Bacio Accademico

di Ladyhawke83
(/viewuser.php?uid=149981)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bacio Accademico ***
Capitolo 2: *** Red Dress ***
Capitolo 3: *** Dark Blue Sheets ***



Capitolo 1
*** Bacio Accademico ***


Bacio Accademico

 

Quante volte Isabel aveva desiderato che lui la baciasse così, spingendola contro i mattoni di quel muro freddo, divorando le sue labbra in modo da farle capire quanto bisogno aveva di lei? 

In quei quindici anni passati ad aspettare, aveva perso il conto delle volte che aveva fantasticato su quel bacio, su quella sua bocca, quei denti bianchi e perfetti e quel sorriso elargito sempre con parsimonia.

Intorno a loro le matricole e gli studenti più grandi, passeggiavano nervosi o allegri, incuranti della tensione di quel loro momento tutto speciale. Quello non era solo un bacio tra due ragazzi, ma “il bacio”. Il coronamento, il degno finale di qualcosa iniziato più di una decade prima e poi rovinatosi lungo la strada fino a perdersi.

Stephan ed Isabel si amavano da sempre, solo che erano stati troppo orgogliosi e spaventati per ammetterlo e per provarci, così erano finiti ad essere amici, questo per tanto tempo, talmente tanto, che ora l’università era solo un lontano ricordo dei loro anni da studenti e compagni di corso. Eppure il luogo quel giorno era lo stesso, lo stesso cortile di sempre, con il suo colonnato in marmo rosato, erano loro ad essere cambiati, la vita aveva voluto per loro un percorso diverso, che li aveva divisi lentamente, ma inesorabilmente.

Lui le strinse la mano sinistra sfiorandole la fede che portava il nome di un altro uomo iscritto all’interno, lei timidamente, come fosse ancora la sciocca ragazzina alle prime armi, osò sfiorare con le dita i suoi capelli lisci e scuri, tra le cui ciocche facevano, qua e là, capolino sfumature grigie.

La mano fredda di lui le sfiorò il viso imbarazzato.

“Cosa c’è?” Chiese non appena si fu staccato dalle labbra di lei, notando la lacrima furtiva sul suo viso.

“Non avrei dovuto baciarti...” si affrettò ad aggiungere lui scostando lo sguardo da un’altra parte. Di nuovo stava fuggendo, si stava chiudendo a riccio come aveva sempre fatto in quegli ultimi quindici anni, da che aveva conosciuto quella strana ragazza dagli occhi verdi e marroni e le efelidi sul viso.

Questa volta Isabel non gli avrebbe permesso di ritrattare, di scappare, di rimangiarsi tutto.non ora che aveva assaporato le sue labbra e il suo respiro.

“No. Stephan, no. Tu non capisci... sono talmente felice, che mi scoppia il cuore... piango di gioia, e non mi era mai successo prima... a parte quando è nata mia figlia...” confessò Isabel tutto d’un fiato trattenendo una mano sul suo braccio avvolto nella felpa nera.

“Avrei dovuto farlo tanto tempo fa...” Disse lui riferendosi al bacio.

“Abbiamo sprecato così tante occasioni...così tanto tempo...” Disse piano Isabel ripensando a tutte quelle volte in cui erano stati ad un passo dall’amarsi, ma qualcosa ne aveva frenato l’intenzione.

“Mi dispiace... non volevo farti soffrire...” Stephan era sincero, lei lo sapeva glielo leggeva negli occhi scuri e magnetici.

“Ci siamo fatti male a vicenda, anche io avrei da farmi perdonare” Isabel si avvicinò a lui, come per abbracciarlo, ma rimase in attesa, con il timore che lui potesse allontanarla e spezzarle il cuore un’altra volta.

“E così ti sei sposata?” Chiese lui, per sviare l’imbarazzo, senza sciogliere quel contatto. Aveva bisogno di lei, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

“E ho avuto una figlia anche...” sottolineò la bionda dai lunghi capelli mossi.

“Una vita intensa insomma...” disse lui.

“Come la tua immagino...” sottolineò Isabel sperando che lui si aprisse, raccontandole come aveva passato gli ultimi dieci anni.

“Nessuna persona giusta?” Azzardò lei, quasi angosciata dalla risposta che le avrebbe dato Stephan.

“No, e sai anche perché...” rispose lui, con tono duro e serissimo.

“Scusami, non dovevo chiedere” la ragazza si allontanò dal corpo di lui, mortificata.

“Vieni qui, sciocca. Non c’è mai stata nessuna perché nei miei pensieri ci sei sempre stata tu, solo che non osavo ammetterlo. Mi faceva paura l’idea di te... di noi...” confessò lui gesticolando nervosamente con un piede.

“Io ti amo. Ti ho sempre amato, nonostante tutto”. 

“Lo so, mi dispiace di averci messo così tanto a capire che anche per me è lo stesso”. Stephan sorrise, di un sorriso dolce, rilassato, uno di quelli che Isabel gli aveva visto poche volte sfoggiare.

“Non ha altro da dirmi -professore-?” Lo prese in giro lei, alludendo al suo ruolo all’interno dell’università. La cattedra di filosofia antica era l’unica cosa che lui aveva sempre desiderato con tutto se stesso di ottenere, o almeno, così credeva Isabel.

“Certo che sì. Congratulazioni -dottoressa-!” Disse lui con fare teatrale, producendosi in un mezzo inchino.

“Sei così sexy con la corona d’alloro...” lo sguardo di lui si fece malizioso e la baciò nuovamente, stavolta senza esitare, con più dedizione, ed Isabel capì che era valsa la pena aspettare tutti quegli anni.

“Andiamo a festeggiare?” Chiese lei, per stemperare quella insopprimibile tensione erotica fra loro.

“Va avanti tu. Sai che non mi piace la folla” disse lui, rabbuiandosi.

“E va bene... ma non sparire ok?” Disse lei scherzando, ma aveva paura che lui sparisse davvero, come un bel sogno che finisce quando ci si risveglia.

“Non sparirò tranquilla. Non ora che ho trovato il mio vero posto”.

“Ti porterò i confetti alla stazione...” Disse lei mentre si allontanava piano da lui, un po’ delusa dal suo bisogno di stare in disparte, anche dopo quelle effusioni, in quel giorno così importante per lei.

Non ci si laurea a pieni voti tutti i giorni, dopotutto!

Stephan sospirò e prese coraggio, la raggiunse e la abbracciò, così, davanti a tutti, non più di nascosto, non più con la paura di soffrire. E si sentì pieno di gioia, come non lo era più stato dopo la morte della madre. 

Amava Isabel e non l’avrebbe lasciata andare mai più.

“Clic” fece il suono di uno scatto fotografico, era Giulia che con la macchina fotografica aveva immortalato quell’abbraccio così spontaneo, eppur così importante, della laureata ed il professore.

Se la Isabel del passato avesse potuto vedersi ora, felice, raggiante, innamorata, forse non avrebbe pianto tutte quelle lacrime per Stephan.

Se lui avesse avuto più coraggio non avrebbe sprecato tempo a temere i sentimenti e ad odiare Isabel per averglieli fatti provare, e forse ora sarebbe stato lui al posto di quel marito  ignoto e padre di sua figlia.

“Siete perfetti” disse Giulia.

“Ora si, lo siamo...” risposero loro guardandosi, con complicità, e quella giornata sarebbe stata ricordata da Isabel come una delle più felici della sua vita.

 

~~~

 

 

 

Note: questa breve OS originale riprende l’altra mia “RED RAIN”, che ha gli stessi personaggi, Stephan e Isabel. Solo che qui sono passati parecchi anni, e parecchie cose, dal loro primo incontro, lei si è innamorata di lui, ma lui non ha ricambiato i sentimenti, almeno fino al giorno della laurea di Isabel…

Spero vi piaccia, ci tengo molto perché è in parte autobiografica…

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Red Dress ***


Red  Dress
 

 

Una volta giunta alla stazione Centrale, Isabel cominciò ad essere attanagliata dal dubbio, dal senso di colpa, condito con un certo nervosismo.

La donna se ne stava lì con il suo vestito rosso e la corona d’alloro in testa ad aspettare lui, Stephan, che forse non sarebbe mai arrivato.

E se avesse cambiato idea? 

Se ci avesse ripensato, nonostante quel bacio tra loro e quelle parole così vere, da sembrare sincere?

Scosse lievemente la testa, spostando il peso da un piede alla stampella e viceversa.

Lui le aveva detto che l’amava, si disse lei, non le avrebbe fatto prendere quel treno da sola.

La voce all’altro parlante annunciò che il treno al binario 15 era in partenza, l’orologio segnava le 16:35 ma di lui neanche l’ombra.

Isabel guardò velocemente lo schermo del cellulare e si diede della stupida per non aver chiesto il numero di telefono a Stephan quel giorno. Almeno avrebbe potuto chiamarlo o scrivergli, sentirlo insomma.

Sospirando la ragazza, fresca di laurea, salì sulla terza carrozza del regionale sistemandosi nello scompartimento di seconda classe in un posto accanto al finestrino.

Il treno stava per partire e del professore dai begli occhi scuri neanche l’ombra.

Isabel posò la propria corona d’alloro sul posto vuoto accanto a sé e ispirandone l’argomento di concesse qualche attimo per ripercorrere quella giornata così intensa.

Nelle orecchie le risuonò a basso volume la familiare voce di Peter Gabriel sulle note di Mercy Street, una passione la sua che aveva ereditato da Stephan e che aveva contribuito a far di Gabriel il suo cantante preferito, dopo Phil Collins si intende...

“Proclamiamo la dottoressa Isabel Castellano dottoressa in Scienze Filosofiche con la votazione di 110 su 110 con l’aggiunta della Lode all’unanimità “. 

Quella frase la riempiva di gioia e commozione. Finalmente ce l’aveva fatta, lei, quella su cui nessuno più scommetteva granché, aveva concluso il suo travagliato percorso universitario ottenendo il massimo dei voti con una tesi sul filosofo Nietzsche.

Ma la cosa che più la rendeva euforica era che lui, Stephan, aveva presenziato alla sua discussione di tesi, così senza avvertirla, facendole una graditissima sorpresa, resa ancor più dolce da quel suo bacio appassionato, e da quelle semplici parole “Ti amo” che dette da lui, avevano ottenuto, su di lei un effetto simile ad uno “Tsunami” emotivo.

Isabel sorrise toccandosi il labbro inferiore, là dove la sua bocca aveva incontrato quella di lui, un brivido di piacere la percorse ricordandole il lieve formicolio che le aveva lasciato la sua barba sfregata contro la pelle.

Persa nei pensieri, e nella musica, Isabel non si accorse che qualcuno aveva preso posto nella poltroncina rivestita di stoffa consunta, proprio di fronte a lei, dall’altro lato del finestrino.

“Che cosa ascolti straniera?”. Domandò la voce, calda e dolce, che lei riconobbe subito, anche grazie al profumo che lui emanava.

“Stephan… credevo non saresti più venuto”. Disse lei, con evidente sollievo nella voce.

“Scusami, sono stato trattenuto più del dovuto a quella conferenza…”. Disse lui, come se nulla fosse.

Lei lo guardò e si accorse che lui era distante, aveva lo sguardo perso, adombrato da chissà quali pensieri.

“Senti… se ci hai ripensato, puoi dirmelo tranquillamente. Il treno non è ancora partito e beh, io potrei scendere e potremmo anche salutarci qui”. Le parole di Isabel uscirono a fatica dalla sua bocca, le disse senza incrociare lo sguardo di lui, già aspettandosi che lui facesse marcia indietro, come aveva sempre fatto d’altronde negli ultimi dieci anni del loro rapporto, che non poteva definirsi solo amicizia, ma nemmeno completamente amore.

Ci erano state fra loro molte parole, molti sottintesi, ma il bacio era arrivato solo quella mattina, ed Isabel, pensò che fosse possibile che Stephan si fosse pentito, che quel suo gesto, non era stato altro che un impulso dettato dal momento, e non dalla convinzione di amarla davvero.

“Non se ne parla neanche. Io voglio che tu venga”. Disse lui, serissimo, tradendo però un certo nervosismo facendo dondolare ritmicamente il piede sinistro.

“Vuoi ascoltare?” Chiese lei, porgendogli uno dei suoi auricolari.

Lui lo prese titubante, poi sentendo le note di Peter Gabriel, sorrise e si rilassò.

Durante tutto il tragitto in treno nessuno dei due parlò, e nemmeno dopo, mentre entrambi percorrevano la distanza che li separava dalla stazione alla casa di Stephan.

“Sei sicuro di volerlo?” Chiese lei, una volta che si trovarono di fronte all’ingresso del palazzo anni ‘60 dove abitava Stephan.

“Perché non dovrei, sto solo invitando un’amica in casa mia”. Disse Stephan, mentre girava la chiave sull’uscio del proprio appartamento.

“Un’amica già…” lo parafrasò lei.

“Oh…” sbuffò lui. “Sai quello che intendo dire no?”. Aggiunse Cercando di parare il tiro, ma ormai il danno era fatto.

“Senti, non credo che dovrei essere qui. Me ne torno in stazione, ok?”. Alla fine sbottò Isabel girandosi verso il corridoio che portava alle scale.

“Aspetta…” Stephan preso alla sprovvista dalla sua reazione cercò di fermarla, ma lei era decisa come non mai ad andarsene.

Lui sentì che la stava perdendo di nuovo, per una sciocchezza, una parola detta senza pensare, ma che come una lama sottile aveva spezzato il dolce incanto di quel caldo pomeriggio di fine maggio.

“Ti prego Isabel…” la sua voce fu talmente diversa dal suo tono abituale, che lei si fermò in cima alla rampa di scale, in attesa.

Stephan la raggiunse con pochi passi e le prese delicatamente una spalla per spingerla a voltarsi verso di lui.

Gli occhi nocciola di lei si scontrarono con quelli di lui, comprensivi e magnetici.

“Non piangere, ti prego. Non volevo ferirti. Tu sei importante per me, lo sei sempre stata, ma tutto questo è nuovo per me e non so come comportarmi…” Ammise lui, mentre le reggeva una delle due stampelle, che lei usava per muoversi.

“Credi che in amore ci sia un codice di comportamento? Questo non è come i tuoi corsi, i tuoi esami… non è scritto nei libri, è la vita e non si può fare una scaletta di un prima e un poi…”.

Stephan dovette ammettere con se stesso che, per quanto male fece sentire quelle parole, Isabel aveva ragione.

“Le questioni qui sono due: la prima è se mi ami o no, e la seconda riguarda il perché tu mi hai chiesto di venire da te. Sta a te darti, e darmi, delle risposte”. Disse lei brusca, mettendolo metaforicamente con le spalle al muro, ma non era la prima volta che ciò accadeva. Negli anni almeno un paio di volte Isabel aveva tentato di dichiararsi sperando in una reazione da parte di Stephan, che invece era sempre stato evasivo, senza mai prendere posizione in merito.

Se fosse per me, probabilmente non ti porterei da nessuna parte, eppure non ti lascerei mai andare”. Così le aveva detto una volta,  e quella frase l’aveva accompagnata per anni, insieme al dubbio se lui provasse, o no, dei sentimenti per lei, fin quando Isabel non aveva deciso di sposarsi con un altro e dimenticare tutto.

Questo era successo più di tre anni prima e, nel frattempo da quel suo matrimonio frettoloso era nata anche una bambina, ma Isabel non aveva mai dimenticato Stephan, mentre lui sembrava essere sparito. Almeno fino a quella mattina di maggio, dove era comparso, come se nulla fosse, portandole un dono per la tanto Agognata sessione di tesi.

“Io non so quale risposta vuoi sentire ora, ma so che non voglio che tu te ne vada…” Disse lui, impacciato.

“Non è abbastanza, Stephan, non più. Ho una famiglia adesso, credi che butterei tutto all’aria solo perché tu oggi, magari per capriccio, vuoi stare con me, ma non vuoi stare con me?”. La ragazza sapeva bene che era sleale tirare in ballo la sua nuova vita, ma quello che aveva sprona detto era solamente la verità. Se doveva restare quel giorno con Stephan, lo avrebbe fatto solo se lui le avesse fatto capire i suoi reali sentimenti. Era stufa dei giochetti, dei tentennamenti e dei giri di parole, in fondo non aveva più ventun anni.

“Ho bisogno di te”. Riuscì solo a dire lui.

Non era quello che lei voleva sentirsi dire, ma qualcosa in quel suo sguardo perso ed implorante la fece cedere, e capì che dietro quelle poche parole si celava molto di più. Forse proprio quell’amore che lei voleva disperatamente che lui provasse.

“D’accordo, resto. Ma se in qualsiasi momento io sentissi l’esigenza di andarmene, lo farò, che tu lo voglia o no”. Aggiunse lei, dura.

“Ovviamente… ora entriamo ti va’? Non vorrei dar spettacolo coi vicini su pianerottolo. Sai, sono dei tali impiccioni…”. Queste ultime parole Stephan le disse sottovoce, per non far sentire da orecchi indiscreti, ma la cosa la fece ridere tanto, talmente tanto che Isabel si tenne la pancia dal male.

La casa di lui era come lei se l’era sempre immaginata. Ordinata, pulita, con questo misto di moderno e vintage che tanto andava di moda in quel periodo.

Il salotto era luminoso ma arredato con colori tenui e po’ retrò. Addossato ad una parete stava un vecchio divano celeste, coi braccioli di legno scuro. Appesa al muro c’era una tela fotografica ritraente un paesaggio di città e due donne di spalle al fotografo, intente a fissare l’orizzonte.

Stephan vedendo che Isabel si era incantata davanti alla foto, le disse quello che diceva sempre alle poche persone che visitavano casa sua e alle quali quella foto faceva sempre effetto.

“Quella l’ha scattata mio padre. Sono mia madre e mia sorella a Lodi. Quello è il Duomo preso da una particolare angolazione, mio padre era particolarmente fissato con la luce in quel periodo…”.

La voce di lui aveva una nota stanca e malinconica e Isabel si pentì subito di aver indugiato così tanto su quella foto. Aveva intuito chi fossero le due donne, ma la curiosità aveva vinto sul pudore.

“Scusami. So che non ti piace parlare di loro. Comunque è uno scatto bellissimo, sembra un quadro”. Disse lei, cercando di scacciare via la tristezza che vedeva riflessa negli occhi di lui.

“Un quadro che mi ricorda ogni giorno che cosa non ho più, comunque non preoccuparti. Va bene così…”. Stephan scacciò un pensiero doloroso con la mano e si concentrò sulla sua ospite.

“Vuoi fare un Domus-Tour di casa Valenti? So che muori dalla voglia di sapere dove tengo nascosta la spada laser di Darth Vader…” La punzecchiò lui ridendo.

“Non ci credo! Alla fine l’hai presa davvero?” Chiese lei sbalordita.

“Certo, come ogni Star Wars fan che si rispetti, non potevo non avere la mia personale riproduzione dell’arma Sith”. Annunciò lui tutto orgoglioso, e per attimo, ad entrambi, parve di tornare indietro di quasi quindici anni, ai tempi dell’università, al giorno in cui Stephan, per far ridere Isabel le aveva detto che l’avrebbe comprata, la spada laser, per usarla di notte, girando per casa senza accendere la luce.

“Da lei professore, questa frivolezza non me l’aspettavo!” Disse Isabel scimmiottando la sua voce e dandogli un leggero colpetto sulla spalla.

“Ahi, mi fai male!” Rispose lui, poi però la prese per il fianco e l’attirò a sé.

“Se rimandassimo il giro della casa e ci concentrassimo su ciò che è rimasto in sospeso da questa mattina?” Chiese lui, con uno sguardo inequivocabilmente famelico e malizioso.

“Vergognati! Mi hai appena invitato ad entrare e già vuoi baciarmi?”. Lo sgridò lei, fingendosi offesa.

“Perdonami, credevo lo volessi anche tu…” balbettò lui, lievemente rosso in viso, agitando la mano in segno di scuse.

“Quanto mi piace prenderti in giro… vieni qui e baciami sciocco di un Valente!” Isabel sorrise ed attirandolo a sé, lo baciò con trasporto.

Stephan sulle prime si irrigidì. Non era abituato a quel tipo di contatto con lei, tanto meno nel proprio salotto, però dovette ammettere con se stesso che baciare Isabel era dannatamente piacevole, e più prendeva confidenza con le sensazioni ed il corpo minuto di lei, meno voleva smettere.

“Possiamo mangiare qualcosa?” Esordì lei ad un certo punto, spiazzandolo.

“Sai sto morendo di fame…” aggiunse Isabel, staccandosi da Stephan, mentre con assoluta naturalezza si adagiava su quel divano sconosciuto, eppure così comodo.

Lui ci mise qualche secondo a ricomporsi, e lei sorrise lievemente.

“Ti va’ una pizza? Quest’oggi saremo soli, mio padre rincaserà probabilmente domani nel pomeriggio… e io sono una frana in cucina”. Ammise Stephan, un po' confuso per la verità, e dannatamente eccitato come non lo era da tempo.

“Vada per la pizza, però offro io, che sono la festeggiata oggi!”. 

“Chiamo subito” disse Stephan andando in un’altra stanza, lasciando Isabel sola a guardarsi intorno.

Il cellulare di lui vibrava insistentemente sul tavolo del soggiorno, tanto che Isabel pensò che sarebbe caduto dal bordo del piano, ma resistette all’impulso di sbirciare il display, mentre Stephan stava chiamando la pizzeria per la consegna a domicilio.

“Arriverà per le 20:00, ora sono le 19… cosa ti va di fare?” Chiese lui, come se fosse la cosa più naturale da dire.

“Non lo so, sei tu che mi hai invitato qui, pensavo avessi dei programmi per me” Disse lei un po' distratta nuovamente dal cellulare che non la smetteva di suonare.

“Forse è meglio che rispondi…” Isabel stava perdendo la pazienza, ad un certo punto si chiese cosa ci faceva ancora lì. Si sentì una stupida.

“Ti ho detto che stasera non posso. Sono impegnato… Allora non mi ascolti? … non mi va di uscire stasera… oh e va bene come vuoi!”. Stephan sbuffò e chiuse la chiamata.

Dai brandelli di conversazione appena udita, lei intuì che non doveva essere molto entusiasta di quella telefonata.

“Era Miriam, una mia vecchia amica. Insiste che stasera esca con loro, lo avevamo programmato da tempo, solo che non avevo idea che oggi le cose sarebbero andate come sono andate…” gesticolò lui, cercando di scusarsi per quella situazione.

“Insomma, non vuoi presentarmi ai tuoi amici, ma nello stesso tempo non vuoi mancarecalla serata, dico bene?”.

Isabel aveva centrato il punto, tanto che si tirò su a fatica dal divano, prese le sue cose e si avviò alla porta.

“Mi accompagni in stazione, per favore?”. Chiese lei, emotivamente sfinita.

“Sì, cioè no… ma perché?” Stephan non sapeva più nemmeno cosa voleva dirle e alla fine scelse l’univa via possibile per salvare quella serata.

“Perché non vieni con me al locale?” Chiese diretto, sperando che lei accettasse.

“Anche perché se non accetti. Miriam verrà a prendermi comunque sotto casa, e con lei non c'è da scherzare…” aggiunse lui, cercando di stemperare la tensione.

Isabel che aveva già la mano sulla maniglia della porta, si voltò e gli sorrise.

“Davvero mi porteresti con te?” Chiese sorpresa e stranamente commossa. Si sentì di nuovo importante.

“Certamente, non ho intenzione di lasciarti andare via da me stanotte…” Disse lui, non senza una certa dose di malizia e provocazione.

Isabel a sentir quelle parole provò un brivido caldo e le si rimescolò lo stomaco al pensiero di ciò che avrebbe significato passare la notte con Stephan.

Da quanto tempo lo aspettava? Da troppo. 

Ora era giunto il momento di tirar fuori il coraggio insieme al desiderio, entrambi troppo a lungo rimasti Chiusi nei cassetti del “chissà se”, e del “mai”.

“Che ne dici se diamo l’inizio alle danze, e vediamo come va?” Chiese Isabel, ma lui non colse il luccichio sensuale ed erotico nello sguardo di lei.

La donna lo attirò a sé appoggiando la schiena semi scoperta alla porta chiusa, lui si dovette chinare leggermente bere baciarla, visto la loro differenza di altezza. Isabel mentre stuzzicava lui con la lingua, faceva scorrere le mani sul suo torace, infilandone cautamente una delle due sotto la stoffa della felpa scura.

Stephan trasalì, e per un attimo parve rifiutarla, poi la osservò con uno sguardo da predatore negli occhi, era combattuto tra il mantenersi cauto e distaccato, e il possederla lì, in piedi, contro la porta d’ingresso.

Le abbassò una spallina del vestito, mettendo in mostra parte del seno, ancora fasciato dal reggiseno rosso, in tinta con l’abito.

Posò la bocca alla base del collo, scendendo con le labbra a percorrere l’intera lunghezza della clavicola, poi arrivò al seno, e si fermò proprio sopra al bordo di pizzo del reggiseno, soffiando il respiro caldo con le labbra, lei, involontariamente ansimò.

I capezzoli di lei ancora intrappolati dalla stoffa, svettavano turgidi e tesi, come una muta richiesta di essere liberati e baciati.

“Non ti facevo così, Stephan…” disse lei, un po' per prenderlo in giro, un po' per provocarlo.

“Credevi che la mia unica abilità fosse quella di studiare in biblioteca? Io so fare anche altro..” Così facendo lui le sgancio abilmente il reggiseno con una mano e glielo sfilò rapido senza levarle il vestito. Lei sussultò e si portò istintivamente le mani a coprirsi, nonostante fosse tutto abbastanza celato dal taglio dell’abito di lino.

“Mi vergogno… non sono più quella che hai conosciuto anni fa, il mio corpo è cambiato…” Disse lei, con gli occhi bassi.

“Ehi, anche io sono più vecchio di quando mi hai conosciuto”. Disse Stephan, mentre ke sollevava  delicatamente il viso.

“Quello che sei per me non lo definisce certo qualche ruga qua e là, o qualche segno di maturità. Per me eri e sei rimasta bellissima”.

Isabel si sciolse a quelle parole. Possibile che Stephan fosse davvero innamorato di lei? Stentava ancora a crederci…

“Ho aspettato così tanto… non voglio forzarti proprio ora” Disse Stephan staccandosi da lei quel tanto che bastava da rimettersi dritto. 

Isabel gli arrivava si e no alla spalla, ma questo non lo aveva mai disturbato tanto, anzi alcune volte, negli anni, la sua altezza, gli aveva concesso una rara, quanto inaspettata, visuale sul suo décolleté, ma lei questo non lo aveva mai saputo.

La donna ancora con la schiena alla porta, lascio scivolare giù la spallina stavolta esponendo le proprie forme in tutta la loro splendida imperfezione.

Un invito provocante e silenzioso a continuare, e Stephan non si lasciò sfuggire l’occasione di assaggiare la pelle di lei.

Le prese il capezzolo fra le labbra dopo averlo stuzzicato con la lingua, lo succhiò e lo morse lievemente, finché non sentì un verso strozzato provenire da lei.

“Isabel… tutto bene?” La guardò un po' allarmato.

“Si, sì, è solo che se continui così, potrei venire anche solo il con tocco della tua bocca”. Ammise la donna eccitata e accaldata.

“Ed è un male?” Domandò lui, pieno di orgoglio maschile.

“No, solo me lo ero immaginato diverso…” aggiunse mentre faceva passare le sua dita sottili tra i capelli scuri di lui.

La risposta di Stephan fu smorzata sul nascere dal suono freddo e cacofonico del citofono, che fece sobbalzare entrambi per lo spavento.

“Chi è?” Domandò lui brusco, nell’interfono.

“Flypizza, consegna a domicilio” disse l’ignaro fattorino.

“Tempismo perfetto…” si lasciò sfuggire lui con un sospiro, scostandosi da Isabel, mentre lei in fretta si risistemava la spallina incriminata.

“Abbiamo tutto il tempo…” Disse poi lei, slegandosi i lunghi capelli biondo cenere.

“Il tempo di questa notte non basterà a recuperare questi ultimi quindici anni sprecati ad ignorarci”. Decretò lui un po' amareggiato.

“Beh è un inizio, giusto? Ogni cosa ha il suo inizio, il suo principio…”.

Stephan colse il riferimento implicito di Isabel ai “presocratici” e le sorrise.

“Dimenticavo che sto parlando con una dottoressa in scienze filosofiche…”. Disse Stephan ancora con lo sguardo divertito.

“Oh dai, per una volta che faccio io la seria! Sei tu il professore qui…”. Lo rimbeccò lei, sfiorandogli la mano.

“Stasera vorrei che fossimo solo Isabel e Stephan…”. Disse e la baciò fugacemente sulla fronte, prima di aprire la porta al ragazzo delle pizze.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Dark Blue Sheets ***


Dark Blue Sheets

 

“Sei in ritardo!” Disse con un tono un po' indispettito Miriam, abbracciando Stephan di sfuggita.

“Scusami… ci siamo attardati nel cenare” Disse lui di sfuggita, cercando di non dar troppo peso alla cosa.

Ci? E con chi avresti fatto tardi?” Chiese l’amica sorpresa, alzando lievemente un sopracciglio.

“Ehm… lei è Isabel, ero con lei prima, quando hai telefonato”. Spiegò lui, lievemente imbarazzato.

“Ah… Isabel… la famosa Isabel?”.

La ragazza al fianco di Stephan si fece piccola piccola, intuendo di essere già sulla bocca di tutti i suoi amici. Si chiese cosa mai avesse raccontato lui sul suo conto, o sul loro rapporto”.

Isabel non fece quasi in tempo a stringere la mano a Miriam, che fu travolta quasi letteralmente dall’energia dirompente di Mattia, uno degli altri ragazzi della compagnia di Stephan.

“Ehi! Steph! Non mi avevi detto che era così bella, altrimenti avrei cercato di soffiartela prima…”. Disse il ragazzo, con uno sguardo disinvolto e ammiccante.

“Non curarti di lui, ci prova con tutte quelle che vede. A fine serata sarà talmente ubriaco da chiedere il numero anche allo sgabello là in fondo…”. Intervenne un terzo ragazzo, con occhi di un bellissimo grigio blu ed un sorriso rassicurante.

“Lui è Danilo, un mio carissimo amico, nonché forse il migliore, ci conosciamo da… da sempre”. Disse Stephan presentando l’amico a Isabel.

“E quest’altro caso senza speranza, è Mattia. Mi vergogno quasi a dirlo, ma siamo colleghi in università…” Ammise Stephan gesticolando con la mano.

“Vogliamo sederci? Così ci racconti tutto…” Disse Miriam prendendo sottobraccio Stephan in un gesto spontaneo, na che per qualche motivo diede ai nervi ad Isabel, che rimase indietro a guardarli, finché lui non si voltò a chiamarla.

Gelosia forse? Invidia? 

Isabel non capiva come mai a veder lui coi suoi amici e con quella Miriam si sentisse nervosa, agitata, fuori posto.

Per tutta la sera il gruppetto non la degnò di molte attenzioni, tranne Danilo, che si dimostrò molto gentile e disponibile, per il resto lei annegò il disagio nell’alcool, sentendosi il più delle volte più come un terzo incomodo che altro.

Stephan sembrava aver scordato tutto quello che c'era stato prima tra loro, come se quella giornata non fosse mai accaduta, come se non fosse lei quella da festeggiare.

All’ennesimo cocktail alla menta che lei stava per trangugiare, lui le mise la mano sul bicchiere.

“Adesso basta, hai bevuto abbastanza…” Le disse all’orecchio, per farsi sentire da lei, nonostante la musica ed il chiasso.

“Cosa vuoi? Non sei mica mio padre!” Gli rispose seccata lei, più per affetto della vodka che altro.

“Ragazzi noi andiamo…” Disse ad un tratto Stephan, ottenendo frasi di disappunto dai suoi amici.

Lui ignorando anche le proteste di Isabel, le porse le stampelle e, piuttosto sbrigativamente, la costrinse ad alzarsi per uscire dal locale.

“Perché ce ne siamo Andati? Pensavo ti stessi divertendo…” Domandò lei arrabbiata.

“Io sì, ma tu no, e poi hai bevuto troppo e non volevo ti sentissi male”. Disse serio Stephan, ma non fece in tempo a finire la frase che lei rimise il contenuto del stomaco sul marciapiede.

“Vado a prendere dell’acqua, ce la fai a reggerti?” Le chiese lui, comprensivo, mentre lei con il volto pallido accennava ad un sì non troppo convinto.

“Ecco tieni, bevi…” Le ordinò lui porgendole dell’acqua con delle vitamine sciolte dentro.

“Torniamo a casa, prendi la mia giacca, stai tremando”.

Ed era vero, Isabel tremava e si sentiva una stupida per aver vomitato di fronte a lui. Non si riduceva così dai tempi del liceo.

Si era comportata veramente come una ragazzina idiota.

Una volta nel parcheggio di casa Valenti, mentre erano ancora in auto, lei gli prese un braccio e lo guardò con occhi stanchi, quasi sull’orlo del pianto.

“Scusami tanto, sono una cretina, non so cosa mi è preso…” Disse Isabel faticando a trovare la concentrazione per parlare.

“Succede, anche se mi sarei risparmiato lo spettacolo di rivedere la nostra cena sul marciapiede…”. Disse lui ridendo piano.

Lei diventò tutta rossa e non parlò più finché non furono entrati in casa.

“Ehm posso usare il bagno? Vorrei rinfrescarmi un po’…” chiese la ragazza a Stephan, con l’abito tutto stropicciato, restituendogli la giacca.

“Ma certo, seconda porta a sinistra. Ti ho messo accanto al lavandino un asciugamano pulito…”. Le rispose lui, mentre controllava i messaggi sul cellulare e metteva sul fuoco un The per entrambi.

“Scusami davvero Stephan…” si scusò di nuovo Isabel rimestando la bevanda calda, sul tavolino di fronte a lei, dopo essersi rimessa un po' in sesto.

“Smettila! Può capitare, davvero… non è la fine del mondo. Piuttosto puoi dirmi perché lo hai fatto?”. Stephan, aveva già dei sospetti al riguardo, ma Isabel sapeva che quando lui si metteva un'idea in testa, nessuno poteva farlo desistere, tanto valeva confessare tutto.

“Ecco io… mi sono sentita gelosa…”. Sputò fuori lei, con occhi bassi, giocando nervosamente con la fede nuziale.

“Gelosa? Dei miei amici?” Chiese lui, senza capire.

“Sì, cioè no… insomma… hai trascorso due ore praticamente senza rivolgermi la parola… come se non fossi nemmeno lì”. Continuò la confessione, con un tono più deciso.

“Non sono il tipo da dire i fatti miei in giro, non volevo facessero troppe domande, e se avessero visto quanto sono legato a te, non avrebbero più spesso di tartassarmi”.

“Quindi tu saresti legato a me?” Chiese Isabel alzandosi dalla sedia per mettersi seduta sulle sue ginocchia, con fare disinvolto e provocante.

“Sì…” Stephan era in evidente imbarazzo, non sapendo dove posare le mani per non risultare invadente.

Isabel sciolse il dubbio baciandolo sulle labbra mentre guidò una delle mani di lui verso i fianchi, facendola scivolare sotto l’orlo del vestito, rivelando la pelle nuda a contatto con la stoffa, segno che non portava nulla sotto.

Lui divenne rosso in viso, quasi eguagliando il colore dell’abito di lei, ma non spostò le dita dai suoi fianchi, Isabel poté sentire la sua erezione farsi evidente, nonostante il tessuto robusto dei jeans.

“Ti voglio…” soffiò lei nella sua bocca, infilandogli decisa una mano sotto la maglietta scura, ad accarezzargli il petto. Era la prima volta che Isabel sentiva la pelle di lui sotto i polpastrelli e fu una sensazione inebriante, nuova, e tremendamente eccitante.

“Non dovremmo andare più lentamente? Forse dovresti riposare, vista la sbronza che ti sei presa…”. Disse lui con enorme sforzo, non era facile resisterle.

“Non abbiamo perso già abbastanza tempo ad andare piano? Siamo andati talmente piano, che sono trascorsi quindici anni solo per riuscire a trovare il coraggio di baciarci!”. Isabel si alzò di scatto interrompendo qualsiasi contatto con lui, e lo guardò offesa e frustrata. Il vestito le cadeva addosso morbido e stropicciato, rivelando che non indossava nemmeno più il reggiseno, oltre che le mutandine.

Stephan pensò che quello di lei fosse un vero assalto erotico in piena regola. Isabel non si sarebbe certo accontentata solo di dormire quella notte, e lui non era del tutto sicuro se fosse saggio andare fino in fondo con lei. Dopotutto era una donna sposata, una madre e, fino a quella calda mattinata, un’amica.

Ma adesso... adesso tutto era cambiato, la sua bocca formicolava e l’eccitazione crescente nei suoi boxer gli diceva che quella che aveva davanti era solamente una donna, una donna che voleva lui, e al diavolo tutto il resto.

Stephan senza parlare la prese con fermezza e la accompagnò in salotto dove aveva preparato con cura il divano letto, le lenzuola e i cuscini blu scuro sembravano così invitanti.

“Scusami… è che ho paura di rovinare tutto” ammise lui, mentre si levava la maglietta, rimanendo scalzo con indosso solo i jeans.

“Non sono più vergine da tanto tempo, non rovinerai niente…”. Gli ricordò lei sorridendo.

“Non mi stavo riferendo al sesso, ma a quello che siamo stati fino a qui…”. Stephan non riusciva a guardarla, gli sembrava ancora surreale averla mezza nuda nel suo salotto.

Lo aveva immaginato tante volte, quando lasciava vagare la testa e di notte sognava di lei, eppure mai si sarebbe aspettato che fosse così travolgente e così difficile.

“Già… che siamo stati due cretini fino a qui, fino a oggi, questo volevi dire?” Insistette lei, adagiandosi sul materasso del divano che cigolò leggermente.

Stephan rimase in piedi di fronte a lei e, da quella angolazione poteva vedere il suo seno sfregare contro la stoffa rossa di quell’abito semplice, ma elegante. 

Deglutì, non sarebbe riuscito a trattenersi ancora molto, l’istinto gli diceva di sdraiarla su quel vecchio divano, di strapparle via il vestito e di assaggiarla e baciarla finché non ne avrebbe avuto abbastanza.

“Vieni qui, toccami… ti ho aspettato così tanto…”. Le parole di Isabel suonarono come una supplica, ma le sue mani si protesero lente e sicure verso il suo corpo per trascinarlo con sé.

Isabeau…” Disse di sfuggita lui, mentre baciava le sue spalle scoperte.

“Come?” Chiese lei, un attimo confusa.

“Scusami volevo dire Isabel…” si corresse lui, guardandola negli occhi.

“...Vuoi che ti chiami Vargas?”. Chiese lei ridendo.

“... Sai facevo anche io quei sogni, e quando ti ho visto in università quel giorno, ho capito subito che il misterioso mago dei sogni, eri tu. Insomma che noi eravamo destinati…”. Confessò lei, sollevata, come se si fosse tolta un grosso peso dal cuore.

“Ma avevi detto di non aver mai sognato nulla del genere, quando ti parlai...”. Ricordò lui, confuso e sorpreso.

“Ho mentito. Ho visto che avevi paura e non ti ho forzato…”. 

Isabel si rese conto in quel momento che se gli avesse parlato dei suoi stessi sogni avuti anni addietro, forse loro ora sarebbero stati sposati. Sarebbero stati una famiglia, con quell’amore che suo marito non era mai stato in grado di darle..

“Non ho più paura Isabel, se no non sarei qui con te adesso...”. Dichiarò lui, mentre le sfilava via l’abito, lasciandola completamente nuda, ed esposta al suo sguardo emozionato e languido.

“Dai, non fissarmi così. Mi vergogno!...”. Isabel cercò di coprirsi maldestramente, ma le era difficile, per non dire impossibile, celare alla vista di lui, tutte le cicatrici, ormai sbiadite, sulla parte inferiore del corpo.

“Non hai nulla che non vada bene... Le cicatrici provano solo che hai sofferto, ma che sei stata forte. Ora sei quello che sei, anche grazie a queste…”

Stephan le prese le mani, scostandogliele e scese a baciarle il seno, lambendo con la lingua i capezzoli, già turgidi da prima.

Isabel gemette e si lasciò esplorare, toccandolo a sua volta, imprimendosi ogni sensazione nella memoria.

Le lenzuola blu avevano un buon odore, che mescolato a quello dei loro corpi accaldati ed eccitati rendeva tutto così strano, eppure così famigliare.

Isabel pregò che non fosse un sogno, quando lui, non senza una certa dose di imbarazzo cercava di capire come prenderla senza farle male.

“Aspetta... ci penso io...” Gli disse lei sicura ed emozionata oltre ogni dire.

Si girò su un fianco e lasciò che lui si sistemasse dietro di lei, per fare l’amore in quella posizione, così raccolta, così intima, eppure così potente.

Lentamente Stephan entrò in lei e la trovò calda, perfetta, come doveva essere la sua metà mancante.

Avevano cercato per anni l’altra metà della mela, e quella invece era sempre stata lì sotto i loro occhi.

I respiri si confusero, i gemiti riempirono l’aria, infilandosi furtivi tra gli scaffali, in mezzo alle pagine dei tanti libri esposti in quel soggiorno, ma dimenticati.

C’erano solo loro, le loro mani, il loro bisogno di colmare il tempo perduto.

Isabel girò la testa verso di lui, in quella posizione le era difficile veder il suo volto, ma voleva baciarlo, mentre lui si muoveva dentro di lei.

Tutto sembrava perfetto, come se i loro corpi si fossero attesi fino a quel momento e solo in quell’unione così forte e delicata insieme, avessero ricominciato a vivere, vivere davvero.

Stephan le prese il mento e la baciò in un modo un po’ grossolano, ma preso com’era dalla passione non ci badò molto ed ad Isabel non dispiacque. 

Rise.

Rise, poi venne.

E fu davvero come sentire le farfalle nello stomaco, lucciole tra le mani e campanelli fatati attorno alle orecchie.

Stephan la seguì poco dopo, per poi lasciarsi andare soddisfatto, allacciando mollemente le braccia intorno a lei. Senza smettere di toccarla, come se avesse paura che lei potesse svanire da un momento all’altro.

“Mi fai il solletico con la barba. Mi formicola tutto il mento...” Gli disse lei, dopo qualche attimo di silenzio ovattato e pieno.

“Scusa... ma hai davvero un sapore troppo bello!” Disse lui, convinto, e tutto rosso in viso.

“Troppo buono, vorrai dire...” lo corresse lei, scherzandoci su.

“No, no, proprio bello, nel senso platonico del termine. Il Bello è più importante del Buono, anzi no, vanno considerati insieme...” Spiegò lui, dimenticandosi di essere nudo e sudato a un soffio da lei, e indossando ancora l’abito mai del tutto accantonato del professore di filosofia.

“È proprio da te, fare l’amore, e subito dopo parlar di filosofia...” lo prese in giro Isabel.

“Sei tu che mi ispiri così alti pensieri. Sai quanto io ami Platone...” disse Stephan.

Isabel arrossì e gli si strinse addosso, girandosi e abbracciandolo.

“Sì, lo so. È grazie alla tua passione, se io oggi mi sono laureata proprio su Platone...” Gli ricordò lei.

“Beh però c’era anche Nietzsche nella tua tesi...” la punzecchiò lui.

“Dettagli, professore, sono solo dettagli...” rise e lo baciò, con quelle labbra piene e rosse come amarene, per via del contatto con la sua barba ispida e leggermente ruvida.

“Sono felice che tu sia qui... per la prima volta da anni non mi sento triste per la morte di mia madre e mia sorella...” Ammise Stephan, quasi in colpa verso le due donne della sua vita.

“Anch’io sono felice, anche se so che questo bel sogno non può durare... vero Vargas?” Disse lei e un’ombra di tristezza le oscurò lo sguardo.

“Come?...” Domandò lui, aprendo dolorosamente gli occhi.

Si ritrovò nella sua casa, quella stessa casa, quello stesso soggiorno, lo stesso divano. 

Solo che era giorno. 

E lei, lei non c’era.

Non c’era mai stata, era stato tutto un sogno della sua mente malata e folle per quell’amore, mai avuto, mai concretizzato.

Stephan sospirò, quella mattina, nonostante fosse estate sentiva il gelo addosso. Si guardò allo specchio, era pallido, il volto cinereo, le occhiaie e i segni della malattia sempre lì, a ricordargli che non aveva più tempo.

Indossò la maglietta, a maniche lunghe, nonostante l’afa, Stephan non voleva che tutti vedessero sulle sue braccia i segni delle cure, dei ricoveri in ospedale. I segni scuri sulle vene lasciati dagli aghi delle flebo, dei veleni in bottiglia.

Stava morendo, lo sapeva, sarebbe stata questione di giorni, forse settimane, ma lui non ci vadava più ormai, aveva smesso di guardare il calendario, di contare la vita che gli rimaneva.

Normalmente era indifferente ad ogni cosa, ma quel giorno, quel giorno no.

Si preparò meglio che poté, cercando di sembrare il vecchio sé stesso e uscì per andare alla stazione. 

Il cuore gli sussultò leggermente nel petto al pensiero di poterla anche solo rivedere.

Quello non era un giorno qualsiasi, era il giorno.

Lo aveva saputo dai calendari pubblici affissi in università. Quella mattina ci sarebbe stata la discussione della tesi di laurea di Isabel, e lui non voleva, non poteva mancare.

Non si sentiva bene, ma camminò lo stesso, ancora poche decine di metri e sarebbe salito sul treno, dove avrebbe potuto riposarsi un poco.

Il sole era già caldo, gli faceva girare la testa. 

L’ultima cosa che Stephan sentì, o che credette di sentire, prima di accasciarsi al suolo, come un fantoccio gettato via da un bambino capriccioso, fu un dolce sentore di mandorle e di rose.

Le stesse rose rosse che Isabel ricevette quel giorno in dono da suo marito, raggiante è orgoglioso più che mai, mentre gliele porgeva con un bacio.

“Complimenti, amore. Sei stata bravissima”. Diceva suo marito.

Sua figlia le tirò la gonna dell’abito rosso per attirare la sua attenzione.

“Cosa c’è amore?” Chiese Isabel alla bambina, che le porgeva un sacchetto.

Dentro al fagotto c’erano tanti confetti, rossi anch’essi, come da tradizione e al gusto di mandorla come piacevano a lei.

“Sono buonissimi...” convenne Isabel distribuendoli ai pochi presenti alla cerimonia.

Poi si voltò, lo sguardo si perse, ed una farfalla gialla le passò accanto.

“Cosa c’è amore?” Le chiese suo marito, vedendola turbata.

“Niente... ho avuto solo una sensazione...” disse lei, mentre il ricordo di Stephan e del suo volto sorridente si era fatto sentire come un fulmine a ciel sereno, accompagnato dal battito di ali di quella bellissima e fragile creatura dalle ali gialle e impalpabili.

Stephan non c’era, ma avrebbe voluto esserci, con tutto sé stesso, se solo il suo cuore avesse retto un giorno in più, sarebbe bastato solo un giorno in più.

Invece quella farfalla gialla sarebbe vissuta soltanto per il tempo di quell’unico giorno così importante, e a lui, quella fortuna era stata negata, come in un crudele gioco del destino, dove lui era semplicemente una pedina mangiata, dimenticata inutile, mentre lei era la regina, difesa dal re.

Stephan aveva atteso troppo per dichiararsi, per rimediare, per trovare il coraggio, e il tempo, si sa, non fa sconti a nessuno.

 

___

 

 

Note dell’autrice: ok, ok. Lo so, doveva essere una one Shot ed è diventata una mini long di tre capitoli.

Questi ultimi due li avevo nel pc da mesi e non mi decidevo a pubblicarli, un po’ perché sono autobiografici, un po’ perché mi vergogno. Questo genere romantico e scolastico non è il mio solito. Spero di aver fatto bene.

A presto Ladyhawke83

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3758407