Damian

di Elle_vi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***



Capitolo 1
*** I ***


I
 
Damian Wayne era popolare, e non perché fosse il figlio di Bruce Wayne, ma era bello, intelligente, interessante, e beh...era il figlio di Bruce Wayne, a.k.a. uno degli uomini più influenti della città e ciò lo rendeva estremamente ricco e figo, a quanto pare.
Fosse stato solo lui il problema però non sarebbe stato nemmeno troppo grave, ma nella sua università si trovavano tre dei figli Wayne: Damian, Richard e Timothy.
Jonathan, era all'ultimo anno di liceo, mentre il quinto, Jason, era già laureato e lavorava col padre.
A pensarci bene, Andrew si stupì di come non ne avesse fatto già fuori uno di loro tra le elementari e il liceo, perché li aveva sempre avuti a scuola con lui.
 
Non che gli avessero fatto qualcosa in particolare, ma non sopportava la loro insensata popolarità: non erano nulla di speciale, dei normali ragazzi che però eccellevano in tutto ciò che facevano, dallo sport allo studio, erano sempre stati in cima alle classifiche dei voti e la gente li idolatrava per questo. Insopportabile.
 
Ma di quei quattro, quello che meno soffriva era proprio Damian.
 
Era sempre lì, nel banco poco più avanti del suo, con quel suo atteggiamento da superiore. Intoccabile e impassibile, e allo stesso modo, un passo avanti a lui in ogni cosa.
Era irrilevante quanto lui si impegnasse, era sempre secondo in tutto.
Il primo dei perdenti.
 
Questo pensiero lo aveva perseguitato da quando lo aveva conosciuto, e fu anche il motivo che lo portò ad iniziare a tormentarlo.
Iniziò a fargli degli scherzi, ma lui non si era mai arrabbiato e questo non aveva fatto altro che aumentare la maldisposizione nei confronti del corvino.
 
I suoi pensieri furono interrotti dal professore di chimica, corso che seguiva assieme al suo nemico giurato, che riconsegnò gli esami che avevano sostenuto la settimana prima, dopo uno studio di mesi.
Sapeva tutto, aveva studiato il libro più e più volte, sarebbe andato meglio del suo rivale.
L'insegnate iniziò a chiamare gli studenti e pronunciare i voti.
Lui si concentrò solo sul suo nome e quello di Wayne.
''McHoney: novantasei'' sorrise, beandosi degli sguardi allibiti degli altri che erano rimasti sulla media degli ottanta ''Wayne: novantasette''.
 
Un punto. Un solo punto di differenza.
 
Alzò lo sguardo ed incontrò il sorriso beffardo del corvino che lo guardava con quegli occhi color
ghiaccio.
 
Odio. Odio profondo.
 
C'era una cosa che nessuno sapeva di Damian Wayne, ed era il fatto che in realtà fosse un egocentrico, manesco, bastardo. Gli piaceva far sentire gli altri inferiori.
Ma l’unico che sapeva di quella particolare sfaccettatura del suo carattere era lui.
La campanella suonò segnando la fine delle lezioni, stava per raggiungere il corvino quando una ragazza lo anticipò civettando in maniera odiosa: ''Damian mi aiuti a studiare?''. Ridicola.
Riconsegnò il test accettando il voto e si diresse verso il parcheggio per recuperare il suo Scassone, così lo aveva chiamato, che aveva comprato alla fine del liceo, grazie a diversi lavori e notti in bianco.
Era un vecchio pick-up grigio che stava perdendo la vernice in qualche punto ma funzionava ancora abbastanza bene e a lui andava bene così.
Posò lo zaino sul sedile del passeggero e accese l'auto.
Si rilassò sul sedile e sospirò, vide in lontananza tutti i Wayne raggiungere il fuoristrada moderno del più grande e salirci.
 
Bella la vita da ricchi eh? Niente lavori extra, niente fatica, nessuno sforzo per pagare le bollette o l'affitto...probabilmente non sapevano nemmeno cosa volesse dire 'bolletta'.
''Respira Andrew, respira...'' era un mantra che si ripeteva da quasi tutta la vita.
Accese l'auto e si diresse verso il suo lavoro, dall'altra parte della città.
Non era nulla di speciale, lavorava in un fast-food non troppo lontano da casa sua, ed essendo un posto discretamente piccolo era riuscito ad organizzarsi con gli altri in modo da far convivere studio e lavoro.
Gli aspettavano altre cinque ore di fritto, unto, e stress, ma era l'unica cosa in grado di fargli pagare l'affitto ed arrivare a casa non oltre mezzanotte.
Nessuno sapeva che lavorava lì: si era imposto di non dirlo neanche ai suoi amici più intimi, riteneva che fosse troppo imbarazzante e quindi preferiva che nessuno delle sue conoscenze lo sapesse.
 
Era venerdì, il suo turno era iniziato da appena un'ora, e già non ce la faceva più.
Altre quattro ore sembravano un incubo, soprattutto per le orde di ragazzini che si rifugiavano nel locale a mangiare prima o dopo il cinema, che si trovava lì vicino, e che creavano un caos non da poco.
L'unica fortuna che gli era stata riservata per quella sera, era che un suo collega gli doveva un favore e quindi aveva accettato di fare scambio con lui in cucina, quindi invece che ritrovarsi alla cassa e subirsi le chiacchiere incessanti, stava in cucina a preparare i panini.
Era uscito un momento a consegnare un ordine vegetariano, che non doveva essere confuso, quando si accorse che un ragazzino in fila per pagare lo fissava incessantemente.
La cosa lo stava mettendo alquanto a disagio, una volta consegnato il panino tornò di fretta in cucina per sfuggire da quello sguardo intenso.
Finalmente il suo turno finì e poté tornare a casa.
 
 
Mai, nemmeno nei suoi peggiori incubi avrebbe pensato che Wayne avrebbe messo piede in quella zona della città, lui era ricco, bello e non si confondeva tra la massa, lo sapeva, eppure perché stava passando davanti alla vetrina del locale?
Si nascose dietro la porta della cucina che aveva un piccolo oblò in modo da controllare se il ragazzo entrasse o meno.
Fortunatamente passò oltre e lui poté tornare a cucinare gli ultimi ordini del suo turno prima di passare alla cassa.
Erano le ventitré e ventidue, mancavano otto minuti alla fine del suo turno quando la sfiga tornò a bussare alla sua porta: Damian era entrato e guardava curioso il menù. Miracolosamente sembrava non averlo riconosciuto, abbassò di più la visiera del cappello che aveva indossato al posto della retina e aspettò l'eventuale ordine del ragazzo che arrivò poco dopo.
Prese l'ordine annuendo, invece che rispondere a voce.
Probabilmente lo stava guardando stranito, ma la cosa era irrilevante in quel momento.
Andò a sedersi aspettando il suo panino mentre Andrew sudava freddo cercando di dissimulare la sua voce in modo credibile...ma forse lo aveva riconosciuto da subito ed era il motivo per cui si trovava lì: umiliarlo più di quanto già non facesse di solito.
 
Gli diede un'occhiata veloce: era seduto ad uno dei tavoli vicino alla vetrata e scriveva messaggi ad una velocità disumana, sogghignando. Magari parlava di lui, di come fosse ridicolo e sfigato.
Doveva calmarsi.
Nel frattempo era arrivato il suo ordine.
Si schiarì un po' la voce e parlò ''Numero cinquantasei''.
Il corvino si alzò dalla sedia senza togliere lo sguardo dallo schermo del telefono continuando a ridacchiare, alzando lo sguardo solo per afferrare il vassoio per vedere nuovamente il cappello del moro invece che il suo viso.
''Sai, assomigli proprio a qualcuno che conosco ma non saprei dire chi'' disse ghignando
Quindi aveva capito?
''Ah si?'' rispose lui sempre tenendo lo sguardo basso
''Già, ma proprio non mi viene in mente'' disse facendo schioccare la lingua ''Moro, taciturno, e che non sempre guarda le persone negli occhi''.
 
Quelle parole furono una conferma.
 
Alzò lo sguardo rabbioso per incontrare quello sempre pacato dell'altro, che sgranò leggermente gli occhi.
''Io guardo sempre le persone negli occhi'' sputò acido
''Mio fratello aveva ragione... sei davvero tu!'' era sorpreso?
''Cosa?''
''Non pensavo davvero che fossi tu, volevo solo tirarti in mezzo...e invece guarda cosa ho scoperto, fantastico''
Andrew scattò in avanti avvicinando al viso del corvino ''Se solo provi a dirl-''
''McHoney, non vorrai mica che si venga a sapere del comportamento che stai tenendo con un tuo cliente, vero?'' sogghignò Damian interrompendolo ''Quindi evita di dire cazzate e servimi il mio ordine, ah portamelo al tavolo. Grazie'' concluse lasciando il vassoio e voltandosi, tornando al suo tavolo.
Buttò un'occhiata all'orologio, mancava un minuto, non aveva modo di scappare a quell'ultimo servizio.
Mandò giù il groppo di rabbia, antipatia e pura repulsione, e consegnò il vassoio al tavolo incriminato.
''Grazie'' sorrise amabilmente Damian 
''Prego. E non tornare mai più'' rispose secco il moro dirigendosi poi direttamente ai camerini.
 
Si sentiva sporco: sudato, appiccicoso, puzzolente e stanco. Dannatamente stanco.
In più si aggiunse il malessere provocato dalla vista di Wayne che era troppo vicino anche così, solo l'idea che fosse nello stesso posto e condividessero la stessa aria lo disgustava in qualche modo.
Decise che avrebbe fatto la doccia a casa, non ne poteva più di stare lì.
Una volta arrivato al suo piccolo monolocale, si rilassò.
Aveva parcheggiato a qualche isolato di distanza per non rischiare di farsi rubare lo Scassone e una volta entrato in casa, posò lo zaino e chiuse la porta a chiave.
 
La zona dove viveva non era proprio sicura, non era raro che di notte scattassero anti-furti o addirittura rimbombassero degli spari, per cui aveva comprato diversi lucchetti per l'entrata, mentre, vivendo al terzo piano, non ne aveva avuto bisogno per le finestre, che davano su un vicolo buio.
Accese il riscaldamento per evitare di morire congelato date le basse temperature di Dicembre, e visto che ci avrebbe messo un po' a partire, si fece la tanto agognata doccia togliendosi di dosso tutta la sporcizia che sentiva al tatto.
Prese il panetto di sapone burroso e profumato e iniziò a strofinarselo ovunque, era una sensazione magnifica.
Una volta asciugatosi indossò un'altra felpa, raggiunse la minuscola cucina e si preparò da mangiare, che per quella sera era del semplice ramen istantaneo.
Guardò un paio di video sul telefono e poi si mise a dormire nel divano-letto che aprì in sala visto che non esisteva una vera camera da letto.
Chiuse gli occhi pregando che il corvino non avesse già rivelato a tutti il suo segreto.
 
Dormì abbastanza bene, la casa si era scaldata il giusto per non sentire freddo e al mattino si fece una doccia veloce.
Doveva razionare bene il riscaldamento e la caldaia, in quanto erano le cose che faceva più fatica a pagare, nonostante la proprietaria del monolocale gli avesse abbonato le spese condominiali.
Se fosse stato per lui avrebbe lasciato i caloriferi andare anche di giorno, ma non poteva permetterselo.
Fortunatamente quel giorno sarebbe stato più leggero degli altri, si limitò a cambiare i libri e a dirigersi in università.
Il fatto che vivesse così lontano lo costringeva a svegliarsi almeno due ore prima delle lezioni e la cosa a volte lo stressava più del normale, rendendolo nervoso e poco incline alla sopportazione. Coi mezzi ci avrebbe messo molto di più, quindi doveva prendeva la macchina e si faceva andare bene la sveglia mattiniera.
Ma quel giorno si era svegliato col piede giusto, nemmeno la vista dei Wayne lo aveva disturbato più di tanto.
Nessuno gli aveva detto nulla riguardo al suo lavoro, quindi le possibilità erano due: o Damian l'aveva raccontato dicendo di far finta di nulla, o non lo aveva detto in giro.
La domanda gli ronzò per la testa tutto il giorno ma riuscì ad ascoltare le lezioni e prendere appunti.
La giornata passò velocemente cosa che lo portò, troppo in fretta per i suoi gusti, a cambiarsi per l'allenamento di boxe, che gli aveva permesso di avere la borsa di studio, corso che frequentava anche uno dei Wayne...se non si ricordava male, quello dell'ultimo anno.
Richard doveva chiamarsi, non ne era certo poiché tutti e cinque sembravano delle dannate fotocopie: capelli rigorosamente neri, con tagli diversi, ed occhi che variavano dai toni dell'azzurro al verde.
Quel tipo nonostante tutto aveva una faccia simpatica, sempre pronto alla battuta, era il più sopportabile tra i fratelli.
Lo osservò mandare a terra il suo avversario ed avvicinarglisi per aiutarlo a sollevarsi.
Era il suo turno ora.
Richard gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise ''Dacci dentro'' disse prima di superarlo e andarsi a sciacquare dal sudore.
 
Il moro riuscì a vincere contro l'avversario e dando un'occhiata veloce agli spalti gli fu impossibile non riconoscere il corvino, che aveva seguito anche il suo match.
 
Quando realizzò che era stato lì tutte le tre ore, strinse i pugni e si avvicinò agli spalti che si erano svuotati.
''Cosa fai qui?'' abbaiò il moro
''C'è un divieto per gli spettatori?'' chiese a suo volta il corvino tranquillo
''Per te sì''
''Cos'è ti vergogni? Paura di essere giudicato? Oppure temi che dica in gir-''
''Zitto!'' disse un po' troppo forte facendo girare le poche persone rimaste ''Il tuo parere vale meno di zero, ciò che pensi tu è irrilevante''
''Lo stesso vale per me, quindi...'' continuò abbassando la voce ''Vedi di levarti dal cazzo, novantasei''.
Lo avrebbe ammazzato, davvero.
''Vaffanculo Wayne'' ringhiò assottigliando gli occhi
''Fottiti McHoney'' sorrise l'altro.
Non passarono alle mani solo per l'intervento del coach che lo richiamò.
Doveva resistere altri cinque mesi e poi avrebbe potuto staccarsi da quell'imbecille.
Dopo la doccia, una volta nello spogliatoio ormai vuoto, notò una figura che stava raccogliendo le ultime cose: Damian era lì a prendere le chiavi del suv che Richard aveva dimenticato nell'armadietto.
La fortuna sembrava girare dalla sua parte per una volta.
 
Poteva prendersi la sua rivincita ora che non c'era nessuno ad ostacolarlo.
 
Gli si posizionò dietro chiudendo con forza lo sportello di metallo, tenendovi la mano appoggiata sopra.
Il corvino non fece una piega, come se lo aspettasse, anzi sospirò.
''Vuoi davvero fare a botte con me?'' chiese ironicamente, senza voltarsi.
''Paura?'' Andrew era qualche centimetro più alto dell'altro e dalla sua altezza poteva notare la leggera sporgenza delle vertebre del collo del corvino, sparire sotto la maglia bianca.
Finalmente Damian si degnò di voltarsi appoggiandosi agli armadietti con la schiena.
Il suo sguardo era tra il beffardo e il curioso, come se volesse davvero capire se l'avrebbe menato o no, teneva le braccia incrociate sul petto.
''Sono qui, avanti, sfogati'' lo invitò pacatamente
''Non tirare troppo la corda Wayne, potresti pentirtene''
''Tu dici? Nah, io non credo''.
 
Riflettendoci, a che cosa gli sarebbe servito?
Tutti lo avrebbero incolpato e di certo lui non aveva voglia di dover stare a presso ad un sacco di altra gente noiosa, no... menarlo non era la soluzione migliore.
Sospirò senza mai distogliere lo sguardo dal viso dell'altro e si voltò pronto a rivestirsi.
 
''Codardo''.
 
Il pugno partì d'istinto diretto esattamente dove si trovava la testa del corvino, che si spostò leggermente, facendo schiantare le nocche del moro sullo sportello dove lasciò un buco.
''Prova a ripeterlo!'' gridò
''Come vuoi...'' Damian gli si avvicinò posando le mani attorno al suo viso delicatamente ''Ho detto... che sei un codardo'' sussurrò.
L'ultima parola fu accompagnata da un violento calcio allo stomaco che lo fece piegare in due, facendolo crollare a terra, boccheggiante.
''Vedi Andrew, non dovresti sfidare chi è più forte di te'' gli disse piegandosi davanti a lui accarezzandogli la testa
''Che cazzo stai facendo?''
''Faccio le carezze al cucciolo disubbidiente che ho dovuto punire'' rispose tranquillamente ''Sai, poi rischia di offendersi''
''Muori''
''Ehi, non si augura la morte, non te l'ha insegnato nessuno?'' gli chiese sbeffeggiandolo ''Credo...'' continuò in tono serio ''...che dovrò addestrare bene questo cucciolo''.
 
Damian si alzò, lasciandolo lì dolorante a terra a riflettere su quella che a lui era sembrata una minaccia fin troppo vera.
Dovette aspettare un po' prima che il dolore diminuisse e fosse in grado di vestirsi per andare a casa.  Dopo l'accaduto aveva chiamato al lavoro dicendo che si era sentito male e fortunatamente gli avevano dato il permesso di riposo.
Da quel giorno i due non si parlarono più, né una minaccia né uno sguardo.
Il corvino non si era nemmeno più presentato ai suoi allenamenti e non gli aveva dato più sorrisi beffardi ad ogni consegna dei test.
Veniva trattato come uno dei tanti, finalmente.
Sull'università sembrava essere scesa un'aura di pace e tranquillità.
Fu in questo momento che una ragazza iniziò ad interessarsi a lui.

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Capitolo 2
*** II ***


II
 
Karen era una delle cheerleader della squadra di football, bionda, occhi verdi, un bel fisico, molto ambita.
A quanto aveva capito dai discorsi in giro per l'università, la bionda aveva lasciato il suo ragazzo perché aveva iniziato a mettere gli occhi su qualcun' altro.
Il tipo non l'aveva nemmeno presa male visto che anche lui aveva diverse pretendenti, si era limitato a sceglierne un'altra.
Andrew non aveva nemmeno ben capito come si era ritrovato ad uscire con lei, ma ora era da Starbucks a pagare per lei un frappuccino doppio cioccolato.
''Beh e quindi ti dicevo che: LauraerauscitaconDereksenzadirloaMatthewcheeraandatoacomprarleunregalomentreCarolinepiangevadisperatamentepercomesieranolasciatipocoprimaeioeronelmezzosenzasaperecosafare''
Il moro si limitava ad annuire e cercare di non urlarle che non gli importava assolutamente nulla, in ogni caso si stupì che la ragazza riuscisse a parlare così a raffica senza riprendere ossigeno.
Uscirono per un mese abbondante, il moro non si trovava così male con lei, era un po' troppo petulante ma poteva sopportarlo abbastanza.
Nel lasso di tempo in cui si erano frequentati lei gli aveva raccontato praticamente tutta la sua vita, non che gli interessasse in qualche modo, ma era qualcosa con cui distrarsi dai suoi pensieri.
Fu in uno di questi momenti, mentre erano in giro per il campus che Andrew chiuse con lei: stavano passeggiando a braccetto diretti al bar dell'università per bere qualcosa.
 
''Beh di te invece, che mi dici? Mi sembra di aver parlato solo io in queste settimane'' il moro si trattenne da dirle che era stato così.
''Non c'è molto da dire, vivo da solo, ho un lavoro, e come sai sto studiando ingegneria chimica e-''
Andrew si interruppe notando come la ragazza stesse messaggiano senza sosta, ignorandolo completamente.
''Scusa, mi ero distratta, puoi ripetere?'' disse lei posando il telefono, sul tavolo, guardandosi attorno visibilmente annoiata
''Oh no tranquilla, devo ripeterti ciò che stavo dicendo mentre fissavi Wayne o mentre mandavi il messaggio?'' rispose lui guardandola fisso negli occhi
''Non è come pensi'' sussurrò lei per non farsi sentire dagli altri
''Ah si? E cosa penso?'' chiese lui
''N-non lo so''
''Te lo dico io, penso che tu mi abbia avvicinato perché siamo nella stessa classe di chimica dove c'è anche Wayne, e tutta sta messa in scena era per attirare la sua attenzione. L'odio che proviamo a vicenda è noto a tutti, e uscire con me ti avrebbe fatto notare da lui, no? Beh, non so se hai raggiunto il tuo obbiettivo, ma io ho raggiunto il mio livello di sopportazione. Non so se tu pensassi che io fossi un idiota che sbava dietro ad una ragazza solo perché popolare, in verità io in te non trovo nulla di interessante, nulla, nemmeno impegnandomi. Quindi, buona fortuna e addio''.
Andrew si alzò lasciando la ragazza di sasso nel mezzo del bar con tutte le persone all'interno ad osservare la scena.
 
Un po' ci aveva sperato che la ragazza si fosse interessata a lui, ma aveva capito cosa stava sotto quasi subito, voleva solo capire quanto avrebbe retto lui e come lei si sarebbe difesa.
Alla fine era stato anche fin troppo facile lasciarla lì a sguazzare nella sua vergogna.
Beh almeno ora poteva tornare ad usare il tempo libero per se stesso, cosa che faceva raramente.
Non che non volesse una ragazza, ma quelle che aveva avuto avevano dovuto fare il primo passo per fatti loro, lui non era mai andato da loro.
Questo poteva essere un vanto, ma allo stesso modo lo rendeva incapace di approcciarsi romanticamente ad una qualsiasi ragazza, ma alla fine non aveva nemmeno il tempo di occuparsi della cosa.
Troppe cose a cui pensare, non avrebbe avuto il tempo per una relazione.
 
Era stato sempre un po' così: qualcuna lo aveva lasciato perché non sentiva di ricevere le attenzioni dovute, altre le aveva lasciate lui perché non era interessato.
La notizia si diffuse velocemente, c'era chi pensava che avesse fatto bene e chi invece si stupiva di come avesse potuto mollare cosi la cheerleader visto che lui 'non era nessuno'.
Non gli importava, non gli importava di nulla.
 
Ciò che però lo stupì accadde un paio di giorni dopo: era finita l'ora di chimica, stava percorrendo il corridoio dell'edificio quando una voce si levò poco lontana da lui.
''Ma perché non vuoi uscire con me?'' Karen?
''Te lo dico chiaro e tondo, se devi ricorrere a ridicoli espedienti come uscire con un altro per attirare la mia attenzione, puoi anche tornare da dove sei venuta e non parlarmi mai più. Sei ridicola''.
Oh, quindi il corvino non aveva ceduto alla bionda? Interessante.
Damian doveva essersene andato perché un gruppo di ragazze aveva raggiunto la cheerleader consolandola, da quel che capiva.
 
''Dove stai scappando?''.
Il corvino era dietro di lui e con una mano lo aveva voltato.
''Cosa diavolo vuoi?'' ringhiò il moro
''Tu. Con me''
''Se non togli quella mano dalla mia spalla, ti ammazzo''
''Se tu non vieni con me non avrai la tua macchina, che chiamarla così è un gran complimento''.
Il moro si toccò le tasche posteriori dei jeans dove avrebbero dovuto trovarsi le chiavi del suo pick-up, che ora mancavano.
''Dove sono?!'' abbaiò lui afferrandolo dal collo della maglia
''Non le ho io, però a questo punto mio fratello si sarà allontanato abbastanza. Tu ora vieni con me, e poi ti ridarò quell'affare che tu chiami auto''.
Andrew si morse la lingua ed annuì ''Facciamo in fretta''.
 
Salirono sul suv bianco e partirono verso una destinazione sconosciuta al moro.
''Si può sapere che vuoi da me?''
''Riesci a stare zitto per più di due minuti?''
''No''
''Stiamo andando al lago. Questa è l'unica cosa che saprai'' decretò Damian
''Vuoi ammazzarmi e buttare il mio cadavere lì?'' chiese ironicamente
''Non tentarmi'' rispose lui, dandogli un'occhiataccia eloquente.
Fecero tutto il viaggio in silenzio e nel mentre il moro fu costretto a chiamare al lavoro e saltare anche quel giorno.
Era ormai sera quando arrivarono.
Non scesero neppure dalla macchina.
Damian si era fermato sulla sponda del lago a vedere il sole tramontare per gli ultimi istanti, poi fece uno scatto: abbassò il sedile del passeggero, che era ancora legato, e gli si sedette a cavalcioni sopra.
''CHE CAZZO FAI?!'' si agitò il moro
''ZITTO!'' gridò a sua volta il corvino schiaffeggiandolo, lasciandogli le cinque dita sulla guancia ''Ora tu starai zitto e terrai quelle mani ferme. Mi sono spiegato?''
''Quale minchia è il tuo problema?! Sei pazzo?!''
''Si. Probabile'' concluse serio.
 
Il bacio arrivò prepotente e inaspettato per Andrew che si chiedeva ancora perché fossero lì.
Damian riuscì a forzargli la bocca con la mano permettendogli di infilare la lingua tra le sue labbra.
 
Panico. Il più totale caos regnava nella testa del moro.
 
Okay, doveva calmarsi e riflettere: Wayne lo stava baciando. Erano in macchina sua, al tramonto, sul lago. E lui non stava facendo nulla per sottrarsi, anzi, gli stava rispondendo!
Damian si staccò per poter respirare rimanendo però sulle sue labbra.
''Ricorda una cosa'' disse guardandolo negli occhi ''Nessuna sgualdrina, bionda o mora che sia, potrà averti. Capito?''.
Senza nemmeno capire bene cosa il corvino avesse detto, si ritrovò ad annuire.
''Bravo...'' sorrise, baciandolo nuovamente ''...e mio''.
In uno scatto di lucidità, cercò di colpirlo con un pugno che andò a vuoto, mentre con l’altro braccio si coprì la bocca.
Cosa totalmente inutile visto che il danno era già stato fatto.
‘’Non pensavo che ti avrei terrorizzato tanto’’ lo prese in giro il corvino.
Non metteva in dubbio che la sua faccia dovesse sembrare quella di uno che aveva appena visto la morte in faccia, e in effetti era stato proprio così.
 
 
Andrew era totalmente perso, fece anche fatica a salire sul suo Scassone quando Damian partì col fratello al fianco.
Era come trovarsi in una bolla.
Si portò le dita alle labbra per realizzare ciò che era successo.
Chiuse gli occhi, pieni di lacrime, e respirò profondamente prima di tirare una violenta testata al manubrio di pelle e procurarsi un gran mal di testa.
Doveva tornare a casa e dormire.
 
Casa sua non gli era mai sembrata così sicura e una vera e propria ancora di salvezza.
Chiuse la porta e senza nemmeno svestirsi si infilò sotto la doccia gelida, ne uscì solo quando iniziò a tremare visibilmente.
Rimase ancora qualche minuto nella doccia spenta prima di uscire e con solo le mutande asciutte buttarsi nel letto freddo.
Accese il riscaldamento e decise che il giorno dopo sarebbe stato a casa, si sarebbe fatto passare gli appunti da qualcuno.
Il sonno sembrava essere scomparso ma non poteva permettersi di restare sveglio: i suoi pensieri lo avrebbero ucciso.
La voglia di vomitare non gli era ancora passata.
Prese il telefono e chiamò un suo 'amico' che gli consegnò dell'erba in poco tempo e solo così riuscì a rilassarsi.
Fanculo Wayne.
Fanculo sé stesso e fanculo a tutto il resto.
Lo avrebbe picchiato a sangue appena incontrato.
 
Non lo fece mai.
Non riuscì più a guardare in faccia il corvino.
 
***
 
La routine del moro fino a Maggio fu sempre la stessa: scuola-allenamento-lavoro-casa, ma finalmente l'estate era arrivata e lui poteva riposarsi e dedicarsi anche un po' più al lavoro così da mettere via qualche soldo in più.
La pausa estiva era iniziata da un po', e quel giorno Andrew ne approfittò per uscire coi suoi amici, non che avesse mai avuto tante conoscenze, ma qualche persona con cui uscire il sabato sera la conosceva.
Erano in un pub stile irlandese che era abbastanza famoso, ed erano riusciti a farsi dare un tavolo, cosa che non era scontata.
Era già alla terza birra, e le precedenti avevano iniziato a fare effetto, motivo per cui si trovò a straparlare.
''V-voi n-non capite'' singhiozzò ''Coshi insopportabile...sempre bravo in tutto. Lo odio''
''Si, si Andrew lo ripeti da quando lo conosci: è sempre primo in tutto e lo odi'' disse uno dei suoi amici, che in quel momento faceva fatica a riconoscere.
''Eshatto, ma...c'è altr-'' per evitare di rimettere preferì stare zitto.
Il gruppo rise e si fermarono a parlare ancora un po', ma si erano fatte le tre e mezzo passate ed era il caso di riaccompagnarlo a casa, non potevano andare avanti così per molto.
Due di loro lo presero per le ascelle e lo trascinarono per le vie della città facendo più silenzio possibile, nonostante le risate isteriche di Andrew.
Fu in quel momento che un'auto gli sfrecciò accanto: la vettura ruggì al loro fianco, spaventandoli, per poi sparire nel buoi della notte.
Il silenzio completo cadde tra di loro.
Ad Andrew era sembrata una scena a rallentatore: suo posto del passeggero aveva visto Wayne.
Aveva cercato di dimenticare con tutte le sue forze l'accaduto ma sembrava impossibile.
''In-inseguiamola'' disse traballando
''Sei pazzo? Sarà già a chilometri da qui...però che figo, io non la posso toccare nemmeno in sogno una macchina così'' disse quello che il moro aveva riconosciuto essere Ryan, il biondo.
Tutti annuirono, ma lui non stava più ascoltando poiché un conato di vomito interruppe i suoi pensieri.
 
Non ricordava nemmeno come fosse arrivato a casa, ma l'unica cosa importante del momento era sdraiarsi sul divano e dormire, il risveglio sarebbe stato intenso.
 
La mattina arrivò troppo presto.
La testa girava e doleva, mentre il suo corpo si rifiutava di muoversi.
Sbuffò e si alzò in piedi per una doccia fresca.
Quell'anno il caldo era torrido.
La doccia fu provvidenziale, gli permise di pensare: possibile che quello che aveva visto il giorno prima fosse reale? Era più propenso a negare visto che era ubriaco e decisamente poco degno di fiducia.
Decise di lasciare perdere la questione, e visto che era il suo giorno libero si dedicò al non fare nulla.
Erano solo lui, il suo computer e il wi-fi (una magica invenzione), il mix perfetto per dare sfogo alla sua nerdaggine sopita da troppo tempo.
E così, tra film, l’intera stagione di Stranger Things e una carrellata di anime, arrivò sera e il suo stomaco iniziò a lamentarsi di aver ricevuto solo dei popcorn nell’arco della giornata.
Si fece forza e uscì di casa.
 
Gli era sempre piaciuto il porto.
Le banchine si riempivano di gente grazie alle bancarelle di cibo che animavano la zona, d’estate, costantemente decorata a festa.
Aveva vaghi ricordi della sua infanzia in quel posto, dei suoi genitori che lo accompagnavano mano nella mano a vedere le Luci, così chiamava le lanterne rosse appese sopra il percorso.
Gli si formò un groppo in gola.
Non doveva pensarci, non doveva assolutamente pensarci.
Andrew non era bravo a gestire i sentimenti e soprattutto non quelli che riguardavano i suoi genitori, aveva questa assurda paura che se si fosse lasciato andare, non sarebbe più tornato a galla.
E quello era anche il motivo per cui non era praticamente mai andato al cimitero.
Si sentiva sempre peggio.
Inspirò profondamente e si lasciò alle spalle la vivacità del luogo per immergersi nella pineta che occupava gran parte delle scogliere.
Non si era mai avventurato nel cuore di quella zona, al massimo era stato coi suoi amici a fare un picnic nello spiazzo predisposto.
Era curioso, s'incamminò verso la vegetazione piùfitta, il fango lo accompagnò in questa ricerca del nulla, e in effetti lì non c’era proprio niente, se non il rischio di slogarsi una caviglia.
Ormai il sole era del tutto tramontato e il buio aveva avvolto tutta la zona.
Andrew accese la torci del telefono e proseguì, non aveva mai avuto paura del buio, ma la sua mente si indirizzò verso pensieri non proprio rassicuranti.
Gli zombie non esistevano, come non esistevano clown assassini e bambole possedute, ciò che però potevano esistere erano ladri, killer... che con tutte le possibilità che avevano in una metropoli così... se ne stavano proprio nel bosco...ad aspettare lui.
Certo.
Però quello che sapeva per certo che esistevano erano i lupi.
 
Fu distratto dalle sue elucubrazione dal rombo di un motore.
I potenti fari illuminarono i tronchi dei pini tutt’attorno, e lui per puro istinto si nascose.
L’auto era passata a poco più di dieci metri di distanza e aveva tirato dritto sollevando polvere e terra al suo passaggio.
Andrew era confuso, più confuso di quando seguiva fisica al liceo.
 
Raggiunse in fretta il luogo dove era passata la macchina constatando che lì, non c’era una strada.
Era solo un pezzo sterrato con un po’ meno alberi, di certo non pensata per il passaggio di una qualsiasi cosa a quattro ruote.
La polvere era tornata a terra coprendo le eventuali impronte lasciate dagli pneumatici.
Si voltò giusto in tempo per vedere in lontananza i fanali posteriori scomparire letteralmente nel terreno.
 
Guardò l’ora sul telefono.
02:48.
Aveva davvero camminato più di tre ore nel bosco senza accusare la fatica?
Quanto diamine era lontano da casa?
Ormai la notte era persa.
Le possibilità erano due: o tornava verso la città facendo affidamento sul gps, sperando che il telefono non lo abbandonasse, oppure investigava su dove era finita quella macchina.
Il buonsenso e l’impulsività erano in contrasto.
 
Andrew non aveva mai dato troppo retta al suo buonsenso, e la scelta che aveva fatto era solo una conferma che i guai che trovava, al novanta percento delle volte se li era cercati.
 
Quando aveva visto l’auto scomparire, non dovevano esserci più che trecento metri a dividerli.
Camminò per quel breve percorso ma non trovò nulla.
Niente.
Era sicuro di averla vista, non era impazzito.
L’auto non era andata né a destra né a sinistra era stata semplicemente inghiottita dal terreno.
Assurdo.
Lì non c’erano nemmeno sabbie mobili o niente che avrebbe potuto far sparire una fottuta macchina.
Si lasciò andare sulle ginocchia, ora iniziava ad accusare la fatica, quando cadde terreno fece un suono strano, un boato che la terra non poteva fare, come qualcosa di metallico.
 
Iniziò a strofinare il terreno, respirando gran parte della polvere che stava sollevando, ci volle un po’, ma poi venne ricompensato.
Un pezzo di metallo si iniziava a intravedere, spazzò via più terra possibile finché davanti a lui non vide quello che doveva essere un tunnel sotterraneo chiuso da due lastre marroni che dovevano confondersi con il terreno.
Era sconvolto.
Questa era una cosa da film, o da qualche folle rivisitazione di una mente discutibile.
 
Ormai era in ballo, e doveva ballare.
Cercò tra la boscaglia un ramo abbastanza robusto da permettergli di fare forza e far spostare una delle lastre.
Ci volle tempo, un sacco di tempo e un sacco di rami rotti, ma alla fine aveva creato un spazio abbastanza largo per entrare...con un po’ di fatica.
 
Scivolò dentro e si trovòper davvero in un tunnel sotterraneo.
Sopra la sua testa delle luci si accesero, illuminando le lunghe pareti di cemento bianco.
Guardò il punto da cui era entrato, lo spiraglio era troppo in alto per poterlo raggiungere e la salita troppo ripida.
Si fece coraggio e proseguì.
Il telefono era praticamente morto e senza campo.
Adesso erano le 04:11.
 
Mezz’ora dopo vide la fine del tunnel.
 
***
 
''Bruce, c'è qualcosa che dovresti vedere''.
 

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Capitolo 3
*** III ***


III
 

 

''Bruce, c'è qualcosa che dovresti vedere'' così si svegliò l’uomo dal suo sonno.

Era notte fonda, i figli erano in giro con gli amici e lui e Clark erano a casa da soli, cosa che capitava fin troppo raramente per i suoi gusti.

Aprì gli occhi nella camera buia, e si prese un po' di tempo per abituare gli occhi e osservare la figura davanti a sé.

Clark era bello. Non c'era nulla da dire a riguardo, il problema era che Bruce lo trovava sempre più attraente ogni giorno che passava.

''Clark...sono le quattro di notte... e c'è davvero qualcosa che vorrei vedere, ma sono distrutto'' rispose agguantando un polso del compagno, trascinandoselo addosso per avvolgerlo tra le braccia.

''Cosa stavi pensando...?!'' lo interruppe l'altro ''Per davvero, c'è qualcuno nei tuoi sotterranei'' gli disse serio.

Bruce ci mise qualche secondo a realizzare le sue parole.

''Impossibile, gli allarmi sarebbero scattati. Sicuro che non fosse Alfred?''

''Sicuro, e poi non mi pare che Alfred si metta a fare le pulizie alle fottute quattro di notte'' rispose subito il compagno leggermente irritato per essere stato preso per uno sbadato.

Bruce si passò le mani sul volto fino a stingerle attorno ai capelli scuri.

''Okay, vediamo che succede'' sospirò alzandosi, raggiungendo gli schermi delle telecamere, seguito dal compagno.

 

Clark aveva ragione. Qualcuno era riuscito ad entrare nei suoi sotterranei, e stava girando indisturbato tra i suoi apparecchi.

Fino a quel momento, nessuno era mai riuscito ad entrarvi, e nel caso non ne sarebbe uscito vivo, quel topo indesiderato avrebbe fatto una brutta fine.

 

Si stiracchiò e prese la mano del compagno.

''Tesoro, non vorrei farti assistere ad uno spettacolo spiacevole, mi aspetti in camera da letto?'' concluse in modo ammiccante.

''Non mi piace l'idea di te che ammazzi qualcuno''

''Oh Dio... ecco che ci risiamo. Tu ed i tuoi stupidi sentimenti altruisti e caritatevoli'' soffiò lui, indeciso sul da farsi ''Facciamo cosi: vieni giù con me, e cerca di impedirmi di ammazzarlo. Okay?''

Clark era consapevole dell'immenso sforzo che stava facendo il compagno per compiacerlo, quindi sorrise ed annuì. L’avrebbe ripagato di quel sacrificio.

Presero l'ascensore che li portò ai piani nascosti, e si diressero con passo deciso nella sala principale del suo nascondiglio.

 

L'apertura delle porte automatiche fece sobbalzare l'intruso che si voltò di scatto, impaurito.

''Ecco qui il topo...o dovrei dire il topolino'' Bruce si fermò ad osservare il ragazzo davanti a lui, doveva avere l'età di Damian, circa vent'anni.

''Allora, come sei entrato?'' chiese avvicinandosi al moretto che iniziò a tremare

''E-ecco... io... n-non volevo...'' balbettò

''Risposta sbagliata'' Bruce lo afferrò per il mento, facendolo sussultare. Lo osservò per qualche secondo, poi il suo volto si illuminò.

''Ehi Clark, sai chi è questo qui?'' chiese rivolgendosi al compagno che era rimasto indietro, che scosse la testa ''Lui è Andrew McHoney. Il ragazzino che ha bullizzato Damian dalle elementari, fino al liceo, e forse anche all'università, visto che sei qui'' concluse rivolgendosi al ragazzo che ora tremava incontrollato.

''N-no io...''

''Io cosa? Sono curioso di sapere cos'hai da dire'' disse guardandolo negli occhi. Lo stava terrorizzando e ne era felice.

''Bruce, è un ragazzo. Vacci piano'' lo richiamò il compagno avvicinandosi

''Ti ricordi che ti ho detto che nessuno è mai entrato qui senza il mio permesso? Di certo lui non ne uscirà'' ringhiò Bruce, lasciando la presa sul ragazzo che cadde a terra come un sacco di patate ''Penso che Damian si divertirà con te. Avrete molte cose di cui parlare''.

Il ragazzo tremava sempre più forte.

Era finito dai Wayne?!

Maledetto lui, come gli era saltato in mente di entrare in quel tunnel? Si odiava e li odiava davvero. Stupidi nerd secchioni, sempre circondati da ragazze e gente. Era sempre stato così. Loro avevano tutto: una bella casa, soldi, andavano bene a scuola, ed erano sempre in mezzo a tante persone che sembravano adorarli. Per questo aveva iniziato a tormentare Damian, l'unico con cui avesse contatti. Voleva che la gente gli si allontanasse, ma aveva solo avuto l'effetto contrario: i suoi amici si organizzarono per non lasciarlo mai da solo, e lui stesso si era trovato più isolato di prima. E ora questo.

 

Chi diavolo era quella gente lì, e perché avevano un fottuto laboratorio pieno di cose strane?

Tornò lucido per qualche secondo, aveva una sola via di fuga, ed era alle spalle di quei due colossi.

Respirò profondamente per un paio di volte e poi corse.

Si vide costretto a scansare l'uomo che non aveva quasi parlato, ma quando provò a spingerlo, gli sembrò di toccare un muro di cemento.

Quel tizio non si era spostato di un millimetro, ma riuscì comunque a passare tra i due.

Mancavano pochi metri all'uscita, quando una voce lo sorprese.

''PORTA. CHIUDI!'' la sua unica possibilità si chiuse immediatamente davanti a lui. Batté su quelle lastre di metallo fino a farsi male, ma non si aprirono.

Scivolò a terra, terrorizzato.

La sua vita sarebbe finita così? Rinchiuso in un laboratorio a vita, come cavia?

No. Doveva restare calmo e lucido. Non sarebbe finita così, non-.

I suoi pensieri vennero interrotti da una stretta al suo braccio.

Bruce Wayne lo aveva afferrato di brutta maniera, costringendolo ad alzarsi.

 

''Vedi di ascoltarmi bene. Non ho alcuna intenzione di fare da baby-sitter. Quindi, ora tu te ne starai buono e mi seguirai senza fiatare o finirai male. Ci siamo intesi?''

''S-si''

''Si, cosa?''

Oh Dio, non poteva davvero farlo cadere così in basso.

''Sissignore...''

''Bravo. Impari in fretta''.

 

Andrew tenne la testa bassa per tutto il tragitto, dai sotterranei alle camere.

Quell'edificio era una specie di castello, i corridoi erano tutti in pietra, illuminati da delle luci incastonate nel soffitto alto, le porte in legno massello.

''La tua camera sarà quella affianco a Damian'' disse serio il padrone di casa

''Okay...'' Andrew si morse il labbro e sospirò, superarono altre tre stanze e si fermarono davanti a l'ultima porta del corridoio.

''Entra'' un ordine.

Posò la mano sulla maniglia in ottone e l'abbassò.

 

La stanza in cui entrò era accogliente.

Un tappeto bianco copriva il pavimento in legno, dove al centro si trovava un grande letto a baldacchino, sulla parete di sinistra invece c'era un grande armadio sempre antico ed esattamente parallelo ad esso una scrivania. Tutto tassativamente in legno scuro.

Le due grandi finestre ai lati del letto illuminavano tutta la stanza.

''Il bagno è di fronte. Vai a lavarti. Troverai qualcosa da metterti appena torni'' il moro annuì ''Non provare a scappare. Me ne accorgerei''

''Non lo farò, giuro''.

Bruce realizzò che se avesse potuto, quel ragazzo sarebbe sprofondato nel pavimento.

Ghignò a quel pensiero.

 

Andrew sospirò, in qualche modo avrebbe trovato la via di fuga, ma non era quello il momento.

Si diresse in bagno, che trovò estremamente moderno, c'era anche la vasca idromassaggio, nel quale si infilò appena piena.

Nemmeno nei suoi più lontani sogni avrebbe immaginato che si sarebbe immerso in una modernità simile, le bolle gli massaggiavano delicatamente la schiena, facendolo rilassare, mentre il sapone che aveva versato si era trasformato in un'enorme quantità di schiuma, permettendogli di lavare via tutto ciò che si era posato sulla sua pelle in quel tunnel.

Persino l'acqua era la più calda che avesse mai usato.

In quel tepore ripensò a cosa diavolo era successo quella sera.

Quei tipi lo preoccupavano, soprattutto Bruce Wayne.

Sembrava troppo serio nei suoi comportamenti, voleva davvero tenerlo lì? E poi c'era questa sensazione di odio che l'uomo sembrava provare nei suoi confronti. Possibile? Beh dopotutto aveva tormentato il figlio per anni quindi forse era davvero possibile che lo odiasse.

 

Uscì dalla vasca ancora un po' intontito, doveva trovare una soluzione ed andarsene.

Non potevano mica trattenerlo sul serio.

Sarebbe stato un reato, giusto?

Ma avrebbero potuto semplicemente nascondere tutto pagando qualche mazzetta qua e là e-

Basta. Doveva smettere di pensare.

Si avvolse un asciugamano attorno alla vita ed uscì.

Nel corridoio, a qualche metro di distanza c'era un ragazzo, doveva essere...Jon. Forse.

Il ragazzino lo fissò per qualche secondo, poi alzò le spalle ed entrò in camera sua.

Così fece anche il moro.

Aperta la porta si trovò davanti al famoso Bruce, seduto sul letto, affianco a quelli che dovevano essere i suoi vestiti.

 

Disagio.

''Tieni''

''S-si'' il ragazzo si avvicinò e prese i capi, stava per tornare in bagno per cambiarsi quando l'uomo lo fermò

''Ho cinque figli maschi. Non ti devi vergognare. Su sbrigati''

''Ah, certo...'' perlomeno si girò di schiena, indossò la canotta nera aderente, le mutande e i pantaloncini, che lui ritenne troppo corti visto che agli arrivavano appena sotto metà coscia, e si voltò.

''Quando potrò andare a casa?''

''Non te l'ho già detto? A casa non ci andrai più'' quelle parole, pronunciate con tutta quella sicurezza lo gelarono sul posto, nonostante la calura estiva.

''Io devo andare a casa, non mi potete tenere qui! La mia fam-''

''Quale famiglia?'' venne interrotto il moro ''Andrew McHoney, vent'anni, orfano da quando ne aveva tre. Di quale famiglia stai parlando?''.

Se prima il gelo era solo una sensazione. Ora era diventato seriamente un pezzo di ghiaccio.

''Come fa a saperlo?'' sussurrò il ragazzo con lo sguardo basso

''Io so molte cose, e ne posso sapere altrettante. Questo era fin troppo semplice da scoprire'' cadde un silenzio innaturale

''Cosa vuole da me?''

''Non ho alcun interesse nei tuoi confronti. Non io almeno. Damian arriverà a momenti, lui avrà qualcosa da dirti''.

 

''Non c'è bisogno di aspettarmi''.

 

Quella voce.

Il moro l'avrebbe riconosciuta tra mille.

Si voltò lentamente verso la porta.

Era lì.

Gli occhi azzurro ghiaccio lo scrutavano attentamente.

Sembrava sudato, come se avesse corso per chilometri.

Non si erano più parlati nè guardati da quella volta, era...strano vederlo di nuovo.

''Pà, torna dormire. Ci penso io''

''Va bene'' il padre si alzò consegnando al figlio qualcosa di piccolo, ma il moro non riuscì a capire cosa ''Non gliel'ho ancora messo. Fallo tu''

L'uomo diede una pacca al ragazzo e uscì dalla camera, lasciandoli soli.

 

''Siediti'' disse il corvino

''Eh?'' rispose confuso il moro

''Siediti sul letto''.

Il moro non si mosse, Damian non era famoso per la sua pazienza, quindi lo afferrò per un gomito e lo spinse sul letto con violenza, facendolo finire con la faccia sul materasso.

''Ma che cazz-'' non riuscì a finire la frase, che il corvino lo bloccò, stringendolo in una morsa che lo costrinse con il braccio dietro la schiena.

''Stai fermo'' disse posando l'oggetto, che l'ospite scoprì essere una piccola pistola per orecchini, al lobo sinistro del moro

''NO! Lasciami stronzo!'' il ragazzo provò a divincolarsi senza successo, riuscì solo a far innervosire di maggiormente il compagno di classe che gli tirò ancor di più il braccio, facendolo mugolare dal dolore ''O-okay, starò fermo, ma lasciami un po' andare'' pregò il moro, che stranamente venne ascoltato.

La presa si fece meno dolorosa, e lui poté rilassarsi, strinse gli occhi e non si mosse.

L'ago gli attraversò la carne, diffondendogli uno strano calore seguito da un bruciore.

''Passerà tra una decina di minuti'' gli disse il corvino lasciandolo andare.

 

Damian non si era nemmeno alzato dal letto che il pugno invase il suo campo visivo.

‘’BASTARDO’’.

 

***

 

Le aveva prese, eccome se le aveva prese.

Si sfiorò lo zigomo trovandolo gonfio e dolorante, mentre il labbro non ne voleva sapere di smettere di sanguinare.

‘’Sei un imbecille. Il re degli imbecilli’’ gli disse il corvino avvolgendo la mano in un asciugamano che aveva bagnato con l’acqua gelata

‘’Grazie della notizia’’ gli faceva male persino parlare.

Calò il silenzio, ma duro pochi secondi.

‘’Cosa ci faccio qui?’’

‘’Questa domanda dovrei fartela io. Come sei entrato?’’

‘’Ho suonato il campanello e tuo padre mi ha gentilmente accolto, gli sto simpatico’’

‘’Se non vuoi che questa volta ti rompa il naso, faresti meglio a parlare’’

‘’Dovresti minacciarmi più seriamente di così. Tuo padre mi avrebbe giàsfondato il cranio e appeso come trofeo di guerra’’

‘’Hai finito di parlare di lui? Hai qualche interesse scabroso nei suoi confronti?’’

‘’Non...dire stronzate’’ la stanchezza lo aveva investito come un treno

‘’Non provare ad addormentarti. Potrai dormire solo quando mi avrai raccontato nel dettaglio come hai fatto ad entrare’’

‘’Ho visto la macchina...c’era il tunnel...’’.

Damian si stava ancora osservando la mano quando notò che il moro aveva smesso di parlare.

‘’Maledetto...’’

Uscì dalla camera e la chiuse a chiave, prima di rifugiarsi in camera sua e collassare sul letto.

 

I raggi del sole svegliarono il ragazzo, che ancora intontito cercava il telefono sul comodino, di solito aveva la sveglia all’alba.

Tutta quella luce non era normale.

Si tastò un po’ intorno ma non trovò nulla, a malincuore aprì gli occhi.

Quello non era il suo letto, troppo comodo per esserlo e quella non era casa sua.

Quindi non era stato un incubo...

Chiuse gli occhi per qualche secondo e poi si decise ad alzarsi.

Le gambe gli ricordarono all’istante la fatica della notte precedente, le sentiva doloranti e poco stabili.

Raggiunse la porta che si stupì di trovare aperta e si infilò in bagno.

Gli ci vollero dei seri minuti di autoconvincimento per andarsi a vedere allo specchio, non avrebbe voluto farlo.

Era...orribile.

Lo zigomo si era scurito e gonfiato abbastanza da fargli chiudere un po’ l’occhio, mentre sul labbro si era formata una crosta di sangue asciutto.

Per non parlare dei vari lividi che gli costellavano il corpo.

Nel complesso, non era messo nemmeno così male, era stato peggio.

Si stava osservando da diversi minuti quando lo notò.

Era grosso meno di un centimetro, nero e decorava il suo lobo.

L’orecchino di pietra scintillava sotto le luci a led del bagno.

Si aggrappò al lavandino per non cadere.

Appoggiò i gomiti sul marmo e nascose il viso tra le mani ‘’Oddio...’’ sussurrò.

Ci avrebbe pensato dopo a quello, prima voleva lavarsi per eliminare l’appiccicume che si sentiva addosso, ma dubitava che le sue gambe avrebbero retto più di dieci minuti nella doccia, quindi optò nuovamente per la vasca.

Se doveva stare lì, ne avrebbe approfittato.

 

L’idromassaggio era una manna da cielo.

Si era rilassato abbastanza da dimenticarsi persino della pessima situazione in cui si trovava, prima che la che la porta venisse spalancata.

Damian lo guardava annoiato.

‘’Sbrigati, c’è il cibo in camera’’ disse prima di sparire chiudendosi la porta alle spalle.

 

Riflettendoci, aveva fatto un grave errore a non considerare che quella non era casa sua e quindi non aveva dei vestiti puliti da mettersi.

Tornò in camera con l’asciugamano legato in vita e con sua sorpresa trovò dei vestiti e la colazione sul letto.

Il corvino non lo aveva degnato di uno sguardo, stava alla scrivania a contemplare dei fogli, probabilmente appunti.

Il moro si vestì velocemente dando la schiena al coetaneo e poi si sedette sul letto per approfittare dei pancakes fumanti ricoperti di succo d’acero.

Una volta finiti, allontanò il vassoio e si appoggiò alla testiera del letto.

‘’Sei inguardabile’’ il corvino non aveva neanche alzato gli occhi dal foglio per dirglielo

‘’Grazie a chi?’’

‘’Alla tua stupidità. Te la sei cercata’’

‘’Me la son-chi è stato a chiudermi qui dentro?!’’

‘’Sempre tu. Potevi farti i cazzi tuoi e invece ti piace incasinarti la vita, finendo nella gabbia dei leoni, sei proprio un idiota’’

‘’Che cosa diavolo è quel posto?’’

‘’Nulla che ti debba interessare. Faresti meglio a dimenticartene il prima possibile’’

‘’È per quello che sono chiuso qui?’’ l’occhiataccia che ricevette fu ampiamente esplicativa.

Stai zitto.

Il corvino non sembrava più in vena di dirgli nulla per cui si limitò a voltarsi su un fianco e cercare di dormire ancora un po’, peccato che l’orecchio non gli desse pace.

Aveva iniziato a prudergli terribilmente.

‘’Oh-‘’

''È un orecchino, contiene un chip per localizzarti''

''Un...un chip...devo star sognando'' ripeté Andrew sedendosi meglio sul grande letto con le gambe piegate, stringendo la radice del naso tra pollice e indice.

Gli stava venendo mal di testa.

Di nuovo il silenzio calò su di loro.

 

Damian lo fissò per qualche secondo, non lo ricordava così mansueto, tutta la situazione doveva averlo lasciato confuso e immaginava che il fatto che suo padre gli avesse raccontato così brutalmente del suo passato non doveva averlo lasciato indifferente.

 

‘’Non potete tenermi qui’’ il moro non aveva ancora davvero idea in che situazione si era cacciato, quindi tastò il terreno, guardando fuori dalla finestra il cielo che minacciava un temporale.

‘’Si invece’’ fu la secca risposta

‘’Questo lo dici tu’’

‘’Lo dicono i fatti. Non riusciresti nemmeno a raggiungere la porta, e anche nel caso, non riusciresti a uscire. Rassegnati. Non hai tu il coltello dalla parte del manico, l’ho io’’.

‘’Allora dimmi, che cosa vuoi da me!’’ era stufo di tutti quei giri di parole, non era mai stato molto paziente e soprattutto non riusciva a esserlo con quel piccolo, bastardo, egocentrico egoista.

‘’Che cosa voglio...’’ solo in quel momento Damian si degnò di guardarlo in faccia, per poi alzarsi, raggiungerlo e prendergli il volto tra le mani ‘’Voglio vederti in ginocchio, implorarmi di lasciarti stare. Voglio vederti a pezzi’’

‘’Non puoi essere serio...’’

‘’Mi sottovaluti allora’’ il corvino non aveva mai interrotto il contatto visivo, e Andrew avrebbe mentito se avesse detto che la cosa non lo rendeva nervoso, per reazione afferrò i polsi del coetaneo e cercò di allontanare la presa ferrea che gli tratteneva il volto ‘’Se volessi, potrei spezzarti in questo momento semplicemente continuando ciò che avevamo iniziato mesi fa, ricordi?’’.

Il cuore di Andrew stava per esplodere.

Aveva cercato di dimenticare quell’avvenimento con tutte le sue forze, eppure il corvino riusciva a parlarne come se nulla fosse.

Solo a far vagare la sua mente a quei ricordi stava male e allo stesso tempo si animava di rabbia.

''Devi solo provarci, frocio del cazzo'' finalmente Andrew riuscì a spostare le mani di Damian, che però si fermarono nuovamente sulle spalle, vicine al collo.

I due si guardarono fissi per diversi secondi prima che Andrew tentando di rifilare al corvino una gomitata riuscisse a liberarsi.

Scese dal letto, ma le gambe non lo aiutarono.

Ebbe un secondo di tentennamento e Damian ne approfittò per placcarlo.

Finirono a terra in un boato che fece tremare l'intero piano.

Damian gli sedeva sulla schiena, ma nonostante fosse più forte del moro, era più leggero e l'altro riuscì a voltarsi e ribaltare le posizioni.

''E adesso chi ha il manico del coltello?'' ringhiò Andrew

''Sempre io''.

 

La testata prese Andrew di sorpresa, ma non quanto il pugno che si infranse sullo zigomo già sofferente.

''Ma guarda...mi pareva di averti appena chiarito che non sei nella posizione di poter prendere iniziativa, ma ho sempre saputo che sei uno che fa fatica a comprendere...però quello aveva sortito un ottimo effetto. Vediamo se così imparerai a stare al tuo posto''.

 

Avevano entrambi il fiato corto.

Damian era nuovamente sopra al moro, seduto sulla sua pancia.

Lo osservava dalla sua posizione di vantaggio riflettendo sul da farsi finché i suoi occhi non si fermarono sulle labbra di Andrew.

Il moro non aveva più la forza di reagire, era completamente a secco, anche alzare un braccio gli avrebbe richiesto uno sforzo che non era in grado di sopportare, quindi rimase fermo quando Damian gli toccò il labbro inferiore, facendo saltare via la crosta che tratteneva il sangue e trascinando il plasma sulle labbra.

Sapeva di avere lo sguardo incazzato, quello sguardo che in una situazione normale avrebbe intimorito il suo avversario, ma lì le sue regole non valevano.

Con Wayne non avevano mai funzionato.

Lui era diverso, diverso da tutto ciò che aveva incontrato nella sua vita, una costante ignota.

Quasi tranquillizzante.

Lo vide avvicinarsi.

Sapeva cosa stava per succedere, e questa consapevolezza lo lacerò dentro.

 

Non lo baciò.

 

Diede una brevissima leccata alle sue labbra, rimuovendo il sangue fresco.

 

Restarono immobili, col fiato sospeso.

 

''Mi odi così tanto?''

''Chi ha detto che ti odio?'' Damian appoggiò la sua fronte su quella del compagno prima di alzarsi e uscire dalla camera.

 

Andrew non seppe mai con che forza riuscì a tornare sul letto, ma una volta lì nascose la faccia sotto i cuscini e si addormentò.

 

Non seppe dire quanto tempo passò, ma riaprì gli occhi al suo richiamo.

C'era qualcuno che lo voleva ''Mhn...'' mugugnò, cercando di riaddormentarsi

''Vedi di svegliarti subito, sai che non ho pazienza'' ci mise qualche secondo a capire quelle parole.

Aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi davanti il volto del corvino.

''Ti ho portato la cena, dovrebbe essere ancora calda'' gli disse mostrandogli il vassoio affianco a sé.

Quelle parole lo fecero svegliare, la sua fame sopita si fece sentire prepotente.

Si tirò su, in modo da poter sedersi e mangiare senza fare casini.

Sollevò il coperchio di plastica sopra al piatto e si lasciò avvolgere dal profumo della lasagna.

''Chi è che sa cucinare italiano?'' chiese guardando il ragazzo davanti a lui

''Alfred. Beh in verità lui sa cucinare quasi tutto e ciò che non sa, lo impara, quindi c'è una grande varietà di scelta''

''Chi è Alfred?''

''Il maggiordomo di mio padre, ma che poi si occupa di tutta la casa''

''Ah. Si, ovvio...'' Andrew tornò al piatto e assaggiò la pietanza.

Si stupì di quanto fosse buona.

Anche lui sapeva cucinare, vivendo da solo si era dovuto arrangiare, ma non era mai riuscito a fare qualcosa del genere.

La finì rapidamente sotto lo sguardo del corvino che non gli aveva mai tolto gli occhi di dosso.

Lo ringraziò e tornò sotto le coperte, un brivido gelido lo aveva attraversato completamente e la stanchezza non lo aveva abbandonato.

Gli occhi arrossati gli bruciavano.

''Non sembri stare troppo bene, probabilmente hai la febbre. Mi faccio portare qualcosa''.

Damian chiamò il fratello che stava ancora al piano di sotto e lo aspettò per circa dieci minuti sdraiato accanto al moro che si era nuovamente nascosto sotto le coperte.

Questa volta fu Jon a comparire sulla porta dopo aver bussato.

Il fratello minore gli consegnò le medicine e adocchiò il bozzolo di coperte.

''Sta male?''

''Un po' di febbre, tutto qui'

''Mh, okay. Buonanotte'' si congedò, sorridendo, il ragazzino lasciandoli soli.

 

Andrew era tornato a dormire e lui si sedette alla scrivania a riflettere, cosa che non era riuscito a fare fino quel momento.

Mai si sarebbe aspettato di trovare il moro in casa sua.

Al messaggio di suo padre Clark si era precipitato a casa.

Quegli occhi color metallo fuso... li aveva sempre adorati, peccato fossero di una persona discutibile sotto molti punti di vista, che lo aveva infastidito da... sempre.

Nemmeno lui però lo aveva mai particolarmente sopportato, quell'aria da tormentato lo aveva sempre innervosito: a 12 anni di certo fare la vittima della vita non è tra le tue priorità, no?

Fatto sta che dopo i primi tempi in cui aveva dato corda al ragazzino, iniziò ad ignorarlo, e da lì gli scherzi furono sempre più ripetitivi, arrivando al punto di ritrovarsi sempre tra i suoi amici che non lo mollavano un secondo.

 

Gli era dispiaciuto.

 

Dopo tutto lo divertiva un po' vedere cosa si sarebbe inventato di nuovo, ma quello svago fu brutalmente troncato.

Una volta aveva persino raccontato a suo padre Bruce cosa aveva combinato il moro: aveva cercato di scambiare il suo shampoo con una tinta azzurra, durante la lezione in piscina, ma per la fretta non si era accorto che aveva messo il suo shampoo e si era tenuto la tinta.

Il risultato fu immortalato dal giornale della scuola.

Da quella volta suo padre ogni tanto gli chiedeva se il moro avesse fatto altri scherzi, e lui tranquillo gli diceva tutto.

Non pensava ce l'avesse ancora col ragazzo.

E lui soprattutto non sapeva che il moro fosse orfano.

La notizia non lo aveva lasciato completamente indifferente, anche se non lo aveva dimostrato.

Diciassette anni della sua vita da solo...forse la ricerca di attenzioni non era immotivata.

Lo guardò riposare rilassato, probabilmente le medicine stavano già avendo effetto.

Lasciò la camera chiudendola a chiave, non si era mai troppo sicuri, nonostante l'allarme che sarebbe suonato per tutta casa con la sua fuga, non voleva rischiare.

 

Andrew si svegliò il giorno dopo.

Non aveva mai dormito così bene.

Tirò giù la maniglia della porta ma la trovò chiusa, in parte se lo aspettava.

Poi un'illuminazione.

Il telefono.

Era stato così preso dagli avvenimenti da essersi completamente scordato di possederne uno.

Si guardò attorno per scorgere i suoi pantaloni, nei quali ricordava di aver lasciato il cellulare, trovo i jeans ma non ciò che gli serviva.

Sbuffò, risedendosi sul letto.

Chissà che fine avrebbe fatto...

Assorto nei suoi pensieri, non si accorse di chi stava entrando nella stanza.

 

 

''Stai bene?'' la voce lo riscosse.

Questa volta non si trovò davanti Damian ma un ragazzone che doveva essere Jason, l'unico dei figli che non conosceva di vista, ossia il più grande dei cinque.

Jason era più alto e muscoloso di Damian, ma i colori erano gli stessi: pelle chiara, occhi azzurri e capelli neri, anche se quest'ultimo aveva un ciuffo bianco davanti in fronte.

''Si...grazie?''

''Non ho avuto ancora l'opportunità di conoscerti, sono Jason Wayne, piacere'' disse porgendogli la mano

''Ah si, piacere, Andrew McHoney'' rispose stringendogli la mano, che sembrava molto più forzuta della sua

''Lo so, i miei fratelli mi hanno già ampiamente informato su di te'' disse sorridendo ''Quindi, come sei finito qui?''

''Inseguivo una chimera... beh, è finita male''

''Sei un tipo curioso'' affermò il maggiore

''Che fortuna''.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 

Scoprì che Jason gli stava simpatico, forse simpatico era un po' troppo, ma non gli dispiaceva la sua compagnia.

Un grande passo avanti per i suoi standard.

Da quel giorno erano passate già tre settimane, e lui non era praticamente mai uscito da quella stanza, dire che stava impazzendo era poco.

Quando non si picchiavano, evento che era sempre meno frequente visto che ne usciva sempre pesto, Damian lo portava nell'immenso giardino sul retro ma niente di più.

Era al livello di un Golden Retriever.

 

In quel periodo aveva sviluppato una certa indifferenza nei confronti del corvino, anche se c'erano ancora quelle volte in cui il suo orgoglio prendeva il sopravvento e finiva irrimediabilmente sottomesso.

Ed era proprio in quei momenti, quando lui finiva sfinito mentalmente e fisicamente sul pavimento che Damian ne approfittava.

 

La prima volta era successo circa una settimana prima: come sempre erano finiti alle mani, e per la sua soddisfazione personale era riuscito a colpirlo, anche se solo una volta.

Non ricordava nemmeno il motivo della litigata, ma era sicuro che fosse stata colpa del corvino.

Era sempre colpa sua.

Più o meno.

 

Damian si era ripreso molto prima di lui e lo aveva afferrato per i capelli, mettendolo in ginocchio.

Gli aveva legato le mani dietro la schiena con la cintura dei jeans e si era alzato.

''Prima o poi finirai male se continui a tirare così la corda'' il ragazzo si stiracchiò la schiena prima di sedersi sul letto

''Non sono già finito male?'' aveva chiesto ironico, Andrew aveva maledetto il suo pessimo carattere e il suo non sapersi trattenere alle provocazioni che lo mettevano sempre in quelle situazioni scomode e poco dignitose

''Potrebbe andare molto peggio, sai?''

''Provaci''.

Damian aveva sospirato, si era scelto proprio una bella gatta da pelare.

Era rimasto a riflettere per qualche minuto, indeciso sul da farsi...o continuava a pestarlo, oppure trovava una soluzione più comoda e meno faticosa.

 

Avvenne tutto per caso.

 

Si era alzato dal letto e con il piede aveva spinto il suo ospite a terra.

Gli si accucciò davanti ''Che cosa ne devo fare di te?'' aveva chiesto, osservandolo.

''Pretendi una risposta?''

''No''.

In quel momento Damian ebbe la sua illuminazione.

Gli divaricò maggiormente le gambe per posizionarsi nel mezzo e poi sovrastarlo.

''Basta giocare. Abbiamo temporeggiato abbastanza'' il corvino aveva fatto passare il suo indice dal mento fino al bordo dei pantaloncini, dove si era fermato

''Credi? No, possiamo sprecare ancora un po' di tempo. Te lo assicuro'' aveva risposto il moro tranquillo

''Mi stupisci, come mai così calmo?''

''Cosa vuoi che ti dica, ho i nervi d'acciaio''

''Ah si? Bene, sarà divertente testare i tuo nervi d'acciaio allora''.

Con quelle parole Damian gli sfilò il tessuto blu, lasciandolo in boxer.

Andrew non aveva fatto in tempo a registrare ciò che stava succedendo che si era ritrovato con un capo in meno.

Era rimasto di sasso a osservare il corvino che si muoveva insistentemente attorno alla sua zona privata.

''Non lo farai davvero''

''Ti ho già detto che mi sottovaluti, le nostre conversazioni iniziano a essere ripetitive'' Damian fece scivolare due dita al di sotto della stoffa bianca, notando come il respiro del coetaneo si era fatto più veloce, anche se cercava di non darlo a vedere ''Cosa c'é? I tuoi nervi d'acciaio si stanno incrinando?''.

Non attese la risposta.

 

Le dita incriminate raggiunsero il ciuffo di peli scuri che facevano da corridoio per l'attrazione principale, prima di farsi raggiungere dalle altre tre.

Con un colpo di reni Andrew si sollevò, indirizzando la sua fronte verso il viso del corvino, che però, anticipando la mossa, lo avvolse con il braccio libero, costringendolo col viso oltre la sua spalla.

''Direi che i tuoi nervi sono scomparsi''

''Lasciami'' ringhiò, cercando di liberarsi i polsi, con il risultato di farsi solo del male.

Damian lo ignorò, e dopo aver stuzzicato le angosce del moro, gli diede il colpo di grazia.

 

Avvolse le dita attorno all'intimità del ragazzo e iniziò ad accarezzarlo delicatamente, prima sulla lunghezza, poi la punta ed infine massaggiò i testicoli, prima di tornare al suo interesse primario.

Ci vollero diversi minuti prima che Damian si accorgesse che il moro aveva smesso di ringhiare e agitarsi.

Lo fece stendere nuovamente e lo guardò.

Sembrava una bambola.

Lo stava guardando ma sembrava non vederlo davvero, si era mentalmente isolato e lui non intendeva accettarlo.

Si abbassò sul suo volto e nessun grido isterico gli riempì le orecchie.

Senza smettere di masturbarlo, lo baciò.

 

La lingua di Damian si muoveva nella sua bocca, indisturbata, come se quello fosse il suo posto naturale.

Non riusciva né a pensare né a ribellarsi in qualche modo.

I suoi muscoli si rifiutavano di muoversi, erano diventati di gelatina, completamente inutili.

Non provava paura, nemmeno ribrezzo, c'era solo i suo cuore che batteva impazzito nelle sue orecchie.

Temeva di avere un infarto.

Ma il peggio non era ancora arrivato.

 

Dei piccoli spasmi accompagnavano una strana sensazione, sentiva un formicolio salire dal basso ventre fino allo stomaco, ne era curioso ma spaventato allo stesso tempo, come se non capisse se ciò che percepiva fosse una cosa buona o cattiva.

Uno spasmo più forte gli permise di capire.

La scossa era arrivata dritta al suo cervello, allontanando quella sensazione di pseudo tranquillità, riportandolo di colpo alla realtà.

Fu terribile.

Gli sembrò di uscire da un tunnel, percepiva di nuovo tutto: il tappeto sotto la schiena, il calore dell'estate, le sue braccia doloranti e Damian, assieme a tutto ciò che il suo nome portava con sé.

 

Lo stava masturbando, e per quanto avesse potuto gridare che non lo voleva, gli stava piacendo.

''Oh, bentornato'' Damian si staccò dalle sue labbra ma non si allontanò.

Andrew non rispose, non ne era in grado.

Sentiva solo il suo corpo tendersi sempre di più verso la fonte del suo piacere, il suo membro richiedeva più attenzioni, e per dimostrarlo, sollevò il bacino per rendere il percorso della mano più breve.

Non sapeva da quanto stava ansimando, ma percepì la mano libera del coetaneo iniziare ad accarezzargli il petto.

 

I movimenti di Damian si fecero sempre più veloce man mano che sentiva l'oggetto delle sue attenzioni farsi più grosso e duro.

Si prese qualche secondo per osservare il ragazzo sotto di sé.

Andrew ansimava pesantemente. I suoi polmoni cercavano più aria di quello che riuscivano a contenere e questo rendeva il suo volto rosso e gli occhi lucidi, al limite del pianto.

Ma non fu quello a lasciarlo senza parole, furono i primi gemiti rilasciati dalle labbra rosse e lucide del moro.

Sapeva che aveva cercato in tutti i modi di non produrre un suono, non voleva dargli anche quella soddisfazione, ma non era riuscito a controllarsi evidentemente.

Il suo cervello registrò quel suono e lo fece rimbombare il loop nelle orecchie.

 

Al limite dell'orgasmo si fermò.

 

''NO!!!'' Il grido di frustrazione rimbombò nella camera.

''Chiedimelo''

''C-cosa?'' non poteva essere serio

''Hai capito benissimo'' rispose il corvino sfiorandogli una coscia

''Mai...mai!''

''Peccato''.

Damian gli soffiò delicatamente sulla punta umida del membro prima di premerci sopra col pollice e poi gli accarezzò nuovamente i testicoli, quasi come se ci stesse giocando.

''Ahg...s-sei un bastardo...''

''Esatto. Posso andare avanti così per ore, io...tu...non sono sicuro'' lo sbeffeggiò.

 

Andrew si sarebbe odiato per quello, ma doveva uscire da quella situazione al più presto.

Lo faceva per sé.

Prese un respiro profondo e parlò.

''Fammi venire''.

Damian alzò un sopracciglio interrompendo il suo svago.

''Manca qualcosa''

''P-per favore...''

''Già meglio, ma sempre troppo poco. Avanti, dillo bene''.

''D-Damian...fammi venire, per favore...'' lo disse ad occhi chiusi, odiandosi come mai prima.

''Era così difficile?''.

Bastò un solo movimento.

Andrew gemette rumorosamente, inarcando la schiena, lasciandosi andare.

Damian si era guardato la mano soddisfatto prima di pulirla sulla maglia del moro, ormai da buttare.

''Vieni sul letto''.

 

I segni della cintura gli erano rimasti per diversi giorni sui polsi, come per ricordargli ciò che era stato disposto a subire, invece di reagire.

Si era ripromesso di non rivolgere più la parola al corvino, ma non durò più che un paio di giorni, visto che poi si era rivelato necessario per la sua sopravvivenza.

Richieste come andare in bagno, avere dei vestiti puliti e domande simili, avevano richiesto un'interazione vocale che Damian gli costringeva ad avere, avendo capito subito cosa stava progettando.

 

Era successo altre due volte.

 

Sempre dopo una lite, che aveva, come da copione, causato lui.

In ogni caso, non erano mai andati più avanti di così.

Dopo che lo faceva venire, Damian andava in bagno e tornava più di venti minuti dopo, mentre lui cercava di recuperare la sua dignità, che sentiva di aver perso irrimediabilmente in verità.

 

Aveva passato giorni a pensarci.

Non si capacitava di come il suo corpo smettesse completamente di funzionare in quelle situazioni, come se gli andasse bene farsi sottomettere, come se fosse normale!

Non si poteva diventare gay da un giorno all'altro, vero?.

E poi, lui? Gay?

Quando mai.

Adorava le ragazze.

Anche se in verità non ne aveva una da anni.

Ma guardava i porno con le donne, quindi non poteva essere gay.

 

Urlò la sua frustrazione nel cuscino.

Le crisi isteriche che lo prendevano, dovevano rimanere tra lui e le pareti di quella camera.

 

Mentre litigava con se stesso, Damian fece la sua apparizione.

''Mani dietro la schiena''

''Cosa?'' chiese il moro riemergendo

''Hai capito. Su, sbrigati''.

Andrew sedette meglio, e iniziò a far scivolare le braccia dietro di sé, quindo si bloccò.

No, non gli avrebbe più permesso di comandarlo.

''No''

''Cosa hai detto?'' il corvino si era già tolto la maglia e il moro rimase a osservare quel fisico da statua greca per troppi secondi più del necessario.

''Ho detto di no. Non mi devi più toccare''

''Oh, qualcuno ha già dimenticato chi comanda'' rispose Damian avvicinandosi a una finestra ''Lascia che ti ricordi come stanno le cose''.

Slegò la corda che teneva la tenda e mezza camera si oscurò.

 

Andrew sapeva che se Damian lo avesse raggiunto, sarebbe stato spacciato, ma quella volta non gli avrebbe dato vita facile.

Il corvino non aveva ancora raggiunto il letto, aveva qualche secondo ancora.

Si guardò attorno.

La porta era socchiusa.

Sospirò pesantemente e scattò.

Non riusciva nemmeno a realizzare che i suoi piedi stavano toccando la moquette del corridoio, doveva capire dove andare.

Ricordava vagamente il percorso per raggiungere l'ascensore , in verità non doveva far altro che proseguire dritto.

Ma contro le sue aspettative verso la fine del piano, incontrò sulla sinistra le scale.

Salire sarebbe stato un suicidio.

Scese i gradini più velocemente che poté.

Un piano.

Due piani.

E mentre si voltava per proseguire, si schiantò contro un muro.

Anzi, non proprio un muro.

Jason lo guardava confuso.

''Andrew, cosa ci f-'' gli occhi del maggiore si sgranarono ''Dimmi che è stato Damian a dirti di uscire''.

La sua faccia doveva essere una risposta eloquente.

''Corri''.

Non se lo fece ripetere di nuovo.

Le gambe non lo avrebbero retto per altre scale, per cui decise di imboccare il corridoio.

Quel posto era un maledetto labirinto.

Percepiva solo un mucchio di porte passargli accanto.

Le gambe gli tremavano, i polmoni stavano per esplodere e a tutto ciò si unì il terrore di essere braccato.

Erano come preda e predatore.

La stessa paura che aveva da bambino quando doveva fare le scale di notte, per salire in camera sua.

Una paura insensata che lo avvolgeva, come se dietro di sé si trovasse l'inferno pronto a risucchiarlo se non avesse corso abbastanza velocemente.

Fu un momento, invece che del marrone, i suoi occhi percepirono del grigio.

L'ascensore in sé si confondeva con le porte, dato il suo colore simil legno, ma non coprirono il tasto.

Lo schiacciò minimo dieci volte.

Solo in quel momento però realizzò che il corvino non lo aveva seguito.

Non aveva mai sentito la sua presenza alle spalle.

Questo voleva dire due cose: o era stato molto più veloce, oppure Damian lo aveva anticipato.

Il 'ding' dell'ascensore preannunciò il suo arrivo.

Le porte si aprirono rivelando il suo occupante.

Andrew indietreggiò.

Ora che si era fermato, le su gambe si sarebbero rifiutate di continuare la sua fuga.

Damian non uscì nemmeno dalle porte.

''Sali'' un ordine

''No...''

''Vuoi davvero sfidare così la sorte?'' il ragazzo fece un passo fuori ''Se fossi in te, ora abbasserei lo sguardo e ubbidirei. Sai già che questo slancio di idiozia di costerà caro, quindi evita di peggiorare la situazione''.

Andrew era letteralmente con le spalle al muro.

Non aveva scelta.

 

Lasciò che Damina lo riportasse in camera, questa volta chiudendo la camera a chiave.

''E io che pensavo che avessi fatto dei passi avanti, invece siamo al punto di partenza. Qualcosa da dire?''

''Se parlassi, non uscire da qui sulle mie gambe''

''Ti assicuro che non lo farai in ogni caso''.

Durante la sua breve fuga Damian aveva oscurato entrambe le finestre, lasciando entrare solo piccoli spiragli della luce serale.

''Cosa hai intenzione di farmi?''

''Male. Ora va' sul letto, mani sulla spalliera, ma prima spogliati''.

Andrew si bloccò.

Doveva aver capito male.

''Scusa?''

''Spogliati, ti concedo di tenere i boxer''.

Il moro non si era ancora mosso.

''Se non lo fai tu, lo farò io''.

Soffocando la sensazione di disgusto che lo prese alla bocca dello stomaco, ubbidì.

Cerco anche di ignorare il fatto che Damian lo stesse fissando, con scarsi risultati.

Raggiunse i cuscini e si sedette, stringendo il legno della testiera sotto le mani.

Damian gli era già davanti.

''Cosa devo fare con te?''

La conversazione era ovviamente a senso unico, per cui il moro evitò di rispondere.

Si limitava a guardare il compagno con più odio possibile.

Sapeva che Damian lo aveva fatto spogliare per il puro gusto metterlo in soggezione, e ci stava riuscendo benissimo, ma non gliel'avrebbe fatto notare, mai.

Il corvino gli afferrò la gamba sinistra, che lui si impose di non far finire sulla faccia del coetaneo.

''Sai cosa dice la seconda legge di Newton? A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, e qui pretendono una mia reazione...''

Fece scivolare le dita attorno alla caviglia del moro e la strinse.

''Damian'' lo chiamò Andrew titubante.

Il corvino non gli rispose, gli diede solo uno sguardo veloce ''Chiudi gli occhi''

''Damian'' lo chiamò nuovamente, posando le sue mani, tremanti, su quelle del corvino

''Mi hai costretto tu. Io non vorrei farlo'' e per quanto gli costasse ammetterlo, sapeva che Damian era sincero

''Allora non lo fare...non lo saprà nessuno...ti prego!'' adesso il moro aveva paura.

''Mani sul legno''

''Damian!''

''Mani sul legno''.

Andrew ubbidì e nascose il volto contro il suo braccio.

''Mi dispiace'' disse il corvino.

 

Il dolore fu atroce.

Il grido del moro si infranse contro la mano del corvino che era scattato subito dopo avergli slogato la caviglia, con un solo colpo secco.

Andrew non aveva nemmeno il fiato per dire all'altro di allontanarsi, la gola gli si era chiusa dolorosamente nel tentativo di non lasciare che lacrime uscissero.

Non lo voleva vicino, ma lasciò che lo voltasse e per stringerlo a sé.

Non aveva altra scelta.

''Non farmi più fare una cosa del genere'' Damian gli baciò la testa e chiamò Jason per farsi portare del ghiaccio.

 

 

***

 

Gli avevano ridato il cellulare, persino riparato.

Dal momento che non aveva potuto muoversi per una settimana abbondante, almeno un minimo di comfort glielo avevano restituito.

Totalmente inutile visto che non aveva più la scheda al suo interno, ma poteva almeno giocare alle app che aveva scaricato nei mesi prima.

 

Stavano in silenzio, ognuno al proprio telefono, quando il corvino parlò:

''Andrew''

''Si?'' rispose senza distogliere lo sguardo dal piccolo schermo

''Vuoi fare qualcosa?''.

A quelle parole il moro lo guardò.

''Intendi qualcosa che comprenda l'uscire da questa camera?'' chiese conferma

''Se ti va''.

Andrew lasciò il telefono all'istante e si precipitò alla porta, per quanto glielo permettesse la stampella, era migliorata molto la caviglia, ma delle scosse sporadiche ancora si facevano sentire.

''Beh, non mi hai detto cosa vuoi fare''

''Qualsiasi cosa, basta uscire da qui'' sembrava quasi una preghiera

''Va bene''.

 

Damian lo precedette sull'ascensore, mentre al telefono diceva ai fratelli di raggiungerli.

''Dove stiamo andando?''

''In soffitta''

''Per?''

''Sorpresa'' liquidò il discorso il corvino con un ghigno.

 

Il moro rimase di sasso una volta arrivati.

Davanti a lui c'era una stanza grande come tutto un piano adibita a sala giochi.

Dai cabinati, al biliardo, al bowling, c'era di tutto.

''Pensi di rimanere fermo lì?'' venne riscosso dalla voce del corvino

''No, eccomi''

''Ti piace?''

''C'é bisogno di chiederlo?''

''In effetti no. Su, dimmi cosa vuoi fare''.

Andrew analizzò l'enorme sala e puntò il bowling.

Damian annuì e lo seguì verso la pista dove impostò i nomi al computer.

I suoi fratelli arrivarono pochi secondi dopo.

 

''Facciamo ancora in tempo?'' chiese Jason stringendo il fratello in un abbraccio serrato

''Se magari non mi spezzi le braccia si, cosa dici?'' mugugnò Damian

''Non basta così poco per spezzarti, però preparati a finire in fondo alla classifica''

''Continua a sognare''.

Andrew era rimasto immobile a guardare i maggiori fare macello, quando il più piccolo si fece sentire ''Allora! Vogliamo giocare o no?''.

I quattro si zittirono subito e annuirono.

Il piccoletto sapeva farsi rispettare.

''Bene, iniziamo'' Damian lo affiancò avvolgendogli il fianco

''Che diavolo fai? S-spostati'' si lamentò il moro cercando di scrollarsi di dosso il corvino.

Damian si limitò a stringerlo più forte e ignorarlo.

''Zitto, giochiamo'' concluse lui il discorso lasciandogli un bacio sulla guancia prima di afferrare la palla numero dieci.

Andrew rimase immobile con la mano sopra la guancia incriminata e mandò giù il groppo che gli si era formato in gola.

Quel tipo doveva smetterla.

 

Era il suo turno, Damian aveva fatto strike e lui non poteva certo far di meno.

Prese la palla e la lanciò, facendo cadere tutti i birilli.

Si voltò verso il corvino e lo sfidò con lo sguardo.

''Se ti batto, mi lascerai andare''

''Se mi batti, cosa che non succederà mai, ti lascerò andare, ma se vinco io, ti rassegnerai a stare qui'' rispose l'altro tranquillo raggiungendolo

''Va bene'' accettò il moro

''Ottimo'' sorrise il corvino lasciandogli un bacio veloce sulle labbra

''Smettila!'' piagnucolò, fulminandolo

''Sei adorabile''.

Andrew voleva seppellirsi, ma non poteva nemmeno prendere il corvino a stampellate.

Quella sua situazione lo rendeva una vittima ideale per le attenzioni del coetaneo, e non poteva nemmeno ribellarsi visto che il ragazzo era anche l'unico a cui poteva chiedere aiuto.

Sperava di guarire il prima possibile.

Gli altri fratelli non avevano pronunciato parola per tutto il tempo, restando ad osservare la scena leggermente basiti e imbarazzati.

Solo quando Damian si voltò verso di loro i quattro ripresero a parlare continuando a giocare.

 

Il moro si stava divertendo, forse i Wayne non erano così male come pensava, poteva dargli una possibilità.

Alla fine il suo fastidio era nato più dall'adorazione che gli altri provavano verso di loro.

''Andrew tocca a te'' gli disse Jon scuotendolo.

''Ah si''.

Il ragazzo diede un'occhiata allo schermo:

Damian: centotré

Andrew: novantacinque

Jason: cento

Richard: novanta

Jon: novantotto

Timothy: novantanove

 

Bene, con uno strike avrebbe superato il coetaneo, poteva farcela.

Si rigirò la pesante palla tra le mani e una volta pronto si mise in posizione, proprio nel momento in cui Andrew lasciò la palla, Jason lo sfiorò.

Quel minimo sbilanciamento influì sul suo gesto e diresse la palla un po' troppo a sinistra, facendo cadere appena tre birilli.

Col secondo tiro non riuscì a colpirli tutti, due rimasero in piedi facendo sì che i due risultati si eguagliassero.

Andrew non seppe mai dell'occhiolino che il maggiore e Damian si scambiarono, purtroppo non sapeva nemmeno del tacito patto che c'era tra i cinque.

 

Battuto.

 

Damian lo aveva battuto.

Non poteva dire nulla, lì non c'era nessun insegnante che desse preferenze o altro, era tutta colpa sua.

Si sedette sul divano poco distante, quell'angolo della stanza era stato adibito a zona relax, con tv, console e tante poltrone.

Il coetaneo lo raggiunse sedendoglisi accanto, mentre gli altri finivano una partita di biliardino.

''Tutto a posto?''

''Tu cosa dici?'' sbuffò amareggiato

''Che dovresti rilassarti un po', lasciati andare, almeno per oggi prova a essere un ragazzo normale, divertiti. Del resto ne parliamo stasera. Adesso accendo la console, ti sfido'' Damian gli passò il controller sorridendo.

Gli sembrava così strana quella situazione, non riusciva a capacitarsi di come fosse in tranquillo.

I fratelli li raggiunsero poco dopo stravaccandosi sui divani con tra le braccia dei cestini pieni di pop-corn appena fatti dalla macchina affianco all'enorme televisore.

Almeno la partita a Mario Kart riuscì a vincerla, ma contro i maggiori non c'era nulla da fare, erano imbattibili.

Il pomeriggio passò così, tra interminabili tornei di Fifa e partite a biliardo.

Ormai era ora di cena, lasciarono la sala e si diressero ognuno in camera propria per lavarsi e mettersi più comodi.

Da quanto aveva capito Andrew, tutti i fratelli avevano il bagno privato in camera, quindi non c'era il rischio di entrare nel bagno davanti camera sua e trovare qualcuno.

Si tolse la maglia e la lanciò nel cesto dei vestiti da lavare, esattamente come i pantaloncini.

Afferrò un paio di mutande pulite e si diresse dritto in vasca.

Era sempre magnifico, si sentiva così bene.

Quando tornò in camera, i Wayne dovevano essere già scesi a cena.

In effetti anche il suo stomaco richiedeva attenzioni.

Sbuffò lanciandosi sul letto per poi spostare lo sguardo fuori dalla finestra dove vedeva solo il mare in lontananza.

Gli sarebbe piaciuto viaggiare, vedere nuovi luoghi, vivere tante esperienze, ma quel sogno era così lontano che sembrava irraggiungibile.

Ora più che mai.

Pensò ai suoi amici, forse lo avevano cercato, o forse no...

Però gli mancavano, non credeva che sarebbe mai potuto accadere, invece si era legato a qualcuno, almeno un po'.

Poteva chiedere a Damian di permettergli di contattarli, anche solo per salutarli.

Doveva smettere di deprimersi così, doveva reagire, e il primo modo di farlo era affrontare il corvino.

 

***

 

Damian si sedette al grande tavolo accanto a Clark che gli scompigliò i capelli.

''Vi siete divertiti?''

''Si, si. Siamo stati su tutto il pomeriggio''

''Ho notato, era tutto troppo silenzioso'' sorrise il padre ''Come sta il tuo amico?''

''Bene direi, forse un po' annoiato''

''Perché non lo vai a chiamare? Così mangia con noi''.

Silenzio totale.

Damian spostò lo sguardo su suo padre Bruce che guardava il marito col sopracciglio leggermente alzato e poi sbuffò.

''Va bene. Su Damian, sbrigati''

''Torno subito''.

Il ragazzo si affrettò per raggiungere il prima possibile l'ospite, che era sdraiato sul letto in mutande.

Il moro non fece in tempo a voltarsi che lo aveva già sovrastato.

''Che diavolo? Levati!'' si lamentò Andrew cercando di far spostare il corvino dalla sua schiena.

''C'è una novità: i miei ti vogliono giù a cena''

''Cosa?!'' gridò lui, voltandosi

''Ha lasciato stupito anche me, ma mio padre dice che almeno sei in compagnia e ti annoi di meno''

''T-tuo padre?''

''Si, quello calmo e gentile, presente?'' chiese Damian lasciandolo libero

''Ah, ecco...'' sospirò il moro alzandosi ''Devo mettermi qualcosa di particolare?''

''Stiamo cenando, non è un gala, se fosse per me potresti scendere anche nudo. Muoviti, ti aspetto fuori''.

Andrew non ebbe il tempo di rispondergli, afferrò dei vestiti a caso e raggiunse il coetaneo.

Scesero in silenzio, ogni volta il moro rimaneva stupefatto di quanto grande fosse quel posto.

''Mi devo preoccupare?''

''No, non credo. Stai tranquillo, mio padre non ti lapiderà... per ora''

''Sei confortante''

''Lo so'' rise il corvino.

 

La sala da pranzo, come ogni luogo in quell'immenso edificio, era enorme.

Al suo interno c'era solo un grande tavolo, nemmeno metà era occupata dalla famiglia.

''Buona sera'' disse il moro a disagio, guadagnandosi gli occhi di tutti su di sé.

''Sera'' lo salutò Clark ''Vieni, siediti affianco a me''

''Grazie''.

Il moro si sedette tra l'uomo e Damian, a capotavola si trovava Bruce, mentre dall'altra parte gli altri quattro fratelli.

Fortunatamente per lui, tutti erano presi dalle loro discussioni e nessuno faceva caso a lui, tranne le persone ai suoi lati.

''Quindi come ti trovi?'' gli chiese l'uomo interpellandolo

''Ah, bene...''

''Non ti annoi?''.

Andrew sbatté le palpebre un paio di volte, non si capacitava di come l'uomo volesse davvero tirare fuori la sua reclusione forzata.

''Beh, a volte. Ma suo figlio passa molto tempo con me, quindi non è sempre così...'' rispose abbastanza sinceramente. Era vero che Damian non era tra le sue compagnie preferite, ma era sempre meglio di nulla.

Fu in quel momento che Alfred varcò la soglia col carrello delle portate.

Quando fu il suo turno di essere servito, il maggiordomo si prese qualche secondo per osservarlo.

''Lei dev'essere l'ospite del signorino Damian, piacere sono Alfred, mi occupo della casa''

''P-piacere, Andrew''

''Finalmente il signor Bruce si è degnato di invitarla a cena'' la frecciatina arrivò diretta al destinatario che fece una smorfia.

I fratelli ridacchiarono guardando il padre.

''Se non vi zittite, ve la farò pagare''.

Il silenzio calò immediatamente.

Alfred nel frattempo era tornato in cucina a preparare il resto della cena.

Il piatto che il moro aveva davanti era un semplice piatto di pasta al ragù che però apprezzò moltissimo.

Doveva chiedere ad Alfred di insegnargli a cucinare.

 

La cena, inaspettatamente, andò bene.

Raccontò di ciò che stava studiando e che voleva diventare un ingegnere anche se il suo sogno era sempre stato quello di fare il pilota, ma non si poteva permettere il costo di quella scuola, di dove viveva, di come gli piacesse fare sport, cucinare e altri piccoli aneddoti sulla sua vita.

Ricordandosi poi che non avrebbe più potuto fare nulla di ciò.

Damian non aveva detto nulla durante il pasto, si era limitato ad ascoltare in silenzio e pensare.

A cena finita lasciò Andrew salutare e lo portò in camera sua.

 

''Ti è piaciuto?'' chiese una volta chiusa la porta alle sue spalle

''Pensavo che sarebbe stato molto peggio''

''Bene''

''Damian, devo parlarti''.

Il corvino si limitò ad annuire e sedersi sul letto.

''Ecco...''

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Capitolo 5
*** V ***


V

 

''Adesso tu mi spieghi che diavolo volevi fare''.

Bruce non era mai stato uno incline al dialogo e mettere in discussione le sue decisioni poteva essere un grande rischio, Clark lo sapeva bene.

''Secondo te?''

''Infastidirmi''

''Sei serio?''

''Non vedo altre possibilità''

Il compagno sospirò.

''No, voglio che ti renda conto che non puoi rinchiudere un ragazzo a vita. Ha vent'anni, Bruce! Lo vuoi tenere qui perché da bambino faceva degli scherzi a Damian? Davvero? Fallo tornare a casa, più di un mese qui dentro è stato abbastanza. Non credi? Siamo già a Giugno inoltrato...''

''Chi mi dice che starà zitto? Io, non posso farlo uscire da qui perché se quell'idiota dice anche solo una parola di ciò che ha visto, tutto rischia di fottersi, mi capisci? È riuscito ad entrare, per una distrazione mia, ma potrebbe farlo nuovamente e a quel punto potrai dire addio alla nostra vita. Non mi interessa degli stupidi scherzi che faceva a Damian, ma se non fosse stato tanto ossessionato da lui, ora non sarebbe in questo casino. Per cui no. Non intendo lasciarlo andare. Deve stare qui'' rispose l'uomo svestendosi.

''Ma Bruce-''

''Bruce, nulla. Chiudiamola qui. Ora vieni a letto''

Clark lo raggiunse sdraiandoglisi accanto ''Aspetta. Va bene, comprendo i tuoi dubbi, ma almeno permettigli di fare qualcosa. Non tenerlo in quella camera in isolamento, impazzirà''

''Di questo argomento se ne occupa Damian. Ora possiamo intrattenerci con qualcosa di meglio?''

''Non ne ho tanta voglia''

''Potrei incolparlo del tuo mal umore, lo sai?''

''Non farlo, è già abbastanza terrorizzato da te''.

 

***

 

''...Voglio parlare coi miei amici''

''Tu vuoi, cosa?''.

Il corvino era sinceramente sorpreso, non credeva che il coetaneo potesse arrivare ad avere richieste.

O almeno non così presto.

''Dire ai miei amici che sto bene''

''No''

''Perché?!''

''C'è da chiedere?''

''Che cosa potrei fare? Dirgli: aiuto Wayne mi ha rapito venite a salvarmi?'' il moro era vicino all'esasperazione.

Se si fosse trovato in una situazione normale, non avrebbe impiegato un secondo a imporsi, anche con la forza se necessario, ma in quel momento lo svantaggio era troppo quindi doveva comportarsi bene e cercare di convincere Damian ''Voglio solo dire loro che non ci vedremo per un po', è così assurdo?''

Il corvino rifletté per qualche secondo prima di rispondergli.

In effetti non aveva mai chiesto nulla, e finiva sempre per fare tutto quello che voleva lui.

''Mh, no. Va bene, potrai parlarci, ma per poco e con il mio telefono''

''Come vuoi''.

 

Damian, un po' contrariato, si spinse fino ai suoi pantaloncini e prese il telefono per poi darlo al moro.

''Chiama''.

Andrew prese il telefono e digitò il numero.

Non aveva ancora deciso cosa dire che Ryan gli rispose.

 

''Pronto?'' che strano sentire la sua voce

''Ciao Ryan''.

Ci fu qualche secondo di silenzio.

''Andrew!? Amico, dove sei sparito? Siamo venuti anche a casa tua ma non c'eri mai''

''Ah, si, mi dispiace sono scomparso senza dirvi nulla'' mentre parlava, Andrew osservava Damian raggiungerlo e sedersi tra le sue gambe

''Almeno ti sei fatto sentire, dobbiamo vederci subito''

''A proposito di questo...non potremo vederci per un po'''.

Il moro guardava il coetaneo che non aveva mai interrotto il contatto visivo, mentre gli sfiorava la gamba con le dita, annoiato.

''Cosa? Perché?'''

''È complicato, ma non preoccupatevi, sto bene, non sono disper-AH!'' il corvino si era mosso: lo aveva sovrastato e aveva iniziato a lasciargli dei baci sul collo.

Andrew ebbe un fremito.

Dal punto in cui era stato posato il primo bacio era partita un scossa che aveva mozzato il fiato al moro.

Con la mano libera Andrew cercò di allontanare la sua personale tortura, con scarsi risultati, per cui si limitò a sopprimere i gemiti

''Cosa è successo?''

''N-niente. Sto bene, davvero. Sono da un amico... ho un tetto sopra la testa, state... state tranquilli. Sto...benissimo'' sospirò

''Va bene, ma vedi di tornare eh... non scomparire''

''Non lo farò, giuro. Ora devo andare, ci sentiamo più in là. Buonanotte Ryan''

''Notte Drew''.

 

Appena Andrew lasciò il telefono, Damian si impossessò della sua bocca e gli strinse i capelli tra le mani.

Una volta separati il moro era senza fiato, le forze lo avevano abbandonato del tutto.

Si coprì gli occhi con il braccio e sospirò profondamente un paio di volte.

Non ci riusciva, non riusciva a tenergli testa, in nessun ambito.

Non riusciva nemmeno ad allontanarlo quando gli faceva cose che chiaramente non voleva.

Era debole.

E realizzare questa cosa gli pesò più di quanto avesse mai immaginato.

Si rifugiò sotto le coperte e si voltò da un lato, se non poteva evitare di stare nella stessa stanza, perlomeno poteva evitare di vederlo.

Nel frattempo il corvino era andato in bagno, quando tornò in camera si stese accanto ad Andrew e gli accarezzò i capelli.

''Non toccarmi'' non era un ringhiò, non era una minaccia, non erano niente quelle parole, solo un sussurro.

''Senti, non so quale sega mentale ti stia facendo, ma dovresti rilassarti. Non ti chiedo di parlarmene perché so che non lo faresti nemmeno sotto tortura, sei troppo orgoglioso per farlo...ma almeno di cercare di vivere un po' meglio questa cosa''

''Viverla meglio...la fai facile tu'' sospirò, sorridendo tristemente ''Tu, che mi imponi tutto quello che vuoi, non posso nemmeno reagire perché è inutile! Non posso batterti! Posso solo subire! Non ho scelta, non ho niente! Sono chiuso qui dentro notte e giorno, e prima o poi impazzirò! Dimmi che cosa vuoi da me... dammi una ragione per cui dovrei sopportare tutto questo! Dimmi come posso viverla meglio!'' l'impotenza era un sentimento che Andrew aveva conosciuto fin da piccolo, ma col tempo era riuscito a gestirla, era cresciuto più in fretta dei suoi coetanei e con molti più problemi, ma, anche se con estrema fatica, aveva conosciuto la libertà ed ora gli era stata tolta di nuovo.

E ne stava soffrendo molto più di quando era piccolo.

Andrew stava tremando, cercare di trattenere la frustrazione era sempre stato difficile.

''Sono stanco Damian, stanco di dover combattere, stanco di impegnarmi così tanto per poi non avere niente in cambio...ho vissuto così per tutto questo tempo...una intera vita di sacrifici, a partire dai miei genitori...come se un giorno il mondo si fosse svegliato e avesse deciso che la mia vita doveva essere un inferno. Sono già stanco di tutto, anche di essere solo...'' si stava inesorabilmente addormentando ''Alla fine, questa è una gabbia d'oro...meglio che niente'' mugugnò in fine, lasciandosi avvolgere da Morfeo.

Il corvino rimase sveglio per un po' di più a riflettere sulle parole del compagno che ora dormiva profondamente.

In effetti chiunque era cresciuto in una famiglia, ad Andrew doveva scatenare una quantità consistente di gelosia.

Anche la sua famiglia, per quanto non convenzionale, doveva essergli parsa il paradiso da bambino...lui, in effetti, aveva iniziato ad apprezzare ciò che aveva sempre avuto da quando aveva saputo della situazione dell'altro.

Non aveva mai davvero pensato a come si era sentito il moro da quando era entrato in casa sua, e doveva ammettere che era stato insensibile alla cosa.

Provare su pelle, anche se solo in rari momenti, ciò che aveva sempre voluto, doveva essergli parsa una tortura e se a quello si aggiungeva il fatto che la sua nemesi aveva avuto quel calore famigliare da sempre...se fosse stato al suo posto, probabilmente si sarebbe buttato dalla finestra della camera già diverso tempo prima.

Poi la sua mente si soffermò su delle parole che gli erano stonate.

''Alla fine, questa è una gabbia d'oro''

Una gabbia d'oro.

Un sogno quanto un incubo.

Ma non lo avrebbe lasciato andare.

Un uccellino, una volta messo in gabbia, non sa più sopravvivere all'esterno.

 

***

 

''Mh...''.

Andrew si svegliò avvolto in un bozzolo di lenzuola.

''Sei sveglio?''

''No...'' mugugnò nel cuscino

''Peccato, ci sarebbe la colazione ad aspettarti. Vorrà dire che mi mangerò anche la tua''.

Cibo?

Al pensiero il suo stomaco reclamò attenzioni, e lui fu costretto ad aprire gli occhi.

Damian era seduto al suo fianco che guardava il telefono, il cibo era ai piedi del letto in un vassoio.

''Fame?'' chiese il corvino passandogli il piatto

''Si''.

Andrew si gustò il pasto con calma prima di rifugiarsi nuovamente sotto il lenzuolo bianco.

Faceva decisamente caldo ormai di giorno, ma la notte si stava bene ancora con vestiti se si teneva la finestra aperta.

Ci vollero un paio di minuti prima che il moro realizzasse ciò che aveva detto la notte precedente.

Si era lasciato andare in uno sfogo ben poco decoroso di cui si vergognava parecchio e che di certo non avrebbe mai voluto far assistere all'altro.

Mostrare le sue debolezze non era nel suo carattere, soprattutto se c'era l'enorme rischio di farle diventare potenziali armi contro sé stesso, ma, in ogni caso, era psicologicamente a pezzi e non aveva la forza di dire nulla.

Stava decisamente uscendo di testa.

Dall'altra parte Damian non aveva proferito parola sull'argomento, di solito il corvino ci sguazzava quando aveva motivi di farlo stare a disagio, ma quella mattina no e lui ringraziò mentalmente qualsiasi divinità che gliela stava facendo girare giusta per una volta.

 

Passarono diversi giorni nella più totale monotonia, prima che qualcosa di interessante accadesse.

 

''Preparati''.

Damian era entrato nella camera sbattendo la porta alle sue spalle facendo sobbalzare il moro che stava riposando.

''Cosa succede?!''

''Ce ne andiamo. Prendi la tua roba e mettila qui''.

Andrew stava fermo nel letto ad osservare il corvino infilare i vestiti in uno dei due borsoni da viaggio senza proferire parola.

''Allora, ti muovi o devo scriverti un cartello?''

''Ah, no. Eccomi''.

Il moro scese dal letto e affiancò il coetaneo all'armadio, per prendere le poche cose che aveva.

Non chiese nulla, Damian sembrava estremamente irritato, anche se la curiosità era tanta.

Una volta pronte le due borse presero l'ascensore fino al parcheggio sotterraneo e caricarono i bagagli nel grande suv bianco di Richard.

''A tuo fratello va bene se prendiamo la sua auto?'' chiese Andrew una volta salito

''Si, lo sa. Ora sta fermo''.

Damian si allungò verso di lui col telefono in mano, sembrava star scrivendo un qualche tipo di messaggio, quando l'orecchio del moro pizzicò.

''Bene, ora possiamo partire''.

Il corvino posò il telefono sul cruscotto del veicolo e partì, lasciandosi alle spalle l'enorme edificio.

Andrew osservò, finché gli fu possibile, il suo luogo di prigionia, era davvero un castello.

Non si era mai interessato a dove vivessero i Wayne, ma rimase senza parole alla vista della struttura da fuori, che non permetteva la vista dei sotterranei nascosti nella roccia.

Quello voleva dire avere potere.

 

Il moro si voltò poi verso l'autista, fissandolo inconsciamente.

''Si può sapere che hai da stare lì fermo come un idiota?'' chiese il corvino dandogli un'occhiata veloce, per poi tornare a guardare l'autostrada.

''Ho un paio di domande''

''Dimmi''

''Cosa hai fatto prima, in garage?''

''Ho collegato il tuo chip al mio telefono, così che non iniziasse a suonare l'allarme a casa per la tua assenza''.

La disinvoltura con cui lo disse fece gelare il sangue al moro che rimase immobile.

''C'è altro?''

''Dove stiamo andando?'' domandò infine dopo un paio di secondi di silenzio

''Sulla costa nord''

''Per-''

''Il tuo paio di domande lo hai fatto, ora silenzio''.

Si, Damian era furioso.

 

Andrew si limitò, in seguito, a guardare il paesaggio: stavano attraversando un lungo ponte sopra al mare che collegava le due coste, il sole stava calando riflettendosi sulla superficie cristallina che delimitava le piccole città in lontananza che iniziavano ad illuminarsi con le luci della notte.

Era spettacolare.

Il moro aveva visto paesaggi simili solo sulle cartoline dei negozi, era la prima volta che si allontanava così dalla città, era ammaliato, e Damian lo notò.

 

''Ti piace?''

''Si. Non avevo mai visto nulla di simile''

''Allora la nostra destinazione ti piacerà ancor di più, manca un'altra ora e poi saremo arrivati''.

''Mi dirai mai il perché sei voluto partire?''.

Ebbe un grugnito in risposta.

''Perfetto''.

 

Finalmente lasciarono l'autostrada per entrare in una cittadina turistica, vista la quantità di persone che giravano per le strade a quell'ora e ai negozi ancora aperti.

''Siamo arrivati?''

''Si, dobbiamo solo raggiungere il mare, la casa è lì''

''Letteralmente in mare?''

''Quasi''.

 

Si allontanarono dal centro città per raggiungere la periferia d'élite, tutte grandi case vicino al mare, ma quella che più spiccava era la villa in fondo alla strada, circondata da una cancellata e alti alberi.

Una volta arrivati al cancello, il corvino premette il tasto di un telecomando legato alle chiavi della macchina e lasciò le porte aprirsi.

L'auto attraversò un parco ben curato prima di fermarsi accanto all'entrata della casa, rialzata rispetto alla sabbia fine della spiaggia davanti a loro.

Il moro era rimasto senza parole.

Portò uno dei borsoni in casa e poi corse fuori, togliendosi le scarpe sulla veranda, per raggiungere l'acqua calda del golfo.

Il lontananza c'era la costa ormai tutta illuminata anche se la luce del sole non era del tutto scomparsa.

Damian lo raggiunse con calma e gli si sedette alle spalle.

 

''E io che mi aspettavo qualcosa di un po' più sobrio'' gli disse il moro voltandosi

''Se si tratta di mio padre devi dimenticarti di quella parola''

''Me ne sono reso conto''.

Stettero un po' ad osservare il sole scomparire del tutto dietro al mare, prima di rientrare e sistemarsi.

 

''Questa casa non ha tutte le stanze come in città, quindi dormirai con me''

''C-con te?''

''Si. Vai a posare le borse, è la terza porta sulla sinistra'' gli disse il corvino che si era messo a preparare la cena.

Andrew salì le scale lentamente, seguendo le indicazioni dell'altro raggiunse la porta.

Posò le borse davanti all'armadio, sul parquet scuro, e diede un'occhiata veloce alla camera.

Non ci prestò davvero attenzione, si concentrò solo sul letto.

Era come quello che aveva occupato fino a quella mattina, doveva essere una piazza e mezzo abbondante, sarebbero stati anche larghi.

Però l'idea di loro che dormivano assieme, non lo rassicurava. Per nulla.

Damian ne avrebbe approfittato, come sempre, e lui si sarebbe lasciato fare di tutto.

Si toccò il collo, il corvino adorava baciargli e mordergli quella zona di pelle.

Gli tremarono le gambe.

 

Una volta tornato al piano di sotto Andrew si appoggiò all'isola della cucina osservando Damian muoversi nell'ambiente.

''Non sapevo che sapessi cucinare''

''Alfred non è sempre in casa, quindi ho dovuto imparare per sopravvivenza. So fare le cose basilari comunque, nulla di speciale''

''Posso aiutarti?'' la domanda lasciò spiazzato Damian che si voltò ''Se vuoi fare tu non c'è problema'' continuò il moro a disagio dallo sguardo cristallino del coetaneo.

''No, fai pure. Hai sicuramente più esperienza di me'' disse invece il più basso lasciandogli spazio.

Andrew assaggiò il sugo che, a parer suo, mancava di sapore, e rovistando tra gli armadietti semi-vuoti riuscì a trovare dei dadi per insaporire.

In una decina di minuti la pasta venne pronta e poterono sedersi al grande tavolo di legno in sala dove si trovava anche la televisione che impostarono su un canale a caso.

Damian mangiò voracemente, prendendo più volte altre porzioni.

''Ti piace cucinare?'' chiese infine, dopo essersi ingozzato di cibo, cosa che a casa non poteva fare visto che Alfred lo avrebbe rimproverato per il suo comportamento.

''Beh, si. Vivendo da solo ho dovuto imparare. Mi sarebbe piaciuto frequentare un qualche corso, ma non ho mai avuto le possibilità finanziarie, quindi mi sono basato sui libri di cucina, andando a tentativi per creare qualcosa di meglio'' gli rispose il moro togliendo i piatti

''Capisco'' fu la secca risposta del corvino.

 

Quella sera decisero di stare a casa, o meglio, Damian decise di stare a casa, il viaggio lo aveva stancato e voleva solo sdraiarsi nel letto a guardare un film.

La camera era ben più piccola di quella a cui era abituato, ma ugualmente spaziosa, le finestre, che aprirono, davano sul mare e l'arredo era accogliente.

Avevano svuotato i borsoni e sistemato i vestiti prima di cambiarsi per la notte e accendere la televisione appesa al muro.

Non durarono molto, in meno di mezz'ora entrambi erano nel mondo dei sogni.

 

Il risveglio fu estremamente piacevole per il figlio del padrone di casa, Andrew lo aveva abbracciato durante la notte e non lo aveva ancora lasciato, nonostante il caldo.

Sembrava così rilassato che faceva fatica a riconoscerlo.

Giocò un po' coi suoi capelli prima di alzarsi, andare in bagno e scendere per fare colazione.

Si preparò una tazza di latte e cereali, per poi uscire e prendere la sua tavola da surf dal magazzino.

Adorava quel posto, ci andava sempre quando qualcosa lo infastidiva molto o aveva bisogno di pensare.

E ora era in acqua, mentre il ragazzo per il quale aveva inesorabilmente sviluppato dei contorti sentimenti, dormiva nel suo letto.

 

Fortunatamente il mare al mattino era più freddo e gli impediva di fare e pensare cose stupide e avventate.

Si concentrò sulle onde, doveva recuperare i mesi invernali nei quali non aveva potuto allenarsi.

Quando Andrew si presentò sulla riva, il sole era già alto e caldo.

Il ragazzo si sedette sulla sabbia per osservare il corvino sulla sua tavola bianca e azzurra, doveva ammettere che attirava molto l'attenzione.

Poi Damian lo notò.

Uscì dall'acqua e lo raggiunse.

''Potevi andare avanti''

''Si, ma sono stanco. È da stamattina presto che sono qui, devo riprendermi...che ore sono?''

''Manca poco alle dodici, forse è meglio rientrare per evitare un'insolazione''

''Si, va' avanti, ora ti raggiungo''.

Damian si asciugò velocemente, il giusto per non sgocciolare in casa e poi posò la tavola in veranda sotto al sole prima di entrare.

 

Dopo essersi fatto la doccia, e aver mangiato, Damian decise di portare fuori il suo ospite.

La zona dove vivevano era molto pratica: vicina al mare, ma allo stesso tempo a dieci minuti dai tanti piccoli centri abitati dei dintorni.

Andrew, sdraiato sul divano, fu costretto ad alzarsi e seguire il corvino in macchina, verso qualche nuovo posto.

Perlomeno questa volta il viaggio fu più piacevole, Damian era di buon umore e incline al dialogo, gli disse che sarebbero andati a visitare alcuni dei paesi attorno, famosi per alcuni locali storici, e nei giorni successivi sarebbero andati un po' più lontano.

 

Al contrario di ciò che pensava il moro: si divertì.

Era già da una settimana che si trovavano lì, e da quello che aveva capito sarebbero tornati indietro tra uno o due giorni.

In quel periodo aveva visto tanti posti che non si aspettava, taverne e locande storiche, musei, luoghi di commemorazione, e dover ringraziare il corvino per questo era difficile.

Pensava a tutto questo mentre si preparava per andare a dormire.

Uscì dal bagno e raggiunse il letto.

Damian stava già dormendo, in effetti aveva guidato per diversi giorni di fila anche se non per distanze ampissime, doveva essere stanco.

Al contrario di ciò che aveva pensato appena arrivati, non lo aveva ancora toccato.

Gli si sdraiò affianco e si mise di lato, col volto verso la camera, forse poteva chiedergli di lasciarlo tornare a casa, in quei giorni erano entrati abbastanza in confidenza, forse una minima possibilità c'era, anche se ci credeva poco.

Rimase ancora qualche minuto a pensare prima di addormentarsi definitivamente.

 

''Andrew, svegliati'' Damian lo stava scuotendo leggermente

''Sono sveglio...'' mugugnò in risposta il moro senza aprire gli occhi

''Bisogna alzarsi, è mezzogiorno passato''

''Ah...dobbiamo proprio?''

''No, però allora potremmo fare dell'altro'' rispose lui avvolgendolo tra le braccia

''ORA MI ALZO'' in pochi secondi Andrew era già passato dal bagno e si era vestito ''Vado a preparare il pranzo, ti aspetto giù''

''Si, adesso arrivo''.

Damian non si era ancora mosso dal letto, stava a torso nudo appoggiato alla testiera del letto a pensare che cosa potevano fare la sera, visto che il giorno dopo sarebbero tornati a casa e Andrew non sarebbe potuto uscire per diverso tempo.

La litigata con il padre e conseguente fuga, non avrebbe avuto ripercussioni solo su sé stesso.

 

Gli unici posti che non avevano ancora visitato erano il faro e il porto, doveva riuscire a fare entrambi.

Con questo pensiero si vestì e raggiunse l'ex compagno di classe che aveva già preparato la tavola e stava grigliando il pesce comprato il giorno prima.

''Domani andiamo via, oggi pomeriggio stiamo qui in spiaggia, ti porto fuori di sera''

''Va bene''

''Perfetto. Tra quanto è pronto?''

''Poco, siediti pure''.

Mangiarono parlando del più e del meno per poi coricarsi sulle sdraio in spiaggia, sotto il sole caldo del primo pomeriggio.

Passarono circa due ore prima che Damian si decidesse a prendere la tavola e cavalcare le ultime onde di quella breve vacanza, mentre Andrew dormiva.

 

Quel pomeriggio la spiaggia era un po' più viva, probabilmente perché era venerdì, chi poteva permetterselo lasciava la città e raggiungeva il mare per il fine settimana, e tra quelle persone c'era anche una compagnia che abitava lì attorno e che Damian conosceva sin da piccolo.

Li notò quando vide qualcuno sbracciarsi sul bagno-asciuga per attirare la sua attenzione, ma li raggiunse solo quando si sentì davvero stanco.

Diede un'occhiata ad Andrew che sembrava ancora nel mondo dei sogni, prima di raggiungere le ragazze gli si stavano avvicinando, mentre i maschi lo salutavano da lontano.

''Damian dovevi dirci che venivi!'' cinguettò una delle quattro ragazze

''Non c'ho pensato, scusate'' finse spudoratamente il dispiacere

''Fa niente dai, che ne dici però di aggregarti a noi?''

''Mi spiace ma non sono qui da solo, il mio c-compagno sta dormendo sulla sdraio e non mi va di lasciarlo solo'' Damian tentennò.

Non era da lui, ma il significato che aveva dato a compagno, non era quello legato alla scuola e questo lo aveva lasciato un momento in shock.

''Ah, okay... beh possiamo vederci stasera però, cosa ne dici?''

''Si, penso si possa fare, ma non prometto nulla. Ora torno dal mio amico, ci sentiamo''

''Si si!'' le ragazze se ne andarono parlottando tra di loro, mentre il corvino si indirizzò verso le sdraio.

Spostò il suo lettino vicino a quello di Andrew e ci si sedette, guardando il coetaneo, che si voltò verso di lui e aprì gli occhi.

 

''Dormito bene?''

''Si, fin troppo''

''Capisco la sensazione''

Andrew fu abbastanza sicuro di aver intravisto un ghignò sulle labbra del corvino, che doveva essere l'accenno di un sorriso.

''Chi erano le tipe?''

''Gente che conosco, perché? Sei geloso?''

''Non dire stronzate, sono carine''

''Ah si? Interessante''.

Damian si alzò dirigendosi verso casa, lasciando il moro da solo, ma non ci volle molto prima che anche Andrew lo raggiungesse.

A turno si fecero la doccia prima di sdraiarsi sul divano in sala, davanti alla televisione.

Damian, al telefono, programmava la serata, mentre Andrew si limitava a fare zapping per trovare un programma che lo interessasse.

Non si parlarono fino a sera, quando Damian interpellò il coetaneo.

 

''Andrew?''

''Si?''

''Ti piace il pesce?''

''Si, certo''

''Bene, va a vestirti un po' meglio, tra poco usciamo''

''Ma sono appena le sette''

''Capitan Ovvio, su, muoviti. Ti aspetto in auto''.

A differenza del moro, Damian era già vestito con una camicia azzurra e dei pantaloncini beige, si spruzzò del profumo e andò a prendere la macchina.

Poco dopo Andrew si sedette sul sedile del passeggero, con indosso una maglia bianca e dei jeans chiari aderenti.

''Bene, si parte''.

L'auto percorse la strada costeggiante il mare, il sole era già al tramonto, e loro correvano dritti verso il porto.

Parcheggiarono vicino alla spiaggia per poi proseguire a piedi per tutto il lungo molo, lì, una barca stava caricando delle persone.

Andrew si sentì spingere verso l'imbarcazione e ci salì, seguito da Damian.

''Dove stiamo andando?'' chiese il moro sedendosi affianco all'altro ragazzo

''Segreto''.

Solo in quel momento Andrew notò tutte le coppie attorno a loro.

''Ho paura''.

Damian si limitò a guardare fuori.

 

Dopo poco più di dieci minuti, la barca si fermò.

''Su principessa, scendi. Siamo arrivati''

''Taci idiota''.

Erano su una piccola isola dove si trovavano solo il faro e un altro edificio, dove tutti si dirigevano.

Solo a pochi metri di distanza Andrew notò che era un ristorante sul mare.

Damian diede i suoi dati e un cameriere li fece superare la lunga fila innervosita.

''Lo hai corrotto?'' chiese il moro

''Pensi davvero che userei i miei soldi per una cosa così banale? Ho prenotato, come una persona normale''

''Ah...bene''.

L'uomo li fece accomodare sulla terrazza esterna, vicini alla staccionata, col tramonto al loro fianco che si rifletteva sul mare.

''Romantico..''

''Già''

''Dovevi venirci con qualcuno in particolare?''

''Te'' lo sguardo di Damian era indirizzato al sole, che faceva risaltare i suoi occhi azzurri.

Il cuore di Andrew saltò un battito, era troppo imbarazzato per dire qualsiasi cosa, anche un insulto, fortunatamente il cameriere arrivò a salvarli da quella situazione scomoda.

I grandi piatti di pesce fritto attirarono la loro attenzione una volta serviti.

Andrew ne rimase colpito, ci mise qualche secondo a realizzare che poteva mangiare e non solo rimanere ad osservare il cibo.

Damian non poteva sapere che Andrew non era mai stato in un vero ristorante, ma se ne rese conto quando vide il ragazzo mangiare la frittura di pesce con le mani, riempiendosi la faccia di olio.

Era ridicolo.

Si trattenne a fatica dal ridere.

''Andrew'' lo chiamò Damian dopo aver finito di mangiare

''Hm?'' rispose il moro, ancora preso dal suo gambero

''Voglio baciarti''

''Gh-C-che?'' tossì lui, arrossendo.

''Finisci di mangiare'' lo spronò Wayne osservandolo, sorridendo sotto i baffi.

 

Quando uscirono dal locale, in fila, c'erano ancora delle persone che avevano incontrato prima di entrare.

Passeggiarono sulla sabbia fino al faro, ai quali piedi si trovava una banchina in cemento con delle panchine che permettevano la vista delle stelle.

Si godettero in silenzio il cielo notturno prima che Damian gli toccasse una guancia, lasciandogli un bacio a fior di labbra.

Uno, due, tre...poi il corvino si fece più aggressivo.

Le lingue si scontrarono più volte, lottando tra di loro.

Andrew si ritrovò sdraiato sulla panchina sovrastato dal corvino.

''Dam-Damian''

''Che c'è adesso?'' chiese quest'ultimo senza smettere di baciare e toccare il petto del moro

''Fermati'' sospirò il più alto mettendogli le mani sulle spalle.

Damian grugnì infastidito.

''Andrew te lo dico adesso: è l'ultima volta che mi interrompo''.

Il maggiore si alzò andandosi a sedere sul bordo della banchina per respirare l'aria fresca, Andrew lo raggiunse dopo essersi calmato.

''Ti voglio portare da un'altra parte, goditi questo spettacolo per questi ultimi minuti''.

Perfetto, lo aveva innervosito.

 

In meno di un quarto d'ora, i due ragazzi erano di nuovo in auto diretti al lungo mare non molto lontano dalla casa dove alloggiavano.

Le vie erano illuminate dai negozi, le luci appese da un palazzo all'altro, ma soprattutto dalle giostre lungo il molo.

Poco dopo il telefono di Damian squillò, e lui anche se riluttante rispose.

Andrew rimase ad ascoltare la conversazione, da quello che aveva capito avrebbero incontrato qualcuno.

Così fu.

Le ragazze che avevano avvicinato il corvino nel pomeriggio si precipitarono al tavolo del bar dove si erano seduti, seguite poi dai tre ragazzi che le accompagnavano.

''DAMIAN!''.

Andrew rimase a osservare la bionda avvinghiarsi al braccio del corvino, che tratteneva stento l'odio.

Ah, il karma.

Ora toccava a lui sorbirsi qualcuno che non sopportava.

Si stava godendo lo spettacolo delle espressioni del corvino quando venne interpellato.

''Ehi, ciao'' si voltò ''Sono Sarah, piacere''.

La ragazza aveva lunghi capelli rossi, che facevano risaltare gli occhi verdi.

Sarah era interessante e molto intelligente, al contrario delle oche che starnazzavano attorno a Damian.

Studiava veterinaria, e lavorava già in una clinica.

''Quindi...hai la ragazza?''

''Mh? No. Non l'ho...tu?'' rispose titubante, conscio del pericolo che stava correndo

''Un ragazzo? No, nemmeno io...ma tu mi piaci, ti andrebbe di uscire qualche volta?''

''Ehm...wow...dritta al punto eh?''.

L'arrivo dell'alcol lo salvò da una situazione scomoda, nonostante la ragazza gli piacesse non poteva certo mettersi a flirtare quando accanto a lui si trovava quella specie di mastino incazzato.

Presero da bere e passarono la serata così, fu attorno all'una di notte che decisero di fare un ultimo giro per negozi prima di separarsi.

Sarah passeggiava vicina ad Andrew, ubriaco, che accettava di buon gusto la sua compagnia, mentre il corvino li osservava nervoso.

Fu quando la ragazza si avvicinò pericolosamente alle labbra del moro che Damian scoppiò.

''SARAH'' ringhiò, scollandosi dalle altre e tirando Andrew vicino a sé.

''C-cosa succede?'' chiese lei ingenuamente.

''Non farlo mai più'' detto ciò, il corvino si allontanò trascinando con sé Andrew.

 

Una volta in macchina il moro si permise di parlare.

''P-perché she ne andiamo? Mi-mi stavo divertendo''

''È proprio questo il problema, tu ti stavi divertendo, e io mi sono rotto il cazzo di vederti divertire con delle troie qualunque''

''Shi può sapere qual è -hic- il problema?''

''Tu. Sei tu il mio fottuto problema, ma risolveremo questa notte''

''Mh...?''

Una volta a casa, Andrew fu trascinato in camera, che Damian chiuse a chiave, buttando quest'ultima nella cassaforte nell'armadio.

Non che il moro fosse nelle condizioni di scappare, in verità.

Nemmeno un secondo dopo Damian lo stava baciando.

Il corvino lo spogliò quasi immediatamente, per poi spingerlo tra le lenzuola e continuare il suo lavoro: baciare e succhiare ogni porzione di pelle del corpo del moro che non faceva che ansimare.

Le mani di Andrew si muovevano senza meta sulla schiena del compagno, fino a raggiungere i suoi capelli e restare lì.

''Da-ah-m-mian...'' gemette il moro quando il coetaneo spostò la sua attenzione sui bottoncini di carne rosa ''gh...AAH!'' Damian aveva afferrato il membro dell'altro attraverso le mutande, quest'ultimo inarcò la schiena per poi lasciarsi nuovamente andare.

Andrew respirava a fatica, il viso rosso, gli occhi socchiusi, rendevano la visione di Damian magnifica.

Tornò a baciare le labbra bagnate del suo ospite prima di iniziare infilare le dita nei boxer dell'ospite.

''D-damian...sono ubriaco...ma n-non stupido...''

''Lo so bene''

''N-non farmene -hic- pentire''.

 

Con la mano libera Damian gli accarezzò il torso, il moro aveva un bel fisico, lo aveva sempre saputo, ma averlo sotto di sé, indifeso, con il viso rosso e lo sguardo confuso, lo eccitò da morire.

Si abbassò lentamente, senza mai interrompere il contato visivo e iniziò a lasciargli dei leggeri baci sul collo.

''Mgh..'' un brivido scosse il moro.

Gli occhi di Andrew erano già lucidi, un mix di emozioni lo aveva investito senza pietà, lasciandolo con il cuore palpitante e la voglia di piangere.

 

Damian si era liberato dai vestiti, ed aveva tolto anche al moro l'ultimo pezzo di vestiario che gli era rimasto.

Andrew nonostante l'ubriachezza era fin troppo lucido e percepiva troppo bene il disagio che stava provando a essere alla mercé dell'altro.

Si portò le mani sopra al volto per nascondersi dallo sguardo attento del corvino.

''Fatti vedere''

''No...''.

Damian delicatamente gli liberò il volto e lo baciò.

''Voglio vederti''.

Il volto del moro stava letteralmente andando a fuoco, aveva caldo, il respiro si era fatto pesante, gli occhi lucidi e la presenza del corvino sopra di lui non migliorava la situazione.

La luce della luna filtrava dalla finestra e puntava dritta su di loro.

Andrew accarezzò Damian dal volto alle spalle, non volle guardare più in basso per non rischiare un infarto.

Damian con le dita gli accarezzò il caldo antro tra le sue natiche.

Come risvegliatosi da un sogno ''N-NO!'' il moro si agitò, spaventato.

''EHI'' lo chiamo l'altro guardandolo fisso negli occhi ''Rilassati e respira. Farà male, lo sai bene''.

Damian stava ora in ginocchio tra le sue gambe.

''Calma, andrà tutto bene'' gli disse dolcemente appoggiando la sua fronte a quella del moro.

Andrew ingoiò il groppo che gli si era formato in gola e chiuse gli occhi, cercò di calmarsi, facendo profondi respiri e rilassando il corpo.

''Bravo, adesso devi fare una cosa per me'' gli disse il corvino accarezzandogli una guancia, Andrew aprì gli occhi e guardò le due dita che Damian gli posò sulle labbra.

Chiuse nuovamente gli occhi e aprì la bocca, leccò le dita finché il coetaneo non fu soddisfatto.

''Rilassati. Non voglio farti più male del dovuto''.

Il moro annuì e divaricò le gambe.

''Respira'' fu l'ultima cosa che gli disse prima di iniziare ad inserire il primo dito.

 

Troppo dolore.

 

''AH BASTA!'' gridò

''Non irrigidirti, ti farai solo più male'' il moro sentì la stretta su i suoi polsi allentarsi e un lieve movimento circolare all'altezza del suo ventre ''Calma, va tutto bene...è solo un po' stretto, ti devi abituare''.

Se avesse fatto qualche movimento brusco, Andrew, aveva la sensazione che si sarebbe fatto molto, molto più male.

Voleva scappare, picchiare violentemente il corvino e farlo sentire male tanto quanto lui, ma non poteva.

Era paralizzato dal dolore e sentiva che il suo cuore non avrebbe retto ancora per molto.

Il bruciore era ancora presente, ma meno di prima, i movimenti rotatori del dito erano studiati per farlo abituare il prima possibile.

''Stai andando bene, ora metto il secondo''.

Il corvino si doveva sbrigare o c'era l'enorme rischio che ci ripensasse.

''Damian...sbrigati''

''Farà un po' male...''

''Lo so...'' sospirò.

Forse aveva sottovalutato il dolore che avrebbe provato, visto che stava implorando la morte piuttosto che quella lenta agonia.

Era certo che si stesse lacerando dall'interno.

Da quello che aveva capito erano due dita, ma la sensazione era quella di avere un intero braccio che lo stava torturando.

''Damh-Dam...ian'' piagnucolò tirando il ragazzo verso di sé.

''Dimmi quando diventa sopportabile...la parte peggiore è passata'' il corvino gli asciugò le lacrime che erano riuscite a fuggire dal suo controllo e lo abbracciò.

Ci vollero diversi minuti prima che Andrew diede segno di continuare.

''Vai''.

Damian fece scivolare fuori le dita e sollevò le gambe del compagno.

Il corvino fu meticoloso.

Non lasciò nulla al caso, nemmeno il più piccolo dettaglio: dal cuscino sotto alla testa del moro, al silenziare i telefoni, fino al togliergli l'orecchino che poteva incastrarsi da qualche parte.

Andrew riuscì persino a ridacchiare di quella folle attenzione.

Finalmente Damian tornò a dare tutta la sua attenzione al moro.

Gli baciò la coscia e iniziò a muoversi lentamente.

 

***

 

Il sole era già sorto da ore quando Damian aprì gli occhi, Andrew, mezzo sdraiato sopra di lui, lo abbracciava stretto.

Sinceramente era incredulo, era andato a letto con il moro molto prima delle sue aspettative e senza dover ricorrere a strani escamotage.

A parte qualche litro di alcol.

Scivolò silenziosamente fuori dal letto per andare in bagno e poi tornare dall’amante ancora nel mondo dei sogni.

Aveva aspettato quel momento da tempo, finalmente poteva stringere a sé il ragazzo. Si concentrò per studiare ogni dettaglio del suo volto, adorava ogni singolo particolare, dal naso a punta, ai nei di diverso colore che gli costellavano il retro del collo.

Il corvino era ancora preso dal suo svago quando gli occhi grigi dell’altro si aprirono.

Contro ogni aspettativa Andrew non andò fuori di testa, si limitò a accarezzare a sua volta la guancia del maggiore per poi chiudere nuovamente gli occhi e lasciarsi coccolare.

Mai nella sua vita il moro aveva provato una sensazione così piacevole, si sentiva bene, terribilmente in pace con se stesso e il mondo.

All'improvviso il moro sentì la labbra del compagno lasciargli dei baci su tutto il viso, per risposta si avvicinò al suo volto e gli diede un veloce bacio a stampo sulla bocca.

''Dio quanto mi piaci'' sussurrò il corvino

''Quanto?''

''Troppo''.

Passarono la mattinata così, senza fare nulla, godendosi solo il tempo assieme.

 

Erano le cinque passate, avevano fatto la doccia, mangiato e guardato dei film.

Damian non aveva più risposto ai messaggi di nessuna delle ragazze che gli aveva scritto la sera precedente.

Solo a Sarah, spiegando che il ragazzo non aveva una relazione ufficiale, ma qualcosa di molto simile.

Il moro non si era più scostato dalle attenzioni di Damian, anzi, accennava anche a dei sorrisi imbarazzati.

Ripensandoci, Damian aveva fatto bene a portarlo via, avrebbe solo perso in giro la ragazza se fosse rimasto lì.

Dopotutto sapeva già come sarebbe finita tra lui e il corvino, era solo il momento che non era stato prevedibile.

 

Andrew guardava la casa dal finestrino dell'auto, mentre Damian finiva di chiudere le finestre.

Non sapeva bene come definire quella settimana, era stata strana, ma gli era piaciuto.

Allo stesso modo sentiva come se stesse lasciando lì una parte di sé, sapeva bene che in città non si sarebbe mai lasciato andare così, quindi doveva esserci qualcosa in quel posto che lo aveva stregato.

Damian si era preso cura di lui e in cuor suo sapeva che lui stesso lo aveva voluto...e che gli era piaciuto.

Tanto.

La prova erano tutte le volte in cui era venuto.

Ma alla fine andava bene così.

Dire che avevano 'fatto l'amore' era troppo, ciò che c'era tra di loro non era amore, ma qualcosa di molto simile.

Le note negative che poteva trovare erano il fatto che Damian gli era venuto dentro e i dolori postumi.

Avrebbe fatto a meno di entrambi.

Pensare anche solo per un istate a cosa aveva fatto la notte prima però lo imbarazzava da morire.

Perso nel suo mondo non si accorse che il corvino era salito in macchina.

''Tutto bene?'' chiese accendendo il motore

''Mh? Ah, si''

''Okay, allora, ci vorranno circa due ore per tornare, quindi puoi dormire un po'''

''No, sto bene. E poi, non penso che tornerò mai in un posto simile, quindi mi voglio godere il panorama il più possibile''

''Possiamo tornare quando vuoi, la casa è per lo più vuota quando non è estate piena, quindi non ci sono problemi''

''Davvero?!'' chiese stupito il moro

''Certo'' Damian lo tirò a sé, e dopo avergli lasciato un casto bacio, partirono.

 

La maggior parte del viaggio passò mentre i due ascoltavano la musica, poi all'improvviso Andrew ricordò che non sapeva ancora perché erano partiti.

''Dam-''

'Mio padre darà una festa''.

Ci fu un momento di silenzio.

''Eh?'' chiese confuso il moro

''Era questo che volevi sapere, no? Perché ti ho portato via''
''Si'' annuì il ragazzo ''Non vuoi partecipare?''

''Non è tanto quello, come posso spiegartelo...una qualsiasi festa, party o gala organizzato da una persona influente è un vero e proprio evento sociale dove chiunque cerca di faresi invitare. Le feste di mio padre sono molto esclusive, invita di media duecento persone, che possono sembrare tante, ma non lo sono. Comunque, queste feste creano una grande aspettativa e i giornalisti fanno a gara per avere notizie. Qualche volta mio padre rilascia interviste, questa volta no e infatti ci sono paparazzi appostati ovunque ed è insopportabile, motivo per cui mi sono infastidito e ti ho portato via con me. Volevo un po' di pace''.

''Ah, wow...sono così importanti queste cose?'' chiese il moro tendendosi verso il guidatore

''Troppo, e poi bisogna ingaggiare servizi di sicurezza per evitare che la gente gironzoli per casa, glielo dico ogni anno di fare ste' cose fuori casa, ma mi ascolta quando gli pare. Soprattutto non ho ancora capito se puoi stare giù con me o in camera''

''Sono stato in camera fino ad ora...perché dovres-'' Damian lasciò il volante con la mano destra e la posò sulla guancia dell'altro

''Lo so, e mi dispiace'' Andrew sgranò gli occhi ''Non fare quella faccia, sono serio. Io devo rispettare il volere di mio padre, e lui non si fida di te, ma ultimamente sta migliorando. Qualche volta mi chiede come stai''

''Tuo padre?! Bruce Wayne ha chiesto di me?!'' Andrew fu davvero colpito dalla rivelazione

''Già, strano vero?''

''Molto più che strano, non è che vuole uccidermi?''

''Non credo...lo avrebbe già fatto'' rispose il ragazzo un po' troppo seriamente per i gusti del moro.

 

Arrivarono a casa verso le undici di sera, fortunatamente Damian aveva avvertito Alfred del loro ritorno e il maggiordomo gli aveva lasciato dei piatti da scaldare nel microonde per cena.

Mangiarono e poi si diressero verso le camere, quando il corvino fu davanti alla sua porta trascinò Andrew dentro con sé.

Il moro si trovò schiacciato tra la porta e il corpo di Damian che lo stava baciando nuovamente, saggiando la sua pelle con le mani, per poi spogliarlo.

''Dormi qui'' gli sussurrò il corvino nell'incavo del collo

''N-no Damian...fermo...i tuoi fratelli...''

''Sono già a letto, lasciati toccare un po'''.

Andrew venne trascinato sul letto e sovrastato dal coetaneo che si limitò a baciargli il petto.

Damian si sdraiò sul corpo del moro prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi.

 

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Capitolo 6
*** VI ***


VI

 

Andrew venne svegliato dai raggi del sole che entravano dalle finestre aperte che facevano girare l'aria fresca del mattino.

Era abbastanza confuso.

Ricordava di essere tornato nella Mansione Wayne, di aver cenato e poi di aver raggiunto le camere, eppure c'era qualcosa che non tornava: la sua solita camera aveva le finestre coperte da pesanti tende nere che impedivano anche al minimo raggio di sole di penetrare.

Aprì gli occhi e vide blu.

Sbatté un paio di volte le palpebre e si sedette.

La maggior parte delle pareti erano ricoperte da poster di band, film, fumetti e serie tv.

Il muro speculare al letto matrimoniale su cui si trovava era occupato da una tv da cinquanta e passa pollici, e sotto di essa si trovava un mobile bianco con un lettore dvd e nei vari scomparti cofanetti limitati di film, dvd, cd di ogni genere e una prevalenza di fumetti DC comics rispetto ai Marvel.

Decisamente non era in camera sua.

Fu distratto dai dei movimenti accanto a lui.

Damian si stava rigirando nel letto in cerca di una posizione più comoda, con scarsi risultati.

Venne tentato dal desiderio di buttarlo giù dal letto, ma teneva ancora troppo alla sua vita per rischiarla così.

Sospirò e mise un piede sul pavimento, non riuscì nemmeno a mettere giù l'altro che venne strattonato indietro.

''Dove pensi di andare?'' Damian aveva aperto un occhio solo, ma bastava a mettere il moro in soggezione

''In bagno''

''Ah...okay'' la morsa attorno alla sua vita si allentò ''La porta a sinistra''.

Il moro si alzò e seguì l'indicazione, non che avrebbe potuto sbagliare in realtà, o era quella o quella parallela, che doveva invece contenere la cabina armadio.

Una volta chiusosi la porta alle spalle si diede qualche minuto per osservare il bagno.

Le pareti erano coperte da piastrelle nere, che facevano risaltare i sanitari bianchi.

Il bagno si sviluppava per il lungo, in sequenza c'erano: il lavandino con annesso mobile al di sotto e specchio, il water e di fronte la doccia, ovviamente tutto di design e moderno.

In verità il moro si aspettava qualcosa di diverso, non sapeva dire in che senso...forse più grande ed esagerato.

Beh, non che in verità cambiasse qualcosa.

Si spogliò e buttò i vestiti nel cesto affianco la doccia.

Aprì l'acqua e aspettò qualche secondo che diventasse della temperatura giusta.

In quel breve lasso di tempo si guardò allo specchio.

Si era abbronzato, la sua carnagione iniziava a tendere verso il caramello, tipico della pelle olivastra, ciò che non capiva erano i segni più scuri che dal collo scendevano fino al petto.

Si avvicinò meglio al vetro per osservarsi.

Non poteva essere una reazione allergica, anche perché così da vicino si notava un certo colore violaceo.

Ci mise qualche secondo a capire.

Sbarrò gli occhi.

La sera prima doveva essere stato così stanco da non essersene accorto...il bastardo lo aveva riempito di succhiotti!

Si avviò a passo spedito verso la porta, ma venne anticipato.

Damian gli si parò davanti mentre si passava una mano tra i capelli.

Per poco non gli finiva addosso.

''Pensavo fossi già sotto l'acqua'' gli disse togliendosi i boxer

''Ah...no'' il moro aveva già perso tutta la grinta.

Anche il corvino si era scurito, non molto, ma abbastanza da rendere i suoi occhi ancora più visibili e attraenti.

Si costrinse a non abbassare lo sguardo, non doveva in nessun modo guardare più in basso del petto o sarebbe morto, se lo sentiva.

Doveva essere illegale essere così sexy.

''Meglio così''.

Damian lo afferrò per la vita e lo trascinò nella doccia con sé.

Andrew stava morendo per l'imbarazzo, era tentato di scappare da lì, ma il corvino glielo avrebbe impedito sicuramente, si limitò a dargli la schiena.

''Come mai tutto questo pudore?''

''Cosa intendi?''.

Il corvino lo afferrò per le spalle e lo voltò ''Intendo che non riesci nemmeno a guardarmi negli occhi'' a conferma di quelle parole gli occhi grigi preferirono osservare la radio e l'idromassaggio incorporati nella doccia.

Damian roteò gli occhi e lo spinse contro una parete, Andrew rabbrividì al contatto con il vetro freddo.

''Mi hai stufato''.

Il corvino si impossesso della sua bocca e gli strinse il sedere tra le mani.

Andrew mugugnò e a quel punto tutto il resto divenne superficiale.

Ignorò il suo buon senso, cosa non strana, il fatto che pochi minuti prima voleva gridargli addosso, ignorò persino il fatto che si stessero eccitando.

Damian lo stava ribaltando da capo a piedi, toccando ovunque, senza lasciare nulla al caso.

Gli intrappolò i capezzoli tra le dita e iniziò a torturarlo.

Andrew ormai boccheggiava e gemeva oscenamente, scivolò sul piatto della doccia senza degnare l'altro di uno sguardo.

A quel punto Damian lo lasciò perdere, giocò con le maniglie del doccino e lo puntò addosso al moro.

L'acqua gelida lo fece gridare, ma l'altro lo ignorò totalmente.

Il moro tremava, si era accucciato su se stesso per cercare di mantenere un po' di calore, inutilmente.

Finalmente il corvino spense l'acqua.

''P-perché?'' tossì lui

''Così impari a ignorarmi. Ora vieni qui''.

Damian lo aspettò con un accappatoio in mano che gli fece indossare prima di avvolgerlo e portarlo sul letto.

Si prese del tempo per osservare l'ospite sdraiato sotto di sé, le labbra gli si erano tinte lievemente di viola, i capelli, incollati sulla fronte davano l'impressione di una frangia scomposta, come quella dei bambini e i suoi occhi lo guardavano con fierezza e allo stesso tempo attesa, stava aspettando la mossa successiva.

Avrebbe passato ore ad osservare quelle pozze di argento fuso tempestate di pagliuzze più chiare vicino alla pupilla.

Senza interrompere il contatto visivo si abbassò sul suo volto, sentì i loro respiri accelerare, si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra.

Vide l'attesa diventare frustrazione sul viso del moro, sorrise.

''Va' al diavolo'' Andrew scattò e nello stesso momento in cui univa le sue labbra gelide con quelle del coetaneo, gli avvolse le braccia attorno al collo per tenersi.

Per il suo corpo gelato, il contatto con quello caldo di Damian era una benedizione.

Fece scivolare l'accappatoio fuori dalle braccia, così che la sua parte superiore potesse approfittare di quel calore, nel mentre Damian gli stuzzicò le cosce prima di far scivolare una mano al disotto della stoffa spugnosa.

Approfittò dell'acqua rimasta sulla pelle del moro per bagnarsi le dita e inserire l'indice nel punto più intimo del compagno.

Andrew si irrigidì all'istante.

Avrebbe impiegato parecchio tempo per abituarsi a quella intrusione, non gli piaceva la sensazione che gli procurava, era fastidioso, sentiva il bisogno di espellere la presenza estranea, il suo corpo non la voleva.

Si rese conto che senza l'alcol la situazione era ben più difficile da gestire.

''Damian...'' mugugnò nascondendo il viso nel petto del corvino

''Ti da molto fastidio?''

Andrew si limitò ad annuire

''Mi dispiace, resisti ancora un po', non voglio farti del male''.

Il moro strinse i denti e sopportò stoicamente la prima e la seconda intrusione, si preparò a ricevere la terza.

 

''DAMI-'' la voce si interruppe.

 

I due ventenni si immobilizzarono.

La tranquillità di Andrew era andata a farsi benedire, infatti scattò e si coprì il più possibile con l'accappatoio, riuscendo a sedersi e nascondendosi poi dietro al corvino, che era furioso.

''Richard...quante volte ti ho detto di bussare prima di entrare?'' ringhiò Damian senza voltarsi, ma avvolgendo il moro con il braccio libero e stringendolo più a sé.

''T-tante. Decisamente tante''

''E perché non l'hai fatto?''

''Perché...tu sai che io mi dimentico le cose all'istante, ma credo che d'ora in poi non lo farò più eh... comunque il grande capo vuole parlarti...ma fai con calma, gli dico che ci metterai un po''' disse nervoso il maggiore, eclissandosi un secondo dopo.

I due rimasero fermi immobili finché non sentirono i passi allontanarsi di corsa.

Damian fece appoggiare la testa del moro sulla sua spalla per poi inserire completamente l'ultimo dito e muoverlo assieme agli altri facendo mugugnare il ragazzo.

''Sei stato bravo'' disse lasciandogli un bacio sulla guancia e facendo sdraiare nuovamente il compagno, per sfilare le dita.

''Vestiti pure, io vado un momento in bagno''.

''...Okay''.

Andrew sbuffò sonoramente dopo essersi vestito, e aver notato l'eccitazione quasi del tutto sveglia.

Vado a parlare con mio padre, appena finisco ti porto qualcosa da mangiare. Intanto tu vedi di non toccarlo'' disse indicando il gonfiore tra i suoi pantaloncini ''Ci siamo intesi?''

''S-si, intesi''

''Ottimo'' chiuse la porta e se ne andò.

Passò appena qualche minuto che la porta venne riaperta.

''Dimenticato qualc-'' davanti a lui non c'era Damian.

 

***

 

''Pa', sono qui''Damian era sceso nei sotterranei sapendo già che avrebbe dovuto subirsi una sfuriata coi fiocchi, quindi era meglio sbrigarsela in fretta.

''Vieni nell'ufficio'' si sentì rispondere.

L'ufficio era un stanza dalle pareti vetrate che stava sulla destra dei sotterranei, dove suo padre gestiva i vari affari quando voleva il silenzio totale.

Damian entrò e si sedette di fronte alla scrivania dove Bruce stava controllando delle carte che persero importanza nel momento in cui il giovane varcò la soglia.

Suo padre si tolse gli occhiali che usava per leggere e gli dedicò tutta la sua attenzione.

''Vi siete divertiti?''

''Direi di si, non ci avrei scommesso molto in verità''

''Immagino...''.

Quella partenza preannunciava guai.

Aveva avvisato solo Richard della sua fuga, e per quanto sapessero anche gli altri dove si stava recando, compresi i genitori, a suo padre non piacevano le sorprese.

Il fatto di non essere stato avvisato lo doveva aver innervosito abbastanza.

''Pa' facciamola breve, dimmi quanto sono un figlio degenere, quanto sono fortunato e non lo apprezzo e quanto dovrei rispettare di più le tue decisioni senza fare scenate''

''In tutti questi anni non ha mai funzionato quel discorso, quindi penso che prenderò altri provvedimenti, dopotutto metterti in punizione non è mai servito''

''Che tipo di provvedimenti?''

''Non limiterò te, neanche il tuo ospite, non avrebbe senso. Ma sai, sono in molti che mi chiedono se sei libero sentimentalmente...''

Damian smise di respirare ''Non lo hai fatto...''

''Non ho detto nulla di sconveniente e non ti ho nemmeno programmato un matrimonio, però ti posso assicurare che ballerai con ognuna delle ragazze che te lo chiederà e tu sarai felice di farlo''

''Perché dovrei?''

''Perché non credo che tu voglia tornare da tua madre''

No, no, no. Doveva star scherzando.

''Non lo faresti mai'' per quanto potesse voler bene a sua madre l'idea di tornare a vivere con lei sembrava più un incubo che altro, soprattutto adesso che aveva qualcosa a cui badare, o meglio qualcuno.

''Vuoi rischiare?''.

Suo padre raramente scherzava e quando lo faceva era molto difficile capirlo, solo Clark ci riusciva...e non sempre.

Ci fu un momento di silenzio che Damian usò per pesare bene le parole.

''Non ho fatto nulla di così grave da dover ricorrere a certe soluzioni. Lo faccio tutti gli anni, cosa è cambiato?''

''È vero, fai la tua piccola fuga tutti gli anni, ma questa volta hai portato con te anche un pericolo senza preoccuparti delle conseguenze. Non potevi sapere se avrebbe parlato o se fosse riuscito a scappare. Cosa avresti fatto in uno di questi casi? Liquidato tutto con un 'gli piace scherzare' o simili? Devi riflettere prima di compiere un'azione Damian''

''Non è scappato...e non ha parlato. Non posso giurare che non gli è passato per la mente, ma mi stai facendo una paternale su cose non successe. E poi tu mi dici di riflettere...se avessi dovuto riflettere su ogni pro e contro delle mie scelte non avrei mai iniziato a fare surf per il rischio di annegare o...che ne so...per gli squali. Hai ragione, ho sbagliato, ero arrabbiato e ho agito come faccio di solito senza considerare chi mi portavo dietro, non mi è passato per la mente nemmeno per un secondo che potesse andarsene, ma pensaci bene: avrebbe davvero potuto?''

''No, non avrebbe potuto. Però Damian devi stare più attento, tu non sei nella sua testa, non sai cosa sta pensando e non potrai mai saperlo. L'ho affidato a te perché so che non sei uno sprovveduto rispetto ai tuoi fratelli, non solo per i vostri precedenti, quindi pretendo più testa nelle cose che fai e ti assicuro che non scamperai alla festa''

''Ma-''

''Ma, niente. Per quanto riguarda Andrew fai un po' come vuoi, considera i rischi e non''

''Certo, come se gli potessi dire: 'partecipa anche tu, ah ma sappi che passerò la serata a ballare con delle tizie qualunque e tu seduto su una sedia a guardare'''

''Beh, chi dice che non possa incontrare qualcuno di interessante?'' l'occhiata fulminante che diede al padre fece ridere quest'ultimo ''Sto scherzando, stai tranquillo''

''No, hai ragione...non glielo dirò. Lo farò stare in camera. Comunque c'è una cosa che devo chiederti...''.

Parlò ancora una buona mezz'ora col padre, raccontò della breve vacanza, omettendo i dettagli più significativi e poi venne lasciato libero di tornare ai suoi impegni.

Uscito da lì a Damian sembrava di aver di nuovo dodici anni, dover giustificare le sue azioni era una cosa che non faceva da quasi un decennio.

Sospirò e raggiunse l'ascensore e si indirizzò verso la cucina per portare la colazione al moro che lo stava aspettando.

 

***

 

Davanti ad Andrew si era presentata tutta la progenie Wayne tranne il suo personale incubo.

''Hey...?'' disse il ragazzo sedendosi sul bordo del letto

''Buongiorno'' salutò Jason, mentre gli altri si limitarono a un accenno con la mano e un sorriso, a parte Richard che non lo guardava, imbarazzato.

''A cosa devo questa visita?'' Andrew sapeva che non erano lì per picchiarlo, ma non poteva negare che fossero un po' angoscianti.

''Stai tranquillo, vogliamo solo parlare un po' con te, ti va di fare un giro?''.

Avevano raggiunto la sala giochi nel più totale silenzio.

Andrew non era preoccupato, solo che voleva capire al più presto cosa volessero da lui.

Si sedettero nella zona relax e accettò volentieri l'acqua che gli offrirono.

Una volta seduti tutti, si sentì osservato.

''Come ti trovi?'' chiese il più grande

''Bene direi...non posso dire di stare male''

''Giusto, ma intendevo come ti trovi con Damian''

''Ah, beh'' il moro si passò una mano tra i capelli e guardò fuori ''Non so dirlo...''

Parlare di Damian lo agitava sempre, era colpa del corvino se il fratello li aveva beccati e se ora voleva sotterrarsi appena incontrava gli occhi di Richard.

E lui era anche la causa della maggior parte dei suoi problemi.

''Lui sta bene con te''.

Non era stato Jason a parlare questa volta, ma il minore dei cinque, Jonathan.

''Scusa?'' doveva aver capito male

''Dico che lui sta bene con te, si vede a occhio, è più felice da quando sei qui''

''P-più fe-felice?'' il giramento di testa improvviso non aveva nessuna relazione con quella notizia.

Nessuna.

''Jon ha ragione, sorride di più''rincarò la dose Timothy, quello che tra i fratelli non aveva mai conosciuto, non si erano nemmeno mai detti un 'ciao' per caso.

Ogni cosa che gli dicevano era un colpo al cuore, perché voleva dire che il loro rapporto era drasticamente cambiato e che niente sarebbe stato più come prima.

Beh...quello lo sapeva già dal giorno precedente, però averne la conferma nuda e cruda escludeva in qualsiasi modo il poter tornare alla sua vita precedente all'intrusione nella villa.

Damian sorrideva? Damian Wayne? Quello sempre incazzato, che la cosa più simile a un sorriso che conoscesse era un ghigno inquietante?

E ne era lui la causa?

Nope.

Si rifiutava di crederlo.

Dovevano star scherzando...vero?

'Eppure lo hai visto anche tu sorridere, sai che hanno ragione' la parte razionale della sua testa doveva essersi improvvisamente risvegliata e deciso di calcare la mano

''Se-sentite io-'' aveva un gran caldo, bevette tutta la bottiglia di acqua ghiacciata e ancora sentiva la gola secca.

''Non agitarti, non vogliamo metterti alcuna pressione, era solo una constatazione...tu gli fai bene''.

Non rispose, nascose il volto tra i cuscini e gemette.

''Dai, non è così tragica la situazione'' Jason rise e gli diede qualche pacca sulla spalla prima di rispondere al telefono che aveva iniziato a squillare.

Il moro non prestò attenzione alla telefonata, cercava solo di far tornare il suo cuore battere normalmente.

''Dobbiamo tornare giù, Damian ha finito''.

 

Andrew salutò i fratelli con un cenno prima di chiudersi la porta alle spalle e lanciarsi sul letto.

Rifletté sul discorso che gli avevano fatto, doveva esserci qualcosa poteva negare le loro parole, una qualsiasi cosa.

''Andrew, ti ho portato da mangiare''.

Il moro si tirò su e lasciò che Damian lo affiancasse.

''Tutto a posto?''

''Mh...? Si, si...''

''Dovresti imparare a mentire''.

Non gli rispose, si mise a mangiare mentre analizzava ogni momento da quando era arrivato.

Ricordava bene le botte che aveva ricevuto, ricordava a come l'odio era diventato tolleranza, quasi amicizia e poi inevitabilmente qualcosa di più, qualcosa non definibile.

Damian gli si era sdraiato affianco e aveva fatto scivolare una mano sotto la sua maglia ''Dimmi a cosa stai pensando''

''A te''.

La risposta fu così veloce che non si poteva dubitare della sua veridicità, Damian rimase sorpreso per qualche secondo prima di sorridere.

''Ne sono onorato''.

 

Il caldo era tornato prepotente, entrambi si erano liberati della maglietta che li accaldava e mentre Damian stava con la schiena appoggiata alla testiera e scorreva i canali, il moro giocava al telefono con la testa sul cuscino.

Andrew non gli aveva più rivolto la parola, si era chiuso in se stesso e lui odiava era essere ignorato, per cui una volta constatato che in tv non ci fosse nulla di interessante, sfilò il telefono dalle mani del moro e lo posò sul suo comodino.

''Ehi, ma ch-''.

Andrew non riuscì a finire la frase che si ritrovò con la lingua del compagno in bocca, ma dopo un primo momento di smarrimento riuscì ad allontanarlo.

''Giuro: o la smetti-''

''Oppure?'' il corvino non era minimamente toccato dalla pseudo minaccia, ignorò completamente l'altro e spostò la sua attenzione più in basso.

''O-oppure te ne farò pentire''

''Si certo...''.

Damian iniziò a lasciare dei leggeri baci sulla pancia del suo ospite, che cercò di allontanarlo mettendogli le mani tra i capelli e spingendolo via, fu inutile.

Il corvino fu totalmente indifferente, continuò il suo svago lasciando anche piccole leccatine, cosa che fece venire la pelle d'oca ad Andrew.

Per quanto potesse mentire a se stesso, al moro piacevano quelle attenzioni, tanto che senza rendersene conto aveva iniziato ad accarezzare i capelli del corvino.

''Damian...'' mugugnò

''Si?''

''S-smetti...''

''Vuoi davvero che mi fermi?'' il corvino ora lo guardava dritto negli occhi

''…''

''Allora?''

''No'' sospirò infine Andrew

''Ottimo'' sorrise lasciandogli un bacio sulle labbra.

 

Damian tornò sul letto dopo essersi lavato le mani per osservare i succhiotti e i morsi lasciati sul corpo del moro che stava riposando.

''Andrew, ho una notizia per te''

''Mh...dimmela dopo'' mugugnò nascondendo il volto sotto il cuscino

''Allora dirò ad Alfred che non lo andrai ad aiutare in cucina''.

Ci vollero pochi secondi ma il moro realizzò le parole di Damian.

Volò addosso al ragazzo e lo spinse tra le coperte.

''Ho capito bene?''

''Come faccio a saperlo?''

''Mi farai affiancare il tuo maggiordomo?!'' Andrew scuoteva il corvino senza rendersene conto

''Se non la smetti di shakerarmi come un drink, no''

Andrew si bloccò e avvolse Damian tra le braccia ''Grazie, grazie!'' disse strusciando la faccia nel collo dell'altro.

''Si, si'' Damian diede qualche pacca sulla testa del moro e si lasciò abbracciare ''Adesso staccati però, rischiamo di fonderci''.

''Ah, si...beh quando potrò aiutarlo? ''.

''Anche oggi se vuoi''

''Lo voglio!''

''Va bene, sta calmo. Mettiti una maglia così ti accompagno''.

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