L'ultimo intreccio

di apeirmon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Novità di Tokyo ***
Capitolo 2: *** Memorie di Itomori ***



Capitolo 1
*** Novità di Tokyo ***


Note dell’autore: Questo racconto è un seguito delle precedenti due che ho scritto su “Kimi no na wa.”, in cui ho già descritto accadimenti come la riunione dei due protagonisti che servono a comprenderlo. Comunque, ho provato a renderlo leggibile anche senza conoscere le altre situazioni che ho immaginato.
1) I tamagoyaki sono varianti giapponesi delle omelette.
2) Il torii è un portale di accesso ad aree sacre formato da due colonne e una trave orizzontale sovrastante.
3) Lo shouji è una porta scorrevole tradizionale del Giappone.
4) Il chabudai è un tavolo basso tipicamente nipponico.
5) In giapponese “Miyamizu” significa “acqua del tempio” e “Taki” cascata. Il riferimento è al fatto che abbiano imparato a riconoscersi al di là delle identità che prendono, quindi dei loro nomi.
 

Novità di Tokyo

 
Il mio matrimonio procedeva meglio di quanto mi aspettassi.
Quando la mia ragazza mi aveva fatto capire di volere un matrimonio nella più totale normalità ero molto scettico. Anzi: direi preoccupato. Anche perché la normalità non si abbina granché alle nostre vite. Voglio dire: se una cometa si spacca e una delle sue parti cade proprio sul tuo villaggio, trasformandone buona parte in un bacino idrico, non hai più una visione sicura di quello che ti riserverà la sorte.
Per di più, quel villaggio era l’unico mio punto di riferimento per il futuro. Trasferirci a Tokyo era stata una scelta terrorizzante, per me. Ha aiutato la voglia di allontanarmi da mio padre e dalla sua impresa edile. Per mia moglie è stato più facile, credo. Lei ha sempre avuto la curiosità di esplorare l’ambiente cittadino, con la sua varietà di svaghi e di impieghi, dove le persone non sono tutte facce familiari ogni giorno e i nuovi incontri sono sempre dietro l’angolo.
Quando ci siamo trasferiti da Itomori, l’abbiamo fatto scegliendo un appartamento comune. Io sono riuscito a trovare lavoro come fattorino in un albergo, mentre Sayaka ha preso posto in un’emittente radio di Tokyo. Grazie ai nostri guadagni e ad un prestito, abbiamo potuto comprare una casa vera e propria con tanto di piccolo giardino dietro la veranda. L’ambiente cittadino cementato è soffocante e ho più nostalgia del verde di quanto avessi immaginato alla partenza dal villaggio.
Dopo il matrimonio, avvenuto quasi un anno fa, abbiamo deciso di mettere da parte dei risparmi ogni mese prima di provare ad avere un bambino. Quando verrà quel momento gli darò tutta la libertà che gli serve e lascerò che sia lui a scegliere come impiegare le giornate.
In effetti, più ci rifletto, più il ruolo di genitore mi preoccupa. Un padre è una figura di riferimento che dovrebbe dare ai propri figli l’appoggio e la sicurezza necessari per fare delle scelte in modo sicuro. Allo stesso tempo, però, non voglio che si affidino troppo a me, o non troverebbero l’abitudine a cavarsela da soli.
Mentre rifletto su queste alternative, mi accorgo che lo sportello del banco-frigo è aperto e io non ho ancora scelto il formaggio per poter mettere un altro segno di spunta nel biglietto della spesa.
Mi sbrigo a fare la mia scelta e interrompo lo scambio di temperatura con il corridoio, dopodiché metto il prodotto nel carrello e mi dirigo allo scaffale del pane. Poco prima di raggiungerlo, sento una voce alle mie spalle: - Teshigawara?!
Quando mi volto per sapere chi aveva pronunciato il mio cognome, vedo un ragazzo dai capelli castani di lunghezza media, forse poco più giovane di me, con rari occhi celesti. Indossa una felpa viola e indaco, oltre a jeans e scarpe da tennis grigie.
- Sì, mi chiamo così. Non mi ricordo di te, scusa. Chi sei?
L’espressione del ragazzo cambia improvvisamente da una incuriosita a una agitata.
- Ah, no… Non mi ricordo nemmeno io dove ti ho conosciuto. Ora è meglio che mi sbrighi a fare la spesa, o tornerò tardi. È stato un piacere rivederti.
Il ragazzo si affretta a cambiare reparto, mentre lo guardo disorientato. Decido di non indagare oltre: oggi tocca a me cucinare mentre Sayaka finisce l’emissione sulle riviste di giardinaggio e se faccio tardi dovremo prolungare le nostre già troppe ore di stanchezza.
 
Appena mi sveglio, capisco di essere di nuovo tornato nel corpo di quella ragazzina.
Per la terza volta sarò costretto a rimanere in questo appartamento nauseante da quanto è invaso dall’ordine, lontano dalla mia casa, dai miei videogiochi e, soprattutto, dal mio progetto.
Il mio progetto…
Ho avuto sempre molta cura nell’evitare che qualcuno lo scoprisse proteggendo il computer da qualunque infiltrazione esterna per controllarlo e adesso rischio che una sconosciuta arrivi a sapere di cosa si tratta da mia madre.
Se solo mia madre non avesse forzato la mia password… Perché non si fida mai di quello che faccio? Ah, già: perché per lei sono un inetto parassita che procura solo guai. Be’, meglio che essere un ingranaggio del suo genere, sicuramente. Fatica ogni giorno con il rischio di prendersi qualche malattia dall’ospedale e ha il coraggio di ritenerla vita.
Sento suonare il campanello dell’appartamento. Dev’essere di nuovo quel seccatore che ha fatto questi scambi con la sorella della ragazzina. Non ho voglia di stare ad ascoltarli. Credo che andrò a scuola fingendo di essere lei, per quanto mi disgusti avere a che fare con ochette che non capiscono nulla del mondo.
Eppure mi viene l’impulso di ascoltare quello che hanno da dirsi. Potrebbe essermi utile per capire come liberarmi da questa maledizione del cambio di corpo.
Mi alzo ed esco dalla camera da letto con il pavimento privo di qualunque oggetto (chi le lo farà fare a togliere e rimettere tutto negli scaffali o negli armadi?) e mi affaccio in corridoio. La porta che lo separa dal salotto è chiusa. Mi avvicino ad essa per poggiare l’orecchio e sento le loro voci.
- Scusa se ti disturbo così presto, ma non potevo aspettare che finissi con il lavoro. Io stesso non mi sarei potuto concentrare sui progetti edili per la piscina. - sento dire all’ospite che avevo previsto.
- Non preoccuparti. Vederti mi può solo rendere la giornata meravigliosa.
Alle parole della ragazza segue un breve silenzio. Quasi quasi mi viene da tornarmene a letto e sonnecchiare. Smettetela di fare gli sdolcinati e venite al dunque!
- Non voglio prenderti molto tempo, quindi ti dico subito tutto. Ieri, in negozio, ho incontrato Teshigawara. Mi chiedevo se foste ancora in contatto e se potevi presentarci. In un certo modo, lui e Sayaka erano anche amici miei. Sento nostalgia di tutto quello che ho vissuto a Itomori. Mi piacerebbe riparlarci.
Non è nulla di importante. La testa mi dice di tornare a letto, eppure i piedi non obbediscono. Che succede? E perché ho le guance bagnate?
- Non è così semplice. Da quando mi sono trasferita qui con Yotsuha, abbiamo perso i contatti.
- Che peccato… Come mai?
- Be’, ecco… Vedi, quando ho dovuto spiegare come sapevo della scissione della cometa, non ho saputo cosa dire. Gli altri abitanti di Itomori mi hanno vista come una specie di portatrice di sfortuna. Dopo poco tempo, chi non si è dovuto trasferire per il disastro mi considerava una pazza.
- Ma è assurdo! - sento gridare il ragazzo. - Dopo che li hai salvati?!
- Già. Saya-chin e Tesshi non hanno creduto che non ricordassi nulla e si sono offesi perché non li ho informati di cosa sapevo. Inoltre, stando con me si attiravano anche loro la maldicenza.
- Ma adesso che ci siamo ritrovati è diverso. Abbiamo i ricordi tutti e due e possiamo spiegare tutto.
- Non lo so… Sono passati anni. E poi, non saprei nemmeno come contattarli.
- Ci penso io. Ho accesso ai dati di mappatura urbana con gli indirizzi di ogni abitante di Tokyo. Se sei d’accordo…
A quel punto stacco l’orecchio non mio dalla porta e vado a cambiarmi per andare a scuola. Nel mio primo scambio sono già stato nell’istituto da raggiungere e mi sono fatto un’idea di come comportarmi per non dare nell’occhio. Meglio ascoltare dei noiosi sproloqui in una classe che le smancerie sui tempi andati di questi due.
Metto la divisa della Toyama e prendo la borsa della ragazzina, prima di dirigermi in cucina.
- E va bene, tentar non… Yotsuha! Buongiorno. - mi saluta sua sorella.
- Sono Hideo. Continuate pure a discutere. Ora esco.
- E la colazione?! Non vorrai riempire mia sorella di schifezze prese ai distributori?!
Apro la porta d’ingresso dell’appartamento.
- Non è un mio problema. Dille di non rubarmi il corpo, così siamo tutti soddisfatti.
 
Ed eccomi di nuovo in questa camera, piena di CD su mensole, scrivania e anche sul pavimento. Come al solito, il portatile azzurro è poggiato sul comodino, pronto all’uso, e un cestino è pieno di carte di merendine e altro cibo occidentale.
Appena ha scoperto che mi ritrovo periodicamente nel corpo di un altro ragazzo, il giorno dopo della prima volta che è successo, Mitsuha mi ha raccontato che anche a lei è capitato lo stesso nel periodo precedente all’incidente della cometa di Tiamat. Ho fatto fatica a crederle, all’inizio, ma quando, tre giorni fa, mi sono ritrovata di nuovo a vivere la stessa vita, mi sono convinta che mia sorella non fosse pazza, né mi stesse mentendo.
Sarebbe divertente stare per un giorno ogni tanto nel corpo di un maschio, ma questo Gemu Hideo in cui mi incarno non ha neanche muscoli. Però devo dire che in quanto a genitali non è messo male. Riprovo a infilare una mano nelle mutande per sentire il fallo irrigidito in tutta la sua lunghezza, poi tengo lo scroto caldo nel palmo della sua mano.
Non mi sento in colpa nei suoi confronti, perché so che anche lui approfitterà del mio corpo. Ricordo ancora quando vedevo mia sorella (ma non era lei) tastarsi il seno la mattina.
No, decisamente non mi sento in colpa. Anzi, è molto piacevole, per quanto strano.
Dopo un po’ che stimolo i suoi testicoli, l’eccitazione raggiunge il massimo. Sento lo sperma caldo risalire e invadermi la mano. Resto qualche minuto a percepire quel momento.
Mi alzo per andare a lavare il suo corpo e quasi subito inciampo su una pila di CD, riuscendo a rimettermi in equilibrio. Una persona così disordinata deve avere davvero poca serietà e cura di se stessa. La nonna era sempre molto chiara su questo punto, quand’era in vita: il disordine nella casa ha un suo riflesso nel disordine dello spirito, per questo è importante rimettere tutto al suo posto e mantenere l’armonia.
Passando davanti allo specchio del bagno, osservo i suoi corti capelli neri, gli occhi castano scuro e il volto affilato. Il tipico aspetto di un ragazzo giapponese medio.
Mi lavo le mani con cura, poi mi spoglio e metto i suoi vestiti in una cesta per la biancheria. Provo un po’ di disagio nel toccare la sua pelle insaponandomi e risciacquandomi.
Adesso che ho finito, mi metto l’accappatoio e ritorno nella camera da letto di Hideo. Mentre attraverso il corridoio, sento il rumore di posate sulla ceramica. Dev’essere uno dei suoi genitori che si prepara a far colazione.
Non ho idea di quali vestiti scegliere che siano adatti a lui, ma non ha molta importanza, dato che non deve vederlo nessuno. Vestitami (o vestitomi?) vado a rimettere l’accappatoio nel bagno e scendo le scale verso la sala da pranzo.
 
Che grande evento! Sento quel criminale di mio figlio lavarsi, e di prima mattina per giunta!
Stranamente si è alzato prima di me, oggi. E non è la prima volta che si comporta in modo insolito.
Circa una settimana fa ha finto di avere un’amnesia, pur di non affrontare l’argomento “banca”. Se non avessi sospettato qualcosa e non avessi portato il suo computer da un tecnico per sapere cosa combinava, adesso sarebbe in prigione.
Dopo aver indossato gli abiti da lavoro, vado al piano di sotto per mangiare. Prendo la scatola di zuppa di miso dalla credenza e la verso nella pentola, poi la riempio d’acqua. Resto vicino ai fornelli per mescolarla sinché non è pronta, poi spengo la piastra e prendo una ciotola per riempirla con un mestolo in acciaio.
Una volta servitami, mi siedo al tavolo e aggiungo dell’acqua minerale per raffreddare la zuppa. Ho appena il tempo di mangiare due cucchiaiate che sento Hideo scendere le scale.
- Buongiorno, mamma.
- Ah, adesso mi saluti? Come se quello che è successo fosse un’inezia. Non ti accorgi ancora di quanto sia grave quello che stavi per fare?
Lui mi guarda come se si aspettasse qualche cambiamento da parte mia.
- Mi dispiace se ti ho fatta arrabbiare, non era mia intenzione.
- Se rimani rinchiuso qui, avrai sempre queste idee folli. Spero che ti renda conto di doverti sforzare di avere una vita regolata. Ora voglio mangiare e andare tranquilla al lavoro.
Così mi siedo e finisco la mia zuppa.
 
Sono davvero in agitazione.
Ieri, mentre innaffiavo le viole in giardino, mi sono ritrovata davanti al cancello una persona del tutto inaspettata. Mi ha detto di stare andando al lavoro, ma che le avrebbe fatto piacere passare per fare una chiacchierata. Sul momento ero troppo sorpresa per ragionarci bene, così le ho detto di avvicinarsi oggi. Ma adesso ne sono pentita: non credo di essere in grado di riaffrontare Mitsuha.
Non vado fiera del modo in cui mi sono comportata con lei, interrompendo un’amicizia durata dieci anni, ma le pressioni che senti dall’ambiente ti portano allo sfinimento, se cerchi di combatterle, ed ero anche abbastanza spaventata dal modo in cui era riuscita a prevedere il disastro della cometa senza nessuna prova.
Katsuhiko non ha mai avuto questa paura. La sua mente non ha mai avuto difficoltà ad accettare situazioni fuori dal normale, dando loro spiegazioni ipotetiche. Lui si era allontanato da Mitsuha proprio perché lei non ha voluto spiegarci come abbia fatto a prevedere l’incidente.
Il suono del campanello mi fa scattare in piedi dalla poltrona. Ho il battito cardiaco più veloce del normale e un brivido mi attraversa.
Dopo un respiro, mi dirigo alla porta e guardo dall’oblò con funzione di spioncino. Riconosco la figura di Mitsuha ma, con mia sorpresa, è accompagnata da un ragazzo più o meno della nostra età.
Mi decido ad aprire la porta e ad avvicinarmi al cancello.
- Ciao, Mitsuha. Chi è il tuo amico?
- Salve, Saya-chin. Lui è… be’…
- Sono il suo ragazzo, Tachibana Taki. - si presentò con un inchino. - Ci tenevo tanto a conoscere gli amici d’infanzia di Mitsuha che le ho chiesto di venire con lei. Mi scuso immensamente.
- Non c’è problema. Piacere di conoscerLa, Tachibana-san.
- Mi chiami pure “Taki”. - replicò lui.
- Venite, vi accompagno dentro.
Li guido oltre l’ingresso e faccio indossare loro le pantofole per gli ospiti. Subito dopo aver indicato loro il divano, sento i passi decisi di Katsuhiko emergere dall’andito.
- Incredibile… Sei davvero Mitsuha! - le mormora mentre si avvicina per abbracciarla. Poi nota anche il suo accompagnatore.
- Lui è Tachibana Taki-san. È il…
- È il ragazzo strano che ho incontrato l’altro giorno al negozio! Che sta succedendo?!
Mi giro verso i due ospiti, che non hanno ancora avuto il tempo di sedersi.
- Ecco, Tesshi, siamo venuti qui proprio per parlare di questo… e di tutto. - gli dice Mitsuha.
- Intendi… di quel “tutto”? Dopo tutti questi anni? - le domanda lui.
- Lo so che sembra strano ma il fatto è…
- ...che non poteva spiegarvelo prima perché la memoria le è tornata da poco. - conclude Tachibana-san per la ragazza. Sempre che sia la sua ragazza realmente.
Io e Katsuhiko ci guardiamo, poi lui si siede e invita con un cenno gli ospiti ad imitarlo.
- Bene, vi ascoltiamo. Voglio proprio sapere cosa dovete dirci.
A quel punto iniziano a raccontare, più l’altro ragazzo che Mitsuha, una strana storia su scambi di corpo, viaggi nel tempo e richieste al dio Musubi che mi provoca un leggero mal di testa.
Alla fine, Katsuhiko li guarda attentamente a braccia conserte, mentre il mio sguardo passa dall’uno agli altri.
- ‘Mettiamo che io creda a questa storia. Come mai sei anni fa non potevi raccontarla e adesso sì?
- I ricordi si sono cancellati ad entrambi quella notte. Sono tornati solo da quando ci siamo ritrovati.
Mitsuha ci guarda supplichevole mentre parla e dentro di me so che quella è la verità, eppure ho una confusione in testa che mi impedisce di capire con esattezza cos’è successo.
Per questo preferisco usare l’anima.
- Mi dispiace per averti abbandonata. Non riesco neanche ad immaginare quanto ti sia sentita sola. Avremmo dovuto sostenerti e difenderti da quelle accuse di pazzia.
Mi alzo e la raggiungo per abbracciarla e lei fa lo stesso. La sento singhiozzare.
- Non avevo nessuno quando sono venuta a Tokyo… Avevo davvero bisogno di voi.
Katsuhiko si avvicina per metterle una mano sulla schiena e io vedo gli occhi di Tachibana-san illuminarsi di gioia per l’incontro che è riuscito ad organizzare.
 
Pur vedendola con un altro corpo, la casa dei Gemu è inconfondibile.
Situata nel quartiere di Jyuugaoka, è all’angolo tra due strade, con tanto di cortile ricco di aiuole. Le murate sono di un giallo luminoso e il muretto esterno è decorato da piastrelle di vari colori.
Socchiudo gli occhi e mi dirigo con decisione al pulsante del campanello e lo premo. So che i genitori di Hideo sono entrambi a lavoro in quell’orario, quindi posso parlargli direttamente.
Dopo circa un minuto, suono nuovamente il campanello. Non ottenendo ancora risposta, continuo a premere il pulsante sinché non vedo scostarsi un lembo di tenda alla finestra.
- Se non mi apri, al prossimo scambio distruggerò tutti i tuoi CD! - gli grido.
Dopo qualche secondo, sento aprirsi il cancello elettronico con uno scatto ed entro.
Attraversato il breve tratto che mi separa dalla porta, accedo alla casa, per la prima volta con il mio corpo. Vedo Hideo appoggiato alla parete con le braccia conserte.
- Allora, sbrigati a dirmi quello che vuoi e poi lasciami in pace.
- Ho saputo da tua madre che hai scritto un programma per introdurti in una banca. - Il ragazzo strinse gli occhi. - Volevo chiederti di persona perché, visto che credo tu sappia che i soldi sarebbero rintracciati facilmente, se ne prendessi. Qual’è il vero motivo?
- Una persona comune come te non capirebbe.
- Allora fammi diventare meno comune, perché voglio capire.
- Le banche impoveriscono la gente distribuendo prestiti senza avere realmente il denaro e prendendo gli interessi di questa somma fittizia, arricchendosi senza produrre realmente ricchezze. Così c’è meno denaro per le classi medie e povere, mentre i ceti ricchi continuano ad accumularne per lussi e spese di cui non hanno bisogno. Volevo mettere un virus nei programmi di una banca, così da invalidarne i sistemi e farla fallire.
Annuisco lentamente.
- Secondo me soffri per l’assenza dei tuoi genitori.
- Sei proprio stupida. Cosa c’entra il fatto che siano sempre a lavoro con il fallimento delle banche.
- Be’, è la povertà che causano le banche a obbligarli a lavorare di più.
- Questo non toglie che ci sia un furto legalizzato per ogni persona che fa crediti o prestiti.
- Sì, ma questo non toglie che ti senta solo.
I muscoli facciali di Hideo si contraggono.
- Se è pieno di idioti che accettano questo sistema di schiavitù, che porta in molti casi al suicidio da stress, senza provare ad avere una vita, la solitudine è l’unico modo per continuare a pensare.
- Io credo che tu abbia speso molte energie a cercare di convincere chi avevi vicino, anziché cercare chi condivide il tuo pensiero. A me interessa discutere di quello che pensi. Per te va bene?
Gli occhi che ho controllato io stessa, perdono il controllo da parte del proprietario.
- In ogni caso devo avere a che fare con te.
Socchiudo gli occhi e sorrido.
 
La cena con Saya-chin e Tesshi è stata piena di belle emozioni e di racconti da parte di tutti.
Ora, io e Taki-kun siamo seduti in un vagone del treno diretto alla stazione di Yotsuya e quasi del tutto vuoto per l’ora inoltrata
- Ti ringrazio per avermi chiesto di andare a trovarli. Senza il tuo aiuto forse non ci saremmo più rivisti. È come se la tua presenza nella mia vita mi rendesse tutte le cose importanti.
Taki-kun guarda il pavimento del vagone e si porta una mano alla nuca.
- Smettila… Non ho fatto niente di che.
- Anche quando ci scambiavamo mi hai dato molto di quello che mi mancava nella vita. L’hai completata. Penso che… - sento il sangue riempirmi le guance. - ...sia destinata ad essere felice finché sto con te.
Lui mi guarda assorto. Mi posa una mano sulla guancia e mi avvicina a sé. Deglutisco.
Il suo bacio è lento e delicato. Mi sento piena di energia nuova, che non appartiene alla Mitsuha che conosco. Sento chiaramente delle sensazioni piacevoli che non sono mie. Forse sono le sue.
Quando le nostre labbra si staccano, i nostri occhi si contattano.
- L’hai sentito anche tu? - mi chiede.
Io annuisco sorridendo.
- Credo che anche questo sia musubi. È una forza che non appartiene né a te né a me, ma a noi.
Taki-kun guarda fuori dal finestrino gli edifici immersi nella notte.
- Secondo te è possibile che per ogni musubi ci sia un essere che aspetta che lo viviamo dal suo punto di vista? Voglio dire, è possibile che noi non viviamo solo come Mitsuha e Taki, ma siamo in ogni altra persona e in ogni musubi e non ce ne accorgiamo?
Piego in dentro le labbra e rifletto su quello che mi ha appena detto.
- Credo che possiamo vivere in ogni corpo, se lo desideriamo davvero. D’altronde, noi non siamo i nostri corpi o le nostre personalità. Abbiamo vissuto ognuno la vita dell’altro come se fosse nostra senza nessuna finzione. Ormai io sono anche te e tu sei anche me, in un certo senso.
Il treno si ferma. Un’importante destinazione è stata raggiunta. Ci alziamo per scendere.
- Che ne dici se domenica torniamo al tuo villaggio? Vorrei tornare di nuovo lì con te.
La proposta mi sorprende, ma la trovo una splendida idea.
- D’accordo. Così potrai conoscere anche mio padre. O meglio, lui conoscerà te.
Ed è da qui che ci separiamo.

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Capitolo 2
*** Memorie di Itomori ***


 

Memorie di Itomori

 
Mi sembra un altro sogno. Sono quasi nove anni che non tornavo in questo magico paesaggio.
Osservando dalla stazione degli autobus il doppio lago, i monti, il villaggio e i boschi, torno a vivere in un posto che sento sicuro e che mi regala tutta la libertà che si possa desiderare.
- Allora, vuoi andare subito da mio padre o facciamo una passeggiata, prima?
- Perché no? Questo posto è talmente bello che non mi stancherò mai di visitarlo. E poi è passato così tanto tempo…
Non che l’abbia dimenticato. Anzi, da quando ho recuperato i ricordi, Itomori è rimasto vivido nella mia mente. Anche prima, i suoi paesaggi erano impressi nell’immaginazione che avevo in qualche modo conservato dalla mia esperienza.
Iniziamo a camminare sulla stradina, verso lo specchio d’acqua.
- Sai, mi sono riavvicinata a mio padre, il giorno del funerale di mia nonna.
- Be’, allora immagino che il suo carattere si sia addolcito.
- Sì, infatti. Ha anche capito che gli scambi di corpo sono reali. Si è ricordato di quello che ha detto la mamma il giorno che se n’è andata.
Le immagini mi corrono nella mente al sentire il racconto di Mitsuha.
 
Lei e suo padre sono seduti a un tavolo, su lati opposti.
- Hai detto che sai qualcosa sulla mamma che la nonna non sapeva. Cos’è?
- Sì, giusto. Il giorno in cui tua madre se n’è andata, ecco, era uno di quei giorni in cui si comportava diversamente, in cui era… qualcun altro. È svenuta, quindi l’ho portata a casa di Hitoha per assisterla e, mentre le stava preparando qualcosa, lei ha ripreso i sensi. Sembrava Futaba, ma mi ha detto qualcosa che per me non aveva senso. Ha detto che lui era caduto da un ponte, che l’aveva ucciso. Voleva che verificassimo se si poteva salvare.
- Ma perché? Il suo corpo era a posto, no? Doveva continuare a vivere!
- Negli ultimi tempi me lo sono chiesto anch’io. Forse… Incredibile, mi sembra di pensare come Hitoha… Forse la sua anima stava già staccandosi da un corpo e non era più capace di rimanerci. Tua nonna diceva che il musubi è molto difficile da recuperare quando viene annullato.
 
- La mamma è morta perché è morto l’uomo con cui si scambiava. Vorrei tornare a quel giorno e salvarlo, in qualche modo. Se impedissi quell’incidente, la mia famiglia sarebbe rimasta unita.
- Magari possiamo di nuovo cambiare il flusso del tempo. Però, forse… se il mondo in cui Itomori viene colpita senza che gli abitanti vengano avvertiti fosse lo stesso in cui sono vissuto per sedici anni e poi la mia coscienza si fosse spostata in questo?
- Mi sembri Tesshi. Stai dicendo che non credi di essere più nel tuo mondo? Che quando hai bevuto il mio kuchikamisakè hai cambiato dimensione?
- Ovviamente sono contento che tu sia viva, però... voglio che tu sappia anche quali sono i rischi, prima di desiderare un altro cambiamento del passato.
Mitsuha riflette qualche secondo prima di rispondermi.
- E se cambiassimo dimensione ogni attimo senza che ce ne accorgessimo? D’altronde, il tempo non è una serie di situazioni diverse in cui ci troviamo? Potremmo anche spiegarci i cambiamenti casuali con leggi fisiche e princìpi di causa ed effetto, restando di solito sullo stesso filo.
Accarezza il kumihimo arancione che porta sui capelli, prima di continuare.
- Andare su un altro filo potrebbe richiedere molta volontà, ma non è un rischio. Non credo sia molto diverso da spostarsi nello spazio. Se ci fosse la possibilità, vorrei andare in un mondo in cui la mamma si è salvata.
Di colpo mi viene un’idea.
- Allora andiamo al tempio sulla montagna. Potrebbe succedere qualcosa.
- E come? Ormai i nostri scambi sono finiti. Magari Yotsuha potrebbe riuscirci, ma noi…
- Anche quando avevo provato io, gli scambi si erano interrotti.
Lei si ferma a guardarmi.
- Hai ragione. Forse possiamo davvero riuscirci. Avviso il papà.
E così, camminiamo per tutto il tragitto che separa il villaggio da quel luogo sacro che la sacerdotessa chiamava “kakuriyo”. È meraviglioso tenerla per mano immerso nel posto in cui è vissuta per quasi tutta la vita e io per troppo poco. Ormai ho il massimo della felicità e non sento che mi serva fare altro se non aiutarla. D’altronde, aiutarla è sempre sata l’azione che ho voluto dedicarle di più, dalla scuola alla cometa. Che sia l’altruismo la chiave per generare gli scambi?
Finalmente raggiungiamo il cratere che contiene la piccola grotta sacra vicino all’albero. Dopo aver attraversato il torrente, entriamo e ci fermiamo davanti al piccolo altare in pietra.
- I kuchikamisaké! Senza non possiamo usare lo stesso metodo che ho usato io.
- Deve averli presi la nonna quando sono finite le cerimonie per il dio di Itomori.
- Mi dispiace. Speravo davvero che potessimo fare qualcosa.
- Be’, forse doveva andare così. Torniamo al villaggio.
Rifacciamo tutto il percorso inverso, e all’arrivo alle sponde del lago è già pomeriggio inoltrato.
- Allora, è stato piacevole come volevi, tornare qui? - mi chiede.
- Se passo del tempo con te sono sempre dei momenti stupendi.
- Però sarebbe stato lo stesso se li avessimo passati a Tokyo?
Non riesco a risponderle, perché un cumulo di tronchi rotola dalla strada sovrastante la nostra sopra le nostre teste. Spingo Mitsuha cingendola con un braccio per toglierla dalla traiettoria. Le mie scarpe scivolano sul terreno in pendenza che forma la riva del lago. I nostri corpi si inclinano e vedo i suoi capelli seguire la nostra caduta nell’acqua. Quando la mia faccia entra sotto la superficie, sento il liquido entrarmi nella bocca e nel naso. Poi, la mia pelle comincia a non sentire più il bagnato e la mia vista si affievolisce. L’ultima cosa che vedo è l’arancione della sera.
 
Un rumore acuto e ripetitivo mi sveglia. Sento delle coperte sopra il mio corpo. Sporgo la mano per spegnere la sveglia del telefono. Ma non lo trovo. Le mie dita, invece, toccano una superficie liscia e piatta. Improvvisamente, il rumore si interrompe. Sento il letto sotto di me muoversi.
Apro gli occhi.
Nella semioscurità, capisco di essere in una stanza che non ho mai visto. Mi volto verso la parte del letto che si è mossa di più. Lo spavento mi sveglia completamente.
Accanto al letto matrimoniale su cui sono sdraiata, un uomo si sta infilando dei pantaloni. Inspiro velocemente e l’uomo si volta verso di me. Prende qualcosa dal comodino. Alla poca luce che penetra dalla finestra mi accorgo che sono degli occhiali. Li inforca.
- Buongiorno, Hilja. Scusa se ti ho svegliata. Non posso farci nulla.
Hilja? La comprensione di quello che sta accadendo mi fulmina improvvisamente: sono nel corpo di qualcun altro. Ma non si tratta di Taki-kun. Perché? Chi è questa Hilja?
Quello che probabilmente è suo marito si infila una camicia. La sua voce e la sua faccia mi sembra di averli già conosciuti in qualche modo, ma non ricordo dove.
Esce dalla camera, lasciandomi a riflettere su questa nuova situazione.
Ricordo vagamente che è successo qualcosa all’improvviso e che Taki-kun mi ha spinta. Ricordo di essere entrata in acqua. Era l’acqua del lago. Che sia stato il materiale della cometa disciolto nell’acqua a scatenare di nuovo lo scambio? Taki-kun mi aveva detto che quel materiale ha provocato i nostri scambi, secondo un fisico che ha conosciuto.
Ad ogni modo, finché sarò in questo corpo, mi conviene capire dove mi trovo e perché sono qui. Mi alzo e accendo la lampada accanto a me. L’oggetto che avevo toccato cercando il telefono è un libro: “Come risanare la vita di coppia”.
Forse sono finita in questo corpo per aiutare questa Hilja a migliorare il suo matrimonio.
Guardo fuori dalla finestra: ormai non mi sorprende più vedere i grattacieli della città circondati dalla luce dell’alba. Non sono sicura di essere a Tokyo, ma credo di sì.
Sento una porta chiudersi. Il marito della donna di cui controllo il corpo dev’essere uscito. Decido di esplorare la casa, quindi spengo la lampada ed esco dalla stanza.
Mi ritrovo in un corridoio con varie porte, una aperta che dà una vista sulla cucina. Mi sembra di aver già visto questo posto, ma ancora mi sfugge il quando. Apro una porta per vedere che cosa ci sia all’interno e trovo un piccolo bagno. Entro e mi metto davanti al lavandino.
La specchiera riflette una donna dai capelli neri non molto lunghi e gli occhi azzurri. La pelle è più chiara di quella di una giapponese e i tratti del viso mi sembrano più europei. Anche il nome “Hilja” è sicuramente occidentale. Eppure l’uomo che ha dormito con lei parlava giapponese.
- Mamma, come mai sei già in piedi?
Sobbalzo e mi volto contemporaneamente verso il corridoio. Dopo aver visto chi mi ha parlato la mia sorpresa non diminuisce.
A guardarmi è un bambino di meno di dieci anni con capelli castani e gli stessi occhi azzurri che ho appena visto riflessi.
- Taki-kun!
Anche se molto più piccolo di quando l’ho conosciuto, è inconfondibile. Cerco di riprendermi dalla sorpresa. Cosa ci faccio nel corpo della madre di Taki-kun? Dovrò dirgli quello che gli succederà in futuro? No, meglio di no: lo spaventerei soltanto. Devo cercare di recitare il ruolo che mi è stato assegnato dagli dei.
- La mamma non si sente molto bene, oggi, Taki-kun. Puoi aiutarmi a fare le cose?
Gli occhi del bambino si riempiono di apprensione. Non riesco a guardarlo, lo sto facendo soffrire. Ed è ancora più innocente che da adulto.
- Va bene, mamma, non ti devi preoccupare. Ti aiuta Taki a fare tutto.
Mi stanno lacrimando gli occhi.
- Gra...Grazie, Taki-kun.
E così prepariamo la zuppa di miso, avvolgiamo il riso nelle alghe nori e cuciniamo dei tamagoyaki1.
Lo vedo completamente assorto in quello che fa, non molto diversamente da com’è nel mio tempo.
Arrivata l’ora di colazione, mangiamo insieme. Mi sento davvero fortunata a poter condividere una giornata con il Taki-kun di quell’età. Forse è questo il motivo di questo scambio.
Eppure ho un sospetto. Nell’ultima giornata che ricordo ho desiderato di tornare al giorno in cui mia madre è morta. Mentre Taki-kun esce dalla stanza per cambiarsi, cerco un calendario. Ne trovo uno appeso ad un chiodo. Guardo il mese: settembre 2007. I miei sospetti erano giusti.
Ma ora cosa faccio? So di dover cercare l’uomo con cui si scambiava la mamma, ma non so dove devo andare, né che aspetto abbia. È straziante avere l’occasione per salvarla e non riuscirci lo stesso.
- Riesci a guidare per andare a scuola? - mi chiede il bambino.
- Sì. Sì, amore, ma ho bisogno che mi indichi la strada, se ce la fai.
 
- Amore! Amore, svegliati! Tra poco dobbiamo aprire.
Sì, devo aprire gli occhi: Mitsuha è in pericolo. Appena lo faccio, mi ritrovo una donna dai capelli castano-scuri chinata su di me. Con un sussulto mi sveglio del tutto.
- Forza, oggi devi anche ritirare le merci a Tokyo. - dice la sconosciuta allontanandosi. Poi esce dalla stanza, lasciandomi alla mia confusione.
Mi tocco i capelli e mi guardo le braccia. Questo non è il mio corpo. È un corpo maschile, quindi non mi sono scambiato con Mitsuha. Ma allora dove sono finito?
Mi alzo nella stanza illuminata e con lo sguardo trovo uno specchio a muro. Mi ci avvicino per vedere il mio nuovo volto. È quello di un uomo sui quarant’anni, più muscoloso di me. Mi sembra di averlo già visto, ma non ricordo quando.
Ragioniamo: Mitsuha ha espresso il desiderio di tornare al giorno in cui sua madre è morta. E se fosse per questo che ho un nuovo corpo? Allora anche lei dev’essere qui da qualche parte.
Apro i cassetti dell’armadio che ho vicino e prendo i primi indumenti che mi ritrovo in mano. Li infilo, poi esco dalla camera e scendo una rampa di scale in legno. Mi ritrovo in un salone con vari tavoli separati da me tramite un bancone. Dev’essere un bar o qualcosa di simile.
Noto la moglie dell’uomo che impersono posare una pentola sui fornelli e accenderne uno.
- Io… devo fare una cosa importante. Scusami.
Corro alla porta dietro il bancone e la apro.
- Ma… Aspetta! Cosa devi fare!?
Chiusa la porta, mi ritrovo nel luogo in cui avevo immaginato di essere. Anche se sono passati anni da quando percorrevo queste strade sopraelevate che si sovrappongono seguendo le colline, il ritorno della memoria avvenuto con il riavvicinamento a Mitsuha mi rende questo villaggio nitido in tutti i suoi particolari. Ora quello che mi serve è la posizione della casa dei Miyamizu.
Corro per le strade di Itomori, cercando il torii2 del tempio secondo quello che ricordo del tragitto per la scuola superiore. Mitsuha dev’essere in uno dei corpi dei suoi familiari. Forse in quello di sua madre.
Finalmente scorgo la coppia di edifici che sto cercando. Aumento l’intensità della corsa, fino a ritrovarmi sulla scalinata che sale verso il tempio. Camminando la risalgo, cercando di immaginare un modo per riconoscere Mitsuha e farmi riconoscere da lei. Forse posso dire una parola che simboleggia il nostro rapporto di scambi, come “katawaredoki”.
Quando arrivo alla casa, sento una voce di donna, quindi poso una mano sullo shouji3 d’ingresso e lo apro di poco. Scorgo una bambina di circa dieci anni a gambe incrociate davanti a un chabudai4 e ad una donna mora nella sua stessa posizione. Sembra che stiano giocando a dama cinese.
- Certo che sei proprio imbattibile in questo gioco. - sento dire alla madre di Mitsuha.
- Ma cosa dici, mamma? Sei stata tu a insegnarmelo!
Capisco subito la situazione: in questo momento è in corso uno scambio tra la madre di Mitsuha e un uomo a me sconosciuto. Resta da capire se la Mitsuha del mio tempo sia in qualcuno degli altri corpi. Dev’essere così, non ha senso che ci sia solo io.
Aspetto qualche minuto che finiscano la partita, poi vedo Mitsuha mangiare. A un certo punto sento dei passi dietro di me e mi volto. Si tratta della sacerdotessa Miyamizu, appena uscita dal tempio.
- Jirou-chan! È bello ricevere una tua visita. Ma non hai lavoro, oggi?
- Ecco, in effetti sì… Solo che…
- Oh, non importa. Entra e stai un po’ con noi.
L’anziana apre del tutto lo shouji e mi invita a entrare. Saluto Mitsuha, che ha preso una ciotola di riso e la sta mangiando, e sua madre, poi ci sediamo.
- Allora, com’è andato il matrimonio di tua cugina, Jirou-chan? Avete fatto valere il cibo di Itomori rispetto a quella spazzatura che vendono in città? - mi chiede la sacerdotessa.
- Ah… Sì. Siamo stati bene.
Passano dei secondi di silenzio in cui mi innervosisco per la situazione in cui sono finito. Per fortuna viene interrotto dalla mamma di Mitsuha.
- Mamma, puoi pensare tu a portare la bambina a scuola?
Lo sguardo dell’anziana si indurisce.
- Allora hai accettato di assecondare le idee di tuo marito. Be’, il tempo è il tuo e decidi tu come impiegarlo. Ma ricorda che potrebbe finire improvvisamente e gettarlo via per le ambizioni di qualcun altro non è una scelta saggia.
L’espressione della donna più giovane è prevedibilmente spaesata. Sua madre si alza e si avvicina a Mitsuha. La bambina finisce di mangiare e porta la ciotola al lavello della cucina.
- Andiamo, Mitsuha. Prendi lo zaino.
Dopo un minuto circa, le due Miyamizu escono dalla casa, salutandoci.
- Ascolta: sono anch’io nel corpo di un altro. So cosa stai passando.
La madre di Mitsuha, o meglio, lo spirito che occupa il suo corpo, mi guarda con occhi sgranati.
- Anche tu…? Sai cosa mi sta succedendo? Per favore, dimmi tutto!
A quella richiesta mi fermo: mi chiedo se sia un bene fargli sapere che probabilmente in quel giorno la sua vita sarebbe finita. Ripenso a tutti gli anni che ho trascorso tra le sensazioni che mancasse un importante tassello della mia memoria e un’importante persona nella mia vita. Se scegliessi di mentirgli, gli toglierei la possibilità di capire cosa gli sta accadendo e magari di trovare un modo per salvarsi, lasciandolo nell’ignoranza fino alla morte. Ma è anche vero che non ci sarebbe molto che possa fare in questo breve tempo, perché sono sicuro che si tratti della giornata in cui lui e la madre di Mitsuha avrebbero incontrato quello che la sacerdotessa chiamava “kakuriyo”. Se gli annunciassi la sua morte, probabilmente lo riempirei di angoscia senza ottenere nulla di costruttivo. Inoltre, so di essere venuto in questo tempo per impedire la sua morte e non so se sia possibile. Come si può dire il falso su qualcosa che si crede incerto?
Decido di mentire solo in parte: gli spiego quello che mi disse anni fa sugli influssi della cometa caduta su Itomori il professor Oshiro, il fisico che ho conosciuto, gli dico che gli scambi si interromperanno, a un certo punto, e che deve continuare fino a quel momento senza preoccuparsi.
Allo stesso tempo, decido di agire. E per farlo, ho bisogno di un’informazione.
- Ho bisogno di parlare con la donna di cui stai usando il corpo. Dove potrebbe essere il tuo?
- Be’, io lavoro nel quartiere di Chuo, a Tokyo. Vendo crostacei al mercato ittico di Tsukiji.
- E che aspetto ha il tuo corpo?
Mi descrive un uomo robusto, con capelli neri corti e occhi nocciola. Dubito che questa descrizione mi possa servire a trovarlo più di un certo tanto, ma meglio di niente.
- Grazie. Mi sei stato davvero d’aiuto. Spero di poter ricambiare il favore.
Mi alzo, ma prima di poter uscire, qualcuno apre la porta. Anche se più giovane di vari anni rispetto all’uomo che ricordo, riconosco il padre di Mitsuha.
- Salve, Jirou-san. Che sorpresa trovarti qui! Futaba, noi abbiamo quell’impegno di lavoro, ricordi?
- Oh… Sì… Certo. Jirou-san stava per andare via.
Se non fossi stato già in piedi, l’affermazione sarebbe suonata come una scortesia.
Saluto i padroni di casa e mi dirigo alla stazione degli autobus: ormai sono sicuro che Mitsuha sia finita in un corpo vicino a quello che controlla sua madre. Non so come, ma ritroverò lei e quel corpo. Questa volta non ho un piano come quando avevo in mente di salvare gli abitanti di Itomori dal disastro, ma ho fiducia che il dio Musubi o chiunque ci abbia concesso di tornare a questo giorno, ci abbia preparato la strada per raggiungere l’obiettivo che ci siamo fissati.
 
Sono ore che vago per la capitale alla disperata ricerca di una sensazione, un segno che mi permetta di riconoscere mia mamma quando vedrò il corpo che ha in prestito.
Vorrei che Taki-kun fosse qui ad aiutarmi. Quando era lui a gestire la mia vita faceva diventare tutto semplice. Invece io ho avuto difficoltà nel gestire la sua.
Eppure lui non ha bisogno di metodi precisi per riuscire in quello che fa. Ricordo ancora la mia sorpresa quando mi ha raccontato di aver cambiato il tempo bevendo il mio kuchikamisaké. Credo che abbia le risposte già dentro di sé, intuitive, come se avesse un legame con la verità. Un musubi.
Adesso mi trovo al mercato ittico di Tsukiji, dove molta gente si riunisce per fare compere. Inizio a guardare i gruppi di persone, i negozianti e i clienti che parlano con loro, ma non ho nessuna impressione particolare.
Sto per terminare la strada, quando attira la mia attenzione una bancarella vuota. Il robusto negoziante sta ripiegando l’ombrellone per andarsene. Mi sento improvvisamente vicina a quel giovane e ho l’impulso di avvicinarmi.
- Mi scusi. - gli dico, incerta. Lui mi guarda intensamente con gli occhi nocciola. Poi ricomincia a sistemare gli oggetti piegando la sedia.
- Mi dispiace, signorina, ma per oggi ho venduto tutto. Torni domani.
- No, non sono venuta per comprare. Vorrei aiutarLa a mettere a posto, se per Lei va bene.
Mi osserva sorpreso, ma non riconosco tracce di diffidenza sul suo volto.
- Certo, grazie. È molto gentile.
Così io prendo la sedia e l’ombrellone, mentre lui porta la bancarella. Usciamo dalla strada del mercato e proseguiamo in quella principale.
- Io mi chiamo Nakajima Nobu. Piacere.
A quel punto, decido di usare l’impulsività che mi piace tanto di Taki-kun, e rischio.
- È questo il tuo vero nome? O è quello dell’uomo di cui vivi la vita?
Il tavolo ripiegato gli cade sul marciapiede.
- Ma come…?
Avevo ragione. Ho fatto bene a rischiare: finalmente ho l’occasione di riparlare con la mamma. Mi sento invasa dalla gioia.
- Succede anche a me. Ora ti spiego tutto. Ma prima saliamo sul furgone. Se parliamo mentre siamo in moto non c’è il rischio che qualcuno ci ascolti.
Depositiamo gli oggetti sul retro del suo veicolo e ci sediamo nell’abitacolo. Mia madre accende il motore e inizia a guidare.
- Come hai fatto a capire che non mi trovo nel mio corpo? - mi chiede.
- Ho come sentito che eri una persona speciale. C’è un legame molto forte tra di noi. Sono Mitsuha.
Perde il controllo del volante. Il furgone sbatte violentemente contro una macchina e il contraccolpo ci fa sbattere all’inferriata di un ponte. Lo sportello del guidatore si apre e il corpo di Nobu scivola giù dal sedile. Gli afferro una mano prima che cada, ma mi scivola tra le dita.
 
Sento la sirena di un’ambulanza avvicinarsi, mentre mi dirigo al mercato. Allora mi affretto a percorrere le poche strade che mi separano da esso. Scorgo un ponte. C’è stato un incidente.
Poi vedo mia madre che piange mentre parla con degli uomini, evidentemente appena scesi dall’ambulanza. Cosa ci fa qui mia madre? No, non si tratta di mia madre.
Mi avvicino di corsa senza preoccuparmi di non interrompere il dialogo e abbraccio Mitsuha. Le sussurro: “Sono io.”
- Taki-kun!
- Scusate, è sicura che non sia riemerso, signora?
- Sì. È tutta colpa mia! Ho voluto prendere io il furgone!
- Chiameremo la Guardia Costiera per ritrovare il corpo. Medicate il ferito. - ordinò l’infermiere ai suoi colleghi riferendosi a un autista che guidava l’auto coinvolta nell’incidente.
Ci lasciano soli. Io la guardo negli occhi.
- Mitsuha… è caduto da questo ponte. Non sarà mica… Cos’è successo?
- L’avevo trovata. Quando ha saputo chi sono davvero si è spaventata e… - singhiozza per qualche secondo. - Perché, Taki-kun? Se siamo tornati qui per salvarla, perché sono stata proprio io a farla morire? Non ha nessun senso.
Osservo le isole immerse nella Baia di Tokyo. È stata un’ingiustizia portarli in quel momento per far avvenire l’avvenimento opposto a quello che avevano desiderato. Eppure...
- Forse era l’unico modo per fortificarti abbastanza. - le dico. Lei mi guarda confusa. - Se non avessi vissuto la morte di tua madre, forse non avresti retto alla caduta della cometa. È la sola spiegazione che mi viene in mente.
Le guance di mia madre vengono asciugate con la manica.
- Penso che tu abbia ragione. Sarebbe stupido pensare che mi abbiano fatto tornare a questo giorno per prendermi in giro. Ora, però, come facciamo a tornare nel nostro tempo?
- Immagino che finirà tutto quando ci addormenteremo. Io devo prendere della merce qui a Tokyo per non creare problemi all’uomo che mi sta prestando il corpo.
- I tuoi genitori stavano avendo dei problemi in questo periodo. Vuoi che faccia qualcosa per riconciliarli? Anche se solo per un giorno?
- No, lascia stare. Quando hai cercato di aiutarmi con Miki-chan, quando sono tornato in me è rimasta delusa dal cambiamento.
- Miki-chan?
- Tu l’hai conosciuta come Okudera-senpai. È vero che siamo diventati amici, poi.
Passano secondi di silenzio.
- Nonostante tutto, ho potuto riparlare con la mamma. Grazie per avermi riportata a Itomori.
Sorrido. Restiamo ancora qualche minuto sul ponte. Poi, ci salutiamo.
Io prendo di tasca il biglietto con la lista delle merci da reperire e le trovo in un supermercato. Riempito lo zaino, prendo un Super Espresso per riavvicinarmi a Itomori, almeno nello spazio.
 
Acqua. Ovunque acqua. Non quella di un tempio né di una cascata5. Inconfondibile acqua.
Sento un rumore basso provenire da sopra di me. Agito le braccia per cercare di tornare in superficie, nonostante non abbia mai imparato a nuotare. Ma una mano mi cinge la vita e mi tira su.
 
Aria. Finalmente aria. Respiro l’aria di montagna che mi mancava tanto. Che tanto mi piace.
Riesco a portare Mitsuha vicino ai tronchi di legno che ci stavano per colpire. Ne afferriamo uno. Guardo verso la riva e vedo affacciarsi un uomo piuttosto anziano.
 
- Scusate. Non so come, ma si è tolto il blocco di sicurezza e i tronchi sono scivolati dal carro. - ci spiega il padre di Tesshi aiutandoci a risalire a terra. Una terra che mi ha supportato in tutti i momenti difficili che ho vissuto e che è rimasta anche dopo l’impatto della Cometa di Tiamat.
 
- Ma tu sei Mitsuha-chan! Sei tornata in visita qui, eh? Allora, come ti va a Tokyo? - chiede, mentre i raggi del sole ci riscaldano come fuoco. Un fuoco simile alle forze che ci hanno fatto vivere un ultimo sogno. Un fuoco che, sebbene sarebbe stato dimenticato dalle nostre menti…
 
...avrebbe continuato a fornire energia ai nostri spiriti per tutte le nostre vite. Sento le lacrime mischiarsi all’acqua del lago sulle mie guance. Ma sono lacrime di gioia, perché ormai noi due…
 
...ormai noi due…
 
...abbiamo lo stesso nome.

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