La guerra degli Angeli

di The girl in the moon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Il sogno ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Eventi inquietanti ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Aggressione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Torino, gennaio 1986

Anche se quella notte si fossero alzati gli occhi al cielo, nessuno avrebbe potuto vedere un paio di ali nere tagliare il cielo scuro illuminato solo dalle stelle, uniche testimoni in quella notte senza luna. Non che ci fosse alcun problema, le strade di Torino erano quasi deserte. Era spesso così durante l'inverno, soprattutto in uno così gelido come quello, dove l'umidità faceva entrare il freddo nelle ossa e sembrava impossibile riscaldarsi. Eppure fino a un'oretta prima le strade del centro vedevano ancora ragazzi tornare a casa dopo un aperitivo, ridendo e scherzando mezzi ubriachi.
Erano le cinque di mattina, il momento preferito di Adhara, la quale si divertiva a librarsi nel cielo notturno più di quello illuminato del giorno. L'angelo nero si era posato sulla cupola della Gran Madre, ammirando davanti a lei il ponte che portava in uno dei suoi posti preferiti, piazza San Carlo, ancora più magica quando veniva illuminata solo dai lampioni. La cosa che più amava fare era perdersi in quelle luci che malgrado tutto non riuscivano a venire inghiottite dall'oscurità. 
A volte aspettava delle ore seduta nella stessa posizione, fino all'alba, per ammirare quello spettacolo che tanto le piaceva. Spesso si chiedeva se avesse amato meno quella città se avesse potuto viaggiare anche in altri paesi invece che rimanere confinata in un luogo minuscolo se confrontato con il resto del mondo, ma poi i suoi compagni la facevano ritornare in sé e lei finiva di sognare. Erano intrappolati lì, nella città che era sia un vertice del "triangolo della magia bianca" che partecipante del "triangolo della magia nera".
"Ancora qui, Adhara?" le domandò una familiare voce femminile alle sue spalle e non dovette voltarsi per riconoscerla. 
"Come sempre" rispose l'angelo seduto, facendole segno con una mano di raggiungerla. Meissa si affiancò a lei aggraziatamente e con la coda dell'occhio, Adhara si concesse di guardarla meglio per un attimo. 
Aveva sempre invidiato il suo fisico curvy, la pelle perfetta e leggermente più scura della sua, o forse sembrava così perché non era troppo in contrasto con i morbidi e lunghissimi boccoli biondi che le ricadevano attorno al viso leggermente tondo, il naso dritto e all'insù, gli occhi di azzurro tanto bello da sembrare di ghiaccio, per non parlare del bellissimo e bianco sorriso. Indossava un aderente abito di seta nera con dei ricami dorati sullo scollo a V.
"Io ormai mi sono abituata alla vista, la trovo persino noiosa" rispose la bionda sorridendole, "Rigel ti sta cercando, lo sai?"
A quel nome la ragazza sorrise; tra i due c'era sempre stata una forte amicizia malgrado fossero parecchio diversi: lui tranquillo, per certi versi solitario e taciturno, ma non era freddo, sapeva sorridere ed essere gentile. Era il consigliere ideale se si cercavano pareri neutri e sinceri e il miglior ascoltatore del gruppo. Lei invece era sempre stata più entusiasta in ogni cosa, la prima che si divertiva ad usare i suoi poteri per spaventare gli umani, fatto che gli Angeli Bianchi non avevano mai visto però di buon occhio.
Eppure non si erano mai azzardati ad inimicarsi gli Angeli Neri e per un motivo abbastanza ovvio: Angeli Bianchi e demoni avevano egual potere, una fazione non avrebbe mai potuto prevalere sull'altra e viceversa, per questo la nascita degli angeli Neri era un problema ed una possibilità per tutti; se queste creature si fossero schierate ad una parte, l'equilibrio sarebbe stato distrutto. 
"Potresti chiedergli di venire qui se lo vedi? Oggi voglio guardare l'alba" ribatté Adhara senza distogliere gli occhi dal cielo, come ipnotizzata. 
"Devo proprio fare avanti e indietro?" chiese riluttante Meissa a cui l'idea di fare da messaggera proprio non andava a genio, facendo così sbuffare Adhara, la quale si mise in piedi di controvoglia e si alzò in volo.
"Vado io" disse prima di scattare verso il parco del Valentino, dove sapeva lo avrebbe trovato seduto sotto uno degli alberi dai rami bassi. Leggeva spesso lì, ad alta voce, come se stesse raccontando una storia a qualcuno. O almeno era come la vedeva Adhara, in realtà lui diceva di farlo perché lo aiutava a immaginare i luoghi e le vicende descritte nelle pagine. 
Lo trovò infatti al solito posto, le sue parole che risuonavano calme: "…forse il mistero si sarebbe chiarito, dissolto nel nulla, come in genere succede con le cose misteriose non appena vengono portate alla luce."
"Posso interrompervi, altezza?" chiese cortesemente Adhara esibendo un teatrale ed esagerato inchino.
"Devi essere sempre così fastidiosa?" domandò lui leggermente irritato da quella presa in giro per via del suo stile vittoriano.
"Sai meglio di me che ci si annoia da morire come angeli Neri…" si lamentò sedendosi dall'altra parte del gatto.
"Dovresti trovarti un hobby diverso da quello di dare fastidio agli esseri umani" rispose chiudendo il libro.
"Siamo come bimbi viziati, Rigel, sia angeli che demoni non si azzardano ad essere duri con noi e si contendono la nostra benevolenza per assicurarsi di essere i vincitori in caso di guerra" quasi le sputò quelle parole, "per quanto ci trovino disgustosi, è comprensibile che vogliano pararsi il culo." "Le parole!" la riprese Rigel lanciandole sulle gambe il libro per farglielo infilare nella borsetta che portava sempre con sé, per poi addolcirsi quando vide la sua espressione frustrata, "ma hai ragione. Come mai questi momenti di solitudine?"
"Non mi sento sola, solo annoiata. Forse impaurita, non lo so, la situazione si fa sempre più tesa ogni minuto che passa. È solo questione di tempo e tutta questa tranquillità scomparirà all'istante!"
"Da quando Archenar ha scoperto come stanno davvero le cose sei diventata sempre più paranoica, ormai solo io e Meissa ti sopportiamo ancora" ribatté Rigel estremamente sincero come suo solito.
In un momento di rabbia, Adhara si alzò di scatto: "grazie mille per il conforto!"
"Ho detto solo la verità, Adhara, devi cominciare a controllarti per una volta, sei troppo emotiva" severo, ma quando la prese per mano fu delicato, attirandola piano verso di sé e abbracciandola.
La ragazza si sciolse per un attimo tra le braccia del giovane, rendendosi conto di aver esagerato e decidendo che quella mattina stessa avrebbe chiesto scusa al resto del gruppo per il suo comportamento negli ultimi tempi. Tenevano entrambi le ali basse, identiche tra di loro come tutte quelle dei loro simili. Erano angeli contaminati dall'oscurità dei demoni e, allo stesso tempo, le creature più idealmente simili agli esseri umani.
"Scusami" disse solo lei non aspettandosi una risposta da Rigel. Si risedettero sul prato e lui riprese a leggere "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde", stavolta con un vero ascoltatore affianco a sé.

 
|O|
 
Torino, aprile 2018

Cambiare vita e crescere è un oceano di emozioni: entusiasmo, paura, ansia, aspettative negative e positive. Era tutto questo che rigirava lo stomaco di Emma e le faceva battere forte il cuore mentre portava i suoi scatoloni nella sua nuova camera. A ventuno anni si stava trasferendo in un appartamento con i suoi più cari amici: Samuele e Remus. La casa era del primo dei tre, o meglio della nonna, la quale si era trasferita e gli aveva concesso un buon prezzo per l'affitto. Sapeva già cosa aspettarsi, avevano visitato gli interni un paio di mesi prima ed aveva deciso come organizzare le stanze.
Suo padre aveva un po' storto il naso al pensiero che fosse in un appartamento con solo uomini (soprattuto Remus, dato che Samuele non era propriamente interessato al genere femminile), ma lei aveva saggiamente spiegato che erano persone di cui ci si poteva fidare. Ovviamente questo già lo sapeva, era piuttosto un fatto di come l'avrebbero presa gli altri, ma alla fine, dopo tanto insistere, aveva ceduto e l'aveva assecondata. In realtà non era esattamente suo padre, o almeno non di sangue, ma lei lo considerava tale. Era una storia davvero lunga e a cui preferiva non pensare.
Nei due mesi successivi lei e i suoi amici si erano dedicati alla modifica del grande appartamento ed erano soddisfatti del risultato finale che ora gli si presentava davanti, ancora da aggiustare e arredare e malgrado fosse in una delle zone più pericolose di Torino, si sarebbero accontentati. 
Appena entrati, si poteva trovare sulla sinistra il salotto, diviso dall'entrata solo da un muretto, e la prima camera da letto, quella che sarebbe stata di Remus, mentre sulla destra c'era la sua. Se si passava nel salotto si vedeva una porta scorrevole trasparente che divideva la cucina, ma se dall'entrata si proseguiva per il corridoio, alla fine vi era la porta del bagno e sulla destra, sempre in fondo, la stanza di Samuele.
Entrando nella propria camera si mise ad ammirarla per un istante: le pareti erano viola pastello, l'armadio a due ante era nero sulla parete sinistra, mentre quella destra vedeva il letto ad una piazza e mezza con la ringhiera bianca ancora da fare affiancato al comodino intonato all'armadio, così come la scrivania e la libreria che sapeva avrebbe riempito presto. 
Portò dentro lo scatolone che portava tra le braccia, sentendo il parquet scricchiolare ad ogni suo passo e posandolo sul letto. A quel punto uscì per tornare alla macchina e prendere il resto, incontrando anche gli altri ragazzi sulle scale. Il difetto che più odiava di quell'appartamento era che si trovava al quarto piano senza ascensore, per non parlare di quanto tempo ci avessero messo per trovare parcheggio in quella zona. Non che potessero permettersi di più con i lavori che facevano alla fine, per cui si accontentarono quasi subito.
Emma afferrò un altro dei suoi scatoloni ed entrò nel portone, incontrando sul pianerottolo un ragazzo che non conosceva, alto, magro come un grissino ma dalle spalle larghe, carnagione normale, capelli castani, corti e ricci, con un filo di barba sul viso squadrato, grandi occhi castani, naso leggermente storto verso destra e labbra carnose.
"Giorno" disse cortesemente la ragazza, ma quando lui si voltò verso di lei sembrò sorpreso, come se già la conoscesse e non si aspettasse di vederla lì. Che si fossero visti prima?
"Giorno" rispose lui che sembrò riprendersi e le sorrise malizioso, cosa che ovviamente Emma non apprezzò particolarmente per via di quanto quel gesto la mettesse a disagio, ma si mostrò comunque gentile con un sorriso e fece per entrare in casa. 
"Vi state trasferendo qui?" domandò lui appoggiandosi con le spalle al muro. Portava una camicia rossa a quadri aperta, una t-shirt nera, jeans parecchio consumati e un paio di sneakers bianche. Non era tanto diverso da lei lo stile: portava un crop top a maniche corte a righe orizzontali rosse e bianche, mom jeans blu chiaro, vans old skool nere e una giacca a vento verde con maniche e cappuccio rossi e la parte inferiore gialla. Insomma, un look per lei forte e che le sarebbe stato bene addosso se non fosse un palo della luce.
"Sì" rispose lei posando lo scatolone a terra, immaginando che la discussione sarebbe durata a lungo ed il peso dell'oggetto era troppo per le sue deboli braccia. 
"Forte, ci voleva una bella ragazza in questo palazzo di vecchi" affermò il ragazzo facendola arrossire e mettendola ulteriormente a disagio. Non sapeva come prendere quella affermazione, era abituata che se qualcuno le avesse detto una cosa del genere era solo ironico, ma non conosceva la persona che le stava davanti per cui non seppe rispondere. Inoltre, qualcosa nella sua espressione le diceva che neanche lui fosse tanto tranquillo, ma che anzi condividesse le sue sensazioni. Decise che era davvero ora di entrare in casa: "grazie. Ora vado, devo fare parecchio lavoro ancora."
"Ehy Emma, hai conosciuto Max?" domandò Samuele raggiungendola, "siamo cresciuti insieme, giocavamo sempre quando venivo da mia nonna."
"Ah forte" rispose lei facendo un altro sorriso e trascinando lo scatolone in casa.
"Ci si vede" disse il vicino entrando in casa e salutandoli con un cenno della testa, per poi chiudere la porta dietro di sé.
Emma non avrebbe mai immaginato che si fosse appoggiato con la schiena alla porta subito dopo averla chiusa, accorgendosi che, per tutto quel il tempo, stava trattenendo il fiato. 
L'aveva trovata, era di nuovo lì con lui. Non sembrava cambiata per nulla, rimaneva lei in tutto il suo splendore. Chiuse gli occhi per rivedere i lunghi e mossi capelli neri, la pelle bianca color avorio, ma con qualche imperfezione, il viso ovale dai lineamenti definiti, i grandi occhi verdi contornati dall'eyeliner e dalle lunghe ciglia, il naso dritto e con la punta all'ingiù, le labbra carnose e rosate. Ancora una volta prese a sospirare mentre il cuore aveva preso a battergli velocemente. 
Da quando aveva ricordato non aveva mai smesso di pensare a lei nemmeno per un istante, si era ritrovato innamorato in un solo istante. Erano anni che pensava a cosa avrebbe fatto quando si sarebbero rivisti, ed ora che finalmente il destino l'aveva riportata da lui non aveva ancora idea di come le avrebbe detto la verità. Istintivamente portò la mano sul ciondolo che teneva sotto la maglia, tirandolo fuori e rivelando una fredda una spectrolite, la quale di illuminò al suo tocco.
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Spazio autrice: Che dire, ammetto di essermi ispirata ad un sogno fatto circa un mesetto fa e che da lì ho cominciato a sviluppare questa storia. Che ne pensate? Vi piace? Spero di sì! Fatemelo pure sapere con una recensione, accetto anche critiche costruttive e segnalazioni di eventuale sviste, anzi ve ne sarei davvero grata se mi aiutaste a migliorare. 
Ad ogni modo, alla prossima!
LittleBadDreamer. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Il sogno ***



 

A thousand nights have passed,
change doesn't happen overnight. 
Not visible at first, it's important to hold on,
hold on.
Black sea - Natasha Blume.


Quella sera, dopo aver mangiato ed essersi infilati nei loro pigiami, Emma preparò il tè per tutti, attività che l'aveva sempre rilassata particolarmente per qualche motivo. Dopo averlo versato nelle tazze e messo lo zucchero, lo portò in salotto, dove Remus stava mettendo un episodio della loro serie preferita su Netflix.
Dopo un paio di questi, lei e Samuele si addormentarono per la stanchezza sul divano, l'una sopra l'altro, stretti in un tenero abbraccio innocente. Remus non si azzardò a disturbarli: prese una coperta leggera e gliela adagiò sopra, tolse i cuscini per lasciargli più spazio e mise in carica i telefoni che avevano già impostate le sveglie. Era sempre stato un po' il papà tra i tre, il che era utile quando uscivano per andare a qualche pub e lei e Samu finivano puntualmente per ubriacarsi.
Quella notte Emma fece lo stesso sogno che ormai faceva da anni: stava camminando per il centro di Torino, esattamente sul ponte che portava davanti alla Gran Madre. A quel punto, sentiva una presenza dietro di lei e si voltava, trovandosi davanti una figura maschile il cui volto era sfocato, come se avessero preso una gomma e avessero tentato di cancellarlo. Ma la cosa più inquietante e affascinante al tempo stesso, erano le grandi ali neri dietro di lui. Rimanevano così per un paio di minuti, immobili uno davanti all'altro, e quando finalmente le sembrava di ricordare qualcosa e di vederlo più chiaramente, il giovane spiccava il volo, unendosi ad altri essere simili a lui.
Avevano tutti le stesse ali, simili a quelle degli angeli, ma fatte di piume nere.
Alcuni di loro sfioravano l'acqua del fiume con la punta delle dita, per poi tornare su e raggiungere gli altri, i quali sembrava danzassero nel cielo scuro. Fu lo stesso giovane di prima ad avvicinarsi a lei, il quale le tese la mano dicendo qualcosa che Emma non riuscì a sentire, ma aveva imparato con il tempo a leggerne il labiale: "Vieni con me, mia-."
E si svegliò.
Sempre lo stesso sogno, ogni notte si ripeteva senza alcuna differenza, ma mai era riuscita a vedere i volti e sentire le voci di quelle creature alate, ne tanto meno a capire l'ultima parola del ragazzo, sembrava indecifrabile. Avrebbe voluto chiamarli angeli, ma erano così diversi e non emanavano luce, anzi sembravano sentirsi a loro agio nell'oscurità.
Non aveva mai raccontato di questo sogno a nessuno: all'inizio non vi dava importanza, era una bambina e sin da subito quelle immagini non l'avevano inquietata come si potrebbe pensare, ma la affascinavano. Crescendo invece aveva continuato a non accennare nulla, temendo di risultare pazza. Siamo tutti insicuri nel periodo dell'adolescenza, dopotutto e lei lo era particolarmente.
Si mise seduta, facendo attenzione a non svegliare Samu nel processo, ovviamente fallendo.
"Ohy, che succede?" chiese lui evidentemente frastornato, guardandosi intorno e ricordando la sera prima.
"Niente, ho solo fatto un incubo" rispose lei accendendo il telefono, il quale le illuminò il viso e le fece istintivamente chiudere gli occhi. Erano le 4:22, mancava ancora un'oretta alla sua sveglia.
Tuttavia non aveva voglia di rimettersi a dormire, sapendo che altrimenti si sarebbe risvegliata più stanca di prima. Decise così di risistemare la coperta a Samu, incitandolo a tornare a dormire tranquillo -cosa che ovviamente fece-, mentre lei si diresse in cucina per prepararsi il caffè. Non faceva mai colazione, era il tipo di ragazza che preferiva piuttosto dormire cinque minuti in più e mangiare qualcosa per strada, ma volle approfittare di quel tempo libero per cambiare.
Non si sarebbe aspettata però di trovare Remus seduto su una delle sedie, la testa tra le mani davanti ad una tazza di tè al limone.
Subito Emma si avvicinò a lui preoccupata: "Ehy, tutto bene?"
Appena si accorse della sua presenza, il ragazzo si mise dritto con la schiena e fece finta di nulla, ma gli occhi rossi per il pianto erano alquanto evidenti.
"Sì, sì. Come mai sveglia?"
"Pensi a lei?" gli chiese senza mezzi termini sedendosi affianco a lui e mettendogli una mano sopra la sua per consolarlo, ma Remus si scansò. Non aveva qualcosa contro di lei, si sentiva solo a disagio con il contatto fisico ed Emma lo sapeva bene, ma tendeva a dimenticarlo. In parte lo capiva, anche per lei era così, tranne per le poche persone davvero vicino a lei, con le quali era davvero tanto affettuosa.
"Scusa" disse spontaneamente, per poi alzarsi e prendere la caffettiera, "devi andare avanti, sapevi che non sarebbe durata da mesi."
"Lo so, ma ci tenevo, Emma!" ribatté lui, per poi abbassare il tono ricordandosi l'ora, "ho solo bisogno di tempo, okay? Non ho voglia di parlarne, non adesso almeno."
"Okay" rispose la giovane, per poi prendere l'elastico che teneva sempre attorno al polso per legarsi i capelli in una veloce e scomposta coda alta. Accese i fornelli con al di sopra la caffettiera e si risedette affianco a lui, per poi prendere il pacchetto di sigarette che teneva nel centrotavola.
"Mi ha chiamato Adriano ieri sera, quando dormivi, ha detto che non gli rispondevi e si stava preoccupando" al nome dell'uomo Emma sorrise. Era felice che sua mamma avesse esplicitamente chiesto che lei rimanesse con lui dopo la sua morte, era diventato ciò che c'era di più simile ad una famiglia. Da un giorno all'altro si erano trovati completamente da soli e quando il suo padre biologico era venuto a reclamarla, Adriano avrebbe potuto tranquillamente disfarsi di lei rifiutando le condizioni del testamento, ma non lo aveva fatto. L'aveva cresciuta come se fosse stata sua, era stato il padre migliore che Emma potesse mai avere.
"Che ti ha detto?" domandò la giovane sinceramente interessata, mentre si accendeva una sigaretta e cominciava a fumare. 
Remus storse il naso a quel gesto: "non puoi farlo fuori? Lo sai che mi da fastidio."
"Fa freddo, prometto che faccio veloce. Comunque che ha detto?"
"Voleva solo sapere com'era andato il primo giorno nel nuovo appartamento, mi è sembrato davvero emozionato e malinconico al tempo stesso. Secondo me gli manchi già."
"Appena si farà un'ora più accettabile lo chiamerò" disse lei, ma stava parlando più a se stessa che all'amico.
Il resto del tempo passò tranquillo, chiacchierarono del più e del meno, confrontandosi anche sulle aspettative e speranze future che ovviamente emozionavano entrambi. E ancora una volta, Emma, riuscì a dimenticarsi di quegli Angeli Neri che popolavano i suoi sogni.

 

|O|

Torino, marzo 1986

Per suo dispiacere, Adhara quel pomeriggio non poté passarlo a fare scherzetti con i suoi poteri agli umani, bensì dovette vedersi con i suoi sette compagni. Grazie al fatto che nessuno potesse vederli, gli Angeli Neri si erano scelti una "modesta" dimora: la reggia di Venaria Reale. Quel palazzo era entrato nei cuori di ognuno di loro, sembrava essere magico, li trasportava in epoca di merletti e colori che loro avevano visto solo di sfuggita.

La stanza preferita di Adhara era ovviamente la Galleria Grande: si perdeva in quell'enorme spazio, amava tutto, dal pavimento a scacchi bianchi e neri fino alle alte e candide pareti. Aveva ipotizzato di amarla tanto perché forse le ricordava uno dei libri che più l'avevano divertita e fatta sognare negli anni: Alice nel Paese Delle Meraviglie. Ne conservava ancora una vecchia copia nascosta nella città, un libro vecchio dalle pagine gialle e la copertina mezza strappata, ma le piaceva ugualmente.
Ogni volta che entrava in quella galleria immaginava di essere nella Corte della Regina Bianca, vestita con un candido vestito color avorio in stile '700, anche se sapeva perfettamente che i libri di Alice erano ambientati nell'800, eppure per qualche motivo se lo era sempre immaginato in un'epoca differente. Quanto sarebbe stata interessante una Regina Bianca abbigliata come una Maria Antonietta che vestiva solo di color avorio?
Ad ogni modo, non si incontravano mai lì per via della mancanza di posti a sedere, bensì nell'Appartamento di Sua Maestà, per l'esattezza nel Circolo della Regina. Erano stati Archenar e Keid a scegliere di vedersi lì sin da subito, i cui colori prevalenti erano l'oro e il rosso.
Quando entrò nella stanza vi trovò già Archenar e Syrma, seduti sul divanetto con le labbra presse le une su quelle dell'altro. Non c'era lussuria, era un semplice bacio dolce e tenero, uno sfioramento leggero pieno di carezze sul viso e tra i capelli. Rimasero uniti per ancora un paio di secondi prima che si accorgessero della sua presenza nella stanza e si staccarono per accoglierla.
Non c'era imbarazzo, i due erano una coppia da tantissimi anni ormai, probabilmente più di un decennio o due. Syrma era poco più bassa di lei, giusto di un paio di centimetri, la pelle nera liscia e perfetta in contrasto con l'abito rosa pastello con i pois bianchi in stile anni '50, dalla gonna a vita alta a ruota e la parte superiore fatta a 'mo di camicetta. Ai piedi invece portava un paio di semplicissime ballerine perfettamente abbinate. Aveva lunghissimi e ricci capelli neri raccolti in uno chignon leggermente spettinato, viso ovale, un paio di magnetici e dolci occhi scuri color cioccolato fondente, naso piatto e labbra carnose. Spesso pensava che fosse la più bella tra lei e Meissa o forse era il suo carattere a renderla ancora più adorabile e dolce.
Tra tutti gli Angeli della loro compagnia, Syrma era sicuramente la più comprensiva e matura, se Rigel poteva darti un parere logico in una situazione, lei era la spalla su cui piangere, colei che capiva meglio i sentimenti dei suoi amici ed era pronta ad essere d'aiuto. Eppure era estremamente emotiva, si lasciava guidare quasi solamente dall'istinto e da ciò che sentiva dentro.
Archenar invece era un ragazzo alto quasi due metri, muscoloso e dalla carnagione pallidissima. Aveva corti capelli biondi, i lineamenti del volto squadrati e ben definiti, piccoli occhi verdi, labbra asimmetriche e un perfetto sorriso bianco. Poteva essere definito come una delle persone più legate a Rigel, malgrado il suo carattere fosse più simile a quello di Syrma, solo che estremamente timido, a confronto di lei che è sempre piuttosto tranquilla e a suo agio nelle situazioni.
Adhara aveva sempre pensato che lei lo stabilisse in qualche modo, ma che al tempo stesso Syrma si sentisse più sicura tra le sue braccia. Insomma, erano entrambi un sostegno per l'altro, per questo aveva sempre invidiato il loro rapporto. Questo a differenza di Chertan, il quale delle volte si rifiutava anche di presentarsi alle riunioni per non vederli insieme. Adhara sperava che anche quella volta non sarebbe stato così.
In quel momento Keid e Rigel entrarono nella stanza, le ali nere ripiegate dietro le loro schiene. Keid era un tipo piuttosto basso, viso tondo e costellato di lentiggini, occhi castani pelle ambrata. I capelli biondo ramato erano tutti scompigliati come al suo solito, in contrasto con quelli scuri sempre gellati e tirati all'indietro di Rigel. E mentre il primo indossava una semplice t-shirt bianca, una giacca super colorata all'ultima moda, un paio di jeans e sneakers fluo, il secondo rimaneva sul suo solito stile: camicia bianca, un gilet verdeacqua, un lungo cappotto nero con ricami dello stesso colore del gilet, pantaloni grigi e scarpe eleganti.
Subito Adhara si ritrovò a sospirare nel vederlo entrare, specialmente quando le rivolse un sorriso amichevole. Rigel non era bello, ma aveva un fascino a cui la giovane angioletta non sapeva resistere. A volte si chiedeva chi erano loro prima della Corruzione, prima che diventassero quello che erano ora. Erano amici? Amanti? Sconosciuti? Nulla avrebbe potuto risponderle perché nessuno ricordava qualcosa, esattamente come lei.
"Ciao" dissero entrambi, prima uno e poi l'altro, per salutare tutti nello stesso momento, e mentre Keid si avvicinò prima ad Archenar, una degli angeli con cui si sentiva a più agio, Rigel si diresse verso Adhara, la quale lo salutò con un cenno della testa.
"Come mai non ti sei fatta vedere in questi giorni?" le chiese lui, domanda che sperava non arrivasse. Nell'ultimo tempo, Adhara si era resa conto quanto tenesse a Rigel e come la loro amicizia sembrava si stesse trasformando piano piano in qualcosa di più. Lo stava intenzionalmente evitando per fare chiarezza sui propri sentimenti, per poi decidere se si sarebbe dichiarata o era qualcosa di momentaneo. Sì, in caso fosse stata una cotta non si sarebbe tirata indietro, tanto sapeva le sarebbe stato impossibile nasconderlo conoscendo se stessa e la sua bocca che parlava sempre troppo: prima o poi si sarebbe fatta sfuggire qualcosa, per cui preferiva fosse intenzionale piuttosto che far calare un imbarazzante silenzio in cui avrebbe voluto scomparire.
Solo che come rispondere ora? "Avevo...cose da fare" cominciò lei cercando di prendere tempo per una scusa plausibile.
"Cose da fare? Ovvero?" domandò dal canto suo Rigel, il quale sapeva bene che come Angelo Nero non si ha mai nulla da fare. 
"Con Meissa" rispose alla fine e per non continuare quella conversazione decise di cambiare argomento: "A proposito, come mai non è ancora arrivata?"
"Dovresti saperlo tu, sei quella che ci ha passato più tempo a quanto pare" ribatté freddo Rigel che aveva palesemente capito che stesse mentendo e ne sembrava alquanto offeso, ma soprattutto deluso.
Non si rivolsero parola per il resto del giorno, lui non le rivolse neanche uno sguardo e, quando anche Meissa e Chertan li raggiunsero, fecero il punto della situazione sul mese appena trascorso, senza accorgersi degli occhi rossi di una creatura poco distante da loro che si confondeva con l'ambiente circostante.

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Spazio autrice: Primo vero capitolo, che ne pensate? Vi piace? Spero tanto di sì! Fatemelo comunque sapere con una recensione, come sempre accetto ogni tipo di critica, positiva o negativa.
Alla prossima!

LittleBadDreamer.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Eventi inquietanti ***



 

And all the kids cried out: 
"please stop you're scaring me."
I can't help this awful energy.
God damn right, you should be scared of me.
Who is in control?
Control - Halsey.

 

Uscita di casa, Emma chiamò Adriano mentre si dirigeva verso il suo veicolo, sapendo che in quel momento l'uomo fosse in macchina diretto verso la fabbrica chimica dove lavorava.
Rispose subito dopo due squilli: "Ehy gattina, come stai?" era un soprannome che le aveva affibbiato da quando a quattro anni si era impuntata di non voler bere il latte fino a che non fosse stato per terra, come i gatti. Era un capriccio stupido di una bambina piccola, ma era stato l'unico modo per convincerla a fare colazione. Il ricordo e la voce premurosa e gentile di lui le scaldarono il cuore, rendendola nostalgica di quei periodi di vita sciocchi e innocenti.
"Tutto bene. Disturbo per caso?" domandò evitando le feci animali sui marciapiedi, facendole storcere il naso per il disgusto e la maleducazione dei padroni.
"No, no, stavo ascoltando la musica con il telefono attaccato agli autoparlanti della macchina, non preoccuparti. Tu come stai guidando?"
"In realtà non sono ancora in macchina" rispose lei, per poi cambiare discorso e arrivare al sodo, "Remus mi ha detto che hai chiamato. L'appartamento è davvero bello, sai?"
"Sono felice di sentirtelo dire. Spero non ti dimenticherai di me, sarai sempre la benvenuta a casa" quelle parole le strinsero il cuore, ricordandole una cosa: era rimasto da solo. Certo, da una parte era una cosa positiva, l'aveva sempre tenuta fuori dalle poche relazioni che aveva avuto dopo sua madre, le quali alla fine non si erano mai rivelate piuttosto longeve proprio per il fatto che fino ai sei mesi preferiva non presentarle ad Emma per non destabilizzarla troppo. Insomma, se ora avesse voluto una vera e propria relazione, la ragazza non sarebbe stata in mezzo ai piedi, ma dall'altra sapeva quanto profondamente si fosse affezionato a lei, glielo aveva sempre dimostrato.
"Lo farò, non preoccuparti" ribatté la giovane aprendo la portiera della macchina e sedendosi lanciando la borsa nera sul sedile affianco. "Scusami, ma devo andare."
"Va bene, tranquilla. Ciao gatto" la salutò Adriano e per un momento Emma credette di vedere il suo sorriso dall'altro capo del telefono.
"Ciao, Adri."
Chiusa la telefonata, si diresse verso il centro, dove lavorava in una catena di abbigliamento low-cost come semplice commessa. Non era il massimo, ma era quello che era riuscita a trovare. Per il lavoro indossava una giacca tailleur dalla fantasia "principe di galles", una t-shirt bianca, un jeans skinny blu e un paio di sneakers bianche, un look formale ma non troppo, a cui optava in tutte le sue varianti.
Non si trovava parecchio bene con le sue colleghe, Emma era sempre stata il tipo di persona che per qualche motivo faceva molta fatica a legare con coloro che erano del suo stesso sesso, si trovava molto più a suo agio con i ragazzi. Insomma con le colleghe era più una questione di "convivenza pacifica" che di amicizia.
Come al solito doveva parcheggiare fuori dalla zona ZTL, per poi fare un pezzo a piedi. Non le dispiaceva troppo, dopotutto la mattina il centro non era tanto frequentato, cosa che glielo faceva apprezzare ancora più del solito, senza dover fare lo slalom dei passanti.
In poco tempo si era ritrovata all'interno del negozio e subito si diresse verso il magazzino, dove posò la borsa. Tornò dall'altra parte e salutò le sue colleghe che sistemarono con lei gli ultimi indumenti prima dell'apertura. E dopo una decina di minuti, cominciò la giornata di lavoro.
Tutto procedeva alla perfezione se non fosse per gli occasionali movimenti di vestiti sugli scaffali: andava lì per risistemarli quando i clienti non li piegavano, ma prima che potesse toccarli, questi si muovevano da soli, spaventandola. Per quanto le capitasse spesso di vedere cose simili, ogni volta ne rimaneva scioccata e sorpresa, aveva addirittura cominciato a pensare che un fantasma la stesse perseguitando e che facesse di tutto per terrorizzarla. Cosa volesse da lei ancora però non lo aveva capito.
Non poteva sapere che i fantasmi non c'entrassero assolutamente nulla. 

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Tutti i buoni propositi di Massimiliano erano svaniti. Buoni si fa per dire, semplicemente intendeva fare il finto cattivo ragazzo per cercare di conquistare Emma. Peccato che fosse davvero lontano dall'immagine del classico bad boy che si legge spesso e a cui le ragazze sbavano dietro, a cominciare dal suo aspetto: era alto, certo, ma non aveva addominali scolpiti, anzi se si escludevano le spalle larghe per via dei numerosi anni di nuoto, era un tipo piuttosto gracile. Non aveva degli splendidi occhi verdi o grigi, ma castani, per non parlare del naso storto e dei capelli ricci. E poi non aveva minimamente il coraggio di comportarsi come uno di loro.
Forse era anche la stanchezza ad influire: aveva lavorato quasi tutta la notte, dalle 21 alle 3 (doveva ringraziare che non si trattasse di un sabato sera o si sarebbe dovuto fermare fino alle cinque) del mattino. Si trattava di un locale che faceva apericena e poi si trasformava verso mezzanotte in una discoteca. Fortunatamente era un tipo abbastanza notturno, per cui faceva meno fatica a stare dietro a quei ritmi in confronto ad una persona normale, ma era ad ogni modo stancante e a volte avrebbe preferito stare a casa tranquillo come succedeva la domenica sera. Peccato che le bollette non si pagassero da sole.
Anche Yohanna, la sua coinquilina, lavorava con lui. Si erano conosciuti alle superiori e ben presto erano diventati amici e più tardi colleghi. Purtroppo però lei sopportava molto di meno i turni di lavoro, per questo, alle undici di mattino, era ancora a letto mentre lui sistemava casa.
Adhara avrebbe potuto aiutarlo se fosse stata lì con lui, i suoi poteri telepatici erano sempre d'aiuto in occasioni del genere. Ripensare a lei gli strinse il cuore di malinconia. Gli mancava il tempo in cui faceva sempre dispetti ai mortali, spaventandoli di tanto in tanto, gli mancava la sua curiosità, i suoi sogni fantasiosi ad occhi aperti, il suo ottimismo, il suo vivere il presente...aveva sempre pensato che avesse un'influenza positiva su di lui, ma solo dopo che si allontanarono se ne rese davvero conto. Almeno il destino aveva voluto fargli incontrare Yohanna, che in qualche modo lo aiutava a sperare, cosa difficile per lui.
Massimiliano stava sistemando i trucchi della coinquilina in bagno quando con la coda dell'occhio gli sembrò di vedere il suo riflesso, ma non il solito. Gli occhi, i lineamenti e la carnagione erano gli stessi, ma era vestito in un modo nettamente diverso, come se fosse uscito da una stravagante epoca vittoriana; i capelli ricci erano portati all'indietro con il gel, il viso era pulito e senza un filo di barba. Ma soprattutto, sulla sua schiena vi erano due paia di grandi ali nere.
Quando però si voltò completamente verso lo specchio, l'immagine era tornata norma. Ancora una volta portò istintivamente una mano sul ciondolo di spectrolite, stringendolo più forte che poteva, come faceva quasi sempre in quel periodo. Aveva il respiro affannato, gli occhi scuri spalancati per la sorpresa. Non sapeva bene cosa fare, come prendere ciò che aveva visto, voleva solo sentirsi più vicino all'essere davanti allo specchio, più vicino a quell'Angelo Nero. A Rigel. 

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Spazio autrice: Capitolo corto, è vero, ma purtroppo con l'anno degli esami il mio tempo è più occupato da preparazione della tesina, interrogazioni, verifiche e costante ansia, per cui perdonatemi. Ad ogni modo, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, spero davvero che questo capitolo vi sia comunque piaciuto.
Alla prossima!

LittleBadDreamer.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Aggressione ***



What's wrong, what's wrong now?
Too many, too many problems.
Don't know where she belongs, 
where she belongs.
Nobody's Home - Avril Lavigne.

 

Il vento soffiava forte, spazzava via ogni cosa che trovava davanti a sé trascinandosi dietro la pioggia che tagliava il volto di Adhara, la quale socchiudeva gli occhi ogni volta che avvertiva l'acqua scontarsi sulla pelle fredda e candida. Se non avesse provato tutto quel dolore dentro di sé, avrebbe pensato di essere morta. 
No, lei era incapace di morire. Invidiava coloro che avrebbero perso la vita, ogni momento aveva un sapore unico perché non possono sapere quando la mano della Morte li avrebbe raggiunti e portavo via le loro anime, potevano vivere come se ogni giorno fosse l'ultimo. Per loro Angeli Neri non era così: visti da tutti come oggetti, la loro vita non era che un errore, una corruzione della loro anima un tempo pura ed ora macchiata di peccato, di tentazioni, di dolori e di paure. 
Erano odiati e amati dal bene e dal male, dalle due fazioni che si scontravano dall'inizio dei tempi, che desideravano ottenere la loro "fetta di fedeli" sul mondo. No, non poteva essere nemmeno definito amore, perché non si trattava di un sentimento che puoi provare per un figlio, per un genitore, per un amante o per semplice un amico; amavano solo il loro poter essere utili, il potere che potevano avere sul destino dell'intera umanità: Angeli Bianchi e Demoni erano contrapposti su rispettivi piatti di una bilancia e il peso degli Angeli Neri l'avrebbero fatta pendere da una parte o dall'altra. 
Per questo, sin da subito, Adhara e i suoi compagni si erano dichiarati neutrali: non intendevano minimamente portare sulle spalle una responsabilità tanto grossa. Allo stesso tempo, questa scelta aveva reso la loro esistenza insignificante, nulla era cambiato da quando loro erano nati e nulla sarebbe mai dovuto cambiare. 
Era questo che frustrava la giovane angioletta: che differenza ci fosse stata se non fosse esistita? Che senso aveva la sua presenza in quel mondo che sembrava così lontano malgrado si trovasse tutt'attorno a lei? Non apparteneva a nulla di tutto quello, non era lei che in quella splendida città cresceva, viveva e moriva. 
Spesso si chiedeva se si potesse avvertire la mancanza di qualcosa che non si aveva mai posseduto: la mancanza di un genitore, la mancanza di una vita ordinaria, la mancanza di sapere che se fai una cosa in quel momento potresti non farla mai più. 
Ed ora volava sotto la pioggia che le inzuppava i vestiti e le bagnava il corpo, rendendo difficile la vista di ciò che la circondava e l'intero sforzo fisico che la stava sfinendo. Eppure aveva bisogno di sentire tutto questo; l'acqua e i venti freddi, il dolore mentale, la sua frustrazione, la facevano capire che lei esisteva davvero. 
"Adhara!" se Rigel non l'avesse chiamata, non lo avrebbe visto e si sarebbero scontrati precipitando a terra. Tuttavia, la giovane non si fermò, anzi si voltò su se stessa e fece per allontanarsi dalla parte opposta. 
"Basta! Perché devi sempre fare i capricci come una bambina?!" domandò l'amico afferrandola per un braccio prima che potesse seminarlo. 
"Cosa ne sai tu dell'essere bambini, Rigel?!" sibilò con cattiveria lei guardandolo negli occhi, "nessuno di noi può saperlo!"
"Sai bene cosa intendevo" rispose lui lasciandole il braccio infuriato e in quel momento una vocina nella testa di Adhara le chiese se non avesse esagerato, ma era troppo arrabbiata per ascoltarla. 
"Lasciami in pace" continuava la ragazza, ma non voleva davvero se ne andasse, anzi voleva la rassicurasse e la calmasse, che ignorasse ciò che gli avrebbe detto anche se faceva male. Si sentiva così dannatamente egoista per quei pensieri. 
Ma Rigel non era una marionetta nelle sue mani, per questo non ci pensò due volte ad andarsene sul serio, sotto gli occhi dell'angelo, che era combattuta se seguirlo o ascoltare il suo orgoglio. E l'avrebbe fatto se non si fosse trattato di lui
"Rigel..." cominciò avvicinandosi, ma il giovane non si fermò, né rispose. "Rigel, aspetta, non volevo, mi dispiace."
"A te dispiace sempre, non pensi mai a pesare le parole prima di dirle!" sbottò lui voltandosi e colpendo a segno, ma stavolta non ricevette risposta diversa da un umile: "scusa."
"No, sono stanco!" continuava lui impetuoso, tanto che i venti avevano preso a soffiare con più forza per via della forte energia che li scuoteva e la ragazza non poté fare a meno di avere paura. "Devi sempre prendertela con gli altri anche se non c'entrano niente, non ti interessa dei loro sentimenti!"
Adhara ancora non parlava, semplicemente guardava i propri piedi penzolare nel vuoto mentre cercava di trattenere le lacrime. 
"Ma a te importa minimamente di me? Non hai fatto altro che evitarmi in questo periodo e quando finalmente parliamo mi tratti così" domandò Rigel e a quel punto fu come se si risvegliasse: "certo che mi importa di te! Tu mi piaci, okay?"
Non riuscì a trattenerlo più: erano mesi che lo evitava per capire cosa provasse e giorni per trovare il momento adatto e rivelarlo, senza successo. Sì, aveva atteso tanto per comprendere i propri sentimenti, ma quando quel momento era arrivato si era ritrovata impaziente di togliersi quel peso dal cuore e dirgli la verità. 
Eppure, non era assolutamente così che voleva andassero le cose. 
Dal canto suo, Rigel si bloccò un attimo, interdetto e indeciso sul da farsi. In un primo momento era stupito, ma dopo poco la sua espressione tornò quella di prima: "Mi prendi per il culo?"
Non le credeva. "No!" lo interruppe Adhara rossa sulle guance, "è vero..."
Il giovane capì quanto fosse sincera, per cui si calmò subito e riprese a squadrarla con stupore e la bocca semi-aperta. Non si aspettava ovviamente una risposta di quel genere, non ci aveva minimamente pensato. Erano sempre stati amici in quei decenni, per cui cosa sarebbe dovuto cambiare? 
"Dì qualcosa" lo incoraggiò lei, temendo la sua risposta. 
Rigel a quel punto alzò lo sguardo sulla figura dell'amica, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, avvertì una presenza minacciosa avvicinarsi a grande velocità. Anche Adhara dovette aver avvertito qualcosa perché cominciò a guardarsi attorno, il suo sesto senso era meno sensibile per via delle altre emozioni che la confondevano. 
Tuttavia, la giovane angioletta guardò nella direzione sbagliata, mentre il ragazzo aveva ben capito da dove provenisse la presenza. 
"Adhara, attenta!" gridò con tutto il fiato che aveva in corpo prima di spingerla via dalla sua traiettoria, ma non fece in tempo a schivare il colpo. 
Adhara rimase a bocca aperta, inizialmente confusa e sorpresa, ma quando vide il corpo sanguinante del ragazzo che amava tutto sembrò andare al rallentatore, mentre nella sua testa vi era solo il terrore più puro. 
"Rigel!"

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Spazio autrice: Capitolo dedicato esclusivamente ad un flashback. Che ne pensate? Vi piace? Scusate il ritardo, ma tra una cosa e l'altra non sono riuscita a pubblicate. Lasciatemi comunque una recensione, così so cosa dovrei migliorare o se semplicemente la storia vi sta interessando. 
Alla prossima!

The girl in the moon.

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