Makohon Saga - Certi amori nascono d'estate - Volume 15

di KiarettaScrittrice92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 15 Giugno ***
Capitolo 2: *** 16 Giugno ***
Capitolo 3: *** 17 Giugno ***
Capitolo 4: *** 18 Giugno ***
Capitolo 5: *** 19 Giugno ***
Capitolo 6: *** 20 giugno ***
Capitolo 7: *** 21 Giugno ***
Capitolo 8: *** 22 Giugno ***
Capitolo 9: *** 23 Giugno ***
Capitolo 10: *** 24 Giugno ***
Capitolo 11: *** 25 Giugno ***
Capitolo 12: *** 26 Giugno ***
Capitolo 13: *** 27 Giugno ***
Capitolo 14: *** 28 Giugno ***
Capitolo 15: *** 29 Giugno ***



Capitolo 1
*** 15 Giugno ***


15 Giugno

L’estate. La stagione del sole, della tranquillità, dello svago. La stagione in cui puoi giocare, divertirti e passare più tempo con gli amici. La stagione in cui tra una risata, un bagno al mare e uno scherzo, può nascere qualcosa che non ti aspettavi.
Che cosa c’è di meglio dell’estate?

 

Per l’ennesima volta Marinette tirò la cerniera della sua valigia rosa a fiori, perfettamente in pendant con lo zaino e la borsetta che usava solitamente, chiudendola.
«Ho preso tutto Tikki?» chiese rivolgendosi alla kwami che la stava guardando da più di mezz’ora, mentre correva avanti e indietro per la sua stanza come una pazza.
«Ah non lo so, ma se aggiungi qualcos’altro a quella valigia penso che potrebbe esplodere.» commentò lei.
«Dici che mi sto portando troppa roba?»
«Dico solo che non capisco a che ti servano tutti quei libri. Va bene uno per passarsi il tempo, ma gli altri?» rispose Tikki, con un’altra domanda.
«Il prossimo anno inizieremo il liceo, non posso sedermi sugli allori, già faccio abbastanza schifo di mio a scuola.» disse Marinette, riaprendo la valigia e guardando la quantità mastodontica di libri che vi aveva dentro, effettivamente erano quelli che occupavano gran parte dello spazio.
«Posso comprendere il fatto che tu voglia essere pronta per la nuova scuola, nonostante tu non abbia nessun compito o obbligo a riguardo, ma starai via solo quindici giorni, mica tutta l’estate.» disse la piccola creatura rossa, forse nel tentativo di tranquillizzarla.
«Sì forse hai ragione.» borbottò lei, togliendo i libri dal bagaglio.
Stava ancora sistemando gli ultimi indumenti nella valigia, quando sua madre la chiamò dal piano di sotto.
«Marinette, è arrivato Adrien!»
«Arrivo, arrivo...» rispose la ragazza, prendendo tutti i bagagli.
«Marinette, attenta!» urlò la kwami, troppo tardi.
La ragazza inciampò su una scarpa che aveva lasciato a terra e con un urletto acuto si ritrovò quasi con la faccia per terra. Qualcosa, o qualcuno l’aveva afferrata prima che si schiantasse al suolo.
«Serve aiuto principessa?» chiese il suo salvatore e Marinette incrociò quello sguardo smeraldino e perfetto dell’amore della sua vita.
«A-Adrien...» balbettò, mentre il ragazzo l’aiutava a rimettersi in piedi.
«Dai forza, che il gorilla ci sta aspettando sotto.» le disse con un sorriso afferrando il manico della valigia con una mano e la sua con l’altra.
Scesero al piano di sotto, mano nella mano.
«Buon viaggio cara, divertiti!» disse Sabine prendendo la figlia tra le braccia.
«Grazie mamma!» rispose lei, ricambiando l’abbraccio, subito dopo fece la stessa cosa con il padre.
«Mi raccomando Adrien, prenditi cura della mia bambina.» disse dopo l’abbraccio rivolgendosi al giovane biondo.
«Hai la mia parola Tom.» gli rispose lui con un sorriso, dopodiché uscirono di casa, per poi salire sulla limousine.
«Pronta alla nostra prima vacanza assieme?» le chiese Adrien con un sorriso.
«Una vacanza tutti insieme... Non mi sembra vero...» commentò lei entusiasta.
«Sei contenta?» domandò nuovamente.
«Tantissimo! Insomma una vacanza con i ragazzi, sarà l’occasione per diventare una vera e propria squadra!» rispose contenta.
«Beh, diciamo che siamo già abbastanza affiatati, ma questa vacanza ci aiuterà molto.» a quell'ultima frase di Adrien, Marinette scoppiò a ridere divertita.
«Sì come no... Come durante l’intervista del Ladyblog, vero?» a quel punto anche Adrien si unì alla risata.
«I tuoi sono già lì?» chiese nuovamente la corvina, quando smisero di ridere.
«Sì, ci aspetteranno alla casa, mentre Nathalie rimarrà qui, i termini dell’adozione sono imminenti ed entro qualche settimana dovrà andare a scegliere il bambino in orfanotrofio.» le rispose lui.
«Ah, sono così contenta per Nathalie, aveva proprio bisogno di qualcuno oltre a te a cui voler bene.» disse con tono dolce Marinette.
«Già... – commentò il biondo con un sorriso – Comunque, cambiando discorso, ora passiamo a prendere gli altri e poi finalmente comincerà la nostra estate!» disse il biondo.

 

L’italiana guardò per l’ennesima volta il cellulare.
«Perché quel gattaccio ci mette sempre un’eternità?» brontolò furiosa, facendo avanti e indietro nella sua camera.
«Lila, calmati… Stai partendo per le vacanze, non stai andando dall’altra parte del mondo…» la rassicurò la sua kwami, guardandola con i suoi bellissimi occhietti viola.
«Aaaah, lo so Holly, è solo che sono nervosa…» sbuffò di nuovo lei che proprio non riusciva a non essere irrequieta.
«Piuttosto non dovresti avvisare i tuoi? Ricordargli che te ne stai andato?» propose la piccola volpe, ma la ragazza fece un verso di stizza.
«Non servirebbe a nulla avvisarli, è già tanto se si ricordano che esisto.» rispose lei incrociando le braccia.
«Andiamo, sai che non è vero. Ti vogliono bene.» ribatté la creaturina avvicinandosi a lei e strofinandosi affettuosamente alla sua guancia. A quel contatto Lila accennò un sorriso, per poi tornare a usare il suo tono un po’ scontroso.
«Beh, comunque il biglietto che ho lasciato loro basterà. – disse, per poi guardare nuovamente il cellulare, che, come se avesse sentito la sua irritazione, trillò proprio mentre aveva poggiato lo sguardo di fuoco su di lui – Era l’ora!» esclamò.
Afferrò le chiavi dall’ingresso e uscì di casa, chiudendosi bene alle spalle la porta, con le giuste mandate di chiave. 
Per fortuna l’ascensore era presente al suo piano, così non dovette nemmeno attenderlo, aprì l’anta e ci si infilò dentro con tutta la valigia.
Quando uscì dal portone d’ingresso notò la limousine posteggiata proprio di fronte al ristorante dei suoi genitori, attirando l’attenzione dei clienti e di tutto il vicinato. Mentre un energumeno le prendeva le valigie per metterle nel bagagliaio lei entrò in auto.
«Ma dico sei impazzito? Dovevi venire proprio con la limousine?» protestò non appena vide il biondo.
«Un viaggio o si fa per bene o non si fa. – le sorrise lui divertito – Comunque anche io sono contento di vederti Lila.»
«Sì, sì come vuoi… Ciao Mari» disse con un sorriso, tutto rivolto alla corvina.
«Ciao Lila.» rispose lei, ricambiando il gesto.
«Ancora non comprendo come siano cambiate così repentinamente le cose. Fino a sette mesi fa odiavi lei e venivi dietro a me e adesso fai comunella con lei ed io sono diventato…»
«Sta zitto, gattaccio!» lo zittì lei.
«Ecco appunto…» sospirò Adrien, mentre l’auto partiva di nuovo.
«La cosa è semplice. Dopo che Jinny mi ha fatto capire che sbagliavo ho compreso quanto fossi tu quello nel torto.»
«Cosa? Io?» chiese stupito il ragazzo, puntandosi il dito contro al petto e sgranando gli occhi verdi.
«Sì tu, bel faccino! Tu dicevi di essere innamorato di Ladybug e poi però facevi il carino con Marinette, con Chloé con me… Prova a negarlo.»
«Cercavo solo di essere gentile…» protestò lui e la ragazza fece nuovamente quel suo verso stizzito.
«Ragazzi, per favore, potremmo smetterla? La vacanza non è nemmeno cominciata e voi già sembrate cane e gatto.» disse Marinette, cercando di calmarli.
«Vuoi dire volpe e gatto, coccinellina.» la corresse con un sorriso il fidanzato.
Calò per un po’ il silenzio, quando l’italiana cambiò completamente discorso.
«Chi stiamo andando a prendere adesso?» chiese.
«Jinnifer, poi Tian, Angelie ed infine pel di carota.» rispose Adrien.
«Si chiama Nathaniel, Adrien, smettila di prenderlo in giro.» lo rimproverò Marinette.
«Okay, scusa.» disse alzando le mani in segno di resa.

 

«Spott, te lo chiedo per l’ultima volta, smettila di mettere sacchetti di patatine nella mia valigia!» disse esasperata Jinnifer togliendo l’ennesimo pacchetto dal bagaglio.
«Ma io ne ho bisogno!» protestò il kwami dell’ape.
«Non stiamo andando in qualche posto isolato dal mondo, stiamo andando al mare. Arrivati lì ti prenderò tutte le patatine che vuoi.» lo rassicurò, chiudendo la valigia.
«E per il viaggio?»
«Saremo nella limousine di Adrien e non so quanto potrai uscire, ma se proprio vuoi ti metto un pacchettino di quelli piccoli in borsa, non di più. – precisò, guardandosi attorno – Dove accidenti ho messo il  portafoglio?» chiese, tra sé e sé.
«Sulla tua scrivania.» le suggerì l’esserino giallo.
«Ah, grazie! – disse afferrandolo e ficcandolo in borsa – Come farei senza di te?»
«Ovvio non fares... – il kwami si bloccò, quando lei gli schioccò un bacio sulla guancia – Ma insomma Jin, che schifo!» protestò, strofinandosi la zampetta sulla parte baciata, nel tentativo di togliere l’appiccicoso gloss che la sua portatrice gli aveva lasciato al viso.
«Quante storie per un bacetto.» lo prese in giro lei.
«Certe volte odio davvero avere la portatrice femmina.» si lamentò il kwami.
«Una curiosità, se tu sei il kwami dell’ape e sei un maschio, allora vuol dire che sei un fuco giusto?»
«Non sono né un ape né un fuco, sono un kwami, punto e basta!» la guardò furioso con i suoi occhi color nocciola.
«Va bene, va bene scusa. Ora entra nella borsa che dobbiamo andare.»
Il kwami fece come richiesto e la ragazza, si legò i lunghi capelli rossi in una coda e uscì dal suo appartamento. Appena uscita dal palazzo porse la valigia all’autista e salì in auto.
«Jinny, amica mia!» disse Lila abbracciandola affettuosamente.
«Lila, ci siamo viste ieri sera.» disse ridendo la giovane inglese.
«Sì, ma stare con questi due piccioncini è snervante.» si lamentò la ragazza.
«Veramente non abbiamo fatto quasi per niente i piccioncini, come dici tu.» puntualizzò Adrien. A quella frase l’italiana tirò fuori la lingua, dedicando quella smorfia al biondo, mentre la rossa scoppiò a ridere.
«Ah Lila, non cambierai mai...»

 

«Nonno sei sicuro che non vuoi venire con noi?»
«Stai tranquillo Tian, io starò bene qui. L’acqua è calma senza troppi pesci.» gli rispose l’anziano uomo poggiandogli una mano sulla spalla.
«Nonno seriamente, dovresti smetterla di parlare come un biscotto della fortuna.» commentò il giovane ragazzo cinese, che aveva ancora le sopracciglia aggrottate nel tentativo di capire cos’aveva appena sentito.
«E tu dovresti smetterla di fare battute di questo genere.»
«Oh andiamo nonno, tu ami le mie battute.» disse il giovane facendo l’occhiolino.
«Se lo dici tu... Comunque Wayzz tieni d’occhio questo qui.» disse rivolgendosi alla piccola tartaruga e indicando con il dito il ragazzo.
«Come al solito, maestro.»
«Allora ci vediamo a luglio, mi raccomando nonno, non lavorare troppo e riposati, okay?» disse con un sorriso.
«Ci vediamo a luglio Tian.» rispose accompagnandolo fuori dal centro massaggi.
Mentre anche i bagagli del giovane cinese venivano caricati sulla limousine, i quattro ragazzi che erano a bordo scesero per salutare anche loro il maestro Fu, l’ultima a farlo fu Marinette.
«A presto maestro, ci rivediamo quando torniamo.» disse con un sorriso.
«A presto ragazzi e mi raccomando, divertitevi e per un po’ non pensate a nulla, ve lo siete meritato.» sorrise loro l’anziano cinese. Dopodiché salirono nuovamente tutti in auto, mancavano solo due persone da prendere e poi il viaggio sarebbe iniziato sul serio.

 

Si diede un’ultima controllata allo specchio, si aggiustò meglio i capelli, spostandoli su una spalla sola e finalmente si preparò ad uscire di casa.
«¡Así que te veré en quince días mamá!» salutò la madre, usando la sua lingua natale, questa ricambiò il saluto dall’altra stanza e lei uscì di casa e chiamò l’ascensore.
Solo quando fu dentro, dalla sua borsa sbucò il suo kwami.
«Grazie mille per il sacchetto di nocciole, almeno saprò cosa fare durante il viaggio.» le sorrise e lei ricambiò il gesto, allungando il dito e accarezzandogli il capino lilla.
«Di nulla Nooroo, anzi già che ci sei, mi passeresti un bon bon? Dovrebbero essere nella tasca interna a destra.»
La piccola farfalla si rituffò nella borsa, comparendo proprio quando l’ascensore arrivò al piano e allungando il cioccolatino, avvolto nella sua carta stagnola alla ragazza, non sporgendosi però troppo dalla borsa. Il che fu un bene perché proprio in quel momento le porte si aprirono mostrando l’interno dell’ascensore a una signora.
«Buon pomeriggio madame.» la salutò cordialmente Angelie, lasciandola entrare nell’ascensore.
Quando le porte in metallo si chiusero tirò un sospiro di sollievo e scartò velocemente la pallina di cioccolato per poi ficcarsela in bocca.
Attese parecchio tempo fuori dal portone, quando finalmente vide la limousine avvicinarsi. Con un’eleganza e una classe incredibile porse la sua valigia al gorilla, per poi entrare in macchina.
«Ma insomma, mi avete fatto aspettare più di venti minuti qui fuori. Lo sapete che la mia pelle è delicata? Senza le creme adatte si rovina.» protestò, accavallando in modo elegante le gambe.
«Ah, il sole fa bene. – le sorrise Lila – Mia nonna diceva sempre: “Na giornata de sole è na cosa meravigliosa!»
«Tradotto nella nostra lingua?» chiese Adrien, aggrottando le ciglia.
«Una giornata di sole è una cosa meravigliosa.»
«Ah ecco…»
«Sì però in francese perde tutto il suo fascino, in romano suona molto meglio.» commentò nuovamente l’italiana.
«Bene, manca solo Nathaniel e ci siamo tutti!» annunciò Marinette.
Adrien, invece, tirò una gomitata a Tian, che era seduto di fianco a lui.
«La smetti di fissarla.» gli sussurrò a bassa voce.
«Non la sto fissando.» ribatté lui distogliendo lo sguardo da Angelie.
«Se in questi quindici giorni non ci provi, sappi che ti ripudio come compagno di battute.» lo rimproverò il biondo cercando d’incoraggiarlo.

 

«Nathaniel è davvero necessario portare l’album dei disegni?» domandò il piccolo pavone guardando il suo portatore riempire lo zaino.
«Penn, lo sai dove stiamo andando? Quelle lì sono le spiagge più belle della manica, non posso non fare qualche disegno. – disse, controllando che ci fosse tutto, dopodiché chiuse la cerniera principale e aprì quella anteriore – forza piuma blu è ora di entrare.» disse il rosso guardando il piccolo amico dagli occhietti vispi color ametista, che subito fece come chiesto e si tuffò nella tasca.
Il ragazzo a quel punto chiuse anche quella cerniera, lasciandola solo un po’ aperta.
«Ciao mamma, io vado.» disse andando a salutare la madre in cucina.
«Okay Nathy… E mi raccomando non parlare agli sconosciuti.» si raccomandò, agitando il cucchiaio di legno.
«Mamma… – disse lui arrossendo – non sono più un bambino.»
«Ah per me sarai sempre il mio bambino…!» disse andando verso di lui e abbracciandolo.
Nathaniel non fu sicuro, ma gli sembrò di sentire la risata trattenuta di Penn provenire dallo zaino che aveva in spalla.
«Sì, mamma devo andare… – disse il rosso svicolandosi dall’abbraccio fin troppo affettuoso della madre – Ciao, ciao.» concluse, per poi uscire di casa.

 

Ben presto furono tutti sulla limousine nera della famiglia Agreste. Diretti verso una nuova piccola avventura. Chissà se quel viaggio li avrebbe uniti di più. Chissà se l’estate avrebbe portato loro quella svolta che li avrebbe resi una squadra affiatata. Chissà se il vento caldo dell’amore li avrebbe avvolti e sedotti.
Nulla importava in quel momento. La cosa più importante era la loro vacanza. Loro sette, insieme.

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Capitolo 2
*** 16 Giugno ***


16 Giugno
 

Il giorno prima erano arrivati a destinazione con più di un’ora di ritardo; purtroppo durante il tragitto da Parigi al luogo in cui avrebbero dovuto alloggiare, trovarono parecchia coda, sicuramente dovuta a tutti gli altri parigini che se ne stavano andando in vacanza sulle spiagge della manica.
Il posto dove sarebbero stati ad abitare per quelle due settimane non era una casetta da poco: si trattava invece del Chateau du Mesnil Geoffroy. I due anziani proprietari avevano richiesto l’aiuto della maison Agreste per risistemare gli abiti antichi e i rivestimenti di sedie e divani e lui in cambio aveva chiesto loro il permesso di poter usare l’enorme villa per qualche giorno.
Per quel motivo, il mattino seguente i due coniugi Agreste li avevano convocati tutti e sette in una delle grandi sale della villa. I ragazzi si erano accomodati sui divani foderati di velluto blu cobalto, tre da un lato e quattro dall’altro. 
«Sia chiaro: ho accettato di farvi venire qui, solamente perché Fu ha suggerito che sarebbe stata una buona occasione per amalgamare il gruppo...»
«Ah, non perché suo figlio l’ha torturata fino all’inverosimile?» domandò il giovane cinese, ridendo.
«Sono abituato alle proteste incessanti di Adrien.» rispose risoluto l’uomo.
«Confermo. – intervenne il diretto interessato – Mio padre ha la capacità indiscussa di sapermi ignorare come nessun altro fa, a meno che non si tratti di lavoro quello che dico non è importante.» il ragazzo ricevette una gomitata dalla compagna di fianco a lui, mentre il padre lo scrutava irritato con i suoi occhi di ghiaccio, ingigantiti un po’ dalle spesse lenti degli occhiali.
«Stavo dicendo, prima che mi interrompeste... Che ho accettato solo perché me l’ha chiesto il Maestro Fu...»
«... e perché ti devi far perdonare per tutto quello che ci hai fatto passare con Papillon...» lo interruppe di nuovo dal biondo, che a sua volta fu interrotto da un’altra gomitata di Marinette.
Continuando a guardare malissimo il figlio, come fosse ancora il super cattivo che era appena stato citato, Gabriel riprese a parlare.
«Avrei potuto benissimo godermi questi quindici giorni in perfetta tranquillità con mia moglie, che d’altronde non vedo da cinque anni. – disse avvolgendo un braccio attorno al fianco della donna e avvicinandola a se – Perciò non fatemene pentire.»
«Questa casa è molto antica, come i suoi mobili e vi chiediamo di fare attenzione. – proseguì la donna – Ovviamente non siete dei bambini e lo sapete bene, ma vi chiediamo comunque di non fare nulla di stupido.»
Tutti i ragazzi risposero con un cenno di testa.
«Oltre a questo, siete in vacanza, quindi non c’è nessun’altra regola o coprifuoco; potete rientrare quando volete e mangiare dove volete.»
«Vi chiediamo solo di avvisarci se mangiate qui, in modo che possiamo preparare per più persone.»
«È inquietante come completate le frasi a vicenda voi due, mi mettete i brividi.» commentò il biondo guardando i genitori abbracciati e affiatati più che mai.
«Ah, non ti preoccupare tesoro, ancora qualche anno assieme a Marinette e succederà anche a te.» lo punzecchiò la madre con un sorriso divertito, mentre l’altra diventava paonazza.
«Che c’entra, quella è un’altra cosa.» protestò il ragazzo.
«Tieni. – disse Gabriel, avvicinandosi a Marinette, ignorando il battibecco tra i due parenti, e consegnandole un mazzo di chiavi, mentre lei presa alla sprovvista, tornava pian piano del suo colore normale – Queste sono le chiavi del cancello e del portone. Fuori nel cortile ci sono le biciclette, in modo che possiate muovervi più liberamente e comodamente.»
«La ringrazio signor Agreste.» rispose sorridente la corvina mettendosele in tasca.
«Beh... – esclamò la più grande del gruppo, talmente all’improvviso da far trasalire alcuni dei ragazzi nella stanza – direi che possiamo andare no? Voglio assolutamente visitare il paesino di Veules-les-Roses!»
«Anche io, dicono che sia davvero grazioso.» concordò Angelie, regalando un sorriso alla rossa.
«Allora andiamo! – fece Adrien, alzandosi – Principessa...» continuò rivolgendosi a Marinette e porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
Il gruppo di ragazzi uscì finalmente dalla villa e i due coniugi Agreste, poterono nuovamente rimanere soli.
«Stanno diventando una bella squadra.» commentò Monique, continuando a fissare la porta della sala da cui erano usciti.
«Concordo...» rispose lui.
«Ma...?» domandò lei scrutandolo.
«Ma, cosa?» chiese a sua volta stupito il marito.
«Gabriel, ti conosco... E so che quando abbassi in quel modo il sopracciglio sinistro vuol dire che c'è qualcosa che non ti convince.»
«Mi chiedo se siano davvero pronti. – sospirò l'uomo, comprendendo che non poteva nascondere i suoi dubbi alla moglie – Tu sai meglio di me quanto sia intricato e carico di responsabilità il passato e il presente di un portatore di miraculous.» la donna sorrise, come se quell’improvvisa preoccupazione del marito l’avesse intenerita.
«Se la caveranno vedrai. Quando Makohon tornerà saranno pronti.» disse mettendogli una mano sulla spalla e stringendola un po’, lui allora mise la sua sopra quella della moglie, coprendola interamente, per poi tirare un minuscolo sorriso.

 

I ragazzi arrivarono in davvero poco tempo al piccolo villaggio, la villa era a non più di una decina di minuti a piedi da quel posto.
Quelle che rimasero più incantate dal luogo furono le ragazze. Quel piccolo paesino di non più di cinque chilometri quadrati era un piccolo gioiello, alcuni francesi la definivano la perla rara della costa d'Alabastro ed era facile capire il perché. I giardini fioriti, il fiume su cui nuotano le paperelle, i ponticelli di legno, le case a graticcio con il tetto di paglia e le pale dei mulini. Tutto in quel piccolo borgo appariva delicato e grazioso, come fosse stato confezionato apposta per chi voleva fare una passeggiata.
«Sai, questo è il posto giusto per provarci, amico mio.» sussurrò Adrien all’orecchio del giovane cinese, che stava osservando la ragazza dai lunghi capelli corvini che si guardava attorno entusiasta.
«Forza ragazzi! Foto!» esclamò entusiasta Jinnifer, prendendo in mano la sua reflex.
Tutti i ragazzi si posizionarono di fronte a un piccolo ponte in legno decorato di fiori di un rosa acceso. La ragazza fece due o tre scatti, giusto per assicurarsi, poi, di scegliere quella venuta meglio.
«Però adesso devi andare tu, faccio io la foto.» disse l’amica, avvicinandosi a lei.
«Lila, occhio a quello che fai!» la minacciò, consegnandole la macchina fotografica.
«Sì, sì... Lo so che è più importante della tua vita. Fossi in Henrie sarei gelosa.» scherzò l’altra afferrandola.
«Cosa c’entra adesso?» domandò irritata lei, sperando che gli altri non avessero sentito, ma era troppo tardi.
«Chi è Henrie?» domandò Nathaniel, alzando lo sguardo sulle due ragazze.
«Nessun...» tentò di rispondere la rossa, sapeva che se Lila avesse dato una risposta all’amico, avrebbe iniziato con la sua solita presa in giro.
«È il fidanzato di Jinny... Poi uno si chiede perché è fissata con Harry Potter... Insomma si chiama Jinnifer, sta con Henrie e viveva a Londra.» disse la ragazza, praticamente urlando ai quattro venti la cosa, come se si divertisse a farlo.
«Lila insomma, ti pare il momento?» protestò lei, scocciata.
«Ragazze, so di essere abituato a restare in posa, ma vorrei fare questa foto entro sera.» commentò tranquillamente Adrien, a quella frase le due ragazze si zittirono e mentre Jinnifer si metteva in posa, Lila tirò su la macchina fotografica e scattò alcune foto al gruppetto.

 

La giornata proseguì tranquilla. I sette ragazzi passeggiarono per il paesino, visitando ogni angolo, fermandosi ad ogni negozio di souvenir, principalmente in quelli che vendevano oggettini fatti a mano. 
Pranzarono in un ristorante chiamato Le Pinocchio, la cui specialità erano le cozze marinate. A stomaco pieno passeggiarono ancora un po’, mentre, ad ogni casetta un po’ più suggestiva e caratteristica delle altre, Jinnifer pretendeva di fare una foto.
Forse fu anche per quel motivo, che la sera rientrarono presto a Chateau du Mesnil Geoffroy, cenando con i coniugi Agreste e ritirandosi subito nelle loro stanze, stravolti.

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Capitolo 3
*** 17 Giugno ***


17 Giugno
 

La mattina dopo, il gruppo si svegliò molto prima del giorno precedente e, dopo essersi lavati e vestiti si radunarono tutti nella piccola sala da pranzo che usavano per i pasti, in modo da non usufruire di quella più grande, che era anche più antica. Era un’elegantissima stanza dalle pareti rosa pallido, con le decorazioni in oro e un lampadario di cristallo proprio sopra il tavolo circondato da sedie in legno e vimini, rese più comode da dei cuscini di un rosa scuro.
La tavola era già imbandita, quando Adrien e Marinette si presentarono alla soglia della stanza. Monique Agreste, diede loro il buongiorno con un sorriso, poggiando al centro del tavolo un vassoio di croissant.
«Non pensi di aver preparato un po’ troppa roba, tesoro?» domandò Gabriel, entrando dal lato opposto della stanza e poggiando una mano sulla spalla della moglie.
«Forse… Ma considerato quanto sono voraci la ragazza italiana e tuo figlio, è meglio abbondare!» disse divertita la donna sedendosi.
«Non sono vorace!» protestò il biondo seguendo a ruota la madre, mentre Marinette si accomodava nella sedia di fianco a lui.
«Oh sì che lo sei.» sogghignò lei divertita, afferrando poi la grossa caraffa che conteneva il latte caldo e versandosene un po’ nella tazza. Il ragazzo non ebbe il tempo di ribattere, che qualcun’altra fece il suo ingresso nella sala da pranzo.
«Buongiorno!» disse Lila, tra le mani aveva una tazzina fumante, posizionata su un piattino altrettanto piccolo.
«Lila, perché vieni dal lato delle cucine?» domandò stupita Marinette.
«Mi sono preparata il caffè.» disse alzando un po’ la piccola tazza, come a volerla mostrare, per poi sedersi proprio di fronte ad Adrien.
«Ma l’avevo preparato il caffè…» commentò Gabriel, indicando una delle caraffe sul tavolo.
La ragazza fece un verso stizzito, come se fosse stata offesa.
«Quello non è caffè, è brodaglia!» disse portandosi la tazza vicino al viso, prendendo prima un grosso respiro, come a voler assaporarne l’odore tostato, per poi portarsela alla bocca e gustarselo.
Poco dopo li raggiunse Angelie, anche lei dando il buongiorno a tutti e accomodandosi al tavolo. Allungò la mano verso il cestino del pane e ne afferrò una fetta di quello integrale, fermando però la mano a mezz’aria.
«Cos’è questa puzza?» domandò storcendo il naso e voltandosi alle sue spalle.
Dietro di lei su di un mobiletto vi erano sette piatti, ognuno di essi riempiti con qualcosa di diverso.
«Ho pensato di preparare la colazione anche per i kwami.» le rispose tranquillamente Monique, nello stesso istante di qualcun altro.
«Occhio a come parli signorina…» la minacciò il piccolo kwami nero, sbucando dal cappuccio dello smanicato di Adrien
«Plagg è inutile che protesti, Angelie ha ragione, sei l’unico a cui piace il tanfo di quel formaggio.» commentò il suo portatore, afferrando l’ennesimo croissant.
«Adrien, quanti ne hai mangiati?!» domandò Marinette, guardandolo sconvolta.
«Questo è ul turzo…»
«Tesoro, potresti evitare di mangiare con la bocca piena, è poco educato.» si raccomandò la bionda. Il ragazzo ingoiò il boccone e chiese scusa, mentre dalla tasca della giaccia di Lila, fece capolino la piccola testa arancione del suo kwami.
«Quindi c’è un piatto anche per me?» domandò con tono gentile.
«C’è un piatto per tutti.» le rispose con un sorriso la donna e, mentre Plagg stava già divorando i pezzi di camembert che c’erano nel piatto, le due kwami femmina si allontanarono dalle loro portatrici raggiungendo quel tavolo imbandito per loro.
«Plagg sei osceno, potresti mangiare in modo civile?» gli domandò la sua compagna rossa, afferrando un biscotto, grande quanto lei, e tenendolo fra le zampette, per poi addentarlo.
«Mangio come mi pare…» protestò lui tirando fuori la lingua in una smorfia rivolta a lei, per poi ficcarsi un’altro pezzo di formaggio in bocca.
Holly, dal canto suo, se ne stava zitta osservando i due bisticciare e mandando giù ogni due tre un acino d’uva del suo piatto.
«Nooroo, tu non mangi?» domandò Angelie rivolgendosi praticamente al nulla, dai suoi capelli ne uscì il kwami viola sul suo viso era dipinta una faccia indecisa.
«Non so… In fin dei conti noi kwami non abbiamo necessità di mangiare se non usiamo i nostri poteri e ultimamente sto mangiando troppe nocciole senza motivo…» disse.
«Perché, ingrassate?» chiese Lila divertita.
«No, ma…»
«Stai tranquillo Nooroo, non fa di certo male mangiare un po’ più spesso, come gli esseri umani.» intervenne il kwami della tartaruga che stava entrando svolazzando nella stanza, seguito dal suo portatore.
A quel punto anche gli altri due spiriti raggiunsero il tavolino, servendosi dai loro piatti.
«Patatineeeeeeeee!» gridò entrando come un razzo nella stanza quello dell’ape, nemmeno venti secondi dopo. La ragazza alle sue spalle, sospirò, dando poi il buongiorno a tutti e sedendosi.
«Buongiorno a te Jinnifer.» le sorrise Angelie, più calorosamente degli altri, visto che la ragazza si era seduta di fianco a lei.
La rossa ricambiò il sorriso, per poi volgere la sua attenzione alla tavola. Si allungò per afferrare la teiera e riempì fino a metà la sua tazza, per poi posarla e prendere la caraffa del latte.
«The col latte… – commentò Lila osservando l’amica prendere il primo sorso – Ma mi dici come fai a bere quella roba?» domandò e per tutta risposta la rossa fece spallucce e rimise la tazza sul piattino.
«Mi piace e basta. Forse è questione di abitudine.»
L’ultimo ad arrivare fu Nathaniel, ancora mezzo assonnato, o almeno così sembrava, la sua capigliatura non aiutava molto a comprendere cosa gli passasse per la testa e le sue poche parole altrettanto meno.
«Ah buongiorno, bello addormentato…» scherzò l’italiana, quando si sedette vicino a lei, per poi allungarsi verso di lui e stampargli un bacio sulla guancia, facendolo praticamente diventare del colore dei suoi capelli.
«Bu-Buongiorno…» rispose.
«Ecco un’altro che balbetta… Mi domando se è normale balbettare a quel modo davanti alla persona che ti piace…» commentò Adrien, ricevendo, però, poi una gomitata dalla fidanzata di fianco a lui.
«Penn vedi che ho preparato i piselli anche per te.» disse Monique, a quel richiamo il piccolo pavone blu uscì dal suo nascondiglio, ringraziando e andando verso il suo piatto, che era l’unico ancora intonso.
«Allora che farete oggi?» domandò Gabriel.
«Io pensavo di andare al mare, vorrei prendermi un po’ di sole e poi voglio vedere la spiaggia.» disse Angelie, addentando poi una fetta biscottata alla marmellata.
«Tian, perché non l’accompagni?» intervenne subito Adrien, facendogli l’occhiolino.
«Beh sì… Se a lei va…» disse un po’ imbarazzato.
«Volentieri. – sorrise lei – Ma voi non venite?» domandò poi agli altri. Marinette stava per rispondere, ma Adrien intervenne prima, non appena tentò di aprir bocca.
«No! – disse perentorio – Io e Marinette volevano tornare a Veules-les-Roses e goderci un po’ il paese da soli.» disse passando un braccio attorno alle spalle della ragazza, che rispose con un cenno di testa e un sorriso.
«Io voglio andare nel giardino del castello. Ho visto che c’è una voliera. Voglio… Voglio disegnare qualche uccello.» disse Nathaniel.
«Ti posso fare compagnia?» domandò Lila addentando voracemente un bignè alla crema.
«Bene… Ed io come al solito devo fare la terza incomodo a qualcuno.» disse con un sospiro la giovane portatrice dell’ape, spostandosi una ciocca di capelli rossi dal viso.
«Puoi sempre stare in camera e telefonare ad Henrie.» la punzecchiò Lila.
«Certo… Me le paghi tu le chiamate internazionali? Già è tanto che riesco a sentire lui e i miei una volta al giorno.»
«Puoi venire con noi se vuoi.» propose Angelie. 
In quello stesso istante la giovane italiana, urlò di dolore, per poi rivolgersi al biondo di fronte a lei.
«Ma dico sei impazzito? Cosa cavolo mi tiri calci sotto… Ahia, la vuoi smettere?» domandò, mentre lui la scrutava con i suoi occhi smeraldini come a volerle dire qualcosa, ma poi fu il rosso però a parlare.
«Jinnifer, perché non vieni con noi in giardino?»
«Sì, forse è meglio.» rispose ridendo della scenata che avevano fatto gli altri due.

 

«È carino quello che stai facendo per Tian.» disse Marinette, poggiando la testa sulla spalla del ragazzo.
Stavano passeggiando per le vie del paese, tranquilli, senza una vera e propria meta.
«Beh era il minimo… E poi, si vede lontano un miglio che gli piace…» rispose Adrien.
«Chissà com’è davvero da innamorato, se balbetta come Nathaniel e me, oppure parla troppo, o magari è sciolto e non lo sappiamo.”
«Non lo so, ma in questo momento non m’importa. Io gli ho dato una chance, ora è suo compito saperla sfruttare.»
Il silenzio calò di nuovo tra i due, rotto solo dal rumore del ruscello che scorreva proprio di fianco a loro.
«Adrien…» lo chiamò dopo un po’ la corvina e il ragazzo si girò con un verso interrogativo.
«Sono contenta di questa vacanza assieme.» gli disse con un sorriso, lui ricambiò il gesto, per poi fermare la passeggiata di entrambi e prendere il volto tra le sue due mani.
«Anche io sono felice di essere qui con te Marinette… Sei stata la mia prima ragazza eppure penso… penso che non amerò mai nessuna quanto amo te… Sì è vero, forse è il miraculous che ci spinge ad amarci, ma…» lei gli mise un dito sulla bocca, scrutandolo divertita con quei suoi occhi blu cielo, dopodiché si avvicinò a lui e scostando l’indice, lo sostituì con le sue labbra.

 

Se parlare ed approcciarsi con gli altri gli veniva così complicato, disegnare per lui era come respirare. Teneva il suo blocco inclinato sulle sue gambe e la matita in modo leggero, solamente con tre dita, in modo da avere un tratto delicato sulla carta.
Si era seduto sul prato verde, davanti alla voliera, con l’intenzione di disegnare un qualche uccello, ma, inspiegabilmente, stava ritraendo lei, che se ne stava seduta sulla panchina, intenta a leggere un libro, non aveva resistito.
«Come sta venendo il disegno?» domandò qualcuno alle sue spalle. Il ragazzo si voltò di scatto e, per poco, non tracciò una linea su tutto il disegno, rovinandolo.
«Ah… ecco… io…» cercò di spiegarsi lui, per poi premere il blocco sul petto, mentre la rossa sorrideva divertita.
«Stai tranquillo, non glielo dico. – lo rassicurò – Però tu dovresti: è un bel disegno e sono sicura le piacerà.» concluse poi per incoraggiarlo.
Lui con una smorfia poco convinta, riportò alla sua posizione originale il blocco e riprese a disegnare, mentre la ragazza si allontanava, avvicinandosi di più alla voliera, per guardare gli uccelli.

 

«Insomma Tian, fa qualcosa!» esclamò a bassa voce il kwami della tartaruga incoraggiando il ragazzo. Lui però alzò le spalle confuso come a chiedere cosa avrebbe dovuto fare, fu la ragazza però a chiamarlo.
«Tian…»
«Sì?» domandò lui voltandosi immediatamente verso la nuova interlocutrice.
Era sdraiata a pancia in giù sul telo da mare e teneva le braccia sotto la guancia destra, mentre i suoi occhi erano chiusi.
«Mi metteresti la crema solare sulla schiena?» domandò con tono tranquillo.
«Eh?!» urlò quasi il ragazzo, sgranando gli occhi.
«Ho la pelle sensibile e se mi brucio poi il mio manager e Gabriel mi uccidono, come minimo.» puntualizzò la ragazza aprendo gli occhi grigi e puntandoli contro quelli neri come il petrolio del giovane cinese.
«Va bene. Dov’è?» domandò il ragazzo.
«Nella borsa da mare, dovrebbe essere un flacone blu, protezione quaranta.»
«Non sarebbe educato rovistare nella borsa di una donna.» puntualizzò lui, facendola sorridere.
«Hai il mio permesso. – gli rispose, ma subito dopo il flacone fu portato fuori dall’enorme borsa – Oppure te lo fai passare da Nooroo e Wayzz.» concluse ridendo.
Lui lo afferrò e dopo averlo stappato, spremette un po’ di crema bianca sulla mano. Fece un lungo sospiro e poi poggiò le mani sulla schiena della ragazza, cominciando a massaggiarla in modo che la sua pelle potesse assorbire la protezione solare.
«Ti prego, non dirlo agli altri però. Adrien mi prenderà in giro a vita se lo scopre.» chiese, quasi supplicando lui.
«Hai la mia parola. – rispose sorridente la ragazza, poggiando il mento sulle mani e rilassandosi. – Comunque si sente che sei nipote di un massaggiatore.» commentò.
«Spero sia un complimento.» fece lui, scoppiando a ridere.
«Assolutamente sì…» lo rassicurò lei, godendosi le sue forti mani sulla schiena.

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Capitolo 4
*** 18 Giugno ***


18 Giugno
 

I sei ragazzi lasciarono le biciclette all’ingresso del molo, per poi entrare nel lido di Plage Veules-les-Roses.
«Accidenti quanta gente…» commentò l’inglese guardando l’orizzonte e vendendo la spiaggia gremita di bagnanti.
«Anche ieri era così piena.» puntualizzò Tian.
«Sì, ma non vi preoccupate, nonostante il caos si sta abbastanza bene.» li rassicurò l’altra con un sorriso.
«A meno che non ti ritrovi a fianco un bambino che si diverte a giocare con il pallone… Non è vero Angelie?» continuò ridendo il cinese, trascinando anche la ragazza nella risata.
«È una mia impressione o tra voi c’è più intesa?» domandò con tono malizioso Adrien, alzando il sopracciglio, mentre scrutava i due.
«È una tua impressione…» rispose subito a tono il ragazzo.
«E anche se fosse non è affar tuo.» continuò lei. Per tutta risposta, il biondo, alzò le mani in segno di resa e tornò ad osservare la distesa azzurra.
«Bene… Dove ci mettiamo? Sappiate che io non voglio i bambini che giocano a pallone!» sbottò l’italiana, già irritata dalla troppa confusione.
«Io credo che dall’altra parte del molo, sotto le scogliere, sia un po’ più tranquillo…» disse Marinette, allungando il collo e cercando di vedere il punto che aveva proposto.
«Allora andiamo!» incitò la rossa.
«Io e Adrien andiamo ad affittare due ombrelloni.» fece il ragazzo, mentre gli altri accettavano la sua proposta con un leggero cenno di testa.

 

Le ragazze e Nathaniel arrivarono nella zona della spiaggia che sembrava più vuota ed iniziarono a poggiare le borse e stendere i teli da mare.
«Scherziamo?! Quella è l’asciugamano di Adrien?» domandò l’italiana, osservando stranita e quasi indignata il telo che stava stendendo proprio in quel momento Marinette. Era nero, con nel mezzo una grossa impronta di zampa felina di un verde fluorescente, con sotto la scritta “Tu cataclysme mon coeur”.
«Già...» rispose la ragazza, con una risata nervosa.
«È incredibile... Tanto vale che dice al mondo che è Chat Noir...» borbottò lei, come se quel telo mettesse a rischio anche la sua identità segreta.
«Beh io la trovo divertente... – intervenne l'unico maschio del gruppo – In fondo anche se qualcuno capisse il riferimento, potrebbe semplicemente essere un gadget commerciale.»
«Nathaniel ha ragione, Lila. Stai tranquilla, goditi questo mare e questo sole. Sei in vacanza!» disse euforica Jinnifer guardandosi attorno.
«Avete ragione... –sospirò – Perdonatemi...» aggiunse con un tono più rilassato, portandosi le mani ai capelli e tirandoli per legarseli alla nuca in una coda di cavallo; dopodiché si tolse la maglia e i pantaloncini di jeans, rimanendo in un bellissimo bikini color arancio.
Non passò molto che la imitò anche il rosso, togliendosi la maglietta e rimanendo coi bermuda del costume. Subito dopo lo fecero anche le altre ragazze.

 

«Mi vuoi dire la verità o no?» domandò Adrien, mettendosi l’ombrellone rosso in spalla.
«La verità su cosa?» domandò l’altro prendendo quello blu.
«Cosa è successo ieri?»
Il giovane sospirò cominciando a camminare in direzione del molo, percorrendo la passerella in legno che anticipava la spiaggia e dava lo sbocco ai locali e ai negozi.
«Adrien che vuoi che ti dica? Non sono come te... Non mi butto a capofitto su una ragazza cominciando a flirtare come se non ci fosse un domani.»
«Ma insomma Tian...»
«Vuoi sapere com’è il rapporto tra noi? – disse facendo una domanda retorica e interrompendo il biondo – Buono! Ieri ci siamo divertiti e siamo stati bene assieme, ma non è successo assolutamente nulla di... Beh di quel genere, tra di noi.»
«Beh è già qualcosa...» disse Adrien, facendolo sospirare di nuovo, ma questa volta sembrava più un sospiro triste e rassegnato.
«Secondo te avrò mai, seriamente, qualche speranza con lei? Insomma, lei è una ragazza di classe: così raffinata, così posata.»
«Tutta facciata...» commentò l’altro.
«Cosa?»
«Sì insomma, non dico che non lo sia, ma credo di conoscerla abbastanza per dirti che sa anche essere parecchio spontanea. Insomma anche io sono un modello, eppure non mi vedi certamente sempre posato e raffinato.»
«Praticamente mai, da quando ti conosco. Tranne in rare eccezioni.» ribatté Tian ridendo.
«Questo perché mi hai conosciuto ora, se mi avessi visto l’anno scorso, probabilmente avresti conosciuto, non un ragazzo completamente diverso, ma quasi. Insomma è normale che a seconda delle persone che si anno di fronte si cambia approccio, l’importante è non tentare di essere completamente un’altra persona.»
«Tu dici?» domandò insicuro il ragazzo, mentre arrivavano finalmente al molo.
«Fidati, sii te stesso e vedrai che prima o poi la conquisterai comunque.» lo incoraggiò, battendogli la mano libera sulle spalle.
«Spero che sia così amico mio.» disse, ma Adrien già non lo stava più calcolando.
Dall’alto del molo si vedevano chiaramente le ragazze, già in costume da bagno, ridere e scherzare e, tanto per cambiare, quel maledetto pel di carota era appiccicato a Marinette, come una cozza attaccata allo scoglio. Furente di rabbia, Adrien aumentò il passo, giurando a se stesso che se quello lì non si fosse staccato dalla sua fidanzata gli avrebbe infilato l’ombrellone dove non batte il sole.
Per sua fortuna, però, non appena li raggiunsero, fu Marinette ad alzarsi e correre loro incontro, lasciando il rosso seduto, intento a scarabocchiare, come al solito nel suo blocco da disegno.
«Lila si è lamentata del tuo telo da mare.» disse con tono parecchio scherzoso la corvina.
«Perché? È meraviglioso!» sorrise sornione il ragazzo, raggiungendo tutte, assieme a Tian.
«Un quadro, proprio.» disse stizzita Lila.
Poco dopo gli ombrelloni, furono piantati per bene nella sabbia e aperti.
«Bene... Ora che ci siamo tutti però, voglio farmi un bagno!» esclamò entusiasta Angelie, guardando i suoi amici.
«No! – gridò l’inglese, come se fosse successo qualcosa d’importante – Prima la foto di gruppo.»
«Oh santa pace, Jinny! Per una volta puoi dimenticarti della macchina fotografica?»
«Sai che è come chiedere a te di dimenticarti del caffè.» rispose a tono la rossa.
«Non vedo proprio il nesso.»
«Comunque una foto tutti in costume ci sta, dai!» disse entusiasta Adrien, togliendosi finalmente la maglietta bianca che aveva addosso.
Marinette rimase parecchio tempo a fissarlo, incantata. Praticamente tutto il tempo che impiegò Jinnifer a sistemare la macchina foto su uno sgabello e mettere l’autoscatto. Non era la prima volta che vedeva Adrien a torso nudo ma, il ricordo di quella prima e unica volta, la metteva ancora in imbarazzo.
Le venne parecchio difficile staccare gli occhi da quegli addominali scolpiti ed osservare l’obbiettivo come tutti gli altri, ma soprattutto le venne quasi impossibile sorridere in modo decente, perché era quasi sicura che la sua espressione era quella da ebete che assumeva solitamente quando pensava al ragazzo nel periodo in cui ancora non stavano assieme.
In qualche modo, però, alla loro compagna, la fotografia che ne era venuta, piacque e diede il permesso a tutti di andare verso il mare, mentre lei riponeva la sua reflex, nuovamente nella borsa.
«Mi raccomando Spott, tienimela d’occhio.» sussurò al suo kwami, il piccolo esserino a forma di ape fece un cenno con la testa e la ragazza si allontanò.
Il mare era calmo e l’acqua piacevolmente fresca, bagnava i loro piedi, un po’ scottati dalla sabbia rovente. Il tempo di abituarsi pian piano all’acqua, qualche schizzo per giocare e ben presto furono tutti a mollo, continuando a chiacchierare, ridere, scherzare, litigare e battibeccare.
Una cosa era certa: non si poteva dire che quel gruppo non era, come aveva detto Alya nella sua intervista, colorito.

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Capitolo 5
*** 19 Giugno ***


19 Giugno
 

La pioggia batteva imperterrita contro i vetri delle finestre di Chateau du Mesnil Geoffroy, da ormai parecchie ore: per l’esattezza i ragazzi quella mattina si erano svegliati con quel brutto tempo, decidendo così di passare la mattinata ad esplorare le varie stanze e camere dell’enorme villa.
Il pranzo l’avevano perciò consumato tutti assieme nella sala apposita, ed ora si trovavano in uno dei salottini, nel tentativo di divertirsi nonostante quell’insopportabile acqua che cadeva dal cielo.
Nulla, nemmeno la pioggia, avrebbe rovinato le loro vacanze, per questo motivo avevano deciso di fare dei giochi di società. Avevano cominciato con un paio di partite a carte: Lila aveva insegnato loro a giocare a poker, scoprendo che nonostante gli infiniti tentativi di Adrien e Tian di bluffare la fortuna di Marinette era praticamente infallibile.
Dopo, avevano optato per qualcosa di più divertente come taboo, facendo maschi contro femmine; in realtà le ragazze non volevano, dicendo che giocando in quel modo la partita sarebbe stata impari, ma i ragazzi insistettero, o meglio lo fecero principalmente Adrien e Tian, perché Nathaniel, come suo solito, era rimasto zitto, dicendo solo che avrebbe accettato tutto quello che avrebbero deciso loro. Vinsero comunque le ragazze, ma per poco.
«Ed ora che facciamo?» domandò Marinette, risistemando il gioco di società nella sua scatola, dopo che la partita fu finita.
«Perché non facciamo qualcosa di un po’ più divertente?» domandò Lila, con un timbro divertito.
«Mah… Conosco quel tono di voce… – commentò l’inglese – Cos’hai in mente?» domandò incrociando le braccia e scrutandola con i suoi occhi smeraldini.
«Giochiamo al gioco della bottiglia!»
«Cosa?!» domandò sconvolta Marinette.
«Io ci sto!» disse invece Adrien, praticamente nello stesso momento.
«Ci mancasse che il micetto non accettava subito…» commentò divertita la sua collega.
«Adrien…» supplicò invece l’altra corvina.
«Andiamo, my lady… Di cosa hai paura?» la rassicurò il biondo, avvolgendole le spalle con il braccio.
«A dirla tutta anche io sono d’accordo con Marinette… – intervenne il rosso, passandosi una mano tra i capelli e mostrando per qualche secondo anche l’altro occhio – Insomma dobbiamo farlo per forza?»
«Facciamo a votazione. – propose il portatore della tartaruga – Chi vuole giocare?» domandò poi, subito le mani di Angelie, Lila e Adrien si alzarono, mentre anche il cinese sollevava la sua.
Marinette sospirò, per poi storcere la bocca, infastidita.
«Poi però non lamentatevi se succede qualcosa, qualsiasi cosa…» disse.
«Oh, andiamo… Se siamo sopravvissuti all’intervista della tua amica, possiamo sopportare anche uno stupido gioco.» fece l’italiana, per poi prendere la bottiglietta di plastica che si era portata nella stanza e bevendo la restante acqua che c’era all’interno.
Si raccolsero tutti attorno al tavolino che c’era in mezzo al salotto, sistemandosi meglio nei divani.
«Bene, le regole sono queste: il primo che esce riceve la penitenza e può scegliere tra obbligo e verità, mentre il secondo la decide.» spiegò bene la castana, poggiando la bottiglietta sul tavolo e facendola ruotare.
Tutti e sette i ragazzi fissavano quell’innocuo pezzo di plastica, come fosse una pistola pronta a sparar loro appena si fosse fermata, mentre quella ruotava tranquillamente. All'improvviso si fermò, con il tappo rivolto proprio verso colei che l’aveva fatta girare.
«Bene…» disse alzando le spalle, ripetendo il gesto, questa volta la bottiglietta si fermò sulla modella.
«Angelie, scelgo obbligo.» fece subito Lila, volgendosi alla ragazza due posti più in là rispetto a lei. La giovane storse la bocca, indecisa sulla penitenza da fare, dopodiché parlò.
«Devi fare un complimento sincero ad Adrien.» suggerì.
Lei si voltò un po’ scocciata verso il biondo, incrociando i suoi occhi smeraldo e cercando di mantenere una certa dignità; si vedeva dalla sua faccia che nonostante conoscesse molti pregi del ragazzo, non ne volesse citare nemmeno uno, per orgoglio.
«Sei… Sei un bel ragazzo e… – prese un grosso respiro – …e Marinette è fortunata ad averti come fidanzato.» fece.
«E ti costava così tanto dirmelo?» la prese in giro Adrien, ricevendo in cambio un’occhiataccia.
Questa volta fu lui a far ruotare la bottiglietta, che si fermò su Nathaniel facendolo diventare del colore dei suoi capelli, proprio mentre il modello metteva di nuovo mano al cilindro di plastica. Dopo aver girato un altro po’ si fermò in direzione di Marinette. Il ragazzo a quella scoperta sbuffò innervosito e la giovane fidanzata alzò gli occhi al cielo, per poi rivolgersi all’amico.
«Nathaniel, cosa scegli?» domandò dolcemente.
«Mmm… Verità…» disse.
«Bene… Così per una buona volta zittiamo questo micetto geloso… – scherzò la ragazza, grattando la testa del modello di fianco a lei e scompigliandogli i capelli biondi – Provi ancora qualcosa per me?» domandò.
«Beh io… Mi trovo bene con voi, con tutti… Sicuramente tu sei più gentile e sai come… come trattarmi, ecco. Però no… Non credo di provare qualcosa per te. Non in quel senso almeno, non più.» disse tentando di essere il più serio possibile.
La bottiglietta girò di nuovo, puntando prima Tian e poi Adrien.
«Fa del tuo peggio… Obbligo.» disse il giovane cinese, senza attendere che lui gli chiedesse nulla. Il ragazzo rise divertito, dandogli una pacca sulla spalla.
«L’hai chiesto tu amico mio: devi baciare Angelie in bocca.» fece con tono malizioso.
«Eh?» domandò stupita la portatrice della farfalla. Non pareva sconvolta o schifata dalla richiesta, ma solo un po’ confusa, come se non avesse capito bene. Tian, invece, fece un sospiro, alzandosi.
«Lo dico qui e ora, una volta per tutte: io non sono timido, sono semplicemente abituato a fare le cose in modo diverso da voi.» disse.
«Sì certo… – intervenne la castana – Dicono tutti così.» concluse, prendendolo in giro.
«Angelie, mi permetti?» domandò il ragazzo mostrando il palmo della mano alla giovane modella.
Lei l’afferrò per poi essere issata su dal cinese che, subito dopo si avvicinò a lei e la baciò subito, senza nessuna esitazione o remora. Lei dal canto suo ricambiò con la stessa dolcezza e professionalità.
Adrien conosceva bene quel bacio: era lo stesso che la ragazza gli aveva dato quando avevano girato lo spot per la maison Agreste. In tutto ciò, però, fin da quando le loro labbra si sfiorarono, sia lui che Lila partirono con un applauso a cui poi si unirono gli altri tre ragazzi.
Quando entrambi si risedettero ognuno nel loro posto, fu Tian a far girare nuovamente la bottiglia, che, dopo aver roteato un po’, puntò sulla più grande del gruppo. Fu lei stessa a muovere di nuovo l’oggetto decretando chi avrebbe dovuto decidere la sua penitenza, ossia l’altro rosso.
«Scelgo verità, Nathaniel.» disse subito. Il ragazzo rimase qualche secondo a pensare a una domanda adatta a quella situazione, dopodiché parlò.
«C’è qualcosa che vorresti fotografare, anche a costo di fare pazzie?» chiese.
«Bella domanda… – fece lei, portandosi il dito indice sulla bocca e torturandosi il labbro inferiore – Non lo so sai… Se penso a qualcosa in particolare non mi viene in mente nulla. Una volta però sono diventata matta per fare una fotografia a un cane che correva: mi sono quasi ammazzata.» fece, ridendo.
Il gioco proseguì per quasi tutto il pomeriggio, dando in quel modo la possibilità ai ragazzi di conoscersi meglio e di scoprire segreti e curiosità che magari non conoscevano. Al contrario di come aveva predetto Marinette, non accadde nulla di così irreparabile e se mai era capitata qualche verità scomoda o qualche obbligo un po’ troppo esagerato si faceva tutto storcendo un po’ la bocca, ma al turno successivo tornava tutto come prima e già si era dimenticato ciò che era appena accaduto.

 

In tutto questo, i kwami, passarono il tempo ad osservarli, tutti messi seduti in fila su un mobiletto a lato della camera. Commentando di tanto in tanto le situazioni più divertenti.
«Comunque più passa il tempo più trovo gli esseri umani curiosi.» fece Penn, osservando i ragazzi.
«In che senso?»
«Non so… Questo gioco della bottiglia ad esempio… Non ne capisco l’utilità.»
«Perché c’era utilità nello strafarsi come faceva Nikki?» domandò con tono cinico Plagg.
«Cosa c’entra adesso Nikki?!» esclamò Spott irritato, incrociando le zampette.
«Era solo per spiegare che qualsiasi cosa fanno gli umani per noi è inverosimile, almeno la maggior parte delle cose.» rispose il gatto nero, facendo spallucce.
«Plagg ha ragione. In fin dei conti abbiamo fatto nostre veramente poche convenzioni, come il bacio, l’affezionarsi o più semplicemente il dormire; tutto il resto per noi è solo istinto. Il cibo di cui abbiamo bisogno per ricaricarci, lo scambio di energia, il comprendere ogni lingua: queste sono tutte tradizioni nostre.» gli diede man forte Tikki.
«Sì, ma ancora non capisco perché dovete prendervela con la mia Nikki!» brontolò nuovamente Spott, tentando di difendere la sua ex portatrice.
«Ho solo detto che per me il gioco della bottiglia è strano, tanto quanto vedere una ragazza che fuma una di quelle cose che fumava lei. Con la conclusione però, che loro rimangono sani di cervello, mentre Nicoletta usciva fuori di melone ogni volta che lo faceva.»
Penn, dovette afferrare il suo simile dell’ape, per evitare che si lanciasse addosso a Plagg e magari ammazzarlo con il suo pungiglione.
«Calmati Spott… Stai tranquillo.» lo rassicurò questo. Poco dopo tornò tutto alla normalità, di nuovo concentrati ad osservare i ragazzi che giocavano.

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Capitolo 6
*** 20 giugno ***


20 Giugno
 

Quel giorno si erano nuovamente separati. Dopo un’abbondante colazione, che oramai era di routine tutte le mattine. Marinette, Jinnifer e Angelie si erano preparate per andare a mare, mentre Adrien e Tian avevano annunciato che sarebbero andati a farsi un giro in bici per chiacchierare e passare una giornata tra soli maschi.
In verità avevano invitato anche lui, o meglio l’aveva invitato Tian, ma non ne aveva voglia: sapeva benissimo che avrebbe dovuto integrarsi con la squadra e, doveva ammetterlo, si stava divertendo parecchio con quel nuovo gruppo di amici, durante quelle vacanze. Anzi ad essere sinceri si era trovato bene quasi con tutti fin da subito; con tutti, tranne che con Adrien: da quando si era messo con Marinette, in qualche modo, l’aveva iniziato a vedere come un nemico, forse un rivale in amore. Doveva ammetterlo, per un bel po’ di tempo quel sentimento era stato reciproco, forse anche per più tempo del modello biondo, visto che molto prima aveva provato ad avvicinarsi alla corvina con risultati catastrofici, il tutto perché lei era innamorata proprio dell’altro, che ancora non la corrispondeva; insomma la classica storia da telenovela.
Per questo motivo non era andato: perché nonostante l’astio fosse un po’ diminuito, quando Tian l’aveva invitato a passeggiare con loro, lui aveva guardato entrambi un po’ scocciato, creando una discussione con la fidanzata, che già era pronta a protestare su quell’assurda gelosia. Fu proprio lui a interrompere tutto, dicendo che non c’era nessun problema e che sarebbe volentieri rimasto a casa, perché aveva da aggiustare i disegni che aveva cominciato nei giorni precedenti. 
Così era rimasto nell’enorme villa, insieme all’unica ragazza che quel giorno non voleva andare al mare, probabilmente solo per il fatto di non lasciarlo da solo, cosa che lo metteva seriamente in imbarazzo, soprattutto perché si trattava di lei. Quella ragazza che aveva ritratto nel suo blocco da disegno, tre giorni prima, quello stesso disegno che ora stava cercando di rifinire, facendosi aiutare dalla memoria, mentre lei era chissà dove nel castello.
Persino i signori Agreste, quel giorno erano usciti, dicendo che volevano passare la mattinata in giro e pranzare fuori, perciò erano rimasti proprio solo loro due, o meglio loro quattro, visto che c’erano anche i due kwami. Penn infatti era appoggiato tranquillamente sulla sua spalla sinistra e stava contemplando con attenzione il lavoro meticoloso che stava facendo il suo portatore.
All’improvviso Lila irruppe nella salottino in cui si era rifugiato per disegnare in tranquillità.
«Ehi Nath, vieni, è pronto il pranzo.» disse, mentre il ragazzo chiudeva di colpo il blocco, per paura che la diretta interessata vedesse il disegno.
«Di… Di già?» domandò stupito, alzando il polso ed osservando il quadrante dell’orologio, effettivamente era già mezzogiorno e mezza passato; non si era affatto accorto del tempo che passava, quando disegnava lui s’immergeva completamente nel suo mondo.
«Dai vieni…» gli sorrise in modo dolce la ragazza, avvicinandosi a lui e prendendogli la mano.
Il ragazzo la seguì, mentre le sue guance assumevano lo stesso colore dei suoi capelli. 
Era strano come quella ragazza si addolcisse a quel modo, solo in sua presenza. Ricordava bene la prima volta che aveva visto quel suo lato affettuoso e amichevole, che gli ricordava molto Marinette. Era stato il giorno dopo che Monique Agreste ricomparisse davanti ai loro occhi al centro massaggi del maestro Fu: quel giorno, in qualche modo, a lui ancora sconosciuto, si era preso di coraggio, un coraggio che non aveva mai avuto nemmeno con Marinette, tranne che da trasformato in Le Dessinateur, e aveva invitato l’italiana per bere un caffè fuori. Lei all’inizio si era rifiutata, dicendo che non avrebbe bevuto un caffè a Parigi nemmeno se l’avessero pagata, dopodiché aveva proposto di prendersi qualcosa a Brioche Doree.
Quel giorno lui aveva conosciuto una Lila Rossi che probabilmente nessuno conosceva, forse solo Jinnifer: una ragazza molto diversa da quella cinica e con la battutina sempre pronta che era quando c’erano tutti gli altri. Non aveva la più pallida idea del perché si comportasse in quel modo solo con lui e non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo, ma una cosa era certa quella Lila gli piaceva molto.
Entrati nella sala da pranzo il ragazzo rimase per qualche secondo con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
«Hai... Hai preparato tutto tu?» domandò, guardando la tavola imbandita per due, ma stracarica di leccornie, tutto cibo che lui non conosceva o che comunque conosceva solo di vista e di nome. 
«Diciamo che avere due genitori chef ha i suoi pregi.» sorrise la ragazza, come fosse soddisfatta della sua reazione.
«Cosa sono quelle?» disse, indicando un piatto di quello che sembrava uno spezzatino di carne al sugo.
«Code alla vaccinara. È un piatto tipico della mia città.» rispose con un tono quasi orgoglioso la ragazza.
«È incredibile...» riuscì soltanto a dire il ragazzo, poggiando il blocco da disegno sulla credenza che si trovava in un angolo della sala, mentre il suo kwami blu raggiungeva la piccola volpe per mangiare anche loro qualcosa.
«Spero ti piaccia il paté d’olive, perché è l’unica cosa che ho trovato per le tartine.»
«Sì, sì, tranquilla.» fece lui, rassicurandola e afferrandone una, per poi mettersela in bocca. Il sapore pungente e un po’ acido del paté gli inondò la bocca e in poco tempo ne aveva afferrata un’altra.
«Sono davvero buone Lila…» si complimentò, al che l’altra lo ringraziò e ne prese un’altra a sua volta.
Non erano molte le tartine, giusto tre a testa. dopodiché passarono al primo, già pronto nei due piatti fondi.
«Questa è la pasta italiana, giusto?» domandò incuriosito il rosso.
«Beh diciamo che mi sono dovuta arrangiare con gli spaghetti che ho trovato in dispensa, ma comunque sì. Questo primo piatto si chiama alla carbonara. C’è dentro pancetta, anche se dovrebbe esserci del guanciale, uova e pepe.»
Il ragazzo prese la forchetta e dopo averla poggiata in perpendicolare al piatto, iniziò a ruotarla, in modo da attorcigliare attorno ad essa gli spaghetti. Si portò la posata alla bocca e assaporò quella nuova pietanza. Il primo sapore che sentì fu l’uovo, che accompagnava quello della pasta, così decise che la forchettata dopo avrebbe preso anche un pezzo di pancetta.
«Che disegnavi prima?» domandò la castana, imitando i suoi gesti per assaporare le pietanze che lei stessa aveva cucinato.
«Eh?» in realtà aveva sentito benissimo, ma quella domanda l’aveva stupito e imbarazzato allo stesso tempo, soprattutto se pensava alla risposta.
«Il disegno…» ripeté appena lei, indicando con un cenno del capo il mobiletto su cui era poggiato il suo album dei disegni.
«Ah nulla di che… Aggiustavo uno dei disegni che facevo in giardino l’altro giorno…» rispose, sviando un po’ la risposta; in fin dei conti però, non aveva mentito: era vero che quel bel ritratto di Lila, a cui stava lavorando, l’aveva iniziato in giardino quel giorno in cui erano rimasti soli con Jinnifer in casa.
Quando passarono al secondo il rosso pensò di non aver mai mangiato carne più tenera e buona di quella. Lila gli spiegò che trovare quel tipo di carne in Francia era un’impresa e che aveva dovuto fare i salti mortali per chiedere ai signori Agreste di farne avere loro una piccola scorta per quel pranzo.
«Vuoi dire che…?» cominciò a chiedere, ma l’imbarazzo prese il sopravvento.
«Che… Cosa?» cercò di capire l’italiana, ma fu la sua piccola kwami a rispondere al posto suo.
«Se ti stai chiedendo, se stava progettando questo pranzo solo voi due dall’inizio delle vacanze, se non prima, la risposta è: sì.» disse, con quei suoi occhietti innocenti e viola.
«Holly!» esclamò con tono di rimprovero la sua portatrice.
«Oh… Scusami… Non dovevo dirlo?» domandò lei, con un aria alquanto dispiaciuta, come se non si aspettasse davvero quella reazione dalla sua compagna, che sospirò esasperata.
«No, tranquilla. So che non l’hai fatto apposta…»
Nel vedere quella scena al ragazzo scappò un sorriso, che non sfuggì allo sguardo attento di Lila.
«Dovresti sorridere di più, sai?» gli disse.
«Eh?»
«Sei più carino quando sorridi.» precisò la ragazza. A quelle parole il ragazzo sentì il sangue salirgli alle guance, per l’imbarazzo.
Passarono la fine del pranzo in assoluto silenzio, o quasi, spiccicarono giusto due parole riguardo al dolce, unica pietanza in cui Lila aveva optato per la cucina francese, preparando un semplice bonet al cioccolato.

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Capitolo 7
*** 21 Giugno ***


21 Giugno
 

Tian e Angelie stavano passeggiando tranquillamente nei Jardin des Amouhoques. Appena qualche ora prima, preso da un moto di coraggio, il giovane cinese era riuscito ad invitare la ragazza ad uscire; forse più che il suo coraggio doveva ringraziare la sua esasperazione nel non riuscire più a sopportare i continui incitamenti di Adrien. Doveva ammettere però, che quei giardini erano meravigliosi e che sicuramente era il posto perfetto in cui tentare di approcciarsi un po’ di più con la ragazza.
La giovane modella stava camminando tranquillamente, a qualche passo più in là rispetto a lui, guardandosi attorno entusiasta. Quel giorno era davvero carina, dava proprio l’impressione di una parigina: indossava una gonna skater nera, sulle gambe candide e, nella parte di sopra, una maglia a righe bianche e blu orizzontali, infine sui lunghi e sciolti capelli corvini portava un basco rosso, messo di traverso. Si fermò ad osservare un fiore, tutta ammirata, leggendo il cartellino che lo descriveva.
«Almeno ho scelto bene…» scherzò il ragazzo, affiancandosi a lei, questa si voltò verso di lui con aria interrogativa, come a domandare a cosa si riferisse.
«Parlo del posto… Ho scelto bene.» spiegò e lei sorrise dolcemente.
«Tu dubiti troppo di te stesso Tian, non ti accorgi di essere un ragazzo meraviglioso. È solo il tuo credere di non essere all’altezza che t’impedisce di provarci seriamente con me.» disse schietta, per poi dargli le spalle e ricominciare a camminare.
Il giovane cinese sentì le guance andargli in fiamme. Rimase paralizzato sul posto, solo per un paio di secondi, poi raggiunse la ragazza.
«Tu lo sapevi?» domandò.
«Beh, è difficile non notarlo con Adrien che lo ripete ogni cinque minuti.» rispose lei.
«Sì… Credo di avere un amico con la lingua fin troppo lunga.» disse lui ridendo, anche se si rendeva conto fosse una risata alquanto nervosa e forzata, a cui Angelie sospirò, fermandosi davanti a un’altro fiore.
«Sono io che non dovrei sentirmi alla tua altezza, Tian.» disse, mettendo le mani dietro la schiena e continuando a fissare il bocciolo che aveva davanti, come a volerlo far schiudere con lo sguardo.
«Scherzi? – domandò stupito il ragazzo, strabuzzando i suoi piccoli occhi a mandorla – Angelie, tu…»
«So cosa stai per dire: che sono una modella, che sono bellissima, gentile, carina… Beh io non mi vedo così… O meglio mi vedevo così all’inizio, ma… Ultimamente quando mi guardo allo specchio vedo solo il soldatino di Papillon. Vedo una ragazza che ha ceduto all’oscurità, che è riuscita a far akumatizzare il suo stesso cuore per gelosia e che ha fatto delle cose terribili. Non so nemmeno come abbiate fatto a perdonarmi.» a quelle parole il piccolo kwami della farfalla uscì dalla borsetta della sua portatrice, pronto a rassicurarla e incoraggiarla, ma il giovane cinese fu più veloce: le mise le mani su entrambe le spalle e la voltò verso di lui.
«Vuoi sapere cosa vedo, io, in te? – domandò e in quell’attimo di assoluto silenzio si perse nei suoi occhi grigi – Vedo una ragazza decisa e determinata, che ha saputo riconoscere i propri errori e che sta facendo di tutto per espiare le sue colpe. Vedo una giovane modella con ancora una vita e una carriera davanti tutta da scoprire, ma soprattutto vedo un eroina, pronta a difendere la città che ama, nonostante in passato abbia tentato di distruggerla.»
Lei rimase a fissarlo, quasi sbalordita da quelle parole, così innocenti, così sincere, così dolci. Si avvicinò a lui e posò le labbra sulla sua guancia, schioccandoli un leggero bacio.
«Grazie.» sussurrò poi, mentre con la coda dell’occhio vedeva Nooroo tornare nella sua borsa.
Il ragazzo sorrise, contento di essere riuscito a tirarla di nuovo su di morale.
«Parlando invece del provarci con te… – disse, come se alla fine si fosse ricordato la discussione da cui era partito tutto – Non voglio affrettare le cose.»
«Sarebbe a dire?» domandò incuriosita lei, alzando il sopracciglio.
«Sarebbe a dire che non importa quello che dice Adrien. Io ho i miei tempi e non voglio assolutamente rovinare il rapporto che ho con te solamente perché abbiamo corso troppo. È vero, mi piaci… e anche tanto… Però non credo proprio di essere innamorato e… Beh, a me piace il rapporto che ho con te adesso.» spiegò mettendosi le mani in tasca e ricominciando a camminare sul sentiero sterrato.
La corvina lo raggiunse, infilando il braccio nell’incavo del gomito e poggiando la testa sulla sua spalla.
«Anche a me piace il nostro rapporto, chissà forse un giorno staremo insieme, o forse rimarremo miglior amici per sempre.»
«Tu ti sposerai un bel modello…»
«Attore prego.» lo corresse lei.
«Come?» domandò lui, voltandosi appena.
«Non te l’ho detto? Faccio la modella perché mi piace sì, ma il mio sogno è diventare un’attrice e quale miglior marito di un bell’attore hollywoodiano?» disse, aggiungendo un tono scherzoso all’ultima frase.
«Oh mi scusi, mia diva.» la prese in giro lui, ricevendo un buffetto stizzito sul braccio.

 

La passeggiata proseguì tranquilla, girarono in lungo e in largo quei meravigliosi giardini, parlando del più e del meno, ammirando le piante e i fiori che vi erano raccolti all’interno; finché qualcosa non distolse il loro pensiero dalle piante. Un brontolio cupo, si levò dallo stomaco del portatore della tartaruga, il ragazzo tirò fuori l’orologio dalla tasca e osservò l’ora.
«Accidenti è già l’una e mezza, forse dovremmo pensare a rientrare a casa, o perlomeno trovare un posto in cui mangiare.» suggerì.
«Alla villa credo ci siano Marinette e la famiglia Agreste al completo, meglio non disturbarli. – pensò ad alta voce la giovane modella – Potremmo raggiungere Lila, Jinnifer e Nathaniel, ma credo che siano andati in spiaggia e sia troppo lontano, non li raggiungeremo mai in tempo.”
«E se tornassimo a Veules-les-Roses in quel ristorante dove siamo andati tutti il primo giorno?»
«Intendi Le Pinocchio?» domandò Angelie.
«Sì esatto, quello.»
«Perché no, almeno siamo sicuri di mangiare bene e pagare poco.» sorrise lei.
«A no cara mia, potrà anche non essere un’appuntamento, potremmo anche non stare assieme, ma oggi pago io.» la rimproverò, per poi prendere il sentiero che li avrebbe portati alle loro biciclette.
Ci vollero all’incirca ventitré minuti per arrivare al paesino e quindi al ristorante, i due giovani arrivarono così stanchi e affamati che ordinarono il doppio di quanto avrebbero mangiato normalmente.
«Se il mio manager sapesse che sto mangiando tutte queste schifezze, soprattutto le patatine fritte, credo mi ucciderebbe seduta stante.» fece la corvina afferrando una di quelle untuose strisce gialle e ficcandosela in bocca.
«Ma figurati… Un pranzo solo non ti rovinerà di certo la linea.» fece lui, con un gesto della mano, facendola scoppiare a ridere.
«Non funziona così il metabolismo umano Tian, lo sai? Insomma non è solo la linea il problema. Ci sono certi alimenti che procurano altri disturbi.» specificò la ragazza.
«Forse… Comunque rimane solamente un pranzo… Adrien s’ingozza da mattina a sera eppure ha un fisico perfetto.» fece il cinese, succhiando una cozza dal suo guscio.
«Non essere geloso… Pure tu sei bello.» disse lei, facendogli l’occhiolino.
«Dovresti smetterla di prendermi in giro, sai?» disse ironico lui, alzando lo sguardo verso quello grigio della ragazza.
«Ma io non sto scherzando: sei un bel ragazzo.» rispose lei con un sorriso, questa volta sincero.

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Capitolo 8
*** 22 Giugno ***


22 Giugno
 

Adrien, con un gesto secco, conficcò il tubo bianco dell’ombrellone nella sabbia, cominciando poi a ruotarlo vigorosamente, in modo da piantarlo per bene e impedire a qualsiasi alito di vento di spostarlo in qualche modo. Poco dopo l’ombra rossastra, dovuta dal colore della tela, venne proiettata sulla sabbia bianca.
«Finalmente soli...» sospirò entusiasta, prendendo un bel respiro dell’aria salina di mare, facendo emettere una leggera risata a Marinette, che stava stendendo i loro due asciugamani uno di fianco all’altro.
«Che c’è? Perché ridi?» domandò il ragazzo, avvicinandosi a lei, pronto per un qualche suo solito agguato, ma qualcosa lo bloccò prima che arrivasse al suo fianco.
«Moccioso... Mi hai portato il camembert?» fece una vocetta odiosa, proveniente dalla borsa da mare.
«Rido perché non siamo mai soli, Adrien.» specificò la corvina, accentuando la parola “mai”, mentre lui con uno sbuffo esasperato si allontanava di nuovo da lei, dirigendosi alla borsa.
«Plagg per una buona volta, non urlare in spiaggia che qualcuno potrebbe sentirti.» disse, dando l’impressione di parlare con la borsa stessa.
«L’hai portato o no?» domandò il kwami nero, infischiandosene dell’avviso del suo portatore.
«È qui Plagg... – intervenne Tikki, mostrando al compagno la scatola rotonda del formaggio – Ora per amor del cielo, li lasci un po’ in pace?»
«Bene, ciao!» fece lui con tono schietto afferrando poi la cerniera e chiudendosi dentro la borsa, lasciando Adrien a fissare malissimo il nulla.
«Davvero non lo sopporto quel kwami, un giorno o l’altro mi farà diventare matto.» sospirò il ragazzo, tirandosi di nuovo in piedi e voltandosi verso la fidanzata.
Questa era già in costume: un bellissimo bikini di un rosso acceso, con il pezzo di sopra a fascia, che le copriva il petto e il pezzo di sotto parecchio semplice e un po’ alla brasiliana, il tutto decorato con un un’aggiunta di stoffa arricciata, sia sopra che sotto per renderlo più elegante.
«Te l’ho mai detto che sei meravigliosa?» domandò il biondo e Marinette percepì i suoi occhi verdi posarsi su ogni centimetro del suo corpo, facendola arrossire nervosa.
«A-almeno un miliardo di volte...» rispose lei abbassando lo sguardo.
«Beh... Lo sei...» la sua voce le sussurrò quelle parole leggere a pochi millimetri da lei, facendole sentire un brivido lungo la schiena. Tentò di alzare nuovamente lo sguardo, mentre lui le posava una mano dietro la schiena, poco sopra alla parte di sotto del bikini, sospingendola verso di lui.
«Meravigliosa come il giorno in cui ho compreso di amarti.» disse, sempre con quel tono di voce leggero e quasi sensuale.
«S-sarebbe?» domandò lei, arrossendo di nuovo. Lui ghignò divertito per poi avvicinare il volto al suo, darle un fugace bacio sulle labbra e staccarsi nuovamente, dandole le spalle.
«Non credo voglia dirtelo...» disse, con un tono di voce nuovamente alto.
«Cosa?! Perché?» chiese quasi offesa lei.
«Beh perché perderei il mio fascino misterioso se rivelassi le mie debolezze, no?» rispose, voltandosi nuovamente verso di lei e strizzando l’occhio; a quel gesto lei scoppiò a ridere, divertita.
«Senti, fascino misterioso, che ne dici di farci il bagno?» propose, prendendolo in giro.
Lui, nonostante avesse percepito benissimo il tono ironico con cui gli si era rivolta, ignorò tutto e si tolse la maglia.
Lo sguardo di Marinette rimase inchiodato sul suo fisico atletico, mentre si toglieva l’indumento nero di dosso, notando i muscoli della schiena contrarsi e tendersi leggermente nel movimento. Il suo sguardo però, ad un certo punto, come sempre, rimase calamitato da quella piccola cicatrice all’altezza della scapola destra e i suoi occhi blu si rabbuiarono. Quando il giovane modello si voltò, notò subito quel cambiamento d’umore.
«My lady, cosa…?» tentò di chiedere, avvicinandosi a lei con aria preoccupata, ma si bloccò nel vedere la ragazza scuotere il capo e far ondeggiare gli sciolti capelli corvini.
«Non è niente…»
«Marinette, ti conosco, cosa succede?» domandò Adrien, il suo viso era serio e dolce in quel momento: ogni segno di malizia, divertimento o sfacciataggine era sparito.
Lei sospirò, non riusciva proprio a resistere a quel suo sguardo verde che sembrava volerle sondare anche l’anima nel tentativo di comprendere cos’avesse. Si aggrappò a lui, nel vero senso della parola, facendo passare le braccia attorno al suo torace e poggiando il capo sul suo petto.
Lui rimase interdetto solo per qualche secondo, dopodiché le avvolse le spalle, dolcemente.
Rimasero lì, in quella posizione, per vari minuti. Il biondo non si sarebbe mosso di un centimetro nemmeno se avesse voluto; finché lei non avesse deciso che non aveva più bisogno di quell’abbraccio, lui non gliel’avrebbe negato. Fu lei infatti, ad un certo punto ad alzare il volto, poggiando il mento nell’incavo dei pettorali e incrociando il suo sguardo.
«Ti… – storse le labbra, come se non riuscisse a dire la parola successiva – Ti voglio bene, Adrien.» disse poi, a mezza voce, strappando un sorriso al ragazzo.
«Ti voglio bene anche io, coccinellina.» le rispose lui, per poi posare le labbra sulle sue, regalandole un bellissimo e lungo bacio.

 

Il resto della giornata lo passarono in completo relax, facendo di tutto e di più. Giocarono in acqua, schizzandosi a vicenda e facendo gare di nuoto; rimasero a prendere il sole, chiacchierando del più e del meno o ascoltando musica dalla piccola radio che Marinette si era portata dietro; giocarono con la sabbia, costruendo castelli, per poi divertirsi semplicemente a distruggerli; pranzarono assieme ai due kwami, facendosi raccontare un po’ dei loro predecessori e scoprendo che tutti i gatti, maschi o femmine che fossero erano particolarmente maliziosi come Adrien, mentre non tutte le coccinelle erano state brave e tranquille, come Marinette.
Alla fine della giornata, quando il sole ormai era sul calare, decisero che era meglio rientrare, in bici ci voleva un po’ per tornare al castello e non volevano assolutamente pedalare con il buio, con il rischio di prendere qualche sasso e farsi male.
«Allora my lady, passato una bella giornata?» domandò il biondo, montando sulla sua bicicletta.
«Stupenda!» esclamò lei entusiasta, imitandolo.
«E ricordati che quella ferita non è colpa tua, hai capito?»
«Cosa?!» domandò Marinette stupita e confusa allo stesso tempo.
«Pensi che non l’avessi capito che questa mattina hai fatto quella faccia per quella? – fece con un sorriso – Siamo supereroi, Marinette. Quando abbiamo accettato i poteri, abbiamo accettato anche i rischi che ne comportano, ma finché staremo vicini, andrà tutto bene.»
Un sorriso sincero e spontaneo comparve sul volto della ragazza, che con quella certezza nel cuore, cominciò a muovere i piedi, in modo da pedalare fino al castello.

 

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Capitolo 9
*** 23 Giugno ***


23 Giugno
 

Adrien fece un passo avanti nervoso, quasi come se stesse andando al patibolo, gli sembrava di sentire lo sguardo azzurro della sua amata trafiggergli la schiena, nonostante lei non fosse lì. 
Tutte e quattro le ragazze erano andate alla ricerca di una zona commerciale per fare shopping e, prima di andare, Marinette l’aveva praticamente minacciato di stare con Nathaniel e di legare con lui, allo stesso modo di quanto stava volentieri con Tian. Era sicuro che, quando sarebbero tornate avrebbe chiesto al suo amico, o allo stesso Nathaniel, se avesse adempiuto a quella sua richiesta. 
Aveva tergiversato e ritardato quel momento per quasi tutta la giornata, ma ora non poteva più evitarlo in nessun modo. Emise un sospiro, stringendo i pugni, domandandosi per quale motivo trovasse quell’approcciò così difficile. In fin dei conti non aveva più nessuno motivo per odiarlo o non sopportarlo, visto che più volte Marinette aveva dimostrato di amare solo lui e visto, soprattutto, che anche lui stesso aveva confessato di non essere più interessato a lei in quel modo. 
Si rendeva conto che la sua non era più solo gelosia, c’era qualcosa, in quel ragazzo, che non gli era mai piaciuto fin da subito e non c’entrava affatto il rapporto che aveva con Marinette. Forse era il suo essere fin troppo tranquillo e completamente asociale al mondo, il figlio perfetto che Gabriel Agreste avrebbe sempre voluto, ecco forse era per quello. Odiava il suo essere così perfetto e semplice, come se sotto quell’apparenza da ragazzo timido e introverso nascondesse un lato tutt’altro che amichevole. Non se l’era mica sognato, quella non era mai stata solo un’impressione, ma si domandava come fosse possibile che solo lui notasse quel suo lato...
«...vanitoso.» sussurrò, con un sibilo.
«Lo sono tutti i portatori del miraculous del pavone, caro mio. Probabilmente in qualche modo lo è anche tua madre. – gli disse Plagg, che si appoggiò comodamente sulla sua spalla – E comunque anche tu te la tiri non poco, signorino.» aggiunse poi.
Effettivamente il suo kwami aveva ragione, un po’ di vanità non aveva fatto mai male a nessuno e tutto ciò che gli dava fastidio del rosso era il fatto che tentasse di nascondere il suo vero carattere, forse perché troppo timido per esporsi. Doveva smetterla di tergiversare, scrollò le spalle, come a togliersi di dosso, quell’insopportabile ed inutile tensione, per poi avvicinarsi al ragazzo che, sul divanetto di una delle sale della villa, stava, come suo solito, disegnando.
«Ehi pel di carota... Che fai?» domandò, sedendosi al suo fianco e allungando le gambe sul tavolino di fronte a loro.
Con la coda dell’occhio lo vide voltarsi verso di lui e guardarlo un po’ stranito, forse persino l’antipatia era reciproca, oppure, semplicemente, non si aspettava che gli rivolgesse la parola
«Sto… Sto disegnando un fumetto.» rispose lui, rivolgendo nuovamente lo sguardo sul suo blocco da disegno.
«Ho sentito bene? Qualcuno ha detto fumetto?» domandò Tian, entrando nella stanza con una ciotola di patatine.
«Ehi, quelle non erano per Spott?» domandò Adrien, alzando il sopracciglio e indicando il contenitore rosso che il portatore della tartaruga aveva appoggiato sul tavolino, mentre si metteva dal lato opposto del divano.
«Beh, visto che lui non c’è, ne approfitto… – rispose a tono il cinese, affermandone un’altra e ficcandosela in bocca – Allora, di che fumetto parlavate?» domandò poi.
«Credo sia sempre stato il mio sogno diventare un fumettista, per questo per il prossimo anno mi sono iscritto alla Première Vision.» rispose orgoglioso il rosso, continuando a accarezzare leggermente il foglio con la matita.
«Beh sappi che se diventerai un famoso fumettista, voglio essere il primo ad avere una copia autografata delle tue opere.» sentenziò Tian, prendendo un’altro pugno di patatine.
Dopo quell’affermazione ci fu qualche lungo minuto di silenzio, in cui si sentiva solo lo sgranocchiare frenetico della mandibola del giovane cinese, mentre divorava il suo snack pomeridiano. Adrien, invece, continuava a fissare il disegno che stava facendo Nathaniel sul suo blocco, quasi con ammirazione.
«Accidenti, mi piacerebbe un sacco saper disegnare così…» disse, quasi gli scappò.
«Io sono autodidatta. Ci vuole soltanto molto esercizio, tutto qui.»
«Già, peccato che la mia vita m’impedisce di avere momenti da dedicare a un hobby che non sia voluto da mio padre, almeno fino all’anno scorso, ora non so cosa cambierà. Insomma in questo mese è stato tutto un po’ troppo incasinato per capire esattamente come si è evoluta la mia vita.» rispose il ragazzo, mettendo le mani dietro la nuca e rivolgendo lo sguardo smeraldino verso il soffitto.
«Immagino sia dura essere di famiglia ricca…» sospirò il rosso e Adrien si rivolse a lui un po’ irritato.
«Mi prendi in giro?»
«No no… – fece lui, alzando le mani e agitandole – Dicevo sul serio. Essere sommerso d’impegni, non deludere mai in nulla le aspettative, essere sempre impeccabile. Io non ci riuscirei.»
«Beh… Se essere impegnati significa però avere una camera come quella di Adrien, carica di libri, cd, fumetti e con due piste da skate-board, due macchinette per i videogiochi, un calcetto e un bagno privato con doccia, scusate ma io vorrei essere pieno d’impegni.» intervenne Tian, che praticamente si era quasi finito la ciotola di patatine, da solo.
«E non dimenticare il computer.» intervenne Plagg, che, come gli altri kwami, fino a quel momento se n’era stato zitto ad ascoltare.
Adrien scosse la testa, innervosito: proprio non capivano cosa avesse provato in quegli anni, soprattutto negli ultimi cinque. La cosa che lo stupiva di più però era che quello che sembrava comprendere appieno la sua situazione era proprio la persona che meno sopportava e ancora si stava domandando se stesse dicendo sul serio o lo volesse solamente assecondare per paura della sua reazione.
«Quanto vorrei essere al tuo posto…» sospirò il cinese.
«Possiamo cambiare discorso, per favore?» domandò irritato il biondo.
«Giusto… Allora Nath, di che parla questo fumetto?» chiese di nuovo elettrizzato, il portatore del miraculous della tartaruga.
«Beh… è un fantasy… Parla di un principe di un pianeta chiamato Devil, che si ribella al padre e alla sua natura.» cercò di spiegare lui, che aveva ripreso a disegnare.
«Mmmh… Quello è il protagonista?» domandò Tian osservando il foglio.
«No, questo è suo fratello minore, il preferito del padre, quello che fa tutto ciò che gli viene detto, al contrario del maggiore che gli va sempre contro.»
«Mi piace, questo tizio. Come si chiama?» domandò Adrien, finalmente più interessato del normale, tanto che aveva abbassato le gambe del tavolino e si era avvicinato di più al rosso.
«Beh, sono ancora indeciso sul nome… In realtà pensavo di chiamarlo come il padre e il pianeta, ma mi pare troppo banale.» rispose lui, facendo gli ultimi tratti ai capelli del personaggio.
«E perché? In fin dei conti Akira Toryama, ha chiamato: re, pianeta e principe, tutti e tre Vegeta, quindi puoi farlo anche tu.» lo incoraggiò Tian.
«Adoro Dragon ball!» esclamò entusiasta Adrien, mostrando il pugno al compagno e aspettando che lui vi battesse il suo contro.
«Perciò dite che lo posso chiamare Devil?» domandò il rosso.
«A me piace!» confermò il biondo con un sorriso.
«Ditemi che non sto sognando… Il gattaccio sta parlando con Nath senza tirare fuori le unghie?» domandò una voce femminile, riconoscibilissima.
I tre si voltarono, notando le quattro ragazze di ritorno, cariche di sacchetti e buste.
«Divertite a fare shopping, signorine?» domandò il cinese.
«Abbastanza… Ora andiamo a posare i nostri acquisti.» rispose a tono Lila, come a voler mostrare il fatto che fosse quella con più buste.
Nel dirigersi dal lato opposto della saletta, che le avrebbe portate alle camere, Marinette si avvicinò ad Adrien, chinandosi verso di lui e sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
«Sono orgogliosa di te, mon minou.» disse, per poi dargli un leggero e dolce bacio sulla guancia e allontanarsi di nuovo, per seguire le altre.

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Capitolo 10
*** 24 Giugno ***


24 Giugno
 

«Allora questa rete è pronta o no?» domandò l’italiana raccogliendo i lunghi capelli castani in una coda e legandoli con il solito elastico arancione.
«Un momento… Pensi forse che sia facile?» sbottò esasperato Adrien, sollevandosi in posizione eretta e asciugandosi il sudore dalla fronte, il tutto mentre percepiva la ragazza sbuffare alle sue spalle, ma ignorandola completamente.
«Com’è dal tuo lato, Adrien?» chiese Tian.
«Sembra a posto.» rispose lui.
I due ragazzi guardarono soddisfatti il loro lavoro completato: avevano affittato la rete da Beach Volley nello stesso negozio in cui affittavano tutti i giorni gli ombrelloni e in una ventina di minuti erano riusciti a montarla.
«Ora però sorge un problema.» disse Angelie, sollevandosi gli occhiali azzurri a specchio sui capelli scuri.
«Sarebbe?»
«Siamo dispari, qualcuno dovrà fare il cambio.» rispose nuovamente lei.
«Oppure l’arbitro…» propose Lila.
«Intanto non dovremmo pensare come formare le squadre?» domandò Tian, passandosi una mano tra i capelli neri.
«Perché non facciamo maschi contro femmine?» propose Lila, con tono di sfida, come fosse già pronta a stracciare i ragazzi.
«Io veramente preferivo fare l’arbitro…» pigolò Nathaniel nervoso.
«E invece lo farò io. – fece la rossa, battendo una mano sulla spalla del ragazzo – Così ne approfitto per farvi anche un po’ di foto! Anzi, vado subito a prendere la macchina!» esclamò entusiasta allontanandosi e dirigendosi verso gli ombrelloni, in cui erano rimaste le borse con i kwami.
«Maschi contro femmine? Fai sul serio?» domandò Adrien strabuzzando gli occhi verdi.
«Che c’è? Hai forse paura?» domandò sempre con quell’aria di sfida Lila, che aveva incrociato le braccia al petto.
Il biondo soffocò una risata.
«Paura? – cominciò lui, soffocando una risata – Sei tu quella con Marinette in squadra…»
«Ehi!?» protestò la corvina, guardandolo male.
«Beh my lady, è vero… Insomma lo sappiamo tutti e due che gli sport non fanno per te, almeno quando non indossi la maschera.» la prese ancora in giro Adrien.
«Vuoi scommettere?» fece lei, mentre i suoi occhi azzurri diventavano di fuoco.
«Brava ragazza, così si fa!» si complimentò con lei Lila.
«Beh allora è deciso mi pare. Maschi contro femmine.» confermò Angelie, allungando poi le braccia verso il capo e legandosi anche lei i capelli. Odiava farlo: per lei i capelli dovevano essere sempre sciolti e, a meno che qualche acconciatore di qualche servizio fotografico non la costringesse, amava sentirli sulle spalle e sulla schiena, ma quel momento richiedeva impegno e concentrazione, perciò avrebbe fatto quel sacrificio.
In quel preciso momento arrivò Jinnifer dagli ombrelloni. Con la sua amata reflex appesa al collo e un pallone sotto braccio.
«Allora siete pronti?» domandò.
«Pronti!» risposero, quasi in coro i ragazzi.
«I capitani?» chiese ancora la rossa.
«Considerando come sono andate le cose… Credo siano Adrien per noi e Lila per loro.» disse Nathaniel, osservando gli altri annuire in segno di assenso.
«Bene… Allora diamo il via alla grande partita di Beach Miraculous Volley! Capitani davanti a me.»
«È una mia impressione o ti sei fatta prendere un po’ la mano, Jinny?» domandò Lila, guardandola storta, per poi avvicinarsi, la ragazza però la ignorò altamente, come se non avesse assolutamente sentito quella frecciatina.
«Bene, giocatevi palla o campo.»
«Dispari!» disse l’italiana per prima.
«Pari…» rispose ovviamente Adrien.
I due si mostrarono i pugni destri e dopo averli agitati tre volte, finalmente tirarono fuori le dita. Adrien aveva aperto completamente la mano, mentre Lila stava tenendo tese solo indice e medio.
«Scelgono le ragazze. Palla o campo?» domandò l’inglese.
«Campo. Andiamo da quel lato.» rispose subito Lila, indicando con il dito il lato con meno dunette di sabbia.
«Allora questa è vostra.» fece nuovamente la rossa, porgendo la palla al ragazzo.
I sei ragazzi si sistemarono, tre da un lato e tre dall’altro. Adrien si mise al fondo del campo che avevano delineato con delle lunghe strisce di stoffa bianche, prese assieme alla rete. Sollevò la palla alta sopra la sua testa e con un piccolo salto la colpì forte con la mano destra.
La palla sfrecciò dall’altro lato della rete e del campo.
«Mia!» gridò Angelie, che era la più vicina al punto verso cui stava arrivando la sfera bianca, la colpì con un preciso bagher, dirigendola verso Marinette.
«Mari, alzamela!»
La ragazza goffamente sollevò le mani verso l’alto e in qualche modo che non sapeva nemmeno lei, riuscì a passare la palla all’ultima compagna che, saltando vicino alla rete, fece per schiacciare. Purtroppo però le mani di Tian bloccarono la palla proprio sopra la rete, facendola cadere ai suoi piedi.
«Uno a zero per i ragazzi!» esclamò Jinnifer.
«Mi spiace volpe, ma il punto è nostro.» disse sornione il giovane cinese, lei irritata e con uno sguardo di fuoco, afferrò la palla e gliela passò sotto rete.
Il ragazzo la lanciò nuovamente ad Adrien, che si preparò per una seconda battuta. La palla volò di nuovo verso il lato del campo in cui stavano le femmine, questa volta verso l’italiana.
«Mari!» urlò, prendendola con un semplice palleggio e alzandola alla ragazza.
La palla era stata passata talmente bene che a Marinette, bastò saltare, per fare una schiacciata perfetta che, Nathaniel non riuscì a bloccare in tempo.
«Mia!» urlò però Adrien alle sue spalle, tuffandosi sulla sabbia, ma mancando la palla di qualche millimetro.
«Uno pari, palla alle ragazze!»
Fu Angelie a battere, usò la battuta dal basso, con una leggerezza e una precisione che, nonostante fosse prevedibile il punto in cui sarebbe atterrata, metteva quasi ansia seguirla con lo sguardo.
«Mia!» gridò Nathaniel, prendendola con un bagher e passandola direttamente dall’altra parte della rete.
«Accidenti! – imprecò Lila – Marinette, prendila!»
La corvina però non fu abbastanza veloce, o meglio tentò di esserlo, ma inciampò finendo a terra, prima ancora di arrivare alla palla.
«Due a uno per i ragazzi, palla a loro.»
Adrien dovette trattenere una risata, mentre Marinette si rialzava, percependo quel verso sommesso e guardandolo malissimo, per poi scrollarsi di dosso un po’ di sabbia che gli si era appiccicata dappertutto.
In quel momento toccò a Nathaniel battere, anche lui usò la battuta dal basso: fu un tiro malmesso e indeciso, ma comunque arrivò dall’altro lato del campo, nonostante fu facile da prevedere per le ragazze. Lila la intercettò tranquillamente con un palleggio, alzandola ad Angelie, che fece una schiacciata decisa. Adrien bloccò la palla col muro, ma arrivò di qualche secondo troppo in ritardo, la sfera bianca sfiorò appena le sue dita, sfrecciando alle sue spalle.
«Mia!» urlò Tian, tuffandosi e salvando il punto, costringendo Nathaniel ad intevenire con un semplice bagher, mandandola dall’altro lato. Il tirò però era alquanto storto e la palla stava puntando poco più in là della fascia bianca.
«Lasciala!» gridò l’italiana a Marinette, che già stava andando a intercettare la palla, lei allora alzò le mani, lasciando che questa cadesse sulla sabbia.
«Fuori! Due pari, palla alle ragazze.» disse Jinnifer, confermando il tutto.
Fu il turno di battuta di Marinette, la ragazza prese la palla e si diresse nervosa verso il fondo del campo. Si posizionò e tese la mano sinistra con sopra la sfera per poi colpirla con il pugno destro. Questa però, invece di andare dritta, verso la rete e dalla parte opposta del campo, schizzò a sinistra, verso l’inglese, che si dovette abbassare velocemente per non ritrovarsi un pallonata in faccia.
«Oh andiamo, Marinette!» si lamentò Lila, scocciata.
«Scusate… Non sono brava in battuta…» disse con voce sommessa la ragazza, incurvando le spalle, mentre i ragazzi dall’altro lato erano scoppiati in una sonora risata, tutti e tre.
«La piantate?!» disse stizzita la castana, fulminandoli con lo sguardo e facendoli ammutolire, mentre Tian prendeva la palla che Jinnifer era andata a recuperare e gli stava porgendo.
«Direi che siamo tre a due per i ragazzi.»

 

Andò avanti per un bel po’, alcune volte si ritrovavano pari, altre volte erano in vantaggio di due o tre punti le ragazze, poi i ragazzi rimontavano e via così. Il tutto, ovviamente, dividendo la partita in due set da ventuno punti ciascuna, tre se fosse finita con un set vinto a testa, mentre Jinnifer arbitrava e scattava fotografie delle azioni più divertenti o belle.
La vittoria però, almeno per quanto riguardava i due set, fu schiacciante. La prima partita ventuno a diciannove e la seconda ventiquattro a ventidue, dopo un combattuto testa a testa. Entrambi vinti dai maschi.
«Io ve l’avevo detto che avreste perso.» commentò Adrien con uno sguardo superiore, facendo passare un braccio attorno alla spalla di Marinette, mentre sotto l’altro teneva il palla.
«Ah sì? Beh allora tieniti la tua vittoria, pallone gonfiato!» sbottò stizzita lei, dando una manata alla sfera e facendola scivolare dalla presa del ragazzo per poi allontanarsi.
«Credo che tu abbia un po’ esagerato…» commentò Nathaniel, avvicinandosi a lui.
«Naaah, le passerà…» rispose muovendo la mano in un gesto annoiato.

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Capitolo 11
*** 25 Giugno ***


25 Giugno
 

«Buoaaaangiorno...» disse Adrien con uno sbadiglio entrando nella sala da pranzo.
«Buongiorno tesoro.» rispose sua madre con il suo solito sorriso dolce
Era l’ultimo, tutti gli altri erano già seduti e si stavano servendo di ogni solita leccornia che la colazione preparata da Monique permetteva. Il biondo si passò una mano sul viso, ancora in preda al sonno, e si buttò sulla sedia di fianco a Marinette.
«Principessa, come mai non sei venuta a svegliarmi questa mattina?» le chiese, mettendosi nel piattino due croissant.
Lei alzò le spalle, continuando a inzuppare alcuni biscotti nel suo latte, concentrandosi completamente su quel gesto.
«Non credevo che un campione come te avesse bisogno della mia sveglia.» disse con tono quasi apatico.
«Ahi ahi, la vedo male per il micetto...» commentò Lila, finendo la sua tazzina di caffè.
«Non mi dire che ce l’hai ancora con me per ieri.»
«Adrien cosa le hai fatto?» domandò la donna, guardandolo storto.
«Io... Marinette sul serio sei ancora arrabbiata?» chiese, non riuscendo a rispondere alla madre e rivolgendosi di nuovo alla fidanzata.
«Arrabbiata? Arrabbiata di cosa? – domandò, guardandolo finalmente in faccia e trattenendosi con tutta se stessa da rimanere incantata dai suoi occhi come smeraldi – Ah sì, ora ricordo. Perché ieri mi hai dato dell’impedita cronica che non sa fare nulla e ridevi ad ogni mia mossa. No tranquillo, non sono arrabbiata.» aveva sputato quelle parole tutte d’un fiato, per poi tornare al suo latte, ormai freddo.
Il ragazzo sospirò, scuotendo il capo biondo e riempiendosi la sua tazza della stessa bevanda che aveva scelto lei.
«Andiamo Marinette... In fin dei conti scherzava...» commentò Tian, tentando di calmare le acque.
«Ve lo ripeto, non sono arrabbiata... Piuttosto, che facciamo oggi?» domandò, cambiando completamente discorso.
«Se ci facessimo un’altro giro in paese? – domandò Angelie, per poi mettersi in bocca l’ultimo spicchio d’arancia – Sarei curiosa di vedere la chiesa e poi Jinnifer avrebbe l’occasione di fare qualche altra foto.»
«Io ci sto... Non mi dispiacerebbe passare una giornata insieme, come la prima volta qui.» intervenne Nathaniel.
Alla fine della colazione rimasero d’accordo tutti sul fatto che per le dieci, avrebbero preso le bici e sarebbero andati in paese. La loro prima tappa, non appena furono arrivati, fu proprio Point Plage in cui aveva proposto di andare la modella.
Non era affatto una struttura piccola, come si poteva immaginare fosse una chiesetta di paese: i muri esterni in pietra e il tetto spiovente tra il blu e il grigio, con il campanile che svettava su tutto.
«Come mai non siamo mai passate da questo lato del paese?» domandò la rossa, alzando la fotocamera e mettendosela davanti al viso, per poi cercare il fuoco giusto e scattando una bella fotografia.
«Non lo so, ma è meravigliosa!» disse Angelie, ammirandola.
«Entriamo?» domandò Marinette, spingendo il portone in legno e attraversando così l’ingresso, assieme dalle altre. Anche Adrien stava per seguirle, ma Tian lo bloccò, prendendolo per il braccio.
«Dobbiamo parlare.»
Il biondo si arrese subito dal seguire il gruppetto e loro loro due, insieme a Nathaniel si andarono a sedere in una panchina lì vicino.
«Davvero, io non credevo che se la fosse presa così tanto... Insomma ho sempre scherzato con lei e...» sospirò, non riuscendo a finire la frase.
«Adrien, andiamo, è solo un'arrabbiatura. Non è la fine del mondo.» cercò di tranquillizzarlo, l’amico.
«Tian ha ragione... E poi Marinette ti ama, insomma non ti terrà mai il broncio tanto tempo, vedrai.»
«Grazie pel di carota...»
«Di nulla biondino.» gli rispose in una risata, il rosso.
«Bio...?» lo guardò corrucciato il ragazzo, senza completare nemmeno la parola.
«Che c'è? Tu puoi darmi un soprannome e io no?» domandò Nathaniel, facendolo sorridere, divertito da quella frecciatina.
«Questa te la devo Kurtzberg.»
«Allora, qual è il piano per farti perdonare?» domandò Tian, interrompendo quel divertito battibecco.
«Piano?» fu Nathaniel e fare quella domanda.
«Ma sì... Insomma dobbiamo trovare una sorpresa di quelle belle, per stupirla e fare in modo che cada di nuovo ai tuoi piedi.»

 

La chiesa all’interno non era lussuosa o carica di ogni qualsivoglia decoro. Vi erano tre piccole navate, di cui quella centrale portava all’altare; mentre le serie di panche in legno erano sei in tutto: due sui lati, addossate al muro e poi quattro centrali, ai due lati di quella centrale, separate solo da una serie di colonne bianche unite l’una all’altra da un arco a sesto acuto. Le pareti laterali erano in mattoni gialli con delle semplici finestre, molto luminose e i lampadari in ferro battuto davano a quel luogo un aria rustica e semplice.
«Mi piace questo posto...» sussurrò Marinette, guardandosi attorno meravigliata.
«Sì, è vero: semplice, senza troppi fronzoli.» confermò l’inglese.
«Forse è vero, però vogliamo mettere la maestosità delle cattedrali a Parigi?» intervenne Angelie.
«O i duomi in Italia... Cavolo ragazze dovreste vedere che chiese meravigliose ci sono da noi.»
«Beh, a me piace anche la semplicità...» commentò di nuovo Marinette.
«Disse quella che si è messa con un modello.» la punzecchiò un po’ Lila, facendola arrossire imbarazzata, mentre si sedeva in una delle panche.
«A proposito… Quando la smetterai con questa recita della fidanzatina offesa?» le chiese divertita Angelie, voltandosi verso di lei.
«Non lo so… Se devo essere sincera trovo già faticoso farlo adesso.» rispose lei.
«Io lo farei penare ancora per un po’.» ghignò divertita l’Italia.
«Lila, perché ti diverte così tanto veder soffrire quel povero ragazzo?» domandò la sua miglior amica, abbassando la reflex, dopo l’ennesima fotografia.
«Non lo so… Mi diverte e basta.»
«Io comunque ti consiglierei di aspettare. – intervenne la modella, tornando sul discorso precedente – Se conosco abbastanza bene il piccolo Agreste, farà sicuramente qualcosa di super romantico per farsi perdonare.»
«Eh aspettiamo…» sorrise la ragazza.

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Capitolo 12
*** 26 Giugno ***


26 Giugno
 

La mattina passò relativamente tranquilla, non fosse per il fatto che i ragazzi obbligarono le ragazze a rimanere a casa, dicendo che avrebbero organizzato qualcosa loro. Dopo quell’avviso a colazione, però, sparirono e non si fecero più vedere per tutta la prima parte della giornata; perciò le quattro finirono per chiacchierare e scherzare nella camera da letto in cui dormiva la più grande tra di loro.
«Maledizione... – sbuffò Lila, dopo che il suo stomaco aveva emesso un suono gutturale – Vorrei sapere quando cavolo pensano di venirci a chiamare quei tre... Io sto morendo di fame.»
«Effettivamente anche io inizio ad avere un certo languorino.» fece Angelie, mentre la rossa si allungava verso il comodino, afferrando il cellulare.
«Sono appena le dodici ora, credo che sia normale che ancora non ci abbiano chiamato.» disse osservando l’orario sul dispositivo, per poi sorridere e sbloccarlo.
«Come mai quel sorrisino?» domandò incuriosita la sua migliore amica, lei però non rispose e si mise a scrivere qualcosa sul telefono, mentre il suo sorriso si estendeva.
«E dai Jinny, rendici partecipi della tua gioia.» insistette l’italiana per poi strapparle il telefono di mano.
«Lila, ridammelo!»
«Ciao splendore, come vanno le vacanze? Non mi hai ancora mandato una foto di te in costume. – disse leggendo il messaggio che l’amica aveva ricevuto – Hai capito il nostro caro Henrie che vuole le foto in costume?»
«Lila!» protestò ancora l’inglese, tentando di riottenere il telefono, ma lei fu più veloce e si allontanò. In quello stesso istante però, qualcuno bussò alla porta della camera, per poi aprirla.
«Ragazze, è ora di pranzo!» esclamò entusiasta Adrien, con un sorriso a trentadue denti, ma in tempo zero, gli arrivò un cuscino in faccia, lanciato dalla castana.
«Stupido gattaccio... E se eravamo nude?» domandò irritata.
Lui storse la bocca, mentre il cuscino scivolava a terra.
«Probabilmente mi sarei goduto lo spettacolo...» rispose di getto, prendendo al volo il secondo cuscino che era stato scagliato contro di lui. A quel punto però Angelie prese in mano la situazione.
«Dai su, andiamo. Lila restituisci il telefono a Jinnifer e seguiamoli.» disse, quando comparvero anche gli altri due alla soglia della porta.
Le portarono fuori, in giardino, vicino alle voliere. Sul prato avevano steso tre plaid è una tovaglia imbandita di qualsiasi leccornia tipica di un picnic degno di quel nome. Tutte e quattro spalancarono la bocca, colpite di tutto ciò che c’era lì e soprattutto di come era elegantemente sistemato.
«Dite la verità, vi ha aiutato la madre di Adrien.» li provocò la portatrice del miraculous della volpe.
«Assolutamente no, abbiamo fatto tutto da soli. Ho più senso del gusto di quanto pensi, cara.» rispose il biondo.
Marinette guardava quello spettacolo con occhi quasi sognanti. Voleva fare la sostenuta, ma era più forte di lei: Adrien aveva fatto tutto quello per farsi perdonare, per lei e questo le riempiva il cuore di gioia. Lo conosceva bene, ormai, e sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, come sapeva che quel suo comportarsi in modo irritante era un lato del suo carattere che in fin dei conti le piaceva. 
«Accidenti, si è impegnato parecchio.» le sussurrò Angelie all’orecchio, facendola sorridere, poi il suo sguardo fu attratto da uno dei vassoi che si trovavano sulla tovaglia.
«Qu-quelli sono...?»
«Macaron al caramello, i tuoi preferiti.» fece Adrien con quel sorriso smagliante a cui, lui sapeva bene, non riusciva resistere.
Dopodiché si avvicinò a lei e senza dirle nient’altro, le prese la mano e l’accompagnò verso uno dei plaid, facendola sedere e mettendosi al suo fianco.
«Prima di cominciare... Questo è per te.» disse porgendo alla ragazza una scatoletta blu, lunga quasi una spanna.
Lei la prese, con mani quasi tremanti, qualcosa le diceva che sarebbe stato difficile non saltare dalla felicità. La aprì e ciò che vide dentro, come si aspettava, la fece gioire ed emozionare allo stesso tempo.
«In realtà volevo dartelo alla fine di queste vacanze, ma, visto come sono andate le cose ho pensato fosse il momento giusto.»
«È... È bellissimo...» disse la ragazza guardandolo.
Era un braccialetto, uno di quelli con i charms intercambiabili, ma quelli erano dei ciondoli ben precisi. Si partiva con una L, poi due perline rosse e due nere, una coccinella, ancora due perline rosse e due nere, la Tour Eiffel, due perline verdi e due nere, una zampetta di gatto, ancora due verdi e due nere e infine una C. 
«Permetti?» domandò il biondo, prendendo il bracciale in argento dalla scatoletta, mentre lei gli porgeva il braccio destro, a quel punto lui glielo allacciò al polso e quando fu agganciato lei lo sollevò ammirandolo da più vicino.
«Beh servitevi pure.» invitò Nathaniel dopo che tutti si erano seduti e il momento regalo era finito.
La prima a non fare complimenti e allungarsi su quella specie di buffet sul prato fu Lila, afferrando quello che sembrava una specie di cestino con dentro una qualche crema. Lo addentò percependo subito il sapore di parmigiano e porri, una crema davvero delicata, e comprendendo che il cestino era fatto di pasta brisée.
Marinette, invece, aveva deciso di cominciare con la quiche proprio in mezzo alla tovaglia, addentando è un pezzo e assaporandone il sapore di uovo, formaggio e pancetta.
«Ma è...»
«La ricetta di tuo padre. – sorrise lui, addentando la sua fetta, soddisfacendosi del risultato – Me la sono fatta mandare ieri sera.»
«Un ragazzo pieno di risorse.» disse divertita Jinnifer, dando una gomitata a Marinette e decidendo cosa assaggiare per primo, optando poi per una di quelle che dall’esterno sembravano delle piccole pagnottine. 
Ne prese una e ne morse un pezzo, scoprendo un ripieno zucchine e feta greca, parecchio buono.
«Com’è la pasta fredda?» domandò Angelie, prendendo un piattino di carta.
«Pezzi di salmone, olive nere e olio d’oliva.» le rispose Tian, sorridendole e mettendogliene un po’.
«L’avete cotta bene spero.» li ammonì Lila guardandoli storti.
«Dieci minuti nell’acqua che bolliva, come mi hai insegnato tu.» la rassicurò Nathaniel con un sorriso.
«E bravo il mio ragazzo.» sorrise Lila, stampandogli un bacio sulla guancia e facendogli assumere lo stesso colore dei suoi capelli.
«Mi sono persa qualcosa?» domandò Marinette, notando, come tutti d’altronde, quel gesto.
«Sì stiamo insieme, se è questo che stai chiedendo.» le disse subito l’italiana.
«E questo l’avevano capito pure i muri.» aggiunse Adrien, ricevendo la solita occhiataccia.
«Sul serio? Allora mi sa che tu sei più lento di comprendonio di un muro, visto che fino a una settimana fa credevi che Nath provasse ancora qualcosa per la tua fidanzata.» ribatté lei, con quell’odioso tono ironico e canzonatorio.
Il biondo allora si zittì, afferrando un’altro pezzo di quiche e mordendone più di metà fetta con una voracità immane. Sapeva che discutere con lei sarebbe stato inutile e avrebbe soltanto rovinato il picnic che con tanta fatica aveva preparato per farsi perdonare da Marinette.
Il resto del pranzo andò bene e finalmente sembrava essere tornata la pace tra quelli che ormai erano considerati un po’ da tutti, nonostante qualcuno non l’avrebbe mai ammesso, i leader del gruppo.

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Capitolo 13
*** 27 Giugno ***


27 Giugno
 

Marinette stava osservando il suo nuovo bracciale con una certa ammirazione, come se tutto il sole che, di nuovo, mancava fuori, fosse stato racchiuso nei suoi occhi blu, dandole quella luce stupenda.
«Allora, che facciamo? Perché fare un’altra volta il gioco della bottiglia, mi rifiuto, sappiatelo.» fece Tian, sedendosi in uno dei divanetti e venendo subito affiancato da Angelie, che si poggiò comodamente sul suo petto.
«Come se il mio obbligo non fosse servito a nulla, vero?» fece Adrien, avvicinandosi al gruppo con le mani in tasca.
«Siamo solo amici, Adrien.» gli rispose subito la corvina, non muovendosi dalla sua posizione, mentre lui le avvolgeva un braccio attorno alle spalle.
«Sì certo, raccontatelo a qualcun altro.» li rimbeccò il biondo, sedendosi poi di fianco a Marinette.
«Ciao splendore…» fece rivolgendosi a lei e facendole voltare lo sguardo dal suo nuovo regalo, per fissarlo su di lui e poi stamparle un piccolo bacio sulle labbra.
«Ciao ragazzo perfetto.» rispose lei con un sorriso.
«Bah, sul perfetto avrei i miei dubbi.» brontolò Lila, sedendosi anche lei, assieme a Nathaniel.
«Mio figlio è perfetto! – intervenne la donna bionda entrando con due vassoi per la merenda, seguita dal marito che portava due caraffe piene di succhi di frutta – Certo, forse è un po’ troppo esibizionista e sfrontato, tutte qualità che ha preso da me ovviamente, ma sono sicura di averlo fatto perfetto.» concluse, poggiando tutto sul tavolino al centro.
«Come se io non esistessi…» commentò l’uomo dietro di lei, per poi poggiare anche lui ciò che gli occupava le mani, sul tavolo.
«Beh l’ho partorito io, mica tu.»
«Perché ho paura che questa discussione stia diventando tutt’un tratto imbarazzante?» domandò ironicamente, ma forse nemmeno troppo, Adrien, allungando una mano su una patatina.
«Ehi, giù quelle tue manacce da essere umano, quelle sono mie!» gridò il kwami dell’ape, schizzando fuori dalla camicetta di Jinnifer e colpendolo sul dorso di essa.
«Adiamo Spott, ce ne sono un sacco, non cominciare.» lo rimproverò la sua portatrice.
«E poi ne ho un altro sacchetto enorme in cucina.» intervenne Monique, facendo l’occhiolino al kwami.
«Allora? Che facciamo?» domandò di nuovo Tian quando furono tutti seduti.
«Io… – cominciò Marinette, per poi mordersi le labbra, indecisa se continuare a parlare o no – Io vorrei sapere di più sul vostro passato…» disse, a mezza voce, rivolgendosi a Tikki che, come tutti gli altri kwami si era tuffata nel buffet, e ora stava sgranocchiando tranquilla un biscotto al cioccolato.
«Effettivamente non dispiacerebbe nemmeno a me. – intervenne Lila – Insomma per ora sappiamo che Makohon vi ha creati in Tibet, che una volta Penn ha baciato Tikki e Plagg si è arrabbiato, che Holly ha una cotta per Plagg e che l’ultima volta che vi siete visti tutti quanti è stato nel sessantotto… se non ricordo male…»
«Marinette ed io sappiamo anche un’altra cosa…» fece Adrien, mentre sul suo volto si estendeva un sorriso, più che malizioso.
«Ah sì? Cosa?» domandò la ragazza, aggrottando le sopracciglia nel tentativo di ricordare di che stesse parlando.
«Sappiamo che due ex portatori del gatto e della coccinella, stavano spesso tra le lenzuola…» sorrise lui, mentre la ragazza assumeva un colore rosso acceso.
«Sai non credo che Marinette volesse parlare di cosa facevano a letto i vostri predecessori.» lo rimproverò la madre.
«Comunque è vero... Juliette e Arno passavano tanto, ma tanto tempo a...»
«Plagg, potremmo evitare di parlare di quel periodo per favore?» lo bloccò la piccola compagna rossa.
«Ok, scusate… Cambiamo discorso.» fece il biondo abbassando lo sguardo e intrecciando le dita della sua mano con quelle della fidanzata di fianco a lui.
«Cosa vorreste sapere di preciso?» continuò poi Tikki, d’improvviso, dopo quel piccolo ammonimento, sembrava di nuovo contenta di parlarne con loro.
Marinette la guardò dubbiosa: sapeva bene che nel passato della sua piccola amica c’erano delle ferite che, magari, le avrebbe fatto male riaprire, lo sapeva bene, eppure l’esserino rosso stava affrontando la cosa con molta tranquillità.
«Per esempio siete stati attivati sempre tutti, oppure no?» domandò Lila.
«No no… Quelli che si sono attivati sempre, sono stati Tikki e Plagg, credo...» commentò Nooroo.
«Per ovvie ragioni, immagino. Insomma i miraculous del gatto e della coccinella sono i più potenti.» disse Angelie.
«Beh, non è vero… In fin dei conti Penn è stato attivato in un momento che eravamo tutti inattivi.» fece Tikki.
«Più di una, io e Holly siamo stati attivi in Scozia, contro Lochness. – cominciò il kwami del pavone – Ma ovviamente il periodo più lungo dove erano inattivi tutti è stato negli ultimi anni.»
«Intendi quando eri con mia madre?»
«Effettivamente credo il maestro Fu avesse ancora tutti i miraculous, la prima volta che mi dette quello del pavone e il libro.» commentò pensierosa la donna, storcendo le labbra nel tentativo di ricordare.
«Una cosa che mi sono sempre chiesta, signor Agreste lei come ha preso il miraculous della farfalla?» domandò Marinette, rivolgendosi all’uomo, che si aggiustò nervoso gli occhiali rossi sul naso.
«Beh…»
«Glielo diedi io… Speravo di partire con lui durante il secondo viaggio in Tibet, ma poi nacque questa piccola peste e saltò tutto.» intervenne, nuovamente Monique, scompigliando i capelli al figlio.
«Avrete visitato un sacco di luoghi e altrettante epoche storiche diverse.» commentò Angelie, tornando al discorso precedente.
«Credo che l’avventura che ho preferito di più in assoluto sia stata in Scandinavia.» disse Penn, buttandosi in bocca tre piselli uno dietro l’altro.
«Scandinavia?» domandò incuriosito il suo portatore.
«Oh andiamo, i vichinghi sono rozzi... Vuoi mettere quando siamo stati i miraculous dei migliori gladiatori della Roma antica?» intervenne invece il kwami dell’ape.
«Io sono stata bene durante i periodo Sengoku.» fece Holly, mangiando un chicco d’uva.
«L’unico periodo in cui non ci siamo dovuti nascondere...» sospirò entusiasta Tikki.
«Sul serio? Come... Com’è possibile?» domandò Jinnifer interessandosi improvvisamente all’argomento e sorseggiando un lungo sorso di succo all’arancia.
«Gli yokai.» rispose il suo kwami.
«I cosa?» chiese confuso Adrien.
«Gli yokai sono i demoni giapponesi, o meglio i demoni benigni.» lo illuminò Nathaniel, anche se ancora non aveva capito nemmeno lui con esattezza cosa intendessero i kwami.
«Un momento, volete forse dirmi che nel periodo Sengoku esistevano davvero i demoni?»
«Non proprio Lila... Insomma come ha detto Nathaniel gli yokai e le yasha non sono veri e propri demoni, o meglio a quel tempo si credeva fossero così, ma erano semplicemente entità, spiriti come noi, nati dalla natura.» spiegò Tikki.
«Credevo che a voi vi avesse creati Makohon.» questa volta era stata Monique Agreste a intervenire.
«Ed è così. – disse il kwami della tartaruga, lasciando la sua foglia di lattuga e alzando i suoi occhi gialli sulla donna – Però noi non siamo certo gli unici spiriti. Solo noi sette, grazie o per colpa di Makohon siamo nati in questo modo e siamo diventati armi, legati indissolubilmente ai Miraculous e impossibilitati a separarci da essi. Ma capita, alcune rare volte, che le essenze e le anime di ciò che ci circonda si fondano con la vita. È in quel momento che nascono quelli che in Giappone chiamavano yokai.»
«È incredibile...» disse, quasi in un sussurro, Angelie.
«Ehi, ragazzi... È uscito il sole!» esclamò Tian, che era rimasto in silenzio ad ascoltare, attento a tutto ciò che veniva detto, ma per una volta per niente intenzionato a parlare.
Si voltarono tutti verso la grossa finestra che si affacciava su un lato del giardino di Chateau du Mesnil Geoffroy.
«Ma quello è un’arcobaleno!» disse Marinette, alzandosi di colpo e correndo verso la finestra, quasi spalmandosi contro il vetro per vedere meglio quello spettacolo che nasceva dall’incontro della luce del sole, con le piccole gocce d’acqua che ancora stavano spiovendo.
Il primo che la raggiunse fu Adrien, che le avvolse una mano attorno alle spalle e le diede un lieve bacio sulla tempia, facendola sorridere.
«È un peccato che questa vacanza stia per finire...» commentò Lila, raggiungendo anche lei la finestra, assieme a tutti gli altri.
«Avremo tante occasioni e tanti momenti come questi. Qui, più che a Parigi, siamo diventati una vera squadra, dei veri amici; non cambierà nulla quando torneremo a casa.» la rassicurò il rosso sorridendole e prendendole la mano per poi ammirare anche lui quel magnifico spettacolo di luce.

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Capitolo 14
*** 28 Giugno ***


28 Giugno
 

Ormai il sole stava iniziando a calare e Plage Veules les Roses si stava pian piano svuotando; tutti i turisti e bagnanti se ne stavano andando, diretti agli alberghi o alle proprie dimore per cenare. Sotto la Costa d’Alabastro, invece, qualcuno sembrava non voler abbandonare la spiaggia.
Lila era comodamente sdraiata sul suo telo giallo, gli occhiali da sole arancioni e a specchio sopra gli occhi chiusi e le mani sotto la nuca, godendosi l’arietta che finalmente riusciva a percepire, mentre il sole diminuiva d’intensità. 
Al suo fianco Angelie era seduta sulla sabbia e stava leggendo tranquillamente un libro, sfruttando la luce che ancora c’era, visto che comunque mancava ancora una buona mezz’ora prima che il sole sparisse all’orizzonte. 
Marinette se ne stava sdraiata sulla sua asciugamano, a pancia in giù, facendo dondolare le gambe su e giù, poggiandosi sui gomiti e tenendo le mani sotto al mento, mentre Tikki, proprio sotto di lei, sgranocchiava un biscotto; a dirla tutta quasi tutti i kwami erano fuori, vista l’assenza di altri esseri umani a parte le ragazze.
Infine Jinnifer era sulla battigia, con la sua reflex appesa al collo che, ogni tanto, quando trovava la posizione e l’inquadratura migliore, sollevava all’altezza del viso per poi scattare la fotografia, sia dal lato del mare, che dal lato della bianca scogliera alle loro spalle; il tutto con Spott poggiato sulla spalla, che ogni tanto doveva togliersi i lunghi capelli rossi dal musetto, sputacchiando un po’.
«Ombrellone restituito...» disse Nathaniel, tornando dalla zona privata della spiaggia, quella occupata dai lidi e dai ristornati e in cui vi era il negozio in cui affittavano sempre l’ombrellone per il sole.
«Credo che gli altri siano andati a cercare la legna più in là, vicino alla scogliera.» disse l’italiana, senza muoversi dalla sua posizione, come stesse parlando nel sonno.
«Vado ad aiutarli…» rispose lui, ma appena lo disse li vide arrivare.
I due gettarono un mucchietto di legno ciascuno sulla spiaggia, non era tanto, il giusto per fare un piccolo falò in cui arrostire la cena che si erano portati e fare luce quando sarebbe completamente calato il sole.
«Non ho mai assaggiato il camembert arrostito sul fuoco, magari è buono.» disse il kwami nero, uscendo anche lui dalla borsa da mare, mentre già si leccava le labbra.
«Veramente durante i falò con Martha te ne ingurgitavi anche dieci pezzi a volta.» puntualizzò Penn, svolazzando fuori dallo stesso luogo e poggiandosi sulla spalla del suo portatore.
«Cosa c’entra! Quello era finto, insomma il camembert che vendono in America non può essere paragonato a quello originale francese.» fece stizzito Plagg, incrociando le zampette sul petto.
«Beh comunque è ancora presto per il falò: il sole deve ancora tramontare.» intervenne la ragazza inglese, che si era avvicinata nuovamente al gruppo.
«Già… Anche se io inizio a sentire un po’ di freschetto…» fece Marinette, storcendo la bocca e strofinandosi le mani sulle braccia, lasciate scoperte dalla t-shirt rosa acceso che indossava.
«Lila, non pensi che dovresti vestirti? Sei l’unica ancora in costume da bagno, non hai freddo?» le fece il rosso, osservandola ancora lì, tranquillamente sdraiata nella stessa posizione. Lei, per tutta risposta fece uno sbuffo scocciato, mettendosi seduta e alzandosi gli occhiali sui capelli castani.
«Sì, forse hai ragione…» rispose, per poi allungarsi verso la sua borsa mare e prendere un paio di shorts di jeans e una camicetta bianca a maniche lunghe. Li indosso, legandosi il fondo della camicetta sul fianco, lasciando una parte del ventre scoperta.
«In attesa che tramonti il sole forse dovremmo vedere se abbiamo tutto l’occorrente per la cena.» propose Adrien, mettendosi seduto di fianco alla sua fidanzata.
«Paura di rimanere a digiuno, micetto?» lo pizzicò l’altra modella, chiudendo il libro, di cui finalmente aveva finito il capitolo.
«Che fai, ora cominci pure tu a prendermi in giro?» chiese il biondo, assottigliando lo sguardo verde, mentre si rivolgeva alla collega, ma lei alzò semplicemente le spalle, sorridendo divertita.
«Comunque non ce n’è bisogno, mon minou, l’abbiamo già fatto due volte prima di uscire di casa questo pomeriggio.» lo rassicurò Marinette accarezzandogli la gamba fasciata dai jeans grigi, l’unico punto a cui arrivava con le mani, messa ancora nella sua posizione a pancia in giù, stesa sul telo.
«Sarebbe bello se qualcuno sapesse suonare la chitarra come la suonava Jack.» disse con occhi sognanti Holly.
«Chi è Jack?» chiese la sua portatrice.
«L’ultimo possessore del mio Miraculous prima di te.» rispose la piccola volpe con la sua vocina dolce.
«Era bravo?» domandò incuriosito Adrien.
«Era un fan sfegatato di Jimi Hendrix e non si staccava mai dalla sua chitarra.» precisò Wayzz.
«Mi piacerebbe imparare a suonare la chitarra.» commentò nuovamente il biondo, storcendo la bocca e poggiando le mani sulla sabbia alle sue spalle.
«Sta tramontando!» esclamò la corvina di fianco a lui, facendo in modo che il mare all’orizzonte calamitasse lo sguardo di tutto il gruppo, composto da umani e kwami.
Il sole aveva appena sfiorato il pelo dell’acqua, mentre l’intensità della sua luce si faceva sempre più tenue. Il tutto accompagnato dal profumo pungente della salsedine, dal suono quasi cullante delle onde che s’infrangevano sulla spiaggia e dalla leggera brezza marina che accarezzava i loro visi e le parti scoperte dei loro corpi.
Rimasero lì, completamente incantati da quello spettacolo indescrivibile, seguendo quasi con ammirazione il sole che, più scendeva, nascondendosi dietro il filo dell’orizzonte, più assumeva le tipiche tonalità arancioni del tramonto.
«Wonderful…» si azzardò a dire Jinnifer, nella sua lingua madre, in quel silenzio assoluto.
Non aveva nemmeno alzato la macchina fotografica per fare qualche scatto, come se non volesse rovinare quel momento, ma piuttosto goderselo appieno, vederlo dal vivo e non attraverso un obbiettivo: in modo che il ricordo le rimanesse solamente nel cuore. D’altronde, ne era sicura, stavano pensando tutti la stessa identica cosa: tutti e quattordici, assieme, ad ammirare uno degli spettacoli più belli della natura.
Marinette si mise finalmente seduta, avvicinandosi di più ad Adrien e poggiando la testa nell’incavo del suo collo, mentre lui le avvolgeva le spalle con un braccio.
«Forse… Forse ci conviene accendere il falò, prima che faccia troppo buio per vederci qualcosa…» disse Nathaniel, dispiaciuto d’interrompere quel momento magico.
«Sì, hai ragione.» gli diede man forte il cinese, per poi avvicinarsi alla legna e prendere dalla tasca la scatola di fiammiferi che si erano portati da casa.
Ci volle qualche minuto prima che un bel fuoco scoppiettante iniziasse a scaldare l’aria che era diventata alquanto gelida: il sole ormai era completamente sparito, lasciando un piccolo alone viola all’orizzonte, mentre le prime stelle erano già spuntate, puntellando il cielo nero.
Ben presto sopra le fiamme si allungarono bocconcini di carne, infilzati in lunghi rametti, il tutto mentre le risate e le chiacchiere animavano quell’ultima serata della loro estate assieme.
Era vero, tornati a Parigi avevano ancora tutto il mese di luglio e quello di agosto per godersi il riposo, ma sicuramente non si sarebbero divertiti allo stesso modo che stando lì: sarebbe tornata la solita routine, i compiti estivi da fare, i piccoli problemi da eroi da risolvere. Per questo motivo avevano deciso di fare quel falò, quella sera, per godersi appieno l’ultimo vero giorno di vacanza.

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Capitolo 15
*** 29 Giugno ***


29 Giugno
 

«Allora ci vediamo domani a casa.» disse Adrien, rivolgendosi ai genitori che sarebbero rimasti a Chateau du Mesnil Geoffroy fino al giorno successivo, in modo da consegnare nuovamente l’enorme villa ai proprietari.
«Mi raccomando fai il bravo e non cataclismare la casa.» si raccomandò Monique con un sorriso abbracciandolo.
«Ma mamma, io sono un’angioletto. – fece lui con un ghigno divertito – E poi ci saranno Nathalie e nuovo piccolo arrivo, quindi non sarò solo.» aggiunse, raggiungendo gli altri sulla limousine e accomodandosi di fianco a Marinette.
«Puoi partire.» disse poi al gorilla che mise subito in moto, direzione Parigi.
«Fa quasi strano tornare a casa.» commentò Tian.
«Effettivamente… Mi manca l’odore della boulangerie di prima mattina.» disse Marinette, ripensando ai suoi genitori.
«Anche a me manca casa.» le fece eco il rosso, chiedendosi tra sé e sé come se la fosse cavata sua madre senza di lui.
«Sinceramente io sarei rimasta qui per il resto della mia vita. Qualsiasi cosa pur di stare lontano dai miei e dal loro perfezionismo. – brontolò Lila – A proposito dei miei, è possibile lasciarmi per prima? Altrimenti chi li sente.»
Il giovane modello rispose con un cenno di testa, per poi voltare un po’ il capo e rivolgersi nuovamente all’autista.
«Passa prima da Rue de Sablons.» ordinò.

 

Come richiesto dall’italiana, lei fu la prima a scendere dall’auto una volta arrivati alla capitale francese.
«Ci si vede al prossimo criminale.» scherzò uscendo dalla macchina, mentre il gorilla faceva la stessa cosa e prendeva la sua valigia dal bagagliaio, porgendogliela.
Stava per entrare nel portone, quando Nathaniel uscì dall’auto.
«Lila aspetta!» la chiamò.
Si voltò vedendolo accorciare le distanze tra di loro; le sue guance avevano assunto lo stesso colore dei suoi capelli e in mano stava tenendo stretto un foglio di carta.
«Volevo… Volevo darti questo…» disse porgendole il foglio.
Lo prese in mano e il cuore le sembrò si fosse fermato per qualche secondo. Disegnato a matita, con un tratto leggero e perfetto, vi era raffigurata lei, mentre leggeva nel giardino di Chateau du Mesnil Geoffroy. Era incredibile come quel semplice disegno, fatto in modo così perfetto, la facesse emozionare.
«Io…» non sapeva che dire, per la prima volta in vita sua, le parole le si erano bloccate in gola e quasi si stupì; com’era possibile che lei, romana doc e con la parlantina tipica proprio dei cittadini della capitale italiana, fosse rimasta senza parole?
Sorrise, allungando la mano verso i capelli rossi di lui e scostandoglieli dal viso, in modo che anche l’occhio sinistro fosse visibile.
«Grazie» disse poi, avvicinandosi a lui e lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia.
«Ci… ci vediamo?» domandò lui, arrossendo di nuovo a quel suo gesto e lei rispose con un cenno di testa.
«Ti mando un messaggio domani sera, così ci organizziamo. Magari possiamo tornare a Brioche Doree, ho proprio voglia di una louiselle.» continuò, poi si voltò di nuovo, stringendo al petto il disegno e aprì il portone di casa, mentre anche lui faceva dietrofront e si rinfilava nella lunga auto nera.
«E bravo il nostro pel di carota.» si complimentò Adrien facendogli l’occhiolino.

 

La seconda persona ad essere lasciata a casa fu Jinnifer. L’auto si fermò davanti al palazzo dove si trovava il suo appartamento e anche lei, come l’amica italiana, prese la valigia dal bagagliaio, aiutata sempre dal gorilla e dopo aver salutato nuovamente tutti, sparì dietro il protone.
Dopodiché toccò ad Angelie, ma a quella fermata scesero tutti, in modo da sgranchirsi le gambe un attimo e far sì che non scendesse nuovamente l’autista per aiutarla con la valigia.
«Ci vediamo Angelie.» disse Adrien tranquillamente, poggiandosi sulla limousine e mettendo una mano in tasca, mentre l’altra non si staccava dalle spalle di Marinette.
«Sicuramente tra qualche giorno tuo padre inizierà a organizzare i servizi per l’ultimo set della collezione estiva, perciò sì, ci vediamo.» rispose lei con un leggero sorriso.
«Beh, magari organizziamo qualcosa che non riguardi solo il lavoro.» disse Marinette sorridendole.
Lei rispose con un sorriso di rimando per poi salutare sia Nathaniel che Tian. Arrivata al cinese però, rimase ferma qualche secondo, mordendosi un po’ il labbro, proprio mentre lui le raccomandava di farsi sentire. Non ci pensò molto, semplicemente, prese il ragazzo dalla maglia di superman, che stava indossando, e lo attirò a sé, baciandolo.
«E fu così che la virilità di Tian sparì per sempre. – commentò Adrien, emettendo poi un verso di dolore, quando Marinette gli tirò una gomitata sullo sterno – Io te l’avevo detto che se non ti sbrigavi sarebbe stata lei a fare il primo passo.» proseguì, quando i due si staccarono.
«Adiòs chicos!» li salutò di nuovo lei, per poi entrare in casa.
Il gruppo, ormai sfoltito risalì a bordo, per poi proseguire con i rientri, lasciando prima Nathaniel e poi Tian.

 

Quando la macchina si fermò davanti alla boulagerie a Marinette sembrò quasi di essere stata assente da casa da mesi. Rimase in piedi, davanti all’entrata della panetteria, con gli occhi sognanti e le mani strette in petto.
«Il tuo bagaglio, my lady.» le disse Adrien alle sue spalle, facendola sussultare. Si voltò vedendo il biondo con un dolcissimo sorriso che teneva la sua valigia dalla maniglia del trolley e gliela stava porgendo.
«Grazie per questa vacanza, Adrien.» disse, prendendola. Lui sorrise, quasi divertito da quella spontaneità, nonostante la voce un po’ intimidita.
«Non devi ringraziare me, sono stati i miei genitori a…» si bloccò, quando vide lei scuotere la testa a destra e a sinistra in segno di negazione.
«È grazie a te che questa vacanza è stata speciale.» disse, spiegando quel suo gesto.
Il giovane modello rimase per un attimo interdetto da quella specie di dichiarazione, poi riprendendo il controllo di sé e riottenendo quella sua aria sicura e un po’ maliziosa, prese la ragazza dalla vita e l’avvicinò a se.
«Di nulla, principessa.» le sussurrò praticamente sulle sue labbra, per poi baciarla.
Lei lasciò la valigia, allungando le mani verso i suoi capelli dorati e stringendoli, presa dalla foga di quel bacio estivo. Era proprio vero, certi amori, così accesi, così appassionati, così veri, nascono solo d’estate.
 

Angolo dell'autrice:
E con il capitolo quindici, come promesso, finisce questa piccola e breve storia che allaccia (assieme alla one-shot "L'intervista") "Le couer de Paris", prima storia della trilogia principale, alla seconda, che ovviamente comincerà la settimana prossima.
Come al solito voglio ringraziare tutti quelli che l'hanno seguita, commentata, messa nelle preferita. Tutti coloro che si sono emozionati nel vedere queste coppie che nascono e per tutti coloro che sono dispiaciuti per Jinny, tranquilli, anche lei ha il suo amato Henrie e presto si vedrà anche lui, ve lo prometto.
Spero davvero che continuerete a seguire questa mia saga in ogni sua storia, perché ci sto mettendo davvero tutta l'anima e l'impegno a farla e ci tengo tantissimo.
A questo proposito volevo dirvi pure che, su Wattpad, sto facendo una raccolta di schede in cui metterò, sia personaggi che luoghi importanti per la saga, perciò se siete interessati vi consiglio di seguirmi anche lì, il mio nick è KiarettaScrittrice92.

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