ricordi d inverno cap 2
cap 2
Il giorno
dopo il tempo non era migliorato. Durante la notte la neve
aveva smesso di
scendere ma il vento aveva ululato a lungo facendo stare
sveglie buona parte
delle cameriere. Oscar e Andrè stavano per partire,
nonostante le preghiere
della nonna. "Ragazzi, non vorrete uscire con questo tempo,
è caduta
troppa neve e se dovesse succedervi qualche cosa?" Andrè le
si avvicinò
per darle un bacio sulla guancia destra:
"Non preoccuparti, nonnina. Ha
smesso di nevicare, cosa vuoi che ci succeda?" Oscar cercò
di tranquillizzarla,
ma era preoccupata, era caduta davvero tanta neve e il tempo
non
sembrava voler migliorare. "Non preoccuparti, non siamo
più bambini,
sappiamo cavarcela".
Aveva
ricominciato a nevicare, i fiocchi candidi scendevano lenti. Il
rumore degli
zoccoli dei cavalli erano attutiti dalla neve fresca.
Nonostante
l'aria gelida che sferzava i loro volti le loro mani, i due
cavalieri non sentivano
troppo freddo, il corpo del cavallo riusciva a dare un po'
di tepore.
Più
proseguivano, più diventava difficile andare avanti, in
certi punti la
neve era talmente alta da rendere difficoltoso il passaggio,
nonostante
l'incitamento arrancavano nella coltre bianca con
difficoltà. Si
dovevano fermare spesso per far riposare le loro cavalcature.
Per
Oscar e Andrè era
difficile non far cadere i due animali e non cadere a loro
volta: sotto la
neve appena posata c'era l'insidia del ghiaccio, il rischio che uno
dei due
destrieri scivolasse e si rompesse una gamba era elevato.
Più
passavano i minuti più la neve veniva giù con
insistenza e si
faceva fitta, attaccandosi addosso a capelli e vestiti. Oscar si
voltò per guardare in che condizioni fosse André.
Gridando per
farsi sentire gli disse "Dobbiamo trovare un riparo, non
possiamo
continuare così." Andrè proteggendosi il viso con
il braccio
riuscì a
gridare: "Andiamo verso il mulino abbandonato, è abbastanza
vicino. Appena avrà
smesso di nevicare ritorneremo a Parigi."
Andrè
spronò il cavallo per affiancarsi ad Oscar. La neve che
continuava a
cadere in fiocchi sempre più grossi e la morsa del freddo
così
pungente da far lacrimare gli occhi diminuivano drasticamente la
visuale.
Erano in
mezzo a una tempesta di neve. Gli alberi continuavano a strepitare
per il peso del manto bianco e la forza del vento, sembrava quasi che
volessero dare un monito agli imprudenti cavalieri. All'improvviso
un rumore secco e molto forte, provocato probabilmente da un ramo che
si spezzava, fece scartare Cèsar. Andrè prese le
redini di Oscar
per appaiare meglio i due cavalli, in questo modo era più
sicuro
avanzare nella neve che continuava a salire.
Oscar, a
malapena riusciva a rimanere in sella, cercava disperatamente di
calmare l'animale. Andrè placò il niveo stallone
sussurrandogli
dolci parole, con un tono di voce talmente caldo da far vibrare anche
l'anima di Oscar, che arrossì sino alle punte dei capelli.
Quando
alla fine posò il suo sguardo sul volto di lei, si
accigliò e le
disse: "Oscar, come sei rossa!! Stai bene?" gli rispose
con tono freddo, "Sì, sì sto bene"; di nuovo lui
che non
sembrava convinto: "Ne sei sicura?" "Ti ho detto di
sì, non insistere!" rispose con tono stizzito.
Non ce
l'aveva con Andrè, anzi le era molto grata per quel suo
ultimo
gesto, ma non
voleva far trapelare le sue emozioni che tanto difficilmente riusciva
a controllare e che altrettanto facilmente la sola presenza di
Andrè
riusciva a provocare.
Dopo circa
un ora di viaggio riuscirono ad arrivare nei pressi del mulino. Era
un vecchio
mulino diroccato, era stato distrutto da un incendio
cinquant'anni prima, le
pale erano state parzialmente distrutte dal fuoco, era rimasto solo
lo scheletro
nero, le parti in mattone avevano resistito al fuoco, ma era in stato
di abbandono totale. Era stato per anni luogo di rifugio per
vagabondi e senza tetto, per viandanti di
passaggio.
Da piccoli Oscar e Andrè andavano spesso
a giocare in quel
luogo. Senza dire nulla alla nonna che proibiva ad entrambi di
avvicinarsi al mulino perché pericolante, prendevano i
cavalli,
felici di trasgredire l'ordine ricevuto. Era una sorta di patto,
appena si guardavano negli occhi si capivano al volo.
In mezzo
alla campagna, non c'era nessuno, erano liberi di fare quello
che volevano. Fra gli sconfinati campi c'era solo
quella grande
costruzione abbandonata, l'unica dove si potevano nascondere,
giocare, creare storie di paura.
Finalmente arrivarono al vecchio
mulino, infreddoliti e bagnati. Nonostante ci fossero spifferi e
buchi il tetto aveva solo una piccola apertura, da lì non
entrava
molta neve. L'interno era sporco di muffa. Quando entrarono si misero
una mano sopra il naso e la bocca, per la puzza di chiuso e muffa,
Andrè fu il primo a parlare "L'odore non è dei
migliori, ma
piuttosto che stare al freddo, per ripararsi per poche ore
andrà
bene."
Andrè legò
i cavalli in un angolo dello stanzone vicino alla macina,
accarezzando il muso e parlando a bassa voce per rassicurarli. Oscar,
passato il primo momento di sgomento per il freddo, andò al
piano di
sopra per controllare in che condizioni fosse il resto dello stabile.
I gradini erano malandati, ma camminando sul bordo avrebbero retto il
suo peso ma forse non quello di Andrè. Il secondo piano non
era in
buone condizioni, dal tetto entrava un po' di neve, pensò
che fosse
stato meglio rimanere al piano inferiore. Guardò fuori dalla
finestra, la neve continuava a cadere, il vento ululava tra le
persiane rotte, facendole sbattere rumorosamente. In poche ore si
erano trovati in mezzo a una tempesta. "Oscar, tutto bene?".
Rispose ad Andrè dicendo di salire le scale, stando attento
ai
gradini che erano marci. Oscar vide che Andrè aveva preso
della
legna, alcuni pezzi erano marci, altri in buono stato.
"Almeno
non moriremo di freddo." Andrè guardò fuori dal
buco del
tetto, o di quello che
ne rimaneva, la neve non sembrava diminuire.
"Andrè, è meglio
se rimaniamo giù, il pavimento del secondo piano
è marcio, non
reggerà il nostro peso." Decisero di rimanere accanto agli
animali, vicino alla macina, improvvisarono un giaciglio.
Andrè
accese il fuoco, si avvolse meglio nel mantello, Oscar fece lo
stesso, ma si sedette dalla parte opposta vicino al muro;
rabbrividì, avrebbe voluto togliersi i vestiti
bagnati.
Non dissero nulla per
molto tempo, l'unico suono era lo sbattere delle
persiane e l'ululare del vento, il fuoco che crepitava allegro.
Quando un pezzo di legno si staccò provocando un rumore
secco, Oscar
trasalì. Vide Andrè togliersi il mantello e
appoggiarlo a un chiodo
arrugginito. "Ti conviene togliere il mantello
è bagnato,
fallo asciugare." lei gli rispose, "Per ora no, preferisco
tenerlo. Non ho tanto freddo", mentì spudoratamente.
Andrè
sapeva che era meglio non contraddirla, se non voleva farlo
non le avrebbe certo fatto cambiare idea lui. Decise di
cercare altra legna.
Si alzò per rompere il pavimento per ricavarne legname,
stando
attento alle schegge, poi si dedicò ai cavalli. Oscar rimase
accanto
al fuoco, stranamente taciturna. seguiva con lo sguardo tutti i
movimenti di Andrè, si sentiva stanca, le palpebre pesanti.
Si tolse
il mantello, il freddo le era penetrato nelle ossa,
iniziò
a tremare, si sentiva la febbre addosso. Andrè
notò che lei non
stava bene. Oscar era rannicchiata addosso al muro, il suo viso era
pallido e stanco. "Oscar, tu stai male." Le si avvicinò,
le mise una mano sulla fronte. Era calda.
"Hai la
febbre". Andrè prese lo zaino e la coperta. Mise la coperta
sulle spalle di Oscar. "Dovresti toglierti questi vestiti
bagnati e farli asciugare." Oscar lo guardò, poi
abbassò
subito lo sguardo, arrossendo. "Ma ho freddo". Andrè
cercò
di essere convincente, "Lo so che fa freddo, ma sai bene che
è
meglio non avere indumenti bagnati addosso, quando fa così
freddo.
Visto che c'è il fuoco possiamo farli asciugare. Le sue
parole
sembravano avere un effetto rassicurante.
"Girati".
Andrè riuscì a percepire appena la voce di Oscar,
questa volta non
gli aveva dato un ordine, la sua era una richiesta. Andrè si
girò e
chiuse gli occhi. Sentì il rumore degli stivali e degli
abiti
cadere, prima la giacca, poi la camicia,le calze, i calzoni. Quando
non sentì più nulla chiese se poteva rigirarsi.
"Si, Andrè,
sono nuda." Ma si affrettò ad aggiungere "Cioè,
ho la
coperta addosso". Ad Andrè la situazione iniziava a piacere,
Oscar così imbarazzata non l'aveva mai vista. Quando si
girò la
vide intenta a tenersi la coperta ben aderente al corpo con una mano
e cercare di ripiegare un po' meglio i vestiti. Notò che
nonostante
il tepore del fuoco, aveva la pelle d'oca sulle braccia.
Andrè
prese la sella, avvicinandolo al fuoco, vide che lei stava cercando
di ripiegare i vestiti. "Aspetta, Oscar. Possiamo appoggiarli
sulle selle, così si asciugheranno prima. Oscar si sentiva
stanca si
appoggiò al muro, vicino c'erano i due mantelli, vide che
erano
asciutti. Mentre Andrè era indaffarato a mettere i vestiti
ad
asciugare, Oscar improvvisò un giaciglio mettendo il suo
mantello
per terra. "Andrè, dovresti toglierti anche tu i vestiti, in
fondo anche i tuoi sono bagnati." La voce di Oscar risuonò
chiara nella stanza. Andrè, la guardò per un
momento. "Lo so
che abbiamo una sola coperta, non voglio farti morire di freddo, la
useremo insieme". Le ultime parole di Oscar furono sussurrate,
abbassò gli occhi, arrossendo. Andrè sorrise, un
comportamento
strano il suo, le si avvicinò per sentire se aveva ancora la
febbre.
Gli occhi erano lucidi e la fronte scottava. "Stai proprio male,
non mi avresti mai detto una cosa del genere. Voltati." Oscar,
lo guardò. "Se mi devo spogliare non lo voglio fare con te
che
mi guardi". Lei gli ubbidì, pensando che era la prima volta
che
il suo amico aveva problemi a spogliarsi. In estate lo vedeva spesso
a petto nudo, mentre sbrigava le faccende o si occupava dei cavalli,
ma nudo completamente, non l'aveva mai visto. Oscar se lo vide
davanti, avvolto nel mantello. Lei si appoggiò alla parete,
la
febbre la rendeva debole e pensava che si era andata a cacciare in
una bella situazione. Andrè, nel frattempo, si era sdraiato
sul
mantello di Oscar, utilizzando lo zaino come cuscino. "Vieni
qui". Oscar sembrò un po' titubante. "Guarda che se
disperdiamo calore è peggio".
Lei gli si
sdraiò accanto, tremava per il freddo, si sentì
stringere dalle
braccia di Andrè, la sua gamba era appoggiata a quella di
Andrè.
Lui iniziò ad accarezzarle la schiena, le spalle nude, le
braccia.
Grazie alle continue carezze e al suo corpo caldo, Oscar
iniziò a
sentirsi meglio, le piaceva sentire il suo cuore battere ed essere
sul suo petto ampio. Il corpo di Andrè reagì in
maniera naturale
alla presenza di Oscar, le era troppo vicino, poteva sentire il suo
calore, il suo profumo. Lei percepì la sua erezione, contro
la coscia, lo guardò, gli occhi chiusi in due
fessure.
Andrè distolse
lo sguardo posandolo sul fuoco, come se nulla fosse.
"Ma non eri
nudo, Andrè? Ti sei portato anche una pistola per difendermi
meglio?" La battuta sarcastica di Oscar gli fece abbassare lo
sguardo in un primo momento poi aggrottò le sopraciglia:
"E tu,
non dicevi di essere un uomo, Oscar? Per gli uomini questo è
naturale, quando stanno vicino a una bella donna! ".
Andrè
chiuse gli occhi, si morse il labbro inferiore per imporsi di non
andare avanti, avrebbero finito per litigare; era l'ultima cosa che
avrebbe voluto fare.
Oscar sospirò, appoggiò la
testa al petto di
Andrè. Tra i due si creò un silenzio carico di
tensione e
imbarazzo. Lei avrebbe voluto andarsene, interrompere quel contatto
tra i loro corpi, ma faceva troppo freddo e si sentiva esausta,
decise di rimanergli accanto.
Oscar sapeva che in fondo Andrè aveva
ragione, un angolino nascosto del suo cervello, quella parte
femminile che non voleva considerare, che le aveva fatto commettere
quella sciocchezza per il conte di Fersen, dava ragione ad
Andrè.
Per lei era tutto più difficile, anche
lei si sentiva strana, ma non
sapeva se per la febbre o per la sua presenza. Sospirò,
sentì che
aveva freddo alle spalle, Andrè aveva interrotto il
contatto, non la
copriva più con le sue braccia.
Lui non sapeva più cosa fare, si
sentiva diviso in due parti, aveva una voglia matta di fare l'amore
con lei, ma quello che gli impediva di fare qualsiasi cosa era la
paura di perderla per sempre, aveva fatto un errore una volta,
sarebbe stato stupido commetterne un altro proprio ora che si stavano
riavvicinando, che era ricominciato un dialogo.
Fuori continuava a
nevicare, il vento continuava ad ululare, facendo sbattere le
persiane rotte, spifferi d'aria gelida si insinuavano all'interno del
mulino. "Oscar, hai paura di me?". La voce di Andrè era
chiara, la domanda aveva preso alla sprovvista Oscar che
alzò il
viso per guardarlo negli occhi. Quello che vide le fece tenerezza.
Gli occhi di Andrè erano dolci e tristi. Sospirò,
appoggiò le mani
sul suo petto e poi il mento. Per cercare di rincuorarlo gli sorrise
e gli disse: "Un tempo si. Ho avuto paura di te,
perché….."
Lo vide chiudere gli occhi, riaprirli lucidi.
"Ora non più, so
che potrò sempre contare su di te". Una lacrima
sgorgò sulla
sua guancia, lo sentì deglutire.
Andrè rimase stupito, sentì
il
pollice freddo di Oscar toccargli la guancia e togliere la lacrima.
Le bloccò la mano, tenendola stretta nella sua
più calda; lui era
più caldo perché si sentiva in fiamme,
già il solo fatto di
tenerla fra le braccia gli dava sensazioni provate solo nei suoi
sogni, queste però erano reali. Si avvicinò la
mano di Oscar alla
bocca e vi soffiò alito caldo, uscì una nuvoletta
bianca. Il
freddo entrava dagli spifferi, ma Oscar cominciava a sentire caldo,
grazie alle attenzioni di Andrè; si appoggiò sul
suo petto e si
addormentò. Lui guardò il fuoco per un momento,
poi guardò il viso
della donna amata, continuò ad accarezzarle i capelli, la
schiena,
sentiva il suo corpo sopra il suo, il suo seno, il suo cuore.
Oscar aveva
dormito per un'ora, un sonno agitato e leggero. Andrè
cercando di non
svegliarla con molta delicatezza, aveva utilizzato un fazzoletto
e la neve per
rinfrescarle la fronte, le aveva dato da bere sciogliendo
la neve
nelle
sue mani. Quando aveva riaperto gli occhi si era ritrovata
lo sguardo
dolce di Andrè puntato addosso. Erano così
vicini, lei riappoggiò
la testa sul
suo petto, ora il cuore di Andrè batteva calmo. Fuori il
tempo non era
migliorato, continuava a nevicare anche se il vento si era calmato
un po'.
Oscar
aveva meno freddo, ma si sentiva bruciare la gola, non stava per
niente bene. Si sentì accarezzare la testa.
"Non mi
avrai mica guardato per tutto questo tempo dormire?" Andrè
sorrise, assentendo.
Andrè si spostò verso
l'esterno per farle cambiare posizione. "La mia
parte è più calda, se ti sdrai sul mantello
sentirai meno freddo."
Oscar lo
guardò, si aggiustò la coperta addosso, le spalle
e le braccia erano nude,
sentiva freddo, si sdraiò nel suo posto.
Aveva ragione, il suo posto era
davvero tanto più caldo. Andrè si alzò
controllò i vestiti, ormai
erano asciutti.
Prese la giacca della divisa, i calzoni, iniziò a
rivestirsi. Cercò
un posto riparato per rimettersi i calzoni, la voce di Oscar lo fece
voltare "Tranquillo, non ti guardo, rivestiti con calma". I capelli
lunghi erano appoggiati sullo zaino, il viso pallido, gli occhi
lucidi. Oscar stava male, ed era troppo strana.
Andrè
tenendo i lembi del mantello con una mano, si infilò i
calzoni, si
tolse il mantello, si avvicinò al giaciglio e mise il
mantello sul
corpo della donna, poi finì di rivestirsi. Si sentiva meglio.
Si avvicinò
alla sella per controllare i vestiti di Oscar, erano asciutti.
Lui prese i
vestiti e si girò verso di lei. Si mise seduta, ma le girava
la
testa. "Ce la fai a rivestirti?" Le mise una mano sulla
fronte, era ancora calda. Lei gli toccò la mano, la prese
"Si,
Andrè, mi gira solo un po' la testa, adesso mi rivesto anche
io".
Andrè le porse i vestiti. I movimenti erano lenti, si
liberò del
mantello. Andrè si girò, andò verso
Cèsar per evitare di
guardarla, si avvicinò al bianco destriero accarezzandogli
il
possente torace e il collo. Senza voltarsi le disse: "Se hai
bisogno, chiama." Oscar con qualche difficoltà, con
movimenti incerti, riuscì a vestirsi. Brividi di freddo le
percorsero il corpo,
le orecchie le ronzavano, la testa le doleva.
Si strinse
il mantello addosso e si risdraiò sul giaciglio, appoggiando
la
testa sullo zaino. "Andrè, vieni qui." La sua voce era un
sussurro. Andrè si avvicinò, prese un po' di
legna per ravvivare il
fuoco. Rimasero seduti vicini, fissando il fuoco, senza dire una
parola. Il tempo scorreva lento, il vento si era calmato,
Andrè si alzò
guardò fuori dalla finestra, da una persiana rotta si
intravedeva il
paesaggio candido, si riandò a sedere vicino ad Oscar, lei
cambiò
posizione sedendosi accanto a lui.
Andrè sentì la testa di Oscar
sulla sua spalla, si era riaddormentata. Cercando di non svegliarla,
la strinse in un caldo abbraccio. Rimasero nel vecchio mulino fino a
quando la tempesta cessò. Il paesaggio era avvolto da neve
soffice,
il sole pallido faceva il suo ingresso perforando con i raggi le nubi
grigie e spesse, gonfie di pioggia. Solo nel tardo pomeriggio, si
avviarono verso casa. Oscar era seduta sul cavallo marrone, il
braccio destro di Andrè la reggeva per la vita, con l'altro
teneva
le redini, spronando il cavallo ad andare avanti. Cesar era stato
legato alla sella di André, li seguiva a passo lento.
Impiegarono
diverse ore a raggiungere palazzo Jarejayes ma erano sani e salvi.
In una
serata di maggio Oscar tornava a casa lentamente nel tramonto.
Il
paesaggio era spoglio, l'erba secca e rada era mossa dal vento caldo, i
colori del cielo avevano delle tonalità rosso e arancio,
qualche
nuvola grigia passava veloce trasportata dal vento.
Il sole, stava
scendendo gradualmente, la palla infuocata veniva inghiottita
dall'orizzonte fino a diventare uno spicchio carminio.
Il Sole al
tramonto stava lasciando il posto alle prime pallide stelle, dava
riflessi ambrati ai capelli di Oscar mossi dal vento.
Il cavaliere
accanto a lei, le parlava d'amore, parole dolci piene d'affetto che
solo un uomo innamorato poteva sussurrare.
L'aspettava come sempre,
come accadeva da un po' di tempo, tutte le sere, alla stessa ora,
davanti all'uscita della Caserma. Oscar si era abituata alla sua
presenza, ormai non gli dava nemmeno più fastidio.
La stizza
iniziale si era dissolta lasciando il posto all'indifferenza. Per lei
fare il viaggio di ritorno da sola o con la nuova presenza era lo
stesso. Oscar si guardava attorno, distratta; sentire quelle parole
le dava fastidio, la imbarazzava.
Guardò verso il sole, ormai non
dava più fastidio, la sua luce si stava spegnendo. Il vento
continuava a soffiare, creando piccoli vortici, facendo sollevare la
terra fine dei campi arati pronti per la semina.
Oscar non sentiva le
parole del giovane, lui continuava a parlarle ma lei sentiva solo il
suono del vento, un ululato triste che le entrava nella testa, lo
sbattere delle persiane, freddo tanto freddo, un corpo caldo che le
infondeva forza calore e dolcezza. Alla sua destra si
stagliava la figura
scura del mulino a vento.
A Oscar ritornarono in mente dolci ricordi
di un inverno freddo, molto freddo; un lieve sorriso incurvò
le sue
labbra.
Voltò il cavallo verso il cavaliere, lo
guardò negli occhi
con voce ferma, gli disse: "Fareste meglio a dimenticarmi
Girodel, non sono fatta per il matrimonio, Dimenticatemi." La
sua voce risuonò dura, non era stata una richiesta, ma un
ordine.
"Da questo momento ritornerò a casa da
sola". Rigirò il
cavallo spronandolo a correre via veloce, senza attendere la
risposta, senza voltarsi indietro.
L'uomo sospirò, i capelli lunghi,
castani, mossi dal vento, chinò la testa al suo volere, si
portò
una mano al cuore. Sapeva che era finita, anche se non era mai
iniziata in fondo, aveva sperato inutilmente; girò il
cavallo dalla
parte opposta e se ne andò avvilito.
Oscar corse veloce, cercando di
liberarsi la mente dai problemi, dai pensieri negativi. Sentiva sotto
di se il corpo di Cèsar, i muscoli tesi per lo sforzo, come
se fosse
contento anche lui di correre libero, senza costrizioni.
Anche lei
voleva essere libera di decidere, dopo una vita di ubbidienza nei
confronti di suo padre, dell'Esercito, della Regina, avrebbe
finalmente fatto quello che voleva, poteva decidere la cosa giusta o
quella sbagliata ma era lei a decidere non qualcun altro; libera di
decidere e di amare chi voleva, questo era il privilegio più
grande.
Ripensò sorridendo alla proposta di Girodel e alle sue
parole.
"Dimenticatemi, non sono fatta per voi." Pensò tra
sé, C'è solo un uomo che può
permettersi di guardarmi negli occhi
e farmi arrossire. Solo un uomo. Un sorrise dolce le incurvò
le labbra, un altro pensiero le scaldò il
cuore. Sei sempre
stato con me, sei la mia ombra, sei parte di me da sempre, niente e
nessuno ti porterà via da
me, è solo che ancora non lo sai.
Spero che questo racconto sia piaciuto, scritto
veramente un ventennio fa, non ricordavo neppure di averlo, fatemi
sapere i vostri pareri, grazie a chi
passa, chi legge, o lascia
un commento. grazie a voi.
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