di Regina avrebbe potuto lanciare un Sortilegio del genere, e che fosse sul punto di cedere all’oscurità, quando se ne era andata, ne era consapevole persino lei. Dall’altro, però, il cuore si rifiutava categoricamente di accettare un’eventualità del genere, ricordandole la donna che l’aveva cresciuta e amata quando era solo bambina.
Tuttavia, non ebbe nemmeno il tempo di venirne a capo, perché solo alcuni minuti dopo Emma e Ruby rientrarono, osservandosi attorno.
“Dov’è Henry?”, chiese la bionda, sorpresa.
L’altra fece spallucce: “E’ corso via senza dire niente. Sarà voluto tornare a casa.”
Emma assottigliò le sopracciglia, osservandola in silenzio.
Sapeva che le stava mentendo, ma d’altro canto, non le sembrava una persona pericolosa, e le sarebbe bastato chiamare il figlio per accertarsi che stava realmente bene.
Scosse il capo, accennando alla mora: “Ruby mi ha raccontato come si sono svolte le cose. Direi che, con questo, puoi uscire. Sai già dove passare la notte?”
Helena annuì: “Ho preso una stanza da Granny. Resterò li, anche se prima dovrei parlare con una persona. Conoscete una donna di nome Regina?”
Le due si osservarono, visibilmente tese.
“Ecco … ti riferisci al Sindaco Mills?”, chiese Emma, tetra, “E’ la madre adottiva di Henry, abita al 108 di Mifflin Street. Perché ti interessa?”
Helena osservò la bionda, che nel frattempo aveva aperto la porta della cella.
“Il perché non penso che la riguardi, Sceriffo Swan. Le basti sapere che io e quella donna abbiamo alcuni conti in sospeso.”, rispose, secca.
Emma sospirò, parandosi di fronte a lei e osservandola cupa: “Senta, Signorina Montgomery. Forse ha ragione, non sono affari miei, ma quella donna con cui vuole parlare è veramente molto pericolosa. Mi creda. Tiene Storybrooke in pugno e fossi in lei non cercherei di mettermela contro.”
Helena incassò in silenzio quelle parole, soppesandole attentamente, prima di annuire: “Vedrò di non farla arrabbiare, allora. Intanto, la ringrazio per l’informazione … se vuole, stasera posso offrirle da bere, così avrò modo di raccontarle com’è andata, e di riconciliarmi con lei per la storia della rissa al bar.”
L’altra sorrise: “Bene. Allora ci rivedremo questa sera, immagino.”
“Certamente.”
 
Il numero 108 di Mifflin Street si trovava in uno dei quartieri più lussuosi della cittadina, circondato da un giardino a dir poco vasto che poteva vantare un notevole assortimento di siepi intagliate, fiori dall’aroma dolce e suadente, e persino qualche statua in marmo, stile classicheggiante.
Proprio nel mezzo del giardino, svettava fiero e imponente un bel melo, emblema per eccellenza della donna sin dai tempi in cui lei e la figlia vivevano ancora nel mondo delle fiabe.
Vedendolo, Helena sorrise, certa ormai di essere arrivata proprio nel posto giusto.
Attraversò quindi a passo deciso l’ampio vialetto color latte, piazzandosi di fronte alla porta prima di suonare il campanello.
Non ci volle molto prima che la donna si presentasse alla porta, aprendola silenziosamente prima di posare lo sguardo appena sorpreso su quella completa sconosciuta che, proprio in quel momento, la fissava con insistenza.
Helena si bloccò, temporaneamente interdetta.
Aveva sognato per anni quel momento, e ora che l’aveva di fronte, non sapeva esattamente come reagire.
In tutto quel tempo, Regina, sua madre, non era minimamente cambiata. Il portamento fiero e nobile era lo stesso, identico e medesimo che aveva quando lei era ancora piccola, così come gli occhi scuri e i capelli color dell’inchiostro. La cicatrice sul lato destro del labbro superiore era la stessa, così come le labbra piene e il fisico aggraziato e sensuale.
Tuttavia … c’era un qualcosa, nel suo sguardo, nel modo freddo e distaccato con cui aveva aperto quella porta, che non aveva nulla a che fare con l’atteggiamento dolce e amorevole della donna che conosceva.
Regina, intanto, continuava a fissare quella sconosciuta che, senza motivo apparente, si era presentata di fronte alla sua porta. Per di più interrompendola mentre preparava la torta per il suo piccolo Henry, che sarebbe tornato a casa a momenti.
Come se non bastasse, era la prima volta che vedeva quella donna a Storybrooke, e di palle al piede gli bastavano già Emma, con quella spocchiosa di una Biancaneve, o Mary Margareth. Un’altra forestiera nella SUA città era decisamente l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento.
Visibilmente infastidita, fu con un sorriso a dir poco forzato che esordì, calma: “Buongiorno. Cosa posso fare per lei, signorina …?”
“Helena.”, rispose di getto l’altra, sorridendo nervosamente, “Il mio nome è Helena.”
Un lampo nostalgico attraversò, rapido, lo sguardo dell’altra donna, subito sostituito da una maschera di gelo che, da sola, bastò a perforare l’anima della giovane più di qualsiasi altro rifiuto.
Si morse il labbro, quindi sorrise, tesa: “Lei è Regina Mills, giusto? Vorrei parlarle di alcune cose.”
La donna la osservò, diffidente, prima di tornare a sorridere, affermando: “Mi spiace, signorina. Al momento sono molto impegnata, mio figlio sarà qui a momenti e …”
“Sono sicura che Henry potrà aspettare, e poi sa che sono qui.”, la bloccò l’altra, pacata.
Regina parve bloccarsi, osservandola per un istante: “Conosce mio figlio?”
Helena sorrise, annuendo: “Si … mi ha parlato molto di lei. E del Sortilegio … sono qui proprio per questo.”
Regina sospirò: “Mi spiace, mio figlio ha una fantasia decisamente fervida e …”
“Non ho mai detto di non avergli creduto. Anzi … penso che suo figlio sia un bambino veramente intelligente, molto più degli altri ragazzini della sua età. Ha capito subito chi ero e per questo mi ha permesso di venire a parlarle.”, spiegò Helena.
Regina strinse i denti.
Era l’ennesima volta che, da quando avevano iniziato a parlare, quella mocciosa la interrompeva, e quell’aria da saccente iniziava a darle sui nervi. Non era abituata a venire sfidata in quel modo, cosa che la infastidiva non poco. Specialmente perché, in tutto quel discorso, la donna si era atteggiata come se fosse in possesso di chissà quale verità cosmica sul suo passato.
Tuttavia sorrise, questa volta in modo molto più minaccioso, facendole quindi cenno di entrare.
Si chiuse la porta alle spalle, prima di proseguire: “E chi sareste, posso sapere?”
Quella parve bloccarsi per qualche istante, quindi fece un profondo respiro, rispondendo: “Sono Helena, ve l’ho detto. Sono tua figlia.”
Regina si bloccò, osservando con sguardo improvvisamente differente la giovane.
Fissò per qualche istante il suo abbigliamento. Gli anfibi con le borchie, i pantaloni aderenti, la giacca da motociclista … quella donna, sua figlia? Era del tutto assurdo. Poteva anche avere i suoi stessi capelli neri, o gli occhi verde smeraldo, ma non poteva credere che fosse realmente lei.
Sua figlia era MORTA.
Era morta perché, ancora una volta, Biancaneve le aveva tolto qualcosa che amava, spezzandole nuovamente il cuore.
E per questo non avrebbe mai potuto perdonarla.
Scosse il capo, il viso cinereo, senza tuttavia perdere il proprio contegno: “Tu non sai proprio di cosa stai parlando. Io non ho proprio nessuna figlia, Henry è l’unica famiglia che mi rimane, e non so cosa ti abbia raccontato, ma posso assicurarti che nulla di tutto ciò è vero.”
Helena cercò di avvicinarsi, tendendo le braccia verso la madre: “Ti prego … non dire così. Non ho avuto scelta, ho continuato a cercarti per tutto questo tempo e …”
“ORA BASTA!”
Helena si bloccò, come pietrificata.
Gli occhi di Regina la fissavano, incandescenti come fuoco, il corpo scosso da lievi tremiti di rabbia, mentre le indicava la porta: “Esci immediatamente da casa mia. Non so chi tu sia, e nemmeno mi interessa. Ma non ti permetterò di ficcare il naso nella mia famiglia.”
Le braccia di lei si afflosciarono, come morte, sui fianchi, mentre osservava con sguardo improvvisamente smorto la madre.
Quindi … il bambino aveva ragione.
Quella non era più sua madre.
Sospirò, osservandola ancora una volta, prima di imboccare il vialetto con passo svelto.
Era ormai quasi uscita dalla proprietà quando quella la richiamò.
Si voltò, improvvisamente speranzosa, ma nel momento in cui incontrò i suoi occhi gelidi capì che non era perché aveva cambiato idea. Infatti, un istante dopo, quella disse: “Sta lontana da mio figlio, oppure … ti distruggerò, chiaro?”, concluse, prima di sbattersi la porta alle spalle.
Helena sospirò, voltando il capo con le lacrime agli occhi e correndo quindi, disperata, il più lontano possibile da quell’incubo orribile.



Note dell'Autrice:
Eccoci dunque col nuovo capitolo.
Cosa posso dire?
Finalmente la nostra Helena ha scoperto il segreto dietro l'esistenza di Storybrooke, grazie al piccolo Henry (tranquilli, l'ostilità iniziale era dovuta più al trauma di lei per quelle informazioni ma passerà presto). Ho voluto quindi dedicare molto spazio all'introspezione della nostra protagonista, così da rendere bene le sue emozioni in vista del colpo finale, ossia l'incontro con la madre ... che purtroppo non è andato per il meglio. Regina è cambiata e ora anche Helena ne è perfettamente consapevole quindi non resta che una domanda: cosa farà d'ora in avanti? Lo scoprirete presto.
Detto questo, ancora mille grazie a tutti coloro che continuano a rencensirmi e ai miei lettori. Senza di voi questa storia non avrebbe motivo di esistere e per qualsiasi cosa sappiate che sono sempre a vostra disposizione.
A giovedì prossimo!

Teoth

 

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Capitolo 14
*** Cap. 13 - Ingannare l'ingannatore ***


Capitolo 13
Ingannare l’ingannatore
 

Il Palazzo del Signore Oscuro, situato in una delle zone più cupe e isolate della Foresta Incantata, era una delle costruzioni più magnifiche che le sorelle avessero mai visto in vita loro.
Diversamente da come se lo sarebbero aspettate, il luogo era tutt’altro che cupo, anzi, aveva un aspetto decisamente sfarzoso e ben decorato.
Esternamente, appariva come una magnifica costruzione in pietra, fornita di un gran numero di terrazzi a cielo aperto, portici e torrette, oltre che decorata da un numero non indifferente di statue in marmo e stendardi in morbida stoffa purpurea.
Vi si accedeva da un ampio giardino coperto da un acciottolato in sabbia chiara e decorato da alcune fontanelle e da un discreto numero di siepi perfettamente curate. Le finestre, ampie, erano tuttavia interamente coperte da un fitto manto di tende scure, che impedivano di osservarne l’interno.
Le due sorelle procedettero fino all’ingresso della proprietà, fermando quindi i cavalli all’esterno e osservando in silenzio il Grillo Parlante che atterrò loro a fianco, esordendo: “Molto bene. Ho sorvolato il posto e c’è una seconda entrata sul retro del castello, userete quella per introdurvi all’interno. Io, nel frattempo, vedrò di tenere occupato quell’uomo. Tutto chiaro?”
Le bambine annuirono, convinte, prima di dire: “Va bene. Però … torna da noi poi, Ok?”
Quello annuì.
A dire il vero, era perfettamente consapevole del fatto che, una volta che si fosse accorto del furto, probabilmente Tremotino ci avrebbe messo un istante per fare due più due e iniziare a dargli la caccia.
Tuttavia, almeno per il momento, preferiva tenersi quel dettaglio per sé.
Non voleva far preoccupare le due bambine più di quanto già non lo fossero in quel momento.
Fu così, quindi, che i tre si separarono mentre, con un ronzio d’ali, il grillo si apprestava a compiere la propria missione.
 
“Sono – occupato!”, esordì, senza nemmeno voltarsi, il Signore Oscuro.
Non gli serviva chissà quale superpotere, per sentire il frullio di quelle alucce che gli si avvicinavano timidamente, mentre la figura minuta del grillo atterrava silenziosa sull’arcolaio.
L’altro sospirò, alzando gli occhi cupi sull’esserino e sollevando un sopracciglio, divertito: “Mi ricordo di te. Sei venuto da me, qualche anno fa, perché risolvessi i tuoi problemi. Anche se, a dire il vero, se non erro a quel tempo eri decisamente più umano.”
Il grillo lo osservò, silenziosamente: “E ricordate bene, infatti.”
Quello rise, divertito: “Allora? Soddisfatto del mio filtro?”
L’altro fremette, ripensando alla serie di eventi che l’avevano condotto, anni prima, a distruggere una famiglia innocente proprio a causa dell’aiuto offertogli da quel mostro senza cuore.
Tuttavia, cercò di contenersi, sorridendo appena: “Si, direi di si. Ora, però, ho un altro problema da risolvere.”
Quello, che fino ad allora non aveva smesso di filare la sua lana dorata, alzò improvvisamente lo sguardo, osservandolo con rinnovato interesse a sorridendo divertito.
“Ohohoh … sento odore di accordo. Allora, cosa vuoi questa volta?”, chiese, sfregandosi le mani ansioso.
Il grillo parve esitare.
Aveva chiesto alla Fata Turchina di trasformalo appositamente per dargli quella libertà e quella possibilità di riscatto che, in forma umana, non avrebbe mai potuto ottenere. E se quell’uomo lo avesse fatto realmente tornare normale?
Scosse il capo.
No, non era il momento di avere ripensamenti.
Doveva portare a termine il proprio compito, e per farlo sarebbe andato fino in fondo.
 
Non ci volle molto, prima di raggiungere il retro della dimora.
Le sorelle si osservarono per un istante, prima di scendere dai cavalli e legarli a un albero vicino, facendo quindi i primi passi verso l’ampio portone d’ingresso.
Si guardarono attorno, incerte, ma il luogo sembrava completamente deserto. Non una guardia pareva popolare il palazzo, cosa che, a dire il vero, non rincuorò affatto le due principesse.
Chi era mai così potente da non temere nessuno, al punto da non prendersi nemmeno la briga di arruolare qualcuno per proteggersi?
Era quanto mai chiaro quanto il loro nemico fosse potente e sicuro dei propri mezzi, cosa che non contribuì certo a incoraggiare le bambine che, sempre più tese, si avvicinarono alla porta aprendola cautamente.
Osservarono il corridoio.
Erano sbucate direttamente in quello che pareva un ampio salone da pranzo, al cui interno spiccava un vasto tavolo in legno massiccio, sotto il quale si trovava un morbido tappeto color borgogna coi bordi in oro. Sul lato sinistro vi erano delle grandi finestre, coperte da un velo di tende scure, mentre alle pareti sostavano delle notevoli armature complete, fornite di spade e scudi.
Verso di loro, poterono notare innumerevoli teche, contenti svariati oggetti dall’aria decisamente misteriosa. Vi era quella che sembrava, in tutto e per tutto, una bacchetta magica, oltre che altri oggetti dalla natura tutt’altro che piacevole.
Incuneato in un angolo vi era, poi, un armadio sopraelevato, intagliano con dei motivi floreali.
Si guardarono per un istante, prima di avviarsi verso di esso.
Non fecero tuttavia in tempo a compiere che pochi passi che, improvvisamente, un ruggito scosse le pareti della stanza, facendo tremare il pavimento fin nelle fondamenta a spingendo le sorelle col sedere a terra.
Si fissarono terrorizzate, quando improvvisamente la porta da cui erano entrare parve esplodere, infranta dalla carica furiosa di un essere dall’aspetto decisamente terrificante.
La creatura, una specie d’incrocio mal riuscito tra più specie differenti, non era altro che un enorme leone, grasso almeno quanto un piccolo elefante, sul cui dorso spiccavano due possenti ali d’aquila. Oltre alla testa felina, ve ne era anche una di capra, mentre la coda era formata dal capo di un serpente, molto probabilmente parecchio velenoso.
Una Chimera.
Le due indietreggiarono, mentre la bestia si avvicinava loro a passi felpati, il pelo irto sul dorso e le zanne snudate, mentre gli occhi iniettati di sangue le sondavano crudelmente affamati.
Prima che potessero reagire, la creatura balzò verso le sorelle, dando loro appena il tempo per scansarsi di lato, facendola schiantare contro una delle pareti della stanza. Tuttavia, il mostro non parve averne risentito troppo, perché ripartì nuovamente alla carica, questa volta aprendo le fauci e vomitando loro addosso un fiume di fiamme vermiglie.
Le sorelle si ritrovarono costrette a gettarsi nuovamente a terra, con il fuoco che lambiva loro la schiena.
Il calore, sebbene non fossero state colpite, era comunque allucinante e le costrinse a indietreggiare con le spalle al muro, mentre le fiamme aggredivano furiose i muri estendendosi a vista d’occhio.
“Che cosa facciamo?”, chiese, disperata, la maggiore, mentre la Chimera si apprestava a balzare nuovamente loro addosso.
Helena si affrettò a prenderla per un braccio, scattando di lato e trascinandosela dietro con forza, mentre la creatura balzava loro dietro dando il via all’inseguimento.
Attraversarono innumerevoli corridoi, apparentemente tutti identici, correndo ansanti nel tentativo di lasciarsi il mostro alle spalle.
Quello, dal canto suo, non sembrava intenzionato a demordere e, grazie alle proprie possenti falcate, le avrebbe raggiunte in breve tempo.
Helena trascinò la sorella in un angolo, prendendola quindi per le spalle.
“Stammi a sentire ora, Neve. Tu devi scappare, Ok? Penserò io alla Chimera.”, disse, decisa.
La sorella alzò lo sguardo, fissandola incredula, prima di sbottare: “No! Non ti lascio qui, non se ne parla nemmeno.”
Helena sospirò, osservandola seriamente: “Me la caverò. Sono come mia madre, io so usare la Magia, quindi troverò un modo per fermarla. Tu però devi metterti in salvo, qui mi saresti solo d’intralcio.”
L’altra sgranò gli occhi, sorpresa a quella rivelazione inaspettata, quindi fece nuovamente per ribattere: “Ma io …”
Uno schianto sordo raggiunse le loro orecchie.
La Chimera era appena arrivata nel corridoio in cui si trovavano, e le osservava minacciosa, le zanne snudate e gocciolanti di saliva viscida.
Ormai, non c’era più tempo.
“Forza, va!”, fece la minore, spingendo la sorella verso l’uscita, “Io mi salverò, non temere.”
Biancaneve osservò silenziosamente la sorella, quindi, con gli occhi imperlati di lacrime, le diede le spalle, correndo disperata verso la salvezza.
Helena sorrise appena, voltandosi quindi nuovamente verso la creatura che, silenziosamente, si avvicinava ad ampie falcate pronta a balzarle contro.
Prese un respiro profondo, cercando di richiamare a sé tutte le ore trascorse con la madre ad apprendere i segreti della Magia, tutti i giorni passati col naso incollato ai libri, tutti i mesi in cui aveva dedicato anima e corpo nell’imparare incantesimi nuovi e sempre differenti.
Cercò di mantenersi lucida, sebbene il tempo fosse ormai agli sgoccioli e sentisse le prime fitte di terrore congelarle le gambe.
Per quanto potente potesse essere, almeno a detta della madre, incredibilmente piena di talento, la bambina era comunque perfettamente consapevole di non possedere ancora i mezzi sufficienti per sconfiggere una bestia del genere senza alcun aiuto esterno.
Aveva studiato molto, certo, e con dedizione. E la determinazione che sentiva crescere nel proprio cuore, facendolo traboccare d’amore per la sorella che desiderava salvare con tutta sé stessa, era un incentivo più che sufficiente a permetterle di richiamare tutto il proprio potere senza troppe difficoltà.
Tuttavia, sarebbe stato sciocco credere di poter uccidere una fiera del genere.
Il Signore Oscuro l’aveva selezionata appositamente per proteggere i suoi tesori più preziosi, e ciò poteva solo significare che si fidava ciecamente della letale efficacia di quell’essere.
Quindi, le alternative erano poche.
E, se non avesse potuto ucciderla, avrebbe per lo meno potuto tentare di rallentarla, o magari persino ferirla.
Un altro ruggito, questa volta più minaccioso dei precedenti, scosse nuovamente il castello fin nelle sue fondamenta, mentre con sguardo sicuro la Chimera si avvicinava con lentezza studiata alla bambina.
Gli occhi, due fosse gialle e febbrilmente affamate, lasciavano trasparire chiaramente quanto ormai fosse sicura di avere la vittoria in pugno.
E fu proprio questo a dare a Helena quel minimo vantaggio temporale di cui aveva bisogno.
Inspirò profondamente, richiamando a sé tutto il proprio potere, prima d’incanalare la propria concentrazione sul frammento di soffitto subito sopra la bestia.
Si morse il labbro, mentre l’energia magica troppo a lungo contenuta esplodeva in lampi vermigli dai palmi delle sue mani, colpendo il soffitto che, con un rombo sordo, iniziò a sgretolarsi.
Un intreccio di crepe scure fendette la roccia, mentre la bastia alzava il capo allarmata, subito prima di essere completamente travolta da una frana di mattoni e pietre ormai distrutti, che sollevarono un immenso polverone e la fecero sparire sotto di essi.
Quando, finalmente, la nebbia di residui e cenere fu svanita, al posto della Chimera non restava che un cumulo di macerie ormai distrutte.
Helena esultò, mentre le gambe, ormai sfinite, le cedevano per lo sforzo.
Era la prima volta che utilizzava un incantesimo del genere, e gli effetti collaterali di un tale dispendio d’energie si fecero sentire immediatamente.
Si sentì sbiancare, mentre la testa cominciava a girarle e la vista le si appannava.
Alzò gli occhi, osservando le macerie che già iniziavano a tremare sotto la furia della bestia che, come aveva temuto, non era certo morta per così poco. Almeno, però, così facendo avrebbe dato alla sorella il tempo di fuggire.
Sorrise, tristemente.
Sentiva le forze venirle sempre meno, e sapeva che non sarebbe mai riuscita ad alzarsi.
Solo una di loro sarebbe tornata a casa. Ma, almeno, la vita della sua amata sorella sarebbe stata salva.
Chiuse gli occhi, pronta ad accettare il proprio destino, mentre la coscienza iniziava a sfaldarsi, facendola sprofondare nell’oblio.



Note dell'Autrice:
Eccoci quindi con il nuovo capitolo!
Finalmente, la storia inizia a presentare un pizzico di azione e qui siamo riusciti a vedere, per la prima volta, la nostra Helena utilizzare la magia appresa dalla madre per difendersi. Ho scelto di prooposito di non eccedere troppo con i suoi poteri, in quanto sebbene sia indubbiamente piena di talento rimane comunque una bambina e sarebbe risultato quanto mai insolito che fosse già in grado di uccidere una Chimera interamente da sola. Comunque, per vedere come andrà a finire dovrete leggere il prossimo capitolo!
Il titolo prende un po' il nome dal detto "mentire a un bugiardo" e sta intendere per l'appunto quanto sia essenzialmente impossibile raggirare qualcuno che, come Tremotino, è abituato a ingannare gli altri per mestiere. Di fatti come avete potuto vedere alla fine le cose non sono andate affatto secondi i piani e ora la nostra protagonista è in guai seri.
Vi dico già che, per festeggiare il raggiungimento delle 400 visualizzazioni al primo capitolo, ho deciso di inserirne tre solo oggi così da soddisfare un po' anche la vostra curiosità.
Detto questo mille grazie ai miei recensori EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam, oltre che a tutti i miei carissimi lettori.
Passo subito al prossimo capitolo!

Teoth

 

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Capitolo 15
*** Cap. 14 - Oltre il sangue ***


Capitolo 14
Oltre il sangue
 

Biancaneve correva, correva come non aveva mai fatto in vita propria, gli occhi ormai completamente offuscati dalle lacrime e il cuore che le sembrava scoppiare.
Non dalla fatica, per quella fuga contro il tempo, non per la consapevolezza di aver fallito, e che non avrebbero più avuto altre occasioni per salvare la loro madre. Non per la paura, all’idea che da un momento all’altro un mostro ben peggiore di quello che avevano affrontato sarebbe potuto comparirle di fronte, mettendo fine alla sua vita.
No … quella sensazione, come se all’interno del suo petto fosse appena comparsa una voragine infinita, era dovuta alla consapevolezza di ciò che aveva appena fatto.
Era fuggita, se ne era andata, abbandonando la sua amata sorella a un destino ormai segnato in partenza.
In quel momento, con la Chimera che veniva loro incontro, pronta a banchettare con le loro carni, non era proprio riuscita a contenersi. Semplicemente, l’istinto di sopravvivenza, il desiderio di rivedere la luce del sole, erano stati più forti e quindi se ne era andata.
Singhiozzò, accasciandosi a terra, incapace di proseguire oltre, mentre il corpo veniva scosso da singulti ormai inarrestabili e fiumi di lacrime amare le imperlavano le gote candide.
Era colpa sua.
Era tutta colpa sua.
Avrebbe dovuto rimanere lei indietro, per dare tempo alla sorellina di salvarsi. Era lei la maggiore, era lei che le aveva insegnato a cavalcare e a tirare con l’arco … era lei che, alla fine della storia, avrebbe dovuto immolarsi per salvare colei che amava di più al mondo.
Ormai, erano passati anni dalla morte di sua madre, e, poi, di quella del padre.
Regina era una matrigna fantastica, ma era pur sempre un’adulta. Per quanto fosse gentile e dolce, non poteva essere come Helena … lei era più di una sorella: era un’amica fidata, una consigliera sincera e una parte della sua stessa anima.
Perché al di là del sangue, al di là della consapevolezza che, alla fin fine, non erano realmente sorelle, per lei Helena era parte integrante della sua famiglia.
Era la sua sorellina, da proteggere e amare. Era la sua confidente più intima e segreta. Era la faccia opposta della medaglia, così differente da lei ma, allo stesso tempo, indissolubilmente legata alla sua esistenza. Perché, semplicemente, nessuna poteva vivere se l’altra moriva: erano due pezzi di un puzzle perfetto, due frammenti di mondo fatti per stare assieme e compensare l’uno alle mancanze dell’altro.
E poter anche solo immaginare un mondo senza la sorella, significava immaginare un luogo tetro e oscuro, in cui ogni cosa perdeva il proprio valore e la luce non aveva più senso di esistere per nessuno.
Sussultò, mentre un rombo sordo scuoteva le fondamenta del castello, facendola voltare di scatto.
Il cuore perse un colpo, all’idea di cosa potesse essere successo.
E fu allora, mentre il gelo iniziava a invaderle l’animo, che ricordò sua madre. Ricordò i suoi insegnamenti, le sue parole, quel modo di vivere che aveva giurato di non abbandonare mai.
Furono questi ricordi, amari e dolci al tempo stesso, a spingerla ad asciugarsi le lacrime.
Ora, sapeva esattamente cosa doveva fare.
 
“Helena! Alzati, su … dobbiamo andare.”
La bambina aprì gli occhi, la testa che le pulsava tremendamente e il corpo era quasi insensibile a causa della spossatezza. Si sentiva le membra completamente intorpidite, e i suoni le giungevano lontani a ovattati.
Eppure … quella voce.
Che fosse?
No.
Non poteva essere.
Le aveva detto di fuggire, di mettersi in salvo, di lasciarla li. Non poteva essere lei.
Però … se davvero fosse stata la sua sorella …
Sospirò, sentendo il cuore scaldarlesi.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma quando l’aveva vista allontanarsi, sebbene su sua stessa insistenza, a dispetto del sollievo che avrebbe dovuto provare nel saperla in salvo si era sentita come prosciugata.
Perché, in fondo, aveva realmente sperato che potesse decidere di rimanerle a fianco, di combattere con lei, fino alla fine.
Erano cresciute insieme, erano parte integrante l’una dell’altra.
E sebbene il cervello le dicesse che doveva sentirsi sollevata all’idea di vederla vivere, il cuore non aveva potuto fare a meno di protestare, ripensando ai momenti trascorsi assieme e chiedendosi se anche quelli non fossero stati che una misera illusione.
Avrebbe voluto rimanersene li, in quel limbo eterno, attendendo il colpo di grazia che, quando il mostro si fosse liberato, sarebbe arrivato senza ombra di dubbio.
Tuttavia, furono le braccia della sorella a riscuoterla, costringendola a salire a dispetto della fatica su una sella.
Si guardò attorno, confusa e frastornata, e fu allora che vide.
Biancaneve doveva aver utilizzato la Polvere Fatata, data loro proprio dalla Fata Turchina in caso fosse servita, e così facendo era riuscita ad aprire un varco per permettere ai cavalli d’entrare garantendosi una fuga rapida da quell’inferno in terra.
La maggiore sorrise, montando alle sue spalle: “Pensavi davvero che ti avrei mollata con quel mostro?”, chiese, sorridendo.
Helena scosse il capo.
No … la verità era che, sin dall’inizio, dentro di sé non aveva avuto alcun dubbio sul fatto che sarebbe tornata a prenderla.
Certo, un’idea del genere significava accettare anche la possibilità che sarebbe morta nel tentativo e, almeno inizialmente, proprio per questo l’aveva rigettata con tutto il proprio cuore.
Eppure eccola li, al suo fianco.
Così come doveva essere.
Si sorrisero, complici, quando l’ennesimo scossone fece loro comprendere che era ormai questione di tempo prima che la Chimera riuscisse a liberarsi dalle macerie.
Senza esitare quindi oltre, la maggiore incitò il cavallo, che partì nuovamente al galoppo, diretto il più lontano possibile da quel luogo oscuro e maledetto dagli dei.
 
Proseguirono la loro fuga senza interruzioni, attraversando in fretta e furia gli ampi corridoi del castello, per sbucare quindi nel cortile sul retro da cui solo pochi minuti prima erano arrivate.
Senza esitare oltre, consapevoli di non avere molto tempo a disposizione, spronarono le loro cavalcature oltre la proprietà del Signore Oscuro, guardandosi solo occasionalmente alle spalle per accertarsi di non essere seguite.
Stavano ormai per rallentare quando, poco distante, un ruggito fin troppo famigliare le raggiunse, raggelandole sul posto.
Le foglie degli alberi iniziarono a frusciare, dapprima lentamente, poi con furia sempre maggiore mentre un grido disumano le costringeva a piegarsi sulle selle tappandosi i timpani.
Stormi di uccelli si alzarono in volo, come percependo l’arrivo di un pericolo troppo grande per essere affrontato, mentre le raffiche di vento iniziarono a intensificarsi, piegando le fronde degli alberi e rischiando di farle cadere da cavallo.
Gli animali, improvvisamente nervosi, iniziarono a scalpitare con forza, cercando di ribellarsi alla presa delle bambine per lanciarsi in un galoppo sfrenato e trarsi in salvo.
Fu allora che un’ombra oscurò il cielo sopra di loro, mentre la Chimera atterrava con un tonfo sordo proprio di fronte a loro, bloccando il sentiero e la strada verso casa. Con gli occhi assetati di sangue e di vendetta, la creatura le osservava, le zanne snudate e pronte a dilaniare le loro giovani carni.
Le sorelle si bloccarono, guardandosi nervosamente attorno, ma si dovettero presto rendere tristemente conto di essere senza via di scampo. La sola strada rimasta riconduceva direttamente al Castello Oscuro, dove probabilmente Tremotino si era reso conto del raggiro e stava già iniziando a dare loro la caccia.
In pratica, qualsiasi scelta avessero fatto sarebbero andate incontro a morte certa. E come se non bastasse Helena, la sola delle sorelle in grado di utilizzare la magia, era ancora troppo spossata per ricorrervi nuovamente, non almeno senza rischiare di morire.
Fu proprio quando la speranza sembrava averle abbandonate che una palla di fuoco c’entrò in pieno il mostro, che si ritrasse uggiolando di rabbia mentre una profonda ustione iniziava a formarsi sul manto candido del fianco.
Le due si guardarono attorno, cercando di capire chi fosse stato a intervenire, quando una nube color viola acceso non fece palesare alle loro spalle la figura decisamente furiosa della loro madre.
Regina, gli occhi che mandavano lampi di rabbia a stento repressa, osservava impassibile la bestia che, comprendendo l’innegabile superiorità dell’avversaria, tentò subito di battere in ritirata.
Peccato che, ormai, la donna fosse tutt’altro che disposta a lasciarla andare. Non ora che aveva osato cercare di ferire la sua unica ragione di vita, scatenando un’ira che, fino ad allora, non aveva mai provato in vita propria.
Tese la mano, facendo materializzare delle radici forti e robuste che, come funi, andarono ad avvolgere le zampe e le ali della belva che cadde a terra impotente, incapacitata a fare alcunché.
Fu quindi con calma quasi surreale che, ignorando completamente lo sguardo terrorizzato e i vani tentativi di fuga della bestia, la regina vi si avvicinò lentamente. La squadrò, dall’alto verso il basso, con la stessa espressione di disgusto che solitamente si riserva a uno scarafaggio particolarmente grosso.
Quindi, con un movimento repentino e preciso, immerse la mano candida nel corpo del mostro, che si dibatté invano, ruggendo di dolore nel sentirsi strappare dal petto il proprio cuore.
Sconvolte e incapaci di agire, le bambine parvero ritornare in sé proprio quando compresero le intenzioni della madre.
Si osservarono per un istante, quindi, senza esitare oltre, Helena balzò giù dal suo cavallo, raggiungendo con le lacrime agli occhi la madre, che si voltò a osservarla impassibile.
“Togliti.”, fece, secca e irata.
La piccola indietreggiò appena, comprendendo che l’irritazione della donna era dovuta anche e soprattutto alle loro azioni, che per poco non le avevano fatte uccidere.
Si morse il labbro, senza tuttavia dar segno di cedere.
“Ti prego mamma … n-non farlo.”, supplicò la bambina, osservando con un misto di biasimo e compassione quella creatura che, improvvisamente inerme, sembrava supplicare pietà.
Era vero.
Quel mostro aveva cercato di ucciderle e, probabilmente, se la madre non fosse intervenuta per tempo vi sarebbe anche riuscita.
Tuttavia, nessuno meritava un destino tanto crudele, e se anche non le fosse importato del mostro, non voleva che sua madre si macchiasse di un atto tanto spietato e malvagio.
Erano giunte fin li proprio per farla tornare quella di un tempo, non si sarebbe mai perdonata un’azione del genere.
Gli occhi della donna si oscurarono per un istante, prima di sbottare: “Non mi interessa quello che vuoi. Hai disobbedito ai miei ordini, a quelli di tua MADRE, e così facendo hai quasi rischiato di morire. Quindi …”, prese un respiro, tornando nuovamente impassibile, “… se proprio non desideri vedere il destino che riserverò a questa FECCIA allora puoi anche voltarti. Non sarà uno spettacolo adatto a una bambina di dieci anni.”
Regina si voltò, la mano sempre più stretta attorno al cuore del mostro che, disperato, iniziò a uggiolare di dolore, divincolandosi invano e gemendo dal terrore di fronte alla consapevolezza della morte imminente.
Fu Helena, tuttavia, a intervenire nuovamente, per fermare la madre.
Le braccia della bambina si avvolsero alla vita della donna, mentre il corpo veniva avvolto da singhiozzi di dolore. Regina si bloccò, mentre quella la supplicava, con le lacrime agli occhi: “T-ti prego. So di avere sbagliato, non avrei mai dovuto uscire dal castello senza il tuo permesso e ti prometto che non lo farò mai più. Ma ti prego … ti supplico! Non fare una cosa così orribile. Tu non sei così … tu sei la mia mamma, sei una persona gentile e generosa, non un’assassina!”
La donna sussultò, osservando con sguardo improvvisamente diverso la figlia.
Si morse il labbro, osservando combattuta la fiera che, silenziosa, attendeva la propria fine.
Quindi sospirò appena, facendo scomparire con un cenno annoiato le radici che permisero alla creatura di rialzarsi, osservando sorpresa la regina che, impassibile, disse: “Non le restituirò il suo cuore, se è questo che ti aspetti.”, fece, indifferente.
Eppure, tra sé e sé, non poté fare a meno di sorridere, al pensiero delle parole della figlia.
La bambina annuì: “Va bene ma … cosa ne faremo?”, chiese osservando, con compassione, la Chimera che, improvvisamente docile, si era messa a sedere osservandoli in silenzio.
Regina parve pensarci su per qualche istante, quindi disse: “Beh … trovale un nome. Da oggi sarà il tuo animaletto da compagnia. Ma non aspettarti che me ne occupi io, chiaro?”
Helena sorrise, abbracciando la madre che, sorpresa, si ritrovò a sorridere a propria volta.



Note dell'Autrice:
Rieccoci di nuovo col capitolo seguente.
La vicenda della Chimera è, più o meno felicemente, giunta al termine anche se purtroppo Helena e Biancaneve sono riuscite a entrare in possesso del pugnale di Tremotino. In questo capitolo, comunque, il mio intento principale era di concentrarmi sulle figure di Biancaneve e Regina: della prima ho voluto mostrare il profondissimo legame che la unisce alla protagonista, sebbene non siano sorelle di sangue (e da qui viene anche la scelta del titolo), della seconda invece ho desiderato evidenziare l'indole un tempo protettiva e amorevole nei confronti della figlia.
Spero di essere riuscita bene nell'intento e che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
Detto questo, ancora mille e grazie ai miei recensori e a tutti coloro che continuano a seguirmi. I vostri consigli e suggerimenti sono sempre ottimo spunto di riflessione e ne farò sempre tesoro, in quanto è comunque bello poter condividere pareri e opinioni con chi ama e apprezza questa mia piccola opera.
Grazie a tutti quanti!

Teoth

 

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Capitolo 16
*** Cap. 15 - L'inizio di un'amicizia ***


Capitolo 15
L’inizio di un’amicizia
 

“Sei sicura che vada veramente tutto bene?”, chiese, per l’ennesima volta, Ruby, osservando preoccupata la giovane che, ormai, di quella sera era aveva giunto e superato da un pezzo i tre bicchierini di brandy senza tuttavia accennare a voler smettere.
Helena fece un cenno con la mano, borbottando, la voce impastata dall’alcool: “Ohhh, si.  Sto alla grande.”, l’altra inclinò il capo, scettica, “Me ne porti un altro?”, aggiunse quindi Helena, alzando lo sguardo.
Aveva gli occhi completamente arrossati, come quelli di chi ha pianto parecchio, così tanto da esaurire tutte le sue lacrime, eppure non pareva intenzionata a mollare. Era fermamente decisa a dimenticare quella giornata, anche se avesse dovuto imbottirsi di brandy fino a star male.
Ruby sospirò, annuendo: “Subito.”, disse, prima di dirigersi verso il bancone.
Fu allora che, con uno scampanellio lieve, Emma Swan fece il proprio ingresso nel locale.
Fece spaziare lo sguardo sui tavoli, fino a quando non inquadrò Helena che, poco lontano, osservava con insolito interesse le ultime gocce di alcool rimaste nel proprio bicchiere, le spalle ingobbite e il capo chino.
Osservò Ruby, interrogativa, che subito le si avvicinò, sussurrando: “Non ho idea di cosa sia successo. È qui da ore, e non ha ancora smesso di bere. Non so cosa sia accaduto con Regina, ma sembra decisamente giù.”
Emma sospirò.
Era proprio come temeva.
Tutti quelli che incontravano quella donna finivano inevitabilmente con il soffrire, proprio come era accaduto a Graham, e come sarebbe successo, di quel passo, anche a Henry ed Helena.
Eppure, quando l’aveva conosciuta per la prima volta, vedendola venire incontro con il volto avvolto dall’apprensione al piccolo Henry non avrebbe mai potuto immaginare che potesse essere una persona tanto crudele.
Detestava ammetterlo, ma inizialmente le era parsa una donna incredibilmente forte, e fiera. Aveva cresciuto da sola suo figlio, e per quanto potesse apparire severa nei suoi confronti inizialmente aveva pensato sul serio che tutto ciò fosse per l’amore che provava nei suoi confronti. In quel momento, le era sembrata una donna dal fascino pari a pochi altri, forse un po’ altera, ma indubbiamente consapevole dei propri mezzi e del fascino che aveva verso gli altri. Il tipo di persona che non si faceva mettere in piedi in testa facilmente e sapeva il fatto proprio molto più di altri.
Tuttavia, non le ci era voluto molto per comprendere come quella non fosse altro che una maschera, volta a nascondere al mondo quanto quella donna fosse realmente spietata e del tutto priva di cuore.
Sospirò, avvicinandosi silenziosamente alla giovane, prima di chiedere: “Posso sedermi?”
Helena alzò lo sguardo, annuendo appena.
Si accomodò di fronte a lei, osservandola per qualche istante.
Sembrava decisamente distrutta, non aveva più nulla della persona forte e decisa con cui aveva avuto a che fare solo poche ore prima. Semplicemente, sembrava si fosse spenta, come la fiamma di una candela contro le raffiche del vento.
Attese per qualche istante, prima di dire: “Vuoi parlarne?”
Helena sospirò, osservando assorta la bionda, quindi scosse il capo: “Meglio di no. Non credo che capiresti.”
Emma inclinò il capo: “Puoi provare.”
L’altra rise, nervosamente: “Si, certo. Lascia perdere, credimi. Ti basti sapere che mi sono illusa per niente. Henry aveva ragione … non è più la donna che credevo di conoscere.”
La bionda si tese, protendendosi con sguardo improvvisamente incandescente verso di lei: “Cosa ti ha fatto, si può sapere?”
Helena scosse il capo: “Niente, davvero … non mi ha fatto nulla. Tranquilla.”
“Da come parli non sembra proprio. Hai detto di conoscerla, no?”
L’altra sospirò, affranta: “E’ stato molto tempo fa. Non credo nemmeno che si ricordi di me, e comunque è stata sufficientemente chiara. Devo stare lontana sia da lei che dalla sua famiglia.”
Emma sbuffò: “Sai che novità. Ha detto lo stesso a me, quando sono arrivata a Storybrooke. Ma Henry è mio figlio e non lo lascerò di certo nelle mani di quella donna.”
La giovane sorrise, osservando: “Devi tenere davvero molto a lui.”
“Ovvio … è mio figlio.”, rispose l’altra, quando Ruby non sopraggiunse, posando dell’altro brandy di fronte alle due.
Emma osservò tetra il liquore che, ancora una volta, scompariva nella gola della mora, quindi sospirò: “Vuoi proprio ubriacarti, eh?”
Helena sorrise: “E’ il solo modo che conosco per liberarmi di questo peso. Se hai altro da fare, non voglio certo trattenerti.”
Quella sorrise, prendendo a sua volta la bottiglia e versandosi un sorso: “Non ci penso nemmeno. Non ti lascio qui a ubriacarti da sola. Se vuoi bere, allora lo faremo assieme. E’ triste farlo da soli … almeno, ti farò compagnia.”
Helena sorrise appena, quindi alzò il bicchiere, permettendole di riempirlo nuovamente.
 
Si dice che la notte porti consiglio.
E infatti, quella notte, Helena ebbe modo di pensare parecchio agli avvenimenti della giornata.
Che Regina non era più la madre dolce e amorevole che conosceva, ormai era quanto mai chiaro, e negarlo ancora era totalmente inutile.
Regina aveva lanciato il Sortilegio e lo aveva fatto per portare a termine i propri piani di vendetta nei confronti delle persone che più amava, ma che lei considerava come la propria sventura peggiore.
Biancaneve, perché aveva causato la morte di Daniel e, almeno dal suo punto di vista, condotto la figlia alla morte. Il Principe perché, con la sua comparsa, aveva offerto alla giovane quel vero amore che a lei era stato invece tolto nel peggiore dei modi.
Henry non aveva mentito affatto, sulla reale natura della donna, ed Helena doveva farsene una ragione, volente o nolente.
Tuttavia, era comunque sua madre, non poteva odiarla.
Quindi non le rimaneva che un’alternativa, la stessa che, anni prima, aveva scelto quando si era messa contro Tremotino pur di ricondurla sulla retta via.
Avrebbe combattuto, certo. Avrebbe lottato per proteggere la sua migliore amica, Biancaneve, e sua figlia, Emma. Forse, sarebbe riuscita persino a farsi riconoscere dalla madre e, allora, avrebbe raggiunto finalmente il suo obiettivo.
Si, era quella la cosa giusta da fare.
Fu quindi con determinazione rinnovata che, il mattino seguente, scese a fare colazione, salutando con un sorriso Ruby e sua nonna che, sorprese, la guardarono prendere posto di fronte al piccolo Henry.
Il bambino alzò gli occhi, osservando la donna per qualche istante, prima di chiedere: “Allora, adesso mi credi?”
Helena sospirò, annuendo appena: “Avevi ragione, piccoletto. Quella donna … non è più mia madre.”
L’altro annuì, sorridendo: “Quindi … cosa farai ora?”
La giovane sorrise, sorniona: “Beh … abbiamo un Sortilegio da spezzare, giusto?”
Come ebbe pronunciato quelle parole, il bambino parve illuminarsi, protendendosi quindi con entusiasmo a malapena contenuto verso la donna e dicendo: “Mi aiuterai veramente?”
Helena annuì, divertita dalla spontaneità del bambino: “Certo che si. Sei il nipote della mia migliore amica, anzi, di mia sorella. Quindi, in un certo senso, io per te sono un po’ come una zia e non ti permetterei mai di affrontare una cosa simile totalmente da solo.”
Henry annuì, sorridente, mentre quella proseguiva: “Quindi … Emma sarebbe la Salvatrice, giusto? Cosa ne pensa di questa storia del Sortilegio?”
Il bambino si oscurò, sospirando appena: “Ecco … mia mamma. Lei è convinta che l’Operazione Cobra, così come la storia del Sortilegio, sia solo una mia fantasia. Non riesce a credere, e fino quando non lo farà sarà impossibile rompere l’incantesimo.”, concluse tristemente.
La donna alzò un sopracciglio, alla parte della cosiddetta “Operazione Cobra”, quindi si fece improvvisamente pensierosa.
Aveva conosciuto Emma Swan solo il giorno precedente, e da quel che le era parso di capire si trattava di una donna molto decisa e dall’indole a dir poco pragmatica, che difficilmente si sarebbe piegata alle leggi del mondo delle favole. O almeno, non lo avrebbe fatto finché non si fosse trovata di fronte all’evidenza.
Sospirò, le cose erano più difficili di quanto avesse immaginato. Avrebbe dovuto dare fondo a tutte le proprie abilità, forse ricorrendo persino alla Voce, per convincerla della realtà dei fatti.
“Capisco … quindi, dobbiamo trovare un modo per spingerla a credere.”
Il piccolo annuì, silenzioso.
“Beh … tanto per iniziare vedrò di trovarmi un lavoro da queste parti. Poi cercheremo delle informazioni che possano esserci utili per scoprire come spezzare questo Sortilegio. Intanto …”, osservò ironica l’orologio, posto proprio sopra la porta del locale, “… è meglio che ti accompagni a scuola.”
Il bambino arrossì, colto in fallo, al che lei rise, divertita: “Non pensare di fregarmi, piccoletto. Dobbiamo portare a termine l’Operazione Cobra, ma questo non significa che tu debba trascurare i tuoi impegni.”
Il piccolo tirò su un finto broncio, borbottando: “Scommetto che pure tu saltavi le lezioni, quando eri bambina.”
Helena alzò gli occhi al cielo, guidandolo quindi verso la moto.
 
Il viaggio fino alla Scuola Elementare di Storybrooke fu, per il bambino, quanto di più emozionante avrebbe potuto aspettarsi da quell’insolita sconosciuta che, con sua immensa fortuna, era giunta il giorno precedente in città.
Gli piaceva, quell’Helena.
Sapeva il fatto suo, e sembrava proprio il tipo di persona disposta a fare di tutto per proteggere coloro che ama. E poi, non aveva esitato un secondo a credere alla sua storia del Sortilegio, cosa che la metteva, assieme alla madre, in cima alla classifica delle persone che più apprezzava in quella città.
Certo, ovviamente poi c’erano anche Biancaneve, Ruby, Archie e tanti altri. Nessuno di loro, tuttavia, aveva mai mostrato un tale entusiasmo nella sua Operazione Cobra, e quindi la presenza della donna in città si era rivelata per il piccolo Henry proprio un toccasana.
Sorrise, stringendosi alla vita della donna, mentre la Bimota Tesi sfrecciava per le strade della cittadina, oltrepassando edifici e parchi, per poi accostare con un rombo tonante presso il marciapiede della scuola.
Scesero, e si sarebbero anche diretti all’ingresso se, proprio di fronte a loro, non avessero trovato Regina.
Gli occhi della donna erano sgranati, carichi d’ira mentre osservava con sguardo visibilmente cinico il figlio scendere dalla motocicletta accompagnata da quella stessa donna a cui il giorno precedente aveva detto chiaramente di stargli lontano.
Fu quindi con cipiglio decisamente scocciato che, facendo rintoccare i tacchi sul selciato del cortile, si diresse a passo di marcia verso la donna.
Osservò silenziosamente il figlio che, subito, si affrettò a entrare nell’edificio, per poi tornare a fissare, irata e con le braccia conserte, Helena.
Quella, d’altro canto, pur percependo l’ostilità della donna parve non darci eccessivamente peso, dicendo: “Buongiorno, Sindaco Mills. Stavo giusto riportando suo figlio a scuola.”
Regina assottigliò lo sguardo, per poi dire, aggressiva: “Certo. Poteva anche chiamarmi, invece che far salire Henry su quella sottospecie di aggeggio infernale. Ha idea di quanti incidenti stradali avvengono al giorno a causa di quei cosi?”
Helena sbuffò.
Ok, si possono fare tante cose.
Ma NESSUNO poteva insultare in quel modo la sua moto, specialmente con tutti i soldi che aveva speso per comprarsela.
“Beh, mi spiace, ma come può vedere suo figlio è vivo e vegeto. E se lo controllasse meglio, non dovrebbero essere gli altri a riportarlo a scuola quando se ne va per i fatti propri.”, osservò, sorridendo divertita di fronte all’espressione sorpresa della donna.
Regina strinse i denti, forzandosi di sorriderle cordialmente anche se, in quel momento, avrebbe desiderato veramente moltissimo possedere ancora i suoi poteri per incenerirla sul posto.
“Lei ha una lingua molto lunga, Signorina Montgomery. Se vuole un consiglio, stia più attenta a chi si mette contro.”, fece, ostile.
Proprio in quel momento, tuttavia, una mano femminile si posò sulla spalla di Helena, costringendo le due a voltarsi e osservare lo Sceriffo Swan che, tranquilla, guardava Regina con aria pacata.
“Tutto bene qui?”, chiese, osservando in modo fin troppo esplicito la donna che, irritata, rispose, “Sceriffo. Non dovrebbe essere in centrale a ... che so … scaldare la sedia?”
Emma strinse i denti.
Era incredibile come, ogni volta che la incontrava, quella donna facesse sfoggio della sua straordinaria dote di darle totalmente sui nervi.
“Stavo facendo il mio giro perlustrativo del giorno. Quindi stia tranquilla, so bene come svolgere il mio mestiere, Sindaco.”, calcò sull’ultima parola, sorridendo divertita di fronte all’espressione irritata dell’altra.
Helena, dal canto suo, assisteva allo scambio di battute in silenzio, sorpresa dalla tensione evidente presente tra le due madri.
Regina sbuffò: “Sarà meglio per lei, perché sarebbe davvero un PECCATO doverla licenziare.”, osservò, prima di dar loro alle spalle e dirigersi a passo sicuro verso la propria macchina.
Helena alzò sopracciglio, sospirando sollevata: “Uhhh … beh, è simpatica.”
Emma sospirò: “Non sai quanto. Da quando sono arrivata, pare avermi presa in totale antipatia, non sopporta che Henry sia legato a me in un modo che, con lei, non sarà mai possibile. E me lo fa notare ogni volta che ne ha l’occasione.”
“Mmmhhh … comunque, ora è meglio che torni da Granny. Stavo pensando di trovarmi un lavoro qui anche se, forse, il Sindaco Mills non sarà molto contento di sapere che ho deciso di fermarmi qui.”, fece Helena, avviandosi verso la moto, seguita dalla donna.
Emma parve farsi pensierosa, quindi propose: “Qualche giorno fa ho sentito Ruby parlare con sua nonna. Sembra che in questo periodo gli affari vadano bene, da loro, e stanno cercando un’altra cameriera. Sono sicura che, se gliene parlassi, sarebbero felici di assumerti.”
L’altra sorrise, annuendo: “Beh, grazie per l’informazione. Stasera vedrò di aggiornarti, allora.”, detto ciò diede gas, avviandosi sicura verso il locale.



Note dell'Autrice:
Come promesso, in onore del raggiungimento delle 400 visualizzazioni al primo capitolo, oggi ho deciso di inserire anche un terzo capitoletto bonus!
Prendetelo pure come un modo per ringraziare tutti coloro che continuano a seguirmi e, con me, si sono innamorati di questa mia ficcina.
Ebbene, in questo capitolo ho deciso di incentrarmi un po' sul rapporto che andrà a costruirsi in futuro tra Helena, Emma ed Henry. Con la prima, come potete vedere, è scattata una certa compatibilità forse dovuta al carattere in parte simile che possiedono e col tempo diverranno grandi amiche (anche perchè alla fine Emma è la figlia di sua sorella). Con Henry inizialmente le cose non erano iniziate benissimo, ma ora che la nostra protagonista si è resa conto che aveva ragione e due legheranno veramente moltissimo ... dopotutto è e sarà per un po' una delle poche a credere realmente alla storia del ragazzino e quindi tra i due si creerà una certa sintonia.
Detto questo, mille grazie a tutti i miei carissimi recensori e lettori. E' sempre un piacere potervi proporre delle storie nuove e questa mi sta prendendo realmente moltissimo.
Come sempre, vi aspetto giovedì prossimo per il nuovo aggiornamento!

Teoth

 

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Capitolo 17
*** Cap. 16 - Questioni di cuore ***


Capitolo 16
Questioni di cuore
 

“E’ assurdo! Totalmente assurdo, non posso crederci cazzo …”, borbottò, ormai al limite della pazienza, il giovane Trevor.
Ormai, erano passate alcune ore da quando era stato costretto ad abbandonare la propria compagna di fronte al locale e, nel frattempo, si era curato bene di guardarsi dal farsi notare cercando informazioni su quel posto che, ormai, iniziava a dargli seriamente sui nervi.
Perché si, a quanto pare era riuscito a capire il segreto che si celava dietro alla cittadina di Storybrooke.
Aveva incontrato parecchie vecchie conoscenze ma nessuna, che fosse una, aveva dato segno di riconoscerlo per chi era realmente.
Ok, certo … erano passati anni da quando era scomparso dalla Foresta Incantata, ma da qui a non ricordarsi nemmeno il volto del figlio del tanto temuto Signore Oscuro ne passava!
Eppure, neanche da Fata Turchina in persona, che in quel mondo era pure una suora, era riuscita a capire chi fosse veramente.
Anzi! Quando l’aveva visto girovagare ancora scosso presso il convento, gli era pure venuta incontro, chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa o se si fosse perso. Roba dell’altro mondo, insomma!
Non sapeva come, ma tutti i personaggi delle fiabe presenti a Storybrooke sembravano aver perso completamente i ricordi sul proprio passato. Un destino persino peggiore della morte che fece affogare il giovane nella disperazione più profonda, all’idea che il padre stesso avrebbe potuto non riconoscerlo nemmeno.
“Cazzo, cazzo, cazzo!”, sbottò, massaggiandosi le tempie con aria esasperata.
Si guardò silenziosamente attorno.
Era stato così immerso nelle proprie riflessioni personali che non si era nemmeno accorto di essere uscito da tempo dalla zona urbana della città, inoltrandosi invece in una boscaglia sempre più fitta che lo aveva condotto parecchio lontano da dove era partito.
Si osservò attorno, inspirando silenziosamente l’odore fresco di aghi di pino e terra umida del posto, cercando di schiarirsi le idee.
Ok.
Non doveva allarmarsi.
Aveva affrontato situazioni ben peggiori, e non avrebbe certo rinunciato all’idea di incontrare il padre solo a causa di quella sottospecie di maledizione che sembrava aver colpito tutti gli abitanti della città.
Fu mentre cercava disperatamente di trovare un modo per rintracciare il padre che, quasi per caso, lo sguardo gli cadde su un cumulo di terra, differente da quella circostante.
Si abbassò sulle ginocchia, osservandola in silenzio.
L’ammasso di terriccio sembrava essere stato smosso da poco, ed era evidente come qualcuno avesse cercato di nascondere la buca sottostante, senza tuttavia troppo successo. Almeno, non per un occhio attento come il suo. Gli anni trascorsi all’Isola Che Non C’è avevano addestrato accuratamente l’animo del non più piccolo Baelfair nel riconoscere le tracce di terra smossa, e quello era proprio il caso che sembrava avere di fronte.
Scavò solo per alcuni istanti, quando improvvisamente le sue dita non andarono a sfiorare una superficie fredda e liscia, che lo fece sussultare al tatto.
Ritrasse la mano, mentre gli occhi si posavano sorpresi sull’oggetto che stringeva, un oggetto che aveva imparato a conoscere fin troppo bene in quanto causa dell’ascesa di suo padre verso le tenebre.
Il pugnale, un oggetto dalla straordinaria fattura, fornito da una lama dalla forma lievemente ondulata, era identico a quello di un tempo.
Inciso a chiare lettere sulla lama, vi era un solo, semplice nome: Tremotino.
Un fremito d’esultanza scosse il corpo dell’uomo, che sorrise.
Se quell’oggetto si trovava proprio li, a Storybrooke, significava che ci aveva visto decisamente giusto: suo padre era in quella città.
Sorrise, guardandosi quindi cautamente attorno, prima di nasconderlo all’interno della pesante giacca in cuoio. Quindi, alzò il capo, facendosi pensieroso.
Non gli restava che una cosa da fare.
Ossia, parlare con l’unica persona, in quel posto, abbastanza potente da poterlo aiutare nella sua ricerca.
Storse la bocca, cupamente.
Era giunto il momento di fare una visita a domicilio dalla Regina Cattiva.
 
“Inutile!”, sbottò irritata Regina.
Strinse i denti, scagliando senza mezze cerimonie quell’ammasso di carta straccia che, solo quella mattina, Sidney le aveva fornito in risposta alla sua richiesta di maggiori informazioni personali sul passato di quella Helena Montgomery.
A seguito, infatti, dell’ennesima sfida ricevuta da quella mocciosa solo qualche giorno prima, quando aveva accompagnato Henry a scuola su quell’aggeggio infernale che chiamava “moto”, aveva deciso ufficialmente d’indagare meglio sulle sue origini. E, soprattutto, sul motivo che doveva averla condotta nella SUA città, a Storybrooke.
Eppure, non era riuscita a cavarne fuori un ragno dal buco.
I dati sul suo conto erano tutto ciò che si poteva ottenere dai registri dei servizi sociali: orfana, rinvenuta priva di memoria nei pressi di Los Angeles, USA, e in seguito affidata a una famiglia di Seattle.
Nient’altro.
Non una multa, non una denuncia … nulla che potesse utilizzare per ricattarla o, quanto meno, metterla alle strette per togliersela di mezzo. Cosa, a dire il vero, quanto mai ironica visto il caratterino tutt’altro remissivo di cui pareva essere fornita.
Tuttavia, che le piacesse o meno, quelle scartoffie erano completamente inutili per i suoi scopi. Il che significava che, se davvero voleva liberarsene, allora avrebbe dovuto fare a modo suo e giocare sporco.
Non le piaceva il suo atteggiamento, né, tantomeno, il fatto che sembrasse sapere esattamente chi fosse lei e in che situazione di si trovasse la città. Come se non bastasse, poi, Henry sembrava essersi affezionato parecchio a quella donna, cosa che le dava ulteriormente sui nervi.
Doveva sopportare già quella Emma Swan, che puntualmente si metteva in mezzo tra lei e il figlio. Non avrebbe tollerato altre interferenze, tantomeno da una sottospecie di teppistella da quattro soldi come doveva essere, senza ombra di dubbio, quella dannata donna.
Sospirò, massaggiandosi stancamente le tempie e adocchiando, quindi, l’orologio.
Erano quasi le sette e probabilmente Henry sarebbe tornato a casa a momenti per la cena, che quella sera sarebbe stata a base di lasagne, il piatto che, in assoluto, il figlio sembrava apprezzare meglio.
Si morse il labbro, osservando cupamente il salotto, che in assenza del bambino sembrava tristemente vuoto e silenzioso, quasi freddo.
Ormai, erano mesi che le cose tra lei ed Henry erano improvvisamente peggiorate. Il bambino era sempre stato un tipetto decisamente introverso e poco aperto alle relazioni tra i suoi coetanei, fornito di una grandissima fantasia che lo aveva spinto persino a credere che lei fosse la Regina Cattiva. E tutto per quello stupido libro che Biancaneve, in quel mondo alias Mary Margareth, gli aveva regalato.
Eppure, prima che Emma Swan comparisse nelle loro vite come un uragano pronto a spazzare via tutto ciò che aveva di più caro, inizialmente aveva sperato sul serio che le cose potessero migliorare. Certo, Henry era convinto che lei fosse una persona orribile e crudele, ma con la dedizione e il tempo, forse, avrebbe potuto spingerlo a credere il contrario, grazie all’amore sconfinato che provava per lui.
Tutto ciò però valeva prima che quella donna capitasse nelle loro vite, distruggendo tutto ciò per cui aveva lavorato in quei dieci, lunghi anni assieme al figlio.
Da quando era arrivata, infatti, il bambino era diventato sempre più distante. Alla compagnia di lei, la donna che lo aveva cresciuto ed educato, preferiva quella della persona che invece lo aveva abbandonato senza nemmeno porsi troppi problemi. Passava ore e ore fuori casa, chissà dove, in compagnia di quella donna dimostrando nei suoi confronti un amore e una dedizione che verso di lei non aveva mai dato cenno di provare.
E la cosa, doveva ammetterlo, le dava decisamente sui nervi.
Sospirò, scuotendo il capo.
Non era il caso di preoccuparsi.
Quella sera gli avrebbe preparato il suo piatto preferito, poi si sarebbero guardati un bel film assieme e, infine, alle nove in punto sarebbe andato a dormire.
Era la sua occasione per riscattarsi, e dimostrargli quanto gli volesse realmente bene.
Sghignazzò pensando a come, probabilmente, Emma Swan nemmeno sapesse come si faceva una lasagna fatta per bene. Conoscendola, le sembrava proprio il tipo da sopravvivere con bacon e uova sode, un’alimentazione totalmente degenere che mai avrebbe proposto al suo amato bambino.
Si apprestò quindi a prendere gli ingredienti, pregustando la serata con il figlio quando uno scampanellio deciso non la interruppe nuovamente.
Si morse il labbro, sospirando irritata e dirigendosi a passi decisi verso la porta.
Era l’ennesima volta che veniva interrotta mentre si apprestava a occuparsi di suo figlio, e in quel periodo il suo umore era già abbastanza nero di suo, senza che qualche idiota la infastidisse a quell’ora di sera.
Aprì quindi la porta, osservando con sguardo impassibilmente ostile l’uomo che, silenzioso, la squadrava dall’ingresso.
Alzò un sopracciglio.
Ma che diavolo stava succedendo in quel posto?
Chi era quel tizio e, soprattutto, che ci faceva nella SUA città?
Inclinò il capo, per poi dire: “Buonasera. Ha bisogno di qualcosa?”, chiese, reprimendo la tentazione di sbattergli la porta in faccia.
Quello, dal canto suo, continuò a squadrarla, atteggiamento che rischiò seriamente di farle perdere le staffe.
Insomma … non solo compariva alla sua porta, interrompendola mentre stava cucinando. Ora osava pure sfidarla!
Prima che potesse voltargli le spalle, tuttavia, quello esordì: “Così … tu saresti Regina, giusto?”
La donna alzò un sopracciglio. Dal tono con cui lo aveva detto, sembrava fosse perfettamente consapevole di chi fosse realmente, cosa che non poté non preoccuparla ulteriormente.
Chi diavolo era quel tipo?
L’altro sorrise, superandola senza dire niente ed entrando nella dimora, incurante dello sguardo sorpreso della donna che, ripresasi, lo afferrò per un braccio costringendola a guardarla negli occhi: “Ehi, tu! Si può sapere chi ti credi di essere? Vuoi forse che chiami lo Sceriffo? Ci metto due secondi a farti sbattere dentro!”, sbottò, furiosa.
Quello ridacchiò, divertito: “Certo, non lo metto in dubbio. Prima però ti suggerirei di ascoltare quello che ho da dire, potrebbe interessarti molto.”
La donna alzò un sopracciglio: “Davvero? E dimmi, perché mai dovrei stare a sentire un perfetto sconosciuto?”
L’uomo fece spallucce, dicendo: “Forse perché non possiedi più i tuoi poteri a salvaguardarti il fondoschiena, cara la mia Regina Cattiva. Mentre io, d’altro canto …”, estrasse una rivoltella, puntandogliela contro con fare divertito, “… so molto bene chi siete, e non mi farò problemi a passarvi sopra per ottenere quello che voglio. Siete il Sindaco, il che mi fa immaginare che siate stata proprio voi a ridurre gli abitanti della Foresta Incantata in questi inutili pupazzi senza memoria che ho avuto modo d’incontrare.”, sorrise, avvicinandosi a lei con un luccichio minaccioso negli occhi, mentre quella indietreggiava appena.
Lurido bastardo!
Chi si credeva di essere?
Certo, forse non possedeva più i propri poteri, ma lo avrebbe fatto pentire molto amaramente di essersi messo contro di lei.
Sorrise: “Sembri molto sicuro di te.”, osservò.
Quello ridacchiò divertito: “Ovvio che lo sono. Non puoi difenderti, e quindi non potrai opporre resistenza quando ti costringerò a dirmi dove si trova mio padre. Ti consiglio quindi di ponderare con attenzione le mie parole, Regina, o ti troverai con un bel buco nella testa.”
Improvvisamente attenta, la donna lo osservò, interdetta.
Suo padre? Chi diamine …
“Tremotino.”, disse quello, dissolvendo in un istante tutti i suoi dubbi, “Mio padre è Tremotino. Non so come si chiami qui, o se conservi dei ricordi su di me, ma tu mi condurrai da lui, che ti piaccia o meno.”
La donna sgranò gli occhi, sorpresa, quindi sorrise.
Quello si che era un colpo di fortuna!
Non aveva idea di come quell’uomo fosse giunto fin li, ma checché dicesse avrebbe potuto rivelarsi un’arma eccezionale contro il padre, forse persino più utile di quella principessina, Belle.
Sorrise, letale, prima di dire: “Hai ragione, non ho più i miei poteri. Ma, forse, qualcosa posso ancora farlo.”
Quello non fece in tempo a indietreggiare perché, rapida, la mano della donna si immerse nel petto dell’uomo, che gemette appena, sollevando lo sguardo sorpreso e spaventato.
Regina sorrise, ritraendola di scatto e osservando con soddisfazione l’oggetto rosso e pulsante che reggeva tre le mani.
“Allora …”, esordì, “… ora mi racconti tutto quello che sai, a partire da come sei arrivato fin qui e poi, caro il mio nuovo giocattolino, farai tutto quello che ti ordinerò di fare. È chiaro?”




Note dell'Autrice:
Rieccomi, come sempre, in questo nostro appuntamento settimanale!
Il titolo, come avrete capito, è preso proprio dal finale. Era da un po' che volevo mostrare Regina in azione e ora che Trevor è sotto il suo controllo le cose non si metteranno affatto bene per la nostra protagonista ... dopotutto, ora può muoverlo a piacimento e questo rappresenterà un vantaggio non di poco conto per Regina!
Ancora mille grazie ai miei recensori EragonForever, k_Gio e Ghillyam oltre che a tutti i miei carissimi lettori.
Inserisco subito il capitolo seguente.

Teoth

 

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Capitolo 18
*** Cap. 17 - Sfidare l'oscurità ***


Capitolo 17
Sfidare l’oscurità
 

Tremotino non riusciva a crederci.
Osservò in preda all’ira la stanza principale del Palazzo Oscuro, il SUO palazzo, ridotta praticamente a un ammasso di macerie informi e ancora fumanti a causa dell’incendio scatenato da quella mocciosa che, gli doleva ammetterlo, lui stesso aveva creato.
Lo scontro con la Chimera si era rivelato a dir poco catastrofico, per quell’ala del palazzo. Laddove la belva aveva fatto irruzione nella stanza, gli ampi portoni in pregiatissimo legno di quercia rossa erano stati completamente ridotti in briciole, mentre le pareti erano distrutte e bruciate in più punti.
Come se non bastasse, nella sua corsa alle spalle delle due intruse, la bestia aveva rovinato irreparabilmente un gran numero di arazzi e statue di pregio, per non parlare dei segni d’artigli che spiccavano ovunque.
Un disastro, ecco cos’era quello.
E tutto a causa di un paio di mocciose da quattro soldi e di un cosetto verde che se ne andava in giro a sparare consigli non richiesti alle persone.
Il solo pensiero di quanta fatica aveva fatto per tirare su quel posto, solo per vederlo distrutto in quel modo a dir poco INAUDITO, lo faceva andare letteralmente in bestia, al punto che non poté più contenersi.
Con un grido disumano, evocò una sfera di fuoco nero, lanciandola furioso contro una delle pareti e riducendola in cenere.
Come aveva potuto farsi giocare in quel modo?
Strinse i denti, cercando di ripristinare il proprio contegno.
Quindi si diresse a passi decisi verso l’anta dell’armadio sopraelevato. La sfiorò appena, e come obbedendo a un silenzioso comando quella si aprì, rivelando l’impressionante collezione di manufatti magici contenuta al suo interno.
Ignorò completamente la schiera di fiale e amuleti vari, tendendo quindi con decisione la mano sul fondo del mobile, alla ricerca di una falla nella superficie apparentemente liscia del legno.
Quando la trovò, sorrise appena, rivelando una fessura nascosta dalla quale estrasse, silenziosamente, il pugnale.
Bene … almeno, la Chimera aveva fatto il suo dovere, e nessuno era riuscito a impadronirsene.
Non poteva nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se un estraneo ne fosse entrato in possesso. Molto probabilmente, sarebbe stato costretto a dire addio per sempre al suo proposito di ricongiungersi con suo figlio, Baelfire, e poco importava se fosse finito in schiavitù o ucciso. In qualsiasi caso, non avrebbe avuto più alcun modo per ritrovarlo e, a quel punto, semplicemente la sua vita già abbastanza misera di suo avrebbe smesso di avere un senso.
E non poteva assolutamente permettersi una cosa del genere.
Strinse i denti, avviandosi deciso attraverso i corridoi, fino alla zona da cui poteva percepire ancora nitidamente una magia estranea.
Osservò impassibile le macerie sparse a terra, oltre che la fessura venuta a crearsi nel soffitto a causa del crollo, quindi sfiorò silenziosamente i frammenti di legno e mattoni, chiudendo gli occhi.
Le tracce magiche che impregnavano quel luogo, residuo dell’incantesimo lanciato dalla bambina, erano ancora abbastanza forti e bastarono a confermare il suo sospetto. Era stata proprio la mocciosa, quell’Helena, a introdursi nella sua dimora, cercando di prendere il pugnale per mettere fine alla sua vita.
Non dovette sforzarsi molto per comprenderne il motivo.
La bambina era sveglia, lui stesso aveva avuto modo di rendersene conto, e quindi non si sarebbe stupito nel sapere che aveva scoperto del suo rapporto con la madre. E di come quello stesso rapporto stesse facendo cadere lentamente Regina nel baratro dell’oscurità.
Conoscendola, doveva essere stato proprio il desiderio di salvare la madre a spingerla ad agire contro di lui, senza curarsi dei pericoli che avrebbe potuto correre o delle possibili conseguenze.
Si morse il labbro, furioso.
Era solo una bambina, certo, ma sapeva molto bene quanto una volontà tanto forte avrebbe comunque potuto rappresentare un problema. Almeno in futuro. E non poteva permettersi di fallire, non ora che era a un passo dalla soluzione dei suoi problemi.
Non gli rimaneva, quindi, che una sola alternativa.
Doveva sbarazzarsene, in un modo o nell’altro, e assicurarsi che non gli mettesse più i bastoni tra le ruote. Avesse anche dovuto significare strapparle il cuore con le sue stesse mani … doveva ucciderla.
Sospirò appena, affranto.
E si che, quando aveva deciso di investire su quell’accordo con la madre, non si sarebbe mai potuto aspettare un risvolto del genere.
Ovviamente, SAPEVA che il frutto di quell’incantesimo sarebbe stato almeno mille volte più potente di Regina, così come SAPEVA che la piccola che ne sarebbe nata sarebbe stata un vera e propri Figlia della Magia: un’arma potentissima che almeno inizialmente aveva contato di utilizzare per i propri scopi.
Tuttavia, non si sarebbe mai aspettato che, col tempo, quella mocciosa sviluppasse un’indole tanto ribelle e audace, al punto da sfidare la sua stessa autorità per proteggere la madre. E poco importava che il suo fosse coraggio o semplice stupidità, perché da qualsiasi punto di vista la si guardasse Helena non si sarebbe fermata di fronte a nulla pur di mettere fine alla sua influenza sulla madre.
E un nemico disposto a sacrificare tutto per il proprio obiettivo è mille volte peggio di uno dieci volte più potente, ma senza una valida ragione per cui combattere.
Lui stesso era diventato ciò che era ora, il Signore Oscuro, col solo scopo di ottenere un potere sufficiente a proteggere suo figlio. Garantendo loro un futuro migliore e una vita felice e priva di preoccupazioni.
Sapeva quindi molto bene quanto, lasciandola in vita, avrebbe rischiato, ed era disposto a tutto pur di impedirle di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote.
 
Dopo essere finalmente tornati al Castello, sia Helena che Biancaneve dovettero subire non poche domande dalla madre che, a seguito dello spiacevole incidente con la Chimera, voleva ora sapere per quale motivo esattamente avessero deciso di uscire dal Castello senza dirle nulla.
Le due sorelle furono quindi costrette a inventarsi una scusa abbastanza credibile e fu quindi sotto lo sguardo severo della madre che le raccontarono, sebbene non senza un certo senso di colpa, di come avessero voluto uscire per una cavalcata. Addussero come scusa il fatto che, ormai, era divenuto quasi impossibile per entrambe l’uscire senza una scorta a proteggerle. Cosa che, solitamente, impediva loro di lanciarsi liberamente al galoppo, assaporando il piacere di una bella cavalcata per il regno senza nessuno a rallentarle.
La donna, inizialmente scettica, alla fine parve abbastanza convinta della spiegazione e le liquidò senza dire altro.
Cosa che, purtroppo, fece preoccupare non poco la piccola Helena.
Normalmente, si sarebbe aspettata quanto meno una bella ramanzina, forse persino una punizione. E il fatto che, dopo la sfuriata con la Chimera, la madre si fosse rinchiusa in una gabbia di gelida indifferenza fu per lei il castigo peggiore che avrebbe potuto immaginarsi.
Ovviamente, Regina era ben consapevole dei pensieri della figlia, e proprio per questo voleva farle comprendere a fondo quanto quell’atteggiamento a dir poco irresponsabile l’avesse fatta arrabbiare.
Fu quindi con silenziosa pazienza che, nelle settimane seguenti, la madre si guardò bene dal rivolgere la parola alla figlia, evitandola ogni volta che lei veniva a cercarla e limitandosi a farle percepire la propria presenza attraverso la Chimera che, ormai, la seguiva ovunque come un’ombra.
La creatura, ormai battezzata col nome di Melissa, non smetteva nemmeno per un istante di fare la guardia alla bambina, che vi si affezionò veramente moltissimo, così come Biancaneve stessa. Sebbene, a dire il vero, alla maggiore ci fosse voluto un po’ più di tempo per accettare la presenza del felino/capra/rettile nella loro singolare famiglia.
E poco tempo dopo, proprio come aveva immaginato, fu Helena stessa a venire a cercarla nelle sue stanze.
L’atteggiamento assunto dalla madre l’aveva fatta riflettere molto sulle sue azioni, facendola sentire sempre più in colpa e facendole comprendere quanto dolore avesse arrecato alla madre spaventandola in quel modo.
Accadde quindi una sera che, timidamente, la bambina fece capolino dalla porta delle stanze materne, osservando la madre che, silenziosamente, osservava assorta il melo dal bancone di fronte alla stanza.
Strisciando i piedi con aria colpevole, si avvicinò quindi alla donna che si voltò, osservandola interrogativa.
La bambina abbassò lo sguardo, prima di balbettare, contrita: “Scusa … mi dispiace per quello che è successo nel bosco. Io … noi … non volevamo farti preoccupare così tanto, davvero. Però …”, grossi lacrimoni iniziarono a solcarle le guance, mentre le iridi smeraldine cercavano quelle della madre, “… ti prego, torna con me! Sono giorni che non parli. Sei arrabbiata, vero? È tutta colpa mia … i-io non volevo farti male, ma ti prego. Torna a essere come prima!”
Regina sorrise appena, mentre la bambina continuava a singhiozzare sommessamente.
Annuì, soddisfatta, contenta che, alla fine, avesse compreso il proprio errore.
Sospirò appena, facendo un passo avanti e avvolgendola tra le proprie braccia. Helena, dapprima visibilmente sorpresa, non ci mise molto per ricambiarla, stringendosi con forza alla madre e affondando il volto nei boccoli scuri di lei.
Regina le massaggiò il capo, consolandola in silenzio, quindi disse: “Tranquilla piccola mia. Non sono arrabbiata, non più almeno. Volevo solo che capissi quanto mi hai fatta stare in pensiero.”, sorrise, scostandosi appena per pulire con un dito le lacrime della bambina, che annuì con forza. La donna sorrise, inclinando il capo: “Allora … che ne dici di andare al villaggio? Potremmo visitare il mercato, e forse potrei anche prenderti una sella nuova … ti va?”
Immediatamente, gli occhi di Helena si illuminarono mentre, incapace di contenere la gioia, si gettava ridendo tra le braccia della madre.
 
“Ehhh … bubu settete!”
La neonata osservò, coi grandi occhioni scuri, il faccione del padre che, tutto sorridente, faceva capolino dalla culla destreggiandosi in una delle sue espressioni comiche migliori.
Lo fissò per qualche istante, mentre l’uomo col cilindro iniziava a esibirsi in un complicato insieme di smorfie e versi strani, nel tentativo di far sorridere la bambina che, dal canto suo, continuava a guardare il padre senza fare una piega.
Affranto, il Cappellaio Matto lasciò andare le braccia sui fianchi, imbronciato, e fu proprio allora che, divertita dall’espressione affranta del padre, la piccola Grace emise un risolino divertito tendendo le manine paffute verso il padre.
Contento per il risultato ottenuto, il Cappellaio osservò con fierezza la moglie che, poco distante, osservava divertita la scena.
Priscilla era una giovane donna veramente molto bella, dal carattere forte e deciso che le permetteva di fiancheggiare senza problemi il marito nei suoi viaggi interdimensionali.
I capelli, color dell’oro, erano identici a quelli della figlia e le ricadevano in morbidi boccoli lungo la vita stretta e minuta. Gli occhi erano due zaffiri coloro del cielo, mentre la carnagione color perla risaltava ulteriormente quella bellezza che pareva contraddistinguerla. Il fisico era esile e magro, ma comunque dotato di una grazia senza pari che aveva letteralmente conquistato, a suo tempo, il cuore giocoso e volubile del marito.
L’uomo sorrise, avvicinandosi alla moglie e scoccandole un bacio divertito sulle labbra: “Visto? Te l’avevo detto che ci sarei riuscito!”, esultò, gongolante di gioia.
Da quando la piccola Grace era nata, la loro vita era cambiata completamente. E non solo per la mole allucinante di pannolini e poppate giornaliere da gestire, ma anche perché, finalmente, il Cappellaio poteva dire di aver ottenuto tutto ciò che la vita poteva offrirgli.
Col loro lavoro, possedevano abbastanza soldi per permettersi una bella tenuta, con tanto di stalle e giardino. Avevano una bella casa, dei servitori laboriosi e fedeli e un patrimonio adeguato a permettere loro una vita priva di preoccupazioni. E poi aveva anche una moglie bellissima e una figlia che pareva il sole in terra.
Cos’altro poteva desiderare dalla vita?
Era tutto perfetto, e quella consapevolezza lo riempiva d’orgoglio e felicità.
Sorrise, cogliendo di sorpresa la moglie e prendendola per la vita, sollevandola in un’ampia giravolta mentre quella rideva divertita.
“Amore! Smettila … dai, devo anche allattare la bambina. Mettimi giù!”, disse, senza tuttavia cercare di ribellarsi.
Sarebbero potuti andare avanti per ore, se un applauso inatteso non fosse giunto proprio in quel momento a infrangere il loro sogno perfetto.
Il Cappellaio si voltò, oscurandosi appena nel notare la figura fin troppo famigliare che, comodamente appoggiata alla culla della SUA Grace, osservava divertita la scena.
Tremotino sorrise, battendo le mani, sorridente: “Ma che bel quadretto! Sono commosso, devo ammetterlo.”, fece, ironico.
Marito e moglie si osservarono per un istante, al che Priscilla si affrettò ad avvicinarsi alla culla, prendendo in braccio la figlia per guardare quindi con diffidenza l’uomo di fronte a lei.
Pochi istanti dopo, anche il Cappellaio le fu di fianco, osservando interrogativo il loro ospite che, come nulla fosse, continuava a sorridere solare.
Comprendendo le sue intenzioni, il marito si voltò a osservare la donna, dicendo: “Torna dentro cara … mi occupo io di lui.”
Priscilla osservò nuovamente l’uomo, prima di annuire in silenzio e rientrare in casa a passo svelto.
“Una donna veramente incantevole, non c’è che dire.”, fece a quel punto il Signore Oscuro, sfiorando appena la culla della bambina, prima di proseguire, “E siete anche riusciti ad avere una magnifica bambina. I miei complimenti, Cappellaio.”
L’altro continuò a fissarlo per qualche istante, inespressivo, prima di dire: “Cosa volete?”
Quello si mise una mano sulla bocca, mimando un’espressione falsamente offesa: “Insomma. Perché quando compaio tutti devono dare sempre per scontato che voglia qualcosa?”
Il Cappellaio rispose, secco: “Forse perché è così che vi comportate di solito?”
Tremotino sorrise, facendo spallucce: “Bene, significa che non dovrò girarci troppo attorno.”, armeggiò per un istante con le tasche della giacca scura, prima di estrarne un ritratto in carboncino, “Riconosci quest’immagine?”, chiese.
L’altro la osservò per un istante, prima di annuire: “E’ la figlia della Regina. E allora?”
“Semplice, mio caro, carissimo vecchio amico.”, proseguì il Signore Oscuro, “Ho un incarico per te. Una questioncina molto delicata, che solo un professionista del tuo calibro potrebbe portare a termine. E si dice in giro che, al giusto prezzo, tu non ti tiri indietro a nulla.”
Il Cappellaio annuì, silenzioso: “Cosa volete che faccia?”
L’altro sorrise, questa volta gli occhi che mandavano lampi: “Semplice … voglio che tu la uccida.”




Note dell'Autrice:
Rieccomi ancora!
Ebbene, in questo flashback abbiamo visto parecchie cose interessanti.
Tanto per iniziare, ho voluto dare un po' di spazio al rapporto madre/figlia tra Regina ed Helena, mostrando l'amore che lei prova nei confronti della figlia e anche il suo approccio nell'educarla. Qui la piccola comprende meglio quanto le sue azioni abbiano fatto preoccupare la madre, ma alla fine si sono ricongiunte. Ho voluto poi presentare si ... anche Priscilla, la moglie del Cappellaio! Purtroppo, nella serie si dice solo che morì a causa del lavoro del marito e io mi sono sempre chiesta per quale motivo esattamente ciò fosse accaduto ... per cui ho pensato bene di spiegarlo in questo racconto, dedicando un po' di spazio anche a questo bellissimo personaggio e alla sua storia perdonale, spero vi piaccia.
Detto questo, come sempre ringrazio tutti i miei recensori e lettori. Per qualsiasi osservazione, lasciate pure qualche recensione così vedrò di rispondere al meglio ai vostri dubbi! Sono aperta a tutto.
Detto questo, ci risentiremo la settimana prossima!

Teoth

 

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Capitolo 19
*** Cap. 18 - Famiglie spezzate ***


Capitolo 18
Famiglie spezzate
 

Il Cappellaio sospirò, richiudendosi la porta di casa alle spalle prima di depositare il suo amato cilindro all’appendiabiti.
Lo sfiorò appena, con affetto, ripensando a tutti i cosiddetti “affari” portati a termine assieme, prima di sussurrare in un soffio: “Visto mio vecchio amico? Abbiamo fatto proprio un ottimo lavoro. Sai … non è male … agire senza pensare sempre a me stesso. Forse … forse potrei persino abituarmici, che dici?”
Ovviamente, quello se ne stette ostinatamente zitto, ma al suo proprietario andava bene così. Sapeva che tutti, in giro, lo consideravano un po’ pazzo ma, come diceva sempre: pazzio ci è chi ha veramente capito tutto dalla vita. Come lui, per esempio.
Sghignazzò, divertito, prima di guardarsi attorno.
Ormai, essendo notte fonda, l’ampia magione in cui lui e la sua famiglia abitavano era quasi completamente avvolta nelle tenebre.
La servitù doveva essere andata a dormire da un pezzo, all’interno del piano interamente riservato loro dall’animo sempre gentile di sua moglie. A dire il vero, non è che gli piacesse così tanto l’idea di spendere i propri soldi nel vitto e nell’alloggio di semplici servitori, ma Priscilla non aveva voluto sentir ragioni.
D’altronde, però, non poteva certo sorprendersi. Prima di sposarsi, lei stessa era stata la figlia di un servitore, e quindi aveva sempre avuto un certo occhio di riguardo nei confronti dei loro dipendenti.
Visto che però la donna sapeva amministrare magnificamente quelle questioni casalinghe che a lui invece facevano girare la testa, non si faceva problemi ad assecondare le poche richieste che gli faceva ogni tanto.
Sorrise, avviandosi verso la stanza matrimoniale da cui, stranamente, proveniva ancora un alone di luce soffusa.
“Amore?”, chiese, avvicinandosi tranquillamente alla porta. Forse si era addormentata con la candela accesa … in quel caso sarebbe stato davvero molto divertente giocarle uno scherzetto, magari facendola cadere dal letto dalla paura.
“Sono a casa.”, disse ancora, dolcemente, prima di spingere il battente.
Si bloccò, osservando interdetto l’ampio letto a baldacchino, totalmente vuoto. Le coperte erano sfatte, mentre voltandosi poté notare le soffici poltrone foderate in seta rossa completamente capovolte. Cocci di ceramica e oggetti infranti ricoprivano il terreno, mentre scie di sangue lasciavano trasparire quella che doveva essere stata una lotta furiosa e disperata.
Poco lontano, laddove le pesanti tende rosse erano cadute a terra, poté notare sotto di esse un lieve rigonfiamento.
Una figura immobile giaceva sotto quelle coltri.
Una figura esile, i cui capelli color dell’oro facevano capolino, intarsiati di gemme rosso sangue, da sotto le pesanti tende in velluto incredibilmente pregiato.
Il Cappellaio si fermò, mentre una morsa gelida e ferrea gli avvolgeva il cuore, bloccandogli il respiro e i pensieri mentre una sola, ancestrale paura gli invadeva l’animo.
Fece alcuni passi, passi ciondolanti, incerti.
Non voleva … non voleva vedere cosa vi fosse nascosto sotto, anche se ormai la realtà era fin troppo ovvia. Eppure … doveva accertarsene, doveva vederlo coi propri occhi, altrimenti non se lo sarebbe mai potuto perdonare.
Tese la mano, improvvisamente pallida e tremante, e con un sussulto lieve scostò la tenda scoprendo cosa vi era celato all’interno.
Immediatamente, sentì il cuore andare in pezzi, un vuoto primordiale invadergli il petto prosciugandolo di ogni emozione possibile. Solo il dolore, un dolore sordo e implacabile, rimase, a riempire ogni fessura, ogni pensiero. A ricordargli quei momenti che non avrebbero mai vissuto, a rammentargli tutti i progetti e i sogni ormai irraggiungibili, a congelare per sempre quel passato che ormai non era che un ricordo pallido e inutile.
Priscilla, la sua amata, bella e perfetta anche nell’abbraccio gelido della morte, giaceva riversa coi capelli che le avvolgevano il capo. Indossava ancora la vestaglia da notte che lui stesso le aveva donato per il loro matrimonio, mentre il volto era congelato in un’espressione insolitamente serena, per una persona morente.
Osservò le mani della moglie. Le unghie, solitamente curatissime, erano rotte e incrostate di sangue, segno di una lotta fiera e impavida per la vita e propria e di quella del minuscolo fagottino che ancora teneva tra le braccia.
Miracolosamente salva, la piccola Grace si teneva stretta stretta al petto della madre. I grandi occhioni scuri si aprirono appena, osservando in silenzio quell’unico genitore rimastole che, in lacrime, la prese tra le braccia.
La sua Grace, la sua piccola, bellissima bambina … era salva.
Pianse lacrime disperate.
Lacrime di dolore per la morte del suo unico, vero amore. E di sollievo, alla consapevolezze che, almeno, il frutto del loro legame era rimasto intatto. Lacrime di rammarico e pentimento, alla consapevolezza che, se non fosse uscito di casa, forse anche la sua dolce Priscilla sarebbe ancora salva.
Fu proprio la neonata, tuttavia, a mettere a tacere i singhiozzi del padre.
La piccola Grace tese infatti le manine paffute, sfiorando le lacrime del padre e osservandolo in silenzio coi grandi occhi pieni d’intelligenza.
E furono proprio quegli occhi, più di ogni altra cosa al mondo, a dare all’uomo la forza di rialzarsi.
Osservò silenziosamente la donna che amava, mentre un nodo gli bloccava la gola, rendendolo incapace di dire alcunché.
Avrebbe voluto dirle che l’amava, che l’aveva sempre amata. Anche quando, durante il loro primo incontro al mercato, lei gli era venuta addosso versandogli sugli abiti appena comprati un’intera caraffa di latte bollente. Avrebbe voluto dirle che avrebbe protetto la loro bambina, tenendola al sicuro e proteggendola da quella cosa orribile e crudele che era il mondo reale. Avrebbe voluto dirle, infine, che gli dispiaceva, perché era stata colpa sua e di quell’orribile lavoro che eseguiva se era morta in quel modo.
Ma, ormai, a cosa sarebbe servito parlarle?
Lei era andata.
Se fosse in un posto migliore o meno, non gli era dato saperlo.
Fatto stava che, ormai, non avrebbe più potuto ascoltarlo e, quindi, anche avesse trovato la forza per parlare non sarebbe servito a nulla.
Sospirò, alzando lo sguardo al cielo, fuori dalle finestre infrante.
Quella notte, la luna splendeva magnifica. Ma per Priscilla, ormai, non vi sarebbe più stato modo di ammirarla.
 
Quel giorno il Signore Oscuro era insolitamente di buon umore.
Aveva fatto veramente un ottimo lavoro, mandando quei briganti a radere al suolo la dimora del Cappellaio, privandolo di tutte le sue ricchezze, della servitù e persino della sua bellissima e amatissima moglie.
Gli uomini, accuratamente scelti affinché nessuno potesse nemmeno sognarsi di ricondurre quella SPIACEVOLISSIMA DISGRAZIA a lui, avevano fatto un lavoro veramente impeccabile.
Ovviamente, si disse tra sé e sé, privare quel povero traditore di ogni cosa a lui cara sarebbe stato un gesto decisamente TROPPO magnanimo. No … si era assicurato personalmente che la bambina venisse risparmiata.
D’ora in avanti, il Cappellaio Matto sarebbe vissuto nel terrore, perseguitato dai rimorsi e dalla vergogna, spaurito e distrutto dal pensiero che la stessa sorte sarebbe potuta toccare anche alla figlia.
Una punizione a dir poco perfetta, per chi aveva osato disobbedire ai suoi ordini di uccidere la Principessa.
Non aveva idea di dove fosse stata mandata la mocciosa, ma tutto sommato non poteva ritenersi insoddisfatto: la piccola palla al piede non avrebbe più avuto modo di mettergli i bastoni tra le ruote e, con la messinscena che aveva ideato, Regina sarebbe finalmente appartenuta all’Oscurità.
Perché si.
Col Cappellaio Matto ormai sparito dalla circolazione (probabilmente per proteggere la figlia da altre minacce) non vi era più nessuno che potesse raccontare alla povera madre come si erano svolti realmente i fatti.
Motivo per cui Tremotino ne aveva approfittato immediatamente, ricorrendo a uno dei suoi trucchetti migliori per ricreare un corpo identico a quello della bambina. Ovviamente, brutalmente deturpato dai cosiddetti “lupi”.
Una riproduzione fedelissima e impeccabile, al punto che nemmeno Regina avrebbe potuto notare la differenza.
E, ciliegina sulla torta, anche Biancaneve avrebbe fatto la sua parte.
Affinché la sovrana, infatti, ritornasse sulla via della vendetta, era assolutamente necessario che riprendesse la strada che, con la nascita della figlia, aveva abbandonato. Ossia quella del suo odio per Biancaneve.
Prima, infatti, a dispetto del fastidio che la vista della bambina continuava a suscitarle, il fatto che Helena vi fosse tanto legata le aveva impedito di perpetrare la propria vendetta nei suoi confronti.
Ma per i progetti che aveva in mente Regina doveva riprendere a odiare la figliastra.
Ufficialmente, la morte di Helena era avvenuta infatti a causa di una caduta da cavallo. Il destriero, impaurito dai lupi, si era innervosito e la sella, non fissata adeguatamente, si era slacciata lasciando la piccola in preda alle belve.
Tenendo conto che era sempre la sorella a prepararle la cavalcatura, sarebbe stato inevitabile che la furia di Regina si sarebbe abbattuta proprio su di lei.
Un piano veramente perfetto, non c’era che dire.
 
Ci sono persone, al mondo, sulle cui spalle si sono riversate così tali e tante disgrazie che, semplicemente, a un certo punto smettono di piangere.
E il cuore della sovrana, in quel momento, sebbene versasse tante lacrime quant’erano le gocce di pioggia a coprire la città le era impossibile piangere a sua volta. Il cuore, ormai ridotto a una voragine senza fondo, le pareva così pesante da farla sprofondare nel terreno, mentre invano cercava di esternare il proprio dolore.
Eppure, per quanto si sforzasse, consapevole che tenersi quell’uragano di disperazione dentro fosse un errore, proprio non vi riusciva. I suoi occhi, inariditi dal tempo, parevano ormai troppo orgogliosi per versare quelle lacrime che, ormai, aveva esaurito anni e anni prima. Con la morte del suo vero amore.
Era quindi indossando una maschera di gelida perfezione che, apparentemente indifferente, osservava il corpo di Helena.
Della SUA Helena.
La bambina che aveva cresciuto e amato come parte integrante del proprio essere. La luce che aveva illuminato i suoi giorni prima vuoti e privi di significato. La parte ancora umana del suo animo che le aveva sempre impedito di cadere nel baratro dell’oscurità più profonda e terribile.
Avrebbe voluto gridare, distruggere tutto ciò che la circondava, strappare i cuori di tutti i presenti uno dopo l’altro. Avrebbe voluto correre, montare sul proprio stallone per non fare più ritorno, svanendo per sempre dalla faccia di quel mondo corrotto e pieno di dolore. Avrebbe voluto dimenticare tutto, a partire dalla sua storia con Daniel per finire direttamente con quegli ultimi anni con Helena.
Eppure, non poteva farlo.
E non perché non ne avesse voglia.
Semplicemente, non era nella sua indole, né lo sarebbe mai stato, il lasciarsi andare. Gli scatti d’ira non erano il suo forte. Solitamente, prediligeva la vendetta, lenta e inesorabile. Un’intricata sequenza di calcoli perfetti, di progetti che avrebbero impiegato tempo per dare i propri frutti ma che, alla fine, le avrebbero permesso di ottenere quella sensazione di giustizia di cui tanto sentiva il bisogno.
Osservò con la coda dell’occhio Quella Bambina.
Biancaneve singhiozzava, disperata, alle sue spalle osservando con le lacrime agli occhi il corpo cinereo e ormai quasi irriconoscibile della sorella.
Strinse i denti.
Come osava, proprio lei, piangere in quel modo?
Helena la amava, le voleva bene come una sorella e per questo, dopo la nascita della figlia, si era sempre sforzata di tollerare la sua presenza. Eppure, era stata proprio quella mocciosa, ancora una volta, a privarla di tutta la sua gioia.
Insoddisfatta di averle tolto Daniel, ora quella bambina le aveva preso anche la sua unica vera figlia, causandone la morte.
E per questo, a dispetto del legame che prima l’aveva unita a Helena, l’avrebbe distrutta.
Avesse anche dovuto morire nel tentativo, Regina avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di fare a Biancaneve ciò che lei le aveva fatto. Avrebbe distrutto ogni cosa a lei cara, l’avrebbe privata di ogni speranza, di ogni sogno, di ogni futuro, pur di farle assaggiare quel dolore e quella disperazione che lei stessa le aveva causato.
Non le importava delle conseguenze che avrebbe portato quella sua sete di vendetta. Aveva vissuto tutta la propria esistenza in nome dell’amore, e ora che quello le era stato tolto, non le rimaneva che quell’unica ragione di vita.
Per la sua vendetta, avrebbe venduto la propria anima all’oscurità. Avrebbe cancellato per sempre dal proprio cuore ogni traccia di emozione. Avrebbe dimenticato il passato per concentrarsi solo e soltanto sul proprio obiettivo.
Non sarebbe più stata Regina.
Sarebbe stata la Regina Cattiva …




Note dell'Autrice:
Eccomi nuovamente con il nostro aggiornamento settimanale.
Lo so ... sono un po' in ritardo, visto che solitamente pubblico la mattina ma, purtroppo, oggi sono stata abbastanza presa.
Innanzitutto, qualche noticella. Come avrete capito, il titolo si riferisce sia alla famiglia del Cappellaio che a quella di Regina ... qui ho voluto concentrarmi un po' sulla figura di Priscilla, che purtroppo nella serie viene a malapena accennata, e al definitivo decadimento della madre della nostra protagonista nell'oscurità. Ho inserito inoltre alcune semicitazioni: la prima è la frase del Cappellaio, quando dice che matto è chi ha capito realmente tutto dalla vita, che ho ripreso da una famosa citazione del Joker; la seconda è quella sulle lacrime di Regina, quando afferma che i suoi occhi sono troppo orgogliosi per versare altre lacrime, presa invece da Allison di Grey's Anatomy.
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Come sempre mille grazie ai miei recensori EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam oltre che a tutti i miei lettori.
Passo subito al prossimo capitolo!

Teoth

 

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Capitolo 20
*** Cap. 19 - D'amore e amicizia ***


Capitolo 19
D’amore e amicizia
 

Emma e Mary Margareth osservarono, tra il sorpreso e il divertito, la simpatica scenetta che ormai, ogni mattina, si teneva nel Bar da Granny.
Da quando infatti la bella Helena si era unita allo staff del locale, con sommo piacere (almeno iniziale) della Signora Lucas, lei e la giovane Ruby erano diventate incredibilmente unite. Al punto da fare persino fronte comune alle pretese troppo all’antica della povera nonna che, esasperata, non sapeva proprio cosa fare col loro modo di vestirsi.
E anche quella mattina, come quelle delle due settimane precedenti, le due giovani stavano protestando rumorosamente, attirando l’attenzione di mezzo locale che si godeva quel loro spettacolino con aria divertita.
“Nonna come te lo devo spiegare. Questo è un GIROCOLLO, non un collare, Ok?”, Ruby indicò con forza il suo nuovo acquisto, che faceva bella mostra di sé contro la carnagione fine della ragazza.
“A me invece sembra proprio un collare. Di quelli per cani. Dallo a Pongo, ma nel mio locale non ce lo voglio nemmeno vedere.”, ribatté, ostinatamente, l’anziana a braccia conserte.
Helena alzò gli occhi al cielo, correndo in soccorso dell’amica: “Signora Lucas, la prego. Le assicuro che è un accessorio comunissimo. Tra le persone giovani … come noi.”
Gli occhi della donna perforarono Helena che, consapevole di essersi spinta decisamente oltre, indietreggiò di riflesso.
Per fortuna Emma e Mary Margareth fiutarono in anticipo il pericolo e decisero quindi di prendere proprio quel momento per intervenire, portandola in salvo dall’ira apocalittica di Nonna Lucas.
La cui balestra osservava minacciosa la giovane dal suo posticino d’onore sulla parete del locale.
“E-ehi!”, protestò lei, rossa in volto, “Guardate che avrei potuto cavarmela!”
Emma sorrise, annuendo: “Certo. Ma meglio non rischiare.”
L’altra sbuffò: “Invece di pensare a me, forse dovreste preoccuparvi dei vostri, di affari. Tipo, che so … David?”
Mary Margareth arrossì, voltando imbarazzata il capo di lato.
In quelle due settimane trascorse a Storybrooke erano successe parecchie cose.
Prima tra tutte, il risveglio di David dal coma.
A detta del piccolo Henry, quell’uomo doveva essere niente popò di meno che l’anima gemella della sua amatissima sorellina. Ma a Helena sembrava più uno scemo senza capo né coda che altro … l’aveva osservato spesso, cercando di capire cosa avesse di tanto speciale.
Ed era giunta alla conclusione che, se voleva davvero provarci con la sua sorellina (anche se lei al momento nemmeno ricordava di esserlo) allora doveva avere la SUA approvazione.
Da li una rocambolesca avventura a base di gare di bevute, corse in auto, messa dietro le sbarre e post sbornia disastroso per entrambi.
Visto che però il povero David era riuscito a tenerle testa, e visto che pareva amare molto la sua amorina (la sua moto, per intenderci) allora aveva passato a pieni voti l’esame.
Poteva frequentare Mary Margareth.
Nemmeno due giorni dopo era venuto fuori che Lo Stronzo 2 (perché il primo sarebbe rimasto sempre e comunque Josh, il suo ex capo) aveva già una moglie.
E l’avrebbe anche castrato di persona se Henry non l’avesse convinta che era tutto un piano di Regina per tenere separati i suoi due più acerrimi nemici.
Lei ed Emma osservarono, silenziose, l’amica/madre/sorella il cui sguardo pareva improvvisamente interessato alle mattonelle del pavimento.
“State continuando a vedervi, vero?”, fece infine Emma, contraria.
A dire il vero, né lei né Helena approvavano molto quella storia. Anche se l’amore tra i due era a dir poco palese, la loro decisione di vedersi in segreto e dispetto del passato di lui non avrebbe potuto portare altro che guai. A entrambi.
E nessuna delle due voleva vedere Mary Margareth soffrire.
La donna sorrise, sebbene in un modo decisamente forzato che sia Emma che Helena notarono: “Tranquille. Io e David abbiamo parlato e abbiamo preso una decisione. Parlerà con Kathrine.”
Emma sorrise, sollevata, avvolgendo l’amica in un abbraccio a guidandola quindi verso uno dei tavolini, così da farsi raccontare meglio ogni cosa.
Helena, dal canto suo, si limitò a osservare la scena, visibilmente scettica.
Non che volesse mettere in dubbio la buona volontà di David, ma aveva seri dubbi sul fatto che sarebbe riuscito a mantenere la parola data. E non perché fosse una persona cattiva, questo lo sapeva bene.
Da quel che era riuscita a vedere, l’uomo era tutt’altro che qualcuno tendente a fare del male. Era un tipo a posto, tranquillo e disponibile, gentile e di buon cuore. Ma proprio per questo dubitava che sarebbe stato capace di infliggere un simile colpo alla moglie, dicendole di essere già innamorato di un’altra.
Sospirò, tristemente, prima di uscire dal locale per prendere una boccata d’aria.
 
“Ti piace?”, chiese Helena, osservando con occhi divertiti il bambino che, ammirato, osservava il nuovissimo e poco modesto acquisto della giovane.
La Biancaneve era una bellissima barca a vela, munita di poppa aperta e cabine da notte, oltre che una bellissima verniciatura bianca e oro a cui doveva il nome. Il veliero, messo all’asta di Storybrooke alcuni giorni prima, era l’ennesimo frutto di un’epica battaglia a suon di assegni tra Helena e Regina.
Ognuna delle quali più che determinata a regalare al bambino la migliore vacanza al mare che esso potesse sognare.
Peccato che, come dire, nemmeno la giovane Montgomery era una che si risparmiava. E per quanto odiasse usare il suo potere in quel modo, se significava ottenere i fondi necessari per rendere felice il bambino allora avrebbe ricordo a ogni mezzo a sua disposizione.
Compresa la Voce.
Sghignazzò, soddisfatta, prima di fare cenno a Henry di seguirla a bordo. Cosa che ovviamente non si fece ripetere.
“Wooow … è bellissima!”, osservò il bambino, lanciandosi subito all’esplorazione della sottocoperta, “E anche il nome è molto bello. Però …”, fece capolino da una delle cabine, osservandola scettico, “… sai come si usa, vero?”
L’altra alzò gli occhi al cielo: “Ovvio … non sono così scema da mettere a rischio la vita del mio fratellino.”
Henry arrossì, scomparendo nuovamente nella cabina.
Eppure, era vero.
Anche se non erano fratelli di sangue, lui rimaneva comunque il figlio di Regina, almeno dal punto di vista legale. E quindi erano fratelli, in un certo senso.
Per Henry, che era sempre stato solo, l’idea di avere una sorellona maggiore su cui fare affidamento era stata una scoperta non di poco conto. Una scoperta che lo aveva entusiasmato moltissimo e che, a dispetto degli anni che li separavano, aveva creato un fortissimo legame tra i due.
E vedere Emma, la sua mamma, e Mary Margareth, sua nonna, legare così tanto con Helena era stato un incredibile motivo di gioia per il bambino.
Ormai, infatti, il legame tra le tre donne si era evoluto parecchio. Erano trascorse quasi due settimane da quando Helena era giunta a Storybrooke, eppure quelle tre erano entrate immediatamente in sintonia, come pezzi uniti di una stessa, infrangile, catena.
Da una parte, vi erano Emma ed Helena. Tutte e due fornite di un carattere deciso e intraprendente, anche se la seconda tendeva spesso a mostrarsi molto più impulsiva e ribelle della prima. Dall’altra, vi era Mary Margareth, a fare da bilanciere quando le due rischiavano di strafare o di cacciarsi nei guai.
Assieme, formavano un trio a dir poco letale che non a caso aveva scatenato tutta la preoccupazione di Regina. La donna sapeva bene quanto fossero pericolose, e per questo, come Henry temeva, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di fermarle.
Helena sorrise, seguendolo in silenzio prima di dire: “Se vuoi, domani posso portarti a fare un giro. Sarà sabato quindi, per una volta, tua madre non si arrabbierà troppo se scompari per un po’.”
Il bambino sorrise: “Certo. Sarà felicissima di sapere che la mia vita è nelle mani di una delle tre persone che odia di più in tutta Storybrooke.”
L’altra scosse il capo, prima di prenderlo per la giacca a trascinarlo fuori, ridendo divertita: “Si, si … va bene. Ora però … a scuola!”
“Eddaiii! Sono solo le nove.”, borbottò quello, imbronciato.
Helena sorrise: “Appunto. Dovevi esserci già un’ora fa. E sono la maggiore, quindi comando io.”, quella cosa della sorella più grande iniziava seriamente a piacerle.
Il bambino sospirò appena, annuendo, prima di uscire dalla barca e montare sulla bici, salutandola con un sorriso.
Helena lo osservò, in silenzio, per alcuni secondi, prima di oscurarsi.
Odiava ammetterlo, ma aveva ragione.
Non sapeva esattamente per quale motivo, ma sua madre sembrava veramente odiarla.
Era da quando era giunta in città che, ormai, la donna aveva ufficialmente dichiarato guerra alla nuova arrivata. Prima, costringendola a lasciare il suo alloggio da Granny (anche se, fortunatamente, Emma e Mary Margareth le avevano proposto di venire a vivere con loro), e poi approfittando di ogni occasione per infastidirla.
Come era accaduto, per esempio, con l’asta della barca.
Eppure, Helena sapeva che, da qualche parte, sua madre doveva pur conservare parte della persona che un tempo conosceva. E per questo, a dispetto della sua decisione di aderire all’Operazione Cobra, avrebbe fatto di tutto pur di riportarla a quella che era una volta.
Sospirò, mentre i pensieri tornavano, sempre più preoccupati, al suo compagno.
Ormai, era da quando si erano separati che Baelfire, o Trevor, non era più fatto rivedere. E la cosa iniziava a preoccuparla non poco, specialmente perché, a rigor di logica, lui doveva essere ancora all’oscuro della situazione in cui verteva la città con i suoi abitanti.
Stava per scendere dalla barca quando, improvvisamente, una voce alle sue spalle non la costrinse a voltarsi.
“Ehi … ti sono mancato?”
Si bloccò, osservando interdetta l’uomo che, sorridendo appena, la fissava dal ponte.
“T-trevor?”, chiese, sorpresa.
Lo fissò per alcuni istanti.
Aveva un’aria decisamente dimessa e sfatta, quasi come se avesse passato i giorni precedenti a dormire per la strada, o nel bosco.
Eppure, a dispetto della barba che gli copriva il mento, era indubbiamente lui. Ne era certa.
L’altro sorrise appena, avvicinandosi in silenzio prima di piantarsi a pochi centimetri dal suo volto, sussurrando: “Scommetto che pensavi già che uno dei vostri cavalli di metallo mi avesse tirato sotto, eh Montgomery?”
Helena, ancora interdetta, esitò per un istante, ancora incapace di credere ai propri occhi.
Insomma … erano passate quasi due settimane.
Due settimane decisamente turbolente, in cui aveva avuto modo di conoscere meglio l’atmosfera di Storybrooke e rendersi realmente conto di quanto fosse tesa la situazione.
I misteri dietro l’atteggiamento perennemente ostile di sua madre nei confronti di Emma e Mary Margareth si ingigantivano di giorno in giorno, a partire dal misterioso contenuto del suo mausoleo di famiglia, per finire con la morte dell’ex Sceriffo, Graham, e il modo a dir poco subdolo con cui utilizzava quel giornalista, Sidney, direttore dello Specchio di Storybrooke.
E in mezzo a tutto, l’apparente scomparsa di Trevor, o Baelfire, che da quando si erano separati si era praticamente dileguato nel nulla. Cosa che, doveva ammetterlo (almeno a sé stessa), l’aveva fatta stare decisamente in apprensione, al punto da chiedere persino alla sua nuova amica, Emma, di fare alcune indagini e vedere se per caso un altro sconosciuto fosse arrivato nella cittadina.
Comunque fosse, ora Trevor era li, di fronte a lei, sorridendo come sempre.
Cosa che la fece decisamente infuriare.
Prima ancora che il poveretto potesse reagire, Helena scattò, piantandogli senza mezze cerimonie un pugno direttamente nello stomaco e facendolo barcollare all’indietro, prima di sbottare: “Razza d’imbecille!”, gli andò incontro, raggiungendolo a passo di marcia mentre quello, allarmato, si affrettava a indietreggiare, “Si può sapere che diavolo ti è passato per la testa? Ero convinta che ti fosse successo qualcosa! E ora spunti fuori così, come nulla fosse, con quel dannatissimo sorriso da ebete e sperando pure che non dica nulla?!?”
Il poveretto, decisamente preoccupato, si affrettò ad alzare le mani, in segno di resa: “Ehi! Calma … non ho potuto farci nulla, Ok?”, accennò appena ai propri abiti, coperti di fogliame e ormai ridotti a degli stracci, prima di proseguire, “Non so nulla di questo mondo e mentre fuggivo mi sono perso nel bosco. È assurdo … ti rendi conto che questo posto è completamente circondato dalle foreste? Praticamente, è un pezzo di terra piantato in culo al mondo, non mi sorprende che nessuno ne sappia nulla.”, sospirò appena, osservandola in silenzio.
Helena, dal canto suo, annuì, appoggiandosi al bordo della barca per poi spiegare: “Hai perfettamente ragione. A quanto pare, questa città è sotto un Sortilegio. Gli abitanti della Foresta Incantata sono stati rinchiusi qui, ma non hanno alcuna memoria sul loro passato, anche se pare che ci sia una profezia su come spezzare l’incantesimo.”, sospirò appena, osservando assorta il mare, mentre quello alzava un sopracciglio, sorpreso.
“Mi stai dicendo che nessuno ricorda nulla?”, chiese, perplesso.
Helena annuì, avvicinandoglisi e posando una mano sulla sua spalla, lo sguardo basso.
“Mi spiace, Bael.”, sussurrò, prima di alzare lo sguardo e incrociare gli occhi di lui, le iridi colme di tristezza, “Temo che ricongiungerti con tuo padre non sarà affatto semplice. Anch’io ho cercato di parlare con mia madre e … non è andata bene, quindi posso comprenderti se … se dovessi decidere di bloccare le ricerche e andartene da qui.”
Volse il capo, il cuore colmo di tristezza.
Lei meglio di chiunque altro avrebbe potuto comprendere i sentimenti dell’uomo. Erano giunti a Storybrooke per riunirsi alle loro famiglie, per ricostruire quel passato che avevano perso e ricominciare d’accapo … e ora si trovavano di fronte a un muro apparentemente insormontabile, che ben difficilmente avrebbero saputo superare con successo.
Trevor osservò in silenzio la donna, colpito dalla sua forza, prima di prenderla per le spalle e volgerla verso di sé.
Le iridi smeraldine di lei incontrarono quelle color onice di lui, verde e nero si fusero, mentre quegli occhi ormai famigliari le perforavano l’anima, facendola sentire improvvisamente esposta e indifesa.
Lui sorrise, scuotendo appena il capo: “Non ci penso nemmeno.”, fece, mentre gli occhi di lei si sgranavano, sorpresi, “Siamo giunti qui per una missione e la porteremo a termine. Abbiamo delle famiglie a cui riunirci e non ho attraversato mondi e sconfitto creature strane solo per mollare proprio ora che ci siamo così vicini … quindi ti aiuterò. Se esiste veramente un modo per spezzare il Sortilegio, allora farò tutto quello che è in mio potere per darti una mano.”
Helena sorrise, abbassando appena lo sguardo.
A dire il vero, sarebbe stato perfettamente comprensibile se, giunti a quel punto, lui avesse deciso di lasciar perdere e continuare per la sua strada. Tuttavia doveva ammetterlo: saperlo al proprio fianco la rincuorava non poco, perché erano arrivati fin li assieme e perché avevano molte, moltissime cose in comune. Avevano perso i loro famigliari, erano cresciuti praticamente da soli, abbandonati in un mondo a loro estraneo, e ora aveva l’occasione di riscattarsi. E quei pochi giorni passati con lui le avevano permesso di sentirlo incredibilmente vicino, a dispetto del fatto che si conoscevano solo da poco.
“Va bene.”, concesse, sorridendo lievemente, prima di proseguire, “Ora però torniamo da Granny, devi assolutamente risistemarti. Puzzi di foresta.”
Quello sghignazzò appena, seguendola senza esitazioni.
 
Poco lontano, intanto, una moto scura si era fermata presso il molo e il proprietario osservava silenziosamente la scena.
Gli occhi di August sondarono ostili il volto di quell’uomo, mentre si mordeva il labbro con rabbia e lo sguardo correva, di riflesso, alla vecchia foto ormai sgualcita che aveva in mano. Ritraeva un bambino, accompagnato da una neonata avvolta in una coperta bianca, con su scritto il nome di “Emma”.
Alzò nuovamente lo sguardo, prima di dare gas e dirigersi deciso verso il centro città.




Note dell'Autrice:
Eccomi ancora.
Ebbene, ormai sono passate alcune settimane dall'arrivo della nostra protagonista a Storybrooke. Qui ho voluto mostrare un po' la crescita del suo legame con Emma e Mary Margareth, oltre che ovviamente far rientrare in scena il nostro Trevor, attualmente sotto il controllo di Regina: riusciranno a scoprire il suo vero ruolo o la nostra villain preferita riuscirà a raggiungere il suo scopo? Ho voluto poi far fare la sua entrata in scena ad August, uno dei personaggi che più ho amato all'interno della serie. Spero vivamente di poterlo rendere al meglio!
Leggere per scoprire.
Come sempre mille grazie a tutti i miei recensori e lettori. Per qualsiasi osservazione io sono sempre qui ad aspettarvi.
Detto questo, alla settimana prossima!

Teoth

 

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Capitolo 21
*** Cap. 20 - Scandalo ***


Si, lo so.
Sono terribilmente in ritardo a mi scuso, ma ieri proprio non sono riuscita a collegarmi.
Per farmi perdonare, oggi vi inserirò ben tre capitoletti nuovi di zecca!
;)





 
Capitolo 20
Scandalo
 

“E io ti dico e ti ripeto che no … non è assolutamente possibile essere così persi, Mary Margareth Blanchard!”, sbottò nuovamente Helena, al telefono, mentre il piccolo Henry si godeva divertito la scena.
Fortunatamente, Regina era al lavoro, e non aveva quindi assistito alla terribile inversione a U fatta dalla figlia sul tragitto per la scuola, il tutto per tornare indietro, prendere la borsa dimenticata dall’amica a casa e precipitarsi come avesse il demonio alle calcagna verso la scuola.
Altrettanto fortunatamente, quel giorno Emma Swan, di pattuglia per le strade, aveva deciso di ignorare deliberatamente tutte le leggi stradali infrante dall’amica per arrivare in tempo alla scuola, depositare il fratellino e correre trafelata per i corridoi alla ricerca della maestra.
Helena, affannata, borbottò alcune parole sconnesse, chiedendosi come diamine fosse possibile che in quel dannatissimo edificio non ci fosse nemmeno una cartina per orientarsi. E si che, quando sua madre aveva fatto comparire la cittadina dal nulla, avrebbe anche potuto sprecarsi a inserire una cavolo di piantina per gli edifici importanti, come per esempio la scuola elementare.
Quando, finalmente, vide la maestra in lontananza poté finalmente rilassarsi … se non che, pochi istanti dopo, si rese conto che non era affatto sola.
Lo sguardo saettò preoccupato verso la sua interlocutrice, Kathrine.
Ossia la moglie di David.
O meglio, la moglie dello Stronzo 2 che aveva promesso alla sua amica di parlare alla bionda della sua relazione e del fatto che il suo cuore sarebbe appartenuto sempre e comunque a Mary Margareth.
Osservò preoccupata la donna, la cui espressione era, a dire il vero, tutt’altro che rassicurante.
Era ancora abbastanza lontana e con il via vai di studenti era pressoché impossibile capire cosa si stessero dicendo. Ma qualunque cosa fosse, una fatto era certo: non doveva trattarsi affatto di una discussione piacevole.
Mentre Kathrine infatti continuava a parlare senza sosta, gesticolando a raffica e incenerendo la donna con sguardo di fuoco, Mary Margareth era insolitamente silenziosa, e osservava il pavimento con aria decisamente imbarazzata e tesa.
Helena si avvicinò appena, mentre uno spiacevole dubbio le affiorava nella mente, fino quando non dovette bloccarsi, a pochi metri dalle due.
Kathrine aveva appena schiaffeggiato Mary Margareth, guadagnandosi in pochi istanti l’attenzione dei presenti, che si voltarono a osservare la coppia.
Incapace di trattenersi oltre, e senza chiedersi nemmeno troppo il perché di quel gesto, Helena si affrettò a raggiungere le due, frapponendosi tra loro prima di spingere senza troppe mezze misure la bionda contro il muro. Il volto era sconvolto dalla rabbia, mentre la afferrava per la collottola e la costringeva a guardarla negli occhi.
Non sapeva che diamine fosse successo, ma una cosa era certa: nessuno poteva toccare la sua sorellona. E poco importava che non si ricordasse di lei, le voleva bene e tanto bastava per mandarla fuori dai gangheri.
“Ehi … si può sapere che razza di problemi hai?”, sbottò, a pochi centimetri dal suo volto.
Quella, indignata, la respinse indietro, ribattendo: “Chiedilo alla tua amica!”, sbottò, in risposta, “E’ stata lei, LEI, a uscire con David. Con MIO MARITO. E non credere che non lo sappia … quindi non difenderla, perché decisamente non si merita un tale dispendio di energie!”
Helena si bloccò, perplessa, mentre una nuova ondata di rabbia la travolgeva e la mano tiepida di Mary Margareth le prendeva la spalla, tirandola verso di sé e guidandola in silenzio verso un’aula vuota.
Una volta dentro, abbassò lo sguardo, mentre Helena la osservava in silenzio, prima di esordire: “Pensavo che avesse deciso di dirglielo.”, si limitò a constatare, osservando in silenzio, attraverso il vetro della porta, la bionda allontanarsi e un nugolo di presenti iniziare a bisbigliare tra di loro. Fece una smorfia, accennando per un istante all’amica di aspettarla prima di aprire la porta di scatto e sbottare, contro quelli: “Spettacolo finito, gente! Ora toglietevi dai piedi e tornatevene ai vostri affari, chiaro?!?”, osservò, richiudendosi quindi la porta alla spalle e incontrando lo sguardo affranto della sorellina.
L’altra annuì, sospirando appena: “Era quello che pensavo anch’io, purtroppo. Tuttavia, pare che non sia stato lui e dirglielo.”
Helena digrignò i denti, furiosa, prima di mormorare: “Regina.”
Mary Margareth annuì, voltando il capo di lato, mentre le lacrime iniziavano a premere per uscire.
Helena la osservò, interdetta, avvicinandosi quindi a lei e avvolgendole gentilmente le spalle in un abbraccio.
Senza farsi pregare troppo l’altra, il cui cuore era in quel momento avvolto dal dolore e dall’umiliazione, non esitò un secondo ad affondare il capo tra i boccoli scuri dell’amica, singhiozzando disperatamente e cercando di aggrapparsi al corpo di lei. Helena le batté silenziosamente una mano sulla spalla, sospirando appena e chiedendo: “Vuoi che ti accompagni a casa? Non sei tenuta a restare qui se non te la senti.”, osservò.
L’altra scosse il capo, testarda.
“No … io …”, sospirò, ritraendosi appena prima di dire, decisa, “Non posso andarmene come nulla fosse. Ho già offerto uno spettacolo abbastanza pietoso, se me ne fuggissi con la coda tra le gambe chissà cosa penserebbero di me.”, sorrise amaramente, dicendo, “Sono una persona orribile, vero?”
Helena rimase abbastanza interdetta, ritraendosi appena prima di oscurarsi.
A dire il vero, per quanto amasse la sorella sia lei che Emma avevano dichiarato sin dall’inizio le loro perplessità sulla decisione della donna di continuare a vedere David, anche dopo la scoperta sul suo passato.
Le volevano immensamente bene, ovviamente, e sapevano che ciò che la mora provava nei suoi confronti era un sentimento sincero e genuino, ben difficile da contenere. Il loro, come Henry stesso le aveva fatto notare, era un Vero Amore ...  e quindi era pressoché impossibile ignorarlo o cercare di girarci attorno.
Tuttavia, vedere in segreto un uomo già sposato con un’altra donna era e rimaneva comunque un modo assicurato per andare incontro a problemi, e tutte e due le avevano detto più e più volte che di qual passo era solo questione di tempo prima che rimanesse ferita. Come alla fin fine era accaduto.
Nonostante ciò, Helena era ben lungi dal giudicare la sorella.
Sapeva fin troppo bene quanto il matrimonio tra David e Kathrine non fosse che l’ennesimo modo della madre di separare i due, e quindi non se la sentiva affatto di considerarla una persona così orribile.
Il loro amore era in grado di viaggiare nello spazio e nel tempo, non era cosa da sottovalutare e lo sapeva bene.
Sospirò appena, avvicinandosi alla donna e posandole le mani sulle spalle: “Ehi.”, fece, mentre lei alzava lo sguardo, “Ascolta … lo so come ti senti.  O almeno posso capirlo. E … tu non avevi idea che lui fosse sposato, non avresti mai potuto immaginarlo e non è certo colpa tua se te ne sei innamorata. È vero … forse l’idea di vedervi in segreto è stata un errore, ma entrambi volevate rimediare ed è solo colpa sua se non ha agito per tempo e ora Kathrine è furiosa con entrambi.”
Mary Margareth sospirò, abbassando lo sguardo: “Avrai anche ragione, ma sai bene che la gente non penserà lo stesso. Hai visto come mi osservavano? Come se fossi un mostro, e non posso nemmeno dare loro torto.”, concluse.
Helena scosse il capo, posandole un braccio attorno alla spalla: “Sta tranquilla … parlerò col bastardo. Anzi … ce ne occuperemo io ed Emma, Ok? Tu vedi di rilassarti.”
La donna sorrise appena, osservandola ammonitrice: “No. È compito mio. E poi se ve ne occupaste voi probabilmente finirebbe nuovamente in coma.”, disse, cercando di sorridere.
La mora sbuffò, voltando il capo di lato, prima di ribattere: “Come se poi non se lo meritasse!”
 
I giorni seguenti furono, per le tre amiche, ma specialmente per Mary Margareth, tra i più difficili dal loro arrivo a Storybrooke.
Ovunque andassero la gente sussurrava, e mormorava, e parlava. Ormai, praticamente, non c’era adulto o bambino che non sapesse della cosiddetta “tresca” tra la dolce e apparentemente gentile maestrina Mary Margareth Blanchard e David Nolan, sposato con Kathrine. Così come tutti sapevano della discussione tra le due nella scuola, o dell’improvviso intervento di Helena che, a detta di molti, era arrivata molto vicina a colpire la donna.
Voci e pettegolezzi, spesso gonfiati all’inverosimile fino a sfiorare il ridicolo. C’era chi diceva che, dietro la maschera di tenera e dolce maestrina, Mary Margareth nascondesse un’indole tutt’altro che gentile e che David Nolan non fosse il primo uomo sposato a finire tra le sue grinfie. Dopotutto, era decisamente una bella donna e che fosse ancora single aveva un che di ridicolo. Per non parlare poi della nuova arrivata, Helena, che aveva preso subito le parti dell’amica e la cui rissa d’esordio nella cittadina era ancora ben nota a tutti. Un individuo decisamente difficile, forse anche con precedenti penali, che per poco non aveva persino colpito la perfettamente giustificata Kathrine e che indubbiamente andava tenuto sott’occhio.
E in mezzo a tutto questo, ovviamente, c’era Regina.
La donna gongolava, di fronte ai pettegolezzi che dilagavano nella città, senza sprecarsi troppo nel chiedere al suo amato Sidney di gonfiare tutte quelle voci col suo Specchio e scrupolandosi lei stessa di assicurarsi che tali voci non accennassero a smorzarsi. Dopotutto, era stata lei stessa a mostrare alla donna le prove del tradimento del marito, accertandosi che non fosse lui a parlarle per primo e godendosi divertita il dolore della sua acerrima rivale.
Mary Margareth, ovviamente, era a dir poco distrutta dall’accaduto.
Emma ed Helena la accompagnavano ovunque, così da cercare di distrarla e distogliere l’attenzione dai continui sussurri che il suo passaggio anche solo per strada scatenava tra i presenti. Cercavano, per quanto fosse in loro potere, di tenerla impegnata e alleggerire anche solo di poco le sue preoccupazioni, magari organizzando qualche cena tra donne o una serata a tre.
Purtroppo, però, l’amica non accennava a tirarsi su.
Anche perché il discorso con David non era andato affatto bene, per quanto quello cercasse di giustificarsi e di chiederle scusa per il suo comportamento a dir poco inopportuno e codardo.
E ora la donna si rifiutava (a parere di Helena comprensibilmente) di vederlo.
 
Fu quindi in quell’atmosfera a dir poco tesa che, alcuni giorni dopo, August parcheggiò la propria moto di fronte al Granny’s, guadagnandosi immediatamente l’attenzione di Helena e Henry, che si osservarono perplessi.
La donna alzò un sopracciglio, sorseggiando in silenzio la propria birra, prima di dire: “Pensavo non venissero stranieri qui a Storybrooke.”, constatò, osservando in silenzio l’uomo che, assorto, si affrettava a scaricare la moto da quella che sembrava una grossa valigetta in legno.
Henry annuì, inclinando il capo: “Infatti. Dovremmo chiedergli come si chiama, e perché è venuto qui.”
L’altra sorrise, guardando complice il bambino, prima di sussurrare: “Io lo intrattengo e tu vedi cosa nasconde la valigetta?”
Quello annuì, schizzando subito in piedi per avvicinarsi quindi a passo deciso verso l’uomo, che alzò lo sguardo per osservarli in silenzio.
“Buongiorno.”, fece, sorridendo appena mentre i due si avvicinavano.
Subito, l’attenzione di Helena venne immancabilmente attratta dalla moto, che osservò affascinata, sfiorandone appena la fiancata prima di dire, sorpresa: “Wow … bella moto, non è affatto male.”
August alzò un sopracciglio, prima di osservare meglio l’abbigliamento di lei.
Come sempre, i vestiti della donna rispecchiavano perfettamente la sua indole tutt’altro che pacata e remissiva, e quel giorno erano composti essenzialmente da una canottiera nera col logo degli Imagine Dragons, decisamente sbarazzina, con sopra un cappotto da motociclista dello stesso colore. I pantaloni erano in cuoio, perfettamente aderenti e sorretti da una cintura ricca di borchie, mentre ai piedi portava i suoi soliti anfibi da motociclista.
Sorrise, divertito, mentre alla mente ritornava l’immagine vista solo pochi giorni prima al molo. Inclinò appena il capo, dicendo: “Si, non è male. Te ne intendi di moto?”
L’altra rise, mentre lo sguardo saettava rapido alle spalle dell’uomo, dove nel frattempo il bambino si era lentamente avvicinato fino alla valigetta, cauto.
“Avessi visto la mia Bimota non lo chiederesti nemmeno … comunque, io sono Helena. Piacere.”, tese la mano, sorridendo solare mentre quello la stringeva, ricambiando il sorriso e annuendo appena.
“August e … potresti dire al tuo amichetto che quella è una normalissima valigia?”, osservò, mentre i due si bloccavano, imbarazzati.
Senza quindi attendere oltre, Henry si piazzò di fronte all’uomo, osservandolo con insistenza, sotto lo sguardo lievemente imbarazzato di Helena, che sorrise tesa: “Ehm … si, Henry è un bambino molto curioso e …”
“Per quale motivo sei venuto a Storybrooke?”, la interruppe il piccolo, fissando deciso l’altro mentre quella, esasperata, lo prendeva per le spalle, cercando di allontanarsi un poco per poi sussurrare, sconvolta: “Che ti passa per la testa? Non puoi mica chiederglielo in quel modo!”
Il piccolo, intestardito, rispose: “Non capisci? Nessun estraneo può arrivare qui, quindi se lui ci è riuscito deve per forza avere qualcosa di particolare. E se vogliamo spezzare il Sortilegio ci serve sapere cosa, subito.”
“Si ma … non possiamo certo dirgli tutto così. Intanto, cerchiamo di capire cosa vuole e poi vedremo, non puoi dargli addosso in quel modo … potrebbe trattarsi di un malinteso, o qualcos’altro. Non è detto che sia coinvolto nella storia della Foresta Incantata!”
L’altro, nel frattempo, assisteva alla discussione in silenzio, le sopracciglia che si corrugavano mano a mano che il discorso tra i due proseguiva, fino a quando non decise di intervenire.
Si avvicinò, esordendo: “A dire il vero, so perfettamente cosa sta succedendo a Storybrooke. E sono qui per questo.”
I due si voltarono interdetti, mentre il bambino sorrideva trionfante, dicendo: “Visto? Te l’avevo detto.”
Helena, che dal canto suo era comunque ben lungi dal fidarsi dello sconosciuto, si limitò a osservarlo diffidente, prima di chiedere, cinica: “Bene. E sentiamo, chi saresti esattamente?”
L’altro sorrise, rispondendo: “Immagino che mi conosciate con un altro nome: Pinocchio.”





Note dell'Autrice:
Salve a tutti!
Ebbene, eccomi nuovamente con un altro capitolo.
Lo so, ieri non ho pubblicato e per questo, oltre che per festeggiare le 600 visualizzazioni del primo capitolo, ho deciso di farmi perdonare pubblicando tre capitoli invece dei soliti due. Comunque sia, visto che mi sono resa conto che con questo ritmo finirei con terminare la storia ben prima del previsto ho deciso che dalla settimana prossima pubblicherò un solo capitolo a giovedì ... spero non vi dispiaccia, ma sarà anche più comodo per me e mi permetterà di proseguire con maggiore calma.
Per il resto, in questo capitolo abbiamo finalmente visto l'entrata in scena di August, ennesimo e preziosissimo alleato del nostro gruppo di protagonisti che spero potrete apprezzare al meglio. Sempre in questo capitolo, abbiamo anche visto che la situazione a Storybrooke inizia progressivamente a complicarsi ... chissà cosa succederà prossimamente?
Un grazie ai miei recensori EragonForever, k_Gio_ e Ghillyam oltre che a tutti i miei lettori.
Passo al prossimo!

Teoth

 

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Capitolo 22
*** Cap. 21 - Una bambina strana ***


Capitolo 21
Una bambina strana
 

Quando la piccola Helena Montgomery si era risvegliata, quasi vent’anni prima, nel bel mezzo di un campo di grano nella periferia di Los Angeles, non ricordava praticamente nulla del suo passato.
Semplicemente, quegli smeraldi che erano i suoi occhi si erano aperti, osservando stupiti quel mondo pieno di sole e calore, quel mondo di cui, tuttavia, non sembrava conservare alcuna memoria.
Aveva camminato, la piccola Helena, aveva camminato per ore lungo l’autostrada che conduceva fin quasi alla città, mentre i piedi scalzi si riempivano lentamente di vesciche e lividi arrossati e le gambe iniziavano a cederle per lo sforzo.
Faceva caldo, quel giorno.
Tanto, troppo caldo, al punto che si sentiva il corpo bollente e le gambe molli, mentre la gola ardeva a causa della sete e della fatica.
Finalmente, poi, una voce.
Una voce sconosciuta, estranea (ma d’altronde, cosa non lo era in quel momento?), l’aveva guidata in un’auto e da lì fino alla prima Centrale di Polizia.
Le avevano fatto domande, molte domande, ma a nessuna di esse era riuscita a dare risposta. Si limitava a osservare priva di emozioni quel continuo altalenarsi di persone, di adulti in cerca di informazioni o indizi su chi fosse realmente e perché si trovasse sola in un luogo così insolito. Ma lei non sapeva nulla e non poteva fare altro che osservarli, impaurita e spaesata, fino a quando quelli, preoccupati, non decisero di farle fare alcuni esami presso l’ospedale più vicino.
I medici, dopo essersi consultati a lungo, conclusero che probabilmente la bambina aveva subito una brutta caduta, a seguito della quale aveva perso tutte le sue memorie su chi fosse realmente.
I Servizi Sociali, a quel punto, non poterono fare altro che affidarla alle cure dell’Orfanotrofio Pascal, situato proprio nel centro di Los Angeles, nel mentre cercavano maggiori informazioni su chi fosse quella misteriosa bambina e da dove venisse.
Venne accolta da una vecchia suora, dal sorriso dolce e gentile, di nome Adele, anche se a dire il vero presso l’Orfanotrofio tutti tendevano a chiamarla semplicemente Mama, perché quello era, alla fin fine.
In quel posto cupo e silenzioso, la donna, che vi aveva lavorato per praticamente metà della propria vita, era la sola che fungesse da fonte di calore e amore per i bambini che, come anime sperdute e alla deriva, affluivano regolarmente tra quelle mura altrimenti fredde.
Ed era stata proprio lei ad accogliere Helena, prendendola immediatamente sotto la propria ala e assicurandosi che le venisse assegnata una stanza tutta sua in cui poter stare in pace.
Perché, quando l’aveva vista arrivare, sola a spaurita, di fronte ai cancelli dell’Orfanotrofio, la donna aveva capito subito quanto la bambina fosse in qualche modo diversa, particolare.
Ovviamente, di bambini li ce n’erano decisamente molti. Tuttavia, per quanto le loro storie fossero spesso tristi, costeggiate da una serie infinita di abbandoni, delusioni e sofferenze, nessuno di loro aveva idea di cosa passasse la giovane.
Dopotutto, almeno loro, una storia, ce l’avevano. Sapevano chi erano, conoscevano il proprio passato e sapevano cosa aspettarsi dal proprio futuro. Stringevano amicizie tra loro, litigavano e giocavano, come tutti i bambini della loro età.
Helena, invece, non aveva nulla di tutto ciò. La sua mente erano una pagina bianca e desolata, il suo cuore un libro ancora da scrivere di cui non sapeva nulla. Osservava quel mondo a lei sconosciuto col terrore di chi si trova solo in terra straniera, aspettandosi pericoli dietro ogni angolo e chiedendosi se realmente quella situazione fosse vera o meno.
Spaventata e incerta, Mama Adele comprese subito che quella bambina necessitava di tutto il suo supporto, persino più degli altri suoi coetanei, che iniziarono presto a vedere la bambina con diffidenza e sospetto.
Dopotutto, era arrivata senza alcun preavviso, guadagnandosi immediatamente l’affetto della loro Mama e sorprendendoli con quella aria di mistero che continuava ad avvolgerla.
Gli istruttori avevano spiegato, più o meno, quali fossero le sue condizioni, chiedendo ai piccoli di non essere troppo invadenti nei suoi confronti e di trattarla con gentilezza e rispetto. Nonostante tutto, però, non potevano non sentirsi minacciati da quella ragazzina senza passato, da quell’estranea che continuava a guardarsi intorno con aria sorpresa. Così diversa, così insolita.
Helena non aveva idea di come ci si dovesse comportare per ottenere delle amicizie. Per essere precisi, non sapeva nemmeno cosa fossero, le amicizie, e si limitava quindi a osservare gli altri bambini nei loro giochi chiedendosi come potesse essere stare in mezzo a loro. Li vedeva sorridere e giocare, tranquilli e spensierati, e cercava di immaginarsi come fosse avere un passato, una storia alle spalle e vivere senza quel vuoto orribile nel cuore.
Spesso sentiva il desiderio di farsi avanti, di unirsi a loro e di cercare di fare delle amicizie, ma ogni volta il peso che le opprimeva il cuore la faceva desistere. Non aveva idea di come avrebbe fatto a ottenere le loro attenzioni, non sapeva come porsi o cosa dire, e per questo non aveva la forza di fare il primo passo.
Passarono alcuni giorni, durante i quali, si sperava, forse i Servizi Sociali sarebbero riusciti a scoprire qualcosa di più sulle sue origini e sulla sua famiglia. Magari riportandola a casa.
Helena stessa aveva sentito dire che le ricerche sul suo passato erano ancora attive, e attendeva con trepidazione il giorno seguente, nella speranza di trovare quelle risposte di cui tanto pareva avere bisogno.
Se avessero trovato la sua famiglia, avrebbe finalmente potuto scoprire quali fossero le sue origini e da dove venisse. Avrebbe avuto una casa, una madre e un padre che si prendessero cura di lei e che l’amassero, degli amici con cui passare dei pomeriggi e una cameretta tutta sua in cui collezionare i propri libri.
Tuttavia, presto le sue speranze dovettero scontrarsi contro la dura realtà, quando i Servizi Sociali comunicarono all’Orfanotrofio che la bambina avrebbe dovuto restare li, in quanto non parevano esserci tracce sul suo passato.
Aveva cercato praticamente ovunque, sperando nella segnalazione di qualche scomparsa e mettendo annunci su internet. Tuttavia, semplicemente, Helena sembrava essere comparsa dal nulla e tutti i tentativi si erano rivelati totalmente vani.
Dopo quella scoperta, la bambina si era, se possibile, ancora più chiusa su sé stessa, arrivando persino a non uscire mai dalla propria camera.
Non parlava praticamente con nessuno, fatta eccezione che con Mama Adele, e spesso si rifiutava persino di mangiare.
E in mezzo a quel dolore e a quella desolazione, solo i libri potevano darle conforto.
Quando era arrivata, a dire il vero, non sapeva nemmeno come si leggesse una storia, ed era stata proprio Mama Adele armandosi di pazienza e buona volontà a insegnarle sia a leggere che a scrivere e donando quindi alla bambina un modo tutto nuovo per fuggire da quel mondo altrimenti freddo e sconosciuto.
Perché si.
Quando leggeva le sue storie, era in quei momenti che, finalmente, la piccola Helena poteva definirsi a casa.
In esse trovava quel mondo che aveva sempre sognato di vedere. Un mondo in cui tutto è possibile e in cui anche una bambina come lei avrebbe potuto avere un futuro. Un mondo che le sembrava così famigliare da essere quasi parte di lei, al punto che, spesso, sognava di esserne parte.
Un mondo che, come scoprì più avanti, avrebbe potuto rendere reale facendo affidamento solo a delle semplici parole d’inchiostro.
 
“Helena legge sempre.”, fece il bambino, osservando divertito la figura minuta che, al riparo sotto le fronde del faggio che troneggiava nel cortile dell’Orfanotrofio, non staccava un istante gli occhi dal libro che aveva in grembo.
Abbeil, un giovane ragazzino di poco più grande di Helena, era un tipetto decisamente vivace, dalla riccioluta e sbarazzina chioma color dell’oro, che sin dall’inizio non aveva visto esattamente di buon occhio la nuova arrivata.
Di fianco a lui Johan, di tre anni più piccolo, sorrise appena: “Non prenderla in giro, Ad. Lo sanno tutti che le femmine non sanno giocare a pallone.”
Gli altri sghignazzarono, mentre il biondino si avvicinava a passo deciso alla bambina, che alzò lo sguardo sorpresa.
Solitamente, gli altri ragazzini si guardavano bene dall’avvicinarlesi, evitando in tutti i modi possibili di rivolgerle anche solo la parola.
Tuttavia, evidentemente quel giorno Abbeil doveva sentirsi parecchio spavaldo, perché si chinò su di lei, afferrando rapido il libro per poi osservarlo, divertito.
Inclinò il capo, dicendo: “Uffa … che noia. Questo coso non ha nemmeno le figure! Cosa lo leggi a fare?”, chiese, mentre quella si alzava di scatto, protestando: “Ridammelo, è mio! Me lo ha regalato Mama!”
Quello fece una smorfia, lanciandolo divertito a Johan, che lo prese al volo, ribattendo: “Certo. E perché mai Adele dovrebbe farti un regalo?”, chiese, affrettandosi a passarlo a Seth, un bambino dal lungo naso da rapace e gli allegri occhietti grigi.
“Tanto fino a poche settimane fa tu non sapevi nemmeno leggere!”, fece quello, ridendo divertito, “Chi non sa leggere?”
Helena, furiosa, cercò invano di riprenderlo, ma il libro volò nuovamente tra le mani di Abbeil, che lo alzò divertito sopra la sua testa, godendosi i vani tentativi della bambina di riprenderlo.
“Smettila … è mio. Non puoi prenderlo!”, fece lei, mentre quello rideva, divertito.
“Certamente, Principessina. Vieni a prendertelo”, detto ciò scagliò il libro a terra, direttamente in una pozza di fango.
La bambina osservò sconvolta la scena, mentre quello sorrideva appena.
Non fece tuttavia in tempo a reagire, che la piccola, rossa e livida di rabbia, gli si scagliò contro, spingendolo a terra prima di salirgli a cavalcioni e iniziare a picchiarlo con forza.
Quello cercò invano di difendersi, mentre gli altri bambini iniziavano a gridare spaventati, facendo accorrere immediatamente un gruppo di suore che si affrettarono a staccare la bambina dal biondino, che nel frattempo aveva iniziato a piangere disperato.
Helena, furiosa, cercò inutilmente di divincolarsi, quando l’ombra severa della Madre Superiora non entrò nel suo campo visivo, congelandola sul posto.
Sorella Elia era, senza ombra di dubbio, una delle donne più fredde e intransigenti che si potessero incontrare. E sebbene la bambina non fosse li che da poche settimane, aveva compreso molto presto quanto poco fosse prudente scatenare le sue ire, specialmente se non si voleva finire senza cena o chiusi nelle proprie camera fino al giorno seguente.
La donna, impassibile, osservò la scena, mentre gli occhi freddi come il ghiaccio si posavano su Helena che, contrita, abbassò lo sguardo.
Quindi chiese: “Posso sapere cosa è successo qui?”, fece, osservando silenziosa la scena.
Subito, Abbeil si affrettò a farsi avanti, singhiozzando appena: “Signorina Elia … Helena mi ha colpito!”
Offesa e arrabbiata, la piccola alzò lo sguardo, ribattendo: “Ha iniziato lui! Ha preso il mio libro e lo ha buttato nel fango, lui e i suoi amici.”
Lo sguardo della donna la zittì, mentre controllava in silenzio il volto del bambino, su cui spiccava un labbro spaccato e dal cui naso iniziavano già a gocciolare alcune gocce di sangue.
Si voltò nuovamente verso Helena, prima di scandire: “Va immediatamente nella tua stanza. Stasera salterai la cena.”
Furiosa, la piccola non poté fare altro che abbassare il capo e fare come le era stato ordinato.
 
Helena osservava in silenzio il libro di fronte a lei, ormai quasi completamente rovinato. Solo poche pagine erano sopravvissute al fango, che ormai si era quasi completamente incrostato formando uno spesso strato scuro sulla copertina, citante un dorato titolo: Jack e la Pianta di Fagioli.
Sospirò appena, riaprendolo e tornando alla pagina in cui era rimasta.
Una lacrima cadde su di essa, mentre iniziava a singhiozzare, disperata. Quello era il primo libro che le aveva regalato Mama Adele, il suo tesoro più prezioso: lo aveva letto così tante volte da perderne quasi il conto e vi era incredibilmente legata, perché riguardava una delle poche persone in quel posto che l’amassero e la capissero realmente.
Si morse il labbro, tornando alla pagina.
Solo alcune parole parevano ancora leggibili, al che sorrise, leggendole in un sussurro lieve: “Ed ecco. Nella tavola imbastita di tutto punto, una bellissima arpa dorata. Scolpita su di essa, vi era una donna dai tratti gentili, le cui dita lievi ne sfioravano le corde in una dolce melodia che scaldava il cuore anche dei malvagi.”
Sorrise appena, cercando d’immaginarsi come dovesse essere.
Una tavola colma di ogni genere di prelibatezza: stufati fumanti, pasticci di carne e di pesce, maiale al latte e anatra all’arancia, oltre che ogni tipo di formaggio o bevanda. E ancora dolci, torte ricche di melassa e pasticcini, bignè e focacce calde e fumanti, appena sfornate, oppure …
Un lieve scintillio.
Helena aprì nuovamente gli occhi, incontrando le iridi dorate di una bellissima fanciulla. Attaccata a un’arpa. Su un tavolo ricolmo di ogni genere di prelibatezza, proprio come all’interno del suo libro.
La creatura, o qualunque cosa fosse, inclinò appena lo sguardo, sorridendo lievemente: “Buongiorno. Cosa vuole che vi suoni oggi, mia signora?”
La bambina osservò basita l’arpa, un magnifico esempio di oreficeria, dai raffinati fregi raffiguranti rampicanti traboccanti di bacche scure e succose. La cassa di risonanza, su cui poggiava la spalla della fanciulla dorata, era indissolubilmente legata al corpo della stessa, in una fusione perfetta da cui le mani di lei corsero leggere sulle corde. Anch’esse in oro zecchino.
Immediatamente, una dolce melodia invase la stanza, un suono dai tratti così leggeri e gentili che alla bambina parve persino fosse in grado di riscaldare quelle mura fredde e cupe.
L’odore dello stufato e dell’arrosto le invase le narici, mentre sorrideva divertita, osservando assorta fuori dalla finestra.
Forse, dopotutto, non era stata una poi così brutta giornata.




Note dell'Autrice:
Eccomi di nuovo.
Ebbene, qui proseguiamo, poco per volta, coi flashback sul passato di Helena. Abbiamo visto il suo arrivo presso l'Orfanotrofio e, prossimamente, vedremo anche alcuni dettagli del suo passato che spiegheranno meglio il motivo per cui ha deciso di iniziare a viaggiare.
Comunque sia, presto la parte dedicata ai flashback terminerà e mi concentrerò totalmente sulla vicenda principale. Per ora spero che questa prima vera e propria dimostrazione del potere di Helena abbia saputo soddisfarvi, anche se col proseguire della storia la vedremo utilizzare la Voce sempre più spesso.
Ancora grazie a tutti i miei recensori e lettori, non so cosa farei senza di voi!
Proseguo col prossimo capitolo.

Teoth

 

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Capitolo 23
*** Cap. 22 - Una nuova vita ***


Capitolo 22
Una nuova vita
 

Fu da quel giorno che l’esistenza della piccola Helena, fino ad allora almeno apparentemente vuota e priva di significato, assunse improvvisamente delle sfumature che mai si sarebbe sognata di avere.
Perché si … c’era qualcosa di magico, di misterioso, nella sua voce.
C’era qualcosa di diverso, nel modo in cui i suoi sussurri, lievi come carezze di polvere fatata, sfioravano le pagine dei suoi libri. Sussurri teneri e leggeri, in grado di penetrare nei sottili strati che separano i mondi, portando un po’ di quelle favole che tanto amava nella realtà di tutti i giorni.
E dall’alba al tramonto Helena leggeva, Helena leggeva sempre.
Quando non voleva essere scoperta, rinchiudeva i suoi sussurri, la sua Voce, nella propria mente permettendo a quei paesaggi esotici e a quegli eroi straordinari di prendere forma solamente nella sua immaginazione.
Con essi correva, combatteva … viveva.
Eroi e cattivi, cattivi ed eroi.
Un precario equilibrio che sentiva come suo, perché era quello il mondo che desiderava e spasimavano ogni notte, sebbene, per quanto ci avesse provato, il suo potere non le permettesse di viaggiare in quei luoghi a lei tanto cari.
Tuttavia, quello che aveva le bastava.
Nessuno poteva sapere come, nel silenzio della propria stanza, Helena potesse godere delle melodie soffuse di Aureen, l’Arpa Dorata, o ancora come potesse chiacchierare (o meglio, bisticciare) con Jago, il pappagallo del temibile mago Jafar. Poteva cavalcare una renna stranamente intelligente, di nome Sven, nei giardini dell’Orfanotrofio quando calava la sera, o ancora prendere uno dei funghi del Paese delle Maraviglie per rimpicciolirsi e vedere il mondo sotto un’altra prospettiva.
E lei era felice.
Felice, anche se quel suo costante isolarsi la distanziava sempre più dai suoi coetanei. Anche se, a dodici anni, ormai nessuno confidava più sul fatto che qualche coppia avrebbe potuto desiderare di avere con sé una bambina tanto insolita e misteriosa. Anche se, ormai, tutti la guardavano con malcelato sospetto e Mama Adele fosse deceduta da un pezzo, lasciandola apparentemente sola.
Certo, all’inizio era stato difficile.
Aveva pianto per giorni dopo l’infarto della donna, ormai anziana e avanti con gli anni. Aveva smesso di mangiare, aveva rifiutato di andare alle lezioni o di parlare con chicchessia. Ma alla fine era passato … erano stati i libri, ancora una volta, a salvarla, a farle capire che doveva andare avanti.
Per sé stessa e per la sua amatissima Mama.
E che, soprattutto, non doveva perdere mai la speranza.
Fu difficile ma, proprio quando sembrava tutto perduto, una coppia di presentò alle porte dell’Orfanotrofio Pascal.
 
Lyanna e Lucien Montgomery giunsero presso l’Orfanotrofio in cui si trovava Helena d’estate.
Per la precisione, da lì a una settimana avrebbe dovuto essere il “compleanno” della bambina, che sebbene non avesse memorie del suo passato era solita festeggiarlo nel giorno in cui (quasi due anni prima) si era risvegliata sola nella periferia della città di Los Angeles.
La coppia, che da anni, ormai, cercava invano di avere un figlio, era stata indirizzata in quel luogo da un gruppo di amici che avevano proposto loro di adottare uno dei bambini del posto.
Non potendone, comunque, avere di loro, e desiderando con tutto il cuore un figlio da amare, i due decisero di partire per l’Orfanotrofio. Essi vivevano praticamente dall’altra parte della città, in un grazioso quartiere benestante in cui potevano vantare una bella villetta patrimoniale, fornita di un giardino ben curato e di un retro con tanto di piscina. Tuttavia, per grande che fosse, la casa sembrava desolatamente vuota senza l’esuberante presenza di un bambino ad alleggiarirne l’atmosfera, altrimenti troppo calma e silenziosa per la coppia.
Vennero accolti direttamente da Padre Emerald, Direttore dell’Orfanotrofio, il quale li intrattenne a lungo nel proprio ufficio, cercando di capire quali fossero le loro esigenze e le motivazioni per cui erano li.
 
“Vede.”, esordì Lyanna, mentre lo sguardo spaziava sui bambini che, allegri, si rincorrevano per il cortile, “Io e mio marito abbiamo cercato molte volte di avere figli. Ci siamo affidati a innumerevoli specialisti, ma purtroppo senza risultato … per questo motivo abbiamo riflettuto a lungo e siamo giunti alla decisione comune di provare con un’adozione.”, la donna sorrise.
Erano entrambi decisamente giovani, sulla trentina.
Lei, dalla lucente chioma color dell’oro, possedeva gli occhi fieri di chi è nato e cresciuto in un mondo di agi e senza troppe privazioni. Sia i suoi modi, incredibilmente pacati e gentili, che l’aspetto lasciavano trasparire una personalità orgogliosa ma non superba, un’indole forse a volte severa ma comunque capace di donare calore e amore.
Lui, d’altro canto, era l’esatto opposto.
La chioma ingestibile e gli occhi allegri rimandavano a un atteggiamento decisamente più aperto, al punto che, come erano arrivati, era stato il solo dei due a iniziare subito a interagire con i bambini presenti nel cortile. Lasciando invece alla moglie il compito di parlare col direttore, sebbene non si fosse perso nemmeno una parola del loro discorso e continuasse ad annuire alle spiegazioni della moglie.
Padre Emerald annuì, comprensivo: “Avete già compilato i nostri test.”
La donna sorrise, mentre il marito si avvicinava.
“Effettivamente si.”, rispose Lyanna, osservando i documenti che avevano portato con loro, “Coloro che ci hanno indirizzati qui mi hanno detto che la vostra associazione si cura molto di assicurare un buon futuro ai bambini. E che i vostri istruttori hanno perfezionato un test d’affinità per capire quale bambino sarebbe più idoneo per ogni coppia o famiglia.”
L’altro annuì, fieramente.
Il Progetto Pascal era uno dei principali motivi dietro il successo della loro organizzazione e fino ad allora non aveva mai sbagliato. O almeno, così amava pensare Padre Emerald.
A dire il vero, le adozioni non andate del tutto a buon fine erano anche abbastanza numerose, ma sia lui che i suoi cooperatori amavano pensare che fosse più a causa di una mancanza d’impegno da parte delle famiglie che per l’inesattezza del loro affidabilissimo Progetto.
Il marito osservò silenziosamente la scena, prima di posare una mano sul braccio della moglie, dicendo: “Padre, non ho dubbio alcuno sull’efficienza dei vostri test. Tuttavia, se ce lo permetteste io e mia moglie vorremmo conoscere meglio, di persona, i vostri bambini. Teniamo moltissimo a quest’iniziativa e se possibile preferiremmo scegliere da noi il nostro futuro figlio.”
Lyanna osservò sorpresa il marito, mormorando appena: “Luce … sei sicuro che …?”
L’altro le sorrise, rassicurandola: “Tranquilla. Troveremo quello giusto. E finalmente potremmo avere una famiglia tutta per noi.”
 
Quando Lyanna e Lucien Montgomery erano giunti all’Orfanotrofio Helena si trovava, come sempre nelle ore libere del pomeriggio, sotto il grande faggio che sormontava gran parte del cortile.
Li aveva osservati, in silenzio e col proprio nuovo libro in grembo, per un lungo istante, mentre lo sguardo si spostava sull’abbigliamento elegante della coppia, per passare quindi sugli sguardi pieni d’amore e di speranza che i due continuavano a scambiarsi. Non le era sfuggito come, per quasi tutto il tempo, fossero rimasti praticamente mano nella mano, senza staccarsi mai.
In essi, la bambina aveva percepito un amore sincero, e un altrettanto sincero desiderio di trovare un figlio con cui condividerlo.
A dire il vero, di coppie Helena ne aveva viste andare e venire fin troppo spesso. E non tutte erano andate bene.
Alcuni venivano da soli, altri accompagnati. La maggior parte non era troppo interessata ad avere un figlio, eppure, essendo una Casa Famiglia, lo prendevano con sé e se ne curavano. Altre volevano realmente un figlio, ma sembravano troppi incerti e inesperti per dare l’impressione di potersene prendere realmente cura.
C’erano persino casi in cui, poco tempo dopo essere stati adottati, i bambini venivano nuovamente abbandonati o fuggivano di casa, ritornando a far parte di quel girone infinito che era l’Orfanotrofio.
Eppure, si disse, essere figlia di una coppia bella e innamorata come la loro non sarebbe certo potuto essere così male. Peccato, però, che lei fosse … beh … lei.
Era la bambina strana e solitaria che non ricordava nulla di sé e che non parlava mai con nessuno. Era quella che passava le ore a leggere e che a scuola era sempre la migliore, anche se in realtà non sembrava importarle troppo. Era quella che non giocava, ma rifletteva e parlava come un’adulta.
Insomma … era quella strana, e tutti loro lo sapevano fin troppo bene.
 
“Posso sedermi?”
Helena sussultò, alzando lo sguardo per incontrare quello chiaro e solare dell’uomo, che le sorrideva lievemente.
La bambina, inizialmente interdetta, si limitò ad annuire, spostandosi appena mentre quello si accomodava al suo fianco, allungando incuriosito lo sguardo sul suo libro e sulla pagina che stava leggendo prima di essere interrotta.
Anche Helena lo osservò, inclinando timidamente il capo e fissandolo incerta.
Solitamente, nessuno si prendeva mai la briga di avvicinarsi a lei, specialmente tra le coppie che venivano fin li apposta per adottare un bambino.
Dopotutto, la maggior parte di queste era alla ricerca di una vita giovane ed esuberante che, come tutti i ragazzini della sua età, si divertisse e giocare e a correre. Una vita in grado di alleggerire le loro esistenze e di portare gioia in casa, non certo una bambina che se ne stesse sempre sola e in disparte a leggere.
Eppure, quello non sembrava troppo a disagio di fronte a lei, e anzi osservava interessato il libro che aveva in grembo.
“Ohhh … Oliver Twist?”, chiese, sorpreso, “Una lettura abbastanza seria.”
La piccola gonfiò le guance, offesa, ribattendo: “Guarda che io ho quasi dodici anni, ormai. Sono grande.”
L’altro scoppiò a ridere, divertito, sotto lo sguardo perplesso e sempre più indignato di Helena.
“Ok … scusa. Lo ammetto, sono stato inopportuno.”, si arrese, alzando le braccia e sorridendo appena, prima di tornare serio e spostare lo sguardo sugli altri bambini. Helena lo seguì, voltando quindi il capo e arrossendo appena.
Si … lei non era come loro.
Lei era diversa.
Sospirò, aspettandosi quasi di sentirlo alzarsi, forse annoiato dalla sua compagnia silenziosa e insolita, magari per dirigersi verso di loro e cercare tra di essi qualcuno che realmente fosse in grado di chiamare “figlio”.
Eppure, l’uomo non si mosse.
Rimase a osservare in silenzio la scena, per poi spostare lo sguardo su quella bambina, così sola e sperduta.
Ovviamente, quando si erano informati sui vari bambini adottabili, aveva letto anche di lei e quindi conosceva molto bene la storia che si portava alle spalle.
E, per quanto Helena avrebbe avuto modo di scoprirlo solo molto tempo dopo, in quel momento Lucien Montgomery non pensava affatto che quella bambina fosse strana, o insolita.
Guardandola, l’uomo vide una vita che aveva perso tutto. Un fiore solo e abbandonato, privato di tutto l’affetto di cui un bambino dovrebbe godere, un fiore senza un passato e che da tempo aveva rinunciato nel sperare in un futuro. Un fiore fragile e sensibile, ma proprio per questo speciale.
Ed era proprio la sua diversità a renderla unica.
Fu allora che Lucien comprese.
Era Lei.
Lei era la persona per cui erano arrivati sin li, lei era la figlia che avevano sempre cercato, la luce che avrebbe illuminato i loro giorni: Helena.
La bambina, intanto, continuava a tenere lo sguardo basso, gli occhi incollati al suo libro, in attesa di sentirlo alzare e andare via.
Eppure, dopo qualche istante, quello parlò di nuovo, dicendo: “Io sono Lucien. Tu come ti chiami?”
Alzò sorpresa lo sguardo, mentre quello le sorrideva solare, quindi rispose: “Helena.”
Lui alzò un sopracciglio: “Solo Helena?”
La piccola sospirò, abbassando gli occhi: “Io non ho un cognome.”
“Allora … che ne diresti di chiamarti Helena Montgomery, d’ora in avanti?”
Lacrime calde imperlarono gli smeraldi di lei, mentre annuiva con forza e si gettava tra le braccia di quello che si … sarebbe stato il suo papà.
 
 
Lucien e Lyanna Montgomery lasciarono, dopo aver compilato i documenti necessari, l’Orfanotrofio solo alcune ore dopo, portando con sé la piccola Helena che, ancora incapace di credere a ciò che le era successo, era salita in macchina senza nemmeno riuscire a spicca una parola.
Dopo tutto ciò, Padre Emerald osservò in silenzio la coppia che, a dispetto di ogni consiglio professionale ricevuto dai suoi istruttori, non ascoltava ragioni e affermava che era quella bambina, senza ombra di dubbio, la figlia che cercavano. E poco importava che quei test consigliassero loro una presenza più esuberante o socievole: entrambi se ne erano totalmente innamorati, e per poco Lucien non aveva risposto per le rime alle osservazioni del prete, quando consigliò loro di riflettere attentamente sulla propria decisione.
Tuttavia, né Padre Emerald né Sorella Elia riuscirono a smuoverli dal loro proposito, e fu quindi sotto lo sguardo sorpreso della maggior parte degli istruttori e dei bambini che Helena lasciò l’Orfanotrofio Pascal.
Voltandosi indietro, con la piccola manina saldamente aggrappata ai pantaloni del suo nuovo papà, la bambina osservò per l’ultima volta quel posto che, per quasi due anni, era stato la sua casa.
Una casa indubbiamente fredda, in cui troppe volte si era sentita giudicata e biasimata. Una casa da cui aveva quasi perso la speranza di uscire e che col tempo era divenuta la sua prigione. Una casa da cui ogni bambino sognava di andarsene, e che ora lei poteva finalmente abbandonare.
Si era sempre immaginata quel giorno con gioia e speranza.
Eppure, tra quelle mura fredde, Mama Adele le aveva insegnato a leggere. Li aveva ricevuto il suo primo vestitino, aveva evocato per la prima volta la Voce e aveva sentito la prima melodia che Aureen aveva composto per lei.
Per quanto le dolesse ammetterlo, quel posto era stato comunque una tappa fondamentale della sua vita, e lasciarlo le parve quasi strano.
Eppure …
Osservò il volto sorridente di Lyanna, che l’attendeva di fronte alla loro Mercedes con la porta del passeggero aperta.
Sorrise, a sua volta.
La sua nuova vita la stava solo aspettando.




Note dell'Autrice:
Eccoci con l'ultimo capitoletto di oggi.
Qui, finalmente, vediamo un po' cosa successe alla nostra Helena dopo essere arrivata all'Orfanotrofio Pascal. Ma come mai, alla fine, decise di andarsene? E perchè non ricorda con gioiai il suo passato? Cosa successe dopo? Per saperlo dovrete attendere ancora un po'.
Comunque sia, spero che la descrizione dei suoi genitori adottivi vi sia piaciuta, sicuramente li rivedremo col proseguire della storia.
Ancora, come sempre se vi servissero delucidazioni o aveste voglia di lasciare un commetino non fatevi problemi. Io sono sempre qui ed è sempre un piacere sentire i vostri pareri e opinioni sulla storia.
Alla settimana prossima!

Teoth

 

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