Inchiostro

di Umhiri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ragazza dai capelli rossi ***
Capitolo 2: *** Rosso come... ***
Capitolo 3: *** Confronto diretto ***
Capitolo 4: *** Il prescelto ***
Capitolo 5: *** Il potere ***
Capitolo 6: *** Addio ***



Capitolo 1
*** La ragazza dai capelli rossi ***


A New York l'atmosfera era fin troppo quieta, e stranamente quella sera stava trascorrendo nei migliori dei modi, senza scocciature tra i piedi; di questo Raphael ne era sollevato. Così, non appena i quattro fratelli furono rientrati alla tana, egli andò subito in cucina, a dare una fogliolina di lattuga a Spike, la sua adorata tartarughina.

Un Raph calmo, appunto, dava il via all'inizio dei giochi: Michelangelo l'avrebbe riportato nel mondo dei vivi e comuni mortali?

Ci riuscì, infatti, ma un piccolo problema gli sfuggì completamente di mano, facendo infuriare così il fratello dalla maschera rossa.

«Ma sei impazzito?!» gridò il festoso, correndo sempre più velocemente.

«Pensa a correre, piuttosto!» rispose l'altro, inzuppato dalla testa ai piedi di maionese e foglioline di lattuga sparse per l'intero capo. Una gli copriva addirittura un occhio, facendolo sembrare quasi un losco pirata!

 

Leonardo scosse la testa e successivamente la girò. I suoi fratelli non sarebbero mai cambiati: ogni giorno la stessa routine, la stessa cantilena. E lui aveva il compito di proteggerli, come se fosse il loro angelo custode; sempre al loro fianco, invisibile e silenzioso.

In fondo era vero: Leonardo amava il silenzio. Qualche volta gli piaceva ascoltare il rumore delle goccioline che cadevano dalle tubature dei condotti; gli dava quasi la sensazione di vivere in una casa normale, magari in aperta campagna, dove è davvero molto raro sentire una sola goccia che raffiguri la pioggia. E questo lui sapeva essere solo frutto della sua immaginazione. Michelangelo non era il solo ad averne una. Fervida e surreale, a volte.

Sospirò, e premette l'alto tasto rosso del telecomando, che spense lo schermo della TV davanti a lui.

Poi, il Leader s'alzò dal gelido pavimento, che preferiva al divano, anche perché non gli sembrava molto corretto usufruire dei beni materiali. Già tanto che guardasse la TV era un evento storico; solo perché davano tutta l'intera settimana la sua serie preferita, “Eroi Spaziali”.

Leo adorava quella serie, si rivedeva molto nel Capitano Ryan, riguardando ogni volta le stesse puntate pur di imparare a memoria le battute di quel singolo personaggio, registrandole addirittura: «La mente non è nulla se il cuore è una macchina che non funziona...»

Quella puntata se la ricordava benissimo, e quella frase era ormai indelebile dentro la sua scatola cranica.

Cosa stava a dire?

Perché non riusciva a coglierne il significato?

Doveva scoprirlo, e subito.

Così andò a letto con un caos di pensieri per la testa, senza però una sola risposta che potesse affievolirli.

Il giorno dopo Leonardo s'alzò per ultimo, inusuale data la sua natura di mattiniero. Non l'aveva mai fatto.

Odiava, a dire il vero, alzarsi tardi la mattina; ogni volta sentiva il dovere di vegliare sul sonno ancora in agguato dei suoi fratelli. Ricordava persino l'ora esatta impiegata da ognuno ad uscire dalle braccia di Morfeo: dopo di lui, normalmente era Donatello a fare il suo ingresso in cucina, per la colazione. Successivamente Raph, e a chiudere le danze Michelangelo. E da quando April e suo padre si erano trasferiti da loro, April era la prima che entrava in cucina. Probabilmente il sonno le aveva giocato brutti scherzi, mescolandosi con l'ansia e non facendole così chiudere occhio. Ma quella volta era stato lui a non volerne sapere di dormire, perdendo, come se non bastasse, la cognizione del tempo.

Con gli occhi rossi e gonfi, Leo si sedette al suo posto, facendo comunque finta di niente; sentendo però gli occhi increduli dei suoi fratelli e di April puntati sulla sua persona. Preferì quindi cominciare a mangiare quel poco che gli spettava del suo pasto; aveva sempre delle piccole porzioni. Ma non per questo si lamentava. In fondo, era stato proprio lui a volerlo. E non pretendeva poi così tanto.

«Che dite se questa sera andiamo a cenare da Murakami-san?» Propose April, portandosi una tazza bianca contenente del latte sulle labbra, guardando di sottecchi il Leader che era intento a prendere da una piccola scodella indaco un chicco di riso, alimento che l'avrebbe sfamato anche a pranzo, se Mikey non avesse ordinato la pizza.

Ma Leo era dell'idea che, anche in quel caso, il riso avrebbe fatto al caso suo. Non aveva poi molto appetito, quel giorno.

Ci pensò bene, e poi fece cenno col capo verso il basso; dando così il suo consenso, «D'accordo».

Era da molto che non vedevano quella vecchia talpa di Murakami, e Leo continuava a chiedersi se stesse bene.

 

E quella sera, come accordato, April, Michelangelo, Raphael, Donatello e Leonardo si diressero in quella desolata stradina che portava al ristorante di Murakami.

Si fermarono, davanti a loro un vecchio distributore, il quale aveva l'utilità di prendere, per così dire, le “ordinazioni”, riportate su un pezzo rettangolare di legno che sarebbe poi passato nelle mani di Murakami, che col semplice l'utilizzo delle mani avrebbe capito al volo cosa loro volevano.

April prese i cinque rettangoli e ne distribuì uno a testa. Così ognuno ebbe la propria “ordinazione”.

«Non sapevo ci fosse un altro japan-bar in zona!» affermò Mikey, guardando di fronte, proprio dall'altra parte della strada.

«Non l'ho mai visto» ribatté April, «l'avranno sicuramente aperto da poco. D'altronde vi sono pochi locali e negozi in questa zona...»

Donatello annuì, ammaliato e soddisfatto dall'intelligenza che giorno dopo giorno April acquisiva.

«La prossima volta potremmo farci un salto...» propose Mikey, dimenticandosi però un fatto importante.

«Oh sì, certo! E poi proviamo anche a fare amicizia con il proprietario!» ironizzò Raph.

«Mi hai letto nel pensiero! Era proprio quello che intendevo!» esclamò il festoso, in preda all'eccitazione.

«Cosa ti viene in mente?! Quando imparerai che delle TARTARUGHE MUTANTI non stanno simpatiche alle persone?!» sbraitò il focoso, dandogli, senza alcun ritegno, un pugno in testa.

«Mi hai fatto male, bulletto...!»

Così, mentre quei due discutevano, e April e Donnie cercavano di calmare le acque; Leonardo continuava a fissare come ipnotizzato l'insegna massiccia dell'altro japan-bar, che aveva raffigurato sopra uno scarlatto drago rosso con delle sfumature dorate per la lunga e arricciata coda. Lo trovava a dir poco sublime.

«Allora Leo, ti muovi?» fece Raph «Non abbiamo mica tutto il giorno!»

Leonardo uscì dal suo stato di trance e di mala voglia spostò via lo sguardo, raggiungendo gli altri. «Scusate», disse.

 

«Era tutto squisito!» esclamò April.

«Complimenti, Murakami-san! Ottimo come sempre.» aggiunse Donnie.

Lodare Murakami era poco e niente, quell'uomo si meritava la luna stessa per quanto buono era; un uomo come pochi e raro nel suo genere.

«Arigatou April-chan, Donatello-kun. Sempre molto gentili.»

«Ma è la verità!» fece Michelangelo.

«Odio dare ragione a Mikey, ma stavolta son costretto: i tuoi piatti sono ineguagliabili!»

«Ti ringrazio Raphael-kun...»

«Hey!»

«... e Michelangelo-kun...»

Dopo quella frase Mikey assunse un'espressione sollevata.

E in quel preciso istante la porta del locale si aprì, cosa che non succedeva mai, specialmente di sera. Tutti entrarono nel panico, alzandosi velocemente. Quindi pronti ad un possibile attacco nemico.

«Mako-chan!» esclamò la vecchia talpa.

«Konbawa, Murakami-sama...»

«Ti serve per caso qualche ingrediente?»

«Hai! Shōyu o koete iru, Mama wa panikku ni na-tsu!» “Sì! E' finita la salsa di soia, Mamma è in preda al panico!” finì la figura appena entrata, parlando nella sua lingua madre, il Giapponese.

«Vedo se la dispensa è dalla nostra parte.»

«Arigatou gozaimasu.» e la figura, con eleganza e compostezza, s'inchinò.

Perché Murakami sembrava esser tranquillo?

La vecchia talpa, quindi, lasciò soli i cinque adolescenti con la nuova presenza, che non sembrava affatto essere turbata o sotto shock. Forse solo un “tantino” in imbarazzo. Ella infatti stava torturandosi le mani con agitazione.

Dopo due minuti buoni, Murakami ritornò, con un piccolo sorrisino in volto «Fortunata» fece «Era l'ultimo rimasto. Vorrà dire che dovrò riordinarlo in settimana.

«Ecco a te, Mako-chan» e porse il barattolino contenente la salsa alla ragazza.

«Arigatou Murakami-sama. … Buo-na serata...» e si inchinò, di nuovo, «Signori,» e questa volta si inchinò proprio verso Leo e gli altri, uscendo poi frettolosamente dal locale.

Tutti, ormai riseduti, erano rimasti increduli, non riuscendo a capire cosa fosse appena successo.

«Murakami-sama, non credi di doverci delle spiegazioni?» domandò Donnie, sbattendo le palpebre.

La vecchia talpa sospirò «Non avete notato niente di strano in quella ragazza?»

Calò il silenzio.

“... I capelli color del sangue...” pensò Leonardo.

«I capelli rossi? Ma quelli non sono mica strani!» notò Mikey.

“... Gli occhi lucenti come smeraldi...”

«Gli occhi verdi?» domandò Raph annoiato: anche lui possedeva gli occhi di quel colore. Ma quelli della ragazza dai capelli rossi erano molto differenti dai suoi.

“Verdi, e a mandorla...” pensò sempre Leonardo.

«Aveva gli occhi verdi, e a mandorla!» mentre il genio lo affermò invece ad alta voce.

«E allora?» fece Raphael, «Cosa c'è di strano?». Raph non si accorse di star usando un tono alquanto menefreghista, e rude.

«Murakami-san, ma tu... cioè, come fai a...» Donatello si fermò, non sapendo come continuare la frase in modo tale da non ferire il non vedente.

«Me l'avete appena detto voi, semplice» disse «Io ho solo domandato se c'era qualcosa che non andava in quella ragazza, e voi l'avete subito individuato.»

Era vero, i capelli, gli occhi e la loro forma erano le prime cose che si notavano in lei. «Sapete, Mako-chan è una persona molto timida...»

«... Nonostante questo, non sembra temerci...» aggiunse Donnie.

«Esatto, Donatello-kun. Neanche io ho ancora capito il perché.»

Non l'ha ancora capito? Questo sta a significare che non era la prima volta che li vedeva.

«Quindi ci ha già...» Michelangelo non riuscì a continuare la frase.

«Credo proprio di sì, Michelangelo-kun. Ma non so dove. Mako-chan me ne ha solo accennato...

«Mi ha detto di esserne rimasta affascinata. Nient'altro.

Per questo motivo non ha reagito come vi aspettavate, quando vi ha visto.»

«La domanda è: dove? Dove può averci visto? Di notte è difficile anche solo intravedere un palo della luce. Specialmente qui a New York...» esordì Donatello.

«Andiamo da lei e facciamocelo dire!» disse Raph, battendo un pugno sopra un palmo della mano.

«Non faremo niente di tutto ciò» sentenziò Leonardo. Serio.

Raph non ebbe nemmeno il tempo di replicare che Leo era già uscito fuori dal locale.

«Ma che ha?» domandò Mikey, sbattendo le palpebre.

Non aveva nemmeno salutato Murakami.

Leonardo inspirò e espirò l'aria lentamente, mentre i suoi occhi color del ghiaccio si andavano a posare ancora una volta su quel drago scarlatto e dorato.

Doveva assolutamente rivederla.

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Capitolo 2
*** Rosso come... ***


Leonardo non riusciva a chiudere occhio, il suo pensiero si andava a posare inevitabilmente sulla chioma rossa della ragazza che lui e i suoi fratelli, con April, avevano incontrato quella stessa sera.
Ah, il rosso. Che colore misterioso. Pieno di significato e meraviglioso con tutte quelle sue numerose sfaccettature.
Il rosso è il colore della passione, del dolore; del sangue, dell'amore...
Ormai quel colore l'aveva involontariamente affibbiato alla ragazza dagli occhi a mandorla verdi. Non riusciva nemmeno a parlare con suo fratello Raphael per questo, a causa della sua maschera rossa.
Leo non sapeva se si trattasse effettivamente d'amore, ma qualcosa in lui s'era oramai acceso, e continuava freneticamente a far rumore: come una macchina nuova di zecca appena comprata, senza però aver ancora letto le istruzioni per l'uso.
Ma sapeva di non avere nessuna chance con lei; infatti, quando suo fratello Donatello aveva confessato di avere una cotta per la loro amica umana April, lui era stato uno dei primi a pensare che non ce l'avrebbe mai fatta. E adesso, lui, non poteva pretendere niente di più, elevato a suo fratello: era una tartaruga, proprio come Donnie. Una tartaruga mutante.
Chi sarebbe mai uscito con una tartaruga mutante? Nessuno, appunto.
Leonardo quindi, pensò che l'unica soluzione sarebbe stata quella di togliersela definitivamente dalla testa, di dimenticarla. Ma niente da fare, risultava troppo difficile farlo anche per uno come Leo. Più i giorni passavano, più ci pensava, e più ci pensava e più non riusciva a smettere. Era diventata una vera e propria ossessione. Schiavo del rosso, di quel colore così intenso e sensuale.
 
Era appena finita la settimana, e il Sabato era alle porte. Leonardo quel giorno era uscito senza una vera meta precisa, come spesso suo fratello Raphael era solito fare.
Odiava paragonarsi a Raph, ma quell'uscita si stava rivelando molto più utile di quanto potesse immaginare.
Sopra uno sconosciuto tetto, la vista di New York, da quella prospettiva, era senza alcun dubbio da mozzare il fiato; e la luna, quasi in alto nel cielo blu e violaceo, non era da meno.
Leo sospirò, e chiuse gli occhi, cercando così di concentrarsi:
«Miruku o oboete iru!» “ricordati il latte!”, si sentì ad un tratto «Sōchō ni hiraki!» “dobbiamo aprire presto domattina!”
«Haaai, Mama! Ciao ciao!»
Quella voce l'aveva già sentita. Gli suonò molto familiare; poi s'illuminò: “la ragazza dai capelli rossi...” Leo guardò in basso e arrossì di colpo. Era più carina di quanto ricordasse: aveva raccolto quei suoi bellissimi capelli rossi in due deliziose crocchie, avvolte in due adorabili fiocchi bianchi.
Poi, Leonardo, fece una delle cose che si era ripromesso di non fare mai in tutta la sua vita: si mise a pedinarla.
Questo, lo faceva sentire “sporco”, quasi un “pervertito”, una figura da cui stare alla larga. Lui stesso pensava ciò. Anche se di “perverso” non c'era effettivamente nulla. Così, senza neanche pensarci poi tanto a lungo; facendo solo come gli suggeriva quel buontempone del suo istinto.
 
La ragazza dai capelli rossi si girò, e Leonardo, che stava camminando dietro di lei, silenziosamente; dovette muoversi altrettanto velocemente, nascondendosi dietro uno stretto e ruvido muretto.
«Kimyōna,» “strano”, proferì «sarekaga watashi o supai suru yōda.» “sembra che qualcuno mi spii”, aggiunse, e poi continuò per la sua strada.
Leonardo sospirò. Ma non per questo demorse.
 
«Come si dice... ehm... lei è un latte...?» domandò ad un commesso, la ragazza; il quale scoppiò in una grande e fragorosa risata.
«No, mi spiace piccola, sono un uomo in carne ed ossa. Ma tranquilla, ti perdono solo perché sei carina!»
Lei sbatté le palpebre e arrossì, solo perché aveva sentito la parola “carina”, e subito dopo il commesso le porse una scatola di latte «Fanno due dollari a trenta centesimi, dolcezza». La ragazza pagò e fece per uscire dal negozio, ma fu richiamata dalla fastidiosa voce del commesso, che le porse anche un foglietto di carta a quadretti, «chiamami», fece quello, formando con le dita di una mano la cornetta del telefono, e sorridendo beffardo.
Mako, la ragazza dai capelli rossi, non capì un'acca di quello che quel tizio le stava dicendo. Non aveva mai preso lezioni di inglese. Sì, sapeva qualche parolina. Ma niente di più. Ella era totalmente ignorante in materia.
 
Leonardo che aveva assistito tutta la scena dall'alto di un edificio, stava quasi per far uscire del fumo da fuori le sue orecchie; e il suo istinto continuava a ripetergli: “vai lì a pestalo” oppure “fagli sputare sangue a quello stronzo”. Ma la sua mente in quel memento, sembrava aver preso la meglio su di lui; facendogli prendere un grande, salutare e pieno respiro.
 
La ragazza dai capelli rossi era ormai rientrata da un bel po', e Leonardo non faceva altro che tenere lo sguardo puntato sull'insegna ch'aveva sopra raffigurato quel drago scarlatto con sfumature dorate.
Tossì più volte, cercando un modo che potesse sembrava consono e adatto per presentarsi «Hey...» disse, con un vocione; che no, non era per niente adatto.
Arrossì, diede un altro colpetto di tosse e riprovò, avvicinandosi ancor di più alla porta del locale «Hey ciao, io sono Leonardo. È da molto che ti osservo e mi chiedevo se ti piacerebbe...» si bloccò ancora, non riuscendo proprio a far uscire le parole come voleva.
“È da molto che ti osservo? Ma che razza di frase è?” Leonardo si diede ancora una volta del deviato, deglutendo anche. Aveva la gola secca.
Poi si prese coraggio, e bussò: pronto alla fuga se la persona ad aprire non fosse stata la ragazza dai capelli rossi.
Le mani gli sudavano e tremavano allo stesso tempo. In un attimo Leo realizzò effettivamente quello che stava facendo, ma era consapevole di non poter più tornare indietro.
Ad un tratto, ecco: la porta si aprì e due occhi color smeraldo si andarono a posare sul ghiaccio che dava colore ai propri. Leo aprì bocca, ma non riuscì a dir nulla; la ragazza dai capelli rossi gli aveva chiuso la porta in faccia. Comprensibile, certo. Ma faceva male.
Eh sì, “il cuore è davvero un muscolo delicato”.
Come poteva Michelangelo aver partorito una frase così profonda?
“Non posso biasimarla. Si sarà sicuramente disgustata, nel veder...” poi ricordò: Murakami-san aveva detto che la ragazza dai capelli rossi aveva già visto loro, che aveva già visto le tartarughe.
Allora perché...?
Adesso doveva scoprirlo. O la va', o la spacca, come si usa dire.
Leonardo quindi, pensò bene di andare a vedere se l'entrata sul retro fosse aperta.
Bingo! La fortuna stava dalla sua parte, quel giorno. Leo, allora, non se lo fece ripetere mica due volte: egli entrò in un batter d'occhio, ritrovandosi, a quanto pareva, nella cucina del ristorante. Tutta interamente allestita in acciaio, con delle piastrelle color vermiglio alle pareti.
A primo impatto, quella stanza gli parve vuota: non si accorse subito che seduta sul pavimento, in un angolino, vi fosse la ragazza dai capelli rossi. Con il viso affondato sulle ginocchia, e le gambe che ancora tremavano.
I capelli, oramai scompigliati, andavano dove volevano loro, coprendole addirittura le orecchie, rosse, come i medesimi capelli. E il sangue stava bollendole per tutto il corpo. Ella non sapeva infatti cosa fare. Si sentiva in colpa per come si era comportata con quel “ragazzo” qualche attimo prima. Chissà cosa avrà pensato di lei in quel momento...
Ma non poteva farci niente. Era fin troppo timida, lei. E l'imbarazzo aveva preso, come sempre, il sopravvento. Ma c'era un altro motivo per cui ella si era comportata in quel modo...
 
Finalmente Leo la vide e in quel momento non poté fare a meno di ammirarla per qualche secondo, ricomponendosi, però, subito dopo «Ehm-ehm...» tossì, quindi, portandosi una mano dietro il guscio «Ciao».
Mako alzò piano la testa, e, con voce fievole, e anche un po' sorpresa, disse «Ciao...»

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Capitolo 3
*** Confronto diretto ***


Leonardo non sapeva che pesci prendere, era come entrato in un bivio, e cercava ostinatamente una via d'uscita (o di fuga); cosa fare, quindi? Lei era lì, davanti a lui, a pochi passi. Così vicina, ma anche così lontana.

Voleva dirle qualcos'altro oltre quel “ciao”, ma tutte le parole che voleva confessarle in quel momento, sembrava stessero facendo una crociata contro di lui.

E la ragazza dai capelli rossi non aiutava per niente: semplicemente lo guardava, con le guance accese del medesimo colore dei suoi capelli, e un'espressione interrogativa. Ella sembrava confusa.

Leonardo ebbe allora un attacco di panico, e di scatto si girò verso la parte opposta. Si sentiva un verme, e i suoi sani principi non volevano collaborare. Quanto meno l'orgoglio «Scusa», gli uscì di bocca, come una folata di vento; e, come essa, Leonardo sparì in fretta da dove aveva fatto la sua comparsa, mentre la ragazza dai capelli rossi inclinava il capo di lato e apriva leggermente le labbra.

 

Non appena fu alla tana, Leonardo si diresse subito nel Dojo, non calcolando nessuno e non dando nemmeno spiegazioni. Non voleva essere disturbato in alcun modo.

Splinter fu il primo a notare che qualcosa stava andando storto: conosceva i suoi figli come il palmo delle sue mani. E non poteva nascondere nemmeno a se stesso di essere davvero preoccupato per Leonardo.

Il topo entrò nel Dojo, avanzando ad ogni ticchettio che il suo bastone emetteva prima dei suoi passi. Leonardo in quel momento, strizzò le palpebre e si morse il labbro inferiore. Forse quello non era proprio il momento adatto per dedicarsi alla meditazione.

«Cosa ti turba, figlio mio?» chiese fievole il padre, poggiandogli una mano sulla spalla sinistra.

Leonardo tacque, aprì soltanto gli occhi e girò il capo verso il genitore.

«Come preferisci» annuì Splinter, accondiscendente. Non voleva poi insistere più di tanto, non lo faceva mai. Preferiva che fossero i suoi figli a confidarsi o semplicemente parlare con lui, non viceversa. Egli, quindi, si limitò a dare a Leo una leggera pacca sulla spalla. Uscendo infine dal Dojo.

Il Leader sospirò. Sperava con tutto se stesso di non star facendo preoccupare il padre per questa sua fissazione. In fondo, su molti aspetti era una cosa egoistica.

Perché? Perché la ragazza dai capelli rossi era diventata il suo pensiero fisso, e non riusciva a liberarsene. E NON voleva liberarsene, nemmeno se a chiederlo fosse stato suo padre.

 

Passarono tre settimane, due giorni e cinque mesi, e i quattro fratelli erano intenti ad allenarsi:

«Leo, si può sapere che diavolo ti prende?!» sbottò Raphael, lanciando al fratello dalla maschera blu uno dei suoi pugnali Sai.

Leonardo, che stava a testa china, allungò solamente un braccio verso l'alto, per bloccare poi le punte dell'arma con l'indice e il medio; alzando solo allora la testa.

«Lasciami stare» sbuffò il Leader, lanciando di rimando il pugnale, che velocemente, andò a conficcarsi sul muro dietro al proprietario.

Raphael guardò con la coda degli occhi l'arma e quando fece per riposarli sul fratello, egli era già sparito.

Donnie e Mikey sembravano più confusi di quanto il fratello Focoso potesse apparire...

 

-

 

«Capitano Ryan, lei amava quella donna?» la luce della TV illuminava l'intera stanza buia, in cui, Leonardo, s'era bloccato a guardare la sua serie preferita: “Eroi Spaziali”.

«Sì» si sentì, e il Capitano Ryan coprì il suo viso con una mano.

«Non faccia così, Capitano...»

«Non preoccuparti, Cadetto. Purtroppo niente può colmare il vuoto che m'affligge adesso...» Ryan sussurrò.

«Lei non tornerà, Capitano. Mi dispiace, ma non tornerà più.

Mai più»

Alla fine dell'episodio, Leo spense la TV e poggiò il telecomando accanto a sé, sul pavimento. Mettendosi a pensare.

Non voleva finire come il Capitano Ryan, il quale non era riuscito a salvare la propria amata da morte certa, e a confessarsi a lei; sentendosi alla fine vuoto dentro.

Vuoto come una botte senza vino, vuoto come un attore senza palcoscenico, e vuoto come il cielo senza stelle.

Leo doveva agire, o sicuramente l'avrebbe persa per sempre; anche se, la ragazza dai capelli rossi, tecnicamente, per lui rimaneva ancora una sconosciuta!

 

Quella stessa sera Leonardo si fermò nel solito punto, nascosto sempre sopra il tetto del ristorante di Murakami, che dava faccia a quello dall'insegna col dragone rosso e dorato. Ma non sentiva niente.

Di solito, quel posto era sempre pieno di persone, ed era davvero facile poter sentire quello che succedeva all'interno; anche con la porta chiusa. Specialmente per Leonardo che era un Ninja, e perché si sa, i Ninja hanno l'udito allenato, quindi fine e scaltro.

Ma in quel momento anche l'udito sembrava non volerlo aiutare.

All'improvviso, il Leader intravide sulla porta del ristorante un cartello rosso a scritte dorate, che sventolava sulla maniglia a causa del vento che soffiava forte.

Leo saltò giù e andò a vedere.

«Chiuso per ferie» sussurrò, leggendolo. E gli parve molto strano, ma al momento non sapeva bene “cosa”. Ciò lo faceva impazzire, e sentiva che prima o poi sarebbe scoppiato, da un momento o dall'altro.

Nonostante ciò rimase apparentemente calmo, girandosi e incamminandosi verso il ristorante di Murakami.

«Oh! Leonardo-kun! Qual buon vento ti porta da queste parti?» fece la vecchia talpa, sentendo la porta aprirsi con lentezza e riconoscendo i passi dell'interlocutore.

Leo si sedette al bancone, su una di quelle sedie rosse e girevoli, che Murakami teneva nel suo locale «Buona sera, Murakami-san» disse Leo con un tono di voce quasi strozzato, come se un nodo in gola non gli permettesse di respirare.

«Vuoi per caso ordinare?» chiese allora l'uomo, sereno; e a quella domanda Leo deglutì. Segno che stava ad intendere che il Leader non voleva ordinare nulla.

Egli aveva solo domande.

«N... non ti mentirò Murakami-san» cominciò Leonardo, anche se un po' titubante «Ho bisogno che qualcuno ponga fine alle mie domande. E sono sicuro che tu hai sicuramente delle risposte» invece mentiva. Murakami non avrebbe svelato tutte la certe in tavola, ne era certo.

Murakami, che si era messo ad asciugare un bicchiere di cera, poggiò esso sul bancone insieme ad una pezza grigiastra, e prestando così maggior attenzione alla tartaruga dalla maschera blu. Ed oltretutto, l'uomo sembrava preoccupato.

Leonardo sospirò «Cos'è successo al nuovo locale qui di fronte?» forse era stato troppo diretto; infatti se ne pentì subito.

Murakami sembrò pensarci su, ma non tardò molto a rispondergli «Sembra che la figlia del proprietario stia male. Tre mesi fa l'hanno ricoverata d'urgenza. Credo all'ospedale qui vicino.

Sembra si tratti di leucemia...

«Povera ragazza, ormai mi ero affezionato. Peccato che non ricordi mai quale sia il suo vero nome. E sono fermamente sicuro che non sia Mako!»

A Leonardo caddero quasi le braccia a sentire quello che era accaduto. La ragazza dai capelli rossi poteva anche...

No, non voleva crederci! Magari Murakami stava mentendo, magari quella era solo una sporca bugia!

… Ma cosa stava diventando? Tutto per una ragazza...

Murakami sentì lo spostarsi della sedia su cui era seduto Leonardo.

Andava già via?

«Scusa il disturbo Murakami-san» disse Leo, facendo per andarsene.

«Buona fortuna» fece la vecchia talpa, sorridendo leggermente.

Aveva capito! Murakami aveva capito la sua stramba cotta per la ragazza dai capelli rossi!

In quel momento Leonardo allargò un lieve sorriso «Grazie...»

-

 

Quando Leonardo entrò nell'unico ospedale vicino la zona, non era poi molto sicuro che la ragazza dai capelli rossi si trovasse lì dentro.

Era notte fonda, e fortunatamente per lui sembrava non esserci anima viva; così, diede un ultimo sguardo ad una finestra che probabilmente era stata dimenticata aperta.

Poi si guardò intorno: doveva sicuramente essere finito nel reparto pediatrico. E se la vista non lo stava tradendo, in dei modesti lettini, due piccole creature di sesso femminile dovevano star profondamente dormendo di un sonno profondo.

Leonardo s'addolcì per un attimo a quella vista, ma sembrò riprendersi subito.

Così, furtivamente, la tartaruga dalla maschera blu s'addentrò ancor di più nei meandri di quell'ospedale. Alla ricerca del reparto giusto.

«Accidenti...» sussurrò «Di questo passo non la troverò mai...»

Ad un certo punto, però, sentì una voce; sembrava riconoscerla. Così corse a perdifiato, fino ad arrivare dove aveva sentito il tutto. Anche lì la finestra aperta, con le tende tinte d'indaco che sventolavano al contempo col furfante vento.

Sembrava esserci stato qualcun altro prima di lui in quella stanza. Leonardo quindi s'avvicinò alla finestra e guardò di sotto. Il tipo doveva essere un corridore nato, dato che Leonardo risultò più confuso di prima.

Il Leader fece infine per andarsene, ma qualcosa, o meglio “qualcuno”, catturò la sua attenzione. Era la ragazza dai capelli rossi! Ma...

Leonardo si bloccò nuovamente, perfettamente identico alla prima volta, col l'impulso irrefrenabile di voler scappar via; ma qualcosa sembrò fermarlo: una voce sottile e bassa, dal timbro bambinesco; che lo fece sobbalzare in un batter d'occhio.

«Non ti stanchi mai?» disse lei, “la ragazza dai capelli rossi”, con gli occhi chiusi per la stanchezza. La sua testa era coperta da un cappellino di lana rosso, che le nascondeva addirittura le orecchie.

Leonardo la osservò, e poi iniziò a ridacchiare. Visibilmente nervoso.

“I suoi bellissimi capelli...” pensò.

«Come puoi ben vedere, il mio stato non è dei migliori» la ragazza sembrò esser diventata più sarcastica e meno timida, questo Leonardo lo notò subito.

«Non dovresti autocommiserarti» intervenne lui, arrossendo solo per il semplice fatto di star parlando con la ragazza che gli aveva rubato il cuore, nel suo inevitabile colpo di fulmine.

«Sto morendo» rispose «perché mai non dovrei farlo? Solo Dio può darmi una mano adesso»

Dio. Tre lettere. Proprio come il diminutivo del suo nome.

Ciò gli suonava come un'inevitabile richiesta d'aiuto, e lui non avrebbe negato l'aiuto di nessuno: specialmente della ragazza “dai capelli rossi”. Anche se in quel momento ne era priva.

«Continuo a ripetere che non dovresti farlo. Sei giovane, dovresti goderti la tua adolescenza, invece di star qui a pensare che non arriverai a domani!»

«Allora perché sprechi la tua standomi appresso?»

Dopo la frase della ragazza calò il silenzio per un bel po' di secondi, poi Leo rispose: «Potrà sembrarti strano, ma io odio vedere la gente soffrire. Davvero non lo sopporto»

«Questo non c'entra con la doman-»

«Fammi finire! Per favore...

«Tuttavia non ho fatto effettivamente niente per nessuno... Voglio dire: che non fosse la mia famiglia» “o le persone del quartiere” pensò «Per questo sento il dovere di aiutarti, a qualsiasi costo».

La ragazza si zittì. Non sapeva cosa dire...

«Accetterai mai questo mio aiuto?» terminò il Leader.

La “ragazza dai capelli rossi” sospirò rassegnata, e anche un po' imbarazzata. Stava a dire che il suo essere timida non se n'era andato del tutto, fortunatamente «E come avresti intenzione di aiutarmi?»

«Lascia fare a me» affermò solamente, affrettandosi a raggiungere la finestra aperta «Tornerò domani a questa stessa ora» e poi fece per sporgersi dalla finestra.

«Aspetta!» esclamò la ragazza, che fece girare il capo di Leonardo di scatto «Qual è il tuo nome?»

«Leonardo. Ma puoi anche chiamarmi Leo» Leonardo realizzò di non sapere nemmeno il nome della ragazza di cui era innamorato.

«Il mio è Nozomi. Ma puoi anche chiamarmi Nozo» lei ridacchiò.

 

Quella fu una giornata che Leonardo non avrebbe mai dimenticato.

«Nozo...» ripeteva la tartaruga, mentre saltava di tetto in tetto per tornare alla tana «Nozo mi ha parlato! Mi ha parlato!»

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Capitolo 4
*** Il prescelto ***


Appena arrivato alla tana, Leonardo corse subito ad avvertire suo fratello Donatello della situazione; il quale lo ascoltò senza battere ciglio: allo stesso tempo attento e curioso di quello che il fratello dalla maschera blu stava per dirgli.

«Sai che è una cosa pericolosa, vero?» domandò il genio, andando avanti e indietro per il garage, evidentemente sovrappensiero; e piuttosto sorpreso anche dalla richiesta di Leo; che era andanto oltre i suoi sani principi pur di fargliela.
Leonardo comunque possedeva ancora dentro di sé un codice d'onore, e non poteva non tener fede alla promessa fatta a Nozomi.
Perché Nozomi è rosso. Nozomi è vita, la sua. E mai nessuno doveva osare cancellare quel colore: Leo non l'avrebbe mai permesso «Lo so», rispose lui, con voce roca, quasi gli mancasse «Ma per favore Donnie, nessun altro oltre te deve saperlo, per adesso» poi spostò lo sguardo verso sinistra «Non è ancora il momento, capisci?»
Donatello sospirò, fermandosi: era vero, lui era l'unico dei quattro fratelli in grado di poter supportare un'operazione come quella; difficile e su certi versi quasi impossibile da eseguire: ma con l'aiuto della scienza lui poteva anche provar a far qualcosa «D'accordo, ti aiuterò. Ma non ti garantisco nulla» Donnie si portò le mani dietro la schiena, e si girò «Le probabilità di riuscita sono pari al quaranta virgola due percento. Un risultato non molto elevato, oserei dire»
Leonardo espirò e inspirò velocemente, cercando di mantenere la calma «Sono nelle tue mani, fratello»
Dopo quella frase, Donatello non poté far altro che accettare. Quando Leonardo usava quelle otto lettere, stava a significare che qualcosa di importante vi era di sicuro.
E aveva capito benissimo, lui: Leonardo era innamorato...
«Non c'è un altro motivo del perché mi hai raccontato tutto ciò, Leo?» Donnie fece una piccola pausa «la ragazza dai capelli rossi, ad esempio?»
Il Leader fu preso completamente alla sprovvista. Non sapeva e non riusciva a rispondere a quella domanda, oltre a non volerlo fare.
Si sentiva in imbarazzo «No, non ce n'è» e sapeva di star mentendo: le verità era che Donatello ci era passato; e ancora adesso egli era innamorato della loro amica April. Quindi, poteva perfettamente capirlo più di chiunque altro. Gli sembrava semplicemente la persona più indicata, la più adatta. E di questa sua decisione Leo non s'era pentito affatto.
Ci fu un lungo e imbarazzante silenzio, ma finalmente il Leader si decise ad aprire bocca «Grazie, Donnie»
E Donatello sorrise, mettendo poi ben in evidenza il suo unico dente mancante al centro della bocca.
Leonardo gli voleva un bene dell'anima. A tutti i suoi fratelli ne voleva.
«Non c'è bisogno che mi ringrazi, fratellone»
Già, lui era il più grande. Colui che aveva il compito di salvaguardare i suoi fratelli, la sua famiglia; compreso suo padre.


Il giorno dopo Leonardo di diresse, come stabilito con Nozo la sera prima, all'ospedale dove ospitava quest'ultima. E non appena Leo entrò di soppiatto nella stanza della ragazza, trovò ella con gli occhi socchiusi e la bocca semiaperta. E certamente non stava schiacciando un pisolino ristoratore. Lo poteva chiaramente intuire dai due smeraldi verdi che avevano smesso di illuminare gli occhi di lei. Per non parlare delle guance: le quali avevano perso ogni colorito. Lasciando la pelle completamente bianca.
Leonardo indietreggiò, e quasi non inciampò su uno sgabello vicino al letto; dato che si era avvicinato per osservarla meglio. Scioccato, a dir poco scioccato.
Lo sgabello infine fece un sonoro tonfo, cadendo inesorabilmente sul pavimento.
Qualcuno lo aveva sentito; e infatti, avvertiva dei passi avvicinarsi a quella stanza. Man mano sempre più velocemente.
Ma in un batter d'occhio, la tartaruga sparì dalla finestra, senza lasciar traccia.
Non poteva crederci. Non aveva mantenuto fede alla promessa...
Lei era... era...
No, non voleva nemmeno pensarci. Soltanto il giorno prima aveva instaurato una vera e propria conversazione con la ragazza dai capelli rossi. E invece, in quel momento, lei aveva lasciato il mondo dei vivi per sempre.
Tutta colpa di quella maledetta malattia: tutta colpa di quella stramaledettissima leucemia.
Tutta colpa del bianco, che, simile a un bianchetto aveva cancellato ogni traccia di quel rosso che tanto amava. Divorandolo con egoismo. Prosciugando senza ritegno l'anima che risiedeva dentro la ragazza dai capelli rossi.
E Leo, ancora sperava, che si trattasse tutto di un orrendo e interminabile incubo.
Ma evidentemente non lo era affatto.


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Erano passati tre anni dall'ultima volta che Leonardo aveva fatto quella capatina all'ospedale; e i quattro fratelli non erano solo cresciuti fisicamente, ma avevano appreso cose che durante i loro diciassette anni non erano riusciti ad afferrare completamente. Tuttavia, anche se cresciuti, avevano ancora molta strada da percorrere.
Raphael era diventato, incredibile ma vero, più calmo; e circa dodici ore al giorno sedeva al Dojo su uno dei cuscini a disposizione, e si immergeva completamente nella meditazione.
Che gli faceva senz'altro bene: come una medicina curativa. Pensi che non ci sia speranza e per un po' di tempo lasci perdere; ma alla fine va tutto a degenerare. E lì ti accorgi di dover andare a prendere dei seri provvedimenti.
Aveva calmato i bollenti spiriti, certo, ma non li aveva spenti del tutto.
Infatti qualche scatto d'ira lo aveva eccome.


Donatello? Sempre lo stesso Donatello. Ma con molta più esperienza nel campo scientifico.
Lui se lo ripeteva sempre: se fosse stato umano si sarebbe sicuramente laureato in medicina; senza ombra di dubbio.
Egli adorava la medicina. Lo affascinava. Come anche la fisica e la chimica; dove non aveva eguali, dove nessuno era mai riuscito a batterlo.



Leonardo invece, anche dopo due lunghi anni, non era ancora riuscito a rimuovere dalla mente la ragazza dai capelli rossi.
E Donatello l'aveva aiutato molto; come anche Mikey e Raph. Loro, infatti, una volta saputo quanto successo, dallo stesso Leonardo, non si erano certo tirati indietro. E lo avevano aiutato a superare quel lungo trauma, che ancora, segretamente, lo tormentava.
Sì, perché non era per niente guarito.
Il Leader la vedeva ovunque; neanche fosse uno spirito a cui avesse fatto un torto, nei suoi sogni o incubi che fossero: nemmeno Leo sapeva bene come definirli. Fatto stava che non riusciva ancora a liberarsene.
Ma stavolta lui doveva tacere, per il bene suo e della sua famiglia; doveva far finta di esser guarito del tutto.


Michelangelo. Beh, che dire: divenne una grande soddisfazione per il Maestro Splinter. Egli era cresciuto molto mentalmente, anche se caratterialmente rimaneva sempre lo stesso Mikey; solo un po', quel po' che bastava per renderlo una persona completamente differente da quella che era stato in passato.
Non più invadente, certo, ma pur sempre Michelangelo.
Lo stesso Mikey che si barricava in camera a leggere i fumetti sui supereroi, alcuni rubati addirittura dal fratello maggiore Leonardo; senza ricordarsi nemmeno di metterli al loro posto.
Poi Leo se ne accorgeva e lui doveva mettere il turbo: correre e trovare un posto sicuro nel quale nascondersi.
Era diventato più responsabile, più ubbidiente, più attento, scaltro; e se n'era accorto quella sera mentre si allenava con suo fratello Leonardo sui kata.
Il suo respiro risultava più tranquillo e rilassato, la sua concentrazione era totalmente rivolta in un punto fisso disegnato nella sua mente. E sentiva le vibrazioni del suo corpo danzare armoniosamente e contemporaneamente con l'udito.
Quella volta, aveva messo facilmente al tappeto Leonardo, cosa mai successa in tutta la sua intera esistenza: solo perché era stato maggiormente più attento alle spiegazioni del Maestro rispetto alle altre volte.
Si sentiva una persona nuova, completamente diversa; anche se con lo stesso senso dell'umorismo.
E, guardandosi allo specchio, aveva notato quel piccolo particolare che lo differenziava dagli altri suoi fratelli. E più lo guardava, e più lo disgustava: e si chiedeva come aveva fatto ad indossare per tutti quegli anni quella maschera. Le code di essa erano veramente corte, e gli davano quell'aria infantile che egli iniziava a sopportare sempre meno.
Così, un giorno, prese la decisione di cambiarla. E magia fu: in batter d'occhio indossava una nuova maschera arancione dalle code lunghe, e finalmente sentiva essa sfiorargli le spalle. Una sensazione fantastica.
Mai nella vita si era sentito così vivo come in quel momento.



Dicembre era alle porte, e il freddo cominciava a far sentire la sua inevitabile presenza. I quattro fratelli erano usciti a fare un'esercitazione attraverso i grandi condotti delle fogne.
Raphael stava ad occhi chiusi, mentre le mani affusolate tenevano saldamente i suoi due pugnali, con calma. Cercando di domare l'istinto che stava solamente dandogli brutti consigli.
E ci stava anche riuscendo.
“sinistra”, egli sentì una figura muoversi in quella direzione.
“destra”, la figura aveva cambiato ancora una volta strada.
“Lo sento di nuovo. Stavolta è talmente vicino da poter facilmente individuare la sua prossima mossa” Raphael rise fievole “che illuso” e in quel momento i suoi sai bloccarono, anzi, incastrarono attraverso un loro spiraglio libero, la lama tagliente della katana del Leader dei quattro fratelli, Leonardo.
«Ti stai un po' rammollendo ultimamente, fratellone» Raph sogghignò.
«Sta zitto e combatti!» esclamò Leo «Non cantar vittoria così facilmente», successivamente, avanzò di un passo e avvicinò il volto alla lama della propria katana, sorridendo beffardamente, marcando bene un'unica parola che avrebbe sicuramente snervato il fratello dalla maschera rossa: dopotutto, non era ancora cambiato del tutto «”fratellino”»
Raphael cambiò espressione, e si mosse velocemente per schivare la fendente lama della katana che si era ormai liberata dalla stretta morsa dei suoi sai.
Per bloccare il colpo ancora un'altra volta.
E ancora.
E ancora.


Alla fine, vittorioso, Leonardo ebbe la meglio su Raphael «Non temere, Raph» iniziò il Leader «Ti andrà meglio la prossima volta» egli ridacchiò, e poi s'avvicino al fratello dalla maschera rossa, chinandosi verso di lui e porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
Raph la fissò per un attimo, poi roteò lo sguardo e sbuffò: tutta scena! Non appena il Leader corrugò la fronte, il Focoso scoppiò a ridere, prendendo a volo quella mano che il fratello dalla maschera blu gli aveva teso «la prossima volta ti farò mangiare la polvere!»
Leonardo sorrise, poi si guardò intorno: «Ma dove sono finiti Donnie e Mikey?»
Raphael lo guardò, poi fece spallucce «Non ne ho idea»




Michelangelo e Donatello avevano finito già da un pezzo di allenarsi: aveva vinto Donnie lo scontro, ma solamente perché Michelangelo sembrava pensare a tutt'altro invece che alla lotta.
Che il vecchio Mikey stesse per prendere il controllo della situazione?
No, non era così:
«Sei sicuro di stare bene?» disse il genio, seguendo a ruota il fratello dalla maschera arancione, che ad un certo punto, a combattimento terminato, si era affrettato a percorrere una direzione completamente diversa da quella per rientrare alla tana.
«Mai stato meglio, Donnie» disse lui «Ho sentito delle vibrazioni provenire verso questa parte» e scuotendo il capo continuava a ripetere «non sono matto, non sono matto»
«Magari è il brutto tempo che fa brutti scherzi: stanotte, infatti, è anche previsto un temporale!» commentò Donatello, cercando di trovare una supposizione logica a quegli strani eventi.
«Vedo qualcosa lì!» additò infine la tartaruga dalla maschera arancione: una forma rettangolare, ben definita, e infondo al condotto.


-


«Cosa ci faceva una scatola di legno all'interno di una fogna?» domandò sarcasticamente Raphael «e ve lo chiedete anche? Dovreste saperlo che qui passa di tutto: pesci rossi morti scaricati dal cesso, bambole senza testa, macchinine senza ruote...» e, del tutto indifferente della faccenda, aggiunse «Non è che sia una novità, insomma»
«Forse non hai visto bene cosa abbiamo tra le mani» ribatté Donnie, «i simboli che vi sono riportati sopra sembrano massonici» . Poi ci pensò su, con una mano sotto al mento, «è molto, molto strano»
I tre fratelli tacquero.
«Ebbene sì» concluse Donatello «Credo proprio si tratti di massoneria»
In quel momento, Raphael s'alzò di scatto dal divano e alzò le braccia in aria «Tutte cazzate!»
«Guarda che non dovresti prenderla così alla leggera!» rispose il genio, ma il fratello focoso era già andato via.
«Calmo quanto vuoi, ma non cambierà mai» affermò Leonardo.
Donnie annuì.
Mikey intanto continuava a guardare quella scatola di legno con interesse, chiedendosi il perché riusciva a sentirne le vibrazioni soltanto lui.
Donatello l'avrebbe esaminata il giorno dopo, e Michelangelo s'era fatto prendere dalla curiosità; tuttavia non aveva intenzione di sfiorarla in nessun modo.


-


Quella notte Michelangelo non riusciva a chiudere occhio, e s'era alzato dal letto piuttosto di fretta. Gli era venuto l'impulso irrefrenabile di correre al bagno; che durò solamente dopo aver sorpassato la cucina. Egli infatti tornò indietro: qualcosa aveva preso totalmente la sua attenzione.
Si trattava di una strana forza, simile ad una calamita; che aveva costretto il festoso ad avvicinarsi davanti al tavolo della cucina, con gli occhi puntati su quella strana scatola di legno dal simbolo triangolare.
La scatola emanava una strana energia violetta, che fece ancor più incuriosire Mikey, oltre ad incutergli un po' di timore.
Così l'aprì.
Al suo interno un semplice foglietto di carta. Michelangelo sospirò e poi sbuffò subito dopo; sollevato sì, certo: ma non c'era nient'altro?
Tutto lì?
Gli sembrava alquanto strano; così aprì il foglietto, giallognolo e impolverato. Ciò dava prova della sua vecchiaia: doveva esistere da molti anni, se non forse secoli.
Vi erano scritti degli strani simboli; che per qualche ragione misteriosa Michelangelo riusciva a decifrare perfettamente.
Corrugò la fronte.
«”se stai riuscendo a leggere questo messaggio, non spaventarti: sta solo a significare che sei il prescelto. Congratulazioni!» Mikey deglutì. Prescelto “di cosa”? «Adesso sei pronto per la seconda fase?”» Michelangelo rise con nervosismo «No, non direi.
« “Per portare a termine l'atto, dovrai solo poggiare questa lettera vicino al cuore e ripetere per tre volte “la nascita”! Quanto sei fortunato, prescelto!”»
Michelangelo restò immobile per un secondo; poi si prese coraggio, e poggiò il foglio aperto sul petto, “non ci credo”, pensava, “non ci credo affatto” «La nascita...» non ci credeva ma la paura aumentava, «La nascita...» creandogli un nodo in gola, «La nascita!» e facendogli strizzare gli occhi e serrare i denti più forte che poteva. E aveva paura ad aprirli, in quel momento. Come se sentisse una strana presenza dietro di sé.
Ma quando pian piano lo fece: il nulla. Niente era cambiato.
Non era successo niente.
Mikey rimase sorpreso, ma poi scoppiò in una fievole risatina «Che stupido», si disse; e poi ripiegò il foglio, sistemandolo nuovamente al suo posto, dentro la scatola di legno.
«Devo smetterla di credere alla favole» e, scordandosi di dover andar in bagno, Michelangelo tornò in camera sua per cercare di prender sonno.


Il giorno dopo Michelangelo si svegliò con un terribile mal di testa. E non capiva il motivo.
Forse perché s'era addormentato di botto non appena la sua testa s'era completamente immersa sul comodo e soffice cuscino? Era una scarsa ipotesi, ovviamente; ma la sua mente non sembrava trovare risposte più coerenti.
Aprì gli occhi azzurri e si alzò di scatto, si guardò intorno, vide una candida ragazza dai capelli violacei e gli occhi gialli, e spostò lo sguardo altrove, con noncuranza. Prese la sua maschera arancione e la indossò, annodando e stringendo per bene il nodo; mentre le lunghe code di essa già gli ricadevano sulle spalle. Infine indossò la cintura, tutto il suo equipaggiamento e poi fece per uscire dalla stanza; ma proprio in quel momento si bloccò, con gli occhi fissi sulla porta, che pian piano iniziavano a sgranarsi. Solo allora aveva effettivamente razionato ciò che aveva appena visto: così si girò. La ragazza dagli occhi gialli inclinò la testa e, con un'espressione apatica alzò un braccio, per poi esclamare: «Ben svegliato, Padrone»
Mikey cacciò un forte urlò e poi vide tutto buio.
La ragazza sbatté le palpebre.


-


Leonardo s'allarmò: «Oi, Mikey! Oi, Mikey! Mi senti?»
Michelangelo non riuscì nemmeno a distinguere a chi appartenesse quella voce. Lentamente, la tartaruga dalla maschera arancione aprì gli occhi, e la sua vista non lo voleva aiutare di certo: tutto era sfocato, non chiaro. Inguardabile. Così inguardabile che avrebbe tanto voluto richiudere gli occhi e tornare a dormire.
«... dov'è?» sussurrò questi, mettendosi seduto sul divano, mentre con una mano si massaggiava le tempie.
«Dov'è chi?» domandò Raphael, corrugando la fronte.
«Come chi...?» fece per dirlo, ma si fermò appena in tempo. Deglutì.
Loro non riuscivano a vederla! Lui era l'unico!
Perché? Non riusciva proprio a farsene una ragione...
Perché?!
Così si alzò in fretta e lasciò di corsa la stanza, sotto gli occhi stupiti di Donnie, Raph e Leo.
«Ho un déjà-vu» affermò il genio, guardando Leo di sottecchi; il quale si accorse subito dello sguardo rivoltagli dal fratello dalla maschera viola «huh?»


-


La porta della camera di Michelangelo sbatté violentemente, e l'arancione si guardò intorno, trovando subito la fonte di quella sua agitazione «Tu!» la indicò «Tu! T...», deglutì «C-cosa vuoi da me?!»
Lo spirito (perché sì, se Michelangelo era l'unico a vedere quella ragazza doveva per forza trattarsi di tale forma astratta) guardò Michelangelo negli occhi. Senza alcuna minaccia. Calmo «Ma come, padrone...» ella sospirò «non ne hai idea?»
Mikey scosse lentamente il capo.
«Ieri sera hai svolto un rituale» poi, stranamente, sul suo viso comparve un inquietante sorrisino «Ricordi, padrone?»
Michelangelo iniziava a sudare freddo «Ricordo...»
«Beh, a quanto pare mi hai evocata.
«E starò al tuo fianco per l'eternità» lo spirito emise una piccola risatina «non sei contento?»
E la tartaruga sbarrò gli occhi, non riuscendo a credere alle sue orecchie.
Sicuramente, anche se avesse parlato; nessuno gli avrebbe mai creduto sulla parola. E anche se l'avessero fatto, non voleva immaginare la reazione dello spirito nei suoi confronti. E quello che aveva fatto la sera precedente lo metteva alle strette ancor di più dal dire la verità ai suoi fratelli, facendogli sentire il cuore in gola.
Era un qualcosa che sentiva lui. Non poteva rivelarlo così ai quattro venti: poteva essere pericoloso per tutti.
E non stava divagando: c'era uno spirito in camera sua!
«Il mio nome è Vriska, e il mio compito è quello di renderti felice,» ed ecco, lo spirito si preparava a farlo di nuovo; ad emettere un'altra di quelle sue snervanti risatine «Padrone»
Michelangelo allora svenne una seconda volta.

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Capitolo 5
*** Il potere ***


Vriska guardò Michelangelo intensamente, subito dopo il suo corpo si librò in aria ed iniziò a fluttuare verso la tartaruga dalla fascia arancione. Ella gli arrivò ad un palmo del suo naso, seriosa. Mikey indietreggiò, e quasi non scivolò in terra; difatti, egli si trattenne allo stipite del letto.«Senti, Vriska: non so chi tu sia e cosa voglia da me, ma... SI PUO' SAPERE COSA STAI DICENDO?»
Il demone sbatté gli occhi gialli, poi si mise a ridere «Beh, a dire il vero sono qui soprattutto per rivelarti un'informazione fondamentale che potrebbe cambiare radicalmente il tuo futuro».
La tartaruga corrugò la fronte, facendosi pensoso «In... in che senso?»
«Tempo e Spazio sono collegati, se hai trovato la scatola di ''Sokka'' significa che tutto è andato secondo stabilito dalle leggi del Tempo».
Michelangelo spalancò la bocca, poi allargò un sorriso smagliante «Ma è fantastico! Mi stai dicendo che tu potresti farmi andare indietro nel tempo ogni volta che lo desidero?»
«Non proprio, ma ci sei andato vicino. 
Sono in grado di conferirti un potere inestimabile, il quale avrà effetto soltanto per un limite massimo ''di tempo''; scusa il gioco di parole.
Ma non devi strafare, bensì usarlo quando pensi che sia strettamente utile per il bene del tuo presente e del tuo futuro».
Michelangelo ci aveva capito ben poco di quello che il demone gli stava dicendo, tuttavia avvertiva qualcosa di grosso in ballo, qualcosa che era persino più grande di lui stesso. Forse non ce l'avrebbe fatta a gestirlo, ma voleva capire; voleva apprendere il più possibile da tutta quella faccenda. 
«Dovrai cambiare la storia attraverso te stesso, attraverso il potere di Sokka: cambiare il futuro dalla distruzione perenne dell'intero universo, attraverso IL multiverso. Delle creature chiamate Triceraton stanno per atterrare sulla terra per distruggere i Kraang e la terra stessa. Porteranno con sé il ''portale dei buchi neri'' e tu e tuoi fratelli potreste andare incontro ad innumerevoli catastrofi, nel corso del vostro cammino. 
Tuttavia, c'è un'altra cosa che devi sapere, ma non posso espormi più in là di quanto stia facendo adesso. Sappi semplicemente questo: 
Il blu è la chiave.»
In quel momento, Mikey, il quale aveva sgranato gli occhi, venne contornato da un fascio di luce bianco che si espanse per l'intero corpo: le iridi svanirono, si udì solo un urlo che s'andò ad espandere nei secondi. Difatti, finì poco dopo e la tartaruga tornò normale. 
La luce si spense.

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Leonardo stava seduto dinnanzi l'albero che affacciava il dojo della tana, prendendo un fievole respiro per immergesi di più nel suo io interiore. 
Attorno a sé il buio, dentro di sé anche. Ad un tratto, però, nei meandri dell'oscurità, vide una figura femminile con un lungo kimono bianco da cerimonia, immobile; era di spalle.
Lunghi capelli scarlatti arrivavano oltre la schiena: morbidi e soffici come zucchero filato. Leo rimase a guardarla, rigido. In quell'istante, sentì delle mani sfiorargli il volto con dolcezza, gli occhi sottili e verdissimi che lo penetravano in fondo l'anima. 
Il Leader fece fuoriuscire aria calda dalle sue labbra, mentre la femminea presenza andava ad aprire la parte superiore dell'abito, con lentezza.
Leonardo pensò di star perdendo il controllo dei propri sensi. Era come se i suoi istinti primordiali stessero per prendere il sopravvento. La sua testa iniziò a svuotarsi di tutti i suoi ricordi, di tutte le incertezze che lo assalivano da quando il Sensei gli aveva conferito il ruolo di Leader. 
Il rosso è Passione, il rosso è Lussuria. La tartaruga dalla fascia blu si ritrovò sopra il fragile corpo della ragazza dai capelli rossi, Nozomi. La osservò bene, le accarezzò le gambe e avvicinò le labbra all'incavo del collo di lei. Leonardo la sentì sospirare debolmente: 
«Crepata per il ritardo di uno sporco mutante immondo» lei sputò con amarezza, mentre il cuore del Leader iniziava a lacerarsi, ogni attimo un dolore lancinante al petto; ogni istante sempre più in profondità. 
«Posso... spiegare» mormorò Leo, mentre la giovane rimaneva inerme sotto di sé, come un involucro vuoto.
Chiuse gli occhi lucidi, li riaprì: la ragazza dai capelli rossi era sparita, di nuovo. Di nuovo via dalla sua vita.
Digrignò i denti, stringendo i pugni: Leonardo si alzò in piedi, mentre veniva accerchiato dalle molteplici figure di una kunoichi. Ella stringeva un Tantou, noto pugnale giapponese. 
«Karai...» 
L'aveva dimenticata. Come se il loro incontro non fosse mai avvenuto, come se lei fosse passata in qualche piano sotto al suo cuore.
Sembrava arrabbiata. Molto arrabbiata. Eppure, Leonardo non gli aveva mai confessato i suoi sentimenti; li aveva sempre covati dentro, in segreto, al sicuro da qualsiasi negatività esterna ai propri pensieri che, nonostante tutto, riusciva sempre a coinvolgere il suo essere.
Alla fine era arrivata la ragazza dai capelli rossi e la sua vita era cambiata. Karai non era più un problema per il suo cuore, adesso ne aveva uno ben peggiore. Un grosso sbaglio. 
Uno sbaglio che avrebbe rifatto cento, mille volte, pur di vedere quel viso ancora una volta. 
Le molteplici figure di Karai presero la rincorsa, poi saltarono all'unisono e, all'improvviso, da parecchie diventarono una, al centro dello scalpo del Leader. La lama della Tantou dritta al suo cranio.
«VILE TRADITORE!»

Un urlo strozzato, gli occhi spalancati, la fronte grondante di sudore. 
Leo si guardò attorno: era in camera sua, e respirava debolmente.
«Era... solo un sogno» mormorò, stendendosi sul materasso del suo letto «sembrava così reale.»
In quell'istante, Leo sospirò una, due, tre volte.
Sebbene fossero passati anni, ancora la sognava. Ma mai gli era capitato di scorgere anche la kunoichi, nel suo subconscio. 
Leo, dunque, s'alzò dal letto e si preparò con il solito equipaggiamento, e la sua fascia di colore blu. 
Doveva prendere un po' d'aria. 
Uscendo dalla sua stanza, vide Michelangelo seduto sul lungo divano dell'ingresso, intento a guardare fisso la televisione spenta: sembrava parecchio sovrappensiero. 
«Non riesci a dormire neanche tu, Mikey?» gli chiese, un po' preoccupato. Il più piccolo si girò verso di lui e Leo poté giurare di sentirsi scrutato da quegli occhi, quasi lo stessero studiando.
Non era da Michelangelo. Affatto.
«Sto uscendo» iniziò il Leader «Torno presto.»
Mikey s'alzò di scatto «Posso venire anche io?» Leo lo osservò, stranito.
«Mi annoio a stare qui da solo!» esclamò, infine. 
Ecco il solito Michelangelo. Leo annuì «Va bene, ma vedi di non farci uccidere. Intesi?»
«Ma per chi mi hai preso, fratellone? Io sono una tartascaltraruga!»

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I tetti di New York City sono sempre larghi e spaziosi, quindi saltarci sopra, per Michelangelo, è sempre stato uno spasso. Ma una volta cresciuto, gli parve quasi si fossero rimpiccioliti. O forse era lui ad essere diventato più alto? Ad ogni modo, la tartaruga dalla fascia arancione stava dietro al fratello maggiore, sino a che, entrambi non si fermarono al centro della città, osservando il panorama urbano e il cielo blu e violaceo sopra le loro teste. 
Il vento gli carezzava la pelle e Leonardo chiuse gli occhi, per assorbire tutta la purezza del vento stesso. 
''Purezza'', ecco che i soliti pensieri gli ritornavano alla mente. 
La ragazza dai capelli rossi che gli si sottomette completamente, che si arrende all'orripilante mutante verde. Come se fosse un mostro, come se egli volesse mangiare la carcassa del suo cadavere.
No... no... no...
Doveva calmarsi. Prese un lungo respiro, sotto gli occhi confusi di Michelangelo che lo guardava di tanto in tanto di sottecchi. 
Poi notò che il maggiore gli aveva rivolto l'attenzione, e gli stava sorridendo. 
«Penso si sia fatto abbastanza tardi. Torniamo a casa?» Leo sorrise, e Mikey annuì, rispondendo di rimando a quei denti in bella vista. 
Fecero per iniziare la corsa, Leo andò per primo. 
Si sentì un forte sparo secco, che si percepì soltanto dopo che prese in pieno il bersaglio. 
Michelangelo iniziò a vedere come nei film d'azione: tutto a rallentatore. Leonardo che, lentamente, andava a stramazzarsi al suolo, con gli occhi privi di qualsiasi luce. 
«LEO!» Mikey urlò, mentre il suolo andava a colorarsi di quel rosso che aveva intrappolato nelle sue viscere il suo fratellone. 
Un colpo dritto al cuore; liquido rosso fuoriuscì proprio dal quel punto. 
Michelangelo si girò e vide un persona di spalle, che, con strafottenza, poggiava il suo fucile da precisione ultra modernizzato su una spalla. 
Il più piccolo urlò, un urlo talmente forte da sembrare come una cassa stereo ad altissimo volume; la terra tremò. 
Allungò le mani: le code della sua fascia si alzarono, tutto attorno a lui parve fluttuare per aria; persino l'assassino che aveva appena ucciso suo fratello. 
«Non preoccuparti, ti prego! Resisti!»
Fu allora che fece la sua apparizione quello che sembrava uno spirito guida celeste: raffigurava un cervo tutto blu e le sue corna parevano tante radici di alberi primaverili: dei fiori di loto azzurri sbocciavano, si aprivano e si chiudevano contemporaneamente, come in una danza. 
Poi svanì non appena sorpassò il corpo disteso in terra di Leo. 
La scena si riavvolse, come in uno di quei vecchi nastri delle videocassette, muovendosi velocemente all'indietro.
Poi ritornarono a qualche secondo prima. 
«Penso si sia fatto abbastanza tardi. Torniamo a casa?»
Michelangelo non sapeva come avesse fatto, teneva la bocca spalancata per lo stupore. Aveva solo seguito l'istinto, Vriska... aveva ragione, su tutto.
Riusciva a controllare il tempo.
Sbatté le palpebre. Leo gli chiese «Va tutto bene, Mikey?»
Il fratellino gli rispose «Certo che... che va tutto bene. Ho solo... un po' di mal di testa. Niente di grave. Almeno spero!»
«Oh. Vedi di riposare quando torniamo. Non voglio un Mikey morto di sonno agli allenamenti col Sensei!» poi sorrise
«Andiamo!»
«Sì, ma... è meglio prendere la parte opposta. So una scorciatoia!»
Leo roteò gli occhi e poi sospirò:
«Perché ho come l'impressione che ci perderemo?»
Così, i due presero la strada giusta, e Leo poté riabbracciare la vita, come un Dio.
Solo che non lo sapeva. 
Michelangelo sorrise tra sé e sé: quel potere era una manna dal cielo. Lo aveva usato solo una volta e già gli piaceva un mondo. 
Poteva sistemare qualsiasi cosa! Qualsiasi sbaglio! Qualsiasi incomprensione capita male!
Lui poteva cambiare il mondo.

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Capitolo 6
*** Addio ***


Michelangelo se ne stava sdraiato sul letto, a leggere uno dei suoi fumetti preferiti, una gamba accavallata sull'altra piegata appena. 
Vriska, demone che la tartaruga dalla fascia arancione aveva invocato qualche settimana addietro, se ne stava seduta sul pavimento, con gli occhi chiusi e a non fare assolutamente niente.
«Ma non ti annoi mai?» sbottò Mikey, lanciando il fumetto in aria con fare tedioso, sbuffando pesantemente «Io sì! UUUFFA!»
«Perché non ti cerchi qualcosa da fare, padrone?» gli domandò Vriska con un tono leggero e con un'espressione completamente assente in volto.
Mikey sbuffò nuovamente. Si mise in piedi e lasciò la sua stanza, chiudendo piano la porta dietro al suo guscio.
Si diresse nella sala principale del rifugio: dei suoi fratelli nemmeno l'ombra. Donnie sicuramente era nel suo laboratorio. Raff, probabilmente da qualche parte in giro con Casey.
Leo, invece, era sicuro che stesse nel dojo assieme al Maestro Splinter, immerso in chissà quale allenamento spirituale.
Il minore ripensò al giorno in cui gli salvò la vita: aveva avuto tanta paura di perdere suo fratello e non voleva che un episodio simile ricapitasse. 
Sospirò.
Si mise davanti alla televisione, seduto sul divano, ed iniziò a fare zapping mentre una mano veniva poggiata a pugno su una guancia.
«Noioso.
Noioso.
Oh! No, già visto.
Noioso.
Scontato.
Troppo politico.
Troppo serio.
Troppo... PORNO!
Passiamo alla musica, che è meglio» detto ciò, Michelangelo digitò il canale pensato sul telecomando, e subito nella stanza rimbombò un forte audio di musica rock.
Abbassò il volume, sperando di non aver disturbato nessuno.
Ma tutto tacque, quindi emise un sospiro di sollievo.
Ma all'improvviso, la musica che vi era sino ad un minuto prima finì e al suo posto apparì un TG che portava notizie delle ultime ventiquattro ore, riguardante sempre persone che appartenevano al mondo dello spettacolo.
«Stella Sparkle, nota cantante pop nel mondo dell'entertainment, è misteriosamente scomparsa dopo il suo concerto in live della scorsa notte» pronunziò la giornalista, mentre l'immagine di una teenager dalle alte code bionde, dal bel visino e dal fisico niente male venivano proiettate in un rettangolo ad un lato dello schermo.
Michelangelo spalancò un poco le labbra: non era possibile, una delle sue cantanti preferite era improvvisamente scomparsa.
Chissà cosa le era capitato...

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«Si può sapere perché siamo qui di pattuglia, Leo?» fece Raffaello, incrociando le braccia sul piastrone «Insomma, non passa nessuno di sospetto da eoni, stare qui senza fare niente è assolutamente inutile.»
«Frettoloso come al solito» affermò Leonardo «E quelli chi dovrebbero essere?» sorrise beffardo il Leader, indicando con lo sguardo dei ninja in nero sotto al tetto.
Raff si sporse leggermente per guardare meglio, poi roteò i suoi Sai sulle mani, visibilmente compiaciuto «Era ora.»
«Bene, ragazzi. Statemi dietro e vedete di non combinare guai» fece Leo.
«Non mi chiamo mica Michelangelo» ironizzò Raffaello.
«Ehi! Sappi che non era per niente divertente!» esclamò in risposta la tartaruga dalla fascia arancione.
«Vogliamo muoverci?» suggerì, giustamente, Donatello. 
I quattro fratelli si mossero nell'ombra, seguendo quei ninja in nero del Foot Clan come se fossero essi stessi le loro ombre. 
Le tartarughe si nascosero dietro un muretto, mentre i ninja entravano all'interno di un alto edificio.
Si avvicinarono poi all'entrata, quando si accertarono che non ci fosse nessuno nei paraggi.
«Un codice d'acceso per entrare. Tipico» affermò Donnie, portandosi una mano sotto al mento «non dovrebbe essere difficile raggirare il sistema, ma mi ci vorrà qualche minuto.»
Raffaello prese un piccolo respiro: non poteva perdere la calma. 
Michelangelo si guardò attorno, spostando gli occhi azzurri a destra e sinistra. 
Vi erano state innumerevoli scomparse di persone famose in quell'ultimo periodo: i primi della lista erano perlopiù conduttori televisivi.
Poi, quel giorno, la scomparsa di Stella Sparkle; una cantante.
«A che punto sei, Donnie?» chiese Leonardo, messo di fianco al fratello genio.
«Ci sono quasi, devo solo decifrare gli ultimi passaggi, e... 
Apriti Sesamo!» esclamò il genio, e all'improvviso le porte che avevano di fronte si aprirono come per magia. 
Raffaello fu il primo di tutti a muoversi, addentrandosi con passo svelto all'interno dell'edificio: si vedeva che si stava trattenendo, ma nonostante questo nessuno disse niente.
Gli altri lo seguirono. 
«Sembra quasi tecnologia kraang» affermò Leonardo.
«Sembra? Lo è eccome» lo corresse Donatello «Quello che più mi chiedo è perché uno come Shredder dovrebbe sorbissi di tecnologia kraang per raggiungere i suoi scopi.»
Donnie ci pensò un attimo su, poi si rispose da solo «Spero di sbagliarmi.»
«Che cosa hai supposto?» gli chiese il Leader.
«Shredder si serve del mutageno per creare mutanti a suo piacimento, no? Ebbene, con l'aiuto di una tecnologia aliena potrebbe addirittura creare un Super Mutante per metterci i bastoni tra le ruote.»
«Super Mutante!? Mi piace come suona!» si gasò subito Mikey.
«Ma c'è anche la possibilità che Shredder, questa volta, non c'entri niente con tutto questo.»
«Come fai a dirlo?» sbottò Raffaello «Non hai visto i ninja? Di certo non si trattavano mica di principessine in sella ad un unicorno.»
«Sono dei cyborg, Raff. L'ho notato dai loro movimenti: troppo sconnessi e rigidi, anche se di poco»
«In altre parole, i Cyber Ninja di Shredder potrebbero essere stati manomessi» concluse, infine, il genio.
 Non riuscirono a fare nemmeno un altro passo, che all'improvviso l'allarme fece sparaflashare luci rosse da tutte le parti.
Donatello e Raffaello si girarono verso Michelangelo, il quale subito mise le mani avanti.
«Non guardate me! Io non ho fatto proprio niente!» esclamò l'accusato, incrociando le braccia «Certo che avete proprio una fiducia sfacciata, in me!»
«Non mi sembra il momento tanto adatto per discutere» fece Leonardo, indicando davanti a sé una miriade di kraang inseguire quella che pareva essere una...
 tartaruga...
 mutante?!
Difatti, avanti a loro vi era una tartaruga mutante, di sesso femminile e dai lunghi capelli biondi.
«Avrete presto notizie dal mio avvocato!» esclamò questa, con voce stridula, che nel frattempo non aveva mica rallentato la sua corsa.
«Non so perché, ma già la detesto» fece Raffaello, buttandosi subito nella mischia.
«Mi ritrovo ad essere più che confuso anche io» disse Donnie, colpendo col suo bastone Bou a destra e a manca. 
«STELLA SPARKLE!» esclamò Michelangelo, correndo velocemente verso la tartaruga bionda, proteggendola coi suoi nunchaku da alcuni ninja che stavano per catturarla.
«Ciao, Stella! Io sono Michelangelo, il tuo fan Numero Uno!»
La bionda rimase perplessa e sbatté le palpebre, poi additò Michelangelo e cacciò un forte urlo.
«UNA TARTARUGA PARLANTE!»
Mikey urlò in contemporanea a lei «SENTI CHI PARLA!»
Come aveva fatto a riconoscerla? Beh, solo Stella Sparkle aveva una voglia a forma di cuore sul collo, per non parlare dei suoi denti un poco sporgenti... effettivamente, un po' gli  ricordava Donnie.
«Mi scuso se interrompo questa conversazione amorosa così all'improvviso, ma...» Raffaello stava cercando di respingere un kraang, spingendolo in avanti con l'aiuto dei suoi pugnali «CI CONVIENE SCAPPARE!» esclamò Donnie, osservando davanti a sé un'altra orda di alieni kraang venire loro incontro.
«Sono troppi, ci conviene ritirarci!» propose il Leader.
Raff sbuffò. 
Michelangelo prese in braccio la mutante, ed insieme ai suoi fratelli, corse verso l'uscita. Tuttavia, proprio quando i suoi fratelli furono fuori, Leonardo sentì come una presenza dietro di sé e, subito, sgranò gli occhi.
«Guarda un po' chi si rivede» fece una voce abbastanza familiare per il Leader, il quale dovette fermarsi e girarsi molto lentamente per non rischiare di cadere in terra come uno stoccafisso.
«Nozomi...?» sussurrò.
«Leo, che cosa stai facendo?! Muovi il guscio!» sbottò Raffaello, andando a strattonare il fratello per un braccio.
Era stata solo la sua immaginazione? Ormai Leonardo non si stupiva più di nulla. 
Cosa gli stava succedendo, tutt'a un tratto?

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Stella, sebbene con un'intera confusione generale, era stata accolta dal Maestro Splinter nel rifugio.
Ormai era una mutante e Donatello si era proposto di fare degli accertamenti su di lei e sul mutageno utilizzato per renderla diversa da com'era prima.
Stockman aveva trovato un modo per riuscire a mutare le persone nella creatura che egli aveva preventivamente immaginato: perciò Donnie dedusse che per i kraang dovesse essere un giochetto da ragazzi già da molto più tempo.
«Come hai fatto a scappare?» le domandò Donatello, mentre stava armeggiando con qualcosa sul tavolo del suo laboratorio.
«Mentre mi stavano portando in una specie di prigione per creature orribili, ho fatto delle domande al cattivone che mi stava trascinando.
Poi gli si è fritto il cervello ed io ho corso più veloce che potevo! ... uh! Sto parlando con una tartaruga parlante: fa strano!»
«... sì, okay. Ad ogni modo, penso che l'algoritmo di cui sono composti i kraang sia andato in cortocircuito nell'assimilare così tante informazioni. Per tale motivo sei riuscita a liberarti.
Sostanzialmente: hai avuto una fortuna sfacciata» terminò il genio, esponendo una siringa alla mutante, la quale subito si allarmò e saltò in piedi sulla sedia, agitata «Non vorrai mica usare quel coso per uccidermi?! Guarda che mi metto ad urlare!!»
Donatello sgranò gli occhi «Non ho alcuna intenzione di farti niente! Mi serve un po' del tuo sangue per studiare il tuo DNA e vedere se possiamo fare qualcosa per riportarti alla normalità!»
Dopo quasi mezz'ora, Donnie riuscì a convincere la ragazza, ma sudando ben sette camicie immaginarie. 

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Era notte, silenzio di tomba regnava incontrastato per le fogne. 
All'improvviso, gli occhi chiari di Leonardo si spalancarono. Egli percepiva una presenza a lui fin troppo conosciuta. 
Sembrava lo stesse chiamando, perciò, il Leader si alzò, si munì delle sue katana e si diresse al centro dei condotti fognari.
Chiuse gli occhi, concentrandosi. 
Ad un tratto, sentì delle labbra sfiorargli una guancia; perciò si bloccò, non riuscendo a muovere neanche un muscolo.
«Quanto mi desideri?» sussurrò lei, sussurrò Nozomi.
Gli occhi di Leonardo si sgranarono e, con un veloce movimento del braccio, la scaraventò in terra con forza, procurandole un profondo taglio sulla gola. Leo si girò e quello che vide gli fece raggelare il sangue: la ragazza dai capelli rossi, stesa in terra, con una mano che cercava di tamponare la ferita al collo; fiotti di sangue che parvero allagare l'acqua già sporca delle fogne. 
«Io... io pensavo... pensavo sul serio, che tu mi amassi» guaì la giovane, alzando lo sguardo verso Leonardo.
La tartaruga si mosse da sola: si avvicinò a lei, si inginocchiò e fece per tenderle una mano, ma poi parve risvegliarsi dal suo stato di trance.
«TU SEI MORTA!» urlò lui, affondando ancor di più la lama su quella stramaledetta gola.
Stava impazzendo, letteralmente. Gli stava divorando il cervello.
Poi capì: era stato uno sciocco; era stato solo un giocattolino, una pedina da poter manovrare come e quando lei desiderava.
Uno spruzzo di sangue fuoriuscì dalla ferita come una fontana, macchiando interamente la figura di Leonardo e la sua fascia blu, che in quel momento divenne di un rosso scuro, oscuro.
«Vedo che alla fine ci sei arrivato... non credevo che ce l'avresti fatta tanto presto, se devo essere sincera» una lieve risatina rimbombò per l'area circostante ma, soprattutto, continuava a tamburellare all'interno della scatola cranica di Leonardo. 
Poi indietreggiò: davanti ai suoi occhi la figura della ragazza iniziò a contorcersi, ad avere spasmi continui; la sua carne venne dilaniata da zampe affilate e simili all'acciaio. Si ingrandiva sempre di più, mutandosi in un animale subdolo, che attira a sé le sue prede per poi pugnalarle alle spalle: 
una mantide religiosa. 
Lo sguardo di Leonardo divenne anch'esso fatto di sangue: come aveva potuto?
Come aveva potuto usarlo a quel modo? 
«Ti dispiace se...» la mantide si avvicinò in maniera lenta a Leonardo, per poi buttarsi su di lui con velocità «MI FACCIO UNO SPUNTINO!?»
Leonardo, per la prima volta, perse completamente il controllo delle proprie azioni; non ci vedeva più. 
Iracondo, spietato, senza cuore: le aveva inflitto quanto più danni fisici possibili, sfrecciando a destra e a sinistra con le lame delle sue armi. 
Atterrò con un suono sordo sul pavimento, mentre con altrettanta pesantezza, la testa di quella creatura cadeva inesorabilmente sull'acqua putrida e rossa.
Rosso come: a mai più rivederci.
Rosso come: per sempre.

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Il Maestro Splinter stava meditando nel dojo, sino a ché la porta scorrevole non si aprì; egli spalancò un occhio, notando la figura di Leonardo fare la sua entrata in scena.
«Entra pure, figlio mi...» 
Il Maestro s'alzò di scatto, lo sguardo serioso in volto.
«LEONARDO» fece, mentre quest'ultimo biascicava parole sconnesse e cadeva tra le sue braccia
Egli proferì un flebile «M-Maestro... 
Non... sono...
de...gno...»
Poi svenne.

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