Principesse Guerriere

di Just_Charlie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno: Storie della Buonanotte ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due: Meet Cute ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre: Cenerentola (parte uno) ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre: Cenerentola (parte due) ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno: Storie della Buonanotte ***


                          

                             

CAPITOLO UNO: STORIE DELLA BUONANOTTE

                 

                   

«C’era una volta una principessa di nome Alexandra che viveva in una terra devastata dai mostri e dalle guerre» Madi si nascose un pochino sotto le coperte, e guardò sua madre con occhi grandi e spaventati.

«Mamma, è una storia di paura! Come faccio ad addormentarmi adesso?» Clarke sorrise e accarezzò la testa della sua bambina, stringendola a sé.

«Non è una storia di paura, amore, lasciami continuare e vedrai. Allora, c’era una volta una principessa di nome Alexandra che viveva in una terra devastata dai mostri e dalle guerre. Alexandra però non era una principessa normale, perché le principesse delle fiabe si fanno rapire dalle streghe e mettere in torri alte alte alte, con draghi sputafuoco a fare da guardia e pronti a mangiare qualsiasi cavaliere fosse stato abbastanza coraggioso – o forse sciocco? – da tentare di salvare la principessa-»

«Mamma!» protestò Madi; rise e si tirò su da dove si era nascosta sotto le coperte, facendo il broncio «Non la voglio più sentire la tua storia, non mi piace!»

«Ma sta per arrivare la parte bella!»

«Davvero?»

«Mm-mm» Clarke fece segno di sì con la testa, trattenendo le risate. Madi la guardò indecisa, occhi ridotti a due fessure verdi verdi pungenti come spilli. «Perché devi sapere che Alexandra in realtà era una principessa guerriera!»

«Una principessa guerriera?!?!» Madi spalancò gli occhi e si accoccolò accanto a Clarke, di colpo nuovamente interessata. Clarke scoppiò a ridere e la strinse forte, dandole un sonoro bacio sulla fronte. La notte era silenziosa intorno a loro, la città ormai quasi addormentata in quella fresca sera d’autunno. Si sentivano solo le loro risate in quella piccola cameretta dipinta di verde. «Vai avanti, mamma!»

«Okay, okay» Clarke sorrise e si guardò intorno, cercando ispirazione per quella pazza storia improvvisata. Ma sapeva che quello era il genere di fiaba che la sua bimba preferiva. Erano entrambe stanche di leggere libri dove la fanciulla in pericolo veniva salvata dall’aitante giovanotto sul destriero bianco. Perché nel loro mondo le cose erano molto diverse. Nel loro mondo… beh, nel loro mondo di solito erano le ragazze a tirarsi su le maniche e a salvarsi da sole. Era la nonna di Madi, la madre di Clarke, Abby, che curava le persone ogni giorno in ospedale. La zia Octavia era una poliziotta e catturava sempre i cattivi. E la zia Raven sapeva aggiustare tutto, da un’automobile al frullatore impazzito alla bambola che non parlava più quando le schiacciavi la pancia. Madi adorava tutte le donne forti e coraggiose che abitavano il suo mondo.

Perché come diceva la sua mamma quando credeva che Madi non la sentisse – però la bambina la sentiva lo stesso – le donne nel loro mondo spaccavano i culi.

«Allora?» Madi incitò Clarke dandole un colpetto con la spalla «Poi cosa succede?» Clarke arricciò le labbra sorridendo sotto i baffi.

«Succede che Alexandra era una principessa guerriera, giusto? E questo significa che non si faceva spaventare da nessuno. Nel suo regno c’erano mostri e guerre, questo è vero, ma lei li combatteva con tenacia e coraggio. Aveva una spada bellissima che luccicava al sole e con la quale si batteva fieramente. ZAM ZAM ZAM!» Clarke finse di avere una spada tra le mani e mimò un feroce combattimento contro un nemico immaginario. Madi rise e si mise a combattere anche lei, lanciando via con i piedi tutte le coperte: il materasso era diventato un campo di battaglia. «Tutti i cattivi cadevano ai suoi piedi. Aveva un esercito che la seguiva in battaglia e che eseguiva ogni suo ordine, e i nemici tremavano di fronte alla loro potenza. Anche i mostri più mostruosi scappavano via. Il popolo la adorava, perché era una principessa buona e caritatevole e aiutava sempre la sua gente.»

Clarke si fermò un attimo girandosi verso sua figlia, che la guardava con il fiatone per quella lotta improvvisata. Aveva una luce birichina negli occhi che Clarke amava. Anche se lei e Finn erano divorziati ormai da anni e non sempre andavano d’accordo, gli sarebbe sempre stata grata per averla aiutata a crescere la bambina meravigliosa che era Madi. Clarke non aveva la più pallida idea di cosa ne sarebbe stato di lei se non ci fosse stata Madi. Dopo la morte di suo padre era caduta in quello che le era sembrato un abisso senza fondo, oscuro e terrificante, dal quale aveva tanto faticato a risalire. Ma Madi le aveva dato una nuova ragione per vivere. Le aveva dato forza, le aveva dato gioia. Le aveva dato vita.

«Un giorno, Alexandra e le sue truppe arrivarono in un villaggio che era stato attaccato dai mostri» Clarke rimise a posto le coperte e fece segno a Madi di sistemarsi di nuovo accanto a lei. La bambina sorrise e abbracciò Clarke come un piccolo koala. «Le case bruciavano e tutti gli uccellini e gli altri animali erano scappati dal fuoco. Le persone si erano rifugiate nel bosco vicino, in una grande radura dove i bambini giocavano sempre in estate. Tra tutte le persone c’era una ragazza, Clarissa, che nonostante avesse perso molte cose, non aveva perso la speranza. Continuava a combattere e ad aiutare gli altri. Clarissa era una guaritrice, e dopo l’attacco al villaggio si era messa subito a curare i feriti e a trarli in salvo dalle fiamme.»

«Come la nonna?»

«Esattamente, piccola mia, proprio come la nonna» Clarke le accarezzò la testa e controllò la sveglia sul comodino. Era quasi ora di andare a dormire: Madi il giorno dopo sarebbe dovuta andare a scuola, e lei al lavoro; avrebbero dovuto svegliarsi presto. «E sai cosa successe dopo?»

«Cosa cosa cosa?» chiese Madi eccitata. «Dimmiiiiii»

«Successe che, come avevo detto prima, Alexandra e i suoi soldati arrivarono al villaggio, spensero le fiamme e tentarono di salvare il salvabile, che non era molto, ma pur sempre qualcosa. Andarono poi nel bosco per aiutare le persone che erano scappate. E lì, la principessa Alexandra conobbe Clarissa. E fu amore a prima vista.»

«Ooooohhhhhhhh» Madi non riuscì a trattenere uno sbadiglio. Si sistemò meglio sulla spalla di Clarke e chiuse gli occhi. Clarke le rimboccò le coperte sorridendo amorevolmente. «E poi?»

«E poi il resto della storia te la racconto domani, adesso è ora di fare le nanne» Clarke le diede un altro bacio sulla fronte e si alzò dal letto. Accese la luce notturna e spense quella più grande sul comodino, e si avviò verso la porta. «Buonanotte, amore mio.»

«’Notte mamma» disse Madi, già mezza addormentata. Clarke si fermò davanti alla porta a guardare sua figlia, sorridendo. Dio, quanto l’amava. «Mamma?»

«Sì, tesoro?» chiese Clarke tornando alla realtà dal piccolo sogno ad occhi aperti in cui era caduta guardando la sua bambina.

«Posso essere anch’io una principessa guerriera come Alexandra?»

Clarke sbuffò divertita e annuì. «Certo, ma tu sei già una principessa guerriera. La mia piccola principessa guerriera.»

Madi sorrise, le mandò un bacio e si addormentò.

Clarke chiuse lentamente la porta della stanza per non fare rumore e andò anche lei a letto.

Fu così, con una semplice storia della buonanotte, che cominciò tutto. Fu così che cominciò la storia della principessa dai capelli dorati che si innamorò della guerriera dagli occhi verdi. Ma né Clarke né Madi ancora lo sapevano. Lo avrebbero scoperto più avanti, poco per volta.

Per quella notte, Clarke poté soltanto sognare bellissime principesse guerriere, senza sapere che ne avrebbe presto incontrata una che le avrebbe rubato il cuore.

***

Clarke non aveva ancora la più pallida idea di cosa avesse cominciato con quella storia della buonanotte. Non ci sarebbe voluto molto, però, perché lo capisse.

La sua ignoranza durò esattamente una notte.

«Mamma, da grande voglio fare la principessa guerriera» esordì Madi la mattina dopo, entrando in cucina per fare colazione. Saltò sopra allo sgabello e incrociò le braccia, guardando Clarke con lo sguardo determinato di chi non è disposto a cedere.

«Buongiorno anche a te, Madi» la prese in giro Clarke con un sorriso, senza girarsi verso di lei. Non era una grande cuoca e le uova avevano bisogno di tutta la sua concentrazione. Un giorno, forse il mese precedente – o quello prima? Clarke non ricordava esattamente – si era distratta un attimo ed era finita con le uova arrostite e il rilevatore di fumo che bippava a tutto spago. Meglio non ripetere figuracce del genere. Clarke versò le uova dalla padella al piatto di Madi, ne prese un po’ anche per sé e si sedette accanto a Madi. Il succo all’arancia era già davanti a loro, e con esso posate, salviette e tutto l’occorrente per una colazione coi fiocchi.

Perché Madi non si era ancora fiondata sul piatto come al solito, allora?

«Madi?» la chiamò Clarke, guardandola con le sopracciglia alzate. La bambina era ancora ferma al suo posto, braccia incrociate e sguardo deciso puntato addosso a Clarke.

«Voglio fare la principessa guerriera» disse, seria come solo una bambina di dieci anni poteva essere. Clarke sorrise e le scompigliò i capelli – sapeva perfettamente che Madi lo detestava; era esattamente per quello che Clarke lo faceva – invitandola a cominciare a mangiare «perché le principesse guerriere non possono combattere a stomaco vuoto!».

Madi si rimise a posto i capelli, le fece la linguaccia ma si mise finalmente a mangiare. Inalò le uova strapazzate e bevve il succo tutto d’un fiato, poi saltò giù dallo sgabello e corse a lavarsi i denti e a prendere lo zaino per andare a scuola. Clarke non aveva ancora finito le sue uova quando Madi tornò giù in cucina, tutta pronta per partire, e guardò sua madre, in attesa.

«Allora?» disse Madi, impaziente.

Clarke assottigliò lo sguardo, indecisa se sgridare sua figlia per il comportamento o scoppiare a ridere «Fammi finire di mangiare, almeno. E poi cos’è tutto questo entusiasmo? La gita al museo non è che tra una settimana.»

«Voglio chiedere alla signorina Fisher – la maestra di scienze – come si fa a diventare una principessa guerriera! Lei sa sempre tutto!» Clarke alzò gli occhi al cielo e nascose un sorriso, ma si sbrigò comunque per portare sua figlia a scuola. Lavati i denti anche lei (perché una madre deve sempre dare il buon esempio) e presa la borsa per il lavoro, Clarke recuperò le chiavi della macchina e insieme a Madi uscì di casa.

Madi passò tutto il breve tragitto verso scuola continuando a muoversi sul sedile, incontentabile. Sua mamma non voleva guidare più veloce. La musica alla radio non era quella giusta. Neanche i bambini che camminavano per strada con le loro mamme erano giusti. Non erano invincibili guerrieri o mostri da combattere, e il mondo non era una terra desolata da salvare. Ma soprattutto, lei non era ancora una principessa guerriera.

Clarke si fermò davanti alla scuola e Madi si fiondò a slacciarsi la cintura, ma Clarke la bloccò con una mano «Aspetta un attimo, Madi.»

Madi sbuffò e si girò verso di lei «Cosa c’eeeeeeeee?»

Clarke alzò un sopracciglio e serrò le labbra «Intanto la smetti con questo atteggiamento» Madi diventò rossa rossa e mormorò uno «scusa mamma» nella generale direzione di Clarke «Per questa volta ti perdono, ma calmati. Ti ho detto che potrai diventare una principessa guerriera, ma con calma. La pazienza è una della virtù più importanti che una principessa può avere, lo sapevi?» Madi negò con la testa e guardò sua madre, interessata «Deve ascoltare tutte le lamentele del popolo ogni singolo giorno, deve essere noiosissimo! Ma una principessa è paziente e ascolta tutti con un sorriso e una parola gentile. Quindi non correre troppo, okay?»

«Va bene, mamma»

Clarke le diede uno schioccante bacio sulla guancia e la salutò con un sorriso «Ora vai, e non divertirti troppo, principessa!»

Madi rise e ricambiò il bacio, poi volò fuori dalla macchina per rincorrere i suoi amichetti.

Clarke la guardò scuotendo la testa, poi fece retromarcia e si avviò verso la galleria d’arte dove lavorava. Una principessa guerriera. Sorrise, pensando alle piccole fantasie della sua bambina. Il mese prima voleva diventare un’astronauta con tutta se stessa, e l’aveva esasperata finché Clarke non aveva ceduto e nel weekend le aveva dipinto un cielo stellato – con tutte le costellazioni al posto giusto – sul soffitto della sua cameretta. Ma come le era venuta quella mania, così era volata via. E sarebbe stato lo stesso anche quella volta. Madi cambiava idea molto spesso, si ossessionava su qualcosa per un certo periodo, e poi perdeva tutto l’interesse e passava a qualcos’altro, come con i giocattoli nuovi. Ma non erano così tutti i bambini?

Quindi Clarke non si preoccupava. Dopo il lavoro le avrebbe comprato una spada di plastica che l’avrebbe fatta felice finché non le fosse venuta voglia di diventare qualcos’altro, e basta. Nel weekend Madi sarebbe andata a stare da Finn e avrebbe fatto impazzire anche lui – il che non dispiaceva affatto a Clarke, proprio zero. Madi era ancora in quell’età in cui i sogni sono grandi e meravigliosi, ma al tempo stesso impossibili. Le sarebbe passata.

 

(Oh, quanto si sbagliava!)

***

«Cos’è questa storia della “principessa guerriera”?» chiese Finn quella domenica sera, quando riportò Madi a casa di Clarke dopo il weekend passato con sua figlia. Madi era corsa dentro per vedere i cartoni, mentre loro due erano rimasti fermi davanti alla porta di casa, come sempre. Era una delle regole che Raven e Octavia avevano dato a Clarke quando lei e Finn avevano deciso di separarsi. Non lasciarlo entrare, sarai costretta a cacciarlo via di nuovo1 . All’inizio era stata difficile da seguire, ma con il tempo Clarke ci era riuscita. Da allora aveva seguito sempre quella regola, e la sua vita era nettamente migliorata.

Clarke sorrise, e raccontò al suo ex marito da dove era cominciata tutta quella storia. Finn scoppiò a ridere e diede poca importanza alla «nuova stravaganza di tua figlia». Clarke aggrottò le sopracciglia. Andava bene scherzare, ma Madi ci credeva davvero, e loro due, in quanto suoi genitori, dovevano supportarla nei suoi progetti, per quanto impossibili. La fantasia andava alimentata, non repressa, soprattutto alla sua età. Clarke serrò le labbra, ma non disse niente. Sempre il solito Finn. C’era un motivo se si erano separati: erano troppo diversi. Ma in fondo Finn era un bravo genitore per Madi. Anche se non capiva tutto quello che passava per la testa di sua figlia – e chi mai ci riusciva, del resto? Clarke certamente no – la stava educando bene. In un certo senso, lui e Clarke si compensavano.

Si diedero la buona notte e si salutarono, poi Finn se ne andò e Clarke chiuse la porta. Lasciò che Madi guardasse un altro po’ i cartoni, poi la mise a letto.

«Allora, come è andata da papà?» chiese Clarke stendendosi nel piccolo letto accanto a lei.

Madi sorrise. «Benissimo!» disse, e si lanciò in uno stringatissimo resoconto del fine settimana: erano andati al parco giochi, Finn le aveva preso il gelato anche se faceva un po’ freddo – a quella notizia, Clarke le diede un piccolo pizzicotto sul fianco, facendola scoppiare a ridere «Ti ho detto niente gelato quando fa freddo! Ti fa venire mal di pancia» «Looo sooo mamma ma il gelato al cocco è così buono!» – e la domenica avevano fatto i compiti assieme. «Fine!» esclamò Madi una volta che ebbe finito, cioè mezzo minuto dopo «Adesso mi racconti come va avanti la storia?»

«Quale storia?» chiese Clarke nonostante sapesse perfettamente di cosa Madi stesse parlando.

«Quella della principessa guerriera, ovviamente!» esclamò Madi, indignata che sua madre avesse potuto dimenticarsi di quella storia fantastica.

«Hmmm, vediamo se sei stata abbastanza brava da meritarti la storia…» disse Clarke fingendo di pensarci su, trattenendo a stento le risate. Madi la prese per le spalle e tentò di scrollarla, ma non riuscì a muoverla di un centimetro, piccolina com’era.

«Daaaaaai mammaaaa per favore per favore per favore per favore! Giuro che sarò la bambina più brava di tutto l’universo bambini alieni compresi!»

 Clarke si mise a ridere, una risatina che le fece quasi male alla pancia e alle guance «Beh, se sono compresi anche i bambini alieni… allora dimmi, dove eravamo arrivate?»

«A quando Alexandra la principessa guerriera incontra la guaritrice Clarissa e Alexandra si innamora a prima vista! Poi cosa succede? Dimmi che anche Clarissa si innamora tipregotipregotiprego!!» Clarke, dopo false minacce di non raccontarle più la storia, riuscì a calmare Madi un po’. La bambina si stese a letto sotto le coperte, fremente, e si girò verso Clarke. «Adesso che sono calma mi racconti?»

Clarke annuì e chiuse gli occhi, raccogliendo le idee. Il venerdì prima alla galleria d’arte era arrivato un quadro bellissimo per una nuova esposizione. Era intitolato Tempesta e ritraeva una ballerina che danzava con un tutù rappresentato da una tempesta in mare, con una vecchia nave in procinto di affondare. Clarke lo aveva adorato dal primo istante in cui l’aveva visto. L’aveva ispirata a dipingere nel weekend un quadro che non aveva ancora finito, ma che già le piaceva. E la ispirò anche quella sera. «Allora, abbiamo detto che per Alexandra fu amore a prima vista; ma non fu lo stesso per Clarissa. Ci volle un imprevisto che avrebbe potuto trasformarsi in tragedia perché Clarissa scoprisse la bontà di cuore della principessa.»

«Oh mamma! Cosa è accaduto?» chiese Madi curiosa, portandosi una mano alla bocca.

«Una terribile tempesta» disse Clarke con voce seria «Le case del villaggio erano distrutte e non c’era luogo in cui ripararsi. Ma Clarissa conosceva bene quel bosco, era cresciuta lì dopotutto, e si ricordò che non molto distante vi erano delle grotte abbastanza grandi da coprire tutti gli abitanti del villaggio. Così Alexandra e Clarissa guidarono insieme la loro gente al riparo nelle grotte. Non vi era esattamente spazio per tutti, ma Alexandra cedette il suo posto per salvare i bambini dall’acquazzone. Quel gesto di generosità e altruismo non passò inosservato agli occhi di Clarissa. La ragazza si accorse di quanto buona fosse veramente la sua principessa, e la vide sotto una luce nuova. Non era soltanto una bravissima spadaccina e una giusta governante, ma anche una bella persona. I suoi occhi si illuminavano di una bellissima luce quando rideva, e i suoi capelli rossi sembravano fiamme ardenti che crepitavano nel vento. A Clarissa sembrò bellissima.»

«Ooooohhhh si innamoranooooo!» esclamò Madi eccitata. Clarke sorrise, e annuì.

«Sì, si innamorarono» disse Clarke baciando la sua bambina sulla fronte «Si innamorarono di quell’amore così potente da sconfiggere ogni difficoltà. Quell’amore così vero e puro che va oltre la distanza e la morte, e dura in eterno.» Clarke stava pensando ai suoi genitori, all’amore che li aveva uniti e che ancora li univa, nonostante suo padre fosse morto. Sua madre aveva voltato pagina, questo era vero, e aveva trovato una nuova persona con cui condividere la sua vita, ma Clarke sapeva per certo che un pezzo del cuore di Abby sarebbe per sempre appartenuto a suo padre.

Madi aggrottò le sopracciglia, e guardò sua madre pensierosa. Clarke lo notò e le chiese quale fosse il problema, stringendola a sè.

«Mamma, è quello l’amore tra te e papà?»

Clarke guardò sua figlia e si morse il labbro, senza sapere cosa dire. Madi era troppo piccola per certe cose, ma al tempo stesso aveva una maturità che andava ben oltre la sua età; non lo mostrava sempre, ma lo faceva nei momenti che contavano, come quello. Clarke sospirò e decise di dirle la verità «No, piccola mia. L’amore tra me e papà è finito, non è durato per sempre. Però né io né lui ormai siamo più tristi per questo, e non ci pentiamo in alcun modo di esserci amati come ci siamo amati» Clarke le sorrise e le fece l’occhiolino «Perché altrimenti non ci sarebbe stata questa bambina piccolina a cui voglio un mondo di bene e che è tutta la mia vita» disse, e si lanciò a fare il solletico a Madi. Madi urlò e scoppiò a ridere, e tentò di scappare da sua madre. Ma Clarke la avvolse in un abbraccio così forte che quasi le mozzò il fiato, senza lasciarla più andare «Sei tu, amore mio. Il mio amore per te è quel genere di amore, senza fine.»

Madi ricambiò l’abbraccio di sua madre e la riempì di bacini, facendola scoppiare a ridere «Anche io ti amo tanto mamma, ma tanto tanto tanto» Madi allargò le braccia e fece un sorrisone a trentadue denti che sciolse completamente Clarke «Ti amo tanto così!»

Clarke la abbracciò di nuovo e le baciò la testa. «Anche io ti amo tanto così.»

Stettero in silenzio per un po’, beandosi della piccola bolla di felicità che riuscivano a creare solo loro due. A un certo punto, però, Madi alzò la testa e disse: «Allora? Come finisce la storia della principessa guerriera?»

Clarke rise e le raccontò la fine della storia «Finisce che Alexandra e Clarissa si sposarono, e insieme riuscirono a sconfiggere tutti i mostri e a vincere tutte le guerre. Il villaggio dove prima viveva Clarissa venne ricostruito, e con quello anche tutti quelli che erano stati distrutti durante la guerra. Clarissa continuò a curare le persone malate che chiedevano il suo aiuto, e insieme ad Alexandra governò giustamente quella terra rinata. E vissero per sempre felici e contente!»

Madi sbadigliò e si sistemò meglio nel letto, tirandosi su da sola le coperte «Mi è piaciuta questa storia. Voglio sapere però anche cosa succede dopo! Non puoi dire “e vissero felici e contente” e basta! Io voglio sapere!» protestò trattenendo a stento un altro sbadiglio «Ci saranno dei bambini? Nessun cattivo arriverà mai più? C’è la magia in quella terra? E i draghi? Io li voglio i draghi sputafuoco anche se non devono per forza fare la guardia alle principesse rinchiuse nelle torri alte alte alte…» Madi sbadigliò ancora e chiuse gli occhi, sorridendo beata.

«Certo amore, ti racconterò tutto quello che vuoi» disse Clarke baciando la sua bambina. Spense la luce e le augurò buonanotte come ogni sera, ricevendo in cambio un bacino al volo e uno strascicato «’notte, mamma» da parte di una Madi quasi addormentata. Clarke sorrise e chiuse la porta della camera di Madi.

Sì, le avrebbe raccontato tutto quello che avrebbe voluto. La rendeva troppo debole per non accontentarla in una cosa così semplice.

***

Le settimane passarono, e con esse sembrò che anche la nuova passione di Madi per le principesse guerriere si fosse affievolita – dopo aver guardato qualche puntata di Xena su Netflix, ovviamente, ed essersi innamorata di Olimpia perché il suo nome le ricordava la zia Octavia – con grande piacere di Finn e una nota di amarezza da parte di Clarke. Aveva cominciato ad affezionarsi ad Alexandra e Clarissa, con le loro mille avventure e il loro amore eterno.

Finché un giorno Madi non corse alla macchina di Clarke, una volta uscita da scuola come ogni giorno, con un foglietto piegato tra le mani. Aprì la porta del passeggero con un grande sorriso e salutò Clarke con un bacio persino più entusiasta del solito.

«La signorina Fisher mi ha trovato un modo per diventare una principessa guerriera!» disse, e porse a Clarke il foglietto ripiegato, eccitata. «Ti prego ti prego mamma dimmi che posso farlo!» Madi mimò con le mani una preghiera e tirò fuori la sua espressione più tenera, alla quale Clarke non riusciva mai a resistere.

Un campanello d’allarme si accese nella testa di Clarke. Questa bimba mi vuole fregare, lo so per certo. Clarke assottigliò gli occhi e prese in mano il foglio, aprendolo. Quello che vi era scritto, però, la lasciò completamente a bocca aperta.

Era il volantino di un corso di scherma per bambini.

«Dato che tu e papà dite sempre che sono la vostra principessa, la signorina Fisher ha pensato che mi basta imparare ad essere una guerriera!» disse Madi tutta felice «Così imparo a combattere come mi hai mostrato tu! ZAM ZAM ZAM

Clarke era senza parole, non aveva la più pallida idea di come rispondere a sua figlia. Continuava a fissare il volantino senza sapere cosa dire.

Graficamente parlando, quel volantino era fatto bene. L’occhio artistico di Clarke aveva subito notato la perfetta disposizione delle immagini e delle parole, volta a indirizzare l’occhio sulle parti più importanti. Una delle immagini ritraeva quella che presumibilmente era una donna vestita con l’equipaggiamento completo da scherma, con in vista solo dei lunghi capelli castani raccolti in una coda che le usciva dalla maschera. Aveva in mano un fioretto – Clarke non capiva niente di scherma, ma aveva imparato a distinguere le armi guardando le Olimpiadi – e sembrava pronta ad attaccare un avversario che non era stato inquadrato. Era affascinante il modo in cui era posta, sembrava l’avessero immortalata mentre danzava. Clarke capiva alla perfezione perché sua figlia ne fosse stata così attratta.

Clarke alzò gli occhi verso Madi, che la stava ancora guardando speranzosa. Clarke ci pensò un po’ su, poi alzò un dito verso Madi.

«Prima ne devo parlare con tuo padre, ma se ti comporti bene ti facciamo fare le lezioni di prova e poi decidiamo insieme» Madi esplose in un urlo di felicità e si mise a danzare sul sedile, incapace di trattenere la sua gioia. Stritolò Clarke in un abbraccio infinito che lasciò entrambe senza fiato.

«Grazie grazie grazie grazie GRAZIE!»

Clarke sorrise alla felicità di sua figlia, e mise in moto l’auto per tornare a casa.

Non avrebbe mai potuto immaginare cosa quella decisione le avrebbe portato.

Quell’amore così vero e puro che va oltre la distanza e la morte, e dura in eterno.

              

                  

             

1: traduzione piena di licenze poetiche di un verso della canzone New Rules di Dua Lipa. L'idea mi è venuta da una fanfiction di una mia amica che presto verrà pubblicata su ao3. Non appena la pubblicherà vi includerò il link alla fic :)

                 

                                               

Buongiorno/buonasera/buonanotte a tutti! Torno con una piccola fic molto tenera e leggera che spero vi piacerà. Per tutti coloro che stanno leggendo anche la mia altra fic, Come le parole che non ti  ha mai detto, sappiate che non sono morta. Sono stata super impegnata in questo ultimo periodo e diciamo che quella storia non è così facile da scrivere. Ma non vi preoccupate, la finirò.

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, le recensioni sono molto gradite, non siate timidi! ;)

Al prossimo aggiornamento!

              

                   

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Capitolo 2
*** Capitolo Due: Meet Cute ***


                                                     

CAPITOLO DUE: MEET CUTE

                      

                                 

Clarke era durante la sua pausa pranzo e stava parlando al telefono con Finn per organizzarsi per il weekend successivo, quando l’argomento venne fuori.

«Madi mi ha chiesto di fare un corso di scherma» disse Clarke tutto d’un fiato, sapendo già che Finn avrebbe avuto da ridire. Quell’uomo era impossibile, a volte.

«Un cosa?!» disse infatti lui, suonando incredulo. Clarke si morse il labbro e si guardò intorno. Maya stava finendo di mangiare e la stava guardando con un mezzo sorriso e le sopracciglia alzate. Clarke ricambiò il sorriso, alzando gli occhi al cielo in un gesto di solidarietà femminile che equivaleva a un sospiro di Ah, gli ex mariti! Erano sole nella piccola stanza che Clarke e i suoi colleghi avevano adibito a mensa; c’erano un tavolo con quattro sedie, un divanetto e un piccolo frigo dove tutti potevano mettere il proprio cibo, adeguatamente insacchettato ed etichettato. L’abitudine di scrivere i nomi sui tapperware era nata quando, per diverse settimane, qualcuno aveva preso il vizio di rubare lo yogurt al figlio del direttore della galleria d’arte. Alla fine avevano scoperto che era stato un addetto alle pulizie (poi severamente ammonito dall’animo buono e altruista di Cage Wallace). Ma l’abitudine di scrivere su un pezzo di nastro di carta il proprio nome era rimasta. A turno portavano alla galleria dei pennarelli indelebili per segnarlo; era una di quelle stravaganze che faceva sempre sentire Clarke un po’ più a casa in quel posto che tanto amava.

«Un corso di scherma» disse Clarke a Finn, tornando alla realtà scuotendo la testa «Penso sia una buona idea, era ora che Madi volesse fare un qualche tipo di sport»

Silenzio dall’altra parte del telefono.

E poi, le parole che Clarke aveva temuto arrivassero.

«Non è che abbia ancora a che fare con la storia della principessa guerriera?» Beccata. Clarke chiuse gli occhi. Di fronte al suo silenzio, Finn continuò «Clarke!» la rimproverò «Lo sai che sono tutte sciocchezze!»

«Ma questo non significa che non si possano assecondare! È ancora una bambina, Finn» Perché non riusciva a capirlo? I bambini non andavano repressi. Le fantasie, quelle sane e non pericolose, andavano incoraggiate; non aveva senso tarpare le ali ad una bambina di dieci anni con un’immaginazione che a volte lasciava Clarke a bocca aperta. Sua figlia creava mondi immaginari in cui vivevano creature fantastiche e meravigliose, e coesistevano nella sua mente alimentando ancora di più la sua immaginazione; era come una sorgente che continuava a zampillare, distribuendo acqua e assicurando vita al terreno intorno ad essa.

Clarke si immaginò Finn passarsi una mano tra i capelli; lo faceva sempre quando non era d’accordo con lei. Per quanto potesse darle fastidio questa consapevolezza, lo conosceva ancora come la sua stessa pelle. Lo sentì sospirare, e poi, finalmente, arrendersi «Fa’ come vuoi. Quando sarebbe il primo incontro?»

«Questo mercoledì» Clarke sorrise imbarazzata, incapace di pronunciare le parole che avrebbe dovuto «Ehm, Finn?»

«Che c’è?»

Sei una donna adulta, Clarke. Ce la puoi fare. Clarke prese un bel respiro e si preparò a parlare «Martedì comincia la nuova esposizione qui in galleria, durerà due settimane. Wallace mi ha chiesto di fare il doppio turno il mercoledì e il giovedì. Non posso dirgli di no, lo sai che mi odia.»

«Quindi dovrei portarla io? Per due settimane?»

«Già.» Silenzio dall’altra parte del telefono. Che Finn stesse imprecando? Clarke sapeva che anche Finn aveva il suo lavoro, ma era un giornalista freelance, aveva orari molto più flessibili di Clarke. Non poteva dirle di no.

«Come vuoi. Dopo mandami un messaggio con il posto e l’orario, adesso devo andare.»

Clarke tirò un sospiro di sollievo mentale «Grazie, Finn. Significa molto per Madi, e anche per me.» Si salutarono, e Clarke chiuse la chiamata. Sospirò pesantemente.

«Tutto a posto?» chiese Maya con un sorriso gentile, avvicinandosi a Clarke. Maya non lavorava alla galleria da tanto, era arrivata all’inizio dell’estate, ma lei e Clarke avevano legato molto; Clarke le aveva fatto da tutor per la prima settimana ed erano andate subito d’accordo. Quando poi aveva scoperto che stava per sposarsi con un suo vecchio compagno di liceo, Jasper, Clarke l’aveva trovata ancora più simpatica. Era ora che Jasper mettesse la testa a posto con una ragazza a modo come lei.

Clarke ricambiò il sorriso e agitò una mano per aria «Soliti problemi con Finn, nulla di cui preoccuparsi»

Finirono di mangiare in silenzio. Il clima era tranquillo tra loro, lo era sempre stato; avevano più o meno la stessa età e si erano sempre trovate d’accordo nel lamentarsi – come ogni dipendente che si rispetti – del loro capo Dante (e in particolare del suo simpatico figlio Cage) e nel ridere di tutte le piccole avventure che vivevano alla galleria; Il mistero degli yogurt rubati rimaneva però il loro preferito in assoluto. Una volta terminato il pranzo, Clarke stava per alzarsi e tornare al lavoro, quando Maya la bloccò con un sorriso che le illuminava i suoi brillanti occhi da bambina.

«Ho sentito che Madi vuole fare scherma?» A quelle parole, Clarke ricambiò il sorriso con spontaneità. Era facile condividere con Maya le piccole gioie che le dava sua figlia.

«Oh sì. Si è fissata con il voler diventare una principessa guerriera, e chi sono io per fermarla?» Maya scoppiò a ridere e le appoggiò una mano sulla spalla «Beh, con una madre fantastica come te, era ovvio che avrebbe deciso di fare qualcosa di letteralmente favoloso.» Clarke rise con lei e si alzò definitivamente dal tavolo, raccogliendo il contenitore del suo pranzo. Era ora che lei e Maya tornassero al lavoro. Altrimenti chi l’avrebbe sentito Wallace?

***

Quel mercoledì mattina, Clarke si fermò con l’auto davanti alla scuola di Madi come ogni giorno, poi si slacciò la cintura e si girò verso sua figlia.

«Allora» disse, guardando Madi dritta negli occhi. La bambina si slacciò la cintura come sua madre e sorrise a Clarke, cartella tra le braccia e zainetto con le scarpe da ginnastica tra le gambe «Ripassiamo le regole»

Madi annuì e chiuse gli occhi, come per ricordarsi quello che doveva dire «Aspetta dentro la scuola finché non arriva papà» cominciò «Ringrazia papà non appena lo vedi, dagli tanti tanti tanti bacini così lo conquisti e non borbotta tutto il tempo» dicendo quelle parole, Madi si mise a ridacchiare. Clarke sorrise e le fece cenno di andare avanti «Siedi in silenzio e in “modo composto”» mimò le virgolette con le dita atteggiandosi come Clarke, facendola scoppiare a ridere «durante tutto il viaggio, ti comporti bene anche quando arrivi in palestra, ti presenti all’insegnante e ai compagni, non prendi in giro nessuno ma sei amichevole e simpatica come sempre perché sei la bambina più bella e meravigliosa del mond

«Ehi!» protestò Clarke fingendosi indignata «Questo non faceva parte delle regole!» Madi ridacchiò e guardò sua madre con i suoi occhi luminosi «Però è vero» ammise Clarke, e le diede uno schioccante bacio sulla guancia.

«Cihihihihih» Madi si coprì la bocca con le mani, cercando di non far sentire la sua risatina. Diede anche lei un bacio a Clarke e la stritolò in un abbraccio forte forte, quindi prese cartella e zainetto e se ne andò a scuola, sbattendo la portiera della macchina.

Clarke abbassò il finestrino del passeggero «Ti paiono questi i modi?» la rimproverò; ma stava sorridendo. Madi si girò un attimo per salutarla con la mano, poi se ne andò con i suoi amici.

Clarke sospirò, guardandola entrare a scuola. La mia bambina. Certe volte l’amore che provava per sua figlia la sopraffaceva. Non poteva che restare a guardarla, sorridendo, ringraziando dei pagani e non per essere stata benedetta con un regalo così meraviglioso. Dal disastro che era stata la sua relazione con Finn era nato il più prezioso dei suoi gioielli; Clarke sarebbe sempre stata immensamente riconoscente a Finn per averla aiutata a creare la fantastica bambina che era Madi.

Datti un contegno, Griffin, si rimproverò da sola. Scosse la testa e si riallacciò la cintura, per poi ripartire per andare al lavoro.

Quella giornata alla galleria d’arte fu pesantissima: la nuova esposizione aprì proprio quella mattina, e un fiume di visitatori non diede a Clarke e ai suoi colleghi neanche un attimo per respirare. Scolaresche urlanti che dovevano essere sempre tenute a freno, curiosi troppo curiosi che cercavano di toccare le opere… Clarke già a mezzogiorno non ne poteva più. Gli unici visitatori che Clarke amava erano gli studenti d’arte, che si sedevano con il loro seggiolino davanti alle tele o agli allestimenti, blocco da disegno alla mano, e studiavano quelle mirabolanti creazioni, riproducendole e modificandole secondo la loro immaginazione, cercando di assorbire quanta più tecnica possibile. Clarke stessa era stata una di loro, ormai diversi anni prima. Ma ricordava ancora alla perfezione la passione e l’impegno che ci aveva messo in ogni lavoro che aveva completato quando ancora stava studiando. Da un certo punto di vista, però, sto ancora imparando. Non appena aveva un attimo di pausa, Clarke si ritrovava ad osservare estasiata le varie opere.

La sera, comunque, giunse più in fretta di quanto Clarke avesse potuto pensare, e con essa la fine della sua giornata di lavoro. Clarke tornò a casa stravolta e decise di ordinare una pizza per lei e Madi. Ma prima, aveva bisogno di un lungo bagno rigenerante.

Quando uscì dal bagno pieno di vapore erano ormai le otto e mezza, e sia Madi che la pizza sarebbero arrivate da un momento all’altro. Clarke si mise già in pigiama e controllò il cellulare. C’erano svariati messaggi nel gruppo che Octavia aveva creato insieme al suo fidanzato Lincoln, a Bellamy e la sua ragazza Echo, e a Raven. Tutti erano entusiasti per un’uscita quel sabato sera di cui Clarke, in tutta onestà, non voleva nemmeno sentire parlare. Se il giorno dopo fosse stato così pesante come quello appena passato, Clarke sarebbe arrivata al venerdì allo stremo delle forze e avrebbe senz’altro trascorso il sabato in pantofole, riempiendosi lo stomaco di cibo take away.

Ragazzi io passo” scrisse infatti sul gruppo. Tutti protestarono. Clarke alzò gli occhi al cielo, e scrisse che ci avrebbe pensato. Era troppo stanca persino per discutere con i suoi migliori amici.

Posò il cellulare sul comodino quando sentì il campanello della porta squillare. Madi. Clarke non vedeva l’ora di rivederla e ascoltare tutte le storie delle sue piccole avventure quotidiane. Ma soprattutto, le sarà piaciuta la sua prima lezione di scherma?

Madi si fiondò su Clarke non appena aprì la porta. «Mamma!» gridò, saltandole addosso e abbracciandola forte forte «Ho conosciuto una principessa guerriera! Ho conosciuto una principessa guerriera!»

Clarke la prese appena in tempo, stringendola a sé «Oh, ma quanto sei pesante! La mia bambina sta crescendo!» O forse sono io che sto invecchiando. Clarke non ci voleva neanche pensare.

Madi le tirò uno schiaffetto sulla spalla «Mamma! Non mi ascolti? Ho conosciuto una principessa guerriera!»

«E tra un attimo mi racconterai tutto» Le diede un bacio sulla guancia e la fece scendere a terra «Adesso va’ dentro, che io e papà dobbiamo parlare un po’» Madi raccolse cartella e zainetto da terra e saltellò in casa, andando a guardare i cartoni come sempre. Clarke si appoggiò allo stipite della porta, incrociò le braccia e trattenne un respiro.

«Allora?» chiese a Finn «Cosa ne pensi?»

Finn si passò una mano tra i capelli, e la guardò dritta negli occhi «Il posto è carino, e le insegnanti sembrano a posto. Sono circa una quindicina di bambini.»

«Ma?» chiese Clarke, aspettandosi già una brutta risposta.

«Ma lo sai che non approvo questo comportamento»

Clarke alzò gli occhi al cielo «Quante volte te lo devo dire, Finn? È una bambina, e i bambini sognano. È normale che abbia delle fantasie, e se anche cambiasse idea tra quindici giorni non ci sarebbe nulla di male. E poi le prime lezioni di prova sono anche gratis! Qual è il problema?»

Finn serrò i denti, la guardò serio per qualche secondo, poi abbassò lo sguardo. Clarke seppe di avere vinto, almeno quella sera.

«Vedremo. Adesso devo andare» disse Finn. Si salutarono, e lui se ne andò.

Clarke chiuse la porta e si fermò lì davanti. Quella mezza discussione le aveva lasciato l’amaro in bocca. Ma si impose di lasciar perdere, ed essere felice per la sua bambina.

Dopo una decina di minuti arrivò anche la pizza, e Clarke e Madi poterono mangiare.

«Quindi?» chiese Clarke tra un boccone e l’altro di quella buonissima pizza con salsiccia e patatine fritte «Raccontami tutto!»

Madi spalancò gli occhi e inghiottì il più in fretta possibile il suo boccone, poi si mise a parlare a raffica «Hoconosciutounaprincipessaguerriera! È la mia insegnante! È bellissima e bravissima e combatte come una vera principessa guerriera! Ha fatto come te! ZAM ZAM ZAM!» una patatina volò dall’altra parte della cucina per la foga con cui Madi stava raccontando, facendole scoppiare entrambe a ridere a crepapelle. Madi si alzò dallo sgabello e raccolse la patatina, poi andò a buttarla nel cestino. Saltellò per tornare al suo posto, eccitata «Mamma io voglio essere come lei! È troppo bella e brava e fantastica e aaaaahhhhh» gridò ricordandosi una cosa «Alla fine della lezione ha combattuto con Anya e ha vinto!» E chi è questa Anya?, si chiese Clarke. Un’altra insegnante? «L’ha fatta cadere a terra e le ha puntato la spada sul collo come nei film!»

A quelle parole, Clarke si rabbuiò «La spada? Ha usato una spada vera?» Non voleva che sua figlia andasse vicino a cose così pericolose.

«Ma no mamma!» la prese in giro Madi ridacchiando «Una spada finta! Lei e Anya fanno delle recite dove si vestono come si vestivano nella storia, da cavalieri e principesse! Voglio andare a vederle un giorno!»

Clarke finì la sua fetta di pizza e ne prese un’altra: aveva una fame da lupi «Vedremo, vedremo. Intanto sono contenta che ti sia piaciuta la prima lezione. Ti sei comportata bene con papà?»

Madi annuì masticando con la bocca piena come uno scoiattolo «Sono stata bravissima!»

Clarke scosse la testa, sorridendo amorevolmente. Sicuro. Ma era felice che la sua bambina fosse così entusiasta. La rendeva contenta di riflesso, vederla così animata ed eccitata. I suoi occhi si coloravano di una luce bellissima, e le sue guance si tingevano di rosso per il fervore con cui parlava. Sembrava davvero una principessa.

Speriamo solo che questa volta la sua passione duri più del solito.

***

Clarke si mise davanti allo specchio, rossetto alla mano e tacchi già ai piedi. Maledetti i suoi amici. L’avevano costretta a mettersi in tiro e uscire, alla fine. Era sabato sera e Clarke non aveva esattamente voglia di passare le ore successive bevendo e ballando; aveva male le gambe da una giornata passata in piedi alla galleria, e anche se l’assalto dei visitatori si era ridotto dopo i primi due giorni, era stata comunque una giornata faticosa. Il divano e i popcorn la stavano chiamando prepotentemente. Ma lei invece aveva deciso di dare ascolto ai suoi amici, e tirare su la cerniera del tubino nero che indossava. Una serata fuori avrebbe potuto essere divertente; e poi erano secoli che non vedeva i suoi amici, tra lavoro, Madi e tutto il resto.

Clarke si mise il rossetto scarlatto che aveva scelto e si sistemò un po’ i capelli, poi prese la pochette con dentro cellulare e soldi, e scese le scale – facendo attenzione a non cadere con quei tacchi vertiginosi che non stavano già ammazzando i suoi piedi, proprio no. Raven la stava aspettando in macchina.

«Ciao bellezza!» la salutò Raven quando Clarke aprì la portiera della macchina.

«Tu e Bellamy mi dovete un favore, sappiatelo» disse, senza neanche salutare la sua migliore amica.

«Ma per favore! Al massimo sei tu che ci devi ringraziare. Cosa avresti fatto se non fosse stato per noi? Film e popcorn come una donna di mezz’età?» Mannaggia. Perché Raven la conosceva così bene? «Scommetto che avevi già scelto il film»

«Pretty Woman è un classico» tentò di difendersi Clarke mentre Raven metteva in moto la macchina e si avviava verso il club che avevano aperto da poco a qualche chilometro dalla città, The Dropship. Raven scoppiò a ridere, ma non disse nulla.

Il viaggio fu tranquillo, tra chiacchiere, musica e risate. Arrivarono al club senza nemmeno accorgersene. Quando scese dalla macchina, Clarke non si sentiva più stanca. L’energia le vibrava nelle ossa, insieme all’eccitazione per una serata diversa dalle solite.

Gli altri le stavano già aspettando e avevano preso un tavolo con delle poltroncine basse rosso scuro. La musica impazzava a tutto volume, e c’erano già molte persone che si scatenavano sulla pista da ballo.

Clarke salutò tutti quanti e insieme ordinarono da bere. La musica era quella giusta e la compagnia era tra le migliori. Forse ho fatto bene a non chiudermi in casa, pensò Clarke sorridendo ai suoi amici che avevano già iniziato a ridere e chiacchierare. Una volta tanto ci sta un po’ di divertimento.

***

Quattro drink e tanto divertimento dopo, l’argomento venne fuori.

«Tu e Raven siete le uniche non ancora accasate!» cominciò Octavia sorseggiando dal suo bicchiere «Dobbiamo assolutamente trovarvi qualcuno!»

«Io non sono accasata con Bellamy» le fece notare Echo, sopracciglio alzato e sorriso malandrino. Nessuno sapeva esattamente cosa ci fosse tra quei due. Erano sicuramente andati a letto insieme più di una volta, ma per quanto riguardava l’accasamento, Clarke non ne era del tutto certa. Erano stati conoscenti per molto tempo prima di iniziare a frequentarsi e ancora si muovevano in acque sconosciute. Stava germogliando qualcosa di bello, però, di questo era sicura al cento percento. E poi voleva troppo bene a Bellamy per non volerlo vedere innamorarsi di qualcuno, piano piano. Era come un fratello per Clarke.

«Va bene, va bene» concedette Octavia, alzando le mani in segno di resa. Lincoln, accanto a lei, scuoteva la testa divertito «Ciò non toglie che loro due siano le uniche senza accompagnamento»

Raven nascose la testa tra le braccia appoggiate al tavolo «Non se ne parla neanche» borbottò; ma nella sua voce Clarke riuscì a riconoscere un sorriso.

Per lei invece… beh, per lei quello era un grande, grosso, grasso NO. Da quando aveva lasciato Finn non le era nemmeno passato per la testa di trovare qualcun altro. C’era stata quella piccola storia-non-esattamente-storia (quando Madi non poteva sentirla la chiamava “scopamicizia”) con Niylah, ma mai nulla di serio.

«Ragazzi, io ho Madi» disse infatti, girando la cannuccia nel suo drink «Non mi serve altro» Ed era vero; la sua bambina la completava, il suo cuore non aveva bisogno di un’altra persona. Certo, se fosse capitato per caso non si sarebbe tirata indietro, ma andare fisicamente a cercarlo? No, decisamente no.

«Pff, ma per favore» disse Bellamy, supportando sua sorella «Anche per te ci vuole qualcuno!»

E così cominciò la caccia.

La prima preda fu un certo Jason, amministratore delegato di un’azienda di cui Clarke non aveva mai sentito parlare ma che secondo lui era leader del mercato nel suo settore. Già questo non era andato molto a genio a Clarke. A guardarlo, aveva l’aspetto di uno che se la faceva con la segretaria di nascosto dalla moglie. Non ispirava molta fiducia.

Fu poi il turno di Mark, il barista del club, ma era troppo indaffarato per prestare attenzione solo a Clarke. Ad un’occhiata più attenta, si poteva notare come tentasse di flirtare con tutti per ottenere mance più generose.

Clarke non ci stava provando per davvero. Parlava con quegli sconosciuti solo per fare piacere ai suoi amici, ma avrebbe preferito di gran lunga rimanere con loro a chiacchierare e divertirsi, rispetto a parlare con qualcuno che era interessato solo alla profondità della sua scollatura.

Capì che forse era meglio smetterla quando i suoi amici la introdussero a una donna affascinante che catturò la sua attenzione. Dopo un drink passato a chiacchierare a bassa voce con i corpi che lentamente si avvicinavano, era arrivato suo marito. I due avevano chiesto a Clarke se avesse voluto continuare la serata a casa loro. Un campanello d’allarme era risuonato nella testa di Clarke. Mayday mayday mayday abbandonare il campo IMMEDIATAMENTE!

Inutile dire che Clarke trovò una scusa per allontanarsi elegantemente e tornare dai suoi amici. Non prima di aver preso Raven per le orecchie.

«Scusa scusa scusa scusa scusa non lo sapevooooo» tentò di salvarsi Raven, ma invano. Clarke non sapeva se mettersi a ridere o a piangere.

Quando i suoi occhi incrociarono la figura alta e vagamente fastidiosa di Cage Wallace mentre l’uomo ordinava da bere al bar, Clarke fu sicura che era meglio andare a ballare. O ancora meglio, andare direttamente a casa.

Andarono a ballare.

Clarke era decisamente un po’ brilla – okay, forse più che brilla – per tutti i drink che aveva bevuto (uno per ogni persona con cui i suoi amici avevano tentato di accasarla, più i quattro che aveva bevuto con loro). La sua percezione del mondo era un po’ sfasata. Il club le sembrava essersi trasformato in un oscuro paese delle meraviglie, tra vapori assuefacenti e colori bui, sudore sulla pelle di sconosciuti, risate, grida. Clarke si sentiva come Alice, persa alla ricerca del suo bianconiglio. La musica le riempiva le orecchie e si sostituiva al sangue nelle sue vene, e lei la seguiva incantata, ad occhi chiusi, ballando come se non ci fosse stato nessun altro. Niente Octavia, Bellamy, Raven, Lincoln, Echo; niente sconosciuti che si dimenavano a ritmo. C’era solo lei.

Fu allora che accadde.

Clarke inciampò su qualcosa di non specificato e atterrò tra le braccia di qualcuno in un urlo.

«Altro che principe sul destriero bianco» disse una voce resa roca dai fumi del club. Clarke sentì un brivido partirle dalla nuca e scenderle lungo tutta la scena, lasciandola senza fiato. Si rimise in piedi a fatica, le braccia dello sconosciuto ancora solide attorno alla sua vita.

Solo che non era uno sconosciuto, ma una sconosciuta.

La sconosciuta più bella che Clarke avesse mai visto.

La fissò a bocca aperta mentre la donna l’aiutava a sistemarsi, le tirava su la spallina del vestito che le era scesa lungo il braccio, in un gesto così intimo che fece affluire il sangue al viso di Clarke. La donna rise, e gli occhi le si chiusero in una linea sottile. Le luci del club illuminavano a intermittenza quel volto d’angelo.

Gli occhi chiari e luminosi.

Flash.

I capelli come un’onda castana che le scendeva lungo la spalla.

Flash.

Le labbra dipinte di un rosso acceso.

Flash.

Le gambe infinite, che si allungavano sinuose su dei tacchi a spillo dello stesso colore del rossetto.

Flash.

«Scusami» disse Clarke quando ritrovò la forza per parlare. La donna lasciò cadere le braccia, ma non accennò ad allontanarsi dallo spazio di Clarke. Rimasero vicine, respiri che quasi si mescolavano, dita che si sfioravano ad ogni battito di cuore.

Perché il mio cuore sta ancora battendo, certo, pensò Clarke mentre continuava a guardare l’altra.

«Credo che tu mi debba un drink» disse la donna con voce suadente e un mezzo sorriso. Anche Clarke sorrise, imbarazzata da quella situazione ai limiti dell’assurdo. Si sentiva come un’adolescente alle prese con la prima cotta.

Clarke annuì, senza staccare gli occhi dalla donna. Quella la prese per mano e insieme si avviarono per uscire da quel marasma di persone che ballava sulla pista da ballo. Clarke si girò appena in tempo per vedere i suoi amici scomparire tra la folla, ma la stavano tutti guardando con pollici alzati e voci di incoraggiamento. Clarke scosse la testa e sbuffò divertita, e strinse la presa sulla mano della donna.

Non arrivarono mai al bar.

Il bagno era più vicino.

La donna non controllò neanche che il bagno fosse libero da occhi indesiderati prima di spingere Clarke contro la porta e baciarla.

E che bacio.

La donna si avventò sulle labbra di Clarke, la lingua che danzava sui suoi denti spingendo, spingendo. Clarke si ritrovò senza fiato e non seppe cosa fare se non ricambiare il bacio. Il cuore era schizzato in una corsa disperata che sembrava terminare fuori dal corpo di Clarke. Ma a lei non importò. Chiuse gli occhi e baciò la donna con passione, mani che afferravano lembi di vestito, lingue che si scontravano, gemiti che lasciavano le labbra tormentate. La donna le prese il viso tra le mani e continuò a baciarla finché entrambe non persero il fiato. Poi scese giù lungo il collo, baciando, mordendo, marcando la pelle di Clarke con segni dolcissimi. Clarke gemette e la spinse un poco per farla allontanare. La donna obbedì e si allontanò, occhi confusi.

«Almeno dimmi il tuo nome?» disse Clarke cercando di respirare a pieni polmoni, ma suonò più come una domanda.

La donna rise. «Non è più divertente così?» Clarke si morse il labbro, e annuì. Aveva il fiato corto. Dannazione, Clarke, sei una madre. Datti una regolata.

Da quando in qua la sua coscienza era diventata così fastidiosa?

Una storia di una notte non aveva mai fatto male a nessuno. E poi, Madi non lo sarebbe mai venuto a sapere.

«Ti prego, dimmi che ti posso portare a casa, è da tutta la sera che tento di parlarti» disse la donna, guardando Clarke dritta negli occhi. Alla luce stabile del bagno pareva ancora più bella. Aveva un viso gentile, e degli occhi verdi intelligenti che le esprimevano rispetto e comprensione. Se Clarke avesse detto di no, non ci sarebbe stato alcun problema. Lo si leggeva chiaramente sul suo volto.

Clarke sorrise.

E disse di sì.

                     
                         
                           

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre: Cenerentola (parte uno) ***


Buonsalve amici lettori! Innanzitutto volevo ringraziare tutte le persone che hanno recensito questa storia o l’hanno inserita nelle liste, siete veramente in tanti! Il calore con cui questa storia è stata accolta mi rende veramente molto felice.

Seconda cosa, forse un pochino meno piacevole… sono sommersa dal lavoro per l’università e non sono riuscita a completare la scrittura del terzo capitolo come promesso in una risposta ad una recensione. Dato però che non volevo lasciarvi a bocca asciutta per troppo tempo, ho deciso di pubblicare la prima parte adesso, e di scrivere nei prossimi giorni la seconda parte e di pubblicarla una volta pronta. In questo modo avrete due capitoli un po’ più corti (più o meno la metà del solito) ma più vicini nel tempo. Col quarto capitolo – università permettendo, dato che già la settimana prossima ho due esami, poi a giugno inizia la sessione… uff! – dovrebbe tornare tutto normale.

Spero che questa mia decisione non vi dispiaccia!

Intanto godetevi la prima parte del terzo capitolo 😊

Baci,

Charlie

                   

                  

                

              

CAPITOLO TRE: CENERENTOLA (PARTE UNO)

                 

                     

Clarke si svegliò in un letto non suo. Ci mise un po’ ad accorgersene, i residui di tutto l’alcol che aveva bevuto la sera prima le martellavano la testa senza sosta. Ma le differenze erano evidenti: luce diversa, colori diversi, odori diversi. E soprattutto, Clarke non dormiva mai sul lato sinistro del letto. Quello era di Madi quando faceva i brutti sogni, il più lontano dalla porta nella sua camera a casa sua.

Dove apparentemente non era, in quel momento.

«Ma che diavolo-» borbottò senza capire, la luce che entrava dalle grandi finestre le feriva gli occhi. Si passò una mano sul volto, come per cercare di scacciare la confusione.

Si girò di lato.

E la vide.

C’era una donna che dormiva accanto a lei nel letto, nuda. Era bellissima. Il profilo perfetto del naso le impreziosiva il volto, le lunghe ciglia che le accarezzavano le guance sembravano tremare. Ad ogni respiro che usciva dalle sue labbra piene e perfettamente disegnate, l’aria faceva alzare una ciocca di capelli castani che era finita a coprire parte del suo viso d’angelo. La schiena nuda era coperta sulla vita da un lenzuolo rosa pallido, e una gamba affusolata si allungava lungo il materasso, lasciando poco spazio a Clarke. Clarke la osservava ammaliata, senza sapere chi fosse né come avesse fatto a ritrovarsi nel letto con una donna dalla bellezza così celestiale.

Questa volta i ricordi impiegarono più tempo per riaffiorare. Clarke restò a guardarla dormire per quello che le parve un tempo infinito, senza sapere cosa fare né cosa dire. Si sentì un po’ una stalker, a guardare una sconosciuta mentre dormiva, così aperta e indifesa. Ma era troppo bella per staccarle gli occhi di dosso. E poi la stanza non le diceva niente se non quello che aveva già intuito: i loro vestiti sparsi ovunque, una delle sue scarpe persa lungo il corridoio che Clarke riusciva a vedere se si piegava un po’ in avanti; il minimalismo con cui era arredata la camera le fece pensare a qualcuno di solitario, che non viveva con la sua famiglia. Niente foto né alcun segno che quella stanza fosse realmente abitata, se non nel letto.

Clarke rimase lì, ferma e confusa sul letto, per minuti e minuti e minuti e minuti e –

I ricordi si avventarono su di lei come avvoltoi sulla carcassa di un animale.

«Credo che tu mi debba un drink» disse la donna con voce suadente e un mezzo sorriso.

La donna non controllò neanche che il bagno fosse libero da occhi indesiderati prima di spingere Clarke contro la porta e baciarla.

«Almeno dimmi il tuo nome?» disse Clarke cercando di respirare a pieni polmoni, ma suonò più come una domanda.

La donna rise. «Non è più divertente così?»

«Ti prego, dimmi che ti posso portare a –

«Oh merda»

Clarke impanicò.

Era andata a letto con una sconosciuta.

Era andata a letto con una sconosciuta.

ERA ANDATA A LETTO CON UNA SCONOSCIUTA.

E dio, se le era piaciuto.

Clarke nascose il viso tra le mani, trattenendo a stento un urlo isterico. Era andata a letto con una sconosciuta e le era piaciuto. L’eccitazione del mistero, il fatto che tutto sarebbe svanito con il sorgere del sole, e quella cosa che mi ha fatto con la lingua là sott–

Clarke si impedì di pensare oltre. Non aveva nulla contro le storie di una notte; il problema era che non erano mai state per lei. Per Clarke il sesso non era solo sesso. Certo, con Niylah lo era stato, ma quello era stato un periodo di debolezza dopo essersi lasciata con Finn; aveva sentito terribilmente la mancanza di un corpo accanto al quale dormire la notte, una spalla su cui appoggiarsi nei momenti di stanchezza, una persona su cui contare e nella quale rifugiarsi quando fuori era buio. Ma avevano mutualmente deciso di troncare la storia prima che potesse evolvere in qualcosa di più. Lei e Niylah erano comunque rimaste amiche; si vedevano ancora per un caffè, di tanto in tanto.

Quello che era successo quella notte, però, era tutt’altra storia. L’alcol le aveva completamente assopito la ragione; l’istinto aveva preso il sopravvento, trasformandola in qualcosa che non era. Clarke seguiva sempre la sua coscienza. Non era una donna che si lasciava prendere dal momento e dalle emozioni. Era un’artista, ma il suo lato razionale aveva sempre avuto la meglio nella sua vita reale. Era un controsenso vivente, lo aveva saputo fin da bambina. Era sempre stato così.

Ma non quella notte.

Non questa notte.

Clarke si alzò di scatto dal letto, accorgendosi soltanto in quel momento di essere nuda anche lei. Si girò verso la donna che dormiva, imbarazzata; ma era ancora profondamente addormentata. Riavendosi, raccolse le sue mutandine e se le infilò alla velocità della luce, saltellando su un piede. Ma dove è finito il reggiseno? Lo vide all’inizio del corridoio, proprio accanto allo stipite della porta. Messo anche quello, recuperò il vestito e se lo infilò dalla testa, senza pensare. Lo tirò giù fino ad una lunghezza accettabile e si guardò intorno, cercando altre cose che le appartenessero. Ma la stanza era vuota di lei. Adesso, soltanto il suo lato del letto stropicciato poteva tradire la presenza di un’altra persona nella camera.

Recuperò la prima scarpa nel corridoio ed entrò nel soggiorno alla ricerca della seconda. Vide che la sua borsetta era per terra accanto al divano, ma della scarpa nessuna traccia. Clarke si fermò per pensare, cercando di ripercorrere con la memoria quella notte. Per quanto la facesse vergognare, doveva farlo: quelle erano le sue décolleté preferite e non se ne sarebbe mai andata senza averle trovate entrambe.

Allora, Clarke, pensa un po’. Cosa è successo? Clarke non aveva molti ricordi di quella notte, in realtà. Dal taxi che avevano preso per andare a casa della donna, le memorie di Clarke erano confuse e annebbiate. Ricordava la foga dei baci, le unghie, i denti. I gemiti.

La donna la spinse facendola cadere all’indietro sul letto. Clarke si morse il labbro, guardando quella dea scesa dal cielo. Le si sedette a cavalcioni sulle gambe, cingendo la vita di Clarke con le braccia. La baciò con passione, senza remore, avventandosi sulle sue labbra con famelica attenzione, poi scese giù, giù, lungo il collo, marchiandolo con morsi che fecero sussultare Clarke. La donna rise, una risata sottovoce, sexy come non mai. Un brivido partì dalla schiena di Clarke facendola tremare da capo a piedi. La donna le abbassò le spalline del vestito e la guardò negli occhi, aspettando la conferma che stava cercando.

«Stai cercando questa per caso?»

Clarke urlò e si voltò di scatto, spaventata a morte.

Non era più sola.

C’era lei.

Indossava una vecchia t-shirt di un blu scolorito tendente al verde smorto. Aveva i capelli tutti arruffati, e delle occhiaie che tradivano la notte appena trascorsa.

È comunque bellissim-

In mano aveva la scarpa mancante di Clarke.

Merda.

Già, merda.

«Vogliamo fare Cenerentola e il principe azzurro o posso offrirti un caffè e possiamo parlare?» chiese la donna con un sorriso storto che fece sciogliere Clarke. Clarke aveva un debole per i sorrisi storti. Era stato quello che l’aveva fatta cadere ai piedi di Finn. Guardò prima la scarpa che la sua sconosciuta teneva tra le mani, poi il suo viso, poi di nuovo la scarpa, poi il suo viso ancora, in un circolo vizioso che stava facendo andare in fumo il cervello di Clarke. Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. La sua coscienza le gridava di scappare, di scappare il più in fretta possibile senza voltarsi più indietro, di scappare e tornare alla sua normalità, perché un altro sguardo a quegli occhi chiari e non ce l’avrebbe più fatta. Sarebbe caduta nella tela del ragno e, come un’ingenua farfalla, non ne sarebbe più uscita.

Dall’altro lato, qualcosa dentro di lei le diceva di restare. Perché in fondo un caffè non significava nulla, no? Avrebbe potuto tranquillamente andarsene dopo aver recuperato la sua scarpa e aver bevuto una tazza di caffè di cui sembrava avere disperatamente bisogno.

Pensa a Madi, Clarke.

E se una volta pensassi anche a me?

Il copione della sera precedente si ripeté.

Clarke sorrise imbarazzata, si sistemò i capelli dietro le orecchie e annuì.

Anche la donna annuì, e si avvicinò a lei. Le porse la scarpa, che Clarke prese lentamente. Quando entrambe ebbero la mano sulla scarpa, si guardarono. C’era qualcosa di strano, nello sguardo di quella donna. Come una storia che non aveva mai raccontato a nessuno ma che urlava per scappare fuori ed essere divulgata al mondo. Clarke scosse la testa e si prese la sua scarpa, infilandosela assieme a quella che già aveva. I tacchi di prima mattina dopo una notte del genere erano la cosa più assassina di cui Clarke avesse mai fatto esperienza.

«Allora, caffè?» Ripeté la donna, sorridendo ancora.

«Caffè» disse Clarke, annuendo.

La donna si avviò in cucina, e Clarke la seguì con titubanza. Si sentiva a disagio, ora che non era l’unica sveglia. Non aveva la più pallida idea di cosa dire alla donna con cui aveva passato quella che molto probabilmente sarebbe stata una delle migliori notti della sua vita, se non la migliore in assoluto. Ma ora che il sole era sorto, la magia che le aveva attratte quella notte sembrava avere perso il suo effetto. Almeno per lei. La donna – sarebbe mai riuscita a scoprire il suo nome? – invece sembrava essere calma e sicura di sé, come quella notte.

Clarke rimase accanto alla porta, mentre la donna accese la macchina del caffè e si appoggiò al bancone della cucina, guardandola.

«Allora,» disse «Hai dormito bene, Clarke?»

Sentirla pronunciare il suo nome fu uno shock piacevole e allo stesso tempo terrificante.

«Come-» le si spezzò la voce. Clarke tossì, e la guardò negli occhi «Come sai il mio nome?»

La donna scoppiò a ridere, e si portò una mano al viso per nascondere la risata. Aveva una luce maliziosa negli occhi, una luce che fece insospettire Clarke. Sapeva qualcosa che lei ignorava. La donna dopo qualche secondo smise di ridere, e si morse il labbro. Piegò la testa e guardò Clarke assottigliando gli occhi.

«Davvero non ricordi?» chiese. Di fronte al silenzio di Clarke, andò avanti «Non credevo fossi così tanto ubriaca questa notte. Ti chiedo scusa»

Quella risposta lasciò Clarke senza parole. Crede davvero che…?

Clarke portò le mani in avanti e si affrettò a fermarla «Non devi scusarti di niente, anzi. Non hai fatto nulla di sbagliato. Ero molto, molto, molto consenziente»

«Di quello me ne ero accorta» disse la donna.

Clarke arrossì e distolse lo sguardo. «Allora, come sai il mio nome?» chiese, guardando il frigorifero.

«Te l’ho chiesto io» rispose, e Clarke la vide con la coda dell’occhio muoversi per prendere qualcosa dalla credenza. Che anche lei fosse imbarazzata? «Potrei averlo voluto gridare mentre venivo.»

«Oh.»

Quella conversazione stava diventando sempre più imbarazzante secondo dopo secondo. Clarke si grattò la testa e si guardò attorno, sentendo il sangue affluirle sempre di più alle guance. Ecco perché non faceva mai sesso con gente a caso. Odiava la mattina dopo.

La donna versò il caffè e offrì a Clarke una tazza come gesto di pace.

Stettero in silenzio per un po’, ciascuna persa nei propri pensieri e nella propria tazza di caffè. In realtà, Clarke stava cercando di non pensare. La sua mente continuava a ripeterle tutti i modi in cui quella situazione sarebbe potuta andare storta, ma lei cercava di non darle ascolto. È solo una tazza di caffè. Solo una tazza di caffè. Solo una tazza di caff-

«Allora, Clarke» disse l’altra poggiando la sua tazza sul bancone della cucina «Cosa fai nella vita?»

Clarke la guardò con gli occhi sgranati di un cerbiatto sorpreso dai fari di un’auto, cuore che le martellava in petto.

Il suo cervello smise di funzionare.

E Clarke scappò.

«Io sono una mamma» disse, e appoggiò la tazza sul tavolo della cucina senza guardare la reazione dell’altra donna «E adesso devo proprio andare, mia figlia mi aspetta da una mia amica» Girò la testa per una frazione di secondo verso la donna, e la vide con la bocca semiaperta e la tazza ferma a mezz’aria. Merda. «Grazie per il caffè ma devo proprio andare»

Clarke recuperò in fretta la sua borsetta da terra e uscì da quella casa il più in fretta possibile. E per fortuna che la porta non era chiusa a chiave.

Non smise di correre finché non ebbe superato l’isolato, accorgendosi di non avere la più pallida idea di dove si trovasse.

               

                     

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre: Cenerentola (parte due) ***


Buonasera a tutti! Scusatemi immensamente per il ritardo con cui pubblico questa seconda parte del terzo capitolo, ma la sessione estiva mi ha travolta come un treno in corsa. Inutile dire che sono mezza morta. Ma una volta finiti gli esami tornerò attiva come prima!

Buona lettura :)

                     

                      

CAPITOLO TRE: CENERENTOLA (PARTE DUE)

                                                

                                 

Clarke si era appena messa il pigiama ed era pronta per andare a letto – dopo una giornata che l’aveva lasciata allo stremo delle forze, tra lavoro, Madi e di nuovo lavoro – quando il suo telefono cominciò a squillare. Uno squillo, due squilli, tre squilli. Clarke grugnì e afferrò il telefono. Era Raven.

Clarke alzò gli occhi al cielo, esausta, ma accettò comunque la chiamata.

«No, Rae, non ti racconterò cosa è successo sabato notte» disse Clarke senza aspettare neanche una parola da parte della sua amica.

«Oh, avanti, Clarke! Siamo come sorelle! Non puoi non dirmelo» protestò Raven. La sua voce era quasi sovrastata dal rumore di musica a palla. Clarke allontanò il telefono dall’orecchio. Che diavolo ci fa in un locale di mercoledì sera?

«Invece sì che posso» replicò Clarke «Ed è esattamente quello che ho intenzione di fare» In effetti, lei e Raven si comportavano un po’ come delle sorelle; bisticciavano dalla mattina alla sera, punzecchiandosi e lanciandosi frecciatine e occhiatacce e ciabatte – ma quella era stata solo una mattina molto difficile per Clarke – ma alla fine dei conti, si volevano un bene dell’anima.

Clarke avrebbe ceduto, prima o poi.

(Più prima che poi, gote rosse e gambe che tremano e labbra che non hanno ancora dimenticato baci, carezze, denti, gemiti.

Ma questo dovevano ancora scoprirlo.)

«Buonanotte, Raven» Clarke le chiuse il telefono in faccia e affondò la testa nel cuscino. Aveva seriamente bisogno di una settimana di ferie dalla sua vita. O meglio, un mese intero. Un mese per dimenticare, un mese per finalmente smettere di pensare, pensare, pensare.

La verità era che non ci riusciva. Non riusciva a non pensarci. Si lavava i denti guardandosi allo specchio ancora mezza addormentata, e ci pensava. Rispondeva educatamente all’ennesima bastardata di Cage Wallace, e ci pensava. Andava a prendere Madi da scuola, e ci pensava. Cercava con tutte le sue forze di evitare il pensiero, e quello si ripresentava ancora più prepotentemente a invaderle la mente, lasciandole a stento la forza di respirare.

Quella donna.

Le stava rovinando la vita.

Okay, forse era una dolce rovina. Ma da quando l’aveva incontrata – in maniera alquanto improvvisa e alquanto infuocata – la sua vita era diventata molto più complicata. Si distraeva al lavoro, non ascoltava Finn quando parlavano al telefono, aveva persino fatto bruciare di nuovo le uova a colazione, scatenando una risata da parte di Madi mentre una stringa di imprecazioni (mormorate sottovoce per non farsi sentire dalla bambina) le usciva dalle labbra.

Le stesse labbra che avevano assaggiato una pelle così dolce, pronunciato parole che avevano fatto partire una scia di brividi lungo quelle gambe bellissime, le stesse labbra che avevano forzato gemiti fuori da altre labbra, labbra piene e rosse e martoriate da baci più caldi dell’estate più afosa che–

«BASTA»

«Mami?» Clarke sussultò sul letto, trattenne un grido e si voltò verso la porta. C’era la sua bambina con un vecchio coniglietto di peluche che la guardava con i suoi occhi grandi, velati dal sonno e dalla confusione «Che succede?»

Clarke sorrise e scosse la testa «Niente, piccola mia» Batté un paio di volte sul materasso (sul lato sinistro, quello di Madi) per indicarle di venire a stendersi accanto a lei. Madi sorrise e si accoccolò accanto a Clarke, il coniglio schiacciato tra loro.

«Brutti sogni?» chiese Clarke, baciando la sua bambina sulla fronte e stringendola forte a sé.

«No» disse Madi, e si allontanò un pochino per guardare sua madre negli occhi «Mamma?» chiese, fronte corrucciata come se qualcosa la stesse mettendo in difficoltà «Ma secondo te io posso davvero diventare una principessa guerriera?»

«Certo!» esclamò Clarke con un sorriso. Perché Madi era così indecisa? Clarke assottigliò gli occhi e alzò un po’ la testa «Non è che qualcuno ti ha detto che non puoi diventarlo? Chi è stato? Voglio nomi e cognomi, Madi»

Madi distolse lo sguardo e arricciò le labbra, evitando gli occhi di Clarke. Clarke la guardò attentamente, confusa. Sta veramente arrossendo?

«Nessuno-nessuno mi ha detto che non posso diventarlo» disse Madi, occhi sul suo coniglietto di peluche «È solo che Lexa è così brava e alta e b-bella e quando combatte sembra una vera principessa e ha sconfitto Anya in due mosse e io voglio essere come lei ma non so-non so se ci riesco mamma»

Clarke si morse il labbro. «Madi» la chiamò, e le mise due dita sotto il mento per spingerla a guardarla «Madi, guardami» Con riluttanza, la bambina alzò lo sguardo e incrociò con timidezza quello di sua madre. Cielo, è ancora così piccola, pensò Clarke. Ma al tempo stesso stava crescendo, vero? La sua piccola Madi stava diventando una ragazzina intelligente e matura e bellissima «Lo sai che tu sei bellissima?» le disse infatti con un sorriso «Con questi occhioni e questo nasino» Clarke fece finta di infilarlo tra due dita e rubarglielo, facendola scoppiare a ridere «Ma soprattutto, con questo cuore grande grande grande» Madi sorrise timidamente e strinse il suo coniglietto, avvicinandosi ancora di più a Clarke «Sei la cosa più bella che i miei occhi abbiano mai visto, Madi» disse Clarke, dandole un bacio sulla testa e passando le dita tra i suoi lunghi capelli castani «E niente né nessuno dovrebbe convincerti del contrario. Capito?»

«Hmm-mmm» Madi mimò un sì e si strinse a Clarke.

«Mi vuoi parlare di questa Lexa?» Clarke guardò Madi nascondere la testa sotto le coperte, le punte delle orecchie rosse rosse come un pomodoro. Clarke scoppiò a ridere, estasiata, e diede una sbirciatina sotto le lenzuola «Non è che qualcuno ha una cottarella?»

«NO» mugolò Madi, e si nascose ancora più sotto. Clarke sorrise, un sorriso caldo e grande che le riempì il cuore di gioia.

«Avanti, piccina, a me puoi dirlo! Giuro che non ti prenderò in giro» promise Clarke, mano sul cuore.

Madi sbucò da sotto le coperte con il mignolo della mano puntato dritto verso Clarke. «Giurin giurello?»

Clarke le prese prontamente il mignolo con il suo «Giurin giurello, amore»

«Okay» Madi saltò fuori dalle coperte e si sedette a gambe incrociate, sguardo eccitato e coniglietto stretto tra le braccia «È la mia maestra di scherma ed è bellissima» disse, e si lanciò in un’accuratissima descrizione di questa principessa guerriera che le aveva rubato il cuore. Capelli castani con riflessi di miele, occhi verdi verdi come le più belle giornate di primavera, gambe lunghe e pronte a scattare per un attacco improvviso – e ZAM ZAM ZAM!, l’avversario era già a terra sconfitto.

Più Madi parlava, però, più forte diventava una vocina nella testa di Clarke che le diceva che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato, in tutto questo, e che quel qualcosa avrebbe portato alla sua rovina.

Oh, che dolce rovina–

Ma Clarke le diede un calcio mentale e la rispedì nella nebulosa parte del suo cervello da cui era venuta.

Andava tutto bene.

Non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Proprio nulla.

***

Erano le cinque e un quarto di mercoledì pomeriggio e Clarke era appena uscita dal lavoro. Finalmente i doppi turni alla galleria erano finiti: quelle due prime settimane della nuova esposizione l’avevano sfiancata, riducendola a uno straccio. A stento aveva avuto le forze per preparare da mangiare e mettere Madi a letto.

Clarke salì in macchina e, come prima cosa, si tolse le décolleté che portava ai piedi con un sospiro di sollievo; stare tutto il giorno sui tacchi era una faticaccia, anche se ci era ormai abituata. Prese la borsa dietro al sedile e tirò fuori le scarpe basse di salvataggio – così le chiamava lei – che teneva sempre in macchina. Quindi accese il motore e si avviò verso la palestra in centro città dove Madi aveva lezione di scherma.

Inutile dire che Clarke fosse curiosa: non vedeva l’ora di conoscere di prima mano il nuovo ambiente dove la sua bambina si stava inserendo; i resoconti di Finn erano esaustivi e positivi, certo, ma una mamma doveva sempre controllare di persona. E poi, Clarke era ancora più eccitata all’idea di incontrare questa famosa Lexa, spadaccina provetta, principessa guerriera e prima cotta di Madi. Il solo pensiero le mise sul viso un sorriso idiota che Clarke faticò a togliersi di dosso.

Arrivata a destinazione, parcheggiò la macchina e scese con calma, sistemandosi i capelli nel riflesso del finestrino. Era in anticipo di quindici minuti. Clarke entrò nella palestra e chiese indicazioni alla signora che era seduta in quella che doveva essere una specie di segreteria. La ringraziò con un sorriso e si avviò lungo un corridoio illuminato con prepotenti luci al neon, poi ne attraversò un altro, e un altro ancora. Ma è una palestra o un labirinto? pensò, le luci al soffitto che la accecavano e il male ai piedi che la tormentava. Se mi tocca girare in un altro corridoio quasi quasi chiamo Finn e mi faccio indicare la strada, perché è una cosa assolutamente ridic-

Clarke andò quasi a sbattere contro lo stipite di una porta aperta. Si bloccò all’ultimo momento, la testa a un pelo dallo stipite. Strizzò un paio di volte gli occhi, ringraziando la sua buona stella, e volse lo sguardo verso l’interno della stanza.

Ciò che vide le fece perdere il fiato.

C’era una ragazza, una donna, mezza accovacciata a terra, una spada – che Clarke sperò con tutta se stessa fosse di scena – tra le mani, che sembrava pronta ad attaccare un’altra donna a qualche metro da lei. Entrambe erano vestite con l’equipaggiamento completo da scherma, maschera compresa, ma anche se Clarke non poteva vederle in faccia, i loro gesti tradivano l’eccitazione e la competitività dello scontro. Clarke sentì un brivido salirle lungo la schiena, e si strinse tra le braccia, in attesa dell’attacco imminente.

Attacco che non si fece aspettare.

La donna scattò contro il suo avversario e mollò un fendente che non centrò il bersaglio per un soffio. L’altra donna scartò all’ultimo momento, bloccando l’attacco con la sua arma, e si allontanò di qualche metro. Avevano entrambe il fiatone, e si guardavano attraverso le maschere camminando in cerchio, come se stessero cercando di individuare eventuali punti deboli l’una dell’altra. La prima donna – che Clarke aveva soprannominato nella sua testa Codina per la lunga coda castana che le usciva dalla maschera – provò una finta all’improvviso, ma l’altra donna riuscì a pararla e a mettersi a distanza di sicurezza. Clarke sentì Codina ridere; sembrava un felino che giocava con la sua preda, non abbastanza affamata da terminare la caccia per mangiare, ancora in forze per tormentare la sua preda un altro po’.

Che sia lei Lexa?

Clarke si guardò un po’ intorno. Quella palestra era gigantesca: il soffitto era altissimo e sembravano starci due campi da pallavolo in orizzontale. Non le fu difficile individuare Madi; era la prima della fila di bambini che assistevano alla sfida, e guardava le due donne combattere con la bocca aperta e i grandi occhi spalancati, accesi di una luce che Clarke non aveva mai visto. Clarke sorrise, e vide che c’erano anche altri adulti – presumibilmente genitori dei bambini – seduti sugli spalti della palestra, tutti intenti ad osservare il combattimento.

Clarke si rigirò verso le due donne, e si pentì di essersi distratta: adesso stavano combattendo con una ferocia e una velocità che Clarke non si sarebbe mai immaginata. Roteavano le spade all’impazzata e il rumore delle lame che si scontravano schioccava nel silenzio estasiato della stanza. A Clarke tornò in mente quello che aveva pensato la prima volta in cui aveva visto il volantino della scuola di scherma: sembrava stessero danzando; si muovevano con una precisione e una coordinazione tale da far apparire lo scontro come un’elaborata coreografia.

E all’improvviso accadde: con una sequenza di rapidissimi affondi Codina disarmò l’altra donna, la fece inciampare e cadere a terra, e le puntò la spada alla gola. I bambini proruppero in urla divertite e applaudirono, seguiti a ruota dai loro genitori. Clarke si portò una mano al petto: aveva il cuore che batteva all’impazzata. Non aveva mai visto nulla del genere.

Ne voleva ancora.

Adesso capiva alla perfezione perché Madi si fosse presa una cotta per la sua insegnante.

La donna a terra grugnì delusa e batté una mano inguantata sul pavimento, ma poi si fece aiutare da Codina a rialzarsi. Le due donne si strinsero la mano e si abbracciarono, per poi inchinarsi davanti ai bambini che ancora applaudivano.

«E con questo, ragazzi» disse la donna che era stata sconfitta togliendosi la maschera «La lezione è finita, potete andare a cambiarvi» Tutti i bambini esultarono e corsero alla porta dove c’era Clarke per andare negli spogliatoi.

Madi incrociò lo sguardo di Clarke e le saltò addosso, facendola quasi cadere a terra. Si strinse forte a lei e la riempì di bacini «Mamma!» esclamò tra un bacino all’altro «Oggi sei venuta tu!»

Clarke sorrise e accarezzò la testa della sua bambina «Certo amore mio, non potevo mica non venire a conoscere la donna che ha rubato il cuore a mia figlia!»

A quelle parole, Madi le coprì la bocca con le mani e diventò rossa rossa «Shhh, mamma!» la rimproverò.

«Scusa, scusa» disse Clarke ridendo. Rimise Madi per terra e con un buffetto sulla spalla le disse di andare a cambiarsi, mentre lei andava «a parlare con questa famosa e bellissima Lexa». Madi le indicò con un sorriso timido timido che Lexa era effettivamente la donna con la lunga coda castana. Clarke annuì e lanciò a Madi un bacino, che la bambina prese al volo con un sorriso. Quindi Clarke si girò e si avvicinò alla donna.

Lexa aveva ancora la maschera addosso, e alcuni genitori, scesi dagli spalti, stavano parlando con lei e l’altra donna, che doveva essere per forza Anya. Lexa quindi si tolse la maschera e, con un fluido movimento come nei film, si sciolse la coda e scosse i suoi lunghi capelli castani. Clarke deglutì a vuoto – doveva ammetterlo, aveva un debole per le brune – e si avvicinò un po’ di più.

Un cattivo gioco del destino le fece realizzare troppo tardi di chi si trattasse.

Clarke era ormai quasi arrivata dietro di lei, quando Lexa si voltò.

E non ci fu modo per Clarke di nascondersi.

Incrociò i suoi meravigliosi occhi verdi e si bloccò all’istante, il sangue che le si ghiacciava nelle vene.

Perché quella, oh, quella non era semplicemente l’insegnante di scherma di Madi per la quale la bambina aveva una cotta assurda.

Quella era la donna che aveva tormentato le notti di Clarke da due settimane a questa parte. Era la donna che aveva irretito anche le sue giornate, la donna che non riusciva a togliersi dalla testa, la donna che le aveva fatto vedere le stelle tra le lenzuola del letto quella notte indimenticabile.

Clarke la vide irrigidirsi e riconoscerla immediatamente.

E Clarke… beh.

Clarke impanicò.

                   

                      

               

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