How To Save a Life

di Manto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra la Sera e l'Anima ***
Capitolo 2: *** Fiore della Notte ***
Capitolo 3: *** Sogni nell'Alba ***



Capitolo 1
*** Tra la Sera e l'Anima ***


DISCLAIMER: A eccezione di Hana, i personaggi sotto presentati non mi appartengono.
La storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.


Partecipante al contest Giochi di carte
indetto da
missredlights e Emanuela.Emy79 sul forum di EFP ♦



How to Save a Life


My frozen dream can never be
In the Paradise you’ve seen

— “Cage”, Tielle




I Tra la Sera e l’Anima





Si svegliò nel mezzo del timore e con un sussurro nella mente, evanescente ed enigmatico come la visione di un sogno; e intorno a lui non c’era luce, non c’era giorno. La stanza e l’intera casa erano silenziose; sembrava che solamente lui fosse desto, e per uno sconosciuto motivo questo pensiero gli diede i brividi… cosa che non cessò neppure quando si alzò e scoprì che in realtà il sole già illuminava la città di un opaco chiarore. Era comunque presto per la sua quotidianità, così che quando la mente gli ordinò di ritornare alla pace del sonno obbedì senza obiezioni; tuttavia, una parte di lui si mostrò restia ad assopirsi, continuando a rimanere vigile — ciò che l’anima sente non è mai una menzogna: più di un semplice pensiero che non se ne voleva andare.
L’ultimo istante di lucidità prima dell’incoscienza, sospeso tra un inarrestabile oblio e una pungente sensazione che non aveva ancora nome, fu che il buio che continuava ad albergare nella camera sembrava palpitare, come cuore o corpo vivo; poi ritornò la quiete, e tutto ciò che l’aveva preceduta precipitò in essa fino ad apparire come semplice immaginazione.
Ci fu poi un momento in cui il nido oscuro che aveva avvolto il corpo venne mosso da una scossa; ma non ne venne incrinato e continuò a trattenere tutte le proprie energie per parecchi istanti, così che quando il secondo risveglio si affacciò alla mente, fu dolce e calmo…

O meglio, così avrebbe dovuto essere.
Ti prometto che questa sarà l’ultima volta che ti scriverò… Bad.”
Un istante, una frazione di respiro: inalare quanta più aria possibile, espellerla in un soffio, ricominciare da capo; convincersi che tutto fosse lontano, passato, accorgersi di una realtà diversa, e ritrovarsi a sedere nel letto, cercando una risposta priva di senso — come la domanda — nel muro opposto. Era stata una voce irreale; tuttavia,
lei sembrava così vicina, un’eco distante quanto un battito.
Quella volta, avrebbe quasi potuto allungare una mano per stringere la sua; quella volta, il buio avrebbe potuto essere più clemente.



Quando, dopo istanti della stessa sostanza delle ore, gli occhi dell’eroe incontrarono la cucina e lo schermo del televisore, che doveva avere acceso anche se la memoria non ne aveva trattenuto il ricordo, la notizia che dal primo mattino aveva spezzato la vita quotidiana di parecchie persone raggiunse anche la sua consapevolezza: il cuore della Città S non esisteva più dall’alba, in quanto collassato su sé stesso insieme a palazzi, strade e persone senza che nemmeno un boato avesse avvertito gli abitanti della distruzione incombente; sotto gli occhi confusi di chi era stato testimone dell’evento, la terra si era spalancata e aveva divorato la piazza centrale, portando una seconda notte di polvere nera e un unico, straziante pianto che ancora non aveva cessato di risuonare.
Come hai fatto a non sentirmi gridare?




●●●




{ Due anni prima: ormai lontani, sempre vicini. }




Spesso il mondo che lo circondava era movimento, tensione e caos; o almeno, lo era stato completamente prima dellarrivo di Hana.
Aveva incontrato i suoi occhi neri perché era stata lei ad avvicinarglisi; e la presa sul suo braccio era stata così delicata che quasi non l
aveva sentita.
«Io volevo dirti
volevo dirti che se ho ancora una cara amica è solo grazie a te. Solamente… grazie», gli aveva sussurrato quello scricciolo dopo lunghi istanti di esitazione e frasi spezzate, alzando il volto dal suolo e guardando il suo, di viso, solo quando aveva finito; e il sorriso che infine gli aveva rivolto era stato più luminoso del quieto pomeriggio estivo che aveva accarezzato la loro pelle, come era stato pieno di calore l’inatteso abbraccio che lo aveva immediatamente seguito.
Lui aveva tentato di replicare a quello che a tutti gli effetti era stato uno dei più sentiti ringraziamenti che avesse mai ricevuto, ma la giovane era fuggita dopo un accenno di scuse e saluti; e nonostante quella figura fosse rimasta impressa per ore nella mente dell
eroe, probabilmente di lei non sarebbe rimasto che un ricordo non perfettamente tracciato, una prova di sollievo e gratitudine simile a molte altre… se qualche tempo dopo non avesse assistito a uno dei saggi di pianoforte di Zenko, e a sfiorare tasti, a giocare con melodie e sogni avesse trovato anche quella ragazza dai lunghi capelli ebano, le cui dita — avrebbe scoperto — avevano sempre avuto una voce e un’anima propria.
E quella volta, quando l’esibizione era finita, a non trovare le parole adatte per saper ringraziare di
qualunque cosa era stato proprio lui.



«Davvero ti è piaciuto il pezzo?»
Quella nota ansiosa nella voce avrebbe potuto essere scambiata per mera insicurezza; ma gli occhi della pianista avevano lasciato trapelare di più, simile a una richiesta sofferta o una preghiera.
«Non devi essere molto sicura di te, se dubiti del tuo talento.»
«La musica è l’unico linguaggio con cui riesco a comunicare senza paura; per questo sono ossessionata dal fatto di sbagliare o dimenticare un passo, o, ancora peggio, che non riesca a emozionare nessuno; per me sarebbe come perdere completamente la voce.» Una replica pronunciata d’un fiato, il capo che si era istintivamente abbassato davanti all’eroe e al sole che stava tramontando davanti ai loro occhi; e Metal Bat aveva in qualche modo compreso che se non fossero rimasti solamente loro due a osservare la città —
qual era? — ai loro piedi, non l’avrebbe mai udita.
«Le parole possono essere ingannevoli, insicure, impure; ma la musica… lei è così diretta, universale, non potrebbe mai dividere, non mente mai né ferisce… e non abbandona, non lascia solo nessuno.
Quando suono, riesco a convincere di ciò ogni frammento di me stessa, anche quelli che mi vorrebbero diversa.»
Con una dolcezza mai udita prima, quelle parole si erano posate sulle mani di Bad come un soffio di vento e lo avevano spinto a desiderare che ne seguissero altre; ma Hana
«Come ti chiami? » «… Hana. » «È un nome perfetto per te [1]! » — aveva taciuto, lasciando che fossero le grida di un’esaltata Zenko in avvicinamento a riempire l’improvviso silenzio.
«Allora eravate qui fuori! Non vi trovavo
Hana, Hana, perché non suoni ancora qualcosa? Sei molto più brava di me, non mi stanco mai di ascoltarti! Ti prego, non hanno ancora tolto il pianoforte!»
Non c’era stato bisogno di altro per convincere la giovane — nemmeno di essere convinta, a dire il vero; appena ripreso posto davanti al pianoforte, le sue dita avevano infranto una seconda volta la parete che divideva il mondo dall’immaginazione, danzando sui tasti di pece e candore per tutto il tempo che le nuvole erano state tinte del viola della sera.
Quella era stata solamente la prima delle tante occasioni in cui Bad era riuscito a vedere un poco del mondo della mora
o almeno, della parte migliore di esso… tutto ciò che ancora non era caduto.




●●●




Gli orologi dell’intera Città S ticchettavano: ossessivamente, senza un istante di tregua, come se piangessero insieme ai loro proprietari. Doveva essere l’unico rumore che aveva la forza di sovrastare l’inaffrontabile babele di voci, il singhiozzo della pietra sconnessa e l’eco della scossa che rimbombava ancora nelle vie della periferia, ma il giovane eroe lo sentiva a malapena; la sua mente era occupata da un solo pensiero e non si curava d’altro, il corpo un’unica sensazione pronta a esplodere. Il terremoto aveva lasciato il suolo per penetrargli nelle vene, e lo stordiva così tanto da non lasciare spazio alcuno alla voce.
Avrebbe voluto liberarsi di tutto quel malessere che gli impediva le sue normali reazioni: urlare, maledire, agire, ma più si avvicinava al punto d’origine del disastro più le forze venivano meno, e lui non se ne stupiva; non per
quel motivo, non per la diversità che lei aveva rappresentato.
Ho la sensazione che solo tu riusciresti a calmarmi.
Ho paura di me, sai; sempre di più. E poi, tra i miei demoni, appari tu.
Ti arrabbi con me, mi scuoti, mi gridi di svegliarmi dal sonno velenoso in cui sono caduta; mi tieni stretta finché, in qualche modo, non lo faccio. Ma non ho bisogno di dolcezza; solamente di una mano che mi dia la forza di rialzarmi. Vorrei solo essere più coraggiosa verso di me… e riuscire a dirti tutto questo a viva voce, piangendo come sto facendo ora.
Quindi cercami, trovami nell’angolo più buio della mia mente, sollevami, stringimi; ti seguirò ovunque
[2]. Forse, con la saggezza e la misericordia del tempo, riprenderò anche a respirare.
Qualcosa iniziò a sbloccarsi solo quando Bad raggiunse il suo obiettivo e riuscì a farsi largo tra la folla; gli occhi che lo circondavano lo misero a fuoco lentamente, troppo colmi dell’orrore causato dall
’enorme voragine per reagire immediatamente alla sua presenza. Fortunatamente, notò immediatamente, questo non aveva impedito agli abitanti di prestare i primi soccorsi ai concittadini più sfortunati: dal grembo della terra provenivano richiami, non richieste d’aiuto ma echi di staffette disperate per recuperare corpi pronti a ricevere lacrime e chi, invece, ancora era vivo. «La situazione?», chiese il giovane, controllando l’impeto di gettarsi immediatamente nel cuore delle tenebre, ma perdendo la già poca calma con la stessa velocità con cui i secondi diventavano più pesanti.
Dopo tutto questo tempo sei ancora un problema, amica mia.
«Molte persone sono già state estratte… ma le strutture crollate ci hanno impedito di raggiungerne tanti altri. Non riusciamo a farci strada a mani nude, così come non abbiamo la possibilità di…»
«Allora tocca a me.» La voce che aveva risposto tacque davanti a quel tono reso intimidatorio dalla tensione, e sempre in silenzio qualcuno gli passò una torcia elettrica; in una manciata d’istanti l’eroe sembrò scomparire, solo per ricomparire parecchi metri più in basso, tra le braccia del nemico di asfalto, pietra e ferro che solo la natura o il Caso potevano aver creato. I rumori della città persero nuovamente il loro potere nel nero vellutato che conduceva la rete di vibrazioni e sussurri che scorrevano nel corpo del suolo, e in un primo momento quasi non sentì più nemmeno la voce di chi lo circondava, lì nel cuore dell’incubo; in un certo senso questo lo avrebbe aiutato nella ricerca…

Forse; forse, se la tua voce tacerà.
Nell’oscurità che aveva il
suo sguardo e calore… forse.




●●●




«Non riesco a dormire: ho troppo freddo.»
La pelle di Hana era ghiacciata, teso il volto e il corpo quasi piegato su sé stesso dai brividi; tanto che quando Bad l
aveva stretta tra le braccia, lei gli si era avvinghiata al petto e si era lasciata prendere in braccio, affondando il naso gelido nellincavo tra il collo e la spalla dellamico.
«Sembra che tu ti sia rotolata in un mucchio di neve! La tua camera è la più calda dell
intera casa, per quale dannato motivo sei così fredda?»
Un sorriso contratto dal battere dei denti, ma illuminato da tenerezza e curiosità. «
La mia camera
Difficile reprimere le parole che la lucidità non era riuscita a controllare; ma in fondo, a lei non aveva mai mentito
in fondo, era divenuta parte della famiglia, era anche lei una certezza. «Beh, Zenko ha anche spostato tutti i suoi pupazzi per fare posto ai tuoi quindi possiamo chiamarla camera tua
Quello che era giunto come fatto improvviso
— una cena che si era protratta fin oltre il cuore della notte, a cui avevano seguito le preghiere della bambina affinché Hana dormisse a casa loro; la prima volta, dopo anni d’immobilità e nostalgia, che la stanza dei loro genitori aveva visto brillare una luce — era divenuto ben presto un rito frequente; ma non era dispiaciuto a nessuno, né agli ospitanti né alla giovane.
Quindi sì, nessuno avrebbe avuto da stupirsi.
«Posso rimanere qui? Solo per stanotte.» La voce della ragazza era risultata ancora più flebile del solito, e Bad si era chiesto se avesse percepito veramente quell’ombra di timidezza.
«Perché no? Se per te è meglio, ti lascio il letto e
»
«Bad, ti sto chiedendo se posso dormire
con te
Si era bloccato, anche se solo per un momento; poi aveva riniziato a strofinare dolcemente la pelle dell
altra per scaldarla almeno un poco, e aveva sorriso. «Guarda che mi muovo spesso.»
«Non m
importa. Non ci voglio tornare di là se mi tieni vicina, posso riaddormentarmi.»
Per qualche motivo, con la ragazza non era mai riuscito a parlare senza mantenere la calma con estrema facilità; la sua impulsività aveva sempre trovato un freno, come con Zenko… per questo aveva fatto scendere un lungo istante di silenzio e l’aveva riposata al suolo, prima di riprendere a parlare. «Perché hai paura di dirmi che hai avuto un incubo?»
Istantaneamente, quasi per istinto, la giovane aveva aumentato la presa su di lui, così che le sue unghie gli si erano conficcate nella schiena. «Non ho avuto nessun incubo», aveva mormorato, rilassandosi subito; ma la sua reazione era stata così spontanea da gridare il contrario. «Non avresti dovuto saperlo!», era capitolata dopo una manciata di istanti, svelata dallo sguardo che lui le aveva lanciato, «volevo evitare di far preoccupare anche te. Zenko mi ha sentito urlare, l’ultima volta che ho dormito qui… l’ho pregata di non dirti nulla. Perché non mi ha ascoltato?»
«Sono solo incubi: immagini che fanno paura, ma che non sono realtà.
L’ho scoperto per caso, non è colpa sua… ma la prossima volta dimmelo tu, intesi?»
La ragazza aveva annuito lentamente, senza molta convinzione, prima di lasciarsi avvolgere in una coperta e stendersi nel lato del letto che Bad aveva occupato fino a pochi minuti prima. Aveva atteso qualche secondo, come per prendere coraggio; poi aveva sospirato, rannicchiandosi contro il fianco dell
eroe quando questi laveva raggiunta e abbracciata.
«Su, vieni qui. Stai bene ora?»
Lei era rimasta a guardare la luce della lampada svanire dalla stanza; e non era più riuscita a tacere. «Non mi ricordo molto
se non che né te né Zenko eravate con me. Forse non vi avevo ancora conosciuto o non lavrei fatto mai.»
«E la tua famiglia?»
«La cercavo. Non so se mi mancavano più i miei genitori, o voi… so solo che a farmi compagnia c
era la sensazione che tutti, ovunque si trovassero, non si sarebbero ricordati di me né avrebbero notato la mia assenza. Quindi perché continuavo a chiamarvi?»
«
Perché, in qualche modo, prima o poi avremmo risposto.»
«Ma
»
«Non pensare neanche per un secondo al contrario.»
La stretta intorno alla sua vita si era fatta più forte, fino a quando la mora non aveva sentito il cuore dell
altro bussare al proprio petto.
Per pochi attimi, una mano aveva messo una seppur minima distanza tra i loro corpi quando si era posata su quello di Bad, come per stringere tra le dita il battito; e lei aveva sorriso. «A volte vorrei che tu usassi con me la stessa energia che usi con tutti gli altri. Non credere che non abbia notato il tuo coraggio, la tua forza
che cosa ti può fermare?»
Non c
era stata risposta, perché il sonno si era preso la mente di entrambi dopo un ultimo sguardo a una tenebra che non sembrava più così spaventosa; ma dal giorno successivo, Hana aveva iniziato a provare sia nostalgia che bisogno del suono cadenzato che aveva cullato quella lunga notte, come se già avesse compreso che presto lo avrebbe rimpianto.





{ Due settimane dopo: l’inaspettato, il temuto, l’ingiusto. }




Il cellulare di Bad aveva suonato in un tardo pomeriggio ricco di aspettative, a meno di unora dal momento in cui il saggio di Zenko e Hana avrebbe dovuto avere luogo.
La suoneria era risultata stridula nella pace che aveva inaspettatamente invaso le strade della città, l
ora ancora calda che avrebbe dovuto resistere a quel richiamo ininterrotto e invece ne era stata turbata.
«Hey Zenko, sei già nel teatro? Sto per arrivare anche io
.»
La prima a rispondere non era stata la voce della sorella, ma un
esitazione con la paura nel cuore. “N-No… io… io non so come dirtelo, fratellone.
«Che cos
è che non sai come dire? Sei agitata? Hana non è con te?»
“… È di lei che ti dovrei parlare.
Per qualche motivo, si era fermato; e la voce si era abbassata, fino a diventare un sussurro. «Zenko, che cosa sta succedendo?»
Silenzio: per uno, due, tre secondi, per attimi pesanti come maledizioni. “
Mi dispiace non puoi più fare niente”, aveva singhiozzato poi la bambina, senza più riuscire a trattenere il pianto.




Non doveva succedere.
Così la gente aveva mormorato, sporcando le mura distrutte dell
istituto con giudizi e pietà.
Cos
è successo, quindi? Sembrava che fosse tutto sotto controllo, perché gli eroi hanno permesso che quellEssere Misterioso giungesse a tanto?
Ma non hai sentito? Il mostro ha causato tutto questo morendo: ha cercato una via di fuga nella scuola, era così ferito che l
istinto deve aver avuto il sopravvento sulla lucidità; le aule sono state distrutte completamente, e per chi si è salvato si deve parlare solo di sfortuna e fortuna.
Sfortuna, e fortuna. A questo si riduceva ogni vita?
Da questo era stata piegata la
sua sorte?
E poi
poi cosè successo?
La scuola è sprofondata sulle proprie fondamenta. Lo puoi vedere da te.

Quanti sopravvissuti?
Fortuna o sfortuna.

Fortuna, o sfortuna: fortuna, per chi in quei momenti aveva fissato le finestre storte dalla violenza del crollo, esplose e piene di lacrime di vetro;
la sfortuna, invece, era stata tutta per quelle mani tremanti che si erano fatte largo tra i resti di zaini, porte e pareti
fin dove era stato possibile, e da macerie e polvere avevano estratto una borsa colma di spartiti, di piccoli portafortuna e di un cellulare dallo schermo spezzato, con il registro delle chiamate fermato per sempre su un unico numero — « Lo sai che sei il primo con cui parlo tanto a lungo? E… e mi fa piacere, perché tu non mi spingi a fingere, mai. »
Sfortuna; un altro nome della sconfitta
o della colpa?






NOTE





[1] In giapponese, Hana vuol dire “fiore”.

[2] Frase ripresa da una poesia di Saffo.

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Capitolo 2
*** Fiore della Notte ***


II Fiore della Notte





I cunicoli che si diramavano nelle viscere della Città S erano abbastanza larghi da permettere quasi sempre il passaggio, pur in quelle condizioni; ma era la polvere, soffocante come le spire di un serpente e capace di ustionare pelle e gola, a impedire di avanzare per più di qualche passo.
L’opprimente oscurità era secondaria a essa, perché la luce della torcia la teneva a bada e i sensi riuscivano a percepire movimenti e suoni; ma se non fosse uscito da lì il prima possibile, gli eventi sarebbero precipitati verso l’esito peggiore.
Dovevano essere già passati parecchi minuti da quando era sceso; forse non era davvero così, ma la sua mazza aveva fatto a pezzi troppe macerie, pietra e sangue per permettere una perfetta cognizione del tempo. Sangue, sì: la luce illuminava esigue tracce, e anche il sentore che ristagnava nell’aria era poco più che una debole presenza; ma in alcuni casi riusciva a percepirlo per parecchi metri. Laggiù non c’erano solo possibili feriti — e morti —, ma anche persone in stato confusionale, talmente scosse dall’accaduto da aver perso lucidità e vagare senza meta nel buio di quelle gallerie; e quei casi erano ancora più urgenti.
Se potessi respirare senza fatica… maledizione, che razza d’inferno.
La tensione bruciava i polmoni più di tutto il resto, ma la rabbia causata dalla sensazione di venire limitato da qualcosa che non poteva superare — non un mostro, ma realtà che superava le barriere dell’energia umana — pulsava così tanto da impedirgli di cedere. La caparbietà che lo aveva reso noto nel mondo degli eroi si faceva sentire anche in quel frangente; e non solo quella, comunque.
Qualcuno mi sente? Hey, dico a voi! Rispondete!
Anche se la bocca rimase ferma, l’aria sembrò muoversi, agitata da una vibrazione che, tuttavia, fu solo immaginazione: il terreno non tremò.
No, non la ragione. Non posso permettermi di diventare pazzo.

Oh, aspetta, ma questo è…?
Appena l’eco di quello che era sembrato un grido lo raggiunse e lui si voltò verso il punto da dove proveniva, invece che squarciarsi davanti alla luce della torcia, le tenebre infittirono i loro veli e si fecero come più vicine; la poca aria che circolava sembrò diminuire, ma non fu la paura a prendere i suoi movimenti, divenuti un poco più lenti e pesanti.
«CONTINUA A GRIDARE!», riuscì infine a urlare a sua volta, perdendo in un solo istante metà del fiato, «continua… a resistere.»
Non fare come lei.
La mano che reggeva il lume si strinse su di esso fino a far tremare le dita.
«Non fare come lei.»
Avanzò di qualche passo, l’orecchio nuovamente teso a percepire la minima vibrazione; e invece che andarsene o rivelarsi solo un’altra illusione, il buio divenne così concreto da poter essere quasi accarezzato, lo accompagnò per parecchi minuti… fino a quando, improvvisamente, si aprì davanti a una folata d’aria gelida. Questa colpì l’eroe come uno schiaffo, tanto giunse inaspettata; ma il suo effetto benefico non tardò ad avvolgerlo e a ridargli un poco di forza.
Non riusciva ancora a respirare perfettamente, ma quella poteva considerarsi una buona zona franca — un’oasi di calma in cui non sarebbe potuto restare… o sì?
Se non sono stato l’unico ad arrivare qui… è probabile che qualcun altro ci si sia rifugiato.



Trovarla non fu difficile.
Rannicchiata contro una delle pareti del cunicolo, l’unico movimento percettibile in lei era il respiro irregolare che le scuoteva appena il petto, ma il battito del cuore era come un tamburo impazzito.
Bastò scuoterla per vedere una piccola reazione e per scoprire che era ancora più giovane e minuta di quanto fosse sembrato nel chiarore della torcia.
«Sono morta, allora.» Un soffio appena, seguito da una piccola lacrima scappata all’immobilismo.
«No, non ancora. Non così in fretta.»
«Lasciami qui. Non riesco a muovermi… ci ho provato, le gambe non mi reggono. Lasciami qui… salva gli altri.»
«Li hai visti? Sai dove sono?»
Quando la giovane annuì, lo fece anche l’eroe; quindi si chinò per sollevarla di peso, ignorando le sue deboli proteste. «Andiamo da loro», le disse, sorreggendola con il suo corpo e spingendola ad avanzare.
«Perché lo stai facendo?»
Perché ho già sbagliato una volta; e ho perso qualcuno di importante, in questa stessa oscurità.
Già da molto tempo prima, avrei dovuto sapere come salvare una vita
[1].
«Perché, questa volta, le tenebre non si prenderanno nessuno.»




●●●




{ Due mesi dopo l’incidente: l’avvento }




In lei avevano trovato armonia la seduzione della notte e il gelo dellinverno; solamente i suoi occhi erano stati chiamati brillanti, ma crudeli e con quegli stessi occhi aveva fissato le sue vittime morire.
Chi era riuscito a sfuggire a uno dei suoi attacchi aveva raccontato della sua abitudine di colpire con la calma di un cacciatore, inseguendo le prede con crudele costanza e lasciando il campo di scontro mai privo del sentore della morte; tuttavia, quello che aveva allarmato Associazione Eroi e cittadini era stato il fatto che gli stessi che si erano salvati, nell’attacco successivo erano stati ritrovati morti.
Non si era mai lasciata scappare
nessuno.


Si sarebbe saputo troppo poco di quel mostro: in quell’ultimo periodo, le sue apparizioni erano state frequenti e segnalate in varie città, ma era stata la rapidità delle sue azioni il problema più grande.
Raramente gli eroi mandati a combattere la minaccia si erano scontrati con essa; qualunque
cosa fosse veramente stata quella figura dalle sembianze femminili a cui i rapporti avevano fatto riferimento e che era stata registrata dallAssociazione con un livello di calamità Demone, la capacità di scomparire e rendersi incorporea come una traccia di fumo l’aveva protetta in tutte le occasioni e resa un pericolo ben più urgente di quanto inizialmente si fosse pensato.
Alle forze giunte troppo tardi, lo scenario apparso era stato sempre lo stesso: quartieri devastati, fitto silenzio e ragnatele di sangue impresse contro le pareti dei palazzi o lasciate a disfacersi in rigagnoli nelle strade; e un sussurro nella mente, che avrebbe inseguito i malcapitati per molte o poche notti, a seconda di cosa il mostro aveva deciso.
Sto arrivando da te.



Attenzione: questo è un annuncio dell’Associazione Eroi alla Città D.
Un Essere Misterioso è stato visto aggirarsi nei quartieri centrali.
Il livello di calamità è stimato a: Demone.
I residenti sono pregati di restare nelle proprie abitazioni o di cercare immediatamente un rifugio sicuro.

Non avrebbe dovuto trovarsi lì: teoricamente un Classe C
[2] non avrebbe potuto occuparsi di una minaccia di livello Demone, anche se le sue forze avevano dato prova di superare la classificazione assegnata.
Non avrebbe dovuto trovarsi lì, no; ma dalla scomparsa di Hana, la rabbia era ritornata e aumentata fino a sfinirlo se lasciata inascoltata, e l’unico modo per poter respirare era stato sfogarla contro qualunque mostro avesse incrociato il suo cammino. Tutti, senza alcuna eccezione
perché ognuno di essi aveva preso le sembianze di quello che l’aveva uccisa, quindi non c’era mai stato alcun motivo di risparmiare qualcuno di loro.
L
unico modo per non dover rispondere a nessuna domanda si ponesse.
Per questo era giunto sul luogo dell’attacco nonostante al momento dell’annuncio si fosse trovato a chilometri di distanza, raggiungendo quasi i limiti del proprio corpo per arrivare il prima possibile; e tuttavia, quello che il mostro aveva deciso di compiere era già stato portato a termine, in quanto nemmeno l’eroe era entrato nei quartieri sotto attacco che l’odore del sangue lo aveva costretto a retrocedere di qualche passo, l’assenza di suono così profonda da stridere fastidiosamente con il furioso battito del cuore.
E i corpi… i corpi erano ovunque.
«Ma che
chi potrebbe compiere una strage simile in così poco tempo?»
Un fruscio e una presa sulla sua spalla erano stati la risposta, seguiti da un verso di disapprovazione. «Vattene da qui, Classe C. Siete inutili in questi casi, e quello che è venuto a farci visita è un gran problema.»
Bad non aveva riconosciuto la figura che era apparsa al suo fianco, né aveva voluto evitare il bagliore di superiorità nei suoi occhi. «È tutto da vedere», aveva invece replicato, stringendo con maggior forza l’impugnatura della mazza e dando una spinta al nuovo arrivato per allontanarlo da sé; solo per vedersi superato, appena il boato di un edificio sventrato aveva infranto la cappa di cristallo che li aveva avvolti.
«Non sei abbastanza lucido, Metal Bat. Lascia il campo a chi veramente sa come affrontare le emergenze!», era stata l’ammonizione del secondo eroe, prima di lanciarsi in corsa verso l’onda di polvere che si era alzata a inghiottire i palazzi più bassi.
«Ma cosa credi di fare, idiota?», aveva replicato con durezza il giovane, gettandosi al suo inseguimento. L’onda soffocante li aveva investiti immediatamente; Bad aveva cozzato duramente contro il muro di un edificio e il buio era sceso sui suoi occhi, ma senza fargli perdere conoscenza: era stato
semplicemente scagliato in un vicolo interno con tale velocità da non permettergli di comprendere il come fosse successo. «Maledizione», aveva imprecato recuperando il fiato quasi subito e rialzandosi velocemente, cercando di recuperare lorientamento e uscire da lì; ma il suo era stato solo un sussurro smarrito nel caos che si era improvvisamente levato tuttintorno a lui, con lesplodere della realtà.
Subito dopo, non era stata la razionalità a costringerlo a correre, ovunque ma lontano da lì, e a guidarlo in qualche modo fuori dalla tenebra del vicolo e dritto nel cuore dell
inferno; non era stata la razionalità, questa doveva aver presto lasciato il posto a qualcosa di più fermo, che gli avrebbe permesso di sopravvivere.



La prima cosa che aveva notato era stato il fatto che né lui né laltro eroe erano dei bersagli. Questultimo era steso al suolo a pochi metri da lui, così immobile da sembrare morto; ma il mostro che avrebbero dovuto sfidare — ancora parzialmente coperto dalla polvere, ma ormai evidente nella sua enormità — non si era curato di ciò, anzi: aveva continuato a combattere dando loro le spalle, come se non li avesse nemmeno notati.
Sfruttando la cosa a proprio favore, Bad aveva cercato di avanzare per recuperare il compagno e portarlo via da ogni pericolo imminente; ma lo aveva solamente pensato, che una seconda onda di nera energia si era scatenata per le strade, investendolo ancora una volta e costringendolo a piegarsi sulle ginocchia per non essere trascinato via. Quello strano assalto era svanito rapidamente come il primo; ma quando il giovane era riuscito a vedere di nuovo, lo scenario era completamente mutato.
«Nessuno si dovrebbe mai intromettere in una battaglia tra mostri, ancor meno nullità come voi.»
Davanti al suo sguardo attonito, l
oscurità aveva preso forma umana, un vero e proprio corpo e volto; nero come ossidiana in ogni sua parte, fatta eccezione per gli occhi ricolmi di luce bianca, come stelle incastonate in unimpietosa mezzanotte. Lei si era rivelata bella come era stato raccontato; e pericolosa nel modo con cui era avanzata, le unghie dinchiostro di una mano che non erano ancora riuscite a liberarsi del gocciolio cremisi del sangue, e quelle dellaltra
«Prevedibile e fin troppo rapido, è vero; ma è stato comunque uno scontro. Mi sarebbe dispiaciuto se uno di voi due l
avesse disturbato.»
La testa che aveva infine lasciato cadere era rotolata nella direzione di Metal Bat con calma surreale; e solo quando era stata vicina lui aveva pienamente realizzato che era quella del mostro intravisto istanti prima.
Il ragazzo aveva socchiuso gli occhi, senza staccare lo sguardo dall
Essere sempre più vicino. «Quella donna dombra»
Lei
aveva sorriso appena; quindi lo aveva attaccato.
Se i suoi riflessi fossero stati meno allenati, sarebbe stato colpito in pieno e probabilmente sventrato; ma anche se solo per pochi attimi era riuscito a sfuggirle scartando di lato, ed era stato suo il turno di colpire, con una ripresa veloce quasi quanto l
attacco dellavversaria. La mazza aveva impattato contro il braccio del mostro con tutta la forza del suo possessore; almeno, così gli era sembrato, fino a quando non aveva visto il corpo del nemico svanire e sentito il suo respiro sul collo immediatamente dopo.
«Comunque troppo lento.»
Il colpo successivo lo aveva colto alle spalle e raggiunto quella sinistra, sbilanciandolo in avanti ma senza raggiungere la forza devastante dei precedenti attacchi; semplice capire il perché.
Vuole giocare con me e quellidiota sprezzante prima di fare sul serio; evidentemente prima non si è divertita abbastanza. «Avanti, fatti sotto», aveva quindi ringhiato Bad, sentendo la calamità incombere su di lui; per una seconda volta era riuscito a evitare quegli artigli affilati come rasoi, per una terza e una quarta prima di poter attaccare a sua volta.
La sua mazza era stata fermata a mezz
aria, quasi piegandogli il braccio in una posizione innaturale; con laltra mano, lei lo aveva afferrato alla gola e trascinato davanti a sé, a un centimetro dagli occhi candidi. «Hai fegato ad attaccarmi con tutto te stesso», aveva sussurrato, con una dolcezza capace di fare a pugni con la ferocia dellagire; e per un attimo, Metal Bat aveva sentito la forte pulsione di smettere di dibattersi e lasciarsi fare qualunque cosa lEssere avesse voluto, la persuasione e qualcosa di ancora più sottile aumentare la stretta sulla carne, «… e hai anche una resistenza eccellente. Ma non cè molta differenza con chi ti ha preceduto con chi non può raccontare più nulla.» Dopo quelle parole, aveva tentato di strappargli larma, e con essa anche le dita; ma il corpo delleroe aveva agito di propria volontà, così che la mazza era sfuggita alla presa della nemica e lui era riuscito a colpirla al fianco per due volte.
Immediatamente, la carne si era come disfatta, divenendo simile a fumo; e anche se non gli era sfuggito il ghigno di dolore nel volto del mostro, Bad aveva sentito il pungolo dello scoramento attraversarlo.
In quello stesso istante, lei lo aveva liberato, spingendolo lontano da sé. «Di te mi prenderò cura più tardi», gli aveva sibilato; e al suo tentativo di rialzarsi, lo aveva colpito così forte da potergli spezzare più di una costola
se non fosse stato abbastanza rapido da parare il colpo con la sua fedele compagna di metallo e indietreggiare.
«Perché non continuiamo, invece? Sembravi divertita.»
L
’altra non aveva replicato, ma gli aveva volto le spalle con la sicurezza di chi ha il controllo di ogni cosa e si era diretta verso laltro eroe.
Siccome questi era rannicchiato su sé stesso, Bad non era riuscito a vederlo chiaramente, ma aveva scorto una sorta di fucile tra le sue mani, ciò che doveva aver preoccupato la loro avversaria.
«Con quello potresti fare un gran male
più a te stesso, temo», laveva infatti sentita mormorare, «e non sai che non è leale attaccare quando c’è già uno scontro in atto?»
Uno sparo assordante e incontrollato aveva macchiato il breve silenzio, quindi gli eventi successivi avevano avuto luogo in un unico istante.
Le unghie del mostro erano penetrate nel costato dell’eroe e lo avevano lacerato con violenza, intessendo l’aria di minuscole gocce scarlatte.
Non un grido aveva lasciato la bocca della vittima, ma lui si era mosso appena intuito cosa stesse per accadere; e quando lei si era girata per affrontarlo, l’aveva afferrata per la vita e staccata dal corpo dell’altro, riuscendo a spingerla di lato ma non a trattenerla.

La donna d
ombra lo aveva inchiodato a terra con uno sguardo carico di livore, quindi si era piegata sulle ginocchia. A giudicare dall’energia che era scorsa dal corpo come un’onda, non avrebbe scherzato ancora a lungo. «Sei una maledetta seccatura, Bad
Il giovane non aveva abbassato la guardia, ma corrugato appena la fronte.
Il mio nome«Come fai a saperlo?»
L’avversaria aveva immediatamente compreso a cosa si fosse riferito, ma non aveva risposto; come una fiera, aveva iniziato a studiarlo a fondo, cercando la migliore apertura.
«Che cosa c’è? Ora hai paura, per caso?»
Provocarla in quel modo aveva presto sortito l’effetto di smuoverla; ma l’attacco che aveva sferrato era troppo violento per essere fermato senza conseguenze, quindi l’eroe si era ritrovato a qualche metro da distanza con un braccio dolorante per una buona metà e uno squarcio sul fianco.
Subito dopo, lei aveva nuovamente attaccato, ingaggiando con Bad una danza di metallo e artigli che non aveva concesso tregua per lunghi minuti, fino a quando lui non era riuscito a intrappolarla, anche se per pochi attimi, contro il muro di un palazzo.
«Sei una codarda.»
«E tu sei al limite delle forze.»
Come a un segnale convenuto, si erano separati e di nuovo attaccati; e questa volta, Bad era riuscito ad afferrare il mostro e a premerla al suolo con tutto il peso, stringendola ai fianchi: lì dove aveva notato che i suoi colpi erano andati a segno con maggior risultato.
«Perché sai il mio nome?»
La calamità aveva socchiuso gli occhi, stirando la bocca in una smorfia; e per qualche motivo, il sentore della sua sete di sangue si era come smorzato, e non era scomparsa.
«Sono cambiata davvero tanto, vero? Qualche giorno a vagare nel buio, e ti risvegli così: irriconoscibile, e incapace di dimenticare cosa ti è accaduto.»
«Di che cosa stai parlando?»
Lei si era alzata sui gomiti, mettendo subito un braccio tra il suo petto e quello del giovane. In un istante, l
aura oscura si era addensata nuovamente intorno a lei come una nube di tempesta. «Non chiedermi come, né il perché, ma ti ho visto quando hai estratto da quelle macerie la borsa con tutti i miei spartiti. Come hai fatto a non sentirmi gridare, tu che»
Bad non l
aveva lasciata finire; con grande sorpresa del mostro, laveva colpita al viso con un colpo secco e dopo averla presa per i filamenti dombra che dovevano essere stati i suoi capelli le aveva sbattuto il capo al suolo. «Non prenderti gioco di me, né di lei », le aveva mormorato, smarrendo tutta la calma rimastagli.
Nonostante il doloroso trattamento ricevuto, il mostro non aveva mutato espressione. «Così credi che stia mentendo
posso comprendere, dopo tutto. Ma dimmi una cosa: dovè il corpo di Hana? È stato ritrovato tra le macerie, oppure no? Lo hai visto? »
No
. Una stilettata nuova, avvelenata, si era unita al pungolo causatogli dalla ferita aperta, al livore, a tutto ciò che era seguito dopo la scomparsa della ragazza e che lui non era riuscito a realizzare ancora completamente; ma era una sensazione diversa, nessuna di quelle che aveva già provato.
Sospetto?
«
La risposta è no: perché non cè mai stato un corpo da cercare, ma una persona. Una persona lasciata sola a vagare nel buio di cunicoli sconosciuti, incapace di trovare una via duscita da sola; gridava aiuto, seguiva il suono delle voci che riuscivano a raggiungerla ma non erano giunte per lei, rispondeva nessuno sentiva.
Cinque giorni: ore tra la vita e la morte, dove ogni istante perdeva qualcosa di sé, e diveniva
altro. Nemmeno lei, forse, lo aveva compreso pienamente… finché non uccise un uomo — il primo di molti —, e allora ruppe i suoi ultimi limiti.» Una pausa. «Era solo un operaio ma lei era allo stremo delle forze, aveva bisogno di cibo, doveva dissetarsi; quella morte non fu una sua colpa.
Non è colpa di Hana se la vecchia sé stessa morì così.»
Le prime vittime del mostro d
ombra erano state ritrovate in un cantiere sotterraneo. Un incidente durante alcuni lavori ma chi è sopravvissuto ha raccontato una storia diversa.
Il pensiero non aveva suono, non poteva smuovere il silenzio; e comunque fosse,
quel pensiero non avrebbe mai avuto una voce così forte da poter sovrastare il rombo del caos interno allanima.
Come hai fatto a non sentirmi gridare?
«Spostati da me.»
Con uno scatto, Bad aveva ubbidito e lasciato libero il mostro
Hana: la ragazza che gli aveva dato così tanta pace la calamità di livello Demone che aveva tentato di ucciderlo, e lui di uccidere. Più si era rifiutato di crederci, più aveva fatto il contrario — retrocedendo lentamente, lontano da lei. «Come posso essere certo di ciò che dici?» La voce gli era risultata estranea, distorta; Hana laveva accolta con un accenno di tristezza nello sguardo che, seppur bianco, aveva nascosto la parte più oscura di lei. «Perché dovrei ingannarti? Ti avrebbe fatto più male mentirti o sbaglio?»
Silenzio.
«O sbaglio? Dimmelo, Bad! Se non vuoi rispondere al perché mi hai lasciata sola, laggiù
fallo almeno a questa domanda.»
«Il tuo non era il solo corpo che non si riusciva a trovare», aveva mormorato infine lui, «ma nessuno è emerso vivo da quelle macerie.
Le tue compagne, chi è caduto con te
sei stata lunica a essere sopravvissuta.»
L
unica a subire il peggio. Lunica a passarlo da sola.
«Ti ho chiamato così tanto, ma
»
«
Ma nemmeno tu hai risposto quando l’ho fatto io!»
Il silenzio improvviso si era rivelato ancora più pesante dei precedenti; tensione, rabbia, il non spiegato si era mischiato con i loro respiri.
«Io non volevo diventare così
ho sempre temuto che questo mi accadesse, lo sai bene. E ora riesco solo a provare odio, rancore, per chi è più fortunato di me per chi gli eroi mi hanno preferito.»
«Che cosa stai dicendo? Perché avremmo dovuto dimenticarti, perché avrei dovuto farlo io?»
Era stato il turno di Hana di indietreggiare, con più di un
accusa dipinta sul volto. «Io non avrei avuto pace se tutto questo fosse accaduto a te, a Zenko il solo pensiero mi avrebbe sconvolto. Eppure nessuno ha avuto la stessa cura verso di me»
«Nessuno poteva immaginare la verità, Hana!»
«Eppure è questa; e le conseguenze sono tutte vostre.»
Il tempo delle parole si era infranto come una fragile bolla; e la giovane si era messa in posizione per riportare la battaglia tra loro. «Non si torna più indietro, Bad; non avrò pietà.»
«Hai già deciso tutto, quindi», aveva replicato lui.
«
Ne sono stata costretta.» Era scomparsa come lultimo lembo di notte davanti al sole; ma Metal Bat non aveva atteso altro che questo, e reggendo la mazza con entrambe le mani era riuscito a fronteggiare il suo attacco senza perdere terreno.
La terra aveva tremato appena entrambi avevano liberato la propria forza senza più trattenersi; mura e polvere erano esplose intorno a loro quando lo scontro aveva poi coinvolto un edificio, e si erano ritrovati a combattere su pavimenti spezzati dal proprio impeto.
Uno di questi era poi crollato trascinando entrambi nella caduta; e un locale pieno di armi di ogni tipo aveva visto la battaglia farsi quasi disperata quando i corpi non avevano lasciato spazio ad altro se non a una reciproca, ferrea stretta.
«Non puoi più fuggire, ora», si erano detti all
unisono, con diverse ragioni, scagliandosi a vicenda contro le pareti opposte della stanza; scosse, queste avevano rovesciato su di loro il corredo di spade, scudi e archi che avevano sorretto fino a quellistante. Hana aveva colto quell’occasione per attaccare il suo avversario; eppure, Bad fu altrettanto lesto nel porre contro di lei lo scudo che gli era caduto più vicino, capace — forse — di contrastarla almeno per un poco.
L’arma aveva iniziato a piegarsi sotto i colpi ripetuti, fino a quando non si era completamente sbriciolata e Hana aveva cercato di afferrare l’eroe; questi si era già preparato.
«Che cosa…», aveva replicato lei, sentendo che era stato il suo polso a venir stretto in una presa d’acciaio; e ancor prima che la sorpresa avesse potuto abbandonarla, era stata piegata al suolo, il ventre in fiamme per il colpo fulmineo e la mente incapace di mantenere lucidità. «Fa-fa male…», era riuscita a mormorare; poi, il mondo era esploso e si era messo a vorticare, fermandosi solo dopo averle fatto sbattere il capo contro il pavimento, in un punto diverso da quello in cui era stata fino a pochi istanti prima. Il dolore era divenuto maggiore, insopportabile e ancora peggio: le aveva preso il cuore, e…
Perché hai iniziato a piangere?
«Fa male
è terribile», aveva singhiozzato tenendosi il petto, mentre un rivolo di sangue nero aveva iniziato a sgorgare dallangolo dellocchio destro e tingerle la guancia con un marchio d’inchiostro e pena.
E no, alla fine non era stato il dolore la cosa peggiore: ma il freddo, il buio.
Il buio. Dall’abisso di pietra che l’aveva ingoiata nel momento della caduta, lei non era mai uscita veramente.
«Alzati, non abbiamo ancora finito.»
La giovane non aveva risposto per un lungo istante, e lui non l’aveva più pungolata; non quando aveva visto le ombre scivolarle dalla pelle e cedere lo spazio a un simulacro della vecchia Hana, e gli occhi perdere il bagliore latteo per scurirsi e versare lacrime più copiose.
Nel tuo cuore chi sei davvero?
Lei aveva tentato di farlo; ed era immediatamente ricaduta sui gomiti, ogni fibra del corpo percorsa da fitte lancinanti.
«Alzati!»
«Hai colpito il mio punto debole, stupido; le mie costole sono spezzate… quando l’adrenalina passerà, anche respirare mi costerà fatica.»
Lui si era proteso sull’avversaria, afferrandola per un braccio e trascinandola verso l’alto. «Non finirà in questo modo.»
Hana lo aveva fissato per qualche attimo; quindi, per la prima volta dopo così tanto tempo da non sembrare reale, aveva sorriso con sincerità.
«Quanto sono patetica ora, vero? Persa ogni sicurezza, stanchi di tutto… come siamo inermi.»
In risposta, Bad aveva lasciato cadere la mazza a terra, ormai piegata
[3] e inservibile non più utile a quello che sarebbe stato il nuovo scenario, e aveva afferrato l’amica per entrambe le spalle.
La ragazza aveva ricambiato la stretta sulle braccia dell’altro con minor pressione, e dopo quei crudeli minuti di immobilità che li avevano colti aveva appoggiato la testa contro il suo petto. In quell’istante, il processo iniziato istanti prima era apparso ancora più evidente: l’umanità si era messa a lottare contro la mostruosità, e se da una parte le sue unghie avevano aperto lunghi graffi sul petto di Bad, dall’altra gli occhi lo avevano accarezzato e stretto all’anima con disperazione.
«Sei un idiota. Ti sei messo in mezzo, hai affrontato la mia sete di vendetta, mi hai battuto, e ora…» Si era interrotta per scuotere il capo e guardare il sole filtrare dolcemente dalla piccola finestra posta in alto sul muro, alle spalle di Metal Bat: l’unica fonte di luce che rischiarava il locale. Avrebbe voluto essere lontana da lì, da ogni azione e pensiero, dalla memoria; avrebbe voluto esserlo con lui, e avere il tempo di poter rispondere a tutto, di litigare, combattere ancora, non aver paura né il bisogno di piangere per sé stessa.
«Hana non tornerà più, e non perché io non lo voglia, semplicemente perché è impossibile. Non ritornerà… non riuscirà a farlo.»
Parole, solo parole; quelle che aveva odiato, evitato, erano scorse libere, impossibili da trattenere ed evitare.
«E pensi di cavartela in questo modo, parlando? Credi che ti permetterò di continuare così?» Il ragazzo l’aveva scossa un’altra volta, per spingerla a una reazione; e lei aveva sospirato lievemente prima di staccare gli occhi da quel cielo troppo chiaro e appoggiare la fronte contro quella di lui. «Vorrei tanto che tu non me lo permettessi, credimi. Perché… perché ora, l’ultima cosa che desidero è dire
addio
Era svanita senza far rumore nel momento esatto in cui aveva chiuso gli occhi, troppo velocemente anche per le sue certezze; e anche se per un solo momento l’eroe aveva creduto di essere nuovamente sotto attacco, niente e nessuno era arrivato a colpirlo.
Era rimasto solo, con le braccia tese verso qualcuno che non avrebbe risposto, in una stanza piena del suo sangue, delle sue ombre
l’unica cosa che il sole non era riuscito a uccidere; era rimasto, e da sempre chi rimane soffre di più.
Forse quella era stata una delle battaglie più rapide, gli eventi stessi non avevano dato tregua a nessuno di loro due;
ma chi rimane soffre di più.
Di quello non aveva mai dubitato.






NOTE






[1] Frasi riprese dal testo di “How To Save a Life” dei The Fray, canzone che mi ha ispirato molto di questa storia e che per questo è stata inserita come titolo della fic.

[2] In uno dei capitoli speciali del volume 11 è detto che Metal Bat viene promosso, per merito delle sue imprese, direttamente dalla Classe C alla S poco più di un anno prima dagli eventi trattati nell’opera; nel momento trattato, quindi, è ancora nella classe di partenza.

[3] Sempre nel capitolo speciale, viene mostrato come l’eroe richieda all’Associazione, come equipaggiamento particolare, una mazza di metallo che non possa essere né distrutta né piegata, in quanto le precedenti erano state rese inutilizzabili dalle precedenti battaglie.

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Capitolo 3
*** Sogni nell'Alba ***


III Sogni nell’Alba





Verrà la notte che riconosceremo solo noi, quella che non farà così paura, che ci suggerirà la strada di casa.
Il cielo era privo di luna, ma ricolmo di stelle quasi quanto la città di luci; e c’era calma, leggermente surreale per quella metropoli ma più che gradito per la sua mente.
Non è rimasto nessuno laggiù; li abbiamo salvati tutti — tu lo hai fatto.
Respirava a pieni polmoni, non era più
; inspirava, ed era sempre , insieme alle ore che scorrevano sempre più velocemente, e alle sue speranze che cavalcavano con esse. Era con tutti quelli a cui aveva teso una mano e spinto a rialzarsi, a seguirlo e a non perdersi di nuovo; ogni volta che chiudeva gli occhi, era la tenebra ciò che vedeva — e infine, il lume sempre più flebile della torcia spegnersi davanti a quello più forte del sole quando, improvvisamente, si era ritrovato al punto di partenza; sfinito dalla tensione, il corpo dolorante dalla spasmodica ricerca e dal peso di chi si era sorretto a lui per riuscire a rivedere il giorno insieme a lui, ma vivo.
Sono tutti salvi.
Era ancora primo pomeriggio quando era collassato sull’asfalto della Città S, e qualcuno lo aveva stretto a sé bagnandogli il viso con acqua e carezze; in molti avevano pianto, allora, sussurrandogli parole che non aveva compreso
⸺ ma che avevano lo stesso significato, ed erano le uniche che si era atteso e che avrebbero ricompensato ogni suo sforzo.
Sono tutti qui con noi.
Un sospiro; il sonno non sarebbe giunto ancora per parecchio, nonostante la prova passata, perché tra i pensieri che lo impedivano, uno aveva un’insistenza tutta sua.
Era più una sensazione, un pungolo che era nato nel ventre delle tenebre e lo aveva seguito per l’intero giorno, fino a quell’istante; e sarebbe andato avanti ancora per molto, fino al momento in cui non avrebbe staccato lo sguardo da quella foto.
La
foto: l’unica di Hana, e sua.
Il fioco lume della lampada notturna sembrò intensificarsi quando il sorriso della ragazza venne liberato dalla polvere non più presente; e il giovane si perse nuovamente a fissare come la macchina fotografica fosse riuscita a intrappolare la morbidezza dei lunghi capelli di lei e la spensieratezza negli occhi di entrambi.
Accarezzò con un dito il viso dell’amica, e come un’esplosione al centro esatto del cuore rivide ancora una volta la scena di quel pomeriggio,
il volto così simile al suo, confuso e al medesimo tempo ben visibile tra la gente che lo aveva circondato; aveva incontrato i suoi occhi solo per pochi secondi, due stelle ferme nel mutarsi di voci e colori, ma era stato come osservarli da sempre, come se il tempo non fosse mai passato né finito, né distrutto. Anche se nel volto di una sconosciuta, quello era il suo sguardo.
La veglia venne prolungata fino all’alba; ma nemmeno allora l’eroe volle riporre la foto nel cassetto a doppio fondo che la teneva imprigionata da due anni, posandola invece nell’angolo di letto più vicino al lato in cui dormiva.
Sarebbe
dovuto andare il prima possibile alla ricerca di un portafoto; di qualcosa capace di mantenere la luce di quel passato, qualcosa di cui non avere più paura.





❁❁❁





Verrà il giorno che attendevamo, l’ora di ritrovarci.
Chi può fermare il viaggio di un cuore che conosce il proprio destino?

Aveva aperto gli occhi piano, con timore; ma il dolore era già svanito.
Le sue dita erano ancora chiuse intorno a schegge di metallo e brandelli di stoffa; il corpo interamente nudo, il vento aveva giocato con la pelle facendola rabbrividire.
Si era alzata piano, senza riconoscere il luogo in cui doveva essere stata gettata dai suoi stessi poteri; ma il sapore del sangue sulle labbra, il solletico causato dai capelli che erano ricaduti lungo schiena e braccia appena si era messa a sedere li aveva percepiti immediatamente come
umani. Allora aveva aperto una mano, nonostante il cielo già scuro si era specchiata nel pezzo di lama che vi aveva trovato; e l’oscurità non era riuscita a nascondere occhi neri come frammenti d’ossidiana e pelle pallida, un ematoma violaceo sulla tempia ⸺ dove lui aveva colpito con tutta la sua disperazione ⸺ e la cicatrice all’interno del collo, eredità dell’infanzia.
Parte delle sue abilità le era rimasta: grazie a queste era potuta sgusciare dall’edificio in cui si era svegliata e trovare vestiti e cibo, correre nell’ombra delle strade e degli alberi; ma nel giro di qualche ora
anno, mese, minuto? Quanto tempo è passato? era ritornata a respirare senza sentire l’anelito al massacro nella gola, a desiderare il gusto di ogni pietanza ma non quello sporco e ferroso del sangue, a sentire la tristezza.
Il vuoto.
La colpa.
La colpa
.
Che cosa aveva fatto? Ucciso, separato.
Che cosa aveva fatto? Aveva massacrato, aveva riso delle preghiere di chi,
come lei, aveva avuto paura di morire; aveva punito chi non aveva mai avuto colpa ma ai suo occhi sì, sì che l’aveva avuta, aveva lottato con altri mostri per tenere intatto il suo regno di terrore, aveva portato la paura.
Hana… cos’era diventata? Non
chi, cosa: non si sarebbe più dovuta definire nemmeno umana.
E che cosa avrebbe continuato a vivere al riparo dell’incoscienza? Quali crimini la mente aveva sotterrato per non farla impazzire, di quante tombe e lacrime era stata la responsabile?
Una caduta nelle tenebre era bastata per renderla un incubo, un animale, un cuore di pietra?
Per iniziare a comprendere, a ricostruire le sue stesse tracce, appena era stata certa di aver ripreso totalmente la propria umanità senza pericolose ricadute
e poter gestire ciò che di mostruoso le era rimasto era ritornata alla sua vecchia casa e famiglia; o meglio, a ciò che di entrambe era rimasto, in quanto i suoi passi esitanti si erano fatti largo nell’assenza: di mobili, di voci, di vita. Non era rimasto nessuno tra le mura spogliate di ogni cosa; probabilmente, troppo colpiti dalla sua tragedia, i suoi genitori se ne erano andati per sempre… li aveva persi.
Non li avrebbe più potuti rivedere, se non scatenando una reazione di spiegazioni che avrebbe solo peggiorato la situazione; oppure cercarli, e rimanere a guardare la loro vita senza di lei.
No; meglio lasciare la realtà così com’è. Evito solo un dolore ancora più grande… a me, e a voi.
Eccola, la seconda realizzazione: dopo il risveglio che l’aveva privata della morte e del suo oblio, gettandola nella sommaria consapevolezza delle proprie azioni, era giunta la colpa più lucida.
Perché non si era lasciata semplicemente andare?
Con quale sfrontatezza aveva creduto di poter continuare a vivere?
Come aveva potuto anche solo pensare di meritarselo?
Tra vicoli fumosi aveva cercato davvero il coraggio di darsi la fine; ma come
qualcuno le aveva detto, in fondo era sempre stata una codarda, ed era finita per gridare di terrore e repulsione davanti a quella scelta, terrorizzando chi si era trovato a passare vicino alla sua invisibilità.
La morte era giunta per guardarla un solo, maledetto istante durante una di quelle notti insonni senza soluzioni; in un sogno, incombendo su di lei ma senza toccarla,
troppo sporca anche per le sue mani.
Il mattino successivo, tutto e niente era mutato; ma era stato ormai accertato che il suo viaggio
— qualunque fosse stato — non era ancora cessato. Se solo sapessi dove conduce…
Se solo nulla, Hana. Ora ci sei solo tu, e tutto quello che sei.
Tutto quello che sei.

E cos’è che non sono mai stata?
Alla fine, le risposte avevano trovato il loro modo per raggiungerla.



«I fiori che vendete sono sempre stati i più belli della città, ma da quando sei arrivata tu, questo posto è ancora più luminoso. Il tuo nome ti ha davvero portato fortuna!»
Sorrideva a tutti, aveva una parola per chiunque; difficile riconoscere in lei la ragazza riservata che era stata, semplice vederle sul volto una pacata gentilezza.
«Questi sono un regalo. Quando viene a farmi visita, poi potrei chiudere il negozio per esaurimento scorte… quindi li prenda senza problemi!»
In tutti quei giorni passati china tra libri di musica e spartiti, accordi e composizioni, non avrebbe mai pensato di trovare una sintonia con i fiori; eppure, da quasi un anno ne curava di ogni tipo nel cuore della Città S, dove il sole le era sembrato subito più benevolo e nessuno avrebbe potuto riconoscerla.
Lei era proprio come quelle piante: aveva iniziato a crescere nuovamente, si stava avvalendo del tempo, della pazienza, delle proprie cure e anche dell’altrui calore per sbocciare e dare il meglio di sé.
Quel lavoro si era dimostrato l’occasione migliore per ricominciare: proteggere e amare le forme di vita più indifese, per riprendere sé stessa.
«Sei sempre allegra, tu!»
Ricordo quando non lo ero, e non vedevo più la strada dei sogni.
Sorrido anche per quella che ero allora.

«Vivi da sola?»
Questa solitudine non è un problema.
«Hai tanti amici?»
Tra il battito calmo del cuore e una lieve nota di malinconia che addolciva ancora più lo sguardo, le mani accarezzavano petali e foglie con maggior lentezza. «Forse sì; ma solo di uno sono davvero certa.»



Solo quando l’aveva rivisto di nuovo aveva compreso quanto le fosse mancato; ma lui non l’aveva notata, e lei non aveva fatto nulla affinché riuscisse a farlo.
Bad non doveva rincontrarla nelle parole, ma nei fatti; per tale motivo,
quello stesso mattino l’aveva seguito.
Aveva sentito la scossa prima di tutti, quando era ancora lontana; aveva stretto il grembiule del negozio con tutte le forze, contando gli istanti mancanti al sisma e facendo lo stesso per tutta la sua durata… e subito dopo aveva infranto la promessa di non riprendere più le vesti di un’ombra, e ombra era divenuta.
Quando è impossibile dimenticare qualcosa, lo si può trasformare in forza o incubo; in quegli istanti, lei aveva scelto la prima opzione, raggiunto il centro della città e si era gettata nella voragine, alla ricerca di chi avrebbe potuto essere divorato dal suo stesso, orrendo cammino.
Aveva distrutto con i poteri residui parte delle macerie, liberato chi era rimasto ferito, accorso al pianto di chi non aveva visto nessuna via d’uscita; lo aveva fatto sempre mantenendosi celata nell’oscurità, perché quella parte era sua come ogni altra, e se avesse potuto impiegarla per aiutare gli altri, invece di ferirli, allora avrebbe vinto un’altra battaglia.
E lì, proprio nel cuore delle tenebre, lui era arrivato.
Il coraggio e la decisione con cui si era addentrato nel pulsare dell’ignoto le aveva fatto da faro; per l’ennesima volta, si era dimostrato più forte di lei, anche se ciò non le aveva lasciato nessun sentimento negativo
solo la consueta malinconia.
Era stata al suo fianco per tutto il tempo; lo aveva guidato a suo modo, attenta a non mostrarsi, accontentandosi solo di sfiorarlo.
L’occasione di aiutarlo concretamente si era rivelata solo alla fine, quando le forze di Bad avevano iniziato a diminuire e sia il ragazzo che i cittadini erano stati in grave pericolo; allora, ogni pensiero aveva lasciato spazio a qualcosa di più concreto. Nessuno, in seguito, sembrava essersi ricordato completamente quello che era accaduto laggiù; e questo era stato un bene, perché come avrebbero potuto spiegare la sensazione di essere stati
trascinati, trasportati, sostenuti?
Aveva rischiato molto più della perplessità generale, con Metal Bat presente; ma d’altra parte, non avrebbe mai potuto lasciare alle tenebre qualcuno di loro… come lei.
Non avrebbe potuto accettarlo, e ancor meno dopo aver avuto la sensazione che Bad fosse sceso laggiù proprio per lo stesso motivo.
Non sono completamente lontana da te, amico mio.



«E questa? Davvero conosci Metal Bat?»
«È… è stata solamente una gentilezza che mi ha concesso.»
«Ma è strappata!»
«Un piccolo incidente… per fortuna sono riuscita a riattaccarla.»
«Potresti sempre chiedergliene un’altra.»
Hana strinse la foto con delicatezza, seguendo la linea irregolare che erodeva la carta per un tratto, e accennò un sorriso. Gli occhi neri di Bad sembravano capaci di sciogliere la carta, e le grida di Zenko che coordinava i loro movimenti prima di scattare erano ancora vivi nelle orecchie. «Potrei», mormorò, accarezzando con un dito il volto dell’eroe.
«Faresti solo bene! Ma ora, mia cara, vai pure; è tempo di chiudere.»
La ragazza annuì e salutò, e ancor prima di potersene rendere conto percorreva le calme vie della città.
La foto che la collega di lavoro le aveva quasi tolto dalle mani era ancora tra le sue dita, a ballare per un bordo; la alzò davanti al volto, e sotto le luci di un tardo tramonto la fissò ancora. «Sì, forse è davvero ora di scattarne un’altra», mormorò, prima di riporla con cura nella tasca laterale della giacca, la più vicina al cuore.
Fece qualche passo nel vento della sera; poi si fermò, si lasciò abbracciare completamente da esso. «
Nella prima discesa nelle tenebre, hai ucciso il mostro e salvato la sua vittima più grande; nella seconda discesa nelle tenebre, ho ucciso io il mostro e salvato l’eroe.
E sì, presto avremo tanto di cui parlare; ma non di come salvare una vita.
Quello lo sappiamo già fare, semplicemente vivendo.»






We are all broken;
That’s how the light gets in

Ernest Hemingway



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