Diario di una fuori sede

di Theautumncolours
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 06/04/18 ***
Capitolo 2: *** 11/04/18 ***
Capitolo 3: *** 13/04/18 ***
Capitolo 4: *** 16/04/18 ***
Capitolo 5: *** 18/04/18 ***
Capitolo 6: *** 23/04/18 ***
Capitolo 7: *** 27/04/18 ***



Capitolo 1
*** 06/04/18 ***


06/04/18

La lezione di sociologia è terminata. Scambio un cenno con Michelle. Sono due settimane che ci conosciamo ormai e credo si sia costruita sin da subito un’intesa micidiale. Non posso fare a meno di restare ad osservarla, so perfettamente chi mi ricorda ma non potrà e non dovrà mai saperlo. Non pretendo che sostituisca del tutto quel chiodo fisso che ho in testa. Ora sto bene, mi distrae e ne avevo assolutamente bisogno. Voglio godermi tutti questi momenti.
Le giornate lentamente si allungano. Portano con sé un misto di tranquillità, spensieratezza e quiete. Io e la meteoropatia viviamo in simbiosi.
Sistemo i fogli nello zaino e  con la coda dell’occhio noto che Michelle mi sta aspettando sotto la porta. La raggiungo, le rivolgo un sorriso stanco e ci dirigiamo con calma verso le scale che portano fuori.
-“Ti piace sociologia?”- le chiedo, con il mio solito accento ironico. Lei accenna debolmente ad una risata, poi mi osserva, inarca appena le sopracciglia e con un velo di sfacciataggine nel volto senza pensarci troppo risponde: -“Tantissimo. E a te?”-
-“Ehi, guarda che lo noto che sei totalmente presa dal discorso, alcune mattine. Comunque, a parte gli scherzi, a me piace molto. Voglio dire, lei è brava, ti sa prendere. Soprattutto oggi, mentre parlava della devianza.”-
-“Sì, hai ragione, però svariate mattine mi cala il sonno, è più forte di me.”-
-“Quanto sei problematica, Mich!”- aggiunsi infine, schioccandole due baci sulle guance.
 
 
Il sole finalmente ha trovato il posto per riscaldare e rasserenare le mattine.
Credo che la persona seduta sulla panchina nella direzione opposta alla mia abbia qualcosa che ci accomuni.
Non è la semplice routine mattutina che ci porta all’ università. È qualcosa di più.
Credo di avere un potere che talvolta mi destabilizza parecchio. Penso ed osservo, troppo. Anche contemporaneamente, soprattutto direi. Tendo a sopravvalutarmi da questo punto di vista e la persona in questione vorrei che lo capisse.
 Ora sono fermamente convinta che abbiamo qualcosa in comune. È qualcosa di sottile e delicato, riesco a percepirlo. Rifletto. Potrebbe essere la personalità della mente? Sì. Deduco sia una persona piuttosto scostante. Inizialmente questo mi infastidiva ma allo stesso tempo mi intrigava. Successivamente ho capito che anch’io sono così. Proprio per questo motivo mi infastidiva. Non riuscivo ad accettare il fatto che ci fosse una persona tale e quale a me nel raggio di pochi metri. Manifestavo il mio disappunto su questo lato del suo carattere semplicemente ammettendolo tramite un ghigno che lasciava sospesa la mia osservazione. Sono arrivata al punto in cui son diventata gelosa persino del mio carattere.
Questa persona molto probabilmente non avrà neppure sprecato un secondo in più per produrre un’osservazione nei miei confronti perché in questo momento son già 20 minuti che è immersa in un libro. Un altro fattore che ci accomuna. Certo, voi penserete prontamente che chiunque, nel contesto di un’attesa, possa mettersi a leggere. Ma non diamolo molto per scontato. La lettura deve esser goduta fino in fondo. Deve saper essere compresa, ascoltata, valutata, criticata, elogiata.
Guardo ancora una volta l’orologio. Noto che non ho più tempo per dimostrare sia a voi che a me stessa che questa persona possa nutrire dei sentimenti verso la lettura. Non ha distolto lo sguardo neanche una volta. Non ho più tempo. Nel contempo constato che anche la persona in questione si accorge d’esser in ritardo per prendere il pullman. Si alza. Seguo i suoi passi con lo sguardo. Fuma una sigaretta con disinvoltura, come se volesse attribuirle un significato quasi gentile. È tempo che vada anch’io. Quella persona è la mia docente di sociologia.

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Capitolo 2
*** 11/04/18 ***


11/04/18

 Scrivo solo quando esce il sole. È la fonte principale di ispirazione delle mie lunghe mattine da fuori sede. La gente spesso mi chiede sorpresa perché mi ostini a scrivere. Una risposta c’è: scrivo per non dimenticare. Voglio che rimanga scritto ogni minimo particolare che mi abbia colpito durante la giornata. Ho paura di dimenticare qualsiasi piccolezza che potrei definire superflua in quel momento, presa dalla situazione, ma che a lungo andare, è capace di lasciarmi un piccolo sorriso o un piccolo tormento.
Starei ore su questa panchina a godermi la brezza che mi carezza il viso o il sole primaverile che illumina Taranto, baciata dal mare.
Questa mattina la lezione di sociologia è stata piuttosto pesante. Continuavo a guardare fuori dalla finestra cercando di memorizzare ciò che la docente stesse cecando di dirci ma mi distraevo in continuazione. La guardavo negli occhi e notavo quanta enfasi e quanta passione ci metteva nel suo lavoro. Mi sentivo in colpa perché non riuscivo a prestarle abbastanza attenzione. Ho questa abitudine di guardare dritto negli occhi delle persone mentre mi parlano. Non credo si sentano tutte quante a loro agio mentre lo faccio difatti parecchie tendono a distogliere lo sguardo, spezzando quella sintonia singolare. Però mi piace cercare di catturare ogni emozione che traspare e di conseguenza mi pongo il dubbio se anche chi ho di fronte tenta di far lo stesso. Alcune persone invece lasciano cadere, seppur per un secondo, lo sguardo verso le labbra ma poi, colte dall’imbarazzo lo ritirano senza indugio e cercano di concentrarsi di nuovo sul discorso in atto, perdendo quasi del tutto il filo del discorso.
Nei minuti finali della lezione io e Michelle chiacchieravamo fittamente su quale fosse il giorno migliore per saltare le lezioni quando, in sottofondo, sentii all’improvviso il mio nome pronunciato da alcuni compagni e vedo la professoressa dirigersi piano verso di noi. Alzo il viso prima verso gli altri, poi verso di lei.
-“Cosa mi sono persa?”-, domando gentilmente mentre abbozzo un sorriso incerto.
-“Scrivi qualcosa anche tu su un foglio, esclusivamente in corsivo.”-, ribatte lei, ricambiando un cenno simpatico. In un primo momento non riuscivo a cogliere la sua richiesta, poi mi girai un’altra volta verso gli altri. Mi guardavano, trepidanti d’attesa. Nel frattempo anche Michelle mi guardava con un’espressione interrogativa. Prendo un foglio a caso dagli appunti e vi scrivo sopra la prima cosa che mi passava per la testa. “Buongiorno, fuori oggi c’è il sole”. Cedo il foglio alla prof e attendo curiosamente una sua reazione. Prende il foglio fra le mani e inizia a guardarlo attentamente, come se volesse attestargli un significato profondo. E così fu. Sollevò uno sguardo serio e inespressivo verso di me ed iniziò ad attribuire un significato diverso ad ogni lettera di quella frase.
Esordì: -“La lettera B, che hai scritto all’inizio in maiuscolo con una forma tonda e precisa, vuol dire che hai un bel rapporto in famiglia, autoritario ma stretto e sereno.”- ed era esattamente così. Poi continuò, ma cambiò espressione, quasi turbata. –“La lettera ‘g’ non mi piace, non mi dice nulla di buono. Le hai lasciate entrambe aperte.”- mi scrutò nuovamente. Questa volta notai una nota di dolcezza nei suoi occhi. Forse si aspettava una risposta da me su quanto mi aveva appena accennato. Esitò un secondo, poi continuò. –“La lettera ‘g’ aperta vuol dire che hai lasciato qualcosa in sospeso con qualcuno, cerca di aggiustarla.”
Mi aveva sconvolto. Non so se sia stata tutta fortuna, non so se abbia detto due parole a caso che le venivano in quell’istante o se davvero quella donna ci sapesse fare con la mente delle persone. Fatto sta che ha centrato perfettamente il segno, il mio punto debole. Per me era qualcosa di estremamente importante ma in quella situazione non era proprio nelle mie intenzioni scavare a fondo nei miei ricordi passati. Perciò assecondai le battutine dei miei compagni, cercando di placare la loro effervescenza.

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Capitolo 3
*** 13/04/18 ***


13/04/18
 
Inutile precisare che scrivo mentre il sole picchia sulla mia testa. È una sensazione strana, come se mi abbracciasse, ma con leggerezza. Nulla da togliere al presupposto che possa farmi male da un momento all’altro. Questo meraviglioso sole d’Aprile.
Lo ammetto, inizialmente non avevo tanta voglia di aggiornare questo diario. Avevo e ho ancora tutt’ora la mente occupata da qualcos’altro, anzi, dal nulla totale. Cercherò di spiegarmi meglio. Alcuni giorni mi sento come se fossi racchiusa in una bolla, come se fossi semplicemente un soggetto osservatore che cerca di interpretare la scena. Una sensazione non bellissima. Sei talmente preso\a dalla scena che ti fai coinvolgere, non essendone partecipante. Quindi, come se fossi racchiuso in una bolla. Sta a te scegliere se essere invisibile o meno.
 
Poco è accaduto questa mattina durante le lezioni. Michelle era totalmente presa dal cellulare che ho spostato istintivamente la mia attenzione su Michele. Michele è un ragazzo di cui ho scoperto esser attratta in maniera parziale e bizzarra. A giorni. È un tipo molto alto, se la tira parecchio, consapevole del suo atteggiamento da spavaldo e a me sta sulle scatole ma allo stesso tempo intriga parecchio. Ha i capelli scuri, folti, a tratti rosso ruggine, una lieve barba incolta e degli occhiali da vista. Indossa sempre un berretto e degli stivali neri.
Ovviamente, data l’accurata descrizione, non ho perso l’occasione per studiarlo meglio da vicino. Durante l’ora di sociologia si sposta sempre nella fila davanti a quella mia. Non lo capisco, anche lui sembra dannatamente scostante in alcuni momenti però a volte mi rivolge un sorriso all’apparenza sincero capace di farmi dimenticare tutti i dettagli associatogli. Giunta l’ora della pausa io e Michelle siamo scese a prender una boccata d’aria e lui era già scomparso dalla classe.
-“Andiamo a prendere un pezzo di focaccia?”-, mi chiede Michelle distogliendomi completamente dai miei pensieri. Acconsentii, continuando a guardarmi intorno con discrezione. Arrivate sulla via del panificio lo scorgo in lontananza. Strizzai gli occhi, chiedendomi se fosse davvero lui che ci veniva incontro a grandi falcate.
-“Oh, Mich!”-esclamai, controllando il mio tono. Nessuna risposta.
-“Michelle! Guarda chi c’è lì davanti!”-, le dissi piano cercando di mascherare l’eccitazione. A quel punto sbottai, le diedi una leggera gomitata e finalmente staccò gli occhi dal cellulare. Mi aveva sentita, ma in parte. Distrattamente mi guardò, corrugò appena la fronte con gli occhi ancora assonati e mi rispose: –“Dove? Chi hai visto?”- la guardai di traverso, ero sul punto di ribattere quando mi anticipò, con fare ironico:
-“Oddio ma è Michele quello! Che ci fa lì?”-
-“Ah, ma buongiorno! Stavi parlando con Fabio, vero?”-
-“Sì”- ammise infine, emanando un lungo sospiro.
A quel punto Michele era quasi vicino a noi, si guardava intorno, sembrava sereno e senza pensieri, poi con fare sorpreso si accorse di noi due e si lasciò scappare ancora uno dei suoi sorrisi accompagnandolo da un breve ma timido “ciao!”. Io e Michelle ci voltammo subito l’una verso l’altra e, come due bambine, scoppiammo a ridere.

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Capitolo 4
*** 16/04/18 ***


16/04/18
 
È strano il tempo questa mattina. Il sole lascia il posto alla nebbia, e viceversa. Pare stiano giocando a nascondino. Tuttavia, han ceduto entrambi il posto a qualche frammento di nuvola soffice.
È lunedì. Io e Michelle abbiamo scelto il giorno ‘migliore’ per saltare l’università, nonostante il nostro obiettivo sia passare l’intera mattinata a studiare in biblioteca. Il treno stamattina pullula di gente con troppa voglia di chiacchierare. Cerco di dissociarmi dalle voci estranee guardando fuori dal finestrino. Viaggiare sulle coste pugliesi è come viaggiare seguendo sempre il sentiero verso casa. Lunghe distese di campagne di ulivi si susseguono fra loro, talvolta lasciando qualche spiraglio verso il mare. Si percepisce un clima particolarmente primaverile e di conseguenza sembra che i fiori germoglino persino dentro di me.
Sposto lo sguardo verso il display del mio cellulare, lo afferro e decido di lasciare qualche messaggio di ‘buongiorno’. La prima a rispondermi è proprio Michelle, dalla quale proviene subito una chiamata.
-“Buongiorno, amica mia”-
-“Ehi, buongiorno”- mormoro appena, con un tono ancora stropicciato dal sonno.
-“Dove sei?”-
-“Sono ancora in treno, dovrei arrivare a momenti.”-
-“Ti vengo a prendere io dalla stazione, se vuoi”-
-“Beh.. se non è un fastidio per te accetto volentieri”-
-“Arrivo tra 5 minuti.”-
-“Perfetto, a dopo”- concludo, tirando un lungo sospiro di sollievo. Odio prendere il pullman di lunedì mattina, tutti perdono la cognizione dell’esistenza. E’ imbarazzante.
Mi guardo qualche secondo intorno, poi automaticamente la voce elettronica del convoglio annuncia il mio arrivo a Taranto.
Scendo dal treno, mi avvio verso l’uscita e scorgo in lontananza Michelle che mi attende in macchina. Indossa i suoi soliti occhiali da sole. Più che proteggersi dal sole pare che voglia proteggersi dalla gente; mentre penso a questa cosa mi lascio sfuggire una mezza risata e salgo sulla sua auto.
-“Ehilà, buongiorno”- esclamo, con fare piuttosto raggiante.
-“Amica mia! Wow, non ti avevo mai vista con gli occhiali da vista, che carina!”-
-“Oh, grazie, li ho messi solo perché dobbiamo affrontare una giornata impegnativa.”-
-“Giusto, giusto. Non ne parliamo. Fammi controllare il navigatore, a proposito.”-
Mette in moto, mi volto verso di lei con fare curioso. Ha un’aria divertita e naturale. I raggi del sole fanno risplendere ancor di più la sua lunga chioma bionda e liscia. Mi ricorda troppo quella persona con la quale in passato non ho chiuso bene i rapporti. Elisabetta, la prof di sociologia, aveva ragione.
-“Ieri mi sono bruciata con la piastra, lo sai? Guarda qui”-, non faccio in tempo a rispondere che aggiunge:-“Devo raccontarti troppe cose che sono successe ieri. Che musica posso farti ascoltare nel frattempo?”-. Lei è così. È capace di passare da un discorso all’altro senza accorgersene e senza darti il tempo di rispondere. Ma non lo faceva apposta, è proprio il suo carattere. Cerca di colmare i miei piccoli silenzi raccontando della sua vita. Necessitavo solo di quello in quel periodo, stavo bene così. Parlavamo in continuazione mentre costeggiavamo il lungomare. Spiragli di un sole caldo iniziavano a farsi strada indisturbatamente.
Michelle aveva un atteggiamento inconsueto alla guida, come una bambina innocente che al contempo urlava qualcosa contro alle macchine che le intralciavano la strada. Era divertente assistere ad una scena del genere.
Ci avvicinavamo sempre di più verso la biblioteca, in lontananza si scorgeva un monumento circolare a più piani.
Parcheggiamo l’auto lì vicino e alzai gli occhi verso il monumento.
-“Ma è bellissima! Sono molto curiosa di vederla dentro”-
-“Credo ci sia venuta solo una volta e per di più costretta dalla scuola. La ricordo bella anche all’interno. Spero di non vedere nessun conoscente, non ho voglia”-, ammise sbuffando un sorriso.
Aveva ragione, la biblioteca all’interno era meravigliosa. La struttura era costituita da due piani dispersivi, ognuno dei quali conteneva una distesa di scrivanie. Era poco illuminata ma adoravo l’effetto del sole che penetrava dalle finestre. Continuavo a guardarmi intorno mostrando un’espressione assuefatta in volto. Anche Michelle sembrava a suo agio in un ambiente del genere.
-“Mettiamoci lì”-, bisbigliò indicando una zona con meno ragazzi nei pressi delle scale. La seguii senza obiettare, avevamo bisogno anche noi di tranquillità. Il parcheggio dell’auto ci permetteva di stare almeno due ore perciò dovevamo darci da fare. Iniziammo  a ripeterci i primi capitoli di sociologia a vicenda ma io ancora non mi ero sbloccata del tutto.
Passò un’ora, mangiammo uno spuntino e continuammo l’opera. Eravamo abbastanza brave entrambe in sociologia, dopotutto dialogare era il nostro forte.
-“Abbiamo fatto poco fino ad ora”-, sussurra dubbiosamente lei all’improvviso.
-“Ma lo abbiamo fatto intensamente”-, rispondo, cercando di tranquillizzarla.
-“Hai ragione. Ci vediamo anche domani? Mattina e pomeriggio?”-
-“Non lo so, Mich. Però sarebbe una buona idea. Ci penseremo dopo.”-
Studiammo ancora un’altra ora, aiutandoci di tanto in tanto. Il tempo trascorse velocemente, la biblioteca ormai assumeva le sembianze di una casa accogliente.
-“Ci  resterei anche tutta la giornata qui, è davvero rilassante”-
-“Mi hai anticipata, te lo stavo per dire”-
-“Hai visto che ore sono? Il parcheggio stara per scadere, uff”-
-“Già, muoviamoci, ho anche fame.”-
Tornammo in auto distrutte dalla stanchezza. Trascorremmo tutto il tragitto del ritorno con della buona musica in radio. Il sole risplendeva ancora. Era una bella giornata di lunedì.

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Capitolo 5
*** 18/04/18 ***


18/04/18
 
Sembrava nuovamente lunedì. Ero alla fermata del pullman nei pressi della stazione ed attendevo, già spazientita. Fino ad ora il cielo era ricoperto di nuvole. Iniziava ad avvertirsi leggermente l’afa.
Elisabetta percorreva il mio stesso tragitto fino all’università perciò spesso la incrociavo un po’ ovunque. Oggi era uno di quei giorni.
La vidi incamminarsi verso di me ostentando un’andatura pigra. Ognuna di noi due aveva notato l’altra ma non osavamo spiccare ancora parola, anzi, ci ignoravamo con consapevolezza. Fuori dalla sfera universitaria era un’altra persona e ricordo che una volta, nel pullman del ritorno, ci siamo sedute vicine ed abbiamo iniziato una conversazione lunghissima, piena di confidenze persino professionali. Si fidava di me ed io cercavo di mostrarle lo stesso.
Decisi di rivolgerle la parola, forse nel migliore dei modi.
-“Prof, oggi non ho voglia di far nulla”-
-“Aprile è proprio così. Colpa del tempo?”-
-“Sì, proprio così. Aprile dolce dormire dicevano”
“Esattamente”-, concluse con largo sorriso sulle labbra.
Salimmo sul pullman, costeggiammo ancora il lungomare scambiando qualche apprezzamento e scendemmo alla nostra fermata impiegando due vie diverse. Io il bar, lei qualcos’altro.
 
Oggi mi ritrovo a scrivere con le gambe incrociate ed il busto rivolto verso il mare. Ci sono giorni in cui necessito di contemplare il movimento della corrente marina e semplicemente abbandonarmi verso il paesaggio, delineato da una schiera di palazzi alti che si affacciano sul mare.
Stamattina voglio parlarvi di Alessandra, la ragazza con la quale condivido i migliori espressini caldi di Taranto. Il nostro punto di incontro non si è mai stabilito, lo abbiamo scelto senza saperlo, semplicemente frequentandolo ripetutamente ogni mattina. Voglio dare una singolare importanza a questo dettaglio perché trovo che sia assolutamente un punto che può condizionare indirettamente un’amicizia.
Inizialmente nessuna di noi due faceva caso all’altra, forse sì, ma indiscretamente o per paura di disturbare la bolla nella quale siamo rinchiusi durante la prematura circostanza sociale. Poi, successivamente, ci siam ritrovare a discutere di vita e letteratura. Il nostro tipo di amicizia è difficile da decifrare: è timido, rispettoso, fiducioso e carico di stima reciproca. Frequentiamo due classi diverse ma Il Bar resta l’unico punto forte di incontro.
Alessandra è una persona molto riflessiva e profonda, c’è qualcosa che la contraddistingue dalle altre ragazze e credo che la soluzione sia proprio quel rispetto informale che ci riserviamo a vicenda. Una amicizia nata per caso che si è evoluta per coprire quella piccola sensazione di solitudine che si prova mentre si attende da soli in un luogo pubblico.
 
Questa mattina anche Michelle raggiunse me e Alessandra al bar. Aveva la mia stessa faccia, con la forma del cuscino ancora impressa. Scambiammo giusto qualche parola a vicenda e poi ci incamminammo verso l’uni.
 
La lezione stava svolgendosi in maniera tranquilla e leggera quando repentinamente Michelle si volta verso di me e aspetta, guardandomi sottecchi.
-“Che c’è?”-, le domando dolcemente, tenendo bassa la voce.
-“Quando ti ho vista la prima volta credevo che fumassi”-
-“Sul serio? Credevi che mi facessi le canne?”-. Non potei fare a meno di trattenere una risata.
-“Sì, mi hai dato questa impressione”-, stavolta rideva anche lei.
-“Lo sai che sei la prima a dirmelo? Tutti gli altri pensano che io sia un angioletto sobrio”-
Rise ancora, poi tornò subito seria stringendo le labbra davanti alla prof. Un attimo dopo si girò ancora, sentivo i suoi occhi chiari fissarmi la nuca.
-“Ma tu il primo giorno mi hai vista?”-
-“Certo, eri nella sala delle festicciole seduta in un angolino con il cellulare in mano. Non guardavi nessuno.”-
-“Esatto, infatti in quel frangente non mi sono accorta di te, però ricordo benissimo quando siamo entrati tutti in classe.. ti sei girata verso di me, ci siamo guardate e siamo scoppiate a ridere.”-
-“Lo ricordo bene anch’io”- ammisi allegramente.
Una tipa del genere non sarebbe sfuggita a nessuno, pensai.

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Capitolo 6
*** 23/04/18 ***


23/04/18
 
Stavolta sono io ad indossare occhiali anti-persone. E’ lunedì, credo il più amaro di tutti fino ad ora. Sono in viaggio nel mio treno e la temperatura lì fuori è debolmente gelida. Michelle è partita da tre giorni dal suo ragazzo e dovrebbe star via solo sei giorni.
Come è possibile spiegare la sensazione di un leggero vuoto che ha lasciato? Ora capisco perfettamente la situazione. Io ci tengo più di quanto pensassi. Io, che inizialmente davo peso e sostanza alla facciata da egoista del mio cuore, ora mi ritrovo a comporre una specie di musica delle parole che riecheggiano ripetutamente in testa, ricordandomi quanto in realtà io ci tenga veramente. Mi sembra stia tornando alle origini, lontano verso quel giorno in cui ho conosciuto E., la dannata persona con la quale posseggo i miei rimorsi maggiori. Non mi è chiaro cosa stia succedendo, le immagini della mia testa si sovrappongono, vedo due figure molto simili e immediatamente le riconosco. Michelle ed E. Maledizione, ora si assomigliano sempre di più. Hanno uno sguardo dolce e concreto, le labbra non si muovono, tendono più verso un sorriso di cui non riesco a fidarmi. Ora ricordo bene perché in biblioteca ridevo nervosamente mentre Michelle continuava a fissarmi. Ho condotto indirettamente il mio pensiero verso E. Che stupida che sono. Non merita più nessuna delle mie futili attenzioni eppure non smetto di pensare a tutte quelle notti in cui parlavamo intensamente di qualsiasi discorso. Cosa può provocare adesso una persona che non hai più e che non hai mai visto? Solo rabbia.
Faccio un respiro profondo e cerco di calmare i miei pensieri.
Forse è un bene che Michelle sia partita.
Ho bisogno anch’io di staccare un po’.

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Capitolo 7
*** 27/04/18 ***


27/04/18
 
Mentre ascolto la mia canzone preferita in treno mi accorgo che Aprile è già finito, l’estate sta per iniziare e la sessione estiva inizia a bussare alla mia porta.
Fuori dal finestrino si intravede una meravigliosa scia di papaveri rossi, i miei fiori preferiti. Stamattina non sono completamente di buon umore; Michelle ha deciso di trattenersi a Roma fino a domenica ed io lunedì non ho nessuna voglia di andare all’università. Così è proprio una settimana che non ci vediamo ed io inizio ad avvertire la sua mancanza. Durante questi giorni ci siamo sentite un po’ ed io le ho detto chiaramente che prima o poi dovrà farsi perdonare; mi ha risposto dicendomi che mi porterà al Mc Donald’s.
Quando parlavo di quella lieve sensazione di solitudine che si prova seduti da soli in un bar intendevo appunto questo. Però a volte la solitudine fa bene, ti fa apprezzare ancor di più i piccoli gesti che condizionano la tua giornata.
-“Buongiorno”- dico sorridente al signor Antonio, varcando la soglia del bar.
-“Buongiorno! Sei sempre più bella. Da sola oggi?”-
Sorrido imbarazzata, poi mi ricompongo e ribatto:
-“Aspetto compagnia, sono sicuramente in anticipo oggi.”-
-“D’accordo. Espressino e cornetto?”-
-“Solo un espressino decaffeinato, grazie. Oggi niente cornetto.”-
-“Per quel fisico che hai potresti mangiarne anche tre”-
-“Ma no, non vorrei che mi crescesse la pancetta”-
-“Addirittura!”-
Andai a sedermi al solito tavolino a riflettere ancora una volta sul comportamento di quel tipo. Ovviamente non mi fidavo per niente. Sentire quei complimenti fa sempre bene ma non quando sei tu l’unica a riceverli e per giunta quando sei da sola.
Bevvi un sorso dall’espressino e pensai al volto gentile di Elisabetta. Non era da tutti i prof riservarti un posto nel pullman affianco per discutere del più e del meno dimenticando completamente il nostro rapporto professionale. Conoscevo di vista quella donna già nella sessione invernale e mi restava piuttosto indifferente. Non avrei mai immaginato che si andasse a costruire una specie di amicizia fatta di confidenze ma ciò non vuol dire che anch’io la assecondi raccontandole le mie. Mi ritengo una buona ascoltatrice, e basta.
 
Entro in classe con fare svogliato e mi accomodo allo stesso posto di sempre. Noto che non c’è neanche Michele oggi e sento come se la mia anima appassisca sempre di più. Le ore passavano a stento ed io non facevo altro che voltarmi continuamente verso la finestra. Poi ad un certo punto sento Miriana chiamarmi da lontano e mi giro verso lei. Presumo mi stesse fissando già da qualche minuto. Aveva un sorriso sbilenco che quasi mi inquietava. Aprì la bocca e disse:
-“Non c’è la tua amica del cuore oggi?”-
Contai fino a 10 prima di risponderle, sapevo fosse pura provocazione.
-“Purtroppo oggi no, Miri”-
-“Peccato. Non ho avuto modo di conoscerla bene ancora”-
-“Avrai modo di farlo quando faremo gli esami, no? Sempre se verrai a farli.”-
-“Guarda che solo una volta non mi sono presentata. Verrò, tranquilla.”-
-“Non vedo l’ora”-
Ci scambiammo un sorriso gentile concludendo quella conversazione dai toni esageratamente sarcastici. Sapevo di esser capace d’affrontare tutte le frecciatine che mi buttava. I suoi grandi e gelidi occhi azzurri potevano essere la sua arma principale, ma non contro di me.

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