pĕrĕdo [ Sebastian au ]

di Cardiopath
(/viewuser.php?uid=925105)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 𝓹𝓻𝓸𝓵𝓸𝓰𝓾𝓼 ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***



Capitolo 1
*** 𝓹𝓻𝓸𝓵𝓸𝓰𝓾𝓼 ***


 << Stars, hide your fires; 

let not light see my black and deep desires >> 

― William Shakespeare, Macbeth   

 

。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。

 

<< Ti odio. Ti odio con tutta me stessa. >>

Il demone digrignante mi prese tra le sue braccia, attanagliandomi in un vortice di graffianti tenebre e silenziose promesse.

<< Bene, non dimenticarlo mai. >> mi sussurrò all'orecchio.

E allora ne fui sicura, che mi avrebbe divorata completamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***


 << Am I the only one I know?

Waging my wars behind my face and above my throat

Shadows will scream that I'm alone

But I know, we've made it this far, kid  >>

 

。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。 

 

Appoggiai la guancia al gelido vetro della finestra, pigramente osservando il mondo con gli occhi di chi non ne fa più parte. Provai un brivido, un tremore che ormai mi risultava familiare, quasi rassicurante - era lo stesso gelo che attanagliava la mia anima.

<< Demone, ho freddo. >> mentii.

Lui mi porse una candida coperta con un sorriso, come a beffarsi di me, avvolgendomi in quell'insostenibile biancore.

<< Ho ancora freddo. >>

Il demone sorrise di nuovo, imperturbabile, e ravvivò il camino.

Allora sorrisi anch'io.

<< Avvicinati. >> gli intimai in un sussurro strozzato. Quando mi fu di fronte, l'impatto della mia mano sul suo volto marmoreo risuonò violenta nella camera da letto.

<< Non fingere demone, non puoi permettertelo. Fino a quando sarai al mio fianco, ti è proibito mentire. Se sei irritato, rompi un vaso. Se sei scontento per i miei capricci, urlami contro, schiaffeggiami. Fa quel che desideri, ma non prenderti gioco di me. >>

Il demone non si scompose, ma ad una velocità sovrumana strinse il mio collo tra le sue lunghe dita, spingendomi delicatamente verso il muro. Ancora una volta sorrise, lasciando tuttavia trapelare un barlume di malizia e tenebrosi intenti.

<< Lo sapevo. Sapevo quando mi evocasti che saresti stata dilettevole - lo lessi nei tuoi occhi freddi, glaciali, così simili ai miei. Ma dimmi ora, sciocca umana, credi davvero che indulgere le contorte bramosie di una indomita creatura degli Inferi sia saggio? >>

Il suo volto si avvicinò al mio, lentamente, fino a che le mie parole si persero in un sospiro sulle sue labbra: << Io non ho paura di te. >>

Le sue dita rafforzarono la presa ed io iniziai ad affannare.

<< Sarebbe saggio averne. >> sogghignò e, l'istante successivo, la sua bocca affamata premeva contro la mia, cocente. Con la sua mano che rallentava il mio respiro, fui costretta a boccheggiare, garantendo un varco per la lingua di quel demone infame. Subito si adagiò tra le mie gambe, piegandosi come un'ombra su di me.

Un calore insopportabile iniziava a consumarmi lo stomaco, e la sua saliva si mischiava con la mia e i suoi occhi sprofondavano nei miei, sfacciati. La mia mano salì su, lungo la sua schiena, sino ad afferrare un pugno di ciocche dei suoi capelli corvini e li tirai con forza e rabbia - ma la sua bocca non lasciò mai la mia, così come quei due tizzoni ardenti che aveva per occhi non smisero mai di osservarmi divertiti.

Quando fu soddisfatto di aver asserito la mia piccolezza, la mano che stringeva il mio collo risalì sino a sfiorare il mio volto, posandosi lì come si poserebbe la tenera mano di un amante; le sue labbra scesero sino al mio petto, posandovi un pungente bacio.

<< Vi siete finalmente scaldata, padroncina? >>

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II ***


Sfregai le mani l’una contro l’altra, oscillando nervosamente sulle mie stesse gambe. Mi feci ancor più piccola di fronte alla cassa, attendendo ansiosamente che l’impiegata si liberasse di me il prima possibile per passare al cliente successivo.

Era la prima volta dopo tanto tempo, forse addirittura anni, che mi accingevo a fare la spesa senza servirmi di Sebastian.

Quando la cassiera mi comunicò il conto, mi affrettai a porgerle il denaro, non curandomi del resto che mi sarebbe spettato: fui fuori da quel luogo affollato e rovente come se mai vi avessi messo piede.

La strada verso casa mi parve interminabile, ancor più per via delle buste colme di provviste che pesavano sulle mie deboli braccia. Mi resi conto che ero diventata fragile, impotente e assolutamente inutile a me stessa.

Quella mattina, guardando il mio riflesso attraverso lo specchio, ero trasalita. Ormai non ero che il fantasma di me stessa.
Arrivata a casa, non sprecai ulteriore fiato e lasciai che le buste precipitassero al suolo, lasciandomi cadere poi sgraziatamente sul letto. Avvertii il demone che si liberava delle mie scarpe per me e presi nota dei fiochi rumori provenienti dalla cucina, ma non mi azzardai ad aprire gli occhi.

<< Desiderate che le porga il pranzo a letto, padroncina? >>

Attesi qualche attimo, prima di sussurrare: << No, demone, non ho fame. >>

<< Mi perdoniate padroncina, è estremamente dannoso per la vostra salute saltare un pasto tanto nutriente quanto il pranzo e le vostre condizioni fisiche già precarie ne risentirebbero notevolmente. Vi consiglio di- >>

Quando si fu avvicinato abbastanza, con un piatto colmo alla mano, mi sedetti sul letto, fissando finalmente il demone negli occhi. Feci per scaraventare via il piatto dalle sue mani con rabbia, <>, ma le mie intenzioni furono stroncate sul nascere.

In un singolo, sovrumano momento, il demone mi aveva bloccato le braccia dietro la schiena, e con l’altra mano posò il piatto accanto a me sul letto.

Prima che potessi proferire parola, due dita forzarono aperte le mie labbra, irrompendo brutalmente nella mia bocca. Provai un terribile brivido appena il tessuto dei sue guanti sfregò contro la mia lingua, iniziando ad applicarvi una pressione sempre maggiore, fino a che un rivolo di saliva scivolò lungo il mio collo.

Sebastian sorrise compiaciuto, celando a malapena la sua irritazione. Gli sorrisi a mia volta e mi accinsi a mordergli le dita con tutta la veemenza possibile, con tutto il rancore che serbavo nei suoi confronti da quel fatidico giorno.

Il demone non si scompose, ma fece scivolare le sue due dita ancor più in profondità, sino a premere contro la gola. Iniziai ad affannare, a tentare di stabilizzare il respiro ed allontanare la sua mano da me, in vano. Si avvicinò al mio orecchio, soffiandovi leggermente come per stuzzicarmi.

<< Dite ‘ah’ padroncina. >>

E con uno dei suoi soliti, insopportabili sorrisi, iniziò ad imboccarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III ***


<< Some of them want to use you

Some of them want to get used by you

Some of them want to abuse you

Some of them want to be abused >> 

 

  。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。    

 

<< Piano, demone. >> gli ringhiai contro.

Ero seduta di fronte allo specchio, nonostante in quel momento avrei preferito frantumarlo in mille pezzi. Occhi rosso sangue mi scrutavano attraverso il vetro translucido e la gravezza della loro ingordigia ricadde su di me come il macigno che precipita violento sul valico della montagna.

Rabbrividii.

Sebastian era in procinto di spazzolarmi i capelli, quei lunghi capelli che non tagliavo ormai da troppo – da quando vivere aveva iniziato a sembrarmi più una punizione infernale che una grazia divina.

Continuava a ripetermi che avrei dovuto lasciarli crescere, coltivarli come lui coltivava me, che quei candidi capelli un giorno sarebbero divenuti la robusta corda stretta attorno al mio collo e allora sì che quel giorno sarebbe stato glorioso. Ogni volta che lo ripeteva, in cuor mio speravo che avesse ragione.

<< Siete incantevole padroncina. >> mi sussurrò all'orecchio.

In quei momenti, invece, speravo che si sbagliasse. Morire avrebbe significato cedermi completamente ed indissolubilmente a lui, come da contratto. Nemmeno nella morte avrei trovato quella pace che agognavo tanto in vita.

E Sebastian era destinato inevitabilmente ad essere la mia salvezza e la mia condanna – il fatto che lo avessi deciso io stessa rendeva il tutto ancora più triste e patetico per me, ma sicuramente più appagante per lui.

Ormai non ero più viva, proprio come non ero ancora morta. Oscillavo, vacillavo, ma ancora non cadevo.

Ciò che odiavo più di tutte le torture che adorava infliggermi con caritatevole crudeltà, più di ogni tocco rubato che straziava e vezzeggiava le mie membra e le mie interiora, più dell'oscurità perenne in cui ero obbligata a vivere, era il suo sguardo famelico.

Quegli occhi, quei dannati occhi purpurei, sembravano pronti per divorarmi in qualsiasi momento, per saltarmi addosso e consumarmi completamente. Se avessi guardato abbastanza a lungo, ero sicura che sarei rimasta bruciata dalle fiamme che ardevano in quegli occhi.

Mi accorsi che il demone aveva iniziato a tracciare un percorso con le sue morbide labbra, scendendo dal lobo del mio orecchio sino al collo, carezzando dolcemente ogni curva sinuosa, posandovi occasionali baci pungenti, che sentivo penetrare in profondità, sino a raggiungere il mio sangue che ribolliva e protestava.

Lo odiavo, lo detestavo dal più profondo di ciò che restava del mio esile cuore. Odiavo il suo stupido sorrisetto compiaciuto, odiavo che sapesse fingere così astutamente i suoi affetti e odiavo che riuscisse a farmi tremare di piacere ogni volta che lo desiderasse.

Presi tra le dita la ciocca di capelli corvini a me più vicina: << Magari un giorno i miei capelli saranno il cappio attorno al tuo collo. >>

Il demone alzò la testa, fissa​ndo l'immagine riflessa nello specchio; sorrise nuovamente:

<< Oh sì, sarebbe indubbiamente un giorno glorioso. >>

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** IV ***


 << Still waiting, hands shaking

Maybe the coast will clear

But these voices, these strange noises

They followed me in here  >>

 

。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。      

 

Spalancai gli occhi in preda al terrore, lacrime amare scivolavano sinuose lungo le mie guance come bisce marine. Boccheggiavo, e la voce mi si rompeva sotto l'impeto di gemiti convulsi - non vedevo altro che un'oscurità opprimente, spaventosa, tanto lontana dal conforto che mi donava la notte senza stelle.

Le mie membra tremavano, ancora imprigionate dalla gabbia onirica che mi attanagliava le viscere. La mia pelle ardente, nuda, non trovava sollievo nemmeno tra le lenzuola di lino che abbracciavano il mio corpo come un tenero amante. Quell'abbraccio, anzi, sembrava volermi soffocare.

Strazianti lamenti inquinavano l'aria, macchiandola di stantio – che strana cosa il passato: quando credi di essertene liberato, ecco che torna a perseguitarti nel più crudele dei modi.

Chiusi gli occhi alla ricerca di un rifugio - di una scappatoia da quel coro di echi lontani appartenenti ad un passato che sapeva fin troppo bene come tormentarmi -, tentando di sfuggire a quegli artigli desiderosi di trascinarmi indietro, indietro, sino a lacerare la mia mente e la mia anima corrotta.

Tentai di aggrapparmi a qualcosa, a qualunque cosa, pur di evitare quella tortura. Alla fine, furono due gelide braccia ad aggrapparsi a me, guidandomi via da quell'Inferno. La corporeità di quel gesto parve risvegliare la mia coscienza assopita, e d'improvviso tutti i sussurri lamentosi che minacciavano di condurmi alla follia cessarono.

Tirai un sospiro di sollievo, e per un momento parvi richiudermi su me stessa, facendomi tanto piccola quanto il nocciolo di un'albicocca; strinsi a me le braccia che mi cingevano la vita, come fossero l'unica ancora di salvezza rimastami al mondo – e forse così era.

Fui colta da un brivido sommesso quando morbide labbra iniziarono a tracciare una scia di fuoco lungo la mia schiena, lasciandomi sulla pelle una letale sensazione di calore polare, di ardente gelo, sino a sbiadire ancora una volta la sottile linea tra realtà e sogno.

Nonostante tutto, mi lasciai cullare da quelle carezze tanto intime e decisi di fingere ignoranza, poiché sapevo fin troppo bene chi fosse ad elargire tanto generosamente quei tocchi stregati. Affogai nel momento e mi lasciai trascinare dalla corrente, mentre le mani che stringevano i miei fianchi iniziavano ad avventurarsi sempre più su, sfiorando il mio torace e scandendo la distanza tra una vertebra e l'altra, curiose. Una volta arrivate ai miei seni, mi ero ormai persa completamente.

Ferventi baci continuarono ad inondare il mio collo e la valle tra le mie scapole, intervallati da soffici morsi, mentre le mani posatesi sul mio petto iniziarono a massaggiarmi lentamente, cullandomi in uno stato di ebbrezza pura. Mi ero ubriacata del suo tocco e non riuscivo più a farne a meno. Non era solo un piacere fisico, era la mia cura, la redenzione da un mondo corrotto che riusciva a perseguitarmi anche nel più profondo dei miei sonni. Era il rimedio che mi permetteva di liberarmi momentaneamente dalle mie catene.

Ed oh, se mi sentivo libera in quel momento.

Mentre una mano continuava a stuzzicare il mio turgido capezzolo, l'altra discese sino a tracciare un delicato disegno sullo stomaco – ogni contatto suscitava bollori e scintille sulla mia povera pelle, stimolata al punto da farmi girare la testa. Quella diabolica mano discese sino a posarsi tra le mie gambe, che si congiunsero istintivamente, come avvertendo un pericolo latente.

Il mio corpo s'incurvò sotto l'impeto di un piacere sconosciuto sino a scontrarsi con la figura che giaceva silenziosa sul letto, dietro di me. Fu la madida lingua che tracciò la distanza tra il mio collo e il lobo dell'orecchio destro a risvegliarmi dalla trance in cui ero sprofondata:

<< Ti sei divertito abbastanza, demone? >>

Non lo vidi, ma sapevo che in quel momento sogghignava trionfante: << Una lezione per voi, padroncina: per un demone come me, abbastanza non sarà mai abbastanza. >>

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** V ***


<< One way or another, I'm gonna find you - I'm gonna get you

And one way or another, I'm gonna win you - I'm gonna get you, get you  >>

 

。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。  

 

<< Voglio uscire... >>

La mia tremula voce venne accolta da un silenzio assordante, e parve quasi echeggiare tra le fredde mura dell'abitazione che, un tempo, avevo considerato la mia casa. Per qualche istante, come accadeva ormai sempre più frequentemente, rimasi stupita da quanto debole risuonasse il mio richiamo nella vacanza di quello spazio tetro. Mi accorsi che per la prima volta, dopo tanto, troppo tempo, avevo riscoperto il suono della mia voce – ma subito cacciai via quel pensiero scomodo, capace di suscitare la mia coscienza assopita.

Decisi di smettere di pensare del tutto.

China sulla finestra, avevo iniziato ad osservare il mondo con sguardo attento, preciso, meticoloso, marcando ogni singolo dettaglio nella mia mente. Improvvisamente fui pervasa da quella curiosità quasi feroce che mio padre, oramai secoli fa, sosteneva mi contraddistinguesse dalle altre bimbette della mia età. Sospirai ripensando alle sue parole: << Un giorno quest'insaziabile curiosità sarà la tua rovina, bimba mia >>.

E anche se solo in parte, così era stato.

Bestemmiai il nome di mio padre e, irritata, iniziai a schiamazzare: << Sebastian! Sebastian!>>. Non avevo tempo per gli stupidi raggiri di quell'essere diabolico – finalmente sembrava che un miglioramento fosse possibile, finalmente avevo deciso di provare, provare ancora una volta l'ebbrezza di vivere una vita a cui per troppo tempo avevo sentito di non appartenere, di un'esistenza che per troppo tempo avevo semplicemente subìto, e provare a fingere che nulla fosse cambiato, che stessi bene.

In quel momento, inaspettatamente, fui colta da una sensazione che, tempo addietro, mi era stata familiare. Provai, come una volta, speranza - o comunque qualcosa che si avvicinasse molto al concetto ormai smisuratamente irreale di speranza. Proprio quando un minuscolo sorriso minacciò di dipingermi il volto, una disgustosa presenza si manifestò al mio fianco, mentre un rimorso lancinante iniziava ad attanagliarmi le viscere.

Irritata, chiusi gli occhi e sussurrai: << Hai forse dimenticato che il tuo compito è assolvere le mie richieste immediatamente, demone? Se chiamo il tuo nome, tu accorri prima che l'ultima sillaba abbia lasciato la mia bocca, anche se a separarci ci fosse l'oceano – lo attraverseresti vogata dopo vogata a nuoto, a costo di perdere un arto lungo il tragitto. >>

Solo allora lo degnai di uno sguardo, saettando la sua forma inginocchiata al mio cospetto.

<< Odio che mi si faccia attendere, lo sai bene. >>

Il demone non vacillò, né parve intimorito – ero indubbiamente una sciocca per credere ancora di poterlo ferire in alcun modo, ma il desiderio irrazionale di vederlo soffrire, spesso, sopraffaceva qualsiasi altro mio intento raziocinante. Uno dei suoi soliti sorrisetti sembrò incupire ancor più la sua espressione, già tracotante di compiacimento.

<< Perdoni padroncina, la vostra flebile voce si sarà persa tra i corridoi della casa – deve essermi sfuggita la vostra richiesta. >>

Quasi cedetti all'impulso di schiaffeggiare via la sfrontatezza dalla sua espressione, ma riuscii a trattenermi: avrei fatto di tutto pur di evitare di trascorrere ancora un minuto in più in quella gabbia insopportabile.

<< Allora ascoltami bene e leggi le mie labbra: ho intenzione di uscire e tu resterai qui a badare alla casa e a qualsiasi altra diavoleria di cui ti occupi consuetamente. >> Le mie parole, ancora una volta, non ebbero effetto e la sua compostezza non venne intaccata – o almeno, così pareva. Continuai allora il mio discorso, più determinata che mai: << Prepara un completo per il pomeriggio, una borsa con tutto il necessario e mettiti al lavoro. Ora.>>

Sorprendentemente, le mie richieste furono accolte da un profondo silenzio – terrificante, a mio parere. Mai Sebastian aveva adempiuto ai miei comandi senza rimbeccare, o lasciandosi sfuggire l'occasione di istigarmi. Ne rimasi tramortita e non riuscii a godermi il delizioso sapore della mia vittoria – il demone tramava qualcosa, lo sentivo nell'aria, carica di tensione e sussurri soffocati.

Quando Sebastian mi preparò i vestiti e la borsa, tutto taceva.

Quando iniziò a vestirmi, ancora doveva proferir parola.

Quando però fu la volta delle scarpe, tutto mi fu chiaro.

<< Dove pensate di andare, padroncina? >> la sua voce non lasciava trapelare emozione, né meschinità.

Era monotona e spaventosa.

Per un momento, mostrai esitazione, ma mi affrettai a rispondergli: << Non devo certo darne conto a te, demone.>>

Sebastian finalmente sbottò.

<< Sebastian, mi fai male! >> urlai, mentre il demone iniziava a stringere dolorosamente la mia gamba. Con la sua forza sovrumana rischiava di arrecarmi serie ferite, ma il demone non sembrava voler cedere la presa. Provai a divincolarmi, ma fu tutto vano. D'un tratto, la voce del demone risuonò minacciosamente tra le mura della stanza, ghiacciandomi il sangue nelle vene:

<< Oh ma padroncina, vedete, quello che forse vi sfugge è che voi appartenete a me - anima e corpo, cuore e mente, sangue ed ossa; ogni vostro movimento, ogni vostro respiro – sono io a guidarli. Senza di me non siete niente. Manterrò la parte del servitore accondiscendente fino a quando una vostra decisione sconsiderata non rischi di arrecare danno a voi e a me. >> i suoi occhi si fecero scuri, non di un brillante color magenta, ma di un rosso scuro, sanguinolento e brutale. Le sue parole erano cariche di gelosia, ed improvvisamente mi sentii al pari di un oggetto. Rabbrividii e mi accorsi che il demone aveva finalmente allentato la presa.

<< Pensate davvero che possiate riprendere a condurre la vostra vita come un comune essere umano? Che possiate ritornare a vivere? >> il demone sorrise e quasi lessi sul suo volto l'amarezza di promesse spezzate: << Non siete che una bambola, il giocattolo che anni addietro si è volontariamente abbandonato alle mie volizioni ... Siete mia ed ormai è troppo tardi per tornare indietro. >>

Mentre il mio corpo pareva richiudersi in se stesso e le mie gambe cedevano sotto di me, il demone mi prese fra le sue braccia, sollevandomi come un mero burattino in balìa del suo burattinaio. Mi sentii mortificata ed avvilita: mi aveva proprio dove voleva che fossi, era riuscito a dimostrarmi ancora una volta quanto poco rimanesse della mia umanità ed aveva vinto.

Lasciai sfuggire una singola lacrima e mi dannai per avergli mostrato tanta debolezza. Fu la sua lingua ad asciugare il mio volto, assaporando quell'unica lacrima come fosse pura linfa vitale. Mi ripiegai ancor di più su di lui, abbandonandomi alle sue mani, tanto delicate quanto crudeli, che iniziarono a carezzare i miei capelli in gesti insopportabilmente affezionati. 

Lo odiavo, detestavo ogni singola particella di quell'essere malefico che si ostinava a consolarmi anche dopo avermi fatta a pezzi, sparpagliando le mie membra come pezzi di un puzzle ridondante.

<< La mia splendida bambola. >>

Perché in fondo sapevo, sapevo bene che nonostante non l'avesse ancora reclamata come sua, era già riuscito a consumare ciò che restava della mia anima.

 

 

  。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。    

 

Nota dell'autrice: Gli esami sono finiti ed un nuovo capitolo è stato finalmente pubblicato! Come ringraziamento per aver atteso così tanto, il nuovo capitolo è più lungo rispetto a tutti gli altri sin'ora pubblicati. Spero possa raggiungere le vostre aspettative! Inoltre, sto effettuando delle modifiche alla storia, aggiungendo un citazione che possa descrivere a caratteri generali ogni capitolo (l'idea è nata mentre ascoltavo la cover degli Until the ribbon breaks di One way or another, la quale mi ha dato l'ispirazione per questo capitolo). Che ne pensate?

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VI ***


<< I feel it coming out my throat

Guess I better wash my mouth out with soap

God, I wish I never spoke

Now I gotta wash my mouth out with soap >>

 

。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。  

 

Il lamentoso scroscio dell'acqua mi cullava in una dolce e pigra sonnolenza, contrastata esclusivamente dal mellifluo moto delle mie braccia, desiderose di smuovere le particelle fluide come se potessero, così, spazzare via anche i ricordi più dolorosi. Nell'accogliente intimità della vasca marmorea, mi persi tra gli angoli più reconditi della mia coscienza.

Sospirai.

Provai a godere di quel momento di pura tranquillità, eppure non riuscivo a placare la tremenda voragine che spirava un senso d'angoscia nella voragine del mio petto. Ero stanca e debole - stanca di lottare, stanca di protrarre una battaglia che avrei sicuramente perso, stanca di soffrire per un errore commesso nella foga di un momento che ormai mi appariva più sbiadito che reale.

Stanca di sopportare le angherie di una bestia molto più avvezza di me al gioco del castigo, che provava un sadico, depravato compiacimento nel fingersi il dio di un giudizio universale illecito, nel vedermi combattere con tutte le mie forze per poi fallire miseramente dinnanzi alla sua diabolica possenza. Sapevo che ogni mio dispetto era vano, che quell'essere tremendamente seducente traeva diletto dai miei sforzi, dalle mie infime e limitate capacità umane – era un mostro dopotutto, ed era parimenti l'unico essere sulla faccia della terra che fosse rimasto al mio fianco.

Ogni volta che mi spingeva al suolo, attendeva pazientemente che mi rialzassi.

Ma sapevo anche che non avrebbe permesso che sfuggissi alla sua presa, avevo amaramente compreso che orami a legarci vi era ben più di un semplice contratto tra demone e padrone: il suo compito era proteggermi e restare al mio fianco, dovunque e in qualunque circostanza; che avessi suscitato il suo interesse, le sue inquietanti ed infauste affezioni, era solo un'ulteriore conferma ai miei timori – che non sarei riuscita a sfuggirgli nemmeno nella morte.

Sorrisi amaramente ripensando sardonicamente alla tragicità del mio destino: distruggi ciò che distrugge te? Non sarei riuscita a togliermi la vita nemmeno se avessi voluto: ero terrorizzata all'idea di un tormento eterno ad opera di quel demone, pronto a seguirmi e perseguitarmi persino nell'oltretomba. Divertente come il mio stesso ordine si fosse tramutato nella mia condanna.

Nonostante rimuginassi spesso sulla possibilità di porre fine ai miei tormenti, in cuor mio avevo già deciso che se fossi morta – in un modo o nell'altro - , non gli avrei concesso la soddisfazione di potersene ritenere la causa. Quel bastardo ne avrebbe tratto un immenso, malato piacere

Solo a pensarci, rabbrividii.

Fu allora che due pallide braccia si strinsero attorno a me in un abbraccio soffocante, risvegliandomi improvvisamente dal mio flusso di coscienza e ricordandomi ancora una volta dell'ineluttabilità della mia condizione.

<< Demone, dimmi che mi ami. >> sospirai, appoggiando tutto il peso sul suo corpo immerso nell'acqua ormai gelida della vasca. Il demone fece scivolare le sue grandi mani lungo le mie cosce, diffondendo una pungente sensazione di calore in tutto il corpo, ormai freddo a causa dell'acqua. Il demone rimase in silenzio mentre la sua bocca premeva insistentemente contro il mio orecchio, curandosi di istigarmi più volte con la sua maledetta lingua. Le sue mani risalirono verso il mio torace, tracciando con le dita ogni costola che incontrava lungo il cammino, germinando il seme dell'ingordigia nei miei lombi. Proprio quando mi accingevo ad apostrofarlo nuovamente, una mano strinse il mio mento, spingendo il mio volto verso il suo e catturando le mie labbra nelle sue, passionali e feroci al tempo stesso.

Il mio corpo, che si andava progressivamente riscaldando sotto l'ipnotica influenza delle sue movenze azzardate, reagiva remissivamente ai suoi seducenti tocchi, sperimentando un'estasi che ormai era divenuta la mia anestesia preferita - eppure la mia mente riusciva solo a concentrarsi sull'amarezza di quei baci gelosi, affamati, che reclamavano ogni singolo centimetro del mio fragile corpo. Quando il demone decise di liberarmi da quella morsa fatale, i suoi occhi sprofondarono nei miei, sorridenti:

<< Ma padroncina, io non posso dire bugie. >>

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VII ***


 

<< Wedding bells ain't gonna chime

With both of us guilty of crime

And both of us sentenced to time

And now we're all alone  >>

 

  。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。  

 

Le note scivolavano nell'aria come un fiume in piena: armoniose, letali ed impossibilmente feroci. Echi lontani reclamavano la melodia che, come molte altre, aveva aggravato innumerevoli pomeriggi della mia infanzia – un'infanzia nefasta, funerea, che eppure ricordavo come il mio ultimo momento di beata inconsapevolezza.

La danza era stata l'unica mia fedele compagna di vita, una costante da me ripudiata e rinnegata che, tuttavia, non mi aveva mai respinta a sua volta.

Per molte mie coetanee – a cui la vita aveva sorriso, bambine dai vestiti di pizzo e seta dal cuore leggero e spensierato -, la danza non era che un capriccio assecondato da genitori amorevoli, desiderosi di garantire solo il meglio per le proprie adorate principessine rosa; per me, marionetta dagli occhi di porcellana, la danza era l'ennesimo vano tentativo di compiacere due fantasmi, di eccellere al punto da meritarmi l'affetto di coloro che a loro volta eccellevano in tutto tranne che amare se stessi e me.

Quando mi resi conto che nessuno mio sforzo sarebbe mai stato abbastanza, quella che inizialmente consideravo una preziosa occasione per avvicinarmi finalmente ai miei genitori, si tramutò progressivamente in un'atroce tortura.

Fu proprio la danza ad insegnarmi una delle lezioni di vita più importanti: quell'ennesimo fallimento m'insegnò a curarmi di nessuno, se non di me stessa.

Sì, odiavo danzare.

Odiavo i fili a cui avevano indissolubilmente legato le mie membra, contro ogni mia fievole preghiera. Inutilmente versai fiumi di lacrime nella speranza di liberarmene: i miei genitori non avrebbero mai sprecato la possibilità di farmi apparire migliore di quanto non fossi, la figlia trofeo per antonomasia, che tutti avrebbero ammirato.

All'epoca, ciò che più odiavo delle tremende lezioni pomeridiane erano le crudeli bacchettate di un'insegnante il cui volto avevo preferito dimenticare, ma che – ricordavo bene - m'incitava marmorea a nulla meno che la perfezione.

Raggiunta la maturità necessaria per comprendere certe odiose verità che il mondo c'impone, guardando al passato, realizzai che in realtà ciò che più odiavo della danza era il dovermi sottomettere ai capricci altrui, come se piegarmi senza alcuna possibilità di resilienza fosse qualcosa di insito nella mia stessa natura – come se fosse ciò che il mondo si aspettava da me.

Rannicchiata sulla poltrona nel salotto, quasi mi scappò un sorriso nel realizzare quanto il Creatore dovesse odiarmi – odiare me, la bambola, il coccio e infine il guscio vuoto su cui aveva indifferentemente vomitato il suo rancore: non ero altro che un viscido serpente intento a divorare la propria coda, lentamente, fino ad annientarsi completamente per mezzo del suo stesso veleno. Nemmeno la morte avrebbe spezzato l'eterno ritorno dei miei tormenti.

<< Sebastian, >> tirai un sospiro: << getta immediatamente quel dannato aggeggio tra i rifiuti, lo voglio lontano dalla mia vista e soprattutto dalle mie orecchie. >>

Non aprii gli occhi per indagare ulteriormente, ebbi la conferma che il mio ordine fosse stato eseguito non appena le delicate note del grammofono smisero di tormentarmi.

<< Siete di buon umore oggi, padroncina. >> canzonò quasi in maniera beffarda.

Non era una domanda, e quasi fui sorpresa nel constatare che il demone aveva ormai imparato a conoscere me e il mio temperamento. Ancora una volta, una patetica copia di un sorriso si fece strada sul mio volto.

<< Sì Sebastian, lo sono. E sai perché? >>

Riuscii quasi ad avvertire la sua curiosità, il suo improvviso interesse, e me ne compiacqui. L'illusione di possedere la più infima forma di controllo sul mio carnefice mi riempiva di sadico piacere, un lusso che non mi permettevo da molto tempo.

<< E' perché ho ricordato un qualcosa d'importante, un qualcosa che da tempo mi sfuggiva di mente. >> mi alzai dalla poltrona, avvicinandomi all'imponente figura che mi osservava intrattenuta. Quando poi appoggiai una mano alla sua gelida guancia, perdendomi volontariamente in quelle iridi tanto disumane quanto accattivanti, il demone non si mosse, pendendo dalle mie labbra.

<< Sai, è lo stesso motivo che spinse ad evocarti, a ricercare l'aiuto di una creatura come te ormai anni or sono. Lo stesso maledetto motivo per cui, al mio ordine, ti sbarazzasti di quelle penosi esseri che ero costretta a chiamare 'genitori'. >>

Strinsi il demone nella mia morsa, sentendomi potente come immaginavo lui si sentisse ogni qual volta riuscisse a straziarmi. Feci correre le mie unghie lungo il suo volto, premendo con ceca veemenza fino a causare timide gocce di sangue. I miei occhi continuarono a sfidare il suo sguardo magenta, nel quale riuscivo a scorgere un barlume misterioso e fugace: vi trovai una malata e contorta adorazione, istigata dal mio ritrovato spirito provocatorio e vendicativo. Sebastian si abbassò su di me, lasciando che il suo sorriso si espandesse in una smorfia malefica – oh se solo avessi potuto vedere quanto gli assomigliassi in quel momento.

<< Non ricordi? Io odio danzare >>

 

Nota dell'autrice: sì, sono viva e vegeta, contro ogni previsione. Negli ultimi mesi ho iniziato l'università e anche dato il mio primo esame e tutto questo stress mi ha spinta a continuare questa storia - di cui mi ero completamente dimenticata in favore di mille altre fanfiction che ho iniziato a scrivere sul mio account inglese. In ogni caso, buon anno nuovo! (con un lieve ritardo). Spero che la storia vi possa piacere tanto quanto a me piace scriverla!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** VIII ***


<< I've dug two graves for us, my dear

Can't pretend that I was perfect, leaving you in fear

Oh man, what a world, the things I hear

If I could act on my revenge, then, oh, would I? >>

 。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。  

 

<< Sei un incompetente. >> raspai affannosamente, convogliando tutto il disprezzo che sentivo ribollermi nello stomaco in una stringa di parole tumultuose ed affrettate. Confinata a letto e priva di forze, l'odio che nutrivo per il demone fomentava il mio animo affaticato: a tenermi cosciente era esclusivamente la perversa necessità di provocare e schernire quella ripugnante creatura, sperando che le mie accorate maledizioni potessero raggiungerlo e consumarlo.

<< Hai lasciato che mi ammalassi, come un idiota qualunque... Tu sei un demone– o a quanto pare una patetica imitazione di un demone. Ci si aspetterebbe che fossi perlomeno in grado di tenermi in salute, e invece? Nonostante non abbia contatti con il mondo esterno ormai da mesi, sono malata e confinata a letto. >>

Non appena l'ultima sillaba sfuggì alle mie labbra, un violento attacco di tosse mi costrinse ad un imbarazzante silenzio, disturbato unicamente dai patetici rantoli e affanni dovuti alla malattia. Le lacrime minacciavano di scivolare lungo il viso, eppure mi sforzai di trattenere il pianto: non mi sarei mai perdonata un'ulteriore dimostrazione di debolezza, preferendo ad ogni modo affogare sulle mie stesse lacrime pur di negare a quel sadico mostro l'ennesimo motivo di autocompiacimento.

Come mille altre volte prima di allora, dovetti ricordare a me stessa che l'unica possibilità rimastami fosse combattere, resitergli, tentare di provocare tanto più danno quanto fosse umanamente possibile mentre quella bestia rivoltante mi trascinava con sé sempre più in basso. Quell'infimo essere aveva fatto in modo che nemmeno il candido abbraccio della morte avrebbe potuto arrecarmi conforto, né la minima ombra di sollievo seppur fugace.

Dopotutto, non vi è pace per i dannati.

Sebastian, piantato al fianco del mio letto, esibiva un sorriso stretto a dir poco nauseabondo, da cui trapelava il depravato piacere che infiammava il suo smisurato ego: ancora una volta, era riuscito a dimostrarsi superiore a me, a dimostrarmi quanto patetica fossi nella mia misera e fragile umanità.

A dimostrarmi che nonostante continuassi a respingerlo, avessi bisogno di lui.

Il pensiero non faceva altro che inasprire l'odio che serbavo per lui, quel febbricitante desiderio di cancellargli il sadico sorrisetto dal volto.

Le mie pungenti parole non riuscirono a scalfirlo, tanto era il suo appagamento, ma non me ne stupii.

<< Padroncina, sono terribilmente dispiaciuto per il disagio che vi ho negligentemente causato, devo aver sottovalutato quanto fragile siano effettivamente gli esseri umani ed il loro organismo. Per certe vostre carenze non vi è né prevenzione né rimedi, purtroppo... >> sospirò, alludendo a falso rammarico.

Quelle sue affermazioni così crudelmente invettive, seppur sapientemente ingentilite da un tono garbato ed una compostezza sovrumana, non fecero che guastare ancor più il mio già pessimo umore: non solo ero costretta a patire gli effetti del malanno, ma avrei dovuto anche sottopormi passivamente agli scherni e alle derisioni di quel dannato mostro?

Giammai.

Il rancido sapore di bile prendeva ad invadere la mia bocca. Avrei voluto sputargli addosso tutta la sofferenza, lo sconforto, l'indignazione e lo strazio a cui mi assoggettava quotidianamente, giorno dopo maledettissimo giorno, in un ciclo che non avrebbe mai conosciuto una fine: una nuova alba, una nuova tortura.

Eppure non lo feci; non gli urlai contro quanto avrei goduto nel vederlo torcersi dal dolore, lentamente, tra straziati gemiti ed imploranti preghiere - sanguinante, ai miei piedi. Restai invece a fissarlo dai confini del mio letto, fantasticando acché il mio gelido sguardo potesse bastare a vaporizzare l'intera sua diabolica esistenza all'istante.

In quel preciso momento, notai con cinico sarcasmo che sognare ad occhi aperti era un vizio che mi portavo dietro sin da bambina.

Oh, immaginare gli innumerevoli modi con cui avrei potuto porre fine alla sua patetica esistenza era diventato uno dei miei passatempi preferiti. E lui lo sapeva, sapeva benissimo che nella mia mente era morto più volte di quante se ne potessero contare, ed ero sicura che ne ridesse alle mie spalle: entrambi sapevamo fin troppo bene che i miei cruenti pensieri sarebbero rimasti sempre e solo ciò che erano, vagheggiamenti irrealizzabili.

Silenzio.

Distolsi lo sguardo da quel volto così ingannevolmente umano, fissai il muro e poi la finestra, ma seppur mi sforzassi di scrutarvi attraverso, non riuscivo a vedere nulla; nulla, se non la proiezione vaga e sfocata del tumulto che sconvolgeva il mio stomaco - il miraggio distorto di un avvenire irrealizzabile - tanto da renderlo non molto dissimile da uno straccio consunto e bagnato, irreparabilmente attorcigliato su se stesso, ma inesorabilmente resistente all'usura.

Fu solo quando, pochi attimi dopo, una mano mi costrinse bruscamente a rivolgere altrove la mia attenzione che ignorare il mio caro maggiordomo si rivelò esser stata un'ottima e soddisfacente scelta. Il demone mi aveva afferrato per il mento, così da congiungere i nostri sguardi: nei suoi torbidi occhi riconobbi lo stesso terribile odio che sguazzava nei miei, forse per effetto della vicinanza e del riflesso.

Rimanemmo immobili per qualche secondo, ognuno dei due sfidando l'altro a rompere il silenzio e muovere il pedone successivo. Il mio sforzo per trattenere il crescente attacco di tosse che minacciava di irrompere nella quiete fu immane, ma non mi sarei permessa di perdere in modo tanto umiliante.

Quando Sebastian si rese conto che non avrei ceduto, strinse le labbra in un sorriso forzato, quasi sofferto.

<< Oh no, no, padroncina, questo vostro comportamento è estremamente sleale. Siete stata voi a voler inaugurare le danze, ed ora è troppo tardi per tirarsi indietro. Vedete, io odio le vittorie per abbandono.>>

Così disse, e fu in quel momento che realizzai qualcosa di terrificante e affascinante al tempo stesso, come se un velo si fosse sollevato da una realtà che continuamente vedevo ma che non riuscivo veramente a guardare: quel demone, quella bestia infernale, aveva più a cuore il suo diletto che il suo impulso a saziare la fame. La mia anima, ostaggio di un limbo perenne, ma ormai inevitabilmente destinata per mia firma ad essere divorata da quel mostro, era tuttavia ancora intatta – consunta, provata, ma ancora esistente.

Sebastian Michaelis – o qualsiasi altro stupido nome gli avessero affibbiato in passato – aveva riso in faccia ai propri istinti naturali così da poter perseguire il proprio divertimento: aveva iniziato a danzare con me ormai da tanto tempo, senza mai stancarsi, senza mai accusare alcun segno di affaticamento.

Quel pensiero mi fece raggelare il sangue, ed un improvviso moto di nausea minacciò di rovinare le coperte sulle quali giacevo inerme – mi sovvenne - alla mercé di un musicista che orchestrava con maestria le note sulle quali tentavo disperatamente di imparare a ballare.

Colta da un atroce senso di déjà-vu, mi accorsi che i suoi occhi non avevano mai lasciato i miei, non lo avevano mai fatto: da quando mi ero volontariamente offerta a lui, non aveva mai smesso di osservarmi, di istigarmi, di misurare e registrare le mie reazioni, traendone un malato intrattenimento.

Era sempre stato al mio fianco.

Che triste e crudele verità: l'unico essere disposto a rimanere al mio fianco mi avrebbe, prima o poi, distrutta completamente.

Sorrisi, rassegnata.

Un altro giorno, un'altra sconfitta, eh?

<< Non sai cosa darei per vederti bruciare.>>

Ero stanca di cadere incessantemente per poi rialzarmi.

<< Ma padroncina, non l'avete ancora capito? -

- Non vi rimane nulla da dare. >>

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3762641