Note
Ciao!
Alle porte del fine settimana ecco il terzo capitolo della mini-long.
Questo capitolo sarà dal punto di vista di Lucius e ci tengo a fare una
precisazione: i fatti scritti in corsivo si riferiscono a eventi passati
rispetto a quelli scritti normalmente, tuttavia ho scelto di riportarli in
prima persona per conferire loro una maggiore vividezza. Sono dei flashback al
presente dal punto di vista di Lucius come se li stesse vivendo in quel
momento.
Vi auguro una buona lettura e un buon weekend! J
Mel
Capitolo 3
Lucius P.O.V.
Il tempo in questa cella sembra non passare mai. Quanto ne è trascorso?
Settimane? Mesi?
Non c’è nulla che mi indichi il susseguirsi dei giorni, tranne forse gli
incontri con Black.
Nel primo incontro avvenuto dopo quella terribile notte in cui mi aveva
costretto a violentarlo il mio odio nei suoi confronti era tale da essere
quasi palpabile.
Black entra con le mie sembianze e compie i soliti gesti di routine:
chiude la porta, appoggia il vassoio del cibo accanto a me e mi libera
dalle catene, minacciandomi con la bacchetta.
La notte precedente mi ha ferito e mi sento sporco, indegno di
rispetto. Dovrei avere paura di lui perché sono alla sua mercé, perché
può rifarlo ancora e ancora e abusare di me quanto vuole, ma davvero
non riesco a provare nient’altro che odio.
E d’altronde lui non sembra nella posizione di comando: prova vergogna
e so che non ci vorrà molto per farlo sentire ancora peggio. Mi rivolgo
a lui con parole calme che scivolano dalla mia bocca intrise del veleno
del serpente che sono.
-
Complimenti Black. Ti sei finalmente comportato come il bullo che sei
sempre stato, che infierisce sui più deboli.
Incassa senza replicare e mi offre il cibo.
- Dovresti mangiare.
Continuo a canzonarlo.
-
Chissà che cosa direbbe il caro Potter se sapesse che il suo amato,
nobile padrino, si è macchiato di un tale peccato. – sputo quella frase
con palese sarcasmo.
È la vergogna, adesso, a troneggiare sul suo volto. L’ho ferito.
- Mangia. – ripete, sempre pacato.
-
Perché, credi che nutrirmi sia sufficiente a farti perdonare? A
cancellare questa tua colpa? Usare una Maledizione Senza Perdono con un
prigioniero per umiliarlo e costringerlo a un rapporto non voluto… sarà
interessante raccontarlo a Silente.
Lui si massaggia le tempie, come se avesse un gran mal di testa.
-
Harry e Silente capiranno. Siete voi i mostri che lasciano che Greyback
infierisca sui morti. – replica come per giustificarsi.
- Credi che abbiamo una qualche scelta? Tu ieri l’hai avuta?
Sorprendentemente riacquista risolutezza e mi si rivolge con animo
fiero.
-
Io la mia l’ho compiuta quando ho preferito unirmi all’Ordine piuttosto
che al Signore Oscuro. La tua scelta, Malfoy, è indelebile sul tuo
braccio e affonda la sua origine in ideali repellenti.
Gli faccio eco con una risata roca e divertita.
-
Sei ancora più arrogante di come ti dipinge Severus, Black. Nessuna
sorpresa che la tua famiglia ti abbia rinnegato. E, a proposito di
Piton, quello a cui hai assistito ieri non è altro che uno degli esiti
che avrebbe potuto avere lo scherzetto che gli giocasti a Hogwarts.
Volontariamente.
So che quelle parole acuiranno il suo senso di colpa e gli faranno male
e infatti, quasi come per un riflesso, solleva la bacchetta contro di
me. Tuttavia resto impassibile.
-
Forse avrai anche ragione quando sostieni che non mi conviene che ti
scoprano, ma fossi in te non mi dimenticherei che hai bisogno di me per
avere informazioni e per aiutare concretamente il tuo gruppo di
amichetti.
Ora sono io quello in vantaggio e ne è consapevole.
Infine l’ultima infida domanda.
-
Black, lo sapevi a cosa stavi andando incontro quando mi hai aggredito
o hai pensato che si trattasse di uno dei giochetti da Malandrini,
sfidare il Signore Oscuro e cavarsela?
Non aveva risposto perché era superfluo. Gli orrori erano
inimmaginabili.
Avevo infine mangiato qualcosa e cessato di infierire, non per lui, ma per
me stesso: che mi piacesse o no Black era la mia unica compagnia
giornaliera e non volevo abbatterlo troppo col rischio che poi non mi
rivolgesse più la parola; insulti e ordini erano comunque meglio rispetto
al silenzio e allo squittio dei ratti.
Comprendevo la sua pena, perché era anche la mia: diventava sempre più
complesso obbedire agli ordini del Signore Oscuro ma ero un codardo e da
tale gli obbedivo soffocando ogni emozione.
Ora, invece, lui era il dipinto di come sarebbe stato il mio volto se ciò
che covavo avesse potuto urlare. Le occhiaie, il pallore, l’atteggiamento
affranto: a differenza mia, lui non fingeva e quelle espressioni
sbocciavano e fiorivano sempre di più tra i suoi lineamenti.
Quello spettacolo non era di mio gradimento e avevo affrontato la questione
il giorno seguente.
-
Non mi piace questa tua cera, Black. – lo accuso senza tanti giri di
parole. – Sembra che servire il Signore Oscuro sia un enorme fardello
per te, quando dovrebbe essere un onore. -.
- So gestire la mia espressività, Malfoy, fatti gli affari tuoi.
-
Tu sai a malapena gestire un prigioniero, figuriamoci una copertura.
I suoi occhi si erano assottigliati, offesi.
-
Non sono un inetto, per quanto ne possiate pensare tu e la mia non più
famiglia.
-
Davvero? Sei qui solo da qualche giorno e guardati… pari un cadavere.
Non ti dai tregua, non sei ancora riuscito a estrapolarmi nemmeno una
parola sulle mie abitudini e non hai più rivisto il Signore Oscuro,
quindi sei persino privo delle tue preziose informazioni.
Ma quelle parole non lo colpiscono. Anzi, sembrano ridargli
vigore.
Forse sbaglio. Forse è riuscito a scoprire qualcosa.
-
Un’altra parola, Malfoy, e riproviamo gli effetti dell’Imperius, ti va?
Taccio. Ripenso al colloquio del giorno precedente e mi ricordo che non
mi ha chiesto scusa. Si vergognava, sì, ma non era pentito. Forse,
rifletto, anche lui ha un lato oscuro. Sorrido con amarezza.
-
Il sangue dei Black sta finalmente venendo a galla. Diventerai peggio
di tua cugina, se continui così.
Sa che non riferisco a Narcissa. Sta per ribattere, ma sono più rapido.
-
Vedi di tirare fuori questo lato sadico anche quando sei di sopra,
Black, perché se il Signore Oscuro iniziasse a dubitare di te si
prenderebbe la sua rivincita su Narcissa e mio figlio e se questo
dovesse avvenire ti garantisco che non ci saranno catene, Imperius né
Cruciatus che ti terranno in vita. Sono stato chiaro?
Non annuisce ma capisco che quell’intimidazione ha funzionato: Narcissa
è pur sempre sua cugina e Draco solo un ragazzo.
- A questo proposito ho una cosa da dirti… whisky.
Lui finalmente solleva gli occhi e mi guarda come se fossi diventato
pazzo.
-
Non guardarmi così. Bevo due drum di whisky ogni sera prima di andare a
dormire.
Qualcosa si riaccende dentro di lui.
-
È un’abitudine che ho preso da mio nonno. – continuo a spiegare,
mangiando.
Vedo che fa un movimento con la bacchetta e lo squittio dei ratti
finalmente finisce.
-
Elimina ratti e insetti sgraditi. – è il suo turno di spiegare. - È un
trucchetto che ho imparato ad Azkaban.
Da quel momento, tuttavia, le ostilità non erano scemate. Per quanto gli
fornissi indicazioni per non farsi scoprire, per proteggere mia moglie e
mio figlio, e il suo aspetto fosse un po’ migliorato, non potevo farmi
sfuggire l’occasione di stuzzicarlo sempre di più: il mio unico passatempo
in quella cella.
- Come hai fatto Black? – gli domando un giorno, di pessimo umore.
- A fare cosa?
- A resistere.
La sua prigionia è un argomento che lo turba e per le condizioni in cui
vessa so che quella mia domanda gli evoca ricordi che sono come sale
sulle sue ferite.
-
Innocenza. – risponde. – Sapevo di essere innocente. Pensavo ai miei
amici. A Remus… a James. – si guarda intorno. – Questa cella non è come
Azkaban, Malfoy. Qui puoi provare insofferenza, ma non certo dolore.
Pensa ai tuoi cari, se proprio ti annoi. -.
- Come stanno?
-
Tuo figlio va molto bene a Pozioni e a Difesa delle Arti Oscure, con
quel traditore di Piton e quella venduta della Umbridge. – mi aggiorni.
- Che strano, eh? -.
- Mio figlio sarebbe andato bene comunque.
- Mai quanto Harry.
- Come no.
Gli sfugge un sorriso, che poi soffoca. Non vuole mostrarti
vulnerabile.
- Narcissa è sempre più preoccupata e vorrebbe fuggire.
Mi protendo all’improvviso verso di lui.
- Non farle fare sciocchezze!
Ora sono io quello che si è mostrato vulnerabile e non si fa certo
sfuggire l’occasione.
- Perché se no che fai?
-
Non fare finta con me, lo sappiamo entrambi che non faresti mai del
male a Narcissa.
- Sicuro?
Per un attimo scorgo nei suoi occhi grigi un riflesso, uno che non ha
nulla a che fare con me ma che conosco bene: Bellatrix. Non sono poi
così diversi e per un istante, forse per la prima volta, ho paura.
-
Tutti i miei impegni sono riportati nell’agenda del quarto cassetto a
destra della scrivania nel mio ufficio. Nel secondo a sinistra troverai
tutte le informazioni importanti per continuare a gestire i miei affari
senza ridurmi sul lastrico. – cerco di mostrarmi collaborativo, per
proteggere Narcissa.
Un sorrisetto soddisfatto incrina il suo volto.
- Molto bene, Malfoy. Considera la cara Cissy al sicuro.
Quel riflesso oscuro nel suo sguardo tornava ad affacciarsi sempre più
frequentemente.
Una sera, addirittura, era trionfante in un modo esagerato, da brividi.
-
Come mai hai portato anche il dolce? – lo guardo con sospetto. – C’è
del Veritaserum o qualche veleno? -.
-
Malfoy, se volessi farti del male non utilizzerei un espediente così
scontato.
Vorrei rivolgermi a lui con sarcasmo, ma le mie papille gustative non
assaggiano qualcosa di dolce da non so quanto e la gola vince
sull’orgoglio.
-
È per festeggiare. Ho torturato altre due persone. – mi annuncia
sorridendo.
Quasi il dolce non mi va di traverso e tossisco.
- Credevo che non ti piacesse.
-
Anch’io. Ma mi piace molto se le due persone in questione sono Greyback
e Yaxley. Non che detesti Yaxley più degli altri, ma Greyback… ho
assaggiato il dolce sapore della Cruciatus.
Sono io quello sconvolto. Poi Black scoppia in una risata senza gioia.
-
Ho anche scoperto dei segreti importanti, riferiti già a Silente. Sta
andando tutto com’era nei piani e da anni non mi sentivo così utile.
Quella sera non dico nulla, non lo sfido. Ho come l’impressione che
davanti a me ci sia un altro Black. Il Black che potrebbe torturarmi.
Altre volte, invece, mi poneva dei quesiti troppo stupidi, tanto che avevo
il dubbio che soffrisse di doppia personalità.
Al suo ingresso non ha nulla del Black con il trionfo negli occhi di
qualche giorno prima. Sembra piuttosto tormentato da qualcosa.
-
Black! – esclamo, richiamandolo. – Qualcosa non va più come nei piani?
– lo punzecchio un po’, con cautela.
- Ho un dubbio atroce. – mi confida dopo un momento di esitazione.
- Posso avere l’ardire di chiedere quale?
- I tuoi capelli.
Ora sono perplesso.
- I miei capelli?
-
Esatto. Travers si è accorto che si stanno rovinando e non posso
permetterlo. – mi spiega. – Come fai a tenerli perfetti? -.
-
Hai sbattuto la testa. – concludo, dopo un attimo di silenzio. – Di
tutte le cose che puoi chiedermi mi domandi dei miei capelli? -.
-
Le domande le faccio io. – ripeti lentamente. – Dobbiamo ritornare ai
trattamenti dei primi giorni? -.
Esito qualche secondo ma poi vedo che mi punta addosso la bacchetta e
temo di nuovo un’altra notte insieme. Mi affretto a rispondergli.
- Balsamo, una volta al giorno.
Non è un’informazione la cui segretezza valga una maledizione.
- Molto bene. Molto bene.
Fa evanescere il vassoio vuoto ed esce.
Sono qui solo da troppo tempo, soggetto agli sbalzi di umore di Black. Si
sta abituando e lo vedo rinvigorito, più sicuro. Ogni tanto arriva nella
cella malconcio a causa delle punizioni di Lord Voldemort quando le
missioni falliscono, cioè quando quelli dell’Ordine sono un passo avanti a
loro.
Gongola quando scende per annunciarmi notizie come quelle, sorridendo
impertinente, muovendosi con quella eleganza poco formale che lo distingue,
scadendo sempre nell’autocompiacimento.
Io invece sono sempre più spento, sempre più annoiato, scivolato
nell’inedia. La mia unica gioia consiste nelle lettere che mi invia mio
figlio e che lui mi legge.
Il tempo non scorre mai e io bramo una qualsiasi azione, un qualsiasi
passatempo.
Finché un giorno, mentre sonnecchio, giunge più malconcio del solito: si
regge a malapena in piedi e il vassoio con il mio cibo ancora fumante
traballa pericolosamente sulle sue mani tremanti.
Come da copione serra la porta, lo ripone goffamente accanto a me e mi
libera.
Prendo il vassoio e lo fisso senza osare fare domande.
Deve essere molto inquieto, perché mi aggredisce a parole poco dopo.
- Che hai da guardare?
- Non sono abituato a vederti col tuo aspetto. – rispondo dopo un
po’.
Ma non è quello a non farmi levare gli occhi di dosso a lui, no. Piuttosto
è il timore che provo, perché l’ultima volta che l’ho visto così non è
finita bene.
- Non avrei sopportato un solo sorso di quello schifo di Pozione
Polisucco, non dopo tutte le pozioni Rimpolpasangue.
- Non dirmelo, hai fatto qualcosa di idiota e ti sei fatto
finalmente scoprire.
- Non ancora, ma il Signore Oscuro si è molto arrabbiato per una
missione finita male al Ministero. Si aspettava di catturare Harry, ma,
ovviamente, l’Ordine sapeva dell’inganno. Così, quando i Mangiamorte si
sono recati all’Ufficio Misteri hanno trovato come comitato di accoglienza
l’Ordine, il Ministro e qualche Auror. Alcuni sono già ad Azkaban.
Noto le sue ferite.
- Immagino che il Signore Oscuro non l’abbia presa bene.
Black sorride, nonostante il dolore.
- Per niente.
Mi si avvicina a grandi falcate e si abbassa in ginocchio fino a
raggiungere la mia altezza e mi prende il mento tra le mani.
- Sai, io voglio scordare questo dolore e tu… tu hai bisogno di un
po’ di svago. – mi soffia vicino alla bocca.
La voce è roca, sensuale. Non è più irritato, ma forse è ancora più
pericoloso.
Un brivido mi attraversa la schiena.
- Black… - inizio con voce apparentemente ragionevole.
Ma non riesco a parlare oltre perché sento la sua mano accarezzarmi ed è
così diversa dalla fredda pietra su cui dormo da settimane e la reazione
del mio corpo è un sussulto. Appoggia lentamente le sue labbra sulle mie e
sento la sua lingua umida delinearne i contorni. Contro ogni ragione
logica, spinto solo dal desiderio di calore, mi sorprendo a schiuderle.
La sua bocca sembra ora volersi mangiare la mia, la sua lingua mi promette
cose oscene.
Poi si stacca, per riprendere fiato.
- Allora, Malfoy? Non ti vuoi divertire un po’ in questa cella? –
mi sibila all’orecchio, tentatore.
Poi mi lambisce il collo, languido, e mi accarezza l’inguine al ritmo dei
miei sospiri.
Quando prendo coscienza di ciò che sto facendo lui è già nudo sotto di me e
io sono in balìa scariche di eccitazione.
Lo sento in mano mia, i capelli neri e ribelli sparsi, la schiena contro il
muro, seduto a gambe larghe per farmi spazio, le sue forti braccia
artigliate sui miei fianchi per trattenermi, e i suoi riflessi sono
offuscati.
Vorrei approfittarne per liberarmi: la porta è chiusa ma la sua bacchetta
fa capolino tra gli abiti abbandonati poco più in là.
Gli mordo un labbro con veemenza fino a farlo sanguinare e mi allontano
all’improvviso, allungando un braccio verso la mia salvezza. Ma Black è più
veloce e dopo un momento di intontimento iniziale mi è addosso, feroce come
una belva.
- Questo non dovevi farlo! – ruggisce, infuriato.
Spalanco gli occhi terrorizzato. Ho la schiena sul pavimento e il suo corpo
preme sul mio e io ne sono succube. Ho letteralmente il suo fiato sul
collo.
- Lasciami. – la mia suona come un’implorazione. – Perché mi fai
questo? -.
- E perché voi fate del male a quella gente?
- Perché sono esseri inferiori…
- Perché sei spregevole, Malfoy, pronto a vendere i tuoi servigi a
chi ti assicura più prestigio! Non ti vergogni nemmeno un po’? – siamo
vicini, ma sta gridando.
Vorrei replicare, ma non ragiona e sarebbe inutile. Sono inerme nelle sue
mani.
- Pagherai tu e pagherò anch’io, facciamo i conti con l’oste di
Azkaban.
- No, ti supplico Back, per favore, no…
Mi ignora e mi prende di peso, sbattendomi senza grazia contro il muro. Le
mie gambe molli cedono e mi ritrovo in ginocchio ai suoi piedi.
- Ti dirò tutto ciò che vuoi… - insisto.
- La tua vigliaccheria è imbarazzante, Malfoy. Ti ho sempre
trattato in modo gentile e alla prima difficoltà eccoti in ginocchio a
rinnegare la tua fazione. -.
Mi schiaccia nuovamente a terra, fulmineo, e senza indugiare ulteriormente
mi lacera ed entra in me. E io grido. Nel dolore non c’è lembo di pelle sul
suo corpo che le mie mani non graffino, che i miei denti risparmino. Lo
colpisco con rabbia sui tatuaggi, così diversi dal mio: i suoi sono una
libera scelta, il mio un simbolo di schiavitù.
- Non violentarmi, Black… - sussurro.
La concupiscenza lo rende sordo alle mie preghiere e più il dolore si
trasforma lento in scariche di piacere più il mio astio si fomenta. Sono
prigioniero, suo, del pavimento, infine anche dei miei istinti, mentre
gemo, mentre gli mordo le labbra, mentre mi inarco verso il suo bacino.
I nostri volti sono trasfigurati dal piacere, la mia barba ispida lo
graffia, ma non è abbastanza come scudo; i suoi capelli neri sono arruffati
e cedo infine ad affondarci le mani per tastarne la ribelle morbidezza; mi
afferra i fianchi e mi sento completo e tutto il calore che mi è mancato in
questi mesi mi travolge in pochi estatici istanti.
Cedo ai sensi e Black cala su di me come una scure, finché lui non si perde
e io non mi perdo con lui.
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