Cronache di un'anima gentile

di Unpinguinoperamico
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chi non dorme piglia pesci in faccia ***
Capitolo 2: *** L'arte di dormire anche su un barile di polvere ***



Capitolo 1
*** Chi non dorme piglia pesci in faccia ***


Will

01. Chi non dorme piglia pesci in faccia




Tic tac, tic tac, tic...tac. Il maledetto ticchettio dell'orologio appeso alla parete lo stava facendo impazzire.

Forse era proprio quel ticchettio cadenzato la ragione che lo aveva indotto ad accostare la sedia della scrivania alla parete. Così fermò l'orologio e poi lo ripose, debitamente capovolto e senza batterie, sul comodino. Forse, tuttavia, era un semplice pretesto per evitare che i suoi occhi ricadessero ogni due secondi sulla superficie ovale di quel dannato arnese. Odiava quando non riusciva ad addormentarsi e purtroppo negli ultimi tempi accadeva un po' troppo spesso. L'ultima settimana era stata un susseguirsi sfrenato di impegni medici e complicazioni che era stato difficile risolvere, e la tensione lo teneva sveglio, agitato, con gli occhi puntati per tutta la notte sul soffitto della cabina. Ovviamente tra le cause del suo malessere diffuso erano compresi anche il caldo appiccicoso, le zanzare che lo divoravano, i lettini dell'infermeria ancora pieni di semidei feriti e poi, primo della lista, il Principe dei Morti. Ma riguardo a quest'ultimo, era meglio se non ci pensava. 

Quando Will prese la decisione di coricarsi per il poco tempo che rimaneva al suono della sveglia, i primi raggi del sole avevano appena cominciato a fare capolino dalle fessure della serranda abbassata. Si stese sul letto e tentò di riprendere sonno, ma ogni volta che chiudeva gli occhi o che era vicino ad addormentarsi gli venivano in mente tutte le cose che avrebbe dovuto fare il giorno successivo. I turni in infermeria, gli allenamenti con i novellini, le gare a Cacciabandiera, Percy che decideva che fare un tuffo dalla scogliera non era poi un'idea così cattiva... nella sua vita era tutto così caotico e stressante che sarebbe stato davvero bello poter bloccare il tempo, di tanto in tanto. Proprio come un attimo prima aveva bloccato il ticchettio dell'orologio.
Nei letti di fianco al suo, intanto, Austin russava come un trattore e Kayla parlava nel sonno, o forse sarebbe stato meglio dire che stava instaurando un vero e proprio discorso articolato con il suo subconsico, discorso che Will proprio non se la sentiva di interrompere.
Come se non fosse bastato, c'erano quei dannati raggi di sole che passando tra gli spiragli della serranda gli davano fastidio agli occhi. Grazie papà.

Will non avrebbe saputo dire quando si sarebbe riaddormentato o se l'avrebbe fatto in generale, e quella mattina non fu abbastanza paziente per scoprirlo.
Un quarto d'ora ed era già fuori dalla sua cabina, con il giubbotto di jeans sopra il pigiama arancione del campo e un cappello da baseball a coprirgli la zazzera di disordinati capelli biondi.

Per essere l'alba del tredici luglio, tirava un vento forte e stranamente freddo che gli attraversava il tessuto leggero del pigiama e lo faceva rabbrividire. Non c'era ancora nessuno in giro, ma considerando che erano le cinque meno un quarto della mattina e che quel giorno gli allenamenti sarebbero cominciati alle dieci in punto, quella surreale desolazione gli sembrava pienamente comprensibile. Anche dovuta, in un certo senso. Certo, era l'unico che si sognava di fare un giro di perlustrazione a quell'ora, ma aveva bisogno di fare qualcosa per tenersi occupato. Si guardò attorno per qualche istante, indeciso. Non sapeva bene dove voleva andare e non doveva andare in nessun luogo di preciso, perciò cominciò a vagare per le vie sterrate del Campo Mezzosangue senza meta, prendendo a calci qualsiasi sassolino o ciottolo aveva la sfortuna di capitare sul suo cammino. Passò l'armeria, l'arena, tracciò con passi lenti e ben meditati il bordo della mensa e, quando ebbe appurato che in giro non ci sarebbe stata anima viva fino all'ora di colazione, ritornò pensieroso sulla strada per la cabina 7.

Ma ecco che, senza nemmeno rendersene conto, i suoi pensieri più cupi l'avevano anzi condotto davanti alla cabina di Nico di Angelo, suo ragazzo da poco più di un anno e ultimamente un poco partito con la testa. Gira e rigira, pensò, finiva sempre per pensare a lui.

Will non aveva la più pallida idea di che cosa stava succedendo nella sua vita e di quanti problemi angosciassero Nico ultimamente, ma come qualche giorno prima gli aveva fatto notare Reyna questa non era una novità, bensì un notevole passo indietro: per aprirsi con lui Nico aveva impiegato ben più di due mesi, ma adesso qualsiasi loro progresso sembrava essere stato ingoiati dalle fauci di Cariddi. Will era parecchio sconfortato. A dir la verità Nico era sempre stato un tipo introverso, silenzioso e solitario, fin da quando era arrivato al campo per la prima volta dopo la morte di sua sorella. Però, nel corso dell'ultimo anno, aveva notato una lieve evoluzione, un qualche dettaglio nel comportamento di Nico che lo faceva sembrare più spensierato, più gioioso - o almeno così era sembrato a Will. Rispetto all'inizio rideva molto più spesso e non era raro che proponesse di sua spontanea iniziativa qualche battutina crudele, qualche commentino sardonico che non raramente conteneva una velata critica a Will o a chiunque altro: certo, il cinismo e la voglia di mandare all'inferno quattro persone su cinque erano rimasti pressoché inalterati, ma questo era ormai insito nel suo carattere e riguardo ciò, o almeno così si pensava, nessuno avrebbe potuto farci niente. Era quasi sicuro di amarlo. Cioè, a parte qualche cotta passeggera, non aveva mai amato nessuno in vita sua. Gli sembrava strano, e non voleva risultare pesante, ma perché l'amore doveva infastidirlo così tanto, dargli tanto pensiero?  Insomma, a Will sembrava che stesse andando tutto bene. Stavano da dio insieme.

Ma poi era successo qualcosa, qualcosa che al figlio di Apollo non era dato sapere: sapeva soltanto che dal ventotto giugno Will aveva visto tutti i loro progressi venire presi e buttati nel cestino dell'umido, e Nico si era barricato nella sua cabina senza dire nulla.

Era cominciato tutto con piccole cose.
Una parola non detta, un sorriso leggermente tirato e un chicco d'uva (Nico adorava l'uva) in meno a pranzo. Poi si era passati a notti insonni trascorse a parlare con gli spettri e perdite di sensi durante un allenamento causate dalla completa mancanza di sonno, attacchi di panico, perdita di peso, allucinazioni e vomito. Will aveva visto Nico sul lettino dell'infermeria più volte di quante avesse desiderato.

Ed infine, eccoci qua: Nico non usciva da quella casa da sedici dannatissimi giorni.

Senza nemmeno rendersene conto, perso in quei pensieri, Will si era avvicinato alla porta della Cabina 13 ed era rimasto a uguardare la porta di mogano con il braccio alzato nell'atto di bussare. Il suo cervello adesso si muoveva a rilento, sovraccaricato da tutti i dubbi e tutte domande che si erano sommate nella sua testa negli ultimi tempi. Era la cosa giusta da fare stressare Nico in questo periodo di evidente instabilità mentale? E Nico gli avrebbe aperto o l'avrebbe diretamente mandato all'inferno, proprio come aveva fatto con Jason e Percy ancor prima di lui? Che cosa avrebbe dovuto dirgli?

A conti fatti, decise che nessuna di quelle domande sarebbe stata tanto ansiogena quanto il "cos'ha?" che lo stava assilando da poco meno di un mese e, alla fine, dopo calcoli e ragionamenti ben meditati, prese la decisione che, sì, esporre a Nico quello che lo preoccupava e bussare a quella dannata porta sarebbe stata al momento l'unica cosa cosa giusta da fare.

Almeno per lui.

Si bloccò un secondo prima di farlo non appena sentì un rumore sordo proveniente dall'interno.

Erano le cinque di mattina, perché Nico era sveglio? Will rimase un attimo in concitato silenzio, con le orecchie tese e il cuore che batteva all'impazzata contro la cassa toracica. Ma subito dopo ebbe la conferma che non aveva sentito male: erano dei colpi, dei sussurri stizziti, e lo scalpiccio sul pavimento di ossidiana gli suggerì che Nico doveva aver indossato i suoi scarponcini preferiti.

Il volto del figlio di Apollo si illuminò. Che Nico avesse finalmente deciso ad uscire dalla sua tana?

Ma non appena la porta si aprì, tutto l'entusiasmo di Will subì un impressionante calo. Nico si era fiondato fuori dalla cabina all'improvviso e il figlio di Apollo non ebbe nemmeno il tempo di spostarsi: i loro corpi si scontrarono in un doloroso thud.

Quando il figlio di Ade si fu rialzato in piedi, con della sopresa, del terrore e anche un po' di fastidio negli occhi color pece, Will ebbe la conferma decisiva che lo strano comportamento di Nico era causato da qualcosa di grave.

I suoi capelli neri erano più lunghi dell'ultima volta che lo aveva visto, e notevolmente più disordinati ed arruffati del solito. Il volto mortalmente pallido ed emaciato era segnato da due profonde occhiaie scure e caratterizzato da una lieve sfumatura verdognola e malaticcia, che al figlio di Apollo, come amico ma soprattutto come medico, non piacque affatto.

Ma la cosa che più preoccupava Will era un'altra. Era il giubbotto da aviatore che indossava, lo zaino in spalla e la spada di ferro dello Strige stretta nella cintura. Era il fatto che sembrava pronto a partire per un'impresa - e forse lo era.

- W-Will! -  balbettò Nico.

Era evidente che non si aspettava di incontrarlo e che nemmeno lo desiderava fare.
Forse prevedeva da parte sua un sermone di quindici ore su quanto si era preoccupato per lui e quanto Nico fosse stato un idiota irresponsabile a comportarsi in quel modo. Beh, in questo caso non prevedeva male.

- Nico, ci hai fatti preoccupare da morire ! - tagliò corto Will, con una calma e una compostezza che nemmeno lui sapeva di avere. - E dove credi di andare? -

Nico si ritirò sulla difensiva, stringendo con una mano la spada e con l'altra la spallina dello zaino: - Non sono affari tuoi. -

- Ah no? - Will gli afferrò il polso e prese a trascinarlo verso la Casa Grande.  - Sono il tuo ragazzo, Nico, sì che sono affari miei! -

Il figlio di Ade si liberò dalla presa di Will a fatica e fece qualche passo indietro, finché la sua schiena non aderì del tutto contro la parete della Cabina 13: - Ho sedici anni, Will. Non mi serve la mamma chioccia. Non devo dire niente a nessuno. -

- Ti ricordi cos'è successo l'ultima volta che non hai detto niente a nessuno? -

Nico si strinse nelle spalle: - Ho salvato quelle due figlie di Nike da un centauro im... -

- Sei andato nel Tartaro da solo, sei stato catturato dai giganti e ci mancava poco che lasciassi le penne in una giara nel centro storico di Roma. -

Will si rendeva conto che il suo comportamento stava ferendo Nico, ma si stava comportando in questo modo perché in primo luogo era stato ferito lui. Era preoccupato per lui, inoltre. Cosa diamine credeva di fare? Perché non gli voleva dire che cosa non andava?
Se gli avesse detto cosa stava succedendo, avrebbero potuto parlare con calma davanti una tazza di té caldo e cercare insieme una soluzione al problema. Il té caldo funzionava sempre.

- Nico, ascoltami. - cominciò a dire Will.

Ma Nico lo guardò con astio, come se stesse cercando le giuste parole per mandarlo all'inferno ma senza ferire troppo i suoi sentimenti: - No, senti, ascoltami un fico secco! È già abbastanza difficile senza che tu ti metta in mezzo. E non venirmi a dire di discutere del mio problema davanti ad una tazza di té caldo, perché sono dieci giorni che penso a un'altra soluzione chiuso in questa accidenti di cabina! -

Will si espresse in un risolino esasperato: - Ma si può sapere di quale problema stai parlando? -

- Te l'ho già detto che non sono affari tuoi! -

- Sono preoccupato per te! -

Nico sospirò scocciato: - Non dire niente di tutto questo a Chirone. -

Quando Will si rese conto che il figlio di Ade stava progettando di viaggiare nell'ombra, non fece in tempo ad urlargli contro - Non pensarci nemmeno, signorino! - che Nico era già scomparso dentro l'ombra proiettata sull'erba dalla cabina 13, lasciandolo da solo e con la mano protesa verso il nulla. Come un deficiente.

Ma vaffanculo.

Non dire niente a Chirone?! Oh, se l'avrebbe fatto, invece! Se un attimo prima era preoccupato a morte per il comportamento del suo ragazzo, adesso sentiva nascere nel petto una rabbia che mai prima d'ora aveva sperimentato. Mai verso Nico, almeno. Era leggermente curvo e piegato in avanti, con i pugni stretti e il volto arrossito dal nervoso.

- Vaffanculo, Nico! -

Si girò verso la strada con l'intenzione di andare a spiattellare tutto quanto a Chirone, quando colpì e fece cadere a terra il corpo minuto di una ragazzina.
Indossava un paio di jeans strappati e una maglietta bianca a maniche corte su cui campeggiava la scritta "Pijamas all day", e i corti capelli castani erano raccolti in un codino arruffato. Era Arianna Orlandi, una delle poche figlie di Hypno che il campo ospitava.

- Ehi, attento a dove metti i piedi! - lo rimbeccò. Ma non l'aveva detto con un tono innervosito, bensì con una punta di giocosità gentile nella voce che servì a far sbollire un poco l'animo del ragazzo.

- Scusami, Arianna. - mormorò Will, porgendole dispiaciuto una mano.

La ragazza sorrise gentilmente ed accettò di buon grado l'aiuto offertole: - Tutto ok, Solace. Succede. -

Era una ragazza gentile, a Will piaceva. E, soprattutto, non era affatto come i suoi fratelli: dormicchiava, certo, ma non passava tutta la giornata stesa sul letto ad oziare. Anzi, il giorno prima aveva trascorso tutto il pomeriggio ad aiutare Will ed Austin in infermieria, etichettando e dividendo nei cassetti la nuova serie di medicine che erano arrivate - cioè l'unica cosa che le aveva permesso di fare.

- Tutto bene, Solace? Ti vedo un po' giù di corda. -

Will annuì pensieroso. - No, no, tutto apposto. -

- Sicuro? Guarda che se vuoi parlarne ti ascolto. -

Will soppesò un attimo la sua proposta. Un po' di compagnia non gli sarebbe dispiaciuta, in effetti, ma d'altra parte non se la sentiva di annoiarla con i suoi stupidi problemi sentimentali. Né gli andava di fare la parte dell'esaurito con una persona calma e disponibile come lei. Avrebbe dovuto parlane al più presto con Chirone e chiedergli un consiglio, ecco tutto. Nessun altro avrebbe dovuto preoccuparsi.

Per questo le rispose, con un sorrisetto apologetico sul viso abbronzato: - Tranquilla, Arianna, va tutto bene: sono solo preoccupato perché Nico è un idiota. Adesso dovrei andare a parlare con Chirone. Tu, invece? Stamattina non avevi un appuntamento con Annabeth? -

Arianna fece una smorfia: - Devo aiutarla a sistemare la libreria dei figli di Atena, guarda un po' in che guai mi sono cacciata. Adesso sto andando da lei. -

- Divertiti, allora. -

- Sicuramente. -

Arianna gli sorrise caldamente e, un attimo prima di lasciarlo, gli mormorò divertita un sentito buona-fortuna: buona fortuna che valeva sia per lei, che avrebbe passato un'orrenda mattinata in compagnia dei nevrotici figli di Atena, e sia per Will, che invece avrebbe dovuto trovare il giusto modo di dire a Chirone che Nico era scappato dal campo.

Buona fortuna.

 

 

 

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Capitolo 2
*** L'arte di dormire anche su un barile di polvere ***



ARIANNA

 

02. L'arte di dormire anche su un barile di polvere






 

«Ci vediamo a cena?» le aveva chiesto Annabeth quella mattina e, nonostante Arianna la conoscesse soltanto da pochi pochi giorni, sapeva che quando gli occhi le brillavano di quella luce soddisfatta c'era davvero poco da esserne sollevati.

«Volentieri.» aveva risposto Arianna, dopodiché si era congedata.

Sistemare la sua libreria era stato uno dei lavori più faticosi a cui la figlia di Hypno aveva partecipato. Libri. Libri ovunque. Annabeth li voleva disposti secondo l'ordine alfabetico degli autori e, nel caso l'autore fosse stato lo stesso, dal volume più sottile a quello più spesso, dal primo di una saga all'ultimo. I libri delle sorelle Brontë li aveva preferiti disposti in base al colore, dal più chiaro al più scuro, e c'era stata una breve colluttazione tra Annabeth e Malcolm su quale copia di Cime Tempestose (copertina rigida o flessibile?) sarebbe finita nella spazzatura. Flessibile, alla fine, ma soltanto perché Arianna ad un certo punto era intervenuta nella diaspora con una moneta con cui tirare a sorte. 
In più di tre ore lei e i figli di Atena erano riusciti a trovare una locazione soddisfacente per circa duecentodieci tomi di ogni tipo, dal genere fantasy alla saggistica, dal noir alla fantascienza, dai grandi classici ai romanzetti da due soldi che leggi solamente per occupare tempo, ma alla fine, e per fortuna aggiungerei, era stato tutto risolto senza litigi o esagerati spargimenti di sangue.

Dopodiché c'era stato l'allenamento di tiro con l'arco, attività nella quale Arianna ammetteva tranquillamente di fare schifo. Ma questa volta fece molto più pena del dovuto, tanto che ad un certo punto si ritrovò alla disperata ricerca di una via di fuga, una falla tra i mezzosangue sudati in cui passare per darsela a gambe.

Aveva deciso che fosse arrivato il momento decisivo di ritirarsi quando Will Solace mandò uno dei figli di Ermes - Arianna non ricordava quale fosse il suo nome - velatamente a quel paese quando gli aveva chiesto se il puntino rosso del bersaglio andava evitato oppure no. 
Salutò rapidamente Piper, che stava combattendo lì accanto con un ragazzo riccio e dai lineamenti vagamente elfici che ad Arianna non pareva di conoscere, e dopo aver rivolto un rapido cenno di commiato a Will si dileguò nella cabina 15.

Come di consuetudine, suo fratello Clovis stava russando sommessamente tra le coperte di lino, supino e con una gamba penzoloni, mentre gli altri suoi fratelli Oberyn e Jasper erano talmente inerti e silenziosi nel loro letti da sembrare quasi un paio di cadaveri freschi. Preoccupante? Affatto. Dopo una settimana chiusa lì dentro aveva cominciato a farci l'abitudine.

Al momento Arianna non aveva nemmeno più voglia di mettere in ordine la stanza: vestiti buttati sul pavimento, sulla sedia, cartacce e fumetti miseramente abbandonati dov'era capitato sarebbero rimasti esattamente lì dov'erano, per il momento. Dopo la libreria dei figli di Atena, di mettere in ordine ne aveva fin sopra i capelli.

Raccolse goffamente un cuscino dal pavimento e, buttantolo sul letto, si lasciò sprofondare tra le coperte che profumavano di pulito. Non ci mise molto ad addormentarsi, dal momento che tutto in quella cabina - dal dolce suono dei violini al profumo conciliante che impregnava l'aria - sembrava mirato a stimolare il sonno di chi vi entrava.

Come ogni semidio, ma ancor prima come ogni figlio di Hypno che si rispetti, si risvegliò in un sogno non proprio felice.

Era ambientato in un luogo desolato, arido, davvero raccapricciante. Un deserto di pietra nera e brulla con qualche voragine infuocata piantata di qui e di là: l'aria sembrava inquinata, velenosa, e anche se non poteva respirarla direttamente riusciva ad intuirlo dalla lieve nebbiolina bigia che aleggiava poco sopra il suolo arido.

Non ci mise molto a realizzare che non era sola.

Il ragazzo che divideva con lei la scena era accucciato contro una roccia scura come ossidiana - ma forse era ossidiana - e si raggeva il braccio ferito con una mano mortalmente pallida. Era una brutta ferita, per inciso. Gonfia, bluastra. E il ragazzo che l'aveva subita non sembrava essere messo tanto meglio. I suoi capelli neri e sporchi, arruffati come se non si fosse pettinato da giorni, erano incrostati di fango e sangue, ma la cosa che Arianna non riusciva a smettere di fissare era ben altro: la lunga collezione di ferite e cicatrici pallide che gli contrassegnavano il corpo, come il lungo taglio ancora sanguinante che gli percorreva una guancia dallo zigomo fino ad un angolo della bocca.

"Nico...?"

Sì, doveva essere lui. Era proprio come gliel'aveva descritto Piper qualche giorno prima, quando si era messa ad elencarle con invidiabile dedizione le coppie secolari del campo. Piccolo, mingherlino e pallido come un fantasma. Arianna gli si avvicinò quel tanto che bastava per analizzare meglio la ferita al braccio, quella che tra tutte sembrava essere la più seria: un taglio netto e profondo, che gli percorreva in diagonale tutto il bicipite destro. Non era di certo una guaritrice, ma da quel poco che conosceva di medicina non le sembrava una ferita da niente, e l'espressione addolorata che inaspriva i lineamenti di Nico ne era una conferma più che valida.

"Ragazzo..." stava canticchiando una voce di donna. "Ragazzo, dove ssssssei? Essssssci allo sssssssscoperto, sssu... Non ho più voglia di giocare a nassssscondino con te."

Dalla tensione di Nico, Arianna comprese che il "ragazzo" che la voce andava tanto cercando era proprio lui. Ma ebbe giusto il tempo di formulare questo pensiero che un paio di mani artigliate afferrarono il ragazzo per il polso destro e poi per la spalla sinistra: Nico cominciò a divincolarsi e a soffocare gemiti di dolore, forse più per un inguaribile orgoglio che per paura di attirare nuovi mostri, ma non c'era nulla che un corpo gracile come il suo potesse fare contro la forte stretta dell'echidna. La lunga coda serpentina della creatura si muoveva nervosamente sul suolo brullo, attorcigliandosi e distendendosi, schioccando, fendendo l'aria come uno schiocco di frusta. E anche se sapeva che le attenzioni del mostro non erano rivolte a lei, Arianna si ritrovò improvvisamente ad indietreggiare di qualche metro per prendere le distanze da quell'orribile creatura. 
Intanto Nico continuava a soffocare gemiti e contorcersi caoticamente nel tentativo di sottrarsi alla stretta, finché un'altra echidna non decise di metterlo a tacere con una sassata sulla nuca. Il figlio di Ade crollò a terra con un tonfo sordo, e di lì più non si mosse.

L'echidna parve soddisfatta: schioccò la lingua biforcuta sul palato e si girò, con lo sguardo che pareva dire "guarda e impara, razza di incompetente", verso la serpentina compagna che era rimasta lì impalata, le braccia incrociate al petto in atto di superiorità, con addosso l'espressione risentita di chi si vede sottratto il lavoro così all'improvviso.

"Ssssse Erissss sssssarà abbastanza contenta di averlo pressso, forsssse ce lo lassssscerà mordicchiare un pochino." Asserì la prima, accarezzando i capelli arruffati del figlio di Ade con un gesto tanto veemente che Arianna lo trovò disgustoso. "Ci mancava poco e quessssto marmocchio avrebbe rovinato il sssssssuo piano."

"Già, folle! Venire da ssssssolo fino nel Tartaro..." replicò l'altra. "Che ssssciocco!"

Tartaro.

Arianna non poté che rabbrividire. Era quello il Tartaro? Quel posto così minaccioso da non sembrare nemmeno nella loro stessa dimensione? Chissà come mai non ne era tanto sorpresa.

L'echidna che aveva colpito Nico scoppiò in una tetra risata: "I mortali proprio sssse la cercano, la morte. Io invece, fossssssssi sssstata in lui, non ssssarei mai sssscesa quaggiù per convincere gli ssssprettri a prendere le parti degli dei. Ssssssse proprio ci tengono alla pace, gli dei dovrebbero degnarsssi di sssscendere dall'Olimpo e fare le cose per conto proprio!"

"Ssssssono perfettamente d'accordo, ma non pensssiamoci. Erisss lo vorrà al più presssto." Decise alla fine una delle Echidne.

Arianna, che in tutto questo si era avvicinata discretamente a Nico, gli premette due dita sulla giugulare per scrollarsi di dosso l'opprimente sensazione che in tutto questo ci avesse lasciato le penne. L'aveva visto fare da sua mamma tante di quelle volte che ormai conosceva il procedimento a memoria e avrebbe riconosciuto senza problemi l'inconfondibile pulsare dell'arteria sui polpastrelli. Il battito c'era, ma era parecchio debole: ma nonostante questo, avrebbe vissuto. Certo, non se a questa "Erisssss" fosse venuto il guizzo di finire il lavoro. Arianna si rimise in piedi, interpretando la terribile sensazione avuta pochi attimi prima come inevitabile conseguenza del colorito cadaverico del ragazzo, non di certo come funesta premonizione. Per una volta le sue impressioni sarebbero fortunatamente rimaste tali: impressioni.

Il ragazzo, che pur essendosi appena svegliato era rimasto bloccato nello stato di semi-incoscienza, poco dopo essere stato preso e sollevato dai due mostri, ebbe miracolosamente la forza di mormorare: "Arianna, ti prego, dì a Chirone che la discordia..."

Ma, senza nemmeno dare il tempo alla figlia di Hypno di meravigliarsi di essere stata interpellata da qualcuno in un sogno, né di finire di ascoltare ciò che il figlio di Ade le stava dicendo, Clovis la svegliò scuotendola per le spalle.

"Russi." Le riassunse quando gli chiese spiegazioni. "Hai svegliato tutti."

Arianna si alzò dal letto, appena cosciente delle occhiatacce che le stavano rivolgendo gli altri due fratelli. Si strofinò gli occhi sbadigliando.

"Mi dispiace tanto di avervi dato fastidio," si scusò con loro. "Ma tanto adesso esco e vi lascio dormire in santa pace: ci vediamo all'ora di cena."

Senza aggiungere altro - e senza che i figli di Hypno aggiungessero altro - uscì di corsa dalla Cabina 15 ed imboccò la strada che portava alla Casa Grande. Doveva parlare con Chirone, rivelargli ciò a cui aveva assistito. Anzi, prima di Chirone doveva parlare con Will. Spiegargli la situazione. Magari alleggerirgli il carico di preoccupazione omettendo che nel Tartaro Nico era stato colpito con una pietra da un'echidna. No, affatto: in effetti era meglio avvisare prima Chirone. Will, per quanto importante, in questa faccenda occupava un posto nettamente secondario.

La Casa Grande si poteva raggiungere dalla Cabina 15 in appena due minuti di camminata sostenuta, ma forse si sarebbe sbrigata prima se durante il percorso non avesse incrociato la sorella di Nico, Hazel, che stava ritornando con il suo ragazzo da una passeggiata lungo il laghetto delle canoe.

Non appena la videro, la salutarono entrambi con allegra gentilezza.

Ma c'era qualcosa nello sguardo lugubre della figlia di Hypno, nell'agitazione inusuale che gli percorreva il corpo, che fu abbastanza per far intuire ad Hazel che era successo qualcosa di grave. Le chiese che cosa fosse successo, e per un attimo Arianna fu incerta se risponderle o meno.

"Nico."

La figlia di Plutone aggrottò le sopracciglia, come se non capisse che cosa avrebbe mai potuto fare di male Nico se se ne stava tutto il giorno per conto suo, chiuso nella cabina 13, né come facesse Arianna a sapere che cosa stava combinando suo fratello.

Che cos'avrebbe dovuto saperne Arianna, effettivamente? Nulla, in verità. Nemmeno si capacitava del perché Nico di Angelo, tra tutti quanti, tra tutte le possibili scelte (di sicuro e di gran lunga più affidabili di lei, giovane semidea inesperta e parecchio nuova al mondo semidivino), aveva chiesto a lei quello che avrebbe dovuto chiedere ad altri. Perché non Will? Perché non sua sorella Hazel? Perché aveva scelto proprio lei, che non l'aveva visto di persona neanche una volta?

"Tartaro. Discordia. Preso. Chirone. Adesso." riassunse, ma nel concreto risultò molto più sbrigativo di come l'aveva formulato nei suoi pensieri.

"Eh?" chiese Frank titubante.

"Nico è sceso nel Tartaro!"

"EH?"

Poco dopo si trovavano tutti e tre a correre a rotta di collo lungo la strada sterrata in direzione della Casa Grande, ma più vi si avvicinavano più Arianna cominciava ad avere dei seri dubbi sul suo piano.

In primo luogo, non era sicura al cento per cento che il sogno che aveva fatto avesse basi veritiere o fosse, appunto, soltanto un sogno. E se con le sue parole avesse allarmato tutti per poi scoprire che Nico era, che ne so, a giocare a dama con uno zombie? E se una volta saputo del sogno Will si fosse buttato nel Tartaro senza dire dientr a nessuno? E se Percy avesse fatto qualche altra cavolata di questo genere?

D'altra parte, Hazel e Frank ormai ne erano a conoscenza. Ora che il danno era fatto doveva semplicemente finire il lavoro e togliersi il dente, e comunque era abbastanza inutile farsi venire i dubbi esistenziali sul suo piano mentre stavano correndo verso la Casa Grande.

"Dove correte?" Era stato Jason a parlare.

Indossava la maglietta di Campo Giove e un paio di jeans meticolosamente puliti, i capelli ordinati e tenuti a posto con del gel. Tipico, pensò Arianna.

"Nico." disse sbrigativa, con l'accompagnamento sbrigativo del coro composto da Frank e Hazel.

"Nico? Qual è il problema con Nico?"

➳➳➳

"No, state scherzando." Esordì Percy allarmato, per poi soggiungere, più rivolto all'Olimpo che agli astanti: "Ma accidenti, è possibile passare un'estate senza problemi che abbiano a che fare con voialtri?"

Annabeth replicò con un secco no.

Quando la figlia di Hypno aveva incontrato Jason, questi le aveva detto che stava andando alla Casa Grande, dove già si era riunita la maggiornanza dei capi-cabina per parlare con Chirone. Non aveva specificato i motivi di questa riunione, ma Arianna non aveva avuto intenzione di scoprirli. 

Arianna, seduta a gambe incrociate accando ad Hazel, si lasciò sfuggire un sospiro sconsolato, senza nemmeno spostare gli occhi dai due ragazzi che stavano avendo un intenso dibattito su quante reali possibilità aveva Nico di spuntarsela: "Will non deve assolutamente venirlo a sapere," disse.

Ma in quel preciso istante si era sentito il rumore della porta che veniva accostata, e subito dopo vide spuntare alle spalle di Jason una testa di ricciuti capelli biondi: "Non devo venire a sapere che cosa?"

Arianna avrebbe dovuto immaginare che il suo tasso di sfortuna aveva raggiunto, nell'ultimo periodo, un livello davvero ineguagliabile.

"Allora? Mi volete spiegare che cos'è successo?" Incalzò Will perentorio.

Il ragazzo dai tratti elfici - Percy l'aveva chiamato più volte Valdez, ma la figlia di Hypno ancora non era sicura del nome - ricercò con lo sguardo il permesso di parlare. E se Arianna l'avesse conosciuto un minimo, probabilmente non gli avrebbe dato il cenno di consenso che tanto andava cercando.

"Allora," prese a parlare Valdez. "C'è una piccola possibilità poi non tanto piccola che il tuo inquietante ragazzo sia sgattaiolato fuori dal campo, che si sia recato da solo nel Tartaro (inimicandosi nel mentre una divinità e forse un paio di eserciti) e lì sia stato messo KO dalla sassata di un'echidna."

Non appena si furono accorti dell'espressione cinerea di Will, Piper gli tirò un ceffone sulla nuca: "Leo!"

Will, con delle movenze sciolte che avevano un non so che di innaturale, si era seduto con calma accanto a Jason, ma il suo mordicchiarsi le unghie era un indice piuttosto attendibile di quanto in verità fosse nervoso: "Dai, piantatela" ordinò "Non mi piacciono questi scherzi."

Arianna scosse tristemente la testa, mormorò che non era uno scherzo e poi attaccò a raccontargli l'intera storia. Ad ogni parola, ad ogni breve pausa, Will sembrava sempre più preoccupato di prima.

"E se fosse semplicemente un sogno?" Pigolò, senza nemmeno provare a nascondere le sue speranze. "E se Nico fosse semplicemente andato a fare due passi?"

Arianna avrebbe tanto voluto credergli, davvero, e forse una parte di lei era ancora attaccata con le unghie a questa vana speranza. Ma, d'altra parte, sapeva che cosa aveva visto. Sapeva che cos'era successo al figlio di Ade. E continuava ad avere una brutta sensazione, un brutto presentimento su ciò che sarebbe successo nei giorni a venire. 

"Non penso, Will" mormorò Annabeth. "Ricorda che Arianna è una figlia di Hypno, dopotutto... E se Nico le ha veramente parlato in sogno come sostiene, allora c'è un'elevata probabilità che tutto questo sia accaduto davvero."

La conferenza si divise ben presto tra chi sosteneva la tesi di uno e chi invece appoggiava quella dell'altro: Arianna se ne stava in silenzio, in un angolino, e spostava svogliatamente lo sguardo sul retore del momento. 

"Ehi, Ragazza Saggia" urlò Valdez ad Annabeth. "Considera l'idea che magari il nostro Raggio di Sole sia andato a fare un pic-nic con i suoi amici cadaverini!"

Ma prima che Annabeth potesse ribattere, Chirone scosse tetramente il capo: "Non credo si tratti di una semplice gita al parco, signor Valdez."

"E perché mai?" Domandò Clarisse la Rue.

"Perché questo pomeriggio è arrivato un messaggio iride da un utente sconosciuto, e la scena che ho visto era perfettamente identica a quella che ci ha raccontato Arianna."

 

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