Metal Angel

di Lucas Rider
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempesta elettrica ***
Capitolo 2: *** Rovente asfalto ***
Capitolo 3: *** Lo schermo di ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Lo Scarabeo ***
Capitolo 5: *** La legge del fulmine ***
Capitolo 6: *** Il Cimitero dei segreti ***
Capitolo 7: *** La rivelazione ***
Capitolo 8: *** Prologo Metal Demon ***



Capitolo 1
*** Tempesta elettrica ***


Una notte di pioggia intensa, l’aria satura di elettricità.
La più grande tempesta degli ultimi venti anni si era scatenata.
Quando la differenza di potenziale arrivava al punto di rottura una saetta accecante illuminava a giorno la deserta Asphalt Town.
L’acqua si raccoglieva nelle grandi strade d’asfalto poco illuminate; larghe quasi 35 metri erano state progettate per il passaggio di pesanti mezzi di trasporto. Ai lati bassi marciapiedi imponenti quasi quanto lo stradone erano completamente liberi, a parte per un vecchio trattore fermo da quarant’anni completamente spoglio, il suo scheletro metallico arrugginito.
Recinzioni spinate proteggevano mastodontici capannoni industriali e fabbriche dotate di giganti ciminiere; un particolare capannone grigio illuminato da luci al neon si stagliava con suoi 26 metri d'altezza in mezzo a quel freddo inferno di aria, acqua e fuoco.
Paracarri di cemento chiudevano l’entrata di un edificio abbandonato di fronte al capannone grigio. Costruito forse negli anni ’10 del ventunesimo secolo doveva essere stato una sede di un’azienda. Dopo decenni d’incuria i vetri delle finestre erano in gran parte rotti, quello che sarebbe dovuto essere il “giardino” era ridotto a una striscia di terra piena di erbacce.
Un’insegna recava la scritta “E.T.R.O.M.” color oro.
A Sud di questo edificio Asphalt Town finiva e c’erano solo chilometri e chilometri di campi coltivati ai lati di una superstrada rischiarata da lampioni a led.
A Nord, oltre la strada, oltre il catorcio, oltre il capannone Asphalt Town si estendeva con le sue industrie vecchie e moderne, i suoi edifici abbandonati e i suoi automezzi alimentati ancora a combustibili fossili.
Tra i suoi vicoli oscuri trovavano rifugio criminali, reietti e bande di motociclisti che la rendevano la zona più pericolosa della metropoli.
Questa zona era in pieno regresso tecnologico al contrario delle altre parti della città: i suoi veicoli non erano automatizzati o elettrici, non c’erano telecamere, niente polizia, le sue abitazioni erano ancora in vecchio stile: sembrava che si fosse congelata nel tempo rimanendo un grande reperto storico degli anni in cui non esisteva l’Unico Stato.
Mentre continuava a piovere le gocce picchiettavano sul trattore con tintinnio metallico, coperto dai tuoni che circa una volta ogni due minuti rimbombavano con la potenza di un cannone.
Il rumore fece aprire un occhio a una esile figura accasciata sulla ruota posteriore.
Riaprì l’occhio un paio di volte e aprì l’altro.
Le luci neon le proiettavano addosso una luce tenue: la figura era vestita di abiti normali, neri: indossava una giacca in gorotex  dotata di cappuccio che le copriva la testa.
Il volto stanco, con i capelli bagnati, era quello di una giovane donna; i suoi occhi apparivano scuri alla luce al neon ma il lampo di un fulmine li illuminò per un istante e le iridi si rivelarono blu.
La giovane sentiva il corpo dolorante e la testa pulsare violentemente; tremando respirò due volte e si tirò su con forza , aggrappata  alla carrozzeria .
Con la vista annebbiata scrutò il mondo circostante; “dove diavolo sono finita?”fu il primo pensiero che le venne in mente. Si trovava in un ambiente che non aveva mai visto prima, sotto un freddo temporale, con forti dolori lancinanti.
Stordita , barcollò sulle gambe e attraversò lentamente lo stradone andando controvento; il suo cervello era in shock come se avesse usato qualche sostanza allucinogena.
Mentre strani pensieri le frullavano in testa la ragazza raggiunse la sede della “E.T.R.O.M.”.
Pensò, che sarebbe stata meglio dentro piuttosto che fuori.
Senza ragionare scavalcò la bassa recinzione con fatica ed entrò nel buio edificio dalla porta principale, ormai distrutta dopo tanti anni.
L’interno era illuminato solo dalla luce dei lampi; l’aria era fresca ma pesante, si sentiva un forte odore di azoto.
Finalmente al riparo dagli agenti atmosferici cercò di tenere gli occhi aperti ma vinta dalla stanchezza si abbandonò al sonno. La sua vista si era oscurata e scivolò , senza più combattere nelle calde braccia di Morfeo.
Fu un sonno senza sogni.








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Capitolo 2
*** Rovente asfalto ***


Il rombo di un tir che attraversava la strada la risvegliò dal torpore.
L’edificio era ora illuminato dalla luce del sole che filtrava attraverso le finestre: la donna non sapeva quanto avesse dormito ma si sentiva bene a parte per un dolorino dietro alla nuca.
L’aria non era più fresca ma tiepida.
Si alzò ed uscì dall’edificio: un bel mattino , tutto sommato notò; il sole era ancora basso ma il cielo era terso, azzurro e senza nuvole. La sua luce benefica dava calore ed energia.
Scavalcò la recinzione  e respirò a pieni polmoni una volta arrivata dall’altro lato; si sentiva in pace.
L’assoluto silenzio di questa parte di Asphalt Town era disturbato solo dai veicoli della vicina superstrada e dal canto degli uccelli; l’unica cosa che testimoniava il violento temporale di quella sera erano pozzanghere sulla strada.
Odori diversi gli arrivarono alle narici: l’odore della benzina e della vernice e l’odore dell’erba appena tagliata.
La momentanea calma lasciò il posto alla preoccupazione; doveva subito chiamare qualcuno per farla venire a prendere. Qualcuno si stava si sicuro preoccupando di lei.
Quasi meccanicamente si tirò su la manica della giacca e cercò sul suo polso sinistro il suo 3D-SmartWatch, uno strumento d’uso comune che aveva sostituito lo SmartPhone  anni or sono.
Presto avrebbe attivato il dispositivo e un’immagine tridimensionale si sarebbe materializzata, doveva poi chiamare …
Si immobilizzò , quello che stava toccando era il suo braccio, nudo, senza nessun dispositivo. Questo le fece gelare il sangue nelle vene.
Decise di non perdere la calma: “La prima cosa che devo fare è capire dove mi trovo”:lei sapeva che si trovava ad Asphalt Town ma ciò non voleva dire niente in questa immensa città.
Si guardò intorno: a sinistra lo stradone continuava dritto fino a immettersi nella superstrada a Ovest che portava ad altre città.
Davanti a sé, a Nord, il capannone grigio e il trattore arrugginito.
A destra lo stradone continuava ad Est per poi girare verso Nord. Oltre lo stradone ad Est c’era solo una fabbrica abbandonata  color bronzo.
Due uomini catturarono la sua attenzione; due ragazzi vestiti male che stavano a braccia conserte; alle loro spalle due bici appoggiate al muro pieno di graffiti della fabbrica.
Dopo un bel respiro si avvicinò a loro, quando era a pochi metri uno di loro la notò: aveva circa 18 anni, basso, grassoccio, la pelle chiara; i suoi capelli erano neri , tagliati corti, il viso ricordava un cinghiale: indossava una maglietta nera con delle fiamme rosse.
Dava l’aria di una persona diretta, abituata a comandare.
Con maleducazione  il ragazzo le chiese: “Cosa vuoi?”.
La ragazza  si fermò e  rispose gentilmente con voce calma : “Scusa, mi sono persa e mi chiedevo se tu sapevi…”.
L’altro ragazzo, simile al primo ma con in testa un cappello grigio con la scritta “DEATH”e il viso che ricordava un bulldog la fissò , guardò poi il suo amico e ridacchiò.
 “Io sono Boxe, e tu chi sei per venire qui a rompere? Sei venuta a portarmi la tua passerina?”  la interruppe il primo violentemente.
Mentre Boxe la guardava sospettoso la risposta le morì in gola.
“Chi era lei?” si chiese. Una scossa le attraversò il cervello: non ricordava niente di sé , né chi era, né da dove veniva. Nessun ricordo, nessuna memoria, niente di niente prima della Notte della Tempesta.Cosa gli era successo?
Sembrava che qualcuno le avesse tolto tutti i suoi ricordi personali e li avesse bruciati.
Come diavolo era possibile?!? Provò a concentrarsi sulla sua memoria ma non gli venne in mente niente che riguardava sé stessa, né persone da lei conosciute, né eventi vissuti da lei.
Mentre era ancora scioccata i due energumeni presero l’iniziativa.
“Questa ci sta prendendo in giro” disse il ragazzo col cappello.
“Hai ragione Knife, qualcuno le deve insegnare che non dobbiamo essere disturbati.” affermò  Boxe con una luce malvagia negli occhi.
Boxe le se avvicinò, minacciandola con un pugno gigantesco.
La rissa durò meno di due secondi: la ragazza, reagendo d’istinto ,fu molto fortunata, schivò il colpo e mise a segno un sinistro.
Stupito Boxe si toccò il naso porcino da cui scorreva un piccolo rivolo di sangue da una narice.
“Adesso mi hai fatto arrabbiare, brutta bastarda!” gridò Boxe, infuriato.
Knife estrasse dai suoi pantaloni strappati un piccolo coltello: “Ora ti do io una lezione!”.
La ragazza provò a balbettare qualche scusa, ma si sentiva strana e il suo cervello era concentrato su sé stessa:davvero non ricordava chi era? Cosa ci faceva qui? Che è accaduto?Mille domande si stavano accumulando e crescevano in modo esponenziale.
Knife che cominciava a menare fendenti con la lama affilata la riportò alla realtà concreta.
In quel momento non doveva pensare, doveva agire d’istinto: arretrò per schivare un fendente e si girò verso Nord, lungo lo stradone.
Cominciò a correre con tutte le sue forze sul duro asfalto della strada.
Doveva scappare! Doveva scappare! Doveva scappare! E non fare altro!
Non sapeva chi erano quei tizi ma aveva sbagliato a rivolgergli parola.
Il cuore prese a battergli velocemente, il respiro divenne affannoso. Spingeva sulle magre gambe usando tutta la sua energia.
I piedi le dolevano ma non si sarebbe fermata
Dietro di lei Knife la inseguiva ma non c’era confronto fra i due: il corpo magro della ragazza era più adatto a una corsa. Il ragazzo, in sovrappeso, fu distanziato presto.
“Fermati Knife, prendi la tua bici e inseguiamola!” comandò Boxe.
Asciugato il sangue della ferita aveva inforcato la sua bici ed era pronto a partire. Cominciò a pedalare mentre Knife tornava alla sua bicicletta per unirsi all'inseguimento.
Senza quasi speranza la donna avvistò la sua salvezza; in fondo alla strada vedeva un camion con la scritta “GreenLeaf”: esso era fermo al semaforo rosso e mostrava il retro del mezzo: un pianale pieno di merci a circa un metro da terra.
Formulò un piano disperato: salire sul camion e riuscire a scappare.
Mancavano solo 30 metri da esso, con un po’ di fortuna ce l’avrebbe fatta ad aggrapparsi al pianale e sfuggire ai due teppisti.
Si girò un istante: dietro di lei Boxe  aveva in mano una catena di ferro che faceva ondeggiare mentre pedalava al massimo dello sforzo sputando insulti.
Qualche metro dietro di lui Knife con una mano sul manubrio, l’altra armata di coltello; sembravano quasi due feroci mastini che sarebbero stati in grado di rincorrere la preda finché non l'avessero sbranata.
Potevano essere lenti sulle bici ma comunque erano più veloci di una persona a piedi, cominciarono ad avvicinarsi, a colmare la distanza.
“Prendiamola!” gridò Boxe, “Ormai è nostra!”.
Raccogliendo tutte le sue forze rimaste nella corsa disperata la ragazza fece uno scatto e arrivò vicino al pianale . Mentre scattava il verde e il tir partiva con uno sbuffo del vecchio motore a diesel lei saltò e si aggrappò alla lamiera.
Per un secondo la situazione fu in bilico ma riuscì ad issarsi e sedersi, protetta sul pianale nell'esatto momento in cui Boxe danneggiava con la catena il fanale posteriore, nel vano tentativo di colpirla.
Poi tutto finì e i due teppisti si fermarono.
“Che giornata schifosa!” disse Boxe.
“Già chissà chi cavolo era quella pazza” rispose Knife.
Invertirono la direzione delle bici e tornarono alla fabbrica, senza preoccuparsi dei danni che avevano causato, sputando per terra.

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Capitolo 3
*** Lo schermo di ghiaccio ***


La ragazza ora al sicuro chiuse gli occhi, mentre il camion continuava ad andare a Nord traballando leggermente, quasi cullando la sua passeggera seduta con la schiena appoggiata alla parete del carico .
Mentre il cuore le rimbombava nelle orecchie e l’adrenalina defluiva, ripensò a quello che non aveva saputo dire.
Davvero non si ricordava chi era?
Perché ?
Chi era lei?
Era forse un sogno?
Un incubo?
Un’allucinazione?
Gli era accaduto qualcosa?
Se sì cosa?
 La sua mente viaggiava tra mille ipotesi, sempre più fantasiose, sempre più inverosimili. Universi paralleli, controllo mentale, sostanze potenti, virus.
La sua immaginazione arrivava ai confini dell’orizzonte degli eventi della Fantasia e il suo cervello rischiava di essere risucchiato all’interno di quel profondo buco oscuro, perdendo la sanità mentale.
Decise di calmarsi e fare mente locale: era su un camion della GreenLeaf, una multinazionale di prodotti alimentari. Il logo della foglia verde era su tutti i prodotti ricoperti dal cellophane.
Circondata da tante bottiglie di plastica imballate che contenevano una bevanda energetica azzurra chiamata “Sky Power”.
Assetata , tolse una bottiglia dall’imballaggio e ne bevve il liquido zuccherato; questo rinfrescò momentaneamente la sua gola riarsa.
Il camion seguiva la strada che continuava verso Nord per immettersi in una rotatoria;  ma c’era un ingorgo intorno ad essa che costrinse il mezzo a fermarsi.
Mentre il tir era fermo la donna sbirciò fuori; ai lati della rotonda il tipico paesaggio che offriva Asphalt Town , solo industrie e giganteschi edifici grigi fino all’orizzonte.
La rotatoria era di gran lunga più interessante:aveva un di un raggio di circa 50 metri , un’area ricoperta da un campo d’erba al cui centro c’era una torre alta ai cui 4 lati c’erano schermi televisivi enormi che proiettavano immagini che passeggeri e pedoni potevano osservare.
I teleschermi mostravano i titoli delle ultime notizie;
-26 Aprile 2042
 
-Completato con successo il primo trapianto di testa
 
-Secondo le osservazioni degli scienziati l’Antartide è ritornata nel suo stato di 50 anni fa grazie al raffreddamento globale
 
- È morta l’attrice Scarlett Johansson mentre era in vacanza sulla Luna, un incidente mentre si stava trasferendo sul suo alloggio lunare permanente, l’altra vittima sarebbe il guidatore del modulo che è esploso per un guasto al motore a idrogeno
 
-L’Unico Stato Planetario festeggerà i suoi 20 anni fra pochi giorni
 
Poi cambiarono  e tutti gli schermi mostravano una donna di circa sessant’anni, tratti africani , i capelli ricci leggermente grigi ma la cosa che colpiva era lo sguardo: deciso, determinato ma calmo e rassicurante con due occhi marrone scuro quasi neri .
Era vestita in abiti eleganti, formali e costosi.
Dietro di lei una bandiera rossa e bianca con un grande sole d’oro disegnato al centro: .
 
La donna cominciò a parlare, una voce lenta, ammaliante ma leggermente viscida a chi la ascoltava con attenzione :
“Buongiorno cittadini di Serenicity, Capitale dell’ Unico Stato.
Sono il Primo Ministro Lucy Sun,  principale guida del Paese.
Oggi è un grande giorno da ricordare, un giorno da preservare nelle nostre menti e nei nostri cuori.
Oggi ricordiamo la data in cui , venti anni fa, le ultime resistenze delle truppe delle Nazioni Indipendenti sono state sconfitte nella Battaglia d’Islanda, loro roccaforte, che si rifiutarono di aderire al nostro progetto dell’Unità di tutto il mondo.
Questa fu l’ultima guerra, la guerra combattuta per la pace.
Ventisei giorni dopo abbiamo decretato la Grande Unificazione di tutte le nazioni del pianeta sotto la bandiera dorata.
Nel 2020 non c’era più posto per il nazionalismo, per gli stati, per etnie e colture separate.
Eravamo entrati in una nuova era: il mondo si stava globalizzando , si
omogeneizzava, diventava una cosa sola; solo grazie all’impegno delle nostre care multinazionali che hanno dato cibo, lavoro e amore siamo riusciti a battere le forze indipendentiste dell’America e dell’Europa.
Ricordiamo i nostri caduti, di chi ha sacrificato la vita in nome dell’ Unità di tutti i popoli.
Dopo questo conflitto abbiamo ricostruito e migliorato ciò che loro avevano distrutto.
Insieme abbiamo risolto i problemi dell’umanità;
Ora non c’è più disuguaglianza, né  povertà, né regresso.
In nome dei nostri Ideali stiamo per riuscire a compiere un’impresa impossibile,stiamo per colonizzare Marte.
Stiamo superando qualsiasi confine della scienza, le nostre astronavi mandano regolarmente persone sulla Luna: la sua principale colonia, Wonder City, conta ormai quasi 10 000 abitanti.
Voglio ringraziare ogni cittadino e ricordare che tutto questo è stato possibile grazie a Voi cittadini del mondo e della sua magnifica capitale.
Vi prometto e giuro solennemente che farò qualsiasi cosa per mantenere la Pace; solo così resteremo tutti ricchi, liberi, uguali e felici.
Il vostro Caro Primo Ministro vi augura una buona giornata, volta al futuro.”
 
 
Gli schermi si annerirono e  ripresero a trasmettere notizie.
“Quante bugie” pensò la ragazza “Propagandate fino alla follia”.
Aveva perso tutti i ricordi personali ma sapeva bene che il Regime era corrotto e spietato; usava la scusa dell’Unità solo per omogeneizzare gli abitanti: gli unici veramente ricchi e felici erano i proprietari delle grandi multinazionali, che avevano finanziato e orchestrato gli eserciti dell’Unico Stato.
Anche Lucy Sun era la figlia di un grande miliardario che possedeva la Humancare, la più grande azienda farmaceutica del mondo: la guerra era solo stata un pretesto per conquistare senza pietà i territori delle nazioni che rifiutarono l’Unificazione.
Quanto alle altre multinazionali sue alleate … la E.T.R.O.M. aveva prodotto e venduto più armi, più mezzi, più materiale militare in quei due terribili anni che in tutta la storia dell’azienda.
Tutta la ricchezza guadagnata era sporca del sangue dei soldati e dei civili di entrambe le parti caduti durante questa guerra feroce e brutale.
Dopo questa inutile riflessione su come era deviato il corso della Storia, la ragazza si fece prendere dallo sconforto.
Perdere tutti i ricordi di una vita …
I ricordi sono preziosi, ci legano ad altre persone; i ricordi possono essere tutto, Bene e Male, fanno contare le nostre esperienze, modificano il nostro modo di pensare, suggeritori delle nostre scelte.
Ogni ricordo è un piccolo tesoro celato nella nostra mente che ha però un potere , un valore enorme.
Seduta, appoggiata alle scatole, l’unica cosa che guardava erano le sue gambe che calzavano neri pantaloni aderenti.
Le avvicinò a sé mentre le saliva un groppo alla gola: si chiuse in posizione fetale, abbracciandosi; il suo corpo, era l’unica cosa che aveva e su cui poteva contare.
Presa dalla disperazione pianse; dagli occhi scendevano lunghe lacrime, amare e dolorose.
Singhiozzando e tremando lo spettacolo della giovane donna piangente avrebbe riempito di compassione il cuore di chiunque.
Ma non c’era nessuno che l’avrebbe consolata, nessuno gli avrebbe dato una carezza , un abbraccio, dolci parole.
Finite le lacrime le  era rimasto solo un profondo senso d’angoscia.
Il tir ripartì quando il traffico si sbloccò.
Chiuse gli occhi, incurante della meta.
Potevano essere passati solo dieci secondi o un’ora intera quando riaprì gli occhi; il camion si muoveva ancora, sempre diretto nel cuore della città.
Sembrava che non si dovesse fermare più quando l’autista svoltò e parcheggiò vicino a un discount: la donna decise di muoversi, a nessuno sarebbe piaciuto trovare un clandestino a bordo.
Saltò giù e atleticamente eseguì uno no-sound-shock , una mossa di parkour.
Mentre si allontanava osservò con la coda dell’occhio il guidatore scendere dal mezzo e chiamare una persona.
Mentre si grattava la barba rossa una conversazione andava avanti: “Pronto Doug? Sì sono Michael, la tua merce è pronta  nel parcheggio” “OK mando un Transport-Robot a ritirarle, tu aspetta lì che vengo a pagarti 10000 Globi” “Ottimo”.
La ragazza si girò, lasciando perdere il guidatore mentre pensava alla prossima mossa. Uscendo lentamente dal parcheggio valutava le opzioni rimanenti.
Adesso? Che doveva fare?
Mentre stava valutando cosa fare quasi casualmente le cadde l’occhio su un oggetto semplice ma che ravvivò la verde fiamma della speranza.
Due cartelli luminosi davano informazioni riguardo alla città ma per lei una sola informazione contava:
 
ASPHALT TOWN
azienda Green leaf – 100 metri
STEEL TOWN
Distretto di polizia 5 – 500 metri
 
 “Steel Town:  distretto di polizia 5 – 500 metri” lesse il secondo cartello.
Esplose quasi di gioia: in tutti i distretti avevano degli scanner facciali che , cercando nel database, avrebbero potuto identificare chiunque.
Inconsapevolmente sorrise, esattamente come il Destino gli aveva sorriso.
Non riusciva a credere a tanta fortuna; causalmente saltando su un tir per scappare da due malviventi si era ritrovata vicina all’unico posto in cui avrebbe ritrovato la propria identità.
La stazione di polizia era pure vicina, avrebbe dovuto solo andare a Nord ed entrare in quel quartiere di Serenicity.
Decise di non perdere tempo e si incamminò a Nord, verso Steel Town.
Sarebbe presto riuscita a ritrovare sé stessa, solo uno screening facciale.
La speranza rinvigorisce e alimenta come un carburante la felicità, e la ragazza sprizzava felicità da tutti i pori.
Dopo tutta la disperazione e il pericolo ora riusciva a sentire intorno a sé emozioni positive: non si curò più della Tempesta, di Boxe e Knife, del Tir e del Regime.
Solo recuperare la propria identità e poi … ovviamente ricongiungersi con amici e familiari che l’avrebbero aiutata a recuperare i ricordi con l’ausilio di un Robot Medico.
Andava avanti, lungo il marciapiede mentre superava il cartello:
 
Asphalt town – steel town

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Capitolo 4
*** Lo Scarabeo ***


Il pianeta Terra era al centro dell’Area di Espansione Umana nel Sistema Solare.
La città di Serenicity era al centro dell’Unico Stato, il primo governo ad avere il controllo globale sull’intero mondo.
Nel cuore della metropoli si ergeva maestosa Glass City, i suoi altissimi grattacieli di vetro e acciaio dominavano l’intera pianura, simbolo del potere tecnologico del Regime.
All’interno della stessa Glass City, protetta da recinzioni circolari alte 100 metri si ergevano i 9 grattacieli più alti e massicci della storia dell’uomo, che rendevano ridicole perfino le costruzioni di Glass City: 9 mostri alti più di 2 chilometri, che secondo qualche leggenda metropolitana erano stati costruiti con il metallo fuso delle armi, armature e veicoli delle truppe delle Nazioni Indipendenti.
Questo era il cuore del Governo, la sede delle multinazionali, il centro del centro,
detto semplicemente “Il Nucleo”.
La vista da una delle Torri del Nucleo, più precisamente dall’Artiglio d’Aquila, mostro di due chilometri e mezzo, era semplicemente sbalorditiva.
Ma non era questo che passava nella mente di Chris Spring: nel suo studio all’ultimo piano si era abituato alla vista ammirata dalla grande vetrata; l’uomo indossava una uniforme militare grigia, decorata con i gradi e mostrine color bianco, oro e scarlatto.
Comandante Supremo della Polizia Globale, dal suo computer poteva schiacciare qualche pulsante e avere oltre un milione di agenti robotici pronti ad eseguire qualsiasi ordine.
A destra della sua scrivania in mogano, teak e venature di tungsteno, c’era una teca con tutti i suoi cimeli e trofei, accumulati in vent’anni di servizio.
Ma il suo sguardo , i suoi occhi verdastri erano fissi sulla porta automatica, sorvegliata da due guardie umane.
Sentiva una strana sensazione, qualcosa che gli diceva che qualcosa di importante stava per accadere … appena sentì dei passi le sue rughe da quarantenne si incurvarono.
Nel suo maestoso ufficio entrò dunque  la risposta alle sue domande.
Spring fece il saluto militare, ricambiato da “Riposo, soldato”.
“Comandante d’esercito, Supremo Consigliere e proprietario della E.T.R.O.M. , Kehinde Eric, a cosa devo il motivo della sua visita?”
L’altro, un muscoloso uomo sudafricano dalla pelle color ebano, lo invitò a sedersi.
I due uomini in uniforme cominciarono dunque la conversazione.
“Comandante Spring, lei si è rivelato uno dei miei uomini più fedeli ed efficenti, e per questo che mi sono recato nel suo ufficio personalmente”
“Incontrare un membro del Supremo Consiglio non è routine militare, mi spieghi la questione” gli rispose con voce calma.
“Essendo uno dei 9 Consiglieri ho ricevuto un ordine direttamente dalla donna più potente del pianeta, Lucy Sun.
Mi ha incaricato personalmente di affidare a lei la missione; il suo compito riguarda il progetto Metal Angel.”
“Mai sentito parlarne”
“Stiamo parlando di un progetto di Livello Sicurezza 9”
Il comandante Spring rimase stupito, impressionato e allarmato ma i suoi nervi di ghiaccio lo fecero rimanere calmo e concentrato.
“Questo progetto è conosciuto solo al Consiglio”
“Esattamente: si tratta della realizzazione dell’arma più potente mai realizzata,un nuovo tipo di robot ultra tecnologico da guerra. Ma questo non le deve interessare, la cosa importante è che accaduto un incidente al Laboratorio Statale 19 e il Soggetto Zeta è fuggito; il suo compito sarà recarsi sul posto e poi recuperare il Soggetto Zeta”
“Signorsì Consigliere, ci sono altre cose che dovrei sapere?”
“Le verranno fornite ulteriori informazioni quando raggiungerà il Laboratorio”
“Perfetto, preparo la mia squadra”
Fecero il saluto militare, dissero : “Onore a Sun!” e Kehinde uscì dalla sala: e stranamente Spring avvertì un’oscura sensazione.
Il Comandante premette un pulsante e chiamò i suoi subalterni : “Capitano Duke, prepari la Squadra Tridente, Capitano Kar , prepari lo Scarabeus sulla cima della Torre, il livello di priorità è massimo”
Spring prese poi l’ascensore sonico e in 10 minuti raggiunse la pista di decollo sulla cima della torre.
Una larghissima piattaforma esagonale di 300 metri di diametro; su di essa una vera e propria squadriglia di velivoli; erano simili a elicotteri ma ricordavano più droni giganti a 6 rotori; il corpo di ogni velivolo si sviluppava sia in larghezza che in lunghezza, creando un ponte separato dalla cabina di pilotaggio , che spuntava nella parte anteriore come la testa di uno scarabeo.
Non a tutti torti questi velivoli  visti dall’alto ricordavano più grossi insetti neri, che piuttosto uccelli; c’erano velivoli di classe Sirio, piccoli e leggeri, e di classe Regolo , più grandi e pesanti.
Spring era però concentrato su quello al centro, il più grande, una bestia larga 25 metri, di classe Vega, dotato di 8 rotori, il magnifico “Scarabeus”.
A babordo aveva una postazione di artiglieria globulare, a tribordo il motore a idrogeno: a prua c’era una cabina di pilotaggio dotata di visione notturna , dove il pilota eseguì l’ordine di Kar e accese il motore, mentre a poppa si stagliavano minacciosi i missili ibridi “Moth” e le Bombe Soniche, pronte a essere sganciate.
Mentre camminava marziale il portellone si aprì e tramite una passerella raggiunse il ponte; venne salutato da Duke e dalla squadra Tridente in armatura bianca.
 
Chiuso il portellone lo Scarabeus si levò in volo; i piloti passarono intorno al Gioiello , il grattacielo più alto e ascesero al cielo verso nuvole chiamate scientificamente “cirri”, esteticamente gradevoli alla vista, per riuscire a andare più in alto dei 3 chilometri del grattacielo.
Poi girarono verso Ovest diretti verso il Laboratorio 19, sorvolando i magnifici grattacieli di Glass City, le estese zone residenziali di Steel Town e le nuvole di  fumo delle fabbriche di Asphalt Town, ma nessuno dei 30 milioni di abitanti della città li vide, il sistema di camuffamento dello Scarabeus lo rendeva praticamente invisibile sia all’occhio umano da terra sia ai complicati radar.
Lo Scarabeus cabrò verso Sud-Ovest , librandosi con un ronzio soave degli 8 rotori.
 
 

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Capitolo 5
*** La legge del fulmine ***


Steel Town, la Città d’Acciaio.
Non c’era nome più appropriato. 
Il confine con Asphalt Town era segnato da dei binari di una Metropolitana magnetica sopraelevata.
La ragazza passò sotto i piloni del ponte mentre, 200 metri sopra la sua testa, un treno avanzava, levitando sopra i magneti.
Steel Town poteva essere descritta con una sola parola: scacchiera; una gigante scacchiera di acciaio.
Gli edifici erano semicubici, di 25 metri d’altezza, fatti d’acciaio , vetro e tungsteno.
Le larghe strade formavano una fitta rete a gabbia: i marciapiedi ampi 10 metri erano delimitati da transenne in vetro corazzato per evitare che i pedoni attraversino la strada; ogni transenna aveva un speciale cancello ad apertura automatica per consentire ai passeggeri di uscire e salire dalle vetture completamente in sicurezza.
I veicoli erano di sicuro gli oggetti più strabilianti: erano a guida autonoma, i motori alimentati a idrogeno o pannelli solari.
Sfrecciavano sul percorso come schegge, senza il minimo rischio di incidenti per l’assenza di pedoni e la pianificazione da parte del navigatore-computer per evitare scontri agli incroci.
Gli autoveicoli avevano una forma estremamente aerodinamica, colorati con speciali vernici fosforescenti per rendersi visibili di notte agli altri veicoli; azzurre, bianche, gialle e arancioni soprattutto; la strada, grazie a un speciale sistema di illuminazione a risparmio energetico non veniva illuminata dalle luci dei marciapiedi.
La ragazza , camminando sul marciapiede, incrociò molti abitanti; comunque in quell’orario non era un posto particolarmente affollato, considerando l’ampiezza del marciapiede.
Per la prima volta la ragazza si sentì in qualche modo speciale; tutti gli abitanti che incrociava, in massima parte uomini,erano silenziosi, vestivano la stessa divisa grigia da lavoro e avevano lo sguardo stanco e vuoto;invece i suoi abiti neri la rendevano diversa.
Si accorse che pur essendo in una zona molto abitata sentiva poche voci umane; la maggior parte dei suoni erano il rumore dei veicoli.
“No , vi prego, ripagherò tutto!” una voce altissima ruppe l’armonia.
La ragazza girò la testa.
Due poliziotti-robot, alte macchine umanoidi dall’esoscheletro metallico color rosso rubino , avevano circondato un uomo a terra dall’espressione terrorizzata.
Un robot, il viso simile a una maschera antigas color sangue e dagli fotorecettori ambrati chiese con la sua voce sepolcrale: “Dove ha nascosto i 1000 Globi che ha rubato, cittadino GZ-286A3F7BA51 ?”
L’uomo, sporco , grasso e impacciato rispose balbettando “Li ho spesi tutti, non mi è rimasto più neanche un Globus, vi prego se considerasse …”
Il robot chiese al suo partner “Il cittadino è abile a lavorare nelle miniere di uranio?”
GZ-286A3F7BA51  spalancò gli occhi , consapevole e spaventato.
“Negativo, bisogna eliminarlo” rispose l’altra macchina.
Il robot utilizzò la sua arma a normo-fulmini globulari e con un solo colpo tutto era finito.
Il particolare interessante della vicenda  fu che nessuno dei presenti mostrò una reazione o si degnò anche di un singolo sguardo.
Cercando di togliersi l’immagine dalla testa la donna utilizzò un ponte sopraelevato per attraversare la strada senza così essere un pericolo.
Finalmente la stazione di polizia, la riconobbe per le tre stelle, scarlatta, bianca e oro, come insegna luminosa.
Premette un pulsante luminoso sulla parete dell’edificio di acciaio e una porta metallica di forma esagonale si aprì come l’otturatore di una fotocamera.
Ebbe soggezione ad entrarci,ma si fece coraggio e si ritrovò in una stanza buia e dietro di lei la porta si richiuse.
Un raggio luminoso verde la scannerizzò, accertandosi che non possedesse armi.
Un’altra porta simile alla prima si aprì e la donna si ritrovò in una sala luminosa; alla sua sinistra la porta d’uscita mentre davanti a sé 10 monitor con cui interagivano altrettante persone, a destra invece c’erano stranamente 4 ascensori.
Se da una parte si sentiva sollevata dall’altra si sentiva molto minacciata: sarà stato forse per le telecamere o per il contingente di 10 guardie-robot che su una passerella sopraelevata controllavano gli umani?
Un monitor si liberò e la ragazza si trovò ad interagire con un’intelligenza artificiale.
“Salve , cittadino, sono il Sistema Virtuale della Polizia, casa di produzione Robosoft ma se lei vuole mi può chiamare Jennifer. In che cosa posso esserle utile?”
“Ciao, Jennifer, io ho bisogno di fare uno screening facciale per scoprire la mia identità, potrebbe occuparsene subito?”
“Certamente”.
Una piccola videocamera le scattò un’istantanea e sullo schermo vide il suo viso.
Rimase a contemplare la sua immagine mentre piccoli simboli verdi di codice scorrevano nella parte destra del monitor, mentre Jennifer incrociava i dati di milioni di immagini.
Osservò il suo viso; la sua pelle era senza imperfezioni, chiara, giovane e liscia, i tratti del mento e della fronte erano dolci, femminili.
Il volto era simmetrico e armonioso: i capelli che le arrivavano alle spalle erano di un biondo chiarissimo tendente quasi al bianco.
I grandi occhi erano blu scuro, profondi.
Aveva una espressione intelligente ma anche fragile, insicura.
Gli occhi si illuminarono di stupore ed emozione:  “Nessun risultato trovato” lesse ad alta voce.
Maledicendo con la mente quegli incapaci dei programmatori della Robosoft cercò di mantenere il controllo su sé stessa.
“Come è possibile una cosa del genere?” chiese a Jennifer.
Una sirena letteralmente esplose tanto fu il rumore che generò .
“Allarme! Allarme!” ripeté Jennifer come un disco rotto.
Tutti le altre persone si gettarono a terra mentre dagli ascensori uscirono i robot dall’esoscheletro rosso … e le loro armi a micro-fulmini globulari erano puntate contro di lei!
Un solo micro-fulmine avrebbe avuto l’effetto di un taser.
Vide la porta d’uscita che si stava chiudendo.
Si affidò all’istinto per evitare le piccole sfere energetiche bianco-azzurre sparate contro di lei, respirando aria che odorava di zolfo e ozono.
Riuscì a uscire un attimo solo prima che la porta si chiudesse.
E adesso? Sarebbe scappata un’altra volta? 
Il rombo dei droni nel cielo non le lasciò scelta.
Scansò i passanti , correndo senza voltarsi verso il cuore di Steel Town.
Le suoi doti di atleta l’avevano già salvata una volta … sperò in una seconda possibilità.

Aveva appena attraversato un ponte sopraelevato poco distante quando un micro-fulmine le colpì la schiena.
Cadde a terra, scariche elettriche correvano lungo il suo corpo, facendogli provare un dolore lancinante.
Per pochi secondi restò a terra ma poi riuscì a trovare la forza di rialzarsi.
Ricominciò l’inseguimento, sentiva i piedi metallici dei poliziotti-robot calpestare il terreno.
Dopo 15 minuti e aver percorso quasi tre chilometri, la ragazza non ce la faceva più, era alle corde per la mancanza di energia. Stranamente era riuscita a tenere testa ai robot, anzi li aveva distanziati.
Distanziati, ma non seminati, doveva utilizzare il cervello; numerosi veicoli e velivoli stavano convergendo in quella zona, ancora distanti chilometri ma dannatamente rapidi.
Guardandosi intorno capì di essere in una zona abbastanza unica di Steel Town; non c’era in giro nessuno e neanche veicoli in strada.
Ma dietro di lei sentiva già il rumore dei nemici in avvicinamento.
Una porta dell’edificio alla sua destra si aprì.
Una voce le disse: “presto, entra qui dentro!”
Non se lo fece ripetere due volte ed entrò subito.

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Capitolo 6
*** Il Cimitero dei segreti ***


Il Cimitero era la parte peggiore di Asphalt Town.
Nel Cimitero erano seppelliti cadaveri … di armi, motori, navi e armature.
Una vera distesa di metallo che si estendeva per decine di chilometri quadrati.
Era stato creato per riciclare i rifiuti di guerra, tutti quegli strumenti di morte distrutti o resi inutilizzabili durante la Grande Guerra Planetaria degli anni venti, tonnellate e tonnellate di metallo.
Parte dei rifiuti erano stati riutilizzati , fusi e usati come nuove risorse ma solo una minima parte, l’enorme quantità era troppa, nonostante tutti gli sforzi e venti anni a disposizione. La massima parte delle scorie rimaneva sul posto, schiacciata sul suo stesso peso, come in paziente attesa.
Lo Scarabeus sorvolò il Cimitero, schivando le altissime torri di fusione costruite per riciclare il metallo: sotto di loro un’enorme via vai di operai, macchine e robot intenti a scavare il prezioso materiale: scintille arancioni si sprigionavano quando tagliavano i pezzi troppo massicci per essere trasportati in una volta sola.
Ed eccolo, nascosto in bella vista, il laboratorio 19.
A prima vista sembrava solo un’altra torre di fusione, ma era quello l’effetto voluto.
All’interno uno squadrone di poliziotti robot garantiva la sicurezza ai ricercatori e all'esterno armi camuffate, pronte a distruggere ogni ostile.
Il Capitano Kar chiese il permesso di atterrare sulla pista di atterraggio  della torre, identificandosi.
Lo Scarabeus cabrò e atterrò, e i rotori rallentarono.
Il portellone si aprì e Spring,  in divisa militare, marciò sulla pista fiancheggiato da Duke e sei soldati.
Evitò di storcere il naso anche se il fetore era potente; l’odore del fumo, dello zolfo e del metallo fuso poteva essere percepito da chilometri di distanza.
Ad accoglierli, due robo-poliziotti e due ricercatori.
Il più alto, un uomo indiano di cinquant’ anni, sovrappeso e dalla faccia rovinata li salutò: “Onore a Sun!”.
Spring ricambiò il saluto e si fece guidare all’ interno della torre.
La torre era stata costruita gerarchicamente su nove livelli in base alla riservatezza di ogni reparto.
L’indiano si chiamava Aram Holapur, ed era il capo dei ricercatori; lavorava al progetto “Metal Angel” da cinque anni ormai, figlio della collaborazione delle multinazionali Robosoft ed E.T.R.O.M.
Il suo vice si chiamava invece Lighthouse, un uomo alto di origini americane.
Il gruppo, scortato da robot e soldati scesero al livello 2.
“Kehinde mi ha parlato del progetto Metal Angel, ma quel poco che ci ho capito non mi permette di comprendere il quadro generale … potrebbe illuminarci?” chiese il militare.
“Certamente, Comandante Spring; il progetto nasce per la creazione di un nuovo tipo di robot avveneristico; un robot estremamente complesso sia per l’intelligenza che per la struttura fisica… io e la mia squadra abbiamo creato numerosi prototipi in passato che, ahimè si sono rivelati malfunzionanti.”
Scesero di altri due livelli: questo piano era quasi completamente occupato da numerosi processori collegati a moltissime postazioni di tastiere e monitor mediante cavi multicolore: “Qui è dove sviluppiamo l’intelligenza artificiale, il mio collega potrebbe parlarvene meglio”
Lighthouse, indicando i processori con le sue dita ossute cominciò con una lunga e noiosa spiegazione riguardo alla programmazione e riguardo alle procedure della Robosoft ma venne interrotto a metà da Spring: “Piacevolissima e interessante conversazione ma noi non siamo qui per parlare di informatica e siamo in una situazione di emergenza.
Potremmo rimandare il discorso a tempi più pacifici?”
“Certamente” disse l’indiano, aggiustandosi gli occhiali “Vi guido subito ai livelli riservati”.
Attraversarono un corridoio illuminato da luci a led azzurre, la fredda luce celeste rischiarava lo stretto passaggio e, grazie al microchip impiantato nella mano del ricercatore Holapur, attraversarono numerose porte blindate altrimenti inacessabili a qualunque altro essere, umano o macchina.
Raggiunsero così l’anticamera del livello 9 , una piccola sala illuminata da una luce argentea.
Gli occhi verdastri del Comandante Spring non potevano fare a meno di notare, il sudore sulla fronte del ricercatore indiano.
L’ambiente era ben areato, anzi faceva anche abbastanza freddo per le persone più sensibili ... Spring fiutò la paura dell'uomo.
Approfittandone, cominciò ad incalzare Holapur di domande: “Mi parli del Soggetto Zeta, signore”, la voce era pacata ma il tono faceva sembrare Spring un avvoltoio che ha già puntato la preda.
Holapur deglutì e si fece coraggio: “Il Soggetto Zeta era il nostro ventiseiesimo prototipo, una meraviglia di tecnologia e un’intelligenza artificiale comparabile a quella di un umano” “Addirittura?”
“Certamente, una macchina perfetta, al 99,7%”
“99,7%?”
“Aveva qualche problema sì, ma niente che non avremmo potuto risolvere.”
“E chi era il principale responsabile del prototipo?”
Holapur diresse i suoi occhi color tenebre verso Lighthouse, come in cerca di aiuto.
Lighthouse rispose “Il dottor Virgin ha tentato di violare qualche procedura ed è stato sollevato dall’incarico”
“Sollevato dall’incarico” …, il Comandante sapeva benissimo l’uso di quella espressione.
“Ed è per questo che ha hackerato il sistema di difesa e permesso a quell’ androide di fuggire”.
“Un bastardo fino all’ ultimo” pensò il Comandante.
“Signore, potrebbe gentilmente guidarmi all’ interno del livello?” chiese Spring, gentilmente ma con l’aria di uno che non si aspettava un no.
“Non è possibile, l’accesso è vietato alle persone di rango inferiore al nostro”
“Allora entreremo solo lei e io”.
“Insieme ai robot”
“Meglio così”.
Con un gesto della mano, Holapur disegnò un simbolo nell’ aria e la porta di novanta centimetri di acciaio in fibra di tungsteno si aprì.
“Capitano Duke, resti fuori e acquisisca maggior informazioni sul Soggetto Zeta da Lighthouse, io farò una chiacchierata all’interno”
Chiusa la porta gli occhi si dovettero abituare alla penombra di quel luogo oscuro.
La sala era ampia, dal soffitto altissimo: sulle pareti erano incolonnate circa una trentina di capsule di vetro alte ognuna due metri.
Le capsule emanavano una luce turchese, per via di un denso liquido fosforescente all’ interno di ognuna di esse.
Il liquido veniva trasportato da lunghi tubi color argento dal soffitto fino cima delle capsule, mentre il liquido di fuoriuscita attraversava un tubo di silicio dalla base.
I vari tubi di scarico si immettevano in due grandi tubi più grandi, simili a grossi boa pulsanti sul pavimento di alluminio.
“Ottima miscela il Soul-bracer” disse il ricercatore, riferendosi al liquido color zaffiro.
“Come?” chiese Spring.
“Una sapiente miscela di cromo-vanadio, francio e mercurio: brevettata da me, la sostanza permette di dare proprietà uniche ai metalli a cui viene a contatto per abbastanza tempo.
Tossica per l’uomo ma permette ai metalli di ricevere proprietà di superconduttori di elettricità, di raggiungere una durezza quaranta volte superiore a quella del puro diamante e una resilienza inimmaginabile.
L’unico modo per distruggere un metallo sottoposto al trattamento sarebbe quello di liberare una altissima quantità di energia altamente concentrata.
Nel futuro potrebbe essere usata per costruire reattori a fusione nucleare o astronavi che viaggeranno nelle profondità dello spazio.
Qui, dentro quest’ultima capsula aperta, conservavamo il Soggetto Zeta, che purtroppo non è stato per un tempo abbastanza lungo nel liquido”
disse Holapur, con un leggero rammarico, indicando una capsula vuota. Dietro di lui i due robot scarlatti gli davano sicurezza.
“Si risparmi la lezione di chimica e mi parli della fuga di questo meraviglioso Androide, il Soggetto Zeta”
“Ecco,  pensavamo di cavarcela da soli senza avvisare i piani superiori …” deglutì.
“Che cosa?”
“La fuga è avvenuta prima di quando si immagini, Comandante, ed avevo pensato che dare il compito di recuperare il soggetto sarebbe potuta ricadere su un semplice mercenario …”
“Che cosa, ha divulgato informazioni così preziose all’ esterno !?!”
“Guardi, mi dispiace pensavo fosse una buona idea, Drell è il miglior mercenario del Sistema Solare …”
“Dannazione , lei ha compromesso dei segreti importantissimi, lo capisce?” disse Spring, decisamente alterato e con i nervi che stavano per cedere.
“Si ricomponga, Comandante, non sapevamo cosa fare.”, provò ad ordinare goffamente il ricercatore;per farsi forza fece un cenno ai robot e loro puntarono le armi addosso a Spring.
Spring si ricompose e fece una telefonata celebrale con il suo SmartWatch.
Era avanzatissimo e unico nel suo genere, riuscì dunque a parlare telepaticamente con Kehinde , il suo superiore, e a riferirgli tutto, senza che Holapur se ne accorgesse.
“Ha compromesso un progetto importantissimo, sa quello che deve fare”
Ordinò Kehinde telepaticamente.
Con un gesto fulmineo, quasi istantaneo, Spring prese a sua pistola a raggi energetici e praticò due precisi fori nella testa dei due robot.
“Ma cosa …”
Con un’innaturale calma Spring rinfoderò l’arma, mentre le pesanti macchine cadevano al suolo provocando un grande fragore, con un leggero fumo bianco che usciva dai fori dove il plasma rovente si era scavato un percorso sino al cervello dei robot.
“Conosco questi robot, i loro punti forti e i loro punti deboli”
Holapur era troppo terrorizzato perfino per muoversi.
Con una precisa coordinazione dei muscoli il militare scaraventò il ricercatore nella capsula aperta.
Con un abile gesto la richiuse, e la sigillò pigiando un pulsante sulla tastiera.
“Cosa ha intenzione di fare? Liberami, liberami, ti prego!”
Cominciò a battere pugni sul vetro, gridando e disperandosi, gli occhi neri si muovano velocissimi e il cuore batteva in modo estremamente rapido.
Il Comandante pigiò su un paio di pulsanti e il Soul-bracer, lo stesso liquido che il ricercatore aveva inventato, riempì la capsula.
“Una morte rapida” pensò Spring. Non provò né rammarico né piacere ad uccidere il ricercatore , eseguiva solo il suo dovere.
“Aram Holapur, lei è sollevato dal suo incarico” disse Spring.
 
Lo Scarabeus attivò i motori e ascese al cielo grigio.
“Alla fine ha ricevuto tutti i dettagli dall’ ex-vice capo ricercatore, Lighthouse?” chiese Spring.
“Certamente, ci ha fornito un’ottima quantità di dati su aspetto fisico, come ragiona, come rintracciarlo. È stato estremamente collaborativo” rispose Duke.
“Di sicuro sarà felice quando scoprirà di essere stato promosso”
“Perfetto … sa che c’è?”
“Cosa , Capitano Duke?”
“C’è qualcosa di strano riguardo tutta storia … tutta questa segretezza solo per un prototipo di un androide mi sembra eccessiva”
“Noi non ci poniamo domande, noi eseguiamo gli ordini senza discutere; è così che ho scalato i gradi dell’esercito. Stia attento Capitano, la missione potrebbe essere più difficile del previsto, potremo avere mercenari e criminali ora che la notizia è stata divulgata, dobbiamo solo sperare che Drell, il mercenario, tenga la bocca chiusa.”
Lo Scarabeus ascese ancora, diretto verso la luce rosata del tramonto.

Nota dell'autore: questo capitolo è stato modificato e revisionato, alcuni errori e frasi che stonavano sono stati modificati o cancellati. Ringrazio Trainfaz per avermi fatto notare queste sviste e spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento.

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Capitolo 7
*** La rivelazione ***


Chiuse gli occhi …
Il respiro si fece meno affannoso …
Il sudore la raffredava …
Quando riaprì gli occhi si ritrovò in un corridoio buio … le tenebre avvolgevano quel posto come un nero mantello.
Solo una lontana luce cristallina rischiarava quel freddo luogo.
“Segua il suono della mia voce” udì provenire dalla luce.
La donna camminò su un lucidissimo pavimento di metallo siderale, sentendosi immersa un’aurea surreale, mistica.
Si aprì una porta in fondo al corridoio.
La ragazza entrò in un luogo completamente diverso.
Era in un accogliente appartamento illuminato da una luce dorata; i muri erano di legno dalle fibre robuste, di colore chiaro, un piccolo tavolo  e mobili davano colore alla stanza.
Su degli alti scaffali erano disposti oggetti e fotografie e minuscoli droni.
Alla sua destra luci multicolore incastonate nel legno illuminavano un lucido piano di acciaio inossidabile.
Alla sinistra una porta a scomparsa  e in cima allo stipite una bandiera a lei sconosciuta , dai colori rosso , bianco e blu.
L’atmosfera era rilassante e il contrasto fra rustico e tecnologico piacevole.
Al centro del pavimento c’era un tappeto rosso chiaro e un piccolo robot  dotato di cingoli stava avanzando verso di lei: “Buongiorno ,signora ospite, cosa posso fare per lei?” disse la macchina
“Non c’è bisogno di convenevoli ODIF-12, puoi pure metterti a risparmio energetico” disse una voce  maschile dal tono basso ma non minacciosa, anzi quasi paterna.
“Grazie signore” rispose il robottino e andò a caricarsi in un angolo azionando i minuscoli cingoli.
La ragazza si girò e vide un uomo di circa 55 anni, dai capelli e barba di colore nero con qualche filo argentato.
Il fisico ancora prestante nonostante avesse qualche chilo di troppo, che dava l’idea di uno che avesse rifiutato ogni tipo di chirurgia estetica ma si fosse conservato bene.
Gli occhi di colore azzurro ghiaccio la osservavano benevoli.
“Davvero signore, non so come ringraziarla, non fosse stato per lei adesso sarei catturata”
“No, io devo ringraziare lei” rispose l’uomo.
“Ho visto troppe persone morire per mano delle macchine della E.T.R.O.M. , ho visto troppi robot con simbolo della ruota dentata” le disse.
“Continuo a non capire…”
“Guardi su quello scaffale”.
C’era una foto di un uomo di 35 anni, in uniforme di guardia presidenziale.
“Nel gennaio 2022, pochi giorni prima della Grande Guerra Planetaria ero una guardia del presidente degli Stati Uniti D’America: lo avevamo scortato a Roma  dove incontrò il presidente della Russia e insieme parlarono della situazione militare internazionale, in particolare della formazione di eserciti privati da parte di alcune grandi multinazionali.
Era il mio compito difendere lui e il mondo libero … invece lui e il presidente russo morirono nel famoso attentato ordito dalle multinazionali.
Da lì persi tutto: la mia patria, gli Stati Uniti, invasa da eserciti nemici, la mia famiglia, morta nella Battaglia di Manhattan , i miei ideali, ormai senza valore.
Da allora la mia vita non avuto più senso ma preferisco continuare ad aiutare le persone oppresse dal Regime, piuttosto che inchinarmi a persone senza morale” spiegò l’uomo, rimanendo sereno ma con gli occhi leggermente lucidi.
“Quella bandiera appesa è quella della tua patria?”
“Sì, è la Stars and Stripes, un simbolo di libertà … a proposito io mi chiamo Roland Smith, ma lei mi può chiamare semplicemente Roland, e lei come si chiama?” chiese gentilmente.
“Astrid” rispose la ragazza.
Astrid? Perché aveva detto che si chiamava Astrid? Non conosceva nulla di sé, a parte di essere di sicuro una ricercata dal Regime. Decise di non dire nulla per non far venire inutili dubbi all' uomo.
“Bene Astrid, mi sembri una ragazza piuttosto giovane, cosa è successo per essere inseguita dalla Robo-polizia?”
“Non saprei , non ho commesso nulla di male”
“Tipica tattica del Regime , arrestare innocenti per deportarli nei campi di lavoro lunari per estrarre minerali rari” disse l’uomo, con un leggero tono di rabbia.
“Vuole che chiami qualcuno, un familiare, un amico?” chiese tranquillo.
“No, non ho nessuno in questa città” disse Astrid: macinò la mente e disse “Tutti quelli che conoscevo sono stati arrestati”; aveva affermato il falso ma Astrid non sapeva che fare: dire che non si ricordava niente avrebbe suonato un po’ da persona impazzita.
“Mi dispiace molto, Astrid, se vuole può rimanere il tempo che vuole qui, nella stanza degli ospiti”
“Grazie , ma ancora non capisco perché mi sta aiutando così tanto, signor Roland”
“Le ho già spiegato, preferisco aiutare chi è in difficoltà che accettare il Regime; se accettassi la Dottrina Anarco-Capitalista delle grandi aziende mi sentirei un robot.
Preferisco continuare a resistere … non saprei, mi fa sentire vivo.”
“È davvero una persona gentile e saggia” pensò Astrid.
Si era sistemata nella stanza degli ospiti e aveva fatto una doccia per lavare via la polvere e il sudore dal suo corpo.
Si era meravigliata che in un mondo che le appariva tanto empio e spietato ci fosse ancora qualcuno capace di essere nobile: pensò a tutto il suo viaggio dai bassifondi di Asphalt Town fino al cuore di Steel Town.
Un viaggio per ritrovare sé stessa che ancora non si era concluso: se neanche il governo aveva dei file su di lei, da dove ricominciare le ricerche della propria identità?
Questi sono problemi per il domani , ora riposati, sei sfuggita a molti pericoli oggi.
Si addormentò e cominciò a  sognare.
Fece un incubo terribile: si trovava davanti  a un fiammeggiante vortice nero dai contorni verdi.
Venne trascinata all’ interno e si trovò in un rosso deserto senza fine sovrastato da un cielo violaceo.
Un urlo terribile e un mostro metallico nero con lunghe corna la caricò: un colpo dietro la nuca e la fece cadere a terra.
La ragazza si risvegliò di soprassalto : “Un incubo” pensò, ancora in preda al terrore.
Si accarezzò i capelli biondi dietro la nuca e tastò qualcosa:  si alzò e con l’ausilio di un paio di specchi si osservò il retro della testa.
Nella sua nuca, nascosto dai capelli, c’era un buco circondato da metallo, simile a una porta USB.
Astrid capì in un attimo chi era, cosa era.
Lei era un androide.
 
 
Nota dell'autore: così ho deciso di finire Metal Angel; infatti è una storia completa , anche se il finale lascia molte possibilità di sviluppo della trama.

Per svariati motivi ho deciso di finire la storia; infatti ho deciso di scrivere il sequel e creare una serie: il sequel si intitola Metal Demon e , purtroppo non posso dire quando riuscirò a pubblicarlo.

Nel frattempo pubblicherò altre storie sul mio account e mi riguarderò Metal Angel per correggere eventuali buchi di trama: mi scuso se pubblico ogni morte di papa ma per via di impegni non riesco trovare abbastanza tempo per scrivere.

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Capitolo 8
*** Prologo Metal Demon ***


Nel cuore della notte Serenicity si illuminava di luci.
Un denso alone bianco sovrastava la luccicante metropoli, che risplendeva come il più magnifico dei gioielli; un prezioso risplendente come il platino, duro come il diamante, gelido come la neve.
Quell’intensa luce creava in contrasto numerosi anfratti bui negli stretti vicoli di Steel Town: neri come la pece, oscuri come la morte.
Astrid sentì forti colpi risuonare all’esterno: all’improvviso Roland entrò nella sua stanza, con aria affrettata e preoccupata; aveva uno zaino in mano che cominciò a riempire di vari oggetti, tra cui una pistola al plasma.
“Svegliati, Astrid , dobbiamo andarcene da qui” disse senza mezzi termini.
“Cosa?” gli chiese, mentre indossava una felpa grigia.
“Ci hanno scoperto”
“Chi?”
“Non c’è tempo, seguimi”
Astrid avrebbe voluto fermarlo e dirgli chi era lei veramente, ma appena aprì bocca sentì il rumore di uno strumento da taglio che intaccava il metallo.
Roland la condusse in fondo al corridoio alla fine del quale c’era una botola di ferro.
L’occhio di Roland venne scannerizzato da una telecamera e la botola si aprì.
All’interno uno stretto passaggio ammantato dalle tenebre.
Dietro di loro udirono una forte esplosione e la porta principale, spessa dodici centimetri di acciaio, venne divelta da una potente fonte di calore.
“Non c’è più tempo, scappa” gridò Roland e spinse Astrid dentro.
Sigillò poi l’apertura e sparò alla telecamera.
Si girò verso la porta divelta, circondata da fumo bianco, ricaricò l’arma e si preparò a incontrare il Destino.


Nota dell'autore: questo è il prologo di Metal Demon, la storia si trova sul ,mio stesso account, vi chiedo che se volete lasciare una recensione di lasciarla sulla pagina della nuova storia

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