Come un Arcobaleno di lunedi74 (/viewuser.php?uid=205330)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 - Nero, sempre più nero ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 - Azzurro, sempre più azzurro ***
Capitolo 1 *** Cap. 1 - Nero, sempre più nero ***
Cap. 1 - Nero
Cap.
1 - Nero, sempre più nero
Una folata
di aria,
come se un tornado avesse spalancato la porta, era entrata nella
stanza,
buttando a terra gran parte dei fogli che, un attimo prima, stavano
sparpagliati sul massiccio tavolo in legno presente in sala insegnanti.
Uno
sbuffo contrariato,
seguito da veloce occhiata in tralice, accolse l’incauto
nuovo arrivato, il
quale, dopo aver mosso verso l’alto un sopracciglio, senza
nemmeno accennare un
saluto o una parola di scuse, si diresse alla macchinetta del
caffè, dalla
quale si servì abbondantemente.
-
Non disturbiamoci a
rimediare al danno, mi raccomando – il
borbottio a mezza voce giunse senza difficoltà alle orecchie
di colui che era
appena stato ribattezzato “maleducato
essere a due zampe”.
La
donna nel frattempo
si chinò ed iniziò a raccogliere i fogli caduti,
che altro non erano che gli
appunti per le lezioni della prima settimana, tentando inutilmente di
ridar
loro quell’ordine che aveva faticosamente ottenuto nella
precedente mezz’ora di
lavoro. Aveva ricevuto quel materiale da poco più di una
giornata e già stava
insultando il suo predecessore in ogni lingua a lei conosciuta, incluso
il
codice binario(1).
Inginocchiata
a terra,
guardava con disperazione il risultato ottenuto –tre sole pile di fogli, quando
avrebbero dovuto essercene almeno
cinque, una per ogni anno più i test di valutazione–
e maledisse nuovamente
l’intruso, cercando di raggiungere la scatolina piena di
graffette che sapeva
d’aver lasciato sul tavolo, accanto alla borsa.
Tastò
in lungo ed in
largo il ripiano in legno, senza distogliere lo sguardo da terra, quasi
avesse
paura che gli appunti si sarebbero ancora mischiati non appena si fosse
distratta. Due scarpe da ginnastica bianche si fermarono a pochi
centimetri
dalla pila numero tre, quella più alta. Samantha le
fissò con astio, forse
còlta dalla tentazione di levarsi lo spillone con cui teneva
sommariamente
appuntati i capelli e piantarlo su uno dei due piedi, inchiodandolo
così al
suolo, stile tortura medievale.
-
Cercavi queste? –
In
tutta risposta alzò
piano lo sguardo, facendolo scorrere prima lungo due gambe
chilometriche
fasciate da jeans blu scuro, passando per un maglioncino bluette, fino
ad
arrivare al viso.
Un
sorriso
strafottente, segnato dalla barba incolta, capelli ricci sparati in
ogni
direzione, che s’allungavano sul collo e sulla fronte in
delicati boccoli -che
avrebbero fatto invidia alla regina
Maria Antonietta-, facevano da contorno ad occhi
incredibilmente azzurri,
che la squadrarono dall’alto in basso come se lei fosse uno
gnomo da giardino.
Samantha
gli strappò di
mano con poca gentilezza la preziosa scatolina e pinzò il
più in fretta
possibile i fogli, ormai sgualciti, prima di rialzarsi da quella
scomoda
posizione. Una volta in piedi si prese del tempo, spazzolando la gonna
del
completo nero dall’inesistente polvere –quella
scuola era più linda e disinfettata di un ospedale, grazie a
Miss Brown ed al
suo esercito di api operaie– prima di riportare
l’attenzione sul suo
interlocutore.
Purtroppo,
nonostante
il suo metro e settanta, unito ai tacchi dei sandali che indossava,
dovette
comunque guardare ancora più in alto per poter incrociare
quegli occhi che, nel
frattempo, non avevano perso un solo istante ed ogni sfumatura della
sua
rabbia.
-
Nuova arrivata? – s’informò
il biondino.
-
Inizio questo
semestre. Sostituisco il professor Fletcher. – rispose la
ragazza, in tono
evidentemente seccato.
-
Ottimo. Era ora che
la dirigenza svecchiasse un po’ lo staff. – fece
una pausa, poi riprese subito
– Wood. Inglese. –
-
Davis – disse lei
afferrando, se pur con una certa riluttanza, la mano tesa di fronte a
lei.
La
stretta tra i due
fu breve, ma energica. Si squadrarono con diffidenza per qualche
secondo
ancora, prima che lui tornasse a dedicare la sua attenzione alla tazza
di
caffè, ignorando la ragazza.
Samantha
finì di
raccogliere le sue cose dal tavolo, infilandole nella capiente borsa,
dopodiché
prese la porta ed uscì, diretta verso l’aula che
Samuel Higgs, il dirigente
scolastico della West Point Academy(2), le aveva assegnato per i suoi
corsi.
Aveva
appena chiuso
la porta dietro di sé quando sentì due voci:
-
Ehi Alex, questa
volta ti è andata buca! –
-
Dai Mark, ma se
nemmeno ci stavo provando – rise il primo –
E’ troppo giovane –
E rigida
– aggiunse tra sé.
-
Tempo un mese e
scapperà a gambe levate, dopo aver provato le classi di
Fletcher. – profetizzò
il primo.
Samantha
entrò nella
stanza e poggiò la borsa sulla cattedra, guardandosi intorno.
Quel…
quel… Wood
l’aveva decisamente indisposta. Troppo strafottente, per i
suoi gusti.
Non
sarebbe stato
facile, ma non gli avrebbe dato soddisfazione.
“Troppo giovane”,
aveva detto. Come se lui fosse tanto più vecchio.
Samuel
l’aveva
prevenuta -Fletcher
aveva la fama di
pozione soporifera, tra gli studenti- e l’ultima
cosa che le serviva in
quel momento era ritrovarsi tra i piedi un collega supponente e pieno
di sé.
Non
poteva –e
nemmeno voleva- rinunciare a quel posto,
benché ancora a
titolo provvisorio. Il professor Fletcher, nonostante fosse oramai
prossimo
alla pensione, non aveva certo intenzione di mollare alla prima
neolaureata la
cattedra che deteneva da oltre quarant’anni, ma una brutta
caduta dalle scale,
con conseguente lussazione dell’anca giusto pochi giorni
prima dell’inizio del
semestre, lo aveva costretto a letto.
Higgs,
suo ex
professore di storia alla British Columbia(3), ed attuale dirigente
scolastico
della WP High School l’aveva contattata per una sostituzione
in extremis. Sam
aveva accettato l’offerta prima di tutto per riconoscenza.
Samuel Higgs era
stato uno dei pochi insegnanti che aveva saputo guadagnare il suo
rispetto e la
sua ammirazione, nonostante la sua materia fosse per lei del
tutto… insipida.
L’altro
motivo era
proprio Higgs. Una vecchia volpe, doveva riconoscerlo. Le aveva
prospettato la
situazione come “estremamente
appetitosa
e conveniente”, per usare parole sue. Non ci
aveva messo molto a
convincerla. Il West Point era poco distante dalla British Columbia,
che lei
ancora frequentava per ottenere un secondo master, dopo quello in
Linguaggio
crittografico(4) già conseguito, e lo stipendio le sarebbe
stato utile. Gli
orari, inoltre, erano totalmente compatibili con le sue esigenze.
Quello
che, però,
aveva tralasciato di comunicarle era il livello a dir poco disastroso
delle classi
che lei aveva ereditato. Livello che, per inciso, lei aveva scoperto
poco
prima, dopo aver messo mano alle scartoffie riesumate dal fondo dello
schedario
riservato ai corsi gestiti da Fletcher. Dallo stato in cui li aveva
trovati,
dubitava che quei dati venissero aggiornati regolarmente.
Le
risatine seguite
al suo scasso –il
vecchio, per dispetto,
non aveva voluto darle una copia delle chiavi- non avevano
certo
contribuito a migliorare il suo umore, né a risolvere il suo
problema che, in
quel momento, sembrava in prospettiva ancor più nero del
completo che
indossava.
Non
aveva esperienza
nell’insegnamento, non ad un’intera classe,
quantomeno. I suoi pregressi si
limitavano a qualche ripetizione pomeridiana a singoli studenti, oppure
ai
compagni di corso, che le chiedevano delucidazioni sugli appunti che
lei
passava volentieri in caso di assenza.
Aveva
chiesto a
Samuel qualche consiglio in merito, per partire col piede giusto senza
farsi
prendere dal panico, e lui, per tutta risposta, le aveva “caldamente”
consigliato di “rubare”
ai colleghi più anziani.
Questo
spiegava la
sua presenza a scuola quel lunedì mattina. Le sue lezioni
sarebbero iniziate
solo la settimana successiva, quindi Samantha aveva deciso che, in quei
primi
giorni, avrebbe seguito i corsi degli altri professori, come una
studentessa
qualsiasi.
Si
era quindi
procurata, in segreteria, il piano completo di studi del primo
semestre. Doveva
solo decidere da quale iniziare. Non conoscendo nessuno di loro,
pensò bene di
affidarsi al banale, ma rigoroso e sempre utile, ordine alfabetico.
-
Dunque, vediamo… A…
A… A… nessuno il cui nome inizi per A –
mormorò, facendo scorrere la matita
sull’elenco.
-
Passiamo alla B,
allora… Ecco qua! Bright. Suzanne Bright, insegnante di
geografia. –
La
signora Bright
aveva lezione l’ora dopo la pausa pranzo con la terza classe.
Doveva solo
trovare qualcosa con cui occupare la mattinata. Il nome seguente era
Burns,
Richard Burns, educazione civica. Poi c’era Rose Clayton, di
chimica. Nessuno
dei due aveva lezione il primo giorno.
C’erano
poi Grant, Mc
Key, Norton, Simmons ed infine Turner e Wood.
Wood.
Alexander Wood,
professore di inglese nonché responsabile del club di teatro.
Il biondino
riccioluto ed indisponente incontrato poco prima, dunque, era davvero
un
insegnante!
La
sua lezione
sarebbe iniziata dieci minuti dopo, giusto il tempo per Samantha di
trovare
l’aula. Non ci avrebbe creduto finché non
l’avesse visto coi propri occhi.
Angolino
di Lune:
Di
che parliamo? Per chi mi conosce non sarà una
sorpresa sapere che… mi son presa una cotta virtuale. Questa
volta la colpa è
di un riccioluto biondino dagli stupendi occhi azzurri, di cui non
farò il nome
nemmeno sotto tortura, ma se proprio volete un termine di riferimento
potrei
suggerire Simon Baker (Patrick Jane, The Mentalist - Nick Fallin, The
Guardian), anche lui altrettanto
biondo, ricciolino e occhi-azzurri dotato.
Lo dico perché, nonostante questa sia una
Originale, alcuni tratti fisici e del carattere sono influenzati dalla
mia, al
momento, ossessione.
Il resto è tutto frutto della mia… tastiera. E
dei
personaggi che man mano si verranno a delineare.
Spero gradirete e… avviso subito: niente
aggiornamenti a breve scadenza. Gnaa fo. Ma prometto di provarci,
parola di…
Patrick.
Per
saperne di più:
(1)
Il codice binario altro non è che il linguaggio
macchina. In pratica è una lingua che utilizza solo due
caratteri (zero e uno),
chiamati bit, che opportunamente disposti in sequenze di 8 (ossia un
byte)
creano dei comandi eseguibili e/o elaborabili da un processore.
(2) Non
esiste una West Point Academy a Vancouver. O
forse sì. A me piaceva il nome, suppongo che da qualche
parte ne esista davvero
una con questo nome, anche se non in Canada.
(3) La British
Columbia invece esiste ed è
l’università principale di Vancouver, decisamente
la più grande, sicuramente
quella che offre più facoltà di studio. Si trova
al 2329 di West Mall. E qui
trovate l’elenco delle facoltà.
Con lo stesso nome viene definito anche il
quartiere universitario.
(4) Il Master in Linguaggio Crittografico dubito
che esista. Licenza poetica.
Il Bachelor’s Degree dura
dai 3 ai 5 anni in Canada
e corrisponde alla nostra Laurea quinquennale. Gli studenti che
desiderano
conseguire un baccalaureato o una laurea sono chiamati
"undergraduate". L'ammissione a un corso di laurea prevede
solitamente il conseguimento di un diploma di scuola secondaria
superiore. Le
lauree richiedono normalmente 3-4 anni di studio a tempo pieno, a
seconda della
provincia e del tipo di corso (specialistico o generico). Un
Baccalaureato
Honours indica di solito una specializzazione nella materia e un
più elevato
livello di impegno accademico. In alcune università il
conseguimento di una
laurea Honours può richiedere un ulteriore anno di studio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cap. 2 - Azzurro, sempre più azzurro ***
Cap. 2 - Azzurro
Cap. 2 - Azzurro, sempre
più azzurro
Non
ci aveva messo
molto a trovare l’aula di inglese, sicuramente meno dei dieci
minuti che sapeva
di avere a disposizione, eppure, entrando, la trovò
desolatamente vuota.
Samantha si guardò
attorno, alla ricerca di una spiegazione: la lezione sarebbe dovuta
iniziare di
lì a poco eppure non c’era ombra del
simpaticissimo –si
fa per dire- professor Wood, né, tantomeno, dei
suoi allievi.
- Ehi bella! Sei
nuova? –
Sam prese un respiro
profondo, prima di voltarsi. Se qualcuno le avesse fatto quella stessa
domanda
per la terza volta nel giro di una mattinata, si sarebbe ritrovato, o
ritrovata
–non faceva
mai distinzioni di genere-,
con le dita conficcate negli occhi.
Sfoderando il suo
miglior sorriso di circostanza, si girò con le parole
già pronte sulle labbra,
salvo zittirsi di fronte al marcantonio che l’aveva
apostrofata: due metri per
circa centoventi chili di ragazzone, al cui confronto lei era
decisamente più
piccola. Non era il caso di passare alle mani con un probabile
quarterback.
Poteva trattenere la sua ira fino al test d’ingresso, la
settimana successiva.
Anche se lei non era
assolutamente un tipo vendicativo.
- Professoressa
Davis, per lei… signor? -
Ebbe la soddisfazione
di vederlo quasi sgonfiarsi ed arrossire come l’adolescente
che era, ma si
raddrizzò con orgoglio, prima di risponderle con il rispetto
dovutole.
- Donovan. Andrew
Donovan, professoressa. Mi scusi. -
- Ah nessun problema
Donovan. – disse Sam, agitando la mano con noncuranza. La
questione non era
di alcuna utilità per lei in quel
momento. - Piuttosto, sto cercando il professor Wood, sa dirmi dove si
trova? –
proseguì.
- Beh in teatro! Dove
pensava che fosse? – rispose il ragazzone, sorpreso.
- Ah non saprei… in
aula per la lezione, magari? – ironizzò, stizzita
per il contrattempo.
Decisamente, la
giornata non era partita per il verso giusto.
- Lascia perdere…
dov’è il teatro? – riprese con
più calma, dopo aver preso un profondo sospiro.
Non poteva certo
prendersela con il ragazzo se quel Wood era così…
-stronzo-
imprevedibile.
- Devo andarci anche
io prof! Se vuole l’accompagno – si
offrì Andrew.
- Va bene andiamo!
Avrei una certa fretta... –
- Da questa parte,
allora. –
Si scostò di lato,
lasciandola passare, per poi affiancarla sulla destra, e si diresse
verso il
cortile.
Raggiunsero
l’edificio che ospitava il teatro in pochi minuti. Prima di
aprirle con
cavalleria la porta, il ragazzo le fece segno col dito di fronte alle
labbra,
suggerendole di non fare rumore.
Non che lei avesse intenzione
di fare un ingresso trionfale, tutt’altro, non era nel suo
stile. Inoltre, meno
avesse attirato l’attenzione di quel tizio che non le andava
particolarmente a
genio, meglio sarebbe stato per tutti, lei per prima.
La struttura, dal
poco che si poteva intuire visto il buio che l’avvolgeva, era
ottagonale,
simile al Globe Theatre(2) shakespeariano, ma, a differenza
dell’originale sito
a Londra, la parte superiore del teatro era coperta da una cupola in vetro satinato.
La luce del sole
filtrava dalla vetrata, illuminando solo la parte antistante il palco
e, con
essa, la figura del professore che, in piedi con dei fogli in mano,
focalizzava
totalmente l’attenzione degli allievi su di sé,
tanto che nessuno si era
accorto dell’ingresso dei due ultimi arrivati.
Hail, many-colour'd
messenger, that ne'er
Dost disobey the wife
of Jupiter;
Who, with thy saffron
wings, upon my flowers
Diffusest
honey-drops, refreshing showers;
And with each end of
thy blue bow dost crown
My bosky acres and my
unshrubb'd down,
Rich scarf to my
proud earth; why hath thy queen
Summon'd me hither,
to this short-grass'd green?(3)
(Salve, multicolore messaggera,
sempre obbediente alla sposa di
Giove,
tu che con l’ali tue
di zafferano
spargi sopra i miei fiori
stille di miele e piogge
rinfrescanti
e incoroni, inarcata
nell’azzurro,
i miei boschi e le spoglie mie
pendici,
ricca cintura
all’altera mia terra.
A qual bisogna mi vuole compagna
la mia regina, su
quest’erba fresca?)
Samantha rimase senza
parole, lo sguardo incollato su quella figura –quasi- angelica,
ammantata di sfumature di blu ed azzurro, i cui
riccioli biondi, illuminati dalla luce del sole, brillavano al pari di
un’aureola.
La voce ferma e
sicura risuonava tutt’attorno come se fosse amplificata
artificialmente, mentre
l’accento spiccatamente inglese dava alle parole
un’espressiva intensità ed una
forza vibrante, al pari di un brano musicale.
Aveva già assistito
dal vivo a diverse rappresentazioni teatrali, ma nessuna
l’aveva coinvolta in
maniera così totale in poche battute.
- Qualcuno sa dirmi
da che opera è tratto questo pezzo? – Chiese il
professore a bruciapelo,
gettando lo sguardo ai ragazzi che stavano seduti in cerchio attorno a
lui, chi
a terra, chi su una panca, chi sul palco.
- Signor Donovan! –
tuonò, non avendo ricevuto risposta, e si voltò
nella direzione dei due che
sostavano ancora immobili presso la porta. – Visto che
quest’anno sembra aver
accantonato la mazza onorandoci della sua presenza… qualche
idea? –
- N-non s-saprei
prof! – balbettò il ragazzone, intimidito dal tono
dell’uomo.
Si era rivolto ad
Andrew, ma gli occhi puntavano fissi sulla donna. Ed erano
così dannatamente
azzurri da risplendere come il pendente di turchese(4) che Sam aveva
ereditato
dalla bisnonna.
- William
Shakespeare. – Si ritrovò a rispondere suo
malgrado, al posto del ragazzo. - La
Tempesta. –
Se era una sfida,
quella, lei non si sarebbe certo tirata indietro.
- Bene bene. –
commentò lui, sorridendo – Preparata, oltre che
carina… -
La battuta fece
ridacchiare alcuni ragazzi alle sue spalle, ma lui non se ne
curò minimamente.
Perché, detto da lui,
quello sembrava tutto fuorché un complimento?
Senza pensarci,
afferrò la manica della felpa del suo accompagnatore e lo
trascinò vicino al
resto del gruppo, scendendo in fretta gli scalini che li separavano dal
parterre, rischiando di farlo inciampare. Si sedettero infine su una
panca
libera, come due normali allievi ritardatari.
Per tutto il tragitto
lo sguardo di Alexander restò fisso sulla donna. Si
domandava la ragione della
sua presenza lì e non trovando risposta decise di
stuzzicarla ancora un po’.
- Beh, sembra che
abbiamo trovato la nostra Demetra(5). Che ne dite, ragazzi? –
- Ma prof, veramente
lei… -
- Shhhh Donovan, dopo
tocca anche a te, non avere fretta. – lo zittì Alex
alzando l’indice sinistro
nella sua direzione, ma senza distogliere lo sguardo dalla collega.
– Prima le
signore, giusto? – ghignò.
Andrew guardò
Samantha, perplesso, ed alzò le spalle come a dire
“c’ho
provato”, ma non aggiunse altro. A quanto
pareva, in teatro la
parola del professor Wood era considerata legge.
A contract of true love
to celebrate;
And some donation freely
to estate
On the blest lovers.
(A celebrare un contratto
d’amore,
e dispensare generosi doni
a due felici amanti.)
Samantha aveva capito
il suo gioco: quello stronzo voleva metterla in difficoltà
di fronte ai ragazzi
prima ancora che questi venissero a conoscenza del suo ruolo. E lei
gliene
aveva dato occasione come una cretina, presentandosi nel suo tempio sacro,
interrompendo la sua
lezione.
Si prese del tempo.
Erano passati alcuni anni da quando aveva studiato Shakespeare a
scuola, quando
cioè era una studentessa proprio come coloro che, ora, la
stavano osservando in
attesa di una sua reazione. O, più probabile, del suo
imminente fallimento.
Si poteva dire che
nessuno emetteva un fiato e, in quel momento, si sarebbe sentita
distintamente
una mosca volare.
Accavallò le gambe
con una disinvoltura che non provava, fingendo di mettersi
più comoda, e,
mentre cercava di riportare alla mente il più in fretta
possibile qualcosa che
aveva sepolto da tempo in un vecchio cassetto della memoria,
tornò con gli
occhi sul viso del professore.
Tell me, heavenly
bow,
If Venus or her son,
as thou dost know,
Do now attend the
queen? Since they did plot
The means that dusky
Dis my daughter got,
Her and her blind
boy’s scandal’d company
I have forsworn.
(Arco celeste, dimmi, tu lo sai
se ci saranno Venere e suo figlio
a fare da corteggio alla regina?
perché dal giorno
ch’essi
complottarono
d’assistere il
fuligginoso Dite
quando rapì mia
figlia,
ho ripudiato la sua compagnia
e quella del bendato suo
marmocchio.)
Recitò infine,
dapprima un po’ incerta, ma acquistando via via
più sicurezza, man mano che i
versi le salivano alle labbra. Non si trattenne dal mostrare una punta
di
soddisfazione, notando il lieve irrigidirsi della mascella
dell’uomo. Avrebbe
giurato di averlo visto deglutire a vuoto, come se volesse ingoiare un
boccone
amaro.
- Non male per una
che ha scelto i numeri e la logica – si arrese.
O almeno così aveva
sperato Samantha, ma venne subito smentita dalle parole successive:
– La pronuncia lascia
un po’ a desiderare, ma con qualche lezione potrebbe
migliorare… sempre che non
sia troppo presa dai suoi calcoli, ovviamente. – disse,
rimarcando le ultime
parole e lasciando intendere tutta la sua disapprovazione
sull’argomento.
- Una cosa non
esclude l’altra, collega! –
Quello che Wood non
sapeva, né poteva immaginare, era che l’aver
studiato buona parte, se non
tutte, le opere di Shakespeare l’aveva aiutata ad esercitare
la memoria almeno
tanto quanto la filosofia le era servita per allenare la logica.
- Collega? – esclamò
una delle allieve, in tono alquanto ostile.
- Esatto signorina
Lewis! Ragazzi, vi presento la professoressa Davis. Da
quest’anno sostituisce
il vecchio Fletcher! – Alex fece una pausa, in attesa della
loro reazione. –
Con vostro sommo gaudio, suppongo… -
- Può ben dirlo prof!
– azzardò uno dei più coraggiosi,
fischiando sommessamente in segno di
apprezzamento.
- Ma non è troppo
giovane per essere qualificata? – domandò
un’altra.
- Certi titoli si
possono ottenere in molti modi! – malignò una
terza, senza tema di essere
sentita.
- O’Connor l’essere
carina non esclude l’essere intelligente, anche se tu sei
l’eccezione alla
regola. – la zittì uno dei ragazzi del gruppo che
Sam aveva giudicato dominante.
- Sempre il solito
stronzo, Finnegan! – replicò quella, stizzita.
- Ragazzi, i complimenti
a dopo. Riprendiamo la
lezione se non vi dispiace. –
Wood riprese subito
in mano la situazione, per evitare che degenerasse.
- Forza, prendete i
copioni che ho distribuito prima. IN SILENZIO, possibilmente!
–
Il brusio cessò come
era iniziato e poco dopo ognuno di loro stava sfogliando le pagine
dell’opera.
- Iniziamo a lavorare
sui personaggi… MA, per prima cosa, parliamo del contesto.
Chi sa darci qualche
informazione? Dov’è ambientata? Quando
è stata scritta? Cosa voleva COMUNICARCI
Shakespeare con questa commedia? –
Samantha vide
l’intera classe trasformarsi davanti ai suoi occhi. Erano
bastate poche domande
dirette, quasi un’interrogazione vera e propria, per
innescare una reazione
sulla quale non avrebbe mai scommesso. Ricordava lezioni simili nei
suoi anni
scolastici, e sapeva perfettamente che l’unico risultato che
si potesse
ottenere in quel modo era la cosiddetta “scena
muta” o, nel migliore dei casi, qualche
balbettio inconcludente.
Alexander Wood invece
aveva ottenuto l’esatto opposto. I ragazzi si erano divisi in
piccoli gruppi e,
dopo essersi consultati tra di loro, avevano iniziato a rispondere,
formulando
ipotesi, alcune sensate, altre originali, altre ancora al limite
dell’assurdo.
Il professore le ascoltava tutte senza discriminazione alcuna,
suggerendo
alternative, spingendo talora l’uno, talora l’altro
ad elaborare meglio i
concetti espressi, a non temere di… osare.
Pur essendo separati,
i gruppi interagivano fra loro e Wood non era altro che il
catalizzatore di
questa energia creativa. Si aggirava fra i ragazzi, a volte li
sorprendeva alle
spalle, era da solo, eppure era il centro della loro attenzione.
Attirava i
loro sguardi, anche quello di Sam, come una calamita.
Se avesse dovuto fare
un esempio, quella classe era assimilabile ad una rete informatica, in
cui
Alexander fungeva da server ed i ragazzi erano, a vario titoli, i
terminali.
Donovan, Finnegan ed
il loro “terzo
uomo” Stephan Russo
l’avevano coinvolta nella loro teoria, secondo la quale
Shakespeare era “stanco
di scrivere e meritava di andarsene
in pensione a godersi la bella vita”, testuali
parole del simpaticissimo
Stephan, di chiare origini italiane, anzi, siciliane, come aveva tenuto
a
sottolineare il diretto interessato.
L’idea in sé la fece
sorridere, poiché non era del tutto sbagliata. La Tempesta
infatti era
universalmente considerata come una delle ultime opere shakespeariane,
prima
del suo ritiro dalle scene.
Le due ore della
lezione terminarono prima ancora che Samantha fosse riuscita, in
qualche modo,
a sottrarsi a quello strano incantesimo. Alla fine Wood si prese del
tempo per
stabilire a chi avrebbe assegnato i vari ruoli, informandoli che
avrebbe fatto
delle audizioni dieci giorni più tardi, a cui erano tenuti a
partecipare.
- TUTTI quanti! –
aveva ribadito prima di salutarli – Un’eventuale
assenza vi costerà una nota di
demerito che dovrete poi recuperare. Allievi avvisati… -
Sam si rese conto
dalla mancanza di rumori molesti che la maggior parte dei ragazzi aveva
abbandonato il teatro. Aveva bisogno di mangiare un boccone prima di
assistere
alla lezione di… non ricordava più nemmeno chi, o
cosa.
- Allora prof…
l’aspetto alle audizioni! – se ne uscì
Wood, come nulla fosse, mentre sistemava
i fogli che aveva sparpagliato sul palco, seguitando a darle le spalle.
- Non se ne parla
proprio! – replicò, quasi strozzandosi con le
parole.
- E perché mai? –
chiese girandosi a guardarla, sorpreso. O fingendosi tale.
- Perché no! –
Alexander rise.
Rise talmente di
cuore che Samantha faticò a trattenere un sorriso di rimando
e per dissimulare
si chinò a raccogliere una penna da terra.
- Avanti COLLEGA,
da te mi aspetto una scusa migliore di un “perché no”.
– disse, passando ad un più
confidenziale tu. Si era appoggiato al bordo del palco, incrociando le
braccia,
ancora divertito.
- Dammi tu una
motivazione migliore perché io diventi una banale
studentessa! – gli rispose a
tono.
Lui azzerò la
distanza tra loro in tre passi, sbarrandole la strada e, di fatto,
precludendole ogni via di fuga con la sua altezza.
- Perché oggi ti sei
divertita. – fece una pausa cercandone gli occhi. –
Perché, che
io sia dannato, la cosa ti intriga,
ma non hai il fegato di ammetterlo! –
Le schiaffò,
letteralmente, dei fogli sul petto, costringendola ad afferrarli
affinché non
cadessero.
- E perché tu non
saresti una BANALE studentessa! –
Si allontanò, così
come s’era avvicinato prima, raccolse la sua giacca e,
passandole accanto, la
salutò:
- Immagino che tu sappia
già dov’è la mensa. O devo richiamare
Donovan? –
Samantha era rimasta
senza parole. Quel tizio era assolutamente irritante, indisponente
e… aveva
ragione, si era davvero divertita, tanto da non rendersi conto che si
stava
comportando come un’allieva e non come una docente.
Non era necessario
però che lui fosse così stronzo.
Perché lei sapeva
esserlo altrettanto.
- Aspetta! – lo fermò
un attimo prima che uscisse.
Alexander non si
voltò.
- Non so dove sia la
mensa. O meglio, lo so, ma non saprei arrivarci da qui, quindi se,
cortesemente, potessi indicarmi la direzione te ne sarei grata.
– gli disse, sfoderando
tutto il suo charme, consapevole tuttavia che non l’avrebbe
scalfito nemmeno un
po’.
Parlando, lo aveva
raggiunto sulla porta. Alex sbuffò.
Quella donna stava
giocando col fuoco. Se pensava che due moine l’avrebbero
messo a tacere si
sbagliava di grosso.
- Sto andando a
mangiare anche io. Non vivo di aria, nel caso non lo sapessi, dunque
prego: da
questa parte. –
Lasciarono il teatro
alle loro spalle e raggiunsero la mensa, come se non fosse accaduto
nulla.
Angolino di Lune:
Ecco
il secondo capitolo. Si fa conoscenza del
simpaticissimo professor Alexander Wood. Da qui in poi è
tutto un evolversi di
cui nemmeno io sono stata ancora informata.
Attendo news dai personaggi: non appena mi
bisbiglieranno nel sonno, impedendomi di dormire, avrete il capitolo
tre.
Per saperne di
più:
(1) I
titoli dei capitoli sono “liberamente” imposti da
dettagli disseminati all’interno del capitolo stesso.
(2) Il
Globe Theatre esiste, ma non è l’originale:
è stato
ricostruito nel 1614 e, più recentemente, nel 1987. Wikipedia vi dirà tutto
a
riguardo.
Per capirne la
conformazione guardate questa immagine
.
(3) The Tempest, William
Shakespeare – Atto IV, Scena
I (anche i pezzi successivi). Il testo integrale in inglese
è tratto da questo sito. La traduzione in
italiano è del Prof. Goffredo Raponi, tratto da
“traduzione originale da
William Shakespeare, "The Complete Works", a cura del prof. Peter
Alexander, Collins, London & Glasgow, 1960, pagg. XXXII
– 1376”
(4) Se volete sapere
qualcosa su questo minerale vi
rimando a questa pagina.
(5) Demetra è
il nome greco con cui viene identificata
Cerere, sorella di Zeus e madre di Persefone. Nella mitologia greca
è la
dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della
gioventù e della
terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della
morte,
protettrice del matrimonio e delle leggi sacre.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3762880
|