Il Soldato d'Inverno

di summer_time
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Missione: recupero del Soldato ***
Capitolo 2: *** Missione: primo contatto ***
Capitolo 3: *** Missione: esplorazione veicolo ***
Capitolo 4: *** Missione: affermazione di potenza ***
Capitolo 5: *** Missione: conoscenza dei giocatori ***
Capitolo 6: *** Missione: confronto con il Concilio ***
Capitolo 7: *** Missione: libertà ***



Capitolo 1
*** Missione: recupero del Soldato ***


Dicono del Soldato d’Inverno che sia bello come un angelo, con la pelle di porcellana e le mani delicate.
Dicono del Soldato che il sangue dei suoi nemici brilli sulla pelle diafana delle sue mani e che assomigli alla Morte.





Pianeta Madre Terra. Millesettecentosessant' anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

L’archeologo James Kçasip osservava il pianeta da cui tutto aveva inizio, la Terra – il famoso pianeta azzurro, una leggenda in tutte le galassie – che ora gli appariva in tutto il suo orrore: degli azzurri mari non rimaneva che qualche lago salmastro e scolorito, inaciditi dai gas usati nelle guerre; l’atmosfera brillava grazie ai riflessi metallici di tutti i droni, satelliti e spazzatura varia lasciati dai loro antenati mentre il resto della terra, il terreno vero e proprio, veniva continuamente rimodellato dai venti aridi e incessanti che rendevano il suolo inospitale e terribilmente caldo. Nessuno abitava quel pianeta da secoli.

Continuò a osservare il pianeta, perso nei dettagli di quella che poteva rivelarsi la più brillante, la più fruttuosa e forse la più impegnativa delle sue missioni di scavo: il suo progetto era ambizioso, fin troppo e lo sapeva anche lui, ma per nulla al mondo avrebbe rinunciato a questa possibilità, dopo quasi cinquant’anni persi a pregare il concilio del Museo Generale in una - anche minima – spedizione. Lui sapeva che era là, nascosto nelle profondità del terreno, protetto da innumerevoli strati di piombo in modo da sviare l’attenzione degli scanner, addormentato e in attesa di ordini: era cresciuto sentendo la storia del Soldato d’Inverno da sua madre e suo padre, di come fosse stato addestrato a combattere, a sopravvivere e a obbedire agli ordini per poi essere congelato e sepolto nelle viscere della Terra poiché troppo pericoloso se non controllato costantemente. Era diventato un archeologo solo per trovarlo, per fare la scoperta del secolo: riportare alla luce un pezzo di storia in sostanza perduto. E solo lui poteva farlo – sentiva che solamente lui aveva le conoscenze necessarie: aveva studiato giorno e notte per notare anche i minuscoli dettagli della sua localizzazione, aveva sgobbato dietro alla traduzione di testi scritti in una lingua incomprensibile, ingerendo ogni rifiuto del concilio e preparando una futura spedizione nei minimi dettagli. Aveva un buon presentimento: aveva composto la squadra di ricerca in modo minuzioso e aveva acconsentito anche alla partecipazione dei militari dell’Unione, tutto pur di avere la miglior tecnologia a disposizione e di partire alla prima occasione.

“Dottore, la prego di sedersi: si prepari all’atterraggio.“

La voce di uno dei sottoufficiali della navetta lo fece tornare alla realtà: con un cenno del capo congedò il Krillarg di fronte a lui e s’incamminò verso la sua squadra, non senza aver lanciato un’occhiata alla figura snella e slanciata dietro di lui; erano creature affascinanti i Krillarg, lo ammetteva: dediti al lavoro in squadra e alla cooperazione con le varie specie, erano praticamente inoffensivi normalmente ma durante la stagione degli amori secernevano un liquido urticante piuttosto fastidioso dalle lunghe unghie gialle. Erano i privilegiati dai ricchi capitani di navette spaziali per la loro obbedienza ed eccellente supporto meccanico, e James non poté che sorridere tra di sé: l’Unione aveva un interesse particolare quasi quanto il suo per il Soldato.

“Capo è pronto?”

Il suo secondo, il Dottor Kurt Hollander, lo guardava sorridendo sornione, comodamente seduto in una delle tante poltrone presenti nella stanza: James non smise di sorridere lasciando parlare l’eccitazione visibile del suo volto per lui. Conosceva quel ragazzo – perché di una matricola appena uscita dalla facoltà si trattava – da quando era nato ma non si stupiva della sua veloce ascesa, avere dei genitori potenti alle spalle l’aveva sicuramente aiutato ma il grosso del lavoro lo aveva fatto quel cervello svelto e l’abilità di decriptazione dei testi antichi: non c’era lingua anticamente parlata che Kurt non conoscesse a menadito. Conosceva anche i suoi genitori da una vita e li aveva parecchio rassicurati su questa spedizione a loro avviso pericolosa per il secondogenito: Gwen e Kahl Hollander erano stati entrambi suoi vicini di casa durante la sua infanzia e poi compagni di Facoltà, nonostante loro si fossero specializzati in economia spaziale, lei, e valutazione oggetti rari, lui.

Si allacciò le cinture di sicurezza mentre la navetta incominciava la sua discesa nell’atmosfera acida terrestre: piccoli e lievi scossoni intervallavano e spezzavano la tensione creatasi nella squadra, pronta a avverare l’alta aspettativa dell’Unione e del loro coordinatore, nonché capo della spedizione effettivo. Con un leggero tonfo l’astronave si ancorò al suolo, incominciando subito a rilevare dettagli dell’ambiente circostante e a suggerire possibili scelte per rendere il lavoro degli archeologi il più scorrevole possibile: avrebbero dovuto indossare delle maschere almeno fino al completamento del capannone abitativo.

Emozionato, James si coprì in fretta con la tuta, calando la maschera sul volto improvvisamente ringiovanito: finse di non sentire le risate di Kurt e i borbottii esasperati dell’esperta di macchinari Jhosha, borbottii praticamente incomprensibili data la conformazione dell’apparato fonico tipica di quelli della sua specie – Chiroptera, esseri comunicanti con impulsi sonici a bassa frequenza. Non badò neanche al Capitano e al suo braccio destro, ansioso di scendere su quel pianeta che aveva dato origine all’uomo: doveva scendere giusto per dirlo finalmente al mondo, per dire che lui era lì e non se ne sarebbe andato senza il suo prezioso tesoro.

“L’uomo è impaziente, quest’uomo osserva.”

Si voltò verso Hool, l’ultimo membro della sua squadra e uno dei pochi G’Haul rimasti nell’universo - decimati da una malattia autoimmune causata dagli incesti permessi nella loro cultura: erano stati degli ottimi scienziati un tempo ma purtroppo il voler preservare la purezza della specie si era ritorta loro contro.

“Vero ma non sono l’unico. Questa è la missione più importante della vita.”

“Quest’uomo conferma eppure il Capitano sembra non importarne della missione ma più del bottino.”

“Cosa vuoi farci? Il Soldato è l’unico essere vivente che ipoteticamente è sopravvissuto alla criogenesi a lunga durata ed è militarmente una futura pedina preziosa per l’Unione. Se dipendesse da me non vorrei risvegliare il mostro sanguinario che è in lui.”

Vide Hool annuire con il capo per poi incominciare a scendere verso la piattaforma che si era lentamente aperta davanti a loro: non aveva bisogno di maschere quel gigante, grazie a una pleura di naso e dei polmoni così sviluppata contro possibili patogeni o alterazioni chimiche da necessitare solo una concentrazione di anidride carbonica, il necessario per la sua sopravvivenza. Purtroppo per James invece, il corpo umano era limitato e richiedeva protezioni – a suo parere ingombranti per la ricerca e lo scavo ma di cui sapeva di non poter fare a meno.

“Stai tranquillo Capo, non scappa mica il nostro amico!”

Kurt lo affiancò ridendo: nonostante tutto era palese l‘emozione nella sua voce ed era comprensibilissima. La prima missione, il primo scavo importante ed era sul pianeta Madre alla ricerca di una leggenda vivente: molti avrebbero pagato, ucciso, fatto qualunque cosa pur di essere al suo posto e il giovane lo sapeva bene tanto da aver controllato più e più volte la sua attrezzatura, pronto a qualsiasi evenienza.
Scesero tutti e quattro in una landa desolata: il terreno era grigio, spaccato in più punti, arido ma completamente gelido. La desolazione più totale si spalancava davanti ai loro occhi, niente si muoveva o respirava, una calma piatta e talmente immobile da gettare un brivido freddo al Dottore: questo era ciò che rimaneva del loro antico pianeta, una palla di terra fredda e sterile dove l’unica vita presente – e pregava che fosse così in quel momento, doveva essere ancora in vita – era addormentata sotto chilometri di terra dura e ghiacciata. Ogni passo che facevano, ogni respiro e ogni movimento era assordante, un turbamento della quiete secolare: James si accorse dell’effetto disastroso dell’acido precipitato sottoforma di piogge e sentì un malessere avanzare al pensiero della penetrazione di quegli agenti così estremi della camera di criogenesi.

“Allora Dottore, che gliene pare?”

Il Capitano si era deciso a raggiungerlo, dopo un viaggio all’insegna del reciproco ignorarsi: non che avesse qualcosa di male in particolare contro il Capitano Fuq ma era un membro importante dell’Esercito dell’Unione e non intendeva immischiarsi troppo con loro.

“Desolante. Spero vivamente che la camera sia stata protetta a dovere, tenendo in conto di tutte le sicurezze: non voglio trovarmi solo un ammasso di piombo a difesa della più importante vita umana del momento.”

Vide l’uomo annuire, la cicatrice biancastra che gli percorreva il collo non dava proprio una sensazione di sicurezza ma avrebbe dovuto farci l’abitudine: avrebbero passato molto tempo in compagnia, tanto valeva collaborare subito.

“Siamo atterrati dove ci ha indicato, la famosa Alaska: i miei uomini si sono già messi in moto per innalzare il capannone abitativo e un perimetro difensivo. Appena finito ciò, vi daranno una mano nella ricerca, sotto direttive vostre naturalmente.”

Si congedò in fretta, lasciando una sensazione amara nella mente di James ma presto dimenticata con l’arrivo di Kurt e dei ragazzi: prima trovavano l’entrata della camera prima avrebbero potuto svegliare il Soldato e ricevere tutti gli onori compresi per la scoperta rivoluzionaria. Sapevano per certo che il cuore, dove stava la cella con il Soldato e le istruzioni per svegliarlo, era lì nella terra chiamata Alaska rivestito da lastre massicce di piombo antiatomico e chiuse da una serratura dotata di un’energia auto-rigenerante, preceduti da un corridoio indefinito.  Purtroppo i loro antenati avevano fatto un ottimo lavoro nel distruggere tutte le possibili informazioni per trovare il Soldato ma non erano stati abbastanza attenti, e quelle poche ma vitali informazioni gli erano giunte intatte e abbastanza veritiere: storicamente l’Alaska era stata un luogo freddo, ideale per non sprecare troppa energia nel mantenere il Soldato congelato.

Incominciava l’avventura della sua vita: era pronto.

҉҉҉

C’era voluto un mese per trovare e aprire quella dannata porta di lonsdaleite – uno dei materiali più duri e resistenti ai tempi della Quarta Guerra Mondiale – però alla fine ce l’avevano fatta: erano atterrati cento chilometri più a sud rispetto all’ubicazione della struttura ma poco importava, ora erano lì e avrebbero riportato alla luce il Soldato. Era stato un pensiero fisso, un mantra, un’ossessione ma alla fine era lui che aveva avuto ragione e questo bastava a placare il suo animo inquieto.

“Jhosha, calati di qualche metro con la corda e manda qualche impulso per vedere com’è orientato e se ci sono possibili danni alla struttura.”

Tempo qualche minuto e il suo traduttore all’orecchio sinistro lavorò per elaborare i suoni emessi dalla ragazza: la struttura era intatta, vecchia e potenzialmente pericolosa ma niente si era corroso o danneggiato da un qualsiasi incidente; aveva inoltre trovato la porta di accesso alla camera principale con un sistema di chiusura quantico, ma di che livello non riusciva a capirlo; il corridoio inoltre doveva essere lungo circa una cinquantina di metri, procedendo verso l’interno della Terra senza trappole di alcun genere. Annuì serio e informò il Capitano, giunto sul posto dopo una segnalazione da parte di un sottoufficiale: insieme concordarono che sarebbero scesi l’intera sua squadra, il capitano stesso e due soldati di scorta, in caso di problemi.

Calarsi e arrivare alla porta sbarrata, illuminati solo dalle torce al neon, fu l’esperienza più elettrizzante degli ultimi tempi: la tensione non faceva che aumentare e la cosa lo innervosiva parecchio, non era venuto fino lì per tornarsene con una delusione o peggio, un fallimento. Lasciò lavorare Hool e Jhosha, gli unici in grado di disattivare la sicurezza data dalla porta senza recare danni: sapeva che ci voleva tempo ma avrebbe voluto solo sfondare quella serratura ed entrare di forza, doveva vedere, doveva sentire. Kurt lo raggiunse e gli sorrise complice con gli occhi brillanti: osservando la galleria – perché di corridoio non si poteva parlare – illuminata solo dalle torce al neon, non poteva che chiedersi come avrebbe reagito il Soldato alla vista del suo pianeta distrutto e di un’intera nuova struttura politica e sociale a cui avrebbe dovuto necessariamente abituarsi. Chissà cosa avrebbe pensato o detto, chissà come avrebbe reagito: c’era rimasto dell’umano in lui? O avevano estirpato tutte le emozioni, rendendolo una macchina umana? Cosa si ricordava del passato, ne aveva ancora memoria? O gli avevano cancellato tutto per pietà? E se non era vivo? Se qualcun altro era già entrato prima di loro o, ancora peggio, se il Soldato fosse scappato secoli prima?

Assillato com’era dai dubbi, sentì a malapena il cigolio dei vari cilindri scorrere lenti ma costanti all’interno della porta, lasciando libero accesso al gruppo presente a ciò che custodiva.

“Nessun essere vivente è entrato o uscito da qua da almeno tre secoli, la porta era ancora sigillata con degli antichi codici alfanumerici, quest’uomo lo giura.”

“Entriamo allora.”

Piatto e incurante della tensione del momento, il Capitano avanzò fino alla porta, aprendola quel tanto che bastava per passare all’interno: James non se lo fece ripetere una seconda volta e lo seguì immediatamente con le gambe molli dall’emozione. Quello che vide lo lasciò senza fiato. Una camera depurante li separava da una modesta stanza, per metà occupata da un grosso cilindro in fibra di carbonio - appannato dove c’era la visuale per il Soldato - e dai cavi adiacenti; una scrivania marrone era alla loro destra, con plichi di fogli e cartelle colorate, mentre vicino a questa erano presenti due bauli sigillati ermeticamente. Incredibilmente l’apertura della porta aveva riattivato il circuito d’illuminazione della stanza e della galleria, permettendo di spegnere le torce; il computer di bordo inoltre li avvisò che l’aria stava raggiungendo livelli d’ossigeno standard, tolte tutte le sostanze corrosive.

Un trillo li avvisò che potevano addentrarsi nella sala e James fu calamitato dai fogli accuratamente sistemati mentre la sua squadra osservava il cilindro sperando di intravedere la forma del Soldato; anche il Capitano lo stava aiutando a decifrare i fogli, tutti con lo stesso layout ma con simboli e scritture diverse.

“Probabilmente dicono la stessa cosa: hanno stampato più fogli nelle lingue conosciute allora per dare un margine di possibilità a noi del futuro.”

James annuì febbrilmente: il linguaggio era troppo antico, dubitava che persino Kurt sapesse tradurre quei simboli. Nel mezzo però riuscì a scorgere una parola famigliare.

“Aspetti questo foglio sembra più recente – storicamente parlando – rispetto agli altri. Se non sbaglio dovrebbe essere Frnyano antico prima che la specie si unisse all’Unione e adottasse il linguaggio comune, circa seicento anni fa. Kurt, vieni qua e prova a tradurre! Non possiamo rischiare di mandare tutto all’aria per la nostra fretta.”

Il ragazzo si avvicinò svelto, lanciando una prima occhiata al testo e confermando la lingua. Si accordarono: Kurt li avrebbe guidati a passo a passo in modo da non commettere errori nel risveglio del Soldato mentre loro pregavano che andasse tutto bene. C’erano circa venti passaggi, di cui gli ultimi erano soprattutto indicativi per tranquillizzare il Soldato: scoprirono amaramente però che non era trascritta la sequenza vocale cui il soldato doveva obbedire, ma a questo avrebbero pensato più tardi. Con calma il gruppo incominciò a scongelare il cilindro: valvola dopo valvola, cavo dopo cavo, la pressione interna diminuiva sempre più mentre la temperatura si alzava, creando degli sbuffi di vapore gelato. Ci vollero circa cinque ore prima di raggiungere l’ultimo e definitivo punto ovvero l’interruzione dell’alimentazione iperproteica razionata e l’interruzione contemporanea dei sedativi criogenici: ancora la sagoma non si vedeva ma, stando al testo, nel giro di alcuni minuti il Soldato si sarebbe svegliato da solo e sarebbe uscito con le proprie forze; avrebbe dovuto passare qualche giorno in riabilitazione ma poi sarebbe tornato letale, degno della sua fama.

Con un sussulto sentirono dei rumori provenire dall’interno del cilindro: il Capitano fece uscire i due soldati, in modo da non agitare chiunque fosse uscito da lì, sicuramente confuso e spaventato. James quasi trattenne il fiato quando la parete superiore del cilindro si alzò di qualche centimetro, riversando nella stanza vapore acqueo congelato: la porta incominciò a scorrere verso sinistra, liberando il suo ospite ma ancora oscurato al gruppo dalla ventata di vapore gelido che s’innalzò.

Con un sorriso stampato sul volto che si trasformò in una smorfia d’incredulità, il Dottor James Kçasip, archeologo del Museo Generale, vide il Soldato d’Inverno osservare tutti loro con i suoi occhi grigi come il metallo: lo vide analizzare ogni elemento del gruppo mentre lentamente si allontanava da loro. Era indubbiamente il Soldato, si vedeva dalla tuta aderente in microfibra, dai piccoli lividi lasciati dagli aghi su polsi e gomiti, dalle goccioline di acqua scongelata sui capelli. Il problema non era l’incredibile giovinezza – a occhio avrebbe dovuto avere circa l’età di Kurt – ma un atro aspetto, non meno importante e sconvolgente: era una ragazza.

“E voi chi siete?”






 

ANGOLO AUTRICE

Dovrei essere beatamente nel mondo dei sogni ma l’ispirazione è arrivata ora e con lei la mia voglia di scrivere: perciò eccomi in una nuova avventura, la mia prima storia originale!
Chiarisco che prenderò spunto – soprattutto per i nomi – da altre saghe/fandom oppure da nomi che realmente esistono e hanno una qualche correlazione con il carattere o il fisico del personaggio: come avrete palesemente notato ho preso in prestito la nomea del Soldato d’Inverno dalla Marvel (e l’idea della criogenesi) oppure la specie di Jhosha – la Chiroptera – è in realtà una famiglia di pipistrelli mentre la lonsdaleite esiste veramente ed è un metallo superduro creato nel 2005 in laboratorio.

Sono molto emozionata, lo ammetto, e spero di fare un buon lavoro anche perché devo dare uno sfogo alla mia creatività e questa storia mi attira parecchio. Spero abbia attirato anche voi :) Lasciatemi una recensione, giusto per capire se vi fa piacere leggere e saperne di più, un bacio


Summer_time

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Capitolo 2
*** Missione: primo contatto ***


Dicono del Soldato d’Inverno che la sua voce sia come il miele, densa e soave mentre il suo sorriso splenda tra le tenebre.
Dicono del Soldato che canti mentre sgozza i suoi nemici e che il ghigno sul suo volto faccia tremare i mostri e la luce.

Pianeta Madre Terra. Millesettecentosessant'anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Kurt avrebbe giurato di sentire il cuore della ragazza - del Soldato, quella bambina era il Soldato doveva ricordarselo – pompare così forte da spezzare il silenzio tombale dell’intero pianeta: era spaventata, terrorizzata e la sua paura si rifletteva nei suoi occhi grigi come il metallo; anche la sua posizione corporea indicava tutto il suo nervosismo: il corpo teso fino allo spasmo, era vicino alla scrivania e le mani ne artigliavano il legno con forza. Azzardò un passo nella sua direzione, voleva rassicurarla, voleva farle capire che non volevano farle del male e che non era in pericolo – almeno se non si fosse ribellata: sapeva bene la futura fine del Soldato e nel profondo non poteva biasimare un suo possibile sentimento di libertà. Eppure il suo tentativo fu interpretato dal soggetto dei suoi pensieri come un attacco: girando la testa di scatto e facendo alzare alcune ciocche castane, ora lo fissava, squadrandolo indecifrabile senza quasi sbattere le palpebre. Passavano i secondi e Kurt si sentì esposto al giudizio del Soldato, sentendosi enormemente a disagio: nessuno lo aveva mai guardato come stava facendo lei, così a lungo, così nel profondo come a volergli strappare la verità dal suo animo.

 Un ronzio meccanico attirò però l’attenzione del gruppo: con una lentezza esasperante un piccolo proiettore stava scendendo dal soffitto, attivato probabilmente dall’apertura della capsula di criogenesi; un fascio luminoso azzurro uscì dal vetrino, modificandosi in seguito all’avvio di un messaggio pre-registrato: una figura olografica maschile si materializzò tra loro e il Soldato fino a che la sua fisionomia non fu completamente distinguibile. Era un uomo con un camice lungo e un cartellino attaccato alla taschina all’altezza del cuore; portava un grosso anello sul pollice e non sembrava molto vecchio.

“Messaggio registrato a fine della Quarta Guerra Mondiale. Parla il Dottor Smith, responsabile e coordinatore del progetto Ghiaccio attuato dall’ex NATO per fermare la guerra, cui scopo principale era la creazione, l’addestramento del Soldato D’Inverno e la sua preservazione.”

Kurt sentì il suo mentore trattenere il fiato: incredibilmente l’ologramma parlava perfettamente la loro lingua, nonostante i secoli che li separavano. E sembrava che pure la ragazza capisse le sue parole.

“La lingua è stata adeguata a quella riscontrata al vostro arrivo dai sensori; perdonerete la scarsa qualità dell’ologramma ma è il massimo che possiamo fare con le tecnologie attuali. Se siete arrivati fin qui, avete trovato il Soldato e lo avrete anche risvegliato: come da istruzioni dovrete lasciargli qualche giorno di riposo dopo lo scongelamento, prima di poter anche solo pensare di utilizzare le sue abilità; inoltre in questi giorni il Soldato recupererà interamente la sua memoria che al momento potrebbe risultare incompleta data la prolungata criogenesi: siate pazienti e non sommergete il Soldato di domande a cui non può rispondere, potrebbe causargli solo un aumento di paura nei vostri confronti; vi prego inoltre di portare entrambi i contenitori sigillati nel vostro abitacolo: essi contengono oggetti personali e l’armamentario del Soldato e devono necessariamente seguire il loro proprietario.”

Kurt puntò lo sguardo sulla ragazza nel mentre l’ologramma parlava: se le informazioni erano corrette probabilmente non si ricordava un granché della Quarta Guerra, forse aveva ricordi più legati al suo addestramento e alla sua scelta come candidata. Anche se dall’espressione sulla sua faccia non sembrava.

“Siate pazienti e il Soldato sarà fedele. Siate precisi sugli obiettivi e sulle missioni da portare a termine e il Soldato eseguirà il lavoro in modo eccellente. Non pugnalate il Soldato alle spalle o vi troverete come il nostro collega Maximoff: sotto tre metri di terra a decomporsi.
Un ultima cosa. Soldato stai per scoprire un nuovo mondo, nuovi mondi si spera e con essi una nuova organizzazione politica, sociale ed economica: dovrai adeguarti e per essere sicuri che tu abbia un appoggio bancario solido e cospicuo, ti abbiamo lasciato aperto il conto che avevi creato, dando indicazioni di versare delle somme di denaro ogni anno; ora dovrai solo trovare la banca che contiene i tuoi soldi. Buona fortuna.”

Così com'era venuto, l’ologramma sparì senza ulteriori cigolii meccanici. E ora ogni sguardo era puntato sulla figura della ragazza, il soggetto della loro missione, l’El Dorado del suo mentore e di tutto il polo scientifico dell’Unione. Kurt si sentiva lacerato: da un lato era eccitato come un bambino, James aveva avuto ragione, aveva avuto sempre ragione alla faccia di quegli stronzi del Consiglio, avevano trovato il Soldato, lo avevano addirittura svegliato dal suo sonno e questo non poteva che spianargli la futura carriera – con una scoperta così importante nessuno avrebbe rifiutato un suo parere da esperto. Dall’altro lato però si sentiva quasi colpevole per la sorte di quella ragazza: non poteva neanche immaginare lo sconforto di non conoscere anima viva in un Universo che la voleva o al loro servizio o morta, la disperazione di doversi guardare le spalle ogni secondo e il doversi adattare e il conoscere ogni singola nuova cosa creata. Forse non avrebbero dovuto neanche svegliarla, avrebbero dovuto lasciarla a dormire, congelata. Una non-morta.

“Soldato.”

La voce del capitano Fuq spezzò l’innaturale silenzio e la tensione accumulata e Kurt lo ammirò per il suo sangue freddo ma la parte difficile doveva ancora venire: dovevano convincere il Soldato a fidarsi di loro, almeno il necessario a farla uscire ed entrare nella navetta. Il capitano aveva comunque la piena attenzione della ragazza e Kurt lo ringraziò anche per aver tolto il suo sguardo da lui.

“Io sono il capitano Fuq, membro dell’Esercito dell’Unione, capitano della nave spaziale militare Cristallina e anche della navetta di spedizione che ci hanno portato qui. Loro sono gli scienziati che ci hanno guidato fin qui – ti hanno trovato e salvato: il loro coordinatore è il Dottor James Kçasip, l’uomo alla mia sinistra mentre loro sono la sua squadra di specialisti. Siamo qui per una missione di recupero, il tuo recupero.”

La ragazza non rispose subito e nei pochi minuti che intercorsero, l’intero gruppo pensò seriamente a dei danni collaterali della criogenesi a lunga durata: Kurt poteva immaginare i pensieri di entrambi i suoi compagni di spedizioni, addirittura se si impegnava anche quelli di James e del capitano Fuq. Tutti collidevano in un’unica risposta: il Soldato è stato danneggiato dalla conservazione.

“Immagino di non avere scelta.”

Era una voce delicata con delle note ancora giovanili; inoltre la pronuncia della lettera “r” era – non sapeva neanche lui come definirla – più morbida rispetto al linguaggio standard. Poi un pensiero gli fece accapponare la pelle: lei era rimasta congelata per secoli, come diamine faceva a conoscere la loro lingua comune così bene? La sua domanda fu posta anche da Jhosha tramite i suoi sibili ma prima che James potesse anche solo incominciare a tradurre il complicato linguaggio dei Chiroptera per il Soldato, la ragazza fugò i loro dubbi.

“Vi capisco, non chiedetemi come non ne ho idea. O forse lo so, ma non lo ricordo.”
Il suo tono era così carico di amarezza e malinconia che a Kurt dispiacque il destino di quella povera ragazza: non avrebbe fatto cambio con la sua vita neanche per tutto l’oro dell’Unione, essere addestrato, mandato nella più sanguinosa guerra del pianeta, congelato e quindi catapultato in un mondo sconosciuto. No grazie.

“Beh quindi che facciamo?”

“Ora provvederemo a portare fuori le due casse ermetiche come da istruzioni – Hool puoi pensarci tu cortesemente? E ti aiuteremo a indossare la tuta protettiva, che funge sinceramente anche da uniforme standard per ogni membro dell’equipaggio e andremo alla navetta: partiremo il prima possibile. Io sono il Dottor Kçasip ma chiamami tranquillamente James mentre lui è il Dottor Kurt Hollander e lei la Specialista Jhosha: sono così elettrizzato all’idea di conoscerti di persona, sono cresciuto sentendo le storie leggendarie sulle tue azioni. Avrei così tante domande da porti ma capisco che tu ora ti senta spaesata perciò spero di parlare con te in un secondo momento.”

“Oh. Certo, immagino di non poterlo evitare: almeno così io potrò chiedere a lei cosa è successo dopo. Io sono Beatris comunque, non il Soldato.”

Se rimase colpita da quella presa di posizione, Jhosha non lo diede a vedere: dopo averle stretto la mano destra, unantica usanza degli umani andata perduta, la Chiroptera andò a recuperare i suoi strumenti sparsi per tutta la piccola stanza per riporli nei loro contenitori, sotto lo sguardo curioso della ragazza. Il sorriso di James se possibile si allargò ancora di più mentre riempiva le orecchie del Soldato – no non del Soldato, aveva un nome quella ragazza ed era Beatris, doveva ricordarselo, non sarebbe stato gentile chiamarla con il suo soprannome – delle meraviglie della tuta protettiva e di come si sarebbe sentita avvolta in un abbraccio caloroso: James però avrebbe dovuto immaginare le infinite risorse della ragazza, di Beatris. Semplicemente chiedendo la composizione del materiale, lasciò che la tuta – quella apparentemente composta da semplice microfibra - che indossava si trasformasse in un esatta copia della tuta tanto elogiata da James: e la faccia del suo mentore fu talmente buffa da farlo scoppiare in una risata mal contenuta. Beatris si girò verso di lui sorridendo leggermente mentre, come impazzito, il Dottore più anziano farfugliava parole quasi incomprensibili, tastando il tessuto della tuta della ragazza.

“Impossibile, è impossibile: questo materiale è stato sintetizzato solo di recente non sarebbe possibile riprodurlo senza sapere la loro composizione chimica.”

“In realtà me l’ha detta lei grazie al nome scientifico e quindi preciso che ha usato: ho solamente scomposto le desinenze e figurato le molecole presenti, il lavoro lo hanno fatto le particelle quantiche all’interno del tessuto della tuta che indosso. Possono infatti diventare qualsiasi materiale io voglia, assumere lunghezza, spessore e tutte le altre proprietà senza alterarsi o perdere efficacia nel tempo; possono anche auto-ripararsi senza limiti di danni.”

Sia lui sia James la guardarono, estasiati da quella scoperta: Beatris non avrebbe avuto bisogno di alcun armadio per i vestiti, tutto quello che le occorreva era indossare quella semplice tuta e desiderare il vestito più adatto. Sua sorella sarebbe impazzita per averla, avrebbe venduto l’anima al diavolo in cambio di uno strumento del genere, lei maniaca della moda.

“Fantastico, semplicemente fantastico, sono senza parole. Che stupido, avrei dovuto immaginare che possedessi risorse non comuni e a noi ancora sconosciute: sono semplicemente estasiato dal futuro, non vedo l’ora di scoprire cosa ancora ci farai riscoprire. Davvero è il giorno più bello della mia vita. Vieni, usciamo da questa stanza, è tempo che tu veda la nostra navetta e ti riposi in un vero letto: il capitano ha convenuto con me di metterti in una camera separata rispetto a noi o al resto dell’equipaggio in modo da farti sentire più sicura.”

Beatris annuì e seguì docilmente il suo mentore. Kurt avrebbe giurato di sentire dei leggeri commenti man mano che salivano in superficie, da parte della ragazza ovviamente, eppure le sue orecchie non riuscivano a distinguere i suoni, le parole, tutto gli sembrava così effimero da sfuggirgli. E quando provò a fare il cavaliere, dicendo che bastava si aggrappasse alla corda e che l’avrebbero semplicemente tirata sù sulla superficie, si guadagnò un’occhiataccia da Beatris valente più di mille parole: non degnandolo di un secondo sguardo, si arrampicò con l’agilità di un gatto fino alla sommità della corda; la seguì immediatamente, scacciando dalla sua mente pensieri poco gentili sul suo conto ma la punta di ostilità nei confronti della ragazza, per come l’aveva trattato, sparì nel vedere i suoi occhi grigi quasi in lacrime di fronte alla desolazione a cui era ridotto il suo pianeta: il grigio della terra spaccata si apriva davanti a loro e il vento, ora arido e caldo, sbuffava incessantemente contro il perimetro abitativo a eterno rammento. Vide Beatris inginocchiarsi e toccare la terra spaccata dalle crepe, incredula, sbriciolarla tra le dita fino a formare una sabbietta fine e grigia, monocroma come il resto della vita sulla Terra.

“Una volta c’era il verde delle piante e il blu dell’acqua. C’erano il marrone delle montagne, il bianco della neve e l’arancione della sabbia dei deserti, il rosso dei tramonti e il giallo delle luci della città; c’era rumore, un sacco di rumore sia dell’uomo sia della natura. Ora è tutto grigio e tutto spento. È tutto morto. Tutto tranne me ed è la cosa più triste.” Sorrise mesta, guardando poi James. “Ma immagino ci siano molti altri pianeti bellissimi e pieni di vista da esplorare.”

Il suo mentore non disse nulla ma vide il dispiacere nei suoi occhi: lasciò che accompagnasse da solo il Soldato – no, Beatris - nella sua nuova stanza, voleva rimanere un po’ da solo a pensare a come sarebbe stato il pianeta nell’era da cui proveniva la ragazza, così pieno di colori e di suoni, pieni di umani e di vita animale. Chissà come si doveva sentire sapendo che lei era l’ultima del suo tempo.

҉҉҉

L’avevano portata in una stanza dai colori neutri, arredata in modo essenziale ma comunque gradevole: probabilmente non era destinata a uno dei membri dell’equipaggio ma a ufficiali o comunque personale di una certa importanza; piacevolmente constatò la presenza delle due casse ermetiche ordinatamente disposte contro il muro e di un vassoio con delle pietanze fumanti: lo osservò con occhio critico ma non vide nulla di strano nel piatto di spaghetti con polpette e pomodoro, sperava che almeno il cibo fosse rimasto come prima, sua nonna sarebbe morta di dolore se l’avesse vista in quelle condizioni e per di più senza un buon piatto di tagliatelle a tirarle su di morale.

Congedò il Dottor Kçasip con gentilezza, chiudendosi poi a chiave nella stanza: per ora non voleva altre visite, doveva ancora riprendersi del tutto e se fosse dipeso da lei non sarebbe più uscita da quelle quattro mura. Però ora aveva del tempo per vedere cosa le avevano conservato e riuscire a capire come recuperare più in fretta la memoria: se provava a ricordare c’erano dei flash di allenamenti massacranti o di scontri a fuoco oppure di visite in una stanza bianca ma mai un quadro ben definito della situazione. Sperava almeno che la sua lei del passato fosse stata abbastanza furba da nascondere possibili aiuti alla lei del futuro. Decise di aprire la prima cassa ed esaminarne il contenuto.

Dentro conteneva gadget e armi varie: riusciva a distinguere due fucili da cecchino completi, almeno sei pistole con silenziatore, un arco con frecce, una decina di coltelli e pugnali di varie dimensioni, bombe fumogene, una corda militare, un teaser, un tirapugni, una daga finemente lavorata sulla lama, giubbotti antiproiettili, svariate protezioni e munizioni, un acciarino, una bussola e un bracciale in metallo. Beatris lo prese incuriosita, un po’ stonava con tutte le armi presenti e lo indossò: sgranò gli occhi e per poco non emise un urletto di sorpresa quando il bracciale si scaldò a contatto con la pelle del polso, sciogliendosi fino a fondersi con essa. Non sentiva dolore quindi sperava che fosse programmato per questo: avrebbe altrimenti detto addio a un’importante e ancora ignoto strumento.

Avvio programma. Code name: Lion.

Beatris sgranò gli occhi alzandosi di scatto in piedi: aveva sentito una voce robotica, che già la stessero controllando? Non aveva ancora mangiato nulla e non aveva indossato niente di loro, non si era fatta neanche toccare dai due scienziati, come avevano potuto inserirle un cip?

Salve Beatris, io sono Lion, il tuo assistente informatico privato. T' informo che ero contenuto nel bracciale al titanio che hai correttamente indossato perciò no, non sei pazza.

“Oh bene, credo.”

Inizializzazione e configurazione in corso, accesso a connessioni disponibili. Appena mi configurerò, saprò aiutarti nel migliore dei modi nel sistema informatico dei dati. Tutto quello che devi fare è chiedere: non ho problemi di memoria e puoi ordinare anche attraverso il pensiero, in caso di pericolo.

“Ok. Ehm, che altre abilità hai?”

Sono esperto in hackeraggio di qualsiasi sistema e posso funzionare per un periodo di trenta minuti senza connessione. Posso gestire più ricerca contemporaneamente e posso farti vedere video agendo direttamente sulla tua corteccia celebrale; posso registrare audio e video o farti accedere a qualunque di essi in qualsiasi momento.

“Utile. Quindi ora sei una parte di me in pratica?”

Si, Beatris.

“Almeno non sono più sola.”

Scrollando le spalle, la ragazza mise il coperchio sulla prima cassa, accingendosi ad aprire la seconda: se la prima conteneva le armi, in questa doveva esserci tutta la sua roba. Infatti, aprendo il coperchio, si trovò catapultata nel passato: erano presenti album con dentro foto di lei, della sua famiglia e dei suoi amici; tutti i suoi accessori come collane e orecchini, le sue adorate penne colorate, quaderni dove scrivere, fotocamere, un kit medico e alcune medicine per malesseri generali, un nuovo mp3 completo di cuffie e caricabatteria con dentro – e questa volta emise un gridolino di felicità – un milione di canzoni; sul fondo scorgeva anche boccette di profumi e saponette mentre dei suoi vestiti non c’era traccia: la tuta che indossava avrebbe dovuto fungere, almeno per un po’, da guardaroba.

Sospirò amareggiata, alzandosi per prendere il vassoio: gli spaghetti ora erano tiepidi ma Beatris li mangiò lo stesso, sorprendendosi per la sua voracità: chissà da quant’è che non faceva un vero pasto o che non faceva una reale dormita. Si scoprì improvvisamente stanca e provata, il letto a una piazza le sembrava l’oggetto più comodo e invitante nella sua esistenza: abbandonò il vassoio e il piatto sopra il tavolino dove li aveva trovati, dirigendosi verso il materasso e comandando alla tuta di diventare un pigiama, uno di quelli comodi ma non troppo pesanti. Si addormentò presto, ben sapendo che si sarebbe risvegliata in una brutta realtà.




 

ANGOLO AUTRICE

Nel scorso capitolo, il prologo, non ho ricevuto alcuna recensione il che mi ha lasciata un po’ titubante sul fatto di continuare o meno la storia. Spero che almeno questo sia stato più interessante: altrimenti non saprei se considerare la storia come un fallimento o meno.

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Capitolo 3
*** Missione: esplorazione veicolo ***


Dicono del Soldato d’Inverno che a prima vista passi per una figura impacciata e innocente, manipolabile e stupida.
Dicono del Soldato che si preghi per una morte veloce, non appena si scopre la sua vera natura.

Pianeta Madre Terra. Millesettecentosessant’anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Quando riaprì gli occhi, Beatris ci mise una frazione di secondo a ricordarsi dove era esattamente, a come ci era arrivata in quella stanzetta buia ma soprattutto chi era. O almeno, ricordava gran parte del suo passato. Si mise supina, togliendosi il piumone leggero di dosso mentre con movimenti meccanici e una calma disarmante mosse le dita di piedi e mani, le articolazioni di caviglie e polsi, sentendo scrocchiare leggermente le ossa, per poi piegare la testa sia a destra sia a sinistra, creandosi lo stimolo mentale per affrontare la nuova e deprimente giornata. Sedendosi al bordo del letto, si stropicciò gli occhi mentre il pigiama azzurro leggero si trasformava in una maglia nera aderente, in un paio di leggins neri e dei scarponcini grigio fumo: cercando nel suo scatolone personale trovò un elastico arancione e lo usò per raccogliere i lunghi capelli castani.

Salve Beatris.

Quasi si era dimenticata del suo nuovo compagno di sventura. Per fortuna che uno dei due aveva buona memoria: sorridendo, sperò di incominciare a capirci qualcosa di tutto il nuovo mondo in cui era capitata.

“Salve Lion. Hai finito con l’aggiornamento?”

Aggiornamento e configurazione completati: informazioni disponibili in qualsiasi momento.

“Molto bene, direi di incominciare subito, non ho tempo da perdere: chi sono queste persone e cosa vogliono da me?”

Beatris si passò una mano sul volto mentre parlava con Lion: almeno in tutto questo trambusto aveva un primo alleato. Ma per sopravvivere avrebbe dovuto cercarne altri, altrettanto competenti e leali: l’occhio le cadde su una foto seminascosta dalle boccette di profumo che ritraeva un gruppo di persone armate. Si avvicinò e la prese delicatamente, non impedendosi di essere sorpresa quando vide se stessa in completo assetto da guerra – riconosceva uno dei fucili da cecchino nella sua mano, aveva uno dei coltelli legati al polpaccio e quella che indossava sembrava proprio un’armatura moderna – accanto ad altre cinque persone di età ed etnie differenti.

Sei sulla nave spaziale militare Cristallina, dove è compresa anche la navetta di spedizione del Museo Generale. Il capitano è Fuq, alta carica dell’esercito dell’Unione mentre la spedizione è condotta dal Dottor James Kçasip, esperto in archeologia terrestre e storico della Quarta Guerra Mondiale. I sottoposti del Dottore sono tre: il Dottor Kurt Hollander, esperto e traduttore di lingue antiche, la Specialista Jhosha, esperta in macchinari e facente parte della razza Chiroptera e infine Hool, anch’esso esperto in macchinari e facente parte della razza quasi estinta G’Haul. Il loro scopo era di trovarti viva e di riportarti all’Unione.

Beatris continuò a osservare la superficie lucida della foto tentando di ricordare nomi e luoghi delle persone rappresentate ma nulla le veniva in mente: la luce nei suoi occhi si spense mentre riponeva al sicuro quella testimonianza di vita. Almeno non era stata sola durante le sue missioni, almeno così si augurava. Si accorse di alcune note lasciate a penna sul retro per caso, ma non mostravano né nomi né luoghi né una data dove collocare il momento dello scatto, solo tre parole, addirittura in inglese. Winter is coming, l’inverno sta arrivando. Ma quel monito non le diceva nulla.

“Lion cos’è l’Unione? Continuo a sentirne parlare ma deve essere una setta o un’istituzione nata quando io ero congelata.”

L’Unione è nata cinquecento anni fa dopo un periodo lungo d’instabilità politica ed economica. Ora controlla intere galassie con i loro mondi: quasi tutte le razze conosciute si sono unite sotto la sua protezione – sia volontariamente sia sotto minaccia bellica. È un regime oligarchico, dittatoriale con un controllo assoluto su politica, economia, giurisdizione e cultura.

“Grandioso, mi sembra di tornare indietro nel tempo.”

Borbottò Beatris, intenta a capire da dove fosse sbucato fuori il vassoio della colazione: stava elegantemente sopra la scrivania, esattamente dove ieri sera aveva lasciato l’altro vassoio con il piatto vuoto degli spaghetti. Eppure avrebbe giurato che non era presente quando si era svegliata e aveva scandagliato la stanza.

“Come diamine ci sei arrivato tu qui?”

Mormorò assorta mentre punzecchiava con il coltello datole il pane ricoperto della marmellata – doveva essere alle pesche, ne riconosceva l’odore; eppure, come per la cena, il pane non le sembrava cattivo e neanche il forte odore di tè caldo all’arancia e zenzero nell’alta tazza bianca. Ma questo comunque non spiegava come ci erano finiti lì.

La stanza è programmata per il servizio in camera di colazione e cena. Il pranzo invece si svolge nella mensa principale, al terzo piano.

Niente male, almeno non tentano di avvelenarmi, pensò la ragazza. Si scoprì nuovamente affamata e il cibo fu spazzolato via in un attimo: la marmellata le sembrò dolce al punto giusto, senza risultare troppo zuccherosa, con ancora alcuni pezzi di pesca interi mentre il pane era leggermente dorato e croccante e il the era frizzante al palato. Quella sì che era una colazione con i fiocchi, neanche quando stava in appartamento da sola aveva mai avuto realmente il tempo per godersi la mattina.
Dopo una partenza così super, aveva voglia di esplorare quel nuovo mondo: per fare alleanze e amici, avrebbe dovuto conoscere gli avvenimenti principali che erano successi ed esporsi in prima persona. Doveva uscire da quella stanza, nonostante il conforto e la mera protezione che le dava. Ma non senza un minimo di precauzioni. Tornò agli scatoli, scoperchiando il suo arsenale e dando una veloce occhiata all’interno fino a scegliere due pugnali molto fini e piccoli: li nascose uno nello scarponcino destro e uno nell’interno coscia sinistro. In entrambi i casi, la sua tuta fece un ottimo lavoro nel nascondere le sue armi. Scelse anche di portare uno specchietto e il suo nuovo mp3 in caso si fosse annoiata; sarebbe stato anche ottimo sapere dove era esattamente nella nave ed orientarsi in essa.

“Lion mi serve una mappa della nave, voglio tutto: piantina generale, impianti elettrici, impianti di ventilazione, dove si trovano le persone in qualunque momento - qualsiasi cosa - in modo da spostarmi senza dover imparare a memoria i percorsi o dovermi affidare alle persone presenti. Scansiona la nave se ti può essere utile o hackera i siti di quest’Unione, non m’interessa, ma fammi avere ciò che ho chiesto. Vediamo anche di scoprire cosa sanno su di me.”

Procedo immediatamente. Per sapere gli spostamenti delle persone ci vorranno alcuni minuti ma la piantina è disponibile. Collego la tua corteccia celebrale alla mappa tra un secondo esatto.

Beatris sorrise quando la pupilla del suo occhio sinistro divenne simile al puntatore di un mouse: riusciva a vedere contemporaneamente sia la stanza, dove aveva dormito, sia tutta la mappa della nave, addirittura in tre dimensioni. Era semplicemente fantastico: le dava la possibilità di muoversi liberamente, come e quando voleva. Grande Lion!

҉҉҉

Si stava dirigendo verso quella che doveva essere la prua della nave a passo calmo ma deciso, simulando perfettamente una conoscenza del corridoio infinito che in realtà non aveva: questo però aveva permesso di passare inosservata alla maggior parte degli addetti che aveva incrociato, impegnati com’erano nel loro lavoro non avevano fatto troppo caso a una ragazza mai vista ma dalla camminata disinvolta. In fondo era una nave grande, non si poteva mica conoscere tutti.

Beatris aveva osservato varie categorie di divise: mentre loro ignoravano lei, lei li scansionava da cima a fondo per raccogliere anche il minimo dettaglio, utilizzando anche lo specchietto per vedere cosa facevano quando si fermavano davanti a delle porte scorrevoli, nel mentre fingeva di controllarsi come le stavano i capelli o il trucco che non aveva. Aveva in mente all’incirca una decina di divise diverse, avrebbe voluto sceglierne qualcuna per mascherarsi ancora di più, ma non sapeva esattamente il lavoro corrispondente di ciascuna e non voleva crearsi altri problemi. Ne aveva più che abbastanza.

“Ehi ragazza!”

Girò di scatto la testa a sinistra per vedere la fonte della voce e vide il Dottor Kçasip avvicinarsi a lei a passo svelto. Mise sul suo volto il sorriso di circostanza migliore, attendendo che il Dottore incominciasse a conversare: avrebbe colto l’occasione per approfondire lo scopo della sua missione. Certo, Lion le aveva letto il rapporto e questo riportava chiaramente che l’Unione la voleva – al momento ancora viva – ma non dichiarava da nessuna parte cosa ne sarebbe stato di lei. E Beatris aveva urgenza di saperlo: doveva capire come considerare l’Unione, se un alleato potente e sconosciuto o un nemico altrettanto insidioso.

“Come ti senti oggi? Mi pare di vedere che tu sia in ottima forma!”

Il sorriso raggiante di quell’uomo la mise di buon umore, nonostante continuasse a nutrire sfiducia. Avrebbe giocato bene le sue carte, se poteva avrebbe stretto amicizia con chiunque pur di capire qualcosa.

“Molto bene, la ringrazio. Effettivamente mi sento più in forze rispetto a ieri, ma credo che già da domani io possa addirittura ricominciare qualche tipo di esercizio fisico e potrei anche ricordare tutto: ho purtroppo ancora alcuni vuoti.”

Il tono malinconico dell’ultima frase non era espressamente voluto ma ebbe il potere di smuovere la comprensione e l’empatia umana del Dottore che le sorrise comprensivo, quasi paterno.

“Non preoccuparti, avrai tutto il tempo che ti serve e io non voglio forzarti a ricordare degli eventi sicuramente traumatici. Ero venuto a cercarti nelle tue stanze poiché tra pochi minuti partiremo dal pianeta e dobbiamo sederci sugli appositi sedili: appena superata la zona dove ancora la forza di gravità ci attira, ti farò fare un giro della nave in modo che tu possa orientarti. Vieni!”

Seguì docilmente il Dottore mentre tornavano indietro di alcuni metri ed entravano in una delle porte scorrevoli; svoltando un paio di volte a destra e un paio di volte a sinistra, Beatris ringraziò Lion per averle scaricato la mappa così in fretta: si sarebbe già persa come minimo quattro volte dentro quel labirinto di corridoi. Inoltre aveva adocchiato almeno altri due tipologie di uniformi, di cui una sicuramente aveva a che fare con qualche tipo di superiorità gerarchica perché aveva visto la donna dare ordini ad altri due sottoposti. Lanciò un sospiro, tenendo un profilo basso e stando dietro al Dottore come una bambina impaurita fino a raggiungere i famosi sedili, che assomigliavano di più a delle poltrone. Dentro la stanza c’erano già i sottoposti che aveva incontrato ieri, tutti seduti nel mentre parlottavano tra di loro: chiacchiericcio interrotto appena si accorsero di lei. Sorrise imbarazzata, non sapendo bene come comportarsi, salutandoli con un cenno della mano: doveva essere gentile se voleva uscirne viva.

“Vieni, siediti accanto a me e Kurt, allacciati pure le cinture di sicurezza, tra poco dovremmo decollare.”

Fece come indicatole, senza proferire parola: si sentiva osservata e la cosa la metteva a disagio, caratteristica del proprio carattere anche prima della trasformazione nel Soldato. Si ricordava perfettamente chi era e cosa faceva prima dell’operazione, degli allenamenti, delle missioni, della Guerra; si ricordava chi era Beatris prima del Soldato e si ricordava la vita che aveva, la famiglia che aveva perso e mai più visto. Ricordava anche le amicizie spezzate, del suo gruppo di amiche fidate, ricordava il suo appartamento e la cella, dove la tenevano rinchiusa dopo gli estenuanti allenamenti. Avrebbe ricordato sicuramente altro domani e la cosa la fece sprofondare in una malinconia estrema: non sarebbero stati episodi piacevoli. Sentì a malapena l’accensione dei motori ma fu lo stacco dal suolo a ridestarla totalmente dai suoi pensieri: sembrava di stare su un aeroplano molto silenzioso e molto più veloce. La pressione si fece sentire leggermente man mano che acquisivano velocità e si allontanavano dalla Terra, dalla stanza di criogenesi, da casa sua, dalla sua tomba per secoli: avrebbe dovuto cercare un altro posto da chiamare casa.

“Tra qualche minuto potremmo andare verso i vetri e vedere il pianeta, se ti va.”

“Mi piacerebbe, non l’ho mai visto dallo spazio. Anche se dubito sia come io lo ricordo.”

Se mancavano una manciata di minuti, aveva tutto il tempo di sentire qualche canzone: srotolò le cuffiette accuratamente arrotolate e infilò gli auricolari, sparando nei suoi timpani la prima canzone dopo secoli. Le capitarono i Lost Frequencies e, mentre chiudeva gli occhi, s’immaginò in un posto diverso, in un’era diversa: magari tutto questo tremolio era proprio dell’autobus che prendeva per andare al liceo, oppure era del treno che la portava nel suo appartamento oppure era in macchina con i suoi genitori e, per non sentirli blaterare di politica, si era rifugiata nella musica. Comunque la metteva la sua immaginazione, sapeva di starsi illudendo per niente: già da prima della criogenesi era senza speranze di rivederli, perché costruirsi una realtà fittizia per sfuggire all’inevitabile verità?
A canzone finita riaprì stancamente le palpebre e vide tutti in piedi, completamente liberi dalle cinture; slacciò allora le sue, stiracchiandosi e osservando la stanza dov’era, togliendosi l’auricolare destro in caso la chiamassero. E per ascoltare le loro conversazioni, ovviamente.

“Beatris, da questa parte!”

Tornò a seguire docilmente il Dottore mentre anche i suoi sottoposti decisero di vedere la Terra dall’alto, stando dietro di lei a distanza di sicurezza. Beatris ridacchiò tra sé e sé ma poteva capirli o almeno li comprendeva: da quei flash sulle sue missioni passate, non doveva avere proprio una buona reputazione ma pazienza, non l’avrebbero scocciata troppo. E arrivati alle grandi vetrate, non riuscì a trattenere un lamento alla vista di cosa rimaneva della sua casa: un ammasso di ferraglia faceva brillare il pianeta come una pallina accartocciata di stagnola e dell’azzurro dei mari non era rimasto niente.

“Ma che macello hanno combinato…”

Il suo commento non voleva essere così carico di stizza verso i suoi simili, ma gli occhi dei suoi vicini si sgranarono talmente tanto che Beatris avrebbe potuto giurare di vedere i piccoli capillari della sclera in ognuno di loro. Oltre a ciò, l’imbarazzo e il disagio stavano aumentando poiché dall’auricolare usciva Bohemian Rhapsody dei Queen: Freddy e compagni non sembravano molto in sintonia con il momento. Guardò ognuno negli occhi, ciascuno di loro fino a che la ragazza, l’unica del gruppo oltre a lei, emise qualche sibilo e indico il suo auricolare, comodamente adagiato sulla sua spalla destra. Ci mise qualche secondo prima di rispondere e Lion le confermò la corretta traduzione di quel sibilo.

“Sono contenta che ti piaccia, li trovo molto gradevoli anch’io.”

Anticipò la traduzione del Dottore, lasciando tutti basiti, compresa quella che doveva essere Jhosha, se non ricordava male. Eppure lei aveva capito benissimo cosa le aveva sibilato poco prima, nonostante non sapesse neanche lei il come, e Lion le aveva solo confermato la traduzione. Doveva averla sorpresa davvero tanto perché ora la stava guardando come se fosse un fantasma, nonostante un accenno di sorriso; come del resto anche tutti gli altri compagni ora la squadravano: ma per oggi ne aveva avuto anche abbastanza di sguardi puntati su di lei. Si rimise l’auricolare, alzò il volume, li salutò con un cenno della mano per cortesia e, concentrandosi solo sulla voce di Will.I.Am, uscì dalla stanza canticchiando, pronta a riprendere la sua esplorazione. Le sue mani trovarono un ampio e confortevole tascone, dove appoggiarsi mentre lei girava: la sua tuta sapeva sempre come metterla a suo agio, nonostante sentisse la mancanza di un vero armadio.

Grazie alla mappa raggiunse la mensa velocemente e senza trovare troppa gente indaffarata lungo la strada; appoggiata allo stipite della porta scorrevole, diede uno sguardo dentro l’enorme stanzone: sembrava una mensa industriale, lunghi tavoloni d’acciaio e panche in legno occupavano la maggior parte dello spazio e, addossata alla parete più lontana, stavano i banconi ripieni di pietanze. Aveva effettivamente una certa fame – e anche una certa sonnolenza - perciò entrò e seguì silenziosamente un gruppo di macchinisti, sporchi fino al naso di olio e con braccia enormi come tronchi, entrati in gruppo prima di lei: li vide prendere vassoi, piatti e posate da tre postazioni diverse e Beatris li imitò, tenendosi a una ragionevole distanza per non essere notata. Tornarono poi rumorosamente verso i tavoli perciò la ragazza si staccò da loro, scandagliando la stanza alla ricerca di un posto tranquillo ma che le permettesse di vedere i vari ingressi: scelse di dare le spalle al muro e di mangiare in fretta, prima finiva, prima poteva tornare nella sua stanza e riposare un po’. 

Tempo due minuti e ripulì il piatto di brasato con patate e carote, scegliendo di lasciare sul tavolo il vassoio, nonostante potesse risultare maleducato: non sapeva dove metterlo e aveva paura di farsi notare. Sgattaiolò fuori dallo stanzone e scelse la via più breve al suo alloggio: voleva solo fare una lunga dormita e riguardare un paio di album fotografici, sentiva mancanza di casa, sentiva la nostalgia della sua famiglia e dei suoi amici. Evitò accuratamente gli ufficiali di passaggio, persone con cariche importanti e persino quello che scoprì essere il braccio destro del Capitano Fuq – finalmente, la posizione di ogni singolo membro dell’equipaggio della nave era stato individuato e collocato nella mappa a tempo reale, si sentiva così grata ad avere Lion con sé. Non sapeva cosa avrebbe fatto senza.

È il mio lavoro Beatris.

“Tris. O Bea. Scegli pure, il nome completo mi sa tanto da estraneo. Tu non lo sei, sei parte di me ora.”

Come desideri Tris.

Alla fine della serata, chiusa a chiave nella sua stanza e con il vassoio della cena vuoto, Beatris impostò una sveglia per sicurezza e decise che sarebbe andata in palestra, se ne avevano una, ma pensava proprio di sì: se era una nave militare, dovevano tenere i soldati allenati. Sbadigliando, si accoccolò nel piumone del letto: come primo giorno non era andato così male, aveva gettato le prime basi.
 
 

ANGOLO AUTRICE

Ringrazio davvero di cuore molang per aver recensito entrambi i capitoli precedenti e per avermi dato una spinta per non considerare questa storia come un fallimento. Davvero, grazie!
 
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Capitolo 4
*** Missione: affermazione di potenza ***


Dicono del Soldato d’Inverno che sia sempre circondato da colori sgargianti e caldi.
Dicono del Soldato che l’armatura delle sue missioni sia di un freddo nero come le notti invernali.

Nave spaziale militare Cristallina. Millesettecentosessant’anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

I giorni trascorrevano lenti in una nuova quotidianità: sveglia al mattino presto, colazione leggera, palestra per la maggior parte delle ore, cena per poi tornare in camera per farsi una doccia e dormire. E ripeteva, giorno dopo giorno, per riattivare il suo corpo indolenzito che, nonostante tutto, aveva risposto attivamente alla prima serie di esercizi.

Come le mattine precedenti, Lion la svegliò puntuale da uno dei sogni che stava frequentemente avendo: all’inizio credeva fossero ricordi di missioni passate, ma Beatris constatò  che non avevano alcun senso logico, perciò lasciò perdere. Fintanto che erano semplici sogni, male non facevano. Si stiracchiò, prendendo la mela verde del vassoio e incominciando a mangiarla, mentre con passo sicuro scrutava il suo arsenale, indecisa su quale arma allenarsi. Aveva notato con soddisfazione di avere ancora un’eccellente mira e la sua manualità con i coltelli non era cambiata: l’unica pecca è che non avrebbe trovato altre munizioni per tutte le sue armi da fuoco, in questo l’Unione sembrava tornata al Medioevo dalle armi obsolete che avevano. Il che non aveva molto senso visto che costruivano navi spaziali, ma a Beatris non poteva che arrendersi all’evidenza: avrebbe dovuto fabbricarsi da sola i proiettili o combattere la maggior parte delle volte con la sua daga.

Decise che per quella giornata avrebbe cercato di testare la sua resistenza nella corsa a lungo termine, una delle sue pecche se non ricordava male. Fattasi una coda alta, si percorse la strada lungo i corridoi per raggiungere la palestra: occupava un’enorme ala della nave, divisa in più sale con attrezzi di tutti i tipi, bersagli sia fissi sia mobili, simulatori in tre dimensioni e tanti altri oggetti di cui non conosceva l’utilizzo. Non aveva mai avuto problemi con le altre persone intente ad allenarsi, vuoi per la loro stessa concentrazione, vuoi per lei che indossava le cuffie e non parlava con nessuno, sperava quindi che anche oggi andasse come al solito; forse avrebbe dovuto solo cercare le macchine adatte.

Tris, ricordati di andare in infermeria.

Annuì al promemoria di Lion: aveva intenzione di richiedere una visita completa, in modo da farsi somministrare i vaccini che le mancavano e per vedere se la criogenesi aveva avuto degli effetti collaterali. Decise quindi di fare prima tappa là, altrimenti ne era sicura, si sarebbe dimenticata.

Lion, portami là.

La voce metallica del suo assistente la guidò per altri cunicoli e corridoio che in quei giorni ancora non aveva attraversato: adocchiando sempre la mappa per capire la sua posizione, Beatris vide le pareti diventare sempre più bianche e l’odore di disinfettante impregnare l’aria. Dalla mappa vedeva che in infermeria era presente anche il Capitano Fuq e una smorfia si formò sul suo volto, non aveva molta intenzione di far vedere tutti i risultati dei suoi esami a una persona sconosciuta ma, effettivamente, se il Capitano voleva vedere la sua cartella clinica, non avrebbe impiegato molto ad averla.

Entrò nella stanza, bianca ovunque guardasse, mentre silenziosamente si avvicinava proprio al Capitano: sperava di ottenere una visita subito e senza troppi problemi, magari proprio la presenza del Capitano poteva essere utile ad accelerare le cose. Mise su un bel sorriso e si schiarì la gola quando ormai era esattamente dietro di lui: nessuno, tra infermieri e dottori, l’aveva sentita arrivare e mancò poco che sobbalzassero sul posto, la cosa la divertì parecchio. Ma ora che aveva la piena attenzione del Capitano, sorrise rassicurante e sperò che la aiutasse.

“Salve Capitano Fuq, scusi se la interrompo ma mi chiedevo se potessi fare una visita completa alla mia persona. Vorrei capire se sono completamente sana o se mi manca qualche vaccinazione o cose simili. Vorrei essere in piena forma.”

Se fosse stato sorpreso della sua richiesta, non lo diede a vedere esplicitamente ma Beatris si accontentò del suo sopracciglio sinistro leggermente alzato.

“Approvo la tua richiesta Soldato. Infermiere cortesemente, provvedete a fare una verifica completa sullo stato di salute della ragazza e informatemi se trovate qualcosa di anomalo.”

Si era rivelato più semplice del previsto. Beatris ringraziò calorosamente il Capitano che, dopo un cenno di saluto al suo staff medico e a lei, uscì dall’infermeria, senza dire una parola. Una donna abbastanza in carne la chiamò e la fece sedere su un lettino d’acciaio, leggermente rialzato rispetto al pavimento, mentre domandava a Beatris possibili allergie e altre domande mediche standard, a cui la ragazza rispose tranquillamente. Fu scannerizzata, come un foglio dal laser della stampante e le iniettarono un vaccino multivalente: il tutto durò meno di venti minuti, era stupita persino lei dalla velocità; ora era già in piedi che commentava i risultati delle analisi con uno dei medici presenti, un uomo sulla cinquantina scuro come il carboncino. Inoltre l’ago della siringa non le aveva fatto neanche tanto male: già, al temuto Soldato davano molto fastidio gli aghi delle siringhe sottopelle, da ridere. Non le riscontrarono niente di particolarmente importante, lei stessa aveva visto le sue analisi nella norma e perciò fu libera di andare in palestra. Contenta, Beatris riprese la visione della sua mappa e s’incamminò verso la palestra con una preoccupazione in meno in mente: poteva sembrare una sciocchezza ma ci teneva a tutelarsi il prima possibile e al meglio.

҉҉҉

Era quasi ora di pranzo e Beatris decise che per la mattinata poteva bastare: era da quando era arrivata che correva su un tapis roulant che si modificava per creare diverse situazioni del suolo, molto divertente e utile. E per rendere il suo allenamento ancora più intensivo, aveva trasformato la sua tuta in vestiti bagnati e pesanti e al posto delle scarpe da corsa aveva degli scarponi da montagna: un bell’impegno, estenuante dopo qualche ora; sperava solo di non trovarsi mai in quella situazione.

Si asciugò il sudore dalla fronte con uno dei morbidi e bianchi asciugamani che la palestra metteva a disposizione, mentre dei vestiti bagnati non restava più traccia: ora indossava una semplice tuta aderente azzurra. Intenta a sistemare l’attrezzo che aveva usato e renderlo disponibile agli altri, urtò leggermente il gomito contro il suo vicino, uno dei soldati del Capitano: Beatris alzò la mano destra in segno di scuse, nonostante lo avesse semplicemente sfiorato, e riprese ad asciugare il modem che aveva bagnato in precedenza con l’asciugamano. Quello che non sapeva era che al suo vicino non piacesse essere toccato e la sua natura già di per sé bellicosa, non lo aiutò a vedere il gesto come a un casuale avvenimento ma come provocazione nei suoi confronti.

“Ehy, tu, moscerino!”

Con una salda presa, il giovane irato girò verso di sé Beatris, che gli aveva dato le spalle per andarsene. La ragazza, tolti in fretta gli auricolari, lo guardò interrogativa e sospettosa, pronta a controbattere: non capiva tutta quest’aggressività nei suoi confronti, cosa aveva fatto adesso?

“Nessuno – e ripeto, nessuno – osa toccarmi e poi se ne va senza essere punito!”

Questo doveva stare proprio male. Lo aveva a malapena sfiorato e gli aveva chiesto addirittura scusa, cosa diamine voleva ancora!

“Senti, è stato un contatto accidentale, non mi pare di averti fatto niente.”

Lo sguardo dell’uomo di fronte a lei s’infiammò se possibile ancora di più. Le dita premevano nella carne della spalla sinistra, in una presa ferrea: non aveva intenzione di lasciarla andare. Beatris non voleva dare spettacolo davanti alle altre figure che si stavano radunando in cerchio attorno a loro, ma non aveva neanche intenzione di scappare da quel tizio che al posto del cervello aveva delle noccioline secche.

“Scusati moscerino e vedrò di non rompere in mille pezzi le ossa delle tue gambe.”

La stava minacciando? Questo era divertente.

“Non ti chiederò scusa. Neanche se mi paghi, cazzone.”

Ancora prima di vedere i muscoli del suo braccio flettersi per tirarle un pugno, Beatris fece un passo in avanti – a diretto contatto con il corpo del suo neo aggressore – e colpì con una ginocchiata potente i famosi gioielli di famiglia. La presa sulla sua spalla si allentò di colpo e la ragazza, approfittando del momento in cui il giovane si era abbassato per il dolore, gli prese la testa tra le mani e gli tirò una testata, centrando accuratamente il naso del suo aggressore, che prese a sanguinare copiosamente. Non contenta, scartò di lato e prendendo una manciata di secondi per trovare il punto giusto, tirò una ginocchiata in un punto preciso della faccia anteriore della coscia sinistra del malcapitato, centrando uno dei legami davanti il nervo crurale e perciò schiacciandolo. Questo causò un cedimento completo del ginocchio – e dell’intera gamba – che fece cadere il suo aggressore davanti a lei.
Disorientato e in preda a un forte dolore alla gamba, il ragazzo provò a rialzarsi senza successo. Guardò la sua avversaria, una bimbetta alta e grossa la metà di lui, guardarlo con due lame d’acciaio al posto degli occhi: non aveva mai visto degli occhi così chiari e il suo respiro accelerò non appena la vide avvicinarsi.

“Prova soltanto ad attaccarmi ancora, prova a chiedere ai tuoi amici di attaccarmi e io ti verrò a cercare. E fidati quando ti dico che, quando io vado a cercare le persone, quest’ultime non ne escono vive: l’inverno sta arrivando.”

E con un gesto secco della mano, Beatris colpì il collo del giovane davanti a lei, in corrispondenza del seno carotideo, facendolo svenire seduta stante.

Quando prese le sue poche cose e si girò per uscire dalla palestra, era avvolta da un silenzio tombale, sentiva soltanto respiri concitati e pensieri accavallati nella mente di quei ficcanasi: nessuno di loro aveva speso una parola per calmare il loro commilitone, perciò o erano tutti dei codardi o era normale che quel tizio s’incazzasse per niente. Probabilmente l’unica cosa che non era normale era che le prendesse dalla sua vittima: beh, questa volta aveva sbagliato obiettivo.  Con tutta calma Beatris uscì dalla porta, lanciando un sorriso di scherno prima al ragazzo ancora steso a terra e poi a Hool, uno dei membri della squadra del Dottor Kçasip: l’aveva intravisto all’ultimo secondo, probabilmente era stato mandato a chiamarla per pranzare insieme a loro. Le fece cenno di seguirlo ma prima Beatris gli chiese se aveva il tempo di andare a darsi una lavata veloce in camera, ne sentiva il bisogno. E come negare qualcosa al Soldato? In meno di un minuto aveva messo ko un soldato e ora se ne stava andando in giro con il sorriso sulle labbra.

Beatris fece del suo meglio per sbrigarsi: non aveva tempo per una doccia – l’avrebbe inoltre fatta in serata – perciò si diede una sistemata veloce e si mise due coltelli in entrambi i tasconi dei pantaloni a livello delle cosce; uscì una decina di minuti dopo e s’incamminò con il suo accompagnatore verso la mensa, sperando di non essere scocciata da nessun altro. Stavano camminando fianco a fianco lungo i corridoi, Beatris concentrata a sistemarsi i capelli mentre Hool concentrato a guardarla: come faceva quell’essere umana, così piccola e giovane, ad aver atterrato uno dei soldati più muscolosi della nave? Certo, l’effetto sorpresa della ginocchiata e della testata poteva capirli ma perché poi non si era rialzato? E perché con un semplice tocco al collo era svenuto? Decise di domandarglielo, dopotutto non era uno che si vergognava a chiedere spiegazioni. In più, era curioso.

“Quest’uomo si domanda come abbia fatto questa donna a difendersi.”

Beatris si voltò a guardarlo in volto, noncurante della mole di Hool o di come il suo naso fosse in realtà un grosso buco aperto al centro della sua faccia. Si chiese come non potesse darle fastidio o quantomeno, un senso d’inquietudine.

“Ho premuto un nervo importante della coscia e un fascio di nervi sensibili del collo. Entrambi, se premuti con una data forza, fanno rilassare i muscoli circostanti, impedendo il loro corretto lavoro. Pura anatomia.”

Hool rifletté per qualche istante: sarebbe voluto andare subito nelle sue stanze, alla ricerca di una mappa anatomica dell’essere umano per verificare le sue informazioni acquisite.

“Tu invece hai mai il raffreddore?”

Incredulo abbassò lo sguardo verso quella ragazza che lo guardava con gli occhi accesi da pura curiosità, forse anche di divertimento.

“Quest’uomo non può soffrire di malattie aeree, il suo corpo lo impedisce.”

“Fantastico!”

Le lanciò un’occhiataccia: lui non aveva fatto commenti sulla sua debole struttura ossea o sul fatto che dovesse per forza respirare una certa quantità di ossigeno o sarebbe morta. La vide alzare entrambe le mani in segno di pace e di scuse prima di incominciare a parlare a raffica: gli raccontò di come si sentivano le persone con questo raffreddore, di come fosse fortunato a non averlo mai avuto e di altre malattie dei polmoni umani che non aveva mai sentito, con quella ragazza che lo guardava interrogativa ogni volta che negava di conoscere. Blaterando di cose inutili, Hool si accorse di una qualità che non pensava potesse appartenere alla ragazza: sì, era stata diretta, mettendo subito in chiaro che si era accorta della forma diversa del suo naso, ma il suo discorso era passato da un difetto di Hool a un suo difetto. Trascinandolo fuori da una spirale di disagio che lo stava lentamente prendendo. Il Soldato sapeva esattamente come mettere le persone a loro agio.

҉҉҉

Se pensava di poter stare tranquilla, Beatris si sbagliava: nel bel mezzo del pranzo, quando finalmente stava incominciando ad avere una maggior interazione con le persone di fronte a lei e loro sembravano aver preso in considerazione l’idea che lei fosse anche una ragazza sola, in un nuovo mondo e non solo il Soldato, una freccetta rossa aveva centrato il dorso della sua mano sinistra. Beatris dapprima la guardò scettica, poi fissò il Dottore incredulo davanti a sé e infine si staccò la freccetta: non aveva né punte acuminate né sembrava ci fosse del liquido velenoso sulla sua superficie. L’oggetto le fu strappato dalle sue mani dal Dottor Kçasip stesso, mentre la sua mano veniva controllata meticolosamente dal suo secondo, il Dottor Hollander.

James… non ha il chip.”

“Il chip?”

Vuoi vedere che adesso per comprare le cose, bastava passare la mano sul lettore e quel chip funzionava come un bancomat?

“Ogni persona vivente ha un chip impiantato nella mano, a contatto con i nervi, con tutti i suoi dati personali, password e via dicendo. L’Unione se ne serve per identificare i trasgressori della legge e queste freccette servono per farlo andare completamente in palla: è doloroso per la vittima. Ma tu non ce l’hai.”

“Come potrebbe Kurt, nessuno di noi è autorizzato a piantarle un chip, neanche il Capitano. Il problema è che qualcuno voleva farti del male, Beatris.”

“E io ho già in mente chi potrebbe averlo fatto” – si guardò un attimo attorno, prima di vedere il simpatico soldato della mattinata, incredulo e in piedi a qualche metro di distanza  - “Eccolo là il colpevole. Ora scusate, devo chiarire la situazione.”

Con grazia si alzò dalla panca e incominciò a dirigersi con passo felino verso la sua vittima: credeva avesse capito che con lei non si doveva tirare troppo la corda. A quanto pare non era stata sufficientemente chiara ma avrebbe provveduto subito. Lo vide impallidire leggermente ma si mise in posizione d’attacco con un’enorme spada tra le mani e lei decise di fare lo stesso: sfoderò i suoi quattro coltelli e – grazie alle potenti calamine alle loro estremità – li unì per dare due coltelli a doppia lama. Intanto la sua tuta intelligente cambiò forma e aspetto: sentì ricoprirla di uno strato nero infrangibile, un’armatura resistente ma leggera in fibra di carbonio, fino a coprirle metà volto, lasciando liberi solo gli occhi e i capelli legati saldamente. In quei giorni aveva recuperato interamente la memoria e riconosceva l’armatura di cui ora era vestita: aveva visto la Guerra insieme ai suoi commilitoni. Beatris ora non c’era più: il Soldato era tornato.

Con un urlo, l’uomo tentò di venirle addosso, in un fendente potenzialmente mortale se l’avesse colpito ma il Soldato fu più rapido: scartò di lato e girando su se stesso, trapassò il muscolo dell’avambraccio destro con il suo coltello, per poi ritirarsi di qualche metro indietro, pronto a un nuovo assalto. Accecato dal dolore e forse dall’umiliazione, il giovane menò un secondo fendete che colpì solamente l’aria mentre il suo avversario si spostava continuamente, graffiando le sue braccia senza provocare più danni seri, in una danza mortale per stuzzicare la sua rabbia. In balia della furia, e avendo quella ragazza esattamente davanti a sé, provò a colpirla con un mezzano da destra ma lei fu più veloce: scivolò sotto le sue gambe aperte e sentì le lame penetrargli la carne della schiena. Il Soldato non gli lasciò il tempo di urlare per il dolore, che rapido, colpì con entrambi i piedi il retro delle ginocchia e, tirandosi addosso l’intera mole del suo avversario, strinse in una morsa ferrea il suo collo. L’uomo tentò di divincolarsi, mollò lo spadone per togliersi le esili braccia dal collo ma nulla, sembravano incollate tra di loro e più si dimenava, più lei stringeva. Le energie lo stavano abbandonando, si sentiva debole e frastornato, aveva bisogno d’aria, di ossigeno: la sua voce sembrava un mormorio così basso e roco da non sentirla neanche bene. Poi vide buio.
Quando lo sentì completamente abbandonato, il Soldato aspettò alcuni secondi prima di sciogliere la sua morsa e buttare sgraziatamente il corpo sul pavimento. Con calma riprese i suoi due coltelli a doppia lama e se li mise in una delle tante tasche dell’armatura, per poi incamminarsi a passo spedito verso l’uscita della mensa, non curandosi degli sguardi rivolti e del profumo del terrore e sgomento che stava causando.

“Soldato!”

Si fermò riconoscendo la voce del Capitano Fuq, girandosi lentamente verso la sua direzione e guardandolo fisso negli occhi: la sua iride scura contrastava con l’acciaio del Soldato ma non era lui a essere in soggezione. Il Capitano per la prima volta dopo tempo sentì un brivido scendergli sulla schiena: se in mattina aveva visto quegli occhi chiari, così inusuali, pieni di curiosità ma soprattutto li avevi visti caldi e circondati da un grande sorriso, ora aveva davanti iridi senza emozioni, con solo un scintillio di orgoglio o di follia – non avrebbe saputo distinguerli.

“Soldato, perché hai ucciso il mio sottoposto?”

Per tutta risposta, la risata che ne seguì fu terrificante: il Soldato stava ridendo, genuinamente divertito dalla domanda postagli. L’armatura scomparve, segno inconfondibile che si stava rilassando e nessuno all’interno della mensa rappresentava al momento una minaccia per lui.

“Il vostro sottoposto non è morto, purtroppo. Sta vivendo una morte apparente ma vi consiglio di medicarlo, non vorrete davvero che le sue ferite s’infettino: avvisatelo pure che l’inverno sta arrivando e che se ci riprova non sarò così gentile. Non vorrete di certo trovarvelo morto da qualche parte. ”

La minaccia, mascherata da un tono allegro e ironico e da un sorriso divertito, zittì tutti i presenti. Senza più nient’altro da compiere, il Soldato uscì dalla mensa e si ritirò nelle sue stanze, in preda a un attacco di ridarella sorto lungo la strada.

҉҉҉

“È stato fortunato.”

“È stato molto fortunato Capitano. I coltelli avrebbero potuto lacerare come burro le arterie e le vene addominali se fossero stati piantati verso il centro, vicino la spina dorsale; invece essendo ai lati hanno colpito solo vasi secondari. C’è stata un perdita di sangue considerevole, contando anche che ha trapassato di netto l’avambraccio, spappolandogli il muscolo, ma se avesse voluto ucciderlo avrebbe mirato subito alla schiena o al cuore.”

“Quando riprenderà conoscenza?”

“Tra un paio di ore, appena le morfine finiranno il loro effetto.”

“Per quando sarà in grado di ritornare ai suoi doveri?”

“Un mese, compreso di riabilitazione, se tutto va bene.”

Il Capitano Fuq ringraziò il medico della sua equipe e uscì dall’infermeria: il suo secondo gli fu subito accanto, in attesa di ordini. Ma neanche lui sapeva cosa ordinare: il Soldato era costantemente sorvegliato tranne che in camera ma era avvisato ogni volta che entrava e usciva, dove si dirigeva, con chi parlava. Questo era il suo primo episodio violento: aveva sentito della piccola schermaglia della mattina in palestra, ma non pensava realmente che il Soldato potesse essere così facilmente irritabile. Eppure ora il suo uomo era in un lettino, convalescente, mentre il Soldato si stava lentamente abituando alla realtà che lo circondava: non poteva direttamente controllarlo, non ne aveva l’autorità, e non poteva impiantargli il chip che gli avrebbe permesso di tenerlo a bada, non aveva il permesso dell’Unione. Era in una situazione di stallo e le cose si sarebbero aggravate: al prossimo salto nell’iperspazio, avrebbero dovuto ospitare il figlio di Stokovich, una delle più alte cariche dell’Unione, se non la più alta. Sapeva che il figlio voleva il Soldato a suo puro scopo personale ma non glielo avrebbe portato via: era destinato all’Esercito e non a essere una balia per uno spocchioso viziato figlio di papà.

“Avremo ospiti importanti al prossimo salto, controlla che sia tutto pronto e stila una lista di possibili attività. Voglio dargli delle proposte prima che mi chieda del Soldato. Dobbiamo inoltre evitare che si incrocino, anche per sbaglio.

“Provvedo subito. Dopo quel salto, dovremmo arrivare a circa due giorni dalla fine del viaggio.”

“Molto bene. Vai.”

Il ragazzo moro sparì, lasciando il Capitano in preda ai suoi pensieri: il suo secondo era rapido ed efficace, non lo avrebbe deluso, ne era certo. Era solamente da cinque anni che era sotto la sua ala protettiva e Fuq gli aveva insegnato tutto ciò che poteva essergli utile e tutto che sapeva: presto lo avrebbe raccomandato alla sua prima missione da Capitano, lo avrebbe visto diventare uno tra i migliori. Ma prima dovevano terminare questa missione e il tempo di tranquillità a loro concesso stava per scadere: pregò gli antichi dei che tutto andasse bene.

 

ANGOLO AUTRICE

Incominciano le prime scaramucce tra la nostra Beatris e il resto dell'equipaggio. Come vi sono sembrate le scene, erano abbastanza realistiche? Ho tentato di descriverle al mio meglio ma ovviamente un combattimento è molto più godibile se visto e non letto. E ricordate che ancora il Soldato non ha fatto niente!

Summer_time


 

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Capitolo 5
*** Missione: conoscenza dei giocatori ***


Dicono del Soldato d’Inverno che ami il caldo, il sole e la brezza fresca del mare.
Dicono del Soldato che porti dentro di sé l’inverno e che lo lasci uscire mentre uccide.

Nave spaziale militare Cristallina. Millesettecentosessant’anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Dopo l’incidente della mensa, non era più successo nulla di particolarmente preoccupante: durante i suoi allenamenti in palestra, nessuno la disturbava e Beatris richiedeva compagnia solo ed esclusivamente quando si allenava nel corpo a corpo o nell’uso di armi. Per il resto del suo tempo, o lo trascorreva nella più completa solitudine oppure chiacchierando con il gruppo del Dottore: essendo sprovvista di appoggi, la ragazza aveva preferito continuare a relazionarsi con loro per capire la nuova situazione e, tutto sommato, le stavano dando ottimi spunti per il futuro e consigli per il presente. Aveva deciso in partenza, proprio dall’incidente in mensa, che il famoso chip sottopelle non sarebbe stato piantato nella sua mano sinistra, né ora né mai: non avrebbe permesso a nessuno di controllarla così facilmente. Aveva anche deciso di trovare al più presto una filiera della sua banca, Lion le aveva trovato il suo conto corrente, non restava che prendere un appuntamento con il suo direttore e avere libero accesso ai suoi soldi: indipendenza economica prima di tutto.

Girovagando per la nave, aveva inoltre trovato un salone enorme e riccamente decorato, adibito ai ricevimenti importanti: enormi finestre facevano intravedere le stelle e le galassie circostanti, coperte ai lati da tendoni lunghi dal soffitto al pavimento, in pesante velluto rosso carminio; degli specchi ai lati riflettevano le luci dei candelabri di cristallo appesi e - ai lati - erano presenti regolarmente piccoli tavoli rettangolari, coperti da tendoni bianchi. Il salone era bello quanto impolverato e Beatris starnutì un paio di volte, non più abituata al pizzicore al naso dovuto agli acari. Divenne comunque la sua stanza preferita dopo la palestra: la sera restava sempre qualche ora a ballare ascoltando musica, nonostante lei di ballo non ne sapesse niente e continuasse ritmicamente a starnutire a causa della polvere.

Quel giorno partì come i soliti fino all’ora di pranzo, quando sentì voci concitate tutte intorno a sé: ogni membro dell’equipaggio stava fremendo, agitato da una causa ancora sconosciuta. Beatris guardò prima Jhosha e poi Kurt, inarcando il sopracciglio destro in cerca di spiegazioni e risposte a quest’agitazione di massa: non ottenne risposta, entrambi la guardavano e poi distoglievano lo sguardo ma la ragazza poteva sentire i loro pensieri frullare nella testa. Neanche provando a parlare con Hool ottenne un briciolo d’informazione. Fu soltanto con l’arrivo del Dottore che la situazione si sbloccò e finalmente capì cosa stava succedendo: alla fine del salto nell’iperspazio, sarebbe salito sulla nave un certo Dimitri Stokovich, figlio di Ivan Stokovich, membro dell’oligarchia dell’Unione. La cosa non la preoccupò più di tanto fino a che non le dissero che era qui per il Soldato e quindi per lei: Beatris rimase stupita – o forse era irritazione quella dipinta sul suo volto? – della velocità con cui le persone avevano saputo del suo risveglio e della velocità con cui stavano già incominciando a scannarsi tra di loro. Chiaramente era già a conoscenza del destino scritto per lei, ma già una volta era riuscita a togliersi le catene del controllo sulla sua vita e aveva fatto le cose a modo suo; questa volta non sarebbe stato diverso: sapeva che il Capitano Fuq la voleva per addestrare le nuove reclute mentre il Dottor Kçasip per analizzarla e studiarla. Aveva incaricato Lion a trovare i veri scopi delle due autorità della nave qualche giorno prima: se doveva giocare una seconda partita a scacchi per avere la sua libertà, non si sarebbe tirata indietro.

Il nuovo giocatore che stava per entrare, era il pezzo mancante della triade: la voleva per sé, per compiere chissà quali crimini sotto i suoi ordini. Da quanto aveva colto nelle conversazioni tra Kurt e il Dottore, questo Dimitri era un tizio cresciuto nell’oro e nella sicurezza, maturando non solo il fisico ma anche un ego e una sfacciataggine senza pari: eppure dal tono quasi timoroso con cui stavano sussurrando queste parole, Beatris non ci mise molto a capire che era uno con cui bisognava agire con cautela. Ordinò a Lion di trovare informazioni su questo ragazzo, perché aveva la stessa età di Kurt e perciò poco più grande di lei, e sul perché fosse così temuto – tralasciando l’importanza che aveva il padre nell’Unione. Sperò di trovare qualche crepa nella sua reputazione, in modo da potersi difendere verbalmente in caso di necessità: neanche a farlo apposta, si trovò anche costretta a pensare a che arma portare nella grandiosa festa che si sarebbe tenuta durante la serata per accogliere il nuovo ospite.  Il - suo - salone sarebbe stato rispolverato e lucidato a dovere per la prima volta dopo mesi, forse anni: sarebbe stato incantevole in una situazione spiacevole e potenzialmente pericolosa.

“Cosa mi conviene fare?”

Pose direttamente la domanda che la stava momentaneamente assillando proprio al Dottore, che fu colto alla sprovvista. La risposta impiegò alcuni secondi e la voce leggermente tremante e carica di rabbia fece capire a Beatris che neanche il Dottore era molto contento di questa visita.

“Presentati alla festa e incontralo il più tardi possibile: appena ti avrà messo gli occhi addosso, non vorrà più lasciarti andare. Sembrerebbe una cosa romantica, ma non lo è.”

Beatris annuì leggermente, prima di chiedere se era necessario seguire un dress code o se si poteva andare come meglio si credeva: purtroppo Jhosha le rispose sibilando contrariata che, alla parte femminile dell’equipaggio, era richiesta la divisa con la gonna, perciò anche lei era caldamente invitata a indossarne una. La ragazza annuì, prima di congedarsi e ringraziarli per l’avviso datole: avrebbe provveduto in quelle poche ore pomeridiane a studiare un piano d’azione e se proprio non avesse avuto idee concrete entro fine serata, avrebbe improvvisato.

҉҉҉

“Quindi cosa hai trovato?”

Attese che Lion scaricasse le foto e i video che aveva trovato su questo Dimitri mentre lei rovistava tra le sue foto, alla ricerca di un vestito da far copiare alla sua tuta. Non la entusiasmava questo nuovo incontro: oltre a dover stare attenta a come si muoveva e a cosa diceva, avrebbe dovuto sopportare un evento pubblico e la sua natura poco estroversa continuava a lamentarsi, trovando scuse su scuse per convincere la sua mente a non andare a quello stupido ricevimento.

La mia configurazione non è capace di dare giudizi ma ritengo il nuovo soggetto molto pericoloso.

“Perché, cosa ha fatto?”

È a capo del più grande commercio di schiavi legali nella galassia, figlio della più alta carica dell’Unione, anche se non formale. Diplomato con ottimi voti all’Accademia, si sta buttando nel campo dell’Industria, spaziale e non, lasciando la possibile futura attività politica al fratello maggiore, Nikolaj, di due anni più grande.

“In che senso schiavi legali?”

Un brivido le era corso quando aveva sentito la vocetta metallica di Lion parlare proprio di schiavi: se c’era qualcosa che aveva sempre difeso con le unghie e con i denti, era proprio la libertà. Non poteva sentir parlare di schiavi, non poteva pensare che ci fossero persone senza alcuna possibilità di scegliere anche solo cosa pensare o dove mangiare.

L’Unione ha aperto un commercio florido di schiavi legali: ogni famiglia benestante può avere al massimo uno schiavo per ogni membro della famiglia. Sono marchiati a fuoco sulla fronte con un ideogramma, per renderli subito riconoscibili se tentassero di scappare; inoltre hanno al posto del chip, un segnale di posizione che li rende facilmente rintracciabili. Gli schiavi possono venire da qualsiasi ceto sociale: minacce per la stabilità politica, poveri, debitori, rivoluzionari, senzatetto. Chiunque può essere venduto negli appositi centri.

“La cosa mi fa schifo. E questo Dimitri sarebbe a capo di tutto il giro?”

Si Tris: controlla che nessuno schiavo fugga dalla famiglia che l’hanno comprato e se questo capita, manda squadre per abbatterlo e dare alla famiglia un sostituto. Decide i prezzi delle varie categorie, gli sconti in determinati periodi dell’anno; gestisce i centri della vendita e chi può vendere: perseguita molto duramente il commercio di schiavi illegale.

“Quanto duramente?”

Abbastanza da bruciare all’interno di un capannone trecento esseri viventi tra schiavi, compratori e venditori pur di sradicare la concorrenza.

“Mio dio.”

Beatris si passò la mano sul volto: questo Dimitri non poteva essere sottovalutato, doveva agire con calma e circondarsi dell’approvazione del Capitano e del Dottore. Fino a prova contraria, non spettava a questo ragazzo decidere dove lei dovesse andare, ma sarebbe stato il Concilio e le sue alte cariche a stabilire il suo futuro: certo, il padre deteneva gran parte del potere e sicuramente avrebbe convinto gli altri a farla lavorare per il figlio. Ma per ora, per la serata soprattutto, poteva giocarla in questo modo: non avrebbe accettato alcuna sua richiesta ma neanche quella del Capitano e del Dottore, avrebbe invece fatto finta di aspettare qualunque decisione dell’Unione e del suo Concilio, sarebbe stato il bravo soldatino in attesa di ordini. E mentre si sarebbero scannati tra di loro, pur di averla con sé, lei sarebbe scappata e avrebbe tentato di rifarsi una vita lontano dall’Unione e dai suoi progetti.

“Lion fammi vedere le foto e i video, voglio incominciare ad analizzarlo.”

Procedo con la foto numero uno, Tris.

҉҉҉

Il suono di strumenti d’orchestra si sentiva almeno a una decina di metri prima dell’entrata: le porte di legno chiaro erano spalancate e un tappeto rosso segnava il confine tra freddo pavimento in metallo a duro pavimento piastrellato. Beatris entrò con calma, gustandosi il panorama del salone completamente tirato a lucido: ogni cosa rifletteva sugli specchi, sulle grandi finestre, sulle superfici levigate dei tavoli e persino sui candelabri di cristallo. Tutti gli ufficiali, ogni membro della nave Cristallina era lì, intenti a chiacchierare amabilmente tra di loro sovrastando con le loro parole inutili e vuote, il suono dolce dei violini e di tutti gli altri strumenti: forse – pensò Beatris - ancora c’era speranza nel campo musicale per questa nuova realtà. Ma appena vide la console su un piccolo palco al posto dell’orchestra, l’espressione rilassata sul suo viso sparì per essere sostituita da una più corrucciata: tutto digitalizzato. Subito un leggero ghigno si aprì tra le sue labbra: ne avrebbe approfittato per creare un po’ di scompiglio in tarda serata, in fondo tutti questi giovani soldati avevano diritto anche loro a una serata in discoteca.

Lion, prepara una lista di canzoni del mio mp3 da mettere durante la serata. Cracca inoltre la console, in modo da poter ribaltare la situazione non appena ci va.

Incomincio subito Tris.


Sorrido al pensiero di ciò che sarebbe accaduto, incominciò a destreggiarsi tra la folla: avrebbe potuto ricopiare la divisa femminile ma aveva rinunciato, doveva incontrare prima o poi questo Dimitri e sarebbe stato più semplice se l’avessero riconosciuta subito tra la folla. A passo lento e cadenzato, si avvicinò a un tavolo e, non curante, prese un intero piattino di bruschette: non li avevano fatti cenare e stava morendo di fame, non avrebbe seguito il bon ton solo perché il figlio di un politico entrava nella nave. Per lei non c’era stata nessuna festa per la sua liberazione, per il suo ritorno alla realtà: ma poi, sinceramente, alla fine se ne fregava altamente di ciò che avrebbe potuto dire la gente presente. Aveva fame e avrebbe mangiato ogni dannata bruschetta se serviva a placare il suo stomaco. Sentì i passi pesanti di Hool farsi sempre più vicini fino ad affiancarla, non appena ebbe messo sul primo tavolo disponibile il piatto vuoto. 

“Quest’uomo ti ha portato un altro piatto da condividere, ha notato la tua fame.”

Beatris ridacchiò, contenta che almeno qualcun altro oltre a lei si stesse ingozzando. Ringraziò il gigante gentile e prese insieme a lui una tartina, sapendo che anche quel piatto sarebbe stato presto appoggiato sul tavolo, vuoto.

“L’uomo si complimenta per il vestito, sta molto bene addosso a questa ragazza.”

“Oh, grazie – Beatris arrossì, era da molto tempo che non indossava più un vestito, ancora di più che qualcuno si complimentasse con lei – l’ho usato per un matrimonio, mi pareva abbastanza elegante per l’occasione ma non troppo ingombrante.”

E di fatto, il vestito nero a tubino la fasciava morbidamente, coprendole le braccia con un effetto “vedo/non vedo” mentre la gonna in un leggero raso, arrivava quasi al pavimento piastrellato, nonostante i tacchi neri che indossava. Non le stringeva le gambe, avrebbe potuto benissimo correre con quel vestito oppure estrarre i due pugnali che teneva nell’interno coscia sinistro, a seconda delle esigenze.

“Quest’uomo ti avvisa: Dimitri Stokovich è furbo e tenterà di plagiarti. Non farti ingannare dalla sua bella presenza.”

Beatris si girò completamente verso Hool: il giovane guardava quella ragazza troppo bassa, nonostante le sue scarpe, che sorrideva semplicemente. Ma poi vide i suoi occhi: due lame affilate dell’acciaio più puro, rimarcate dal nero del trucco e capì che lei sapeva qualcosa, doveva sapere qualcosa se non chiedeva spiegazioni.

“Dimitri Stokovich sta sera non incontrerà il Soldato ma incontrerà Beatris. E sta pur certo che il Soldato non lascerà che mi venga fatto alcun male.”

“Eppure siete la stessa persona, non hanno senso le tue parole.”

“Io e il Soldato siamo una cosa unica ma al tempo stesso divisa. Siamo come una medaglia, due facce opposte ma uguali: io eccello in alcuni campi, il Soldato in altri ma entrambi non possiamo sopravvivere se uno di noi due se ne va. Io morirei in poco tempo, non so come difendermi fisicamente mentre il Soldato sarebbe uno schiavo, incapace di mentire al suo superiore. Io mento e difendo la nostra mente, il Soldato combatte e difende il nostro corpo.”

La conversazione fu interrotta da Kurt, giunto per chiamare Beatris al cospetto del Capitano e dell’ospite: prendendo un respiro profondo, la ragazza incominciò a seguirlo, pronta ad affrontare il suo futuro nemico. Uno dei tanti.

Vide subito il gruppetto: il Comandante Fuq stava parlando – insieme al Dottor Kçasip – a un ragazzo alto e moro, vestito con uno smoking bianco, con cravatta, inserti e scarpe grigio fumo. Sembrava la persona più tranquilla nella sala ma Beatris vide la sua postura rigida come segno inequivocabile di stress: mentre si avvicinava, notava anche gli sguardi leggermente impauriti dei soldati della nave e dei leggeri mormorii – parole soffocate poi dalla musica. La ragazza prese il controllo assoluto dei muscoli del suo viso: se lui tradiva la sua irrequietezza, lei doveva essere impenetrabile, perciò respirò nuovamente e indossò un sorriso formale, pronta a conoscere il terzo giocatore.

“Buonasera Capitano, buonasera Dottore. Mi avete fatta chiamare?”

Accennò un saluto con il capo a entrambi prima di rivolgere il suo sguardo, leggermente interrogativo verso l’intero gruppo, schermandosi in un’ignoranza della situazione che non aveva.

“Beatris, questo è Dimitri Stokovich figlio di un membro molto importante del Concilio dell’Unione. Dimitri, lei è Beatris, il Soldato.”

La ragazza gli sorrise con garbo mentre vedeva le pupille dilatarsi leggermente: sicuramente si aspettava un omaccione o quantomeno una presenza più invasiva mentre lei era piccola ma soprattutto comune. Dimitri però si riprese in fretta dalla sorpresa e le sorrise, salutandola con un elegante baciamano; non si poteva non dire che era affascinante: i modi erano eleganti e precisi – dovuti sicuramente a un’educazione rigida ma completa – ma il suo punto esteticamente forte erano sicuramente gli occhi. Beatris non aveva più visto occhi chiari come i suoi, né azzurri né grigi né verdi, ma quelli di Dimitri erano completamente estranei: l’iride era di un viola scuro, con alcune screziature di blu oltremare che rendevano lo sguardo ammaliante, abbinati perfettamente ai modi eleganti d’alta società.

“Incantato. Perdonerete la mia sorpresa, non mi aspettavo una signorina del vostro calibro a vestire i panni di un assassino senza scrupoli.”

Beatris continuò a sorridere con garbo, intenta a evitare che le sue sopracciglia schizzassero verso l’alto, non a causa del timbro di voce basso e leggermente caldo del giovane davanti a lei, ma dalla fantasia con cui tutti e tre si erano approcciati: nessuno si aspettava una ragazza al posto del Soldato. Lo dicevano anche le sue vittime, ormai ridotte a polvere.

“Se vi può consolare, anche il Dottore e il Capitano sono stati sorpresi quanto voi.”

“Immagino.”

Aveva indirizzato due frecciatine e aveva rilassato il suo nemico. Stava andando anche tutto abbastanza bene: l’inizio era andato, ora bisognava giocarsi il resto della serata.

“Come penso tu sappia Beatris, ti stiamo portando al Concilio dell’Unione, in modo da trovare il posto che occuperai d’ora in avanti.”

Il Capitano si era intromesso, aprendo il dibattito principale della serata: il suo futuro. Le iridi di Dimitri si erano oscurate ancora di più mentre il Dottore aveva assunto una posa più rigida mentre lei continuava a sorridere leggermente.

“Ne sono consapevole: sarei ancora addormentata nella cella di criogenesi se il Museo Generale, e in particolar modo il Dottor Kçasip, non avesse insistito per organizzare la mia spedizione e se l’Esercito non avesse dato metà dei fondi e la disponibilità di questa stessa nave, compresi equipaggio e attrezzature, per il mio trasporto.”

Vide il Capitano e il Dottore ghignare leggermente: Dimitri Stokovich non aveva contribuito per nulla alla sua liberazione e questo era un dato di fatto. L’aveva messo leggermente all’angolo, ora voleva vedere come se ne tirava fuori.

“Purtroppo ammetto che né io né l’Industria abbiamo dato peso a questa spedizione e me ne rammarico molto. Se avessimo saputo l’esito, se avessimo anche solo ipotizzato che tu fossi viva ma sepolta sotto metri e metri di terra, avremmo sicuramente contribuito alle spese della spedizione.”

Si stava mettendo sulla difensiva, lo sentiva anche solo dal tono di voce. Beatris decise di non mostrarsi sua nemica, si sarebbe rovinata da sola la serata.

“Lo capisco, davvero. Non c’è niente da rammaricarsi. Aspetterò l’esito della decisione del Concilio, qualunque esso sia.”

Gli sorrise comprensiva e il ragazzo ricambiò con un sorriso freddo mentre i suoi occhi mandavano lampi violenti.

“Se volete scusarmi, sono sicura abbiate molto altro di cui parlare.”

Congedandosi dal gruppo, si diresse verso la finestra più lontana, in modo da avere tempo per calmare il suo cuore impazzito dall’ansia e per tirare le somme di questo primo incontro. Mentre camminava, s’imbatté nuovamente in Hool, che decise di seguirla: a quanto pare doveva essergli simpatica, o quantomeno sopportabile se stava così tanto in sua presenza. Arrivati alle finestre, trovò un comodo divanetto su cui sedersi, tentando di non cadere da quei tacchi vertiginosi e ammirando lo spazio indefinito al di fuori dal vetro.

“Cosa ne pensa questa ragazza di Dimitri Stokovich?”

“Penso che sia intenzionato ad avermi, legalmente o meno. Mi fissava come io fissavo prima i piatti pieni di bruschette.”

Sentì il gigante ridere sommessamente al paragone mentre lei restava seria, pensando a cosa sarebbe potuto succedere in serata di storto.

“Quest’uomo pensava fosse caduta ai piedi del ragazzo dagli occhi viola come tutte quante le persone prima di lei. Quest’uomo ne sarebbe stato molto deluso.”

“Felice di non averlo fatto. Ma tanto so che proverà a farmi cambiare idea o quantomeno a tentare di farmi lavorare per lui entro la fine della serata.”

“Come pensi di impedirglielo?”

“Facendo cambiare disco, ovviamente. Vedrai, non saprà più trovarmi dopo.”

“Eppure lo ha già fatto. Si sta avvicinando proprio in questo momento.”

Beatris si voltò verso di lui, la stessa identica scena precedente e come prima, Hool vide i suoi occhi cambiare luce, da allegra a feroce: Beatris stava proteggendo il Soldato e lui montava la guardia alle sue spalle. Dopo rapidi convenevoli, vide la ragazza sparire nella folla, a braccetto con l’ospite che tutti temevano, persino lui: eppure Hool non era in pericolo di vita come Dimitri Stokovich.

҉҉҉

“Accetterei molto volentieri il tuo invito a ballare ma purtroppo sono realmente negata: è stata un’attività non necessaria da acquisire.”

Stava chiacchierando amabilmente con Dimitri, declinando periodicamente la sua offerta di ballo. Era un eccellente intrattenitore e aveva occhio per gli affari: Beatris stava parlando con molta cautela, pesando e misurando le parole, in modo da non creare appigli cui lui potesse appoggiarsi.

“Acquisire? Interessante scelta di parola. Avete voglia di parlarmi del vostro reclutamento? Sempre se per voi non è doloroso, chiaramente.”

“Il mio reclutamento e di conseguenza il mio allenamento sono entrambi argomenti che non ho intenzione di rivelarvi, non questa sera almeno, giacché carichi di esperienze, direi… pesanti.”

“Rispetto la vostra scelta Beatris e spero vivamente di non avervi causato qualche spiacevole flash.”

“Assolutamente no, ormai devo dire di aver preso un certo distacco emotivo da quei ricordi.”

Che bugiarda. Ricordava a memoria ogni singolo dettaglio, ogni torto subito, ogni ferita, contusione e uccisione. Se non si svegliava urlando a causa degli incubi, era perché era stata allenata a non farlo.

“E invece la vostra famiglia? Vi va di parlarmene?”

Che insistente. Non avrebbe speso una parola in più del necessario sulla famiglia che aveva perso.

“Avevo una famiglia, come tutti, ed ora è ridotta in polvere da chissà quanti anni. Non so se esistono eredi, ma in ogni caso sarebbero per me dei perfetti sconosciuti, come io lo sarei per loro. Non ho niente di mio, tranne due bauli, o niente che possa considerarsi di mia proprietà.”

“Questo potrebbe essere facilmente risolvibile…”

Beatris sorrise leggermente tra sé e sé: voleva vedere cosa aveva da offrirle.

“Le tue capacità sono troppo preziose per essere soffocate, come vogliono fare al Museo, o per essere vanificate in un addestramento di reclute, come vuole fare l’Esercito. Io ti offro la piena libertà di espressione – Dimitri controllò di avere la sua completa attenzione prima di proseguire – permettendoti di uccidere soggetti attraverso metodi a tua completa scelta. Avresti una casa, molti servitori, uno schiavo se lo desideri, con pochi incarichi durante l’anno.”

“Mi sembra interessante.”

Lo vide sorridere apertamente per la prima volta mentre la luce violenta dei suoi occhi si tingeva di un colore più possessivo.

“Ma come ho detto, aspetterò il verdetto del Concilio.”

Lo lasciò in mezzo alla folla, sconfitto da una semplice frase. E prima che potesse raggiungerla di nuovo per provare a lusingarla con false promesse, Beatris diede il via libera a Lion: la musica d’orchestra si fermò improvvisamente mentre le luci si spensero di colpo. Poi, illuminati solo dalle luci del corridoio, da qualche candela e dalle luci delle stelle riflesse nelle finestre e negli specchi, le canzoni che avevano segnato l’adolescenza di Beatris risuonarono forti in tutto il salone, facendo scatenare ogni singolo membro dell’equipaggio. E per nascondersi ancora meglio, il lungo vestito nero fu sostituito da una replica perfetta della divisa femminile mentre Beatris, dopo tempo, ballava libera.



 

ANGOLO AUTRICE


Ecco a voi Dimitri! che ne pensate del nostro nuovo e misterioso amico? Vi piace, vi stuzzica?
Grazie a tutti voi che mi seguite e mi supportate!

Summer_time

 

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Capitolo 6
*** Missione: confronto con il Concilio ***


Dicono del Soldato d’Inverno che ami la compagnia delle altre persone e che rida tanto.
Dicono del Soldato che nessuno riesce a stare al suo passo in missione.

Pianeta Unione, sede del Concilio. Millesettecentosessant’anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Beatris rimase così delusa dal pianeta più sicuro e potente dell’intera galassia, che non smise di borbottare in francese per tutta la durata dell’atterraggio. S’immaginava un grande pianeta, completamente trincerato dietro a navi spaziali da guerra, confini pattugliati ogni secondo e richieste infinite per l’atterraggio: invece si trovava davanti una palla composta da edifici bianchi e grigi, non più grande della Luna, circondata da qualche asteroide e da qualche stazione per le navi dell’Esercito. Insomma una vera e propria delusione: la prima impressione dell’Unione non aveva suscitato in lei altro che reazioni negative. Sapeva che quel pianeta serviva esclusivamente come ufficio dell’Unione, dell’Esercito e come sede abitativa degli alti vertici: in ogni caso non era colpita. Come se la sua delusione non fosse abbastanza, Dimitri aveva speso gli ultimi due giorni tallonandola ovunque lei andasse, dalla palestra alla mensa, aveva persino bussato alla sua porta la sera precedente per parlare – ovviamente il tutto in maniera molto discreta, gli dava il merito di sapersi nascondere a un occhio poco allenato: Beatris però era stata addestrata a capire se qualcuno la pedinava e Dimitri avrebbe dovuto ricordarselo. Non era una semplice ragazza, lei era il Soldato d’Inverno e avrebbe messo al suo posto quello sbruffone senza tante cerimonie. C’era stata persino una volta in cui l’aveva visto avvicinarsi e presa dal nervoso, aveva acceso il suo mp3 e se n’era andata ballando e cantando ad alta voce: la sua faccia confusa era stata una benedizione inaspettata, se ci pensava sicuro si sarebbe messa a ridere a crepapelle.

Imitando Kurt e Jhosha, allacciò le cinture di sicurezza nel mentre la nave Cristallina procedeva cautamente con l’atterraggio: al contrario della volta in cui – spaventata e afflitta – si apprestava a lasciare la Terra, in questa non ci furono scossoni o leggeri tentennamenti, solo una dolce pressione sul petto. Il tutto non era durato neanche un minuto, Beatris pensò che avessero realmente fretta di portarla davanti al Concilio altrimenti non si spiegava tutta questa foga: il che implicava che il tempo per lei per fuggire stava iniziando a scadere. Scosse leggermente la testa mentre mugugnava ancora in francese, piccoli insulti e imprecazioni che sapeva nessuno avrebbe capito.

“Beatris abbiamo ancora una ventina di minuti prima di sbarcare. Ti consiglio di vestirti bene, incontrerai il Concilio subito.”

La ragazza annuì pensierosa mentre Lion nella sua testa scaricava le molteplici mappe dei vari palazzi dell’Unione.

“Come faremo con i miei due bauli? Sono le uniche cose che ho e voglio portarmele dietro.”

“Potresti ridurli e metterli in tasca, così non dovranno neanche preoccuparsi del loro scarico e trasporto. Che dici?”

Beatris annuì alla proposta di Kurt. Il ragazzo le porse una piccola pistola dalla canna lunga: l’unico pulsante presente innescava una reazione chimica che creava un raggio laser, quasi incolore, al quantico, riducendo di dimensioni qualsiasi cosa. Le raccomandò di essere prudente, gli organismi viventi se colpiti si trovavano le parti colpite completamente atrofizzate o, nei casi più gravi, morivano per le complicazioni dovute. La ragazza sogghignò internamente, segnandosi di rubare quell’oggettino così carino e mortale: avrebbe detto a Kurt che l’aveva dimenticato in camera o perso, a seconda della situazione. S’incamminò verso la sua stanza sperando che nessuno, soprattutto Dimitri, la disturbasse.

҉҉҉

Kurt vide Beatris arrivare quasi di corsa nel mentre si sistemava i lunghi capelli castani all’indietro. Doveva averli sicuramente piastrati perché erano fin troppo lisci e del gel li stava tenendo saldamente lontani dal viso truccato. Era sistemata a dovere tranne che per la tuta arancione che stonava allegramente con la serietà del trucco: il ragazzo inarcò un sopracciglio alla ricerca di spiegazioni. Non fece in tempo a chiedere nulla che, non appena Beatris si fermò davanti a lui, la tuta scomparve per lasciare posto a un elegante completo femminile nero.

“Meglio?”

Il moro annuì: se doveva presentarsi al Concilio, tanto valeva presentarsi bene. Avrebbero pensato loro a parlare per lei, Beatris doveva solo starsene tranquilla in disparte e annuire di tanto in tanto.

“Ricorda: stai accanto a me o a Hool, dietro al Dottor Kçasip, al Capitano Fuq e a Dimitri Stokovich. Jhosha sarà dietro di te, insieme al braccio destro di Fuq e ad altri soldati dell’Esercito. Non ti agitare, non entrare nel panico, non tentare la fuga e non parlare.”

“Addirittura. Vedrò di tenerle presente tutte come se fossero le mie uniche ragioni di vita.”

Kurt schioccò la lingua in disapprovazione al tono sarcastico usato dalla ragazza: non aveva neanche idea di quanto quel minuscolo posto fosse pericoloso, di come l’avrebbero fatta a pezzi se avesse provato anche solo un tentativo di ribellione: Kurt sapeva che non c’era nulla con cui scherzare e il cadavere del suo amico Conrad glielo ricordava costantemente.

Conrad era un mercante di strada, uno di quelli che sopravviveva vendendo qualsiasi tipo di oggetto, da piccole batterie a oggetti di antiquariato; mai andato contro la legge, mai avuto debiti con i strozzini della città, l’unica macchia nella sua vita era essere senza fissa dimora. La polizia che pattugliava le strade ormai lo conosceva e non lo disturbavano ma lo tenevano costantemente sottotiro, pronti a spedirlo dal primo rivenditore di schiavi se avesse commesse un passo falso. E alla fine lo avevano ucciso con un colpo secco in testa, quando si era rifiutato di mostrare per l’ennesima volta i documenti.

L’apertura dello sportello principale lo riscosse dai suoi ricordi: Beatris lo stava fissando incuriosita, ma non chiese nulla e Kurt ne fu più che sollevato. Quando scesa dalla Cristallina una strana eccitazione prese a scorrergli nelle vene: i suoi genitori sarebbero stati fieri di lui? Cosa ne sarebbe stata della sua carriera ora che avevano riportato il Soldato – no non il Soldato, lei era Beatris – di nuovo in vita? Cosa lo attendeva? Glorie, onori, medaglie o forse riconoscimenti ufficiali. Ne sarebbero stati tutti orgogliosi e soprattutto invidiosi: tutti i suoi ex compagni di corso l’avrebbero invidiato e avrebbero pagato oro pur di essere al suo posto. Nessuno aveva creduto in James quanto lui e ora ne traeva i frutti di quella caccia al tesoro. Man mano che percorreva i grandi saloni e i corridoi marmorei, sentiva un sorriso vittorioso spuntar fuori dalle labbra, un sorriso che sapeva da rivincita, da soddisfazione, da orgoglio e da consapevolezza di aver fatto la storia: lui, il Dottor Kurt Hollander, esperto in lingue antiche e nella loro traduzione, aveva contribuito a salvare il Soldato d’Inverno.

Spostò il suo sguardo a sinistra e vide Beatris camminare fiera e composta, senza una minima traccia di emozione sul suo viso di porcellana. All’eccitazione si accompagnò allora un leggero brivido, nato da un sentimento che non comprendeva appieno, una sorta di paura primordiale: già, loro avevano recuperato il Soldato ma ricordava bene l’ologramma nella stanza della ragazza, di come li avesse avvertiti di stare attenti al Soldato e di non tradire la sua fiducia. Inoltre non avevano trovato le famose parole che avrebbero piegato mentalmente il Soldato, né tra i fogli nella stanza né tra le tracce che avevano permesso il suo recupero. Erano come scomparse, cancellate per sempre. Un’operazione troppo precisa per poter essere casuale.

Il seme del dubbio s’instillò nel cuore del giovane e lì prese radice, nonostante fosse per lui semplicemente ridicolo anche solo il pensiero. Eppure, ora che lo aveva formulato, non riusciva più a toglierselo dalla testa e dovette sforzarsi fisicamente nel non trascinare Beatris in uno dei corridoi secondari, bloccarla e farle sputare fuori la verità: le parole non c’erano più, completamente distrutte, neanche una minima traccia e solo una persona poteva averle imparate così bene da sapere chi le conosceva, come cancellarle per sempre da qualsiasi archivio e nel frattempo far credere di aspettare ordini. Se il Soldato era riuscito a spezzare il precedente controllo mentale, cosa o chi gli avrebbe impedito di fare lo stesso?

L’eccitazione del ritrovamento era completamente sparita, sostituita da una luce di comprensione - e forse terrore: voleva urlare a tutti di fermarsi, di legare la ragazza che tranquillamente stava camminando accanto a lui, di sbatterla dentro una cella e di buttare la chiave. Neanche se l’avessero fatta schiava, sarebbe rimasto tranquillo: avrebbe trovato un modo per fuggire e venire a cercarlo per fargliela pagare. Il respiro gli mancò improvvisamente, sentiva il cuore accelerare e il sudore impregnare i palmi delle mani: ma ormai erano arrivati nella sala del Concilio e lui non poteva più fare niente per placare il suo dubbio anzi, il suo terrore cieco.

҉҉҉

Il salone era alto e bianco, decorato da affreschi, statue, bassorilievi e colonne finemente decorate. Nella parete opposta alla porta da cui erano entrati, era presente una lunga balconata rialzata, dove tutti i membri del Concilio li stavano attendendo, comodamente seduti e serviti. La prima cosa che colpì Beatris fu l’odore d’incenso, molto forte, mescolato a quella che doveva essere vaniglia: un’abbinata pessima per il suo povero naso, già in passato martoriato dalla polvere e dall’odore di sangue e morte. I suoi futuri nemici stavano squadrando il gruppo eterogeneo alla sua ricerca mentre ogni soldato presente in stanza era armato e reattivo al minimo ordine: le armi che portava addosso avrebbero potuto non bastare, non aveva portato proiettili d’emergenza. Strinse la mandibola, facendo stridere leggermente i denti tra di loro, rumore che non sfuggì a Hool, poco più avanti di lei, che voltò la testa nella sua direzione lanciandole un’occhiata interrogativa.

Vide il Capitano Fuq e il Dottor Kçasip avanzare al centro della stanza e si preparò mentalmente: se si fosse presentata la possibilità, avrebbe colto l’occasione per fuggire. In quel preciso momento o in uno dei futuri giorni. Nessuno avrebbe più fatto alcunché né su di lei né sul Soldato.

“Concilio, la missione è giunta a buon termine. Il recupero del Soldato d’Inverno non ha riscontrato nessun incidente di percorso o rallentamento. Il soggetto è sano ed è stato analizzato nell’infermeria della nave Cristallina. È pronto per servire la causa dell’Unione.”

Ah, adesso l’Unione aveva anche una causa. Qual era, la conquista dell’Universo?

“Chiedo che il Soldato venga adibito all’Esercito, per l’allenamento dei soldati già formati e per l’addestramento delle nuove reclute. Sarebbe un’opportunità unica per l’Unione per incrementare il suo potere militare e per favorire la giustizia."

“Con tutto il rispetto per il Capitano Fuq, che ringrazio per il supporto essenziale fornitoci durante la spedizione, credo che il Soldato non dovrebbe essere rinchiuso in un campo qualsiasi di addestramento. La missione del suo recupero è stata voluta dal Museo Generale, da me in particolare, per analizzare e scoprire le usanze dei nostri antenati che noi abbiamo dimenticato. Senza la sua vitale testimonianza, non sapremmo mai cos’è accaduto realmente durante la Quarta Guerra Mondiale e delle cause che spinsero i nostri avi a lasciare il pianeta madre, il pianeta Terra.”

“Che altruisti!”

Beatris assottigliò gli occhi non appena Dimitri aprì bocca: sperava quasi in un conflitto, avrebbe saputo chi uccidere per primo, la sua voce la stava irritando ogni giorno di più.

“Che gentiluomini. Ognuno che pensa al bene comune: chi all’Esercito e alla sua potenza e chi al Museo e alla conoscenza. Quanto siete bravi e quanto siete ipocriti. Io invece non mi nascondo! Io sono una persona onesta e voglio continuare a esserlo!”

Se c’era una cosa che Beatris non poteva non ammettere, era che Dimitri Stokovich ci sapeva dannatamente fare nei discorsi: il tono della voce, le pause tattiche per la suspense, lo sguardo pieno di compassione per i due sfidanti. Non c’era niente fuori posto e una persona normale avrebbe finto per dare ragione a lui, in barba a cosa Beatris avesse dovuto compiere sotto sua richiesta.

“Io lo ammetto. Lo ammetto perché sono onesto e perché credo nell’Unione e nella sua meritocrazia. Voglio il Soldato. Lo voglio perché mi difenda da coloro che vogliono la mia morte, lo voglio perché ho un commercio di schiavi internazionale da tenere in piedi e la concorrenza è sempre dietro all’angolo. Voglio il Soldato, anzi direi persino di pretenderlo, come cauzione dell’Unione nei miei confronti per tutti i danni subiti, per tutte le minacce di morte che io e la mia famiglia siamo costretti a leggere ogni giorno: devo proteggere il mio stesso sangue!”

La ragazza vide i vari membri borbottare tra di loro, chiaramente divisi su dove collocarla. Le voci tacquero quando uno di loro si alzò e richiese la sua presenza: la volevano lì davanti, sotto il loro occhio critico per accertarsi che fosse reale. Con calma si distaccò da Kurt e Hool e il ticchettio dei tacchi risuonò fino a che non fu accanto al Capitano: alzò lo sguardo perfettamente tranquilla, una maschera di porcellana contro le loro menzogne, attendendo la loro reazione e le loro domande. Come per tutti i presenti, li vide aggrottare le sopraciglia, chiaramente sorpresi e forse confusi, magari anche arrabbiati: come poteva una ragazza essere uno spietato assassino. Quello che Beatris ipotizzò essere Stokovich senior, si alzò in nome del Concilio.

“Lei è il Soldato d’Inverno?”

“Si.”

“Non le credo.”

Beatris sorrise quasi incredula. Non le credevano? Seriamente? Sorridendo, decise di rispondergli a tono.

“Non è un mio problema se non mi credete.”

“Negli archivi che abbiamo recuperato, non si menzionava del fatto che il Soldato fosse una donna!”

“Gli archivi parlano del Soldato e, a meno che voi non abbiate una grammatica tutta vostra, il nome è maschile e maschile sono gli aggettivi a lui dati. Il fatto che io poi sia il Soldato, è un’altra questione.”

“Non provi neanche a fare la sbruffona con me, guardie! Allontanate questo essere dalla mia vista!”

Quattro delle dodici guardie presenti si fecero avanti, spudoratamente felici di quell’incarico così semplice. Beatris si guardò attentamente attorno prima di decidere su come agire: chiaramente sarebbe finita nelle mani di Dimitri se non avesse opposto resistenza, al contrario se le avesse neutralizzate avrebbe avuto una chance per mostrare la sua pericolosità ma avrebbe attirato gli occhi su di sé subito. Che fare… non era una codarda, non si sarebbe tirata indietro da uno scontro. Credevano fosse un impostore? Non aveva perso ogni persona cara per farsi dire che era una maledetta bugiarda. Che lo spettacolo avesse inizio, si sarebbe divertita e avrebbe sfogato un po’ lo stress accumulato.

Vide due guardie avanzare decise verso di lei e non appena furono abbastanza vicine, Beatris tirò una forte gomitata sul pomo d’Adamo della guardia alla sua sinistra per poi tirare un pugno al naso della seconda guardia. Nel mentre entrambi erano sorpresi, Beatris venne rivestita dalla sua armatura e sentì i coltelli doppi pronti all’uso: li estrasse delle tasche e pugnalò contemporaneamente le guardie al cuore, trapassando il leggero corpetto in cuoio. Distolse perciò la sua attenzione dei nuovi cadaveri per spostarla alle due guardie del quartetto ancora vive: con una precisione chirurgica, lanciò uno dei due coltelli, dritto verso l’occhio sinistro della guardia più vicina, incominciando a correre verso l’altra, scartando improvvisamente di lato colpendolo alle coste. Sentì le grida di dolore di entrambi, musica per le orecchie del Soldato che si mise a canticchiare per la contentezza: parò con l’avambraccio la lancia della guardia, afferrandola poi con la mano, continuando a colpire le coste con la mano libera fino a sentirle rompersi, dando quindi il colpo di grazia. Sangue cominciò a spillare la bocca del malcapitato a causa del perforamento dei polmoni da parte delle costole: il Soldato lo trapassò la gola con la lama del suo coltello, venendo bagnata dal liquido caldo e rosso, per troppo tempo lontano dai suoi vestiti. Passò poi alla guardia ancora a terra, gli tolse il coltello dall’occhio, portandosi dietro il bulbo e parte del nervo oculare, per poi piantargli la lancia del suo commilitone nel cuore, freddandolo all’istante.

Non pensando neanche alla guardia più vicina, lanciò la lancia e trapassò da parte a parte una quinta guardia, facendola cadere sul pavimento in un lago di sangue. Caricò una sesta e settima guardia in contemporanea, rinfoderando i coltelli e prendendo il suo laccio di acciaio: era un regalo della sua ex squadra, poco prima della loro ultima missione e del suo congelamento. La corda guizzò tra le sue mani a mo’ di lazo, afferrando per il collo il suo avversario a destra: l’altro tentò un affondo con la spada ma il Soldato lo scartò lateralmente e, trascinandosi dietro il suo commilitone, riuscendo a mettergli la corda al collo. Rise poi prima di incrociare i due capi del laccio in una morsa soffocante: con un forte strattone, il cavo trapassò la gola, tagliando la testa al giovane uomo. Il corpo cadde a terra privo di vita, mentre gli schizzi di sangue erano finiti sul suo corpetto nero; l’altra guardia allacciata al lazo, invece, era in ginocchio, con il volto ormai blu per la mancanza di ossigeno: il Soldato estrasse un piccolo pugnale dagli stivali e gli tagliò la gola, venendo irrimediabilmente sporcato dal sangue della carotide e della giugulare. Erano presenti ancora cinque guardie, intenzionate ormai a farla fuori. La più vicina la freddò con la pistola miniaturizzante che Kurt le aveva dato in mattina, vedendola contorcersi a terra dal dolore. Schivò delle frecce scagliate dalla guardia più lontana e s’incamminò verso il quartetto rimasto: con il lazo nella tasca sulla schiena, il Soldato decise di usare il corpo a corpo, per sgranchirsi un po’ le ossa.

La prima guardia era un omaccione, un armadio fatto solo di muscoli: avrebbe perciò puntato alle articolazioni, gli unici punti visibili abbastanza accessibili da essere rotte. Schivò e parò i suoi poderosi pugni per poi disloccargli la rotula del ginocchio destro: le urla di dolore smisero di colpo quando il Soldato gli prese la testa tra le mani e canticchiando, gli fratturò le vertebre del collo girando violentemente la testa della sua vittima. Usò il suo corpo inerme come scudo contro le frecce e come distrazione per le sue penultime vittime: gli lanciò addosso il corpo del gigante, utilizzandolo poi come pedana per sorprenderli da dietro e trapassare entrambi con le lame dei suoi coltelli. Li finì squarciando a entrambi la gola. Non si accorse però dell’arciere che, abbandonato arco e frecce, lo caricò e lo buttò a terra: il Soldato immobilizzò subito la mano che teneva un pugnale dritto alla sua gola mentre con l’altra mano tentava di distrarre abbastanza l’avversario per permettergli di ribaltare la situazione. Era finito nella pozza di sangue delle prime guardie uccise e i capelli sciolti di Beatris si stavano impregnando tutti di sangue: li avrebbe dovuti lavare, di nuovo. Concentrandosi, incominciò a schiacciare con le dita gli occhi dell’arciere e mentre questi allentava la sua morsa sul pugnale, il Soldato raddrizzò la lama dello stesso verso l’alto e, arpionando i capelli dell’arciere, spinse la sua testa contro la sua stessa arma, più e più volte, fino a che non lo sentì più muoversi.

Togliendosi il cadavere da dosso, il Soldato guardò dritto negli occhi ogni membro del Concilio: vedeva di nuovo la paura, la sua cara e vecchia amica. Sorridendo serafico si avvicinò alla balconata mentre ancora tutti loro trattenevano il respiro: il massacro era durato a malapena cinque minuti e il Soldato si sentiva abbastanza in forze per uccidere ancora.

“Sono abbastanza vero per lei ora?”

҉҉҉

Se avesse dovuto scegliere il momento della sua vita da eliminare per sempre dalla sua memoria, Hool avrebbe voluto togliere la carneficina che il Soldato aveva appena compiuto. Dodici guardie erano presenti all'inizio e dodici cadaveri giacevano a terra nel sangue alla fine. Guardò la figura minuta avanzare lentamente e si rendeva sempre più conto di come tutte le leggende sul Soldato d’Inverno fossero vere, fossero così reali, tanto da farlo tremare. Il Soldato si ergeva da solo, avvolto nel nero come la Morte stessa, sorridente e coperto di sangue dei suoi nemici mentre le note della canzoncina che cantava ancora riecheggiavano nella stanza. Fu lì che Hool pregò per la prima volta, pregò di essere ucciso velocemente.



 

ANGOLO AUTRICE

Ebbene, Beatris è arrivata davanti al Concilio e ha incominciato a fare i primi danni. Non poteva lasciarla carina per sempre no? Il Soldato è una parte di lei :) Fatemi sapere che ve ne pare!

Summer_time

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Capitolo 7
*** Missione: libertà ***


Dicono del Soldato d’Inverno che mantenga sempre le sue promesse a chi merita la sua fiducia.
Dicono del Soldato che ami la libertà più di qualsiasi altra cosa. E che abbia massacrato chiunque avesse osato o solo pensato di fargli del male.

Pianeta Unione, sede del Concilio. Millesettecentosessant’anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale e cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione.

Il sangue gocciolava su tutta l’armatura nera: lo sentiva scorrere lentamente in piccole gocce viscose, caldo e rosso, lungo tutta la schiena, sulla pelle delle mani, sul collo e sul viso. Gli dava particolarmente fastidio proprio sul viso, quelle stupide gocce rosse colavano fino alle labbra carnose, rischiando di entrare nella bocca o negli occhi compromettendo la sua vista perfetta. Quando l’ennesima goccia fece per cadere dalle sue ciglia, il Soldato si passò una mano sul volto per tentare almeno di togliere un po’ di sangue dal viso ma ottenne solo di spalmarlo lungo la faccia e il palmo della sua mano destra. Sospirando, raccolse i suoi capelli liberi ma pregni di sangue e incominciò a strizzarli, sentendo il liquido rosso gocciolare sul terreno nel mentre fissava pacificamente Stocovich senior. Tutti i presenti erano rigorosamente in silenzio, immobili, come congelati in un singolo istante: tutto il Concilio o fissava terrorizzato lei o fissava i cadaveri che si era lasciata dietro; solo Dimitri era in qualche modo affascinato dal suo operato: certo, per uno che aveva bruciato trecento persone non doveva aspettarsi di meno, ma nei suoi occhi scorgeva anche una punta di paura, una paura nata dal non sapere come gestirla. E faceva bene Dimitri ad avere paura perché Beatris non si sarebbe più fatta mettere in catene.

“Ebbene, come intendiamo procedere?”

La situazione poteva anche esserle favorevole: nessuno aveva chiamato altre guardie e la stanza doveva essere insonorizzata, altrimenti non si spiegava poiché nessuno fosse ancora venuto a controllare dopo tutte le urla. Se nessuno chiamava la sicurezza, ne avrebbe approfittato per creare un po’ di caos in quest’Unione.

“Qualcuno mi degna di una risposta o devo farvela sputare da quella vostra inutile bocca?”

Non era mai stata una ragazza molto paziente, su questo lei e il Soldato erano nettamente in disaccordo ma il fattore tempo in quegli istanti stava diventando una prerogativa vitale, non poteva perdere tempo con degli stupidi omuncoli: probabilmente non avevano mai visto nessuno fare il lavoro sporco, loro erano semplicemente i mandanti, e ora che gli aveva palesato una verità scomoda e alquanto “sporca” erano in shock. Beh, l’effetto sorpresa poteva rivelarsi sua alleata se decideva di non lavarsi via il sangue dai vestiti, ma anzi, aggiungerne ancora e allungare la sua lista di morti.

“Nessuno che mi dice cosa fare. La prima volta che accade credo: beh, di certo non perderò quest'opportunità che gentilmente mi avete offerto. Deciderò io cosa fare della mia vita!”

Prima che anche solo uno di loro potesse agire, il Soldato estrasse la pistola dalla fondina allacciata alla vita, un semplice calibro quarantacinque, precisa e perfetta, con cui spara e centra otto teste – sette fronti e uno zigomo destro per la precisione -come un perfetto cecchino. A cartuccia finita, ripone l’arma nella fondina e si gira a guardare Dimitri, soprattutto lui, perché capisca che niente può imbrigliare la sua voglia di libertà: lo vede con le pupille dilatate e la bocca spalancata, in un urlo muto, un urlo che non esce dal dolore. Si avvicina svelta, il tempo scorre e lei di tempo non ne ha da perdere, tirando fuori di nuovo il suo laccio d’acciaio: facendolo guizzare come un serpente, gli artiglia la caviglia e lo trascina a sé, facendolo cadere a terra. Il ragazzo tenta di rialzarsi ma il Soldato è subito su di lui e, con un paio di cazzotti ben assestati, intontisce Dimitri quanto basta: i secondi in cui lui impiega a concentrarsi sul come reagire, il Soldato ha già estratto il pugnale dallo stivale e lo colpisce al centro del collo, trapassandogli trachea ed esofago. Lo colpisce una sola volta e poi si rialza, lasciando affogare nel suo stesso sangue: una morte lenta, dolorosa e consapevole per un individuo macabro fino al midollo.

Ripone il suo pugnale nello stivale e riavvolge il suo lazo, riponendolo nella tasca sulla schiena. Alza appena lo sguardo sul Capitano, immobile ma con una luce vigile nel suo sguardo: sa cosa sta pensando e non può fare a meno di ghignare compiaciuto. Sente ancora Dimitri gorgogliare, una mano a comprimere il buco lasciato dalla lama, ma sa che morirà presto, una decina di minuti al massimo.

“Immagino che non voglia agevolare la mia fuga, Capitano.”

Il tono ironico che usa non migliora la situazione: Fuq s’irrigidisce del tutto, lasciando cadere ogni parvenza di calma. Non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare, non dopo aver speso così tanto nella sua ricerca,  sicuramente non dopo che ha assassinato tutto il Concilio e le sue guardie: non ha colpe, il Soldato lo capisce, è semplicemente devoto a questa Unione. Oppure più semplicemente, non vuole staccarsi dalla sua posizione di potere all’interno dell’Esercito, gli ricorda malignamente Beatris.

“Soldato, ti dichiaro in arresto. Ai sensi della legge dell’Unione io, Fuq, ti condanno a morte per alto tradimento contro il Concilio, di omicidio premeditato e di attentato alle alte cariche dell’Unione. Inginocchiati e mani sulla testa, altrimenti dovrò ricorrere alla violenza.”

Il Soldato squadrò il Capitano con un cipiglio vagamente sorpreso: credeva di spaventarla con questo suo discorso? Credeva davvero che si sarebbe consegnata di sua spontanea volontà, dopo aver ucciso la metà dei presenti in quella stanza?

“Scelgo la violenza: l’inverno è arrivato per l’Unione.”

Lo vide estrarre le sue due spade corte, e prepararsi all’imminente combattimento: non aveva realmente intenzione di fargli del male, infondo non le aveva causato nessun problema ma si sarebbe rivelato un formidabile avversario in futuro. Le avrebbe scatenato addosso tutta la potenza militare dell’Unione e lei avrebbe finito per essere braccata in tutti i pianeti. Doveva precludersi questo possibile futuro, fino a che aveva il potere per farlo. Su effetto della sua volontà, la tuta inspessì le protezioni sull’addome, sulla schiena e sul collo mentre le sue mani, prima libere e insanguinate, venivano rivestite da dei guanti rinforzati; al posto della maschera nera sul volto, l’intera testa venne rivestita da un casco integrale in fibra di carbonio – leggero, resistente e rigorosamente nero – decidendo di non sfoderare alcuna arma: avrebbe stroncato il Capitano Fuq a mani nude.

Lion, impedisci che qualsiasi informazione esca da questa stanza, dammi tempo.

Ho già provveduto a cancellare le registrazioni video e audio, oltre a scaricare l’intera piantina del pianeta. Nessun nuovo tentativo di comunicazione con la sala è pervenuto per ora.


Soddisfatto, il Soldato si lanciò contro il suo ultimo nemico, deciso a prendersi la sua libertà contro chi voleva portargliela via: non
sarebbe morta ora, non dopo aver sacrificato così tanto.

҉҉҉

Hool la raccogliersi i capelli in una coda alta, dopo aver tentato di scrostare parte del sangue seccato che si era incastrato tra la folta chioma bruna. Il cadavere del Capitano stava ai suoi piedi, senza nessuna ferita o sangue addosso, era solo e semplicemente un altro corpo strangolato dal Soldato. Sentiva il suo fiato accelerare ogni volta che quegli occhi d’acciaio rimanevano fissi su di lui per troppo tempo, troppo preso a sperare di rimanere in vita che a considerare le possibilità di fuga: Jhosha ci aveva provato a mettersi in contatto con quelli fuori dalla stanza, ma la sua richiesta era stata bloccata o respinta, non si era riuscito a capire. L’unica cosa certa era questa: gli unici sopravvissuti erano loro, il gruppo del Dottor Kçasip, e non si chiedeva neanche il perché, voleva solo che la carneficina finisse.

“So che c’è una navetta pronta a decollare tra poco: la navetta in questione è di Dimitri, il nostro simpatico amico.”

“Che vuoi fare? Ucciderci tutti?”

Hool vide il Soldato incominciare a ritirarsi nelle profondità della mente della ragazza, per fare sempre più spazio a Beatris.

“No Dottore. Voi non mi avete fatto nulla e non volevate attentare alla mia libertà come i cadaveri qui presenti. Anzi, siccome mi sta pure simpatico, le propongo un patto che credo possa farmi scusare di questo piccolo inconveniente.”

Quando ebbe l’intera attenzione del gruppo, proseguì, mentre la sua armatura nera spariva – e così spariva anche il sangue sopra di essa – per tornare a essere l’elegante completo nero dell’inizio. Il tacchettio delle scarpe, ben lontane dalle pozze rosse colme di sangue, risuonò per tutta la stanza, fino a una porta secondaria.

“Lei e i suoi sottoposti mi lasciate andare: nel senso che potrete avvertire chiunque di cosa è successo, ma solo dopo che la navetta di Dimitri avrà compiuto il primo salto nell’iperspazio.  Quando mi sarò costruita un’abitazione sicura, le farò recapitare una mia esclusiva: l’intera storia della Quarta Guerra Mondiale, compresa di tutti i dettagli sconci che sicuramente non vi sono arrivati. E per allettarvi ancora di più, vi prometto di raccontarvi delle mie missioni: ma questo solo se Hool viene con me e mi insegna a pilotare quella dannata cosa volante. Ci sta?”

Il gigante s’irrigidì: perché lo voleva con sé? Jhosha era qualificata almeno quanto lui sui macchinari, eppure non l’aveva calcolata di striscio. Non aveva neanche badato a Kurt, ancora shoccato dalla vista di tutta quella violenza, custodita internamente da una ragazzina all’apparenza inerme.

“Come posso credere a un’omicida di massa? Come posso fidarmi della tua parola? Come posso credere che in realtà non ucciderai il mio sottoposto appena avrai imparto a manovrare la navetta?!”

“Dottore, sapeva bene chi stava cercando, perché mi rivolta contro ciò che sono, credendolo un insulto? Ho ucciso in passato, l’ho fatto appena qualche minuto fa e dico che potrebbe riaccadere in futuro, senza problemi. Ma se avessi voluto uccidervi, l’avrei già fatto, siete target semplici e poco pericolosi. Perciò si fidi, non gli farò del male, non farò del male a nessuno di voi.”

Su questo nessuno poteva essere discorde. Eppure volente o nolente, non aveva molta altra scelta: avrebbe minacciato qualcuno e forse l’avrebbe ucciso pur di fuggire, tanto valeva risparmiare la vita del futuro malcapitato, insegnandole come navigare. Magari avrebbe scoperto qualcosa d’interessante nel suo passato turbolento. Annuì lentamente, distaccandosi dal gruppo per incamminarsi verso la porta secondaria dove Beatris lo aspettava, rassicurando Kurt che aveva fatto un passo verso di lui. Buffo, più si avvicinava, più si sentiva in soggezione davanti a una ragazza alta la sua metà. Lei lo accolse con un largo sorriso, prima di salutare allegramente i superstiti e dargli le spalle – la sua vocetta allegra stonava terribilmente con i cadaveri e il sangue nella stanza. La seguì, sperando nella fedeltà della sua
parola.

҉҉҉

Erano in viaggio da qualche giorno: le scorte della navetta potevano sfamare entrambi per due anni pieni – che navetta in realtà non era, sembrava più una navicella personale da quanto era piccola. Dimitri non aveva badato a spese per renderla funzionale, veloce e irrintracciabile. Merito forse anche di Lion, o comunque l’assistente informatico di Beatris, che aveva preso possesso dell’intero impianto di navigazione, in realtà di ogni apparecchio elettronico presente, e li stava guidando al di fuori delle galassie governate dall’Unione. Tutto sommato, Hool non se la stava passando male: Beatris era tornata la ragazza a cui si era incuriosito, sembrava anche ben disposta a rispondere alle sue domande nonostante non dormisse dal giorno in cui avevano fatto il primo salto nell’iperspazio. Avrebbe voluto essere spaventato a morte, erano solo loro due su quella navetta, avrebbe dovuto essere terrorizzato nel stare vicino a un’assassina senza scrupoli, eppure non ci riusciva: la capiva, la comprendeva e non poteva fare a meno di essere gentile con lei, nonostante avesse visto cosa era capace di fare. La vide avvicinarsi con una grossa bacinella piena d’acqua calda, a giudicare dalle piccole onde di fumo che salivano dal liquido, e del sapone.

“La ragazza cosa fa?”

“Devo lavare la mia tuta. Nonostante so che non ne avrebbe bisogno, mi sento sporca a indossarla. E poi non ho nient’altro da fare e non sono stanca.”

 La vide togliersi quell’indumento quasi magico, perfettamente unico nel suo genere, e affondarlo piano nell’acqua, rimanendo completamente nuda. La vide incominciare a strofinarla con forza, insaponandola e risciacquandola più volte, fino a che non fu soddisfatta: allora la strizzò e la stese sopra uno dei tubi dell’aria presenti nella cabina, per poi tornare alla bacinella e scolare l’acqua diventata torbida. Si concentrò sul suo corpo: era la prima volta che vedeva un corpo umano dal vivo senza vestiti, e se la cosa doveva sembrare una manna dal cielo per quelli della sua specie, Hool si trovò quasi dispiaciuto per Beatris. Se andava così liberamente in giro, senza farsi problemi a rimanere nuda davanti a uno sconosciuto come lui, voleva dire che il suo pudore l’avevano estirpato anni fa – secoli o millenni addirittura.

“Dimmi se ti metto in imbarazzo.”

Neanche a farlo apposta, ecco che mi rassicura, pensò Hool.

“Questa ragazza non può mettere quest’uomo in imbarazzo poiché egli non è attratto dalla sua figura.”

“Meglio così, altrimenti si sarebbe creata una situazione imbarazzante!”

La sua risata lo sorprese: non era abituato a sentirla ridere, eppure era un bel suono. La sua vocetta era, nonostante tutto, carina. La vide passare le dita sulle cicatrici biancastre delle cosce per arrivare a quella più rossa dell’inguine.

“Quante cicatrici ha la ragazza?”

“Non lo so, non le ho mai contate. Alcune non si vedono neanche più, altre sono sopra ad altre ferite. Sono un mosaico di sangue e carne aperta. Questa per esempio.” – indicando la grossa cicatrice sul pube – “Questa me l’hanno fatta i dottori americani all’inizio del mio addestramento: isterectomia totale. Alla fine ho trovato solo vantaggi, nonostante i giorni in convalescenza e l’agonia che mi colpiva quando centravano la cicatrice le prime volte.”

“Rimozione totale dell’apparato genitale femminile umano, se non ricordo male.”

“Non di tutto l’apparato, io ho ancora le ovaie, per esempio. Era per prevenire eventuali gravidanze indesiderate a seguito di possibili stupri e per evitare il ciclo mestruale: sarebbero stati entrambi controproducenti nelle mie missioni.”

“Niente prole, quindi.”

“Non che alla mia età pensassi ad avere un figlio. Ma sì, non posso avere figli. Anche se, non penso neanche ad averli in un futuro sinceramente.”

“La cicatrice sulla schiena?”

“Oh, quella in realtà si è formata dopo una serie di frustate. Non ricordo esattamente il numero, ma furono molto dolorose. Era la mia punizione per non aver compiuto fino alla fine una delle mie tante missioni di prova: non avevo voluto uccidere un ragazzino poco più piccolo di me. Nonostante tutto, sono felice della mia scelta. Invece queste sulle cosce me le ha fatte quel sadico del Dottor Maximoff: andava pazzo nel vedermi soffrire senza poter reagire, ridendo come un pazzo. Madonna, come rideva se ci penso ancora.”

“Che fine a fatto?”

“L’ho guardato con aria sognante mentre si dibatteva nella cassa in cui lo avevo rinchiuso. La cassa poi l’ho sotterrata sotto tre metri di terra, mentre cantavo. Credo.”

“Quante persone questa ragazza ha ucciso?”

“Abbiamo tempo. Allora, fammi pensare…”

҉҉҉

Pianeta Tatooine, sede del Museo Generale. Millesettecentosessantacinque anni dopo la fine della Quarta Guerra Mondiale, cinquecento anni dopo la nascita dell’Unione e cinque anni dopo il ritorno del Soldato d’Inverno.

Il Dottor Kurt Hollander stava raccogliendo le sue ultime cose in un grande scatolone: era stato nominato direttore di uno dei più importanti dislocamenti del Museo e stava sgombrando quello che ufficialmente era stato il suo ufficio in quei anni. Di tutti i riconoscimenti – ufficiali e meno – appesi alle pareti, non rimaneva altro che l’ombra di polvere sui muri: erano accuratamente riposti nella scrivania della sua nuova sede, pronti per essere appesi.

Con fare distratto, prese le ultime cianfrusaglie dai cassetti, per poi riporre, sopra di essi, l’unica foto che avesse mai voluto tenere: la sua passata squadra. Con un gesto triste, passò l’indice prima sopra il volto del Dottor Kçasip, il suo mentore, ormai andato in pensione da due anni, passando poi a Jhosha – dove diavolo si era cacciata quella ragazza? Perché non si era fatta più sentire dopo lo scandalo sul pianeta Graine? – arrivando infine a quel gigante di Hool: lui non lo aveva né sentito né visto da quando era partito con il Soldato. Non riusciva neanche a chiamarla per nome, da quanto terrore gli aveva infuso in quella bruttissima giornata di cinque anni fa. Non c’era stato un contatto, neanche minimo, e l’Esercito non aveva trovato nessuna traccia fino a qualche anno fa, quando il veicolo spaziale privato del fu Dimitri Stokovich era stato ritrovato in una discarica spaziale. Ma del Soldato e di Hool non c’era traccia nonostante il Soldato fosse il ricercato numero uno in tutta l’Unione. O di quello che ne rimaneva, si stava andando sempre più verso un cambiamento radicale: l’oligarchia classica si stava espandendo in una sorta di senato. Chissà come sarebbe stato il futuro.

“Mi scusi, lei è il Dottor Hollander?”

Alzò la testa verso un fattorino, una giovane ragazza bionda, che lo stava fissando: si sentiva leggermente a disagio sotto quegli occhi grigi – così rari – ma annuì, allungando la mano sinistra per prendere il piccolo pacchettino che gli stava porgendo. Era una scatolina rettangolare, semplicemente impacchettata da una carta marroncina, senza nastri o fiocchi o scritte. Corrugò la fronte: come diavolo poteva saper il fattorino che fosse destinato a lui?

“Ci vediamo in giro, Kurt, Hool ti saluta.”

Non la vide neanche: quando rialzò lo sguardo pochi istanti dopo aver udito la frase, Beatris era già scomparsa, inghiottita nuovamente nell’oscurità e nell’anonimato. Non avvisò neanche la sicurezza, quella ragazza non entrava in uno degli edifici più sorvegliati senza avere un piano per uscire in caso qualcosa andasse storto. Decise invece di aprire la scatolina, curioso di scoprire cosa contenesse: ci trovo un piccolo quadratino nero e lucido, un contenitore avanzato di memoria; elettrizzato come non accadeva da tempo, si sedette e premette il piccolo pulsante sul retro, pronto a godersi l’ologramma che ne sarebbe venuto fuori: sorrise quando vide una Beatris completamente rilassata fare capolino dal video.

“Mi chiamo Beatris Moone. Sono il Soldato d'Inverno. Questo è un racconto di come siano avvenuti il mio selezionamento e il mio addestramento, di cosa sia successo in realtà nella Quarta Guerra Mondiale e di come io ne sia stata coinvolta. Il video è indirizzato al Dottor Kçasip ma, poiché so del suo ritiro, il video è espressamente indirizzato al Dottor Hollander come sancito da accordi già prestabiliti. Non potete risalire a questo video, non potete localizzarmi: se mai dovreste fortunatamente  trovarmi, nessuno troverà più voi, questa è una promessa. Incominciamo.”

 

ANGOLO AUTRICE

Anche questa storia è finita! Essendo la mia prima originale, sono contenta di com’è venuta fuori. Ad alcuni potrebbe non piacere, ma lascio il finale aperto, molto aperto: un po’ perché credo che ognuno possa divertirsi a pensare a come/cosa abbia affrontato Beatris nel suo addestramento, o di quante persone abbia ucciso; un po’ perché voglio lasciarmi un margine di spazio in caso decidessi di creare dei spin-off sulla storia. In ogni caso, se vi va, chiedetemi pure come io avevo immaginato l’addestramento del Soldato, sarei felice di leggere le vostre idee!
Ringrazio tutti quelli che hanno speso un po’ del loro tempo nel leggere la mia storia, grazie anche a coloro che l’hanno recensita.


Summer_time

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