Ti stendo, ti odio…ti amo

di congy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quel posto sarà mio! ***
Capitolo 3: *** Scontro e Incontro ***
Capitolo 4: *** Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte ***
Capitolo 5: *** Questioni di pene ***
Capitolo 6: *** Biscotti e Nutella ***
Capitolo 7: *** Il caffè è la panacea di tutti i mali ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



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PROLOGO

  

“Tesoro, mi porteresti dell’acqua?” sbuffo, ma rimango al mio posto continuando a scrivere. Ma chi si crede di essere questo qui? Mi ha preso per la sua schiava, forse?
Lui comincia a battere i piedi a terra e la matita sul tavolo. Odio il rumore, e lui lo sa. Coglione raccomandato che non è altro.
“Potresti smetterla? Sto correggendo un capitolo, mi deconcentri”
“Sono nervoso, ho sete e ho caldo. Proprio oggi doveva rompersi l’aria condizionata?”
“Ma stai sempre a lamentarti come una vecchia zitella? Alzati e prenditi l’acqua. Il termos è a cinque metri da te” chino la testa e continuo a scrivere. Quant’è petulante, santo cielo!
“Se mi alzo, consumo energie. E se consumo energie non connetto. E il direttore editoriale non può permettersi di non lavorare bene. Eh già, è davvero un incarico di grande responsabilità. Ops, scusami, tu non lo puoi sapere” e mi lancia uno sguardo tra il malizioso e il maligno. Lo odio. Stupido figlio di papà con la porche. Chissà che servizietto deve aver fatto sua madre al direttore per far ottenere al figlio quel posto. Ma non ha ancora capito con chi ha a che fare. Mi alzo e vado a pendere dell’acqua per questo coglione.
“Oh, mi scusi, sua signoria illustrissima, nella mia piccolezza non posso comprendere il così grande fardello che grava sulle vostre regali spalle. Perdoni questa mia tremenda negligenza. Per farmi perdonare meglio, ho anche avuto un’idea  per darle sollievo dalla calura estiva.” Poggio le mani sulla scrivania e mi chino verso di lui. Slaccio il primo bottone della mia camicetta. Il mio seno è in bella vista, fasciato solo da un reggiseno di pizzo bianco. Lo vedo mangiarmi con gli occhi. La sua risposta, banale come quella di tutti gli uomini, non tarda ad arrivare.
“Questa idea prevede me, te e una doccia d’acqua fredda?”
“No, questa idea prevede questo” verso tutto il contenuto del bicchiere su di lui partendo dai capelli e cercando di evitare le scartoffie e il computer. Non voglio essere licenziata per lui.
“Porca miseria! Ma sei scema?” sbraita ed inveisce contro di me.
“Ho risolto il tuo problema con il caldo e con la sete. Ora, se vuoi scusarmi, devo completare la revisione del capitolo. Sai, io, in quanto donna e in quanto dotata  di un’ intelligenza superiore, non ho bisogno di acqua per lavorare bene”        



Eccoci qua!
Vi ringrazio di essere arrivate fino in fondo al capitolo, siete delle persone coraggiose se riuscite a leggere quello che ho scritto.
Mettendo da parte la mia pazzia (a cui, se continuerete a seguire la mia ff, dovrete farci l’abitudine) spero che questo breve prologo vi piaccia.
E’ la prima ff originale che scrivo, bazzicavo e bazzico tutt’ora nel fandom Twilight.
L’idea della storia è nata chattando con una mia amica, scrittrice molto nota nel fandom Twilight, Samy88 (se avete tempo e voglia leggete le sue ff, sono davvero meravigliose) e ho preso il suo carattere, il suo nome e quello del suo fidanzato per scrivere questa ff. La storia, invece, è totalmente originale.
Spero di avervi incuriosito un po’. Per chi ha già letto qualcosa di mio, sappiate che il genere è totalmente diverso e che le due ff si incroceranno ad un certo punto.
Gli aggiornamenti dovrebbero essere ogni due settimane. Devo portare avanti anche l’altra ff.
Ringrazio ada90thebest per il meraviglioso banner. È un genio!
Vi lascio i miei contatti:
Twitter: @congy_
Fb: http://www.facebook.com/#!/profile.php?id=1734024903 ( se chiedete l’amicizia, ditemi chi siete, per favore)
Bene, credo di aver detto tutto.
Grazie a tutte quelle che mi seguiranno e a Samanta ovviamente, a cui è dedicata l’intera ff.
Un bacione
Federica

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Capitolo 2
*** Quel posto sarà mio! ***


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Capitolo 1


Quel posto sarà mio!

“Sam, sbrigati a finire quel tramezzino. Il capo ci vuole nel suo ufficio tra cinque minuti” Luciana entra sbattendo la porta e facendomi spaventare tanto da farmi versare la coca cola che stavo bevendo sulla gonna bianca.
“Ma porca p…” impreco. Maledizione! Ma posso essere così sbadata?
“Sam!” interrompe bruscamente la mia parolaccia. Adoro la mia Lu, è la mia migliore amica, la mia confidente, l’unica persona con la quale mi sono scambiata anche le mutande - e non in senso metaforico – ma se c’è una cosa che non sopporta in una donna sono le parolacce. Dice che rendono la donna poco femminile.
“Paletta! Stavo per dire paletta.  Lo sai che non direi mai una simile scurrilità. Una donna sboccata è un uomo con le tette e senza palle, giusto?” riprendo pari pari quello che mi dice ogni volta –minimo due volte al giorno – che dico una volgarità. Faccio anche gli occhi da cerbiatta spaurita a cui so che lei non può resistere. Mi guarda con un sopracciglio alzato, poi esclama: “Facciamo finta che ti creda, và. Tanto lo so che stavi per dire “puttana” – si mette la mano sulla bocca non appena pronuncia quella parola e io sghignazzo – ecco, mi stai influenzando: mi stai facendo diventare una donnaccia. Comunque, sbrigati, fra cinque minuti ti voglio nell’ufficio del capo” e come è entrata, se ne va.
Ecco, un’altra cosa che non ho detto di Luciana  -la nana solo per me – è che è completamente, inesorabilmente schizzata. Sarà che l’essere la segretaria di una casa editrice in forte crescita non è semplice: la vedo perennemente immersa in carte, scartoffie e appuntamenti vari, ma lei esagera. Il suo motto è ‘Chi ha tempo, non aspetti tempo’ e allora, per velocizzare, parla tanto rapidamente che per poter comprendere il 50% di quello che dice devo leggere e seguire il labiale. Molto spesso si incavola perché non sono abbastanza recettiva, ossia se non rispondo al primo squillo ogni volta che mi chiama, oppure perché non sono puntuale nei nostri appuntamenti. E non solo mi sgrida, ma mi deve rinfacciare la mia mancanza per almeno una settimana, con eventuali pulizie per la casa come punizione. Sì, perché io e Luciana abitiamo insieme. Per fortuna o sfortuna ancora non si è capito. Ma, nonostante questi piccoli particolari – beh, “piccoli particolari” è un delicato eufemismo per grosse, enormi, gigantesche rotture di palle – adoro la mia nana. Perché? Perché lei è stata l’unica, ed è l’unica, a comprendermi, a capirmi, a sostenermi. Ad essere, in sole tre parole, la mia famiglia.
Ci siamo conosciute all’università: io, studentessa di lettere piuttosto esaurita, e lei, laureanda in pubbliche relazioni. Io, ansiosa di laurearmi in fretta e con il massimo dei voti – da qui la mia forte miopia –, e lei, della filosofia completamente opposta alla mia: rimanda a domani, o anche a dopodomani, quello che puoi fare oggi. Cosa impensabile per una segretaria, ma questa è una lezione che ha imparato dopo, con il lavoro. Cos’è successo? Il mio capo stronzo, Claudio De Santis, l’ha minacciata di licenziarla il primo giorno solo perché il caffè che Luciana gli aveva portato non era eccessivamente bollente, segno che era stata lenta. Da allora, la nana è sempre stata rapidissima nelle sue cose tanto che più volte ho creduto che avesse qualche tic nervoso.
Come ci siamo conosciute ormai è leggenda.

Stavo fumando una delle mie adorate Marlboro rosse nell’atrio dell’ateneo, quando, ad un tratto, me la sento strattonare e buttare per strada.
“Stavo fumando” mi volto a cercare l’autore di questo atto criminale. Mi tocca guardare in basso per trovare la colpevole. Una bambina un po’ cresciuta con lunghi capelli rossicci e un mare di lentiggini.
“Non lo sai che fumare fa diventare impotenti? Non potrai più fare sesso”
“Veramente il fumo rende gli uomini impotenti, al massimo rende sterili le donne”
“Ammetto che sarebbe allettante non avere marmocchi per casa che ti rompono le palle ogni santo minuto, ma se fumi ti diventeranno i denti gialli, la pelle invecchierà presto e non troverai nessun uomo attratto da te, tantomeno attratto per fare sesso. Si allontanerà da te solo per non sentire quell’orrenda puzza e tu ti ritroverai insoddisfatta e destinata a morire precocemente. Ecco il destino che ti aspetta” si para di fronte a me e, nonostante l’altezza ridotta, sembra sovrastarmi.
“Ci hanno provato in tanti a farmi smettere, ma sono troppo affezionata alle mie sigarette”
“Questo perché non avevi ancora incontrato me. Piacere, Luciana Moretti” la osservo stranita. Lei non è Luciana Moretti, lei è una pazza da internare al più presto.
“Oh, non guardarmi così, non sono pazza come sembro. Beh, forse un po’, ma non stiamo parlando di me. Voglio solo mettere alla prova la mia abilità in pubbliche relazioni e tastare la mia capacità di persuasione. Voglio provare a farti smettere di fumare. Sarà un piccolo esperimento. Allora ci stai…come ti chiami?” Che può capitare ad affidarsi ad un’estranea? Nulla, giusto?
“Samanta Dolce, e ci sto. Ma, credimi, le Marlboro sono il mio amore più grande dopo il mio fidanzato e il mio gatto Bizet. Dubito che riuscirai nell’impresa.” Stringo la sua mano minuta e le sorrido. Sarà divertente. Credo.
“Oh, non ti preoccupare, Samanta, ho doti che tu neanche immagini” e dopo due mesi e diciassette giorni io avevo smesso di fumare.

Da quel giorno sono passati cinque anni. E ora mi ritrovo qua, in questa casa editrice, come correttrice di bozze. Un fidanzato in meno ed un gatto in più. Sì, perché Bizet, come aveva diagnosticato il veterinario, soffriva di una forma acuta di depressione legata alla solitudine. E così è arrivata Minù, una piccola palla di pelo bianco con due grandi occhioni azzurri.Fortunatamente Bizet sembra vedere la gattina come una sorella, altrimenti mi sarei ritrovata la casa piena di gatti bianchi o neri. Sì perché il mio amico peloso ha un pelo color della pece, talmente tanto scuro da essere quasi irriconoscibile di notte. Dicono che i gatti neri portino sfortuna, beh il mio Bizet assolutamente no. È stato il mio fedele compagno quando la depressione aveva preso il sopravvento su di me. A quei tempi eravamo io, il mio gatto e una scatola formato famiglia di gelato al fior di latte affogato al caffè.
Generalmente amo il salato, come quel meraviglioso tramezzino con tonno e maionese che la nana mi ha fatto andare di traverso. Devo dire addio al mio pranzo.
Ora il problema è un altro: come diavolo faccio a uscire dal mio ufficio con questa orribile macchia giallognola tendente al marrone sulla mia gonna aderente, tra le altre cose di colore bianco? Tentazione fortissima sarebbe quella di toglierla e andare in giro in coulottes.  Sicuramente a De Santis verrebbe un infarto. Credo che non abbia mai visto le gambe di una donna se si escludono quelle di sua madre sulle quali lui doveva iniettare l’insulina, altrimenti nemmeno quelle avrebbe potuto vedere.
Fortunatamente la coca cola si è versata quasi sul bordo della gonna, per cui mi bastano tre risvolti, facciamo quattro, per coprirla del tutto. Mi osservo: bene, vestita così potrei benissimo andare a lavorare in un club a luci rosse.  Ho delle gambe abbastanza toniche per fortuna. In compenso ho dei fianchi piuttosto larghi, anche se non esagerati, colpa del gelato mangiato e mai smaltito. Colpa del mio ex, insomma.
Sgattaiolo fuori dal mio ufficio e corro in quello del capo, cercando di non far vedere ai miei colleghi il mio abbigliamento discinto. Spero di non trovare ancora nessuno da De Santis o, magari, di trovare una sedia comoda in prima fila dove mostrare le mie gambe. Esibizionista? No, solo curiosa di vedere la bava del mio capo alla vista di due oggetti che, per lui, esistono solo per camminare. Caro il mio Claudio, servono per molte altre cose, molte delle quali tu non le hai nemmeno immaginate.
Purtroppo per me, l’ufficio è strapieno. Ci sono davvero tutti: grafici, traduttori, il direttore del marketing, i vari revisori di bozze. Tutti, se si escludono legali e contabili, sono presenti. Tutti tranne Alberto Borghi, la persona a cui, dopo Luciana, sono più affezionata qui dentro. La sua assenza mi sembra strana: generalmente è il primo di tutti noi ad arrivare. Puntuale, riservato, gran lavoratore, discreto: questi sono forse gli aggettivi che più gli si addicono e che me lo fanno apprezzare come collega e come amico. Ecco perché la sua assenza mi mette in apprensione. E anche perché lui è il mio mentore, il mio maestro, colui che mi ha fatto fare tre maledettissimi esami di economia all’università perché riteneva – e ritiene, spero – che io avessi le carte in regola per svolgere il suo lavoro, ossia il direttore editoriale.
Che poi, in realtà, è stato il mio sogno fin da quando ero una semplice matricola.  La passione per l’editoria è nata all’università e ha scalzato in poco tempo il mio desiderio di diventare insegnante. Sono troppo volubile e avrei rischiato di annoiarmi ad insegnare sempre gli stessi programmi. Lavorare in una casa editrice, per me, invece, è il paradiso. E raggiungerei il nirvana se riuscissi, tra qualche anno, a diventare direttore editoriale: scegliere i testi destinati alla pubblicazione, lavorare a stretto contatto con gli scrittori, dirigere il marketing e la vendita. Dio, quanto vorrei ottenere quel posto un giorno o l’altro.
Vengo disturbata da una gomitata della nana sulle costole: piccola, ma fastidiosa.
“Si può sapere che hai combinato con quella gonna?” mi ammonisce sottovoce.
“Non è colpa mia se qualcuna mi ha fatto versare la coca cola. La gonna è bianca e se l’avessi sciacquata, sarebbe stata completamente trasparente.”
“E non è colpa mia se sei incredibilmente sbadata. E volgare. Sembri una pornodiva, lo sai?”
“Sì, Lu, me ne rendo perfettamente conto.” Sghignazzo.
“Non dirmi che stai ancora pensando di far sbarellare De Santis. È un’impresa titanica e lo sai anche tu. Quell’uomo è più asessuato di un’ameba”
“Ma che asessuato, bisogna solo trovare il mezzo per…”
“Zitta, è entrato” al suo ingresso tutto lo studio, gremito di gente, tace. Eccolo lì, Claudio De Santis, direttore generale della mia casa editrice, l’ Agape Editore . Appena l’ho conosciuto, tre anni or sono, ho subito pensato che fosse gay. Mi sono immediatamente data della stupida perché non potevo cadere nel banale cliché dell’intellettuale-omosessuale. In effetti lui non è omosessuale, non ho notato nessun atteggiamento di favore nei confronti degli uomini, lui è solo un essere asessuato, che non si è mai dimostrato, e sottolineo mai, interessato  a nessuna donna, neanche minimamente attratto dalle mie tette che Luciana chiama amorevolmente latteria.  Inutile dire che sono dotata di un seno alquanto generoso.
Non è un uomo brutto, credo che abbia dei begli  occhi sebbene nascosti  dietro degli orribili occhiali, anzi sarebbe un uomo piacente se non avesse quel brutto vizio di paventare ovunque la propria cultura e di presentare le altre persone come delle deficienti. Ha delle manie di protagonismo assolute che fanno scappare tutti a gambe levate. Altro aspetto negativo è il suo abbigliamento decisamente antiquato. Dio, non voglio pensare dove compri quella roba. Secondo Luciana acquista gli abiti dal mercatino dell’usato, secondo me non li acquista proprio: li prende direttamente dall’armadio di suo nonno, morto probabilmente durante la seconda guerra mondiale. Mentre sono immersa in queste mie considerazioni altamente edificanti, Claudio De Santis, simpaticamente chiamato da tutti “Er tenaglia”, comincia a parlare: “Buongiorno a tutti. Non perderò tempo in chiacchiere inutili: la situazione è drammatica.” Ecco, un’altra cosa che non ho detto del mio capo è questa: la sua tendenza al parossismo.
Quando ha di fronte a sé un problema può utilizzare quattro aggettivi per descriverlo: difficile, quando per risolvere la situazione occorrono sì e no due telefonate, complicato, quando è risolvibile più o meno in una o due  giornate lavorative, gravissimo quando occorre circa una settimana, drammatico quando in effetti un problema c’è, anche se non irrisolvibile. Mi chiedo quale aggettivo potrebbe utilizzare per avvisarci di un’imminente bancarotta. Catastrofico? Forse è troppo poco, anche se credo che io userei qualcosa di forte del tipo: “Siamo col culo per terra.”
“Ti stai incantando” e mi sento dare una gomitata.
“Non è vero”
“Sì che è vero, lo fai sempre. Ti incanti e entri nel tuo mondo dorato. Spero almeno che lì dentro ci sia un bel ragazzo con cui stavi facendo le cose zozze”
“Lu, sei una pervertita” sbuffo.
“Sì, lo so. Non hai idea di quanto mi piaccia questo lato del mio carattere. Soprattutto da usare con i maschietti”
“Nana, ti ricordo che se single da almeno due anni”
“Questo non vuol dire che se avessi un ragazzo a disposizione non sfrutterei questo mio lato pervertito”
“Se voi in fondo, mi faceste il sacrosanto piacere di tacere, saremmo tutti più contenti” cavolo, ci ha beccate. Io e la nana ci zittiamo all’istante. Dannato spirito di protagonismo.
“Bene, prima che qualcuno decidesse deliberatamente di interrompermi, vi stavo dicendo che per la casa editrice ‘Agape’ ci sarà una novità importante: Alberto Borghi sta andando in pensione e…” No! Non può andare in pensione, non Alberto. È la colonna portante di questa azienda, senza di lui crollerà tutto. E poi, come farò io senza di lui? È stata la mia guida in tutti questi anni, perché non mi ha detto nulla? Mi scambio un’occhiata complice con Luciana e la trovo sbigottita come me. Dunque neanche lei sapeva.
“…quindi avremo bisogno di un direttore editoriale che prenda il suo posto. Non ho ancora deciso se sarà uno di voi, molti qui dentro prestano un ottimo servizio alla nostra azienda già da molti anni, o qualcuno esterno. La decisione, come capite bene, è spinosa e non posso accontentarmi del primo che passa. Occorre che sia il migliore e, soprattutto, che sia in grado di gestire questa casa editrice che è in forte espansione. Nelle prossime settimane saprete la mia decisione che, ovviamente, non sarà contestabile. Io e il consiglio di amministrazione decideremo il da farsi. È tutto.”   Un brusio si alza in tutto l’ufficio. Questa notizia cade come un fulmine a ciel sereno per tutti. Non ha mai parlato di voler abbandonare il lavoro e io davo per scontato di vederlo gironzolare con l’astina per mescolare il caffè tra le labbra almeno per una decina altra di anni. Devo capire qualcosa in più.
Proprio mentre sto per dirigermi nel suo ufficio, mi sento chiamare: “Signorina Dolce, rimanga un attimo nel mio ufficio” Lu mi guarda allibita. Poi il suo sguardo diventa malizioso. Sarò riuscita nel mio intento?
“Mi dica capo”
“Gradirei che non si presentasse a lavoro con un abbigliamento così… -mi squadra da capo a piedi, indugiando sulle mie gambe e, per la prima volta, sulla mia latteria – succinto, ecco”
Ma che giorno è oggi? Siamo forse alle calende greche?  Anche Claudio De Santis è dotato di ormoni. Ci è voluta una quasi nudità per scoprirlo, ma ne è valsa la pena. Ora, per smuovere a compassione, adotto un metodo elaborato da Luciana e che ho sempre trovato infallibile.
Abbasso lo sguardo e porto una ciocca dietro l’orecchio destro con fare naturale, poi esclamo con voce semitremula: “Mi..mi dispiace. Non pensavo che questo potesse essere così sconveniente. Ma mi rendo conto che lei ha perfettamente ragione. Non si ripeterà più”
“Oh..beh…non è che mi dia fastidio…è solo che se il suo lavoro dovesse cambiare, non potrebbe più vestirsi così, non se mi spiego” No, vorrei rispondere, non è stato per niente chiaro. Tuttavia, annuisco.
“Bene, può andare” saluto e richiudo la porta dietro di me. E appena fuori, scoppio a ridere. Ci sono riuscita, ho dimostrato che anche nei pantaloni di De Santis qualcosa si muove. Quanto mi sento donna in questo istante!
‘Siamo donne, oltre le gambe c’è di più’…beh, cara Joe Squillo, le gambe non sono tutto per noi donne, ma aiutano veramente tanto.
Poi ricordo la questione di Alberto e mi dirigo nel suo ufficio. Lo trovo, corrucciato, a imballare uno scatolone.
“Disturbo?”
“Oh, Sam, entra, ti aspettavo” lo osservo: non è vecchio, anzi, è davvero un bell’uomo. Brizzolato, ma senza rughe eccessive sul viso e dei vispi occhi grigi. Se volessi paragonarlo a qualcuno, pur con le dovute differenze, questo qualcuno sarebbe Richard Gere. Affascinante.
“Alberto, che è successo? Non mi hai detto nulla e non mi aspettavo questa decisione improvvisa” lo guardo triste.
“Non era nei miei piani in effetti andare in pensione così presto, ma l’ospedale di Lione ha fissato la data per l’operazione di Luisa e non possiamo più procrastinare. Se dovessimo farla slittare un’altra volta, dovremmo aspettare altri quattro anni per l’operazione e non è possibile. Le condizioni alla schiena di Luisa si sono aggravate e deve essere operata urgentemente. Inoltre è un intervento piuttosto delicato e mia moglie rischia di rimanere sulla sedia a rotelle a vita. Devo prendermi cura di lei. Lei viene prima di tutto” rimango colpita dalla passione con cui parla. Deve amare davvero molto la moglie. Per un attimo ripenso a Davide, il mio ex, lui non ha mai dimostrato questo attaccamento nei miei confronti.
“Alberto, mi dispiace. Se c’è qualcosa che posso fare, io…”
“Samanta, sei una così cara ragazza. Grazie mille per la proposta, ma non ti devi preoccupare per noi. Staremo bene. Vuoi fare davvero una cosa per me?”
“Certamente” rispondo con veemenza.  
“Ottieni quel posto da direttore editoriale. So che hai la stoffa per fare bene questo lavoro. Non mi deludere. Io ho già accennato qualcosa a Claudio.” Ecco di cosa parlava prima il capo: se dovessi cambiare lavoro, ovvero se dovessi diventare direttore editoriale.
In un istante, tutte le mie preoccupazioni salgono a galla: “Ma, Alberto, io non sono brava. Sono una combina guai. E se dovessi combinare qualche disastro? Sai quanto sono imbranata a volte e rischio di rovinare tutto. Mi faccio prendere dall’angoscia e poi è il peggio del peggio. Commetto gaffe una dietro l’altra e…”
“Sam, tutti commettiamo sbagli. L’importante è capire dove sbagliamo e rimediare”
“Tu non hai mai sbagliato” è vero: in tanti anni non l’ho mai visto fallire sul lavoro. È sempre stato di una precisione assoluta. Questo è uno dei motivi per cui lo adoro.
“Oh, ho commesso anch’io i miei errori”
“E quali?”
“Secondo te, chi ha lanciato Moccia? I suoi primi scritti sono stati pubblicati qui” lo guardo e ci mettiamo a ridere. Oddio, Moccia. Non pensavo che anche Alberto avesse i suoi scheletri nell’armadio. Impensabile.
“Ma io non ho esperienza, non riuscirò a fare bene il mio lavoro” mi siedo sconvolta. Sì, è il mio sogno fare il direttore editoriale, ma mi aspettavo di farlo almeno tra una decina d’anni. Non adesso. Ho solo ventisette anni.
“E’ per questo che ti ho fatto lavorare tanto spesso con me, ultimamente. Sam, se non sapessi che puoi farcela alla grande, non avrei mai proposto il tuo nome. Ci avrei perso la faccia anch’io. Fidati di me” lo guardo stralunata. Ancora non mi sono resa conto della cosa. Io direttore editoriale? Non mi ci vedo proprio. Almeno, non adesso. Tuttavia, per farlo contento, nonostante le mie incertezze, annuisco.
“Vieni, Sam, fatti abbracciare” allarga  le braccia e io mi ci tuffo.
“Mi mancherai, Alberto. È stato bellissimo lavorare con te, ho imparato così tanto.” sussurro.
“Anche a me ha fatto piacere lavorare con te. E, inoltre, sei stata come una figlia che non ho mai potuto avere. Ora, mettiti d’impegno perché il prossimo direttore editoriale dovrai essere tu. Promettimelo.” mi sorride.
“Sì, quel posto sarà mio!”



Ciao a tutte!
Eccoci alla fine del primo capitolo! Come vedete, si è già delineata la situazione di partenza. Sam è in lizza per poter diventare direttore editoriale, il lavoro dei suoi sogni.
Riuscirà, secondo voi?
Dedico questo capitolo a Mirya che è stata la persona che maggiormente mi ha incoraggiato nello scrivere questa ff. Senza di lei, la mia ff sarebbe rimasta a fare la muffa in qualche meandro del pc. Grazie!
Un grazie va anche a tutte voi che mi state seguendo con così tanto affetto: davvero grazie!
Anche Luciana è un personaggio reale e bazzica su efp sotto mentite spoglie con il nick di xsemprenoi (se la incontrate scappate) Lu ti adoro!
Vi lascio i miei contatti:
Twitter: @congy_
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Manu1988: ciao e grazie mille! Come avrai notato questa ff è molto diversa da Ricominciare. Abbiamo una protagonista più forte e spensierata, ma anche lei con delle debolezze. Grazie per avermi seguito anche qui.
Nicoletta2: Sì, il nostro protagonista ha fatto proprio la figura del cretino. Ma diciamo che si merita tutto l’astio di Sam. Penso che tu abbia già capito perché. Un bacio.
JessikinaCullen: ciao cara! Grazie mille del commento. Ti dico innanzitutto che il banner non è merito mio, ma di ada90thebest…ossia di Giada. Non hai fatto nessuna gaffe, il ragazzo di Samanta si chiama proprio Daniele, complimenti per la memoria. Un bacio
Roxy_Rock5: ciao! Sì, Samanta è una tosta davvero anche se presenterà, man mano, le sue debolezze. Grazie mille per la fiducia che hai riposto in me. Un bacione.
Mirya: Oh, Francesca! Che gioia! Grazie mille, non hai idea di quanto mi incoraggi sapere il tuo parere e grazie per aver speso il tuo tempo per me. Samanta è proprio come l’hai descritta tu e come spero di averla descritta io: solare, spigliata, ma anche insicura, dolce e sensibile. Spero che andando avanti riesca a descrivere meglio la mia protagonista e am mettere a fuoco le sue sfaccettature. Grazie mille.
Momi87: ciao! Sì, a prima vista sembra che tu abbia azzeccato, ma la realtà, a volte, è ben più complicata di quanto appare. Per quanto riguarda Samanta sì, è lei, coni suoi vizi e le sue manie e la sua pazzia. Spero che ti piaccia.
Chiara84: Chiara! Non disturbi affatto, anzi, ti ringrazio per il tempo che spendi per me. Come hai notato lo stile sarà molto diverso da quello di ricominciare, molto più scanzonato. Spero che ti piaccia ugualmente. Un bacio
Rosyx85: Rosaaaaaaaaaaaaaaaaa! Uh, c’è anche la mia pervertita preferita qui  con me. Sono felicissima. Hai quadrato perfettamente sia Sam che l’uomo del mistero (sbavo). Un bacione.
Samy88: Amore della mia vita: a te c’è bisogno di rispondere? Ormai sai tutto della mia storia e di quello che avverrà, per cui non c’è bisogno di spiegare nulla. L’unica cosa che ti dico è grazie. TVB
Morgana: Ciao cara! Anch’io adoro quella frase ( che poi rispecchia quello che penso): le donne hanno un qualcosa di più rispetto agli uomini Anch’io adoro Sam,come sai siamo fidanzate segretamente per cui, come non potrei amarla? 
Paula: Gioia! Che piacere ritrovarti anche qui! Sei una delle migliori lettrici-amiche che io potessi desiderare. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto anche se so che lo leggerai in vacanza. Un bacio.
Sily85: patatinaaaaaaaaaaaaaaa! Ma non dovevi studiare? Sei stata la prima! Complimenti!  Grazie per essere sempre così gentile e buona…smack smack…fra poco avrai il tuo figo da sbavo…Un bacione
 

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Capitolo 3
*** Scontro e Incontro ***




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Capitolo 2

Scontro e Incontro



“Sam, per favore, usciamo da questo posto? Il capitolo lo finisci di correggere domani, ti prego” questa è la richiesta che mi fa, da ormai una mezz’ora, la nana. In effetti, la sto portando un po’ troppo sulle lunghe. Sono le sette e mezzo e generalmente torniamo a casa per le cinque.
“Lo sai che quel posto deve essere mio, nana. E mi devo impegnare se voglio raggiungere quel traguardo” sbuffo. È da un mese che va avanti questa storia. Il capo ancora non ha deciso e io mi sto ammazzando di lavoro. Non sono una di quelle persone che fa il minimo indispensabile e poi se ne frega, credo di essere una persona abbastanza diligente e che fa bene il proprio lavoro. O che almeno cerca di farlo. In questo periodo a maggior ragione. Devo ottenere quel posto: l’ho promesso. E poi lo voglio.
“E non puoi finire a casa? Fallo per la tua nanetta. Per favore”
“Ma lo sai che quando arrivo a casa l’ultima cosa a cui penso è il lavoro. Perdo troppo tempo”
“Ti prego, Sam, sono stanca. Se vuoi ti lego alla sedia e ti tolgo dalla vista qualsiasi tipo di dolciume presente sulla faccia della terra. E ti tolgo dalla vista anche i gatti. Ma, per favore, voglio mettermi il mio pigiamino viola: sono stanca” mi si avvicina e mi abbraccia. Comincia a lasciarmi dei baci sulle guance e a tirarmi dei piccoli pizzicotti sui fianchi dove sa che io soffro terribilmente il solletico.
“Va bene, andiamo a casa, sei contenta?”
“Non hai idea. Dopotutto lo sai che un giorno noi nane domineremo il mondo? Siamo piccole, ma tanto sicure di noi stesse. Noi sappiamo cosa vogliamo dalla vita. E riusciamo ad ottenerlo. E io adesso voglio il mio pigiamino viola e le mie pantofole.”
“Stai parlando come quel cartone animato. Mignolo e il prof. Anche lì c’erano un topo nano e uno altissimo.”
“Chi era il nano?”
“Il prof”
“Lo hai visto che noi nani siamo molto più intelligenti di voi spilungoni? È il nostro cervello che è troppo pesante per l’eccessiva materia grigia e ci porta verso il centro della terra”.
Alzo gli occhi al cielo: quando Luciana parla così, è inutile provare a contraddirla. Meglio darle ragione. Un po’ come si fa con i pazzi. Materia grigia, bah. Credo che il cervello di Luciana sia diviso in compartimenti stagni, ma tutti dipendenti da un’unica matrice: il sesso. Sì, perché per lei non c’è niente che non dipenda da quello: gli uomini per lei –anche per me, a dir la verità, ma per ben altre motivazioni – sono dei fallocefali e non perché sono delle teste di cazzo, ma semplicemente perché pensano con il cazzo.  Per le donne la questione si fa più complessa: sono più poliedriche, più complicate degli uomini, ma appena vedono un bel figo da paura, anche loro entrano nella fase “vaginacefale”, questo il termine usato da lei. I suoi neologismi sono davvero pietosi.
Arrivate a casa, corro a salutare i miei mici. Minù, come il suo solito si struscia contro le mie gambe, mentre Bizet salta in braccio a me. Quanto li adoro i miei gatti. Avere poi, un gatto omosessuale per niente attratto dalla sua bellissima coinquilina dal folto pelo bianco è un vantaggio per me. Nessuna gatta partoriente ogni aprile-maggio.
Mi siedo sul tavolo della cucina e comincio a revisionare il capitolo. Non ho ancora capito come diavolo facciano a scegliere per la pubblicazione libri dalle trame così banali. Banali e surreali tra le altre cose. Come un po’ tutti i romanzi rosa.
“Samanta, ti devo parlare” sento puzza di bruciato. Lu non mi chiama mai così, se non, appunto, c’è qualcosa di grave.
“Dimmi”
“C’è una cosa che dovrei dirti” il suo sguardo è alquanto dispiaciuto. Capisco immediatamente qual è la questione di cui mi deve parlare.
“Riguarda il lavoro, vero?” annuisce.
“Hanno trovato un direttore editoriale. E non sono io” sospiro afflitta.
“Sì, lo presenteranno domani. Sam, mi dispiace, tesoro. Lo meritavi tu quel lavoro” posa una mano sul mio braccio.
“E’ un uomo?”
“Io ho ascoltato solo la telefonata, però da quello che ho potuto capire credo di sì”
“Ecco, non solo un raccomandato, perché non credo minimamente che Er tenaglia, avendo a disposizione me e con tutte le credenziali che gli ha fornito Alberto, sia andato in giro a cercarne altri. Avrà scelto sicuramente un  raccomandato. Ma è  anche un uomo. Dio, li odio gli uomini, li odio. Sono tutti così arrivisti, approfittatori. E De Santis non è da meno: sembra così ligio al dovere, così serio e scrupoloso, ma l’unica cosa che si guarda quando si deve assegnare un incarico di responsabilità è se il candidato ha le palle. E non in senso metaforico.” Mi alzo di scatto dalla sedia e comincio a camminare velocemente per la stanza, le mani nei capelli.
“Dai, non essere così esagerata”
“Oh, sai benissimo che non sono esagerata. Gli uomini pur di ottenere quello che vogliono sono disposti a vendere l’anima al diavolo. O ad abbandonare la propria fidanzata storica per mettersi, e sposarsi dopo sei mesi, con una perfetta sconosciuta che ha i soldi e gli permetterà di ottenere un incarico di prestigio. Sono tutti così gli uomini. Nessuno escluso”
“Perché, le donne, no? Anche noi sappiamo perdere la nostra dignità per arrampicarci socialmente”
“Sì, su questo non posso darti torto. Ma ci sono dei pregiudizi su noi donne incredibili. Se una donna riesce ad avere un incarico di responsabilità è solo una troietta che si è infilata nel letto giusto, se si tratta di un uomo, invece, allora lui ha ottenuto l’impiego per la sua bravura e la sua professionalità. Scusami,ma è davvero una cosa che non sopporto” sospiro pesantemente. Poi mi viene alla mente un piccolo particolare: “E perché non mi hai dato questa notizia in ufficio?”
“Bene, come sempre ti devo sempre spiegare tutto io. Punto numero uno: io non dovevo sapere che era stato scelto il nuovo direttore editoriale, ergo non te lo potevo dire in ufficio. Punto numero due: se te lo avessi detto al lavoro, saresti corsa a dare del farabutto –immagino che tu avresti usato un altro termine meno consono alla mia persona - a De Sanctis e non osare negarlo perché non ti credo. Tra le altre cose lui avrebbe capito che io avevo origliato e se la sarebbe presa con me. Punto numero tre: se te lo avessi detto in macchina, ci saremmo sfracellate. Ti devo ricordare quanto sei pericolosa alla guida?”
“No, lo so che sono un po’ spericolata”
“Un po’? L’altro giorno stavamo per investire una povera vecchietta. Una vecchietta così gentile che ci ha mandato a fanculo almeno venti volte, ma la sostanza rimane quella. Sei. Una. Pazza.”
“Già, hai ragione. Ma io ci tenevo così tanto. Questa casa editrice è importantissima per me e so che, se me ne dessero la possibilità, potrei fare bene. E poi non posso pensare ad Alberto: ci sperava molto. L’ho deluso: io gliel’avevo promesso. Forse sono pessima io, magari ho sbagliato io qualcosa” poggio la testa sul tavolo mentre continuo ad accarezzare i miei gatti.
“Ti prego: fermati prima di entrare in modalità emo. Tu sei bravissima, sei in gamba e nessuno lo potrà mai negare. Su, dimmi: quanti altri a 27 anni sarebbero stati in lizza per ottenere un posto come direttori editoriali? Ti rispondo io: pochissimi. Tu ti sei fatta il culo per arrivare fin dove sei arrivata e non per mezzo di raccomandazioni: tu non hai nulla da recriminarti.”
“Può darsi, ma…”
“Niente ma. Adesso sai che facciamo? Ci rivediamo per la centesima volta “Il diavolo veste Prada” così vediamo una che al lavoro è trattata peggio di noi. E nel frattempo mangiamo un intero pacco di pop corn, uno di patatine e poi una busta di caramelle gommose che ti piacciono tanto. Mangeremo da fare schifo. Che ne dici?” la scruto preoccupata. Luciana che mangia come una porca? Potrebbe farlo, ma so che lo farebbe solo per me. Lei odia mangiare molto e fuori pasto.
“No, voglio andare in palestra, devo scaricarmi un po’”
“Scaricarti un po’? Io conosco un solo modo per scaricarsi a dovere. Su, prova a indovinare. Ti do un indizio: è il rimedio contro tutti i guai” mi sorride maliziosa. Come al solito, la nana sta cercando di risollevarmi il morale. E ci riesce, come sempre.
“Fammi indovinare…uhm, questa è difficile. Davvero, davvero complicato. Cercherò di andare ad intuito. Secondo me, è il sesso”
Lu si mette a battere le mani entusiasta, letteralmente come una deficiente.
“Ma sei un genio. Adesso sai cosa facciamo? Chiamiamo un gigolò di professione così ci scarichiamo entrambe. Che ne dici?” congiunge le mani a mo’ di supplica. Non mi stupirei se tra poco la vedessi stesa a terra a baciarmi i piedi.
“Direi che io voglio andare in palestra” dico dirigendomi nella mia camera da letto per cambiarmi.
“Facciamo un gioco: ognuna di noi due mostrerà i vantaggi della palestra e del sesso. Quello che presenterà più aspetti positivi vincerà. Comincia tu”
“Uffa, e va bene. Dunque: andando in palestra si smaltiscono i grassi in eccesso e si tonificano i muscoli” nel frattempo, mi sono spogliata e ho infilato i calzini.
“Col sesso si tonificano tutti i muscoli tanto che è più efficace di 20 vasche di piscina”
“La palestra aiuta a scaricarti mentalmente e ad allontanare la depressione”
“Anche il sesso. Studi recenti hanno confermato che è più efficace persino del valium”
“Parli come un libro stampato. Ti sei informata, vero?” rido sotto i baffi mentre indosso una maglietta grigia.
“Certo, sono molto attenta agli sviluppi e ai progressi della scienza.”
“Sono contenta per te. Con la palestra puoi vedere i maschietti sudati, stare accanto a loro e flirtare”
“Con il sesso, invece, hai un solo maschietto in effetti, ma non lo hai vicino, lo hai dentro”
“Luciana, sei una ragazza molto volgare. Solo perché non usi le parolacce, non pensare di essere esente da volgarità. Quella che hai appena detto supera di gran lunga una decina di mie imprecazioni”
“Lasciamo perdere queste baggianate e pensiamo a qualcosa di più importante. Altra cosa vantaggiosa: col sesso non si deve pagare”
“Hai appena detto che vuoi un gigolò a domicilio: pensi sia gratis?”
“Già, su questo non posso darti torto” sbuffa pesantemente.
“Per cui, visto che io il maschietto lo devo trovare, vado in palestra. A dopo”
“Mi hai fregato: anche in palestra si paga”
“Lo so benissimo, nana. Ma oggi ho proprio bisogno di scaricarmi così. Nemmeno il sesso mi darà soddisfazione per il semplice motivo che in questo momento odio l’intero genere maschile.”
“Ma, Samanta, tu odi l’intero universo maschile” adesso c’è solo apprensione nella sua voce.
“Lo so, ma ancora non riesco a perdonarlo e, soprattutto, non riesco a non pensare che tutti gli uomini si possano comportare come ha fatto Davide” prendo la mia sacca per la palestra e le chiavi. Sono pronta.
“Hai soltanto bisogno di un po’ di tempo per tornare a fidarti. E comunque, cambiando argomento e arrivando a quello più importante, se vuoi cuccare non ti conviene metterti quella tuta da monaca. Hai bisogno di qualcosa di più colorato, il rosa, per esempio” mi scruta critica. Altra cosa che non vi ho detto di Lu, è completamente, inesorabilmente fissata con la moda. Un giorno mi sono ritrovata strappati dei jeans, che conservavo e che ogni tanto mettevo, risalenti alle superiori. Erano i  miei preferiti e me li ha buttati dicendo che erano vecchi e che al massimo potevano essere venduti all’asta come cimeli antichi. Non le ho parlato per una settimana. Alla fine si è presentata da me con la mia pizza preferita. Come facevo a dirle di no?
“E chi ti ha detto che devo cuccare? Ciao” saluto e chiudo rapidamente la porta dietro di me prima che la mia coinquilina possa dire altro.
La palestra, la Gym Fitness, si trova a circa cinquecento metri da casa per cui evito di prendere la macchina. Rischierei di perdere solo tempo a cercare un parcheggio. Dopo un quarto d’ora arrivo in palestra. Oggi, per me, niente attrezzi né aerobica o step. Sono tutte cose che mi piace praticare, ma il nervoso oggi non riuscirà ad essere incanalato in queste attività. Mi serve qualcosa che mi aiuti ad allontanare ogni pensiero, ogni frustrazione e soprattutto ogni odio nei confronti degli uomini, Davide in special modo. È tutta colpa sua se mi ritrovo ad essere così scontrosa verso gli uomini. Penserete voi che mi abbia tradito. E, invece, no. Perchè, vedete, i pensieri fissi dei maschi sono essenzialmente due: il sesso e i soldi. E sebbene il sesso occupi due terzi dei pensieri del sesso maschile, quindi la maggioranza dei loro pensieri, il che è già triste di suo, occorre riflettere che l’altro terzo è occupato dal denaro e che un terzo dei pensieri riguardanti il sesso è unito alla possibilità di far soldi. In pratica i maschi spendono un terzo del loro tempo a cercare il mezzo per fare sesso e contemporaneamente far soldi. Direi che il loro sogno proibito è quello di fare il gigolò a pagamento. Come sillogismo aristotelico credo che possa andare.
Ma Davide non mi ha tradito per cui rimane una sola motivazione: il denaro. E forse questa è una cosa ancora più squallida dell’essere traditi.
Oggi, quindi, voglio fare qualcosa di diverso. Ho fatto solo due o tre lezioni di kick-boxing e, sebbene mi sia piaciuto molto, ho dovuto abbandonarlo perché le lezioni coincidevano con l’orario di lavoro. Ma, vista la grande richiesta per questa attività, hanno adibito una sala apposita solo per tirare di boxe nelle ore in cui non c’è lezione. Quale occasione migliore di usare i sacchi se non oggi?
Infilo le cuffie dell’i-pod e i guantoni che ci da in dotazione la palestra. Avvio la canzone che scelgo sempre in queste occasioni: fa parte del soundtrack di Rocky. Lo so, è banale, ma quella musica mi carica in una maniera indescrivibile. Mi fa sentire potente, capace di superare gli ostacoli della vita che, in senso metaforico, sono racchiusi in questo momento nel sacco da boxe. Patetico, davvero patetico, ma mi diverte. Mica si può essere sempre seri?
Comincio, perciò, a tirare i pugni contro il sacco cercando di incanalare tutte le mie frustrazioni. Penso al lavoro dei miei sogni che è andato in fumo, alla stanchezza accumulata per fare bella figura con i dirigenti e De Sanctis in particolar modo, penso a quelle grandi porcate di romanzi rosa che mi costringono a correggere, delle trame banali dove c’è sempre il terzo incomodo e dove, puntualmente, la protagonista becca il suo fidanzato con l’incomodo, penso a Davide e al male che mi ha fatto. Tanto. Troppo. Sono passati oltre due anni ma il dolore è ancora lì,protetto da una spessa corazza di diffidenza e ritrosia verso gli uomini.
 Ad un certo punto, quest’attività diventa perfino divertente. Perché? Semplicemente perché, al posto del sacco, immagino che ci sia di fronte il mio ex ed io, da maschiaccia quale talvolta sono, lo gonfio di botte. Se le merita tutte quante.
Mentre sono impegnata a sferrare pugni contro l’ologramma di Davide, mi sento toccare la spalla. La musica è ad un volume così alto che mi spavento. Reagisco d’istinto. Mi volto e sferro un pugno in faccia al malcapitato.
“Porca puttana” esclama. Quello che vedo dopo, non so dire se fa ridere o piangere. Trovo un uomo piegato in due che si tiene il naso.
“Puttana Eva, porca, porca puttana!” vedo del sangue che inizia a imbrattare il suo viso e il sorriso, un po’ compiaciuto a dir la verità, scompare dalla mia faccia.
“Si è fatto male?”
“Tu che dici? Porca puttana” la compassione, sta lentamente scemando. Perché mi dai del tu? Perché sono una donna? Coglione maschilista.
“Non conosce altre parole per definirmi? Posso essere tutto, ma non una puttana.”
“E’ solo un’esclamazione come un’altra. Non era di certo rivolta a lei. Per lei potrei usare altri termini, anche se non più gentili di questo” si lamenta ancora.
“Lasci che l’aiuti. Mi dispiace, ma è colpa sua: mi ha spaventata” regola numero uno: mai mostrare le proprie debolezze.
“Non è colpa mia: le ho solo chiesto dove fosse lo spogliatoio.”
“E io posso sapere dove si trova lo spogliatoio maschile? Siamo ritornati al punto di partenza: mi sta dando della puttana. Oppure voleva sapere dove fossero quelli femminile e, in tal caso, dovrei desumere che è un puttaniere” borbotto.
“Ma lei è sempre così permalosa? Era solo una domanda la mia che non implicava nessun riferimento sessuale. Non le sto dando della puttana. Anche se, effettivamente…” e il suo sguardo cade di proposito sulla mia latteria. Dannati maschi.
“Ha finito di dire baggianate e soprattutto di fissarmi le tette? Non sono qualcosa di speciale, di miracoloso o di unico: tutte le donne sono dotate di tette. Venga” lo lascio fuori dallo spogliatoio e prendo del ghiaccio sintetico.
“Lo metta sul naso e tenga la testa in su”
“Ma così non posso guardare bene le sue…il suo viso. Lei è il mio angelo salvatore” sbuffo. Ma questo ci è o ci fa? Credo entrambe le cose.
“Non credo di essere un angelo. Prima ti ho steso. Ah, già, va contro il vostro ego maschile ammettere che una donna vi abbia stesi”
“Ma tu vedi l’uomo sempre e solo come un oggetto non pensante?”
“E tu vedi sempre la donna come oggetto sessuale?”
“Da quando usiamo il tu?” ribatte lui secco, la faccia ancora ricoperta di sangue.
“Oh, sei stato tu ad usarlo fin da subito. Io ti ho solo seguito nella maleducazione”
“Non sono maleducato”
“Ma se ti sei presentato con un bel ‘Porca puttana’. Ammetterai che non è proprio il modo migliore di cominciare”
“Scusami se sono stato preso alla sprovvista. Comunque il naso non sta andando affatto bene”
“Credo anch’io. Senti, io ammetto di aver sbagliato, per cui ti porto al pronto soccorso”
“Non occorre, davvero”scruto bene il suo naso che si sta gonfiando sempre di più. Brutto segno.
“Io, invece, credo di sì. Solo che mi dovrai far usare la tua macchina”
“Cosa? Scordatelo: è una spider e non la faccio guidare nemmeno a mia sorella” borbotta.
“E come pensi di andare all’ospedale? Sono la tua unica opportunità. Ti fidi di me?” domando.
“Tu mi stai chiedendo se mi fido di una pazza permalosa che mi ha quasi spaccato il naso? La risposta più sensata sarebbe no, ma eccoti le chiavi” i miei occhi brillano di felicità: finalmente potrò realizzare uno dei miei sogni. Guidare una macchina sportiva. Il maschiaccio che è in me compie un triplo salto mortale per la gioia.
Usciamo fuori dalla palestra e mi faccio guidare verso la zone del parcheggio.
“Oddio, che modello è?” mi fermo davanti alla sua macchina, entusiasta.
“Una Audi R8 Spider.”
“Meravigliosa! Mai visto una macchina più bella” dico accarezzando la vernice nera metallizzata del muso.
“Non vorrei spostarti da lì, ma non mi sento per niente bene, per favore!”
“Ops, sì, scusami” entro rapidamente in macchina, metto le cinture e regolo lo specchietto retrovisore. Appena infilo le chiavi nel quadro, avverto le fusa del motore. Dio, che bel suono. Chiudo un attimo gli occhi e ascolto questo delizioso rumorino.
“Vuoi partire?” domanda sull’orlo di una crisi di nervi.
“Perdonami: ero in preda ad un orgasmo acustico” ribatto scocciata per essere stata interrotta in questo momento di estasi.  
“Tu sei pazza” borbotta. Comincia a parlare affannosamente per cui evito di ribattere. Ingrano la prima e parto velocemente.
“Puoi andare un po’ più piano? Vorrei avere ancora una macchina alla fine del tragitto”
“Cioè, tu ti preoccupi per la macchina e non per la tua vita?” domando curiosa. La mentalità degli uomini è piuttosto primitiva. E, ovviamente, pensano prima all’oggetto che alla persona. Tipico.
“Questa macchina è il frutto del mio lavoro, per cui ci tengo particolarmente. E tu? A cosa tieni di più?”
“Ai miei gatti e alla mia amica Luciana. Loro sono la cosa più importante per me” dopo questa mia affermazione, cala il silenzio.
“In quale ospedale stiamo andando?” domanda. Mi volto un secondo verso di lui: è pallido, il sangue continua ad uscire nonostante il ghiaccio e boccheggia.
“Il San Carlo Borromeo è il più vicino: stiamo andando al pronto soccorso” dico un po’ inquieta.
Dopo cinque minuti siamo arrivati. Entriamo rapidamente nel pronto soccorso e l’uomo – non conosco neanche il suo nome – viene controllato dal medico di turno. Io aspetto, sono piuttosto preoccupata e questo è strano per me. Non che sia menefreghista, ma avverto una preoccupazione particolare per questo ragazzo, sebbene per me sia uno sconosciuto. Dopo una ventina di minuti, esce dallo studio: il naso è completamente coperto da una fasciatura bianca. Il viso, adesso però, è pulito e mi è permesso per la prima di vederlo in viso. È bello, tanto bello. Ha gli occhi scuri, credo che siano marroni, capelli folti neri spettinati ad arte, delle labbra non eccessivamente carnose, col labbro inferiore più pieno di quello superiore. Ha un sottile strato di barba, leggera, ma non per questo meno affascinante.
“Finita la radiografia?”
“Prima l’hai fatta tu a me, mi sembrava opportuno ricambiare il favore” ribatto facendo la linguaccia.
“E che ne dici? Passato l’esame?”
“Se il cervello di voi uomini andasse di pari passo con l’aumento del vostro ego, staremmo avanti anni luce rispetto ad oggi. Invece l’unica cosa di cui controllate ogni minuto la crescita è una sola.”
“Beh, diciamo che dipende anche dalla compagnia. È merito della donna – o dell’uomo in caso di omosessuali – se cresce”
“Direi che stiamo degenerando. Comunque confermi la mia idea: voi uomini ci vedete come oggetti”
“Hai una bassa considerazione di noi. Io non la vedo così: la donna deve essere una compagna di vita e non una compagna di letto, o non solo. Se non c’è complicità nella vita non ci sarà mai sotto le lenzuola. Sei tu che vuoi vedere il marcio anche dove non c’è.” Io lo guarda come un ebete. È un uomo che sta dicendo queste cose?
“Ehm, tu stai bene?”
“Sì, qualche giorno e dovrebbe passare del tutto”
“Sono molto contenta e scusami per..la botta” sfioro delicatamente il suo naso con la punta delle dita. Sam, ma che diamine stai combinando? Contieniti, per la miseria. Ritraggo immediatamente la mano, mentre lui mi osserva con le sopracciglia aggrottate.
“Ti accompagno a casa?” domanda serio. Non c’è più traccia del battibecco di poco prima.
“Se ti è possibile, sì, per favore”
“Vieni. Ti posso fare una domanda?”
“Dimmi”
“Come mai ti accanivi tanto contro quel povero sacco da boxe? Tu non ti stavi allenando, ti stavi completamente scaricando” dice sogghignando.
“Oggi è stata una giornata no. Ero in lizza per ottenere il lavoro dei miei sogni e, invece, è stato dato ad un idiota raccomandato. E il mio sogno svanito” borbotto. Stranamente mi trovo a mio agio a parlare con lui. È piacevole.
“Che lavoro?” domanda incuriosito.
“Sono un revisore di bozze. Lavoro per la casa editrice Agape. Voglio dire, lavoro in quella casa editrice da tre anni, mi sono fatta il culo lì dentro e adesso mi vedo soffiare il posto da un raccomandato del cavolo. E a questo dovrò pure essere obbediente visto che sarà il mio diretto superiore” lui scoppia a ridere.
“Perché ridi?”
“Nulla, nulla, pensieri che mi frullavano per la testa” quindi non mi stava ascoltando? Male, malissimo. Ma, dopotutto, chi lo conosce questo? Mica ci devo vivere insieme. Sono veramente strana stasera. E non sono neppure in fase premestruale. Davvero sconcertante.
“Gira a destra, eccoci, siamo arrivati”
Ferma la macchina e si volta verso di me.
“Sai qual è la cosa buffa?” sorride e vedo i suoi denti, bianchi e lucenti, senza un’imperfezione. Samanta, stiamo degenerando.
“No, qual è?”
“Mi hai steso con un destro micidiale, mi hai soccorso, hai guidato la mia macchina dietro mio consenso, mi hai aspettato in ospedale, ti ho condotto a casa e non sappiamo i nostri nomi” scoppia a ridere ed è subito seguito da me. La situazione è  paradossale in effetti. Scendiamo dalla macchina e ci fermiamo davanti al portone di legno lucido del mio palazzo.
“Daniele Costa”
“Samanta Dolce” gli porgo la mano.
“Dolce? Cos’è, hanno utilizzato il contrario del tuo carattere per il tuo cognome?” e giù di nuovo a ridere.
“No, io sono dolce solo con chi se lo merita. In parole povere, solo con Luciana e i miei gatti”
“Nemmeno con un ragazzo?”
“Soprattutto non con i ragazzi” ribatto secca. Spero non domandi di più, perché non ho nessuna voglia di rispondere.
“ E se io facessi questo saresti dolce con me?” e, senza che io me ne possa rendere conto, poggia le sue labbra sulle mie. Sono dolci, tenere, morbide. Rimango impietrita sul posto, non sapendo cosa fare. E questo non perché non voglia il bacio , ma perchè questo bacio mi piace, lo desidero. Tanto anche. E questa è, probabilmente, la cosa che mi preoccupa di più. Perché io ho chiuso con gli uomini, non voglio averci niente a che fare. Ma tutto sembra diverso se sono a contatto con le sue labbra morbide e setose. Lui non esagera con questo bacio, prende solo la mia mano e la stringe, poi si stacca da me.
“Scusami,non avrei dovuto. Ma sei davvero bellissima, Samanta, e non sono riuscito a resistere.”
“Uhm, ehm..va bene, non fa nulla. E chiamami Sam. Lo preferisco”
“Sam” ripete a pochi centimetri dal mio viso. Lascia una carezza lungo la guancia e poi si allontana da me.
“Allora, ciao, buonanotte, Sam”
“Ciao, Daniele” risale velocemente in macchina e riparte. Solo dopo che ha svoltato l’angolo mi rendo conto che non mi ha lasciato neppure un recapito. Se ne è dimenticato? Oppure non voleva avere niente a che fare con me? Forse è meglio, meglio se non ci vediamo più. Daniele stava infrangendo in una sola serata la mia corazza. E questo non va bene.
Salgo le scale e mi attende un’impensierita Luciana.
“Hai fatto sesso con qualcuno vero?”
“Cosa? Lu, ma che vai dicendo?” la sgrido. Ma per chi mi ha preso? La nana, secondo me, ha bisogno di una visita. E da uno bravo anche.
“Occhi lucidi, labbra gonfie, capelli spettinati anche se hai fatto palestra quindi non si può mai dire e sguardo da ebete. Se non hai fatto sesso hai comunque conosciuto un uomo”
“Nulla di importante Luciana, davvero”
“Allora è successo davvero?” grida alzando il tono della voce così tanto da spaventare la povera Minù che mi era saltata in grembo per salutarmi.
“L’ho conosciuto in palestra. Si chiama Daniele. È molto carino.” Dico ripensando ai suoi occhi color nocciola.
“E vi siete dati un appuntamento?”
“Ci siamo dimenticati di scambiarci i numeri di telefono. Ma, dopotutto, è meglio così, non credi? Non ho voglia di nessuna storia in questo momento”.
“La volpe che non arriva all’uva…” e borbottando questa frase, ritorna in camera sua.
Sì, abbiamo fatto una grande, immensa cazzata.




Rieccomi dopo quasi un mese.
Sì, lo so, sono imperdonabile. Mi merito ogni imprecazione contro di me. Il fatto è che ho preparato l’ultimo esame e, nel frattempo, ho scritto l’altra mia ff che si trovava in un punto un po’ delicato e doveva andare avanti necessariamente.
Bene, adesso è entrato anche lui, Daniele. Secondo voi, che ruolo svolgerà nella vita di Sam? Si accettano scommesse.

Vi ricordo i miei contatti:
Twitter: @congy_
Facebook : Federica Congedo
Gruppo su facebook per avere anticipazioni e spoiler : E Gea tes Congis

Un bacio
Federica

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Capitolo 4
*** Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte ***


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Capitolo 3

Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte


“Che cazzo ti sei messa?” Lu mi osserva critica dallo specchio.
“Perché? Cosa c’è che non va?” mi guardo compiaciuta. Sì, non avrei potuto scegliere abbigliamento più adatto per oggi.
“Cosa c’è che va, vorrai dire! Hai messo quegli orrendi jeans conformati che mettevi dopo la rottura con Davide e quell’orribile maglione verde marcio che ti va tre taglie più grande. Posso sapere che diavolo hai mangiato a colazione? Cereali avariati che sono andati ad aggiungersi al truciolato che riempie gran parte del tuo cervello?”
“Oggi mi va di vestirmi così, d’accordo?”
“Hai la sindrome premestruale? No, perché altrimenti non capisco cosa possa portarti ad indossare questi cenci larghi.” Si muove verso il calendario dove aggiorniamo regolarmente il nostro stato mestruale e sbuffa, quando si rende conto che non sono gli ormoni a provocarmi questi comportamenti obsoleti.
“Ho le mie buone ragioni e no, non sono in sindrome premestruale. Sto benissimo”
“Va bene, vatussa, parliamone: qual è il tuo problema? Riguarda per caso l’arrivo del nuovo direttore editoriale?” si siede sul letto e mi osserva critica. Ma perché non riesco mai a nasconderle nulla?
“Assolutamente no. Riguarda, per caso, l’arrivo di un uomo che guarderà prima le mie tette e poi la mia intelligenza”
“Ancora con questa storia? Non ti sembra di esagerare?”
“Gli uomini li fanno con lo stampo. Non voglio che mi tratti come una segretaria o qualcosa del genere da farsi sulla scrivania” sbuffo.
“Ma, tesoro, questo può accadere con tutte. Pensa a me che sono davvero una segretaria. Non essere così drastica nelle tue scelte e nelle tue posizioni. Ricorda che lo stupido è colui che non cambia mai idea” mi ammonisce bonariamente. È strano, non si direbbe che Luciana sia una persona così profonda e sensibile. Infatti interviene per smontare immediatamente questa mia supposizione: “Ti presto la mia maglietta con lo scollo alla coreana, così tu e le tue due gemelle sarete al riparo dai pensieri molesti. Anche se, a dirla tutta, potrebbe essere anche un figo da paura e in tal caso potresti aver tu voglia di violentarlo sulla scrivania. Quindi direi che l’abbigliamento è perfetto. Con quello che avevi scelto prima avresti dissuaso qualsiasi uomo sulla terra a compiere dei pensieri sconci su di te. La scrivania, uno dei miei sogni erotici preferiti e tu  me lo smonti così?” borbotta. Ecco, adesso riconosco la mia nana preferita. Ma in effetti, non dovrebbe sorprendermi la cosa: ogni persona è poliedrica, diversa a seconda delle situazioni; sono io che forse non riesco a capire questo concetto e a metterlo in pratica. Per me, tutto è bianco o nero, non esistono grigi antracite, grigi perla o fumé. Nero o bianco.
Indosso quello che mi ha consigliato e in pochi minuti siamo fuori di casa.
“Dammi le chiavi”
“Scordatelo, nana. Lo sappiamo entrambe che guido molto meglio di te”
“L’unica cosa su cui possiamo essere d’accordo è che tu sia una pazza al volante. La velocità non è indice di bravura.” E le mie chiavi finiscono nelle sue mani infide.
“Ridammele subito” sbatto i piedi sul marciapiede. La odio, la odio quando fa così.
“Assolutamente no. Oggi guido io: tu sei troppo nervosa per guidare bene. Fallo per i miei poveri nervi che ultimamente sono sottoposti a uno stress indescrivibile stando accanto a te”
“E va bene, ma lo faccio solo per i tuoi nervi” ogni tanto occorre dargliela vinta. D’accordo, l’ultima frase detta è un po’ un’assurdità: quando la nana vuole una cosa, la ottiene anche a costo di fracassare i tuoi di nervi e senza un briciolo di pietà per essi.
“Il che significa che, per sineddoche, lo fai per me. Grazie mille”
Posso dire che la odio quando vuole fare l’intellettuale e contemporaneamente avere l’ultima parola? Bene, in questo momento la odio. Mi sa che l’ho già detto troppe volte oggi. Tutta colpa del direttore editoriale, e di chi altri? Lo aggiungo alla lista di motivi che ho per rimpiangere il giorno in cui sua madre lo ha messo al mondo.
“Sei pedante, Luciana”
“E tu sei pesante”
Prendiamo l’auto e ci dirigiamo al lavoro. Sfortunatamente la mia scelta dell’abbigliamento ha portato via un bel po’ di tempo e, di conseguenza, abbiamo perso il momento propizio per immetterci nel traffico milanese. Risultato? Un grande, immenso, rumoroso ingorgo di macchine.
“Dannazione, Sam, siamo a ridosso dell’ora S.U.C.A.”
“L’ora di che?”
“L’ora del Sono Un Cazzone Avariato. Nessuna persona sana di mente uscirebbe a quest’ora da casa per percorrere il traffico milanese, se non appunto, un cazzone avariato.”.
“Stai dicendo un mucchio di parolacce. Te ne rendi conto, sì?”
“La guida è capace di portare a galla il peggio di una persona. E adesso sono veramente incazzata”
Alla fine, riusciamo ad arrivare sane e salve, dopo molte e molte parolacce di Luciana contro gli altri autisti e contro di me. Fortunatamente abbiamo solo un quarto d’ora di ritardo.
“Parcheggia tu, Sam, io devo correre o il capo mi ammazza”
Altro problema: il parcheggio. Se c’era un traffico bestiale prima, ci sarebbe stato un briciolo di strada libera per infilare una macchina adatta alle dimensioni ridotte della nana? Ovviamente no.
Ogni centimetro, ogni millimetro è occupato, alcune macchine sono addirittura parcheggiate in seconda fila. Ma dove sono andate a finire l’educazione e il rispetto delle regole? Forse sono ancora in fila nell’ora S.U.C.A. Spero che sia così, almeno. Dopo aver vagato per l’intero quartiere riesco finalmente a parcheggiare la minuscola Smart di Lu. Pensa se avessi guidato un SUV, assolutamente impensabile.
Entro nella sede e in portineria mia saluta una sorridente Antonietta che mi dice, con voce ad un’ottava sopra, : “Sam, hai visto chi è arrivato? Il nuovo direttore editoriale. È bellissimo, un vero Alain Delon. Non l’hai ancora conosciuto?” Antonietta è una donna sulla sessantina, dolcissima, con una passione smodata per i film americani anni Sessanta e Settanta. Inguaribile romantica, credo che riversi nei film e nei loro protagonisti i suoi sogni amorosi che, purtroppo, non è riuscita a realizzare. Il pomeriggio, quando il lavoro è meno febbrile, la troviamo in portineria a guardare su Rete4 quei film statunitensi. Film in mano e sorriso malinconico sulle labbra. Ogni tanto io e la nana la invitiamo da noi perché, da persone solo, possiamo capire cosa si provi. Antonietta è non è sposata e non ha parenti, è figlia di emigranti del sud. Sola, ma con un grande cuore.
Ma come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati? Come Venditti, me lo domando anch’io e, soprattutto, mi domando perchè le persone più buone e dolci di questo mondo debbano sempre prenderla in quel posto. Forse la risposta è già nella domanda: sono buone e questo comporta molti bocconi amari da mandar giù.
“Non l’ho visto, Antonietta. Ti dirò dopo se è intelligente quanto è bello”
Prendo l’ascensore che sembra procedere troppo lentamente. Provo un misto di curiosità ed odio verso di lui. Spero che sia un ignorante pedante dotato solo di bellezza. Ma se così non fosse? Risposta ovvia: dovrei odiarlo solo per il fatto che esiste.
Al decimo piano, le porte dell’ascensore si aprono. Fuori, la desolazione più totale. Mancano le piante di cactus e  i rovi per dare vita ad un’ambientazione desertica da film western. Generalmente quella è l’inquadratura che precede lo scontro finale. Bene, sono pronta al mio scontro.
Sicuramente sono tutti dal capo, quel grandissimo figlio di…Sam, devi calmarti altrimenti ti aumenterà la pressione, affluirà più sangue al cervello e sarai in grado di entrare nel suo ufficio e scaraventargli quante più imprecazioni possibili in modalità “scaricatore di porto”. Sei una donna, e, in quanto tale, devi comportarti con stile e nonchalance. E poi ti serve il tuo lavoro. Se ti sbattessero fuori di qui, dove ne troveresti un altro? Calma e sangue freddo e, soprattutto, lingua tre i denti.
Mentre ripeto dentro di me questo mucchio colossale di boiate, respiro come una donna con le contrazioni. Dovrebbe farmi sentire meglio? Non molto in effetti, ma almeno posso pensare di aver fatto tutto il possibile in caso di mia sfuriata.
Entro nello studio velocemente cercando di fare il meno rumore possibile.
“Buongiorno scusate il ritardo, ma c’era un traffico bestiale e Oh, Cazzo!” porto immediatamente la mano alla bocca dopo la mia espressione colorita, molto colorita, troppo colorita. Ma che, paragonata al mio stupore, è il più gentile dei complimenti.
Siamo due milioni di abitanti a Milano. Quante possibilità ci sono di incontrare la stessa persona due giorni di seguito? Una su due milioni, ovvio. Quindi, o la sfiga mi perseguita,  o ho le allucinazioni, oppure ho centrato quell’uno su due milioni. E che palle, avrei preferito una vittoria al superenalotto. Possibilità per possibilità, con un bel sei me ne sarei andata ai Caraibi e mi sarei fatta coccolare da un aitante giovanotto. Aitante e prestante.
E invece no! Sfiga vuole che dinanzi a me ci sia Daniele Costa, proprio quel Daniele Costa con cui mi sono comportata da vaginacefala ieri sera. Per la miseria!
“Daniele, ti presento il nostro revisore più pittoresco, Samanta Dolce” lui mi guarda con un sorriso da schiaffi. Faccio buon viso a cattivo gioco e mi avvicino a stringergli la mano.
“Beh, più che Dolce, dovrebbe chiamarsi Piccante, allora” Sai dove te lo metto il peperoncino, bastardo?
“Ma certo, signore, sarò la sua salsa messicana” quella piccantissima, che spero renda il bagno la stanza della casa più frequentata da te.
De Santis diventa paonazzo. Forse ho un po’ esagerato, ma sinceramente, avrei potuto essere molto più volgare. In questo modo ho mantenuto una certa dignità.
Daniele fa per aprire bocca, ma la richiude immediatamente. In effetti, non è il caso di parlare in questo modo davanti a tante persone.
Mi scosto da lui e vado da Luciana che mi osserva con gli occhi sgranati e una faccia impagabile. Credo che, se potesse, mi staccherebbe la testa a morsi. Il problema è che, neppur saltando, arriverebbe al mio collo.
“Ma ti ha dato di volta il cervello?”
“Lascia perdere, Luciana, non è proprio il momento più adatto per farmi una ramanzina. Me la farai quando sarò calma. Adesso ti risponderei nella maniera peggiore che conosco” stringo i pugni sul manico della borsa, ma quello che vorrei fare è scappare immediatamente da qui dentro. E questo non per aver fatto una figuraccia oggi, per essermene uscita con quell’esclamazione senza dubbio infelice. Mi vergogno per il mio comportamento di ieri sera, per essermi comportata da vera e propria oca. Non posso crollare solo quando uno si mette a fare il simpaticone con me e a sbattere le ciglia. Quella è una prerogativa dei maschi. E, chiamami Sam , lo preferisco. L’ho sempre detto che l’aria degli ospedali è stagnante e ti fa ammalare. Sicuramente ho inavvertitamente inalato qualcosa che mi ha fatto parlare così. E poi, c’è bisogno di ricordare quel bacio? Stupida, stupida, stupida. Avrei dovuto pensarci due volte: gli uomini sono un’eterna delusione. Sempre. Perché questo ectoplasma che si trova di fronte a me e mi scruta tra il critico e l’ironico non mi ha detto ieri di essere il mio capo?  Ci teneva così tanto a farmi fare la figura della deficiente? Spiacente, mi distruggo con le mie stesse mani senza l’aiuto di qualcun’ altro.
“Bene, dopo avervi conosciuto, credo che sia il momento di presentarmi. Sono Daniele Costa, come sapete tutti – quale congiunzione astrale ha permesso a tutti di conoscere il tuo nome? Ah, già, sei stato tu stesso a presentarti. E allora perché sottolineare una cosa già ovvia? Brutto pallone gonfiato. – Ho trent’anni e lavoro nel campo dell’editoria da sei anni, quasi. Vi chiederete come mai abbia ottenuto questo posto. – caro, sappiamo già come tu abbia ottenuto il posto: o sesso, o soldi, non c’è via di scampo. Entrambe le cose sono alla base di ogni società civile, dovresti saperlo. – dopo aver lavorato tre anni in una piccola casa editrice romana, ho vinto un concorso per la Penguin Books e ho lavorato lì per tre anni. Poi ho letto l’annuncio del caro Claudio per un posto come direttore editoriale dell’Agape ed eccomi qui.” Ecco, questo non lo avrei mai sospettato. Ha lavorato in una delle più grandi case editrici britanniche, sfido io che abbia ottenuto questo posto. No, Samanta, non lo puoi giustificare appena apre bocca, devi essere salda e coerente rispetto alle tue posizioni e ai tuoi giudizi sulle persone: e lui è uno stronzo, nulla può cambiare questa verità contingente.
“Ora, tanto per mettere le cose in chiaro, ci sono un paio di questioni di cui vorrei parlarvi – ecco, finalmente, lui che scende dall’alto pirica a istruire noi poveri mortali. Illuminaci, oh sommo! – sapete bene che Agape è una media casa editrice, ma in procinto di diventare molto competitiva. Negli ultimi anni abbiamo fatto numerosi passi in avanti, allontanandoci dal campo che era a noi più congeniale, ovvero quello della saggistica. È sicuramente un ambito importante per la ricerca, ma troppo circoscritto per poter permettere ad una casa editrice come la nostra di sfondare – ma sentilo, è qui da cinque minuti e parla già come se fosse lui il fautore di tutto il successo ottenuto e  non noi con il sudore che abbiamo sboccato in tanti anni per arrivare dove siamo. Ti odio, Daniele Costa! – Ci siamo rivolti alla narrativa e questa è stata la carta vincente e l’ex direttore editoriale è stato, in questo, molto lungimirante. Ma bisogna puntare ancora più in alto. Dobbiamo tentare di pubblicare non solo narrativa impegnata, ma anche qualcosa di più leggero che possa coinvolgere un pubblico quanto più vasto possibile. – se ha intenzione di pubblicare Moccia, lo so, è il mio incubo ricorrente, si sbaglia di grosso. Sono pronta a spaccargli il setto nasale di netto, e non basterò una capatina all’ospedale per rimediare, oppure a conficcargli un peperoncino calabrese lì dove non batte il sole e, magari, vedendo le sue chiappe, potrei anche tirarmi su di morale – punto secondo: sapete bene che la puntualità nel nostro lavoro è tutto. Gli scrittori sono tenuti a rispettare le consegne, così pure noi. Pretendo perciò che come nelle grandi, così anche nelle piccole cose siate puntuali. A cominciare da domani, non ammetto ritardi di nessun genere. Che siano dettati dal traffico o da un meteorite che si è inspiegabilmente abbattuto sulla vostra casa o dai gatti malati –mi lancia un’occhiata in tralice, la frecciatina è rivolta a me? I miei gatti sono sanissimi e li amo, idiota – non mi importa. Alle nove voi dovete essere tutti qui. Ci siamo capiti, signorina Dolce?”
“Perfettamente, direttore editoriale” meglio assumere un tono distaccato.
“Potete chiamarmi Dan, se non si instaura un rapporto di collaborazione e fiducia, non si può lavorare bene” Dan, ha chiesto di chiamarlo Dan. Ieri sera non lo ha fatto, mi ha soltanto preso in giro.
“Scusate” esco rapidamente dalla stanza gremita per correre verso il bagno. Nessuno può vedermi piangere, soprattutto non quando piango per la mia imbecillità. Perché a nessuno devo imputare qualche colpa, solo a me.
“Sam, tutto bene?” Luciana entra silenziosamente nel bagno. Nemmeno una traccia della rabbia di poco fa, solo tanta preoccupazione.
“Sono stata così stupida!” batto il pugno sulla ceramica del lavandino e impreco sottovoce.
“Che è successo? Dimmi che hai” mi porge un fazzolettino di carta.
“Dan è..Dan è il ragazzo che ho baciato ieri” la nana mi osserva dubbiosa e scoppia a ridere, mentre io continuo a piangere. Una vera e propria tragicommedia.
“Lu, non mi aiuti così!” sbotto.
“Scusami, Sam, ma è così strano. Non volevo ferirti” mi si avvicina e mi lascia un bacio leggero sulla guancia. E questo gesto, per me, vale più di mille parole.
“Non preoccuparti. In effetti, fa ridere. Certo non quando capita a te personalmente, ma potrebbe essere la trama di un romanzo: La vita tragicomica di Samanta Dolce e, come sottotitolo, Come sfidare le statistiche e batterle. Direi che le statistiche d’ora in avanti mi faranno un baffo.”
“E che palle, ma vuoi sempre stare sempre al centro dell’attenzione tu? Io direi di scrivere un libro intitolato: La nana e la vatussa e, sottotitolo, Come le persone piccole possano essere dotate di un cervello superiore a quelle alte.” Il suo sorriso si spalanca a tal punto che temo avrà presto uno spostamento della mandibola.
“E tu avresti un cervello superiore al mio? Ma, andiamo”
“Rammenti, Mignolo e il Prof. Io sono il Prof e ti ricordo che tu sei una donna in carriere bella e affascinante che non deve in alcun modo lasciarsi intimorire da un uomo, solo perché ti ha baciato il giorno prima. Su, esci fuori e stendilo con il tuo charme da fruttivendolo al mercato.”
Ha ragione: non posso lasciarmi trascinare da una cosa che non conta nulla. Lui è solo il mio capo raccomandato che io odierò fino alla fine dei miei giorni, che non è per nulla affascinante, che ha la pelle flaccida e le pustole sicuramente sul sedere e la lingua bruciata perché suo padre, ogni volta che il figlio diceva una cazzata, gliela lavava col sapone. Purtroppo Daniele è un po’ duro di comprendonio e trent’anni di sapone non sono bastati, per farlo smettere di sparare cazzate. Che disgrazia avere un figlio così. Mi sa che l’unica a dover essere sottoposta al lavaggio della lingua dovrei essere io, ma continuo a naufragare in questo mare di bugie e ciò mi rende felice. Meglio mentire a se stessi piuttosto che accettare la realtà.  
Rientro, dopo aver asciugato le ultime lacrime, nello studio di De Sanctis e lo trovo lì, proprio come lo avevo lasciato: sguardo fiero, occhi fissi sui suoi interlocutori, appoggiato alla scrivania, sguardo imperturbabile. Posso mentire pure a me stessa sulla raccomandazione, ma la mia vista non mi può ingannare: Daniele è uno degli uomini più affascinanti che io abbia conosciuto. E quando lo vedo scrutarmi curioso, vado a fuoco. Dannazione, non posso arrossire. L’ultima volta è stata quando la nana, per farmi un dispetto, mi ha chiuso fuori dalla stanza dell’albergo con solo la biancheria addosso. E, a pensarci bene, con lui che mi osserva mi sento proprio così: nuda, esposta, vulnerabile, come se riuscisse con i suoi occhi a leggermi dentro. Sam, hai letto troppi libri romantici e stucchevoli, non puoi farti influenzare in questo modo. Quest’ incantamento può avvenire solo nella letteratura. Abbasso, perciò, lo sguardo e mi sgancio dal suo. Libera finalmente di essere nuovamente me stessa.
“Come stavo dicendo poco fa, ho deciso di avere un’assistente con me. Non una segretaria, ovviamente, ma una persona fidata che possa collaborare con me nella scelta dei libri da pubblicare. Sono dell’avviso che in due si lavori meglio che da soli. –sicuro, magari lei sotto e lui sopra, vero?- I libri, quando devono essere pubblicati, non possono essere valutati soggettivamente. Più opinioni sono fondamentali per poter comprendere a pieno un libro e decidere se mandarlo nel Cimitero dei libri dimenticati o se portarlo alla stampa. Noi abbiamo in mano una fetta cospicua della cultura del Paese e non possiamo essere negligenti nel nostro lavoro, perché, magari, anche solo con una scelta giusta, corretta, possiamo aprire la mente a molti. E non è questa, oltre alla finalità meramente economica di una casa editrice, il vero fine di un libro? – oh, perché devo essere dannatamente d’accordo con te? Perché devi dire delle cose così assurdamente giuste? Io ti odio - Quindi, tornando a noi, nelle prossime settimane, guarderò il vostro operato e sceglierò il mio collaboratore. Per oggi credo che sia tutto. Vi ringrazio molto della vostra accoglienza calorosa e, in alcuni casi anche pittoresca, - i suoi occhi si posano su di me mentre delle risatine si propagano per la stanza – che mi avete riservato. Buon lavoro a tutti”  in silenzio, solo io almeno, vado nel mio ufficio anche se, prima di chiudere la porta, posso notare un sorriso canzonatorio che compare sulle sue labbra.
Le ore successive trascorrono con un’alternanza di pensieri, che passano da quelli lavorativi a quelli che gravitano intorno a lui, Dan, anzi no, Daniele. Meglio mantenere un certo distacco.
E’ bello.
E’ stronzo.
Qui ci andrebbe una virgola, renderebbe il discorso più fluido.
Perché mi ha mentito?
Mi ha baciato. E che bacio!
Voleva usarmi.
Questo participio cozza con la struttura della frase. Meglio esplicitare il verbo.
E’ stato uno dei migliori baci che io abbia ricevuto. Forse perché è passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho baciato un ragazzo.
È stato così affascinante stamattina, così sagace, spiritoso.
E’ un bastardo, mi ha solo usata. Ieri sera voleva solo divertirsi e magari farmi fare una figura da cretina oggi. C’è riuscito.
Qui c’è un anacoluto mostruoso. Ma nessuno gli ha insegnato che soggetto e verbo devono concordare?
“Posso disturbare?” senza bussare, Daniele entra nel mio studio.
“Sebbene tu sia il capo e quindi, anche la mia sedia sia tua, gradirei che la prossima volta bussassi”
Avanza velocemente verso di me e si siede al di qua della scrivania.
“Fa parte della mia ricerca del collaboratore perfetto. Devo vederlo nel suo habitat naturale e senza che sia osservato. In caso contrario potrebbe essere sottoposto alla cosiddetta ansia da prestazione. E non è una cosa buona, vero?”
“L’ansia da prestazione non è mai una cosa buona, soprattutto se è quella di un uomo che ha qualcosa da nascondere”
“Quindi mi stai dicendo che io soffrirei di ansia da prestazione?” si avvicina pericolosamente a me, i gomiti poggiati sulla scrivania e il volto proteso verso di me.
“Stiamo..stiamo parlando di una situazione generica. Tuttavia, credo che tu abbia la coda di paglia per cui, sì, soffri di ansia da prestazione.”
“Ansia di cosa?”
“Di sentirti dire in faccia un sonoro ‘Vaffanculo’. Ma non lo riceverai, perché sono una ragazza educata”
“Sì, ti ci vedo proprio nelle vesti di femme fatale.” Sghignazza divertito. Ma tu guarda che razza di, bah, non riesco nemmeno a trovare un termine adatto.
“Io non ho parlato di femme fatale”
“No, ma è come vorrei vederti io”  rimango per qualche secondo immobile, senza sapere cosa dire. Dannazione, perché ha un potere così forte su di me? Perché riesce sempre a spiazzarmi con queste frasi uscite quasi da nulla? Non posso continuare così, lui è il mio capo, per la miseria.
“Non mi vedrai mai nelle vesti di femme fatale, proprio perché io sono e sarò solo ed esclusivamente uno dei revisori di bozze della tua casa editrice. Te l’ho detto, sono dolce solo con chi se lo merita e, detto francamente, dopo ieri sera, le possibilità che tu mi veda per quella che sono realmente sono piuttosto scarse. Diciamo che quando ti sarai prostrato  ai miei piedi per chiedermi scusa sulla Torre Eiffel ad agosto mentre nevica, beh, allora potrei mostrarti quella che sono veramente. Quindi, se hai qualcosa da dirmi inerente al lavoro, sono tutta orecchi, se, invece, hai intenzione di parlarmi di ieri sera, puoi benissimo uscire da quella porta e an…”
“Sei bellissima quando sei infervorata” e, detto questo, si alza e mi lascia da sola. Rimango a fissare la porta chiusa davanti a me per oltre cinque minuti, sempre più turbata dal suo comportamento, con le guance in fiamme e il battito del cuore accelerato. Non si è mai dimostrato intimidito o preoccupato dalle mie parole, o dai miei gesti. Nulla, imperturbabile. Credo che a determinare la sua reazione sia stata più che altro quella muta mentale che creano le persone quando non vogliono ascoltarti, un rivestimento che ti tappa le orecchie, oppure impedisce al cervello di comprendere ciò che l’interlocutore dice. Le persone ridono, fanno finta di ascoltare quello che dici e invece pensano se hanno dato da mangiare al cane. Mi alzo perciò e corro nel suo ufficio, anch’io senza bussare.
“Stavo parlando seriamente! E mi irrita il fatto che tu non abbia ascoltato una sola parola di quello che ho detto”
“Primo: chiudi la porta. Secondo: ho ascoltato tutto quello che mi hai detto. Terzo: anche se ho ascoltato non vuol dire che sia d’accordo con te” mi parla senza quasi alzare lo sguardo dal suo computer. Come se fosse distratto.
Mi siedo di fronte a lui: “Guardami”
“Perché dovrei farlo?”
“Perché te lo sto chiedendo” e finalmente si volta. Incrocio il suo sguardo e abbasso gli occhi. Stupida, stupida idea.
“Cioè, fammi capire: tu vuoi che io non pensi a ieri sera, che non pensi al bacio che ci siamo dati, che non pensi a te come a una bella donna, eppure mi imponi di guardarti. Hai elaborato un nuovo tipo di tortura psicologica?”
“Se io ti parlo, è buona educazione guardare l’interlocutore”
“ E allora perché non mi guardi?” ottima osservazione, colpita e affondata. Faccio forza su me stessa per rispondere alla sua provocazione. Alzo gli occhi e quello che trovo è invece, di nuovo, la sua bocca. Di nuovo incollata alla mia, di nuovo modellata alla mia. La sua lingua traccia i contorni delle mie labbra, mentre io vengo travolta nuovamente dalle stesse sensazioni. Ma non può andare a finire così, non di nuovo. Porto le mani sul suo petto e lo spingo lontano da me.
“No”
“Dimmi che non fai che pensarci anche tu da ieri sera, dimmi che le nostre bocche non sono fatte per stare insieme” la sua voce è roca, i suoi occhi bruciano di una brama che non ho visto nemmeno ieri sera.
“Io so soltanto che ci conosciamo da meno di un giorno, so soltanto che sei il mio capo, che ieri sera mi hai mentito. So soltanto che ho rinunciato agli uomini tanto tempo fa, so soltanto che tu non fai che convalidare la mia tesi: voi maschi pensate sempre a una cosa”
“E tra tutte queste cose non hai capito la cosa fondamentale” ribatte secco.
“E quale sarebbe?”
“Tu non sai me, tu non hai capito me e quanto sia attratto da te, e non solo in senso fisico”
“Daniele, l’attrazione che nasce tra due persone è innanzitutto fisica, almeno all’inizio della conoscenza tra due persone e noi ci conosciamo da nemmeno un giorno.” Sbuffo esasperata. Ma è possibile che sia così infantile?
“ Stai solo cercando di convincere te stessa di non essere attratta da me” è inutile mentire con lui. Sono davvero negata. Meglio optare per la verità.
“Anche se fosse, ti ho detto che non intraprenderei mai una conoscenza con te per due motivi fondamentali: sei il mio capo e sei un uomo”
“Beh, il secondo motivo non è un problema, a meno che tu non sia lesbica, ma non mi pare il tuo caso.” Si avvicina ancora a me. Lei sue mani sono poggiate sui braccioli della sedie. Sono incastrata tra lui e la sedia. Non va bene, non va affatto bene.
“Daniele, non sempre quando una donna dice ‘no’ intende ‘sì’. Non ho nessuna intenzione di frequentarti, né, tantomeno, di permetterti di baciarmi ogni volta che ne senti la necessità. Io non voglio”
“Come non volevi ieri, vero?”
“Esattamente!”
“ E non lo volevi nemmeno oggi?” si alza ed è in piedi di fronte a me.
“Assolutamente no” non posso lasciarmi sottomettere. Mi alzo anch’io e, grazie alla mia statura da vatussa, mi trovo quasi alla sua altezza.
“Ed è stato solo un errore, vero?”
“Certo”
 “Beh, Sam, siamo uomini ed è nella nostra natura sbagliare. E non sai com’è bello sbagliare e poi pentirsi, sbagliare  e pentirsi ancora” e detto questo, mi bacia. Di nuovo. Al diavolo tutto! Mi avvento sulle sue labbra che si schiudono al passaggio della mia lingua. la sua compie dei movimenti circolari intorno alla mia mentre mi mordicchia il labbro inferiore. Le sue mani si arpionano ai miei fianchi mentre la mia mano si poggia sul petto della sua giacca. Ma un gemito da parte sue mi ridesta. Che cazzo sto facendo? Non posso, non posso e non voglio. È il mio capo, il capo affascinante, ok, ma sempre il mio capo. Pensa a Davide, Sam, pensa a lui e a quanto ti ha fatto soffrire. Non vale la pena riprovare di nuovo quelle sensazioni. Il gioco non vale la candela.  La campanella d’allarme finalmente suona nella mia testa. Meglio evacuare la zona e uscire il più velocemente possibile dalle porte d’emergenza.
Mi stacco da lui ansante e lo guardo nella maniera più truce possibile.
“Certo, gli uomini sono fatti per sbagliare, ma sono fatti anche per capire anche i proprio errori e non commetterli più. E tu sei un errore, senza dubbio. L’ho capito e non torno indietro.”
“Non pensare che sia servito solo a te questo bacio”
“Ah, davvero? E cosa ti avrebbe fatto capire? Che non sono disposta a cadere ai tuo piedi? Che sono una persona seria nei confronti del lavoro? Che non sono attratta da te?”
“Oh, al contrario Sam, tu sei molto attratta da me. Ho capito che devo giocarmi tutte le mie carte per conquistarti. E sono pronto a giocarmele tutte”
“Ma certo! E’ un gioco per te, vero? Uno stramaledettissimo gioco? –alzo troppo il tono della voce e immediatamente lo abbasso per paura che qualcuno possa sentirci -  Vaffanculo, Daniele. Tu sarai pure in gamba come  capo, ma sei anche uno stronzo arrivista come persona. E io voglio avere a che fare solo con la tua metà lavorativa. Perché, per il resto, ti odio!” Vado verso la porta e la apro.
“E’ questa la sola parte di me che vuoi? Bene, perché non sai quanto io possa essere stronzo come capo, Sam” lo sguardo che mi lancia adesso non è più divertito, scanzonato o eccitato, appare solo fastidio dai suoi occhi.
“Samanta, il mio nome è Samanta!”






Bene, bene, bene.
Innanzitutto, scusate il ritardo. Come ho detto ad alcune persone a cui ho risposto mi si è rotto il pc e sfrutto quello di mio fratello. Inoltre, sto preparando cinque esami, per cui, capite bene che la situazione è abbastanza incasinata.
Vorrei ringraziarvi però per la pazienza con cui aspettate i miei aggiornamenti, siete dei tesori.
Passando a cose serie, finalmente i vostri dubbi sono stati fugati. Dan è il fantomatico direttore editoriale che darà sicuramente filo da torcere a Sam. Purtroppo, si è bruciata con le sue stesse manine e ne pagherà le conseguenze.
In questo capitolo ci sono un po' di citazioni, tutta colpa di Mirya che mi influenza.
Il termine “Cazzone avariato” è ripreso dal film Nottingh Hill, in particolare dal personaggio mitico di Spike che io adoro incondizionatamente.
La canzone di Venditti è “Notte prima degli esami”
“Incantamento” è un termine ripreso dal sonetto di Dante (ve l’ho detto: Mirya mi influenza) Guido i' vorrei che tu Lapo ed io.
"Cimitero dei libri dimenticati" è un omaggio all’ultimo romanzo letto: L’ombra del vento di Zafòn. Consigliato vivamente a tutti.
Credo che sia tutto. Un ringraziamento speciale a Mirya, è grazie a lei se in tante mi seguite. Un augurio particolare a Paula.
Vi ricordo i miei contatti:
Twitter: @congy_
Facebook : Federica Congedo
Gruppo su facebook per avere anticipazioni e spoiler : E Gea tes Congis


Un bacio
Federica

PS: Mi raccontate la vostra ultima figuraccia? Sono molto curiosa :)

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Capitolo 5
*** Questioni di pene ***


Dedico questo capitolo ad una persona importante che sta attraversando un momento difficilissimo.

Francesca, spero di strapparti un sorriso. Ti voglio bene.

 

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Capitolo 4

 

Questioni di pene

 

 

Il mese più orribile della mia vita è appena trascorso. E quando parlo di “più orribile” non uso un eufemismo o non cado nel melodrammatico. È l’assoluta verità.

Da una parte credo essermela meritata.  Parlo troppo, parlo spesso, parlo senza pensare. Che bel connubio. Un connubio che mi porterà ad una crisi di nervi.

Daniele ha mantenuto la promessa, fatta più a se stesso che a me in prima persona: mi voleva dimostrare di essere stronzo come capo e non solo come persona. Bene, c’è perfettamente riuscito.

Dopotutto gliel’ho chiesto io.  Quasi.

La nana non mi ha parlato per una settimana dopo averle detto il pasticcio che avevo combinato. E alla fine della settimana di punizione –non scontabile nemmeno con una vaschetta del suo gelato preferito -, mi ha fatto trovare, attaccato sul muro della mia camera un cartellone con la regola delle dieci “P” : Prima pensa, poi parla, perché parole poco pensate portano pene. L’ultima parola era sottolineata e tra parentesi c’era scritto: “Dove ‘pene’ non è quello che vorresti prendere tu!”. L’ho guardata malissimo anche perché mi ha tolto la battuta di bocca. Ormai sono prevedibile per lei.

E, al lavoro, la stessa cosa. Il desktop del mio pc è occupato dalle stesse parole solo che, al posto di ‘pene’, ha inserito ‘problemi’. Perché? Perché altrimenti avrei pensato solo al ‘pene’ del mio capo e non sarebbe stato costruttivo per me. Che baggianate!

Il grande capo non mi parla più. O meglio: per parlare parla, ma esclusivamente di lavoro. Lo fa per innervosirmi, è ovvio. Ma non dovrei innervosirmi perché io lo odio e gli ho giurato odio eterno, giusto?  Gliel’ho chiesto io, quindi tecnicamente si comporta bene. Praticamente vorrei che si sbottonasse un po’ con me. E non mi riferisco ai pantaloni, anche se la nana afferma che sono talmente attratta da lui che se lo vedessi soltanto con un bottone spuntato lo violenterei sulla scrivania all’istante. Dannata scrivania, non riuscirò più a vederla con gli stessi occhi.

Ma non solo si limita a non parlarmi e a logorare in questo caso i miei nervi, ma mi ha costretta a lavorare con lui nello stesso ufficio. Come è stato possibile? Semplice: mi ha nominato sua assistente. Non so se lo abbia fatto perché mi ritiene in gamba o perché vuole sottolineare il suo essere maschio dominante, ma lo ha fatto. Gli concedo, solo in questo caso, il beneficio del dubbio.

La giornata forse più drammatica è stata proprio quando ha comunicato la lieta novella: quella cioè della mia pseudo-promozione.

 

 

“Ho analizzato tutto il vostro operato in questi giorni e sono davvero molto soddisfatto. Ci sono molte persone in gamba e non posso che essere totalmente fiducioso nella possibilità di una collaborazione assolutamente proficua. Tuttavia, come vi avevo accennato, ho bisogno di un assistente e collaboratore di fiducia che mi assista e ho scelto Samanta Dolce.”

“Samanta io?” non volevo crederci. Non potevo campare tutti i minuti di tutte le ore di tutti i giorni a stretto contatto con lui. Ti odio, Daniele Costa!

“Non credo che ci siano altre Samanta qui tra noi. Ti voglio collocata nel mio ufficio tra un quarto d’ora. Ti ho fatto preparare la scrivania nel mio studio.” Collocata? Non sono un oggetto. Questi furono i miei primi pensieri in quel momento.

“Potete andare!”ognuno se ne andò e mi lascò sola con lui.

“Perché lo hai fatto? Io nno volevo”

“Che tu ci creda o no, sei la migliore qui dentro. Ed è per questo che esigerò ogni goccia del tuo sudore, ogni tratto della tua penna, ogni respiro che uscirà dalla tua bocca – e, solo in quel momento, pensai davvero di adoperare la scrivania per scopi illeciti. Era così sensuale. La sua voce poi, mi sarebbe venuto un infarto – dovrai sboccare il cosiddetto veleno qua, perché da me non avrai tregua” Le sue labbra si erano piegate in una smorfia soddisfatta. Forse voleva ottenere le mie scuse con il suo charme, ma se c’è una cosa di cui sono dotata è la perseveranza. O la testardaggine, che dir si voglia.

“Vai a prendere le tue cose: quindici minuti e ti voglio qui. Non tollero ritardi”. Non che avessi avuto molto da prendere, ma tra scartoffie varie, il mio pc e i miei quadri ci avrei messo un po’ di più. Cominciai a eseguire gli ordini del grande capo con rammarico, dopotutto quello studio mi era sempre piaciuto. Dava su un parco pubblico ed era piuttosto rilassante da osservare. Purtroppo le cose stavano cambiando. E non in meglio.

Entrare nel suo ufficio fu piuttosto complicato. Ero sommersa dalla mia roba e in quel momento nessuna anima pia passava per potermi dare una mano. Bussai perciò con i piedi, ma non mi aprì.

“Daniele, potresti aprire, per favore?”

“Sto lavorando. Non disturbare”

“Daniele, per favore. Daniele!” lo supplicai. Ma guarda te che mi toccava fare.

Alla fine, però, aprì.

“Grazie molte” sibilai tra i denti.

“Era un esperimento.”

“Tu e i tuoi dannati esperimenti” bisbigliai sottovoce. Ma mi sentì.

“Volevo capire quanto avresti impiegato a supplicare e quanto fossi portata con la logica.”

“Non sto capendo, perdona la mia stupidità”

“Se tu avessi un benché minimo senso logico, avresti posato a terra qualcosa e avresti aperto la porta. Invece no! Ti sei abbassata a supplicare di aprirti la porta senza cercare una soluzione adeguata al tuo problema. Sei troppo comoda e lenta, Samanta. E questo non va bene”

 

 

E quello è stato solo il primo di una serie di attacchi, premeditati senza ombra di dubbio, nei miei confronti. Ho voluto lo stronzo? Bene, ora ho lo stronzo, mentre come rapporto interpersonale siamo a zero. Un po’ come la mia autostima che non ha mai toccato punti così bassi, nemmeno con Davide.

 

 

“Cos’è questo schifo?”

“E’ il primo capitolo corretto de’ ‘Il Leone e la gazzella’” esclamai. Mi sembrava piuttosto ovvia come cosa.

“Questo lo noto da me. Quello che non comprendo è come mai questa robaccia sia così poco scorrevole” la tentazione di scaraventargli addosso una fiumana di imprecazione fu forte, fino a quando non pensai alla parola d’ordine di Luciana. ‘Pene’, che non indicava quello che volevo prendere io.

“Ma non ci sono errori grammaticali o di ortografia. Quello è lo stile proprio dell’autore. Ha sempre scritto in questo modo. Lo sai anche tu che oggi come oggi lo stile degli scrittori non risente dell’italiano standard, né per quanto concerne la grammatica, né per i segni di interpunzione” sbuffai, esasperata.

“Samanta, non ti ho scelta per avere delle lezioni di linguistica italiana applicata. Anche Baricco utilizza frasi minime, addirittura ridotte ad essere costituite da una sola parola, eppure il suo discorso è elegante, fluido. Questo è una schifezza” lanciò i foglio contro di me, disgustato. Non dovevo mettermi a piangere, non dovevo. Dopotutto, c’erano volute solo tre ore di lavoro.

“Ma questo è il suo stile. Stiamo per pubblicare il suo terzo libro, lo conosciamo.” lui annuì, forse per cercare qualcosa con cui ribattere. Sorrise, con quel sorriso che mi costringeva ogni volta a trattenermi, o dall’impulso di saltargli addosso, o da quello di prenderlo a schiaffi.

“E, dimmi, Samanta, quante copie abbiamo venduto del suo ultimo romanzo?” abbassai la testa. Mi sentii un’incompetente.

“Meno di cinquantamila.”

“Bene, allora si fa come dico io. Ti devi sforzare a modificare questo testo per renderlo scorrevole. Deve scivolare via come se galleggiasse sull’acqua. Deve essere etereo e impalpabile. Il romanzo ne trarrà profitto sicuramente perchè la trama è davvero grandiosa.”

“Mi stai chiedendo l’impossibile, e tu lo sai. E’ come chiedere ad uno scalpellino di smussare gli angoli delle sculture di Michelangelo”

“Per carità, è un paragone assurdo. Senesi non è il Michelangelo della scrittura. Non sono io che sono esigente, Samanta: ti sto solo chiedendo di fare quello che farebbe ogni sensato revisore di bozze. Le cose sono due in questo caso: o tu non sei in grado di revisionare un testo, oppure ti fai trascinare troppo dai gusti personali. In entrambi i casi non stai facendo bene il tuo lavoro.”Altra martellata sull’unghia del piede. Unghia del piede incarnita.

 

 

Ma non è terminata qui.

 

 

 

“Samanta, devi farmi una valutazione in termini economici di Ciani” Ciani era il nostro ultimo acquisto. Uno scrittore emergente che aveva ottenuto immediatamente le nostre simpatie. Era brillante, con uno stile fluido e brioso. La trama poi era molto suggestiva: a metà tra romanzo gotico e il romanzo d’amore. L’atmosfera cupa che aleggiava all’interno di quelle pagine ti trasmetteva un senso di angoscia che ti impediva di bloccare la lettura. Un libro straordinario.

“Veramente questo non è compito mio. È Luciana che gestisce la contabilità”

“ La devi fare tu: Luciana non è un revisore di bozze e non può capire se vale davvero la pena pubblicare un libro. Proprio perché, come ti ho già detto, il libro non è una questione solamente di soldi. Se Ciani è un autore valido, si può arrivare alla pubblicazione, anche per poche copie vendute. Ma non mi sporco la faccia per un libro trash.”

“Ma…”

“Niente ‘ma’. Siamo una casa editrice media e non possiamo spendere soldi a vanvera. Quando sfonderemo, potremo pubblicare i libri di cani e porci. Ora, fai quella valutazione”

 

 

 

Il colmo, però, è stato stanotte. Perché il grande capo ha deciso di svegliarmi alle due di notte. Avrebbe potuto fare altro, anziché pensare al lavoro. Dormire, per esempio. Anche se, in effetti, a quell’ora sarebbe potuto essere con una donna. Stronzo com’è, anziché farci del buon sano sesso, ha pensato bene di lavorare. Perché mi sento scossa a questo pensiero? Non è gelosia, certamente no. Il mio odio nei suoi confronti è direttamente proporzionale al suo pene a riposo e in attivo. Pene, pene, pene, non quel tipo di pene. Pene è un femminile plurale, non un maschile singolare.

 

 

 

“Samanta, abbiamo sbagliato i calcoli.”

“Posso…posso capire a che ti riferisci? Non è bello essere svegliate a quest’ora.”

“Il romanzo di Sabellio non può essere mandato in stampa martedì prossimo. Ci saranno le vacanze pasquali in mezzo e rischieremmo di posticipare la data di pubblicazione. Dobbiamo mandarlo in tipografia giovedì”

“Giovedì? Ma è tra tre giorni. E io  lascio sempre un margine di tempo per poter rivedere meglio in caso di errori di battitura o altro.”

“Non c’è tempo. Domani voglio i quattro capitoli mancanti sulla mia scrivania. Ci siamo intesi?”

“Ma ho sonno. Dividiamoci almeno il lavoro. Non riuscirò mai a completare tutto per le nove di doma..di stamattina”supplicai controllando l’ora segnata sulla sveglia posata sul comodino.

“D’accordo. Tu farai i primi due, io gli altri. Buon lavoro.” E riagganciò. Avrebbe dovuto darmi la buona notte, non augurarmi un buon lavoro. Dannato, dannatissimo e fottutissimo lavoro.

 

 

 

“Che ci fai sveglia a quest’ora?” la nana, racchiusa nel suo pigiamino viola che sfoggia con tanto orgoglio, entra nel soggiorno. Io, morta per il sonno mancato, sto per crollare sulla tastiera.

“Mi ha svegliato alle due e un quarto per farmi lavorare”

“Chi?” si dirige verso il piano cucina e comincia a preparare il nostro amato caffè.

“Daniele. Quell’uomo mi porterà alla rovina”

“Può essere. Oppure ti porterà all’orgasmo.” Sogghigna soddisfatta.

“Luciana, ti prego, le battute di prima mattina, risparmiatele.”

“Veramente non era una battuta. Sta cercando di attirare la tua attenzione su di sé” annuisce convinta.

“Ma se lo odio”

“Appunto: se lui si comportasse come una persona normale, che accetta passivamente le tua ridicola pretesa di non provare a frequentarvi, tu lo ignoreresti, non penseresti nemmeno a lui. L’odio è un sentimento molto più forte dell’indifferenza e può portare, credo, ad avere un orgasmo multiplo.”

“Che cosa ridicola!” sbuffo, ma non posso pensare alla possibilità che un po’, giusto un po’, gli interessi veramente. Scuoto la testa per scacciare questo pensiero: da dove proviene tutto questo compiacimento?

“Gli uomini sono primitivi e, per comprenderli, ti devi abbassare al livello di homo erectus. Dove eretto non è quello che pensi tu. Bevi, ti farà bene” il caffè ha sempre avuto il potere di inebriare i miei sensi e di darmi la carica. Ma questa mattina, proprio no.

Arrivo al lavoro totalmente rimbambita. E questo non sarebbe grave se non lo fossi già naturalmente di mio. Sarà un disastro oggi.

“Alla buon’ora!” il buongiorno si vede dal mattino. L’unica cosa che mi risolleva sono i suoi occhi. E le labbra. Dannato, dannatissimo e fottutissimo lavoro. Dannato, dannatissimo e fottutissimo Daniele. Perché devi essere così affascinante?

“Sono solo cinque minuti di ritardo. Non farla tanto lunga.”

“Se fai cinque minuti di ritardo oggi, cinque domani e cinque dopodomani, alla fine arriverai ad assentarti dal lavoro per giorni interi.”  E penso: pene, pene, pene. Oh, accidenti! Riesco a figurarmi solo una cosa. Fortunatamente, proprio nel mio pensare a quel tipo di pene, riesco a non rispondere male come vorrei.

“Come comandi tu, capo. Eccoti i capitoli.” Gli lancio la chiavetta usb e non mi rivolge più la parola intento com’è ad analizzare il romanzo.

“Hai fatto un buon lavoro” alzo gli occhi dal pc e lo osservo, basita.

“Dici a me?”

“Non c’è nessun altro qui dentro e le probabilità che io mi stia complimentando da solo sono piuttosto scarse.”

“Beh, grazie” non gasarti, Sam, per favore.

“Che stai correggendo?”

“Un capitolo di Ciani”

“Oggi dovrai fare altro per me.” Altro? Frena gli ormoni, santo cielo. E’ il tuo capo. Pene, pene, pene. Sì, giusto.

“E cosa?”

“Devi andare a Firenze”

“Firenze?”

“Sì. Anni fa ho letto un romanzo davvero ben scritto di un mio collega d’università, nonché grande amico, Carlo Bianchetti e vorrei che andassi a ritirarlo da lui. Vorrei poterci andare io, ma ho una riunione con il consiglio di amministrazione. Ti ho prenotato il biglietto di andata e di ritorno e ti ho scaricato il percorso da fare per arrivare a casa sua.” Preferivo essere presa sulla scrivania, veramente. L’idea di spostarmi non è affatto allettante. Ho un senso dell’orientamento davvero orribile e sono già sicura che mi perderò.

“D’accordo, Daniele”

“Ah, un’altra cosa: quando avrai ritirato il manoscritto, vorrei che andassi alla casa editrice Vallecchi per ritirare un volume di Giovanni Papini, ‘Le memorie d’Iddio’. L’ho letto da giovane, ma purtroppo non è più in vendita presso nessuna casa editrice e ho pensato che sarebbe stata una buona cosa rimetterlo in circolazione. Tu sai chi era Giovanni Papini, vero?” mi sento punta nel vivo. Posso essere comoda e lenta, posso essere trasportata dai libri, posso essere influenzata dallo stile dell’autore. Ma se c’è una cosa che non sono è l’essere incompetente.

“Giovanni Papini è uno scrittore futurista, un scrittore eclettico che è noto soprattutto per la sua attività giornalistica.”

“Hai imparato bene la lezione, Samanta. Puoi andare. E non tornare senza il libro di Papini. Non so se faranno storie o meno, ma se lo faranno, voglio che usi tutte le tue arti per prenderlo” è un invito più o meno velato a prostituirmi? Maledetto!

“Se il loro capo è affascinante, perché no? Oppure potrei usare il mio gancio destro. Mi hanno detto che è particolarmente efficace. Tanto da riuscire a mandare un uomo alto e forte all’ospedale” e, per la prima volta, dopo quasi un mese, vedo un sorriso sorgere spontaneo sulle sue labbra. Poi scompare immediatamente.

“Vai a fare il tuo lavoro, Samanta” non c’è una traccia di umorismo nella sua voce. Capisco di aver sbagliato il mese scorso, ma mi sembra un tantino esagerato il suo comportamento. E poi, anche lui ha preteso troppo da me. Come fai, senza nemmeno conoscermi, a baciarmi, a dirmi che sei interessato a me? Non è così che devono andare le cose. Certo, se ripenso a Davide che ci ha messo due anni per dirmi che mi amava, beh, anche questo non va bene. Ma le mezze misure non esistono più? La mia voce interiore dice che nemmeno io sono per le mezze misure, ma la metto a tacere. Ho ragione io. Punto.

Controllo il biglietto del treno e mi accorgo di essere in ritardo: devo correre immediatamente alla stazione.

Perché non esistono i taxi efficienti come a New York? Lì fischi e dieci taxi si fermano, soprattutto se sei una bella donna. O almeno è quello che capita nei film. Io, sfortunatamente, non sono mai stata a New York e non sono una bella donna. Carina, forse, ma non bella. Inoltre, qui a Milano, il sistema non solo dei taxi, ma dei mezzi di trasporto in generale è abbastanza pietoso. Mi tocca prendere la metropolitana, sperando che non faccia i soliti tredici minuti di ritardo. E mi tocca anche cambiare dalla linea rossa alla gialla. Che giornata!

E io ho sonno.

Dopo non so quante imprecazioni, quanti spintoni visto che è ora di punta, l’ora del SUCA, dopo un cambio alla fermata Duomo, e dopo aver ceduto il posto ad una vecchietta che di dolce aveva solo il diminutivo visto che non si è degnata nemmeno di ringraziare, arrivo alla stazione Centrale. Non prendo il treno da un sacco di tempo, ma la stazione è mutata. Hanno creato un labirinto di scale mobili da fare invidia alle scale di Hogwarts. Giornata lunga, lunghissima.

Per un soffio riesco a prendere il treno dopo averlo, per un soffio, obliterato. Il viaggio non dovrebbe essere lungo, sulle due ore circa, ma non posso impedire ai miei occhi di chiudersi. Oltretutto, non potrei nemmeno lavorare: ho sempre il mal di testa quando viaggio. Cerco di rilassarmi, ma l’unica cosa che mi ritorna alla mente è lui: Daniele. E per una volta mi concedo il lusso di non pensare al suo pene, ma alle mie pene strettamente connesse a lui. Non riesco a capire il suo comportamento. Si dice che le donne siano quelle indecifrabili,  quelle che quando dicono: “Fai che vuoi!” intendono dire: “Se non fai come dico io, ti eviro!”, oppure che esclamano:“Vattene via!” sottintendono un bel: “Resta con me e coccolami”, quelle che hanno cambiamenti d’umore repentini. Tutto questo è vero. Ma allora, o Daniele è una donna travestita da uomo, oppure c’è qualcosa che non va, qualcosa che sfugge a me, ma che sicuramente fa parte di qualche piano malefico. Vuole portarmi alla pazzia? Pochi mesi e mi dovranno rinchiudere. Vuole licenziarmi perché non sopporta che mi sia comportata in un modo così scortese con lui, ma, non potendolo fare senza un buon motivo, aspetta che sia io ad andarmene? Anche questa è una questione risolvibile in pochi mesi. Sono sull’orlo di una crisi di nervi. Vuole che io ceda alle sua avances? In questo caso riuscirò a resistere. Sono testarda e non mi faccio corrompere così facilmente. O al massimo chiederò ad un gigolò di professione di soddisfarmi in modo da non cadere nelle braccia del mio capo. La nana ha sempre ragione. Vuole dimostrarmi che può essere uno stronzo anche come capo? Credo che ci sia abbondantemente riuscito.

La soluzione mi sfugge, ma la situazione è sempre uguale per me: sono immersa in un mare di peni…problemi, problemi, problemi. Dannata nana.

Senza pensare ad altro che a questo, arrivo a Firenze. Ho sempre amato questa città che, per un motivo o per un altro, ho soltanto visto in varie foto sui libri di storia dell’arte. Mai visitata. Eppure per molti anni è stato il mio sogno nel cassetto.

Controllo la cartina che mi ha gentilmente stampato il mio amato capo e capisco che non sarà facile arrivare né dal suo amico scrittore, né alla casa editrice. Posso provare con i filobus, ma credo che ci metterò molto tempo. Non mi devo abbattere, devo dimostrare che sono in gamba e che posso mantenere il mio posto di lavoro e che non sono da meno ad un pallone gonfiato che pensa che tutto il mondo dipenda dalla sua casa editrice.

Proprio quando decido di provare, nonostante la mia pessima capacità di orientamento, a prendere un filobus, ecco spuntare un auto bianca. Un taxi. Allora non esistono solo a New York.

Via Verdi, 43.

Il taxi riesce a portarmi a destinazione in meno di mezz’ora. Spero solo che  non mi attenda qualche sorpresa negativa. Daniele ha detto che questo Carlo Bianchetti è un suo amico. Gli avrà parlato di me? Cosa gli avrà detto? Vuole farmi fare un’ulteriore figuraccia? Da un mese a questa parte non faccio altro: una in più o in meno non farà la differenza. No, non credo che succederà questo: è un stronzo, ma uno stronzo che fa bene il suo lavoro e che, se non si fidasse di me, non mi affiderebbe dei compiti tanto importanti. Mi cullo su questa convinzione quando busso alla porta.

Mi apre un ragazzo, qualche anno più grande di me, credo, dagli occhi e dai capelli neri.

“Carlo Bianchetti?”

“Samanta Dolce?” sorride amabilmente. È affascinante, certo, ma non quanto Daniele. Lui ha qualcosa in più che non so ben spiegare in realtà. Cos’è?

“Come sapeva che sarei venuta io?”

“Me lo ha detto Daniele la settimana scorsa. Mi ha parlato molto di lei”

“Se le fa piacere, può darmi del tu”

“Ma certo, solo se lo fai anche tu. Entra in casa. È piuttosto fresco oggi, nonostante ci sia il sole.”

“Quindi, Daniele ti ha parlato di me? Avrà parlato male, immagino”un sorriso amaro si dipinge sulle mie labbra.

“Oh, tutt’altro, invece. Credo di non averlo mai visto tanto infervorato per una ragazza”

“Veramente io sarei la sua assistente. E voglio sottolineare che non c’è nessun tipo di relazione tra noi che non sia di tipo professionale”

“Excusatio non petita…”

“Accusatio manifesta. Conosco il proverbio latino. Ma, in questo caso, ho solo dichiarato un dato di fatto”

“Può essere. Io non ti conosco Samanta, ma conosco Daniele. Sono dodici anni che lo frequento e abbiamo fatto insieme tutte le esperienze possibili. Anche quelle meno lecite. E posso assicurarti che non l’ho mai visto così interessato ad una donna. È stato molto il tipo da sesso senza amore, non so se mi spiego”

“Certo, capisco perfettamente. Come vi siete conosciuti?” dire che non ho sentito una scossa al petto per la descrizione di Daniele, per il suo “sesso senza amore”, sarebbe una bugia. Mi fa male.

“All’università. Seguivamo alcune lezioni insieme solo che io studiavo lettere classiche. C’è stata subito alchimia tra noi. Non sentimentale, tranquilla, siamo entrambi etero. Io, inoltre, sto quasi per sposarmi.”

“Anche se foste omosessuali, io non avrei problemi”

“Sì, come no” non mi crede. Pensa che io sia attratta da Daniele. Un po’ è vero.

“No, è vero. Sono assolutamente contraria alle relazioni tra colleghi di lavoro. E, inoltre non provo nulla per Daniele. È solo il mio capo”

“Farò finta di crederci, Samanta. Comunque, lavorativamente parlando, Daniele è molto soddisfatto del tuo operato”

“Scusa, ma stiamo parlando dello stesso Daniele? Perché tutto quello che mi dice il mio amatissimo e dilettissimo capo è che non sono un buon revisore di bozze”

Alza le spalle con sufficienza, come per voler screditare le mie parole.

“Bisogna andare al di là di quello che le persone dicono o mostrano. Solo allora potremmo dire di averle capite veramente” rimango a fissarlo, un po’ in soggezione in realtà. Un po’ spaventata dalle sue parole.

“Sei un filosofo?”

“No, sono un’insegnante di lettere. Ma col tempo si imparano certe cose.”

“Mi sarei aspettato una frase del genere da un cinquantenne, non da un mio coetaneo quasi.”

“Beh, non è l’età che conta, quanto le esperienze che abbiamo fatto.”

“Già – controllo l’orario e mi accorgo che è tardi. No ce la farò a fare tutto quanto – non per metterti fretta, ma devo andare dall’editore Vallecchi e fra due ore e mezzo ho il treno. Rischio di fare ritardo e poi chi lo sente il tuo amico?”

“Ah, se c’è una cosa che Daniele odia è il ritardo. Non so quante volte mi ha lasciato senza passaggio quando facevo ritardo.” Sorride, ma io, al suo posto, nei confronti di Daniele, mi sarei incavolata di brutto. Com’è che quest’uomo è così arrogante, borioso, pieno di sé, è così stimato e apprezzato da tutti?

Mi porge, quasi con tristezza, il manoscritto. È fondamentale per il grande capo che l’autore si conosca immediatamente con l’editore. Per questo, una volta che decide di pubblicare un libro, invia il revisore di bozze incaricato per la revisione di quel testo dall’autore. Credo che sia una buona idea. È necessario che ci sia subito un certo feeling tra le varie parti.

“ ‘Il sole in inverno’, mi piace come titolo. Di cosa tratta?”

“Parla del fatto che bisogna andare al di là di quello che le persone dicono o mostrano” lo osservo curiosa. Quest’uomo ha un carisma non indifferente.

“Quindi è autobiografico”

“Sì e no. A te capire cosa lo è e cosa no” sorride e io ricambio.

“Grazie, Carlo. La mia visita da te è stata molto istruttiva.”

“Ci vediamo tra due settimane, Samanta. Ho lavorato quindici anni a quel libro. Cerca di valorizzarmelo bene” sembrerebbe una critica, ma il suo sguardo mostra tutt’altro: la sua più totale devozione verso la sua opera che ha cresciuto e amato come un figlio. Ecco perché amo il mio lavoro.

 

La casa editrice è piuttosto semplice da raggiungere. Si trova al centro, a pochi passi dal Giardino della Fortezza. Firenze non ha nulla a che vedere con Milano. Quest’ultima è una città fredda, caotica, invivibile e a tratti anche puzzolente. Qui tutto è a misura d’uomo. Se potessi mi trasferirei all’istante.

“Posso aiutarla?” una ragazza sulla ventina mi parla al di là di una scrivania.

“Sì, sono Samanta Dolce e sono un revisore di bozze dell’Agape editore di Milano. Dovrei incontrare il direttore editoriale”

“Mi spiace, signorina, ma il signor Manzi non c’è” cosa? Come? Credo di non aver sentito bene. Non posso fallire, non oggi e non per un’inezia del genere.

“Per me è importante incontrarlo. Dove lo posso trovare?”

“Oggi non c’è, mi spiace e non ha detto quando tornerà”

“Lei non può aiutarmi in alcun modo?”

“Io faccio la segretaria qui, ma, se posso, la aiuterò volentieri” oggi è la mia giornata fortunata. Non devo gridarlo troppo forte, però.

“Sì, il mio direttore editoriale vorrebbe una copia di un libro non più in circolazione, un libro della vostra casa editrice per comprare i diritti d’autore.” Spiego.

“Sì, ho capito. Se mi dice quale libro state cercando proverò a trovarlo nel nostro catalogo.”

Amo questa donna.

“Sono ‘Le memorie di Iddio’ di Papini.”

“Controllo subito” infila gli occhiali, probabilmente sono di sola lettura.

“Di che anno è?” controllo l’incartamento che Daniele mi ha dato e rispondo: “1912”

“Signorina…”

“Mi puoi chiamare Samanta, se vuoi. E puoi usare il ‘tu’”

“Io sono Silvia, piacere. Quello che devo dirti, però, non ti farà piacere” sembra in preda al senso di colpa.

“Ossia?”

“ ‘Le memorie di Iddio’ non sono registrate nel catalogo”

“Cosa?” sgrano gli occhi e mi mordo la lingua. L’avevo detto che non bisognava pensare di aver avuto fortuna.

“Non c’è alcun libro con questo titolo. Tutte le opere di Papini ci sono, ma non questa.”

“E’ impossibile. Quel libro è stato stampato sicuramente. Forse non è stato registrato” non posso tornare a mani vuote, ne va della mia dignità.

“Può essere. In tal caso bisognerebbe controllare nel catalogo cartaceo.”

“Bene”

“Il catalogo cartaceo è a Pisa, sottoposto ad uno studio dell’università.”

“Oh, cazzo! Perdonami!” ma perché non riesco mai a controllarmi? Ha ragione la nana: sono uno scaricatore di porto.

“Non preoccuparti, avrei usato espressioni anche più colorite se fossi stata nei tuoi panni. L’unica cosa che possiamo fare prima di arrenderci è controllare l’archivio che contiene due o tre copie di tutti i libri pubblicati dalla Vallecchi”

“Benissimo, posso andare da sola se tu hai da fare”

“D’accordo, ti accompagno immediatamente”

L’archivio è quanto di più polveroso esista. Ormai è tutto catalogato al pc. Se da una parte è comodo, dall’altra non scambierei l’odore dei libri per nulla al mondo. L’emozione che si fa spazio mentre si volta pagina o mentre si tocca l’inchiostro nero inciso a chiare lettere, no, questo non te lo potrà mai dare una misera schermata del computer.

Questa sorta di biblioteca è suddivisa in settori: per anno di pubblicazione, per tipo di scritto, per autore.

Comincio proprio con quest’ultimo.

Non c’è nulla.

Se è un’opera di Papini, come fa a non essere catalogata sotto il suo nome? C’è di tutto, perfino il suo diario. Ma de’ ‘Le memorie di’Iddio’ neanche l’ombra.

Provo con l’anno. 1912.

Niente.

Provo con la categoria “giornalisti futuristi”.

Niente.

Papini, ma dove cazzo sei finito? Oltre che all’altro mondo, ovvio.

Controllo nuovamente le sezioni. Ma, come nelle addizioni in cui spostando gli addendi la soluzione non cambia, anche qui la situazione resta identica.

Questo libro si è come volatilizzato.

E ora chi lo sente l’uomo?

Mi toccherà la sua sfuriata.

Torno nell’ingresso, delusa e amareggiata. Un’altra sconfitta per me. Non ci voleva questa.

“Sei fortunata, è appena arrivato il direttore editoriale. So che è un grande appassionato di Papini, ti potrà sicuramente aiutare.”Silvia mi sorride e mi guarda come se mi avesse salvato la vita. Ion effetti, un po’ è così.

Siano ringraziati tutti i santi!

Mi faccio presentare da Silvia ed entro nel suo studio.

“Buon pomeriggio, sono Samanta Dolce e sono un revisore di bozze della casa editrice Agape”

“ Giuseppe Manzi” un uomo robusto con dei grandi baffi argentei mi sorride bonario mentre ci stringiamo la mano.

“Allora, signorina, in cosa posso esserle utile?”

Per l’ennesima volta ripeto questa frase: “Mi servirebbero ‘Le memorie d’Iddio’ di Papini. Vorremmo ripubblicarle”

“ Siete sicura che sia quella l’opera che cercate?”

“Sì, sicurissima” mi osserva dubbioso e scoppia a ridere. Una risate piena, gioiosa, irresistibile. Ma io non rido, anzi, sono piuttosto irritata dal suo comportamento.

“Potrei sapere perché ride?” prima pensa, poi parla, prima pensa, poi parla. Aboliamo il pene. Sì, come no. Risulto acida persino alle mie orecchie.

“Signorina, ma lei conosce Papini come scrittore?”

“Beh, non è certamente uno degli autori che conosco meglio, ma qualcosa la so” quanto mi sento ignorante in questo momento.

“Dovrebbe sapere che Papini ha avuto una conversione religiosa.”

“Sì, e allora?”

“Il testo che lei vorrebbe è un’opera totalmente atea di cui Papini ha fatto bruciare tutte le copie al momento della conversione. Quel libro non esiste più”

Ecco.

Mi cade il mondo addosso in un attimo.

Per qualche secondo non riesco a respirare, nemmeno a credere a quello che mi ha appena detto.

Poi torno a respirare e a rendermi conto della cantonata che ho appena ricevuto.

“Mi scusi del tempo che le ho sottratto, signor Manzi. E perdoni la mia stupidità” esco in silenzio, con la coda tra le gambe, senza avere nemmeno la voglia di arrabbiarmi. Saluto distrattamente Silvia e vado alla stazione.

Arrivo giusto in tempo per il treno.

E per le due ore successive non faccio altro che ripetermi di non piangere. Non mi sono mai fatta vedere piangere da nessuno eccetto che dai miei genitori e da Luciana e oggi non sarà un’eccezione. Dopotutto, non è successo nulla di grave. Mi ha solo preso in giro mettendo in luce la mia ignoranza. Nulla di grave, nulla di grave. Perché sono così distrutta, allora?

Arrivo a Milano, arrivo all’Agape.

Salgo le scale seguita dall’occhiata materna di Antonietta.

Entro nel suo studio. È seduto verso la finestra e non mi vede.

“Eccoti il romanzo del tuo amico.” Glielo getto malamente sulla scrivania.

“E Papini?” lo sento ridere sottovoce.

“Grazie”

“Cosa?” si volta e sgrana gli occhi. Quello che vede forse non gli piace. Meglio per me. Anche la nana sbaglia.

“Per avermi affossato così tanto. Nemmeno Davide ci era riuscito in cinque anni. Ma tu sei stato un vero e proprio campione: in un solo mese ce l’hai fatta. Complimenti!”

“Samanta, che hai in viso?” si alza immediatamente e mi raggiunge. Mi scanso. Non voglio avere niente a che fare con lui.

“Non mi toccare.” Lui allontana la mano che si era alzata in direzione del mio viso.

“Hai delle macchie rosse, simili a bolle.” prendo lo specchietto dalla borsa e mi osservo. Che sta succedendo alla mia faccia?

“Beh, non mi è mai successo. Complimenti anche per questo: sei il primo ad avermi provocato una reazione allergica. Sarai soddisfatto.”

“Ti accompagno in ospedale: non stai bene. Dovrai fare cortisone, antistaminico e…”

“No, io non verrò da nessuna parte con te”

“Ma, Sam…”

“Luciana, lei deve accompagnarmi. Tu non sei nessuno per me.” Continua a guardarmi imperterrito, gli occhi freddi.

“Ti prego, Sam, io..io non immaginavo..”

“Cosa non immaginavi? La mia amarezza o la mia reazione allergica? E’ inutile che fai finta di sentirti in colpa. Siete tutti uguali, voi uomini, a partire da Davide. Non avete remore quando si tratta di far soffrire una donna.” Un lacrima, una sola, bastarda, scende sul mio viso. La scaccio immediatamente. Almeno questa soddisfazione non voglio dargliela.

“Chi è Davide?”

“Non ha importanza. Comunque, un uomo migliore di te. Ha solo impiegato cinque anni per distruggermi. ”

 

 

 

 

Finito!

Scusate il ritardo mostruoso. Come ho detto a chi ha recensito lo scorso capitolo, ho avuto dei problemi di famiglia molto gravi che mi hanno reso impossibile la scrittura. E’ una storia stupida e banale, e per questo non riuscivo a scriverla. Inoltre sto portando a termine la mia prima ff e devo dare spazio a quella.

“Excusatio non petita, accusatio manifesta” è un proverbio latino che significa: scusa non richiesta, accusa manifesta. Imparate dai latini, mi raccomando.

Sabellio è un eretico del III sec aC di cui ho preso solo il nome.

La vicenda di Papini è vera, totalmente vera. E’ un autore che amo molto e di cui ho conosciuto la storia grazie alla tesina della maturità. Vi lascio la vita: Giovanni Papini.

Grazie per essere giunte fino a qui e per avermi aspettato.

Un bacio

Federica

 

 

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Capitolo 6
*** Biscotti e Nutella ***


Abbiamo trovato il vero volto di Daniele!!! Ecco perciò un nuovo banner realizzato dalla eccezionale e disponibilissima Poison Spring. Grazie cara!

Dedico il capitolo, visto che siamo quasi a San Valentino, al mio amore Samy88, la vera Samanta.

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Capitolo 5

 

Biscotti e Nutella

 

Mi sveglio per un vociare inatteso, un rumore di sottofondo che non concilia il mio sonno. Sono le tre del mattino, dannazione! Chi è  che chiama o parla a quest’ora? Mi alzo e, scalza, vado ad origliare. Non si dovrebbe fare, ma quale persona sana di mente telefonerebbe a notte fonda?

“Sì, Daniele, sta bene. No, non devi preoccuparti. Le hanno fatto l’antistaminico. Sì, adesso si è sgonfiata, le bolle sono quasi scomparse. Dovrebbe fare le prove allergiche, ma credono che sia solo dovuto a stress e…”

“Si può sapere che stai combinando?” strillo. In questo momento, ammazzerei la mia migliore amica.

“Ok, Daniele, ci vediamo domani. Ciao” chiude la chiamata e mi fissa, incredula.

“Luciana, dimmi che quello al telefono non era Daniele”

“Cambierebbe qualcosa?”

“Sì, Luciana, sì. Non volevo parlargli, non volevo che sapesse come stessi. Perché devi sempre intrometterti?”

“Era preoccupato. Sai quante volte ti ha chiamato da pomeriggio? Te lo dico io: venticinque chiamate, una ogni quarto d’ora circa.  Più quindici messaggi.  E tu non ti sei degnata di rispondere. Nemmeno di inviare un insulso messaggio con scritto: ‘Sto bene’. Lui ha sbagliato, ma tu, proprio perché parli tanto della cosiddetta superiorità delle donne, dovevi dimostrarti superiore. E non mi sono intromessa. Lui ha  chiamato me. Non ho risposto a nessuna delle telefonate che ha fatto a te, quindi non colpevolizzarmi sempre.” Poche volte l’ho vista così arrabbiata. E poche volte lo sono stata anch’io in questo modo.

“Se ti sta così simpatico Daniele, vai ad abitare da lui. Se sei mia amica dovresti stare dalla mia parte e non allearti con il nemico.”

“Fottiti, Samanta. E te lo dico con tutto l’affetto possibile” si rimette sotto le coperte e mi volta le spalle.

“Oltre al danno la beffa. Grazie, Luciana” il sarcasmo sta per dilagare.

“Oh, non fare la melodrammatica, per favore. Se c’è una cosa che non sopporto è chi si piange addosso”

“Sai che non sono una che si piange addosso, Luciana. Ma mi sento così umiliata. E non può chiamare adesso, non dopo quello che mi ha fatto e dirmi che è pentito” scoppio a piangere: l’ansia, la preoccupazione per la reazione allergica, la stanchezza, la delusione riescono a traboccare dai miei occhi.

“Vieni qua, Sam. Il letto è grande e per te c’è sempre posto. Dopotutto sono una nana” tira la coperta e mi fa spazio. In questo momento mi sento ridicola: così grande e ho ancora bisogno di tutto questo? Sì, in questo momento ne ho bisogno.

Rimaniamo per qualche minuto in silenzio. Dobbiamo entrambe sbollire la rabbia accumulata in questi ultimi minuti.

“Nana, secondo te perché ho questa sfiga con gli uomini? O meglio, perché sono circondata da uomini così ritardati emotivamente?”

“Gli uomini sono ritardati emotivamente. Per dirla alla Hermione Granger, hanno la capacità emotiva di un cucchiaino.” Hermione Granger, grande donna.

“Uhm, credi che sia colpa mia?”

“Che intendi dire?”

“Pensi che io abbia qualche problema ad approcciarmi con gli uomini? Prima Davide, adesso Daniele…”

“Ma Daniele non era il tuo capo?” la sento ridere al buio.

“Sì, ma…”

“Ti senti attratta da lui. Dopotutto è un gran bel figo. E poi è colto, intelligente, brillante e…”

“Dannatamente stronzo. Non negarlo. Dopo quello che mi ha fatto, non puoi ostinarti a difenderlo.”

Ribatto secca. Se c’è una verità incontrovertibile è questa: Daniele è una grandissimo, colossale stronzo.

“Non ne sono ancora così sicura”

“Luciana, ma è palese! Come fai ancora a dubitarne?”

“Bah, io credo sempre che dietro ad ogni azione ci sia sempre una ragione più o meno valida. Il sesso, per esempio. Sai, quello è alla base di tutto”

“Ma piantala!” ribatto scoppiando a ridere. Ecco ritornata la mia nana, quella che se non inserisce per ogni frase un riferimento al sesso non è contenta. E a me piace.

“Sinceramente credo che tu debba lasciargli spiegare il suo punto di vista, il perché abbia agito così. Solo allora potrai mandarlo a quel paese.”

“No, non voglio parlargli. Ha oltrepassato il limite. Ha ferito il mio orgoglio e questo non lo accetto da nessuno.”

“Anche tu non ci sei andata tanto leggera.” Mi sento punta nel vivo. Sì, in effetti ho esagerato, mi sono presa delle libertà eccessive nei suoi confronti. Però…

“Beh, adesso siamo pari. Non abbiamo bisogno di chiarimenti.”

“No, avete bisogno di una sana…” Ed ecco un’ulteriore battutina a sfondo sessuale. Luciana la annovero nel gruppo del “Chi molto parla, poco pratica”. Lei credo che sia in astinenza da più tempo di me. Ma, dietro la sua scorza da allupata, credo che sogni ancora l’amore romantico, quello che ti sconvolge mente e corpo. Lei non l’ha ancora trovato.

“Non osare dire ‘scopata’. Non è di questo che abbiamo bisogno.”

“Oh, sì invece. Ti guarda sempre il culo quando cammini. Pensa costantemente a cosa potrebbe farci con quel culo.” sogghigna.

“Ma chi?”

“Gargamella, ovvio. Sam, secondo te, chi? Daniele!”

“Non è vero.”

“Sì che è vero e, comunque, anche tu sbavi per lui. La soluzione, quindi, è una sola.”

“E sarebbe?”

“Una scopata. Almeno vi togliete qualche sfizio e inoltre potete capire se c’è affinità a letto. Ops, sulla scrivania.” Ma che assurdità dice? Mi alzo, sfiancata da questo conversazione, dal suo letto e vado in camera mia.

“Buonanotte, nana” mi rintano sotto le mie coperte e cerco di addormentarmi nonostante il suo viso mi ritorni in mente con una nitidezza agghiacciante. Dove sono i miei guantoni quando servono? Oggi li avrei utilizzati volentieri contro di lui. Però mi sembrava così dispiaciuto. Scuoto forte la testa: non devo pensare a Daniele, non ci devo pensare. Lui è uno stronzo e io sono stata la vittima del suo scherzo di pessimo gusto, questo è quanto.

Con fatica mi riaddormento.

 

 

Mi alzo scombussolata e con un forte mal di testa. A chi imputare la colpa? A Daniele, ovvio. E’ sempre colpa sua. Non ci sono congiunzioni astrali che tengano quando lui gravita nel mio mondo. da quando c’è lui tutto va miseramente uno schifo. So io di cosa ho bisogno: di tanta, tantissima Nutella spalmata sui biscotti secchi. C’è chi dice che quando sta male psicologicamente non riesce a mangiare. Tutte balle per me: se sto male di testa almeno lo stomaco deve godere. Questa è la mia filosofia.

Bene, la nana non c’è. Meglio per me, altrimenti mi avrebbe perseguitato dicendo di non mangiare quelle schifezze. Ma non c’è e me le mangio.

Apro la nostra dispensa e cosa trovo? Il nulla. Non c’è niente da mangiare. Al posto delle mie leccornie c’è un misero post-it. Maledetta nana. Mi ha fregato.

 

Cara la mia porca,

non troverai niente in casa. Ho portato tutto in ufficio e banchetteremo là con la tua nutella, i tuoi biscotti e le tue patatine. Digiuna e fai penitenza.

La tua nanetta del cuore.

 

PS: Non hai neanche la carta di credito e soldi nel portafoglio. So che quando hai una necessità sei piuttosto inventiva. Stavo pensando di portar via anche i croccantini dei gatti, ma voglio darti fiducia :P

 

PPS: non c’è neanche il gelato. Non voglio che ti riduca a  una balena come quando hai rotto con Davide.

 

 


 


Porca, porca, porchissima Eva! Come lei mi devo accontentare di una mela. Forse è meglio una banana, in effetti. Dopotutto, anche Eva ha avuto la sua.

Odio profondo verso la nana. Sarei tentata di mettere tutto in una valigia e lasciargliela all’ingresso di casa. Forse non basta una sola valigia, ma non importa. Potrei sempre appendere i suoi perizomi sulla porta d’ingresso del vicino. Mi è sembrato particolarmente interessato alla nana.

Ma, mentre sono immersa nelle maledizioni in copto verso la mia carissima coinquilina, ecco l’illuminazione: 100 euro sono nel libro di Nigro, il libro più brutto che io abbia mai letto, conservati per poter essere usati in caso di  necessità. Ho necessità impellente di nutella! La voglio, la bramo, la desidero. Solo lei può tirarmi su. Ma prima mangio la frutta: devo cercare di prendere in giro la nana. Saprà altrimenti che avrò bleffato e chi riuscirà a sopportare i suoi schiamazzi?

Mentre sbuccio la mia banana, non oso immaginare i doppi sensi che trarrebbe Luciana da questo piccolo atto,  sento il citofono squillare. Oh, santa miseria!

“Quel coglione! La visita fiscale doveva mandarmi, porca di quella maiala” sono talmente arrabbiata che sferro un calcio alla gamba del tavolo. Piccola considerazione da fare: indosso solo un paio di calzini!

“Cazzo, cazzo, cazzo!” impreco. Una cosa giusta può esserci nella mia incasinatissima vita?

Il campanello continua imperterrito a suonare. Tenendomi il piede saltello su una gamba sola fino alla porta e la apro.

Non è l’uomo della visita fiscale.

E’ il coglione.

E’ Daniele.

Chiudo la porta immediatamente.

Ma…ma come si permette di presentarsi a casa mia? È il mio capo e basta, può vedermi domani in ufficio e, se davvero è dispiaciuto, chiedermi scusa lì. Non capisco perché debba venire a casa mia. Con che diritto poi.

Lascio che il campanello squilli più e più volte, ma non ci bado. Ho bisogno di nutella. Ora che ho visto il mio capo anche di un po’ di panna spruzzata direttamente in bocca.  E di biscotti, tanti, tantissimi biscotti.

Mi vesto rapidamente senza badare ad accostamenti o colori: devo andare in un supermercato, non ad una sfilata di moda. Jeans e maglioncino bianco. Mi guardo allo specchio e inorridisco: le macchie, sebbene più chiare rispetto a ieri sera, sono comunque molto evidenti sulla mia carnagione lattea. Dannazione, neanche il correttore mi potrà aiutare. Spero che non mi prendano per un untore di peste bubbonica.

Infilo il giubbino di pelle, prendo i miei gelosi risparmi chiusi in quell’orribile libro ed esco. E lo ritrovo sulle scale, immobile. Gli occhi scuri fissi su di me e un sorriso a metà tra il sollievo e lo sconforto.

“Finalmente hai aperto!” si alza dal penultimo gradino della rampa e mi viene incontro. Mossa sbagliata. Senza degnarlo di uno sguardo, scendo le scale rapidamente cercando di non inciampare nei miei stessi piedi.

“Sam, aspetta, voglio parlarti!” sento che è dietro di me, ma non mi fermo. Non voglio vederlo. Non oggi, non adesso.

Mi agguanta per un polso proprio mentre sto per uscire dal nostro condominio. In un attimo mi ritrovo addossata al muro. Lui è troppo vicino a me. Troppo. Sento il suo respiro sul mio viso, le sue mani ancora strette sulle mie, il suo torace premuto contro il mio. Non devo baciarlo: io lo odio.

“Se non ti sposti immediatamente ti arriva un calcio ai gioielli di famiglia che non basterà una corsa all’ospedale. Lasciami subito”

“In realtà non lo vuoi. Lo so io e lo sai anche tu. Ci stiamo solo prendendo in giro, Samanta. E io non lo sopporto” La sua stretta si fa più decisa. Morirò di autocombustione, è certo.

“Cosa sai tu di quello che io voglio o non voglio? Io esigo che tu adesso ti sposti”. E il calcio arriva. Proprio lì. Ho dosato la forza, di certo non voglio portarlo in ospedale. Non con la mia macchina almeno.

“Porca puttana!” si piega su se stesso tenendosi la parte lesa.

“Ben ti sta”

“Sì, hai ragione” sussurra rimessosi in piedi.

“Cosa?”
“Nulla, non preoccuparti” Esco senza guardarlo negli occhi sia per la vergogna, sia per la rabbia e mi incammino verso il mio minimarket di fiducia. Non ho tempo per andare all’Ipercoop del Bonola. Mi volto per controllare se se ne sia andato  e lo vedo seguirmi.

Sul suo visto si stampa un sorriso furbo di chi la sa lunga e di chi ha già preventivato tutto: “Mi hai detto di spostarmi, non di  non seguirti”

“Daniele, smettila. Io non sto giocando. Perché deve essere tutto tremendamente divertente per te? Perché tutto ironico e sarcastico? Fattelo dire: hai un’ironia e un sarcasmo del cazzo!”” mi fermo in mezzo al marciapiede e lo fronteggio. Non ne posso più: sento che mi verrà nuovamente una reazione allergica.

“Neanch’io sto giocando, ma se questo è l’unico modo per avere la tua attenzione, allora sono disposto a comportarmi come un bambino”

“Bene, fa’ pure. Ma non è detto che tu avrai una mia reazione di qualche tipo.” continuo a camminare imperterrita e anche lui mi segue. La sua camminata è morbida, fluente. Ne riconosco la falcata per il modo in cui le foglie si frantumano sotto i suoi piedi. Quasi silenziosamente. Io sono molto meno elegante.

“Cosa stiamo facendo?” non devo rispondere, non devo rispondere. Lo sento sogghignare, probabilmente per il mio mutismo. Lo odio, lo odio, lo odio.

Un passo.

Due passi.

Tre passi.

Quattro passi.

“Allora, me lo dici?” Silenzio, Samanta, silenzio. Non rispondere. Sta solo cercando di farti esplodere.

Un passo.

Due passi.

Tre passi.

Quattro passi.

“Sam, mi degni di una risposta?”

“Primo: il mio nome è Samanta. “Sam” è solo per gli amici e tu non lo sei. Secondo: sono uscita perché devo andare al supermercato. Terzo: devo comprare nutella e biscotti perché mi sono svegliata con la voglia di Nutella e biscotti. E, prima che tu me lo chieda, quarto: non sono incinta. Ora taci!” ammutolisce all’istante con mia somma gioia. Credo di avere oggi un certo ascendente su di lui.

Entro nel piccolo supermarket e lui mi segue. Sembra un cucciolo bastonato. Beh, un bella bastonata gli ci vorrebbe in effetti. Più di una. Tante bastonate. Con un bastone lungo e grosso. E io godrei. Non c’era un accenno sessuale in questi pensieri, vero? Sarà la sindrome premestruale, senza ombra di dubbio.

Non ci metto molto per arrivare al mio reparto preferito. E la vedo: la dolce, morbidissima, nocciolosa, cioccolatosa  e orgasmica nutella. Sia ringraziato ogni giorno il signor Ferrero!

Prendo un solo barattolo, quello più piccolo e poi una scatola di biscotti secchi. La più piccola. La verità è che neanch’io mi voglio ridurre come al periodo post separazione con Davide. Due anni fa non potevo guardarmi allo specchio, non potevo indossare più una gonna, non potevo salire sulla bilancia. Non potevo. Punto. E non voglio ritornare in quello stato pietoso. Oggi voglio solo coccolarmi a suon di dolcezze.

“Oh, i pop corn! Li farò zuccherati. Buonissimi!”

“I pop corn con lo zucchero? Non ti sembra di star esagerando con le cose dolci? ”

Non rispondo e continuo imperterrita il mio giro all’interno del negozio alla ricerca delle caramelle gommose alla fragola. Credo di essere travolta in questo momento da un attacco di shopping compulsivo.

“Ciao, Samanta!” mi volto e mi trovo faccia a faccia con la cassiera del minimarket, Fabiana. Essendo il negozio piuttosto piccolo e poco frequentato, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci col tempo. Sebbene un po’ pettegola, Fabiana è sempre stata una persona affabilissima e disponibile, nonostante abbia tre bambini a carico.

“Ciao, Fabiana. Ti trovo in gran forma!”

“I bambini sono a scuola tutti e tre e non ha idea di quanto sia piacevole come cosa. Tornare a casa e sentire il silenzio più totale. Hai idea di quanto possa essere idillico e utopico un momento del genere per chi ha come me tre figli? Anche io ti trovo bene, comunque. E lui? –dice, indicando il coglione – E’ il tuo ragazzo? Oh, non sai quanto sia felice della cosa, Sam. Pensavo che dopo Davide non avresti più trovato nessuno, e invece…”

“Oh, Fabiana, lui…lui non è il mio ragazzo” ma perché tutte a me? Perché?

“Sono Daniele e sono un suo amico. Solo amici” mi si avvicina e stringe la mia mano. Forse per dirmi che ha capito, che reggerà il mio gioco. Ma, dopotutto, è la verità: lui è…cos’è lui? Allontano le mie dita, che stanno andando a fuoco, dalle sue. Lui non è niente. Lui è solamente il mio capo stronzo.

“Oh, sì, certo, capisco. Beh, allora spero che il tuo principe azzurro arrivi presto, Samanta.”

“Certo che arriverà. Quando il cervello degli uomini sarà dotato di più di un neurone funzionante. Un neurone che non pensi esclusivamente al sesso o ai soldi. Speranza praticamente vana, quindi. Noi andiamo, Fabiana. Mi ha fatto piacere rivederti.” La mia voleva essere una frecciatina nei suoi confronti? Sì, voleva esserlo. E se si sente punto nel vivo perché si ritiene un uomo pensante , beh, tanto meglio. Io non lo ritengo certamente tale.

Dopo aver pagato, usciamo. Regna il silenzio tra di noi. Io perché non ho voglia di parlare e lui perchè sta sicuramente macchinando qualcuna delle sue diavolerie. Cammina al mio fianco, non più dietro di me ed è corrucciato, sembra perfino preoccupato. A volte la sua mano sfiora la mia. A volte i suoi occhi incrociano i miei. Non c’è traccia di umorismo in essi.

“Samanta?”

“Sì?”

“Ecco…” ma proprio quando sta per parlare, comincia a piovere. E non quella pioggerella sottile e delicata, ma un vero e proprio acquazzone.

“Cazzo! Non ho l’ombrello” .

“Corriamo. Casa tua non è distante” mi prende la mano e comincia a correre. Nonostante l’impedimento della pioggia posso vedere il suo corpo flettersi, le sue falcate eleganti, le sue gambe lunghe, i suoi capelli che si muovono con il vento e che vengono appiattiti dall’acqua che gronda sul suo viso. No, Sam, non pensare quello a cui stai pensando. Non è sexy, no, non lo è.

Arriviamo al mio appartamento col fiatone. Daniele rimane qualche passo dietro di me e fa per avviarsi già per le scale.

“Che fai?”

“Me ne sto andando. Mi è sembrato di capire che non mi vuoi in casa tua” sorride amaramente e non mi guarda, intento a sfiorare con un dito il profilo del corrimano in legno. Che devo fare? Non voglio passare per maleducata. È questa la verità, che io non voglia sembrare maleducata? Impazzirò prima o poi, me lo sento.

“Hai la macchina?”

“No, oggi è dal meccanico per il cambio dell’olio” il suo sorriso si allarga. Si potrebbe definire solo in un modo: compiaciuto. Ha una faccia da schiaffi.

“Entra, non voglio che ti prenda una bronchite” apro la porta di casa e accorrono immediatamente i miei gatti, che, avvertendo la presenza di un estraneo, scappano spaventati. Soprattutto Bizet: come gatto gay non dovrebbe essere attratto da Daniele?

“E’ carino qui”

“Grazie. L’ha arredata Luciana: io non sono molto brava con gli accostamenti. È tutta opera sua. Certo, quando ha dipinto le pareti della mia stanza di rosa confetto, volevo sprofondare. O ammazzare lei.”

“Non ti piace il rosa?”

“Odio il rosa. È il colore più disgustoso che esista. E Luciana me lo presenta in tutte le salse possibili.”

“Me la immagino che ti insegue per casa costringendoti ad infilare un maglioncino di lana rosa. Abominevole” ride sguaiatamente. È così bella la sua risata.

“E questo è niente!” rido anch’io, ma, vedendo l’occhiata che mi lancia, ritorno seria. Sono in imbarazzo. I suoi occhi, i suoi sguardi mi imbarazzano.

“Ehm..il bagno è di là. Puoi usare l’asciugatrice. Io vado a cambiarmi” corro in fretta nel mia stanza e respiro finalmente bene, senza la sua presenza al mio fianco. Daniele provoca reazioni strane al mio corpo, reazioni che non riesco a gestire. Dovrei essere arrabbiata con lui, per esempio. Perché sono solo un tantinello nervosa? Perché mi batte così forte il cuore? Non di certo per la corsa. Perché sto sudando? Neanche in questo caso posso imputare la colpa alla corsa: pioveva. Daniele, che mi stai combinando?

Mi cambio velocemente indossando la mia tuta preferita, quella che la nana chiama amorevolmente “Tuta da suora” perché è di colore nero. A me piace e poi è la stessa tuta che indossavo quando ho conosciuto Daniele. Ma che mi viene in mente? Non posso essere così smielata, santo cielo. Io sono incazzata! Incazzata nera con il mio capo.

Lego i capelli umidicci in una crocchia alta e torno in soggiorno.

Quello che si presenta ai miei occhi è quanto di più erotico possa esistere. Addio ormoni tenuti a bada per tanto tempo e benvenuta lussuria. Sento che morirò. In piedi vicino alle mensole delle nostre foto, Daniele, nudo dalla cintola in su, mi da le spalle.

Cintola in su. Morirò, è sicuro.

Seguo la curva della spalle, la pelle tirata intorno alle scapole, la linea del bacino, l’attaccatura del sedere. Il suo sedere! Quanto vorrei fare la sue conoscenza. È troppo compresso nei pantaloni, accidenti, ma questo non mi impedisce di farmi un’idea piuttosto chiara delle sua forma. Perfetta. E poi cosa vedono i miei occhi? Un tatuaggio che avvolge tutta la circonferenza del bicipite. Voglio toccarlo, devo sentirlo sotto la mia pelle.

No, Sam, no! Che vuoi fare? Non sei una ninfomane, non lo sei mai stata. E lui è il tuo capo, il tuo capo sexy, colto, affascinante, che ispira sesso anche quando respira, ma è il tuo capo. E devi ricordarti che ti ha trattato malissimo per un mese per un motivo di cui tu non sei a conoscenza.

L’oggetto del mio pensiero afferra una foto dalla mensola e la osserva con un sorriso dolce mentre segue con il pollice il contorno della foto stessa. Ma perché deve essere così dannatamente schizofrenico?

“Quella sono io a otto anni” sobbalza sentendomi parlare.

“Ho notato: non sei cambiata molto. Bella eri e bella sei.”

“Insomma, con vent’anni di più la differenza si vede.” Cosa dovevo rispondere? Nessuno mi ha mai fatto un complimento tanto spontaneo e gentile. E nessuno con un complimento mi ha provocato una scossa d’eccitazione che ha percorso tutta la mia schiena.

“Si vede, ma non cambia la realtà delle cose” si volta e credo che finalmente posso morire. Se la schiena era perfetta, beh, niente rasenta la perfezione quanto il suo petto. Non eccessivamente muscoloso, non eccessivamente piatto. Un collo lungo, tornito con un leggero strato di barba. Mi fermo ad osservare il suo pomo d’Adamo desiderando di baciarlo, di succhiarlo, di lambirlo. E voglio sapere il suo profumo, conoscerlo, inebriarmi con esso e di esso. Ma mi allontano per non cadere in tentazione.

“Sam, posso parlarti?”

“Credo di sì” dico in un soffio. Perchè provo queste cose? Io non dovrei.

“Ci possiamo sedere?”

“Oh, sì, scusami.” sprofondiamo entrambi sul divano mentre Bizet e Minù tornano alla carica. Ancora diffidenti si strusciano sulle nostre gambe. Ma né io, né lui ci badiamo.

“Samanta, quello che volevo dirti…quello per cui sono venuto…insomma, quello che voglio dirti è che ho sbagliato. Non avrei dovuto comportarmi in questo modo con te. Ti ho preso in giro e mi dispiace” rimane zitto, ma continua a fissarmi. Se c’è una cosa che so è che i maschi sono tremendamente orgogliosi. Non dicono mai: “Mi dispiace, ho sbagliato” , ma generalmente fanno ricadere la colpa anche sull’altro. Se c’è una frase che il mio ex diceva era: “Scusami se ho sbagliato, ma sei stata tu a farmi arrabbiare”. Che cavolo di scuse sono? O hai sbagliato o non hai sbagliato. Sta a me, poi, chiedere scusa per i miei sbagli.

Ma Daniele non ha detto questo, non ha parlato di me. E questo, solo questo, mi permette di concedergli una seconda opportunità.

“Perché lo hai fatto?”

“Per smuoverti. Non ho raggiunto il mio risultato, ma l’idea era quella.”

“Smuovermi? In che senso?”

“Volevo farti aprire con me. Volevo che tu avessi una reazione attiva nei miei confronti. Se avessi accettato passivamente la tua decisione di non voler avere niente a che fare con me, il nostro rapporto sarebbe morto. E io non lo potevo permettere. Volevo e voglio conoscerti. E volevo e voglio farti conoscere Daniele. Ma  quello che non volevo e non voglio è l’essere inserito nello stereotipo che ti sei creata a tuo uso e consumo, quello di uomo uguale stronzo. Io non sono così e nemmeno tu sottosotto ci credi. Ma non sapevo come fare. E ho escogitato questa maschera pietosa che si è ritorta contro di me” respira dopo aver parlato a raffica. È nervoso. Come me. E io, cosa dovrei rispondere?

“Vedi, Daniele, io sono una persona molto autoironica, rido praticamente sempre di me e permetto anche agli altri di farlo. Non ho nessun problema in tal senso. Ma tu mi hai umiliata come persona, come revisore, come tutto. Hai messo in discussione tutto il mio lavoro di questi anni, tutto il mio sudore, i sacrifici fatti. Credo che da una parte tu abbia avuto ragione: sei più in gamba di me ed è per questo che tu sei diventato direttore editoriale e io no. Me ne rendo conto, lo ammetto. Ma lo scherzo, o non so cosa fosse, di Papini mi ha fatto male. Molto male. – mi alzo dal divano e gli do le spalle. Non so perché  io stia facendo queste confessioni a lui. Non lo so. - E quando sto male io mangio. Mangio da fare schifo. Ecco perché volevo i biscotti con la nutella. Ecco perché la nana mi ha svuotato la dispensa stamattina. Perché il cibo mi da una gratificazione che le persone non riescono a darmi. – respiro profondamente per riprendermi da questo flusso continuo di parole – La verità è che io sono una debole. E non lo dico perché voglio farti sentire in colpa – gli occhi mi si riempio di lacrime, dannatissime. Fortuna che sono di spalle. – lo dico perché…beh, non lo so neanch’io il perché.”

“Vieni qui” e mi abbraccia da dietro incrociando le braccia all’altezza del mio collo.

“Mi dispiace, Sam. Se potessi tornare indietro non mi comporterei allo stesso modo. Alcune di quelle cose le pensavo e le penso davvero come il fatto che tu debba imparare a non farti condizionare dai gusti personali, ma sei in gamba. Ho cercato di trovare quanti più errori possibili nel tuo lavoro e lo facevo sia per danneggiare te, sia per cercare di trovare qualche difetto in te. Sei un ottimo revisore di bozze, Sam. Uno dei migliori. E non lo dico per farmi perdonare. O non solo. E Papini non è poi uno scrittore così noto. Non è mica Dante.” mi stringo a lui portando le mie mani all’altezza delle sue. E lui le stringe e sono calde, accoglienti, morbidissime.  E alle mie narici arriva il suo profumo, dolce, fruttato.

“Dispiace anche a me, Daniele. Credo che abbiamo sbagliato entrambi. In modi diversi e tu sicuramente di più, ma anch’io ho la mia buona dose di colpe.”

“Sì.” Sussurra al mio orecchio causandomi la pelle d’oca su tutto il corpo.

“Che profumo usi?”

“Jaïpur, perché?” mi volto per annusare il suo collo. Seguo la linea del suo collo col naso per imprimermi il suo odore. Ha un sottile strato di barba.

“Hai un buon odore. È delicato, dolce.” Sam, ma che stai facendo? Riprenditi. Ma, mentre penso una cosa, ne faccio un’altra. Poggio la mano sul suo collo e lo accarezzo. Seguo il duo profilo con l’unghia dell’indice e lo sento deglutire rumorosamente.

“Sam?” la voce è roca, sensuale. Le mie terminazioni nervose bruciano.

“Sì?”

“Posso baciarti?” è la prima volta che me lo chiede. E per la prima volta sono io che prendo l’iniziativa. Non rispondo, lascio che siano le mie labbra a parlare per me.

E, a differenza delle altre volte, è un bacio più dolce, più lento, più vero. Lascio che la sua lingua segua i contorni della mia bocca, che mordicchi il mio labbro, che esplori ogni anfratto. E io faccio lo stesso. Mi abbandono tra le sue braccia, preda di un desiderio che non ricordo di aver mai provato. Mi sento leggera, mi sento bene, mi sento con un vuoto al centro della pancia. E’ tutto perfetto. Forse posso ricominciare daccapo. Ma, quando sono in preda all’estasi del bacio più sublime che io abbia dato e ricevuto, mi tornano alla mente le parole di Carlo: È stato molto il tipo da sesso senza amore.

“No, non posso, Daniele, non posso” mi stacco immediatamente. E sento freddo.

“Sam…”

“Io non posso farlo, Daniele. Non ce la faccio.”

“E’ per Davide?” mi guarda serio e, forse, anche un po’ adirato.

“No, è per te. Davide non c’entra nulla. Carlo mi ha detto che sei uno dalle storie facili. Chi mi garantisce che non sarà così anche per me? Chi mi garantisce che, magari dopo avermi portata a letto, tu non sparisca? Io, dopotutto, non so nulla di te.”

“Carlo ti ha detto solo questo? Perché se è così ha tralasciato la parte più importante del discorso che abbiamo avuto.” la sua voce sale di un’ottava. È arrabbiato.

“Mi ha detto che..che non sei mai stato attratto così tanto da una ragazza”

“Già: è quello che gli ho detto ed è quello che provo verso di te. Ma a te basta un nonnulla per mandare tutto a puttane, per farmi sentire un’idiota.  È vero: ho avuto molte ragazze in passato, e allora? Questo fa di me una cattiva persona? Non ti sto chiedendo di sposarti, ma di provare a frequentarci. E’ così difficile da capire?” mi sento uno schifo. Ha capito più me  di quanto io abbia capito me stessa. Ma so che non sono tipo da mezze misure e so che non riuscirei a vivere questa..questa cosa tra di noi alla leggera. Lo so. Ed è per questo che non posso rischiare.

“Daniele, io..io non mi sento ancora pronta” sussurro.

“Per cosa? Per una relazione fissa? Non ti sto chiedendo nemmeno questo. Ti sto chiedendo di conoscerci.” È vero, ha ragione. Dio, mi sento così stupida, ma è più forte di me.

“Vorrei che..vorrei che tu mi dessi un po’ di tempo. ”

“Per cosa?”

“Per riflettere. Per perdonarti bene. il fatto che ti abbia detto che abbiamo sbagliato entrambi non deve farti credere che io ti abbia perdonato. Ho capito il tuo punto di vista, ma ci vuole del tempo per rimettermi in carreggiata. E poi mi serve tempo per capire bene. Per capirti bene.”

“Posso farti una domanda?”

“Sì”

“Se non mi hai ancora del tutto perdonato, perché mi hai baciato? E non dire perché te lo avevo chiesto io. La mia era una domanda e tu potevi non accettare.”

“Non lo so perché l’ho fatto. Sono stata attratta dal tuo odore, credo. E di certo, vederti a torso nudo non ha aiutato.”

“Sei una contraddizione vivente, Sam. Dici che hai paura, che sei dubbiosa e poi ti avventi su di me. E poi dici di nuovo che sei dubbiosa. Io non riesco a seguirti. Davvero.” Ride e passa le dita tra i capelli. Ma è una risata nervosa, non divertita.

“Beh, in effetti nemmeno io mi comprendo il più delle volte. Vuoi sapere la verità? Io, a parte il mio lavoro, non so cosa voglio dalla vita. Né dagli uomini. Sono rimasta scottata da loro.”

“Sam, questa credo che sia la scusa più ridicola di questo mondo. Anche mia madre ha lasciato mio padre perché aveva un amante. Devo pensare che ogni donna sia una puttana? Andiamo Sam, la vita è molto più variegata di quello che pensi tu. Non è come per la nutella  di cui c’è solo quella marrone. La vita è un gelato variegato dai gusti più diversi.” So che ha ragione. Ha dannatamente ragione. Tutti me lo dicono, ma io non imparo questo piccolo concetto. Non riesco ad impararlo.

“Mi piace questa metafora. Ma, sebbene mi piaccia, non posso dire di averla assimilata bene. E te lo ripeto: io ho bisogno di tempo”

Annuisce, ogni ombra di ilarità scomparsa dal suo volto,  mi volta le spalle e si dirige verso il bagno. Ritorna con la felpa indossata.

“Va bene. Io posso aspettare quel tanto che ti serve per capire bene quello che vuoi anche se non lo comprendo appieno. Cercherò di non essere invadente ed oppressivo e cercherò di farmi perdonare come si deve. Oltre questo non posso prometterti altro.”

“Va più che bene.” lascia un bacio leggero sulla mia guancia indugiando sulla mia pelle, mentre con l’indice segue il profilo del mio viso. Si stacca di botto.

“Io vado. Ciao, Sam” e chiude la porta dietro di sé.

Ho bisogno di biscotti e nutella.

 

 

 

“Tu sei un’emerita cogliona!”

“Su, Luciana, infierisci pure”

“Ma dico: quel figo della miseria ti chiede scusa, ti dice che gli piaci che vorrebbe baciarti e tu dici: ‘Non so cosa voglio dalla vita’? Ti eri fatta di qualche droga stamattina?”

“Nana, la verità è questa. Avrei dovuto dirgli che mi interessava?” sbuffo esasperata. Non solo Daniele, ora si mette anche la nana.

“No, avresti dovuto dirgli: “Sono in astinenza da due anni e ho un disperato bisogno di fare sesso e non voglio più mangiare biscotti alla nutella per sentirmi gratificata.’ Questa è la sacrosantissima verità”

“Non mi sento pronta”

“Sam, svegliati, che i treni passano e tu perdi il viaggio. E non commiserarti sempre nel ricordo di Davide. Accetta la situazione: sta per avere un bambino.” Si porta la mano alla bocca dopo aver detto l’ultima frase. Io impallidisco. Sentir parlare di lui e della sua vita perfetta, una vita che sarebbe dovuta essere la nostra vita, mi fa male.

“Luciana, la fidanzata di Davide è incinta?”

“Sì”

“E come fai a saperlo?”

“Può avermi chiamato tua madre per avvisarmi”

“E quando mia madre ti avrebbe chiamata?”

“Due settimane fa” abbassa lo sguardo. Sa che sto per incazzarmi di brutto.

“E perché non me lo hai detto?”

“Sam, lo sai anche tu perché. La prima cosa che avresti pensato, o che hai pensato, è quella di Davide che chiedeva a te di avere dei figli e dopo due giorni ti lasciava. E saresti di nuovo andata a finire a biscotti e nutella. E, sinceramente, io sono un po’ stufa di vederti così. Ora, pensa a quello che vuoi dalla vita, pensa a quel poveretto di Daniele che ti sta aspettando e non fare cazzate” e, detto questo, Luciana se ne va lasciandomi sola nella mia stanza.

Da domani cercherò di capire cosa voglio dalla vita.

Ora però voglio biscotti e nutella.

 

 

 

 

 

 

Buon pomeriggio!

Eccomi con questo aggiornamento domenicale. Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Sam è completamente sciroccata, non sa che vuole dalla vita, ma non sa nemmeno se odiare o amare Daniele. Un bell’inconveniente! Solo la nana riesce a darle un po’ di buon senso, santa donna lei!

Venendo al capitolo, il romanzo di Nigro è “I fuochi del Basento”, uno dei libri più brutti che abbia mai letto. Se vi capita, non compratelo.

La frase di Hermione Granger è presa da “Harry Potter e l’Ordine della Fenice”. E’ una frase che ho sempre ricordato perché è la vera verità.

I biscotti con la nutella sono quelli che mangio io quando sono depressa. D’estate in realtà mangio i biscotti col gelato.

Per il capitolo scorso sempre la santissima e bravissima Poison Spring ha creato un banner con le dieci P di Luciana. Eccolo qui.  

So finendo di rispondere alle recensioni dello scorso capitolo. Le concluderò stasera, credo.

Un bacione a tutte,

Federica

 

 

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Capitolo 7
*** Il caffè è la panacea di tutti i mali ***


Buon pomeriggio!
Sette anni fa, per diversi motivi, non tutti positivi, abbandonai questa storia. Che era un piccolo svago, un diversivo dalla vita universitaria
Poi l'ho abbandonata perchè tante cose nella mia vita erano cambiate. 
Qualche settimana fa, mentre controllavo le vecchie cartelle, ho riletto questa storia. Ed era carina, piacevole, senza particolari pretese. E sono stata presa dalla foga della scrittura, come non mi succedeva da moltissimi anni.
E così, rieccomi qui, pronta a finire questa storia e a rivedere totalmente e a inserire nuovi capitoli nella ff "Ricominciare a vivere" che, più di questa, mi ha portato via tempo, dedizione e anche lacrime. 
Per cui, se dopo tanti anni, avete ancora il desiderio di seguirmi, bentornati. Se siete nuovi, benvenuti nella storia di Samanta e Daniele.

 

 

 

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Capitolo 6
Il caffè è la panacea di tutti i mali


“Non che mi dispiaccia quello che sto vedendo, ma, esattamente, cosa stai facendo?” Daniele entra di soppiatto nell’ufficio mentre, da sola, passo un salviettina umidificata su collo e braccia. Fortuna che non è entrato prima o avrebbe visto quella stessa salviettina sulle tette.
“Primo: fa un caldo bestiale, siamo a settembre, ma sembra ferragosto e tu sei così delicato da non voler accendere il condizionatore. Secondo: mi stai dando da revisionare solo romanzi erotici. Hai idea di quello che possono provocare?” esclamo buttando la salvietta nel cestino. Sul serio, da quando sono tornata a lavorare dopo la mia reazione allergica allo stress e le ferie, Daniele sembra intenzionato a mettere a repentaglio il mio autocontrollo. Leggo e correggo romanzi erotici che al confronto le “Cinquanta sfumature” della zia James sembrano essere stati scritti da suorine di clausura.
“Vorrei vederlo, più che altro” sogghigna soddisfatto con una punta di malizia. Da quel giorno, tre settimane fa, non mi ha più toccato, non mi ha più baciato. È quello che gli ho chiesto? Assolutamente sì. È quello che volevo? Beh, qui la questione si complica ulteriormente. Perché più lo guardo, più sono attratta da lui, più so che non posso averlo. Più so che mi sta tentando: mi sento tanto l’Orso Yoghi che non può prendere il miele che gli viene sbattuto in faccia. E Daniele adesso mi sembra molto, ma molto più attraente di un miele millefiori, quel miele che metto sempre nel tè o nel latte come dolcificante. Ogni giorno mi porta un piccolo pensiero che mi fa trovare sulla scrivania – arriva sempre prima di me, dannato perfezionista del cavolo -: una caramella, un cioccolatino, una poesia. Oggi il caffè, ma non un caffè qualsiasi: un espressino freddo con tanta schiuma e tanto cacao amaro in superficie. Stavo per prostrarmi ai suoi piedi e chiedergli di diventare la sua schiava sessuale. Ma poi mi sono ricordata un fatto importante: io non sono fatta per essere una schiava sessuale, anche se mi sottometterei volentieri su quella scrivania. Dannati ormoni.
“Sogna, più che altro! - ribatto con fermezza – sul serio, Daniele, un altro romanzo di questo tipo e mi butto dal balcone! Comprendo che ci possa essere una qualche gratificazione, non lo nego, ma un thriller? Un noir? Un romanzo psicologico in cui il protagonista si faccia le seghe solo mentalmente? Dammi qualcosa di questo genere, ti prego!” mi avvicino al tavolo dove si è appena seduto e mi sporgo verso di lui, mettendo in mostra le mie gemelle cresciutelle. Serviranno pur a qualcosa, oltre che ad essere tenute a bada da scomodissimi reggiseni. Hai le armi, Samanta? Usale tutte.
E lui sembra colpito e affondato. “Stai cercando di corrompermi? Ci stai quasi riuscendo”
“E cosa dovrei fare per ottenere il mio obiettivo?” Dio, Sam, contieniti. Ti stai servendo su un piatto d’argento. Sembri uno di quei maialini arrosto con i bocca una mela. Solo che io voglio altro in bocca. Contegno, contegno.
“Sebbene l’idea di ridurti in mio potere mi alletti alquanto, non ci posso fare niente. Dobbiamo rispondere alle richieste di mercato e il mercato dice che il romanzo rosa, soprattutto quello di impostazione erotica, copre oltre il quindici percento del fatturato annuo nazionale. Inoltre, ho bisogno che ci lavori perché, e mi costa dirlo, sei la migliore qua dentro. Sei l’unica che riesca a trasformare un’accozzaglia infinita di orgasmi in qualcosa che sia piacevole per gli occhi, oltre che per la vagina. Per cui, mettiti al lavoro.”
“Sul serio sono la migliore?” l’ego di Samanta sta per uscire fuori da questa stanza e invadere tutto il piano.
“Mi costa ammetterlo, ma sì. Ami il tuo lavoro, si vede. Ti applichi, sfidi i tuoi limiti e cerchi di superarli. E poi, non pensare di essere da sola in questa lotta impari contro il sesso dilagante. Questi romanzi li sto leggendo anche io. Potremmo fare qualcosa di più divertente, però…” e si allunga anche lui sulla scrivania facendo avvicinare il suo viso al mio. E io annego in quel mare verde che sono i suoi occhi. E sbavo. Quasi metaforicamente.
“E sarebbe?” dico a mezza voce.
“Potremmo leggerli ad alta voce insieme. Sarebbe un’alternativa gradevole…se così vogliamo definirla.” Samanta, non osare visualizzare la scena: tu accanto a lui, lui arrapato, tu di più, tu che ti metti sulle sue gambe e…Basta!
“Tutto vorrei fare meno che finire come Paolo e Francesca. Sono giovane e ho una vita davanti.”
“E chi vorrebbe ucciderti? Hai un marito nascosto nell’armadio di cui non sono a conoscenza?”
“No, ma se entrasse De Santis non ne sarebbe contento, né apprezzerebbe il contesto. A parte una sola volta nella mia vita, ho sempre pensato che fosse asessuato.” E, mentre mi allontano, vengo travolta da una piccola furia rossa che si blocca immediatamente davanti a me con gli occhi sgranati e le guance stile Heidi.
“Ciao Dan. Vatussa, per che ora pensi di finire di lavorare?” la mia nanetta del cuore non perde tempo in chiacchiere. Deve essere successo qualcosa.
“Perché? Devo finire di leggere almeno due capitoli altri. Sta’ robaccia va in stampa tra tre settimane e devo ancora mandarla ai grafici perché sistemino l’impaginazione.”
“Dan, Samanta può avere due ore di permesso? È una questione di vita o di morte.”
“Lu, a meno che non ci sia Sam Heughan nel mio letto, non me ne vado prima. Sul serio, ho un sacco di lavoro da finire e non vedo l’ora di togliermelo di dosso. O mi dici che sta succedendo oppure puoi andare via da sola.” E come gli infanti che appena vedono l’oggetto del loro desiderio cominciano a saltellare e a muoversi convulsamente, così Luciana comincia a agitarsi febbrilmente per poi prorompere in un urlo: “Luca mi ha chiesto di uscire!” Oh, finalmente! Sono due anni che tutti noi sappiamo che hanno una cotta reciproca, ma forse per timidezza, forse un po’ per orgoglio, hanno sempre evitato di fare il primo passo.
“Evvai! Come te lo ha chiesto?”
“Te lo spiegherò dopo. Adesso mi devi accompagnare a fare shopping. Devo comprare un vestito super sexy per stasera. Uno che gli faccia dimenticare come si chiama e sul perché non mi ha ancora sposata.” Ecco, la nana è così. Apparenza da donna senza scrupoli e un cuore immenso che sogna di riempire con l’amore di un uomo e di figli.
“Ma stasera non c’è l’assemblea nazionale di AITI? Quella riunione per traduttori e interpreti?” Oddio, se Luca, che è un traduttore inglese-italiano, l’ha invitata lì come primo appuntamento, direi che quanto a originalità sta messo maluccio. Speriamo che abbia altre doti.
“Sì, infatti. È lì che mi ha invitata ad andare. Allora mi accompagni?” Lu mi prende la mano e se la posa sul cuore. Potrei mai dire di no ad una richiesta di questa portata? Ma prima che io possa rispondere, qualcuno mi anticipa: “Luciana, andate pure. E giacchè fai comprare qualcosa di speciale a Samanta che la settimana prossima mi deve accompagnare a Londra per lavoro.”
“Come, scusa? Io non ne so niente e comunque non vengo da nessuna parte con te.” Luciana mi lancia occhiate di fuoco, ma che ci posso fare? In viaggio con lui, ventiquattro ore su ventiquattro a contatto e tanti cari saluti ad ogni mio tentativo di dimenticarmi di lui.
“Ma hai sentito cosa ti ho detto? È un viaggio di lavoro. Lavoro, Samanta, non una fuga romantica. Sono appena stato in riunione con gli azionisti e abbiamo appena deciso di chiedere alla Penguin di diventare i loro partner unici per la pubblicazione dei loro romanzi in Italia.”
“Cazzo!”
“Puoi dirlo forte. Abbiamo un’occasione straordinaria per far crescere l’Agape e non voglio in alcun modo perdere questa possibilità. Ne va del lavoro di tutti noi. Conosci l’inglese, vero? Devo portare con me gente che non mi faccia fare la figura dell’incompetente che si circonda di persone altrettanto incompetenti.” Perché deve avere sempre così dannatamente ragione. Nonostante la spocchia, lo sa fare il suo lavoro. E bene anche.
“Ho fatto un Erasmus a Cardiff durante l’università. Non sarò una madrelingua, ma qualcosa la conosco. Evita di farmi parlare troppo, nel caso.” E gli sorrido. Perché è impossibile essere arrabbiati con lui quando ti presenta così, con schiettezza e senza fronzoli, la realtà.
“Verrai sul serio? Non devo temere di non vederti in aeroporto? Posso prenotare?” sorride anche lui ora, mostrando una linea perfetta di denti candidi e delle piccole rughe che si accavallano placide intorno a quegli occhi così straordinari.
“No, verrò. Non sono mai stata a Londra e inoltre penso che sia davvero un’ottima opportunità.”
“Bene, quindi noi andiamo. Ciao Daniele, sei stato molto magnanimo a concedermi di portar via la mia Samanta.” E tirandomi per il braccio, Luciana mi porta via dall’Agape. Faccio giusto in tempo a fare un rapido cenno con la mano per salutare, mentre Daniele mi rivolge ancora quel suo strepitoso sorriso.
Appena uscite in strada, vengo condotta in macchina dal lato del passeggero e, senza neanche avere la possibilità di aprire lo sportello, vengo scaraventata all’interno, sbattendo col ginocchio sul cruscotto.
“Capisco l’entusiasmo, ma puoi avere un po’ di rispetto per le mie giunture?”
“Non posso: sono troppo elettrizzata!”
“Lo vedo. Allora, Luca come ha trovato finalmente il coraggio di invitarti?” domando mossa dalla curiosità.
“Beh, non mi ha invitata lui. Sono stata io a fare la prima mossa. Mi sono avvicinata alla macchinetta del caffè mentre lui stava sorseggiando il suo e, molto involontariamente, gliel’ho fatto versare addosso. Poi sai, una cosa tira l’altra, io sono entrata in bagno, gli ho fatto togliere la camicia con la scusa che avevo uno smacchiatore in borsa – Dio, che addominali- e mentre gliela pulivo ho fatto inavvertitamente cenno al fatto che sono appassionata di traduzioni. E il gioco è fatto”
“Chi è che si porta dietro uno smacchiatore nella borsa? E poi, davvero sei appassionata di traduzioni? E soprattutto, non eri tu la strenua sostenitrice del ‘io sono una principessa e tu uno stupido ranocchio e devi prostrarti a miei piedi’?” la osservo sconvolta.
“Questo motto è stato valido fino a tre settimane fa. Fino a quando cioè, dopo che il tuo ranocchio si è prostrato ai tuoi piedi e ti ha dato un bacio di quelli che avrebbero fatto diventare te la regina di Saba e non lui un principe, lo hai preso a pesci in faccia. E da quel momento ho capito che quel poco di intelligenza che ho, la devo sfruttare per ottenere quello che voglio. E io voglio Luca esattamente dal giorno in cui ho messo piede a lavoro.”
“Sono contenta che la mia vita ti dia tanti spunti di riflessione. Comunque, per essere precisi, sono stata io che ho baciato Daniele. E dopo averlo baciato l’ho rifiutato.” Sospiro frustrata. La verità è che ogni volta che ci penso, mi sembra di aver fatto una cavolata. Mi sono sempre vantata di essere in grado di non agire mai d’impulso, ma con lui ho fatto esattamente il contrario. Mi destabilizza, non fa mai niente di quello che mi aspetto. E, se in alcune persone questo provoca eccitazione per le costanti novità che un rapporto del genere può apportare, a me suscita il contrario. Ansia, paura, incapacità di gestire la situazione e, di conseguenza, fuga. Sono una correttrice di bozze, dopotutto. La mia vita è molto metodica e, soprattutto, non particolarmente a contatto con la gente.
“Peggio mi sento! Sul serio, Sam, devi darti una svegliata. Lui ti piace, tu piaci a lui. Perché devi sempre incasinare tutto? Comunque, basta parlare di te, ci sono anch’io al mio primo appuntamento dopo secoli. Devo lasciarlo di sasso.” e dopo averlo detto, comincia a ridere. Ma io la conosco troppo bene.
“Se con il termine ‘sasso’ intendevi qualcosa di ambiguo e a doppio senso, sappi che sei davvero pessima.” Nel frattempo, mentre sto ancora sorridendo, ricevo un messaggio. Di Daniele.
Volo prenotato per lunedì alle 10 e prenotato anche l’hotel. L’incontro con il dirigente della Penguin sarà lunedì sera, a cena. Non scherzavo, devi essere favolosa. Per gli altri. Io lo so quanto lo sei.
“Forza, che ti ha detto? Sei avvampata”
“Mi ha detto che partiamo lunedì. E che l’incontro sarà di sera. E che…”
“E che…? Sputa il rospo, non ti devo cavar di bocca le parole.” Mi incoraggia.
“Ha detto che devo essere favolosa. Per lui lo sono già.” E sospiro.
“E tu uno così l’hai lasciato andare?” mentre afferma questo, Luciana parcheggia in una traversa di corso Como. È la sua strada preferita dove fare shopping. L’accompagno raramente perché ci mette ore a decidere per un solo capo d’abbigliamento. Figuriamoci oggi che è una serata così importante. Io sono molto più rapida. Ma perché ho come l’impressione che mi tratterà come un manichino a cui far provare di tutto? Entriamo da ‘Elison’, la boutique preferita di Luciana. Ma non del mio portafoglio che diventerà inesorabilmente più leggero.
“Cara Luciana…” ci viene incontro Etta, la storica proprietaria; una donna di una dolcezza e di una pazienza infinita: forse è l’unica a non farsi venire una crisi di nervi nel sopportare Luciana in modalità fashion addicted.
“Ciao Etta. Come stai?” Luciana è una cliente affezionata. Da che io ricordi, è sempre venuta da ‘Elison’ per gli acquisti più impegnativi.
“Sai com’è, un po’ di stanchezza alla mia età si avverte, ma non mi posso in nessun modo lamentare. Allora, cosa ti porta qui?”
“Ci servono due vestiti, uno per me e uno per Samanta. Te la ricordi, vero?”
“Ma certo. Bentrovata Samanta. In cosa posso esserti utile?” mi stringe la mano con delicatezza, ma senza invadere il mio spazio. Se c’è una cosa che odio delle commesse è l’insistenza e l’interferenza che mi fanno sempre scappare a gambe levate da un negozio. Ma Etta è sempre stata un amore.
“Ho un incontro di lavoro a cena lunedì. È molto importante e vorrei fare un’ottima impressione. Tuttavia non ho un’idea precisa di cosa possa andare bene per un’occasione di questo tipo. Tu cosa mi consigli?”
“Un abito da cocktail, senza dubbio. Discreto, ma elegante e chic. Scuro possibilmente.” Interviene Luciana che, in fatto di moda, ne capisce molto più di me.
“Sì, credo anch’io. Andiamo sul nero?”
“Sì, per me va bene. Purchè non sia troppo scollato.” E ci dirigiamo nel reparto femminile. Dove divengo, a tutti gli effetti, una bambola nelle mani, non di una, ma di ben due bambine.
Questo è adorabile, ma troppo scollato, questo mi fa i fianconi, questo è troppo corto…sono al quinto vestito e non mi colpisce niente. Mi sento inadeguata a vestirmi così, tanto più che sono abituata ad indossare sempre pantaloni e maglie larghe che nascondono le mie forme non particolarmente in forma. Dopo essere ritornata nel mio peso ideale dopo la rottura con Davide, non sono mai stata più tonica.
“Luciana –dico mentre Etta va alla ricerca di altri vestiti - giuro che se mi fai indossare un altro abito attillato, prendo e me ne vado. Per favore, te ne prego, cerca qualcosa di un po’ più morbido. Mi sento un insaccato.” sto per mettermi a piangere. E lei se ne accorge.
“Sam, sei splendida. Dico sul serio. Sai che non sono una di quelle donne che fa i complimenti alle amiche e poi alle spalle le critica senza ritegno. Se ti devo dire che sei scema, te lo dico. Se ti devo dire che sei bella, lo dico ugualmente. E adesso sei incantevole. Ma se non ti senti a tuoi agio, possiamo cercare qualcos’altro, d’accordo?” annuisco con gli occhi lucidi. Quanto bene voglio alla mia nanetta!
Ed Etta, intuendo forse il significato delle mie occhiate sconsolate allo specchio, porta l’abito perfetto. Color prugna scuro, senza maniche, con una cinta di strass per esaltare la vita stretta e leggermente svasato. Lo indosso e capisco che è lui. Non può essere che lui. Mi sento a mio agio, mi sento femminile, mi sento sexy, mi sento bella. Sorrido soddisfatta mentre Luciana mi scatta a tradimento una foto: “È per gli annali! La mia bambina finalmente indossa un abito e non uno scafandro!”
Rido, mentre ritorno nel camerino, sollevata dall’idea che con questo vestito non sarò invisibile. E mentre faccio scendere lentamente il vestito lungo il mio corpo, ricevo un messaggio che mi fa scorrere un brivido di piacere lungo la schiena.
Sei bellissima. Questo vestito è fatto per te. E per i miei occhi.
Daniele. Ma come avrà fatto? Mi sta seguendo? No, impossibile, non è così stalker. E poi, riannodando tutti i fili, grido incazzata, ma anche tanto, tanto compiaciuta: “Luciana!”
E lei, infilando la testa nel camerino, con un sorriso a trentadue denti, esclama: “Vuoi un caffè? Me lo ha offerto Etta. Lo sai, è la panacea di tutti i mali!”

 
 

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