Black Feathers

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sogno di una notte d'inverno ***
Capitolo 2: *** La storia delle anime gemelle ***
Capitolo 3: *** Le loro Maestà ***
Capitolo 4: *** Insieme, un passo alla volta ***
Capitolo 5: *** Gli occhi degli amanti ***
Capitolo 6: *** Un pessimo bugiardo ***
Capitolo 7: *** Di natura gentile ***
Capitolo 8: *** Piume nere ***
Capitolo 9: *** Stella Cadente ***
Capitolo 10: *** Macchie sulla neve ***



Capitolo 1
*** Sogno di una notte d'inverno ***


Note Introduttive:
Ecco la mia personale versione di un AU che non è nuovo nel fandom di Hq!! e che è nato in seguito ad un re-watching forzato di alcuni traumatici classici Disney (primo colpevole: Bambi) da cui è inevitabilmente tratta parte dell’atmosfera favoleggiante della storia. Finisce lì, però, il resto è tutto men che da bambini…
E, sì, queste sono le uniche cose interessanti che scriverò in questa introduzione. Il resto è ordinaria routine, abbiate pazienza. Questa storia è nata come una one-shot autoconclusiva ma, per evitare di superare la soglia del conteggio di parole disumano, sarà divisa in cinque capitoli (capitolo più, capitolo meno) di media lunghezza.
Come già scritto nell’intro, la natura di questa storia è essenzialmente KageHina ma vi saranno altre coppie di supporto che faranno la loro comparsa saltuariamente (Ushioi, Daisuga, TsukkiYama tra queste.)
Piccole indicazioni tecniche. Per toglierci ogni dubbio, un Winged-AU è un universo alternativo in cui i personaggi coinvolti hanno ancora forma umana con l’aggiunta di due ali che, in questo specifico caso, sono ispirate a quelle di volatili realmente esistenti. Niente Mpreg questa volta ma è mio dovere avvertirvi che verranno coinvolte delle uova.
Ultimo ma non ultimo, il rating potrebbe essere sensibile a variazioni ma cercherò di rendere noto un tale cambiamento già dal capitolo precedente al cambio o nella mia pagina autore ( M for Marta
).
Penso di aver detto tutto.
Vi ringrazio per l’attenzione e buona lettura!

 
 
I
Sogno di una notte d’inverno


 
 
Con l’arrivo dell’inverno, l’intera Foresta sembrava essere caduta vittima di un crudele sortilegio.
Il cielo era divenuto grigio a partire dalla metà di settembre ed i primi fiocchi candidi erano cominciati a cadere pochi giorni dopo. Da allora, non aveva più smesso di nevicare.
Quel giorno di fine dicembre, la bufera era violenta ma non abbastanza per spezzare le grandi e forti ali del Re della Foresta.
Atterrò sotto agli alti alberi che ricoprivano la cima della montagna affondando gli stivali nella neve fresca. Prese a camminare in una direzione precisa come se questo non lo affaticasse in alcun modo. Doveva tornare a casa e nessuna intemperia al mondo avrebbe avuto il potere di fermarlo.
Il Nido delle Aquile si trovava dove la Foresta era più fitta e scura, dove nessun Umano avrebbe mai osato avventurarsi nemmeno per la più ambiziosa battuta di caccia. Era un albero secolare, antico quanto lo era la Foresta stessa ed era sempre stato un posto sicuro ma quell’inverno era un nemico che nemmeno il Re sapeva come combattere. La rabbia che provava verso se stesso non era seconda nemmeno a quella per il destino, sebbene sapesse che era completamente inutile.
Ora, inoltre, c’era al mondo un’altra ragione per cui non soccombere e non aveva importanza quanto la situazione fosse più grande di lui. Sarebbe andato tutto bene. Doveva andare tutto bene.
“Wakatoshi…”
Il Re si voltò. “Satori…”
Non c’era solo lui ad aspettarlo tra gli alberi, sotto la neve. Tutte le sue Aquila erano lì fuori, le ali piegate, i cappucci dei mantelli tirati sulla testa e l’espressione scura. Troppo.
A Wakatoshi bastò guardarli per sapere che non era andato affatto tutto bene.
Riportò gli occhi sull’albero secolare davanti ai suoi occhi. Affondò ancora un passo nella neve, poi le dita di Satori si strinsero intorno al suo braccio. “Wakatoshi,” non lo aveva mai visto tanto serio in vita sua. “Aspetta… Solo un istante, dobbiamo parlare.”
Wakatoshi gli rivolse uno sguardo raggelante: non voleva nessuna spiegazione, voleva solo entrare nella sua casa e vedere con i suoi occhi quello che era successo. “Lasciami andare…” Quasi sibilò ma non aspettò che Satori lo ascoltasse per liberarsi dalla sua stretta.
Ancora due passi.
“Wakatoshi,” Satori si parò di fronte a lui e se non fosse stato per i lunghi anni di amicizia che li legavano, il Re non avrebbe esitato a toglierlo di mezzo anche con la forza, “è meglio per tutti se ascolti.”
“È successo qualcosa a Tooru?” Chiese Wakatoshi col suo solito fare diretto. Se non gli permettevano di andare da lui, che almeno mettessero a tacere il pensiero peggiore che era riuscito a formulare in quel momento.
Satori dovette comprenderlo perché annuì immediatamente. “Sì, sì, Tooru sta bene, ma…”
Il Re lo superò con ampia falcate.
“Wakatoshi!”
Se il desiderio di vedere Tooru era stato forte prima, ora era quasi soffocante.
I cancelli del Nido erano aperti ma si era radunata una piccola folla ai piedi delle scale a chiocciola che risalivano l’enorme tronco secolare dall’interno. La maggior parte erano gli uomini di Tooru ma Wakatoshi riconobbe le ali di un Aquila tra di loro e bastarono pochi passi perché incrociasse gli occhi dal giovane a cui appartenevano. “Anche tu…” Mormorò, come se fosse deluso.
Kenjirou sembrò esitare per un istante, poi però si portò in avanti. “Parla con Satori,” quelle parole erano terribilmente simili ad una preghiera. “Non andare subito da lui, non farai il suo bene in questo modo.”
Wakatoshi non gli disse che nessuno poteva permettersi di decidere cosa fosse o no il bene di Tooru, tranne Tooru stesso ed ancora non si era presentato sul suo cammino per respingerlo in alcun modo. “Ritira gli uomini,” ordinò. “Lasciami passare…”
Kenjirou strinse le labbra e scosse la testa. “Aspetta… Se lo ami, aspetta…”
Era molto di più di quello che il Re poteva sopportare. Sollevò lo sguardo verso i grandi rami dell’albero, dove i suoi antenati avevano costruito le stanze reali del Nido delle Aquile.
Kenjirou comprese quello che stava per fare. “Wakatoshi, aspetta!” Allungò una mano ma non riuscì nemmeno a sfiorarlo. Le grandi ali marroni e bianche sulle spalle del Re si aprirono e si librò in volo come se tutto quel vento e quella neve nemmeno ci fossero. Kenjirou abbassò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. “Mi dispiace…” Mormorò a qualcuno che non poteva udirlo.
 
 
 
Wakatoshi atterrò sulla balconata della camera reale, quella che era divenuta sua e di Tooru da alcune stagioni, ormai. Le tende erano tirate e non poteva vedere all’interno. “Tooru?” Lo chiamò ma l’unica risposta che ottenne fu un inquietate silenzio. Si mosse in avanti come se stesse per attaccare ma, dall’interno della stanza, qualcuno lo precedette ed uscì allo scoperto.
Wakatoshi lasciò andare un sospiro. “Hajime…”
Avrebbe dovuto aspettarselo.
Il Cacciatore aveva le dita strette intorno all’elsa della sua spada. Il giorno in cui gliel’aveva puntata contro per l’ultima volta era ormai un ricordo sbiadito ma Wakatoshi sapeva che non avrebbe esitato ad usarla se l’avesse ritenuto necessario. Era un ragazzo intelligente, razionale… Fino a che non si trattava di Tooru.
Wakatoshi non aveva alcuna intenzione di fargli del male. “Lasciami passare,” lo chiese quasi gentilmente.
Nemmeno Hajime era davvero intenzionato ad usare le maniere forti. “Non prima che tu mi abbia ascoltato.”
“Voglio vedere Tooru.”
Hajime annuì con espressione grave. “Lo so…”
Non era una novità che Kenjirou prendesse le cose troppo sul serio. Poteva essere allarmante il fatto che lo facesse Satori ma quello che Wakatoshi vide sul viso di quel Cacciatore fu ciò che gli mise davvero paura. “Sta bene?” Domandò ancora una volta, con più urgenza.
Satori poteva anche aver mentito per farlo stare calmo ma Hajime no, non lo avrebbe mai fatto. Non quando c’era di mezzo Tooru.
Wakatoshi non seppe esprimere quanto fu grato di vederlo annuire. “Sì…” Disse Hajime. “Lui sta bene ma…”
Fu quell’esitazione a rendere tutto improvvisamente chiaro. L’ingenuità di Wakatoshi era stato credere che se Tooru stava bene, allora doveva essere andato bene anche il resto. “Il bambino…”
Hajime aprì la bocca, poi la richiuse ed evitò di guardarlo negli occhi mentre cercava le parole giuste da dire. Wakatoshi seppe di aver indovinato la natura del problema.
Quell’attimo d’immobilità totale venne spezzato dai vagiti di un neonato all’interno della camera reale.
Per un attimo, il Re non seppe cosa pensare, cosa sentire.
Gli occhi del Cacciatore tornarono immediatamente sui suoi.
Wakatoshi avanzò. Hajime si mosse nella sua direzione ma non provò davvero a fermarlo: sapeva che sarebbe stato inutile.
“Tooru!” Il Re superò le tende ma non trovò nessuno dalla parte opposta. La camera reale sembrava vuota ma il pianto del bambino continuava ad essere l’unico suono a spezzare il silenzio.
Wakatoshi si guardò intorno ed il suo sguardo cadde inevitabilmente sul piccolo nido di coperte che lui e Tooru avevano preparato mesi prima accanto al loro letto. L’uovo si era schiuso e di esso non rimanevano che frammenti di guscio ancora umidi di liquido amniotico. Il loro bambino era nato.
“Tooru,” chiamò nuovamente facendo ancora qualche passo. Solo dopo aver superato il letto lo vide, nascosto tra la parete di corteccia ed i tendaggi del baldacchino. Le candide ali di Cigno erano chiuse, come a voler proteggere o nascondere qualcosa… O entrambe le cose.
Il bambino non piangeva più ma Wakatoshi poteva ancora udire dei singhiozzi provenire da quell’ingenuo nascondiglio e, dal modo in cui quelle ali bianche tremavano, non ebbe difficoltà a comprendere a chi appartenessero. Si avvicinò di un passo. “Tooru…”
“Vattene!” Era tremante per essere un imperativo.
Era disperato.
“Tooru…”
“Ti ho detto di andartene!”
Quasi quanto una preghiera.
Wakatoshi poggiò un ginocchio a terra e sollevò una mano per accarezzare le ali del suo Cigno. Sentì Tooru irrigidirsi sotto le sue dita ma non si allontanò per questo. “Tooru…”
“Devi andartene…” La sua voce aveva perso qualsiasi forza, ormai.
“Tooru, qualsiasi cosa sia successa…” Wakatoshi fece un poco di pressione per invitare il compagno ad aprire le ali. “Voglio vederti… Voglio vedere nostro figlio.”
“Gli farai del male…”
“Come ti viene in mente una cosa del genere?”
Il Cigno non gli rispose.
“Tooru?”
“Ha riconosciuto la tua voce…”
Wakatoshi non comprese ma non ci fu bisogno di chiedere altro. Le ali bianche si aprirono lentamente ma non furono i grandi e scuri occhi di Tooru i primi che il Re della Foresta incontrò ma quelli blu di uno splendido bambino dai capelli corvini.
Per un momento, Wakatoshi non riuscì a dire o fare niente. La sua attenzione era tutta per quella creaturina ancora umida, stretta tra le braccia del suo Cigno con un pugnetto premuto contro le piccole labbra. Il Re quasi sorrise e fece per alzare la mano per toccarlo, per provare a se stesso che era vero ed era vivo ma il piccolo si mosse mostrandogli, alla fine, il motivo di tutta quella oscurità. La sua bocca divenne una linea netta e si fece indietro mentre il neonato avvolgeva le ali dalle piume nere come la notte intorno a se stesso per combattere il freddo dell’inverno che era penetrato fin dentro al nido.
“Wakatoshi…”
Il Re sollevò lo sguardo e solo allora i suoi occhi incontrarono quelli che aveva desiderato vedere fin da quando si era alzato in volo per tornare a casa. Tooru piangeva ed il suo viso portava i segni di una stanchezza che doveva aver accumulato in notti e notti insonni. “Non l’ho sentito muoversi per giorni,” mormorò il Cigno con voce tremante. “Avevo così tanta paura, Wakatoshi…”
Era una paura che il Re conosceva bene. Una paura che avevano già vissuto insieme e che si era materializzata nel peggiore dei modi.
Wakatoshi tornò a guardare il bambino dalle ali corvine. Suo figlio. Il bambino suo e di Tooru.
Sollevò ancora una volta la mano per poterlo toccare ma il Cigno lo strinse ancor di più a sé ritraendosi tra i tendaggi del baldacchino come se il sovrano lo avesse minacciato in qualche modo.
Gli occhi taglienti si sollevarono su quelli scuri. Tooru piangeva ancora ma era minacciosa l’espressione che gli stava rivolgendo. “Non lo toccare,” sibilò. “Non devi toccarlo…”
Wakatoshi rimase con la mano sospesa a mezz’aria. “Non ho alcuna intenzione di fargli del male, Tooru.”
Tooru scosse la testa nascondendo il piccolo contro il suo petto come se qualcuno stesse cercando di portarglielo via. “Hai visto il colore delle sue ali…”
“Non gli farò del male,” ripeté Wakatoshi con voce ferma.
Tooru lo guardava nello stesso modo in cui soleva farlo durante le loro prime stagioni insieme, quando il loro rapporto era stato solo una questione di orgoglio e dovere.
La mano del Re arrivò a toccare il bel viso del Cigno. “Non gli farò del male,” non era più la voce del Re a parlare ma quella dell’amante, del compagno e del giovane appena divenuto padre. “È nostro figlio, Tooru. Non m’interessa di che colore sono le sue ali.”
Parte dell’oscurità negli occhi di Tooru sembrò diradarsi. Si alzò in piedi e non respinse le mani del Re quando gli strinsero le braccia per aiutarlo. Si guardarono negli occhi con incertezza, come se i pochi giorni in cui erano stati lontani fossero stati lunghi quanto intere stagioni. In un certo senso, era vero: si erano lasciati da amanti ed ora si ritrovavano da genitori.
Il bambino, al contrario, non provava alcuna vergogna a scrutarli entrambi con quegli occhi blu che erano più surreali delle sue ali corvine.
Fu Tooru a spezzare il silenzio. “Vuoi tenerlo?” Domandò.
Wakatoshi sollevò le braccia prima ancora di rispondere. “Sì…”
Il Cigno posò un bacio sul faccino paffuto del bambino prima di permettere a suo padre di tenerlo tra le braccia per la prima volta. Wakatoshi provò un’improvvisa insicurezza nel rendersi conto che non pesava praticamente nulla. Stretto contro il suo petto, il bambino aprì le ali quel tanto che bastava per distendere le piccole gambe e gustarsi lo spazio di cui disponeva in quell’abbraccio completamente nuovo. Wakatoshi osservò affascinato la perfezione di quel corpicino fatto di minuscoli dettagli.
Il viso del Re si addolcì uno di quei suoi rari sorrisi. “È un maschio…”
Tooru annuì passando le dita sulla testolina ricoperta di capelli corvini.
Il piccolo lasciò andare uno starnuto, seguito subito da un secondo. Al terzo, il faccino si contrasse e riprese a piangere sonoramente. “Aspetta…” Tooru recuperò una coperta dal fondo del letto. “Ha freddo.”
Wakatoshi lo aiutò ad avvolgerla intorno al corpicino tremante e fu sufficiente per far smettere il bambino di piangere.
“Va tutto bene, siamo qui,” mormorò Tooru passando le nocche sulle guance paffute. “Va tutto bene, Tobio.”
Wakatoshi lo guardò. “Tobio?”
Tooru scrollò le spalle. “Non abbiamo voluto dargli un nome prima che nascesse questa volta e…” Si umettò le labbra. “Non lo so… Ero da solo e non lo sentivo muoversi dentro all’uovo da giorni, così… È una cosa stupida.”
“Dimmela,” insistette Wakatoshi.
“Ho pensato che se l’avessi chiamato per nome mi avrebbe sentito e si sarebbe svegliato,” Tooru tirò su col naso. “È stupido ma ha funzionato.”
Wakatoshi guardò il bambino e gli occhi blu risposero immediatamente al suo sguardo. “Tobio…” Mormorò assaggiandone il suono. “È venuto al mondo rispondendo a questo nome. È quello più adatto a lui.”
Per la prima volta dopo giorni, Tooru si concesse un sorriso.
“Benvenuto al mondo, Principe della Foresta.”
 
 
- Alcuni inverni dopo… -
 
 
C’erano delle macchie colorate nella neve, come se dei grandi fiori rossi avessero deciso di non aspettare la primavera per sbocciare. Quel colore era così acceso e caldo accostato a quello gelido dei fiocchi candidi appena caduti. Eppure, non c’era niente di vivo in quel colore…
La creatura nera affondava gli stivali dello stesso colore nella neve camminando tra i cadaveri dei suoi nemici come se quelle vite non fossero state di alcuna importanza, come se ucciderli, in fin dei conti, non fosse stato poi così diverso dal raccogliere dei fiori.
C’era sangue sulle sue mani. C’era sangue sulle sue labbra.
Il sangue era anche arrivato a macchiare le ali corvine che sfoggiava con superbia.
Non era una belva che aveva avuto la meglio sulla sua preda e l’aveva divorata.
No, era un Re vittorioso che aveva sconfitto il suo nemico ed ora si sentiva in diritto di calpestare ciò che ne rimaneva.
Intanto, la neve continuava a sporcarsi di sangue.

 
 
Shouyou si svegliò nel cuore della notte urlando spaventando gli altri giovani Corvi che dormivano nei loro nidi accanto al suo.
Kei si passò una mano tra i capelli frustrato. “Di nuovo…” Borbottò.
Tadashi era già corso al fianco di quello che sarebbe dovuto essere il fratello maggiore del nido ma che, di fatto, non aveva mai smesso di essere un bambino, nemmeno a pochi mesi di distanza dal suo quindicesimo compleanno.
“Era solo un brutto sogno,” ripeteva Tadashi gentilmente. “Non c’è nulla qui di cui aver paura…”
Shouyou, però, non ne voleva sapere di smettere di piangere. “C’era sangue,” mormorò tra le lacrime. “C’era tanto sangue…”
“Mai quanto quello che ci sarà in questa stanza se non torni a dormire,” lo minacciò Kei dal suo nido.
Tadashi gli rivolse un’occhiata di rimprovero e il giovane Corvo dai capelli biondi sbuffò lasciandosi cadere di nuovo disteso. La botola sul pavimento si aprì ed una testa di capelli chiari fece capolino all’interno della mansarda. “Che cosa è successo?” Domandò Koushi allarmato avvicinandosi al nido di Shouyou.
“Ha fatto un brutto sogno ed ora piagnucola,” rispose Kei.
“Non era solo un brutto sogno!” Sbottò Shouyou. “Era reale! Sentivo freddo come se fossi lì! Era reale!”
Tadashi sospirò stancamente: quella storia andava avanti ormai da diverse settimane e, anche se quei risvegli improvvisi non si verificavano ogni notte, cominciava ad essere una situazione stancante per tutti. Koushi se ne accorse e gli passò una mano tra i capelli sorridendo. “Torna a dormire, qui ci penso io.”
Tadashi lanciò un’ultima occhiata a Shouyou, poi annuì e tornò a coricarsi nel suo nido.
“Shouyou,” chiamò Koushi chinandosi per posare un bacio sulla guancia del giovane Corvo. “Non sei un po’ troppo grande per metterti a piangere per un brutto sogno?” Domandò teneramente.
Gli occhi d’ambra erano grandi e pieni di lacrime. “Ma era così reale, Koushi… Così reale…”
“I brutti sogni spesso lo sono, piccolo,” spiegò Il Corvo adulto con pazienza. “Ma basta aprire gli occhi e passa tutto.”
Shouyou tirò su col naso. “Non voglio dormire da solo.”
Koushi sospirò. “Vuoi che stia accanto a te, almeno per questa notte?”
Il piccolo Corvo annuì.
“Sai che non potrà accadere quando Daichi tornerà a casa, vero?”
Un altro cenno di assenso e Koushi, suo malgrado, sorrise, poi si accomodò sotto le coperte accanto al fanciullo.
“Daichi tornerà presto?” Domandò Shouyou.
Koushi sorrise tra i suoi capelli: sì, il suo compagno aveva questo inimitabile talento di far sentire al sicuro tutti e la sua assenza nelle notti d’inverno si faceva sentire. “Presto…”
“Me lo prometti?”
“Sì, Shouyou, te lo prometto.”
 
 

C’erano almeno una decina di cadaveri a macchiare di sangue la neve fresca della vallata.
Daichi si limitò ad osservare la scena dalla cima dell’albero con espressione amara. Il ramo su cui si trovava tremò un poco sotto il peso di un altro Corvo ed Asahi gli si avvicinò. “Non erano mai arrivati così vicini,” disse ed era terribilmente seria l’espressione sul suo viso.
Daichi strinse le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Ci sono frecce conficcati su tutti gli alberi nei dintorni. Hanno cercato di combattere.”
“Devono averli attaccati in branco,” ipotizzò Asahi. “Di notte, con una strategia particolarmente geniale.”
“I Cacciatori dovrebbero saperle gestire delle bestie che camminano,” disse Daichi. “È rimasto qualcosa dei loro fuochi intorno al campo, vedi?” Indicò alcuni ramoscelli bruciati a pochi metri dal massacro. Ve ne erano una lunga serie intorno al perimetro del luogo di quella carneficina.
“Allora, gli hanno attaccati dall’alto,” replicò Asahi e lo guardò. “Le Aquile?”
Daichi scrollò le spalle. “Probabile,” rispose. “È compito del Re proteggere la Foresta dagli Umani, dopotutto e Wakatoshi non si è mai permesso errori in questo senso.”
Asahi arricciò il naso. “Però, non ti convince…”
“No,” Daichi prese un respiro profondo. “Non mi convince affatto,” si voltò verso gli altri Corvi che erano rimasti in attesa ad osservare la scena sui rami alle sue spalle. “Torniamo a casa!” Ordinò a gran voce, poi lanciò un’ultima occhiata alla strage alle sue spalle. “Non c’è nulla per noi qui…”
 
 
***
 
 
Il Villaggio dei Corvi era un mondo semplice, fatto di casette di legno costruite tra i rami degli alberi più antichi. Si trovava nella parte più bassa della montagna, a poca distanza dalla valle. Era sotto quegli alberi secolari dalle chiome tanto folte da far filtrare la luce del sole solo in alcuni punti che la primavera si vestiva dei suoi colori più vivi, più selvatici.
Si respirava aria di rinascita, di libertà, come se la natura stessa fosse piena di aspettativa. Era solo questione di tempo prima che la stagione degli amori avesse inizio.
Tanto bastava a rendere nervosi i Corvi adulti ed euforici quelli più giovani.
Shouyou era una piccola e luminosa eccezione in quel mondo variopinto.
 Fu la carezza dei raggi del sole a svegliarlo. Sorrise ancor prima di aprire gli occhi e distese le braccia sopra la testa per stiracchiarsi.
“Oh, qualcuno ha fatto un bel sogno…” Commentò il Corvo adulto che si aggirava per la sua camera senza far rumore da un po’. Koushi s’inginocchiò accanto al nido del fanciullo aspettando che gli occhi d’ambra si aprissero sul mondo ed incrociassero i suoi. “Il sole è alto,” gli disse passandogli una mano tra i capelli ribelli. “Strano… Di solito, sei sempre il primo ad alzarti.”
Shouyou reclinò la testa per controllare gli altri nidi accanto al suo. “Sono già tutti svegli?” Nascose uno sbadiglio dietro la mano.
Koushi sospirò. “È la stagione degli amori, Shouyou,” gli disse. “Non è la migliore per attardarsi a letto.”
Shouyou si distese su un fianco per poterlo guardare meglio. “Preferisco i sogni a quelle cose,” ammise con una smorfietta. Koushi non fu sorpreso dal poco interesse di Shouyou per quello che stava per succedere ai piccoli Corvi con cui era cresciuto: lo avevano previsto tutti e si erano rassegnati all’idea che, forse, sarebbe servito un anno in più perché il fiore del desiderio sbocciasse nel cuore del fanciullo.
“Devono essere davvero bei sogni, allora,” disse Koushi con un sorriso paziente. “A meno che essi e quella che dovrebbe essere la stagione più bella della tua vita non siano direttamente collegati.”
Shouyou arrossì e si distese di nuovo sulla schiena. “Sono ancora quei sogni, Koushi…” Disse incrociando le braccia dietro la testa e fissando il soffitto come se potesse vedere il cielo terso che vi era al di là.
Koushi si fece improvvisamente serio. “Sogni ancora la bestia dalle piume nere?” Domandò appoggiando le braccia sul bordo del nido.
“Sì,” ammise Shouyou. “Non mi fa più paura, però.”
Il Corvo adulto premette le labbra fino a farle divenire una linea sottile. “Hai volato nella foresta per tutta la notte per cercarlo?”
Shouyou si alzò a sedere con un sospiro e Koushi seppe che i suoi sospetti erano fondati. Afferrò una mano del ragazzino e gli occhi d’ambra si fissarono nei suoi. C’era timore e vergogna in quelle iridi brillanti ma non abbastanza perché si sentisse in dovere di chiedere scusa. Koushi sospirò. “Shouyou…” Si sedette accanto a lui e prese il piccolo viso dai lineamenti ancora infantili tra le mani. Stava sbocciando più lentamente dei suoi coetanei ma ancora poche stagioni e sarebbe divenuto uno splendido Corvo. “Non puoi volare fino alla cima della montagna da solo e non nel cuore della notte,” lo sgridò, sebbene con gentilezza.
Shouyou gli rivolse un sorriso luminoso. “Nessuno degli altri vola come me!” Disse con sicurezza. “Sono piccolo ma le mie ali sono forti! Inoltre, non sono arrivato sulla cima della montagna. Vorrei ma è troppo lontana!”
Suo malgrado, Koushi si concesse un sorriso. “Questo lo so,” disse passando una mano tra i capelli ribelli del fanciullo. “Tuttavia, Shouyou, devo dissuaderti dal seguire ancora quello che i tuoi sogni ti suggeriscono di fare…”
“Ma lui mi sta chiamando!” Esclamò il piccolo Corvo.
Koushi sorrise con pazienza. “Che cosa stai dicendo, sciocchino?”
“È vero!” Gli occhi d’ambra erano grandi e luminosi, colmi della più autentica sincerità. “Ogni volta che mi sveglio da uno di quei sogni, è come se udissi una voce lontana… Un’eco.” Scrollò le spalle. “Non posso fare a meno di rispondere ad un simile richiamo!” Concluse con ingenua euforia.
Il viso di Koushi si era fatto di nuovo serio. Era evidente che Shouyou viveva quell’esperienza come un’altra delle sue avventure e non realizzava il reale significato di quello che stava vivendo. Lui stesso non ci credeva ed impiegò qualche istante per riuscire a parlare di nuovo e dire ciò che era necessario. “Shouyou…” Mormorò gentilmente. “Devo farti una domanda e non devi vergognarti, piccolo, hai capito?”
Shouyou inarcò le sopracciglia confuso ma annuì.
“C’è qualcuno?” Domandò. “Dici che la stagione degli amori non t’interessa perché c’è già qualcun altro? Hai incontrato qualcuno nella foresta di cui non ci hai parlato?”
Il fanciullo sgranò gli occhi d’ambra, poi la piccola bocca si storse in una smorfia disgustata. “No!” Esclamò con le guance accese. “Anzi, non vedo l’ora che finisca questa cosa degli amori! Non si può più giocare con nessuno qui!” Si alzò dal suo nido e si liberò della camicia da notte per potersi, finalmente, vestire. “Kei e Tadashi, per esempio! Vanno sempre nella foresta senza di me e se li seguo diventano subito antipatici!”
Koushi si morse l’interno guancia per non scoppiare a ridere: se Shouyou non fosse stato tanto ingenuo ed innocente, forse avrebbe notato come gli occhi di Kei e Tadashi si accendevano quando si guardavano credendo di non essere osservati. Se ne erano accorti tutti da un po’ e nessuno sarebbe stato sorpreso di vederli già compagni prima dell’inizio dell’estate. Se solo Shouyou avesse saputo quanto era stato di troppo tutte le volte che li aveva seguiti nella Foresta pretendendo la loro compagnia. Quel pensiero, però, oltre a farlo sorridere ebbe anche il potere di rassicurarlo: aveva solo visto troppo nel sogno ricorrente di un ragazzino dalla vivace fantasia.
Nulla di più.
 
 
 ***
 
 
“Ogni volta, c’è tanta neve intorno ed è per questo che sono convinto viva da qualche parte sulla cima delle montagne. Il suo corpo è molto simile al nostro, comprese le ali,” raccontò Shouyou indicando le proprie piegate sulla schiena, “solo che è completamente ricoperto di piume nere ed è altissimo!”
Kei sorrise sarcastico. “Il commento sull’altezza non è molto indicativo detto da te,” disse.
Tadashi rise, mentre il diretto interessato sollevò gli occhi sul giovane Corvo dai capelli biondi con un’espressione che sarebbe dovuta essere minacciosa. Era seduti tra i rami di un grande albero poco lontano dal Villaggio. Sotto di loro vi era un mare di alberi e, di fronte, l’orizzonte sconfinato dietro cui il sole stava calando lentamente.
Era stato impossibile per Shouyou non cominciare a raccontare della creatura misteriosa dei suoi sogni come se non lo avesse già fatto altre decine e decine di volte e di fronte allo stesso pubblico.
“Ma non hai paura?” Domandò Hitoka confusa. “Sembra spaventoso…”
Shouyou sembrò contento della domanda. “La prima volta che lo sognavo l’avevo,” ammise. “Mi svegliavo nel cuore della notte terrorizzato!”
Kei sbuffò. “Ce lo ricordiamo tutti, Shouyou.”
Il piccolo Corvo lo guardò storto. “Nessuno ti ha chiesto di svegliarti per consolarmi!”
“Veramente,” intervenne Tadashi, “piangevi tanto disperatamente che sarebbe stato impossibile ignorarti e continuare a dormire.”
Kouji rise. “Avrei voluto vederlo!”
“Ti cedo il mio nido quando vuoi,” disse Kei, poi i suoi occhi incontrarono quelli di Tadashi e sospirò. “Sarebbe stato più utile se me lo avessi proposto qualche stagione fa.”
Izumi inarcò le sopracciglia. “Non ho capito… Perché poi non ti ha fatto più paura?”
Shouyou scrollò le spalle. “Ho cominciato a sentire cose e mi sono reso conto che lui era spaventato quanto me.”
Hitoka si fece più vicina. “Sentito cose?”
“Shouyou crede di sentire le emozioni della creatura,” disse Tadashi.
Kei alzò gli occhi al cielo. “In altre parole, vive in un mondo tutto nella sua testa.”
Tutti risero ma Shouyou continuò ad essere assolutamente serio. “È vero!” Esclamò con convinzione. “A volte, è come se mi parlasse ma senza usare la voce! Lo guardo negli occhi e, semplicemente, sento!”
Kei inarcò un sopracciglio chiaro. “Questa è una sciocchezza nuova,” notò.
Al suo fianco, anche Tadashi ne fu incuriosito. “Adesso la tua creatura ha degli occhi?”
“Sì!” Esclamò Shouyou euforico. “Sono blu! Sono surreali da quanto sono blu!”
“Sono surreali perché, effettivamente, non sono reali,” gli ricordò Kei.
Gli altri risero. Shouyou sbuffò frustrato incrociando le braccia contro il petto con aria offesa.
“Meglio rientrare,” disse Tadashi alzandosi in piedi per primo. “Il sole è sparito dietro l’orizzonte, tra poco farà buio…”
 
 
***
 
 
La sala dei banchetti era l’edificio più grande del Villaggio dei Corvi ed era stato costruito tra i rami dell’albero più antico del loro territorio, il primo su cui il popolo dalle ali nere aveva cercato di edificare un posto sicuro per loro e per i piccoli che sarebbero venuti. Una casa.
A Shouyou piaceva. Ogni sera, quando tutti si radunavano per la cena, era come se fosse una festa.
Durante l’inverno, un fuoco veniva acceso al centro della stanza, tra i lunghi tavoli e, finito di mangiare, tutti vi si radunavano attorno cantando canzoni o raccontando storie. D’estate, le botole sul tetto venivano aperte e la luce brillante del focolare veniva sostituta da quella tenue della luna e delle stelle.
All’inizio della primavera, al calar del sole, era ancora troppo presto perché questo accadesse ma l’aria era riscaldata da un caos emozionale generale dovuto alla nuova stagione che era alle porte. Shouyou di quell’euforia comprendeva solo la parte in cui sarebbe stato di nuovo concesso ai giovani di volare dove più preferivano, sebbene con prudenza e solo con il consenso dei propri genitori. Non era permesso loro di andare in giro nella Foresta nel cuore dell’inverno. Solo gli adulti lasciavano il Villaggio per pensare a procurare il cibo in quel periodo dell’anno. Se non fosse stato per i giochi sulla neve e per le lunghe serate passata ad ascoltare storie fantastiche, Shouyou avrebbe rischiato di morire di noia ad ogni inverno.
Quell’anno, però, c’era stato il sogno della creatura dalle piume nere a tenerlo occupato, fino a che l’incapacità di rispondere al suo richiamo lo aveva portato ad aspettare la primavera con più urgenza del solito. Sì, da principio, era stato spaventoso e Shouyou aveva seriamente temuto di essere stato toccato da uno di quei Demoni di cui parlavano le storie orribile che gli adulti raccontavano loro per spingerli ad ubbidire e a non allontanarsi troppo da casa.
Nelle notti in cui l’aveva tenuto sveglio con le sue paure, Kei l’aveva aspramente preso in giro per credere ancora a simili sciocchezze da bambini.
“È stato il vecchio Ukai a raccontarlo!” Aveva esclamato Shouyou in risposta, mentre Tadashi cercava di farlo calmare. “I Demoni esistono! Le loro ali sono ricoperte di piume nere, pur non essendo Corvi. Sono bellissimi ma non sono Cigni e possono essere ancor più forti delle Aquile!”
Nessuno dei suoi amici gli aveva dato particolarmente credito e, alla fine, Koushi e Daichi lo avevano preso da una parte e gli avevano fatto un lungo discorso riguardo alla differenza tra fantasia e realtà. Non era servito a molto.
Shouyou aveva continuato a vedere la creatura nei suoi sogni e, alla fine, l’aveva sentita tanto reale al punto da non averne più paura. Sapeva che era lì fuori, nella Foresta e si era detto che, probabilmente, doveva trovarsi sulla cima della montagna più alta dove vivevano gli spiriti più forti, dove si trovava anche il Nido delle Aquile.
Almeno, così raccontavano.
Shouyou non aveva mai visto il Re della Foresta, anche se in molti glielo avevano descritto.
“È molto alto,” gli aveva detto Daichi una volta, “non parla molto e possiede un’aria minacciosa, forse anche per il titolo che porta ma è un Re degno di questo nome per la nostra Foresta ed è la sola cosa che conta.”
Dicevano anche che era tanto forte d’avere un intero esercito di Umani ai suoi ordini ed era impressionante in un mondo in cui i piccoli venivano educati a temere quegli esseri come mostri portatori di morte.
“Ha un bellissimo Cigno per compagno,” Koushi gli aveva raccontato una sera, mentre gli rimboccava le coperte. “Ho avuto l’onore di conoscerlo, sai? Ha delle ali meravigliose, ancor più bianche della neve appena caduta.”
“Hanno dei bambini?” Aveva chiesto, poi, perché la curiosità era una parte di lui che non riusciva mai a mettere a tacere.
Shouyou ricordava di aver visto il viso di Koushi farsi improvvisamente triste e non ne aveva compreso la ragione. “Sì,” era stata la sua risposta. “Hanno un figlio più o meno della tua età.”
“Shouyou!”
Il piccolo Corvo sobbalzò mentre una mano si abbatteva con vigore sulla sua schiena ed un braccio gli circondava le spalle. “Quanti cuori spezzerai domani, piccoletto?” Domandò Yuu con un gran sorriso.
“La prima stagione degli amori non si scorda mai!” Esclamò Ryuu.
“Ma se tu la tua prima l’hai passata completamente da solo!”
“Yuu, non mi mettere in imbarazzo di fronte al piccoletto!”
Si era seduti sulla panca, uno a destra e l’altro a sinistra. Shouyou sorrise nervosamente. “Veramente, domani pensavo di volare a valle, fino al grande fiume. Voglio sentire se l’acqua è abbastanza calda per fare una nuotata.”
I due Corvi si scambiarono un’occhiata e poi alzarono gli occhi al cielo.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa c’è?”
“Shouyou, Shouyou, Shouyou…” Disse Ryuu con fare maturo tirandolo più vicino a sé. “Madre natura ti ha dotato di due splendide ali, non lo nego ma anche di un bel faccino!”
Il fanciullo inarcò le sopracciglia.
Fu il turno di Yuu di tirarlo dalla sua parte. “Quello che Ryuu vuole dire è che la vita non può essere fatta di solo volare.”
Shouyou non comprese. “Che cosa ci può essere di più bello di volare.”
“Una o due cose di certo!” Esclamò Ryuu facendogli l’occhiolino.
“Cose che non riescono troppo bene da soli,” aggiunse Yuu. “Per questo, esiste la stagione degli amori, piccoletto!”
Le labbra di Shouyou si dischiusero, poi annuì. “Ne ho già parlato con Koushi,” disse. “Non cambierà niente per me durante questa stagione.”
I due Corvi si scambiarono un’altra occhiata.
“Intendi, che vuoi fare esperienze, vero?” Domandò Ryuu.
“Non devi per forza scegliere il tuo compagno per la vita nei prossimi sei mesi,” disse Yuu. “Non ti credevo il tipo ma non c’è niente di male a voler provare e poi scegliere.”
“Ormai, la maggior parte dei giovani che si accoppiano alla loro prima stagione sono innamorati già da prima! Tipo Kei e Tadashi…”
Shouyou sgranò gli occhi. “Kei e Tadashi cosa?”
Ryuu e Yuu fece per rispondere all’unisono. Si resero conto un istante troppo tardi che il piccolo Corvo non aveva la minima idea di quello di cui stavano parlando e si chiusero dietro ad un attonito silenzio, indecisi su cosa fosse meglio dire.
“Yuu, Ryuu, lasciatelo in pace,” disse Koushi girando intorno al fuoco ed avvicinandosi. Alcuni degli adulti cominciavano a ridere un po’ troppo a causa del vino e presto sarebbero cominciate le canzoni improvvisate e le danze sui tavoli. “È ora che Shouyou vada a dormire.”
Il piccolo Corvo si alzò immediatamente in piedi e Koushi gli passò una mano tra i capelli con dolcezza. “Non volerà per incantare nessuno domani ma questo non significa che non abbia bisogno di riposo,” aggiunse.
I due Corvi rimasti seduti sulla panca parvero delusi ma uno sguardo da parte degli occhi dorati dell’altro bastarono per ammonirli da dire qualsiasi altra cosa.
“Su, Shouyou, dai la buona notte e torniamo al tuo nido.”
 
 
 
“Che cosa significa fare esperienze?” Domandò Shouyou varcando l’ingresso della loro casa.
Non vide Koushi sospirare stancamente alle sue spalle. “Sono parole di Ryuu?”
Il piccolo Corvo annuì prendendo le scale che portavano alla mansarda. Lui, Tadashi e Kei avevano sempre dormito di sopra, mentre Daichi e Koushi avevano una camera da letto al piano di sotto. Era così che i Corvi adulti costruivano le loro dimore: il piano di sopra era per i piccoli, mentre i genitori restavano più vicini all’ingresso, in caso di pericolo.
A Shouyou avevano insegnato che riempire il nido e proteggerlo erano i due principi fondamentali della vita di un Corvo. I piccoli erano il futuro ma la natura sapeva essere una madre crudele ed era necessario amore ed impegno perché la morte non avesse mai il sopravvento sulla vita in quella Foresta. Dove la natura aveva pietà di loro, però, gli Umani non sembravano nutrirne alcuna.
Quei mostri avevano ucciso molti di loro per via delle ali o rubato le loro uova per poter strappare il tanto ambito bottino da delle creature appena nate, incapaci di difendersi. Koushi stesso era stato vittima di quella caccia infinita. Gli Umani lo avevano avvelenato e, sebbene fossero riusciti a salvargli la vita, il suo corpo non era più guarito del tutto e lui e Daichi non avevano potuto avere dei piccoli.
La sorte, però, aveva voluto essere magnanima con loro durante uno dei periodi più oscuri che quella generazione potesse ricordare. Quindici anni prima, durante una stagione anomala che tutti avrebbero poi ricordato come il Grande Inverno, il loro popolo si era ritrovato con molti giovani genitori a piangere i loro piccoli e molti bambini non ancora nati senza famiglia.
Era stato Koushi a trovare l’uovo ancora non maturato di Shouyou prima che congelasse tra le braccia dell’inverno. Il piccolo Corvo era stato per la giovane coppia quella speranza che avevano creduto di aver perso per sempre.
“Avanti,” disse Koushi inginocchiandosi accanto al nido del suo primo piccolo. “Cambiati e a letto.”
Shouyou s’imbronciò. “Non fuggo mica…”
“Non lo so,” ammise Koushi. “Sei sgattaiolato fuori nel cuore della notte senza che noi ce ne accorgessimo. Chi lo sa cosa potresti combinare la prossima volta che volto lo sguardo?”
Shouyou arrossi un poco e non rispose. Si cambiò nei suoi abiti da notte in fretta e si accucciò sul suo nido aspettando che Koushi gli rimboccasse le coperte. Sollevò gli occhi d’ambra sui due nidi vuoti a poca distanza dal suo. “Tadashi e Kei non ci sono ancora,” fece notare al genitore, come se questo potesse rendere le sue piccole fughe notturne meno gravi.
Koushi sospirò: non era che fosse più permissivo con gli altri che con Shouyou ma sapeva perché tardavano e non sarebbe stato giusto andare a disturbarli ora che la stagione degli amori era ufficialmente cominciata. Questo, però, era meglio che Shouyou non lo sapesse. Non ancora, almeno.
Sarebbe stato già abbastanza difficile per lui accettare che coloro con cui era venuto al mondo e cresciuto, avrebbero presto lasciato il nido dei loro genitori per costruirne uno loro.
“Volevo chiedere loro di venire al fiume con me, domani,” disse Shouyou con espressione delusa.
Koushi non ebbe il cuore di dirgli che i giorni dei giochi erano finiti per loro.
“Buona notte, Shouyou…”
 
 
Kei e Tadashi rientrarono che era ormai notte fonda.
Shouyou non li udì salire sulla mansarda ma furono le loro voci che sussurravano a destarlo. Arricciò il naso e sbadigliò senza far rumore. Fece quasi per sollevarsi a sedere e rimproverarli per essere tornati a casa solo a quell’ora, tanto per annoiare Kei in qualche modo ma fu la sua stessa voce a persuaderlo.
“Piano, non svegliamolo o chi lo vuole sentire?”
Shouyou s’imbronciò ma rimase immobile, gli occhi d’ambra fissi sulla finestra vicino al suo nido e le orecchie tese per ascoltare meglio. Seguirono alcuni rumori che non seppe comprendere, poi fu Tadashi a parlare. “Verrai a cercarmi domani?” Domandò e Shouyou poté percepire il suo sorriso nella sua voce.
Per un attimo, si aspettò che Kei rispondesse con la sua solita voce seccata.
“Dove ti troverò domani?”
Shouyou inarcò di sopracciglia: quella era davvero la voce di Kei?
Tadashi ridacchiò a bassa voce. “Nel nostro posto. È bello lì ed è sicuro.”
“Non è troppo lontano da casa,” mormorò Kei. “Ti piacerebbe costruire il nido lì?”
Per un attimo, Shouyou si sentì mancare il fiato. Gli occhi d’ambra divennero enormi ma non si mosse: si sentiva come congelato.
“Sì,” rispose Tadashi. “Se la prossima… Se la prossima primavera arriveranno i primi piccoli, mi piacerebbe avere Koushi vicino per aiutarmi a capire cosa fare.”
“Impareremo…”
“Sì, ma non vorrei passare l’inverno da solo con delle uova o con dei bambini appena nati mentre tu te ne vai a caccia con gli altri adulti.”
Non stava accadendo sul serio. Non poteva essere vero.
“Già,” mormorò Kei in risposta. “È più sicuro per tutti rimanere vicino al Villaggio.”
“Avremo comunque il nostro nido,” disse Tadashi.
Shouyou udì di nuovo quello strano rumore e, alla fine, comprese che si stavano baciando.
“Domani al tramonto?” Domandò Kei.
Tadashi ridacchiò nervosamente. “Sì, domani al tramonto al nostro posto.”
Si scambiarono ancora qualche bacio, poi Shouyou li udì darsi la buona notte e seppe che si erano coricati nei loro nidi. Fu solo una questione di minuti prima che si addormentassero.
Shouyou, invece, non riuscì a chiudere occhio per il resto della notte.
 
 
***
 
 
Il giorno dopo, Shouyou si sollevò dal suo nido che appena albeggiava. Recuperò i vestiti e gli stivali ma si vestì solo al piano di sotto per non disturbare gli altri due giovani Corvi che dormivano in quella mansarda insieme a lui, che erano venuti al mondo e cresciuti insieme a lui.
Ed ora avrebbero spiegato le ali insieme ed avrebbero lasciato in nido che era stata la loro casa fino a quel giorno.
“Shouyou?”
Koushi lo trovò seduto in fondo alle scale che portavano alla mansarda mentre s’infilava gli stivali.
“Dove vai così presto?” Domandò con un sorriso stanco.
“A valle,” rispose Shouyou senza guardarlo. “Al fiume…”
Koushi inarcò le sopracciglia. “Non aspetti di chiedere a Kei e Tadashi se vogliono venire con te?”
“Non vogliono,” rispose Shouyou alzandosi in piedi. “Gliel’ho chiesto ieri notte, quando sono tornati.” Mentì. Non avrebbe confessato di aver origliato la loro conversazione da amanti: non aveva voglia di parlarne.
“Fa con calma,” disse Koushi appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle. “Il fiume non scappa mica. Ti preparo qualcosa di caldo, prima che tu parta.”
Per un attimo, Shouyou pensò di rifiutare e di andarsene e basta ma Koushi gli passò una mano tra i capelli con dolcezza e si spostò in cucina prima che potesse farlo. “Vieni, parliamo un po’…”
Sarebbe stato troppo sospettoso uscire da quella porta in quel modo e Shouyou sapeva di non essere bravo a mentire, non con Koushi. Annuì e lo seguì.
Nessuno dei due parlò fino a che Koushi non ebbe ravvivato il fuoco nel caminetto per riscaldare un pentolino ricolmo di acqua.
“Posso farti una domanda?” Disse Shouyou.
Inginocchiato accanto al focolare, Koushi si limitò a sorridergli e seppe di avere il permesso di parlare. “Tu e Daichi siete divenuti una coppia sin dalla vostra prima stagione degli amori?”
Era una domanda terribilmente sfacciata ma dopo quello che aveva udito la notte prima la sua soglia d’imbarazzo si era notevolmente alzata.
Gli occhi dorati di Koushi si tinsero di nostalgia. “Sì,” ammise con un sorriso innamorato che Shouyou sapeva non essere per lui. “In realtà, non fu una sorpresa per nessuno. Non sono Yuu ed Asahi, loro sì che ammutolirono diverse persone.”
“E come avete fatto?” Domandò Shouyou. “Voglio dire, come si sceglie il compagno giusto con cui passare tutta la vita?”
Koushi recuperò il pentolino ormai caldo e preparò due tazze di thè prima di sedersi di fronte al piccolo Corvo e rispondere. “Alla tua età, subito dopo la mia prima stagione degli amori, ti avrei detto che è una cosa che si sente e basta. Senza spiegazioni.”
Shouyou pensò alla creatura dei suoi sogni, al modo in cui aveva finito per sentire la sua solitudine ma non disse nulla in proposito. Non era la conversazione adatta. “Hai cambiato idea, ora?”
“No,” ammise Koushi. “Ma io sono stato fortunato. Altri non sono felici quanto lo siamo io e Daichi dopo tre pulcini e molti inverni insieme.”
“Anche Yuu e Asahi sembrano felici.”
“Certo ma non starò qui a dirti di scegliere per compagno o compagna il primo Corvo che credi rispetti i tuoi gusti, ecco tutto,” disse Koushi. “Non scegliere la prima persona per cui senti un’attrazione solo perché, in quel momento almeno, credi che sia l’unica al mondo. Sceglila a partire dal suo lato oscuro.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “In che senso?”
“A quindici anni è facile essere innamorati con la primavera che sboccia e l’euforia di essere adulti e costruire un nido proprio, lontano dai genitori,” Koushi appoggiò il viso ad una mano. “Ciò che accade dopo, però, quando il fuoco dell’inizio viene domato… È lì che comincia il vero amore, Shouyou ma lo si può toccare solo dopo aver conosciuto l’oscurità dell’altro ed averla saputa accettare. Questa è una consapevolezza che la stagione degli amori non può dare, capisci?”
No, Shouyou non capiva ma annuì lo stesso.
Koushi ridacchiò. “Come mai tanta curiosità?” Domandò prendendo un sorso del suo thè.
Shouyou scrollò. “È che non riesco a capire che cosa gli adulti si aspettano da me in questa stagione,” confessò. “Quello che si presume che debba provare, quello di cui parlano tutti… Io non riesco a sentirlo, ecco.” Abbassò lo sguardo. “Comincio a pensare che ci sia qualcosa che non va in me.”
Persino quell’antipatico di Kei e quel gran timido di Tadashi avevano provato quel desiderio di cui tutti parlavano e lo avevano fatto guardandosi negli occhi. Al tramonto di quello stesso giorno sarebbero divenuti adulti, avrebbero aperto le ali e sarebbero volati verso un orizzonte nuovo, misterioso.
Shouyou, invece, sarebbe rimasto dov’era. Lo avrebbero lasciato indietro.
Koushi allungò una mano e gli sfiorò il viso. “Non sono cose che si possono forzare, Shouyou,” spiegò. “L’amore… Anche il desiderio sono emozioni spontanee. Non puoi sforzarti di provarlo perché la natura vuole che sia la stagione giusta. Semplicemente, non è il tuo momento. Datti tempo.”
“Quanto tempo?”
Koushi reclinò la testa da un lato. “Pensavo che non t’interessassero queste cose,” gli ricordò. “Adesso, invece, percepisco fretta nelle tue parole.”
Le guance di Shouyou si colorarono appena. “No, solo che… Non riesco a capire.”
Koushi sorrise con tenerezza. “Lo capirai quando lo sentirai,” concluse. “Cerca di tornare a casa prima del tramonto, d’accordo?”
“Sì…” Rispose Shouyou fissando la tazza calda tra le sue mani.
Se lo avesse guardato negli occhi, si sarebbe accorto che gli stava tenendo nascosto qualcosa.
 
 
***
 
 
Shouyou non era mai arrivato fino alla cima delle montagne, dove la neve non si scioglieva mai del tutto nemmeno durante l’estate. Daichi gli aveva sempre detto che era difficile volare lassù per i piccoli per via dell’aria gelida. Era stato uno dei pochi avvertimenti che Shouyou aveva ascoltato da bambino ma questo non gli aveva impedito di chiedersi come fosse il mondo lassù ogni volta che dava le spalle alla valle ed alzava gli occhi. Qualcuno gli aveva raccontato che c’era una grande città dalle alte mura di pietra dall’altra parte ma nessuno sembrava essere d’accordo su chi fossero i suoi signori.
Dicevano che l’esercito di Umani del Re della Foresta venisse da lì, che il sovrano di quella città fosse stato sconfitto dal signore delle Aquile e che il Cigno che regnava al suo fianco fosse divenuto suo compagno in seguito ad un’offerta di pace.
Shouyou aveva chiesto più volte come fosse possibile che in una città con un esercito di Umani vivesse anche un Cigno ma nessuno aveva mai saputo rispondergli. Per quel che ne sapeva, una creatura con ali tanto belle non sarebbe mai potuta sopravvivere in un mondo di essere umani.
Le Aquile erano forti ed ucciderne una aveva un valore inestimabile sotto molti punti di vista ma un Cigno era una creatura rara e lo era proprio a causa degli Umani e della loro caccia. Shouyou stesso non ne aveva mai visto uno ma dicevano che fossero tra le creature più belle che avessero mai camminato in quella Foresta.
Si chiese se per caso avessero gli occhi blu ma la creatura del suo sogno era completamente ricoperta di piume corvine ed i Cigni erano famosi per le loro ali bianche più della neve fresca.
Neve…
Quello era l’unico indizio di cui Shouyou disponeva per trovare la creatura del suo sogno e c’era un solo luogo dove la neve era una certezza. Aveva pensato a tutto durante l’ultima notte insonne: mettersi in viaggio presto per percorrere la maggior parte della strada prima del tramonto ed avere il tempo di trovare un riparo sicuro in quella terra sconosciuta. Se i suoi sogni gli avessero dato una mano durante la notte, forse la sua ricerca non sarebbe stata così lunga. Inoltre, c’era sempre la possibilità che la creatura lo sentisse almeno quanto lui sentiva lei, no?
Non poteva escludere che lo stesse cercando a sua volta e, magari, si sarebbero trovati a metà strada.
Sì, forse… Se non si fosse perso nel bel mezzo del nulla non appena il sole aveva raggiunto il punto più alto.
Shouyou si sedette sul ramo di un alto albero e si guardò intorno con aria sconsolata ed un poco spaventata. “Dove mi trovo?” Domandò a se stesso osservando quei tronchi tutti uguali. La Foresta era ancora più fitta e spaventosa in quel punto e volare sotto le chiome degli alberi non era così facile come più in basso, verso la valle.
Senza contare che più andava avanti e più la temperatura sembrava abbassarsi, quasi che in quelle terre l’inverno non se ne fosse mai andato. Schiaffò le mani contro le guance per riprendere il controllo di sé. “Non demordiamo!” Esclamò alzandosi in piedi e scrutando i dintorni. “Il sole è alto, deve essere l’ora di pranzo. Di solito, tramonta verso la valle e sorge dietro le montagne… Quindi, devo andare nella direzione opposta in cui cala.”
Sollevò gli occhi d’amabra e sospirò. “Aspettiamo…” Concluse tornando a sedersi.
Quello era l’unico metodo che conosceva per evitare di girare intorno e peggiorare ulteriormente la sua situazione. Sarebbe stato più veloce volare sopra le chiome degli alberi ed osservare tutto dall’alto ma Koushi e Daichi gli avevano sempre proibito di farlo: i Corvi erano predatori, sì ma non erano gli unici della Foresta né i più grossi e pericolosi.
Tuttavia…
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra verso le chiome verdi degli alberi.
Il sole era alto e la maggior parte dei rapaci cacciavano di notte, quindi… Forse…
Si alzò in piedi, prese un respiro profondo ed aprì le ali. Non doveva volare fino alla cima delle montagne allo scoperto, comunque. Doveva solo controllare i dintorni e trovare la direzione giusta in cui procedere.
Ci sarebbero voluti pochi istanti.
Che cosa poteva mai succedergli in pochi istanti?
“Il pulcino si è bevuto il cervello!”
“Shhh… Non farti sentire!”
Shouyou sobbalzò e per poco non cadde dal ramo. Si guardò intorno, non vide nessuno, eppure era certo che…
“Bravo! Ci siamo fatti beccare!”
“Non ci ha visto, non è un gran danno!”
“Ci ha sentiti, però!”
“Tacete…”
Shouyou non era ancora riuscito ad identificare la direzione da cui provenivano quelle voci che qualcosa lo attaccò alle spalle spingendolo giù dal ramo dell’albero. Fu una brutta caduta fino a terra ed il suo aggressore si assicurò di bloccarlo contro l’erba umida con tutto il peso del corpo. “Merda, è veramente un pulcino…”
Shouyou provò a muoversi, spingere il suo aggressore via da sé con solo la forza delle braccia ma qualcosa di affilato gli graffiò la guancia ed il sangue gli si gelò nelle vene. “Sei coraggioso, pulcino,” disse una voce sarcastica alle sue spalle. “Oppure, molto stupido…”
“Testuro,” intervenne una seconda voce decisamente più pacata, tanto da essere atona. “Non fare sciocchezze. Guarda le sue ali.”
Shouyou sentì la pressione sulla sua nuca diminuire un poco.
“Merda…” Sibilò il suo aggressore. “È un Corvo…”
“Un corvo?” Domandò una terza voce. “È così piccolo che non lo sembra proprio!”
Shouyou si sentì sollevare da terra e prese ad ingoiare aria come se qualcuno avesse tentato di soffocarlo. Non appena quella mano lo lasciò andare si spostò all’indietro, inciampò nei suoi stessi piedi e retrocedette fino a che le sue ali non aderirono al tronco di un albero.
Il suo aggressore sgranò gli occhi felini. “Ehi, pulcino, hai le ali, non ti serve correre per scappare.”
“Tetsuro, falla finita,” intervenne lo sconosciuto con la voce apatica facendosi avanti.
Shouyou lo guardò con attenzione: aveva i capelli biondi ma non fu quello ad attirare la sua attenzione, bensì le due orecchie nere a punta che aveva in cima alla testa. “Ti sei fatto molto male?” Domandò inginocchiandosi di fronte a lui. Gli occhi erano dorati ma non gentili come quelli di Koushi, la pupilla era sottile, allungata.
Shouyou non disse nulla e lo sconosciuto allungò una mano per sfiorargli la guancia nel punto in cui lo avevano graffiato. Sospirò con espressione esasperata. “Tetsuro…” Disse voltandosi.
Solo allora il piccolo Corvo pose attenzione a tutti loro. Erano creature che non aveva mai visto prima: non avevano ali ma una lunga coda che partiva dal fondo della schiena e che sembravano poter muovere in totale libertà. Quello che Shouyou, però, non riusciva proprio a fare a meno di guardare erano le buffe orecchie che tutti avevano in cima alla testa.
Il suo aggressore doveva essere quello più alto, dai capelli corvini e dal viso poco raccomandabile.
“Sta guardando te, Tetsuro,” gli fece notare un piccoletto un po’ più distante.
“No, sta guardando queste,” disse l’uomo che doveva chiamarsi Tetsuro toccandosi una delle orecchie nere. “Non hai mai visto un Gatto selvatico, pulcino?”
Shouyou non rispose, non riusciva ancora a smettere di tremare.
Il Gatto di fronte a lui si alzò in piedi e gli porse la mano. “Ti aiuto,” disse.
Il piccolo Corvo esitò, poi allungò la sua per farsi tirare in piedi.
“Cavolo ma è nanerottolo per essere un Corvo!” Esclamò un tipo che gli ricordò un poco Ryuu, solo con una striscia di capelli chiari in mezzo alla testa.
“È solo un pulcino, un po’ di pietà,” disse Tetsuro avvicinandosi di un paio di passi. “Che cosa ci fai così lontano da casa, piccolo? Il tuo nido è vicino alla valle, lo sai?”
Shouyou si dimenticò completamente della paura e s’imbronciò come se fosse stato offeso nell’orgoglio. “Non sono un pulcino!” Esclamò.
“Oh!” Tetsuro sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere. “Un piccoletto dal bel caratterino!”
Il Gatto dai capelli biondi che aveva aiutato Shouyou a rialzarsi sospirò di nuovo. “Tetsuro, lascialo in pace,” gli disse.
“Sto solo giocando un po’, Kenma.”
“Ti sei perso?” Domandò il felino di nome Kenma. “Vuoi che ti aiutiamo a ritrovare la strada di casa?”
Il tipo che assomigliava a Ryuu sbuffò. “Non faccio da balia ai pulcini, io!”
“Ma stai un po’ zitto!” Lo rimproverò il piccoletto di prima.
Shouyou scosse la testa. “No, io non mi sono perso…”
“Pareva di sì, pulcino,” disse Tetsuro con un sorriso sarcastico. “A meno che tu non stia aspettando che il tuo amante ti venga a prendere. È cominciata la stagione degli amori anche per voi, no?”
Shouyou sgranò gli occhi e scosse immediatamente la testa. “No, io sto andando sulle montagne.”
Kenma e Tetsuro si guardarono confusi. “Che va a fare un pulcino come te sulle montagne?” Domandò quest’ultimo.
“È pericoloso andare da soli,” disse il primo. “Dove sono i tuoi genitori?”
“A casa…”
“E sanno che sei qui?”
“Certo!” Mentì Shouyou forzando un sorriso. “Sono un adulto, ormai e ho lasciato il nido, quindi…”
“Ehi, Tetsuro non ce lo possiamo mangiare lo stesso?”
“Taci, Yamamoto!” Esclamò Tetsuro, poi sospirò. “Stai a sentire, pulcino, non arriverai mai sulla cima della montagna vagando tra gli alberi.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Voi potete indicarmi la strada, signore?”
“Non chiamarlo signore,” disse Kenma. “Non è così rispettabile… E noi non indichiamo le vie più facili per la cima della montagna agli sconosciuti.”
“Kenma…” Tetsuro posò una mano sulla sua spalla. “È un pulcino, non un Cacciatore!”
“Non sono un pulcino!” Insistette Shouyou.
“È un piccolo e coraggioso Corvo alla ricerca di avventure!” Si corresse il felino. “Che altro dovremmo fare?”
“Riportarlo a casa, ad esempio,” propose Kenma.
“No!” Esclamò Shouyou. “È il mio primo viaggio da Corvo adulto e non posso tornare a casa!”
Il Gatto dai capelli biondi inarcò un sopracciglio. “Non credo che per i Corvi esista un passaggio all’età adulta simile…”
Tetsuro alzò gli occhi al cielo. “Pulcino, guarda il sole.”
Shouyou fece come gli era stato detto.
“Aspetta che cominci a calare,” aggiunse il felino, “a quel punto, mettiti in modo d’averlo alle spalle e, dopo, dirigiti verso destra.”
Il piccolo Corvo ripeté sommessamente le informazioni poi annuì con un gran sorriso. “Tutto qui?” Domandò. “Arriverò alla cima della montagna così?
“No…”
“Oh…”
“Non avere fretta. Con queste indicazioni arrivarai ad un fiume… Dovresti conoscerlo. È lo stesso che arriva alla valle.”
Shouyou annuì.
“Molto bene,” continuò Tetsuro. “Una volta che sarai arrivato al fiume, devi risalirlo e quando vedrai la fonte saprai che il tuo viaggio si è concluso!”
Gli occhi d’ambra del piccolo Corvo si fecero grandi e brillanti.
Kenma fece per dire qualcosa ma Tetsuro lo precedette. “Inoltre, percorrendo quella stessa via al contrario, potrai sempre tornare nei territori della tua gente senza rischiare di perderti.”
Shouyou annuì due volte. “Grazie!” Esclamò con sincera gratitudine. “Grazie mille!”
 
 
Diversi minuti dopo aver lasciato il piccolo Corvo, sulla strada verso casa, Kenma non sembrava ancora convinto di quanto avevano appena fatto.
Tetsuro sospirò e gli circondò le spalle con un braccio. “Che cosa affolla quella tua testolina?” Domandò.
“Non sono sicuro che abbiamo fatto la cosa giusta,” disse Kenma. “Avremmo dovuto convincerlo a tornare a casa… Sembrava ancora così giovane, troppo per essere un adulto.”
Tetsuro scrollò le spalle. “Avremmo dovuto trascinarlo a valle per convincerlo e non era una responsabilità che volevo prendermi.”
“Sì, ma…”
L’altro lo zittì con un bacio a tradimento. “Rilassati, Kenma. Gli ho spiegato nei dettagli la strada per tornare a casa e, comunque, è più sicura la strada verso la cima delle montagne che quella per la valle. Almeno, da quella parte non rischia d’incontrare i Cacciatori…”
Kenma lasciò andare un sospiro. “Sì, hai ragione…”
 
 
***
 
 
Non appena si ritrovò sulla riva del fiume, Shouyou lasciò andare un’esclamazione trionfante.
Il suo viaggio stava proseguendo nel migliore dei modi e si sentiva inarrestabile.
“Dunque, il Gatto ha detto di percorrerlo in senso opposto alla corrente,” ricordò osservando l’acqua cristallina che scendeva verso valle. “Da questa parte, allora!” Esclamò mettendosi in marcia.
Ebbe appena il tempo di fare un paio di passi che si accorse di non essere da solo sulla riva del fiume.
“Oh… Ehm… Ciao,” disse accennando un timido sorriso, poi arrossì di colpo. “Mi hai sentito urlare, non è vero?”
Che pessima figura! Davvero… Davvero una pessima figura!
Il ragazzo aveva i capelli biondi ed aveva il viso privo d’imperfezioni di chi non ha ancora vissuto abbastanza stagioni per portare addosso i segni degli anni. Se ne stava con un ginocchio appoggiato sul terreno ghiaioso, gli occhi chiari fissi sul viso del giovane Corvo. Lo guardava come se non credesse a quello che stava vedendo.
Sorrise ma era strana la curva di quella bocca. “Ciao…” Rispose alzandosi in piedi.
Shouyou si torse le dita nervosamente. “Mi dispiace se ti ho disturbato con… Le mie urla,” disse imbarazzatissimo. “È che ho cercato questo fiume per tutto il giorno e…”
“Nessun disturbo,” disse il ragazzo avvicinandosi.
Il piccolo Corvo fece un passo indietro. “Vivi da queste parti domando?” Osservandolo bene per capire a quale popolo appartenesse. “O sei della valle? Della cima della montagna, magari?”
“No, sono in viaggio,” confessò lo sconosciuto. “Sto cercando qualcosa.”
“Oh!” Shouyou annuì. “Sì, sto cercando qualcosa anche io.”
“Che cosa?”
“Oh, è una storia complessa,” ammise Shouyou. “Tu, invece, che cosa stai cercando?”
Il giovane reclinò il capo da un lato. “È buffo, sai?”
“Che cosa?”
Lo sconosciuto sollevò una mano e tentò di toccargli il viso ma Shouyou si ritrasse. Non sorrideva più.
“È buffo perché stavo cercando proprio te.”
Shouyou sentì il respiro morirgli in gola. I suoi occhi divennero enormi. “Io devo… Devo andare…”
Aprì le ali. Non aveva importanza che fosse poco sicuro volare nel cielo aperto. Sapeva che doveva andarsene e doveva farlo in fretta. Non ne ebbe il tempo.
Lo attaccarono alle spalle anche quella volta e lo costrinsero su di un fianco, premendogli la testa contro il terreno ghiaioso. Shouyou agitò le ali con violenza e riuscì a colpire uno dei suoi assalitori.
“Non così, idiota! Schiacciagli le ali! Schiacciagliele!”
Shouyou si dimenò con tutte le forze che aveva ma presto si ritrovò incapacitato a muovere sia le ali che gli arti. “Lasciatemi!” Urlò. “Lasciatemi! Lasciatemi!” Sapeva che non lo avrebbero ascoltato ma non aveva nessun’altra arma a sua disposizione. Non era un Corvo adulto, non era forte come Daichi ed Asahi e tutto quello che poteva fare era piangere e sperare che qualcuno lo sentisse.
“Lasciatemi!”
Cacciatori. Era quella la parola che continuava a riecheggiare nella sua mente accompagnata dall’immagine dei visi terrorizzati di Koushi e Daichi. Cacciatori, i mostri da cui lo aveva sempre messo in guardia più di qualsiasi altro predatore della foresta.
Cacciatori. Una condanna a morte certa.
“No… No…” Singhiozzò mentre le forze venivano meno.
“Che cosa aspetti?” Urlò qualcuno. “Sgozzalo e facciamo quello che dobbiamo fare!”
“Ma è un bambino!”
“Ha solo l’aspetto di un bambino ma non lo è!”
“Non combatte nemmeno,” intervenne un terzo. “Strappiamogli le ali e basta. Non mi va di sporcarmi di sangue più del necessario.”
Nell’udire quelle parole, il cuore di Shouyou saltò un battito. “No!” Urlò disperato. “No, le ali no!”
“Stai zitto!” Gli urlarono contro premendogli con più violenza la testa contro il terreno umido e ghiaioso. “Avanti le catene!”
Shouyou piangeva, tremava e continuava a muoversi per quel poco che poteva, anche se era del tutto inutile. Non avrebbe mai raggiunto la cima delle montagne, non sarebbe mai tornato a casa. Non avrebbe più rivisto la sua famiglia, i suoi amici. Non sarebbe più stato stretto tra le braccia di Koushi. Daichi non lo avrebbe mai più portato rimproverato per aver combinato qualche sciocchezza. Non avrebbe più udito le storie e canzoni intorno al focolare. Non avrebbe visto i piccoli di Kei e Tadashi…
Pianse. Pianse disperatamente.
E pensare che era stato così arrabbiato con loro solo quella mattina ed ora le ragioni non gli sembravano niente altro che una lunga lista di sciocchezze nate dalla sua infantile gelosia.
“Mi dispiace…” Mormorò tra le lacrime. “Mi dispiace…”
Shouyou, però, non avvertì mani il freddo metallo delle catene intorno alle sue ali.
Le mani che lo tenevano fermo sparirono come se non fossero state altro che la manifestazione di un brutto sogno. Gli occhi d’ambra si sollevarono un poco ma Shouyou nascose immediatamente il viso come tutti i rumori del mondo vennero messi a tacere delle grida disperate ed agonizzanti dei Cacciatori.
“Ti prego,” singhiozzò la voce che Shouyou riconobbe come quella del ragazzo biondo che aveva visto inginocchiato sulla riva del fiume. “Ti prego, non farlo… Ti scongiuro!”
Un terribile rumore che Shouyou non seppe identificare segnò la fine di quello strazio. Tremava ancora ma sollevò comunque la testa. La vista era annebbiata ma vide chiaramente che l’acqua cristallina del fiume si era tinta di rosso.
Uno stivale nero affondò nell’acqua più bassa, vicino alla sua testa. “Ehi, stai bene?”
L’ultima cosa che Shouyou riuscì a vedere fu un paio di occhi blu che lo scrutavano dall’alto.
Pensò che si trattasse solo dell’ennesimo sogno.
 


 

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Capitolo 2
*** La storia delle anime gemelle ***


II
La storia delle anime gemelle
 

 
Shouyou venne svegliato dal rumore dell’acqua.
Non quello continuo e gentile di un fiume che scorre ma uno scroscio ben più potente, a cui non era abituato. Sollevò le palpebre lentamente ed impiegò ancor più tempo a prendere consapevolezza del luogo che lo circondava. Era un nido.
Non come quello in cui era nato e cresciuto, però.
Era un nido rudimentale fatto di un grande letto di muschio morbido ed una struttura di ramoscelli. Vi era un tetto fatto alla male e peggio di grandi rami legati insieme e coperti di foglie. Avrebbe retto ad un temporale estivo ma nessuno sarebbe potuto sopravvivere un intero inverno in un rifugio simile. Shouyou si sollevò sui gomiti tendendo bene le orecchie per captare qualsiasi rumore molesto potesse avvertirlo della presenza di un’altra creatura.
Voltò il viso e si guardò la schiena. Un sorriso spontaneo sbocciò sulle sue labbra nel vedere le piume corvine delle sue ali riflettere la poca luce che penetrava nel nido. Quei Cacciatori non gli avevano portato via nulla ma era una fortuna che doveva a qualcun altro.
Ripensò agli occhi blu a cui si era ritrovato incatenato un istante prima di perdere i sensi.
In quel momento di totale confusione, aveva pensato si trattasse di un’illusione, di un sogno ad occhi aperti dovuto alla tremenda paura che aveva preso il possesso di lui quando quei Cacciatore gli avevano messo le mani addosso. Ora, però, sapeva di non potersi essere sollevato dalla riva di quel fiume da solo.
Qualcuno doveva essere stato lì con lui. Qualcuno doveva averlo salvato e condotto fino al suo rifugio.
Si sollevò sulle ginocchia ed allungò il collo per guardare oltre il bordo del nido. Gli parve di vedere dell’acqua uscire a fiotti da una parete di roccia. Si mosse in avanti ma con cautela ed appoggiò le piccole mani sui ramoscelli intrecciati per poter vedere al di là. L’albero su cui si trovava era spaventosamente alto come ve ne erano pochi nella parte della Foresta in cui era nato. Lì, sembravano essere tutti così e pensò che doveva trovarsi nella parte più antica e remota della foresta, quella sulla cima delle montagne.
Una ventata di aria gelida lo spinse ad abbassare il viso per alcuni istanti, poi si sollevò di nuovo e si guardò intorno. Vi era una cascata di fronte a lui ma non era abbastanza vicina perché l’acqua potesse inumidire il nido. Non sembravano esserci pericoli nelle vicinanze.
Fu facile planare giù ed atterrare sul terreno ricoperto d’erba senza far rumore. C’erano solo tre alberi a separarlo dalla cascata a quel punto e se vi fosse arrivato sotto probabilmente avrebbe individuato un corso d’acqua che avrebbe potuto seguire per tornare a valle, verso casa.
L’aria gelida gli investì il viso ancora una volta e fece per voltarsi per evitarla ma i suoi sensi vennero avvolti da una sensazione estranea ma ipnotica. Era come l’odore della colazione di prima mattina dopo aver saltato la cena per essere tornato a casa troppo tardi ma non poteva definirlo semplicemente un odore. Poteva percepirlo con il suo naso, certo ma tutto il suo corpo sembrava voler rispondere.
Era la stessa identica sensazione che sfiorava quando si risvegliava da uno dei suoi sogni ma quella volta era viva, vera.
I passi di Shouyou si fecero più veloci, superò gli alberi fino a che l’aria non divenne sensibilmente umida ma non percepì davvero quella nuova sensazione sulla pelle e persino il rumore della cascata sembrò tacere mentre i suoi occhi si posavano sulle grandi ali nere della creatura che aveva di fronte.
Seppe che stava guardando il suo salvatore quando questi si voltò e gli occhi blu che avevano infestato i suoi sogni per un intero inverno ricambiarono il suo sguardo.
Shouyou sentì il fiato mancargli per un istante, poi strinse le labbra in ingoiò a vuoto. “Io… Io…”
Il corpo della creatura non era completamente coperto di piume nere come nelle sue visioni oniriche ma quegli occhi erano inconfondibili. Shouyou non ne aveva mai visti così e ricambiare il loro sguardo da sveglio non era neanche paragonabile a quello che aveva vissuto nel sonno.
Era immerso nell’acqua della cascata fino alla vita e lo guardava come se avesse osato fargli un torto.
Shouyou si umettò le labbra. “Ti ho disturbato?” Domandò timidamente. Non era difficile per lui fare amicizia con i suoi coetanei ed il ragazzo che aveva di fronte non poteva aver vissuto molte stagioni più di lui ma Shouyou non poteva fare a meno di sentirsi intimidito dall’aurea oscura che emetteva. Se non gli avesse salvato la vita, non avrebbe esitato ad andarsene un istante di più.
Il giovane dagli occhi blu indicò un punto a terra vicino ai piedi del piccolo Corvo. Shouyou abbassò lo sguardo e vide un paio di lucidi stivali neri con sopra piegati dei vestiti macchiati in più punti. “Oh…” Fece una smorfia, poi tornò a guardare il suo salvatore. “Vuoi che ti passi i vestiti?”
“Sono sporchi di sangue.”
Shouyou trasalì appena nell’udire la sua voce: era più umana di come l’aveva immaginata. Sbatté le palpebre un paio di volte. “Vuoi che li lavi?” L’avrebbe fatto senza vergogna se fosse servito a sdebitarsi.
“Il sangue non si riesce mai a lavare via del tutto,” disse il giovane con una chiara nota d’accusa.
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Mi stai…” Indicò i vestiti piegati a terra. “Mi stai dando la colpa di qualcosa?” Domandò.
Il ragazzo si passò una mano umida tra i capelli corvini tirandoli indietro. “Non sono io l’idiota che si è consegnato ad una banda di Cacciatori.”
Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Era da solo quando l’ho visto…”
“Un Cacciatore non è mai da solo,” replicò l’altro. “A meno che non sia moribondo e ricoperto del sangue dei suoi compagni. Nessun Cacciatore ti avvicina sapendo di essere da solo. Non ti hanno insegnato niente dal Villaggio dei Corvi?”
Shouyou s’imbronciò. “Non c’è bisogno di parlare con… Come fai a sapere che vengo dal Villaggio dei Corvi?”
“Sei proprio idiota, allora,” il giovane sbuffò. “Le tue ali…”
Shouyou si guardò la schiena. “Oh,” annuì. “Giusto…” Mormorò sentendosi uno stupido, poi tornò a guardare il suo salvatore osservando le ali corvine sulla sua schiena. Erano grandi, più grandi di quelle di Daichi e quel ragazzo sembrava troppo giovane per essere un Corvo adulto.
“Tu…” Mormorò esitante. “Tu che cosa sei, invece?”
Gli occhi blu si fecero ancor più gelidi nel fissarlo e Shouyou si pentì amaramente di aver posto quella domanda. “Va bene, perdonami!” Esclamò sollevando entrambe le mani di fronte a sé. “Non ho saputo riconoscere un Cacciatore, così…”
“Ho delle ali esattamente come te, non posso essere uno di loro, idiota!” Esclamò il giovane.
Shouyou si accigliò. “Ma perché sei così antipatico?”
L’espressione del ragazzo s’indurì. Si voltò completamente nella direzione del piccolo Corvo e Shouyou non si sentì rassicurato dal vedere che, adulto o meno, era dotato di un corpo decisamente più forte del suo. Se avesse deciso di nuocergli non avrebbe potuto fare davvero niente per difendersi.
Fece un passo indietro e ne fece un altro ancora mentre la creatura usciva dall’acqua senza togliergli gli occhi di dosso.
“Aspetta… Aspetta!” Esclamò Shouyou ritrovandosi con le spalle contro il tronco di un albero. Il giovane calpestò l’erba a piedi scalzi e non si preoccupò della sua nudità mentre gli si parava davanti. Da parte sua, Shouyou era tanto spaventato da non curarsene. Quegli occhi blu erano l’unica cosa che riusciva a guardare.
“Chi ti manda?” Domandò con fare minaccioso.
Shouyou trasalì, poi la sua espressione si fece confusa. “Cosa?”
“Il territorio dei Corvi non si estende fino alla parte alta del fiume dove ti ho trovato. Quindi, chi ti manda?”
“Nessuno. Ho risalito la montagna per una mia idea…”
“Che idea?”
“Cercare te,” quella verità gli sfuggì dalle labbra con la stessa naturalezza di un respiro. Shouyou non aveva pensato neanche per un istante che mentire fosse la cosa giusta da fare: primo, non sapeva dire bugie e, secondo, non gli piaceva affatto dirle, nemmeno per togliersi dai guai. Quello che era accaduto all’alba del giorno della sua partenza, quando aveva assicurato a Koushi che sarebbe tornato prima del buio, era stato un evento che aveva sorpreso anche lui.
Gli occhi blu del giovane vennero riscaldati un poco dalla luce di un sincero senso di smarrimento. “Cercare me?” Domandò come se si fosse preparato a qualsiasi risposta tranne quella. “Sei tu ad essere entrato nella mia testa.”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Ed in che modo lo avrei fatto, scusa?”
“Sei nei miei sogni,” rispose il giovane. “Quasi ogni notte, la tua faccia da stupido mi appare davanti agli occhi.”
L’espressione di Shouyou s’indurì. “Ehi!” Esclamò. “Non ho dormito per settimane per colpa tua! Infestavi i miei incubi e mi terrorizzavi! Quindi, per quel che mi riguarda, sei tu ad essere entrato nella mia testa!”
L’altro s’irritò immediatamente. “Mi stai dando la colpa di qualcosa, ora?”
“Come hai fatto tu fin dalla prima parola che mi hai rivolto,” replicò Shouyou staccando la schiena dal tronco dell’albero alle sue spalle. “Fino a prova contraria, io sono solo un Corvo e non ho ancora la minima idea di che cosa sia tu!”
Il ragazzo aprì la bocca, poi la richiuse e sibilò qualcosa tra i denti. Shouyou sorrise nel rendersi conto di aver vinto quella discussione, poi lo sguardo gli cadde in basso involontariamente ed arrossì di colpo voltandolo in tutt’altra direzione. “Puoi vestirti, per piacere?” Domandò
Anche il viso del giovane si colorò un poco per l’imbarazzo e si mosse di lato per recuperare i suoi vestiti da terra. Shouyou l’osservò con la coda dell’occhio. “Come ti chiami?” Domandò.
“Tobio,” fu la risposta veloce, distratta.
“Tobio,” ripeté il piccolo Corvo assicurandosi che la pronuncia fosse giusta. “Io sono Shouyou.”
“Uhm…”
Shouyou fece una smorfia di fronte a quella prova di disinteresse ma decise di lasciar perdere. “E così…” Si umettò le labbra. “Anche tu vedi me nei tuoi sogni?”
“Sì.” Un’altra risposta priva d’intonazione.
Shouyou sorrise sommessamente. “All’inizio avevo paura di te,” ammise. “Dopo, quando ti vedevo nei suoi sogni e mi svegliavo, avevo come la sensazione che tu mi stessi chiamando. Per questo sono salito sulla montagna a cercarti e…”
S’interruppe come la figura di Tobio ricomparve di fronte a lui. Con i vestiti addosso, la situazione era decisamente meno imbarazzante ma Shouyou non poteva dire che quelle macchie di sangue contribuissero in qualche modo a farlo sentire a suo agio.
“Io non ti ho chiamato,” disse Tobio con voce scocciata.
Shouyou sbatté le palpebre. “Ma io…”
“Io non ti ho chiamato,” insistette l’altro. “Ti vedo nei miei sogni per ragioni che non conosco. Niente di più.”
Il piccolo Corvo rimase in silenzio, poi abbassò lo sguardo e prese a mordicchiarsi le labbra nervosamente. “Ho lasciato la mia casa per cercarti,” disse e non fece che umiliarsi da solo.
“La tua stupidità non è una cosa per cui io posso essere biasimato,” disse Tobio. “Cosa c’è? Per caso sei salito fino a che qui convinto che io stessi cercando di attirare la tua attenzione per la stagione degli amori?” Domandò con sincero disgusto.
Shouyou scosse immediatamente la testa. “No, io…” Esitò. “Non m’interessano queste cose.”
“Bene…” Concluse Tobio superandolo.
Shouyou si voltò. “Sono venuto quassù perché il richiamo che percepivo era quello di una creatura disperatamente sola!” Esclamò sperando che questo potesse avere qualche senso. “Credevo che avessi bisogno di un amico…”
Tobio lo guardò ancora una volta. “Hai lasciato la tua casa per seguire un sogno e rispondere ad un richiamo di cui percepivi la natura ma di cui non conoscevi la fonte?”
Shouyou dischiuse le labbra ma non disse nulla. Quella volta, la vittoria spettava al giovane dagli occhi blu.
Tobio ritornò sui suoi passi e lo guardò. “Non riesco a capire se tu sia stupido o demente,” disse con evidente risentimento.
Il piccolo Corvo sentì un nodo stringergli la gola ma non sarebbe scoppiato a piangere di fronte a quell’individuo. “Io… Io pensavo…”
“Cosa?” Lo interruppe Tobio. “Di essere stato prescelto dal destino per vivere una grande avventura? Che lasciando il tuo nido per esplorare l’ignoto avresti reso la tua vita qualcosa di più di un tedioso ripetersi di stagioni tutti uguali? Cosa? Che cosa può spingere un Corvo non adulto e non in grado di difendere se stesso dai pericoli di questa Foresta a lasciare la sicurezza del suo nido per andare incontro a morte certa?” Domandò. “Le uniche possibilità a cui posso pensare sono demenza o stupidità.”
La bocca di Shouyou divenne una dura linea sottile e gli occhi d’ambra si riempirono di lacrime rabbiose ma non le lasciò andare. Sarebbe soffocato nei singhiozzi che stava trattenendo in gola prima di lasciarle andare.
Tobio non si aspettò di udire una risposta da lui, così si voltò ancora una volta e prese a camminare tra gli alti alberi della Foresta.
“Perché mi hai salvato?!” Gli urlò dietro Shouyou e solo allora una lacrima gli solcò la guancia.
Tobio arrestò di nuovo la sua marcia ma non perse tempo a guardarlo di nuovo. “Preferivi morire?”
“Questa è una domanda idiota!” Esclamò il piccolo Corvo. “Ma non ho chiamato il tuo nome perché mi venissi a salvare e, quindi, ora non hai alcun diritto di trattarmi come se fosse una scocciatura di cui avresti volentieri fatto a meno! Mi dispiace se ti sei sporcato le mani per me ma è stata una tua scelta, non mia. Potevi semplicemente passare oltre e…”
“No, non potevo passare oltre!” Tuonò Tobio riportando gli occhi blu sul viso del piccolo Corvo.
Shouyou si fece rigido ma si sforzò di non mostrare alcuna paura.
“Non ti ho visto compiere un’azione intelligente da quando i nostri cammini si sono incrociati!” Esclamò Tobio avvicinandosi all’altro ancora una volta. “Ma su una cosa hai perfettamente ragione: non sai chi sono, non sai cosa sono e, pertanto, non sei nella facoltà di giudicare le mie azioni o di consigliarmi su come agire!”
Shouyou resse il suo sguardo alla perfezione. “Puoi sempre dirmelo.”
Tobio ghignò. “Non so nemmeno chi sei.”
“Sono un Corvo che appare nei tuoi sogni,” replicò Shouyou. “Un Corvo che vede te nei suoi. Non so per quale ragione tu ti sia sentito costretto a salvarmi ma te ne sono grato, sì! Indipendentemente da questo, però, non puoi biasimarmi così aspramente per essere venuto a cercarti! Deve esserci una ragione se ci sta accadendo quello che sta accadendo, no?”
Tobio ridacchiò con fare sarcastico. “Stai cercando di suggerirmi che siamo legati?”
“Sì,” rispose Shouyou come se fosse una cosa ovvia. “Forse…” Ritrattò giudicandolo con lo sguardo.
“Cos’è quell’espressione?” Domandò Tobio.
“Quale espressione?”
“Come se fossi di fronte alla più grande delusione della tua vita.”
Shouyou lo squadrò da capo a piedi. In realtà, anche se non aveva il corpo completamente ricoperto di piume corvine, quel ragazzo non aveva niente che non andasse. Quegli occhi blu continuavano ad essere surreali anche fuori dai suoi sogni.
Se solo non fossero stati tanto gelidi…
Era tutto il resto ad essere decisamente sgradevole. “Mi ero fatto un’idea diversa di te…?”
“Me lo stai domandando?”
“Sto cercando di capire come mi sento, non mettermi fretta!” Esclamò il piccolo Corvo.
Tobio sbuffò. “Se ne hai per molto, risali fino al nido ed aspettami lì. Tornerò prima del tramonto.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Non vuoi mandarmi via?”
“Sì, così che tu possa morire entro un miglio di distanza divorato da un Gatto selvatico o da un volatile più grande di te!”
“Ho incontrato un branco di gatti selvatici!” Esclamò Shouyou con orgoglio. “Mi hanno indicato la strada per la montagna!”
“Sì, quella in cui hai incontrato i Cacciatori che ti hanno quasi ucciso!”
Shouyou lo guardò con sincero smarrimento. “Non volevi cacciarmi fin dal principio?” Domandò confuso. Aveva senso salvare qualcuno e prendersi cura di lui ma fare entrambe le cose per poi trattarlo con astio era tutta un’altra faccenda.
Tobio non rispose, esaurì la distanza tra loro e Shouyou si fece rigido come un pezzo di legno mentre affondava il viso tra i suoi capelli ed inspirava a pieno polmoni. Il piccolo Corvo trattenne il fiato ma l’altro gli rimase addosso per tanto tempo che rischiò di soffocare. Fu costretto ad ingoiare aria ma lo fece lentamente, anche se questo gli fece bruciare i polmoni.
Fu il dolore di un istante, il profumo che emanava Tobio fu abbastanza da mettere a tacere ogni fastidio.
Shouyou era certo di non aver mai sentito odore più buono in vita sua.
Tobio si allontanò da lui e lo guardò dall’alto al basso. Il piccolo Corvo abbassò gli occhi d’ambra sull’erba per nascondere il colore che gli aveva acceso le guance.
“Già…” Tobio sospirò esasperato. “La tua puzza infetta la mia aria da quando hai prese la strada per arrivare al fiume.”
Shouyou inarcò le sopracciglia, poi sgranò gli occhi. Il suo viso era una maschera d’indignazione quando si sollevò. “Prego?!”
“Mi hai sentito,” disse Tobio con foce gelida. “Vedi di lavarla via ed anche in fretta!”
“E come dovrei fare?!” Shouyou si guardò intorno. “Siamo nel bel mezzo del nulla ed il tuo nido è ancor peggio di quello che ho costruito con i miei fratelli quando ero bambino!”
Tobio lo afferrò per la testa e lo costrinse a voltarsi in modo da guardare la cascata. Gli occhi del piccolo Corvo divennero ancora più grandi. “No! No! No!” Esclamò. “Siamo alla fine di marzo! Morirò congelato!”
Tobio sorrise diabolico. “Io sono ancora vivo…”
“Non m’interessa!” Sbottò Shouyou sollevando lo sguardo sul suo viso. “Per quel che ne so potresti essere un volatile predisposto a vivere tra le montagne, dove è continuamente freddo. Magari per te è già estate ma qui, per me…” Si strinse le braccia intorno al corpo. “Sembra più autunno che primavera.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Non solo idiota,” commentò voltandosi. “Anche gracilino…”
Shouyou spalancò occhi e bocca. “Gracilino a chi?!”
“Non ti allontanare da qui. Vedi di levarti di dosso quella puzza e risali sul nido,” disse Tobio. “Penserò dopo a cosa fare di te…”
Shouyou sbuffò e fece due passi verso la cascata, poi si bloccò. “Che cosa vuol dire cosa fare di me?”
Tobio, però, era già sparito tra gli alberi della Foresta.
 
 
***
 
 
C’era il rudere di una torre nel cuore della parte alta della Foresta.
In passato, era stato un punto di vedetta posto vicino alla cima della montagna per la sicurezza della Città Fortificata di Seijou. Per Tobio era sempre stato un luogo né troppo vicino né troppo lontano da casa in cui nascondersi quando sentiva la necessità di affermare la sua testardaggine ed il suo orgoglio sui suoi genitori. Ovviamente, aveva perso la sua efficacia dopo la prima volta che aveva fatto spaventare l’intero Nido delle Aquile ma questo non gli aveva impedito di continuare a considerarlo il suo rifugio.
Fino a che non aveva saputo dargli un altro tipo di utilità.
“Cugino?”
Tobio si bloccò e sollevò gli occhi dove il muro di pietra era crollato lasciando scoperta parte della scala a chiocciola della torre. Il giovane dai ribelli capelli neri gli concesse un breve sorriso, poi si alzò in piedi scendendo i gradini fino a sparire all’interno dell’edificio. Tobio aspettò fino a che non lo vide comparire sull’ingresso della torre. Aveva una sacca da viaggio appesa in spalla ed indossava l’espressione esasperata che Tobio aveva visto spesso sul viso del padre di lui mentre guardava sua madre.
“Takeru…” Salutò.
“Ancora guai?” Domandò il ragazzo indicando la tunica sporca di sangue con un cenno del capo.
“Stavano raggiungendo la parte alta del fiume,” rispose Tobio. “Erano pochi e sarebbero sicuramente morti prima di arrivare troppo vicino al Nido ma ciò non toglie che si stanno facendo più superbi ed il miglior modo per mettere a tacere la superbia è il terrore.”
Takeru sospirò. “Tuo padre sa che parli come lui?”
“Il Re sostiene che parlo come il suo Consorte.”
Il ragazzo ridacchiò. “Il mio, invece, sostiene che sei una fusione perfetta dei due e che questo ti rende la creatura più temibile che sia mai camminata sotto questi alberi, ali corvine o meno!”
Suo malgrado, Tobio si concesse un sorriso.
Takeru si tolse la sacca da viaggio dalla spalla e l’appoggiò a terra, poi si mise a sedere su quello che rimaneva di un muretto di pietra. “Ecco la nuova consegna.”
“Non ti ho chiesto nulla.”
“Oh, Tobio, tu non lo fai mai,” replicò Takeru. “Potremmo trovarti a terra mentre ti dissangui e tu ti alzeresti in piedi continuando a sostenere di stare bene e di non aver bisogno del nostro aiuto. Il tuo orgoglio supera quello dei tuoi reali genitori ed il loro era già leggenda prima che nascessimo noi.”
“Ti manda il Re?”
Takeru scosse la testa. “Dovresti sapere che tuo padre non manda ma si presenta e basta.”
“Hajime?”
Il ragazzo annuì. “Qualcuno deve pur prendere atto del fatto che sei uno stupido e lo sei ancor di più mentre fingi di non sapere che mi avresti trovato qui.”
Tobio alzò gli occhi al cielo e sospirò con espressione annoiata, poi lanciò un’occhiata alla sacca tra di loro. “Che cosa c’è dentro?”
“Un paio di armi e, perlopiù, abiti puliti,” Takeru lo guardò. “A giudicare dallo stato in cui versi, hai già distrutto quelli con cui sei partito.”
Tobio ignorò il commento. “C’è qualche coperta lì dentro?”
Takeru inarcò un sopracciglio. “In quindici anni che ti sto attaccato, non hai mai avuto freddo.”
“Non sono per me,” spiegò Tobio.
Il giovane inarcò un sopracciglio e lo guardò sinceramente confuso, poi sgranò gli occhi mentre un’intuizione prendeva forma nella sua testa. “Lo hai trovato?”
Tobio sbuffò. “Non l’ho esattamente trovato!” Esclamò come se parlare di quello che gli era capitato al fiume fosse seriamente fastidioso per lui. “Era finito nelle mani degli ultimi Cacciatori che ho ucciso. Ha perso i sensi senza nemmeno farsi un graffio, l’idiota!”
Takeru si alzò in piedi mosso da improvviso interesse. “Quindi, il piccolo Corvo dei tuoi sogni ha un nome ora.” Gli occhi blu lo guardarono storto ed allora sospirò annoiato. “Avanti, Tobio, non farti pregare…”
Tobio sbuffò guardando gli alberi intorno a loro solo per non dover guardare in faccia il cugino. “Shouyou…”
“Shouyou,” ripeté Takeru annuendo. “Ed è stata una cosa veloce o ci stai ancora lavorando?”
A quel punto, il cugino lo guardò come se avesse seriamente intenzione di metterlo a tacere in malo modo ed il ragazzo dai capelli ribelli alzò le mani in segno di resa. “Ho capito, ho capito… Quindi, vuoi che domani ti porti qualcosa per il Principe Consorte?”
“Non è il Principe Consorte!”
“Non ancora, certo,” Takeru annuì. “La primavera è appena iniziata e tu sei un idiota, quindi nessuno si aspetta una risoluzione veloce.”
Tobio emise un verso simile ad un ringhio.
“Quindi vuoi delle coperte e dei vestiti?” Domandò Takeru. “Servono i vestiti? Non dovresti averli tra i piedi per concludere qualcosa ma…”
“Takeru, quando fai così mi ricordo con chiarezza a chi dobbiamo la nostra parentela.”
L’altro rabbrividì. “Ti prego, mio Principe, abbi pietà con i paragoni… Ricapitolando: coperte e vestiti?”
“Sì,” Tobio annuì. “I vestiti più piccoli che trovi.”
Takeru inarcò un sopracciglio. “Ha l’età giusta per la stagione degli amori, almeno?”
“Credo di sì ma ha detto che non gli interessa.”
Takeru sospirò sconfortato. “Beh, forse è un buon segno…”
“Cosa?” Domandò Tobio.
“Che, almeno, non vi piacciono le stesse cose,” rispose suo cugino. “E che site stupidi allo stesso modo…”
Questo gli costò un colpo d’ala decisamente violento.
 
 
***
 
 
“Va bene…” Si disse Shouyou per farsi coraggio appoggiando i vestiti piegati sopra gli stivali. “Basta non pensarci…” Sì, ma era decisamente difficile quando sentiva già freddo da asciutto. Prese un respiro profondo ed allungò una gamba in avanti sfiorando la superficie dell’acqua con la punta delle dita del piede. Tanto bastò per fargli emettere un gridolino e farlo saltare all’indietro. “Non è possibile!” Piagnucolò. “Non ce la farò mai!”
Storse il naso, alzò un poco il braccio destro ed abbassò il viso per annusarsi: non puzzava affatto!
Non che prima ne avesse dubitato ma qualcosa di strano addosso doveva averlo per aver stimolato l’olfatto di Tobio da una distanza considerevole. Forse, era qualcosa che lui non era in grado di percepire. Doveva essere qualcosa di simile all’odore che percepiva quando entrava nel nido di qualcun altro. Shouyou avrebbe saputo descrivere quello di tutte le case dei suoi amici ma non avrebbe saputo cosa dire su quello della propria.
Probabilmente, Tobio sentiva uno strano odore su di lui perché non appartenevano alla stessa specie. Dopotutto, anche Shouyou non aveva mai sentito nitidamente l’odore di un altro corvo come accadeva per quello di quella strana, antipatica creatura dagli occhi blu. Per lui, tuttavia, quell’odore non era affatto sgradevole.
A pensarci bene, però, gli era saltato addosso un Gatto selvatico e ne aveva avuti molti intorno a lui per diversi minuti e non credeva di aver sentito un tale tratto distintivo. Lo stesso valeva per i Cacciatori.
No, doveva esserci qualcosa di strano tra lui e Tobio.
“Che cosa stai facendo?”
Il piccolo Corvo si voltò istintivamente ma gli occhi blu che ricambiarono l’occhiata si fecero grandi ed astiosi come incrociarono i suoi. “Ehi! Pensavo avessi freddo, stupido!”
Shouyou abbassò gli occhi su di sé ricordandosi solo allora della sua nudità. Lasciò andare un’esclamazione stridula avvolgendo le ali nere intorno a sé stesso per coprirsi. “Stavo cercando di lavarmi!” Esclamò da dentro il suo bozzolo. “Dato che il mio odore t’infastidisce tanto!” Aggiunse con voce irritata.
Tobio sbuffò. “Raccogli i tuoi vestiti e renditi presentabile,” disse. “Potrai restare sotto l’acqua di quella cascata fino all’alba di domani e quell’odore non verrà lavato via dal tuo corpo.”
Il piccolo viso di Shouyou riemerse dal suo bozzolo di piume corvine. “Ma tu hai detto…”
“Ho mentito,” lo interruppe Tobio.
Il piccolo Corvo inarcò un sopracciglio. “Perché?”
“Perché ero arrabbiato!” Sbottò Tobio spazientito e l’altro trasalì. “Ti aspetto lassù, sul nido,” aggiunse indicando il rifugio di ramoscelli e muschio posto sui rami più alti dell’antica quercia a pochi metri di distanza. “E non metterci troppo!”
Shouyou aspettò che si fosse allontanato di qualche metro, prima di uscire allo scoperto e recuperare i suoi vestiti velocemente. Un movimento d’aria lo informò che Tobio si era alzato in volo per salire sul nido.
Lo seguì appena un istante dopo.
“Hai costruito tu questo nido, vero?” Domandò Shouyou atterrando sul bordo.
Tobio annuì togliendosi gli stivali e lasciandoli lontani dal letto di muschio. Shouyou fece un passo all’interno del nudo, poi fece lo stesso osservando l’altro con la coda dell’occhio mentre si sedeva nel punto in cui lui si era risvegliato.
“Non hai freddo durante la notte?” Chiese Shouyou andandogli vicino.
“No,” rispose Tobio appoggiando la schiena al bordo fatto di ramoscelli intrecciati, mentre il piccolo Corvo s’inginocchiava sul nido di muschio. “Le mie ali mi bastano.”
Shouyou annuì torcendo l’orlo della sua tunica nervosamente. “Così…” Cominciò lanciando un’occhiata veloce alla sacca da viaggio che prima che non c’era. “Dove sei stato?”
Gli occhi blu di Tobio erano penetranti mentre lo guardavano. “Non ti riguarda.”
Shouyou s’imbronciò. “Non ce la fai a parlare con gentilezza?”
“Non so di cosa parli.”
“Oh… E lo stupido sarei io?”
Quegli occhi blu divennero taglienti e Shouyou si strinse nelle spalle. “Scusa,” mormorò. “Possiamo parlare civilmente, almeno?”
Dobbiamo parlare,” disse Tobio con fare solenne. “Hai detto di vedermi nei tuoi sogni da questo inverno, giusto?”
Il piccolo Corvo annuì arrossendo appena. “Credevo davvero che mi stessi chiamando, non me lo sono inventato.”
“Lo so.”
Gli occhi d’ambra si sollevarono. “Lo sai?”
Tobio scrollò le spalle. “Anche io sogno te da questo inverno,” ammise col tono neutro di chi non sta ammettendo nulla d’importante. “Anche io mi sono sentito come se mi chiamassi, sì.”
Shouyou si umettò le labbra. “Quindi quando hai detto che non potevi lasciarmi nelle mani di quei Cacciatori, intendevi che anche tu stavi cercando me?”
“Non proprio,” disse Tobio allontanando lo sguardo dal viso dell’altro per alcuni istanti. “A dire il vero, mi sono sistemato qui per cercare di nascondermi da te.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Avevi paura di me?”
“No, stupido!” Esclamò Tobio. “Non volevo che venissi a cercarmi sapendo quello che significava vederti nei miei sogni.”
“Perché?” Shouyou si fece più vicino, gli occhi d’ambra brillanti di aspettativa. “Tu sai cosa vuol dire? Insomma, noi non ci conosciamo… Non ci siamo mai visti prima di oggi e quindi è impossibile per noi sognarci a vicenda, no?”
Tobio fece una smorfia. “Ma non sai proprio niente?”
“In tutta onesta,” ammise Shouyou abbassando lo sguardo, “questa è la prima volta che mi allontano tanto da casa.”
Il giovane dagli occhi blu sospirò spazientito passandosi una mano tra i capelli. “Non ti hanno mai raccontato storie stupide sulle anime gemelle o sui compagni promessi dal destino o altre sciocchezze simili?”
Shouyou sorrise ed annuì. “Oh, sì! Koushi… Cioè, mia madre mi ha sempre raccontato che si è sentito un po’ così quando è venuto il momento di divenire il compagno di mio padre e…” Gli angoli della sua bocca si abbassarono immediatamente. “Raccontava di averlo visto nei suoi sogni tutte le notti prima del loro accoppiamento…”
Tobio annuì. “Già…” Disse come se il piccolo Corvo avesse appena decretato ad alta voce la loro condanna a morte.
Le labbra di Shouyou si piegarono in un sorriso nervoso. “Ma loro sono cresciuti insieme… Voglio dire, è normale che si sognassero se erano innamorati, no?”
Tobio decise d’ignorare completamente quel principio di crisi di panico. “Anche tu percepisci il mio odore chiaramente?”
Gli occhi d’ambra divennero enormi. “No…”
“Stai mentendo.”
“Non mi conosci abbastanza per poter affermare se sto mentendo o meno!”
“Non serve conoscerti, basta guardarti in faccia!” Esclamò Tobio, poi allungò una mano per tirare il piccolo naso e lo fece in modo che facesse male.
“Ahio!” Si lagnò Shouyou guardandolo storto e massaggiandosi la parte lesa. “Quindi hai mentito anche sul mio odore!” Esclamò. “Non è affatto sgradevole, anzi, ne sei…” Si bloccò e le sue guance divennero rosse.
“Sì,” Tobio voltò lo sguardo da un lato nel dire quelle parole. “Sì, è piacevole anche per me.”
Shouyou aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua per diversi istanti di attonito silenzio. “Quindi io e te… Io e te…”
“Siamo entrambi vittime di un maledetto scherzo della natura,” concluse Tobio con astio.
Il piccolo Corvo dovette tentare più volte prima di riuscire a parlare di nuovo. “Ma non ha senso,” disse. “I compagni si scelgono!”
“Non ha senso nemmeno che i bambini nascano morti,” replicò Tobio. “Non ha senso che faccia venire al mondo delle creature senza dare loro il necessario per sopravvivere. Il Grande Inverno non aveva senso. La Natura non ha senso…”
Shouyou prese a tremare per una ragione che non seppe comprendere del tutto. “Quindi, che cosa… Che cosa dobbiamo fare?”
Tobio si umettò le labbra. “Se ci allontaniamo, le cose peggioreranno… Il richiamo che dici di sentire al risveglio diverrà più forte ed ora che mi conosci accadrà più velocemente, probabilmente.”
Shouyou si sentì mancare il fiato. “Vuoi dire che questo richiamo ci spingerà a… Anche contro la nostra volontà?”
“No,” disse Tobio con una smorfia disgustata. “Abbiamo delle ali e viviamo sugli alberi ma non siamo degli animali come credono gli Umani.”
“E qual è la soluzione, allora?” Domandò Shouyou.
“Restiamo insieme,” disse Tobio. “Restiamo insieme e aspettiamo che questa stagione degli amori passi. L’istinto che ci lega in autunno dovrebbe scomparire come è arrivato.”
Shouyou annuì. “E non c’è rischio che capiti anche il prossimo anno?”
“Non lo so,” ammise Tobio con irritazione. “Pensiamo ad un problema alla volta, va bene?”
Il piccolo Corvo annuì ancora una volta. “Quindi, io…” Si guardò intorno. “Dovrei dormire qui? Con te?”
Tobio fece una smorfia. “Io in un angolo e tu in un altro. Durante il giorno, fai quello che ti dico senza storie e, se saremo fortunati, le settimane passeranno velocemente.”
“Perdonami ma io… Io non so chi sei…” Disse Shouyou sentendosi in difficoltà.
“Non lo sapevi nemmeno quando hai lasciato il tuo nido per cercarmi,” gli fece notare Tobio.
“Era diverso.” Era passato un solo giorno ed erano già successe tante cose. Non aveva idea di quello che sarebbe potuto accadere in settimane, stagioni lontano da casa. “Ho mentito per la prima volta ad uno dei miei genitori per venire qui. Non ho ragionato molto…”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Volevi lasciare il tuo nido con tanta ansia?”
No, non aveva voluto rimanerci da solo. Non lo disse, però: sarebbe stato come aprire la parte più oscura del suo cuore ad un perfetto sconosciuto. “Se devo dormirti accanto, vorrei almeno che mi dicessi qualcosa di te.”
Tobio ghignò. “Potrei mentire…”
Shouyou lo guardò dritto negli occhi. “Mi hai salvato la vita,” disse, “il destino ci ha legati. Non ho altra scelta che fidarmi di te, delle tue parole.”
Tobio lo guardò sinceramente sorpreso. “Nessuno può dare una simile fiducia ad uno sconosciuto.”
Il piccolo Corvo scrollò le spalle. “Non ho altra scelta, te l’ho detto. Non posso nemmeno tornare a casa senza che tu mi dica la strada. A meno che non decida di volare sopra gli alberi…”
“Se voli allo scoperto, nanerottolo come sei, sarai morto prima di subito.”
Shouyou strinse le labbra e si fece coraggio. “Io vengo dal Villaggio dei Corvi.”
“Questo lo so già, stupido.”
“Sono nato alla fine del Grande Inverno, all’inizio dell’estate,” raccontò. “Ho due fratelli anche se non siamo realmente fratelli… Siamo nati e cresciuti nello stesso nido accuditi dagli stessi genitori.”
“Sei stato adottato?” Domandò Tobio per cercare di capirci qualcosa.
Shouyou annuì. “Di me dicono che è incredibile che faccia tanto rumore pur essendo così piccolo.”
“Non li biasimo, pochi istanti con te e ho già il mal di testa.”
Il piccolo Corvo lo guardò storto. “Dimmi di te, adesso,” passò il turno. “Ti chiami Tobio ed immagino tu sia abbastanza grande per la stagione degli amori.”
“Geniale, idiota…”
“Che cosa sei?” Domandò Shouyou con sincera curiosità.
Il viso di Tobio si oscurò immediatamente. “Non ti deve interessare.”
“Non sei una specie di predatore che mangia i piccoli Corvi, vero?”
“Ho detto che la Natura non ha senso, non che è completamente idiota… A differenza tua!”
Shouyou gonfiò le guance. “Tecnicamente un gruppo di Corvi può isolare ed uccidere un’Aquila, quindi la grande gerarchia del potere naturale è completamente relativa!”
Tobio lo guardò sinceramente annoiato. “Qui ci siamo io e te,” concluse. “Tu sei più piccolo e più debole, mentre io sono fisicamente più forte e all’interno del mio territorio che, per la cronaca, ti è ostile per temperatura ed altre cose.”
Il piccolo Corvo lo fissò senza replicare.
“Non guardarmi così,” aggiunse Tobio con un ghigno. “Sono solo fatti: io sono la parte più forte.”
“Motivo in più per cui mi servono delle sicurezze per dormire accanto a te!” Insistette Shouyou ed adocchiò ancora una volta la sacca da viaggio. “La tua casa è qui vicino?”
“Forse…” Rispose Tobio.
“Di sicuro non puoi essere qui da molto tempo,” disse il piccolo Corvo guardandosi intorno.
“Da cosa lo deduci?”
“Ho capito che sopporti il freddo meglio di me. Sei una creatura di montagna, dopotutto ma nessuno potrebbe sopravvivere per un intero inverno in un rifugio del genere. L’hai costruito appositamente per nasconderti da me ma non ti sei allontanato troppo da casa nel caso avessi bisogno di qualcosa,” disse Shouyou. “Quindi, penso che sia la prima volta anche per te fuori dal tuo nido, giusto?”
Tobio ignorò la domanda. “I tuoi genitori non sanno che sei qui, quindi.”
Shouyou scosse la testa. “Quando ho dormito?” Domandò. “Saranno preoccupati a morte e…”
“Hai dormito per un’intera notte quindi manchi da casa da più di un giorno. Immagino non sia normale pe le tue abitudini.”
Il piccolo Corvo annuì con aria malinconica. “Ne moriranno se resto qui fino al prossimo autunno. Mi crederanno morto e…”
“Probabilmente lo credono già…”
“Ehi!”
“Manderò qualcuno ad informarli,” disse Tobio. “Domani, però… Sta tramontando il sole.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Puoi mandare qualcuno fino al Villaggio dei Corvi solo per recapitare un messaggio?”
Tobio strinse le labbra e lasciò perdere la questione. “Dormi,” ordinò alzandosi in piedi e recuperando i suoi stivali. “Qui sei al sicuro.”
“Dove vai?” Domandò Shouyou perplesso.
“Ieri, quei Cacciatori si sono spinti troppo a nord,” disse. “E ho passato la scorsa notte ad assicurarmi che tu non morissi nel sonno,” aggiunse con tono scocciato, “devo perlustrare la zona e gli Umani non si muovono bene durante la notte. Il buio mi concede un vantaggio.”
Shouyou sorrise nervosamente. “Non è che non voglio credere al fatto che questo posto sia sicuro ma devi proprio andare?”
Tobio gli rivolse un ghignetto derisorio. “Hai paura…” Non era una domanda.
Gli occhi d’ambra si fecero enormi ed il piccolo Corvo scosse immediatamente la testa gonfiando il petto. “Sono il figlio maggiore del mio nido, posso cavarmela da solo!” Esclamò. “Lo dicevo per te… Perché non è sicuro andare in giro nella Foresta da soli e…”
Tobio saltò giù dal nido senza aspettare che finisse.
Shouyou sbuffò. “Mai conosciuto qualcuno di tanto insopportabile!”
 
 
La notte arrivò veloce e silenziosa portando con sé un freddo che Shouyou aveva conosciuto solo nelle notti di autunno. La parte alta della Foresta era molto diversa da quella che conosceva lui e non solo nell’aspetto. Tobio gli aveva detto che aveva passato nel suo nido la sua prima notte fuori casa in assoluto e Shouyou concluse che non sarebbe potuto durare un giorno senza il suo intervento, Cacciatori o non Cacciatori.
Una notte come quella senza un rifugio pressappoco stabile e si sarebbe sicuramente ammalato.
Non era abituato a volare d’inverno, nessuno giovane Corvo lo era.
Koushi si era sempre preoccupato di tenerli al caldo non appena le foglie degli alberi cominciavano a tingersi dei colori dell’autunno e quando Shouyou cercava di ribellarsi e di uscire comunque all’aria aperta, il Corvo lo prendeva tra le sue braccia e gli diceva gentilmente che era ancora troppo delicato per affrontare quel mondo sconfinato ma che sarebbe divenuto un rapace forte e robusto se avesse permesso a lui e Daichi di prendersi cura di lui nel migliore dei modi.
Gli anni erano passati, Shouyou non si era fatto affatto robusto ed un colpo di freddo improvviso poteva ancora fargli male. Era scappato di casa per dimostrare a sé stesso e alla sua famiglia che poteva essere un adulto con o senza un compagno. Era stato un errore.
Non era un adulto. Non era indipendente ed ora era anche legato a doppio filo ad una creatura che aveva desiderato poter incontrare per un’intera stagione e di cui ora si pentiva di aver attirato l’attenzione.
Shouyou si raggomitolò sul letto di muschio. Se chiudeva gli occhi, poteva sentire l’odore di Tobio tutto intorno a sé ma, per quanto fosse piacevole, non lo rassicurava. Non era l’odore di casa.
Si avvolse nelle ali cercando di combattere il freddo ma il suo corpo tremava già ed erano le lacrime che gli rigavano le guance da biasimare per questo.
 
 
***
 
 
Tobio si era spinto ancora più a nord, oltre la fonte del Grande Fiume, dove gli alberi si facevano radi e le rocce della montagna dominavano la scena. Non poteva volare senza essere visto in quella zona, nemmeno a bassa quota e, così, si muoveva a piedi, senza far rumore.
Sollevò gli occhi verso il cielo scuro e vide ancora la lingua di fumo che lo aveva spinto a spostarsi così in alto. Se si fosse affacciato dalle rocce che aveva di fronte, avrebbe trovato il campo da cui proveniva sotto di lui ed avrebbe avuto la libertà di attaccare come meglio credeva.
Doveva solo…
“Tobio.”
Il giovane si voltò fulmineamente ma il bel viso si rilassò come riconobbe quello del Cacciatore alle sue spalle. Il Generale degli uomini di suo padre.
“Hajime…” Disse a voce più bassa, per non farsi udire.
“È un mio campo.” Disse il Cacciatore.
“Cosa?”
Hajime indicò la lingua di fumo che si alzava nel cielo con un cenno del capo. “Ci sono Issei e Takahiro sotto quell’altura,” spiegò. “È un punto di guardia.”
Tobio lo guardò confuso. “Non lo è mai stato.”
“Hai detto a Takeru di aver visto dei Cacciatori spingersi fino alla parte alta del fiume.”
Tobio fece una smorfia. “Le voci corrono.”
“Se vuoi un confidente che resti in silenzio evita chiunque abbia un legame di sangue col Consorte reale,” lo avvertì Hajime con un sorriso divertito.
“Mio cugino è tuo figlio,” gli ricordò Tobio.
“E mio figlio è un Oikawa, esattamente come te,” disse il Cacciatore con un sorrisetto divertito. “Tu, almeno, hai ereditato tutti i difetti tranne quello di essere rumoroso… Fino a che non hai la luna storta.”
“Io non ho mai la luna storta,” replicò il giovane dagli blu con sguardo accigliato.
Hajime lo fissò a lungo. “Certo…” Disse a mezza bocca. “Almeno, quella faccia che ti ritrovi ha capacità di mostrare qualche sentimento.”
Tobio aggrottò la fronte ma non chiese chiarimenti a proposito di quel commento. “Ho una richiesta da farti,” disse.
Hajime appoggiò la schiena ad una delle rocce che sporgevano dal terreno. “Ti ascolto.”
Tobio lo scrutò per un istante. “Posso avere fiducia sulla tua discrezione se non in quella di mio cugino?”
“Parli del piccolo Corvo?” Domandò il Cacciatore divertito.
“Ecco…” Tobio sospirò esasperato. “Chi altri lo sa?”
“Non il Consorte reale, altrimenti lo avresti ritrovato ai piedi della cascata molto prima del calare del sole.”
“Assicurati che continui ad essere così,” si affrettò a dire Tobio. Non osava immaginare quanto si sarebbe complicata la situazione se il Consorte reale avesse deciso di mettere del suo in quella situazione già abbastanza sgradevole senza interferenze esterne.
“Non sono il Re della Foresta,” disse Hajime. “Non mi sento in dovere di essere gentile con i Cigni che non fanno altro che starnazzare come se fossero oche.”
Tobio riuscì a stento a trattenere un sorriso. “Dovresti andare al Villaggio dei Corvi per conto mio,” disse con tono più gentile. “Devi trovare la famiglia di un ragazzino chiamato Shouyou.”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Shouyou?” Ripeté. “È questo il nome del nuovo Principe Consorte?”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Quell’idiota non è il nuovo Principe Consorte.”
Il Cacciatore rise.
“Che cosa c’è di così divertente?” Domandò Tobio indignato.
“Nulla,” rispose Hajime staccandosi dalla parete di roccia per appoggiargli una mano sulla spalla. “Mi è sembrato di sentire un’eco e mi sono sentito vecchio. Ridevo della mia pateticità.”
 Tobio non comprese ma decise di non chiedere. “Potresti andare domani?” Domandò. “Senza destare sospetti, s’intende.”
“Posso provare, sì,” rispose il Cacciatore. “Ma dovrai darmi più del nome del tuo piccolo Corvo per la mia ricerca.”
Il giovane evitò di ripetere che Shouyou non era suo sotto nessun punto di vista e mai lo sarebbe stato. “È il più grande di tre fratelli. Sono stati adottati ma non dovresti avere problemi a trovare la sua famiglia… Dice di essere scappato.”
“Come decine di fanciulli nella stagione degli amori,” replicò Hajime.
“Se ricordo bene, il nome di uno dei suoi genitori è Koushi,” aggiunse Tobio.
Il Cacciatore lo guardò in modo strano. “Ti ha per caso detto se suo padre si chiama Daichi?”
Il giovane scosse la testa. “Li conosci?”
“Conoscevo una giovane coppia di Corvi che non poteva avere dei piccoli loro a causa dell’operato degli Umani,” raccontò Hajime. “So che avevano adottato dei bambini durante il Grande Inverno ed il loro primogenito è venuto alla luce pochi mesi dopo di te.”
Tobio ascoltò ogni parola con attenzione, poi annuì. “Devono essere loro.”
“Oh, allora partirò subito domani all’alba!” Dichiarò Hajime. “Troverò un modo per ingannare tua madre. Posso ancora vantare poteri che il Re non possiede.”
Il giovane annuì ancora una volta. “Avvertili che il loro primogenito sta bene e…” Abbassò lo sguardo. “Spiega loro la situazione come puoi.”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Vuoi che gli dica che il loro primogenito è destinato a divenire il nuovo Principe Consorte o…?”
“Spiega loro che è necessario per il bene comune che Shouyou rimanga sotto la mia protezione fino all’inizio dell’autunno. Lui può non rendersene conto ma il suo odore è forte e non attrarrà solo me nei prossimi mesi.”
“Devo dire a Koushi e Daichi che ti stai impegnando per preservare l’onore del loro pulcino?”
“Piantala…” Tobio sbuffò. “Per i Corvi non è normale emanare un simile odore, forse il suo popolo non se ne è neanche reso conto… Altrimenti lo avrebbero messo sotto chiave.”
“Sei sempre così estremo, Tobio…”
“Io non sono interessato a quel Corvo!” Esclamò il giovane. “Qualcun altro potrebbe esserlo, però e non riservargli la stessa gentilezza o disturbarsi a chiedergli il permesso!”
Hajime annuì. “Col tuo odore addosso e tutt’intorno a lui, nessun rapace oserà avvicinarsi.”
Tobio annuì. “E se accadesse avrei tutto il diritto di ucciderlo.”
Il Cacciatore sospirò. “Stai attento, Tobio.”
“A cosa?” Domandò il giovane confuso.
“Tuo padre è sempre stato un uomo intransigente e non ha mai temuto di usare la forza quando lo ha ritenuto necessario,” disse il Cacciatore. “Ma l’unica volta che l’ho sentito giurare di uccidere qualcuno è stato per tua madre.”
Tobio storse la bocca. “Torno da lui…” Mormorò superando il Cacciatore.
Hajime sorrise sommessamente. “Il tuo piccolo Corvo… Il tuo Shouyou…”
“Per l’ennesima volta, non è mio!”
“Sogna te esattamente come tu sogni lui?”
Tobio gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Perché t’interessa?”
“Il suo odore è particolare, potrebbe attrarre altri rapaci, certo, ma chi vede nei suoi sogni?”
Il giovane non rispose ed il Cacciatore sorrise. “Stai molto attento Tobio…”
“Lo hai già detto!”
“No, dico sul serio,” Hajime lo guardò come solevano fare i suoi genitori a volte: come se sapessero qualcosa che lo riguardava ma che non avevano alcuna intenzione di rivelargli. “In quindici anni che sei al mondo, è la prima volta che ammetti di essere attratto da qualcosa, mio Principe.”
 
 
***
 
 
Shouyou venne svegliato dal freddo dell’alba.
Era rimasto raggomitola su se stesso per tutta la notte ed aveva finito con l’addormentarsi, sebbene il suo sonno fosse stato frammentato e tormentato. Nei suoi brevi risvegli, tuttavia, non si era mai svegliato per controllare se Tobio fosse tornato. Non era certo che sarebbe riuscito a riaddormentarsi se avesse saputo che la strana creatura dei suoi sogni ora non era più un’immagine nella sua testa ma qualcosa di vero e vivo che dormiva accanto a lui.
“Buongiorno…”
Shouyou sollevò gli stanchi occhi d’ambra ed incontrò quelli blu del padrone del nido in cui era stato ospitato per la notte. Tobio era seduto sul bordo di ramoscelli intreccianti con una gamba stretta al petto ed una a penzoloni.
“Buongiorno,” rispose Shouyou sollevandosi sulle ginocchia. “Che cosa stai facendo?”
Tobio indicò il cielo con un cenno del capo. “Non è ovvio?”
Il piccolo Corvo si avvicinò a lui sporgendosi verso l’esterno. Il sole stava sorgendo oltre la parete rocciosa da cui fuoriusciva la cascata ed il cielo si era tinto degli splendidi colori dell’alba. Shouyou sgranò gli occhi e poi sorrise incantato. “È bellissimo…” Mormorò.
Tobio lo guardò a metà tra il confuso ed il sorpreso. “Non hai mai visto sorgere il sole?”
“No,” ammise il piccolo Corvo. “Cioè… Mi è capitato di uscire prima che fosse veramente giorno e sempre di nascosto ma al Villaggio dei Corvi non abbiamo albe del genere.”
“Già…” Tobio annuì. “Da quella parte della vallata il sole si mostra solo molto più tardi.”
“Abbiamo dei bellissimi tramonti, però!” Esclamò Shouyou. “Ogni sera, io ed i miei fratelli insieme ai nostri amici sedevamo sui rami più alti di un albero poco fuori dal Villaggio e restavano lì, fino a che il solo non scompariva dietro la linea dell’orizzonte.”
“Non lo fate da molto tempo?”
“No, l’ho fatto appena due giorni fa.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Allora perché ne parli come una cosa che non ti capiterà mai più?”
Il sorriso di Shouyou morì velocemente. “Ti sei cambiato,” notò per cambiare discorso.
Tobio abbassò gli occhi blu su se stesso. “Non credo faccia piacere a nessuno avere accanto qualcuno sporco di sangue.”
“Mi dispiace per i tuoi vestiti.”
“Me ne sono fatti portare altri,” disse Tobio alzandosi in piedi. “Vieni…”
“Dove?” Domandò il piccolo Corvo confuso.
“Ho fatto portare delle cose anche per te,” spiegò Tobio. “Non puzzi ancora ma accadrà se rimani in quei vestiti fino all’arrivo dell’autunno.”
Shouyou sospirò annoiato: era stato troppo strano scambiare con lui due parole in modo civile, dopotutto.
 
 
***
 
 
Tobio si rese conto di quanto fosse pericoloso lasciare quel piccolo Corvo da solo nel mondo esterno quando arrivarono ai piedi della torre e gli occhi d’ambra di Shouyou si fecero tanto grandi che ebbe quasi paura che sarebbe svenuto per l’emozione ai suoi piedi.
“È una torre,” disse scrollando le spalle. “In rovina…” Aggiunse per sottolineare che non vi era nulla di speciale in quello che vedeva.
Shouyou, però, continuò ad indossare quell’espressione affascinata mentre si avvicinavano. Tobio si sedette su alcune macerie, mentre il piccolo Corvo continuò a vagare nei dintorni studiando quella costruzione come se potesse contenere qualche grande segreto. “È degli Umani…” Concluse dopo aver fatto due giri intorno.
“Sì…” Rispose Tobio sorreggendosi il viso con una mano. “Gli umani costruiscono edifici in pietra. Anzi, costruiscono intere città in pietra.”
Shouyou fece una smorfia passando una mano sulla parete di mattoni scomposti. “Ma la pietra è così fredda,” commentò.
Tobio annuì. “È resistente al fuoco, però e agli Umani il fuoco piace per ragioni diverse dalle nostre.”
Shouyou lo guardò. “I miei genitori mi hanno detto che lo usano per distruggere i nidi, le tane… Tutte le case di quelli come noi. Lo fanno per rendersi indifesi, per costringerci ad uscire allo scoperto ed ucciderci meglio.”
“Non lo usano solo contro di noi. Spesso, lo usano anche contro loro stessi.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Gli esseri Umani si uccidono tra loro?”
“Di continuo…”
“E che senso ha?”
“Politica,” rispose Tobio ancor col tono di chi sta esponendo un’ovvietà.
Il piccolo Corvo lo sguardò smarrito e si torse le mani con imbarazzo. “Mi dispiace, non capisco molto di queste cose…”
Tobio si sforzò di non alzare gli occhi al cielo annoiato. Dopotutto, non era neanche colpa sua: i piccoli Corvi come lui, probabilmente, venivano educati solo a principi come la protezione del nido e dei piccoli ed altre cose del genere. Non che ci fosse nulla di male ma Tobio non aveva mai assaggiato una vita tanto semplice.
“Siediti, ti spiego.”
Shouyou gli arrivò davanti quasi saltellando e si accomodò sull’erba guardandolo con occhi grandi e brillanti di curiosità. Tobio non comprendeva come facesse ad essere così emozionato per qualunque cosa nuova gli venisse proposta a decise di tenersi i commenti sarcastici per sé ed afferrò un ramoscello secco accanto al suo stivale. “Questa è una città,” spiegò facendo un cerchio nel terreno. “E questa è un’altra città…” Ne disegnò un secondo. “Ognuna di loro ha delle tradizioni, dei modi di pensare e dei desideri diversi. Il loro modo di vivere è tanto differente che non sarebbe possibile ai due popoli convivere.”
Shouyou scrollò le spalle. “Hanno ognuno la loro città, non vedo il problema.”
“Le città sono vicine,” gli fece notare Tobio. “I territori che li circondano sono necessarie ad entrambe perché la popolazione che vi abita sopravviva.”
“Possono fare un po’ per uno,” la fece facile il piccolo Corvo.
“Sì,” Tobio annuì distrattamente. “Potrebbero ma per farlo dovrebbero essere stipulati degli accordi e da questi verrebbero create delle leggi comode ed inviolabili per entrambe le parti.”
Shouyou annuì deciso.
“Però…” Aggiunse Tobio. “Spesso subentra la superbia…”
“E che cos’è?”
“È quando hai tutto ma non ti basta e, allora, decidi di fare tuo anche quello che appartiene a qualcun altro.”
Shouyou lo guardò orripilato. “Ma questo è rubare!”
“Già… Ma in politica si chiama conquista e, quasi sempre, si verifica con una guerra.”
“Una guerra? Come la caccia?”
“No, molto peggio,” rispose Tobio. “I popoli di questa Foresta ne hanno affrontate molte. Stagioni fa, prima che vi fosse un unico Re, i popoli si scontravano tra loro per le cose più assurde.”
Shouyou lo guardò incredulo. “Non me lo hanno mai raccontato.”
“Non è una cosa di cui gli adulti parlano con piacere. Gli Umani approfittarono di una simile divisione e per molto tempo fecero strage di noi come meglio credevano. Alla fine, però, quel nemico comune ha reso la Foresta quella che è ora: un luogo sicuro per tutte le creature come noi con un Re a protezione di tutti. Nessuno viene derubato di nulla qui e siamo tutti uniti per proteggerci l’un l’altro. O, almeno, è questo che vorrebbero i miei…” Tobio si bloccò e si morse la lingua. “I nostri sovrani.”
Per sua fortuna, Shouyou era troppo occupato a fare sue quelle nuove informazioni per rendersi conto di un simile inciampo. “Il Re della Foresta, però, possiede un esercito di Umani!” Affermò, poi abbassò immediatamente la voce. “O, almeno, così raccontavano nel mio nido.”
“Sì, è vero,” confermò Tobio.
Shouyou sembrò rifletterci con se stesso per qualche istante. “Ma come è possibile?” Domandò. “Se gli umani ci vedono solo come prede d’abbattere e sono il nemico comune che ha permesso alla foresta di unirsi sotto la guida di un unico Re, com’è possibile che quello stesso Re sia il signore di un intero esercito di loro?”
“È cominciata come politica anche quella,” raccontò Tobio e voltò il viso verso nord per alcuni istanti. “Se viaggi in quella direzione per qualche giorno, ti ritroverai sotto le alte mura di pietra di un luogo che chiamano Città di Seijou. È quello che la Foresta è per noi, solo che lo è per un popolo di Umani.”
Shouyou passò gli occhi dal viso di Tobio alla direzione da lui indicata. “Quindi, è un luogo pericoloso,” concluse.
“No,” Tobio scosse la testa. “Non lo è più da diverse stagioni, ormai.”
Il piccolo Corvo si sentì sinceramente confuso. “E per quale ragione?”
“Te l’ho detto: politica. Il sovrano di quella città tentò un approccio pacifico con il popolo delle Aquila… Avvennero quindi degli accordi e da essi l’attuale Re in carica ottenne un esercito di Umani ed un Cigno bianco per consorte.”
“Raccontano anche questo,” Shouyou annuì. “Ma non ha senso che un Cigno fosse in una città con un sovrano Umano!”
Tobio sospirò. “È complicato…”
Il piccolo Corvo si sporse ancor di più verso di lui. “Tu sembri conoscere tutte le risposta.”
Gli occhi si fissarono in quelli d’ambra.
“Voglio dire, molte delle cose che dici come se fossero scontate non sono certe nemmeno per gli anziani della mia gente.”
Per un attimo, Tobio pensò di essersi tradito da solo ma si rese immediatamente conto che Shouyou non gli stava confidando un sospetto ma si stava limitando a chiedergli una spiegazione ed era abbastanza ingenuo da farsi andare bene qualunque cosa si fosse inventato. “Sono nato e cresciuto vicino a dove nascono queste storie,” rispose. “La versione che hanno raccontato a me è la stessa che la fonte in persona ha narrato.”
Shouyou parve soddisfatto di quella risposta e si fece di nuovo indietro fissando i due cerchi disegnati nel terreno come se stesse pensando ad un’altra domanda da fare. Non tardò molto. “Com’è finita?”
Tobio lo guardò confuso. “Cosa?”
“Mi hai detto che la storia del Re e del suo Cigno è cominciata come una cosa politica,” disse il piccolo Corvo. “Com’è finita?”
Tobio non rispose immediatamente. Resse lo sguardo dell’altro per qualche istante, poi lo portò sugli alberi che li circondavano. “Con una maledizione…” Concluse a bassa voce.
Shouyou non lo udì. “Eh?”
Non ebbe mai la sua risposta.
“Cugino?”
Shouyou drizzò la schiena e Tobio si alzò in piedi. “Takeru,” chiamò. “Siamo qui!”
Appena un istante dopo, il piccolo Corvo vide un giovane dai ribelli capelli neri. Indossava degli abiti simili a quelli di Tobio ed aveva una sacca da viaggio in spalla. Non vi erano ali sulla sua schiena, non vi erano strane orecchie sulla sua testa esattamente come…
Shouyou scattò in piedi con un’espressione terrorizzata e fece per scappare in volo ma Tobio lo afferrò per le spalle obbligandolo a ripiegarle. “Non devi aver paura, stupido!” Lo rimproverò.
“Ma è… Ma è…” Shouyou non riuscì a parlare, gli occhi si riempirono di lacrime per la paura.
“È mio cugino,” spiegò Tobio.
Takeru alzò entrambe le mani come a voler mostrare che non aveva male intenzioni. “Non sono un Cacciatore,” disse. “Cioè, lo sono ma…”
“Non è come i balordi che ti hanno aggredito,” lo interruppe Tobio fermamente. “Il Re ha un esercito di Umani, ricordi?”
Shouyou guardò quegli occhi blu e vi si aggrappò per gli istanti che gli furono necessari per registrare il significato di quelle parole. “Tuo… Tuo cugino?” Domandò calmandosi e sentì le mani dell’altro lasciarlo andare.
“Sì, mio cugino,” confermò Tobio.
“Le nostre madri sono sorelle,” specificò Takeru rilassando le braccia lungo i fianchi ed accennando un sorriso amichevole. “Tu sei Shouyou, vero?”
Il piccolo Corvo si allontanò di un passo da suo salvatore ed annuì con aria confusa.
“È stato lui a parlarmi di te,” chiarì il giovane Cacciatore indicando il secondo ragazzo dai capelli di corvini.
Shouyou lo scrutò ancora con diffidenza. “E così tu sei un Cacciatore che non fa del male a quelli come noi?”
“Sono cresciuto in mezzo alle Aquile, piccolo signore,” rispose Takeru gentilmente facendo un inchino.
Shouyou arrossi, poi sorrise imbarazzato. “No, non sono un signore di niente sono solo… Un Corvo.”
Il giovane Cacciatore sollevò la testa, poi fece l’occhiolino al cugino e Tobio sospirò. “Hai portato quello che ti ho chiesto?” Domandò.
“Sì,” disse Takeru passandogli la sacca da viaggio. “Qualche regalo per il piccolo Corvo,” disse. “Vestiti, coperte e del sapone… Devi sapere, Shouyou, che mio cugina ha ricevuto la più raffinata delle educazioni ma ha attecchito molto.”
Shouyou ridacchiò. “Sì, l’ho notato!” Disse con allegria.
Tobio lo guardò storto ed il piccolo Corvo rispose all’occhiata come a sfidarlo ad affermare il contrario.
“Ah, è mio compito informare entrambi che mio padre è partito per il Villaggio dei Corvi poche ore fa,” disse Takeru. “Tornerà entro il tramonto, massimo domani. Vediamoci qui alla stessa ora così che possa comunicare ad entrambi un’eventuale risposta.”
Tobio annuì.
Shouyou passò gli occhi da un fanciullo all’altro. “Hai già mandato un messaggero?” Domandò a Tobio con un broncio deluso.
“Non sei rientrato a casa per due notti,” gli ricordò il giovane dagli occhi blu, “era inutile farli stare in pena per altro tempo.”
Shouyou abbassò lo sguardo e poi annuì. “Posso chiedere chi è tuo padre?”
“Il Generale dell’esercito di Umani del Re,” spiegò Takeru. “Prima di partire, mi ha detto di aver avuto occasione di conoscere i tuoi genitori. È possibile?”
Shouyou annuì. “Koushi… Ehm, mia madre mi ha raccontato di aver avuto l’onore di conoscere il Consorte reale, quindi, sì, credo sia possibile.” Era lieto di apprendere che una figura amica si fosse recata dalla sua famiglia per spiegare la situazione. Non poteva immaginare quanto Koushi e Daichi fossero preoccupati.
“Torno al Nido,” disse Takeru.
Tobio annuì. “Ci vediamo domani.”
Un altro cenno d’assenso da parte del giovane Cacciatore. “Piacere di averti conosciuto, piccolo Corvo.”
Shouyou sorrise. “Piacere mio!”


 
 
“Com’è possibile che tu abbia per cugino un Umano?”
Tobio non aveva passato nemmeno due giorni in compagni di quel Corvo e già stava riflettendo su un modo efficace per farlo smettere di parlare.
“Non ce la fai a stare zitto per un minuto di seguito?” Domandò guardando quei ribelli capelli dal colore impossibile. Shouyou gli lanciò una breve occhiata da sopra la spalla e gli sorrise. “Lo dice sempre anche uno dei miei fratelli e lo fa con la tua stessa, identica espressione!”
“Se questo ti fa piacere…”
Il piccolo Corvo gli trotterellava davanti come se stesse per ricevere un regalo a lungo atteso e Tobio non poté fare a meno di notare che era un atteggiamento completamente opposto da quello del giorno prima. “Perché sei felice?”
Shouyou scrollò le piccole spalle. “Comincio a vedere il lato positivo…”
“Ci hai messo poco,” commentò Tobio.
Il piccolo Corvo prese un respiro profondo e cominciò a camminare all’indietro. “Ho desiderato camminare sotto questi alberi da quando ero bambino!” Disse con sincera allegria. “Passata la paura, è un po’ come se stessi realizzando un sogno!”
“Sei un moccioso semplice.”
“Non dire semplice come se volessi dire stupido!”
“Allora se un moccioso stupido.”
Shouyou sbuffò e tornò a guardare di fronte a sé. “Tuo cugino non è antipatico nemmeno la metà di te!” Commentò acidamente. “Sembra un ragazzo gentile, a dire il vero.”
“I suoi genitori sono persone gentili,” disse Tobio. “È normale che lo sia anche lui.”
“Sua madre è tua zia, ho capito bene?”
“Sì, la sorella maggiore di mia madre, mentre suo padre è suo amico da quando erano bambini. Sono cresciuti insieme.”
“Oh! Allora devi essere un nipotino molto amato!”
Negarlo sarebbe stato una blasfemia da parte di Tobio, così rimase in silenzio.
“Tua madre…” Mormorò Shouyou rallentando il passo per potersi affiancare a lui. “È un’Umana anche lei?”
Tobio sospirò e lo guardò di traverso. “Capisco che tu abbia bisogno di fidarti di me ma non mi stressare con le tue domande!”
“Hai risposto a tutte fino ad ora!” Replicò Shouyou con forza. “Anzi, rispondi a qualsiasi cosa ti chieda, quindi non è il parlare in sé che ti scoccia, non ti va di parlare di te!”
Tobio si bloccò. “Vuoi biasimarmi?” Domandò freddamente. “Immagino che tu mi abbia già detto tutto quello che c’è da sapere di te, allora!”
Shouyou strinse le labbra e seppe che la vittoria, quella volta, non sarebbe stata sua. Questo, però, non lo avrebbe convinto a restare zitto. Riprese a camminare a passo spedito per non essere alla portata dell’altro e decise di fare quello che faceva di solito quando i suoi fratelli lo ignoravano deliberatamente: pensò ad alta voce. “Le tue piume sono corvine, esattamente come le mie…” Cominciò.
Tobio sollevò di nuovo gli occhi blu sulla nuca del piccolo Corvo ma non gli fece domande su quello che stava cercando di fare, non voleva incoraggiarlo in alcun modo.
“Tuttavia, le tue ali sono diverse. Sono più grandi ma dalla forma più aggraziata.”
Suo malgrado, Tobio voltò il viso e le studiò come se le vedesse per la prima volta.
“Sembrano forti e, all’inizio, ho pensato a quelle di un’Aquila… Penso che per le dimensioni ci siamo…”
Tobio alzò gli occhi al cielo. Quel Corvo avrebbe avuto il coraggio anche di mettersi a fare discorsi filosofici sul tempo pur di spezzare il silenzio.
“No, un’Aquila non mi convince… Continuo a pensare che abbiano una forma troppo elegante e dicono che i volatili con le ali più belle siano i Cigni…” Shouyou si fermò e rimase a riflettere con se stesso per alcuni istanti, poi si voltò. “Sei un Cigno Nero?”
Tobio, però, non lo guardava e, probabilmente, nemmeno lo aveva udito. Gli occhi blu erano sollevati su qualcosa oltre di lui. “Tobio?” Lo chiamò il piccolo Corvo ma non ricevette alcuna risposta. Cercò di seguire la linea dello sguardo dell’alto e si rese conto che non erano più soli. A poca distanza, vi era un gruppetto d’individui dalle ali grigiastre.
Shouyou non ne era sicuro ma pensò che fossero dei Gufi.
Comparvero altri volatili tutt’intorno a loro e Shouyou fece un passo indietro ma non sentì Tobio venirgli incontro e decise di credere che non stesse succedendo nulla di pericoloso.
Studiò i visi di chiunque fosse abbastanza vicino. Erano tutti seri, rigidi ma nessuno sembrava essere pronto ad un’eventuale minaccia. Se ne stavano solo completamente immobili, con gli occhi rivoli in un’unica direzione. Non sapendo cos’altro fare, Shouyou decise di seguire l’esempio e fu allora che lo vide.
Si era fatto avanti senza far rumore, come se fosse un fantasma ma non notarlo sarebbe stato impossibile.
Shouyou seppe immediatamente che si trattava di un’Aquila per via delle grandi ali sulla sua schiena. Le piume erano per lo più di un marrone brillante, solo quelle alle estremità erano bianche. Pur non essendo aperte in tutta la loro estensione emanavano forza, quasi ispiravano paura. Il viso dell’Aquila era giovane, pur non essere affatto quello di un fanciullo. I lineamenti erano duri, marcati ed il suo sguardo era gelido, tagliente.
Camminò tra i volatili che si erano fermati al suo cospetto senza concedere la sua attenzione a nessuno di loro. Era come se fossero invisibili ai suoi occhi e Shouyou credette che non si sarebbe affatto accorto del suo sguardo affascinato. Fu un’ingenuità.
L’Aquila fermò i suoi passi proprio di fronte a lui e posò i freddi occhi sulla sua minuta figura.
Shouyou aveva sempre saputo di essere più piccolo della maggior parte dei suoi coetanei, eppure si sentì minuscolo al cospetto di quella creatura regale. Da principio, trattenne il fiato ma quando fu chiaro che l’Aquila non sarebbe passata oltre, né gli avrebbe fatto del male, accennò un timido sorriso.
Il viso dell’altro rimase completamente immobile e Shouyou sentì gli angoli della sua bocca abbassarsi da soli. Il rapace sollevò lo sguardo da lui per osservare qualcosa che doveva essere alle sue spalle. Non si trattenne oltre.
Un battito di ciglia più tardi, l’Aquila riprese il suo cammino e sparì tra gli alberi della Foresta senza fare rumore esattamente come vi era emerso.
Gli altri volatili ripresero a muoversi e, ben presto, scomparvero alla sua vista anche loro ma Shouyou non ci fece particolarmente caso. Gli occhi d’ambra erano ancora fissi sul punto in cui l’Aquila era scomparsa e solo il rumore di passi che si avvicinavano alle sue spalle lo indussero ad alzare il viso.
Gli occhi blu di Tobio lo fissavano con insolita pazienza.
“Si è fermato a guardarmi,” disse Shouyou.
“Sì,” rispose Tobio. “Lo so…”
“Perché non si muoveva nessuno?” Domandò. “Non hanno chinato la testa ma non osato dire o fare nulla mentre l’Aquila passava.”
“Perché tutti lo rispettano,” rispose Tobio. “Alcuni lo temono, persino.”
“Nessuno lo ama?” Domandò Shouyou.
Tobio esitò per un istante, poi annuì. “Sì, c’è anche qualcuno che lo ama…” Si voltò. “Andiamo, Shouyou.”
Il piccolo Corvo si trattenne ancora un istante ma non vide nulla muoversi tra gli alberi.
Era stato come un sogno ad occhi aperti.
 
 
 
***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Qualche informazione di ordine pratico.
Per ragioni di trama, la differenza di età tra Shouyou e Tobio è stata invertita e, di conseguenza, Kags è nato sei mesi prima del piccolo Corvo e non il contrario come nel canon. Per quanto riguarda Takeru, invece, qualcuno lo ricorderà come il nipotino di Oikawa. Qui è un coetaneo di Tobio e la sua descrizione è liberamente ispirata ad alcune fan art che lo ritraggono in età dal liceo.
Ringrazio di cuore chi ha recensito il primo capitolo di questa fic e mi auguro che il secondo capitolo sia stato a sua volta di vostro gradimento.
Alla prossima!

 
 

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Capitolo 3
*** Le loro Maestà ***


III
Le loro Maestà
 
 
La neve candida era sporca di sangue.
Tremava, eppure non sentiva freddo.
Era ancora vivo e non comprendeva il perché.
Com’era possibile vivere dopo aver provato un dolore simile?
Cercò di muovere le ali. Non ci riuscì.
Dischiuse le labbra in un grido muto, che ebbe il potere di spezzargli il fiato.
Allungò una mano aspettandosi di sentire le morbide piume nere sotto le dita.
Non vi era nulla sulla sua schiena.
La neve candida era sporca di sangue.
Il suo sangue.

 
 
Shouyou si svegliò tremando, gli occhi d’ambra sgranati ed il viso bagnato di lacrime. Voltò la testa tanto velocemente che si fece male al collo e si portò una mano dietro alla schiena per assicurarsi che le sue ali fossero ancora lì. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo e l’odore di Tobio intorno a sé gli ricordò che era al sicuro e che nessuno poteva fargli del male in quel nido.
Era stato solo un incubo.
Si strinse nella sua coperta sperando che quel calore fosse sufficiente a farlo smettere di tremare.
Quando il nodo che gli stringeva la gola cominciò ad allentarsi, sollevò lo sguardo sul fanciullo addormentato accanto a lui. C’era qualcosa di assurdo nel modo in cui il viso di Tobio si trasformava nel sonno. Senza quell’espressione perennemente imbronciata sembrava una persona completamente diversa.
Shouyou appoggiò il mento sul palmo della mano per poterlo osservare meglio. Dal modo in cui le sue labbra erano dischiuse ed un filo di bava colava sul letto di muschio, il suo risveglio improvviso non doveva averlo disturbato in alcun modo.
Meglio così: non aveva idea di quanto si sarebbe arrabbiato se avesse interrotto il suo sonno. Probabilmente, lo avrebbe rimproverato duramente per il modo in cui si faceva ancora spaventare dai brutti sogni come un bambino.
Al piccolo Corvo sfuggì uno starnuto ed il viso di Tobio si contrasse per un istante, poi si girò dalla parte opposta distendendo le grandi ed eleganti ali nere nel sonno come se nulla fosse. Quando fu chiaro che non sarebbe riuscito a riaddormentarsi, Shouyou si alzò in piedi cercando di fare meno rumore possibile e si sporse oltre il bordo del nido.
La Foresta era fredda e silenziosa e non sembravano esserci pericoli nelle vicinanze. Non voleva andare lontano, solo arrivare alla cascata e bere un po’ d’acqua. Planò fino a terra stringendosi le braccia intorno al corpo per combattere un brivido di freddo. Era la fine di aprile e dopo tre settimane sulla cima della montagna, Shouyou non era ancora riuscito ad abituarsi a quel nuovo ambiente.
Non che Tobio gli rendesse le cose più semplici.
Lo rimproverava ogni due passi che faceva ed ogni volta che Shouyou cercava di avvicinarsi all’altro con una parola di più, finiva sempre con l’essere respinto con astio, quasi che i suoi tentativi di fare amicizia lo offendessero in qualche modo. A meno che Tobio non fosse tanto stupido da scambiare la sua gentilezza come un tentativo di sedurlo.
Come se chiunque potesse voler quell’antipatico come compagno!
Shouyou sospirò inginocchiandosi sulla riva del laghetto ai piedi della cascata, mise le mani a coppa, le affondò nell’acqua cristallina e se le portò al viso. L’acqua fresca fu un gran sollievo per la sua gola secca ma non lo aiutò ad ingoiare il senso di delusione che aveva sullo stomaco da quasi un mese.
Non era più certo di quale fossero state le sue aspettative quando era scappato da casa ma Tobio le superava tutte… Nel peggiore dei modi.
Era d’accordo sul fatto che la loro situazione fosse scomoda e lo era ancor di più a non voler assecondare quello stupido progetto del destino che li voleva insieme e che ancora non riusciva a comprendere ed accettare completamente. Tuttavia, non era colpa sua, non era colpa di Tobio. Non era colpa di nessuno ma l’altro continuava a guardarlo come se Shouyou fosse l’unico di biasimare.
Tre settimane in quel luogo sconosciuto con Tobio e non era più certo che tutte le ragioni che lo avevano spinto ad andarsene da casa con tanta urgenza fossero ancora valide. Shouyou bevve un altro sorso d’acqua ma non gli fu utile a liberarsi del nodo che era tornato a stringergli la gola.
Le settimane sembravano lunghe mesi e l’estate non era ancora arrivata.
“Voglio tornare a casa…” Mormorò tirando su col naso.
“Che cosa stai facendo?”
Scattò in piedi drizzando le ali per prepararsi a fuggire ma poi sgranò gli occhi rilassandole di nuovo.
Il viso della grande Aquila non aveva un’espressione amichevole mentre lo guardava ma Shouyou non percepiva una minaccia, sebbene la sua presenza fosse sufficiente ad ispirare soggezione in lui. Abbassò lo sguardo timidamente. “Mi dispiace…” Disse senza nessuna reale ragione. “Volevo solo…” Indicò l’acqua cristallina della cascata.
L’Aquila annuì, poi sollevò lo sguardo tagliente sulle chiome degli alberi che li circondavano. “Sveglialo se hai la necessità di allontanarti,” gli disse.
Shouyou sgranò gli occhi ed aprì e chiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a dire qualcosa di sensato. “Io… Svegliarlo?” Scosse la testa immediatamente. “No, no, no! La notte è l’unico momento della giornata in cui non mi fissa con quel fare tra l’astioso ed il minaccioso e vorrei che continuasse ad essere così!”
L’espressione dell’Aquila non cambiò di una virgola. “Proteggerti è il suo compito. Non ha ragione di negarti la sua protezione se hai la necessità di allontanarti dal vostro nido.”
“Il nostro…” Shouyou scosse la testa. “No, no, no! Quello è il suo nido! Io sono qui per… Errore. Sì! Uno stupido, grande errore del destino o… Non lo so nemmeno io!” Si sarebbe strappato i capelli per la frustrazione.
L’Aquila inarcò un sopracciglio. “Non sei il suo compagno?”
Gli occhi di Shouyou divennero assurdamente grandi. “Cosa?”
“Non sei il compagno di Tobio?”
“No! No! No! Assolutamente no!” Esclamò il piccolo Corvo agitando le mani in panico. “Resterò con Tobio fino alla fine dell’estate ma… No! La stagione degli amori non mi ha mai interessato e, dopo gli ultimi avvenimenti, sono certo che questa cosa non cambierà mai!”
“Ah…” Disse l’Aquila con sguardo vagamente confuso. “Vi state ancora corteggiando?”
A Shouyou venne il dubbio che l’altro avesse qualcosa difficoltà a comprenderlo. “No,” scosse anche la testa per essere più chiaro nell’esprimere il messaggio. “Ho fatto una cosa stupida, Tobio mi ha salvato ed ora si assicura che io non muoia perché non posso tornare a casa…”
“Tobio ti obbliga a restare con lui contro la tua volontà?”
“No,” Shouyou accennò un sorriso. “Lui… Ehm, dice che sarebbe pericoloso per me allontanarmi da lui durante la stagione degli amori. Pare che il destino ci abbia promessi l’uno all’altro o qualcosa del genere e lui dice che potrei attirare l’attenzione di qualche altro rapace pericoloso se non do l’impressione di essere il suo compagno…”
“Quindi siete compagni…”
“No, stiamo solo facendo finta!”
“Oh…” L’Aquila sollevò di nuovo lo sguardo verso il nido in cui Tobio stava ancora dormendo.
Il piccolo Corvo l’osservò prendendo a torcersi le dita con imbarazzo. “Perdonami, non so il tuo nome.”
“Wakatoshi,” rispose l’Aquila distrattamente, senza guardarlo.
“Oh!” Shouyou sorrise. “Come il Re della Foresta!” Gli angoli della sua bocca si abbassarono appena un istante più tardi e gli occhi d’ambra divennero enormi. Ricordò la prima volta che aveva visto quell’Aquila, di come tutti si erano fermati al suo cospetto per farlo passare e provò l’improvviso desiderio di sprofondare. Prese a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. “Io… Io…” S’inginocchiò tanto velocemente che, per poco, non cadde a faccia in avanti nell’erba umida. “Perdonatemi, Maestà! Mi dispiace! Non lo sapevo! Tobio non mi ha detto niente! Quell’antipatico! Perde sempre tempo ad insultarmi e si dimentica di…”
“Sei il figlio di Daichi e Koushi, vero?”
Shouyou sollevò il viso da terra. “Sì…” Mormorò timoroso.
Il Re della Foresta si avvicinò. “Alzati…”
Il piccolo Corvo esitò un istante, poi fece come gli era stato detto ma gli fu impossibile sollevare lo sguardo. “Mi dispiace, davvero,” ripeté. “Io…”
“Tobio non ti ha detto nulla, quindi?”
Shouyou scosse la testa. “No, mi dispiace.”
“Non dispiacerti. Non è un errore tuo.”
Il fanciullo si morse il labbro inferiore e si sforzò di sollevare gli occhi da terra. Non c’era traccia di rabbia sul viso del Re della Foresta. Non c’era traccia di nessuna emozione particolare, a dire il vero.
“Conoscete i miei genitori, quindi?” Domandò timidamente.
“Sì, ho avuto l’onore d’incontrarli qualche stagione prima della tua nascita. Il mio Consorte ricorda tua madre con affetto.”
Shouyou sorrise. “Sì, Koushi… Cioè, mia madre alle volte mi racconta delle storie.”
Non poteva credere a quello che stava succedendo. Gli erano accadute un sacco di cose assurde in pochissimo tempo ma essere al cospetto del Re della Foresta, poterlo guardare negli occhi e parlare con lui con naturalezza le superava tutte.
“Tobio non ti ha detto nulla dopo il nostro incontro di qualche settimana fa, quindi?”
Il piccolo Corvo scosse la testa. “Ad essere onesti, vi ha descritto come una persona molto importante e, forse, avrei dovuto capire da solo chi eravate.”
“Non mi riferivo a quello,” replicò il Re.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Perdonatemi ma non comprendo.”
“Shouyou!”
Il piccolo Corvo sobbalzò e sollevò lo sguardo appena in tempo per vedere Tobio planare giù dal nido. Atterrò a pochi metri da lui fissandolo in cagnesco. Shouyou lo guardò spaventato.
“Che cosa stai facendo?” Ringhiò.
Il piccolo Corvo lo guardò sinceramente confuso e fece per alzare l’indice verso l’Aquila che aveva di fronte, come se fosse impossibile non vedere quel rapace dalle ali possenti.
“Stai fingendo di non vedermi, Tobio?” Domandò il Re della Foresta.
Shouyou guardò il sovrano con la coda dell’occhio: l’espressione vuota era ancora al suo posto, come se la mancanza di rispetto di Tobio non lo avesse minimamente toccato. Riportò lo sguardo sul viso dell’altro fanciullo ma Tobio non guardava più lui. “No,” rispose con voce gelida. “Torna dentro al nido, Shouyou.”
Il piccolo Corvo dischiuse le labbra per dare voce alla sua confusione ma lo sguardo tagliente dell’altro lo mise a tacere seduta stante. “Torna al nido, ora!” Ordinò.
Shouyou s’imbronciò, poi chinò la testa con rispetto di fronte al Re dell’Aquila. “Maestà…” Si congedò con educazione ma non rivolse nemmeno uno sguardo al giovane dagli occhi blu mentre lo superava. Tobio, al contrario, lo fissò fino a che non lo vide spiccare il volo per tornare al loro nido.
Riportò la sua attenzione sul viso dell’Aquila. “Che cosa ci fai qui?” Domandò.
“Il mio dovere,” rispose Wakatoshi.
“I Cacciatori non si sono spinti tanto a nord, la zona rischiosa è più…”
“Non il mio dovere di Re,” lo interruppe l’Aquila.
Tobio s’imbronciò offeso. “Non sono un bambino.”
“Sei comunque troppo giovane per avere tra le mani la vita di un’altra persona.”
Il fanciullo sbuffò. “È solo fino alla fine dell’estate, poi tornerà dai suoi genitori.”
“Se il destino ha scelto lui per te non finirà con l’arrivo dell’autunno, Tobio.”
Il fanciullo lo trafisse con lo sguardo. “Io non sono te o mia madre. Non è la stessa storia.”
“No,” concordò il Re dell’Aquila. “Io e tua madre non eravamo destinati l’uno all’altro. Sì, il destino ci ha messo insieme ma è stata una cosa diversa…”
“Vi siete scelti, almeno,” replicò Tobio. “Non fin dal principio, forse ma…”
“Siamo stati fortunati,” ammise Wakatoshi. “Non siamo stati liberi ma, sì, siamo stati fortunati.”
“E quindi?” Domandò Tobio incrociando le braccia contro il petto. “Qual è il consiglio? Rinunciare alla mia libertà e sperare che la fortuna sia gentile anche con me?”
“Non ti sto dando alcun consiglio,” replicò Wakatoshi. “Volevo solo dirti che alcuni giovani al Nido hanno percepito la presenza del tuo Corvo.”
Gli occhi blu di Tobio si fecero grandi, poi scosse la testa. “Se riescono a sentire lui dovrebbero riuscire a sentire anche me nelle sue vicinanze.”
“Sentono la presenza di un predatore, sì,” confermò Wakatoshi. “Non credo abbiano ancora capito che si tratta di te ma qualcuno di loro potrebbe anche voler rischiare…”
Tobio sbuffò. “Maledetti idioti!” Sbottò, poi sollevò lo sguardo per assicurarsi che Shouyou non lo avesse udito. “Non oseranno nulla dopo che avranno capito che il predatore sono io.”
“Non puoi metterti a massacrare la tua gente, Tobio.”
Il fanciullo allargò le braccia esasperato. “Sei il Re!” Esclamò. “Dai loro un ordine! Che ci vuole?”
Wakatoshi annuì. “Lo farò,” rispose. “I giovane disubbidiscono agli ordini di continuo, però. Tu ne sai qualcosa, dopotutto.”
Tobio lo guardò di traverso. “Se vedo dei Cacciatori che si buttano in gruppo su di un membro del nostro popolo completamente da solo, io li uccido,” disse con assoluta schiettezza. “Se vedo quegli stessi Cacciatori nel mio territorio o in quelli della nostra gente, io li uccido. È quello che vogliono quando osano salire su questa montagna col desiderio di poter tornare a casa da eroi, dopotutto. Non si accontentato più del Nido delle Aquile o del Cigno Consorte. No, si avventurano in questa Foresta perché vogliono il mostro. Bene… Il mostro è l’ultima cosa che vedono quando si rendono conto di aver compiuto il peggiore errore della loro vita mettendo piede in questa Foresta.” Si voltò. Per lui la discussione era chiusa.
“Torna a casa, Tobio,” disse Wakatoshi.
Il fanciullo si fermò ma non si voltò a guardare negli occhi il suo Re.
“Tooru piange continuamente,” confessò l’Aquila. “Lo fa di nascosto e poi finge che vada tutto bene ma sta così da settimane e sappiamo entrambi che non può reggere in eterno.”
Tobio gli lanciò un’occhiata gelida da sopra la spalla. “Perché continuate a fingere di non sapere quale è il problema?”
“E allora portalo al nido che ho costruito per te e Tooru,” disse Wakatoshi. “È isolato, quindi non avrai nulla da temere ma è più sicuro di qui.”
Tobio scosse la testa come se il solo pensiero lo disgustasse. “Nemmeno per idea!”
“Non ti deve far piacere, Tobio,” sottolineò il Re. “Hai tra le mani una questione ben più grande di te e continui ad affrontarla fuggendo.”
“Io in quel luogo non ci metto piede!” Esclamò. “Se chiunque mi minaccia, farò in modo che se ne penta amaramente.”
“E se qualcuno minaccia lui?” Domandò Wakatoshi sollevando gli occhi sul nido. “O, peggio, se qualcuno usa lui per arrivare a te?”
Tobio storse la bocca in una smorfia. “Nessuno pensa ad un piano tanto elaborato per accoppiarsi con un Corvo!”
“Non sto parlando di altri giovani rapaci,” replicò il Re. “Lo hai detto tu: i Cacciatore salgono su questa montagna per il mostro e se sono pronti a mettere a rischio la loro vita e quella dei loro compagni, pensi che si fermeranno di fronte alla possibilità di una vittoria sicura attraverso un atto di crudeltà?”
“Perché questo accada dovrebbe importarmene qualcosa di Shouyou,” replicò Tobio annoiato.
“Perché questo accada basta che la vita di Shouyou sia nelle tue mani e che tua sia abbastanza umano da non poter sopportare l’idea di abbandonarlo ad un destino orribile,” replicò Wakatoshi. “E tu sei nato Re, Tobio. Tu non sopporti che qualcuno tocchi la tua gente ed è per questo che non hai paura di sporcarti le mani.”
Tobio si umettò le labbra ed imprecò con astio nella sua testa: si era sforzato tutta la vita di essere imperturbabile ed impossibile da leggere come suo padre, invece aveva solo ereditato parte dell’atmosfera oscura che emanava e tutta l’emotività ingombrante di sua madre.
“Non posso portare Shouyou in quel nido.”
“Perché?”
Tobio lo guardò come se fosse una domanda stupida. “Quello è il nido per… Per…” Arrossì e si odiò per questo. “Al diavolo! Mi avete concepito in quel nido!”
“È un posto sicuro che ho costruito per Tooru e per i figli che avremmo avuto nel caso fosse successo qualcosa.”
“Ciò non toglie che mi avete concepito lì!” Insistette Tobio come se il problema fosse ovvio ma l’altro proprio non riuscisse a capirlo.
Wakatoshi sbatté le palpebre un paio di volte. “Ti abbiamo concepito perché abbiamo fatto l’amore, il nido non centra niente… Se non vuoi portarci il piccolo Corvo perché hai paura che succeda anche a voi, basta che non ci fai l’amore.”
Tobio rimase a fissarlo con la bocca e gli occhi spalancati e si sentì investito da quel tipo di frustrazione che, lo sapeva bene, spesso Consorte reale si ritrovava a provare in presenza del suo Re.
“Sei attratto da lui?” Domandò Wakatoshi di colpo.
Se possibile, gli occhi di Tobio divennero ancora più grandi. “Come?”
“Ha gli occhi grandi,” commentò Wakatoshi. “Come Tooru…”
Tobio sospirò annoiato. “Non ci ho fatto caso,” non era vero. “Io so solo che ogni volta che comincia a parlare non vedo l’ora che smetta.”
“Non essere astioso con lui, Tobio,” lo rimproverò il Re della Foresta. “Non è colpa sua. Non è colpa di nessuno. È qui ed è tuo dovere proteggerlo. Lascia stare l’orgoglio,” si voltò, “con queste cose non funziona.”
Tobio fissò le grandi ali dell’Aquila con espressione confusa. “Quali cose?” Domandò ma l’altro non gli rispose. “Quali cose, padre?”
Il Re della Foresta, però, era già sparito tra gli alberi.
 
 
***
 
 
“Da bambino, Koushi mi ha raccontato un sacco di storie sul Re della Foresta,” disse Shouyou con un sorriso.
Tobio alzò gli occhi al cielo, poi affondò la saponetta nell’acqua e riprese e lavare le ali dalle piume corvine. Per fortuna di Shouyou, il sole d’inizio maggio si era fatto improvvisamente caldo e farsi il bagno ai piedi della cascata aveva smesso di essere una tortura per lui. Per Tobio, invece, lo era ancora.
Nella loro attuale situazione, era impossibile poter lavare come si doveva le ali sulle loro schiene e, pertanto, era indispensabile che collaborassero e, in genere, questo significava che Shouyou parlava di tutto o niente per infiniti minuti mentre Tobio cercava di convincersi che il suo odore non lo facesse impazzire.
Shouyou se ne stava seduto nell’acqua bassa passando le mani umide sulle braccia. “Anche se devo ammettere che non è esattamente come me l’aspettavo.”
“Perché?” Domandò Tobio seduto su una delle rocce sulla riva con i pantaloni arrotolati fino alle caviglie ed i piedi ammollo. “Come te lo immaginavi?”
Shouyou scrollò le spalle. “Alto… E lo è. Dall’aspetto regale ma possiede anche quello ma non credevo sarebbe stato così… Così…” Shouyou arricciò la bocca indeciso. “Minaccioso…
Suo malgrado, Tobio si mise a ridere.
Shouyou sollevò una delle ali per guardarlo sorpreso. “Che cosa c’è di così divertente?” Domandò. Nel mese in cui erano stati insieme non aveva mai sentito l’altro ridere.
Tobio tornò serio di colpo. “Niente,” rispose. “Abbassa l’ala…”
Shouyou fece come gli era stato detto e tornò a guardare di fronte a sé. “Il Consorte reale com’è?”
“Pensavo che tua madre ti avesse già raccontato delle storie.”
“Sì,” confermò il piccolo Corvo. “Mi ha anche raccontato un sacco di storie sui Cigni, in realtà. Ne sono rimasti talmente pochi al mondo che sono quasi creature leggendarie. La famiglia del Consorte reale vive ancora nella Foresta?”
“No,” rispose Tobio. “Sono morti tutti prima che il Consorte nascesse. Non ha nemmeno conosciuto sua madre.”
Shouyou abbassò lo sguardo sull’acqua cristallina. “Oh…” Mormorò. “E chi si è preso cura di lui quando era piccolo?”
“La moglie di suo padre.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Quello che hai appena detto non ha senso.”
Tobio sospirò annoiato. “Il Villaggio dei Corvi è un piccolo mondo dorato in cui esistono solo famiglie felici?”
“Credo di sì… La mia lo è!”
“Sei fortunato, allora,” commentò Tobio.
Shouyou rimase a riflettere con se stesso per qualche istante. “Era un figlio illegittimo?” Domandò poi. “Il Cigno era un figlio illegittimo?”
“Complimenti, genio,” replicò Tobio con una smorfia.
Il piccolo Corvo decise d’ignorare il sarcasmo. “Ma se il Consorte reale è cresciuto nella Città di Seijou, allora…” Si voltò e Tobio fu costretto a puntare lo sguardo in un’altra direzione perché quell’acqua era troppo limpida per i suoi gusti.
“Il padre del Consorte reale è un Umano,” concluse Shouyou con espressione sbalordita.
Tobio annuì. “Era…” Lo corresse. “È morto poco dopo l’ultima guerra tra Seijou ed il Nido delle Aquile. Le ferite che riportò in quel conflitto ebbero delle gravi ripercussioni sulla sua salute ma ebbe comunque il tempo di vendere il figlio illegittimo al giovane signore delle Aquile per rendere effettiva la pace tra i due popoli.”
Shouyou si voltò ancora una volta e Tobio gliene fu grato. “Allora è vero,” disse il piccolo Corvo. “Ci sono esseri umani che non ci vedono solo come trofei di caccia.”
Tobio scrollò le spalle. “I Cigni sono di una bellezza leggendaria,” disse. “Immagino che per quell’uomo averne una per amante sia stato come compiere un’impresa epica o un’altra sciocchezza simile.”
“Lui com’è?” Domandò ancora una volta Shouyou.
“Come ci sia aspetta, immagino,” rispose Tobio finendo di lavare le ali corvine. “Ho finito, alzati.”
Shouyou lo guardò di traverso. “Voltati,” ordinò.
Tobio si alzò in piedi con un sospiro scocciato, poi fece tre passi verso gli alberi. “Contento?”
Un mugolio soddisfatto fu l’unica risposta che ricevette. Uno spostamento d’aria ed una pioggerellina leggera sulla pelle informarono Tobio che il piccolo stupido stava scuotendo le ali per asciugarle. “Fa piano, idiota!” Esclamò sbirciando da sopra la spalla.
Shouyou si avvolse immediatamente le ali intorno al corpo. “Non guardare!”
“Muoviti!”
Il piccolo Corvo recuperò i vestiti puliti lasciati piegati sull’erba. La tunica era decisamente troppo lunga per lui e decise di lasciare i pantaloni per dopo, quando avrebbe finito di aiutare Tobio a lavare le sue ali o avrebbe rischiato di bagnarli. “Mi aiuti?”
Tobio si voltò e Shouyou indicò i bottoni della tunica sulla schiena: quel genere di vestiti erano gli unici che le creature alate come loro potevano indossare.
Il piccolo Corvo si mise di spalle ancor prima che l’altro gli rispondesse. Tobio si avvicinò di un paio di passi e lo fece stringendo i pugni, ignorando deliberatamente la voce della ragione che urlava nella sua testa e gli suggeriva di fuggire. I lembi della tunica erano aperti fino alla base della schiena. Tobio poteva vedere chiaramente la fossetta della colonna vertebrale del piccolo Corvo ed il modo in cui, più in basso, s’inarcava verso l’esterno. La stoffa chiara copriva tutto quello che c’era da celare ma il piccolo sedere era disegnato abbastanza bene d’attirare il suo sguardo. Se la punta del triangolo in cui si ricongiungevano i due lembi della tunica fosse stata poco più in basso, Tobio avrebbe visto e non visto qualcosa che, volente o nolente, aveva catturato la sua attenzione come niente altro prima.
Non aveva parole per descrivere quanto era insopportabile.
“Tobio?”
E l’odore di Shouyou impregnava l’aria come non era mai successo nemmeno nei suoi sogni.
“Tobio, il tuo odore è più forte.”
Gli occhi d’ambra furono su quelli blu improvvisamente e Tobio trasalì senza motivo. Scosse la testa e strinse le labbra in un’espressione dura. “Voltati…”
Shouyou non obbiettò e Tobio cercò di far lavorare le sue dita velocemente mentre allacciava i bottoni. Quando ebbe finito, il piccolo Corvo lo guardò e gli sorrise. “Bene, entra in acqua, è il tuo turno!”
Tobio scosse la testa guardando in qualunque direzione, tranne il viso dell’altro. “No, chiederò aiuto a Takeru questa sera, non devi…”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Che cosa c’è?” Domandò divertito. “Lo abbiamo già fatto. Ti ho visto nudo fin dal mio primo giorno qui.”
Le guance di Tobio si colorarono. “È successo solo quella volta!” Esclamò.
“Sì ma non hai comunque motivo di vergognarti di me a questo punto!” Shouyou si ritrovò con un paio di pantaloni in faccia. Lo colpirono talmente forte che per poco non cadde all’indietro. “Ma che…” Se ne liberò gettandoli a terra ma l’immagine di Tobio che entrava in acqua senza più nulla addosso lo zittì di colpo.
Tobio si sedette e fissò la cascata che aveva di fronte ignorando deliberatamente il calore che gli stava salendo alle guance. “Ti muovi?”
Shouyou trasalì come se si fosse risvegliato di colpo da un sogno. Strinse le labbra e si mise a sedere dove prima si era accomodato il suo antipatico protettore recuperando la saponetta. Sentì Tobio farsi rigido sotto le sue dita come le passò tra le piume corvine. Shouyou esitò un attimo, poi sorrise. “Sono bellissime,” commentò. “Hanno dei meravigliosi riflessi bluastri.”
Tobio fissò la superficie cristallina dell’acqua in cagnesco e non disse niente.
“E questa cos’è?” Domandò il piccolo Corvo.
Tobio non comprese di che cosa stava parlando fino a che non sentì le piccole dita toccargli la pelle poco sotto l’attaccatura dell’ala sinistra.
“È una cicatrice?” Ipotizzò Shouyou tracciando i contorni di quello che pareva un disegno in rilievo.
“No,” rispose Tobio con voce incolore. “Ce l’ho dalla nascita…”
Shouyou sorrise. “Sembra un’aquila.”
Tobio allungò una mano senza voltarsi e gli afferrò il polso per impedirgli di toccarlo ancora. “Datti una mossa…”
Shouyou sbuffò. “Non hai ancora risposto alla mia domanda di quel giorno,” disse immergendo la mano nell’acqua e riportandola sulle ali dell’altro.
“Quale?” Domandò Tobio.
“Sei un Cigno Nero?” Domandò il piccolo Corvo e riuscì a percepire il momento esatto in cui l’altro trattenne il respiro. “Per questo sai tutte quelle cose sulla famiglia reale? Sei un nobile o qualcosa del genere?”
Tobio si umettò le labbra. “Qualcosa del genere…” Rispose. Era più facile mentire senza dover guardare quegli occhi d’ambra.
Shouyou annuì. “Mi hanno raccontato delle storie sui Cigni Neri.”
Tobio si morse l’intero guancia fino a che non sentì il sapore metallico del sangue in bocca. Non osò dire nulla perché sapeva che il tono della sua voce lo avrebbe tradito in qualche modo.
Il piccolo Corvo rimase in silenzio per un istante di troppo. Non era un buon segno. “Sai, la prima volta che ti ho sognato, mi sono svegliato terrorizzato.”
Tobio non era sicuro di voler sentire il resto ma non riuscì a pronunciare una singola parola per fermarlo.
“Ti hanno mai raccontato quelle orribili storie sui Demoni?”
Tobio si sforzò di annuire e Shouyou se lo fece bastare. “Ho sempre avuto il vizio di scappare dal nido quando i miei genitori voltavano lo sguardo, così si sono sentiti costretti a spaventarmi per evitare che mi succedesse qualcosa di peggio. Dicevano che se fossi uscito di notte, senza di loro, un Demone mi avrebbe fatto suo prigioniero possedendomi l’anima. Così, quando ho cominciato a vederti ripetutamente nei miei sogni, ho avuto paura che fosse successo davvero…”
“I Demoni non esistono,” disse Tobio. I mostri, invece, sì ma quella era una storia che era meglio non raccontare.
Shouyou sorrise. “Se lo dici tu, ci credo.”
Tobio si voltò.
Il sorriso del piccolo Corvo mutò in un’espressione imbarazzata ed abbassò lo sguardo: aveva fatto lo spavaldo e si era dimenticato che, volente o nolente, era attratto da quel giovane e non c’era bisogno di alcun gioco del destino per giustificarlo. Tobio era bello quanto antipatico ed aveva dimenticato le volte in cui aveva desiderato di essere abbastanza forte per prenderlo a pugni in faccia, quindi…
“Perché ti fidi così tanto di me?” Domandò Tobio.
A quel punto, Shouyou si sentì costretto a guardarlo negli occhi. Non altrove, solo negli occhi.
Scrollò le spalle. “Te l’ho già detto,” rispose. “Mi hai salvato la vita e dobbiamo restare insieme, quindi…”
“Se fossi un’altra persona, una simile ingenuità ti costerebbe cara,” disse Tobio con espressione dura. “Se mi volessi approfittare di te…”
Shouyou rise senza allegria. “Mi pare che il problema qui sia proprio che non te ne vuoi approfittare,” disse un poco imbarazzato. “C’è… C’è qualcuno che ti piace?”
Tobio inarcò le sopracciglia. “No. Perché me lo chiedi?”
“Perché non potrei fermarti se volessi approfittartene,” gli fece notare il piccolo Corvo, le guance rosse. “Certe volte, sono attratto dal tuo odore al punto che penso che potrei chiudere gli occhi e lasciarti fare ogni cosa.” Una pausa. “Mi spaventa,” ammise. “Ti senti così anche tu?”
“Forse…” Rispose Tobio.
Shouyou lo guardò duramente. “Non è una risposta.”
“Tu puoi essere sincero quanto vuoi ma questo non significa che devo esserlo anche io.”
L’espressione del piccolo Corvo si fece quasi rabbiosa. “Mi stavi guardando…”
Tobio inarcò le sopracciglia.
“Prima, mentre mi allacciavi la tunica.”
Gli occhi blu si fecero grandi, poi Tobio tornò a guardare di fronte a sé. “Fai in fretta, così mi rivesto.”
Sentì le dita di Shouyou sulle sue ali. “Sei mai stato attratto da qualcuno nel modo in cui sei attratto da me?”
“No,” rispose Tobio con voce disinteressata. “Non dipende da noi, te l’ho detto. Siamo stati promessi.”
“Nemmeno io,” confidò Shouyou. “In realtà, non ho mai capito che cosa pretendessero da me durante la stagione degli amori.”
Tobio non gli disse che era lo stesso anche per lui.
“Non mi piace,” ammise Shouyou. “Non mi piace questa perdita di controllo. Non mi piace non poter scegliere. Non mi piace…”
“Non devi aver paura,” lo interruppe Tobio. “Non di me.”
Shouyou annuì passando il sapone sulle piume corvine. “Lo so…” Rispose. “Ma riesco a sentire quando ti piace guardarmi e mi spaventa.”
Tobio chiuse gli occhi per un istante. “Anche io riesco a sentire te, lo sai?”
Le mani del piccolo Corvo si bloccarono per un istante.
Ti sento quando mi guardi mentre dormo.”
Shouyou rimase in silenzio.
“Non riesci a dormire?”
“Incubi…”
“Che tipo di incubi?”
Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “I Cacciatori…” Rispose.
Tobio, però, non rise come si era aspettato. Annuì. “Saresti irrimediabilmente stupido se non fosse così,” disse. “Sei fortunato che siano stati abbastanza codardi da non aver avuto il coraggio di tagliarti la gola.”
Shouyou storse la bocca. “C’è qualcosa di codardo nel non riuscire a togliere una vita?”
“Sì, se si è comunque disposti a compiere un gesto ben peggiore.”
Shouyou rabbrividì al ricordo di quelle catene intorno alle sue ali. “C’è qualcuno che è sopravvissuto?”
“Non che io sappia,” rispose Tobio.
“E non c’è un modo per guarire?”
“Nessuno può saperlo se nessuno è mai sopravvissuto. I miei genitori, una volta, mi hanno raccontato che durante la guerra succedeva… Di salvare volatili privati delle loro ali, intendo. Offrivano loro tutte le cure di cui disponevano ma tutti finivano per morire agonizzando. Alcuni, erano pronti anche a gesti estremi perché il dolore smettesse…”
Shouyou strinse gli occhi cercando di cancellare la terribile immagine del suo ultimo incubo dalla mente. “Come si possono compiere azioni del genere?” Domandò.
Tobio s’imbronciò. “Il destino è una forza veramente idiota.”
“Perché?” Domandò Shouyou confuso.
“Perché sei decisamente troppo sensibile per essere destinato a me.”
Tobio era nato per essere Re e con un cuore tanto gentile, Shouyou non sarebbe mai riuscito a reggere il titolo di Principe Consorte e tutto quello che ciò comportava.
Non si accorse del mondo in cui, alle sue spalle, il piccolo Corvo gli sorrise.
“E troppo stupido,” aggiunse Tobio.
Shouyou lo colpì alla testa con la saponetta.
 
 
***
 
 
Fu durante una mattina d’inizio maggio che Tobio cominciò a prendere in seria considerazione gli avvertimenti di suo padre.
Si svegliò che il sole era già alto ma si prese comunque il suo tempo passandosi una mano tra i capelli e sospirando profondamente mentre si distendeva a pancia in giù ed apriva un’ala alla volta per stiracchiarle. Il silenzio era tale che avrebbe anche potuto riaddormentarsi, poi quella pace divenne improvvisamente sospettosa. Aprì un occhio solo e trovò la coperta di Shouyou ripiegata sul lato opposto del letto di muschio.
Tobio si sollevò su di un gomito guardandosi intorno ma, se si escludeva lui, il nido era vuoto. “Shouyou?” Chiamò mettendosi a sedere ma non c’era traccia di lui da nessuna parte. “Shouyou!” Artigliò il muschio sotto di lui con rabbia. “Shouyou!” Urlò alzandosi in piedi.
L’aria dolce della primavera gli accarezzò il viso e, di colpo, seppe che Shouyou non era lontano. Lo seppe dal profumo dolce che lo avvolse completamente indicandogli una direzione ben precisa. Si sporse oltre il bordo del nido.
Strinse i pugni tanto forte da farsi male.
Shouyou era ai piedi della cascata e non era da solo.
Tobio scese dal nido senza far rumore ed il suono della risata di Shouyou lo fece innervosire ancor di più, invece di tranquillizzarlo. Chiunque fosse il giovane in sua compagnia non gli stava facendo del male. Osservò la scena con attenzione mentre si avvicinava: Shouyou era seduto in riva al laghetto con in pantaloni arrotolati fino alle ginocchia ed i piedi nell’acqua fresca, mentre lo sconosciuto dalle ali nere e dai capelli biondi era appoggiato alla parete rocciosa della cascata in una posa che era tanto esageratamente seduttiva da fare schifo. Un altro Corvo.
Il piccolo idiota ovviamente non si stava rendendo conto di nulla e continuava a sorridere in quel suo modo solare chiacchierando di tutto e niente come se fosse completamente a suo agio.
Tobio sentì l’improvviso bisogno di prenderlo a calci.
Nulla di nuovo per lui ma c’era una sfumatura diversa in quel sentimento.
“Gli unici Corvi che conosco sono quelli con cui sono cresciuto o che mi hanno visto crescere,” disse Shouyou. “Non credevo ve ne fossero altri fuori dal Villaggio dei Corvi.”
Tobio alzò gli occhi al cielo: la sua stupidità avrebbe mai raggiunto dei limiti?
Lo sconosciuto sorrise con charme ed il Cigno Nero pensò che quell’espressione doveva essere un esplicito invito a farsi prendere a pugni perché le dita presero a prudergli terribilmente mentre le stringeva.
“Io vivo vicino alla prateria,” disse l’idiota senza nome facendosi avanti. “Ci sei mai stato?”
Shouyou scosse la testa. “Vengo dalla valle, dove scende il fiume…”
“Dovresti vederla,” disse il Corvo dai capelli biondi sedendosi accanto a Shouyou. “D’estate è sempre una grande festa. Resterai fino ad allora?”
Shouyou sospirò con aria scocciata. “Sono bloccato qui fino all’inizio dell’autunno.”
“Allora ti ci porterò,” disse il fanciullo dai capelli biondi allungando una mano per sfiorare i capelli sulla tempia dell’altro. Il sorriso di Shouyou sparì in un battito di ciglia.
Tobio annuì con se stesso: anche la sua ingenuità aveva un limite, evidentemente. Decise che era il momento giusto per intervenire.
“Shouyou,” chiamò con voce ferma ma non dura.
Il piccolo Corvo si voltò immediatamente e si alzò non appena gli occhi d’ambra si posarono sui suoi. “Tobio!” Chiamò con un sorriso nervoso.
Si avvicinarono l’uno all’altro. Il Cigno Nero gli lanciò un’occhiata veloce, poi si portò davanti a lui e guardò lo sconosciuto negli occhi. Il Corvo dai capelli biondi non era poi tanto idiota come la sua faccia suggeriva, perché non aveva esitato ad alzarsi in piedi e a guardarlo con espressione costernata.
Tobio non aveva idea di chi fosse ma l’altro, evidentemente, lo conosceva.
Era solito viaggiare al fianco di suo padre per tutta la Foresta, dopotutto.
Il Corvo sorrise nervosamente e fece un breve inchino in segno di rispetto. “Penso di aver compiuto un errore…” Ammise.
“Sì,” Tobio annuì con espressione gelida. “Infatti...”
Shouyou si affiancò a lui ma restando comunque un passo indietro.
L’altro Corvo annuì. “Perdonatemi ma, davvero…” Ammiccò. “Ha un profumo meraviglioso ed è adorabile, oltre a non essere accoppiato, perciò…”
Lo sguardo di Tobio si fece tagliente. “Hai già commesso un errore,” gli ricordò. “Evita di commetterne altri.”
Il Corvo dai capelli biondi si fece immediatamente rigido. “Perdonatemi,” ripeté con un po’ più di rispetto, poi lanciò un’ultima occhiata a Shouyou. “Congratulazioni, giovane signore.”
Se ne andò a testa bassa e Tobio lasciò andare un sospiro, poi abbassò lo sguardo: Shouyou stava guardando fisso di fronte a sé, gli occhi grandi e le guance rosse. Il Cigno Nero si umettò le labbra. “Non lo avevi capito?”
Il piccolo Corvo scosse appena la testa. “No…” Ammise sollevando gli occhi d’ambra. “È un Corvo come me, non credevo che…”
“Hai visto un tuo simile e ti sei fidato,” concluse Tobio.
“Sì… Che altro avrei dovuto fare?”
“Non sentivi niente da lui?”
Shouyou sbatté le ciglia un paio di volte. Erano lunghe ed un poco arcuate e Tobio si sentì un completo idiota per averlo notato. “No,” rispose, infine, il piccolo Corvo. “Io sento solo te, te l’ho detto.” Sospirò. “Perché non è così anche per gli altri?”
“Te l’ho già detto, hai un profumo particolare,” spiegò Tobio.
Shouyou lo guardò esasperato. “L’ho capito questo!” Esclamò. “Perché i Corvi con cui sono cresciuto non sentono niente da me, allora?”
Tobio sbuffò. “Sono meccanismi particolari, non aspettarti di trovare una risposta da me.” Si voltò e prese a camminare anche se non aveva nessuna direzione da prendere.
“Di cosa so?”
Il Cigno Nero si bloccò, restò a fissare gli alberi di fronte a sé senza vederli realmente, poi si voltò.
Shouyou lo guardava con le braccia incrociate contro il petto e l’espressione seria di chi pretende una risposta sincera. “Allora?”
“Non ho capito la domanda,” ammise Tobio, anche se non era vero.
“Hai capito benissimo!” Esclamò Shouyou arrivandogli davanti. “Allora, di cosa so?”
Tobio aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Idiota…” Prese a camminare a passo di marcia tra gli alberi. Non aveva importanza dove stava andando, doveva solo fuggire da quella situazione.
“Possibile che non riesci mai a rispondermi quando si tratta di te?” Gli urlò dietro Shouyou. Lo seguì, ovviamente. Gli si parò davanti come se al Cigno Nero non fosse stato sufficiente un gesto del braccio per toglierselo dai piedi.
“E possibile che tu non fai mai quello che ti viene detto?!” Sbottò Tobio. “Ti avevo detto di non allontanarti dal nido senza di me! Ti ho spiegato che cosa puoi fare ad altri rapaci!”
“Forse, se fossi sincero con me!” Gli suggerì Shouyou con rabbia. “Giovane signore… Ti ha chiamato giovane signore! Si è inchinato di fronte a te!”
Tobio lo spinse da una parte e continuò a camminare. “Quando il sole raggiungerà il punto più alto, vai alla torre… Takeru ha delle cose per noi.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “E tu dove credi di andare?”
“Via!” Sbottò il Cigno Nero senza voltarsi. “Lontano da te! Dalla tua idiozia e dalle tue stupide domande!”
“Bene!” Gridò Shouyou in risposta. “Puoi anche andare al diavolo per quel che mi riguarda!”
 
 
***


 
“Avete litigato?”
Erano seduti entrambi sulla scala chiocciola della torre, dove il muro era crollato e si potevano vedere le chiome degli alberi e l’orizzonte.
“Da cosa lo hai capito?” Domandò Shouyou allontanando lo sguardo dal panorama.
Takeru scrollò le spalle con un sorriso, poi recuperò qualcosa dalla sua sacca da viaggio. “Al volo!” Gli lanciò una mela rossa ed il piccolo Corvo l’afferrò con entrambe le mani.
“Grazie,” disse con un sorriso, poi l’addentò di gusto. “Se tuo cugino fosse gentile almeno la metà di te!” Esclamò con la bocca ancora piena.
Takeru appoggiò la schiena a ciò che rimaneva del muro. “Se pensi che Tobio sia terribile, dovresti conoscere sua madre.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Non è la sorella della tua?”
Takeru aggrottò la fronte. “La sorella?” Domandò. “Te lo ha detto Tobio?”
“Sì…” Rispose Shouyou. O, forse, era stato semplicemente lui ad intuirlo?
L’altro ragazzo, però, non gli diede ragione di dubitare. “Sì, lei,” disse. “Te la raccomando!”
Shouyou rise. “Tua zia non ti è simpatica?”
“Oh, no!” Rise anche lui. “Siamo cresciuti in una bella famiglia. Siamo figli desiderati e siamo cresciuti viziati e coccolati.”
“Tu non sembri proprio viziato,” commentò Shouyou.
“Sono solo furbo,” ammise Takeru. “Tobio no. Lui è pericolosamente sincero e credo che tu l’abbia notato.”
Il piccolo Corvo addentò di nuovo la sua mela con fare sconsolato. “Pensavo mi avresti qualcosa del tipo che Tobio è antipatico solo di facciata ma che, in realtà, è un bravo ragazzo.”
“Oh, no!” Esclamò Takeru. “Tobio ha un carattere terribile e non c’è nessun modo di negarlo. Non lo nega neanche sua madre! Anche se non si può proprio permettere di fare commenti…”
Shouyou lo guardò inorridito ed il ragazzo si passò una mano tra i capelli cercando qualcosa di carino da dire. “Senti, ha atteggiamenti bruschi, astiosi, scocciati… Questo non cambierà mai, fattene una ragione.”
Il piccolo Corvo sbuffò. “Non devo farmene una ragione. Devo solo trovare un modo per resistere fino all’inizio del prossimo autunno.”
Takeru annuì. “Allora, puoi stare tranquillo ed aspettare.”
“Ma mi urla contro continuamente!”
“Non farà mai nulla, oltra a questo,” gli disse Takeru. “Si lamenterà di ogni respiro che fai…”
“Sì, lo so…”
“Ma non ti abbandonerà,” lo rassicurò il ragazzo. “Non permetterà che ti accada niente. Ti farà tornare a casa tutto intero e, puoi giurarci, darà la vita per riuscirci. Non gli piace perdere.”
Shouyou sgranò gli occhi. “Io non voglio che muoia per me!”
Takeru rise divertito. “Era un modo di dire!”
Shouyou morse la sua mela ancora una volta e rimase in silenzio a riflettere per alcuni istanti. “Chi è?” Domandò. “Chi siete?”
Takero inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?”
“Tobio non mi parla mai di sé,” rispose Shouyou. “Ho dovuto praticamente indovinare quello che è!”
Il ragazzo lo guardò sorpreso. “Ti ha detto che un è un Cigno Nero?”
“No, l’ho capito!” Rispose Shouyou con orgoglio. “Non ha potuto negare. Anche se scoprirlo ha portato solo ad altre domande e domande e… Litigi!”
“Ringrazia che parli.”
“Che vuoi dire?”
“Tobio non è un chiacchierone,” disse Takeru. “Da bambino, qualcuno si chiedeva con serietà se sapesse parlare o meno. È sempre stato un solitario. Probabilmente, ora che ha qualcuno capace di tenergli testa intorno ogni minuto di ogni giorno, si sente messo sotto pressione.”
Shouyou lo guardò sorpreso. “Io metto Tobio sotto pressione?”
“Come dire… Tu sei solare, rumoroso… In senso buono, ben inteso! Sei piccolino ma da quel che ho visto hai del carattere. Penso che Tobio non sappia gestirti, tutto qui. Come ti ho detto, non gli piace perdere e, quindi, probabilmente, si sente perennemente frustrato in tua compagnia.”
Shouyou piegò le labbra in un sorrisetto furbetto. “Gli tengo testa, eh?” Si sentiva improvvisamente soddisfatto.
“Ah, piccolo Corvo, se non fosse così, non avresti retto fino ad oggi!”
Gli occhi d’ambra si fecero brillanti ed una strana euforia gli colorò le guance. Poi si rese conto che Takeru non gli aveva ancora risposta. “Chi è?” Domandò. “Tobio… Chi è veramente?”
Takero sospirò e gli sorrise. “Spiacente, piccolo Corvo,” gli disse. “Per sapere la verità, dovrai aspettare che sia Tobio a rispondere a questa domanda.”
 
 
***
 
 
Tobio rientrò al nido solo dopo che il cielo si fu fatto scuro e l’aria fosse diventata abbastanza fredda perché Shouyou si accoccolasse sotto la sua coperta, in attesa. Di dormire senza il Cigno Nero accanto non se ne parlava proprio. Al piccolo Corvo non piaceva molto riconoscere un simile potere a quell’antipatico ma non poteva negare di essere quasi completamente dipendente da lui in quella situazione.
Su di una cosa Tobio aveva ragione, però: per tutta la fiducia che gli stava danda pur non sapendo assolutamente nulla di lui, se avesse voluto fargli del male o approfittarsi di lui avrebbe già avuto tutto il tempo di farlo.
L’aria fredda si fece pregna di un odore che aveva imparato a conoscere bene e si voltò ancor prima che Tobio atterrasse sul bordo del nido. Gli occhi blu lo guardarono sorpreso. “Sei sveglio…” Commentò.
Shouyou s’imbronciò immediatamente. “Stavi aspettando che mi addormentassi per tornare?”
Tobio esitò. “No…” Mentiva.
Il piccolo Corvo sospirò annoiato. “Vieni qui.”
“Sono già qui, stupido.”
“No, vieni più vicino.”
Il Cigno Nero non parve molto felice della proposta ma si tolse comunque gli stivali e si stese sul letto di muschio sulla schiena, accanto all’altro. Shouyou osservò il suo profilo per un po’ con il viso appoggiato ad un braccio in un ennesimo tentativo di trovargli un difetto: non ci riuscì. Quado fu chiaro che Tobio non lo avrebbe guardato negli occhi, prese la parola. “Mi dispiace,” disse, anche se sapeva che non avrebbe dovuto farlo, anche se continuava a dare tutta la colpa di quel litigio all’altro. “Prima dico di fidarmi e poi dimostro di non fidarmi affatto. Non è stato carino da parte mia.”
“Non m’importa,” fu la risposta antipatica di Tobio.
Shouyou si trattenne dal prenderlo a calci. “Ti ha dato fastidio che parlassi con quel Corvo questa mattina?”
Solo allora gli occhi blu si voltarono a guardarlo. “Mi ha dato fastidio che tu non mi abbia ascoltato ancora!”
“Non lo avrei fatto se si fosse trattato di qualche altro rapace,” ammise il piccolo Corvo in difesa.
“Non puoi saperlo,” replicò Tobio. “Ha mai incontrato un Serpente.”
Shouyou scosse la testa.
“Appunto,” il Cigno Nero sospirò frustato piegando le braccia dietro la testa. “Uno di loro potrebbe essere capace di farti addormentare tra le sue braccia come se fosse tua madre e tu saresti talmente stordito dal loro talento nella manipolazione da non renderti assolutamente conto del pericolo.”
Shouyou rabbrividì. “Che cosa fanno i Serpenti?”
“Ti mangiano, idiota!”
Il piccolo Corvo si strinse ancor di più nella coperta. “E qualche altra specie è capace di farlo? Di manipolare, intendo…”
Tobio scrollò le spalle. “Stupido come sei, saresti capace di farti manipolare anche da un pulcino!”
“Ma la smetti?”
“Il Re della Foresta mi ha detto che percepiscono la tua presenza dal Nido delle Aquile,” lo avvertì Tobio.
Gli occhi d’ambra si fecero enormi. “Il Nido delle Aquile è qui vicino?” Al piccolo Corvo non parve vero: era quasi un posto leggendario per lui. Poi un pensiero allarmante mise a tacere tutta l’euforia. “I giovane del Nido percepiscono la mia presenza?!”
“Non urlare!” Lo rimproverò il Cigno Nero. “Sì, la sentono! Quante volte te lo devo ripetere che sei completamente fuori dal comune!”
“Ma… Ma… Quindi…” Shouyou impallidì velocemtne. “Tutte le giovani Aquile della corte del Re sono attratte da me?”
Tutte comincia ad essere superbo,” replicò Tobio con sarcasmo. “E metà dei restanti cambierebbero idea subito dopo aver scambiato due parole con te.”
Shouyou si prese il viso rosso tra le mani. “Ma questa è una tragedia!”
“Se ti ho convinto a non muoverti da questo nido, non lo è.”
“E se uno di loro provasse ad avvicinarmi mentre te vai in giro?” Domandò Shouyou in panico.
Tobio non parve altrettanto allarmato. “Non oseranno farlo,” disse con sicurezza.
“Come fai a dirlo?”
“Perché mi conoscono, idiota,” rispose. “Oltre alla tua presenza, possono percepire la mia accanto a te e non oseranno impicciarsi in affari che non li riguardano!”
Shouyou lo fissò per alcuni istanti di assoluto silenzio, poi sbatté le palpebre un paio di volte. “Al Nido delle Aquile ti conoscono,” ripeté facendo tesoro di quell’informazione insperata. “Mi stai dicendo, inoltre, che ti conoscono abbastanza da sapere che devono starti lontano… Delle Aquile?!” Non poteva dire di essere un esperto in materia ma doveva esserci una ragione se era stato proprio quel popolo a conquistare il potere unendo l’intera Foresta sotto una sola corona.
Tobio lo guardò storto. “Ora sai qualcosa di me,” gli fece notare. “Accontentati!”
Shouyou si fece più vicino e lo guardò fisso. “Ma chi sei veramente?”
Il Cigno Nero ricambiò lo sguardo. “Un Mostro…” Fu la risposta più sincera che gli diede da quando si erano conosciuti.
Shouyou, ovviamente, non lo prese sul serio. Sbuffò e si rigirò nella coperta dandogli la schiena. “L’unica cosa mostruosa che hai è la tua antipatica,” disse. “E non è poco!”
Tobio fece per replicare a tono ma si trattenne. Sospirò e portò gli occhi blu sulle foglie sopra di loro mosse appena dal vento. Shouyou si addormentò pochi minuti dopo. Tobio non si voltò per controllare, lo sentì e basta.
Chiuse gli occhi e, per un attimo, pensò che si sarebbe addormentato e basta anche lui, cullato dal profumo di Shouyou accanto a sé. Un pensiero fugace, però, lo indusse a sollevare di nuovo le palpebre. Poteva vedere alcune stelle tra i rami dell’albero sopra di sé e restò a fissarle a lungo, come se potesse dargli qualche consiglio o dissuaderlo da quello che stava per fare.
Si voltò. Le ali di Shouyou si sollevavano appena, al ritmo del suo respiro.
Prima ancora che potesse interrogarsi sulle sue intenzioni, Tobio si spostò su di un fianco e si fece più vicino, quasi a far aderire il petto alle piume corvine. Sollevò la mano lentamente, come se quel semplice movimento potesse spezzare la pace di quel momento. Non si rese conto di star trattenendo il fiato prima di far aderire il palmo alle ali nere.
Non erano ispide al tatto come molte altre. No, sembrava quasi di seta.
Shouyou si mosse nel sonno, assecondando quella carezza inconsciamente.
Tobio si fece rigido per un istante, poi andò avanti prendendo confidenza con quella sensazione del tutto inedita sotto le sue dita. C’era qualcosa di intimo nel toccare le ali di qualcun altro. Erano quanto di più prezioso avevano, ciò che gli Umani invidiavano loro fin dall’alba dei tempi.
Il potere di volare.
Per Tobio era qualcosa di scontato ma non credeva sarebbe riuscito a vivere senza. Sapere che c’erano creature disposte ad uccidere per ottenerlo non lo sorprendeva poi così tanto.
Chinò la testa, affondò il viso tra i capelli di Shouyou e chiuse gli occhi nel respirare il suo profumo a pieni polmoni, a lasciare che lo stordisse dolcemente, come se fosse uno di quei predatori da cui lo aveva messo in guardia. Era la cosa più bella, più intensa, più viva che avesse mai provato e, per un attimo, gli parve troppo grande perché potesse contenerla tutta nel petto.
Il pensiero di soffocarla ancora fu come una promessa di tortura.
Premette il palmo contro quelle piccole ali un po’ troppo per essere prudente e posò le labbra tra quei capelli ribelli alla ricerca di un qualche tipo di consolazione. Tobio si sentiva disperato, soffocato, stretto da catene invisibili in cui si era avvolto di sua spontanea volontà.
Shouyou era stato il primo a dirgli che non era certo sarebbe riuscito a respingerlo se lui si fosse fatto avanti. Gli aveva anche detto che quel pensiero lo spaventava, però.
Tobio si morse il labbro inferiore e si fece indietro di colpo ignorando il modo in cui l’aria della notte sembrò immensamente più fredda senza il corpo di Shouyou accanto al suo. Si alzò, si sedette sul bordo del nido e prese tre respiri profondi, cercando di calmare il suo cuore impazzito.
Trovò la distrazione di cui aveva bisogno in un movimento improvviso tra gli alberi che lo mise subito in allerta.
Si guardò intorno ma non vide nulla. Non gli piacque affatto.
Un movimento ancora, verso il basso quella volta.
Lanciò un’occhiata a Shouyou ma dormiva ancora.
Il Cigno Nero scese dal nido senza far rumore.
 
 
Non vide i grandi occhi d’ambra pieni di lacrime che si voltarono a fissare il punto in cui era sparito.
 
 
Per un po’, Tobio continuò a guardarsi come un idiota.
Camminò verso la cascata ma non vide nulla. Questo, però, non gli impedì di continuare a percepire una presenza nelle vicinanze.
“Dove diavolo sei?” Sibilò con tono minaccioso.
Forse, sarebbe bastato quello per liberarsi di quella scocciatura.
Tobio-chan…”
Tobio sentì il respiro venire meno ed i suoi occhi blu divennero enormi mentre una creatura dalle splendide ali bianche compariva tra gli alberi. Sorrideva e, tutto sommato, era dolce la sua espressione ma il fanciullo non riuscì ad evitare d’imprecare tra i denti. “Maledizione…”
Il Cigno sospirò amareggiato. “Vedo che non hai ancora smesso di essere arrabbiato con me.”
Tobio lo guardò storto. “Che cosa ci fai qui?”
Il Cigno si avvicinò con un’eleganza che gli apparteneva per natura. “Come stai?” Domandò con dolcezza.
Il fanciullo abbassò lo sguardo sentendosi un poco in colpa per la freddezza con cui si era rivolto a lui: non si vedevano da settimane, dopotutto. “Bene,” rispose mentre sentiva un calore familiare salirgli al viso.
Il Cigno sollevò gli occhi scuri verso gli alberi della foresta e a Tobio non servì voltarsi per sapere che stava guardando il suo nido. “Lui sta bene?” Domandò con sincero interesse.
Tobio gli rivolse una smorfia. “Lo sapevo che eri qui per questo…”
“Sono qui perché sei un fanciullo che si è preso una responsabilità più grande di lui,” rispose il Cigno incrociando le braccia contro il petto.
Tobio strinse le labbra e lo guardò con fare minaccioso. “So badare a me stesso.”
“Sai badare anche a lui?” Domandò il Cigno completamente serio.
Tobio sbuffò e si voltò verso la cascata per non dover guardare l’altro in faccia. “Mi tratti ancora come un bambino.”
“Sei un bambino,” replicò il Cigno arrivandogli accanto. “Sfortunatamente, sei il mio…”
Tobio lo guardò storto. “Sentimento completamente ricambiato.”
Tooru Oikawa, Consorte del Re della Foresta, sbuffò a sua volta. “Tobio, non sono qui per litigare.”
Il fanciullo non replicò.
“Sono qui perché sono preoccupato per te,” aggiunse. “Per te e per… Il piccolo Corvo.”
Tobio si passò una mano tra i capelli neri con una smorfia rabbiosa. “Chi è stato?” Domandò stringendo i pugni. “Takeru? Hajime? Chi?”
“Tuo padre,” rispose Tooru con tono paziente.
Tobio si fece immobile, lo sguardo incredulo.
Il Cigno scosse la testa. “Tranquillo,” disse aggiustando una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio del figlio. “Non mi ha detto nulla ma… Lo sai, no?” Gli rivolse un sorrisetto furbetto. “Non è capace di mentire, proprio come te.”
Tobio si allontanò da quella mano irritato. “Posso gestire questa cosa da solo.”
Tooru alzò gli occhi al cielo. “Hai quindici anni, Tobio.”
“Alla mia età eri già un Consorte reale!” Sbottò il fanciullo.
“Non per mia scelta!” Replicò Tooru irritato. “Ero un bottino di guerra e lo sai bene!”
Tobio aprì di nuovo la bocca, poi scosse la testa e lasciò perdere. Tooru strinse le labbra e la sua espressione si addolcì. “Perdonami…” Disse ma senza guardarlo negli occhi. “È successo molto prima che tu nascessi e tu non centri nulla…”
Tobio continuò a fissare l’acqua cristallina della cascata e sperò che il rumore che provocava fosse abbastanza per coprire le loro voci: non credeva che avrebbe retto la situazione se Shouyou si fosse svegliato ed avesse deciso d’intromettersi.
Tooru si umettò le labbra. “È lui?” Domandò con un sorriso gentile. “È il piccolo Corvo dei tuoi sogni?”
Tobio chiuse gli occhi e sospirò profondamente. “Perché tutti ne parlano come se fosse mio?”
Il Cigno scrollò le spalle. “Per il destino lo è…”
“Non è divertente.”
“Non stavo ridendo.” Tooru tornò a guardare il nido che suo figlio aveva costruito con una smorfia evidentemente disgustata. “Tobio, quello andava bene quando tu e Takeru eravate bambini…”
“Io sono sopravvissuto,” disse il fanciullo indignato per l’aspro commento indiretto sul suo lavoro.
“Tu sei una bestiola sgraziata come tuo padre, Tobio!” Esclamò Tooru esasperato. “Che mi dici, invece, della creaturina di cui sei responsabile?”
Tobio scrollò le spalle con espressione annoiata. “È un perfetto idiota…”
“Oh!” Tooru annuì con espressione divertita. “Allora avete qualcosa in comune.”
Tobio lo guardò indignato. Il Cigno rise con leggerezza e si sedette sull’erba. “Vieni qui,” lo invitò ma il fanciullo lo guardò sospettoso. “Avanti, Tobio-chan! Non parliamo da settimane e tuo padre non è mai stato bravo a coprire il silenzio, lo sai.”
“Lo hai sempre coperto tu per tutti e tre,” replicò Tobio con sarcasmo ma accettò comunque l’invito.
Tooru decise d’ignorare il commento e tornò sulla questione che più gli interessava. “Hajime mi ha detto che è il bambino di Daichi e Koushi.”
Tobio si morse l’interno guancia. “Bene…” Commentò con voce atona. “Caduto il Re, gli altri hanno seguito l’esempio…”
“Conosco molto bene i suoi genitori, sai?”
Tobio annuì. “Lo zio e papà mi hanno detto qualcosa… Shouyou non sa molto, immagino che non sia piacevole per i suoi genitori parlare delle circostanze in cui vi siete conosciuti.”
Tooru annuì con espressione grave. “È mia intenzione andare da loro…”
Il fanciullo inarcò le sopracciglia. “Perché?” Domandò. “Ho già mandato Hajime…”
“È una cosa da genitori,” disse con un sorriso furbetto. “La capirai tra un anno o due, quando tu ed il tuo piccolo Corvo avrete il vostro primo pulcino.”
“Oh!” Esclamò Tobio esasperato. “Shouyou non è mio.”
“Shouyou…” Ripetè Tooru annuendo. “Shou-chan!
“Evitiamo i soprannomi!”
“Mi piacerebbe conoscerlo…”
“No!” Esclamò Tobio di colpo. “Takeru lo ha conosciuto a causa di forze maggiori ma finisce qui! Non avrà contatti con nessun altro della nostra famiglia!”
“A Takeru piace tanto, sai?” Disse Tooru divertito. “Dice che è una creaturina adorabile e che non si spiega che cosa ci faccia con te…”
A contare sui cugini, pensò Tobio. “Shouyou non sta con me. È con me per… Causa di forze maggiori anche lui.”
Tooru incrociò le braccia contro il petto e lo guardò con l’espressione di chi la sa lunga. “Lo stavi annusando…”
Gli occhi di Tobio divennero enormi.
“Ti ho visto!” Esclamò il Cigno come se fosse una grande vittoria. “La mia presenza ti ha svegliato, però non mi hai visto e hai controllato che il tuo piccolo Corvo dormisse tranquillo e, dopo…” Punzecchiò una guancia del figlio per gioco. “Hai affondato il naso tra i suoi capelli! Da quanto aspetti di farlo, birichino?”
Se la terra si fosse aperta sotto di lui in quel preciso istante, Tobio ne sarebbe stato felice. “N-Non… N-Non è vero…” Negare l’evidenza era l’unico potere che aveva, anche se le sue guance avevano probabilmente assunto un colore poco dignitoso.
Tooru rise con leggerezza. “È bello vederti così.”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Così come?”
Il Cigno scosse la testa. “Lascia stare,” disse e si voltò ancora una volta verso il nido. “Tu ed il tuo piccolo Corvo non potete rimanere qui, però.” Aggiunse con tono molto più serio.
Tobio non aveva in sé la forza di correggerlo, quindi decise d’ignorare la parte che riguardava Shouyou e si preoccupò del resto. “Non ho intenzione di portarlo al Nido delle Aquile,” disse con tono perentorio. “Tu non puoi sentire il suo odore ma…”
“No, certo che no!” Lo interruppe Tooru. “Ma i Cacciatori stanno osando di più, Tobio e ci sono altri volatili che potrebbero essere interessati a Shouyou.”
“Lo so…”
“Allora non puoi restare qui, allo scoperto!” Esclamò Tooru. “Portalo nel nido mio e di tuo padre…”
Tobio scosse immediatamente la testa.
“Sarete al sicuro lì!” Insistette il Cigno. “È un luogo nascosto. È ancora più sicuro del Nido delle Aquile!”
“Shouyou non è il mio compagno!” Sbottò Tobio con rabbia. “E mai lo sarà! Non ho bisogno di portarlo in quel nido!”
Tooru alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Quanto sei stupido!” Esclamò. “Nessuno ti sta chiedendo di farlo tuo se Shouyou non vuole…”
Io non lo voglio!”
Tooru lo squadrò. “Se non ti avessi visto affondare il viso tra i suoi capelli, saresti anche potuto essere convincente, Tobio-chan!”
“Vai al diavolo!”
“Ehi, moccioso, porta rispetto!” Lo rimproverò Tooru seriamente irritato. “In ogni caso, non si tratta sempre e solo di te, piccolo egoista! Questo posto non è sicuro e puoi essere forte quanto vuoi ma hai quindici anni e se non intendi fare di quel piccolo Corvo il tuo compagno, la sua sicurezza è anche una responsabilità mia e di tuo padre e, se proprio devo essere sincero, il mio moccioso sono affari miei e se perirà sarà per la sua stupidità ma non me la sento di correre lo stesso rischio col figlio di qualcun altro! Specie se quel qualcuno è un amico e so cosa ha dovuto patire per divenire genitore di quel bambino!”
Tobio continuò a guardarlo in malo modo ma non replicò.
Tooru annuì due volte. “Ti concedo tre giorni, Tobio. Non uno di più…”
Il fanciullo ringhiò sommessamente.
“A meno che tu non voglia che tutti i rapaci nobili della Foresta, più qualche felino, vengano a rendere omaggio al futuro Principe Consorte,” aggiunse il Cigno con un ghigno diabolico.
Tobio spalancò occhi e bocca. “Non oserai…”
“Come se non lo avessi temuto fin dal principio,” disse Tooru con espressione trionfante. “Tre giorni, Tobio. Tre giorni…”
“Non ti sopporto…” Sibilò Tobio stringendo i pugni.
“Reciproco,” disse il Cigno alzandosi in piedi con un movimento elegante. “Peccato… Più ce lo ripetiamo e più non possiamo fare a meno l’uno dell’altro.”
“Solo lui è più insopportabile di te,” aggiunse il fanciullo fissando il nido da lui stesso costruito.
Tooru rise.
“Che cosa c’è di divertente, adesso?” Domandò Tobio esasperato.
“Niente, solo che conosco una bella storia che comincia proprio con le parole non lo sopporto,” gli fece l’occhiolino. “Alla fine, nasci tu.”
 


 

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Capitolo 4
*** Insieme, un passo alla volta ***


IV
 Insieme, un passo alla volta

 

Se Shouyou era insopportabile quando parlava, definirlo inquietante quando restava in silenzio non rendeva affatto l’idea.
Da principio, Tobio non si era fatto domande e si era goduto quella pace inaspettata come il più atteso dei regali. Sì, si era preoccupato di chiedergli se stava bene ma non aveva indagato molto sulla questione dopo che Shouyou gli aveva risposto con veloce e malinconico .
Tobio aveva resistito una settimana in quel silenzio e, alla fine, aveva cominciato a sentirsi inquietato.
“Si può sapere che cos’hai?”
Stavano oziando entrambi. Tobio era disteso sul letto di muschio del loro nido con solo i pantaloni addosso e Shouyou era seduto sul bordo con la schiena contro il tronco dell’albero ed una mela rossa tra le mani. Il Cigno Nero la fissò e pensò che sarebbe dovuto scendere dalla montagna per fare provviste.
Shouyou continuò a guardare il paesaggio o qualunque cosa avesse attirato l’attenzione dei suoi occhi d’ambra. “Niente…” Rispose con voce atona.
“Impara a mentire prima di farlo,” replicò Tobio ma non c’era nessuna particolare irritazione nella sua voce. “Vieni qui…”
Solo allora il piccolo Corvo si voltò nella sua direzione ma c’era un gelo del tutto inedito nel suo sguardo. “Sono qui…”
Il Cigno Nero alzò gli occhi al cielo. “Hai capito che intendo, stupido…”
“Cosa?” Domandò Shouyou. “Vuoi che mi stenda accanto a te?”
Tobio si mise a sedere. “Si può sapere che ti prende?”
“Davvero non lo sai?”
Shouyou non era mai stato davvero arrabbiato con lui. Irritato, sì, spesso ma era ira pura quella che infuocava quegli occhi d’ambra. Tobio si mise a sedere. “Che cosa ti ho fatto?” Domandò con astio a sua volta. “Se devi accusarmi di qualcosa, almeno abbi il coraggio di farlo in modo diretto!”
Shouyou gli lanciò la mela addosso e se Tobio non fosse stato abbastanza pronto di riflessi da spostarsi, l’avrebbe colpito e gli avrebbe fatto male. Quando i loro sguardi s’incrociarono di nuovo, l’espressione stupita di Shouyou era il riflesso di quella di Tobio. Il piccolo Corvo era rimasto sbigottito dalla sua stessa reazione ma il Cigno Nero non avrebbe mai lasciato correre la cosa.
“Piccolo stupido!” Sibilò lanciandosi in avanti.
Shouyou non riuscì a sfuggirgli. Si ritrovò con la schiena premuta contro il letto di muschio ed il viso rabbioso di Tobio a pochi centimetri dal suo. “Come osi?” Quasi ringhiò. “Ti proteggo, ti nutro, ti ho salvato la vita!”
Lo sguardo del piccolo Corvo era gelido. “E questo ti concede il diritto di toccarmi?”
Gli occhi blu di Tobio si fecero confusi. “Non ti ho mai toccato.”
“Non è vero!” Esclamò Shouyou premendo i palmi contro il petto del Cigno Nero ma non avrebbe mai avuto abbastanza forza per respingerlo. “Ero sveglio…”
“Non so di cosa stai parlando, Shouyou!”
“Mi hai accarezzato le ali,” replicò il piccolo Corvo con le lacrime agli occhi. “Hai posato un bacio tra i miei capelli… Hai respirato a lungo il mio odore.”
Il viso di Tobio divenne una maschera di sbigottimento e panico. Shouyou voltò il viso di lato e lasciò che le lacrime gli rigassero le guance. “Sono rimasto sveglio ogni notte aspettando che lo facessi di nuovo.”
Tobio si mosse all’indietro mettendosi a sedere, il respiro bloccato in gola. “Credevo dormissi…” Mormorò con un filo di voce, come se quelle parole potessero giustificarlo in qualche modo. Shouyou non si mosse, il petto scosso dai singhiozzi. “Con chi parlavi quella notte?”
“Nessuno…” Rispose Tobio scuotendo appena la testa. A stento lo stava ascoltando.
“Continui a mentirmi anche ora?” Domandò Shouyou con rabbia sollevandosi a sedere. “Era il tuo amante?”
Tobio tornò a guardarlo in faccia. “Che assurdità sono queste?”
“Ti ho chiesto se ti piaceva qualcuno prima che cominciassi a sognare me,” gli ricordò Shouyou. “Mi hai risposto di no ma non riesco a credere più ad una singola parola che mi dici!”
“Perché?” Domandò Tobio irato. “Perché ti ho accarezzato le ali? Perché ti ho baciato i capelli?”
Shouyou si sporse in avanti, i loro visi a pochi centimetri di distanza. “Perché non me lo dici che sei attratto da me, invece di trattarmi con astio ogni minuto di ogni giorno?” Domandò.
“Lo sai già che sono attratto da te!” Sbottò il Cigno Nero.
“No,” Shouyou scosse la testa. “Non come quella notte… Credevo che la tua attrazione per me fosse come un prurito di cui non riuscivi a liberarti. Quella notte, però…”
“Non è successo nulla quella notte!” Esclamò Tobio. “Se ti ho spaventato ti chiedo sinceramente scusa ma la questione è chiusa!” Allungò un braccio per afferrare la sua tunica ma una piccola mano tiepida contro il suo petto lo pietrificò. Sgranò gli occhi e dischiuse le labbra ma la sua gola era stretta in una morsa.
Il respiro di Shouyou era caldo mentre scivolava sul suo collo in una languida carezza.
“Che stai facendo?” Domandò.
Shouyou sorrise ed il Cigno Nero poté sentirlo senza vederlo. “La tua voce ha tremato,” commentò il piccolo Corvo. “Il potere che ho su di te t’infastidisce a tal punto?”
Tobio strinse le labbra. “Non hai alcun potere su di me.”
“Stai mentendo…”
Il Cigno Nero s’irrigidì come avvertì due labbra calde sfiorargli il collo, vicino all’attaccatura dei capelli.
“Tu hai il potere di proteggermi ma hai perso quello di farmi paura, Tobio.” Shouyou si fece indietro fino a che gli occhi d’ambra non furono di nuovo su quelli blu, le guance rosse. La piccola mano era ancora sul petto del Cigno Nero.
Era la prima volta da quando si erano incontrati che erano tanto vicini.
Tobio ghignò. “Mi stai sfidando, stupido di un Corvo?”
Shouyou sorrise. “Forse…”
Il Cigno Nero strinse le labbra per un attimo. “Sai di buono,” disse.
Gli occhi d’ambra si fecero grandi per la sorpresa.
“Il tuo profumo non mi ricorda niente di particolare,” ammise Tobio. Se non avesse parlato, probabilmente, Shouyou avrebbe trovato il modo di farlo confessare comunque e, in quanto figlio di reali, gli era stato insegnato a ritorcere i piani d’attacco del nemico contro il nemico stesso. “È tuo e basta. È unico.”
Era ancora abbastanza orgoglioso per tenere per sé il fatto che fosse anche il profumo più buono che avesse mai sentito, però.
Le guance di Shouyou si fecero ancora più rosse ma la sua mano rimase dov’era ed i suoi occhi non si allontanarono da quelli blu del Cigno Nero. “Non mi hai spaventato quella notte.”
“No?”
“No, mi hai preso di sorpresa, tutto qui. Credevo che questa attrazione ti disgustasse.”
“Allora perché eri arrabbiato con me?” Domandò Tobio. “Perché non mi hai detto niente? Pensavo che non ti piacessero simili attenzioni…”
Shouyou scrollò le spalle. “Infatti…” Si umettò le labbra. “Lo credevo anche io.”
Tobio aggrottò la fronte e fece per chiedere spiegazioni ma la risposta prese forma velocemente nella sua testa. Seppe che il suo viso si era acceso nel momento in cui Shouyou scoppiò a ridere. “Ti senti imbarazzato, ora?”
“No!” Sbottò Tobio recuperando la sua tunica ed infilandola velocemente mentre si alzava. Per poco non inciampò nei suoi stessi piedi.
Shouyou continuava a ridere. “Tobio, avanti, non fare l’offeso!”
“Non sono offeso!” Replicò il Cigno Nero andandosi a sedere sul bordo del nido, gli occhi rivolti all’orizzonte, un piede a penzoloni nel vuoto.
Il piccolo Corvo, però, non si arrese. Si fece vicino, gli angoli della bella bocca ancora sollevati. “Secondo te è solo colpa del… Destino?”
“Cosa?” Domandò Tobio rifiutandosi di guardarlo in faccia.
“Ci piacciamo solo perché è il destino ad averlo deciso?” Domandò Shouyou con un poco di malinconia. “O perché siamo noi a desiderarlo?”
“Tu non mi piaci affatto,” replicò Tobio negando l’ovvio.
Il piccolo Corvo lo guardò storto ma sapeva che rispondendogli a tono avrebbe finito solo col fare nascere un altro litigio. No, usare la carta dell’arroganza con Tobio era completamente inutile, se non addirittura stupido. Tuttavia…
Shouyou ghignò con sicurezza. “Puoi farlo quando vuoi,” gli concesse.
Tobio lo guardò smarrito. “Che cosa?”
Annusarmi…”
Il viso del Cigno Nero avvampò in un battito di ciglia. “No… Non… Io non…”
Shouyou rise. “Non hai alcun bisogno di mentire!” Esclamò allegro alzandosi in piedi.
Tobio lo guardò sospettoso mentre recuperava i suoi stivali. “Dicevi di aver paura di simili attenzioni.”
Anche le guance di Shouyou si colorarono. Abbassò gli occhi d’ambra con imbarazzo. “Non le avevo mai provate…”
“Quel Corvo di ieri, però…”
“Non le volevo da lui,” concluse Shouyou, poi sollevò lo sguardo e tornò a sorridere. “Posso aver paura di queste cose ma non ho paure di te.”
Tobio s’imbronciò. “Perché mi sento offeso?”
Shouyou si avvicinò saltellando e s’inginocchiò accanto a lui. “Dai!” Esclamò afferrandogli il braccio. “Facciamo qualcosa insieme!”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Sei stanco d’interrogarmi e hai immaginato altri metodi di tortura?”
“No!” Esclamò Shouyou imbronciandosi. “È che non sei un gran chiacchierone e stare in tua compagnia senza far niente è piuttosto noioso!”
“Ehi!”
“Avanti!” Lo spronò Shouyou sedendosi sul bordo del nido a sua volta. “Sono nato e cresciuto in un piccolo nido! So volare, so nuotare…”
“Sai cacciarti nei guai…”
“Fammi fare qualcosa che non ho mai fatto!” Esclamò. “Fammi vedere la tua Foresta!”
“La Foresta non appartiene a me più che a te,” replicò Tobio.
Shouyou scosse la testa. “Non l’ho mai sentita mia,” ammise. “Ho sentito mio il nido in cui sono cresciuto ed il Villaggio dei Corvi in cui mi hanno allevato. Mi hanno insegnato a temere tutto il resto.”
Tobio annuì. “Già, i genitori fanno queste cose…”
Shouyou reclinò la testa da un lato e si concesse qualche istante per riflettere: Tobio si apriva a lui uno spiraglio alle volte e, probabilmente, lo faceva senza neanche rendersene conto. Il piccolo Corvo non poteva permettersi di sprecare quelle piccole occasioni di ottenere un vantaggio su di lui. “Io ho costretto i miei a non allontanare mai gli occhi da me. La mia fortuna è stata avere dei fratelli comprensivi… In realtà, uno dei due è antipatico quanto te ma gli voglio bene. Voglio bene ad entrambi.”
Tobio lo ascoltò con curiosità. “Perché sei scappato?” Domandò. “L’amore che provi per la tua famiglia è chiaro ogni volta che parli di loro. Sei davvero tanto stupido d’aver lasciato un nido tanto accogliente per inseguire un sogno?”
“Ce la fai a non chiamarmi stupido per un’intera conversazione?”
“Non posso promettertelo…”
Shouyou arricciò il naso, poi il bel faccino si oscurò e gli occhi d’ambra si spostarono sulla cascata sotto al loro nido. “Ti ho detto che io ed i miei fratelli siamo stati adottati?”
Tobio annuì.
“Ti ho anche detto ripetutamente quanto poco sono interessato alla stagione degli amori,” il piccolo Corvo prese un respiro profondo. “Io ed i miei fratelli siamo sempre stati insieme, sai? Ingenuamente, ho sempre creduto che questo non sarebbe mai cambiato.”
Il Cigno Nero fece una smorfia. “Niente dura per sempre.”
Shouyou lo guardò. “È un modo un po’ triste di vedere le cose.”
“È una lezione che tutti, prima o poi, dobbiamo imparare,” replicò Tobio. “A te come è stata impartita?”
Il piccolo Corvo si umettò le labbra. “La notte prima di scappare di casa, ho compreso che molto presto sarei rimasto solo in quel nido in cui ero nato e cresciuto…”
“I tuoi fratelli hanno trovato dei compagni?”
“No… Cioè, non proprio…” Shouyou prese un respiro profondo. “Si sono scelti… Tra di loro intendo. Si sono innamorati e li ho sentiti per sbaglio mentre pianificavano il loro accoppiamento.”
Il Cigno Nero non disse nulla ed il piccolo Corvo gliene fu grato.
“Sarebbero andati via di casa per costruirne una loro prima dell’inizio dell’estate,” sorrise amaramente. “Probabilmente, stanno costruendo un nido tutto per loro in questo preciso momento.”
“Sei scappato di casa per questo?” Domandò Tobio come se il suo racconto non avesse alcun senso.
“Ero arrabbiato,” ammise Shouyou.
“E per quale ragione?”
“Perché siamo stati sempre noi tre… Perché pensavo che saremmo continuati ad esserlo ancora per tanto, tantissimo tempo,” Shouyou ingoiò a vuoto per combattere il nodo che gli stringeva la gola. “Non mi sono reso conto che, invece, erano loro due… Ed io. Loro sarebbero divenuti adulti, mentre io sarei rimasto da solo a cercare di decidere che cosa volevo fare… Ciò che volevo diventare. Per questo sono scappato, speravo che quei sogni mi stessero indicando una strada…”
Tobio fece una smorfia. “Che cosa stupida.”
“Considerando quello che ho trovato in fondo alla strada in questione, direi proprio di sì,” replicò Shouyou.
Il Cigno Nero gli diede un calcio facendolo ricadere all’interno del nido.
“Mi hai fatto male!” Esclamò il piccolo Corvo guardandolo storto.
Era seria, però, l’espressione di Tobio. “E adesso?”
“Adesso cosa?” Domandò Shouyou scocciato sedendosi sulle ginocchia.
“Adesso lo sai che cosa vuoi? Sai che cosa vuoi diventare?”
I lineamenti del piccolo Corvo si distesero e gli occhi d’ambra si fecero grandi in un’espressione che avrebbe potuto esprimere smarrimento ma Tobio vedeva dell’altro. Scese dal bordo del nido ed appoggiò un ginocchio a terra. I loro visi erano a pochi centimetri di distanza ma Shouyou resse alla perfezione il suo sguardo. “Tu che cosa vuoi?” Rigirò la domanda. “Che cosa vuoi diventare?”
Tobio non indugiò. “Io non posso scegliere,” ammise. “Sono già quello che sono nato per essere.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Non capisco che cosa vuoi dire.”
“Non è necessario che tu lo faccia.”
“Che cosa vuoi che sia io per te, allora?” Domandò Shouyou.
E fu allora che Tobio tentennò e non fu in grado di rispondere. “Che cosa vuoi tu?” Replicò e si sentì un codardo. “Che cosa vuoi che sia per te?”
Le guance di Shouyou si tinsero appena di rosso. “Mi piace…” Sussurrò. “Quello che hai fatto quella notte… Mi piace quella sensazione e so di provarla solo con te.”
“Non puoi saperlo. Non hai mai vissuto una stagione degli amori.”
“Mi hai sentito quando ti ho detto che non volevo niente dal Corvo dell’altro giorno?” Domandò Shouyou pazientemente. “Ed era un mio simile. Era di gran lunga più gentile e simpatico di te.” Non gli disse che non era bello neanche la metà, però.
L’aria stava cominciando a farsi viva per qualcosa che solo loro potevano sentire.
Tobio ingoiò a vuoto. “Dobbiamo rimanere insieme solo fino alla fine dell’estate. È questo il piano… Lo è sempre stato…” Lo disse come se stesse cercando di convincersi.
Shouyou annuì in modo meccanico ma, in realtà, non aveva compreso nessuna delle sue parole.
A nessuno dei due fu chiaro chi si mosse per primo. Forse, i loro corpi si sincronizzarono grazie a forze ben più grandi di loro. Shouyou seppe solo che il letto di muschio su cui era steso era morbido e che Tobio era caldo e rassicurante sopra di lui.
Non si dissero nulla. Tobio si limitò a chinarsi, ad affondare il viso nell’incavo tra il collo e la spalla del piccolo Corvo. Shouyou chiuse gli occhi e girò la testa di lato per concedergli più libertà di movimento.
Il cuore batteva con violenza contro la cassa toracica e l’aria era tanto pregna dell’odore di Tobio da essere soffocante. Eppure, non si era mai sentito così in pace, così completo, con l’inspiegabile certezza di essere dove doveva.
Tobio sospirò, si fece rigido. Shouyou aprì gli occhi e lo spiò con la coda dell’occhio. “Che cosa c’è?” Domandò gentilmente.
“Avrei dovuto avere una sorella…”
Shouyou non era certo di aver capito bene. “Tobio?” Chiamò.
Il Cigno Nero si sollevò in modo da poterlo guardare negli occhi. La sua espressione era indefinibile. “Avrei dovuto avere una sorella,” ripeté. “Più grande di qualche stagione…”
Il piccolo non pose nessuna delle domande che gli affollarono la mente, ascoltò e basta.
“È arrivata durante la guerra,” raccontò Tobio. “Tuttavia, i miei genitori ne furono felici. Vivevano al Nido delle Aquile a quel tempo e si sentivano al sicuro lì.”
“Non fu così?” Domandò Shouyou.
“Mio padre non c’era. Arrivarono di notte, li colsero di sorpresa…”
Shouyou ingoiò a vuoto ma cercò di tenere tutto il nervosismo che gli stringeva il cuore per sé.
“Riuscirono a difendersi,” proseguì Tobio. “Pagarono un prezzo alto, però.”
“E la bambina?”
“Gettarono l’uovo giù dal nido,” fu la terribile risposta del Cigno Nero. “Aveva le ali bianche…” Si spostò permettendo al piccolo Corvo di mettersi seduto.
“Bianche?” Domandò Shouyou ed allora comprese. “Era uno dei tuoi genitori quello con cui parlavi la notte scorsa?”
Tobio si limitò ad annuire, poi si umettò le labbra. “Tu mi hai raccontato dei tuoi fratelli,” disse. “Io ti ho raccontato della sorella che non ho mai avuto. Cominciamo così… Un passo alla volta…”
Shouyou comprese cosa gli stava proponendo ed annuì. “Sì, un passo alla volta.”
Tobio si alzò. “Vado a cercare qualcosa di decente da mangiare. Non possiamo nutrirci solo di mele.”
Il piccolo Corvo fece un altro cenno d’assenso e non gli disse che, invece, credeva che quella fosse solo una scusa per prendersi una pausa da lui. Lo comprese e lo rispettò.
“Dove arriveremo?” Gli sfuggì.
Tobio si voltò a guardarlo ancora una volta. “Uhm?”
“Un passo alla volta…” Ripeté Shouyou sollevando gli occhi d’ambra per incontrare quelli blu. “Dove arriveremo?”
Tobio non gli rispose.
 
 
Quella notte, non dormirono poi così lontani l’uno dall’altro.
 
 
***
 
 
Il mattino seguente, Shouyou si risvegliò completamente da solo.
“Tobio?” Chiamò pigramente.
Nessuno gli rispose ma il buon odore che impregnava l’aria lo convinse che il Cigno Nero non doveva essere poi così lontano. Forse, era sceso ai piedi della cascata per prendere un sorso d’acqua e nulla di più. Si rigirò sul nido di muschio premendo il viso sul punto ancora caldo in cui Tobio aveva dormito. Respirò il suo odore a pieni polmoni, troppo assonnato per farne una crisi di coscienza.
Era una fatica inutile, comunque: dopo la conversazione del giorno precedente, era chiaro che il loro piano di stare insieme fino all’autunno ignorandosi era andato in mille pezzi tra le prime giornate di sole della primavera e quelle ben più calde dell’inizio dell’estate. Shouyou non aveva ancora avuto il tempo di porsi domande su quell’evoluzione.
In poche settimane era passato dall’inseguire un sogno a vivere sensazioni che era stato certo non lo avrebbero mai sfiorato. Nello stesso lasso di tempo, Tobio si era trasformato dalla peggiore delusione della sua vita a qualcos’altro… Capire cosa era il problema.
Probabilmente, il Cigno Nero versava nello stesso stato di confusione.
Era bastato abbassare la guardia un poco e concedere a quell’attrazione irrazionale un istante di libertà ed entrambi si erano completamente sentiti smarriti di fronte a qualcosa che era loro e solo loro… Eppure, sembrava così pericolosamente troppo.
Shouyou non conosceva quelle emozioni e Tobio non sembrava saperle gestire meglio di lui. Anzi, forse il Cigno Nero era più in difficoltà di quanto il piccolo Corvo non fosse.
Shouyou, però, non si sentiva rassicurato da questo. Al contrario, avrebbe tanto voluto che qualcuno si presentasse e, senza troppi giri di parole, gli dicesse che cosa fare. Per quanto riguardava lui, vedeva un baratro in ogni direzione che gli era concessa seguire: cercare di fingere che non fosse cambiato nulla era impossibile e l’idea di lasciarsi andare a quelle emozioni sconosciute, totalizzanti era meravigliosa e spaventosa al tempo stesso.
Gli piaceva sentire Tobio vicino.
Gli piaceva avvertire quegli occhi blu su di lui.
Gli piaceva il modo in cui si gustava il suo odore… Anche perché non aveva il fiato per fare l’antipatico quando lo faceva.
Ma era tutto lì? Non c’era più di quello?
Shouyou ne dubitava e l’idea di scoprire che cosa vi fosse dopo, di esplorare quel mondo di cui Koushi gli aveva parlato raccontandogli di lui e Daichi e che Kei e Tadashi avevano conosciuto insieme, lo eccitava e terrorizzava al contempo.
Il primo problema pratico a quel punto era cercare di trasformare in parole quel delirio emozionale e far sì che Tobio lo comprendesse. Non sapeva se fosse più difficile la prima o la seconda fase.
L’odore nell’aria si stava facendo più forte. Tobio si stava avvicinando.
Un pensiero più lucido degli altri suggerì a Shouyou che c’era qualcosa di diverso in quello che sentiva rispetto al solito. C’era qualcosa di pungente, di fastidioso. Il piccolo Corvo storse il naso al pensiero che l’altro fosse andato a fare chissà cosa e stesse tornando al nido tutto sudato e maleodorante.
“Buongiorno…”
Spalancò gli occhi d’ambra, sebbene la testa gli suggerisse di restare sospeso nel dormiveglia ancora per un poco. Da quando Tobio aveva una voce tanto suadente? Non lo sapeva ma, a guardarlo, non pareva affatto sudato o maleodorante come aveva ipotizzato.
Al contrario, gli sorrideva con un’eleganza che Shouyou non avrebbe mai sospettato potesse possedere.
“Sei tornato…” Avrebbe potuto mettersi a sedere e salutarlo come si doveva ma sentiva le membra pesanti, come se dormisse ancora.
Tobio ridacchiò scivolando all’interno del nido con dei movimenti che Shouyou non credeva di avergli mai visto fare. “Certo che sono tornato,” disse spostandosi sopra di lui, in un’imitazione perfetta della posizione in cui si erano ritrovati il giorno precedente. “Ti mancavo?”
Shouyou inarcò le sopracciglia. Se non si fosse sentito tanto stanco, avrebbe fatto un lungo discorso su quanto l’espressione di Tobio fosse particolarmente idiota in quel momento. Troppo sorridente, troppo lasciva. Sembrava quasi stesse cercando di tentarlo a fare qualcosa di molto, molto sporco.
Strano… Decisamente strano…
Shouyou, però, aveva sonno e non aveva voglia di affollare la mente con altri pensieri da sommare a quelli che già lo tormentavano.
Si rigirò su di un fianco. “Voglio dormire…” Borbottò chiudendo gli occhi.
“Sei stanco?” Domandò Tobio ancora con quel tono di voce strano.
Shouyou lo sentì premere il naso contro il suo collo ma non ne fece un problema. Era troppo tardi per farne un problema. Era stato lui a concedergli il permesso, dopotutto.
“Uhm… Uhm…” Fu la sua unica risposta.
“Allora dormi,” sussurrò Tobio al suo orecchio.
Shouyou storse appena la bocca: era stata una sua impressione o lo aveva udito sibilare?
“Ci sono io qui.”
Qualcosa lo accarezzò sulla guancia. Qualcosa di caldo, umido, vibrante
“Mi prendo cura io di te, piccolo Corvo.”
Che strano…
La mano di Tobio era stranamente fredda quando si posò sulla sua ala.
“Sei delizioso, piccolo mio.”
Shouyou aprì gli occhi, sebbene con estrema fatica. Non ebbe il tempo di porsi domande su quell’assurda situazione. Non ne ebbe nemmeno per comprenderne la natura. Ad un certo punto, seppe solo che il fanciullo che lo toccava non era Tobio. Parlava con la sua voce, indossava il suo aspetto ma non era Tobio.
Aveva compiuto un altro errore fatale e, come era accaduto con i Cacciatori al fiume, lo aveva compreso troppo tardi.
Il destino, però, lo aveva promesso a qualcuno.
L’illusione venne spezzato dal grido di un rapace. Un’Aquila, forse?
Shouyou non lo seppe mai. Qualcosa si schiantò contro il nido ed il letto di muschio andò in mille pezzi sotto di lui. Precipitò nel vuoto e non riuscì ad aprire le ali per rendere la caduta meno rovinosa. Tornò completamente in sé solo dopo essere atterrato sul terreno erboso.
Fece male… Fece maledettamente male ma le ossa rimasero tutte al loro posto.
C’era il caos intorno a lui.
Un caos provocato da corpi che si schiantavano contro gli alberi abbattendoli con la mera violenza della collisione. Il rapace continuava ad urlare ed il sibilo che aveva avvertito nella voce di Tobio era divenuto un rumore chiaro e costante, come le grida di guerra di una vipera che viene afferrata per il collo.
”Hai mai visto un Serpente?”
Shouyou recuperò completamente la lucidità con quel pensiero.
Spalancò occhi e bocca e comprendere la situazione in cui si era ritrovato gli spezzò il respiro.
“Tobio…” Chiamò boccheggiando. “Tobio…”
Chi altro sarebbe venuto a salvarlo, dopotutto?
Vide qualcosa di nero muoversi freneticamente alla sua destra e comprese che stavano lottando.
Tobio ed il Serpente stavano lottando.
Gli occhi d’ambra si accesero di speranza come, finalmente, Shouyou riuscì a sollevare la testa per vedere la scena che si stava consumando di fronte a lui. Un istante dopo, desiderò di aver perso i sensi nella caduta.
Il Serpente era a terra. Shouyou poteva vedere la lingua lunga e biforcuta uscire dalla bocca spalancata in un’espressione minacciosa. Gli occhi erano gialli, rettili, terribili. Dimenava la lunga coda a terra cercando di risollevarsi, di avere la meglio.
La creatura dal manto corvino sopra di lui, però, non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Una mano ricoperta di piume nere e dotata di artigli afferrò il Serpente per la gola e lo tenne bloccato contro il contro dell’albero più vicino.
La scena si fece immobile. Shouyou sperò che, a quel punto, l’incubo si sarebbe infranto e si sarebbe svegliato.
Non accadde. Era già sveglio.
Il Serpente sorrise con fare sarcastico. “Oh, già…” Disse. “Dovevo aspettarmi fosse il tuo… Ha un odore tanto delizioso che…” Gli artigli si strinsero ancor di più sulla sua gola bloccandogli il respiro di colpo. Gli occhi fuori dalle orbite nel tentativo d’ingoiare aria. “Siete debole, mio Principe,” sibilò il Serpente con quel poco di voce che riusciva ad usare. “Un solo istante e di quel piccolo Corvo sarebbero rimasti soltanto gli scarti…”
Shouyou sentì un conato di vomito arrampicarsi su per la gola ma prese un respiro profondo e rimase concentrato sulla scena.
“Volete uccidermi?” Il Serpente rise isterico. “Volete uccidere chiunque vi metta i bastoni tra le ruote da bravo mostro quale siete? Lunga vita al Re tirann…”
Il collo del rettile si spezzo come un ramoscello secco sotto la pressione di quegli artigli.
Shouyou spalancò gli occhi portandosi una mano alla gola in un gesto meccanico.
La creatura ricoperta di piume corvine riadagiò il braccio lungo il fianco.
Il Serpente cadde a terra privo di vita.
Shouyou impiegò diversi istanti prima di riuscire a respirare di nuovo ma neanche allora la stretta al cuore lo lasciò andare, gli occhi d’ambra fissi su quella creatura senza nome. La stessa creatura che aveva visto per un intero inverno nei suoi sogni.
E, come in un sogno alle prime luci del mattino, tutto sfumò in realtà.
Le piume corvine cominciarono a cadere come le foglie degli alberi in autunno. Gli artigli sparirono lasciando il posto a due mani dalle dita affusolate.
Il mostro scomparve ed il Principe prese il suo posto.
Shouyou si sentì veramente al sicuro solo quando gli occhi blu di Tobio incontrarono i suoi.
“Stai bene?” Domandò.
La tunica che aveva addosso era strappata in più punti, la stoffa bianca sporca di sangue. Fu quel colore a destare il piccolo Corvo dal suo stato di trance. “Tobio!” Esclamò e si alzò in piedi come se non fosse appena precipitato da un nido correndo incontro al suo salvatore. “Sei ferito?” Domandò allarmato, le lacrime agli occhi. “Ti ha ferito? Ti ha morso? Sono velenosi o qualcosa del genere?”
Tobio lo guardava come se ad aver assistito a qualcosa d’incredibile fosse lui.
“Ehi!” Esclamò Shouyou disperatamente stringendo la stoffa sporca della tunica tra le mani. “Dove ti ha colpito? Fammi vedere! Stai perdendo sangue!”
Il Cigno Nero sospirò e gli afferrò i polsi. “Non è sangue mio,” lo rassicurò.
I loro sguardi s’incontrarono e rimasero immobili così per diversi istanti, come se non si vedessero da un sacco di tempo. Fu Shouyou ad allontanare gli occhi per primo e li portò sul Serpente morto ai piedi dell’albero. Gli occhi gialli erano spalancati, vuoti.
“Ehi,” Tobio gli prese il viso tra le mani obbligandolo a guardarlo di nuovo in faccia, poi distese l’ala destra per nascondere il cadavere alla sua vista. “Non guardare.”
Shouyou annuì, poi abbassò lo sguardo e lasciò che il Cigno Nero lo facesse voltare per impedirgli di vivere quella scena di morte anche solo per un istante di più. Sull’erba vi era ciò che rimaneva del nido.
“Mi dispiace…” Disse il piccolo Corvo. “Era tuo… Era…”
“Non me ne importa,” lo interruppe Tobio. “È stato un mio errore. Sono stato un idiota!”
Shouyou non comprendeva a cosa si riferisse, così continuò a giustificarsi. “Credevo fossi tu,” ammise. “L’odore era diverso ma avevo così sonno e…”
“Lo so,” lo interruppe Tobio. “Cercano d’imitare l’odore dei compagni degli adulti o dei genitori dei pulcini ma, in realtà, fanno respirare loro un veleno che li stordisce e li porta a vedere qualcosa che non hanno ragione di temere.”
Shouyou si strinse nelle braccia combattendo un brivido gelido. “Voleva mangiarmi?”
Tobio esitò un istante. “Sì…” Disse, infine. “Quello che attrae altri rapaci a te per l’accoppiamento, ha attirato lui per ragioni completamente diverse.”
“Oh…” Shouyou annuì. “Capisco…”
“Ehi…” Tobio gli strinse una spalla. “Tu sei ferito? Ti ha morso?”
Il piccolo Corvo scosse la testa.
“Sei terribilmente pallido, Shouyou.”
“No, io…” Shouyou a stento riusciva a parlare. “Io sto… Sto bene… Io…” Mosse un passo in avanti, poi un secondo. Alla fine, il tremore ebbe la meglio e le gambe non lo ressero più.
“Shouyou!” Tobio fu immediatamente al suo fianco. “Ehi, stupido! Devi dirmelo se ti fa male da qualche parte!”
Shouyou lo guardò, gli occhi grandi e pieni di terrore. Scoppiò a piangere come un bambino e Tobio si calmò immediatamente. Prese un respiro profondo. “Riesci a camminare?”
Il piccolo Corvo riuscì solo a scuotere la testa. Non si era ferito nella caduta ed il Serpente non aveva avuto il tempo di fargli alcun male ma sapeva che le gambe non lo avrebbe retto se avesse cercato di alzarsi in piedi.
“Mi dispiace… Mi dispiace…” Era tutto quello che riusciva a dire. Avvolse le ali nere intorno a sé, come se questo potesse bastare a proteggerlo da quel mondo piedi di pericoli che aveva voluto esplorare e fare suo con tanta euforia, senza sapere di essere completamente impreparato.
Il cuore martellante nel suo petto saltò un battito come si sentì sollevare da terra. “Aggrappati a me,” ordinò Tobio con voce ferma. “Ce ne andiamo via di qui.”
Gli occhi di Shouyou si fecero ancora più grandi. “Dove… Dove mi vuoi portare?”
“In un posto sicuro,” rispose Tobio aprendo le grandi ali nere. “In un posto in cui avrei dovuto portarti fin dal principio.”
 
 
***
 
 
Shouyou affondò il viso contro il petto di Tobio non appena il Cigno Nero spiccò il volo.
Ignorò l’odore di morte che rovinava il suo ed ignorò anche il sangue su suoi vestiti che finì per macchiare anche i propri.
Shouyou non seppe per quanto tempo volarono ma quando Tobio atterrò e trovò il coraggio di guardarsi intorno ancora una volta, si sentì come se fossero arrivati tanto lontano da non poter quantificare la distanza che avevano percorso. Era una speranza la sua. Voleva allontanarsi da quello che era successo il più possibile, anche se questo non sarebbe servito a cancellare le terribili immagini che infestavano la sua mente.
“Siamo arrivati,” lo informò Tobio.
Sì, Shouyou poteva vederlo benissimo da sé e, per un momento, la bellezza di quel luogo ebbe il potere di fargli dimenticare ogni cosa. Cercò gli occhi blu del Cigno Nero. “Posso camminare,” gli disse.
“Ne sei sicuro?”
“Sì,” il piccolo Corvo annuì per sottolineare il concetto. Tobio lo adagiò a terra con cura ma lo lasciò andare solo dopo essersi assicurato che l’altro riuscisse a mantenere l’equilibrio. Shouyou sentì la piattaforma di legno cigolare appena sotto il suo peso ma non se ne preoccupò. Erano all’interno della chioma di un albero ma, guardandosi intorno, l’unica cosa che Shouyou poteva vedere erano i fiori.
Erano sotto un’enorme cupola di fiori dai mille colori e, sotto di essa, vi era una casa. “È un nido,” disse accennando un sorriso. Guardò Tobio e gli abiti sporchi di sangue di lui gli ricordarono perché erano lì e la fugace allegria del momento scomparse in un battito di ciglia.
Tobio annuì. “Sì, è un nido.”
Shouyou strinse le labbra e cercò di rendere il peso che gravava sul suo cuore sopportabile prendendo un respiro profondo. Non voleva mettersi di nuovo a piangere. Tobio lo aveva portato fino a lì, qualunque luogo fosse, per il suo bene, dopotutto. Non voleva sembrare un ingrato. “È bellissimo,” disse, sebbene con voce flebile.
Sì, lo era davvero. Avrebbe anche potuto affermare senza titubanza che era il luogo più bello che avesse mai visto.
“Vieni,” disse Tobio superandolo. “Ti porto dentro.”
Il piccolo Corvo annuì e lo seguì su per le scale di legno. La casa era costruita tra i rami esterni e l’interno del tronco dell’albero ed i fiori facevano da padrone ovunque.
“Non è molto grande ma è sicuramente meglio del nido di prima,” commentò Tobio varcando l’arco d’ingresso.
Shouyou puntò gli occhi sgranati contro la sua nuca. Non era grande? Nemmeno la sala comune al Villaggio dei Corvi poteva reggere il paragone con quel nido. “È casa tua?” Provò a domandare.
Tobio si voltò. “In un certo senso…” Rispose.
Shouyou passò sotto l’arco d’ingresso a sua volta e si ritrovò in un ampio atrio. Vi erano dei balconi oltre le colonne di legno che sorreggevano la struttura esterna e vi erano delle porte dove il corpo dell’albero cominciava. Di fronte a lui, una grande scala di legno seguiva la curva naturale del tronco portando ad un piano superiore.
“Aspetta qui,” gli ordinò Tobio.
Shouyou era tanto incantato da quello che vedeva che non si preoccupò di chiedergli che cosa dovesse aspettare o dove stesse andando. Si limitò ad annuire e i grandi occhi d’ambra continuarono a divorare tutto quello che riuscivano a vedere.
Nidi come quello esistevano solo nelle belle storie di Koushi per lui e non si sarebbe mai sognato di poter mettere piede in un luogo simile. Quella scena era da sogno nello stesso modo in cui l’uccisione del Serpente era stata un’immagine da incubo.
Se si fosse svegliato in quel momento nella sua camera e si fosse reso conto di aver vissuto un sogno lungo settimane, Shouyou non se sarebbe stato poi così sorpreso.
Abbassò lo sguardo, vide il sangue sui suoi vestiti e percepì quell’odore immondo nitidamente.
No, non si sarebbe mai svegliato nel suo piccolo nido sicuro.
Aveva inseguito un sogno ed ora si ritrovava a vivere in una realtà che non gli apparteneva, tutto qui.
Era troppo tardi per scappare.
“Ehi, Shouyou…”
Il piccolo Corvo sollevò gli occhi e vide Tobio fermo a metà della rampa di scale che conduceva al piano superiore. Non indossava più vestiti sporchi di sangue. “Sali, avanti…”
Shouyou adocchiò il primo gradino di legno a pochi metri da lui ed esitò per troppo tempo.
“Ehi, mi hai sentito?” Domandò Tobio.
Si risparmiò gli insulti, quella volta ma l’irritazione nella sua voce era evidente.
Shouyou fece come gli era stato detto ma salì quelle scale un gradino per volta, come se avesse paura che l’intera struttura potesse crollare sotto i suoi piedi da un momento all’altro. Una volta arrivato di fronte a Tobio, l’espressione scocciata sul viso dell’altro era impossibile da non notare.
Shouyou s’imbronciò. “Che cosa c’è?” Domandò irritato. “Per te tutto questo sarà normale ma per me non lo è, va bene?”
Tobio non gli rispose e prese a salire i gradini che li separavano dal piano superiore. “Seguimi…”
In cima alle scale, la struttura non era poi così diversa dalla sua parte inferiore. Vi erano dei balconi sulla parte esterna e delle porte sul lato interno. Una di queste era aperta.
Al suo interno vi era una sala da bagno e, al centro della stanza, un velo di vapore si alzava dalla vasca di legno.
“Fai quello che devi,” disse Tobio premendo una mano contro la sua schiena per spingerlo all’interno della stanza. “Vado a prenderti dei vestiti puliti, poi ti do una mano a pulire via il sangue… Non è semplice come appare.”
Il Cigno Nero non aspettò una sua risposta. Socchiuse la porta e se ne andò.
Shouyou fece quel che doveva fare meccanicamente. Abbandonò i vestiti sporchi di sangue sul pavimento ed entrò nella vasca calda lentamente aspettando che le sue membra si abituassero al calore. Una volta seduto, si strinse le ginocchia contro il petto e fissò la superficie dell’acqua aspettando che Tobio tornasse.
Non dovette attendere molto.
Il suo odore che impregnava l’aria della stanza lo fece sentire immediatamente al sicuro. Si era fatto molto forte da quando lo aveva salvato ma Shouyou non percepiva alcun desiderio in quella sensazione. Era qualcosa di completamente inedito ma non aveva dubbi che fosse per lui.
Tobio non disse nulla mentre s’inginocchiava alle sue spalle.
Shouyou avvertì l’acqua muoversi mentre immergeva la mano e s’irrigidì appena come le dita umide dell’altro presero ad accarezzargli le ali. Il peso che sentiva sul petto si affievolì un poco: quelle erano le carezze di Tobio e si sentiva un idiota per non essere stato capace di vedere dietro l’illusione del Serpente non appena lo aveva toccato.
Erano uniche le mani di Tobio ed avremmo dovuto imparare a riconoscerle.
Tobio era unico e non solo per le sue ali da Cigno ricoperte di piume corvine o quel potere terribile che il piccolo Corvo gli aveva visto usare decine di volte nei suoi sogni, lo stesso con cui gli aveva salvato la vita due volte.
Sì, alla fine, Tobio era davvero l’ultima creatura che si era aspettato di trovare sul suo cammino.
“Tu sei il Principe della Foresta,” disse con un filo di voce.
Tobio, però, si fece rigido come se gli avesse urlato contro. Smise di toccarlo e Shouyou dovette stringere i pugni per non voltarsi e prendere quella mano tra le sue soltanto perché continuasse a farlo in qualche modo.
Il pavimento scricchiolò appena come Tobio si alzò facendo il giro della vasca. Quando tornò ad inginocchiarsi fu per guardare il piccolo Corvo negli occhi. “Sì,” rispose. “Sì, lo sono.”
Shouyou strinse ancor di più le ginocchia contro il petto. “Per questo eri tanto spontaneo di fronte al Re,” concluse. “Il Cigno con cui ti ho visto parlare quella notte era tua madre, il Consorte reale.”
Tobio annuì due volte.
Shouyou strinse le labbra ed un astio del tutto inedito gli incendiò il petto facendogli bruciare la gola. “Per questo non ti sei approfittato di me,” aggiunse con rabbia mal celata. “Sarebbe stato scomodo…”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Tu non vuoi toccarmi perché sono solo quello che sono,” sentì le lacrime pungergli agli angoli degli occhi. “Sono un piccolo Corvo di un Villaggio a valle. Un orfanello adottato senza titoli, né talenti…”
Tobio appoggiò il braccio al bordo della vasca e si sporse in avanti. “Che cosa diavolo stai delirando?” Domandò scandendo ogni parola.
Shouyou tirò su col naso. “Hai detto tu di esserti nascosto su quel nido per evitare che io ti trovassi,” gli ricordò. “Hai detto tu che saremmo stati insieme fino alla fine dell’estate ma che non avevi intenzioni di toccarmi.”
“Mi sembrava fossi d’accordo!” Sbottò Tobio.
“Lo ero!” Replicò Shouyou con forza ed alcune lacrime gli rigarono le guance. “Ma quello era ieri…”
Le guance del Cigno Nero si colorarono un poco e gli occhi blu si allontanarono da quelli d’ambra. “Sì,” gli concesse. “Quello era ieri.”
Shouyou lasciò andare un singhiozzo. “Perché non mi hai detto niente?”
Tobio lo guardò storto. “Non ti conoscevo. Che cosa pretendevi?”
“Forse…” Gli concesse Shouyou. “Ma dopo…”
Il Cigno Nero si alzò sospirando e gli diede le spalle. “Perché avrei dovuto?” Domandò. “Era solo una stagione, Shouyou! Solo una stagione!”
“E lo è ancora?”
Una domanda semplice. Una risposta troppo complessa.
Tobio si voltò e quegli occhi d’ambra pieni di lacrime non lo aiutarono in alcun modo. “Quando ti ho chiesto che cosa volevi che fossi per te non mi hai risposto,” gli disse.
“Nemmeno tu,” replicò Shouyou.
Tobio annuì. “Immagino che sia tutto quello che abbiamo in questo momento,” si umettò le labbra. “Io so chi sei ed ora sai chi sono io. Non c’è più nessun segreto. La risposta a quella domanda arriverà prima della fine dell’estate per entrambi o non arriverà affatto.”
Shouyou fissò la superficie dell’acqua per alcuni istante. “Ce ne è ancora una, in realtà.”
Tobio rimase in silenzio.
Il piccolo Corvo tornò a guardarlo negli occhi. “Ci sono tante storie sui Cigni Neri,” disse. “Tu quale di queste storie sei?”
Fu un errore. Gli occhi blu di Tobio si fecero immediatamente gelidi.
Shouyou chiuse stancamente i suoi. “Tobio…”
“Se non vuoi più stare con me…” Sibilò il Cigno Nero con astio.
Fu troppo da sopportare.
Il piccolo Corvo lo guardò con rabbia. “Ti ho detto questo?!” Sbottò. “C’è stato qualcosa nei miei gesti o nelle mie parole che ti abbia mai fatto pensare che la creatura che ha ucciso quel Serpente per difendermi fosse un problema per me?!”
Tobio sgranò gli occhi e fece un passo all’indietro, come se qualcosa lo avesse colpito con violenza al petto.
Shouyou piangeva ma non avrebbe mai abbassato lo sguardo. “Rispondimi!” Urlò. “L’ho mai fatto, Tobio?” Solo allora nascose il viso tra le braccia e sfogò nelle lacrime tutte quelle maledette emozioni.
Tobio allungò un braccio per toccarlo, per porre rimedio a quanto aveva fatto ma, alla fine, lo riadagiò lungo il fianco. “Sono un mostro,” disse.
Shouyou smise di singhiozzare e sollevò lentamente lo sguardo.
Tobio strinse le labbra ed inspirò profondamente dal naso. “Sono un mostro,” ripeté.
Il viso del piccolo Corvo si addolcì di colpo. Scosse la testa. “Mi hai salvato la vita,” gli disse. “Se fossi un mostro non lo avresti mai fatto…”
Tobio strinse i pugni e si costrinse a non replicare.
“Ti aiuto a vestirti…”
 
 
***
 
 
“E così questo è il nido che tuo padre ha fatto costruire per te e tua madre,” disse il piccolo Corvo con un sorriso passando la punta delle dita sulle lenzuola del grande letto in cui avrebbe passato la notte.
Tobio lo osservava appoggiato ad una delle colonne di legno del balcone. Gli occhi d’ambra erano luminosi mentre si guardavano intorno, pronti a divorare qualsiasi dettaglio. Forse, però, avrebbe dovuto dargli dei vestiti normali, invece di quella camicia da notte. Sì, desiderava che si riposasse ma, in quel preciso momento, il piccolo Corvo non se ne stava a letto ma vagava quasi saltellando per la stanza mentre la luce del sole di primavera provocava giochi di vedo e non vedo pericolosi sulla stoffa bianca.
Shouyou era minuto. Ad alta voce lo avrebbe semplicemente definito un nanerottolo ma, in verità, era una miniatura perfetta.
“Sì…” Rispose dopo troppi istante di silenzio. “Era un posto per loro due, lontano dalla corte, prima che arrivassi io. Mia madre è stato educato quasi come un Principe ma è cresciuto in un mondo di Umani e, alle volte, la vita al Nido delle Aquile era troppo per lui.”
Shouyou gli rivolse un sorriso furbetto. “Oh, adesso ho capito perché non mi hai portato qui fin da subito…”
Tobio sbuffò. “Non ti ho portato qui fin da subito perché non sapevo chi fossi e non volevo che scoprissi chi ero io.”
“Tu sei nato qui?”
“No. Sono nato nelle settimane più fredde del Grande Inverno ed i miei genitori non si sarebbero potuti permettere di tenere un uovo qui in quella stagione.”
“Oh!” Esclamò Shouyou. “Allora questo è il nido in cui ti hanno concepito!”
Il viso di Tobio divenne paonazzo e la sua bocca si contorse in una smorfia. “C-Che… C-Che cosa ti salta in testa, stupido?”
“Oh, andiamo!” Il piccolo Corvo rise. “I nidi servono a questo, no? Concepire e dare alla luce dei bei pulcini e dicono che la prima parte sia particolarmente divertente. Per questo mio fratello Kei non vedeva l’ora di costruirne uno per lui e mio fratello Tadashi…” Gli angoli della sua bocca si abbassarono di colpo. “Penso di aver appena immaginato una cosa che non avrei mai voluto pensare…”
Tobio si schiaffò una mano in faccia. “Ecco perché non sopporto questo posto.” Non era vero. “Ho sempre come la sensazione di star violando qualcosa che non mi appartiene…”
Shouyou si sedette in fondo al letto. “Ti hanno concepito qui?” Domandò con naturalezza.
“Certo che no, idiota!” Sbottò Tobio. “Questa è la mia stanza. Io non metto piede nella camera reale e non lo farai nemmeno tu!”
Shouyou s’imbronciò incrociando le braccia contro il petto, poi un pensiero molesto lo colse. “Quindi…” Mormorò. “Quando sceglierai il tuo Principe Consorte, sarà qui che…”
Tobio si chiese perché non aveva permesso a quel Serpente di divorarlo in un sol boccone. “Sì,” rispose quasi sibilando. “Quando accadrà… Accadrà qui.”
Shouyou si voltò a guardare quel letto come se fosse uno strumento di tortura. “Non è che non accetti la tua gentilezza ma…” Ingoiò a vuoto. “È un po’ inquietante dormire in un letto pensato per…”
“Pensato per cosa?” Lo interruppe Tobio esasperato. “È un letto! È pensato per dormire!” Prese la via della porta.
“E adesso dove vai?” Domandò Shouyou.
“A cercare qualcosa da farti mangiare!” Sbottò il Cigno Nero richiudendo la porta della camera da letto sbattendola.
Shouyou sbuffò. “Ma tu dimmi se dovevo essere destinato al Principe dell’antipatia!”
 
 
***
 
 
Calata la notte, Shouyou si fece visibilmente più teso.
“Che ti prende?” Domandò Tobio lasciando gli stivali accanto alla porta chiusa ed avvicinandosi all’armadio intagliato nella parete di legno alla ricerca di qualche vestito più comodo.
Shouyou se ne stava appoggiato ad una delle colonne, gli occhi d’ambra rivolti alla Foresta scura oltre la cortina di fiori. “È tutto così silenzioso di notte…” Commentò.
“Hai paura?” Domandò Tobio lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla.
Shouyou lo guardò. “No…”
Mentiva. Dopo quello che era successo con quel Serpente, non avrebbe più smesso di avere paura della Foresta, probabilmente. Tobio se ne accorse ma decise di non rigirare il coltello nella piaga. “Non ti accadrà nulla qui,” disse sfilandosi la tunica che aveva addosso. “Questa volta posso giurartelo.”
Fece per afferrare gli abiti da notte quando una manina un po’ fredda lo sfiorò sotto l’attaccatura dell’ala sinistra. Shouyou tracciò i contorni del segno a forma di Aquila sulla sua pelle e Tobio lo lasciò fare.
Il piccolo Corvo sorrise appena. “Avrei dovuto capirlo da qui,” disse. “L’hai ereditato da tuo padre, giusto?”
Tobio non si voltò. “Sì. È un segno che è passato a tutti i primogeniti della famiglia del Re... O, almeno, è stato così fino a me.”
“Anche tuo padre ce l’ha qui?” Domandò Shouyou curioso.
Quelle piccole dita lo solleticavano un poco ma Tobio avrebbe mentito se gli avesse detto di smettere perché gli dava fastidio. “No,” rispose. “Mio padre lo ha dietro la spalla sinistra, in bella vista.”
La piccola mano di Shouyou si allontanò dalla sua pelle e passò ad accarezzargli le piume nere. “Hai le ali di tua madre.”
Tobio lasciò andare un sospiro. “Non proprio,” rispose infilandosi una tunica pulita.
Shouyou prese ad allacciargli i bottoni sulla schiena senza che nessuno glielo avesse chiesto. “Alle volte, sembra che tu provi vergogna.”
“Che intendi?”
“Per le tue ali,” chiarì Shouyou. “Sono meravigliose. Perché dovresti vergognartene?”
Tobio ignorò deliberatamente il calore che sentì salirgli alle guance a quel complimento. “Hai detto di conoscere molte storie sui Cigni Neri.”
Shouyou scrollò le spalle finendo si allacciare i bottoni della tunica. “Sono storie…”
Tobio si voltò. “Quello che hai visto oggi era reale, però.”
Il piccolo Corvo sospirò stancamente. “Sei così deluso che la creatura in cui ti sei trasformato non sia un problema per me?”
“Forse…” Ammise Tobio scrutandolo con attenzione. “Sto cercando di capire se sei solamente uno stupido irrecuperabile o un completo folle.”
Shouyou decise di non offendersi e gli rivolse un ghignetto. “Folle mi sta bene!” Disse con allegria.
Il Cigno Nero distese una delle grandi ali e la guardò con un certo astio. “Questa è una maledizione…”
Il piccolo Corvo si fece serio. “Per quale motivo?”
“Ha fatto soffrire i miei genitori fin dal principio,” rispose Tobio.
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Takeru mi ha raccontato che siete stati entrambi dei bambini molto amati.”
Tobio non le negò.
“E sia tuo padre che tua madre sono venuti al nido per assicurarsi che fossi al sicuro. Se non è volere bene questo, non so che cosa sia…”
Tobio strinse le labbra ed abbassò lo sguardo con malinconia. “Vado a prendere delle coperte.”
Shouyou scosse la testa. “Non è necessario. Qui dentro è riparato, non sentirò freddo come al vecchio nido.”
“Per me,” chiarì Tobio. “Mi accomodo sul pavimento.”
Le piccole dita che lo avevano sfiorato fino a quel momento si strinsero intorno al suo polso e gli impedirono di fare un solo passo. “Non è necessario,” disse Shouyou con fermezza. “È il tuo letto…”
“Non ti lascio dormire in un’altra stanza dopo quello che è successo,” replicò Tobio.
“No, non credo ci riuscirei,” ammise Shouyou abbassando lo sguardo con vergogna. “Però… Però abbiamo dormito insieme per settimane. Non ho problemi a dividere un letto con te.”
Tobio gli sorrise con sarcasmo. “Prima ammettiamo a noi stessi che siamo legati da un’attrazione reciproca e che ci serve tempo per capire quello che siamo l’uno per l’altro e poi eliminiamo ogni confine dormendo nello stesso letto?”
“Sì,” rispose Shouyou con sicurezza.
Gli angoli della bocca di Tobio si abbassarono istantaneamente.
“Mi piace averti vicino,” ammise Shouyou, le guance rosse. “E so che piace anche a te, così…”
Il Cigno Nero seppe di essere divenuto paonazzo ma decise di fare come se nulla fosse.
“Se mi prendi a calci, ti scaravento fuori dal nido…”
Shouyou sorrise.
 
 
Definire la situazione imbarazzante non avrebbe reso l’idea ma Shouyou non sembrava soffrire di quella situazione quanto Tobio e, di fatto, non riusciva a stare un attimo zitto.
“Adesso che so la verità,” provò il piccolo Corvo. “Puoi raccontarmi qualcosa di te?” Era disteso su di un fianco, gli occhi d’ambra rivolti al balcone.
Tobio, invece, se ne stava sulla schiena con gli occhi blu rivolti al soffitto. Le lenzuola erano scivolate velocemente in fondo al letto per via del caldo estivo che cominciava a far sentire anche nelle ore notturne ma non gli dispiaceva: era un po’ meno intimo in quel modo, come quando dormivano insieme nel suo nido giocattolo.
“Che cosa vuoi sapere?”
Shouyou si girò sul fianco opposto per poterlo guardare. “Mi hai detto che il Consorte reale aveva un genitore umano e che era un figlio illegittimo,” disse. “Mi hai anche detto che Takeru è figlio di sua sorella.”
Tobio annuì ma non ricambiò lo sguardo. “È l’attuale governatrice di Seijou e fa le veci di mia madre. È sposata con il Comandante delle truppe da terra sue e di mio padre… Ah, è così che chiamiamo l’esercito di Umani al servizio del Nido delle Aquile.”
“Il Comandante è il padre di Takeru, quindi,” concluse Shouyou. “L’amico d’infanzia di tua madre di cui mi hai parlato.”
“Sì…”
“Perciò, un giorno, tu sarai signore sia della città di Seijou che del Nido delle Aquile e, quindi, Re della Foreste intera e di un mondo di Umani.”
Tobio annuì con aria grave. “Questo era il piano quando hanno fatto sposare i miei genitori per motivi politici.”
“Perché lo dici con quella faccia?”
Il Cigno Nero girò il viso per poter guardare il piccolo Corvo. “Hai detto di essere cresciuto in una famiglia felice, in cui i tuoi genitori si sono scelti e si sono voluti bene d’allora.”
Shouyou annuì. “Credevo fosse così anche per i tuoi,” ammise. “Nella Foresta non si parla altro di quanto il Re sia follemente innamorato del suo Consorte,” fece una smorfia. “Anche se non sembra un tipo molto appassionato ad una prima impressione…”
Tobio piegò un braccio verso la testa. “È vero... Quello che dicono è vero.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Tuo padre ama tua madre ma tua madre non ama tuo padre?”
“No…” Tobio storse il naso in una smorfia disgustata. “A giudicare dalle volte che scappano qui insieme senza dire nulla a nessuno, non credo che ci siano problemi di quel tipo.”
Shouyou ridacchiò. “T’imbarazza che i tuoi genitori siano ancora come una coppietta di novelli sposi?”
“Stia zitto…”
“A me farebbe piacere,” ammise il piccolo Corvo. “Voglio dire... Sì, è decisamente imbarazzante ma quando cresci e vedi i tuoi genitori lanciarsi quegli sguardi e poi augurare a tutti la buona notte sospettosamente presto, è rassicurante… Dopo tre figli grandi, di cui due sul punto di lasciare il nido, loro si amano ancora. Forse, non è come il primo giorno ma è comunque amore.”
Tobio rimase in silenzio per un po’, riflettendo su quelle parole. “I miei genitori non si sono scelti per amore…”
“Lo so,” disse Shouyou tristemente.
“So che per amore hanno avuto me, però,” aggiunse il Cigno Nero. “Ed è stato così anche per la sorella che avrei dovuto avere.”
“Sarebbe stata più grande di te, vero?”
Tobio annuì. “Sì,” mormorò tornando a fissare il soffitto. “Si sarebbe dovuta chiamare Tooru, come mia madre. Hanno scelto un nome per me solo dopo la mia nascita per paura che…” Non lo disse ma il piccolo Corvo comprese. “Io sono la loro voglia di continuare a vivere ancora, anche dopo tutti gli orrori della guerra…”
“Sai molte storie di quel periodo?”
“Non dai miei genitori. Non ne vogliono parlare… Come i tuoi, dopotutto.” Tobio si umettò le labbra. “Sono stati fortunati… I miei genitori, intendo. Non si sono scelti ma mi sono innamorati comunque. Tuttavia, non volevo che quella libertà fosse tolta anche a me,” confessò. “Per questo mi sono nascosto da te. Per questo ti ho tenuto a distanza.”
Shouyou accettò quella verità in silenzio, poi allungò una mano sfiorando con le dita il dorso di quella di Tobio.
“Sei ti ho fatto soffrire mi dispiace.”
“Non è colpa tua,” disse il Cigno Nero per la prima volta da quando quella storia era cominciata. “Non è colpa di nessuno… Non nel nostro caso.”
“Tu ti senti fortunato?”
“Eh?” Gli occhi blu fissarono confusi quelli d’ambra.
Le guance di Shouyou si colorarono appena. “Il destino ha scelto me per te,” disse. “Ti ha tolto questa libertà ma… Comunque vada a finire, ti senti fortunato ad aver incontrato me?”
Tobio non era certo di quello che Shouyou gli stava chiedendo.
Se voleva una rassicurazione sul fatto che, alla fine dell’estate, sarebbe stato compagni e sarebbero stati felici non poteva dargliela. Non sapeva cosa voleva. Nessuno dei due lo sapeva. Sapevano solo che volevano restare insieme… Almeno, ancora per un po’.
“Poteva andarmi peggio,” rispose Tobio con un sorrisetto sarcastico.
Shouyou s’imbronciò, gli tirò un calcio su di un fianco e tornò a rivolgergli la schiena.
“Idiota!” Esclamò il Cigno Nero
“Vai al diavolo!” Replicò il piccolo Corvo.
Nessuno dei due si accorse del sorriso che graziò entrambi i loro visi.



 

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Capitolo 5
*** Gli occhi degli amanti ***


V
Gli occhi degli amanti

 
 
 
Non fu il calore del corpo accoccolato contro il suo a svegliare Tobio e nemmeno i capelli ribelli che gli solleticavano il mento. In realtà, quando sollevò le palpebre e si ritrovò un’ala dalle piume corvine a pochi centimetri dal naso non ne fu particolarmente sorpreso né infastidito.
Nel sonno, Shouyou si era praticamente richiuso a bozzolo tra sue ali e le piccole dita artigliavano la federa del cuscino. Tobio abbassò lo sguardo: quella piccola mano gli sfiorava il petto e pensò che dovesse aver cercato un contatto fisico con lui per sentirsi al sicuro.
Non doveva essergli bastato considerando la posizione in cui si era addormentato.
Tobio ricordava di dormire in quel modo da bambino, durante i temporali più violenti. Era un modo di nascondersi istintivo per quelli della loro specie, tipico dei pulcini. Si umettò le labbra: quello che era successo con quel Serpente doveva averlo colpito più di quanto gli avesse mostrato.
“Piccolo idiota…” Sussurrò corrugando la fronte. “Devi dirmelo se hai qualcosa che non va.”
Fu lui a sentirsi un idiota nel rendersi conto che stava parlando ad un Corvo addormentato. Alzò gli occhi al cielo: non lo ascoltava nemmeno da sveglio, dopotutto.
Tobio riappoggiò la guancia al cuscino e fece per richiudere gli occhi e tornare a dormire ma qualcosa attirò la sua attenzione. Sollevò le palpebre ma rimase immobile, in ascolto.
Non si era reso conto di che cosa l’aveva destato pochi istanti prima ma era certo che non era stata la vicinanza di Shouyou. Ora, però, il piccolo Corvo non doveva essere una distrazione per i suoi sensi. Si sollevò su di un gomito lentamente lanciando un’occhiata alla balconata da sopra la spalla. Nulla sembrava muoversi dietro la cortina di fiori ma il suo istinto gli suggeriva una realtà ben diversa.
Si spostò lentamente, di poco e subito la piccola mano sul cuscino si spostò sul suo petto.
Coi nervi tesi, Tobio trasalì nel voltarsi e Shouyou si ritrasse tra i cuscini di riflesso. Fu quest’ultimo a parlare dopo un istante di pura immobilità. “Dove vai?” Domandò, le ali nere di nuovo ripiegate dietro la schiena.
Tobio scosse la testa. “Esco un attimo a prendere un po’ d’aria.” Era una bugia ma non sarebbe stato saggio informare Shouyou di una possibile minaccia che non riusciva ad identificare. Non quando non riusciva a dormire tranquillo nemmeno sapendosi all’interno del rifugio del Re della Foresta.
Tobio decise di scivolare giù dal letto senza dare ulteriori spiegazioni ma a Shouyou la sua scusa non bastò. “Tobio…” Lo richiamò mettendosi a sedere sul materasso.
Il Cigno Nero afferrò la tunica che aveva lasciato cadere sul pavimento la sera prima e la infilò senza preoccuparsi di allacciarla.
“Dici di voler prendere aria e poi ti rivesti?”
Arrivato di fronte alla cortina di fiori, il Principe si voltò con un’espressione scocciata. “Torna a dormire, avanti,” disse. “Non ti farò poltrire tutto il giorno quando sorgerà il sole.”
Shouyou s’imbronciò e si lasciò cadere tra i cuscini dandogli le spalle con fare stizzito.
“Antipatico…” Tobio lo sentì mormorare. Non gliene importò.
Aveva funzionato: fin tanto che si comportava normalmente, Shouyou avrebbe potuto credere a qualsiasi sciocchezza uscita dalla sua bocca. Quanta ingenuità… Come avesse fatto a rimanere vivo nella Foresta abbastanza a lungo da arrivare alla sua prima stagione degli amori non era un mistero ma un vero e proprio miracolo.
Tobio non aveva reso la vita facile ai suoi genitori e non sarebbe mai stato tanto egoista d’affermare il contrario ma almeno non li aveva costretti a tenerlo sempre per mano per paura che scambiasse una tagliola per un giocattolo.
Sbuffò e mise un piede fuori dalla camera da letto.
Non ebbe bisogno di cercare a lungo per individuare che cosa aveva messo in guardia i suoi sensi.
L’espressione sorpresa sul suo viso venne immediatamente sostituita da quella annoiata di un bambino che sa di star per ricevere una ramanzina che non ha alcuna voglia di ascoltare. A quindici anni come a sei, però, non aveva alcuna possibilità di scappare.
“Vostra Maestà…” Mormorò avvicinandosi al parapetto di legno della balconata.
Wakatoshi era nascosto tra le foglie dei rami più esterni e solo un occhio attento sarebbe riuscito a vederlo, nonostante le grandi ali sulla sua schiena.  “Stai bene?” Domandò il Re restando a distanza.
Tobio notò che l’espressione era la stessa di sempre, eppure aveva l’aria stanca. Annuì.
“Che cosa è successo?” Domandò Wakatoshi. “Io e Tooru siamo andati al tuo nido per provare a convincerti ancora una volta a tornare a casa col tuo piccolo Corvo.”
“Non è il mio piccolo Corvo,” disse Tobio con una smorfia.
Suo padre lo ignorò. “Abbiamo trovato il nido distrutto ed il cadavere di un Serpente. C’era del sangue a terra…”
“Stiamo bene,” lo rassicurò Tobio con tono incolore. “Il Serpente ha cercato di divorare Shouyou. Ci ho pensato io…”
Wakatoshi lo fissò.
Tobio si umettò le labbra. “Che cosa c’è?”
Wakatoshi uscì dal suo nascondiglio e camminò lungo il ramo per avvicinarsi alla balconata. Tobio non seppe spiegarsi il motivo ma sentì il bisogno d’indietreggiare. La gola era secca ed avvertiva una spiacevole sensazione allo stomaco, come di soggezione.
Non si sentiva così di fronte a suo padre da quando era bambino e gli veniva ricordato che papà non era solo papà. Non era facile per un figlio accettare che il proprio genitore fosse anche un Re e che, alle volte, le due cose dovessero scindersi per un bene più grande.
Tooru quel compromesso non lo aveva mai accettato. Wakatoshi era stato costretto a farlo per tutti e due.
Tranne in un’occasione: quando era nato il loro unico figlio e gli era bastata un’occhiata per sapere che avevano dato alla luce una creatura maledetta.
Tobio trattenne il respiro quando il Re scese dal ramo per poggiare gli stivali sul pavimento di legno della balconata. Si fissarono in un momento di tesa immobilità.
Il Principe fece per dire qualcosa ma il sovrano lo schiaffeggiò prima che pronunciasse anche solo una parola.
Per un lungo istante, Tobio non sentì assolutamente niente. La guancia gli pulsava dolorosamente, vero ma quello non era niente in confronto al suo sbigottimento. Si toccò il viso come se non riuscisse a credere che quel che era appena accaduto fosse reale, eppure quelle dite le aveva sentite abbattersi su di lui.
Era la prima volta che suo padre lo schiaffeggiava.
Quindici anni ed il massimo degli atti di forza che aveva compiuto contro di lui si riassumevano in una decina di occasioni in cui lo aveva sollevato di peso per costringerlo a seguirlo dopo che la ragione non era servita al suo scopo contro i capricci di un bambino.
Ne erano passate di stagioni, però, da quando suo padre riusciva a sollevarlo con tanta facilità ed anche da quando i suoi capricci non duravano più di mezza giornata per poi essere completamente dimenticati.
Ora, Tobio custodiva ogni momento di tensione in un’area remota del suo cuore nella convinzione che così non lo avrebbero toccato. Quello che otteneva era sempre l’esatto contrario.
Anche suo padre era così. Per questo non lo aveva mai sfiorato in quindici anni di vita.
Fino a quella notte.
“Perché non sei venuto da noi?” Chiese Wakatoshi riabbassando il braccio lungo il fianco. “Perché non sei tornato a casa? Perché ti sei nascosto qui?”
L’espressione di Tobio si fece dura. “È stato il tuo Consorte a suggerirmi questo posto!”
“Parla a bassa voce o sveglierai il tuo compagno.”
“Non è il mio compagno.”
Wakatoshi lo fissò. “Forse…” In realtà, non gli era affatto chiaro che tipo di legame ci fosse tra suo figlio e quel piccolo Corvo ma non si poteva negare che fossero costantemente insieme da settimane. Non aveva importanza quanto lo imbarazzasse. “Suguru, però, è convinto che lo sia, quindi…”
“Suguru?” Domandò Tobio storcendo il naso. “Il signore delle bisce?”
“Serpenti, Tobio. Sono Serpenti.”
“Sono creature disgustose che si cibano delle nostre uova, dei nostri piccoli e, alle volte, sono così idioti da provarci anche con i fanciulli!”
“Dovrai regnare anche su di loro, un giorno,” gli ricordò suo padre.
Tobio sospirò. “Sempre ammesso che diventerò Re.”
“Diventerai Re.” Affermò Wakatoshi con lo stesso tono con cui impartiva i suoi ordini.
Il Principe scosse la testa come a dire di lasciar perdere. “Che centra Suguru in tutto questo? Quel Serpente era nel mio territorio e fino a prova contraria, i rettili possono cibarsi anche di animali non senzienti. Quindi, non ho ragione di perdere tempo a giustificarmi. È venuto da te, per caso?”
“Sono andato io da lui,” rispose Wakatoshi. “Volevo vederci chiaro…”
“Credevi avesse cercato di uccidermi?”
“I Serpenti sono creature infime. Non sono veri alleati ma non ti conviene farteli nemici.”
“Chi ho ucciso?”
“Un reietto. Hai fatto loro un favore.”
Tobio lo guardò indignato. “È per un reietto che mi hai schiaffeggiato?”
Wakatoshi continuò a guardarlo freddamente. “Quello era per la tua testardaggine,” replicò. “Per il modo ridicolo in cui ti ostini a mettere in pericolo te stesso ed una creatura che dovresti proteggere. Tooru ha perso la testa quando…”
“Tooru perde la testa per qualsiasi cosa riguardi me!” Lo interruppe Tobio, poi si voltò. Per lui la discussione era chiusa.
“Tobio,” lo richiamò Wakatoshi e lo fece con voce tanto ferma che il fanciullo non poté fare altro che voltarsi. “Torna a casa.” Lo disse quasi gentilmente. “Io mi limiterò a chiedertelo a basta. Tooru non sarà altrettanto democratico quando non potrò trattenerlo oltre e deciderà di venirti a fare visita di persona.”
Seguì un lungo sguardo. Tobio ebbe come la sensazione che suo padre volesse aggiungere qualcosa. Forse, voleva spettinargli i capelli come faceva quando era bambino ma aveva smesso di permetterglielo da tempo e, a differenza di Tooru, Wakatoshi era sempre stato bravo a rispettare le sue scelte.
Fu Tobio a voltarsi per primo ed un movimento d’aria alle sue spalle lo avvertì che l’Aquila aveva spiccato il volo. Si voltò ancora una volta per nessuna ragione particolare ma, come previsto, non c’era più nessuno alle sue spalle.
Superò di nuovo la cortina di fiori ma, come di consueto, Shouyou non aveva fatto come gli era stato detto.
Tobio non sapeva se era una cosa reale o erano i suoi sensi resi più sensibili dalla stagione degli amori che glielo permettevano ma poteva vedere chiaramente ogni sfumatura dorata e color ambra delle iridi di Shouyou mentre lo fissavano con evidente delusione. Era rimasto disteso su di un fianco e non li aveva disturbati ma doveva aver udito ogni cosa senza ombra di dubbio.
“Io non capisco perché fai così,” disse.
Tobio sbuffò, si liberò della tunica e la lasciò cadere di nuovo sul pavimento. “Non c’è nulla da capire,” disse tornando sul letto. Si distese sulla schiena, piegò un braccio dietro la testa e prese a fissare il soffitto con tutte le intenzioni di riaddormentarsi.
Due dita lo solleticarono sul fianco. “Che cosa vuoi?” Domandò.
Shouyou scrollò le spalle continuando a far vagare la punta delle dita sulla pelle del Cigno Nero. “Sei nervoso, no?”
Tobio lo guardò. “E questo sarebbe il tuo modo per farmi rilassare?”
Shouyou si bloccò confuso. “Non funziona?”
“È quasi solletico,” commentò Tobio allontanandosi per sottrarsi a quelle dita.
Il piccolo Corvo si mise in ginocchio sul materasso. “Girati…”
L’altro lo guardò storto. “Eh?”
“Girati sulla pancia,” lo istruì Shouyou pazientemente. “Avanti…”
Tobio alzò gli occhi al cielo: assecondare quel piccolo stupido non era mai una saggia idea ma aveva un gran bisogno di dormire e sapeva che non lo avrebbe lasciato in pace se non avesse fatto come diceva. Sospirò e si rigirò incrociando le braccia sotto il viso, gli occhi chiusi.
Le dita calde di Shouyou tornarono a sfiorarlo ma sulla nuca. “Ti ha lasciato il segno.”
“Uhm?” Domandò Tobio con gli occhi chiusi. Sentì un dito premere con insistenza sulla guancia su cui si era abbattuto lo schiaffo di suo padre. “Ahi…”
“Doveva essere veramente arrabbiato,” commentò Shouyou tornando ad accarezzargli il retro del collo con la punta delle dita. Tobio non era certo che quel gesto potesse definirsi una carezza ma i brividi leggeri che gli provocava erano piacevoli, rilassanti.
Shouyou sospirò. “Tu, però, sei troppo arrogante con tuo padre.”
“Non mi faccio giudicare da un moccioso egoista che è scappato di casa.” Shouyou gli tirò un poco i capelli più corti sulla nuca e lo fece saltare. “Ahi!” Esclamò guardandolo storto.
Il piccolo Corvo lo fissò con severità. “Aveva perfettamente ragione,” disse. “Perché non sei andato da loro?”
Tobio lo fissò come se fosse completamente pazzo. “Perché dovevo rimettere insieme te?” Domandò sarcastico. “Mi fa piacere che tu sia abbastanza stupido da dimenticare le brutte esperienze dopo poche ore di sonno ma lascia che ti ricordi che nemmeno riuscivi a camminare quando sono venuto a soccorrerti e questo era il posto sicuro più vicino.”
Le dita di Shouyou scesero ad accarezzarlo sulla schiena, tra l’attaccatura delle ali. “Ascoltami… So che portarmi al Nido delle Aquile prima che ci sia chiaro cosa siamo l’uno per l’altro potrebbe essere complicato…”
“Complicato non rende nemmeno l’idea…”
“Ma penso che tu debba tornare a casa.”
Tobio s’irrigidì e fece per sollevarsi sui gomiti ma Shouyou piantò entrambe le mani sulla sua schiena per impedirglielo. “Stai fermo!” Esclamò.
“E dove ti dovrei lasciare?” Domandò Tobio irritato.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Pensavo che qui fosse sicuro…”
“Lo è!” Esclamò il Principe rilassandosi di nuovo contro il cuscino. “Sono io che non mi fido a lasciarti da solo!”
Il piccolo Corvo s’imbronciò ma continuò ad accarezzare la schiena del Cigno Nero con la punta delle dita. “Che vuoi che faccia?” Domandò sarcastico. “Che dia fuoco al nido?”
Tobio si rifiutò di guardarlo. “Non ci sono provviste qui. Dovresti andare a caccia per nutrirti e basta questo pensiero a non rendermi tranquillo.”
Le dita di Shouyou si fermarono per alcuni istanti, poi ripresero scendendo lungo la fossetta della colonna vertebrale. “Dovrò imparare a cavarmela da solo, prima o poi… Credo…”
Gli occhi blu cercarono quelli d’ambra ma il piccolo Corvo s’impegnò a non incrociare lo sguardo del Principe.
“Non mentre sei nelle mie mani,” replicò Tobio. “È una cosa che avrebbero dovuto insegnarti i tuoi genitori. Non è una cosa che s’impara dall’oggi al domani.”
Shouyou scosse la testa. “Mio padre portava Kei a caccia con lui, alle volte. Mio fratello non era molto interessato ma penso che Daichi abbia sempre guardato a lui come futuro leader del Villaggio dei Corvi.”
Tobio non si fece sfuggire la nota di malinconia nella sua voce. “Ti dispiace?”
Shouyou scrollò le spalle. “Non ho mai avuto la personalità di un capo, non ho mai preteso il contrario,” replicò. “Mia madre ha cercato di educare me e Tadashi. Con lui gli è andata bene, io ero il figlio ribelle. Troppo vivace per dare vita ad un nido, troppo fragile per proteggerlo. Credo che i miei genitori si chiedano da tempo che cosa ne sarà di me.”
Tobio si umettò le labbra. “I miei, invece, si fidano di me al punto che non lo sopporto.”
Shouyou lo guardò storto. “Fossi stato al posto di tuo padre, ti avrei dato quello schiaffo già alla cascata.”
Tobio sbuffò. “Tu non capisci…”
“Oh, capisco eccome!” Esclamò il piccolo Corvo. “Se mi fossi comportato coi miei genitori come tu ti sei comportato con i tuoi…”
“Non conosci i miei genitori. Non puoi giudicare.”
“Conosco te,” replicò Shouyou. “E non deve essere facile proteggerti, ancor più difficile di quanto sia proteggere me…”
“Io non ho bisogno di essere protetto da nessuno,” replicò Tobio. “Hai visto quello che sono realmente, no?”
I loro occhi s’incontrarono e Shouyou smise di toccarlo. “Sì, ho visto e continuo a non capire.”
Tobio sbuffò e si distese di nuovo sulla schiena. “Perché sei un idiota.” Chiuse gli occhi ma quelle dita birichine furono immediatamente tra i suoi capelli. “Shouyou, lasciami dormire…”
“È per via del tuo potere che non vuoi tornare casa?” Domandò il piccolo Corvo. “È successo qualcosa che ti ha spaventato e hai paura accada di nuovo?”
Tobio afferrò il piccolo polso e riaprì gli occhi. “Non è un potere,” replicò. “È una maledizione.”
“Ma perché?” Domandò Shouyou esasperato.
“Pensavo ti avessero raccontato delle storie sui Demoni dalle ali nere.”
Shouyou scrollò. “Si raccontano tante storie paurose ai bambini per farli stare buoni e lontano dalla Foresta.”
“Ma io esisto davvero.”
“E nei mesi in cui siamo stati insieme non mi hai mai toccato,” replicò Shouyou. “Hai usato il tuo potere solo quando si è trattato di proteggermi.”
Tobio prese a fissare il soffitto e non aggiunse altro.
Shouyou sospirò. “Tobio…”
“Uhm…”
“A me non importa,” disse il piccolo Corvo scuotendo appena la testa, “ed io non sono nessuno. Come può importare ai tuoi genitori?”
Tobio continuò a fissare il soffitto, un braccio piegato dietro la testa. “Mio padre ne ha ucciso uno…”
Shouyou sgranò gli occhi. “Di cosa?”
“Uno come me,” rispose Tobio. “È successo durante la guerra, prima che la Foresta fosse unita sotto una sola corona.”
Il piccolo Corvo rimase in silenzio per un lungo istante. “Ci sono tante creature con le ali nere…”
“Mio padre è un’Aquila, mia madre è un Cigno,” replicò Tobio. “Non potevo nascere con le ali nere, lo capisci? Non appena mi hanno visto, i miei genitori hanno capito subito che la maledizione che avevano sconfitto era ricaduta su di loro.”
Shouyou strinse le labbra. “Non mi pare che ti abbiano cresciuto come un mostro, però.”
“Avrebbero dovuto…”
“Quanto sei ingiusto!” Esclamò il piccolo Corvo lasciandosi ricadere tra i cuscini in modo da dare la schiena all’altro.
Tobio lo guardò storto. “Perché dici questo?”
Shouyou gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Sei davvero tanto stupido da pensare che se continui a spingerli via, alla fine, loro ti abbandoneranno sul serio?”
Il Cigno Nero non rispose ma il piccolo Corvo non si aspettava alcuna replica.
Ci misero molto tempo per riaddormentarsi.
 
 
***
 
 
Quando Tobio riaprì gli occhi, il sole era già alto.
La stanza era calda ma non in modo spiacevole. C’era un profumo dolce nell’aria ed il Cigno Nero sapeva che non era a causa dei fiori che erano tutt’intorno al letto. Nonostante fosse arrabbiato, Shouyou si era di nuovo addormentato contro di lui. Le ali corvine erano rilassate, ripiegate sulla schiena.
La punta del piccolo naso gli sfiorava il petto ed il piccolo corpo aderiva quasi completamente contro il suo.
Fosse accaduto poche settimane prima, Tobio lo avrebbe scostato da sé malamente e sarebbero finiti col litigare per il resto della giornata.
Erano successe molte cose, però, mentre la primavera intorno a loro si tramutava in estate ed il Principe aveva accettato il fatto che trattare male quel piccolo Corvo non sarebbe servito a rendere meno difficile la loro situazione.
Shouyou aveva le ciglia lunghe, le labbra socchiuse erano piene, ben disegnate.
Tobio si sollevò su di un gomito facendo il possibile per non disturbare il piccolo addormentato. Era la prima volta che lo guardava davvero.
La pelle era chiara quasi quanto la sua ma le gote erano sempre colorate da quella sfumatura di rosa che rendeva il suo viso più infantile di quanto non fosse. Erano praticamente coetanei ma le differenze tra loro erano evidenti.
Tobio sollevò la mano e sfiorò la frangia di capelli dal colore impossibile per meglio osservare il viso addormentato del piccolo Corvo.
Forse, col passare delle stagioni, Shouyou non lo avrebbe mai superato in altezza ma i lineamenti ancora morbidi si sarebbero modificati. Probabilmente, sarebbe divenuto un giovane dalla bellezza delicata.
Incantevole.
Pensò a Tooru e Wakatoshi, a quanto si era abituato a sentire chiunque dire quanto fossero belli insieme.
Tobio non si era mai posto il problema: erano i suoi genitori e non aveva ragione d’immaginarseli separatamente. Eppure, si ritrovò a chiedersi che cosa avrebbero detto di lui e Shouyou se li avessero visti insieme, l’uno al fianco dell’altro.
Il piccolo Corvo si mosse nel sonno e Tobio si fece prontamente indietro: ci mancava solo che l’idiota lo sorprendesse mentre lo guardava dormire.
Shouyou si coprì la bocca con la mano per nascondere uno sbadiglio. “Buongiorno…” Biascicò ancor prima di aprire gli occhi. Si stiracchiò e l’orlo della camicia da notte si sollevò mostrando quasi interamente le gambe nivee.
Tobio distolse lo sguardo tanto velocemente che si fece male al collo, poi sospirò: sarebbe stata un’altra lunga giornata. “Non riaddormentarti!” Esclamò alzandosi in piedi. “Ti porto in uno posto…”
 
 
“Wow!”
Tobio seppe di aver fatto la scelta giusta non appena udì quell’esclamazione e le sue labbra si piegarono in una smorfietta soddisfatta. Shouyou gli aveva raccontato di aver passato molto tempo al fiume a valle, insieme alla sua famiglia ma quel luogo aveva tutta un’altra bellezza.
Erano più in alto rispetto al rifugio dei suoi genitori, più vicini al Nido delle Aquile. Lì gli alberi non erano così alti e fitti e, girando lo sguardo, si potevano vedere tutte le montagne circostanti, comprese quelle più alte dalle cime sempre innevata. Il letto del fiume che scorreva di fronte a loro non era ampio come a valle ma l’acqua era cristallina e…
“Fredda!” Esclamò Shouyou ritraendo il piede.
Tobio aveva fatto in tempo a distrarsi pochi istanti che il piccolo Corvo si era già liberato degli stivali e arrotolato i pantaloni fino al ginocchio. Alzò gli occhi al cielo e fece appello a tutta la sua pazienza. “Ehi…” Disse avvicinandosi e infilando una mano tra i capelli ribelli dell’altro senza gentilezza. “Guarda lassù,” rivolse la testa del Corvo nella direzione che stava indicando. “Vedi la piccola cascata nella parete di roccia.”
“Sì…”
“È la fonte del fiume,” spiegò il Principe. “Da lì viene la stessa acqua in cui hai imparato a nuotare da bambino ed è naturale che sia fredda.” Lo lasciò andare.
Shouyou s’imbronciò immediatamente. “E come faccio a fare il bagno?”
Tobio alzò gli occhi verso il cielo. “Tra poco, il sole raggiungerà il punto più alto e farà molto caldo,” disse sedendosi sull’erba verde accanto alla riva.
Shouyou si accomodò accanto a lui. “Siamo praticamente sulla cima della montagna,” commentò guardandosi intorno. “Dov’è il Nido delle Aquile?”
Tobio indicò la fonte del fiume con un cenno del capo. “Poco dietro quell’altura,” rispose. “Nascosto tra gli alberi più vecchi ed alti della foresta.”
Shouyou annuì. “Quindi, potresti andare, fare un saluto e tornare in poco tempo.”
Il Principe sbuffò. “Non mi convincerai a tornare a casa.”
“Ma perché?” Domandò il piccolo Corvo esasperato. “I miei genitori, una volta, hanno detto qualcosa riguardo al fatto che questa è un’età ribelle ma io non mi sono mai comportato come te in questo momento, nemmeno quando mio fratello Kei mi faceva arrabbiare.”
Tobio lo guardò storto. “Sei completamente stupido o fingi di non capire?”
“Non tirare fuori di nuovo quella storia del Demone, per favore!” Esclamò Shouyou. “Non hai negato che ai tuoi genitori non importa assolutamente niente di quello che sei!”
“Perché i miei genitori sono idioti quanto te!”
“Ehi, porta rispetto!” Lo rimproverò il piccolo Corvo. “Oltre ad essere i tuoi genitori, sono anche i tuoi sovrani.”
“Ho sempre avuto problemi a vederli come dei sovrani…”
“Chissà perché non mi sorprende?”
“La pianti di parlare di questo?”
“No!” Esclamò Shouyou incrociando le braccia contro il petto. “Sì, va bene, io sono il primo ad essere scappato di casa e non sai quanto me ne pento!” Il Principe lo guardò storto ma lo ignorò. “Però, se i miei venissero a cercarmi e mi chiedessero tanto disperatamente di tornare a casa…”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Non mi parevano disperati.”
Shouyou sbuffò. “Perché il vero stupido qui sei tu!” Esclamò. “Non pensi a come devono essersi sentiti quando hanno trovato il tuo nido distrutto e quel Serpente morto? Tuo padre ha ragione, saresti dovuto andare da loro… Dopo esserti assicurato che io fossi al sicuro, magari ma dovevi andare da loro e rassicurarli. Se non fosse stata tua madre a consigliarti di andare al loro rifugio, non avrebbero avuto idea di dove trovarti!”
Tobio scrollò le spalle. “Conoscono questa Foresta come il palmo della loro mano.”
“Non ha importanza, Tobio!” Insistette il piccolo Corvo. “Quando ho smesso di essere arrabbiato con i miei fratelli, mi sono sentito un ingrato per come avevo ingannato mia madre la mattina in cui sono scappato. Daichi e Koushi non mi hanno dato la vita ma non sarei vivo se non fosse per loro.”
“E tu per poco non getti via tutto per inseguire uno stupido sogno…”
“Appunto!” Shouyou si sporse verso di lui. “Casa mia è a valle. La tua è dietro quell’altura. Che cosa ci sarà mai di così terribile da impedirti di andare lì, dire ai tuoi genitori che stai bene e che sei al sicuro e che resterai al loro rifugio fino alla fine dell’estate? Non t’incateneranno se ti vedranno…”
Tobio pensò a Tooru e al modo istintivo in cui era solito reagire ad ogni sua azione. Sì, il Consorte reale sarebbe anche stato capace di legarlo al ramo più alto del Nido delle Aquile se questo gli avesse fatto piacere. “Non conosci i miei genitori…”
“Ancora con questa storia?” Domandò Shouyou. “Conosco te, mi basta.” Tornò a guardare il fiume di fronte a loro. “Comincio ad avere caldo…” Aggiunse.
Tobio non fece in tempo a dire nulla che si ritrovò con una tunica in faccia. “Ma che…” Provò a dire liberandosi dall’indumento, solo per finire investito da un paio di pantaloni volanti. “Idiota!” Esclamò.
Da qualche parte davanti a lui, Shouyou ridacchiò. “Ah!” Esclamò poi. “Fredda! Fredda! Andiamo con calma…”
Quando Tobio tornò a guardare di fronte a sé, Shouyou si era immerso quasi fino alla vita.
Quasi…
Il filo dell’acqua giocava crudelmente con l’inizio delle due curve in fondo alla piccola schiena ed il fatto che teneva le ali sollevate non faceva che rendere quello spettacolo più facile da guardare.
Tobio si passò una mano tra i capelli con frustrazione. “Abbassa quelle ali!”
“L’acqua è fredda!” Esclamò Shouyou in risposta avanzando di mezzo passo per volta.
“Ti avevo detto di aspettare, idiota!”
Pochi istanti ed un getto di acqua gelida prese Tobio di sorpresa mentre cercava di ripiegare gli abiti del piccolo Corvo sull’erba. Scattò in piedi, il fiato bloccato in gola per il freddo improvviso. Boccheggiò con gli occhi spalancati per un lungo istante, poi una risata spezzò il silenzio e strinse i pugni con rabbia.
Tornò a guardare il Corvo nel fiume: Shouyou sorrideva divertito, i capelli ormai bagnati gli ricadeva in parte sul viso. Si era fatto coraggio e si era tuffato, poi aveva mosso le ali nell’acqua col chiaro intendo di bagnare il Cigno Nero rimasto sulla riva.
“Sembri un pulcino bagnato!” Esclamò Shouyou continuando a ridere.
“Senti chi parla!” Sbottò Tobio in risposta, poi gli rivolse un ghigno diabolico. “Aspetta lì…”
Shouyou si fece serio di colpo. “Che intenzioni hai?”
Tobio si liberò dei vestiti velocemente. “Tu aspetta e vedrai…”
“No! No! No!” Esclamò Shouyou protendendo le braccia di fronte a sé in un vano tentativo di difendersi. “Tobio, era uno scherzo! Solo uno scherzo… Ahahah!” Scoppiò a ridere nel momento in cui le mani di Tobio furono sui suoi fianchi.
Il Cigno Nero si fermò di colpo. “Soffri il solletico?” Domandò.
“No!” Esclamò Shouyou tra le risate. “No, lo giuro!” Negava l’evidenza
Tobio ghignò euforico, poi si mosse velocemente verso il piccolo Corvo cercando di afferrarlo di nuovo.
“No!” Esclamò Shouyou tentando di spingerlo via ed indietreggiando contemporaneamente. Tobio, però, era notevolmente più forte di lui ed i suoi arti erano abbastanza lunghi da permettergli di avere la meglio sul piccolo Corvo.
Shouyou continuò a ridere. “Tobio, avanti!”
“Ricorda,” Tobio sorrideva a sua volta, “è il più forte che decide le regole del gioco! Te l’ho già detto!”
Shouyou si raggomitolò per sfuggire alle mani implacabili del Cigno Nero come poteva. Non riusciva a smettere di ridere. Quando cercò di allungare i piedi sul fondo per riprendere fiato, però, si ritrovò a toccare il vuoto.
Tobio vide gli occhi d’ambra divenire enormi per la sorpresa un istante prima che la testa di Shouyou scomparisse sotto l’acqua. Ci fu un istante d’immobilità, poi si mosse velocemente. Fu difficile trovare la nuca del piccolo Corvo ed aiutarlo a riportare la testa fuori dall’acqua.
Shouyou prese a tossire aggrappandosi d’istinto alle spalle del Cigno Nero.
“Stai bene?” Domandò Tobio allarmato. “Mi avevi detto di saper nuotare, stupido!”
“So nuotare!” Esclamò Shouyou passandosi una mano sugli occhi. “Mi è mancata la terra sotto i piedi per un istante e non sono riuscito a reagire subito!”
Tobio sospirò. “Vieni, ti porto dove l’acqua è più bassa.”
Shouyou annuì circondando il collo di Tobio con le braccia e lasciandosi trascinare nell’acqua come se non avesse peso. Quando riuscì a poggiare di nuovo entrambi i piedi sul fondale, le piccole mani rimasero sulle spalle del Cigno Nero e questi non lo spinse via.
Erano insieme da mesi ma Shouyou poteva contarle sulle dita di una mano le volte che erano stati tanto vicini. Sollevò gli occhi d’ambra. “Sei alto…” Commentò sorpreso.
Tobio sollevò l’angolo destro della bocca in una smorfia. “Te ne sei accorto ora?” Domandò.
“Sono abituato a guardare tutti dal basso all’alto, non ho fatto particolarmente caso a quanta differenza ci fosse tra di noi!” Si giustificò Shouyou.
“I miei genitori sono ancor più alti di me,” disse il Principe. Sembrava essersi dimenticato delle sue mani ancora appoggiate sui fianchi del piccolo Corvo ma a questi non sembrava dare particolare fastidio.
Shouyou sorrise. “Sono stato di fronte a tuo padre ed è stato abbastanza angosciante.”
Anche gli angoli della bocca di Tobio si sollevarono. “Quando ero bambino, mi piaceva che fosse così alto. Mi dava l’impressione di essere sulla cima del mondo ma senza la paura di cadere.”
“Anche Daichi mi pareva un gigante quando ero piccolo,” il Corvo lasciò andare un sospiro. “Poi mio fratello Kei ci ha superato tutti in altezza. Credo sia anche più alto di te, sai? E tutti e due dovete ancora finire di crescere…”
“Anche tu,” gli fece notare Tobio. “Anche se non credo che arriverai molto più in alto.”
Shouyou s’imbronciò. “Ho le ali, non me ne faccio niente dell’altezza!”
Tobio sbuffò. “Perché devi prendere tutto come un’offesa?”
“Senti chi parla…”
“Sei minuto ma questo non significa che tu non vada bene anche così,” commentò Tobio con tono neutro ma l’espressione di Shouyou cambiò notevolmente. “Sei proporzionato. In miniatura ma proporzionato...”
A quel punto, gli occhi blu del Cigno Nero incontrarono quelli d’ambra del piccolo Corvo.
Shouyou aveva la testa reclinata da un lato e Tobio si sentì come una preda spinta allo scoperto dal suo cacciatore. “Che c’è?” Domandò.
Uno strano sorriso comparve sulla bocca di Shouyou. “Mi hai guardato così tanto, Tobio?”
Il Cigno Nero avvampò e fu improvvisamente cosciente delle sue mani sui fianchi del piccolo Corvo e le braccia di lui intorno al suo collo. Si fece indietro, forse un po’ troppo bruscamente.
Shouyou rimase con le mani sospese a mezz’aria, come alla ricerca di un appiglio. Lasciò andare un sospiro esasperato. “Tobio…”
“Lasciami in pace…”
Non lo avrebbe fatto neanche per sogno. Gli afferrò un polso. “Tobio!”
Gli occhi blu del Cigno Nero si fissarono nei suoi. Erano gelidi ma Shouyou aveva fatto i conti con quella freddezza abbastanza tempo da non farsi intimidire. Gli rivolse un sorrisetto. “Sei più bello di tuo padre.”
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “E questo cosa significa?”
“C’è qualcosa che mi ricorda lui sul tuo viso,” aggiunse il piccolo Corvo sfiorando la guancia del Principe con la punta delle dita. “Forse il tuo sguardo, le tue espressioni…”
Tobio si rilassò di colpo. “Anche Tooru dice qualcosa di simile,” replicò. “Poi aggiunge che sono altrettanto stupido e un bruto come mio zio.”
Shouyou ridacchiò prendendo a giocare con le corte ciocche corvine che incorniciavano il viso del Principe. “Non conosco tuo zio ma se la parola che lo descrive bene è antipatico, allora io ed il Consorte reale andremo molto d’accordo.”
Rude,” disse Tobio con una smorfia. “La parola preferita di Tooru è rude.”
“Lo chiami per nome anche in sua presenza?”
“Solo per farlo arrabbiare,” rispose Tobio scostando un ciuffo bagnato dal viso del piccolo Corvo. “Era poco più grande di me quando mi ha avuto. Molti scherzano che sembriamo due fratelli e lui se ne sente lusingato, così io ne approfitto per rovinargli la festa.”
“Proprio come ho detto: antipatico.” Ridacchiò. “I miei a diciotto anni avevano tutti e tre.”
“Tu a chi somigli?” Domandò Tobio.
Shouyou scrollò le spalle. “Adottato, ricordi?” Disse. “Non assomiglio a nessuno…”
“Nemmeno io assomiglio in modo particolare ai miei genitori,” ammise Tobio. “Ci sono dei dettagli qua e là ma nulla di più.”
“Il Consorte deve essere molto orgoglioso delle tue ali, però,” replicò Shouyou. “Saranno nere ma sono eleganti come quelle di nessun altro della nostra specie.”
Tobio si fece di nuovo serio ed allontanò la mano del piccolo Corvo dai suoi capelli. “La smetti di lodare le mie ali?”
Shouyou scosse la testa. “Dammi una buona ragione!” Esclamò divertito.
“Quante volte mi devo trasformare per darti una buona ragione?” Domandò Tobio.
Il piccolo Corvo si fece improvvisamente serio. “Se dovessi trasformarti ti guarderei almeno quanto ti guardo ora,” confessò e le guance si fecero rosse per l’imbarazzo. “Mi piace quando mi guardi e mi piace guardarti. L’abbiamo già superata questa fase, non negare più la realtà, ti prego.”
Tobio arrossì, s’imbronciò e portò lo sguardo altrove.
Shouyou sorrise, poi si voltò e s’immerse nell’acqua nuotando distrattamente. “È bellissimo qui,” disse alzando gli occhi d’ambra verso la fonte del fiume. “Grazie per avermici portato.”
Tobio restò a guardarlo. “Ci sono tanti bei posti in questa Foresta.”
Erano luminosi gli occhi di Shouyou nel guardarlo. “Abbiamo ancora tutta l’estate per noi,” disse. “Mi porterai a vederli?”
Tobio scrollò le spalle ed uscì dall’acqua.
Shouyou smise di sorridere mentre lo guardava.
Il Cigno Nero s’infilò i pantaloni, poi prese il mantello che aveva abbandonato sull’erba e lo tenne sollevato. “Coraggio, esci,” disse preoccupandosi di voltare il viso di lato. “Devi mangiare qualcosa. Sarai anche minuto per natura ma sei troppo gracilino per questa Foresta.”
Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Un istante di normale conversazione e puff, come per magia, torna ad essere antipatico.” Uscì dall’acqua stando ben attento a non staccare gli occhi dal profilo di Tobio. Si lasciò avvolgere nel mantello del Principe, le sue mani restarono sulle sue spalle più a lungo del dovuto.
Il piccolo Corvo sollevò lo sguardo e trovò gli occhi blu del Cigno Nero ad attenderlo.
Perché, sì, Tobio stava attendendo qualcosa e lo stesso valeva per Shouyou.
Di che cosa si trattasse era un mistero per entrambi.
“Non puoi fissarmi così,” disse il piccolo Corvo con una smorfia.
“Perché no?” Domandò Tobio con arroganza.
“Hai voltato lo sguardo mentre uscivo dall’acqua.”
“E con questo?”
Shouyou si umettò le labbra. “Non ne so molto, vero ma immagino che avrebbe più senso guardarli senza vestiti quelli da cui si è attratti, no?”
Tobio si sporse in avanti, i loro nasi si sfiorarono. “Sono un Principe,” replicò posando una mano sotto il viso del piccolo Corvo per tenerlo sollevato. “Mi hanno insegnato che gli amanti bisogna guardarli negli occhi.”
Da principio, fu solo un timido sfiorarsi di labbra.
Erano giovani, non sapevano come fare e quella non era un’arte a cui i loro genitori avevano potuto educarli o prepararli. La stagione degli amori esisteva per quella ragione, per permettere ai giovani amanti d’imparare insieme come amarsi.
Il piccolo Corvo si rigirò tra le braccia del Cigno Nero permettendo a quelle labbra sempre imbronciate di graziare le sue. Erano morbide, calde. Non se l’era aspettato.
Tobio si allontanò per primo e Shouyou sollevò le mani per aggrapparsi a qualcosa e tenerlo vicino a sé ma toccò solo la pelle bagnata del suo petto. “Aspetta… Aspetta…” Disse allora, quasi disperatamente. Sentiva le guance calde ed il cuore gli doleva un poco ma Tobio non si mosse. Le sue labbra gli sfiorarono la fronte ed il piccolo Corvo chiuse gli occhi affidandosi a quel calore e alla stretta solida di quelle mani forti sulle sue spalle.
Nessuno dei due ebbe il coraggio di cercare gli occhi dell’altro ma andava bene così.
Non si stavano guardando ma non erano mai stati più vicini.
 
 
Il sole era sceso dal punto più alto nel cielo.
Tobio nemmeno si era allacciato i pantaloni nel stendersi sull’erba verde all’ombra di uno degli alti abeti. La sua tunica era addosso a Shouyou, dopotutto. Il resto dei loro vestiti era stato accuratamente ripiegato e poggiato sulle radici dell’albero.
Il piccolo Corvo si era accomodato sul mantello umido distendendosi prono, le ginocchia piegate, i piedi che si muovevano in aria e le piccole dita che percorrevano la lunghezza del braccio del Cigno Nero in una carezza a fior di pelle. Prima in basso e poi in alto, solo per scendere di nuovo.
In quel momento, a Tobio parve molto più rilassante di quanto lo fosse stato la notte prima.
Forse, perché non stavano parlando.
Nessuno dei due sembrava averne una gran voglia. Per il Principe non c’era nulla di strano ma per il piccolo Corvo era un evento fuori dall’ordinario. Tobio non sentì il bisogno di sottolinearlo, però: stava bene in quel silenzio, con le dita di Shouyou a tenerlo attaccato alla realtà mentre la sua mente gli suggeriva solo di chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Avrebbe anche potuto addormentarsi così.
Poi, però, la mano del piccolo Corvo smise di toccarlo e quel silenzio perfetto venne spezzato da una risatina mal trattenuta. Tobio si voltò a guardare il fanciullo accanto a sé ma Shouyou aveva nascosto il viso tra le braccia per non farsi sentire, le piccole spalle scosse dalle risate.
“Perché stai ridendo?”
Gli occhi d’ambra si sollevarono per primi, poi Shouyou si fece coraggio e fece leva sui gomiti. Il viso era arrossato, le iridi luminose ed il sorriso tremulo. Scoppiò a ridere un istante più tardi.
Tobio s’irritò immediatamente. “Si può sapere che cosa c’è di così divertente?” Non avrebbe dovuto usare quel tono ma il piccolo Corvo non si fece intimidire. Si sporse in avanti e gli diede un bacio sulla guancia che lasciò Tobio completamente senza parole, oltre che imbarazzato. Le guance si accesero e Shouyou rise ancora ma non c’era nulla di maligno in quel suono cristallino.
Tobio imbronciò le labbra e fece per alzarsi.
“No! No! Fermo, Tobio!” Shouyou si spostò sopra di lui senza preavviso facendogli battere la testa contro il terreno. “Oh! Scusa!” Aggiunse immediatamente il piccolo Corvo massaggiandolo sulla cima della testa ma gli angoli della sua bocca erano ancora rivolti verso l’alto.
A Tobio sarebbe bastato uno sforzo minimo per sollevarlo di peso e rimetterlo al suo posto ma decise che non ne aveva voglia. Non era mai stato un tipo pigro ma in quel preciso momento, con il corpo di Shouyou sul suo, la brezza estiva ed il rumore dell’acqua del fiume in sottofondo, ci si sentiva infinitamente.
Portò le dita ai fianchi del piccolo Corvo muovendole in senso circolare senza nessun particolare motivo.
Piano, piano, eh?” Disse Shouyou divertito tamburellando l’indice contro il suo naso. “Un passo alla volta…”
Tobio alzò gli occhi al cielo e lasciò andare un sospiro, il piccolo stupido rise di nuovo. “Potevi scansarti…”
“Non ne avevo voglia!” Affermò Shouyou senza imbarazzo.
“Se volevi che ti baciassi, allora, avresti dovuto dirlo subito!”
Shouyou gonfiò le guance. “Ma tu sentilo, l’antipatico!” Esclamò indignato. “Hai fatto di tutto per farti odiare!”
Tobio lo guardò storto. “Mi pare che fossimo d’accordo.”
Shouyou scrollò le spalle. “Lo eravamo anche prima… Poco fa, intendo…”
Il Principe avrebbe voluto sbattere la testa da qualche parte così, forse, avrebbe smesso di girare vorticosamente per le troppe emozioni e per i pensieri che esse portavano. “È finita, dunque?”
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Che vuoi dire?”
“Vince il destino…” C’era della malinconia nella voce del Cigno Nero.
Il piccolo Corvo sorrise con pazienza. “Non puoi averla sempre vinta tu,” disse appoggiando la fronte alla sua. “Il destino è una forza che va al di là di noi…”
Tobio lo guardò con fare minaccioso. “Ma io non sento di aver perso contro il destino. Io sento di aver perso contro di te,” ribatté come un bambino indignato.
Souyou rise di nuovo aprendo le ali nere e sbattendole senza nessuna ragione.
“Che stai facendo, stupido?” Domandò Tobio. Il piccolo Corvo si sollevò in piedi ed il Cigno Nero si chiese subito se non era stato troppo sgarbato a parlargli in quel modo dopo quello che era successo.
”Rude, Tobio-chan! Sei rude!”
Scosse la testa scacciando la voce di sua madre prima che lo irritasse troppo.
Shouyou, però, era tutto men che ferito o deluso dalle sue parole. Sollevò un piede e toccò l’acqua della riva quasi per gioco, poi si voltò con una mezza piroetta. “Niente,” rispose. “Sono felice!”
Fu in quel momento che Tobio seppe che non si sarebbe mai dimenticato quell’estate per tutta la vita.
La stagione era appena cominciata e stava tradendo se stesso un po’ di più ogni minuto che passava ma gli occhi di Shouyou brillavano più del sole nel cielo in quel momento e sulle sue labbra non c’era il sorriso solare ed un po’ infantile con cui l’aveva conosciuto ma era un’espressione più intima, più profonda.
Ma quello che davvero lo accese fu il pensiero che sarebbe potuto andare lì, rubare quel sorriso con un bacio e Shouyou glielo avrebbe permesso. Perché lo voleva anche lui.
Lo fece.
Tobio si alzò e portò la mano al viso di Shouyou.
Non riuscì a fare sue quelle labbra, però.
Si voltò di colpo verso gli alberi, i muscoli tesi, i sensi amplificati.
Shouyou se ne accorse e posò una mano sulla sua spalla. “Tobio…”
“Resta dietro di me,” disse il Principe facendo due passi in avanti.
“Che cosa c’è?” Domandò Shouyou con voce tremante. “Che cosa senti? Tobio?”
Il Cigno Nero non rispose, gli occhi fissi tra gli alberi alla ricerca del predatore di cui avvertiva la presenza. Sperò che fosse lì solo di passaggio, che non li avesse visti o, almeno, che non fosse interessato a loro. Non voleva sentirsi costretto a mostrare ancora una volta a Shouyou il mostro che nascondeva dentro.
Non adesso… Pensò. Non voglio ricordare anche questo giorno come maledetto! Non voglio!
Shouyou gli strinse la mano come qualcosa si mosse tra i cespugli.
Per assurdo, quello ebbe il potere di calmare un poco il cuore impazzito di Tobio: nessun predatore degno di tale nome avrebbe mai commesso l’errore di farsi vedere prima di un attacco.
“Che diavolo…?” Mormorò confuso.
“Tobio?” Lo chiamò il piccolo Corvo al suo fianco.
Il loro assalitore uscì allo scoperto un istante più tardi e lo fece con un gran sorriso ed una sacca da viaggio appesa alla spalla. “Tobio!” Esclamò allegramente. “Mi pareva che fossi tu!”
Il Cigno Nero rilassò immediatamente le spalle. Shouyou rimase nascosto dietro di lui lanciando occhiate confuse allo sconosciuto.
“Takashi…” Mormorò Tobio genuinamente sorpreso.
Il piccolo Corvo sgranò gli occhi. “Lo conosci?” Domandò a bassa voce.
“Oh! Sei in compagnia!” L’uomo si avvicinò.
Non c’erano ali sulla sua schiena e questo sarebbe bastato a convincere Shouyou a scappare a gambe levate ma Tobio pareva tranquilla e l’uomo aveva un aspetto amichevole. Si piegò anche per guardarlo meglio. “Sei un amico di Tobio?” Domandò.
Shouyou arrossì fino alla punta delle orecchie ed uscì allo scoperto. “Ehm… Sì?”
L’uomo, Takashi, sorrise. “Non pare convinto…” Disse rivolgendosi a Tobio.
Il Principe scrollò le spalle. “È scappato di casa, io l’ho trovato. Passiamo insieme l’estate.”
Takashi annuì. “Oh, un altro fuggiasco come te…”
Tobio s’imbronciò. “Non sono un fuggiasco.”
Shouyou rise. “Sì, lo sei!” Esclamò.
Il Cigno Nero lo guardò storto.
Il sorriso di Takashi, invece, si fece malinconico. “Quindi trovarti qui non significa che sia cambiato qualcosa, eh?”
Tobio annuì. “È così,” disse. “Vivo al rifugio di Wakatoshi e Tooru, ora.”
L’uomo si passò una mano tra i capelli e si fece più vicino. “Ancora con questo vizio di chiamarci tutti per nome.”
Shouyou reclinò la testa da un lato: adesso che lo vedeva bene, era piuttosto alto, più di Tobio.
Si tolse la sacca da viaggio di spalla. “Gradite uno spuntino?”
Lo sguardo del piccolo Corvo s’illuminò. “Oh, sì! Grazie!”
Tobio alzò gli occhi al cielo ma non disse niente.
 
 
Pranzarono insieme parlando di tutto e niente.
Tobio lasciò che Shouyou chiacchierasse quanto voleva stando attendo a possibili domande scomode a cui Takashi avrebbe dato delle risposte fastidiosamente sincere. Non accadde.
Fu una semplice chiacchierata basata sul niente e Tobio rimase in silenzio per la maggior parte del tempo.
Solo quando ebbero finito di mangiare, Takashi rivolse al giovane Principe un sorriso e questi intuì che non se ne sarebbe andato semplicemente come era venuto. Prese un respiro profondo. “Tra poco rientriamo,” disse a Shouyou. “Vai a cercare delle legna per il fuoco di stasera.”
Il piccolo Corvo non si mosse subito. Lanciò un’occhiata all’uomo senza ali, poi si alzò in piedi con un sorriso comprensivo. “Farò con molta calma,” disse nel tentativo di fargli capire che aveva recepito il messaggio.
Tobio si limitò ad annuire.
Rimasti soli, Takashi lasciò andare una risata. “È molto intuitivo.”
“Quando vuole…” Replicò Tobio. “È un piccolo stupido la maggior parte del tempo.”
“E a te piace…”
Tobio lo guardò e il sorriso di chi la sapeva sul viso dell’uomo non gli piacque affatto. “Neanche un po’.”
Takashi rise. “Non dovresti guardarlo e parlarne come tua madre faceva con tuo padre per convincermi.”
“No, basta con queste vecchie storie…” Mormorò Tobio con tono dolorante.
“Da bambino ti piacevano.”
“Da bambino non le capivo.”
“Non è vero,” replicò Takashi. “Eri semplicemente innamorato dei tuoi genitori al punto che ascoltavi tutte le loro storie indipendentemente da cosa raccontassero.”
Tobio portò lo sguardo sull’acqua che scorreva accanto a loro. “Era Tooru a raccontare storie per lo più,” fece una smorfia al ricordo, “con lui come indiscusso protagonista. Poi arrivava Wakatoshi che con quel suo fare neutro ed ingenuo affermare non è andata così. Tooru dava di matto quando rovinava le storie delle sue grandi imprese in quel modo.”
“Ti manca?” Domandò Takashi.
“Non sono più un bambino…”
“Non è una risposta pertinente alla mia domanda.”
Tobio tornò a guardarlo. “Stai andando da loro?”
Takashi annuì. “Pensavo di passare la stagione calda con la mia famiglia,” disse. “Tutta la mia famiglia.”
Il Principe strinse le labbra. “Io sono al rifugio,” disse, “insieme a Shouyou. Non credo staremo mai lì durante il giorno: lui dice di voler vedere la Foresta. Al tramonto, però…”
“Torna a casa, Tobio.” Takashi non ci girò troppo intorno ed il Cigno Nero sapeva che sarebbero arrivati a quel punto. Aveva voluto parlare da solo con lui proprio quello.
Il giovane scosse la testa. “Non è così semplice…”
“A meno che Wakatoshi non ti abbia esiliato e non lo farebbe mai… Lo è…”
“Ti sbagli,” replicò Tobio guardandolo dritto negli occhi. “È successa una cosa… C’è stato un incidente…”
“Tu e Tooru?” Domandò Takashi.
Il Cigno Nero annuì.
“Tobio…” L’uomo sospirò. “Tu e Tooru litigate da quando tu avevi sei mesi.”
“Non essere ridicolo,” il fanciullo si passò stancamente una mano tra i capelli neri.
“Me lo ricordo come se fosse ieri!” Esclamò Takashi divertito. “Era il compleanno di Tooru e Wakatoshi aveva deciso che durante i festeggiamenti ci sarebbe stata anche la tua presentazione ufficiale come Principe della Foresta. Doveva essere il giorno di gloria di Tooru e tu non hai fatto altro che chiuderti a bozzolo nelle tue ali! Il vostro primo litigio!”
“Questa volta non è una cosa così,” spiegò Tobio. “Non è la solita modalità: lui che mi provoca, io che reagisco…”
“Hai cominciato tu questa volta?”
“Te l’ho detto. È successo un incidente?”
Takashi sorrise. “Cosa può essere mai capitato per…” Smise di parlare, si fece serio di colpo. “Tu hai…?”
“Sì,” Tobio annuì. “Non ne voglio parlare.”
“Qualcuno si è…”
“Tooru,” lo interruppe il Cigno Nero. “Non qualcuno. Tooru, solo Tooru.”
Takashi non parlò per qualche istante.
“Capisci ora?” Domandò Tobio. “Capisci perché non posso tornare a casa?”
L’uomo si passò una mano dietro al collo. “Wakatoshi non mi ha detto nulla. Pensavo che sia tu che Tooru godeste di ottima salute.”
“È così,” confermò Tobio.
Takashi inarcò un sopracciglio.
“Non è…” Il Principe di umettò le labbra. “Non è accaduto nulla d’irreparabile, per fortuna.”
L’uomo lasciò andare il respiro che aveva inconsciamente trattenuto. “Tobio…” Lo rimproverò per lo spavento che gli aveva fatto prendere. “Credevo che tuo padre mi avesse nascosto qualcosa di grosso per non farmi preoccupare.”
“Siamo stati fortunati,” ammise Tobio, “ma la fortuna non passa mai due volte…”
Takashi annuì. “E pensi che scappare di casa sia la soluzione?”
“Non voglio far del male a nessuno,” concluse Tobio. “A meno che non sia un nemico. Non voglio far del male a qualcuno del Nido delle Aquile senza rendermene conto, men che meno un membro della mia famiglia.”
“Immagino che, qualunque cosa sia successa, Tooru e Wakatoshi se la siano dimenticata velocemente.”
“Troppo velocemente,” commentò Tobio con una smorfia. “Sono mesi che vengono a cercarmi. Mi tengono sotto controllo e, alle volte, tentano di convincermi a tornare sui miei passi. Negano la realtà. Fingono che non sia successo nulla ma io non posso.” Scosse la testa e strinse le labbra. “Non posso…” Avvertì una spiacevole sensazione in fondo alla gola e agli angoli degli occhi ma non sarebbe scoppiato a piangere di fronte a quell’uomo, né di fronte a nessun altro. “Sono due idioti…”
“Porta rispetto ai tuoi genitori, ragazzo,” la voce di Takashi non era più così gentile.
Per un attimo, Tobio ebbe come l’impressione di star guardando in faccia suo padre.
“Sei parte di una grande storia, Tobio,” aggiunse Takashi, “e tu non ne conosci neanche la metà. Sai quello che ti hanno raccontato i tuoi genitori ma vivere il momento è tutta un’altra storia.”
“Non ho mai preteso di sapere cosa abbia significato per Wakatoshi e Tooru rendere questa Foresta un posto sicuro.”
“Non sto parlando della guerra, Tobio,” replicò Takashi. “Sto parlando della loro storia. No, non ti serve sapere che i primi tempi tra di loro furono difficili, anche se lo hai sentito ripetere spesso e sempre dalle persone sbagliate. Voglio, però, che tu ponga attenzione ad una delle storie della tua infanzia… Quella di cui hai compreso le sfumature solo di recente, crescendo.”
“È la mia vita,” sottolineò Tobio con freddezza.
“Sì, ma non hai idea di quanto i tuoi genitori abbiano sofferto per dartela,” disse Takashi altrettanto duramente ma con voce tranquilla. “Nessuno ti ha mai vietato di essere quello che sei. Non sei schiavo di tuo padre e tua madre, a differenza di molti altri figli. A differenza di come era Wakatoshi, mio malgrado.”
Il Principe sapeva a cosa si riferiva, conosceva il nome della donna che né lui né suo padre nominavano mai. Tooru non condivideva lo stesso timore e, al contrario, accompagnava quel nome coi peggiori insulti che conosceva. Poco importava che si trattasse del suo predecessore: la Regina del Nido delle Aquile.
“Tooru è la miglior cosa che gli sia mai successa ed è stato Tooru a dargli te. Sei arrivato dopo tante perdite, Tobio. Sei ciò che ha ridato loro la vita quando la guerra rischiava di essere ciò che li avrebbe feriti per sempre senza, però, ucciderli. Ci sono due immagini che non dimenticherò mai: quella dei tuoi genitori quando hanno perso la loro prima bambina e loro due che mi mostrano te per la prima volta. La differenza tra questi due ricordi è la stessa che vi è tra la morte e la vita, Tobio.”
Il Cigno Nero non disse niente.
Takashi tornò a sorridere gentilmente. “Se non tornerai a casa, verranno a cercarti loro per tutta la vita,” disse. “È nella loro natura, ne so qualcosa… Loro non hanno paura di ciò che sei, Tobio. L’unico a vedere il mostro e a temerlo sei tu.” L’uomo attese ma, ancora una volta, il giovane rimase in silenzio. Sospirò. “E il piccolo Corvo?” Domandò. “È il tuo compagno?”
Tobio evitò la scenata isterica in cui negava ogni cosa: gli faceva male la testa dopo tutto quel lungo discorso. “Dovrebbe diventarlo…” Rispose con sincerità.
Takashi inarcò le sopracciglia. “Tuo padre ha organizzato un matrimonio per te?” Domandò.
Tobio scosse la testa. “Mio padre non centra,” una smorfia, “l’ha deciso il destino.”
L’uomo parve non capire ma non chiese oltre. “Shouyou, ho capito bene?”
“Sì, Shouyou.”
“Lui lo sa?” Domandò Takashi. “Del mostro di cui hai tanta paura?”
“Lo ha visto,” rispose Tobio e l’altro lo fissò preoccupato. “Ho dovuto uccidere un Serpente l’altro giorno.” Confessò. “Mio padre mi ha assicurato che non ci saranno conseguenze. Sembra che abbia fatto un piacere a Suguru o qualcosa del genere.”
“Ti ha attaccato?”
“Ha cercato di divorare Shouyou mentre non c’ero.”
Takashi annuì. “E che ha detto?”
“Chi?”
“Il tuo piccolo Corvo… Che cosa ha detto quando ha visto chi sei?”
Tobio sbuffò. “Lui è più stupido di Wakatoshi e Tooru. Ho ucciso davanti a lui e dice che non gli importa niente.”
Takashi rise. “Ne hai trovato uno all’altezza di Tooru, eh?”
Il Principe lo fissò orripilato. “Eh?”
“Hanno entrambi gli occhi grandi e molto espressivi. Ci hai fatto caso?”
“No,” mentì Tobio. “Ti assicuro che è altrettanto rumoroso, però… Se non peggio!”
“E i tuoi genitori che ne pensavo?”
“Non l’ho…” Il Principe voltò lo sguardo altrove. “Non l’ho mai portato al Nido delle Aquile.”
Takashi sbatté le palpebre un paio di volte. “Tooru e Wakatoshi non l’hanno ancora conosciuto?”
“Mio padre non ha le idee chiare sulla nostra relazione e Tooru… Più a lungo sta lontano e meglio è. Takeru è l’unico a conoscere qualche dettaglio.”
“Oh! Allora sono onorato!” Esclamò Takashi. “Sono il primo ad aver conversato con il futuro Principe Consorte.”
Tobio aprì la bocca per cercare di spiegare che la situazione era molto più complessa di quella che pareva ma, in fin dei conti, se Wakatoshi non brillava per intelligenza lo doveva pure a qualcuno. Si limitò a schiaffarsi una mano in faccia con fare esasperato.
“Tobio!”
Vedere Shouyou uscire di nuovo allo scoperto con un intreccio di legno e foglie ben più grosso di lui tra le braccia spinse Tobio a chiedersi che cosa aveva fatto di male per essere circondato da tanti idioti.
“Così può andare bene?” Domandò il piccolo Corvo, il viso celato dietro la montagna di rami che sorreggeva.
Il Cigno Nero alzò gli occhi al cielo e si sollevò in piedi per aiutarlo.
Takashi parve sorpreso. “È forte per essere così minuto,” commentò.
“Grazie!” Rispose Shouyou allegro mentre l’altro fanciullo lo liberava dal peso tra le sue braccia. Tobio notò che era sporco di terra dalla testa ai piedi: avrebbe dovuto preparargli un altro bagno una volta tornati al rifugio.
“Ospitiamo Takashi per la notte?” Domandò il piccolo Corvo.
Tobio guardò l’uomo senza ali ma questi scosse la testa. “Sono diretto al Nido delle Aquile, ragazzino,” spiegò. “Mi aspettano lì prima del tramonto ma informerò i reali di avervi incontrato sulla mia strada. Ne saranno felici.”
Tobio non poteva immaginare quanto Tooru sarebbe stato felice di sapere che praticamente tutti i membri della loro famiglia avevano conosciuto Shouyou men che lui.
“Oh, sei amico dei reali in persona!” Esclamò il piccolo Corvo incantato.
Tobio lo fissò indignato. Tu ne hai baciato uno! Avrebbe voluto urlare ma non poteva farlo davanti a Takashi.
L’uomo rise rimettendosi in spalla la sua sacca da viaggio. “Sì, una specie di amico di vecchia data,” rispose spettinando affettuosamente i capelli del Corvo. “Abbi pazienza col nostro Principe, piccolo Shouyou. Può essere ruvido al tatto ma è il genere di uomo capace di essere leale per tutta la vita, se riesci ad ottenere la sua fiducia.” Si rivolse poi al Cigno Nero. “Rifletti su quello che ti ho detto. Spero che quando ci rivedremo sarà a casa, insieme a tutta la famiglia.”
Tobio si limitò ad annuire: prolungare quel discorso ulteriormente sarebbe stato del tutto inutile.
Nell’andarsene, Takashi sollevò la mano in segno di saluto e Shouyou agitò la sua con allegria.
“Che brava persona…” Commentò una volta che furono rimasti da soli. “È un amico dei tuoi genitori? Sembrava che tu lo conoscessi da molto tempo.”
“No,” rispose Tobio rinnovando la stretta sulla legna. “È mio nonno…”
Shouyou annuì un paio di volte, poi sgranò gli occhi e guardò il Cigno Nero al suo fianco. “Tuo nonno?!” Esclamò.
“Non urlare!”
“Ma… Ma…” Il piccolo Corvo boccheggiò. “Potevi dirmelo che era tuo nonno! Pensavo fosse un… Non lo so, qualcuno della Città di Seijou perché non ha…” Si fermò per un istante a riflettere. “Non ha le ali.”
Tobio continuò a guardarlo con espressione indecifrabile. “È il padre di mio padre,” spiegò. “Il signore del Nido delle Aquile prima di lui.”
Shouyou si fece improvvisamente serio. “Che cosa è successo alle sue ali?”
Tobio si addentro nella Foresta. “Ti ricordi quando ti ho detto che nessuno è mai stato tanto forte da sopravvivere senza ali?” Domandò. “Mentivo…”
Ma quella era una storia che gli avrebbe raccontato un’altra volta, in un giorno senza sole, magari ed in cui non avrebbe avuto voglia di tornare al rifugio solo per poterlo baciare di nuovo.
 




 

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Capitolo 6
*** Un pessimo bugiardo ***


VI
Un pessimo bugiardo
 
 
Non c’era nulla di strano nel fare il bagno insieme, pensava Tobio. Shouyou aveva già visto tutto quello che c’era da vedere il giorno in cui si erano incontrati e quel pomeriggio al fiume non avevano certo avuto i vestiti addosso.
No, non c’era nulla di strano nel fare il bagno insieme se potevano dormire nello stesso letto senza nessuno spazio a dividerli. C’era dell’assurdo nel fatto che nessuno dei due provasse il ben che minimo imbarazzo, però.
“Quindi Takashi è il padre di Wakatoshi,” ricapitolò Shouyou ad alta voce. “Mentre i genitori di tua madre…”
“Non ci sono più,” concluse Tobio massaggiandogli i capelli con più forza per lavare via il sapone.
Il piccolo Corvo lo guardò storto. “Mi fai male!” Esclamò.
“E non starti sempre a lamentare!”
In fin dei conti, ognuno aveva occupato la sua parte di vasca e non si stavano nemmeno sfiorando. Non c’era ragione di provare imbarazzo se non si stavano toccando, no?
“Tua nonna, invece?” Domandò Shouyou di colpo. “La presunta moglie di Takashi?”
“Perché dici presunta?” Domandò Tobio annoiato. “Cosa credi? Che mio padre sia spuntato da sotto un cavolo per caso?”
Shouyou ridacchiò. “Da piccolo credevo davvero che le uova si trovassero così. Me lo aveva raccontato Kei per prendermi in giro ma io non lo avevo capito.”
“Il solito idiota…”
“Ehi!”
“Non so molto di mia nonna, a dire il vero,” ammise Tobio allontanando le mani dai capelli ora puliti del piccolo Corvo. “Credo che lei mi abbia visto ma io non mi ricordo nulla di lei.”
Shouyou lo guardò tristemente. “È morta durante la guerra, per caso?”
I suoi genitori non gli avevano raccontato molto ma prima che le Aquile unissero tutta la Foresta sotto una singola corona, non c’era luogo all’ombra di quegli alberi che potesse definirsi sicuro. Gli anziani del Villaggio dei Corvi non mancavano mai di ripetere ai fanciulli quanto fossero fortunati a potersi vantare della loro libertà.
Shouyou non si era mai illuso di poter capire quello di cui parlavano. La guerra non era una cosa che gli apparteneva. Tutti i pulcini della sua generazione e di quella di Tobio erano figli di quegli eventi e, probabilmente, non era potuto crescere con i due Corvi che lo avevano messo al mondo proprio a casa di questi ma non era un pensiero su cui si era soffermato spesso. Koushi e Daichi erano i suoi veri genitori. Senza di loro non sarebbe vissuto e tanto bastava.
“No,” rispose Tobio con voce atona. “Mio padre l’ha esiliata prima della fine del Grande Inverno.”
Gli occhi di Shouyou si fecero enormi. “Come?”
“Hai capito, non farmi ripetere.”
“Ma… Ma…” Il piccolo Corvo non riusciva a credere alle proprie orecchie. “Ha esiliato sua madre. La moglie di Takashi! Tua nonna!”
“Non c’è bisogno che mi riassumi l’albero genealogico della mia famiglia, scemo.”
“Ma… Ma…”
“La pianti di balbettare?”
Shouyou prese un respiro profondo. “È che io associo il concetto di madre a Koushi e… Non saprei davvero come sarebbe la mia vita senza di lui. Se mai tornerò… Voglio dire, quando tornerò a casa non so dove troverò il coraggio di chiedergli scusa per averlo ingannato quella nostra ultima mattina insieme…”
Tobio sospirò. “Ti avrà già perdonato.”
Shouyou lo fissò. “Come fai a saperlo?”
Il Principe scrollò le spalle. “Perché i genitori perdonano,” rispose. “Anche quando è stupido farlo. Loro perdonano e basta… Ha dell’assurdo ma è così.”
Il piccolo Corvo sollevò un poco l’angolo destro della bocca. “Stiamo parlando di te, ora?”
Gli occhi blu di Tobio si fecero gelidi e voltò lo sguardo altrove, verso le alte finestre coperte da una cortina di fiori. “Mia nonna non era un genitore così,” cambiò discorso. “Lei… Credo abbia fatto qualcosa di orribile ai miei genitori. Non ho mai scoperto cosa, non ho mai voluto chiedere.”
Shouyou annuì. “Capisco. Il passato dei genitori è una cosa pericolosa.”
“È stata la prima a volere che Wakatoshi sposasse Tooru,” spiegò Tobio. “Solo per ragioni completamente diverse da quelle di mio nonno o mio padre…”
“Che significa?” Domandò Shouyou. “Un matrimonio combinato è un matrimonio combinato, no?”
Tobio si passò una mano tra i capelli neri e questi rimasero tirati indietro scoprendogli il viso.
Il pensiero che gli stessero bene attraversò la mente di Shouyou ancor prima che potesse realizzarlo ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.
“Diciamo che mio padre accettò di sposare mia madre per dare conferma di volere una pace duratura con Seijou,” spiegò il Principe.
“Attraverso di te,” aggiunse Shouyou.
“Questo era il loro disegno: il loro primogenito sarebbe stato signore sia del Nido delle Aquile che della Città di Seijou.”
“E tua nonna non era d’accordo.”
“Di fatto, non sarebbe cambiato nulla. Mia madre avrebbe dovuto dare alla luce un erede e questo erede avrebbe unito i due popoli ma era il suo messaggio ad essere diverso.”
“Che messaggio?”
“Il matrimonio dei miei genitori non era un atto di pace, seppur politico, per lei. Era un gesto di sottomissione delle Aquile nei confronti di un Regno di Umani.”
Shouyou storse la bocca. “Tua madre è un Cigno.”
“Per errore,” spiegò Tobio. “L’unico figlio maschio del Re di Seijou è nato da una relazione con un Cigno, tutto qui. Tooru non era uno di loro quando è arrivato al Nido delle Aquile. Le sue ali erano solo la scusa comoda per cui renderlo il promesso sposo di Wakatoshi ma era ed è tutt’ora un Principe di un Regno di Umani, capisci?”
Shouyou annuì. “Continua,” lo incitò, come se gli stesse raccontando una bella storia.
Tobio smise di guardarsi intorno per tornare a guardarlo negli occhi. “Quello che sto per dirti non mi è stato mai confermato dai miei genitori, sono solo cose che penso di aver capito da frasi lasciate a metà dagli amici più vicini alla mia famiglia. Mio zio Hajime e Satori in particolar modo.”
Shouyou sbatté le palpebre nell’udire quel nuovo nome. “Chi è Satori?”
“Uno dei più vecchi amici di mio padre. Un pazzo.”
“Il modo in cui parli della tua famiglia, Tobio, non ha eguali. Sarai un ottimo ambasciatore, senza ombra di dubbio,” disse Shouyou con sincero sarcasmo.
Tobio ghignò. “Quando lo conoscerai sarai il primo a dirmi che ha l’aspetto di un completo folle.”
“Tuo zio è normale, almeno?”
“Hai conosciuto Takeru, no?” Tobio scrollò le spalle. “Mio cugino è a posto. Mio zio è un grande uomo. Dubito che Tooru sarebbe divenuto un adulto senza un amico come lui. Wakatoshi gli affiderebbe la vita mia e di mia madre senza battere ciglio. Lo ha anche fatto durante la guerra ma io non posso ricordarlo.”
Shouyou annuì due volte. “Tuo zio è un tipo a posto, bene. Torniamo a tua nonna.”
Tobio si umettò le labbra. “Da quello che ancora dicono di lei al Nido, ho dedotto che la sua idea era educare Tooru ad arte per farlo vivere nella sua ombra. Secondo i suoi piani, Tooru avrebbe dato alla luce l’erede e lei l’avrebbe cresciuto ed educato come preferiva.”
Lo sguardò di Shouyou s’indurì. “Che crudeltà è mai questa?”
Tobio scrollò le spalle. “Come se Tooru avesse mai potuto accettare un compromesso simile,” disse. “Immagino che mia nonna pensasse che, giovane e completamente solo in una corte praticamente nemica, Tooru non avrebbe potuto fare altro che affidarsi a lei, fino a vederla come una persona amica.”
Shouyou ridacchiò. “Non credo sarebbe mai caduto in una trappola del genere.”
Tobio lo guardò confuso. “Non lo conosci nemmeno.”
“Conosco te,” rispose Shouyou con un sorriso. “E dubito che l’orgoglio che ti ritrovi venga solo da tuo padre.”
Suo malgrado, Tobio non poté negare nulla. “Sì, l’orgoglio è una prerogativa della mia famiglia.”
Shouyou ridacchiò. “Perché entrambi i tuoi genitori sono nati per essere Re. Tu non potevi essere nulla di diverso.”
Tobio sentì un nodo stringergli la gola a quelle parole ma lo ingoiò a forza e cercò di nascondere alla meglio il turbamento che lo aveva colto. “In ogni caso, mia nonna non aveva calcolato una cosa.”
“Cosa?”
“Che mio padre s’innamorasse veramente di mia madre e che questo suo sentimento fosse ricambiato. La madre del Re è una figura di potere ma non può nulla quando è lo stesso sovrano a dare più importanza alla voce del proprio Consorte.”
Gli occhi di Shouyou brillavano. “Wow… Hanno fatto fronte comune e sono divenuti forti insieme.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Perché devi rendere tutto così favoleggiante?”
“Perché lo è!” Esclamò il piccolo Corvo. “Voglio dire, quante possibilità c’erano che due Principi perfettamente sconosciuti, obbligati a restare insieme per motivi politici, sviluppassero un sentimento sincero l’uno per l’altro?”
“Non lo so,” rispose Tobio. “Quante possibilità c’erano che io e te ci baciassimo sotto il sole d’estate?”
La leggerezza della conversazione si dissolse nel tempo di un respiro.
Non c’erano intenzioni maligne dietro le parole di Tobio e Shouyou lo capì immediatamente ma, sì, aveva ragione: quante possibilità c’erano che un Corvo scappato di casa ed un Cigno Nero, Principe della Foresta e di un Regno di Uomini, potessero condividere quel magico momento che era stato solo loro?
Forse, la risposta era proprio in quello: la magia.
Shouyou accennò un sorriso. “La loro è stata una favola,” disse Shouyou. “E anche la nostra lo è.”
La sua conclusione era tanto ingenua da essere terribilmente infantile ma Tobio non aveva risposte migliori con cui sostituirla, quindi si limitò ad annuire. L’acqua della vasca cominciava a farsi fredda. Si alzò senza preavviso e Shouyou voltò immediatamente lo sguardo, le guance rosse.
Tobio alzò gli occhi al cielo ma evitò di commentare il gesto. Prese uno degli asciugamani puliti e se lo avvolse intorno alla vita, poi ne afferrò un altro aprendolo e voltando lo sguardo altrove. “Non ti guardo, muoviti.”
Shouyou sorrise ed uscì dall’acqua.
 
 
Tobio fu il primo a rivestirsi, poi aspettò in corridoio che Shouyou facesse lo stesso.
“Ho pensato a quello che mi hai detto,” disse con la porta socchiusa a dividerlo dal piccolo Corvo.
“Devi essere più preciso, Tobio,” replicò Shouyou. “Io ti dico tante cose, sei tu che riesci a fare conversazione solo a suon d’insulti.”
Tobio rivolse un’occhiata irritata al soffitto e prese un respiro profondo. “Mi riferisco al fatto che dovrei tornare a casa, a parlare con i miei genitori.” Nella camera da letto, Shouyou smise di muoversi.
“E?” Chiese il piccolo Corvo.
Tobio si grattò il retro del collo nervosamente. “E ho deciso di andare… Di provare a parlare con loro.”
“Ah!”
Tobio sobbalzò nell’udire le esclamazioni vittoriose dell’altro.
“Sì! Sì! Lo sapevo!”
“Smettila di esultare, stupido!” Sbottò Tobio.
“E quando conti di andare?”
“Domani…” Rispose il Principe. Non ci aveva riflettuto a lungo ma sapeva che avrebbe cambiato idea se avesse fatto passare del tempo e quella situazione cominciava a farlo sentire come se fosse sospeso nel vuoto e non potesse fare nulla per volare o tornare con i piedi ben saldi a terra.
“Vieni con me?” Su quella proposta, invece, aveva riflettuto. Non troppo, forse ma dopo quello che era accaduto alla fonte del fiume…
La porta della camera si riaprì lentamente.
Tobio sollevò gli occhi blu ed incontrò quelli d’ambra brillante del piccolo Corvo. La tunica era ancora slacciata sulla schiena, le maniche erano tanto lunghe da coprirgli quasi interamente le mani. Sembrava un bambino. Sì, un bambino di quindici anni con la bellezza di un fiore sul punto di sbocciare.
“Dici davvero?” Domandò con un sorriso appena accennato, speranzoso. Le gote un poco colorate.
Tobio tornò a fissare il soffitto. “Se lo desideri…”
“Se lo desidero?” Shouyou saltellò fino ad arrivargli davanti ed allora fu impossibile non guardarlo negli occhi. “Io, un semplice Corvo, al Nido delle Aquile. È un sogno che si avvera! È un…” Il sorriso sparì immediatamente dal suo viso e gli occhi si abbassarono.
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che cosa ti prende?”
Shouyou prese a torcersi le dita. “Sono solo un Corvo, Tobio…”
“E allora?”
Le guance del piccolo Corvo erano ancora rosse quando sollevò lo sguardo ma per una ragione completamente diversa. “Io non sono… Sono cresciuto in una casetta di legno e l’unica cosa che sia mai stata mia è il nido in cui ho dormito fin da bambino. Koushi ha sempre cucito tutti i nostri vestiti e…”
“Ma di che cosa stai parlando?” Lo interruppe Tobio.
Shouyou si umettò le labbra. “Non sono adatto ad una corte reale,” disse. “Non sono un Principe, non sono un nobile e non sono stato educato per… Adesso che ci penso, tu dovresti esserlo ma sei sgraziato come nessuno.”
Tobio lo guardò irritato. “Insulti adesso?”
“Non ho nemmeno niente da mettermi!” Si lagnò il piccolo Corvo giocando con l’orlo della sua tunica troppo lunga.
“Puoi avere i miei vestiti. Non andrai mica nudo!”
“Appunto! I tuoi vestiti mi stanno grandi! Non solo non sarò elegante, sarò anche ridicolo!”
Il Principe alzò gli occhi al cielo. “Non entreremo passando per la sala del trono, sopra di un tappeto rosso e con i trombettieri a lato ad annunciare il nostro arrivo, stai calmo.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Ah no?”
“No!” Esclamò Tobio esasperato. “E non fare quella faccia delusa, ora!”
“Lo confesso: pensavo che avresti risolto tutto tirando fuori degli abiti adatti a me dal nulla!”
“Questa cosa della favola ti sta dando alla testa, piccolo stupido!”
“Quindi, cosa facciamo?”
“È impossibile anche solo avvicinarsi al Nido delle Aquile senza superare la sicurezza. Una volta che mi sarò fatto riconoscere, voleremo nelle mie stanze. Fine della storia.”
“Ah,” Shouyou annuì. “Dalle finestre, senza far rumore…”
“Esattamente.”
“Come due ladri…”
“Ma stai zitto!”
 
 
“Devo dirti una cosa…”
Tobio lo mormorò una volta che furono tutti e due a letto, Shouyou steso accanto a lui.
“Che cosa c’è?” Domandò il piccolo Corvo curioso.
Il Principe allontanò gli occhi blu dal soffitto per guardarlo in faccia. “Voglio raccontarti il motivo per cui me ne sono andato di casa.”
Shouyou accennò un sorriso sfiorando la spalla nuda del Cigno Nero con la punta delle dite. “Pensavo te ne fossi andato di casa per sfuggire al destino,” disse. “Per sfuggire a me.”
Tobio, però, rimase completamente serio. “Riguarda la mia maledizione…”
Il sorriso sparì dal viso del piccolo Corvo e rimase in ascolto.
“Io…” Tobio decise di dirlo senza pensarci o non lo avrebbe confessato mai più. “Io ho fatto del male a Tooru.”
Ci fu un momento di assoluto silenzio. Shouyou non disse nulla e nemmeno la sua espressione cambiò di una virgola, come se fosse congelato. Il Cigno Nero portò lo sguardo altrove e si umettò le labbra. “Nevicava ancora,” raccontò. “Come bene sai anche tu, i Cacciatori stanno usando di più negli ultimi mesi. Era successo qualcosa di brutto ad una giovane famiglia. Loro erano scomparsi ed il nido era andato distrutto.”
Shouyou strinse le labbra e non disse niente.
“Mio padre non voleva coinvolgere noi giovani ma io non lo ascoltai,” continuò Tobio. “Cominciai a fare delle pattuglie da solo…”
“Tobio…” Shouyou si mise in ginocchio e lo guardò dall’alto al basso. “Non sei capace di rivolgere a te stesso gli stessi ordini che imponi a me?”
Tobio sospirò. “Io non sono fragile come te o come chiunque altro.”
“Non puoi sapere come andrebbe contro cento di loro,” replicò il piccolo Corvo.
“È quello che mi ha detto Tooru quando mi hanno scoperto.”
“Avete litigato ed è successo qualcosa?”
“No,” Tobio si sedette contro i cuscini. “Io non… I giovani del Nido non mi amano particolarmente.”
Shouyou fece una smorfia come a dire che non era sorpreso.
“Cominciarono ad imitarmi,” spiegò il Principe. “Si credevano bravi, gli idioti. Credevano che se io potevo ignorare gli ordini del Re, loro potevano fare altrettanto.”
Shouyou sospirò. “Il Principe dovrebbe dare l’esempio e tu non sei stato molto bravo in questo.”
“Sei qui per giudicarmi o ascoltarmi?”
Shouyou sospirò e decide di rimanere in silenzio.
“I Cacciatori sono furbi,” spiegò Tobio. “Studiano i più deboli di noi, i loro movimenti e poi risalgono fino ai nidi… Quegli idioti si sono fatti seguire, capisci? Invece di difendere il nostro nido, le loro pattuglie hanno attirato lo sguardo di Cacciatori esperti e sono arrivati tanto vicini al Nido delle Aquile che ho massacrarli tutti, anche i ragazzi.”
Shouyou strinse le labbra.
Tobio, invece, abbassò lo sguardo. “Ero fuori di me dalla rabbia,” continuò a raccontare. “Volevo punirli… Volevo punirli tutti. Tooru era lì, si è messo di mezzo e…”
Shouyou si morse il labbro inferiore. “Gli hai fatto molto male?” Domandò timoroso. Aveva visto il Consorte reale reggersi sulle proprie gambe poche settimane prima e questo sarebbe dovuto bastare a rassicurarlo ma l’espressione di Tobio era tanto grave che si chiese se non ci fosse dell’altro.
“Non gli ho fatto tanto male, no,” replicò Tobio portando gli occhi su qualunque cosa che non fosse il viso di Shouyou. “Il punto non è quanto gli abbia fatto male, il punto è che l’ho fatto.”
Il piccolo Corvo reclinò la testa di lato. “Tobio…”
“Il punto è che potrei farlo di nuovo e fare anche di peggio,” aggiunse Tobio tornando a fissare i propri occhi in quelli d’ambra dell’altro.
Shouyou si fece più vicino. “Non sei il primo a perdere il lume della ragione per un attimo di rabbia, Tobio,” lo rassicurò.
Il Cigno Nero strinse le labbra. “Si può decapitare una testa in un attimo di rabbia.”
“Tobio…” Shouyou gli sfiorò il viso con le dita. “Sono stato con te per tutta la primavera e non hai fatto altro che proteggermi. Non sei un carattere quieto ma non mi hai mai toccato.”
“Basta una volta, Shouyou. Una e potrebbe essere troppo tardi.”
La bella bocca di Shouyou si fece una linea netta, determinata. “Ho ancora un’estate per farti cambiare idea,” concluse. “Ora, pensiamo solo a tornare a casa. La tua casa.”
Tobio prese la mano che continuava a toccare il suo viso con gentilezza. La guardò: era così piccola in confronto alla sua. “Andiamo a dormire…”
 
 
***
 
 
A pochi giorni dal solstizio d’estate, era fredda l’aria del mattino al Nido delle Aquile.
Tooru, però, non riusciva a trovare conforto nel calore del suo letto da molte settimane, ormai. Riusciva a riposare solo in quelle poche ore che il suo Re dormiva al suo fianco ma Wakatoshi aveva molti doveri oltre a quelli coniugali e Tooru era un adulto che non sopportava di mostrare ad altri le sue debolezze. Compresi suo marito o l’amico che amava come un fratello.
Hajime aveva la sua famiglia, dopotutto ed era giusto che Wakatoshi fosse un padre quando non doveva essere un Re. Tobio poteva negare quanto voleva ma aveva bisogno che un uomo adulto lo guidasse più di quanto lui avesse bisogno di essere riscaldato da un amante.
Ciò nonostante, quel sole d’estate era fin troppo freddo per i suoi gusti.
“Non riesci a dormire?”
Tooru non si voltò ma chiuse gli occhi nel sentire il suo Re affondare il viso tra i suoi capelli. “Ti ho svegliato quando sono tornato?” Domandò Wakatoshi a bassa voce. Era un’abitudine che aveva fatto sua quando Tobio era nato ma non c’era più nessuna culla nella loro camera, né un bambino da non dover svegliare.
Era volato via da un pezzo.
“No,” rispose Tooru voltandosi per guardare il proprio sovrano negli occhi. “Sei andato da lui anche questa notte?” Domandò.
Wakatoshi scosse la testa. “Mio padre ci ha detto che sta bene. Andando da lui non avrei fatto altro che peggiorare ulteriormente le cose…”
Tooru gli rivolse una smorfia. “Sei il suo Re,” gli ricordò. “Prendilo e riportalo e qui.”
Wakatoshi strinse le labbra fino a renderle una linea sottile. “Non servirebbe a niente, Tooru e lo sai.”
“E allora cosa?” Domandò il Cigno esasperato. “I Cacciatori sembrano non temere più nulla, siamo sull’orlo di una guerra e Tobio…”
“Non parlare di guerra, Tooru,” disse Wakatoshi posando le mani sulle spalle del suo Consorte. “Non ancora…”
Tooru portò gli occhi altrove, verso quel sole d’estate che non sembrava riuscire a riscaldare quelle montagne. “Che importanza ha? Le mani di Tobio sono già sporche di sangue.”
“Così come le nostre,” disse Wakatoshi.
“Noi abbiamo scelto di accettare un simile compromesso,” replicò Tooru. “Come avevamo scelto che per lui sarebbe stato diverso.” Si voltò guardando la cima degli alberi della foresta e le montagne ancora innevate in lontananza. Le mani di Wakatoshi erano ancora sulle sue spalle.
“Stavo pensando di dirgli la verità,” disse Wakatoshi a voce ancora più bassa. “Di dirgli quello che è successo alla creatura dalle ali corvine prima di lui.”
Tooru si voltò lentamente, gli occhi grandi per la sorpresa. “Sei impazzito?”
Il Re scosse la testa. “Noi non possiamo aiutarlo, Tooru. Non si sente al sicuro con noi e non abbiamo altro che le parole per rassicurarlo. Di fatto, però, non possiamo essere certi che quello che è accaduto tra te e lui non si ripeterà.”
Tooru lo guardò freddamente. “E sei stato tanto furbo da dirlo anche a lui questo?”
“Certo che no, Tooru.”
“E lo aggiungerai dopo che lo informerai che gli abbiamo mentito per tutta la vita, che mentiamo alla corte e all’intera Foresta da sempre?”
“Tobio ha bisogno di qualcuno come lui, Tooru. Qualcuno che possa comprendere la sua maledizione, che possa aiutarlo a renderla una forza. Gli Uomini temono e desiderano quello che non riescono a spiegare. Tobio per loro è un mostro che si nasconde nell’ombra ed il bottino più ambito che rincorreranno mai. Se non ci permette di proteggerlo, dobbiamo essere certi che sappia combattere da solo ed ora è troppo spaventato da se stesso per farlo.”
Tooru incrociò le braccia contro il petto e resse lo sguardo del suo sposo senza alcun timore. “Se Tobio diverrà padrone di se stesso, sarà Re senza la mia corona né la tua.”
Wakatoshi inarcò le sopracciglia. “Lo dici come se la cosa ti spaventasse.”
“Mi spaventa quanto Tobio sia giovane.”
“Non è più giovane di noi quando siamo divenuti regnanti, Tooru.”
Tooru sospirò strofinando le mani contro le braccia come sentì un brivido correre lungo la sua schiena. “Noi facevamo fronte comune, Wakatoshi,” replicò. “Abbiamo imparato a combattere insieme, dopo aver imparato a perdere da soli. Chi sarà al fianco di Tobio?”
Wakatoshi non ebbe il tempo di rispondere.
La porta della camera reale si spalancò e Satori saettò al suo interno senza che nessuno gli avesse dato il permesso. “Svegliatevi e splendete, miei reali! Oggi è una giornata da ricordare!” Esclamò alzando le braccia al cielo con fare teatrale.
Tooru sbuffò. “Occupati di questa faccenda fuori dalla mia stanza,” sibilò a voce abbastanza bassa perché solo il suo Re potesse udirlo, poi tornò a rivolgere la sua attenzione al panorama. Satori era un grande amico per il suo sovrano ed un ottimo alleato nei momenti peggiori. In quel momento, però, non c’erano guerre in corso né emergenze che giustificassero la presenza di Satori nelle vicinanze del Consorte reale.
“È accaduto qualcosa, Satori?” Domandò il Re con voce atona.
“Grandi cose, amico mio! Grandi cose!” Satori appoggiò un gomito sulla spalla del suo sovrano come se a dividerli non ci fosse una chiara e semplice gerarchia nobiliare. Tooru spiò la scena con la coda dell’occhio e prese a tamburellare nervosamente l’indice contro l’avambraccio aspettando che i due idioti si togliessero di mezzo. Era di cattivo umore e voleva restare da solo.
“Tutto credevo meno che avrei visto nella mia vita il caso disperato più disperato di te fare qualcosa di normale!” Esclamò Satori.
Wakatoshi inarcò le sopracciglia. “Ma di cosa stai parlando?”
“Vostra Maestà!” Kenjirou irruppe nella camera reale con il fiato corto e l’espressione e gli occhi sgranati.
Solo allora Tooru si decise a porre davvero attenzione alla scena: Kenjirou a stento mostrava una qualunque emozione, figurarsi se si fosse presentato negli alloggi privati suoi e di Wakatoshi con quell’aria trafelata e senza chiedere il permesso senza una buona ragione.
“Devi venire subito!” Esclamò Kenjirou.
Tooru si decise di rientrare nella camera da letto. “Che cosa è successo?” Domandò rivolgendosi al nuovo arrivato e ignorando deliberatamente il folle appeso alla spalla del Re.
Kenjirou lo guardò dritto negli occhi, poi abbassò lo sguardo con rispetto. “Maestà…”
“Parla,” ordinò Tooru.
“Più tardi!” Esclamò Satori. “Prima lascia che mi congratuli con voi per il grande evento…”
“Parla, Kenjirou!” Insistette Tooru guardando storto il suo consorte per rimanere chiuso dietro quel confuso silenzio.
La giovane Aquila dischiuse le labbra ma non riuscì a pronunciare una singola parola.
Hajime varcò la porta aperta della camera reale trafelato quanto Kenjirou. “Tooru,” per fortuna del Consorte reale, però, quell’uomo seppe ancora una volta dimostrarsi l’unico degno di fiducia in quella corte di completi idioti. “Tobio è qui!” Esclamò senza perdere tempo in inutili spiegazioni. “Tobio è qui! È tornato!”
Tooru si attardò solo per lanciare un’occhiata al suo Re e Wakatoshi rispose al suo sguardo. Il Cigno fu il primo ad uscire dalla camera da letto. “Dov’è?” Domandò all’amico di sempre.
“Seguimi,” disse Hajime precedendolo di un paio di passi. “È con suo cugino e suo nonno e non è tornato a casa da solo.”
Tooru non pose altre domande.
Trovarono Tobio fuori dalla balconata di accesso agli alloggi reali. Suo nonno sorrideva, una mano stretta sulla sua spalla e Takeru sembrava altrettanto allegro nel colloquiare col piccolo Corvo che il loro Principe aveva portato con sé. A metà della grande scalinata a chiocciola, Hajime lasciò che Tooru lo superasse, Wakatoshi dietro di lui. I due reali non fecero che pochi passi prima di fermarsi.
Il loro erede non si era ancora accorto della loro presenza. Non parlava, Tobio. Gli occhi blu erano fissi sulla figura minuta del piccolo Corvo al suo fianco. Sembrava a suo agio quella creaturina che, di fatto, era completamene fuori luogo. Aveva addosso dei vestiti pregiati, che Tooru riconobbe all’istante come proprietà di Tobio ma non gli stavano a pennello e lo facevano sembrare ancor più piccolo di quanto non fosse.
Le sue ali erano compostamente piegate dietro la schiena. Non erano grandi come quelle di Tobio ma ne condividevano il colore corvino, sebbene non la linea raffinata.
Fu quando gli occhi del Principe si sollevarono che la conversazione ebbe fine.
Tooru trattenne il fiato per un istante ma non si voltò per studiare la reazione di Wakatoshi. Il viso di Tobio perse immediatamente l’espressione serena di poco prima nell’incontrare il suo sguardo ma Tooru non se ne fece un problema. Scese le scale con passo cadenzato stando attento a non allontanare la sua attenzione da quell’erede ribelle che aveva causato a lui e suo padre più notti insonni nell’ultimo periodo di quando era solo un pulcino completamente dipendente da loro.
Takeru si fece serio nel vederlo avvicinarsi. Takashi, invece, continuò a sorridere. “Il nostro ragazzo è tornato a casa,” disse con felicità ed orgoglio.
Tooru accennò un sorriso di cortesia. “Già… Peccato che la strada per tornare a casa sia stata tanto lunga. Vero, Tobio-chan?”
Il Cigno Nero non rispose.
“Takeru!” Chiamò Hajime dalla scalinata. “Tu hai dei doveri da portare a termine!” Gli ricordò.
Il ragazzo annuì comprendendo che era meglio togliersi dai piedi prima che i due Cigni decidessero di massacrarsi a vicenda. Gli dispiaceva per Shouyou ma fronteggiare Tooru era un rito di passaggio al quale non poteva sfuggire se voleva rimanere al fianco di Tobio.
“D’accordo,” rispose accennando un sorriso. “A più tardi, Shouyou!” Salutò.
Solo allora Tooru si ricordò del piccolo Corvo che aveva visto al fianco di suo figlio fino ad un istante prima. Abbassò lo sguardo e si accorse che si era mosso nascondendosi dietro alla figura decisamente più alta e forte del loro Principe. Era timido, dedusse, forse un po’ intimorito ma quegli occhi d’ambra erano comunque fissi su di lui.
Tooru decise d’ignorare Tobio per il momento: lui ed il suo erede avrebbero avuto bisogno di tempo per venire a patti con loro stessi e quello non era il luogo più adatto per cominciare. Senza contare che quel piccolo Corvo veniva da tre mesi passati quasi esclusivamente con Tobio, con la sua arroganza e la sua pericolosa testardaggine.
Il Cigno decise che avrebbe pensato prima a mettere a suo agio quella creatura, poi si sarebbe preoccupato del resto.
Sorrise e fu un’espressione sincera. “Vieni fuori, non hai nulla da temere piccoletto,” disse gentilmente.
Per tutta risposta, Shouyou indietreggiò di un passo ancora.
“L’ultima volta che ti ho visto eri appena nato,” provò di nuovo Tooru. “Koushi e Daichi ti portarono a corte per presentarti a noi e a Tobio. Te lo hanno raccontato, immagino”
Shouyou si fece coraggio e venne un poco allo scoperto. “Sì,” confermò con voce timida. “Me lo hanno raccontato…”
“Io e Koushi abbiamo passato molto tempo insieme durante la guerra,” raccontò Tooru. “E Daichi ha servito al fianco di Wakatoshi in molte battaglie. È un piacere ed un onore poterti avere in casa nostra ancora una volta, piccolo Corvo. Non c’è ragione di essere tanto timidi.” Lanciò un’occhiata storta al fanciullo dai capelli corvini di fronte a lui. “Anche se questo bruto qui non deve aver fatto molto per metterti a tuo agio!”
Tobio incassò il colpo in silenzio, poi si fece da parte.
Shouyou sollevò immediatamente gli occhi su di lui.
“Avanti,” lo spronò il Cigno Nero.
Il piccolo Corvo ingoiò a vuoto, poi fece un passo in avanti e chinò la testa con rispetto. “È un onore poter essere accolto nella vostra casa, Vostra Maestà.”
Tooru sorrise soddisfatto. “Quanto sei educato. Koushi e Daichi devono essere molto fieri di essere i tuoi genitori.”
“È scappato di casa per rispondere al richiamo di un sogno,” si sentì in dovere di dire Tobio.
La sincronia con cui sia il piccolo Corvo che il genitore lo guardarono storto ebbe dell’incredibile.
“Tu non sei nessuno per giudicarlo, Tobio,” replicò Tooru duramente. “Solo questo piccolo Corvo sa cosa gli hai fatto passare negli ultimi mesi.”
“Ah!” Shouyou prese ad agitare le mani come per giustificare. “Tobio mi ha salvato la vita… Più di una volta, oltretutto,” aggiunse imbarazzato. “Sì, è stato antipatico e scontroso con me per la maggior parte del tempo e ha passato ogni giorno che abbiamo passato insieme ad insultarmi ma…”
Tobio lo guardò come se fosse un completo idiota. “Così non migliori la situazione, stupido.” Sibilò.
Tooru sospirò ed alzò gli occhi al cielo. “Senza speranze,” commentò. “Sei davvero senza speranze…” Afferrò la mano del piccolo Corvo senza preavviso. “Vieni con me, piccoletto. Ti libero dalla presenza di questo bruto per qualche ora!”
Shouyou, per poco, non inciampò nei suoi stessi piedi. Si voltò a guardare Tobio ma questi non fece nulla per fermare il genitore, allora decise di assecondare le mosse del Consorte reale. Non poteva essere peggio di suo figlio in ogni caso, no?
Non guardò in faccia le persone che superarono sulle scale.
“Kenjirou, tu con me!” Ordinò Tooru.
La giovane Aquila sgranò gli occhi. “Perché io?”
“Già!” Esclamò Satori parandosi di fronte al Consorte reale. “Perché lui? Pensavo volessimo salvare il piccoletto dagli antipatici!”
Tooru gli rivolse un ghigno. “Intendevo quelli antipatici a me, Satori.”
Suo malgrado, Shouyou si ritrovò a sollevare lo sguardo con fare curioso nell’udire quel nome.
Un pazzo. Così Tobio lo aveva descritto.
Si pentì di aver osato tanto quando il pazzo in questione ricambiò l’occhiata.
“Visto?” Esclamò Tooru irritato, “lo hai spaventato col tuo brutto muso. Kenjirou, ti muovi?”
La giovane Aquila sospirò e seguì il Consorte reale ai piani superiori.
“Tooru non si smentisce mai.” Commentò Takashi.
Tobio quasi sobbalzò: si era completamente dimenticato che fosse lì.
Se suo padre aveva un terribile talento nel non passare inosservato, suo nonno, alle volte, riusciva a farsi straordinariamente invisibile.
“Wakatoshi, non vieni a salutare tuo figlio?” Domandò Takashi.
Quando Tobio sollevò di nuovo gli occhi, furono quelli gelidi di suo padre quelli che incontrò.
Voltò immediatamente il viso e si allontanò da suo nonno.
“Dove vai, ragazzo?” Domandò Takashi.
“Ad allenarmi,” rispose il Principe senza voltarsi. Anche se nessuno dei giovani, probabilmente, avrebbe avuto il fegato di avvicinarsi a lui dopo l’ultima azione che aveva compiuto a quella corte.
Wakatoshi non lo fermò ma si voltò verso Hajime.
Questi comprese senza bisogno di udire alcun ordine. “Gli vado dietro,” disse scendendo le scale.
“E noi che cosa facciamo?” Domandò Satori appoggiando di nuovo il gomito alla spalla del suo sovrano. “Prendiamo Reon e Semi-Semi e voliamo fino a Seijou per vedere come va, tanto per cambiare?”
“Sì…” Rispose Wakatoshi, anche se non aveva affatto udito la domanda.
Satori sospirò annoiato. “Che ci sia qualche Cacciatore da uccidere, almeno oggi… Tanto per dare un senso alla giornata…”
Quando gli passò accanto, Takashi strinse una spalla di suo figlio per indurlo gentilmente e fermarsi. “È successo qualcosa che non mi hai detto, ragazzo?” Domandò preoccupato. “Qualcosa oltre all’incidente tra Tobio e Tooru?”
“No…” Rispose Wakatoshi senza nemmeno scomodarsi a guardare il padre in faccia.
Takashi sospirò e lo lasciò andare. “Sei un bugiardo peggiore di tuo figlio, Wakatoshi…”
Il signore del Nido delle Aquile se ne andò senza rispondere.
 
 
***
 
 
Shouyou chiuse gli occhi nel sentirsi versare addosso l’acqua calda.
“Quell’idiota di Tobio e la sua testardaggine!” Esclamò Tooru per l’ennesima volta.
Non aveva fatto altro che insultare suo figlio da quando si erano ritirati in quelle che a Shouyou era stato detto essere le sue stanze. Non aveva replicato. Si era limitato a sgranare gli occhi e a pensare che la casa in cui era cresciuto non era grande quanto quegli alloggi privati.
Solo una stanza da bagno tutta per sé era qualcosa che Shouyou non aveva mai pensato di possedere in vita sua.
Tooru sospirò stancamente lasciandosi cadere seduto sul pavimento, le braccia incrociate sul bordo della vasca. Shouyou fu tentato di dirgli che avrebbe potuto fare tutto da solo ma aveva la netta sensazione che il Consorte reale non fosse lì per semplice cortesia ma perché voleva stare da solo con lui e non c’era luogo migliore di una stanza da bagno, probabilmente.
Shouyou non sapeva dove fosse andata l’altra Aquila ma era felice di non essere circondato da troppi sconosciuti tutti in una volta.
“Allora,” Tooru gli sorrise gentilmente, “conosco i difetti di mio figlio dolorosamente bene ma spero che abbia fatto qualcosa di giusto negli ultimi mesi.”
C’era stato un tempo in cui Shouyou non aveva aspettato altro che incontrare qualcuno che fosse d’accordo quanto lui sull’antipatia naturale di Tobio. Quello che aveva davanti, però, non era Takeru o un pari suo e del Cigno Nero.
No, Tooru era il Consorte reale e, soprattutto, uno dei genitori di Tobio e a Shouyou non parve giusto lamentarsi proprio con lui del carattere spigoloso del Principe della Foresta. Non voleva metterlo nei guai più di quanto non fosse. “Tobio ha tentato di prendersi cura di me,” rispose. “Non è bravo a fare amicizia ma non mi ha lasciato da solo. Mi ha difeso in molte occasioni.”
L’espressione di Tooru si addolcì ulteriormente. “Lo stai proteggendo, eh?”
Shouyou arrossì stringendosi le ginocchia al petto. “Mi ha salvato la vita,” ripeté. “Tolto questo, il resto è perdonabile.”
Tooru annuì con aria grave. “Ho saputo dei Cacciatori e ho visto quel Serpente…”
Shouyou rabbrividì. “Da parte mia, sono bravo a combinare guai.”
“Temo di non poter dire altrimenti,” disse Tooru, seppur gentilmente. “Non è saggio scappare di casa ed avventurarsi nella Foresta quando non si ha un’ottima conoscenza di questi luoghi.”
Shouyou abbassò lo sguardo con vergogna. “Ero arrabbiato… Non ho pensato molto a quello che facevo…”
Tooru annuì di nuovo. “È un’età che ho vissuto anche io e non sono un tuo genitore, quindi non starò qui a farti la predica ma i tuoi genitori erano terrorizzati quando Hajime è andato da loro per avvisarli che eri con il nostro Principe.”
Il piccolo Corvo si morse il labbro inferiore. “Sono desolato…”
Il Consorte reale sospirò. “Te ne diranno quattro non appena ne avranno l’occasione,” disse, “ma ti hanno già perdonato.”
Shouyou lo guardò. “Come lo sapete?”
Tooru ridacchiò. “Lo so e basta,” rispose. “Ma dammi del tu!”
Il piccolo Corvo storse la bocca. “Non credo riuscirei a dare un del tu ad un reale…” Ammise.
“Ah, sei sopravvissuto a Tobio per tre mesi, ti meriti un titolo nobiliare solo per questo, piccoletto! Inoltre, ho come la sensazione che dobbiamo ringraziare te se il nostro Principe è tornato a casa.”
Shouyou accennò un sorriso. “Gli ho ripetuto spesso di venire da voi ma ci è voluto del tempo… Non voleva portarmi ma non voleva lasciarmi da solo, così non è cambiato nulla per un bel po’. In principio, non sapevo nemmeno niente. Non sapevo chi fosse o di voi.”
Tooru alzò gli occhi al cielo. “Tobio riesce ad essere un tale idiota… Tutto suo padre! Ma, alla fine, sembra che tu abbia avuto successo. Il bruto testone ti ha anche portato con sé!”
Le guance del piccolo Corvo si accesero a quel punto e fu una reazione spontanea che attirò inevitabilmente l’attenzione del Consorte reale.
Tooru studiò il viso del fanciullo per qualche istante e comprese che essere diretto non lo avrebbe portato ad ottenere nessuna risposta. Decise di girarci un po’ intorno. “Anche tu sognavi Tobio?” Domandò.
Gli occhi d’ambra si sollevarono sui suoi. “Sì…” Ammise il piccolo Corvo. “I sogni sono cominciati in inverno…”
“Lo stesso periodo di Tobio…”
“Non sapevo di quella storia delle anime gemelle quando lo sognavo. Raccontavo di lui a chiunque, di quello che vedevo ma,” rise nervosamente, “non mi prendono mai troppo sul serio.”
Tooru non commentò quel fatto in alcun modo.
“Sono andato a cercarlo perché, anche se non sapevo chi fosse, credevo che apparisse nei miei sogni perché aveva bisogno di me.”
Il Consorte reale sorrise malinconicamente. “Non è stata la stagione degli amori che ti eri aspettato.”
“No,” Shouyou scosse la testa. “Io non sono così. Ho degli amici ma non mi è mai piaciuto nessuno… Non credo nemmeno di piacere a nessuno in quel senso, a dire il vero,” aggiunse come se stesse pensando ad alta voce. “Quando sono scappato per cercare Tobio l’ho fatto dicendomi che sarebbe stata una grande e che, alla fine, avrei trovato un amico,” si umettò le labbra imbarazzato. “All’inizio ne ero deluso, lo ammetto…”
Tooru fece una smorfia. “Posso immaginarlo…” Disse. “Senti il suo profumo, non è vero?”
Gli occhi d’ambra si fecero enormi, le guance ancor più rosse. “Io… Io…”
Il Cigno ridacchiò. “Non c’è nulla di male!” Disse con allegria. “Immagino che Tobio impazzisca per te da settimane. Dopotutto, sei davvero grazioso,” commentò con sincerità aggiustando una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio del piccolo Corvo.
“Grazie…” Mormorò Shouyou non sapendo che altro dire.
Tooru si alzò per andare a recuperare un asciugamano. “Tobio non ti ha portato qui senza una ragione, vero”? Quando si voltò, Shouyou lo guardava come un bambino che vede svelato un segreto che aveva promesso di mantenere.
Il Consorte reale sorrise gentilmente ed aprì l’asciugamano. “Vieni qui, avanti…”
Il piccolo Corvo fece come gli era stato detto e non appena fu avvolto nell’asciugamano, Tooru lo lasciò andare. “Non lo so cosa provo per Tobio,” ammise ancor prima che l’adulto gli chiedesse qualcosa.
Tooru annuì sommessamente, poi sparì nella camera da letto accanto. “Kenjirou ha preso le tue misure e farò in modo che il sarto reale faccia qualcosa per farti avere dei vestiti della tua taglia. Nel frattempo, indossa pure questi.” Disse appoggiando gli abiti perfettamente ripiegati accanto al grande specchio del bagno.
“Grazie,” rispose Shouyou cercando di farsi piccolo piccolo avvolto nel grande asciugamano bianco.
Tooru fece per andarsene ma si fermò sulla porta. “Non devi per forza sapere quello che provi per lui,” lo rassicurò. “Alle volte, non esiste nemmeno un nome per quello che sentiamo nei confronti di qualcun altro. La risposta che cerchi prenderà forma quando di dare un nome a quel sentimento non ti sembrerà più così importante.”
“Ne siete sicuro?” Domandò il piccolo Corvo timidamente.
Tooru annuì con convinzione. “È successo a me. Per Tobio non sarà diverso, dammi retta.”
Lo lasciò libero di rivestirsi da solo.
 
 
***
 
 
No, Tobio non aveva amici.
Escluso Takeru, non c’erano altri giovani della sua età con cui avrebbe sprecato il suo tempo.
“Ancora una volta, Principe!”
Poi, c’era Tsutomu…
Tobio si passò una mano tra i capelli corvini umidi di sudore. “Basta così,” disse rifoderando la spada. “Il sole sta raggiungendo il punto più alto nel cielo…”
Tsutomu era una giovane Aquila della sua generazione. Un altro orfano della guerra e del Grande Inverno che le Aquile del Re avevano cresciuto come loro, col risultato che il povero pulcino si era ritrovato con troppi genitori e troppi modelli da cui attingere. Il risultato finale era una personalità senza dubbio determinata ma poco consapevole dei comuni limiti dettati dal buon senso.
Era sempre stato affamato di attenzioni, Tsutomu ma completamente incapace di creare amicizie stabili.
Il rapporto tra lui e Tobio era nato in assenza di meglio.
Ciò che lo aveva reso duraturo negli anni era il talento di entrambi nell’arte della guerra ma in quello differivano su di un punto dolente: Tsutomu voleva attirare l’attenzione dei potenti con tutto se stesso, Tobio non ne aveva particolare bisogno.
“I Cacciatori se ne fregano se il sole è alto e fa caldo!” Sbottò Tsutomu rialzandosi in piedi e recuperando la sua spada.
Tobio sospirò avvicinandosi a Takeru che era rimasto a lato della balconata d’allenamento. “Ci risiamo, eh?” Domandò suo cugino divertito porgendogli un calice d’acqua.
Tobio sbuffò. “È la prima stagione degli amori anche per lui. Perché non vola a cercare altri modi in cui sfogarsi?”
Appoggiato al tronco del grande albero che rappresentava l’edificio principale del Nido delle Aquile, Hajime sorrise sotto i baffi. “Non credo che tu sia nessuno per dargli simili consigli, Tobio.”
Il Principe scrollò le spalle. “Io non ho avuto bisogno di volare in giro. La mia condanna mi è precipitata davanti agli occhi, che io lo volessi o meno.”
“Oh! Non parlare così male di Shouyou!” Esclamò Takeru divertito. “È lui che sopporta te, non il contrario.”
“Ma tu da che parte stai?” Domandò l’erede al trono.
“Chi è Shouyou?” Domandò Tsutomu con fare aggressivo avvicinandosi alla coppia di cugini. “Takeru, dell’acqua!”
Tobio lo guardò storto. “Non è servitore e tu hai le mani. Serviti da solo.”
Tsutomu ricambiò l’occhiataccia ma fece come gli era stato detto. “Allora?” Insistette bevendo. “Chi è questo Shouyou?”
“Non sono affari tuoi,” fu la risposta scocciata di Tobio.
Tsutomu lo guardò sospettoso. “È la ragione per cui sei scomparso per tre mesi saltando gli allenamenti?” Domandò come se si sentisse offeso.
“Non era sparito,” replicò Takeru. “Era sul lato opposto della montagna, pochi minuti di volo.”
Tsutomu scrollò le spalle. “Dettagli. Non si saltano gli allenamenti.”
“È nervoso perché per tre mesi non ha avuto nessuno con cui valesse la pena divertirsi con la spada,” disse Takeru ridendo sotto i baffi. “Si sentiva solo…”
“Non è vero!” Esclamò subito la giovane Aquila. “Pensavo che la stagione degli amori ti avesse dato alla testa come alla maggior parte di questi idioti e che, volando dietro una quaglia, avessi perso la strada di casa!”
L’espressione di Tobio si fece rabbiosa. Takeru scoppiò a ridere. “Beh… Non è una quaglia ma…”
“Taci…” Lo avvertì Tobio.
Il danno era fatto, ormai.
Tsutomu sgranò gli occhi e lo guardò incredulo. “Hai veramente perso la testa per qualcuno?”
“No,” disse Tobio riportandosi il calice alle labbra ma era vuoto.
“Tornando a noi, chi è questo Shouyou?” Insistette Tsutomu.
“Ti ho già detto che non sono affari che ti riguardano!”
Hajime sospirò. “Tobio, lo conoscerà prima o poi. Tanto vale che glielo dici.”
“Perché?” Domandò Tsutomu. “Questo Shouyou è qui?” Aggiunse sorpreso. “Hai portato una quaglia al Nido delle Aquile?”
“Non è una maledetta quaglia!” Sbottò Tobio al limite della pazienza.
Takeru rise talmente tanto da doversi reggere lo stomaco. “Perché non glielo dici e basta?” Domandò al cugino. “Papà ha ragione. A meno che tu non lo chiuda nelle sue stanze, si conosceranno prima o poi.”
“Ha delle stanze qui?!” Continuò ad esclamare Tsutomu.
Tobio lo ignorò e scosse la testa. “Ci sono troppi idioti di mia conoscenza in questo Nido.”
“E che cosa hai intenzione di fare, allora?” Domandò Hajime avvicinandosi ai tre fanciulli. “Vuoi davvero rinchiuderlo nelle sue stanze per il suo bene?”
Tobio non rispose.
Si versò dell’acqua e bevve.
“Tobio!”
Il Principe sobbalzò e ci mancò poco che si strozzasse col sorso d’acqua che aveva appena ingerito. Takeru prese a battergli una mano dietro la schiena con eccessiva violenza mentre Tsutomu, di grande aiuto come suo solito, se la rideva di gusto. Fu il piccolo Corvo dai ribelli capelli dello stesso colore del tramonto a farlo che comparve sulla scena a farlo tacere di colpo.
“Wow! Adesso sì che assomigli ad un Principe Consorte!” Esclamò Takeru mentre suo cugino se ne stava ancora piegato in due cercando di riprendere fiato. Non ebbe la forza di affermare che Shouyou non era il Principe Consorte ed il piccolo idiota, con la testa tra le nuvole per aver ricevuto un complimento, non si preoccupò di sottolinearlo al suo posto.
“Davvero?” Domandò Shouyou emozionato. “Sto bene?”
Tobio non lo stava guardando ma aveva la netta sensazione che avesse anche fatto una piroetta per farsi vedere in tutto il suo opinabile splendore. Strinse i pugni e sollevò la testa. “Razza di…” Non riuscì ad insultarlo, però.
Suo malgrado, Tobio si ritrovò a pensare che il complimento di Takeru non era stato fatto senza una ragione.
No, Shouyou non era qualcosa di diverso da se stesso ma, come aveva previsto, Tooru ci aveva messo del suo e il cambio di sfumature era evidente. Prima di tutto, era la prima che Tobio vedeva Shouyou con degli abiti che fossero della sua taglia e tanto bastava a fare la differenza. Per poi tacere sul fatto che fossero abiti pregiati, da fanciullo nobile.
Il nero poteva essere un colore scontato addosso ad un Corvo ma Shouyou aveva già gli occhi più vivi e brillanti del mondo, per non parlare dei capelli che era impossibile non notare. Anche quelli erano diversi, però. Sempre ribelli, certo ma c’era una qualche logica nel loro essere indomabili.
Tobio sospirò con una smorfia. Sì, Tooru aveva fatto il suo lavoro e l’aveva fatto terribilmente bene.
Shouyou era ancora come lo ricordava, non lo aveva stravolto da capo a piedi. Il Consorte reale si era limitato a trasformarlo nella versione principesca di se stesso.
Un poco elegante. Un poco ribelle. Decisamente adorabile.
Tobio si diede una manata in faccia tanto forte che Shouyou sobbalzò e Takeru lo guardò come se fosse completamente uscito di senno. “Ehi, cugino, stai bene?” Domandò preoccupato.
Il Principe tornò a guardare dritto di fronte a sé come se non si fosse provocato un evidente segno rosso in fronte. “Sto benissimo,” disse con voce quasi rabbiosa.
Shouyou reclinò la testa da un lato. “Qualcuno ti ha fatto arrabbiare?”
“Sì!” Sbottò il Cigno Nero. “Tu!”
Il piccolo Corvo sbatté le palpebre confuso. “Io?” Si puntò l’indice contro il petto. “Che cosa posso aver mai fatto? Sono ore che non ci vediamo!”
Tobio non rispose continuando a ringhiare a bassa voce: anche Tooru era da biasimare, ovviamente ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.
Sentì una mano stringergli la spalla e Hajime comparve tra lui e Takeru. “Non ci hanno ancora presentato ufficialmente,” disse con un sorriso cordiale porgendo la mano destra al piccolo Corvo. “Hajime Iwaizumi, il padre di questo,” indicò Takeru. “E lo zio di quest’altro.” Guardò Tobio. “Piacere di fare la tua conoscenza.”
Shouyou strinse quella mano con entusiasmo. “Tobio mi ha parlato così tanto di te!” Esclamò. “Sei l’unica persona del Nido delle Aquile, a parte Takeru, che non ha descritto a suon d’insulti.”
Tobio fu indeciso se darsi un’altra manata in faccia o riservarne una direttamente al piccolo Corvo.
Hajime, però, la prese a ridere. “Questo Nido è pieno di elementi strani, confido che Tobio saprà metterti in guardia…” Aggiunse rivolgendo al nipote uno sguardo molto eloquente.
Tobio sbuffò e voltò lo sguardo altrove. Solo allora si ricordò che Tsutomu era ancora lì e che era stato l’unico a non dire una parola. Gli bastò guardarlo per pentirsi amaramente di averlo ignorato.
Tsutomu indossava un’espressione a metà tra lo sconvolto e l’orripilato e le sue guance erano rosse, come dopo una lunga ed estenuante corsa. In breve: l’immagine di un idiota.
In un primo momento, Tobio fece per mettersi a ridere poi realizzò su cosa Tsutomu aveva proiettato tutta la sua attenzione.
Nel sentirsi osservato, Shouyou voltò lo sguardo verso la sua destra. Sorrise con fare amichevole. “Ciao,” salutò. “Sei un amico di Tobio anche tu?”
Tsutomu aprì e chiuse la bocca senza emettere suono, come un pesce fuor d’acqua.
A Tobio servì un istante di troppo per capire quello che stava succedendo ed il fiato gli morì in gola.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Ti senti bene?” Domandò alzando una mano per toccare la giovane Aquila intontita. Il Cigno Nero gli afferrò il polso con urgenza. “Tobio!” Esclamò. “Mi hai fatto male!”
“Andiamocene!” Sbottò il Principe della Foresta, come se il piccolo Corvo avesse fatto qualcosa di male. “E non provare più ad andartene in giro senza di me!”
“Cosa?” Domandò Shouyou completamente confuso. “Non me ne sono andato in giro! Ho chiesto a Tooru dove potevi essere e…”
Tobio lo guardò freddamente. “Non devi muoverti dalle tue stanze senza di me!” Insistette il Cigno Nero.
Alle loro spalle, Takeru prese a muovere una mano davanti al viso di Tsutomu. Ci vollero diversi istanti prima che la giovane Aquila avesse una qualunque reazione. Alla fine, quasi sobbalzò e Takeru gli afferrò la spalla per paura che cadesse all’indietro. “Ehi, tutto bene?” Domandò.
Tsutomu lo guardò come se gli fossero spuntate due ali dal nulla. “Tu non lo hai sentito?” Domandò.
“Che cosa avrei dovuto sentire?” Domandò Takeru.
“Il suo profumo,” rispose la giovane Aquila indicando il punto in cui il Principe ed il piccolo Corvo erano spariti. “Il suo…” Si ritrovò con un calice di acqua puntato contro il petto. Lo sorresse in un gesto automatico, poi sollevò lo sguardo.
“Bevi,” gli ordinò Hajime. “È fredda, ti aiuterà. Se non basta, vai alla fonte e fatti un bel bagno di un’ora o due… Oppure trova quella maledetta quaglia di cui parlavi e sfogati in un qualunque modo costruttivo! Qualunque cosa ma lascia perdere, Tsutomu.”
 
 
***
 
 
Tobio dovette lottare fisicamente e verbalmente per convincere Shouyou ad entrare nelle sue stanze e restarci. Alla fine, ne uscì vincitore solo dopo aver promesso al piccolo stupido che avrebbero passato il giorno seguente insieme in giro per il Nido delle Aquile.
Era arrivato a giurare che, se non lo avesse fatto irritare, avrebbero cenato insieme nella grande sala dei banchetti insieme al resto della corte e che lui, Shouyou, sarebbe stato presentato come ospite dell’erede al trono.
Non il Principe Consorte, aveva pensato Tobio. Mai il Principe Consorte.
Se ne era andato tanto irritato che borbottò lungo tutto il corridoio che portava dagli alloggi di Shouyou ai suoi, nella parte più alta del grande albero reale. La porta d’ingresso agli appartamenti dei suoi genitori era sullo stesso pianerottolo della sua. Tobio le lanciò un’occhiata veloce ma non vide nessuna luce sotto l’uscio: Wakatoshi doveva essere fuori con i suoi uomini e Tooru doveva essere già andato a dormire.
Ora che era a casa, avrebbe potuto finalmente godersi il suo sonno di bellezza o come diavolo lo chiamava.
Il loro testa a testa era rimandato.
“Vai già a dormire, Tobio-chan?”
O così si era illuso.
Tobio chiuse gli occhi, strinse le labbra, poi si voltò.
Nonostante il nomignolo che aveva usato, era terribilmente seria l’espressione di Tooru.
“Che cosa c’è?” Domandò il Principe, sebbene conoscesse bene la risposta.
“Parlare…” Rispose il Consorte reale. Suonò come una proposta amichevole ma era un ordine.
“Non c’è niente di cui parlare…”
Tooru sospirò stancamente e le labbra si piegarono in un sorriso malinconico, un poco nostalgico. “Quante volte te lo devo ripetere?” Domandò. “Hai tutta la bellezza di questo mondo grazie a me,” una pausa, “più o meno.”
Tobio alzò gli occhi al cielo.
“Ma sei incapace di mentire,” aggiunse Tooru, “proprio come tuo padre…”
 
 

 

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Capitolo 7
*** Di natura gentile ***


VII
Di natura gentile


 
 
 
Quello di starsene disteso su uno dei grandi rami all’esterno della sua camera da letto ad osservare il cielo notturno era un vizio che Tobio aveva avuto fin da bambino.
In quel momento, però, era solo un modo per non guardare Tooru negli occhi mentre quest’ultimo intavolava una conversazione a cui il Principe era riuscito a sfuggire per tanto tempo.
Troppo! Lo rimproverò la voce di un piccolo Corvo nella sua testa.
Tobio storse il naso: non bastava che udisse la voce di sua madre riecheggiargli nelle orecchie ogni qualvolta faceva qualcosa di sbagliato, ora anche quella di Shouyou si era unita a quel suo coro interiore di rimproveri.
“Ti piace?” Tooru era sotto di lui, i gomiti appoggiati al parapetto di legno della balconata e gli occhi scuri fissi sulla luna e le montagne all’orizzonte.
Tobio sapeva che era inutile fingere di non sapere a chi si stesse riferendo. “È un idiota.”
Tooru ridacchiò. “Anche tuo padre lo è ma ciò non toglie che tu sei nato per amore,” replicò. “E, comunque, non credere di essere un partito migliore.”
Il Cigno Nero lanciò uno sguardo arrabbiato alle stelle sopra di loro ma non replicò in alcun modo. “A te piace,” disse con tono evidentemente accusatorio.
“Ovviamente!” Rispose il Consorte reale con entusiasmo. “È piccolo, carino ed è ribelle quanto te.”
“Una coppia perfetta,” commentò Tobio con sarcasmo.
“Lo sareste davvero,” replicò Tooru sollevando lo sguardo verso i rami del grande albero. “È lui che ti ha convinto a tornare a casa, dopotutto.”
“Te lo ha detto lui?”
“Non se ne è vantato. Anzi, era desolato per non essere riuscito a farlo prima!” Tooru sospirò. “Come se non sapessi che razza di disastro ho messo al mondo.”
“Io non rischio di farmi ammazzare ogni volta che metto piede fuori casa, almeno.”
“Non ne sarei così sicuro,” disse il Consorte reale con tono decisamente meno allegro. “Non con la voglia che hai di scatenare una guerra.”
Tobio si sollevò su di un gomito sporgendosi dal ramo. Dal basso, gli occhi scuri di Tooru ricambiarono il suo sguardo.
“Se i Cacciatori minacciano la nostra gente...”
“I Cacciatori non sono divenuti improvvisamente capaci, Tobio,” lo interruppe Tooru. “C’è qualcosa che ancora non sappiamo. Qualcosa che prima non esisteva e vuole noi, il Nido delle Aquile e, forse, te.”
Tobio ghignò. “Chi non vorrebbe vantarsi di aver abbattuto un mostro.”
Tooru sbuffò. “Tobio, non ricominciare…”
“Sei tu che non devi ricominciare a negare l’evidenza!” Esclamò il Principe annoiato. “Sono maledetto. Lo sono dal giorno in cui sono nato e se vi fa comodo affermare il contrario…”
“Comodo?” Lo interruppe Tooru duramente. “È questo che pensi che stiamo facendo io e tuo padre da quindici anni? Credi che neghiamo quello che sei per comodo?”
L’espressione di Tobio era dura, rabbiosa. “Neghi che se fossi stato un Aquila sarebbe stato tutto più semplice?”
“Tobio…”
“Neghi che se fossi nato Cigno…”
“Sei un Cigno, maledizione!” Sbottò Tooru. “Hai le mie ali, stupido moccioso che non sei altro! Hai mai perso tempo a guardarti allo specchio?”
Tobio strinse le labbra per un istante. “Sono un Cigno Nero. Altra storia, altro finale. I Cigni come te divengono Re, quelli come me vengono abbattuti dai Re.”
Tooru si staccò dal parapetto e prese a camminare avanti ed indietro con nervosismo. “Lo sai cosa ti rende davvero diverso dagli altri, Tobio?”
Il Cigno Nero alzò gli occhi al cielo. “Dunque… Sono un Principe, ho le ali corvine sebbene nessuno dei miei genitori lo sappia e, sì, qualcuno ha deciso che devo essere uno di quei giovani con il compagno predestinato. Devo aggiungere qualcosa?”
“Sì!” Esclamò Tooru duramente. “La paura…”
Tobio lo guardò dritto negli occhi. “Fammi volare contro un esercito di quei bastardi e poi ti farò vedere chi è quello che ha paura.”
Tooru gli rivolse una smorfia sarcastica. “Pensi che questo ti farebbe amare da loro? Tutti loro, intendo.”
“Non m’interessa il giudizio di una corte d’idioti.”
“Grandi notizie: questa è la tua corte e quelli sono i tuoi idioti. Dai loro una buona ragione per ribellarsi in massa a te e allora sì che diverrai davvero un mostro… Se non avrai già dato loro buone ragioni per essere definito tiranno.”
“Se non mi credi in grado di essere un Re dillo e basta! Ammettetelo tu e Wakatoshi che avete fallito, che siete dei perdenti!”
Fu un istante. Un battito di ali, uno spostamento d’aria.
Tobio si ritrovò con le spalle costrette contro il tronco del grande albero, le dita di Tooru artigliavano il colletto della sua tunica e gli occhi scuri lo guardavano con freddezza. “Non ti permettere,” sibilò il Consorte reale. “Ho una lezione per te, mio Principe: prima di dare del perdente a qualcuno, specie a dei Re, assicurati di farlo dal posto del vincitore,” una pausa. “O prova a vincere le tue stese paure, almeno!”
Tooru lo lasciò andare ma non scese di nuovo sulla balconata.
Tobio resse il suo sguardo senza problemi. “Io non ho paura.”
Il Consorte reale reclinò la testa da un lato esaminando il viso del suo erede. “Ci siamo quasi…”
Il Cigno Nero inarcò un sopracciglio.
“Tono fermo e non capriccioso,” commentò Tooru. “Espressione decisa, che non lascia trasparire nulla. Per una volta assomigli a tuo padre e non a quel bruto di tuo zio. Questo bel faccino, però…” Pizzicò una guancia del figlio e tirò fino a deformare la linea dura della sua bocca. “Sì, questo è tutto merito mio! Sorridi, Tobio-chan, ti ho dato tutta la bellezza di questo mondo e se fossi un po’ meno arrabbiato col mondo ed un po’ più furbo sapresti cosa farne!” Lo lasciò andare.
Tobio si massaggiò la guancia guardando il genitore con irritazione.
Tooru scrollò le spalle. “Anche se, a questo punto della storia, non ti serve più neanche la tua bellezza!”
Il Cigno Nero appoggiò la nuca al tronco alle sue spalle. “A Shouyou non importa niente di queste cose…”
“Oh, certo il tuo carattere è stato sufficiente a renderlo cieco di fronte ad ogni tuo pregio estetico,” commentò Tooru. “In fin dei conti, però, sei bello e Shouyou lo sa.”
Tobio si passò stancamente una mano tra i capelli. “Smettila di parlare di Shouyou…”
“Non dovrebbe scocciarti così tanto parlare del fanciullo a cui hai dato il tuo primo bacio,” lo rimproverò Tooru con un’insopportabile smorfietta. Lo disse con naturalezza, come se non ci fosse nulla di strano.
Tobio, però, sentì il respiro venire meno ed il sangue defluire dal volto.
Il Consorte reale lo guardò confuso. “Tobio, non ti senti bene?”
“Te lo ha detto lui?” Domandò il Cigno Nero. “Te lo ha detto Shouyou che ci siamo baciati?”
Tooru dischiuse le labbra e fece per rispondere ma suo figlio non gli diede il tempo. “Quel maledetto idiota!” Sbottò. “È successo una volta! Una! Forse due… Non ne sono sicuro. Ciò non toglie che non aveva alcun diritto di…” Fu l’espressione del genitore a bloccare l’attacco d’ira del Principe.
Tooru lo guardava con gli occhi sgranati e le labbra un poco dischiuse, come se gli avesse appena fatto una confessione del tutto imprevista. L’espressione di Tobio divenne riflesso della sua non appena si rese conto di essere caduto in trappola. Si diede una manata in faccia e picchiò la nuca contro il tronco dell’albero. “Maledizione!”
“Ah!” Esultò Tooru, poi scoppiò a ridere. “Non ci posso credere! È successo!”
Tobio si sentì stringere le spalle. Gli occhi blu incontrarono di nuovo quelli scuri del genitore.
“Raccontami tutto!” Esclamò il Consorte reale come se fossero due fanciulline che si stavano scambiando i segreti. “Tutto quanto!”
“Piuttosto la morte!” Esclamò Tobio.
Il Consorte reale ghignò. “Non tentarmi, moccioso.”
Tobio cercò di spingerlo via da sé ma lo fece con troppa forza e, nel perdere l’equilibrio, Tooru si aggrappò a lui. Precipitarono entrambi sulla balconata sottostante tra imprecazioni ed un turbinio di piume candide e corvine.
“Tobio, stupido moccioso!” Esclamò Tooru sollevandosi sui gomiti.
“Non sono io lo stupido qui!” Sbraitò in risposta il Principe sollevandosi sulle ginocchia e togliendo una piuma candida dai suoi capelli corvini. Si accorse che il Consorte reale non aveva fatto nulla per tirarsi su da terra e lo guardava con il viso appoggiato al pugno chiuso.
“Che cosa vuoi?” Domandò Tobio aggiustandosi gli abiti.
“Lo ami?” Domandò Tooru.
Tobio si fermò, congelato. “Non lo so…”
“Oh!” Tooru sgranò gli occhi sorpreso. “Una risposta sincera!”
“Perché mentirti? Finiresti solo per trovare un modo più umiliante per farmi parlare.”
“Tu gli piaci!” Affermò Tooru.
Tobio sbuffò. “Non puoi saperlo…”
“Io so molte cose, Tobio.”
“Non sei onnipotente.”
“Non mi serve. Mi basta essere intuitivo. Se fossi onnipotente, ti riferirei con assoluta certezza quali sentimenti il tuo piccolo Corvo prova per te ma non posso vantarmi di avere un simile potere.” Tooru sospirò. “Non posso nemmeno prevedere i movimenti del tuo cuore in questo momento,” aggiunse e lo fece con la voce di chi sta ammettendo qualcosa che non gli fa piacere.
Tobio lo guardò.
L’espressione del Consorte reale era seria. “Vorrei che fossi sincero con me, con noi, anche sulla tua paura…”
Tobio sospirò. “Io non…”
“Ti stringevo a me quando piangevi da bambino, Tobio,” lo interruppe Tooru. “Non puoi nascondermi di avere paura. Lo so e basta.”
Si scambiarono un lungo sguardo, poi Tobio si alzò in piedi.
La serietà del momento s’infranse come Tooru tese una mano nella sua direzione con espressione melodrammatica. “Aiuta il tuo Re ad alzarsi, fanciullo.”
Tobio lo giudicò aspramente con lo sguardo. “Alzati da solo!”
Tooru sgranò gli occhi. “Tobio-chan! Non puoi essere come tuo padre anche in questo e servirmi ciecamente? Ah! Bruto come tuo zio! Bruto!”
 
 
***
 
 
Tooru entrò nella camera reale sbuffando sonoramente ma vedere il suo sposo intento a cambiarsi gli abiti lo sorprese abbastanza da fargli dimenticare l’arroganza di suo figlio.
“Oh, sei qui…” Fu tutto ciò che riuscì a dire mentre il Re si liberava della tunica e la lasciava cadere per terra.
“Lo dici come se non dovessi esserci,” replicò Wakatoshi guardandolo negli occhi.
Tooru scosse la testa. “No, affatto,” rispose con un ghignetto osservando il suo compagno con un certo interesse. “È che non mi aspettavo di trovarti.”
Wakatoshi si sedette sul bordo del letto e si chinò per liberarsi degli stivali. “Sono stati mesi difficili…”
“Non devi ricordarmelo,” disse Tooru portandosi davanti a lui. Gli sfiorò i capelli sulla tempia con la punta delle dita e gli occhi del suo Re si sollevarono sui suoi. Erano di un colore particolare, a Tooru avevano sempre ricordato quelli della Foresta, con tutte le sue sfumature di marrone e verde. “Nessun turno di guardia questa notte?”
“Ho chiesto a Satori di pensare a tutto,” rispose il Re portando le mani sui fianchi del suo Consorte.
Tooru sorrise. “Tu che lasci il controllo della situazione a qualcun altro. Non capitava da un po’.”
“Questa notte voglio fare l’amore con te,” confessò Wakatoshi senza nessuna particolare intonazione o espressione.
Tooru sgranò appena gli occhi, poi scoppiò a ridere allontanandosi di un paio di passi.
“Cosa c’è?” Domandò il Re confuso.
Tooru si voltò con una piroetta, le guance un poco colorate. “Mio Re,” disse ridendo. “Non abbiamo più quindici anni!” Evidentemente, però, certe cose non sarebbero mai cambiate.
Quell’affermazione, però, non chiarì in alcun modo i dubbi del sovrano. “Non sono troppo vecchio per fare l’amore con te,” fu la sua replica.
Tooru rise. “Quando sei stupido, Wakatoshi,” commentò esaurendo la distanza tra loro. Appoggiò un ginocchio sul letto e premette entrambi le mani sul petto nudo del Re per spingerlo a stendersi sotto di lui. “Ancora non lo hai imparato? Si perde la magia se me lo dici così…”
“Non ho ancora capito cosa dovrei fare, in realtà,” replicò Wakatoshi.
Tooru lasciò andare un sospiro stanco ma continuò a sorridere. “Lascia fare a me…” Mormorò prima di chinarsi per baciare il suo Re.
 
 
***
 
 
Shouyou non riusciva a dormire.
Era stanco. Le palpebre erano pesanti ed aveva perso il conto delle volte che aveva sbadigliato da quando si era coricato ma davvero non riusciva ad addormentarsi. Aveva pensato fosse colpa del letto nuovo, dell’emozione di essere ospite al Nido delle Aquile ma l’altra metà del letto vuoto gli suggeriva una verità ben diversa.
Sospirò e si distese sulla schiena, una mano abbandonata sul cuscino, accanto al viso e l’altra in grembo.
Era la prima volta in tutta la sua vita che si ritrovava a dover dormire da solo.
Da che aveva memoria, lui ed i suoi fratelli avevano sempre condiviso la stessa stanza e, anche dopo la sua fuga, Tobio era sempre stato lì, accanto a lui. Senza contare che negli ultimi tempi quello spazio si era annullato in un abbraccio.
Udì la porta aprirsi senza preavviso ma Shouyou non si spaventò. Si sollevò a sedere ed attese che il suo visitatore si facesse avanti. Sorrise nel vedere Tobio comparire sotto il piccolo arco che divideva la sua camera da letto dal salottino privato.
Il Cigno Nero parve sorpreso di trovarlo seduto contro i cuscini. “Ti ho svegliato?”
Shouyou scosse la testa con un sorriso furbetto. “Sapevo che saresti tornato!” Non era vero. Lo aveva sperato ma era ben diverso.
“E se non fossi tornato?” Domandò Tobio attraversando la stanza. “Saresti rimasto sveglio tutta la notte?”
Shouyou scrollò le spalle. “Non riesco a dormire,” ammise.
Il Principe si sedette sul lato del letto lasciato libero. Piegò un ginocchio e prese a slacciarsi gli stivali senza chiedere il permesso. “Incubi? Il Serpente, il mio…”
“Tobio, un’altra parola su paure che non ho e litigheremo abbastanza da svegliare tutta la corte,” lo interruppe Shouyou annoiato. “E Tooru darà la colpa a te.”
Tobio gli lanciò un’occhiata storta da sopra la spalla. “Lo sapevo che non dovevo fartelo conoscere,” sbuffò. “Un giorno. Un solo giorno e già siete alleati contro di me per piegarmi al vostro volere.”
Shouyou scrollò le spalle un’altra volta. “Non abbiamo bisogno di allearci per piegarti al nostro volere.”
Tobio si liberò della tunica e lo guardò di traverso un’altra volta.
Il piccolo Corvo, però, continuò a sorridere con dolcezza. “Dai…” Mormorò scostando le lenzuola per il Principe. “Vieni qui…”
Tobio lasciò andare un sospiro e si coricò. Shouyou si accoccolò subito contro di lui ben contento di non dover più dormire in quel grande letto da solo. “Perché sei tornato?” Domandò.
Tobio appoggiò la guancia sul cuscino e lo guardò. “Prima mi dici che sapevi che sarei tornato, poi mi chiedi il motivo per cui l’ho fatto?”
Shouyou fece una smorfietta. “Non sarai sempre intelligentissimo ma ci hai messo un’ora per cambiare idea ed eri ancora vestito quando sei entrato.”
Tobio decise di non perdere troppo tempo con inutili bugie. “Ho parlato con Tooru.”
Shouyou si sollevò sui gomiti. “E?”
Tobio s’imbronciò. “E niente!” Si rigirò tra le lenzuola in modo da dare le spalle al piccolo Corvo.
“Ehi!” Shouyou appoggiò il mento alla spalla nuda del Principe. “Non puoi farmi dormire senza darmi una risposta!”
“Non è niente che ti riguardi.” Era una bugia ma Tobio si sarebbe strappato la lingua prima di dover confessare che aveva risposto non lo so a quell’ultima domanda di Tooru. Lo ami?
Shouyou gli montò praticamente sopra premendo il naso contro la sua guancia.
Tobio si sollevò su un gomito per toglierselo di dosso e cercare di capire le sue intenzioni ma il piccolo Corvo aveva avvolto braccia e gambe intorno a lui e la presa era salda. “Che stai facendo, stupido?”
Shouyou ridacchiò e basta.
Il Principe si ritrovò costretto a lanciarlo via per liberarsi dalla sua presa. Il piccolo Corvo continuò a ridere, le mani di Tobio strette intorno ai suoi polsi. “Hai completamente perso quel poco di lume della ragione che avevi?” Domandò il Principe.
Gli occhi d’ambra di Shouyou erano luminosi. “Volevo solo giocare un po’!”
“Sei irritante!”
Shouyou si calmò di colpo e si umettò le labbra. Gli occhi d’ambra passarono dalle iridi blu del Cigno Nero ad un punto poco più in basso, poi si sollevarono di nuovo. Le gote si colorarono appena.
“Che cosa c’è?” Domandò Tobio intuendo che qualcosa stava passando per la testolina del piccoletto.
La bella bocca di Shouyou s’imbronciò. “Non lo capisci da solo?”
Tobio inarcò le sopracciglia e fece per chiedere qualcosa ma nessun suono uscì dalle labbra dischiuse. La risposta era un desiderio semplice ed il Principe lo avvertì almeno quanto il suo piccolo Corvo.
Shouyou sorrise contro le sue labbra quando lo baciò. Le piccole dita gli sfiorarono il viso, poi s’infilarono tra i suoi capelli in una carezza distratta. Fu lui ad osare di più.
Tobio l’avvertì come una timida ed umida carezza sulle sue labbra e non sapendo come rispondere si scostò, come se fosse stato scottato.
Gli occhi di Shouyou erano grandi, confusi.
“Che cosa stai facendo?” Domandò il Principe.
Shouyou sorrise. “Ti ho spaventato?” Non voleva essere derisorio, solo gentile.
Tobio, però, voltò lo sguardo altrove. Le guance si tinsero di rosso per la frustrazione.
“Ehi,” il piccolo Corvo gli prese il viso tra le mani. “Guardami… Tobio, avanti, guardami.”
Gli occhi blu tornarono su quelli d’ambra.
“Io non lo so fare questo,” disse il Cigno Nero completamente rosso in viso.
Shouyou rise. “Ed io con chi pensi che lo stia imparando?”
Tobio non parve rassicurato in alcun modo. “Come faccio ad insegnarti qualcosa che non so fare?”
“Insieme, Tobio,” rispose Shouyou tirandolo verso di sé. “Impariamo insieme…”
Non appena la sua bocca fu su quella del piccolo Corvo, il Principe chiuse gli occhi e gli permise di fare quello che più preferiva. Quella carezza umida contro le sue labbra tornò e decise di assecondarla. Tobio assaggiò le labbra di Shouyou con la stessa timidezza con cui lui aveva assaggiato le sue.
Il resto venne naturale.
La lingua di uno accarezzava e quella dell’altro rispondeva. Era un bacio caldo, umido… Da adulti.
Era completamente diverso da quelli che si erano dati fino a quel momento.
Ogni carezza era una spinta a prendere di più.
Si allontanarono un istante solo per riprendere fiato e si cercarono di nuovo senza sprecare tempo in parole inutili.
Era una sensazione dolce, dolcissima.
Tobio si fermò per primo, la fronte premuta contro quella di Shouyou e le dita di lui tra i suoi capelli.
Il rumore dei loro respiri che si confondevano era il solo a spezzare il silenzio della camera.
Tobio non si scostò ma scivolò alle spalle del piccolo Corvo in modo che Shouyou potesse sentirlo vicino pur stando comodo.
Non si dissero nulla.
In quel calore, Shouyou non ebbe alcuna difficoltà ad addormentarsi.
 
 
***
 
 
La neve cadeva senza far rumore e tutto quel bianco era quasi spettrale alla luce della luna.
“Tobio!”
Faceva freddo ma il Cigno non sentiva niente.
“Tobio!”
Solo il drammatico silenzio che rispondeva al suo richiamo.
“Tobio!”

 
 
Tooru si svegliò di soprassalto.
Gli ci volle un battito di cuore almeno per comprendere che non c’era nulla di cui aver paura, che quella terribile notte di quindici anni prima era solo un ricordo lontano. Si lasciò ricadere sul cuscino con un sospiro. Non sapeva quanto mancasse all’alba ma dubitava che sarebbe riuscito a prendere sonno, anche se il calore di Wakatoshi alle sue spalle era di gran conforto.
Se c’era una cosa che Tooru davvero non sopportava era risvegliarsi in un letto vuoto in quelle notti in cui gli incubi della guerra e del Gran Inverno non volevano lasciarlo andare.
Se solo avesse potuto cancellare tutto e tenere per sé solo i ricordi dei momenti che lo avevano spinto ad amare Wakatoshi. Quelli e la nascita di Tobio.
Il braccio intorno alla sua vita lo strinse un poco di più e seppe che l’Aquila alle sue spalle si era svegliata. “Tooru…”
Il Cigno avvertì due labbra calde vicino all’attaccatura dell’ala destra. Suo malgrado, sorrise. “Ti ho svegliato io?”
“Non lo so,” ammise Wakatoshi con voce impastata dal sonno. “Tu perché sei sveglio?”
Tooru scrollò le spalle spingendosi verso di lui. “Incubi…” Poté sentirli gli occhi del suo compagno che si aprivano e si fissavano sulla sua nuca. “La piccola Tooru?”
Il Cigno strinse le labbra e scosse la testa. “Non ho avuto quell’incubo per quindici anni ed è tornato quando Tobio se ne è andato di casa.” Sorrise amaramente. “Immagino che non sia un caso, dopotutto…”
“Che cosa hai sognato, allora?”
Tooru esitò per un istante. “La notte in cui tua madre ci ha portato via Tobio.”
Wakatoshi si fece rigido, poi si sollevò su di un gomito giocando distrattamente con i capelli più corti sulla nuca del compagno. “Le ho riservato una punizione peggiore della morte per quello che ha fatto, Tooru,” gli ricordò. “Non può più farci del male e Tobio è quasi un uomo…”
“Lo so…” Tooru si rigirò tra le lenzuola sollevandosi sui gomiti.
Wakatoshi gli posò una mano sul retro del collo. “Tobio è a casa, Tooru. È tutto finito…”
Tooru lo guardò con fare sospettoso. “Sei un bugiardo peggiore di tuo figlio, Wakatoshi.”
L’espressione del Re non cambiò di una virgola. “Mio padre ha detto la stessa cosa…”
“Oh!” Esclamò Tooru con un ghignetto diabolico. “Allora c’è qualcosa che non vuoi dirmi.”
Wakatoshi si distese sulla schiena piegando un braccio dietro la testa.
“Tipo perché non hai passato nemmeno un minuto con Tobio, nonostante siano mesi che cerchiamo di riportarlo a casa e fossimo sull’orlo della disperazione,” provò Tooru osservando la sua espressione solo con la coda dell’occhio.
“C’era il piccolo Corvo con lui,” si giustificò Wakatoshi.
“Che ha passato la maggior parte della giornata con me,” il Cigno sorrise. “Mi piace, sai? Non mi spiego cosa ci faccia con Tobio ma… Potrebbe funzionare.”
“Non sta a noi deciderlo.”
“Non c’è alcuna ragione di essere tanto seri, Wakatoshi. Non ho firmato un contratto matrimoniale in cui li obbligo a copulare per avere un figlio,” Tooru fece una smorfia. “A differenza di tua madre…”
Il Re lo guardò dritto negli occhi. “Vuoi nominare mia madre ancora una volta, Tooru?” Non c’era ombra di rabbia o irritazione nella sua voce o nella sua espressione ma il Cigno sapeva bene quando era il momento di fermarsi e sapeva di aver già fatto un passo di troppo oltre un confine di cui Wakatoshi non ammetteva l’esistenza ma c’era ed era piuttosto evidente, alle volte.
La Signora del Nido delle Aquile era stata la prima battaglia che Tooru aveva combattuto e l’ultima che aveva vinto. E l’aveva fatto al modico prezzo della sua innocenza, della bambina che non aveva potuto stringere tra le braccia e, per poco, del bambino che erano riusciti ad avere quando intorno a loro non era rimasto altro che morte.
“Gli ho dato uno schiaffo…”
Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. “Che hai detto?”
Wakatoshi sospirò e lo guardò. “La notte seguente all’attacco di quel Serpente, quando sono andato al nostro rifugio e ho trovato lì Tobio.”
“Oh…” Il Cigno ci pensò. “Gli hai dato uno schiaffo,” una pausa. “E?”
Il Re inarcò le sopracciglia. “Niente. Gli ho dato uno schiaffo.”
Tooru ridacchiò. “Non gli è nemmeno rimasto il segno!” Esclamò. “Non puoi tenere il muso perché hai perso la pazienza con un moccioso insolente. È sopravvissuto a cose peggior!” Alzò gli occhi al cielo. “Vedete di chiarirvi domani.”
“Non credo che…”
“Wakatoshi, condividete la stessa stupidità e rimandare farà più male alla mia salute che alla vostra. Parlatevi e adesso andiamo a dormire!”
“Ti sei svegliato tu per primo,” gli fece notare Wakatoshi senza nessuna particolare intonazione.
“Shhh… Ho bisogno del mio sonno di bellezza!”
 
 
***
 
 
 
“Tsutomu, tu ti devi calmare,” disse Eita con voce non irritata ma ferma.
Era solo l’ora di colazione e già si prevedeva che sarebbe stata una lunga giornata.
Il Principe era tornato a casa, non c’erano stati attacchi di Cacciatori per diverse notti ed erano nel pieno della stagione degli amori che, di per sé, rappresentava un buon motivo per essere allegri. Tsutomu, però, era particolarmente bravo ad essere l’eccezione, la rappresentazione vivente del contrario di tutto. Era un po’ come il loro erede al trono ma, a differenza di Tobio, non lo era in silenzio.
“Non sono riuscito a chiudere occhio!” Esclamò la giovane Aquila con la bocca piena. Stava divorando la sua colazione come se non mangiasse da giorni.
Eita sospirò. “In questa stagione, cose come queste capi…”
“No!” Sbottò Tsutomu sbattendo il suo calice contro il tavolo. “A me non succede!”
“Lo affermava anche il Principe,” intervenne Reon con tono tranquillo. “Eppure, non è tornato al Nido da solo.”
Tsutomu si nascose il viso tra le mani. “È proprio questo il problema!” Sbraitò. “Sono settimane che alcuni dei ragazzi più grandi parlano di un buon profumo che proviene dalla Foresta nei giorni di vento. Molti di loro sono già accoppiati quindi non si sono interessati ed altri hanno detto di aver sentito l’odore di un predatore insieme al profumo della creatura sconosciuta e, per tanto, è stato solo una storiella del momento con cui passare il tempo. Nessuno si è spinto oltre!”
Eita e Reon si scambiarono un’occhiata.
“E?” Domandò il primo.
“E lo sentivo anche io!” Esclamò Tsutomu con le guance rosse, come se ci fosse qualcosa di cui vergognarsi. “Solo che era una cosa controllabile. Sì, qualche volta mi ritrovavo con un problema di cui occuparmi ma…”
Eita sospirò stancamente. “È normale, sì ma salta i dettagli, Tsutomu.”
La giovane Aquila si prese la testa tra le mani con fare drammatico. “Era Tobio…”
Reon inarcò le sopracciglia. “La creatura dal profumo invitante è il Principe?” Domandò.
“No,” rispose Eita. “Penso che il predatore sia il nostro Principe ed il piccolo Corvo con cui è tornato a casa deve essere…”
“Non sta succedendo a me!” Esclamò Tsutomu sbattendo il pugno contro il tavolo. “No! È escluso! Non a me!”
Eita accennò un sorriso intenerito bevendo un altro sorso dal suo calice. “Non hai dormito tutta la notte perché ora il suo profumo non è più così lontano…”
“No! No! No!” Continuò a negare Tsutomu con un sorriso forzatissimo. “Non sarò uno di quelli che si rincitrulliscono perché sentono improvvisamente un dolce profumo nell’aria manco avessero mangiato dei funghi allucinogeni e…”
La sala dei banchetti era piena di gente e c’erano molte voci a che si sovrapponevano ma a Tsutomu la risata che lo interruppe parve l’unico suono nitido in un continuo e confuso brusio. Si voltò.
La tavolata dei sovrani era posta in fondo alla stanza sotto gli arazzi reali. Tooru e Wakatoshi avevano preso posto al centro già da diversi minuti e Tobio li aveva appena raggiunti. Al suo fianco, il piccolo Corvo lo guardava e rideva.
Il Consorte reale si alzò in piedi per salutarli con un sorriso.
Il piccolo Corvo prese a parlare, mentre Tobio osservava la scena con espressione evidentemente scocciata e non migliorò quando il genitore lo afferrò per le spalle e lo costrinse a sedersi accanto al Re. Il piccolo Corvo ridacchiò divertito e Tsutomu seppe che la sua testa doveva smettere di girare, prima che gli comandasse di fare qualcosa di cui si sarebbe pentito per il resto della vita.
Picchiò la fronte contro il tavolo con tanta violenza che Eita e Reon sobbalzarono.
“Tsutomu!” Esclamarono in coro.
 
 
***


 
“Non hai dormito nel tuo letto questa notte.”
Tobio impiegò un istante di troppo per capire chi aveva parlato.
Quando si voltò, Wakatoshi stava fissando la sala dei banchetti come se non avesse detto una singola parola.
Il Principe sbatté le palpebre un paio di volte. “Hai detto qualcosa?”
Il Re lo guardò. “Non hai dormito nel tuo letto questa notte.” Non era un’accusa, solo un’osservazione.
Tobio non seppe come prenderla. “Mi controllate giorno e notte anche nella mia casa, ora?”
“È la mia casa,” sottolineò il Re. “Mia e di tua madre.”
“Certo,” rispose Tobio con sarcasmo. “Io sono un ospite.”
“Non intendevo dire questo.”
“Cosa intendevi allora?”
Niente. Era questa la unica e semplice risposta.
Wakatoshi aveva semplicemente tentato di cominciare una conversazione casuale con suo figlio ma lo aveva fatto con le parole sbagliaea e che il destino avesse pietà di chiunque ponesse un quesito sbagliato ad uno dei due Cigni del Nido delle Aquile. Aveva impiegato un’eternità a capire come parlare con Tooru, a farsi ascoltare da lui e, alle volte, ancora aveva difficoltà.
Tobio era un caso ancor più complesso perché aveva anche qualcosa di lui in sé e Wakatoshi non aveva mai imparato del tutto a fare i conti con se stesso. Era sempre stato Tooru quello a non avere problemi con quella questione.
Decise di fare un passo indietro. “Non volevo offenderti,” disse. “Questa mattina sono venuto a cercarti perché volevo parlare e non ti ho trovato nella sua camera. Tutto qui.”
L’espressione di Tobio si addolcì. “Ero con Shouyou.”
“Ora lo so.”
Il Principe arrossì. “Non è come pensi!”
“Non ho pensato nulla, Tobio.”
Il Cigno Nero non seppe se crederci o meno ma decise di non indagare.
“A Tooru piace,” commentò Wakatoshi senza preavviso.
Tobio si voltò verso le due creature che erano fonte principale di tutti i suoi malumori e sospirò. “Un altro motivo per cui preoccuparmi.”
“Tooru ha gusti difficili. Il tuo piccolo Corvo non è comune se riescono a divertirsi così durante una semplice colazione.”
Come a voler confermare, Tooru rise per qualche sciocchezza che né il Principe né il Re udirono e Shouyou fece altrettanto.
“Tu cosa ne pensi?” Domandò Tobio. Non seppe perché lo fece: gli piaceva dire e credere che non era interessato al giudizio degli altri, in particolare dei suoi genitori e questo dopo aver passato l’infanzia a fare l’impossibile per rendergli orgoglioso di lui.
Wakatoshi lo guardò per una frazione di secondo, poi tornò ad osservare la sala. “Cosa vuoi che ti dica?”
Tobio abbassò lo sguardo e scosse la testa. “Niente…”
Ed il Re seppe di aver usato le parole sbagliate ancora una volta.
 
 
***
 
 
“Tu e tuo padre avete litigato?” Domandò Shouyou.
Stavano camminando l’uno al fianco dell’altro lungo i corridoi del Nido delle Aquile.
Il piccolo Corvo aveva preteso un giro turistico e, suo malgrado, Tobio non era tipo da rimangiarsi la parola. “Non abbiamo litigato,” rispose. “Noi siamo fatti così.”
“Tooru dice che siete due stupidi.”
“Shouyou, per il tuo bene, non riferirmi tutto ciò che Tooru ti dice su di me o potrei perdere il controllo,” sibilò il Principe.
“Vi somigliate incredibilmente!” Commentò il piccolo Corvo con una risatina.
Tobio lo guardò orripilato: glielo dicevano spesso in molti, Wakatoshi compreso ma sentirlo dire da qualcuno che non era divenuto un adulto al fianco dei suoi genitori era terribile. Per quanto lo infastidisse, il giudizio di Shouyou era il più oggettivo all’interno di quella corte.
“Voglio dire,” aggiunse il Corvo. “Con me, Tooru è gentile ma vedo come si comporta con gli altri ed è antipatico almeno quanto te!”
Tobio non sapeva se prendere quelle parole come una vittoria personale o un insulto.
“Volete sempre avere ragione. Non accettate di non ottenere ciò che volete, fosse anche una sciocchezza e volete che chi non sopportate strisci ai vostri piedi.”
“Io non ho mai voluto che tu strisciassi ai miei piedi,” ammise Tobio con una smorfia. “Mi accontenterei se riuscissi a tenere la bocca chiusa per almeno dieci secondi.”
Shouyou lo guardò storto. “Mi riferisco a chi non sopportate per davvero!” Esclamò Shouyou. “Tooru non sembra sopportare bene quel Satori, per dirne una.”
Tobio ridacchiò. “Ci sarebbero delle storie interessanti da raccontare su Satori e Tooru.”
Uscirono su di una delle grandi balconate che si affacciavano sulla valle e Shouyou prese un respiro profondo appoggiando i gomiti al parapetto di legno. “L’aria è così fresca e pura quassù!”
Tobio osservò il paesaggio senza realmente vederlo. “È come te l’aspettavi?” Domandò. “La corte, intendo. Il leggendario Nido delle Aquile,” alzò gli occhi al cielo.
Shouyou rise. “Te l’ho detto quel giorno al fiume,” rispose, “sono felice. Nulla di più e nulla di meno.”
Tobio abbassò gli occhi blu sul parapetto: gli sarebbe bastato allungare le dita per sfiorare la mano del piccolo Corvo. “E dopo quello che è successo ieri?” Domandò. “Quello che è successo la scorsa notte ti ha reso felice?” Non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarlo apertamente e così sbirciò la reazione dell’altro con la coda dell’occhio.
Shouyou abbassò lo sguardo sentì un calore familiare salire al viso ma non era una sensazione spiacevole. Non come le prime volte quando quelle emozioni gli sembravano scomode, inadatte, portatrici di guai.
Beh… A quel punto della storia, il termine guai era abbastanza riduttivo.
Ridacchiò e Tobio si voltò a guardarlo. “Che cosa c’è?” Domandò un poco indignato.
“Non stavo ridendo di te,” lo rassicuro Shouyou, gli occhi brillanti. “Stavo solo pensando.”
“A cosa?”
Il piccolo Corvo scrollò le spalle. “Fino a tre mesi fa, ero un Corvo adolescente di un Villaggio che vive di tranquillità e grandi storie,” disse guardandosi intorno. “Tutto questo è così irreale per me.”
Fu allora che Tobio esaurì la distanza tra le loro mani e Shouyou lo guardò dritto negli occhi. “Che cosa c’è?” Domandò.
“Ti sto toccando…” Disse il Principe come se non fosse completamente ovvio.
Il piccolo Corvo sorrise ed intrecciò le loro dita con naturalezza. “Lo so, stupido.”
Tobio s’imbronciò. “Lo so che lo sai,” replicò. “Volevo solo ricordarti che io sono reale…” Una pausa, arrossì. “E non darmi dello stupido!” Fece per colpirlo ma non per fargli male, solo per non perdere la vecchia abitudine.
Shouyou lo schivò e gli cinse il collo con le braccia con tanta irruenza che per poco non caddero a terra.
Tobio si sorresse al parapetto di legno, gli occhi sgranati. Shouyou scoppiò a ridere.
“Sei completamente idiota!”
“No, stupido, sono felice!” Esclamò il piccolo Corvo tra le risate. “Felice!”
Troppo occupato ad essere frustrato con se stesso e con l’intera situazione, Tobio si limitò a sbuffare e non si accorse delle piccole lacrime segrete agli angoli degli occhi del piccolo Corvo.
 
 
***
 
 
“Pensavo pranzassimo tutti insieme nella sala dei banchetti,” disse Shouyou accomodandosi accanto al piccolo tavolo rotondo al centro del salottino.
Tobio scosse la testa. “Non lo facciamo, a meno che non ci sia una festa o qualcosa del genere,” spiegò. “Non abbiamo tutti gli stessi doveri durante il giorno e sarebbe un continuo via vai per ore.” Si sedette accanto al piccolo Corvo osservando distrattamente le Aquile che stavano servendo loro il pranzo. “Inoltre, è un modo per garantire un po’ di vita privata in questo mondo caotico.”
Shouyou teneva lo sguardo basso per non dover incrociare quello della servitù. “Questo mondo è completamente nuovo per me, temo di non comprendere…”
Tobio aspettò che i servi finissero il loro lavoro e si ritirassero prima di rispondere. “Cercherò di fartela breve,” cominciò appoggiando i gomiti sul tavolo ma non riprese a parlare fino a che gli occhi del Corvo non furono di nuovo sui suoi. “Ti sei sentito in imbarazzo, vero?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Che vuoi dire?”
“Mentre ci servivano non hai sollevato gli occhi dal tuo piatto nemmeno per un istante,” gli fece notare Tobio.
Il piccolo Corvo arrossì un poco. “Non sono abituato a questo genere di cose,” ammise con un sorriso nervoso.
“Non ci si abitua mai,” disse Tobio riempiendo il suo calice e quello del suo ospite. “Almeno, io non ce l’ho fatta. Poi ci sono i nobili che non saprebbero vivere diversamente.”
Shouyou lo fissò. “Non ti ci vedo a farti servire per ogni singola cosa.”
Il Principe ricambiò lo sguardo. “Infatti…” Replicò. “Tooru dice che sono un selvaggio ma, per quanto sembri assurdo, anche lui ha i suoi limiti nell’intromissione della servitù nelle faccende personali, figurarsi la nobiltà.”
“Ad esempio?” Domandò Shouyou curioso prendendo un sorso della sua acqua.
Tobio scrollò le spalle. “Mi hanno detto che un tempo la coppia reale appena sposata doveva consumare la prima notte di nozze di fronte ad un pubblico di testimoni.”
Il piccolo Corvo lo guardò orripilato. “Che cosa?!”
Un tempo,” si sentì in dovere di specificare Tobio ma decise di non chiedersi per quale ragione. “Figurarsi, se avessero dovuto aspettare i miei genitori, quei nobili idioti sarebbero rimasti seduti nella camera da letto reale per mesi!”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Pensavo che tu ti vergognassi perché i tuoi genitori hanno il problema opposto.”
“Non è sempre stato così,” disse il Principe. “Matrimonio combinato, ricordi…”
“Oh…” Shouyou annuì, poi sorrise. “Tooru ha ragione, allora! C’è anche qualcosa di lui in te…” Esclamò poi.
Tobio lo guardò confuso. “Che vuoi dire?”
“Beh… Non sono un esperto ma immagino che un Re vuole qualcosa dal suo Consorte la può prendere.”
Tobio non era certo di conoscere la risposta esatta e tacque: non era una conversazione sulle leggi riguardanti le relazioni da Regni e Re che stavano intavolando.
Shouyou scrollò le spalle. “Tu avresti potuto farmi quello che volevi,” disse. “Io non sono nessuno. Inoltre, visto l’effetto che il nostro odore provoca l’uno sull’altro, non avresti dovuto fare molto per piegarmi.” Arrossì.
“Non ero interessato, ricordi?” Domandò Tobio cominciando a mangiare.
“Durante la guerra non serviva essere interessati,” replicò Shouyou completamente serio. “Succedevano cose brutte e basta…”
Per il Principe fu particolarmente dura ingoiare quel primo boccone. “Pensavo che nemmeno i tuoi genitori raccontassero storie della…”
“No, ma mi è venuta in mente una cosa,” raccontò il piccolo Corvo. “Non ci sono solo Corvi al Villaggio, ecco tutto.”
Il Cigno Nero non comprese. “Cosa stai cercando di dirmi?”
“Le loro famiglie vivono isolate,” spiegò Shouyou. “Non conosco nessuno di quei fanciulli ma nei Villaggi come il mio, in cui tutti si conoscono e tutti finiscono per creare una famiglia con il miglior amico o amica di sempre, salta all’occhio quando qualcuno non ha le ali ricoperte di piume nere.”
“Oh…” Tobio credeva di capire, ora.
“Ci sono famiglie miste,” proseguì Shouyou. “Come i tuoi genitori, per dirne una e la gente non dice niente. Poi ci sono quelli che hanno la mia età e che, quindi, sono nati durante la guerra,” una pausa, “e non hanno un padre.”
Tobio strinse le labbra. “La stagione degli amori non è una parentesi felice come la si crede quando la si vive fuori da un contesto protetto.”
“Come è accaduto a me, vero? Con quel giovane sconosciuto alla cascata, intendo.”
Tobio scrollò le spalle. “Non ti ha fatto alcun male.”
“Fosse stato un predatore avrebbe potuto farlo, però.”
L’espressione del Principe si fece dura. “Nessuno predatore si sarebbe avvicinato a te,” gli disse. “Perché il più pericoloso ce l’avevi già accanto. La reazione che abbiamo avuto l’uno all’altro è stata forte ma non tanto d’annebbiare la nostra ragione. Ci sono storie in cui qualcuno ha dichiarato di non aver capito più niente prima di compiere un certo gesto riprovevole…”
Il piccolo Corvo non disse niente e Tobio ricordò come erano finiti a parlare di una questione tanto sgradevole. “A chi dovrei assomigliare comunque?”
Shouyou sorrise. “Al Re, naturalmente…”
“Perché? Perché non mi sono approfittato di te?”
“Anche…”
“E per cos’altro?”
Shouyou appoggiò la schiena alla poltrona. “Per evitarci incomprensioni future: io sento quello che senti tu, Tobio.”
Il Principe annuì. “Lo so.”
“E, allora, se non fossi gentile come tuo padre saresti già arrivato oltre…”
Tobio lo guardò sospettoso. “Io non so se è peggio parlare di sesso con te o avere il dubbio che lo stai facendo solo per dirmi qualcosa che col sesso non ha niente a che fare?”
Le guance di Shouyou si fece rosse, poi sbuffò. “È solo un’altra prova d’aggiungere alla lunga lista che prova che non sei un mostro.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “E siamo a tre…”
“Tre?”
“Idioti che ripetono questo ritornello!” Esclamò irritato.
Shouyou s’imbronciò, poi prese un respiro profondo. “Perché non mi fissi…”
“Eh?” Tobio lo guardò annoiato. Non aveva idea di quale altra sciocchezza quel piccolo idiota stesse per rifilargli ma sapeva che avrebbe dovuto udirla volente o nolente.
“Quando facciamo il bagno insieme, ad esempio,” disse Shouyou abbassando lo sguardo per troppo imbarazzo. “Lo so che cosa vuoi, Tobio…”
Il Principe non gli disse che non lo sapeva nemmeno lui. “E come lo sai?”
“Lo sento quando mi baci,” fu l’ingenua risposta del piccolo Corvo.
E Tobio pensò con nostalgia a quei tempi in cui ancora poteva negare quelle emozioni pericolose con facilità. Aveva perso quel potere nello stesso momento in cui la distanza tra lui e Shouyou si era annullata. Il piccolo Corvo diceva di sapere quello che sentiva e, alle volte, Tobio avrebbe tanto voluto non sentire quello che provava lui.
Come la notte precedente, quando quel bacio caldo ed umido per Shouyou era stato un invito a provare di più, mentre per Tobio era stato un monito ad osare tanto.
“Nonostante questo, però,” aggiunse Shouyou. “Non mi fissi quando non ho i vestiti addosso. Lo fai per non farmi sentire in difficoltà…” Sorrise. “Questa è gentilezza, Tobio.”
Ed il Principe decise che quel discorso si stava facendo troppo pericoloso per l’ora di pranzo. “Mangiamo…”
 
 
***
 
Col senno di poi, dopo i discorsi che avevano fatto a pranzo, forse sarebbe stato meglio non tornare al fiume quel pomeriggio. Sì, Shouyou gli aveva chiesto di passare tutta la giornata al Nido delle Aquile e Tobio aveva promesso di restare con lui ma, una volta finito di mangiare, non erano stati in grado di fare un passo senza che qualcuno li fermasse e li riempisse di domande.
Ovviamente, nessuno che Tobio avesse mai ritenuto degno della sua amicizia.
“Oh, Vostra Altezza, il vostro Principe Consorte è adorabile! Come vi siete conosciuti?”
“Oh, un piccolo Corvo! Scelta interessante… Immagino che non si potrà scommettere sul colore delle ali dei vostri figli!”
“Congratulazioni, mio Principe! A quando l’annuncio ufficiale? Non vediamo l’ora di approfondire la conoscenza con il vostro piccolo Corvo!”
Se ne avesse avuto il potere, Tobio avrebbe tirato il collo a tutti quei fottuti nobili e si sarebbe liberato della loro velenosa ipocrisia. Senza contare che tutti quegli interrogatori avevano oscurato il buon umore di Shouyou e questo gli dava ancor più fastidio.
Tobio si era gettato in acqua senza pensarci due volte ma il piccolo Corvo si era liberato degli stivali e dei pantaloni solo per sedersi su una delle rocce che davano sull’acqua. Lo sguardo pensieroso ed i piedi ammollo.
Il Principe si passò una mano tra i capelli corvini tirandoli all’indietro, poi si avvicinò nuotando verso il piccolo Corvo. La roccia su cui si era accomodato si spingeva fino quasi al centro del letto del fiume e l’acqua gli arrivava alla vita. “A che cosa stai pensando?” Domandò avvolgendo le dita ad una delle caviglie dell’altro.
Shouyou ridacchiò. “Mi fai il solletico.”
“Sei divenuto serio di colpo.”
L’altro scrollò le spalle. “Penso di capire cosa intendevi quando hai detto che non si possono avere molti momenti privati all’interno di una corte.”
Tobio fece una smorfia ed annuì. “Non ricordo nemmeno l’ultima volta che tutti quei nobili mi hanno rivolto la parola prima di oggi.”
Shouyou lo fissò. “Non è rischioso?”
“Cosa?”
“Inimicarsi la nobiltà.”
“Non sono miei nemici,” replicò Tobio. “Non sono miei amici, tutto qui. Tooru ha sempre sperato che chiunque avessi scelto come Consorte fosse più socievole di me. Immagino che qualcuno abbia ascoltato le sue preghiere.”
Non si rese conto di quanto aveva detto fino a che Shouyou non sgranò gli occhi.
Tobio arrossì ed abbassò lo sguardo. “Voglio dire…”
“Questa cosa dei titoli nobiliari comincia a farsi complicata,” disse Shouyou con un timido sorrise. “Specie quando non sappiamo ancora come…”
“Non m’interessano i titoli nobiliari,” lo interruppe Tobio. “Siamo io e te, quello che siamo lo decidiamo noi. Punto.”
Shouyou sorrise con un più sicurezza ed annuì.
“Allora?” Domandò il Principe. “Perché non fai il bagno?”
L’espressione del piccolo Corvo si fece furbetta. “No,” scosse la testa agitando i capelli già ribelli per natura. “Oggi mi va di guardare.”
Tobio inarcò un sopracciglio. “Guardare cosa?”
“Tu che fai il bagno,” rispose Shouyou agitando la caviglia stretta tra le dita del Cigno Nero. “Avanti! Vai a fare il bagno!”
Tobio lo lasciò andare sbuffando. “Idiota…” Disse appoggiando la schiena alla parete di roccia, le braccia incrociate contro il petto e le guance rosse.
Pochi istanti e sentì un soffio caldo tra i capelli umidi, una leggera pressione sulla testa. “Che sta facendo?”
Shouyou sorrise. “Ti annuso.”
“Lo conosci il mio odore,” replicò Tobio.
“E allora?” Shouyou gli baciò i capelli. “È buono…”
Il Principe si voltò. Shouyou si era disteso sulla roccia e lo guardava con un sorriso. Sollevò una piccola mano e prese a giocare con i capelli più corti sulla sua tempia. “Hai i capelli tanto neri che hanno i riflessi blu,” commentò. “Come le tue ali…”
“Non sono più nere delle tue.”
“Forse ma sono più belle.”
“Smettila…”
Shouyou si fece serio di colpo. “Mai.”
Tobio avrebbe dovuto prenderlo a schiaffi per tanta insistenza, invece si sporse in avanti infilando una mano tra quei capelli ribelli e tirando il piccolo Corvo verso di sé. Troppo verso di sé.
Shouyou perse l’equilibrio e cadde in acqua con un’esclamazione spaventata.
Le loro labbra non si toccarono nemmeno.
Il piccolo Corvo riemerse con la bocca e gli occhi spalancati. Tobio scoppiò a ridere afferrandogli le spalle per aiutarlo a recuperare l’equilibrio. “Non ridere, stupido!” Esclamò ancora prima di riuscire a guardarlo negli occhi agitando le ali bagnate.
“E stai fermo!” Esclamò Tobio ridendo ancora.
Shouyou cercò di spingerlo via ma la presa del Principe sulle sue spalle rimase salda e per poco non caddero di nuovo entrambi nell’acqua. Per salvarsi da ulteriori attacchi, Tobio avvolse le braccia intorno al piccolo Corvo per immobilizzarlo. Shouyou scoppiò a ridere a sua volta aggrappandosi a lui.
“Sei un idiota,” commentò Tobio senza cattiveria appoggiando la guancia tra quei capelli dello stesso colore del tramonto.
Shouyou affondò il viso contro il suo petto. “Mai quanto te…” Rispose e sorrideva ancora.
 
 
A Tobio piaceva guardare Shouyou con i suoi vestiti addosso.
No, non glielo avrebbe mai detto e sì, gli cedette la sua tunica solo dopo essersi lamentato di quanto il piccolo Corvo fosse imbranato ma, no, non gli dispiaceva affatto. Era piacevole starsene sotto il sole d’estate con la pelle umida e la mente sgombra per una volta.
“Posso farti una domanda?” Chiese Shouyou passando la punta delle dita sul petto del Principe.
Tobio sospirò e chiuse gli occhi. “Come se ti servisse il mio permesso per fare rumore…”
Shouyou, però, non replicò offeso. Al contrario, rimase in silenzio.
Il Cigno Nero aprì un occhio e spiò la sua espressione: gli occhi d’ambra erano brillanti, liberi dalle nubi di qualsiasi preoccupazione ma era netta la linea della bella bocca. Probabilmente, stava riflettendo su qualcosa.
“A cosa stai pensando?” Domandò Tobio
Shouyou sollevò gli occhi grandi sui suoi, le gote rosse. “Nulla d’importante,” rispose con un timido sorriso.
Il Principe sollevò appena le sopracciglia. “Se hai bisogno di qualcosa basta chiedere.”
Shouyou scosse la testa ed appoggiò la guancia contro la sua spalla. “Non ho bisogno di nulla. Grazie.”
Tobio passò distrattamente una mano tra i suoi capelli. “Tu non mi chiedi mai niente…”
Shouyou ridacchiò. “Ma se passi la maggior parte del tuo tempo a lamentarti che non faccio altro che annoiarti con le mie domande.”
“No, mi riferisco a cose materiali, qualcosa del genere.”
Il piccolo Corvo scrollò le spalle. “Non è mia abitudine.”
“Non ti piacciono i regali?” Domandò Tobio
“Non sarebbero regali se fossi io pretenderli,” replicò Shouyou.
“Sì ma c’è qualcosa che desideri? Qualcosa che non hai mai potuto avere… Io sono un Principe e posso...”
“Ah!” Esclamò Shouyou sorridendo e sollevandosi su di un gomito per premere l’indice contro le labbra del Cigno Nero. “Hai usato la carta del Principe, non vale!”
Tobio s’imbronciò scostando quella mano dal suo viso. “Per quale motivo?”
“Perché non è giusto,” rispose Shouyou. “Io non sono qui perché tu sei un Principe. Mi offendi così!”
“Scusa…?” Disse Tobio incerto.
Shouyou ridacchiò. “Non dovresti chiedermelo.”
“Oh! Ma che vuoi?” Tobio si mise a sedere e Shouyou si sollevò sulle ginocchia. “È che voglio fare qualcosa per te, tutto qui!”
Il sorriso di Shouyou assunse altre sfumature, più dolci. “Davvero?” Domandò felicemente sorpreso.
Tobio arrossì, gli occhi blu rivolti altrove e l’espressione imbronciata.
“Il giorno del solstizio d’estate è il mio compleanno,” disse Shouyou timidamente.
Il Cigno Nero si voltò a guardarlo molto lentamente. “Il giorno del solstizio d’estate?”
Il piccolo Corvo annuì.
“E che cosa vuoi per il tuo compleanno?”
Shouyou gonfiò le guance. “No! Così non va bene!”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che cosa ho fatto adesso?”
“Io ti ho dato una scusa per fare qualcosa per me,” disse Shouyou. “Il resto spetta a te!” Si alzò in piedi, si liberò della tunica senza preavviso e si portò sul bordo della roccia.
Quando si voltò, Tobio aveva gli occhi e la bocca spalancata come un pesce fuor d’acqua. Shouyou rise. “Bene, finalmente mi hai guardato!” Esclamò prima di tuffarsi.
Tobio rimase a fissare il vuoto per alcuni istanti, poi si prese la testa tra le mani e si lasciò ricadere sulla roccia calda di sole. Emise un gemito frustrato. “In che situazione di merda mi sono cacciato?” Si domandò.
“Tobio! Non vieni a fare il bagno?” Lo richiamò Shouyou.
Il Cigno Nero fissò il cielo azzurro sopra di lui per alcuni secondi. Strinse le labbra, fece appello a tutta la sua forza interiore, poi si alzò in piedi e si liberò dei pantaloni per tornare in acqua.



 
***
Angolo dei deliri e delle inutili giustificazioni
Secondo quanto scritto nelle note introduttive, la storia sarebbe dovuto finire qui ma non riesco ad essere me stesse se non mi dilungo e posso affermare tranquillamente che arriveremo almeno ad una decina di capitoli. Gran parte di quello che volevo scrivere l’ho già scritto ma c’è ancora qualcosa che voglio dire.
Vi terrò compagnia ancora per un po’.
Grazie a tutti i lettori e recensori per la pazienza e l’affetto.
Alla prossima!





 

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Capitolo 8
*** Piume nere ***


VIII
Piume Nere


Tobio non riusciva a prendere sonno e, per una volta, non poteva biasimare il profumo di Shouyou per questo. Erano nello stesso letto, nella stanza degli ospiti più bella di tutto il Nido delle Aquile. La stessa che era appartenuta a Tooru prima che il matrimonio tra lui ed il Re dell’Aquila divenisse qualcosa di più di un semplice contratto tra nobili.
Shouyou dormiva su di un fianco e gli dava le spalle.
Tobio si era ritrovato ad accarezzargli il fianco coperto dalla stoffa sottile della camicia da notte senza nessuna particolare ragione. Era un gesto distratto, per tenerlo occupato mentre la sua mente si perdeva in mille pensieri e possibilità.
Tre giorni e sarebbe stato il compleanno di Shouyou.
Tre giorni per dimostrare a se stesso e a quel piccolo Corvo che poteva dargli qualcosa che potesse sorprenderlo. Qualcosa che non avesse nulla a che fare con il suo titolo di Principe.
Sarebbe stato come barare, altrimenti.
Gli occhi blu del Cigno si fissarono sulla nuca del piccolo Corvo e lì rimasero per quella che parve un’eternità.
Non aveva importanza quanto lo infastidisse, c’era una sola persona a cui poteva chiedere consiglio e, no, non avrebbe aspettato l’alba per farlo.
Con la luce del sole, gli avrebbe garantito un vantaggio di azione che non poteva permettersi.
“Maledizione... “ Sibilò Tobio contro se stesso. Strinse per un istante il fianco di Shouyou, poi si alzò dal letto.
Sapeva che se ne sarebbe pentito ancor prima di abbassare la maniglia della porta.


***


Quando era arrivato il suo primo uovo, Tooru si era sentito dire da molte madri che poteva anche dire addio al suo sonno di bellezza: non avrebbe più dormito una notte intera per il resto della sua vita.
Suo malgrado, quella previsione si era avverata ancor prima che il suo peggior incubo divenisse realtà. Wakatoshi lo aveva sorpreso molte volte mentre accarezzava quell’uovo, canticchiando una ninna nanna a quella bambina non ancora nata.
Aveva passato quelle parentesi di tempo sottratto ai doveri, alle apparenze della corte e agli orrori della guerra per godersi quel piccolo miracolo. In mezzo a tante cose brutte, Tooru aveva avuto il bisogno di fermarsi ad immaginare la sua felicità: la sua bambina dalle ali candide tra le braccia.
La figlia a cui avrebbe voluto dare il suo nome non era mai nata ed allora le fantasie che lo avevano tenuto sveglio la notte si erano tramutate in incubi senza fine.
Demoni che non lo avevano lasciato andare nemmeno quando era arrivato il loro secondo uovo, quello dell’unico figlio che avrebbero mai avuto.
I sei mesi che Tobio aveva impiegato per varcare il sottile confine tra la vita e quello che vi era immediatamente prima erano stati i peggiori della vita di Tooru.
Il terrore di perdere anche quel bambino era stato secondo solo alla determinazione con cui si era sforzato di non amarlo.
Alla fine, però, nel bel mezzo di quel Grande Inverno che aveva finito di massacrarli come la guerra non era riuscita a fare, il suo piccolo Principe era venuto al mondo e l’aveva fatto impazzire in più di un modo fin dal suo primo vagito.
Sì, Tooru poteva contarle sulle dita di una mano sola le notti in cui aveva davvero dormito tranquillo dal giorno in cui era divenuto un genitore.
Tobio, però, era talmente legato al suo ruolo di figlio da sentirsi in dovere di rovinare anche quelle.
“Tooru…”
A causa di quell’istinto materno che Tooru odiava con tutto se stesso, seppe chi lo stava svegliando ancor prima che la sua mente riuscisse a ricollegare il suono di quella voce ad un volto.
“Tobio…” Gemette affondando il viso nel cuscino.
“Tooru, devo parlarti.”
“Adesso?” Fosse stato un po’ più sveglio, Tooru avrebbe preso a calci il suo adorato erede fino a che non avesse perso i sensi sul pavimento. Wakatoshi non era lì per biasimarlo, comunque.
Una seconda mano prese a scuoterlo. “Tooru,” lo chiamò la voce del Re Aquila, “Tobio è qui per parlarti.”
Tooru aprì gli occhi di colpo. Wakatoshi rispose al suo sguardo tranquillamente seduto contro i cuscini e con l’espressione di chi sta vivendo una situazione del tutto socialmente accettabile. Non lo aveva sentito rientrare.
Si voltò: Tobio si era accomodato sul bordo del letto, lo sguardo scocciato.
Tooru si dovette trattenere per non prenderlo a calci in faccia ed il suo regale padre con lui. Lo svegliavano nel bel mezzo della notte e quello ad essere scocciato era quel moccioso ingrato?
“Che diavolo vuoi?” Sibilò.
Wakatoshi inarcò le sopracciglia. “Se è venuto qui nel bel mezzo della notte deve essere importante,” notò con tono democratico.
Tooru lo guardò in cagnesco. “Importante per chi?” Strillò. “Per me? Per te? Per lui? Il Nido sta andando a fuoco? Non mi pare! Se siete così felici di essere svegli nel bel mezzo della notte, allora parlate tra di voi!”
Il Cigno affondò di nuovo il viso nel cuscino pregando che gli altri due idioti sparissero nel nulla e lo lasciassero al suo più che meritato sonno di bellezza.
“Si tratta di Shouyou,” disse Tobio senza girarci troppo intorno. “Tra tre giorni è il suo compleanno…”
Ci fu un momento di totale silenzio, poi Tooru riemerse dal suo nascondiglio con un gran sorriso euforico stampato in faccia: tutto il rancore sparito.
Tobio si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo.
“Ma perchè non lo hai detto subito?” Domandò il Consorte Reale con fare scandalizzato.
“Il giorno del solstizio d’estate…” Sottolineò Wakatoshi.
“Oh!” Esclamò Tooru con voce tanto felice da suonare ridicola. “Il giorno del solstizio d’estate! È proprio la tua anima gemella, Tobio! Siete così perfetti! Così… Beh, lui può essere perfetto con una piccola risistemata per mia mano, tu… Tu puoi apparire decente accanto a lui ma solo se...”
“Vuole che lo sorprenda,” tagliò corto Tobio.
“Ovvio!” Tooru annuì. “È il suo primo compleanno con te! Il minimo che puoi fare è…”
“A che genere di sorpresa hai pensato?” Domandò Wakatoshi guadagnandosi un’occhiata storta da parte del suo Consorte.
Tobio scosse la testa. “A niente…”
Tooru sbuffò. “Ma possibile che tu non abbia niente di me in quella testaccia vuota?”
Il Principe s’imbronciò. “Ti sto dando la possibilità di metterci del tuo… Dovresti ringraziarmi.”
“Vedi di finirla con questo comportamento ingrato, Tobio!”
“Cosa piace a Shouyou?” Domandò Wakatoshi, ormai deciso a voler partecipare alla conversazione.
Tobio scrollò le spalle. “Sarebbe più facile dire che cosa non gli piace.”
Tooru gli rivolse un sorrisetto sarcastico. “Tipo te?”
“Che cosa lo rende felice?” Riprovò Wakatoshi.
Il Cigno, a quel punto, gli rivolse un sorrisetto piacevolmente sorpreso. “Che domande profonde, mio Re.”
“Tutto…?” Rispose Tobio.
Tooru inarcò le sopracciglia. “Lo stai domandando a noi o…?”
“Shouyou è così!” Esclamò il Principe esasperato saltando in piedi. “Lo porto a fare un bagno al fiume e lui è felice! Pranziamo insieme e lui è felice!”
I genitori l’osservarono con attenzione per qualche istante, poi si guardarono tra loro. Non c’era nessuna reale espressione sul viso di Wakatoshi ma quello di Tooru era luminoso come il sole.
“Beh…” Sospirò. “Pare che qualche pregio tu lo abbia. Mi piacerebbe sapere quale, però! Dovrei parlare con Shouyou…”
“Parla chiaro, Tooru!” Esclamò Tobio.
“Mio arrogante, idiota ma bellissimo pulcino: quel piccolo Corvo è semplicemente e genuinamente innamorato di te!” Esclamò il Consorte Reale. “E lo è al punto che gli basta stare con te per essere felice… Cosa che non mi spiego assolutamente!”
Tobio odiò il calore che sentì salirgli alle guance ma decise di continuare a testa alta. “E come faccio a renderlo più felice di così?”
Tooru non aveva aspettato altro. “Con un gran ballo in suo onore!”
Wakatoshi lo guardò ma il Cigno non ci fece caso.
Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Un ballo?”
“Certo, Tobio!” Esclamò Tooru come se fosse una cosa scontata. “Un gran ballo in onore del Principe Consorte.”
“Non sono ancora sposati,” intervenne il Re Aquila.
“Dettagli!” Tagliò corto Tooru. “Tu gli regalerai un gran ballo di corte! Un regalo che non ha mai ricevuto un vita sua e che nessun altro potrebbe mai fargli!”
Tobio storse la bocca. “A parte un altro Principe.”
Tooru lo guardò storto. “Non essere assurdo, Tobio! Nessuno può essere predestinato a due Principi nella stessa vita!”
“Ma io non voglio fargli un regalo da Principe!” Replicò il giovane Cigno Nero. “Io voglio regalargli qualcosa che sia… Che sia…” Era inutile preoccuparsi per il calore che gli saliva alle guance, a quel punto. “Qualcosa di nostro!”
Tooru inarcò un sopracciglio. “Qualcosa di vostro?”
Tobio si umettò le labbra. “Non c’era alcun bisogno di un nido segreto per te,” disse. “Eppure, lui lo ha costruito.” Aggiunse lanciando un’occhiata a suo padre. “E lo ha fatto con le sue mani, non ha ordinato ad altri di farlo perchè è un Re. Lo ha costruito come lo avresti voluto tu, perchè sapeva che per te questa corte era come una prigione. Quello è qualcosa di vostro.”
Suo malgrado, Tooru si ritrovò a riflettere, poi lasciò andare un sospiro. “Va bene…” Concluse. “Tuttavia, io e tuo padre non possiamo aiutarti, Tobio. Se deve essere una cosa vostra, devi pensarci da solo.”
Tobio abbassò lo sguardo: aveva ragione e lui era di nuovo punto e a capo. Annuì due volte. “Grazie…” Disse con tono incolore, come se non avesse disturbato i suoi genitori nel cuore della notte per una conversazione che non aveva portato a nulla.
“Buona fortuna, mio Principe!” Lo salutò Tooru con fare drammatico mentre l’erede del Nido delle Aquile usciva dalla camera reale senza aggiungere una parola.
Wakatoshi guardò il compagno con attenzione. “A che cosa stai pensando?”
Tooru lo guardò con un’espressione di finta innocenza. “Io?”
“Stai pianificando qualcosa…”
Il Consorte Reale sbuffò di nuovo, già stanco e stressato ancor prima che il sole sorgesse. “Sto facendo il mio dovere di genitore! Tobio fallirà nell’impresa senza ombra di dubbio e chi sarà allora a salvarlo dalla cocente umiliazione?”
Wakatoshi scrollò le spalle. “Nessuno?” Propose. “Perché il piccolo Corvo non farà o dirà niente che possa farlo sentire umiliato, probabilmente?”
“Il magnifico Cigno del Nido delle Aquile, dovevi rispondere!” Replicò Tooru un poco irritato. “Ovvero, me.”
Wakatoshi inarcò un sopracciglio. “Lo so chi sei, Tooru.”
Il Cigno decise di non rispondere e tornò a coricarsi dando la schiena al suo Re. “Se sei così ottimista perchè non ci parli tu con tuo figlio? Tra idioti dovreste comprendervi bene!”
Il Re si sentì colpito da quelle parole più del dovuto. Non tanto perchè il suo compagno aveva insultato lui ed il loro unico figlio − a quello era abituato, in fin dei conti − ma per la proposta che aveva avanzato senza nemmeno rifletterci su.
“Pensi che mi ascolterebbe?” Domandò.
Nonostante l’irritazione per il sonno ormai perso, gli occhi di Tooru erano gentili quando tornarono a guardarlo. “Avete molte cose in comune.”
“Quelle che non ha in comune con te.”
Tooru sospirò. “Penso che capiti quando si fa un figlio insieme, non credi?”
“Dovresti parlarci domani, con più calma,” propose Wakatoshi. “Qualunque cosa stia succedendo a Tobio, non credo che sappia come agire.”
Tooru alzò gli occhi al cielo. “Nessuno sa come agire di fronte a questi sentimenti, Wakatoshi,” replicò fissando il soffitto della camera da letto con aria quasi nostalgica. “Ne sappiamo qualcosa io e te…”
“Io e te non avevamo nessuno che ci guidasse.”
Il Cigno cercò gli occhi del compagno. “In realtà, l’avevamo,” disse. “C’erano tutti quelli che ci dicevamo che l’amore non era necessario, che quello che serviva sarebbe venuto col tempo…” Sorrise con sarcasmo a quel ricordo. “Ancora oggi non so cosa fosse quello che serviva.”
“Non è a quello che mi riferivo per Tobio,” replicò il Re.
Tooru ridacchiò. “Certo, lo so, “ si rigirò tra le lenzuola appoggiando la guancia alla spalla dell’uomo con cui non aveva scelto di stare ma di cui non avrebbe mai abbandonato il fianco e quello era un giuramente fatto con se stesso e nessun altro. “Forse è crudeltà la mia ma, no, non sono ottimista per Tobio. Lasciamo che fallisca, Wakatoshi… Se è vero quel che dici, sarà una sconfitta costruttiva ed il suo legame con Shouyou non potrà che uscirne rafforzato. Oppure…”
“Oppure?”
“Oppure, concediti qualche minuto per non essere Re, smettila di guardarlo come un Principe e parlagli come il quindicenne arrabbiato, poco razionale,” gli sfuggì un sorriso, “ e passionale che è… Pensi di potercela fare?”
Anche l’angolo destro della bocca del Re si sollevò appena. “Arrabbiato, poco razionale e passionale?” Ripetè. “È una battaglia che ho già affrontato, dopotutto…”
Tooru sorrise raggiante. “La prima volta, però, ho vinto io!”


***


Wakatoshi decise di fare un tentativo il giorno seguente.
Tobio era sulla grande balconata fuori dalla sala del trono.
Il sole d’estate illuminava la valle sottostante ma il Cigno Nero non ci faceva caso, completamente rapito dal profilo del piccolo Corvo che, invece, descriveva euforico tutto quello che poteva vedere.
Il Re si concesse un istante per osservare la scena, per rivivere i suoi quindici anni nel silenzio con cui Tobio assecondava quella conversazione a senso unico annuendo di tanto in tanto. Se il piccolo Corvo si fosse voltato di colpo a chiedere il suo punto di vista, suo figlio si sarebbe tratto indietro sorpreso ed avrebbe impiegato qualche istante prima di riuscire a rispondere.
O, almeno, era quello l’effetto che gli occhi di Tooru avevano avuto su di lui al tempo in cui poterli guardare con l’intensità che meritavano non era ancora un suo diritto.
La fortuna di Tobio stava nel non doversi conquistare un posto nel cuore del piccolo Corvo.
Non si preoccupò d’interrompere qualcosa: mancavano solo due giorni al solstizio d’estate e non c’era molto tempo da perdere.
“Tobio…” Chiamò portandosi in avanti.
Gli occhi blu di suo figlio furono immediatamente sui suoi ed anche Shouyou si voltò a guardarlo. Wakatoshi notò l’imbarazzo, la soggezione. “Torna nella tua stanza, piccolo Corvo,” disse con voce incolore. “Io ed il Principe dobbiamo parlare.”
Secondo l’etichetta, Shouyou se ne sarebbe dovuto andare a testa bassa dopo un inchino. Quel fanciullo, però, era cresciuto ben lontano dai tossici costumi di una corte reale e fece solo ciò che più ritenne opportuno. Guardò Tobio e non si mosse fino a che quest’ultimo non gli assicurò con un silenzioso cenno del capo che poteva andare.
Il piccolo Corvo accennò un sorriso prima di lasciarli soli e Wakatoshi non pensò nemmeno per un istante di riprenderlo per il suo comportamento poco formale.
“Tu ti muovi, lui si muove…” Commentò a bassa voce.
Tobio inarcò un sopracciglio. “Come?”
Il Re scosse la testa ed esaurì la distanza tra sè e suo figlio ma non lo guardò in faccia. “La valle è meravigliosa questa mattina.”
“Non è diversa dalle altre mattine di sole,” replicò Tobio.
Wakatoshi avrebbe dovuto aspettarselo: non gli avrebbe lasciato condurre la conversazione. “Hai pensato a qualcosa?” Domandò. Tanto valeva arrivare dritti al punto ed osservare le reazioni del giovane Cigno Nero.
“Pensavo che la questione fosse stata chiusa ieri notte,” disse Tobio con voce incolore.
“Per Tooru senza dubbio.”
“Era il suo consiglio quello che cercavo.”
Wakatoshi si decise a guardare il suo erede negli occhi. Gli attacchi diretti erano sempre stati gli unici efficaci con lui, dopotutto. “E se volessi dartene uno io?”
Gli occhi di Tobio si fecero grandi, accesi per la sorpresa.
A Wakatoshi non fece piacere. “È una prospettiva tanto assurda?”
“Sì…” Rispose il Principe senza pensarci due volte. “È già abbastanza umiliante parlare di queste faccende con Tooru, in realtà,” ammise. “Lui, però, le capisce...”
Wakatoshi lo guardò con attenzione. “Nelle storie che ti racconta tua madre, viene ripetuto spesso il mio nome.”
Tobio alzò gli occhi al cielo al pensiero delle grandi storie di Tooru. “Lo so,” rispose. “Ma è Tooru quello che…”
“Queste cose si fanno in due, Tobio.”
“Hai capito che voglio dire!”
“No,” ammise Wakatoshi con voce incolore. “Le storie di cui parli si vivono in due. La tua la stai vivendo con quel piccolo Corvo, non da solo e lui non lo sta facendo per entrambi.”
Tobio si umettò le labbra e puntò gli occhi blu su quel paesaggio che per Shouyou era tanto meraviglioso ma che per lui era assurdamente banale. “Dimmi quello che devi dirmi e finiamola qui,” concluse, le guance un po’ rosse per l’imbarazzo.
Wakatoshi sapeva quanto il semplice atto di confidarsi fosse difficile per suo figlio. Anche lui era così, dopotutto ma non non riusciva a digerire bene il fatto che Tobio continuasse a guardare a Tooru come suo principale modello di riferimento, non quando ogni loro dialogo si trasformava in una discussione infinita.
Eppure, era sempre stato così: Tobio aveva sempre cercato Tooru nei momenti di difficoltà, non lui. Tooru era quello che raccontava grandi storie. Tooru era quello con il piano di riserva sempre pronto per salvare tutti. Tooru era quello a cui chiedere consigli sull’amore.
Wakatoshi era un Re e Tobio era destinato a diventarlo dopo di lui.
Almeno in quell’occasione, però, il signore del Nido delle Aquile voleva provare ad essere qualcosa di più. “Vuoi renderlo felice?”
Il modo in cui Tobio si voltò verso di lui gli ricordò terribilmente Tooru. “Immagino di sì.”
“E che cosa lo rende felice?”
Il Principe sbuffò. “Come ho già detto, lo rende felice ogni dannata cosa che vede.”
Il sovrano scrollò le spalle. “Tua madre ha ragione: è legato a te, gli basta la tua compagnia per essere felice.”
“La mia compagnia non potrebbe mai sorprenderlo, però!” Replicò Tobio. “Non ricordo nemmeno più come fossero le mie giornate senza di lui! Mi sta continuamente intorno!”
“O tu stai continuamente intorno a lui?” Domandò Wakatoshi.
Tobio aprì la bocca e fece per rispondere, si fermò e ci riflettè, poi provò a parlare di nuovo ma, alla fine, si limitò ad imprecare tra i denti: “maledizione…”
“Sì, è frustrante,” concordò Wakatoshi.
Tobio non replicò, l’espressione sconsolata. Il Re studiò il suo profilo in silenzio, quando parlò lo fece d’istinto, senza riflettere. “Fai qualcosa che non hai mai fatto per lui,” disse. “Metti alla prova questo legame, anche se potrebbe non essere piacevole…”
“Che significa?” Domandò Tobio.
Suo padre si sporse più verso di lui, gli occhi puntati nei suoi. “Alle volte, Tobio, quello che la persona che ami vuole da te è proprio l’ultima cosa che sei disposto a mostrargli.”
Tobio dischiuse la labbra, fece per chiedergli a che cosa si riferiva ma la risposta divenne chiara nella sua testa prima che avesse modo di dare voce ai suoi dubbi. Scosse la testa. “No…”
“Il mio è solo un suggerimento,” chiarì Wakatoshi. “Non un ordine.”
“Ed è un suggerimento folle!” Esclamò il Principe con rabbia.
Il Re drizzò la schiena ed il fanciullo fece un passo all’indietro.
“Perchè?” Domandò il sovrano. “Perchè dovrebbe essere una follia?”
“Per una lunga lista di ragioni che conosci molto bene!”
“Tu, però, Shouyou lo vuoi, no?” Era calmo il tono di Wakatoshi, quasi rassicurante. “Vuoi tutto di lui.”
“Io non lo so quello che voglio!” Sbottò Tobio frustrato. “So solo che riguarda Shouyou…”
“Non sai quello che vuoi per te,” Wakatoshi annuì. “Ma cosa vuoi per lui?”
Tobio strinse i pugni, lo sguardo rivolto alla valle, lontano dagli occhi indagatori di suo padre. “Non quello che posso dargli io,” concluse a voce troppo bassa, come se avesse paura di ammetterlo.
Wakatoshi, però, lo udì chiaramente e strinse le labbra. “Non avere la superbia di decidere cosa è meglio per lui, Tobio,” disse. “Finirai solo per ottenere il suo odio.”
Il giovane Cigno Nero lanciò un’occhiata al genitore con la coda dell’occhio. “È quello che è accaduto a te e Tooru?” Domandò.
Wakatoshi strinse le labbra per un istante. “Posso dirti che se avessi ascoltato Tooru, se gli avessi dato davvero quello che mi chiedeva, invece di ostinarmi a proteggerlo anche da me stesso, forse…” Scosse la testa. “Quella è la nostra storia, Tobio. La tua è un’altra cosa.”
Il Principe scosse di nuovo la testa. “Non posso dare a Shouyou quello che mi chiede.”
“Non vuoi. È ben diverso.”
Se avesse continuato a stringere i pugni, Tobio sarebbe finito col ferirsi i palmi. “Shouyou non sa quello che vuole. Non sa quello che chiede.”
“Allora siete pari,” gli ricordò Wakatoshi. “Perchè non lo sai neanche tu,” si staccò dal parapetto della balconata. “Ma, se fosse vero, non avresti tanta paura di perderlo mostrandogli chi sei veramente.”
Tobio non si voltò per cercare nuovamente lo sguardo di suo padre.
Quello che dovevano dirsi se lo erano detti.
Un Principe ed un Re. Un figlio ed un padre.
In che veste si erano parlati non era certo di saperlo nemmeno lui.
Di certo, la battaglia che stava combattendo contro se stesso non era arrivata alla sua conclusione.
Il Cigno Nero riportò la sua attenzione sulla valle di fronte a lui ed un’idea lo colse di sorpresa nel guardare più lontano, verso le cime delle montagne più alte.
Quelle ancora bianche di neve.
Distese le dita, i palmi pulsavano dove le unghie erano affondate ma Tobio non ci fece caso.
Era dolorosamente consapevole di quello che non voleva dare a Shouyou, almeno quanto lo era di quello che non poteva concedergli.
Quello che Shouyou voleva era un problema troppo grande perché potesse affrontarlo da solo e non sarebbe andato da nessuno parte continuando a rifletterci con se stesso.
“Maledizione…” Imprecò tra i denti.
Sapeva esattamente cosa doveva fare ed era la cosa che temeva di più.



***



Per i due giorni seguenti, Tobio sparì.
Shouyou lo attese nella sua stanza per tutto il pomeriggio dopo averlo lasciato parlare con suo padre sulla balconata. Il Principe, però, non era più tornato a cercarlo e le uniche cose che garantivano al piccolo Corvo che l’altro non si erano dimenticato di lui erano le persone che continuavano a fargli visita per suo ordine.
“Ti conviene farci l’abitudine,” disse distendendosi sul grande ramo dell’albero sui cui si era arrampicato per far compagnia al piccolo Corvo. “Tobio non è il tipo che si ferma a dare spiegazioni. Alcuni pensano che abbia l’arroganza di pretendere che le persone accettino anche i suoi comportamenti più stravaganti per principio. Io sostengo che, il più delle volte, nemmeno lui sa spiegare adeguatamente quello che gli passa per la testa, quindi agisce… Agisce e basta.”
Shouyou s’imbronciò. Poteva vedere il Nido delle Aquile da lì ma, almeno, a quella distanza potevano parlare senza che qualche nobile s’intromettesse per porre al piccolo Shouyou le domande più assurde.
Sì, più i giorni passavano e più il piccolo Corvo comprendeva perchè quella corte non era particolarmente amata nemmeno dal suo stesso Principe.
Ciò, però, non cambiava il suo ruolo in quella Foresta.
“Non abbiamo litigato,” si sentì in dovere di dire appoggiando una spalla al tronco dell’albero. “In realtà, penso che siano stati i giorni più tranquilli che abbiamo passato insieme da quando ci siamo incontrati.”
Takeru gli lanciò un’occhiata. “Domani è il tuo compleanno, giusto?”
Il piccolo Corvo annuì distrattamente, lo sguardo puntato sul Nido delle Aquile. “L’ho sfidato a sorprendermi,” raccontò, poi piegò la bocca in un ghignetto. “Immagino di averlo messo in crisi e costretto alla fuga!”
Takeru alzò gli occhi al cielo. “Riuscite a non rendere ogni cosa una sfida, voi due?”
Shouyou ridacchiò. “Penso che sia una delle poche cose che abbiamo in comune!”
“Vuoi dire una delle tante.”
Il piccolo Corvo si voltò verso il Cacciatore reale. “Cosa intendi?”
Takeru sospirò e si mise a sedere. “Che cosa ho fatto di male per ritrovarmi nella stessa posizione di mio padre, davvero non lo so…”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Takeru, non so di cosa…”
“Un giorno, forse, lo capirai… Ti basterà rimanere al Nido delle Aquile abbastanza a lungo per conoscere la storia del Re e del suo Consorte da tutti i punti di vista possibile. Per allora, tu e Tobio dovreste già aver avuto il vostro primo pulcino se sarete fortunati.”
Shouyou divenne paonazzo. “Io e Tobio non…”
“Tu e Tobio dormite nella stessa camera, andate al fiume da soli e il cielo solo sa cos’altro ma non si può parlare di voi due con un pulcino?” Domandò Takeru inarcando un sopracciglio.
Shouyou si ritrovò ad aprire e chiudere la bocca come un pesce fuor d’acqua. “Passiamo solo molto tempo insieme.”
Takeru annuì. “Conosco mio cugino, Shouyou,” disse. “Lui non passa molto tempo con nessuno,” scrollò le spalle, “ma questo già lo sai.”
“Io e Tobio non ci siamo…” Shouyou si umettò le labbra. “Non siamo divenuti compagni.”
“No, questo lo so,” confermò Takeru.
“Prego?”
“Se tu e Tobio aveste fatto quello che mio zio attende con particolare ansia, immagino che Tsutomu non avrebbe più ragione di avere crisi isteriche perchè il tuo profumo non lo fa dormire la notte. O, almeno, è così che dovrebbe funzionare, no? Una volta che sei di Tobio… Sei di Tobio. Niente più odori strani e via dicendo, vero?”
Gli occhi di Shouyou erano assurdamente grandi e le guance terribilmente rosse. “Io… Ah… Ehm…”
“Santo cielo, Takeru!” Esclamò una voce dall’alto. “Solo Tobio può essere tanto idiota d’affidare il nostro ospite d’onore a te!”
Shouyou s’irrigidì e Takeru saltò subito in piedi mentre Tooru scendeva da uno dei rami più alti.
“Ci stavi spiando?” Domandò il giovane Cacciatore per nulla sorpreso.
Tooru sorrise con innocenza. “Passavo di qua e…”
“Ci stavi spiando,” concluse Takeru con voce incolore.
“Moccioso, porta rispetto per il tuo Re!” Sbottò Tooru rivolgendosi al nipote.
Takeru non prese sul serio la minaccia. “Le storie di mia madre m’impediscono di provare per te qualsiasi tipo di soggezione. Se aggiungiamo quelle che racconta mio padre, poi…”
Tooru si massaggiò la fronte come se gli dolesse la testa. “A proposito di tua madre, hai intenzione di farle visita a breve?”
Takeru piegò le labbra in un sorrisetto sarcastico. “E lasciarti godere da solo della caduta nel baratro di Tobio? Neanche per sogno, mio caro zio.”
Shouyou inarcò entrambe le sopracciglia. “Quale caduta nel baratro?”
Il Cacciatore alzò le spalle. “Se dico la parola pulcino rischi una crisi respiratoria,” disse. “Mi trovo costretto a modificare il linguaggio.”
“Takeru, perchè non torni con i piedi per terra prima che tu possa accidentalmente scivolare e cadere di testa?” Propose Tooru con finta voce amorevole incrociando le braccia contro il petto.
Takeru alzò gli occhi al cielo annoiato, poi reclinò la testa per cercare lo sguardo del piccolo Corvo. “Per ordine di Tobio, posso stendere chiunque ti dia noia… Compreso il Consorte reale, parole sue.”
“Grazie, Takeru!” Esclamò Tooru irritato. “Vattene ora, grazie!”
Shouyou accennò un sorriso. “Va tutto bene, Takeru. Davvero.”
Il giovane Cacciatore lanciò un’altra occhiata al Cigno, poi prese a ridiscendere lungo il tronco con abilità. Shouyou si ritrovò a guardarlo sorpreso. “Non avrà le ali ma l’altezza non lo preoccupa di certo.”
Il viso di Tooru si fece più rilassato. “È nato a Seijou ma ha passato gran parte della sua infanzia qui, insieme a Tobio. Non potendo condividere l’arte del volo, hanno dovuto trovare un compromesso.”
Shouyou annuì. “Per questo Tobio conosce così bene la Foresta anche da terra.”
“Esatto,” confermò Tooru. “Nella sua posizione è un grande vantaggio. Spesso, i Cacciatori si approfittano della boschiglia per tendere agguati alle creature in volo ma non credo di doverti raccontare della loro codardia, dopotutto.”
Shouyou s’incupì un poco ma annuì.
Tooru si sedette sul ramo con un sospiro. “Scusami,” disse. “Non avrei dovuto farti ripensare a cose tanto spiacevoli.”
“Non fa niente,” rispose il piccolo Corvo accomodandosi accanto al Consorte reale. “Immagino che tu non sappia dirmi dove si trova Tobio, vero?”
Tooru gli aveva chiesto di essere informale con lui e Shouyou doveva ammettere che ne era felice: era tutto così nuovo per lui che non dover rispettare l’etichetta di corte con almeno uno dei genitori di Tobio era di gran conforto per lui. Lo faceva sentire accettato.
Tooru gli sorrise. “La risposta non è così semplice.”
“Nemmeno stare con Tobio lo è,” replicò Shouyou.
Il Cigno ridacchiò. “Ottima risposta, piccolo Corvo.”
“Temo solo di aver fatto qualcosa di sbagliato senza rendermene conto,” ammise il fanciullo. “Tobio è molto diretto con la rabbia ma lo è molto meno quando si tratta di rivelarmi quello che gli passa per la testa.”
Tooru annuì, poi alzò una mano per accarezzare con gentilezza quasi materna i capelli ribelli del ragazzino. “Datti tempo,” gli disse. “Alla fine di questa stagione, saranno successe tante di quelle cose che vi sembrerà di essere stati insieme una vita intera ma sarà solo l’inizio, Shouyou. Tante cose verranno col tempo e non avete ragione di mettervi fretta. Te lo dico per esperienza.”
Shouyou si mordicchiò il labbro inferiore. “Io e Tobio non sappiamo cosa accadrà alla fine dell’estate,” ammise. “In principio, ci eravamo detti che le nostre strade si sarebbero divise con l’inizio dell’autunno, a dire il vero.
“Questo è accaduto in primavera,” gli ricordò Tooru. “Domani inizia una nuova stagione e tante cose sono già cambiate tra voi, no?”
Il piccolo Corvo annuì, le guance di nuovo calde per l’imbarazzo. “Perchè è così difficile?”
Tooru rise di nuovo. “Alla tua età, mi ponevo domande molto simili.”
Shouyou trovò il coraggio di guardarlo in faccia. “E sei mai riuscito a darti le risposte.”
“Non esattamente,” rispose il Cigno con pazienza. “Le rispose che stai cercando con tanta foga in questo momento, non arriveranno come te le aspetti. Un giorno, semplicemente, saprai di averle… Che sia semplice o meno, che ti piacciano o no.”
Shouyou storse la bocca. “Fa un po’ paura…”
Tooru gli aggiustò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Passerà anche quella, te lo prometto.”
Shouyou annuì, poi gonfiò le guance. “Mi aveva promesso qualcosa per il mio compleanno.”
“Beh, il tuo compleanno è domani…”
“E sta tramontando il sole.”
“Rilassati, piccolo Corvo,” lo rassicurò Tooru. “Tobio ha una lunga lista di difetti ma rimangiarsi la parola non è tra questi.”
Shouyou prese un respiro profondo, gli occhi rivolti all’orizzonte, al cielo variopinto dei colori del tramonto.
Le ore che lo separavano dal solstizio d’estate non sarebbero mai passate abbastanza in fretta.


***



”Shouyou…”
Era morbida la neve sotto la sua guancia.
“Shouyou…”
Non aveva freddo, però.
Era come starsene raggomitolati sul fondo di un nido ricoperto di muschio.
“Shouyou…”
Doveva solo aprire gli occhi e cercare gli occhi blu della creatura che stava chiamando il suo nome.
“Tobio?”
Ma c’era solo buio intorno a lui.
“Tobio!”




“Tobio!”
Shouyou spalancò gli occhi, le dita della mancina artigliavano la federa del cuscino.
“Tobio…” Chiamò di nuovo mettendosi a sedere contro i cuscini del grande letto.
La camera era buia, silenziosa, immobile.
Non c’era nessuno lì con lui, eppure Shouyou avrebbe potuto giurare che…
Scivolò fino al bordo del letto e si alzò in piedi con cautela, come se temesse che il terreno sotto i suoi piedi potesse cedere da un momento all’altro. Conosceva quella sensazione: era la stessa che lo aveva tenuto sveglio per troppe notti per poterle contare.
Le notti in cui aveva conosciuto Tobio nei suoi sogni senza, però, sapere il suo nome… Solo il colore dei suoi occhi.
Si affacciò oltre la tenda di fiori. “Tobio?”
Non c’era nessuno sul balcone, nè sui rami sopra di lui.
Camminò sul pavimento di legno a piedi scalzi appoggiando le piccole mani sul parapetto. La luna splendeva come un secondo solo nel cielo scuro e le stelle erano a stento visibili.
La valle di estendeva sotto i suoi occhi immobile e silenziosa.
Lasciò andare un sospiro ed abbassò lo sguardo: qualunque cose avesse in serbo Tobio per lui, per il suo compleanno, non era ancora arrivato il momento di scoprirlo.
Si voltò.
”Shouyou…”
La mano destra era ancora sul parapetto della balconata quando quel richiamo lo raggiunse.
Il respiro gli si bloccò in gola e gli occhi d’ambra tornarono sullo stupendo paesaggio notturno che solo il Nido delle Aquile poteva offrire.
Non fu alla valle, però, che Shouyou rivolse la sua attenzione ma più lontano, verso quelle cime in cui l’estate non era ancora giunta.
“Mi stai chiamando?” Domandò a qualcuno che non c’era. “Mi stai aspettando?”
Nessuno gli rispose.
“Dove vuoi che vada, Tobio? Io…” Shouyou smise di parlare: aveva chiesto a Tobio di sorprenderlo, non di rendergli le cose facili.
Era una prova anche quella ed il risultato dipendeva solo da lui.
“Va bene,” disse aprendo le ali nere e puntando gli occhi d’ambra sulle montagne innevate in lontananza. “Mi fido di te…”



Col senno di poi, Shouyou non avrebbe saputo spiegare come aveva trovato la strada.
Esattamente come quando era scappato di casa per inseguire la creatura dei suoi sogni, aveva preso la direzione che sentiva essere giusta. Aveva seguito il richiamo di Tobio senza riflettere ma, quella volta, l’aveva fatto con la certezza che il Cigno Nero non avrebbe permesso a niente e nessuno di fargli del male.
Ci volle un po’.
Dovette fermarsi più volte lungo la strada per riprendere fiato ma non lo fece mai abbastanza da darsi il tempo di chiedersi dove era o cosa stava facendo. Altrimenti, temeva che la paura avrebbe preso il sopravvento.
Non aveva mai volato per una simile distanza ma aveva spiccato il volo con tanto entusiasmo che non si era lasciato abbattere da un simile particolare.
Quando raggiunse le montagne ancora ricoperte di neve, il cielo cominciava a schiarirsi.
Atterrò dove sentì che era giusto, vicino alla meta del suo piccolo viaggio solitario.
Il cielo era limpido e la neve fresca cedette sotto i suoi piedi ma non tanto dal rendergli difficile camminare.
Se si fosse voltato, avrebbe visto la luce del sole riversarsi gradualmente nella valle, come una valanga dorata, fino al Nido delle Aquile e sarebbe rimasto senza fiato.
Non lo fece. Non aveva il tempo di fermarsi a rimirare niente.
Il suo cuore aveva troppa premura.
Si strinse le braccia intorno al corpo: l’estate non era ancora arrivata lassù e l’assenza di vento non rendeva l’aria meno gelida. Le ali gli facevano male ma decise di non pensarci.
Era vicino alla vetta della montagna, su di una spalla di roccia piuttosto prominente.
Vi era l’ingresso di una caverna naturale di fronte a lui.
L’unica cosa ad impedirgli di avere paura era il pensiero che nessun essere umano sarebbe riuscito a salire fino a lì senza lasciare tracce evidenti e nessuna creatura alata avrebbe rischiato di avventurarsi fin lassù per costruire il proprio nido.
Almeno, nessuna a cui riuscisse a dare un nome.
L’immagine di un essere dalle piume corvine e gli occhi blu comparve nella sua mente e seppe di non poter indugiare oltre.
All’interno della caverna, la temperatura era notevolmente più piacevole.
Rilassò le ali dietro la schiena e si fece avanti. Era circondato dalla semi-oscurità ma il posto era abbastanza grande per permettergli di muoversi liberamente. “Tobio?” Chiamò.
Nessuno gli rispose ma non dubitò neanche per un istante di essere nel posto giusto.
“Tobio?”
Qualcosa si mosse nel buio, alle sue spalle.
Shouyou trasalì, preso di sorpresa.
La grotta era enorme, divisa in diversi ambienti. Sembrava quasi un nido scavato nella pietra.
“Tobio…” Chiamò Shouyou con voce più ferma muovendosi piano, dando tempo agli occhi di abituarsi all’oscurità che si faceva più cupa passo dopo passo. “Non vedo niente, Tobio!” Si lamentò.
Non era un gioco: a Tobio non piaceva giocare.
Era una sfida. Ancora una.
Shouyou svoltò un angolo e si ritrovò di fronte ad un corridoio dal soffitto basso, tanto che dovette chinare un poco la testa per non andare a sbattere. Di fronte a lui, vi era un’altra stanza, piena di luce.
Il piccolo Corvo rimase a fissarla immobile, a metà del corridoio, con le spalle curve e le ali piegate quanto gli era possibile per il poco spazio.
Aspettava qualcosa. Un segnale. Una conferma.
Un’ombra si mosse sul pavimento di pietra.
“Aspetta!” Esclamò Shouyou e sbatté la testa contro il soffitto di pietra. “Aspetta! Tobio!”
Si massaggiò la nuca procedendo più velocemente.
Quando il soffitto di pietra si rialzò, drizzò le spalle e lasciò andare un sospiro. Se poco prima Shouyou aveva tremato per il freddo, adesso non lo ricordava più.
“Tobio…” Chiamò stanco, annoiato.
No, non era nel suo carattere arrendersi ma aveva volato per tutta la notte sopra una parte della Foresta che non conosceva e tutto quel rincorrersi cominciava ad essere troppo.
Il piccolo Corvo sollevò gli occhi d’ambra: la luce dell’alba entrava da un foro naturale nella parete di roccia.
Il sole doveva aver tagliato l’orizzonte.
Si portò al centro della stanza circolare lanciando un’occhiata al corridoio dal soffitto basso che si era lasciato alle spalle: se avesse dovuto ritrovare l’ingresso della grotta da solo, dubitava ci sarebbe riuscito facilmente.
Un movimento alle sue spalle lo indusse a voltarsi di scatto, il cuore in gola. “Tobio!” Esclamò un po’ irritato ed un po’ sollevato nel riconoscere la sagoma scura delle ali del Cigno Nero. “Vuoi farmi riprendere fiato?” Quasi lo pregò avvicinandosi. “Mi hai fatto volare fino a qui ed ora scappi? Parlami, almeno! Dimmi perchè siamo…”
Le parole rimasero bloccate in gola.
Shouyou dovette stringere i pugni per obbligarsi a rimanere calmo.
Quello che i suoi occhi non era riusciti a vedere da lontano, poteva intuirlo ora che si era fatto più vicino.
Due occhi blu lo fissavano dall’angolo più buio della stanza circolare ma non erano gli occhi di Tobio.
Meglio, non erano gli occhi con cui lo aveva conosciuto.
O, forse, no, non era corretto nemmeno quello.
Forse, lo era l’esatto contrario.
Già… Quelli non erano gli occhi blu che, gradualmente, avevano conquistato il potere di farlo rimanere senza fiato con un solo sguardo e di farlo sorridere un istante dopo.
Quelli erano gli occhi con cui Tobio lo aveva guardato la prima volta che lo aveva visto in un sogno.
Shouyou indietreggiò di un paio di passi lasciandosi investire dal raggio di luce. Gli occhi d’ambra, però, non si allontanarono nemmeno per un istante da quelli della creatura nascosta nell’ombra. Erano sempre blu, come quelli del Principe della Foresta ma senza calore, senza l’intensità che Shouyou si era abituato a trovare in fondo agli sguardi di Tobio.
Fosse rabbia o qualunque altra cosa.
Le pupille erano verticali, rettili.
Eppure, Shouyou non avrebbe mai paragonato il fanciullo che conosceva ad una di quelle viscide creature.
L’altro non diceva una parola ed il piccolo Corvo sentì la necessità di spezzare l’immobilità che era caduta tra loro. “Vieni qui…” Mormorò.
In un contesto normale, forse, nessuno sarebbe riuscito ad udirlo.
In quel momento, però, nascosti in un angolo buio sulla cima dell’unico mondo che conoscevano, Shouyou vide la creatura che aveva di fronte trasalire, come se un Corvo fanciullo potesse rappresentare una qualche minaccia per lui.
Shouyou si umettò le labbra, tutt’altro che deciso ma impossibilitato a tornare indietro. “Tobio, vieni qui…” Indietreggiò ancora di un paio di passi, lasciando all’altro un po’ di posto sotto la pioggia di luce.
Non sapeva con esattezza quello che stavano facendo ma sapeva che Tobio lo stava facendo per lui e non aveva alcuna intenzione di deluderlo.
La creatura non disse una parola e Shouyou non abbassò lo sguardo neanche allora, non ritrattò la sua offerta.
Gli aveva chiesto di mostrarsi alla luce ed ora lo pretendeva.
Il rumore del primo passo che Tobio fece verso di lui riecheggiò contro le pareti di pietra e così il secondo ed il terzo.
La creatura si lasciò alle spalle l’ombra dentro cui si era avvolto ma nemmeno la luce del sole ebbe il potere di lavare via il nero.
Non ci fu un reale cambiamento sul viso di Shouyou, solo la luce nei suoi occhi cambiò d’intensità ma l’altro non poté indovinare cosa questo potesse significare.
Non era la prima volta che Shouyou vedeva Tobio così ma era la prima volta che lo guardava.
Le ali sulla sua schiena sembravano più grandi o, forse, era solo un’illusione dovuta alla soggezione e a tutto quel nero. Il petto nudo era ricoperto di piume corvine e così le spalle larghe e le braccia. Shouyou poteva vedere la linea di ogni muscolo, riconoscere i dettagli del corpo di Tobio che aveva memorizzato in silenzio, in segreto, mentre stringeva al petto un desiderio che solo di recente aveva scelto di accettare.
Fece un passo in avanti.
“Fermo!” Tuonò la creatura.
Shouyou trasalì ma fu più per sorpresa che per paura.
Era diversa la voce di Tobio. Più profonda. Più oscura, forse.
Non aveva importanza: era la sua voce.
Strinse le labbra, Shouyou e si fece coraggio. Disubbidì a quell’ordine come se avesse il controllo della situazione ed il cuore non gli stesse esplodendo nel petto.
“Ti ho detto di…” Tentò Tobio.
Gli occhi d’ambra si sollevarono su quelli dalle gelide iridi blu con decisione.
Bastò lo sguardo di un Corvo fanciullo a zittire il Mostro della Foresta che tutti i Cacciatori e le creature alate temevano, compreso il Principe che lo nascondeva sotto la pelle.
Shouyou aprì e chiuse le dita della mano destra, poi trovò il coraggio di sollevare il braccio.
Fu il turno di Tobio di ritrarsi ma solo di un mezzo passo: gli occhi d’ambra lo incatenarono al suo posto, sfidandolo ad allontanarsi ulteriormente, a rinunciare a quella battaglia che stavano combattendo insieme.
Perchè di una battaglia si trattava. Forse, più dura per Tobio che per Shouyou ma uno non poteva uscirne vincitore senza l’altro.
Quando il piccolo palmo aderì al petto ricoperto di piume corvine ed avvertì la vibrazione del cuore che vi batteva all’interno, Shouyou riuscì a respirare di nuovo.
Dischiuse le labbra, chiuse le palpebre per un istante ed ingoiò aria pregando al suo cuore di non abbandonarlo proprio ora. Quando i suoi occhi cercarono di nuovo quelli di Tobio, erano tornati a splendere nel modo che il Principe aveva imparato a conoscere.
Il sorriso che sbocciò sulle labbra di Shouyou riempì la stanza di luce più del sole del solstizio d’estate. “Ed io che temevo che mi avresti deluso…” Ammise, le guance un po’ rosse.
Si avvicinò di un passo ancora toccando il petto forte della creatura anche con la mancina. “Sono morbide,” commentò piacevolmente sorpreso accarezzando le piume nere, risalendo fino alle spalle e poi più su, fino al viso. Lì erano più piccole e aderivano ai lineamenti di Tobio come una seconda pelle, tanto che poteva ancora distinguere l’attaccatura dei capelli altrettanto scuri.
“Questo è il regalo per il mio compleanno?” Domandò Shouyou prendendo quel viso tra le mani come se fosse quello di Tobio. Era quello di Tobio.
Era una realtà così semplice per il piccolo Corvo, eppure il Principe sembrava essere rimasto senza parole.
“Tobio,” chiamò Shouyou ridendo con leggerezza per allentare la tensione. “Sono io, avanti, parlami!” Prese ad accarezzarlo, ad incitarlo con dolcezza. Era il suo modo di dirgli che andava tutto bene.
Tobio dischiuse e richiuse le labbra un paio di volte prima di riuscire a parlare. “Non hai paura?” Domandò ed il suono della sua voce non parve più poi così strano  
“Perchè dovrei quando tu sembri avere più paura di me?” Domandò Shouyou un poco divertito ma non derisorio.
“Sono io il mostro tra noi due,” disse Tobio.
“Sei anche il solo che sta tremando,” replicò Shouyou in un sussurrò sollevandosi sulle punte per appoggiare la fronte a quella dell’altro. La mano destra di nuovo premuta contro il suo cuore.
Tobio sentì la morsa che gli stringeva il petto lasciarlo andare.
O, forse, era qualcosa di più profondo, più doloroso che svaniva via, come un incubo al mattino.
Il suo incubo, però, era durato molto più di una notte.
All’alba di quel primo giorno d’estate, però, tutti i suoi demoni sembravano scomparsi.
C’era solo luce intorno a lui.
Le labbra di Shouyou sfiorarono le sue e tanto bastò per spezzare il respiro ad entrambi.
“Posso avere ancora un regalo, Tobio?”
Il Principe si fece indietro, cercò nell’ambra degli occhi di Shouyou quel desiderio taciuto solo a metà. La risposta di cui aveva bisogno non ebbe bisogno di essere pronunciata ma lo spaventò comunque.
Shouyou percepì il suo timore come se lo provasse lui stesso e fece scivolare una mano tra le piume nere sul retro del collo per impedire al Principe di allontanarsi. “In che altro modo posso convincerti che non c’è nulla di cui aver paura?”
Tobio abbassò lo sguardo. “Shouyou…”
Il piccolo Corvo gli prese le mani e se le portò ai fianchi, come se gli artigli alle estremità delle sue dita non esistessero. “Mi hai mostrato tutto di te. Tutto ciò che sei.” Gli disse. “Non mi basta. Non mi accontento… Io voglio anche…” Si umettò le labbra. “Io lo voglio, Tobio e lo voglio così.”
Così...” Ripeté Tobio incredulo. Non poteva capacitarsi che il piccolo Corvo gli stesse proponendo di essere suo complice in una simile pazzia. “Sono un mostro, Shouyou,” sottolineò, come se il suo aspetto non rendesse quella verità abbastanza evidente.
Sì, aveva desiderato che Shouyou lo accettasse ed era stato terrorizzato dalla possibilità che non sarebbe mai potuto accadere.
Ed ora… Ora…
Le labbra di Shouyou si piegarono in un sorriso sicuro, arrogante. “Ho vinto io…” Decretò.
E, mentre gli angoli della sua bocca si sollevarono, Tobio accettò la sconfitta.
Il piccolo Corvo se ne accorse e fu con la stessa arroganza con cui lo guardava che lo baciò sottolineando un diritto che era suo e che Tobio non aveva alcuna intenzione di sottrargli.
“Aspetta, Shouyou,” non lo allontanò, però. Bensì, lo strinse di più a sè. “Aspetta, non qui…”
Le grandi ali ricoperte di piume nere li avvolsero entrambi.



Piume nere.
Quello sarebbe stato l’unico ricordo razionale che Shouyou avrebbe conservato del giorno d’estate in cui aveva ceduto la sua innocenza a Tobio e lui, in cambio, lo aveva amato con la parte più oscura di sè.
Erano ancora all’interno della caverna quando si sentì depositare su un letto di muschio morbido. La luce del sole filtrava tra le crepe nella parete di roccia ma il calore della carezza di quei raggi era nulla in confronto a quello del corpo di Tobio sul suo.
Non era la prima volta che lo sentiva contro di sè ma in quella forma era tutto diverso.
Spiegarlo lucidamente sarebbe stato impossibile.
Per un’intera primavera avevano represso quei desideri e lasciarli liberi tutti insieme era tanto bello da fare male.
Era come cercare di guardare il sole e rimanere abbagliati.
Tobio tremò per tutto il tempo. Shouyou non smise neanche un istante di cercarlo, di andargli incontro, di tenerlo più vicino. L’inesperienza, il dolore e la paura si persero nel delirio dei sensi.
Quel che rimase non aveva dei margini a delinearlo ma era loro.
Quando Shouyou tornò in sè, la luce del sole era ancora lì ma non c’erano piume sulla mano che stringeva la sua con una disperazione ingiustificata ma che decise di comprendere.
Tobio aveva appoggiato la fronte contro il suo petto nascondendosi da un giudizio che non sarebbe mai uscito dalla bocca del piccolo Corvo.
Tremava ancora. Se per la paura o per il piacere appena consumato, Shouyou non era capace di dirlo.
Il Principe temeva tanto il Mostro che nascondeva dentro da non rendersi conto di quanto fosse umano. Con qualunque forma si mostrasse.
Il Corvo affondò le dita tra i capelli neri del fanciullo che il destino aveva scelto per lui ma che non aveva potuto obbligarlo ad amare. Quell’amore era qualcosa che Tobio si era conquistato con le sue sole forze e Shouyou non gli avrebbe mai permesso di credere il contrario.
“Tobio…” Lo chiamò. Voleva quegli occhi blu sui suoi. Voleva quelle labbra contro le proprie.
Voleva quello che aveva già avuto e lo voleva ancora, ancora, ancora…
Il Cigno Nero, però, non si mosse. Le loro dita ancora intrecciate sul letto di muschio.
Nel suono di un singhiozzo mal trattenuto, il tremore che scuoteva appena le spalle di Tobio acquistò tutto un altro significato.
Perchè dopo tanto buio, era difficile abituarsi alla luce.
Shouyou posò le labbra tra i capelli corvini del Principe. Non lasciò andare la sua mano.
E tutt’intorno a loro vi erano piume nere.



***



Tooru se ne stava con le braccia incrociate sul parapetto di legno della grande balconata che dava sulla valle.
Alle sue spalle, nella sala del trono, si stava svolgendo un banchetto senza ospiti d’onore che aveva organizzato all’ultimo con la scusa del solstizio d’estate. Evidentemente, la vera ragione per cui si era dato tanto da fare non si era nemmeno realizzata.
Sospirò stancamente: il sole stava tramontando alla fine del giorno più lungo dell’anno e la sua attesa era appena cominciata.
Conoscendo Tobio, lo avrebbe fatto attendere a lungo per puro e sadico gusto.
Sbuffò ed imbronciò le labbra, poi due braccia calde gli circondarono la vita prendendolo di sorpresa.
“Non ti diverti?” Domandò Wakatoshi appoggiando la fronte alla sua nuca.
Suo malgrado, Tooru sorrise. “Non è andata proprio come credevo,” confessò.
“Deluso?”
“Non lo so,” ammise il Cigno. “Sono spariti entrambi. Non posso sapere come è andata a finire se non vedo le conseguenze con i miei occhi.”
“E se il fatto che siano spariti sia proprio una delle conseguenze?”
Tooru inarcò le sopracciglia. “Sai qualcosa che io non so, Wakatoshi?” Domandò quasi indignato. Ci mancava solo che il Re Aquila divenisse più consapevole di lui di quello che accadeva all’interno del Nido delle Aquile.
“No,” ammise il sovrano facendosi indietro quel tanto che bastava per permettere al suo Consorte di voltarsi e guardarlo. “Solo un’intuizione…”
Tooru storse la bocca. “Non sei autorizzato ad avere intuizioni. Sono io quello che pensa tra me e te!”
Wakatoshi lo osservò con attenzione. Sollevò una mano e l’affondò tra i capelli castani accarezzandoli.
“Ehi!” Esclamò Tooru con un sorriso un po’ nervoso, le guance rosse. “Che ti prende, adesso?” Domandò, come se non fossero l’uno dell’altro da quasi due decenni.
“Te la ricordi la prima notte che abbiamo passato insieme?” Domandò Wakatoshi di colpo.
Gli occhi di Tooru divennero grandi per la sorpresa ma su svelto a riprendere il controllo di sè. “Cerco di dimenticare!” Disse con fare altezzoso e tornò a voltarsi verso il paesaggio. Le mani del Re erano ancora sui suoi fianchi.
“Sei stato tu a sedurmi,” gli ricordò il Re per sottolineare quanto la sua replica fosse priva di senso.
Tooru sorrise senza farsi vedere. “Ti brucia ancora?” Domandò. “La tua prima sconfitta, Re Aquila.”
“No, Tooru,” replicò Wakatoshi. “Mi avevi già sconfitto tante volte,” ammise. “Quella è stata solo l’unica di cui non mi pento.”
Il Cigno lo guardò da sopra la spalla. “L’unica?”
“La prima di molte.”
“Oh, così va meglio!”
Wakatoshi premette le labbra contro il lato del collo del Consorte e Tooru reclinò la testa da un lato per invitarlo a non fermarsi.
“E se Tobio ha vinto la battaglia di oggi, saranno sconfitte anche tutte le nostre paure,” aggiunse il Cigno.
Wakatoshi s’irrigidì e si tirò indietro portandosi al fianco del compagno.
Era triste il sorriso di Tooru e le lacrime nei suoi occhi li rendevano ancor più lucenti. “L’essere Re non ti costringerà più a fargli del male,” disse con voce rotta. “Ora, possiamo guardarlo diventare grande sapendo che c’è un futuro per lui.”
Wakatoshi strinse i pugni. “Se ha vinto la battaglia di oggi…” Sottolineò.
E Tooru rise asciugando alcune lacrime sfuggite al suo controllo. “Wakatoshi, come te lo devo dire che sottovalutare Tobio non è una cosa saggia.”
“Tu lo fai continuamente.”
“Lo facevo quando era da solo. Quando pensavo che non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarsi a lui.”
Wakatoshi accarezzò il profilo del suo compagno con lo sguardo aggrappandosi ancora una volta alla forza che Tooru sosteneva di non avere ma che lo aveva sorretto in più di un’occasione. “Ed ora?” Domandò.
Tooru sbuffò smorzando notevolmente i toni della conversazione. “Suvvia, Wakatoshi!” Esclamò scocciato. “A me piace minare alla sua autostima ma è per sempre figlio mio! Crolleranno le montagne laggiù prima che si faccia sconfiggere dalla sua maledizione, dal destino o da qualunque altra forza più grande di lui!”
E, ancora una volta, Wakatoshi seppe di amarlo ma non glielo disse.
Non era bravo con le parole, il Re del Nido delle Aquile ed era un’eredità scomoda che aveva passato a quel figlio che aveva amato e cresciuto col terrore che sarebbe potuto arrivare il giorno in cui avrebbe dovuto privarlo della vita che lui stesso gli aveva dato. Lui e Tooru.
Il sole del giorno più lungo dell’anno, però, non era ancora calato: non era abbastanza buio per dare voce ai suoi demoni.
E, con un po’ di fortuna, per Tobio non sarebbe tramontato mai più.





 

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Capitolo 9
*** Stella Cadente ***


Capitolo scritto per il Cow-T di Lande di Fandom.
​Settimana 4. Lista Shannen: "Una sconfitta nella vittoria."

IX
Stella Cadente 



Era tradizione che la Festa delle Stelle segnasse la fine dell’estate, sebbene ci celebrasse alla fine di agosto. Era nata come una festa informale per tutti i popoli minori della Foresta, ma il Consorte Reale aveva voluto assolutamente renderla una cosa di gran classe ed il Re del Nido delle Aquile non glielo aveva negato.

Da prima che il loro Principe nascesse, la Festa delle Stelle era divenuto l’evento più bello ed atteso dal popolo della Foresta.

Si teneva nella prateria a valle della catena montuosa che racchiudeva il Regno del Re Aquila e di tutte le creature che avevano scelto di far parte del suo popolo.

Col tempo, la Festa delle Stelle era divenuta anche un modo per ricordare a tutti come Wakatoshi e Tooru erano riusciti a riunire tutta la Foresta sotto un’unica bandiera, compresa la Città Stato di Seijou.

Quell’anno, però, l’interesse del popolo era legato ad un altro tipo di evento: tutti speravano di poter dare un’occhiata al giovane Principe Consorte che l’erede al trono aveva scelto come compagno durante la stagione degli amori della primavera precedente.

L’entusiasmo che Tobio provava per tutta quella curiosità generale era pari a quello di un condannato a morte di fronte al proprio patibolo.

Da quando i preparativi erano cominciati, Tooru non aveva fatto altro che sbuffargli in faccia infastidito. “E sii un po’ allegro, Tobio-chan!” Aveva esclamato, un giorno. “Questo è il modo in cui il popolo ed i nobili degli altri popoli dimostrano il loro affetto nei confronti della corona. Fidanzamenti, matrimoni, nascite! La gente vuole questo! Vuole pensare al futuro e, in particolare, ad un futuro felice.” Poi il suo sguardo si era fatto più dolce, quasi orgoglioso. “Tu e Shouyou siete il riflesso di quel futuro, non scordarlo mai!”

Era stato furbo da parte del Cigno Bianco, perchè il suo erede non era riuscito a rispondergli a tono. Solo a sbuffare.

Sì, anche Tobio aveva sbuffato molto in quei giorni.

Eppure, quando la notte fatidica arrivò e la valle divenne un grande prato luminoso di fiaccole e candele, vi era solo un sorriso appena accennato sul viso del Cigno Nero.

Seduto tra l’erba alta, con le maniche della camicia arrotolate fino al gomito, il Principe del Nido delle Aquile osservava il piccolo raggio di sole che aveva scelto come compagno, mentre gli occhi grandi di lui continuavano a scrutare il cielo.

“Quante stelle cadenti si vedono, di solito?” Domandò Shouyou, il naso all’insù.

Tobio scrollò le spalle. “Non molte, in realtà e la metà sono solo effetti ottici di occhi troppo entusiasti.”

Si erano messi in disparte, lontano dai canti e dai balli. Tooru aveva insistito perchè facessero presenza fissa ma Wakatoshi era riuscito a convincerlo a lasciarli in pace. Così, Tobio aveva preferito sottrarre Shouyou agli occhi dei più curiosi ed anche dei nobili dai sorrisi beffardi.

“Dovrà imparare ad affrontare la corte, prima o poi,” gli aveva detto suo nonno, prima di partire ancora una volta. Tobio sapeva che aveva ragione ma l’estate non era ancora finita e Shouyou poteva essere solo suo ancora per un po’.

Sì, ancora per un po’... Conoscendosi, lo avrebbe ripetuto fino alla fine dei suoi giorni ma il Principe sapeva che non era possibile: era scappato per troppo tempo e da troppe cose. Shouyou lo aveva convinto a restare ed affrontare le sue paure.

Lo avrebbe fatto, lo aveva promesso.

L’estate, però, non era ancora finita.

“A che cosa stai pensando?”

Tobio riemerse dal vortice dei suoi pensieri. I grandi occhi di Shouyou avevano abbandonato le stelle per fissarsi nei suoi.

Il Principe scrollò le spalle. “Un po’ di tutto,” ammise. Non era un bugia, solo una risposta molto semplificata.

Le labbra del piccolo Corvo si piegarono in un sorriso gentile. “Stavi sorridendo mentre mi guardavi.”

Tobio decise di non dire niente. L’angolo destro della sua bocca si sollevò ed abbassò lo sguardo. Rispondere agli sguardi sinceri di Shouyou ancora lo abbagliava.

Il piccolo Corvo non si lasciò abbattere dal suo silenzio. Saltellò fino ad arrivargli accanto e si lasciò cadere con poca grazia sulle sue gambe.

“Shouyou!” Lo rimproverò Tobio, evitando per un pelo che battesse la nuca sul terreno.

Sorretto dalle braccia forti del Principe, Shouyou gettò la testa all’indietro e rise.

Il Cigno Nero lo guardò esasperato. “Sei completamente stupido, lo sai?”

Shouyou sollevò le palpebre e guardò le stelle lontane sopra di loro. “Nemmeno sulla cima degli alberi più alti del Villaggio dei Corvi sono mai state così belle.”

Tobio sollevò il viso a sua volta. “È lo spazio aperto,” disse. “Non c’è nulla a bloccare la visuale. Se fissi lo sguardo in alto, hai l’impressione di cadere tra le stelle.”

Shouyou raddrizzò la schiena, ritrovandosi seduto tra le gambe del suo Principe. “Non posso credere che tu abbia detto una cosa del genere,” disse, quasi divertito.

Tobio arrossì e voltò lo sguardo in un’altra direzione. “Ma stai un po’ zitto.”

Shouyou sospirò con pazienza. “Tobio…” Prese il viso del Cigno Nero tra le mani e questi non oppose resistenza. Quegli occhi blu erano come un cielo stellato a loro volta, ma di quelli limpidi delle notti d’inverno.

Fu il Principe a fare il primo passo. Fece aderire il palmo freddo alla guancia calda del compagno e lo invitò ad avvicinare il viso al suo. Le loro labbra si sfiorarono, poi si allontanarono un poco. Il blu intenso si fuse con l’ambra liquida ed i visi di entrambi s’illuminarono della soffice luce di un sorriso complice.

Tobio avvolse le braccia intorno al corpo di Shouyou. Lo strinse completamente a sè, mentre lo baciava al cospetto di tutte le stelle del cielo d’estate.

Rotolarono di un fianco ed il piccolo Corvo rise, ripiegando le ali sulla schiena affinchè non si schiacciassero contro il terreno ancora tiepido per il sole tramontato ormai da ore. Tobio era sopra di lui e le sue ali erano un manto più scuro della notte.

Shouyou gli circondò il collo con le braccia e lo tirò a sè. Non poteva non sorridere, nemmeno quando le mani di Tobio si fecero più audaci e si sentì costretto a fermarlo. “Tobio!” Lo rimproverò ridacchiando.

“Cosa?” Domandò il Principe inarcando le sopracciglia.

Shouyou premette la punta del suo naso contro quella del compagno. “Non ora, dai…”

“E quando?” Domandò Tobio col broncio di un bambino a cui viene negato il suo dolce preferito prima di cena.

Shouyou si stiracchiò sull’erba e scivolò da sotto di lui, fissando una distanza di sicurezza che convinse Tobio a tenere le mani a posto.

“Dopo,” promise il piccolo Corvo e sentì le guance farsi rosse. Era strano sentire certe promesse uscire dalla sua bocca. Non si sentiva a disagio perchè era a Tobio che le faceva ma da quando era diventato grande, gli capitava di sentirsi un bambino più spesso di prima.

Era l’emozione di fondo ad essere cambiata.

Prima, quando aveva scoperto che i suoi fratelli avrebbero costruito un nido per loro e lo avrebbero lasciato indietro, la voglia di raggiungerli, di diventare grande era stata impetuosa, quasi rabbiosa.

Ora, però, lui e Tobio si erano scelti ed erano stati l’uno dell’altro in un modo in cui non avrebbero potuto concedere a nessun altro. Avventuroso, selvaggio e, sì, ancora bambino, Shouyou non aveva compreso la sua prima volta nel suo progetto di diventare grande. Chissà se Tobio ripensava a quel giorno sulla montagne con lo stesso smarrimento con cui, alle volte, ci pensava lui?

Sì, Shouyou si svegliava, si guardava allo specchio e si chiedeva chi stava guardando. Non si pentiva di nulla, no, ma il suo diventare grande era stato così diverso da come se lo era immaginato, da come gli altri lo avevano dipinto per lui, che l’insicurezza non poteva fare a meno di punzecchiarlo.

All’inizio della primavera, era solo un piccolo Corvo scappato dal suo villaggio per incoscienza e voglia di qualcosa… Qualcosa di più che il suo giovane cuore non era riuscito a spiegare.

Quel qualcosa di più aveva preso forma in Tobio e Shouyou ne era felice. Sì, era così felice da esserne spaventato.

“Ehi,” Tobio si sollevò su di un gomito e richiamò la sua attenzione. “Perchè ti sei rattristato, ora?”

Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte e si accorse di avere gli occhi pieni di lacrime. “No, niente…” Si sollevò a sedere e smorzò la tensione con un risatina nervosa. “Mi sono solo perso nei miei pensieri.”

Tobio di fece più vicino. “Che pensieri?” Si preoccupò.

Shouyou scosse la testa. “Non lo so… Forse, mi dispiace che la mia famiglia non sia qui con me,” non era tutta la verità ma non era nemmeno una bugia. “Ho sempre immaginato che quando avrei trovato il mio compagno, la mia famiglia… No, l’intero villaggio si sarebbe stretto intorno a me per farmi le congratulazioni. Sai, è piccolo il luogo in cui vivo e si conoscono tutti. Per molto tempo, ho immaginato la scena nei dettagli: il sorriso tirato di Daichi e quello più dolce e sincero di Koushi, mentre Kei avrebbe finto disinteresse e Tadashi mi avrebbe guardato commosso.”

Tobio ascoltò ogni parola con attenzione ma Shouyou avvertì una stretta al cuore improvvisa. “Non mi sto lamentando!” Esclamò. “È tutto bellissimo, Tobio. Tutto perfetto!”

“Ma non è casa,” concluse Tobio senza nessuna intonazione in particolare. “Quelli a farti le congratulazioni sono perfetti sconosciuti e non c’è nulla di caldo e familiare in tutto questo sfarzo.”

Shouyou si strinse le ginocchia al petto. “Mi dispiace…”

“Non hai ragione di dispiacerti.” Tobio passò il palmo aperto sulle piccole ali ricoperte da piume corvine.

Shouyou mosse le spalle avvertendo un piacevole brivido lungo la schiena. La mano di Tobio risalì lungo la sua spalla e prese a massaggiargli lentamente la base del collo, accarezzandogli i ribelli capelli sulla nuca. Il piccolo Corvo reclinò la testa all’indietro per assecondare il tocco di quella mano e riportò gli occhi d’ambra verso le stelle.

Dopo pochi istanti, saltò in piedi ad una tale velocità che Tobio si spaventò.

“Che cosa c’è?” Domandò il Principe guardandosi intorno.

“Non l’hai vista?” Shouyou passò velocemente lo sguardo dal cielo al Cigno Nero. “Era lì! Proprio lì!” Tese la piccola mano verso il cielo.

Tobio guardò in alto, sebbene sapesse che era troppo tardi per vedere qualsiasi cosa. “Hai visto una stella cadente?” Domandò.

Shouyou annuì con entusiasmo. “Peccato tu non abbia fatto in tempo a vederla,” disse, tornando a guardare il suo Principe negli occhi.

“Che desiderio hai espresso?” Chiese Tobio curioso.

Shouyou scosse la testa ridacchiando. “Non è così che funziona, Tobio.”
“Sono un Principe, futuro Re, lo decido io come funziona.”

“Non fare il tiranno!” Shouyou gli appoggiò le mani sul petto ed il Cigno Nero gli cinse i fianchi.

“Provo ad immaginare, allora,” disse Tobio. “Hai desiderato di tornare a casa.”

Il sorriso di Shouyou si fece malinconico. “Tobio, ti ho già detto che ti sono grato per…”

“A me non basta che tu mi sia grato,” lo interruppe il Principe. “Mia madre era grato a mio padre per aver posto fine alla guerra al modico prezzo di un matrimonio. Non è quello che voglio per me e te.”

Shouyou scrollò le spalle. “Tu non mi stai costringendo a fare nulla.”

“Lo so, ma…” Tobio si passò una mano tra i capelli corvini e mosse le ali con frustrazione: non era bravo con le parole. “Io voglio che tu abbia tutto.”

Gli occhi di Shouyou si riempirono di dolcezza. “Mi hai già dato tutto, Tobio,” gli ricordò. “Mi hai dato anche quello che avevi paura di mostrare ai tuoi genitori. Come potrei desiderare un dono più grande di questo?”

Tobio aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi si voltò verso il centro della prateria, dove i festeggiamenti continuavano ad animare la notte. Le note della musica ed il suono delle risate arrivava fino a lì. “Dici che tutto questo è bellissimo,” disse. “Ma non è il tuo mondo.”

Shouyou rise appoggiando la fronte alla sua spalla.

“Che cosa c’è da ridere, ora?” Domandò il Principe.

“Con tutto il rispetto, Tobio,” disse il piccolo Corvo guardandolo attraverso la frangia ribelle. “Ma questo mondo dorato appartiene meno a te che a me. Lo ha detto anche Tooru: sei figlio di un Cigno e di un’Aquila nati per essere Re e sei il loro degno erede, ma il mondo di un Principe destinato al trono è troppo piccolo per te.”

Tobio sbuffò. “Dovresti smetterla di passare tutto quel tempo con mia madre.”

“È dolce con me, mi fa sentire ben accolto in casa vostra.”

“Deve essere imparentato con i rettili, in qualche modo.”

“Tobio!”

“Cosa? Lo conosco da tutta la vita! Sei solo fortunato ad esserti guadagnato il suo favore senza particolare sforzo.”

“Tobio…” Shouyou prese il viso del Cigno Nero tra le mani e lo costrinse a guardarlo negli occhi. “Non ci sta succedendo quello che è accaduto ai tuoi genitori.” Rise. “A marzo, ci saremmo strappati le ali a vicenda ed ora siamo qui e ci siamo per nostra scelta. Era quello che i tuoi genitori desideravano per te ed è molto più di quello che io ho mai sognato per me.”

Tobio sospirò. “Non mi sono scomodato a chiedere il permesso ai tuoi genitori,” gli fece notare. “È la tradizione, no?” Non aveva mai chiesto il permesso a nessuno, il Cigno Nero, nemmeno ai Re che gli avevano dato la vita. Tuttavia, forse un po’ di modestia sarebbe stata gradita dalla famiglia del suo compagno e futuro sposo.

Futuro sposo… Ancora faceva fatica a venire a patti con quel concetto.

“I sentimenti non hanno bisogno del permesso di nessuno,” replicò Shouyou. “I miei genitori sanno dove sono. Hajime è andato da loro personalmente e quando io e te siamo divenuti una cosa ufficiale, li ho informati con una lettera scritta di mio pugno. Sono nelle mani del Principe della Foresta, questo dovrebbe bastare a rassicurarli e… Sì, magari a renderli orgogliosi.” Appoggiò di nuovo la fronte contro la spalla del Cigno Nero. Tobio gli cinse le spalle e restò in silenzio, ma continuò a pensare.





***




Koushi non era mai stato un genitore particolarmente ansioso. Daichi, al contrario, era sempre stato quello pronto a muoversi in caso di emergenza improvvisa. Dei tre pulcini che avevano cresciuto, Shouyou era stato quello più difficile, che più aveva dato loro motivo di preoccuparsi e a cui, di conseguenza, avevano dovuto dedicare più attenzioni. Da sempre, nel cuore di entrambi si erano annidati due sospetti contrastanti: Shouyou non sarebbe mai riuscito a lasciare definitivamente il loro nido, oppure se ne sarebbe andato più lontano di quanto potessero immaginare.

Alla fine, la seconda possibilità si era concretizzata ed il loro pulcino più ribelle e più difficile da gestire era divenuto il futuro Principe Consorte della Foresta. Però, quel grande evento si era verificato lontano da loro.

Da allora, Koushi lanciava sempre un’occhiata malinconica alle stelle, prima di coricarsi, e pregava che il suo pulcino stesse bene e fosse felice. Questo, però, non gli aveva mai impedito di versare qualche lacrima, quando il suo pensiero si fissava su Shouyou.

Non riusciva a smettere di sentirsi come se, Principe o meno, qualcuno glielo avesse strappato di forza dalle braccia e l’impossibilità di vederlo non aveva fatto altro che nutrire quel sentimento.

“Questo lato della Foresta è sempre meno sicuro,” aveva detto Hajime. “Wakatoshi sta facendo il possibile per tenervi al sicuro ma il vostro pulcino ha già subito un attacco ed il Nido delle Aquile è il luogo più sicuro della Foresta. Se fosse mio figlio, vorrei che restasse lì.”

Daichi e Koushi avevano annuito, sebbene a malincuore. Se Kei e Tadashi sentivano la mancanza del loro fratellino, non dicevano niente. Koushi poteva vedere la malinconia negli occhi e nei sorrisi forzati di Tadashi e sapeva interpretare il disappunto nascosto dietro ai silenzi di Kei. Shouyou aveva lasciato un vuoto ed era inutile negarlo. Parlarne, però, faceva ancora troppo male. Anche Daichi aveva avuto poco da dire di quella situazione. Koushi sapeva che se si fosse trattato di qualcun altro, il suo compagno sarebbe corso a riprendersi il loro pulcino e a pretendere tutto il rispetto che meritavano come genitori. Il loro piccolo, però, era entrato a far parte di un mondo così lontano dal loro e l’impotenza aveva inibito ogni loro reazione.

Non avevano alcuna scelta in quella storia.

Per il bene di Shouyou, avrebbero imparato a rinunciare a lui.



***



Tobio e Shouyou si erano trasferiti nel nido segreto che Wakatoshi aveva fatti costruire per Tooru subito dopo il loro ritorno della montagna.

Il Consorte Reale aveva avuto molto da ridire in merito, poi aveva tirato una guancia del figlio con un sorrisetto malizioso. “Fai quello che vuoi ma non combinare troppi guai lontano da mamma e papà,” aveva detto con fare sarcastico.

Tobio era arrossito fino alla punta delle orecchie ed era volato via. Fino a che suo padre sarebbe stato Re del Nido delle Aquile, lui e Shouyou avrebbero messo piede a corte solo quando strettamente necessario.

Il piccolo Corvo, per ora, sembrava pensarla esattamente come lui.

“Non ti sei ancora cambiato?”

Tobio allontanò gli occhi blu dalla volta celeste: Shouyou aveva indossato la sua camicia da notte ed era seduto dalla sua parte del letto.

“Hai detto di essere stanco e poi ti metti a cercare stelle dal balcone della nostra camera?” Domandò il piccolo Corvo divertito.

Tobio scrollò le spalle e si allontanò dalla finestra. La cortina di fiori ricadde al suo posto nascondendoli agli occhi del mondo.

“Stavo pensando,” ammise il Cigno Nero, prendendo a slacciare i lacci della propria camicia.

Shouyou sorrise pazientemente. “Sì, Tobio, lo avevo capito. Mi piacerebbe sapere a cosa.”

“Puoi immaginarlo,” disse il Principe disfandosi dei pantaloni.

Shouyou sospirò e si lasciò cadere tra i cuscini. “Tobio, smettila di tormentarti.”

“Ho avuto un’idea,” confessò Tobio, raggiungendolo sul letto. “Non è sicuro spostare te dalla cima della montagna, mio zio è stato chiaro in questo.”

Shouyou annuì.

“E far viaggiare la tua famiglia attraverso la Foresta, con i cacciatori in aumento di numero, sarebbe altrettanto incosciente.”

Il piccolo Corvo annuì nuovamente.

“Se andassi solo io, nessuno rischierebbe nulla.” Concluse Tobio.

Gli occhi di Shouyou si fecero enormi. “Toglitelo dalla testa!” Esclamò agitando le piccole ali nere.

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Viaggiando da solo attirerei meno l’attenzione, sarei più veloce e più libero di combattere.”

Shouyou si stese con le braccia incrociate contro il petto. “No!” Ripeté fermamente. “La Foresta tornerà ad essere sicura, prima o poi.”

“Ho il dovere di presentarmi ai tuoi genitori, Shouyou,” disse Tobio. “Di giurare di fronte a loro che ti proteggerò ad ogni costo.”

“Non hai bisogno di giurare nulla, Tobio,” disse Shouyou. “Viviamo nel luogo più sicuro della Foresta e la responsabilità è reciproca: anche io ho il dovere di proteggere te.”

Tobio ghignò. “Mi piacerebbe vederti provare.”

Shouyou gli tirò un calcio, Tobio gli afferrò la caviglia e lo costrinse sotto di lui. I loro visi erano a pochi centimetri di distanza. Gli occhi di Shouyou erano adirati e quelli di Tobio annoiati.

“Andrò dai tuoi genitori e farò quel che è giusto fare,” disse il Principe col tono di chi non ammette obiezioni.

Shouyou gonfiò le guance e si guadagnò un bacio a fior di labbra. “Cos’era quello?” Domandò perplesso.

“Non posso prenderti a pugni,” si giustificó Tobio. “Allora, ti bacio.”

Shouyou gli premette una mano contro la faccia e scoppiò a ridere.




***



Il giorno successivo, Tobio informò i genitori dei suoi piani, mentre erano intenti a pranzare.

Tooru impiegò meno di un battito di ciglia ad esprimere il suo disappunto. “Io non credo sia una buona idea,” disse con una smorfia.

Shouyou drizzò subito la schiena. “È quello che ho detto anche io!”

Il Principe gli lanciò un’occhiata raggelante ma il piccolo Corvo non si fece scoraggiare e gli fece la linguaccia.

“Io, invece, la trovo una buona idea,” disse Wakatoshi con tono casuale.

Tooru lo guardò con occhi e bocca spalancati. “Wakatoshi!” Esclamò scandalizzato. “Pensavo fosse chiaro dal nostro accordo matrimoniale che, tra noi due, sono io quello ad avere le opinioni che contano.”

Il Re Aquila fissò il compagno con un sopracciglio inarcato. “Non c’era scritto nulla di tutto questo nell’accordo di pace che abbiamo firmato il giorno delle nostre nozze.”

Tooru alzò gli occhi al cielo, poi forzò un sorriso velenoso. “L’ho fatto aggiungere in piccolo, in un angolo, in maniera tale che tu non lo leggessi e non ponessi domande.”

Shouyou ridacchiò sotto i baffi e Tobio appoggiò la guancia al pugno chiuso chiedendosi perchè aveva accettato di tornare a corte regolarmente.

“Vedi di farti vedere due volte al giorno e puntualmente, se non vuoi ritrovarmi con tutti i miei averi sulla soglia del tuo nido!” Aveva esclamato sua madre premendo la punta dell’indice contro il suo naso.

Oh, certo, ecco perchè aveva accettato: mai fare l’errore di non prendere sul serio una minaccia da parte di Tooru di Seijou.

“Wakatoshi, ogni nostri dialogo gira intorno ai Cacciatori, a quanto siano pericolosi e a quanto velocemente si stiano appropiando dei territori che fiancheggiano il fiume! Vuoi davvero mandare nostro figlio in missione in quei territori?” Domandò Tooru.

Shouyou si fece improvvisamente serio. “Quella parte della Foresta è davvero tanto in pericolo?” Domandò con apprensione.

Tooru si pentì subito di quanto aveva detto. “Non temere, piccolo Corvo,” disse con un sorriso gentile. “Hajime ed i suoi uomini sono accampati nelle vicinanze di tutti i piccoli villaggi di quella zona, compreso il tuo. La corona non abbandona nessuno al suo destino.”

Shouyou annuì e prese un sorso d’acqua per combattere il nodo che si era stretto intorno alla sua gola. Tobio lo guardò preoccupato, strinse le labbra e riportò gli occhi blu su quelli del Cigno dalle ali bianche. “Partirò domani,” disse. “Ho preso la mia decisione.”

Tooru sospirò esasperato. “Wakatoshi digli qualcosa.”

Il Re aprì la bocca ma il suo Consorte sollevò subito la mano per bloccarlo. “No, per carità, non dirgli niente: ci manca solo che sottolinei una seconda volta quanto approvi i piani folli di tuo figlio!”

“Non è un piano folle,” replicò il Re. “Tobio vuole prendersi le sue responsabilità e fare le cose come si devono con il suo compagno. Abbiamo lasciato ai ragazzi libertà di scelta ma questo non significa escludere la famiglia di Shouyou da tutto questo.”

Tooru fece per replicare.

“Se Tobio fosse fuggito in un territorio a te estraneo e fosse divenuto il compagno di un giovane che non hai mai visto in vita tua, Principe o meno che sia, non vorresti conoscerlo? Non vorresti assicurarti che possa rendere felice il nostro unico figlio? Un titolo nobile non è sufficiente per rendere un compagno degno e lo sai bene.”

Suo malgrado, Tooru richiuse la bocca ed incrociò le braccia contro il petto. “Vuoi davvero lasciarlo andare da solo?”

Wakatoshi cercò gli occhi del figlio. “Sa difendersi,” disse. “Fin dalla nascita, ha il potere di farlo e, grazie al piccolo Corvo, ha smesso di averne paura.”

Tobio annuì due volte con determinazione. “Non ti deluderò, padre.”

Tooru si abbandonò sulla sua sedia con aria drammatica. “C’è qualcuno in questa stanza che potrebbe preoccuparsi di non deludere me?” Domandò offeso. “Wakatohsi, rifletti, per l’amor del cielo! Hai detto che qualunque genitore vorrebbe conoscere di persona il compagno del proprio figlio ma lo hai visto il nostro?” Indicò il Cigno Nero senza rispetto.

Shouyou dovette mordersi l’interno della bocca per non scoppiare a ridere.

Tobio sgranò gli occhi ed arrossì.

“Lo vedo regolarmente da sedici anni, Tooru,” rispose Wakatoshi.

“E ci parli?” Insistette il Cigno con fare tragico. “Tu riesci a parlare con quella creatura seduta lì? Riesci a capire quello che dice? Wakatoshi, ammettiamo una volta per tutte la triste verità: nostro figlio ha profondi problemi di comunicazioni che gli sono stati tramandati dal tuo ramo della famiglia e non lo manderei a presentarsi da solo nemmeno alla corte di Seijou, da mia sorella! Dove già lo conoscono, tra l’altro…”

Tobio scosse la testa e si rivolse al Re. “Padre, vi prego…”

“A questo si può porre rimedio,” disse il Re con voce neutrale.

Incuriosito, Shouyou si ricompose e sollevò lo sguardo.

Tooru sbattè le palpebre un paio di volte facendo fluttuare le lunghe ciglia. “Sapevo che dentro quella mente da troglodita c’è sempre stato un poco di buon sen-”

“Tu lo accompagnerai, Tooru.”

L’espressione orripilata del Consorte Reale fu il riflesso perfetto di quella del proprio figlio.

“Giammai!” Esclamarono in coro.

“Bene,” Wakatoshi annuì. “La decisione è presa.”




***



L’indomani, all’alba, il Principe del Nido delle Aquile e sua madre, il Consorte Reale, erano pronti a ridiscendere il corso del fiume.

“Tuo padre vuole che dorma qui, alla corte, mentre tu sei via,” disse Shouyou, stringendo le mani di Tobio. “Dice che è più sicuro.”

Il Principe annuì. “Lo credo anche io,” sollevò lo sguardo sul fanciullo privo di ali alle spalle del piccolo Corvo. “Posso contare su di te, cugino?” Domandò con la serietà di un generale consumato.

Takeru sospirò e sorrise. “Hai la mia parola,” lo rassicurò e si scambiarono una calorosa stretta di mano. “Saluta mio padre, se incontri lui e le sue truppe a valle ed abbi cura del fratello di mia madre.”

Tobio li fissò con espressione un po’ apatica. “La mia missione è presentarmi ai genitori di Shouyou, non riportare indietro il Consorte Reale.”

Shouyou alzò gli occhi al cielo. “Tobio…”

A pochi metri di distanza, il Cigno dalle ali bianche non si risparmiò a ripetere al suo Re il proprio disappunto. “Cacciato dalla mia casa,” disse impegnandosi a far tremare il labbro inferiore. “Costretto a vagare in un territorio pieno di pericoli per volere del mio sovrano e mio marito!” Lanciò un’occhiata al giovane Cigno Nero. “In compagnia della creatura più insopportabile sulla faccia della terra!”

“Lo hai partorito tu,” gli ricordò Wakatoshi.

“Tecnicamente, è uscito da un uovo,” ribattè Tooru sollevando l’indice. “E metà del danno lo hai fatto tu.”

Wakatoshi fece scivolare la mano sul retro del collo del suo compagno affondando la punta delle dita tra i morbidi capelli castani. “Parlerete lungo tutto il tragitto e non vi renderete conto del tempo che passa,” disse con tono pacato. “Koushi e Daichi saranno felici di rivederti e, sì, sarai in grado di rassicurarli sullo stato di benessere della loro creatura meglio di Tobio.”

Tooru sospirò sconsolato. “Non parleremo!” Ribatté. “Ci faremo la guerra e sai che nessuno dei due è bravo a perdere. Non costringermi a gettare da una rupe il nostro unico figlio!”

“Il nostro unico figlio ha le ali, sa volare.”

“Servirà a poco, se lo lego prima.”

“Tooru, passi il tuo tempo libero ad immaginare come liberarti di Tobio?”

Il Cigno dovette rientrare nei ranghi ed accettare la sua triste sorte. “C’è un piccolo problema,” disse lanciando un’occhiata annoiata a quel fanciullo che non era più il suo pulcino da diverso tempo. “Lo amo.”

Wakatoshi accennò un sorriso. “Lo so,” si chinò per graziare le labbra del compagno con un bacio. “Proteggetevi a vicenda ed andrà tutto bene.”

Tooru annuì, i suoi occhi scuri si erano fatti improvvisamente più gentili e sinceramente preoccupati. “Ce la fai qui, senza di me?”

Wakatoshi annuì. “Devo pur ricordare alla mia corte che valgo anche senza il mio braccio destro.”

Tooru sollevò l’angolo destro della bocca in un sorrisetto arrogante. “Tu sei il mio braccio destro,” lo corresse. “Hajime è il sinistro.” Tornò a guardare Tobio. “E quello dovrebbe essere il bastone della mia vecchiaia, ma sorvoliamo… Sarò giovane e bello per sempre!”

I due consorti di scambiarono un altro bacio, poi Tooru si voltò. “Tobio, saluta il tuo Principe Consorte come si deve ed incamminiamoci.”

Il Cigno Nero annuì. “Ci siamo,” disse rivolgendosi al piccolo Corvo.

Shouyou forzò un sorriso. “Ci siamo.”

Da quando quella storia era cominciata, era la prima volta che si separavano ed entrambi si guardavano come se stessero per rinunciare ad un pezzo di cuore.

“Promettimi che andrà tutto bene,” mormorò Shouyou con un filo di voce. “Tre tramonti da oggi, non fare tardi.”

Tobio annuì. “Lo prometto,” disse e lo baciò sulle labbra.

Il Re Aquila si avvicinò a loro e posò una mano sulla piccola spalla del Corvo. “Sai di lasciarlo in buone mani,” disse al figlio.

Il Principe annuì di nuovo. “A presto, padre.”

In quel preciso momento, il sole fece capolino da dietro le cime delle montagne più alte.




***



“Dammi una buona ragione per cui non dovremmo volare?” Domandò Tooru, dopo essersi lamentato della strada per almeno due ore di fila.

“Perchè mi fai domande di cui conosci già la risposta?” Sbottò Tobio e lanciò un’occhiataccia al genitore da sopra la spalla. “Hai combattuto una guerra. Sai meglio di me come comportarti in situazioni di pericolo.”

Tooru sospirò. “Fossero state queste le situazioni pericolose durante la guerra...”

Il Cigno Nero si fece serio ed abbassò lo sguardo per stare attento a dove metteva i piedi. Avevano evitato di proposito i sentieri principali. Era più sicuro ma, di certo, meno comodo. Tobio sapeva che Tooru se ne lamentava semplicemente per innervosirlo. Sua madre aveva percorso strade ben più faticose durante la guerra ed il Principe lo sapeva bene, anche se dalle labbra del genitore non lo aveva mai sentito.

“Come facevate tu e mio padre?” Domandò. “Quando siete stati separati dalla guerra, dico.”

Tooru fissò le ali nere del figlio con interesse, poi sorrise. “Fa male stare lontano da Shouyou, eh?”

Tobio arrossì fino alla punta delle orecchie. “Non stiamo parlando di me.”

Tooru annuì e decise di concedergli una tregua. “In realtà, non siamo mai stati separati durante la guerra,” raccontò. “Ho seguito tuo padre in ogni campo di battaglia. Si può dire che, sebbene i nostri sentimenti si stessero riscaldando da prima, è stato in quel periodo che ci siamo innamorati davvero. Non c’era spazio per gli sfarzi o i comportamenti da etichetta in quelle circostanze… Eravamo noi, al peggio o al meglio che fosse e,” Tooru scrollò le spalle, “il resto lo sai. Non è un caso che tua sorella sia arrivata durante la guerra.”

Tobio si umettò le labbra. “Scusami, non avrei dovuto…”

“Non hai motivo di scusarti, Tobio,” Tooru lo affiancò. “Fa parte della storia mia e di tuo padre ed è inutile negarlo. Tuttavia, sei dovuto nascere tu perchè riuscissimo a parlarne. Prima che la verità su tua sorella venisse a galla, io e tuo padre ci siamo incolpati a vicenda per un po’... Continuavamo a dire che saremmo dovuti stare più attenti, che la nascita di un figlio durante la guerra era pura follia.”

“Non eravate felici di averla?” Domandò Tobio.

“Sì,” confermò Tooru. “Lo eravamo, prima che ce la portassero via. Ci dicevamo che era la nostra speranza in mezzo a tutta quella distruzione. Non potevamo ancora sapere che la morte non era fuori dalle mura del nostro nido ma dentro.”

Tobio annuì. “Non è stata la guerra ad uccidere mia sorella,” disse. “E non siete stati voi. La colpevole ha pagato, non avete motivo di tormentarvi.”

Tooru fissò il profilo di suo figlio, poi sollevò una mano e passò le dita tra i suoi capelli corvini. “Sei cresciuto davvero, eh?” Sorrise con nostalgia. “Ti prego solo di non fare i prossimi passi troppo in fretta.”

Tobio lo guardò. “Che vuoi dire?”

“Hai Shouyou. Siete liberi di amarvi e di farlo con tutta la spensieratezza della vostra età… Non buttatela via, vivetela fino in fondo. È così che si diventa adulti, non con un pulcino tra le braccia a sedici anni.”

Tobio annuì. “Siete stati felici quando sono nato io?”

Tooru sorrise nervosamente. “Che domanda è mai questa?”

“Le mie ali,” disse. “Devi averle notate immediatamente e…”

Tooru si fermò. “Pensi che, dopo aver perso tua sorella per mano di tua nonna, io e tuo padre ci siamo posti il problema?” Domandò con voce un poco tremante. “Avevamo concepito una figlia durante una guerra ed il nostro secondo bambino era arrivato durante un inverno senza precedenti. Mi sono ricordato come respirare solo dopo che ho avuto la certezza che lo stavi facendo anche tu.” Il Cigno rise un poco istericamente. “È facile parlarne ora che sei quasi più alto di me e hai le spalle larghe come tuo padre. Quando nascete siete così piccoli ed indifesi, voi pulcini... E noi genitori, nonostante tutto l’amore, ci sentiamo così inadeguati con quelle creaturine tra le braccia…”

Tobio aggrottò la fronte. “È una sensazione così terribile?”

Tooru sospirò e gli accarezzò di nuovo i capelli. “Capirai…” Disse con un sorriso un poco malinconico. “Arriverà anche il tuo momento e capirai.”






Quando arrivarono al Villaggio dei Corvi, Tobio ebbe l’impressione di esserci già stato.

Shouyou gli aveva parlato di quel posto tante di quelle volte che il Principe aveva finito col dipingerlo nella sua mente in ogni singolo dettaglio; dalla grande Sala Comune posta sull’albero più alto ed antico, ai piccoli nidi che vi sorgevano tutt’intorno.

“Delizioso, vero?” Commentò Tooru. Era sincero.

All’orizzonte, il sole stava tramontando e Tobio ricordò che il tempo a loro disposizione era breve e doveva affrettarsi. “Andiamo,” disse camminando fino alla fine del ramo su cui si erano seduti per studiare la situazione. “Ricordi dove si trova la casa di Koushi e Daichi?”

Tooru scosse la testa. “Sono passati così tanti anni…” Rispose. “Il modo migliore per fare questa cosa è presentarci nella Sala Comune e porre i nostri omaggi al Capo Villaggio. Il vecchio Ukai dovrebbe essere ancora vivo.”

“Lo conosci?”

“Grande guerriero,” disse Tooru con un gran sorriso. “Noi giovani generali abbiamo imparato molto da lui, ai tempi della guerra. Sarei lieto di rivederlo.”

“Vuoi precedermi?” Domandò il Cigno Nero, come se non conoscesse già la risposta.

Tooru sfoderò il più splendente dei suoi sorrisi. “Lascia le entrate in scena a chi le sa fare, Tobio-chan e impara dal maestro dei maestri.”

Il Principe alzò gli occhi al cielo. “Ti puoi muovere e basta?”






“Per tutti gli spiriti della Foresta, che disgrazia dobbiamo aspettarci, questa volta?” Domandò il vecchio Ukai fissando il Cigno come se fosse un portatore di sventure.

“Felice di trovarvi vivo e simpatico come sempre, vecchio Ukai,” rispose Tooru con un sorriso velenoso.

Un paio di passi alle spalle di sua madre, Tobio riuscì a stento a nascondere un ghignetto: almeno, ora aveva le prove che l’antipatia di Tooru era ufficialmente riconosciuta da qualcun altro, oltre a lui.

Non era stato difficile convincere i due Corvi alle porte della Sala Comune a lasciarli entrare: era bastato fare il nome di Shouyou e si erano agitati subito, correndo a chiamare il loro Capo senza badare a ricomporsi.

Tooru non se l’era presa per la mancanza di modi e Tobio aveva cominciato a rispondere ad alcune delle domande che si era sempre posto sulla condotta di Shouyou. Evidentemente, tutti i Corvi erano un po’ energici.

Seduta sul suo trono di legno, il vecchio Ukai appoggiò il viso al pugno chiuso. “Seriamente… Che cosa ci dobbiamo aspettare?”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Sono un Cigno, le leggende sul mio popolo hanno poco a che fare con la sfortuna.”

“Sei sempre stato una serpe dalle piume bianche, Tooru e non starò qui a fingere il contrario solo perchè siedi su di un trono. Non sei meno moccioso dall’ultima volta che ti ho visto.”

Tobio decise che il vecchio Ukai gli piaceva.

Sua madre prese un respiro profondo e si voltò verso di lui. “Prima di essere accompagnato alla mia umiliazione pubblica, posso presentarvi mio figlio?”

Il vecchio Corvo sgranò gli occhi e si alzò in piedi.

“Grazie per la dimostrazione di rispetto in vergognoso ritardo,” disse Tooru.

Ukai lo superò come se nemmeno fosse lì. Tobio drizzò le spalle s’irrigidì. “Mio signore,” salutò con rispetto chinando la testa.

Il vecchio posò una mano sulla sua spalla con fare paterno. “Alza pure gli occhi, ragazzo, dovrei essere io ad abbassarli al tuo cospetto,” disse. “In realtà, dovrei farlo anche col tuo regale genitore, ma ogni volta che lo vedo penso al pulcino piagnucoloso che mi è stato presentato subito dopo il suo matrimonio, il primo giorno alla corte delle Aquile.”

“Era un fanciullo sconvolto!” Si giustificò Tooru.

“Vivevate al Nido delle Aquile?” Domandò Tobio sorpreso.

Il vecchio Ukai fece un passo indietro e s’inchinò. “Capo delle guardie, mio giovane signore. I miei Corvi proteggevano la vostra casa, un tempo.”

“Davvero?” Tobio sbatté le palpebre un paio di volte. “Non ne sapevo nulla. Da che ho memoria, sono i Cavalieri e Cacciatori di mio zio a pensare alla sicurezza del Nido.”

“Vecchie faccende complicate,” s’intromise Tooru affiancandosi al Principe. “Immagino sappiate perchè siamo qui, vecchio Ukai.”

Il Corvo annuì un paio di volte. “La piccola peste non è con voi, vedo.”

Tobio sorrise sommessamente. Sì, era un modo adatto per riferirsi a Shouyou.

Tooru ridacchiò. “Il piccolo Shouyou è un raggio di sole e voglio esprimere personalmente la mia gratitudine al vostro popolo e a Koushi e Daichi per averlo reso quello che è.”

“Nessuno di noi lo ha reso quello che è,” replicò il vecchio Ukai con tono acido. “La peste è proprio come te, Tooru. È nato con una natura tutta sua e non c’è stato modo di raddrizzarlo.”

Tooru prese quell’informazione come un punto a suo favore. “Il pulcino non vola tanto lontano dall’albero, evidentemente,” disse lanciando un’occhiata vittoriosa al suo annoiato figlio.

“Sono qui per presentarmi formalmente alla famiglia di Shouyou,” disse Tobio con voce chiara e determinata. “Vista la situazione di emergenza con i Cacciatori, io e mio padre non abbiamo ritenuto opportuno allontanare Shouyou dal Nido delle Aquile e sarebbe stato altrettanto pericoloso spingere la sua famiglia a lasciare la propria casa.”

Il vecchio Ukai annuì. “Il tuo è un gesto molto nobile e coraggioso, mio Principe. Siamo lieti di avervi come nostro ospite e, senza ombra di dubbio, lo saranno anche Koushi e Daichi.” Sollevò gli occhi verso il portone d’entrata. “Asahi!” Chiamò.

Il Corvo alto ma dall’atteggiamento goffo che li aveva accolti vi avvicinò.

“Conduci il Principe ed il Consorte Reale a casa di Koushi e Daichi,” ordinò il vecchio Corvo. “Saranno lieti di avere notizie di Shouyou.”






Lungo la strada, Tobio non disse nulla.

Sua madre scambiò qualche parola con l’alto e goffo Corvo. Da quel che riuscì a capire, avevano combattuto insieme in qualche battaglia ma non pose particolare attenzione alla loro conversazione: era nervoso. Shouyou era già suo e per sua scelta, i suoi genitori non avrebbero potuto fare niente per portarglielo via.

Tuttavia, Tobio sapeva che il piccolo Corvo ne avrebbe sofferto, se la sua famiglia non fosse stata felice della loro unione.

“Eccoci,” disse Asahi atterrando sulla piattaforma di una piccola casa un po’ isolata da tutte le altre.

Tobio la osservò con attenzione, come se fosse un luogo mitologico o qualcosa di altrettanto magico: Shouyou era cresciuto in quella casa, era lì che aveva fatto i sogni che lo avevano portato da lui. Metà della loro storia era iniziata lì.

“Volete che resti?” Domandò Asahi.

Tooru scosse la testa. “Io e Koushi eravamo molto legati ed è stato mio cognato a portargli la notizia di Shouyou. Possiamo cavarcela da soli.”

Asahi annuì, fece un breve inchino e tolse il disturbo.

Tooru guardò suo figlio con un sorriso paziente e Tobio gli arrivò accanto.

“Pronto?” Domandò il genitore.

“No.”

Il Cigno attese il tempo di un respiro. “Pronto?”

Il Principe prese un respiro profondo. “Sì.”

Fu Tooru a bussare e la porta si aprì appena un istante dopo. Un Corvo adulto, seppur ancor giovane, comparve dietro la porta. Aveva i capelli di uno strano colore grigiastro e gli occhi stanchi ma c’era qualcosa nella sua espressione che a Tobio ricordò Shouyou: una sfumatura gentile impossibile da confondere.

“Tooru…” Disse Koushi sgranando gli occhi.

Il Cigno sorrise con emozione. “Felice di rivederti Koushi.”

Gli occhi dorati del Corvo si spostarono sulla figura del Principe. “E lui è…” Non terminò la frase e si fece da parte. “Entrate, vi prego! Daichi, renditi presentabile e scendi!”

Appena messo piede all’interno, Tobio si guardò intorno: la casa era piccola, modesta ma accogliente. Una scala era posta in un angolo della cucina, come Shouyou gli aveva raccontato. Il Principe sapeva che al piano superiore vi era il nido in cui il suo compagno era cresciuto coi propri fratelli.

Fu da quella stessa scala che scese un secondo Corvo, anche egli della stessa età di sua madre e di quello che aveva aperto loro la porta. Capelli corvini, lineamenti un poco squadrati. A Tobio bastò guardarlo per sapere che era Daichi.

“Tooru…” Anche Daichi sgranò gli occhi sorpreso e si affrettò a salutarlo come si doveva. “Perdonaci, non eravamo preparati ad accogliere-”

“Un vecchio amico?” Concluse Tooru. “Perchè sono qui solo in questa veste,” aggiunse, poi si voltò verso il Cigno Nero, “e per accompagnare il mio fanciullo.” Premette una mano sulla schiena di Tobio invitandolo a farsi avanti.

Il Principe sentì il respiro venire meno ed il bisogno di fuggire ad ali spiegate fu quietato solo dall’orgoglio reale che possedeva per diritto di nascita. “È un piav… Piaf...  Piah…”

Tooru lo guardò orripilato, poi forzò un sorriso. “Wakatohsi lo ha fatto cadere dalla culla,” si giustificò. “Non io, Wakatoshi.”

Il Cigno Nero prese un respiro profondo. “Sono lieto di fare la vostra conoscenza,” riuscì a dire. “Shouyou mi ha parlato molto di voi e mi dispiace di non essere venuto prima, di non aver fatto le cose come…”

“Ehi, ehi…” Koushi si fece avanti e prese una delle sue mani tra le proprie. Erano caldo. “Va tutto bene, tesoro. Sei a casa qui… Certo, sei cresciuto in una corte ma questa è casa tua, se lo vuoi.”

Tobio annuì arrossendo fino alla punta delle orecchie. “Grazie…”

Koushi sorrise a Tooru. “È cresciuto così tanto,” disse emozionato.

“Già,” concordò il Cigno spettinandogli i capelli. “Sembra ieri che eravamo in quella sala del trono con questo frugoletto nella culla che non faceva che nascondersi dentro le sue ali.”

Koushi ridacchiò. “Vero, non faceva che nascondersi.”

“Dieci giorni di vita e già aveva un bel caratterino con cui mi faceva la guerra!” Esclamò Tooru piegando il braccio sulla spalla del figlio.

Tobio sperò che quella tortura umiliante finisse presto.

“Come sta il nostro Shouyou?” Domandò Daichi seriamente.

“Sta… Sta bene,” disse Tobio. “Parla continuamente di voi e gli mancate ma sta bene. Sto facendo tutto ciò che è in mio potere per renderlo felice.”

Daichi inarcò le sopracciglia. “Lo hai detto davvero?” Domandò, poi guardò Tooru. “Lo ha detto davvero?”

I tre adulti risero insieme e Tobio li guardò uno ad uno con aria confusa.

“Sei proprio il figlio di Wakatoshi,” disse Daichi porgendogli la mano. “Sincero a costo di suonare ridicolo o brutale.”

Tobio la strinse non comprendendo se fosse appena stato insultato o meno.

“Sedetevi,” disse Koushi indicando il piccolo tavolo al centro della stanza. “Abbiamo molto di cui parlare.”




Mangiarono insieme, come una vera famiglia e parlarono fino a tarda notte.

Tobio disse poco o niente, a dire il vero. Fu Tooru a fare l’ospite d’onore e a coprire i silenzi che lui non sarebbe mai riuscito a riempire adeguatamente.

Alla fine, Tobio rispettò la promessa fatta a Shouyou: andò tutto bene.





“Bene,” disse Tooru soddisfatto guardando fuori dalla finestra della mansarda. “Ho fatto proprio un ottimo lavoro.”

Seduto sul giaciglio che aveva scelto per sè, Tobio sospirò. “Grazie,” disse, suo malgrado. “Mio padre aveva ragione, non sarei mai riuscito a fare questa cosa senza il tuo aiuto.”

Tooru gli lanciò un’occhiata perplessa da sopra la spalla. “A cosa pensi che mi stia riferendo, Tobio-chan?”

Il Cigno Nero scrollò le spalle. “Se escludiamo quel momento imbarazzante con il vecchio Ukai…”

“Stendi un velo pietoso, amore mio,” ordinò Tooru con voce velenosa.

“Daichi e Koushi ti adorano,” aggiunse il Principe. “Dovete aver passato dei momenti molto importanti insieme. Non vi vedete da più di un decennio ed è come se non fosse passato un giorno. Sei riuscito a convincerli che non abbiamo rapito il loro primo figlio.”

Tooru si allontanò dalla finestra ridacchiando. “Lo temevi?”

“Tecnicamente, è scappato lui ma…” Tobio lasciò la frase sospesa. “Sì, hai fatto un ottimo lavoro.” Si distese sul suo giaciglio incrociando le braccia dietro la testa.

Tooru esaurì la distanza tra loro e si distese accanto a lui.

Il Principe lo guardò sospettoso. “Che cosa c’è?” Domandò

“Mi riferivo a te,” disse Tooru con un sorriso quasi dolce, quasi. “Quando ho detto che ho fatto un ottimo lavoro, mi riferivo a te.”

Preso di sorpresa, Tobio aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Mamma…” Mormorò.

Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Tooru si girò su di un fianco e gli diede la schiena. “Oh, che sonno!” Esclamò. “Ci aspetta un grande viaggio domani e dobbiamo recuperare le forze.”

Tobio fissò la nuca del genitore e realizzò che, in fin dei conti, tutto quello che lui e Tooru non si dicevano a parole, trovavano il modo di comunicarselo comunque.

Suo malgrado, sorrise.




***




“I tuoi suoceri ti adorano, il Capo Villaggio ti adora e tutti si ricordano amorevolmente di me,” disse Tooru con un sorriso soddisfatto, durante il viaggio di ritorno.

Tobio si voltò a guardarlo con la fronte aggrottata. “Amorevolmente?”

“Guarda dove metti i piedi o rischi d’inciampaaaah!” Tooru cadde sulle ginocchia ed imprecò a bassa voce. Sollevò gli occhi e vide che suo figlio guardava dritto di fronte a sè, le ali tremavano. “Non ridere, creatura ingrata!”

Tobio si voltò e gli porse una mano. “Ti aiuto.”

Il Cigno si tirò in piedi in completa autonomia. “Io volo,” disse sollevando lo sguardo per assicurarsi che ci fosse abbastanza spazio tra gli alberi per sbattere le ali.

“No, è pericoloso!” Esclamò Tobio.

Tooru lo guardò annoiato. “Stammi a sentire, pulcino, siamo quasi sulla cima della montagna! Se ci toccano, urliamo e tuo padre correrà con tutto l’esercito!”

“L’esercito non è nemmeno al Nido delle Aquile,” gli ricordò Tobio. “È sparso in tutta la Foresta per difendere i villaggi dai Cacciatori.”

“Allora mi salverai tu!” Esclamò Tooru sbattendo le lunghe ciglia. “Il mio corvino salvatore!”

L’espressione di Tobio di scurì. “Non scherzare.” Lo superò e riprese a camminare velocemente.

Tooru lo guardò perplesso. “Ehi, Tobio-chan, non ti sarai mica offesa?”

“Il fatto che Shouyou mi voglia anche se sa che posso trasformarmi in un mostro, non significa che a me faccia piacere.”

Tooru sgranò gli occhi, poi li alzò verso il cielo. “Non ci posso credere!” Esclamò.

“E non ci credere.”

“Tobio, uno che deve fare per aiutarti ad accettare te stesso? Io e tuo padre ti amiamo! Non ti è bastato? Bene, ti ama anche Shouyou! Possibile che ancora non ti basti?”
Tobio si fermò e lo guardò in cagnesco. “Pensi che mi faccia piacere?” Domandò astioso. “Pensi che sia divertente sapere che questa maledizione non se ne andrà mai? E non mi riferisco al mostro che ho sotto la pelle ma all’incapacità di accettarlo come una parte di me!” Riprese a camminare.

Tooru fissò le sue ali tristemente. “Sai perchè il vecchio Ukai ha smesso di essere il Comandante della Guardia Reale?” Domandò.

Tobio si fermò ma non si voltò. Sua madre aveva evitato quel discorso per quasi tre giorni e se, alla fine, aveva deciso di parlare, la faccenda doveva essere più grave di quella che aveva previsto.

“Aveva giurato fedeltà a tua nonna,” proseguì Tooru.

Tobio sentì il sangue gelarsi nelle vene e si voltò verso il genitore.

Il Cigno gli sorrise tristemente. “Il vecchio Ukai è una persona buona, Koushi e Daichi erano giovani Corvi addestrati da lui. Per questo siamo così uniti: siamo stati vicini per molti anni ed in molte occasioni, anche dolorose. Quando abbiamo avuto le prove che tua nonna era responsabile per la morte di tua sorella, il vecchio Ukai è venuto da me e mi ha chiesto perdono in lacrime. Io e tuo padre non abbiamo mai accusato lui o gli altri Corvi di aver preso parte a quell’omicidio, ma Ukai non se l’è più sentita di servire la corona… Non si sentiva degno. Ha ringraziato tuo padre per la sua bontà e poi ha preso i ragazzi che erano sopravvissuti alla guerra e ha fondato il Villaggio dei Corvi in cui il tuo Shouyou è nato e cresciuto.”

Tobio lo guardò senza capire. “Perchè mi stai raccontando questo?”

“Tu sai che tua nonna è stata esiliata dopo la tua nascita,” disse Tooru.

Il Principe annuì.

“Però non ha mai chiesto perchè dopo,” gli fece notare il Cigno. “Ci sono due anni di distanza tra la morte di tua sorella e la tua nascita. Per due anni abbiamo avuto un’assassina nella nostra casa, senza saperlo.”

Tobio cercò di mettere insieme i pezzi. “Dov’erano le prove?” Domandò, infine. “Perchè ci sono voluti due anni perchè la verità venisse a galla?”

Tooru si umettò le labbra: gli faceva parlare di quegli eventi ed il Principe se ne dispiacque. “Stava cercando di uccidere anche te,” disse con un filo di voce. “Io ero lì, tuo padre era lì, i tuoi zii erano intorno a te e nessuno si stava rendendo conto di quello che stava facendo quella donna,” raccontò. “Sei figlio del Grande Inverno, Tobio e abbiamo temuto per la tua saluta fin dal primo istante, ma sei nato forte e sano. Ti nutrivi con appetito e ti tenevamo vicino perchè fossi abbastanza caldo. Io e tuo padre, però, eravamo stanchi… Tu dovevi sopravvivere ed il popolo doveva sopravvivere. Alle volte, Wakatoshi non c’era ed io mi addormentavo prima di te.”

“E che cosa c’è di male in questo?”

“Hai cominciato ad ammalarti,” proseguì il Cigno. “Non ne capivamo la ragione. Non riuscivamo nemmeno a curarti. Avevi poche settimane di vita e stavi morendo tra le nostre braccia.”

“Hajime mi ha sempre detto che io e Takeru siamo stati tutto meno che bambini cagionevoli,” disse Tobio perplesso.

Tooru annuì ingoiando a vuoto. “Tua nonna ti avvelenava, Tobio.”

L’espressione del Principe divenne una maschera di pietra.

Tu sei la prova che ha condannato l’assassina di tua sorella,” concluse Tooru.

Il giovane Cigno Nero abbassò lo sguardo, fece un passo indietro e cercò una ragione dietro quella confessione. Non la trovò. “Perchè me lo racconti proprio ora?”

Tooru abbassò le spalle in un gesto esasperato. “Perchè ti ho dato la vita e devo ancora sentirti ripetere che ti credi un mostro, quando io e tuo padre ne abbiamo visto uno in faccia per davvero.”

Tobio strinse le labbra e resse lo sguardo del genitore ma non replicò.

“Abbi rispetto per i sentimenti di Shouyou, se non per i nostri,” disse Tooru. “E smettila di vedere un mostro in te stesso.”

Tobio strinse gli occhi per un istante. “Ti ho fatto del male,” disse. “Quello che sono ti ha fatto del male…”

Tooru lo guardò con espressione ferita. “Tobio, tu non ti stai davvero accusando ancora di questo, vero?”

Tobio strinse i pugni. “Questo timore mi accompagna tutte le notti quando stringo Shouyou a me e farei qualunque cosa… Qualunque cosa per…” Si bloccò, gli occhi blu sollevati verso il cielo, oltre le cime degli alberi.

“Che cosa c’è, Tobio?” Domandò Tooru inarcando le sopracciglia.

“Quel fumo,” disse Tobio. “Una colonna di fumo si alzò dalla cima della montagna!”






Esaurirono la distanza tra loro ed il Nido delle Aquile volando.

Nulla avrebbe potuto prepararli a quello che videro.

Il grande albero che era stato la loro casa, il loro rifugio, il luogo che sarebbe dovuto essere il più sicuro dell’intera Foresta era divorato dalle fiamme.

Tobio sentì la mano di Tooru cercare la sua. Incontrò i suoi occhi e vi vide rifletto lo stesso timore che doveva animare i suoi.

Fu il Principe il primo a lanciarsi verso il Nido in fiamme.

“Shouyou!” Gridò.




 

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Capitolo 10
*** Macchie sulla neve ***


X
Macchie sulla neve


 

-Alcune primavere prima...-




Prima del Grande Inverno, la guerra che permise a Wakatoshi e Tooru di unire la Foresta sotto un’unica corona scoppiò a causa di un mostro.

Tale creatura si macchiò della morte di decine d’innocenti appartenenti sia al popolo degli uomini che a quello degli spiriti.

Incapaci di trovare il vero colpevole, entrambi gli schieramenti finirono per accusarsi a vicenda. Ad approfittarne furono gli animi assetati di violenza da ambedue le parti, quelli in attesa di una scusa per massacrare l’antico nemico e farlo passare come un atto necessario.

Pur essendo gli unici veri mostri della vicenda, non furono loro a pagare il prezzo più alto di quel conflitto.

In pochi videro la creatura maledetta che diede inizio a tutto.

Il suo nome non venne mai rivelato, ma le piume corvine che ricoprivano il suo corpo e le sue grandi ali divennero leggenda.





La neve cadeva lenta, senza far rumore.

Il silenzio era innaturale, come quello alla fine di una lunga battaglia. Era il suono della morte e, suo malgrado, Wakatoshi lo conosceva bene. Respirava velocemente, l’aria fredda gli trafiggeva i polmoni.

Le dita della mano sinistra erano ancora salde sull’elsa della spada. C’era sangue sulla lama. C’era sangue dappertutto: sulle sue mani, sul suo viso e sulla neve.

Le macchie scarlatte sul terreno bianco creavano un contrasto tale da fare male agli occhi. Wakatoshi neanche le vedeva: era stato su troppi campi di battaglia per potersi impressionare. Tuttavia, non riusciva ad allontanare gli occhi dalla seconda macchia di colore di quell’affresco macabro.

L’ala ricoperta di piume corvine giaceva sulla neve, immobile.

Era cresciuto in un mondo in guerra, Wakatoshi, aveva visto la morte prendere molteplici forme ed ognuna di loro era impressa a fuoco nella sua memoria. Una collezione di ricordi maledetti, che aveva usato per liberarsi di una sensibilità superflua, scomoda per il suo ruolo.

Un Re non aveva bisogno di un cuore.

Era stata la più grande lezione di vita di sua madre e la prima che Tooru aveva messo in discussione. L’aveva avuta vinta, il suo bel Cigno dalle ali bianche e Wakatoshi lo comprese nel guardare quell’ala corvina recisa.

Nessun ricordo di guerra lo aveva mai tormentato, ma il Re Aquila sapeva che avrebbe rivisto quell’immagine nei suoi incubi per il resto della sua vita.

Captò un movimento con la coda dell’occhio. Sollevò lo sguardo e si accorse con che il mostro era ancora vivo. Sentì una morsa stringergli lo stomaco.

Non avevano mai avuto paura di uccidere, Wakatoshi. Lo avevano educato prima come guerriero e poi come Re, gli avevano insegnato che la corona sulla sua testa implicava doversi sporcare le mani. Nemmeno Tooru aveva potuto negare quella crudele verità.

Anche l’ultimo colpo che aveva inferto era stato per uccidere. Non c’era riuscito, aveva fallito e non era certo di avere la forza di fare un secondo tentativo.

C’era più sangue su quella neve di quanto il Re Aquila ne aveva mai visto su di un campo di battaglia. Una distesa di soldati caduti non lo aveva mai nauseato quanto quello che aveva davanti agli occhi.

C’era una differenza sottile tra un soldato ed un assassino, e Wakatoshi stava scoprendo quando poteva essere dilaniante.

Si costrinse ad affondare gli stivali nella neve, ad avvicinarsi alla figura scura del suo avversario. Era riverso sulla schiena ma il suo corpo non era più ricoperto di piume corvine.

Il mostro era tornato ad essere un giovane uomo.

Doveva soffrire terribilmente ma non lo dava a vedere. Gli occhi chiari erano fissi sul cielo grigio. Forse guardavano i fiocchi bianchi cadere, forse non li vedeva affatto.

Wakatoshi non poteva saperlo.

I capelli neri gli coprivano un lato del viso. I vestiti si erano strappati in più punti durante la trasformazione e la pelle nuda, toccata dalla neve, stava perdendo il suo naturale colore pallido.

Tremava, sì, e stringeva spasmodicamente i brandelli di stoffa che ancora ricoprivano la spalla sinistra. Era quella l’ala che la sua spada aveva reciso.

Era prossimo alla morte e non era terrorizzato nemmeno la metà del Re Aquila.

“Che cosa aspetti?” Domandò il mostro, guardandolo dritto negli occhi.

Wakatoshi trasalì.

L’ombra di una smorfia derisoria comparve sul viso della creatura dalle ali corvine. “Hai paura,” concluse. “Alla fine, sono riuscito a spaventarti. Assurdo che abbia questo potere solo ora che sono ad un passo dalla morte, Wakatoshi.”

Era atterrito, il Re dell’Aquila. “Il viso di un nemico non ha mai infestato i miei sogni.”

“Il mio lo farà?” Domandò il mostro con voce affaticata. “Avrai le mie ali ora, e assaggerai la sconfitta per mano mia per il resto della tua vita?”

Ogni parola di quella creatura dalle ali corvine suonava come una maledizione.

Wakatoshi non voleva altro che farla tacere ma la sua mano tremava ancora. “Non hai combattuto davvero.”

“E tu nemmeno volevi farlo, Wakatoshi,” disse il mostro.

Il Re Aquila alzò gli occhi verso il cielo. “Racconteranno questa storia come una grande impresa o una tragedia,” disse. “Nessuno saprà mai quanto tutto questo questo sia stato ridicolo.”

Il mostro emise una risata che si trasformò presto in un attacco di tosse. Wakatoshi lo guardò contorcersi sulla neve per il dolore e non poté fare a meno di provare pietà per quella creatura. Una parte di lui avrebbe anche voluto chiedergli perdono, ma era solo l’eco di quel cuore scomodo che batteva nel suo petto solo grazie a Tooru.

La macchia di sangue si espandeva sotto il corpo del suo nemico disegnando un’ala scarlatta sul terreno ricoperto di neve. Wakatoshi lo vide muovere le labbra e posò un ginocchio a terra per farsi più vicino. “La ferita non è mortale.”

“Non è proprio per questo che hai fallito, Re della Foresta?”

“Hanno reciso entrambe le ali del mio predecessore e…”

“Sii un Re, Wakatoshi,” lo interruppe il mostro. “Il tempo della pietà è finito. Mi hai tolto tutto, tranne le vita.”

Il Re Aquila guardò il suo nemico negli occhi per un lungo istante. La vera tragedia era che provava più rispetto per quella creatura maledetta che per la maggior parte dei nobile che avrebbero avuto salva la vita con la sua morte.

Wakatoshi dischiuse le labbra e chiamò il nome di quell’essere disgraziato col tono di un uomo che chiede vorrebbe chiedere perdono, ma non ha altra scelta che fare ciò che deve. “Vorrei che questo non fosse capitato a te.”

Il mostro ingoiò aria. “Non mi è capitato nulla, Wakatoshi,” disse. “Questo è quello che sono.”

Con espressione grave, il Re Aquila annuì e si alzò in piedi. La sua mano non tremava più. “Le tue ultime parole?”

La creatura strinse le labbra: stava divenendo bluastre per il freddo. “Il destino non crea mostri, Wakatoshi, non lancia maledizioni. Il destino chiude gli occhi e sceglie.”

Nella loro storia, era toccato a quella giovane Aquila nascere con quelle piume corvine ed un mostro nascosto sotto la pelle. Non lo aveva scelto, era accaduto e basta. Un crimine senza una colpa reale.

Il ruolo dell’eroe apparteneva a Wakatoshi. Aveva compito di sconfiggere il mostro, di punire un suo simile per essere quello che era.

“Lo so,” disse il Re della Foresta. “So come nascono i mostri.”

Ne aveva visti tanti nel corso di quella guerra e alcuni li aveva scorti negli occhi delle persone che gli erano più vicine.

Il mostro tornò a rivolgere gli occhi al cielo grigio e ai fiocchi di neve che continuavano a cadere.

Wakatoshi sollevò la spada sporca di sangue. “Per quel che vale, dopo questo giorno, saremo pari.”




Il vento si alzò. Ben presto, quella gentile nevicata si sarebbe trasformata in una tempesta.

Wakatoshi non si mosse nemmeno allora.

La neve impiegò parecchio tempo a ricoprire tutto il sangue ed anche quando il rosso venne seppellito dal bianco candido, la macchia nera dell’ala recisa continuò a creare uno spiacevole contrasto sotto gli occhi del Re della Foresta.

Wakatoshi se ne stava inginocchiato a terra, gli occhi vuoti fissi sul trofeo della sua eroica impresa. Non riusciva a muoversi, a fare un passo oltre quel momento.

Era rimasto in piedi fino alla fine e non aveva mai abbassato la testa, nemmeno quando la guerra aveva preteso da lui e Tooru il prezzo più alto che un Re ed il suo Consorte potessero pagare.

Ora, alla fine di tutto, nulla avrebbe potuto restituire loro la bambina che avevano perso e Wakatoshi si sentiva troppo stanco anche solo per fare un passo.

La Foresta era salva ed unita sotto un’unica corona. Lui e Tooru avevano dato inizio ad una nuova Era, avevano gettato le basi per un futuro di pace per loro e tutti i popoli su cui avrebbero regnato.

La loro era una vittoria grande… Enorme.

Eppure, il giovane Signore del Nido delle Aquile si chiedeva se ne fosse valsa la pena.

Wakatoshi!”

Il Re della Foresta trasalì. Come se quella voce lo avesse strappato da un incubo terribile, si voltò con il respiro bloccato in gola.

Le ali bianche di Tooru erano a stento visibili in tutto quel bianco, ma i suoi grandi occhi scuri erano erano una luce nel buio, come una stella per guidarlo sulla strada di casa.

Wakatoshi non credeva a quello che vedeva. “Tooru…” Non gli pareva reale.

Il Cigno si precipitò verso di lui e non si fece scrupoli ad inginocchiarsi nella neve fredda. Tremava, Tooru, il suo viso era terribilmente pallido ed i segni scuri sotto i suoi occhi lo rendevano quasi spettrale.

Eppure, per Wakatoshi era perfetto.

Il Cigno sollevò la mano tremante e sfiorò il suo viso. Quel leggero tepore fu sufficiente a sciogliere la morsa di ghiaccio che costringere il cuore del Re Aquila.

Con una disperazione che non aveva mai provato, Wakatoshi strinse quella mano e se la portò alle labbra. Tooru ingoiò aria dalla bocca, come se avesse trattenuto il respiro fino a quel momento ed esaurì la breve distanza tra loro.

Si lasciò stringere, il Re Aquila. Affondò il viso contro il petto del suo consorte ed accolse ogni carezza ed ogni bacio tra i suoi capelli come un soffio di vita.

Era morto, Wakatoshi. Quel giorno, sulla quella montagna, la vita lo aveva lasciato senza che il suo cuore avesse smesso di battere.

Sul ciglio del precipizio, Tooru lo stava traendo in salvo, tra le sue braccia.

“Sei vivo,” singhiozzava il Cigno tra i suoi capelli. “Sei vivo.”

Più tardi, tra le mura sicure del Nido delle Aquile, Wakatoshi sapeva che avrebbe trovato modi meno gentili per esprimergli il suo sollievo.

“Tooru…” Si allontanò da quell’abbraccio solo per poterlo guardare negli occhi.

Lo sguardo del suo Consorte, però, si era posato sull’ala recisa che giaceva tra la neve.

Wakatoshi sprofondò di nuovo nell’incubo ma non ebbe paura di guardare quello che aveva fatto, non con le mani di Tooru strette tra le sue dita. “È finita,” disse. “È tutto finito.”
Gli occhi di Tooru erano atterriti. Nemmeno lui vedeva una vittoria in quello che vi era di fronte ai suoi occhi.

Wakatoshi strinse le labbra per un istante. “Vorranno vederla,” disse. “Servirà una prova o la pace non potrà mai esserci.”

Nel guardarlo, gli occhi di Tooru si fecero ancora più grandi. “Vuoi portarla con te?”

“Non ho altra scelta.” Wakatoshi cominciava ad odiare quel ritornello.

Il Cigno strinse le labbra ed ingoiò a vuoto. “Se la consegni ai Cacciatori, ne faranno un trofeo.”

“Non lo permetterò.” Replicò il Re Aquila. “Tutti avranno la prova che abbiamo rispettato la nostra parte del patto e disporrò delle sue spoglie in modo dignitoso.”

Tooru lo guardò preoccupato. “Wakatoshi…”

“Starò bene, Tooru,” lo rassicurò il Re.




Il giovane signore dei Nido delle Aquile fu di parola.

L’ala del mostro che aveva terrorizzato tutti i popoli della Foresta e che aveva scatenato quella guerra sanguinosa venne mostrata nel Palazzo del Consiglio di Seijou. Fu la prova che costrinse tutti i regni coinvolti nel conflitto a firmare la pace.

Attraverso quel trattato, Wakatoshi chiese ed ottenne dai leader degli uomini che venissero create delle leggi per impedire ai Cacciatori di far del male agli spiriti della Foresta.

Quella primavera, Wakatoshi e Tooru vennero ufficialmente incoronati Re di un regno unito, forte e fiero.

Fu al tramonto di quello stesso giorno che il Consorte reale rivelò al sovrano il dolce segreto che custodiva da un po’.

Da principio, il viso di Wakatoshi rimase inespressivo come al solito. “Ne sei sicuro?”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “Non posso credere che tu me lo abbia chiesto.”

“La prima volta è accaduto all’improvviso, senza che tu fossi consapevole di quello che ti stava accadendo,” si difese Wakatoshi.

“La prima volta non ero preparato!” Esclamò il Cigno imbarazzato. “Non ho avuto una madre che mi potesse preparare a… A quello! Anzi, sei fortunato che nessuno mi abbia educato a dovere in materia o avrei preso le mie precauzioni! Oh, sì, che le avrei prese! Al diavolo la dinastia e tutte quelle sciocchezze!”

“Tooru.” Wakatoshi lo riportò all’ordine prendendogli il viso tra le mani. “Sei sicuro?” Lo disse con una strana inclinazione nella voce.

Tooru decise di definirla speranza ed un sorriso commosso gli illuminò il volto. “Diverrai padre, Wakatoshi,” disse.

Il Re della Foresta lo baciò.

Proprio quando temeva che non sarebbe più riuscito ad essere felice, schiacciato dal peso delle sue colpe, Tooru gli faceva il dono più grande che potesse esistere.

“Nostro figlio sarà il primo capitolo di una storia tutta nuova,” disse Tooru.





Non aveva idea di quanto avesse ragione.





Poco più di sei mesi dopo, durante la calamità naturale che sarebbe stata ricordata da tutti come il Grande Inverno, Wakatoshi e Tooru ebbero un bambino dalle ali corvine.


 

-Oggi-




“Vostra Maestà…”

Wakatoshi riprese i sensi lentamente.

Da principio, non ricordò che cosa era successo e si chiese dov’era, per quale motivo non era al Nido delle Aquile.

Il ricordo del fuoco che divorava ogni cosa arrivò sotto forma di una fitta dolorosa che gli attraversò il capo da parte a parte. Strinse gli occhi e serrò i denti sul labbro inferiore.

Tutto il suo corpo era un fascio di dolore. Aveva i polsi costretti sopra la testa. I suoi piedi toccavano il pavimento ma erano le catene a costringerlo in piedi.

Non riusciva a muovere le ali.

“Ben svegliato, Vostra Maestà.”

La stanza era buia e Wakatoshi non riusciva a tenere la testa sollevata e guardare di fronte a sè.

“Chi siete?” Domandò, sebbene avesse la gola secca ed ogni parola fosse una tortura.

“La vostra punizione,” rispose la voce. Era sarcastica, derisoria.

“Dovrai essere più preciso, chiunque tu sia,” disse il Re. “Chi porta la corona ha molte colpe.”

“Aprite gli occhi, Maestà.”

Wakatoshi avrebbe voluto rispondere che stava cercando di farlo. “Avete dato fuoco alla mia casa…” Strinse i pugni sulle catene che gli legavano i polsi.

“Era solo questione di tempo, non trovate?” Domandò il suo carceriere. “Tutti i luoghi più sicuri cadono, prima o poi. Sembra sia una condizione necessaria per raccontare le grandi storie. Dopotutto, senza un luogo a cui tornare diviene tutto più divertente.”

A Wakatoshi non servì altro per capire che era finito nelle mani di un pazzo. Provò a sollevare le palpebre ancora una volta e non fu terribile come la precedente.

“Così, mio Re,” lo incoraggiò il mio carceriere. “Vedete il fascio di luce? Vorrei che guardaste che attenzione quel punto.”

Accecato dallo stordimento e dall’oscurità, non fu difficile per Wakatoshi trovare il punto della stanza a cui l’altro si riferiva. Non sapeva da dove entrava la luce ma dedusse che doveva esserci una finestra in alto, vicino al soffitto.

Cercò di riflettere, di ricordare se era mai stato in un luogo simile ma aveva ancora troppi pochi elementi per fare un’ipotesi. Non appena riuscì a capire che cosa illuminava quel fascio di luce, però, scoprire dove si trovava divenne un pensiero secondario.

La sorpresa fu tale che persino il dolore scomparso ed un terrore che non provava da sedici anni gli spezzò il respiro.

“Non è possibile,” disse. “Non è possibile…”

Eppure, l’ala nera che aveva reciso dalla schiena del mostro anni addietro era lì, su quel pavimento di pietra. “L’ho bruciata,” disse. “Ho bruciato quell’ala con le mie mani.”

“Un gesto molto rispettoso nei confronti di un mostro. Avreste potuto farne un simbolo di forza, oppure permettere ai Cacciatori di renderla una trofeo. Avrebbero narrato ai loro figli che nemmeno il sanguinario mostro dalle ali corvine aveva potuto niente contro il potere della giustizia... O qualche altra sciocchezza simile,” disse il suo carceriere. “Fu un’ingenuità da parte dei nobili firmare quella pace di fronte ad una prova tanto misera.”

“Misera…” Ripetè Wakatoshi in un sibilo. Fissò gli occhi di fronte a sè ma non riuscì a vedere chi gli stava parlando. “Hai idea di cosa significa privarci delle nostre ali?”

“So che non significa per forza la morte,” replicò il suo carceriere. “Ma erano tutti molto stanchi a quel tempo, vero? Nessuno dei due schieramenti si decideva a perire, ma si era messo in gioco e perso troppo per poter firmare la pace senza l’atto finale, non è così?”

“Hai combattuto quella guerra?”

“Sono io che faccio le domande, Re della Foresta,” rispose il suo carceriere. “E vorrei sentirvi confessare il vostro tradimento senza sporcarmi ulteriormente le mani, non so se mi spiego…”

Il viso di Wakatoshi era tornato ad essere una maschera inespressiva. “Mi stai punendo per quello che ho fatto durante la guerra?”

“Vi sto punendo per quello che non avete fatto, Maestà.”

“Ho fatto tutto quello che dovevo.”

“Oh, davvero? Avete ucciso il mostro e siete divenuto un eroe?”

Wakatoshi non avrebbe mai raccontato quella storia in quel modo. “Ho fatto ciò che era necessario per proteggere il mio popolo,” disse. “E non esiterei a farlo ancora.”

“Che strano,” disse il suo carceriere, muovendosi nel buio. “Eppure, il mostro dalle ali corvine sembra volare ancora tra gli alberi della Foresta, e casualmente sembra che la sua zona di caccia sia intorno al vostro Nido delle Aquile.”

“Tutti i Cacciatori morti in quel territorio sono fuorilegge che hanno attentato alla vita della mia gente,” replicò il sovrano. “Vi sono delle leggi a regolari i rapporti tra il mondo degli umani e quello degli spiriti e chi non le rispetta deve pagare il prezzo.”

“E che mi dite del mostro?” Domandò il carceriere. “Quell’abominio non doveva pagare alcun prezzo?”

“Ha pagato,” affermò Wakatoshi con freddezza. “L’ho ucciso con le mie mani. Ho fatto a pezzi il suo corpo e ho presentato quell’ala come prova al cospetto di tutti i popoli della Foresta.”

Seguì un lungo istante di silenzio.

“No,” la voce dello sconosciuto aveva perso l’inclinazione derisoria per assumerne una più oscura. “Non lo avete fatto, Vostra Maestà ed entrambi sappiamo che il prezzo da pagare per un tradimento è molto alto.”

Wakatoshi non si fece toccare da quella minaccia. “Non avete la mia famiglia. Non potete usare nulla per piegarmi.”

“Oh, no,” concordò il suo carceriere. “Persino il piccolo Corvo ci è sfuggito, che disdetta!”

Wakatoshi raccolse quell’informazione velocemente. Chiunque avesse attaccato il Nido delle Aquile, non aveva Shouyou.

Se il piccolo Corvo era salvo, c’erano buone probabilità che Tobio non facesse qualche sciocchezza. Era lui che stavano cercando, Wakatoshi non ne aveva dubbi.

Era accaduto quello che lui e Tooru avevano temuto di più: qualcuno stava usando l’esistenza di Tobio per accusarli di tradimento e rendere nullo l’accordo di pace tra tutti i popoli della Foresta, compresi gli umani.

Wakatoshi non sapeva chi aveva davanti, ma se aveva qualcosa per provare la vera natura di Tobio o se era abbastanza influente da insinuare il dubbio in altri nobili potenti, nulla li avrebbe salvati da una nuova guerra.

“Tuttavia, non mi serve minacciare la vostra famiglia per privarvi del vostro potere.”

Wakatoshi inarcò un sopracciglio.

“Non siete solo un Re molto amato, Maestà. Siete un simbolo di forza ed orgoglio. Fin tanto che restate in piedi, il vostro popolo si sente al sicuro.” Il carceriere si fece avanti, ma nemmeno allora Wakatoshi riuscì a vedere chiaramente il suo viso.

Era giovane, però. Molto giovane, forse quanto Tobio.

“Un Re come voi è da stimare. Tuttavia, rende le cose decisamente più semplici: basta fare a pezzi voi per distruggere tutti gli altri.” Il carceriere si sollevò sulle punte per liberargli un polso, uno solo. “Letteralmente….”

Il braccio ricadde lungo il fianco di Wakatoshi come inanimato e l’Aquila urlò per il dolore. Il giovane sconosciuto si ritrasse velocemente nell’ombra.

“Comprendete la vostra punizione, Maestà?”

Wakatoshi recuperò il controllo del braccio velocemente, ma il dolore lancinante dietro la spalla non si acquietò: dovevano avergli rotto un’ala.

Istintivamente, allungò un braccio all’indietro per rendersi conto dell’entità del danno ma le sue si chiusero sul vuoto.

Il Re Aquila gelò.

Il suo carceriere rise. “Oh, sì… Sì, ora comprendete.”

Wakatoshi portò lo sguardo sull’ala recisa: ad una prima occhiata, le piume che la ricoprivano gli erano sembrate nere, ma erano marroni.

Era la sua ala quella che giaceva sul pavimento di pietra di quella cella.

“Nessuna pietà per i mostri, Maestà.”

Il Re della Foresta urlò.



 
Fine







Note conclusione:

Vi ricordo di aver già detto altrove che questa non sarebbe stata una storia autoconclusiva ma, perdonatemi, non rammento se l’ho fatto in qualche nota o solamente sulla pagina di FB. Tuttavia, penso che dopo questo finale spalancato, non ci siano dubbi in merito.
Dunque… Questo è volutamente un finale che lascia più domande che risposte dal punto di vista dell’intreccio ma che vuole mettere il punto su quello che la condizione di Tobio ha realmente rappresentato per Tooru e Wakatoshi. La loro storia è un’altra ed in futuro verrà raccontata ma questo epilogo voleva un po’ chiudere quel circolo vizioso di paure e maledizioni che si autoavverano che è cominciato con la scena iniziale, quella della nascita di Tobio.
Sul lato pratico, è stato esposto un quadro a grandi linee dei motivi per cui quella di Tobio viene considerata una maledizione. La cosa più crudele che avevo previsto all’interno di questa storia era appunto il fatto che Wakatoshi si ritrovi ad essere padre di una creatura maledetta come quella ha ucciso, a suo dire, perchè non aveva altra scelta.
La scena di chiusura non era pianificata, è venuta da sè… E vi confesso che la cosa mi spaventa un poco.
Finita la parentesi da confessionale, qualche informazione di ordine pratico. Sì, l’ho detto e lo ripeto: la storia di Tooru e Wakatoshi è ancora da raccontare ed è nata praticamente in parallelo a questa. L’originalissimo ed inaspettato titolo di questo Prequel dovrebbe essere ”White Feathers”.
Quando avverrà tutto ciò? Non lo so… Sto cercando un modo per ottenere giornate di 36 ore ed una vita regolare (soprattutto quest’ultima), ma ancora non ho avuto successo. Nell’immediato futuro vorrei riprendere questi dieci capitoli e rivedere un po’ di cose, poi si vedrà!
Nel frattempo, volevo ringraziare tutti, dai recensori appassionati, ai lettori silenziosi e mi scuso perchè questa storia sarebbe dovuta essere completata già qualche mese fa.
Doppio ringraziamento per la pazienza di chi è rimasto nonostante i miei ritardi.
Alla prossima.


 
Marta



 

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