Fliegerabwehr - A Fallout 4 Story

di Larceny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Comandanti e capitani ***
Capitolo 3: *** Ad ogni costo ***
Capitolo 4: *** Sanctuary ***
Capitolo 5: *** Verso nord ***
Capitolo 6: *** Acqua agli assetati ***
Capitolo 7: *** La Morte Bianca ***
Capitolo 8: *** Jericho ***
Capitolo 9: *** Interludio ***
Capitolo 10: *** Lost South Hero ***
Capitolo 11: *** Muskeg sanguinario - Prima parte ***
Capitolo 12: *** Muskeg sanguinario - Seconda parte ***
Capitolo 13: *** Rivelazioni ***
Capitolo 14: *** Verso sud ***
Capitolo 15: *** Venti di guerra ***
Capitolo 16: *** La battaglia di Bunker Hill ***
Capitolo 17: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 18: *** Interludio ***
Capitolo 19: *** Padri, figli, fratelli ***
Capitolo 20: *** Luminescenza ***
Capitolo 21: *** Dalla Terra alla Luna ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


 

Il ponte di Bunker Hill era ormai abbandonato da tempo: da quando, nel corso della guerra, l'insediamento di mercanti che aveva da decenni occupato il monumento era stato smantellato. Nessuno, in fondo, voleva più coprire le vecchie strade commerciali, non con il rischio di ritrovarsi coinvolto in una battaglia ad ogni angolo. 
 
Danse lo attraversò in silenzio, strisciando di copertura in copertura. Non era un'area frequentata dalle pattuglie della Confraternita d'Acciaio, non così vicino a Goodneighbor. Ma non era il caso di correre rischi inutili e vanificare tutti quegli sforzi. Era in fuga da due giorni ed era riuscito ad uscire dal territorio della Confraternita solo grazie all'attenzione maniacale posta nel guardarsi continuamente le spalle. E poi, tutta quella concentrazione impediva alla sua mente di distrarsi con pensieri che non era ancora pronto ad affrontare. 
 
 L'argine del fiume, una volta costituito da una sorta di balcone su cui ancora resistevano, verso l'interno, dei tavolini e delle seggiole, più avanti era stato smangiato dal tempo. La scalinata che conduceva alla riva terminava in un ammasso di fanghiglia e rovine che proseguiva per diversi metri, lasciando un'ampia parte di argine scoperta e raggiungibile a piedi. Danse occhieggiò l'acqua dalla cima della scala, esitando. 
Non ci volle molto però perché risolvesse il suo dubbio interiore, e le impronte dei suoi stivali andarono ad unirsi a quelle di qualche Radstag passato ad abbeverarsi di recente. Danse si inginocchiò nel fango e bevve, la mente che tornava al dialogo di ormai tre notti prima, in una sorta di placida incuranza per le radiazioni che stava assorbendo. 
 
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Negli occhi di Haylen c'era paura, ma anche quella determinazione di cui col tempo Danse aveva imparato a fidarsi ciecamente. La mente brillante di Haylen non aveva mai tradito la sua squadra e li aveva sempre condotti al loro obiettivo senza errori.  
 
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"È l'unico modo." 

 
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Risalendo l'argine, Danse si inoltrò nei vicoli di Beacon Hill, diretto al distretto finanziario. Era un quartiere antico, caratterizzato da case costruite senza apparente cura per lo spazio delle strade, che la Grande Guerra ed il tempo avevano trasformato in trappole scivolose colme di detriti. In certi punti erano talmente accumulati che era possibile camminare anche di un metro buono sopra l'effettivo livello della strada. 
 
Danse si infilò in una di quelle stradine. L'aria era colma di polvere e puzzava di vecchio: muffa e legno marcio, provenienti dalle case sventrate che incombevano sopra di lui. I calcinacci erano talmente fragili che si frantumavano sotto ai suoi piedi, rischiando di farlo scivolare. Senza contare inoltre che Danse non era mai stato un maestro del muoversi silenziosamente. Non ne aveva mai avuto bisogno, non con una suite T-60 addosso. 
 
Si allontanò velocemente da quei pensieri, ritornando piuttosto al proprio itinerario. Sapeva che, proseguendo più o meno in quella direzione, si poteva arrivare alla sede della Mass Fusion Inc., una vecchia corporazione dell'Anteguerra. Non era l'edificio ad interessarlo, ma il punto di riferimento che rappresentava. A un tiro di schioppo da quel luogo, infatti, c'era la roccaforte di Goodneighbor. 
 
 
Una volta, la Mass Fusion era stata catturata dai Gunners, Danse ricordava. Mercenari, la più grande forza non ufficialmente allineata attiva nel Commonwealth. Prima della guerra, Goodneighbor e i Gunners non si erano mai dati particolarmente fastidio a vicenda: non avendo mai dato all'insediamento ragione di cacciarli, i "residenti" del luogo non avevano mosso un dito per liberarsi dei mercenari, pur avendoli virtualmente sull'uscio di casa. Ma in fondo, non c'era molto altro da aspettarsi da un insediamento del genere. Goodneighbor non era il tipo di città da prendere apertamente posizione su qualsiasi cosa che non fosse il suo esplicito guadagno, e non ce n'era nel farsi guerra con quegli individui. 
 
No, c'erano voluti i Minutemen per sbloccare la situazione. Un Minuteman, nello specifico. Come tante altre cose di cui si prendeva il merito quella fazione, anche quella particolare circostanza era stata risolta da un individuo d'eccellenza, come se da soli non fossero in grado di trovare un tappo in uno stivale, con le istruzioni scritte sul tacco. Danse però non poteva permettersi di fare troppo il difficile, in quella situazione: inaffidabili o meno, ora come ora aveva bisogno dei Minutemen. 
 
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L'aeroporto internazionale di Boston era diventata la nuova base della Confraternita d'Acciaio, in ogni senso. Erano finiti i giorni della sicurezza un po' traballante, delle fortificazioni ancora in costruzione, delle pattuglie organizzate giorno per giorno e contando gli uomini disponibili sulle punte della dita; l'aeroporto era una fortezza, e il Prydwen il suo maschio, imponente ed impenetrabile. 
 
Ciò rendeva abbastanza problematico l'uscirne senza essere avvistati. Non quando l'intero aeroporto era illuminato peggio di uno stadio nell'Anteguerra. Fortunatamente per lui, però (e sfortunatamente per chiunque sarebbe stato di guardia quella notte), c'erano dei punti in cui la sicurezza era meno stretta per ragioni puramente logistiche. Ad esempio, attraverso il magazzino allagato oltre il primo checkpoint di sorveglianza. 
 
Attraversare la base non era stato troppo complicato. Nessuno aveva ancora avuto ragione di dare l'allarme (Haylen avrebbe fatto rapporto solo al mattino successivo), e Danse conosceva a memoria i turni delle guardie (era pur sempre uno degli strateghi di punta di Arthur), dunque non era stato difficile passare relativamente inosservato fino al checkpoint. 
 
Il problema era costituito più che altro dall'enorme spiazzo vuoto di fronte all'ingresso del terminal, illuminato 24 ore su 24 da potenti fari montati sul tetto dell'edificio e sorvegliato da cecchini. Era stato deciso di tenere la zona sotto controllo proprio per via di quell'area allagata e mezzo affondata nella costa di Boston: gli edifici e le rovine ammassate oltre lo spiazzo erano punti in cui invasori sgradevoli avrebbero avuto la vita fin troppo facile a trovar copertura e tenere in scacco le loro forze. Una sorveglianza continua dall'alto avrebbe potuto ovviare al problema e mantenere la visuale anche sui pertugi più nascosti. 
 
Tranne il magazzino.  
 
Era infatti ancora relativamente integro, anche se mezzo affondato, ed era possibile accedervi e uscire dal lato opposto rispetto alle guardie senza essere visti. L'altezza dell'edificio rendeva impossibile ai cecchini vedere oltre il tetto, e rimanendo più o meno su quella linea visiva, si poteva andare e venire dalla base senza essere individuati per un bel pezzo di strada. Il problema era, appunto, arrivarci. 
 
Danse non aveva altra scelta che non fosse fidarsi di Haylen. 
 
L'idea era relativamente semplice, e Danse non doveva far altro che attendere all'ombra dei resti del soffitto dell'ultimo piano fino al momento in cui non l'avesse sentita entrare in azione. Niente di troppo sospetto, così nessuno avrebbe pensato di girarsi e vederlo correre attraverso lo spiazzo. Haylen era la persona perfetta per un incarico del genere. Una distrazione innocente. 
 
No, a voler essere corretti Haylen era tutt'altro che una semplice distrazione. Danse l'aveva raccomandata personalmente per la sua squadra, e non per semplice amicizia. La dimostrazione delle sue abilità era la carriera brillante che aveva portato avanti sino a quel momento. Essere una delle preferite di Quinlan non era facile: quell'uomo era tanto intelligente quando scorbutico, e Danse non l'aveva mai sentito elogiare nulla che non fosse il suo gatto. Se Haylen si era meritata delle lettere di raccomandazione da lui, qualcosa di buono sicuramente lo aveva fatto.  
 
In ragione di quello, e dell'esperienza sul campo che li legava, Danse si era sempre fidato di lei. Anche questa "operazione", era certo, sarebbe filata liscia grazie al suo supporto. 
 
Era l'altro salto nel buio che gli aveva chiesto di fare, a preoccuparlo. Danse non era certo di poter sopportare una cosa del genere. Il solo pensiero, anche in quel momento, nascosto dietro ad un cumulo di detriti, gli stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa. E le conseguenze... 
 

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"Cosa? No, non preoccuparti per me. Andrà tutto bene." 
 

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Il vicolo che stava percorrendo si aprì in uno spiazzo, sorprendendolo. Non riconosceva l'area: nonostante lo spazio ora si fosse allargato, la zona era comunque colma di detriti. Resti di barricate, apparentemente, ora distrutte. Qualcuno ci aveva abitato? Dubbioso, imbracciò il suo fucile, il suo peso un conforto 
rassicurante. 
 
Avvicinandosi ai resti di una fortificazione, Danse spostò un pezzo di compensato col piede, cercando di capire cosa lo avesse distrutto. In una calligrafia un po' cruda, qualcuno vi aveva scritto un avvertimento in vernice bianca: "PROPRIETA' PRIVATA – NON AVVICINARSI - NON ENTRARE". 
 
-Huh-, fece Danse. Nel Commonwealth, il concetto di proprietà privata era praticamente morto con la Grande Guerra... e di certo quelle barricate non potevano venire da quel tempo. Era molto anacronistico, trovare un avvertimento del genere, soprattutto perché Danse sapeva per esperienza che il quartiere era uno dei preferiti dagli spazzini. Non erano il genere di persone da saper leggere, e se anche ne fossero stati in grado, una semplice scritta non sarebbe basta a farli demordere. 
 
Eppure, entrando nello spiazzo, dovette notare che l'area non pareva ancora esser stata ripulita. Dinnanzi a lui c'era un giardino, ormai ricoperto di erbacce e piantaggine incontrollata, con due alberi alti ma secchi. In fondo allo spiazzo, rivelatasi essere dunque una corte, si ergeva una casa sorprendentemente in ottime condizioni. Non era illuminata, e l'area non dava l'idea d'esser stata battuta di recente, eppure l'edificio era... pulito, senza un accenno di sporcizia sulla pietra che lo rivestiva o di ruggine sui balconcini. 
 
Beh, se erano stati anacronistici i cartelli, figurarsi quello. 
 
Danse si avvicinò, incuriosito. Era una vista strana, eppure era indubbio che chiunque avesse abitato quella casa l'avesse anche abbandonata. Coperto com'era dalle ombre della corte, Danse finì quasi per inciampare su quelli che si rivelarono essere i resti di un Mister Gutsy. 
 
Hm. 
 
Una guardia di qualche tipo, certamente, e lo stato in cui giaceva era un altro indizio ad avvalorare la tesi che la residenza non fosse più abitata. Un piano iniziò a formarsi nella sua mente. 
 
Era notte tarda, in fondo. Ed era ormai in pieno territorio Minutemen. Forse approcciare Goodneighbor con il favore del giorno sarebbe stata la scelta migliore, e quella casa così intatta avrebbe potuto essere un 
buon rifugio per riposare qualche ora. Metterne in sicurezza gli accessi non sarebbe dovuto essere troppo difficile, anche privo del suo normale equipaggiamento com'era. 
 
Era lì lì per appoggiare la mano sulla maniglia quando il flash di una torcia illuminò la parete di un vicolo che si affacciava proprio sull'ingresso che stava ora occupando, alla sua destra. 
 
-Per lo meno Brent aveva ragione, c'è poca attività qui- disse una voce, resa alterata e metallica dall'altoparlante dell'elmo di una suite di armatura. 
 
-Non tirarcela. Già prima abbiamo rischiato grosso con quei supermutanti... quegli schifosi non si ripuliscono nemmeno il cesso, da quegli abomini. Sembra quasi che gli piaccia, sguazzare in mezzo ai nonumani- replicò con tono sprezzante un'altra voce, non distorta. 
 
-Sta' zitto. È sensato, invece. Perché perdere uomini a pattugliare la zona quando sai che c'è un nido di mutanti? Ci pensano loro, a togliere i problemi di torno- si intromise una terza voce. 
 
-Eh, proprio. Si vede come ci hanno tolti di torno.- Un fischio, e poi il rumore di un'esplosione mimata con le labbra. –Tra il lanciarazzi e il plasma li abbiamo seccati in tre secondi. Stupidi grugni verdi.- 
 
-E ci siamo fatti anche sentire, probabilmente- ragionò di nuovo il terzo. –Ma va bene. Staranno investigando là, non possono sapere che siamo tornati a nord.- 
 
Un Cavaliere e due Scribi, uno dei quali stava cercando si scassinare la serratura che fino a pochi minuti prima Danse stava per aprire. L'uomo si era nascosto dietro al tronco secco di uno degli alberi del giardino, fucile stretto in pugno e cuore che martellava nel petto. Era bloccato: mentre lo Scriba scassinava, gli altri due tenevano d'occhio la piazza. Se si fosse mosso, lo avrebbero immediatamente individuato... e tra armi al plasma e lanciarazzi, dubitava che ne sarebbe uscito vivo. L'unica soluzione sarebbe stata aspettare che entrassero, e fuggire col favore delle ombre mentre erano impegnati all'interno. 
 
Stavano ancora parlottando tra loro, sicuri probabilmente che l'area fosse libera. O per lo meno, gli Scribi stavano parlando: il Cavaliere di scorta era silenzioso. Danse era confuso. Perché la Confraternita d'Acciaio 
avrebbe dovuto mandare una pattuglia così piccola, così in profondità nel territorio nemico? E in quell'area così peculiare, poi? Danse non aveva mai colto nessun tipo di interesse per Beacon Hill negli incontri di strategia a cui aveva presenziato fino a pochi giorni prima, e non era a conoscenza di nessuna operazione in quella zona. Che diavolo stava succedendo? 
 
Quelle riflessioni furono interrotte bruscamente dalla voce metallica del Cavaliere. –Zitti. I miei sensori stanno percependo qualcosa.
 
T-60 con rilevatori di calore. 
 
Danse se ne ricordava. I rilevatori erano diventati parte dell'equipaggiamento standard delle truppe pesanti dopo l'ultima battaglia a Quincy, quando i Minutemen erano riusciti a cogliere di sorpresa un loro reggimento sfruttando la copertura della nebbia. Aveva spinto perché entrassero in dotazione a tutte le armature personalmente. 
 
-Vieni fuori! Mani in alto!- ordinò il Cavaliere. Danse non aveva dubbi sul fatto che il soldato sapesse precisamente dove fosse. Era finita. Lo avrebbero stanato in ogni caso, e a quel punto... era ovvio cosa sarebbe successo poi. Danse poteva solo cercare di farsi uccidere in quel momento, ed evitare così la pubblica esecuzione. 
 
Peccato per Haylen. 
 
Uscì dalla copertura con uno scatto e sparò tre volte in rapida successione, colpendo uno degli Scribi che si stavano preparando a sparare. Due raggi atterrarono a centro massa, ma un altro fu un colpo alla testa preciso, facendo cadere esanime lo Scriba tra i piedi del Cavaliere. 
 
Il secondo Scriba sparò prima che questo potesse reagire, e Danse non riuscì ad evitarlo: venne colpito ad una gamba, che cedette immediatamente, mandandolo a terra. Il dolore lo lasciò senza fiato all'istante: addestramento o meno, niente può prepararti al momento in cui un dardo di plasma ti arriva addosso. L'armatura che indossava aveva assorbito una parte del danno, ma il resto aveva ceduto abbastanza in fretta, sciogliendosi in materiale bollente dritto sulla pelle vulnerabile del ginocchio, mescolandosi alle ustioni che gli avevano bruciato via immediatamente diversi strati di epidermide. 
 
La cosa buona dell'esser rimasti senza fiato era che per lo meno non aveva potuto urlare. 
 
-Figlio di puttana!- stava dicendo il Cavaliere, e oh, quando aveva coperto la distanza che li separava? Intontito dal dolore, Danse non si era accorto del suo avvicinamento e se lo ritrovò praticamente addosso. Con un piede coperto d'acciaio, il soldato calciò via il suo fucile prima che potesse tentare di alzarlo, colpendo anche la sua mano. Ancora dolore. E ancora più forte quando, per tenerlo fermo, il Cavaliere gli appoggiò lo stesso piede sul petto, schiacciandolo a terra. Restò quindi in silenzio qualche secondo, la luce della torcia puntata dritta in faccia a Danse che lo accecava, ma era la cosa minore di cui preoccuparsi al momento per lui. Mentre cercava disperatamente di respirare, la torcia si spostò dal suo viso, e il Cavaliere si rivolse indietro. 
 
-Com'è la situazione?
 
-È morto- replicò lo Scriba sopravvissuto, che ora si stava avvicinando. –Chi è? Un miliziano?- 
 
-Nah. Meglio. Guarda chi abbiamo trovato- disse l'altro, e il suo tono anche attraverso l'altoparlante era pieno di veleno. 
 
La torcia tornò a puntarsi su Danse. 
 
-Saul Johnfield Danse. Huh-. Lo Scriba gli rivolse un'espressione di scherno. Mentre Danse lottava per riprendere a respirare, gli sputò. –A Maxson farà piacere rimetterti le mani addosso, schifoso abominio. Non vedeva l'ora di appenderti, a momenti gli schiumava la bocca l'altro giorno...- 
 
Le parole lasciarono Danse in un soffio, ma al Cavaliere non sfuggì il suono, anche se non le intese. –Che hai detto, pezzo di merda?

-... Anziano- gracchiò Danse, alzando la testa quel tanto che bastava a guardare nelle lenti dell'elmo con odio. –È... Anziano Maxson... per voi.- 
 
Oltraggiato, il Cavaliere fece per alzare una gamba, intendendo probabilmente colpirlo con un calcio. Si bloccò quando una voce robotica si alzò dalle ombre, illuminandole di un rosso sinistro. 
 
-SIETE. ALL'INTERNO. DI. UNA. PROPRIETA'. PRIVATA. USO. DELLA. FORZA. NON. CONSENTITO. PROCEDO. ALL'ELIMINAZIONE. DELLA. MINACCIA.- 
 

I momenti successivi furono molto confusi per Danse. Uno schianto, e un bagliore, e poi per qualche secondo volò; atterrò pesantemente contro al muretto che delimitava il giardino, scivolando poi al suolo in uno sgraziato ammasso di membra. Con uno strano rumore bagnato, qualcosa atterrò vicino a lui, e a fatica raccolse le forze necessarie per voltare la testa e guardare: la testa decapitata dell'ultimo Scriba, morto con un'espressione di stolida sorpresa in viso, entrò a fuoco solo nel momento in cui un altro bagliore illuminò la corte. 
 
La vista annebbiata dal dolore, Danse faticava a capire cosa fosse successo. O forse la colpa era della concussione che s'era appena preso, sbattendo contro il muro? Gli pareva di vedere il Cavaliere arrabattarsi disperatamente con un'arma di grosso calibro, mentre qualcosa di rosso, enorme e minaccioso gli incombeva addosso, con un costante rumore di proiettili che rimbalzavano contro l'acciaio... poi il Cavaliere volò via. Non c'era altro modo per definire cosa fosse successo: il robot –un Sentry Bot, anche se Danse non riusciva a realizzarlo- lo colpì con un potente affondo di una delle sue braccia, spedendolo a sbattere contro la casa opposta e frantumando la sua piastra pettorale. Una scarica di mitragliatrice nel buco appena aperto finì lo stolto. 
 
La lotta di Danse per non perdere coscienza terminò nel momento in cui la luce rossa del Sentry Bot si spense, facendo cadere di nuovo la corte nell'oscurità. Svenne, sentendo solo il terreno tremare mentre il robot ritornava obbedientemente alla sua postazione di guardia. 
 
-MINACCIA. NEUTRALIZZATA. PROCEDO. ALL'INVIO. DEI. DATI. RICERCA. DI. UNA. CONNESSIONE. STABILE... COMUNICAZIONE. STABILITA. Saluti, @COMANDANTE. HANCOCK. Abbiamo ricevuto visite.- 

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Capitolo 2
*** Comandanti e capitani ***


 

Goodneighbor non era stata abbandonato, durante la guerra. Anzi, l'insediamento di Scollay Square era stato il primo che, con quasi sorprendente entusiasmo, si era apertamente schierato con i Minutemen subito dopo la dichiarazione di guerra, aprendo le ostilità con la Confraternita d'Acciaio con un certo sanguinario abbandono.

Tutt'ora, i vicoli dell'ex quartiere a luci rosse erano fittamente popolati, anche se non più solo da vagabondi e tossicodipendenti. I Minutemen ne avevano fatta una roccaforte ben protetta, rendendolo a tutti gli effetti la fortezza più importante della fazione all'interno dei confini di Boston. Ogni area era stata adibita ad accomodare al meglio la grande quantità di miliziani e artiglieria che la attraversavano continuamente, Third Rail e Hotel Rexford inclusi; e insieme ad essi anche numerose nuove strutture, erette di recente all'ombra dell'antica autostrada crollata. La State House era stata trasformata nel più grande ospedale da campo che la città avesse visto dai tempi del centro medico di Mass Bay, quasi duecentotrenta anni prima.

Non tutti gli abitanti della Goodneighbor che fu avevano preso bene il cambiamento, ma Hancock non aveva abbandonato i suoi cittadini meno inclini alla lotta. A chiunque non avesse voluto o potuto imbracciare le armi contro la Confraternita era stato offerto un posto a Diamond City, a suggello del nuovo corso preso dalla città sorta in Fenway Park dopo la fine infelice del sindaco McDonough. Certo, nemmeno quella soluzione aveva fatto piacere a tutti, ma se la scelta era tra quello, o il trovare una fine sanguinosa sotto le gatling della Confraternita, allora anche i più cocciuti avevano eventualmente accettato il compromesso.

In una fortezza in piena guerra aperta, un locale come il Memory Den non aveva molto posto. Non con la sua originaria occupazione, per lo meno. Irma e Amari erano state le prime ad allontanarsi volontariamente da Goodneighbor, le postazioni che usavano i vagabondi per intrattenersi spinte in un angolo o smantellate per recuperare pezzi di ricambio. Lo scantinato che una volta era stato abitato dalla dottoressa era ora occupato da un grosso tavolo ingombro di mappe e carteggi, l'aria resa pesante dall'umidità e dalla grande quantità di sigarette che venivano consumate al suo interno. Le pareti erano scarne, la maggior parte dell'attrezzatura originaria rimossa ad eccezione di vecchi e nuovi terminali tenuti lì dentro per proteggere i preziosi dati al loro interno. In un guizzo di spirito d'iniziativa, qualcuno aveva inchiodato una bandiera dei Minutemen al muro: ma né Hancock, né MacCready sapevano chi fosse il responsabile. Nessuno, però, aveva mai pensato di toglierla.

MacCready ora la fissava con un'intensità tale da, potenzialmente, darle fuoco con lo sguardo. Se lui fosse stato uno degli Inarrestabili, almeno.

-Sto solo dicendo, che viste le perdite forse sarebbe il caso di coinvolgere Preston, no? Era lui quello con la gente in contatto con l'isola, se hanno sentito qualcosa... lui o magari Deacon,- insisteva Piper dalla sua destra, china sul tavolo delle mappe, parlottando con quel tono che prendeva quando le veniva il chiodo fisso per qualcosa. In questo caso, la situazione con quel ca... volo di prigioniero.

Hancock finora non si era pronunciato sulla questione. L'altro Comandante se ne stava appoggiato alla parete opposta, a braccia conserte vicino la bandiera, in attesa che l'ennesima discussione scemasse in termini più civili. Ormai era diventata un'abitudine. D'altro canto, quando scendevano in quello scantinato, loro tre da un po' di tempo a questa parte non facevano altro che litigare. E MacCready si stava innervosendo, di nuovo. Perché era stufo, stufo marcio di dare tutta quell'attenzione a una situazione del cavolo che avrebbero potuto risolvere un paio di giorni prima piantando a quel tizio un proiettile tra gli occhi nel momento stesso in cui l'avevano trovato. Lui lo avrebbe fatto. Ma non era stata sua l'operazione, ci aveva pensato Hancock, e Hancock lo aveva riportato indietro e glielo aveva scaricato sulle spalle.

-Insomma, il tempismo è strano, no? Prima ci attaccano a Far Harbor, e poi ce li ritroviamo a casa Caboto...- proseguì la donna.

-Appunto!- la interruppe MacCready, frustrato. -Che domande ci sono da farsi su cosa ci facesse lì Danse? Il robot sentinella ha fatto il suo lavoro e li ha eliminati, e per quello che ne sappiamo lui poteva tranquillamente essere di pattuglia con loro. E ce lo siamo portato in casa!-

-Con una ferita da plasma e disarmato? Cos'è, lo avevano portato a fare una passeggiata e a uno di loro è partito un colpo per sbaglio mentre cercavano di accendere il barbecue? Ragiona, Robert, gli hanno sparato loro! Ci deve essere qualcosa sotto, me lo sento!- intervenne ancora Piper, agitandogli un dito di fronte al viso.

MacCready lo allontanò con un gesto un po' più secco del necessario e le scoccò un'occhiataccia da sotto il cappello. -L'unica cosa che c'è da sentirsi è che sei una dannata fissata, Wright! Non c'è bisogno di mettersi a fare dietrologie per qualsiasi cosa, erano a casa di Caboto per saccheggiarla e il robot li ha neutralizzati! Porca puuh... aletta, lo abbiamo riprogrammato apposta! Che bisogno c'è di farsi mille domande?!- Allargò le braccia con un gesto esasperato. -Dovevate piantargli un proiettile tra gli occhi appena trovato!-

-Mac-, lo richiamò Hancock a quel punto, rompendo il suo silenzio.

-Cosa?!-

-Piantala!- gli intimò il Ghoul. -Cristo, mi state facendo venire il mal di testa. Il fatto che Far Harbor sia andata non vuol dire che possiamo essere impulsivi. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, erano troppo isolati per raggiungerli in tempo. Scaricare una mitraglietta in faccia a Danse per vendetta non risolverà la questione.-

-Beh, no, ma di certo non mi darebbe fastidio- borbottò MacCready, voltandosi per accendere una sigaretta.

-Lo abbiamo notato- commentò Piper, sarcastica, a mezza voce.

MacCready la aveva sentita. -Non ho chiesto il tuo parere!- sbottò.

-E comunque!- intervenne di nuovo Hancock, alzando la voce per interrompere la lite sul nascere. -E comunque, uccidere Danse non riporterà qui Nate.-

MacCready tacque, limitandosi a esalare una boccata di fumo. Quello era stato un colpo basso, e Hancock lo sapeva. Per lo meno, Piper ebbe abbastanza considerazione da non commentare oltre.

Hancock si staccò dal muro e si avvicinò al tavolo. -Ora, fratelli. Se abbiamo finito di prenderci a schiaffi morali a vicenda, c'è altro di cui discutere. Danse dovrebbe essere l'ultima grana a cui pensare, al momento.- Diede un'occhiata dura ad entrambi, sfidandoli a commentare oltre, ma per il momento parevano essersi placati. -Bene. Torniamo a Far Harbor.-

-DiMa...?- chiese Piper, a bassa voce.

-Morto- rispose MacCready. Ritornò a sua volta al tavolo, spostando delle carte per prendere in mano la trascrizione di un rapporto, l'ultimo che aveva ricevuto. -I miei uomini hanno detto di aver trovato Acadia vuota. Nessun segno degli abitanti a parte DiMa, e non c'erano segni di collutazione. Probabilmente quando lo abbiamo raggiunto la Confraternita non l'aveva ancora nemmeno trovato.- Si interruppe per tirare un po' di fumo dalla sigaretta. -Tutti i sistemi erano morti e i dischi rigidi bruciati. Deve essersi ucciso. Devono aver saputo che stavano arrivando, e non sapendo che altro fare...-

Hancock sospirò, afflitto. -Non aveva altra scelta. Ha fatto bene.-

-Beh. Insomma. "Bene."- MacCready iniziava a sentire l'inizio di un esaurimento nervoso avvicinarsi. Spense con più veemenza del necessario la sigaretta in un posacenere traboccante, avendola finita ad una velocità allarmante. -Se per "bene" intendi che ora non abbiamo più nessuna speranza contro la Confraternita e che ci converrebbe piuttosto metterci tutti in fila per farci asfaltare dal loro robottone gigante in una passata sola, allora sì, ha fatto bene.-

-Non avrebbe potuto fare altro- replicò Piper. -Non c'era modo di proteggerli, e poi non lo avremmo mai raggiunto in tempo...-

-Eh, invece sì. Lo abbiamo trovato prima della Confraternita- ribattè MacCready, aspro.

-Sì, e poi la Confraternita ha massacrato i tuoi uomini- gli ricordò seccamente Hancock. -Trenta miliziani e cinque insediamenti di gente, in un attacco solo. Anche avendolo trovato prima, lo avremmo condotto da loro. Secondo te che ne avrebbero fatto di DiMa, poi? Aveva delle priorità!-

-E infatti le ha mandate tutte al diavolo!- sbottò infine MacCready, frustrato, tirando un calcio al tavolo. Alcuni fogli svolazzarono per terra, spinti dalla violenza del colpo; il posacenere traboccò, spargendo sporcizia sul resto delle carte. Non ebbe bisogno di vedere le espressioni degli altri per pentirsi immeditamente dello sfogo. Si tolse il cappello e si passò le mani sul viso. -... dannazione. Vado a prendere una boccata d'aria- disse, e uscì dallo scantinato, senza attendere risposte.

---

Seduto sul bordo del marciapiede, MacCready si accese un'altra sigaretta, guardando l'attività della piazza senza vederla veramente. Piper e Hancock non l'avevano raggiunto fuori. Il giovane soffocò un pensiero velenoso che lui sapeva non si meritassero, e cercò di calmarsi.

Far Harbor era stata la peggiore sconfitta che avessero subito in dieci anni di guerra. E tenendo conto dell'andazzo che aveva avuto lo scontro fino a quel momento, era tutto un dire.

Il Commonwealth era stato rimodellato a seguito del conflitto. Quello che era stato l'apparente inizio di un'economia fiorente fondata dai Minutemen era stato troncato sul nascere: delle decine di insediamenti che i miliziani avevano fondato, ne resistevano solo una manciata. Castle, Jamaica Plains, Covenant e Sanctuary, non contando Goodneighbor e la recentemente reclamata Quincy, troppo lontana per essere di qualche valido aiuto se non come checkpoint da cui indirizzare i volontari provenienti da sud.
Volontari, sì, perché era così che erano sopravvissuti i Minutemen alla guerra fino a quel momento: il continuo afflusso di miliziani che arrivavano, incredibilmente, davvero da ogni dove, era stata la loro linfa vitale. MacCready era rimasto di sasso, quando glielo avevano spiegato. Di fronte all'artiglieria pesante della Confraternita sarebbero dovuti cadere anni prima, la logica lo imponeva: ma lì dove cadeva un miliziano, due si univano per prendere il suo posto e combattere con altrettanto vigore l'avversario, che invece non godeva affatto di quell'afflusso continuo di truppe. Anzi, se possibile la Confraternita aveva visto la sua popolarità affondare ancora più in basso.

Tutto merito di Nate.

L'anello che MacCready portava all'anulare sinistro si faceva sempre pesante quando il pensiero andava in quella direzione. Sospirò, ma non se lo tolse (la sola idea di farlo era insopportabile), limitandosi semplicemente a rigirarselo attorno al dito.
Erano passati dieci anni, eppure la figura di Nate continuava ad ispirare persone provenienti da tutta America. Si parlava di lui persino nel Mojave: giusto due mesi fa erano arrivati dei volontari dicendo di venire da quelle parti, e pure Fahrenheit li aveva guardati come se avessero avuto tre teste ciascuno.

Ma senza andare così lontano, anche Far Harbor era stata una delle regioni a cadere preda dello charme di Nate. MacCready ricordava il giorno, anni fa ormai, in cui l'uomo lo aveva congedato a Diamond City ed era partito con Nick per aiutarlo in un caso. Erano stati via quasi tre mesi.

Eventualmente, l'Isola si era fatta incantare anch'essa, nonostante leapparenti resistenze dei suoi abitanti. Nate vi aveva fondato ben cinque insediamenti, includendo la città sul molo ed escludendo Acadia, che aveva sempre preferito autogestirsi. La politica dell'Isola non era mai stato un argomento sul quale Mac avesse indagato, ma sapeva che all'Unico Superstite andava benissimo così. E da terra selvaggia qual era stata, l'Isola si era trasformata in una comunità in crescita, in grado di tenere a bada la Nebbia e le sue creature senza troppi problemi. Tanto che, pur essendo alleati dei Minutemen, c'erano effettivamente ben pochi miliziani di stanza sulle sue coste, data la relativa indipendenza dei suoi abitanti.

La Confraternita non aveva impiegato molto tempo ad accorgersene, una volta fatte le dovute indagini sui vecchi contatti di Nate prima della guerra. E ora che lo scontro stava logorando entrambi gli schieramenti, la scarsità di risorse aveva reso Far Harbor una preda ghiotta.

A quel punto gli isolani avevano adottato l'unica tattica che avevano visto funzionare, la stessa che avevano messo in atto gli insediamenti più piccoli del Commonwealth: l'autodistruzione. Tutto ciò che non era stato ritenuto indispensabile era stato o trasferito alle roccaforti tutt'ora esistenti, o distrutto perché la Confraternita non potesse appropriarsene. Nel caso di Far Harbor, i condensatori di Nebbia erano stati spenti e gli insediamenti cosparsi di esche per le creature che la abitavano, trasformando le apparenti innocue abitazioni in trappole letali per i saccheggiatori.

Ma Far Harbor aveva sottovalutato la ferocia della Confraternita. Gli abitanti dell'Isola si erano riuniti nella città sul mare, fortificando le loro difese come meglio sapevano fare: ma nessuno li aveva preparati all'assalto dell'artiglieria aerea degli invasori. I Minutemen stazionati al faro di Kingsport non avevano potuto far altro che ascoltare alla radio il loro massacro, spegnere definitivamente le comunicazioni da e verso l'isola, e fuggire a sud.

Decine di persone erano morte in un solo giorno, la cui unica colpa era stata quella di essersi fidati di Nate e aver tentato di costruirsi una vita migliore con le proprie forze. Senza nemmeno contare, poi,il fato degli Acadiani. Nessuno sapeva che fine avessero fatto.

Mac buttò via la cicca della sigaretta ormai esaurita, esalando l'ultima boccata di fumo con un sospiro stanco.

-Hey, fratello.-

Hancock gli si affiancò nel momento in cui stava scuotendo il pacchetto per tirarne fuori un'altra, e si sedette sul marciapiede, apparentemente incurante delle pozzanghere di liquami in cui il suo cappotto poteva andare ad inzupparsi. Era anche vero che ormai quella roba era ridotta ad uno straccio, strapazzato dalle battaglie e dalle cinghie dell'armatura; il Ghoul però pareva deciso a non imitare MacCready, che si era liberato ormai da tempo del suo vecchio spolverino rattoppato, e indossava ancora quel rosso abito logoro ome per una questione d'orgoglio personale.

Il più giovane offrì al Ghoul il pacchetto e l'accendino, e Hancock accettò entrambi.

-Finito di parlare con Piper?- chiese Mac, parlando attorno alla sigaretta.

-Nah. La pupa ha un'altra questione, c'è da parlare delle ronde della guerriglia giù al Common. Alle lattine sta piacendo un sacco infilarsi lì in mezzo e la cosa le sta dando dei problemi- rispose il Ghoul. -Però c'è tempo.-

-Davvero, Hancock?- insistette MacCready, una nota forse un po' disperata nella voce.

-Davvero- lo bloccò l'altro, risoluto, prima che Mac potesse proseguire. -Dobbiamo credere che ce ne sia. Abbiamo ancora tempo. Deacon non ha mandato più niente su Liberty Prime, quindi devono essere ancora bloccati, come lo siamo noi. C'è ancora tempo.- Quando MacCready non replicò, proseguì. -E poi c'è altro che dovrei dirti.-

-Mh.-

Hancock parve esitare a quel punto. -Senti... riguardo a Danse...-

Mac a quel punto era abbastanza stanco da volergliela dar vinta a prescindere, pur di non dover più sentir parlare di quel tizio. -Ci penserò, John, va bene? Tanto finchè sta nei vecchi tunnel non può far del male a nessuno. Cercherò di capirci qualcosa, promesso.-

-Okay, bella, benissimo, lo apprezzo, però, c'è un'altra cosa- insistette il Ghoul. -Danse... vedi, io l'altro giorno son sceso nei tunnel e... no, dai, non fare quella faccia, era andata Daisy a cambiargli le bende e volevo essere sicuro che non succedessero cazzate, okay?- Alla menzione di Daisy Mac si placò, ma continuò comunque a guardare in cagnesco Hancock, irritato dall'iniziativa. Il Ghoul passò oltre. -Okay, allora sono sceso ed era sveglio, e quando Daisy se n'è andata abbiamo parlato un po'. Aveva voglia di chiacchierare, il tizio... heh, è curioso, perché quando Nate se l'è portato dietro una volta, qua da noi, non aveva aperto bocca nemmeno per respirare, sembrava proprio un...-

-Hancock, il punto.-

-Sì, sì, ci stavo arrivando. Senti... Danse mi ha detto che è dovuto scappare dalla Confraternita, perché ha scoperto che è un synth.-

Mac si levò la sigaretta dalle labbra con un gesto molto deliberato e si prese la testa tra le mani. Hancock rimase molto sorpreso quando, vedendo le sue spalle tremare, scoprì che stava ridendo. Un suono brutto, rancoroso, ma pur sempre una risata, che il giovane uomo non fu in grado di tenere per sé, dura come uno schiaffo.
 

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Capitolo 3
*** Ad ogni costo ***





Erano passati sette giorni dal suo arrivo a Goodneighbor, e Danse aveva ormai intuito che ci fosse qualcosa che non andava. Non che avesse avuto il permesso di aggirarsi nella roccaforte, chiaro: il suo spazio vitale era ancora limitato ad una cella costruita nelle viscere delle fogne sotto Scollay Square, in un vecchio tunnel usato ora come prigione. Un'uscita era stata evidentemente chiusa con un muro recente, e dall'altra arrivavano ogni giorno i suoi pasti e una ghoul dal tocco tutt'altro che delicato, ma per lo meno precisa nel prendersi cura delle sue ferite.

Era già qualcosa che non lo avessero ucciso sul posto, Danse doveva riconoscerlo a quella gente.

Se doveva essere onesto in realtà lo stavano trattando anche meglio del previsto. I pasti erano scarni ma nutrienti, razioni da soldato, fatte per tenere in forze qualcuno -anche se le sue porzioni erano studiatamente piccole. Al terzo giorno, la ghoul era tornata col suo solito vassoio, una borsa e un'espressione tesa, ma tutto quello che aveva fatto era stato medicargli la gamba e lasciargli due libri. Diavolo, Hancock stesso era sceso a fargli visita, bardato di tutto punto con il suo soprabito rosso e in piena armatura ma con un'espressione curiosa sul suo volto sfigurato.

Danse gli aveva parlato. Non aveva ragione, in fondo, di nascondere la verità: era per colpa dei fatti che aveva scoperto sul suo conto se era stato costretto a cercarli... e chiedere loro asilo.

Hancock aveva stretto quel poco che gli rimaneva delle labbra a quel punto, ma non aveva risposto apertamente. -Vedremo, amico- gli aveva risposto, e Danse aveva cercato di non leggere molto in quell'"amico". Quel ghoul aveva uno slang notoriamente discutibile per essere una figura d'autorità.

In profondità com'era, era impossibile per lui discernere naturalmente i giorni: il suo ciclo di sonno-veglia era già stato alterato dalle droghe che gli avevano somministrato per superare il peggio del dolore dovuto alla sua ferita, che grazie ad un liberale uso delle provviste dei Minutemen era per lo meno già in via di guarigione. A fine settimana, Danse poteva appoggiare senza troppi problemi il peso sulla gamba, e aveva preso ad effettuare piccoli, leggeri esercizi nella solitudine della sua cella, per rimettere in forze il muscolo appena ricostruito.

Dopo la prima ed ultima visita di Hancock, nessun altro membro dei Minutemen era sceso a fargli visita. Solo la donna ghoul, e via via che i giorni passavano i suoi modi erano sempre stati più bruschi, come se avesse fretta di tornare in superficie.

Danse non era mai stato... diciamo, emotivamente percettivo, ma era abbastanza sicuro che stesse succedendo qualcosa, di sopra. Sette giorni di attesa per anche solo una vaga notizia su quello che doveva essere il suo fato erano parecchi, anche a voler attuare una strategia di sfinimento. E perché tenerlo nutrito se quello era l'obiettivo? Perché tentare una cosa del genere, se aveva già dimostrato di essere collaborativo?

La risposta a quelle doman giunse all'alba dell'ottavo giorno. Danse stava leggendo da qualche ora ormai, dato che l'unica fonte di luce della cella non veniva mai spenta e non aveva idea di che ora fosse precisamente. La sua attenzione venne catturata da un distinto rumore di passi -decisamente più del solito, singolo paio di piedi, che percorrevano le scale che conducevano alla sua cella. Qualcuno stava trasportando anche una lanterna.

Appoggiò il libro sul pavimento e si alzò, in attesa un po' trepidante. Dubitava che chiunque stesse arrivando fosse lì solo di passaggio. In fondo, era l'unico occupante delle prigioni.

Dalle scale scesero la ghoul che lo aveva medicato in quel periodo, Hancock, e un uomo basso che Danse dopo qualche secondo riconobbe come il mercenario diventato Comandante, MacCready. Non era molto diverso dall'ultima volta che lo aveva visto -ormai dieci anni prima, quando ancora l'Istituto minacciava il Commonwealth: aveva qualche linea in più sul viso, una barba più piena, e aveva abbandonato lo spolverino giallo per una tenuta più sobria e ricoperta di una solida armatura tattica, ma era di certo lui.

L'odio, che gli si leggeva sul viso quando i loro sguardi si incrociarono, fu la conferma definitiva.

-La ferita si è quasi del tutto rimarginata- stava finendo di spiegare la donna. -Niente che un po' di attenzione quando si muove non possa tenere sotto controllo.- Si avvicinò alla cella, prese le chiavi dalle sue tasche e la aprì. Danse ne fu sorpreso. Dunque era prassi che la ghoul tenesse le chiavi delle celle anche in presenza delle autorità? Era sicuro che MacCready e Hancock fossero i Comandanti di quella regione. Non dovevano essere loro ad avere certe cose?

-Grazie, Daisy- disse Hancock. -Puoi tornare di sopra. Andiamo avanti noi, qui.-

-Sicuro. Cercate di non mandare in malora tutto il mio lavoro, per favore- replicò la donna, con lingua tagliente, lanciando un'occhiata molto espressiva a MacCready. Il giovane uomo roteò gli occhi al cielo con fare drammatico ma non replicò. -Mh. Come pensavo. Beh, buon lavoro- si congedò la donna, anche se non con tono scorbutico, e risalì le scale.

-Beh, eccoci qua, amico- iniziò Hancock, la voce tenuta bassa simile alle fusa di un gatto. - T'abbiamo fatto aspettare un po' più del previsto. I tuoi compagni di merende... uhm. Ex, compagni di merende- si corresse il ghoul, anche se con un sorriso nella voce. -Ci hanno tenuti un po' impegnati. A quanto pare si sono affezionati a qualcosa giù ai Commons...-

-Vault 114- snocciolò immediatamente Danse. Non fu l'istinto a suggerirgli di vuotare il sacco su quanto sapesse delle operazioni della Confraternita nell'area, ma pura e semplice tattica. Se davvero le forze dei Minutemen erano state impegnate lì in quei giorni, Danse probabilmente non avrebbe rivelato nulla che già non sapessero, rafforzando la propensione a credere anche ad altre sue parole. Se quello non fosse stato il caso... beh, ora avrebbero avuto un'ottima pista da seguire per andare a mettere i bastoni fra le ruote ai loro avversari, e sincerarsi della sua onestà di persona.

Ma forse aveva colto nel segno già con la prima opzione. Hancock aveva un'espressione di placida, quasi indifferente ma comunque stuzzicata curiosità; il volto di MacCready era invece una maschera illeggibile, probabilmente frutto di una scelta calcolata.

-Vault 114- ripetè Hancock, facendo cenno con una mano ossuta perché proseguisse.

Danse non si fece pregare. Certo, gli premeva sapere quale fossero le loro intenzioni riguardo l'integrità del suo collo, ma sapeva che ora non era nella posizione di poter fare domande. Doveva prima dar loro in cambio qualcosa di tangibile. -La Confraternita vuole sfruttare i sistemi di comunicazione mai entrati in servizio del Vault e il materiale elettrico non danneggiato presente nel cantiere. Sono a conoscenza dei rischi nell'approcciare il Vault dalla sua entrata più ovvia e avevano intenzione di stabilire un avamposto nei pressi di un accesso secondario, più in profondità nei Commons e facilmente difendibile- spiegò. Era un piano alla cui ideazione aveva partecipato attivamente, per cercare materiali per terminare la rimessa in sesto di Liberty Prime.

Il pensiero del robot colse solo in quel momento Danse. I Minutemen non potevano sapere che la Confraternita avesse messo le mani su di esso, e che stava raccogliendo materiali per rimetterlo in funzione. Oltre ai semplici pezzi di ricambio, Liberty Prime era anche privo della sua artiglieria, che Danse sapeva gli Scribi stessero cercando disperatamente da mesi, senza successo. Avrebbe dovuto informare i due Comandanti della cosa?

Non ebbe tempo di rifletterci ulteriormente. I due si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi MacCready portò una mano alla cintola ed estrasse da una sacca un paio di manette. L'indifferenza di poco prima era scomparsa, e c'era solo pura ostilità nel suo sguardo quando gli rivolse la parola. -Mani.-

-Cosa hai in mente di fare?- chiese Danse a quel punto, guardingo.

MacCready sghignazzò. -Non ti accoppo, lattina, non serve che ti sgommi nelle mutande. Ma se pensi che ti lasci le mani libere mentre ti porto fuori sei parecchio fuori strada. Mani, adesso- ripetè, perentorio.

Danse non aveva ragione per fidarsi di MacCready, soprattutto sapendo la gravità del conto in sospeso che aveva con la Confraternita. Però non sapeva nemmeno perché, in fondo, gli importasse così tanto del proprio fato. Non era forse un abominio? Non era forse meglio per tutti se lo avessero ucciso, liberando il mondo dal peso di un altro synth? Era l'ideologia che aveva sempre fervidamente sostenuto, eppure ora che la cosa lo toccava da vicino, Danse aveva una certa, pungente paura di morire. Forse gli era stata programmata nel cervello nel momento in cui l'Istituto lo aveva creato. Forse gli dispiaceva solo mandare in malora gli sforzi di Haylen per farlo uscire vivo dall'aeroporto.

Esitò, e incrociò lo sguardo di Hancock. Il ghoul aveva mantenuto fino ad ora un atteggiamento passivo ma, con un gesto minuto, gli fece cenno d'obbedire, senza farsi vedere da MacCready. 

Non avendo altra scelta, Danse allungò le mani e lasciò che l'uomo più giovane gli incatenasse i polsi dietro la schiena.

I tre lasciarono il tunnel, e per la prima volta in sette giorni Danse tornò alla luce del sole. Certo, imando quelli che parevano essere i preparativi per una marcia a poca distanza dall'ingresso dell'insediamento, ora decisamente più fortificato rispetto a dieci anni prima: alcuni alzarono lo sguardo dal loro equipaggiamento e iniziarono a fissare il gruppo, che MacCready stava dirigendo dalla parte opposta, verso il cuore della roccaforte. Alcuni erano curiosi; altri avevano un'espressione disgustata, se non apertamente ostile.

Danse abbassò lo sguardo a quel punto. Non indossava più la tuta d'ordinanza della Confraternita, danneggiata oltre ogni possibilità di rattoppo dal colpo che aveva preso alla gamba: eppure, pareva che ormai tutti sapessero chi fosse, e avessero ben chiaro da che parte stare.

Non era una sorpresa. Danse sapeva di essere noto come uno stratega d'eccellenza dei loro acerrimi nemici: il fatto che nessuno gli avesse nemmeno sputato, per il momento, era simbolo di una disciplina che sapeva a volte era venuta a mancare nei confronti dei loro prigionieri, quando venivano portati a bordo della Prydwen.

I tre si infilarono in una struttura la cui insegna, fatta di neon spenti, recitava Antro della Memoria. Danse sapeva per sentito dire di cosa si trattasse, ma una volta dentro vide che i locali erano spogli delle decorazioni che uno si aspetterebbe normalmente in un locale di piacere. I portoni d'accesso, da dentro, erano stati pesantemente rinforzati, e nel salone centrale era stato creato un dedalo di mensole colme di provviste in cui si stavano già aggirando quelli che dovevano essere i quartiermastri.

Le guardie di posta all'ingresso salutarono Hancock e MacCready con un rigoroso saluto militare, ma ignorarono Danse. Hancock fu l'unico a rispondere, mentre l'altro uomo riprese a dirigersi a passo veloce verso il fondo della stanza, costringendo gli altri due ad affrettarsi per seguirlo. Un'altra porta, sempre sorvegliata, conduceva a delle rampe di scale in discesa: percorrendole, giunsero ad uno scantinato sulla cui parete di fondo campeggiava la bandiera blu dei Minutemen.

La stanza era occupata da una donna, in armatura leggera ma con un fucile alla schiena e una pistola dall'aria pericolosa assicurata alla coscia, e da un uomo alto, privo di equipaggiamento a prima vista, che indossava abiti civili e un paio di occhiali da sole estremamente scuri. Era appollaiato su una scrivania spinta contro al muro e sorrideva sardonicamente alla donna, intenta a ridacchiare probabilmente per qualcosa che aveva detto.

-Lieto che qualcuno qua si diverta- disse seccamente MacCready, entrando.

La donna assunse un'espressione colpevole per una frazione di secondo, mentre l'altro continuò a sorridere, apparentemente immune al veleno del Comandante. -Hey, Creeds- disse con tono strascicato. -Come va la gamba?-

Un grugnito fu la sola risposta che quello si degnò di dare, mentre andava ad occupare l'unica sedia presente nella stanza. L'attenzione ormai si era completamente spostata su Danse. Entrambi gli sconosciuti ora lo guardavano: una con sospetto e una certa preoccupazione, l'altro con... il niente assoluto sul viso, reso ancora più impenetrabile dalle lenti riflettenti. Danse iniziò a sentirsi a disagio.

-Beh, eccola qua, la nostra damigella in pericolo- fece l'uomo, alzandosi dalla scrivania e avvicinandosi a Danse, che lo osservò guardingo, ma senza muoversi. MacCready aprì la bocca per parlare, ma l'uomo lo ignorò e gli parlò sopra, finendo per zittirlo. -Un salvataggio rocambolesco, mi hanno detto. Con un principe in armatura scintillante e mitragliatore pesante incorporato, poi, accidenti, amigo, perché a me queste cose non capitano mai?- Il tono dell'uomo, che s'era fatto progressivamente più ironico, tornò improvvisamente piatto. -Chi ti ha detto di essere un synth?-

MacCready a quel punto parlò, indignato. -Come diavolo lo sai?-

L'uomo distolse a quel punto l'attenzione da Danse e si girò verso l'altro. -Come diavolo pensavi che non lo sarei venuto a sapere?- replicò, con una nota incredula nella voce. Tornò quindi a dedicarsi all'altro uomo. -Su. Rispondimi, non farmi penare.-

Quell'esame metteva decisamente a disagio Danse. Se c'era una cosa a cui preferiva non pensare era quella, e ora quello sconosciuto gli stava chiedendo di metterla a nudo per le orecchie dei Comandanti di una fazione che aveva passato dieci anni a combattere. Era abbastanza sicuro che la sua reticenza fosse pienamente leggibile sul suo viso, ma nessuno degli astanti pareva avere intenzione di offrirgli una via d'uscita -Hancock incluso, che era andato ad appoggiarsi alla parete con la bandiera.

Deglutì prima di parlare, sentendosi le fauci secche. -Scriba Haylen, del plotone di ricognizione Gladius. Il mio plotone. Lei... era incaricata, insieme ad altri Scribi, di passare al setaccio le informazioni recuperate dalle banche dati di Cambridge. Il C.I.T. disponeva di copie di backup di informazioni apparentemente non essenziali in server esterni... tutte pesantemente criptate e lontano dalla portata di Predoni, o gente comune di passaggio, e soprattutto ben lontane dal sito dell'esplosione. Molti di questi dati erano semplici liste, provenienti da diversi reparti e di datazione più o meno recente, senza un apparente ordine logico di archiviazione. Per incappare nei dati relativi alla produzione e allo stoccaggio dei synth di terza generazione abbiamo impiegato due mesi di ricerche.-

Mentre parlava, non potè fare a meno di notare l'assoluta mancanza di espressività di quell'uomo. Ormai ce l'aveva letteralmente ad un palmo dal naso, e se si fosse concentrato avrebbe potuto perfino sentire l'odore del sapone che aveva usato l'ultima volta per lavarsi. Eppure, mentre almeno gli altri presenti avevano mostrato una minima reazione di sorpresa al sapere che esistevano ancora banche dati legate all'Istituto, questo individuo era rimasto del tutto impassibile. Come se gli avesse detto che l'acqua era bagnata. Era innaturale. Che fosse a sua volta un synth?

Danse si sforzò di proseguire, soffocando il suo disagio. -Hay... la Scriba, è incappata in una lista di datazione relativamente recente riguardo l'identità di alcuni synth con cui l'Istituto aveva perso le comunicazioni. Risale a pochi mesi prima la sua distruzione. Tra questi synth figurava un M7-97, prodotto sei mesi prima rispetto alla data di archiviazione, sostituito al Paladino Saul Johnfield Danse con l'esplicito compito di spiare e riportare costantemente informazioni video e audio sulle attività della Confraternita. Tuttavia, appunto, poco dopo la sua messa in campo l'Istituto aveva perso contatto con il synth... con me, e mi hanno riportato come scomparso sulla lista.-

La matematica non era troppo difficile, e in pochi secondi tutti i presenti ci arrivarono. Danse -quello vero- era stato rapito meno di una settimana dopo l'approdo della Prydwen nel Commonwealth. Chissà che fine aveva fatto. Su nessuno di quei dati, che lui sapesse, era stato scoperto il fato riservato alle persone rapite e sostituite dai synth: certo era che nessuno era stato mai ritrovato. Certo non poteva essere niente di allegro. Persone innocenti, strappate ai propri cari e ai propri doveri e sostituite con mostri, serpi piazzati in seno ad amici ignari. Il solo pensiero che qualcuno avesse potuto vedere e sentire tutto quello che lui aveva sentito e visto, anche se solo per un periodo di tempo limitato, era rivoltante. La sua esistenza era un affronto all'umanità.

-Io non... non ne avevo idea. Non ho mai potuto immaginare niente del genere. Mai da che io abbia memoria ho avuto anche solo il sospetto di poter essere un synth. Non ho ricordi di aver mai comunicato con l'Istituto, nemmeno nel periodo in cui secondo loro ero una spia attiva... non ne sono mai stato cosciente, ho sempre solo svolto il mio dovere per la Confraternita!- via via che parlava, le sue parole diventavano meno un rapporto e più qualcosa di simile ad un'implorazione. L'esame di quello sconosciuto era intollerabile, e nonostante il suo disagio, il suo volto dietro gli occhiali restava una maschera impenetrabile. Doveva capire che non li stava prendendo in giro, che mai Danse avrebbe pensato di poter essere uno di quegli abomini. Non aveva altro modo di dimostrarglielo che non fosse con le parole: un synth in fondo era indistinguibile da un essere umano... fino al momento in cui non gli scavavi in testa, per trovare le parti elettroniche.

L'estraneo lo fissò ancora per qualche momento quando infine cadde in silenzio, non sapendo più che altri pesci pigliare per giustificarsi: poi, improvvisamente, fece spallucce e fece per andarsene. -Eh. Okay, amigo, benvenuto in famiglia- disse, alzando una mano a mo' di saluto.

MacCready stava diventando sempre più livido. -Che diavolo vuol dire, benvenuto in famiglia?! Dove pensi di andare?!-

-Lo hai sentito, no, Creeds?- replicò pigramente l'estraneo. -Ha senso. E i miei turisti mi hanno confermato che c'è stato un bel bordello all'aeroporto mentre tu eri fuori a fare le tue... robe da Comandante. Una spia synth scappata alla sorveglianza con l'aiuto di una talpa, su cui hanno piazzato una taglia da far girare la testa. E la nostra spia, dicevano, aveva la faccia di Danse- spiegò.

Danse a quelle parole sentì una stilettata di paura per Haylen. Se avevano scoperto una talpa, allora la giovane Scriba forse non era riuscita a scamparla...?

Lo sconosciuto proseguì. -Combacia tutto. Lo avete trovato ferito nelle mani di una pattuglia che chiaramente non gli stava chiedendo un autografo, quindi alla Confraternita il vostro man of the hour sta prepotentemente sulle scatole. Ha senso.-

-Beh, e chi se ne frega!- replicò MacCready, messo però alle strette dalla sua logica. -Se anche fosse tutto vero, dovresti comunque prendertelo! È una responsabilità tua, no?-

-No- rispose semplicemente l'altro, serafico. -M7-97 ha chiesto asilo ai Minuteman.- Sorrise, e imboccò le scale, senza che nessuno a quel punto lo fermasse.

Calò il silenzio per qualche momento, nello scantinato. Danse non aveva afferrato tutte le sfumature della situazione, ma era abbastanza sicuro di aver capito che MacCready avesse cercato di scaricarlo sulle spalle di... chiunque fosse stato quel tizio, e che quel tizio lo avesse abilmente respinto. Il giovane si stava accendendo una sigaretta con fare febbrile, anche se sembrava sul punto di spaccarla in due con la sola forza con cui la stava mordendo.

-Beh- si intromise la donna, spostandosi i capelli scuri dal volto. -Almeno sappiamo che avevo ragione.-

Se uno sguardo avrebbe potuto incenerire, quello che MacCready le aveva scoccato in quel momento l'avrebbe fatto tre volte. Ma la donna non si fece intimidire. -Hey, è vero- insistette. -Danse non è una spia... o per lo meno, non più, e la Confraternita ce l'ha con lui.-

-Vuoi un premio?- ringhiò l'altro, acido.

-No. Voglio solo che tu accetti i fatti, e che si trovi il modo di chiudere questa storia, una volta per tutte- replicò lei. Si rivolse finalmente a Danse a quel punto, e solo allora parve notare che fosse ancora ammanettato. -Robert! Le chiavi!-

MacCready le scoccò un'occhiataccia, di nuovo, ma scavò nelle tasche posteriori dei suoi pantaloni e le lanciò l'oggetto in questione, che lei afferrò senza difficoltà. Lo aggirò per sganciarle, e intanto parlò ancora, rivolgendosi a lui con tono più amichevole: -Non credo ci siamo mai incontrati personalmente. Io sono Piper Wright. Scrivo per il Publick Occurences, il quotidiano di Diamond City.-

-E sei anche una sovversiva, a capo di un gruppo di guerriglieri affiliato ai Minutemen- recitò Danse, riconoscendola. -Hai dato parecchi grattacapi alla Confraternita, miss Wright.-

MacCready sbuffò alla cortesia di Danse, ma Piper lo ignorò.

-Che posso dire? Non mi piace stare con le mani in mano, e le notizie ultimamente arrivano solo dal fronte. Una donna deve andarselo a cercare, il lavoro, non aspettare che venga da lei- replicò lei, mormorando un ah-ha! quando il lucchetto cedette. -Ora che sei al sicuro, potrei chiederti di concedermi un'intervista. Ne potrei tirare fuori una bella storia.-

-Non starà qui- si intromise MacCready.

-Credevo fossimo d'accordo sul fatto che abbia chiesto asilo- fece Hancock a quel punto, parlando per la prima volta.

-Beh, lo abbiamo rimesso a posto, no? Possiamo dargli un fucile e qualche provvista, e poi credo sia ampiamente in grado di cavarsela da solo. Non è certo un bambinetto- rispose l'altro, guardando Danse come se lo stesse sfidando a dire il contrario.

-Non è così che funziona l'asilo, Robert- disse Piper con fare stanco. -E poi, Goodneighbor ha offerto protezione a un sacco di synth, in questi anni. Perché per lui dovrebbe essere diverso?-

MacCready non rispose a quel punto, ma era evidente che la situazione non fosse risolta. C'era disaccordo tra i Comandanti, e Danse aveva partecipato ad abbastanza summit militari a sua volta da sapere che, se la cosa fosse degenerata, si rischiava di arrivare a soluzioni sgradevoli. Ad esempio, che anche il minimo supporto gli fosse revocato, giusto per fare in modo che nessuno avesse quello che voleva se non ci si riusciva a mettere d'accordo.

E poi, c'era da dire che fosse stufo di sentir parlare di sé come se non ci fosse.

-Sono disposto a fare qualsiasi cosa- disse, facendo un passo avanti e attirando l'attenzione di nuovo su di sé, -Qualsiasi, per dimostrare la mia buona volontà. Mi guadagnerò la protezione dei Minutemen, se necessario. Posso combattere. Essere un synth non ha peggiorato la mia mira, né la mia capacità strategica. Posso offrire informazioni su qualsiasi operazione fossi stato reso partecipe prima del mio... allontanamento. Conosco le tattiche della Confraternita come nessun altro. Posso aiutare- insistette, con veemenza.

Hancock pareva sorpreso dal suo intervento. Lo guardò con gli occhi neri strabuzzati. -Amico, non che mi dispiaccia, seriamente, okay? Apprezzo lo sforzo... e posso immaginare la situazione, però... amico, fino a una settimana fa tu eri su quel dirigibile a cercare il modo migliore per ucciderci tutti. Non è che non mi fidi... ma perché diavolo vorresti così tanto aiutare?-

Danse esitò a quel punto. Aveva gli occhi di tutta la stanza puntati addosso, MacCready incluso, che per una volta pareva essere genuinamente curioso.

-I Minutemen... l'intera ragione per cui è scoppiata questa guerra, è perché la Confraternita crede abbiate tradito l'umanità per aiutare i synth. Avete ammesso proprio adesso di offrire loro asilo. I vostri ranghi sono il luogo virtualmente più sicuro per un individuo di quella... della mia razza- iniziò. -Haylen ha messo in gioco tutto, la sua carriera, la sua stessa vita, per salvare la mia. Per il suo sacrificio, è mio dovere quanto meno onorare i suoi sforzi esaudendo la sua richiesta e mantenendomi in vita. E voi stessi mi avete salvato e avete usato preziose risorse su di me, per guarire le mie ferite. È una questione di onore. La Confraternita mi avrà anche ripudiato, e tutti i miei ricordi saranno anche menzogne, ma sono ancora un Paladino, e il mio onore mi impone di ripagare il vostro aiuto e offrirvi la vita, se necessario-, concluse con tono convinto.

-Faresti qualsiasi cosa, hai detto- intervenne MacCready a quel punto, la voce diventata all'improvviso placida. L'attenzione si spostò immediatamente su di lui. Il suo cambio di atteggiamento pareva aver incuriosito gli altri due ufficiali... e anche Danse.

-L'onore me lo impone-, rispose.

MacCready a quel punto esalò l'ultima boccata di fumo della sigaretta e la lanciò a terra, con un gesto incurante. Si appoggiò allo schienale della sedia e unì le dita delle mani l'una all'altra. Solo a quel punto tornò a fissarlo negli occhi.

-Tu sai bene quanto me come sta andando la guerra- iniziò. -Ci stiamo avvicinando ad un abisso, e in fretta. Confraternita e Minutemen. Uno di noi non sopravviverà al prossimo anno. E noi abbiamo solo un modo di essere quelli che ci arriveranno in piedi- alzò un dito, continuando a fissare dritto Danse negli occhi. -Trovare Nick Valentine.-

Hancock si staccò dal muro a quel punto. -RJ, fratello...-

-Lasciami finire, John. Hai detto che farai qualsiasi cosa per i Minutemen, giusto? Trova Nick Valentine. Convincilo ad unirsi alla causa, e riportalo qua-, disse MacCready.

-... tutto qui?- chiese Danse, incerto. Non sembrava un compito così assurdo, non abbastanza da giustificare le espressioni di Piper e Hancock. Tutti conoscevano Valentine: era il detective synth di Diamond City. Se anche si fosse nascosto in quegli anni, un individuo come lui era abbastanza peculiare da saltar fuori in qualche modo, prima o poi.

-Tutto qui- confermò MacCready. -Trovalo, e noi vinciamo la guerra. Semplice.-

-No che non è semplice, Robert, e lo sai benissimo!- intervenne Piper, fumante di rabbia per qualche ragione. -Cosa stai cercando di fare?!-

MacCready la guardò con espressione placida. -Vi do retta. Gli do una chance- fu la sua risposta, detta con tono irritantemente ragionevole e facendo un cenno a Danse con la mano. -Sappiamo benissimo tutti e tre che è l'unico modo. Senza Valentine, siamo praticamente belli che morti. Tutti. Dunque, se Danse ci tiene così tanto ad aiutarci... beh, può farlo solo così.-

-Robert Joseph MacCready, questa cosa è ridicola e lo sai meglio di me!- inveì Piper.

-Lo farò- si intromise Danse a quel punto, con tono secco, deciso a porre termine alla discussione prima che potesse degenerare. La donna si zittì e lo guardò con occhi sgranati. -Lo farò. Troverò Valentine e lo porterò qui. Va bene.-

-Danse...-

-Va bene, miss Wright. Ho detto che avrei aiutato, e se questo è quello che è necessario fare, allora porterò a termine il mio compito. Lo giuro sulla mia vita.- Tornò a rivolgersi al giovane uomo a quel punto, mentre Hancock sospirava con fare stanco. -Ho bisogno di un briefing. Cosa potete dirmi sul mio obiettivo?-

MacCready fece un gesto conciliante col capo, come se avesse riconosciuto a se stesso la necessità di rispondere a quella domanda. -Valentine è fuggito per non farsi catturare dalla Confraternita.-

-Quanto tempo fa?- chiese Danse.

-Dieci anni.-

-Idee su dove possa aver trovato rifugio?-

-È andato verso Nord- fu la placida risposta.

Danse attese che MacCready elaborasse, ma quello tacque e rimasero a guardarsi per un momento, con sua crescente confusione.

-Nord...?-

-Nord- confermò semplicemente il più giovane, facendo spallucce. -È tutto quello che sappiamo.-

Ah. Danse iniziava a capire lo sdegno di Piper.

Tuttavia, un giuramento era un giuramento, e di nuovo, Danse era ragionevolmente sicuro di poter almeno scoprire una traccia del detective. Non era un elemento che passava inosservato. -Molto bene. Chiedo solo di poter effettuare dei preparativi, e di poter usufruire delle vostre risorse per un'ultima volta prima di partire- disse.

-Accordato. Prendi quello che ti pare. Chiedi di Daisy, è lei che si occupa di queste cose-, rispose MacCready.

-Vai al diavolo, Robert. Seguimi, Danse- si intromise Piper a quel punto. -Vengo con te.-

-Kent dovrebbe potergli indicare Daisy da solo, Pipes- fece Hancock a quel punto. -Dobbiamo ancora parlare di...-

-No, non hai capito. Vado con lui, a cercare Nick- disse Piper.

I tre uomini parlarono contemporaneamente a quel punto.

-Miss Wright...-

-Oh, no, Pipes...-

-Ma che cah... volo, Piper?!-

-Zitti!- li redarguì la donna, e le tre bocche si chiusero all'istante. Si avvicinò a MacCready con fare minaccioso e gli puntò un ditto in faccia. -E tu, signore. Non pensare che io non sappia cosa tu stia facendo. Beh, non te lo lascerò fare. Andrò con lui, e troveremo Nick- sibilò. -E ti pentirai di questa discussione. È una promessa, MacCready.-

L'uomo non replicò, ma dalla sua espressione pareva esser stato efficacemente redarguito. Hancock si mise tra i due a quel punto, tentando di porre pace tra i litiganti. -Pipes... ragiona, abbiamo bisogno di te. Diamond City ha bisogno di te- disse con tono conciliante, cercando di farla ragionare. -Chi assisterà i tuoi guerriglieri? E la gente della città, che non si mette d'accordo mai, nemmeno con un fucile puntato alle tempie? C'è bisogno di te qui, sei l'unica che può far funzionare questa cosa. Diamond City è la tua città.-

Piper, non impressionata, estrasse un aggeggio dalla tasca -un registratore, riconobbe Danse, rimasto troppo sorpreso dalla questione per poter commentare oltre e limitandosi a fissare la scena in silenzio. La donna premette un pulsante sul dispositivo e lo avvicinò alla bocca, per parlare al microfono.

-Con la qui presente registrazione, affido la città di Diamond City alla totale gestione dei Minutemen. D'ora in avanti tutti i guerriglieri della sezione Nord, Est e Sud prenderanno ordini direttamente da John Hancock o Robert MacCready, e la città seguirà le loro direttive in caso di evacuazione o attacco nemico. Qui Piper Wright. Chiudo il messaggio.-

Ripremette il pulsante e mise in mano a un interdetto Hancock il registratore. -Fatto, ora le grane sono tutte vostre. Se non c'è altro andiamocene, Danse. Questo posto puzza di stupidi- borbottò, prendendo il sorpreso synth per un braccio e tirandolo fuori.

L'ultima cosa che vide Danse prima di essere trascinato fuori dalla stanza fu lo sguardo colpevole di MacCready, fisso a terra.

 
 

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Capitolo 4
*** Sanctuary ***





Danse e Piper lasciarono Goodneighbor il giorno successivo. Una volta esaurito l'iniziale nervosismo, la donna aveva chiesto di poter organizzarsi a tutti gli effetti via radio con i suoi uomini, senza scaricare su di loro l'improvviso cambiamento senza nemmeno una parola di commiato.

L'uomo sfruttò quella giornata per equipaggiarsi al meglio delle sue possibilità senza scroccare una quantità eccessiva di risorse dai Minutemen. La donna ghoul lo assistette nel trovare abiti e pezzi di armatura adatti ad un viaggio lungo e della sua misura. Già solo quella, per Danse, fu un'esperienza un po' drammatica. La donna aveva modi bruschi, anche se non scorbutici: più che altro, tipici di quel genere di persona a cui non piace perdere tempo in sciocchezze. Passarono diverso tempo in quello che pareva un negozio riadattato in un laboratorio, con le mani scheletriche della ghoul un po' dappertutto mentre la donna prendeva le misure necessarie a ritoccare l'equipaggiamento perché gli stesse addosso comodamente.

Danse visse quei momenti con profondo disagio, per usare un eufemismo. Non importava che la ghoul gli avesse messo, in teoria, già le mani addosso: era stata lei in fondo che si era occupata della sua ferita nei giorni precedenti. Ma Danse era stato prima troppo fatto di antidolorifici per accorgersene, e poi più preoccupato per la sua effettiva guarigione e fato per preoccuparsene eccessivamente. Quella sua stessa noncuranza lo colse di sorpresa, ma in fondo forse poteva giustificarla con lo stato mentale già alterato in cui si trovava. Metabolizzare il fatto che la propria esistenza non fosse altro che una menzogna, costruita ad arte da degli psicopatici megalomani in un laboratorio sotterraneo morti da tempo, era quel genere di notizia che non si riceveva a cuor leggero.

In ogni caso, quel genere di contatto era diverso, e una parte meschina di Danse era sicura a quel punto che avessero chiesto alla donna di occuparsene per puro scherno. Daisy stessa aveva commentato, la voce gracchiante alterata dagli aghi che teneva tra le labbra mentre lavorava, che era un po' che nessuno le portava più pezzi da sistemare, e che temeva di averci perso la mano.

Poteva quasi immaginare il ghigno divertito di Hancock a quel punto.

Eppure il ghoul era stato l'unico dei due ufficiali dei Minutemen a non dimostrare nei suoi confronti dell'ostilità, palese o meno che fosse. Forse il suo modo di fargli arrivare la sua disapprovazione era più subdolo, ma Danse doveva ammettere di non conoscere così bene il ghoul da poterlo capire da solo. Forse, ragionò, era una sorta di test. Senza dover inoltrarsi nella reciproca conoscenza, era abbastanza semplice indovinare quali fossero le sue opinioni sui ghoul. Era anche vero però, e si trattava di una cosa che provocava a Danse un profondo disagio, che se voleva che accettassero la sua richiesta di asilo senza rischiare di ritrovarsi sbattuto fuori o, peggio, con un proiettile in testa, allora era necessario da parte sua trovare un compromesso ed adattarsi. I ranghi dei Minutemen erano colmi di ghoul, e qualcuno rumoreggiava di aver visto perfino un supermutante; se l'accusa che la Confraternita aveva mosso era veritiera (e non c'era dubbio che lo fosse), di certo avevano anche molti synth mimetizzati tra le loro fila.

Migliaia di non-umani, con la cui esistenza Danse avrebbe dovuto cercare quantomeno di scendere a patti.

Sarebbe stata una strada complessa, specialmente visto quanto disgusto gli stesse provocando il solo avere una ghoul intenta a fornirgli l'equipaggiamento necessario a tenerlo in vita. Trovare quel minimo di gratitudine sufficiente a fargli sputare un "grazie" a lavoro finito fu una grossa fatica.

Poi Daisy lo condusse alla porta accanto per farsi dare delle armi, e Danse dovette combattere contro l'istinto crescente di prendere a testate qualcosa.

Un Assaultron che si credeva una persona gli consegnò il suo fucile (cosa che per certi versi lo sorprese: non credeva che si sarebbero degnati di recuperare il suo equipaggiamento dal luogo dove era caduto), ripulito e rimesso a posto lì dove il calcio del Cavaliere aveva spezzato l'impugnatura, una pistola di medio calibro e un coltello dall'aria pericolosa, assieme a bandoliere cariche di munizioni. Con una voce più simile alle fusa di un gatto che a un processore, il robot salutò prima amichevolmente Daisy e poi gli diede l'addio, augurandosi caldamente di rivederlo in futuro, magari quando nella transazione sarebbero stati coinvolti anche una gran quantità di tappi. Tuttavia, interesse economico o meno, Danse non riuscì a scollarsi di dosso la spiacevole impressione che qualsiasi cosa avesse al posto degli occhi avesse seguito le forme del suo posteriore per tutto il tempo necessario a girare l'angolo.

Solo Hancock venne a salutarli all'ingresso la mattina successiva. Piper indossava ancora l'armatura che le aveva visto addosso nello scantinato durante la riunione, ma sopra ad essa aveva aggiunto un soprabito e un cappello. Danse non dubitava che nello zaino avesse anche guanti e una sciarpa. Ne aveva anche lui: tra poche settimane l'inverno avrebbe investito nuovamente il Commonwealth, e il trovarsi impreparati sarebbe stato sconsigliabile.

Il ghoul abbracciò la donna, dicendo nel frattempo che MacCready era stato richiamato ed era partito nella notte, spiegando così la sua assenza. Danse aveva sentito il rumore delle truppe allontanarsi e non fece troppa fatica a credergli. In una zona calda come i quartieri centrali di Boston, era certo che le attenzioni dei Minutemen fossero costantemente richiamate da un luogo all'altro. Finchè era stato dall'altra parte della barricata, era valsa per lui stessa cosa.

-State attenti, là fuori- disse Hancock. –L'entroterra è meno bersagliato dalle incursioni della Confraternita, ma Maxson ha annunciato la taglia sulla tua testa alla radio. Chi lo sa chi potrebbe aver sentito- spiegò, lanciando un'occhiata eloquente a Danse.

Si misero quindi in viaggio, lasciandosi alle spalle Goodneighbor e dirigendosi verso i resti del ponte di Longfellow. Non vollero tentare la fortuna nell'avvicinarsi al ponte di Charlestown, da cui Danse aveva attraversato il fiume quasi dieci giorni prima: ancora non sapevano perché la pattuglia della Confraternita fosse in quel quartiere, e non volevano correre il rischio di incontrare qualcun altro.

Il ponte di Longfellow era generalmente inutilizzato, sia dai viaggiatori regolari che dagli approvvigionatori, per la semplice ragione che era in parte crollato. Tuttavia, i resti incastrati delle vecchie auto dell'Anteguerra fornivano, a chi aveva abbastanza atleticità da voler tentare il salto, una serie di piattaforme vicine abbastanza da poter arrivare all'altra riva senza dover immergersi nelle acque irradiate. Non aiutava inoltre che conducesse ad un quartiere malsano, popolato in genere da Predoni e altri individui sgradevoli di quella risma.

Tuttavia, almeno per quella volta, pareva che la fortuna avesse loro sorriso. Un accampamento di Predoni giaceva distrutto, le sue rovine popolate da un reggimento di Minutemen che aveva appena liberato l'area. Il loro capitano, un uomo alto con i capelli biondi e degli occhiali da sole, consigliò loro di dirigersi verso Medford e raggiungere Lexington da quella direzione: a quanto pareva, i Minutemen avevano appena eseguito un pattugliamento dell'area e stanato buona parte degli indesiderabili che si erano annidati nelle vecchie rovine della città, liberando la strada per gli approvvigionatori delle fortezze. Si separarono con un saluto stranamente caloroso, e Piper lo ringraziò con trasporto per le indicazioni anche se, una volta rimessisi in cammino, confessò a Danse di non ricordarsi minimamente di dove avesse mai visto quell'ufficiale.

Il suo consiglio era però fondato, e il viaggio attraverso la periferia di Boston fu relativamente tranquillo. Non incapparono né in Predoni, né in spazzini, né tantomeno in branchi di ferali sbandati: solo un gruppetto di randagi rabbiosi, di cui il fucile di Danse non lasciò altro che mucchietti di ceneri fumanti.

Al tramonto del terzo giorno di viaggio, attraversarono il ponte che conduceva a Sanctuary.

Danse non c'era mai stato personalmente, ma aveva sentito parlare dell'insediamento. Come si addiceva al suo nome, in quelle rovine dieci anni prima un gruppo di civili sfuggito al massacro di Quincy aveva trovato rifugio, e da lì erano partiti i Minutemen che avevano rifondato l'esercito. Ormai tutti nel Commonwealth conoscevano quella storia.

Alla fine, era la storia dell'Unico Superstite.

Danse soffocò immediatamente i sensi di colpa al pensiero di Nate. L'uomo aveva scelto liberamente cosa fare della sua vita, ed era stato a conoscenza delle conseguenze che avrebbe potuto portargli tale decisione. Non avrebbe potuto fare nulla, in buona coscienza, per cambiare il corso delle cose.

L'insediamento era visivamente impressionante. Alte barricate, sormontate da filo spinato e passerelle per permettere alle sentinelle di fare la ronda, erano state erette tutt'attorno all'area centrale della vecchia cittadina. L'unico ingresso era pesantemente sorvegliato da torri di guardia e mitragliette automatiche: un'unica torre, più alta delle altre, ospitava una postazione per cecchini ben protetta.

Dall'interno, nonostante il sole stesse tramontando, si sentiva vivace il rumore della vita.

I cecchini dovevano averli individuati fin dal momento in cui avevano superato un vecchio distributore abbandonato, prima ancora d'attraversare il ponte. Quello doveva aver dato abbastanza tempo a un piccolo comitato d'accoglienza per radunarsi: all'ingresso, infatti, trovarono diversi soldati e il Comandante Garvey ad attenderli.

Erano armati, anche se il loro atteggiamento non era minaccioso. Dovevano aver ricevuto comunicazione del loro arrivo da sud, perché la vista di Piper non sorprese per nulla l'ufficiale, che la salutò con affetto.

-Miss Wright- disse, rispettosamente, levandosi il cappello. Poi si rivolse a lui. –E tu sei...-

-Danse- rispose, mantenendo un tono attentamente neutrale. –Solo Danse.-

-Bene, allora. Danse.- Preston lo guardò con vago sospetto per un'ultima volta, prima di tornare a rivolgersi a Piper. –Abbiamo sentito da Hancock della vostra missione. MacCready c'è andato giù pesante, mh?-

Piper sbuffò. –Ugh, non me lo dire. Ma se pensa di averla vinta con le sue cavolate, ha beccato la persona sbagliata. Pesante o no, è ora che qualcuno vada a bussare da Nicky.-

-Questo è vero- concordò l'altro con tono solenne. Danse aveva già incontrato Garvey: prima dello scoppio delle ostilità, l'uomo aveva sempre affiancato il Generale durante gli incontri dei Minutemen con la Confraternita. Gli anni avevano iniziato ad imbiancargli i capelli, e le rughe sul suo volto erano marcate, ma aveva mantenuto la stessa aura rassicurante che Danse aveva notato lo circondava già dieci anni prima.

Garvey li accompagnò all'interno, disperdendo i miliziani che lo avevano affiancato. Sanctuary era più simile ad un insediamento che a una fortezza: i coloni avevano occupato in tutto una decina di villini prebellici, rattoppando i buchi dove le antiche strutture prefabbricate avevano ceduto, creando strutture solide ma dall'aspetto decisamente peculiare. Era facile intuire che ogni casa avesse un ruolo specifico, piuttosto che un proprietario, e che la maggior parte delle attività della città si svolgessero in comune. Poche altre strutture, di aspetto più recente, sorgevano dove evidentemente le case dell'Anteguerra erano state danneggiate oltre ogni possibilità di riparazione. I miliziani tendevano ad affollarsi più attorno a quelle: era dunque plausibile, pensò Danse, che quelle fossero caserme costruite per alloggiare i militari nel corso della guerra.

Fuori da ogni casa, con orgoglio, batteva la bandiera dei Minutemen. Appesa alle pareti o sventolante attaccata ad un palo, non importava: l'insegna era ovunque Danse posasse lo sguardo, persino più in vista di quanto lo fosse stata nella roccaforte di Goodneighbor. Quel simbolo, e la musica di cui non capiva l'origine ma si sentiva distintamente in tutto l'insediamento, erano una costante.

Garvey li guidò verso uno dei villini di fondo, disposti a cerchio attorno ad un antico albero secco. A quel punto, Danse notò i coloni. Se Goodneighbor era stata popolata principalmente da miliziani o combattenti volontari, Sanctuary pareva essere invece piena di civili. Era impossibile scambiarli per combattenti: molti non erano nemmeno armati, altri erano anziani, o disabili.

Danse si chiese se non avessero paura, a vivere lì. Era una nota roccaforte dei Minutemen in fondo, e sapeva che in passato era stata soggetta a raid aerei. Pur essendo molto isolata rispetto a Boston e a Castle, era un simbolo della fazione e la logica suggeriva che la Confraternita, prima o poi, potendo avrebbe cercato di abbatterla.

La sua perplessità dovette essere leggibile sul suo volto, perché Garvey parlò a quel punto, apparentemente non interpellato. –Sanctuary è diventato un simbolo per troppe persone perché venga abbandonata- disse, aprendo la porta della casa. –Guerra o meno, questi coloni sono disposti a fare qualsiasi cosa per proteggere la loro casa. I miliziani non sono l'unica cosa da cui la Confraternita deve guardarsi, se vuole portare lo scontro così a nord.-

-Sì, questi sono dei duri- concordò Piper. –Ci sono dei sopravvissuti di Quincy, anche. Hey, nonnina!- fece poi, rivolgendosi a qualcuno all'interno.

Entrando, Danse vide che le pareti erano state abbattute: c'era un unico locale, allargato nella parte posteriore da una struttura più recente in cui era stata incastrata una cucina anche abbastanza grande. Il resto dello stanzone era occupato da quattro, lunghi tavoli con delle panche al posto delle sedie, già in gran parte occupati.

-Questa è una delle mense- spiegò Preston. –Abbiamo altri due saloni, ma questa è la prima che abbiamo costruito, dieci anni fa.-

-Preston, caro, vieni a sederti con noi. E miss Piper, che sorpresa! Credevo fossi impegnata a far mangiare più piombo possibile a quei dannati fascisti- disse una voce dal tavolo più in fondo. Seduta su una poltrona c'era un'anziana signora, gli occhi talmente chiari che Danse avrebbe potuto pensare che fosse cieca: riconobbe che era la persona a cui Piper si era rivolta entrando, e ora la giornalista le si era avvicinata e si era accovacciata di fianco la sua poltrona.

-Ciao, Mama Murphy- stava dicendo. –Ci stai andando piano col jet, vero?-

L'anziana rise, la voce arrochita dall'età. –Oh, stai tranquilla. Sembra che mi abbiano ripescato dalla tomba da quell'ultima volta... non mi ci fanno più neanche pensare, al jet- rispose.

Una tossicodipendente? Danse si sorprese che fosse arrivata fino a quell'età, ma non commentò. 

Gli occhi lattacei della donna si fissarono su di lui, a quel punto. –E le sorprese non sono finite-mormorò. –Mi chiedevo quando ci avresti raggiunto.-

-... pardon?- fece Danse. Era sicuro di non aver mai visto quella vecchia nella sua vita.

-Sapevo che saresti arrivato qui, prima o poi. Nemmeno la Confraternita avrebbe potuto tenerti tra le sue grinfie a lungo- continuò. –Sei troppo importante. Vero, poco più che una pedina... ma la più importante di tutte.-

Beh, ora sì che aveva la pelle d'oca. Ma si sforzò di ignorare la sensazione, per quanto sgradevole, e fissò la donna con uno sguardo duro. –Non ho idea di chi lei sia. Non ci siamo mai visti. Di che sta parlando?- chiese, seccamente.

Piper si intromise. –Mama, ma non avevi detto di aver smesso col jet?-

Mama Murphy ridacchiò ancora, tornando a rivolgersi alla donna a quel punto. –Oh, non mi ci vuole il jet per vedere certe cose. Dimmi, come sta Nat?-

Hm. Una spostata, senza ombra di dubbio. Danse risolse di ignorarla, e appoggiò zaino ed equipaggiamento dove Garvey gli stava indicando. L'uomo aveva un'espressione un po' imbarazzata. –Perdona Mama Murphy. Non ha cattive intenzioni.-

-Non ho paura di una signora anziana- replicò Danse.

Garvey ridacchiò. –Non era quello che stavo insinuando. Però so che a volte, per chi non la conosce, averci a che fare può essere... un'esperienza.-

Danse dovette concedere a Garvey di avere ragione, a quel punto.

In pochi minuti la sala si era riempita di gente, ma Danse e Garvey trovarono comunque posto –al tavolo dell'anziana, che faceva da capotavola sulla sua poltrona imbottita. Piper non s'era nemmeno liberata del suo zaino, troppo presa com'era dalla conversazione con la donna. Quando alcuni coloni iniziarono a distribuire il cibo, faticò perfino a staccarsi dal dialogo quel tanto che bastava per ringraziare.

Era una cena povera ma nutriente: una zuppa di verdure con (pochi) pezzi di carne, pane, e un contorno di patate schiacciate con latte di bramino. Il frastuono della conversazione generale calò appena mentre la gente iniziava a mangiare. Ogni persona aveva la propria ciotola e le proprie posate –tutto di legno, ma dalla cucina ne portarono anche per Piper e Danse.

Questi trascorse la cena fondamentalmente in silenzio, lasciando che la conversazione gli scorresse intorno e rispondendo per monosillabi, solo quando era interpellato. Era, a tutti gli effetti, nel cuore pulsante di quelli che erano stati i suoi nemici: se Castle era il centro nevralgico delle loro forze militari, Sanctuary era il simbolo dei loro ideali. Solo in quella mensa c'erano esempi dei più disparati tipi di persone e non-umani, tutte seduti alla stessa tavola, miliziani o civili che fossero. Uno scenario del tutto improponibile ad una mensa della Confraternita, caotico e incontrollato com'era.

Il pensiero della Confraternita diede una fitta a Danse quando gli sovvenne. Sanctuary era il regno del caos incontrastato. L'ordine e la disciplina della sua vecchia vita erano ricordi lontani, e la nostalgia per qualche attimo minacciò di sopraffarlo, nel momento in cui non potè impedire alla sua mente di fare paragoni. Il fatto che, se lo avessero visto, lo avrebbero volentieri ucciso dove stava non impediva all'uomo di soffrire per aver abbandonato i suoi confratelli. Per anni la Confraternita era stata la sua vita (la sua ragione di vita), e ora per colpa dell'ego smisurato di folli senza controllo era stato sbattuto in mezzo alla feccia e al fango, senza possibilità di tornare indietro. Le nocche si fecero bianche attorno al cucchiaio che stringeva, mentre pensava a quelle cose, colmo di rabbia.

-C'è ancora molto bene a questo mondo- stava dicendo Mama Murphy, e la sua voce per un attimo lo distrasse. –Bisogna solo saper cercare, figliola. Guardare bene.-

-Beh, s'è ben nascosto allora- rispose Piper. Aveva la voce un po' abbattuta. –Povero Danny. Se ripenso allo stato in cui lo abbiamo trovato...-

-Danny? Danny Sullivan?- chiese Garvey a quel punto.

Piper annuì. –Era con il gruppo che abbiamo perso il mese scorso dalle parti di Trinity Tower. Ci serviva del materiale, ma con tutti quei supermutanti... devono essersi aggiunti dei branchi negli ultimi mesi- disse.

Danse a quel punto non potè trattenersi. –Se manteneste sotto controllo i numeri delle infestazioni di non-umani nei vostri territori, cose del genere non succederebbero- disse.

Garvey assunse un'espressione curiosa, come se avesse appena dato un morso ad un limone particolarmente aspro. Piper dal canto suo sbuffò, ma almeno gli rispose. –Non abbiamo l'arsenale di v... della Confraternita, noi di Diamond City. Il massimo che possiamo fare è ripulire i gruppi piccoli, ma per i branchi più numerosi non possiamo far nulla. E abbiamo anche le lattine, con cui contendere, comunque- gli fece presente. Si era corretta con cura nell'evitare di nominare la precedente affiliazione di Danse con la Confraternita: una scelta saggia, vista la taglia che aveva sulla testa, anche se all'interno delle mura di Sanctuary. Non si poteva mai sapere chi stesse ascoltando.

Ciò non impedì a Danse di puntualizzare. –Non intendo voi, ma i Minutemen. Non avere il totale controllo nemmeno delle proprie aree di influenza è scandaloso, senza contare la generale disgrazia per il genere umano che sono i supermutanti- continuò, facendo una smorfia. –Quelle bestie dovrebbero essere massacrate a vista senza stare a farsi troppe domande.-

-Forse il problema è che le nostre forze non sono armate pesantemente come quelle della Confraternita, e non possiamo permetterci di perdere interi reggimenti mentre loro premono dall'altra parte del fronte- intervenne Garvey, una nota nella sua voce che indicava che stesse lottando per mantere il suo tono conciliante.

-Ma perderete uomini in ogni caso così, e una via di passaggio comoda attraverso i Commons. È uno spreco di risorse, e il simbolo dell'incompetenza di chi ha il controllo di quella zona- replicò Danse. –Mettete a rischio non solo le vostre truppe, ma anche quelle degli alleati così sventurati dall'aver deciso di aiutarvi.-

-Stiamo dimenticando chi ti ha raccolto dalla strada, Danse?- si intromise Piper a quel punto con tono brillante, non prima di avergli tirato una gomitata tra le costole.

L'uomo si zittì, un po' per il fastidio di essersi ritrovato il suo gomito ossuto addosso, un po' per improvvisa, incontrollata vergogna. L'aura di pace di Garvey tornò al suo posto a quel punto, e l'uomo sospirò. –La guerra ha messo tutti in una posizione difficile, Danse- disse, con voce più tranquilla. –Difficile abbastanza da impedire perfino a noi Minutemen di mantenere le terre sicure come vorremmo. Lo sappiamo. Ma sono sacrifici che dobbiamo poter gestire, perché non c'è altra soluzione al problema, per il momento.-

Ciò, nella sua opinione, non rendeva la mancanza più tollerabile. Ma Danse scelse di smettere di ribattere, e la cena terminò senza ulteriori incidenti.

Più tardi, Garvey li condusse in una delle strutture più nuove, che agiva come sala di comando ed era costruita attorno ad una torre radio. Tuttavia, anche in quel caso la discussione, se pur con toni più pacifici di quelli presi a Goodneighbor, non stava andando da nessuna parte.

-Vorrei davvero potervi aiutare di più. Ma la chiave dell'intera operazione era la sicurezza di Nick, e meno persone erano coinvolte, più la sua fuga poteva essere tranquilla- stava dicendo il Comandante. –Non so darvi più indicazioni di quante non ne abbiate già ricevute, e in questi anni non abbiamo più avuto nessun genere di contatto con Nick. Pochi viaggiatori sono passati da qua, venendo da nord, e nessuno di quelli aveva mai sentito nulla. Ho chiesto- concluse, sconsolato.

Ciò metteva Danse e Piper nella difficile posizione di dover scegliere una direzione, e sperare che fosse quella giusta. Non avevano virtualmente nessun indizio su dove andare. A nord c'erano veramente pochissimi insediamenti noti, estremamente isolati. Ognuno di quelli poteva essere una direzione plausibile, e allo stesso modo una perdita di tempo, se Valentine avesse scelto di nascondersi in un'area più selvaggia o presso coloni così isolati da non esser mai stati scoperti dalle comunità del sud.

Ciò che sapevano, in generale, era che oltre una certa latitudine la zona contaminata diventava ancora più ostile, inadatta alla sopravvivenza di qualsiasi essere vivente, umano o irradiato che fosse. Garvey e Piper avevano immediatamente escluso di andare così a nord: nemmeno per un synth quell'area doveva essere una possibile scelta come nascondiglio. Ma a parte quell'unica certezza, erano comunque ad un impasse.

Qualcuno bussò delicatamente alla porta. –Avanti!- fece Garvey, dal suo posto dietro al tavolo che avevano riempito di mappe.

Mama Murphy entrò nella stanza, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle. –Mama? È molto tardi, è successo qualcosa?- chiese subito il Minuteman, avvicinandosi a lei, preoccupato.

-No, no, caro ragazzo, niente del genere. Mama Murphy è semplicemente venuta a vedere come sta andando, qui- disse l'anziana.

Quindi i Minutemen ora facevano presenziare pure le vecchie ad incontri strategici e altamente riservati. Valli a capire. Danse faticava a nascondere la sua incredulità.

Mama Murphy a quel punto gli scoccò un'occhiata divertita. –E vedo che siete in difficoltà. Il nostro caro ragazzo vi ha dato proprio una bella gatta da pelare, eh? Trovare Nick Valentine- disse la donna, lasciandosi guidare da Garvey ad una sedia.

-Come sa della nostra missione?- chiese Danse, alterato. –Dovrebbe essere riservata!- aggiunse, guardando Garvey con fare accusatorio.

-Rilassati, ragazzo. Non c'è molto che possiate tenere nascosto a Mama Murphy. Né voi... né Valentine.-

Garvey pareva aver colto qualcosa che a Danse era sfuggito. –Mama, non avrai preso il jet, vero? Non possiamo rischiare, dopo l'ultima volta! La Vista non può servirci così tanto!-

-La Vista vi serve ora più che mai, Preston, e lo sai meglio di me- disse la donna. Danse non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando, e mentre lo pensava, in quel momento l'anziana lo guardò. –È una mia capacità. Le droghe... mi danno una visione di tante cose. Passato, futuro, anche il presente, vicino o lontano che sia- spiegò.

-Che idiozia. Non esiste niente del genere- obiettò Danse, ma Garvey lo interruppe.

-È vero. Funziona. L'ha fatto migliaia di volte, anche davanti a me. Vede davvero- insistette. –Ma ha un costo molto pesante per il suo corpo. Mama, non avresti dovuto farlo. Devo andare a svegliare il dottore... voi tenetela sotto controllo- disse l'uomo, e uscì, lasciandoli soli con la donna.

-Caro ragazzo- fece lei. Iniziava ad avere il fiato corto. –Si preoccupa sempre così tanto...-

Piper si accovacciò vicino alla donna. La guardava con espressione triste, ma le prese una mano nelle sue con decisione. Danse non aveva idea di quanti anni avesse (era raro invecchiare così tanto ovunque, ormai), ma di certo doveva essere tremendamente anziana. Forse veramente quell'ultima sciocchezza le sarebbe costata troppo?

-Mama Murphy- disse a quel punto Piper. –Per favore, dicci cosa hai visto.-

L'anziana le sorrise. –Ah, bambina mia... la Vista non è un granchè con l'età. Ma hai indovinato bene. Ho visto qualcosa- disse. –Valentine è un segugio. Nessuno può nascondersi da lui a lungo, non importa quanto bene pensi di aver cancellato le sue tracce... e lui ha imparato bene da loro. Non avrete modo di trovarlo. Ma non può nascondersi da me...-. Fece una pausa per riprendere fiato. –A nord... venti gelidi spazzano il ghiaccio lì dove la luce del sole non arriva... da duecento anni-. La sua voce si stava facendo fioca. Danse le si affiancò a sua volta per sentire, e la Mama Murphy lo fissò negli occhi. –L'acqua... dovete andare dove c'è l'acqua. Dove la tempesta spazza l'acqua... lì sarà dove dovrete cominciare a cercare- mormorò.

Garvey rientrò di gran carriera con il dottore, a quel punto, e Piper e Danse dovettero allontanarsi. Mentre si affrettavano a portare la donna in clinica, lei gli lanciò uno sguardo d'intesa.

Apparentemente, avevano una traccia.

 
 

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Capitolo 5
*** Verso nord ***





Mama Murphy morì quella notte.

Piper e Danse non partirono fino a due giorni dopo, recuperando le ore di sonno perdute nel vegliare la donna assieme a Garvey. La sua morte aveva colpito pesantemente l'insediamento, e in particolar modo i civili che vi avevano abitato prima dell'inizio della guerra. Piper sentì di sfuggita una discussione abbastanza violenta tra quelli che parevano Marcy Long e Preston, ma per una volta non si soffermò ad ascoltare.

Il giorno successivo alla morte della donna, parteciparono alle sue esequie. Fu una cerimonia contenuta, riservata. Piper riteneva fosse necessaria la loro presenza, visto che in fondo la donna era deceduta per dar loro una mano. Danse non sembrava per niente convinto della reale utilità delle ultime parole di Mama Murphy (e come dargli torto, considerato da dove veniva?), ma accettò per lo meno di partecipare senza troppe proteste.

Il corpo dell'anziana venne bruciato, e Garvey fece un breve ma sentito discorso sul ruolo che aveva avuto nel proteggere i superstiti di Quincy e permettere loro di trovare e stabilirsi in quel luogo; una volta terminato, aggiunse il suo nome ad un elenco inciso sulla parete più esterna di uno dei villini antichi.

Finita la cerimonia, Danse si attardò ad occhieggiare la lista, e chiese a Piper spiegazioni. -È un elenco di tutti i morti che sono stati bruciati qui da quando hanno fondato l'insediamento- spiegò la donna, avvicinandosi e accendendosi una sigaretta. Indicò all'uomo i primi nomi della lista. -Questi sono i morti che hanno tirato fuori dal Vault 111. Quella là in alto era... beh, sai. La moglie di Nate.-

-Il Vault è qui?- chiese Danse a quel punto, sorpreso.

-Non lo sapevate?- ribattè Piper, sorpresa a sua volta. Era certa che la Confraternita d'Acciaio avesse accesso a un'informazione del genere: era conoscenza più o meno comune che fosse a nord di Sanctuary. -È su quella collina, lassù- disse, indicandogliela. -Almeno, l'ingresso è là. Il Vault dovrebbe essere in teoria sotto ai nostri piedi. Ma tanto... si capisce, insomma, no? Non ci sono sopravvissuti. Blue mi ha detto che dopo che si sono sistemati qui, lui e i coloni hanno tirato fuori le altre persone dai box criogenici, e le hanno bruciate. Per dargli almeno un fine dignitosa, insomma.-

Danse parve considerare quei fatti per qualche momento, in silenzio. Poi accettò quella spiegazione senza aggiungere altro, e si allontanò, diretto verso il centro dell'insediamento.

Piper non poteva dire di comprenderlo, onestamente. Era cocciuto come un dannato mulo, e con un'apparente, totale mancanza di tatto. La discussione a tavola, della sera prima, ne era un esempio lampante. Chi con un po' di sale in zucca si metterebbe a mettere in discussione gli sforzi della fazione alla cui mensa sta mangiando?! Gli era andata bene che Preston fosse un tipo comprensivo. Se avesse fatto una scenata del genere davanti a Robert... whew.

In ogni caso, Piper e Danse terminarono i preparativi per il viaggio in quella giornata. Esaminando l'indizio dato loro da Mama Murphy, avevano concluso che l'unica direzione logica da prendere fosse quella dei Grandi Laghi. Le coste, specialmente a nord, erano tutte in mano nemica: era improbabile che Nick si trovasse lì. Albany era stata ridotta ad un cratere fumante dalla Grande Guerra, e assieme ad essa tutta l'area circostante ad ovest del Commonwealth, che marcava la strada più breve in quella direzione. Scelsero dunque di andare inizialmente verso nord, evitando le regioni più irradiate ed avvicinandosi al confine canadese, per poi riprendere il percorso verso ovest.

Era una strada più lunga, ma considerando la totale inavvicinabilità delle zone colpite ad occidente, era l'unica fattibile con le risorse che avevano a disposizione: non avevano armature atomiche, né tantomeno una scorta di batterie abbastanza grande da poterle farle funzionare così a lungo. L'unica soluzione era prendere quella strada, sfruttando i pochi insediamenti conosciuti che esistevano su quella direttiva, e sperare che il tempo fosse clemente. Ma visto quanto poco tempo mancasse all'inverno, Piper non ci sperava.

Fecero incetta di abiti pesanti, e i Minutemen cedettero loro due paia di stivali praticamente nuovi, adatti ai climi più rigidi del nord. Una grande quantità di cibi essiccati trovò spazio nei loro zaini, assieme al necessario per campeggiare e cucinare. Il Nord era ben diverso dal Commonwealth, e c'erano parecchi giorni di viaggio tra un insediamento e l'altro in cui era improbabile incrociare carovane o esseri senzienti per la strada, ragion per cui dovevano essere pronti a cavarsela da soli. Piper non era abituata a muoversi in quel modo: pur essendo nata ai confini della regione, lontana dai grossi insediamenti, il Nord era tutt'altra cosa. Avrebbe dovuto affidarsi all'esperienza di Danse più di quanto le facesse piacere ammettere.

E considerando che ancora non era sicura di quanto fidarsi di lui, era tutto un dire.

Danse era stato irreprensibile nel breve periodo in cui avevano viaggiato, anche se aveva mostrato appunto parecchia difficoltà ad integrarsi non appena erano arrivati in città. Tenendo conto del fatto che in viaggio aveva a malapena parlato, però, era un po' un'esagerazione dire che si fosse comportato bene. Piper temeva che, col tempo, l'insofferenza di Danse verso i Minutemen si sarebbe fatta più marcata, necessità di asilo o meno: e la donna non era sicura d'essere in grado di poterlo gestire. Poteva solo sperare che il suo "onore" tenesse il suo malcontento sotto controllo per il tempo necessario a completare la missione.

Eh. Quello, pure, era un bel problema.

Il mattino successivo alle preparazioni, i due lasciarono Sanctuary da un ponticello di legno che attraversava un lato particolarmente basso del fiume. Garvey e gli altri li salutarono sulla cima della collina, augurando loro buona fortuna e pregandoli di far avere notizie quando fosse stato loro possibile. Piper dubitava che l'avrebbero fatto. Il rischio che qualcuno ascoltasse la radio era troppo alto.

Si lasciarono quindi Sanctuary alle spalle e abbandonarono il Commonwealth, diretti al Nord.

Impiegarono cinque giorni per raggiungere l'antico confine tra il New Hampshire e il Vermont. Sulla mappa che si erano portati, era segnato come una lunga linea che seguiva il fiume Connecticut: un ponte, nella città di Hanover, connetteva le sue rive. Era anche l'unico di cui si avesse notizia a non essere crollato, dunque fu una scelta obbligata per la coppia.

La città, come tante altre, giaceva in rovina, anche se non ridotta male come Boston. Le bombe avevano colpito le adiacenti contee di Canan e Lebanon, ma non direttamente quell'area, che pur essendo stata investita da ingenti quantità di radiazioni e tempeste vantava ancora molti edifici in buono stato.

Nei pressi del ponte era costruito l'insediamento di Lewiston, costituito da una serie di baracche costruite sulla riva est del fiume, nei resti di antiche abitazioni distrutte, e un posto di guardia fortificato sul ponte stesso. Danse e Piper vi si fermarono per un paio di giorni, per ricostituire le proprie provviste e riposarsi un poco. Il clima si era fatto spiccatamente più rigido, e anche se ancora non s'era vista neve, l'aria era permeata da un freddo umido e crudele, che ti entrava nelle ossa e non le lasciava fino a che non riuscivi a trovare un fuoco a cui scaldarti -e anche lì, ci voleva parecchio tempo perché i brividi ti lasciassero finalmente in pace.

La gente di Lewiston era brusca e sospettosa, ma per lo meno poco incline a farsi i fatti altrui. Accolsero con malcelata diffidenza la loro necessità di mercanteggiare per le provviste, ma alla fine accettarono i loro tappi (anche se Piper ebbe la netta impressione che le merci fossero in sovrapprezzo esclusivamente per i forestieri) e diedero loro un posto per dormire in due brandine della foresteria (una baracca isolata rispetto alle altre, con abbastanza spazio per ospitare una piccola carovana di mercanti). Piper e Danse si prepararono meglio che poterono e si rimisero in cammino, diretti verso Montpelier a quel punto.

Era l'unico altro insediamento di cui si avessero notizie a sud, e si sapeva solo che fosse popolato e abbastanza frequentato dalle carovane del Nord per la sua posizione commercialmente favorevole: tutto il resto, della sua posizione, faceva schifo.

L'apocalisse nucleare aveva esasperato il clima nativo dell'area, dando origine ad inverni fottutamente lunghi e freddi, con scariche di neve radioattiva talmente alta che era possibile cadere per diversi metri in fosse e pozzi naturali senza che nessuno se ne accorgesse, morendo per la caduta se andava bene, e di asfissia, freddo o chissà che altro se andava male; e venendo ritrovati poi solo la primavera successiva, con le gambe rotte e la smorfia disperata di una lunga agonia fissata in volto.

Che poi, primavera era un parolone. Allagamento stagionale era il termine più preciso. La temperatura si alzava improvvisamente, sciogliendo la neve e trasformando distese e distese di bianco in acquitrini letali in cui la vegetazione marciva in fretta per la troppa umidità: malattie, insetti, e un odore di putredine nauseabondo erano la costante per i due, tre mesi al massimo che durava. Non c'era modo di piantare sementi che tenessero, e gli unici allevamenti possibili erano quelli di sottospecie di radstag addomesticate che sostituivano i bramini nelle carovane, più adatte alle strade invernali e in grado di fornire pelli, carne e latte. Quello, e il commercio, erano tutto ciò che teneva Montpelier in vita.

Sarebbero arrivati là nel pieno del suo inverno, per lo meno, evitando la stagione peggiore. Ammesso che non si fossero ammazzati in un buco prima, come li avevano avvertiti i coloni di Lewinston, ridendo sguaiatamente alle loro facce preoccupate. Ma, neve a parte, non avrebbero dovuto avere a che fare con l'acquitrino, e quella apparentemente era una buona cosa.

Due notti dopo aver attraversato il ponte, Piper e Danse trovarono rifugio in quello che pareva un piccolo insediamento dell'Anteguerra, costruito attorno ad un ampio edificio con un'unica torre a punta nel mezzo. Un cartello, arrugginito dal tempo, recitava: "LUOGO DI NASCITA DI JOSEPH SMITH - MOSTRE STORICHE - INGRESSO LIBERO". Sotto, qualcuno vi aveva scritto, in tempi evidentemente più recenti: "in memoria di river - stazione commerciale", incidendolo nel cartello. Piper non aveva idea di chi diavolo dovessero essere quegli individui, e anche Danse pareva incerto a giudicare dall'espressione persa che le lanciò quando ebbe finito di leggere ad alta voce il cartello.

Tuttavia, chiunque fosse quel tizio, l'area costruita in suo apparente onore era messa abbastanza bene per poterci passare la notte. I due si accamparono in una casetta bassa dal tetto ancora relativamente integro, barricando la porta con un pesante mobile coperto di polvere. La seconda dicitura, però, ora aveva senso: quella casa era in così ottime condizioni perché era evidentemente sfruttata dai carovanieri come accampamento nei loro viaggi. I resti del loro passaggio erano innumerevoli, e alcuni anche abbastanza recenti.

La cosa positiva di essere in un luogo così remoto ed ostile era che fosse molto difficile trovare Predoni, visto quanto poco ci fosse da razziare. Doveva essere quella la ragione per cui una stazione del genere esisteva senza problemi da così tanto tempo, senza il timore che venisse occupata. Ciò non impedì comunque ai due di decidere di dormire a turni alterni, dopo aver cenato.

Piper stava pulendo il pentolino dai resti dell'avena che avevano consumato quando, a sorpresa, Danse la interpellò. Come nel Commonwealth, aveva parlato veramente poco durante il viaggio, e solo se strettamente necessario. Piper iniziava a sospettare che fosse più una deformazione professionale, piuttosto che reale fastidio nei suoi confronti.

-Miss Wright, posso chiederle una cosa?- chiese l'uomo, sedendosi al suo fianco sugli sgabelli che avevano avvicinato al focolare.

Piper roteò gli occhi. -Solo Piper, Danse, te l'ho già detto- lo rimbeccò. -Comunque, sì, immagino. Spara.-

Danse non diede segno d'aver sentito il rimprovero. -Miss Wright, non ho potuto fare a meno di notare, in questi giorni... lei non ha mai avuto modo di viaggiare a lungo, non è vero?- chiese.

Piper sospirò. Mancanza di tatto, già. Ma non aveva tutti i torti. -È vero, hai ragione. Non mi sono mai allontanata dal Commonwealth... prima d'ora, s'intende. Già allontanarsi da Boston era un lavoraccio... ma per trovare una storia per il Publick, quello ed altro, immagino- rispose.

Danse parve pensare un momento, prima di parlare. Hm, un passo avanti. -Se è così, allora, perché si è offerta di accompagnarmi? Non ha la stamina necessaria ad un viaggio del genere, ed è il sindaco di Diamond City. Perché buttare tutto all'aria per seguire me, anche se la missione è così importante? Avrebbero potuto affiancarmi a chiunque altro, qualcuno di più preparato- disse poi, con una nota di frustrazione nella voce.

Piper alzò un dito, per fermarlo. -Prima di tutto, non sono il sindaco di Diamond City. Non ci sono state elezioni da dopo McDonough.- Danse aprì la bocca per ribattere, ma Piper lo fulminò con lo sguardo, prima di proseguire. -Lo so cosa stai per dire, ma tienitelo per te. La gente della città si è autogestita per tutti questi anni, io ho avuto un ruolo veramente marginale. Che, pensi che tutti gli abitanti della città si siano fatti guerriglieri?- aggiunse, con tono un po' derisorio.

Danse non rispose, rimanendo in attesa che Piper elaborasse, così la donna sospirò, effettivamente messa all'angolo. Tornò a guardare il fuoco, e continuò. -Diamond City non si è mai alleata ufficialmente ai Minutemen, in senso stretto. Sicuro, li riforniamo e offriamo rifugio ai miliziani, ma nessuno dei nostri si è unito alle loro forze, sotto la loro bandiera. Diamond City ha sempre dato il suo meglio vivendo in una specie di zona d'ombra, tra questa e quell'altra forza, e continua a starci bene così.

E poi, appunto, non tutti volevano imbracciare un fucile e andare a combattere per la libertà. Vadim e Yefim, o Myrna, o la gente delle Platee superiori... ma te li immagini sul fronte, moschetto in mano, a battagliare le lattine? Oltre al fatto che non sarebbero durati un minuto, è che... in generale, non sono adatti a una cosa del genere. La città doveva rimanere un luogo neutrale, dove offrire rifugio a chi non voleva o non poteva combattere nella guerra. Dopo l'abbandono delle città centrali era il minimo che potessimo fare.-

-La Confraternita non avrebbe fatto del male a civili non allineati- iniziò Danse, corrucciato.

-Ma è proprio questo il punto, Danse! Tutti i civli erano allineati. Ogni insediamento che Nate... che i Minutemen possedevano, esisteva solo grazie al loro intervento. Non l'avrebbero tradito per salvarsi dalla Confraternita. Tant'è che, piuttosto, hanno preferito bruciare tutto e fuggire- ribattè Piper. -Non c'era un sindaco a Diamond City perché ormai la Diamond City che conoscevamo era finita. C'era un Concilio, formato dai rappresentanti dei rifugiati, dei Minutemen e della Città, e nessuno aveva il controllo totale. Per questo non sentono troppo la mia mancanza, capisci? Ero solo un rappresentante.-

Danse tornò di nuovo a riflettere. Il focolare illuminava poco l'unica stanza di quella casa, mettendo in luce solo le loro figure, direttamente adiacenti, e quelle dei sacchi a pelo poco lontani. Avevano acceso qualche candela, per scacciare il buio dagli angoli, ma a parte quello la casa era avvolta in penombra e l'illuminazione del fuoco creava ombre spigolose sul suo volto, dove non era coperto dalla barba. Era chiaro dalla sua espressione che non considerasse quella questione risolta. -E i guerriglieri, allora? Il Ghoul... Hancock, era sembrato molto ostinato nel cercare di trattenerla.-

Piper gli concesse un po' di ragione a quel punto, e gli fece un cenno. -Beh, se c'è una cosa che fare la giornalista mi ha insegnato in questi anni, è come muovermi a Boston. Quali sono i posti migliori dove nascondersi per ascoltare... o tendere un agguato, anche. Le scorciatoie, o le vie traverse per aggirare quelle più frequentate senza incappare in compagnia indesiderabile.

Vedi, tra tanti civili che non volevano combattere, a Diamond City c'era tanta gente che però invece una certa voglia di rivalersi contro la Confraternita, ce l'aveva eccome. Tu mi dirai, "Oh, ma perché allora non si sono uniti ai miliziani"-, disse, abbassando il tono in un'imitazione della voce di Danse che gli fece alzare un sopracciglio, -E io ti rispondo, "Beh, perché se fai il miliziano poi lo sei per tutta la vita." È un impegno grosso. Hai un comandante, o un generale, e devi andare al fronte o ovunque ti stazionino, e i rischi, oh, non ne parliamo proprio... non a tutti attirava una prospettiva del genere. A me, non di certo. Diamond City ha sempre avuto quest'anima un po', come dire... un po' ribelle, un po' libera. Allora ci siamo riuniti un giorno, io e qualche altra... come direste voi, testa calda, no? E ci siamo detti, "wow, i Minutemen sono un sacco in difficoltà nei quartieri centrali. C'è troppo poco spazio per loro e i vertibird possono scaricare loro gente addosso un po' ovunque. Non ci va tanto bene. Cosa possiamo fare per aiutarli?"- Piper a quel punto lanciò un'occhiata eloquente a Danse, attendendo che completasse il pensiero.

Danse ricambiò con uno sguardo un po' vacuo.

-Ugh. Prendere le armi e andare a dargli una mano, no?- rispose la donna a quel punto, spazientita. -Ci siamo preparati, e nascosti in un'area difficile da mirare dal basso, e quando il primo reggimento della Confraternita è passato, boom. A pensarci bene è stato un po' uno spreco di granate, potevamo fare altro, ma è stato dieci anni fa e non avevamo ancora tutta quella esperienza.- Piper ridacchiò al ricordo. -Hancock non ci mise molto a fare due più due, ci mettemmo in contatto, e da allora i guerriglieri sono sempre misteriosamente apparsi nelle aree in cui i miliziani ne avevano più bisogno. Alla fine s'è unita anche parecchia gente. Guardie carovaniere senza più lavoro, bambini cresciuti con la guerra che volevano fare qualcosa, civili stufi di nascondersi, volontari che ci avevano scambiato per i miliziani... ce n'è di ricambio.

Ed è vero, in quel caso io avevo un ruolo un po' più importante. Ero il principale contatto che avessimo con Hancock, e a parte pochi altri non c'era nessuno che conoscesse bene la città quanto me. Però, siamo arrivati al punto in cui devo fidarmi e lasciare il comando a loro.-

-Cosa intende?- chiese Danse, serio.

Piper fece spallucce con fare impotente. -Voglio dire, lo avrete notato anche voi alla Confraternita, no?- Fece una pausa, poi guardò Danse negli occhi. -Perché avete attaccato Far Harbor?-

L'uomo rispose immediatamente, incrociando le braccia. -Risorse. Escludendo le roccaforti, il Commonwealth è privo dei normali insediamenti da cui di solito la Confraternita preleva le normali quote di sostentamento in cambio della protezione offerta. Gli insediamenti di Washington non erano in grado di sostenere la domanda.-

Piper conosceva già la risposta a quella domanda -era la prima ipotesi che MacCready aveva esposto dopo aver sentito della caduta dell'isola: tra loro tre, era lui quello che conosceva meglio la situazione politica a sud.

-Vedi, noi abbiamo lo stesso problema. Certo, abbiamo delle produzioni, non avremmo potuto sopravvivere dieci anni senza. Ma la guerra ci sta logorando tutti, Danse. Se non vogliamo crollare, è il momento di sferrare un colpo decisivo, prima che possa farlo la Confraternita. Ma non abbiamo i mezzi per farlo...-

Danse pareva perplesso, ma anche un po' frustrato a quel punto. -MacCready aveva detto una cosa del genere. Che la vostra unica speranza era Valentine. Cosa diavolo c'entra in tutto questo? Perché mandare me a cercarlo se è così importante? Non è una mossa strategicamente saggia, inviare un disertore per un'operazione talmente delicata, no?- domandò l'uomo.

Piper ridacchiò. -Ecco, è quello che abbiamo pensato tutti quella mattina quando lo abbiamo sentito. Io ho pensato, "oh, Robert è definitivamente uscito di testa". Ero arrabbiatissima... vedi, era appena tornato da una battaglia, il giorno prima- spiegò la donna. Per un attimo, il suo sguardo si fece lontano: ricordava quando, prima del sorgere del sole, il reggimento era rientrato nella fortezza, decimato a un pugno di uomini (di cui alcuni grondanti sangue). MacCready stesso zoppicava visibilmente, e anche se qualche stimpak lo aveva rimesso in sesto in poco tempo, a Piper non era sfuggita l'espressione abbattuta dell'uomo. Prima aveva perso Far Harbor, e ora almeno una ventina di uomini e una postazione lungo il fronte. Non c'era dubbio sul fatto che avesse dovuto sentirsi terribilmente impotente. Era stata la stessa sensazione che aveva avuto lei.

-La guerra ha colpito Robert più duramente di molti- disse alla fine la donna. -Nonostante tutto, è sempre il primo a tornare sul fronte, a tenere ogni centimetro di terra con le unghie e con i denti, ma dieci anni così... lasciano il segno su chiunque. E poi, devi sapere...- Piper non era sicura di come Danse avrebbe preso quella cosa. Erano arrivati così lontano, ma finora, la donna non s'era sentita di dirgli la verità. C'era la netta possibilità che, scoperto quell'altarino, l'uomo si infuriasse tanto da abbandonarla là. Non avrebbe avuto tutti i torti. Danse percepì la sua esitazione, ma non parlò, limitandosi ad attendere che continuasse senza darle spiragli per cambiare argomento.

-Vedi... non siamo i primi, che sono andati a cercare Nicky- confessò alla fine la donna, con tono incerto. -Negli anni, abbiamo mandato decine di gruppi, in ogni angolo che potesse essere anche solo plausibile, ma nessuno ha mai avuto successo... e ancora meno sono tornati indietro. Mama Murphy si è sempre rifiutata di aiutarci. Capisci perché era così importante, che lei abbia scelto di farlo, quando eravamo a Sanctuary?- insistette Piper, vedendo l'incredulità crescere sul volto di Danse. -Non aveva mai risposto a nessuno, nemmeno a Preston, quando le avevano chiesto una mano. E dopo dieci anni, sceglie noi. Aiuta noi, e muore per dirci questa cosa. Danse, Robert ti ha mandato in questa missione convinto che fosse una missione suicida- continuò Piper. -Voleva solo liberarsi di te. La Confraternita gli ha strappato la vita e suo marito, e non glien'è mai fregato niente che tu avessi chiesto asilo, o che fossi un synth, voleva solo ucciderti o toglierti di torno per non doverti neanche guardare. Non glielo potevo lasciare fare. È ingiusto, e dannatamente stupido! È convinto che non saresti mai riuscito a trovare Nick, non pensava nemmeno che avresti accettato. E che se anche l'avresti fatto, beh, "chi se ne frega, un problema in meno"-, disse, abbassando la voce e cercando nuovamente di imitare una voce maschile.

Piper sospirò e si prese il viso tra le mani, cercando di calmarsi. La rabbia era nuovamente montata quando aveva ripensato a quella conversazione, e alla noncuranza con cui Mac aveva tentato di mandare a morire Danse. Per una cosa per loro così vitale, poi...!

-Il punto... il punto è, che Nick può essere trovato. Deve essere trovato. Mama Murphy ha perfino scelto di aiutarci -deve pur valere qualcosa, no?- insistette la donna, esasperata, scoprendosi il volto.

Rimase in attesa a quel punto, guardando Danse e cercando di capire cosa pensasse. L'uomo era inespressivo per ora: passata l'incredulità di poco prima, ora pareva solo immerso nei suoi pensieri, cercando probabilmente di metabolizzare la grande quantità di informazioni che, presa dall'impazienza, Piper gli aveva riversato addosso. Dopo un po' parlò, in maniera lenta, come se stesse deliberatamente scegliendo ogni parola. -Ciò non risponde alla mia domanda. Se tutto ciò è vero, allora a maggior ragione, perché lei mi ha seguito? Le probabilità di trovare qualcosa a questo punto sono estremamente scarse.-

Piper sbuffò, irritata dalla legnosità della zucca di quell'uomo. -Fa' uno sforzo, Danse. Questo? La nostra missione, la situazione nel Commonwealth? È disperata- disse, facendo un ampio gesto le mani. -MacCready è stato uno stronzo, a fare una cosa così meschina, e non potevo fargliela passare liscia, però... lui non crede più che Nick possa essere trovato. Ma noi dobbiamo farlo, capisci? Io devo farlo. Io devo continuare a sperare. Perché, se non lo troviamo... morire qua fuori, o morire sotto i colpi della Confraternita, a quel punto sarebbero la stessa cosa.-

Di nuovo, Danse tacque. Piper aveva esaurito l'eloquenza per quella serata, però, e si alzò prima che avesse il tempo di rispondere, lasciando il pentolino lucido sul proprio sgabello. Lasciò all'uomo il primo turno di guardia e si addormentò nel suo sacco a pelo, a fatica, tormentata dai ricordi della conversazione nello scantinato e immagini di sua sorella, e di Diamond City, massacrati dalla Confraternita.

Quando uscirono dalla casa, il mattino successivo, vennero accolti da un paesaggio ammantato da una pesante coltre di pallida neve radioattiva.

 
 

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Capitolo 6
*** Acqua agli assetati ***





Danse avrebbe voluto poter riflettere attentamente sulle parole di Piper. La donna gli aveva rivelato molte cose dei meccanismi interni dei Minutemen, e già con quelle informazioni l'uomo era certo che, nel remoto caso in cui fossero tornati da quella missione, avrebbe avuto vita molto più facile a comprendere i ragionamenti dei loro Comandanti.

Tuttavia, non aveva potuto far altro che non fosse concentrarsi sul mettere un piede davanti all'altro. Con estrema, maniacale attenzione.

Il giorno della loro partenza dall'accampamento in quel memoriale dell'Anteguerra, viaggiare si era già dimostrato difficile, anche con solo pochi centimetri di neve al suolo. Si scivolava, e si spostavano molto più lentamente, e la blanda radioattività della coltre a lungo andare sfiancava i viaggiatori, costringendoli ad assumere almeno una dose di RadAway a notte. Avevano delle pasticche di Rad-X, ma erano poche e contate ed entrambi erano stati d'accordo nel preferire tenerle per momenti in cui fossero state tremendamente necessarie, visto il loro alto valore.

Ma, via via che i giorni passavano, la situazione peggiorava costantemente al punto tale che Danse iniziò seriamente a considerare il loro uso anticipato.

Ogni notte, altri centimetri di neve si andavano ad aggiungere a quelli precedenti, senza errore. Dopo una settimana, i sentieri erano diventati fondamentalmente impraticabili, ed erano riusciti a percorrere solo una minima parte della strada che li separava da Montpelier. Alle due del pomeriggio del nono giorno, sfiancati dal dover attraversare neve alta fino al bacino, dovettero arrendersi e cercare rifugio nelle rovine di Chelsea.

Sprecarono così altri tre giorni, e Danse iniziò a temere che il fato che aveva sicuramente colto gli altri inviati in quella operazione (morte, indubbiamente) sarebbe presto toccato anche a loro. Stavano finendo il RadAway, e nonostante lo assumessero ogni giorno, i loro corpi stavano iniziando comunque a pagare il prezzo delle continue radiazioni assorbite. Piper era tremendamente pallida, e lui stesso si sentiva perennemente sull'orlo di vomitare. Le provviste iniziavano a scarseggiare, e Danse, al quarto giorno, non era certo di avere la forza di uscire dall'ufficio abbandonato in cui avevano trovato rifugio (o una tomba?) per raccogliere altro materiale da ardere.

Fortunatamente, non dovette farlo. Uno strano rumore di qualcosa di estremamente pesante, e alte voci che squillavano nel silenzio delle rovine innevate abbandonate, li svegliò improvvisamente dal sonno malato in cui erano caduti. Cauto, Danse si affacciò da uno dei vetri dell'edificio, fucile pronto, e ciò che vide lo lasciò senza parole.

Una carovana commerciale viaggiava su quelle che apparivano essere due slitte, trainate ciascuna da quattro, immensi Radstag coperti di pesante pelo grigio e nero. Come i Radstag che era abituato a vedere, ciascuno di questi aveva un paio di teste e tre paia di zampe: ma quelle che negli esemplari meridionali erano a malapena vestigiali, in queste creature erano completamente sviluppate e non solo toccavano terra, ma aggiungevano talmente tanta massa muscolare e trazione alle bestie da permettere loro di trainare quei carichi di cose e persone e camminare nella neve alta senza apparente fatica.

Danse ci mise qualche minuto a realizzare che quelli erano mercanti, e che si stavano dirigendo a Nord.

Li rincorse a quel punto, e gli uomini rimasero molto sorpresi di vederlo. Apparentemente, era strano essere in grado di sopravvivere fino a quel momento senza equipaggiamenti adatti a proteggersi dalle radiazioni: e dire che in teoria i loro abiti erano anche rinforzati col piombo, ma era una protezione misera rispetto a quella di cui avrebbero avuto veramente bisogno.

Gli uomini della carovana però furono abbastanza gentili da fermarsi e dividere con loro altri medicinali e cibo, e si offrirono di accompagnarli a Montpelier in cambio di un modico numero di tappi. Avrebbero viaggiato molto più in fretta con loro, e una volta in città avrebbero potuto procurarsi un equipaggiamento più adatto: considerate le loro opzioni, Danse e Piper accettarono.

Scoprirono, nei successivi tre giorni, che le creature che tiravano le slitte dei mercanti erano note come Wayfarers, per via del fatto che la loro forza e i loro strani zoccoli permettevano loro di camminare nella neve -o di passarci attraverso, se necessario. Erano bestie mansuete, simili per temperamento ai bramini del sud ma coperti di un pelo incredibilmente folto, e dotate nel lato più esterno delle loro teste di imponenti corna a loro volta pelose attorno a cui i mercanti avevano avvolto nastri colorati che, a loro dire, li aiutavano ad identificare i vari individui. Piper, aveva notato Danse, ne era rimasta immediatamente affascinata e spesso la sera, un po' per gratitudine, un po' per interesse, si attardava ad aiutare l'artiere a nutrirle e controllare i loro zoccoli, cosa che le creature si lasciavano fare senza troppo interesse. E, apparentemente, le Wayfarers non erano le uniche creature mutate adattatesi al freddo.

I mercanti erano carichi di beni e provenivano da un luogo chiamato Newest Haven, un insediamento apparentemente costruito sui resti prima di una Newer Haven, e poi di una New Haven, risalente quest'ultima all'Anteguerra. Era solo una delle città che incrociavano, percorrendo una direttiva circolare che iniziava molto più a nord e passava per Montpelier solo sulla via del ritorno.

I mercanti erano evidentemente equipaggiati per quelle temperature. Indossavano tutti pelli di animali (quali, per Danse, era impossibile dirlo), in due strati di abiti differenti: uno, col pelo rivolto verso l'interno, e uno verso l'esterno. Tra i due strati, dicevano, tradizionalmente doveva rimanere intrappolato solo il calore: ma non era l'unico scopo di quell'uso, dato che le pelli degli animali di cui erano fatti i vestiti erano appartenute a creature incredibilmente resistenti ed in grado di resistere all'influenza della neve irradiata, Wayfarers inclusi. Sopra le pellicce, i mercanti indossavano mantelle fatte apparentemente dagli intestini di altri animali, resistenti all'acqua e fatte per proteggere gli abiti sottostanti dal bagnarsi. Solo gli stivali (e le armi, ovviamente) dei mercanti avevano l'aspetto di non essere artigianali, se non si contavano le modifiche di pelle di animale che vi erano applicate. Erano sempre coperti di pelo, ma la struttura delle suole pareva venire da antichi stivali da neve. Giravano col volto coperto da sciarpe e cappelli, lasciando solo un sottile strato di faccia scoperta per gli occhi: di giorno, per evitare di venire accecati dalla neve quando c'era il sole, lo coprivano con uno strano aggeggio fatto d'osso, con due sottili fessure per poter vedere.

In quei giorni, se pur dovevano ancora combattere con le conseguenze del continuo avvelenamento da radiazioni, Danse e Piper appresero moltissimo dai carovanieri. Il Nord non era così scarsamente popolato come credevano gli abitanti delle terre meridionali, che i carovanieri definivano "di frontiera": vero, la vita era più dura, il clima e i pericoli da cui guardarsi più implacabili, ma anche lì, testarda, l'umanità continuava a sopravvivere, assicurandosi un posto nel mondo con la stessa veemenza con cui il mondo cercava di cancellarla.

Danse ebbe modo, in quei giorni, di poter finalmente riflettere sulle parole di Piper.

Certo, non lo sorprendeva che MacCready avesse un atteggiamento del genere, nei suoi confronti. La guerra, e la Confraternita, gli avevano portato via il marito e la prospettiva di una vita pacifica: voci che Danse aveva sentito solo di sfuggita avevano parlato di un figlio malato da qualche parte, ma a voler essere onesti non se ne era mai interessato. Non riteneva che quel genere di cose fossero importanti in una guerra, a meno che non si volessero usare tattiche disonorevoli. Nulla che avesse anche solo sfiorato la mente di Maxson: ed infatti alle riunioni strategiche la posizione di MacCready era sempre stata esclusivamente quella di un Comandante nemico, e non di un padre di famiglia con debolezze da sfruttare. La Confraternita non era quel genere di associazione.

Eppure, quella sua mancanza di fede... dopo dieci anni di guerra, Danse non stentava a dubitare che anche i miliziani fossero in difficoltà. Ma era tale da giustificare un simile fatalismo, anche nei confronti di quella che lui stesso aveva definito essere la loro ultima speranza? Cosa poteva aver spinto il Comandante a quel punto? Depressione? Stanchezza? Dolore?

No, Danse non era convinto che quelle fossero le ragioni. Certo, in quegli anni aveva visto impazzire ben più di un soldato, logorato mentalmente dalla guerra: ma era sicuro che quello non fosse il caso di MacCready. Ci doveva essere qualcos'altro sotto.

Non per la prima volta durante quel viaggio, Danse si chiese esattamente quanto sapessero i miliziani della reale situazione della Confraternita. Il suo sospetto, se pur privo di qualsiasi ragionevole fondamento, era che in qualche modo gli ufficiali dei miliziani fossero venuti a sapere dell'esistenza di Liberty Prime. Quello infatti era l'unico fattore che avrebbe permesso alla Confraternita di dare il colpo decisivo alla guerra in loro favore: a meno che non ci fossero in corso altre crisi interne che Piper aveva omesso, Danse era sicuro che, in assenza del robot, i miliziani avrebbero potuto portare avanti la guerra per anni a venire. Ma come avevano potuto venire a conoscenza di un'informazione così riservata? Forse c'erano veramente delle talpe, oltre ad Haylen (che però non aveva fatto altro che salvargli la vita)?

Erano dubbi su cui Danse si arrovellava, ma di cui non osava chiedere spiegazioni. Non certo ora in compagnia dei carovanieri, e non a Piper, non per il momento. La donna non gli aveva dato finora ragione di sospettare di lei, ma era certo che, affrontando l'argomento, qualsiasi genere di reciproca fiducia sarebbe andata inevitabilmente ad incrinarsi.

Non era ancora il momento, no. Ma più avanti, Danse avrebbe affrontato la donna e le avrebbe chiesto la verità. Non aveva in fondo modo di andare da nessuna parte, non con quella neve: e a Danse non era sfuggito come non avesse risposto alla domanda più importante di tutte.

Perché Nick Valentine.

Su quello, veramente, l'uomo non aveva la più pallida idea di cosa pensare. Sapeva che era stato uno dei più stretti confidenti di Nate, ma a parte ciò, poco altro che non fosse già sotto gli occhi di tutti: era un synth, la gente lo aveva negli anni pagato per fare il detective (curioso, fin dove l'idiozia umana si possa spingere) e poi, poco tempo dopo lo scoppio della guerra, era sparito -probabilmente fuggito, insieme a tanti altri che avevano preferito lasciare il Commonwealth piuttosto che rimanere coinvolti.

Con le informazioni che aveva a disposizione (e cioè, nessuna) non c'era modo di cavare un ragno dal buco su quel mistero. Ma anche quello, col tempo, era un altarino che avrebbe dovuto scoprire.

La mattina del quarto giorno, una mano lo scosse dal letto di coperte in cui aveva riposato, stretto tra i sacchi della slitta: un carovaniere lo svegliò e gli indicò qualcosa alle proprie spalle.

Erano arrivati a Montpelier.

La città, già non molto grande prima della Grande Guerra, giaceva in rovina, abbandonata com'era stata dai suoi abitanti. Ma non pareva aver risentito più di tanto della caduta delle bombe: lontana com'era da centri nevralgici quali erano stati Portland, Boston, o anche la canadese Montréal, la città portava solo i segni del tempo e non quelli della distruzione atomica. Da qualche miglio a quella parte, infatti, gli alberi rinsecchiti che avevano sempre costituito il paesaggio fin dal Commonwealth erano stati progressivamente sostituiti da piante alte e in stato nemmeno troppo danneggiato, con aghi al posto delle foglie. Era difficile vederli, coperti com'erano di neve, ma era evidente che fossero in qualche modo in grado di resistere alle radiazioni e mantenere il proprio fogliame originario. Danse ricordava avessero un nome, ma lo aveva letto tempo fa in un libro, e ora non gli sovveniva. Piper, dal canto suo, ne era rimasta incredibilmente affascinata.

Montpelier, per somma gioia della donna quindi, era piena di quegli alberi. Le rovine delle abitazioni sparivano nella neve e nel fogliame, che si era riappropriato della città nel corso dei due secoli passati. Un'unica area dell'antica capitale pareva essere abitata, ed era quella a cui la strada che stavano percorrendo conduceva: una collina alta e scoscesa, coperta a sua volta di alberi ma sulla cui cima si vedevano almeno tre mulini diversi e una strana struttura a cavi che spariva lungo il fianco del colle stesso, sparendo tra gli alberi al loro livello.

Era letteralmente una strada quella, anche se ancora fatta di neve. Quando Danse scese dalla slitta, lo potè constatare tastandola: era stata talmente battuta che si era solidificata in una striscia solida, solcata dalle tracce di numerose altre slitte e degli zoccoli delle Wayfarers. Camminando al fianco della carovana, l'uomo poteva vedere, mimetizzati tra gli alberi, numerosi altri cervi mutanti, intenti a scavare nella neve con le corna. A guardare meglio, c'erano anche recinti in cui probabilmente erano custodite: erano molto leggeri se paragonati alla stazza delle creature, ma dovevano di certo essere elettrificati, forse per tenere lontani i predatori vista la mansuetudine delle bestie.

Arrivati alla base della collina, videro che anche a quel livello i coloni avevano edificato delle costruzioni: dietro delle pesanti fortificazioni, c'era qualche piccola casupola da cui si alzavano pennacchi di fumo, segno di riscaldamento all'interno. Ma non era quello che aveva colto l'occhio di Danse.

Uno strano marchingegno, costituito da spessi cavi di quello che pareva essere acciaio, un sistema di complicate leve di legno e grossi uncini, partiva da quella piccola area e si inerpicava, sospeso sui tronchi più forti degli alberi, lungo il fianco della collina. Danse riconobbe essere quello che aveva visto avvicinandosi.

Incuriosito, chiese spiegazioni a un carovaniere, mentre gli altri salutavano i nativi e scioglievano le Wayfarers dalle slitte.

-È una funivia- spiegò l'uomo, indicandogli la cima della collina. -Con tutta questa neve è troppo pericoloso far portare le slitte agli animali. Troppi incidenti. Questa roba la costruirono... eh, un sacco d'anni fa. Prima che il babbo del mio babbo nascesse. Ci si attaccano le slitte, in salita o in discesa, e con gli argani le fanno muovere. Molto più sicuro, così- terminò, strofinandosi il naso con le mani.

Danse e Piper non poterono far altro che guardare gli uomini assicurare le slitte a quei grossi uncini di metallo, salirci, e lasciare che la forza della macchina li portasse su. Fu un viaggio lungo, dato che per quanto tecnicamente impressionante il meccanismo non era di certo veloce: ma erano entrambi troppo stanchi per fare più di tanto conversazione, nonostante lo sbigottimento, e passarono le ore sonnecchiando.

Una volta arrivati in cima, i carovanieri li indirizzarono verso l'insediamento vero e proprio. La Montpelier post-nucleare era costituita da letteralmente tre case, lunghe e basse: delle dimensioni tali da poter ospitare comodamente ciascuna almeno una quarantina di persone. I tre mulini che avevano visto dal fondo erano strutture alte ma non adatte a ospitare la gente, ed erano collegati alle case da cavi elettrici: dunque, producevano energia. Era primo pomeriggio quando i due erano finalmente approdati sulla cima della collina, e nonostante l'ora il cielo si stava già scurendo: perciò, non persero tempo ad entrare nella casa lunga indicata.

Era un luogo affollato, ma senza risultare caotico. Gli abitanti della città erano divisi in piccoli capannelli, ognuno intento in mansioni diverse. Alcuni erano impegnati a cucire assieme grandi quantità di pelli, probabilmente per fare nuovi abiti invernali. Altri cucinavano o preparavano la carne nelle vicinanze dell'unico grande focolare della casa, costruito in una fossa nel terreno al centro della struttura. Per qualche ragione, quell'unico falò era in grado di riscaldare perfettamente l'intera struttura, tanto che appena entrato Danse sentì le guance cominciare a bruciargli per il cambio di temperatura. Un gruppo di uomini, in un angolo più in ombra, fumava quietamente da delle lunghe pipe.

Una donna li indirizzò proprio a loro quando le chiesero dove fosse il capo dell'insediamento, e da quelli si alzò un uomo basso, che indossava un copricapo con un velo nero che gli copriva i lati della testa. Aveva il volto scuro e solcato da numerose rughe, e le sopracciglia cespugliose erano completamente bianche: ma aveva occhi attenti e guizzanti, che assunsero un'espressione divertita quando l'uomo ebbe notato i loro equipaggiamenti.

-Venite dalla frontiera, non è vero?- chiese, con una voce profonda e vecchia, ma non danneggiata dal tempo.

-Come lo sa?- chiese a sua volta Piper. Per una volta, fu il turno di Danse di sorprendersi della sua ingenuità, ma non la rimproverò; non lo fece nemmeno l'uomo, che si limitò a ridacchiare.

-Dal Nord non viene nessuno, a parte le carovane: e quelli lo sanno, come ci si veste d'inverno- rispose. Passò ancora qualche momento ad osservarli. -Avete l'aria stanca. Non siete protetti bene dalle radiazioni della neve, vero?-

-Ci aspettavamo dei pericoli del genere, e abbiamo degli abiti protettivi... ma non così protettivi- ammise Danse.

L'uomo annuì. -Lo sospettavo. Non siete i primi uomini di frontiera che passano di qua... ma di certo siete tra i pochi ad arrivarci vivi- disse.

Prima che Danse potesse replicare, Piper si intromise nella discussione. -Ne sono passati altri? Quanti? Quanto tempo fa?- chiese, un tono d'urgenza nella voce.

Danse intuì cosa stesse cercando di capire dal vecchio capo. Tracce del passaggio di altri gruppi di ricerca, altre persone in cerca di Valentine.

-Ah... ormai saranno passati quattro inverni, da quando abbiamo trovato gli ultimi. Venite, intanto- disse, facendo un cenno con la mano, e iniziò a camminare lentamente, guidandoli verso l'altro lato della casa. -Sì, quattro inverni. Li trovammo in modo simile a come siete stati trovati voi, se i carovanieri non mi riferiscono bugie. Eravate a Chelsea, non è vero?-

-Sì, signore- confermò Danse. -La neve ci aveva intrappolato nelle rovine. Non potevamo muoverci, e le radiazioni prima o poi...-

-Sì, capisco. È un fato che colpisce molti, se non sono preparati al nostro tempo- spiegò l'uomo. -Ne trovammo tre, in una stazione commerciale a sud di Chelsea. Avvelenamento da radiazioni. Probabilmente avevano cercato riparo nella casa, ma la neve li aveva intrappolati dentro. Avreste fatto una fine molto simile, se non aveste incrociato la carovana.-

Stava certamente parlando della casa in cui lui e Piper avevano alloggiato, la notte in cui aveva iniziato a nevicare. Eppure, Danse aveva pensato che loro due fossero stati i primi a venire in quella direzione, con la guida di Mama Murphy. Guardò Piper, dubbioso, ma la donna per il momento tacque.

-In ogni caso- disse l'uomo, indicando loro qualcosa. Li aveva portati ad un'area particolarmente calda della casa in cui erano stati incastrati letti e sacchi a pelo. -Potete riposarvi qui. Più tardi manderò un medico a controllarvi e darvi qualcosa, se doveste ancora soffrire per le radiazioni. Poi, parleremo.- L'uomo allungò quindi una mano, prima a Danse, e poi a Piper. -Il mio nome è Edlund. Siete i benvenuti, gente di frontiera.-

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Danse e Piper passarono tre giorni a riposarsi sotto le cure del medico di Montpelier. Più che le radiazioni assorbite, il loro problema ora ne erano più che altro le conseguenze, e le prime ore dopo la pulizia fatta con alte dosi di RadAway furono le più spiacevoli. Ma una volta che entrambi i loro stomaci si furono calmati, i due viaggiatori poterono finalmente riposarsi, e Danse potè interrogare Piper.

-In realtà, credo fosse un caso che quei tre fossero morti dove siamo passati noi- disse la donna, apparentemente a sua volta pensierosa su quella notizia. -All'epoca, come ti dicevo, mandammo parecchia gente in giro, ma nessuno era mai tornato. E non avendo indizi a parte il Nord, tanti gruppetti andarono un po' in ogni direzione... può essere che quei tre avessero cercato rifugio lì perché era l'unica area protetta nel giro di miglia. Eravamo parecchio isolati, in fondo- ipotizzò.

-Dunque veramente non sapevate nulla? Li mandavate alla cieca?- insistette Danse.

Piper annuì. -Non c'era altro modo. Ci serviva Nicky, ma non sapevamo nient'altro a parte la direzione... e non avevamo altro modo di cercare- spiegò. -Poveri stronzi. Che fine terribile...-

Danse non stentava a crederlo. Ma credere a Piper? Quello era più difficile. Era una strana coincidenza.

-Siamo sicuri che fossero uomini vostri?- chiese lui a quel punto.

Piper ci pensò su un po', poi fece un gesto impotente con le braccia. -Credo di sì. Nessun altro avrebbe ragione di venire così lontano dal sud... nessun turista, di certo.- Sospirò, pensosa. -È curiosa come coincidenza, ma non così remota, forse.-

Danse non ne era convinto, ma non insistette oltre.

Dopo qualche tempo, Edlund tornò a parlare con loro. Nonostante la neve, l'insediamento pareva essere molto attivo, e i due lo avevano visto raramente ad eccezione dei pasti, quando comunque nella casa lunga c'era stato troppo fragore per permettere di parlarsi senza urlare.

L'uomo si sedette con loro a terra, offrendo del tè da un contenitore artigianale che i due accettarono di buon grado. Gli abitanti di Montpelier lo fabbricavano da foglie di piante mutanti che crescevano nel sottobosco estivo della città, e faceva miracoli nello scaldare una persona. -Allora. Il dottore mi dice che state meglio- iniziò, appoggiando la teiera su una stuoia a lato.

-Sì-, confermò Piper. -Ne volevamo approfittare per ringraziarvi per l'aiuto e i medicinali che avete usato, nonostante fossimo due estranei. Siamo in debito con voi.-

Danse si limitò ad annuire per esternare il suo assenso. Avevano deciso che, vista l'eloquenza, sarebbe stato il caso che fosse stata Piper a gestire la conversazione con il capo, quando sicuramente questi sarebbe tornato a finire la discussione iniziata qualche giorno prima.

-Sciocchezze. Dalle nostre parti, il prossimo è tutto quello che uno ha per sopravvivere- replicò l'anziano. -Aiutarci l'un l'altro è la chiave per condurre una vita serena. Alcuni anziani credono che il rispetto sia l'unica cosa a tenere lontani gli spiriti della Morte Bianca, ma alla fine un po' di umana decenza è semplicemente la base di una buona vita, e null'altro.-

-La Morte Bianca? Cos'è?- chiese Piper.

L'uomo prese un sorso di tè prima di rispondere. -La Morte Bianca è assenza di vita, fondamentalmente- disse infine, dopo averci pensato su. -Una tempesta talmente immensa ed inarrestabile che si dice che nulla sia in grado di sopravvivervi. Spazza le terre a nord di qui da almeno duecento anni -alcuni dicono che sia colpa delle bombe, se è nata. Non si è mai spostata, ma nessuno ha idea di quanto sia effettivamente grande... solo che, se sei talmente sfortunato da ritrovarti al suo interno, è difficile che tu ne esca vivo.-

-Ma, quindi, è un temporale?- insistette la donna.

-No, una tempesta di neve. Vento, ghiaccio, nessuna visibilità nemmeno ad un palmo dal naso, temperature insostenibili anche con i nostri equipaggiamenti... è un mostro, come tanti altri che popolano queste terre, solo che non lo si può abbattere con le armi. Solo, pregare di non finirci dentro- rispose Edlund. -Alcune voci dicono che ci sia un insediamento perduto, in profondità nelle terre spazzate dalla Tempesta... ma nessuno è mai tornato per confermarlo. È solo una vecchia storia, ma gli anziani insistono che esista veramente. Qualcuno, tanto tempo fa, è pure andato a cercarlo...-

-Follia- disse Danse a quel punto, intervenendo per la prima volta. -Una tempesta del genere dev'essere per forza nata come conseguenza delle bombe, come pensate voi. Non c'è niente di magico, al suo interno -solo la furia degli elementi, fuori controllo. Potrebbero volerci secoli prima che le condizioni climatiche si stabilizzino al punto tale a farle perdere potenza, ma non c'è una qualche ragione mistica per la sua esistenza, di sicuro.-

Edlund gli concesse quel punto con un cenno del capo. -Certo, la logica impone un ragionamento simile. Ma i nostri vecchi sono persone fantasiose, e ancora molto legate alle vecchie tradizioni. Anche nelle storie più selvagge, da qualche parte si nasconde un fondo di verità, no? La scintilla che da origine alle leggende.- Fece una pausa, a quel punto, sospirando. Poi riprese a parlare, con tono meno pensoso: -Comunque. A prescindere dai deliri di noi vecchi, non mi avete ancora detto come mai vi siete spinti così a nord. Non ci capitano spesso visitatori da così lontano.-

Piper lanciò a Danse un'occhiata significativa, prima di rispondere. -Siamo sulle tracce di una persona, signor Edlund- spiegò. Procedette ad ignorare l'occhiata dura che Danse le scoccò all'uso della parola "persona", e proseguì. -Non dovrebbe passare inosservato. È evidentemente una specie di... robot umanoide, di una testa più basso di Danse, qui, con la pelle bianca e gli occhi gialli.-

Gli occhi dell'uomo si assottigliarono mentre pensava. -Hmm. E quanto tempo fa dovrebbe essere passato di qui, questo non... uomo?- chiese.

A Danse non sfuggì la maniera forzata in cui l'uomo stava fingendo casualità. E se Valentine fosse nascosto lì...?

-Dieci anni fa, ormai- rispose Piper, un po' in imbarazzo. -Lo so, è tanto tempo, però contiamo che un individuo del genere non sia facilmente dimenticabile.-

-Non lo è, infatti- confermò Edlund.

Con trepidazione, ascoltarono le sue successive parole. -Vedete, un uomo del genere passò di qui, molto tempo fa. Accompagnato da due bambini.- Danse rimase stupefatto dal sentire quelle parole. Due bambini, con il synth? Che diavolo c'entravano? Ma non interruppe il vecchio, che proseguì. -Era, come dicevate voi, un uomo alto, con la pelle bianca, finta, rotta, e gli occhi che brillavano di giallo. Erano inseguiti da dei predoni, e i nostri carovanieri offrirono loro riparo fino a che quelli non cedettero e fuggirono. Ma l'uomo di ferro insistette che non potevano restare, e chiedeva disperatamente di un luogo dove i loro inseguitori non li avrebbero potuti trovare.- Edlund appoggiò la sua tazza vuota sulla stuoia assieme alla teiera. - Erano abbastanza disperati da accettare qualsiasi suggerimento. Se non fossero morti per la neve, sarebbero morti per i predoni... e quelli non erano neanche gli unici ad essere sulle loro tracce. Non avevano speranze, ma non c'era obiezione che muovessimo che li convincesse a restare... dunque, offrimmo loro l'unico consiglio che potevamo dare.

-Dicemmo loro dell'insediamento perduto nella tempesta. Se l'avessero trovato, di certo nessuno avrebbe osato seguire le loro tracce. Ma nonostante avessimo cercato di spiegare all'uomo di ferro quanto la sua ricerca fosse disperata, lui non ci diede retta. Insisteva che dovevano andare. Così offrimmo ai bambini i nostri abiti e quante provviste potevano portare, e li accompagnammo al limitare della Morte Bianca, a ovest di qui.-

-È là, Danse- disse Piper, l'emozione palpabile nel suo tono. -Devono essere là! Nicky deve aver trovato quel posto! Dov'è, Edlund? Che altro puoi dirci?- Danse condivideva meno della metà del suo entusiasmo. Ma non aveva sentito, che nessuno non era mai tornato indietro da quella tempesta? Come avevano potuto sopravvivere un synth e due bambini ad una furia simile?

-Non molto, temo- rispose l'altro, ignorando l'espressione dubbiosa di Danse. -Voci dicono che la città nascosta sia sotto le acque di un antico lago ghiacciato, molte miglia all'interno della Morte Bianca... ma capirete anche voi che nessuno ha mai fatto ritorno per confermarlo.-

-Acqua- esalò Danse a quel punto. Mentre lui ancora lottava per metabolizzare quell'informazione, Piper tirò fuori la mappa dal suo zaino e la aprì tra di loro, partendo col dito da Montpelier e andando verso nord-ovest.

Il suo dito si fermò sopra il colore azzurrino del lago Champlain. Mama Murphy aveva avuto ragione, nei suoi deliri. Vento, che spazza l'acqua da duecento anni. La Morte Bianca situata precisamente sul lago. Tutto combaciava, per quanto la sua mente razionale faticasse ad accettarlo.

Valentine doveva essere lì.

 
 

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Capitolo 7
*** La Morte Bianca ***





Danse e Piper spesero tutti i loro tappi per comprare gli abiti fatti dagli abitanti di Montpelier.

Era indubbio che ne avrebbero avuto bisogno: già erano quasi morti per via della neve radioattiva quando ancora era tranquilla, e cadeva solo di notte, figurarsi nel bel mezzo di una dannata tempesta nota come la Morte Bianca.

Per lo meno, i coloni accettarono di buon grado il pagamento, anche se Danse era sicuro che gli abiti che avevano dato loro valessero ben più di quella somma. Espose il dubbio a Edlund il giorno dopo, quando l'anziano capovillaggio li accompagnò al fondo della collina. -È un ultimo gesto di pace- rispose l'uomo, con tono un po' imbarazzato. –Non prendetevela, né consideratelo di cattivo auspicio ma... la gente sa dove state andando, e crede che morirete. Essere gentile con chi sta per trapassare è una forma di rispetto.-

Anche se gli aveva chiesto di non prendersela, Danse ne aveva un po' le scatole piene, di tutta quella storia del rispetto. Specialmente a quel punto, e quando veniva offerto per quella ragione.

Non commentò, però, e montò assieme a Piper sulla slitta che i coloni avevano messo loro a disposizione. Era guidata da un uomo dalla faccia tirata in un brutto broncio, ma che per lo meno fu cortese quando li salutò a aiutò Piper a issarsi sul mezzo.

-Crohn, qui, vi accompagnerà fino al limitare della tempesta- spiegò Edlund, mano appoggiata sul fianco di una delle due Wayfarers. –Fino a che le bestiole vorranno andare. A una certa, si impuntano e si rifiutano di andare avanti. Da lì in poi, dovrete cavarvela da soli.-

-Avete accompagnato anche quell'uomo di ferro, quando è partito?- chiese Danse.

-Ovviamente. Lui pareva in grado di arrivarci anche da solo, ma come avrebbe fatto con quei bambini? Abbiamo fatto tutto quello che potevamo.- Edlund parve assumere per un attimo un'espressione rammaricata, ricordando probabilmente quel momento. Ma la cosa passò in fretta. –Beh, non vi tratterrò oltre. Buona fortuna, gente di frontiera. Che la neve vi sia lieve- disse l'anziano.

Crohn diede di frusta alle Wayfarers, e la slitta partì. Danse cercò di non pensare a quanto l'ultimo augurio di Edlund fosse suonato come un commiato a un defunto.

Marciarono nelle foreste per due giorni, con le renne mutanti che aprivano la via nella neve a suon di spallate. Ogni sera, quando si fermavano, Crohn offriva loro cibo e riparo, perché non usassero le loro provviste e gli oggetti che avevano ricevuto dai coloni non rischiassero di rompersi. Era un uomo silenzioso, molto più giovane di Edlund ma con un carattere più ombroso e pratico. Rifiutò categoricamente ogni forma di aiuto da Danse e Piper, a meno che non fosse per insegnare loro qualcosa, tipo usare la neve per cucinare, o costruire ripari e altre cose nella foresta. I due passarono quei giorni ad essere fondamentalmente istruiti su tutto quanto ci fosse da sapere sulla sopravvivenza in una terra gelata, e Danse, nonostante la netta impressione che stesse comunque marciando verso il suo patibolo, accettò comunque di buon grado l'aiuto.

Nella tarda mattinata del terzo giorno, la Wayfarer di testa lanciò un grugnito e si fermò così bruscamente che la seconda quasi andò a cozzare contro il suo posteriore, emettendo un verso confuso.

-È qui- annunciò Crohn. –Dahlia non sbaglia mai. La sente.-

Danse era un po' confuso. Lo scenario non era cambiato molto da quanto avessero visto fino a quel momento: alberi su alberi, talmente coperti di neve che nemmeno si vedeva il tronco, finchè l'occhio poteva scorgere. Ciononostante, scese dalla slitta e prese gli zaini.

Crohn scese a sua volta, facendo cenno di seguirlo dopo aver controllato che si fossero allacciati a dovere le racchette da neve. L'uomo diede una pacca affettuosa alla Wayfarer di testa, e poi avanzò di qualche metro nella foresta, verso una collinetta di neve.

-Guardate- disse, indicando un punto in lontananza. Stringendo gli occhi, Danse poteva vedere un un punto in cui la neve pareva diradarsi.

-Quello è un fiume. Dopo, c'è Jericho- spiegò l'uomo. –È appena dentro i limiti della tempesta, ma quando è ancora così presto, a volte si riesce a entrare senza incrociarla. Ma tanto la vedrete più avanti. La Morte Bianca trova tutti.-

-Interessante- ribattè, seccato, Danse. Era un po' stufo delle profezie fataliste. –Qualche altro consiglio, prima che andiamo?-

-Attenti alla neve. Non è tutta uguale. Lo senti sotto i piedi, quando sotto c'è il ghiaccio... a volte la neve è troppo pesante perfino per i lastroni, e se non si sta attenti, si va giù- disse Crohn. –È tutto muskeg, qua, adesso. Brutto da navigare.-

-Staremo attenti, Crohn. Grazie per averci portato fino a qui- disse Piper, allungando una mano guantata.

Crohn la ignorò, e si tornò ad arrampicarsi sul posto di guida della slitta. Mentre la faceva voltare, buttò una voce alle spalle: -Buona fortuna!-

A Danse parve che avesse aggiunto qualcosa a voce più bassa, ma il rumore della slitta coprì troppo il suono per esserne certi. Dopo pochi minuti, anche quel suono scomparve, e lui e Piper rimasero soli nella foresta. Si guardarono, e Danse aveva un presentimento che, ne era certo, anche Piper stesse percependo in quello stesso istante: ma entrambi scelsero di ignorarlo, e si misero in cammino nella direzione indicata da Crohn.

Non avevano nemmeno remotamente l'esperienza necessaria a viaggiare in maniera ottimale con le racchette, ma si erano sforzati di imparare, ed eventualmente i cacciatori di Montpelier avevano giudicato la loro tecnica passabile. Non era semplicissimo, ma via via che il tempo passava, il movimento necessario era meno pensato e più naturale. Dove era necessario, i bastoni da neve li aiutavano a trovare più appoggio per mantenere l'equilibrio.

Muoversi con l'equipaggiamento invernale addosso era, per certi versi, un po' simile ad avere un'armatura atomica. Dovevi valutare bene i tuoi movimenti, senza avere sistemi idraulici a toglierti il peso di dosso per aiutarti; il consumo d'energia era importante quasi quanto quello di una batteria, solo, per ovvie ragioni, incredibilmente più alto; e il peso complessivo di tutto il necessario richiedeva una certa forza per poterci camminare comodamente. Danse non aveva troppi problemi, ma sapeva che prima o poi Piper sarebbe stata in difficoltà. Avevano anche pianificato di fare diverse fermate proprio per permetterle di riposare.

Come indicato da Crohn, la foresta si sfoltì dopo un paio d'ore di cammino, lasciando il posto a una striscia di neve larga all'incirca una quindicina di metri di uno strano colore. Aveva assunto un colore più azzurrino rispetto a quella calpestata finora, risentendo ancora probabilmente della colorazione del fiume sottostante. Non erano ancora nel pieno dell'inverno, in fondo.

Tuttavia, di certo quell'area non era sicura da attraversare: Crohn non li avrebbe avvertiti altrimenti. La cosa buona di quella zona era che fosse relativamente libera da alberi, quindi l'occhio poteva viaggiare un po'. A quella che doveva essere la valle del fiume, si incappava più in là in una ripida discesa: una cascata, probabilmente non troppo alta ma certo non un luogo adatto al guado. A monte, in lontananza, Danse vide qualcosa spuntare dalla neve. Facendosi prestare il binocolo da Piper, vide dei bastoni che affioravano dalla coltre, ad altezze diverse: più bassi verso quelle che dovevano essere le rive del fiume, e più alti al centro.

I pali di mezzo del parapetto di un ponte.

I due si avvicinarono alla zona, guardinghi. Non pareva essere crollato, se tutti i pali erano visibili: a meno che non fossero sospesi solo dalla neve che li ricopriva, e che il resto della passerella non fosse sprofondato metri più sotto. Perché di metri si parlava, se erano visibili solo quei pochi centimetri di un ponte sospeso.

Danse passò per primo, testando con cautela il passaggio. Se non fosse successo niente, Piper avrebbe potuto seguire i suoi passi certa che, se avesse retto il peso più imponente dell'uomo, allora avrebbe potuto sopportare anche il suo, più minuta com'era nonostante gli abiti. Se fosse avvenuto il contrario, beh... Piper era più leggera, e avrebbe potuto tentare il guado da sola, da un'altra parte.

Per fortuna, la traversata avvenne senza incidenti per entrambi. Piper, per via dell'attesa al freddo e poi della camminata, aveva bisogno di una pausa: Danse aveva individuato, mentre aspettava il suo arrivo, un'antica struttura protetta dal grosso della neve da una parete naturale che, più a nord, tagliava loro la vista dell'ovest. Avvicinandosi, capirono che doveva essere una guardiola di cemento armato, posta probabilmente a controllo proprio del ponte. I cardini della porta erano congelati, ma con qualche spallata Danse riuscì a sbloccarli e permettere loro di entrare.

I vetri, rinforzati con qualche tecnica dell'Anteguerra, erano ancora intatti, quindi per lo meno la neve non aveva potuto entrarvi –escludendo quella che ci portarono loro, aprendo la porta. Duecento anni di sigilli non avevano impedito al posto di assumere un terribile odore di chiuso, con un vago olezzo di marcio proveniente da una fonte non ben identificata: ma, in virtù del riparo offerto, Danse e Piper cercarono di ignorare la cosa. Ad eccezione di una scrivania con un terminale spento, una sedia e qualche mensola di metallo, il tutto coperto da una grande quantità di polvere, la guardiola era vuota ed intonsa, come se la guerra non vi fosse nemmeno passata.

Non era caldo, nemmeno per sbaglio, ma il poter sedersi per qualche momento parve rinfrancare immediatamente Piper. Le ciocche di capelli scuri che sfuggivano al suo cappello erano umidicce, ma se per il clima o per il sudore, Danse non sapeva dirlo.

-Ugh. Sto odiando questi vestiti- si lamentò la donna. –Per carità, per funzionare, funzionano. Ma non credo di aver mai avuto addosso niente di così scomodo, e tengo conto di quella volta che avevo addosso un'armatura da supermutante.-

Danse cercò di sorvolare sul fatto che la donna avesse per qualche ragione indossato roba appartenente a uno di quei bruti. –Se li stai odiando tu, pensa a come dev'essersi trovato Valentine.-

-Nah, non credo che se li sia messi. A meno che... dici che i servo-meccanismi posso gelare?- chiese la donna, rivolta forse più a se stessa che a Danse.

-Non ne ho idea. Magari a lui non sono serviti, ma con due bambini?- chiese l'uomo a quel punto, con tono piccato.

Sì, aveva scelto quel momento per affrontare la questione. Per quel che ne sapeva avrebbero potuto morire appena messo piede fuori da quella guardiola, ed era il primo attimo di pace senza avere Crohn attorno, quindi sì, voleva parlarne.

Piper, prevedilmente, fece una smorfia, però parve non abboccare all'esca.

Danse andò avanti, a quel punto. –Devono essersela vista brutta, no? Perché sai, di tutte le cose che ho imparato da quando ho... dovuto rivolgermi a voi miliziani, è che a quanto pare avete questa brutta abitudine di mandare la gente a morire.-

-Dove stai cercando di arrivare, Danse?- domandò Piper con tono guardingo. Era evidente che la direzione che aveva preso la discussione non le stesse piacendo.

A Danse, in quel momento, importava relativamente. Voleva delle risposte dalla donna, e gliele avrebbe tirate fuori, volente o nolente. –Siamo in una piana ghiacciata, e stiamo andando dritto nella direzione della peggiore bufera di neve mai esistita sul suolo americano in duecentotrenta anni. Stiamo andando a morire, Piper- disse, aspro. –Potrei anche accettarlo, se la cosa riguardasse esclusivamente me. Avevo accettato di poter rischiare la vita fin dal momento in cui ho lasciato la base della Confraternita, e per certi versi posso anche capire che il mercenario abbia deciso di liberarsi di me nel modo che gli sembrava più consono. Cosa hai scelto di fare tu, della tua vita, a questo punto è una cosa di cui non mi interessa un granchè- continuò, elencando quei fatti sulle punte delle sue dita. –Quello che non capisco in tutto questo è cosa sia saltato in mente a voi Minutemen, quando avete deciso che fosse una buona idea appioppare a una mostruosità due bambini, e spedirli nel bel mezzo del nulla come se fosse la cosa più logica da fare.-

-Cosa c'entra questo con la missione?- obiettò Piper.

-Niente, ma tanto vale che lo accetti, Piper, è finita. Se non oggi, domani, o dopodomani, moriremo. Da qualche parte in questo inferno ci sono anche i cadaveri di quei due bambini, e per tua informazione la loro morte e quella delle persone che avete mandato in questa missione inutile, sono tutte responsabilità vostra!- sbottò l'uomo. –Voglio solo sapere perché. Perché Valentine, e perché osare addirittura mettere in ballo delle vite innocenti. Cosa vi può aver spinti così in basso?-

-Non hai idea di cosa tu stia parlando!- ribattè la donna, livida di rabbia. –Come... come osi, anche solo pensare che abbiamo fatto una cosa del genere?-

-Allora i bambini non glieli avete dati voi? Che ha fatto, quel mostro, li ha rapiti da qualche parte?-

-Certo che no!- rispose Piper. –E smettila di chiamarlo in quel modo, accidenti a te. Nicky ha dovuto portarli con sé per proteggerli, non è stata una cosa fatta con leggerezza!-

-Ah, quindi sapevi che fosse con dei bambini. Perché non me l'hai detto?- domandò ancora Danse, implacabile. –È un'informazione così sensibile?-

-Beh, guarda solo come diavolo ti stai inalberando adesso, e risponditi da solo- fece la donna, innervosita.

-No, rispondimi tu. Cosa avete fatto veramente, tu e quei folli degli altri Minutemen?- insistette l'altro.

-Beh, cosa vuoi che abbiamo fatto? Abbiamo cercato di proteggere i nostri cari da voi, stupide lattine della Confraternita. Nicky è dovuto fuggire perché se voi l'aveste catturato, il cielo solo sa che diavolo gli avreste fatto. E Robert aveva bisogno di qualcuno che mettesse al sicuro i suoi figli, quando si è unito ai Minutemen. Era troppo pericoloso lasciarli a Diamond City, quando la Confraternita avrebbe potuto attaccarla da un momento all'altro. Mandarli con Nick il più lontano possibile da là era la soluzione migliore.-

-Credevate veramente che la Confraternita avrebbe assalito dei bambini, solo perché legati ad uno dei suoi avversari?- disse Danse, oltraggiato dal solo pensiero.

-Beh, non è che vi siati fregiati di chissà quali azioni onorevoli, durante la guerra. Devo ricordarti cosa avete fatto a Nate?- sibilò Piper.

-Il Generale dei Minutemen era un nemico ed è stato trattato come tale. Ma la Confraternita non si sarebbe mai rivalsa sulla sua famiglia! Non siamo quel genere di associazione!- abbaiò l'altro.

-Non è vero, e lo sai meglio di me! I synth che avete catturato...-

-I synth sono un altro discorso, donna!- la interruppe Danse, facendosi più vicino, infuriato. –Sono creature mostruose, nient'altro che il frutto della mente perversa di un branco di folli! Trovo inaccettabile il modo con cui voi miliziani nonostante tutto continuiate a proteggerli. Non sono persone! Non lo sono mai state!-

-Ti rendi conto che stai parlando anche di te stesso, non è vero?- replicò Piper con tono velenoso.

-Certo, che me ne rendo conto. Non credere che la mia stessa esistenza non mi... ripugni. Ma mi ripugna di più il come sono venuto al mondo, e il perché. Il fatto che qualcuno abbia ucciso un Paladino innocente e mi abbia creato esclusivamente per fare il lavoro di una microspia sfruttando la sua pelle come un camuffamento qualsiasi! Io, gli altri synth, non siamo altro che oggetti. Mostri, senza arte né parte, e voi non solo per qualche ragione vi fate intenerire da essi, ma pensate pure di fidarvi di loro!- Danse fece un gesto impotente con le braccia, ancora esterrefatto dal pensiero. –Cosa facevate col robot? Valentine? Gli davate perfino dei tappi, per andare a risolvere i vostri problemi? Con che coraggio vi fidavate di una creatura oggettivamente disumana, al punto addirittura da affidarle poi i vostri figli?! È disgustoso!-

-Nick amava quei bambini esattamente come i loro genitori! E poi, credi che a Robert abbia fatto piacere aver dovuto mandarli via? Erano anni che non vedeva suo figlio, e ha potuto stare con lui solo qualche mese prima che voi megalomani non decideste di mandare all'aria tutto il lavoro che avevano fatto lui e Nate!- Piper a questo punto era diventata paonazza dalla rabbia, in piedi di fronte a Danse, e urlava quanto lui. Sì, perché a quel punto era chiaro che la discussione fosse degenerata.

-Il Generale White era pericoloso, Piper! Tutto quel potere, in mano ad un pazzo simpatizzante per dei mostri... quanto tempo credi avrebbe impiegato, a decidere che i suoi preziosi mostriciattoli sintetici avessero più valore dei coloni che aveva giurato di proteggere? Non ha forse messo a rischio la vita dei suoi insediamenti, quando ha deciso di muovere guerra all'Istituto per liberarli?- domandò Danse.

-Cos... Nate non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Per la miseria, non è stata nemmeno quella la ragione per cui abbiamo combattuto con l'Istituto!- obiettò Piper, esterrefatta.

-E allora per cosa l'avreste fatto, mh? L'Istituto teneva in scacco il Commonwealth da decenni. Il Generale White doveva distruggerlo per poter ottenere quel potere, e il modo migliore per mantenerlo per sé era usare le stesse armi che l'Istituto aveva creato. Nate era un megalomane, non noi della Confraternita! Dovreste solo ringraziare che Arthur sia stato in grado di capirlo prima che si scatenasse il peggio. Se solo aveste ascoltato, ora non saremmo a questo punto!-

Piper a quel punto non rispose. Aveva un'espressione brutta sul volto: qualcosa che mescolava indignazione, disgusto, pietà e... paura? Solo a quel punto Danse si rese conto del fatto che, con la sua stazza, ora stava incombendo sulla figura più minuta della donna, bloccandole a tutti gli effetti l'uscita mentre aveva continuato ad esternare con violenza la sua rabbia. Fece deliberatamente qualche passo indietro.

-Io ci avevo sperato, sai. Non avevo creduto a Robert, quando aveva insistito che saresti stato irrecuperabile- sibilò la donna, guardandolo allontanarsi. –Sono stata veramente stupida. Cosa pensi di fare ora, o Paladino decaduto? Dovrei fidarmi di te? Dovrei credere che non pianterai una pallottola in testa a Nick, quando l'avremo trovato?-

-Non lo troveremo- la interruppe Danse.

-Inizio a credere che sia meglio così- continuò Piper. -Ma ormai siamo troppo vicini perché io mi arrenda. Forse non devo più sperare in te... ma so che Nick è vivo.- Con un gesto fulmineo, prima che Danse potesse reagire, estrasse la pistola dal suo fodero e gliela puntò alla testa.

Danse alzò immediatamente le mani. Essendosi allontanato, ora non avrebbe potuto coprire la distanza che li separava prima che lei gli sparasse. –Cosa hai in mente di fare, donna?- chiese. –Farla finita ora? Qui?-

-No- replicò Piper, seccamente. –No, voglio solo mettere in chiaro le cose. Non credo che tu mi tradirai ora. Non mi ucciderai. Non prima di aver trovato Nick. È una questione di onore, vero? Lo fai per quella... Haylen. Perché ti ha chiesto lei, di venire da noi.-

Danse strinse le labbra in una linea dura.

-Dunque, finchè il tuo lavoro non sarà finito, non disonorerai il suo sforzo di tirare il tuo povero culo fuori dai guai. Quindi quello che faremo è semplice. Ora noi andiamo, e facciamo quello che dobbiamo fare. E poi, quando saremo tornati a Goodneighbor, tu sparirai dalla mia vista. Non dirò agli altri di ammazzarti solo perché sarebbe uno spreco di proiettili.

Vai al diavolo, Danse. Sei una delle persone più meschine che io abbia mai avuto il dispiacere di incontrare. E di pezzi di merda ne ho beccati tanti. Ma non ti meriti neanche uno dei miei sputi, figurarsi una pallottola.-

Mise via la pistola a quel punto, e si allontanò a passo veloce verso l'uscita della guardiola, aprendo la porta e riprendendo la marcia. Dopo qualche minuto, Danse la seguì.

Il suo giudizio, in realtà, non gli bruciava nemmeno più di tanto. Danse lo sapeva. Non aveva ragione di vergognarsi di se stesso, o di quello che aveva detto. A prescindere da quali sciocchi ideali sbandierassero quei folli dei Minutemen, era chiaro che la Confraternita avesse solo fatto bene ad intervenire prima che le cose sfuggissero definitivamente di mano.

Eppure, non riusciva a scrollarsi di dosso la ripugnante, appiccicosa sensazione di avere un dubbio nascosto da qualche parte, nelle profondità della sua mente.

Nel frattempo, sulle rive del fiume, era calata una foschia sinistra. I due si inerpicarono su una ripida salita che conduceva oltre la parete che li aveva riparati, all'interno della guardiola. La vista, oltre la collina, tolse il fiato a Danse: insieme ad essa, però, anche l'improvvisa sferzata di vento gelido e tagliente come una lama che gli colpì il viso.

Oltre le rovine di un piccolo villaggio quasi interamente nascosto dalla neve, c'era il nulla assoluto. Una parete di nebbia scura, densa quasi quanto un muro, che inghiottiva improvvisamente il paesaggio all'orizzonte, facendolo sparire come se qualcuno l'avesse letteralmente cancellato dalla vista. Nubi più scure e spaventose incombevano a quota più bassa, scure al punto tale che, Danse immaginava, al di sotto di esse la luce del sole non poteva nemmeno arrivare, ammantando la terra sottostante in un'ombra perenne.

Assenza di vita. Assenza di qualsiasi cosa: là dove c'era la tempesta, pareva che il mondo finisse improvvisamente.

Quella era la Morte Bianca.

Danse e Piper spesero tutti i loro tappi per comprare gli abiti fatti dagli abitanti di Montpelier.

Era indubbio che ne avrebbero avuto bisogno: già erano quasi morti per via della neve radioattiva quando ancora era tranquilla, e cadeva solo di notte, figurarsi nel bel mezzo di una dannata tempesta nota come la Morte Bianca.

Per lo meno, i coloni accettarono di buon grado il pagamento, anche se Danse era sicuro che gli abiti che avevano dato loro valessero ben più di quella somma. Espose il dubbio a Edlund il giorno dopo, quando l'anziano capovillaggio li accompagnò al fondo della collina. -È un ultimo gesto di pace- rispose l'uomo, con tono un po' imbarazzato. –Non prendetevela, né consideratelo di cattivo auspicio ma... la gente sa dove state andando, e crede che morirete. Essere gentile con chi sta per trapassare è una forma di rispetto.-

Anche se gli aveva chiesto di non prendersela, Danse ne aveva un po' le scatole piene, di tutta quella storia del rispetto. Specialmente a quel punto, e quando veniva offerto per quella ragione.

Non commentò, però, e montò assieme a Piper sulla slitta che i coloni avevano messo loro a disposizione. Era guidata da un uomo dalla faccia tirata in un brutto broncio, ma che per lo meno fu cortese quando li salutò a aiutò Piper a issarsi sul mezzo.

-Crohn, qui, vi accompagnerà fino al limitare della tempesta- spiegò Edlund, mano appoggiata sul fianco di una delle due Wayfarers. –Fino a che le bestiole vorranno andare. A una certa, si impuntano e si rifiutano di andare avanti. Da lì in poi, dovrete cavarvela da soli.-

-Avete accompagnato anche quell'uomo di ferro, quando è partito?- chiese Danse.

-Ovviamente. Lui pareva in grado di arrivarci anche da solo, ma come avrebbe fatto con quei bambini? Abbiamo fatto tutto quello che potevamo.- Edlund parve assumere per un attimo un'espressione rammaricata, ricordando probabilmente quel momento. Ma la cosa passò in fretta. –Beh, non vi tratterrò oltre. Buona fortuna, gente di frontiera. Che la neve vi sia lieve- disse l'anziano.

Crohn diede di frusta alle Wayfarers, e la slitta partì. Danse cercò di non pensare a quanto l'ultimo augurio di Edlund fosse suonato come un commiato a un defunto.

Marciarono nelle foreste per due giorni, con le renne mutanti che aprivano la via nella neve a suon di spallate. Ogni sera, quando si fermavano, Crohn offriva loro cibo e riparo, perché non usassero le loro provviste e gli oggetti che avevano ricevuto dai coloni non rischiassero di rompersi. Era un uomo silenzioso, molto più giovane di Edlund ma con un carattere più ombroso e pratico. Rifiutò categoricamente ogni forma di aiuto da Danse e Piper, a meno che non fosse per insegnare loro qualcosa, tipo usare la neve per cucinare, o costruire ripari e altre cose nella foresta. I due passarono quei giorni ad essere fondamentalmente istruiti su tutto quanto ci fosse da sapere sulla sopravvivenza in una terra gelata, e Danse, nonostante la netta impressione che stesse comunque marciando verso il suo patibolo, accettò comunque di buon grado l'aiuto.

Nella tarda mattinata del terzo giorno, la Wayfarer di testa lanciò un grugnito e si fermò così bruscamente che la seconda quasi andò a cozzare contro il suo posteriore, emettendo un verso confuso.

-È qui- annunciò Crohn. –Dahlia non sbaglia mai. La sente.-

Danse era un po' confuso. Lo scenario non era cambiato molto da quanto avessero visto fino a quel momento: alberi su alberi, talmente coperti di neve che nemmeno si vedeva il tronco, finchè l'occhio poteva scorgere. Ciononostante, scese dalla slitta e prese gli zaini.

Crohn scese a sua volta, facendo cenno di seguirlo dopo aver controllato che si fossero allacciati a dovere le racchette da neve. L'uomo diede una pacca affettuosa alla Wayfarer di testa, e poi avanzò di qualche metro nella foresta, verso una collinetta di neve.

-Guardate- disse, indicando un punto in lontananza. Stringendo gli occhi, Danse poteva vedere un un punto in cui la neve pareva diradarsi.

-Quello è un fiume. Dopo, c'è Jericho- spiegò l'uomo. –È appena dentro i limiti della tempesta, ma quando è ancora così presto, a volte si riesce a entrare senza incrociarla. Ma tanto la vedrete più avanti. La Morte Bianca trova tutti.-

-Interessante- ribattè, seccato, Danse. Era un po' stufo delle profezie fataliste. –Qualche altro consiglio, prima che andiamo?-

-Attenti alla neve. Non è tutta uguale. Lo senti sotto i piedi, quando sotto c'è il ghiaccio... a volte la neve è troppo pesante perfino per i lastroni, e se non si sta attenti, si va giù- disse Crohn. –È tutto muskeg, qua, adesso. Brutto da navigare.-

-Staremo attenti, Crohn. Grazie per averci portato fino a qui- disse Piper, allungando una mano guantata.

Crohn la ignorò, e si tornò ad arrampicarsi sul posto di guida della slitta. Mentre la faceva voltare, buttò una voce alle spalle: -Buona fortuna!-

A Danse parve che avesse aggiunto qualcosa a voce più bassa, ma il rumore della slitta coprì troppo il suono per esserne certi. Dopo pochi minuti, anche quel suono scomparve, e lui e Piper rimasero soli nella foresta. Si guardarono, e Danse aveva un presentimento che, ne era certo, anche Piper stesse percependo in quello stesso istante: ma entrambi scelsero di ignorarlo, e si misero in cammino nella direzione indicata da Crohn.

Non avevano nemmeno remotamente l'esperienza necessaria a viaggiare in maniera ottimale con le racchette, ma si erano sforzati di imparare, ed eventualmente i cacciatori di Montpelier avevano giudicato la loro tecnica passabile. Non era semplicissimo, ma via via che il tempo passava, il movimento necessario era meno pensato e più naturale. Dove era necessario, i bastoni da neve li aiutavano a trovare più appoggio per mantenere l'equilibrio.

Muoversi con l'equipaggiamento invernale addosso era, per certi versi, un po' simile ad avere un'armatura atomica. Dovevi valutare bene i tuoi movimenti, senza avere sistemi idraulici a toglierti il peso di dosso per aiutarti; il consumo d'energia era importante quasi quanto quello di una batteria, solo, per ovvie ragioni, incredibilmente più alto; e il peso complessivo di tutto il necessario richiedeva una certa forza per poterci camminare comodamente. Danse non aveva troppi problemi, ma sapeva che prima o poi Piper sarebbe stata in difficoltà. Avevano anche pianificato di fare diverse fermate proprio per permetterle di riposare.

Come indicato da Crohn, la foresta si sfoltì dopo un paio d'ore di cammino, lasciando il posto a una striscia di neve larga all'incirca una quindicina di metri di uno strano colore. Aveva assunto un colore più azzurrino rispetto a quella calpestata finora, risentendo ancora probabilmente della colorazione del fiume sottostante. Non erano ancora nel pieno dell'inverno, in fondo.

Tuttavia, di certo quell'area non era sicura da attraversare: Crohn non li avrebbe avvertiti altrimenti. La cosa buona di quella zona era che fosse relativamente libera da alberi, quindi l'occhio poteva viaggiare un po'. A quella che doveva essere la valle del fiume, si incappava più in là in una ripida discesa: una cascata, probabilmente non troppo alta ma certo non un luogo adatto al guado. A monte, in lontananza, Danse vide qualcosa spuntare dalla neve. Facendosi prestare il binocolo da Piper, vide dei bastoni che affioravano dalla coltre, ad altezze diverse: più bassi verso quelle che dovevano essere le rive del fiume, e più alti al centro.

I pali di mezzo del parapetto di un ponte.

I due si avvicinarono alla zona, guardinghi. Non pareva essere crollato, se tutti i pali erano visibili: a meno che non fossero sospesi solo dalla neve che li ricopriva, e che il resto della passerella non fosse sprofondato metri più sotto. Perché di metri si parlava, se erano visibili solo quei pochi centimetri di un ponte sospeso.

Danse passò per primo, testando con cautela il passaggio. Se non fosse successo niente, Piper avrebbe potuto seguire i suoi passi certa che, se avesse retto il peso più imponente dell'uomo, allora avrebbe potuto sopportare anche il suo, più minuta com'era nonostante gli abiti. Se fosse avvenuto il contrario, beh... Piper era più leggera, e avrebbe potuto tentare il guado da sola, da un'altra parte.

Per fortuna, la traversata avvenne senza incidenti per entrambi. Piper, per via dell'attesa al freddo e poi della camminata, aveva bisogno di una pausa: Danse aveva individuato, mentre aspettava il suo arrivo, un'antica struttura protetta dal grosso della neve da una parete naturale che, più a nord, tagliava loro la vista dell'ovest. Avvicinandosi, capirono che doveva essere una guardiola di cemento armato, posta probabilmente a controllo proprio del ponte. I cardini della porta erano congelati, ma con qualche spallata Danse riuscì a sbloccarli e permettere loro di entrare.

I vetri, rinforzati con qualche tecnica dell'Anteguerra, erano ancora intatti, quindi per lo meno la neve non aveva potuto entrarvi –escludendo quella che ci portarono loro, aprendo la porta. Duecento anni di sigilli non avevano impedito al posto di assumere un terribile odore di chiuso, con un vago olezzo di marcio proveniente da una fonte non ben identificata: ma, in virtù del riparo offerto, Danse e Piper cercarono di ignorare la cosa. Ad eccezione di una scrivania con un terminale spento, una sedia e qualche mensola di metallo, il tutto coperto da una grande quantità di polvere, la guardiola era vuota ed intonsa, come se la guerra non vi fosse nemmeno passata.

Non era caldo, nemmeno per sbaglio, ma il poter sedersi per qualche momento parve rinfrancare immediatamente Piper. Le ciocche di capelli scuri che sfuggivano al suo cappello erano umidicce, ma se per il clima o per il sudore, Danse non sapeva dirlo.

-Ugh. Sto odiando questi vestiti- si lamentò la donna. –Per carità, per funzionare, funzionano. Ma non credo di aver mai avuto addosso niente di così scomodo, e tengo conto di quella volta che avevo addosso un'armatura da supermutante.-

Danse cercò di sorvolare sul fatto che la donna avesse per qualche ragione indossato roba appartenente a uno di quei bruti. –Se li stai odiando tu, pensa a come dev'essersi trovato Valentine.-

-Nah, non credo che se li sia messi. A meno che... dici che i servo-meccanismi posso gelare?- chiese la donna, rivolta forse più a se stessa che a Danse.

-Non ne ho idea. Magari a lui non sono serviti, ma con due bambini?- chiese l'uomo a quel punto, con tono piccato.

Sì, aveva scelto quel momento per affrontare la questione. Per quel che ne sapeva avrebbero potuto morire appena messo piede fuori da quella guardiola, ed era il primo attimo di pace senza avere Crohn attorno, quindi sì, voleva parlarne.

Piper, prevedilmente, fece una smorfia, però parve non abboccare all'esca.

Danse andò avanti, a quel punto. –Devono essersela vista brutta, no? Perché sai, di tutte le cose che ho imparato da quando ho... dovuto rivolgermi a voi miliziani, è che a quanto pare avete questa brutta abitudine di mandare la gente a morire.-

-Dove stai cercando di arrivare, Danse?- domandò Piper con tono guardingo. Era evidente che la direzione che aveva preso la discussione non le stesse piacendo.

A Danse, in quel momento, importava relativamente. Voleva delle risposte dalla donna, e gliele avrebbe tirate fuori, volente o nolente. –Siamo in una piana ghiacciata, e stiamo andando dritto nella direzione della peggiore bufera di neve mai esistita sul suolo americano in duecentotrenta anni. Stiamo andando a morire, Piper- disse, aspro. –Potrei anche accettarlo, se la cosa riguardasse esclusivamente me. Avevo accettato di poter rischiare la vita fin dal momento in cui ho lasciato la base della Confraternita, e per certi versi posso anche capire che il mercenario abbia deciso di liberarsi di me nel modo che gli sembrava più consono. Cosa hai scelto di fare tu, della tua vita, a questo punto è una cosa di cui non mi interessa un granchè- continuò, elencando quei fatti sulle punte delle sue dita. –Quello che non capisco in tutto questo è cosa sia saltato in mente a voi Minutemen, quando avete deciso che fosse una buona idea appioppare a una mostruosità due bambini, e spedirli nel bel mezzo del nulla come se fosse la cosa più logica da fare.-

-Cosa c'entra questo con la missione?- obiettò Piper.

-Niente, ma tanto vale che lo accetti, Piper, è finita. Se non oggi, domani, o dopodomani, moriremo. Da qualche parte in questo inferno ci sono anche i cadaveri di quei due bambini, e per tua informazione la loro morte e quella delle persone che avete mandato in questa missione inutile, sono tutte responsabilità vostra!- sbottò l'uomo. –Voglio solo sapere perché. Perché Valentine, e perché osare addirittura mettere in ballo delle vite innocenti. Cosa vi può aver spinti così in basso?-

-Non hai idea di cosa tu stia parlando!- ribattè la donna, livida di rabbia. –Come... come osi, anche solo pensare che abbiamo fatto una cosa del genere?-

-Allora i bambini non glieli avete dati voi? Che ha fatto, quel mostro, li ha rapiti da qualche parte?-

-Certo che no!- rispose Piper. –E smettila di chiamarlo in quel modo, accidenti a te. Nicky ha dovuto portarli con sé per proteggerli, non è stata una cosa fatta con leggerezza!-

-Ah, quindi sapevi che fosse con dei bambini. Perché non me l'hai detto?- domandò ancora Danse, implacabile. –È un'informazione così sensibile?-

-Beh, guarda solo come diavolo ti stai inalberando adesso, e risponditi da solo- fece la donna, innervosita.

-No, rispondimi tu. Cosa avete fatto veramente, tu e quei folli degli altri Minutemen?- insistette l'altro.

-Beh, cosa vuoi che abbiamo fatto? Abbiamo cercato di proteggere i nostri cari da voi, stupide lattine della Confraternita. Nicky è dovuto fuggire perché se voi l'aveste catturato, il cielo solo sa che diavolo gli avreste fatto. E Robert aveva bisogno di qualcuno che mettesse al sicuro i suoi figli, quando si è unito ai Minutemen. Era troppo pericoloso lasciarli a Diamond City, quando la Confraternita avrebbe potuto attaccarla da un momento all'altro. Mandarli con Nick il più lontano possibile da là era la soluzione migliore.-

-Credevate veramente che la Confraternita avrebbe assalito dei bambini, solo perché legati ad uno dei suoi avversari?- disse Danse, oltraggiato dal solo pensiero.

-Beh, non è che vi siati fregiati di chissà quali azioni onorevoli, durante la guerra. Devo ricordarti cosa avete fatto a Nate?- sibilò Piper.

-Il Generale dei Minutemen era un nemico ed è stato trattato come tale. Ma la Confraternita non si sarebbe mai rivalsa sulla sua famiglia! Non siamo quel genere di associazione!- abbaiò l'altro.

-Non è vero, e lo sai meglio di me! I synth che avete catturato...-

-I synth sono un altro discorso, donna!- la interruppe Danse, facendosi più vicino, infuriato. –Sono creature mostruose, nient'altro che il frutto della mente perversa di un branco di folli! Trovo inaccettabile il modo con cui voi miliziani nonostante tutto continuiate a proteggerli. Non sono persone! Non lo sono mai state!-

-Ti rendi conto che stai parlando anche di te stesso, non è vero?- replicò Piper con tono velenoso.

-Certo, che me ne rendo conto. Non credere che la mia stessa esistenza non mi... ripugni. Ma mi ripugna di più il come sono venuto al mondo, e il perché. Il fatto che qualcuno abbia ucciso un Paladino innocente e mi abbia creato esclusivamente per fare il lavoro di una microspia sfruttando la sua pelle come un camuffamento qualsiasi! Io, gli altri synth, non siamo altro che oggetti. Mostri, senza arte né parte, e voi non solo per qualche ragione vi fate intenerire da essi, ma pensate pure di fidarvi di loro!- Danse fece un gesto impotente con le braccia, ancora esterrefatto dal pensiero. –Cosa facevate col robot? Valentine? Gli davate perfino dei tappi, per andare a risolvere i vostri problemi? Con che coraggio vi fidavate di una creatura oggettivamente disumana, al punto addirittura da affidarle poi i vostri figli?! È disgustoso!-

-Nick amava quei bambini esattamente come i loro genitori! E poi, credi che a Robert abbia fatto piacere aver dovuto mandarli via? Erano anni che non vedeva suo figlio, e ha potuto stare con lui solo qualche mese prima che voi megalomani non decideste di mandare all'aria tutto il lavoro che avevano fatto lui e Nate!- Piper a questo punto era diventata paonazza dalla rabbia, in piedi di fronte a Danse, e urlava quanto lui. Sì, perché a quel punto era chiaro che la discussione fosse degenerata.

-Il Generale White era pericoloso, Piper! Tutto quel potere, in mano ad un pazzo simpatizzante per dei mostri... quanto tempo credi avrebbe impiegato, a decidere che i suoi preziosi mostriciattoli sintetici avessero più valore dei coloni che aveva giurato di proteggere? Non ha forse messo a rischio la vita dei suoi insediamenti, quando ha deciso di muovere guerra all'Istituto per liberarli?- domandò Danse.

-Cos... Nate non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Per la miseria, non è stata nemmeno quella la ragione per cui abbiamo combattuto con l'Istituto!- obiettò Piper, esterrefatta.

-E allora per cosa l'avreste fatto, mh? L'Istituto teneva in scacco il Commonwealth da decenni. Il Generale White doveva distruggerlo per poter ottenere quel potere, e il modo migliore per mantenerlo per sé era usare le stesse armi che l'Istituto aveva creato. Nate era un megalomane, non noi della Confraternita! Dovreste solo ringraziare che Arthur sia stato in grado di capirlo prima che si scatenasse il peggio. Se solo aveste ascoltato, ora non saremmo a questo punto!-

Piper a quel punto non rispose. Aveva un'espressione brutta sul volto: qualcosa che mescolava indignazione, disgusto, pietà e... paura? Solo a quel punto Danse si rese conto del fatto che, con la sua stazza, ora stava incombendo sulla figura più minuta della donna, bloccandole a tutti gli effetti l'uscita mentre aveva continuato ad esternare con violenza la sua rabbia. Fece deliberatamente qualche passo indietro.

-Io ci avevo sperato, sai. Non avevo creduto a Robert, quando aveva insistito che saresti stato irrecuperabile- sibilò la donna, guardandolo allontanarsi. –Sono stata veramente stupida. Cosa pensi di fare ora, o Paladino decaduto? Dovrei fidarmi di te? Dovrei credere che non pianterai una pallottola in testa a Nick, quando l'avremo trovato?-

-Non lo troveremo- la interruppe Danse.

-Inizio a credere che sia meglio così- continuò Piper. -Ma ormai siamo troppo vicini perché io mi arrenda. Forse non devo più sperare in te... ma so che Nick è vivo.- Con un gesto fulmineo, prima che Danse potesse reagire, estrasse la pistola dal suo fodero e gliela puntò alla testa.

Danse alzò immediatamente le mani. Essendosi allontanato, ora non avrebbe potuto coprire la distanza che li separava prima che lei gli sparasse. –Cosa hai in mente di fare, donna?- chiese. –Farla finita ora? Qui?-

-No- replicò Piper, seccamente. –No, voglio solo mettere in chiaro le cose. Non credo che tu mi tradirai ora. Non mi ucciderai. Non prima di aver trovato Nick. È una questione di onore, vero? Lo fai per quella... Haylen. Perché ti ha chiesto lei, di venire da noi.-

Danse strinse le labbra in una linea dura.

-Dunque, finchè il tuo lavoro non sarà finito, non disonorerai il suo sforzo di tirare il tuo povero culo fuori dai guai. Quindi quello che faremo è semplice. Ora noi andiamo, e facciamo quello che dobbiamo fare. E poi, quando saremo tornati a Goodneighbor, tu sparirai dalla mia vista. Non dirò agli altri di ammazzarti solo perché sarebbe uno spreco di proiettili.

Vai al diavolo, Danse. Sei una delle persone più meschine che io abbia mai avuto il dispiacere di incontrare. E di pezzi di merda ne ho beccati tanti. Ma non ti meriti neanche uno dei miei sputi, figurarsi una pallottola.-

Mise via la pistola a quel punto, e si allontanò a passo veloce verso l'uscita della guardiola, aprendo la porta e riprendendo la marcia. Dopo qualche minuto, Danse la seguì.

Il suo giudizio, in realtà, non gli bruciava nemmeno più di tanto. Danse lo sapeva. Non aveva ragione di vergognarsi di se stesso, o di quello che aveva detto. A prescindere da quali sciocchi ideali sbandierassero quei folli dei Minutemen, era chiaro che la Confraternita avesse solo fatto bene ad intervenire prima che le cose sfuggissero definitivamente di mano.

Eppure, non riusciva a scrollarsi di dosso la ripugnante, appiccicosa sensazione di avere un dubbio nascosto da qualche parte, nelle profondità della sua mente.

Nel frattempo, sulle rive del fiume, era calata una foschia sinistra. I due si inerpicarono su una ripida salita che conduceva oltre la parete che li aveva riparati, all'interno della guardiola. La vista, oltre la collina, tolse il fiato a Danse: insieme ad essa, però, anche l'improvvisa sferzata di vento gelido e tagliente come una lama che gli colpì il viso.

Oltre le rovine di un piccolo villaggio quasi interamente nascosto dalla neve, c'era il nulla assoluto. Una parete di nebbia scura, densa quasi quanto un muro, che inghiottiva improvvisamente il paesaggio all'orizzonte, facendolo sparire come se qualcuno l'avesse letteralmente cancellato dalla vista. Nubi più scure e spaventose incombevano a quota più bassa, scure al punto tale che, Danse immaginava, al di sotto di esse la luce del sole non poteva nemmeno arrivare, ammantando la terra sottostante in un'ombra perenne.

Assenza di vita. Assenza di qualsiasi cosa: là dove c'era la tempesta, pareva che il mondo finisse improvvisamente.

Quella era la Morte Bianca.

 
 

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Capitolo 8
*** Jericho ***





Era terrificante, se pur lontana. E Danse e Piper avrebbero dovuto andare proprio lì dentro.

Danse non fu mai più certo della sua morte come in quel momento. Neppure l'esperienza di un mese prima, con i fucili della pattuglia della Confraternita piantati in faccia, era paragonabile a quell'esperienza.

Sentì Piper prendere un respiro, ma quando si girò per guardarla la donna stava già iniziando la discesa in direzione delle rovine che si vedevano a una certa distanza, a metà tra loro e la tempesta all'orizzonte. Quelli dovevano essere i resti dell'antica cittadina di Jericho, sulle rive del lago Champlain.

L'area era priva di alberi, in senso stretto: spuntavano dalla neve solo tronchi spezzati, in maniera non dissimile dal paesaggio del Mare Splendente del Commonwealth: solo che la forza distruttrice in questo caso era di origine differente. L'intera zona era difficile da navigare per via dei resti sommersi di quelle piante, invisibili nella neve ma che rendevano la strada infida una volta che ci capitavi sopra. Spesso entrambi furono sul punto di cadere, ed erano costretti a muoversi molto più lentamente, sprecando ore preziose.

Quando arrivarono finalmente nei pressi delle rovine, il tempo iniziò a peggiorare. Oltre al vento, che non aveva dato loro tregua dal momento in cui erano scesi dalla collina, ci si era messa pure la neve. Non era fitta, né forte come ci si aspettava essere quella di una bufera a tutti gli effetti: era sollevata direttamente dal terreno dalla forza delle raffiche, e tendeva a finire in faccia e negli occhi. Il sole era scomparso già il giorno prima, e il cielo da bianco stava lentamente diventando plumbeo.

-Non possiamo andare avanti per oggi!- urlò Danse, per farsi sentire oltre le raffiche. –Dobbiamo trovare un posto per fermarci e passare la notte!-

Piper, qualche metro più indietro, piantò il bastone nella neve. Aveva il fiato grosso, ma nonostante la fatica riuscì comunque a lanciargli uno sguardo duro. Tuttavia, dopo una breve riflessione, annuì. –Ho visto una casa intatta, da quella parte!- urlò di rimando, indicando un punto alla loro destra. Guardando, Danse poteva vedere un edificio appena sopraelevato rispetto agli altri. Aveva un tetto, e quello doveva bastare. Lentamente, si mossero in quella direzione.

Ci volle un'ora per attraversare le rovine con abbastanza cautela da non uccidersi. La neve era infida, e in certi punti quella che pareva essere una strada piana si piegava in una ripida discesa all'improvviso, rischiando di farli cadere o di far loro slogare una caviglia se non prestavano abbastanza attenzione. Con il vento e la neve che veniva spruzzata loro negli occhi, era difficile vedere quegli avvallamenti per tempo.

Ora che erano marginalmente più vicini alla casa, che sedeva un po' lontana dal villaggio principale, videro che aveva sì un tetto, ma che quella che pareva essere una torre era stata spazzata via dal vento, lasciando solo una struttura arzigogolata completamente scoperchiata, più alta della struttura vera e propria di almeno un piano. Danse pregò che il pavimento lì non avesse ceduto, lasciando il piano inferiore in preda alla furia degli elementi. Se così fosse stato, quello sforzo sarebbe stato inutile.

Non avevano idea di che ora fosse, né di quanto mancasse al tramonto (non doveva essere molto, ormai: le giornate erano sempre più corte), ma marciarono per quelle che sembrarono ore, il cammino reso più difficile da una pendenza che dalla loro precedente posizione non avevano notato. Nonostante le protezioni, Danse sentiva ogni respiro di aria gelida bruciargli i polmoni, che parevano in grado di assumere sempre meno aria. Camminava solo per pura cocciutaggine, tenendo lo sguardo fisso sui propri piedi, decidendo di passo in passo dove metterli per assicurarsi che fosse sicuro.

Per questa ragione, forse, o per l'ululare del vento, Danse lì per lì non sentì il verso di sorpresa che emise Piper, rimasta ancora una volta indietro. In seguito, non avrebbe saputo dire cosa lo spinse a girarsi, in quel momento: se un presentimento, il suo istinto, o il puro, semplice caso. Ma lo fece, e vide che la donna era sparita alla vista.

-Piper?!- la chiamò, senza ottenere risposta. Non che avrebbe potuto sentire l'eventuale risposta, probabilmente. Il fento era troppo rumoroso. –Piper!- tentò ancora, incerto, tornando indietro nella direzione in cui credeva fosse stata fino a poco prima. Le sue tracce erano spostate di un paio di metri più a ovest delle sue.

Fu per pura fortuna se a Danse non capitò lo stesso fato della donna. Notò la lieve inclinazione della terra prima di vederla, e potè rallentare abbastanza da non cadervi dentro.

Davanti a lui si apriva un fossato, non abbastanza profondo da poter essere definito propriamente un precipizio, ma da cui spuntavano abbastanza rocce aguzze da averne comunque la stessa pericolosità. Piper giaceva su una di quelle sporgenze, qualche metro più in basso, apparentemente incosciente.

-Piper!- la chiamò comunque l'uomo, ma dalla donna non venne alcuna risposta.

Doveva calarsi laggiù, non c'era altra soluzione. Un tronco spezzato, a poca distanza da lui, avrebbe potuto fornire un buon ancoraggio per una fune. Danse non perse tempo a legarne con cura una al tronco e ad assicurarla poi attorno a se stesso. Mossa dall'urgenza, la sua mente era impegnata esclusivamente nel compito di raggiungere l'altra nel minor tempo possibile e valutare subito cosa fosse successo e quale fosse l'entità delle sue ferite: non c'era spazio per pensare alla lite e alle sue conseguenze, ma solo per agire d'istinto.

La roccia era scivolosa anche sotto le suole degli stivali che indossava, rendendo la discesa difficile, ma per lo meno il tronco sembrava abbastanza stabile da poter reggere il suo peso. Se la corda avesse retto avrebbe potuto anche trasportare Piper, se la cosa si fosse rivelata necessaria.

Fu una discesa complicata, ma eventualmente toccò terra a pochi metri dalla donna. La roccia era ghiacciata e sdrucciolevole, ma in orizzontale i suoi stivali avevano una presa migliore e Danse riuscì a raggiungerla senza incidenti.

-Piper? Piper, riesci a sentirmi?- la chiamò, mentre si levava lo zaino dalle spalle.

-Mh...- grugnì la donna, senza però dare ulteriori segni d'essere del tutto cosciente. Danse a quel punto la voltò delicatamente sulla schiena perché potesse constatare meglio le sue condizioni.

La cosa buona dell'indossare abiti così pesanti era che fornissero anche molta imbottitura. La donna non pareva avere ferite in vista, ma quando Danse le tastò un piede la sentì sobbalzare sotto le sue mani, e quella emise un debole verso di dolore. A quel punto, però, parve svegliarsi e cercò di mettersi a sedere.

-Ugh... cosa...- stava mugugnando.

-Attenta, potresti aver battuto la testa- la avvertì Danse, prendendola per le spalle per rallentare i suoi movimenti. Per lo meno in quel precipizio il vento non ululava con la stessa forza che aveva all'esterno, e potevano comunicare senza dover urlare.

-Oh... sì, mi fa un po' male. Che è successo?- chiese Piper, facendo una smorfia e alzando una mano per toccarsi un lato della testa.

-Non ti ricordi? Sei caduta, poco fa- rispose Danse. –Va tutto bene. Quante dita vedi?- chiese, alzandone due.

-Due- replicò la donna. –Ugh. Non si vedeva niente lassù, quel buco è spuntato dal nulla... accidenti!- gemette poi, quando fece per spostare una gamba. –Ungh... la caviglia...-

-Ti porto io. Riesci a stare sveglia? Come va la testa?- insistette ancora l'uomo.

-Credo bene. Mi fa un po' male ma non credo sia niente di peggio di un bernoccolo- disse la donna.

Danse non si fidava molto della sua risposta. Non perché non avesse fiducia nella donna (quello era un altro discorso) ma perché sapeva per esperienza che le ferite alla testa potevano essere infide. –Dobbiamo risalire la parete. Ho una fune, ma dovrò legarti per essere sicuro che tu non mi cada mentre torniamo di sopra- spiegò.

La donna fece un'altra smorfia, questa evidentemente non tanto di dolore, ma dovette accettare la logica dell'altro. Danse non credeva sarebbe stata in grado di reggersi a lui nemmeno se fosse stata in forma, non lungo la scalata di una parete verticale e con il peso dell'equipaggiamento addosso, anche se era solo il proprio: portare anche lo zaino di Piper sarebbe stato impossibile.

In poco tempo, riuscirono a mettere su un'imbracatura di fortuna per la donna, che Danse avrebbe portato con le braccia assicurate attorno al suo collo e le gambe legate attorno alla vita. Non avevano nulla per mettere in sicurezza la sua caviglia per il momento, ma una piccola dose di Med-X avrebbe dovuto essere sufficiente a tenere sotto controllo il dolore fino a che non fossero riusciti a entrare nella casa e mettersi al sicuro.

Alzarsi con la donna sulle spalle fu un'impresa. Appesantito dal suo stesso equipaggiamento, Danse aveva molta meno mobilità del solito e dovette far nuovamente uso della cima assicurata al tronco, più su, per potersi rimettere in piedi. Non c'era bisogno che nessuno dei due dicesse ad alta voce ciò che entrambi pensavano: se la corda avesse ceduto, se Danse fosse scivolato, se il tronco si fosse spezzato, se qualsiasi cosa fosse andata storta e si fossero ritrovati a cadere, sarebbero morti.

Iniziarono la scalata. Ogni passo, per Danse, era una tortura: stringeva la fune con una presa spasmodica, non tanto per paura ma per la forza che doveva esercitare non solo per issarsi ma anche per mantenere l'equilibrio. Già affaticato dalla precedente camminata, se prima i polmoni gli avevano bruciato ora urlavano il loro malcontento, rendendo ogni respiro una stilettata al petto per l'uomo. Le funi, sia quelle che reggevano Piper al suo corpo, sia quelle che lo attaccavano all'ancora, qualche metro più su, stringevano dolorosamente nonostante l'imbottitura fornita dai suoi abiti.

Digrignando i denti al punto da iniziare a sentire male, Danse continuò a mettere un piede avanti all'altro. Era abbastanza sicuro che ogni passo sballottasse pesantemente Piper, ma non aveva altra scelta che non fosse sperare che il Med-X stesse facendo effetto. Non sentiva rumori dalle sue spalle.

La scalata eventualmente ebbe successo. Una volta certo di essere arrivato sul terreno orizzontale, anche se spazzato dal vento, Danse osò fermarsi un momento.

La situazione del meteo, mentre quell'ultima emergenza era rientrata, pareva essere peggiorata. La luce era calata drasticamente, anche se per fortuna si scorgeva ancora la casa, non troppo lontana; agli spruzzi di neve strappata al terreno, però, si era aggiunta anche quella che cadeva dal cielo. Ormai era impossibile dire se facesse più o meno freddo: entrambi erano troppo congelati a quel punto per cogliere la differenza.

Danse abbandonò la fune al tronco, certo di non poter perdere tempo a cercare di sciogliere quel nodo, e riprese il cammino verso la casa. Fu un pellegrinaggio lento, e nel momento in cui vide davanti al suo viso la porta, temette quasi a quel punto che fosse un'allucinazione, tanta era la stanchezza che stava provando in quel momento.

Non sapeva se il cielo avesse scelto di essere misericordioso, o se la cosa avrebbe dovuto sollevargli piuttosto un presentimento, ma l'uscio cedette con solo un minimo sforzo, e poi furono dentro.

Il vento stava ancora ululando ferocemente, là fuori: ma la casa era, miracolosamente, protetta. Le finestre erano state pesantemente rinforzate e serrate contro la furia degli elementi, e non c'erano tracce di neve all'interno che lui potesse vedere. Il che non era molto, visto che la casa era avvolta nell'oscurità.

Ansimando, Danse cercò a tentoni la torcia alla sua cintola, e quando la accese vide che sì, non c'era neve. Erano in quella che pareva un salotto, con dei divani intonsi posti attorno ad un camino. Antichi mobili di legno erano spinti contro le pareti, e da un uscio in fondo alla stanza si andava in altri locali della casa. Tutto era coperto da almeno tre dita di polvere, anche il pavimento, su cui non c'erano tracce recenti.

Incantato da quella specie di terra delle meraviglie, abituato com'era a vedere devastazione ovunque, Danse fece qualche passo nella sala. Una testa di cervo decorava il caminetto. Era... integro. Senza pustole, o occhi ciechi, o strane formazioni legnose e incurvate al posto delle corna: da vivo, doveva essere stata una creatura maestosa e bellissima.

-Per la miseria- sussurrò Piper. –Come... come è possibile che esista un posto del genere?- chiese, esterrefatta.

Danse a quel punto parve ricordarsi di lei. Era stato talmente rapito dall'ammirazione che aveva perfino dimenticato di avercela sulle spalle. –Forse... forse è stata la Tempesta?- disse. –Questo posto dev'essere stato incredibilmente solido fin da prima della guerra. E quando la Tempesta è arrivata... beh, nessuno ha mai più potuto venire qui.-

Ma non era quello il momenro di fare conversazione. Delicatamente, Danse sciolse l'imbracatura e appoggiò Piper su uno dei divani (sollevando talmente tanta polvere che entrambi furono scossi dalla tosse per qualche momento). Appoggiò il suo zaino a terra e si dedicò a cercare qualcosa per accendere un fuoco. La casa era, virtualmente, piena di legno: tutto nella forma di mobilio, però, che doveva essere spaccato per essere d'un qualche uso. Mentre Danse faceva a pezzi una vecchia sedia, Piper si dedicò a togliersi lentamente lo stivale dalla caviglia offesa. Entrambe le operazioni richiesero abbastanza tempo, tanto che, quando finalmente un fuoco tornò a scoppiettare nel caminetto, Piper stava ancora faticando con le calze.

-Faccio io- disse Danse, avvicinandosi. –Tu leva il resto.- Col fuoco acceso avrebbe presto iniziato a far caldo, e non era cauto sudare.

La caviglia era incredibilmente gonfia e livida. Danse aveva sperato che si fosse trattato solo di una slogatura, ma una volta tolta l'ultima calza –grazie anche gli effetti rimanenti del Med-X- era chiaro che, se anche per pura fortuna non fosse stata fratturata, il danno era comunque estremamente ingente.

-Stimpak?- propose Piper, con tono incerto.

-Non so. Non ancora- replicò Danse, corrucciato. –Dovrei capire prima se è rotta, o se sia da raddrizzare... non posso fare un'iniezione correndo il rischio che guarisca male.-

Piper fece una smorfia. –Ma non possiamo capirlo. Non abbiamo attrezzature, né...-

-Ci sono dei modi per capirlo anche sul campo- la rassicurò Danse. –Ma ora col Med-X in circolo non posso tentare. Forse tra un paio d'ore.-

La donna sospirò a quel punto, ma non offrì altro.

Danse tornò a spezzare legna a quel punto. Era l'unica cosa utile che potesse fare: il fuoco era fondamentale per sopravvivere, per il momento. Avevano... un po', di cibo: avevano equamente diviso le provviste negli zaini, e ora la metà era andata persa. Danse strinse le labbra al pensiero. Avere anche l'altra metà forse non sarebbe nemmeno servito. Se la caviglia di Piper fosse stata rotta, sarebbero stati bloccati lì per il cielo solo sapeva quanto.

Nella casa non c'era così tanto materiale combustibile. E non avevano neanche lontanamente abbastanza cibo, figurarsi Rad-X e Rad-Away per combattere gli effetti delle radiazioni della tempesta.

Il vento battè furiosamente contro le protezioni alle finestre, facendo gemere l'intero edificio che però resistette, solico, come probabilmente faceca da due secoli. Tuttavia, Danse non potè sentirsi rincuorato.

La Morte Bianca li aveva indubbiamente trovati.

Quel vento era salito innaturalmente all'improvviso, e in poco tempo era diventato un mostro. Non era una semplice perturbazione: gli abitanti di Montpelier avevano detto loro che Jericho a volte veniva lasciata scoperta per brevi periodi, ma quella finestra doveva essere terminata. Era un miracolo se fossero riusciti a trovare rifugio in tempo.

Tuttavia, se a Chelsea per poco il loro riparo non era stata la loro tomba, Danse sospettava che qui non avrebbero avuto lo stesso lusso. Piantò l'accetta nella gamba di una sedia, cercando di tenere a bada quei pensieri e passandosi una mano sul volto. Era da giorni che pensava costantemente alla sua morte, anche se non per fatalismo: non era mai stato un tipo da rimuginare sulla propria mortalità. Era però innegabile che stessero andando ad affrontare una prova incredibilmente complicata, contro elementi che non si potevano abbattere a colpi di fucile. Le loro probabilità di successo erano state, notoriamente, esigue fin dall'inizio.

Davvero, dunque, quella era la fine della strada?

-Danse?-

La voce di Piper lo riscosse da quei pensieri. Danse si pulì le mani dalla polvere di legno sui pantaloni e tornò in salotto.

La donna aveva assunto un colorito pallido, e aveva un'espressione tesa. Il Med-X doveva aver smesso di fare effetto.

-Cercherò di essere delicato-, disse l'uomo, una volta che si era seduto al suo fianco. Piper annuì, senza dire altro. Danse non sapeva se attribuire il suo silenzio al dolore, o al ricordo della lite di poche ore prima. -Puoi muoverla?-

-Dio, perché dovrei?- fece la donna, la voce tremante. No, probabilmente era il dolore il responsabile della sua reticenza. Parve comunque tentare, ma dopo pochi secondi scosse il capo, mordendosi il labbro. –Ungh, no, no, non ce la faccio.-

Danse annuì, cercando di tenere un'espressione neutrale, e appoggiò le mani sulla caviglia. Piper sobbalzò appena. –Ow, ow...!-

-Lo so. Oltre al dolore, senti qualcosa di diverso? Pizzica? Prude?- chiese Danse.

-Non lo so. È un po' strano, ma... ugh... forse è il gonfiore?- offrì Piper, incerta.

-L'insensibilità potrebbe essere un sintomo di frattura, ma se così fosse per lo meno la caviglia non ha un aspetto strano... a parte quello che ci si aspetterebbe da un trauma- disse Danse a quel punto.

-Stimpak?- ripetè Piper.

-Un po'- convenne Danse, aprendo il suo zaino. –Non tutto. Nel caso ci fosse effettivamente qualcosa messo male nascosto dal gonfiore, non vogliamo che guarisca subito storto. C'è più possibilità che si rimetta a posto da solo se si ripara più lentamente.-

-Non abbiamo tempo, Danse!- obiettò la donna a quel punto, interrompendolo nella sua calibrazione della dose. –Non abbiamo abbastanza provviste per stare ad aspettare che guarisca al centimetro. Dobbiamo andare e trovare la città, prima di rimanere completamente a secco!-

-Non troveremo mai niente se quella caviglia non è stabile- replicò l'uomo. –Al primo accenno di difficoltà, cederà ancora. E se non ci fossero rifugi in vista, allora? Moriremmo al freddo, là fuori, perché non abbiamo avuto pazienza ora?-

Piper si morse un labbro a quel punto, in apparente profonda riflessione. Aveva assunto un'espressione indecifrabile, che Danse aveva già notato rientrando nel salotto, ma su cui non aveva commentato. Ora, la donna parve giungere ad una conclusione.

-Lasciami qui- disse, tornando a guardarlo negli occhi.

Danse sollevò gli occhi dalla siringa. –Cos...-

-Lasciami qui- ripetè Piper. –Prendi le provviste, e vai. Nicky è troppo importante...-

-Piper, no- replicò l'uomo, scuotendo il capo.

-Danse, ascoltami! La mia vita non è niente al confronto della guerra. Sono già morte migliaia di persone, che sarà mai una in più? Tu puoi fermare la guerra, Danse!- insistette la donna, prendendolo per le spalle. –Sei l'unico tra noi due che può farlo. Lasciami qui, lasciami una pistola se vuoi, ma lasciami qui.

Se non vuoi farlo per me, o per i Minutemen, almeno per il tuo onore. Non è per quello che sei finito qua, in fondo? Finisci il lavoro, poi sii libero di fare quello che ti pare. Ma devi mantenere la promessa. Devi...-

-Basta!- sbottò allora Danse, alzando la voce al punto tale da farla sobbalzare. –Nessuno lascia indietro nessuno. Parli d'onore, ma non sai cosa stai dicendo. L'onore della Confraternita ha tanti valori, e uno di questi è quello di non lasciare mai, mai un fratello indietro- continuò a voce più bassa, guardandola negli occhi.

Piper assunse un'espressione curiosa, a quel punto –qualcosa a metà tra l'indispettito, e il sollevato.

Danse, in fondo, poteva dire di comprenderla. Certo, la missione era fondamentale per i miliziani, ma a voler guardare la realtà negli occhi, era estremamente improbabile che ci sarebbero mai riusciti. Il fallimento avrebbe significato la morte: e chiunque, a quel punto, sarebbe stato quantomeno lieto di non dover affrontare la fine da solo.

Non le diede il tempo di rispondere, comunque, e procedette ad iniettare un'altra, piccola dose di Med-X prima di usare lo Stimpak. Sarebbe stata una cosa lunga.

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Sei giorni dopo, Danse gettò in un angolo della casa l'ultimo involucro di carne secca.

Avevano fatto il possibile per dilatare l'uso delle poche provviste che avevano a disposizione per quanto più tempo potessero, ma il momento era ufficialmente arrivato. Non avevano più cibo.

Due ore fa, Danse aveva buttato anche l'ultima sacca di RadAway.

Ritornò nel salotto, che avevano ormai eletto a residenza. Piper dormiva, il piede tenuto elevato usando una combinazione dei suoi abiti da inverno e di vecchi cuscini ritrovati nei letti ai piani superiori. Pur potendo andarvi, Danse aveva scelto di non dormire lì. In un angolo della camera matrimoniale, giacevano due scheletri abbracciati.

Il suo giaciglio era invece composto da quante coperte non stesse usando Piper e il suo sacco a pelo. Quando andavano a dormire, spegnevano il fuoco e la rapidità con cui si raffreddava la casa era impressionante. Danse non si vergognava di aver accumulato quante più coperte possibile.

Era impossibile capire l'ora. Non avevano oggetti in grado di tenere il computo delle ore, e tutti gli orologi della casa erano fermi o privi di corrente. Dormivano quando erano stanchi, mangiavano quando era passata qualche ora da quando avevano iniziato a sentire fame. Lentamente, la caviglia di Piper guariva.

Ma nonostante il riparo, e nonostante il RadAway, le radiazioni erano tornate ad essere il loro peggior nemico. Sei giorni di dosi ridotte avevano portato entrambi ad indebolirsi velocemente. Piper ora giaceva in un sonno malato, e quando era sveglia, lamentava forti mal di testa e, l'ultima volta che Danse aveva controllato, anche la febbre. Per non parlare poi dei sintomi intestinali. Pur avendo ora una stecca, Piper doveva essere comunque aiutata, e considerato che entrambi ora stavano male, l'angolo eletto a quel genere di bisogni era un'area che conoscevano fin troppo bene nella sua ripugnanza.

Danse si sedette sul proprio giaciglio, sentendosi le gambe tremare nel farlo. Erano al limite. E senza più RadAway...

Ne sarebbe bastato anche solo ancora un po'. La casa era priva di qualsiasi risorsa, Danse aveva controllato –era stato usato tutto, probabilmente, dagli ormai rinsecchiti precedenti abitanti. Possibile che quella fosse l'unica casa sopravvissuta di Jericho? E gli altri abitanti che fine avevano fatto?

Danse non poteva averne la certezza, vero: però, la statistica e un po' stolta speranza gli suggerivano che probabilmente c'era almeno un'altra struttura in piedi, anche solo in parte, e che doveva esserci qualcosa che potessero sfruttare nel villaggio. A quel punto, qualsiasi cosa sarebbe potuta essere un aiuto.

Erano in una situazione abbastanza disperata da voler tentare.

Danse aveva appena mangiato. Era più in forze, nella condizione (per quanto fosse possibile) più vicina all'ideale per fare un tentativo. Per una volta nella sua vita, si mosse silenziosamente e si rimise addosso gli abiti di Montpelier, assicurandosi che ogni pezzo fosse indossato nella maniera adeguata. Prese la torcia, una pistola e vuotò lo zaino da quanto non fosse strettamente necessario. Prima di aprire la porta, gettò un occhio a Piper. La donna era pallida, e respirava velocemente. Danse soffocò il pensiero di andare a controllare il suo stato, e uscì. Se si fosse fermato ora, non sarebbe più ripartito.

Fuori, era l'inferno.

Istintivamente, spalancò gli occhi come si fa nel momento in cui qualcuno spegne improvvisamente la luce nella stanza in cui si trova, nel vano tentativo di catturarne anche solo il minimo stralcio rimanente e poter tornare a vedere.

Sforzo inutile, appunto. Anche alzando una mano davanti al punto in cui immaginava ci fossero i suoi occhi, Danse non vedeva. Sentiva solo il vento spazzarlo con tanta violenza da minacciare di fargli perdere l'equilibrio, e centinaia di minuscoli aghi freddi che penetravano nel piccolo spazio per gli occhi lasciato scoperto dagli abiti. E freddo. Implacabile, penetrante, innaturale freddo, tanto che perfino gli abiti cuciti amorevolmente dagli abitanti di Montpelier parevano semplici t-shirts di cotone.

Danse accese la torcia, illuminando una frazione di terreno davanti a sé ridicolmente minuscola, e iniziò a camminare. Doveva fare in fretta e sperare che la tempesta non cancellasse immediatamente le sue tracce: non aveva modo di ancorarsi e poter tornare indietro seguendo una fune, come la sicurezza suggeriva, perché non ne aveva di abbastanza lunghe.

Ogni volta che alzava una gamba, il vento era talmente forte da spingerlo e sbilanciarlo. Il bastone da neve aiutava a non venire letteralmente spazzati via dalla forza della tempesta, ma era un appoggio misero nei confronti della forza che cercava, quasi con insistenza personale, di ucciderlo.

Danse cercò il più possibile di andare in direzione opposta rispetto al crepaccio in cui era finita Piper qualche giorno prima, e il fatto che non vi fosse ancora capitombolato dentro era un buon punto a favore della fortuna che lo stava baciando. Perché non era una questione di senso dell'orientamento: anche con la torcia, Danse non vedeva che la distanza di un piccolo passo di fronte a sé, avendo comunque il campo visivo oscurato dai fiocchi di neve che si agitavano furiosamente nell'aria.

Dopo quelle che sembravano ore, mentre camminava e senza una traccia di civiltà che avesse fatto la sua comparsa, una raffica di vento particolarmente forte lo sbilanciò. Nel tentativo di aggrapparsi al bastone, la torcia gli sfuggì dalle mani: ne vide la piccola luce svanire da qualche parte lontano da sè, inghiottita come in un trucco di magia. Da cosa, Danse non lo sapeva. Era caduta nella neve? Il vento se l'era portata via? In ogni caso era persa, e Danse con lei.

Il buio totale lo avvolgeva da ogni lato. Ore neppure i fiocchi di neve erano visibili: li poteva sentire sulla pelle, entrargli nel naso e irritargli il respiro, come se cercassero di soffocarlo, ma non poteva più scorgere nemmeno quelli. La navigazione era ancora più impossibile: il respiro si fece affannoso quando si rese conto che non aveva modo di vedere le sue tracce e tornare indietro.

No. No, non poteva demordere. Forse, al tatto, poteva sentire coi piedi il punto in cui era passato, e tornare verso la casa. Intirizzito e spaventato, girò su se stesso qualche volta, allungando una gamba davanti a sé nel tentativo di trovare la traccia: non poteva sapere che quella che gli era parsa una singola giravolta erano in realtà diverse.

Un rumore lo fece sobbalzare tanto da fargli perdere l'equilibrio. Nonostante la caduta, Danse potè sentirlo nella sua interezza: un tuono terribile era risuonato nell'aria, crepitando malvagiamente da qualche parte sopra la sua testa in una distorsione simile a quella causata dalle tempeste nucleari del sud ma peggiore, distorta dal vento che gli ululava nelle orecchie e lo rendeva più simile al gorgoglio di una immensa belva irradiata. Gli parve quasi di percepire, in uno stato di delirante disperazione, le radiazioni rilasciate dal tuono avvelenargli il sangue.

Preso dall'angoscia, Danse si rialzò più in fretta che potè, cercò di selezionare quella che gli sembrava la cosa più vicina ad una traccia, e riprese ad arrancare.

Si chiese, mentre i brividi gli scorrevano in corpo, se Piper alla fine l'avesse sentito uscire. Non ricordava se avesse lasciato la pistola vicino a lei: erano stati giorni difficili e nonostante la necessità, dopo quell'ultimo dialogo quando Danse aveva esaminato la sua caviglia, non si erano più parlati molto. Il peso della lite alla guardiola non era svanito, e ripensando a quel momento, quel dubbio che Danse aveva sentito piantare le sue unghiette nella sua mente tornò a farsi vivo con ferocia.

Se avesse ritrovato la casa, Danse avrebbe dovuto chiederglielo. Chiedere a Piper del perché il Generale avesse mosso guerra all'Istituto. Nella furia della lite, lei non glielo aveva mai detto. Solo, che non era la ragione che la Confraternita pensava. Che Arthur pensava. Ma Arthur si era veramente sbagliato? Danse avrebbe seguito quell'uomo sino alla fine del mondo, se solo lui l'avesse voluto al suo fianco: non aveva mai commesso un errore, nemmeno il più trascurabile. Nonostante la sua giovane età, aveva dimostrato più e più volte la sua fine capacità di stratega e la sua forza nel tenere assieme la Confraternita anche durante le terribili perdite imposte dalla guerra. Un vero Maxson in ogni senso. Era impossibile provare per lui qualsiasi cosa che non fosse una fede incrollabile.

Che i seguaci del Generale White provassero la stessa cosa? Una fede incrollabile, solo nell'uomo sbagliato?

In fondo, White non era andato da solo, all'incontro chiesto da Maxson quel giorno fatale di dieci anni prima. Come l'Anziano, si era fatto scortare da un manipolo di uomini. White sapeva che la Confraternita aveva in mente qualcosa, era troppo astuto perché i segni gli sfuggissero e la Confraternita troppo imponente perché si potesse mobilitare in assoluto silenzio. Eppure, nonostante questa sua consapevolezza, aveva volontariamente dato in pasto al nemico non solo se stesso, ma anche dei fedeli seguaci, uomini d'arme finiti in manette come lui. Danse non sapeva che fine avessero fatto. La stessa condizione di White era stata mantenuta riservata per le truppe da terra, strateghi inclusi, per non correre il rischio di soffiate.

Davvero White aveva mandato al macello quegli uomini pur essendo pienamente consapevole del loro destino? O forse avevano scelto loro di sacrificarsi, di poter affiancare il loro Generale? Avevano forse sperato in una via d'uscita, nella possibilità di poter in qualche modo evitare la cattura?

Danse inciampò in qualcosa, e lo sbilanciamento lo spinse in una carambola che rese inutili le racchette. Sprofondò nella neve, che si strinse come una morsa attorno alle sue gambe: ceppi gelati gli mordevano i polpacci, e cadde in ginocchio, improvvisamente privo delle forze per anche solo pensare di rialzarsi.

Il freddo che provava in quel momento era inenarrabile. Tutti i suoi muscoli parevano essere diventati di solido ghiaccio: il suo corpo si rifiutava di muoversi se non per l'inerzia che lo portò a finire completamente a terra. A quel livello la neve gli finiva così spesso negli occhi che doveva lottare per tenerli aperti anche se il buio era così totale che non c'era quasi differenza.

Quando perse la lotta, perse anche conoscenza così in fretta che quasi non se ne rese conto: come se fosse stato in acqua e qualcosa l'avesse improvvisamente trascinato di sotto, facendolo sparire.

 

FINE PARTE UNO  -  TRACCE

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Capitolo 9
*** Interludio ***





"Popolo del Commonwealth in ascolto, sono il Generale White e oggi è il... 27 febbraio, 2289. Dovete sapere che state ricevendo un messaggio preregistrato.

 

Non ho molto tempo, e devo arrivare subito al dunque, ma prima voglio che sappiate che sono tremendamente mortificato. Non era mai stata mia intenzione arrivare fino a questo punto, e fino all'ultimo ho sperato che questa situazione potesse avere una conclusione pacifica. Ma il controllo degli eventi mi è sfuggito, e ora sono costretto a chiedervi questo.
 

... in data... 25 febbraio 2289, ho ricevuto convocazione dall'Anziano Arthur Maxson della Confraternita d'Acciaio, per un incontro diplomatico, in un sito neutrale, tra le nostre fazioni, da tenersi in data 3 marzo, 2289. Se state ascoltando questo messaggio, allora io non sono mai tornato da quell'incontro, e i miei diretti subordinati hanno messo in atto il piano di emergenza stabilito.
 

A voler essere onesto, temevo che la Confraternita d'Acciaio avrebbe potuto compiere atti drastici contro i Minutemen e il Commonwealth, e in preparazione di questa eventualità, vi contatto tutti ora per chiedervi di mettere al sicuro coloro che non possono prendere le armi. Lasciate la regione, se lo ritenete necessario; abbandonate i piccoli insediamenti e cercate rifugio sotto le mura di quelli più grandi. Chi può, invece, combatta.
 

Più importante di tutti, difendete la vostra libertà. ... La Confraternita d'Acciaio ci muove guerra, intimidita dalla forza che il nostro popolo ha raccolto sotto la bandiera della milizia Minutemen. Siate scaltri; siate feroci, e difendete le vostre vite e le vostre famiglie come avete fatto fino ad ora da ciò che le minacciava senza cedere di un passo. Gli insediamenti si possono riscostruire, i frutteti ripiantare, ma le persone non si possono riportare indietro. Voi siete ciò che rende il Commonwealth ciò che è: siete una forza incontrastabile, anche se nascente. La Confraternita conta di schiacciarvi sotto il suo tacco con la violenza della sua artiglieria, ma non vi farete abbattere. Sapete meglio di me quanto io sia stato personalmente coinvolto nella fondazione di questa fazione, delle vostre città, e so cosa siete in grado di fare. Confido nella nostra forza, ma vi prego anche di avere cura di voi stessi.
 

Sollevatevi, e combattete. ... I miliziani di stanza ad ogni insediamento sapranno già cosa fare e come muoversi. Seguite le loro indicazioni... riceverete comunicazioni da Castle e da Sanctuary nei prossimi... minuti? Sì, minuti.
 

... non abbiate paura. Non lo nego, saranno mesi difficili. La guerra... ho visto la guerra in tante forme, e non cambia mai. La guerra è sempre la stessa. Le persone, a volte, non... non tornano indietro. Ma voglio che si sappia che ho preso queste decisioni per una ragione, e che vi chiedo di prendere le armi solo perché sono certo che saprete difendervi. Ho fede in voi. Mi dispiace... ma ho fede in voi."
 

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Danse si trovava nel vertibird personale dell'Anziano, di scorta insieme ad altri due Paladini e un piccolo numero di Cavalieri non in armatura atomica. Era un viaggio lugubre. Maxson, prima di partire, aveva fatto un discorso agli uomini che lo avrebbero accompagnato, raccomandando loro professionalità e sangue freddo nei confronti di un uomo che rappresentava una minaccia grave per il Commonwealth. Danse non aveva avuto problemi a prendere a cuore quelle parole. Nonostante lui stesso si fosse avvalso del suo aiuto, quando ancora era intrappolato con il resto del plotone Gladius a Cambridge, White aveva dimostrato una certa, sottile insofferenza ai valori della Confraternita, quando glieli aveva proposti. Un sintomo.
 

Arthur era stato convinto del fatto che White si fosse comportato così perchè, al contrario di quanto era poi avvenuto con i Minutemen, l'uomo non avrebbe avuto la strada spianata per il comando se si fosse unito ai loro ranghi. I miliziani lo avevano immediatamente declamato loro leader, e per un individuo assetato di potere com'era White, quello era stato un fatto decisivo nella scelta del suo allineamento. La Confraternita lo avrebbe posto ben lontano dai piani alti al suo ingresso, e questo non gli avrebbe fatto di certo comodo.
 

Ora che l'Istituto era stato spazzato via, distrutto dalla forza di un'esplosione nucleare che White non aveva esitato ad usare nonostante la sua nota pericolosità, l'uomo certamente credeva di non avere più niente di cui preoccuparsi. Con i traditori dalla sua, e la fede delle masse ignoranti, era certo che la strada per il suo dominio del Commonwealth fosse libera. Arthur e la Confraternita stavano per dimostrargli quanto si sbagliasse.
 

L'Anziano aveva convocato l'incontro diplomatico in una zona neutrale di Boston, sulla cima di una neoliberata torre radio facilmente raggiungibile dai mezzi della Confraternita. Certo, per i Minutemen privi di mezzi volanti sarebbe stato un po' più complesso, ma questa, come tante altre, doveva essere una dimostrazione di superiorità. La scelta del luogo, inoltre, era stata fatta in maniera oculata specificatamente per impedire che White potesse fuggire.
 

Era a tutti gli effetti un'imboscata, visto che Arthur aveva inviato uomini sul luogo a preparare la trappola giorni prima dell'annuncio dell'incontro, per avere il vantaggio sugli scout che certamente i miliziani avrebbero inviato. A Danse quella scelta di metodi lasciava l'amaro in bocca, ma avrebbe seguito le direttive dell'Anziano senza discutere. Se lui pensava che quella fosse la cosa migliore da fare, allora indiscutibilmente era necessario abbassarsi ad un comportamento del genere.
 

Il vertibird atterrò delicatamente sul tetto dell'edificio, e i militari scesero in ordine, con Maxson in testa, perfettamente avvolto nella sua migliore uniforme e nella sua giacca. Era un giorno freddo, nonostante fosse l'inizio di marzo, e il cielo plumbeo e la pioggia non miglioravano l'atmosfera. Ignorando il maltempo, il gruppo entrò nell'edificio, con i due Paladini in testa.
 

Il Generale White e i suoi uomini erano già arrivati. L'uomo in questione era seduto su una poltroncina, un residuato dell'Anteguerra dalla forma curiosa e dai colori sbiaditi. Indossava l'uniforme blu, quella da Generale in cui l'avevano sempre visto durante gli incontri militari, ma era senza cappello. Gli altri miliziani -cinque in totale, tre uomini e due donne in uniforme, armati di moschetti e dall'espressione tesa- formavano un capannello attorno a lui, e parevano essere stati nel bel mezzo di una conversazione quando gli uomini della Confraternita avevano fatto il loro ingresso.
 

-Anziano Maxson- disse il Generale a mo' di saluto, alzandosi.
 

Maxson si fece avanti nella stanza, mentre Danse e gli altri uomini prendevano le loro posizioni previste. -Generale White. Mi scuso per il ritardo, ma siamo stati trattenuti da questioni urgenti.-
 

-Come al solito- commentò White, senza apparente veleno dietro le sue parole. I due erano ora l'uno di fronte all'altro, con i rispettivi accompagnatori alle spalle.
 

-Generale- iniziò Maxson, senza dare conto al suo commento. -Ho voluto convocarla per congratularmi personalmente per il suo ultimo exploit. Ammetto che il fatto di non essere stati informati sul vostro attacco abbia fatto storcere più di un labbro nel mio consiglio, ma sono scelte che, se ben esaminate, possono risultare comprensibili.
 

Ha reso un grande servizio al Commonwealth e ai suoi abitanti. È indubbio che le menti dell'Istituto fossero brillanti, ma prive di controllo e direzione. Il loro spirito scientifico era ormai stato macchiato da una superbia imperdonabile, così come le loro creazioni... l'errore più grave commesso dall'umanità dai tempi della Grande Guerra, converrete tutti.-
 

Danse era relativamente sicuro che metà degli occupanti di quella stanza non convenisse affatto. Era quella infatti la ragione per cui ora si trovavano lì, e per cui quell'affare spiacevole doveva concludersi in quel modo.
 

-I synth sono stati il pinnacolo della ricerca dell'Istituto, e il più grande mostro che abbiano mai creato. Creature immonde, indegne anche solo di calcare il terreno su cui noi umani camminiamo, dalla natura imprevedibile e pericolosa. Messi nella posizione di poterlo fare, di certo non esiterebbero a schiacciare l'intero genere umano, mossi dalla stessa superbia che animava i loro folli creatori- continuò Maxson. -Se incontrollati, al loro confronto, la minaccia dei supermutanti parrebbe una passeggiata domenicale. No, a esseri del genere non deve essere permessa la libertà. La loro stessa esistenza è una minaccia al genere umano. 
 

E voi non avete fatto nulla per sradicare il problema.-
 

White assunse un'espressione dura, ma non parlò. Non aveva risposto a niente di quanto aveva detto Maxson fino a quel momento, anche se per superbia o per paura, Danse non sapeva dirlo. Di certo doveva aver sospettato qualcosa quando aveva ricevuto la convocazione, White era troppo scaltro per non averci pensato: ma aveva scelto di presentarsi comunque, forse sottovalutando la forza del braccio della Confraternita. Anche ora, nonostante il pesante tono di accusa assunto da Maxson, rimaneva in silenzio e impassibile, mentre gli uomini alle sue spalle iniziavano invece a dare segni di nervosismo. 
 

-Voi Minutemen non solo non avete reso partecipe la Confraternita della vostra intenzione bellica, ma avete anche, consapevolmente, volontariamente evitato la cattura dei synth fuggitivi. Sappiamo della vostra connivenza con l'organizzazione che si fa chiamare Railroad- continuó Maxson. -È a dir poco disdicevole, questa vostra tolleranza nei confronti di un gruppo così apertamente schierato contro la razza umana e a favore invece della continuata esistenza degli abomini dell'Istituto. È... è un peccato, davvero, Generale White. Avevo sperato che lei sarebbe stato diverso.-
 

Fece un gesto, e gli uomini della Confraternita appostati nella sala uscirono allo scoperto. Danse, l'altro Paladino e i Cavalieri alzarono i fucili, imitati dai miliziani che però avevano subito capito di essere in drammatica minoranza numerica, a giudicare dalle loro espressioni. Nel puntare l'arma contro White, Danse sentì una curiosa sensazione di colpa, che cercò di soffocare. L'uomo, nella sua superbia, non aveva fatto una piega davanti alle accuse di Maxson, e anche ora sotto i mirini della Confraternita restava impassibile, come se anche quella situazione non fosse che un fastidio momentaneo. Arthur doveva aver ragione. Quell'uomo era un megalomane, e il Commonwealth sarebbe stato un posto più sicuro per tutti se la Confraternita avesse posto immediatamente fine alle sue manie di grandezza.
 

-La Confraternita d'Acciaio si è sempre fregiata del titolo di difensore dell'umanità e dei valori che hanno reso grandi gli Stati Uniti d'America, prima e dopo la Grande Guerra. In ragione di questo, non possiamo non considerare i miliziani Minutemen e i loro alleati, i ratti della Railroad, come traditori del genere umano per la loro connivenza nel permettere alla specie sintetica di continuare ad inquinare il suolo terrestre, e mettere a rischio migliaia di vite innocenti. Generale Nathaniel White, io le chiedo: è disposto a cedere immediatamente qualsiasi diritto sugli insediamenti che si dicono alleati ai miliziani, ritirare, disarmare e sciogliere i Minutemen, e venire sottoposto a giusto procedimento dalla corte della Confraternita per i suoi crimini?- domandò Maxson, le braccia incrociate dietro la schiena e un'espressione dura sul volto, un vero esempio di perfetto comandante militare nell'esercizio della sua più alta funzione.
 

-No, no e no- replicò pacatamente White. -Sarà il popolo a scegliere a chi dare ragione, Anziano.-
 

-Ne dubito fortemente- replicò Maxson. Poi, rivolto a Danse: -Arrestalo.-
 

I miliziani gli puntarono i moschetti addosso, iniziando subito ad esprimere il loro oltraggio, ma White alzò una mano e li fermò. -Ne abbiamo parlato, signori. Vi prego di non rendere la cosa più difficile- disse loro con tono conciliatorio. Poi tornò a rivolgersi a Maxson. -Ho un'unica richiesta...-
 

-Non sei nella posizione di fare richieste, White- lo interruppe l'Anziano.
 

-Insisto- replicò White, e per un attimo incrociò lo sguardo di Danse, che esitò, manette già pronte in mano. -Anziano Maxson, mi appello alla vostra pietà e chiedo che gli uomini che mi accompagnano possano tornare alle loro famiglie. Secondo i vostri capi di accusa io sono l'unico responsabile, e queste persone non meritano un destino ingiusto.-
 

-Negato- sbottò Maxson. -Per quello che ne sappiamo, potrebbero essere tutti dei synth. Paladino, procedi all'arresto. Arrestateli tutti!- aggiunse a voce più alta rivolto agli altri confratelli.
 

I Minutemen a quel punto reagirono, oltraggiati, e partirono dei colpi di moschetto: fu una sparatoria breve, e tre miliziani finirono per giacere a terra morti, colpiti dal fuoco incrociato della Confraternita. Gli altri vennero bloccati prima di essere colpiti mortalmente, e messi in ceppi.
 

Danse aveva protetto White nella sparatoria, riparandolo da eventuali proiettili vaganti con la sua armatura. Era stato un gesto istintivo. Era un prigioniero troppo importante perché venisse perso in maniera così stupida, cercò di giustificarsi interiormente. Tuttavia, forse proprio per via della sua decisione, il Generale traditore era illeso, mentre Arthur aveva ora una mano ad una spalla, colpita di striscio da un dardo laser.
 

Danse mise in ceppi White con più veemenza del necessario, spingendolo fuori sotto la pioggia battente e verso il vertibird. Non era certo che l'uomo sapesse che sotto l'elmo dell'armatura atomica c'era lui, e forse era un bene.
 

Non avrebbe potuto tollerare l'espressione di profondo rammarico che c'era sul volto di White mentre prendeva passivamente posto sul vertibird, se fosse stata rivolta a lui.
 

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Meno di due ore dopo, la sua voce risuonò per l'ultima volta in tutto il Commonwealth. 
 

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Capitolo 10
*** Lost South Hero ***





Quando Danse riprese conoscenza, fu per gradi.

Inizialmente, l'unico senso che pareva incline a collaborare fu l'olfatto. Danse sentiva uno strano odore nell'aria, un cambiamento radicale rispetto al nulla che le sue narici erano state in grado di percepire mentre era stato perso nella tempesta: si trattava di uno strano profumo, aromatico, curiosamente legnoso e acre al contempo, come se prodotto da qualcosa che stesse bruciando.

Divenne a quel punto gradualmente cosciente del fatto che fosse al caldo, e non più sospeso nel malessere dovuto al gelo. Era sdraiato su qualcosa di morbido e che, per qualche ragione, in un punto vicino la guancia gli solleticava la pelle.

Tentare di aprire gli occhi per capire di cosa si trattasse fu inutile, e pochi secondi dopo Danse tornò a dormire senza nemmeno accorgersene.

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Il secondo risveglio fu più immediato, e Danse poté immediatamente aprire gli occhi.

Per qualche ragione, che ora non ricordava, la sua mente si era aspettata un biancore intenso ad attenderlo una volta schiuse le palpebre: invece, fu accolto da una penombra fiocamente illuminata da luci tremolanti (fiamme di lanterne, forse), tipica di un ambiente chiuso.

Non ci volle molto perchè la confusione lasciasse eventualmente posto ai ricordi degli ultimi eventi. La casa abbandonata, il cibo finito, e l'idea (sciocca) di tentare una ricerca in mezzo alle rovine. Persa la torcia, persa la traccia, Danse doveva aver vagato forse per un'ora prima di soccombere al gelo, forse anche meno vista la ferocia della tempesta. A rigor di logica, avrebbe dovuto essere morto.

Ciò che vedeva, però, non aveva l'aria di essere un qualche limbo ultraterreno. Era apparentemente sdraiato su un letto, sotto strati di morbide coperte e pellicce; attorno a sé, vedeva tende colorate pendere dal soffitto, coprendogli in parte la vista del locale circostante. Da uno spiraglio, scorgeva le sbarre di quelli che sembravano i piedi di un altro letto, ma poco altro.

Qualcuno, non molto lontano da lui, ebbe un accesso di tosse. Il rumore delle molle di un materasso mentre qualcun altro si rigirava. Era forse in una specie di infermeria? L'occhio gli cadde a quel punto sul proprio braccio destro, da cui spuntava un tubicino che, seguendolo, scoprì essere attaccato ad una sacca di RadAway appesa ad una stampella. Il liquido giallo era inconfondibile. Dunque, infermeria o meno che fosse, qualcuno si era preso cura di lui.

Un pensiero a dir poco improbabile, se pur reso incontrovertibile da ciò che stava vedendo. Come era possibile che fosse sopravvissuto? Come era possibile che qualcuno fosse stato anche solo in grado di trovarlo, privo di sensi nel mezzo di una tempesta talmente terribile da rendere cieco chiunque vi si trovasse dentro?

Danse era stato certo che MacCready avrebbe avuto esaudito il suo desiderio di vendetta. La morte gli era sembrata certa, e forse, agli occhi di quell'uomo, avrebbe potuto essere l'inizio di un pagamento per ciò che la guerra gli aveva portato via. Danse non poteva dire di comprenderlo, ma poteva quanto meno sforzarsi di immaginarlo.

Ripensò alle vivide immagini del sogno che lo aveva tormentato –quanto tempo prima? Giorni? Minuti? Impossibile capirlo. Nathaniel White era stato tratto in ceppi presso la Confraternita ormai dieci anni prima, e da allora anche per Danse il suo destino era stato ignoto. Maxson aveva comunicato ai suoi strateghi di come il censore Cade avesse scoperto avesse dei gravi problemi di salute latenti, e che fosse stato di conseguenza spostato in un luogo più sicuro del Prydwen: ma a parte ciò, non aveva avuto più alcuna sua notizia. Una misura di sicurezza messa in atto dall'Anziano per impedire che il luogo della sua prigionia venisse accidentalmente rivelato.

Sdraiato in quel letto, sentendo la propria stessa lucidità venirgli di nuovo meno a fasi alterne, Danse si chiese se MacCready avesse saputo che suo marito fosse malato, prima che gli venisse sottratto. Magari quello sguardo carico di rimorso di White, che Danse ricordava in maniera ancora così vivida nonostante gli anni, era stato dovuto a pensieri di quel genere. White aveva immaginato che l'incontro richiesto da Maxson avrebbe potuto avere una fine infelice: ragion per cui aveva preregistrato un messaggio radio che, al suo mancato ritorno, i Minutemen di Castle avevano trasmesso in tutto il Commonwealth.

White aveva saputo prevedere perfettamente le intenzioni della Confraternita, dimostrando una lucidità e una lungimiranza ammirevoli, anche se al servizio della mente sbagliata.

... ma lo era davvero? Danse ricordava le parole della trasmissione. La priorità di White era stata il mettere in allerta la popolazione, perché potesse prendere le dovute misure per proteggersi dalla guerra. I Minutemen erano stati chiamati a raccolta solo all'ultimo, quasi come se il Generale se ne stesse dimenticando. Maxson aveva dedotto che si fosse trattata di una scelta dovuta alla volontà di proteggere i synth nascosti tra il popolo, nell'ennesimo tentativo di preservare i servi che aveva sottratto all'Istituto.

Eppure, come poteva una mente così cinica aver ispirato migliaia di combattenti a tener testa a una forza come la Confraternita d'Acciaio per dieci, lunghissimi anni? Vero, c'erano i Comandanti a tenere a tutti gli effetti il controllo delle forze, eppure l'affetto dei Minutemen per il loro Generale era indiscusso, tanto che nessun altro era stato eletto a ricoprire la carica al suo posto. Il Generale dei Minutemen era ancora White, e i Comandanti solo dei subalterni temporanei, chiamati a farne le veci in attesa del suo ritorno. Tutti lo sapevano.

Forse era solo formalità, nell'attesa di avere il riscontro certo della sua probabile morte. Ma se così fosse stato, quella formalità non era stata sufficiente a far perdere la fede dei miliziani in quell'uomo. Quante volte Danse stesso sul campo di battaglia aveva sentito i Minutemen inneggiare al proprio Generale, prima di lanciarsi in combattimento?

Era una fede che Danse poteva dire di comprendere intimamente, perché era la stessa che muoveva ogni membro della Confraternita d'Acciaio nei confronti del loro Anziano. Eppure, Maxson era incontrovertibilmente un individuo eccezionale, dalla risolutezza e dalla moralità indissolubili, un faro di saggezza e un esempio da imitare per tutti gli umani degli Stati Uniti. Di certo, di White non si poteva dire lo stesso, eppure aveva ispirato le masse allo stesso modo... o forse in maniera ancora diversa? La Confraternita oggettivamente non aveva goduto dello stesso supporto costante di nuovi volontari in guerra, e Danse lo aveva notato. I miliziani sarebbero dovuti cadere anni prima, eppure i loro numeri non accennavano a voler scendere, mentre quelli della Confraternita erano in costante, anche se lenta, diminuzione.

Cos'aveva avuto White di così fuori dal comune? Danse sentiva, nella profondità della sua mente, di avere una quantità di tasselli mancanti da quel puzzle. Era quel genere di informazioni che aveva sempre confidato Maxson custodisse per ragioni ben precise, ma che ora la sua curiosità gli faceva bramare con una forza che lo sorprendeva. C'era certamente qualcosa che Danse non sapeva, in tutta quella storia. Le parole di Piper e la sua veemenza, nel giorno della loro lite, ne erano state una prova, ma lui quel giorno non le aveva chiesto spiegazioni...

Un momento. Piper... aveva lasciato la donna nella casa, incapace di camminare, quando era uscito e si era perso. Dov'era, ora? Che fine aveva fatto?

Quel pensiero lo fece alzare, anche se la sua testa protestò vivacemente al movimento. Si portò una mano alla fronte, stordito dai capogiri, ma si mise comunque seduto, cocciuto, e dopo qualche tentativo riuscì a raccogliere abbastanza forze per attaccarsi alla stampella del RadAway e mettersi in piedi.

Sentiva di avere due blocchi di cemento al posto delle gambe, e muoverle era uno sforzo non indifferente –farlo in maniera coordinata ancora di più: ma riuscì alla fine ad uscire dal cubicolo formato dai tendaggi attorno al suo letto.

Si ritrovò in un corridoio creato da altrettanti cubicoli, alcuni con le tende aperte e i letti vuoti, altri chiusi. Dalla luce delle lanterne poteva vedere le sagome di persone sdraiate in quelli chiusi. L'intero stanzone pareva essere situato all'interno di un prefabbricato dell'anteguerra, di quelli metallici che si vedevano nelle fabbriche: le pareti però erano quasi del tutto nascoste da pesanti coperte e pellicce, che isolavano la stanza sia dal freddo che dai rumori.

E che rumori, sentiva Danse. La sua mente non riusciva a comprendere cosa stesse udendo, arrovellandosi attorno alle informazioni senza riuscire a metabilizzarle. Da fuori, veniva una cacofonia attutita, un frastuono viscerale che se pur attenuato dalle coperture pareva venire comunque distintamente da diversi metri sotto ai suoi piedi. E il brusio! Come un mercato affollato, solo lontano e attutito, ma pieno di gente. E tutti quei suoni rimbombavano, riflessi da mille direzioni diverse, ovunque e da nessuna parte allo stesso tempo.

Qualcosa lanciò un richiamo stridulo, lontano, sempre da sotto, e il suo eco rimbombò a lungo, come in una immensa camera.

Confuso, Danse si avviò lentamente verso una porticina in fondo alla stanza: era semichiusa e dall'uscio filtrava una lama di luce rossa che si allungava sul pavimento di metallo corrugato per una buona lunghezza. A parte lui, e gli altri occupanti dell'"infermeria", la stanza sembrava vuota: c'erano dei tavoli, scrivanie e armadietti che ad un'occhiata più attenta erano colme di medicinali e erbe, ma nessun medico. In diversi punti del soffitto erano appesi cestini metallici colmi di qualcosa di irriconoscibile, da cui si alzavano gli strani fumi aromatici che Danse ricordava di aver già sentito.

Fece per appoggiare la mano alla maniglia della porta quando, da fuori, da un punto molto vicino alla sua destra, si alzò una risata cristallina. Una voce di donna, che Danse conosceva ma che non aveva mai udito in quel modo. Aprì la porta e, a fatica, si affacciò.

L'uscio dava su una passerella sospesa, larga abbastanza da ospitare almeno sei uomini posti uno di fianco all'altro. Appena uscito, Danse venne investito da un'ondata di aria calda, proveniente dal basso. Ma non guardò, rapito da ciò che vedeva attorno e sopra di lui.

L'edificio pareva essere stato costruito lungo il fianco di una parete rocciosa, e insieme ad esso centinaia di altri edifici, collegati da scale e passerelle, parevano essere stati fatti allo stesso modo. Danse era circondato da roccia da ogni lato, e ogni parete che vedeva ospitava fitte costruzioni, alcune d'aspetto simile ai già descritti prefabbricati, altre più recenti e tipiche della moderna architettura post-nucleare: tutte erano abbarbicate sulle pareti verticali della caverna, come minuscole impalcature sul fianco di un immenso edificio.

Sopra di loro, non c'era cielo; sotto di loro, non c'era terra. Era come se fossero in una sorta di gigantesco camino verticale: Danse non vedeva la fine della grotta guardando in su, solo i cavi di una struttura che si perdevano verso l'alto e proseguivano verso il basso, oltre il parapetto della passerella.

Non si sporse. Non ebbe tempo di farlo. Qualcuno parlò dalla sua destra, una voce maschile e sconosciuta: -Oh, guarda chi ha finito il pisolino di bellezza.-

Si voltò. Su sedie spinte contro le pareti esterne dell'infermeria, sedevano due persone. Una era Piper: non indossava più i pesanti abiti invernali, ma una maglietta e dei pantaloni di tela, e pareva a suo agio anche se aveva comunque le spalle avvolte in una coperta. Aveva il piede avvolto in voluminose bende e appoggiato su uno sgabello, e su quello sgabello c'erano numerosi cuscini, per tenerlo sollevato. Lo guardava con espressione sorpresa ma placida, e teneva tra le labbra una sigaretta.

L'altro era uno sconosciuto. Aveva una corporatura relativamente normale, e indossava una camicia che una volta doveva essere stata bianca, anche se i pantaloni e gli stivali avevano un aspetto più consono alle necessità dell'ambiente nordico. Stava fumando, e la mano che teneva la sigaretta aveva uno strano incarnato, innaturalmente pallido e traslucido. Un cappello stinto e dall'aria antica gli dava un'aria un po' antiquata, e gli copriva il viso dalla posizione in cui si trovava Danse: tuttavia, quando si mosse per portarsi la sigaretta alle labbra, non gli sfuggì il brillio giallo che veniva dai suoi occhi.

-Chi...- iniziò Danse, la voce resa gracchiante dalla mancanza d'uso.

Lo sconosciuto lo interruppe. –Mi avevano avvertito del fatto che potessi, a volte, mancare di perspicacia, ma non mi aspettavo davvero che potessi arrivare a questo livello- disse, con tono tagliente ma non cattivo. Si appoggiò allo schienale della sedia, e il suo volto divenne visibile: la pelle biancastra pareva invecchiata come invecchia la plastica, e in un punto mancava completamente, scoprendo uno squarcio lungo oltre il colletto della camicia da cui si intravedeva il brillio metallico dei meccanismi che aveva all'interno. I suoi occhi però erano la caratteristica che dominava il suo viso: erano sfere nere, evidentemente di materiale artificiale, e nel punto in cui doveva esserci l'iride c'erano due anelli luminosi gialli che gli conferivano uno sguardo penetrante e innaturale. Danse, sotto quell'esame, iniziò a sentirsi a disagio. L'uomo –il synth- esalò una boccata di fumo, che uscì anche dallo squarcio che aveva sul collo. –Sono Nick Valentine, ovviamente. C'era davvero bisogno di dirtelo?-

Danse supponeva di no.
 

----
 

Il synth prese un'altra sedia dall'interno dell'infermeria, per permettere a Danse di unirsi a loro. –Non per molto, però- disse. –Se torna il medico e ti trova fuori, è davvero la volta buona che mi smantella e ci fa una radio, coi pezzi.-

Osservandolo, se non fosse stato per le evidenti parti meccaniche, Danse non avrebbe capito che si trattasse di un essere sintetico. Aveva la fluidità e l'umanità dei movimenti tipiche di un synth di terza generazione, eppure l'aspetto era di uno di seconda. Non lo aveva mai incontrato prima dell'inizio della guerra, ma aveva sentito le voci sul suo conto. 

Ciò che vedevano gli occhi di Danse lo identificava come nient'altro che un mero oggetto, qualcosa alla stregua di un Protectron a voler essere generosi. Tuttavia, i suoi modi e il suo range espressivo erano paragonabili a quelli di un essere umano. Danse non aveva mai visto nulla del genere, e non sapeva come metabolizzare quelle informazioni ora che le aveva finalmente davanti.

Nick non parve dar peso all'esame a cui, involontariamente, l'uomo lo stava sottoponendo. Mantenne per qualche minuto una conversazione che l'altro non seguì con Piper, terminando nel frattempo la sigaretta (perché fumava? Non aveva polmoni!). Quando fece per accenderne un'altra, si rivolse finalmente all'altro uomo.

Dio, Danse non si sarebbe mai abituato a quegli occhi. Le sue mani tremavano, e non per debolezza o per paura, ma per l'acuta mancanza di un fucile.

-Miss Wright, qui, mi dice che avete fatto un bel pezzo di strada per trovarmi- iniziò il robot. –Sono sorpreso che ci siate riusciti, alla fine. Questo posto è... beh, lo abbiamo scelto per un motivo, e non è per la vista, di sicuro.-

-Dove siamo, a proposito?- chiese Danse, rivolgendosi a Piper.

-Questa è la città di cui ci avevano parlato a Montpelier. Sotto la neve, presente? Lost South Hero- rispose la donna.

-Già- intervenne il synth, riprendendo le redini della conversazione. –Siamo sotto la neve. E sotto un sacco di altre cose. Rovine, roccia, un impianto di produzione di energia geotermica... e la tempesta, soprattutto- continuò. –Non so dirti quanto, ma siamo abbastanza lontani dalle radazioni che qui non sono più un problema. E l'impianto ci tiene al caldo, e produce l'energia necessaria al funzionamento dell'intera città. Sulle piattaforme più in basso ci sono i giardini idroponici, poi. Vedi, questo posto doveva essere un'antico rifugio militare. Non un bunker qualsiasi, però. Roba super top secret. Solo per pezzi grossi. Ma non entrò mai in funzione... non ufficialmente, almeno. Gli abitanti dell'antica South Hero –la città sopra questo posto, in superficie- ne presero possesso con la forza. E ci abitano da allora.-

-È completamente autosufficiente?- chiese Danse, basito.

-Eh, quasi. I materiali da costruzione e la carne devono essere presi da fuori, non c'è spazio per allevare qui sotto e non ci sono rovine da smantellare. Ma ci sono modi per farlo fuori, anche sotto la tempesta.-

-Non... non capisco. Come avete trovato questo posto?- insistette Danse. –Se non ho capito male, dieci anni fa eravate tu e due bambini, per strada. E la Morte Bianca non è una spruzzata di nevischio. Come avete potuto anche solo sopravvivere abbastanza da poter cercare questo posto?-

-Sì, vuota il sacco, Nicky. Ormai anche la bella addormentata è sveglia, e mi hai promesso una storia- convenne Piper. –Voglio i dettagli.-

-E chi sono io per negarveli?- replicò il synth, bonario. Si interruppe, a quel punto, intento apparentemente a ponderare le sue prossime parole. –Hm... dovrò fare un minimo di recap, per il nostro nuovo acquisto, qui- disse, facendo un cenno a Danse. –È una storia lunga, ma in fondo, non abbiamo fretta. Mettetevi comodi.

Ricordate l'attacco ad Hangman's Alley, dieci anni fa? La Confraternita fece un bel danno, così vicino a Diamond City, poi. Fu quella la ragione per cui la città uscì dalla neutralità e si schierò con i Minutemen. Una scelta ragionata e condivisibile, anche se tardiva.-

-I Minutemen non erano mai andati particolarmente d'accordo con l'amministrazione della città, fino a quel momento, o sbaglio?- si intromise Danse, sentendosi per qualche ragione sulla difensiva. –Qualcosa aveva iniziato a cambiare solo con White, ma evidentemente non era stato abbastanza per farli schierare subito al loro fianco. Ci sono voluti otto mesi e un'incursione, per farlo.-

-Non sbagli. Ma la città si stava ancora riprendendo dallo scandalo di McDonough, e non eravamo pronti alla guerra- rispose Piper. –Non lo siamo mai stati, in realtà. Ma cosa avremmo dovuto fare, dopo aver visto quei rastrellamenti?-

-Le misure di sicurezza erano...- iniziò Danse, ma Piper lo interruppe.

-Erano rastrellamenti, altro che sicurezza! Avete ucciso tutti gli abitanti di quel posto e li avete smembrati, tutto per cercare dei fantomatici synth. Non potevate certo credere che la gente si sarebbe fidata abbastanza di voi dopo quel bell'esempio- disse, con tono accusatorio. Nick non disse nulla, ma aveva assunto un'espressione vagamente disgustata.

Quando Danse non rispose, fu lui a riprendere in mano la conversazione. –Beh, come miss Wright qui ha ricordato, le cose non erano andate tanto bene per Hangman's Alley. E dopo quella... dimostrazione, era chiaro che rimanere a Diamond City non fosse la scelta migliore, né per me, né per la città. Non potevo chiedere alla gente di mettersi in pericolo solo per proteggermi... ci fu una riunione, con i cittadini, i Minutemen e me presente. Partecipò anche il ragazzo... MacCready.

Era la prima riunione a cui avesse mai partecipato dall'inizio della guerra, nonostante il legame che avesse avuto con Nate. MacCready, dopo la trasmissione del messaggio e l'inizio della guerra, aveva costantemente rifiutato di venire coinvolto negli scontri e nelle riunioni. Sospetto che ci fosse altro sotto, e che la sua reticenza non fosse solo dovuta alla necessità di proteggere i loro figli, ma per rispetto della privacy di Nate non ho mai indagato sulla cosa.-

-Credevo che il mercenario avesse un solo figlio. Quelle erano le voci- si intromise Danse.

-MacCready aveva un solo figlio, sì. Duncan. Si era riunito al padre solo pochi mesi prima, ed erano andati ad abitare in una casa di proprietà di Nate a Diamond City, vicino alla scuola... aveva circa sei anni, all'epoca- rispose Nick. –Ma Nate aveva un figlio a sua volta. Shaun.-

Danse non aveva mai sentito nessuna voce al riguardo, e la sua espressione confermò la sua sorpresa. Nessun informatore della Confraternita aveva mai avvalorato anche solo il vago sospetto che il Generale avesse dei figli, o una famiglia da qualche parte ad eccezione di quella già nota. E come avrebbero potuto saperlo? Ciò che si sapeva di White era che fosse l'unico superstite di un Vault criogenico, del quale tutti gli altri occupanti erano deceduti –sua moglie inclusa, come gli aveva già raccontato Piper durante la loro sosta a Sanctuary. Da dove arrivava quel figlio?

-Dalla tua espressione, deduco che le misure di sicurezza abbiano funzionato e che non abbiate mai saputo della sua esistenza- disse Nick, e la sua voce distolse Danse dai suoi pensieri. –O che almeno, voi pesci piccoli non ne abbiate saputo nulla. Maxson, dal canto suo, sapeva tutto, e molto bene.-

-Pardon?- fece Danse, che iniziava a faticare a seguire.

-Maxson sapeva dell'esistenza di Shaun e, cosa più importante, della sua natura- spiegò Valentine. –Devi sapere, Danse, che prima della caduta delle bombe Nate aveva avuto un figlio con la sua prima moglie –il piccolo Shaun, appunto. Aveva solo pochi mesi quando vennero congelati, e durante quel periodo di stasi, il neonato venne rapito e sua madre uccisa. Nate vide tutto, e quando si scongelò definitivamente ed iniziammo ad indagare sulla sua sorte, scoprimmo che era stato rapito dall'Istituto.

Fu in quel periodo che Nate smise di collaborare con la Confraternita. La sua paura era che il bambino rimanesse coinvolto nelle violenze che sarebbero certamente scaturite se Maxson avesse avuto la possibilità di entrare in quella faccenda, e decise quindi di affrontare l'Istituto con un approccio più sottile, chiedendo alla Railroad di unirsi ai loro sforzi e infiltrandosi nell'Istituto di nascosto.

Non ottenne mai la... reunion, che voleva. In realtà, non so bene cosa successe all'interno di quel posto, quando Nate vi si trasportò. Lo raccontò solo a MacCready. Quello che disse a noi era che aveva capito che fosse passato molto più tempo di quanto aveva immaginato tra il rapimento di Shaun e il suo risveglio. Ci fu una... colluttazione, per così dire, con il Direttore dell'Istituto. Nate aveva ammesso di non essere stato al massimo della lucidità durante quell'incontro, e quando le cose presero una piega sgradevole, ammise di aver reagito violentemente. In quell'occasione, uccise il Direttore e poi fuggì prima che gli altri scienziati potessero fare qualcosa e catturarlo. Fu allora che le ostilità tra i Minutemen e l'Istituto iniziarono e... beh, sappiamo come si sono concluse.-

-Ma allora che fine fece Shaun?- chiese Danse.

-Shaun... quello vero, morì- rispose Piper, criptica. –L'Istituto però ne aveva creato uno finto, un synth bambino che aveva usato come esca per Nate per tutto quel tempo. Nate lo salvò dalla distruzione dell'Istituto e lo portò a vivere a Diamond City. Era davvero solo un bambino- aggiunse, prima che Danse potesse interromperla. –Era stato programmato così. Non meritava di morire, era completamente innocente. Nate lo salvò e lo accolse come se fosse davvero suo figlio.-

-Ma con l'inizio della guerra, e i legami che avevano i bambini con il Generale, capirai che la città non era più un posto sicuro per loro- intervenne Nick. –Era necessario metterli al sicuro. Il piano di MacCready per farlo era attirare l'attenzione su di sè, unendosi ad Hancock e agli altri, e sfruttare il fatto che la Confraternita avrebbe cercato di catturare solo lui per permettere a me e ai bambini di fuggire da Boston senza essere notati.

Il piano funzionò, almeno in parte. Arrivammo fino a Sanctuary senza essere seguiti. Ancora non sapevo che Maxson fosse a conoscenza della natura di Shaun, e confidavo nel fatto che i soldati non si fossero ancora spinti così a Nord per poter mettere ancora più distanza tra noi e loro senza essere notati. Tuttavia, appena lasciata Sanctuary, iniziarono i problemi.

Venimmo assaliti tre volte già solo sulla strada per Lewiston –il ponte sul Connecticut, dovreste averlo attraversato anche voi, no? Fu solo per pura fortuna se in tutte le circostanze trovammo qualcuno che ci aiutò a constrastare l'assalto –viaggiatori, carovane, l'ultima volta i loro spari disturbarono un Deathclaw e riuscimmo a fuggire prima che la bestia se la prendesse anche con noi. Tutte le volte, fummo sempre aggrediti dai Gunners.-

-Gunners?- chiese Piper. Danse le rivolse uno sguardo. Aveva un'espressione perplessa: d'altro canto, erano arrivati alla parte di cui nemmeno lei sapeva nulla. –Dopo Quincy, credevo che i Gunners si fossero ritirati verso DC una volta per tutte. Avevano perso un sacco di gente dopo che i Minutemen avevavano riconquistato la città... che ci facevano così a nord?-

-Beh, non è andata così, a quanto pare. Ci perseguitarono fino alle porte di Montpelier... e fu in quell'occasione che capii perché- rispose Nick. Aveva assunto un'espressione grave, e per qualche momento il suo sguardo si fece lontano, mentre pensava. Il robot rabbrividì. Danse non riuscì nemmeno a comprendere come, non aveva muscoli da contrarre, eppure in quel momento, se non fosse stato per quegli occhi e per i meccanismi sarebbe potuto tranquillamente passare per un essere umano. –Ero disperato. Dovete capire che la mia posizione era... veramente grave. Avevo due bambini piccoli a cui badare, e un gruppo di mercenari assassini alle calcagna. Non mi importava cosa ne avrebbero fatto di me, non me ne è mai importato alla fine, ma... ero preoccupato per la sorte dei bambini. Una notte, a poco tempo di cammino da Montpelier, mi resi conto che i loro cani avevano trovato le nostre tracce e cercammo di fuggire nelle foreste. Eravamo estremamente lenti, dovevo portare Duncan in braccio e Shaun si era anche fatto male ad un piede, il giorno prima. Ero certo che ci avrebbero presi, a quel punto... erano talmente vicini che potevo sentire le minacce che ci urlavano dietro, e loro lo sapevano. In quel momento, uno di loro ci urlò che quando ci avrebbero trovati, avrebbero squartato i bambini e portato a Maxson le prove che uno fosse uno "sporco synth", dato che tanto, per me... beh, non sarebbe servito aprirmi per sincerarsene. Ci raccontarono, in realtà anche in ampi dettagli, di come la Confraternita li avesse pagati per trovare i figli del Generale e usarli per convincere i Minutemen a deporre le armi. Dicevano che avrebbero tenuto per le pa... uhm, che avrebbero avuto in pugno anche MacCready, così. C'è sempre stato cattivo sangue tra quel ragazzo e i mercenari, e in realtà quelle minacce non mi sorpresero molto. Ma il fatto che la Confraternita li avesse pagati per catturare dei bambini... mh, quello non me lo aspettavo.-

-È impossibile- sbottò Danse a quel punto, oltraggiato. –Non è stata mai approvata nessuna operazione del genere ai vertici, e sono stato presente costantemente a molti di essi negli ultimi dieci anni. La Confraternita non si sarebbe mai abbassata ad una strategia del genere!-

-Lo credevo anche io. Allontanare i bambini sarebbe stato comunque necessario per proteggerli dagli scontri, ma non credevo che la Confraternita avrebbe cercato di far loro direttamente del male- replicò Nick, con tono più pacato. –MacCready, invece, era convinto che sarebbe accaduto. I fatti gli hanno dato ragione.-

-Quali fatti? Per quello che ne sapete, quei mercenari potevano star mentendo. Magari avevano in mente di catturarvi e vendervi alla Confraternita nel tentativo di ingraziarsela e ottenere un ingaggio, ma Arthur non avrebbe mai accettato una cosa del genere, ne sono sicuro- obiettò l'altro.

-Avevo pensato anche io a una spiegazione del genere, ma te l'ho detto, i fatti provano il contrario. Le urla dei mecenari attrassero l'attenzione degli abitanti di Montpelier, che vedendomi con dei bambini e in difficoltà scelsero di proteggerci, anche se ero un synth. Scacciarono i Gunners, ma non era finita lì. Pochi giorni dopo, un vertibird atterrò poco lontano dalla città, e io feci giusto in tempo a convincere il capovillaggio a nasconderci prima che dei Paladini iniziassero a pretendere informazioni su dei "fuggitivi", e sulla sorte degli uomini che avevano ingaggiato per catturarli. Fortunatamente gli abitanti non vennero attaccati, ma la Confraternita setacciò Montpelier da cima a fondo, cercando proprio noi- raccontò Nick. –Non erano ovviamente preparati e non conoscevano il luogo, quindi non riuscirono a trovarci: la gente ci aveva nascosto a valle, assieme alle Wayfarers, in una vecchia stalla in disuso. Ma il capovillaggio ci raccontò tutto quello che avevano detto, e ci offrì asilo.

Non potevo rischiare di restare lì, però. I Gunners sapevano che eravamo stati aiutati da quelle persone, e presto sarebbero tornati in forze, forse anche con i rinforzi della Confraternita. L'unica cosa da fare era fuggire prima che ci intrappolassero... e come ultima spiaggia, il capovillaggio ci disse della città perduta.

Noi però avemmo una fortuna che a voi è mancata. Partimmo molto prima da Montpelier, e quando arrivammo in vista delle coste del lago, la Morte Bianca era ancora concentrata più a nord per i suoi spostamenti stagionali. Inoltre... io immaginavo, un po' almeno, dove andare a cercare. Sapevo che in mezzo al lago c'è un'isola, e che era stata teatro di attività militare durante la Grande Guerra... era solo un indizio, ma sospettavo che in un luogo del genere potessero esserci strutture abbastanza resistenti da essere sopravvissute al tempo, abbastanza da far circolare voci per tutti quegli anni. Seguimmo l'antica autostrada attraverso il lago, evitando gli acquitrini ghiacciati, e i cacciatori di Lost South Hero ci trovarono prima che la tempesta ci cogliesse, sulla Grand Isle.-

-E se i cacciatori non vi avessero trovato...?- chiese Piper. Era rimasta in silenzio in quell'ultima parte, e ora aveva assunto un'espressione addolorata. –Cosa sarebbe successo se vi foste persi?-

Nick tacque, per qualche momento. La sigaretta che aveva tenuto tra le dita, in quel tempo, era praticamente bruciata quasi del tutto senza che lui ne prendesse un po': lo fece ora, aspirandone un'ultima boccata prima di lasciarla cadere e spegnerla con una scarpa. –Sarebbero morti, sicuramente. Non so se il freddo alla fine avrebbe danneggiato a morte anche me, ma per i bambini, non ci sarebbe stata speranza. Ero pronto a... a impedire che soffrissero, se fosse stato necessario. Ma tra il farli finire nelle mani della Confraternita, sapendo il destino che sarebbe loro toccato, e la speranza che potessero rimanere liberi... dovevo fare quella scelta.-

Calò il silenzio, a quel punto. Piper si era stretta nella coperta, e non pareva incline a voler interrogare oltre il synth. Quello era tornato ad appoggiarsi allo schienale, e guardava la caverna con un'espressione distante ancora dipinta sul volto.

Danse non era sicuro di cosa pensare. Non aveva mentito, quando aveva mosso quelle obiezioni alle parole di Valentine: nessuna operazione del genere era mai stata nominata, figurarsi poi discussa, in nessuno dei vertici a cui aveva partecipato in passato.

Era vero, però, che la Confraternita si era avvalsa dell'aiuto dei Gunners come ulteriore forza di combattimento, negli ultimi anni. E che in generale, in realtà, si era sempre servita di vari mercenari per compiere quel genere di compiti per cui non valeva la pena rischiare risorse o la vita di altri confratelli. I Gunners erano entrati al suo servizio proprio con un contratto del genere, per rimpolpare le loro forze.

La decisione di assumerli però non era stata presa durante un vertice.

O per lo meno, non ad un vertice a cui Danse fosse stato chiamato a partecipare.

La sua fronte si corrugò, mentre pensava. Arthur lo aveva sempre definito come uno dei suoi strateghi più importanti. Eppure, quella decisione che pure lo aveva riguardato poi personalmente in seguito, visto che aveva dovuto dirigere diversi reggimenti di Gunners in aiuto alle truppe della Confraternita, gli era stata preclusa. Danse aveva dato per scontato che la ragione per quella scelta fosse stata il fatto che in quel periodo era stato spesso sul campo di battaglia, e che l'urgenza di un vertice al riguardo non avesse permesso agli altri ufficiali di attendere il suo ritorno.

Era stato davvero così, però? Maxson... avrebbe potuto, in teoria, nascondergli delle cose. Avrebbe avuto tutto il potere di farlo. E se davvero un vertibird della Confraternita si era recato a Montpelier, cercando proprio i bambini... non poteva esserci nessun altro dietro quell'ordine.

Danse non sapeva cosa pensare. Ma tutte le prove puntavano in quella direzione, e quelli che aveva categorizzato come semplici dubbi razionali, ora si erano fatti più simili a colpe dal peso non indifferente. Era... possibile, che Danse avesse scelto di non considerare certe parti un po' fosche degli ultimi anni, forse peccando di troppa fiducia nel suo comandante.

In fondo, non aveva nemmeno saputo distinguere se stesso da un synth. Il suo giudizio non doveva essere così affidabile. Era una possibilità... paurosa, e sconcertante, ma plausibile. Accettarla sarebbe stato uno sforzo non indifferente. Ma se quella era davvero la direzione che aveva preso la Confraternita, di nascosto ai suoi stessi membri, allora Danse non avrebbe potuto accettarla. C'era qualcosa di sporco in tutta quella faccenda, e la sensazione pesante di aver avuto un ruolo importante nel permettere che quelle cose accadessero, scegliendo di ignorare i suoi dubbi nei momenti cruciali, era una colpa di cui il pensiero Danse non riusciva a scrollarsi di dosso.

Iniziava a sentire le avvisaglie di un'emicrania.

Sospirò, attirando l'attenzione degli altri due, ma ignorò la cosa e si passò le mani sul volto con un gesto stanco. –Dove sono ora i bambini?- chiese.

-Beh, uno non è più un bambino, ormai. Non lasciare che ti senta dirlo di nuovo- rispose Nick, ridacchiando. –Duncan è fuori con gli altri cacciatori. Non te lo ricorderai, probabilmente... e non credo avresti potuto riconoscerlo, ma era assieme al gruppo che ti ha trovato.-

-... credo di doverti ringraziare, a proposito- si intromise Piper, con voce piccola. –Mi hanno detto che, anche se eri, tipo... delirante, hai insistito perché mi cercassero, alle rovine. Non hai permesso ai cacciatori di andare via senza avermi prima trovata.- La donna gli rivolse un'occhiata sorprendemente gentile, soprattutto visti i loro trascorsi. –Grazie.-

-Io... non ricordo di aver detto niente del genere. Non ricordo nulla nemmeno di quel momento- replicò Danse, un po' confuso e in realtà nemmeno preparato al brusco cambio di direzione.

-Non credo importi, no?- rispose Piper. –Mi hai comunque salvata. Le circostanze di come sia successo sono secondarie. Non sarei arrivata qui senza il tuo aiuto. Forse ero davvero l'unica a sperare che Nicky potesse essere trovato, ma senza di te quelle speranze non sarebbero diventate realtà. Non hai idea della dimensione del favore che hai reso ai Minutemen, Danse- concluse con tono serio, fissandolo negli occhi.

Anche Valentine aveva assunto un'espressione solenne, ma non commentò oltre su quell'argomento. –Per finire di rispondere alla tua domanda- disse invece. –Shaun è di sotto, alla centrale dell'impianto geotermico. Il ragazzino ha sempre avuto un dono, con quelle... diavolerie tecnologiche. Magari tra qualche giorno, quando sarete usciti da qui, potrete vedervi- aggiunse, rivolgendosi ad entrambi. –E a proposito di questo, l'ora d'aria è finita. Meglio che vi aiuti a tornare ai vostri letti... ci vorrà ancora qualche tempo perché riprendiate completamente le forze, ma qui siete al sicuro, e non abbiamo fretta. Parleremo ancora più avanti.-

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Capitolo 11
*** Muskeg sanguinario - Prima parte ***





Danse venne dimesso dall’infermeria poco tempo dopo quell’incontro.

I medici della città, aveva scoperto, non facevano uso della medicina tradizionale a cui era stato abituato fino a quel momento. Apparentemente a Lost South Hero non c’erano mezzi per produrre Stimpak, o Med-X o altri medicinali tipici: persino quello che era sicuro fosse stato RadAway era in realtà un intruglio esteticamente simile, ma preparato in maniera del tutto diversa e in modo artigianale.

Gli abitanti della città avevano imparato a produrre e ottenere le materie prime necessarie per i medicinali da fonti diverse e naturali, e per quanto Danse non potesse dire di comprenderne il funzionamento, lui stesso era comunque la prova vivente del fatto che avessero effetto. In due giorni, le conseguenze della fatica, dell’avvelenamento da radiazioni e della grave ipotermia che aveva subito erano completamente spariti, ed era tornato a sentirsi in forze come se non fosse mai accaduto niente.

Lo stesso, sfortunatamente, non poteva dirsi per Piper. La sua frattura era stata rivelata essere scomposta, al contrario di quanto aveva supposto Danse, ed era stato necessario intervenire chirurgicamente sulla caviglia per rimettere le ossa a posto. Oltre alla frattura, dunque, ora doveva riprendersi anche dall’operazione, e senza Stimpak a velocizzare il processo alla donna sarebbe toccata una convalescenza ben più lunga.

Privo di una prognosi simile, i medici avevano dichiarato Danse libero di andare pochi giorni dopo il dialogo con Valentine: dove, però, Danse non sapeva.

Con suo sommo disagio, tuttavia, una volta fuori dall’ospedale l’uomo trovò Valentine ad aspettarlo. Vista la sua “particolare” posizione, Lost South Hero peccava di locande o alberghi, dato che di certo non era una località frequentata da gente di passaggio. Oltre a ciò, gli abitanti della città erano particolarmente sospettosi dei pochi stranieri che riuscivano a raggiungerli. Per tutte quelle ragioni, gli spiegò Valentine, sia Danse che Piper avrebbero dovuto trascorrere la loro permanenza nella città a casa loro, in mancanza di un qualsiasi altro luogo adatto ad ospitarli.

-Casa vostra, tua e di chi altro?- aveva chiesto Danse. Il synth lo stava guidando attraverso un’area affollata, una sorta di bazaar con gente che premeva da ogni lato e che rendeva i suoi sforzi di non toccare Valentine un po’ inutili.

-Mia, di Duncan e Shaun- aveva risposto, prevedibilmente, Valentine. –Anche se per qualche tempo, ci saremo solo io e te. Shaun è di sopra, alla centrale –quel ragazzino ha sempre avuto un dono per quelle diavolerie elettroniche, e ormai se c’è un guasto chiamano sempre lui… mentre Duncan ne avrà ancora per un bel pezzo, è tornato fuori dopo avervi portati qui.-

-Fuori?- aveva ripetuto Danse, perplesso, ma non fu in grado di porre altre domande quando la folla si era fatta più pressante per far posto a un uomo che tirava una fila di carrelli su ruote, carichi di qualcosa coperto da pesanti teli scuri. La conversazione a quel punto cadde, e Danse per un po’ non ebbe più modo di tornarci.

I giorni successivi videro infatti l’uomo cercare di evitare quanto più possibile di dover passare del tempo da solo con il synth. Tra il soddisfare la propria curiosità, sforzandosi di fare conversazione con il robot senza avere nemmeno Piper come punto di riferimento, e l’evitare ogni possibile interazione come la peste, Danse preferiva di gran lunga la seconda.

Perciò, l’uomo iniziò a passare quanto più tempo possibile fuori dalla casa del robot. La città era diversa da qualsiasi insediamento Danse avesse mai visitato: era, tanto per cominciare, fittamente popolata, da almeno qualche centinaio di persone (numeri ben diversi dalle sparute manciate di coloni che abitavano gli insediamenti di superficie). Districarsi in una zona che non gli era familiare e così piena di gente rendeva l’orientarsi un compito particolarmente difficile per Danse.

Il fatto che la popolazione fosse estremamente sospettosa di lui non aiutava. Valentine lo aveva messo in guardia sulla cosa, ma Danse non era stato comunque pronto alla difficoltà che avrebbe incontrato. Chiedere indicazioni era impossibile: se pochi si degnavano quantomeno di mostrargli una direzione gesticolando con le mani, tenendosi il più possibile distanti da lui, la maggior parte della gente tendeva piuttosto a far finta che lui nemmeno esistesse, ignorandolo mentre parlava. Danse cercava di non farsi innervosire troppo dalla cosa, sapendo che buona parte della sua insofferenza era dovuta al fatto di non avere nessun modo di ottenere il rispetto di quei civili. I giorni in cui poteva sventolare un fucile laser in faccia alla gente che gli mancava di rispetto, al sicuro dentro la sua armatura atomica, erano ormai passati. Quella sensazione di impotenza gli ricordava la vita prima di unirsi alla Fratellanza, lo riportava a quel periodo in cui lui e Cutler erano stati costretti a lottare per sopravvivere come tutti gli altri spazzini, a fare tanti sforzi per due proiettili e un tato molliccio. La consapevolezza di aver perso tutto, ed essere tornato ad un punto di partenza ancora più desolante di quello originale, era il genere di pensieri su cui Danse cercava di non soffermarsi troppo.

In cuor suo, sperava che quella situazione non sarebbe durata troppo. In fondo, non avrebbero dovuto restare lì per molto ancora, a parte per aspettare che Piper si riprendesse: Valentine era stato trovato, ed era l’unico individuo che erano stati mandati a cercare. Shaun e Duncan non rientravano nel pacchetto. E vista l’urgenza, Danse pensava che sarebbe stato possibile per lui e il synth tornare a sud senza Piper. Lei stessa, già al rudere, aveva detto di essere disposta a farsi lasciare indietro. Sarebbe stata la soluzione più veloce, e logica a suo parere.

Tuttavia, tale argomento tendeva a non apparire nelle brevi e tese conversazioni che Danse intratteneva col synth, e Danse non si sentiva pronto ad affrontare Piper in un dialogo più lungo dopo la rovinosa lite al fiume, che sembrava ormai essere avvenuta settimane prima. I giorni passavano senza nessuna nuova, e Danse lottava per trovare un modo di occuparli.

Una delle poche idee che avevano funzionato al riguardo era stata esplorare la città. Per quanto, come già detto, fosse difficoltoso orientarcisi, Danse non riusciva a trattenere la propria curiosità verso quell’insediamento sconosciuto e così strano.
Lost South Hero era costruita su diversi livelli, distinguibili tra di loro dai diversi stili di costruzione.

Il livello più basso ospitava le strutture più antiche, che occupavano non solo il fondo del camino ma anche una parte delle pareti verticali circostanti. Oltre alle imponenti strutture in acciaio e vetro, sede evidentemente dei giardini idroponici la cui luce illuminava di continuo tutta l’area, la zona era costellata di prefabbricati dell’anteguerra, di quelli in metallo e plastica comuni nelle industrie e collegati tra loro da passerelle di metallo corrugato. Era plausibile che facessero parte del progetto originale del bunker militare antiatomico.

Appena sopra quell’area iniziavano le costruzioni di fortuna, tipicamente post-belliche. Si sollevavano lungo le pareti del camino, assicurate alla bell’e meglio alla roccia e alle strutture sottostanti (eppure, nonostante l’aspetto pericolante, dovevano pur funzionare bene se ospitavano tutta quella gente), inerpicandosi come un vespaio irregolare, collegate da passerelle di legno o materiali riciclati. Per ovvie ragioni di stabilità, non si potevano sporgere eccessivamente verso il centro della caverna. Le uniche strutture che si spingevano così lontano erano poche, isolate passatoie che si avvicinavano ai cavi di metallo che Danse aveva già notato penzolare al centro del camino, sospesi, senza nessuna indicazione a cosa fossero attaccati. In qualche modo, evidentemente, dovevano condurre all’esterno. Valentine vi aveva accennato, assieme al fatto che in origine quei cavi fossero protetti da una sorta di pilastro che era stato smantellato per mettere in piedi altre costruzioni, lasciandoli scoperti. Quell’area però, assieme ai magazzini che occupavano l’area più alta della città (e quella più fredda), gli era completamente preclusa: guardie armate custodivano sia l’accesso all’ascensore che quello delle provviste, e non erano state particolarmente cortesi quando Danse vi era capitato nelle vicinanze per sbaglio. Il loro fare protettivo aveva senso se si considerava che in quei magazzini era custodito tutto ciò che doveva garantire la sopravvivenza dell’intera città, e non potevano certo permettere a uno sconosciuto di metterci le proprie manacce contaminate sopra.

Escludendo quei luoghi, restava esplorabile il resto della città, la cui nativa conformazione però rendeva l’impresa difficile. Al contrario di Diamond City ad esempio, in cui i quartieri della città erano facilmente riconoscibili se non per il nome della via, almeno per il numero della base, qui le diverse zone si susseguivano senza apparente ordine logico né distinzione di forma. Si poteva camminare su una passerella su cui si affacciavano abitazioni per diversi metri, e poi girare un angolo e ritrovarsi improvvisamente in un bazaar scavato nella roccia. Non c’era preavviso, né differenza nella quantità di gente che popolava le strade. Tuttavia, per molto tempo Danse potè permettersi di non prestare attenzione a quei fatti, e concentrarsi solamente sulle meraviglie che i bazaar di Lost South Hero offrivano.

Ciò che la gente vendeva non era molto diverso dalla mercanzia della superficie: armi, proiettili, cibo, cianfrusaglie varie. Le trattative erano condotte in maniera rumorosa, per coprire i rumori della calca del bazaar, e non si usavano tappi come valuta: la gente si limitava ad usare il baratto, o a scambiarsi pezzi di legno con sopra scritte promesse di vendite o scambi futuri. Era un sistema che a Danse pareva antiquato, ma in fondo stava avendo a che fare con una popolazione che aveva vissuto in totale isolamento per oltre duecento anni. Era plausibile che il loro stile di vita si fosse evoluto in maniera molto diversa da quello della superficie. Senza contare che quella non era nemmeno la cosa più stupefacente che il bazaar avesse da offrire.
Quel posto lo detenevano, di tutto diritto, frutta e verdura.

Danse non aveva mai visto più della metà dei vegetali in vendita al mercato. Palle formate da foglie strette tra loro, di diversi colori; strani gambi con fiori carnosi verdognoli o violacei e stranamente appuntiti; pesanti frutti violacei dalla buccia sottile e liscia, che rifletteva la luce come uno specchio; altri frutti dalla forma vagamente rettangolare, disponibili in vivaci tonalità di rosso, verde e giallo; piantine simili a strani alberelli con minuscole sfere al posto delle foglie; e ce n’erano ancora, ancora più bizzarri, a cui Danse non era in grado di dare un nome né tantomeno un riferimento visivo.

E quei pochi che, si rese conto, era in grado di riconoscere, erano diversi da quelli che aveva sempre visto in superficie: i pomodori erano di un ricco colore rosso sia fuori che dentri, di forma perfettamente sferica, senza strane formazioni bulbose, e soprattutto deliziosi. Le angurie erano più zuccherine e succose di quante ne avesse mai assaggiate. Il mais era unicamente di una brillante tonalità di giallo e le sue foglie erano verdi, e non viola. Quelli che parevano somigliare a frutti mutati erano minuscoli, grandi poco più dell’unghia del suo pollice, ma così dolci e succosi che un giorno Danse iniziò a temere contenessero una qualche sostanza in grado di provocare dipendenza. Quel timore, e la tarda consapevolezza raggiunta del fatto che il loro succo scuro macchiasse tanto quanto macchiava quello dei regolari frutti mutati, furono una fonte di divertimento per Valentine per diverse ore.

Il synth gli spiegò che non erano quei vegetali ad essere differenti da quelli di superficie, ma il contrario. Quella gran varietà di frutta e verdura era quanto di più simile alle antiche specie pre-belliche originali che Valentine avesse mai visto. Intoccate dalle radiazioni che invece avevano fatto scempio delle forme di superficie, quelle varietà erano state accuratamente protette nel bunker sotterraneo per secoli, preservandone gli antichi caratteri e grande facilità di riproduzione. Senza dover temere i cicli delle stagioni o le imprevedibili mutazioni genetiche, il sistema di giardini idroponici di Lost South Hero produceva ininterrottamente e in gran quantità, permettendo agli abitanti di congelare o utilizzare per produrre energia quanto non veniva consumato.
Tale argomento di conversazione era uscito durante una cena. Danse si era sentito, in realtà, un po’ a disagio a pranzare in compagnia del synth: nonostante questi gli avesse detto che condivideva casa con i due figli del generale White, in quei suoi giorni di permanenza non li aveva incontrati nemmeno una volta. Non erano neppure tornati a casa mentre lui era stato impegnato nelle sue esplorazioni della città, tanto che Valentine si era limitato ogni volta a cucinare un pasto esclusivamente per lui, ignorando la sua richiesta di lasciare che si occupasse lui stesso del proprio sostentamento. –Ci sono abituato- aveva detto. –Non mi fiderei a lasciar avvicinare Duncan a un fornello nemmeno sotto minaccia, e Shaun ha… altro, a cui pensare. E poi, è un’ottima occasione per rispolverare i vecchi ricordi dell’anteguerra.-

Danse non aveva capito bene cosa aveva inteso con quell’ultimo commento, ma eventualmente accettò le premure del synth. Il fatto che i suoi manicaretti fossero meglio di qualsiasi razione avesse mai mangiato, sia a DC sia nella Confraternita, era un valore aggiunto che non aveva influenzato per nulla la sua decisione.

La cena era ormai praticamente terminata, e Valentine e Danse erano intenti a sistemare quelle poche posate che avevano sporcato, quando la porta di casa si aprì improvvisamente. Per la sorpresa, la mano di Danse volò al proprio fianco, in un gesto meccanico prima di ricordarsi che sin dalla sua dimissione dall’infermeria era stato disarmato.

All’uscio c’era un giovane uomo, alto, dal viso coperto da un pesante involto di pelli che portava in mano e che era talmente voluminoso da coprirglielo. –Una mano?- chiese, la voce soffocata dal carico.

Mentre Valentine si affrettava a levargli l’involto dalle mani, Danse si chiese come aveva fatto ad aprire la porta.

-Grazie, zio Val- disse lo sconosciuto, entrando e rivelando un’altra figura dietro di lui –un bambino, che a Danse non poteva arrivare più in alto della vita. Aveva i capelli color sabbia, tagliati corti e in ordine immacolato, e un fisico magrolino, ma nessuno di quegli elementi fu quello che colpì Danse. L’onore lo ebbe lo sguardo di puro, tagliente rancore diretto precisamente a lui, troppo maturo per trovare posto sulla faccia di un bambino che non poteva avere più di dieci anni eppure, allo stesso tempo, inequivocabile. Danse iniziò a sentirsi tremendamente a disagio.

L’altro sconosciuto, il giovane alto, era a sua volta di corporatura esile, sproporzionato ma non denutrito, con braccia e gambe cresciute troppo in fretta rispetto al resto del corpo. Aveva una zazzera incolta di capelli castani, lunga fino alle spalle, che avevano l’aria di aver bisogno di un lavaggio urgente, e le prime, patetiche avvisaglie di un pizzetto sulla punta del mento. Quando si voltò verso Danse, la somiglianza con MacCready lo colpì con tanta violenza che fu come averne di fronte una versione più giovane: le uniche differenze erano l’altezza e il colore degli occhi, che nel ragazzo erano di un caldo color nocciola.

Tralasciando poi gli strani tatuaggi che gli coprivano il naso e gli zigomi, di un bizzarro colore verdognolo che a Danse ricordava, stranamente, il colore che avevano le bestie irradiate.

Ma di certo non poteva essere una cosa del genere.

-Oh, bene, sei già qui- disse il giovane, rivolgendosi a Danse. Allungò una mano ossuta. –Duncan. Dobbiamo parlare.-

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I quattro si sedettero attorno al tavolo traballante a cui Danse aveva consumato i suoi pasti per tutti quei giorni. L’involto di pelle che aveva portato Duncan si era rivelato essere una pesante sacca piena di equipaggiamento invernale, anche se Danse era sicuro che non fosse ciò che gli avevano venduto gli abitanti di Montpelier. Dalle occhiate che vi lanciava il synth, pareva che neppure Valentine fosse sicuro del perché Duncan lo avesse con sé.

-Devo ammettere che ti avevo immaginato diverso- stava dicendo il ragazzo. –Magari saranno state le storie, o forse è che sei sempre stato sul culo a mio padre, ma avevo quest’idea tutta… diversa- concluse, gesticolando.

Danse aveva fatto presto a notare che Duncan peccava dell’apparente autocontrollo del padre riguardo le parole scortesi.

-È una cosa che posso comprendere- replicò, cercando di mantenere un tono neutrale. Non era del tutto sicuro di dove quella conversazione stesse andando a parare. Era abbastanza sicuro che il bambino dai capelli color sabbia dovesse essere Shaun, e il fatto che la sua espressione non fosse ancora cambiata, unito a quello che in quel periodo non si era mai fatto vedere in casa, suggerivano a Danse che il bambino ce l’avesse a morte con lui. Forse i lavori alla centrale geotermica erano stati solo una scusa per evitarlo.

Ignorando il fatto che Danse non riusciva ad immaginare a cosa potesse servire un bambino di quell’età ad un impianto così avanzato.

Ciò comunque non spiegava il perché ora il bambino fosse lì, e nemmeno la presenza del fratello. Né cosa volessero da lui: un’occhiata a Valentine gli aveva confermato che anche il synth pareva essere all’oscuro della questione, ma non sembrava particolarmente preoccupato.

-Beh, comunque. Mi fa piacere che tu non ti sia rilassato troppo. Ho bisogno del tuo aiuto- continuò Duncan. –Mi serve qualcuno che finisca la caccia con me.-

-Duncan?- intervenne Valentine a quel punto, l’intera domanda condensata nel tono di avvertimento con cui aveva pronunciato il suo nome.

-Il mio compagno, il vecchio Dirk, s’è fatto male dopo che siamo usciti la seconda volta. Dopo che vi abbiamo portato qui, a te e Piper- spiegò il ragazzo con tono concitato. Aveva un dialetto inusuale. –Non può controllare Borea come si deve. Abbiamo già fatto il grosso del lavoro, il Juggernaut è già un cazzo di puntaspilli. Mi serve solo uno che tenga il culo di Borea fermo abbastanza per trascinarlo fino in città dopo che lo ammazzo. Coso, qua, è perfetto, deve solo starci seduto sopra!-

-Non mi sembra una cosa saggia- obiettò Valentine. Si rivolse a Danse, che stava visibilmente annaspando per cercare di star dietro alla conversazione. –Ti ho detto che la carne viene da fuori, qui. Ci sono delle persone adeguatamente addestrate che possono uscire nella Tempesta e sfruttare una… collaborazione particolare, tra uomo e bestia, per abbattere e portare in città esemplari della selvaggina nativa. Ma non è una cosa facile, certamente per una persona priva di esperienza.-

-Non è un civile del cazzo qualsiasi! Era uno dei cazzoni della Confraternita, no? Sa come si fa a tenersi la testa sul collo. Sarà una passeggiata!- insistette Duncan.

-Perché io? Non ci sono altri cacciatori?- chiese Danse.

-Gli altri sono tutti già usciti una volta. I loro Strider sono stanchi, e poi Danse è il forestiero. Se devono restare qui, devono guadagnarsi la pagnotta, altrimenti il Concilio non ti permetterà di dargli da mangiare ancora per molto, zio Val. Lo sai come funziona.-

-Io no, che non lo so- si intromise Danse, con un po’ più di veemenza. –Se potreste smettere di parlare di me come se non ci fossi, e iniziare a spiegare approfonditamente di cosa stiate parlando, ve ne sarei grato.-

Shaun, a quel punto, parlò per la prima volta. Aveva una voce perfettamente adatta ad un bambino della sua età, infantile, ma parlava in una maniera ed un tono più consoni ad un individuo ben più maturo –più di quanto lo fosse Duncan. –Lost South Hero è sopravvissuta per duecento anni senza nessun intervento esterno, precisamente perché l’esterno è un pericolo- iniziò. –Un abitante delle superficie può portare scompensi sociali, cibo contaminato, malattie per cui gli abitanti non hanno sviluppato protezione. Tu e la signorina Wright siete relativamente sicuri da quel punto di vista. Tu vieni da un contesto rigidamente controllato a livello medico, e Diamond City aveva iniziato e messo in pratica un buon protocollo medico anni prima dell’arrivo della signorina Wright. Ma ciò non impedisce ai locali di temere comunque le altre minacce. In questo momento ci sono sicuramente già moltissime persone che fanno pressioni sul Concilio per espellervi. Quello, per voi, significherebbe morte.- Fece una pausa, prendendo un sorso dal tè che si era fatto poco dopo essere entrato. –La città è comandata da un Concilio di anziani e cacciatori, eletti dal popolo ogni dieci anni. In questi giorni ho cercato di prendere tempo, lavorando il triplo all’impianto per vedere se riuscivo a tenere buoni i rappresentanti, ma non sta funzionando. Siamo vicini alle nuove elezioni, e i vecchi e i nuovi candidati hanno bisogno di ogni modo possibile per ingraziarsi le masse. La paura è un ottimo incentivo, quando si tratta di ottenere voti.-

-Ma se ti guadagni la fiducia della gente, allora non ti cacceranno- si intromise Duncan. –È come abbiamo fatto noi. Quando siamo arrivati, non se la sono sentita di mandarci via perché eravamo piccoli e sarebbe stato veramente da stronzi pezzi di merda, e per guadagnarci un posto zio Val ha lavorato agli impianti come un cazzo di schiavo per sette anni. Dovevano essere un sacco di più, ma poi io ho iniziato a fare il cacciatore, e se fai il cacciatore qua sei un pezzo grosso, e ci hanno fatto stare subito.-

-La caccia ai Juggernaut è fondamentale per la sopravvivenza della città- riprese Shaun, scoccando un’occhiata di avvertimento a Duncan. –Una sola di quelle creature è in grado di nutrire e vestire la città per mesi, il che è fondamentale per la salute generale di un popolo che si nutre principalmente di vegetali. Chi mette a rischio la propria sicurezza per permettere alla città di sopravvivere viene trattato come un eroe.-

-Quindi quello che state suggerendo è che Danse prenda il posto del tuo compagno e che porti a termine una caccia, guadagnandosi la fiducia della città- riflettè Valentine a voce alta.

-Bingo- fece Duncan, appoggiandosi allo schienale della sua sedia.

-Sarebbe sensato, ma non state considerando il fatto che io non sono qui per restare- obiettò Danse. –Voi dovevate nascondervi, ed aveva senso che abbiate lavorato per restare. Ma io sono qui per riportare Valentine a sud, nient’altro. Volendo potremmo anche ripartire prima che Piper si sia completamente ripresa –la sua presenza è opzionale, me lo disse lei stessa qualche tempo fa.-

-Con questo tempo, e senza Strider? È fottutamente impossibile, coso- replicò Duncan con un gesto deciso. –Non riuscireste mai ad uscire dalla Tempesta. Ormai abbiamo l’inverno sul culo e questa è l’ultima caccia della stagione, la più importante. Dopo questa non usciamo più nemmeno neanche noi cacciatori. L’unica cosa che potete fare è stare qui fino a primavera, ma non ve lo permetteranno se prima non lecchi il culo al Concilio.-

Danse fissò il ragazzino, cercando di metabolizzare quell’informazione. -… primavera?!- ripetè, esterrefatto. –Sono tre mesi! Tre interi mesi! La situazione a sud nel frattempo potrebbe farsi critica e voi vorreste che ce ne stiamo qua con le mani in mano per tre mesi?!-

-In teoria potrebbero essere anche più di tre. Tre e qualche settimana- precisò Shaun. –Ma la situazione non cambierebbe comunque. Nemmeno gli Strider sono in grado di affrontare la Tempesta in quel periodo. E l’inverno ci sarà a sud precisamente come è qui in questo momento –è implausibile che gli sforzi bellici assumano una piega critica in un periodo così ostile.-

Il bambino non aveva tutti i torti. L’inverno era stato un generale duro nei passati dieci anni, e a parte piccole schermaglie non si erano mai combattute battaglie importanti in quella stagione –i Vertibird erano troppo preziosi per essere messi a rischio col meteo così a sfavore, e con la neve le armature atomiche diventavano difficili da manovrare. Danse considerò tutti quei fatti in silenzio.

-È comunque un piano estremamente pericoloso- disse Valentine dopo qualche momento. –La caccia non è una cosa da poco. La Tempesta ora non sarà al suo picco, ma è comunque una minaccia seria –senza contare che Danse qui non ha mai controllato uno Strider in vita sua.-

-È una cazzata- replicò Duncan. –E Borea è una bestiolina tranquilla. Basta che si tenga bene e segua noi, e andrà tutto a meeeeraviglia.-

Tre paia di occhi si girarono su Danse a quel punto, in attesa.

L’uomo sospirò. -… molto bene. Quando dobbiamo andare?-

Quando Duncan scoprì i denti in un ghigno, questo aveva una nota di ferocia che turbò Danse. Battè le mani sul tavolo in un gesto di trionfo. –Domattina, prima dell’alba. Alza il culo –ti devo far vedere come ti devi vestire, e poi andiamo a conoscere Borea.-






 
 

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Capitolo 12
*** Muskeg sanguinario - Seconda parte ***





Dopo la (vagamente traumatica) lezione sull’equipaggiamento che i cacciatori usavano per uscire nella Morte Bianca, Duncan condusse Danse fuori, verso una delle passerelle che conducevano al centro del camino.

-Le grotte degli Strider sono in alto- spiegò il giovane mentre camminavano. –Là fa più freddo, ed è buio, il che è un’ottima cosa perché così almeno quando escono non devono aspettare una cazzo di vita per adattare gli occhi. E poi gli piace il buio.-

-Cosa sono di preciso questi Strider?- chiese Danse.

Duncan parve pensarci qualche secondo, poi fece spallucce. –Cazzo ne so. Sono questi… grossi, grossi gatti. Però non sembrano proprio gatti –hanno le zampe davanti tipo, un fracco più grosse di quelle di dietro, e con le unghie che non rientrano e fottutamente grandi, e le zanne che vengono fuori dalle labbra tipo così- continuò, mimando con le dita una coppia di canini appuntiti che spuntavano in fuori, -sia sopra che sotto, e sono superforti. Seriamente, possono buttare giù un Juggernaut –anche se è meglio che ce ne siano sempre un paio. Non cacciano da soli di solito.-

La descrizione non aveva aiutato un granchè Danse, ma l’uomo sorvolò. –E li cavalcate?-

-Oh, sì- fece Duncan con un risolino un po’ isterico. –Quelli selvatici sono dei gran pezzi di stronzi, ma quelli che abbiamo noi sono addomesticati. Da ‘na vita. Non li catturano più fuori da un sacco d’anni, fanno accoppiare quelli che abbiamo tra di loro. I cuccioli sono brutti come la merda, però- aggiunse, aggrottando le sopracciglia.

-Ne sono certo- replicò Danse, nascondendo una risatina.

Francamente, il ragazzo non gli stava troppo antipatico. Aveva la spocchia e la spalvalderia tipica di una persona della sua età –secondo i suoi calcoli non poteva avere più di diciassette anni-, ma al contrario di tanti giovani scudieri che aveva incontrato nella Confraternita, erano caratteristiche che non parevano venire dal disperato bisogno di dimostrare qualcosa ai propri superiori. Duncan lo aveva già fatto: era un cacciatore, e il modo controllato e sicuro con cui si muoveva diceva molto più delle sue parole. Era abbastanza sicuro che in uno scontro corpo a corpo sarebbe comunque riuscito ad avere la meglio, ma solo per una questione di esperienza: il ragazzo aveva un’aria sveglia, ed era di certo più veloce e agile di lui. Con qualche anno in più sulle spalle, Danse poteva solo immaginare il potenziale a cui poteva aspirare.

Per qualche secondo pensò a suo padre. Probabilmente MacCready sarebbe stato fiero di lui.

Duncan lo condusse fino all’imboccatura di una delle passerelle che conducevano al centro, dove vennero bloccati da un uomo. Era seduto sul lato opposto della strada, su uno sgabello con la schiena appoggiata alla parete più esterna di un’abitazione: aveva un braccio appeso ad una sciarpa e dei brutti lividi su un lato del viso, ma niente eguagliava in bruttezza la cicatrice che gli deturpava l’altro. Non aveva più nemmeno l’occhio, da quel lato, e lo aveva sostituito con una sfera di vetro grigiastra. Tra la cicatrice e le rughe, era difficile capire quanti anni avesse.

-Hoy, Dirk- lo salutò Duncan.

-Hoy- ripetè l’altro, con voce gracchiante. Spostò l’unico occhio decente su Danse, e si prese qualche secondo per esaminarlo. –Quindi questo sarebbe il mio sostituto?- fece. Danse s’era aspettato scherno, ma l’uomo pareva neutrale.

-Ci puoi scommettere. Guarda che braccia- replicò Duncan, allungandosi poi a prendergli un braccio e tastandogli il bicipite. –Con ‘sti cosi sì che si tengono le redini, altro che i tuoi stecchetti di merda.- Danse si riprese il braccio con un gesto secco.
-Mh- fece Dirk, facendo spallucce. –Vacci piano con la mia piccola. È una signorina delicata. Non serve strattonarla, sii gentile e farà tutto quello che vuoi- aggiunse, rivolgendosi a Danse.

-Farò quello che posso- replicò questi, un po’ perplesso. Quella descrizione non andava molto d’accordo con quello che gli aveva detto Duncan poco prima.

Si separarono da Dirk con un saluto affrettato, e si avviarono finalmente verso l’ascensore vero e proprio. Era un classico montacarichi non molto dissimile da quelli che aveva già visto nel Commonwealth, con un grosso bottone rosso che Duncan premette con un pugno perché arrivasse. Quando li raggiunse, notò che per lo meno l’ascensore vero e proprio aveva dei parapetti, al contrario della passarella e del pianerottolo che ne erano pericolosamente privi.

Una volta terminata la salita, Danse rimpianse di non aver portato con sé un’altra giacca. La temperatura era letteralmente precipitata, e la vertiginosa distanza che li separava ora dalla città e dal fondo del camino non contribuiva a tenerlo tranquillo. Anni di volo sui Vertibird avevano cancellato la sua paura delle altezze, ma c’era differenza tra paura e istinto di autoconservazione. Le luci dei giardini idroponici, sul fondo del camino, erano lontanissime.

-Di qua- disse Duncan. Si trovavano in una sorta di strozzatura della caverna: era come se il camino sottostante avesse effettivamente un tetto, anche se da sotto non era visibile, bucato al centro per permettere il passaggio del montacarichi. Si trovavano ora al di sopra della strozzatura, e la città era visibile solo dal buco. Il resto della caverna era avvolto in una penombra illuminata fiocamente solo da luci da cantiere appese a intervalli regolari, ma molto distanti, alle pareti di un corridoio che si inerpicava verso l’alto.

Danse e Duncan lo seguirono, usando le assi assicurate al terreno per non scivolare. Il ragazzino aveva la lingua lunga, e per tutto il tempo aveva chiacchierato animatamente, parlando a Danse della caccia e degli Strider. Apparentemente le creature erano, appunto, forme mutate di grossi felini nativi dell’area: parevano provenire, insieme ai Juggernaut e ad altri esemplari di fauna insolitamente grande, dalla parte nord dell’isola. In antichità in quell’area sorgeva la città di North Hero: durante la Grande Guerra però i civili erano stati evacuati, e la città trasformata in una grande base militare con un grosso reparto di ricerca scientifica.

-Voglio dire, non abbiamo prove, e più si va a nord più la Tempesta peggiora- gli disse Duncan a un certo punto. –Però, sono coincidenze fottutamente strane, no? Che questi animali supergrossi e superintelligenti… almeno, per quel che riguarda gli Strider, vengano da lì, dico. E guardacaso lì c’era la base.-

-Credi che possano essere il frutto di una ricerca scientifica?- chiese Danse.

-Aye. Mio padre è cresciuto vicino ad un Vault, e pure lì ci avevano fatto esperimenti. Con quella merda del FEV, hai presente?- Danse aveva presente eccome. –È roba militare. Super top secret. Voglio dire, ‘sto posto era abbastanza tranquillo e isolato per farci su una bella base per i cazzi loro e armeggiare con qualsiasi merda volessero, no? Ci sta che da qualche parte lassù ci sia del FEV. Magari i vecchi esemplari originali sono scappati dal laboratorio dopo le bombe, e si sono adattati a stare nella Tempesta. I vecchi della città dicono sia così, almeno.-

-Ha senso- concordò Danse. Era distratto: si udiva chiaramente nell’aria un brontolio profondo, più chiaro via via che i due continuavano la salita. Le vibrazioni erano percepibili fin quasi a livello fisico, crescendo d’intensità. Evidentemente si stavano avvicinando alla fonte.

Come il rumore cresceva di volume, però, allo passo calava la luce che illuminava le caverne. Non era ancora così buio da non vedere nulla, ma era chiaro che Duncan era molto più abituato di Danse a muoversi in quegli spazi, e laddove l’uomo più anziano incespicava il ragazzo si muoveva con l’agilità di un gatto.

Erano arrivati ad un punto in cui il tunnel si allargava improvvisamente in quella che sembrava un’enorme stanza. Altri tunnel si diramavano da lì, e a differenza di quello da cui erano arrivati, erano cavità enormi, in grado di ospitare tranquillamente almeno tre uomini in termini di altezza. L’unica fonte di luce era una lampada che qualcuno, in qualche modo, aveva inchiodato al soffitto. Diffondeva un fioco pallore verdognolo, ma era sufficiente ad indovinare l’esistenza di almeno quattro tunnel bui. Le vibrazioni erano assordanti, e al rumore si era aggiunto un distinto odore sgradevole. Mescolava l’odore di pelo di animale, sangue rappreso, marciume, escrementi, l’olezzo pungente di metallo e cuoio. Era disgustoso, e Danse fu grato per l’oscurità che nascose la sua smorfia istintiva.

-Di qua- disse Duncan, portandolo verso il tunnel più lontano.

Non dovettero camminare molto a quel punto. Dopo qualche minuto nella semioscurità, sbucarono in un’altra stanza –stavolta illuminata in maniera ben più decisa, ma non c’erano lampade inchiodate alle pareti.

Le luci venivano dalle che la abitavano. La sala –un’enorme camino che terminava in un crepaccio dal lato opposto a cui erano arrivati- era divisa in due da una sorta di confine invisibile: ai due lati opposti, giacevano appallottolati due immensi… animali, che ora li fissavano dai loro giacigli come se fossero stati svegliati dal loro arrivo. Brillavano precisamente come una creatura irradiata al punto tale da diventare splendente, e allo stesso tempo il loro chiarore era indescrivibilmente più basso. Solo allora Danse notò che erano coperti entrambi di pelo, fitto come mai niente l’uomo avesse mai visto nemmeno cucito artificialmente su dei vestiti. La luce era concentrata negli occhi delle bestie, che brillavano talmente tanto da sembrare bianchi, e nei ciuffi di pelo che sormontavano le loro orecchie. No, anche nella bocca, dovette rettificare Danse quando uno dei due –il più scuro- la aprì, scoprendo spaventose zanne silhouettate contro il chiarore che sembrava provenire direttamente dalle viscere del mostro. Non ci fece troppo caso: la bestia aveva aperto la bocca per emettere un rumore del tutto non amichevole –simile al rumore che avrebbe fatto un gatto soffiando, se il gatto fosse pesato qualche decina di quintali e in gola avesse avuto una schiera di persone che trascinavano unghie su delle lavagne.

-Buono, Grognak!- abbaiò Duncan, ignorando l’espressione della creatura. –Non gli piacciono gli estranei, ma fa solo la voce grossa, non preoccuparti.- Quello che doveva essere Grognak emise un suono simile ad un borbottio. –Non fa niente. Sarà meglio che non faccia niente- aggiunse, rivolto alla creatura, che ebbe per qualche ragione un moto espressivo come se le parole del ragazzo l’avessero effettivamente preoccupato.

-Questi sono…?- iniziò Danse, tenendosi cautamente di qualche metro dietro rispetto a Duncan mentre questo entrava nella sala.

-Strider, sì- rispose il ragazzo. –Non sono le loro solite stalle, ma li teniamo qua quando devono uscire ancora così non si scaldano troppo di sotto. Quello maleducato è Grognak- disse, indicando lo Strider più scuro, che curiosamente scoprì le zanne in maniera non dissimile da come avrebbe fatto una persona facendo una smorfia d’irritazione, -e quella buona è Borea.-

Finalmente l’attenzione di Danse si spostò sull’altro Strider. Era un po’… no, molto più piccola dell’altro mostro, di un colore che virava più sul grigio mentre l’altro era color fango. Aveva le orecchie ancora dritte in un’espressione di curiosa attenzione, ma non sembrava apertamente irritata come l’altro. Casomai, appunto, solo curiosa.

-Questo è Danse. Sostituirà Dirk e verrà a caccia con noi, domani. Ora, questo non influirà un granchè su di te, pezzo di merda- continuò Duncan, pronunciando però l’insulto con tono affettuoso. Lo Strider scuro sbuffò, e Danse potè sentire nell’aria il suo fiato rancido. –Danse starà su di te, Borea, e non è mai stato su uno Strider. Oggi proviamo le manovre semplici, non dovrete fare nient’altro che stare dietro a noi alla fine. Quindi non mi aspetto che tu debba fare grandi sforzi.-
Danse ci mise quasi mezzo minuto a capire che Duncan non stava parlando con lui.

-Aspetta. Non è che… non possono capire quello che stai dicendo, vero?- chiese, più che altro per assicurarsi che quello strano dialogo fosse solo un’altra, stramba caratteristica di Duncan e non il segno che era lui a star iniziando a perdere colpi.
A quella domanda, sia Grognak che Borea emisero un suono curioso, simile al brontolio di fondo che si sentiva tuttora, ma più agitato.

-Capiscono, sì- rispose invece Duncan, e fu come se a Danse avessero tirato via un tappeto da sotto i piedi. –Non possono parlare, e non è che capiscano proprio tutto tutto. Non è che puoi metterti a parlarci di filosofia, sono pur sempre animali. Però capiscono la nostra lingua senza problemi. Come pensi che abbiano fatto i primi cacciatori a salirgli in groppa?- chiese poi, come se fosse una cosa ovvia. Quando Danse, prevedibilmente, non rispose, Duncan sbuffò –e quanto era simile quella reazione a quella che aveva avuto il mostro scuro, solo poco prima?- e riprese la parola: -Hanno fatto un patto. Il vecchio branco originale stava morendo, e gli umani pure, senza accesso alla carne. Invece di massacrarsi a vicenda, decisero di collaborare e cacciare assieme, così tutti avrebbero potuto mangiare e gli Strider avrebbero avuto una tana sicura.-

-Ma… come…?- balbettò Danse, incapace di metabolizzare quel concetto.

Duncan evidentemente non sapeva bene che rispondere, se lo sguardo confuso che lanciò a Grognak fu di qualche indicazione. L’animale emise solo un grugnito interrogativo, e il ragazzo sbuffò. –Boh- rispose, eloquentemente. –Magari il FEV c’entra qualcosa. Immagino non lo sapremo mai.-

Danse non riusciva a capacitarsi dell’aplomb del ragazzo.

Stavano parlando di creature possibilmente letali, di natura non ben specificata, con diversi quintali di zanne e artigli di vantaggio su di loro, apparentemente dotate di intelletto. Come se… come se degli animali potessero capire il linguaggio umano e le sue sfumature. Come se fossero delle sottospecie di persone, con cui si potessero stringere patti o alleanze.

Non bastavano i supermutanti, non bastavano i synth, non bastava l’aver scoperto d’essere lui stesso un synth, ora ci volevano anche queste… bestie a confondere la sua già labile etichetta di cosa era accettabile e cosa no.

-Tutto ok, amico? Sei verde… dico, più verde della luce- fece Duncan, una nota d’apprensione nella voce.

-Questo è… fottutamente ridicolo- borbottò Danse dopo un lungo silenzio. Alla sua risposta, Duncan si lasciò scappare una risatina.

-Beh, ciccio, non hai torto- disse. Assunse un’espressione più sobria, a quel punto. –Ce la farai, a cavalcarne uno? È una responsabilità grossa come una cazzo di casa. Non solo per te o per Piper, per tutta la città. Abbiamo bisogno di quel Juggernaut.-
Danse prese un respiro un po’ tremolante. Non era il momento di avere una crisi di nervi –né ora, né il giorno successivo. Non era mai stato il genere d’uomo che si faceva problemi ad eseguire il proprio dovere, e non avrebbe iniziato ora. –Devo ammettere che è tutto un po’… strano, ma farò quello che mi è stato richiesto- rispose, con tono un po’ più sicuro. –Da dove dobbiamo cominciare?-

L’espressione di Duncan si rasserenò immediatamente. –Oh, benone. Vieni, fatti sniffare da Borea.- Fece schioccare la lingua, come aveva già sentito fare a Quinlan col proprio gatto. Gli sovenne solo a quel punto la somiglianza del muso delle creature con quella di un felino.

Che razza di creature dovevano essere state, in origine?

Non si soffermò molto su quel pensiero. Cautamente, si avvicinò a Borea. La creatura, nonostante avesse un atteggiamento molto più gradevole di Grognak, puzzava allo stesso modo. Sotto l’esame dei suoi occhi lucenti, Danse si sentì come immaginava si sentisse un topo sotto lo sguardo di un gatto curioso.

Dovette trattenersi dall’arretrare quando la creatura abbassò l’immensa testa per mettersi al suo livello, e venne investito dal suo respiro.

-Coooosì, brava piccolina- stava dicendo Duncan col tono stupido che usavano gli sciocchi con gli animali. –Puoi accarezzarla, sai? Le piace essere accarezzata.-

-Credevo che capissero quello che diciamo- fece Danse, diviso tra la necessità di fare la domanda ed evitare di inalare quanto più possibile del fiato della creatura.

Duncan fece spallucce. –Certo, ma sono sempre animali. Una grattatina piace a tutti.-

Come se avesse capito le parole del ragazzo, Borea si spinse più insistentemente nello spazio vitale di Danse.

No, chi voleva prendere in giro. Certo che aveva capito.

Esitante, allungò una mano, che spinse Borea a ritrarsi quel tanto che bastava per poterla annusare –era ridicolmente minuscola rispetto al suo solo naso, figurarsi al resto della faccia- prima di rifarsi di nuovo avanti e offrire, stavolta, la parte posteriore del suo mento. Danse colse l’antifona e affondò la mano nel ciuffo di pelo che copriva la punta del suo mento, e per un attimo non seppe bene cosa pensare.

Da una parte, il pelo era incrostato da quelli che probabilmente erano i resti dell’ultimo pasto della creatura: sporcizia ruvida che creava nodi spiacevoli e della cui natura Danse preferiva non avere indizi. Dall’altra, l’uomo era certo di non aver mai toccato nulla di così soffice. Se ci si sforzava di ignorare il disgusto provocato dall’odore e dalle cose impiastricciate al suo interno, la pelliccia di quelle creature era incredibilmente spessa, tanto che Danse avrebbe potuto affondarci la mano per un bel pezzo prima di finire a toccare la pelle: e quello era solo sul muso, che non era uno dei punti del corpo dove solitamente la pelliccia degli animali era più fitta. Si chiese come sarebbe stato toccarle un fianco, o le spalle.

Alzò anche l’altra mano, e Borea accolse l’ulteriore stimolo con una serie di vibranti borbottii identici a quelli che avevano sentito entrando nel nuovo sistema di caverne. Tuttavia, ora che aveva la fonte direttamente a pochi passi da lui, le vibrazioni erano così intense da scuotergli le interiora. Dovette concentrarsi per non vomitare.

-È simpatica, vero?- disse Duncan a quel punto, rompendo il silenzio. Qualcosa nel suo tono fece voltare Danse. Il ragazzo aveva un’espressione di profondo affetto dipinta sul viso, una cosa molto diversa dagli atteggiamenti che l’uomo si era abituato a vedere nel poco tempo che lo aveva conosciuto. Sembrava genuinamente affezionato a quelle creature –nonostante Borea non fosse nemmeno “sua”, se non aveva capito male.

-È… beh, è qualcosa- rispose alla fine, dopo averci pensato.

-Questa è una delle sue ultime cacce- disse Duncan, allungando una mano a sua volta ad accarezzarle una guancia. –L’anno prossimo sarà troppo vecchia per continuare. Ma potrà fare dei cuccioli, se si sceglierà un compagno.-

-Quanto vivono, queste creature?- chiese Danse.

-Non quanto si pensa- rispose l’altro. –Una quindicina d’anni, più o meno. Verso la fine… si bruciano in fretta. Di solito lasciano le tane prima di morire –vanno via, fuori, a farlo. Grognak ha cinque anni, è ancora abbastanza giovane, ma lei ne ha già nove… non mi sorprenderei se anche Dirk si ritirasse con lei. Di solito il cacciatore si sceglie semplicemente un altro Strider, ma lui è vecchio, e Borea… non ne abbiamo avuti tanti come lei. Credo sia la più intelligente che abbiano mai avuto.-

Dalle loro spalle, Grognak emise un verso apparentemente indignato.

Duncan sbuffò. –Lo so, che sei sveglio anche tu. Scassa meno il cazzo- lo redarguì, ma nei suoi insulti c’era un tono giocoso. Dovevano essere abituati a quel genere di dialogo, dato che lo Strider scuro emise ancora quello strano verso cavernoso, senza mostrare aggressività.

Ora che si era rilassato, c’era una domanda che premeva fare a Danse. –Hai dato tu il nome a quello?- disse, indicando lo Strider scuro.

Duncan si girò a guardarlo, un brillio divertito negli occhi. –Da cosa si capisce?-

-Uhm… da niente, in realtà. Però non credo di aver visto fumetti qua in giro, neanche nei bazaar- replicò Danse, un po’ confuso dalla quella domanda.

-Ah, ma allora lo conosci Grognak! Credevo fosse una domanda così, a cazzo- esclamò Duncan, sorpreso. –Cazzo, è una vita che non metto le mani su un fumetto. Non ce ne siamo potuti portare neanche uno da Diamond City, ho lasciato là tutta la collezione. Dici che è ancora a posto? Non l’avete distrutta, voi della Confraternita, vero?-

-No, Diamond City non è stata mai attaccata direttamente- rispose Danse. –Ne avevi una collezione?-

-Beh, non era mia. Non precisamente- rispose Duncan a quel punto, grattandosi la testa con fare un po’ imbarazzato. –Erano di mio papà. Lui ha sempre insistito che erano miei, ma non sono stupido –so che piacciono un sacco anche a lui. Me li faceva sempre arrivare con la carovana, quando ero ancora malato e stavo a DC con i nostri amici.- Fece una pausa, incerto su come proseguire. –Non c’era un granchè che potessi fare a parte leggere. Ero un cazzo di spaghetto, e avevo sempre la febbre e a volte non stavo manco tanto bene in piedi. Era meglio per tutti se stavo a letto. Grognak è il mio preferito.-

Ci fu qualche attimo di pausa nella conversazione, il silenzio rotto solo dai borbottii delle creature, che ora sembravano prese a dialogare tra di loro.

-Ti manca tuo padre?- chiese Danse, pur certo di conoscere già la risposta.

Com’era prevedibile, Duncan sbuffò. –Che cazzo di domanda è? Certo che mi manca.- Esitò prima di proseguire. -… sta bene, vero? Lo hai visto, giù al sud?- chiese, con voce fattasi improvvisamente più piccola.

Danse ripensò all’ultima interazione che aveva avuto con l’ex mercenario, e al peso delle sue intenzioni nel suo riguardo quando gli aveva chiesto di imbarcarsi su quella missione. –Stava bene, l’ultima volta che l’ho visto- rispose alla fine. –È uno dei Comandanti dei Minutemen, adesso. Credo sappia il fatto suo, anche se è un po’… un po’ uno stronzo, insomma.- Non era precisamente sicuro da dove gli fosse uscita quella familiarità di linguaggio, ma al ragazzo pareva non importare.

Duncan, a quello, rise ad alta voce. –Aye, quello suona decisamente come mio padre- disse. –Sapevo che quelle lattinacce non sarebbero mai riuscite a seccarlo. È troppo cazzuto per farsi ammazzare da quei pezzi di merda.- Per la prima volta, parve improvvisamente assumere un’espressione contrita. –Uh… senza offesa-, aggiunse.

-Non me la sono presa- lo rassicurò Danse, bonario. In fondo l’ostilità di Duncan era comprensibile.

-Oh, grande. Ok, basta chiacchiere. Ti devo insegnare come si monta in groppa a questi cosi- fece Duncan, strofinandosi le mani l’una con l’altra. –Ma prima, ti faccio vedere la sella.-
 

-------
 

Il mattino successivo vide Danse e Duncan in piedi ben prima dell’alba, o per lo meno così diceva l’orologio appeso nella cucina in cui i due consumarono la propria colazione prima di andare. Sia Valentine che Shaun erano stati in piedi per guardarli uscire, nonostante l’ora ingrata, e c’era una familiarità nei loro gesti che suggeriva a Danse che si trattasse di un’abitudine nata per Duncan.

Avevano già indossato il grosso dell’equipaggiamento da esterno, e una volta tornati dagli Strider li avevano trovati già sellati e pronti ad uscire. Le creature parevano ansiose di mettersi in marcia, prevedendo di certo che se la caccia fosse stata vittoriosa avrebbe significato carne fresca anche per i loro stomaci.

Danse aveva imparato solo il giorno prima ad arrampicarsi sulla groppa di Borea, ma dovette ammettere che nonostante la scarsa familiarità del gesto non era un’impresa così difficile. Lo Strider era stato pazientemente fermo per tutto il processo, accogliendo anche Duncan mentre il ragazzo aveva assicurato con attenzione le cinghie di sicurezza attorno alle sue gambe.

Ora, nel tunnel che precedeva l’uscita di Lost South Hero, il giovane stava ripercorrendo con tono sorprendentemente professionale ciò che di cui avevano discusso il giorno prima.

-Non sganciare il moschettone per nessun motivo a meno che non te lo dica io. Tieniti e basta, Borea sa quello che deve fare. Per il momento verrete solo dietro a noi. Qualsiasi cosa succeda poi tu non t’avvicinare, inteso? Stattene fermo dove ti dico. Anzi, sai che facciamo?- fece Duncan, la voce che gli giungeva metallica all’orecchio dove aveva infilato la ricetrasmittente. –Non fare niente se non te lo dico io prima. Capito?-

-Capito- fu la risposta di Danse. Il giorno prima il ragazzo non era sembrato affatto così nervoso, ma l’uomo cercò di non farsi influenzare troppo. Si trattava pur sempre di una persona giovane, ed era normale che potesse sentirsi a disagio in quel momento, con quel genere di responsabilità sulle spalle. Danse però sapeva che non avrebbe potuto fare nessuno sforzo per rassicurarlo che non facesse altri danni: a quell’età, sapeva, si tendeva ad essere particolarmente refrattari a quel genere di conforto. Era nella difficile posizione di doversi fidare del fatto che, nel momento cruciale, il nervosismo di Duncan si trasformasse in decisione.

Il tunnel era buio pesto, illuminato solo dal chiarore degli Strider che muovendosi con loro creava ombre oblunghe e sinistre. Era una fortuna che Danse fosse abituato ai viaggi su Vertibird: l’andatura ondeggiante delle creature, in un uomo più debole, avrebbe certamente dato problemi di stomaco.

Danse stava cercando di soffocare quelli che gli stava provocando il pensiero della Morte Bianca. Aveva affrontato (malamente) una volta sola la terribile tempesta, e stava per inoltrarcisi di nuovo, allo stesso tempo più protetto di prima e in una circostanza molto più pericolosa. Ficcarsi volontariamente in bocca a quel mostro meteorologico era una follia da cui ogni pensiero razionale di Danse cercava di allontanarlo, ma l’uomo non si era mai tirato indietro dal proprio dovere, soprattutto vista la responsabilità che aveva sulle spalle. Dal successo di quella caccia dipendeva la permanenza di lui e di Piper in quella città sino alla prossima primavera –e, di conseguenza, la loro sopravvivenza. Non era il genere di compito che si poteva permettere di prendere alla leggera. Non che ne avesse mai preso uno così, s’intende.

L’unico avvertimento che ricevette prima di ritrovarsi di nuovo nella tempesta fu un –Tieniti!- dalla ricetrasmittente. Poi il buio attorno a loro si fece ampio, come una bocca pronta ad inghiottirli, testimoniato dall’improvvisa assenza di pareti su cui le luci degli Strider potevano riflettersi; e poi, Danse venne spinto con tanta forza dalla sella che lì per lì temette che le cinghie che lo assicuravano alla sella gli avrebbero finito per segare le gambe.

Non successe, ma lo shock e la forza del vento furono sufficienti a togliere comunque il respiro a Danse. Quando riuscì ad alzare lo sguardo dalla sella, vide Duncan e Grognak guardarlo da qualche metro più avanti.

-Tutto bene, lattina?- chiese il ragazzo.

Gli ci volle qualche secondo per ritrovare la voce, ma quando ci fu riuscito Danse fu sollevato nel sentire che non tremava. –Tutto bene-, rispose.

Duncan non disse altro e Grognak si voltò, naso all’aria e orecchie che andavano in ogni direzione, in cerca probabilmente della loro preda. Era incredibile come solo la presenza di quelle creature cambiasse radicalmente l’atmosfera della Morte Bianca: attorno ai loro corpi c’era abbastanza luce da poter vedere più o meno bene in un raggio di quattro, cinque metri al massimo. Certo, appena quella luce si affievoliva c’era immediatamente l’oscurità della tempesta, nera come una parete impenetrabile, ma era comunque più di quanto Danse fosse stato in grado di vedere prima.

Le creature, al contrario, parevano non avere nessun problema a vedere al buio, com’era prevedibile. I loro occhi si fissavano spesso su cose che né Duncan né Shaun potevano anche solo sperare di scorgere, ma avevano un atteggiamento rilassato, dunque non c’era nulla da temere dal buio.

Danse doveva solo ripeterselo fino al momento in cui avrebbe iniziato a crederci.

Il gruppo aveva fatto poca strada quando Grognak emise un verso nuovo, una sorta di basso cinguettìo (anche se forte comunque da permettere a Danse di udirlo, nelle retrovie), e iniziò a dirigersi con passo molto più deciso verso nord-ovest. Danse non aveva idea di che ora fosse, ma aveva senso che avesse già trovato qualcosa: Duncan gli aveva garantito che il branco di Juggernaut in cui era la loro preda stava passando molto vicino alla città seguendo una loro rotta migratoria, ed era quella la ragione per cui avrebbero dovuto cercare di cacciarne uno prima che si allontanassero troppo. Duncan era stato certo che sarebbero stati di nuovo in città prima dell’alba del giorno successivo.

Borea, pur essendo più piccola, teneva senza problemi il passo veloce di Grognak. Grazie alla luce che facevano le due creature, Danse poteva scorgere fugaci frammenti del paesaggio che lo circondava: ogni tanto nel loro campo visivo facevano capolino i resti di qualche albero, o i pali d’acciaio piegati e strappati di qualche antica torre elettrica, o strane forme scure che dovevano essere probabilmente pezzi di abitazioni antiche, strappati dalla forza del vento lontano dalla loro origine e resi irriconoscibili. Non aiutava nel riconoscimento degli oggetti il fatto che fosse impossibile capire quanto fosse alta la neve –svariati metri, probabilmente, e questo alterava di molto la prospettiva su cosa dovesse in teoria essere visibile e cosa lo fosse in realtà.

Un tuono distrasse Danse da quei pensieri, e istintivamente strinse le mani e le gambe attorno alla sella. I due Strider parvero, stranamente, brillare temporaneamente con più forza mentre il suono rimbombava in maniera sinistra nell’aria: si erano fermati, ad orecchie abbassate, anche se Danse non avrebbe saputo dire se fossero intimiditi o ci fosse un’altra ragione per la loro esitazione. Solo quando gli ultimi echi dell’esplosione d’energia si furono definitivamente dispersi le due creature ripresero a muoversi.

-Cazzo, il tempo è peggiore di quello che pensassi- commentò Duncan.

-È un problema?- chiese Danse. Il rumore di quei tuoni lo inquietava.

-Difficile dirlo- rispose il ragazzo. Dalla radio era difficile capire se la risposta fosse sincera. –Tutto quello che vive nella tempesta è influenzato di brutto dalle fluttuazioni delle radiazioni, però.-

Non disse altro, ma Danse immaginò da solo che probabilmente lo stato della tempesta avrebbe avuto a che fare con le creature a cui stavano dando la caccia.

Gli Strider guidarono i due uomini sul fianco di una ripida collina, le loro zampe e i loro possenti artigli che facevano presa senza apparente fatica nel ghiaccio nonostante la pendenza. Quando si fermarono, Danse potè sentire riverberare sotto le proprie gambe i ringhi che entrambi stavano emettendo, una volta appiattitisi contro il terreno.

In lontananza, si indovinava che la collina si abbassasse e il terreno tornasse in piano per un bel pezzo: una grande pozza di luce verde brillava come un faro nel bel mezzo della pianura, muovendosi lentamente come una malattia. L’ululato del vento copriva qualsiasi rumore facesse l’immenso gruppo di creature, ma Danse non dubitava che il rumore di quegli animali sarebbe stato forte abbastanza da rivaleggiare con la tempesta, se fossero stati più vicini.

-Eccoli. Juggernaut- indicò, un po’ inutilmente, Duncan. –Stiamo qua un attimo, non possono sentire il nostro odore così.-

-Il piano?- chiese Danse a quel punto, lo sguardo fisso sul branco.

-Sono più di prima, quindi devono essersi uniti a un altro branco- puntualizzò il ragazzo. –Ma Grognak ha sentito il puzzo di sangue, quindi sicuramente quello che abbiamo ferito è ancora con loro. Dobbiamo solo trovarlo.-

-Ce la farai da solo?-

-… no, non con tutti quei Juggernaut. Dobbiamo separarli- ammise Duncan.

Danse rimase in attesa di spiegazioni, ma il ragazzo pareva esitare a fornirgliele.

-È una manovra semplice… per un cacciatore, dico- iniziò il giovane, con tono evidentemente incerto. –Senza esperienza, e in un branco di stronzi agitati… non so. Forse è meglio che torniamo indietro.-

-Negativo- replicò Danse, seccamente.

Era impossibile capire l’espressione di Duncan nel mezzo della tempesta, ma il ragazzo voltò comunque il capo coperto a guardarlo, in maniera comunque evidentemente interrogativa.

-Ormai siamo qui. E lo hai detto anche tu a Valentine ieri, sono un soldato. Un uomo della Confraternita. Non dico che sia facile, ma posso cavarmela –specialmente se questi Strider sono intelligenti come hai detto. Io posso anche non avere esperienza, ma Borea ne ha abbastanza per entrambi.-

-Questo non vuol dire che tu non debba guidarla- obiettò Duncan. –In una situazione come questa ci sono un sacco di incognite che non possiamo prevedere, e tocca a chi sta in groppa fare l’altro paio di occhi e aiutare lo Strider. Se non sai come…-

-Non credo ci vogliano sette anni di studi per saper usare gli occhi- replicò Danse. –Ormai siamo qui- ripetè ancora, più deciso. –Dimmi cosa devo fare.-

Ci fu ancora qualche secondo di silenzio, in cui i due si guardarono senza voler dare il minimo segno di cedere. Fu Duncan, eventualmente, a capitolare. –Faremo una manovra a tenaglia- disse. –Io farò il giro da sud, mentre tu scenderai dritto da questa collina, quindi cerca di non perderci di vista. Grognak si concentrerà subito sull’odore della preda, e quando l’avrà trovata dovrai fare in modo di far allontanare gli altri Juggernaut. Saranno già terrorizzati appena ci vedranno- devi solo indirizzarli a scappare lontano da noi, in modo che non ci travolgano.-

-Chiaro. C’è altro a cui devo prestare attenzione?- replicò Danse.

Quasi come se l’avessero chiamato, un altro tuono riverberò nell’aria, facendo nuovamente appiattire le orecchie degli Strider. –La tempesta- rispose Duncan. –Li renderà estremamente nervosi ed imprevedibili. Le cose potrebbero andarci bene, e il nervosismo li potrebbe portare a darsela a gambe senza troppi problemi, oppure potrebbero dare di matto di brutto e iniziare a correre a caso, senza una direzione precisa. Quello è pericoloso. Se succede, devi andartene subito da lì, capito?- gli intimò poi il ragazzo. –Se uno di quelli vi prende, vi abbatte subito. Sono dei brutti bastardi, quando hanno i coglioni girati così.-

-E tu? Te ne andrai anche tu di lì, no?- chiese l’altro.

-Ovvio. Non ci sto mica a farmi pestare- rispose Duncan. Ancora un attimo di pausa. –Capito tutto?-

Danse prese un respiro. –Capito.-

-Ricordati che gli Strider ti sentono parlare; non serve urlare, li agiteresti e basta. Parla con Borea per dirigerla, ti darà ascolto, è abituata- si raccomandò Duncan. –Allora… ci vediamo di sotto.-

-Buona fortuna.-

-Aye. Anche a te, lattina- fece il ragazzo. Poi, in pochi balzi, lui e Grognak si allontanarono, riducendosi progressivamente a una luce sempre più fioca.

Danse e Borea rimasero soli.

L’uomo non era mai stato un grande conversatore con i propri simili (o quelli che aveva creduto essere i propri simili, rettificò mentalmente con una smorfia), figurarsi ora che si trovava in compagnia con un mostro dotato di apparente intelletto.
Quasi a percepire la sua esitazione, una delle orecchie dello Strider si girò minutamente all’indietro, nella sua direzione.

-È tutto ok- si ritrovò a rispondere l’uomo. Un po’ per proprio conforto più che verso l’animale, allungò una mano oltre le cinghie della sella e la affondò nel pelo dello Strider, sopra cui si era già accumulata della neve. Borea emise un quasi impercettibile grugnito soddisfatto, che finì quasi del tutto inghiottito dagli ululati del vento. –Non è il tuo primo rodeo, no? Andrà tutto bene. Credo tu sia abbastanza brava per entrambi.-

Borea rispose con un grugnito che suonava abbastanza affermativo, gli occhi sempre fissi sul branco anche se le orecchie ascoltavano Danse.

Ma l’uomo non disse altro, e rimasero in attesa del segnale di Duncan. A quella distanza, le ricetrasmittenti che stavano usando per comunicare iniziavano a venire evidentemente disturbate, ma anche se interrotta da sprazzi di statico la voce di Duncan gli giunse in maniera comprensibile.

-Ci stiamo muovendo. Avanti, lattina- gracchiò il microfono nel suo orecchio.

Danse riferì l’ordine a Borea, che si alzò dalla sua posizione appiattita contro il terreno con un ruggito e iniziò a prendere ampi balzi in direzione del branco.

Se prima l’andatura tranquilla degli Strider era stata comunque sufficiente a prenderlo alla sprovvista, la carica era tutta un’altra cosa. Tra la forza del vento che gli sbatteva in viso e la potenza dei muscoli della schiena della creatura che lo spingevano verso l’alto, Danse si era sentito meno sballottato durante un disastroso lancio da un Vertibird in armatura atomica. Comprese all’improvviso che le riserve di Duncan erano abbastanza fondate. Era difficile vedere qualcosa mentre si era sballottati a quel modo, figurarsi tenere gli occhi abbastanza aperti da poter cogliere una minaccia prima della creatura che si stava cavalcando. E i cacciatori maneggiavano pure delle armi, in quello stato. Danse era, in un modo o nell’altro, completamente inerme.
Un ruggito assordante di Borea gli annunciò che erano vicini al branco, e alzando lo sguardo (e aprendo gli occhi, che non s’era nemmeno reso conto d’aver chiuso) si rese conto di essere già avvolto dal bagliore verde dei Juggernaut.

Un secondo dopo, fu il caos.

Un frastuono indescrivibile si alzò da ogni direzione, superando in volume quello della tempesta (un fatto che Danse non avrebbe creduto possibile), e nella luce verde si stagliarono immensi colossi come l’uomo non ne aveva mai visti.

Il rumore era talmente forte da arrivare al punto che quasi Danse poteva ignorarlo, più una pressione contro i suoi timpani che un suono in qualche modo distinguibile dalle sue orecchie. Quel sovraccarico sensoriale, e il bagliore in cui erano avvolti avevano trasformato la pianura in una sorta di spazio quasi onirico, da cui, come allucinazioni, Danse vedeva spuntare attraverso le raffiche di neve immensi colossi neri.

Erano creature imparagonabili a qualsiasi altra avesse mai visto. Superavano in altezza gli Strider di almeno un paio di metri, ed erano neri come la notte: ad un occhio più attento si sarebbe capito che erano coperti di una pelliccia scarmigliata e folta, ma agli occhi di Danse pareva più una sorta di manto stracciato. Sotto alle sue gambe la terra tremava più di quanto potesse farlo sotto alle zampe di Borea, ed era per via dei loro pesantissimi zoccoli. Ne avevano tre paia, ciascuno più grande della testa di Danse, sulla punta di zampe spesse come tronchi d’albero.

Ma né la stazza né la dimensione delle loro zampe erano la caratteristica più spaventosa di quei mostri. I Juggernaut erano dotati ciascuno di un palco di corna, enormi mezzelune ossee che brillavano di luce propria e mettevano in ridicolo il metro e ottanta di Danse per dimensioni. Spuntavano dalla testa delle bestie come lance letali, coperte di ghiaccio e pelo, e sotto le orbite appesantite dalle strutture necessarie a sorreggere quelle armi mostruose brillavano due paia di occhi colmi d’ira e terrore, due per lato. Erano verdi e lucenti come quelli degli Strider, e al momento tutti fissi su di loro.

Borea ruggì, e i Juggernaut visibili risposero con roboanti muggiti di terrore. Nel voltarsi per fuggire, alcune delle corna passarono pericolosamente vicine ai fianchi dello Strider, che dovette balzare di lato per evitarle.

Finirono pe sbattere contro un altro Juggernaut, che fece per scalciare con le possenti zampe posteriori.

-Non ti fermare, Danse!- giunse al suo orecchio la voce di Duncan, molto più chiara. –Continuate a correre!-

-Vai, vai!- intimò l’uomo al suo Strider, che riuscì ad sfuggire ai calci del mostro appena in tempo, gli zoccoli che passarono fischiando a pochi centimetri da Danse. –Avanti!-

Borea ruggì di nuovo e riprese a correre, infilandosi tra le zampe di un altro Juggernaut e facendo scattare le mascelle vicino a quelle di un altro, indirizzandolo verso ovest. Il branco si stava muovendo attorno a loro senza disperdersi, i Juggernaut troppo terrorizzati per rischiare di perdersi di vista l’uno con l’altro.

Il suo Strider fece una brusca virata verso l’esterno, allontanandosi da un gruppo che sopravveniva a velocità più alta per evitare di restare schiacciati. I Juggernaut, ormai lanciati in una corsa di terrore, erano più veloci degli Strider e Danse e Borea stavano iniziando a vedersi superati dalle bestie. Ma andava bene: dalla loro nuova posizione, era chiaro che il branco si stesse allontanando in maniera ordinata, e nessuna delle creature anche se innervosita aveva cercato di attaccarli o trattenerli. Restava solo da capire se la loro strategia aveva funzionato.

Danse aveva perso di vista Duncan nel frastuono del branco. –Duncan!- chiamò nella ricetrasmittente. –Non vi vediamo! Dove siete?-

Ci volle qualche secondo perché la voce del ragazzo si facesse sentire nel microfono. –Lo abbiamo preso!- esclamò, anche se c’era una nota di sforzo nella sua voce. –È da solo! Allontanati dal branco Danse, stai in un posto sicuro fino a che non ti richiamiamo noi!-

Danse aveva un brutto presentimento. Ma ancora non stava vedendo Duncan, e non aveva idea di quale fosse effettivamente la situazione se non da quello che gli aveva detto il ragazzo. –Via di qui, Borea! Via dal branco!- intimò l’uomo allo Strider, che rispose con un ruggito e, con un balzo, si lanciò su una parete rocciosa, iniziando a scalarla per allontanarsi dalle creature in fuga.

Danse non s’era aspettato il salto, e ebbe bisogno di qualche minuto per riprendersi dal sobbalzo improvviso. Era abbastanza sicuro che una volta finita quella diavolo di caccia avrebbe avuto bisogno di un medico. Ma ora aveva questioni più urgenti a cui pensare: doveva ritrovare Duncan, e subito. Il bagliore del branco di Juggernaut si stava allontanando, e il buio stava tornando ad inghiottirli –e della luce dell’altro Strider, non c’era traccia.

-Borea, trova Grognak!- ordinò Danse. Borea emise un grugnito incerto. Possibile che ci sentisse talmente bene da aver udito nella trasmittente Duncan ordinare loro di stare lontani? –Dobbiamo per lo meno sapere dove sono, prima di prendere posizione. Non possiamo nasconderci e basta- ragionò, e cercò di ignorare il fatto che stava ragionando con un animale.

Borea emise un altro grugnito, ma stavolta si mosse, seguendo il bordo della parete rocciosa su cui si trovavano con il naso e le orecchie all’erta. Ci volle un po’, ma eventualmente lo Strider colse la traccia, il naso probabilmente sovraccaricato dagli odori degli altri Juggernaut, e si lanciò giù dalla parete.

Il fatto che come fossero saliti ora avrebbero dovuto scendere non aveva preparato Danse al fatto che lo Strider si sarebbe lanciato senza preavviso. Fortunatamente per la sua dignità, per il momento il canale di comunicazioni della trasmittente era chiuso, e Duncan non potè sentirlo urlare.

Gli altri due cacciatori non erano molto lontani, e a Borea servì solo qualche balzo per arrivare ad una collinetta: oltre a quella, erano visibili a poca distanza i due cacciatori intenti a cercare di abbattere un Juggernaut non particolarmente grande, dalla groppa costellata di aste di lancia conficcate in profondità nella carne. Nelle mani di Duncan c’era un’altra lancia –un’arma telescopica, gli aveva spiegato, personalizzata per le preferenze di ogni cacciatore- e se le tracce scure che lasciava sul ghiaccio erano di qualche indicazione, era già stata affondata qualche volta nel Juggernaut e grondava sangue. Un’altra giaceva abbandonata e conficcata nella neve a poca distanza da lui e Borea, probabilmente a seguito di un lancio sfortunato.

Era evidente che il mostro fosse in difficoltà, e allo stesso tempo non ci volle molto per capire che anche Duncan e Grognak lo fossero. Il Juggernaut era un puntaspilli, ma non sembrava avere intenzione di stancarsi a continuava a caricare i due come se fosse in perfetta salute, costringendo lo Strider a continui balzi e fughe per evitare le punte letali delle sue corna.

Sotto di lui, Borea vibrava, ringhiando, ma non muoveva un muscolo.

Danse cercò di non dar spazio al pessimismo. Duncan sapeva di certo cosa stava facendo: gli aveva già detto che la caccia era un affare complicato, e che i Juggernaut fossero creature pericolose. Ma il ragazzo aveva anni di esperienza sulle spalle. Il fatto che questa si stesse rivelando una caccia difficile non doveva implicare che le cose dovessero andare per forza male.

Una carica improvvisa spinse Grognak a saltare in maniera inaspettata verso destra. Duncan affondò la lancia nel Juggernaut, ma la forza del salto gli fece evidentemente perdere la presa sull’asta, che rimase conficcata nel mostro. La creatura muggì, infuriata, ma non pareva rallentare.

Dal fianco che ora i cacciatori gli stavano offrendo alla vista, Danse vide che Duncan non aveva più lance. Non poteva essere una situazione ideale: ma nonostante l’insistenza dell’uomo a cercare di mettersi in contatto con Duncan attraverso la ricetrasmittente, il ragazzo non rispondeva.

Il Juggernaut stava mettendo alle strette i due. Non c’era modo per Duncan di attaccare direttamente la bestia, che era troppo veloce e mobile per Grognak per permettergli di affondare gli artigli in qualche punto delicato. Erano sulla difensiva, costretti ad evitare le cariche continue e pressanti, e il Juggernaut non pareva avere intenzione di ritirarsi senza averli calpestati.

-Dobbiamo aiutarli- ordinò Danse.

Borea ruggì, ma lo Strider non si mosse. Era evidente che il ruggito fosse rivolto a lui: un segno di dissenso.

-Non hanno armi, e non riescono a disimpegnarsi dalla lotta- insistette l’uomo, chinandosi sul collo dello Strider. –La stamina non è il vostro forte, no? Presto Grognak sarà troppo stanco per saltare. Cosa succederà a quel punto?- Mentre parlava, occhieggiava la lancia conficcata nella neve, a pochi metri di distanza da loro. Borea brontolò, ma pareva incerta. Danse colse l’apertura per quella che era, e continuò ad insistere. –Tu sei quella sveglia, no, Borea? Ho un piano, ma devi fidarti di me.-
Lo Strider voltò la testa verso Danse, in ascolto.

 
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Beh, cazzo, questa è la cazzo di fine, Duncan, stupido imbecille del cazzo.”

Grognak guaì quando le corna del Juggernaut gli sfiorarono un fianco, graffiandolo leggermente. Era una ferita minuscola, ma era già più di quanto avrebbero dovuto permettere alla preda di infliggere.

Ma quel Juggernaut era un fottuto mostro. Stava sanguinando da giorni, perché diavolo non dava segno d’esser stanco? Almeno un po’? Duncan gli aveva fatto altri tre, bei buchi, uno pure su una zampa, ma non era andato abbastanza in profondità per azzopparlo, e ora non c’era verso di levarsi di dosso quel coso e fuggire. Era matto di rabbia, e sotto al pelo e alle corna, sbavava come una cascata dalle fauci. Per la seconda volta in sette anni di cacia, Duncan ebbe paura.

Un altro balzo spinse Grognak al limite della pianura, e una delle sue zampe posteriori scivolò sinistramente su qualcosa. Duncan lanciò un’esclamazione di sorpresa quando, sotto di lui, lo Strider sobbalzò talmente forte da preoccuparlo: un’occhiata dietro di loro gli confermò che la zampa era sprofondata  in qualcosa, sotto di loro.

Acqua. Erano su una spiaggia, e alle loro spalle ora c’erano le acque ghiacciate del lago Champlain.

Grognak riuscì a tirar fuori la zampa dal buco, ma non aveva dove andare. Davanti a loro, il Juggernaut si stava avvicinando, il respiro reso pesante dalla lotta e dalla furia. Su una delle sue corna brillava il sangue che aveva spillato dal fianco di Grognak.
-Danse, dì a Borea di tornare in città- fece Duncan nel microfono, senza togliere gli occhi di dosso al mostro. –Capito? Tornate indietro- ripetè poi più forte, quando dal microfono non venne nessun suono. Eppure il canale era aperto –aveva visto Danse sulla collina alla loro sinistra, solo poco tempo prima: non c’era ragione per cui le trasmittenti non dovessero funzionare.

Un’occhiata alla collina gli confermò che Danse era scomparso.

Togliere gli occhi dal Juggernaut fu un errore. La creatura lo stava tenendo sotto controllo, e colse quel momento di disattenzione per riprendere a caricarlo con un muggito di guerra.

Sentì Grognak diventare teso sotto di lui, ma non c’era dove saltare: da un lato, l’acqua, e dall’altro il fianco della collina, impraticabile per loro, non con la spossatezza per la battaglia.

Il terrore non durò che qualche secondo, ma nella testa di Duncan fu interminabile. Il Juggernaut li avrebbe presi, schiacciati contro la parete: Duncan sarebbe finito tra la roccia e il suo Strider, impalato da una di quelle corna luminescenti. Morto al buio e infilzato come uno spiedino. Fine. Kaput.

Prima che il Juggernaut potesse toccarli, qualcosa lo spinse con violenza fuori traiettoria, impattando contro di esso con una violenza tale che oltre il suono della tempesta si udì distintamente lo scricchiolio sinistro di ossa fratturate. Ma, più chiaro, un ruggito acuto.

Borea aveva caricato il Juggernaut a testa bassa, in una scomposta imitazione della loro stessa tecnica d’attacco. Sopra di lei, Danse stringeva in mano una lancia –una di quelle da distanza, notò distrattamente Duncan: quella che aveva perso in un lancio sbagliato.

Porca di quella puttana.

Con un gesto fluido –e un po’ sbagliato, in realtà, ma Duncan non si sarebbe certo messo a far storia sulla forma- Danse affondò la lancia nella carne tenera tra il collo e l’attaccatura del primo paio di zampe del Juggernaut, con una forza tale da farla scendere senza difficoltà abbastanza in profondità da potercela lasciare conficcata. Il Juggernaut inciampò e stridette di dolore, bloccato dall’attacco a sorpresa.

Grognak non si fece nemmeno dire niente, e balzò in avanti, infilandosi sotto le corna e il mento della bestia per affondare zanne e artigli nella gola indifesa del mostro e strappare.

Quella era una manovra che in genere evitavano, perché metteva il cacciatore nella sfortunata posizione di essere più in basso rispetto alla ferita aperta. Ma Duncan non potè impedirlo, e nemmeno la caduta del Juggernaut, finalmente ucciso, sul fianco, fu sufficiente a risparmiarlo da una doccia bollente di sangue caldo che gli finì tutta addosso, coprendogli il viso e le spalle.

Mentre la creatura gorgliava i suoi ultimi tentativi di respirare, il gruppo di cacciatori rimase un attimo fermo, come in pausa, intontito dalla velocità con cui si erano sviluppati gli ultimi eventi. Tutti avevano il fiato grosso, e la tempesta ululava loro nelle orecchie come una dannata banshee in calore, ma avevano vinto.

Rompendo l’immobilità generale, Duncan si sporse oltre il fianco di Grognak, affrettando a scoprirsi la faccia, e i suoi pasti precedenti fecero una drammatica ricomparsa in scena sul terreno, qualche metro più in basso.

Ignorò intenzionalmente la risatina nervosa di Danse che gli risuonò nell’orecchio attraverso la trasmittente. “Bravo, pezzo di bastardo di merda”, pensò, mentre vomitava, cercando di non pensare al sangue che gli era finito in bocca.
 


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Capitolo 13
*** Rivelazioni ***


 

 

La musica era stata progressivamente abbassata via via che la festa era andata verso il termine. Dall'antico jukebox posto in fondo al bazaar venivano note soffuse di una canzone dell'Anteguerra che Danse non riconobbe, ma che trovava comunque piacevole. Si rilassò di più nella sedia da patio che aveva occupato, allargando le gambe e prendendo un altro sorso d'acqua. I medici avevano proibito a lui e a Duncan qualsiasi forma d'alcol, per evitare problemi dopo la terapia di RadAway artigianale che avevano subito appena rientrati dalla caccia. All'uomo non importava un granchè –gli alcolici che producevano a Lost South Hero erano un po' troppo grezzi per i suoi gusti. Duncan invece aveva borbottato, ma Valentine era stato in guardia per tutta la serata e non gli aveva permesso di prenderne nemmeno un sorso di nascosto.

Erano tutti seduti attorno ad una stufa, come altri, piccoli capannelli di persone che si stavano attardando nonostante le celebrazioni per l'ultima caccia stessero ormai evidentemente volgendo al termine. Mentre gli abitanti della città avevano sfogato il sollievo per la certezza di un inverno privo di fame, tale certezza stava terminando di dissanguarsi ai piani superiori della caverna. I membri del Concilio che avevano trovato ad accoglierli, quando erano rientrati in città con la carcassa del Juggernaut, si erano mostrati sorpresi di trovare Danse a cavallo di uno Strider, ma senza nemmeno discutere tra loro lo avevano immediatamente ringraziato per il suo lavoro, e avevano offerto un posto a lui e a Piper nelle celebrazioni che si sarebbero tenute la sera successiva.

L'occhiolino che gli aveva scoccato Duncan, quando aveva arrischiato un'occhiata nella sua direzione, era stata la conferma che il loro piano aveva funzionato. Le tonnellate di carne del mostro si sarebbero unite alle altre che erano già state immagazzinate, e avrebbero nutrito la città e i suoi Strider per tutto l'inverno. Danse e Duncan erano stati trattenuti in ospedale il tempo necessario a curare la prevedibile esposizione alle radiazioni esterne, e poi erano stati mandati a casa.

Casa sarebbe stata, per i prossimi mesi, la residenza in possesso dei ragazzi e di Valentine. Sarebbero stati certamente un po' stretti, ma Danse non aveva intenzione di lamentarsene. Era già tanto aver ottenuto quello: l'idea di venire espulsi dalla città e ritrovarsi nuovamente persi nella Tempesta, specialmente ora che sapeva quali orrori vi si nascondevano e con la certezza di una morte terribile, era abbastanza terrificante da fargli sopportare l'idea della convivenza forzata con due synth.

Piper si sarebbe unita a loro solo nei giorni successivi, però. Per il momento dormiva ancora all'ospedale, anche se le era stato permesso di unirsi alla festa. Il piede, ancora pesantemente fasciato, riposava su uno sgabello ed era tenuto al caldo dalla stufa: la donna teneva appoggiato su una tavoletta un bloc notes delle cui origini Danse non aveva idea, e scribacchiava pigramente ormai da ore mentre aveva riempito lui e Duncan di domande sulla caccia. Entrambi però erano stati troppo distratti dai festeggiamenti e dal cibo per rispondere con più di poche parole per volta, e l'operazione stava procedendo ad un ritmo che, a giudicare dall'espressione corrucciata della donna, era troppo lento per i suoi gusti.

Duncan tornò a sedersi con loro, buttandosi sgraziatamente e pesantemente sulla propria sedia con una ciotola piena di quelli che Danse aveva imparato essere fiori di zucca fritti in olio. Shaun si allungò dal suo posto per rubargliene uno e, nonostante le proteste di Duncan, l'uomo sapeva che se veramente non avesse voluto permettere al fratello di sottrargli il cibo, il ragazzo era abbastanza svelto da impedirglielo.

Piper scelse quel momento per sospirare e chiudere il taccuino con un clack. Spense la sigaretta che stava fumando nel posacenere stracolmo che lei e Valentine avevano contribuito a riempire nel corso della serata, e si voltò verso il synth, con un sorriso pigro. –Quindi tra un po' si torna a casa, eh, Nicky?-

-In primavera- le ricordò il robot, spostandosi il cappello dagli occhi. La sua insistenza nell'indossarlo anche se fossero all'interno di una caverna perplimeva Danse, ma l'uomo stava imparando a sorvolare su tante domande. –Però sì. Tra un po', torneremo a Boston.-

-Mi fa piacere, sai? Diamond City non è più la stessa senza te a ficcare il naso in giro- continuò Piper.

-Credevo tu ficcassi il naso negli affari del prossimo abbastanza per entrambi- replicò Valentine, sorridendo attorno alla sua sigaretta.

Piper sbuffò. –Bah. Tra la guerra e il fatto che i traffici loschi di McDonough sono finiti, non c'è un granchè da investigare per una giornalista. Le notizie vengono tutte dal fronte, per conto loro.-

Danse aveva sentito dello scandalo dell'ex sindaco di Diamond City, rivelatosi essere un synth al soldo dell'Istituto. Era una storia vecchia, di ormai più di dieci anni prima, ma l'animo sospettoso degli abitanti della città ne era uscito decisamente scosso.

-Ed Ellie?- chiese il robot dopo qualche secondo di silenzio.

Piper fece un verso, come se si fosse ricordata in quel momento di qualcosa. –Sta benone. Si è sposata con Travis, tipo cinque anni fa- rispose.

Gli occhi del synth si spalancarono per la sorpresa, e Danse dovette sopprimere un brivido alla vista di quelle iridi gialle. –Travis? Buon Dio, sono contento per lei, ma il ragazzo dev'essere migliorato davvero più del previsto per aver attratto la sua attenzione. Ad Ellie è sempre stato simpatico, ma non così simpatico.-

Piper fece spallucce. –Cosa posso dirti? Per lo meno è fortunata, Travis non deve uscire a combattere. C'è troppo bisogno alle radio.-

-Ellie è sempre stata molto gentile con noi. Dovremmo portarle un regalo di congratulazioni- si intromise Shaun. Duncan annuì vigorosamente, la bocca piena di cibo.

Piper alzò un sopracciglio. –Che, non vorrete certo venire anche voi?- chiese.

Duncan a quel punto inghiottì sonoramente e assunse un'espressione offesa. –Duh. Certo che veniamo- replicò. –Non ho intenzione di starmene qua con le mani in mano mentre mio padre sta a Boston a rischiare di crepare da un momento all'altro. Voglio vederlo. E poi, senza Strider non andrete da nessuna parte fuori dalla Tempesta. Avete comunque bisogno di me e di Grognak per tornare a sud.-

Piper fece una smorfia. –Ammesso e non concesso che tu abbia ragione, non credo sia il caso che venga anche Shaun. Stiamo pur sempre andando in guerra.-

Danse non aveva bisogno di chissà quale esperienza in campo di interazioni sociali per sapere che quella fosse la cosa sbagliata da dire.

Il synth in questione assunse un'espressione se possibile più aspra di quella di Duncan. –Ti faccio presente che anche se ho il corpo di un bambino, ho comunque ventuno anni. E sono comunque molto più maturo di Duncan a prescindere-, iniziò, alzando un dito per contare.

-Hey!- fece il ragazzo, offeso.

-Secondo-, proseguì Shaun, ignorando il fratello e alzando un altro dito. –Voi avete comunque bisogno anche di me. O sbaglio, zio Val?-

Ora che era al centro degli sguardi degli altri, il synth pareva un po' a disagio. –Uhm- iniziò. –Credo... credo di essere la persona più adatta a dire che Shaun sia perfettamente in grado di viaggiare con noi. Però è anche vero che c'è la... la possibilità, seppur remota, che la tua esperienza non sia necessaria sul campo- aggiunse, soppesando ogni parola che pronunciava con cura. –Dopo tutto, ho anche io una certa esperienza con le macchine, un po' per forza, un po' per i miei ricordi. Il tuo supporto potrebbe non essere nemmeno necessario, e il viaggio è molto rischioso.-

Shaun scosse il capo. –Perché correre il rischio di ritrovarsi ad aver bisogno di me ed essere, quindi, fondamentalmente tutti fottuti, è meno grave di farsi qualche chilometro in terra ostile? Davvero, zio Val?-

-Lo state facendo ancora- intervenne seccamente Danse.

Quando tutti gli sguardi dei presenti si furono concentrati su di lui, elaborò. –Parlate di cose di cui evidentemente non siamo tutti a conoscenza-, disse, guardandoli con espressione dura. Non gli sfuggì il lampo colpevole che attraversò il volto di Piper, prima che questa potesse costringersi ad assumere uno sguardo più neutro. –Siate chiari. Basta segreti. A cosa servono Valentine e Shaun?-

Calò il silenzio per qualche momento, mentre il gruppo pareva incerto su come rispondere.

Fu Shaun a romperlo. –Non ero a conoscenza del fatto che tu... beh, che tu non fossi a conoscenza dei fatti- disse. –Hai le mie scuse, per quanto possano servire.-

-La segretezza era necessaria- intervenne Piper subito dopo. –Non eravamo sicuri di poterci fidare, e...-

-Comunque se siete venuti qua c'era bisogno a sud, o no?- interruppe Duncan, parlando sopra ad entrambi. –Tanto valeva parlarne già a Boston, perché non gliel'avete detto?-

-Credo!- abbaiò Valentine, alzando la voce abbastanza per zittire gli altri tre. –Credo-, continuò più pacatamente quando fu calato un rispettoso silenzio. –Che sia il caso di evitare di parlarci sopra gli uni con gli altri, e lasciar parlare chi ha più esperienza sui fatti.-

Il synth a quel punto spense a propria volta la sua sigaretta e fissò il suo sguardo innaturale su Danse. –Capisco perché i Minutemen abbiano preferito non dirti tutto. È una storia lunga, il cui esito ha il potenziale di decidere le sorti della guerra. Fino a che non ci fosse stata certezza della tua lealtà...-. Il synth lasciò cadere il resto della frase.

Danse non lo lasciò ricominciare a parlare. –Mettiamo in chiaro una cosa- iniziò, con tono fermo. –Io non sono leale ai Minutemen. Questo non vuol dire che sia leale alla Confraternita- aggiunse, quando vide che Duncan stava per interromperlo. –Devo molto alla Confraternita d'Acciaio, è vero. E mentirei se dicessi che non credo fermamente nei suoi ideali. Tuttavia non posso negare il fatto che mantenere la mia lealtà ad una fazione che mi vuole morto sia, a tutti gli effetti, una cosa priva di senso. Ma questo non vuol dire che condivido le scelte dei Minutemen, o che sia ai loro... ai vostri ordini. L'onore mi impone di portare a termine il compito che mi hanno richiesto, quantomeno come ringraziamento per aver salvato la mia vita. Devo loro almeno questo.-

-Ha senso- concordò Valentine alla fine, dopo aver messo a tacere un'altra protesta di Duncan con un solo sguardo. Il ragazzo sbuffò e tornò a mangiare il suo snack, riempiendosi le guance, imbronciato. –Per quel che vale il mio parere, non mi aspettavo altro. Ma dovremmo tornare al nocciolo della questione.

-Sai già che, diversi anni fa, Nate era in cerca di suo figlio che credeva fosse stato rapito, dopo essersi liberato dal Vault- iniziò il synth. –I primi coloni che aveva incontrato dopo essersi scongelato gli avevano suggerito di rivolgersi a me per aiutarlo nelle indagini. In fondo una delle mie specialità come detective è il ritrovamento di persone scomparse. Iniziammo a collaborare a metà... novembre, del 2287.

-Si trattava, per forza di cose, di un'indagine molto lenta. Qualunque indizio avesse a che fare con l'Istituto era estremamente difficile da seguire, e c'erano mesi di tempi morti tra una scoperta vagamente promettente e l'altra. Mentre io cercavo di trovare qualche traccia che valesse la pena seguire, Nate aveva trovato di che tenersi impegnato con i Minutemen, e con Robert a guardargli le spalle ero abbastanza fiducioso sul fatto che non si cacciasse in guai irreversibili prima di aver trovato suo figlio.

-La prima traccia veramente promettente giunse solo in tarda primavera, e portava dritto in un punto dove Robert non avrebbe potuto seguirlo. Avevamo ottenuto, in certe vie traverse, informazioni da uno dei mercenari al soldo dell'Istituto, abbastanza da venire a conoscenza di come si potesse entrare e uscire e da capire che, senza l'interferenza di una talpa, per non sarebbe stato impossibile anche solo pensare di sfiorarli.-

-C'entra il macchinario che White fece costruire a County Crossing?- chiese Danse. Era intelligence che avevano ricevuto dalle spie che Maxson aveva voluto a seguire il Generale dei Minutemen sin da allora, ma nessuno dei loro uomini era mai riuscito a mettere le mani sui progetti del macchinario, del cui scopo non avevano mai trovato conferma.

-Più di quanto immagini. Scoprimmo dal mercenario che predatori e agenti entravano ed uscivano dall'Istituto attraverso una... forma di... una specie di teletrasporto- rispose Valentine, annaspando per cercare di trovare le parole.-

-L'Istituto utilizzava una tecnologia di scombinazione e ricombinazione molecolare veicolata da un segnale radio emesso in copertura su tutto il Commonwealth. La stazione radio di musica classica, per capirci- si intromise Shaun.

Danse battè le palpebre. –Trasportavano la gente... tramite i segnali radio?-

-Una cosa del genere- convenne Shaun. –Ma non è così comodo come sembra. Il trasmettitore molecolare aveva un consumo energetico altissimo, e la tecnologia dell'Istituto senza upgrade non era in grado di coprirne i costi. Per questa ragione gli interventi dei predatori erano così rari –e i synth fuori controllo così tanti. I predecessori del Direttore non avevano messo in conto quel problema, e la generazione corrente ne stava pagando le conseguenze.-

-A noi però importava poco del deficit energetico dell'Istituto- si intromise Valentine, riprendendo le redini del discorso. –Sapevamo come i predatori entravano ed uscivano, ma non come entrare a nostra volta. Tuttavia dal mercenario ottenemmo un indizio utile per cercare di capirci qualcosa: uno scienziato era sfuggito al controllo dell'Istituto solo pochi mesi prima, ed era apparentemente riuscito a nascondersi nel Mare Splendente.-

-E sopravvivere?- chiese Danse.

-E sopravvivere- confermò Valentine. –O per lo meno così pensavano i segugi dell'Istituto. Era una traccia flebile, vero, ma era l'unica che avevamo e con l'aiuto dei Minutemen iniziammo i preparativi per una spedizione nel Mare Splendente. Avendo a disposizione un'unica suite di armatura atomica, Robert non avrebbe potuto seguire Nate, dunque il compito ricadde su di me.

-Di questo famigerato scienziato sapevamo solo si fosse nascosto nel Mare Splendente, ma non dove. In base alle poche conoscenze che avevamo sulla regione, riuscimmo a mettere insieme una lista di siti potenzialmente utili in cui guardare –fu una fortuna che Nate fosse un ex-Black Ops, dato che la sua conoscenza dei reparti militari ci permise di aggiungere alla lista diverse basi segrete.

-Le nostre indagini ci portarono eventualmente ad un sito militare che Nate aveva aggiunto alla lista, una base a nord del Mare Splendente nascosta sotto terra. In base alle conoscenze di Nate si doveva trattare di un sito di sorveglianza costruito per permettere agli agenti governativi segreti locali di continuare a lavorare anche in caso di attacco atomico. Scoprimmo, una volta arrivati lì, che le cose non stavano precisamente così.

-La prima era che i pochi agenti che erano riusciti a raggiungere in tempo il bunker erano tutti deceduti. Fame, apparentemente. Sappiamo tutti della crisi alimentare, non c'è bisogno che vi stia a spiegare perché erano in quello stato- contò Valentine, alzando un dito metallico della mano danneggiata. Alzò poi un secondo dito, le articolazioni della falange sottili come le zampe di un ragno. –La seconda, che il bunker non era un bunker di sorveglianza.

Nate scoprì prove del fatto che il bunker fosse tutt'ora collegato in remoto ad un sito di lancio di armamenti nucleari a sud, attivo e funzionante. Gli evitai un attacco di panico per un soffio, riuscendo a calmarlo prima che perdesse il controllo. L'intero array di lancio era armato e puntato su Boston da duecento anni –probabilmente l'intenzione era stata di colpire i sottomarini che avevano attaccato la città, senza tener conto dei danni collaterali.-

Danse deglutì.

-Fortunatamente in tutto quel tempo non era accaduto niente che potesse far partire un lancio accidentale-continuò Valentine. -Nate disattivò i comandi da quel bunker, ma insistette per visitare anche il sito di lancio e di stoccaggio. Apparentemente al suo interno c'era una seconda console di comandi, e voleva essere certo che entrambe fossero sotto controllo per impedire un disastro accidentale. Chiudemmo l'accesso al bunker con un nuovo sistema di sicurezza, e ci dirigemmo a sud.

-Nate conosceva già l'esistenza del sito Prescott, dai tempi prima della Guerra. Mi spiegò che si trattava di un sito di ricerca, ma soprattutto di stoccaggio di armamenti nucleari Mark 28, con una batteria di lanciamissili in fase terminale di sviluppo. Dopo il suo congedo per ovvie ragioni aveva perso i contatti con il personale della base, ma era venuto a sapere prima che nel sito erano conservate diverse centinaia di bombe.-

-Mk 28... è un potenziale distruttivo immenso- mormorò Danse. –Ce n'erano centinaia...?-

-Sì, sono tutt'ora là dentro- confermò Nick. –Quando arrivammo al sito scoprimmo che era stato compromesso da un gruppetto di Figli di Atom, ma che erano stati neutralizzati dall'ex staff della base, ghoul irradiati che erano diventati. Facemmo piazza pulita di entrambi, annullammo la procedura di lancio che i Figli di Atom avevano iniziato e scollegammo il sito da ogni possibile accesso alla griglia radio, per nasconderlo alla vista. Nate temeva che se qualcuno avesse scoperto dell'esistenza degli armamenti, avrebbero potuto essere presi o utilizzati.-

-E questo suo timore non includeva lui stesso?- chiese Danse. –Era già a capo dei Minutemen, all'epoca. E quel genere di bombe avrebbero garantito alla sua fazione il controllo sul Commonwealth –forse sull'intero Est- molto prima che la Confraternita d'Acciaio terminasse anche solo di costruire una base all'Aeroporto.-

-Oh, Nate ne aveva paura eccome- replicò Valentine, scuotendo il capo. –Pur avendo studiato un sistema di sicurezza per proteggere entrambi i siti proprio in quel momento, aveva paura del fatto che lui fosse a conoscenza delle chiavi per aprirli. Aveva visto in prima persona la distruzione che avevano provocato le armi nucleari, già molto prima dell'inizio della Guerra quando era nell'esercito. Sapere di essere in possesso di quella conoscenza gli provocava un continuo stato di panico.

-Cercò consiglio presso mio fratello. DiMa è un prototipo, precisamente come lo sono io, e anche se avevano opinioni diverse Nate si fidava del suo consiglio. Ha una visione degli elementi chiave per la presa di decisioni che una mente umana non sarebbe mai in grado di ottenere, più capacità di calcolo per possibili scenari, centinaia di anni di esperienze sulle spalle- elencò il robot quando, dopo aver sentito quelle parole, Danse fece per protestare. –Gli umani si rivolgevano a calcolatori di probabilità fin dai tempi prima della Guerra per stabilire quale fosse il percorso migliore da prendere. Certo, non avevano sempre avuto ragione (Nate lo sapeva), ma DiMa aveva qualcosa in più rispetto ai calcolatori: una coscienza. Quel fatto, unito alle sue caratteristiche, lo rendevano un consigliere ideale.

-Nate chiese a DiMa se fosse meglio rimuovere dalla propria testa i ricordi dell'esistenza dei siti e del sistema di sicurezza, e sperare che finisse per sempre dimenticato dal mondo, oppure permettersi di custodirne il segreto. DiMa gli consigliò la seconda. Se qualcuno avesse scoperto i siti dopo la procedura per la rimozione dei ricordi, Nate sarebbe stato impotente nell'impedire che gli armamenti venissero sfruttati. DiMa consigliò di dividere il segreto del funzionamento del sistema di sicurezza con due persone fidate, di modo che Nate fosse a conoscenza dell'intero sistema, e le altre due solo di parte di esso. Quella fu un'opera irrealizzabile, visto che ero stato presente quando aveva impostato entrambi i sistemi e quindi li conoscevo anche io. Ma Nate accolse comunque il consiglio, e scelse DiMa come seconda persona fidata.

-Ai Minutemen, Nate riferì semplicemente dell'esistenza di un sistema di sicurezza da tenere sotto controllo nel Mare Splendente e della necessità di proteggere sia me, che DiMa. I suoi sottoposti si fidavano ciecamente di lui, e non ebbero problemi ad esaudire la richiesta senza fare domande.-

Danse iniziava a capire dove stessero andando a parare.

-Dopo l'inizio della guerra, DiMa mi contattò spiegandomi che i rischi per l'eventuale scenario di riattivazione del sito da parte di terzi si erano alzati drasticamente. Giungemmo alla conclusione che, per me, sarebbe stata la cosa migliore allontanarmi il più possibile dalla Confraternita prima che il conflitto raggiungesse il picco, in modo che se qualcuno si fosse messo sulle mie tracce in seguito per qualsiasi ragione, la pista sarebbe stata fredda.-

-La Confraternita non era a conoscenza dell'esistenza del sito Prescott- obiettò Danse. –O per lo meno, non del fatto che fosse sopravvissuto alla guerra.-

-E lo sapevamo. Ma visto il potenziale distruttivo contenuto al suo interno non potevamo correre nessun tipo di rischio- replicò Valentine. –Comunicai la verità ai capi dei Minutemen e a Robert nella stessa riunione in cui decidemmo che si sarebbero uniti a me anche i bambini, ma tenni per me il segreto del sistema di sicurezza. I Comandanti sapevano che DiMa aveva parte del codice, che il resto lo avevo io, e che era fondamentale che la Confraternita non li scoprisse, ma non rivelammo a loro il codice. Non volevano nemmeno saperlo. Era una conoscenza troppo pericolosa ed erano convinti che il conflitto si sarebbe risolto, in una maniera o nell'altra, molto in fretta.-

-Ma le cose non andarono così, e ora la situazione è insostenibile al punto tale che nessuno dei due può più rovesciare l'altro. Non senza un colpo decisivo- concluse Danse. –I missili.-

-I missili sono in grado di colpire l'aeroporto di Boston. Il loro raggio d'azione termina a diverse centinaia di chilometri nell'oceano- confermò Valentine.

Calò il silenzio a quel punto, probabilmente in un tentativo da parte degli altri di dare tempo a Danse di metabolizzare le informazioni che Valentine gli aveva appena rivelato. L'uomo, però, non aveva bisogno di chissà quale premura per accettare quei fatti. Era un soldato, ed erano in guerra: se i Minutemen non avessero messo le mani su quei missili, prima o poi ci avrebbe pensato la Confraternita, Danse ne era certo. Anche se la raccolta di intelligence era stata, per forza di cose, rallentata nel corso degli ultimi dieci anni, un sito del genere presto sarebbe finito nel mirino della Confraternita, specialmente ora che c'erano le necessità di Liberty Prime di cui tener conto.

Danse arrischiò un'occhiata agli altri presenti a quel punto. Lo sguardo di Piper danzava tra i synth e Danse, un'espressione chiaramente colpevole e ansiosa dipinta sul viso: per essere una giornalista investigativa, la donna aveva un volto che in certi casi era un libro aperto. Duncan sembrava meno preoccupato, ma stava evitando accuratamente di incrociare lo sguardo di chiunque, tenendo i propri occhi fissi nella ciotola ormai semivuota di cibo con un'interesse non consono alla mondanità dell'oggetto in questione. Shaun e Valentine avevano un'espressione impenetrabile: il primo stava fissando le proprie mani, appoggiate alle ginocchia delle gambe incrociate sulla sedia; l'altro si stava accendendo un'ennesima sigaretta. Il vecchio robot notò lo sguardo di Danse e gli offrì il pacchetto in un gesto quasi istintivo: Danse ne prese una, stavolta, e accettò anche l'accendino quando gli venne profferto.

Una volta stretta la sigaretta accesa tra i denti, a Danse sfuggì un sospiro che nascondeva una mezza risata. L'occhiata interrogativa del resto del gruppo lo spinse a parlare. –La Confraternita è sulle tracce di un sito di stoccaggio di ordigni di serie Mk 28 da sette mesi- disse, con tono amaro. –Da quando hanno portato Liberty Prime qui da DC.-

-Quindi è vero- mormorò Piper. –La Confraternita ha veramente messo le mani su Liberty Prime.-

-Lo sapevate?- chiese Danse, sorpreso.

La donna fece spallucce, ma non nascose un sorriso che però non aveva niente di lieto. –Non siete gli unici con l'intelligence- disse, elusiva. –Abbiamo parecchi occhi e orecchie, anche in posti improbabili. Le voci su Liberty Prime però ci sono giunte solo... uhm-, fece una pausa, per fare il conto del tempo. –Era estate... due mesi circa dopo che l'avevate portato nel Commonwealth, credo.-

-È comunque impressionante, se si tiene conto del fatto che dovrebbe essere il segreto meglio custodito dell'intero schieramento- replicò Danse.

-Cos'è Liberty Prime?- chiese Duncan a quel punto.

-È un robot dell'antico esercito americano- spiegò l'uomo. –Il suo scopo in origine era di essere utilizzato nella liberazione di Anchorage, prima della Guerra, ma non fu mai pronto per quella causa. La Confraternita lo liberò dal possesso dell'Enclave negli anni Settanta, ma solo ultimamente siamo riusciti a restaurarlo e rimetterlo in funzione. È un'arma dal potenziale distruttivo immenso, tenendo conto che il suo principale equipaggiamento consiste proprio in missili Mk 28 e in una coppia di laser tipo Tesla. Ignorando poi le sue dimensioni e peso, che gli permettono di stracciare qualsiasi struttura difensiva semplicemente calpestandola- spiegò Danse.

-Quel coso spara missili nucleari?- chiese Duncan, strabuzzando gli occhi.

-E raggi laser dagli occhi- confermò Danse con un cenno.

-Beh, è un'ottima cosa che Nate abbia cambiato quel dannato sistema di sicurezza, allora- fece Valentine a quel punto, con tono un po' scosso. –Se anche trovassero il sito Prescott, dovrebbero prima disattivare i suoi codici, e non hanno più niente a che vedere coi sistemi classici che usava l'esercito americano. Nate non c'è andato piano con il criptaggio.-

-Speravamo di trovare il sito prima di loro, in ogni caso- si intromise Piper. –Se avessimo messo per primi le mani sui missili, la Confraternita non avrebbe potuto nemmeno pensare di poterli utilizzare, con o senza Liberty Prime. Per questo MacCready ci ha mandati a cercare Nick... anche se ormai non sperava più di riuscire a trovarlo- ammise poi, mordendosi un labbro.

Duncan si rabbuiò visibilmente a quelle parole, ma non aggiunse niente.

-In ogni caso il piano non è semplicemente di mettere in sicurezza i missili, ma di usarli senza dare il tempo alla Confraternita di ribattere- si intromise Shaun dopo poco tempo. Aveva un'espressione indecifrabile sul viso, anche se probabilmente il suo giovanissimo aspetto rendeva la comprensione molto più difficile a prescindere. Fissava Danse dritto negli occhi, ignorando apparentemente gli altri presenti. –Ci sono due sistemi di lancio da attivare contemporaneamente, di priorità diverse. Quella più bassa è del sistema al sito Prescott, il che vuol dire che può essere sovrascritta da ordini proveniente dal sito di sorveglianza, a nord. Il sistema del sito Prescott però è stato manomesso dai figli di Atom prima che mio padre e Nick li fermassero, e c'è la possibilità che sia malfunzionante. Per questo, per essere sicuri al 100% che il lancio vada a buon fine, entrambi i sistemi di lancio devono essere seguiti da un tecnico ed essere attivati contemporaneamente.- Shaun spiegava con tono clinico e distaccato, perfettamente chiaro laddove Nick a volte peccava di esitazioni o giri di parole dettati dall'incertezza. –Nick conosce il sistema del sito Prescott, visto che ha aiutato mio padre ad impostarlo, ed io ho una vasta conoscenza di sistemi tecnologici anche più avanzati di quello in uso al bunker di sorveglianza. Oltre a me, non c'è nessun altro in grado di operare i macchinari correttamente. Se non siamo entrambi alle macchine allo stesso momento, c'è il rischio che il lancio fallisca e che la rete venga percepita dai sistemi della Confraternita, che verrebbe a conoscenza dell'esistenza dei missili.-

Danse annuì lentamente.

-Questo, ovviamente, non deve succedere. Se andiamo nel Mare Splendente, è per colpire la Confraternita senza darle modo di controbattere. Se lanciamo i missili, li lanciamo sull'Aeroporto. Non ci sono vie di mezzo. O le armi finiscono in mano a loro, e con esse distruggono i Minutemen; o rimangono in mano a noi, e con esse, li distruggiamo.- Il bambino tornò ad appoggiare la schiena sulla propria sedia. La sua espressione era ancora illeggibile, innaturalmente fredda e matura per un volto di quell'età. Dietro i suoi occhi verdissimi, il suo intelletto era tagliente come una lama. –Questo risponde alla tua domanda? Sul ruolo mio e di zio Val in tutta questa storia?- chiese, facendo un gesto ad indicare tutti i presenti.

Danse esalò una boccata di fumo prima di rispondere. –Sì. Tutto chiaro.-

-E lo farai comunque?- insistette Shaun. –Porterai Nick, e me, dai Minutemen? Pur sapendo cosa stiamo andando a fare?-

Danse non rispose immediatamente. Non gli serviva guardarsi attorno per sapere di avere gli occhi di tutti i presenti puntati addosso: in fondo quello era il momento clou di tutta quella storia. Gli altarini erano stati tutti, definitivamente scoperti. Restava solo da capire, per loro, che ruolo avrebbe scelto di avere Danse in tutta quella storia.

Si ritrovò a pensare brevemente alle parole della vecchia visionaria di Sanctuary. "Poco più che una pedina... ma la più importante di tutte."

I Minutemen sarebbero mai riusciti a ritrovare Valentine se lui e Piper non fossero partiti, mesi prima? Se lui non fosse riuscito a sfuggire al plotone d'esecuzione della Confraternita?

Erano domande sciocche che non avrebbero mai avuto risposta, e la sua mente pragmatica da soldato lo sapeva benissimo. Ma era sciocco anche pensare che il destino fosse solo una favoletta che si raccontavano i coloni per giustificare le loro sfortune, visto quanto solo pochi eventi e le indicazioni di una vecchia morente erano stati in grado di influenzarlo?

-La richiesta dei Minutemen era di trovare Valentine e riportarlo presso di loro, a Boston- iniziò Danse, con tono fermo. –L'onore mi impone di portare a termine almeno questo compito. L'ho già detto, e non intendo rimangiarmi la parola. Credo... credo sia sotto gli occhi di tutti che, ormai, non mi resti molto altro che non sia il mio onore.

-Tuttavia, non sono così ingenuo da pensare di potermi lavare le mani di tutta questa storia una volta portata a termine la mia missione. E in questo periodo, via via che scoprivo nuovi lati di questa guerra che dal fronte non potevano essermi immediatamente chiari, ho avuto modo di riflettere, mettere gli eventi in una prospettiva diversa.

-Ignorare il fatto che ci sia qualcosa che tutt'ora mi sfugge, nell'amministrazione della Confraternita, sarebbe peccare di ignavia. È ormai evidente che alcune scelte dell'Anziano, non del tutto condivisibili dal resto della Confraternita e non in linea con i nostri principi, sono comunque state prese e soprattutto senza l'input del resto degli ufficiali, come avrebbe dovuto essere la prassi. L'operazione che ha coinvolto l'inseguimento di Valentine e dei bambini, dieci anni fa, ne è una prova –e se già dieci anni fa avvenivano queste cose, temo che l'esistenza di altre decisioni non condivisibili sia innegabile, e che forse non ne stiamo ancora pagando le conseguenze fino in fondo.

-Ho solo ammirazione per l'Anziano Maxson. Finchè ho potuto vedere, ci ha... ha guidato la Confraternita con onore e giustizia, e con i migliori interessi del Commonwealth in mente. Ma non sono dell'idea che il fine giustifichi i mezzi in ogni circostanza, e se c'è un problema ai posti di comando, allora questo deve essere scovato e corretto. Un'indagine interna è ormai evidentemente fuori discussione, e per esperienza dico che quando si presentano eventualità di questo genere, è improbabile che il colpevole venga spinto a confessare se non viene messo all'angolo.-

Nonostante fosse in un contesto diverso, Danse sentiva l'attenzione su di sé in maniera non dissimile da quando, solo pochi mesi prima, Maxson era stato solito chiedere il suo parere durante i loro summit strategici. Danse aveva un tono sicuro, e l'esperienza per giustificare le sue sicurezze. Non si fece intimidire dallo sguardo duro di Shaun, che era evidentemente il suo principale detrattore in quel contesto, e andò avanti, conducendo il resto dei presenti a procedere nel suo ragionamento.

-Mentirei se dicessi che l'eventualità che la distruzione della Confraternita non mi tocca. Non voglio che succeda. Auspico che, quando l'attacco avverrà, la devastazione non sia totale. Un solo attacco missilistico potrebbe, in fondo, non essere sufficiente a sterminare l'intera base.-

-Potrebbe-, obiettò seccamente Shaun, ma all'occhiata eloquente di Danse non disse altro.

-Se così fosse- riprese l'altro. –Un attacco del genere certamente metterebbe i superstiti in una posizione critica, abbastanza da rivalutare le loro posizioni sull'andamento dello scontro, e fermare lo spargimento di sangue- continuò. Il nocciolo della questione era arrivato anche agli altri: non puntare allo sterminio totale, quanto più al forzare un armistizio. –Una cosa del genere permetterebbe una risoluzione più umana al conflitto, e soprattutto darebbe la possibilità di capire cosa stia succedendo precisamente ai vertici dell'organizzazione. Una volta messa in chiaro questa storia, sarebbe possibile correggere il problema alla radice, e impedire, idealmente, che una cosa simile non accada mai più.

-Ciò perché, anche se è vero che, eticamente e moralmente parlando, l'esistenza dei synth sia per sua stessa natura problematica, e questo lo dico da synth... l'umanità non ha certamente bisogno di dieci anni di guerra per punire chi non la pensa come la Confraternita. Doveva essere trovata un'altra soluzione, prima che la situazione devolvesse nel conflitto. Se c'è un modo per fermare la guerra, e fare in modo che non accada ancora, allora io sono pronto ad agire. A prescindere dai sacrifici che mi toccheranno, e dai miei trascorsi.-

Tacque, e nessuno degli altri presenti parve intenzionato a prendere la parola dopo di lui. Piper e Valentine avevano un'espressione curiosa, a metà tra il compiaciuto e il rammaricato; Duncan aveva abbandonato ogni pretesa di neutralità e gli stava sorridendo apertamente, facile all'ammirazione precisamente come era facile all'ira.

Shaun aveva ancora un'espressione difficile da decifrare, per Danse. Non disse nulla, ma annuì, apparentemente soddisfatto dell'aver ricevuto risposta alla propria domanda, più che della risposta di per sé; ma per lo meno, dal suo volto, il rancore che l'aveva sempre coperto, più o meno esplicitamente, era scomparso.

 

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Capitolo 14
*** Verso sud ***


Le preparazioni per la partenza del gruppo da Lost South Hero richiesero quasi la metà dell'inverno. In realtà il Concilio non era così contento di privarsi di uno Strider per cederlo a quelli che, accettati o meno, erano degli stranieri: ma la creatura era troppo legata a Duncan per accettare un altro cacciatore dopo la sua partenza, e la città non avrebbe avuto uso per uno Strider che non era in grado di guadagnarsi la pagnotta, e la gente dovette accettarlo.

Si rivelò necessario creare una sella in grado di ospitare più di una persona per volta, con agganci per trainare il peso dei bagagli. Il gruppo sarebbe partito leggero, ma ciò non significava che avrebbero dovuto portarsi tutto sulle spalle.

Due mesi di lavoro dopo, Grognak aveva imparato a tollerare la nuova sella; e quando gli esploratori della città annunciarono il calare dei venti, Danse, Piper, Valentine, Duncan e Shaun lasciarono Lost South Hero.

La Morte Bianca non si era del tutto placata: il suo indebolirsi era dovuto allo spostamento delle correnti del lago, che periodicamente scaldavano l'acqua quando venivano da sud, ma nonostante ciò la neve continuava a cadere e il vento a soffiare, senza dare la possibilità di vedere il sole. Il buio rendeva il viaggio ancora più difficile: l'unico modo di attraversare il lago in sicurezza era passare sulle rovine dell'antica U.S. Highway 2, perché lo scaldarsi delle acque rendeva il ghiaccio infido.

L'unica nota positiva era che l'indebolirsi del vento rendeva il viaggio molto più facile. Grognak non aveva problemi a muoversi nella Tempesta nemmeno in pieno inverno, e con le nuove condizioni meteo il lavoro gli era ancora più facile visto che non doveva perdere energie a combattere le correnti. Con la sua stamina e la guida di Duncan, trovarono il ponte in meno di un paio di giorni.

Era, però, certamente un metodo di viaggio scomodo. Fino a che non avrebbero raggiunto un terreno più stabile, il gruppo era costretto a viaggiare in groppa alla creatura, tutti contemporaneamente. La sella di Grognak era più simile ad una piattaforma coperta che a un cuscino su cui cavalcare la bestia; ci potevano stare seduti sopra, ma era uno spazio così stretto che li costringeva a dover stare addossati l'uno contro l'altro. Il che era utile per proteggersi dal freddo, ma non per la sanità mentale di Danse. L'uomo fece più che mai affidamento in quei giorni al rigido addestramento militare della Confraternita, che a volte aveva richiesto la tolleranza di spazi abitativi non proprio ideali, per sopportare la totale inesistenza di spazio vitale e di privacy.

Il terzo giorno, quando ebbero superato le rovine di Jericho, iniziarono a vedere in lontananza una sorta di pallido bagliore, ben diverso da quello dei branchi di Juggernaut che Danse aveva visto prima dell'inverno. Era meno forte, e il colore della luce completamente diverso. Quando iniziò a smettere progressivamente di nevicare, e il vento ad abbassarsi ad una brezza vigorosa, si resero conto che stavano guardando terra illuminata dal sole.

Uscirono dalla Tempesta nei pressi della guardiola che aveva ospitato la memorabile lite tra Piper e Danse, ormai mesi prima. Dire che c'era il sole era stata, si resero conto, un'esagerazione: il cielo era comunque coperto da pesanti nubi grigie, ma c'era comunque luce, e quella era la differenza fondamentale. Dopo tre giorni di oscurità, dovettero prendersi del tempo per adattare gli occhi alla nuova illuminazione. Per Grognak, Duncan aveva portato delle bende traforate che lo Strider si lasciò avvolgere attorno al muso e alla fronte senza troppe storie. Era chiaro che avesse già spiegato alla creatura a cosa servissero e perché fossero necessarie. Il pensiero che il mostro capisse il loro linguaggio, e fosse stato testimone di tutte le loro conversazioni dei passati tre giorni, metteva ancora profondamente a disagio Danse. Ormai era come se l'uomo si fosse rassegnato ad avere uno spazio nella propria mente in cui spingere tutti quei pensieri, per evitare di dovercisi soffermare troppo: anche se, nei tre mesi che aveva passato in compagnia di animali semi senzienti e robo-detective dalla sorprendente bussola morale, doveva ammettere che il sgomento aveva più preso la direzione di una sorta di pacata accettazione.

La temperatura, fuori dalla Morte Bianca, si era alzata ripidamente: anche se c'era ancora neve al suolo, non era nemmeno lontanamente alta come quella più ad ovest, e finalmente poterono scendere dalla groppa di Grognak e sgranchirsi a tutti gli effetti le gambe. Guadarono cautamente il fiume che Danse e Piper avevano attraversato mesi prima, e si inoltrarono nel territorio di Montpelier all'alba del giorno successivo, dopo aver campeggiato nei pressi della foresta che circondava la città.

La mattina successiva aveva visto Duncan di cattivo umore, ma solo perché aveva speso ben più tempo di quello del suo turno di guardia sveglio, troppo attratto dalle stelle per poter dormire.

Il loro piano era di avvicinare la città facendo la stessa strada che la slitta aveva percorso prima dell'inverno per portare Piper e Danse nei pressi della Tempesta. Temendo la reazione che le Wayfarer o i coloni avrebbero potuto avere alla vista di Grognak, lui e Duncan avrebbero dovuto rimanere più indietro, nella foresta, per dare il tempo agli altri di avvertire la città a prendere le dovute misure. Evitare del tutto Montpelier era fuori discussione: dovevano per forza rifocillarsi e procurarsi nuove provviste, senza contare che, anche se saltuariamente, alla città arrivavano notizie dal sud, e Piper era ansiosa di mettere le mani su qualsiasi voce potesse trovare.

Il piano pareva sensato, anche all'esame critico di Shaun, e procedettero con cautela in direzione della città, ancora avvolti nel folto della foresta: non avevano, però, messo in conto la possibilità di incrociare del cacciatori nel bosco.

Dopo una rocambolesca mezza zuffa, in cui un proiettile vagante aveva bucato il cappello di Valentine, i due cacciatori avevano finalmente compreso che lo strambo gruppo di stranieri accompagnati da un mostro splendente non era una minaccia. Uno di loro riconobbe Danse e Piper, e nonostante i guai provocati dalla presenza di Grognak, che aveva terrorizzato equalmente le prede dei cacciatori e le loro Wayfarer, i due coloni parvero sorpresi e felici, con sorpresa di Danse, di rivederli vivi.

Dopo aver estorto al gruppo la promessa di non far avvicinare più di così Grognak alla città, i cacciatori li accompagnarono lì: lo Strider avrebbe potuto prendersi cura di se stesso senza alterare ulteriormente il bestiame della città, e lo avrebbero richiamato quando la avrebbero lasciata, mentre il mostro avrebbe cacciato e si sarebbe riposato nella foresta. Attaccarono alle Wayfarer la slitta con le loro provviste e la sella e lasciarono che i coloni facessero loro strada.

La città aveva superato bene l'inverno. I mulini che producevano la loro energia parevano intatti, così come gli argani che trainavano le slitte su per la collina. Una volta giunti in cima, Danse notò che in quello che in precedenza era uno spazio vuoto stava ora sorgendo un nuovo edificio, per ora ancora circondato da impalcature di fortuna. Edlund stava sorvegliando la costruzione con un altro gruppo di anziani, e i suoi occhi si spalancarono comicamente quando riconobbe il gruppo che i suoi cacciatori gli stavano presentando.

-Buon cielo- esalò. –Già temevo non avrei rivisto voi due... e invece vedo che siete sopravvissuti anche voi?- continuò, indicando il trio composto da Duncan, Shaun e Valentine. –Ci dev'essere del vero nelle leggende, allora.-

-Può essere- rispose evasivamente Valentine. –Ciò non toglie che mi fa piacere rivederti vivo, vecchio Edlund. Temevo che gli anni ti avrebbero chiesto presto uno scotto.-

-Hah! Ci vuole altro che il passare del tempo per abbattermi- rispose il vecchio capovillaggio.

L'uomo offrì loro alloggio in una casa lunga, spazio per lavarsi e libero accesso al mercato che, notò Danse, era sorprendentemente attivo per essere all'inizio della stagione. Ma l'impellente bisogno di lavarsi superò per il momento quello di ricevere spiegazioni, e fu solo dopo essersi strofinato fino a diventare rosso che si concesse di riunirsi al resto del gruppo e consumare la cena. Fu come se, oltre alla sporcizia, si stesse liberando anche dello stress del viaggio. Forse era l'aver rivisto finalmente la luce del sole dopo mesi; forse era la prospettiva di un pasto caldo e di un viaggio più facile; in ogni caso, Danse per qualche momento osò sentirsi fiducioso.

I coloni di Montpelier erano stati generosi, e dopo giorni di razioni consumate al gelo, mangiare una cena calda attorno al focolare della casa lunga pareva al gruppo un lusso. Valentine, per ovvie ragioni, rifiutò il cibo, ma accettò invece di buon grado il tabacco che gli offrì Edlund. I coloni erano terribilmente incuriositi dalla gente che era sopravvissuta alla Tempesta: avendola praticamente come vicina di casa da anni, e conoscendo la sua letalità, l'essere sopravvissuti ad essa pareva un'impresa sovrannaturale, specialmente ai membri più anziani della città, che si tenevano ad una sorta di rispettosa distanza e mormoravano tra di loro.

Il gruppo aveva considerato l'eventualità di essere bersagliati di domande una volta tornati a Montpelier, ed era precisamente quello che stava accadendo. I coloni erano avidi di informazioni, e volevano a tutti costi far svelare loro il segreto della loro sopravvivenza. Erano cose che però avevano deciso di tener segrete. La ragione era ovvia: Lost South Hero era una comunità isolata da secoli, la cui chiave per la sopravvivenza era precisamente l'isolamento. Se la città fosse stata improvvisamente esposta alla curiosità della gente, era impossibile prevedere cosa sarebbe potuto succedere. La contaminazione delle risorse della città, o la diffusione di malattie per cui gli abitanti della caverna non erano preparati, erano solo due dei possibili scenari, e nemmeno i peggiori.

Ragion per cui il gruppo rifiutò testardamente di dare ogni possibile indicazione ai loro ascoltatori, quella sera, sia che chiedessero direttamente, sia che cercassero di ottenere indizi con lunghi giri di parole. Alla fine fu Edlund a porre un termine a quella sorta di interrogatorio improvvisato, imponendo agli altri coloni di andare a occuparsi delle loro faccende e conducendo il gruppo in una sala privata della casa lunga –i suoi alloggi, a cui il capovillaggio aveva diritto per la propria posizione. Era un cambiamento gradito: Danse iniziava a sentire le avvisaglie di un mal di testa imponente, dovuto al continuo vociare a cui era stato sottoposto durante la cena, e se le espressioni tirate degli altri erano d'indicazione, non era l'unico ad essere in quello stato.

Edlund li fece accomodare su una stuoia, unendosi a loro dopo aver acceso un piccolo braciere che pose al centro dell'anello che avevano formato. Offrì loro altro tabacco –questo, notò Danse, più aromatico rispetto a quello che avevano fumato fino a quel momento- e tè, e iniziò a parlare scegliendo con cura le sue parole.

-Avrei voluto farvi riposare prima- disse. –Ma la gente è curiosa, e non capita spesso di accogliere superstiti della Morte Bianca. Anche se non siamo nuovi agli stranieri, in questo periodo.-

-I mercanti stanno ricominciando a viaggiare?- chiese Valentine. Con la bella stagione, sapevano che le carovane si sarebbero rimesse in marcia, e nonostante le piccole dimensioni Montpelier era un punto d'incontro nevralgico.

-Anche- convenne Edlund. –Le carovane sono partite con un po' di anticipo quest'anno. Il sole è tornato prima, e le piogge hanno sciolto la neve in fretta giù al sud. La strada è un po' infida da queste parti, per via dei pozzi, ma non ci sono giunte per ora notizie di problemi. Per ora la rotta commerciale è stabile, anche per chi non è abituato a percorrerla.-

-Ci sono mercanti nuovi?- chiese Piper, incuriosita.

Edlund annuì. –È la ragione per cui vi ho portati qui- disse, con tono grave. Parve esitare ancora, soppesando con cura le proprie parole. –Come ho detto, sono certo che siate stanchi, e che avreste preferito riposarvi subito. Ma credo che, per quanto vaghe, le voci che abbiamo sentito siano di vostro interesse.

-Poche settimane fa, abbiamo ricevuto la visita di una carovana sconosciuta. Mercanti, indubbiamente. Non credo si trattasse di spie, non ne avevano l'aspetto, e non hanno fatto domande strane.- Prese un sorso di tè. –Si trattava di una donna, scortata da due mercenari. Una... strana donna. Un po' eccentrica. Credo avesse una sorta di malsana fissazione per la sua mercanzia, vendeva armi. Credevamo che, per via della guerra, ci fosse un mercato per gli armamenti ben più fiorente al sud; ma ci disse che era diventato impossibile fare affari nel Commonwealth e che DC era impraticabile da anni.-

-Cricket- disse immediatamente Piper. –Quella era Cricket. La mercante d'armi che riforniva Arturo, a Diamond City- spiegò, quando la sua realizzazione iniziale venne accolta da sguardi vacui da parte di Danse, Duncan e Shaun. –Non capisco, che ci faceva qui? Non si è mai spinta a nord, ed è sempre passata a vendere in città anche durante la guerra.-

-Non so dirti di più- rispose Edlund, rammaricato. –Era difficile capire cosa dicesse quando parlava della sua mercanzia, e cercare di tirarle fuori altre informazioni era un'impresa che decidemmo di lasciar correre. Ciò che abbiamo colto è che la guerra è ricominciata a pieno regime una volta passato il maltempo, e che ci sono altri mercanti che stanno scegliendo altri mercati per la propria merce, ma non molto altro.-

Piper e Valentine si scambiarono uno sguardo, ma non erano gli unici ad aver colto l'antifona. Evidentemente con il ricominciare degli scontri qualcosa era cambiato nel Commonwealth, e ne aveva alterato il già precario equilibrio commerciale se le carovane erano letteralmente in fuga dalla regione. Danse non dovette sforzarsi per iniziare a temere che qualcosa di grave fosse successo: entrambe le fazioni erano arrivate ad una situazione critica, e potevano essere state spinte dall'urgenza a qualcosa di drastico.

Con quelle notizie su cui rimuginare, partirono poco dopo da Montpelier, il loro passo mantenuto spedito dalla fretta di avere notizie più certe. Si riunirono con Grognak a sud della città, procedendo verso sud quanto più velocemente potessero tenendo conto della pericolosità dei pozzi dell'area tra Montpelier e Lewiston. Fu un viaggio sfiancante, e nonostante cercassero di procedere di buona lena, impiegarono comunque una settimana a raggiungere il ponte sul Connecticut e l'insediamento di confine. Con le risorse ormai al minimo, dovettero fare una sosta nella città, e colsero l'occasione per chiedere notizie ai coloni.

La loro scarsa propensione all'accoglienza non era cambiata in quei mesi –forse complice anche il fatto che avessero avvicinato la città senza curarsi di allontanare Grognak. Una volta garantito però che la creatura non avrebbe fatto loro del male, se i coloni avessero fornito riparo al gruppo, ai viaggiatori fu concesso di usare la foresteria e di rifornirsi. Conoscendo l'espressione un po' tesa di Piper, Danse era certo che non le avesse fatto piacere dover praticamente ricattare i coloni per farsi aiutare, ma tra il dover procedere senza cibo e il dover forzare un po' la mano, senza reale intenzione di fare del male a quella gente, Danse era certo di preferire la seconda opzione. Dopo una notte in foresteria e una cena in cui finirono per consumare le loro ultime provviste, si recarono dal quartiermastro dell'insediamento, che se pur con una certa riluttanza accettò i loro tappi e ordinò al garzone di caricare la slitta di provviste.

-Questa roba dovrebbe durarvi per diversi giorni. Dove siete diretti, stranieri? Posso coprirvi al massimo fino alle parti di Quincy, ma poi dovrete trovare il modo di procurarvi altre provviste da soli- disse, con tono poco cortese.

-Non andremo così a sud- replicò Valentine. –Ci fermeremo dalle parti di Boston. Abbiamo degli affari in sospeso là.-

-Hah!- fece l'uomo, aspro. Era una risata poco rassicurante. –Boston? Non so cosa pensiate di trovarci, là. Ormai non c'è più niente che valga la pena di commerciare, nel Commonwealth.-

-Abbiamo dei contatti, a Diamond City- replicò Piper, cercando di essere evasiva. Non avevano intenzione di rivelare troppo del loro itinerario ad una persona evidentemente poco incline a collaborare con loro, se non per costrizione.

-Signorina, allora cascate male. Non so da che buco ghiacciato siate strisciati fuori, ma evidentemente non vi arrivavano le notizie se siete così verdi- li derise il quartiermastro. –Diamond City è stata saccheggiata già qualche settimana fa, ormai.-

Il silenzio che calò dopo quelle parole era carico di tensione.

Ignaro, il mercante continuò. –Già, ce l'hanno detto dei tizi di una carovana. Stavano andando lì a fare la loro solita sosta e hanno visto le fiamme fin da oltre il fiume. Heh, hanno girato i tacchi più veloce di un ratto-talpa con un Deathclaw nel culo- ridacchiò.

Prima che potesse continuare, Valentine prese improvvisamente Piper per una spalla –e solo allora Danse notò che il colorito della donna, solitamente roseo e salutare, si era fatto molto pallido. Il synth portò fuori dal negozio la donna, guidandola con le mani come se non fosse molto stabile per conto suo. L'uomo sentì una fitta di comprensione per lei.

Il quartiermastro li guardò uscire, un'espressione un po' confusa sul volto, ma poi fece spallucce e fece per dedicarsi, piuttosto, a impilare altre casse da portare fuori.

-Aspetta- lo richiamò Danse. –Che altro sai? Che è successo a Boston?- chiese.

-La guerra, ecco che è successo- replicò con tono irritato l'altro. –Pare che sia stata la Confraternita. Hanno messo a ferro e fuoco tutta Boston Commons lo stesso giorno. Quei pochi pazzi che usavano ancora le vecchie strade commerciali sono scappati tutti di qua, a nord –non si può mica andare giù a DC, a meno che non uno non voglia finire a zappare la terra per la Confraternita. Quella matta di Cricket è andata fino al cancello –pensava di trovarci qualche lattina con cui barattare, ha detto ma non c'era nessuno. Quei tizi hanno sfondato il cancello, bruciato tutto quello che non si poteva portar via, e abbandonato le ceneri a marcire.-

-C'è stata una battaglia?- si intromise Duncan.

L'uomo scrollò le spalle. –Non ne ho idea. Chi ha visto il fuoco ha visto solo quello –fiamme, e da lontano. Nessuno sarebbe stato così sciocco da avvicinarsi.-

-Ma gli abitanti avrebbero dovuto per lo meno provare a difendersi- insistette il ragazzo, superando Danse e prendendo l'uomo per un braccio prima che potesse fermarlo. –I Minutemen erano alleati della città, devono aver tentato di difenderla. Ci sono state delle perdite? Dov'erano i Comandanti?-

-Ti ho detto che non lo so, ragazzino!- sbottò il mercante, riprendendosi il braccio con un gesto stizzito. –Nessuno è andato a Diamond City a parte Cricket, e a quella non frega niente dei cadaveri, se ci sono. Non ha visto niente. Se te ne frega così tanto, vacci tu a scavare in mezzo. E ora lasciatemi lavorare in pace, se volete quelle dannate provviste- intimò, cacciandoli a tutti gli effetti dal negozio.

Una volta sul patio della vecchia casa pre-bellica, Danse, Duncan e Shaun si ritrovarono soli a fare i conti con la gravità delle nuove informazioni. Valentine e Piper non erano in vista, ma Danse non dubitava che non fossero andati troppo lontano. Probabilmente il synth aveva preferito appartarsi con la donna per darle l'opportunità di sfogare il suo dolore in privato.

Si voltò a guardare Duncan quando questi esalò un respiro tremante, e sobbalzò quando tirò un calcio violento ad un secchio che era stato appoggiato vicino all'ingresso, spedendolo oltre il parapetto mezzo rotto della casa a rotolare nell'erba.

-Calmati, ragazzo- gli disse.

-"Calmati" un cazzo!- ribattè quello, ringhiando. –È una merda! È tutta una cazzo di fottuta merda- aggiunse poi, senza un apparente senso logico.

Shaun si intromise a quel punto, mettendosi silenziosamente tra lui e il ragazzo. –Mi occupo io di mio fratello- disse a bassa voce, rivolto a Danse. –Vai a cercare zio Val e Piper. Magari hanno bisogno di qualcosa- gli suggerì.

Danse lanciò un'ultima occhiata al ragazzo, ma Duncan stava guardando accuratamente qualsiasi cosa che non fosse Danse. Lasciò il patio con passo pesante, ficcandosi le mani nelle tasche del giaccone, e si allontanò alla ricerca degli altri due membri del loro gruppo.

Capiva la rabbia di Duncan, fino a un certo punto. Anche non ne faceva più parte, Danse era pur sempre un riferimento senziente e semovente alla Confraternita d'Acciaio, e alla luce di quelle notizie, il temperamento sanguigno del ragazzo non poteva che trovar sfogo su di lui in quelle circostanze. Erano notizie gravi, e Danse si morse un labbro, cercando di riflettere lucidamente sulle implicazioni di quel gesto.

Di certo, per riuscire a penetrare così in profondità nel territorio Minutemen, la Confraternita aveva dovuto mettere in atto qualche strategia di distrazione. Era impossibile che avessero trovato gli uomini per ottenere abbastanza superiorità numerica da avere la meglio con la sola forza bruta, non durante l'inverno; e lo stesso valeva per Liberty Prime, che al momento della sua partenza giaceva ancora in uno stato di riparazione troppo arretrato per essere utilizzato in circostanze avverse come il cattivo tempo. Dunque, o Maxson aveva trovato il modo di allontanare i Minutemen da Boston, o i Minutemen stessi per qualche ragione avevano perso una quantità di uomini sufficiente da permettere all'Anziano di schiacciarli. L'unica cosa che poteva aver provocato delle simili perdite poteva essere un'epidemia, ma Danse dubitava che quello sarebbe stato il caso. Una notizia del genere sarebbe giunta a nord insieme a quella del sacco di Diamond City, ma così non era stato.

Aveva anche senso che, una volta saccheggiata la città, avessero scelto di abbandonarla. Cricket, aveva detto il quartiermastro, non aveva trovato altro che ceneri e polvere. La Confraternita non ci avrebbe guadagnato nulla, a mantenere un posto di guardia su delle rovine prive di valore: avrebbe probabilmente solo dovuto sostenere continue schermaglie con la vicina Goodneighbor, e la divisione delle già proprie esigue forze in una base che avrebbe comunque necessitato di rifornimenti difficili da far arrivare.

No, era stata la mossa giusta lasciarsi le rovine alle spalle. La distruzione del cancello, poi, era stata una ciliegina sulla torta notevole nella guerra psicologica che la Confraternita aveva aperto con quel gesto: il simbolo della sicurezza della città, che aveva resistito perfino alle bombe della Grande Guerra, non aveva potuto nulla contro i loro esplosivi. Sarebbe stato un duro colpo per il morale dei Minutemen.

La Confraternita aveva messo i Minutemen in una posizione estremamente complicata da ogni lato. Anche durante la guerra Diamond City era stato un centro di scambi e di produzione nevralgico, di fondamentale importanza per la sussistenza dell'intero schieramento. Dopo la sua distruzione non solo avevano perso la città, ma anche le carovane che l'avevano rifornita visto che ora si stavano tutte spingendo altrove. In questa situazione, ora, i Minutemen non potevano permettersi di continuare a sostenere a lungo gli sforzi bellici: mancavano le risorse di base per farlo.

Se volevano sperare di poter ancora fare qualcosa, Danse sapeva che avrebbero dovuto sbrigarsi a raggiungere Sanctuary. Non c'era più tempo.

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Il gruppo si rimise in cammino la mattina successiva, prima dell'alba, con l'obiettivo di non fare più alcuna sosta, nemmeno per dormire. Avrebbero fatto a turni per riposare qualche ora sulla sella di Grognak, continuando il loro cammino verso sud senza fermarsi per nessuna ragione. Lo stato delle cose richiedeva quell'urgenza.

Prima di partire da Lewiston, avevano stabilito che la cosa più saggia da fare fosse avvicinarsi a Sanctuary e stabilire se fosse ancora sicura. Lo aveva suggerito Danse quando si erano tutti riuniti attorno al focolare dove Piper e Valentine avevano trovato rifugio. Era chiaro che il cuore di Boston era stato compromesso, e non c'era modo di sapere quali altre fortezze nelle rovine fossero sicure. Approcciarsi cautamente alla roccaforte più esterna, e meno prona a subire attacchi da parte dei loro avversari, era la strategia più cauta. Se fossero riusciti a mettersi in contatto con i Minutemen già da lì, avrebbero potuto farsi indirizzare direttamente da loro verso i Comandanti; se così non fosse stato, avrebbero tentato di farsi strada fino al Castello per conto loro.

Era stata una conversazione tetra, quella. Quando si erano riuniti a loro, Shaun e Duncan avevano avuto entrambi un'espressione cupa, e non avevano offerto più di qualche monosillabo, limitandosi ad annuire o scuotere il capo quando qualcuno proponeva qualcosa. Valentine era stato il più loquace, ed era stato con lui che Danse aveva messo in piedi la loro strategia. Piper aveva detto molto poco, ancora pallida, con sul viso i chiari segni di quello che doveva essere stato un attacco di panico. Danse aveva passato troppo tempo circondato da persone sofferenti dai più disparati tipi di trauma per non riconoscerlo, ma non aveva detto nulla, certo che, se non avessero menzionato nulla loro per primi, Piper desiderasse tenere quell'attimo di debolezza segreto.

Nei primi giorni di marcia, Danse aveva avuto modo di riflettere su cosa quello significasse per lui. Era stato colto di sorpresa dalla sua stessa reazione al dolore della donna: fino a quel momento si era mantenuto ad una certa distanza dai Minutemen e dai loro esponenti, compagni di viaggio inclusi. La ragione precisa non era chiara nemmeno a lui stesso: un po' non si era fidato lui per primo; un po' reagiva di riflesso alla loro mancanza di fiducia nei loro confronti; un po' agiva ancora seguendo l'istinto, e il suo istinto era ancora legato ai dettami della Confraternita.

Ma una volta di fronte al segno innegabile del dolore causato dalla sua ormai ex-famiglia, Danse aveva sentito forte una fitta di compassione per la donna. Diamond City agli occhi della Confraternita era stata solo un insediamento, un bersaglio- ma per Piper, era tutta una vita. Nei mesi in cui aveva imparato a conoscerla, Danse aveva saputo che conosceva personalmente tutti gli abitanti della città e che, nonostante all'inizio lo avesse negato, se ne sentisse responsabile anche se non ne era, a tutti gli effetti, il leader. Ora tutto ciò era stato definitivamente distrutto, e non avevano idea nemmeno se qualcuno fosse sopravvissuto alla furia della Confraternita. Era una perdita che non poteva non suscitare cordoglio, anche in qualcuno che aveva tentato volontariamente ed accuratamente di stabilire una certa distanza tra sé e il prossimo, come Danse.

Ma nemmeno quello era poi più di tanto vero, ormai. Nonostante le sue riserve sui synth e nonostante l'acuto bisogno di spazio che ogni tanto lo coglieva, Danse aveva raggiunto un livello di familiarità con quelle persone simile a quello che aveva avuto con il suo squadrone. Non poteva negare di fidarsi di loro, anche se sapeva che non sempre tale fiducia era corrisposta. Avevano delle ottime ragioni per avere delle riserve su di lui. Ma ciò non aveva impedito al suo animo traditore di trovare comunque spazio per un flebile senso di cameratismo.

Spinto forse da quella nuova consapevolezza, Danse affiancò Piper una notte, mentre Duncan e Shaun dormivano sulla sella di Grognak. Valentine camminava dall'altro lato dello Strider, offrendo inconsapevolmente, per il momento, una certa dose di privacy.

Danse colse l'attenzione della donna schiarendosi la voce. Quando lei lo guardò, disse: -Per quello che vale, mi dispiace per quello che è accaduto a Diamond City.-

La luna era alta in cielo, e grazie alla sua luce Danse potè vedere le emozioni contrastanti che per un attimo si affollarono sul viso di Piper, mentre quella cercava di rispondere. Eventualmente, optò per uno sbuffo incredulo.

-Risparmiatelo- ribattè, più seccamente di quanto Danse si aspettasse. Poi, come se non riuscisse più a trattenersi, proseguì: -Non saresti forse stato in quel battaglione tu stesso, se non ti avessero cacciato? Non mi serve la tua pietà.- La sua voce aveva una nota tremante, indice del fatto che evidentemente per la donna quello fosse un argomento estremamente sensibile. Danse non abboccò all'esca.

-Non ti darò torto- replicò, con tono calmo, soppesando attentamente le proprie parole. –Ma anche in una mia ipotetica collaborazione con la Confraternita, sappi che non avrei comunque approvato un attacco a Diamond City. Sarebbe stato più saggio limitarsi a catturare la città, invece che seminare panico e distruzione.-

-Magnanimo- commentò l'altra, acida.

-No, lasciami finire- la interruppe Danse, con tono fermo ma non scortese. –Capisco che detta così possa sembrare che non ci sia molta differenza, ma è fondamentale, invece. Quello che ha fatto la Confraternita è stato terribilmente sciocco. Già dieci anni fa la maggior parte degli insediamenti produttivi del Commonwealth sono stati abbandonati: Diamond City era uno degli ultimi in grado di produrre abbastanza da alimentare anche solo una minima forma di economia. Senza la città ora il Commonwealth è privo di un sistema economico stabile. Se anche la Confraternita dovesse ottenere la vittoria con questa mossa, ciò non toglie che non guadagnerebbe nulla in termini di risorse, e sarebbero ancora in perdita e non in grado di produrre niente.

-E c'è un altro problema. Anche ammettendo che, in caso di vittoria, riescano a stabilire un nuovo sistema produttivo, sarebbe estremamente difficile collaborare con i coloni. Già sono stati sottoposti a un decennio di guerra; distruggendo ora i loro sistemi di sussistenza, di certo non si sono guadagnati la loro simpatia. E anche se li costringessero a lavorare sotto minaccia delle armi, il livello non sarebbe paragonabile a quello ottenuto da comunità disponibili alla collaborazione. Ne è un esempio lampante la situazione del Commonwealth stesso prima della guerra, paragonato a com'era DC.-

Piper sbuffò di nuovo, ma senza la nota di rabbia di prima. Sembrava meno incline alla lite, ora. Dopo qualche attimo di silenzio, chiese: -Perché dovrebbe importarti qualcosa dei coloni? Che ne sai di cosa pensano?-, fissando la strada.

Danse non esitò nel rispondere. –Prima di unirmi alla Confraternita, ero uno spazzino. Ho passato tutta una vita dall'altra parte della barricata. So cosa vorrei che facesse e non facesse una forza d'occupazione, e di certo non vorrei che mi rendesse la vita difficile.-

-Non sembravi così incline alla democrazia quando stavi ancora dalla parte delle lattine- gli fece notare la donna.

-Non avevo ragione di dubitare del fatto che l'Anziano agisse nei migliori interessi del Commonwealth- replicò semplicemente Danse.

-E ora sì?- insistette Piper.

Danse le lanciò un'occhiata significativa. –Credevo ne avessimo già parlato- ribattè.

Piper fece un cenno accondiscendente col capo.

Per un po', nessuno dei due parlò, ciascuno intento a riflettere sulla propria parte di conversazione. Fu Danse a rompere il silenzio per primo. –A costo di ripetermi, so che quanto sto per dire non vale molto se viene da me. Ma io non credo che tutto sia perduto- disse. –Prima di iniziare a fare la conta dei morti, dobbiamo sincerarci di cosa sia veramente successo. Mettere il lutto senza nemmeno sapere per chi non aiuta nessuno.-

Piper scoprì i denti in un ghigno, ma non era cattivo. –Certo che hai preso a parlare un sacco, ultimamente- cinguettò.

Non era la risposta che Danse si era aspettato, e ciò lo colse di sorpresa. Ma ad una breve riflessione, doveva ammettere che la donna non aveva torto. –Hai ragione- convenne, mantenendo il tono più leggero. –Ma devi sapere che non sono mai stato una... "lattina" scorbutica e di poche parole con i miei compagni di squadrone- ammise poi. –Il mio team aveva bisogno di un punto di riferimento, non di un controllore. E in quanto Paladino dovevo essere un esempio da seguire per tutti, sia di efficienza sul campo di battaglia, sia di onore e morale nella base. Non potevo chiedere ai miei uomini di spaccarsi la schiena per me, se non ero disposto a fare lo stesso per loro.-

-Vuol dire che ora saremmo il tuo squadrone?- lo provocò scherzosamente Piper.

-Vuol dire che non posso impedire alla guerra di andare avanti, ma posso sforzarmi di riportarvi a Boston senza peggiorare le cose nel frattempo- replicò Danse, ignorando la frecciatina.

 

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Capitolo 15
*** Venti di guerra ***




 

Giunsero nei pressi dello spazio radio di Sanctuary entro la settimana successiva, stremati dalla lunga e frettolosa marcia, e si accamparono lontano dalla visuale di eventuali cecchini possibilmente nascosti nell'insediamento, in un'insenatura accanto ad una parete rocciosa.

Fu Piper a tentare per la prima volta il contatto con i Minutemen. Il timore era che anche Sanctuary fosse stata attaccata o compromessa durante la loro assenza, e vista l'importanza delle persone che stavano accompagnando per lo svolgimento della guerra, né lei né Danse preferivano correre rischi.

Una voce fortemente distorta rispose alle loro chiamate al terzo tentativo. -Qui Sanctuary, parla il Tenente Freeman- disse lo sconosciuto. Stava usando un nome in codice: il cosiddetto Tenente Freeman non era mai esistito, era solo la connotazione che si dava ad un ufficiale qualsiasi per non farsi identificare da eventuali ascoltatori. Il fatto che per lo meno il loro interlocutore sapesse quel fatto era un po' rassicurante.

-Tenente Freeman, qui parla il Pettirosso. ... Tenente Freeman?- ripetè Piper, perplessa, quando dall'altoparlante provenne un forte rumore sconosciuto.

-Ho sentito- rispose la radio. -Pettirosso? Sono passati quasi quattro mesi!- aggiunse con tono evidentemente incredulo.

-Beh, ci siamo fatti una... uh, come si diceva?- fece Piper, buttando un'occhiata a Valentine, che fece spallucce, perplesso. La donna parve comunque arrivare alla risposta da sola. -Ah! Una settimana bianca. Una settimana un po' lunga.- Altri rumori dalla radio. -Tenente Freeman, com'è la situazione a Sanctuary?-

-Stabile, per il momento- rispose lo sconosciuto. -E ti prego, basta con questa storia del Freeman. Sono Jun.-

-Jun!- Danse non aveva idea di chi fosse quel tizio, ma la presentazione doveva aver definitivamente confermato a Piper la sicurezza del loro interlocutore. Si rilassò, allontanandosi un po' dal capannello che s'era formato attorno alla radio pur rimanendo abbastanza vicino da poter ascoltare. -Jun, abbiamo sentito di Diamond City. Che è successo?-

-Hanno bruciato la città, ma li hanno visti arrivare da un miglio. Hancock ha fatto evacuare tutti e sono stati accolti al Vault 81. Hanno sigillato completamente le porte, ma per lo meno sono al sicuro- rispose Jun.

Per un attimo Danse temette che Piper sarebbe svenuta dal sollievo, vista l'espressione. -Oh, Dio, Jun. Non sai che bella notizia mi hai dato.-

-Posso tirare a indovinare- rispose quello. -Ma è l'unica, temo. Dove siete? Mando una squadra ad accogliervi.-

-A proposito di quello- fece Piper, buttando un'occhiata a Grognak, che si era accucciato per terra per conto proprio, leccandosi una zampa. -Dovreste farci un favore...-

---

Tre ore dopo, e dopo un momento imbarazzante in cui un miliziano ebbe un mancamento alla vista dello Strider, il gruppetto si era sistemato all'interno dell'insediamento. Danse aveva notato immediatamente una fondamentale differenza d'atmosfera rispetto all'ultima volta in cui aveva visitato Sanctuary.

La cittadina pareva molto più vuota rispetto all'ultima volta che l'avevano visitata. Il piccolo battaglione che li aveva accolti non era stato guidato da Preston, e Danse non ne aveva vista traccia in tutto l'insediamento.

-È andato a sud- spiegò Jun. -Per ora qui siamo al sicuro. C'era più bisogno a Boston, con tutto quello che è successo.- Si era ripreso abbastanza in fretta dalla sorpresa di aver rivisto Valentine, e da quella dovuta alla vista di Grognak. Nonostante il suo carattere sanguigno, però, lo Strider fino a quel momento si era comportato relativamente bene, ed era rimasto il più tranquillo e silenzioso possibile, rendendo la questione un po' più facile per tutti.

-È successo altro? Oltre a Diamond City, intendo- chiese Piper. Erano seduti attorno al tavolo che aveva ospitato la loro precedente riunione con Preston –quella che era stata interrotta, mesi prima, da Mama Murphy.

-Non mi hanno detto un granchè. Stiamo aspettando una trasmissione da Hancock da giorni- si lamentò Sturges. C'erano altri coloni con loro, gli abitanti originali di Sanctuary, che per ora parevano aver ripreso il controllo del loro insediamento visto che i Minutemen se n'erano, per la maggior parte, andati. –Sappiamo solo che c'era bisogno di uomini al Castello, ed in fretta. Sanctuary e Covenant sono quasi del tutto scoperte, ma non c'era altra scelta, a quanto pare.-

-La Confraternita ha mosso un'offensiva di recente?- chiese Danse.

-Non che io sappia. Solo voci, ma sappiamo come sono quelli dell'intelligence- rispose Sturges, facendo spallucce. –Con tutti quei loro... codici, e depositi, e stranezze. Non ci abbiamo capito niente, e nemmeno Preston ci ha detto un granchè. Solo che, secondo loro, queste posizioni erano sicure e che dovevano rinforzare il fronte principale, subito.-

Danse si arrovellò sulla questione per qualche momento, sentendosi addosso lo sguardo preoccupato degli altri, ma non riuscì ad arrivare ad una spiegazione. La Confraternita aveva già compiuto un atto eclatante: che altro poteva pensare di colpire, nel cuore del territorio dei Minutemen? Diamond City era stata facilmente saccheggiabile, visto che a quanto pareva gli abitanti l'avevano abbandonata prima ancora che i primi squadroni potessero avvicinarsi. Goodneighbor e il Castello erano troppo ben protetti. Covenant poteva essere un obiettivo succulento per separare Sanctuary dal resto dello schieramento, ma a parte per quella ragione, non c'era nessun altro apparente guadagno.

Cosa stavano cercando di fare?

-Perché Hancock deve contattarvi?- chiese piuttosto.

-Aggiornamenti, e per sapere se abbiamo altri miliziani da inviare- rispose Sturges. –E ne abbiamo. Un pochetto. Hanno trasmesso una chiamata alle armi generale da tutte le basi, e giusto ieri sono arrivati gli ultimi due. Esploratori che hanno sentito la trasmissione e si riuniscono al grosso delle forze, più che altro. Ma non possiamo mandarli al Castello così, dobbiamo essere sicuri che la strada sia libera: perciò, ci devono avvertire- spiegò.

-Ma sono in ritardo- si intromise Jun. –Di un paio di giorni. Non siamo... troppo, preoccupati, ma insomma. La situazione è un po' tesa.-

-Un ritardo potrebbe voler dire qualsiasi cosa- concluse Valentine, chiudendo il discorso.

Danse si alzò, pensoso, per osservare la mappa, e poco dopo Shaun si unì a lui, senza però offrire nessun altro punto di vista alla sua riflessione silenziosa. –Dovremmo spostarci a Covenant- disse, dopo qualche secondo.

-Nah, amico. Non se non sentiamo Hancock prima. Di qui non si muove nessuno- obiettò Sturges.

-Lo avete detto voi. Sanctuary e Covenant sono sicure. Avanzare porrebbe noi e i vostri uomini più vicini al centro delle battaglie, e ci permetterebbe di intervenire più velocemente se ci fosse bisogno di qualcosa. Al contrario, restare fermi per troppo tempo darebbe tempo alla Confraternita di creare dei posti di blocco, soprattutto se si fossero accorti del richiamo- replicò Danse. –Spostarci immediatamente oltre quelle posizioni instabili ci toglierebbe il problema alla radice.-

-Senti, amico- lo interruppe nuovamente Sturges. Aveva assunto un'espressione chiaramente infastidita. –Ti siamo grati per averci riportato Valentine, ok? Davvero. Ma non puoi venir qua a dettar legge, adesso. Soprattutto tu, poi- aggiuse, e Danse comprese precisamente dove l'uomo stesse andando a parare. Non riuscì a trattenere una smorfia, ma non lo interruppe. -Hancock e gli altri sanno quello che stanno facendo, e se hanno detto di aspettare c'è un motivo. Nessuno si muove da qua senza che prima siano stati avvertiti loro. Fine della storia.-

-Sorprendentemente scortese da parte tua, Sturges- si intromise Shaun, con voce inespressiva. I coloni parvero ricordare solo in quel momento della sua presenza nella stanza, ma nessuno fece in tempo a dar voce a qualche protesta prima che il bambino continuasse a parlare. –Io dico di andare a Covenant. Danse ha ragione.-

-Senti, piccolo...- iniziò Jun, cercando di prendere un tono conciliante. Paternalistico.

-No, "senti piccolo" non lo dovevi dire- ridacchiò Duncan sotto i baffi da un qualche punto alle loro spalle, ma sia Danse che Shaun lo ignorarono. Il bambino aveva assunto un'espressione dura. –Ragionate, sciocchi- iniziò. –Le comunicazioni sono in ritardo e Sanctuary è nel bel mezzo del nulla, al momento. Se per qualsiasi ragione l'equipaggiamento radio è stato danneggiato, siete primi a finire nel silenzio. È logica.- Indicò Diamond City sulla carta, un foglio così stracciato dall'uso che sembrava pronto a strapparsi sotto una corrente di vento un po' rigida. –Diamond City è bruciata. Qualsiasi generatore d'emergenza stesse tenendo i ripetitori funzionanti deve per forza aver esaurito l'energia, sono passate settimane senza che nessuno li rifornisse di carburante. Non sentirete niente da Hancock per radio: forse manderanno un corriere, ma ci vorrà almeno un altro giorno prima che arrivi. E non hanno forze da sprecare, mandando messaggi in giro- continuò, con un tono di voce inarrestabile che non ammetteva repliche. –Covenant, dal canto suo, è ampiamente contenuta negli spazi radio sia di Goodneighbor, sia del Castello. Credo sia chiaro che non ci sia più altro tempo da perdere, qui. Ci sono ufficiali tra i miliziani che sono arrivati qui?- chiese poi.

-No, sono tutti soldati semplici- replicò Jun. Sturgers non pareva incline a riprendere la parola dopo quella che, a tutti gli effetti, era stata una lavata di capo da parte di Shaun.

-Bene. Allora Danse prenderà il comando delle truppe, e ci sposteremo tutti a Covenant domani- sentenziò Shaun.

Duncan fece un verso strano da dietro di loro, ma Danse lo ignorò, di nuovo. -... pardon?- fece, rivolto a Shaun, sentendo un'espressione incredula farsi strada sul proprio volto senza riuscire a fermarla.

-Ma che pardon, e pardon- sbuffò Shaun, irritato dalla reticenza dell'altro. –Sei l'unico con una qualche esperienza di comando tra noi, a parte Piper...-

-Ehi, non guardate me- fece la donna. –Io non ho mai comandato niente e nessuno. Ho solo dato consigli intelligenti a uomini stupidi. Non do ordini a nessuno, qui.-

-Appunto- riprese Shaun. –La situazione è seria, e ci serve qualcuno che sappia cosa fa al comando. Tu sei l'unico. Fine.- Il bambino tornò a guardare i coloni. –Ci servirà una mano a preparare l'equipaggiamento per il viaggio. Ci darete una mano?-

Non ci voleva un genio per capire che la sua domanda non dava spazio ad obiezioni. Ma Jun non sembrava del tutto convinto. –Non so se i miliziani accetteranno di essere guidati da lui- fece, con tono esitante.

-I miliziani sanno chi è Danse?- chiese Duncan dalla propria sedia.

-Non credo- rispose Jun, dopo aver scambiato un'occhiata esitante con quella che Danse immaginava fosse sua moglie. Non l'aveva vista troppo bene nella sua ultima permanenza a Sanctuary.

-Allora non c'è problema- concluse il ragazzo, alzandosi. –Forza. Abbiamo un sacco di preparativi da fare, e devo trovare qualcosa da mangiare per Grognak. Prepara la mia roba al posto mio, fratellino- disse, uscendo per primo dalla stanza, seguito eventualmente da tutti gli altri.

---

Da Sanctuary a Covenant ci si metteva circa tre giorni di cammino, andando di buon passo. I miliziani –una ventina di individui, con uniformi dall'aria vissuta ed espressioni ben più che leggermente perplesse sul viso- avevano accettato la strategia di Shaun e le sue spiegazioni, inattaccabili da ogni possibile angolo logico, e si erano sottomessi al comando di Danse senza nessuna resistenza. I coloni avevano fornito loro provviste per tenerli ampiamente in forze per il viaggio senza appesantirli troppo, e nonostante i toni della discussione, non c'era stato astio tra loro e il gruppo quando si erano salutati alle porte di Sanctuary.

Nonostante la totale mancanza di problemi nella transizione, Danse non riusciva comunque a capacitarsi del comportamento di Shaun. Certo, il giovane aveva sempre dimostrato un impeccabile senso logico, e anche la scelta di raccomandarlo come comandante era evidentemente giustificata dal suo raziocinio –tuttavia, Danse sapeva che Shaun lo odiava. Non c'era altro modo di definire la cosa: nessuna ragione per indorare la pillola. Shaun era sospettoso nei suoi confronti quando andava bene, apertamente ostile nelle sue frecciate quando andava male. Duncan non aveva mai fatto commenti sul comportamento del fratello, pur essendo lui stesso decisamente più cordiale nei confronti dell'ex Paladino, ma era comunque chiaro a tutti che al bambino Danse proprio non andasse giù.

E nonostante l'uomo sapesse che il bambino fosse abbastanza maturo da mandar giù il proprio astio e prendere la decisione più logica, quel confronto lo aveva comunque lasciato profondamente a disagio. Lui e Shaun non avevano mai più parlato direttamente, non dopo quella volta alla festa dopo la caccia a Lost South Hero, in tutti quei mesi di permanenza in città. C'era sempre stato qualcun altro di mezzo.

Eventualmente, il disagio giunse a un livello tale che Danse dovette prendere coraggio e affrontare il bambino, una volta per tutte. Non sapeva cosa pensare di lui, e per la propria sanità mentale, c'era bisogno di chiarire le reciproche posizioni.

Lo avvicinò durante la seconda notte di viaggio. Si erano accampati nei pressi di quelle che sembravano le rovine di un insediamento relativamente recente, costruito all'ombra di una strana struttura rettangolare che pareva risalire, invece, all'Anteguerra. Shaun aveva abbandonato il focolare da qualche minuto dopo aver finito di cenare: a Danse non era sfuggita un'espressione tesa sul viso del bambino, presente da qualche giorno ormai. Dopo qualche momento, l'uomo si alzò a sua volta, seguendolo in direzione di quello che somigliava ad un vecchio capanno per gli attrezzi.

Con sua sorpresa, una volta affacciatosi oltre l'angolo della casupola, vide che accanto a Shaun c'era seduto Duncan. Il bambino aveva il viso nascosto tra le ginocchia, e non pareva averlo sentito; lo stesso non valeva per Duncan, che si era immediatamente voltato a guardarlo. Lo strano tatuaggio che aveva sul volto emetteva una lieve luce verdognola che illuminava i suoi tratti in modo inquietante. –Beh, pensaci- disse, concludendo una conversazione che Danse non aveva udito. –Io torno al fuoco. Cerca di non mordere troppo- aggiunse poi.

Doveva essere un'affermazione che aveva confuso il bambino, perché quello alzò il viso, perplesso: a quel punto notò Danse, e la sua espressione si indurì immediatamente. Ma non protestò quando quello girò l'angolo, senza però sedersi. Tenne una certa distanza tra sé e Shaun, appoggiandosi ai resti di un palo sporgente dall'asfalto.

-Cosa c'è?- chiese dopo qualche momento di silenzio Shaun.

-Volevo parlarti- rispose Danse. Ora che era lì, era incerto su cosa dire.

La sua esitazione parve innervosire l'altro. –Tutto qui? Congratulazioni. Hai detto qualcosa- lo schernì.

Danse aggrottò le sopracciglia. Di solito, Shaun era il più composto dei due fratelli –quell'atteggiamento così ostile non era da lui. –Stai bene?- chiese, prima di potersi mordere la lingua. Non era proprio nella posizione di permettersi di poter far domande.

Shaun sbuffò.

Non stava parlando con un bambino, dovette ricordarsi Danse. Stava parlando con un uomo. –Volevo parlarti di quello che hai detto a Sanctuary, un paio di giorni fa.-

-Che c'è da dire? Non è stata la soluzione migliore?- chiese retoricamente Shaun.

-Non intendevo quello.- Dio, era difficile. Danse era un inetto dal punto di vista sociale, e l'altro non gli stava rendendo la vita facile.

-Senti- disse Shaun dopo un po', quando era evidente che se Danse avesse avuto tempo di sforzarsi ulteriormente, avrebbe iniziato a surriscaldarsi. –Mettiamola così. Non prendere tutta questa cosa troppo... uh, bene, ok?- iniziò. –Le cose non sono cambiate. Non tra me e te, intendo. Sai benissimo che il resto è cambiato, e la guerra sta arrivando a un punto di non ritorno molto più in fretta di quanto chiunque tra noi avesse potuto anticipare. Devo arrivare dagli altri prima che questo succeda. E tu-, e indicò Danse con un dito, in un gesto secco. –Tu sei lo strumento migliore che ho al momento per ottenere questo risultato. Capito? Ho bisogno che tu faccia quello che io, o Duncan, o zio Val, non possiamo fare. Dio, a me manco sta in mano un fucile come si deve. Ho bisogno che qualcuno faccia questa cosa per me, e tu sei quello giusto al momento giusto. Fine della storia.-

Danse annuì.

-Se nel frattempo... se nel frattempo qualcuno nei Minutemen decide che non è un problema farti restare, o farti comandare, o non spararti un colpo in testa e basta- continuò Shaun, sorprendendolo. Credeva che il discorso fosse concluso. –Beh, allora... non è affar mio.-

Danse sapeva riconoscere una velata, passivo-aggressiva offerta di mutua sopportazione quando ne sentiva una.

-Capito.-

Nessuno dei due aggiunse niente a quel punto, e poco dopo, Shaun tornò al focolare, ignorando l'altro synth.

---

Il giorno successivo arrivarono a Covenant, e la situazione precipitò.

L'insediamento non era stato attaccato, ma vibrava d'attività, con miliziani ovunque che correvano da una parte all'altra come polli decapitati.

Finalmente, dopo che erano stati fatti entrare dai cancelli, vennero raggiunti da un ufficiale –dopo un'intera ora. –Non aspettavamo altri miliziani- disse. –Tutte le comunicazioni col nord sono interrotte.-

Shaun ebbe la buona creanza di non dire a nessuno, "ve l'avevo detto". In fondo, chi avrebbe avuto più bisogno di sentirlo non era presente.

-Che è successo?- chiese Piper.

-Gunners- replicò l'ufficiale. –Hanno preso Bunker Hill. Hanno una specie di... distortore? Disturbatore? Manco mi ricordo come diavolo l'hanno chiamato. Riusciamo a malapena a parlare con le fortezze di Boston, ma le squadre sul campo sono completamente al buio. Non riusciamo a muoverci, e non sappiamo dov'è la Confraternita.-

-Lasciatemi dare un'occhiata alle vostre radio- si intromise Shaun. –Papà dovrebbe aver installato dei sistemi di sicurezza nelle radio di tutti gli insediamenti, per prevenire situazioni del genere. Forse posso attivarli, e dovrebbero poter contrastare il segnale avverso.-

Ci vollero un paio d'ore, in cui loro non poterono far altro che torcersi le mani, prima che Shaun riuscisse a fare progressi. Per via di quel problema, le notizie che giungevano dal fronte erano scarse, e frammentarie.

Ciò che i miliziani avevano potuto dire loro era che dall'attacco di Diamond City, le cose erano andate solo che peggiorando. Secondo i loro strateghi, la Confraternita aveva messo in atto una strategia di distrazione per permettere alle loro forze di penetrare fino a Boston più o meno indisturbate: fingendo dei movimenti sospetti a nord e a sud del Castello, avevano distratto le forze dei miliziani, che avevano inviato dei reggimenti ad intercettarli. Una veloce ritirata dei vertbird aveva impedito ai Minutemen di infliggere loro delle perdite, e li aveva rallentati abbastanza da poter impedire loro di essere a Boston in tempo per fermare l'avanzata verso Diamond City delle forze principali.

Quelle erano le uniche cose di cui erano certi. Da quel momento, da cui erano passate settimane, nessuno aveva più avuto notizie certe dei reggimenti inviati ad intercettare gli invasori a nord: ogni indagine era stata resa ancora più complicata da quando un nutrito gruppo di Gunners si era stabilito a Bunker Hill, in atteggiamento chiaramente ostile ad ogni miliziano di passaggio, il che rendeva i loro spostamenti estremamente difficili. Bunker Hill era l'insediamento più vicino all'unico ponte rimasto praticabile dell'intera città, e se oltre al problema degli spostamenti vi si aggiungeva quello alle radio, era comprensibile come la vita dei miliziani fosse diventata all'improvviso molto più difficile.

Danse sospettava di chi fossero al soldo quei mercenari, ed era certo che quel sospetto fosse condiviso da tutti i suoi compagni. Ma per il momento non disse nulla, rimanendo in attesa di aggiornamenti da Shaun.

Tali aggiornamenti arrivarono sotto forma del bambino che spalancò la porta del villino in cui erano stati alloggiati, facendoli sobbalzare, sfiatato: aveva evidentemente raggiunto la loro casa di corsa dall'officina. –Venite, subito- ansimò. –Sono riuscito a contattare Hancock, e dobbiamo parlare. Immediatamente.-

Il gruppetto composto da loro, più l'ufficiale di Covenant, rifece lo stesso percorso, allo stesso passo: fu una vista abbastanza strana da attrarre l'attenzione di numerosi miliziani, ma a nessuno di loro fu permesso l'accesso al controllo radio. Era una stanza buia, costruita con materiali di fortuna direttamente sotto all'antenna che dominava l'insediamento: al suo interno, protetti dalle intemperie, computer dall'aria sorprendentemente antica e delicata erano, ciononostante, in funzione. Shaun si sedette su uno sgabello di fronte alla console principale. –Li ho chiamati- disse, parlando evidentemente alla radio. –Di' loro quello che hai detto a me.-

Una voce roca e gracchiante parlò dagli altoparlanti, chiara abbastanza che Danse non ebbe alcuna difficoltà a riconoscerla. –Tutti? C'è anche il vecchio tostapane? Hey, Nick? Ci sei?- chiamò Hancock, a voce inutilmente alta.

-Ci sono, Hancock. "Vecchio tostapane" puoi tenertelo per te, stupido tossico- replicò il synth, bonario. –E abbassa la voce, perdiana. Ti sentiamo.-

-È un po' disturbato, qui- fece Hancock. –Ma t'ho sentito. Vecchio infame. Meno male che sei qua.-

-Hancock?- insistette Shaun, cercando di mettergli fretta.

-Sì, sì, piccolo, ho capito. Ok, la situazione qua è un casino- disse Hancock, abbandonando qualsiasi tono gioviale. –Goodneighbor è fuori questione. Non coi Gunners così vicini. Il grosso s'è già spostato al Castello –io sto al Castello adesso, c'è anche Preston. Manca MacCready.-

-È rimasto bloccato da qualche parte? I Gunners hanno ancora una bella gatta da pelare con lui- disse Valentine, facendo riferimento a cose di cui Danse non era a conoscenza. –Farebbe meglio a non farsi prendere.-

-Quello è, tipo, il nocciolo della questione- replicò Hancock. –Crediamo l'hanno preso, sai.-

-Che cazzo, John?!- esclamò Duncan a quel punto, ignorando il fatto che difficilmente dalla radio il ghoul avrebbe potuto riconoscerlo.

-Non ne siamo sicuri- spiegò quello. –Sappiamo però che non è mai tornato da quella dannata intercettazione, né lui né il reggimento, e prima che mettessero quel dannato segnale di disturbo abbiamo beccato delle trasmissioni sospette tra Bunker Hill e l'Aeroporto. Deeks crede che i Gunners stiano lavorando per Maxson, e che abbiano MacCready, ma se l'hanno veramente catturato allora non è ancora stato portato alla Confraternita. Li abbiamo sotto controllo e non è stato visto partire nessun convoglio.-

-Sono sospettosi- rispose Danse. –Probabilmente sanno di essere osservati. Ma i Gunner stanno senza ombra di dubbio lavorando per Maxson. Ne ha arruolati parecchi prima ancora della mia... dipartita. Questi devono essere gli stessi, o forse reparti nuovi che si sono aggiunti di recente. Ma è indiscutibile chi li stia pagando.-

-Che cazzo facciamo? Non gli lascio mio padre, a quegli stronzi- fece Duncan. –Dobbiamo portarlo via da lì prima che possano... beh, portarlo via!-

-Non glielo lasceremo fare. Probabilmente i Gunners stanno aspettando che la Confraternita si muova per recuperare MacCready da soli, se davvero ce l'hanno. Non credo siano intenzionati ad abbandonare una base sicura solo per fare da galoppini e consegnare un prigioniero. Finchè non si mettono d'accordo, abbiamo una possibilità, ma dobbiamo muoverci in fretta.- Danse si passò una mano sulla barba, riflettendo freneticamente. –Hancock, avete idea di quanti Gunners ci siano a Bunker Hill? Una stima, almeno?-

-Bah, difficile dirlo, amico. C'è un sacco di movimento. Non meno di una trentina, e siamo sicuri hanno qualche armatura atomica e lanciamissili con loro. Li abbiamo sentiti, quelli- rispose il ghoul.

-Una trentina, pesantemente armati. Possiamo farcela.- Era un piano folle, ma poteva funzionare. Danse si voltò verso Duncan. –Ci servirà Grognak. Come se la cava contro i proiettili?-

Il ragazzo fece spallucce. –Bene, credo. Sopravvive ai Juggernaut, può sopravvivere a qualche colpo di laser- rispose. Poi riflettè meglio. –Non so a un lanciamissili, però.-

-Potrebbe non essere nemmeno un problema- rispose Danse. –Ho un'idea. Ma ci servirà il favore del buio, e un intervento da parte della tua creatura, Duncan.-

-È una buona idea, almeno?- chiese Valentine.

-Non so rispondere- replicò Danse. –Ma se le cose vanno come dico io, non ci saranno più Gunners da cui guardarsi, a Bunker Hill.-

Tenne per sé il fatto che la possibilità di godersi la faccia he avrebbe fatto MacCready, se l'avessero trovato, era un incentivo sufficiente a pregare che il suo piano funzionasse.

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Capitolo 16
*** La battaglia di Bunker Hill ***


Ci volle una giornata per equipaggiare e preparare gli uomini necessari alla partenza. Danse avrebbe portato con sé quasi l'intera guarnigione di Covenant, lasciando indietro solo gli uomini necessari a mantenerla funzionante, e il gruppo di soldati che li aveva seguiti fin lì da Sanctuary. Questo corrispondeva ad un totale di una cinquantina di miliziani, armati di fucili laser e piccoli esplosivi, costruiti la maggior parte la notte prima della partenza: erano studiati per essere più rumorosi che pericolosi, adatti a seminare confusione.

Alle prime luci dell'alba, il battaglione lasciò Covenant, con l'intenzione di portarsi il più vicino possibile al fiume senza finire nel campo visivo delle guardie di Bunker Hill, e trovare nel contempo un posto in cui attendere in sicurezza il calare delle tenebre. Valentine aveva proposto l'ex ufficio regionale del dipartimento BADTFL: in passato era stato spesso infestato da saccheggiatori, ma negli anni della guerra la mancanza di traffici commerciali aveva reso la strada una posizione inappetibile ed era stato, di conseguenza, abbandonato da tempo. Il battaglione vi giunse al calar della sera, dopo l'ok degli esploratori che erano stati inviati a controllarne lo stato, e vi si accampò in attesa della notte. Avrebbero avuto bisogno delle tenebre, e di abbastanza ore avanti nella notte per avere la maggior parte dell'insediamento o assopita, o troppo rilassata per reagire prontamente ad una minaccia.

Bunker Hill aveva un unico accesso principale: il portone orientato a sud-est, inavvicinabile per l'intero battaglione a meno che non avessero voluto allungare irragionevolmente il cammino, e anche a quel punto sarebbero stati in una posizione sfavorevole.

Le truppe guidate da Danse sarebbero arrivate da nord-ovest, e non avrebbero avuto né il tempo né il modo di passare attorno all'intero insediamento senza essere visti. Portare l'intera unità sotto le mura di Bunker Hill nello stesso punto sarebbe stato allo stesso modo controproducente: non erano estremamente numerosi, e sarebbe stato troppo facile per i Gunner farli fuori uno ad uno dalle pensiline sopraelevate.

No, il gruppo si sarebbe diviso in tre squadre e avrebbe approcciato l'assedio con una tecnica più furba. La squadra guidata da Duncan e da Grognak si sarebbe mosso direttamente verso sud, tra i resti degli autobus e dei camion che fungevano da barricate sulla strada principale, e il ragazzo avrebbe sfruttato la forza della creatura per sfondare il muro e cogliere di sorpresa i Gunner.

La seconda squadra avrebbe fatto un giro più lungo, avanzando verso sud-est attraverso un isolato adiacente, e avrebbe avuto il compito di seminare ulteriore confusione tra i loro avversari attaccandoli da un'altra direzione. Avrebbero dovuto comunque eventualmente seguire Grognak attraverso la breccia, ma nel mentre avrebbero creato quanto più disturbo possibile con armi ed esplosivi, cercando di confondere i Gunner sui loro reali numeri. Danse si sarebbe assicurato che la squadra avesse avuto successo guidandola personalmente.

Ciò lasciava l'ultima squadra: un duo, in realtà, composto da Valentine e Piper. I due avrebbero dovuto sfruttare la confusione per forzare la serratura di una vecchia via di fuga laterale e infiltrarsi nell'insediamento occupato senza farsi vedere, per capire se realmente i Gunner avessero catturato MacCready ed in caso metterlo al sicuro.

Shaun in tutto questo sarebbe necessariamente dovuto rimanere indietro: cosa a cui il bambino protestò veementemente, ma a cui dovette alla fine rassegnarsi. Non avevano armature adatte alla sua corporatura e non era in grado di portare un'arma di calibro sufficiente a contrastare i Gunner. In quelle ore al Castello si stavano occupando di mettere insieme qualcosa per lui con le misure che avevano preso prima di partire: ma fino a che non ci fossero arrivati, Shaun avrebbe dovuto rimanere lontano dai combattimenti.

Si mossero intorno alle due di notte, lasciando Shaun al sicuro all'interno dell'ufficio insieme ad altri due soldati per protezione. Danse e i suoi uomini si separarono quasi immediatamente da Duncan, dovendo raggiungere una posizione più lontana prima di poter dar loro il segnale e dare inizio all'attacco.

Il ragazzo indossava un'armatura di cuoio leggera dipinta di colori scuri, adatta a mimetizzarsi ai colori del dorso di Grognak e passare inosservato sulla sella nonostante la sua luce. Sarebbe stato il suo compito dirigere la creatura contro i Gunner e seminare, per ovvie ragioni, il grosso del panico: bestie come lo Strider non erano mai state viste prima d'ora nel Commonwealth, e la sua stazza e il suo potere distruttivo sarebbero state fondamentali per attrarre e mantenere l'attenzione dei loro avversari.

Danse non potè fare a meno di sentire una certa preoccupazione nell'allontanarsi. Era vero che il ragazzo aveva passato l'intera infanzia, fondamentalmente, a dare la caccia a giganteschi mostri mutati nel bel mezzo di una tempesta letale; ma era anche vero che i mostri non avevano mai avuto armi al plasma e lanciamissili per contrattaccare. Duncan non era un inetto, ma non era neanche abituato al combattimento vero e proprio, e avrebbe dovuto prestare il doppio dell'attenzione se non voleva rimetterci il collo. Danse sperava che la smania di rivedere suo padre (della cui posizione nemmeno avevano la certezza) non lo avrebbe condotto a commettere errori pericolosi.

Imbracciò meglio il suo fucile, la sua posizione in testa al gruppo che rendeva impossibile al resto dei miliziani il poterlo guardare in faccia. Meglio così. Danse era abituato a comandare dall'interno rinforzato di una suite atomica. Non si sentiva particolarmente a suo agio nell'equipaggiamento standard di cui i Minutemen lo avevano dotato: i suoi abiti da viaggio di certo non erano adatti ad una battaglia, ma non si sentiva per niente protetto nemmeno dietro alla piastra dell'armatura da combattimento di cui lo avevano equipaggiato, troppo leggera per i suoi gusti.

Tenendo conto delle sue abitudini, sarebbe stato improbabile per Danse trovarsi a proprio agio in qualsiasi set di armatura che non fosse alimentato a batterie nucleari. Ma la cosa importante era che i suoi uomini non ci facessero troppo caso.

Guidare un plotone di Minutemen si stava dimostrando radicalmente diverso dalle sue precedenti esperienze di comando. Gli uomini della Confraternita d'Acciaio erano ordinati; precisi; minuziosi nell'esecuzione degli ordini; addestrati perfettamente ad un rigoroso stile di vita che riguardava perfino la cadenza dei loro passi.

I miliziani, per ovvie ragioni, non erano nulla di tutto questo. Questo non significava che fossero una mandria sregolata di civili armati: era chiaro che chiunque li avesse comandati in precedenza si fosse curato di fornire loro almeno una minima preparazione militare. Erano differenze sottili –nella cadenza del passo, appunto; nel modo in cui portavano le armi o l'equipaggiamento; nella maniera in cui costruivano un accampamento o si prendevano cura del focolare.

Quelle cose non erano certo sufficienti, da sole, a mettere in difficoltà Danse. Era un Paladino, un comandante veterano, non un ufficiale qualsiasi: non avrebbe perso la testa per opera di vecchi fantasmi. Ciò non aveva impedito alla sua mente traditrice, però, di rivangare vecchi ricordi, fare paragoni, e tenerlo sveglio ad esplorare scenari che non avrebbero mai avuto alcun modo di accadere. Non più. 

Sforzandosi nuovamente ad ignorare quei pensieri, l'uomo condusse il suo gruppo attraverso le rovine di Charlestown verso ovest, con l'intenzione di aggirare un isolato composto da villini abbandonati passando attraverso quelli che dovevano essere vecchi giardini privati, per spuntare dal lato opposto rispetto ad una delle barricate che circondavano Bunker Hill. Fu una marcia cauta e lenta, a luci rigorosamente spente e con la cura di non permettere ad un singolo calcinaccio scostato di fare il benchè minimo rumore. I Gunner erano ben equipaggiati, e Danse non poteva escludere che non avessero dei robot da combattimento o dei sensori a pattugliare il perimetro: se fossero stati scoperti prima del tempo, l'intero piano sarebbe andato, ovviamente, in fumo.

Giunsero in posizione poco tempo dopo, nascondendosi dietro un cumulo di macerie. Danse parlò nella piccola radio che ogni miliziano aveva assicurata al cinturone. –Qui Squadra Delta, siamo in posizione, passo- mormorò.

-Bella. Pure noi- fece la voce metallica di Duncan.

Danse trattenne l'impulso di massaggiarsi le tempie. -... puoi fare lo sforzo di aderire al codice che ti ho insegnato?-

-... oh. Oh! Merda, me l'ero dimenticato. Uh... Squadra Gamma, siamo in posizione anche noi...? Passo- aggiunse, quasi come se si stesse dimenticando dell'ultima parte.

-... beh, dovrò accontentarmi. Ricevuto. Diamo il via all'operazione.- Danse esitò per una frazione di secondo. –Attento, Duncan. Guardati le spalle.-

-Sissignore, coso. Dai, diamoci dentro- replicò il ragazzo, prima che la radio trasmettesse una breve scarica di statico, ad indicare la chiusura del canale.

Senza perdere altro tempo, diede il segnale ai suoi uomini ed estrasse a sua volta una granata dalla cintola, lanciandola con un gesto potente oltre la palizzata di Bunker Hill.

---

Non importava quanto si rigirasse su se stesso, il pavimento non sarebbe mai diventato un giaciglio comodo. Ma MacCready non aveva ancora smesso di credere, nonostante fossero passate settimane, che prima o poi avrebbe trovato una posizione in cui le sue ossa non avrebbero premuto dolorosamente contro la pietra.

Doveva pur credere in qualcosa. La possibilità che si degnassero quantomeno di finirlo con un proiettile tra gli occhi era andata a farsi benedire tra la prima e la seconda settimana di prigionia, e le altre non erano troppo indietro. Aggrapparsi ad una qualunque idiozia avrebbe dovuto bastargli.

Non avrebbe saputo dire di preciso da quanti giorni era prigioniero (aveva dei buchi di memoria abbastanza importanti, dovuti con tutta probabilità a qualche botta in testa di troppo), ma era chiaro che i Gunner non avevano alcuna intenzione di ucciderlo. Tenendo conto dei loro trascorsi, avrebbero dovuto in teoria farlo molto prima: se non per la sua diserzione, o per il furto dei tappi, almeno per il saccheggio del raccordo di Mass Pike, o per Winlock e Barnes, o per qualsiasi altro Gunner fosse capitato sulla strada sua e di Nate. Entrambi non erano stati mai particolarmente misericordiosi quando si trattava di venire alle mani con i suoi ex-commilitoni.

Ma non l'avevano fatto. Inizialmente aveva pensato che stessero trattando la sua vendita con qualcuno. Il generale Baker probabilmente avrebbe apprezzato di più la sua schiena spezzata dai mercanti di schiavi, piuttosto che da un suo calcio ben piazzato. Magari aveva schifo a sporcarsi gli stivali, o una roba del genere. Qualche tempo prima, invece, origliando una delle guardie che avevano messo fuori dalla sua cella solitaria, aveva scoperto che i Gunner stavano aspettando che la Confraternita venisse a prenderlo.

A quanto pareva, il nocciolo della questione era che Baker non voleva fare da galoppino a Maxson, e portare MacCready all'Aeroporto; e Maxson, dal canto suo, non voleva attraversare chilometri di territorio ostile due volte per fare il lavoro di mercenari pagati profumatamente di tasca propria. O per lo meno, quello era quanto aveva estrapolato lui. La guardia aveva usato termini ben più coloriti, e decisamente di parte.

La cosa giocava, teoricamente, in suo favore. Fino a che non sarebbero arrivati ad un accordo, Baker non lo avrebbe ucciso, e MacCready sarebbe stato ben lontano dalle grinfie di Maxson.

Ma le sue grazie finivano lì. Dubitava che i Minutemen potessero assaltare una fortezza come Bunker Hill, non quand'era sotto il controllo dei Gunner. Già da sola aveva avuto delle difese formidabili: con i mercenari e le loro dannate armi al plasma dietro alle palizzate, i miliziani avrebbero avuto bisogno di una potenza di fuoco non indifferente per riuscire anche solo ad avvicinarsi. Quel genere di potenza che non potevano sprecare, né allontanare dal fronte, se non volevano lasciare un fianco scoperto alla Confraternita.

Era arrivato, a tutti gli effetti, alla fine della corsa. Botte in testa escluse, in quei giorni MacCready aveva avuto ampio modo di riflettere sulla cosa. Non accettarla (non era suicida, insomma), ma diciamo annoverarla tra uno dei futuri avvenimenti più probabili. Una volta che i Gunner e la Confraternita avrebbero raggiunto un accordo, Maxson non ci avrebbe messo molto ad appenderlo fuori dalle mura del suo bell'Aeroporto, e farne un esempio. E un abbastanza misero snack per i corvi. Non è che lo stessero nutrendo molto bene, lì, in fondo, e MacCready non era mai stato un individuo molto in carne, in partenza.

Si girò ancora, cercando di mettersi sull'altro fianco, e fece una smorfia quando andò a premere su un livido che aveva sul fianco. Ne aveva abbastanza, per quella notte. Era chiaro che non sarebbe riuscito a dormire.

Si tirò a sedere, appoggiando la schiena alle pareti fredde dell'obelisco. Lo avevano imprigionato in cima al monumento di Bunker Hill. MacCready ricordava vagamente una vecchia favola che aveva letto a Little Lamplight, con una situazione del genere. Una principessa intrappolata in cima ad una torre, che per permettere all'aitante principe di liberarla aveva dovuto lanciare i propri capelli fuori dal davanzale.

Immaginare la quantità di pulci che doveva aver trovato rifugio in quella chioma era stato sufficiente al piccolo MacCready per bollare la storia come disgustosa.

L'obelisco era stata una scelta furba come prigione, a prescindere dalle favole che gli ricordava. Non c'era modo di uscire se non dalle strette scale a chiocciola, che erano costantemente sorvegliate, almeno alla base; ogni tanto aveva avuto una guardia anche in cima con lui, dall'altra parte di un muro di ferri vecchi e filo spinato con cui avevano creato una minuscola partizione in cima al monumento, che fungeva da cella vera e propria. Tra la distanza da terra, e il fatto che fosse troppo denutrito e pesto per poter affrontare le scale senza cadere e spezzarsi il collo, MacCready non aveva alcuna possibilità di liberarsi da solo.

La nota positiva era che, per lo meno, aveva una bella vista. Il monumento sovrastava i tetti circostanti, permettendogli di vedere dalla feritoia oltre la piazza che lo ospitava, nelle vie circostanti. Non c'era un granchè da guardare, a parte qualche branco di cani randagi di passaggio ogni tanto: ma era sempre meglio che fissare le pareti ingiallite della sua prigione.

Del movimento colse improvvisamente la sua attenzione, proprio da una delle strade adiacenti all'insediamento. Si alzò da terra, incuriosito, senza curarsi di far rumore: quella notte non c'era nessuno a far la guardia in cima alla torre.

Un bagliore verde illuminava una strada parallela a Bunker Hill, nascosto alle sentinelle dalle case dell'isolato adiacente. Una creatura irradiata, molto probabilmente: gli invasati di Atom di solito non si spingevano così vicino alla città. A giudicare dalla forza della luce, doveva essere molto grande. Un Deathclaw, forse? Lui e Nate ne avevano incrociati a volte, in quel quartiere della città. Esemplari giovani, che sfuggivano alla concorrenza dei maschi adulti del Mare Splendente andando verso nord. Di certo però non ne avevano mai visti di così irradiati.

Strinse gli occhi, cercando di mettere meglio a fuoco la bestia. Cosa difficile, visto che aveva l'occhio destro talmente pesto che a malapena stava aperto di suo. Ma si sforzò.

Non ce ne fu troppo bisogno, alla fine. La creatura scomparve improvvisamente, infilandosi in un'area nascosta –un sottopassaggio, da cui sbucò poco dopo, molto più vicina.

Quello non era un Deathclaw.

Anche se non avesse riconosciuto la diversa fisionomia, le sole dimensioni sarebbero state sufficienti a farglielo intuire. Quella bestia, qualunque cosa fosse, era molto più grossa e massiccia di un Deathclaw. Camminava su quattro zampe, con un'andatura molto più fluida, e la forma era totalmente diversa. Enorme. Pericolosa.

MacCready non osò staccarsi dalla feritoia.

Una creatura del genere non poteva infilarsi su per le scale della torre, ragionò, una nota di panico febbrile nei suoi pensieri. Era relativamente al sicuro. E non era neanche detto che avrebbe attaccato la città –magari era una bestia risalita da qualche vecchio laboratorio dell'Istituto, irradiata dai resti del reattore che avevano fatto saltare. Magari aveva solo fame. Magari se ne sarebbe andata.

Poi la creatura ruggì, con un suono che gli fece gelare il sangue nelle vene, e MacCready capì che non aveva alcuna intenzione di andarsene.

Guardò, come ipnotizzato, la creatura lanciarsi contro la palizzata di legno e materiali di fortuna, con uno schianto. La parete non cedette del tutto, ma anche dalla sua distanza potè udire distintamente lo schiocco di diversi puntelli di legno che si erano spezzati la potenza dell'impatto.

Sotto di lui, i Gunner iniziavano a rendersi conto di cosa stesse succedendo. Voci confuse si alzavano dalle catapecchie destinate ai dormitori, e le guardie avevano iniziato ad urlare, confuse e spaventate.

Mentre la bestia preparava una seconda carica, un rumore improvviso spinse MacCready ad allontanare in fretta la testa dall'apertura. Esplosioni, piccole e rapide, e fuoco di fucili e armi al laser, da diverse parti della palizzata: erano sotto attacco da più direzioni. Quanti fossero gli attaccanti, era impossibile dirlo. Dalla torre, pur sforzandosi di prestare attenzione, non c'era modo di distinguere precisamente dove e quanti colpi venissero esplosi: il rumore riecheggiava contro le case che circondavano la piazza, e al buio era impossibile localizzare le fonti.

Erano sotto attacco. Da chi, impossibile dirlo. Non osava sperare che fossero i miliziani. Con quella bestia in circolazione, era certo che sia Gunner che Minutemen non sarebbero riusciti ad uscire vivi da Bunker Hill. Meglio se, piuttosto, i responsabili fossero stati saccheggiatori. Ma i saccheggiatori non avrebbero osato attaccare i Gunner: non l'avevano mai fatto.

Un fortissimo schianto gli diede abbastanza coraggio per tentare nuovamente di sporgersi, e vide che il mostro era riuscito a sfondare le mura. Ora che era ancora più vicino, MacCready poteva vedere che era anche più grosso di quanto avesse ipotizzato all'origine: sovrastava i Gunner, e con una sola zampata ne fece volare un paio di diversi metri, mandandoli a sbattere contro le pareti del vecchio insediamento con tanta forza che, l'uomo era sicuro, non sarebbero sopravvissuti all'impatto.

Un proiettile sfiorò l'obelisco a pochi centimetri dalla sua finestra, e MacCready si ritrasse, timoroso di beccarsi una pallottola vagante tra gli occhi. Sotto di lui, la battaglia era chiaramente nel suo pieno, ma i ruggiti della bestia rendevano impossibile capire chi stesse vincendo. Le urla di terrore e gli schiocchi dei fucili a laser erano soffocati dai suoi versi, e dai terribili rumori che faceva mentre, con tutta probabilità, demoliva e sterminava qualunque cosa gli capitasse a tiro.

MacCready cercò di ragionare, e calmarsi, ma quando cercò di prendere un respiro più profondo i suoi polmoni si contrassero, soffocati dal panico.

Era fottuto. Se anche era vero che la bestia forse non sarebbe riuscita a raggiungerlo in cima all'obelisco, lui non aveva comunque modo di scendere. Era troppo pesto e debole per riuscire a sfuggire ad una creatura del genere, che di certo, dopo il massacro, sarebbe rimasta lì attorno, prendendosi il suo tempo con tutta calma per rimpinzarsi di cadaveri. Non avrebbe avuto modo di fuggire. E se fosse rimasto lì, volente o nolente, la sete o l'inedia l'avrebbero comunque ucciso.

Non era proprio come s'era immaginato di morire. Avrebbe potuto accettare, al massimo, di finire come macabra decorazione da salotto di Maxson; il meglio sarebbe stato ammazzato in guerra, magari in maniera abbastanza violenta da non dargli nemmeno il tempo di rendersi conto del dolore. Quella sarebbe stata solo una lenta tortura.

Spalancò gli occhi, che non ricordava d'aver chiuso, quando udì degli spari risuonare per la tromba delle scale della torre. C'erano intrusi nel monumento: Gunner o invasori che fossero, c'era una colluttazione in corso. MacCready non aveva nulla con cui difendersi: la cella era vuota ad eccezione di una coperta e di un piccolo catino sbeccato di plastica. A parte minacciare gli invasori con le proprie deiezioni, non c'era un granchè che potesse essergli d'aiuto.

Comunque. Erano persone, non una gigantesca belva irradiata. Presumibilmente armate, se aveva sentito bene, vero: ma pur sempre persone. Pieno di lividi o meno che fosse, avrebbe comunque potuto tentare di difendersi a mani nude. Non aveva molta altra scelta, alla fine.

La colluttazione ai piedi della torre parve finire, se l'improvviso riecheggiare degli spari era di qualche indicazione. MacCready si sforzò di alzarsi da terra, deciso a seguire quell'idea e dare per lo meno filo da torcere a chiunque stesse salendo le scale.

-Mac?- chiamò una voce da sotto.

Figo, ho le allucinazioni, pensò, quando la sua mente traditrice cercò di identificare il timbro con quello di Piper.

Non poteva essere lei. Era scomparsa da mesi –partita in una missione suicida in cui lui stesso, alla fine, l'aveva mandata. Non l'aveva fermata quando aveva annunciato di voler accompagnare il Paladino, no? Era la stessa cosa. Morta, certamente, da qualche parte oltre Sanctuary.

Non poteva essere lei. Non rispose.

Stava certamente avendo le traveggole quando lei e Valentine si materializzarono sul pianerottolo della torre. I capogiri dovevano essere peggio del previsto. Arretrò fino alla parete opposta, cercando la stabilità del suolo e scuotendo il capo nel tentativo di schiarirsi la mente.

Invano. Quando ebbe riaperto gli occhi, Valentine era ancora lì, a forzare la serratura della cella; Piper lo studiava con fare preoccupato da attraverso le fessure. –Hey, Mac- lo chiamò ancora. –Stai bene? Sei ferito? Sei pallido- continuò. Aggrottò le sopracciglia quando MacCready continuò a non rispondere, un'espressione vacua sul viso. –Mac? Stai bene?- ripetè.

-Alla grande- rispose debolmente, nello stesso momento in cui Valentine riuscì a scassinare la serratura.

Piper non disse niente, a quel punto: attraversò la minuscola cella in due grandi passi, s'inginocchiò e lo abbracciò.

MacCready non era tanto sicuro di cosa pensare.

-Cristo, puzzi. Più del solito- disse la donna, staccandosi dopo qualche secondo. Aveva gli occhi un po' lucidi e un'espressione strana. Era un po' che MacCready non aveva accesso a uno specchio, ma sicuramente i Gunner non potevano averlo picchiato così tanto da meritare quell'espressione? –Hey. Guardami- disse Piper, distraendolo. Con una mano iniziò a tastargli il viso, dal lato che sentiva indolenzito e gonfio con l'occhio mezzo chiuso, e con l'altra alzò due dita. –Quante dita sono? Ci sei, Mac?-

Infastidito, MacCready allontanò le mani della donna dalla sua faccia. –Ugh. Due. Sto bene. Mi hanno solo menato un po'. Non mi sta colando il cervello dalla testa.- Riconsiderò un attimo quell'affermazione, sforzandosi di ricordare. –Credo.-

-No, non credo sia niente del genere- concordò Valentine bonariamente dalle spalle di Piper. Il synth stava sorridendo, ma aveva un'espressione un po' tesa sulla pelle di plastica.

-... siete veri- mormorò debolmente MacCready a quel punto, con un tono vagamente meravigliato. Tornò a guardare Piper. –La missione è riuscita, allora.-

-Sì- rispose la donna. –Missione riuscita. Abbiamo trovato Valentine e l'abbiamo portato qui. E abbiamo scoperto che qualcuno s'è fatto catturare nel frattempo. Non potevamo lasciarti qua a languire, no?- aggiunse, facendogli un occhiolino.

MacCready non stava già più ascoltando, assordato da una violenta ondata di sollievo, una pressione talmente forte nella testa, dietro gli occhi, da risultare quasi dolorosa. Si sentì vacillare, ma prima che potesse spalmare la faccia contro il pavimento della cella, una stretta vigorosa lo prese per le spalle. –Hey, ragazzo- fece Valentine, fissandolo con quegli occhi gialli, innaturali. –Sicuro di stare bene?-

MacCready offrì un sorriso un po' tremolante. –Alla grande- ripetè.

---

Scesero dalla torre con qualche difficoltà. Apparentemente la combinazione di pestaggi e denutrizione era più debilitante di quanto MacCready aveva potuto prevedere, ed ebbe bisogno di un braccio di supporto da entrambi i lati e di diverse pause per poter affrontare le scale (rifiutò categoricamente di farsi trasportare).

A Bunker Hill era calato il silenzio, nel frattempo. Nella sua mente c'era qualcosa che reclamava la sua attenzione, qualcosa che aveva scordato, ma non riusciva a concentrarsi abbastanza da ricordarla. –Hai un bel bernoccolo- aveva detto Valentine. –Niente di terribile, ma sarebbe il caso di metterti qualcosa sullo stomaco, darti uno Stimpak. Non mi sorprende che tu sia così stordito, comunque.-

-Pensavo di avere le traveggole!- aveva risposto MacCready, ridacchiando. Forse era il sollievo, o una combinazione di cose, ma si sentiva la testa un po' leggera.

-Danse dovrebbe avere degli Stimpak. Danse ha sempre tutto- mormorò Piper. –Digli di venire sotto la torre- aggiunse, rivolta a Valentine.

Valentine a quel punto parlò in un oggettino che aveva tirato fuori dalla tasca, ma MacCready non udì cosa disse.

Non ricordava il resto della discesa, solo che a un certo punto si era ritrovato seduto sull'erba, ai piedi del monumento. La poca luce che illuminava Bunker Hill rendeva visibile i miliziani intenti a saccheggiare quanto ci fosse di utile dalle riserve dei Gunner. Un paio di uomini avvicinarono Piper e riferirono qualcosa, e dopo gli fecero un saluto, a cui rispose con un gesto un po' stentato.

-Quanti ve ne siete portati?- chiese, dopo aver attratto l'attenzione di Piper con una gomitata sullo stivale.

-Una cinquantina. Abbiamo svuotato Covenant e Sanctuary. Era tutta gente che sarebbe dovuta venire al Castello, ma i Gunner stavano disturbando le comunincazioni- spiegò. –Abbiamo colto l'occasione per venire qui a risolvere due problemi in una volta sola.-

-Preston si bagnerà come un ragazzino quando glielo dirai- fece MacCready, ridacchiando.

-... era un'immagine mentale che non mi serviva- replicò Piper, facendo una smorfia.

Rise più forte. –Pfah! Neanche a me. Ma mi è venuta, e dovevo far soffrire qualcun altro- rispose, con una certa, infantile insolenza.

Poi la terra tremò, e quello che MacCready aveva dimenticato gli si parò davanti in tutti i suoi più di due metri d'altezza.

La bestia era terrificante, con zanne lunghe quanto il suo avambraccio e terribili occhi splendenti. Era coperta di più pelo di quanto MacCready avesse mai visto addosso ad un animale, e respirava affannosamente, ma senza apparente stanchezza: le labbra brillavano di una sostanza scura, appiccicata alle zanne e al pelo. Sangue.

Qualcosa si arrampicò giù dal suo dorso, con l'agilità di una scimmia, e gli si parò davanti: un uomo, col respiro affannato a sua volta e occhi selvaggi, illuminati fiocamente da strambi disegni incisi nella pelle delle guance.

-Papà...?- disse l'ombra, entrando nel cono di luce di una delle lampade rovesciate dei Gunner.

MacCready era certo che, se fosse stato in piedi, quello sarebbe stato il momento in cui le sue ginocchia avrebbero ceduto. Non ebbe il tempo di rispondere: Duncan non glielo lasciò, inginocchiandosi di fronte a lui prima che potesse farlo e stringendogli le braccia attorno alle spalle con una forza sorprendente, svuotandogli i polmoni dal respiro per la sorpresa. Per qualche secondo, MacCready esitò, trattenuto da cosa, di preciso, nemmeno sapeva dire; poi ricambiò l'abbraccio, stringendo suo figlio, e niente: i Gunner, Piper, le bombe, la bestia lucente; niente avrebbe meritato la sua attenzione più dell'avere il suo bambino di nuovo tra le braccia, in quel momento.

Registrò con un certo ritardo un rumore di passi pesanti schiacciare l'erba secca, in avvicinamento, ma decise abbastanza in fretta di classificarlo tra le cose di cui non gli importava. 

Danse aveva attraversato il resto dell'insediamento in fretta una volta ricevuto il messaggio di Valentine, la borsa con i medicinali già staccata dal cinturone, timoroso dello stato in cui avrebbe trovato il Comandante vista la richiesta del synth; ma, una volta notato Grognak nei pressi della torre, seduto pazientemente ad attendere che il proprio padrone si staccasse da suo padre, immaginò che l'iniezione potesse aspettare, almeno un po'. 

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Capitolo 17
*** L'inizio della fine ***


 

Dopo essersi riuniti anche con Shaun -la cui presenza era una cosa a cui MacCready era stato poco incline a credere fino al momento in cui il synth non aveva varcato la soglia di Bunker Hill, l'intero battaglione si rimise rapidamente in marcia. Il timore era che l'improvviso silenzio dell'insediamento insospettisse la Confraternita, e i miliziani volevano mettere quanta più distanza tra loro e quel posto nel minor tempo possibile. La marcia verso il Castello sarebbe stata ancora lunga.

Tuttavia, una nota positiva veniva dal fatto che fossero riusciti a distruggere il jammer, il dispositivo responsabile di aver disturbato le loro comunicazioni. Una volta confermato ad Hancock il salvataggio avvenuto dell'altro comandante, iniziarono a coordinare i loro movimenti con quelli dei miliziani stazionati a sud, evitando le aree ritenute più pericolose dagli esploratori. 

Ci volle poco a stabilire che fosse più sicuro per loro viaggiare di giorno. Nonostante le truppe nelle ore diurne fossero innegabilmente più attive, spostarsi al buio avrebbe fatto correre loro il rischio di essere individuati per colpa della luce emessa da Grognak.

Danse si era preparato ad una marcia dura. Per arrivare al Castello, anche cercando di prendere una via più lunga, avrebbero dovuto comunque passare nelle vicinanze dell'Aeroporto e delle aree più calde del conflitto: il loro numero, discretamente folto rispetto ad un plotone standard, li rendeva bersagli facili da individuare a prescindere dall'ora in cui viaggiavano. Per i primi giorni lui, e il resto dei miliziani che avevano abbastanza esperienza alle spalle da saperlo, si erano preparati al peggio. Aiutava il fatto che avessero portato via dalle rovine fumanti di Bunker Hill una grossa quantità di armi e munizioni, andando a rimpolpare le proprie risorse: se fossero stati costretti ad ingaggiare il nemico, per lo meno, non sarebbero stati impreparati.

Con loro somma sorpresa, tuttavia, non accadde nulla del genere.

La strada era stata sorprendentemente sgombra, tenendo conto anche delle deviazioni che avevano fatto prendere loro gli esploratori. Nessun battaglione della Confraternita in vista; niente saccheggiatori; niente ghoul, nemmeno quando erano passati vicino ad un vecchio cimitero noto per averne ospitato in passato qualche colonia. Non abbassarono mai la guardia, ma la loro vigilanza fu, fondamentalmente, sprecata.

Nessuno di loro ebbe bisogno di tanti giri di parole per rendersi conto che ci fosse qualcosa di molto sospetto in quelle circostanze.

Il viaggio durò due giorni, e una volta giunti al lembo di terra che separava il Castello dal resto di Boston Danse fu colto dal terribile presentimento di stare per ricevere un'imboscata alle spalle; ma anche quell'ultima traversata avvenne senza incidenti, e attraversarono le porte dell'antica fortezza in due file ordinate. Lo Strider, dal canto suo, occhieggiò la minuscola apertura con sdegno, prima di decidere di affrontare il problema come un gatto e superare la cinta di mura arrampicandovicisi.

L'aver adeguatamente avvertito i miliziani di stanza alla fortezza per tempo si rivelò essere stata un'ottima scelta strategica: nessuno svenne.

Tuttavia, a parte il sollievo per quella piccola vittoria e per il fatto di essere riusciti ad attraversare mezza città con un battaglione e un gigantesco mostro mutante al seguito senza incidenti, Danse non si sentiva tranquillo. Ignorò quella che pareva essere una calorosa reunion tra Valentine, Hancock e Preston, limitandosi a guardare i miliziani sigillare la porta che avevano appena attraversato con cura.

Sobbalzò quando Duncan gli rivolse la parola, non avendolo sentito avvicinarsi. -Ti aspetti guai?- chiese, ignorando la sua reazione e guardando a sua volta la porta con apprensione.

L'uomo gli rivolse un'occhiata di soppiatto. Il ragazzo aveva un'espressione seria. Aveva apprezzato molto, mentre erano stati per strada, l'apparente stato pacifico della città: lui e Shaun ne avevano approfittato per parlare per ore con MacCready, che nonostante l'iniziale terrore aveva finito per approfittare della stazza di Grognak per viaggiare sul suo dorso e recuperare le forze. Tuttavia, Danse sapeva che Duncan era troppo sveglio per non capire che quella situazione era strana.

-Siamo in guerra- risolse di rispondere alla fine, riponendo il proprio fucile sulle spalle. -I guai sono all'ordine del giorno.-

-Duh- fece l'altro, sarcastico. -Ok, questa era la risposta filosofica. Adesso, dammi quella che m'interessa sentire- insistette.

Un angolo delle labbra di Danse si piegò alla sfrontatezza del ragazzo. -Non è nel modus operandi della Confraternita, lo stare in silenzio- replicò. -Tuo padre deve averti raccontato del no... loro approdo nel Commonwealth.-

Duncan annuì, facendo una smorfia. -Stanno tramando qualcosa.-

-Molto probabile. Ma senza informazioni certe, non posso fare nessun tipo di speculazione.-

-Di che state mormorando, voi due?- abbaiò Hancock, con un braccio scheletrico ancora attorno alle spalle di MacCready (la cui faccia si era sgonfiata nel giro di quel paio di giorni). -Piano coi musi lunghi. Siete appena arrivati! Vi devo imbottire di Daytripper?-

-Non dare quella merda a mio figlio!- lo rimbrottò MacCready.

Gli occhi innaturalmente neri del ghoul si spalancarono in un'espressione di sorpresa che Danse, se avesse avuto un senso dell'umorismo più spiccato (e fosse stato abbastanza uomo da ammettere di averlo), avrebbe definito ridicola. -Quello è tuo figlio?- fece, guardando prima l'uomo che aveva al proprio fianco, poi Duncan. -Quello è Duncan? Il piccolo Duncan? Quello che mi ha vomitato sulle scarpe quando ha conosciuto Cait perchè era così imbarazzato da sentirsi male?-

-Hey!- cercò di interromperlo il ragazzo in questione, ma troppo tardi per impedire a Danse di sentire. Non riuscì a trattenere una risatina, che quando Duncan notò, gli fece guadagnare un'altra protesta e il tentativo di ficcargli un gomito ossuto tra le costole. Il braccio rimbalzò, inoffensivo, contro la sua armatura, ma Danse si spostò comunque, cercando di evitare i dolorosi colpi agli stinchi che sapeva Duncan sapeva tirare, ancora divertito dall'immagine.

-Huh- sentì borbottare Hancock quando il ragazzo, alla fine, si arrese e preferì tornare dal proprio mutante per evitare altri imbarazzi. Danse si voltò a guardare i due comandanti a quel punto, ma il ghoul stava parlando con MacCready. Disse qualcosa che non potè sentire, ma ciononostante non gli sfuggì l'improvviso indurirsi dell'espressione dell'umano.

Danse venne distratto da un miliziano in cerca di Piper, e non li vide allontanarsi.

---

Dopo aver dato qualche ora di tempo al gruppo per riposarsi un poco e lavarsi dalla polvere e dalla sporcizia della strada, Hancock e Preston richiesero immediatamente la loro presenza in una delle poche sale dotate di porte del Castello.

Danse, a volerla dire tutte, era abbastanza sorpreso di essere stato convocato a sua volta. Ci aveva pensato, nella relativa privacy garantita dalla tenda sdrucita che separava la branda che gli avevano assegnato dalle altre.

Il suo compito era, in teoria, terminato. Aveva (avevano) trovato Valentine, e lo aveva ricondotto dai Minutemen, esattamente come aveva chiesto MacCready mesi prima. Non c'era ragione per cui dovesse trattenersi presso i miliziani: anche se quella missione era stata il prezzo del suo asilo, le circostanze erano certamente cambiate nel giro di quei mesi di guerra. Nulla avrebbe impedito a Danse, almeno in teoria, di poter lasciare le file dei miliziani.

Sì, ma per andare dove? La relativa sicurezza di Diamond City era stata forzatamente rimossa dalla rosa delle possibilità, gli abitanti chiusi in un Vault che non avrebbe aperto le porte senza una dannata buona ragione. E un synth qualsiasi non lo era. Qualsiasi altro insediamento era una fortezza di miliziani, e recarvicisi non sarebbe stato diverso dal rimanere al Castello. DC era fuori discussione; del Nord, Danse non voleva più vedere nemmeno un remoto fiocco di neve, se avesse potuto. C'erano comunità di superstiti ad Ovest, ma l'ombra della Confraternita era presente anche lì -e sapeva per certo fossero ammiratori del metodo Maxson.

Si chiese se una vita da eremita non potesse essere una soluzione, a quel punto. Non era certo esistesse una comunità umana in grado di accoglierlo senza rischi. Tanto valeva, giunti a quel punto, evitarle tutte. In fondo, non poteva dire di condividere abbastanza umanità con esse da meritare di poterne far parte.

Quelle riflessioni, tuttavia, erano state interrotte dalla chiamata dei Comandanti. Danse aveva abbandonato i suoi oggetti sotto la branda (non temeva, si ritrovò poi a pensare, che sarebbero stati rubati), e aveva seguito il miliziano attraverso i corridoi fino ad una sala ottagonale, simile in dimensioni alle altre stanze che si trovavano in corrispondenza di uno dei bastioni del Castello.

Tuttavia, laddove le altre avevano ospitato spazi evidentemente comuni, come una mensa o uno dei tanti dormitori che ospitavano i miliziani, questa era stata concepita per un uso diverso. Entrando, Danse vide che era arredata con più cura del resto della fortezza. I mobili erano principalmente di legno, curati nonostante gli evidenti segni del tempo. Alcuni scaffali erano, con sua somma sorpresa, colmi di libri - libri veri, con i titoli leggibili o scritti sul dorso in pennarello, in una calligrafia che non riconosceva. C'era un sistema radio spinto in un angolo, vicino all'ingresso di un'area che Danse non aveva mai visto, ma che era sigillata dietro pesanti portoni che avevano un'aria più recente del resto del mobilio.

La sala era dominata al centro da un grande tavolo coperto da mappe e segnalini che avevano l'aria di essere stati ricavati da materiali di fortuna (pur essendo, nella loro semplicità, comunque funzionali). I Comandanti erano già riuniti attorno al tavolo, insieme a Shaun, Duncan e Valentine. Piper li raggiunse pochi secondi dopo il suo arrivo, affiancandolo immediatamente alla soglia.

-Eccoci- fece, includendo anche Danse come se fosse la cosa più naturale del mondo. -Che novità ci sono?-

-Un po', e non tutte positive- rispose gravemente Preston. -Ma almeno abbiamo potuto riceverle. Ottimo lavoro con quel jammer. Speriamo non ne abbiano altri nascosti in giro: sarebbe un pessimo momento per incappare in altri problemi radio.-

-Li avrebbero usati, se quello fosse stato il caso- replicò Danse. -Dev'essere una tecnologia su cui hanno messo le mani solo di recente. Potrebbe volerci tempo prima che riescano a replicarla.-

-Allora conviene colpirli prima che possano farlo- affermò Hancock.

-E come facciamo? Il grosso dei nostri sta qua. L'Aeroporto non è proprio ad un tiro di schioppo, e nemmeno il Mare Splendente. Qual è il piano?- chiese Piper, chiaramente sicura che ne avessero già uno.

-Beh, prima di tutto dobbiamo assicurarci il controllo dei missili, sì- rispose Preston, avvicinandosi alla mappa. - Valentine ci ha spiegato il funzionamento del sito di lancio. Non abbiamo molti ghoul tra le nostre file, ma possiamo formare due squadre per poterli occupare entrambi. Saremo un po' ristretti coi numeri, ma non ci aspettiamo resistenza ostile ad eccezione di... beh, del Mare Splendente, insomma. Dovremmo poter mettere al sicuro entrambi i posti.-

-"Dovremmo"?- si intromise Danse prima di potersi mordere la lingua, dubbioso.

MacCready fece una smorfia, anche se non sembrava dovuta al fatto che Danse avesse parlato, bensì a quello che stava per dire. -Lo ha detto Preston. Abbiamo pochi ghoul, e meno ancora in grado di far funzionare qualcosa di più tecnologico di un fucile a pompa- spiegò. -Valentine non ha il dono dell'ubiquità. Dobbiamo sperare che le comunicazioni reggano, e mettere dall'altra parte uno che sappia seguire le sue istruzioni. Non è un buon piano... ma è il massimo che possiamo fare.-

-Credevo fosse chiaro che sarei andato io al secondo sito- si intromise Shaun, con tono aspro. - La tecnologia del bunker è fuori dalla portata di qualsiasi ghoul. Se dovesse commettere un errore ci potrebbe condannare tutti a morte certa. Io so come farlo funzionare.-

Era una discussione che, evidentemente, gli altri Comandanti si aspettavano, se le occhiate che si erano scambiati erano di qualche indicazione.

MacCready non le notò e replicò, irritato. -Nessuno dei miei figli andrà in quel posto maledetto fino a che io avrò fiato per impedirglielo. Fine della discussione- disse.

-No, fine un bel niente- obiettó Shaun. -Sono venuto apposta per questo preciso motivo! Il bunker è collegato al sito di lancio da un sistema estremamente complesso. Chi può dire cosa abbia danneggiato il tempo? Nessuno dei vostri uomini ha abbastanza esperienza da poterci mettere delle pezze e mantenerlo stabile abbastanza da farlo funzionare.-

MacCready stava per ribattere, ma Hancock lo anticipó. -Il ragazzo non ha torto, Robert- disse, la voce gutturale che pareva aver assunto un tono conciliante.

-Shaun ha ragione. Abbiamo bisogno di lui. Sarà scortato dal resto dei ghoul, e stiamo finendo di mettere assieme il suo equipaggiamento- aggiunse Preston.

-Posso combattere, Robert- insistette Shaun.

-Poi ci sarò pure io a tenerlo d'occhio! Non credo che ci siano merde dure abbastanza da tener testa a Grognak, anche in quel posto- aggiunse Duncan.

MacCready, la cui espressione fino a quel momento aveva assunto una nota sempre più sconfitta, si richiuse immediatamente, in maniera tanto repentina e visibile che Danse avrebbe potuto paragonarlo a una porta sbattuta. -Non andrete entrambi!- obiettó, indicando entrambi i figli.

-Duh. Certo che ci andremo. Terrò mio fratello al sicuro meglio di qualsiasi vostro uomo!- Duncan esitò. - Uh... ghoul. Non che non siamo bravi, intendo. È che sono molto più tranquillo se andiamo insieme...!-

-Siete appena tornati! E con un affare del genere al seguito attirereste l'attenzione come se aveste un faro attaccato alle chiappe. Quest'idea non va bene. Non manderò i miei figli con solo un paio di guardie nel Mare Splendente!- protestò di nuovo MacCready.

La discussione degenerò a quel punto. Era chiaro che entrambi i figli condividevano col padre la cocciutaggine, anche se in teoria uno non aveva alcun legame di parentela biologico: ma erano comunque inamovibili, e nemmeno i tentativi di Preston e Hancock di riportare l'ordine parevano star avendo successo.

Valentine scoccò a Piper un'occhiata eloquente e si accese una sigaretta.

Danse non comprendeva quella mancanza di apprensione riguardo la discussione. Stavano perdendo tempo a battibeccare sulla logistica, quando era chiaro come il sole che la Confraternita stesse pianificando qualcosa alle loro spalle! Ogni secondo perso in quella lite inutile era terreno che i loro avversari potevano star guadagnando in quel preciso istante.

Danse era tentato di intervenire, cercare di riportare l'ordine, ma i suoi stessi dubbi riguardo il suo attuale allineamento con i miliziani lo trattenevano. Prima aveva parlato prima di potersi fermare, e anche il suo intervento non era stato accolto in maniera ostile, Danse era certo non fosse stata sua competenza farlo. Ma la frustrazione per quella perdita di tempo non era indifferente.

Prima che potesse risolvere il suo dubbio, una voce parlò dalla sua immediata destra, facendolo sobbalzare visibilmente. -Aw, che bello vedere che certe cose non sono cambiate- disse, con tono mellifluo.

-Merda!- fece Hancock, e a giudicare dalle espressioni del resto del gruppo, nessuno dei presenti aveva visto entrare il nuovo arrivato. -Cristo, Deeks! Ti devo mettere addosso un campanello, o qualcosa.-

-Credevo che prima di fare certe proposte un gentiluomo dovesse almeno portarmi prima fuori a cena- commentò quello che Danse aveva riconosciuto come lo strano tizio con gli occhiali da sole che aveva visto mesi prima, a Goodneighbor. Era... identico: stessi abiti, stessa pelata, stessa macchia scura sul ginocchio del calzoni. Come se non fosse passata un'ora da quel giorno di mesi fa.

-Che ci fai qua, Deacon?- fece MacCready con tono burbero. -Credevo che dopo quella storia di Diamond City, voialtri foste spariti dalla faccia della terra. Che fine avete fatto?-

-Nessuna fine! Solo onesto lavoro non retribuito che ci ha tenuti terribilmente impegnati, come voi tutti del resto- rispose Deacon, facendo un cenno col capo come se avesse fatto un'occhiolino a MacCready. Ma non avrebbe avuto senso: portava gli occhiali da sole.

-Cazzate- borbottó Valentine attorno alla sigaretta, prima che Danse potesse risolvere il mistero.

-Sei sempre cattivo con me, Nicky- si lagnó l'uomo, assumendo un tono irritante. -Ma non ho tempo di piangerci su, adesso. Sono venuto ad avvertirvi. Liberty Prime è pronto a decollare.-

Ci fu, a quel punto, qualche secondo di incredulo ed atterrito silenzio mentre i presenti assimilavano quell'informazione. Danse stesso ebbe bisogno di qualche momento per afferrare completamente la cosa.

-... ma... ma come?- fece Piper, con voce piccola. -Sono arrivati al deposito prima di noi? Non capisco.-

-Nah. Abbiamo occhi a sud, sai, per avere tipo un minimo di preavviso se arriva qualche rinforzo grosso a farci fuori tutti dall'entrata sul retro, e lì non si muove una foglia da mesi.-

-Non gli servono- aggiunse Danse, strofinandosi la barba mentre pensava. -Le armi nucleari sono solo parte dell'equipaggiamento d'ordinanza di Liberty Prime. Non una parte piccola, ecco, ma ha altro a sua disposizione. Con il supporto delle truppe terrestri, può fare ugualmente molti danni.-

-Se questo è il caso, perché non l'hanno usato prima, allora? Credevo che il problema fosse che fosse disarmato- chiese MacCready.

-Era uno dei problemi. Oltre al fatto che fosse privo dei suoi armamenti tradizionali, aveva guasti agli attuatori e ai sistemi di propulsione, che lo rendevano troppo instabile per poterlo inviare sul campo di battaglia. Tuttavia... la Confraternita non pecca di ingegneri eccellenti. Erano già al lavoro prima ancora del mio... allontanamento... per trovare una soluzione alternativa. È plausibile che in questi mesi abbiano riparato i guasti e siano riusciti ad alterare l'equipaggiamento del robot per renderlo utilizzabile anche senza le sue armi principali- rispose l'altro.

-Quindi siamo fregati- concluse Hancock. -Missili o no, se quel coso viene qui siamo carne da macello.-

-Non necessariamente- intervenne Deacon. In tutta quella conversazione non aveva perso il suo sorrisetto mellifluo, e Danse non riusciva a decidere se farsi venire la pelle d'oca o sopprimere la tentazione di levarglielo violentemente dalla faccia e fargli ingoiare qualche dente, per buona misura. Come se avesse potuto percepire che i suoi pensieri lo riguardavano, l'uomo in questione si voltò verso di lui. -Ottimo lavoro a Bunker Hill, a proposito. Siete capitati proprio a fagiolo.-

-Cosa c'entra questo con Liberty Prime, Deacon?- chiese MacCready, col tono esasperato di uno che si stava avvicinando al limite della propria pazienza.

-C'entra. Perché per tirarti fuori dalla tua piccola torre d'avorio, i nostri amici qui ci hanno fatto guadagnare un pizzico di prezioso, preziosissimo tempo- spiegò Deacon, avvicinandosi al tavolo. - Ho altre notizie, e un piano. E stavolta, cercate di non interrompermi.-

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Quella sera vide Danse seduto su uno dei bastioni che si affacciavano sulla strada che conduceva al Castello, accompagnato da Duncan. Non era sicuro del perché non fosse attaccato minuto per minuto al padre, ma sospettava che la ragione avesse a che fare col fatto che l'uomo fosse sparito nelle viscere della fortezza poco dopo il termine della riunione.

Insieme, guardarono il gruppo attraversare le porte del Castello. Si trattava di una ventina abbondante di persone in tutto: synth, principalmente, ma anche un manipolo di individui che in anni passati Maxson sarebbe stato ben felice di poter schiaffare dietro le sbarre. Se i Minutemen si erano macchiati solo in tempi recenti di troppa tolleranza verso i costrutti dell'Istituto, quelle persone erano, al confronto, criminali incalliti.

-Credevo fossero di più. Quelli della Railroad, dico- disse Duncan, rompendo il silenzio. -Sai, con tutto quel fatto che Deacon dice che hanno occhi ovunque, e via dicendo. Questi mi sembrano un po' pochini.-

-Avranno lasciato molti di quegli occhi sul campo- ipotizzò Danse, senza togliere gli occhi dai nuovi arrivati. -Questi saranno solo gli agenti di cui hanno potuto privarsi. O forse fanno parte di un altro tipo di unità.-

Duncan fece spallucce, e per qualche secondo non disse nulla. Poi: -Sapevi dell'attacco a Far Harbor?-

-Ero ancora un Paladino quando è avvenuto. Non era una mia operazione, ma ho aiutato a pianificarlo- rispose Danse. Indorare la pillola non sarebbe servito, non con quel ragazzo. Meglio essere diretti.

L'espressione di Duncan si indurí minutamente, uno spasmo simultaneo che Danse colse solo perché aveva spostato per un momento la sua attenzione dalla strada al ragazzo. - E i synth?-

Danse, di nuovo, non esitò a rispondere. –Non sapevamo dell'esistenza della colonia. La sua presenza ci venne rivelata solo in seguito, da dei civili che speravano forse di sfuggire all'epurazione offrendo in cambio informazioni. Gli ufficiali responsabili decisero di appropriarsi anche di Acadia e delle sue risorse, ma non trovammo nessun synth al suo interno, al contrario di quanto ci avevano promesso gli informatori... ad eccezione di uno morto, un vecchio modello, pesantemente modificato.- Fece spallucce. –Non c'era modo di recuperare nessun tipo di intelligence dalla sua memoria, era stata completamente distrutta. A parte qualche appunto per gli ingegneri riguardo le sue specifiche fisiche, non ricavammo nulla di utile dal suo cadavere.-

-Quello che avete trovato era DiMa. Ricordi? Piper e zio Val avevano accennato a lui, un po' di tempo fa- disse Duncan, con tono inespressivo –cosa strana, per il giovane. Danse gli dedicò a quel punto più attenzione, e trovò la sua postura tesa: era seduto sul parapetto del bastione, dando le spalle alla strada. Teneva le mani in grembo, ma erano chiuse in pugni stretti che gli sbiancavano le nocche.

-Mi ricordo, sì- rispose l'uomo. –Il terzo confidente di Nate.-

-DiMa era un synth fottutamente speciale- continuò Duncan. –Aveva una quantità di conoscenza e sapere dentro la sua testa... nessun umano può pensare di sapere anche solo una frazione di quanto sapeva lui. DiMa esisteva da... un secolo, che ne so. E aveva tutti i suoi ricordi. Non s'era mai scordato niente. T'immagini quanta roba aveva in testa? Quanta esperienza?

-Era naturale che, a uno così, a Nate facesse comodo chiedere consiglio.-

-Era stato creato dall'Istituto in ogni caso- obiettò Danse, senza però avere un tono polemico. Stava, al momento, solo cercando di capire dove Duncan voleva andare a parare. –C'era davvero da fidarsi del suo giudizio?-

-DiMa era stato creato dall'Istituto, ma ne era anche scappato. Acadia era tipo... come si dice? La cosa più fica che abbia mai fatto in vita sua. Un posto dove i synth che scappavano potevano stare, senza doversi cancellare tutti i ricordi e fingere di fare le persone- spiegò il ragazzo. –Cercava solo di fare le cose in maniera da contenere il più possibile i danni da ogni lato. Per questo Nate si fidava. Vedevano le cose allo stesso modo, tipo. Solo che DiMa aveva un sacco più di prospettiva di lui.-

-Dunque, questi sono i synth di Acadia. I suoi protetti- concluse Danse.

-Sì. Non ti aspettare un granchè da loro, però. Sei un synth anche tu, è vero- e sentirselo ricordare ancora metteva a disagio Danse, nonostante fossero passati mesi da quella scoperta, -però facevi comunque parte della gente che li ha costretti a scappare. Distrutto il loro piccolo angolo di paradiso, eccetera eccetera. Volevano tutti un sacco bene a DiMa... specialmente Faraday.-

-Chi?-

-Il tizio con... ugh, lascia stare. Non credo vi incrocerete. Non se lui può impedire che succeda-. Duncan sbuffò, torcendosi le mani. –Ah, merda. Non sono bravo con questa roba. Quello che sto cercando di dire...-. Tacque improvvisamente, corrucciando le sopracciglia come se il parlare gli stesse costando un grande sforzo fisico.

Danse rimase in attesa, paziente.

In un altro tempo, avrebbe preteso che Duncan si sbrigasse. Stavano usando minuti preziosi di un tempo limitato: la fortezza vibrava d'attività per le preparazioni alla partenza che sarebbe avvenuta già domani, sia delle truppe dirette al Mare Splendente, sia del gruppo di infiltrazione diretto all'Aeroporto. Tutto parte del piano dell'uomo dagli occhiali da sole, Deacon, che nonostante le iniziali proteste eventualmente anche MacCready aveva accettato.

Duncan avrebbe dovuto essere all'armeria, ad equipaggiarsi e prendere una delle tute antiradiazioni che lo avrebbero protetto nell'ambiente ostile del Mare. Danse avrebbe dovuto essere con lui, a terminare la sua stessa preparazione per la missione che avrebbe dovuto portare a termine a sua volta. Entrambi, invece, avevano scelto di fare altro.

Sarebbe stato poco coerente, richiedere a Duncan di sbrigarsi quando stavano entrambi volontariamente procrastinando.

-Quello che voglio dire, è che mi dispiace- disse alla fine Duncan, rompendo il silenzio e sorprendendo Danse. Non era quello che il synth si aspettava, senza dubbio. –Quelli saranno certamente degli stronzi, con te. Anche se alla fine non è che sei tu responsabile del fatto che DiMa ha dovuto uccidersi. Stavi con la Confraternita, ok, è vero... ma che scelta avevi? Eri convinto delle cose che ti avevano detto. Erano cazzate, ma ne eri convinto. Non hai mica premuto tu il grilletto.

-E poi anche mio padre, e Shaun... sono sicuro che mio padre sia stato uno stronzo. Lo conosco... o per lo meno, so che siamo abbastanza simili su tante cose. Se decide d'avercela con te, ti rovina la vita. Sono uguale. E Shaun è stato un pezzo di merda fin dall'inizio, e continua ad esserlo, e gliel'ho anche detto perché se qualcuno non dice a quel tizio di darsi una calmata ogni tanto è capace di partire per certe tangenti che... cazzo, fa lo stronzo, ok?- Si passò una mano tra i capelli, in un gesto che tradiva la pulsione trattenuta di tirarseli. –E io... noi, domani, ce ne andiamo. In un posto di merda. E che ne so se torno indietro, da lì, dico. Shaun dice di sì, che non c'è niente di cui preoccuparsi perché non saremo così in profondità a sud come Nick, ma io conosco mio fratello, e ha paura pure lui.

-E ho pensato... credo...-. Esitò per una frazione di secondo prima di riprendere a parlare, come se temesse che, se si fosse fermato, non avrebbe più ricominciato. –Sono abbastanza sicuro che nessuno ti abbia chiesto scusa fino ad ora. O almeno fatto vedere un... che ne so, un minimo di cazzo di considerazione. Non è okay.-

Danse dovette attendere che le sue sopracciglia tornassero ad una posizione più regolare, da dove si erano arrampicate fin quasi ai capelli, prima di trovare qualcosa da dire al riguardo. -... non mi dovete niente- replicò. –Nessuno mi deve niente. Né tu, né tuo padre, né Shaun- elencò. –Io ero quello in debito. Ciò che ho fatto, l'ho fatto solo per rimettermi in pari con quanto mi era stato dato. Ciò non annulla minimamente il fatto che io abbia reso dei torti a tuo padre, o a Shaun, direttamente o indirettamente che fosse. Ho scelto di non guardare. Questo mi rende automaticamente responsabile.-

-Ecco, vedi, questo è il genere di cazzata che a Shaun piace- replicò Duncan, per nulla impressionato. –Tutta logica. Ma, vedi, il mondo vero non funziona così. E hai gente dalla tua parte, anche se fai finta che non serva o di credere di non meritartelo. E non puoi dire alla gente cosa deve pensare. Non funziona così. Quindi tu te ne puoi stare nella tua bolla di autoflagellazione quanto ti pare, e magari anche permettere a qualcuno di dirti che te lo meriti, ma a me 'sta roba non va bene. E mi tengo quello a cui credo bello stretto, io. Almeno fino a che non te lo sarai ficcato nella zucca.- Distolse lo sguardo Danse a quel punto, spostandolo su un punto oltre la sua spalla. –Hey, pa'.-

-Hey, Duncan- fece MacCready. Danse considerò un punto d'onore il fatto di essere riuscito a non sobbalzare. Non l'aveva minimamente sentito avvicinarsi. –Posso fregartelo un secondo, ragazzo?- chiese, facendo cenno a Danse.

Duncan fece spallucce.

All'uomo, evidentemente, bastò come risposta. –Ottimo. Vieni con me, tu. E Duncan, sbrigati a scendere all'armeria- aggiunse, dopo aver iniziato a camminare, certo che Danse lo avrebbe seguito dopo avergli dato l'ordine. Non sentì la risposta del ragazzo, ma ad una rapida occhiata Danse vide che s'era incamminato nella direzione opposta, dopo essere balzato dal parapetto.

Danse in realtà non era troppo sicuro di voler seguire MacCready. Certo, rispetto all'ultima volta che s'erano visti l'uomo aveva decisamente dato un taglio all'aperta ostilità con cui l'aveva trattato inizialmente: anche se si poteva dire che la differenza, in questo caso, era stata che MacCready aveva scelto, piuttosto, di evitare il più possibile di dover parlare con lui.

Ricordando le ragioni per cui gli aveva chiesto di partire alla ricerca di Valentine, Danse non stentava a credere che l'altro non avesse un granchè voglia di affrontarlo. Aveva, in fondo, riservato lo stesso trattamento anche a Piper: e il suo silenzio era più espressivo delle parole dirette.

Era anche vero però che si trovavano in una fortezza di persone che erano relativamente neutrali nei suoi confronti, ma nemmeno interessate a vederlo, per qualche ragione, ucciso e scaricato nel mare dall'altra parte delle mure. Almeno in teoria, non aveva troppo da temere su quel fronte.

Morale: non aveva idea del perché MacCready lo volesse, ma non poteva essere niente di terribile. Pur con una certa sfiducia, seguì il Comandante giù dal bastione e attraverso il cortile della fortezza.

-Hai già cominciato i preparativi?- chiese questo.

-Non ancora. La partenza è solo tra qualche giorno, e non sono così mal equipaggiato- rispose Danse con tono attentamente neutrale, incerto anche solo su come rispondere a MacCready. Doveva trattarlo come un superiore? In teoria aveva accettato di seguire il piano di Deacon, ma non era mai stato ufficialmente reclutato nei miliziani. –Volevo aspettare che i nuovi arrivati potessero far uso delle scorte, prima di metterci mano io stesso.-

-Buona idea. I synth sono... ne ho visto uno armato di una padella. Non so come abbiano fatto a sopravvivere- replicò MacCready, scuotendo il capo. Dall'alto della sua quindicina di centimetri di vantaggio e protetto com'era dalla visiera del suo berretto, Danse non riusciva a vederne l'espressione. –Non sarà un grosso colpo per le nostre scorte, però. Nate aveva messo su dei bei sistemi produttivi, sotto il Castello.-

-Producevate... cosa? Risorse?- chiese Danse, perplesso.

-Munizioni, armi, materiale raffinato. Non ho idea di come funzioni, ma a quanto pare non è troppo difficile mettere su una catena di montaggio e insegnare alla gente come fare ad assemblare la roba. Tanti miliziani non sono combattenti. Sono persone che si occupano di mantenere funzionanti i macchinari. Roba che noi non avete- aggiunse MacCready, inclinando il capo quel tanto che bastava per lanciargli un'occhiata da sotto la visiera. –Di solito, voi quelle cose ve le prendete, e basta. Tassa di protezione, no?-

Entrarono nel bastione che ospitava la sala della guerra. –Non sono più un Paladino, MacCready- disse Danse dopo qualche secondo di pausa, parlando lentamente. Era ormai ben oltre l'alterarsi: quelle erano storie vecchie.

MacCready parve, a quel punto, arrivare alla stessa conclusione.

-Hm. Hai ragione- replicò. –E ha ragione anche Duncan. È un po' scocciante sentirsi rimettere in riga da un ragazzino. Ma meglio così: almeno vuol dire che è più sveglio di me. Meglio che abbia preso da sua madre.-

-Stavi ascoltando?- chiese Danse a quel punto, un po' sorpreso dalla sua scortesia.

-Duh-, fece l'altro. Sì, Duncan era decisamente figlio di suo padre: oltre al vocabolario, ne era simbolo anche l'aggrottarsi delle sopracciglia, identico a quello del ragazzo e che ora MacCready portava, armeggiando con un mazzo di chiavi. –Non è che foste proprio in un posto privato. Ma non è quello di cui ti volevo parlare... ah, ecco. Qua di sotto- disse MacCready, aprendo la porta che Danse aveva notato poco prima, quella che pareva condurre sotto al Castello.

I suoi sospetti erano fondati: lui e MacCready imboccarono un tunnel e delle scale tagliate nella nuda roccia, con scalini piccoli e ripidi. –Era da mesi che non venivo qua. Dovevo controllare che fosse ancora qua, e che funzionasse- iniziò l'uomo. –In questo posto Nate teneva la roba che non poteva mettere nell'armeria comune. Armi particolari, documenti, roba così –cose di cui i miliziani potevano farsi poco, ma per cui non aveva altro posto e che lui non usava. Una specie di deposito di paccottiglia.-

Una volta terminata la rampa, arrivarono in quello che pareva un sistema di tunnel molto antico, costruito ben prima della Guerra: vecchio come il Castello, o forse di più. L'aria era colma di polvere, ma era sorprendentemente asciutta per essere così vicini al mare e sottoterra.

Non c'era silenzio: da qualche parte, lontano da loro ma sempre apparentemente nel sistema, si sentiva il rumore meccanico di aggeggi e ingranaggi –le catene di montaggio, menzionate prima da MacCready. Ma appunto, risuonavano lontane, in un'altra parte dei sotterranei.

Qui non c'erano segni recenti del passaggio di anima viva, a parte un'unica serie di impronte nella polvere –tirando ad indovinare, quelle che aveva lasciato MacCready stesso, se era sceso poco prima come aveva detto.

In realtà, a prescindere da quanto gli aveva appena detto MacCready, quel posto era del tutto anonimo. C'erano parecchi armadi e container spinti contro le pareti, protetti da grate di metallo e pesanti lucchetti, ma tutti erano chiusi e non mostravano segni di contenere nulla d'interessante. Alcune scatole, chiaramente prelevate da qualche laboratorio dell'Anteguerra e sigillate isolate dal resto del deposito, avevano disegnati sopra in maniera un po' abbozzata dei simboli di rischio biologico: ma come tutto il resto, erano coperte di polvere e avevano l'aria di non essere toccate da moltissimo tempo.

-Potrebbe esserci equipaggiamento utile, qui dentro- ipotizzò Danse, scorrendo con lo sguardo il deposito.

-Può essere. Ma Nate non ha lasciato un catalogo, o cose del genere. Aveva tutto in te... eeh... pciùh!- starnutì l'altro, avendo per lo meno la buona creanza di coprirsi la bocca con le mani. Danse trattenne un ghigno. –Agh. Stupida polvere. Dicevo, aveva tutto in testa- continuò, toccandosi la propria con un dito. –E siamo incappati in abbastanza roba strana in quegli anni da togliermi qualsiasi voglia di mettere le mani in una scatola e ritrovarmela bruciata, o sciolta, o chissà che altro. Qualcuno prima o poi ci ficcherà il naso. Certamente non io- concluse seccamente MacCready. –Comunque non era questo che dovevo mostrarti. Qua avanti c'è il resto, roba un po' più sicura. Sono abbastanza certo che a questo possiamo dare un'occhiata.-

Lo condusse oltre quel corridoio, in una sala più ampia il cui perimetro era sempre ridotto da una cancellata di metallo. Dietro ad essa, in scompartimenti, erano spinti altri container, ma anche e soprattutto delle sottospecie di manichini, tenuti assieme evidentemente da spago, nastro adesivo e preghiere: su di essi erano appoggiati abiti ed armature. –Roba che non si può piegare- spiegò MacCready, notando il suo sguardo. –Nate era una specie di gazza. Raccoglieva un sacco di merda. Un paio di questi li usava anche, quando il suo set solito non bastava. A noi interessa questa.-

Danse l'aveva già notata.

Era chiaramente un modello T-60, anche se pesantemente modificato, ben diverso d'aspetto rispetto ai modelli della Confraternita. Era carico di moduli, alcuni anche, notò, d'aspetto tecnologicamente molto avanzato; le parti esterne dell'armatura, anche se coperte di polvere, riflettevano la luce in maniera diversa da come l'avrebbe riflessa lo strato di protettore energetico standard delle armature della Confraternita.

Questo non valeva per la placca pettorale, dipinta di un blu ormai sbiadito su cui campeggiava, al centro, una stella bianca.

-Nate l'ha usata tipo una volta sola. No, aspetta... due. Quando è andato nel Mare Splendente con Nick- spiegò MacCready, aprendo il lucchetto che sigillava la grata. –Non è mai stato un tipo da armatura atomica. Troppo rumorosa. Ma Ronnie –la tizia che gestisce il Castello, non so se l'hai vista? Bassina, poco chiacchierona, ma sa farci con queste cose-, lei l'ha sempre tenuta funzionante. Oliata, controllato i sistemi, quelle cose là.- L'uomo fece cenno a Danse di entrare, ma lui rimase sulla soglia, appoggiandosi all'ingresso con una spalla. –Abbiamo gli attrezzi e una stazione di modifica, nell'armeria comune. Sono abbastanza sicuro che tu sappia farci le regolazioni necessarie per entrarci e farla funzionare. Anche le batterie non mancano.-

Danse aveva ascoltato, sì, ma per qualche secondo non rispose. Gli era difficile metabolizzare quanto MacCready gli stesse offrendo, e soprattutto formulare una risposta adeguata.

-... questa era l'armatura di tuo marito- disse, forse un po' stupidamente.

-Yup.-

-Non la posso prendere.-

-Perché no?- replicò MacCready, protestando ma senza veemenza, come se si fosse aspettato quella risposta. –È ferraglia...-

-È un'armatura magnifica- lo interruppe Danse, un po' scocciato dalla sua noncuranza.

-È ferraglia- insistette MacCready. –A meno che qualcuno non la usi. E qua nessuno è in grado di farne un buon uso. Nemmeno Garvey, ed è quello con un po' più addestramento di tutti. Tu ci sei praticamente nato, in una di queste cose.-

-Non è assolutamente ve...-

-Beh, ovvio che non è vero, no? Però eri nella Confraternita. Sono abbastanza sicuro che ci sia gente che abbia qualcosa di sessuale con 'sti ammassi di ferraglia. Sai meglio di tutti noi che farci.- Danse trattenne lo sdegno, anche se a fatica. MacCready dovette notare qualcosa nella sua espressione, a quel punto, perché sospirò e si strofinò gli occhi, con fare un po' sconfitto. –Ugh. Quello che sto cercando di dire... prendila come delle scuse, okay?- disse, con un po' troppa veemenza e aggressività per suonare veramente dispiaciuto. –Sono stato un pezzo di merda. E hai fatto un ottimo lavoro, a prescindere da quanto io sia stato... un pezzo di merda, appunto. E tra un paio di giorni dovrai fare una cosa più pericolosa forse pure di andartene senza uno straccio d'aiuto nel bel mezzo di un posto selvaggio a dar la caccia a un robot che nessuno ha visto da dieci anni-, e prese fiato a quel punto; ottima cosa, visto che Danse non sapeva se attribuire la colorazione rossa delle sue gote all'imbarazzo o alla mancanza d'ossigeno. –A chi dovrei darla? Duncan non può mettersela e andare su quel suo... sottospecie di... qualunque cosa sia quella belva. Shaun è troppo piccolo. I synth non la vogliono, e non li biasimo, onestamente. Qua non c'è nessuno di adatto. Io non me la metto, l'ho provata una volta e manco riuscivo ad alzare una gamba. La vogliamo mettere addosso a Deacon?- concluse, alzando le mani al cielo in un gesto esasperato. –Prenditela, e basta. Se devi andare a tirare un sasso al vespaio che ha Maxson nel culo, tanto vale che tu sia protetto.-

Ci fu qualche altro secondo di silenzio. Il ragionamento di MacCready non era così sbagliato in fondo.

Danse avrebbe dovuto accompagnare Deacon fino ai confini dell'Aeroporto e aiutare lui, e altri suoi due alleati, ad infiltrarsi al suo interno e destabilizzare le forze della Confraternita quel tanto che bastava a impedire loro di rilasciare Liberty Prime, prima che i loro uomini nel Mare Splendente fossero in posizione.

Era un compito che l'uomo aveva accettato senza troppi problemi, almeno inizialmente. Deacon a quanto pare non aveva avuto problemi, fino a quel momento, ad ottenere informazioni sulle mosse della Confraternita da fuori i confini della sua base: entrarci sarebbe stato un affare ben diverso, richiedente l'intervento di qualcuno intimamente familiare con il suo layout. Non c'era persona più adatta di lui per un compito del genere.

La sua professionalità e la sua innegabile e insostituibile conoscenza non avevano impedito a Danse di sentirsi decisamente ansioso nei confronti di quella prospettiva. Sarebbero partiti un paio di giorni dopo Duncan, Shaun e Valentine, per dare ai viaggiatori il tempo di uscire da Boston senza attrarre troppo l'attenzione sui loro spostamenti: ed era stato pronto a divorarsi il fegato, in quelle quarantotto ore.

Il suo contributo sarebbe stato fondamentale alla riuscita di una missione da cui dipendevano letteralmente le sorti dell'intero schieramento. La Confraternita era pronta a sguinzagliare Liberty Prime sul Castello. Era solo una questione di giorni. Danse e Deacon avrebbero dovuto impedire che questo accadesse. E solo a rifletterci su per una manciata di secondi, in quel sotterraneo polveroso, a Danse venivano in mente decine di modi diversi e cruenti in cui quella missione poteva fallire miseramente. Figurarsi cosa avrebbe potuto inventarsi in due giorni.

Forse, quel piccolo progetto l'avrebbe aiutato a distrarsi.

E a voler essere del tutto onesti, quell'armatura aveva un'aria splendida. Una suite così intimamente modificata, da una persona che chiaramente sapeva cosa stava facendo nell'installare quei sistemi –aspetta, quella era una HUD automatizzata?

-A Nate piacevi, sai- aggiunse MacCready. –Gli stavi simpatico. Gli scocciava solo che fossi così attaccato a Maxson. Era sicuro che se avessi avuto meno fumo negli occhi, avresti potuto darci una grossa mano con gli insediamenti. Aveva ragione, mi sa.-

-Mi serviranno degli attrezzi- iniziò Danse, con tono un po' esitante.

-Li abbiamo di sopra. C'è un'officina- replicò immediatamente l'altro, staccandosi dalla parete. Aveva un'espressione indiscutibilmente, odiosamente compiaciuta, ma Danse non sentì il bisogno di lamentarsi. –Vediamo un po' se riusciamo a portarcela. Ronnie l'ha tenuta oliata, te l'ho detto –dovrebbe esserci la maniglia di rilascio, là dietro...-

FINE PARTE DUE – ADUNATA

 

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Capitolo 18
*** Interludio ***





 
 

 

-Questo è il posto- disse la voce metallica, dovendo urlare per farsi sentire oltre l'ululare del vento.

Nick non fu da meno. –Sicuro, partner?- urlò, sentendo i suoi sintetizzatori vocali sfrigolare per il volume troppo alto. –I miei sensori non sono ancora fritti, ma sono sulla buona strada. Non vedo un accidente.-

-Di qua, di qua- fece la voce. La forma immensa dell'armatura atomica di Nate si stagliò contro la luce malata filtrata dalla tempesta di sabbia radioattiva, e lo girò fisicamente nella direzione giusta, prendendolo per le spalle. Lì, vide una struttura piramidale spuntare appena dalle raffiche, una sagoma appena più scura, indistinguibile nel momento in cui uno prestava poca attenzione.

-Quello è il Prescott Site? Dio caro, muoviamoci. Ho sabbia in posti che non credevo nemmeno di possedere- ringhiò Nick, ed assieme i due si fecero strada fino alla piramide.

Fortuna volle che, per lo meno, avessero approcciato la struttura dal lato giusto per incappare sull'ingresso. Era una porta blindata contenuta in una nicchia costruita dello stesso cemento armato del resto della struttura, che fornì loro finalmente un minimo di riparo mentre Nate armeggiava col pad che la sigillava.

-Odio questo posto- lo informò Nick. Alzò una mano automaticamente, in cerca di un cappello da premersi sulla testa, e fece una smorfia quando ricordò d'averlo perso da tempo.

-Anche io, amico- fu la distratta risposta di Nate, mentre cercava di far collaborare un tastierino concepito per dita non protette da suite di armatura metallica. Un "beep" arrabbiato glielo fece notare quando premette tre tasti contemporaneamente con l'indice. –Accidenti!-

-Lascia fare a me. Hai trovato il codice?- si intromise Nick, scivolando fisicamente tra il pad e Nate.

-Dovrebbe essere, 7-7-3-9-5 e il numero finale, o 9, o 3- rispose l'altro, con tono un po' imbronciato.

Nick inserì il codice, ripetendo tra sé e sé le cifre, e azzeccò al primo tentativo. Il lucchetto si aprì dall'interno con uno schiocco secco e sonoro. –Voilà. Sicuro di non essere un synth, Nate? Hai un certo savoir faire, con questi aggeggi- fece il robot, aprendo la porta per far passare l'altro in un gesto umoristicamente cavalleresco.

-Cazzo ne so, amico- fu la risposta.

Appena furono entrati e la porta si fu richiusa alle loro spalle, le chiacchiere furono messe temporaneamente in pausa. Nick e Nate ingaggiarono immediatamente i vecchi protocolli che erano stati inculcati nelle loro teste dall'addestramento rispettivamente poliziesco e militare, e si dedicarono a mettere in sicurezza la struttura. O per lo meno tentarono: il primo approcciol fu immediatamente bloccato da un'immensa porta di sicurezza, armata di pesanti lucchetti. Nella minuscola anticamera, non c'era nient'altro: né un pad per inserire una combinazione, né un tastierino sulla porta stessa. Solo una maniglia.

-... sai che ridere, se non si riesce ad entrare- borbottò Nick, avvicinandosi alla porta.

Nate non disse nulla: si limitò a mettere una mano sulla maniglia girevole e darle una forte spinta.

La maniglia cedette immediatamente, girando e aprendo i lucchetti con un rumore infernale.

L'elmetto inespressivo dell'armatura lanciò a Nick un'occhiata di ovvia intesa. La porta non era armata. Il sito era stato, in qualche modo, evidentemente compromesso.

-Perché questa porta era aperta, ma fuori...?- iniziò Nick, mormorando.

-Il sistema di sicurezza esterno è automatico. Genera codici da solo in un lasso di tempo prestabilito. Non è fatto per comunicare con l'interno- spiegò velocemente l'altro, anticipando Nick all'interno. –La cosa ci è utile per richiudere tutto, poi. È un sistema abbastanza obsoleto, ma vista la location non particolarmente sensibile il Pentagono non ha mai ritenuto opportuno armarlo in maniera diversa. Posso inserirci qualche trucchetto e renderlo molto più difficile da bypassare di così.-

Nick rispose con un grugnito d'assenso, e si inoltrarono nella struttura.

Si ritrovarono su delle passerelle affacciate su un silo, avvolti nella semioscurità. Una luce fioca veniva dal fondo del silo, da quelli che parevano riflettori alimentati a batteria nucleare, se la freddezza della luce era di qualche indicazione. Un flash aggressivamente arancione brillava a intervalli regolari assieme ad una sirena d'allarme, che risuonava sinistramente per tutta la cavità.

-Ah, merda.-

Il mormorio di Nate, affacciato sul bordo della pensilina più vicina, fece avvicinare Nick. –Attento ai bordi, amico. Questa roba è vec... buon Dio. Quelli sono missili- esalò Nick, sgranando gli occhi. Sul fondo del silo giaceva, in maniera quasi innocente, un cumolo di missili nucleari, abbandonati al suolo come i giocattoli dimenticati di un gigantesco bambino negligente. Ciascuno era rinchiuso in un bossolo stabilizzante, ma era evidente che alcuni erano stati danneggiati.

Nate fece l'inequivocabile gesto che indicava la necessità di scendere, e guidò Nick verso sinistra. La passerella di destra, infatti, giaceva accartocciata diversi metri più in basso.

Approcciarono la porta da cui suonava il clacson dall'allarme. Era una porta Maglock rinforzata, saldamente sigillata, ma con un fastidioso quando ovvio pulsante rosso posizionato giusto sulla parete lì di fianco. Nate non esitò a premerlo e la porta, obbedientemente, rilasciò il suo lucchetto e si aprì.

Dando sulla totale oscurità.

Nick dovette battere le palpebre un paio di volte quando Nate accese la torcia che aveva equipaggiata sul suo elmetto, rivelando una sala polverosa, delle console ormai spente, e altre rampe di scale. Per lo meno, la sala era vuota.

-Questa è una delle console di lancio- mormorò l'uomo dentro la suite, scendendo le scale con passo cauto nel timore che qualche gradino cedesse sotto il suo eccezionale peso. –Lo senti l'allarme, no?-

Nick fece per lanciargli un'occhiata un po' eloquente, ma si trattenne. C'era qualcosa, nel tono di Nate, chiaramente percepibile anche attraverso la distorsione metallica dell'altoparlante. Nick non avrebbe saputo identificare cosa, di preciso, ma c'era, e lo preoccupava.

Il suo amico, il suo partner, da che lo conosceva era sempre stato una roccia. Inamovibile, solido anche nei momenti di peggiore crisi, anche quando la ragione stessa dettava che si sarebbe pure meritato di dare un po' di matto. Nate era uno scoglio sicuro a cui, come spinti da una forza naturale, chiunque incontrava si appigliava e vi trovava un'incrollabile sicurezza. Nick lo aveva visto succedere: prima con Piper, che in Nate aveva trovato un amico fidato, quasi un fratello; poi con Robert, che più di altri il detective aveva intuito bisognoso di qualcosa a cui appigliarsi in un momento di cui non sapeva molto, ma che aveva capito essere molto duro. Cait la mercenaria era stata solo l'ultima di una serie di randagi di cui, senza apparente sforzo, Nate aveva iniziato a prendersi cura, senza trattarli come bambini bisognosi ma dando semplicemente loro la forza e i mezzi per fare qualcosa di utile delle loro vite. Nick non aveva vergogna ad ammettere di essere stato trascinato a sua volta, da quell'entusiasmo.

Lo conosceva meglio degli altri, in quel momento: sapeva delle sue sofferenze, del dolore cronico, della dipendenza che aveva da poco sconfitto. Nonostante tutti quei problemi, Nate non aveva mai mostrato, sulla sua impeccabile facciata, il benchè minimo segno di cedimento.

Possibile che ne spuntasse uno adesso?

Senza aggiungere altro dopo quella domanda, Nate si avvicinò ad un terminale. Era assicurato ad una parete, di fronte ad una porta pesantemente rinforzata e dotata di doppi lucchetti Maglock –quasi un'overkill di sicurezza. Lo schermo rispose immediatamente al suo comando, ma non mostrava segni di voler fare altro.

-"Stato del lancio: avviato"- recitò Nate con tono monotono dallo schermo. –Le porte tagliafuoco sono chiuse.-

-Che vuol dire?- chiese Nick, con un pessimo presentimento.

-Che il cannone è armato- rispose Nate. –Qualcosa ha interrotto il lancio. Non toccare niente, Nick- lo avvertì a quel punto, allontanandosi cautamente dal terminale.

Ovunque fosse, in quel cannone all'interno del sito c'era un missile nucleare, pronto ad essere scagliato. Le memorie frammentate del vecchio Valentine collassarono ferocemente con la sua mente di synth, inondandolo della sensazione impossibile di essere ricoperto di sudori freddi. –Dov'è il bersaglio?-

-Non ne ho idea- confessò Nate, quella nota di indescrivibile panico che rendeva il candore della sua ammissione ancora più terrificante. –Ma il raggio d'azione di questo sito non è molto ampio, e se le mie teorie sono corrette, i Cinesi sono arrivati dal mare. Potrebbe essere Boston, o i dintorni.-

-Che facciamo?-

Silenzio dall'armatura. La visiera inquietantemente vuota era inclinata leggermente verso il basso, fissa verso il pavimento, ma Nick non ebbe problemi ad immaginare che lo sguardo di Nate fosse perso nel vuoto, mentre rifletteva. –Il sito è stato compromesso. Non sappiamo cosa ha innescato la sequenza di lancio- iniziò. Il suo tono era diventato, improvvisamente, meccanico. Impersonale.

Nick avrebbe inarcato un sopracciglio, se ne avesse avuto uno. Ma Nate proseguì prima che potesse parlare. –Dobbiamo capire fino a che punto il bersaglio è stato compromesso, mettere in sicurezza il sito, e disinnescare la sequenza. La seconda parte dell'operazione comporterà il rinforzo dei sistemi di sicurezza presenti, interni, esterni e al sistema di lancio connesso con il bunker a nord. Poi procederemo a sigillare l'intera area.-

-E se non ci riusciamo?-

-Non prevedo un'alternativa del genere- fu la risposta.

Una seconda porta di sicurezza, identica a quella che avevano trovato al piano di sopra, stavolta si aprì sotto al comando di Nate, che la inforcò seguito immediatamente dal suo compagno synth. Nick non aveva replicato all'altro, preferendo tenere per sé i propri dubbi. Non era sicuro che Nate avrebbe voluto sentirli, al momento.

Continuarono a scendere, applicando con cura il loro addestramento per mettere in sicurezza di volta in volta ogni corridoio, stanza, pensilina su cui si muovevano. Nate imbracciò il suo fucile di precisione quando individuarono, qualche piano più sotto, dei ghoul ferali ancora in vita, se pur dormienti. –Possono essere loro ad aver attivato qualcosa?- mormorò Nick.

-Improbabile- rispose Nate.

Ogni console era morta. Il suo compagno le provava tutte, e incapparono in parecchie di esse, ma nessuna rispondeva ai comandi, non per errori di sistema ma per semplice mancanza di alimentazione. –Eppure la sequenza è innescata. Se l'alimentazione fosse stata tagliata, avrebbe dovuto disattivarsi, no? Non ci sono misure di sicurezza al riguardo?- chiese il synth, frustrato, dopo aver testato l'ennesimo marchingegno defunto.

-Sì. In mancanza di una console di controllo il lancio avrebbe dovuto disinnescarsi. Vuol dire che da qualche parte dev'esserci per forza un terminale funzionante- spiegò Nate, sempre con quel tono innaturale. –Continuiamo a cercare.-

Diversi piani più tardi, e con un senso di frustrazione ed urgenza crescenti, le preghiere di Nick furono esaudite. Un terminale acceso, in standby, giaceva tranquillamente su una scrivania a fianco dell'ennesima porta sigillata, precisamente sul fondo del silo: il sistema di raffreddamento della console al suo fianco mormorava, placido, intento a svolgere il suo prezioso lavoro da due secoli.

Nate si bloccò.

Fu qualcosa di talmente repentino che Nick, che gli stava coprendo le spalle, quasi andò a cozzare contro il deretano dell'armatura atomica. –Cos...-

-Il terminale. L'armatura mi impedisce di operarlo con la finezza richiesta. Ti copro le spalle- ordinò Nate, indicandogli la seggiola polverosa posta di fronte alla scrivania.

-Uh... okay, partner- fece Nick. Alzò le mani in un gesto conciliante quando Nate non diede segno di voler rilassarsi, e si sedette di fronte al computer.

-Recita cosa vedi sullo schermo, a voce alta- ordinò l'armatura.

-"Sentinel Site Prescott. Comandi di lancio... stato del lancio avviato, yadda yadda- iniziò il synth. Poi, a tono più chiaro: -"Annulla sequenza di lancio". È un comando!-

-È protetto da un codice? Richiede un holonastro per essere richiamato?- chiese l'armatura.

-Pare di no. Non c'è nessuna password richiesta- rispose Nick.

-Sospetto.-

-Se il sito è stato compromesso, può essere che qualcuno si sia già occupato prima di noi dei sistemi di sicurezza- ragionò il synth. –Ma il terminale pare genuino. Non noto segni di tampinamento.-

-Inserisci il comando.-

Nick non aveva bisogno di pensare a cosa esattamente potuto succedere se qualcosa fosse andato storto, in quel momento, ragion per cui si sforzò di non farlo, e inserì il comando nel terminale.

-"Sequenza di lancio annullata"- annunciò nel momento in cui il computer lo informò della cosa, contemporaneamente al sibilo che segnalava l'aprirsi di tutte le porte tagliafuoco.

Uno schianto nelle profondità della struttura, insieme al sibilo ben più tonante di immensi sistemi idraulici, accompagnò anche il silenziarsi del clacson d'allarme. Quando l'ultima eco del cannone che si disarmava fu dissolta, vennero lasciati nel silenzio totale.

Nick non osò muoversi fino a quel momento. Da parte sua, Nate pareva aver avuto la stessa idea –almeno, appunto, fino a quell'istante.

Altri sistemi idraulici, stavolta ben più vicini, fecero sobbalzare il synth, che fece in tempo a voltarsi sulla sedia giusto per vedere Nate capitombolare dal guscio dell'armatura atomica, allontanandosene strisciando al suolo con gesti febbrili. Il suo colorito, già pallido, era cinereo, e respirava con l'urgenza e il fischio pietoso di qualcuno che non riusciva ad inalare abbastanza aria nonostante facesse del suo meglio per provarci.

-Nate. Nate!- fece Nick, lanciandosi dalla sedia. Non poteva avere un malore –non in quel momento. Non era proprio l'occasione adatta per un saluto della sua crisi d'astinenza.

Gli si affiancò e lo aiutò a strisciare fino alla parete opposta, dove potè appoggiare la schiena. Nate aveva un'espressione allucinata e al contempo sofferente sul viso, gli occhi verdi sgranati che setacciavano prima il volto di Nick, poi ogni angolo della stanza, in un pattern irriconoscibile, come se vedesse ombre spuntare da ogni anfratto. –Nick...!- disse, dopo averlo guardato per la seconda volta e averlo apparentemente riconosciuto solo allora. –Nick... non posso... non riesco...!-

-Shush. Shush. Calmati, amico, calmo- cercò di rassicurarlo il synth, mettendogli due dita sulla giugulare mentre gli alzava il viso, indagando le sue pupille. Pareva essere solo (solo!) un attacco di panico.

Il synth gli fece mettere la testa tra le ginocchia, massaggiando cerchi sulla sua schiena e aiutandolo a sincronizzare il respiro con il suo contare –non aveva polmoni per aiutarlo a sincronizzarlo col proprio- fino a che, eventualmente, il suo battito non si fu calmato e Nate potè mantenere un ritmo di respiro un po' più simile all'umano e funzionante. Ci volle molto più tempo perché i suoi muscoli, visibilmente contratti sotto la tuta che indossava, iniziassero a rilassarsi, e quando lo fecero furono scossi da violenti tremori.

-Dio- esalò Nate. –Sto bene. Sto bene- insistette, quando cercò di alzarsi e Nick lo rispinse al suolo con un gesto gentile, ma secco.

-Lo deciderò io questo, Nate. Ma stai bene, sì. Voglio solo che tu stia ancora un po' seduto, ok?-

-Ma il sistema... dobbiamo essere sicuri che...- protestò debolmente l'altro, alzando gli occhi dal pavimento. Le incrostazioni di sporco e polvere che avevano coperto il suo viso erano segnate dalle tracce del passaggio di numerose lacrime, alcune che gli tracciavano ancora pigramente le guance prima di andare a perdersi nella barba.

Nick gli mise una mano nei capelli, appiccicati alla testa e al volto dal sudore. –Lo so. Do un'occhiata io, giusto per essere sicuri che non ci stia arrivando niente addosso. Ma non sento nulla di terribile tipo clacson, allarmi o esplosioni, e i miei sensori non stanno percependo segnali di vita, quindi credo che non stia per capitare nessuna catastrofe.-

Si tolse lo zaino dalle spalle a quel punto, ed estrasse una lattina di acqua purificata che aprì prima di passarla al compagno. –Bevi questa. A piccoli sorsi- si raccomandò, quando l'uomo la prese tra le mani tremanti. Il suo corpo aveva iniziato da poco a riprendersi dai segni della dipendenza e della sofferenza che aveva patito fin dal suo risveglio nel Vault, mesi prima. Le sue dita, avvolte nel tessuto tecnico scuro della tuta antiradiazioni, erano ancora terribilmente magre ed ossute. –Io vado a dare un'occhiata in giro. Quando torno, se ti senti meglio, puoi provare ad alzarti. Non voglio rischiare che ti venga un capogiro e tu ti prenda uno di questi spigoli in faccia. Robert non mi perdonerebbe mai.-

-Heh- ridacchiò debolmente Nate, un suono minuto e ferito. –Ok. Ti aspetto.-

Non ci volle molto al synth per iniziare e concludere un rapido setaccio della stanza. Richiuse, per sicurezza, le porte tagliafuoco che davano sulla parte più interna del silo: pur non percependo segnali, non voleva rischiare che qualcosa allertato dal rumore dell'apertura delle porte piombasse loro addosso. Il resto della ricerca rivelò un ascensore, ora funzionante una volta liberato dai sigilli imposti dal sistema di sicurezza, e solo macerie e vecchi scaffali.

Quando tornò da Nate, l'uomo aveva assunto una posizione più comoda, rilassato contro la parete a gambe incrociate.

-Tutto pulito-, annunciò il synth, tornando a sedersi al suo fianco. Allungò una mano nel suo spazio vitale, chiedendogli il permesso con lo sguardo, e appoggiò ancora due dita alla sua gola quando Nate glielo concesse.

-Mi dispiace- disse l'uomo, la voce che vibrava contro le sue dita e un'espressione genuinamente disgustata con se stesso.

-Di cosa?- chiese Nick, con tono serio. Aveva abbastanza esperienza con gli attacchi di panico da sapere che limitarsi a far finta di nulla, o rassicurare con troppa insistenza Nate, avrebbe ottenuto l'aspetto contrario. I sensi di colpa erano brutte bestie.

-Cos... come, di cosa. Di questo! Ho avuto un fottuto attacco di panico in una struttura potenzialmente piena di ostili e a pochi metri da un cumulo di bombe atomiche pronte al lancio. Non c'è niente di cui non dispiacersi-, protestò, guardandolo con fare incredulo.

-Sono abbastanza sicuro che come e quando avere un attacco di panico non sia il genere di cose che si possa scegliere- replicò Nick, togliendogli di mano la lattina vuota. –Hai avuto una reazione a cui non avresti potuto porre nessuna pezza. Ma sei riuscito a interrompere la sequenza di lancio, e non hai compromesso la missione, Nate. Va tutto bene. Non hai fatto niente di sbagliato-, continuò, mettendogli una mano sulla spalla.

-E se così non fosse stato? Se dietro quella porta ci fosse stata un'orda di ghoul, e io fossi stato troppo impegnato a cacarmi sotto per fermarli?- insistette Nate, scuotendo il capo, gli occhi che andavano ovunque tranne che sul synth.

-Ma non è andata così- ripetè fermamente Nick. Gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarlo. –Piantala di cercare di darti la colpa di una cosa su cui non hai nessun controllo. Va tutto bene. La crisi è passata. Non hai compromesso nulla, e stai bene, che è la cosa più importante. Possiamo procedere al resto dell'operazione, come avevi detto.-

L'espressione di Nate, che si era fatta progressivamente più vicina ad un tentativo di versare altre lacrime, si fece all'improvviso un po' vacua.

-Il piano?- gli suggerì Nick. –Quello che mi hai riferito poco fa, su cosa dobbiamo fare?-

-C'è la possibilità che io mi sia trovato in uno stato di... dissociazione, poco fa- ammise Nate dopo qualche secondo. –Ricordo che siamo scesi. Mi ricordo i terminali, ma... non sono del tutto sicuro di cosa ho detto.-

Nick chiuse gli occhi, mettendo da parte quell'informazione tra le Cose Di Cui Sarebbe Stato Necessario Discutere In Separata Sede. –Abbiamo disinnescato la sequenza di lancio. Dobbiamo finire di mettere in sicurezza questo posto, e poi procedere all'installazione di sistemi di sicurezza nuovi, anche con le comunicazioni al bunker.- Nate annuì, anche se non pareva esserci nessun segno sulla sua espressione a indicare che si ricordasse qualcosa. –Poi, finito questo, dobbiamo sigillare tutto.-

-Chiaro. Okay. Mi sembra un buon piano- disse, annuendo. Aveva ripreso colore, anche se lo stato della sporcizia dei suoi capelli e del suo viso per il momento era irrecuperabile.

-Te la senti, di alzarti?- chiese Nick.

Nate considerò la cosa con la giusta cautela. –Sì- disse alla fine.

Il synth lasciò che l'umano si issasse da solo, rimanendo vicino solo in caso che avesse, per qualche ragione, perso l'equilibrio. Nate si prese qualche secondo per tornare familiare con la posizione eretta, prima di gettare uno sguardo significativo a Nick. –Grazie- disse.

-Dovere.- Il robot riprese la pistola dalla sua fondina. –Pronto a tornare in sella, cowboy?- fece, accennando all'armatura.

 

Nate la guardò con un misto di disgusto e rassegnazione. Odiava le armature, e se Nick avesse avuto dei sensori olfattivi funzionanti, avrebbe capito perché. –Ugh. Sissignore.-

 

---

 

Saltò fuori, alla fine, che c'era eccome un orda di ghoul ad aspettarli, poco lontano dalla porta tagliafuoco. Le imprecazioni che lanciò Nate, quando se li ritrovò improvvisamente di fronte (-Ecco perchè Robert odia queste merde!-), furono memorabili, anche se la pesante armatura gli impedì di sobbalzare visibilmente.

Ma non solo ghoul: Nick e Nate incapparono in Figli dell'Atomo, la maggior parte morti, con un solo esponente vivo -un tale a cui Nate non esitò a piazzare una pallottola tra gli occhi. L'uomo aveva ben poca pazienza con persone che avevano deciso, per qualche ragione a lui inaccettabile, di venerare la distruzione atomica.

Era un punto di vista comprensibile, considerata la sua esperienza personale con la cosa. 

Certo, questo attivò i dannati robot difensivi del folle, ma dopo un sanguinoso incontro di wrestling e laser con un Assaultron, i due riuscirono a liberarsi anche di quella minaccia.

Fortuna volle che, per lo meno, l'ufficio in cui il fanatico si era rintanato non fosse stato troppo danneggiato dallo scontro. Le console, tutte funzionanti e non colpite da proiettili vaganti, divennero il nuovo cucciolo di Nate, una volta che ebbero terminato di mettere in sicurezza il resto del sito.

Che si rivelò essere, una volta aperte le porte blindate, il deposito di centinaia di missili nucleari.

Fortunatamente, Nate non ebbe un ulteriore attacco di panico alla vista, anche se le memorie di Valentine fecero un notevole tentativo di spingere il robot in quella direzione (invano, ovviamente). Una volta richiusa la porta, i due tornarono all'ufficio, dove si dedicarono a mettere in sicurezza tutti i sistemi a cui fosse collegata quella console e il resto degli armamenti. Restava solo da attendere che il sistema di sicurezza nuovo di zecca terminasse di arrivare a tutte le console attive, si installasse, ed entrasse in comunicazione con quello installato più a nord. Un lavoro molto, molto lungo, visto che la manutenzione dei server di quel posto era in ritardo di circa duecento anni.

Ore dopo, Nate aveva finalmente concesso a Nick l'onore di dargli retta per più di cinque secondi, e aveva appoggiato la gamba su un'altra sedia oltre a quella su cui era seduto. Lo scontro con l'Assaultron aveva danneggiato una delle placche dell'armatura atomica, e una delle sue cosce ci aveva guadagnato una sgradevole ustione.

Ripulirla non fu semplice. Entrambi erano ricoperti di polvere e sporcizia, e non avevano molto in termini di disinfettanti. Anche scavare nelle riserve abbandonate dai vecchi abitanti del sito non aveva fornito loro un granchè. Pareva che quel folle fanatico avesse fatto un uso molto liberale delle sostanze chimiche contenute al loro interno.

-Odio quei matti- borbottò Nate, levandosi un ciuffo di capelli biondi dalla faccia con uno sbuffo. -Li odio. C'è un limite alla follia, e questi l'hanno ampiamente superato.-

-Non dico di non essere d'accordo. Ma non sono tutti ostili- ragionò Nick. -Non hai dato nemmeno tempo a quel tizio di parlare.-

-Cambia qualcosa? Era un pazzo scatenato fissato con la distruzione atomica in un deposito pieno di missili nucleari. In una situazione del genere, non m'interessa che ha da dire. I rischi superano di gran lunga le possibilità ottenute dalla diplomazia- replicò l'altro. Si tastò le tasche, poi fece una smorfia. -Cristo, ho finito le sigarette.-

Nick gli offrì una delle sue. -Mi chiedo come facciate tu e Robert per strada. Ho visto ciminiere fumare molto meno- commentò.

-Le razioniamo meglio- replicò candidamente Nate. -Quando sono da solo faccio più fatica a tenere il conto di quante ne consumo.-

-Quindi, che fa? Ti prende a sculacciate se ne fumi una di troppo?- L'altro gli lanciò uno sguardo incredulo, poi roteò gli occhi, in maniera non troppo dissimile da un adolescente irritato. Nick rise. -Ma, seriamente. Quel ragazzo ha un aspetto migliore, da quando ha iniziato a lavorare per te.- Ci riflettè un attimo. -Anche un odore migliore, se posso dare la mia modesta opinione.-

-Il naso non ti funziona- gli ricordò Nate con tono petulante.

-Mi sorprende che il tuo invece sia ancora a posto. Stando a sentire quello che avevano da dire gli altri, non dovrebbe- replicò il synth, imperterrito.

Nate, a quel punto, assunse un'espressione inaspettata. Qualcosa si addolcì, nel suo sguardo, e quasi come se se ne fosse accorto, l'uomo lo spostò da un'altra parte -troppo tardi, dato che Nick lo aveva notato.

"Oh. Ha preso una bella sbandata, altroché", si ritrovò a pensare il synth.

-Non era messo bene, prima, sì- ammise dopo un po' l'altro, parlando attorno alla sigaretta. -Lo so. Non sono cieco. È che...-. Parve lottare per trovare le parole. Nick immaginò che la sua esitazione fosse dovuta a un desiderio, molto probabilmente, di rispettare la privacy del mercenario. In fondo, non stavano facendo niente di più dignitoso del mero spettegolare.

-Mac non è stupido, ok? È in grado di prendersi cura di sè. Sa cosa bisogna fare. È solo che... a volte, la vita è una merda.- A Nick quella conclusione non pareva molto logica, e attese che Nate continuasse. -È una merda, e continua ad impilarti merda addosso, e... e boh. Per un po', provi a stare a galla. Ma arriva un punto, se non hai... capita che a volte, semplicemente, uno smette di fregarsene.-

Il synth in realtà s'aspettava che Nate andasse avanti, ma l'uomo pareva aver esaurito stralci di informazioni su quell'argomento. Era calato un silenzio triste, e un po' patetico. Non era proprio la direzione in cui sperava sarebbe andata la conversazione.

-Beh, ha un aspetto migliore, ora, come ho detto. Specialmente da quando siete tornati da quel viaggetto a Medford- lo punzecchiò Nick, cercando di riportare una nota allegra nella discussione. -Un po' di tempo via dagli insediamenti, dalle richieste di Garvey, per una missione privata... mi sembra un modo piacevole di passare del tempo in maniera produttiva, mh?-

Nate gli scoccò un sorriso sornione. -E scommetto che questa "maniera produttiva" olierebbe gli ingranaggi del pettegolezzo di Sanctuary per diversi mesi a venire, se un certo synth riuscisse a ficcarci adeguatamente il naso- lo stuzzicò Nate a sua volta.

Dal canto suo, il robot alzò le braccia in un gesto pacificatore. -Mai detto questo. Ma sappi che, se anche io sia ben lontano dall'essere una pudica verginella, ci sono cose che non vorrei mai sapere, nemmeno per la più grande ricompensa del mondo. Specialmente se riguardano te e quel ragazzo appartati in camporella.-

-Nick!- esclamò Nate, suonando genuinamente scandalizzato.

-Cosa? Hai cominciato tu!-

 

 

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Capitolo 19
*** Padri, figli, fratelli ***






 

Alle prime luci dell’alba, Duncan era già sveglio, intento a terminare di mettere la sella a Grognak.

Lo Strider aveva preso anche fin troppo bene il repentino cambio di habitat. A parte un certo, continuo problema con la luce del sole (risolto in fretta con di una fascia protettiva), il mostro mutante non pareva essere stato particolarmente infastidito dalle temperature più miti o dall’assenza di neve. Perdeva sempre la stessa quantità di pelo –vale a dire, immensa- e aveva un appetito quasi insaziabile.

Duncan era sollevato, a voler essere onesti. La preoccupazione che Grognak non riuscisse ad adattarsi al nuovo ambiente era stata tanta, ma il mostro aveva dalla sua l’adattabilità tipica di una creatura mutante e incassava cambiamenti senza darlo troppo a vedere.

Ciò non significava che li avesse accolti proprio tutti tutti senza problemi.

A Lost South Hero, gli Strider avevano avuto delle tane a parte rispetto al resto della città –luoghi tranquilli dove potevano condurre la loro vita più o meno selvatica senza avere troppe interazioni con gli umani. La loro grande intelligenza li rendeva abbastanza indipendenti da godere della privacy, quando ne avevano.

Era da settimane, però, che Grognak non aveva avuto nulla del genere. Già fin dalla partenza dalla città perduta, i suoi momenti di pace erano state le scarne battute di caccia che gli erano state concesse tra una sosta e l’altra. Per il resto, Grognak era sempre stato circondato, in un modo o nell’altro, da umani sconosciuti, e la cosa lo k aveva messo a profondo disagio nonostante le spiegazioni che Duncan gli avesse fornito nel tentativo di fargli accettare la situazione.

Anche in quel momento, mentre il ragazzo finiva di fissare la sella, Grognak mugolava, tenendo testa e orecchie basse in una chiara ed imperiosa dimostrazione di sdegno. Conoscendo la sua propensione ad essere molto drammatico, Duncan gli aveva già controllato le zampe, in cerca di vesciche o ferite, ma non vi aveva trovato nulla.

-Piantala di fare storie, ciccio- lo redarguì appunto, puntellandosi con un piede sul suo fianco per stringere una cinghia a dovere. –È l’ultima volta, te l’ho detto. Si fa ‘sta cosa, e poi puoi tornartene pure su a nord, se vuoi…-

Lo Strider lo interruppe con un ringhio sdegnato, come se non volesse nemmeno considerare l’opzione di girare i tacchi da solo.

Duncan si scostò quel tanto che bastava a guardarlo negli occhi, ora che aveva girato il testone nella sua direzione. –Beh, che vuoi? Non posso tornare su subito. Ho da fare qui, e poi c’è mio padre.- Fece una pausa a quel punto, genuinamente pensoso. –Anche se… mi manca un po’ Bianca…-

Grognak emise quel rumore cavernoso che indicava che si stava divertendo troppo, e a sue spese, per di più.

-Hey, fatti gli affari tuoi. Tanto so che manca anche a te. Pensi che non mi fossi accorto che ti portava dei bocconcini dalle cucine?- lo redarguì Duncan.

A quello, lo Strider parve ridacchiare più forte.

-Ugh. Codardo e traditore, ecco cosa sei.-

-Credevo foste tipo amici per la pelle-, si intromise la voce di Hancock dalle loro spalle.

Grognak gli soffiò. Non era particolarmente abituato ai ghoul, e quello aveva in particolare uno strano odore che non gli andava a genio. Ma Hancock accolse la sua aperta dimostrazione d’ostilità senza scomporsi, e si limitò ad alzare le spalle. –Non sei il primo che mi fa la voce grossa, né sarai l’ultimo- gli disse, senza veleno dietro le sue parole. Ma in ogni caso, mantenne una certa distanza.

L’altro ghoul che accompagnava Hancock, Daisy, seguì il suo esempio, occhieggiando però lo Strider con un certo nervosismo al contrario della pacata indifferenza del comandante. Duncan era abbastanza sicuro che la sua nonchalance avesse a che fare con una, o più, delle sostanze chimiche di cui era certo avesse il sangue pieno.

-Sei venuto a salutarci? Aw, sonny Johnny, che gentile.-

-Hey. T’ho detto di non chiamarmi così!-

-E io ti avevo detto di piantarla di raccontare cose imbarazzanti sul mio conto!- replicò Duncan, piccato.

Hancock scoppiò a ridere a quel punto –un suono sgradevole in realtà, per via della sua gola rovinata, ma comunque riconoscibile come tale. –Hah! Sei venuto su bene, ragazzo. Controllamelo come si deve, eh, Daize?- aggiunse, rivolto alla ghoul. –Lo rivoglio indietro in un pezzo intero.-

-Per chi mi hai preso, sindaco? Certo che ci starò attenta. Per suo padre, non per te, mascalzone- replicò quella. Duncan non la conosceva bene, ma aveva saputo la sera precedente, dalle storie che gli avevano raccontato durante la cena collettiva, che era la proprietaria della carovana che, ogni mese, aveva portato alla fattoria i soldi e le provviste guadagnate da suo padre nel Commonwealth, mentre lui era stato al sud e malato. Pareva aver finito per affezionarsi, anche se indirettamente, a lui, e aveva richiesto a gran voce d’essere inclusa nel gruppo che avrebbe scortato lui e Shaun al loro bunker.

-Facevo la mercante, ma prima di mettermi a commerciare non ho passato duecento anni a pettinare bambole- aveva detto, risoluta. -È da un po’ che ho voglia di rimettermi in prima fila, e non vedo occasione migliore per farlo.-

Il gruppo per intero avrebbe viaggiato insieme fino alle vecchie rovine di Somerville, dove giacevano i resti di un vecchio insediamento Minutemen abbandonato nei primi mesi successivi all’inizio della guerra. Da lì, Duncan e Shaun avrebbero proseguito quasi dritto verso est, in direzione del bunker di sorveglianza, accompagnati dalla scorta di ghoul che Hancock aveva offerto originariamente per l’intera spedizione; Nick e i synth di Acadia, invece, si sarebbero diretti a sud, seguendo i ricordi del synth per ritrovare il sito di stoccaggio dei missili. Sarebbero stato un gruppo abbastanza numeroso, soprattutto prima di dividersi: ma contavano sul fatto che si stessero dirigendo letteralmente dal lato opposto rispetto al fronte per godere di un passaggio indisturbato nelle aree più tranquille di Boston, prima di sparire nella periferia più esterna.

-Hai preso tutto, vero? Quei tuoi bastoni strani?- fece Hancock.

-Lance, John. Yep, preso tutto, comunque. Tuta, armatura, pistola, fucile, lance…-

-Rad-X?- insistette il ghoul.

-Tre flaconi interi- rispose Duncan, iniziando a sentirsi un po’ irritato. –Che è, ‘sto terzo grado? Non dovrebbe essere mio padre a mettermi sotto torchio, comunque?-

-Non vuole sembrare troppo pressante. Ma poi interrogherà me, e se non gli do delle risposte soddisfacenti, s’incazza- replicò Hancock, facendo spallucce.

Duncan sbuffò. –Quante menate. Se non lo conoscessi, direi quasi che ha paura di me.-

Daisy intervenne a quel punto. Per essere un ghoul, non aveva un aspetto eccessivamente sgradevole –si vedeva che, per quanto possibile, cercasse di mantenersi il più integra e presentabile possibile. –Dagli tempo, Duncan. Sei appena tornato, e sono passati tanti anni.-

-E ora me ne sto andando ancora, guarda un po’- replicò il ragazzo, acido.

Non dovette aggiungere nulla per far capire che, nonostante le rassicurazioni, la possibilità che non tornasse era molto, molto reale. In realtà, non sapeva nemmeno di preciso cosa volesse da suo padre: solo che quella titubante, distante cautela non era quello che aveva immaginato quando aveva pensato a quando si sarebbero incontrati di nuovo. Già solo il modo in cui l’aveva congedato il giorno precedente, quando aveva chiesto l’attenzione  di Danse, era stato più simile a come avrebbe parlato a un miliziano che a un famigliare.

Con uno sbuffo, finì di sistemare le cinghie di Grognak e gli montò in sella, dirigendolo verso le mura. I due ghoul si scostarono, intimiditi dalla stazza della creatura, ma Daisy fu quella che lo bloccò prima che potesse allontanarsi troppo. –Sei uguale a lui, Duncan- gli disse, affrettando il passo per seguire l’ampia falcata dello Strider. –Sei cocciuto, e caparbio, e inavvicinabile quando decidi di avercela con qualcuno. Ma non avercela con lui, ancora- continuò.

Grognak emise un ringhio che aveva tutto l’aspetto di essere d’assenso. Il traditore.

-Se poi proprio non riesce a tirar fuori la testa dal culo, ti prometto che sarò la prima a prenderlo a bastonate fino a che non vede le stelle- aggiunse la ghoul.

Duncan non riuscì a trattenere un sorrisetto. –Finchè posso tenertelo fermo…-

Si riunirono al resto del gruppo, già pronto alle porte del Castello. Dieci ghoul, dodici synth, e due umani –no, tredici synth e un umano, in teoria, ma Duncan non era mai stato particolarmente bravo a ricordarsi delle etichette. Shaun indossava un’armatura che gli stava sorprendentemente bene, cucita alla perfezione sulle sue proporzioni più minute. Aveva una pistola dall’aria pericolosa assicurata al fianco.

Duncan si legò una gamba alla sella e si inclinò sul fianco di Grognak quel tanto che bastava ad afferrare il fratello per il braccio che gli aveva offerto, in un gesto già ampiamente praticato, per issarlo in groppa con sé. –Buongiorno- gli disse. Non si erano incrociati quando Duncan si era svegliato quella mattina: sospettava che Shaun non avesse dormito.

-Buongiorno- replicò quello. –Cinghie?-

Duncan intuì la scarsa voglia di far conversazione e procedette ad assicurare entrambi alla sella. Shaun non avrebbe smesso di rimbrottarlo per ore se non l’avesse fatto subito.

Insieme al loro gruppo, ai cancelli si erano presentati anche qualche gruppetto di miliziani, i comandanti, Danse e Piper. Questa aveva l’aspetto di essersi letteralmente appena alzata dal letto, ma già il fatto che avesse fatto uno sforzo, visti i segni di stanchezza che aveva sul volto,  era ammirevole; Danse aveva l’aspetto immacolato di chi era solito essere attivo e funzionante già ad ore ben più disumane di quella, in perfetta uniforme e già pronto ad affrontare la giornata. I comandanti, anche in se con meno maniacale attenzione al dettaglio, non erano in realtà da meno, anche se non tutti avevano già indossato le loro armature.

Garvey si fece avanti dal gruppetto. –In bocca al lupo- disse, guardando prima Nick, già intento a fumare, e poi i ragazzi. –Ci terremo in contatto radio per tutto il tempo. Gli agenti di Deacon dicono che la strada è libera, ma che ultimamente c’è stato qualche avvistamento di Yao Guai dalle parti della vecchia ferrovia. Tenete gli occhi aperti.-

-Yao Guai! Pft. Non ci fanno paura un paio di orsacchiotti mutanti!- replicò Duncan, accompagnato dal verso d’assenso (e di sanguinaria, gioiosa sfida) di Grognak.

-State attenti comunque- intervenne MacCready. –La foresta è fitta in quel punto, e possono sorprendervi.-

-Okay, pa’- fece il ragazzo, roteando gli occhi al cielo. Se Robert reagì in qualche modo alla sua sfida, non lo vide.

-Beh, se non c’è altro, tanto vale andare, allora- intervenne Nick, bloccando il gelo di quello scambio sul  nascere. –Signori. Ci vediamo dall’altra parte.-

-Quale altra parte?- chiese Hancock, confuso.

-Intendo, a guerra finita, John. In un modo, o nell’altro- spiegò il synth, un’aria di sofferenza in viso come se la lentezza di Hancock a quelle ore del mattino fosse una cosa a cui era abituato da tempo.

Il gruppo iniziò a quel punto a muoversi verso le porte; Duncan e Shaun rimasero indietro, attendendo che il fronte del castello si liberasse per permettere a Grognak di balzare oltre le mura senza fare del male a nessuno. Il ragazzo era distratto dal cercare di capire cosa avesse attratto l’attenzione dello Strider, ora intento a grattare fastidiosamente il terreno con una gigantesca zampa artigliata, e per questo fu sorpreso quando, dal basso, sentì la voce di suo padre.

-Tornate indietro- disse, con tono perentorio, guardando prima Duncan, poi Shaun. –Tutti e due.- Aveva un’espressione indecifrabile, dura, come se ancora non gli fosse andata giù di aver dovuto cedere al piano di Deacon e aver permesso loro di andare a fare il loro dovere.

-Ci proveremo- rispose Shaun, andando per un tono conciliante, ma MacCready scosse il capo con veemenza.

-Non basta. Tornate indietro- insistette, arrivando ad appoggiare una mano sul fianco dello Strider per farsi più vicino. Grognak sussultò, infastidito dal contatto, ma per grazia divina scelse di stare fermo e di non allontanarlo troppo violentemente. –Non voglio perdere nessun altro. Non posso perdere nessun altro. Metterò quel cazzo di posto a ferro e fuoco io stesso, se non doveste tornare da me- ringhiò, una certa nota di folle disperazione nella voce. –Promettetemelo.-

Nessuno dei due fece troppe storie, mormorando un sommesso “promesso” alla richiesta del padre.

-Duncan! È libero!- annunciò una sentinella dal muro, guardando oltre il bordo del bastione.

Duncan fece schioccare la lingua a Grognak, e la bestia si mosse, facendo immediatamente scostare MacCready dal suo fianco. Shaun, che non era un grande fan dei balzi vertiginosi dello Strider, si accucciò immediatamente sulla sella, tenendosi stretto come se ne andasse della propria vita; il ragazzo, al contrario, fece in tempo a voltarsi ancora per una frazione di secondo prima che il mostro saltasse, imprimendosi nella mente l’ultima immagine, catturata di sfuggita, di suo padre e dei comandanti, che li guardarono allontanarsi con un’espressione lugubre.

---

Ci misero tre giorni per uscire da Boston vera e propria. L’area che dovevano attraversare era principalmente periferica, vero, ma si trattava di zone che erano state molto calde nel corso della guerra, e portavano i segni di dieci anni di combattimenti. Alcuni sentieri, che negli anni prima erano stati usati non solo da viaggiatori casuali ma anche da intere carovane, erano stati resi del tutto impraticabili.

Seguendo le indicazioni fornite loro dalle vedette della radio, si accamparono per la notte ad un vecchio ufficio della Guardia Costiera, sulla riva ovest del fiume e a poche centinaia di metri dal ponte che avrebbero usato il giorno successivo per attraversare le acque. Era stato, in passato, distrutto e ricostruito diverse volte, in maniera sempre più approssimativa. Per attraversarlo, ora, si era arrivati ad attaccare una cima ai resti di cemento della struttura dell’anteguerra, e usarla per calarsi sulle piattaforme di fortuna sottostanti.

Grognak avrebbe saltato per ultimo, sperando che il suo peso non andasse a distruggere quelle strutture precarie una volta per tutte.

Ma c’era ancora tempo prima di affrontare quel salto. L’ufficio era stato di recente ripulito dagli uomini di Deacon, o così era stato detto loro: con la guida della radio, evitarono le trappole e riuscirono a sistemarsi comodamente al chiuso per la notte, anche se nell’aria aleggiava ancora un certo odore di rancido.

-Marciume dell’acqua, forse?- aveva ipotizzato Shaun, storcendo il naso.

-Peggio. Supermutanti- aveva risposto Daisy. –Va già bene che non ci siano resti di cose morte ammazzate negli angoli bui. Nel dubbio, controllate bene dove appoggiate i sacchi a pelo.-

Non accesero fuochi, temendo che la sola luce di Grognak sarebbe stata già sufficiente ad attrarre abbastanza attenzione indesiderata. La creatura avrebbe dormito nascosta contro la parete rivolta ad est, lontano dagli occhi di eventuali inseguitori, ma il suo brillio era comunque impossibile da nascondere del tutto.

Uno dei synth di Acadia, una donna vestita di abiti neri dall’aspetto stranamente specializzato rispetto a quelli dei suoi compagni, rientrò dopo aver fatto un giro d’ispezione dei pontili sottostanti. –Tutto pulito- disse, con tono clinico e distaccato. –Non c’era niente di utile da prendere, ma nemmeno Mirelurk nascosti sotto il ponte. Dovremmo poter dormire sonni tranquilli.-

-Speriamo- fece un altro dei synth. –È stato tutto così facile fino ad ora che inizio ad essere paranoico. Si può essere paranoici se le cose vanno troppo bene?-

-Sicuro. È letteralmente la definizione dell’essere paranoico- rispose un’altra, una donna dall’aria un po’ serafica.

Le conversazioni di quella gente, aveva notato Duncan, vertevano indifferentemente o su cose quasi stupidamente normali, oppure su temi e discussioni che suonavano del tutto alieni nella loro idiozia. Non c’era filtro. In un’altra occasione, probabilmente si sarebbe divertito a punzecchiare quelle persone, a cercare di divertirsi mettendoli bonariamente in difficoltà con discorsi arzigogolati e insensati per mettere alla prova la loro pazienza. Ma non era dell’umore giusto per farlo, in quei giorni.

Se Nick aveva notato qualcosa di strano, nel suo comportamento o in quello di Duncan, non aveva detto nulla. Pareva essere preso da tutta una serie di problemi suoi.

Il synth era stato, a volerla dire tutta, un po’ sorpreso quando l’intero gruppo di synth di Acadia si era offerto, anche con una certa veemenza, di fargli da scorta nel suo viaggio. Garvey, per ovvie ragioni, non aveva potuto permettere a tutti di partecipare, nonostante le loro insistenze, e aveva selezionato i synth più versati nel combattimento per fornirgli una protezione efficace. Avrebbero dovuto inoltrarsi in aree molto pericolose del Mare Splendente. Aveva senso.

Ciononostante, Nick sentiva addosso la sgradevole sensazione di essere una sorta di rimpiazzo.

Non era stupido. Aveva capito bene che fine avesse fatto DiMa. Non si era dato, in realtà, ancora il tempo necessario a metabolizzare completamente la morte di quanto più vicino avesse ad essere un membro della sua famiglia; ma era quel genere di cosa che avrebbe dovuto affrontare, eventualmente.

Ciò non significava che fosse pronto a passarci immediatamente oltre, e soprattutto che non fosse l’individuo più adatto a raccogliere lo scettro di guida dei Poveri Synth Sperduti. Quello, proprio no.

Eppure, ad eccezione forse di Chase (che però era stata uno dei cacciatori dell’Istituto, in origine, partendo con un intelletto decisamente diverso da quello dei suoi compagni), pareva che tutti quei synth avessero preso quella decisione in maniera unanime. Senza neanche prendersi il disturbo di consultarlo, prima. Venivano da lui per chiedere dritte sul percorso, anche se era Shaun quello in contatto con il Castello; su come pulire bene le loro armi, anche se tra i ghoul che aveva inviato Hancock c’erano due esperti armaioli; peggio ancora, lo approcciavano con toni sommessi, un po’ preoccupati, chiedendogli consiglio su come comportarsi nel Mare Splendente, cosa avrebbero dovuto aspettarsi, cosa avrebbero rischiato.

Nick non voleva credere che non ci avessero pensato, prima di buttarsi allo sbaraglio e offrirsi volontari, ma iniziava a sospettare che fosse proprio quello il caso. E sospettava anche che la ragione che li avesse spinti a buttarsi con tanta dedizione fosse, semplicemente, l’acuta nostalgia per il loro vecchio leader.

Nick non era del tutto certo di poter offrire loro anche solo una frazione di quello che si aspettavano da lui. Ma nemmeno quella, ad essere sinceri. Era chiaro che fossero attratti da lui, e dalla sua parentela con DiMa, come mosche sul miele, nella disperata ricerca di una nuova figura da seguire quasi alla cieca. Ma Nick non era quel genere di synth. Di persona. E certo non voleva avere niente a che fare con una colonia di anatroccoli sintetici sperduti.

Anche se, in realtà, forse era un po’ ingiusto in quei pensieri. Quei synth non erano sciocchi -erano stati selezionati per una ragione- e non c'era nulla di male nel cercare una figura di riferimento: ne avevano avuta una per tutta la vita, che fosse stato l’Istituto, che fosse stato DiMa; era comprensibile che sentissero il bisogno di trovarne un'altra.

Il punto era che non importava quanto Nick cercasse tra sé e sé di giustificarli o di indorare la pillola: lui non poteva essere quella persona.

Nei tre giorni di viaggio, il suo disagio doveva essere diventato sempre più pateticamente evidente, se le occhiate che gli lanciavano i ragazzi o Daisy erano di qualche indicazione. Conosceva la ghoul da una vita e c'era poco che le sfuggisse. Lo stesso valeva per i ragazzi. Ma non lo avevano approcciato sulla cosa, e per quello Nick era loro grato. Cosa avrebbe dovuto dire? “Mi sto facendo tutta una serie di scenari in cui cerco di prepararmi mentalmente a prendere a calci le speranze di un branco di synth abbandonati, scusate se non sono di buona compagnia?” Ridicolo.

Per questo, anche quella sera Nick s'era tenuto un po’ lontano dagli altri, intento a fumare, scrivendo cose su un taccuino che non erano in realtà altro che ricopiature scadenti di vecchi appunti, cercando di mantenere (con successo ambivalente) l'aria di uno che non voleva essere disturbato.

Chiaramente non aveva trasmesso quell'idea bene come sperava. Chase si avvicinò, attirando la sua attenzione con un rumore deliberatamente sonoro dei suoi passi, e gli chiese silenziosamente il permesso di sedersi, accennando allo spazio vuoto al suo fianco sulla panca con lo sguardo. Nick la lasciò fare, spostando un po' il suo impermeabile perché non fosse spinta sul bordo.

Il predatore rimase in silenzio per qualche secondo, il viso appena fuori dal campo visivo di Nick. Non sapendo dove stesse guardando, e dolorosamente conscio della futilità dei suoi appunti, iniziò a riporre penna e taccuino.

-Ha paura di noi, mister Valentine?- chiese improvvisamente Chase.

-Hm. Sempre bello trovare signore che vanno dritte al punto, che sanno quello che vogliono. Non se ne trovano più, così- replicò Nick, cercando di dissimulare quanto il candore della domanda l'avesse sorpreso.

-E lei non è bravo a deflettere quanto pensa- ribatté il synth, senza perdere un colpo. - Dobbiamo girarci attorno ancora per molto? Ho del caffè istantaneo da consumare, se è una cosa lunga.-

-Potrebbe farmi la cortesia di non tentarmi con una cosa che non posso gustare, ad esempio. Ero un poliziotto: avere caffeina al posto del sangue era paragonabile ad una tenuta d’ordinanza.-

Un'occhiata all'espressione severa di Chase fece appassire immediatamente quel barlume d’umorismo. Pur non avendo una gola da schiarire, il sintetizzatore vocale di Nick fece un apprezzabile sforzo per riprodurre quel suono.

-Ma per tornare a noi- proseguì, cercando di recuperare quella piccola perdita, -No, non ho paura. Perché dovrei? Vi conosco molto bene. Ero con Nate quando vi ha aiutato a mettere in sicurezza Acadia per tutti quei mesi, no?-

-Ah. Forse è questo il punto- fece Chase. La sua scelta delle sue parole avrebbe dovuto in teoria indicare l'essere arrivata ad una realizzazione, ma l’inflessione di voce neutra faceva perdere completamente quell’impressione. - Manca il buffer. Sente la mancanza di Nate. Aveva sempre agito lui, parlato lui, per lei: lei lo aveva accompagnato, ma era Nate quello che era sempre stato davanti. Lei si era accontentato di stare sullo sfondo.- Un mugugno pensoso. -Forse è anche l'attenzione a spaventarla. Lei è un uomo da… come si dice. Dietro le quinte. Il signor White era il primo attore.-

-Hm, una cosa del genere- concesse Nick, incerto su dove l'altro synth volesse andare a parare.

-Sa cosa credo io, mister Valentine?- chiese Chase. Il synth le avrebbe pur detto di dirglielo, se lo avesse lasciato parlare, ma l'altra continuò prima che potesse rispondere. - Io credo che lei abbia paura di noi, perché ha frainteso.-

-Pardon?-

-Il nostro interesse in lei è dettato dalla pura e semplice preoccupazione per un membro della nostra comunità- prosegui Chase. - Anche se dire nostro in realtà è errato. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che lei non abbia bisogno delle nostre attenzioni. Ho avuto… un'educazione diversa. Ma i miei compagni sono in pena per lei. Eppure, tutto quello che ho visto da parte sua è una forma molto curiosa di rifiuto. Come se le cure dei miei compagni la mettessero a disagio.-

-Un uomo può sentirsi un po' imbarazzato, quando gli vengono mostrate attenzioni di cui non ha richiesto- replicò Valentine, burbero.

-Certamente. Ma credo che questo imbarazzo sia mal fondato.- Chase si chinò a quel punto, appoggiando le braccia sulle proprie ginocchia. -Vede, mister Valentine, ogni synth qui presente è fuggito dall'Istituto esclusivamente con le proprie forze. Certo, fuori avevano dei contatti a cui rivolgersi; non lo nego. Ma uscire, trovarli e arrivarci è stato tutto un frutto delle loro forze. Io e gli altri aiutanti siamo solo intervenuti laddove le loro energie fossero venute meno. Ma in questi casi, questo non è mai avvenuto.

-Siamo sopravvissuti all’epurazione di Acadia. Abbiamo lasciato l’Isola e siamo arrivati nel Commonwealth senza l'aiuto di nessuno. Se io non l'avessi voluto, quel buffone della Railroad non ci avrebbe mai trovato.-

Il synth fece una pausa a quel punto, apparentemente per raccogliere i propri pensieri. Nick era più propenso a sospettare che fosse una tecnica d’intimidazione. Per amor di cronaca, è necessario dire che stava funzionando.

-Le nostre attenzioni e il tentativo di avvicinarsi che i miei compagni hanno mosso verso di lei non sono il frutto di una mal indirizzata ricerca di una mamma oca smarrita. Noi siamo forti. Non abbiamo bisogno di un altro DiMa. Lui ha fatto in modo che non ci servisse- continuò Chase, con tono duro. - Siamo solo genuinamente, sinceramente preoccupati per lei. DiMa era suo fratello, prima che il nostro leader. E la guerra è stata dura per tutti. Lei incluso. Forse, invece che sbattere ogni porta in faccia, sarebbe il caso di mostrare un minimo di semplice, dannata considerazione nei nostri riguardi?-

Calò il silenzio a quel punto. Nell’intera loro parte dell’accampamento, realizzò Nick, non solo sulla loro panchina. Chase non aveva parlato a voce alta, ma i synth dovevano aver colto comunque di cosa si parlava, perché le loro conversazioni erano interrotte e li stavano inequivocabilmente guardando.

Il synth fece per portarsi una mano al cappello, innervosito e soprattutto adeguatamente redarguito dalle parole di Chase. Era stato in effetti un po' uno stronzo. Ma la sua mano metallica prese solo aria, prima che Nick ricordasse di aver lasciato la sua fedora al Castello, per evitare di perderla di nuovo nelle tempeste del Mare Splendente. - Aw. Accidenti. Forse ha ragione, miss Chase- disse, non alzando gli occhi dal pavimento. -Sono mortificato dal mio comportamento sgarbato. Veramente.-

-Lieta di vedere che siamo d'accordo, mister Valentine. Col suo permesso, passerei alla reale ragione per cui ho richiesto la sua attenzione.- Quello fece alzare lo sguardo a Nick, che fece in tempo a vedere Chase tirare fuori qualcosa dalla tasca interna del suo soprabito. La cassettina arancione di un holonastro.

-Faraday mi ha chiesto di consegnarglielo, prima di andare via. Ha ritenuto che fosse più corretto rimanesse nelle mani di un vero famigliare di DiMa, piuttosto che nelle sue.- Gli porse la cassetta. 

-Il dottor Faraday era molto vicino a DiMa. Avrebbe potuto tenerla- obiettò debolmente Nick. Conoscendo suo fratello, qualunque cosa fosse registrata su quell’holonastro sarebbe stata terribilmente importante. Una minuzia forse, agli occhi della sterminata conoscenza di DiMa; un masso di granito sulle spalle di chi, invece, non era dotato dello stesso lusso.

-Ha insistito.- rispose semplicemente Chase.

Prendendo la cassetta, Nick vide che vi era scritta, nell'elegante calligrafia che DiMa aveva scelto per sé, una data di un anno prima. Se i suoi processori non lo tradivano, calcolò che corrispondeva a poco tempo prima del suo ritrovamento da parte della Confraternita.

Non aveva nulla con sé con cui ascoltarlo. Nate aveva sempre con sé quella diavoleria elettronica, il Pip-Boy, in cui aveva ficcato senza tante cerimonie qualsiasi nastro in cui incappassero, spinto dalla sua estrema curiosità. Nick si era abituato a quel lusso. Aveva smesso di portarsi dietro un mangianastri.

Avrebbe dovuto fare in modo di tornare dal Mare Splendente, se avesse voluto sentire quel nastro.

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Capitolo 20
*** Luminescenza ***



 

Il viaggio fino a Somerville non prese loro troppo tempo una volta superato il fiume: bastava seguirne le sponde. Le rovine del vecchio insediamento sarebbero state visibili su una collina alla loro destra, più verso l'entroterra.

Somerville Place era stato concepito come un insediamento agricolo, piccolo, con un'area comune costruita all'interno di un villino prebellico e delle piccole abitazioni private tutt'attorno, erette in tempi ben più recenti. Era stata attraversata, in passato, dalle carovane di rifornimenti che Nate aveva messo in piedi tra i suoi possedimenti; ma anche nell'epoca più florida della colonizzazione Minutemen, la posizione un po' isolata di Somerville l'aveva reso comunque poco frequentato. Ciò non era servito a salvarlo dalla distruzione: gli abitanti, temendo per via della loro florida produzione agricola di poter diventare un bersaglio per la Confraternita, erano stati tra i primi a bruciare le loro case ed unirsi ai miliziani più a nord.

I resti di Somerville ora non erano nient'altro che vecchi pezzi di legno e metallo anneriti dal fuoco. Alcuni frammenti di recinzioni che non erano state del tutto divorate dagli incendi si ergevano ancora dal suolo come lapidi sinistre.

Il gruppo si riunì sotto i resti di una copertura di una vecchia veranda, con Grognak che, per non sentirsi escluso, aveva infilato il testone tra due colonnine.

Shaun estrasse un dispositivo dalla tasca. Era uno dei suoi tanti piccoli progetti, diavolerie tecnologiche con cui il synth si divertiva a passare il tempo: una specie di piccolo Pip-Boy in miniatura, privo di un lettore di holonastri, ma con una radio e uno schermo in grado di mostrare informazioni. Vi aveva caricato una mappa del Commonwealth, anche se non mostrava la loro posizione attuale come quelle dei dispositivi Vault-Tec: tuttavia, Shaun poteva comunque inserirvi manualmente dei segnali, cosa che aveva fatto con tutte le posizioni che avevano incrociato per strada fin dalla loro discesa dal Nord.

Con l'aiuto di Valentine, il cui sistema di navigazione era un po' datato ma comunque funzionante, si presero quegli ultimi momenti per ricontrollare la posizione del bunker e del sito Prescott nel Mare Splendente. Era difficile, visto che sulla mappa non c'erano riferimenti geografici precisi a parte una macchia verde a segnalarne la vastità. Ma la posizione a cui erano arrivati era sufficientemente precisa.

Duncan non stava seguendo quelle discussioni. Si parlava di cose, a suo dire, decisamente fuori dalla sua portata intellettuale. Duncan sapeva orientarsi con gli occhi, con il proprio istinto: armeggiare con un marchingegno che sembrava il cugino scemo di un tostapane magro non rientrava tra le sue attività preferite. Senza negare, però, almeno l'utilità di avere una mappa in tasca tutto il tempo.

-Non dovreste poter mancare l'ascensore- stava dicendo Nick. –È posto letteralmente dietro alla capanna, leggermente più a sud. Non è nascosto da nulla, è in una struttura di cemento che spunta dalla terra. Ti ricordi come disattivare il blocco, vero?-

Shaun annuì. –Non ci vorrà molto. Potrebbe essere difficile localizzare l'ascensore però, se la capanna fosse crollata in questi anni- aggiunse, pensoso.

-Mh, non credo sia successo. Ha resistito per duecento anni, anche alle bombe. A meno che un Deathclaw non abbia deciso di prenderla a testate, non credo sia crollata proprio ora- replicò il synth. –Voi comunque ricordatevi di rimanere sulle colline più alte. Prima o poi dovrete per forza incappare in quel posto, o anche solo nelle sue rovine, se siamo sfortunati.-

-Sicuri di riuscire ad arrivare al Prescott Site da soli?- chiese a quel punto Shaun, per l'ennesima volta.

-La fauna del Mare Splendente non ci preoccupa- rispose Chase, anticipando Nick. –Siamo stati accolti da numerosi branchi di Deathclaw già nel nostro arrivo nel Commonwealth. Quelli un po' più irradiati non ci fanno paura.-

-E la piramide è più facile da localizzare del vostro capanno. Tempeste di sabbia escluse- aggiunse Nick. –Ma non preoccupatevi. Ci terremo in contatto. Nate ha attivato un ripetitore radio che dovrebbe coprire l'interezza della regione. Controlla le tue frequenze quando sarete in range. Anche tu, Duncan- disse il synth, rivolgendosi al ragazzo che solo a quel punto iniziò a prestare seriamente attenzione, togliendosi l'espressione distratta dal viso. –Dovresti avere una radio nel tuo equipaggiamento da caccia, no?-

-Sì, ma non è fatta per comunicazioni a lunga distanza. Credo- rispose incerto l'altro. Erano più che altro trasmittenti usate dalle mute di cacciatori per comunicare tra loro, non radio vere e proprie. Duncan dubitava avrebbero coperto la distanza che li avrebbe separati dal gruppo dei synth.

-Non importa, tu sintonizzala comunque. Potrebbe servirti se per qualsiasi ragione tu e Shaun finiste separati- insistette Nick.

Ci fu un attimo di silenzio a quel punto, dopo che i due synth ebbero terminato di revisionare le loro coordinate per un'ultima volta. Quello era il momento in cui avrebbero dovuto separarsi: Nick e i suoi avrebbero cambiato direzione, andando verso sud, mentre Duncan e Shaun avrebbero proseguito verso est. Tra i due, in teoria, quelli che correvano più rischi erano i synth, visto che via via che si scendeva verso l'area meridionale del Mare Splendente aumentavano di pari passo anche le mostruosità che vi trovavano casa: come se il cratere dell'antica bomba attirasse, o generasse, belve peggiori di quante ne trovavano a latitudini più miti. Ma Valentine aveva già attraversato quell'area così ostile una volta, e senza un'intera scorta. Erano fiduciosi sul fatto che ce l'avrebbe potuta fare di nuovo.

Ciò non impedì a Shaun di buttare le braccia al collo... o alla vita, di Nick. Il synth era diventato, per forza di cose, un membro della loro famiglia: non un sostituto dei loro genitori, certo, anche se a dire il vero era anche quella una condizione un po' complicata da spiegare. A prescindere dalle etichette, però, ciò non toglieva che ciò che stavano andando a fare fosse estremamente pericoloso. Duncan ci aveva già riflettuto, e aveva continuato a farlo anche durante il viaggio; l'espressione tesa di Shaun diceva che anche lui aveva fatto lo stesso. Nick era un po' più difficile da interpretare, ma non ci voleva un indovino per immaginare che avesse pensato le stesse cose. La possibilità che qualcuno di loro non tornasse indietro era estremamente reale, nonostante le promesse fatte al Castello –che ora suonavano come vuote, un po' ingenue rassicurazioni.

-Stai attento, zio Val- mormorò Shaun, la faccia nascosta nel suo cappotto, quando il synth ricambiò la stretta. –State attenti tutti- aggiunse.

-Anche voi, ragazzi- replicò il synth.

Quando i due si separarono, Daisy ne approfittò per abbracciare a sua volta il detective, sussurrando parole che Duncan non potè udire. Quando pareva che fosse arrivato, implicitamente, il suo turno, il ragazzo esitò: non era che non fosse una persona tattile, era più il fatto che quello suonava un po' troppo come un addio. Riconoscerlo come tale, anche se ci aveva già rimuginato sopra, avrebbe reso nella sua mente la possibilità che Nick potesse morire molto più reale; e nel contempo, sapeva che se ciò fosse veramente accaduto, non si sarebbe mai perdonato il non essersi congedati a dovere.

Con una minima spinta del muso di Grognak, Duncan attraversò le rovine della veranda e abbracciò il synth. Nick lo strinse con più forza di quanta ne avesse messa lui, e non gli sfuggirono le vibrazioni che emettevano i macchinari al suo interno –i marchingegni che lo tenevano in vita. Quando erano stati in fuga dal Commonwealth, il loro ronzio e le loro quiete vibrazioni erano state una fonte di conforto al suo sonno, quando era stato ancora un bambino e la paura e lo stress lo tormentavano con incubi e terrori notturni. Quel ricordo non gli era sovvenuto sino a quel momento, in cui aveva percepito di nuovo quel rumore: si chiese, brevemente, se non fosse un segno, prima di soffocare quel pensiero come una superstiziosa idiozia. –Guardati le spalle, zio Val- disse.

-E tu, le tue. E tuo fratello, Duncan. Mi raccomando- replicò Nick.

Il ragazzo annuì, senza riuscire a dire molto altro. Dopo pochi altri rapidi saluti, le due squadre si separarono definitivamente, e Duncan e Shaun rimasero soli con i ghoul, diretti ad est.

Il synth bambino era tornato con lui in sella a Grognak, ma non pareva molto incline a parlare. Daisy aveva tentato, dal loro fianco, dove camminava a fianco allo Strider, ma nessuno dei due giovani le aveva dato troppa corda. L'aria era tesa e lugubre, e pesava sulle spalle di tutti i presenti. Eventualmente la donna smise di tentare, zittita improvvisamente da un rumore lontano ed inquietante.

Era il tramonto quando il gruppo superò una collina e giunse in vista del Mare Splendente. Oltre una strada rovinata e mangiata dalle erbacce, iniziavano ad innalzarsi i resti distrutti dei pochi alberi che erano riusciti a rimanere ancorati a terra dopo l'esplosione. Sopra le punte frastagliate dei loro tronchi, simili ad immense zanne che spuntavano dal terreno, si vedeva già il cielo malato e radioattivo che sovrastava l'area più contaminata del Commonwealth. L'aria si era già fatta calda, malsana: puzzava dell'odore che aveva il ferro quando veniva strofinato, e lasciava uno sgradevole retrogusto metallico sulla lingua.

Duncan era abituato ad aggirarsi in aree radioattive: l'area sottostante la Morte Bianca ne era costantemente contaminata. Ma il Mare Splendente era una mostruosità a se stante, quasi più feroce nella sua crudeltà: la Morte Bianca avrebbe ucciso più col freddo, che con l'esposizione alle radiazioni. Qui, la possibilità di venire letteralmente bruciati vivi era molto più alta.

I due giovani indossarono a quel punto molto rapidamente i loro abiti protettivi. Duncan aveva deciso di optare per una vecchia tuta antiradiazioni, più efficace degli abiti di Lost South Hero nel proteggerlo dall'esposizione alla contaminazione. Nonostante anche quelli fossero protettivi, erano studiati per una quantità di radiazioni decisamente minore.

Prima di mettere il casco, Duncan scambiò un'occhiata con Shaun. –Ci siamo- mormorò. Non era da lui sentirsi tutti quei cattivi presentimenti addosso.

-No- replicò il bambino, scuotendo la testa. Duncan inclinò la sua, confuso. –Non siamo che all'inizio. Il peggio deve ancora venire.-

-Allegro- replicò sarcasticamente il fratello.

-Realista- lo corresse l'altro, infilandosi finalmente il casco. –Tieni gli occhi aperti. Grognak potrebbe essere confuso dall'ambiente. È molto più radioattivo di quanto lui sia abituato a vedere.-

-Ne abbiamo già parlato- lo rassicurò Duncan. Lo Strider pareva aver compreso i rischi anche se, in linea col suo temperamento, pareva esser stato certo di poterli superare senza problemi. L'orientamento forse sarebbe stata l'unica cosa in cui avrebbe potuto avere qualche difficoltà, ma con Shaun sul suo dorso a fargli da navigatore, non avrebbe avuto di che temere. Lo Strider non temeva nessun abitante della zona contaminata.

Duncan era incline a dargli ragione, e nel contempo a temere che la sua sfacciataggine fosse di per sé un rischio. Non voleva sottovalutare qualcosa e mettere in pericolo l'intera operazione: ma lo Strider si era rifiutato di dare troppo peso a discorsi di Deathclaw, Stingwing e ghoul ferali, e Duncan si era rassegnato a tenere gli occhi aperti per entrambi. Ma di questo, Shaun non aveva bisogno di sapere.

Il gruppo iniziò ad avanzare verso est, muovendo i primi passi sul terreno arido e bruciato del Mare Splendente.

 

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BOSTON, QUATTRO GIORNI PRIMA

L'unità che Danse avrebbe dovuto scortare all'Aeroporto non pareva un granchè professionale, nonostante i loro travestimenti fossero... beh, credibili, considerato che indossavano equipaggiamento rubato direttamente alla Confraternita. Era composta da solo tre individui, lui escluso: lo strano tizio con gli occhiali da sole, Deacon; un uomo di colore, magrolino e nervoso, con una faccia da topo, che rispondeva al nome (impossibile che fosse reale) di Tinker Tom; e una donna scura di pelle con una zazzera di capelli chiari e un'espressione di puro disgusto sul viso ogni volta che incrociava il suo sguardo, che Deacon aveva presentato come Glory.

Tutti e tre indossavano varianti delle tute e delle armature della Confraternita, e i fucili d'ordinanza erano un tocco di credibilità in più. Danse era abbastanza sicuro che, in qualche modo, nascondessero anche altre armi sui loro corpi, ma non era intenzionato a porre loro troppe domande. A lui non parevano affidabili, ma sia Garvey che Hancock gli avevani assicurato che fossero i migliori sul campo, e i più adatti a quella missione, che Deacon stesso aveva ideato.

Il loro scopo sarebbe stato penetrare nell'Aeroporto di Boston. Una volta dentro, avrebbero dovuto rintracciare la console di comando di Liberty Prime e metterla fuori uso con ogni mezzo: distruggendola o, come Deacon avrebbe preferito fare, rivoltando il robot contro i suoi attuali controllori, prendendo così a suo dire "due piccioni con una fava". Danse non aveva idea di cosa fossero entrambe quelle cose, ma non credeva sarebbe stato così facile come quel tizio diceva. Sembrava che Deacon si fosse convenientemente dimenticato che tra loro e la console di Liberty Prime ci fosse l'intero esercito della Confraternita d'Acciaio. Non proprio bruscolini, insomma. Senza contare, poi, l'approccio.

Danse avrebbe dovuto guidare il gruppo attraverso le rovine sotterranee dell'Aeroporto. Si trattava di un'area troppo danneggiata e pericolosa perché la Confraternita avesse mai potuto trarne qualche uso: le risorse che avrebbero dovuto utilizzare per poterla mettere in sicurezza superavano quelle che ci avrebbero guadagnato. Ragion per cui la Confraternita aveva preferito sigillarne gli ingressi.

Perché, come in tutti i terminal d'altro canto, ce n'era più di uno. E questo avrebbe giocato a loro favore: c'era una porta d'accesso alle rovine nell'area più esterna dell'Aeroporto, un ingresso di servizio la cui porta era priva di allacci elettronici. La massima sicurezza che aveva potuto installare la Confraternita era stata un campo di mine di prossimità, di cui Danse però conosceva la posizione e che sapeva non sarebbe stata cambiata.

In fondo, non l'avevano cambiata in oltre dieci anni di servizio.

Attraverso quelle rovine, avrebbero potuto raggiungere un altro accesso al terminal, e sbucare praticamente nel cuore dell'Aeroporto vero e proprio: la base della Confraternita. Lì, i loro travestimenti e la scelta del momento perfetto per fare breccia avrebbero dovuto essere fondamentali: avrebbero dovuto uscire senza che nessuno realizzasse che fossero individui nuovi, e mescolarsi immediatamente ai confratelli. Per l'occasione, l'armatura atomica che MacCready gli aveva regalato era stata attentamente modificata per somigliare all'esterno in tutto e per tutto a una qualsiasi suite della Confraternita. Le modifiche evidentemente non in regola erano state spostate e nascoste, per quelle che era stato possibile farlo; le altre, rimosse. Ciò non toglieva comunque a Danse diverse spanne di vantaggio su un qualsiasi Paladino con quella suite addosso. Era evidente che Nate avesse saputo cosa stava facendo, quando aveva messo mano su quell'armatura. Era un gioiellino.

Le modiche esterne, unite a un marchingegno per distorcere la sua voce in uscita dall'elmo, completavano i loro travestimenti. Una volta dentro l'Aeroporto sarebbe stato facile per Danse condurre la sua unità alla console. Da lì in poi, la sua competenza terminava.

Deacon aveva giurato di avere un piano per consentire loro la fuga. Non glielo aveva comunicato, ma aveva giurato di averlo. Questo non rassicurava Danse per nulla: ma che scelta aveva? Sia Tinker Tom che Glory parevano fidarsi ciecamente di quel tizio, e non parevano aver gradito le sue richieste di avere altri dettagli, se non aveva interpretato male le loro espressioni aspre quando le aveva mosse; non avrebbe potuto non fare altrettanto.

Il giorno in cui Duncan, Shaun e Valentine erano partiti dal Castello, Danse e i suoi fecero altrettanto. Col favore delle tenebre, lasciarono la fortezza senza troppe fanfare, per attrarre meno attenzione possibile: Danse stesso si muoveva lentamente, e aveva torce e sistemi di tracciamento spenti per evitare qualsiasi intercettazione. Solo una volta penetrati in profondità nelle rovine di Boston abbandonarono quel comportamento, e ognuno di loro prese immediatamente il ruolo di confratello.

Per Danse, era come rientrare a casa dopo mesi –anni, d'assenza, e trovarla con il focolare acceso e un pasto caldo pronto. L'armatura in particolare era stata una benedizione. Una volta riaccesa la torcia e i sistemi di tracciamento, l'uomo non perse tempo ad imbracciare il fucile e rivolgersi ai propri compagni.

-Prendete la formazione che vi ho mostrato alla base- ordinò. Poi indicò rispettivamente Deacon, Tinker Tom, e Glory. –D'ora in avanti vi rivolgerete a me come si confà alla mia stazione, e io farò altrettanto. Parlerete solo nelle trasmittenti. Non voglio sentire volare una mosca. Inteso?-

-Inteso- risposero i tre, con una precisione che in realtà sorprese un po' Danse. Non si aspettava che sarebbero stati in grado di entrare nella parte così bene –Tinker Tom incluso, anche se aveva esitato di una frazione di secondo nella risposta. Il comando che aveva dato loro era un codice per dare inizio all'operazione sotto copertura: d'ora in avanti si sarebbero rivolti l'un l'altro solo usando le identità false che avevano preparato prima della partenza, e si sarebbero comportati precisamente come confratelli qualsiasi, seguendo gli ordini dati dal Paladino della loro unità –Danse, appunto. Deacon gli aveva assicurato che si erano preparati accuratamente alla parte, e quanto pareva, non aveva mentito.

Poteva solo sperare che ciò fosse altrettanto vero per il piano di fuga. –Bene. Ad Victoriam!-

-Ad Victoriam!-

Cercò di non storcere il naso al fin troppo eccessivo entusiasmo di Deacon.

 

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IL MARE SPLENDENTE, SEI GIORNI DOPO

-Dovremmo giungere in vista del bunker tra poco- annunciò Shaun. La notizia venne accolta dai ghoul con uno stanco coro di approvazione.

Era la fine del secondo giorno di viaggio attraverso il Mare Splendente, ed erano già tutti estremamente provati. Il clima era stato in particolare a dir poco inclemente: quando non aveva piovuto sabbia, era scesa acqua radioattiva, talmente acida da avere un odore pungente perfino attraverso i numerosi filtri delle loro tute. Ai ghoul non aveva dato un granchè fastidio la radioattività: era stato tutto il resto, ad essere il problema. Tra le irritazioni causate dalla sabbia e il fastidio di ritrovarsela trasformata in fanghiglia tra le pieghe dei vestiti, avevano avuto non pochi problemi.

Senza contare, poi, tutto il resto dei problemi che portava l'essere nel Mare Splendente. Il terreno era infido, impraticabile in numerosi punti: l'itinerario pianificato da Shaun, privo di intelligence riguardo la geografia del territorio, era stato modificato diverse volte quando si erano ritrovati di fronte a voragini, pozze di liquido radioattivo bollente, colline scoscese invalicabili, rovine troppo pericolose per essere scalate, e via dicendo. La terra sotto ai piedi di Grognak era pastosa, calda e cedevole come sabbia umida resa bollente dal sole di mezzogiorno, anche a notte fonda. Lo Strider era in evidente disagio, e nonostante avessero con loro degli unguenti antibatterici per le piaghe che stava sviluppando, parevano far poco contro il semplice fatto che la creatura non fosse fatta per quell'ambiente. Era indebolito, di cattivo umore e un po' zoppo, e il suo malumore si rifletteva su Duncan come uno specchio. Il ragazzo, tra le preoccupazioni per l'ambiente in cui si trovavano e quelle per il suo Strider, era stato particolarmente spiacevole in quei due giorni.

Shaun capiva le ragioni di suo fratello. Dopo essere stati sorpresi da un enorme Deathclaw spuntato apparentemente dal nulla, Duncan aveva i nervi a fior di pelle. Nell'agguato avevano perso uno degli uomini della loro scorta, un gentile ghoul dell'Anteguerra di nome Jackson, prima che Grognak riuscisse a sottomettere il mostro: il Deathclaw l'aveva ucciso con un colpo di coda talmente potente che gli aveva spezzato la spina dorsale. Il timore che potessero spuntarne altri, uniti alla sensazione che Shaun era sicuro il fratello provasse, d'aver fallito nel proteggere i suoi compagni (anche se in teoria avrebbe dovuto essere l'opposto) aveva reso Duncan teso e scostante. Non aveva parlato molto nemmeno con lui, non andando oltre a poche sillabe quando avevano condiviso i pasti.

Poteva solo sperare che una volta arrivati nel bunker le acque si sarebbero un po' calmate.

L'area che stavano attraversando era una catena di colline ripide, intervallate da voragini profonde difficili da aggirare senza incappare in scorpioni o altri indesiderabili che parevano aver fatto di quella zona una vera e propria colonia. Grognak riusciva a sentirli prima che sbucassero dal terreno, e con le sue indicazioni riuscivano ad evitare di essere colti di sorpresa: ma era una situazione stressante, e speravano di uscirne in fretta.

Erano finiti un po' più a sud della capanna del previsto, nel dover aggirare delle aree impraticabili del Mare Splendente. Stavano approcciando il bunker da quella direzione, aspettandosi di vederlo spuntare in lontananza di fronte a loro da un momento all'altro, quando lo Strider si appiattì improvvisamente sul terreno, strappando a Duncan un verso di sorpresa.

I ghoul rimasero interdetti per qualche secondo, confusi, prima di fare altrettanto e nascondersi. Era buio –per quanto potesse essere buio nel Mare Splendente, pervaso com'era perennemente da quel vago bagliore verdognolo che gli dava il nome, e nessuno riusciva a capire cosa di preciso avesse provocato quel comportamento nello Strider.

-Che ha Grognak?- sussurrò Shaun.

-Deve aver sentito qualcosa- sibilò di rimando Duncan, irritato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

A pensarci bene, non aveva tutti i torti.

Quasi come se il momento fosse studiato a tavolino, Grognak iniziò a ringhiare: un verso non dissimile alle sue fusa, ma dal tono evidentemente ostile, le orecchie basse e il pelo talmente ritto che superava la sella in altezza e toccava il vetro dei loro caschi.

Duncan si tolse dalla cintola il binocolo –un'aggiunta al suo equipaggiamento della cui origine, nonostante Shaun avesse chiesto, il fratello non gli aveva detto nulla- e si rizzò oltre la linea della testa di Grognak, guardando nella direzione che fissava la creatura.

Per qualche secondo non si mosse una foglia. Metaforicamente parlando.

Poi, Duncan sibilò: -Scendi di sella, Shaun.-

Il bambino era perplesso. –Cosa? Perché?-

-Scendi!- gli intimò nuovamente il ragazzo. Poi si rivolse ai ghoul: -Daisy e Morrison, voi restate qui con lui. Se capita qualcosa, sparate in aria. Non muovetevi. Qui siete al sicuro, non ci vedono- ordinò. Stava evidentemente cercando di mantenere un tono fermo, ma c'era una nota di panico sottostante che era sfuggita al suo controllo.

-Chi non ci vede, Duncan?- insistette Shaun, che nonostante i dubbi stava sciogliendo le sue cinghie.

-Confraternita- rispose finalmente il ragazzo, incrociando il suo sguardo una volta che fu sceso al suolo.

Un mormorio d'ansia percorse il gruppo.

-Sono al capanno. Non vedo vertibirds, ma il capanno è poco lontano da noi. Sono almeno sei, di cui due in armatura. Ho visto le torce- continuò Duncan, prendendo il fucile dalla sella. –Possiamo avvicinarci di soppiatto in questa direzione fino a un certo punto. La luce del Mare nasconderà Grognak. Al mio segnale, ci dividiamo e troviamo copertura tutto attorno al capanno. Io e Grognak ci occupiamo delle armature; voi, del resto.-

-Non dovremmo separarci- lo avvertì Daisy. Ciononostante, la donna si avvicinò a Shaun. –Con due paia di braccia in meno potreste essere in difficoltà. Se quelli sono qua, non sono coscritti qualsiasi: non invierebbero gentaglia nel Mare Splendente. Devono essere soldati di rango.-

-Grognak non se ne fa niente del rango, se può mangiarseli prima- replicò Duncan. –Si fa come dico io.-

-Daisy ha ragione- interruppe un altro ghoul, cercando di avere un tono conciliante. –È pericoloso lasciarli qui. Gli scorpioni...-

-Si fa. Come dico. Io!- abbaiò Duncan a quel punto, apertamente ostile. Grognak emise un ringhio più forte, anche se per semplice reazione al tono del suo cavaliere o per dargli ragione, non era chiaro. –Non ci porteremo dietro Shaun per rischiare di farlo finire in mano a quei pezzi di merda. È l'unico che può azionare quella robaccia. Se va male a noi, e lui sopravvive, abbiamo ancora una possibilità. Chiaro?!- Quando nessuno osò più mettere in discussione le sue parole, Duncan strinse con forza le cinghie sulle sue cosce. –Allora muoviamoci. E fate silenzio. Danse ha detto che quelle armature ora sono piene di sensori. La radioattività dovrebbe disturbarne parecchi, ma non possiamo essere incauti.-

-Duncan- lo chiamò Shaun a quel punto.

Il ragazzo si voltò dalla sella di Grognak. Nella semioscurità, il tatuaggio che aveva sugli zigomi gli illuminava gli occhi in maniera lugubre, visibile per fino da dentro il vetro sporco del casco.

-La radio- gli ricordò il synth. –Tieni accesa la radio.-

Duncan annuì, e diede una pacca a Grognak. Sparì insieme ai ghoul oltre la collina, con un ultimo colpo di coda della creatura.

Shaun rimase immobile, come paralizzato, a guardare il punto in cui erano spariti per qualche secondo; sobbalzò quando la mano ossuta di Daisy gli si appoggiò su una spalla. –Leviamoci da qui- disse la ghoul a bassa voce, guardandosi attorno con gli occhi nerissimi. –Siamo bersagli troppo facili.-

Il trio si ritirò silenziosamente più indietro, dietro la copertura offerta da una faglia nel terreno che li copriva dalla vista in direzione del capanno. Si appoggiarono con la schiena alla roccia, sorvegliando il declivio da cui erano arrivati in origine.

Una pozza di liquido irradiato, in lontananza, diffondeva un sinistro bagliore rossastro. Minuti puntolini neri vi ci strisciavano, visibili ad occhio nudo anche in lontananza: un branco di ghoul ferali, che avevano evitato all'arrivo. Una buona decisione, visto che da quella distanza i loro spari sarebbero stati udibili dagli sgherri della Confraternita.

Shaun li guardava, la fronte imperlata di sudore dentro il casco. Quello era il primo contatto diretto che i due fratelli avevano avuto con la Confraternita dal loro ritorno nel Commonwealth, dopo aver passato undici anni a nascondersi da loro: e ora, Duncan aveva avuto la brillante idea di caricarli da solo, lasciandolo indietro. Nascosto. Protetto. Solo, soprattutto.

Shaun si torse le mani, facendo scriocchiolare lo spesso materiale plastico della tuta.

-Va tutto bene?- gli chiese Daisy.

Shaun si sforzò di inghiottire la risposta scortese che minacciava di uscirgli a quella richiesta. La donna era sveglia, matura, e intelligente: ma ogni tanto aveva quegli slanci di affezione, di preoccupazione, come se non riuscisse a mettersi in testa che lui non era affatto un bambino come sembrava. Lo facevano infuriare, anche se in cuor suo sapeva che fosse molto più probabile che la donna fosse solo genuinamente in pena per lui, a prescindere dal suo aspetto infantile.

-Tutto ok- rispose alla fine. Non era sicuro che il ghoul potesse vederlo in viso da sotto il casco: confidava che il riverbero lo mascherasse. –Solo teso.-

-Uno di quei binocoli di tuo fratello c'avrebbe fatto comodo- commentò Morrison, quasi distrattamente. –Con queste fumarole tra noi e loro, non si vede un accidente.-

Shaun lanciò un'occhiata all'altro ghoul, e vide che si era appena appena sporto dal bordo della faglia. –Sta' giù, Morrison- lo redarguì Daisy. –Se ti vedono?-

-Siamo lontani- replicò l'altro. –Impossibile.-

-Ci vorrebbe un visore apposito per vedere oltre il fumo- disse Shaun, in un apparente non sequitur che lasciò i due ghoul in silenzio, perplessi. –Sul binocolo- aggiunse, quando notò i loro sguardi confusi. –Per vedere con i binocoli, oltre il fumo.-

-Dici che quello di tuo fratello ce l'ha?- chiese Morrison.

Perché diavolo stavano parlando di visori per binocoli?

-Non lo so- rispose il synth. –Non so nemmeno dove abbia preso quello che ha.-

L'eco assordante di una sfilza di spari li fece tutti sobbalzare, e Morrison tornò dietro la copertura con un gesto così rapido da picchiare la faccia contro la roccia.

Shaun mise immediatamente mano al casco, accendendo la radio. Era già impostata sul canale della trasmittente di Duncan, il più vicino: ma dal canale veniva solo statico. Quella di suo fratello era spenta. –Stupido! T'avevo detto di accenderla...- mormorò, armeggiando col volume in una vana speranza che ci fosse solo qualche problema di trasmissione.

Agli spari balistici dei ghoul si era aggiunto il fuoco di risposta dei laser della Confraternita, perfettamente udibile anche sotto il brontolio di fondo che veniva dalle viscere della terra martoriata del Mare Splendente. Lo scontro era cominciato a tutti gli effetti: Duncan non riusciva a capire se le vibrazioni che sentiva sotto di sé venissero da scosse telluriche o dai passi pesanti delle armature atomiche lanciate alla carica.

Dalla radio non veniva nulla: solo statico nelle sue orecchie.

-Andrà tutto bene- disse Daisy, alzando la voce per farsi sentire sopra le scariche di proiettili.

Shaun ebbe l'improvvisa, nauseante sensazione di essere trasportato fisicamente in una sorta di deja-vu. Nell'androne dell'Istituto, un synth vestito di bianco con un'immensa macchia cremisi a sporcargli la maglia e il fronte dei pantaloni lo aveva accompagnato fin quasi all'ingresso della sala di controllo del teletrasporto, crollando a pochi passi dalla porta.

Shaun all'epoca era stato ancora piccolo, mentalmente. E recentemente reduce da un lavaggio del cervello totale –l'ultimo a cui lo aveva sottoposto il Direttore, prima di metterlo nelle mani di suo padre. Non aveva capito cosa fosse successo al synth.

Qualcuno gli aveva sparato –un miliziano, probabilmente, qualcuno di rango non abbastanza alto da essere armato di laser. Il synth aveva sanguinato con un bramino macellato per molto tempo, prima di cedere –stava già sanguinando quando aveva trovato Shaun nella sua cella, dopo aver ricevuto nella sua mente gli ordini postumi del Direttore.

Il synth, un ragazzo pallido dai capelli biondo cenere e occhi azzurrissimi, lo guardò e fece un sorriso incerto. Aveva i denti macchiati di sangue. –Andrà tutto bene- gli aveva detto, la voce ridotta ad un sibilo raschiante. –Si prenderanno cura di te.-

-Chi?- aveva chiesto Shaun.

Il synth era morto prima di poter rispondere. Shaun aveva saputo di dover arrivare al trasporto, ed era riuscito a raggiungerlo da solo. Nessuno si era curato del synth dissanguato a pochi passi da loro.

Daisy lo riportò al presente, facendolo nuovamente sobbalzare con una mano sulla sua spalla.

-Shaun, la radio- gli chiese, quando il suo casco si voltò minutamente in sua direzione. –Senti qualcosa?-

-No- replicò il synth.

In quel momento, un ruggito che Shaun non aveva mai udito si alzò ben oltre il rumore degli spari e delle scosse, facendoli tutti sobbalzare. Fu un'esperienza simile al momento in cui si sente un cane latrare di dolore e sgomento per la prima volta: un suono sconosciuto, ma in qualche modo il cervello è in grado di categorizzare immediatamente come espressione di sofferenza.

Con quella nuova ed istintiva nozione in mente, Shaun a malapena attese che il lamento terminasse di riverberare per le colline prima d'alzarsi, saltare oltre la faglia, ed iniziare a correre verso il capanno.

-Shaun!- lo chiamò, prevedibilmente, Daisy; Morrison fu più veloce e saltò direttamente a sua volta oltre la spaccatura, fucile in mano.

-Mio fratello deve essere nei guai...!- spiegò Shaun correndo, incurante del fatto che probabilmente Daisy non avrebbe potuto sentirlo. –Non posso stare qui! Non posso!-

-Shaun! Non correre avanti da solo!- esclamò Morrison, e finalmente il ghoul riuscì ad afferrargli un braccio. Shaun era svelto, ed evidentemente doveva aver sottovalutato la mobilità di quell'uomo.

-Mio fratello...-

-Lo so! Ma hai sentito quello che ha detto, no?- replicò il ghoul, trattenendolo più vigorosamente quando Shaun cercò di divincolarsi.

Non era da lui, quel comportamento. Andava contro ogni forma di logica. Se qualcosa fosse andato male, avrebbe dovuto seguire il piano di Duncan: allontanarsi, proteggere se stesso e le proprie capacità, e tornare in un secondo momento. Risparmiarsi per un'altra opportunità.

Ma la logica non aveva un granchè da dire quando la premessa a quel piano era che suo fratello potesse potenzialmente perdere la vita.

-Ho sentito- replicò Shaun. –Ma non lo lascerò morire così.-

-Non abbiamo detto questo- obiettò Daisy, ora che li aveva raggiunti. –Tra le due, dovremmo almeno prima capire che sta succedendo. Uscire da questo posto noi soli, se le cose fossero veramente andate per il peggio, sarebbe comunque una condanna a morte- disse, aspra. –Tanto vale tentare.-

-Allora sbrighiamoci!- insistette il synth, liberandosi il braccio dalla stretta di Morrison. –Grognak è nei guai, e se qualcosa è capitato a quella creatura, dev'essere per forza serio. Muoviamoci.-

-In silenzio- avvertì Daisy. –Non vogliamo rischiare d'attrarre l'attenzione di qualcuno prima del tempo. Shaun, stai dietro di noi. Tu andrai avanti, e io ti coprirò col cecchino- ordinò la donna all'altro ghoul, prendendo il fucile dalle proprie spalle. L'altro ghoul annuì.

Il trio avanzò in silenzio a quel punto, tenendosi bassi dietro la cresta della collina su cui si erano separati dal resto del gruppo. Gli spari erano continuati mentre parlavano, la loro eco rinforzata dal sinistro avvicinarsi dei brontolii di una tempesta radioattiva. Quel genere di cambiamenti era comune nel Mare Splendente: nel giro di due minuti, il tempo poteva passare da terribile a semplicemente intollerabile, senza alcun preavviso.

Era chiaro che ora il cambiamento andasse in quella precisa direzione, visto l'odore d'ozono che s'alzava dal terreno e dal lampo verde che li accecò per un attimo, innaturalmente brillante rispetto al brontolio ancora lontano dei tuoni. Shaun deglutì, l'ansia per la sorte di Duncan che certo non veniva aiutata da quei presentimenti sinistri.

Si fermarono dietro un masso, lasciando che Morrison andasse avanti e ottenesse un minimo di visuale sul capanno. Il ghoul era a malapena visibile, nascosto dalle stesse fumarole di cui si era lagnato solo pochi minuti prima. I vapori sotterranei parevano ancora più soffocanti ora che la tempesta si stava avvicinando, più densi: quell'ostacolo rese ai due inizialmente difficile vedere che il ghoul, posizionato più avanti, stava gesticolando nella loro direzione.

Lo videro molto bene quando passò sopra le loro teste, sbalzato da un'esplosione ben più assordante ed accecante dei tuoni della tempesta.

La terra aveva vibrato, ben più forte del semplice rollio a cui si erano ormai abituati: qualsiasi cosa fosse esplosa, non era stato un petardo qualsiasi, ma un ordigno più potente. Daisy era impegnata al fianco di Morrison, nel tentativo, a prima vista, di rianimarlo: vi era corsa immediatamente dopo averlo localizzato, abbandonando Shaun dietro la copertura del masso. Il synth colse l'occasione per quella che era e, con la pistola stretta in pugno, superò il masso, correndo in direzione del capanno. Una mossa sciocca: le orecchie ancora gli fischiavano dall'esplosione, e il fumo radioattivo gli faceva piangere gli occhi, rendendolo a tutti gli effetti cieco e sordo. Un'assurdità, dunque, la scelta di muoversi da quella copertura: una decisione illogica, potenzialmente fatale.

Ma la ragione ora era muta nella sua mente: le uniche cose che vi riverberavano erano il fischio, e l'urgenza di trovare suo fratello.

Nemmeno i fumi più irritanti avrebbero potuto impedire a Shaun di vedere, in ogni caso , lo stato dello spiazzo in cui si ergevano le rovine di ciò che restava del capanno.

La prima forma che riconobbe, inequivocabile e più vicina, era quella di un'armatura atomica: era a pochi passi da lui e dal punto in cui Morrison si era sporto poco prima, le gambe di pesante metallo ancora ritte e mezzo sprofondate nel terreno letteralmente bollito e cedevole. Il resto della suite, però, era più simile a rottami montati a formare l'architettura di un'armatura, non da un ingegnere; bensì, da un bambino con evidenti problemi a tenere le mani ferme. Pareva fosse esplosa dall'interno.

La batteria nucleare, realizzò Shaun a quel punto. Qualcuno doveva aver sparato alla batteria nucleare.

Venne investito a quel punto dalla consapevolezza di star respirando l'odore rivoltante di carne bruciata, e non poteva nemmeno mettersi una mano davanti la bocca per trattenere il bisogno di vomitare: inghiottire la bile fu uno sforzo non indifferente.

-... aun! Shaun!-

Si forzò a continuare a camminare, superando i resti dell'armatura fusi ormai col terreno, certo di essere un bersaglio troppo facile per un attaccante: ma battendo con forza le palpebre, e togliendosi dagli occhi la patina di lacrime che le aveva coperte, si rese conto che lo scontro pareva essere terminato. L'altra suite di armatura giaceva al suolo, senza essere stata fatta detonare; quattro di quelli che semnbravano essere scribi erano a terra, crivellati di colpi. Tre dei suoi compagni erano al suolo a loro volta –quattro, se contava anche Morrison, di cui non conosceva lo stato.

Grognak giaceva in una posizione a prima vista non ben chiara, sbalzato evidentemente contro i resti del capanno. L'esplosione ne aveva strappato via un bel pezzo; il resto del danno doveva averlo fatto il suo corpo quando vi era stato spinto contro. Era contorto in una posizione innaturale, steso tra i pezzi di legno come in un campo di spine; dal suo corpo si alzava, acre, la puzza di carne e pelo bruciato. Era completamente immobile.

Ci volle qualche attimo di silenziosa, istupidita osservazione da parte di Shaun perché finalmente il synth capisse da che parte fosse la testa. Era sdraiato su un fianco, il ventre scoperto nella sua direzione. Senza doverci nemmeno riflettere, le sue gambe avevano iniziato a muoversi istintivamente verso la creatura, mosso dalla necessità viscerale di trovare suo fratello. Non c'era apparente traccia di Duncan sul campo di battaglia.

Realizzò che qualcuno lo stava chiamando solo quando la fonte di quella voce comparve da dietro Grognak. Per un attimo il suo cuore salì fino in gola, immaginando che quella forma potesse essere quella di Duncan; ma quando si fece più vicino, Shaun lo riconobbe come uno dei ghoul della scorta, un ex-colono di nome Wiseman.

-Dov'è Daisy?- urlò il ghoul quando gli si affiancò, prendendolo per una spalla. Lo scosse quando il synth, inizialmente, non gli rispose.

Shaun indicò vagamente la collina dietro di lui, tirando il braccio perché il ghoul lo liberasse.

Wiseman pareva disperatamente in cerca di qualcosa. Shaun seguì il suo sguardo, notando a quel punto che gli altri superstiti del loro gruppo si stavano or ora riprendendo dall'esplosione: chi era ancora svenuto stava venendo gentilmente scosso da chi era riuscito a rimettersi in piedi. –Stai qui!- urlò il ghoul al ragazzo. Shaun immaginava che, per il tono che aveva la sua voce gracchiante, non avesse ancora recuperato l'udito. –Stai qui, hai capito? Non muoverti! Daisy ha l'emostatico... Daisy... dov'è Daisy?- continuò Wiseman, sembrando ora parlare più che altro a se stesso. Mollò Shaun, dirigendosi con passo incerto verso la collina.

Appena liberato dalla presa del ghoul, il synth riprese immediatamente a camminare verso lo Strider. Non capiva se fosse ancora il fischio dell'esplosione ad assordarlo, o se ci fosse qualche altro rumore bianco a confonderlo: non riusciva a sentire il respiro cavernoso della bestia, non importava quanto si sforzasse. Iniziò ad aggirarla, scegliendo di passare da dietro la sua coda per evitare il grosso dei detriti del capanno, e fu solo dopo qualche passo che si rese conto che i suoi piedi non battevano più seccamente contro semplice terra asciutta, ma che schizzavano liquido come da una pozzanghera ad ogni passo. C'era un lago di sangue a terra, che ad un'occhiata leggermente più approfondita –per quanto Shaun potesse concentrarsi: si sentiva in maniera curiosa, come se guardasse da dietro un vetro ben più spesso di quello del suo casco- si stava allargando rapidamente.

Dovette farsi strada sotto due pali di legno divelti prima di riuscire a trovare il dorso di Grognak e le prime cinghie della sua sella. La maggior parte erano state strappate, lasciando nel pelo della creatura segni profondi e dall'aspetto doloroso, ma la sella era più o meno ancora in posizione.

Prima che potesse mettere in ordine mentalmente cosa stava guardando, due mani lo presero nuovamente per le spalle e lo spostarono, togliendo quell'immagine dal suo campo visivo.

-Via, via! Fai spazio!- stava urlando Wiseman, spostandolo fisicamente dal passaggio: dopo che l'aveva liberato, due ghoul si infilarono al suo posto, con Daisy alle calcagna. La donna aveva una grande macchia di sangue sui pantaloni, ma non sembrava zoppicare. Quando i suoi occhi si posarono su Shaun, si fermò, smettendo per un attimo di seguire gli altri, e attirò la sua attenzione.

-Ascoltami bene, Shaun- disse, parlando lentamente e a voce alta. –Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Mi senti?-

Il synth non si fidava abbastanza della sua voce per rispondere, quindi annuì. Il gesto era un po' diminuito dal casco, ma Daisy parve cogliere l'antifona. –Molto bene. Ho bisogno che tu vada all'ascensore e disattivi il sistema di sicurezza, in fretta- gli spiegò il ghoul. –Non possiamo stare qui. Il tempo sta peggiorando troppo in fretta. Fai funzionare l'ascensore, così possiamo portare Duncan di sotto. Hai capito, Shaun? Fai funzionare l'ascensore.-

-Io non...-

-Shaun. Duncan ha bisogno di te-. Daisy pareva aver percepito la sua incertezza, e il suo tono si fece duro. –Tu sei il fratello maggiore, giusto? Duncan ha bisogno di te, e tu devi prenderti cura di lui. Avete promesso a Mac di tornare. Se non fai funzionare l'ascensore, non possiamo portarlo al sicuro.-

Il synth lottò ancora per qualche secondo, silenziosamente, mentre cercava di far combaciare nella sua mente l'immagine di suo fratello, vitale e spigliato come tutti i ragazzini della sua età, con la forma rotta e sanguinante che aveva intravisto solo pochi secondi prima. Era difficile. Shaun era più maturo di lui, ma non era mai stato preparato a... quello. Era stata una possibilità che aveva considerato, nei giorni precedenti: ma, si rendeva conto ora, mai completamente accettato.

-Shaun? Hai capito cosa devi fare?- chiese ancora Daisy, stavolta scuotendolo leggermente.

-Ho capito- replicò il synth. –Tolgo il sistema di sicurezza. Richiamo l'ascensore.-

-Quanto ci vorrà?- chiese il ghoul.

-Non lo so- ammise Shaun a quel punto. Non aveva ancora visto che sistema avesse installato suo padre, e non poteva tirare ad indovinare. –Voi stabilizzatelo nel frattempo. Fate in fretta. Quando sarà il momento, l'ascensore sarà pronto.-

Daisy annuì e gli lasciò le spalle, inoltrandosi finalmente tra le macerie del capanno.

Shaun non perse ulteriore tempo, dalla sua, e andò direttamente verso la direzione in cui sapeva essere l'ascensore, seguendo le indicazioni della sua mappa. Aveva un sistema di sicurezza da disarmare, e una tempesta di radiazioni contro cui combattere, se le gocce d'acqua che avevano iniziato a scorrere sul suo casco non erano un'allucinazione.

 

---

 

ROVINE DELL'AEROPORTO DI BOSTON, UN GIORNO PRIMA

Trovare l'accesso alle rovine era stato molto più facile perfino di quando Danse si fosse aspettato, e Danse s'aspettava guai. Tutta l'area era stata fin dai suoi tempi poco pattugliata dalla Confraternita; ora non c'era l'ombra nemmeno di un drone di passaggio. Tutta la zona attorno a quell'accesso era incolta e portava i segni recenti del passaggio di creature selvatiche. Era stata, a tutti gli effetti, abbandonata.

Col favore della notte, Glory e Danse ci misero poco a liberarsi della barricata che bloccava l'accesso alla porta –impossibile capire se fosse stata cambiata di recente, o se fosse la stessa che gli scribi avevano montato dieci anni prima: aveva in ogni caso un aspetto terribile, e non molto resistente. Con Deacon a coprire loro le spalle, entrarono nelle rovine uno dopo l'altro, inghiottiti immediatamente dall'oscurità.

Non c'era energia elettrica in quel settore delle rovine. La Confraternita aveva reindirizzato quanti più generatori possibile a fornire alimentazione ai loro sistemi, sigillando ed ignorando qualsiasi cosa non fosse loro immediatamente utile. Tutti accesero le torce sui loro elmetti e si inoltrarono nelle rovine, fucili in mano. Non si aspettavano resistenza da parte della Confraternita, ma era impossibile dire cosa aveva potuto trovare rifugio tra quei tunnel, se le pareti sotterranee fossero state in qualche modo danneggiate.

C'era un ascensore, che però richiedeva un qualche sistema di sicurezza per essere attivato. Lo ignorarono e procedettero oltre, attraverso l'unica porta funzionante dell'androne, rivelando l'accesso ad uno dei livelli dell'antico parcheggio dell'aeroporto. Numerosi corpi di ghoul ferali affollavano quella che in passato doveva essere stata una sorta di passerella motorizzata.

Il suo contatore Geiger stava dando i numeri. Dovevano esserci delle scorie nucleari nelle vicinanze, o una perdita da qualche generatore, che il synth ignorò per il momento: tutti i membri del gruppo erano ben equipaggiati contro le radiazioni.

Si spostò piuttosto ad esaminare i cadaveri, incuriosito, una volta che si fu assicurato che fossero effettivamente morti.

-Non ci sono bossoli, in giro- mormorò Deacon.

Era impossibile capire da quanto fossero lì i corpi: già in vita erano stati mezzo decomposti, e le radiazioni avevano fatto il resto, rendendo quei cadaveri poco appetibili per i parassiti decompositori. Potevano essere lì da anni. -Laser. Li deve aver abbattuti la Confraternita- replicò Danse alla spia, altrettanto quietamente.

Ma non abbastanza.

Una voce rovinata, tremante, che suonava come se il suo proprietario stesse cercando di parlare attorno ad un'emorragia, o a una patata, risuonò debolmente nell'androne. -Chi... chi è là?-

Veniva da quella che sembrava una nicchia, a malapena visibile dietro le macerie del soffitto crollato, nella parete del corridoio. Le tre spie si misero immediatamente in guardia, seguite da Danse una frazione di secondo dopo, ma fu il synth a mettersi alla posta dietro l'angolo che dava accesso alla nicchia.

L'accesso era coperto da una grata che pareva essere stata installata di recente: sicuramente non faceva parte dell'architettura originale dell'aeroporto. Non aveva, a prima vista, un sistema di apertura che non fosse un lucchetto evidentemente rotto e bloccato in posizione chiusa: era piegato come se fosse stato colpito con violenza da qualcosa.

Un accesso di tosse, patetico e bagnato come se chi ne fosse afflitto avesse liquido nei polmoni, lo sorprese, ma Danse non sobbalzò. Col fucile carico, superò la soglia e puntò l'arma verso la nicchia, pronto a sparare.

Nulla avrebbe potuto prepararlo alla vista che lo aspettava oltre l'angolo.

La forma che era al suolo, sdraiata con la schiena adagiata ad un mucchio di cemento spinto contro il muro, una volta doveva essere certamente umana. Indossava stracci che avevano un aspetto rigido, incrostati completamente di sangue al punto che qualsiasi colore originale avessero avuto era ormai irriconoscibile; sotto quei pochi stralci di tessuto, erano visibili membra scheletriche, che alla luce della sua torcia brillarono in maniera sinistra. Non erano semplicemente coperte di sangue: erano prive di pelle, i muscoli e altri tessuti che mai un occhio umano avrebbe potuto dover vedere in occasione normale esposti all'aria aperta.

Lo stesso valeva per il suo viso. I denti erano scoperti in un ghigno perenne, sinistro, esposti dalla tensione e dal ritirarsi dei tessuti. Aveva occhi verdi spiritati, iniettati di sangue; pochi fili di capelli sopravvivevano testardamente in cima alla sua testa, ma era impossibile capire di che colore fossero stati in origine.

A quanto pareva, il sistema di filtri dell'armatura stava risparmiando Danse dall'odore. Quando non sparò, le sue tre spie gli si affiancarono: Glory e Tinker Tom si girarono immediatamente, il secondo per vomitare, mentre Deacon si limitò a storcere il naso, per il resto completamente illeggibile.

La... persona, non pareva avere intenzione di muoversi. Non poteva, con tutta probabilità. Le sue membra parevano troppo danneggiate per poter anche solo sperare di poter reggere il suo peso, scheletriche com'erano.

Sotto di lei, una pozza di materiale verdognolo e dall'aspetto curioso si allargava, proveniente all'apparenza da dietro le macerie contro cui giaceva. Scorie nucleari.

-Beh. Questo è spiacevole-, commentò Deacon, fucile comunque puntato sulla persona a terra.

Quella spostò lo sguardo prima ad uno, poi all'altro, con estrema fatica, come se le provocasse dolore anche solo girare gli occhi.

Danse non capiva. La sua mente non riusciva nemmeno a formulare una qualche ipotesi –la presenza di quella... persona, nella sua testa, non trovava nessuna giustificazione logica. Non lì, non in quello che pareva un avanzato stato di decomposizione. Non doveva essere viva, non in quelle condizioni.

A meno che...

-Ghoulificazione. Eugh. Credevo fossimo abbastanza avanti con gli anni per non doverlo mai veder succedere di persona- si lamentò Tinker Tom da un angolo, prima che la sua voce venisse stroncata da un altro conato.

-Chi... chi siete?- chiese debolmente il... ghoul, faticando ad articolare le parole. Quando socchiuse la bocca, Danse potè vedere un frammento della sua lingua, gonfia e mutata oltre ogni possibilità di salvezza. -... Kells? Rhys? ... vi prego, vi prego... fatelo smettere- mormorò, in quella che doveva essere una supplica.

-Cosa? Di che stai parlando?- chiese Danse, confuso.

-Fa male...- sibilò il ghoul. Un rivolo di materiale scuro, sangue o chissà che altro, colò dalla sua bocca. –Ho sbagliato. Ho capito.- Prese un respiro strozzato, bloccato sul nascere da un altro accesso di tosse violenta. –Maxson aveva... promesso un'esecuzione. Vi prego... vi prego...-

Deacon e Danse si scambiarono istantaneamente, istintivamente uno sguardo.

Chiunque fosse quel povero cristo, conosceva l'Anziano. E a quanto pare l'Anziano aveva una gatta da pelare con lui, se gli aveva garantito la forca. Eppure... se così era, che ci faceva lì, invece di essere nelle prigioni?

-Che ci fai qui?- chiese Deacon, quando Danse esitò a interrogarlo. –Identificati, civile.-

-Non... non sono un civile. Chi siete...? Coscritti?- chiese il ghoul a sua volta. –Sono... prigioniera. Traditrice. Maxson era... all'udienza. Affidata ai... carcerieri. Ma non mi hanno più...- Un suono più simile a un rantolo che a un gemito le sfuggì dalle labbra.

-Traditrice? Sei una traditrice della Confraternita?- insistette Deacon.

-Sì... No...!- si corresse dopo un secondo il ghoul, con più convinzione stavolta. –No. Ho fatto... ho fatto la cosa giusta da fare. L'unico modo- aggiunse, in un apparente non sequitur, come se faticasse a mettere in ordine quanto voleva dire. –Era... era l'unico modo... io non l'ho tradito. Non abbiamo mai... tradito la Confraternita...-

Prima che Danse potesse trattenersi, una delle sue mani passò dal fucile alle sbarre, in una stretta che le fece scricchiolare. Aveva un orrido, terribile presentimento, inspiegabile nella sua mente a livello razionale, ma comunque disturbante. Aveva un bisogno viscerale di assicurarsi che non fosse vero, che non potesse essere vero.

–Scriba Haylen?- chiese.

Lo sguardo del ghoul, che passò immediatamente da Deacon a lui in un chiaro segno di riconoscimento, fu la conferma che Danse non avrebbe mai voluto avere.

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Capitolo 21
*** Dalla Terra alla Luna ***


 


DUE GIORNI DOPO, MARE SPLENDENTE MERIDIONALE

Il Sito Prescott era, dall'esterno, precisamente come Nick e Nate lo avevano lasciato, un decennio prima. Certo, le loro impronte erano state cancellate da anni di tempeste di sabbia e raffiche di vento, ma la porta era ancora identica, e il tastierino ballava ancora un po' nel suo alloggiamento da quando Nate lo aveva estratto per inserirvi un nuovo chip.

I synth lo lasciarono lavorare in silenzio, senza offrire nessun commento, quando il detective si appropriò immediatamente di esso per inserire i codici. Non avevano incontrato particolare resistenza nel loro viaggio a sud, a parte qualche sgradita visita dalla fauna locale: niente di più pericoloso, per fortuna, di un piccolo sciame di Stingwing, dissuaso dai suoi intenti dal lancio ben calcolato di una granata a frammentazione di Chase. Ciò non impedì loro, comunque, di mettersi immediatamente di guardia attorno all'ingresso, assicurandosi che nulla li avesse, in qualche modo, seguiti.

Con un beep obbediente, lo schermo si illuminò di verde, e la serratura scattò nelle porte di sicurezza. -Dentro, veloci- intimò Nick, aprendo l'ingresso. Lo sigillarono alle loro spalle una volta che l'intero gruppo fu entrato e, per la prima volta dopo dieci anni, il synth si ritrovò nuovamente di fronte all'immensa, seconda porta di sicurezza del sito di stoccaggio.

Dieci anni fa, Nate aveva rimesso in funzione i lucchetti del portone, riggandoli allo stesso sistema di sicurezza esterno ma con una chiave diversa. La minuscola anticamera in cui erano chiusi dentro doveva dare ai synth l'idea d'essere in una trappola per topi, se il commento sarcastico di uno di loro era di qualche indicazione.

-E se ora non si apre?- chiese il giovane dai capelli bruni, che sotto l'armatura indossava una tuta blu.

Nick ridacchiò. –Funziona tutto. È sicuramente meglio di come l'abbiamo trovata la prima volta che sono venuto qui- disse, iniziando a far forza sulla maniglia. Se sul resto della struttura il tempo era stato, apparentemente, clemente, non era stato lo stesso per quella manopola. O forse, semplicemente, Nick peccava della forza superumana della suite con cui Nate aveva aperto l'ingresso, dieci anni prima.

Due synth vennero in suo aiuto, e finalmente ebbero successo, smuovendo la maniglia con un gemito metallico. –Com'era?- chiese uno di loro.

-Scassinata- rispose il detective. –Ai figli dell'Atomo piaceva l'idea di prendersi tutte le bombe che sono qui dentro, ma non avevano fatto i conti con i loro proprietari. O quello che ne restava, almeno. Tutti ghoulificati. Io e Nate abbiamo fatto pulizia di tutti gli indesiderabili, in ogni caso: non mi aspetto grosse sorprese all'interno- spiegò, mentre spingevano assieme la porta. Ci riflettè, poi, un po' meglio. –Mh, c'erano dei ratti talpa, però, al livello inferiore. Altri potrebbero aver trovato il modo di infilarsi qua dentro da sotto.-

Chase fece una smorfia a quella menzione. –Bestie disgustose- commentò, rivelando un certo slancio di sentimenti umani riconoscibili che per l'ex predatore erano, di solito, abbastanza rari.

Nick ridacchiò alla sua reazione. –Altroché.-

Nei dieci anni dalla sua ultima visita, la struttura pareva pressocchè identica. Le passerelle non parevano essere state ulteriormente danneggiate, e quelle cadute non erano state smosse; i sistemi di sicurezza riattivati da Nate bloccavano gli accessi alla maggior parte delle console di controllo, e all'unica via che conduceva verso a quella funzionante visto che, come ulteriore misura di protezione, avevano irrimediabilmente danneggiato l'ascensore dopo la loro prima visita.

La discesa fu, dunque, abbastanza lenta. A ogni ingresso elettronico Nate aveva, quasi paranoicamente (ma per buone ragioni, in fondo) allacciato un diverso sistema di codici, che Nick avrebbe faticato a ricordare se avesse avuto una memoria organica: forse solo soldati altamente addestrati come Nate erano in grado di ricordare stringhe e stringhe di codice senza problemi, ma il synth dubitava che ce ne fosse qualcuno ancora in vita.

-Aw, peccato- fece uno dei synth a un certo punto, distraendolo dai suoi pensieri.

-Mh? Che c'è?- chiese Chase, anticipandolo.

Il synth aveva in mano una lattina d'acqua purificata, ma aveva un'espressione rattristata. –È vuota- rispose. –La nostra roba è piena di sabbia.-

-Non dovresti consumare cibi e bevande provenienti da un luogo come questo, in ogni caso- lo redarguì la donna. –Non abbiamo idea di quanto possano essere stati contaminati. Già i resti di cibi a lunga conservazione a nord sono sufficientemente irradiati da essere pericolosi: cosa credi di trovare, qui?-

-Probabilmente sarebbe stata ancora buona- li interruppe Nick, sbloccando l'accesso all'ultimo terminale dalla scrivania a cui erano arrivati. La porta tagliafuoco che conduceva alle viscere del sito si aprì con uno schianto. –Non è da me lasciare rifiuti in giro, di solito, ma non credo che il sistema di riciclaggio funzionasse ancora, anche dieci anni fa. Di solito Nate cercava comunque un cestino quando doveva buttare via qualcosa... sai, forza d'abitudine- disse, guardando la lattina con uno sguardo un po' lontano. –Ma immagino che fossimo troppo distratti per pensarci.-

-Oh- fece, un po' stupidamente, il synth dopo qualche secondo. Nick sorrise quando, con cura, cercò di rimetterla precisamente dove l'avesse presa.

-Va tutto bene. È solo spazzatura- lo rassicurò.

-Beh... comunque non era roba mia- insistette l'altro. –Mi dispiace.-

Nick continuò ad insistere che non ci fosse alcun bisogno di scusarsi, ed il synth rifiutò cocciutamente ognuna di quelle affermazioni: la discussione continuò fino all'interno del labirinto di passaggi che conduceva all'ufficio di comando, nonostante l'odore di putredine lasciato dai ghoul e dai figli dell'Atomo lasciati a marcire anni prima. Quello a cui Nate aveva sparato in testa era stato chiuso nell'anticamera di stoccaggio, per evitare di doverlo aggirare nelle ore che avevano passato a preparare i nuovi sistemi di sicurezza: ragion per cui, una volta arrivati all'ufficio, lo trovarono relativamente pulito, ad eccezione della vecchia macchia di sangue ormai nero sul pavimento.

Non ci volle molto per Nick per riattivare i sistemi di lancio del Sito Prescott, pur sempre con una certa trepidazione. Niente poteva garantire loro che il cannone non scoppiasse sotto i loro culi, spedendoli con un viaggio espresso di sola andata all'aldilà, e anche abbastanza male. Ma, per il momento, l'unica cosa che sentivano erano i beep del terminale e lo schianto, lontano, del cannone che usciva da qualunque guscio lo ospitasse, ancora puntato sull'ultimo bersaglio inserito.

La sirena che segnalava l'avvio della sequenza di lancio era ripartita immediatamente, dopo essere stata silenziata dieci anni prima, ma a parte quel rumore Nick non sentiva nient'altro di preoccupante. O che annunciasse una loro imminente obliterazione. Prese la radio dalla sua cintola, a quel punto.

-Squadra Alfa, siamo in posizione e pronti al collegamento con K-21B- disse. Attese qualche secondo, con lo statico come sola risposta, sotto l'esame degli altri synth. Quando non giunse alcuna risposta, riprovò: -Qui Squadra Alfa, siamo in posizione su SSP e pronti al col...-

Venne interrotto da, finalmente, una risposta. –Squadra Theta, vi riceviamo, forte e chiaro- disse Shaun. –Vi vedo online sul sistema. Procedo alla connessione.-

Sullo schermo del terminale di controllo iniziarono ad apparire e susseguirsi una serie di finestre di dialogo che scorrevano troppo in fretta perché Nick potesse capirci qualcosa: Shaun aveva assunto il controllo remoto del terminale.

Se da una parte era sollevato di sapere che Shaun era riuscito ad arrivare al bunker –e, per estensione, immaginava anche il resto della sua scorta-, dall'altra fremeva per sapere, appunto, in che stato fossero gli altri membri della loro squadra. La fretta di Shaun era comprensibile, visto il suo animo rigidamente razionale, ed era importante che si assicurassero in fretta che tutto funzionasse a dovere prima di incappare in problemi in un momento cruciale; ma, ciononostante, Nick non poteva evitare di preoccuparsi.

-I sistemi sono tutti verdi- disse Shaun dopo qualche minuto, fermando il flusso di dati al terminale del detective. –I sistemi di lancio e puntamento sono funzionanti e il cannone è al 91% di efficienza. Non sono visibili o percepibili blocchi di detriti o altro all'interno della canna. Il sistema di caricamento è funzionante e in posizione... c'è un già un missile in posizione sulla rampa, ma non è armato- snocciolò il bambino.

-Armalo- replicò il synth. –Non sappiamo di preciso quanto sia lunga la procedura, ma meglio essere pronti.-

Pochi secondi dopo, un rumore meccanico iniziò a risuonare nelle viscere della loro posizione, mentre i marchingegni della stazione armavano e posizionavano uno dei missili nel cannone. I synth si guardavano attorno, un po' preoccupati, e Nick condivideva quell'apprensione. Stavano maneggiando esplosivi dal potenziale distruttivo non indifferente. Uno solo di quei missili sarebbe stato sufficiente, secondo le stime di Shaun, a radere al suolo l'intero aeroporto di Boston; figurarsi che cosa sarebbe potuto succedere, se fosse scoppiato sotto di loro prima del tempo.

-Procedura completata- fece notare, in maniera un po' ridondante, Shaun, quando sulla base calò il silenzio. –Missile armato. Zio, ho bisogno che tu inserisca le coordinate dalla tua parte.-

-Sono pronto- replicò Valentine, sopprimendo il bisogno di scrocchiarsi le nocche. Non importava quanti anni passassero, il suo cervello avrebbe sempre cercato di propinargli istinti che non poteva più soddisfare. –Quando vuoi.-

Controllarono tre volte che le coordinate combaciassero su entrambi i sistemi, e un nuovo, più profondo brontolio sotterraneo comunicò ai synth, inequivocabilmente, che il cannone ora armato puntava dritto verso l'aeroporto di Boston.

-Avete sentito qualcosa dal Castello mentre aspettavate?- chiese Valentine, accendendosi una sigaretta. Ora che le cose più importanti erano state fatte, potevano permettersi di rilassarsi mentre aspettavano notizie dai Minutemen. I synth avevano iniziato a preparare una piccola area d'accampamento nell'anticamera, stendendo i loro sacchi a pelo e mettendo in sicurezza l'ingresso all'intera area con delle trappole davanti all'unico accesso.

-Nulla. Ma siamo in anticipo di un paio di giorni- rispose Shaun. –È comprensibile.-

C'era qualcosa nel suo tono che Nick non riusciva propriamente ad identificare, e che non sapeva se addossare alla cattiva trasmissione. –Siete riuscire a trovare il bunker senza difficoltà?- chiese.

Una pausa dall'altra parte della linea. –Lo abbiamo trovato. Voi? Avete trovato resistenza?-

-Di nessun tipo- rispose Nick. Ora iniziava ad essere genuinamente sospettoso. –Nemmeno uno scarafaggio.-

Ci fu un'altra pausa, e qualcosa nel tono di Shaun quando parlò, dopo, pareva minutamente sollevato. Ma era un qualcosa di molto piccolo. –Oh, ottimo.-

-Shaun?- chiese il synth, quando l'altro parve esitare. –Va tutto bene, lì?-

-Ora sì- replicò alla fine il bambino. –Nick... non sai quanto sono felice di sapere che state bene- continuò. –Eravamo preoccupati. Il capanno era stato compromesso quano siamo arrivati.-

Il synth non aveva un cuore organico, ma il suo cervello sintetico fece del suo meglio per emulare la sensazione di averlo, ora, in gola, e in uno stato molto vicino alla tachicardia. –Chi? Figli dell'Atomo?- chiese, pur certo, in qualche modo, che non fossero quelli i responsabili.

-No. Confraternita- rispose Shaun. Un mormorio ansioso iniziò a percorrere il gruppo di synth mentre lui parlava. –Non avevano compromesso il bunker. Non ancora. Il sistema di sicurezza di papà era ancora attivo, e non riuscivano a craccarlo, a quanto pare. Quando siamo arrivati avevano scoperto il capanno e stavano cercando di entrare, ma per fortuna non erano ancora arrivati a far saltare l'accesso con qualche esplosivo.-

-Buon per noi. Nate aveva previsto una possibilità del genere, i terminali avrebbero dovuto formattarsi se qualcuno avesse tentato un ingresso violento- disse Nick. –Almeno è tutto ancora intero. Li avete neutralizzati senza problemi? State bene?-

Il silenzio, dall'altra parte della linea, era sufficiente a Nick per iniziare immediatamente a pensare al peggio. Shaun stava evidentemente bene- bene abbastanza da aver risposto e aver completato le procedure senza intoppi... ma...

-Abbiamo perso Boris e Wiseman. E... Grognak- disse Shaun. –Una delle suite dei Cavalieri è esplosa, ed è finito contro il capanno. Una trave gli ha perforato il collo.-

-Duncan come sta?- chiese Nick, una nota d'urgenza nella voce.

-È stabile- replicò Shaun dopo qualche secondo. Nick maledisse la trasmissione poco pulita: lo statico di fondo copriva qualsiasi inflessione di voce a parte l'ovvio, e non riusciva a capire se il bambino stesse mentendo. –Un sacco di lividi e graffi... e una concussione, e una gamba rotta veramente, veramente male- elencò. –Gli... gli era rimasta incastrata nella sella. Non abbiamo dottori qui, e Daisy ha fatto tutto quello che poteva, ma...-

Si fermò, a quel punto. Quell'interruzione poteva voler dire qualsiasi cosa: che l'avessero steccata, o amputata direttamente. Ma Nick non si sentì in grado di insistere oltre. Trasmissione di merda o meno, Shaun pareva provato a sufficienza.

-Come stai, Shaun?- chiese a quel punto.

-Io?- ripetè quello, un po' incredulo. –Io sto bene. Duncan non mi ha nemmeno fatto avvicinare allo scontro. Mi ha mandato via. Non... non mi sono fatto niente.-

-Non è colpa tua, Shaun. Non avresti potuto fare niente in ogni caso, lo sai, vero?-

-Stava cercando di proteggere me- replicò il synth dopo qualche secondo. –Mi ha mandato via per proteggermi, per far funzionare comunque il bunker anche se loro non fossero riusciti ad eliminare la Confraternita. Se non avesse dovuto...-

-Li avrebbe attaccati in ogni caso, Shaun- lo interruppe Nick, bloccando quella spirale autodistruttiva. –Tuo fratello odia la Confraternita, ed erano su un sito sensibile. Anche senza di te, avrebbe agito comunque.-

-Però...-

-Shaun.-

La fermezza del suo tono doveva essere arrivata al bambino nonostante i disturbi sulla linea, e anche a chiunque altro fosse in ascolto nel bunker. –Grazie a Dio, Valentine- fece una voce gracchiante. –Sono due giorni che gli dico di smettere di fustigarsi. Se avessimo avuto dei ceci, ci si sarebbe inginocchiato sopra.-

-Felice d'essere d'aiuto, ma chi parla?-

-È Daisy- rispose Shaun. –Stanno tutti bene. Abbiamo appena finito con la procedura- disse poi, rivolto evidentemente al ghoul che era con lui.

-Buone notizie, finalmente...! E ora, che si fa?-

-Mi metterò in comunicazione col Castello- rispose Shaun. –Dobbiamo fare rapporto. I comandanti devono sapere che siamo in posizione...-

-Me ne occuperò io- si intromise Nick. –Tu riposati.-

-Sto bene!- obiettò debolmente Shaun.

-Shaun, questa linea è troppo disturbata per capirlo dalla voce, ma sono sicuro che tu non abbia chiuso occhio da quando siete arrivati a quel dannato bunker. Ti conosco. Sbaglio?-

Il silenzio dall'altra parte della linea era abbastanza colpevole.

-Vai a riposare, Shaun. Abbiamo bisogno di te- ripetè Nick a quel punto, con tono più conciliante.

-... okay, zio Val.-

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DUE GIORNI PRIMA, ROVINE DELL'AEROPORTO DI BOSTON

L'occhiata che Deacon scoccò a Danse fu più eloquente di qualsiasi altra l'uomo avesse mai ricevuto nel corso della sua intera esistenza –organica o sintetica che fosse.

Non fare casino.

-Sono io- rispose finalmente Haylen. –Anche se... heh, non credo di essere... molto presentabile, Cavaliere.-

Parlare attorno alla stretta che Danse sentiva alla gola fu un'impresa complicata. –Non... non capisco- mormorò, con una mancanza d'eloquenza che fece sbuffare la spia al suo fianco. –Se anche tu hai... voglio dire-, e si fermò, perché dire quello che doveva dire senza sbottonarsi eccessivamente era difficile. Ma non poteva permettersi di essere incauto. Se la Confraternita aveva preso ad utilizzare quel posto in quella... maniera, era imprevedibile chi potesse esserci in ascolto. –La Confraternita ha sempre trattato onorevolmente i propri prigionieri- disse alla fine. –Questo comportamento è inaccettabile per gli standard.-

-C'è... c'è troppa poca Confraternita, per tenere... alti gli standard- ansimò Haylen.

-Che intendi?- insistette Danse, quando la donna non aggiunse altro.

-Venite... venite da fuori?- chiese quella allora. –La guerra... la guerra ci ha decimati- spiegò, venendo interrotta ad un certo punto da un altro accesso di tosse. –Maxson ha dei... coscritti. Esterni, a... coprire le mancanze. Loro non sono mica... sottoposti, ai nostri standard.- C'era una nota di disgusto nel gracchiare della sua voce.

-I Gunners- fece Deacon a quel punto. –Probabilmente Maxie ha perso un po' troppa gente, e ha coscritto i Gunners. Che fanno, adesso? Carcerieri, supporto alle truppe, sentinelle...?-

-Tra... le altre cose- rispose la donna. –Siamo pochi. Pochi Cavalieri, pochi Paladini... e... e gli ultimi... Maxson voleva mandarli a sud... nel Mare Splendente. Non so per cosa. Non ho fatto in tempo... mai, a scoprirlo.-

C'erano più Gunners che confratelli, all'aeroporto? Danse stentava a crederlo, ma iniziava anche a temere che potesse essere una possibilità reale. Rispetto ai Minutemen la Confraternita era sempre stata in minoranza numerica. Un'ondata dello stesso disgusto che probabilmente aveva provato Haylen lo percorse. Quella gente non era molto diversa dai classici saccheggiatori senza onore: solo, erano più organizzati, e con equipaggiamenti migliori di quanto si meritassero. Era un momento buio per la storia della Confraternita d'Acciaio della loro costa, se la maggior parte delle loro forze armate non era formata che da predoni con problemi d'ego.

-Non ho visto che... coscritti, da quando mi hanno portata qui- continuò il ghoul. –Nessun confratello. Li ho chiamati... ho sperato... che qualcuno, almeno, mi ascoltasse... ma solo coscritti. E da un po'... nemmeno loro. Non so nemmeno da quanto...-

-Ci sono altri prigionieri qui dentro?- chiese Deacon. Danse aveva evidentemente esaurito l'eloquenza, o la voglia di parlare.

-Può... può essere- rispose il ghoul, incerto. –I Gunners... si occupavano dei prigionieri... ma non ho mai visto le prigioni. Devono essere... uh, devono essere queste.- Parlava con un tono un po' confuso, ma era comprensibile che il suo legame con la realtà fosse labile, nello stato in cui era. –Ho sentito... strani rumori, più in profondità. Forse... altri...-

-Staremo attenti, zuccherino. Promesso- rispose Deacon, suscitando un'ondata di fastidio in Danse. Non era certo il modo di rivolgersi ad uno Scriba, quello!

Ma Haylen, con sua sorpresa, ridacchiò. Un suono rotto, patetico e quasi spiacevole, ma l'intenzione c'era, ed era arrivata chiaramente alle loro orecchie. –Non... non mi avete risposto- sospirò. –Siete i primi... miei confratelli, che vedo da così tanto tempo. Non... non posso almeno sapere i vostri nomi?-

Oh, faceva male. Danse fece un passo indietro. Haylen era sempre stata innamorata della Confraternita, fin dai primi tempi della sua sponsorizzazione; la sua fedeltà e il suo spirito brillante non avevano mai vacillato, nemmeno nei momenti più duri del suo servizio, come la loro missione nel Commonwealth prima ancora dell'arrivo del Prydwen nella regione. Che anche in quel momento, la vista di supposti confratelli la rassicurasse, nonostante fossero stati proprio loro ad affidarla ai loro nuovi "coscritti" e a ridurla in quello stato, non sorprendeva e nel contempo addolorava profondamente Danse.

-Non preoccuparti di quello, fiorellino- disse Deacon e, per una volta in tutto il tempo in cui il synth l'aveva conosciuto, la sua voce pareva esprimere un sentimento sincero: pietà. –Sappi solo che abbiamo un amico in comune. Vogliamo anche noi, sai... fare la cosa giusta.-

Di nuovo, negli occhi spiritati di Haylen, passò un lampo di riconoscimento che confuse Danse: qualsiasi cosa avesse comunicato Deacon con quella frase criptica, a lui era sfuggito. Non ebbe modo di fare nulla al riguardo, però: Deacon estrasse dalla fondina la sua 10 millimetri silenziata con un unico, fluido e rapidissimo gesto, e sparò ad Haylen in testa prima che Danse potesse reagire.

Dal microfono dell'armatura si sentì solo un suono strozzato mentre l'uomo guardò la sua amica accasciarsi al suolo sul suo letto di macerie. Il suo corpo martoriato parve, finalmente, rilassarsi una volta per tutte.

Dietro di lui, Tinker Tom stava rimproverando Deacon per averlo fatto spaventare con lo sparo –anche se il suono era stato davvero minuscolo-, ma Danse non ascoltava.

Logicamente parlando, la scelta di Deacon era stata la più corretta. Non c'era modo di salvare Haylen, né di risparmiarle ulteriore sofferenza: se anche avesse mantenuto il lume della ragione una volta terminata la ghoulificazione, la sua esistenza sarebbe stata terribilmente dolorosa, visto quanto tempo era necessario perché il corpo di un ghoul si stabilizzasse dopo la sua trasformazione. Non era un'esistenza che meritava d'essere vissuta.

La colpa era ciò che, al momento, lo stava divorando. Haylen era stata ridotta in quello stato solo ed unicamente perché, Danse lo sapeva, aveva scelto di aiutarlo quando aveva scoperto della sua reale identità. Qualcuno doveva aver scoperto cosa aveva fatto la scriba, forse insospettito dal ritardo nel suo rapporto, forse solo per pura sfortuna: ma solo quando Danse, ormai, era lontano. Da lì, nel clima pesante che era calato sull'aeroporto per via della guerra, non doveva essere passato molto perché i capi collegassero i punti e la accusassero di tradimento. Se Haylen avesse svolto il suo dovere, forse al suo posto ci sarebbe stato Danse, o forse lo avrebbero semplicemente ucciso, molto prima; ma in ogni caso, quella sorte così dolorosa non le sarebbe toccata.

Ma Haylen era sempre stata innamorata della Confraternita e dei suoi ideali. La sua squadra era la sua famiglia. Nella sua meravigliosa cocciutaggine, forse Haylen era stata certa di poter convincere Maxson a vedere le buone intenzioni di Danse, nonostante i fatti che lo dannavano: una scelta ingenua, nonostante la sua esperienza.

-Tutto okay, ragazzone?-

La suite d'armatura atomica non rese visibile il suo sobbalzo, ma Danse era certo che Deacon sapesse di averlo sorpreso. Non si era accorto di aver arretrato fino ad arrivare con le spalle quasi al muro opposto rispetto alla nicchia in cui era stata rinchiusa Haylen; Deacon lo aveva seguito, e aveva ora una postura forzatamente rilassata. Danse intuiva che, se per qualche ragione la sua ragione lo avesse abbandonato e avesse scelto di attaccare la spia, questa sarebbe stata pronta e perfettamente in grado di difendersi.

Non fece nulla del genere. Sospirò, emettendo statico dal microfono, prima di raddrizzarsi e rinsaldare la sua presa sul fucile.

-Sto bene, soldato- replicò Danse. –Solo...-. Esitò a quel punto.

-Già, troppa roba scoperta che uno non vorrebbe mai vedere, a meno che non lavori in un obitorio criminale. Euck.- La spia fece spallucce. –Dovremmo procedere.-

-... sì, hai ragione.-

-Fico. Okay, avete sentito cosa ha detto la prigioniera, giusto? Ci potrebbero essere altri ghoul, là sotto, e non tutti amichevoli. Tenete gli occhi aperti.- Dopo aver ricevuto cenni affermativi da Tinker Tom e Glory, Deacon tornò a rivolgersi a Danse. –Dopo di te.-

Sollevato dal fatto che i guanti metallici nascondessero il tremore che aveva nelle mani, Danse riprese l'avanguardia e tornò a guidare il gruppo attraverso le profondità delle rovine.

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PRESENTE, IL CASTELLO

Hancock saltò di dieci centimetri buoni sulla sua seggiola quando la porta dell'ufficio di Nate si spalancò con tanta forza che sbattè sonoramente contro la pietra, rimbalzando indietro. Era quasi l'alba e i Comandanti, ancora svegli, erano nel bel mezzo di una discussione strategica.

-Ouch...!- fece il messaggero, quando la ricevette in faccia.

-Che cazzo, Berry?!- esclamò il ghoul, dando voce probabilmente al pensiero degli altri Comandanti presenti, tutti allo stesso modo spaventati dal suo improvviso ingresso. –Ti pare il modo?-

-Chiedo scusa, Comandante! Ma abbiamo una trasmissione urgente dall'aeroporto!- ansimò Berry con tono concitato, massaggiandosi la fronte.

Un momento di silenzio, poi: -Quale aeroporto?-

-L'aeroporto!- insistette il messaggero. –L'aeroporto di Boston! I nostri hanno trasmesso un messaggio criptato!-

Garvey, MacCready e Hancock lasciarono immediatamente i loro posti attorno al tavolo della guerra, seguendo l'uomo attraverso il Castello fino al cortile, alla stazione di comunicazione costruita attorno alla torre radio.

-Johnson lo sta decriptando in questo momento- spiegò Berry. –Sono venuto a chiamarvi non appena abbiamo confermato la provenienza.-

-Come fanno ad averlo criptato?- chiese MacCready. –Non potrebbe essere una trappola?-

-Improbabile. Tinker Tom aveva un aggeggio per mascherare le trasmissioni radio tra le sue... diavolerie- replicò Garvey. –Lo abbiamo usato diverse volte per coordinarci e comunicare durante l'evacuazione di Diamond City. Il messaggio passa semplicemente come interferenza statica –è percepibile da chiunque, ma solo chi ha il dispositivo chiave può interpretarlo.-

-Perché non ne sapevo niente...?- borbottò ancora MacCready.

-Perché eri troppo impegnato a correre come un pollo decapitato per tutto il Commons con le tue truppe quando l'abbiamo usato. E anche a farti catturare, ti faccio presente- aggiunse Hancock.

Il silenzio imbronciato ma colpevole di MacCready fu risposta sufficiente.

Arrivati alla stazione, vennero accolti da Johnson, che stava girando sulla sua sedia in quel preciso momento verso l'ingresso. –Oh, eccovi- disse. –Il decriptat... decodicrop... uh... quell'aggeggio della spia, ha finito di analizzare la trasmissione.-

-Falla partire- ordinò Garvey.

Era piena di statico, e dal volume estremamente basso –tanto che tutti i cinque presenti dovettero affollare la console della torre per avvicinarsi agli altoparlanti e poter sentire: ma la voce di Deacon, anche se dstorta, fu comunque perfttamente comprensibile, partendo immediatamente dopo l'alert che annunciava che si trattava di un messaggio preregistrato, trasmesso in loop.

-Liberty Prime decolla tra due ore- stava dicendo. –La Confraternita, con lui. Preparate il Castello.-

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AEROPORTO DI BOSTON, UN'ORA E TRENTA MINUTI PRIMA DEL DECOLLO

-Sveglia, Lanciere!-

Il pilota sobbalzò nel sedile del suo vertibird, quasi perdendo le sue cuffie al richiamo secco del Cavaliere che lo aveva svegliato.

-Signore, sono sveglio, signore!- esclamò, mettendosi più o meno sull'attenti.

-Dobbiamo salire sul Prydwen. Comunicazioni urgenti dal censore Ingram- disse Danse, con tono aspro, dando una perfetta impersonazione del superiore disgustato dal comportamento poco responsabile di un suo sottoposto.

Il Lanciere ebbe comunque la faccia tosta di inarcare un sopracciglio. –Uh... non ho ricevuto comunicazione dal Prydwen, signore... di nessun genere- disse, esitante. –Forse dovremmo aspettare di ricevere autorizzazione anche da...?-

-Sei stupido, Lanciere?- abbaiò Danse, facendo minacciosamente qualche passo avanti. –Dove è finito il tuo addestramento? L'assalto è tra meno di due ore. Il silenzio radio è iniziato mezz'ora fa!- esclamò, con tono abbastanza aggressivo da far visibilmente spaventare il povero pilota, che squittì dal suo sedile. –Non arriverà nessuna comunicazione dal Prydwen, se non il tuo ufficiale richiamo disciplinare e la tua degradazione per aver ritardato le comunicazioni intrabase!-

-Sissignore! Chiedo scusa, signore! Non mi segnali al Lanciere Capo Kells, signore, la prego!- supplicò il pilota.

-Fai arrivare in aria questo affare entro i prossimi due minuti e posso considerarlo, soldato. Muoversi!-

Il pilota si mise immediatamente all'opera, aprendo per loro il portellone del vertibird e permettendo di montare in sicurezza nella parte posteriore. Danse salì per primo, offrendo una mano a Deacon, che aveva un'aria molto più incerta.

Ci volevano solo pochi minuti di manovre per arrivare dal suolo al Prydwen, e in quel poco tempo la spia, già pallida, era diventata cinerea.

-Paura delle altezze?- chiese Danse dal suo posto, sulla panca più lontana dalla cabina di pilotaggio. Non c'era bisogno di abbassare la voce: era vero che la base era in silenzio radio totale da ormai più di venti minuti. Nessuno avrebbe colto le loro parole. Il resto era stata, ovviamente, una grossa palla.

-Nah, ho solo tanto bisogno di cagare- replicò Deacon, tentando un tono noncurante e fallendo, almeno in parte. Da dietro gli occhiali da sole, Danse lo vide lanciargli un'occhiata un po' dubbiosa.

-Ci sai fare, con tutta 'sta cosa della Confraternita- disse, dopo un po'.

-Ti sorprende? Conosci il mio passato- replicò Danse.

-Vero. Per questo te lo chiedo. Sei sicuro di cosa stiamo per fare, vero? Non si torna più indietro, da qui.-

Deacon aveva ragione, in più sensi di quello puramente morale o metaforico.

-Il tempo per i dubbi è passato da un pezzo- rispose Danse eventualmente, abbassando lo sguardo sul proprio fucile. Ed era vero: era finito ben prima che iniziassero quell'operazione, o che si separassero da Tinker Tom e Glory, i due gruppi diretti ora ad obiettivi diversi. Danse sapeva perché aveva preferito occuparsi della parte piano che avrebbe riguardato l'infiltrazione sul Prydwen: conosceva bene il layout della nave, e sarebbe stato semplice indirizzare Deacon nei posti migliori per sabotare essa e il suo prezioso carico di vertibirds, prima che facessero troppi danni al Castello. Era la posizione in cui sarebbe stato più prolifico nell'offrire assistenza alle spie.

Glory e Tinker Tom avevano un altro compito, al confronto relativamente semplice: una volta iniziata la battaglia, con l'aeroporto quasi completamente sguarnito e lasciato nel caos dal sabotaggio dei due a bordo della nave, sarebbe stato molto semplice per loro occuparsi di chi c'era di guardia alla console di Liberty Prime, e di conseguenza distruggerla. La Confraternita non si aspettava un attacco dall'interno: sarebbero stati impreparati.

Nel caos, inoltre, sarebbe stato facile per loro abbandonare l'aeroporto prima dell'arrivo dell'artiglieria nucleare, e salvarsi la vita.

Danse e Deacon sapevano che loro non sarebbero stati altrettanto fortunati: non dal Prydwen, non dopo aver eventualmente allertato l'intera nave della loro presenza una volta effettuato il sabotaggio. Che fosse per quella consapevolezza che ora Deacon gli poneva quella domanda?

-E tu, piuttosto?- chiese il synth. Non doveva aggiungere troppi dettagli: entrambi sapevano già, a quel punto, a cosa si stava riferendo la loro conversazione.

Deacon fece un sorriso amaro che, per una volta, Danse trovò sincero. –Heh- fece. –Non aspettavo altro che questo momento.-




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NDA:

Conoscere il tuo parere purifica la mia pelle, irriga i miei campi e nutre i miei animali (e altri meme tradotti in maniera scadente): se ti va, lasciami una recensione.

Il prossimo capitolo uscirà sabato 30 giugno.

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