Il mio dolce Cupcake

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuova vita ***
Capitolo 2: *** Un amico insistente ***
Capitolo 3: *** Passioni condivise ***
Capitolo 4: *** Il gentleman ribelle ***
Capitolo 5: *** La reginetta del liceo ***
Capitolo 6: *** Il giardino segreto ***
Capitolo 7: *** In mezzo a due fuochi ***
Capitolo 8: *** Improvvisarsi dog sitter ***
Capitolo 9: *** Vieni qui, stupido cane! ***
Capitolo 10: *** Il bello del giardinaggio ***
Capitolo 11: *** Un ragazzo tra i gatti ***
Capitolo 12: *** Da cicerone ***
Capitolo 13: *** Cose da femmine ***
Capitolo 14: *** Il piatto freddo della vendetta ***
Capitolo 15: *** Ti meriti una punizione ***
Capitolo 16: *** Tu credi ai fantasmi? ***
Capitolo 17: *** Mano nella mano ***
Capitolo 18: *** Alla ricerca dello scoop ***
Capitolo 19: *** Nuove conoscenze ***



Capitolo 1
*** Nuova vita ***


Nuova vita
 

L'auto di mia madre si ferma davanti al liceo Dolce Amoris.
Ci siamo. Da oggi in poi inizia la mia nuova vita, non certo nel migliore dei modi, visto che sto cambiando liceo all'inizio del secondo anno.
«Sei sicura non vuoi che ti accompagni?» dice mia madre, assumendo quell'odioso tono dolce e smielato, da mamma chioccia, pronta a proteggere la sua bambina.
Come se avessi ancora cinque anni e stessi andando da sola in una vasca di squali.
Beh, sicuramente il liceo ha i suoi squali e molto probabilmente questo non avrebbe fatto eccezione, ma di una cosa sono certa, il modo migliore per fare una figuraccia è entrare accompagnata da mia madre.
«Mamma non ho più cinque anni, me la so cavare. Ci vediamo questo pomeriggio, ok?»
Apro la portiera della macchina e scendo, infilando testa e braccio destro nella cinghia della mia tracolla blu scuro.
Osservo ancora per un attimo il cancello d'ingresso, mentre sento il motore alle mie spalle accendersi e poi allontanarsi.
«Forza Vanille, puoi farcela.» dico, dopo aver preso un lungo respiro.
Solo a quel punto muovo i primi passi.
Il cortile è già pieno di gente. Ragazzi che fumano, chiacchierano. Probabilmente stanno attendendo che suoni la campanella che annuncia l'inizio delle lezioni.
Passo inosservata, come al solito d'altronde. Non sono una che si isola solitamente, anzi quando mi ritrovo in un luogo nuovo cerco subito di fare amicizia e, spesso e volentieri, grazie al mio carattere aperto, divento una delle più carismatiche e intraprendenti del gruppo, ma se voglio so anche comportarmi da ninja. 
Questo giorno in particolare, o meglio in questo momento, non ho nessuna intenzione di farmi notare ed essere così additata subito come "quella nuova".
Entro nell'edificio, ritrovandomi immediatamente in un lungo corridoio bianco, illuminato dalle luci a neon sul soffitto e  adornato, se così si può dire, dagli armadietti viola. Anche le porte delle aule sono di quello stesso colore.
Storco la bocca, indecisa su cosa fare. O meglio, so bene cosa devo fare, devo cercare l'ufficio della preside. Aggrotto la fronte, com'era già che si chiamava la preside? Ricordo solo che aveva un nome impronunciabile. Alzai le spalle, appuntandomi mentalmente di non provare mai a chiamarla per cognome onde evitare di fare una figuraccia.
Comincio a percorrere il corridoio, in cui comunque c'è molta meno gente, rispetto al cortile esterno ed è decisamente più difficile passare inosservati. Soprattutto quando, come sto facendo io, una persona tira dritto per la presidenza. 
Trovo l'ufficio quasi subito. La seconda porta sulla destra.
Busso con tocco leggero, incassando la testa in mezzo alle spalle, nella speranza che nessuno mi noti.
Poco dopo una vocetta squillante, mi invita ad entrare ed io eseguo subito l'ordine, abbassando la maniglia e aprendo la porta.
La preside è una signora sulla sessantina, forse anche più vecchia. I capelli bianchi tirati su in uno chignon è un paio di occhiali rettangolari sul naso. È vestita con un completo di tweed rosa, che mi ricorda mostruosamente la Umbridge di Harry Potter e, considerata la stazza della persona che ho davanti, la somiglianza è quasi lampante.
Ritiro verso l'interno della bocca le labbra, trattenendomi dal ridere o anche solo sorridere a quella mia associazione mentale, dopodiché, cerco di riprendere un po' di contegno e mi presento.
«Sono Vanille Lambert, sono qui per l'iscrizione.» dico, col tono più deciso possibile.
«Oh, buongiorno signorina Lambert e benvenuta al liceo Dolce Amoris.» mi dice, strizzando gli occhi dietro alle lenti e tirando le labbra in un sorriso che ha tutta l'aria di essere o falso o fin troppo zuccheroso.
Sì, decisamente somiglia alla Umbridge.
«Grazie.» rispondo, non sapendo che altro dire.
«Spero che si ambienterà in fretta nella sua nuova scuola.» prosegue, come se non le avessi nemmeno parlato.
Si risiede dietro la scrivania in legno chiaro, prendendo un foglio da un lato di essa e firmandolo sul fondo, poi vi aggiunge il timbro e me lo porge.
«Le consiglio di passare dal delegato degli studenti, Nathaniel, per verificare che il suo dossier di iscrizione sia completo. Credo sia proprio nella sala delegati adesso.» mi dice, sempre con quella sua faccia sorridente e quella voce odiosa.
Devo smetterla, o per lo meno darmi una regolata. Se iniziò già da ora a farmi stare antipatica la preside, sono sicura che, al novanta per cento dei casi mi metterò nei casini e la vedrò ogni santo giorno. Insomma magari è davvero così tenera e gentile e non è affatto tutta apparenza, come quel vecchio rospo di Dolores. Al pensiero del nome della Umbridge mi torna in mente che ancora non riesco a ricordare il nome impronunciabile della donna davanti a me, ma non mi sembra affatto il caso di chiederglielo ora.
«Allora ci vado subito. Grazie mille, preside.» rispondo con un tono quanto meno diligente.
Questa volta so bene dove dirigermi. La sala delegati l'avevo vista entrando, era la porta prima di quella della presidenza.
Mi mordo le labbra, indecisa sul da farsi. Cosa faccio? Busso o entro immediatamente? Insomma il delegato degli studenti dovrebbe essere un liceale come me, ha senso essere formali e bussare alla porta? Alla fine opto per una via di mezzo. Busso, ma subito dopo apro la porta senza attendere la risposta.
Non l'avessi mai fatto. In un attimo rimango paralizzata davanti alla porta, come imbambolata. 
Alla fotocopiatrice, nell'angolo in fondo a sinistra della stanza, vi è un ragazzo parecchio carino, ma che dico, decisamente figo, non fosse forse per i vestiti troppo formali, che mi osserva, come in attesa che io parli.
Sì, vero. Forse dovrei parlare, ma in questo preciso istante sento la lingua annodata e il cuore che, maledizione, mi pulsa furioso nel petto. Al diavolo me e la mia maledetta attrazione immediata verso ogni rappresentante del sesso maschile un po' sopra alla media. Insomma perché il delegato deve essere un biondo strafigo con un paio di occhi... è ambrato quello, diavolo persino gli occhi alla Edward Cullen, scherziamo? Non potevo ritrovarmi davanti un nerd brutto e brufoloso? Un po' come Kentin, il mio ex compagno di classe, quello che mi stava appiccicato come una una gomma da masticare attaccata sotto il banco, soltanto perché una volta l'avevo difeso da un branco di bulli idioti, al vecchio liceo.
«
Posso aiutarti?» mi chiede, probabilmente vedendo che io non accenno a dire nemmeno mezza parola.
«
Oh sì... - dico, cercando di riprendere un minimo di contegno - Sto cercando il segretario delegato.» concludo.
Fa che non sia lui, fa che non sia lui, fa che non sia lui, continuo a ripetermi come un mantra.
«Sono io. - risponde lui, accennando appena un sorriso e avvicinandosi a me, mentre la fotocopiatrice continua a lavorare tranquillamente da sola - Nathaniel Lemair.» si presenta, porgendomi la mano.
Alzò il sopracciglio, un po' stranita. Insomma avrà la mia età, c'è davvero bisogno di tutta questa formalità?
Decido comunque di stringerla. Di certo non mi posso comportare da maleducata, anche perché è davvero troppo carino per farselo nemico.
«
Vanille Lambert.» gli rispondo di rimando.
«
In cosa posso esserti utile?» mi domanda, mollando la presa della mia mano.
Quasi mi sento male a lasciarla. Era vellutata, delicata. La tipica mano da studioso, una di quelle che sfiora i libri con leggerezza, come fossero i suoi più grandi tesori.
Basta pensarci, devo cercare di sembrare una ragazza normale o no?
«
La preside mi ha detto di rivolgermi a te per l'iscrizione.» gli rispondo.
«
Ah, devi essere la nuova alunna, benvenuta!» dice, questa volta il suo sorriso si estende di più.
Diavolo quant'è carino.
«
G-grazie.» dico, emettendo un colpo di tosse subito dopo.
E no eh. Non posso pure cominciare a balbettare, ci manca solo quello alla possibile sfilza di figure di "emme", il primo giorno di scuola.
«
Guardò subito per il tuo dossier. - dice lui, dandomi nuovamente le spalle e dirigendosi verso gli armadietti, in un angolo della sala, dal lato opposto alla fotocopiatrice, che hanno lo stesso colore di quelli in corridoio - Allora vediamo... Vanille, Vanille...» farfuglia a bassa voce, dopo averne aperto uno e aver iniziato a cercare tra i vari documenti.
Tutto questo mentre io lo osservo, attratta dai muscoli della sua schiena che si tendono sotto la camicia larga. Mi mordo il labbro, pensando a come sarebbe accarezzare quelle spalle. Appena mi rendo conto, però, dei pensieri che sto facendo scuoto la testa irritata. 
Proprio in quel momento lui afferra una cartellina contenente tutti i miei documenti e torna verso di me. Il tutto mentre la sfoglia attentamente.
«
Mmmh... In effetti non è completo, manca la foto da associare al dossier... E la cosa più importante, hai dimenticato di far firmare uno dei fogli ai tuoi genitori ed è obbligatorio!»
Per poco non mi cade la mascella. Maledizione, possibile che non me ne vada mai bene una in certe situazioni?
Prendo un lungo respiro e mi passò la lingua sulle labbra, pensando velocemente a una soluzione.
«
Quanto deve essere grande la fotografia?» domando a bruciapelo, lasciandolo quasi un attimo interdetto, forse non si aspettava quella mia domanda.
«
Beh solitamente gli studenti portano le foto tessere, ma va bene anche una foto normale.» mi risponde, un po' stranito, non capendo dove voglio andare a parare.
Storco la bocca, guardandomi attorno e notando la parete di destra completamente bianca. Sorrido, è perfetta.
Apro la tracolla e vi rovisto per un po', finché non trovo il mio secondo tesoro più grande. La mia adorata polaroid gialla. 
«
Risolviamo subito il problema della foto, che dici?» chiedo, facendogli l'occhiolino e tirando un sospiro di sollievo per la mia calma e sicurezza ritrovata.
«
Accidenti, quella è una polaroid?» mi domanda, e quasi riesco a vedere i suoi occhi ambrati illuminarsi.
«
Non me ne separo mai.» affermo.
Dopodiché gliela porgo e mi piazzo davanti alla parete bianca che avevo notato poco fa.
«
Sorridi.» m'incoraggia lui.
Io tento di farlo. Sono sempre stata alquanto fotogenica, ma mantenere una posizione seria e allo stesso tempo sorridente non è affatto facile.
Guardo intensamente l'obbiettivo, nel tentativo di non distrarmi dalle sue mani che stanno tenendo la macchina fotografica.
Sento lo scatto e subito dopo la fotografia esce dalla fessura sul davanti. Mi avvicino e l'afferro con due dita, scuotendola leggermente. Da che era nera, pian piano sta comparendo la mia immagine sorridente. Dai non sono venuta così male.
«
Ecco a te.» dico non appena l'immagine diventa nitida, porgendogli la foto, mentre lui mi restituisce la polaroid.
«
Un problema in meno.» sorride lui, inserendo la foto nel dossier e bloccandola con una clips.
«
Per il foglio da far firmare ero convinta ci fosse tutto, ad essere onesta...» faccio, riponendo la macchina fotografica di nuovo nella borsa.
«
Darò un occhiata per vedere se per caso il tuo modulo non è finito per sbaglio in un'altro dossier.» rispose lui molto educatamente.
Sempre freddo, anche troppo. Il ragazzo che aveva visto la polaroid è già sparito in un soffio, accidenti.
«Ok, grazie mille.» gli rispondo stringendo la cinghia della tracolla, forse in attesa di qualche sua mossa.
«
In ogni caso è un piacere accogliere un'alunna seria e appassionata di qualcosa di così originale come la fotografia.» dice, prendendomi comunque alla sprovvista, con un sorriso dolcissimo.
Maledizione, ma quanto può essere carino?
«
Grazie... Ci vediamo." dico, velocemente, onde evitare di balbettare di nuovo.
«
Arrivederci.» mi risponde educatamente lui, per poi tornare alla fotocopiatrice.
Prendo un lungo respiro ed esco dalla sala delegati, guardando l'orologio. Manca ancora un buon quarto d'ora prima del suono della campanella. Tutto il tempo per andare a posare alcuni quaderni e i primi libri nell'armadietto.

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Capitolo 2
*** Un amico insistente ***


Un amico insistente
 

Un momento. Qual era già il mio armadietto? Faccio un piccolo sbuffo, prendendo il cellulare dalla tasca destra dei jeans che indosso questa mattina e, dopo averlo sbloccato, vado sulle note. Numero ventitré, perfetto. 
Percorro quasi tutto il corridoio. Venti, ventuno, ventidue. Eccolo. Mi avvicino a quell’insieme di metallo dipinto di viola che dà forma agli armadietti scolastici. Il mio ovviamente, non essendo mai stato utilizzato è ancora aperto. Apro la cerniera della tracolla, facendola scorrere e inizio a togliere libri e quaderni per stiparli, ordinatamente dentro la piccola rientranza adibita per il mio spazio personale a scuola. Assieme ad essi infilo anche il secondo portapenne che porto sempre di scorta in caso mi dimentichi di portare il solito, e l’agenda, quella che ho comprato apposta per gli appuntamenti scolastici.
Torno sull’interno della tracolla, indecisa se mettere anche la mia polaroid nell’armadietto o lasciarla al sicuro nella borsa. All’improvviso sento qualcuno chiamarmi.
«Ehi Vanille, come stai?»
Il sangue nelle vene mi si ghiaccia e mi volto verso la fonte di quella voce che, forse, devo essere sincera, vorrei riuscire a dimenticare.
Davanti a me c’è un ragazzetto che mi arriva appena alle spalle. I capelli a caschetto, quasi come se si fosse messo una scodella in testa e se li fosse tagliati e gli occhi verdi enormi, resi tali da quei fondi di bottiglia che ha al posto degli occhiali. 
Perché? Perché Kentin Martin è qui? Perché proprio lui?
Mi mordo le labbra, cercando di riprendere un po’ di contegno e tentando in qualche modo di essere garbata.
«Ken… Che… Che cosa ci fai qui?» domando, forse ancora con la speranza che mi risponda che è venuto solo per farmi un saluto.
«Ho chiesto il trasferimento anche io!» mi risponde con tono entusiasta.
Giuro, mi sto trattenendo dallo sbattere la testa contro l’anta del mio armadietto ancora aperto.
«S-sul serio…?» cerco di dare un tono interessato, ma so già di non apparire per niente entusiasta di questa cosa.
«Già… Sono davvero contento che il mio trasferimento sia stato accettato, ci tenevo così tanto a frequentare la tua stessa scuola!»
Pensa te che culo. Poi la domanda è: ci teneva perché ci teneva nel senso che vuole stare con me, oppure ci teneva perché ha bisogno della solita guardia del corpo contro i bulli e nella nostra vecchia scuola non l’avrebbe aiutato più nessuno? In entrambi i casi la cosa mi faceva ribrezzo, insomma maledizione, non poteva chiedere il trasferimento Lety?
Eppure qualcosa dentro di me mi dice che è ingiusto comportarmi in modo scorbutico nei suoi confronti. In fin dei conti, nonostante non sopportassi la sua presenza costante al vecchio liceo, è sempre stato un buon amico e alcune volte ha saputo tirarmi su il morale quando Lety non poteva.
Che cosa gli dovrei dire però? Dovrei essere gentile, che poi magari si attacca ancora di più, oppure spronarlo a trovarsi nuovi amici e scollarsi da me?
Il suono della campanella mi fa tirare un sospiro di sollievo, dandomi la perfetta scusa per piantarlo in asso, almeno fino alla prossima volta in cui verrà a cercarmi.
«Accidenti… Scusa Ken, devo andare a lezione…» dico, chiudendo l’armadietto e sistemando la combinazione, usando la mia data di nascita.
«Ok, va bene. Se avessi bisogno di aiuto per qualsiasi cosa, sono qui!» mi dice, aggiustandosi gli occhiali sul naso e passandosi la manica del suo maglione verde proprio sotto di esso, tirando su.
Mi trattengo dal fare una faccia schifata e gli faccio un cenno con la mano, per poi allontanarmi il più possibile da lui.
Problema: in che aula dovrei andare? La mia prima lezione dovrebbe essere matematica, credo, giusto per cominciare bene l’anno. Diavolo quanto odio questa materia e dire che prendo voti alti ad occhi chiusi, eppure non riesco proprio a digerirla.
Afferro nuovamente il telefono dalla tasca, questa volta prendo il calendario. Ok, aula A.
Mi dirigo verso la porta, quella che sta quasi di fronte alla sala delegati, ma appena entro un trio di ragazze mi blocca il passaggio.
«Ah guarda, tu devi essere la nuova arrivata!» mi dice quella in centro.
Ecco ci siamo, è il momento d’incontrare la diva di turno, la star del liceo. Speravo forse non esistesse in questa scuola? Quasi automaticamente mi torna in mente il film Mean Girls e c’è da dirlo quella ragazza ha proprio lo stesso atteggiamento che assumeva Rachel McAdams quando interpretava Regina.
«Sì… Scusa sono un po’ di fretta, dovrei…»
«Certo che fra te e l’altro nuovo arrivato, non c’è tanto da stare allegre. Siete d’accordo ragazze?» dice rivolgendosi alle sue due ancelle.
Assurdo. Non mi ha nemmeno fatto finire la frase e non si è nemmeno spostata. Semplicemente ha mosso i lunghi capelli biondi con un gesto forzatamente elegante e superiore e ha continuato a parlare. Probabilmente se stavo muta avrei avuto lo stesso effetto.
«Cavolo, quel ragazzo è osceno!» fa quella di destra, una tipa dall’aria ancora più snob della bionda, con i capelli castano chiaro, quasi biondo cenere, legati in una coda e vestita con un completo verde.
«Imbarazzante.» aggiunge l’altra.
Questa ha i tratti orientali, forse cinesi e lascia quel commento affrettato, mentre è intenta a mettersi il rossetto.
Decido di ignorarle bellamente. Di litigare con quelle barbie pronte a fare le scarpe alla nuova arrivata non ho nessuna voglia. Spero solo che erano dentro quest’aula per caso e non perché ora hanno lezione con me.
Le mie speranze e preghiere, per fortuna, vengono ascoltate perché queste, dopo essersi offese della mia più totale indifferenza a loro, ora, stanno uscendo dalla classe.

 

Esco dall’aula con ancora i numeri in testa. Maledizione, ma è normale che i professori al liceo facciano lezione anche il primo giorno di scuola? Rimpiango il collége, quando i primi giorni non si faceva nulla e le ore di lezione erano dedicate a conoscersi e fare amicizia coi compagni di classe.
«Vanille! Hai già fatto il giro della scuola?»
A proposito di conoscersi.
Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo, ma la domanda nella mia mente affiora spontanea e per fortuna non arriva alla bocca. Questo ragazzo una vita senza di me, riesce ad averla? Insomma sì, è simpatico e magari gli voglio anche bene, ma non può fare così. Sono a malapena da due ore qui dentro e già non lo sopporto più, di nuovo.
«Non ho avuto molto tempo, visto che ho fatto lezione fino ad ora. Comunque davvero Ken, ho da fare…» lo liquido, per poi andarmene.
«A dopo allora, ciao!» lo sento gridare alle mie spalle.
Sbuffo, sperando con tutto il cuore che, almeno per questa giornata, la finisca d’importunarmi. Insomma già è difficile essere quella nuova, figurarsi se poi mi associano a uno come Kentin. Storco la bocca, pensando a cosa direbbe la barbie bionda se sapesse che io e lui ci conosciamo. Me la immagino a ridere come un oca assieme alle sue servette, umiliandomi davanti a tutta la scuola.
Sono talmente soprappensiero che non mi accorgo di dove sto andando e ad un certo punto mi scontro contro qualcosa, o qualcuno. Sì, decisamente qualcuno. Non lo prendo in pieno, ma ci diamo una spallata a vicenda.
«Ehi! Guarda dove vai!» brontola la persona con cui mi sono scontrata.
Mi volto e per la seconda volta rimango folgorata. Un bel ragazzo con un giubbotto di pelle e una maglia rossa con un teschio disegnato sopra che s’intona perfettamente ai suoi lunghi capelli cremisi, mi sta guardando con aria truce, come se stesse aspettando qualcosa.
«Scu… Scusami… Sono la nuova alunna e… Beh non ti ho visto.»
«Bene, buon giro per il liceo allora.» risponde quasi scocciato lui, per poi riprendere la sua strada per il corridoio, dirigendosi dal lato opposto di dove stavo andando io.
Lo seguo con lo sguardo, confusa. Non capisco se è uno stronzo, oppure è semplicemente asociale.
Alzo le spalle rassegnata e guardo l’orologio. Ho un po’ di tempo prima della prossima lezione, forse posso tornare in sala delegati e vedere se quel maledetto foglio è ricomparso o devo veramente far firmare di nuovo roba ai miei.
Decido di fare esattamente come due ore prima, perciò busso alla porta e poi la apro comunque, anche se questa volta sento distintamente la voce di Nathaniel invitarmi ad entrare.
«Ah, Vanille sei qui! Sono spiacente di dirti che la tua iscrizione non può essere accettata.»
«Stai scherzando, vero?!» chiedo senza pensarci un momento, quasi d'istinto.
Il suo sorriso si amplia.
«Ah… L’hai capito?»
Per un attimo rimango interdetta. Capito cosa? Poi, finalmente, comprendo. Stava scherzando sul serio. 
«No, non l’avevo capito… E comunque non si scherza su queste cose! Mi è quasi venuto un’infarto!» protestai, gonfiando la guancia destra.
A quel mio gesto lui scoppia in una risata gentile, poi mi rassicura che non l’avrebbe più fatto.
«Comunque il foglio c’è. Perciò è tutto a posto.» conclude con un sorriso, chiudendo il mio dossier e rimettendolo nell’armadietto.

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Capitolo 3
*** Passioni condivise ***


Passioni condivise
 

Nathaniel si volta nuovamente verso di me, sorridendomi appena. Accidenti quanto è carino.
«Allora benvenuta ufficialmente al Dolce Amoris, Vanille.»
«Oh grazie Nathaniel.» gli dico, sorridendogli di rimando.
«Credo dovremmo andare a lezione.» dice poi, prendendo la tracolla grigia che stava poggiata sul lungo tavolo bianco e mettendosela in spalla.
Faccio un cenno di testa, storcendo la bocca nel tentativo di ricordarmi quale lezione avessi.
«Lettere.» mi dice lui.
«Eh?» domando, con aria stupita, non capendo bene a cosa si sta riferendo.
«Se stai cercando di ricordare che materia hai ora, è lettere. Ho controllato il dossier poco fa.» spiega meglio lui.
Lo guardo stupita, non capendo come intendere quel gesto. È la sua professionalità nell'essere il delegato oppure ha qualche vena da stalker, magari perché gli piaccio in qualche modo? Sarebbe carino se questo bel ragazzo biondo s'interessasse a me e, visto il suo portamento, il suo modo di vestirsi, il suo ruolo e la sua pessima capacità di fare battute, forse osservare i miei orari di lezione è il suo medo per conoscermi e avere un primo vero approccio con me, nonostante possa sembrare un comportamento strano e un po' da stalker. 
Diciamo le cose come stanno, di stalker mi basta e avanza Kentin.
«Allora ci vediamo in giro.» dico, allontanando da me quegli ultimi pensieri e salutandolo con la mano.
«Certo, alla prossima.» mi risponde lui con un ultimo sorriso, per poi uscire entrambi dalla sala delegati e andando in due direzioni opposte.

 

Devo ammetterlo, la lezione di lettere l'ho preferita di gran lunga a quella di matematica ad inizio mattinata. Sarà che lettere è sempre stata la mia materia preferita, assieme ad arte, perciò forse mi sono sentita a mio agio a quella lezione, rispetto all'altra.
Finalmente ora c'è l'intervallo e posso godermi un po' di pace e un po' di tranquillità. Chissà, magari scopro qualche altro strafigo come Nathaniel o quel rosso rockettaro con cui mi sono scontrata, oppure qualche ragazza meno oca e insopportabile della barbie e delle sue schiavette.
Poso tutto nell'armadietto e quando lo richiudo, quasi salto in aria.
«Ciao Vanille!» mi saluta Kentin, guardandomi da quei fondi di bottiglia che sono i suoi occhiali.
«Maledizione Ken, non puoi comparire così all'improvviso!» protesto.
«Vuoi un biscotto?» mi domanda, porgendomi un tubo di biscotti del marchio Lu.
Strano, io solitamente vado matta per i biscotti della Lu, eppure quella confezione e quel genere di dolcetti, non li ho mai visti.
«No, grazie, Ken... Ora scusa ma devo proprio andare.» dico, abbandonandolo nuovamente in mezzo al corridoio.
Un po' mi dispiace trattarlo così, ma, se non lo faccio, non imparerà mai a cavarsela da solo.
Mi dirigo verso l'uscita della scuola, diretta al cortile che, quella stessa mattina, avevo attraversato in tutta fretta nel tentativo di non farmi notare. Ora che invece sono ufficialmente in questo liceo, ho tutte le intenzioni di farmi nuovi amici.
Arrivata fuori alzo la testa, respirando a pieni polmoni l'aria fresca. Sono talmente presa da questo mio gesto, che faccio praticamente tutte le volte in cui esco da un luogo in cui sono stata per più di un paio d'ore, che non mi accorgo della persona che si è avvicinata a me.
«Ciao! Tu sei quella nuova, vero? - mi domanda, ed io apro gli occhi - Io mi chiamo Iris, sono nella tua stessa classe.»
La osservo meglio. Sì effettivamente ricordo il suo viso alla lezione prima, o meglio avevo i suoi capelli rossi, legati in una morbida treccia laterale, proprio nel banco davanti al mio.
«Ciao! Io sono Vanille.» rispondo allora con un sorriso.
«Piacere mio Vanille. – mi dice allora, con un sorriso dolcissimo e davvero molto amichevole, niente a che vedere con la vipera bionda di prima – Spero ti piacerà il nuovo liceo.»
«Sono una che si adatta abbastanza facilmente.» dico, quasi a volerla rassicurare che sarà così.
Improvvisamente le squilla il telefono.
«Scusa è mio fratello.» dice per poi rispondere all'apparecchio e allontanarsi da me, salutandomi gentilmente con la mano.
Ricambio quel saluto muto, vedendo poi in lontananza una panchina.
Faccio per avvicinarmi, ma ecco che nel tragitto, mi si para davanti lui. 
Devo ammetterlo, sembrerà pure stronzo, e non so nemmeno se sia vero o no, ma è maledettamente bello.
«Ancora tu?!» mi domanda, quasi con aria scocciata.
Sto quasi per rispondergli a tono, ma so che con questo tipo di persone è inutile. In fin dei conti se lo scoprirò un bullo idiota lo lascerò perdere come facevo nel vecchio liceo, ma forse potrebbe anche dimostrarsi un tenerone con la corazza e uno dei miei talenti è sempre stato riuscire a rompere quella corazza. In fin dei conti Lucien, il mio migliore amico era così prima che lo conoscessi. Beh, non proprio migliore amico. Lo ammetto, nell'ultimo periodo ci eravamo messi assieme, ma lui poi si era trasferito a Marsiglia con i suoi ed entrambi decidemmo che la relazione a distanza non faceva per noi.
Proprio grazie a Lucien, perciò, sapevo che per parlare con gente così, l'unica soluzione era o attaccare discorso su qualcosa di completamente diverso, oppure rispondere di rimando con un'altra battuta.
«La tua maglietta mi ricorda qualcosa...» dico, soddisfatta di quella mia mossa, osservando intensamente la maglia rossa con lo scheletro che indossa.
Sul suo volto si tira un sorrisetto ironico, pronto per una battuta, sicuramente irritante.
«E a cosa ti fa pensare? Non credo se ne vendano nei negozi per bambine dov'è vai tu...»
Quasi mi sento offesa. Sono davvero così vestita da bambina? Un paio di jeans grigi e una camicetta bianca a mezze maniche, con sopra una maglietta blu notte è un abbigliamento da bambina? Ok, forse le ballerine possono anche dare quell’idea, ma il resto non mi pare.
Non demordo e ribatto tranquillamente, quasi come fossi superiore a lui e quella sua frecciatina non mi toccasse nemmeno.
«Pensi non sappia che è il logo di un gruppo rock?» gli chiedo, quasi come fosse una domanda retorica.
«Ah però, la nuova arrivata conosce i Winged Skull.» dice lui, questa volta il suo sorriso sembra più divertito che ironico. 
Ecco come diavolo si chiamavano. Strano, ma vero i nomi dei cantanti e dei gruppi, in generale, me li dimentico sempre, a meno che in quel periodo non sto in fissa con qualcuno in particolare.
«Sì, mi piace ascoltare rock ogni tanto.» lo informo, come se gli interessasse.
So bene che a uno come lui, almeno in quel momento, la musica che ascolto gli importa quanto gli potrebbe importare il problema del riscaldamento globale, cioè zero.
Però è vero. Io ascolto tutti i generi musicali. Dal rock, al pop, ogni tanto persino musica classica, se ho voglia di rilassarmi.
«Sono sorpreso, non ci sono tante ragazze che ascoltano quel tipo di musica.» ribatte, questa volta sembra davvero soddisfatto.
Ragazzo se solo sapessi quanto ancora posso stupirti, penso mentre lui mi saluta e si allontana di nuovo.
Bene, è assodato, quello lì è il classico ragazzo da corazza. Ma se Lucien aveva una corazza da figo della scuola, lui ce l'aveva da rockettaro. La cosa cambiava poco comunque, presto avrei capito perfettamente come trattarlo e magari sarei riuscita a farmelo amico.

 

Il resto del tempo è passato talmente velocemente che quasi non me ne sono resa conto. A fine giornata mi ritrovo all'armadietto a recuperare tutto ciò che devo riportarmi a casa. So che prima di andarmene devo passare dalla preside e avvisarla che ho risolto tutte le questioni burocratiche in sospeso.
«Sucura du non volere un buscotto?» mi domanda Kentin avvicinandosi a me, masticando furiosamente uno di quei dolcetti. 
«Ken, no... Basta chiederlo! Ci vediamo domani.» faccio per allontanarmi, per l'ennesima volta. La smetterà prima o poi.
Arrivata davanti all'ufficio della preside, busso e attendo che mi dicano di accomodarmi.
«Ho risolto tutto con il dossier, - dico non appena incrocio lo sguardo con la donna - credo il delegato l'abbia riposto nell'armadietto de...»
«Sì, sì... Me l'ha consegnato proprio qualche minuto fa. – m'interrompe lei – Adesso è ufficialmente un'alunna del Dolce Amoris.» continua, dicendomi la stessa cosa che mi aveva detto Nathaniel questa mattina.
«Grazie, preside...» mi fermo, prima di sbagliare quel maledetto è impronunciabile nome e fare così una figura terribile.
«Visto che le lezioni sono finite, può tornare a casa. Arrivederci e a domani!» conclude.
Faccio un cenno con la testa e dopo averla salutata esco dall'ufficio. 
Non appena lo faccio però, mi trovo davanti proprio il delegato degli studenti.
«Nathaniel!» esclamo con un sorriso.
«Vanille! - dice, pronunciando anche lui il mio nome con un quel sorriso dolcissimo - Perdonami, non ho avuto il tempo di farti fare un giro del liceo.»
«Ma figurati, non preoccuparti.» lo rassicuro.
«Permettimi di farti vedere almeno la biblioteca, ovviamente solo se vuoi.» dice.
Il mio cuore perde un colpo. Sono quasi sicura che i miei occhi si sono illuminati a quella proposta. Assieme alla musica, i libri sono la mia seconda vita.
«Molto volentieri!» rispondo senza nemmeno pensarci.
Lo seguo, mentre mi porta alla biblioteca, spiegandomi che l'accesso è riservato agli studenti che devono fare ricerche o particolari progetti.
«Ma allora non potremmo stare qui?» chiedo, osservando i vari scaffali carichi di volumi, guardandoli come se ognuno di loro fosse l'amore della mia vita.
«Beh... Visto che io sono il segretario delegato, posso fare quello che voglio.» mi dice facendomi l'occhiolino.
Improvvisamente mi sento avvampare.
Maledizione, quanto può essere carino questo ragazzo? Mi mordo un labbro, mentre lo vedo prendere un volume da uno degli scaffali.
«Ti piace leggere?» mi chiede sfogliando il libro, di cui non sono riuscita ancora a vedere il titolo.
«Se mi piace leggere? Io vivrei in biblioteca!» dico entusiasta.
Lui sorride compiaciuto. Anche lui, quasi sicuramente, con quella sua aria da intellettuale, è un grande lettore.
«Genere preferito?» mi domanda nuovamente.
Storco la bocca, indecisa. Chiedere di scegliere solo un genere di letteratura per me è come chiedere ad una madre quale tra i suoi figli è il suo preferito. Alla fine, però, dopo aver valutato tutte le mie letture recenti, prendo una decisione.
«Credo di poter dire che preferisco i fantasy e i romanzi rosa, ma leggo un po' di tutto.» dico.
«Io invece adoro i gialli e i polizieschi.» specifica lui alzando il libro e mostrandomi la copertina, dandomi così la possibilità di leggere il titolo.
La valle della paura
«Conan Doyle… - dico in automatico, senza nemmeno leggere l’autore - Ho letto i gialli di Sherlock Holmes almeno quattro volte.»

 

Abbiamo passato in quel modo una buona mezz’ora, fino a che la preside non ci è venuta a ripescare, dicendoci che il custode doveva chiudere la scuola e che quindi dovevamo uscire.
Nel farlo Nathaniel mi spiega che spesso rimane in biblioteca fino all’orario di chiusura. Nei libri trova sempre il conforto di cui ha bisogno.
Mi stupisco un po’ di quella sua affermazione. Solitamente un ragazzo della sua, della nostra, età trova più conforto a casa che a scuola, anche se è un’intellettuale o il delegato degli studenti.
Ci salutiamo e ci dirigiamo da due parti opposte.
Finalmente si torna a casa, anche se, bisogna ammetterlo, questa prima giornata di scuola non è stata affatto male.

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Capitolo 4
*** Il gentleman ribelle ***


Il gentleman ribelle
 

Ruoto la testa lentamente, in modo da farmi scrocchiare il collo. Per qualche strano motivo questa notte ho dormito male, continuavo a sognare Kentin che mi offriva biscotti e compariva ovunque in meno di un nano secondo, tipo spettro.
Sospiro, chiudendo l’armadietto e ciò che mi ritrovo davanti mi fa rabbrividire ancora di più del mio ex compagno di scuola appiccicoso.
«Guarda un po’ chi c’è…» dice, questa specie di barbie, con quella sua vocetta odiosa.
Seriamente, siamo solo al secondo giorno e già vorrei sbatterla al muro. 
Ovviamente al suo seguito le solite ancelle, una da un lato e una dall’altro, manco fossero le sue guardie del corpo. Ah, ma so bene a che servono quelle due, a sostenerla in qualsiasi sua affermazione. Altrimenti non si sentirebbe la regina del liceo. Regina… Mi torna in mente, per il secondo giorno di fila, Mean Girls, forse dovrei rivederlo.
«Tu sei la fidanzatina del caro Ken, no?»
Sgrano gli occhi, sconvolta. Sta scherzando spero.
«Cosa?!» chiedo.
Sono quasi pronta a sbranarla, sento la rabbia cominciare a ribollirmi in corpo. Cominciamo proprio bene la giornata.
«Non fare quella faccia, - continua lei, non sapendo che sta decisamente giocando col fuoco - tanto con il tuo look così… “normale” non sei mica tanto meglio! Che ne dite Li e Charlotte?» domanda poi alle due, come volevasi dimostrare.
Mi trattengo dal digrignare i denti come un cane rabbioso. È già la seconda persona in soli due giorni che critica il mio modo di vestirmi. Maledizione, il mio guardaroba fa così schifo per questo liceo?
Prendo un profondo respiro. Perché diavolo devo rovinarmi la giornata per colpa di queste tre oche giulive, che ora stanno starnazzando divertite e orgogliose di avere un’altra vittima da prendere in giro. No, mi spiace. Io non mi farò mettere i piedi in testa.
«Perché non…» tento di dire, ma la biondina mi blocca di nuovo.
«A proposito, visto che adesso hai finito l’iscrizione, puoi anche smetterla di girare attorno a Nathaniel.» mi dice, lanciandomi un’occhiataccia, per poi superarmi e andarsene, con le schiavette al seguito.
Mamma mia, quanto sono insopportabili tutte e tre. Odiose dalla punta dei capelli fino alle dita dei piedi. E poi cosa cavolo importa a quella lì di Nathan… Oddio, ditemi che non stanno insieme. 
Per un attimo mi sale un conato di vomito al solo pensiero. Poi però realizzo che è impossibile. No, assolutamente no. Uno serio, gentile ed educato come Nathaniel non può stare con quella specie di bambola che si crede una diva. Insomma lei è più tipa da belloccio della scuola, beh non che Nathaniel sia brutto però, quella non si metterebbe con il segretario delegato. Vero?
Scuoto la testa. No, no. È impossibile.
Decido di allontanarmi anche io da loro, come se facendolo mi potessi allontanare anche da quei pensieri assurdi.
Vedo una delle aule aperte e mi ci tuffo dentro come fosse la mia unica salvezza, ma appena noto chi c’è all’interno mi blocco.
«Ciao.» riesco a dire soltanto, mentre i suoi occhi verde oliva mi cominciano a squadrare, probabilmente valutando di nuovo il mio abbigliamento.
Lui nemmeno mi saluta, si toglie una cuffietta dall’orecchio destro e mi fissa ancora per qualche secondo, mentre quelli che mi sembrano i Guns N’ Roses suonano attraverso i suoi auricolari, facendomi sentire maledettamente a disagio.
«Vanille…» dice appena.
«Come…? Come sai il mio nome?» chiedo, titubante, quasi mordendomi la lingua, non devo mai parlare in quel modo con lui, lo so bene.
Lui si passa una mano tra i lunghi capelli rossi.
«L’hai detto tu ieri che eri quella nuova no? Pensi che le voci non girino in questo liceo?» mi domanda, quasi come se non gli importasse affatto della risposta.
«Giusto.» rispondo appena io.
«Allora, che ci fai qui?» chiede e anche sta volta non so se gli interessa davvero o no.
Prendo un sospiro, ricordandomi finalmente da cosa mi stavo nascondendo, se così si poteva dire.
«Cerco di scappare da un gruppo di ragazzine sciocche.» rispondo, sedendomi al banco di fianco a lui, afflosciandomi poi sulla sedia.
«Ce ne sono parecchie di ragazzine sciocche in giro.» dice, calcando l’aggettivo che avevo usato, quasi come se lo stesso termine fosse sciocco, e alzando il sopracciglio.
Forse reputa anche me sciocca?
Ignoro quei pensieri e ribatto. Ho bisogno di sfogarmi, e l’unico modo è raccontare tutto a chi, sicuramente, conosce di più quelle tre oche rispetto a me.
«Parlo delle tre che sono sempre insieme. La bruna, l’asiatica e la bionda, credo si chiami Ambra. Sono appena arrivata, eppure già non fanno altro che provocarmi…» concludo, ricominciato poi a respirare, cavolo, l’ho detto tutto d’un fiato.
Lui scoppia a ridere, divertito probabilmente dalla completa esasperazione.
«Parli della sorella di Nathaniel e delle sue amichette? - a quella domanda sgrano gli occhi, ma lui continua - Hai ragione, sono le reginette delle insopportabili!»
«Ha… Hai detto sorella?!» domando, non potendo credere a quello che ho sentito.
«Esatto. Ambra e Nathaniel sono fratelli.» mi risponde lui, come se fosse tutto mostruosamente ovvio.
Ma come può essere ovvio. Quella notizia a momenti mi sconvolge ancora di più dell’idea che fossero fidanzati. Com’è possibile che quella specie di arpia vestita da bella ragazza e il delegato dolce e simpatico della scuola, siano fratelli. 
«Che ti hanno fatto?» domanda di nuovo lui, portandomi di nuovo sul pianeta terra, lontano dai miei assurdi film mentali.
«Beh, sono la nuova arrivata no? Nuova arrivata, nuovo giocattolino… - dico, senza nemmeno pensarci troppo, conosco bene quel genere di ragazze e sono sicura di essere quello per loro - Mi aiuteresti?» gli domando quasi d’istinto.
A lui scappa un sorriso.
«E cosa dovrei fare, scusa? Battermi con loro?» mi domanda ironico, mentre la musica dalle sue cuffie cambia, passando a quelli che mi sembrano gli Iron Maiden.
«Dai sù, con un po’ di fortuna riusciresti a batterle! Io faccio l’arbitro!» sorrido di rimando, finalmente in qualche modo ho ripreso la mia lucidità e riesco a rispondergli come dovrei.
Si lecca le labbra in un gesto veloce e maledettamente sexy.
«Vuoi che mi faccia cacciare dal liceo? E poi io sono un gentleman, non mi batto con le ragazze.»
Alzo il sopracciglio, guardandolo quasi con aria superiore. Sentir dire da un rockettaro, che si sta ascoltando “The Trooper” degli Iron Maiden, che è un gentleman è quasi al limite del ridicolo.
Faccio un sospiro, alzandomi nuovamente in piedi e afferrando la tracolla.
«Allora ciao, caro il mio gentleman.» dico, muovendo appena le dita della mano destra e facendo per uscire dall’aula, tanto di qui a poco dovrò andare comunque a lezione.
Lui però si alza con me, avvicinandosi.
«Come scusa? Mi stai provocando per caso?» sussurra con voce roca, tanto da farmi sentire un brivido lungo la schiena.
Poi però mi da un pizzicotto sul mio braccio, scoperto dalla maglia a maniche corte a fiori che sto indossando oggi, per poi ridere divertito.
«Ma… Ehi!» protesto, pizzicandolo di rimando, ma purtroppo con il giubbotto di pelle, non viene tanto facile.
Lui alza di nuovo il sopracciglio, sempre con quell’aria strafottente, come se fosse superiore al mondo.
«Comunque per tua informazione, il mio nome è Castiel. E ora vai, fila, ragazzina! Prima che perda le mie buone maniere da gentleman.» mi dice, aspettando poi che io me ne vada per davvero.
Gli lancio un’ultima occhiata, mentre lui continua a fissarmi in attesa che esca dall’aula, poi torno verso il corridoio, diretta alla mia prima lezione mattutina, proprio nel momento in cui la campanella sta suonando.

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Capitolo 5
*** La reginetta del liceo ***


La reginetta del liceo
 

Entro in aula e subito noto la rossa di ieri, Iris, che mi fa un cenno con la mano, indicando il banco vuoto di fianco a lei. Mi dirigo in quella direzione senza, pensarci un attimo, mentre il professore entra proprio alle mie spalle e in men che non si dica fa l'appello e comincia subito la lezione.
Questo prof di lingue è alquanto soporifero purtroppo e faccio davvero una fatica immensa a seguirlo, soprattutto se sono le prime ore della mattinata come in questo caso. La fortuna però, è che è talmente concentrato sulla sua lezione che difficilmente si accorge dei sussurri che si propagano nell'aula.
«Vanille, tutto bene?» dice, a bassa voce, la mia compagna di banco.
Rispondo solamente con un cenno di testa, lanciando una fugace occhiata al professore, nella speranza che non ci veda chiacchierare.
«Ho sentito dire che la sorella di Nathaniel e le sue due amiche, Li e Charlotte, ti hanno dato fastidio...» continua.
«Accidenti, quanto cavolo girano in fretta le voci in questo liceo.» commento, quasi più a me stessa che a lei.
Lei però scuote la testa.
«Diciamo che non è proprio una voce che gira... È Ambra che se ne sta vantando con tutta la scuola.» dice, lanciando un'occhiata dietro di noi.
Mi volto, vedendo qualche banco più indietro proprio lei che, con un'assoluta noncuranza di quello che le sta accadendo attorno, si sta truccando reggendo uno specchietto con la mano sinistra è un pennello kabuki con quella destra, che si sta passando delicatamente sulle guance. Non appena incrocia il mio sguardo mi lancia un'occhiata omicida, come se fossi stata io quella a insultarla quella mattina.
«Comunque non prendertela più di tanto. - continua Iris, facendo in modo che la mia attenzione torni su di lei - Fanno così con tutti qui al liceo!» 
«Beh, immagino che ogni liceo che si rispetti debba avere la sua odiosa Regina George.» dico quasi senza nemmeno rendermi conto di aver citato per l'ennesima volta quel film, mentre tento di prendere qualche appunto dalla spiegazione del professore.
«Oddio, Mean Girls, quanto ho amato quel film!» esclama la rossa, ma sempre a bassa voce.
Le sorrido, divertita. 
Per lo meno ho trovato una vera amica in quel liceo. Perché, diciamo le cose come stanno, Nathaniel è troppo carino per essere considerato un amico e poi, beh non è che abbia mai creduto nell'amicizia tra un uomo e una donna. In un modo o nell'altro la donna, me compresa, è sempre attratta dagli uomini di cui si circonda, anche se poi magari ne ama davvero solo uno. Tranne Kentin, lui no, lui era solo un amico per davvero. Sempre se potevo definire così un ragazzino che si appiccica a te come se fossi la sua unica ancora di salvezza, nonostante tu gli abbia detto più volte di allontanarsi.
La lezione finisce e, dopo aver salutato Iris, dicendole che ci saremmo viste nella prossima lezione assieme, esco dall'aula. 
«Ciao Vanille!»
Parli del diavolo. Mi pareva strano che ancora non fosse comparso, chiedendomi di mangiare un biscotto, o altre cavolate simili.
Il guardarlo così sorridente mi fa pensare che forse gli è successo o ha fatto qualcosa che l'ha reso così felice e, inspiegabilmente, mi viene in mente Ambra.
Chi le aveva detto che io e Ken stavamo assieme? O meglio, chi le aveva detto che io e lui ci conoscevamo? Insomma io non gliel'avevo detto di certo e tutte le volte che il giorno prima lui mi aveva fermato lei non era nemmeno nei dintorni. Inoltre penso che i documenti d'iscrizione siano privati, tranne che per la preside e, forse, per Nathaniel e, sebbene fosse suo fratello, mi rifiuto categoricamente di credere che gliel'abbia detto lui. L'unica alternativa rimasta è quel ragazzino davanti a me, che mi guarda tutto felice, come fosse un bambino che ha appena ricevuto un nuovo giocattolo che aspettava da tanto.
Le parole mi escono di bocca quasi d'istinto, piccate è quasi un po' avvelenate.
«Ken, che cosa sei andato a raccontare ad Ambra e alle sue amiche?»
«Mi facevano un sacco di domande, ho semplicemente detto la verità!» dice alzando le spalle, come se non ci fosse stato nulla di male in quello che aveva fatto o detto.
«Ma quale verità?! Ti rendi conto che vanno a dire in giro che noi stiamo insieme?!» percepisco distintamente la mia voce salire di qualche decibel, ma è più forte di me.
«No, no... Io non ho detto loro quello... Cioè non proprio...» balbettò un po' nervoso lui.
«Come sarebbe a dire, non proprio?!» dico allargando le braccia, esasperata. 
«Ho solo detto che sei l'amore della mia vita. E poi...»
«C-cosa?! - lo blocco, prima ancora che continui a parlare e blaterare cose senza senso - Tu... Come ti è saltato in mente?!» sono sconvolta.
«Ho solo detto la verità, non coinvolge te, almeno non se tu non lo vuoi. Per caso vuoi uscire con me?»
Ma quanto cavolo di faccia tosta ha questo ragazzo? Come cavolo è possibile che non si rende conto che lo sto palesemente respingendo da due giorni, anzi in realtà lo sto facendo da praticamente quando ci conosciamo, eppure lui sembra continuare a insistere. Come può una persona essere così appiccicosa?
«Ken, una volta per tutte, io non...»
«Ora che ci penso, non potrei nemmeno offrirti la cena. Quelle ragazze mi hanno rubato i soldi...» dice, mordendosi le labbra.
«Come ti hanno rubato i soldi?»
Improvvisamente la mia indole amichevole e troppo buona, riprende il sopravvento. È più forte di me. Ken può essere anche noioso, appiccicoso e pedante, ma è comunque un mio amico, una persona che mi è sempre stata vicino nei momenti difficili, assieme a Lety, perciò non posso lasciar passare una cosa del genere.
«Sì... Mi hanno spinto per terra e mi hanno preso i soldi, dicendomi che per festeggiare avrebbero mangiato al ristorante, piuttosto che alla mensa...»
Sospiro. Maledette arpie senz'anima. Ma che gusto ci provano a trattare in questo modo la gente?
«Quanto ti hanno rubato?» domando, aprendo la tracolla e cercando il portafoglio.
«Oh, no no... - interviene subito lui, appena capisce cosa voglio fare - È carino da parte tua preoccuparti, ma non c'è bisogno che me li dia tu... Da-davvero... Grazie lo stesso...» conclude con voce tremante. 
Sta evidentemente trattenendo le lacrime. 
«Sei sicuro?» gli chiedo, riposando il portafoglio in borsa e guardandolo negli occhi, o meglio attraverso quegli occhiali spessi che gli stanno decisamente malissimo. 
Lui tira su col naso e poi fa un cenno di testa.
«Davvero, tranquilla... Spero, spero solo che non torneranno a darmi fastidio...»
Ma si può essere così stronze? Far piangere così una persona, per cosa poi. 
Sospiro di nuovo. Forse anche io sono stata cattiva con lui. Insomma ha fatto tanto per me, ha persino chiesto il trasferimento per non farmi sentire l'unica nuova al liceo e, pur se non sono sicura che sia quello il motivo, è stato un gesto gentile.
«Se si azzardano ancora a darti fastidio chiamami, ok?» gli dico.
Lui mi risponde con un cenno di testa, tira su col naso un'altra volta e poi si allontana.
Mi passo una mano sul viso esasperata. Siamo solo al secondo giorno di scuola e già mi sembra di sentire chiaramente la voce di Axl Rose dei Guns N' Roses, che mi urla "Welcome to the jungle".
Le sorprese però, a quanto pare, non sono finite, perché proprio mentre sto per dirigermi al mio armadietto per guardare l'orario e prendere i libri per la lezione successiva, sento la vocetta fastidiosa della preside chiamarmi.
«Signorina Lambert, aspetti!»
Mi volto verso di lei, molto lentamente. Possibile che non cambia mai abito, oppure ha un'armadio pieno di vestiti di tweed rosa?
«Mi dica, preside.» rispondo educatamente.
«Vorrei che partecipasse un po' alle attività del liceo! La nostra scuola prevede dei club un pomeriggio a settimana e proprio oggi c'è il primo giorno. Al momento sia il club di basket che quello di giardinaggio hanno bisogno di nuovi iscritti. Potrebbe scegliere uno dei due e andare subito a dare una mano.»
«Oh... Certo.»
Se questo vuol dire saltare le lezioni, corro. Sarò anche brava a scuola, ma se posso fare qualcosa di diverso dallo studiare, sono la prima a propormi.
«Bene allora dovrà passare nell'ufficio delegati e compilare il modulo per l'iscrizione del club che sceglie, dopodiché le consiglio di andare subito dopo pranzo al club da lei scelto e vedere come può rendersi utile.» mi dice lei, con quel suo sorriso che sembra sempre falso come non mai.
«Vado subito.» le rispondo, facendo dietro front e dirigendomi in sala delegati.
Come ho fatto ieri, busso e poi entro senza aspettare che qualcuno m'inviti.
Lui è sempre lì, questa volta seduto a uno dei banchi messi a ferro di cavallo, chino su quello che sembra un quaderno, concentrato a scrivere qualcosa.
«Ma tu vivi qui dentro?» mi viene automatico dire.
Lui alza la testa da ciò che sta facendo e si volta verso di me con quel suo sorriso radioso e dolce, che mi manda sempre fuori di testa. Sento il cuore accelerare il battito, una cosa di qualche secondo, il tempo di riprendere il controllo del mio corpo. Possibile che un ragazzo che conosco solo da due giorni possa farmi questo effetto? E dire che non sono mai stata una che crede al colpo di fulmine. Forse ne sono semplicemente attratta per il suo aspetto e il suo fare gentile.
«Vanille! Tutto bene?» mi chiede.
«Diciamo di sì.» dico, prima ancora di riuscire a fermarmi.
È strano, con lui non riesco a tenermi praticamente nulla dentro. Se continuo così andrà a finire che gli confesserò che mi piace.
«Che succede? Problemi con qualcuno?» mi domanda alzandosi.
Mi mordo il labbro, sentendo distintamente il sapore del mio lucida labbra alla ciliegia, il mio preferito. Non credo dovrei dirgli che il mio problema è sua sorella e le altre due oche che si porta dietro.
Lui però insiste.
«Vanille, puoi dirmi tutto, lo sai.» mi dice, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla spalla.
A quel gesto crollo, senza riuscire più a tenere la bocca chiusa.
«A-Alcune ragazze hanno dato fastidio a me e Ken oggi... Ma nulla di che, tranquillo.» cerco di rassicurarlo sorridendogli, ma sinceramente non so quanto posso essere convincente.
Lui però, a quel punto, fa quella domanda che speravo proprio non mi facesse.
«Di quali ragazze parli?»
Prendo un grosso respiro, nel tentativo di caricarmi di coraggio che non ho. Mi è impossibile non fargli capire di chi sto parlando, ma forse è meglio che almeno faccio finta di non sapere che loro due sono fratelli. Non ho voglia di passare pure per la pettegola che non sono.
«Quelle tre che girano sempre insieme. Ambra, la bionda, mi ha anche detto di starti lontano. Non sono state affatto carine.» dico, tutto d'un fiato, mordendomi la lingua per l'ultima frase che mi è uscita dalla bocca.
Lui sospira, è chiaro che l'ho messo a disagio. Certo, non può mica mettersi contro sua sorella. Ma perché non mi tengo la bocca chiusa.
«Credo di aver capito. Ambra è mia sorella. So che quando è con le sue amiche è un po' cattivella, però...»
Lo blocco, scuotendo la testa e la mano.
«Non è nulla, tranquillo.» 
Non posso certo dirgli che è solo il suo amore fraterno a renderlo cieco su come Ambra sia così sempre e non solo con le sue amiche. Avrebbe poi tutto il diritto di dirmi che non posso giudicarla, visto che la conosco da appena due giorni e sarebbe poco carino spiegargli che le reginette come lei esistono in qualsiasi liceo.
«Comunque, come mai sei venuta qui?» mi domanda, cambiando completamente discorso e allontanandosi di nuovo un po' da me.
«Oh giusto, vorrei iscrivermi al club di giardinaggio.» dico, ricordandomi per quale motivo ero entrata in sala delegati.
«Certo, ti dò subito il modulo. Devi solo compilarlo e poi puoi andare tranquillamente a mensa per la pausa pranzo.» mi risponde, allontanandosi e aprendo il solito armadietto per poi prendere un foglio e porgermelo, assieme ad una penna, per la precisione quella che stava usando lui prima.
Mi chino sul banco, poggiando il foglio e iniziando a compilarlo, mentre sento i suoi occhi osservarmi attenti, come se cercassero di vedermi anche l'anima. Sento il calore salirmi alle guance e tento in tutti i modi di concentrarmi sul foglio che ho davanti.
Crocetto l'opzione "giardinaggio". Non ho nessun'intenzione di giocare a basket. Io e lo sport siamo nemici naturali, ho sempre avuto appena la sufficienza in educazione fisica, facendo il minimo indispensabile e non ho intenzione di cominciare adesso a impegnarmi in quell'ambito.
«Ecco fatto!» concludo, firmando e risollevandomi, consegnando penna e foglio compilato a lui.
Questi sorride, prendendo tutto.
«Allora alla prossima Vanille.» mi dice con un sorriso.
«Alla prossima.»

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Capitolo 6
*** Il giardino segreto ***


Il giardino segreto
 

Faccio un sospiro, mentre esco dalla mensa insieme a Ken, con cui, assieme ad Iris, ho passato il pranzo. Entrambi ora dobbiamo dirigerci al club di giardinaggio. Non avevo dubbi che avesse scelto la mia stessa attività, se c’è una cosa che ci accomuna è l’incapacità nelle attività fisiche, perciò sicuramente non avrebbe mai optato per il club di basket.
Abbiamo appena girato l'angolo che porta al corridoio principale, che ci scontriamo con il solito trio.
Tento d'ignorarle, ma è proprio Ambra a rivolgerci la parola.
«Eccoli qui i due fidanzatini che vanno a piantare fiorellini assieme. Chissà perché non mi sorprende che abbiate scelto il club di giardinaggio.»
La guardo male, cercando in qualche modo d'intimarle di andarsene e lasciarci in pace, chiedendomi intanto come cavolo sia possibile che la voce del club che abbiamo scelto sia girata così in fretta.
Lei sembra cogliere appieno la mia minaccia, ma questo sembra non intimorirla per niente, anzi, ricambia quel mio sguardo con uno di sufficienza, come a sfidarmi a continuare. Poi però si rivolge a Ken di fianco a me.
«A proposito quattrocchi, grazie mille per il pranzo, era ottimo.» butta lì, per poi superarci e andarsene.
Vedo Kentin curvare le spalle e ingobbirsi, umiliato dal ricordo dell'evento di quella mattina. Sospiro, mettendogli una mano sulla spalla.
«Non pensarci Ken... Andiamo.» dico semplicemente, per poi ricominciare a camminare.
Arriviamo all'uscita e questa volta è Castiel la persona che incrociamo. Visto che non conosco così alla perfezione il cortile e la zona esterna dell'edificio, ne voglio approfittare per chiedergli dove si trovano i giardini. Insomma, meglio lui che quella vipera di Ambra.
«Ehi Castiel, dobbiamo andare al club di giardinaggio, mica sai dov'è?» chiedo semplicemente, senza nemmeno immaginare la reazione che stava scatenando in lui.
Trattiene una risata, guardandoci come se fossimo delle bamboline di porcellana pronte a romperci e lui fosse in attesa che accadesse così da ridere ancora di più di noi.
«Club di giardinaggio?! - chiese, più come una domanda retorica e derisoria, alzando il sopracciglio - È una cosa da femminucce, - dice, soffermandosi qualche secondo in più su Kentin, che ricambia quello sguardo con uno intimidito, sollevandosi meglio gli occhiali sul naso - quindi non ne so nulla.» concluse.
Un po' mi irrita che guardi Ken a quel modo. Insomma neanche io lo digerisco più di tanto, soprattutto per certi suoi comportamenti, ma in questo liceo sembra che l'etichetta di "nuovi" corrisponda a quella di "prendeteci a calci" o insulti che dir si voglia.
«Certo... Come se tu non fossi in questo liceo da più tempo di noi e non sapessi dove si trova il giardino...» gli dico piccata io, alzando il sopracciglio e guardandolo con aria parecchio ironica.
Ken, di fianco a me, sta zitto, lo sguardo basso e le spalle curve, come terrorizzato di quello che potrebbe succedere se intervenisse.
«Ehi, piccoletta... Non ti innervosire! Mi dispiace, ma delle piante non ne so proprio niente.» conclude, per poi farmi un sorrisetto divertito e allontanarsi da noi.
Sbuffo, siamo solo al secondo giorno e già comincio a sentire questo liceo stretto. Spero davvero che questa sensazione passi, nel momento in cui non sarò più quella nuova, perché altrimenti, qualsiasi cosa dica mia madre, me ne torno alla mia vecchia scuola.
«A quanto pare nessuno vuole aiutarci.» dico, più a me stessa che a Kentin, sempre al mio fianco, come un bravo cagnolino.
«Se... Se vuoi vado a chiedere io d-dove si trova...» mi suggerisce con voce sommessa.
Dubito che lui possa essere più fortunato, ma tanto vale lasciargli la possibilità di fare l'uomo per una volta.
«Ecco, bravo, provaci tu.» dico, in un tono forse un po' troppo scontroso.
Lui allora si allontana ed io lo seguo con lo sguardo, vedendolo entrare in sala delegati. Maledizione, Nathaniel, certo. Lui sicuramente sa dove si trovava il giardino, perché non ci avevo pensato io?
Non sono passati che un paio di minuti, forse anche meno, che lo vedo uscire dalla sala, con un grosso sorriso e un allegria incommensurabili, manco avesse appena vinto una fortuna alla lotteria.
«Mi hanno detto dov'è. Vieni, è proprio a destra del cortile!» esclama tutto euforico, non appena mi è vicino. 
Dopodiché mi supera e va verso l'uscita del liceo. Faccio un sospiro e lo seguo, sperando che quella sua felicità insensata sparisca presto, perché lo vedo davanti a me, mentre cammina, quasi saltellando, manco fosse Heidi in mezzo ai monti.
Usciti nel cortile, svoltiamo a destra, proprio come ha riferito lui e, dopo aver attraversato un bel pezzo di strada, ci ritroviamo davanti a un cancelletto nero in ferro battuto, con un semplice gancio a chiuderlo.
Lo apriamo e oltre c'è quel piccolo paradiso che ancora per me era sconosciuto prima di questo momento. Mi guardo intorno, completamente ammirata da ciò che mi circonda. Devo ammetterlo, questo è sicuramente un punto a favore di questo liceo.
Sto ammirando una delle tante aiuole del giardino, quando la voce di Ken mi riporta con i piedi per terra e mi ricorda che, purtroppo, c'è anche lui.
«Qui però non c'è nessuno... Sai per caso cosa dobbiamo fare?» domanda.
Discosto quasi subito lo sguardo da lui, storcendo la bocca e guardandomi attorno pensierosa.
«Forse conviene che ce la caviamo ognuno per conto proprio ora...» dico, nel tentativo di scollarmelo.
So di essere alquanto antipatica e soprattutto scostante nei suoi confronti, ma è più forte di me, nel momento in cui si avvicina troppo devo allontanarlo un po', non ho proprio voglia che qualcun altro dica che stiamo insieme o una cosa simile. Diavolo, per quanto possa voler bene a questo sgorbietto i miei canoni di ragazzo sono ben diversi, insomma Lucien era un figo da paura, forse il migliore della scuola.
«Ma... - comincia lui, tirando un po' su col naso - Ok, vado a cercare qualcuno che ci dica cosa dobbiamo fare...» dice, allontanandosi e chinando la testa.
Questa volta non lo seguo nemmeno con lo sguardo mentre s'inoltra nel giardino, andando verso la serra poco più in là.
Sono indecisa se andare anche io da un'altra parte e magari visitarmi tutto il giardino e trovare qualche altro membro del club che mi dica cosa fare. Sto per andare in direzione dell'altra serra, ma il mio sguardo cade su un mazzo di mimose e un ficus con un bigliettino a fianco.
Mi chino, afferrando il foglietto di carta e osservandolo. Sopra, scritto con una calligrafia veloce, ma particolarmente leggibile c'è scritto: "Mettere in aula A e in sala delegati".
Faccio un leggero cenno con la testa e, dopo aver messo il biglietto nella tasca dei jeans, prendo il mazzo di mimose, poggiandolo sul vaso del ficus, per poi afferrare questo con entrambe le mani e sollevarlo.
Non pesa così tanto come credevo, ma ovviamente la mia visuale è limitata dal fogliame della pianta. 
Facendo attenzione a dove metto i piedi, mi dirigo di nuovo verso il cancelletto e poi verso l'ingresso della scuola, facendo il percorso a ritroso.
Arrivata al corridoio cerco di fare mente locale di dove sia l'aula A. Se non sbaglio è quella dove ho fatto lezione di matematica ieri. Mi dirigo verso la porta e, dopo essermi assicurata di essere nel posto giusto, controllando la targhetta di fianco alla porta entro. Poggio subito il ficus, riprendendo un attimo fiato, mentre comincio a guardarmi attorno, indecisa su cosa lasciare lì.
Non ricordo nemmeno se le mimose hanno bisogno d'acqua, alzo le spalle e afferro il mazzetto, scrollandolo un po’ dalla terra che può essere rimasta attaccata, poggiandolo nel vaso, dopodiché lo metto sulla cattedra, sistemandolo in modo quantomeno grazioso e decorativo. 
Afferro di nuovo il vaso del ficus e faccio dietrofront, dirigendomi verso la sala delegati, ma prima che riesca ad uscire ecco che il mio piccolo incubo ricompare.
«Che fai di bello?» mi chiede, come se non ci fossimo visti nemmeno due minuti prima.
Insomma è mai possibile che in questa scuola mi trova solo lui? Lui e quell’odiosa di Ambra con le sue due ancelle al seguito.
Nonostante tutto però gli rispondo educatamente, anche se il peso della pianta e l’esasperazione nel suo continuo cercarmi credo siano evidenti nella mia voce.
«Devo sistemare questa pianta in sala delegati e ho messo le mimose lì.» dico, indicando con un cenno della testa proprio la scrivania.
«Io ora vado ad annaffiare le piante in cortile.» dice, come se davvero m’interessasse quello che fa, oltretutto vorrei sapere cosa ci fa allora dentro l’istituto quando invece dovrebbe essere in cortile.
«Bene, allora se vuoi poi ti dò una mano. Ora scusami ma pesa, devo andare.» dico, ormai mi pare anche inutile tentare di scollarmelo di dosso, tutte le volte che ci provo ritorna, più convinto di prima.
«Non ti preoccupare, ci metterò poco, ma grazie comunque dell’offerta! Buon lavoro.» conclude, lasciandomi passare e, voltandomi, lo vedo dirigersi nuovamente verso l’uscita.
Entrata in sala delegati, mi aspettavo di trovarci Nathaniel, invece questa volta non c’è. Forse è a lezione, oppure doveva fare qualcosa fuori da qui. 
Attraverso tutta la stanza, poggiando il vaso vicino agli armadietti, valutando se è il posto migliore in cui tenere la pianta. Credo di sì, visto che entra la luce del sole dalla finestra laterale.
L’ho appena sistemata e mi sono tirata su, osservando con una nota d’orgoglio il mio lavoro, anche se, alla fine dei conti non è niente di che, insomma mica l’ho piantata io, l’ho semplicemente spostata.
All’improvviso una voce dietro di me, attira la mia attenzione.
«Ma che stai facendo?» 
Mi volto e vedo il delegato degli studenti che mi guarda stranito e, mi pare, anche scocciato o arrabbiato. Improvvisamente mi domando se non ho fatto qualche cazzata. Non è che ho capito male il biglietto e dovevo mettere la pianta da qualche altra parte?
Decido di tentare comunque di spiegarmi, magari semplicemente non ci siamo capiti entrambi. In fondo lui non frequenta di certo il mio stesso club.
«È per il club di giardinaggio, ho trovato un biglietto che diceva di mettere una pianta qui e una in classe.» spiego.
Lui sospira, mantenendo quell’aria un po’ stranita e corrucciata che, devo ammetterlo, su di lui è quasi brutta da vedere. Quel bel visino angelico stona con l’espressione arrabbiata.
«Cosa hai messo qui?» mi domanda.
Io alzo le spalle, continuando a non capire perché stia facendo così tutto all’improvviso, sembra quasi che sua sorella l’abbia posseduto.
«Ho pensato che il ficus stesse bene qui… Perché, qual è il problema?» chiedo, insomma a questo punto voglio sapere il perché di questo suo improvviso cambio di comportamento.
Lui però a questa mia risposta e domanda, tira un sospiro di sollievo e, improvvisamente, come se non fosse successo assolutamente nulla, mi sorride di nuovo, illuminando così il suo viso di quella luce che mi aveva attratto fin da ieri.
«Scusami. - mi dice - Siccome sono allergico ai pollini, volevo accertarmi che non mettessi in questa sala delle piante a polline… Sennò non smettevo più di starnutire!» mi spiega.
Tra me e me tiro un sospiro di sollievo. In qualche modo ho fatto la scelta giusta a portare il ficus qui e lasciare, invece, la mimosa in classe.
«Effettivamente a questo non avevo pensato. - dico ridendo - Credo non ti convenga entrare in aula A, allora.» mi raccomando, sorridendogli di rimando.
Lui scoppia a ridere. Una risata spontanea e quasi melodica, tanto che cattura completamente la mia attenzione, lasciandomi a dir poco incantata. Ma un ragazzo può mai essere così carino? E dire che ero convinta mi piacessero di più i duri, invece, questo liceo mi sta facendo scoprire un mio lato che ancora non conoscevo, quello dolce e incantato dalle persone educate e a modo come Nathaniel. O forse semplicemente è lui che mi piace e basta.
«Non preoccuparti, - dice lui, riportandomi coi piedi per terra -  ci starò lontano. E comunque una pianta a foglie larghe non mi da nessun problema. Anzi, servirà a rallegrare un po’ la stanza.»
«Lo penso anche io.» dico con un altro sorriso, voltandomi verso la pianta e poi nuovamente verso di lui.
«Grazie allora.» dice, avvicinandosi a me e mettendomi una mano sulla spalla, per poi superarmi e andare alla fotocopiatrice.
Io lo osservo per qualche secondo, dopodiché lo saluto ed esco, tornando nel corridoio, decisa ad andare nuovamente al giardino e fare qualcos’altro finché non finirà l’orario scolastico.
Stavo per uscire dall'edificio, quando Ambra l’odiosa torna all’attacco, senza nemmeno darmi la possibilità di evitarla.
«Spostati, passiamo noi.» dice semplicemente, con quella sua voce di superiorità che mi fa salire la rabbia. 
Questa volta mi rifiuto categoricamente di fargliela passare liscia.
«Spostati tu Principessa, perché io proprio non mi muovo, il corridoio è abbastanza largo.» le dico, rispondendole a tono e indicando a lei e alle sue amichette l’altro lato del corridoio.
A lei però non va giù questa mia risposta, lo si vede chiaramente dallo sguardo, prima accigliato e poi furioso, che mi rivolge.
«Non ci credo… Ma chi ti credi di essere? Torna a fare la schiavetta al club!» dice, con quell’aria scocciata per poi spintonarmi.
Perdo l’equilibrio e faccio due passi indietro, onde rischiare di cadere per terra. 
Questa volta è il mio turno di guardarla male. Quasi le ringhio addosso per quanta rabbia mi fa questo suo comportamento e quest’aria da piccola snob. Vorrei tanto sbattere quella sua testolina bionda contro al muro, ma tra me e me so che sono troppo buona per farlo, pure se lei è così odiosa. Una cosa è certa, un giorno o l’altro la metterò in riga e si pentirà amaramente di avermi scelta come valvola di sfogo per i suoi capricci da regina del pollaio.

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Capitolo 7
*** In mezzo a due fuochi ***


In mezzo a due fuochi
 

Devo ammetterlo, mi sto davvero ambientando in questo nuovo liceo. Ormai è passata una settimana da quando ho cominciato a frequentare l'istituto Dolce Amoris e posso tranquillamente dire che le poche persone che ho conosciuto, Ambra e compagne escluse, se prese per il verso giusto sanno essere alquanto simpatiche.
Anche i professori non sono male, anzi trovo siano alquanto preparati.
Oggi la giornata è passata relativamente veloce, nonostante il lunedì sia, solitamente, il giorno peggiore.
Esco dall'aula dell'ultima lezione, sapendo di poter fare con calma, perché la scuola rimarrà aperta ancora per un'ora circa, e mi dirigo verso il mio armadietto, aprendolo e depositandone i libri che non mi servono più, nemmeno per studiare a casa, prendendo invece il libro e il quaderno di storia, in modo che io possa ripassare e risistemarmi gli appunti presi questa mattina, a casa.
«Ah eccoti, capiti bene! Potresti farmi un favore?»
Mi volto ritrovandomi davanti il viso cordiale e sorridente di Nathaniel. Chiudo l'armadietto, sorridendogli di rimando.
«Certo, dimmi...» gli rispondo, senza nemmeno pensarci un secondo.
In fin dei conti, lui era stato molto gentile con me il mio primo giorno qui dentro, esattamente una settimana fa, perciò perché non ricambiare il favore, in qualche modo.
«Ti ringrazio! - mi sorride nuovamente lui, con uno di quei suoi soliti sorrisi dolcissimi e pieni di gratitudine che sinceramente non credo di meritarmi, insomma nemmeno gli abbia già fatto il favore, lo lascio comunque proseguire - Ho un foglio di assenza da far firmare a Castiel e, sinceramente, meno lo vedo e meglio è! Potresti farglielo firmare tu e poi riportarmelo?»
Effettivamente ricordo di non aver visto Castiel venerdì scorso, tanto da essermi chiesta se fosse malato, ma ovviamente con il passare del fine settimana me ne ero dimenticata e comunque non erano certo affari miei. La cosa che però mi ha stupita è il fatto che Nathaniel non sopporti Castiel. Insomma sì, sicuramente Castiel sa essere irritante, però credevo che un ragazzo come lui sapesse approcciarsi con qualsiasi tipo di studente, con la sua calma e il suo essere pragmatico. A quanto pare mi sbagliavo.
«Non c'è problema.» rispondo.
«Sei un tesoro... - mi dice e in un attimo sento le mie guance infiammarsi, oddio, fa che non sia arrossita, mentre lui incurante della mia situazione continua - Dico davvero, è gentile da parte tua andarci al posto mio, avresti potuto anche mandarmi a quel paese e ne avresti avuto tutto il diritto. Perciò, grazie!» conclude porgendomi il foglio, mentre io, credo, anzi spero, ho assunto finalmente un colore normale della pelle. Dico spero perché purtroppo non posso vedermi, ma mi sembra che il calore sia sfumato. 
La curiosità prende il posto dell'imbarazzo, mentre nella mia testa si fa strada una domanda che pongo subito al giovane delegato, senza riuscire a trattenerla in bocca.
«Ma scusa un attimo, perché deve firmarlo lui? Non spetterebbe piuttosto ai suoi genitori?» chiedo, mentre prendo il foglio dalle sue mani.
«In condizioni normali sì, ma siccome i suoi genitori viaggiano molto per lavoro, lui è emancipato per tutto ciò che è amministrativo. Vuol dire che ha l'autonomia per certe decisioni. Per tutto ciò che riguarda la scuola ad esempio...» mi spiega tranquillamente lui, anzi direi quasi svogliatamente, come se gli importi davvero poco di quello che fa Castiel, o addirittura gli dia fastidio.
«Ah ok, ho capito... Non lo sapevo...» dico, comprendendo che forse parlarne con lui non è il caso, forse non scorre proprio buon sangue tra i due e non sono certo affari miei.
«Di nuovo grazie.» ribadisce lui con un altro leggero sorriso.
«Prima aspetta che ti faccio il favore.» gli sorrido, con un occhiolino, per poi allontanarmi.
Mi dirigo verso l'esterno, se c'è un posto da cui sono sicura dovrei iniziare a cercare Castiel è il cortile. Solitamente è lì, a fumarsi una sigaretta.
Spingo la porta e come mi aspettavo lo trovo lì, appoggiato al muretto, mentre fissa un punto imprecisato dell’orizzonte, la sigaretta tra le dita e solamente una cuffia all’orecchio destro.
Prendo un grosso respiro e mi avvicino a lui, con il foglio stretto in mano, sento il peso della tracolla sulla spalla sinistra, se la cosa si prolunga credo l’andrò a posare, onde evitare che la cinghia mi lasci il segno com’è successo quattro giorni fa.
«Dico io, da quando in qua si marina la scuola? Almeno potevi avvertirmi, evitavamo un paio di lezioni insieme.» gli dico, scherzando.
Lui non risponde, semplicemente mi guarda storto, come se fossi un’irritante insetto che gli dà fastidio nel momento più bello della sua giornata.
«Che vuoi, ragazzina?» mi chiede, vedendo che io non accenno minimamente a spostarmi.
«Ho un foglio da farti firmare.» gli rispondo tranquillamente, mostrandogli il pezzo di carta.
«Beh, la cosa non mi riguarda. Puoi pure riportare il foglio al signor delegato, - fa il segno delle virgolette per accentuare l’appellativo che ha usato - io tanto non lo firmo.»
A quanto pare, l’odio tra i due è una cosa reciproca. Anzi, bisogna ammettere che in Castiel si nota molto di più l’astio che prova nei confronti di Nathaniel.
«Non credo ne sarà contento.» rispondo non sapendo esattamente cosa dire, ho sempre paura di contraddirlo troppo, per quanto abbia detto di comportarsi da cavaliere la settimana scorsa, nessuno gli impedisce di arrabbiarsi più del dovuto e prendermi a calci se gli rompo le scatole.
«Sai quanto me ne importa…» dice, facendo un’alzatina di spalle e aspirando un lungo tiro dalla sigaretta.
Faccio l’ennesimo sospiro e decido di tornare indietro. Sinceramente non so cosa concluderò tornando da Nathaniel, ma magari lui ha una soluzione alternativa, perché a me non viene in mente assolutamente nulla per convincerlo a firmare.
Decido, comunque, di passare prima dall’armadietto e lasciare, come avevo deciso, la tracolla. Sono sicura all’ottanta per cento che prima che si risolva questa situazione, sarà passata tutta l’ora.
Posato tutto, mi dirigo in sala delegati, se c’è un posto dove posso trovare Nathaniel, è sicuramente quello, ormai lo so.
Busso e apro la porta, ritrovandomi il suo dolce viso incorniciato dai corti e arruffati capelli biondi.
«Ci hai parlato? Tutto ok?» mi domanda subito, non appena mi vede.
«Per parlarci ci ho parlato, ma non vuole firmare il foglio.» rispondo, non ho idea di che espressione abbia assunto la mia faccia, ma la mia voce è parecchio dispiaciuta.
«È un testone, ma se insisti un po’ vedrai che alla fine firmerà.» mi risponde lui, mettendosi a cercare qualcosa in un grosso blocco di fogli sul tavolo.
Io emetto un sospiro, assicurandogli che ci avrei riprovato, mentre lui si volta di nuovo verso di me e mi ringrazia, accompagnando quella piccola e semplice parola con un sorriso.
Forse è perché non so dire di no a quel faccino, perché altrimenti col cavolo che sarei tornata indietro.
Esco dalla sala delegati e, nonostante manchi ancora una buona mezz’ora alla fine di tutte le lezioni, ci sono alcuni studenti che, con lo zaino e le borse sulle spalle, stanno lasciando l’edificio, attraversando il corridoio. Tra i vari studenti, noto Ken che, nonostante la sua stazza mingherlina, riesce sempre a farsi riconoscere. Insomma è difficile non farsi notare con quell’orrido maglione arancione acceso che indossa oggi, che, cosa che mi irrita ancora di più, s'intona perfettamente con la mia maglia. 
Storco la bocca, e se proponessi a lui di andare a chiedere a Castiel di firmare questo benedetto foglio? Sono talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorgo che è stato lui a raggiungermi.
«Ehi Vanille, hai bisogno di aiuto?»
Sobbalzo un po’, non aspettandomi di vedermelo proprio qui davanti.
«Io… Come fai a saperlo?» chiedo stranita, sollevando il sopracciglio destro.
«Così… - mi risponde lui alzando le spalle - Ho tirato a indovinare, comunque sappi che sono sempre qui se hai bisogno di qualcosa!» mi dice con un sorriso a trentadue denti.
È assurdo quanto questo ragazzo si comporti da zerbino nei miei confronti, senza che io glielo chieda. Quando guadagnerà un briciolo di amor proprio e di stima per se stesso sarà decretata la fine del mondo.
Sospiro, spiegandogli poi la situazione.
«Dovrei far firmare questo foglio di assenza a Castiel, il ragazzo metallaro che sta spesso fuori in cortile, ma non ne vuole sapere.»
«Posso farlo io!» esclama entusiasta lui.
In un attimo mi si para davanti al viso la scena. Questo scricciolo che va da Castiel per fargli firmare il foglio e lui che lo sbrana come un cane rabbioso.
«No, tranquillo, lascia stare… È meglio se me ne occupo io.» gli dico.
«Ok! Allora ti lascio completare la tua quest! - oddio fa che non l’abbia detto sul serio - Ciao ciao, Vanille!» conclude, salutandomi e mettendo entrambe le mani sulle cinghie dello zaino per poi dirigersi verso l’uscita.
Lo seguo andar via, ancora sconvolta dalla sua citazione, fuori luogo, di Dungeons & Dragons. Ma si può essere più nerd di così?
«Ehi Vanille, non torni a casa tu?»
Mi volto, notando la chioma rossa di Iris e il suo sorriso amichevole.
«Non ancora… Devo far firmare questo a Castiel, - comincio, mostrando il foglio - e poi riportarlo a Nathaniel.»
«Castiel è un po’ complicato per questo tipo di cose, quindi non saprei come aiutarti… - dice storcendo la bocca, come fosse davvero indecisa sul da farsi, e magari è proprio così - Se provassi a chiederglielo gentilmente?»
Emetto l'ennesimo sospiro, alzando un po’ le spalle.
«Dubito funzioni con quello zuccone, comunque grazie lo stesso.» le rispondo con un sorriso.
«Di nulla amica mia, ci vediamo domani?»
«Certo, a domani.»
Ok, basta tergiversare. Devo assolutamente trovare Castiel e fargli firmare questo benedetto foglio.
Ormai il corridoio è quasi vuoto, gli ultimi ragazzi stanno abbandonando l’edificio e finalmente lo vedo, affacciato verso l’interno di quello che probabilmente è il suo armadietto.
«Castiel!» lo chiamo, avvicinandomi.
Lo vedo irrigidirsi e so esattamente cosa sta pensando, probabilmente mi sta dedicando una serie di improperi nella sua testa. Si volta, il suo sguardo è quasi di fuoco.
«Che c’è ancora???»
«Indovina un po’? Nathaniel ha insistito.» gli dico con tono ironico, sventolandogli il foglio davanti al naso.
«Ed io rifiuto ancora! Che venga a chiedermelo di persona, invece di mandare una ragazzina come te!» risponde, alzando il tono della voce e sbattendo l’anta dell’armadietto.
Gli lancio un’occhiataccia. Sono davvero stufa di sentirmi sminuire da lui, mi irrita ancora di più di quando lo fa Ambra, forse perché lui, al contrario della bambola bionda, non fosse per il suo caratteraccio lo riterrei pure interessante.
Mi dirigo con passo pesante, di nuovo, verso la sala delegati. Mi sto seriamente scocciando di questo avanti e indietro e sinceramente su una cosa Castiel ha ragione, Nathaniel poteva benissimo andarci da solo, d’altro canto però era chiaro che lui aveva altro da fare, mentre quel cretino di Castiel non ci avrebbe messo nulla a fare una maledetta firma.
Entro immediatamente, senza bussare o fare qualsiasi convenevole, a momenti sbatto pure la porta.
Lui alza lo sguardo dai fogli.
«Allora?»
«Allora… - sospiro esasperata - “Chiedimelo di persona, se sei un vero uomo!”» dico, imitando il più possibile la voce di Castiel, rendendola però un po’ ridicola in modo da prendere in giro quella sua aria di superiorità che si è dato poco fa.
«Cosa? Ha detto seriamente questo?? - vedo chiaramente il suo viso aggrottarsi in una smorfia di rabbia - Puoi dirgli allora che lui dovrebbe assumersi le sue responsabilità e firmare quel maledetto foglio!»
«Ti avviso però… Se si rifiuta di nuovo ci rinuncio.» dico decisa.
Lui a quella mia affermazione fa un cenno di testa, accompagnato da un sospiro.
«Ne avresti tutto il diritto, anzi ti devo ringraziare per la pazienza e per il grosso favore che mi stai facendo.» mi rispose lui.
Questa volta ad accompagnare la sua frase non c’è il suo solito e dolce sorriso, ma un aria sconsolata come di chi sa di chiedere troppo. Sento il mio cuore che quasi si spezza a quell’espressione, facendomi sentire in colpa per averlo minacciato in quel modo.
«Tranquillo. - lo rassicuro - Riuscirò a farglielo firmare, anche a costo di minacciarlo!» dico, facendogli l’occhiolino e dandogli la possibilità di tirare un piccolo sorriso.
Dopodiché esco nuovamente dalla porta e lo trovo ancora lì, appoggiato agli armadietti, come se stesse aspettando la mia prossima mossa. Ah, ma questa volta mi sente!
«Gli hai trasmesso il messaggio?» mi domanda, prima ancora che io possa dire qualcosa.
«Sì, e quindi…» faccio io, guardando con aria seria. 
Cavolo quanto vorrei un paio di occhiali, per osservarlo da sopra le lenti come fanno quelle professoresse serie dei film quando vogliono rimproverare uno studente disubbidiente. Perché alla fine questo è, un alunno che non vuole firmare la sua assenza perché si diverte a fare il ribelle di turno.
«Ancora?? Diavolo, ma sei insistente…» sbotta lui, sempre più innervosito.
«Vuoi sapere che ti ha risposto? Ha detto che se sei un uomo dovresti assumerti le tue responsabilità e firmare e sinceramente sono d’accordo… Perciò, che facciamo? Sai non vorrei stare tutta la sera qui a farti da balia…»
«Beh… Si da il caso che sono testardo quanto lui e quindi non firmo niente. Tra l’altro, sono sicuro che fa così solo perché vuole farmi cacciare dalla scuola.» brontola.
Questa volta sento palesemente la rabbia ribollirmi in corpo, nemmeno Ambra fino ad ora era riuscita a farmi arrabbiare in questo modo. Stringo il pugno che non tiene in mano il documento, percependo distintamente le unghie dare la sensazione di penetrare la carne, anche se so che non è così.
«Senti, ne ho abbastanza delle vostre storie! Firma il foglio e se hai qualcosa da dire te la vedi con lui!!» sbraito, ringraziando il cielo che non c’è praticamente più nessuno nel liceo, tranne forse qualche studente che ancora sta sistemando o qualche professore.
Lui sbuffa, afferrando il foglio dalla mia mano.
«Sei pesante proprio come lui!» dice, aprendo l’armadietto e richiudendolo dopo aver preso una penna.
Dopodiché si appoggia su di esso e firma. Nonostante tutto ha una bella grafia, ed io che credevo che i rockettari scrivessero tutti da cani.
«Toh! - dice porgendomi nuovamente il documento - Eccoti il tuo foglio firmato, sei contenta adesso?»
Lo prendo in silenzio. Avrei voglia di rispondergli che è colpa sua se ci abbiamo messo un’eternità, ma credo di averlo provocato anche troppo per oggi.
Mi allontano da lui, che prende dalla tasca dei jeans grigi un pacchetto di sigarette e se ne porta una alla bocca, per poi uscire nuovamente in cortile.
Io invece ritorno per l’ultima volta, in sala delegati, stravolta da quella specie di avventura.
«Ci sei riuscita stavolta?» mi domanda Nathaniel.
«Sì, finalmente ha firmato. Ecco qua il foglio.» gli rispondo con un sospiro, poggiando il documento proprio davanti a lui.
«Sei fantastica Vanille… Mi sorprendi… Mi hai tolto davvero un gran peso. Grazie veramente!» mi dice e il suo viso torna immediatamente luminoso e sorridente come mi piace vederlo.
Improvvisamente a tutti quei complimenti arrossisco di nuovo. Comincio a pensare che questa sensazione non sia solo imbarazzo, ma sinceramente non voglio credere che in appena una settimana io possa dire di provare qualcosa per un ragazzo. No, mi rifiuto. Non ho mai creduto al colpo di fulmine e di certo non comincerò a farlo ora.
«Di nulla, Nathaniel. - gli sorrido io di ricambio - Ora se non ti dispiace credo andrò in bagno e poi me ne torno a casa.»
«Certo, va pure… e grazie ancora.» dice facendo battere il blocco di fogli contro il banco in modo da impilarli per bene, per poi chiuderli tutti in un faldone e metterci attorno un elastico.
Mi dirigo ai bagni delle ragazze con ancora il pensiero che, in fin dei conti quest’avventura mi ha permesso di conoscere meglio due miei compagni. Castiel, che con i suoi modi di fare ribelli e bruschi sembra non voler dar retta a nessuno e a quanto pare non sempre il comportarsi in modo spiritoso e piccato con lui funziona. E Nathaniel che, nonostante la sua disponibilità e la sua simpatia ha anche lui dei punti deboli che gli fanno perdere la pazienza e lo irritano e uno di questi è sicuramente Castiel, anche se non so effettivamente che problema c’è, o c’è stato, fra loro.
Esco dai servizi, emettendo un sospiro, finalmente posso tornare all’armadietto, prendere la mia tracolla e tornarmene a casa.
«Assumiti le tue responsabilità, razza di…» 
Ma questa… Sbaglio o è la voce di Nathaniel?
«Le assumo, le assumo, non ti preoccupare, poi però ti faccio vedere cosa vuol dire provocarmi…!»
Finalmente li noto, in fondo al corridoio e un attimo mi sale il panico.
Vedo chiaramente Castiel prendere per il colletto della camicia, ormai per metà sbottonata, Nathaniel e sbatterlo contro gli armadietti. Non riesco a vedere l’espressione del rosso, visto che mi da le spalle, ma Nathaniel è chiaramente adirato, nonostante abbia fatto una leggera smorfia quando le sue spalle si sono scontrate contro ciò che gli stava dietro.
«Ma siete impazziti?» grido, per poi cominciare a correre nella loro direzione, parandomi davanti a lui e guardando malissimo Castiel che sembra digrignare i denti in un ringhio.
Sento il fiato grosso per via della corsa e gli sguardi di entrambi addosso, sia quello confuso di Nathaniel che quello arrabbiato di Castiel.
«Nathaniel smettila! Non serve a niente insistere con un testone così!» dico, ricambiando lo sguardo adirato, anzi più che di rabbia la mia vuole essere un’espressione di rimprovero e delusione.
La cosa però non sembra funzionare, perché improvvisamente Castiel sembra incazzarsi ancora di più.
«Non immischiarti ragazzina, non ti riguarda!» grida, spintonatomi di lato.
Cado a terra, urtando il sedere con il pavimento con un verso di dolore e, improvvisamente, quando vede cosa ha fatto, si ferma. Il suo viso torna normale e il suo fiato si fa pesante.
Dopodiché punta un dito contro Nathaniel.
«Ti avverto Lambert, azzardati un’altra volta a metterti contro di me e ti faccio nero…» lo minaccia, per poi allontanarsi e dirigersi verso l’uscita.
Faccio un enorme sospiro, rialzandomi e scotolandomi un po’ di polvere dai jeans blu che indosso e osservando che devo assolutamente mettere a lavare le mie converse, perché la parte bianca non è più bianca.
«Tutto bene Vanille?» mi domanda lui, mentre si riabbottona la camicia, negandomi di prolungare la vista di quei suoi meravigliosi pettorali.
Questo ragazzo continua a stupirmi. Solitamente gli intellettuali sono mingherlini, smunti, sempre chini sui libri, lui invece, sotto la camicia bianca da bravo ragazzo, nasconde un fisico da atleta che, porca la miseria lo sbatterei al muro proprio come ha fatto Castiel poco fa, ma per farci ben altro.
«Eeehh… sì… Sì, sì, tutto bene… Tranquillo…» dico, abbassando lo sguardo e vergognandomi di quei miei pensieri, mentre mi sistemo la mia maglia gialla a fiori arancioni, con il taglio a kimono, che sto indossando oggi.
«Scusa, non dovevi assistere a questa scenata.»
Scuoto la testa, rassicurandolo.
«Se non fossi intervenuta, quell’idiota ti avrebbe fatto un occhio nero…» dico io con un sorriso.
Lui lo ricambia e, dopo avermi accompagnato all’armadietto, in cui prendo la mia tracolla, usciamo entrambi dal liceo.

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Capitolo 8
*** Improvvisarsi dog sitter ***


Improvvisarsi dog sitter
 

Emetto un sospiro nel momento esatto in cui faccio il primo passo all’interno del liceo. La disavventura di ieri è decisamente ancora fresca ed ho quasi paura di incontrare Castiel per i corridoi e vedere il suo sguardo verde e intenso colmo di un odio che non mi merito.
Davvero, io non volevo arrivare a quel punto. Ero solamente arrabbiata, anzi più che arrabbiata ero esasperata da quell’avanti e indietro e comunque non ho ancora compreso per quale motivo avesse fatto tutte quelle storie per un foglio di assenza. Insomma nemmeno vivesse coi suoi genitori, avesse tagliato e i suoi non avrebbero dovuto scoprirlo, ma se vive a casa da solo e può firmarsi le assenze autonomamente qual è il problema?
La prima persona che incontro, però, non è affatto Castiel, ma Kentin. Oggi indossa l’ennesimo maglione, questa volta color melanzana, continuo a domandarmi come fa a non aver caldo stando con tutta quella lana addosso. 
Ma ciò che attira di più la mia attenzione è il suo volto. Sicuramente ha pianto, o è sul punto di farlo. Vedo chiaramente i suoi enormi occhi verdi, resi tali dalle spesse lenti, stringersi come a trattenere le lacrime.
«Vanille! Ti stavo cercando!»
Vedendo quel suo viso afflitto mi viene quasi spontaneo pensare che c’entri qualcosa quella vipera bionda di Ambra, in fin dei conti chi le impediva di prendergli nuovamente i soldi per il pranzo, minacciandolo in qualche modo?
«Ambra ti ha di nuovo dato fastidio?» chiedo, stringendo la tracolla della mia borsa, già pronta a far vedere i sorci verdi a quella piccola stronza.
«N-no… - mi risponde appena lui, tirando su con il naso e quelle lacrime che stava cercando di trattenere iniziano a scendergli lungo il viso - Volevo assolutamente salutarti prima di andarmene…» dice, la voce tremante, quasi da farlo singhiozzare. 
«In che senso, prima di andartene?» aggrotto le sopracciglia confusa.
Confesso che questa risposta mi ha stupito e non me l’aspettavo.
Lui si toglie gli occhiali e si asciuga le lacrime con la manica del maglione, dopodiché li indossa nuovamente e prende un lungo sospiro, prima di ricominciare a parlare e darmi una risposta.
«Ho raccontato a mio padre cos’è successo con Ambra e le sue amiche la settimana scorsa e lui ha detto che è inammissibile che suo figlio si faccia trattare così da delle ragazze… - resto zitta, non sapendo esattamente cosa dire, aspettando che lui finisca il discorso - Mi ha detto che mi avrebbe subito ritirato da questa scuola e che mi aiuterà a diventare un uomo, per non avere più vergogne simili…»
Sgrano gli occhi, sconvolta. Ora comprendo perché questo povero ragazzo è così, se suo padre si vergogna di lui è normale che lui si chiuda ancora di più in se stesso. Insomma, anche io non adoro farmi vedere troppo con lui, ma io sono a malapena sua amica, un padre non dovrebbe comportarsi così, anzi dovrebbe spingerlo ad amarsi e non a vergognarsi. La cosa che però mi stupisce di più è un’altra, come può spedire suo figlio da una scuola all’altra come fosse un pacco, senza dargli mai il tempo di ambientarsi? Questa domanda purtroppo non riesco a tenermela e in un attimo la sento uscirmi dalla bocca senza che nemmeno volessi esprimermi.
«Ma tuo padre, nella vita, si occupa di farti cambiare una scuola a settimana?» dico piccata, quasi come fosse colpa sua.
«Mio padre è militare, ed è tornato apposta da una missione per occuparsi di me…» dice, questa volta con un tono più serio, come se stesse cercando di giustificare il suo genitore.
Dal canto mio, devo ammettere, che non avevo la minima idea che suo padre fosse militare, ma certamente in questo modo si spiega il suo esigere tanto dal figlio. Improvvisamente mi sono immaginata il padre di Ken in stile Sergente Maggiore Hartman di Full Metal Jacket che insulta il figlio ed esige il massimo da lui.
«Devo andare adesso, mi sta aspettando! Tieni, questo è per te… - dice porgendomi un pacchettino - E non dimenticarmi, tornerò!» si raccomanda poi.
Sto per salutarlo, quando improvvisamente sentiamo guaire. Mi volto e vedo zampettare una piccola palla di pelo, più grassa che alta. 
Non faccio in tempo a rigirarmi che Ken è già sparito. Non ho nemmeno avuto il tempo di salutarlo. Improvvisamente mi sembra quasi di dispiacermi per questa separazione. Insomma, è vero che solamente la settimana scorsa mi chiedevo per quale motivo avesse deciso di seguirmi al Dolce Amoris, ma ora mi rendo conto che la sua amicizia era utile anche a me, mi faceva sentire meno sola in questo liceo nuovo e pieno di gente strana. Probabilmente gli unici di cui, almeno per ora, mi posso fidare, sono Nathaniel ed Iris, ma li conosco davvero troppo poco per poter dire che siano diventati miei amici.
Ho appena il tempo di pensare a quanto, perciò, mi mancherà, che improvvisamente si para davanti a me la preside, nel suo odiosissimo completo di tweed rosa e gli occhietti dietro gli occhiali sgranati e… arrabbiati?
«Signorina! - comincia, la sua voce è molto più acuta di come la ricordassi ed è, evidentemente, adirata - Signorina, perché non ha fatto niente per fermarlo???»
Sgrano gli occhi, non capendo a che cosa si riferisce. Voleva che fermassi Ken? Per quale motivo e poi come mai è così furiosa con me, io cosa c’entro con questa storia?
Tento di aprire bocca, ma lei ricomincia ad inveire contro di me. Adesso sì che assomiglia alla Umbridge a tutti gli effetti.
«Il mio piccolo Kiki… Se si perde sarà solo colpa sua e ne pagherà le conseguenze!!!»
Spalanco la bocca, sconvolta. Sta seriamente parlando del cane? E poi che cavolo c’entro io? Insomma va bene che io e Ken eravamo gli unici in corridoio, ma se è scappato mica può dare la colpa a me, magari lei è una padrona orribile.
«Ma preside… Io non ho fatto niente, - cerco di spiegarmi - ero qui e l’ho solamente visto passare…»
«Silenzio! - strilla lei, bloccando ogni mio tentativo di giustificarmi e attirando l’attenzione di qualche studente, appena entrato a scuola, maledizione che figure - Deve ritrovarmi Kiki, punto e basta. Altrimenti…»
Balbetto un va bene, spaventata da quella che non sembra più la preside dolce e simpatica che mi aveva accolto la settimana scorsa. No, questa è decisamente posseduta e non di certo dalla Umbridge, visto che lei amava i gatti.
Lei si allontana picchiando i tacchi delle scarpe rosa shocking contro il pavimento del corridoio, mentre io emetto un sospiro. Una cosa è certa, in questo liceo non mi annoierò mai, sono tutti completamente fuori di testa, preside compresa.
Ma poi è normale che una ragazza vada a scuola per fare la dog sitter del cane della preside? Io credo che se raccontassi questa storia ai miei o mi prenderebbero per pazza, portandomi dallo psicologo, oppure mi spedirebbero subito in un altra scuola, come ha fatto il padre di Ken con lui. Sinceramente non voglio che accadano nessuna delle due cose, perciò credo proprio che mi terrò quest’assurda avventura per me. 
Decido di posare la tracolla e il regalo di Ken, che ancora non ho aperto, nell’armadietto. Se devo cercare il cane mi conviene farlo a mani libere, soprattutto se questo non ha voglia di farsi prendere.
Chiuso l’armadietto mi dirigo nel punto dove l’ho visto sparire l’ultima volta, mentre controllo l’orologio che ho al polso. Bene, mancano ancora una ventina di minuti all’inizio delle lezioni, fortuna che oggi ho avuto la buona idea di svegliarmi presto e venire prima a scuola.
Alzo lo sguardo dall’orologio e quasi mi scontro con qualcuno. Nello scoprire chi è, mi paralizzo.
«Ehi…» dice appena lui, facendomi un cenno con la testa.
Forse è il suo modo per salutarmi? Forse non ce l’ha con me per ieri? Mi costringo a parlare, in fin dei conti non sono mai stata una ragazza timida o impacciata, se devo affrontare un problema lo faccio a muso duro.
«C-ciao… Tutto… Tutto a posto per la storia dell’assenza?» gli domando, cercando di essere il più fredda possibile, ma la cosa mi è sfuggita chiaramente di mano e me ne accorgo dalla mia voce tremante.
Lui sbuffa.
«Ovvio, pensi forse che mi farei cacciare dalla scuola così?!»
Non comprendo se lo dice in modo ironico, o no. Non riesco a capire se l’arrabbiatura di ieri gli è passata, se ha intenzione di chiedermi scusa, se ancora pensa che io abbia torto, se non è tipo da farsi perdonare e quello di rivolgermi la parola è il suo modo per riallacciare i rapporti. Non lo so. Non lo comprendo proprio questo ragazzo e la cosa assurda è che meno lo comprendo e più mi piace.
Improvvisamente lo vedo aggrottare le sopracciglia e osservare un punto alle mie spalle.
«Scusami, ma quello che è appena passato dietro di te è un cane?» domanda, la sua voce è tornata ironica e divertita.
«Cavolo, dove??!! - dico voltandomi, ma questo sembra già sparito - Maledizione, la preside me la farà pagare se non glielo riporto sano e salvo.»
Lui sogghigna, anzi credo proprio stia cercando di trattenere una risata e, per quanto questa sua reazione mi irriti parecchio, devo ammettere che come situazione è alquanto ridicola e forse se non ci fossi in mezzo fino al collo, la troverei divertente anche io.
«A parte una o due ore di punizione, cos'altro potrebbe fare se non le ritrovi il cane?» mi dice con quel tono ormai completamente ironico.
Io storco la bocca, indecisa su come rispondergli, insomma sembra che stia andando di nuovo bene tra noi, non vorrei rovinare di nuovo tutto con una risposta idiota.
«Preferisco comunque non mettermela contro... Senza considerare che le punizioni non fanno decisamente per me.»
«Mi stai dicendo che nel vecchio liceo non hai mai avuto una punizione?»
Questa volta sono io a scoppiare a ridere.
«Non ho mai detto questo, ho detto solo che non adoro le punizioni, soprattutto a inizio scuola e a maggior ragione se i miei lo scoprono.» gli rispondo con un sorriso.
Alla fine è la verità, non dico che la mia condotta al vecchio liceo era pessima, ma diciamo che comunque era davvero difficile che non mi trovassi nei guai per qualche cavolata, anche solo qualche chiacchierata con Lety durante la lezione. Di certo non mi era mai capitato di beccarmi una punizione per un cane scomparso, di cui oltretutto nessuno mi aveva dato la responsabilità.
«Beh, allora ti lascio cercare il cagnolino della nonna, ragazzina. In bocca al lupo!» mi dice lui, alzando la mano in cenno di saluto.
«Grazie.» sussurro appena io, mentre lo vedo allontanarsi con le mani in tasca.

 

 

Ricomincio a girare per i corridoi della scuola, aprendo ogni porta di aula che mi si parla davanti, nonostante sappia che un cane di certo non può aprire una porta completamente chiusa. Mi sento un idiota, non ho nemmeno il coraggio di chiamarlo, ogni tanto sussurro un Kiki, a voce bassissima, che anche fosse nelle vicinanze non mi sentirebbe comunque.
Sbuffo, chiudendo l'ennesima porta, mentre vedo Iris venire verso di me, con la tracolla sulle spalle, probabilmente è appena entrata nell'edificio.
«Hey ciao, Vanille! Come stai? Risolto ieri con Castiel?» mi domanda con un sorriso dolce ed entusiasta allo stesso tempo.
«Sì sì, bene o male si è risolto tutto. Anche se adesso ho un altro problema, devo trovare il cane della preside...»
«Incredibile! - esclama lei, accennando una mezza risata - Kiki è scappato un'altra volta?»
Io sgranò gli occhi, questa risposta non me l'aspettavo, significa che non è la prima volta che il cane della preside gira per il liceo? Improvvisamente non so se sentirmi sconvolta per la notizia assurda o sollevata perché almeno questa situazione ridicola non è accaduta solo a me.
«Lo... lo fa spesso?» cerco di domandare, ancora scioccata.
«Credo che la preside lo tenga con lei in ufficio, ma ogni tanto riesce a scappare! Anch'io una volta ho dovuto corrergli dietro!»
«Puoi aiutarmi? - domando, con la voce da cucciolo, unendo le mani in segno di preghiera - Solo un consiglio o qualcosa di simile...» aggiungo quando vedo lei storcere la bocca indecisa se aiutarmi o no, forse è perché ci conosciamo da troppo poco, o forse ha da fare.
«Bisogna solo attirare la sua attenzione nel momento in cui cerchi di prenderlo. - comincia, per poi scoppiare a ridere, una risata molto breve ma che racchiude tanta ilarità da far ridere pure a me - Mi ricordo che mi ha fatta correre un bel po' l'altra volta.» dice asciugandosi qualche lacrima che le era sbucata dagli angoli degli occhi per via delle risate.
«Attirare la sua attenzione. Bene, non credo sia difficile, mio zio aveva un cane e ci giocavo spesso, penso di potermela cavare... Grazie del consiglio.»
«Di nulla e in bocca al lupo!»
E siamo a due. Chissà quanti in bocca al lupo dovrò ricevere prima di riuscire a prendere questo stupido cane.
«A senti… - dice bloccandomi dall’andarmene, mentre io noto di nuovo quell’odioso cane passare dall’altro lato del corridoio - Come mai il tuo amico Ken si è dovuto trasferire così all’improvviso?» mi domanda.
Faccio un sospiro, in fondo non posso certo cominciare a rincorrerlo come una pazza, decido così di continuare la conversazione con Iris, anche se ogni tanto tengo sott’occhio il punto in cui l’ho visto sparire.
«Suo padre ha deciso di trasferirsi… In realtà non ho capito bene la storia…» mento, non mi sembra il caso di raccontare a tutti i problemi privati di Kentin, già probabilmente sarà un trauma per lui quando e se tornerà.
«L’ho incrociato poco fa, prima che se ne andasse. È venuto a salutarmi, aveva l’aria triste…» mi racconta, la sua voce si fa più bassa, come se provasse un po’ di malinconia per lui.
«Sì è vero… Mi ha fatto un po’ pena, devo ammetterlo… Mi ha salutato anche a me, quasi in lacrime.» rispondo con una mezza smorfia.
«Parlava sempre di te, sembrava quasi che ci tenesse molto alla tua persona, che carino! Non pensi dovreste rimanere in contatto?»
Ritiro in dentro le labbra, un po’ infastidita. Ecco che quest’idea che io e Ken siamo più intimi del normale torna a galla. So però che non è né colpa di Iris né di Kentin e che se la cosa mi dà fastidio non vuol dire che non abbia ragione.
In lui ho sempre visto un amico di cui potermi fidare pur se appiccicoso. Così la risposta a quella domanda mi viene quasi automatica.
«Sono sicura che avrò sue notizie! Mi stupirebbe se non lo facesse… - le rispondo - Ora scusa, ma se non trovo quel cane prima delle lezioni è un casino.»
«Oh, hai ragione, scusa… vai, vai!» mi risponde lei salutandomi e allontanandosi.
Faccio appena in tempo a salutare Iris, che tre voci terribilmente famigliari ridono in modo alquanto odioso e acuto alle mie spalle. Purtroppo non posso fare a meno di voltarmi, dato che l'ultima volta che ho visto quella maledetta palla di pelo trotterellare lo faceva verso quel lato. In questo momento vorrei tanto che Kiki si attaccasse alla caviglia della bionda azzannandola a sangue.
«Oh guarda chi c'è... Ho sentito dire che sei riuscita a far scappare anche Ken...» dice, con quella sua aria da prima donna, scostandosi i lunghi capelli biondi di lato.
«Non ho fatto scappare proprio nessuno io. E poi non c'entro con Ken, chiaro?» dico d'istinto.
Seriamente, questa cosa che io e Ken stiamo insieme deve finire. Insomma può dispiacermi per la sua assenza, può essere mio amico, potrà mancarmi da ora in poi, ma a tutto c'è un limite.
Lei alla mia risposta fa quella finta faccia triste di chi sta chiaramente prendendo in giro chi ha di fronte, con tanto di sopracciglia aggrottate e labbruccio.
«Poverino! Gli dispiacerà leggere il mio sms in cui gli racconto cosa dici in giro di lui!» dice, minacciandomi e afferrando lo smartphone dalla borsa di... È Chanel quella? Porca la miseria quanto sarà costata?
Cerco di riprendermi dal mio momento di invidia per quella meraviglia che probabilmente non avrò mai e le rispondo nuovamente a tono.
«Ma per favore! Come se tu avessi il suo numero!»
«Ragazze, avete sentito? Non mi crede! - dice rivolgendosi prima ad una e poi all'altra delle sue ancelle - Abbiamo preso il suo numero prima che partisse, oltre ai pochi spicci che gli restavano. Tanto non credo gli serviranno lì dove va.»
A sentire quelle parole sento la rabbia ribollirmi di nuovo in corpo. 
Questo liceo, prima della fine dell'anno mi farà dare di matto, questo è certo, ma se ci sono persone che davvero vorrei veder sparire dalla faccia della terra queste sono Ambra e le sue amichette.
«Sai credo proprio esista un girone dell'inferno per voi tre...» dico a mezza voce, purtroppo quando mi arrabbio tendo ad abbassare i toni, prima di esplodere completamente.
Lei però sorride, divertita.
«Non vuoi sapere che me ne faccio del suo numero? - mi domanda, poi comincia a digitare, dicendo ad alta voce cosa sta scrivendo - Evvai!! Fi...nal...men...te te ne sei andato, non ne potevo più di aver...ti sem...pre tra i piedi!! Firmato, Vanille. Ecco, cosa ne pensi?» mi domanda, mentre invia il messaggio è sorride sorniona.
Io ricambio quel sorriso con uno altrettanto falso e provocatorio.
«Fa quel che vuoi cara.» le dico, voltandomi, pronta ad andarmene.
Non dirò mai loro che pure io ho il numero di Ken e lui ha il mio. Ce li eravamo scambiati il giorno in cui l'avevo salvato da quei bulli al vecchio liceo, ma dopo due giorni di stalkeraggio da parte sua, in cui non smetteva un minuto di mandarmi messaggi chiedendomi che facessi, avevamo smesso di contattarci per telefono, nonostante sapessimo entrambi che nessuno dei due aveva cambiato numero. Questo voleva dire che potevo tranquillamente avvisarlo poi che non era un mio messaggio è che quella era Ambra, magari ringraziandolo anche del regalo che ancora non avevo aperto.
La voce della bionda però mi fermò di nuovo.
«Ho sentito che la preside ha perso il suo cagnaccio e tu sei la sfigata che deve ritrovarlo...» dice.
Mi volto, furente, giuro che se fiata di nuovo sarò io a saltarle addosso come un cane rabbioso.
«E allora?»
Il suo sorriso si estende, la diverte un mondo vedermi così furiosa.
«Se mi dai quindici euro, ti dico dov'è andato.»
Non le rispondo nemmeno e mi allontano, dirigendomi verso il punto in cui l'ho visto l'ultima volta e osservando l'orologio.
Ancora dieci minuti.

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Capitolo 9
*** Vieni qui, stupido cane! ***


Vieni qui, stupido cane!
 

«Allora, come procedono le ricerche della palla di pelo?» dice una voce alle mie spalle.
Mi volto, incrociando gli occhi verdi e divertiti di Castiel.
«Niente per ora… - dico, rendendomi conto in quel momento dell’appellativo che ha usato - Scommetto che anche tu hai un cane.»
Solitamente solo i padroni di altri cani usano nomignoli come “palla di pelo” o “amico peloso”, quindi chiaramente anche lui ha un cane in casa.
«Hai indovinato, ho un cane! - mi risponde lui con un sorriso, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans - Ma è grande, non è un formato mini come quello della preside!»
«Ed io che ti facevo un tipo da gatti.» dico ridendo, conoscendo già la sua risposta.
Risposta che però non arriva, ma che mi sostituisce, abilmente, con un occhiata furiosa.
«Andiamo, Castiel, stavo scherzando!» faccio colpendogli con un pugnetto la spalla.
«Non mi piacciono i gatti, sono degli animali ingrati…» dice, come se ci tenesse a precisare quella sua idea.
«Anche il tuo cane si chiama Kiki?» tento di scherzare nuovamente io.
Forse sto tirando troppo la corda, ma non so perché oggi sembra volermele far passare tutte. Magari è semplicemente perché vuole farsi perdonare per quello che è successo ieri.
«Decisamente no. - risponde lui tirando appena un sorriso - Si chiama Demon!»
Sgrano gli occhi, lo trovo un nome alquanto bizzarro per un cane, ma forse dipende anche dalla razza, una cosa è certa, se mi presentassero un cane con quel nome non mi avvicinerei a lui manco morta, pure fosse un pinscher.
«Fa quasi paura…» dico, senza riuscire a trattenere le parole, uscite dalla mia bocca quasi spontaneamente.
«Ti sbagli… Non è per niente cattivo.» mi risponde lui.
Questa volta il suo sorriso è ancora più esteso, come volesse tranquillizzarmi del fatto che se mai un giorno di questi l’avessi incontrato per strada mentre portava a spasso il suo cane, questi non mi sarebbe saltato addosso azzannandomi.
Storco la bocca. Ora mi sono incuriosita. Nonostante non abbia mai avuto un animale domestico, perché i miei genitori non vogliono, ho sempre avuto un certo feeling con loro, come l'ho avuto con il pastore tedesco di Lucien.
«Di che razza è?» domando, presa dalla curiosità.
«Un pastore Beauceron.» mi risponde tranquillamente lui.
«Ah… - aggrotto le sopracciglia, nel tentativo di ricordare qualcosa, ma sinceramente non mi viene in mente nessuna razza associata a quel nome - Non credo di conoscerla…»
Lui ghigna, divertito.
«Forse un giorno lo vedrai… Ora però ti conviene trovare quel botolo.» mi suggerisce, per poi allontanarsi da me.
Ha ragione, mancano ormai poco più di cinque minuti all’inizio delle lezioni.
Riprendo la ricerca, se non trovo quel cane in tempo sarà la fine.
Decido di dirigermi verso la sala delegati che oggi è stranamente socchiusa, segno che potrebbe essere passato di lì. Quando apro la porta però, della piccola palla di pelo non c’è traccia.
«Ciao Vanille!» mi saluta con un sorriso Nathaniel.
«Ehi ciao! Ho… Ho saputo che la storia dell’assenza è completamente risolta.» dico, per poi mordermi le labbra, innervosita da questa mia insolita balbuzie. 
«Diciamo di sì. Anche se ha marinato la scuola non sarà espulso per questa volta.» commenta lui con un sospiro, come se parlare di Castiel gli desse comunque fastidio.
«Beh… Meglio così no?»
Cerco di mitigare un po’ l’aria tesa che si è creata qua dentro, manco ci fosse pure Castiel e fossimo tornati a ieri pomeriggio.
Lui, però, alza le spalle, come a voler dimostrare una certa indifferenza.
«In ogni caso, scusami per averti immischiato in questa storia. - dice, scostando lo sguardo dal mio, come se la cosa lo imbarazzasse - Non avrei dovuto chiederti questo tipo di favore e metterti in una tale situazione. Insomma io…» si passa una mano dietro la nuca, sempre più nervoso, credo di non averlo mai visto così in una settimana che sono qua.
«Nathaniel tranquillo, è acqua passata, inoltre io e Castiel…»
«Potremmo parlare ogni tanto di altro, e non sempre di Castiel?» domanda, interrompendomi, ma senza aggredirmi, lo dice anzi con il suo solito modo educato e pacato.
Gli sorrido.
«Hai ragione.» rispondo, tranquillamente.
Vorrei scordarmi il perché sto girando per tutto il liceo come una trottola, ma mi rendo conto che non ho tempo.
«Senti un po’… Hai visto passare un cane da queste parti?» domando, alla fine dei conti questo è un valido nuovo argomento di conversazione.
«Il cane della preside? È scappato ancora?» mi domanda, per niente stupito, esattamente come aveva reagito Iris, poco più di dieci minuti fa.
«Già… Come se non bastasse la Preside ha esagerato… Voglio dire, è il suo cane! E poi non credo che noi alunni abbiamo il diritto di portare animali a scuola, giusto?»
«Diciamo che è l’unico abuso di potere, - comincia facendo il gesto delle virgolette con il medio e l’indice di entrambe le mani alle ultime tre parole - della preside! Comunque… Se non vuoi beccarti una punizione e se non vuoi che ti affidi un altro compito, ti consiglio di ritrovare il cane!» mi dice risoluto, come se l’avesse già provato sulla sua pelle.
Sospiro. Non ho altra scelta. Spero solo che si faccia prendere, perché ormai manca poco e ho davvero perso la pazienza.
Esco dalla sala delegati, salutando Nathaniel, mentre sento lui augurarmi un in bocca al lupo.
Finalmente lo vedo. Sta passando a tutta velocità in mezzo alle gambe degli studenti, dirigendosi nel corridoio che porta alla mensa. Comincio a correre velocemente, nel tentativo di raggiungerlo, ma quello sembra essere una saetta e sgattaiola via alla velocità della luce.
Mi blocco proprio davanti al mio armadietto, a bocconi, le mani sulle ginocchia e il fiato grosso per la corsa. In quel momento il mio sguardo cade su un sacchetto di carta per terra, proprio davanti al mio armadietto.
Lo afferrò, notando che sopra c’è scritto qualcosa con un pennarello nero.
Questi li uso con Demon, prova ad attirarlo in questo modo.
Castiel
Sorrido a questo gesto dolce e altruista che probabilmente quell’orgoglioso rockettaro, ribelle non ammetterà mai, ma che io non scorderò di certo.
Mi dirigo verso la mensa, sicuramente si è diretto là perché avrà fiutato l’odore del pranzo.
Non appena giro l’angolo lo vedo, infatti, grattare e uggiolare contro la porta che dà alla mensa scolastica. Solo in quel momento, apro il sacchetto e ne tiro fuori un paio biscottini a forma di osso, per poi chinarmi.
«Ehi Kiki… Guarda cos’ho qui? Li vuoi due biscottini?»
Il cagnolino si volta verso di me e per un attimo rimane indeciso sul da farsi, spostando la testa prima a destra e poi a sinistra. Poi si comincia ad avvicinare, lentamente, annusando l’aria e non appena sfiora con il naso la mia mano, allunga la linguetta rosa e sottile e con essa afferra un biscottino e se lo porta alla bocca.
«Bravo cagnolino!» dico io, facendogli due grattini sopra la testa e poi dietro le orecchie.
Lui si mangia anche l’altro biscotto e in quel preciso momento vedo un ombra calare su di noi, quasi come fosse un avvoltoio.
Mi volto e vedo la preside osservarci. Il suo viso è tornato improvvisamente sereno e gioioso, come se venti minuti fa non mi avesse praticamente minacciato di espellermi.
«Kiki!» esclama rivolgendosi al suo cane, questo tutto contento scodinzola e la raggiunge, facendole le feste, come se non fosse successo nulla.
«La ringrazio signorina! - dice chinandosi e mettendogli il guinzaglio - Il pensiero di perdere il mio Kiki mi fa stare male! Ora che l’ha ritrovato può andare a lezione!»
E certo, fatto il lavoro sporco posso anche andarmene. Una cosa è certa ‘sta preside è tutta matta.
Sospiro leggermente, e faccio buon viso a cattivo gioco, regalandole un semplice sorriso di circostanza.
«Di niente, signora preside.» dico, per poi allontanarmi e andare al mio armadietto.
Devo decisamente ringraziare Castiel appena lo vedo, senza di lui non sarei mai riuscita a catturare il cane.

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Capitolo 10
*** Il bello del giardinaggio ***


Il bello del giardinaggio
 

La mattinata di lezione, in confronto ai primi venti minuti di scuola, alla ricerca del cane delle preside, è andata alla grande, o meglio, tranquillamente.
Devo ammetterlo, se dovessi valutare solamente l’ambito educativo di questo liceo, darei un bel dieci. C’è da dire che comunque è giusto avere anche gli alti e bassi dei rapporti umani, insomma in un liceo pieno di adolescenti, come me, tutti nel pieno della pubertà e delle proprie crisi ormonali, è normale non andare tutti d’amore e d’accordo.
Scuoto la testa a certi pensieri. Le uniche persone con cui non vado d’accordo, comunque, sono Ambra e le sue due ancelle, tutti gli altri sono brave persone o che per lo meno riesco a gestire.
Uscita dalla mensa, decido di andare immediatamente verso l'esterno dell'edificio. Essendo martedì pomeriggio, adesso, ci sono le attività extracurricolari, perciò mi tocca andare al giardino della scuola e darmi un po' da fare, anche perché, senza Ken, sarà molto più difficile. Beh, in realtà non è che Ken aiutasse molto, ma comunque sono pur sempre due braccia in meno e la compagnia di una persona che conoscevo e con cui mi trovavo bene.
Non faccio nemmeno in tempo ad entrare nel giardino che subito un ragazzo mi assale.
«Hey, ciao. Sei uno dei membri del club di giardinaggio? Perché i fiori sono in condizioni penose...» mi dice velocemente, fermandosi dal scavare una nuova aiuola, con la pala, e asciugandosi un po' di sudore dalla fronte.
Mi soffermo un attimo a guardarlo, prima di rispondergli. Non ho idea di chi sia, ma è davvero un bel ragazzo, come al solito insomma. Continuo a domandarmi se fanno una selezione ai ragazzi di questo liceo, prima di permettere le iscrizioni. Se non sei bello, non puoi entrare. Beh, in realtà Kentin si era iscritto prima che il padre lo spedisse da un'altra parte.
Nonostante l'abbigliamento consono da giardiniere, con gli stivaloni di gomma, la salopette verde scuro, i guanti da giardinaggio e un berretto marrone calcato sui capelli era decisamente carino. I muscoli ben definiti delle braccia si notavano dalle maniche corte della maglietta bianca. I capelli, tinti di un particolare verde menta, gli cadevano attorno al viso e alcuni si erano appiccicati alla fronte e sulle tempie per via del sudore. Infine i suoi occhi verde acqua sembrano scrutarmi e rimproverarmi in qualche modo. 
Solo in quel momento, quando incrocio quello sguardo serio e in attesa di una qualche risposta, mi accorgo di essermi soffermata un po' troppo sul suo aspetto, dimenticandomi che probabilmente gli avrei dovuto rispondere.
«Oh sì... In realtà è solo il mio secondo giorno al club, ma sono qui per rendermi utile, quindi...» dico con un enorme sorriso, forse anche troppo esteso per sembrare vero.
Lui però sembra non prendere bene quella mia disponibilità scherzosa e amichevole, perché mi lancia un occhiata sospetta, per poi rimproverami.
«Non è uno scherzo salvare tutte queste piante. Non sai chi è il responsabile del club?» mi domanda.
Lo guardò un po' stralunata, come se mi avesse appena chiesto di calcolare una complicata equazione di secondo grado.
«Sinceramente... Pensavo fossi tu...» rispondo, continuando a fissarlo come fosse un alieno.
Lui sospira e il suo sguardo sembra addolcirsi un po'.
«Scusa, è che sono un po' arrabbiato! Mi chiamo Jade, frequento un liceo professionale di botanica.» dice infilando la zappa nel terreno e poi togliendosi il guanto destro con l'altra mano, in modo da poter stringere la mia.
Anche il mio sorriso si fa più sincero e ricambio il saluto.
«Piacere Vanille. Quindi non sei del Dolce Amoris.» ne deduco, mentre la mia teoria di prima, sul fatto che solo gli studenti maschi, belli e aitanti vengono accettati in questa scuola, s'incrina di nuovo un po'.
«No, ogni tanto vengo qui a lavorare. Sai, per portare del terriccio o del fertilizzante e mi prendo cura del terreno per gli allievi del club di giardinaggio.» risponde tranquillamente lui, indicando alle sue spalle il lavoro che stava facendo prima che il mio arrivo lo interrompesse.
«Ti piace lavorare la terra perciò...» dico, senza pensare.
Lui scoppia a ridere divertito, arrivando addirittura a piangere. Quando si calma si accorge che ora è il mio sguardo ad essere offeso. Lui allora si asciuga una lacrima e mi risponde.
«Non sono mica un contadino... Comunque diciamo di sì, adoro lavorare a contatto con la natura, è molto piacevole e rilassante.»
Gli sorrido di rimando e allargo le braccia.
«È per questo motivo che sono qui. Adoro la natura, anche se preferisco di gran lunga la camera oscura, ma vista l’inesistenza di un club di fotografia, eccomi qua.»
«Bene, allora ho un favore da chiederti.» riprende lui, infilandosi nuovamente il guanto marrone.
«Sono tutta orecchi.»
«Conosci per caso una certa Iris?»
Stiro nuovamente le labbra, facendo un cenno con la testa.
«Praticamente è l’unica amica che sono riuscita a farmi nel liceo in questa prima settimana.» spiego meglio.
«Bene… Perché a quanto ho capito è stata lei a prendere la scatola dei semi messa a disposizione per il club di giardinaggio. - mi dice lui risoluto - Se tu, riuscissi a trovarla e a farti dare quella scatola, mi faresti un grosso favore.» concluse, chinandosi e ricominciando a lavorare la terra, questa volta con la pala piccolina.
«Va bene, cercherò di trovarla… Tu cerca di lasciarmi qualche ortensia da piantare.» dico, notando i vasetti che ha sul lato destro e facendogli l’occhiolino.
A quel mio gesto lui sorride. Centro. Lo devo ammettere con i ragazzi me la cavo meglio che con le ragazze.
Esco dal giardino e la prima cosa che noto è Castiel, appoggiato al muretto dal lato opposto che, come suo solito, invece che seguire le lezioni o fare qualsiasi club spetti a lui, sta fumando tranquillamente una sigaretta.
«Ma non studi mai tu?» gli domando scherzando.
Lui alza i suoi occhi verdi su di me, mentre butta fuori un po’ di fumo dalla bocca.
«Sono solo uscito fuori a fumare una sigaretta.»
Beh in effetti il suo abbigliamento non è il solito. Indossa un paio di pantaloncini corti e una maglietta bianca, inoltre i suoi lunghi capelli rossi, sono legati sopra la nuca alla meno peggio, con qualche ciuffo che sfugge a quell’acconciatura approssimativa, evidentemente fatta da un uomo.
Alzo le mani, in segno di resa.
«Perdono.» dico.
«Tu piuttosto. Non ti vedo da questa mattina, sei riuscita a prendere il botolo?» mi chiede.
«Oh sì… Grazie per quei biscotti, non ce l’avrei fatta senza il tuo aiuto.» rispondo subito, ricordando il pacchettino che mi aveva lasciato davanti all’armadietto questa mattina.
Lui alza le spalle con noncuranza, come se fosse una cosa da niente.
«Comunque anche tu sei in giro.» mi punzecchia, facendo un’altro tiro dalla sigaretta.
«Devo trovare Iris per il club di giardinaggio.»
Lui sogghigna, mentre sputa fuori l’ennesima nuvoletta di fumo.
«Ah… Ancora con queste piante tu…»
Mamma mia quanto odio il suo tono strafottente da finto duro che si crede di essere. Questa volta però non gliela voglio dare vinta, voglio sgonfiare il pallone gonfiato, così punto sulla gelosia.
Alzo le spalle, come se non m’importasse nulla del suo commento.
«Beh, almeno passo un po’ di tempo con Jade…» dico poi.
Non ottengo però il risultato che speravo, perché lui, improvvisamente, scoppia a ridere.
«Intendi quel Jade? Il giardiniere?» dice, tra una risata e l’altra.
Mi lecco le labbra, alzando un sopracciglio, come se quella risata non mi avesse toccato per niente.
«Beh? Che problema c’è? È un bel ragazzo… Anche più bello di te.» concludo, dando il colpo di grazia, mentre poggio il mio dito indice sul suo petto.
Lui fa un verso stizzito.
«Gli piacerebbe…» commentò, trafiggendomi con il suo sguardo smeraldo.
Sento un brivido attraversarmi tutta la schiena. Castiel non mi aveva mai guardato così, come fosse un animale affamato che scruta la sua preda. È quasi come se mi stesse sfidando a dire nuovamente quello che ho detto ora che ho i suoi occhi puntati addosso.
Lui però non mi conosce. Non sono una che si fa intimidire per così poco.
«Cosa c’è? - domando alzando il sopracciglio e accennando un sorriso - Non dirmi che sei geloso…»
Lui allora stacca gli occhi dai miei, scuotendo la testa e buttando fuori l’ultimo tiro della sigaretta. Poi, la spegne sul muretto e la getta nel cestino dell’immondizia, dirigendosi verso la palestra, senza più calcolarmi.

 

Farmi dare la scatola di semi da Iris è stato molto più facile che trovare il cane della preside, forse perché sapevo esattamente dove cercarla. Quando eravamo a mensa insieme aveva detto che sarebbe andata in biblioteca a studiare, per il resto del pomeriggio, perciò mi diressi immediatamente lì.
Quando la trovai e le chiesi il favore, lei mi rispose che aveva riposto la scatola nel suo armadietto e dopo esserci recate lì insieme, mi ha consegnato il pacchettino.
Guardo l’orologio, cinque minuti esatti. Con un sorriso carico di soddisfazione, mi dirigo nuovamente verso il giardino.
«Eccomi qua!» dico, tutta contenta, mostrando la scatola a Jade.
«Grazie Vanille. - risponde lui prendendola - Ora però dovresti andare in serra e prendermi anche una confezione di semi di assenzio romano. È l’unica pianta che impedisce a molti insetti di avvicinarsi al giardino, è importante per mantenere le piante sane!»
«Vado subito.» rispondo io, superandolo e dirigendomi verso la serra.
Appena entrata trovo un grosso mobile, addossato a una delle pareti di vetro, sempre se si può chiamare mobile una serie di assi in metallo, tenute insieme da dei tubi con sopra stipati ogni tipo di occorrente per il giardinaggio.
Scruto ogni scaffale, fino a quando i miei occhi non si posano su ciò che m’interessa, allungo la mano e afferrò un sacchettino con su scritto “Assenzio romano”.
«Trovati?» mi domanda lui, quando mi vede uscire dalla serra.
Alzo il braccio con il pacchetto, mentre mi avvicino.
Lui allora sorride.
«Sono questi vero?»
«Sì, sì. Ora se vuoi possiamo piantare un po’ di ortensie e poi pianteremo anche quei semi.» mi dice, divertito.
Il resto del pomeriggio è stato a dir poco divertente. Stare con Jade è fantastico. È incredibile quanto ne sappia di piante e fiori e parlare con lui è davvero bello, mi sembra quasi di parlare con un fratello maggiore.
Alla fine dell’attività, nonostante lo sporco addosso, mi sento soddisfatta, anzi prendo quella terra appiccicata alla salopette che ho indossato e il sudore che mi cola sulla fronte come una dimostrazione del duro lavoro, il che mi rende ancora più soddisfatta di ciò che ho fatto.
«È stato un piacere conoscerti Jade.» dico sorridente.
«Il piacere è stato mio, Vanille.» mi risponde lui.

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Capitolo 11
*** Un ragazzo tra i gatti ***


Un ragazzo tra i gatti
 

Devo ammetterlo: questa giornata scolastica è stata sfiancante, molto produttiva, ma sfiancante. Cominciare con il rincorrere il cane della preside e concludere con il piantare al club di giardinaggio è stata un’esperienza strana, faticosa e divertente allo stesso tempo.
Abbandonata la tenuta da giardinaggio alla serra, decido di andare verso l’interno dell’edificio, diretta verso il mio armadietto. 
Sinceramente, non vedo l’ora di arrivare a casa e buttarmi sul letto, almeno fino a ora di cena.
Sto già facendo dietro front, diretta all’uscita, quando qualcuno mi chiama.
«Vanille, aspetta!»
Mi volto, per vedere chi fosse, anche se la voce è abbastanza riconoscibile ormai.
Lo vedo ridurre velocemente la distanza tra di noi. Anche lui ha la tracolla e sembra pronto ad uscire da scuola. I biondi capelli un po’ spettinati e quel dolce sorriso che lo rende sempre un po’ più carino ai miei occhi.
Gli sorrido di rimando, stringendo la cinghia della mia tracolla. 
«Hai da fare adesso?» mi domanda.
Improvvisamente e inspiegabilmente, inizio a sentire il mio cuore aumentare i battiti in petto. Perché Nathaniel mi sta chiedendo una cosa del genere? Vuole portarmi da qualche parte? Oppure vuole rimanere in biblioteca a parlare come abbiamo fatto il primo giorno qui al liceo?
Non so nemmeno che cosa rispondergli. Insomma, è vero, sono stanca morta, eppure qualcosa mi dice che una richiesta del genere da parte sua voglia dire qualcosa di importante, o comunque qualcosa che sa, mi potrebbe piacere, almeno da quel poco che ci conosciamo.
«Perché?» domando, ancora indecisa su cosa rispondergli, più che altro perché non voglio sembrare una disperata in cerca di una specie di appuntamento, che accetta subito la richiesta del primo ragazzo carino che la invita, non sarebbe nemmeno nel mio stile farlo.
«Siccome parlavamo di animali stamattina, ho pensato a una cosa. - cominciò - Sai, regolarmente vado a dare da mangiare ad alcuni gatti randagi che si trovano non molto lontano dal liceo e… Beh, pensavo che se avevi voglia potevamo andarci assieme.» concluse.
Stiro le labbra in un sorriso divertito. Non riesco proprio a immaginare uno come Nathaniel che dà da mangiare a dei gatti randagi come fosse una nonnina di quelle che se ne vanno sempre in giro con una scatoletta pronta eppure il pensiero di vederlo in una situazione diversa da quella scolastica e di perfetto delegato, mi intriga parecchio. Soprattutto perché anche io, come lui, ho un debole per gli animali in generale.
«Perché no? Volentieri. - rispondo semplicemente - Avviso solo i miei.» dico, aprendo la cerniera della tracolla e afferrando il cellulare.
Dopodiché digito velocemente un messaggio sulla chat di WhatsApp dedicata alla famiglia, in cui solitamente ci sono solo miei messaggi diretti ai miei genitori e i loro ok, accompagnati dalle solite raccomandazioni, per poi riposarlo in borsa.
«Sono stupendi, inoltre sono parecchio affettuosi per essere gatti randagi, te lo assicuro.» mi dice, estendendo il suo sorriso e rendendolo, se possibile, ancora più dolce.
Usciamo entrambi dal cancello del liceo e svoltiamo a destra.
Continuo a seguirlo, o meglio, gli sto a fianco, mentre lui silenzioso e tranquillo, percorre la strada che sembra conoscere alla perfezione.
Ci fermiamo un attimo davanti alle strisce, attendendo che il semaforo torni nuovamente verde.
«A proposito… Stai davvero bene con quel vestito.» mi dice.
Il suo tono e mostruosamente pacato, gentile, ma allo stesso tempo serio. Forse mi ha dato quest’impressione perché nel momento in cui mi ha fatto il complimento, non mi ha guardato in faccia. Eppure noto subito un leggero rossore sulle sue gote, mentre mi volto stupita per le sue parole.
«G-grazie…» dico, non sapendo come altro rispondergli, sentendo anche le mie guance andare a fuoco mentre abbasso lo sguardo e osservo proprio il vestito beige che indosso oggi.
Il verde scatta ed entrambi ripartiamo, ancora più in silenzio di prima, forse anche per l’imbarazzo. Imbarazzo che, però, sparisce completamente quando arriviamo in un piccolo cortile, poco più avanti. 
Nathaniel apre la sua tracolla e ne tira fuori due piccole ciotole, un sacchetto di croccantini per gatti e una bottiglietta d’acqua.
Lo aiuto a sistemare tutto nelle ciotole e pian piano comincio a vedere i felini avvicinarsi guardinghi.
Sono uno più bello dell’altro, ogni tanto qualcuno miagola, per poi avvicinarsi alla ciotola che più gradisce e servirsi.
«Tieni.» mi dice mettendomi un po’ di cibo in mano. 
Io allora mi chino e subito un piccolo gatto grigio si avvicina a me, lentamente, soppesando l’idea se fidarsi o no, in fondo sono una faccia nuova per lui.
Quando però si decide, la sensazione è bellissima, mentre comincia a strofinare il musetto contro la mia mano, nel tentativo di prendere i croccantini, io allora allungo l’altra, accarezzandogli il capo morbido e lui, per ricambiare, fa le fusa.
Quando finisce tutto il cibo dalla mia mano, lecca un po’ il palmo e poi si allontana raggiungendo un punto in cui Nathaniel ha sparso altri croccanti.
Improvvisamente mi rendo conto della situazione che si è creata. Siamo circondati da quei mici stupendi e sembra quasi un momento magico.
«Allora?» mi domanda Nathaniel, con un sorriso.
«Sono bellissimi!» dico ricambiando il gesto.
Improvvisamente un gatto maculato dagli intensi occhi verde smeraldo balza sulla sua spalla destra, nel tentativo di avvicinarsi alla mano carica di croccantini.
Scoppio a ridere.
«Oddio, Nath, non ti muovere!» dico immediatamente, per poi aprire velocemente la tracolla e afferrare la mia Polaroid gialla, puntando l’obbiettivo verso di lui e scattando una foto.
Scuoto la fotografia che ne esce fuori vedendo com’è venuta. Qualcosa in quest’immagine mi suscita una dolcezza immensa, la stessa dolcezza che provo nel vedere il biondo continuare a coccolare i gatti, come se li conoscesse da una vita. 
Siamo rimasti nel cortile per almeno venti minuti, il tempo che finissero di mangiare tutto quanto.
Solo a quel punto Nathaniel si issa nuovamente in piedi.
«Ti ringrazio per avermi accompagnato.» mi dice lui, togliendosi un po’ di polvere dai jeans che indossa oggi.
«Grazie a te per avermi invitata.» gli rispondo di rimando con un sorriso.
«Vuoi… Vuoi che ti accompagno a casa?» mi domanda, ma è evidente che lo fa solo per cortesia, perché quella situazione ora, lo mette chiaramente in imbarazzo.
«No, no, tranquillo. Non è così tardi, posso anche prendere il bus. Ci vediamo domani a scuola?»
«Certo.»
Ci salutiamo ed io faccio dietro front, dirigendomi alla fermata più vicina in cui passa la linea che m’interessa per tornare a casa.

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Capitolo 12
*** Da cicerone ***


Da cicerone
 

Questa mattina la voglia di andare a scuola è stata praticamente inesistente. Sono in quel maledetto periodo del mese in cui, cavolo, vorrei essere nata uomo e come succede di solito in questi momenti la mia voglia di vivere è pari a zero. No dai, zero no, diciamo che arrivo al massimo al mio venti per cento, forse un po’ di più se ripenso al pomeriggio passato con Nathaniel e i gatti randagi di due giorni fa.
Nonostante però la mia voglia sia inesistente, a scuola ci sono venuta lo stesso, nella speranza che nessuna preside pazza mi chieda di trovare cani scomparsi, perché questa è la volta buona che la mando a stendere, finendo sospesa.
Entro nell’edificio che la campanella deve ancora suonare. La maggior parte dei ragazzi è ancora fuori a fumare, anche se qualcuno che ha deciso di entrare come me c’è: poca gente che chiacchiera vicino agli armadietti.
Mi dirigo come al solito verso il mio, aprendolo e sistemandomi per le lezioni di oggi. Non appena chiudo l’armadietto un uomo si avvicina a me.
«Signorina, lei è nuova qui?» mi domanda.
Non l’ho mai visto in giro, almeno non fino ad oggi. Potrebbe avere una trentina d’anni, non di più. Il fisico smunto, i capelli neri spettinati sulla testa e un paio di piccoli occhialini tondi, di quelli senza stecchette, poggiati sul naso, davanti agli occhi dal particolare colore viola, dall’aria però alquanto agitata.
«Sì, perché?» chiedo, aggrottando le sopracciglia, non capendo dove quella domanda mi porterà e pregando che non sia un’altra di quelle missioni che solo in questo liceo si trovano.
«Vede… Sono il nuovo professore di storia, sono un po’ in ritardo e non conosco per niente l’edificio. Avrei bisogno di qualcuno che me lo faccia visitare.» spiega, sistemandosi meglio gli occhialini sul naso.
Ogni suo gesto mette agitazione anche a me, è irrequieto, si vede da ogni piccolo movimento, in particolare dalle sue mani che continuano a strofinare convulsamente le dita.
Faccio un sospiro alla scoperta che i miei sospetti erano fondati e pure questa volta che sono nel periodo più odiato dalle donne, mi tocca fare quelle che potrebbero essere definite attività extra, ma specifiche solo del liceo Dolce Amoris.
«Non credo di essere la persona giusta, anche io sono nel liceo da poco…» cerco di dire, un’ultima chance prima di rassegnarmi all’idea che debba fare qualcos’altro invece che andare in classe, sedermi al mio banco e starmene tranquilla per il resto della lezione.
«La prego. Non mi va di fare una cattiva impressione appena arrivato.» insiste lui, aumentando il movimento delle dita.
Emetto un’altro sospiro. Per quanto mi pare uno senza un minimo di polso, forse è meglio non farmi nemico il mio futuro professore di storia, soprattutto se consideriamo che io e la storia solitamente andiamo poco d’accordo.
«Va bene, credo di poterle indicare almeno i luoghi che conosco.»
«Grazie, la seguo allora.»
Stringo la cinghia della tracolla, cominciando a camminare. Nemmeno tre settimane fa era Nathaniel a farmi fare il giro della scuola ed ora sono io che lo faccio fare ad un professore. Davvero, questo liceo sta diventando sempre più assurdo.
Il primo posto in cui vado, quasi ad istinto è la sala delegati. Ormai i miei piedi si muovono da soli verso quella stanza ogni qualvolta non ho una lezione da seguire o qualcosa di effettivo da fare.
Il sorriso radioso del mio ragazzo preferito in questo liceo, mi accoglie come al solito.
«Ciao Vanille!»
«Buongiorno Nathaniel.» gli sorrido di ricambio.
«Chi è il signore con te?» mi chiede, educatamente.
«È il nuovo professore di storia. - dico - Mi ha chiesto di fargli visitare un po’ il liceo, perciò…»
«Oh, piacere. Benvenuto al Dolce Amoris.» lo saluta cordialmente lui, porgendogli la mano.
«Grazie mille, il piacere è mio.» risponde il prof, stringendogliela.
«Questa è la sala delegati. Se dovesse avere ancora bisogno di aiuto le consiglio di venire qui da Nathaniel è sempre molto disponibile.» dico, rivolgendomi a lui, nonostante sia troppo intenta a fissare il biondo di fronte a me.
«E tu sei sempre troppo gentile Vanille.» mi risponde lui, con un sorriso.
Improvvisamente mi sento avvampare e, prima che possa accorgersene, faccio dietro front ed esco dalla sala delegati, salutandolo velocemente e mettendo fretta al professore.
I due si salutano nuovamente in modo sbrigativo, dopodiché ricomincio a camminare per i corridoio, con il professore alle calcagna.
Gli mostro le varie aule e principalmente quella dove, almeno fino alla settimana scorsa si svolgeva anche il corso di storia.
Lui non fa una piega, sta completamente zitto, come fosse muto. L’unica che parla e spiega sono io. Ma insomma non dovrebbe essere il contrario?
Mi dirigo verso l’unico luogo che non gli ho ancora mostrato, ossia il cortile. Rispetto a quando sono arrivata al liceo questa mattina, la gente fuori è diminuita, molte persone sono entrate nell’edificio, pronte per sparpagliarsi nelle varie aule. Tra i pochi rimasti noto i capelli rosso acceso di Castiel. Ha appena buttato a terra la sigaretta, pestandola con il piede, per poi avvicinarsi a noi.
«Ma chi è quello?» domanda, come se avesse visto una persona qualsiasi.
Gli lancio un’occhiataccia, ma il mio muto rimprovero sembra non preoccuparlo per niente.
«Ti presento il nuovo insegnante di storia il professor…?» domando, rivolgendomi a lui, ora che ci penso non si è presentato nemmeno a me.
«Oh sì, Faraize.» dice facendo lui il primo gesto, questa volta, di porgere la mano.
«Gli sto facendo visitare un po’ il liceo.» continuo, mentre il professore rimane con la mano sospesa per aria.
La maleducazione di Castiel è evidente anni luce, ma d’altronde è il suo carattere e sicuramente anche il professor Faraize, imparerà a conoscerlo.
Ora però, abbassa la mano, scoraggiato, ricominciando a muovere nervosamente le dita.
«Questo è il cortile. Le consiglio di non venire se non vuole fare cattivi incontri…» dico.
Anche questa volta non guardo il professore, ma il diretto interessato, alzando leggermente il sopracciglio per fargli capire cosa ho sottinteso nella frase.
«Stai per caso parlando di me, ragazzina?» domanda lui, trattenendo una leggera risata.
Alzò le spalle, come non m’importasse della sua reazione o anche solo di dargli una risposta, accennando appena un:
«Può darsi…»
Lui ride di nuovo, scuotendo la testa e allontanandosi da noi.
Lo porto infine alla palestra e al giardino, descrivendogli brevemente le attività extra curricolari che noi studenti pratichiamo il martedì pomeriggio.
Alla fine del giro ci ritroviamo nuovamente al corridoio.
«Grazie mille signorina. È stata davvero gentilissima.» mi dice con un sorriso, il suo nervosismo, per fortuna, sembra passato, almeno per ora.
«Si figuri, di nulla.»
«Sicuramente, quando ne avrò occasione le renderò il favore.» dice, per poi salutarmi e andarsene.
Lo saluto di ricambio, pensando tra me e me che se davvero vuole ricambiare il favore dovrebbe aiutarmi nella sua materia e darmi bei voti, vista la mia pessima inclinazione a storia.
Scuoto la testa, emettendo un sospiro. Si spera che ora possa andare a sedermi in classe e non muovermi più fino alla lezione successiva.
Qualcuno, però, decide di arrivarmi addosso a tutta velocità.
«Ahia!» mi lamento, portandomi una mano alla spalla che è stata colpita e voltandomi verso la persona.
«Ehi! Stai un po’ attenta a dove cammini?» dice quella, è una ragazza.
«Cosa?! Sei tu che mi sei venuta addosso!» protesto, ma subito dopo rimango quasi incantata.
Lo stile di questa ragazza è meraviglioso, cavolo come ho fatto a non notarla in tre settimane di lezione? Quello stile vittoriano le dona un sacco, per non parlare dei lunghi capelli platinati, quasi bianchi e di quegli occhi ambrati da donna pantera. Lei e la tipica ragazza che, fossi nata lesbica, ci avrei provato all’istante.
«Scusa, - mi risponde lei - vado un po’ di fretta. Ho un appuntamento con il mio ragazzo prima dell’inizio delle lezioni.» spiega velocemente.
Storco le labbra. Perché la parola ragazzo mi irrita ancora così tanto? Possibile che non abbia ancora dimenticato Lucien? Oppure semplicemente vorrei trovare anche io un ragazzo?
«È qualcuno del liceo?» dico, per zittire i miei pensieri, più che per curiosità vera e propria.
Lei sorride divertita.
«No, non frequenta il liceo, quindi dubito che tu possa conoscerlo. Comunque io sono Rosalya.»
«Piacere, Vanille.» rispondo io, ricambiando la presentazione.
«Che bel nome!» dice entusiasta lei, mentre vedo chiaramente i suoi occhi illuminarsi.
Arrossisco un po’, lo percepisco dal calore nelle guance.
«Grazie…» dico a mezza voce.
«Scusami ancora per averti spinta! Ci vediamo presto!» dice, per poi allontanarsi, senza darmi nemmeno il tempo di risponderle.
«A presto.» rispondo appena, sicura che non mi abbia sentito, mentre la osservo allontanarsi seguendo la sua chioma lunghissima che ondeggia al ritmo della sua corsa.

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Capitolo 13
*** Cose da femmine ***


Cose da femmine
 

Finalmente le lezioni mattutine sono finite. Non so perché, ma oggi mi sono sembrate decisamente più dure del solito da seguire. Forse è dovuto alla mia scarsa concentrazione e voglia di fare di questo periodo. Davvero, odio essere donna in certi momenti.
Esco dall’aula quasi con gioia, sospirando. Come se fino a poco prima, in classe, soffocassi e nel corridoio, invece ci fosse aria pura.
La sensazione di libertà, però, dura davvero poco, perché neanche venti secondi dopo che sono uscita ecco che Miss “sono la più bella” arriva a rompermi le scatole.
«Guarda un po’ chi c’è! Capiti proprio al momento giusto! Stiamo andando fuori a pranzo, ma Charlotte ha dimenticato i soldi a casa.» dice con quella sua vocetta irritante.
«E allora?» domando io, non capendo dove vuole andare a parare. 
Forse in  un altro momento, o in un altro giorno, avrei capito al volo le sue intenzioni, ma oggi sono troppo stanca persino per fare due più due.«Beh, sono sicura che, gentile come sei, ci aiuterai a risolvere questo piccolo inconveniente, dandoci tu i soldi per il pranzo.» spiega meglio lei, scostandosi i capelli biondi con un deciso gesto della mano.
Alzo le sopracciglia, completamente sconvolta. Ha scelto proprio il giorno sbagliato per fare la prepotente con me.
«Non ci penso proprio. Te lo scordi che ti dia soldi.» protesto, stringendo la cinghia della tracolla e superandole, pronta a dirigermi verso il mio armadietto.
«Pensi davvero che ci interessi il tuo parere?» mi provoca lei, proprio quando le sono di fianco.
Con una manata mi spintona e viste le mie scarse energie, cado a terra come una pera cotta, accorgendomi solo in quel momento di avere la tracolla aperta, che sbattendo contro il pavimento, assieme al mio fondoschiena, fa scivolare fuori la macchina fotografica e il borsellino.
«Oh, cos’abbiamo qui?» domanda una delle due ancelle, quella con i tratti orientali, allungando una mano verso il mio portafoglio e afferrandolo.
«Ehi!» cerco di protestare io, rimettendo a posto la mia Polaroid, controllando che non ci sia nessun danno, anche perché se no gliel’avrei fatta pagare con gli interessi.
Lei però non mi calcola di striscio e passa ciò che mi ha rubato alla bionda, che con tutta la disinvoltura che può avere una persona innocente, lo apre e ne estrae dieci euro.
«Ecco questi sono perfetti, grazie!» dice, lanciandosi alle spalle il mio borsellino e allontanassi con i miei soldi.
Sento la rabbia furiosa ribollirmi in corpo. Vorrei saltarle alla gola e azzannarla per quanto sono incazzata, ma qualcosa, forse la stanchezza, forse quel briciolo di buon senso che mi è rimasto, m’impedisce di farlo.
Raccolgo il borsello, infilandolo nuovamente nella borsa e con passo pesante mi dirigo verso l’armadietto, ho seriamente bisogno di andarmi a cambiare, dopodiché credo che mangerò un’insalata e mi butterò su una panchina del cortile fino alle lezioni pomeridiane.

 

Almeno questa è stata la mia intenzione iniziale. 
Eppure, nonostante il mio fisico sia stanco e distrutto, la mia mente è rabbiosa e furente. Praticamente per tutto il pranzo non ho pensato ad altro che fargliela pagare in qualche modo. Non voglio certo spingermi al loro infimo livello, ma perlomeno voglio una piccola e succulenta vendetta. Giusto per far capire loro che non sono come Ken e che non mi si può prendere in giro in questo modo. In fin dei conti era una cosa che facevo anche al vecchio liceo con chi mi infastidiva.
Esco dalla mensa con questa idea malsana in testa su cui sto ancora rimuginando, quando nel corridoio incrocio il fratello dell’arpia. Ancora mi domando come fanno ad essere anche solo parenti.
«Vanille, che succede? Hai una faccia.» mi dice e per un attimo rimango incantata da quel suo sguardo apprensivo.
Sospiro, non so mai se parlargliene. Insomma mi pare brutto parlare male di Ambra proprio a lui. 
La mia lingua però, è stata più veloce della mia mente, perché non ho nemmeno il tempo di cercare parole giuste, che già mi lamento con lui.
«A quanto pare questa volta sono stata io la vittima di tua sorella! Nemmeno mezz’ora fa mi ha rubato i soldi.» dico con uno sbuffo, mordendomi poi il labbro, rendendomi conto di essere stata troppo avventata.
Lo vedo sgranare gli occhi, completamente sconvolto, come se non si fosse aspettato quella mia affermazione, come se per lui la sorella fosse la persona più dolce e gentile al mondo. Insomma è possibile che non si rendesse conto che sua sorella fosse una vipera? O lei è davvero così furba e brava da fingere davanti al fratello e agli altri familiari?
«Sei seria?» mi domanda, come se fossi io la pazza che stava mentendo.
«Mai stata più seria. Dovresti fare qualcosa, sai?» 
Lui sospirò, passandosi una mano tra i capelli, esasperato. No, non era come credevo, conosceva bene sua sorella, forse semplicemente non se l’aspettava.
«Accidenti, mi dispiace… Devo ammettere che ultimamente è insopportabile anche a casa. Comunque, posso rimborsarti i soldi… Quanto ti ha preso?» mi domanda con fare gentile, mettendo già la mano sulla tasca posteriore dei suoi jeans.
«Non è per i soldi. - dico per poi mordermi il labbro - Senti, è tua sorella no? Non potresti parlarci e convincerla a lasciarmi in pace?» domando.
Insomma, forse è meglio tentare un approccio più pacato, prima di gridare vendetta.
«Insisto, prendi almeno cinque euro!» dice lui, estraendo dal portafoglio una banconota e porgendomela.
La afferro con un po’ di riluttanza, mi dispiace sul serio che sia Nathaniel quello che deve pagare per le cavolate della sorella. Chissà se anche a casa loro è così.
«Comunque proverò a parlarle, ma non sono sicuro che mi ascolterà…»
Rinfila il portafoglio nella tasca, mentre si passa l’altra mano dietro la nuca, evidentemente nervoso e dispiaciuto di quella situazione.
«Grazie. - rispondo - Ora scusa ma devo andare.» 
Da un lato avrei voglia di stare ancora un po’ con lui, di godermi ancora un po’ della sua compagnia. Dall’altro però stare lì, in piedi, in mezzo al corridoio, con i crampi alla pancia, non fa proprio per me. Ho bisogno di relax, almeno per qualche minuto.
«Certo, a dopo Vanille.» mi sorride gentilmente lui.
«A dopo.»

 

Quando arrivo alla panchina del cortile è vuota, e quasi tiro un sospiro di sollievo, accasciandomi su di essa e chiudendo gli occhi, per godermi al meglio il venticello che c’è oggi.
All’improvviso però qualcosa comincia a pizzicarmi il naso. Un odore fastidioso e pungente. Apro la bocca e tossisco un po’, rialzando le palpebre e vedendo cosa mi sta dando così fastidio.
Di fianco a me c’è Castiel, con una delle sue maledette sigarette a cui, ovviamente, in questo mio periodo, sono più sensibile.
Gli lancio un occhiata di fuoco, nel tentativo di fargli capire che mi ha infastidito, anche se il colpo di tosse doveva essere già un chiaro segno.
«Che c’è?» domanda lui, alzando il sopracciglio fiammeggiante.
Senza emettere un fiato indico il cilindro che tiene tra le dita.
Lui, per tutta risposta, alza le spalle noncurante.
«E da quando le mie sigarette ti danno fastidio?» fa, con un altra domanda.
Sospiro, trattenendomi dall’urlagli addosso tutta la mia rabbia e la mia frustrazione.
«Senti Castiel, non è giornata, okay?» gli dico, cercando di mettermi più comoda sulla panchina.
Lui fa un’altro tiro, per poi pormi l’ennesima domanda.
«Come mai stamattina facevi da guida turistica al prof? Insomma perché te ne sei occupata tu?»
«Non lo so. A quanto pare capita sempre a me di occuparmi di cose del genere.» sbuffo.
Lui ghigna, quasi pronto a scoppiare a ridere, ma il mio sguardo omicida lo blocca all’istante.
«Credo dipenda dalla tua faccia gentile, perciò se ne approfittano.» dice lui.
Quella sua frase, improvvisamente mi ricorda ciò che mi ha detto Ambra prima di pranzo e il nervoso torna prepotente.
«Già, forse dovrei comportarmi più da stronza!» dico portandomi le dita alle tempie e massaggiandomele. 
Quanto vorrei che questa mattina avessi deciso di rimanere a casa.

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Capitolo 14
*** Il piatto freddo della vendetta ***


Il piatto freddo della vendetta
 

Devo ammettere che oggi la fase di isteria, va decisamente meglio. Nonostante tutto, però, la sensazione di bile su quello che mi ha fatto Ambra è ancora forte in me.
Sarà che ieri sera ho messaggiato un po’ con Iris, dopo che lei mi aveva mandato un sms chiedendomi cosa avessi quel giorno. Fatto sta che dopo averle raccontato tutta la faccenda, io stessa le ho chiesto un consiglio su come vendicarmi di lei. So bene che è una cosa poco matura, ma è qualcosa che davvero non posso più accettare, non quando ancora mi devo ambientare completamente nel nuovo liceo. Perché avere a che fare con l’etichetta di “quella nuova” ed essere la preda preferita della principessina, è davvero troppo.
Alla fine, siamo arrivate a una soluzione per niente cattiva, né drastica, anche se ora che sono davanti all’ingresso del liceo, inizio ad avere dei dubbi sul fatto che funzionerà.
Iris mi ha spiegato che ogni sera Ambra, visto che è un amante della moda, posta sul suo blog l’outfit che indosserà il giorno successivo, forse anche per permettere alle sue ancelle di coordinarsi a lei. Perciò abbiamo pensato assieme, che mi sarei potuta vestire come lei.
Devo essere sincera, questo stile non fa proprio per me. Osservo la maglietta beige abbinata alla cinta e alla pacchianissima collana, entrambe turchesi. Mi sono rifiutata di comprare anche dei nuovi jeans, usando i miei preferiti bianchi, che ben si sposano con la mia borsa.
Prendo un grosso respiro e faccio il mio ingresso a scuola, nello stesso identico momento, sento la sua voce alle mie spalle.
«Non m’importa un’accidente di quanti minuti di ritardo ha fatto l’autobus, devi venire su… - il suo corpo si schianta contro la mia spalla - Ma guarda dove vai, idiota!» mi urla voltandosi verso di me, con ancora lo smartphone con la cover rosa shocking e piena di strass, poggiato contro l’orecchio.
«Scusa.» sospiro io scocciata, non so nemmeno perché dovrei essere io a chiedere perdono, ma è stato più una cosa istintiva che altro.
Lei chiude in modo sbrigativo la chiamata e poi si rivolge a me con un sorriso serafico, come fosse pronta ad un altra delle sue cattiverie, nonostante questa volta sia da sola, senza le sue fidate spalle.
«Come siamo servizievoli oggi. Per caso vuoi di nuovo darmi qualche spicciolo?»
Alzo il sopracciglio, come a volerle chiedere se è seria o no, poi mi allontano, senza nemmeno degnarla di un saluto.
Lei però, con un gesto fulmineo, mi afferra per il polso.
«Aspetta un attimo! Ma come diavolo ti sei vestita?!» domanda sconvolta. 
Il suo sguardo smeraldino passa dal suo outfit al mio, diventando sempre più furioso.
Io sogghigno, per poi leccarmi lievemente le labbra.
«Ti piace? Ho deciso di rifarmi il look, ho visto questo outfit in una specie di blog mediocre ed ho pensato di approfittarne.» concludo, spostandomi una ciocca castana dietro l’orecchio ed osservando di nuovo il mio vestiario.
«Come sarebbe a dire: mediocre? E poi questo è il mio outfit!» sbotta lei, enfatizzando l’aggettivo possessivo.
Storco la bocca, osservandola, come se me ne fossi accorta solo in quel momento.
«Oh già… Beh, niente di eccezionale, vero?» domando, alzando le spalle.
Schiocca la lingua e in tempo due secondi riprende il controllo di se stessa, come una vera diva, scostandosi i capelli indietro.
«Mi dispiace dirlo, tesoro, ma quei vestiti stanno meglio a me che a te… - stringo la mano attorno alla cinghia della borsa, costringendomi a non allungarla verso di lei per strozzarla - Poverina… Sei costretta a copiare il mio meraviglioso stile per cercare di avere un aria decente, visto che il tuo gusto nel vestire è pessimo…»
Percepisco un ringhio di rabbia inondarmi la mente e, spero davvero, che sia solo nella mia testa e non sia uscito dalla mia bocca.
«Allora? Non dici più niente? - continua lei - Non è così grave, sai? Chissà, magari se mi paghi potrei anche darti qualche lezione di moda.»
Le vorrei urlare in faccia che io di moda ne so quanto basta per essere stata una delle più popolari al mio vecchio liceo. La vorrei prendere a schiaffi, ma la cosa, comunque, so, che non servirebbe a nulla.
«Lasciamo stare va…» brontolo.
«Ah… - comincia poi, come se si fosse appena ricordata di qualcosa - Senti un po’, chi ti credi di essere per essere andata a lamentarti con mio fratello?»
Sorrido.
«Ah, quindi ti ha parlato finalmente!»
«Ed ha persino osato essere dalla tua parte…» si lamenta lei, come fosse un incredibile oltraggio.
«E direi… Dopo tutto quello che hai combinato!» le rispondo io guardandola male.
Finché se la prende con me va bene, ma se attacca anche suo fratello che è praticamente un santo anche solo a sopportarla, giuro che non risponderò di me.
«Sai una cosa? Non mi interessa! Mio fratello alla fine è solo un delegato. - dice, aggiungendo un tono schifato all’ultima parola - Ti consiglio però, di non ricominciare o lo rimpiangerai veramente, perché sappi che ho anche la preside in tasca!» conclude, per poi voltarsi, frustandomi il viso con i suoi lunghi capelli biondi e andandosene.
Sospiro. Perfetto, altre minacce. Cara la mia Ambra, questa è guerra. Sono stata troppo buona con questa cosa del vestirmi uguale a te, ma ora mi vendicherò in un modo che nemmeno puoi immaginare.
Arrivata in aula per la prima lezione mattutina noto Iris al nostro solito banco.
«Wow che look! - dice scherzando - Allora, com’è andata?» mi domanda.
«Piano fallito. Ambra la regina della moda vuole darmi lezioni su come dovrei vestirmi, visto che sono così disperata da copiare il suo stile.» sbuffo, buttandomi sulla sedia.
Vedo la mia amica storcere la bocca, mentre il suo sguardo si fa un po’ deluso.
«Mi dispiace… Forse non è il mio forte fare scherzi.»
«Tranquilla, penserò a qualcos’altro. Anzi in realtà ho già qualcosa in mente, anche se mi mancano alcuni dettagli.» dico, abbassando la voce nel momento in cui il professore entra in aula.
«Cioè?» mi domanda lei, utilizzando sempre lo stesso tono di voce.
«Beh, devo prima conoscere bene il mio nemico, per prendere il suo punto debole.» sibilo, facendomi quasi paura da sola.
Lei trattiene una risata, forse pensa che quel mio tono sia stata una specie di battuta.
«Comunque cerca di non essere troppo cattiva…» commenta poi.
«Cattiva più di lei? Impossibile! Ho un cuore io e soprattutto una coscienza. Senza considerare che non farei mai qualcosa che potrebbe nuocerle più di tanto, visto che è la sorella di Nathaniel.» dico, ma subito dopo mi zittisco, perché il professore lancia un occhiata torva verso di noi.
«Forse potresti chiedere a lui i punti deboli della sorella…» mi sussurra infine lei.
Soltanto a fine lezione, torniamo a parlare tranquillamente, mentre rimettiamo quaderni e penne al loro posto.
«Non ti ho mai chiesto se Ambra dà fastidio anche a te…» dico, chiudendo la cerniera dell’astuccio e infilandolo nella borsa.
«Veramente no… Sai credo che lei se le scelga le persone da prendere di mira, e siccome ci conosciamo da tanto tempo, magari pensa non avrebbe senso se lo facesse con me.»
«Beata te, allora.» sospiro.
Lei per tutta risposta mi accarezza la schiena, come a incoraggiarmi, dopodiché ci separiamo pronte alla lezione successiva.

 

 

All’intervallo decido di andare in sala delegati per chiedere consiglio a Nathaniel, sinceramente non so se me lo darà. Insomma di certo non è una cosa che si fa ben volentieri aiutare qualcuno a vendicarsi della propria sorella. D’altro canto però non saprei davvero a chi chiedere e visto il suo aiuto di ieri, forse ho qualche possibilità.
Prima, però, ho seriamente bisogno di una boccata d’aria, perciò mi dirigo fuori verso il cortile, appoggiandomi al muretto.
Chiudo gli occhi, godendomi la brezza che c’è oggi, non curandomi minimamente del vociare degli altri studenti. Fino a che qualcuno non mi risveglia da quel momento di beatitudine.
«Senti bella, non avresti qualche spicciolo anche per me?»
Apro gli occhi, lanciandogli un’occhiataccia di quelle omicide, mentre lui sogghigna in quel modo maledettamente sexy.
«Vuoi un pugno ora o più tardi?» gli rispondo a tono.
Lui continua imperterrito a sorridere.
«Tranquilla ragazzina, scherzavo.»
«Non è che faccia così ridere…» mi lamento io.
«Cosa farai adesso?» mi domanda allora lui, mettendosi vicino a me e poggiando anche lui i fianchi al muretto.
«Ovvio, trovo un modo per vendicarmi.»
«E sarebbe?»
«Penavo di metterle dentro l’armadietto qualcosa di cui ha paura, ma non so bene che cosa. Tu hai qualche idea?» domando storcendo la bocca.
Dire il mio piano ad alta voce lo rende meno convincente di quanto pensassi.
Lui sbuffa.
«Non conosco così bene Ambra e sinceramente non è che m’interessi molto. Almeno stavolta potresti sbrigartela da sola.» fa lui, improvvisamente scocciato.
È incredibile come questo ragazzo cambi umore da un momento all’altro, una ragazza nelle mie condizioni mensili, probabilmente sarebbe meno lunatica.
«Ok, come non detto, chiederò a Na…»
«Comunque ti consiglio anche di fare un tag sull’armadietto.» dice, interrompendomi.
«Un che?!» domando aggrottando le sopracciglia.
«Un tag, una scritta, altrimenti come capisce il motivo dello scherzo?»
Ritiro in dentro le labbra, indecisa.
«E con cosa lo dovrei fare? - a quella mia domanda lo vedo sollevare le sopracciglia di fuoco, come a domandarmi se dico sul serio - Va beh, scusa se non ne ho mai fatti prima…» sbuffo alla fine io.
Lui scuote la testa, passandosi una mano tra i lunghi capelli rossi e strappandomi un sospiro compiaciuto che spero, con tutto il cuore, non abbia sentito.
«Mai sentito parlare di bomboletta spray?» 
«Oh, giusto… Allora questo pomeriggio uscita da scuola vado a comprarne una.» dico, passandomi la lingua sulle labbra.
«Bene, adesso però, sta a te. In bocca al lupo, Vanille!» dice allontanassi.
Rimango qualche secondo con la bocca semi aperta. Mi ha seriamente chiamato per nome? Insomma Castiel lo scorbutico, quello che mi reputa sempre una ragazzina e non fa altro che chiamarmi a quel modo, ha pronunciato il mio nome?
Scuoto la testa, per poi tirare fuori il cellulare dalla tasca e osservare l’ora. Ho ancora dieci minuti per parlare con Nathaniel. Devo sbrigarmi.
Arrivata davanti alla sala delegati, come al solito, busso alla porta, per poi entrare comunque anche senza invito. Nathaniel e chino su una marea di fogli. Come cavolo fa a conciliare studio e impegni da delegato lo sa solamente lui.
«Ehi, Vanille! Come stai?» mi domanda con un sorriso, vedendomi.
«Insomma, potrebbe andare meglio.»
Lui aggrotta le sopracciglia e storce la bocca.
«Eppure ieri sera, a casa, ho parlato con Ambra.»
«Oh sì, me ne sono accorta. Infatti grazie a te ho ottenuto ben due minuti senza farmi aggredire. Mi domando a cosa sia servito.»
Lui sospira, passandosi una mano sul viso.
«Accidenti… Mi dispiace. Le avevo detto che per questa volta lasciavo perdere, ma che se l’avesse rifatto avrei fatto rapporto alla preside, ma a quanto pare ho peggiorato solo la situazione. - si ributtò sulla sedia, evidentemente dispiaciuto - Ovviamente lei l’ha presa male: ha risposto che se l’avessi fatto avrebbe detto ai nostri genitori che a scuola la perseguito.»
Sgrano gli occhi, sconvolta. Ha avuto sul serio il coraggio di minacciare a quel modo il suo stesso fratello? Soprattutto dicendo una bugia mastodontica come quella.
«Ma non è affatto vero! Se mai è lei che perseguita la gente!» sbotto scocciata.
«Il fatto è… - comincia con un altro sospiro - che quando eravamo piccoli, io le facevo i dispetti e passavo per il cattivo. Questa cosa è rimasta, quindi i miei genitori credono sempre a lei.»
Scuoto la testa sconvolta.
«Incredibile… Il suo numero da grande attrice le riesce proprio con tutti…» dico.
«Già, forse avrei dovuto darti ascolto fin da subito.»
«Senti, - cerco di dire, ritirando in dentro le labbra - devo chiederti una cosa.»
«Dimmi.» risponde subito lui, mentre sul suo viso torna un bellissimo sorriso.
«Ho pensato a un modo per… Beh per vendicarmi un po’…» dico, titubante e seriamente impaurita della sua reazione.
Come mi aspettavo, infatti, il suo viso si fa scuro e mi guarda corrucciato e forse anche un po’ deluso.
«Non è stupido agire come farebbe lei?» 
«Tranquillo, non pensavo a nulla di terribile. Sarà solo uno scherzo innocuo, giusto per farle capire che deve smetterla di credersi la regina del Dolce Amoris. Insomma quando faccio la gentile sembra non darmi retta.»
«Però devi capire che non è tutto bianco o nero. - sospira di nuovo lui - Cosa volevi sapere?»
«Vorrei solo sapere cosa non le piace. Insomma, cosa le fa paura.» spiego nel dettaglio.
In realtà non vorrei scegliere proprio una fobia, anche perché sarebbe troppo crudele e decisamente non da me, ma almeno si deve spaventare un po’.
Lui storce la bocca, pensieroso.
«Ti direi i ragni. Non è aracnofobica, ma i ragni le fanno particolarmente schifo, se li vede urla come una matta. Non so come vuoi usare questa cosa, ma penso che i ragni siano la soluzione adatta.»
Immediatamente sento un brivido percorrermi la schiena. Ragni. Schifosi, maledettissimi, pelosi, ragni. Ron Weasley al mio confronto non ne ha paura. 
Prendo un grosso respiro e rispondo.
«Anche io, in realtà, ho paura dei ragni…» mugolo a mezza voce.
Lui scoppia a ridere. Una risata per niente ironica e schernitrice, come quelle che solitamente mi dedica Castiel, ma molto più ingenua e divertita, che quasi coinvolge anche me.
«Vanille, non dei ragni veri! Pensavo piuttosto a qualche ragno di plastica, quello con cui si fanno gli scherzi.»
Realizzo di essere stata una stupida. Oltretutto come avrei preso dei ragni vivi per infilarli nell’armadietto di Ambra?
«Bell’idea.» confermo.
«Promettimi che dopo questo scherzo finirà qui.» si raccomanda lui.
«Sai che non dipende da me, vero? Comunque sì, hai la mia parola che io non farò più niente. Spero che anche per lei sarà lo stesso.»
Lo saluto ed esco dalla sala delegati, proprio mentre la campanella che segnala il ricominciare delle lezioni sta suonando.
Vedrai Ambra. Domani ti aspetta un bello scherzetto, che al confronto A di Pretty Little Liars ti sembrerà una santa.

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Capitolo 15
*** Ti meriti una punizione ***


Ti meriti una punizione
 

Bene. Le lezioni mattutine sono appena finite, perciò ora ho tutto il tempo per attuare il mio piano di vendetta.
Prendo la bomboletta di colore rosso e il piccolo ragno di gomma che ieri, alla mia uscita da scuola, sono andata a comprare. Spero solo che questa volta il piano funzioni, perché davvero non ne posso più dei suoi capricci. Insomma se dovrò sopportarla in questo modo fino alla fine del liceo, diventerò matta.
Mi piazzo davanti all'armadietto di Ambra e faccio un sospiro, guardandomi un attimo intorno per essere sicura che nessuno mi possa vedere.
Mi tremano le mani. E se i professori mi beccano o se Ambra si vendica ancora più duramente?
Scuoto la testa, basta ripensamenti. Afferro il ragno dalla tasca del mio jeans, per fortuna, essendo di gomma, posso schiacciarlo e farlo passare tranquillamente dalle fessure. Sento il tonfo del piccolo giocattolo cadere sui libri della reginetta. Faccio un cenno con la testa e comincio ad agitare la bomboletta.
Bene, e adesso che scrivo? Storco la bocca, cercando di pensare a qualcosa di corto e chiaro. Improvvisamente ecco che mi viene in mente la frase perfetta.
Tolgo il tappo e comincio a spruzzare la vernice rossa, scrivendo, per cominciare, una doppiavú rovesciata.
«Ma che stai facendo?!» dice una voce dietro di me.
Mi volto di colpo, facendo una riga sbagliata sull'armadietto.
Li, una delle ancelle di Ambra, mi sta guardando sconvolta. I suoi occhi a mandorla mi scrutano e nonostante tutto, comincio a sentirmi in colpa.
«Stai taggando l'armadietto di Ambra? - si avvicina a me, i suoi tacchi che picchiano contro il pavimento del corridoio mi fanno sussultare, andando con lo stesso ritmo del mio cuore - Andrà su tutte le furie quando lo saprà!» mi minaccia, con il suo accento orientale.
Si avvicina a me e prova a strapparmi la bomboletta dalle mani.
«Li lasciala, ci farai beccare...» dico, cercando tenerla per me.
«Così potrai continuare con il tuo sporco lavoro? Assolutamente no!» grida lei.
«Ma che sta succedendo?» fa un'altra voce, distraendoci dalla nostra litigata.
Ci voltiamo entrambe, tutte e due con le mani sulla bomboletta, proprio davanti alla scena del crimine.
«Oh cavolo...» sussurro, riconoscendo immediatamente il vestito di tweed rosa, prima ancora di farlo con il volto. Un volto decisamente adirato è quasi isterico.
«Non credo ai miei occhi! Sporcare la scuola?! Sarete severamente punite per questa bravata!» urla con quella sua vocetta stridula.
Seriamente non so se è più infuriata ora o quando aveva perso il suo cane. Comunque sia questa preside mi fa sempre più paura.
«Preside le posso spiegare...» tenta di giustificarsi Li, mollando la presa dalla bomboletta che adesso è rimasta solamente tra le mie mani.
Lei però non le dà la possibilità e continua con la sua ramanzina.
«Quindi siete state voi a lasciare quegli scarabocchi sulla scalinata?!»
Sgrano gli occhi. Scalinata? Di che parla? Io non mi sono mai avvicinata alla scalinata, è persino la prima volta che uso una bomboletta spray.
«No preside non ci siamo avvicinate nemmeno alla...»
«Siete in punizione! - prosegue, ignorando anche me - Dopo la fine di tutte le lezioni dovrete ripulire tutto quanto! E vi conviene farlo come si deve se non volete avere una punizione ben peggiore!»
Dopodiché gira i tacchi e se ne va, allontanandosi furiosa.
Perfetto. Questa fantastica idea della vendetta si è dimostrata per quello che era, una pessima idea. Ed ora non solo mi toccherà rimanere oltre l'orario per pulire il mio disastro, ma anche per pulire quello di qualcun altro.
«Non ci credo! - fa l'altra di fianco a me, facendomi tornare alla realtà - La preside ha punito anche me, anche se non ho fatto niente! I miei complimenti! Ti avviso, non fare tardi dopo le lezioni, non sarò certo io a strofinare!» mi minaccia.
Fantastico, penso sbuffando. Credevo che le due ancelle di Ambra, fossero meno despote di lei, almeno quando erano da sole e invece, a quanto pare, non sono come quelle dei film, hanno una personalità anche loro e non sono due burattini nelle mani della barbie bionda. E ammetto che Li ha un caratterino altrettanto insopportabile.
«Che cosa sta suc... - ci sorprende un'altra voce che si blocca immediatamente, avendo subito la risposta alla sua domanda - Tu!» ringhia furiosa, avvicinandosi a me e notandomi colta sul fatto.
«Oh Ambra, finalmente sei arrivata. - fa la cinese, tornando il cagnolino ubbidiente - Ho tentato di fermarla, comunque stai tranquilla, la preside l'ha punita.» la rassicura.
«Veramente ha punito anche t...» tento di correggerla io, ma poco prima che riesca a finire la frase, la diretta interessata batte furiosa una mano sull'armadietto di fianco al suo, facendomi sobbalzare.
«Azzardati un'altra volta ad avvicinarti al mio armadietto e finirai male!» mi minaccia e, per la prima volta, sento seriamente un brivido di paura.
Non glielo faccio notare e, dopo aver ingoiato un grumo di saliva, alzo il sopracciglio e le rispondo a tono.
«Forse... era quello che ti meritavi.» dico allontanandomi.
Il mio passo però è lento e pacato, c'è ancora qualcosa che devo, almeno, sentire. Lei sbuffa, scocciata, poi, dopo un paio di secondi, ecco che arriva ciò che mi aspettavo.
«Aaaaaaaahhh! Un ragnooooo! Li, toglilo, toglilo!»
Ghigno divertita, aprendo il mio armadietto e prendendo i libri che mi sarebbero serviti per le lezioni pomeridiane.

 

La fine della scuola arriva prima di quanto mi aspettassi. Eppure, al contrario degli altri giorni, mi tocca rimanere. 
Sbuffo, dirigendomi verso il mio armadietto, per posare la tracolla, di certo non posso pulire, con questa a darmi impiccio.
Prima di arrivare alla mia meta, qualcuno mi ferma.
«Vanille!» mi giro, notando finalmente un volto amico.
«Nathaniel.» dico, regalandogli un sorriso.
Il tentativo fallito di vendicarmi e l'imminente punizione che mi attende non hanno certo contribuito a rendere bella la mia giornata. Eppure, vedere il suo volto, solare e rilassato, mi tranquillizza. È come un raggio di sole in un giorno di pioggia.
Mi raggiunge, tenendo anche lui la sua cartella sulla spalla, con una mano serrata sulla cinghia, probabilmente pronto ad andare a casa.
«La preside mi ha detto che sei in punizione perché ti ha beccato a taggare un armadietto con Li. È vero?» mi domanda, il suo tono di voce non sembra né di rimprovero né di delusione.
In fin dei conti lui sapeva bene cosa avevo intenzione di fare, perciò perché doveva essere deluso.
Faccio un sospiro, prima di rispondergli.
«Già... Il fatto è che Li mi ha beccato mentre usavo la bomboletta sull'armadietto di tua sorella e ha tentato di fermarmi. Per questo motivo si è ritrovata anche lei in punizione assieme a me.»
Sospira anche lui, regalandomi poi un sorriso che pare dispiaciuto, come se dipendesse da lui, anzi come se gli importasse parecchio di me e di ciò che mi capita.
«Te l’avevo detto che non era una buona idea…» mi dice, sempre con quel suo viso dolce e comprensivo.
«No, in realtà non era male. Semplicemente non sono stata fortunata…» commento, alzando le spalle.
«Se posso darti un consiglio, - comincia, avvicinandosi di più a me e poggiandomi una mano sulla spalla - la prossima volta opta per sorvolare tutto quanto, è sempre la soluzione migliore.»
Devo ammetterlo, sto facendo una fatica immensa a rimanere concentrata su ciò che dice, perché da quando mi ha toccato il braccio mi sembra che improvvisamente stia andando in fiamme. 
«Se-seguirò il tuo consiglio.» dico, tirando un sorriso.
Non sono sicura al cento per cento che lo farò. Non sono certo una ragazza vendicativa, ma sono sicuramente una che non ama farsi mettere i piedi in testa e, se mi fai un torto, devi sapere che ne subirai le conseguenze prima o poi, che a punirti sia il karma oppure io stessa.
«Perciò? Qual è la tua punizione?» mi domanda, facendo scivolare la mano dalla mia camicetta e allontanassi nuovamente da me, anche lui un po’ imbarazzato.
«Devo pulire l’armadietto e un’altro tag fatto da non so chi sotto la scala. A proposito, sai per caso con cosa dovrei pulire?» domando.
«Ti preparo un secchio con del detersivo e una spugna e te li lascio prima di uscire in sala delegati, ok?» 
«Grazie, sei un tesoro!» dico, prima ancora di rendermi conto di cosa la mia maledetta boccaccia ha fatto uscire.
Tutti e due, assumiamo il colore delle fragole mature sugli zigomi.
Nathaniel ci mette un po’, a riprendere il controllo di sé.
«Beh… Allora a domani Vanille.» dice.
«A domani.» rispondo appena io.
Saluto anche Iris, che m’incoraggia, dicendomi che alla fine dei conti per l’indomani non abbiamo compiti, quindi non mi devo preoccupare nemmeno di quelli.
E poi vedo Castiel, che sta ritirando le sue cose dall’armadietto, anche lui pronto ad andarsene. Non appena lo chiude si volta verso di me, con quel suo sguardo sornione e divertito.
«Mi raccomando… Strofina bene e non andare via tardi. Altrimenti rischi di rimanere chiusa dentro la scuola.»
«Ah… ah… Molto spiritoso.» fingo la risata.
Lui ghigna e se ne va.
È assurdo come quel ragazzo mi faccia imbestialire e divertire allo stesso tempo.

 

 

Due ore. Due maledettissime ore a strofinare su quella maledetta scala. L’armadietto è stato alquanto facile, in fin dei conti la vernice era ancora abbastanza fresca e soprattutto la superficie in metallo era liscia. Ma questa maledetta scala mi sta facendo diventare matta.
Ho l’odore del detersivo fin dentro al naso, il sudore che mi fa sentire appiccicosa e sporca, le mani screpolate per via dell’acqua saponata e come se non bastasse Li non ha mosso un dito.
«Non è colpa mia. Sei stata tu a fare il tag sull’armadietto di Ambra.» dice con quell’aria da civetta, passandosi la lima sulle unghie.
«Certo… Perché “Ambra regna” con tanto di coroncina, non l’avete scritto voi, vero?» le rispondo io, citando la frase che con fatica sto cercando di cancellare.
Lei nemmeno risponde e continua a dedicarsi alla sua manicure.
Dò gli ultimi due colpi di spugna e finalmente, come per miracolo, un miracolo molto faticoso, il muro del sotto scala è di nuovo pulito.
Lancio la spugna dentro il secchio, buttandomi a terra stravolta.
«Allora, hai finito? Possiamo finalmente tornare a casa?» domanda Li.
Le faccio cenno di aspettare un attimo e lei sbuffa. Io però ho bisogno di riprendere fiato. Lei non avrà fatto nulla, ma io sono stata tutto il tempo qui a pulire.
La scuola ormai è buia. Il sole fuori è già calato e, nonostante abbia mandato un messaggio ai miei, parlandogli della mia punizione, sebbene non abbia spiegato loro il motivo, forse Li ha ragione. È ora di tornare a casa.
Mi tiro su, e mi aggiusto la camicia, quando improvvisamente qualcosa mi fa gelare il sangue nelle vene. 
L’eco di una risata penetra i miei timpani, facendomi rabbrividire.
«Che cos’era?» domando, cercando di mantenere un minimo di contegno.
«N-non lo so… Ma fa paura!» mi risponde Li, quasi bisbigliando.
Cerco di controllarmi, non sono mai stata una che si spaventa per certe cose e poi, potrebbe anche essere uno scherzo di cattivo gusto di Ambra, con Li che le dà man forte.
«Sicuramente c’è una spiegazione.» dico, cercando di calmarmi.
«Mi prendi in giro vero? Pensi davvero che…» si blocca, e la sua faccia diventa ancora più pallida.
Ok, non credo che questa qui sia una così grande attrice da fare una faccia del genere se non fosse seriamente spaventata di qualcosa.
Mi volto, lentamente, notando una sagoma nell’ombra, proprio alle mie spalle.
«Un fantasmaaaaaaaa!» urla lei, scappando via e abbandonandomi lì.
Senza pensarci due volte la seguo a ruota. Non importa se lascio qui la mia tracolla, non importa se il mio cervello mi dice che non può essere un fantasma. Il mio unico obbiettivo ora è uscire da questa scuola.

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Capitolo 16
*** Tu credi ai fantasmi? ***


Tu credi ai fantasmi?
 

Mi domando quando questo periodo di tortura finirà. Sono stressata e non riesco più a godermi l’idea di venire a scuola tutte le mattine. Sta diventando insopportabile e mi sembra quasi che la colpa sia più mia che di qualsiasi altra cosa. Rimane il fatto che ormai mettere piede al Dolce Amoris mi mette a disagio.
«E così hai paura dei fantasmi?» fa una voce conosciutissima alle mie spalle, mettendomi i brividi lungo la schiena, prima di scoppiare a ridere, seguita da altre due voci.
«Ambra…» sibilo, voltandomi verso di loro.
«Li ci ha raccontato che ieri, durante la punizione, avete sentito un rumore e che sei scappata via come una ragazzina. Non ti vergogni?»
Prendo un grosso respiro, per poi alzare il sopracciglio destro e lanciare un’occhiata alla cinese alle sue spalle.
«Sul serio ha detto questo? Strano, io ricordo Li urlare e lasciarmi indietro.»
Lei alza le spalle scostandosi poi i lunghi capelli biondi, indietro.
«Mi fido più di Li che di te. Dice che credevi addirittura che ci fosse un fantasma… - fece emettendo una risata, quella tipica risata corta e da ochetta che detesto - Come se il liceo fosse infestato.»
Scuoto la testa, dando loro le spalle e allontanandomi, ignorando le loro prese in giro. Un altro giorno sarei rimasta lì ad alzare la voce nel tentativo di farmi rispettare, ma ora non ne avevo le forze. Li potrà continuare a raccontare tutte le bugie che vuole alle sue amichette, io continuerò a conoscere la verità ed è proprio per questo che prima che inizino le lezioni voglio andare a dare un occhiata a quel sottoscala. So bene quello che ho visto e non era né un fantasma né un allucinazione dovuta alla stanchezza. Forse troverò qualche indizio.
Aumento il passo e quando arrivo trovo la ragazza dai capelli argentei, appoggiata alla ringhiera della scala.
«Ambra dice che cerchi un fantasma…» commenta, scrutandomi coi suoi particolari occhi castano dorato, talmente chiari da sembrare quasi gialli.
«Non cerco un fantasma!» rispondo aggrottando le sopracciglia, ho capito che quella piccola vipera l’ha già sbandierato a tutta la scuola.
La ragazza alza le mani, in segno di resa, scusandosi e facendo per allontanarsi da me.
Faccio un sospiro e la blocco.
«Aspetta, non andare. Scusami per averti risposto in modo così scontroso. Non… Non sto cercando un fantasma, ma ieri sera, durante la mia punizione, ho visto qualcuno, proprio qui e…»
Lei sorride, come se avesse compreso al volo il mio nervosismo. Mi poggia una mano sulla spalla e mi si rivolge in tono gentile.
«Purtroppo non ne so nulla, ma spero troverai una risposta.» dice semplicemente, per poi immettersi nel corridoio che dà al resto delle aule
Nel preciso istante in cui lei si allontana, suona la campanella e, purtroppo, non posso fare a meno che darle retta e dirigermi in classe, onde evitare un’altra punizione per ritardo.

 

 

Quando finalmente arriva l’intervallo non mi sembra vero. È incredibile come una serie di problemi e di giorni no, possano mettermi talmente tanto ko da impedirmi di seguire lucidamente le lezioni e da stancarmi in questo modo.
Decido di uscire fuori, per prendere una boccata d’aria e comprendo subito che ne avevo bisogno, appena apro la porta che dà all’esterno e respiro l’aria aperta, anche se sa’ di sigarette e smog.
Mi butto su una delle panchine vicino al piccolo prato, che più in là si congiunge al giardino, con un sospiro.
«Accidenti che faccia…» sento dire e subito dopo una figura si siede al mio fianco.
Non ho nemmeno bisogno di alzare lo sguardo su di lui per sapere chi è. Non mi fosse bastata la voce, l’avrei riconosciuto dai jeans neri e strappati e dall’inconfondibile odore della sua sigaretta.
Faccio un verso stizzito, continuando a guardare il selciato sotto i miei piedi.
«Non hai idea di cosa diavolo mi sia successo ieri…» commento.
«Hai perso di nuovo il cane della preside?» dice lui con quel suo classico tono ironico, come fosse divertente vedermi impazzire.
«Te l’ho mai detto che odio la tua ironia?» domando, senza ancora alzare lo sguardo su di lui.
«No, mai, e credo che tu menta spudoratamente. Nonostante tu non lo voglia ammettere, vai matta per le mie battute.» risponde.
«Certo… - lo prendo in giro, cantilenando la parola e allungando la prima vocale - E chi potrebbe resistere all’aria ribelle da metallaro dell’affascinante Castiel.»
Lui fa un verso indeciso e, nonostante non lo stia guardando, lo immagino tirare in dentro le sue labbra perfette.
«Ho la vaga impressione che questa volta sia tu quella che mi sta prendendo in giro.»
Mi sfugge un sorriso e scuoto la testa, divertita. Qualcosa in questo battibecco sta alleggerendo il peso che sento.
«Allora? Che è successo? A parte la punizione di ieri, s’intende.» mi chiede, tornando all’argomento principale.
«È proprio per la punizione che sono così. - dico, alzando finalmente lo sguardo su di lui e incrociando i suoi incredibili occhi verdi - Ieri, mentre ero sotto la scalinata, io e Li abbiamo visto… qualcuno, o qualcosa.»
Lui scoppia a ridere, riconosco benissimo la risata della presa in giro e ciò che ha scatenato la sua ilarità è proprio il pensiero che ciò che sto dicendo sia assurdo.
«Non mi dire che credi ci sia un fantasma al liceo.»
Sbuffo, scocciata.
«La volete smettere di parlare tutti di fantasmi? No! Non credo nemmeno ai fantasmi, ma so benissimo cosa ho visto.»
«Sicura di non aver inalato troppa acqua saponata?» dice lui, continuando a sogghignare.
«Castiel!» lo rimprovero io linciandolo con lo sguardo.
«A parte gli scherzi… - dice diventando serio tutto d’un colpo - Ho sentito dire che, anni fa, un professore del liceo è morto scivolando per le scale… Da allora, il suo fantasma infesta il liceo…»
È vero, non credo ai fantasmi, non ci ho mai creduto. Nonostante tutto ho sempre avuto un certo ribrezzo e astio nei confronti di qualsiasi storia dell’orrore. Quella, nonostante fosse banale e stupida, non faceva eccezione e in un attimo percepisco i brividi in tutto il corpo, sicura che di essere impallidita all’inverosimile.
Lui scoppia di nuovo a ridere, probabilmente ho assunto un espressione terrorizzata e lui ora pensa che io creda alla sua storiella.
«Lo sai che sei un vero idiota?» mi lamento, borbottando e passandomi le mani sulle braccia nel tentativo di scrollarmi di dosso quell’orribile sensazione appena provata.
«E tu invece sei una gran credulona, ragazzina.»
«Non ho creduto alla tua storia, solo non mi è piaciuta, tutto qui.» rispondo a tono, guardandolo storto.
«Sì, certo…» fa lui, alzando un sopracciglio, come nel tentativo di farmi confessare la verità.
«L’ho detto e lo ripeto: non credo ai fantasmi, ma so esattamente cosa ho visto e non mi arrenderò finché non scoprirò cos’è.» dico alzandomi.
Ora come ora è diventata una questione di principio, quanto meno per dimostrare agli altri che non sono pazza.
«Perché invece non lasci stare e basta?» sbuffa, alzandosi anche lui e gettando la sigaretta a terra, per poi calpestarla con il piede.
«Perché no. Ti dimostrerò che avevo ragione. - gli dico decisa, per poi allontanarmi da lui, proprio mentre sta suonando la campanella di fine ricreazione - E raccogli quella sigaretta!» gli urlo da lontano.
Non faccio in tempo ad entrare nell’edificio che sento la sua voce rispondermi a tono, strappandomi un sorriso.
«Sì, mamma.»

 

 

A fine giornata mi ritrovo stravolta, ma non intendo andarmene senza aver scoperto nulla. Torno al sotto scala, trovandolo questa volta, finalmente, vuoto e libero. Così che possa guardarmi intorno senza sentirmi una scema, come se già non lo sembri abbastanza.
Rimango un po’ lì, avvicinandomi al luogo dove sono stata più di un ora a pulire, quando per terra, proprio di fianco al muro che ieri era taggato, noto qualcosa che, sono sicura al cento per cento, ieri non c’era.
Mi avvicino, raccogliendo ciò che ha attirato la mia attenzione. Un pacchetto di sigarette Gauloises e una cicca.
«Allora, Sherlock Holmes, hai trovato qualcosa? Ci sono indizi che ti portano a scoprire dove si nasconde Casper?» dice la voce di Castiel alle mie spalle.
Mi alzo, voltandomi verso di lui.
«No, ma guarda cosa ho trovato?» gli dico, mostrandogli il mio bottino.
«Wow! Un pacchetto di sigarette vuoto. Hai perfettamente ragione, ora tutto ha un senso…» dice continuando ad annuire con la testa.
«Evita di fare lo spiritoso, ti assicuro che ieri non c’erano. Piuttosto, tu che marca usi?» domando, cercando di ottenere qualche altra informazione, insomma, tentare non nuoce.
«Non quella, se è ciò che stai chiedendo. - mi risponde indicando il pacchetto - Perciò ora hai scoperto che il tuo misterioso essere, chiunque egli sia, fuma.»
«Ma non capisci? - insisto io - Qualcuno è venuto qui per fumare.»
«Oh giusto, mi correggo… Perciò ora che sai che uno qualsiasi tra le decine e decine di studenti del Dolce Amoris che fumano, ha fumato dentro la scuola, vicino alle scale che farai? Andrai dal tuo amato segretario e gli spiffererai tutto?»
A quel suo appellativo, riferito a Nathaniel, sento le mie guance andare in fiamme, ma cerco immediatamente di darmi un contegno e rispondo a tono.
«No, però…»
«Ascolta a me, ragazzina, lascia stare. Quella non è una prova, è solo spazzatura.»
Faccio uno sbuffo, alzando gli occhi al cielo.
«Sì… Forse hai ragione… Ma non mi arrendo. Scoprirò cosa ho visto, fosse l’ultima cosa che faccio.» rispondo decisa, per poi dirigermi verso il mio armadietto, sentendo Castiel lamentarsi di qualcosa sul fatto di essere irrecuperabile.
Decidendo di rimanere fino a tardi anche quel giorno, perché voglio andare fino in fondo a questa storia, sono rimasta in biblioteca a studiare, mandando ovviamente un messaggio ai miei per non farli preoccupare.
Quando finalmente il liceo torna ad essere silenzioso, esco dalla biblioteca e mi dirigo verso il mio armadietto, posando i libri, ma tenendomi la tracolla. Non voglio fare la stessa fine di ieri.
«Vanille?»
Salto in aria, per poi voltarmi.
«Na… Nathaniel…» dico, con ancora il cuore in gola. 
«Scusa… Non volevo spaventarti.» dice, assumendo un aria preoccupata.
Scuoto la testa, tranquillizzandolo.
«Cosa ci fai qui a quest’ora?» gli domando allora, ingoiando un po’ di saliva e tentando di far tornare il mio respiro regolare, dopo lo spavento.
«Avevo delle carte da sistemare… Piuttosto che ci fai tu, ancora qui.» dice, più come un’affermazione che come una domanda.
«Volevo capirci qualcosa su ciò che è successo ieri sera. Immagino che tua sorella…»
«Sì, mi ha raccontato tutto, ma non mi sembri una che crede ai fantasmi.»
«Infatti. Però sono sicura di aver visto qualcosa e voglio scoprire cos’era.» gli rispondo.
«Ok, ma fai attenzione, tra venti minuti la scuola chiude.» si raccomanda, per poi salutarmi.
Ricambio il saluto e non appena sono nuovamente sola, mi dirigo verso le scale.
Non faccio nemmeno in tempo a guardarmi intorno che sento di nuovo quella risata strana.
Qualcosa dentro di me si smuove. La mia testa mi dice di rimanere e cercare di capire, ma le mie gambe si muovono da sole e, per la seconda volta, mi ritrovo a fuggire via.

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Capitolo 17
*** Mano nella mano ***


Mano nella mano
 

Sbuffo per la quarta o quinta volta nell'arco della mattinata, se si può intendere mattinata il lasso di tempo che va da quando la sveglia ha suonato, momento del primo sospiro, ad ora, che sto facendo il mio ingresso a scuola.
Credo che ciò che m'innervosisce di più sia il fatto che pure ieri sono scappata con la coda fra le gambe. Oggi però è venerdì, perciò non perderò quest'ultima occasione per scoprire la verità. A costo di armarmi della mia amata polaroid per documentare tutto, avrei dimostrato a tutto il liceo, o meglio a coloro che mi prendevano in giro per questa stupida storia dei fantasmi, che avevo ragione.
Come a confermare ciò, sento la voce di Castiel alle mie spalle.
«Allora, piccoletta, è apparso ancora?» mi domanda, facendomi voltare e mostrandomi quel suo odioso ghigno divertito.
«Ciao anche a te Castiel.» gli dico, con aria scocciata.
«Sul serio ieri sei andata di nuovo in giro per il liceo dopo le lezioni?» dice spegnendo la sigaretta sul muro, per poi sbuffare l'ultima nuvoletta di fumo, e buttarla nel posacenere prima di entrare al liceo.
«Per la cronaca, sì. L'ho visto ancora.» gli rispondo a tono, riferendomi nuovamente alla prima domanda.
«Io ne dubito...» fa lui seguendomi all'interno e iniziando a percorrere con me il corridoio.
«Ok... lo ammetto... Sono scappata a gambe levate prima di aver visto qualcosa, ma ho comunque sentito sentito lo stesso identico rumore dell'altro giorno.»
«Ergo, ti sei fatta paura da sola un'altra volta.» dice lui trattenendo una risata.
«Non è vero! Ricordi queste?» tiro fuori dalla tracolla il pacco di sigarette che ieri ho trovato vicino alle scale.
Facendo questo, qualcosa scivola dal suo interno, qualcosa di cui non mi ero accorta ieri sera, presa dalla foga di scappare.
Mi chino per raccoglierlo, ma lui è più veloce di me e allunga le sue dita sul piccolo pezzo di plastica che riconosco subito, prima ancora che lui gli dia un nome.
«Hey, questo è il mio plettro!» esclama tenendo tra le dita il piccolo triangolo nero dalle venature rosse.
«Il tuo cosa?» domando sgranando gli occhi.
«Non sai cos'è?» mi chiede lui tra lo sconvolto e il divertito.
«So benissimo cos'è un plettro, ma…»
«Non dovresti andare in giro a prendere le cose altrui sai?» mi ammonisce lui, infilandoselo in tasca.
«Innanzi tutto non sapevo nemmeno che fosse qui dentro. - dico mostrando il pacchettino che ho ancora in mano - E poi, l’ho trovato vicino alle scale, quindi…»
Improvvisamente una scintilla mi attraversa il cervello, come quando nei fumetti o nei cartoni animati si accende la lampadina dell’idea e finalmente diventa tutto chiaro. Probabilmente questa mia illuminazione è visibile anche dall’esterno, perché l’aria strafottente e ribelle del rockettaro di fronte a me si corruccia un po’, aggrottando le sopracciglia rosse come i suoi capelli.
«A che stai pensando ragazzina?» mi domanda, e non capisco se è un tono di sfida o di mera curiosità.
«Non è che sei tu l’ombra del liceo e stai facendo tutto questo per spaventarmi o per farmi passare per stupida?» dico con un tono sospetto, mettendo una mano sul fianco, come se ora fossi io a volerlo rimproverare.
Lui scoppia a ridere e per un attimo ho l’impressione che lo faccia perché il suo scherzo ha funzionato, ma poi dà voce ai suoi pensieri e tutte le mie convinzioni s’incrinano.
«Io non so nemmeno di cosa parli. Mi pare di avertelo detto ieri che quel pacchetto di sigarette non è mio. Non so come ci sia finito il mio plettro lì.» si giustifica e, lo ammetto, sembra sincero, ma non lo conosco abbastanza per esserne così sicura.
Sbuffo per l’ennesima volta, scuotendo la testa, rassegnata. In quel preciso istante suona la campanella.
«Accidenti, devo ancora prendere i libri!» impreco scocciata correndo verso l’armadietto.
«Buona giornata, ragazzina!» sento urlarmi da lui, in lontananza.
Arrivata davanti al mio piccolo spazio personale del corridoio, mi volto verso di lui, vedendolo entrare con tutta la sua nonchalance dentro una delle aule, senza libri o qualsiasi altra cose facesse intendere che stia andando a seguire una lezione.

 

 

È ufficiale, sembro una pazza. Una pazza che gira per il liceo, fingendosi un’investigatrice alla stregua di Sherlock Holmes, per provare che non è pazza. Che bel controsenso.
Insomma la gente normale quando suona la campanella dell’intervallo va fuori a prendere un po’ d’aria, chiacchierare con gli amici, mangiare un boccone o fumarsi una sigaretta. Io no, io invece mi dirigo per la milionesima volta verso le scale tentando di cercare l’ennesimo indizio. Come se il mio uomo, o donna, o ombra che sia, vivesse lì ventiquattr’ore su ventiquattro, come una specie di barbone.
Stranamente però trovo quello che cerco. Quasi sgrano gli occhi quando vedo lì, per terra un piccolo quaderno. Mi avvicino, chinandomi e facendo per raccoglierlo.
È un quadernino nero, con una rosa rosso fuoco stampata proprio al centro della copertina. Scorro il dito sulla spirale che ha al dorso, prima di aprirlo e notare gli scarabocchi che ci sono all’interno. Sono parole alla rinfusa, stralci di note, piccoli pentagrammi con pezzi di canzoni.
Tiro un sorriso, finalmente soddisfatta di ciò che ho trovato. Questo è di certo un grosso indizio per scoprire chi è che si aggira di notte nel liceo.
Faccio appena in tempo a infilare il quaderno nella borsa che sento una voce conosciuta che attira la mia attenzione.
«Lo so bene, ma rimane il fatto che non credo sia un dramma così grande se lo scopre.»
Mi volto, vedendo Nathaniel dire quelle parole, quasi sussurrarle, a Castiel. Mi fa quasi strano vederli così vicini, mentre parlano tranquillamente, senza che stiano alzando la voce o siano sul punto di arrivare alle mani.
Appena io mi volto, però, si zittiscono entrambi. Il rosso mi lancia un occhiata scocciata, dando le spalle sia a me che al suo interlocutore, per poi allontanarsi. Lui invece mi saluta con uno dei suoi soliti sorrisi gentili.
Io ricambio appena. Nella mia testa iniziano a ronzare un milione di idee e di domande, prima fra tutti, che quei due mi stanno nascondendo qualcosa e sono quasi sicura che riguardi questo mistero che tanto mi assilla.

 

 

Al contrario dei giorni precedenti, la fine delle lezioni arriva velocemente, allo stesso modo di come velocemente gli studenti del Dolce Amoris abbandonano il liceo, come scappassero anche loro da qualcosa.
Aspetto con calma, come al solito, rifugiandomi, questa volta, in un aula tranquilla. Non ho molto da fare, in fin dei conti ho tutto il weekend per fare i compiti. Passo la maggior parte del tempo sul cellulare, spulciando i post di Facebook e sorridendo a qualche foto che Lety, la mia migliore amica nel vecchio liceo, ha postato negli ultimi giorni. Il resto del tempo lo passo sfogliando il quaderno che ho trovato. Scoprendo che a chiunque appartenga se la cava piuttosto bene con la musica e le note.
Quando inizia a fare buio, decido che è l’ora. 
Esco dall’aula e, dopo aver infilato il cellulare in tasca, afferro la polaroid gialla dalla tracolla e mi dirigo verso le scale. Continuo a ripetermi di non scappare, che devo andare fino in fondo, forse nel tentativo di darmi coraggio, ma nonostante tutto sento il cuore martellarmi in  petto furioso.
Arrivata sul luogo inizio a guardarmi intorno, strizzando gli occhi e assottigliando lo sguardo nella speranza di vedere qualcosa, ma questa volta pare non succedere assolutamente nulla.
Rimango lì per svariati minuti, guardandomi intorno, senza il coraggio di emettere un solo fiato o chiamare quel qualcuno, chiunque egli sia. Le mani ancora strette attorno alla mia macchina fotografica.
All’improvviso, però, sento un rumore, che mi fa quasi saltare in aria dallo spavento. Faccio un grosso respiro. Devo stare calma. Calma. Non devo scappare. Ce la posso fare.
Poco dopo il rumore, ecco che si avvicina l’ombra. Senza pensarci nemmeno un secondo, come fosse un gesto quasi automatico, sollevo la macchinetta gialla all’altezza dei miei occhi e, pur non vedendo nulla scatto una fotografia, sperando non sia sfocata. 
Il lampo del flash illumina la sagoma e nel momento stesso in cui questa protesta per l’abbaglio io scopro chi è.
«Ehi, ma che fai?!» dice portandosi una mano davanti agli occhi.
Spalanco la bocca, sconvolta.
«Ma…» cerco di dire, ma nessun’altra parola mi esce dalla bocca.
Lui si avvicina a me e la luce della luna che entra da una delle finestre lo illumina un po’, confermando quello che ho visto poco prima.
«Maledizione Vanille, mi hai quasi accecato!» protesta di nuovo lui.
«Nathaniel… Cosa ci fai tu qui? Non dirmi che sei tu quello dello scherzo del fantasma?!» domando.
Non è possibile. Insomma lui non farebbe mai uno scherzo del genere. O forse sì? È possibile che ho inquadrato così poco il giovane e perfetto delegato degli studenti? Eppure non mi pareva uno da scherzi infantili come quello.
Lui sospira, smettendo di passarsi le mani sugli occhi, ancora un po’ feriti dal mio flash.
«Non ti farei mai uno scherzo del genere, Vanille. - dice avvicinandosi a me e subito, sento il cuore ricominciare a battermi più velocemente in petto e il sangue salirmi alle guance, il tutto mentre lui prende con due dita il quadratino di carta uscito dalla mia polaroid - Sapevo che non avresti lasciato perdere e che saresti venuta ancora qui pure stasera, perciò sono rimasto qua per spiegarti tutto…» 
Mi lecco le labbra, riponendo la macchina fotografica nella borsa, senza però togliere lo sguardo da lui, che sta scuotendo la foto, in modo da far apparire l’immagine.
«Quindi tu sai che succede?» domando stupita.
«Qui sotto le scale c’è una stanza, come una specie di cantina. Castiel e un suo amico vengono qui per provare, dopo le lezioni. Perciò i rumori che hai sentito in questi giorni, erano loro…» mi spiega tranquillamente lui, porgendomi poi la fotografia.
«Perciò… Suonano qua sotto?»
«Già.»
Prendo il piccolo pezzo di carta, osservandolo. Terrificante. È venuta mossissima, anche avessi voluto provare a qualcuno che c’era qualcosa sotto le scale, da quella foto non si sarebbe visto assolutamente nulla. Forse ero troppo spaventata per tenere la mano ferma.
«Però, - dico rialzando lo sguardo verso di lui, come se improvvisamente mi fossi ricordata di qualcosa - se non sbaglio, esiste il club di musica, no?»
«Sì, ma non sono mica liberi di fare ciò che vogliono.» mi dice con un sorriso divertito lui.
«E tu che ci fai qui? Suoni con loro?»
Nathaniel scuote la testa, smuovendo quei suoi meravigliosi e perfetti capelli biondi.
«No… Io, purtroppo, mi sono ritrovato immischiato nella faccenda quando Castiel ha rubato le chiavi dello scantinato. Visto che se ci beccano puniscono entrambi ho deciso di coprirlo ed è per questo che cercavamo di mantenere il segreto. Tu però non la smettevi di curiosare, perciò ci siamo detti che se ti avremmo messa al corrente saresti stata più tranquilla.»
«Allora era di questo che parlavate oggi in corridoio…» dico, comprendendo finalmente tutto.
«Esatto. Non dirai nulla, vero?» mi chiede, assumendo un’espressione quasi supplichevole a cui non riuscirei a resistere nemmeno se volessi.
«No, certo che no! Perché dovrei…» gli sorrido io, rassicurandolo.
Lui ricambia il gesto. Come al solito il suo sorriso è incredibilmente gentile e riconoscente, davvero ancora non comprendo come possa esistere un ragazzo del genere.
«Vieni, - dice poi, prendendomi un po’ alla sprovvista - ti presento Lysandro!»
Mi fa strada, portandomi verso il sottoscala. Proprio come aveva detto, in un angolo che non avevo notato in quei tre giorni, c’è una porta in metallo, leggermente socchiusa. Scendemmo entrambi un paio di gradini, ritrovandoci in un enorme stanza vuota, tutta cementata. Al centro, seduto su una cassa di legno vi era un ragazzo. 
Non appena ci vide si alzò in piedi, avvicinandosi a noi.
«Ciao, piacere di conoscerti.» mi dice porgendomi la mano.
«Piacere mio…» rispondo, soffermandomi a guardarlo.
È un ragazzo alto e particolarmente bello, con uno stile a dir poco eccentrico. I vestiti in stile vittoriano, che ricordano quasi qualcuno proveniente da un’altra epoca, fanno molto gotic. Esattamente come la particolare acconciatura dei capelli, più corti da un lato e più lunghi dall’altro. Credo che siano neri, ma alla radice sono stati ossigenati e paiono quasi bianchi. Ciò che però mi colpisce di più sono i suoi occhi e a questo punto mi domando se porta le lenti a contatto, oppure è nato così. Il suo occhio sinistro e di un bellissimo verde acqua, mentre quello destro è castano chiaro, molto simile al colore dello sguardo di Nathaniel.
«Io sono Lysandro.» si presenta, con un sorriso gentile e leggermente imbarazzato.
«Vanille.» rispondo velocemente.
«Mi scuso per l’altra sera. Credo di essere stato io a spaventare te e la tua amica.» dice, portandosi una mano dietro la nuca e arrossendo leggermente.
«No, no. Non ti preoccupare. - scuoto le mani davanti a me in segno di negazione - E poi Li non è per niente mia amica.» dico ridendo, cercando di dare un aria spiritosa a quella che non so se sia più una battuta o un insulto nei confronti della cinese.
«Comunque credo che tu abbia qualcosa che mi appartiene.» mi dice, mostrandomi il palmo della mano.
Improvvisamente mi ricordo del quaderno che questa mattina ho trovato vicino alle scale.
Apro la mia tracolla e comincio a rovistarci dentro, finché non lo trovo.
«Le canzoni scritte sopra sono tue?» domando, porgendoglielo.
«Diciamo di sì. Non sono ancora perfette, ma comunque sono sempre qualcosa.» cerca di giustificarsi lui, ma io scuoto subito la testa.
«Sono riuscita a leggere qualcosa questa sera, mentre aspettavo che la scuola si svuotasse. Sono davvero belle!» gli dico entusiasta.
«Grazie. - risponde lui - Beh, ora se non vi dispiace, credo che me ne tornerò a casa. Ci vediamo domani a scuola.»
«Domani è sabato Lys…» lo rimbecca Nathaniel.
«Oh giusto, allora a lunedì.» si corregge lui, uscendo poi dalla porta.
Beh, alla fine dei conti sono piuttosto contenta di aver fatto luce su questa storia, in qualche modo. Poco importa se non potrò raccontare la verità a nessuno, almeno ora so la verità e so di non essere completamente pazza.
Tiro fuori il cellulare dalla tasca dei jeans, osservando l’ora.
«Accidenti, sto facendo tardi! Se non mi sbrigo a rientrare mia madre mi uccide!» esclamo, senza ricordarmi che Nathaniel è ancora a fianco a me.
«Ti accompagno a casa.» mi dice tranquillamente lui, risalendo i due gradini.
«Cosa?! No, non ce n’è bisogno!» tento di dire io, sentendo le guance diventare nuovamente incandescenti, mentre lo seguo.
«Insisto, si sta facendo buio.»
Faccio un sospiro.
«E va bene…»
«Vado a prendere la giacca e la borsa in sala delegati e torno.» mi dice, per poi chiudere a chiave la porta in metallo e allontanarsi con passo svelto.
Io invece con tutta calma comincio a percorrere il corridoio. Poco dopo lui mi raggiunge di nuovo.

 

Per tutto il tragitto fino a casa mia abbiamo chiacchierato, praticamente mano nella mano. Il mio imbarazzo era completamente sparito. Abbiamo discusso di questo nuovo piccolo segreto tra di noi, ridendo del fatto che sarebbe stato divertente se il resto della scuola fosse davvero convinto dell’esistenza di un fantasma nel liceo.
Non so con esattezza cosa significhi per lui il fatto che mi tenga la mano, forse è solo una questione di gentilezza. Sta di fatto che io lo trovo un gesto estremamente dolce, tanto che ora che siamo arrivati a casa, quasi mi dispiace che sia finito questo nostro momento.
Chissà, se ci sarà un’altra occasione per stare così vicina a lui in questo modo.

 

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Capitolo 18
*** Alla ricerca dello scoop ***


Alla ricerca dello scoop
 

È davvero strano come funziona la psiche umana. Mi è bastato scoprire la verità sul “fantasma della scuola” e fare una passeggiata con Nathaniel, per sentirmi di nuovo carica e piena di energie.
Oggi finalmente sto rientrando a scuola con la voglia di andarci e non trascinando i piedi a forza. Faccio il mio ingresso rilassata, quasi tronfia, sicura che niente e nessuno potrà togliermi il sorriso dalla faccia.
Controllo l’orologio che ho al polso, sono anche leggermente in anticipo. Ho un po’ di tempo prima dell’inizio delle lezioni, perciò faccio tutto con molta calma.
Mentre apro l’armadietto noto Lysandro, dall’altro lato del corridoio, anche lui intento a cercare i suoi libri.
Qualcosa però m’interrompe dai miei gesti abituali. Una voce.
«Ehi ciao! Tu sei Vanille, giusto? Io sono Peggy, mi occupo del giornale del liceo.» dice tutto d’un fiato.
È una ragazza poco più bassa di me, coi corti capelli scuri e due furbi e magnetici occhi blu, che hanno tutta l’aria di scovare ogni notizia, proprio come una vera giornalista.
«C-ciao…» le rispondo io un po’ presa alla sprovvista.
«Chiacchiere a parte, si dice che tu abbia visto un fantasma al liceo di notte, e che hai pure fatto un’indagine tu stessa a riguardo… Puoi darmi qualche dettaglio in più?» dice, tirando fuori il suo cellulare e facendomi notare che c’è il microfono delle memo vocali attivo.
Io corrugo la fronte, quasi sconvolta. Siamo davvero arrivati già a questo punto. Appena un mese di liceo e sono diventata la notizia succulenta per il giornale della scuola, fantastico.
«Non ho capito cosa vorresti sapere…» risposi, cercando così di prendere tempo e trovare una scusa plausibile per non dire la verità sui complotti notturni di quei tre.
«Hai scoperto qualcosa? - domanda ancora lei - Sai cosa succede qui al liceo di notte?»
Alla fine opto per passare io stessa per la credulona ingenua che fa tante storie per un fantasma che non esiste. Come ho detto, non m’importa cosa pensano gli altri di me se questo mi dà problemi solo con certe persone. L’importante è che io abbia chiarito la situazione ed è esattamente quello che ho fatto venerdì sera. Non intendo assolutamente venire meno alla promessa che ho fatto a Nathaniel.
«No, no, niente… - rispondo - Ho inseguito solo una mia fissa, ma sono solo voci e non c’è assolutamente nulla di strano qui, la notte.»
La mia capacità a recitare è a dir poco formidabile. Anni di pratica a nascondere note e brutti voti ai miei genitori. Ormai la mia faccia da bronzo è imperturbabile, solo chi mi conosce davvero può vedere oltre queste mie maschere.
«Sei sicura? - insiste lei - Spero che tu non nasconda niente, perché tanto un giorno o l’altro lo scoprirei, ti avverto!» mi minaccia lei.
«No, ti giuro che…»
Non riesco a concludere la frase. Tra tutto il vociare leggero di chi è ancora per il corridoio della scuola, la voce della preside, sovrasta tutto. Ha assunto di nuovo quel tono isterico di quando è furiosa e proviene dalla sala delegati. Il mio primo pensiero va a Nathaniel. 
La ragazza che stava parlando con me, scatta verso la porta che dà proprio sull’ufficio. Figuriamoci se si fa sfuggire lo scoop. Così ora alla lista di elementi cliché della scuola posso anche aggiungere la giornalista impicciona.
Faccio un sospiro, chiudendo l’armadietto e decidendo di farmi i fatti miei. Se sul serio la preside ce l’ha con Nathaniel, è meglio non intervenire per poi magari peggiorare la situazione. Se poi avrà bisogno del mio supporto, allora sarò lieta di darglielo.
Non ho però il tempo di ignorare completamente la situazione, perché proprio quando chiudo l’armadietto, nel momento in cui decido di dirigermi in aula, visto che Lysandro sembra sparito, la preside esce furiosa come non mai della sala, battendo i tacchi violentemente contro il pavimento.
«Signorina Lavié, non stia lì a origliare e vada in classe!» sbraita contro Peggy, mentre anche Nathaniel esce dalla stanza.
I nostri sguardi s’incrociano e immediatamente il suo s’incupisce, per poi avvicinarsi a me con aria afflitta.
«Immagino che tu abbia sentito tutto…» mi dice, con una voce ancora più demoralizzata del suo viso.
Mai lo avevo sentito così abbattuto, deve essere davvero una cosa terribile per lui, sempre perfetto e impeccabile, farsi sgridare a quel modo dalla preside.
Di nuovo decido di mentire. Come ho già detto, se vuole parlarmene lo deve fare lui di persona. Nonostante sia sempre stata una ragazza molto curiosa, non voglio impicciarmi dei suoi problemi, non ancora per lo meno.
«Beh diciamo che qualcosa si sentiva, ma con tutto il caos del corridoio era una voce come un’altra. Però devo dire che veder uscire la preside furiosa in quel modo non mi stupisce. Credo di averla vista tranquilla solo i giorno del mio arrivo qui.» concludo con una battuta, sperando ti tirare un leggero sorriso sul suo volto.
Lui, però, sospira solamente, passandosi una mano tra i capelli biondi.
«Qualcuno ha rubato dei documenti dalla sala dei professori.» dice, sempre con quella voce afflitta e quasi esasperata.
«Chi è stato?» domando allora, capendo finalmente il perché di tutto quel caos.
«Non lo so! Ma la sala professori è sempre chiusa a chiave ed io sono il solo studente ad averne una copia. - rimango zitta, mentre lui fa un altro sospiro e ricomincia a parlare - La mia copia è sparita e la preside pensa che io abbia qualcosa a che fare con questa storia.»
«Beh è comprensibile. Anche se sono più che sicura che tu non c’entri nulla.» gli sorrido di nuovo.
«Vorrei che la preside avesse la stessa fiducia che hai tu in me. - dice ricambiando il gesto, ma è chiaro che è un sorriso forzato, dovuto più dalla riconoscenza - Il fatto è che se non risolvo le cose in fretta, rischio di farmi espellere… Non so proprio che fare…» la sua voce diventa improvvisamente nervosa e agitata.
Davvero, non l’ho mai visto così. Dà quasi l’impressione di uno che sta per avere un attacco di panico. Gli poggio una mano sulla spalla, tentando di calmarlo.
«Tranquillo. - comincio - Se vuoi posso provare ad aiutarti. Possiamo andare in sala professori? Magari lì troviamo qualcosa, un indizio o qualcosa lasciato da chi vi è entrato.»
Lui però scuote la testa, afflitto.
«Te l’ho detto, non ho più la chiave. Non ho più il permesso di metterci piede finché la storia non sarà risolta.» mi risponde, tirando poi in dentro le labbra, forse nel tentativo di pensare a cosa potesse fare per risolvere la situazione.
«Ok, troveremo un idea alternativa.» gli dico facendogli l’occhiolino.
Proprio in quel momento la campanella dell’inizio delle lezioni incomincia a trillare, decretando la fine di quella discussione.
«Ora però vai a lezione Vanille, grazie comunque di tutto.» mi dice con un altro sorriso tirato, anche se stavolta più sincero.
Lo saluto con la mano, dirigendomi nell’aula dove avrò la lezione di matematica, come ogni lunedì. Mentre varco la soglia ripenso a Nathaniel. Poverino, è decisamente abbattuto per questa storia, ma in fin dei conti è normale. Lui ci tiene molto al suo lavoro da delegato e lo prende con molta responsabilità. 
«Ehi, hai sentito?! - mi corre dietro Peggy - Il segretario rischia il posto! Sarebbe un buon titolo! Sono impaziente di saperne di più!» esclama tutta entusiasta.
Improvvisamente mi sento ribollire dalla rabbia. Ecco perché, anche nel vecchio liceo odiavo il giornalino della scuola. La redazione è sempre formata da una massa di stalker, impiccioni, ipocriti e avvoltoi che sperano nel grande scoop senza pensare alle conseguenze delle loro azioni e dei loro stramaledetti articoli.
«Cosa cavolo stai dicendo?! - le rispondo a tono - Prova a pensare un attimo a come si sente lui adesso…»
Lei alza le spalle, come se avessi detto una cosa banalissima e scontata, qualcosa che probabilmente gli hanno ripetuto altre decine di ragazzi e a cui lei si è abituata.
«Il giornalismo è così, lo scoop va scritto sul momento.»
Non le rispondo nemmeno e, fumante di rabbia, mi vado a sedere al mio posto.

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Capitolo 19
*** Nuove conoscenze ***


Nuove conoscenze
 

Prendo un grosso respiro, devo assolutamente calmarmi, se non lo faccio mi sarà impossibile trovare una soluzione per aiutare Nathaniel, ma poi perché lo voglio aiutare? In fin dei conti è capace di cavarsela tranquillamente da solo, uno come lui sono sicura ne uscirà in un battito di ciglia. 
Sono talmente sommersa nei miei pensieri, che la voce improvvisa della ragazza che si appena seduta accanto a me, quasi mi spaventa.
«Ehi, ciao! Non ci conosciamo, vero? Sbaglio o sei la piccoletta che è arrivata qualche settimana fa?» domanda, scrutandomi coi suoi occhi verde smeraldo.
«Ehm... sì - comincio a dire presa alla sprovvista - Sono Vanille.»
Ora che ci penso, mi pare di aver già notato quella ragazza in qualche lezione: di solito se ne sta al fondo della classe coi piedi sul banco a dormire, col suo cappellino calato sul viso.
«Io sono Kim! - si presenta lei con un cenno di saluto - scusa se sono venuta qua, ma qualcuno mi ha fregato il posto.» aggiunge, mi volto subito dietro di me, ed effettivamente al fondo c’è una coppia di ragazzi che chiacchierano in attesa che arrivi il professore.
«Nessun problema.» rispondo con un sorriso.
Forse sarebbe proprio il caso che mi faccia qualche nuova amica oltre ad Iris, passo davvero troppo tempo con i ragazzi di questo liceo. Kim non sembra male: il suo modo sgargiante e casual di vestirsi, la sua pelle scura e i suoi atteggiamenti da ribelle, la rendono decisamente figa ai miei occhi; è il tipico maschiaccio che vorresti come amica, un po’ com’era Vicky al mio vecchio liceo e con lei andavo decisamente d’accordo.
«Allora? Che mi racconti? Come ti trovi qui al liceo?» domanda, non curandosi affatto del professore che è appena entrato nell’aula.
Lancio un’occhiata verso la cattedra, notando che è l’insegnante a cui ho fatto da cicerone la settimana scorsa; mi ero completamente dimenticata che era sua la lezione, nonostante avessi preso dall’armadietto i libri necessari.
«Beh, diciamo che è sicuramente una scuola parecchio movimentata.» scherzo, prendendo il quaderno, pronta a seguire la lezione.
«Se lo dici tu... A parte il botolo peloso della preside che corre in giro a me sembra sempre il solito noioso liceo...» sbuffò la corvina, poggiando i piedi sopra al banco e calandosi di nuovo il cappellino sul viso.
Scuoto la testa, concentrandomi sulla lezione; ho capito che se voglio farmi amica una come lei, la devo prendere in un momento in cui siamo fuori dalla classe, ma prima ancora che possa bloccare la mia lingua, le porgo l’ultima domanda a bassa voce.
«Senti, per caso hai visto una chiave in giro, è sparita quella della sala professori e...» non mi diede il tempo di finire che rispose, non prima di aver sbuffato, come se l’avessi disturbata.
«Mi spiace piccoletta, non ho visto nessuna chiave. Ora però lasciami dormire.»
Con un sospiro, riporto la mia attenzione al professore, decisa a concentrarmi sulla lezione, prima di pensare nuovamente a come trovare la chiave ed aiutare così Nathaniel.

 

Non appena la lezione finisce comincio a sistemare tutto, mentre Kim di fianco a me si tira su con una velocità disarmante, come se non avesse affatto dormito tutta l’ora.
«Alla prossima piccoletta...» dice, facendo un cenno con la mano e allontanandosi.
Aggrotto le sopracciglia, non capisco proprio perché continua a chiamarmi in quel modo; insomma se lo fa Castiel che è decisamente più alto e grosso di me è un conto, ma lei: non sono così piccola in confronto a lei.
Mi alzo dalla sedia, scuotendo appena la testa e accennando un leggero sorriso, di certo in questo liceo non mancano i personaggi. Proprio mentre penso a questo il mio sguardo cade poco più avanti alla porta che dà sul corridoio, facendomi notare la figura slanciata di Lysandro che esce dall’aula. Lo raggiungo, con passo svelto, non so perché ma improvvisamente mi è venuta voglia di parlare con lui.
«Ciao Lysandro!» lo saluto, facendolo voltare.
«Ehi!» risponde lui sbrigativo, non sembra un tono annoiato, ma più che altro come se non fosse molto loquace, ed effettivamente mi aveva dato la stessa impressione venerdì sera.
«Ci siamo visti l’altra sera, ricordi? Sai la storia del fantasma e tutto il resto...» dico, con un tono leggermente imbarazzato sull’ultima frase, forse potevo anche evitare di specificare che più di una volta l’avevo scambiato per uno spettro.
«Ricordo... - mi dice, finalmente con un sorriso, mentre entrami usciamo dalla classe e ci dirigiamo verso gli armadietti che, fortuna vuole, sembrano essere dallo stesso lato - Vanille, giusto?» domanda, facendo un cenno con il dito per indicarmi.
«Esatto.» rispondo io, ricambiando il sorriso.
Improvvisamente ci zittiamo, come se non avessimo null’altro da dirci, ma in realtà ho un milione di domande che vorrei porgli, una più invadente dell’altra. Almeno su qualcosa però devo soddisfare la mia curiosità, è più forte di me.
«Allora tu e Castiel siete buoni amici?» chiedo, pentendomene subito dopo e tirando in dentro le labbra.
«Ci siamo conosciuti qui al liceo un anno fa, ma direi di sì. Ti interessa Castiel?» mi domanda, sollevando il sopracciglio.
«Cosa?! - domando imbarazzata, sperando con tutta me stessa di non essere arrossita in nessun modo - Ma figurati, non m’interesserei mai a quel pallone gonfiato!» esclamo.
«Chi sarebbe il pallone gonfiato?» chiede una voce dietro di noi e nel riconoscere il suo timbro percepisco un brivido lungo la schiena.
«Nessuno.» dico sbrigativa, allontanandomi dai due e dirigendomi verso il mio armadietto.
Arrivata a destinazione faccio per aprire l’anta quando sento il chiaro rumore di qualcuno che ruota la manopola del codice e dopo sbuffa. Socchiudo il mio armadietto, osservando la persona di fianco a me.
«Tu sei la ragazza che disegna in classe!» dico, forse con un po’ troppo entusiasmo.
La ragazza si volta verso di me, guardandomi stralunata: i suoi occhi di un grigio intenso sembrano confusi.
«Mi chiamo Vanille, facciamo il corso di letteratura assieme.» le spiego, chiarendole il motivo per cui la conosco.
«Mi chiamo Violet» risponde lei abbassando lo sguardo e portandosi una ciocca di capelli, tinti di un acceso color viola, dietro l’orecchio, evidentemente imbarazzata.
Mi sorprendo a pensare che sia un classico trovare l’artista timida e introversa. Questo liceo è pieno di maledetti cliché, ma in fin dei conti è meglio così, almeno non riserva troppe sorprese.
«Ti ho visto disegnare durante le lezioni, sei parecchio brava!» mi complimento, sperando di metterla un po’ più a suo agio.
«Grazie. - sorride lei, dopodiché la vedo tirare indietro le labbra, come fosse indecisa sul chiedermi qualcosa - Mi potresti aiutare con l’armadietto? È difettoso e alcune volte non prende bene l’ultimo numero della combinazione.»
«Certo, se non ti crea problemi dirmi la combinazione, posso provarci.» mi offro, avvicinando la mano alla manopola.
Lei mi sussurra a bassa voce il codice e dopo un paio di tentativi riesco ad apriglielo.
«Grazie, sei stata molto gentile.» mi dice lei, tirando nuovamente le labbra in un timido e leggero sorriso.
«Ma figurati, per così poco. - le rispondo - A proposito di cose da aprire, per caso hai visto una chiave in giro?»
Lei storce la bocca, ma poi scuote la testa: «No, mi spiace, non ci ho fatto caso...»
Alzo le spalle, rassegnata, e dopo aver emesso un sospiro, chiudo il mio armadietto.
«Grazie lo stesso. Alla prossima Violet.» la saluto, per poi allontanarmi sentendo appena la sua vocina ricambiare.
Forse devo smetterla di cercare la chiave in questo modo, dubito che otterrò qualcosa continuando a chiedere in giro; in fondo è anche possibile che chiunque l’abbia presa poi l’abbia nascosta, o addirittura persa; ma che altra strategia posso usare per aiutare Nathaniel?
Emetto un’altro sbuffo, dirigendomi verso l’aula della lezione successiva. Proprio sulla soglia c’è una ragazza parecchio minuta; per la sua altezza mi ricorda subito Lety, ma i suoi vestiti da principessina di casa e il suo atteggiamento da smorfiosetta, mentre parla con un’altra studentessa dentro l’aula, mi fanno capire che è completamente diversa da lei.
«Scusa, dovrei passare.» dico gentilmente, non voglio assolutamente farmi altre nemiche a questo liceo, Ambra e le sue seguaci mi bastano e avanzano.
La ragazzina si volta verso di me, mentre un sorrisino ironico le si dipinge in viso.
«E tu saresti?» domanda con un tono stucchevole e maledettamente odioso.
Mi mordo subito la lingua, sapendo che la mia risposta istintiva sarebbe stata alquanto piccata e forse anche cattiva; dopodiché mi rivolgo a lei con tono normale, come non mi fossi accorta che mi ha appena presa in giro.
«Vanille, molto piacere.»
«Karla... - risponde lei, ma non mi dà nemmeno il tempo di controbattere che subito riprende a parlare - Ah, aspetta, Vanille hai detto? Allora sei tu... Ambra mi ha già parlato di te...»
Impallidisco, o almeno sono sicura di averlo fatto perché percepisco perfettamente i sudori freddi lungo la schiena. Questa non me l’aspettavo proprio: perché una come Ambra dovrebbe parlare con una ragazzetta figlia di papà e con l’aria da perfettina? Forse non è così, forse è lei che le va dietro per ammirazione ed Ambra per tenerla buona le racconta qualche gossip, anche se non la considera al livello delle sue ancelle. 
Però che cavolo, doveva raccontarle proprio di me. Scuoto la testa, pensando che molto probabilmente in queste tre settimane Ambra abbia parlato di me a tutto il liceo.
Decido di fregarmene, non m’interessa affatto delle chiacchiere che girano su di me, posso anche essere la nuova arrivata, ma non sono una stupida.
«Bene, sono contenta... Ora potresti farmi passare?» dico, con un tono forse un po’ troppo scocciato. Lei però sembra non offendersi affatto, anzi alza le sopracciglia come a chiedermi se faccio sul serio, dopodiché si sposta dall’uscio della porta, permettendomi di entrare.
Noto Iris che mi fa segno da uno dei banchi sul lato destro dell’aula e la raggiungo, sedendomi di fianco a lei.
«Come mai parlavi con Karla?» mi chiede.
«Nulla... A quanto pare Ambra le ha raccontato di me.» le spiego, tirando fuori il libro e il quaderno per la lezione.
«Ah, non ti preoccupare, Karla è il cagnolino di Ambra, ma non è capace a mordere.» mi dice con una mezza risata, come se avesse tentato di fare una battuta non sapendo se fosse divertente.
Le sorrido di ricambio, leggermente divertita: forse più dal suo comportamento che dalla battuta in sé.
«Comunque, cambiando discorso... - attacca, abbassando leggermente il tono di voce e costringendomi ad avvicinarmi di più a lei - Ho notato che la preside è furiosa negli ultimi tempi, insomma più del solito...»
«Non me ne parlare. Adesso ce l’ha con Nathaniel perché è sparita la sua copia delle chiavi della sala professori.» sospiro, poggiando il mento sulla mano e fissando la lavagna completamente nera.
«Accidenti davvero? - domanda lei, leggermente stupita, mentre le rispondo con un leggero cenno di testa - Beh tranquilla, Nathaniel se la saprà sicuramente cavare, lui è bravo in queste cose.» tenta di rassicurarmi.
«Sì ma vorrei aiutarlo, solo non so come. Insomma, cercare una chiave in un’intero liceo è come cercare un ago in un pagliaio.» sbuffo.
Non abbiamo il tempo di dire altro, perché la professoressa sta entrando proprio ora nell’aula ed entrambe, come quasi tutto il resto della classe, ci zittiamo.

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