Keros di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'angelo e la vampira ***
Capitolo 2: *** l'angelo e la vampira, parte 2 ***
Capitolo 3: *** Fuoco ***
Capitolo 4: *** cucciolo demoniaco ***
Capitolo 5: *** Scoprire ***
Capitolo 6: *** Volare ***
Capitolo 7: *** Stelle e rane ***
Capitolo 8: *** Maestri ***
Capitolo 9: *** Crescere ***
Capitolo 10: *** Conoscere ***
Capitolo 11: *** Sognando. parte prima ***
Capitolo 12: *** Sognando, parte seconda ***
Capitolo 13: *** Caccia. parte prima ***
Capitolo 14: *** caccia. parte seconda ***
Capitolo 15: *** Verità -parte prima- ***
Capitolo 16: *** Verità -parte seconda- ***
Capitolo 17: *** Ereditario ***
Capitolo 18: *** Addestramento-parte prima- ***
Capitolo 19: *** Addestramento -parte seconda- ***
Capitolo 20: *** Riunione ***
Capitolo 21: *** Cielo ***
Capitolo 22: *** Sophia ***
Capitolo 23: *** decisioni -prima parte- ***
Capitolo 24: *** decisioni- seconda parte- ***
Capitolo 25: *** Apparenza ***
Capitolo 26: *** Alleati ***
Capitolo 27: *** Guerra ***
Capitolo 28: *** Perdono ***
Capitolo 29: *** Giovani ***
Capitolo 30: *** Progetti e verità ***
Capitolo 31: *** Bimba angelo ***
Capitolo 32: *** Imperi -Parte prima_ ***
Capitolo 33: *** Imperi -Parte seconda- ***
Capitolo 34: *** Teologia ***
Capitolo 35: *** Anima ***
Capitolo 36: *** Spiazzato ***
Capitolo 37: *** Demoni e umani ***
Capitolo 38: *** Tentatori del nuovo millennio ***
Capitolo 39: *** Insistere ***
Capitolo 40: *** Primavera ***
Capitolo 41: *** Compleanno umano ***
Capitolo 42: *** Pensieri ***
Capitolo 43: *** Facciamo un patto ***
Capitolo 44: *** Lo faccio per te ***
Capitolo 45: *** Demoni pettegoli ***
Capitolo 46: *** Cambiamenti ***
Capitolo 47: *** Vino, biscotti e cioccolata ***
Capitolo 48: *** Proposte ***
Capitolo 49: *** Compleanno di demone -parte prima- ***
Capitolo 50: *** Compleanno di demone -parte seconda- ***
Capitolo 51: *** Nella notte -parte prima- ***
Capitolo 52: *** Nella notte -parte seconda- ***
Capitolo 53: *** Scontrarsi ***
Capitolo 54: *** Discutere ***
Capitolo 55: *** Animo di demone ***
Capitolo 56: *** Delusione e giudizio ***
Capitolo 57: *** Cambiare ***
Capitolo 58: *** Nomi e Sogni ***
Capitolo 59: *** Ciò che si è ***
Capitolo 60: *** Padre ***
Capitolo 61: *** Conflitti ***
Capitolo 62: *** Valzer di fierezza ed odio ***
Capitolo 63: *** Visite ***
Capitolo 64: *** Lo splendore delle stelle ***
Capitolo 65: *** Rinascere ***
Capitolo 66: *** Studiare ***
Capitolo 67: *** Questo nuovo mondo ***
Capitolo 68: *** Teppisti ***
Capitolo 69: *** Risvegli ***
Capitolo 70: *** Viva il re ***
Capitolo 71: *** Gran Balli e proposte ***
Capitolo 72: *** Vita ***
Capitolo 73: *** Torneo -parte prima- ***
Capitolo 74: *** Torneo -parte seconda- ***
Capitolo 75: *** Torneo -parte terza- ***
Capitolo 76: *** Giudici e Giudicati ***
Capitolo 77: *** Ciondolo ***
Capitolo 78: *** Allievi e maestri ***
Capitolo 79: *** Mille anni ***
Capitolo 80: *** Principi ***
Capitolo 81: *** Piani ***
Capitolo 82: *** Fuga ***
Capitolo 83: *** Apocalisse ***
Capitolo 84: *** Rinascita ***
Capitolo 1 *** L'angelo e la vampira ***
1
L’ANGELO E
LA VAMPIRA
Parte prima
Il
loro
primo incontro era avvenuto qualche secolo prima della venuta di
Cristo. Al tempo
lei era molto giovane, un’apprendista, e lui si
stupì molto quando la vide. Era
una ragazzina, acerba ed inesperta, ed era stato inviato lui,
l’Arcangelo Mihael,
per rispedirla all’Inferno. Si era chiesto perché.
Perché chiamare lui, il
generale delle truppe celesti, colui il cui compito è
debellare Lucifero in
persona, per una mocciosa? Un qualsiasi altro angelo esorcista avrebbe
svolto senza
difficoltà alcuna quella missione! Sospirò,
preferendo non contraddire le Alte
Sfere.
La
osservò. Era
poco più di una bambina, con forme solo vagamente accennate
e movimenti ancora
poco aggraziati. Aveva qualcosa però nello sguardo, qualcosa
di magnetico che le
permetteva di svolgere egregiamente il suo lavoro. Lei era, anche se da
poco,
una tentatrice. Una demone vampiro, il cui compito era spingere gli
esseri
umani a compiere azioni disdicevoli per poterne rubare
l’anima. Ovviamente il
compito dell’Arcangelo era evitare che quelle anime cadessero
nelle mani dei
demoni.
Riuscì
a
seguirla agilmente per le strade, nonostante la folla accorsa per il
mercato: i
capelli rossi di lei erano fin troppo vistosi. Stava accanto ad un
contadino e
lo spingeva a sperperare denaro in futilità.
“Ma
non ti
vergogni?” mormorò l’Arcangelo,
affiancando la demone.
Lei
si voltò
e lo riconobbe subito come abitante del Paradiso. Inaspettatamente,
sorrise.
Mihael invece non mutò espressione. Il tempo si era fermato
attorno a loro,
nessun mortale era in grado di vederli per ciò che erano
realmente, o di udirli
parlare.
“Ciao”
salutò lei “Scusa ma... perché dovrei
vergognarmi, creatura celeste? È stato
quest’uomo ad evocarci e chiedere denaro per la sua famiglia.
Se poi lo getta
al vento in prostitute e stronzate, non è certo colpa di noi
demoni, ma della
sua natura. Gli esseri umani sono stupidi”.
“Tu
non
comprendi la vera essenza dell’Uomo. Sei solo una ragazzina,
ancora troppo
giovane”.
“O
forse sei
tu ad essere troppo vecchio, non trovi?”.
Lei
ghignò
divertita e lui le mostrò la spada, senza però
sfoderarla.
“Tornatene
da dove sei venuta, non voglio fare del male ad una bambina”
parlò l’Arcangelo,
lentamente.
“Come
sei
noioso. Ad ogni modo, chiamami Carmilla. E non in altro modo”.
“Come
preferisci. Ma torna all’Inferno. Ricordati che sarebbe una
lotta impari. Io non
provo dolore, tu sei disarmata..”.
“Allora
fai
finta di nulla e gira al largo, no?”.
“Ti
ho visto
mentre compivi un peccato, cioè tentare un umano. Il mio
compito è rispedirti
negli Inferi. Se tu non stessi facendo del male, avrei
l’obbligo di non
interferire”.
“Perché
in
cielo vi date tanta pena per gli Uomini? Sono deboli,
sciocchi...”.
L’Arcangelo
mostrò segni di impazienza e posò la mano
sull’elsa della spada. Lei sapeva
che, se l’avesse estratta, la luce sprigionata da essa
l’avrebbe ferita,
costringendola alla ritirata. Non smise di sorridere e si mosse rapida.
Si coprì
la testa con un velo e sparì fra la folla.
L’Arcangelo arricciò il naso. Riusciva
a percepire chiaramente un potere demoniaco, ma odiava correre! Ora che
i due
non parlavano più fra loro, il tempo aveva ricominciato a
scorrere normalmente
e la giovane si era confusa fra gli esseri umani. La fuga
però non durò a lungo
perché lui conosceva molto bene quei luoghi, quella
città considerata sacra. Afferrò
Carmilla per un braccio, costringendola a fermarsi. Accanto ad una
fontana, con un
gesto benedisse l’acqua
e minacciò la demone di buttarcela dentro.
“Mi
arrendo!”
fu costretta a dire Carmilla “Torno a casa. Torno
all’Inferno. Posso almeno
avere l’onore di conoscere il nome di chi mi ha calcinculato
di sotto, così da
poterlo riferire al mio superiore?”.
“Mihael.
Porta tanti saluti a mio fratello Lucifero”.
“Divertente... Guarda
che mica tutti i demoni riferiscono direttamente al Grande Capo! Io non
l’ho
mai visto di persona, se non da lontano”.
“Salutalo
da
lontano, allora...”.
L’Arcangelo
era serio, impassibile. Lasciò andare il braccio della
giovane, che se ne tornò
a casa.
I
loro
scontri furono frequenti nei secoli successivi. Lei cresceva, si faceva
più
scaltra e più brava e non sempre l’Arcangelo
riusciva a riportare l’anima dell’umano
tentato lungo la via del Paradiso. Questo aveva messo Carmilla in una
posizione
di prestigio, perché Mihael era considerato un avversario
davvero potente ed
ogni vittoria su di lui era motivo di orgoglio. Fra scontri, insulti e
fastidio
reciproco, trascorse il tempo.
Correva
l’anno
717, l’autunno. Era in corso l’ennesimo assedio a
Costantinopoli. Carmilla
aveva percepito la presenza di più di un angelo, come sempre
accadeva quando le
guerre di religione divenivano un pretesto per far bisticciare Paradiso
ed
Inferno. Lei non voleva esserne coinvolta in alcun modo, non quella
volta. Camminava
lungo le mura, osservando gli scontri. Allungò lo sguardo e
si stupì nel vedere
Mihael, da solo, appoggiato ad una di quelle pareti. Lei si
immobilizzò, non
volendo scatenare un inutile scontro, e lo spiò di nascosto.
L’Arcangelo era invisibile
agli umani e teneva la testa bassa. Si reggeva alla lancia, scudo
abbandonato
in terra e schiena contro le mura. Carmilla notò che era
sporco di sangue ma
sapeva bene che gli angeli non potevano essere feriti,
perciò doveva avere
ucciso o ferito qualcuno. Scendeva una lieve pioggia, perciò
la demone non
capiva se Mihael stesse piangendo o fosse solo bagnato. I riccioli
biondo scuro
spuntavano da sotto l’elmo e gli si erano attaccati al viso,
assieme all’acqua
ed al sangue. Poi alzò lo sguardo, e gli occhi azzurri di
lui brillarono nella
penombra. Lei capì di essere stata notata ed
uscì allo scoperto.
“Ci
mancavi
solo tu, demone...” sospirò lui.
“Non
sto
facendo niente” si affrettò a rispondere Carmilla
“Nessuna tentazione. Ti prego,
non rimandarmi all’Inferno”.
“Non
ne
avrei la forza” ammise Mihael, staccandosi alla parete a
fatica.
Incrociò
lo
sguardo di lei e notò subito che era diverso, malinconico.
“Brutta
giornata anche per te, demone?” domandò.
“Diciamo
che
sto attraversando una fase non molto felice, Arcangelo. Spiegami:
perché si
fanno la guerra adesso?”.
“Non
lo so.
Io non l’ho mai capita la guerra. Non ne ho mai compreso il
senso. Forse... è
come hai detto tu: gli uomini sono stupiti. Ma anche fra demoni ed
angeli ci
facciamo la guerra, perciò...”.
“Meglio
evitare la gara per decidere chi è più stupido.
Senti... sta iniziando a
diluviare. Visto che tanto siamo tutti idioti... che dici di una tregua
fino a
quando il cielo non si rischiara? Io abito qua vicino”.
“Perché
vivi
a Costantinopoli? All’Inferno non c’è
posto?”.
“Forse
te lo
spiegherò. Io ora rientro, tu fai come credi...”.
Mihael
era
perplesso. Voleva vederci chiaro in quella faccenda e decise di
seguirla. Non stava
mentendo, effettivamente lei aveva una casa in quella città.
Era piccola e
disastrata ma viveva lì... Che cosa strana. Si
guardò attorno, mentre Carmilla lo
invitava ad entrare.
“Cosa
sono
tutte queste erbe appese al soffitto?” chiese, togliendosi
finalmente l’elmo e provando
un immenso sollievo.
“Faccio
medicine” spiegò lei “In qualche modo si
deve pur vivere...”.
“Ma
tu sei
una demone vampiro, una procacciatrice. È quello il tuo
lavoro”.
“Non
sto più
all’Inferno. Le cose sono cambiate...”.
L’Arcangelo
storse il naso, dubbioso. Continuava a guardarsi attorno, con le armi
strette
in mano.
“Rilassati”
parlò ancora lei “Hai l’aria stanca.
Stenditi pure e riposa, io ho degli infusi
da preparare. Appena smetterà di piovere potrai andartene
dove ti pare”.
“Scherzi?!
Dovrei
dormire a casa di un demone?”.
“E
che
potrei mai farti? Morderti sul collo? Sono una demone vampiro ma credo
che il
sangue angelico per me sia alquanto nocivo. E poi guarda che anche tu
mi stai
sulle palle, però non mi sembrava bello lasciarti sotto il
diluvio”.
Mihael
non era
molto convinto, ma si sentiva sempre più debole dopo giorni
passati a
combattere. Dovette per forza posare scudo e lancia, che si erano fatti
di
colpo pesanti da portare.
“Ti
preparo
qualcosa per tirati su” aveva detto lei ma, quando fu pronta,
l’Arcangelo era
stato sconfitto dalla stanchezza e si era addormentato.
Carmilla
rimase ad osservarlo, con un mezzo sorriso. Lo trovava quasi carino,
ora che
teneva chiusa la bocca!
Ciao a tutti! Qualche mio “fan”
già conosce
Keros ed alcuni dettagli della sua storia. Qui ho voluto raccontare le
sue
vicende per intero, dal “principio”.
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Capitolo 2 *** l'angelo e la vampira, parte 2 ***
2
L’ANGELO E
LA VAMPIRA
Seconda parte
Delle
voci
risvegliarono l’Arcangelo. Aprì gli occhi e, da
dietro la tenda che nascondeva
il letto, vide Carmilla che consegnava dei rimedi medicinali ad alcune
persone
giunte a casa sua. Dopo aver ringraziato, gli umani se ne andarono e
tornò il
silenzio.
“Perché
lo
fai?” chiese Mihael.
“Faccio
che
cosa?” rispose lei, risistemando delle erbe.
“Perché
aiuti gli umani?
Sei un demone. I demoni
fanno solo cose cattive”.
“Non
è vero!
E poi ti ho già spiegato che lo faccio per vivere. Pagano i
miei servigi”.
“Ma
tu sei
una procacciatrice di anime, non un medico!”.
“Ho
lasciato
l’Inferno”.
“Perché?”.
“Ma
quanto
sei impiccione!”.
Lei
sbottò,
chiudendo di colpo un cassetto ed accigliandosi. Fece notare
all’Arcangelo che
fuori c’era il sole e poteva andarsene.
“Dimmi
perché” insistette lui “Cosa
c’è sotto?”.
Si
era messo
seduto sul letto, rendendosi conto di aver privato del giaciglio la
padrona di
casa. Un po’ se ne vergognò. Stiracchiò
le grandi ali. Si sentiva molto meglio,
anche se non vedeva l’ora di tornare a casa. Purtroppo la
guerra era ancora
lunga e lui doveva difendere quella città, che i demoni
bramavano.
“Lo
vuoi
proprio sapere?” sospirò lei, porgendo
all’Arcangelo un infuso alle erbe.
Mihael
ringraziò ed annuì.
“Grazie
a
te..” iniziò a raccontare Carmilla
“..all’Inferno ero diventata piuttosto
famosa. Questo aveva fatto sì che giungessi fino al palazzo
del re. A Lucifero
sono piaciuta quasi subito, sono diventata una delle sue donne. Il
periodo al
palazzo reale è stato molto piacevole, lo
ammetto...”.
“Non
scendere nei dettagli, per favore”.
“Oh,
andiamo... Siamo persone adulte!”.
“Ma
io certe
cose non le faccio”.
“Ah... già.. quindi.. poverino,
sei vergine?”.
“Sono
puro.
Come tutti gli angeli. Ora continua...”.
Carmilla
voleva porre altre domande a riguardo ma preferì tacere e
riprese la sua
storia.
“Il
palazzo
del re ha tante femmine, ero in buona compagnia. Lilith, la prima
accolta a
palazzo, in un certo senso comandava. Io però, giunta ad un
certo punto, ho
iniziato a sentire che mi mancava qualcosa. Sognavo un figlio, con
tutta me
stessa. Sapevo che anche il re provava desideri simili ma, purtroppo,
nessun
piccolo ha preso vita in me...”.
La
demone
dava le spalle all’Arcangelo, che non riusciva a coglierne
l’espressione.
“E
quindi
lui ti ha scacciata?” suppose Mihael.
“Oh,
no.
Nessuna fin ora è stata in grado di accontentare il sogno
del re ma lui
continua a voler bene alle sue donne, non ne scaccerebbe mai nemmeno
una”.
“E
allora...?”.
“Me
ne sono
andata di mia volontà. Mi sentivo in colpa,
inadeguata”.
“Ma
tu lo
ami? Tu ami il re?”.
“Come
si ama
un dio. Lo venero. Lo adoro. Fra le sue braccia mi sentivo speciale, ma
non
amata. Lui non ama le sue donne, il suo cuore è altrove. Io
me ne sono andata
per capire dove mi conduceva il mio”.
“Il
tuo
cuore? Dove ti ha condotto?”.
“Per
ora
qui” sorrise debolmente lei, voltandosi
“Starò qui finché potrò. Poi
cambierò
città forse. Viaggerò...”.
“La
tua
natura avrà il sopravvento, prima o poi”.
“Vedremo.
Tanto, finché ci sarà la guerra, tu mi
sorveglierai. Dico bene?”.
Mihael
stava
riprendendo le sue cose. Fuori splendeva il sole e
l’Arcangelo si sentì subito
bene appena i raggi lo sfiorarono. Ringraziò ancora e poi si
decise ad
allontanarsi. Altri angeli lo stavano cercando e velatamente lo
sgridarono per
essersi nascosto.
L’autunno
lasciò lo spazio all’inverno. Carmilla non vedeva
l’ora che la guerra finisse.
Un po’ perché le condizioni di vita della
città peggioravano e un po’ perché
non ne poteva più di sentirsi sempre osservata da Mihael,
che controllava
eventuali usi di poteri demoniaci.
Pure
l’Arcangelo era stanco, voleva tornarsene a casa. Era una
vera seccatura dover
combattere e fare da baby sitter alla vampira dai capelli rossi.
Una
notte, era
quasi primavera, Mihael riposava assieme ad altri angeli nei pressi di
una
basilica dedicata a Sophia. Subito riconobbe la figura di Carmilla.
Sbuffò,
perché si chiedeva che stesse combinando,
nell’oscurità. Fermò con la mano uno
dei fratelli angelici, che volevano seguirlo per aiutarlo.
“Dove
vai,
demone?” chiese lui, seguendola.
“A
fare un
giro. È proibito?” si stizzì lei,
accelerando il passo.
“Dai,
tornatene a casa. Ho sonno...”.
“E
vai a
dormire! Gli angeli non dovrebbero essere tutti a nanna con il
buio?”.
“Non
posso,
se ti so in giro”.
“Fai
finta
di non saperlo! Che palle!”.
Carmilla
camminò rapida fin fuori dalle mura, diretta al porto.
L’assedio era finito, la
gente era chiusa in casa o nelle taverne. Mihael la seguì in
silenzio,
perplesso. Lei si avvicinò all’acqua. Togliendo le
scarpe, immerse per qualche
istante il piede in mare, poi ritraendolo perché la
temperatura non era delle
migliori. Si udiva solo l’infrangersi delle onde ed il
fruscio delle erbe che
la demone stava cogliendo. Crescevano lungo le mura e lei le recideva, poi
riponendole con cura in una borsa. L’Arcangelo la osservava.
Com’era cresciuta
dalla prima volta in cui l’aveva vista! La tenue brezza le
muoveva i capelli e
le stoffe che la vestivano, mentre lei si muoveva lieve e con grazia.
“Fila
a
dormire, angelo” mormorò lei “Non ho
intenzione di commettere alcun peccato.
Sto solo raccogliendo le mie erbe medicinali con la luna
piena”.
Mihael
alzò
lo sguardo. In cielo vi era una luna grande e magnifica, come non ne
vedeva da
secoli. La notte era stellata e si rifletteva sul mare.
“Aspetterò
il tuo rientro. Mi sentirò più sicuro”.
“Quanto
sei
noioso...”.
Lui
non
sorrideva mai e lei gli fece una smorfia.
“E
così...”
parlò poi Carmilla, capendo che non lo avrebbe allontanato
“...l’assedio è
finito”.
“Sì.
Sto per
tornare a casa”.
“Quindi
ci
salutiamo. Io non sono più una nemica, non verrai
più mandato a controllarmi.
Sei libero, almeno da me!”.
“E
pensi che
possa fidarmi?”.
“Mi
hai
spiato per mesi. Che ho fatto? Proprio niente. Su, fammi un sorriso.
Non mi
avrai più fra i piedi”.
Lui
rimase
in silenzio, non fidandosi per niente.
“Sei
rimasto
sempre uguale” riprese lei “Dalla prima volta in
cui ti ho visto, non sei
cambiato nemmeno un po’. Nemmeno nell’espressione.
Io invece...”.
“Sì,
tu sei
cambiata molto”.
“In
bene o
in male?”.
“In
bene,
direi. Quel che ho visto in questi mesi e lodevole per un
demone”.
“Sono
cresciuta. Non sono più una bambina...”.
“Lo
vedo”.
Aveva
terminato di raccogliere le erbe. Si avvicinò
all’Arcangelo, che la fissò con
aria interrogativa.
“Le
stelle
si riflettono nei tuoi occhi, Mihael”.
Lui
arricciò
il naso un paio di volte, scuotendo la testa come a voler dire
“ma che stai
dicendo?!”.
“Un
po’ mi
mancherai” sorrise la demone “Un
pochino...”.
“Che...?”.
“Ed
io? Ti
mancherò? Mi mancheranno le nostre piccole guerre, anche se
non troppo”.
“Perché
dovrebbe
mancarmi il fatto di doverti inseguire continuamente e lottare per
riavere le
anime che tenti?!”.
“Lo
immaginavo” distolse lo sguardo lei, guardando di nuovo il
cielo.
“Hai
finito
con quelle erbe? Rientri a casa adesso?”.
“Impaziente.
Sono una vampira. A me piace gironzolare di notte”.
Mihael
sospirò e lei rialzò gli occhi.
“Vai
a
riposare. Non farò nulla di male, angelo. La guerra
è stata lunga...”.
“Tu
pensa al
tuo lavoro, che io penso al mio”.
“E
se ora
facessi il bagno? Tu puoi guardarmi nuda o poi non sei più
puro?”.
“Smettila
di
dire scemenze!”.
L’Arcangelo
iniziava a sentirsi in imbarazzo. Lei gli stava molto vicino e parlare
di certi
argomenti lo infastidiva. Lei parve cogliere quel lieve fastidio e
sorrise
divertita.
“Mihael...”
mormorò poi, allungano lievemente il collo e baciando il suo
nemico.
Lui
si
ritrasse d’istinto.
“Ma
che
fai?!” sibilò lui, scostando la testa
“Che speri di ottenere?!”.
“Niente”
alzò le spalle lei “Volevo solo
baciarti”.
“Ma... io...”.
Lui
iniziò a
farfugliare cose insensate, scuotendo la testa.
“Smettila!”
rise lei “Per un bacio... quante storie! Non lo faccio
più, era solo per
salutarti. Una specie di regalo di addio. Non arrabbiarti”.
“Regalo
d’addio?” ripeté lui, sforzandosi di
calmarsi.
“Eh
sì. Se
io non caccio più anime, non hai motivo di combattermi. Non
ci rivedremo tanto
presto. O forse sì, ma non come nemici. Sarà per
puro caso”.
“Tu
confidi
troppo nel tuo autocontrollo...”.
“Divertente.
Non ci confido proprio per niente... di fatti, voglio un bacio decente
come
regalo d’addio. Per favore, concedimelo”.
“Ma
no! Ma
che pensieri hai per la testa?!”.
“Da
demone”.
Lei
ghignò divertita.
Mihael sembrava un
bambino imbarazzato. Ne sfiorò il viso e lo costrinse a
guardarla negli occhi.
Lui rimase in silenzio e lei si allungò di nuovo, per dargli
un altro bacio.
Questa volta fu molto più lungo e, inaspettatamente, lei si
sentì cingere
dall’Arcangelo.
“Finalmente”
furono le prime parole della tentatrice “Finalmente percepisco un
pizzico di calore da
parte dell’Arcangelo del Sole!”.
Mihael
non
sapeva bene che dire e che fare. Erano rimasti abbracciati, stretti
sotto la
luce della luna. Lei sorrideva, con gli occhi chiusi.
“Cosa
provi?” sussurrò Carmilla “Che cosa
desideri?”.
Lui
non
sapeva che dire. Desideri? Era una creatura del cielo, era al di sopra
da
desideri e bisogni. Non necessitava di nulla, se non della luce di Dio.
Però in
quel momento... Che strano... Era inspiegabilmente felice e non ne capiva
il
motivo. Inclinò la testa per baciarla ancora, era una
sensazione piuttosto
piacevole, che non aveva mai provato prima. Che fosse quello
l’amore degli
uomini? Quel desiderio di avvicinarla a sé, nonostante fosse
un demone suo
nemico? Quella voglia di sentire il sapore delle sue labbra? E poi... la
strinse.
Si chiedeva che cosa stesse facendo, che cosa gli stesse succedendo.
“Lascia
che
ora faccia io un regalo a te...” mormorò lei,
dandogli piccoli e lievi baci.
“Un
regalo?”.
La
demone
sorrise, passò le mani sul petto dell’Arcangelo.
“Ti
voglio”
gemette lei sottovoce “Desidero averti”.
“Carmilla...”.
“Ah,
la
prima volta che mi chiami per nome!”.
Si
unirono
in un bacio molto più passionale dei precedenti. Le stoffe
che coprivano lei
stavano cadendo, una dopo l’altra. La sensazione della carne
nuda sotto le dita
era nuova per l’Arcangelo, mentre la demone con mani esperte
lo stava
spogliando.
“Sei
bellissima...” le disse lui.
Lei
ringraziò con un altro bacio e lo tirò a
sé, stendendosi accanto alle mura. La
luce della luna ne illuminava la pelle e la rendeva candida, davvero
magnifica.
“Vieni,
mio
Arcangelo” sorrise “Vieni a prendere il tuo
regalo”.
Mihael
ebbe
un istante d’esitazione ma poi la raggiunse. Carmilla
socchiuse gli occhi e si
lasciò sfuggire un piccolo gemito quando lui
entrò in lei. Gli tuffò una mano
fra i capelli, attorno al collo. I movimenti dell’Arcangelo
erano impacciati, poco
esperti, ma lei lo guidava. Era dolce, come una danza elegante. Mihael
imparava
in fretta. Accelerò leggermente il ritmo e lei gemette di
piacere.
“Oh,
Mihael”
ansimò Carmilla “Non sai quanto io abbia sognato
questo momento”.
I
due si
chiamarono per nome, fra i sospiri, mentre la loro unione si faceva
sempre più
intensa e rapida. I denti da vampiro di lei si mostravano e brillavano
alla
luce della luna. Si teneva aggrappata alla schiena di lui con forza.
“Non
fermarti” supplicò “Amor
mio...”.
Lui
chiamò
il suo nome con dolcezza, a quanto pare lei lo gradiva molto. Che
sensazione
d’estasi! L’Arcangelo spinse con più
forza, soddisfatto nel sentir godere
la demone sotto di sé. Carmilla
ansimava e lanciava piccoli urli di piacere. Era molto diverso da come
era
abituata, era diverso l’amore di angeli e demoni. Era
ugualmente intenso, ma
diverso. Ruotò gli occhi, sentendo i suoi muscoli
irrigidirsi d’istinto,
raggiungendo l’orgasmo. Non trattenne un gemito di puro
piacere e percepì che
anche l’Arcangelo era giunto all’apice di
quell’atto proibito.
“Ho
visto il
paradiso” ansimò lei, sfinita e felice, stringendo
ancora Mihael a sé.
Lui
rimase
in silenzio, immobile per qualche istante. Poi rialzò il
busto e guardò lei in
viso. Non sapeva che cosa dire, non sapeva che cosa fare. Si
scostò,
guardandosi attorno. Guardò anche verso l’alto.
“Mihael...?”
lo chiamò la demone, vedendolo confuso.
“Io... Io
non
dovevo...” farfugliò l’Arcangelo,
tirandosi indietro e passandosi una mano fra i
capelli.
Carmilla
fece
per ribattere ma lui si stava già rivestendo, ripetendo
frasi insensate. Percepì
una presenza e si voltò di
scatto. Non si
aspettava di certo di trovarsi di fronte il fratello maggiore, Lucifero.
“Ci
spiavi? Guardone...”
quasi ringhiò.
“Ammetto
di
essere stato nei paraggi per un po’...”
ghignò Lucifero, nascosto nell’ombra
“...sei
stato un angelo cattivo...”.
“Non
infierire...”.
“Non
sto
infierendo. Sto cercando di farti ragionare. Sembri
sconvolto”.
“Certo
che
lo sono. Io... Ho commesso un grave peccato”.
“Non
esagerare. Scopare non è poi così grave. Peggio
se avessi sterminato una
famiglia o... non so... hai presente quelle cose che ti fa fare
papà? Tipo sterminare
intere città?”.
“Smettila,
serpente. Devo confessare quanto fatto”.
“E
perché? Fratellino,
ragiona. Non sei stato punito. Non vedo fulmini o cose simili, e tu sai
che Lui
ti ha visto di sicuro. Perché andare nei casini con il mondo
celeste, quando
Lui pare d’accordo? Ti avrà concesso una notte di
divertimento in cambio dei
tuoi servigi. Vedilo come un premio”.
“Stai
delirando!”.
“Mihael!”.
Il
demone
dovette afferrare il fratello per il braccio. Questi era ancora confuso
ed
agitato, non era in grado di reagire adeguatamente.
“Mi
costringi ad agire in un solo modo” parlò
Lucifero, obbligando l’Arcangelo a guardarlo
negli occhi.
Questi
lanciò
un gemito e cadde in terra. Il demone sospirò. Si
voltò verso le mura, dove
vide la bellissima Carmilla addormentata. Gli mancava, ma non poteva
costringerla a tornare all’Inferno.
“Quando
vi
risveglierete, non ricorderete nulla di quanto successo”
sussurrò, prendendo
fra le braccia la demone e riportandola dentro le mura “Ho
già visto in troppi
cadere per sentimenti definiti proibiti. Saprò come farmi
ripagare per il
favore...”.
La
portò
fino in casa e la adagiò a letto.
“Ti
sembrerà
tutto un sogno, mia bella Carmilla”.
L’Arcangelo
si svegliò poco dopo, confuso. Si convinse di essere caduto
per la stanchezza. La
battaglia lo avevo provato molto, anche se in sé provava uno
strano senso di
soddisfazione che non capiva. Era tempo di tornare in Paradiso, aveva
perso fin
troppo tempo in quella città!
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Capitolo 3 *** Fuoco ***
III
FUOCO
Carmilla
aveva intuito subito che qualcosa era diverso in lei. Fu di certo
felice quando
confermò i suoi sospetti, anche se era piuttosto confusa al
riguardo. Era
incinta, ma non ricordava. Sapeva che le demoni tentatrici come lei
restavano
gravide quando lo decidevano, e lei era da un pezzo che lo aveva
deciso, però
non ricordava il padre. Non ricordava il momento esatto in cui si era
concessa
ed a chi. Lo trovò strano ma non molto rilevante: avrebbe
amato il suo piccolo
ogni giorno di più! Desiderava tanto essere madre!
Quando
lo
sentì muoversi per la prima volta, fu una gioia per lei
indescrivibile. Spesso
si sforzava di ricordare il padre ma proprio non ci riusciva.
Intanto
in
città la gente spettegolava e lanciava occhiate inopportune.
D’un tratto, non
la vedevano più come una donna buona che li curava. Gravida
e senza un marito,
con quei capelli rossi, era di certo una puttana! A lei importava ben
poco il
parere degli altri, specie degli umani. Visto che non volevano accusare
qualche
rispettabile signore di città, girò la voce che
fosse figlio di qualche
invasore turco, la cui testa insanguinata pendeva come monito su una
picca,
oppure frutto di un patto con il Diavolo. Il Diavolo… Lo
aveva pensato pure lei.
Il suo re. All’inizio si era detta che era impossibile,
perché mancava da molto
da palazzo, ma poi le era venuta in mente un’immagine.
Ricordava lui, i suoi
inconfondibili occhi arancio, che la invitava a dormire. Che fosse
davvero
giunto da lei una notte e non lo ricordava? Non ne era convinta,
perché giacere
con il re era un’esperienza del tutto indimenticabile,
però… Sorrise all’idea. Lui
aveva promesso che avrebbe nominato regina colei che gli avesse dato un
figlio.
Regina Carmilla, come suonava bene! Si passò una mano sul
ventre che cresceva e
ghignò: non vedeva l’ora di vedere la sua creatura!
Era
una
brutta giornata, nuvolosa e fredda. Il nove dicembre, Costantinopoli si
preparava per l’ormai prossimo natale. Carmilla se ne stava
chiusa in casa,
pensierosa se tornare all’Inferno oppure attendere
pazientemente che la festa
passasse. Era stanca e già si era messa a letto quando
udì le campane che
davano l’allarme. Un incendio! Si alzò,
spaventata: lei non era il genere di
demone resistente al fuoco! Sentì le voci di chi fuggiva, le
grida. Capì che
l’incendio si avvicinava e che doveva scappare e raggiungere
il mare. Corse,
per quanto potesse con il ventre così grosso, e
lasciò la sua casa. I vicoli
erano stretti, le fiamme si diffondevano rapidamente ed ebbe
l’impressione che
provenissero da ogni luogo. Fu costretta a rallentare,
perché avvertì una forte
contrazione. Era presto, si disse, ma la paura e la fuga dovevano aver
anticipato il parto. Si disse che avrebbe raggiunto un luogo sicuro per
la sua
creatura, ad ogni costo. Si sforzò di ignorare il dolore e
proseguì, ma ben
presto la sua fuga finì: un edificio era crollato e le
impediva di proseguire.
Chiamò aiuto, disperatamente. Entrò in una delle
case a fianco, sperando avesse
un’uscita su un altro vicolo più sicuro. Si
strinse il ventre, lanciando un
grido di dolore e chiedendo ancora aiuto. Non trovava
un’uscita, stava
crollando tutto, consumato dalle fiamme. Inciampò e cadde,
urlando ancora per
il dolore. Tento più volte di rialzarsi e più
volte ricadde. Se avesse potuto
piangere, lo avrebbe fatto. Ma i demoni non possono piangere, fa parte
della
loro maledizione. Vide uno spiraglio ancora libero, accanto ad una
finestra che
dava sulla piazza. Lei non ci sarebbe mai passata ma la sua creatura
sì! Un’altra
contrazione, un’altra disperata richiesta d’aiuto
rivolta verso quella piccola
apertura.
Con
la
schiena contro quel che restava di una parete, Carmilla vide il fuoco
circondarla. Il dolore era ormai continuo, non poteva più
impedirlo o
rimandare. Spinse, chiedendo ancora aiuto. Inaspettatamente, una voce
la chiamò
per nome.
“Sono
qui!”
gemette lei “Aiuto!”.
Comparve
un
demone fra le fiamme. Grande e grosso, lei lo riconobbe subito.
Asmodeo! Suo
amico da sempre, era venuto a prenderla! Sorrise nel vederlo ma subito
lanciò
un altro grido. Le fiamme l’avevano ormai raggiunta.
Però il suo unico pensiero
era il bambino, spinse forte per farlo nascere. Asmodeo
spalancò le ali, per
spegnere l’incendio. Lui era immune al fuoco e sapeva bene
che per Carmilla non
era così. Si mosse in fretta per raggiungerla, per spegnere
le fiamme che la lambivano.
Lei urlò e piantò gli artigli in terra, in
un’ultima spinta che portò la sua
preziosa creatura nel mondo. Poi ricadde all’indietro,
sfinita. Asmodeo
raggiunse entrambi e li portò fuori, lontani
dall’incendio. Subito si accorse
che lei era grave, le ferite e le bruciature la ricoprivano.
Ostinatamente
stringeva un minuscolo neonato, che si dibatteva ed urlava. Anche sul
piccolo
erano giunte le fiamme, bruciando delle ali appena accennate. Ali
d’angelo! Asmodeo
notò la cosa e provò quasi disgusto. Poi vide che
sul corpo del bambino, su quasi
tutto il suo lato sinistro e la schiena, le bruciature stavano
lasciando spazio
ad intricati disegni blu scuro.
“Portalo
dal
re” riuscì a dire lei “Portalo da lui.
Promettimi che lo farai”.
“Lo
farò “
rispose “Però…”.
“Diventerà
bellissimo “.
Carmilla
baciò il suo piccolo e poi morì, fra le braccia
di Asmodeo. Il grosso demone
rimase in silenzio, triste per la sorte di lei. Poi guardò
il neonato che
strillava e lo trovò rivoltante. Però aveva
promesso di portarlo dal re e lo
avrebbe fatto, ci avrebbe pensato lui!
Re
Lucifero
era inaspettatamente ancora nella sala del trono, non in compagnia di
qualche femmina
discinta, quando Asmodeo tornò a palazzo. Stupito nel
vederlo lì, l’elegante signore
dei demoni attese di udirlo aprir bocca.
“Vostra
maestà…” si inchinò Asmodeo
“…porto notizie da Costantinopoli”.
“Costantinopoli?”
alzò un sopracciglio il re “Pensavo che
l’assedio fosse terminato”.
“Lo
è, mio
re. Ma devo ahimè riferirvi che la demone vampiro Carmilla,
che un tempo scaldava
le vostre notti qui a palazzo, è perita in un
incendio”.
“Carmilla…”
mormorò Lucifero, con le unghie che grattarono i braccioli
del trono “…morta…”.
Asmodeo
chinò la testa.
“Per
colpa
di chi?” volle sapere il re.
“Signore… non
ho idea di cosa o chi abbia provocato l’incendio. Sono
spiacente”.
Da
un lato,
Lucifero era addolorato. Era affezionato a Carmilla, ma una parte di lui
era
quasi sollevata. La faccenda con Mihael non lo lasciava tranquillo. Poi
udì una
specie di miagolio. Mosse le orecchie a punta, chiedendosi per quale
motivo
Asmodeo miagolasse.
“Cosa
tieni
lì con te?” domandò Lucifero, come
sempre curioso.
“Mi
è stato
detto di portarvelo” iniziò Asmodeo “Lo
ha partorito Carmilla. Ho visto su di
lui ali d’angelo, signore. Sono bruciate,
ma…”.
“Lui?
Un
maschio? Mostramelo”.
Il
re si
alzò, scese i pochi scalini che separavano il trono dal
pavimento e camminò
verso Asmodeo.
“Io
consiglio di eliminarlo, maestà. Parrebbe un orribile
ibrido”.
“Mostramelo”
scandì di nuovo Lucifero, scostando un ciuffo di capelli
neri dal viso.
Forse
il
grosso demone a capo delle guardie aveva ragione, forse andava
eliminato.
Sarebbe stato meglio per tutti, se davvero era un sangue misto. Asmodeo
scostò
il braccio e mostrò il neonato al suo signore. Strillava,
spaventato , affamato
e dolorante. Si voltò verso Lucifero e questi vide due occhi
ambrati che lo
fissavano. Due occhi troppo grandi e lucidi per essere demoniaci,
nonostante
fossero dello stesso colore di quelli di Carmilla. Seconda cosa che il
re notò
fu quella massa di capelli rossi, anch’essi ereditati da
Carmilla. Asmodeo si
stupì nel vedere il suo signore chinarsi verso quel bambino.
“Lo
definisci orribile…” parlò Lucifero
“…io penso sia bellissimo”.
Il
re prese
in braccio il piccolo e si rialzò. Nonostante fosse sporco
di cenere e
sangue, Lucifero ne era rimasto stregato. Gli ricordava i suoi
fratelli,
piccoli angeli, quando lui stesso era ancora in Paradiso ed era il
maggiore.
Sapeva che quella creatura era un ibrido ma non poteva pensare di
ucciderlo.
Congedò Asmodeo e tentò di calmare il bimbo.
“Sei
una
meraviglia” gli disse “E guarda qua che bei dentini
da demone vampiro! Avrai
fame…”.
Gli
porse il
dito indice ed il piccolo lo morse, d’istinto. Questo lo
calmò. Il Diavolo
sospirò. Forse stava diventando troppo sentimentale. Si
incamminò lungo il
corridoio con il bambino in braccio, fino a raggiungere
l’ingresso dell’ala
riservata alle sue concubine. Bussò e come sempre
aprì Lilith, la prima donna
ammessa in quel palazzo. Lei rimase in silenzio, fissando il piccolo.
“Ha
bisogno
di essere nutrito, pulito e coccolato “ spiegò
Lucifero "Non mangiatelo, per cortesia".
Il
neonato
era ancora attaccato al dito del re ma poi lo lasciò,
arricciando il naso e
gonfiando le guance. Aveva una faccia troppo buffa e Lilith sorrise.
“Mi
sa che è
un po' forte il sangue del re per te, piccino”
rise lei,
prendendolo in braccio.
“Prendetevene
cura. È il figlio di Carmilla. Io vi raggiungo tra
poco”.
“Che
amore!
Come si chiama? E lei dov’è?”.
“Lei
è
morta. Lui…” pensò il re, osservandolo
“…lui è... frutto di un atto d'amore. Eros. Una
ciliegia.
Kerassì. Keros. Lui è Keros”.
Lilith
sorrise. Portò il neonato dalle altre donne e
spiegò l’accaduto. Porse il seno
al piccino e lo chiamò “principe”.
Doveva essere così, doveva essere il figlio del
re. Lo aveva nutrito con
il suo sangue, gli aveva dato un nome e lo aveva accolto a palazzo.
Doveva
essere l’erede che tutti aspettavano!
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Capitolo 4 *** cucciolo demoniaco ***
4
CUCCIOLO DEMONIACO
Il
re era
rilassato. Leggeva un grosso volume scritto a mano parecchi secoli
prima con
sangue ed anime dannate. Mezzo disteso su un divanetto in pelle rossa,
agitava
la coda ed il piccolo Keros la inseguiva. Ogni tanto il piccolo
ruzzolava in
terra o inciampava sui suoi stessi piedi, ancora impacciato nei
movimenti.
Continuava a ridere, inseguendo la coda, che lo risollevava quando non
ci
riusciva da solo. “Coda” era una delle prime parole
a senso compiuto che il
bambino aveva pronunciato fino a quel momento. Lucifero si divertiva a
stare ad
osservarlo, trovando irritante solo il fatto che ogni tanto quel
piccolo demone
vampiro inseguisse la coda per morderla.
Keros
si era
ribaltato e stava ridendo, tenendosi i piedi e rotolando di fianco,
lungo il
pavimento nero. Il re scosse la testa, con un sorriso. A volte si
chiedeva se
la scelta di accoglierlo all’Inferno fosse stata giusta. Quel
piccolo era
davvero piccino e fin troppo adorabile. Già dimostrava di
possedere una certa
empatia, cosa non molto da demone. Ed inoltre piangeva, cosa per niente
da
demone! Il re si chiedeva se quel salsicciotto goloso dai capelli rossi
non
stesse meglio in cielo.
Si
era perso
nei suoi pensieri, mentre Keros aveva raggiunto la coda e la scuoteva,
quando si
udì bussare alla porta. Sentiva distintamente le voci di
Asmodeo ed Azazel, che
discutevano fra loro su non capiva cosa. Capì solo un
“Io ho bussato. Parla
tu!”.
“Avanti!”
incitò per un paio di volte.
Ma
poi si
stancò ed aprì la porta con i suoi poteri. Azazel
ed Asmodeo si misero
sull’attenti, piuttosto agitati.
I
due erano
molto diversi fra loro. Asmodeo era generale degli eserciti e capo
delle
guardie di palazzo, di conseguenza era di corporatura massiccia e
stazza
importante. I suoi muscoli erano ricoperti da varie cicatrici di guerra
e nel
complesso incuteva un certo timore. Al contrario, Azazel era minuto ed
agile.
Era l’araldo del re, un demone messaggero, ed era necessario
fosse estremamente
veloce. Anche lui presentava qualche cicatrice ma risaliva ai tempi
della
caduta.
“Ebbene?”
incalzò re Lucifero “Che volete?”.
I
due si
fissarono, indecisi su chi dovesse parlare.
“Sto
perdendo la pazienza” cantilenò il re, con un
mezzo ghigno inquietante.
“Vostra
maestà…” prese coraggio Azazel
“…ho eseguito gli ordini, come richiesto. Ho
consegnato il comando di resa al ribelle ed il suo esercito,
però… ecco…”.
“Non
ha
obbedito” concluse Asmodeo “E si è messo
in marcia verso i confini della
capitale”.
“E…?”
incalzò Lucifero.
“Non
siamo
riusciti a fermare la sua avanzata. È giunto fino ai
cancelli” ammise il generale,
distogliendo lo sguardo e preparandosi ad affrontare l’ira
del suo re.
“Dunque…”
parlò, con inaspettata calma, il Diavolo
“…mi state dicendo che il mio miglior
diplomatico ed il generale che sorveglia la città
più importante
dell’Inferno… non sono stati in grado di fermare un
branco di sovversivi di
livello inferiore? E invece di combattere e proteggere la popolazione,
se ne
stanno qui a cianciare con me?”.
“Signore,
noi…” azzardò Azazel.
“Silenzio!”
lo
zittì il re, alzando la voce e facendo scattare la coda in
avanti, cosa che
indispettì Keros.
Il
piccolo
arricciò il naso con fastidio e protestò.
Lucifero si alzò ed i due sottoposti
si inchinarono.
“State
pure
qui” sibilò il re “Ci penso io. Voi
tenete a bada il piccolo. Non fatelo uscire
da qui. O è un compito troppo complesso?”.
Azazel
ed
Asmodeo mormorarono parole di scusa, mentre il re lasciava la stanza
sbattendo
la porta.
Keros
rimase
seduto sul pavimento ed alzò lo sguardo verso i due
sottoposti. Li conosceva, vivevano
in un’ala apposita del palazzo, quindi non si
agitò nel vederli. Si guardò
attorno, in cerca di un gioco. Azazel ed Asmodeo si fissarono, mentre
il piccolo
tentò di togliersi una scarpa.
“Ma
tu…”
ruppe il silenzio Azazel “…pensi davvero che
sia…?”.
“Il
figlio
del re?” gli rispose Asmodeo “Non lo so.
È così…”.
“Tenero”.
“Schifosamente
tenero, esatto”.
“Però… noi
non sappiamo com’era fatto nostro fratello Lucifero da
piccolo. È il maggiore
di tutti noi, quando siamo nati già non era più
un infante. Il primo ricordo
che ho di lui è quello di un giovane angelo magnifico.
Magari da bambino era un
cosetto adorabile come questo moccioso”.
“Tu
dici?”.
Asmodeo
era
perplesso. Ricordava quelle ali d’Angelo e trovava rivoltante
che quel bambino,
che lo fissava con grandi occhi d’ambra, potesse un giorno
dargli degli ordini.
Non capiva la fissazione del re per quel marmocchio, che
allontanò con un piede
ed una smorfia.
“
Attento” ghignò
Azazel “Un giorno quel pidocchio che disprezzi tanto potrebbe
diventare il tuo
re”.
“Preferirei
tornare in Paradiso! E tu sai quanto mi nausei il Paradiso!”.
“Non
spetta
a noi decidere. E comunque il re si comporta in modo diverso con lui,
unico. È
geloso ed iperprotettivo. Anche quando siamo entrati prima in stanza,
se lo hai
notato, si è mosso come a proteggerlo. Non lo ha ancora
designato ufficialmente
come principe ereditario, però…”.
Asmodeo
fece
una smorfia. Keros continuava a fissarlo e la cosa lo infastidiva.
“Lunga
vita
al re” si limitò a commentare poi, avviandosi
verso la porta.
“Hei!
Dove
vai, coglione?! Non puoi lasciarmi solo con il piccolo. Io non ho
figli, non so
come si fa!”.
“Improvvisa,
stronzetto”.
“Ma
hai
degli ordini!”.
Asmodeo
ignorò Azazel e continuò a camminare.
“Asmodeo!”.
“Portalo
da Lilith!”.
Azazel
tentò
di ribattere. I due erano sulla porta e continuarono a discutere, senza
accorgersi che Keros si era alzato in piedi ed era sgattaiolato fra
loro,
uscendo sul corridoio. Si voltarono, sentendo un odore familiare, di
sangue.
Il
re era
rientrato e Lilith lo osservava, trattenendo il fiato. Stessa cosa
facevano i
due demoni adulti, trovando lo spettacolo leggermente inquietante.
Lucifero era
ricoperto di sangue ed in mano reggeva quel che restava del corpo del
suo
nemico, che aveva divorato in parte. Sul volto, aveva stampato un
ghigno sadico,
ma poi notò il bambino per il corridoio. Mutò
espressione. Keros era fermo e serio.
Lucifero rispose al suo sguardo, temendo di vederlo scoppiare a
piangere o
gridare in preda al terrore. Ma il piccolo sorrise e poi si mise a
ridere,
raggiungendo il re correndo a braccia aperte. Lucifero lo
sollevò e Keros spalancò
la bocca, mostrando i denti da vampiro. Il re gli offrì un
pezzo del nemico
ed il bambino lo gradì. Il Diavolo aveva solo un taglio
sulla guancia, che il
bambino percepì e ci poggiò una manina sopra, per
poi assaporarne il sangue.
“Il
mio
Keros “ sorrise il re, orgoglioso “Il mio
meraviglioso cucciolo demoniaco!”.
Lanciò
solo
uno sguardo di rimprovero ad Azazel ed Asmodeo, poi congedandoli
perché era
stanco e con ben poca voglia di discutere oltre. Keros rise, vedendo lo
sguardo
spaventato dei due sottoposti al passaggio del loro signore.
Il
giorno
dopo, il re sedeva alla scrivania con Keros in braccio. Di fronte ad
una
piantina dei regni infernali, Lucifero stava modificando alcuni confini
in
seguito alla dipartita ed al tradimento del giorno precedente. Asmodeo
ed
Azazel erano stati convocati. Il loro signore non li sgridò,
ma li invitò a non
disobbedire un’altra volta.
“Volevo
scusarmi per i dubbi espressi riguardo al piccolo” si
inchinò Asmodeo “È
che…”.
“Asmodeo…”
gli rispose il re “…quando eri piccino, eri un
angelo cicciottello e sgraziato,
che a malapena si coordinava in volo. E mi chiedevo cosa avresti mai
potuto
fare nella vita. Ed ora eccoti qua. Sei il mio generale, fra i
più forti demoni
dell’Inferno. Perciò smettila di giudicare il mio
piccolo dalle apparenze, se
non vuoi che racconti a tutti quanto eri adorabilmente grasso da
bambino!”.
Azazel
trattenne una risata ed Asmodeo annuì. Il re
consegnò ad Azazel i documenti con
i cambi di confine e congedò entrambi. Keros intanto era
concentrato sulla
giacca del Diavolo, piena di nastri.
“Ma
che stai
facendo?” chiese Lucifero al bimbo, che rispose con un
versetto.
Il
demone
guardò meglio e notò che Keros aveva allacciato a
fiocco tutti i nastri della
giacca. Non poté fare altro che emettere un verso di
protesta, mentre il
bambino scoppiò a ridere. Lucifero rispose a quella risata e
gli accarezzò la
testa, chiamandolo di nuovo “mio cucciolo
demoniaco”.
E nel prossimo capitolo…scopriremo i
piaceri del palazzo del re! A presto!
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Capitolo 5 *** Scoprire ***
5
SCOPRIRE
La camera nera era illuminata solo da
poche candele, che le
donavano inquietanti riflessi rossi. Lucifero camminò lento,
raggiungendo il
proprio letto celato da eleganti tendaggi di seta. La pelle bianca di
Lilith
era ancora più simile alla pallida luna nella notte. Lei
sorrise, venendo
giungere il suo signore.
“Mia
cara…” ammise lui “…sono
davvero stanco”.
“Lo so” sorrise
lei “Siamo qui per aiutarvi a spogliarvi”.
Il re ghignò lievemente,
percependo la presenza di un’altra
delle sue femmine dietro i tendaggi, a letto.
“Avete portato Keros con
voi oggi” mormorò Lilith, togliendo
con dolcezza il mantello dalle spalle del suo re.
“Te ne ha
parlato?” rispose
il demone, mentre anche l’altra donna
si avvicinava per aiutare Lilith.
“Mi ha raccontato tutto. I
suoi occhi brillavano”.
Keros più cresceva e
più diveniva curioso. Faceva migliaia
di domande. Il Diavolo non era certo di fare la cosa giusta, con un
bambino, ma
alla fine lo aveva portato con sé per risolvere un problema
ad uno dei cancelli
ed il piccolo aveva avuto modo di vedere di persona quel che accadeva
all'Inferno. Aveva visto anime torturate che urlavano di dolore e
demoni felici
di infliggere loro sofferenza.
“Ti adora”
aggiunse Lilith “Parla di te come fossi un
dio…”.
Fra lacci, cinghie e stoffe, le vesti
del re erano quasi del
tutto tolte. Il demone era lieto di sentirsi dire frasi simili, e lei
proseguiva il suo racconto narrando di come Keros descrivesse Lucifero
mentre
sottometteva anime e diavoli. E
le mani
di lei si incrociarono sul petto ora nudo del re, mentre le ali di lui
svanivano dando modo alla demone di poggiare i seni sulla schiena
libera. Lui strinse
una di quelle mani e sorrise. Lilith era la sua preferita. Non poteva
dire di
amarla ma il suo modo di essere, così fiera e orgogliosa, lo
eccitava. Lei non
poteva essere sottomessa, non la poteva avere con la forza. Era lei che
decideva e si prendeva quel che voleva, l’unica creatura a
cui Lucifero
concedeva certi privilegi. Le altre femmine a palazzo erano Succubus,
con
tutt’altro atteggiamento.
“E per te non è
lo stesso?” mormorò lui “Non sono un
dio?”.
“Voi siete molto
più di un dio” fu la risposta che Lilith
diede, accarezzando il viso del re e poi baciandolo.
Ora si faceva cingere, guardandolo
negli occhi. Con un sorriso
malizioso, ed un gesto delicato sulla spallina della propria veste,
rimase nuda
dinnanzi al suo signore.
“Siete così
stanco da non volermi?”.
“Solo da moribondo potrei
non volerti”.
Steso a letto, il demone
lasciò che Lilith lo raggiungesse. Lei
rimase ferma qualche istante a fissarlo, giocando con i capelli neri di
lui che
si confondevano fra le lenzuola.
“Fa di me ciò
che vuoi, bambina” le sussurrò lui “Come
sempre “.
La demone si mosse abilmente sopra al
suo signore. I ricci
di lei erano sciolti e scendevano morbidi, incorniciandone il corpo
color del
latte. Lui ebbe un fremito e tirò a sé la
Succubus, che era al suo fianco a
letto. La baciò e la strinse. Lilith lasciò un
piccolo gemito di piacere e poggiò
le mani sul petto del suo signore. Lucifero ne accompagnò i
movimenti,
seguendone il ritmo sempre più rapido. Si conoscevano bene,
sapevano
perfettamente come soddisfarsi a vicenda. La Succubus si faceva baciare
e
toccare, il demone amava osservare i loro volti eccitati. Poi Lilith
risollevò
del tutto il busto, passandosi una mano fra i capelli ed ansimando. Le
sue
labbra semichiuse si lasciavano sfuggire gemiti sempre più
ravvicinati. Lui
ignorò temporaneamente la Succubus e raggiunse quelle labbra
con le sue per
pochi istanti. Lilith cinse il collo del re con una mano, affondando
nei lunghi
capelli neri, mentre con l’altra lo strinse piantando le
unghie sulla schiena
del Diavolo. I gemiti erano diventati grida di piacere, da parte di
entrambi.
Lui ne baciò il seno e poi risalì. I loro
movimenti si erano fatti violenti e
rapidi. Le ali di Lucifero si erano spalancate e Lilith si faceva
avvolgere da
quegli artigli, quelle membrane nere e l’inconfondibile luce
del suo re. Lanciò
un ultimo grido, avvolta e stretta al demone, all’apice del
suo piacere.
“Magnifico, come
sempre” commentò piano, dopo qualche
istante.
Lei si era concessa a molti altri
demoni ma solo con
Lucifero provava sensazioni così forti. Lui lo sapeva
perfettamente. La vide
stendersi a letto e poi si voltò verso la Succubus,
scattando di colpo per
afferrarla. Lei finse di non essere d’accordo e di opporre
resistenza, ridendo.
Improvvisò un canto, il suo potere: Lorelay, che incantava i
marinai. Il re
amava sentirla cantare, entrò in lei ed udì la
voce di sirena incrinarsi e divenire
altalenante, in gemiti acuti.La bocca stava mutando, riempiendosi di
denti
mostruosi.
“Mio signore”
ansimò lei “Ancora. Non fermatevi!”.
Lui non aveva alcuna intenzione di
fermarsi e spinse più
forte. Ringhiava. Lei strinse con una mano le lenzuola di seta nera e
trattenne
il fiato, per poi sfogarsi in un grido.
“Tutta vostra. Sono tutta
vostra” parlò, con il respiro
molto accelerato.
La loro unione continuò,
con continui cambiamenti di posizioni.
A lui piaceva osservare il volto delle sue donne quando raggiungevano
l’orgasmo. Ne sfiorava le labbra mentre si schiudevano e
provava un’intensa
soddisfazione nel percepire il loro corpo tendersi e fremere.
“Vi ho soddisfatto, mio
signore?” domandò lei, tranquilla.
“Sempre, piccola.
Sempre” gli rispose lui, dandole un bacio
sulla fronte.
Il demone si era messo sulle
ginocchia e sorrise, poi mosse
di scatto la testa. Aveva sentito un rumore. D’istinto, la
Succubus si coprì con
il lenzuolo, per quanto possibile. Lucifero accentuò la sua
luce e vide la
causa del rumore: il fiero piccolo portatore di un folta chioma rossa.
“Keros!”
esclamò il re.
“Ciao” si
limitò a dire il bambino.
Aveva il viso sporco di miele e le
mani tutte pasticciate.
“Che fai qui? Da quando sei
qui?” continuò Lucifero.
“Dolcetti”.
“Hai mangiato tutti i
dolcetti al miele che ho nascosto in camera?!”.
Il bimbo annuì.
“Li avevo nascosti per non
farteli mangiare tutti e
potermeli godere in pace più tardi…”.
“Posso venire a dormire nel
lettone?”.
Senza aspettare risposta, Keros si
era arrampicato sull’alto
letto ed aveva raggiunto Lilith e Lorelay. Lucifero sospirò
divertito e si
stese fra le due donne.
“Stavate facendo un bel
gioco?”si incuriosì il bimbo.
“Sì… un
bel gioco” rise il re.
“Posso giocare anche
io?”.
“No. È un gioco
da grandi. Da grande, ci giocherai”.
“E mi
divertirò?”.
“Un sacco”.
Il demone sbadigliò. Le
due donne erano un po' imbarazzate.
“E si gioca sempre
nudi?” riprese il piccino dopo qualche
istante.
“Sì.
Così è più divertente”.
“Dev'essere un gioco
faticoso”.
“Sì… ora
di dormire”.
Keros si girò verso
Lilith, attaccandosi al seno.
“Non sei un po' grande per
succhiare le tette?!” gli chiese
il Diavolo.
“Lo hai fatto anche tu
prima!” ribatté il bambino, tornando
ad attaccarsi. Lilith arrossì ed il demone rise.
“Bene”
commentò, realizzando che il cucciolo doveva aver
visto praticamente tutto “Avrò meno cose da
spiegarti quando sarai grande! Ora
dormi”.
“Non vai sotto le coperte?
Sei sudato, poi prendi freddo e ti
viene il mal di pancia”.
Lilith diede ragione al bambino, che
nel frattempo aveva
scavalcato la pancia in questione per raggiungere la Succubus ed
ottenere un
po' di latte pure da lei.
“Ma non sei
pesante?” si sentì ancora parlare Keros, con
aria perplessa “Se non la schiacci, lei fa meno fatica. E non
fa versi come le
anime torturate. Poi perché vi baciate in bocca?
Schifo…”.
“Un giorno anche tu lo
farai” gli spiegò Lorelay “Proverai il
desiderio di farlo”.
“Non credo”.
Lilith porse del vino a Lucifero,
Keros si mosse verso il
punto opposto del letto e per poco non
scivolò
di sotto. Il re lo afferrò al volo.
“Stavi per vedere le
stelle!” esclamò il demone, allarmato.
“Cosa sono le
stelle?” si sentì chiedere dal piccolo.
“Giusto… non le
hai mai viste! Ti porterò presto a scoprirle!
È una cosa che va fatta per forza!”.
A Keros brillarono gli occhi.
Iniziò a ridere e parlare di
cose a caso, saltando sul letto, felice. Lucifero sospirò.
Sbadigliò ma il
piccolo si arrese solo quando lo vide assopirsi, accoccolandosi poi fra
le sue
braccia.
“Ti voglio tanto bene" sussurrò “Scusa se ti ho mangiato
tutti i dolcetti”.
Il demone non rispose, addormentato.
“E domani devi farti la
barba, perché hai la faccia che
punge” concluse.
Quella frase Lucifero la
udì e si lasciò sfuggire un mezzo
sorriso, sempre ad occhi chiusi. Affievolì la propria luce,
segno che il sonno
aveva avuto il sopravvento. Keros si fece cullare da Lilith, fino a
crollare ed
iniziare a sognare.
Quel giorno il re aveva convocato
Mefistofele e lo accolse
con un sorriso compiaciuto. L’abito rosso del procacciatore
di anime era
inconfondibile e Lucifero lo riconobbe appena imboccò il
corridoio. Il piccolo
Keros osservò con curiosità il nuovo arrivato,
appena fu entrato in ufficio. Mefistofele
rispose allo sguardo e salutò con un cenno ed un inquietante
sorriso,
incorniciato da un pizzetto a triangolo. Era più alto della
media degli altri
demoni e si inchinò leggermente dinnanzi al re, facendo
frusciare la stoffa del
mantello a terra. Keros trovò divertente quel rumore e rise.
Lucifero invitò il
bambino ad uscire, per giocare con altri piccoli demoni. Poi
offrì da bere al
convocato.
“Ad un altro splendido
lavoro portato a termine” alzò il
calice il re.
“Non è stato
difficile” finse modestia Mefistofele “Gli
umani sono davvero deficienti. Ottenere le loro anime e trascinarle
all’inferno
è semplicissimo”.
“Sei il migliore in questo
campo”.
“Dopo di Voi,
ovviamente”.
“Ammetto che è
un pezzo che non mi diletto in attività
simili. Sono arrugginito”.
“La stupidità
umana è immutata”.
“Da tanto non lascio
l’inferno. Pensavo di portare di sopra
il piccolo, una di queste sere”.
“Occhioni d’ambra
nel mondo umano? Dite sia pronto? A me
sembra ancora piccino”.
“Non lo porterei fra gli
umani! Solo a vedere il cielo, le
stelle”.
“Che cosa
romantica…”.
“Non ho
l’età per portarci le ragazze per pomiciare, ci
porto il bambino ad imparare qualcosa”.
I due risero. Mefistofele si concesse
un altro bicchiere di
vino, guardandosi attorno. L’ufficio del re non era un luogo
dove si entrava
spesso. Lucifero dava udienza in quel luogo solo a chi convocava lui
stesso,
oppure in casi d’emergenza.
“Ho deciso di concederti un
terreno a sud della capitale,
oltre il fiume” parlò di nuovo il re
“Come premio per i tuoi successi. Sarai
libero di farci ciò che preferisci”.
“Mi onorate” si
inchinò di nuovo Mefistofele.
“Sono sempre generoso con
chi lo merita. Così come sono
pronto a distruggere chi osa non rispettare le mie volontà.
Distruggere in
senso fisico, ovviamente”.
“Ne sono a
conoscenza”.
“Prenditi pure un periodo
di vacanza. Rilassati come ti
aggrada”.
“Vino, donne e ben lontano
dal regno umano. Grazie”.
Lucifero ridacchiò,
consegnò al sottoposto un documento per
il terreno e lo congedò.
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Capitolo 6 *** Volare ***
6
VOLARE
Tornò il silenzio
nell’ufficio del re, dopo la partenza di
Mefistofele. Escludendo le grida di dolore delle anime, non vi erano
altri
suoni se non il ritmico avvicinarsi dei passi rapidi di Keros. Lucifero
si
concentrò su altre questioni, distratto dallo scalpiccio dei
piedini del
piccolo, che correva lungo il corridoio. Lo vide dirigersi in fretta
verso
l’unico sbocco senza porte, che conduceva ad una terrazza che
si affacciava al
giardino sottostante.
“Keros!” lo
chiamò, allarmato.
Il re scattò in piedi e si
mosse in fretta, gridando al bambino
di fermarsi. Lo vide saltare di sotto e Lucifero spalancò le
ali, gettandosi
per recuperarlo. Erano molto in alto ma per fortuna il battito delle
ali del demone
gli permise di recuperare il cucciolo prima che si schiantasse. Lo
strinse fra
le braccia, ma non riuscì ad atterrare bene e si
ritrovò a picchiare il terreno
con una spalla e l’ala sinistra. Strinse i denti per non
emettere gemiti di
dolore ed allarmare il piccolo, che iniziò a protestare.
“Lasciami! Voglio
volare!” si lagnò.
“Volare?”
ansimò il demone, per la corsa e la botta.
“Sì! Gli altri
bambini aprono le ali se cadono. E volano”.
“Ma… Keros, tu
non hai le ali. Non puoi volare”.
Il mezzo demone si mostrò
molto deluso da quelle frasi. Il
re si rialzò, facendo cenno alle guardie, che erano accorse
alle grida del loro
signore, di non preoccuparsi. Con le ali, nascose allo sguardo il viso
di
Keros, che iniziava a rigarsi di lacrime. Una volta in stanza da soli,
Lucifero
mise seduto il bimbo su un tavolo e controllò non si fosse
fatto male.
“Perché non ho
le ali?” piagnucolò Keros.
“Non tutti le hanno.
Lilith, per esempio, non le ha. C’è chi
ha le ali, chi la coda, chi gli artigli… Tu hai i denti da
vampiro, che molti
altri non hanno. E vedi bene nel buio totale”.
“Ma io voglio volare. Lo
voglio tanto!”.
“Ed io vorrei tanto
piangere e non posso. Ma posso fare
molte altre cose”.
“Ma perché non
puoi?”.
“I caduti non possono
piangere, è la loro maledizione. Le
ultime lacrime le ho versate qui, prima che facessi costruire il
palazzo.
Appena precipitato dal cielo, avevo realizzato quel che avevo perso ed
ho
pianto. Però poi non ci sono più
riuscito“.
“E come mai dovresti
piangere? Sei triste?”.
“A volte sì,
può capitare. Capita a tutti. Ma io non posso, e
resta quel nodo alla gola…”.
Keros si asciugò le
lacrime ed abbracciò il re. Così facendo
si accorse della ferita del signore infernale e fece un faccino
mortificato.
“Ti sei fatto male per
colpa mia. Mi dispiace”.
“Keros, l’Inferno
è pieno di gente che soffre…”.
“Ma soffrono
perché sono cattivi! Meritano di soffrire!”.
“Io sono il più
cattivo di tutti” mormorò Lucifero “Ed
ora
chiama Lilith, per favore. E tu vai a cambiarti, sei sporco di terra.
Ti porto
a vedere le stelle”.
“Le stelle?”.
“Sì. Se mi
prometti di non piangere più davanti agli altri
demoni. Con me e le tue mamme puoi farlo, ma con altri no. Mi hai
capito?”.
“Sì… Me
lo avevi già detto…”.
Senza dire altro, il bambino
portò Lilith da Lucifero poi
andò nelle sue stanze. La demone chiuse la porta dietro di
sé.
“Dammi una sistemata, per
favore” parlò il re, indicando la
spalla e l’ala.
Lilith annuì. Lentamente
aiutò il suo signore a togliere la lunga
giacca scura e pulì la ferita.
“Siete
fortunato…” mormorò
“…da quell’altezza potevate anche
rompervi qualcosa”.
“Sono caduto da ben
più in alto, mia cara”.
Lei iniziò a bendarlo, con
il necessario riposto in quella
stanza.
“Il piccolo si è
fatto male?”.
“No”.
“Lo avete protetto per
bene”.
“Questa notte lo porto a
vedere il cielo stellato”.
“Siate prudenti. Gli angeli
ci sorvegliano”.
Il re annuì. Era
distratto. Forse era il momento di dire a
quel bambino tutta la verità. Fin ora, visto che fra demoni
non si usavano quasi mai
i termini “papà” e
“mamma”, non aveva avuto grossi problemi. Ma forse
era
giunto il momento e la meraviglia per le stelle lo avrebbe aiutato.
Keros
sapeva tutto su Carmilla, ma null’altro riguardo il suo
patrimonio genetico. Solo
il signore dei demoni sapeva di chi fosse realmente figlio quel bambino.
“Con nessun altro cucciolo
vi siete mai comportato così”
constatò Lilith, finendo il bendaggio “Vado a
prendervi una giacca nuova, così
nemmeno si nota la fasciatura”.
Quando tornò, Lucifero era
ancora pensieroso.
“Lui è
speciale” le disse “Unico”.
“Confessatemelo.
È vostro? È il vostro bambino?”.
“Non geneticamente. Ma ho
piena intenzione di crescerlo come
tale, se me lo concederà”.
“Capisco…”.
Lucifero sorrise docilmente, e si
chinò per baciarla, passandole
una mano fra le cosce. Lei si accigliò, non gradendo molto
che qualcuno
prendesse l’iniziativa in quel modo. Poi il re le
augurò la buonanotte,
trovando Keros fuori dalla porta, pronto a vedere le stelle.
Scusate per
la
brevità. Doveva far parte del capitolo precedente ma, per
ragioni a me oscure, questa
parte non era stata aggiunta. A presto!
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Capitolo 7 *** Stelle e rane ***
7
STELLE E RANE
Lungo
il
corridoio nero, si potevano ammirare numerosi quadri raffiguranti il re
Lucifero, intento a fissare con aria minacciosa i passanti. Nel suo
impareggiabile narcisismo, si era fatto ritrarre lungo le epoche ed i
secoli
trascorsi. C’era chi favoleggiava di un dipinto nascosto, il
più antico, che
mostrava qualcosa che ormai stava svanendo dalla mente dei caduti,
ovvero il re
quando era la più bella creatura del Paradiso.
Keros
attendeva il demone sotto il ritratto in cui compariva pure lui, poco
più che
neonato, in braccio a Lucifero , che fissava accigliato
l’osservatore cingendo il
piccolo, in atteggiamento protettivo.
“Sei
pronto?” domandò il re, e Keros annuì.
“Prima
di
andare…” continuò il demone,
incamminandosi lungo il corridoio “…qualche
piccola regola. Innanzitutto cerca di obbedire, se ti dico di tornare a
casa
non voglio sentire lagnanze di alcun genere. In secondo luogo, ti
porterò in
una zona non frequentata dagli umani, ma non si sa mai. Se ne dovesse
comparire
uno, cerchiamo di non farci notare. Oggi non ho voglia di perdere tempo
con la
stupidità di quelle scimmie glabre. Punto tre, se si
materializza qualche
angelo, non ti spaventare. Ricorda che ci sono io, penso io a quei
fastidiosi
cosi piumosi”.
“Capito”
annuì
di nuovo il bambino.
Seguì
il re,
aggrappandosi alla coda, impaziente. Al loro passaggio, demoni vari si
scansavano allarmati. Il piccolo trovava sempre divertente quella
scena. Raggiunsero
una stanza che Lucifero aprì con una chiave.
“Un
giorno
imparerai anche tu come muoverti al di fuori di qua. Per ora, non
prendere
iniziative” ammonì il signore dell'Inferno.
Il
re in
realtà non aveva bisogno di quella stanza specifica per
uscire dagli inferi, ma
il suo ingresso oltre quella soglia era un chiaro messaggio ai suoi
sottoposti:
non ci sono, non rompete le palle e rilassatevi. Prese in braccio
Keros, che si
era messo un vestito semplice di colore scuro per confondersi nella
notte.
“L’inferno
ha tante porte” spiegò il Diavolo, indicando
complicati simboli in terra,
racchiusi in forme circolari “Ma noi siamo liberi di muoverci
anche senza
passare per esse. Più diventerai potente e più ti
sarà facile aprire nuovi
percorsi. Ora ti porto in un luogo dove vado quando proprio non ne
posso più e
voglio stare da solo”.
Il
bambino
vide gli occhi del re illuminarsi e sotto i suoi piedi comparve un
complicatissimo disegno. Svanirono entrambi da quella stanza vuota e
piena di
simboli, per materializzarsi in aperta campagna. L’erba era
molto alta, la
notte illuminata da un piccolo spicchio di luna. Il demone tenne il
bimbo in
braccio e gli ordinò di fare silenzio. Annusò
l’aria e si concentrò su ogni
suono. Si udiva il frinire dei grilli ed il lento sciabordio di un
fiume.
Quando si convinse che non ci fossero pericoli, lasciò Keros
a terra. Il
bambino era avvolto dall’erba e rise per il solletico.
“Ecco
le
stelle” le indicò Lucifero e Keros
spalancò gli occhi, affascinato.
“Come
sono
belle!”.
“Vero?
Pensa
che brillano da miliardi di anni in cielo”.
“Almeno
loro
sono più vecchie di te?”.
“Che
domanda
impertinente…”.
“Ma
io da
grande potrò venire nel mondo umano?”.
“Certo.
Poi
dipenderà da cosa farai da grande. Sai che i demoni hanno
tanti ruoli…”.
“Ed
io potrò
fare quello che voglio?”.
“Certo”.
“Voglio
fare
il demone custode “.
“Indubbiamente
saresti originale…”.
“E
questo
cos’è?” domandò ancora il
piccolo, riferendosi al canto del grillo.
Il
re iniziò
a spiegare pazientemente ogni cosa. La lingua dei demoni era complessa,
ma il
piccolo si impegnava e tentava di ricordare tutto. Poi il bambino fu
distratto
dall’ennesimo suono nuovo.
“C’è
un
fiume!” sorrise “Come da noi. Sai che io so i nomi
dei fiumi dell'Inferno?”.
“Bravo…”.
“Stige, Cocito, Averno, Flegetonte,
Lete, Aconte…”.
“Averno è un lago. E si dice Acheronte”.
“Quello
che
ho detto!”.
Keros
raggiunse la riva. Era diverso da quelli infernali, non emetteva fumi
sulfurei
e non vi nuotavano anime erranti. Era più limpido e
tranquillo ed il bambino
rizzava le orecchie per capire cosa emettesse il suono che lo
incuriosiva.
“Non
bagnarti” gli disse il re, ma il piccolo era già a
mollo fino alle ginocchia.
“Vai
via!”
si stizzì Keros “Fai scappare la cosa che fa
rumore, con la tua luce!”.
Lucifero
indietreggiò,
capendo che il piccolo stava dando la caccia ad una rana. Lo vide
saltellare in
acqua per poi comparire con la bestiola fra le mani.
“Ecco!”
sorrise compiaciuto il cacciatore.
“Hai
preso
una rana” gli spiegò il re.
“È
tutta
liscia a scivola”.
“È
viscida”.
“Sciscida?”.
“Viscida.
Vuol dire che è liscia e scivola”.
“È
visciscidissima”.
Il
demone
sorrise.
“Posso
mangiarla?”
chiese Keros.
“Non
è
proprio questa gran bontà…”.
Il
bambino
la osservò bene ma poi la rana riuscì a fuggire.
Keros arricciò il naso,
infastidito, e ricominciò la sua
“caccia”. Ordinò di nuovo al re di
allontanarsi, quasi con rabbia. Lucifero scosse la testa divertito.
Quel
cucciolo trovava più interessante una rana delle stelle.
“Non
andare
al largo” gli disse, prima di allontanarsi di un po'.
Socchiuse
gli occhi, godendosi la lieve brezza, sempre attento ad ogni rumore.
Sedette,
poggiando la schiena contro un albero.
“Vieni
rana,
vieni!” chiamava il bambino, fra le canne e l’erba
alta della riva.
L’udito
sviluppato del demone gli permetteva di cogliere ogni fruscio emesso da
Keros
perciò, anche se a volte scompariva nell’erba,
sapeva sempre dove fosse.
“Poi
devo
raccontarti una storia” lo informò il demone, ma
il piccolo era distratto
dall'anfibio.
Lucifero
si
rilassò e socchiuse gli occhi. Sentiva il piccino che
giocava in silenzio. Però
poi lo udì parlare, con tono infastidito.
“Ho
detto:
vai via!” sbottò Keros
“Vattene!”.
Il
cucciolo
era riuscito a catturare di nuovo la rana e la stringeva fra le mani.
Era
felice, ma la punta di una lancia si frappose fra lui e la bestia e fu
costretto a mollare la presa. Alzando lo sguardo, Keros
arricciò il naso e si
accigliò.
“Mi
devi una
rana!” sbraitò, stringendo i pugni.
Di
fronte a
lui si era materializzato un angelo, precisamente l’arcangelo
Mihael, che
fissava il bambino con aria di rimprovero ed arricciando il naso a sua
volta.
“Che
pensavi
di fare con quella povera bestia? E chi sei? Non sembri un
demone” parlò l’abitante
del Paradiso, con voce calma.
“Che
cosa ti
importa? Riprendimi la rana, adesso!” ribadì
Keros, ad alta voce “Ed io, se
proprio vuoi saperlo, sono demone!”.
“Ma
tu sai
chi sono io?”.
“Un
angelo. Che
ha fatto scappare la mia rana”.
“Io
sono
Mihael, l’arcangelo esorcista. Il mio compito è
rimandare all’Inferno le
creature come te”.
“Non
mi fasi
paura! Lucifero mi
ha detto di non
averne”.
L’arcangelo
si avvicinò e Keros reagì, scattando. Nel buio,
fra le mani del bambino
comparvero due piccole fiamme. Il bimbo, stupito, sobbalzò e
si spensero. Stava
per perdere l’equilibrio, ma alle sue spalle lo
afferrò Lucifero, con sul viso
un’espressione minacciosa. Stava ringhiando contro Mihael.
“Chi
è
questo bambino?” domandò l’arcangelo
“Non ti ci vedo troppo a fare da baby
sitter, Stella del mattino”.
“Non
ti deve
minimamente importare, fratellino. E comunque ho fatto da baby sitter a
tutti
voi angioletti, tempo fa. Sono il maggiore, lo hai scordato?”.
“Chi
sono i
suoi genitori?”.
“Carmilla
lo
ha messo al mondo. Vuoi sapere anche come?”.
Mihael
rimase qualche istante in silenzio. Ricordava Carmilla, ed
effettivamente quel
piccolino le somigliava. E ricordò anche che lei aveva accennato
al fatto che fosse
stata la compagna di Lucifero. Poi la sua mente era confusa, aveva dei
vuoti.
“È
tuo,
fratello? È tuo figlio, Satana?”.
“Tranquillo.
Anche se fosse, non ti chiederei di tenermelo mentre vado a tentare
menti
umane”.
“Ma
tu sai
bene, traditore, che il tuo erede non può esistere. Se lui
fosse tuo figlio, lo
dovrei uccidere immediatamente “.
Accompagnò
quella frase puntando la lancia verso la gola di Keros, che si
sentì stringere
dal re dei demoni.
“Osi
puntare
la tua arma contro un bambino? Papà ne sarebbe
felice?” ringhiò il demone.
“E
tu osi
ringhiare contro di me? Lo sai che io sono destinato a sconfiggerti. E
non
parlare del Padre. Non nominarlo”.
“Vai
a
fotterti, ti farebbe bene!”.
Keros
era
confuso. Il re sembrava preoccupato, il piccolo lo percepiva. Ma lui
voleva
mostrarsi forte e ringhiò a sua volta.
“Sei
tutto
bagnato. Ti avevo detto di non giocare in acqua…”
tentò di distrarlo Lucifero,
mettendolo a terra e vestendolo con la propria giacca
“Prenderai freddo.
Copriti e lascia che parli io a questo angelo. Aspettami vicino
all’albero”.
Il
cucciolo
obbedì, correndo avvolto dall’enorme giacca del
re.
“Che
hai
fatto al braccio?” chiese Mihael, notando il bendaggio al
braccio di Lucifero.
“Altra
cosa
che non ti deve importare. E ora sparisci. Ho promesso al bambino una
bella
serata, a guardare le stelle, e tu stai rompendo i coglioni”.
“È
figlio
tuo?”.
“Sei
noioso”.
“Lo
è o
no?”.
“Fa
lo
stesso. Se proverai ad avvicinarti a lui con intenti minacciosi, non
esiterò ad
attaccarti”.
I
due si
fissarono negli occhi, in silenzio. Poi Lucifero si voltò e
si diresse verso il
piccolo, dicendogli che era ora di tornare a casa. Keros si
lasciò prendere in
braccio.
Tornati
agli
inferi, il piccolo mostrò tutto il suo sdegno.
“Quel
Mihael
mi deve una rana” sbottò, arricciando il naso
“Stronzo”.
“Ma
che
bella parola…”.
“Da
grande
voglio fare il tentatore. Voglio sfidarlo come faceva la mia mamma.
Sottrargli
le anime”.
“Farai
ciò e
vuoi, te l’ho detto”.
Keros
sorrise, anche perché i sottoposti del re erano stati presi
alla sprovvista dal
ritorno anticipato del loro sovrano ed erano molto agitati. Lucifero li
ignorò.
I suoi propositi riguardo a dire la verità al piccolo erano
svaniti. Il bimbo
stava inveendo contro gli angeli e non gli sembrava il caso di
svelargli la
realtà. Lo portò fino in camera.
“Ho
visto
che hai fatto il fuoco prima” sorrise, aiutando il cucciolo a
cambiarsi per dormire.
“Non
so
come…”.
“Domani
che
ne dici se parliamo con Asmodeo? Lui usa il fuoco, potrebbe
insegnanti”.
“Tu
non
riesci?”.
“Io
non mi
brucio, ma non riesco ad evocarlo come hai fatto tu”.
“Un
giorno
sarò un demone potente, vedrai! Mihael sarà
costretto a tornarmi la rana e
molto di più! “.
“Ottimo...”.
Il
re si
avviò verso la porta.
“Comunque...”
lo fermò Keros “...io so che non sei il mio
papà”.
Lucifero
si
voltò e tornò verso il letto. Sedette accanto al
bambino, già con le gambe
sotto le coperte.
“Ah
sì? Lo
sai?”.
“I
figli di
Asmodeo assomigliano al papà. E così tutti gli
altri bambini. Io e te non ci
somigliamo”.
“Non
molto…”.
“Però
non
importa. Tanti piccoli demoni non hanno un papà o non sanno
chi è. Tu ti
comporti come un papà, ed a me va bene così
“.
“Va
bene…”
sorrise il re, spiazzato.
“Ed
il tuo
papà? È vero che Mihael è tuo
fratello?”.
“Il
mio
fratello minore, sì. E di mio padre non parlo”.
“È
Dio,
giusto? Lo hai visto?”.
“Certo…”.
“E
come è
fatto?”.
“È
come lo
immagini. Ad alcuni sembra un vecchio, chi vede una fiamma, chi sente
una
voce… A me compariva come una luce. Era una bella luce,
rassicurante. Poi la
sensazione è cambiata, prima che cadessi. Ora il suo aspetto
mi acceca e non
riesco a sopportarlo”.
“Quindi… Se
io lo immagino come un dolcetto al miele, compare come dolcetto al
miele?”.
Il
re
scoppiò a ridere. Poi scompigliò i capelli del
piccolo e si rialzò. Adorava
quel marmocchio. Riusciva a farlo sorridere con qualsiasi argomento,
anche
quelli che amava di meno.
“Ho
fame” ammise
Keros.
“Ti
faccio portare
dei dolci?”.
“No… ho
fame
di qualcos’altro”.
Lucifero
lo
fissò e capì. Gli porse il braccio ed il bambino
ne morse il polso, iniziando a
succhiare il sangue.
“Stai
crescendo…” constatò il demone
“…mi sa che è tempo che inizi ad
imparare a
procurarti il nutrimento. Piccolo vampiro…”.
Quando
fu
sazio, il bimbo si staccò e si leccò i baffi. Poi
si rilassò a letto.
“Grazie
per
avermi fatto vedere le stelle” disse, tirando su le coperte.
Lucifero
non
rispose. Spense la candela a bordo del letto del bambino con due dita
ed augurò
la buonanotte.
“Stella
del
mattino…” rifletté il bimbo, senza poi
dire altro.
Il
re lasciò
la stanza, con la propria luce riflessa sul pavimento nero e lucido
della
stanza. In quel momento, tendeva al rossastro. Una volta uscito dalla
camera,
si fissò il polso. Il morso di Keros era decisamente
profondo e sanguinava
ancora. Stava davvero crescendo in fretta…
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Capitolo 8 *** Maestri ***
8
MAESTRI
Il
re stava
osservando in silenzio Keros, che pasticciava con il cibo che aveva nel
piatto.
Erano soli nella grande sala da pranzo, con il lungo tavolo illuminato
da
candelabri scuri ed attorcigliati. Lucifero era seduto capotavola ed il
bambino
era alla sua destra, dinnanzi ad un piatto pieno per metà.
“Ho
fame”
esordì il piccolo.
“Mangia
quello che hai davanti” gli rispose il demone, sorseggiando
un po’ di vino
“Smettila di giocarci”.
“Ma
io ho
fame di un’altra cosa!”.
“Finisci
quello e poi ne parliamo”.
Il
piccolo
punzecchiò con il cucchiaio quel che aveva nel piatto, con
una smorfia. Si
voltò verso Lucifero e mostrò i piccoli denti da
vampiro.
“No!”
lo
bloccò subito il re “Ti ho già spiegato
che non puoi nutrirti spesso del mio
sangue”.
“Ma
io ho
fame! Voglio quello! Il sangue!” piagnucolò Keros.
“Non
puoi.
La smetti di fare i capricci?”.
“Solo
un
po’! Dai! Poi farò il bravo”.
“Non
potrei
mai chiederti di fare il bravo. A me basta che non rompi le palle al
sottoscritto”.
“Stronzo”.
Lucifero
alzò il calice verso il bambino, con un ghigno divertito, e
tornò a
concentrarsi su alcuni fogli che aveva fra le mani.
“Cattivo”
incalzò il piccolo.
“Il
più
cattivo di tutti, cucciolo. Piuttosto… come vanno le lezioni
con Asmodeo? Ti
diverti?”.
“Sì,
ma è
difficile”.
“Fosse
semplice, non servirebbe un maestro per imparare a dominare il
fuoco”.
“Oggi
sei di
cattivo umore”.
“Un
pochino,
in effetti. Ma su, parlami. Che fate? Ci sono altri apprendisti assieme
a te?”.
“No,
Asmodeo
insegna solo a me. Adesso mi tratta bene, non mi guarda nel modo strano
con cui
mi guardava prima”.
“Asmodeo
è
uno di quelli che giudica dalle apparenze. Ma ora che sa che usi il
fuoco, come
lui, ti vede sotto una luce nuova”.
“Mi
fa
arrabbiare, perché così faccio le fiamme. Se no
non riesco”.
“Imparerai”.
“Sì.
Ed un
giorno andrò da Mihael e gli darò fuoco al
sedere”.
Il
re
ridacchiò, notando poi con disappunto di avere il calice
ormai vuoto.
“Ora
di
andare al lavoro” borbottò “E per te ora
di andare a fare gli esercizi di
grammatica. Un demone tentatore che non sa scrivere i
contratti… non è
credibile”.
Keros
annuì.
Scese dalla sedia, decisamente troppo alta per lui. Affiancò
Lucifero e tentò
di nuovo di impietosirlo, mettendosi una mano sulla pancia e
mugugnando.
Sperava di convincerlo di essere quasi morto di fame.
“Ho
detto di
no!” sibilò il re, agitando leggermente la coda.
Il
bambino
abbassò la testa. Poi si voltò di colpo e
tentò comunque di morderlo, saltando.
“Fame!”
ripeté più volte, mentre Lucifero lo afferrava e
cercava di fermare la sua
irruenza.
“Finiscila!”
lo sgridò il demone, bloccandolo con due mani
“Smettila di agitarti come un
tonno all’asciutto. Sei un tonno?”.
“No,
non
sono un tonno…”.
“E
allora
stai fermo”.
“Fame!”.
Si
mosse e
morse la mano del demone, che la ritrasse. Notò che nella
stanza era entrato Azazel,
che osservava la scena in silenzio e trattenendo un sorriso divertito.
“Che
c’è?”
gli chiese Lucifero, scocciato, mentre Keros gli si era arrampicato
sulla testa
con l’intento di mordergli il collo.
“Alukah
è
qui, maestà” spiegò il messaggero
“Lo faccio entrare? Oppure…”.
“Oh
sì,
fallo entrare. Immediatamente! È arrivato al momento
giusto!”.
Invitato
da
Azazel, nella stanza entrò un demone molto pallido e dallo
sguardo estremamente
luminoso. Tranne che per quello sguardo, il suo aspetto non presentava
nulla di
demoniaco. Privo di coda, corna ed ali, poteva essere scambiato per un
essere
umano che non vedeva i raggi del sole da un paio di anni. Keros lo
osservò di
sfuggita ed il nuovo arrivato gli sorrise, aprendo leggermente la
bocca,
mostrando canini da vampiro. Il bambino si fermò di colpo,
permettendo a
Lucifero di liberarsi della sua irruente presenza di dosso.
“Un
cucciolo
decisamente vivace” furono le prime parole del convocato.
“Alukah!”
sorrise il re “Non sono mai stato così felice di
vederti. Da quanto tempo?”.
“Da
un
pezzo, direi. Helel ben Shahar… figlio dell’Aurora!
Posso avere l’ardire di
chiedere come stia mia madre Lilith?”.
“Direi
perfettamente. Dopo ti concederò di salutarla.
Ora… vorresti dare un’occhiata al
piccolo apprendista affamato?”.
Alukah
si inchinò
leggermente e porse la mano a Keros. Indossava dei guanti rossi ed il
bambino
strinse la mano con aria seria.
“Sarà
per me
un onore insegnarti a procacciarti il cibo, piccolo. Qual è
il tuo nome?”.
“Keros.
E tu
sei un demone? Un vampiro?”.
“Entrambe
le
cose, come te”.
Il
bambino
annuì e lo osservò meglio. Aveva i capelli mori
stretti in una coda che gli
arrivava poco oltre le spalle ed un vestito che riprendeva la moda
umana di
quel momento. Non sembrava un demone.
“Ti
insegnerò tutto quello che un piccolo vampiro deve
sapere” continuò “Assieme a
mio figlio”.
“Ricordavo
che tu avessi due figlie!” si stupì Lucifero
“Ricordo male?”.
“No,
maestà.
Ricordate benissimo. Ho due figlie, Deber e Keteb. Che ormai sono
grandi. Ma ho
anche un figlio, più o meno dell’età
del principe”.
“Non
ti è di
impiccio occuparti di due bambini in una volta?”.
“Affatto.
Anzi, lo ritengo un notevole vantaggio. Però vorrei chiedere
quali sono i miei
margini di manovra. Cosa devo insegnarli? Posso portarlo con me nel
mondo
umano?”.
“Ovvio.
Fai
tutto il necessario per renderlo il più autonomo possibile.
Io non posso
soddisfare la sua fame e voglio solo il meglio per il suo sviluppo. Di
recente
ha iniziato anche l’addestramento come demone di fuoco e
questo consuma molte
energie, e di conseguenza ha sempre fame!”.
“Posso
capirlo, povero piccino. Demone vampiro che controlla anche il fuoco.
Notevole.
Chissà quali altre sorprese ci riserverai, giovane
principe”.
“Nel
mondo
umano?” si stupì Keros “Ci
andrò davvero? Intendo… fra gli umani?”.
“Esatto”
annuì Lucifero.
“Senza
di
te?”.
“Ci
sarà
Alukah con te. Vedrai che ti piacerà”.
“E
se spunta
qualche angelo?”.
“Ti
proteggerò io” lo rassicurò il vampiro
“Ci divertiremo”.
Alukah
porse
la mano al bambino, che rimase fermo alcuni istanti. Lanciò
un’occhiata a
Lucifero, che gli sorrise. Keros allora si decise e
l’afferrò, lasciandosi
accompagnare.
“Ve
lo
riporto fra qualche ora” furono le ultime parole del vampiro.
Il
re rimase
seduto e seguì con lo sguardo il bambino che lasciava la
stanza, per mano ad
Alukah. Provò una strana sensazione, mista fra orgoglio e
paura. Orgoglio,
perché stava crescendo in fretta e sviluppava
qualità notevoli. Ma anche paura,
perché sapeva com’era terribile il mondo e in cuor
suo sperava che quel
cucciolo restasse sempre piccolo.
Il
sole
stava tramontando nel mondo umano e Keros osservò con
meraviglia quell’evento.
Accanto a lui, Alukah ed un bambino dai capelli spettinati ed il
sorriso
vampiresco. I mortali stavano preparando la cena, accendendo fiaccole e
fuochi
per le strade.
“Restatemi
vicini, bambini” ordinò l’adulto,
camminando per una strada di sassi con a
fianco i due piccoli.
Il
vampiro
salutò educatamente un paio di distinti signori, che
risposero al saluto. A
Keros era stato regalato un cappello, per coprire i capelli un
po’ troppo
vistosi. Bastava lo tenesse ancora per un po’, poi con la
notte quel rosso
ciliegia non avrebbe dato eccessivamente nell’occhio.
“Cattureremo
un umano?” domandò Keros.
“Ma
no!”
rise l’altro bambino “Non siamo ancora capaci!
Ah… io mi chiamo Nasfer. Tu?”.
“Keros.
Quanti anni hai?”.
“Trecento
e
cinque. Tu?”.
“Trecento
e
due. Quasi gemelli”.
“Già”.
Risero
e
Alukah sorrise.
“Sentite
gli
odori del mondo umano?” disse ai piccoli “Sono
molto diversi dal mondo
demoniaco, vero? Imparerete a riconoscerli, a capire quali sono utili
alla
vostra caccia e quali evitare”.
“Ma
è vero
che i vampiri possono girare solo di notte?”
domandò Keros.
“C’è
molta
differenza fra demone vampiro e vampiro derivante da sangue
umano”.
“Cioè?”.
“Ma
non sai
niente!” lo derise Nasfer “I demoni vampiro possono
stare al sole perché sono
demoni. Ma preferiscono girare di notte perché è
più facile trovare cibo senza
dare nell’occhio. I vampiri umani invece sono umani diventati
vampiri dopo il
morso di un demone vampiro che ha voluto farli diventare
così. Quelli sono più
fragili e muoiono al sole. E hanno anche paura di altre cose, come
l’argento. Inoltre
i vampiri umani succhiano solo il sangue. Noi demoni a volte mangiamo
anche la
carne. Giusto, papà?”.
“Dici
bene.
Voi nati dopo Cristo dovete solo cercare di non avere molto a che fare
con le
croci. Indeboliscono la vostra natura demoniaca”.
Keros
non
aveva mai visto una croce ma annuì.
“Non
ci sono
tante regole da seguire” riprese l’adulto
“Come demoni, non potere entrare in
una casa senza il permesso del suo occupante. Almeno non ora che siete
così
piccoli e deboli, con il tempo diventerete abbastanza forti da potervi
entrare
per un po’. Dovete cercare di non dare nell’occhio,
perché se la gente è
contraria alla nostra presenza tira su un casino tremendo e siamo
costretti a
cambiare zona. Quindi dovete imparare a scegliere prede che non destino
troppo
scalpore. Perciò niente bambini, persone in vista o
importanti, giovani e belle
fanciulle… Quando sarete più grandi, potrete
anche spingervi oltre, ma per ora
siete troppo piccoli per correre rischi”.
“Quindi
chi
possiamo mangiare?”.
“Persone
sole, vagabondi, pellegrini… gente che nessuno cerca o non
del posto. Ovviamente
dobbiamo cambiare zona a volte, perché se gli umani si
spaventano rendono più
difficoltosa la caccia. Quando sarete più grandi, avrete un
territorio vostro
dove vi muoverete per cibarvi, senza competere con altri vampiri.
Più sarete
potenti e più umani avrete a disposizione. Ma ora vi faccio
vedere come catturare
il nutrimento”.
I
due
bambini seguirono Alukah lungo i vicoli.
“Vi
sconsiglio gli ubriachi” parlò ancora
l’adulto “Hanno un pessimo sapore. Ogni
umano ha un gusto diverso, a seconda di cosa mangiano e di dove vivono.
I
nobili sono i più buoni, seguiti dai preti. Ma sono i
più difficili, la gente
si accorge subito della loro mancanza”.
“E
non
possiamo nutrirci di demoni?” chiese Keros.
“Certo.
Ma
potete farlo solo con demoni di livello inferiore al vostro, altrimenti
il loro
sangue vi fa male. Il re ti concede un assaggio di sé ma lo
avrai notato anche
tu che quando esageri poi stai male”.
“Sì.
Mi
viene tanto mal di testa e mal di stomaco”.
“Questo
perché il tuo corpo non riesce a reggerlo. Invece di un
umano potete consumare
la quantità di sangue che volete. L’importante
è che muoia, perché se resta in
vita poi potrebbe raccontare a tutti quanto successo e la gente vi
darebbe la
caccia. Ed è solo uno spreco di energia”.
“Quindi
noi
da soli possiamo nutrirci con un umano intero?”.
“Ora
un
umano in due. Siete piccoli. Una volta adulti, quanti umani vorrete in
una
notte. Basta mantenere una certa discrezione, per evitare
scocciature”.
L’adulto
fece segno ai piccoli di fare silenzio. Nel buio, si udivano passi che
si
avvicinavano. Keros rizzò le orecchie a punta, capendo di
avere un udito di
certo superiore a quello di un umano. E pure la sua vista era migliore,
perché
il mortale non aveva visto i tre demoni vampiro mentre invece per loro
era come
se si muovesse in pieno giorno.
“Guarda
attentamente come fa il mio papà”
sussurrò Nasfer, mentre il vampiro si
allontanava verso la preda.
Si
mosse in
fretta, Keros fece fatica a coglierne i movimenti. Lo vide avvicinarsi
al
mortale senza emettere nemmeno un suono. Lo bloccò e
l’umano cadde in terra.
Poi fece cenno ai piccoli di avvicinarsi ed i due bambini lo
raggiunsero.
“Nutritevene”
ordinò l’adulto.
I
piccoli
erano molto affamati ed iniziarono a cibarsi. Alukah intanto stava
all’erta,
nel caso qualcuno comparisse nei paraggi.
“Imparerete
ad essere silenziosi, rapidi” parlò piano, mentre
i bambini mangiavano “Ed a
procurarvi il cibo senza il mio aiuto. Un passo alla
volta…”.
Keros
sorrise felice. Sporco di sangue, fissò con sguardo pieno
d’ammirazione il suo
nuovo maestro. Ora sì che aveva la pancia piena!
Lucifero
fissava il soffitto. Socchiuse gli occhi, rilassandosi. Seduto nel suo
ufficio,
udì la porta spalancarsi e Keros saltò sul
tavolo, salutandolo. Il re sobbalzò,
risollevando la schiena.
“Ma
non
bussi mai?” gli disse.
“Ti
ho
spaventato?” rise il bambino, poi salutando la donna che
stava sotto la
scrivania in legno scuro.
Il
demone
non rispose. Sospirò, reggendosi la testa con le nocche
della mano destra. La
donna fece per uscire da sotto il tavolo ma
il demone la fermò con la mano libera.
“Mi
sono
divertito tanto” continuò Keros “Non
vedo l’ora di imparare a fare come fa
Alukah. È bravissimo”.
“È
il
migliore. Io per te scelgo sempre il meglio, piccolo mio” gli
sorrise Lucifero.
“Ora
vado da
Asmodeo. Vediamo se riesco a fare un fuoco più grande. Non
ho più fame! Mi
sento fortissimo!”.
Gli
occhi
del bambino brillavano intensamente ed il re lo trovò ancora
più bello del
solito. Poi il cucciolo scese dal tavolo e corse via, sbattendo la
porta e
ridendo. Il demone si ributtò sullo schienale
dell’alta poltrona, lanciando una
rapida occhiata alla femmina, con un ghigno un po’ perverso.
“Dovrò
regalargli
un collare con il campanellino” mormorò divertito,
accarezzando i capelli della
demone e socchiudendo di nuovo gli occhi.
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Capitolo 9 *** Crescere ***
9
CRESCERE
Dopo
una nottata
passata a giocare e divertirsi, maestro ed allievi erano in casa a
riposare.
Keros non era stanco, e giocava sul pavimento con una trottola, ma
Nasfer si
era addormentato fra le braccia del padre. Alla fine, anche
l’adulto aveva
ceduto alla stanchezza ed aveva chiuso gli occhi. Il mezzodemone
cercava di non
fare rumore, per non disturbare. La casa era piccola ed un
po’ disastrata, ogni
movimento produceva scricchiolii e strani suoni inquietanti, ed
iniziava a
farsi sentire il freddo. Avvolto in una piccola coperta, Keros vide
passare in
strada tre individui. Per un umano qualsiasi sarebbero sembrati
semplici
stranieri di passaggio, ma il piccolo vedeva chiaramente le loro ali.
Angeli?
Cosa ci facevano tre angeli in giro per la città?
Chiamò sottovoce il suo
maestro ma poi decise di non svegliarlo e di
“indagare” per conto suo. Aprì la
porta e raccolse una piuma variopinta da terra.
“Scusami…”
chiamò il bambino, senza mostrare alcun timore
“Questa è tua? L’hai persa?”.
Porse
la
piuma all’angelo al centro, che fissò il piccolo
con aria interrogativa.
“Come
mai
pensi che l’abbia persa io?” domandò la
creatura celeste, convinto di avere di
fronte un bambino umano.
“Perché
avete le ali di colore diverso e le tue sono fatte
così” si limitò a dire
Keros.
I
tre angeli
si lanciarono uno sguardo interrogativo. Un semplice umano non avrebbe
dovuto
vedere le ali sulle loro schiene, in quel momento.
“Come
ti
chiami, piccino?” chiese il primo angelo, con grandi ali
rossastre, chinandosi
un pochino “E da dove vieni? Dove sono la tua mamma ed il tuo
papà?”.
Keros
non
aveva voglia di rispondere. Continuò a porgere la piuma
all’angelo che l’aveva
persa e rimase in silenzio.
“Che
cosa
dici che sia?” sussurrò il terzo angelo, usando il
linguaggio del Paradiso.
“Non
sembra un
demone” gli rispose quello centrale “Forse
è un umano un po’… speciale”.
“Percepisco
un potere in lui” si unì il primo angelo
“Che però non riesco a comprendere”.
“Finitela
di
borbottare” si accigliò Keros “Non vi
capisco”.
“Scusaci”
gli sorrise il primo, con voce calda e gentile “Io mi chiamo
Camael. Qual è il
tuo nome?”.
“Keros”
si
arrese il bambino, ricordando gli insegnamenti del re riguardo
“all’essere
educati”. Certo che gli angeli erano davvero
insistenti…
“Piacere
di
conoscerti, Keros” si unì l’angelo al
centro “Sì, quella piuma l’ho persa io.
Ma non posso riattaccarla perciò puoi tenerla. Dicono che
porti fortuna…”.
“Grazie…”.
“Prego.
Sei
davvero un bravo bambino”.
Keros
rimase
perplesso nell’udire quelle parole. Lui un bravo bambino?
Detto da un angelo?
“La
tua
mamma sarà fiera di te” si aggiunse il terzo.
“Io
non ho
una mamma” rispose il piccolo “E nemmeno un
papà. Sono grande ormai”.
“Grande?”.
I
tre angeli
ricominciarono a borbottare fra loro. Quello centrale, dalle ali con
sfumature
verdi, sembrava preoccupato.
“Non
possiamo lasciarlo qui da solo” furono le sue parole
“Qualche demone potrebbe
approfittare. Siamo stati mandati qui proprio perché pare
che in questo
villaggio vi siano dei demoni!”.
“Hai
ragione” annuì Camael “Sempre che lui
non sia…”.
“Forse
dovremmo portarlo da Mihael. Lui riconosce le anime
malvagie…”.
Keros
comprese solamente “Mihael”, in mezzo a tutte
quelle frasi in angelico, e gli
bastò. Fece un passo indietro, sapendo quel che faceva
Mihael ai demoni.
“Vieni
con
noi” gli porse la mano l’angelo centrale
“Qui è pericoloso stare da soli”.
“Venire... Dove?”
alzò un sopracciglio il bambino.
“In
un bel
posto. Se la tua mamma è morta, possiamo andare a cercarla
insieme”.
“La
mia
mamma?”.
Per
qualche
istante, il piccolo fu quasi convinto. Mosse qualche passo verso gli
angeli ma
una voce familiare lo bloccò.
“Keros!”
gridò Alukah “Allontanati da loro!”.
Il
bambino
si guardò attorno, indeciso. Il maestro chiamò
l’allievo con più insistenza.
“Alukah!”
lo
riconobbe l’angelo centrale “Dunque sei tu il
demone che ci hanno segnalato.
Questo piccolino è tuo figlio?”.
“No,
Remiel.
Mi è stato affidato dal re in persona, affinché
gli insegni a sopravvivere come
demone vampiro. Prova un po’ ad immaginare che fine farebbero
le tue belle
penne se provassi a torcergli anche solo un capello”.
“Non
pensavo
fosse un demone” si fece serio l’angelo
“In lui percepisco qualcosa di… strano”.
“Fai
pure
tutte le concezioni che vuoi” ghignò il demone
vampiro.
Camael
fissò
i suoi due fratelli angeli ed i tre ebbero lo stesso pensiero, nello
stesso
istante. Il re in persona aveva affidato quel piccolo? Che
fosse… il figlio del Diavolo?
L’erede del loro fratello maggiore? Una simile evenienza
metteva i brividi ed
era meglio avvisare le alte sfere. Alukah intuì le loro idee
e si affrettò a
tirare Keros a sé. Non erano degli angeli soldato ma
preferiva non arrivare allo
scontro diretto.
“Sparite,
angeli” cercò ti intimorirli “O
sarò costretto a chiamare altri come me”.
Non
era in
grado di farlo, non in fretta, ma cercava di intimorire gli abitanti
del
Paradiso. I tre angeli parlottarono ancora fra loro e poi si
allontanarono.
Keros stringeva ancora fra le mani la piuma di Remiel ed il maestro gli
lanciò
un’occhiata molto poco rassicurante.
“Devi
stare
più attento” lo sgridò “Sei
ancora molto piccolo”.
“Ma
hanno
detto che mi mostravano la mamma…”
tentò di giustificarsi il bambino.
“Se
tu fossi
un umano, con madre umana, sarebbe possibile per gli angeli mostrarti
la sua
anima. Ma lei era una demone. Quelli come noi non hanno
un’anima. Quando
moriamo, ci dissolviamo. Gli angeli diventano luce mentre noialtri
diveniamo
polvere e svaniamo. Non avrebbero mai potuto mostrarti tua
madre”.
Keros
rimase
in silenzio. Guardò la grande piuma colorata e decise di
tenerla con sé, con
aria pensierosa.
“Informa
il
re di quanto successo, quando rientrerai a palazzo” riprese
Alukah
“Probabilmente ci dobbiamo spostare. Oppure procedere con il
tuo esame con un
certo anticipo, così da permetterti di tornare negli Inferi
in sicurezza”.
Il
piccolo annuì.
Voleva fare tante domande, come ad esempio perché angeli e
demoni erano sempre
in guerra fra loro, ma il suo maestro non aveva l’aria di
voler discutere.
Le
regole
erano semplici: nel palazzo reale, Keros doveva indossare un piccolo
campanellino. Trovava quel suono piacevole, quindi non fu un problema.
Con un
tintinnio lieve, il bambino camminava lungo i corridoi, diretto verso
le stanze
del re. Le guardie lo informarono che non si trovava lì e
che doveva cercarlo
altrove. Lui però insistette ed entrò nella
camera, apparentemente vuota. In
realtà, ormai lo aveva imparato, quando Lucifero non voleva
essere disturbato
sapeva bene come nascondersi. Keros raggiunse il letto e vi
salì, per poi
guardare verso l’alto. Il demone, nel buio, era appollaiato
fra le travi del
tetto, perfettamente incastrato in un punto praticamente impossibile da
individuare, tutto appallottolato nelle ali. Sorridendo, il bambino
tolse le
scarpe e si arrampicò a sua volta, sfruttando i piccoli
artigli che aveva ai
piedi. Sapeva perfettamente che il re era sveglio e consapevole della
sua
presenza, ma lo ignorava. Così, irritante come solo un
bambino testardo può
essere, Keros iniziò a stuzzicarlo con una mano,
punzecchiandogli le ali e
chiamandolo per nome.
“Lucy!”
ripeteva, con insistenza, sapendo perfettamente che il re odiava essere
chiamato così.
Alla
fine,
il demone si arrese e socchiuse le ali con un sospiro.
“Ciao”
sorrise Keros.
“Ma
perché
sei così testardo?” mormorò Lucifero,
sbadigliando.
“Mi
hai
detto tu che non devo mai arrendermi quando voglio una cosa”.
“Questo
non
includeva piallarmi le palle tutto il giorno…”.
“Esagerato.
Volevo
dirti che stasera proverò a catturare il mio primo pasto da
solo, senza l’aiuto
dell’arconte Alukah”.
“Hai
già
terminato l’addestramento?!”.
“Non
so. Il
mio maestro dice che sono pronto…”.
Il
re si
voltò verso il bambino, appeso a testa in giù al
suo fianco. Non erano
trascorsi ancora due secoli da quel primo giorno di insegnamento nel
mondo
umano, ma forse erano stati sufficienti. Si fidava del giudizio di
Alukah,
doveva essere così. Come passava in fretta il
tempo…
“Perché
mi
fissi così?” domandò il bambino,
ridendo.
“Niente.
È
che pensavo che sei cresciuto. Quanti anni hai adesso?”.
“Quattrocentoventuno”.
Il
re annuì,
pensieroso. Corrispondeva ad un bambino di circa otto anni.
“Se
passo
l’addestramento… cosa mi regali?”
ricominciò a parlare Keros, dopo un po’.
“Ah,
ecco
perché sei venuto a rompermi i coglioni! Che cosa
vuoi?”.
“Io… Voglio
un cucciolo”.
“Un
cucciolo?!”.
“Sì.
Uno di
quelli grandi con le ali con cui ti muovi per
l’Inferno”.
Lucifero
tirò un sospiro di sollievo. Per un attimo aveva temuto di
sentirsi chiedere un
tenero cagnolino o qualcosa di simile. Per fortuna il piccolo chiedeva
di poter
allevare una creatura simile ad un drago, molto richiesta dai demoni
privi di
ali. Era una bestia impegnativa e difficile da gestire, ma era certo
che quel
testardo semidemone dai capelli per aria sarebbe stato in grado di
prendersene
cura.
“Se
l’Arconte Alukah mi dirà che sei stato bravo e che
l’addestramento è concluso,
allora avrai il tuo cucciolo. Te lo prometto. Ti prenderai cura di lui
fin
dall’uovo, una grossa responsabilità che
però tu, che stai diventando grande,
sarai in grado di prenderti sulle spalle”.
Keros
annuì,
con un sorriso raggiante. Poi si lasciò cadere e
finì al centro del letto,
rimbalzando felice.
“Vado
a
prepararmi. Ciao!” spiegò, saltando giù
“Non dirò alle guardie che sei lì,
promesso!”.
Il
bambino
non aveva raccontato al re tutta la faccenda degli angeli,
perché sapeva che si
sarebbe preoccupato per nulla. E poi voleva fare l’esame,
dimostrargli di
essere grande e pronto. Così tornò dal suo
maestro di corsa, con un sorriso
soddisfatto ed una piuma colorata nascosta nella manica.
“Che
cosa ha
detto il re?” volle sapere Nasfer.
Keros
fissò
il figlio del suo maestro, senza rispondere. Non voleva dire una bugia
a chi
considerava un suo amico! Raggirò la domanda ed
iniziò a parlare del cucciolo
che Lucifero gli avrebbe regalato.
L’esame
era
semplice: il bambino doveva procurarsi un pasto da solo, senza aiuto
del
maestro, rispettando tutte le regole e gli insegnamenti. Keros li aveva
ben in
mente, mentre calava la sera e si preparava, però voleva
anche dimostrare di
essere bravo, non solo “promuovibile”.
Iniziò a cercare una preda, senza
fretta. Sapeva che gli umani avevano un sapore migliore sotto i
trent’anni, poi
iniziavano ad “invecchiare” ed anche il loro sangue
ne risentiva. Sapeva inoltre
di dover evitare ubriaconi e consumatori di strane sostanze
perché rischiava di
assumere a sua volta tali sostanze.
Si
aggirò
per i quartieri “per bene” della città,
dove era più difficile passare
inosservati. Avrebbe dimostrato la sua bravura! Alukah non si sentiva
tranquillo. Osservava l’allievo da lontano e si guardava
attorno, temendo di
veder comparire di nuovo gli angeli che, in questo caso, sarebbero
intervenuti
perché il bambino avrebbe attaccato un umano. Come avrebbe
potuto giustificarsi
dinnanzi al re?
Per
fortuna,
non successe nulla di particolarmente rilevante durante
l’esame. Keros
individuò un giovane straniero e se ne nutrì,
dimostrando di essere del tutto
autonomo sotto quel punto di vista. Agì in modo impeccabile
e, come segno di
riconoscimento, donò il cuore della vittima al suo maestro.
Questi sorrise,
orgoglioso, e spinse il figlio a cercare di fare lo stesso. Nasfer,
piuttosto
affamato, iniziò a gironzolare in cerca di cibo, mentre un
messaggero era stato
inviato ad informare il re sul buon esito dell’esame.
“Nasfer?”
lo
chiamò Keros “Vuoi una mano?”.
Non
udendo
risposta, il piccolo mezzosangue si distrasse, iniziando ad osservare i
riflessi delle candele che si intravedevano nelle case ed il vociare di
qualche
umano ancora sveglio. Poi udì la voce del compagno di
allenamento, piuttosto
allarmata, e decise di raggiungerlo di corsa. Un angelo, emettendo una
forte
luce, si era frapposto fra Nasfer e la sua vittima. Il piccolo demone,
abbagliato, aveva lanciato un gemito di protesta. Keros non
esitò e corse
ancora, diretto verso la creatura del Paradiso.
“Lascia
stare il mio amico!” esclamò, tirando un calcio
alle gambe dell’angelo.
Questi
si
stupì molto di quel gesto e non trattenne un sorriso,
piuttosto tenero.
“Perché
non
avete fermato me?” continuò Keros “Vi
facevo vedere io! Che seccatori siete voi
angeli!”.
“Il
nostro
compito è proteggere le creature di Dio”
spiegò l’angelo, con voce dolce “Se tu
interferisci con l’esistenza di chi crede in qualcosa di
diverso, non è affar
nostro”.
“Andate
via!
Tutti gli angeli devono andare via e lasciarci in pace”
insistette il
sanguemisto.
“Sei
un
assassino!” si sentì rispondere, e sollevare da
terra.
Preso
in
braccio, Keros si ritrovò faccia a faccia con un secondo
angelo: Mihael. Il bambino
rimase in silenzio solo qualche istante e poi aprì la bocca,
mostrando i denti
da vampiro e lanciando dei versi con l’intento di risultare
minaccioso. In realtà,
otteneva l’effetto contrario ma l’espressione di
Mihael non mutava.
“Ancora
tu?”
si stupì l’Arcangelo “Sei il moccioso
che andava a spasso con Lucifero?”.
“Sì,
sono
sempre io. Mi devi una rana!” sibilò Keros,
cercando di mostrarsi cattivissimo.
“E
lui dov’è?
Si è stancato del suo nuovo giocattolo?”.
“Non
sono
affari tuoi. Mettimi giù!”.
Mihael
fissò
negli occhi il piccolo, cercando di scorgerne la vera natura.
“Sei
strano,
piccolo” commentò poi “Non sei del tutto
un demone”.
“Sono
un
vampiro” rispose Keros, ancora cercando di mordere
l’angelo.
“Potrei
esorcizzarti. La parte demoniaca svanirebbe e si mostrerebbe quel che
resta,
qualunque cosa sia”.
“Vai
ad
esorcizzare tua sorella, se ne hai una! Lasciami!”.
Keros
iniziò
a dimenarsi come un pazzo ma Mihael lo tenne stretto, anche quando il
bambino
riuscì a mordicchiarlo. Alukah, allarmato dalle grida del
figlio, giunse sul
posto ma fu costretto a rimanere immobile, perché
consapevole di non poter
competere con Mihael.
“È
solo un
cucciolo” cercò di dire.
“Che
un
giorno diverrà grande, grosso e pericoloso”
ribatté l’Arcangelo, con lo sguardo
che mutava colore ed iniziava a brillare.
Keros
lanciò
un gemito di protesta, cercando di non guardarlo negli occhi. La
creatura del Paradiso
iniziò a pronunciare parole complicate e il piccolo si
sentì a disagio. Serrò le
palpebre ma quelle parole lo stordivano.
“Lasciami!”
gemette, sentendo il desiderio di piangere e sforzandosi di non farlo.
Un
forte
scossone lo sorprese, si sentì lasciare andare e
ruzzolò a terra. Riaprendo gli
occhi, vide Lucifero che immobilizzava Mihael e lo fissava.
“Esorcizza
questo” mormorò il re, con un ringhio ben
più minaccioso di quelli di Keros.
Alukah
corse
a raggiungere Keros e lo trascinò via, nonostante le
proteste, e lo portò al
sicuro in casa assieme a Nasfer. Rimasero in silenzio,
intimò ai piccoli di non
parlare, ed attesero.
Nel
buio, dopo
qualche tempo, udirono dei passi. Alukah trattenne il respiro, cercando
di
nascondere se stesso ed i bambini nell’ombra. Keros
però si dimenò e fuggì via,
correndo verso quei passi.
“Lucy!”
gridò, lanciandosi fra le braccia del re.
“Il
mio
cucciolo” sorrise il demone “Stai bene,
vero?”.
“Sì”.
“Sei
stato
bravo. Ma ora dobbiamo andare a casa…”.
Alukah
si
inchinò leggermente dinnanzi al suo signore, notando che era
ferito in modo
lieve.
“Quell’Arcangelo
fa tanto lo spaccone ma alla fine non ha il coraggio di iniziare
l’Armageddon”
ghignò il re “Ed ora, Keros, saluta e
andiamo”.
“Tornerò
domani?” chiese il piccolo, ancora in braccio al demone.
“No,
cucciolo. Hai passato l’esame, il tuo addestramento
è concluso. Non è più
necessario che torni qui”.
“Ma… Io
voglio giocare”.
“All’Inferno
non puoi giocare?”.
“Sono
sempre
da solo…”.
Keros
non
aveva il coraggio di dire che Nasfer era sua amico, perché
il re più volte gli
aveva ripetuto che i demoni non hanno amici ma solo “compagni
di convenienza”.
“Adesso
andiamo a casa ed io manterrò la mia promessa: avrai il tuo
uovo. E poi è ora
di crescere ed iniziare nuovi percorsi”.
Il
bambino
girò il viso verso il maestro e Nasfer. Gli sorrise, anche
se non molto
convinto.
“Mi
verranno
a trovare?” chiese Keros, fissando il re.
“Certo.
Ma prima
Nasfer deve terminare l’addestramento”
annuì Alukah.
Non
volendo
prolungare troppo dei saluti per lui inutili, Lucifero si
affrettò a tornare
all’Inferno.
“Vicino
a te
mi rovino sempre i vestiti” sorrise al piccolo, notando che
la piccola zuffa
con il fratello minore aveva stracciato in qualche punto le stoffe che
indossava.
“E
il mio
uovo?” incalzò il bimbo.
“Appena
mi
diranno che una di quelle creature ha deposto le uova, andremo insieme
a
scegliere il tuo”.
“E
intanto
con chi gioco?”.
“Giocare
a
cosa?”.
“Non
so. Inseguirsi,
nascondino…”.
“Tutto
qui?
Prendimi, allora!”.
Keros
alzò
un sopracciglio, perplesso. Poi capì che cosa intendesse il
re e sorrise,
iniziando a correre per il corridoio. Era strano sentire delle risate
all’Inferno
ma in quel momento si sentirono forti e cristalline, prodotte da un
piccolo mezzodemone
con un campanellino alla caviglia.
Rieccomi!! Il primo capitolo che aggiungo
da quando è nata la bimba. Mi tiene impegnata ma piano piano
andrò avanti con
tutte le storie!!
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Capitolo 10 *** Conoscere ***
10
CONOSCERE
Quella
creatura che stringeva fra le braccia era bellissima, dallo sguardo
luminoso e
tentatore. I capelli scuri le ricadevano sulle spalle ma di certo il re
non si
concentrava su certi dettagli.
Era
piuttosto distratto, nonostante tentasse di venir ipnotizzato dal
movimento
ritmico di quei seni perfetti. Sobbalzavano seguendo le spinte di
quell’unione
carnale.
“Mio
signore” gemette lei, eccitata.
Lucifero
non le rispose. Gli piaceva vederla in preda all’estasi, era
uno spettacolo di
cui non si stancava mai. Però era distratto, e quella
femmina pareva non
notarlo minimamente. Fosse stata Lilith, si ritrovò a
pensare, avrebbe colto al
volo e sicuramente gli avrebbe chiesto cosa frullasse per quella testa
cornuta.
Ma Lilith non c’era.
Quando
quella demone se ne fu andata, soddisfatta e ancora seminuda, il re si
ritrovò
a girare per il palazzo, guardandosi attorno in cerca di qualcosa. Di
qualcuno.
“Non
angustiatevi” gli parlò Azazel “Ho
inviato una missiva ad ogni pattuglia e
diramato avvisi ovunque. È solo un bambino, non
può essere andato lontano”.
“E se gli fosse
capitato qualcosa?” ribatté
Lucifero “Non è mai uscito da palazzo da
solo!”.
“Tutti
gli
uomini di Asmodeo sono stati mobilitati. Tutti in città lo
stanno cercando. E
nei villaggi vicini sono stati informati. Tornerà presto a
casa. Abbiate
fiducia, signore”.
“Ho
smesso
di avere fiducia su certe cose, da un pezzo. Qualcuno non ama
l’idea che possa
avere un lieto fine…” quasi ringhiò,
rivolgendo lo sguardo verso l’alto.
“Ma
noi il
finale ce lo creiamo, è per questo che noi demoni abbiamo
preteso il libero arbitrio
e siamo fuggiti dalla rigida predeterminazione del Paradiso.
È per questo che
vi abbiamo seguito, Stella del mattino”.
Il
re
sorrise debolmente. “Non pensiamo a questo”
parlò, dopo qualche istante “Voglio
che tutta Dite sia messa a soqquadro finché il principe
Keros non sarà trovato.
Che abbia la priorità su qualsiasi altro pensiero o
progetto. Chiaro?”.
Azazel
annuì, e corse a sua volta a cercare il bambino.
Il re ripensò a
come quella giornata fosse
iniziata. Aveva svegliato il piccolo di buon ora per scegliere
l’uovo che gli
aveva promesso. Keros, raggiante, si era messo a correre come un matto
per
arrivare alle stalle. Lì, ad attendere entrambi, un paio di
demoni che si
prendevano cura delle bestie. Erano animali maestosi, usati spesso in
guerra.
Era possibile cavalcarli e fargli prendere il volo, dopo un lungo
addestramento.
“Da
questa
parte” invitò una demone, prendendo Keros per mano.
Il bambino si
voltò verso Lucifero , che lo
incoraggiò a seguire la donna mentre lui si intratteneva con
un altro demone.
Keros fu condotto
fino ad un recinto
coperto, dentro cui una di quelle creature se ne stava arrotolata. Con
l’aiuto
di un paio di forti giovanotti, la donna fece muovere
l’animale e rimasero
scoperte tre uova. Fra ringhi e urla, il bambino fu incoraggiato a
scegliere
quale adottare. Prese coraggio, spaventato da quegli animali enormi, e
ne
afferrò uno, dopo averli toccati ed osservati.
L’uovo era grande quasi quanto
Keros e fece fatica a raggiungere di nuovo Lucifero.
“È
una
buona cucciolata?” stava chiedendo il re.
“Come
richiesto, sono state far accoppiare le migliori bestie. Ne
nascerà una
creatura magnifica” rispose il guardiano di
quell’allevamento.
“Ottimo”.
I due si accordarono su
costi e spazi.
“Keros…”
parlò Lucifero “Puoi lasciare qui
l’uovo. Lo cureranno loro per te”.
“No!”
si
rifiutò il bambino “È mio!”.
Il
demone
tentò di insistere, senza risultato. Keros si
avviò convinto verso il palazzo,
stringendo quell’uovo gigante.
“Mi
raccomando” gli disse l’allevatrice
“Tienilo al caldo e nascerà!”.
Il bambino
camminò impacciato dal peso.
Percorse i corridoi di casa, diretto alle sue stanze.
“Dallo
a
me” si offrì il re “Te lo porto io in
camera”.
“No!
Ti ho
detto che è mio e ci penso io!”.
“Sei
testardo come tua madre!”.
Il demone rimase ad
osservare Keros che,
imperterrito, provava a salire le scale. Borbottando qualcosa sul fatto
che non
voleva frittate giganti per terra, Lucifero prese in braccio il piccolo
e lo
condusse su fino al piano dove aveva le stanze private.
“Dormirà
con me” spiegò Keros, con sul viso stampata
un’espressione d’orgoglio.
“Va
bene”
fu la risposta, rassegnata, del Diavolo “Ma ricorda che, se
dovessi averne
bisogno, alle stalle sono sempre pronti ad aiutarti”.
“Non
serve.
Ora vai via!”.
“Ma… Neanche
si ringrazia? “.
Keros
era
sulla porta, già pronto a chiuderla, ma si fermò
a quelle parole. Il suo
sguardo si fece luminoso e sorrise con sincerità.
“Grazie
per
questo uovo” esclamò, raggiante.
“Prego.
E
ricordati che devi anche fare i compiti”.
Il
bambino
borbottò qualcosa e chiuse la porta. Il re trattenne una
risata e tornò al
lavoro.
Rimasto
solo, Keros aprì uno dei suoi libri ed iniziò a
leggere ad alta voce, seduto a
terra, stringendo l’uovo. Storia. Gli piacevano i libri sulla
storia dell'Inferno,
erano interessanti. Poi poteva sempre chiedere informazioni ulteriori
al re,
che lusingava ricordandogli tutte le vittorie in battaglia.
C’erano state
davvero tante guerre negli inferi e Keros sapeva che un giorno avrebbe
dovuto
pure lui combattere a fianco del sovrano. Anche per questo Asmodeo gli
stava
insegnando le tecniche d’uso del fuoco. Già si
immaginava, grande e potente che
uccideva nemici. E non vedeva l’ora di iniziare a rubare
anime. Lucifero però
era stato categorico: doveva prima diventare abbastanza forte da poter
affrontare almeno un angelo minore, o sarebbe stato troppo pericoloso.
“Un giorno io
salirò sulla tua groppa e
voleremo insieme” sorrise all’uovo, accarezzandolo
“E ora andiamo
nell'archivio, che devo prendere un libro nuovo”.
Stringendolo, Keros lo
portò con sé fino alla
grande stanza dove il re aveva riposto tutti libri utili per lo studio
del
bambino. Cercò fra gli scaffali per un po' e poi
tornò dall’uovo , poggiato in
terra.
“Forse
dovrei scaldarti di più…” si disse,
evocando le fiamme in una mano.
Il
fuoco
rosso si accese fra le dita del bimbo e si avvicinò.
Però non aveva piena
padronanza di quella tecnica e inavvertitamente incendiò
anche il libro.
“Come
sarebbe a dire?!” sbraitava Lucifero, nel suo ufficio
“Lo sapete che voglio un
ordine perfetto delle entrate. Non potete aver smarrito un intero
registro di
dannati!”.
“Perdonateci,
Signore” stavano supplicando due demoni, prostrati in terra.
“
Perdonarvi un cazzo! Sapete quante migliaia di anime vi erano scritte?
I loro
peccati e la zona in cui sono state confinate… Era tutto
scritto! Da delle mani
molto più utili delle vostre!”.
“Ci
scusi…”.
“Rivoglio
quel registro al giusto posto! Se ciò non avverrà
in ventiquattro ore, pretendo
che voialtri deficienti lo riscriviate da capo!”.
“Ma…ma
Signore! Sapere quante e quali persone vi erano riportate
è…”.
“Impossibile?
Stracazzi vostri! L’alternativa è la vostra testa,
su un bel piatto, da dare in
pasto a Cerbero!”.
“Ma
noi…”.
Il
re li
interruppe con un gesto della mano. Annusò l’aria.
Era abituato a sentire odore
di zolfo e bruciato ma non in modo così pungente fra le mura
di casa.
“A
che
state dando fuoco?!” sibilo, senza ricevere risposta.
Lasciò
l’ufficio e cercò di capire. Una delle ancelle
indicò il piano superiore, le
stanze private del principe.
Non
molto
in vena di restare calmo e tranquillo, Lucifero salì le
scale, stringendo i
pugni e spalancando la porta di scatto. Oltre la soglia vide Keros, che
tentava
di spegnere
il
piccolo incendio che si era creato.
“Ma che hai
combinato?!” si stupì il
demone, estinguendo le fiamme spalancando le ali.
Il bambino
abbracciò l’uovo.
“Allora,
signorino?” incrociò le braccia il re
“Hai la vaga idea di quanto costino i libri? Qualcuno li deve
scrivere tutti a
mano, sai? E tu quanti ne hai rovinati in pochi istanti?”.
“Volevo scaldare
l’uovo…” cercò di
giustificarsi Keros, chinando la testa.
“E per uno stupido
uovo mandi in fumo
dei libri?!”.
“Non è
stupido! È il mio uovo! È il mio
amico!” cambiò radicalmente atteggiamento,
ringhiando.
“Attento a dove lo
lasci. Asmodeo
potrebbe mangiarselo!”.
“No! Cattivo! Sei
cattivo!”.
“E tu sei la nuova
piaga d’Egitto! Adesso
va subito fuori di qui. Fila in camera tua. Non voglio sentir volare
una mosca
da quella stanza almeno fino a stasera, sono stato chiaro?”.
Keros annuì, non
sapendo che altro dire.
“Studia. E non
combinare altri disastri“
concluse Lucifero, dando le spalle al bambino e tornando alle sue
faccende.
Da quella volta, il bambino
non era
stato più visto.
“I demoni non piangono” si era
ripetuto
più volte nella testa Keros, camminando con l’uovo
in braccio.
Era uscito da palazzo, conoscendo un sacco
di passaggi segreti, e cercava un posto dove sentirsi al sicuro. Aveva
fame,
girava da ore, ma non voleva tornare a casa. Vide alcune guardie a
servizio di
Asmodeo e cambiò immediatamente direzione, spaventato per il suo
uovo. Finì nel cortile
di una casa e d'un tratto fu catturato da un intenso odore dolce.
Cercò di capire da
dove provenisse e vide un grosso vassoio di biscotti. Si
avvicinò, furtivo,
approfittando del buio, ma subito udì una voce che gli
ordinava di tenere giù
le mani. Si accucciò, per non farsi vedere. Dopo qualche
istante, tentò di
percepire qualche suono, per capire se ci fosse ancora qualcuno.
“Inutile che ti nascondi” si
sentì dire
“Vai via. Quei biscotti sono per il mio
papà”.
Keros sollevò la testa. Era stata una
bambina a fermarlo. Doveva avere qualche centinaio di anni meno di lui.
Nel
guardarla, il piccolo si lasciò sfuggire una risatina.
“Cos’hai da ridere?”
si accigliò lei.
“Niente. È che pensavo fosse
un adulto e
invece sei solo una femmina”.
Lei a quelle parole si infuriò.
“Stavo per offrirti un biscotto. Ma,
visto
che sei un colossale stronzo, non lo farò!”
sbottò, voltandosi.
“Aspetta!” la fermò
Keros “Ti chiedo
scusa… è stata una brutta giornata”
ammise, chinando la testa.
“Dov’è la tua
mamma?” si intenerì la
bambina.
“Io non ho una mamma”,
“Oh… nemmeno io”.
I due piccoli rimasero in silenzio,
osservandosi in lieve imbarazzo.
“Io sono Lilien” si
presentò alla fine lei
“Sono figlia del decaduto Azazel”.
Keros non rispose. Non voleva svelare la
sua identità.
“Sei vestito molto elegante”
continuò la
bambina “Sei un nobile?”.
Non volendo mentire, Keros annuì.
“Un principe? Come nelle
favole?” sorrise
lei.
“Sono scappato”
tagliò corto lui “Non dire
a nessuno che sono qui”.
“Nemmeno al mio
papà?”.
“Esatto. Io…”.
Si udì un rumore e la bambina
fece
segno a Keros di nascondersi. Azazel entrò nella stanza.
“Con chi parli, Lilien?”
domandò alla
figlia.
Il demone aveva l’aria piuttosto stanca e
sorrise debolmente quando la bambina lo rassicurò dicendo
che stava giocando da
sola.
“Ti ho portato la cena”
spiegò il padre,
poggiando un pacco sul tavolo “Mangia e fila a letto
presto”.
“Ma papà… non resti
con me? È tardi” si
lagnò la bimba, guardando con occhi languidi il genitore.
“Non posso” sospirò
Azazel, chinandosi per
guardare in viso la figlia.
“Ti avevo fatto i biscotti”.
“Li mangerò dopo.
Vedi… C’è stata
un’emergenza”.
“Guerra?”.
“No, tranquilla. Stiamo cercando il
principe. Il re è molto preoccupato”.
“È triste? Come te quando
è morta la mamma
con i miei fratellini?”.
“Certo. È molto triste, in
ansia. Quel
bambino è prezioso e teme di averlo perduto. Se tu sparissi,
ti cercherei
ovunque! Ed io devo aiutarlo, capisci?
Dopotutto… È pur sempre mio fratello,
oltre che il re. E quando la nostra famiglia è stata
distrutta, ci è stato
vicino. Capisci?”.
La bambina annuì. Azazel le
passò una mano
fra i capelli, molto scuri e con qualche riflesso verde. Poi si
rialzò e
riprese il volo,spalancando le ali. Lilien sospirò. La
piccola coda demoniaca
le si arricciò e poi si voltò verso il punto dove
Keros si era nascosto. Si stupì
di non vederlo più.
La luce emessa da Lucifero nel buio era
simile a quella di un fuoco ed intensa come una stella. Vederla
illuminare quel
che per l’Inferno era il cielo, era strano. Raramente il re
lasciava il palazzo
e quando lo faceva solitamente era per combattere. Oppure celava quella
luce,
preferendo intrattenersi in modo discreto per il suo mondo. Azazel lo
aveva
affiancato, riferendo che era stata pattugliata un’altra zona
della città,
senza risultato.
“Dove può essere?”
mormorò Lucifero,
guardando la capitale dall’alto della torre su cui si era
appollaiato.
“Lo troveremo. Forse si è
nascosto, stanco
o affamato. Avrà trovato rifugio” cercò
di rassicurarlo Azazel.
“Sai meglio di me come questo regno
è
pieno di demoni pronti ad uccidere cuccioli altrui. E lui non sa come
funziona
questo impero, non ancora. State controllando anche il mondo
umano?”.
“Certo.
Però… È un ragazzo sveglio
e…”.
“Ma ancora così
piccolo…”.
Il messaggero non sapeva che altro dire e
si separò dal re per riprendere le ricerche.
Keros camminò piano lungo le vie in
pietra
della zona del mercato. Sempre con l’uovo stretto a
sé, iniziava a non sentire
più i piedi per la stanchezza. Quanto avrebbe voluto le ali
in quel momento…
D’un tratto, qualcuno lo
strattonò. Allarmato,
soffiò e mostrò i denti.
“Siete il principe!”
esclamò una donna “Vi
stanno cercando tutti”.
Il bambino rimase in silenzio.
“Che Vi è capitato?”
continuò lei “Tenete… Mangiate
qualcosa”.
Gli porse un piattino con un po’ di
carne,
su degli spiedini, che Keros mangiò volentieri.
“Mi sono perso” ammise,
chinando la testa “Mi
riaccompagnerebbe a casa?”.
La donna sorrise, intenerita, e lo
accompagnò fino a palazzo. Fra vari viottoli e quartieri, il
bambino aveva
perso del tutto l’orientamento e, anche se vedeva le torri
della sua casa, non
riusciva ad avvicinarsi ed aveva l’impressione di girare in
tondo.
Tornato a palazzo, ad accoglierò
trovò
Lilith, anche lei in pensiero. Lo abbracciò e
ricompensò con oro e gioielli la
donna che aveva riportato il bambino. Dopo aver chiesto spiegazioni,
che non
ebbe, trascinò il principe a fare un bagno e darsi una
sistemata. Keros rimase
in silenzio. Una volta fatto il bagno, si rinchiuse nella sua stanza.
Non appena il re fu avvertito del
ritrovamento del bambino, tornò in fretta a palazzo e
congedò tutti quelli che
erano impegnati nelle ricerche. Scese di nuovo la calma nel regno,
salvo per le
solite grida delle anime.
Lucifero entrò di corsa nella camera di
Keros
e lo sorprese sul pavimento nero, chino a scrivere su dei fogli. I due
si
fissarono in silenzio per qualche istante.
“Stai bene? Non sei ferito,
vero?”
finalmente si decise a parlare il demone.
“Sto bene” mormorò
il bambino.
“Cosa stai facendo?”.
Il bambino continuò a scrivere ma poi si
bloccò. Aveva sbagliato una lettera con
l’inchiostro e la piuma e sapeva di
dover ricominciare daccapo.
“Non mi sgridare”
esclamò di colpo, con
gli occhi lucidi “Giuro che li riscrivo. Li riscrivo
tutti”.
“Ma cosa?”.
“I libri. I libri che ti ho rovinato. Te
li
riscrivo tutti, te lo prometto!”.
“Oh, Keros… Ma cosa vuoi che me
ne importi?”.
“Scusa…”.
“Scusami tu. Sai… Quando mi
arrabbio dico
un sacco di stronzate. Non devi farci molto caso. E
poi…”.
“Quindi non sono la nuova piaga
d’Egitto?”.
“Vuoi esserlo?”.
“No!”.
“Allora non lo sei”.
“Ho sentito che eri triste e preoccupato.
E
poi non volevo tenere un papà lontano da casa”.
“Non ho capito del tutto quello che hai
detto, ma…”.
“Io non volevo che qualcuno fosse triste.
Pensavo
fossi arrabbiato e non mi volessi più”.
“Non potrei mai non volerti
più. Sei come
un figlio per me, lo sai. La più preziosa creatura
dell’Inferno”.
Keros si lasciò abbracciare e
serrò le
palpebre per non piangere, come gli aveva insegnato il re dei demoni.
“Dici che anche il tuo papà
sia in
pensiero per te?” domandò, e Lucifero storse il
naso.
Il piccolo alzò la testa e lo
fissò negli
occhi.
“Dici che anche il tuo papà
sia in
pensiero per te?” insistette.
“No, non credo” rispose infine
il re “Io e
lui abbiamo un rapporto… diverso”.
“Cioè?”.
“Tu non mi odi.
Spero…”.
“No. Mi fai arrabbiare, sei uno stronzo,
ma ti voglio bene”.
“Ah, meno male. Non avevo voglia di aver
cambiato pannolini e dato pappette per sentirmi dire che mi
odi”.
“Ma il tuo papà deve volerti
bene. Secondo
me è preoccupato. Pensa a te”.
“Certo. Mi pensa e mi usa come capro
espiatorio per ogni cazzata che accade per il mondo umano. Me ed
Azazel. La colpa
è sempre degli altri e…”.
“Ok. Ho capito. Voi adulti siete strani.
E
complicati”.
“Hai ragione. Hai proprio
ragione…”.
“E adesso vai a lavarti.
Puzzi!”.
“Scusa se ho volato tutto il giorno per
cercarti…”.
Keros rise ed anche il re.
“Hai tenuto quell’uovo tutto il
tempo con
te?!”.
“Sì, ma non dire ad Asmodeo
che è qui. Non
voglio che lo mangi!”.
“Guarda che era uno scherzo. E se ci
prova… Avvisami,
che lo picchio”.
Il bambino sorrise. Dopotutto, non era
male stare a casa propria…
Scusate
il ritardo!! Sto cercando di aggiornare più spesso
ma… Che impresa!! Nel prossimo
capitolo si cresce ;)
|
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Capitolo 11 *** Sognando. parte prima ***
11
SOGNANDO
Parte
prima
Quanto tempo era passato? Se lo chiedeva
Lucifero, osservando dall’alto della torre l’arrivo
di Alukah. Da quanto tempo
non si incontravano? Probabilmente il figlio di Lilith si chiedeva lo
stesso,
varcando la soglia del palazzo reale. Osservò i quadri,
notandone di nuovi, e
sorrise. Al suo fianco, il giovane Nasfer lo seguiva sentendosi
decisamente in
soggezione. Le guardie reali sorvegliavano gli ingressi ed incantevoli
fanciulle attraversavano i corridoi con risatine divertite. Finalmente,
i due
raggiunsero la porta che chiudeva la sala dei ricevimenti reale.
“Che gioia vederti, Alukah!”
esordì il re,
seduto sul suo trono nero.
“Anche per me è lo stesso,
vostra maestà”
rispose il vampiro, inchinandosi leggermente.
“Non usare troppi convenevoli con me. Ti
ho visto nascere” ghignò Lucifero, sorseggiando
del vino in un calice d’argento
“Non dirmi che quel giovanotto che è accanto a te
è Nasfer”.
“Sì, è mio figlio
Nasfer. So che sono
stato convocato personalmente, ma ha tanto insistito per venire a
palazzo”.
“Non è un problema”
sorrise Lucifero
“Sentiti libero di ficcare il naso in giro, mentre io e tuo
padre discutiamo di
lavoro”.
“Grazie, altezza” si
inchinò Nasfer, non
aspettando altro e congedandosi.
“Com’è diventato
grande…” riprese il
sovrano, una volta che il ragazzino fu uscito “Quanti anni ha
adesso?”.
“Si avvicina ai settecento,
maestà”.
“Crescono così in
fretta… Ma vieni con me.
Cambiamo argomento. Lascia che ti offra qualcosa e parliamo di lavoro.
Ho un
certo affare da proporti…”.
Nasfer si guardava attorno, meravigliato.
Ricordava poco di quel luogo, che aveva visitato solo una volta quando
era
molto piccolo. Udì le voci dei soldati e cercò di
capire da dove provenissero.
Forse dal cortile? Vi si diresse a passo svelto e si bloccò,
trovando un’enorme
bestia a sbarrargli la strada. Era color cenere, con enormi ali come il
sangue
ed occhi d’oro. L’animale rimase immobile,
nonostante Nasfer si fosse messo in
posizione d’attacco.
“Non la guardare negli occhi”
si sentì
dire “O ti mangerà. Lo ha già fatto
altre volte”.
“Mi… mi
mangerà?” mormorò il vampiro,
cercando di capire chi avesse parlato.
“Esatto. Sei nuovo? Non ti ho mai
visto…”.
“Nemmeno io vedo te, se è per
questo…”.
“Alza gli occhi”.
Nasfer alzò lo sguardo, attento a non
fissare la bestia, e vide che qualcuno stava cavalcando quella
creatura. Quel
qualcuno lo stava salutando con la mano. Osservandolo meglio,
l’ospite sorrise.
“Keros!” lo chiamò
per nome “Sono io! Sono
Nasfer!”.
“Chi?”.
Calò il silenzio e poi Keros rise,
scendendo dalla creatura.
“Sto scherzando. Mi ricordo di te,
Nasfer”.
“È passato un po’ di
tempo”.
“Puoi dirlo. E sei
cresciuto… Parecchio”.
Nasfer ghignò. Era di una spanna
più alto
di Keros e di corporatura più grossa, importante. Anche se
era solo un
ragazzino, già si vedeva che sarebbe diventato un demone
massiccio. Keros, al
contrario, era piuttosto esile. Teneva i capelli rossi legati in una
coda e sul
viso ostentava una strana espressione spavalda.
“È una femmina?”
chiese l’ospite,
indicando la bestia.
“Sì. La sto addestrando per
portarla in
guerra” annuì Keros “Non è
feroce come sembra. Di solito…”.
“Allora…”
continuò Nasfer, guardandosi
attorno lievemente in imbarazzo “...è qui che vive
un principe…”.
“Già. Ma non serve chiamarmi
principe o
cose simili. Sono Keros. Cosa fai nella tua vita adesso?
L’addestramento da
vampiro suppongo lo abbia concluso da un pezzo”.
“Ho imparato a trasformarmi”.
“Figo. Da cosa?”.
“Lupo. Come mio padre”.
“Forte!”.
“Ma tu sai usare il fuoco. Quello
è
meglio”.
“Dipende. Magari qui
all’Inferno è più
utile ma nel mondo umano… Meglio fuggire nell’ombra
piuttosto che dare fuoco
alla gente!”.
“Vero. Però… Io
vorrei entrare
nell’esercito reale. A servizio di Asmodeo. Essere addestrato
da lui”.
“Partecipa alle selezioni. Le fanno
continuamente. Sai… Muoiono spesso…”.
“Lo so. Ci ho provato. Ma dicono che sono
troppo giovane ed io penso di star perdendo tempo”.
“Posso parlarci io”.
Nasfer rimase in silenzio. Fissò Keros
con
aria interrogativa.
“Posso parlare io con Asmodeo”
sorrise il
principe “Ti valuterà direttamente. Ricordati che
a lui piace la sicurezza. Se
ti chiede se sai fare una cosa, tu rispondi sempre di
sì”.
“Lo faresti davvero?”.
“Certo”.
“Perché?
Cioè… Grazie! Sei un grande
e…”.
Keros non ascoltò il resto della frase.
Si
arrampicò sul muretto che delimitava il giardino ed
invitò Nasfer a fare lo
stesso. L’ospite lo guardò, perplesso. Poi
seguì l’esempio. Giunto in cima,
sedette e rimase a bocca aperta. Davanti a loro, le guardie reali si
stavano
addestrando.
“Ti brillano gli occhi”
ghignò Keros.
“Che spettacolo”
esclamò Nasfer “Quanto
vorrei essere fra loro!”.
“Asmodeo!” gridò il
principe, mentre chi
aveva a fianco si voltava con fare allarmato.
“Asmodeo!” chiamò
ancora Keros, fino a
quando il grosso demone non raggiunse il muretto.
“Ditemi, principe”
parlò il generale,
guardando in altro verso i due giovani.
“Lui è Nasfer” lo
indicò “Ha fatto
l’addestramento da vampiro con me. È il figlio di
Alukah e nipote di Lilith.
Vorrebbe far parte dell’esercito reale”.
“Le referenze genetiche sono
interessanti”
annuì Asmodeo “Alle prossime selezioni
sarò io stesso a giudicarlo. Prima di
qualsiasi altro aspirante. Sai combattere?”.
“Sì” si
affrettò a rispondere Nasfer.
“Bene. Ci vediamo alle prossime
selezioni.
Mi raccomando: puntuale. O già perdi punti,
recluta”.
Con un inchino, il generale si congedò
dal
principe e tornò alle sue faccende. Sulle sue grandi spalle
e sul petto
campeggiavano encomi di ogni tipo, che scintillavano in modo quasi
ipnotico.
Aveva affrontato moltissime battaglie e ne portava i segni, ma anche i
premi.
Keros balzò giù dal muretto,
tornando a
poggiare i piedi nel giardino reale. Nasfer rimase ancora qualche
istante a
contemplare l’esercito, che si muoveva compatto in
formazione. Poi scese a sua
volta.
“Vi ringrazio” si decise a
parlare, dopo
qualche istante “Grazie per la fiducia che riponete in
me”.
“Dammi del tu” storse il naso
Keros.
“Perfino Asmodeo ha usato
l’onorifico con
Voi!”.
“E allora? Sono un ragazzino.
È strano.
Non lo fare”.
“Va bene. Ma…”.
“Ora tu mi devi un favore. E so
già cosa
chiederti”.
Nasfer annuì, mentre Keros osservava le
rose nere del giardino. Per qualche istante, ripensò al
fatto che aveva portato
una di quelle rose sul luogo dove era nato, dove era deceduta sua
madre. E da
quella volta le rose nere crescevano in quel luogo, e solo in quel
luogo.
“Voglio andare nel regno umano”
spiegò.
“Certo. Che problema
c’è?” alzò le spalle
Nasfer.
“Vedi… Dopo
l’incidente avvenuto durante
l’addestramento, quello con gli angeli, il re non vuole
più farmi andare fra
gli uomini senza scorta. Ma è noioso. E ogni volta chiede
perché ci voglio
andare, a fare che cosa eccetera eccetera… bla bla bla. E mi
ritrovo ad essere
sorvegliato da gente pallosa e vecchia, che vede pericoli ovunque.
Tecnicamente, a lui basta che con me ci sia qualcuno che sappia dove
non avere
a che fare con gli angeli. Tu lo sai, vero?”.
“Certo. Ho vissuto tutta la vita
schivando
gli angeli”.
“Perfetto. Allora andiamo”.
“Adesso?”.
“Hai altro da fare?”.
Nasfer scosse la testa e seguì Keros
all’interno del palazzo. Come principe, chissà
quali altre cose avrebbe potuto
concedergli! Continuò ad osservare con ammirazione ogni
angolo di quel luogo,
dai candelabri fino agli intarsi sulle porte. Keros si era cambiato ed
aveva
lasciato detto a Lilith che avrebbe fatto tardi, senza specificare
troppo la
sua meta. Solo spiegando che “mangiava fuori”.
Il giovane principe amava il mondo umano.
Respirò a pieni polmoni l’aria pura, priva di
zolfo. Il canto degli uccelli, il
mutare di colore del cielo, il tramonto, le stelle… Perfino
il suono delle
campane! Amava tutto del mondo umano, ma sapeva di non farne parte. E
sapeva
anche che molte cose in esso, come la neve o il gelo, potevano
danneggiarlo
gravemente. Da quando era piccolo, trovava estremamente piacevole
mettere i
piedi nelle acque fresche e prendere il sole in riva al fiume. Fu la
prima cosa
che decise di fare e Nasfer si limitò a fissarlo, fermo poco
più in là. Non
amava molto la luce del giorno.
“Scusa la domanda
indiscreta…” si azzardò
a dire, osservando Keros spaparanzato sull’erba con calze e
scarpe messe in
disparte per non bagnarle “Ma quel
tatuaggio…”.
“L’ho sempre avuto”
si limitò a dire il
principe.
“Sì, ma…”.
“Che ne dici di fare un giro in
città? Mi sta
venendo fame. Guidami nella zona migliore”.
Si alzò di scatto, lanciando uno schizzo
d’acqua
a Nasfer, che rise.
I due, camminando con la luce del
tramonto, sembravano due normali ragazzi in abiti eleganti. Keros in
particolare, con l’abito in velluto e broccato, aveva
l’aspetto di un giovane
nobile. Incuriosito, entrò in alcune botteghe, provando dei
cappelli con la
piuma. Erano la moda del momento e decise di acquistarne un paio,
sfoggiando
una vanità degna di re Lucifero. Rispose in modo vago al
sarto che chiedeva chi
avesse confezionato il bell’abito che indossava e
pagò con delle monete d’argento.
Poi spese una cifra
considerevole per
comprare un libro da regalare al re, spezie e qualche candela. Il tutto
con
Nasfer che lo guidava per le strade.
“Di certo parleranno un po’ di
noi”
ridacchiò Keros, osservando lo sguardo incuriosito e avido
dei mercanti.
“La cosa non mi dispiace” gli
rispose
Nasfer, mentre un paio di nobildonne si chiedevano da quale famiglia
provenissero quei due giovinetti.
“Ora di cena”
esordì, di colpo, il
principe.
Oramai era scesa la notte e molti già si
affrettavano a rientrare in casa.
“Lilith mi sgrida se non
mangio” continuò,
seguendo il collega lungo le vie.
“Deve essere piuttosto eccitante vivere
con lei” mormorò Nasfer, alzando le sopracciglia
con fare malizioso.
“Mi ha allattato. Non posso vederla in
modo eccitante. Però di certo è una bella
donna”.
“Tutte quelle femmine… Il
palazzo quante ne
ha?”.
“Come concubine del re, dici? Non lo so.
Mai contate. Penso una cinquantina”.
“Tutte belle come Lilith?”.
“Certo. Il re vuole solo il
meglio”.
“E tu non hai mai…”.
“Mi vuoi chiedere se io ho qualche
femmina
a palazzo per me? No! Non credo di avere ancora
l’età per…”.
“Quindi non le hai mai viste
nude?”.
“Certo. Un sacco di volte
però… Molte di
loro mi hanno fatto da mamma, non le trovo eccitanti”.
“E… Come sono fatte?”.
“Beh… Hanno… le tette
e…”.
“E sono belle?”.
“Le tette? Sono… rosa.
E… tonde e… Ma perché mi
chiedi queste cose?”.
“Per conversare un po’.
Sai… Sei il
principe e non so bene di che cosa si parli con un principe”.
“Un giorno potrò avere pure io
le mie
donne. Ma ora non ci penso. Prima voglio finire
l’addestramento da
procacciatore di anime”.
“Ma perché? Intendo
dire… Sei il futuro re!
Perché fare bassa manovalanza?”.
“Non è detto che io sia il
futuro re. Non
sono stato designato come principe ereditario. E poi…il re
non lascerà il suo
posto a breve. E intanto che faccio? Come procacciatore, posso girare
il mondo
umano come mi pare!”.
“Io, fossi il futuro re, starei tutto il
giorno in ozio”.
Keros rise.
“Voglio ripetere ancora una giornata come
questa” annuì poi “Tu che dici, Nasfer?
Io mi sono divertito. Possiamo anche
visitare altri posti, fare altre cose”.
“Se provate questo
desiderio…”.
Camminando lungo le strade, si imbatterono
in una coppia di giovani che cercavano di celarsi ad occhi indiscreti
nel buio.
Iniziarono a baciarsi appassionatamente e non notarono
l’avvicinarsi dei due
demoni vampiro.
“Gli esseri umani sono proprio
stupidi” fu
il commento di Nasfer.
Keros sorrise e divise la coppia, dopo
averli osservati un po’ per divertimento. Piantò i
denti nel collo di lui,
mente Nasfer zittiva la ragazza. Il principe avvertì subito
la meravigliosa
sensazione di piacere che gli provocava il nutrirsi di sangue.
Alzò lo sguardo,
che brillava nel buio, vedendo il suo collega che si avventava sul
collo della
giovane e, allo stesso tempo, ne esplorava il corpo con le mani,
facendole
lanciare dei gemiti. Poi la lasciò andare e si
voltò verso Keros, con il viso
sporco di sangue. Il principe ghignò, mostrando i denti a
punta. Si sentiva
strano, stordito. Forse
quell’umano
aveva nel sangue qualcosa di particolare. Non lo sapeva ma gli era
sempre stato
detto che doveva seguire il suo istinto, i suoi desideri. Quindi non si
pose
alcuna domanda, non tentò di riflettere. Si
avvicinò a Nasfer… E lo baciò.
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Capitolo 12 *** Sognando, parte seconda ***
12
SOGNANDO
Parte seconda
Per qualche istante, Keros provò una
sensazione nuova. Sentiva i suoi sensi appagati, soddisfatti. Ma subito
dopo
sopraggiunse qualcosa di molto diverso. Percepì dolore,
bruciante dolore, e si
sentì respingere in malo modo. Stordito, capì che
Nasfer lo aveva colpito,
ferendolo lungo il petto e sul braccio sinistro.
“Sei completamente impazzito?”
ringhiò il
giovane figlio di Alukah, sputando un paio di volte per terra
“Ti sei bevuto i
neuroni? Cosa pensavi di fare?!”.
Keros cercò di rispondere, ma
riuscì solo
a balbettare qualcosa, ancora confuso e dolorante.
“Tu…” riprese Nasfer
“…tu sei figlio della
meravigliosa Carmilla! Creatura che dopo secoli è ancora nei
ricordi e nelle
fantasie di molti. Tu… Sei figlio di colui che veniva
descritto come il più
bello degli angeli!”.
Il principe rimase in silenzio,
consapevole del fatto che tutti lo credessero figlio di Lucifero.
“Ma tu… Come puoi avere tale
genetica in
corpo?!” la voce di Nasfer era decisamente infastidita
“Tu… Coso strano! Come
puoi essere stato concepito da simili creature?!”.
“Nasfer… io…”.
“E, soprattutto, pensavi davvero che un
coso come te potesse avvicinarsi ad uno come me e restare impunito? Una
roba
con quei disegni assurdi addosso ed un ridicolo nome da
femmina!”.
“Keros non
è…”.
“Come speri di poter fare il tentatore?
Non potresti farlo nemmeno fra un milione di anni!”.
“Io…”.
“Non posso credere che tu lo abbia fatto
per davvero. Ma che pensavi? Che fossi gentile per un qualche motivo
che
andasse oltre l’interesse per il fatto che sei il principe e
mi tocca obbedire?
La sola idea che tu possa diventare re mi
disgusta…”.
“Scusami”.
“Ed ora pure chiedi scusa? Che demonietto
patetico che sei. Ma poi… Sei veramente un demone? Per me
Carmilla ti ha trovato
in qualche buco sperduto ed ha avuto pietà.
Chissà che miserrima creatura era
la tua genitrice. Gli altri demoni non fanno che ridere di
te”.
Keros non sapeva che rispondere. Vide
Nasfer agitarsi e ringhiare infastidito, e distolse lo sguardo. Non
sapeva che
fare. Si sentiva in imbarazzo, anche lui incapace di capire
perché avesse
compiuto un simile gesto. Il figlio di Alukah si allontanò,
con fare deciso. Il
principe girò gli occhi verso i cadaveri degli umani che
erano stati la loro
cena. Giacevano in terra, uno accanto all’altro. Con un
sospiro, capì che era
tempo pure per lui di rientrare, o avrebbe rischiato di ritrovarsi in
qualche
guaio.
Giunto a palazzo, Keros si affrettò a
rinchiudersi nella sua stanza. Tolse l’abito che indossava,
squarciato ed
insanguinato, e tentò di darsi una sistemata.
Passò ben poco tempo prima che un
bussare deciso alla porta lo costringesse ad accelerare quel che stava
facendo.
Gettò gli abiti sotto al letto e si assicurò di
aver ben coperta la ferita.
“Avanti… È
aperto” esclamò poi.
Come immaginava, nella camera entrò il
re,
con un mezzo sorriso.
“Hai fatto tardi” gli disse.
“Mi ‘spiace.
Io…”.
“Te lo facevo solo notare. Dove sei stato
di bello? Ti sei divertito?”.
Keros raccontò a grandi linee quel che
aveva fatto prima che tramontasse il sole. Lucifero intanto osservava
gli
oggetti che il principe aveva portato dal mondo umano.
“Cos’è questa
roba?” si chiese, indossando
uno dei cappelli con la piuma.
“Va di moda fra gli uomini”
spiegò Keros
“Viene considerato molto elegante”.
“Ah, queste manie
moderne…”.
Il demone annusò le candele e le spezie.
“Quelle pensavo di distribuirle fra le
donne del palazzo” spiegò il principe.
“Ma che bravo…”.
“Ed il libro è per
te”.
“Per me?”.
Il re si stupì. Prese con cura il volume
fra le dita ed iniziò a sfogliarlo con delicatezza.
“Sto lavorando per mantenere la promessa
che ti feci tempo fa. Sto riscrivendo tutti i libri che ti ho rovinato
da
piccolo. Però quando ho visto quello, ho pensato che potesse
piacerti”.
“Deve essere costato una
fortuna”.
“Nulla che un principe non possa
barattare…”.
“Ti ringrazio. Ma
raccontami… com’é il
mondo di sopra? Sarà almeno un secolo che non ci
vado…”.
Keros iniziò a raccontare ma poi
Lucifero
lo fermò, con un gesto della mano. Annusando
l’aria, il demone si voltò verso
il ragazzo con aria interrogativa.
“Sento odore di sangue” disse.
“Sì. Mi sono
nutrito…”.
“Sento odore di sangue non umano. Sei
ferito? Sono stati gli angeli?”.
“Cosa? Gli angeli? Ma no!”.
“E allora cosa è
successo?”.
Il principe tentò di non spiegare
l’accaduto ma lo sguardo del re era potente e lo costrinse a
svelare il nome di
Nasfer.
“Ma non è stata colpa
sua” si affrettò ad
aggiungere.
“Certo…”
sbottò il re, scettico “…ti ha
ferito per sbaglio…”.
“È una storia lunga”.
Keros non aveva alcuna intenzione di
scendere nei particolari ed abbozzò un sorriso. Lucifero
alzò un sopracciglio e
si fece silenzioso.
“E va bene…” disse
infine il re, alzando
le spalle “A ognuno i suoi segreti. Ti lascio riordinare le
tue cose. E torno
alle mie faccende. Sarai stanco”.
Il principe annuì, sbadigliando per
finta.
“Buona notte…”.
Quando finalmente il demone fu uscito
dalla stanza, il giovane tirò un sospiro di sollievo. Si
lasciò cadere
sull’ampio letto nero e lì rimase, incapace di
dormire ma con nessuna voglia di
fare altro.
Non sapeva dire quante ore erano
trascorse. Era rimasto immobile, a fissare il soffitto affrescato. Fu
la voce
di Lilith a riportarlo alla realtà.
“Il re mi ha mandato a controllare la
ferita” spiegò, entrando in camera.
“Il vecchio si preoccupa sempre
troppo”
rispose Keros, restando steso.
“È che non sei sceso per la
colazione. Non
è da te”.
“Ero stanco. E poi ieri mi sono nutrito
parecchio”.
“Anche oggi andrai in giro con
Nasfer?”.
“Non credo che lui voglia rivedermi di
nuovo…”.
“Oh… Allora chissà
perché è stato convocato
d’urgenza”.
Il principe balzò a sedere di colpo,
ripetendo l’ultima frase in tono interrogativo. Alla conferma
di Lilith, lasciò
le comode lenzuola del matrimoniale e abbandonò la stanza.
Si precipitò lungo le scale, ripide ed
in
pietra, e si ritrovò davanti alla porta segreta che si
apriva sulla sala
ricevimenti. Da lì il re raggiungeva gli alloggi privati e
Keros sbirciò. Vide
Nasfer inginocchiato e, poco più indietro, suo padre Alukah
con sul volto un’espressione
preoccupata.
“È solo un ragazzo,
altezza” stava dicendo
proprio Alukah e Lucifero lo fissava, accigliato.
Il principe cercò di capire qualcosa di
più, ma si erano unite troppe voci confuse. Sul trono,
Lucifero sembrava in
collera. Al suo fianco, serio, stava Asmodeo. Era in piedi, con le
braccia
conserte dietro alla schiena. Sulla porta, molti curiosi si stavano
radunando.
“Che succede qui?” ebbe
finalmente il
coraggio di dire Keros, entrando.
“Faccio rispettare le leggi del regno. Mi
pare ovvio” gli rispose il re, senza voltarsi a guardarlo.
“Le leggi? Di cosa? Non sarà
mica per la
faccenda di ieri? Fatti gli affari tuoi! Ti ho già spiegato
che non è stata
colpa sua”.
“Keros… il mio compito
è mantenere la
disciplina in questo regno. Disciplina che si ottiene solo con il
rispetto
della gerarchia. Tu sei il principe e nessuno di rango inferiore deve
osare toccarti”.
“Ma sono cazzi miei di chi mi tocca, dove
e perché…”.
“Keros…”.
“Non è stata colpa di Nasfer.
Se vuoi
punire qualcuno, punisci me. Sono qui!”.
“A quello provvederò dopo, se
proprio ci
tieni”.
“Che cosa hai intenzione di
fargli?”.
“Lo sai che la pena per simili atti
sovversivi è la morte”.
Keros rise. “Scherzi, vero? Per un
graffio?”.
“Non è la conseguenza da
punire, bensì il
gesto in sé”.
Il principe si avvicinò al trono,
salendo
sui pochi scalini che lo separavano da terra. Giunto dinnanzi al re, si
chinò
ed allungò la mano, sfiorandone il viso ed aprendo su esso
un lieve graffio.
“Uccidimi” mormorò.
Lucifero si passò un dito sulla ferita,
dalla quale era uscita una goccia di sangue, e se lo portò
alla bocca.
“Ti prego. Lascia che d’ora in
poi le mie
faccende me le risolva da solo” continuò Keros
“Lascia che ti dimostri che sono
in grado di ottenere il giusto rispetto, senza che qualcuno lo pretenda
per
me”.
Il demone rimase in silenzio qualche
istante.
“Alukah” chiamò poi,
ed il vampiro alzò lo
sguardo “Porta via tuo figlio. Insegnagli un po’ di
disciplina, perché la
prossima volta non sarò così clemente.
Andatevene”.
Alukah si inchinò più volte e
portò via
Nasfer, che riuscì solo ad incrociare per qualche istante lo
sguardo di Keros. Il
principe approfittò della confusione che
seguì, fra proteste per chi sperava in
un’esecuzione e chi lodava il re per la
sua bontà, per tornare nelle sue stanze. Il re, reggendosi
la testa con una
mano, con il gomito poggiato al bracciolo del trono, alzò lo
sguardo verso
Asmodeo.
“L’adolescenza è una
brutta età” parlò il
capo delle guardie, intuendo i pensieri di Lucifero.
“Già. C’è
chi fa scoppiare una guerra in
Paradiso e tenta Eva e chi invece graffia il diavolo. Ad ognuno il
suo… Ma lui è
ancora un bambino”.
I due si fissarono e si scambiarono un
sorriso.
“Sto invecchiando per queste
cose…”
concluse il re, facendosi portare da bere.
“Papà, non è stata
colpa mia!” ripeteva
Nasfer.
“Può anche essere colpa di
Gesù Cristo,
non me ne frega un cazzo!” lo rimproverò Alukah
“Keros è il principe! Lo
capisci? Qualsiasi cosa sia successa, qualsiasi ordine ti abbia dato o
qualsiasi azione abbia commesso… Tu obbedisci e stai zitto!
È così che funziona!
Se hai voglia di soverchiare il potere, sappi che è una
guerra persa in
partenza. Nessuno può sconfiggere il re e mettersi contro
suo figlio è la più
grande stronzata che tu possa fare”.
“Ma che stai dicendo?!”.
“Mettiamola così… Se
il principe, o il re,
ti ordinano di toglierti i pantaloni e farti fottere, tu togli i
pantaloni e ti
fai fottere. Chiaro?!”.
“Ma perché?!”.
“Perché è
così che vanno le cose!” sbraitò
Alukah “Il re si trova in quella posizione perché
ha sconfitto, e può
sconfiggere, ogni singolo demone esistente. E forse pensi che il
principe sia
debole ma ti sbagli. Io lo percepisco. È più
potente di te. Perciò smettila. E
chiedi a Lilith di porgere le scuse a Keros da parte tua”.
Nasfer tentò di protestare, senza
successo.
Dal canto suo, Keros credeva che la
questione fosse chiusa ma purtroppo il re non gli dava tregua. Una
volta
raggiunto il ragazzo, iniziò a chiedere cosa fosse successo
esattamente. E,
soprattutto, perché il ragazzo non avesse reagito dinnanzi
ad un attacco.
“Sei più forte di
lui” gli stava dicendo
“Perché non lo hai massacrato? Non aveva nemmeno
un graffio!”.
“Sono affari miei”
arricciò il naso il
principe.
“Gli affari tuoi sono anche affari
miei!”.
“Non
necessariamente…”.
Lucifero si fece più assillante. Keros
sospirò. Dopo un bel po’ di insistenza, il giovane
si arrese e raccontò quanto
successo. Il re rimase in silenzio, non aspettandosi una cosa simile.
“Non so cosa mi sia preso”
ammise Keros,
seduto sul letto “Finito di nutrirmi, mi sono sentito
così strano… Era come un
sogno. Provavo un desiderio assurdo. È normale?”.
“È del tutto
normale” lo rassicurò
Lucifero, serio “Capita a tutti”.
“Davvero?”.
“Certo. Solo che crescendo riesci a
controllare quella sensazione ed incanalarla nella giusta
direzione”.
“Nella giusta direzione?”.
“Sì. Magari picchiando
qualcuno o scopando
qualcuno di consenziente. Non sei più un bambino. Me ne
accorgo, forse, un po’
tardi”.
“Capisco…”.
“C’è altro che vuoi
chiedere?”.
“Non vorrai mica farmi discorsi stile api
e fiori, vero?!”.
“Ti servono? No perché mi pare
che le cose
ti siano state mostrate in modo più che esplicito fin da
bambino”.
Keros si lasciò sfuggire una risatina.
Poi
tornò serio. Il re stava di nuovo giocando con la piuma del
cappello, che il
principe aveva poggiato su una scrivania.
“Io sono veramente figlio di
Carmilla?”
chiese poi, volgendo lo sguardo altrove.
“Ovvio!” sbottò il
re “Gli somigli
tantissimo”.
“Davvero? Perché lei era
bellissima…”.
“E tu forse non lo sei? Chi ti ha messo
in
testa certe idee? Quella rana di Nasfer?”.
“Oh, andiamo. Sono così
strano”.
“Definisci il termine strano”.
“Non sono molto demoniaco, no? Dai, non
fare finta di non capire!”.
“Bene. Definisci il termine
demoniaco”.
“Mi sfotti? Io sono piccolo, con questi
disegni orrendi e…”.
“Smettila. Ogni creatura che vive
all’Inferno è unica ed irripetibile, particolare
in qualche modo. Non permetto
che tu ti senta inferiore a loro, non ne hai alcun motivo. Il corpo che
hai è
magnifico e devi avere rispetto di esso. Io un tempo ero il
più bello degli
angeli, vuoi che mi metta a fare i paragoni rispetto a ciò
che sono ora? Ognuno
di noi nasce in modo diverso, ognuno di noi ha cose belle e uniche.
Quei
disegni che porti sul corpo sono unici, sono magnifici. Tutto quel che
tu sei è
magnifico. Devi esserne fiero. E portarne rispetto”.
“Ma che parli a fare tu? Non hai mai
avuto
problemi del genere!”.
Lucifero lasciò trascorrere qualche
istante. Poi si scosto un grosso ciuffo di capelli dagli occhi e
distolse lo
sguardo.
“Lascia che ti racconti una
cosa” mormorò
poi, tornando a fissare il principe.
Il giovane si stupì. Il demone gli
mostrò
la mano sinistra, su cui si notava un anello inciso a motivi
intrecciati.
“Quando ero in
cielo…” iniziò a raccontare
il re “…ero il più bello ed il primo
creato. Ma assieme a me era nata un’altra
creatura. Sophia”.
“La parte femminile di Dio?”.
“Sì. Meravigliosa. Splendida.
Perfetta. Ed
io me ne innamorai. Al tempo non c’erano certo tanti
precedenti, perciò non
capii minimamente quel che mi stesse accadendo”.
“Che hai fatto allora?”.
“Ho parlato con mio padre. Non vedevo
alternative. Al tempo mi era sembrata la cosa più
giusta”.
“Uh, che cosa
brutta…”.
“Già. Puoi immaginare la
reazione. Mi
sentii dire che provavo una cosa sbagliata, che dovevo pentirmi, che
commettevo
peccato e via dicendo. Ed io mi sono sentito davvero strano, fuori
posto,
colpevole…”.
“Ma lei…?”.
“Ovviamente, nonostante le ore passate a
pentirmi, i sentimenti che provavo per lei non accennavano a mutare.
Anzi! Si
facevano più forti! Così decisi di confessarle
tutto, anche perché per cercare
di guarire da quello che mi sembrava una grave anomalia, eravamo stati
separati. Rivedendola, ho capito che non era un peccato. Era amore, e
non
l’amore che gli angeli provano per Dio. E l’ho
baciata”.
“Wow…”.
“Ci siamo regalati questi anelli come
segno di legame eterno. E detti tante di quelle stronzate da far
ribrezzo allo
zucchero. Mi spingeva a rimanere fedele ai miei ideali, a lottare per
ciò che
volevo…”.
“Quindi eravate innamorati. E poi? Cosa
è
successo?”.
“Non lo so. So solo che io sono qua. E
lei
è rimasta in cielo”.
“Ti ha spinto ad iniziare la guerra
contro
Dio e poi non è rimasta al tuo fianco?”.
Lucifero alzò le spalle, con un mezzo
sorriso. “Come vedi… tutti prima o poi hanno
problemi simili”.
“Ma l’amore che
cos’è?”.
“Un’utile sopravvalutazione di
un semplice
istinto necessario per la sopravvivenza della specie”.
“Eh?”.
“Lascia stare. Piuttosto, non farti
troppe
seghe mentali. Un giorno troverai la persona che ti accetta per quello
che sei
e che anche a te piacerà. Ma fino a quel
momento… Fai pratica! E ricorda che
amore e sesso sono due cose ben distinte. La prima è un
casino. Concentrati
sulla seconda”.
Keros fissò il demone con aria piuttosto
confusa. Lucifero rise.
“Ora io devo tornare al lavoro, Keros.
Che
dici se domani andiamo a caccia?”.
“Davvero? Io e te da soli?
Bello… Come
mai?”.
“Per tirarti su il morale”.
Il principe annuì, mentre il re si
avviava
verso la porta.
“Ah… È vero che
Keros è un nome da donna?”
riuscì a chiedere il giovane.
“Per alcune tradizioni sì. Ma
non per quella
che ho scelto io. Si tratta di un nome ebraico che significa "curva di
disonestà". Carino, no? Per i greci invece è il
nome di un’isola e deriva
dal nome di una divinità legata alla fertilità.
Quel Nasfer dice un sacco di
stronzate. Non darci troppo peso”.
“Non ci do peso..”.
“Nella vita incontrerai tante persone.
Molte di esse le troverai insopportabili, alcune le apprezzerai, certe
le
vorrai uccidere ed altre le ucciderai per davvero. Fa tutto parte della
vita.
Vai avanti. Tutto scorre, mai sentito?”.
Keros annuì.
“Non hai fatto nulla di male”
concluse il
re, con un ghigno “Se era intelligente, ne avrebbe
approfittato. Sei comunque
il principe!”.
Rimasto solo, Keros si fissò il braccio
tatuato con un certo fastidio. Era davvero schifato da quei segni.
Ruotò gli
occhi, quando alla porta qualcuno bussò.
“Basta gente per oggi. Lasciatemi in
pace!” si lagnò e nella stanza entrò
una donna.
“Le camere del re sono al piano
superiore.
Avete sbagliato stanza” le disse, dopo averla inquadrata.
Lei rise, divertita.
“Voi siete il principe,
giusto?” chiese,
con voce dolce.
“Sì. Il principe
strambo…”.
“Allora non ho sbagliato
stanza”.
“Prego…?”.
“Sono un regalo. Da parte del
re”.
La donna scostò un velo semitrasparente
che portava attorno al collo. Keros rimase qualche istante in silenzio,
con
un’espressione da ebete.
“Rilassatevi, principe. E ditemi che
posso
fare voi”.
“Che cosa
dovrei… Cioè…”.
Il giovane tentò di formulare una frase
compiuta. Lei rise.
“Voi sapete che faccio nella vita,
immagino” sorrise la donna, allungando un braccio coperto da
morbidi veli “Sono
una Succubus, una demone del sesso. Nulla può imbarazzarmi.
Chiedete pure tutto
quel che volete”.
“Io…”.
Keros la osservò. Era così
bella e così
aggraziata! Fra i lunghi capelli portava perle e catenine
d’oro, intrecciate
fra i ciuffi di un’intricata pettinatura. Indossava una veste
composta da
diversi veli sovrapposti, di colori diversi, che andavano a creare
sfumature in
continuo movimento. Era scalza, ai piedi portava solo una cavigliera
collegata
all’alluce con una catena. Se ne stava ferma, con le gambe
leggermente
incrociate, come pronte per danzare.
“Qual è il vostro
nome?” riuscì infine a
chiedere il principe.
“Il mio nome?” si
stupì la donna.
“Sì. Dovete averlo un nome,
no?”.
“Certo. Mi chiamo Raija. Ora potete darmi
del tu, vi va?”.
Lui annuì, salutandola con un baciamano.
“Coraggio” incitò
lei “Come posso
soddisfarvi?”.
“Io… non lo so. Non ho
mai…”.
“Non è un problema. Lasciate
che vi faccia
rilassare un po’…”.
La donna invitò Keros a chiudere gli
occhi
ed iniziò a massaggiargli le spalle, complimentandosi per la
bellezza di quei
capelli rossi.
“Hai avuto tanti uomini,
Raija?”.
“Uomini, donne... È il
mio lavoro, principe”.
“Ma io come
potrei… insomma… Non sono capace
di…”.
“Il sesso è come scrivere.
Più si fa
pratica e meglio è. Ed io sarò lieta di
insegnarvi. Sono la migliore”.
Il principe arrossì. Lei
tentò di dargli
un bacio, ma lui la fermò. “Niente baci sulle
labbra, per favore”.
La demone obbedì e lo baciò
sul collo.
Keros sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
“Come siete teso, signore.
Rilassatevi…”.
Keros non riusciva proprio a sciogliere i
nervi. Continuava a pensare a quanto successo con Nasfer e la sua mente
vagava
altrove.
“Permettetemi di togliere un velo per
voi”
mormorò lei, spogliandosi di una delle stoffe che la copriva.
“Sei molto bella, Raija” ammise
il
giovane.
“Grazie. Ed adoro dare e ricevere
piacere.
Perciò lasciate che vi mostri quel che so fare”.
Il principe annuì, non sapendo che altro
fare. Era tutto così diverso… Quando si era
ritrovato ad osservare Lucifero in
determinate situazioni, lo aveva visto sicuro di sé,
perfettamente consapevole
di quel che voleva ottenere e come ottenerlo. Keros non pensava che
fosse così
difficile fare lo stesso. Era come impietrito, spaventato. E se lei poi
reagisse come Nasfer? Che doveva fare per non farsi attaccare?
La demone ignorava quei pensieri e con
mani esperte scopriva il petto di lui.
“Oh, giovane
principe…” disse, con tono
dispiaciuto “…che vi hanno fatto qui?”.
Prima passò un dito sulla ferita e poi,
lentamente, usò la lingua. Keros trattenne il fiato.
“Che buon sapore avete, mio
signore”
sussurrò Raija.
“Posso assaggiare il tuo?” si
ritrovò a
dire il ragazzo.
Lei non rispose. Scoprì il collo e
lasciò
che il demone vampiro vi affondasse i denti. Lanciò un
gemito e Keros lo trovò
molto eccitante. Era solo un assaggio, qualche sorso di prezioso
sangue, ma
quel poco gli bastò per annebbiare in parte il suo giudizio.
La morse di nuovo,
questa volta sulla spalla. Poi ne scoprì un seno e
lasciò il segno dei canini
anche su di esso.
“Ti faccio male?” si
preoccupò e lei
scosse la testa.
Un po’ impacciato, il giovane ne cinse la
vita, invitandola a danzare. Raija danzò e, ad ogni
piroetta, uno dei veli che
la copriva cadeva in terra e scivolava lungo la pelle della succubus.
L’ultimo
di essi, color del cielo, la donna lo usò per abbellire le
sue movenze. Lasciò
che ne accarezzasse la pelle e poi lo avvolse attorno al collo di
Keros, che lo
annusò.
“Vi piace il mio profumo?”
domandò lei “Lo
volete su di voi?”.
Il principe sorrise, ma bloccò la mano
di
lei che tentava di spogliarlo. Prima di lasciarla fare, spense le poche
candele
della camera. Raija ammise di non riuscire a vedere nulla.
“Sarà come un gioco”
le spiegò lui “Spero
ti piaccia…”.
In realtà, il giovane voleva celare i
tatuaggi ad occhi indiscreti. Non lo aveva mai fatto prima, ma quella
sera non
si sentiva a suo agio. La demone si lasciò trascinare a
letto e riuscì a capire
di trovarsi sopra al principe.
Lui rise, più per l’imbarazzo
che per
qualsiasi altra cosa.
“Sto cercando una cosa”
cantilenò lei,
tastando con le mani chi stava sotto di lei.
Keros intanto si godeva la nuova
sensazione che un seno nudo gli donava sulla pelle. Era piuttosto
piacevole il
tocco vellutato delle dita di lei, che scendevano sempre più
in basso e si
insinuavano fra stoffe e vesti. Lui
rimase immobile, chiudendo gli occhi. Come demone vampiro, era
perfettamente in
grado di vederla nel buio totale. Però non gli sembrava
giusto, così decise di
serrare le palpebre. Si lasciò sfuggire un gemito quando
lei, risollevando il
busto, permise al principe di penetrarla.
“Le piace come gioco?”
sussurrò la demone.
“Oh, sì!” gemette
lui.
“Sono brava?”.
Lui non rispose. Era sopraffatto dalle
sensazioni piacevoli che provava. Dal profumo e dal sapore di lei, dal
suo
muoversi ritmico e da quella voce. Quelle parole, che poi divennero
gemiti e
sospiri di piacere, cancellavano ogni altro pensiero. I denti da
vampiro si
mostrarono d’istinto, mentre gli artigli si piantavano fra le
lenzuola. E capì
per quale motivo Lucifero apprezzasse tanto quel gioco.
Ciao
a tutti! Il mio aggiornamento prima di Pasqua. Avevo in mente una scena
finale
ben più esplicita, ma avere la bambina sempre attaccata
peggio di un
koala… diciamo che smorza l’entusiasmo!
Cercherò di rimediare presto!
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Capitolo 13 *** Caccia. parte prima ***
13
CACCIA
PARTE PRIMA
Perso in lontani pensieri, Keros osservava
il paesaggio. In groppa ad una veloce creatura infernale, inseguiva
anime
erranti assieme a Lucifero. Il vento soffiava con insistenza e faceva
lacrimare
gli occhi al giovane, che si chiedeva come facesse il re a rimanere
impassibile. In quella zona dell’Inferno, l’odore
di zolfo era lievemente più
pungente e non vi sorgevano città. Era il terreno ideale per
liberare qualche
anima per poi inseguirla, in un sadico gioco punitivo.
“Adoro quando strillano”
ghignò Lucifero,
dopo aver trafitto una preda con il suo arco.
Ovviamente le anime non morivano, ma soffrivano
terribilmente e lanciavano grida agghiaccianti. A Keros non facevano
minimamente pietà, perché sapeva che la loro
permanenza agli inferi era
determinata da condotte esecrabili in vita. Anche lui, risvegliato dai
pensieri
da quello strillo, tese il suo arco e colpì
un’errante, con un sorriso
divertito.
“Pensavo ti fossi incantato” lo
stuzzicò
il re “Cos’è che ti fa distrarre
tanto?”.
Keros non rispose. Non sapeva cosa dire.
La sua vita, dopotutto, non poteva considerarla di certo brutta. Stava
studiando per diventare un tentatore e procacciatore di anime, e questo
gli
permetteva di gironzolare per il mondo umano piuttosto a lungo, come
apprendista del suo maestro. Imparava le lingue umane, che doveva
conoscere
alla perfezione per potersi relazionare con loro, ed i loro costumi.
Nel mondo
dei demoni trascorreva il tempo fra caccia, feste di palazzo ed
incontri
occasionali. Doveva essere felice, ma a volte si lasciava sfuggire un
sospiro,
dovuto da non sapeva dire che cosa.
“Cosa tiene così impegnata la
tua
testolina color ciliegia?” continuò Lucifero, dopo
aver scoccato un’altra
freccia contro un’anima.
“Niente di particolare”
alzò le spalle
Keros, con una strana voce altalenante dovuta alla pubertà.
“Non raccontarmi cazzate” gli
sibilò il
re, accigliandosi leggermente.
“Niente di particolare,
davvero”.
“Ok… Va bene. Sono poco
convinto, ma non
insisto. Piuttosto… Come va l’addestramento con
Mefistofele?”.
“Dovresti chiederlo a lui. Io non so
giudicarmi da solo”.
“Lo sto chiedendo a te. Ti diverti?
È quel
che ti piace?”.
“Sì. Direi di sì.
Perché?”.
“Hai sempre quella faccia strana. Come se
ti mancasse qualcosa”.
“Anche tu hai spesso quella faccia! Anche
adesso”.
“Keros… Quel che mi manca, nel
mio caso,
sono le ferie”.
Entrambi risero. Poi il giovane colpì
un’altra anima, che lanciò un grido acuto e
straziante.
“Però…”
riprese Lucifero, dopo un po’ “…in
effetti ci sono un paio di cose a cui sto pensando”.
“Tipo ricordarti il nome di quelle tre
con
cui sei stato ieri notte?” ghignò Keros, spronando
la sua cavalcatura ad
accelerare per raggiungere un gruppo di anime in fuga.
“Dei nomi poco mi importa” si
lasciò
sfuggire un sorriso il re “Pensavo al fatto che ci sono un
paio di faccende di
cui vorrei discutere con te. Fra un’anima ed
un’altra”.
“Parla pure. Ti ascolto”.
“Per prima cosa… mi chiedevo se
non fosse
il caso di parlare di famiglia. Intendo dire che sei abbastanza grande
per
sapere chi sia tuo padre”.
“Tu sei mio padre”.
“Sai che non è
così”.
“Sì, invece. Mi hai cresciuto.
Sei tu mio
padre. Ne avevamo già parlato”.
“E non c’è nulla che
tu voglia sapere su
di lui?”.
“Solo una cosa: è ancora
vivo?”.
“Sì…”.
“E l’ho mai
incontrato?”.
“Sì”.
“Bene. Non mi serve sapere
altro”.
“Sei sicuro?”.
Keros inseguì un’anima, senza
rispondere.
Il re lo raggiunse, spronando la sua cavalcatura.
“E l’altra cosa su cui volevi
discutere?”
parlò il ragazzo, senza incrociare lo sguardo del demone ma
rimanendo
concentrato sull’anima che intendeva catturare.
“Riguarda il tempo che passa”.
“Eh già, pensa
te…”.
“Pensavo di presentarti al regno come
principe ereditario”.
Il giovane bloccò la propria corsa di botto
e
si voltò verso il re, con aria interrogativa.
“Che c’è?”
si stupì Lucifero “Perché
quella faccia?”.
“Sei impazzito?”.
“No. Perché?”.
“Perché nessun demone
sarà mai disposto ad
accettarmi come re!”.
“Mica intendo dire che domani tu sarai
re!
Con calma…”.
“Ma manco fra un milione di anni mi
vorranno! Non so nemmeno se terminerò
l’addestramento…”.
“Che? Che blateri, adesso?”.
“Mi hai visto bene?”.
“Sì. Sono vecchio, ma non
ancora cieco! E
se ricominci con la storia che non sei all’altezza di questo
e di
quest’altro… giuro che ti prendo a
sberle!”.
“Ma dai! Perché proprio io?
Intendo dire… A
palazzo ci sono tante donne e molte di loro hanno avuto figli.
Perché proprio
io? Non sono più figlio tuo di quanto non lo siano
loro!”.
“E perché no? Dammi una sola
ragione.
Serve una figura giovane, nuova. Noi di prima generazione siamo
inquadrati e
ormai nauseati. Tu ami quel che fai. Ami l’idea di diventare
un tentatore ed è
questo che voglio. Voglio la passione. E tu ne hai. Ne hai
molta”.
“Passione? Io?”.
“Sì. E non mi interessano i
discorsi sul
fatto che ti senti ridicolo con quel tuo corpo o cose del genere. Il
corpo che
hai è magnifico, già te l’ho detto. Ed ogni singolo
corpo è magnifico, e non perché
lo ha creato Dio o cazzate simili. Ognuno ha dei lati belli ed altri un
po’
meno belli, chiedi al tuo maestro come valorizzare tutto ciò
che sei. Non sei
come lui? Non sei come il tuo maestro? Ovvio. Nessuno è come
lui. Così come
nessuno è come te. Ognuno è unico. E poi non
conosco adolescente che non si
guardi e dica di non piacersi”.
“Allora dammi il tempo di
valorizzarmi”.
“In che senso?”.
“Prima di annunciare a tutti che io sono
il principe ereditario, dammi il tempo di poter mostrare a tutti che ne
sono
degno. Che ho raggiunto obbiettivi importanti, come portare al regno
delle
anime sconfiggendo degli angeli. O sottomettendo dei nemici del tuo
potere”.
Il re rimase in silenzio. E poi annuì,
con
un sorriso.
“È un patto” gli
disse, allungando la mano
verso quella di Keros e stringendola.
“Sì. Te lo prometto. Per i
miei mille
anni, per la mia maggiore età, potrai dire a tutti che sono
il tuo erede,
perché ti giuro che ne sarò degno”.
Osservando il suo maestro, Keros pensò
di
aver parlato un po’ a sproposito. Mefistofele era scaltro,
affascinante ed
ipnotico. Con gli umani, giocava. Li traeva in inganno con estrema
facilità e
sottraeva loro l’anima con piacere e soddisfazione.
“Oggi voglio prendermi una
pausa” aveva
comunicato, inaspettatamente, al suo allievo, passeggiando per il mondo
terrestre “Ci pensi tu all’umano ed alle sue
richieste assurde”.
“Come?! Ma io non sono in grado. Non sono
pronto” era stata la risposta di Keros.
“Senti…”
sospirò Mefistofele “…in questo
lavoro, la sicurezza in sé è fondamentale. Devi
credere in te ed essere certo
delle tue capacità”.
“Ma…”.
“Il se ed il ma sono termini che non devi
MAI usare. Ed adesso dimmi: di che hai paura? Di sbagliare? Guarda che
capita a
tutti. In questa caccia continua, qualche anima la perderai di certo.
Perché
ricorda che, anche se dovessi svolgere un lavoro perfetto,
c’è sempre quella
clausola di merda della redenzione finale. Ovvero se un umano alla fine
dei
suoi giorni si pente, può anche essere stato il peggior
figlio di puttana della
storia, se viene perdonato poi va in paradiso. Sai quante volte mi
è capitato?
L’importante è non demordere, e passare
all’anima successiva”.
“Ma non voglio rovinare tutto il lavoro
che hai fatto fin ora”.
“E come? E poi, ragazzo… Vuoi o
no fare
questo mestiere? Lo hai scelto tu. Pensavi fosse più
semplice?”.
“No. Solo che…”.
Mefistofele ruotò gli occhi. Keros si
guardò attorno, mortificato. Il maestro era parecchio
più alto dell’allievo e
quindi guardarlo dall’alto al basso gli veniva facile.
“Hai forse paura dei paragoni
padre/figlio?” ipotizzò Mefistofele, alzando un
sopracciglio.
“Paragoni?” mormorò
Keros.
“Sì. Insomma… Hai
capito! Tutti si
aspettano grandi cose da te. Sei il figlio del capo. Sei il figlio di
Lucifero.
Io sono figlio di Dio, perciò capisco certi tuoi timori.
Però vedi… Essere
figlio suo offre dei vantaggi. Certo, non potrai mai essere come lui.
Lui è il
primogenito, il più forte, il più bello,
eccetera. Ma tu hai qualcosa che lui
non ha: il totale libero arbitrio”.
“Lucifero ha il libero
arbitrio!”.
“Ah sì? Chiedigli che succede
se decide di
lasciare l’Inferno e cambiare mestiere”.
“Che succede…?”.
“Muore. O almeno credo. Ci abbiamo
provato
solo una volta noialtri della prima generazione a lasciare gli inferi.
E sai
che succede? Dobbiamo rientrarci, trascorso un determinato periodo.
Altrimenti
stiamo male, molto male. Specie tuo padre. Ecco perché torno
spesso giù di
sotto. Tu, e tutti i demoni di seconda, terza e successive generazioni,
non
avete questi problemi. Non sei stato maledetto da Dio,
perciò potresti anche decidere
di aprire un’osteria e mandare a fanculo tutto”.
“Nemmeno se io divenissi il re, lui
potrebbe andarsene dall’Inferno?”.
“Potrebbe andarsene solo se chiedesse
perdono
a Dio. Non accadrà mai! E lì torniamo al discorso
della sconfitta che abbiamo
fatto pochi istanti fa. Dinnanzi ad una sconfitta, perché
ricorda che noi
demoni siamo stati sconfitti e cacciati dal Paradiso, sì
può reagire in due
modi: distruggersi o distruggere. Puoi piagnucolare per sempre oppure
puoi
reagire e spaccare tutto, avere la tua rivincita. Il re ha creato
l’Inferno, si
è creato un regno dove è Dio. Dove comanda e dove
l’occhio divino non può
giungere. Certo, non è fra i più ospitali ma non
deve esserlo. L’Inferno è
l’immagine della rabbia che porta dentro Lucifero”.
“Ed è una cosa buona essere
così pieno di
rabbia?”.
“Mi chiedi se gli farebbe bene un periodo
di psicanalisi? Certo che sì. Ma questi non sono affari
miei. Io devo pensare a
te, giovane pupillo della famiglia reale. Vuoi fare questo
mestiere?”.
“Sì”.
“Allora impegnati!”.
L’uomo che stava tentando in quel periodo
Mefistofele era un dottore, o perlomeno si definiva tale. Aveva
studiato molti
campi e rami della conoscenza, giungendo infine alla magia nera. Keros
non ne
capiva la ragione. Il suo maestro gli aveva spiegato che
l’essere umano è
dotato di intelligenza ma che, quasi sempre, questa dote veniva
sprecata in
modo scemo. Ed in molti casi questa dote era parecchio minuscola nel
cervello
umano. Non era il caso di quel dottore tedesco, che di certo brillava
di
intelligenza ma probabilmente non aveva ben capito dove indirizzarla.
Il
giovane allievo, che trovava la lingua tedesca al pari del peggior
dialetto
degli inferi, aveva osservato il suo maestro mentre abilmente stringeva
un
patto con quell’essere. Desiderava un attimo di
felicità. Uno soltanto. Non
sembrava così difficile da accontentare. Ma, come aveva
avuto modo di spiegare
Mefistofele, gli esseri umani si dividevano in due categorie. Il primo
gruppo
si rialzava ad ogni affanno ed era facile portarlo al riso o al pianto,
provava
momenti di pura gioia e si risollevava dopo il dolore. Il secondo era
quello
composto da creature che, se fossero divenute padrone del mondo, si
sarebbero
chieste perché non possiedono pure la luna. Purtroppo quel
dottore faceva
chiaramente parte del secondo gruppo.
“Non devi avere timore” aveva
ghignato
Mefistofele “Anche se non è mai contento, ha fatto
un patto con noi. Dobbiamo
solo avere pazienza”.
Keros aveva imparato che gli esseri umani
in sostanza chiedono sempre le stesse cose: amore, fama, ricchezza,
salute,
felicità. Ed aveva anche imparato a diffidare di chi
chiedeva certi favori per
altri, perché quel loro sacrificio spesso veniva considerato
da Dio come un
atto degno del Paradiso. Per fortuna capitava raramente,
perché di base l’uomo
era stato creato egoista ed idiota. E la donna?
Già… Perché raramente le donne
stipulavano simili patti?
“Perché sono più
furbe” aveva spiegato il
maestro “E sono più complicate. Non cercano,
solitamente, fama e potere. Preferiscono
amore ed attenzioni. Ma poi sanno come fregarti. Tutti noi siamo stati
fregati
almeno una volta da una donna. Perfino il re. Non so se te ne ha
parlato”.
“Sophia? Sì, me ne ha
accennato”.
“Io gli avevo detto di lasciar perdere,
quando eravamo ancora angeli. Ma era già testardo ed
orgoglioso come ora. Adesso
organizza quei festini con le donne definite streghe ma poi gli umani
le
bruciano e Dio le accoglie in cielo perché uccise
ingiustamente. Figurati se
sul rogo una non prega per la salvezza…”.
“Però anime femminili ce ne
sono
all’Inferno”.
“Certo. Di donne stronze è
pieno il mondo.
Mai detto il contrario. Così come ci sono le demoni
tentatrici. Sono rare, ma
ci sono. Come tua madre”.
“Conoscevi mia madre?”.
“Tutti la conoscevano. E tu hai molti
tratti in comune con lei. Dovresti sfruttarli”.
Keros rimase in silenzio. Osservò il suo
maestro mentre mostrava a quel dottore nuove conoscenze e lo spingeva
oltre
ogni limite.
Un paio di volte era capitato che
incrociassero qualche angelo, che sorvegliava la situazione e cercava
di
convincere l’umano a dedicarsi al pentimento ed alla
penitenza. L’allievo aveva
imparato a non provare più timore nei loro confronti, anche
se preferiva non
stuzzicarli.
Quel pomeriggio, gli angeli avevano
tentato di seguire Mefistofele e l’umano tentato ma erano
spariti quando la
meta del demone era diventata un ritrovo di giovani fanciulle.
“Non esiste uomo in grado di resistere
allo spettacolo di una bella donna dinanzi agli occhi” aveva
ghignato il
demone.
Keros si era soffermato ad ammirare quelle
donne. Erano belle, comprendeva perché alcuni angeli fossero
caduti e divenuti
demoni perché innamorati di loro. Ed anche il tentato non
era rimasto
indifferente, pur avendo sempre quella faccia da “mi fa
schifo la vita”. Ora l’allievo
iniziava pure a comprendere perché Lucifero fosse
così irritato da certi suoi
atteggiamenti: si ripromise di essere più soddisfatto della
sua vita. Dopotutto
non aveva ragione di lamentarsi…
“Oggi è andata bene con
l’umano, no?”.
La giornata era terminata, e maestro ed
allievo ne stavano discutendo.
“Direi di sì”
sorrise Mefistofele.
“Chiedo scusa se non ho voluto agire di
persona. Domani lo farò. Lo giuro”.
“Bravo. Sarebbe
ora…”.
Keros arrossì.
“Però…”
mormorò “…ecco…”.
“Cosa c’è? Io oggi
avevo ben altri
programmi,sai? Ma non si può lasciare questi stupidi umani
da soli nemmeno per
qualche ora. Se li intercettano gli angeli, è
un’anima persa!”.
“Domani. Domani potrete dedicarvi a
ciò
che desiderate, maestro. Mi occuperò io
dell’umano. Però…”.
“Non iniziare a darmi del Voi. Mi fa
sentire vecchio. E però che cosa? Parla!”.
“Vi prego, fatemi capire. Parlatemi.
Ditemi cosa c’è di bello in me. Spiegatemi come
posso tentarlo, da solo. Cosa
c’è in me che mi rende adatto a fare il
procacciatore?”.
L’allievo aveva chinato la testa, con
fare
remissivo e di supplica.
“Vuoi che te lo dica?”
biascicò
Mefistofele, servendosi del vino.
“Sì, vi prego”.
“Benissimo. Allora, tanto per cominciare,
spogliati”.
“Che…?!”.
Keros arrossì e non rialzò la
testa, spalancando
gli occhi e continuando a fissare il pavimento.
“Spogliati” ghignò
il maestro,
afferrandogli il viso “Fallo e poi ti spiego,
ragazzino”.
Aggiornamento!!
Confesso che quel che seguirà non lo avevo inizialmente
inserito nella storia
ma una fan (lei sa chi è… ha commentato la storia
:P) mi ha fatto venire questa
idea. A presto. Prestissimo! (spero)
|
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Capitolo 14 *** caccia. parte seconda ***
14
CACCIA
PARTE SECONDA
“Perché… Perché
dovrei farlo?” balbettò
Keros, mentre Mefistofele ghignava divertito.
“E perché no? Obbedisci,
allievo”.
“Ma che senso ha?”.
“Devi imparare ad avere fiducia in te,
no?
Se riuscirai a fare quel che ti dico, non avrai più paura di
nulla. Avanti.
Spogliati!”.
Il giovane rimase immobile per qualche
tempo, perplesso. Mefistofele sedette, con una risatina divertita. Si
trovavano
in una stanzetta buia, illuminata solo da poche candele, nel mondo
umano.
Accanto alla finestra, un semplice tavolo in legno e due sedie, una
delle quali
stava utilizzando il maestro. Dal lato opposto, un letto che
solitamente usa
solo Keros, perché Mefistofele rientrava
all’Inferno quando era stanco. Non vi
era molto altro, ma per il lavoro che dovevano svolgere era
più che
sufficiente.
“Non capisco…”
mormorò Keros.
“Non devi capire. Devi
obbedire”.
Il giovane allievo comprese di non avere
alternativa ed iniziò a togliere le vesti che lo coprivano.
“Sei parente di Ramsete?”
commentò
Mefistofele, notando le bende che celavano i tatuaggi su buona parte
del corpo
del ragazzo.
“No. Non sono una mummia” si
sentì
rispondere, con tono infastidito.
“E allora perché quelle bende?
Hai forse
cicatrici di cui ti vergogni? Tranquillo, tutti i demoni ne hanno. Ho
detto che
devi spogliarti. Completamente!”.
“Ma…”.
L’apprendista procacciatore
d’anime non si
mosse.
“Che c’è?”
stuzzicò il maestro “Hai ancora
il cazzetto da moccioso? Dalla tua voce altalenante, devo dedurre che
l’adolescenza è in corso. Per caso certe cose non
sono ancora cresciute?”.
“Sono cresciute benissimo”
furono le
parole, infastidite, di Keros.
“Allora spicciati. Voglio averti nudo
davanti a me. Fallo, o ti spoglio io”.
Il principe si arrese e si spogliò
completamente, svelando anche tutti i tatuaggi.
“Comprendo la tua riluttanza”
si fece
serio il maestro, passando con lo sguardo ogni singolo centimetro del
suo
allievo “Quei disegni sono davvero strani. Meglio coprirli
dinnanzi a chi non
conosci. E davanti agli umani, che non sono abituati a simili
cose”.
“Bene… Posso
rivestirmi?”.
“Certo che no. Abbiamo appena iniziato!
Ora guardami negli occhi e fingi che io sia un umano di cui vuoi
l’anima.
Convincimi. Fammi capire che tu possiedi quel che desidero”.
“Però… io non so che
cosa desiderate!”.
“Non lo sai nemmeno quando incontri un
umano per la prima volta. Ma ai suoi occhi devi risultare sicuro ed
allettante.
Devi tentarlo, convincerlo che ha un assoluto bisogno di te.
Convincerlo che tu
possiedi tutto ciò che al mondo brama”.
“Ma…”.
“Piantala! Smettila di ribattere e
cianciare”.
“Ma perché devo farlo
nudo?!”.
“Già te l’ho detto:
se riuscirai ad essere
convincente così, nudo e vulnerabile, qualsiasi altra
situazione sarà una
passeggiata”.
“Per me siete solo un
pervertito”.
Mefistofele rise, mormorando un “non hai
ancora la minima idea di chi hai davanti”.
L’allievo capì che era meglio
obbedire.
Prima finiva quella “prova”, e prima poteva tornare
a rivestirsi. Chiuse gli
occhi. Quando li riaprì, brillavano leggermente.
“Bravo. Usa il tuo potere”
ghignò
compiaciuto il maestro “Non tentennare. Sguardo fiero, spalle
dritte e
sicurezza. Secondo te un umano firma un contratto con un demone
esitante? Deve
essere assolutamente certo di dare la sua anima a chi saprà
accontentarlo al
cento per cento”.
Keros annuì. Prese un respiro,
accentuando
ancora di più la luce negli occhi, e infine sorrise.
Mefistofele sedeva su una
sedia e rispose a quel sorriso, curioso di vedere come
l’allievo avrebbe
tentato di conquistare la sua anima. Il giovane camminò,
senza distogliere lo
sguardo dal volto di chi aveva di fronte. Doveva sembrare sicuro di
sé ed allo
stesso tempo doveva tentare la sua vittima. Subito pensò al
demone che lo aveva
cresciuto. Lucifero riusciva sempre ad ottenere quel che voleva, con o
senza i
vestiti addosso. Scostò dal viso un ciuffo di capelli rossi,
con fare
civettuolo, e si avvicinò a Mefistofele.
“Convincimi che possiedi tutto
ciò che mi
serve” lo incalzò ancora il maestro.
Il giovane sfoggiò il suo sorriso
più
convincente e raggiunse la sedia del suo precettore. Si
lasciò osservare, camminò
lentamente attorno a Mefistofele. Le sue movenze erano delicate. Il
pavimento
sotto i suoi piedi non emetteva un solo suono, nonostante fosse vecchio
e
logoro, scricchiolante con un nonnulla. Dopo essersi fatto ammirare,
Keros si
chinò.
“Io ho tutto ciò che
desideri” sussurrò
all’orecchio del maestro, lasciando che una mano scivolasse
sulla pelle di chi
voleva tentare.
“Sei come tua madre” si
sentì dire, mentre
Mefistofele lo afferrava per i polsi e lo tirava a sé
“Davvero hai tutto ciò
che desidero? Sei disposto a darmelo?”.
“Ogni cosa ha un
prezzo…”.
“Ed il tuo quale sarebbe?”.
L’allievo rimase in silenzio, concedendo
al maestro di osservarlo più da vicino e sentirne il profumo
della pelle. Rimase
in silenzio, a riflettere, e poi rispose.
“Sangue” disse.
“Sangue?” chiese conferma
Mefistofele.
“Voglio bere il tuo sangue. Siete un
demone, non avete un’anima. Ma il sangue è
più importante. Il sangue è ciò che
voglio”.
“Sei sicuro di riuscire a
gestirlo?”.
Maestro ed allievo rimasero in silenzio a
fissarsi, con gli occhi di Keros che si facevano sempre più
luminosi.
“Ho capito…”
ghignò il demone, porgendo il
polso al giovane principe “…dai… Te lo
sei meritato”.
Questi fissò il punto in cui avrebbe
voluto affondare i canini e rimase immobile.
“Che ti prende? Non hai più
fame?” chiese
Mefistofele, avvicinando il braccio al ragazzo.
Keros aveva appetito, bramava quel sangue.
Però era consapevole delle conseguenze che comportava il
contatto con il potere
che non poteva gestire. Un tempo Lucifero gli concedeva qualche goccia
di
sangue ma non da saziarlo ed a volte poi gli provocava malessere e
dolori. Senza
contare il dettaglio della perdita d’inibizioni che non
sapeva del tutto
controllare…
Da quando aveva imparato a cibarsi
autonomamente, e raramente aveva morso dei demoni, se non a livello
inferiore e
quindi innocui. Il maestro probabilmente intuiva il pensiero
dell’allievo, ma
continuò ad incitarlo.
“Perché non ti credi
all’altezza?” gli
disse, afferrandone il viso con due dita.
“Io… non…”
farfugliò Keros, infastidito.
“Sei un magnifico tentatore. Hai un
notevole potere. Usalo. Nella vita potrai ottenere ciò che
vuoi, per come sei.
Certo… Devi avere il coraggio di
prendertelo…”.
Il ragazzo si sentì lusingato a quelle
parole, anche se sospettava fosse tutto un trucco. Ma lasciò
perdere ogni
pensiero ed affondò i denti nel polso del suo maestro.
Subito il sangue caldo
gli riempì la bocca e scese lungo la gola. Ne
percepì il potere, e si sentì
carico di energia. Lasciò che il proprio sguardo di
illuminasse e che la sete
si placasse. Poi riprese fiato e ghignò, con un rigolo di
sangue che ne bagnava
le labbra e parte del viso. Elegantemente, si ripulì con il
dorso dell’indice.
Mefistofele rimase in silenzio ad osservarlo, tirandolo poi di nuovo a
sé.
“Ed ora?” sussurrò
all’orecchio “Il
pagamento lo hai avuto, tocca a me”.
Keros, intontito dalla nuova forza che gli
scorreva in corpo, dapprima si lascò afferrare e poi rise.
“Lo dicevo io che siete un vecchio
pervertito” furono le sue parole, divertite.
“Ma che hai capito?! Quel che voglio
è che
ti occupi per un giorno del mio umano, come si era detto
all’inizio di tutta
questa conversazione”.
“Come il mio maestro desidera”
sorrise in
modo strano l’allievo, inebriato.
“Anche se…”.
Il principe si sentì trascinare di nuovo
per i polsi fino ad avere il respiro del suo maestro sul collo.
“…ho sempre sognato di farmi
tua madre…”.
Keros la trovò leggermente inquietante
come frase ma lasciò che chi l’aveva pronunciata
gli accarezzasse i capelli e
la schiena.
“Ora meglio che vada” si
fermò Mefistofele
“Ho delle simpatiche fanciulle che mi attendono questa sera.
Non vorrei fare
brutta figura… Non so se mi spiego”.
Il principe si lasciò sfuggire una
smorfia
divertita.
“Occupati tu dell’umano
finché non torno”
concluse il maestro, indossando l’elegante mantella
“E rivestiti, ovviamente.
Oggi hai imparato un’importante lezione”.
L’allievo annuì.
D’un tratto si sentiva
molto più sicuro di sé e delle sua
capacità. Si ricompose, riproponendosi di
sfogare l’estasi per il pasto più tardi, ed
uscì a controllare la preda.
Il dottore era stupito nel vedere
l’allievo
e non il maestro varcare la soglia della propria casa e dello studio.
Era affamato
di conoscenza, voleva porre ogni tipo di domanda, ma non sapeva se quel
giovane
poteva soddisfarlo. E poi nella mente continuava a tormentarlo un
pensiero.
“Voi avete una famiglia?” ebbe
poi l’idea
di chiedere “Voi demoni avete mogli e figli?”.
“Il matrimonio è sacro a
Dio” lo derise
Keros “Certo che no. I demoni non si sposano. Però
possono avere una o più compagne
fisse, se lo desiderano”.
“Ed i figli?”.
“Che vuoi sapere? Se ci riproduciamo come
voialtri? Certo, facciamo figli. Sostanzialmente con chi
capita”.
“E voi ne avete?”.
“No. Per due ragioni. Uno: sono giovane.
Due:
odio i bambini”.
“Anche io lo dicevo da giovane.
Però poi…”.
“Sì,
sì… credici. Perché formuli una
domanda simile?”.
“Perché il mio desiderio
è conquistare il
cuore di una fanciulla”.
“Pensavo volessi la
conoscenza!”.
“Sì. Anche.
Però…”.
“Capisco… E la fanciulla sai
chi sia o
ancora aspetti?”.
“So chi sia. Ma non so se un demone
può
spingere all’amore…”.
“Può spingere alla lussuria.
Che è ciò che
realmente vuoi”.
Il dottore rimase in silenzio qualche
istante. Poi sorrise.
“Siete mai stato innamorato?”
incalzò.
“Lasciamo perdere…”
tagliò corto il principe.
“L’amore dei giovani. Mera
illusione o
vera luce che muove il mondo?”.
“Ok…” storse il
naso, perplesso, Keros “Che
devo fare? Vuoi il coraggio per dichiararti o la forza per distruggere
un
concorrente?”.
“No… io… in
realtà… Vorrei che qualcuno le
parlasse di me. Lei crede che io sia un pazzo, penso abbia paura di
me”.
“Avrebbe forse torto? Hai evocato un
demone e ti diverti con la magia nera”.
“Lo so. Vorrei che qualcuno la
convincesse
che sono un buon partito. Così che io possa dopo avvicinarmi
senza incutere timore.
Ecco… Credo che questo sia un incarico adatto a voi. Non
avete l’aria
minacciosa, come il vostro maestro”.
L’apprendista tentatore pensò
che fosse la
richiesta più stupida del mondo. Poi udì il suono
delle campane del paese, che
chiamavano in chiesa per i vespri.
“Bene…”
parlò, con calma, sistemandosi un
guanto “…meglio che mi affretti. La fanciulla
starà per entrare in chiesa. Qual
è il suo nome?”.
“Ma… Voi siete un demone! I
demoni entrano
in chiesa?”.
“Io sono speciale. Lo
vedrai…”.
Sul viso del mezzodemone comparve un
ghigno che l’umano non riuscì ad interpretare. Ma
capì che la sua richiesta
sarebbe stata esaudita. E quindi espresse tutta la sua riconoscenza.
“Vi ringrazio!”
esclamò, con un mezzo
inchino “L’avete già incontrata.
Più volte mi sono avvicinato senza avere il
coraggio di dichiararmi. È la giovane dai capelli
d’oro che lavava i panni al
fiume. Lei si chiama Margherita. E voi? Qual è il vostro
nome?”.
“Puoi chiamarmi come ti pare. Il mio nome
appartiene a me”.
Dando le spalle al dottore, Keros lasciò
quella casa angusta e piena di odori nauseanti, dovuti agli ingredienti
che il
dottore usava per i suoi intrugli, e si incamminò verso la
chiesa. Pensò a
quanto fossero irritanti gli umani e la loro fissa di conoscere i nomi
di
tutti. Il nome di un demone era sacro, non doveva mai essere rivelato
all’essere
umano, o si rischiava. Se la preda lo avesse usato in un esorcismo, per
il demone
avrebbe significato sconfitta certa. Così, quando si
ritrovò al cospetto di
quella Margherita, si presentò con un nome falso. Riconobbe
subito la fanciulla
in questione. Per Keros rientrava nel normale standard umano: niente di
speciale. Ma per gli uomini del paese era una delle più
belle.
La ragazza fu subito piuttosto diffidente,
ma il notare che lo straniero era giunto fino in chiesa un
po’ calmò i suoi
sospetti. Keros incrociò il suo sguardo azzurro e,
sfruttando i proprio poteri,
spinse la donna a parlargli.
“Mai mi sarei aspettata di vedervi
qui”
ammise Margherita.
Vestita in modo molto elegante, con un
lungo abito color pastello, portava dei fiori fra i capelli
intrecciati. Di tutto
questo, il principe notò solo il fatto che il collo di lei
era imprudentemente
scoperto.
“Come mai vi stupisce la mia presenza,
madame?” mormorò, mentre entrambi attendevano
l’inizio della messa nel piccolo
cortile della chiesa.
“Corrono voci. Su di voi e sul
vostro… maestro?
Ma se entrate qui, è evidente che siano infondate. Anche se
fin ora non vi ho
mai visto in questo luogo sacro”.
“Purtroppo il mio maestro mi tiene molto
impegnato”.
“Ma la messa è un obbligo per
un uomo per
bene!”.
“Di fatti sono qui…”.
Margherita non sembrava convinta, ma il
potere di Keros la spingeva a restare accanto a quello sconosciuto.
“Cosa vi ha spinti in questa
cittadina?”
chiese, vinta dalla curiosità.
“Il mio maestro ed il dottore stanno
svolgendo importanti ricerche assieme”.
“Dicono che usi la magia
nera…”.
“Che assurdità. Voci messe in
giro da chi
di scienza non capisce nemmeno le basi”.
“E allora perché il dottore
non si vede più
in chiesa?”.
“Voi andreste fra gente che vi crede una
specie di servo di Satana? Vorrebbe almeno una voce amica, fra decine
di
calunnie”.
“Calunnie?”.
“Sembro forse uno che pratica magia nera?
O
che tollero il suo utilizzo dinnanzi agli occhi?”.
“No…” ammise lei,
dopo un attimo di
silenzio “Voi… siete un nobile, vero?”.
“Sì, e voi siete una fanciulla
estremamente attenta ed intelligente. Nonché devota e pia
donna di fede. Un
giorno sarete una bellissima e ideale sposa”.
Margherita arrossì.
“Sono certo…”
continuò il principe “…che
una dama come voi ha molti pretendenti e vostro padre è in
cerca di quello più
appropriato”.
“Sono certa che anche per voi
è lo stesso”
sorrise lei, ancora rossa in viso “Chissà quante
nobildonne aspirano a divenire
la vostra consorte”.
“Spero di no. Almeno la mia donna, vorrei
sceglierla senza l’intromissione della famiglia… un
giorno”.
“Anche voi sperate in un matrimonio
d’amore?”.
“Per voi è
così?”.
La ragazza annuì. E si udì
l’ultima
campana, quella che indicava il prossimo inizio della messa. Keros
porse il
braccio alla donna, invitandola ad entrare. Lei, dopo essersi fatta il
segno
della croce con l’acqua santa, lo osservò fare
altrettanto. Poi presero posto
ed iniziò la cerimonia. Keros si guardava attorno con
discrezione. Imitava quel
che Margherita faceva ed ascoltava i canti stonati delle persone. La
chiesa era
piccola ma era presente praticamente l’intero paese, e molti
erano curiosi di
sapere chi fosse quel giovane straniero. Keros però non
diede modo alla folla
di scoprire molto. Si offrì di riaccompagnare la ragazza a
casa, visto che nel
frattempo era sceso il buio.
“Continuo a chiedermi come mai un
gentiluomo come voi si accompagni a quello strano individuo”
riprese lei, camminando
piano.
“Intendete il mio maestro?”.
“Le scelte di famiglia spesso non si
comprendono”.
“Non dovete temere il mio maestro.
È stravagante
ma non vuole la vostra anima” ghignò Keros,
notando gli sguardi incuriosito di
alcuni passanti.
“Siete una persona piacevole. Non lo
avrei
mai detto…”.
“Visto? Le prime impressioni, a
volte… Per
non parlare delle malelingue!”.
“Capisco. Cercherò di non
ascoltare. E farò
notare a tutti che siete entrato in chiesa ed avete pregato accanto a
me. Un
uomo malvagio non farebbe mai una cosa simile, giusto?”.
“Giusto. E ora, giunti alla vostra
dimora,
vi auguro la buonanotte cercando di straparvi una promessa”.
“Dite…”.
“Promettetemi che non darete troppo peso
ai pettegolezzi. Il dottore è un uomo per bene. Un uomo
intelligente, di
scienza. Ricco e generoso. Ed in cerca di una donna come voi. Una donna
capace,
sveglia. E con un cuore buono”.
“Come sapete che ho un cuore
buono?”.
“Volete forse negarlo?”.
“E voi? Che cosa cercate?”.
Keros non rispose. Salutò Margherita con
un baciamano ed augurò la buonanotte. La ragazza,
leggermente stordita dal
potere del mezzodemone, rientrò in casa. E sorrise
all’idea che il dottore si
dichiarasse.
Per quello che aveva fatto quel giorno, il
principe ricevette le lodi del suo maestro. L’anima
dell’umano era ormai nelle
loro mani e, quando finalmente l’ebbero condotta agli inferi,
Mefistofele
invitò l’allievo a festeggiare. Non
passò molto tempo prima che il giovane
fosse in grado di procurarsi da solo un’anima, da portare al
re.
Lucifero era sempre più fiero di lui,
anche se con il passare del tempo le preoccupazioni iniziavano a farsi
sentire.
Entrare in chiesa non rientrava fra le capacità da demone.
Però il sorriso
orgoglioso che mostrò quando portò la prima anima
all’Inferno lo convinse che
probabilmente era quello il suo destino. Finalmente era il principe che
meritava di essere. Era sicuro di sé, curioso, entusiasta e,
soprattutto, con
un potere invidiabile. E rapidamente si stava avvicinando al compleanno
numero
mille…
p.s.
il “dottore” è ovviamente Faust e la
storia è quella di Marlowne (in cui l’anima
di Faust finisce all’inferno, a differenza della versione di
Goethe).
p.p.s.
visto che mi sono già giunti messaggi strani a riguardo, non
penso che la donna
ideale sia quella descritta nel capitolo. Ma era l’ideale
dell’epoca.
A
presto!
|
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Capitolo 15 *** Verità -parte prima- ***
15
VERITÁ
Keros in quel momento provava molta
rabbia. Sapeva che sbattersi per l’ennesima volta
quell’umana non avrebbe in alcun
modo giovato al suo umore. Stupida, stupida umana. Voleva gridarle in
faccia
che era una creatura insulsa ed idiota, inutile come tutti gli altri
della sua
specie. Voleva urlarle che aveva pure un pessimo sapore, che la sua
anima era
scialba e priva di bellezza. Ma alla fine era rimasto in silenzio, con
i
pensieri altrove. “Dopotutto” si disse
“Se penso troppo alla stupidità di
questa femmina, mi si ammoscia”. La ragazza invece, figlia di
un pastore
protestante, era in estasi e non faceva altro che lanciare gemiti di
piacere.
Keros trattenne un ringhio. Ripensò alla giornata appena
trascorsa, al lungo
abito regale che aveva indossato ed alla cerimonia dei mille anni. Come
da
tradizione, tutti i giovani che giungevano a
quell’età, alla maggiore età,
dovevano giurare fedeltà al regno ed il re li incoraggiava a
seguire i propri
sogni per mostrare a tutti il massimo delle capacità
possibili.
La giornata era iniziata con un regalo. Oltre
alla sontuosa veste nera, con ricami, mantello e motivi color del
sangue, il re
aveva regalato al suo pupillo un’elegante spada. Con
l’elsa in oro, e la lama
con dettagli dello stesso colore, quell’arma era un autentico
gioiello
d’artigianato e Keros se ne innamorò
immediatamente. La indossò con orgoglio,
sfilando assieme agli altri della sua età. Non erano in
molti, Lucifero li
esaminò e diede ad ognuno consigli preziosi. Poi
iniziò il cerimoniale del
giuramento, al termine del quale il sovrano degli Inferi li aveva
congedati,
permettendo ai ragazzi di andare a festeggiare. E lì era
iniziato il disappunto
di Keros. In ogni istante, il principe aveva creduto che quello sarebbe
stato
il giorno in cui sarebbe stato proclamato l’erede legittimo,
dinnanzi a tutto
il regno. Ma il re non ne aveva fatto parola e così il
giovane, non più in vena
di festeggiare, se ne era tornato nel mondo umano. Lì, ad
accoglierlo, quella
stolta femmina che ora si stava fottendo.
Aveva deciso di sfogare la propria rabbia
su quell’umana e quindi l’aveva presa con forza,
stanco di vederla elemosinare
membri maschili per il paese, colta da un’improvvisa voglia.
Keros comprese che
il potere del proprio sguardo demoniaco era amplificato, ora che era
furioso, e
la ragazza non era in grado di trattenere gli istinti. E per questo,
già in
parte irretita dal principe che bramava la sua anima, aveva perso ogni
freno.
La villa era deserta, era uno dei tanti
luoghi in cui i demoni passavano i periodi nel mondo umano. Era
splendida,
raffinata, Keros aveva preteso che fosse degna di un principe. Ma
all’umana non
importava nulla degli arredi e dello sfarzo. Urlava frasi ben poco
adatte alla
figlia di un pastore, mentre lui tentava invano di farla tacere. Si
fece più
violento, cosa per lui inusuale in certe circostanze.
“La mia anima” gemette lei
“La mia anima è
vostra”.
“Ovvio” si stizzì
Keros “Io sono un
demone. Pensi forse che in Paradiso accolgano una succhia uccelli
demoniaci
come te?”.
La ragazza si scompose qualche istante a
quelle frasi ma poi i movimenti vigorosi del principe avvolsero i suoi
sensi. Gridò,
dapprima di puro piacere e poi di dolore. Keros, giunto al culmine del
fastidio, aveva affondato i denti nel collo di lei. Quello
sì che dava
soddisfazione! L’atto sessuale con una semplice umana non
permetteva ad uno
della sua razza di raggiungere l’apice del piacere ma il
sangue, che colava
lungo la gola e sul petto, sì. Morse con forza, ignorando il
fatto che l’umana
lo supplicasse di smettere. Continuò fino a quando non lo
travolse l’estasi ed
allora lasciò la presa, concedendosi un gemito di
soddisfazione. Poi ghignò
alla ragazza, scostandole i capelli dal viso.
“Attenderò la tua anima
all’Inferno” le
sussurrò “Ho un sacco di amici che non vedono
l’ora di conoscerti. In ogni modo
possibile”.
La fanciulla non rispose. Era morta e
Keros lo sapeva benissimo. Ora la trovava molto più bella.
Lasciando l’umana al piano superiore, a
letto, il principe scese le scale e si diresse verso il salone
principale. Lì,
qualche giorno prima, aveva dato una grande festa in maschera ed ancora
percepiva i profumi dei diversi invitati, fra sangue e anime. Un grande
lampadario a gocce di cristallo pendeva dal soffitto, con le candele
spente. I
pavimenti erano in marmo bicromato e sulle pareti, fra archi e stucchi
chiari,
erano appesi dei ritratti con cornici in oro. Keros sedette su una
poltrona
dello stesso colore dei suoi capelli. Da lontano, essa sembrava
decorata con
motivi floreali ma, avvicinandosi, si poteva notare che il legno con
lamina
d’oro era sbalzato con scene di battaglia e nudi. Versandosi
del vino, guardò
fuori dalla finestra, da dove si vedeva il grande giardino della
proprietà. Era
distratto ma percepì l’arrivo del re. Come ogni
dimora di stallo per demoni,
anche quella aveva al suo interno un portale che conduceva direttamente
all’Inferno, celato in una della tante stanze. I due si
fissarono in silenzio.
Erano entrambi vestiti con abiti tipici del periodo, il 1700, con
prevalenza di
colore scuro. Lucifero, con un mezzo sorriso, chiese di
poter aver del vino. Il principe lo servì, in
una coppa d’argento, senza parlare. I tacchetti delle scarpe
di entrambi
rimbombavano nella sala. Poi il grande orologio a pendolo
comunicò la
mezzanotte.
“Bella casa” esordì
il re, dopo qualche
apprezzamento al vino.
“Tanto fra poco dovrò
spostarmi” rispose
Keros “Sono qui da una decina di anni. Ho già
ottenuto cinque anime e la gente
inizia a chiedersi per quale motivo non invecchi”.
“Già. Gli umani e la loro
inutile vita…”.
“Già…”.
“Mi aspettavo di vederti festeggiare con
gli altri della tua età” riprese Lucifero, dopo
qualche istante di silenzio.
“Non ero in vena” ammise il
principe,
arricciando il naso come era solito fare quando era infastidito.
“E mi è concesso sapere il
perché?”.
“Tu che dici?”.
“Keros… Tu non eri in vena di
fare festa ed
io non sono in vena di perdere tempo con giochetti da
bambini”.
“È che… È
da tutta una vita che non fai che
ripetermi che io sono il tuo erede. Lo ripetevi sempre quando ero
insicuro e
non ne ero affatto convinto. Ti ho chiesto di darmi del tempo per
esserne degno
e si era concordato che il giorno della cerimonia dei mille anni
avresti
comunicato a tutti la notizia. Dove ho sbagliato? Cosa ho fatto o non
ho fatto?
Non sei soddisfatto di me? Non ho raggiunto gli obbiettivi che
speravi?”.
“Tutt’altro. Io sono fiero di
te e ti considero
mio degno erede”.
“E allora perché?”.
“La verità?
Be’… Quando sono entrato nelle
tue stanze, poco prima dell’inizio della cerimonia, ti ho
visto in modo
diverso. Con quegli abiti, il lungo strascico rosso, i capelli sciolti,
la
spada al fianco e lo sguardo serio… Mi hai ricordato tuo
padre”.
“Mio padre?!”.
“Sì. Gli somigli. E questo mi
ha fatto
riflettere”.
“Perché? Non vuoi sangue
bastardo come
erede? Ne abbiamo già parlato altre volte, no? Tu sei mio
padre, tu mi hai
cresciuto. A me non interessa sapere altro. Qual è il
problema?”.
“Il problema…”
sospirò il re, abbozzando
un mezzo sorriso dopo l’ennesimo sorso di vino
“…è che io voglio che tu sappia
altro. Perché dichiararti principe ereditario comporta il
fatto che tu rimanga
per sempre legato all’Inferno, cosa che potresti
evitare”.
“In che senso? Io sono un demone, non
posso non essere legato all’Inferno!”.
“Sei un demone, certo. Ma non del
tutto”.
Keros alzò un sopracciglio, distogliendo
la
sua attenzione dal panorama esterno.
“Tu per me sei la più preziosa
delle
creature” riprese Lucifero “Ricordo ancora quando
mi prendevo cura di te. Quando
ti leggevo le favole, ricordi?”.
“Certo. Con i commenti inopportuni al
riguardo. Tipo dare del coglione al principe. Ma questo cosa ha a che
fare con…”.
“Ricordo quando hai capito che potevi
allontanare i miei incubi. Ricordo quando ti provavi i miei vestiti,
ancora
troppo grandi. Ricordo quando mi cercavi per un abbraccio o per del
cibo. Ricordo
tutte le cose divertenti che abbiamo fatto insieme e quasi non mi
capacito. Sei
un uomo, adesso. E non mi pare vero. E probabilmente avrei dovuto dirti
la
verità tanto tempo fa, ignorando il fatto che tu non la
volessi sapere”.
“Papà… Basta con
questi discorsi assurdi! Io…”.
“Keros… Tuo padre è
un angelo”.
Lucifero pronunciò l’ultima
frase tutta d’un
fiato e Keros si zittì. Si fissarono, qualche istante, e poi
il principe
scoppiò a ridere. Il re non capì quella reazione
ed inclinò la testa.
“Bello scherzo” rise Keros
“Per un attimo
c’ero cascato. Divertente”.
“Scherzo?”.
“Ovvio. Gli angeli non fanno certe
cose”.
“E dove sta scritto?”.
“Nella Bibbia?
Credo…”.
“In realtà la seconda caduta,
quella
narrata nel libro di Enoch, parla proprio di angeli che si sono
congiunti con
delle donne”.
“Non usare questi termini da finto
chierichetto.
La conosco la storia. Agli angeli è andato in tiro vedendo
qualche umana e ci
hanno fatto sesso. Generando i Nephilim, i giganti”.
“Alcuni di essi si erano innamorati,
avevano creato una famiglia. Ma a Dio non è piaciuto, e
questi angeli sono
stati cacciati e tramutati in demoni”.
“Lo so. Per questo so che quel che hai
detto prima è uno scherzo. Gli angeli non si accoppiano.
Altrimenti diventano
demoni”.
“Credo che in questo caso sia stata fatta
un’eccezione”.
Altro silenzio. Questa volta Keros non
rise.
“Rifletti…” prese di
nuovo la parola
Lucifero “…tu puoi entrare in chiesa,
tranquillamente. Gli esorcismi ti
provocano solo un lieve fastidio. Sei in grado di versare lacrime. Vedi
il colore
delle anime. Provi empatia. Ed i segni che porti sul
corpo…”.
“Ok… Ho
capito…”.
“Mi ‘spiace non avertene
parlato prima. Forse…”.
“Oh, no. Meno male che non lo hai fatto.
Ho
passato molti secoli convinto di non essere un degno demone. Se avessi
saputo
di esserlo sono in parte… non so che avrei fatto”.
“Volevo che lo sapessi. Volevo che tu
fossi consapevole del fatto che, se decidessi di vivere nel mondo
umano,
potresti farlo. E potresti andare perfino in cielo”.
“Ma un
attimo… Perché mi hai allevato? Non hai
provato il desiderio di uccidermi?”.
“No, mai. Sei il figlio di mio fratello.
Ti
ho sempre visto come una specie di… regalo del fato. Io non
potevo avere figli
e, per legge divina, nemmeno mio fratello. Eppure, in questo modo,
tutto in un
certo senso si è sistemato”.
“E l’angelo… sa di
me?”.
“No. Ho cancellato la sua memoria.
Sinceramene,
non lo volevo all’Inferno e sapevo che, consapevole del
peccato commesso,
sarebbe corso a confessarsi alle alte sfere e sarebbe stato punito. Ho
preferito fare in modo che dimenticasse. Ho pensato che fosse meglio
per tutti”.
“Quindi tu sai che angelo è,
giusto? Cioè... non
sai solamente che è un angelo ma sai anche di che angelo si
tratta”.
“Sì”.
“Una volta mi hai detto che io ho
incontrato mio padre. È davvero così?”.
“Non ti ho mai mentito”.
Keros tornò a distogliere lo sguardo.
Fuori
il cielo si stava annuvolando, ormai erano coperte quasi tutte le
stelle. Ripensò
alle creature angeliche che aveva incontrato nella sua vita e
cercò di cogliere
delle somiglianze. Remiel? Camael? Ancora conservava la piuma di
Remiel, da
quando era una bambino. Lungo la sua strada ne aveva incrociati tanti,
fra
vigilanti, custodi, arcangeli… Pensò alle loro
capacità, a quel che lui era in
grado di fare. Vedeva il colore delle anime, la loro purezza. Era in
grado di
giudicarle, sapeva a quale di esse spettava l’Inferno. Poi
c’era il fuoco… Sua
madre non era demone di fuoco. E, come il lampo che illuminò
di colpo il cielo,
un’idea gli balzò alla mente. Si volto verso
Lucifero, rimasto seduto.
“Lo hai capito?”
domandò il re.
“Non può essere lui”
mormorò Keros “Io… No,
non è possibile”.
“Perché?”.
“Mihael…”.
Seguì un
altro lampo e poi un tuono. Non sentendosi molto a suo
agio, il re mosse
la coda con fastidio. Odiava i temporali, gli ricordavano il fulmine
con cui
era stato cacciato dal Paradiso.
“Fra noi non cambia nulla” si
affrettò a
dire, alzandosi “Tu resti sempre il mio piccolo e, se ne sei
convinto, sarò più
che lieto di comunicare a tutti che sei il mio erede
legittimo”.
“Ma gli altri come la prenderebbero la
cosa? Intendo dire... Sono il figlio dell’ammazza demoni. Del
più odiato dell’Inferno”.
“No, tu sei figlio mio. Lo hai detto tu,
diverse volte. E continuerà ad essere così. Solo
volevo che tu sapessi che, se
non ti senti a tuo agio all’Inferno, sei libero di agire come
preferisci”.
“Ho capito…”.
Il giovane annuì, sentendo cadere le
prime
gocce di pioggia.
“Io ora, perdonami, devo andare. I
temporali
mi fanno saltare i nervi. Vieni con me?”.
“Ti raggiungo fra un
po’…” scosse la testa
Keros “Ho un cadavere al piano di sopra, ricordi?”.
“Giusto. Ma non scappa da lì,
no?”.
“Preferisco sistemare le cose per ordine.
L’anima,
invece, dovrebbe essere già arrivata di sotto”.
“Sarò lieto di collocarla al
giusto posto”.
Lucifero incrociò lo sguardo del
principe.
Non aveva l’aria particolarmente turbata. Chiese un paio di
volte se poteva
andare, se stesse bene, e Keros lo incitò a tornare a casa.
“Sistemo l’umana e vengo
giù” lo
rassicurò.
“Sarò lieto di rispondere ad
ogni tua
domanda” assicurò il re “Di qualsiasi
tipo. Immagino che…”.
“Non voglio sapere alcunché.
Lo hai detto
prima, giusto? Fra noi non cambia nulla”.
“Sicuro?”.
“Sì…”.
Lucifero fece per insistere ma l’ennesimo
tuono lo convinse a lasciare il mondo umano.
Non appena percepì lo svanire della
presenza del re, Keros cambiò decisamente atteggiamento. Si
sentì sopraffare da
un attacco di panico e quasi svenne. Non riusciva a pensare a niente se
non a
bestemmie. Camminò su e giù lungo il salone,
ripetendosi che era solo uno
strano sogno e che doveva dimenticare quella notte. Era quasi riuscito
a convincersi,
con respiri profondi. Si concentrò su altro, come ad esempio
il fatto che aveva
un cadavere in camera. Di mangiarselo non ci pensava nemmeno,
quell’umana non
aveva per niente un buon sapore. Così, sbuffando, la avvolse
nel lenzuolo. Avrebbe
scavato un buco nel giardino, tanto chi poteva mai venire a
controllare?
“Io… Un mezzo
angelo…” rise, nervosamente “Ma
scherziamo? Io, che uccido la gente, la tento e ne rubo
l’anima. Ma per favore…”.
Spalancò la finestra, con
l’intento di
buttare il fagotto con il cadavere dalla terrazza, per evitare lo
sforzo delle
scale con quel peso fastidioso. Fuori pioveva forte. Ci fu un altro
lampo.
“Ma vai a cagare…”
imprecò, rivolto al
cielo “Come se l’incazzato dovessi essere
tu!”.
Gli rispose un tuono. Con il fagotto sulla
spalla, si apprestò a lanciarlo quando notò di
essere osservato. Un arcangelo “familiare”
lo fissava. Sul volto, avevano la stessa espressione mista fra stupore
ed
orrore.
“Ave…” non
trovò altro da dire Keros. E
Mihael arricciò il naso.
Rieccomi!
Spero di riuscire ad aggiornare presto
|
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Capitolo 16 *** Verità -parte seconda- ***
16
VERITÁ
Parte
seconda
“Ave” salutò Keros,
con lo sguardo rivolto
verso l’Arcangelo, che fluttuava sulla sua testa.
Pioveva e non trovò altro da dire.
Mihael
a sua volta rimase in silenzio. Poi si decise a parlare, indicando il
fagotto
con il cadavere.
“Empio demone!” si
accigliò “Hai ucciso
un’innocente”.
“Innocente…”
ridacchiò Keros, avvicinandosi
al bordo della terrazza.
“Non osare profanare un corpo umano in
questo modo!”.
“Sapessi in quanti altri modi
è stato profanato…”
borbottò piano il principe, poi rivolgendo un semplice
sguardo all’Arcangelo e
poggiando il cadavere in terra.
“Dovevo ucciderti quando eri un bambino.
Avrei salvato delle vite” proseguì Mihael.
“Può
darsi…”.
“Credi forse di prendermi in giro,
immonda
creatura?”.
“No. Ma avrei da fare. Non ti si bagnano
le penne sotto la pioggia?”.
Keros era decisamente infastidito. Aveva
sempre odiato quell’Arcangelo ed ora, osservandolo, lo
trovava doppiamente
irritante. E le parole di Lucifero lo facevano rabbrividire.
“Quale orrendo
sotterfugio…”.
Mihael scese e poggiò i piedi sulla
terrazza. Si udì il clangore dell’armatura che
indossava. Nonostante la
pioggia, quella creatura angelica era perfetta. Non un capello fuori
posto, non
una sola penna umida. E con il lungo mantello rosso che pareva mosso
dal vento.
Keros, al contrario, era bagnato fradicio. Sperava di riuscire almeno a
rientrare in casa, ma l’Arcangelo si era piazzato davanti
alla porta,
spalancando le ali aranciate.
“Di che sotterfugio vai
vaneggiando?”
sbuffò il giovane “E, comunque, se vi da tanto
fastidio il cadavere, lo lascio
lì. Arrangiatevi voialtri angioletti. Basta che ti levi
dalle palle. Ho freddo”.
“Parlo dei discorsi deliranti del tuo
sovrano”.
“Ci stavi spiando? Certo che non avete
proprio un cazzo da fare in cielo…”.
“Il mio compito è sorvegliare
il re degli
Inferi. E di conseguenza ho udito le vostre chiacchiere. Comprendo il
voler
ingannare me e le volte celesti, ma raccontare simili menzogne anche al
proprio
figlio…”.
“Io non sono suo figlio”.
“Probabilmente
non vuole che si sappia. Perché
il figlio del caduto non può che essere eliminato”.
“Io non sono suo figlio. E non voglio
discutere di questo. Voglio solo tornare a casa”.
“Non crederai mica a quelle parole? Credi
che un Arcangelo possa cedere a simili bassi istinti e congiungersi
carnalmente
con una demone?”.
“No. Ma credo che un angelo possa
innamorarsi. L’amore non è un peccato,
giusto?”.
“L’unico amore concesso a
quelli della mia
stirpe è l’amore per Dio”.
“Senti… A me non frega un
cazzo. Ok? Voglio
lasciarmi alle spalle questa giornata e…”.
“E riprendere quanto prima ad uccidere
innocenti?”.
“Ed aridaie con ‘sti innocenti!
Non sono
innocenti. Sono solo stupidi. Lei ha ceduto a me la sua anima, di sua
volontà.
Non l’ho chiesta io. Credimi, era davvero un’anima
schifosa”.
“Non sta a te giudicarlo”.
Mihael mostrò la spada e Keros
alzò le
mani al petto.
“Sono disarmato” disse,
osservando la lama
“E non so volare. Ho detto che torno a casa, di mia spontanea
volontà”.
“Devo punirti. Per tutte le vite che hai
sottratto”.
L’Arcangelo iniziò a
pronunciare una
formula in latino, Keros alzò un sopracciglio.
“Per essere uno che
spia…” commentò il
principe, incrociando le braccia “…devi essere un
po’ sordo. Gli esorcismi su
di me non funzionano”.
La creatura celeste rimase qualche istante
piuttosto perplessa. Provò dei versi differenti, ma non
ottenne comunque il
risultato sperato.
“Capisco…” si
ricompose “Come figlio del
traditore, devi avere qualche capacità
particolare”.
“Va bene… È come
dici tu. Ora però voglio
andarmene da qui. Vogliamo entrambi la stessa cosa, no? Che io torni a
casa,
non è così? Puoi osservarmi mentre me ne vado, se
ti va”.
“Mostrami i segni che hai sul
corpo”.
“Che…?”.
“I segni di cui parlava il caduto.
Mostrameli”.
“Non ci penso proprio. Perché
dovrei
farlo?”.
“Mostrameli!”.
“Non prendo ordini da un piumino in
armatura e gonnella!”.
Mihael scattò in avanti, con
l’intento di
afferrare il braccio di Keros, che indietreggiò.
L’ Arcangelo però era
assolutamente deciso a capire di che segni avessero parlato in
precedenza i due
demoni e quindi tentò di avvicinarsi ancora. I due si
guardarono negli occhi
qualche istante. Lo sguardo ambrato di Keros e quello azzurro cielo di
Mihael
erano entrambi illuminati, brillavano. In una frazione di secondo, le
loro
forze si incontrarono. Il fuoco dell’Arcangelo si
sprigionò ma qualcosa in
Keros si accese. Non le solite fiamme ma bensì
un’energia diversa, che bloccò
il colpo della creatura celeste. L’impatto fra le due energie
fu così violento
che i due furono scaraventati ai lati opposti della terrazza, iniziando
a
precipitare al piano di sotto.
“Perdonatemi, maestà, ma
questa volta devo
rimproverarvi” si rabbuiò Lilith, seguendo il re
lungo i corridoi “Lasciare un
ragazzo da solo, dopo una notizia del genere…”.
“Non mi sembrava scosso!” si
affrettò a
dire Lucifero, rientrando nelle sue stanze.
“Keros è fatto
così. Vuole dimostrarvi di
essere forte. Sempre. Ma è ancora molto giovane. Io non so
chi sia suo padre, e
quanto sconvolgente possa essere la cosa, ma è comunque una
notizia che cambia
la vita. Magari non è in grado di esprimerlo a parole, ma
ritengo che abbia
bisogno di una persona accanto”.
“Io non sono di certo il più
adatto.
Cianciare non è mai stato il mio forte”.
“Ma incoraggiare sì. Inoltre
voi siete un
padre per il principe. Non rivelerò ad altri la
verità. Nessuno saprà che non è
vostro figlio se non sarà lui stesso a volerlo
rivelare”.
“Ti ringrazio. Ha chiesto di essere
annunciato come ereditario”.
“E voi che pensate di fare?”.
“Accontentarlo. Però questo
è stato prima
che…”.
“Tornate immediatamente da quel ragazzo.
Ha bisogno di voi, adesso. Dovete parlarne. Anche se non è
vostro figlio,
lui…”.
“Ti sbagli. Non sarà sangue
del mio sangue
ma lui è mio. Lui è mio figlio. Lui è
unico. E voglio solo che sia felice”.
“E allora non dovreste stare
qui”.
Il re e la demone si fissarono. Lei
sorrise.
“Non so fare molto il
padre…” ammise
Lucifero.
“Fare il genitore è molto
più difficile
che regnare su un branco di demoni”.
“Puoi dirlo…”.
“Ma voi siete di certo in grado di fare
bene entrambi”.
“Mia cara… Sai sempre come
adularmi. È per
questo che ti adoro”.
Mihael aprì le ali ed attutì
la caduta. Si
scosse, non capendo bene quel che fosse successo. Che razza di demone
si
ritrovava ad affrontare? Ancora aveva impressi quegli occhi.
“Carmilla…”
mormorò, senza pensarci.
Nella sua mente balenò un ricordo. Ma
l’Arcangelo scosse la testa: doveva essere
l’ennesimo inganno diabolico. Cercò
con lo sguardo il suo avversario e trasalì nel vederlo in
terra. Era avvolto da
una luce argentea, o così gli parve in un primo momento.
Guardando meglio,
Mihael si accorse che quella luce erano in realtà giovani e
sottili ali
angeliche. Avvertì la propria sicurezza vacillare.
“Ragazzo” lo chiamò,
non sapendo che nome
evocare “Tutto bene?”.
Keros, stordito, non rispose. Aprì gli
occhi, sentendo la voce dell’Arcangelo. I due non erano
vicini, le energie
sprigionate li avevano scagliati in punti diversi, ma comunque il
giovane provò
un certo timore. Un attacco, ora, non era in grado di sopportarlo. E
cos’era
quella luce? Non capiva…
“Ragazzo…” di nuovo
la voce di Mihael
risuonò fra la pioggia.
Ora anche lui era bagnato, la pioggia
cadeva fra i capelli biondo scuro, lanciando riflessi con la luce
dell’aureola.
Nel frattempo, Lucifero aveva usato il
portale all’interno della casa e si guardava attorno, in
cerca di Keros.
“C’è
nessuno?” gridò, giocherellando con i
tasti del pianoforte e cercando di percepire qualche suono
“Sei già di nuovo al
lavoro?”.
Stette attento a non rivelare troppe
informazioni, non sapendo se ci fosse qualche estraneo in casa. Poi
girò l’occhio
arancio verso il giardino e vide Keros in terra. Le ali, una volta che
il
giovane aveva ripreso i sensi, si erano dissolte. Il re, non percependo
entità
estranee, fece comparire le proprie e le usò per coprire il
principe dalla
pioggia battente. Mihael, vedendolo arrivare, non aveva potuto fare
altro che
andarsene senza farsi vedere, con la testa piena di strani pensieri.
“Stai bene?” domandò
Lucifero.
Keros annuì, felice nel vedere quelle
ali
nere coprirlo e proteggerlo dal temporale.
“Cos’è
successo?” continuò il demone,
notando una piuma di Mihael.
“Io… Non lo so”
ammise il giovane “Ero
sulla terrazza. E poi… Non so”.
“In terrazza?”.
Lucifero si voltò e vide la terrazza in
questione.
“Come ci sono arrivato qui?” si
chiese
Keros, mettendosi a sedere “Intendo… Senza
uccidermi!”.
“Non ne ho idea. Ma sai… A
volte capitano
le botte di culo” cercò di sdrammatizzare il re.
“Ricordo solo che c’era
Mihael”.
“Ricorderai. Ora sei scosso. Che dici,
torniamo a casa? Vedrai che con una bella dormita poi ti
sarà tutto più chiaro”.
“Come quando ero piccolo” si
ritrovò a
pensare Keros, una volta in camera.
Lui, a letto con un mezzo sorriso, e
Lucifero, che controllava in modo ossessivo che andasse tutto bene.
“Sto bene” ripeté,
per l’ennesima volta,
il principe “Voglio scordare questa giornata. Fingere che non
sia mai successa.
Fingere di non sapere”.
“Non è negando ciò
che sei che troverai la
felicità” lo rimproverò, velatamente,
il re.
“E che alternativa ho? Non posso svelare
a
tutti la verità. Finirei ucciso. E poi… mi
disgusta. Io odio Mihael”.
Lucifero non disse nulla. Non poteva di
certo iniziare discorsi sul fatto che non di devono odiare i propri
genitori…
Osservò lo squarcio nel bell’abito di Keros e
tornò a chiedere se fosse ferito.
“Sto bene!” sbottò
il principe “Solo
qualche graffio e botta”.
“Ok… Quindi dimentichiamo la
giornata di
oggi. E poi? Ora che si fa?”.
“Io… Voglio essere mandato
nelle terre del
nord ad addestrarmi a combattere”.
“Keros… Non serve! Hai
già l’addestramento
di Asmodeo”.
“Be’, non è servito!
Quando ho avuto
davanti quello stronzo di Mihael, non ho saputo far niente!”.
“Mihael è il peggiore che un
demone possa
incontrare. Quasi nessuno sa come fronteggiarlo”.
“Non importa. Io voglio diventare
più
forte. Voglio saperlo combattere. Voglio ficcargli dove dico io quella
sua
cazzo di spada!”.
“Ok…”.
Il re era perplesso, non sapeva se quella
rabbia fosse sincera o solo frutto del momentaneo shock.
“E voglio essere
l’ereditario” continuò il
ragazzo, accigliato “Lo pretendo. È tutta una vita
che vengo cresciuto per
questo”.
“Va bene. Organizzerò la tua
partenza per
le terre del nord. E prima che tu vada, annuncerò a tutti
che sei il principe
ereditario. Va bene?”.
“E non voglio mai più sentir
dire che
quello è mio padre. Sei tu mio padre. Io sono un
demone”.
“D’accordo”.
Scese il silenzio. Lo sguardo di Keros si
velò leggermente di tristezza e sospirò. Poi
tornò a guardare il re, che
cercava di capire come si fosse creato quello squarcio sulla veste del
principe.
“Grazie per essermi venuto a
prendere”
mormorò il giovane.
“Era mio dovere. Anzi… Scusami
per
essermene andato. Insieme avremmo spiumato quel rompicoglioni di
Mihael!”.
“Sarà per la prossima
volta” risero
insieme.
“Ora riposa” lo
salutò il re “Ti farò
confezionare nuovi vestiti”.
Lucifero subito si operò per
accontentare
i desideri di Keros. Asmodeo trovò l’idea
dell’addestramento extra ottima. Specie
dopo aver appurato che gli angeli avevano evidentemente preso di mira
quel poveretto!
Ma doveva essere per via del suo potere, per il numero di anime che
aveva
condotto all’Inferno.
“Sicuro non sia troppo duro? Nelle terre
del nord vengono solitamente mandati i demoni traditori o coloro che
necessitano di un qualche tipo di punizione” chiese,
perplesso, il sovrano.
“Maestà” sorrise
Asmodeo “Tutti i giovani
demoni si sottopongono ad addestramento militare. Il fatto che lui
voglia
intraprendere un periodo al nord è segno di grande coraggio.
Il popolo
apprezzerà ancora di più il suo valore”.
“Dici?”.
“Per essere accettato come figlio del re,
specie se sarà nominato ereditario a tutti gli effetti,
dovrà fare molto. Voi vi
siete guadagnato la vostra posizione con il sangue”.
“Noi siamo una generazione
diversa”
sospirò Lucifero, alzando gli occhi verso uno dei quadri con
Keros da bambino “Ed
il tempo scorre così in fretta adesso. Una volta, non
sembrava passare mai. Da
quando c’è Keros, invece, per me va tutto di
corsa. Ed anche nel mondo umano
cambia tutto di corsa. Forse la nostra generazione dovrebbe farsi da
parte”.
“Forse la nostra generazione dovrebbe
guidare la nuova, affinché possa raggiungere le stesse
mete”.
“Chissà…”.
La coda del re ondeggiava, arricciandosi.
L’idea
di tornare di nuovo a sedersi in ufficio a fare sempre le stesse cose
gli
provocò un certo fastidio. Non era
per
nulla sicuro che quello fosse il destino del suo piccolo cucciolo
demoniaco ma
si sforzò di convincersi che era quello che lui voleva,
quello lo rendeva
felice.
Non passarono due ore prima che una delle ancelle
accorresse a chiamare il re, piuttosto preoccupata.
“Il principe” parlò,
facendo un inchino “Chiede
di voi, maestà. Non esce dalla sua stanza e grida che vuole
vedervi”.
Lucifero non diede modo alla donna di dire
altro e salì di sopra, a passo svelto lungo le scale che lo
conducevano ai piani
superiori. Il corridoio con le stanze di Keros era buio, spoglio. Il
giovane
non aveva ancelle personali, non aveva consorti e preferiva passare il
suo
tempo nel mondo degli umani. Il demone raggiunse la porta, davanti alla
quale
si erano radunate delle serve curiose.
“Sparite” diede ordine il
sovrano “Tornate
al lavoro”.
Sì udì un “Povero
ragazzo”, assieme a “Chissà
cosa gli è capitato” e “Mihael lo ha
ferito?”. Lo sguardo di Lucifero si fece
minaccioso, e tutte si allontanarono alla svelta.
“Sono qui” esordì
poi, entrando nella
stanza del principe.
Keros era ancora a letto, ma nascosto
dalle coperte. Si intravedeva solo mezzo occhio ed un ciuffo rosso.
“Che combini?”.
“Hai chiuso la porta?”
mugugnò il ragazzo.
“Sì…”.
“E non c’è gente
fuori?”.
“No. Che succede?”.
Keros si rialzò lentamente,
guardò il
sovrano con un’espressione leggermente impaurita. Lucifero
non disse nulla. Inclinò
la testa ed attese. Il ragazzo sospirò ed abbassò
il lenzuolo, permettendo alle
ali argentee di aprirsi. Il demone rimase senza parole, alzò
gli occhi,
sforzandosi di richiudere la bocca che si era aperta in
un’espressione di
stupore.
“Sono…”
mormorò.
“Sono ali!” gridò
Keros “Ali piumate!
Sono… sono…”.
“Sono magnifiche!” lo
interruppe il re,
avvicinandosi per sfiorarle con le dita “Mai prima
d’ora ho visto ali d’angelo
d’argento. Sembrano fatte con la luce delle stelle”.
“Che…?”.
Il re le accarezzò. Erano ancora molto
giovani e fragili, quasi impalpabili, piccole rispetto alle dimensioni
che
avrebbero dovuto avere su una schiena adulta.
“Cosa ci fanno lì?!”
riprese Keros “Io
dormivo e…”.
“Sono loro che ti hanno salvato quando
sei
caduto dalla terrazza, evidentemente”.
“Toglile!”.
“Come..?”.
“Levamele! Ci deve essere un modo! Io non
le voglio!”.
“Keros… È tutta una
vita che vuoi volare!”.
“Sì ma non con queste cose
piumose! Come faccio
a stare all’Inferno con loro?!”.
“Quello non è un
problema…”.
Il sovrano sorrise, nonostante lo sguardo
terrorizzato di Keros.
“Rilassati” lo
invitò “Chiudi gli occhi”.
Il principe non obbedì subito. Il re lo
invitò di nuovo a rilassarsi.
“Ora fai un respiro”
continuò Lucifero “E
chiudile”.
Keros, a fatica, obbedì. Una volta
chiuse,
le ali svanirono.
“Visto?” ammiccò
Lucifero “Funzionano come
tutte le nostre ali. Le apri e le fai comparire quando ne hai
bisogno”.
“Ma io non ne ho bisogno. Non le voglio!
E
perché si erano aperte così, a caso?”.
“Forse hai sognato di cadere. Non
preoccuparti. Controllarle è facile, ma all’inizio
ti dovrai impegnare un pochino”.
“Non voglio. Levamele. Estirpamele!
Strappale!
Dai loro fuoco!”.
“Tu sei nato così, piccolo
mio. Il fuoco,
lo stesso che ha lasciato quei disegni su di te, aveva incenerito le
piccole
ali neonate che avevi. Ma ora che sei cresciuto, sono
tornate”.
“Ed io non le voglio. Io sono un
demone!”.
“E allora comportati da demone. E queste
cadranno e diverranno come le ali da demone”.
Il principe si ammutolì.
L’idea di avere
ali maledette gli piaceva.
“Fra tre giorni ci sarà la
cerimonia”
cambiò argomento il re “Il tempo di farti
preparare un abito degno di quel che
sei e sarai. Nel frattempo, riposati. Rilassati. E non guardarmi con
quell’aria
da cucciolo…”.
“Io… Io sono un demone,
vero?”.
“Tu sei ciò che vuoi essere,
Keros. Te l’ho
sempre detto”.
Ecco
la seconda parte. Nel prossimo capitolo lo farò divertire un
po’. Poveretto,
non si diverte mai :P
|
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Capitolo 17 *** Ereditario ***
17
EREDITARIO
Il lungo tavolo da pranzo era
apparecchiato ai lati opposti. Keros e Lucifero mangiavano in silenzio,
entrambi persi nei propri pensieri. Al regno era stato dato
l’annuncio, quella
era la prima sera ufficiale da principe ereditario per Keros. E la
vigilia
della sua partenza per le terre del nord. Fuori si potevano udire le
grida dei
festeggiamenti che si protraevano, lungo le vie della capitale. Al
contrario,
nella sala vi era silenzio. Il giovane si stava godendo una cena
speciale,
sapendo che in addestramento avrebbe mangiato tutt’altro.
“È molto buono”
commentò, facendosi
portare un altro dolce.
“Felice che sia di tuo
gradimento” annuì
il re.
Keros non rispose. Vestiva ancora con
l’abito da cerimonia, con lo strascico che circondava la
sedia di legno nero
intrecciato. Guardò fuori, non capendo perché la
gente avesse tanta voglia di
festeggiare, poi tornò a fissare le candele le cui fiamme
ondeggiavano in modo
ipnotico.
“Ci tenevo a dirti…”
sospirò Lucifero
“…che non sei obbligato a partire. Non devi
dimostrarmi alcunché”.
“Guarda che non si tratta sempre di
te”
sbottò, in modo poco educato, il principe “Non
tutto ruota attorno a te”.
“Lo so. Non sono tuo nonno”.
Il giovane rimase qualche istante in
silenzio e realizzò che il re si riferiva a Dio.
“Voglio farlo per me stesso”
ribadì “Non
ha nulla a che vedere con te, con Mihael, con il regno o con chiunque
altro.
Voglio dimostrare a me stesso di esserne in grado. Di essere
forte”.
“Non riceverai alcun trattamento di
favore. Astaroth non accetta certe cose” parlò il
re, allungando il cucchiaino
con il dessert sopra la fiamma di una candela.
“Non mi aspetto alcun trattamento di
favore” gli rispose Keros, con aria perplessa.
Rimase in silenzio ad osservare Lucifero
che arroventava il cucchiaino, facendo sciogliere la dolce crema del
dessert,
per poi passarci sopra la lingua.
“Il viaggio sarà
impegnativo” continuò il
re, gustandosi la crema.
“Lo so”.
“Le terre del nord sono quel che rimane
dell’Inferno originale, quello in cui sono caduto”.
“Lo so! Mi credi un bambino?”.
“No. Anche se sembra ieri quando eri solo
un cucciolo che tentava di succhiarmi il sangue, proprio in questa
stanza. Ora
è tutto diverso…”.
“Vero. Ora mi rado”.
“Io non intendevo…”.
“E mi sego”.
“Dico solo che devi stare
attento”.
“Mi pensi stupido? O
sprovveduto?”.
“No, Keros. E non comprendo tutta questa
rabbia. Ma forse con l’addestramento ti passerà.
Riposa, non ti sarà facile
dormire nei giorni a venire. Cerca di essere al massimo delle
forze”.
“Sì… Ok…”
storse il naso il principe “Ma tu
smettila di parlare come un vecchio”.
“Sono vecchio. E voglio la tua
felicità,
lo sai”.
“Allora smettila di assillarmi. Vedrai
che
sarò molto più felice. Fai il Diavolo, porca
puttana!”.
Lucifero sorrise, forse ricordando una
conversazione simile con suo padre, tanto tempo prima. Con un inchino,
si
congedò da Keros. Chiamandolo
“principe”, augurò la buonanotte e
chiese
cortesemente al giovane di passare a salutarlo prima di partire, il
giorno
seguente. Il ragazzo annuì. Poi si alzò ed
andò a cambiarsi. Non aveva alcuna
intenzione di andare a dormire, ma con lo strascico si sentiva un
cretino.
Elegantissimo, con i capelli rossi
raccolti con un nastro, camminò lungo le vie della capitale.
Vi erano molti
demoni, in vena di far festa. Vi era una gran confusione, grida, musica
e
risate. C’era chi lo riconosceva e voleva salutarlo, o
rendergli omaggio, e chi
non sapeva chi fosse e lo ignorava. Di certo l’abito di
velluto nero, con
catene color sangue, non passava inosservato. Raggiunse un locale di
cui aveva
sentito parlare altri giovani demoni che abitavano a palazzo. Come
immaginava,
era gremito e con un gran viavai di clienti. Si avvicinò al
bancone, che aveva
una singolare forma ad esse. Sgabelli argento brillavano alla luce di
candele e
specchi. Una bella demone stava cantando, in modo decisamente sensuale,
mentre
alcuni ballerini di entrambi i sessi si esibivano e lentamente si
spogliavano.
Keros decise di sedersi in un punto da cui la visuale fosse buona. Non
passò
molto tempo prima che una cameriera lo raggiungesse, rimanendo qualche
istante
senza parole.
“Ma tu sei il principe!”
esclamò “Ti ho
visto alla balconata del palazzo reale qualche ora fa!”.
“Sono io…” non
negò Keros, con un mezzo
sorriso.
“Oh, cazzo! Sei davvero tu!”.
La cameriera corse a chiamare altre
colleghe, che iniziarono a fare le allegre civette.
“Posso toccarti?” chiese una,
mentre
un’altra saltellava sul posto.
Il ragazzo era perplesso ma sorrise
ancora.
“Che state facendo?!”
esclamò una profonda
voce maschile, piuttosto infuriata “Non rompete le palle ai
clienti ed andate a
lavorare!”.
“Ma papà!” si
lagnò una delle ragazze “Lui
è il principe!”.
Da dietro il bancone, emerse un grosso
demone che si avvicinò a Keros.
“Chiedo perdono da parte delle mie
figlie”
si affrettò a dire “Spero non abbiano detto nulla
di irrispettoso..”.
“Ma no… Va tutto
bene” rise il giovane.
“Non ci capita spesso di avere clienti
illustri, è per noi un onore” continuò
il padre demone, proprietario del
locale.
“Voglio offrire da bere a
tutti” ammise
Keros “Oggi voglio festeggiare”.
Si udì un grido di soddisfazione da
parte
dei presenti.
“Andate a lavorare!”
ordinò di nuovo il
padre, rivolto alle giovani cameriere “Smettetela di dare
fastidio”.
“Sei bellissimo!”
cinguettò una delle
ragazze, prima di allontanarsi.
“Hai la fidanzata?” chiese
un’altra, ed il
padre la cacciò con un ringhio.
“Chiedo di nuovo perdono”
mormorò, rivolto
al principe “Sono in cerca di marito. E ne ho ben dieci da
sistemare…”.
“Sono molto carine. Sono certo che non
avranno problemi…” fece l’occhiolino il
ragazzo, sorseggiando il liquore che
una delle cameriere gli aveva portato.
I bicchieri si susseguirono, invitò a
ballare alcune ragazze e spettegolò con altre. Si era sparsa
la voce che
sarebbe partito per le terre del nord, ed alcuni demoni ci tennero a
fargli
sapere che ne ammiravano il coraggio. Iniziando a sentirsi a disagio,
Keros
tornò ad avvicinarsi al bancone. Il proprietario subito lo
raggiunse,
assicurandosi fosse tutto a posto.
“Tutto perfetto”
assicurò il principe
“Però… Mi chiedevo a chi devo rivolgermi
per andare al piano di sopra”.
I due si fissarono, con un ghigno.
“Vado a chiamare la mia
signora” mormorò
il barista, con un occhiolino divertito.
Dopo pochi minuti, un’elegante signora
invitò il ragazzo a seguirla. Scostando una pesante tenda
rossa, salirono
insieme lungo ripide scale.
“Il principe vuole divertirsi nel suo
ultimo giorno prima della partenza” sorrise la demone
“E noi lo faremo
divertire alla grande. Vedrete. Richieste particolari?”.
Keros era rimasto in silenzio. Il piano
superiore era decisamente diverso da quello inferiore, con eleganti
divani
rossi e lampadari in oro, specchi e candele. Molti demoni, maschi e
femmine,
molto poco vestiti, camminavano ed entravano nelle varie stanze.
“Vi piacciono bionde? Brune?”
incalzò la
proprietaria “Una per tipo? Magari con qualche fanciullo nel
mezzo? Non siate
timido. Nella mia carriera ho udito qualsiasi tipo di
richiesta”.
“Non ho richieste particolare in quel
senso” si decise a parlare Keros “Però
ho un desiderio. Vorrei ci fosse il buio
totale, e che le ragazze non siano in grado di vedere
nell’oscurità”.
“Vi piace giocare. Capisco”
sorrise la
demone “Vado subito a preparare la vostra stanza. Nel
frattempo, accomodatevi.
Vi faccio portare un drink”.
Il principe sedette su uno dei divani
rossi e si guardò attorno. Era pienamente intenzionato a
togliersi qualche
sfizio prima di partire. E quel locale era famoso per avere le migliori
succubus della capitale, dopo quelle al servizio del re. Godendosi
l’ennesimo
bicchiere di liquore, Keros notò con la coda
nell’occhio un giovane, che subito
si nascose nell’ombra, rimproverato da quello che doveva
essere uno dei figli
dei proprietari. Per qualche istante, si chiese perché
venisse rimproverato in
quel modo. Aveva udito chiaramente un “Non farti vedere,
tu!”. La curiosità
però si era rivolta altrove, quando la padrona di quel luogo
lo aveva
gentilmente invitato a seguirla verso la stanza riservata. Con un
sussurrato
“buon divertimento”, la demone si
congedò e lo pregò
di entrare.
Keros vinse l’originaria titubanza e
varcò
la soglia. La stanza era completamente buia, come aveva richiesto. Lui,
come
demone vampiro, vedeva chiaramente ogni cosa. Non era lo stesso per le
ragazze
che sedevano sul letto, una accanto all’altra. Si erano
voltate verso
l’ingresso, incuriosite.
“Buonasera” salutò
Keros, togliendosi le
rumorose scarpe con il tacchetto “Facciamo un
gioco?”.
Le giovani demoni risero.
“Venitemi a prendere”
ghignò il principe
“Vediamo chi mi trova per prima”.
Iniziò a camminare piano, parlando per
farsi raggiungere. Le Succubus, nel buio totale, si muovevano a
tentoni. Si
sfiorarono, sobbalzando per la sorpresa.
“Vi siete trovate” rise Keros
“Datevi un
bacio e ricominciate a cercare me”.
Ripresero le ricerche, con una risatina.
Il buio faceva sentire Keros al sicuro. Così non avrebbe
dovuto nascondere i
tatuaggi e questo lo faceva sentire decisamente meglio. Con fare
baldanzoso,
continuò a chiamare le ragazze e camminare piano per la
camera. Accidentalmente,
urtò un mobile. Le demoni, che conoscevano bene la stanza,
si voltarono
d’istinto verso quel luogo, cercando di raggiungerlo in
fretta.
“Mi avete beccato”
ghignò Keros, mentre
una delle succubus raggiungeva le sue braccia.
“Qual è il tuo
nome?” le chiese il
principe.
“Potete chiamarmi Dolce”
sussurrò lei.
“E tu?” continuò il
ragazzo, raggiunto
dall’altra demone.
“Io per voi sono Milly” si
sentì
rispondere.
“Che nomi zuccherosi. Posso
assaggiarvi?”.
Keros morse entrambe. “Questa
è una cosa
che un angelo non farebbe mai” si ritrovò a
pensare, mentre mani esperte lo
spogliavano, tastando nel buio. Una delle demoni lo
mordicchiò sulla spalla. Il
principe la spinse sul letto, con un ghigno. Trascinò con
sé anche l’altra
succubus e si ritrovarono tutti e tre su quel letto, che profumava di
fiori.
Cosa estremamente rara e preziosa all’Inferno. Dolce subito
salì a cavalcioni
sul principe, esclamando che era stata lei a trovarlo per prima e
quindi toccava
a lei. Lui la
lasciò fare, pretendendo
altro sangue da Milly. Sentì il rosso liquido scorrergli in
gola, unito alla
sensazione morbida delle cosce di Dolce che gli circondavano i fianchi.
“Sono qui per soddisfarvi,
signore”
sussurrò Dolce “Desidero avervi dentro di me. E
voi? Mi desiderate
ardentemente?”.
“Non chiamarmi signore” le
rispose lui,
afferrandola e penetrandola.
Lei sobbalzò e poi lanciò un
gemito. Keros
ghignò, soddisfatto. Amava guardare la curvatura delle
labbra di qualcuno che
godeva assieme a lui. Ed amava lo sguardo che si veniva a creare. Nel
buio
completo, vedeva i seni di lei che sobbalzavano, mentre poggiava una
mano sul
petto che alla luce avrebbe dovuto coprire per celare i tatuaggi. In
quel modo,
invece, poteva apprezzare le dita vellutate che lo accarezzavano con
sempre più
convinzione. Anche Milly lo toccava. Aveva provato a baciarlo ma lui si
era
scostato, esprimendo il desiderio di evitare quel tipo di contatto. Per
sentirla gemere, come stava facendo Dolce, scivolò con la
mano fra le sue
gambe, scostando la minuscola stoffa che la copriva.
“Salta, Dolce. Danza. Cavalca.
Magnifico…”
gemette Keros.
Lei piantò le unghie, Milly fece
altrettanto. Quando la succubus che lo sovrastava si fermò,
stendendosi a
fianco del principe, la sua collega chinò la testa. Lui era
un giovane demone,
lei una succubus esperta che iniziò ad usare la bocca e la
lingua sul membro
del cliente. Lui assaggiò il sangue di Dolce. Avvinghiati
tutti e tre,
scambiandosi morsi, graffi e carezze, il ragazzo percepì
l’estasi salire sempre
di più. Quando raggiunse l’orgasmo, una sensazione
nuova gli attraversò la
schiena. Le ali, che erano state chiuse e celate, di colpo si erano
aperte. Per
fortuna, nel buio, le due donne non lo avevano notato.
“Tutto bene, mio principe?”
mormorò Milly
“Avete un buon sapore…”.
Lui trattenne il fiato, mentre lei si
passava la lingua sulle labbra.
“Tutto ok…”
riuscì a dire, imprecando
nella sua testa per le ali. Avrebbe dovuto imparare anche a
controllarle mentre
faceva sesso. Che rottura!
Si accorse che le due succubus lo stavano
fissando, forse cercando di cogliere un segnale
d’appagamento.
“Oh…”
capì lui “Che meraviglia. Io… Sono
senza parole. E voi, fanciulle, siete soddisfatte?”.
“Tornate da noi quando finite
l’addestramento” miagolò Milly
“Avete le dita magiche!”.
“Anche voi. E le gambe, i denti, la
bocca… Vi penserò mentre sarò
via”.
“Che onore”
ridacchiò Dolce, sfiorando le
dita del demone “Sarà un privilegio guidare nella
vostra mente questa mano
nelle lunghe giornate solitarie d’addestramento”.
Keros ridacchiò, un po’ in
imbarazzo.
Dubitava di trovare il tempo per concedersi tanti momenti solitari
nell’addestramento.
“Beata la creatura che sceglierete per
avere al vostro fianco” gli disse Milly “Che
potrà avervi ogni notte”.
Il giovane non rispose. Era un po’ stanco
ma il pensiero di quelle ali lo tormentava. Odiava sempre di
più la sua doppia
natura. Perfino le scopate ora gli rovinava!
Lasciata la stanza, incrociò di nuovo
quel
ragazzo, che si affrettò a nascondersi. La proprietaria del
locale raggiunse il
principe con un sorriso, per accertarsi che il servizio fornito fosse
stato di
gradimento. Keros annuì ed indicò
l’ombra del demone che si stava allontanando.
“Chi è?” chiese
“Prima lo stavano
rimproverando aspramente”.
“Non è nessuno, mio
principe” storse il
naso lei “Spero non vi abbia infastidito”.
Costretto ad uscire allo scoperto, gli fu
ordinato di inchinarsi dinnanzi a Keros e chiedere perdono.
“Perdono?” si stupì
il principe “Per cosa?”.
“Scusate se vi ho arrecato
disturbo”
mormorò la creatura, prostrata.
Sul corpo, segni di percosse recenti.
“Quanto costa?” volle sapere
Keros.
“Chi?” ghignò la
proprietaria del locale “Lui?
Mio signore, abbiamo di meglio per farvi terminare la
serata…”.
“Intendo per portarlo via da qui. Quanto
volete per cedermelo?”
“Ma… Io… Non
saprei… non ha un grande valore.
È un semplice servo difettato”.
“In questo caso, lasciate che vi faccia
una libera offerta”.
Il principe porse una sacca con delle
monete. La demone, guardandole, subito ordinò al servo di
alzarsi e di obbedire
al nuovo padrone.
Insieme, i due lasciarono il locale e si
incamminarono nel buio, verso il palazzo reale.
“Come ti chiami?”
domandò Keros.
“Simadé” rispose,
docilmente, il servo.
“Bene, Simadé. Ora sei libero.
Puoi andare
dove ti pare”.
“Posso venire con voi? Ho sempre vissuto
in quel luogo… non conosco altro. A palazzo sono certo che
potrei essere utile… Forse…”.
“Capisco. Ti hanno portato in quel
bordello
da bambino?”.
“Sono un prigioniero di guerra, vostra
altezza. Ero molto piccolo quando sono stato portato via dalla casa dei
miei
genitori, uccisi e sconfitti. Sono figlio di ribelli”.
“E fin da bambino hai avuto quella
cicatrice sul viso?”.
Il servo cercava di coprirsi il volto con
un mantello, ma Keros ne aveva visto i tratti con chiarezza.
“No…”
balbettò “Questa me l’ha fatta un
cliente. Non era soddisfatto. Mi ha bruciato con una candela e
sfregiato con un
coltello”.
“Per questo quella donna ti ha definito
un
servo difettato?”.
“Sì. Una volta ero una delle
creature che
portava più profitto. Ma con il volto deturpato molti
clienti non mi hanno più
voluto, perché dicono che induca paura e disgusto”.
“Ora nessuno alzerà di nuovo
le mani su di
te”.
Calò il silenzio. Keros cercava di
conversare, con qualche domanda amichevole, ma il suo interlocutore non
rispondeva, se non con un rispettoso “Sissignore”.
Una volta rientrati a palazzo, il principe
gli fece segno di seguirlo. Raggiunsero il piano con le stanze
dell’erede al
trono.
“Potrai assistermi, come mio servitore
personale. Se ti va”.
“Che dovrei fare? Siete voi il mio
padrone,
decidete voi che fare di me. Non conta ciò che a me va di
fare”.
Keros sospirò. Aprì la porta
della propria
camera e lo invitò a seguirlo. Sciolse i capelli e
buttò la giacca in un
angolo. Poi si gettò sul letto, stiracchiandosi.
“Senti…”
iniziò, incrociando lo sguardo
perplesso del servo “…io non ho bisogno di altra
gente che mi tratti come un
principe. Non ho bisogno di dovermi sempre comportare come un pomposo
cazzone. Capisci?
Vorrei tornare in questo palazzo e potermi rilassare, almeno nelle mie
stanze. Non
voglio serve femmine perché tutti si aspettano che le
sottometta fra le
lenzuola e cose simili. Voglio…”.
“Un amico?”.
“Sì. Direi di sì.
Alla fine io e te siamo
praticamente coetanei, mi sembra…”.
“Io… Forse…”.
“Insomma… Va bene se vuoi
renderti utile,
però sai cosa mi renderebbe davvero felice?”.
“Non so”.
“Qualcuno che mi coccoli” rise
Keros,
mostrando la lingua “Qualcuno che mi faccia rilassare, senza
dover sempre
essere il super principe mega demone che tutti si aspettano”.
“Sono bravo a fare le coccole”
rispose al
sorriso Simadé.
“Domani io devo partire. Così
tu avrai il
tempo di ambientarti qui a palazzo. Imparare quel che devi fare,
conoscere chi
ci vive… Vedrai che ti troverai bene”.
“Ma... Se voi andate
via…”.
“Tornerò. Non posso portarti
dove sto
andando adesso”.
“E qui… Vedrò anche
il re?”.
“Certo. Vive qui…”.
“Perché io? Perché
avete scelto me?”.
“Non lo so. Chiamalo destino. Ora vorrei
fare un bagno. Vieni, ti mostro la tua stanza così intanto
ti sistemi”.
Il servo si lasciò sfuggire
un’esclamazione
di gioia quando vide la camera. Per secoli aveva dormito in terra o su
pochi
cuscini. L’idea di avere una stanza tutta per sé,
lo riempiva di felicità.
“Grazie, signore”
riuscì a dire.
“E di cosa? Sono anni che il re mi rompe
le palle dicendo che devo riempire queste stanze…”.
“E io…”.
“C’è un
po’ di polvere. Sistemala pure
come meglio credi. Ti farò avere degli abiti e tutto quello
che non hai”.
Detto questo, Keros lasciò
Simadé e si
concesse un lungo bagno. Il re aveva ancelle e serve che preparavano
l’acqua
con sali e profumi, il principe si sentiva in imbarazzo per via dei
tatuaggi e
preferiva fare tutto da solo. Socchiuse gli occhi. Sapeva che simili
comodità
per un po’ non avrebbe potuto concedersele.
Uscito dalla vasca, attraverso la porta
che lo collegava alla propria camera, Keros sobbalzò nel
vedere Simadé nella
stanza. Avvolto in una vestaglia, il principe inclinò la
testa.
“Perdonatemi. Vi ho spaventato”
si scusò
il servo, che si era un po’ ripulito.
Aveva chiarissimi occhi grigi, molto rari
per un demone, e la capigliatura scura che accentuava la chiarezza
delle iridi.
“Puoi andare a dormire” gli
disse Keros.
“Prima vorrei coccolarvi un
po’…” ammise
il servo, con un sorriso.
“Che…”.
“Vedrete che poi vi sentirete
rinato”.
Il principe era titubante. Simadé si
avvicinò per toglierne la vestaglia e si ritrasse di scatto
quando sfiorò i
tatuaggi che erano emersi da sotto la stoffa.
“Perdonatemi” si
affrettò a dire “Temevo
fosse una barriera magica. Sono stato ferito anche da una cosa del
genere…”.
“No… Io…ho sempre
avuto questi segni” ammise
Keros, tentando di nasconderli di nuovo.
“Questo vi rende indubbiamente originale.
Fanno lo stesso effetto della mia cicatrice…”.
Dopo l’imbarazzo ed il silenzio,
Simadé si
avvicinò di nuovo.
“Avete dei capelli magnifici.
Potrò
acconciarveli, quando tornate?”.
“Va bene…”
mormorò il principe, ancora a
disagio per la reazione del servo dinnanzi ai tatuaggi.
“Posso avere la luce di una
candela?”
chiese, docilmente, il servo.
Keros ne accese una con una mano.
“Oh, demone di fuoco!” sorrise
Simadé “Allora
ho il massaggio perfetto!”.
Il principe si lasciò convincere e si
stese a letto. Il servo afferrò la candela e
lasciò che qualche goccia
di cera scivolasse sul petto dell’ereditario,
che trattenne il fiato. I tatuaggi reagirono e si espansero,
raggiungendo le
gocce calde, per poi ritirarsi nella posizione originaria. Furono
aggiunte altre
gocce, Keros dovette ammettere che era una sensazione piuttosto
piacevole. Avvicinando
il fuoco alla pelle del principe, il servitore poi poggiò la
candela ed iniziò
a passare le mani nei punti scaldati dalla cera. Che strana sensazione,
si
disse Keros, mista fra il caldo della fiamma ed il tocco freddo di mani
decise.
Era particolare. Piuttosto piacevole. Simadé lo aveva
spogliato dalla vestaglia
e le gocce di cera erano state fatte cadere anche su altre parti del
corpo del
giovane ereditario. Prima il calore e poi il massaggio.
“Dovrò rifarmi il
bagno…” sussurrò Keros,
con gli occhi semichiusi.
“Allora lasciate che vi dia altre ragioni
per farlo” gli rispose Simadé, umettandosi le
labbra con un ghigno.
Il principe non rispose. Era bello
sentirsi accarezzare in quel modo. Poi si sentì attraversare
da un brivido
improvviso e si concentrò per non far comparire le ali.
L’incubus, l’equivalente
maschile della Succubus, aveva spostato il suo massaggio in altre zone.
Sentendosi
stimolato ed eccitato, il principe tirò Simadé
verso di sé e lo morse,
assaggiandone il sangue. Questi si lasciò sfuggire un lieve
gemito che Keros
trovò adorabile. Erano entrambi piuttosto minuti, ancora
giovani. Quel loro
intreccio di corpi gli sembrava quasi un gioco, come quando i bambini
facevano
la lotta mordendosi e graffiandosi.
Quando tornerò sarà tutto
diverso, pensò
il principe. Quando tornerò, sarò come tutti si
aspettano che io sia. Sarò come
un vero demone deve essere!
Con
questo caldo, scrivere certi capitoli… Che fatica :P a presto!
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Capitolo 18 *** Addestramento-parte prima- ***
18
ADDESTRAMENTO
-parte
prima.
Keros si risvegliò con un gran mal di
testa. Forse aveva decisamente esagerato la sera prima…
Ancora assonnato, si
alzò dal letto. Aveva preparato l’indispensabile
per la partenza, lanciò solo
un ultimo sguardo dal balcone. Da lì, vedeva le guardie che
costantemente sorvegliavano
il palazzo. Non vi erano altre creature, tutti ancora dormivano. In
silenzio,
si apprestò a lasciare la stanza. Sobbalzò
trovando Simadé fuori dalla porta.
“Volevo augurarle buon viaggio”
sorrise
l’incubus “Posso essere utile?”.
“Io… Non…”
borbottò il principe, ancora
piuttosto intontito “Vieni con me…”.
Insieme scesero le scale e raggiunsero la
zona del palazzo adibita alle cucine ed alle stanze della
servitù. Keros chiamò
vicino a sé una donna, e la presentò a
Simadé.
“Lei coordina tutta la servitù
del
palazzo” spiegò il principe
“Sarà lei a dirti cosa fare in mia assenza. Grazie
a lei imparerai in fretta”.
“Al vostro ritorno…”
annuì la donna
“…questo ragazzo sarà un perfetto
assistente personale!”.
Keros si congedò, lasciando
lì Simadé.
Ricominciò a camminare in fretta, verso l’uscita.
“Non saluti tuo padre?” gli
parlò una voce
femminile.
Sapeva che si trattava di Lilith, una
delle poche persone che potevano rivolgere simili parole al principe
reale.
“Salutatelo voi per me”
rispose, con un
mezzo sorriso “I vostri saluti saranno di certo
più graditi”.
Lilith voleva avvicinarsi, porgere saluti
più appropriati a chi si apprestava a stare via molto, ma
Keros non gliene
diede modo e lasciò l’edificio.
L’addestramento si svolgeva in una zona
impervia dell’Inferno. Senza edifici, inadatta a viverci, era
popolata da
bestie pericolose. Intravedendo una di quelle bestie, Keros
pensò all’uovo che
aveva fatto nascere da bambino. La creatura nata da
quell’uovo ora era stata
affidata al suo nuovo servo e si rese conto che era lei ciò
di cui avrebbe
sentito di più la mancanza. Dopo parecchi giorni di cammino,
sapeva di essere
giunto alla meta, anche se non vedeva anima viva. Percepiva
però delle
presenze.
Era buio, il terreno era nero e roccioso,
così come nera era l’aria. Un forte odore di zolfo
e fumo, ben più forte di
quello della capitale, gli fece arricciare il naso. Poggiò
la sacca con le sue
cose e cercò di capire che cosa stesse percependo. Poi
capì di essere sotto
attacco da più fronti. Si difese come poté ma era
circondato e si sentì
sollevare da terra, preso per i polsi. Due grossi demoni, gemelli, lo
squadrarono.
“Che bella bestiola avete catturato
questa
sera…” parlò una voce, androgina.
Dal buio, si avvicinò un’ombra
e il
principe capì immediatamente chi aveva davanti. Ancora
sollevato per i polsi,
si dimenò fino a farsi lasciare, cadendo ai piedi di colui
che parlava. Era un
demone elegante, che stringeva fra le mani una frusta intrecciata.
Camminò, con
alti stivali con il tacco, fino a raggiungere il principe. Ne
scostò il viso
con il manico della frusta.
“Tu devi essere Astaroth”
ipotizzò Keros.
“Tu?” storse il naso il demone,
con
quattro corna affusolate “Mettiamo bene in chiaro alcune
cose, fragolina. Per
prima cosa, qui non frega un cazzo a nessuno chi tu sia o sia stato.
Qui sei
una recluta, l’ultimo arrivato, hai la stessa importanza di
una nocciolina.
Devi portare rispetto a me, che sono colui che ti farà
capire cos’è veramente
l’Inferno, ed ai tuoi compagni. Se vorrai a tua volta
rispetto, te lo dovrai
guadagnare”.
“Ok…”.
La frusta di Astaroth schioccò, a pochi
centimetri dalle orecchie di Keros.
“Ok?! Oh, ora ti ho inquadrato. Moccioso
insolente. Che tu sia il figlio del re qui non conta una sega, chiaro?
Perciò
impara ad usare in modo adeguato la lingua, o verrai punito di
conseguenza.
Rivolgiti a me in modo adeguato, chiaro?”.
“Sì… Sissignore”
annuì Keros.
“Meglio, fragolina. Ora alzati. Non
credere che qui ci sia qualcuno che ti porti le valige”.
Il principe si alzò in fretta,
sistemandosi per togliere la polvere che aveva su capelli e vestiti.
Alcuni
demoni risero.
“Non avrai tempo per la messa in piega e
la cipria al naso” ghignò Astaroth, giocherellando
con la frusta “Qui obbedirai
ai miei ordini. Sempre. Se stai dormendo ed io ti chiamo, devi correre.
Se stai
mangiando ed io ti chiamo, devi correre. Se ti stai segando pensando
alla
sorella del tuo migliore amico, devi correre. Se stai piangendo
pensando alla
mammina, devi correre. Chiaro? Farai quel che ti dico, quando te lo
dico. Dimentica
il tuo bel palazzo, con i suoi balli in maschera, i dolcetti
d’alta cucina e le
servette che ti allacciano le scarpe. Capito?”.
“Capito…”.
“Perfetto. Per prima cosa, mostrami quel
che sai fare”.
Astaroth urlò un nome e comparve una
demone. Aveva l’aria piuttosto aggressiva, vestita con pelli
e corazze di
animali di quella zona. Sorrise divertita, quando vide il principe.
“Combattete” ordinò
Astaroth, invitando la
donna a non uccidere la nuova recluta.
La femmina scattò immediatamente. Keros
gettò la borsa a terra e basto quel breve attimo per perdere
di vista
l’avversaria. Era sparita, nascosta fra rocce e piante. Gli
altri demoni
facevano un gran baccano per impedirgli di percepirne la presenza con
l’udito.
Lei provò ad attaccarlo dall’alto. Lui
riuscì a reagire in tempo e si scansò.
La demone, capendo che aveva di fronte qualcuno in grado di vedere al
buio,
cambiò strategia e sfruttò il territorio che la
circondava. Lo conosceva molto
bene, quindi per lei fu facile tendere un agguato. Keros
l’attaccò con il
fuoco, stanco di vederla saltellare a nascondersi. Lei
schivò le fiamme,
spalancò le ali e scese in picchiata, allungando una gamba.
Era estremamente
veloce e colpì più volte il principe, che
contrattaccò come poteva. La demone
sembrava divertirsi, deriderlo.
“Fragolina!” chiamò
Astaroth.
Keros si voltò, ricordando tutti i
discorsi che gli erano stati propinati in precedenza, e la demone lo
atterrò
colpendolo alle spalle.
“Sai perché ti ha
sconfitto?” ridacchiò
Astaroth.
Keros, ancora a terra, arricciava il naso
con fastidio. Gli altri demoni ridevano.
“Perché è una
stronza?” ipotizzò il
principe.
“Anche. Ma principalmente
perché conosce
il territorio ed ha colto subito i tuoi punti deboli. Inoltre tu sei
stato un
vero coglione a distrarti”.
Keros non rispose. Non sapeva che anche le
donne si addestrassero, si stupì nel vederne un gruppetto
fra gli spettatori a
quello spettacolo imbarazzante.
“Sei un demone di fuoco”
riprese Astaroth
“Cosa interessante. E vedi al buio. Ma non credere che queste
qualità ti
aiuteranno. Cercherò però di insegnarti ad essere
meno coglione… Per ora direi
basta perdere tempo con il culo per terra. Questo vale per tutti.
Ricominciate
a correre”.
Tutti i demoni iniziarono a correre, lungo
un percorso d’addestramento fatto di ostacoli ed imprevisti
dovuti alle bestie
ed alle piante autoctone. Il principe capì di doversi unire
a loro.
“Dove lascio la mia roba?”
chiese,
indicando la propria sacca.
“Corri, fragolina!” gli
urlò, di risposta,
Astaroth.
“Non mi chiamo fragolina!”.
“Tu qui ti chiami come cazzo decido io.
Ed
ora muoviti!”.
Capendo che era inutile ribattere, il
principe iniziò a correre dietro ai suoi nuovi compagni
d’addestramento.
Smisero di correre dopo diverse ore.
Sfinito, Keros iniziò a chiedersi cosa gli fosse passato per
la testa. Che ci
faceva lì? Però scacciò subito quel
pensiero. Doveva farcela!
Vide gli altri demoni allontanarsi,
addentrandosi fra alberi neri.
“Ti consiglio di fare altrettanto, nuovo
arrivo” suggerì una demone “Devi
procurarti il cibo”.
“Oh…ok…grazie…che
tipo di cibo?”.
“Quello che c’è. Se
ci riesci. E poi
dovrai crearti un rifugio per dormire”.
“Che? Ma io
pensavo…”.
“Pensa meno e muoviti di più.
Te lo
consiglio!”.
Keros tentò invano di catturare
qualcosa.
Però non conosceva la zona e non gli andò troppo
bene. Raccolse qualche frutto,
consapevole di doversi impegnare di più. Serviva la carne
per avere le energie
sufficienti a sopportare l’evidente pazzia di Astaroth. Era
stremato, quindi
rimandò la costruzione del giaciglio a dopo una bella
dormita. Non riposò molto
a lungo però, perché udì la voce di
Astaroth che lo chiamava.
Corse a raggiungerlo, lo trovò intento a
fissarsi le unghie smaltate, seduto su una sedia di tronchi e foglie.
“Ti ho dato forse il permesso di dormire,
fragolina?”.
“No” ammise il principe
“Però gli altri
dormivano ed io…”.
“E tu niente. Tu devi fare quello che ti
dico io. E non ti ho detto di dormire. Gli altri si sono meritati il
riposo, tu
no”.
“Che volete che faccia,
signore?” si
arrese il giovane.
“Già meglio. Vedrai che bel
lavoro farò
con te, principessa fragola”.
Keros si morse il labbro, con fastidio, ma
rimase in silenzio.
Astaroth gli lanciò ordini a caso per
ore.
Alla fine, pretese di vedere il giaciglio del principe. Il giovane
sospirò e
tentò di creare qualcosa di vagamente decente. Ma era
stremato e buttò cose a
caso, tanto per far felice il generale.
“Ti sconsiglio di accontentarti di un
mucchio simile” commentò Astaroth “Ma se
ti senti soddisfatto, dormi pure”.
Il giorno seguente iniziò con
l’ennesima
corsa. Alcuni demoni furono richiamati e si dedicarono alla lotta.
Keros li
osservava, distratto. Sembravano tutti più forti e
determinati di lui.
“Non abbatterti”
mormorò un demone che gli
correva a fianco “Tutti noi siamo stati picchiati da quella
femmina. Lei ha
terminato l’addestramento, ma le piace stare
qui…”.
Il principe storse il naso non sapendo
come potesse piacere restare in un luogo simile. Però
dovette ammettere di
sentirsi sollevato, un pochino.
Per l’ora del pasto, Keros
trovò il
proprio giaciglio completamente distrutto dalle bestie del posto.
“Siete qui per essere
addestrati” parlò
Astaroth, camminando davanti alle reclute in fila “E
farò di tutto per farvi
rimpiangere la vostra scelta”.
Sorrise, qualcuno si lasciò sfuggire una
risatina. Il generale era vestito di scuro. I vari encomi che portava
sul petto
erano gli unici punti di luce. Dietro di sé, trascinava un
lungo mantello nero,
per coprirsi dai venti gelidi che in quel momento sferzavano
incessanti.
Provenivano dal Cocito, la zona fredda, ed erano insopportabili.
“Io sono un demone di prima generazione,
come sapete” riprese Astaroth “Quando quelli come
me furono cacciati dal
Paradiso, tutti insieme ci ritrovammo in un luogo come questo.
Interamente come
questo. Niente belle città, niente bei palazzi, niente
comodità. Niente luce.
Come pensate che ci siamo sentiti? Alcuni di noi ne furono devastati,
si
lasciarono morire. Ma il nostro re, Vostra Altezza Lucifero, rese
l’Inferno il
mondo che conoscete. Voi, demoni di seconda, terza, quarta e via
discorrendo
generazione, avete trovato tutto pronto su un bel piattino. Questo fa
di voi
dei demoni un po’ meno demoni? Penso di sì. Ma non
temete: sono qui a rimediare
a tutte le vostre lacune”.
Il suo ghigno era malvagio, Keros
percepì
un brivido lungo la schiena. Capì che avrebbe dovuto
metterci molto più impegno
di quanto credesse per superare quell’addestramento.
Finito il discorso, Astaroth diede ordine
di mettersi a coppie e combattere. Poi chiamò a
sé il principe e lo condusse nel
suo rifugio. Era una tenda, fatta con pelli e corazze di animali vari.
“Siediti” lo invitò,
mettendosi comodo.
Keros si guardò attorno. Quel posto era
decisamente più confortevole del mondo esterno. Era caldo,
grazie alle pelli,
ed aveva qualche confort come sedie, tavoli ed alcolici.
“So che l’esordio non
è dei migliori.
Faccio con tutti così” sorrise Astaroth,
maleficamente.
“Non dovevo aspettarmi nulla di
diverso”
ammise Keros, restando in piedi.
“Tu sei il figlio di Carmilla,
giusto?”.
“Sissignore”.
“Hai i suoi occhi. Era una gran
donna…”.
“Pare la conoscessero
tutti…”.
“Probabilmente è
così. Gran gnocca. Tu hai
le sue capacità?”.
“Di seduzione?
Circa…”.
“Sei un vampiro. Usi il fuoco. Che altro
sai fare?”.
“Io? Ecco…”.
Non sapeva cosa dire. Pensava agli demoni
là fuori. I gemelli erano grossi il doppio di lui e
parecchio più minacciosi.
“Fragolina…” gli
sorrise Astaroth, questa
volta con meno cattiveria “…non ti hanno insegnato
a non giudicare un demone
dall’aspetto?”.
“Me lo hanno ripetuto mille volte. Ma non
ho mai imparato”.
“Ah, ecco. Perché
vedi… La femmina che ti
ha sconfitto, così come me e perfino tuo padre il re, non
siamo di certo
grandi, grossi, pelosi e brutti. Dico bene?”.
“Dite bene ma come fate
a…?”.
“Sono bravo ad intuire i pensieri. E poi
io ed il re abbiamo parlato di te. Era preoccupato, sai? Ti faccio
queste
domande non per impicciarmi dei fatti tuoi ma per trovare per te il
perfetto
compagno d’addestramento. La creatura con cui compirai
maggiori progressi”.
“Capisco…”.
“Dunque… Che sai fare? Sei un
tentatore? Un
Incubus? Un punitore?”.
“Io sono un tentatore. Circa”.
“Che vuol dire
‘circa’?”.
“Devo ancora completare il mio percorso
di
studi”.
“L’anima finale, intendi? Sei
molto
giovane ancora! Per quanto riguarda il fuoco, so che ti ha addestrato
Asmodeo
quindi sono certo che saprai usarlo egregiamente.
Poi…?”.
“Non mi viene in mente
nulla…”.
“Così arrogante eppure con
l’autostima
sotto i tacchi. Sei ben strano”.
“Parecchio,
sì…”.
“Va bene. Da domani combatterai anche tu.
Ti farò sapere con chi. Oggi osserva quel che fanno gli
altri”.
Keros obbedì. Osservò i suoi
compagni,
divisi in coppie. Alcune erano miste ed era quelle che destavano
maggiormente
la sua attenzione. Rabbrividì per il freddo. Capì
che restando fermo si sarebbe
congelato e così tentò di copiare qualche mossa.
Sobbalzò quando vide una delle
femmine accanto a sé, con espressione perplessa.
“Cerchi di fare come loro?”
chiese lei.
“Cerco di non morire di
freddo…”.
“Uno come te non può contare
sulla forza
bruta. Concentrati sull’agilità. Devi essere
veloce, più veloce di qualsiasi
demone ben più grosso di te possa comparire sul tuo
cammino”.
“Grazie,
però…”.
“Dai… Ti mostro come si fa. Il
generale
Astaroth mi ha insegnato praticamente tutto…”.
Capitolo
corto, ma sto per andare in ferie e sto leggermente uscendo ti testa :P
comunque, vi lascio il link alla mia paginetta fb appena nata.
Lì carico le
storie (come questa, ovviamente) ed alcune fan art. Ne ho caricata una
da
pochissimo proprio su questo capitolo. Sarei molto felice se gli deste
un’occhiata.
E magari lasciate un like ;) a presto!!
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Capitolo 19 *** Addestramento -parte seconda- ***
ADDESTRAMENTO
-parte
seconda-
“Pericolo!” urlò il
demone che faceva da
vedetta “Al riparo! Pericolo!”.
Un’enorme bestia stava piombando
sull’accampamento d’addestramento, con
l’intento di procurarsi un buon pasto.
Tutti si misero a correre, in cerca di un rifugio adatto. Non tutti
però ne
furono in grado e la creatura piombò su uno dei gemelli, che
con la sua grossa
stazza non riusciva a muoversi molto in fretta. Un corno del demone
volò via,
arrivando ai piedi di Astaroth. Nascosto in un anfratto fra le rocce,
con alle
spalle parte della truppa in addestramento, fece segno a tutti di
tacere e
stare fermi. Qualcuno propose di aiutare il collega in
difficoltà, Astaroth
ringhiò di risposta. Se ne stava sull’ingresso di
quella grotta improvvisata e
tentava di capire se tutti gli altri sotto il suo comando fossero al
sicuro.
Nel frattempo, il gemello attaccato
lanciava grida d’aiuto, mentre il fratello dirigeva sguardi
di supplica al
generale.
“Fate silenzio!”
sibilò Astaroth “È la
legge della natura. Lui muore e voi sopravvivete. È
così che funziona! Fate i
demoni! E fate silenzio!”.
“Ma è mio
fratello…” si azzardò a
rispondere il gemello al sicuro.
“E con ciò?” si
accigliò ancora di più
Astaroth “Sai quanti fratelli ho visto morire? Quanti
fratelli ho perso e non
vedrò mai più? Se quello non fosse tuo parente,
te ne fregheresti altamente. E non
tentare di negarlo”.
Scese il silenzio. Poi una gran luce
attraversò l’ombra di quel rifugio. Una fiammata
aveva raggiunto la bestia, che
aveva ringhiato infastidita. La creatura aveva smesso di attaccare il
demone,
ferito e piuttosto confuso, e si guardava attorno, tendando di capire
da dove
provenisse quel fuoco. Fra gli scheletri neri degli alberi infernali,
che si
nutrivano di fiamme e fiumi sulfurei, bisognava muoversi in fretta.
Senza
indugio, si rischiavano gravi ferite a causa di spine e veleni, Keros
saltellava da una pianta all’altra. Distrasse
l’animale ancora un paio di volte,
incitando il gemello ferito a correre al riparo. Vedendo che il collega
non
riusciva a muoversi molto in fretta, usò di nuovo il fuoco.
Questa volta evocò
una fiammata alta, che creò un muro temporaneo fra lui e
l’animale. Questo gli
permise di trascinare il demone attaccato dentro
un’insenatura di roccia. Nel
buio totale, trattenne il fiato mentre la creatura ringhiava e scavava
in cerca
della preda.
“Sarebbe questa l’ora di
arrivare,
principessa? Eri a dipingerti le unghie?” sibilò
il gemello ferito, con un
ghigno.
“Ti ho appena salvato le
chiappe!” sbottò
Keros, ansimando per la fatica.
“Ok. Però ammettilo che ti
dipingi le
unghie”.
“Ma no!”.
“Hai la faccia come il
culo…”.
“Il mio culo è
bellissimo”.
Rimasero in silenzio, prima di ridere
insieme.
“Senti come quella bestia scava per
riuscire a trovarci!” commentò ancora il gemello.
“Sente l’odore del sangue. Sei
ferito in
molti punti” gli rispose Keros.
“Sempre meglio che essere morto, non
trovi?”.
Quando fuori tornò il silenzio, segno
che
l’animale si era arreso e si era allontanato, i due
riemersero dal loro
rifugio. Altri demoni in addestramento li raggiunsero, per sincerarsi
delle
loro condizioni. Fra le risate e i commenti di gioia, stemperando la
tensione,
tuonò la voce di Astaroth. Chiamava Keros, e lo chiamava con
il proprio nome.
Segno che era davvero in collera. Il principe lanciò qualche
sguardo ai
colleghi e poi raggiunse il generale, mettendosi sull’attenti.
“Sei qui da un po’, dico
bene?” ringhiò
Astaroth.
“Sissignore” si
limitò a dire Keros.
“E allora dovresti ormai aver imparato
come funzionano le cose. O no? Sei forse stupido?”.
“Io…”.
“Rispondi! Sei stupido?”.
“Nossignore”.
“Allora sei uno stronzo”.
“Nossignore”.
“Vi ho spiegato, più e
più volte, a tutti
quanti voi, che qui non conta quel che accade al singolo individuo. Il
mio
compito è tentare di far portare a termine
l’addestramento a più cadetti
possibili, non a tutti. Secondo te, Lady Fragola, è meglio
perdere uno di noi o
mettere in pericolo l’intero gruppo?”.
“Io…”.
“Non devi rispondere. Perché
la risposta è
ovvia. Piuttosto, razza di fragaria cremisi, che stracazzo ti
è saltato in
mente?! Perché rischiare il culo per salvare uno dei
gemelli, con il quale non
fai altro che litigare? Ti sei fumato i neuroni? Ti si è
addormentato l’istinto
di sopravvivenza?”.
Keros non rispose.
“Parla!” sbraitò
Astaroth.
“Io non pensavo fosse giusto che
morisse”
ammise il principe.
“Perché?”.
“Perché è un mio
compagno d’addestramento.
Stiamo affrontando le stesse prove e le stesse difficoltà.
Litighiamo, non ci
sopportiamo, ma non è giusto che muoia. E soffra”.
“E perché? Parli di giustizia
proprio in
questo luogo. L’inferno è luogo di
sofferenza!”.
“Credo che non esista luogo
più adatto
degli Inferi per parlare di giustizia. Qui vengono puniti coloro che in
vita
hanno commesso peccati gravissimi. Gli Inferi sono luogo di giustizia e
non
ritenevo necessario far morire un collega, dato che avevo la
possibilità di
aiutarlo”.
“E se crepavi a tua volta? Avrei perso
non
uno ma due uomini. Ed avrei dovuto dire a tuo padre che sei morto come
un
povero coglione, per tentare di salvare la vita ad uno a cui manco stai
simpatico”.
“Ma si aiuta solo chi ci sta
simpatico?”.
“No, non si aiuta e basta”.
“E perché?”.
“Perché è
così che fanno i demoni!”.
Keros fece per ribattere ma non disse
nulla. Astaroth lo fissò con aria interrogativa.
“Non ti preoccupare” aggiunse,
con un
ghigno “Sei qui per questo. Per imparare ad essere un vero
demone”.
“No…” scosse la
testa Keros “Non voglio
essere un demone così”.
“Come…?”.
Il principe non rispose.
“Torna immediatamente al tuo
posto” ordinò
il generale, con il viso rosso dalla collera “Non voglio
più udire una sola
parola da te. Sei qui per imparare la disciplina ed è quello
che ti insegnerò.
Ora sparisci dalla mia vista. E se ti azzardi a commettere un altro
errore
simile, ti farò frustare. Chiaro?”.
“Sissignore”.
“E per quanto riguarda il demone che hai
salvato… Porgigli i tuoi saluti, perché ferito
così com’è è destinato a
morire
dopo una lenta agonia. Incapace di procurarsi cibo ed acqua,
creperà di stenti.
Spero che la cosa ti renda felice”.
Il generale non ricevette risposta. Keros
si allontanò, riprendendo i soliti esercizi
d’addestramento. Era diventato più
veloce, più forte, ma il suo animo non riusciva proprio ad
accettare certe
situazioni.
“Tieni” si udì nel
buio.
Il ferito, che si era nascosto nel buio
per tentare di non essere di nuovo facile preda, riconobbe subito il
principe.
“Ti ho portato qualcosa da
mangiare”
insistette Keros.
“Hai cacciato per me?” si
stupì il demone.
“Ma scherzi? Figurati se faccio fatica
per
te, che non fai che sfottermi. È che ho catturato una bestia
grossa. Troppo
grossa per me”.
“Ti rovina la linea?”.
“Problema che tu non hai,
culone!”.
Si lanciarono uno sguardo infastidito che
durò qualche istante.
“Se ti scopre
Astaroth…” mormorò il
ferito, accettando il cibo “…saranno guai per te,
fiorellino”.
“Tanto saranno guai lo stesso. Non sono
certo il suo ideale di soldato”.
“In realtà credo che tu non
gli
dispiaccia. Sei una sfida”.
“Già… Io devo essere
sempre particolare”.
“Mi pare sia giusto che sia
così, no? Un
giorno, sarai re”.
“Sarò re solo nei brevi tempi
in cui il
sovrano attuale vorrà andare in vacanza. Credi veramente che
mai lascerà il suo
posto?”.
“Non lo so. Non mi interessa. Non sono un
nobile”.
“E nemmeno sei molto intelligente,
unicorno”.
“Non offendere il fatto che ho un corno
in
meno. Ne ho altri tre… a differenza tua!”.
Keros rispose con un ghigno. “Almeno
adesso non ti confondo più con il tuo gemello!”
commentò.
“Quello è facile. Lui
è un cagasotto. Non
mi ha aiutato nemmeno per sbaglio!”.
“Siete lenti. Non riusciva a rotolare
fino
al nemico. Ora mangia. Io me ne vado a dormire”.
“E se facessi la spia con
Astaroth?”.
“Fai pure.
Buonanotte…”.
Il re sbadigliò. Si stava annoiando e
guardava dalla finestra, spaparanzato su una poltrona color del sangue.
Si era
già ritirato nelle sue stanze e sorseggiava superalcolici
nell’attesa di
riuscire finalmente ad addormentarsi. Da fuori, udiva le urla delle
anime
condannate e le loro suppliche.
“Potevate pensarci quando eravate in
vita,
creaturine disgustose” mormorò, pensando a quale
nuova tortura introdurre in
alcuni gironi.
Per lui era divertente sentir soffrire gli
umani. Li odiava, li trovava rivoltanti, inutili e stupidi. Decisamente
inferiori. E in parte responsabili della sua caduta, dato che si era
rifiutato
di inginocchiarsi dinnanzi a loro.
“Io sono stato creato dalla luce.
Perché
mai dovrei inginocchiarmi al cospetto di chi è creato con il
fango? Certe cose
ancora non le capisco”.
Dopo il terzo bicchiere, Lucifero rizzò
le
orecchie. Aveva percepito qualcosa e cercava di capire cosa fosse.
Qualcosa di
mosse nell’ombra ed il re scattò in piedi, pronto
ad affrontare un nemico.
“Chi è
là?” ringhiò “Come sei
arrivato
nelle mie stanze? Come hai superato i controlli delle
guardie?”.
“Le tue guardie le conosco
bene” si sentì
rispondere “Conosco tutti i loro punti deboli.
Così come conosco i tuoi…”.
“La tua voce…”.
Il padrone di casa aveva già udito
quella
voce. Ma no, si disse, non può essere.
“Se vuoi uccidermi…”
ricominciò a parlare
“…ti comunico che in pochi secondi avrai tutti i
demoni del palazzo qui. Sicuro
di volerli affrontare tutti? Inoltre, il mio erede non perdonerebbe
certi atti
sovversivi”.
“Non voglio ucciderti. Non sono uno
sprovveduto. Solo una creatura priva di senno attaccherebbe il proprio
nemico
nella sua dimora, dove meglio conosce il terreno
d’azione”.
“E allora cosa vuoi? Un
autografo?”.
L’intruso camminò verso la
luce della
candela. Era avvolto in stoffe chiare, il volto coperto da un
cappuccio.
Titubante, rifletté ancora qualche istante e poi
mostrò il viso.
“Mihael!” esclamò
Lucifero “Che storia è
mai questa? Non è concesso a quelli come te di venire qui.
Sono questi i patti!
Questo è il mio regno!”.
“Lo so. Tranquillo. Non sono qui come tuo
nemico”.
“Ma allora…”.
Il re osservò chi aveva di fronte.
L’Arcangelo era piuttosto sporco, visibilmente affaticato.
Gli occhi color del
cielo brillavano intensamente e Lucifero sfidò quello
sguardo.
“Attendevo la tua comparsa nel mondo
umano” parlò, piano, Mihael “Ma
ultimamente non ti sei fatto vedere. Quindi ho
capito che l’unico modo era recarmi qui”.
“Qualsiasi cosa voglia dirmi, puoi
mandarlo elegantemente a fanculo”.
“Di chi parli?”.
“Lo sai di chi
parlo…”.
“Non è stato il Padre a
mandarmi qui. Ho
agito per mia scelta. Per mia volontà”.
“In poche parole… Hai deciso di
suicidarti!
Un mio comando e ti saranno tutti addosso. Hai considerato questa
opzione?”.
“Sì. Ma confido nel tuo buon
senso. Ci
sono cose molto importanti di cui dobbiamo discutere”.
“Io non ho nulla da dirti”.
“Nemmeno io ho qualcosa da dire a te,
avversario”.
“E allora che vuoi? Che fai
qui?”.
“Sono qui per il ragazzo”.
“Keros?”.
“È questo il nome che gli hai
dato? È così
che chiami… il figlio di Carmilla?”.
“Sì…”.
“Dove si trova? Vorrei
parlargli”.
“Al momento non è possibile.
Non si trova
a palazzo. E poi che vuoi da lui? Fargli la predica?”.
“Non ho alcuna intenzione di fargli del
male. Hai la mia parola. E tu sai che non mi è concesso
mentire”.
Lucifero e Mihael si osservarono in
silenzio. Nessuno dei due si fidava dell’altro.
“Cosa vuoi da Keros?”.
“Parlare. Voglio parlare con
lui” ribadì
l’Arcangelo.
“E tu hai affrontato l’Inferno
e la
possibile ira di Dio solo per parlare? Rischiare di essere ucciso in
ogni
momento, vivendo lontano dalla grazia a cui sei abituato, solo per
chiacchierare?”.
“Non voglio chiacchierare! La faccenda
è
seria”.
Mihael sobbalzò, quando si
udì l’urlo
straziante di un’anima tormentata. Lucifero trovò
la scena divertente e
ridacchiò.
“Che posto orribile dove
vivere” commentò
l’Arcangelo, a mezza voce.
“Non è una mia
scelta” sbottò Lucifero.
“Certo che lo è. Sei tu che ti
sei
ribellato e…”.
“Non parliamo di questo. Farmi incazzare
è
a tuo rischio e pericolo”.
“Non voglio litigare. Non voglio
combatterti. Voglio solo parlare con lui. Con quel ragazzo”.
“Perché?”.
“Serve chiederlo? So che di te non posso
fidarmi, che menti continuamente e che ogni tua parola è
pronunciata da lingua
di serpente ma… Su tutto questo cosa c’è
di vero? Ho visto le sue ali. Ho visto
le ali di quel giovane. E da quella volta ho dei ricordi che balenano
in mente
di colpo, come attimi passati. Delle tue parole non mi fido,
però questa volta
ti supplico di essere sincero. Non mentirmi, fratello. Quel giovane
è…”.
“Figlio tuo e di Carmilla? Sì,
è così.
Keros è il frutto del tuo peccato, per usare termini a te
congeniali”.
Mihael rimase in silenzio. Sul viso
comparve una smorfia, all’ennesimo grido di dolore delle
anime.
“Vedila
così…” ghignò Lucifero,
offrendo
un bicchiere di vino all’Arcangelo “…ora
abbiamo una cosa in comune: ci siamo
divertiti con la stessa donna”.
Bentornata
a me medesima dalle ferie! Nonostante i problemi con pc e connessione,
ecco il
capitolo nuovo :) Vi anticipo già che nel prossimo capitolo
ci sarà un incontro
fra parenti con ben poco affetto. In attesa del prossimo capitolo, vi
rinnovo l’invito
a fare un giretto nella mia nuova paginetta FB. Se mi lasciaste un
like, sarei
davvero felice :) GRAZIE
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Capitolo 20 *** Riunione ***
20
RIUNIONE
“In
nome dell'unica religione, grazie all’infinita benevolenza
del tuo dio, ti
condanno alle eterne fiamme dell’Inferno”
rise, sadicamente, Keros.
Aveva
scovato, durante il suo turno di guardia, un'anima
errante e si stava divertendo a torturarla. Ignorava le suppliche e le
richieste di pietà, citando in modo ironico le formule che
sentiva pronunciare
fra gli esseri umani. Lungo la propria vita aveva assistito ad ogni
tipo di
strambo processo, da quello contro le streghe ai più strani
esorcismi contro gente
che con i demoni non aveva mai avuto a che fare. Ed in tutto il mondo
compariva
la stessa frase: unica e vera religione. Keros non si era mai
interessato più
di tanto alla teologia, anche se tecnicamente ci viveva in mezzo.
Girando per
la Terra aveva incontrato demoni di altre religioni e a volte Lucifero
gli
parlava di Dei antichi, e moderni, con cui si incontrava.
“Da
che zona sei fuggita, creaturina lurida?” sibilò
il
principe, piantandole gli artigli in un braccio.
Come
tutte le anime condannate, essa possedeva un marchio che
indicava il peccato per cui era condannata alla pena eterna. Non fece
in tempo
a scovare quel segno, tracciato da uno dei giudici infernali,
poiché venne
interrotto dalla voce insistente di un suo collega di addestramento.
Qualcuno
all'accampamento lo voleva vedere, ma il farfugliare eccitato del
demone non
era stato molto chiaro al riguardo.
Era
strano che Lucifero si presentasse senza troppe
cerimonie, senza araldo, annunci ufficiali o cortei reali.
Perciò
Astaroth ne fu molto stupito e si affrettò a
richiamare tutti i suoi allievi, per rendere omaggio in modo
appropriato
all'Imperatore degli inferi. Dopo aver appreso che Keros era
momentaneamente di
guardia, Satana si concesse un'ispezione alle truppe in addestramento,
che si
erano radunate.
“Che
magnifici esemplari” commentò il sovrano
“Lieto e
stupito di vedere anche delle donne ad affrontare una tale sfida. Siete
l’orgoglio del nostro regno e del nostro popolo”.
“Sì…”
sorrise Astaroth “Le donne sono quelle più
cazzute, qui
in mezzo”.
I
due demoni ridacchiarono.
“Posso
allietarvi con qualche combattimento, altezza? In
attesa del vostro prezioso figlio…” propose
Astaroth e Lucifero annuì, con un
sorriso.
Di
sfuggita, il re lanciò un'occhiata alla creatura che lo
seguiva, partita con lui dal palazzo reale e celata sotto un cappuccio.
Le
dedicò un ghigno divertito.
“Perdono
per il ritardo” furono le prime parole di Keros,
appena giunto all'accampamento “Ma quest’anima mi
ha rallentato”.
“Un
fuggitivo?” si leccò i baffi uno dei demoni
gemelli.
“Porta
il marchio degli assassini!” si aggiunse un altro
cadetto.
“Come
ha fatto a fuggire?!” si chiese Astaroth, lasciando che
i suoi allievi vi si divertissero “Non abbiate alcuna
pietà. Fatela a pezzi.
Tanto poi si ricompone”.
Lucifero
si lasciò sfuggire una risata, quando notò lo
stato
in cui l’aveva ridotta Keros prima di affidarla ai compagni.
Il ragazzo si era
messo sull'attenti, aspettando ordini.
“Sissignore"
rispose immediatamente, non appena Astaroth
gli ebbe spiegato che il re era giunto fin lì per parlargli
in privato e che
era momentaneamente sospeso il turno di guardia.
Lucifero
suggerì di concedere a tutti quei promettenti
soldati qualche ora libera e la reazione fu di entusiasmo.
Ritirati
nel rifugio che Keros con il tempo si era creato, re
e principe rimasero qualche istante in silenzio. Poi il ragazzo
sospirò.
“Ti
mancavo?” stuzzicò “Se ti serve
qualcosa, vieni al sodo.
Ho parecchio da fare”.
“A
palazzo si sente la mancanza della tua chioma ciglieggiuta”
ghignò il
Signore
degli inferi.
“E
l’incappucciato chi è?”.
“Sono
qui per questo”.
Il
principe si era creato un angolo relativamente comodo con
pelli e ossa di animali che aveva ucciso. Non era certo lussuoso o di
bell’aspetto, ma teneva lontane creature pericolose ed
intemperie.
“Per
prima cosa…” iniziò a parlare il re
“…sono fiero di te.
Seconda cosa: qui c'è qualcuno che vuole parlarti con una
certa urgenza”.
Colui
che accompagnava il re, avvolto in stoffe chiare,
abbassò il cappuccio e mostrò inconfondibili
occhi azzurri.
“Mihael?!”
sobbalzò Keros “Cos'è? Uno scherzo?
Siete
impazziti?! Sapete che succede, se qualcuno degli altri lo
vede?”.
“Lo
sappiamo. Conosce i rischi che corre. Rilassati”
allungò
una mano Lucifero, e Keros si ritrasse.
“Intendo
dire se capite cosa potrebbe succedere a me! Sto
cercando di farmi un nome, una reputazione. Non voglio passare per
quello che
prende il tè con gli angioletti!”.
“Ha
fatto tutta questa strada solo per incontrarti e
parlarti” continuò il re, con calma.
“E
chi dice che io voglia parlarci?” fu la risposta,
parecchio irritata, del principe.
Lucifero
sospirò e lo prese da parte. Mihael, dato che i due
conversavano in demoniaco, poteva solo intuire il senso dei dialoghi.
“Keros…”
riprese Lucifero “…rilassati. Nessuno sa chi si
cela
sotto quelle vesti chiare, o lo immagina. Ha affrontato un viaggio
lunghissimo,
pieno di pericoli e…”.
“Tanto
gli angeli non possono essere feriti!” interruppe
Keros.
“All'Inferno
le cose funzionano in modo diverso, ragazzo. La
luce divina non giunge fin qui, e questo lo rende vulnerabile e debole.
È qui
per sua volontà, non per ordine dell'onnisciente
rompicoglioni. È un padre,
Keros, che cerca di trovare un dialogo con suo figlio. Un figlio che di
certo
non si sarebbe mai immaginato di avere, o che comunque non si aspettava
con una
natura come la tua. È un padre che, nonostante tutti i
secoli che avete
trascorso come nemici, è qui per cercare di conoscerti. Non
è da tutti. Almeno
cinque minuti glieli concederei…”.
Keros
sbuffò. Lanciò un'occhiata verso Mihael, che era
rimasto in piedi ed in silenzio.
“Odio
quando fai il saggio” sibilò il ragazzo.
“Per
fortuna non succede spesso” mostrò la lingua
Lucifero
“Vado a scambiare due parole con Astaroth, così vi
lascio soli…”.
Il
principe tentò invano di protestare. Rimasto solo con
l'Arcangelo, si rassegnò.
“Io
non ho nulla da dire” furono le sue parole, in perfetto
Angelico “Ma ho le orecchie pronte per ascoltare”.
“Come
conosci così bene la lingua degli angeli?” chiese
Mihael.
“Lucifero
me la insegnò quando ero piccolo. È molto
più
semplice del demoniaco, a mio parere. Ora parla. Non ho molto tempo a
disposizione. Sono qui per addestrarmi, non per cianciare".
“Me
lo hai fatto diventare un mostro" ghignò,
soddisfatto, Lucifero “Anche se qualche schiaffo ben
assestato ancora glielo
darei”.
“È il
mio lavoro” rispose, con finta modestia, Astaroth.
I
due, nel lussuoso rifugio del generale, sorseggiavano
liquori e ricordavano i tempi passati.
“Come
se la cava? Sii sincero” volle sapere Satana, tornando
al presente e pensando a Keros.
“Bene,
direi. Il primo periodo è duro per tutti ma poi non ha
avuto grossi problemi”.
“Sei
sicuro? Nessun tipo di problema? Nessun atteggiamento
particolare?”.
“Se
c'è una cosa su cui mi sento di fare un appunto e su
determinati modi di agire che reputo… Fuori
contesto”.
“Procedi…”.
“Nulla
di grave, sia chiaro. Solo che a volte il ragazzo si
mostra un po'… Non so come dire… Troppo
altruista”.
“Cioè?”.
“Qui
vige la regola dell'ognuno per sé, ma è come se
non
fosse in grado di seguirla. Se un suo compagno è in
difficoltà, lo aiuta. E
questo non per mettere in discussione la mia autorità, come
credevo all’inizio,
ma perché ritiene giusto farlo. Questo non è
molto demoniaco. C'è un lato del
suo cuore che è… ecco... Empatico. Ed a
questo io non posso porre rimedio. Posso
insegnargli a combattere ed uccidere, a sopravvivere in situazioni
estreme e
farsi valere… Ma non posso spegnere quella piccola fiamma
gentile”.
“Capisco…”.
“Non
che sia una cosa negativa” si affrettò a dire
Astaroth
“Solo che non è… Usuale! Anche se
bisogna dire che è comunque facente parte
della seconda generazione, e forse l'ereditarietà di tratti
angelici è più
probabile”.
“Che
consigli mi dai a riguardo, Astaroth?”.
“Consigli?
Io? A voi? Altezza, io non…”.
“Non
ho detto che li seguirò. Ma intanto dammeli. Che
faresti, se fossi in me?”.
“Sinceramente?
Io credo che quel ragazzo un giorno possa
essere un grande re. Però non so se sarà mai del
tutto soddisfatto. Quel lato
gentile, come regnante, di certo non potrebbe alimentarlo come
vorrebbe. Le
opzioni, secondo me, sono due. O si fa in modo che quella fiammella si
estingua, mettendo a nudo ogni lato malvagio possibile, oppure la si
lascia
bruciare più intensamente. Ignorando questo lato, come cerca
in ogni modo di
fare, non farà altro che ingigantire la sua
frustrazione”.
Astaroth,
a gambe accavallate ed i tacchi bene in vista,
attendeva una qualche reazione da parte del re. Questi, rimasto in
silenzio,
svuotò il bicchiere e si limitò ad annuire.
Alzò lo sguardo. Fuori gli altri
demoni in addestramento stavano ancora lottando, torturando l'anima
fuggitiva
in base ai desideri del vincitore. Dentro di sé si disse che
avrebbe
partecipato volentieri a quel gioco.
Keros
e Mihael non si erano detti molto. Si fissavano, come
studiandosi. L'Arcangelo fece una smorfia, all'ennesimo grido di dolore
dell'anima.
“Perché
fai così?” non capì il giovane
“Quell’anima è stata
condannata. In vita ha commesso degli omicidi. È giusto che
paghi”.
“Lo
so. Ma lo trovo comunque spiacevole…”
mormorò Mihael.
“Torna
a casa presto, allora. Qui le cose vanno
così…”.
Piuttosto
stanco, l’angelo sedette in terra, fra le pelli e
la nuda pietra.
“Parlami
di te” riuscì a dire, mentre Keros sbadigliava.
“Che
dovrei dirti? Ho detto fin da principio che mi limito ad
ascoltare”.
“Va
bene. Allora inizio io. Volevo solo… Chiederti scusa. Per
non averti creduto, averti insultato e tante altre cose che tu suppongo
sappia
già”.
“Hai
fatto tutta questa strada per dirmi questo? Potevi
lasciare un bigliettino ad un demone a caso”.
“Ci
tenevo a farlo di persona. Prima non credevo ad una sola
parola. Tutta la faccenda di Carmilla e Costantinopoli mi sembrava
inventata
solo per farmi perdere il controllo e le staffe. Ma da quella sera,
quella in
cui ti ho visto le ali, ho iniziato a ricordare. E mi sono sentito
profondamente in colpa. Come avevo potuto dimenticare? Come avevo
potuto non
capire?”.
“Ora
ricordi tutto?”.
“Si.
All’inizio ho avuto paura. Ho provato a parlare con il
Padre ma non è di grandi parole. Non sapevo come fosse
giusto reagire, se
fingere l’indifferenza o affrontare la realtà. Ho
deciso di iniziare da qui. Un
piccolo passo…”.
“Io
non posso considerarti mio padre. Non mi hai
cresciuto…”.
“Lo
so. E non lo pretendo. Ma non voglio ignorare la
faccenda. Parlami di te. Tu di me suppongo sappia già
tutto…”.
“Già… Be'… Io
mi chiamo Keros. Sono un demone vampiro, rubo le
anime agli imbecilli ed erediterò il trono reale. Non penso
ci sia altro da
dire”.
“Keros… Ti
ha chiamato Lucifero così. Vero?”.
“Sì.
Così come ha dato il nome a te…”.
“Ed
è un nome che…”.
“Scusate
se interrompo” irruppe Lucifero, spostando la tenda
di pelli “Keros, ragazzo mio, che ne dici di mostrarmi quel
che in
addestramento ti è stato insegnato?”.
“Molto
volentieri!”.
Il
principe ghignò soddisfatto. Circondati da altri demoni,
nell'arena l’addestramento, re e principe iniziarono a
lottare. Mihael trovò la
cosa a dir poco spaventosa, ma i due combattenti ridevano
divertiti.
“Da
tanto non bevo il tuo sangue” si leccò le labbra
Keros,
afferrando per gioco la coda di Satana.
“Te
lo concedo se riesci a prendertelo!” gli sorrise,
sadicamente, il re.
Le
urla degli spettatori si facevano sempre più alte e
incalzanti. Keros era in difficoltà, stava lottando contro
il più forte dei
demoni, ma determinato a dimostrare le sue capacità. Il
sovrano notò i
miglioramenti, complimentandosi. La rissa continuò ancora
per parecchio, fra
l’entusiasmo dei cadetti.
“Ho
una proposta per te” ansimò Lucifero, dopo aver
atterrato
Keros ed avergli concesso qualche goccia di sangue “Stammi a
sentire…”.
Ciao
a tutti! Ci
tenevo a ringraziare chi ha seguito la storia fin qui e chi si
è unito alla mia
pagina fb. Al prossimo mese!!!
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Capitolo 21 *** Cielo ***
21
CIELO
Keros si chiedeva come fosse arrivato a quel punto. Davvero si era
fatto
convincere? Non ci poteva credere. Era una serata piacevole, si
vedevano le
stelle. In un bosco, distanti da sguardi umani, Lucifero, Mihael e
Keros si
erano dati appuntamento.
“Vedi di trattarmelo bene” mormorò il
re, fissando l’Arcangelo.
“Tranquillo” rispose il fratello “Nessuno
si trova male in Paradiso. Tranne
te…”.
Scese uno strano silenzio. Keros, che si stava specchiando al fiume per
sistemarsi al meglio, storse il naso scorgendo il proprio riflesso. Con
addosso
la veste bianca degli angeli, si sentiva molto strano.
“Apri le ali” lo invitò Lucifero
“Mostramele”.
Il ragazzo sospirò e le aprì.
“Ora sono abbastanza grandi da permetterti il primo
volo” fu il commento del
diavolo.
Keros alzò lo sguardo per osservarle. Nonostante tutti i
suoi sforzi, erano
rimaste immacolate ed angeliche
“Sii felice” mormorò Lucifero, spezzando
l'ennesimo silenzio.
“Ti comporti come se fosse un addio” lo derise il
principe.
“Non a molti viene voglia di lasciare il Paradiso. Specie per
tornare
all’Inferno”.
“Ma fidati che io non ci penso proprio di passare il resto
della mia vita
vestito da tenda
E senza quei particolari divertimenti che tu
immagini…”.
“Lo scopriremo. Ora andate, con l'alba potrebbe comparire
qualche umano”.
Mihael annuì e fece segno a Keros di seguirlo. Il giovane
rispose con un cenno,
non molto convinto, e cammino appresso all'Arcangelo, lanciando
un’ultima
occhiata al re, che stava scomparendo fra la nebbiolina del primo
mattino.
Senza parlare, il mezzodemone osservò Mihael mentre in pochi
secondi apriva un
portale con tratti azzurri. Lo seguì attraverso di esso e
serrò gli occhi,
perché si ritrovò avvolto da una luce accecante.
Per qualche istante vide solo
bianco, udì la voce dell'Arcangelo.
“Non mentire agli angeli” parlava Mihael
“Non ho raccontato loro la verità, non
sanno chi tu sia veramente. Sarai descritto come qualcuno che ha avuto
da poco
le ali. Fra gli umani a volte succede”.
“Succede che cosa?”.
“Che muoiano o vivano in una condizione tale da meritarsi le
ali. L’esempio più
classico che mi viene in mente è qualcuno che perde la vita
per salvare quella
di qualcun altro”.
“Capisco…”.
“Non scendere troppo nei dettagli, per ora. Vedilo come un
periodo di prova. Se
ti piacerà, allora racconteremo tutto”.
“E cosa potrebbe succedere?”.
“Staremo a vedere. Per ora cerca solo di ambientarti".
Keros annuì. Si stava gradatamente abituando alla luce ed
iniziava a mettere a
fuoco ciò che lo circondava. Rimase senza parole.
L’aria profumava di incenso e
miele, si udivano cori angelici e musiche sublimi. Tutto era bianco,
con
colonnati e marmi decorati in argento e oro. Il mezzodemone vide le
anime
sorridere e lanciare esclamazioni di giubilo. Gli angeli erano
più composti e
silenziosi, ognuno con una sfumatura di ali differente.
L’intero ambiente era
strutturato attorno ad un fascio di luce che saliva in verticale,
attorno al
quale pregavano anime e creature celesti. Quella luce era molto
intensa, Keros
la trovò leggermente fastidiosa. Intento ad osservare,
sobbalzò quando percepì
qualcosa sfiorargli le mani.
“Benvenuto” si sentì dire.
Un angelo, dalle ali perlate, gli stringeva le mani e gli sorrideva.
Aveva un
tale sguardo, luminoso e sincero, che Keros non riuscì a
trattenere un sorriso
di risposta, ed un grazie moderatamente entusiasta.
“A nome del Paradiso tutto, ti do il benvenuto”
riprese l'angelo, questa volta
congiungendo le mani e prostrandosi in un lieve inchino “Il
mio compito è
guidarti in questo luogo, che ora è la tua casa”.
“Oh….Grazie…”
farfugliò Keros, confuso e fino a quel momento convinto che
sarebbe stato Mihael a fargli da Cicerone per il cielo.
“Per prima cosa, ti mostro il tuo nuovo alloggio. Poi ti
porto a fare un giro.
E sentiti ovviamente libero di pormi tutte le domande che
desideri”.
“D’accordo…”.
Ancora spaesato, il principe seguì la sua guida lungo le
strade candide,
notando su di sé molti sguardi incuriositi.
“Perdonali…” sorrise l'angelo
“Non capita molto spesso un nuovo arrivo con le
ali”.
“Sul serio? Pensavo che molte anime che muoiono prendessero
le ali…”.
“Ah, no! Solo le più meritevoli. E sono abbastanza
rare”.
“E l’aureola?”.
“Quella è riservata ai santi.
Chissà… Magari un giorno l’avrai pure
tu!”.
“Ne dubito fortemente…”.
Camminarono ancora per un tratto e Keros udì chiaramente
alcuni commenti sul
colore argenteo delle proprie ali, definite magnifiche.
“Se non sono troppo indiscreto…” chiese
la guida “Come è successo? Come hai
avuto le ali?”.
“Sinceramente non ricordo” ammise il mezzodemone
“Ricordo che stavo sulla
terrazza e poi… Il fuoco, un boato e mi sono ritrovato per
terra con piume
ovunque”.
“Capisco… Tranquillo, è del tutto
normale non ricordare i dettagli all’inizio.
Molti sono spaesati, specie se sono passati a miglior vita con un
evento
traumatico e non previsto”.
“Passati a miglior vita?”.
Keros era perplesso ma poi ricordò i discorsi di Mihael. Non
doveva mentire ma
nemmeno svelare la verità. Annuì, non molto
convinto.
“Ricordi il tuo nome?” si sentì chiedere
ancora.
“Keros. Io sono Keros” si affrettò a
rispondere, con un sorriso.
“Keros? Con significato greco o ebraico?”.
“Fa differenza?”.
“In greco può fare riferimento al nome dell'isola,
che prende spunto dalla dea
della fertilità Cerere, Kereios. Oppure ha a che fare con la
parola
“ciliegia" e con il dio dell'amore. In ebraico significa
“curva di
disonestà”. Direi che è parecchia la
differenza…”.
“Preferisco collegarlo a Kairos, uno dei figli della dea
della notte e connesso
alla sofferenza della guerra”.
“Sei un soldato? Cioè… Eri un
soldato?”.
“Non proprio. Però so combattere”.
“Magari il tuo ruolo sarà proprio questo. Ci sono
i soldati anche qui in
Paradiso”.
“Vedremo…”.
“Già. Il tuo ruolo ti verrà affidato
appena questo verrà comunicato”.
“In che senso?”.
“Hai notato qualche creatura con sei ali, vero? Quelli sono i
Serafini, i più
vicini a Dio. Quando arriva una creatura come te, questi attendono che
Dio gli
comunichi quale sarà il ruolo che svolgerà in
cielo. Appena sapranno quello destinato
a te, ne verrai informato”.
“Quindi… Non posso scegliere quel che voglio
fare?”.
“Quel che sarai ti verrà indicato da Dio. Lui sa
qual è il ruolo migliore per
te”.
“E se non mi piace?”.
“Impossibile. Il Padre sa cosa è meglio per
te”.
Perplesso, Keros non aggiunse altro. Si guardava attorno, notando tutta
una
serie di casette identiche. Bianche, con qualche decoro in oro, erano
disposte
una accanto all'altra. L’angelo condusse Keros fin sulla
soglia di una di esse.
“Questa è la tua” sorrise
“Prego, entra”.
L’interno era molto semplice, con pochi arredi e bianco
candido.
“Qui è dove alloggerai" spiegò la guida
“Puoi apportare delle modifiche,
se vuoi. O lasciare tutto così com'è. Prima che
tu lo chieda, non c'è la cucina
perché qui si mangia tutti assieme in una zona
apposita”.
“Tutti assieme?!”.
“Sì. Siamo in parecchi, è vero. Ma
è anche vero che tecnicamente non abbiamo
bisogno di nutrirci, se non in casi particolari. Quindi il pasto
diventa un
momento conviviale, dove lodare Dio e conoscersi”.
“Capisco…”.
“Nell'armadio hai dei vestiti, per ora identici a quello che
indossi. Quando
avrai il tuo ruolo, vi saranno aggiunti dei dettagli specifici. Ma a
questo
penseremo dopo”.
Keros annuì, osservandosi in uno specchio e trovandosi
ancora piuttosto
ridicolo. La sua guida lo invitò a seguirlo, per proseguire
il percorso.
“Qui non ci sono chiavi o lucchetti. Sei libero di entrare ed
uscire, da casa
tua come in quella degli altri”.
Il mezzosangue annuì di nuovo, chiedendosi come avrebbe
ritrovato casa sua fra
tutta quella fila identica. Il giro proseguì fino ad un
grande edificio imponente,
con un colonnato all'ingresso ed il soffitto a volta.
All’interno, un’unica,
grande scrivania. Davanti ad essa una fila di persone, Keros
intuì che fossero
anime.
“Qui vengono smistati i nuovi arrivi" gli fu spiegato
“Vedi? Le anime si
avvicinano al tavolo e pronunciano il proprio nome. Dietro quella
porta, alle
spalle della sedia su cui sta seduto quell’Angelo, sono
custoditi tutti i
volumi con tutte le persone del mondo. Tutte quelle meritevoli di avere
un
posto in Paradiso, ovviamente. In base a quanto scritto sul libro,
verranno
accompagnate nel settore più adatto, dove godere della
beatitudine eterna”.
“E chi compila questi libri?”.
“Ci sono degli angeli appositi. Vieni…”.
Salutando la creatura seduta alla scrivania, ed il suo assistente che
cercava i
volumi con il nome corrispondente, Keros e la sua guida salirono le
scale. Al
piano superiore, sotto una cupola decorata a mosaico in oro, tantissimi
angeli
erano chini su tavoli avorio. I loro occhi brillavano, illuminati dalla
luce
che entrava dalle molte finestre, e scrivevano con inchiostro
dorato.
“Questo è il settore adibito alla stesura dei
libri delle anime. È uno dei
ruoli possibili. Quel gruppo laggiù, invece, si occupa di
testi sacri”.
Si avvicinarono ad un gruppo di angeli che sedeva dinnanzi a tavoli
disposti in
cerchio. Le pagine che stavano riempiendo erano piene di meravigliose
miniature
e disegni.
“Che cosa scrivono?” sussurrò Keros, non
volendo disturbare il silenzio.
“Dipende. Alcuni trascrivono testi antichi, altri poesie e
preghiere, altri
canti sacri ed altri ancora avvenimenti nel Mondo degni di nota. Libri
sulle
stelle, sul creato e sugli accadimenti passati e presenti, sia della
Terra che
del Cielo. Poi vengono trascritti messaggi o comunicazioni che devono
viaggiare
da una parte all’altra del cielo, o che vanno recapitati ad
angeli
momentaneamente fra gli uomini o in alcuni casi agli umani
stessi”.
“Questo mi piace” ammise il principe “Mi
piacerebbe stare qui”.
“Ma deve essere Dio a dirtelo. O meglio, i Serafini tramite
Dio”.
“E non posso nemmeno provare? Insomma… Intanto che
aspetto che mi dicano dove
devo andare e che devo fare…”.
“Suppongo non ci sia nulla di male. Però bisogna
chiedere al capo settore.
Vieni con me”.
Camminarono fra tavoli e angeli, fino a raggiungere una porta d'oro. La
guida
bussò ed attese. Sentendosi dare il permesso,
entrò e fece segno a Keros di
seguirlo.
La stanza era semicircolare, con pareti affrescate rappresentanti il
cielo
sereno. Sul soffitto costellazioni incise ruotavano attorno ad
un’apertura da
cui filtrata una luce fortissima, che cadeva esattamente al centro
della
scrivania posta al centro della stanza. Il pavimento era bianco come il
latte,
a volte sfumato d'azzurro. Due angeli stavano osservando Keros e la sua
guida.
Il mezzodemone, dagli studi che aveva intrapreso, li riconobbe e rimase
in
silenzio.
“Damabial!” parlò l’angelo
seduto alla scrivania, rivolto a colui che aveva
condotto il mezzosangue fin lì “Cosa ti
porta qui?”.
Con grandi e profondi occhi azzurri scrutò Keros,
che rispose con un
piccolo inchino
“Lui è il nuovo arrivato, Arcangelo
Gabriel” sorrise Damabial “Ed è rimasto
affascinato da quel che accade in questo luogo. Si chiedeva se fosse
possibile
trascorrere un periodo di prova, in attesa del ruolo
definitivo”.
“Fatti vedere, ragazzo” si intromise l'altra
creatura celeste presente nella
stanza.
Con ali blu come la notte, era leggermente più alto rispetto
agli altri
presenti.
“Dicono ti abbia accompagnato Mihael. È
così?”.
Keros annuì.
“Wow” commentò Gabriel, con uno strano
tono di voce quasi sarcastico.
“Wow?” ripeté Keros.
“Di solito non succede” gli sorrise
l’Arcangelo “Il musone ha sempre altro da
fare”.
“Musone?” continuò il mezzosangue.
“Non preoccuparti. Non fa quella faccia perché ha
un qualche problema con te.
No. È la sua faccia. Lui ha problemi con
l’universo”.
“Non sorride più da tanto tempo”
concluse l’angelo dalle ali blu “Ma sono
questioni ormai lontane. Pensiamo al presente. Io sono l'Arcangelo
Uriel. Tu?”.
Keros sapeva benissimo chi fosse, così come sapeva che
Mihael non sorrideva più
dal giorno della caduta di Lucifero. Rispose alle presentazioni ed alle
varie
domande che gli venivano rivolte.
“Hai una famiglia?” volle sapere Gabriel.
“Mia madre è morta quando sono nato. Del mio vero
padre non posso dire molto.
Sono stato cresciuto da… Mio zio. Tutti lo considerano un poco di
buono, ma se non
fosse stato per lui io sarei morto subito dopo la nascita”.
“Se tu sei qui, non può che averti insegnato i
giusti valori. Un giorno lo
rivedrai in cielo” lo rassicurò Gabriel, non
capendo la risatina di Keros.
“Forse tua madre è qui”
ipotizzò Uriel.
“Dubito… Non era molto credente”.
“Capisco. In ogni caso, la vita terrena è solo un
passaggio”.
Il mezzodemone annuì. Non sapeva bene cosa dire. Osservava
le aureole sul capo
dei due Arcangeli e le vedeva risplendere di luce.
“Per me non è un problema se vorrai venire qui a
scrivere” riprese Gabriel
“Lavoro da fare c'è sempre”.
Keros ringraziò con un inchino.
“Ora continua pure il giro” invitò Uriel.
“Quindi il tuo nome
è… Damabial?” domandò il
principe, una volta tornati fra le
strade del cielo.
“Eh sì” sorrise l’angelo.
“Posso chiamarti Dammy? Più
rapido…”.
“Come preferisci”.
Insieme proseguirono. Videro il luogo in cui ci si riuniva per
mangiare,
salutando gli angeli addetti alla preparazione dei pasti. Incrociarono
un paio
di cherubini dalle quattro ali e Keros notò che le vesti si
facevano sempre più
sontuose ad ogni livello. I Serafini sembravano davvero dei
re.
Seguendo il sentiero, la guida invitò il principe ad
osservare l’addestramento
e l’allenamento dei soldati. Subito Keros
individuò le ali aranciate di
Mihael.
“Qui i guerrieri si preparano alla lotta contro i demoni.
Vieni”.
Damabial condusse Keros proprio da Mihael, che stava impartendo ordini.
Il
mezzodemone non poteva che trovarci una certa similitudine con Asmodeo
e le
guardie del palazzo. L'Arcangelo gli rivolse uno sguardo che non seppe
interpretare.
“Mi hai detto che sai combattere…”
incalzò la guida “…magari ti piacerebbe
provare a mostrare a Mihael quello che sai fare”.
‘Io…” mormorò Keros, non
sapendo bene cosa dire.
“So bene come lotta il ragazzo” si udì
la voce di Mihael, che continuava ad
osservare i propri soldati.
“Oh… Ottimo” sorrise l'angelo.
“Continuate pure il giro. Avrò modo di mostrare al
nuovo arrivo come funzionano
le cose in un altro momento” concluse l’Arcangelo
guerriero, senza voltarsi e
con le mani incrociate dietro la schiena.
“Ti ha rivolto la parola” commentò,
stupito, Damabial “Spesso nemmeno gira gli
occhi e continua i suoi affari”.
“Pensa te…” non nascose il suo fastidio
Keros.
“Mihael è un po’ particolare. Penso
dipenda dall'avere a che fare con i demoni
tutti i giorni”.
“Sarà…”.
Preferendo cambiare argomento, i due ripresero il cammino. Visitarono
il
settore adibito alla creazione delle vesti che indossavano,
la cui
maestria di mani angeliche si mostrava soprattutto nei sontuosi abiti
di
Serafini e Cherubini. Era un lavoro ricco di dettagli e ricami, di cui
Keros
apprezzò la fattura.
Quando i due giunsero nei pressi nel gruppo angelico che cantava, il
mezzodemone notò una moltitudine di anime intente a pregare,
osservando la
luce.
“Ma quindi….La luce è Dio?” si
chiese, esprimendo un concetto ad alta voce.
“La luce è DI Dio” specificò
la guida.
“E lui dove sta? Non si fa mai vedere?”.
“Lui comunica direttamente solo con alcuni. E questi poi
riferiscono. La sua
luce basta a tutti per donare forza, coraggio e immensa
gioia”.
“Ah… Pensavo che ogni tanto si mostrasse.
Sai… tipo affacciarsi al balcone o cose
così”.
Damabial ridacchiò, divertito. Dopo aver definito Keros
“un nuovo arrivo
decisamente simpatico”, lo condusse al centro del coro.
I cantori e i musicisti erano perlopiù Serafini ed angeli
semplici, ma non
mancavano altri ranghi. A dirigerli, due Arcangeli identici, alti un
paio di
spanne più degli altri. Le loro ali erano grigio scuro e
vestivano in chiaro,
con ricami in oro e verde. Si voltarono entrambi verso il nuovo
arrivato e la
sua guida.
“Ali d’argento” commentò uno
di essi “Come brillano. Molto belle”.
“Io noto di più i capelli” sorrise il
secondo “Immagino ti fosse difficile
passare inosservato, anche al piano di sotto”.
“Piano di sotto?” chiese Keros, sentendosi spiegare
che parlavano del mondo
umano.
“Io sono Metatron” si presentò il primo
gemello “Lui è Sandalphon. Sì, siamo
gemelli”.
“Lo avevo intuito” ridacchiò Keros,
presentandosi e notando, avvicinandosi, che
i due erano albini.
“C'è una cosa che chiediamo a tutti i nuovi
alati” furono le prime parole di
Sandalphon, con sul viso uno strano ghigno.
“E sarebbe…?” iniziò a
preoccuparsi il mezzodemone, mentre i gemelli si
lanciavano uno sguardo d’intesa.
“Vogliamo sentire la tua voce” gli risposero in
coro.
“Quale voce? Cioè… Voi volete che io
canti?! Ma no... Io...".
“Perché no?” di nuovo in coro.
“Perché mi vergogno!”.
“E di cosa?” rise Metatron “Nessuno
è qui per deluderti. È una cosa che
chiediamo a tutti…”.
“E che dovrei cantare? Non conosco i
testi…”.
“A noi basta l’intonazione”
spiegò Sandalphon “Facci una scala”.
Notando la perplessità di Keros, Metatron usò la
propria voce e fece sentire al
nuovo arrivo quel che intendeva. Il mezzodemone trovò quella
voce una delle più
belle che avesse mai sentito ed il suo imbarazzo aumentò.
Nel mondo dei demoni
cantava, ma sempre di nascosto.
“Non essere timido” lo incoraggiò
Damabial.
Keros ripeté la scala, a mezza voce.
“Ragazzo, andiamo! Nessuno ti mangerà, ma fuori la
voce!” gli disse Metatron
“Coraggio!”.
Il nuovo arrivo fu costretto a ripetere la scala più volte,
ogni volta spronato
ad alzare il tono. Sentendosi a disagio, con tanti angeli che lo
fissavano,
Keros chiuse gli occhi. Cercò di isolarsi e portare la mente
altrove, cosa non
facile con i due gemelli che continuavano a cianciare.
Iniziò a canticchiare
una canzoncina che conosceva, in un tono piuttosto basso. Parlava di
dame e
cavalieri, in un’epica avventura. Gliela cantava Lucifero
quando era piccolo,
anche se solo sotto supplica. Sorridendo a quel ricordo, la sua voce si
fece
più sicura e forte. Non era angelica, non era limpida come
quella del coro, ma
era forte e armoniosa.
“Mi piace come canti” ammise Sandalphon
“Davvero. Non mi spiacerebbe averti nel
coro. Anche se non so se te la caveresti molto bene con la lirica da
canti
sacri. Suoni uno strumento?”.
“Sembra un colloquio di lavoro…” ci
scherzò su il mezzosangue “Ad ogni modo,
sì. Suono il pianoforte ed il violino”.
“Pianoforte? Ci sono degli organi qui da noi.
Certo… L'organo è un pochino più
complesso del pianoforte, ma avrai un sacco di tempo per
imparare” fu il
commento di Metatron.
“Ti insegneremo noi” confermò Sandalphon.
“Mi piacerebbe. Grazie” ammise Keros, trovando
affascinante il suono
dell'organo.
“Ora però dobbiamo continuare il nostro
giro” si intromise, quasi bruscamente,
Damabial “Riprendete pure i vostri canti”.
“Perdonami. Forse volevi trattenerti ancora un
po'…” si scusò la guida “Ma
vorrei mostrarti prima tutto quanto, per poi lasciarti libero di
dedicarti alle
attività che preferisci”.
“Tranquillo… Posso farti una domanda?”
rispose Keros, mentre riprendevano il
cammino verso un altro settore del Paradiso.
“Tutte quelle che vuoi”.
“Ho notato dei bambini nel coro… Chi
sono?”.
“Bambini umani”.
“Bambini umani? Intendi… bambini morti?”.
“Ne muoiono parecchi, sai? E le loro anime nella
maggior parte dei casi
sono così pure da meritare le ali. C'è un settore
per loro, dove gli angeli li
intrattengono e li fanno giocare”.
“E non sono tristi? Intendo dire… Sono senza la
madre…”.
“Loro sanno che un giorno la rivedranno. E la luce di Dio li
rende spensierati.
Vuoi vederli?”.
Keros, perplesso da quei discorsi, preferì rimandare a
più tardi.
“Ma quindi… non ci sono figli di angeli?”
chiese poi, timidamente.
“Figli di angeli? Certo che no. Noi siamo
immortali!”.
“E coppie ce ne sono? Tipo marito e moglie?”.
“Assolutamente no. L’unico amore che ci serve
è quello di Dio. La sua luce ed
il suo calore ci ristora e ci appaga”.
“E mai nessuno ha provato il desiderio
di…?”.
“Non è rimasto in Paradiso. Gli angeli che
provavano pensieri impuri sono stati
cacciati”.
“Capisco… A te non è mai
successo?”.
“Cosa? Di innamorarmi? Io sono innamorato. Innamorato di Dio.
Anche a te
succederà”.
“Sinceramente non credo molto nell’amore. Specie
nei confronti di una luce…”.
“Cosa ti spinge a dire una cosa del genere?”.
“La realtà. La vita. E ora cambiamo
argomento…”.
Continuando a vagare per le strade candide, Keros notò molti
angeli che
camminavano su alte mura. Non erano abbigliati come i soldati ma il
loro
sguardo era costantemente rivolto al di fuori della
città.
“Cosa fanno quelli?” domandò il principe.
“Sono i vigilanti. Controllano ininterrottamente quel che
accade fra gli
uomini”.
“Gli angeli custodi?”.
“No, quelli sono nel mondo umano. Molti di loro ci vivono,
confondendosi fra
gli abitanti della Terra. Poi spetta agli umani decidere se seguire la
voce di
chi è angelo o farsi tentare da chi è
diavolo”.
“E per tua esperienza cosa accade più spesso? Si
fanno tentare o resistono?”.
“Io credo nella loro bontà. Però
è davvero facile per loro cadere in
tentazione”.
Keros trattenne un ghigno. Ora la sua curiosità era stata
risvegliata da una
torre sorvegliata. Era anch’essa bianca con decori in argento
e una grande
porta d'oro. Con tutte le finestre chiuse, il nuovo arrivo si chiese
chi
potesse viverci o a che cosa servisse.
“Quella è la dimora di Lady Sophia” lo
anticipò Damabial.
Keros annuì, intravedendo una finestra socchiudersi. Che si
fosse affacciata?
Non ne era sicuro, ma preferiva non rivolgere domande in merito alla
sua guida.
Cominciava a sentirsi spaesato, con troppe novità attorno.
“Vorrei tornare nel mio alloggio” ammise
“Avrei bisogno di riordinarmi le
idee…”.
“Comprendo perfettamente. Devi ambientarti! Bene, ti
accompagno” gli
sorrise Damabial, rassicurante.
Rimasto solo, Keros tentò di trovare un punto della casa che
non fosse immerso
nella luce. Iniziava a pulsargli la testa. Si stesse a letto ed
affondò la
testa sotto il cuscino. Trovò quella posa quasi rilassante e
chiuse gli occhi.
Non sapeva dire quanto tempo fosse passato prima dell'arrivo di Mihael.
L'Arcangelo voleva sapere cosa ne pensasse il ragazzo di quel luogo e
se c'era
qualcosa che voleva approfondire. Keros, dopo aver chiesto come
passassero il
tempo le anime tutto il giorno, azzardò una domanda su
Sophia.
“Non esce mai dalla torre?”
domandò.
“Può uscire quando vuole” gli rispose
Mihael “Non può lasciare il Paradiso
senza essere accompagnata da un altro Angelo”.
“E perché?”.
“Lunga storia. Legata alla caduta. Non deve interessarti
più di tanto”.
“Capisco…”.
“Ti hanno già affidato un ruolo?”.
“No. Sinceramente spero non abbia a che fare con preghiere e
cose simili…”.
“Sarà quel che verrà stabilito. Ma come
posto ti piace?”.
“C'è così tanto silenzio. Nessuno
grida, corre o ride. È strano…”.
“Dovrai abituarti”.
“Si. I libri sono magnifici e anche l’idea di
cantare ogni tanto non mi
dispiacerebbe. E le ali vedo che piacciono a tutti. Potrei avere
qualche cosa
in più in camera? Tipo una scrivania?”.
“Certo. Così potrai esercitarti con la scrittura e
la lettura. Farò in modo che
tu ne abbia una. Per quanto riguarda il cantare ed il ridere, ti
inviterei ad
avere un atteggiamento consono al luogo in cui ti trovi. Ma sono certo
che sai
meglio di me cosa intendo”.
“E se… dovessi venir affidato al tuo gruppo? A
combattere contro i demoni?”.
“Che ci sarebbe di male?”.
“Che non ho voglia di farlo!”.
“Qui non si fanno le cose in base a quel che si vuole
fare”.
“E ti sta bene così? Nel senso… Sei
felice? Non sembra…”.
“La mia preoccupazione e serietà deriva da quel
che vedo ogni giorno. Un mondo
perfetto, rovinato da colui che è caduto”.
“Un mondo noioso. E non è colpa sua. Dio poteva
creare gli uomini più
intelligenti!”.
“Evita discorsi simili in cielo, per
favore…”.
Il mezzosangue non rispose. Non sapeva nemmeno che dire. Doveva
ambientarsi,
questo lo sapeva. Aveva riscontrato molte similitudini con il mondo a
cui era
abituato, doveva solo abituarsi alle differenze. Magari avrebbe anche
trovato
qualcosa che lo convincere a restare…
Il
capitolo è un pochino lungo… chiedo perdono
:P il prossimo cercherò di renderlo più
“small”. È quel che accade quando si
creano file al cellulare e non più al pc…
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Capitolo 22 *** Sophia ***
22
SOPHIA
“Ho
paura”
ammise Keros.
“Paura
di
cosa? Su… Non fare il bambino” gli rispose Mihael,
in tono stizzito.
“E
se non
ci riesco?”.
“Perché
non
dovresti riuscirci?”.
Keros
guardò giù.
Sotto i suoi piedi, si
apriva un crepaccio creato da una cascata.
L’umidità, grazie a qualche raggio
di sole, formava un arcobaleno. Il regno degli umani mostrava uno dei
suoi lati
più belli ma Keros non riusciva a farci caso. Si era
preparato a lungo, si era
impegnato per giungere a quel punto. Eppure ora era terrorizzato, e non
si
sentiva per nulla pronto.
“Un
bel
respiro” lo invitò Mihael, alle sue spalle
“Un bel respiro e via”.
“E
se…”.
“Più
ci
pensi e peggio è”.
“Ma…”.
“Chiudi
gli
occhi”.
Keros
obbedì e fece un bel respiro profondo. Poi
percepì una mano sulla schiena che,
con un colpo deciso, lo spingeva giù. Non sentendosi
più la terra sotto i
piedi, un grido gli si bloccò in gola. Spalancò
le ali, d'istinto. Le piume
scintillarono al sole ed il mezzodemone iniziò a
precipitare.
“Concentrati!”
sentì gridare Mihael.
Si
scosse,
stringendo i pugni e ricacciando in gola quell’urlo che non
era riuscito ad
emettere. Era quello che aveva sempre sognato e non poteva avere paura.
Era
Ora! Era il suo momento! Rispose al vento, che gli sferzava le guance,
con un
vigoroso battito d'ali. La corrente lo avvolse e si lasciò
sollevare. Un
sorriso comparve sul suo viso. Stava volando! Si sollevò fin
oltre al
crepaccio, raggiungendo Mihael che si stava complimentando per
l’ottimo lavoro
con sul volto la solita espressione seria. Poi Keros deviò
e volò in basso,
seguendo il corso della cascata. Era felice ed espresse la sua gioia
con un
grido entusiasta.
“Fai
attenzione!” gli urlò Mihael, che
spalancò a sua volta le ali e lo seguì.
La
cascata
si tuffava in un lago circondato dalla vegetazione.
“Sto
volando!” esclamò Keros “È la
cosa più bella del mondo!”.
L'Arcangelo
atterrò e continuò a seguire le piroette del
mezzodemone con un po' di
apprensione. Si voltò, percependo una presenza demoniaca.
Immediatamente
riconobbe la figura di Lucifero, nascosto fra la vegetazione. Fece per
intervenire ma si accorse che il diavolo stava osservando il volo di
Keros. Nel
suo sguardo brillava l'orgoglio e sul viso gli si apriva un sorriso
raggiante.
“Sono
fiero
di te” mormorò Lucifero, sicuro che la sua voce
sarebbe stata coperta dal forte
rumore della cascata. Poi scomparve, quando vide Keros tornare verso
quel punto
della radura.
Mihael
rimase in silenzio dinnanzi a quella scena. Si sentì un po'
strano, capendo per
l’ennesima volta quanto fosse importante Keros per Lucifero.
Il
mezzodemone raggiunse l'Arcangelo ed atterrò in
modo piuttosto maldestro,
scoppiando a ridere.
“Mi
hai visto?”
chiese, ancora ridendo “Non ci credo! So volare!”.
“Gli
atterraggi sono un discorso a parte. Imparerai…”.
L'espressione
di Mihael non cambiò e Keros si ricompose, rialzandosi e
sistemandosi la veste.
“Immagino
che gli angeli non facciano così”
mormorò “Chiedo perdono…”.
“Il
tuo
entusiasmo è giustificato” annuì Mihael
“Ora riposati. Sarai stanco.
Prendiamoci un po' di tempo qui, fra gli alberi".
Le
piume
del sanguemisto erano tutte spettinate ed il giovane tentò
invano di
sistemarle.
“Come
si
fa?” domandò poi, rivolto all’Arcangelo.
“A
sistemare le penne? Non è complicato. Devi solo avere un po'
di pazienza” fu la
risposta, accompagnata da un delicato gesto della mano come
dimostrazione.
Keros
imitò
quel gesto e le sue piume un pochino smisero di assomigliare ad un
mucchio
disordinato ed arruffato. Mihael gli offri un pezzo di pane e lo
invitò a
mangiare per recuperare le forze.
“I
primi
voli sono impegnativi…”.
Il
ragazzo
accettò con gioia quella merenda. La consumò in
silenzio, seduto sull’erba. L'Arcangelo
era in piedi, che osservava lo scorrere del fiume.
“Posso
farti una domanda?” parlò il sangue misto, una
volta terminato il pane.
“Finché
avrò tempo per risponderti, parla pure”
annuì Mihael.
“Potresti
parlarmi della mamma?”.
“Carmilla
intendi?”.
“Sì.
Mi
parli di lei?”.
“Immagino
che i demoni già ti abbiano raccontato tutto quel che
c'è da raccontare”.
“Conosco
il
loro punto di vista. Non il tuo. Com'era la mamma? Cosa ti
ricordi?”.
“Carmilla…”
iniziò Mihael, con un sospiro. Non aggiunse altro, per
qualche istante. Si
voltò e sedette accanto a Keros, finalmente guardandolo in
viso.
“Carmilla
era unica” disse “Carmilla aveva un buon cuore. Era
speciale, innamorata della
vita e del mondo. Non era come gli altri demoni. Lei voleva aiutare. E
voleva
conoscere. Era curiosa, intelligente, creativa e…”.
“Bella?”.
“Meravigliosa.
Possedeva quella bellezza che ti resta dentro. Quello sguardo che non
dimentichi. E tu possiedi lo stesso sguardo”.
“Me
lo
dicono spesso. Però io non sono come mamma”.
“Io
credo
che tu sia esattamente come lei. Ma, come lei, hai bisogno di tempo per
comprendere quel che c'è in serbo per te. E ciò
che il tuo cuore desidera”.
“E
quanto
tempo ci vorrà ancora?”.
“Abbi
fede,
ragazzo. Se non riesci a riporre il tuo credo in Dio allora abbi fede
nel
futuro, nella speranza. Volare ti ha reso felice, hai realizzato un
sogno. Ora
rincorrine un altro”.
“A
te cosa
renderebbe felice?”.
“Io
sono
felice”.
“Non
si
direbbe, ma mi fido. Ora dovrei rientrare… Ho promesso a
Gabriel che lo avrei
aiutato con alcuni documenti”.
“Allora
corri. Gabriel sa essere davvero scorbutico se si
arrabbia…”.
Keros
annuì, felice di poter prendere il volo ed aprire il portale
per il Cielo da
solo.
“Ora
puoi
anche smetterla di nasconderti” parlò Mihael, ad
alta voce, girando gli occhi
verso gli alberi.
Una
volta
che Keros se ne fu andato, Lucifero spuntò, con un ghigno
soddisfatto sulla
faccia.
“Tranquillo”
commentò “Me ne torno subito a casa. Solo una
domanda : come se la passa ai
piani alti il mio ciliegino?”.
“Keros
se
la passa bene, direi. Non gli è ancora stato affidato un
ruolo ma svolge molte
attività. Canta nel coro, suona l’organo, aiuta in
cucina, scrive e studia”.
“So
però
che a volte va dagli umani”.
“Spesso.
Segue i Custodi e impara da loro. È affascinato
dall’uomo. Non lo trova
rivoltante, come fai tu”.
“Sicuro?”.
Mihael
non
ne era affatto sicuro ma annuì.
“Il
mio
piccolo ha l’animo buono” sorrise Lucifero
“Magari diverrà angelo custode”.
“Non
ti
infastidisce la cosa?”.
“No.
Affatto. Voglio la sua felicità. Io l’ho
cresciuto, è vero. Ed in lui ho
riposto molti sogni. Ma vedi… I figli non sono ciò
che noi vogliamo. Noi
genitori possiamo loro insegnare delle cose e guidarli ma poi saranno
loro a
prendere la strada che desiderano. Che dovrei fare? Punirlo
perché non fa quel
che voglio? Non sono quel tipo di padre…”.
“Tu
non sei
un padre”.
“E
tu non
ti comporti come tale. Keros ha bisogno di affetto, come tutti. Se a te
basta
l’amore di Dio, e so che non è così,
per lui non è lo stesso. È troppo pretendere
da te un abbraccio però potresti dedicargli qualche parola
gentile, senza fare
sempre il militare!”.
“Sei
l’ultima creatura al mondo che può dare consigli
sull’amore”.
“Già.
Hai
ragione. Ma vedi… L'amore ci fotte tutti, prima o
poi”.
Con
un
ghigno, Lucifero scomparve fra gli alberi. Ed a Mihael non
restò altro da fare
che rientrare a casa.
Keros
raggiunse la grande sala dell'archivio trattenendo il suo entusiasmo
per il
volo. Gabriel lo attendeva ma non era solo. Il mezzosangue si
fermò sulla base
della scalinata. Accanto all'Arcangelo, seduto come sempre alla
scrivania,
stava in piedi una donna dalle molteplici ali. Con lunghi e
meravigliosi
capelli biondo scuro, Keros ne rimase ammaliato. Capi subito di chi si
trattasse e, quando lei si voltò, si inchinò con
rispetto. Lei sorrise ed il
suo sguardo brillò.
“Ti
stavamo
aspettando” spiegò Gabriel “Santa Sophia
desidera parlare con te”.
“Per
me è
un onore” riuscì a dire Keros e lei lo
invitò a seguirla.
Fra
piume e
ciocche color dell'oro, Sophia risplendeva.
“Io
so chi
sei veramente” mormorò lei, quando i due si
ritrovarono in una zona della città
priva di orecchie indiscrete.
“Voi
sapete…?”.
“So
che sei
il figlio di Mihael”.
“Sul
serio?!”.
“Io
sono
Sophia. Sono la conoscenza. Questo vuol dire che so tutto quel che
è successo
nel passato e tutto quel che accade nel presente. Perciò con
me puoi
comportarti come preferisci, non hai nulla da nascondermi”.
Keros
si
sentì sollevato. Chiese dove stessero andando ma lei non
rispose e continuò a
camminare.
“Io
sono
Sophia. Sono la conoscenza" ripeté, sospirando ed iniziando
a salire una
ripida scalinata di cui non si vedeva la fine “Conosco ogni
cosa. Il mio
sguardo vede tutto, nel mondo e fra gli universi. Ma c'è un
luogo dove i miei
occhi non possono guardare…”.
Salirono
fino ad una porta d'oro. Nessun'altro angelo in vista. Sophia fu la
prima a
varcare la soglia e fece cenno a Keros di fare altrettanto. Il sangue
misto
obbedì e rimase ammaliato da quel che vide. Un magnifico
dipinto riempiva la
parete e rappresentava varie creature angeliche. Riconobbe Mihael,
Gabriel e
tanti altri. A molti invece non seppe dare un nome. Al centro
dell'opera era
raffigurata Sophia con accanto un altro angelo dalle molteplici ali.
Keros
intuì subito chi fosse e rimase senza fiato. Era la creatura
più bella che
avesse mai visto, con un sorriso limpido e gli occhi luminosi come le
stelle. I
capelli li aveva scuri e lunghissimi, mossi come quelli di tutti gli
angeli.
Con indosso una veste cullata da un vento sottile, volgeva lo sguardo
verso lo
spettatore che ammirava il dipinto.
“Nessuno
viene più qui" riprese Sophia “Nessuno vuole
ricordare. Io sì…”.
“Quello
è…?” riuscì a dire Keros.
“Sì.
Quello
è Lucifero. Il più bello.
Dietro di lui
puoi vedere dipinti Asmodeo, Astaroth, Azazel…”.
Il
giovane
osservò meglio. Erano molto diversi ora. Non riusciva quasi
a credere che
potessero essere stati, tempo fa, di simile aspetto.
“Nessuno
vuole ricordare. Io invece voglio sapere. Il mio sguardo non
può spingersi
oltre le porte dell'Inferno. Perciò dimmi,
Keros… È davvero come raccontano?”.
“Per
un'anima dannata… È pure peggio di quel che
raccontano” ridacchiò il ragazzo “Ma
per chi ci abita non è poi così male”.
“Ti
manca?
Pensi siano gli inferi la tua casa?”.
“Mi
manca
chi ci vive. Per il resto, non saprei. Alla fine, devo sempre fingere.
Qui devo
trattenere il mio lato demoniaco, all’Inferno devo celare il
lato angelico. Non
posso mai essere pienamente me stesso. Mi sento
comunque… incatenato”.
“Cerchi
un
posto dove essere del tutto te stesso?”.
“Sì…”.
“Chissà
se
esiste. Anche se non sembra, tutte le creature del mondo provano in
parte quel
che provi tu. Pensi che io non sia tentata di correre fuori da qui e
mettermi a
ridere, a gridare o fare altre cose non molto angeliche?”.
“E
perché
non lo fate?”.
“Perché
ci
si adatta, ragazzo. Si controlla i propri istinti”.
“Ci
si
reprime…”.
“Può
darsi.
Molti demoni avranno un lato o qualche reminiscenza angelica che
terranno ben nascosta.
Ci si deve adattare all'ambiente. È sopravvivenza”.
Keros
storse il naso.
“Raccontami… Com'è
lui?” domandò poi Sophia, guardando il dipinto con
aria sognante “È davvero
come dicono?”.
“Ha
un po’
di strane parti in più rispetto a quel disegno ma non
è così terribile.
Insomma… Niente piedi caprini, pelle rossa e tripla testa
mangianime”.
Sophia
prese le mani di Keros, che la fissò perplesso.
“Parlami
ancora di lui” insistette lei “Dimmi: è
felice?”.
“È
vivo.
Quindi ogni tanto lo è ed ogni tanto no. In linea di massima
penso di sì…”.
“Ti
ha mai
parlato di me?”.
“Certo.
Un
sacco di volte”.
Osservando
ancora il dipinto, trovando strano il viso del demone che lo aveva
cresciuto su
quel corpo d'angelo, Keros raccontò quel che gli era stato
narrato. Sophia fece
lo stesso, ricordando i giorni trascorsi in Paradiso.
“L’ultima
volta che l'ho visto…” ammise lei
“…è stato quando il fulmine lo ha
trafitto.
Colpito da Dio, è precipitato. Ricordo il suo sguardo che si
tingeva d'arancio
e ricordo il suo grido di dolore”.
“Perché
non
lo avete cercato? Perché non lo avete seguito?”
domandò il mezzodemone.
“Sono
stata
imprigionata qui. Non mi è permesso recarmi nel regno umano
senza un angelo che
mi accompagni. E con che angelo potrei, secondo te, andare ad
incontrarlo? Qui
hanno tutti paura perfino di pronunciarne il nome. Ho tentato di
fuggire ma
ogni volta le milizie mi hanno riportato qui…”.
“Ma
voi… Lo
volete rivedere? Lui è convinto del contrario e
che…”.
“Io
darei
qualsiasi cosa per rivederlo! Siamo nati nello stesso
istante…”.
“Però… forse
c'è un modo…” si fece meditabondo
Keros, sorridendo nel vedere Asmodeo con i
boccoli biondi “Lasciatemi spiegare!”.
Nel
frattempo Mihael aveva ricevuto la visita di Metatron e Sandalphon, i
due
gemelli.
“Ti
consiglio di fare attenzione” parlava Metatron.
“Non
si
trova alcuna informazione in merito” aggiungeva Sandalphon.
Discutevano
sul fatto che la ricerca di un ruolo per Keros, e l'indagine sul motivo
per cui
aveva ricevuto le ali, non stava andando come si sperava.
“Non
risulta nulla a suo nome” continuava Metatron
“Sembra come comparso dal nulla.
Non sono state rilevate azioni particolarmente meritevoli da ricevere
le ali.
Non riusciamo nemmeno a capire dove sia nato e quando”.
“È
un
ragazzino” alzò le spalle Mihael
“Perché dovrei stare attento?”.
“Potrebbe
essere un trucco demoniaco!” gli rispose Sandalphon.
“E
secondo
voi Dio permette ad un demone di entrare in Paradiso? Questo
è assurdo.
Piuttosto saranno certi archivi con delle lacune”.
“Sai
bene
che i nostri archivi non hanno lacune, Mihael…”.
“E
allora
chi sta sbagliando? Dio?”.
“Questo
non
è possibile!”.
“E
quindi…”.
Mihael,
con
quelle poche parole, sembrava aver convinto i gemelli. Forse la loro
era solo
paranoia!
“Tieni
comunque gli occhi aperti” suggerì Metatron, prima
di tornare per la sua
strada.
“So
meglio
di te come è fatto un demone” stava iniziando a
spazientirsi l'Arcangelo “Di
certo non canta preghiere a Dio! E ora lasciatemi lavorare. Vado a
combattere
demoni veri!”.
“Ti
hanno
mai detto che sai come essere irritante?” mormorò
Metatron, osservando Mihael
aprire le ali ed allontanarsi “Ma spero tu abbia
ragione…”.
Buon
anno!! Magari per qualcuno questa sarà la
lettura d’attesa della mezzanotte! A presto… Ho in
mente di far succedere un
sacco di casini (scusate se vado a rilento e se le scene yaoi e sexy
mancano da
un po'… Mi rifarò più avanti! Giuro!).
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Capitolo 23 *** decisioni -prima parte- ***
23
DECISIONI
-prima
parte-
Chino
su un
grosso libro, Keros si era appena dedicato alla lettura. Dopo aver
aiutato vari
angeli negli archivi, riordinando documenti e volumi, quel giorno aveva
deciso
che voleva terminare quello scritto. In mezzo agli alati, impegnati a
compilare
e scrivere, non si faceva molto notare.
“Come
mai
una lettura simile?” si sentì chiedere.
Alzò
lo
sguardo e vide che a parlargli era stato un Serafino, lo
capì dalla veste e dal
numero delle ali. Immediatamente si mise in piedi e si
inchinò, in segno di
rispetto.
“Tu
sei
l’ultimo arrivato, vero?” domandò ancora
il Serafino.
“Sissignore”.
“Ho
saputo
che formuli domande inopportune agli angeli che vigilano sugli
uomini…”.
“Domande
inopportune, signore?”. Keros era perplesso. “Se ho
arrecato fastidio o danno,
chiedo perdono. Non comprendo…”.
“Hai
chiesto loro come mai non intervenissero dinnanzi a comportamenti
malvagi degli
umani. E, da quel che mi è stato riferito, hai poi difeso i
demoni dicendo che
non era loro la colpa”.
“Signore,
io…”.
“Il
Signore
è uno soltanto. Io sono Vehuia. Chiamami
così”.
“Va… va
bene. Ad ogni modo… Ricordo quell'episodio. Non era presente
alcun demone e gli
angeli hanno risposto che gli umani sono malvagi per colpa dei
demoni”.
“Loro
sanno
quello che dicono. È il loro mestiere. E tu, al contrario,
un mestiere qui
ancora non lo hai”.
“Non
mi è
stato affidato. Vero…”.
“E
questo
ti ha portato a leggere volumi riguardanti la Caduta?”.
“Mi
incuriosiva. Non pensavo fosse proibito…”.
“Non
lo è”.
“Oh… Bene…”.
“Ma
non
è… Usuale”.
“Ho
tante
domande nella testa. Non voglio disturbare e quindi cerco le risposte
nei
libri”.
“Rivolgimi
pure tutte le domande. Fuori di qui, se lo ritieni un luogo poco
opportuno a
quel che vuoi sapere”.
“Ho
promesso ad Uriel di aiutarlo a sistemare alcuni volumi
e…”.
“Allora
andiamo. Potrai chiedere mentre svolgi il tuo compito”.
In
realtà
Keros non aveva alcuna voglia di parlare con quel Serafino dallo
sguardo
severo. Ma capì di non avere scelta. Camminando fra gli
scaffali, spostando e
cercando libri, tentò di restare in silenzio il
più a lungo possibile. Capendo
che tanto Vehuia non se ne sarebbe andato, seguendolo per
l’intera sala, il
mezzosangue prese coraggio ed aprì bocca.
“Voi
eravate
presente prima della guerra del Cielo…”
iniziò, ed il Serafino annuì
“…ebbene
io… Non capisco il perché. Cosa ha provocato
simili eventi”.
“La
gelosia. L’invidia. Il Nemico voleva essere come Dio ed ha
trascinato con sé i
suoi compagni corrotti, governati dall'odio, dalla lussuria e dal
peccato”.
“Sophia
però mi ha parlato d’amore. Ed anche voi tutti mi
parlate d’amore. Un Dio
misericordioso e buono, come può scagliare una folgore
contro suo figlio? E
come può punire per sempre chi ha sbagliato? Non dovrebbe
essere il Dio del
perdono?”.
“Certi
atti
non possono essere perdonati. Inoltre richiederebbero pentimento. Ed il
caduto
non proverà mai pentimento. La superbia lo guida. La
rabbia”.
“Ma
è stato
Dio a crearlo. Non aveva previsto che avrebbe
poi…”.
“Era
il
prediletto. Il primo creato. Helel ben Shahar, il portatore di luce,
era
praticamente pari a Dio. Ma ad esso era inferiore perché ha
lasciato corrompere
il suo animo da pensieri impuri, che lo hanno reso debole ed
oscuro”.
“Pensieri
impuri? Come l'amore che provava per Sophia?”.
“Amore?
La
sua era solo gelosia. Gelosia perché gli umani avevano
qualcosa che lui non
poteva avere e quindi, come un bimbo capriccioso, ha agito di
conseguenza. E
Sophia, immacolata nell'animo e nel corpo, non ha saputo distinguere un
vero
sentimento da una bugia. Per fortuna Dio l'ha protetta, tenendola con
sé in
Paradiso”.
“Però
Sophia è la sapienza. Dovrebbe sapere tutto. Anche se una
persona mente…”.
“Tu
non sai
di cosa è capace il Nemico. E per fortuna la tua vita ha
seguito una tale virtù
da concederti le ali ed il Cielo, senza avere nulla a che fare con le
anime
dannate”.
“E
queste
anime dannate, se non ci fosse l’Inferno, dove andrebbero?
Quel che è successo,
doveva accadere. O mi sbaglio? Dio sapeva e…”.
“Se
non ci
fosse stata la caduta, non ci sarebbero anime dannate.
Perché l’uomo sarebbe
ancora nel paradiso terrestre a bearsi dei doni divini”.
“Non
so… Io
credo che molti umani siano malvagi”.
“E
la
malvagità è colpa del Caduto”.
“Lucifero
non ha creato gli umani. È stato Dio!”.
“Non
nominare quel nome! Non farlo mai!”.
“Perché?
È
un nome come un altro! Hai paura che venga a prenderti?!”.
Immediatamente,
dopo quella frase, Keros tacque. Si rese conto all’istante di
aver esagerato.
Vehuia, sforzandosi di mantenere il controllo, non ribatté.
“Ora
ho io
una domanda per te" mormorò il Serafino, notando lo sguardo
impietrito del
giovane “Tu… Tu chi sei realmente?
Perché sei qui? Non mi sembri un santo e
nemmeno un beato. Dunque perché hai le ali?
Perché sei fra gli angeli?”.
“Io… Io
non
lo so…”.
Scese
di
nuovo il silenzio.
“Ora… Scusate,
ho da fare” riuscì a farfugliare il mezzosangue, e
si allontanò in fretta,
mentre Vehuia lo seguiva con lo sguardo.
Keros
sapeva che non era consono correre. Ma provava un gran desiderio di
farlo ed
attraversò la scalinata che conduceva alla biblioteca quasi
inciampando nei
sandali. Notò i volti di chi lo incrociava, con
un’espressione mista fra il
perplesso e lo spaventato. Raggiunse i suoi alloggi e lì vi
rimase, per
riordinare le idee. Pensò a che giorno fosse e
realizzò che ormai mancava poco
alla luna piena. Immerso in pensieri confusi, si sentì
stranamente sollevato
nel sentire la voce di Mihael. L’Arcangelo, che aveva
raggiunto il figlio
appena messo a corrente degli accadimenti della biblioteca, si
stupì nel
trovare Keros decisamente avvilito. Non era abituato a simili
espressioni in
Paradiso.
“Sei
venuto
a rimproverarmi?” ipotizzò il mezzosangue
“So di aver detto cose non adeguate.
Ma…”.
“Sono
solo
venuto a vedere come stai" si affrettò a dire Mihael.
“Come
sto?
Bella domanda… non saprei. Immagino che in Paradiso siano
tutti felici e
contenti. Perciò…”.
“Io
non
sono felice e contento…”.
“Oh… In
questo caso… ecco… Diciamo che mi sento a disagio.
Qui sono tutti così perfetti.
Calmi, controllati e composti. Tutti con il loro compito, non si
annoiano mai,
sempre con il sorriso. Ma non si ride, perché non
è consono. E si ringrazia un
Dio che non parla mai, che non si vede mai. Mi sento… fuori
posto. Voi angeli
siete così…”.
“Impiccioni
e cagacazzi”.
“Come…?”.
Non
aspettandosi quelle parole da parte di Mihael, Keros rimase ad
osservarlo
mentre questi si sistemava su una sedia, con un sospiro.
“Mi
hai
sentito. Noi angeli siamo dei cagacazzi. A volte in senso buono, a
volte no. La
verità è che molti di noi sono ancora
traumatizzati dalla caduta e temono
sempre che possa accadere di nuovo. Oppure temono di essere puniti.
Quindi
tutto quello che è anche solo leggermente fuori dallo schema
ordinario viene
visto con diffidenza. Non è colpa tua. Tu sei giovane, sei
curioso. Ed è
naturale che voglia sentire entrambe le parti in questa storia. Forse
è giunto
il momento di svelare la verità”.
“Intendi
raccontare a tutti che io e te siamo…? Non so. Non penso sia
una buona idea”.
“Perché?
Sapendo chi sei, capiranno perché ti comporti in un
determinato modo”.
“Sì
ma non
so se è il momento giusto. Ne verresti danneggiato. Insomma… Guarda
che razza di figlio che ti
ritrovi! Che penserebbero tutti coloro che ti rispettano e ti
stimano?”.
“Che
dovrebbero pensare? Sei curioso, intelligente, capace e con voglia di
aiutare”.
“Ed
uno che
fa anche molte cose poco angeliche che non sto ad elencare. Non
so… non penso
sia il momento”.
“Va
bene.
Quando quel momento arriverà, non mi tirerò
indietro. Dio ha voluto la tua
nascita, Dio saprà cosa è giusto per
te”.
Keros
sorrise, rincuorato da quelle parole. Sapere che aveva qualcuno che lo
sosteneva anche in Cielo lo faceva sentire molto meglio.
Illuminato
dalla luna piena, Keros aspettava. Le sue ali d’argento
riflettevano piccole
luci, come il cielo notturno. Nascosto fra le fronde degli alberi, non
molto
distante da dove poco tempo prima aveva spiccato il primo volo,
guardava le
stelle con un mezzo sorriso. La notte sulla Terra era magica,
l’aveva sempre
affascinato. Abituato a vedere nel buio, attendeva…
Un
fruscio.
“Stai
invecchiando” rise il mezzodemone “Non sei
più silenzioso come un tempo”.
“Non
ho più
quei cinque o sei millenni…” si sentì
rispondere, con una risata.
Il
mezzodemone rispose a quella risata e spalancò le braccia,
correndo ad abbracciare
chi stava spuntando fra gli alberi.
“Che
entusiasmo!” ghignò Lucifero, lasciandosi
abbracciare “Carenze d’affetto in
Paradiso?”.
“Non
sai
quanto!” rise Keros “Hai seguito la mia lettera!
Sei vestito elegante…”.
“Sì.
Ho
inoltre mandato molti demoni in quella città che mi hai
scritto. Ora mi vuoi
spiegare che succede? Mi vuoi portare a vedere
l’opera?”.
Il
diavolo
rise ancora e Keros mostrò la lingua. Aveva fatto recapitare
una lettera al re
dei demoni, consegnandola ad uno dei guardiani degli inferi. Ovviamente
non
mostrandosi come angelo.
“Ho
creato
un diversivo” spiegò il giovane “Gli
angeli correranno tutti dai demoni che hai
mandato fra gli umani, lasciandoci in pace. Ho una sorpresa per te. Una
grande
sorpresa!”.
“Per
questo
mi hai fatto conciare in questo modo?”.
“Stai
benissimo. Molto elegante”.
“Anche
tu
con la tunica da angioletto non stai male…”.
“Sorvoliamo…”.
“Ma
ora
spiegami tutto”.
Keros
sorrise ancora. Lucifero aveva legato i capelli, in una strana
acconciatura a
cui chiaramente aveva lavorato Lilith. L’abito nero, in
velluto, era ricamato
finemente in argento e brillava leggermente alla luce della luna. Il re
teneva
celata la sua vera identità, trovando più consono
girare per il mondo umano
senza corna, coda o altro di particolare.
“C'è
una
persona che non vede l’ora di incontrarti”
rivelò Keros, trattenendo a stento
l’entusiasmo.
“Una
persona che non vede l’ora di incontrare me? Sei
sicuro?” ghignò il demone.
“Tu
hai
fatto molto per me ed ora voglio ripagarti così. Ora
tu…”.
“Lucifero!”
chiamò una voce di donna, poco distante “Sei
davvero tu? Vieni qui da me!”.
Il
re
l’aveva subito riconosciuta e, spalancando gli occhi, si era
istintamente
nascosto dietro un albero.
“Che
ti
prende?” storse il naso Keros.
“Sophia?”
mormorò il demone “Lei
è…?”.
“Sì!
E non
vede l’ora di rivederti! Non è una cosa
bellissima? Dai, non fare il timido…”.
“Come
hai
potuto portarla qui?”.
“Te
l'ho
già spiegato. Gli angeli sono distratti, impegnati in quella
città dove hai
mandato tanti demoni. Ed io ho potuto portarla qui perché
Dio le concede di
lasciare il Cielo se accompagnata da un angelo. Capisci?
Però non penso abbiate
moltissimo tempo… Perciò spicciati
e…”.
“Ma… Lei
non
mi ha mai visto come sono ora”.
“E
allora?”.
“La
fai
facile tu, principino dal faccino coccoloso! Io ero il più
bello fra gli angeli
e lei mi ricorda così! Non so se…”.
“Mi
hai
sempre insegnato che nessuno può giudicare cosa sia normale,
bello o strano.
Pensi che lei, dopo tutto questo tempo, stia a perdersi dietro a simili
cose?”.
“Invidio
il
tuo punto di vista, piccolo. Così
favolistico…”.
“Muoviti!”.
Keros
prese
Lucifero per un braccio e tentò invano di farlo muovere. Il
re non si spostò di
un solo centimetro, prendendosi facilmente gioco del mezzodemone.
“Senti…”
alzò le braccia Keros “…io ho fatto il
possibile. Ora spetta a te. Lei è là, ti
aspetta. Decidi tu. Puoi andare ad incontrarla oppure startene qui a
nasconderti”.
“Se
lei mi
vedesse e fuggisse via…”.
“Non
accadrà. Credimi”.
“Ma
lei è
rimasta sempre la stessa. Ne sono certo. Perfetta e
bellissima…”.
“Ripeto:
tua scelta. Vi lascio. Vado a sorvegliare i dintorni, in caso venisse
qualcuno
di indesiderato…”.
Lucifero
vide il mezzosangue allontanarsi fra gli alberi. Lo udì dire
qualcosa a Sophia,
seguita da una risata angelica. Poi tornò il silenzio. Prese
un respiro.
“Andiamo!”
si disse “Sei il re dell’Inferno, mica un moccioso!
Che stai facendo?!”.
Per
niente
rassicurato, si voltò. Da dietro l’albero,
riusciva a scorgere una figura. Era
bella come la ricordava, forse anche di più. Alzando lo
sguardo, percepiva la
presenza di Keros. Come era bello l’entusiasmo dei
giovani…
Ciao
a tutti! Il prossimo capitolo sarà un po' un
casino. Ed arriverà molto presto (spero)!
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Capitolo 24 *** decisioni- seconda parte- ***
24
DECISIONI
-seconda
parte-
Gli
alberi
della foresta erano illuminati dalla luce di Sophia. Così
come il suo gemello
Lucifero, anch’ella splendeva e la notte accentuava quell'
effetto. Le ali di
lei, dodici, restavano aperte e si riflettevano fra le acque del fiume.
Con la
candida veste che scintillava, il viso incorniciato da capelli oro ed
aureola,
sorrise. Al fianco, legata da una cinta ricamata, una borsa che lei
accarezzava. Il re dell’Inferno, che la osservava e restava
nascosto, non
riuscì a trattenere un sospiro.
“Perché
non
vieni da me, Lucifero?” domandò lei.
“Sei
così
bella…” parlò lui.
“Sono
sempre io. Vieni qui. Voglio vederti”.
“Una
creatura come me non si deve avvicinare a te. Tu sei la perfezione. Tu
sei la
creazione più bella di Dio”.
“Sai
che
non è vero…”.
Sophia,
stanca di aspettare, si incamminò verso il punto in cui
sentiva provenire
quella voce.
“Ti
manco?”
chiese, non amando il silenzio.
“Ogni
giorno. Ogni momento” ammise Lucifero.
“Allora
mostrati. Lascia che ti abbracci!”.
Capendo
di
non poter ancora a lungo restare nascosto, il demone lasciò
l’ombra. Con
aspetto mutato, senza mostrare la vera natura, rimase immobile dinnanzi
ad un
massiccio tronco d’albero.
“Fratello!”
si illuminò lei, sollevando leggermente la veste e
raggiungendolo.
“Sophia…”.
Rimasero
fermi, guardandosi negli occhi, quasi increduli, a pochi passi
l’uno
dall'altro. Rivedersi, dopo tutto quel tempo, pareva incredibile.
“Mostrami
come sei per davvero” ruppe il silenzio lei.
“No.
Non
voglio che il tuo cuore si spaventi”.
“Mostrami.
Non voglio parlare con una menzogna. Rivelami quel che sei”.
Lucifero
la
guardò negli occhi. Sospirò, chinando poi il
capo. Stringendo i pugni, mutò.
Trattenne il fiato, notando le lacrime che iniziavano a rigare il viso
di
Sophia. Non sapendo come interpretare quell'atto, girò lo
sguardo. E lei corse.
Scattò di colpo e raggiunse il re, abbracciandolo forte e
ripetendo il suo
nome. Lui solo dopo qualche istante riuscì a muoversi ed
accarezzarle il capo.
“Sei
cambiato” mormorò Sophia “Ma sei sempre
tu. Sì… sei tu”.
“Più
vecchio e malmesso ma sì… son sempre io”.
“Ho
ancora
il tuo anello" mostrò lei, alzando la mano e facendo
risplendere il
gioiello all’anulare.
“Ricordo
quel che ti dissi quando te lo diedi…”.
“Lo
pensi
ancora? Vuoi ancora che io sia tua per sempre? Vuoi ancora che io sia
tua
moglie?”.
“Lo
voglio.
Ma tu non puoi più essere mia. Tu appartieni al cielo. Tu
sei luce. Io
tenebre”.
“Posso
vederla?” parlò lei, dopo essere rimasta in
silenzio per qualche istante.
“Vederla?”.
“La
cicatrice. Quella cicatrice…”.
La
mano di
lei si poggiò sul petto di Lucifero, che non rispose. Sophia
indugiò sui
bottoni della camicia candida del demone, fino a scoprire la pelle e
vedere i
segni di quel che era un profondo squarcio provocato dalla folgore
divina.
“Ti
ha
fatto male?” chiese lei.
“Mi
hanno
fatto male tante cose nella vita…”.
I
loro
sguardi si incrociarono di nuovo e questa volta si unirono in un lungo
bacio.
“Non
voglio
tornare in cielo” ammise Sophia.
“L’Inferno
non è per te”.
“Il
mio
posto e accanto a te. Ovunque tu sia”.
Si
baciarono di nuovo, stringendosi forte.
“Conosco
ogni cosa…” ammise la bionda creatura angelica
“…ma ben poco ho provato sulla
mia pelle. Voglio che tu mi insegni. Voglio essere tua per
sempre”.
Lucifero
la
osservò con un mezzo sorriso. Doveva ammetterlo: gli
sembrava di avere davanti
una fanciulla. Una fanciulla dal cuore puro, mentre lui portava sul
viso e sul
corpo tutti i segni dei millenni passati. Averla accanto gli ricordava
quei
tempi ormai lontani, quando ancora splendeva di luce oro e non rosso
sangue.
Quando ancora loro ed il mondo erano giovani. Ricordando quei giorni,
alla
mente tornò tutto l’amore che lo aveva legato a
Sophia, a tutti i desideri che
aveva ricamato attorno alla sua figura. E quel ricordo lo travolse,
portandolo
a dimenticare ogni possibile freno. L’aveva sempre voluta, ed
ora era lì. La
riempì di baci e lei rise. Sollevandola da terra, il demone
girò su se stesso
ridendo a sua volta. Finirono in terra, dandosi un altro bacio.
“Ti
amo”
mormorò lei.
Lui
ghignò,
sollevandole la veste bianca ed accarezzando la bianca pelle delle
gambe di
quell’angelo perfetto.
“Mi
farai
male?” domandò Sophia.
“No.
Gli
angeli non provano dolore” la rassicurò lui.
Gli
occhi
arancio del demone brillarono, mentre puntava le mani in terra, fra le
ali
aperte di lei. Sorridendosi, Sophia incrociò le braccia
attorno al collo del
suo amato e lo abbracciò. Accogliendolo dentro di
sé, sentì di non essere mai
stata così felice. Chiamò il nome di Lucifero,
mentre lui le ripeteva di
amarla.
Per
Sophia
era una sensazione nuova, mai provata prima. Ed anche il demone si
sentiva
strano. Quante donne aveva posseduto nella sua lunga vita? Eppure quel
che
provava ora con lei era completamente diverso. Si sentiva come avvolto
in una
nube, sospeso in un mondo diverso dove esistevano solo lui e Sophia.
Non voleva
più uscire da quella nube, non voleva più uscire
da lei. Ogni movimento donava
ad entrambi un intenso piacere, sempre più forte. Sophia
gemette, sorridendo
solleticata dal pizzetto di lui sul collo. Raggiunse
l’orgasmo senza trattenere
una chiara espressione di piacere.
“Amore
mio…” le sussurrò Lucifero, spalancando
le ali.
Keros
guardava il cielo stellato, appollaiato su uno degli alberi
più alti. Si
stavano addensando le nubi, il tempo cambiava. Storse il naso, non
amando
bagnarsi le penne. Sobbalzò di colpo, quando una voce lo
chiamò per nome.
“Dove
si
trova Sophia?”.
Il
mezzosangue si stupì nel trovarsi davanti Mihael, e non
rispose.
“Dove
si
trova Sophia?” domandò ancora l'Arcangelo,
lentamente e con un tono leggermente
alterato.
“Nel
bosco”
si limitò a dire Keros.
“È
sola?”.
Il
ragazzo
non rispose.
“Tu
sei
consapevole di quel che comportano simili azioni
sconsiderate?”.
Keros
continuò a non rispondere.
Altri
angeli guerrieri raggiunsero Mihael, guardandosi attorno.
“Sophia
è
nel bosco” spiegò l'Arcangelo “Andiamo a
cercarla. E state attenti. È molto
probabile che ci sia il caduto…”.
Si
alzarono
esclamazioni turbate.
“Niente
paura” rimase calmo Mihael “Dio è con
noi. Andiamo”.
“E
tu lo
sei?” finalmente parlò Keros.
“Sono
cosa?” rispose l'Arcangelo, sfoderando la spada.
“Sei
consapevole di quel che comportano simili azioni
sconsiderate?”.
Il
soldato
del cielo non rispose, facendo segno ai suoi compagni di seguirlo.
“Perché
è
un peccato?” mormorò Sophia, accoccolata fra le
braccia di Lucifero.
“Non
l'ho
mai capito…” ammise lui.
“Non
mi
sento cambiata…”.
“Dio
non ti
lascerà mai cadere. Non ti permetterà mai di
venire all’Inferno”.
“Ma
tu mi
ci porterai, vero? Io e te, insieme!”.
“Lui
non te
lo concederà. E di certo non concederebbe mai a me un dono
come te, che
allevierebbe ogni pena infernale”.
Sophia
si
sollevò a sedere di colpo, con un’espressione
contrariata. Lui si mise seduto a
sua volta e le dedicò un altro bacio.
“Non
voglio
tornare in cielo!” quasi urlò lei, mentre veloci
si avvicinavano gli angeli.
“Ci
rivedremo…”.
“No!
Lui
non lo permetterà! Mi rinchiuderà, non
potrò più lasciare le mie stanze! Non
voglio!”.
“Sophia…”.
“Portami
con te!”.
“Non
posso.
Se lui non lo vuole, ti farebbe solo soffrire. Così come
soffro io se passo
troppo tempo fuori dagli inferi. Non lo capisci? Io ti amo. Ma non sono
io a
decidere”.
“Soffrirei.
Sono disposta a farlo. Sono pronta a farlo!”.
“Io
non
potrei mai più sorridere, sapendo che stai
soffrendo”.
Sophia
rimase in silenzio, versando qualche lacrima. Poi affondò la
testa sulla spalla
del demone e lo abbracciò forte.
“Non
voglio
che tu soffra” ammise poi, mentre lui le sussurrava che
sarebbe andato tutto
bene “Mi fai una promessa, Lucy?”.
“Dipende…”.
Lui
la
guardò in viso, scostandole una ciocca di capelli e
baciandole la fronte.
“Promettimi
che sarai felice, Lucy. Magari non subito, magari non oggi, ma un
giorno.
Promettimi che un giorno sarai felice. Un giorno penserai a me e sarai
felice.
Felice anche per me”.
“Anche
per
te?”.
Le
voci
degli angeli erano vicine, già si intravedevano nel buio.
Anche Keros stava
raggiungendo la coppia di amanti, non vedendo alternative. Sophia
sorrise,
guardando negli occhi Lucifero e baciandolo. Nell'aria, le voci degli
angeli.
In bocca il re degli inferi percepì un sapore familiare, che
però non si
aspettava.
“Sophia!”
gridò.
Lei
sorrideva ancora ma nel ventre si era conficcata la lama
d’oro di un’arma
vecchia come il mondo. Custodita in quella borsa che portava a fianco,
il
pugnale forgiato per uccidere gli angeli ed i demoni ne logorava le
carni. Il
sangue ne usciva copioso ma lei non smetteva di sorridere. Si
accasciò e
Lucifero la strinse, chiamandola.
“Andrà
tutto bene” le ripeteva, in modo continuo “Dio non
permetterà la tua
morte".
“Dio
non è
padrone della mia vita” sussurrò lei, stringendo
la mano del demone.
Gli
angeli
rimasero impietriti da quel che videro.
“Che
hai
fatto?!” riuscì a dire Mihael “Satana!
Allontanati subito!”.
“Chiama
aiuto, non vedi?” urlò Lucifero, mentre il cielo
si faceva sempre più nero
“Chiama Raphael ed i guaritori! Muoviti!”.
Mihael
si
accigliò ma diede l’ordine di chiamare i guaritori
ad un paio di angeli
soldato.
“Promettimi
che sarai felice” sussurrò Sophia.
Il
demone
stringeva la mano di lei, ma percepiva che quella stretta andava
affievolendosi. La luce oro della più bella creatura del
paradiso si stava
spegnendo e così anche il suo calore, la linfa
dell’esistenza. Prima che i
guaritori arrivassero, gli occhi di Sophia si erano offuscati, privi di
vita.
Il corpo angelico iniziò a dissolversi e nulla rimase di
lei, se non un pugnale
insanguinato ed un anello che era riuscita a lasciare fra le dita del
suo
amato. Lucifero aprì la mano, vedendo quel cerchio oro al
centro del palmo. Quell’anello,
promessa di amore eterno, era tutto quello che gli restava.
Lanciò un grido.
“Sophia…”
mormorò Keros, incredulo e confuso.
Il
giovane
incrociò lo sguardo perso nel vuoto del re dei demoni e poi
quello rigato di
lacrime degli angeli. Mihael era serio. Keros non aveva il coraggio di
guardarlo. L'Arcangelo si avvicinò a Lucifero, ancora
immobile e chino sul
sangue di lei. Senza parlare, Mihael raccolse il pugnale.
“Dovrei
ucciderti” sibilò, puntandolo verso il demone
“Ma sarebbe una liberazione per
te. Meriti di vivere e ripensare ogni giorno a questo istante. Ogni
giorno.
Ogni momento. Per l’eternità”.
Ora
anche
Mihael piangeva. Non si aspettava una risposta da parte del fratello
maggiore,
che di fatti non arrivò.
Con un gesto,
gli angeli svanirono. Solo Mihael rimase e guardò il figlio.
Keros chinò la
testa. Con le mani incrociate, lo sguardo del giovane si
posò sull’anello che
portava al dito medio. Vi era inciso il sigillo reale, dono ricevuto al
momento
della sua investitura come principe ereditario.
“Perdonami…”
riuscì a dire, rivolto al padre, a Lucifero ed a Sophia.
Poi
si
avvicinò al re, poggiandogli una mano sulla spalla.
Così facendo, il palmo gli
si tinse di rosso sangue. Non riuscì a dire nulla, si
sentiva mortificato per
quanto successo. Ma in cuor suo sapeva quel che doveva fare. Chiuse le
ali,
facendole svanire. Mihael immediatamente capì e
tornò in cielo. Si udì un
tuono: Dio era in collera.
Tolti
i
sandali e con la veste rovinata dagli inferi, Keros rientrò
al palazzo reale. Lilith
fu la prima a vederlo e gli sorrise. Poi notò le mani
insanguinate e la veste
distrutta.
“Cosa
è
successo?” domandò, preoccupata “E
dov'è il re? Dovevate incontrarvi, mi aveva
detto”.
“Hai
ragione” annuì Keros “Potresti chiamarmi
Azazel ed Asmodeo? È urgente…”.
Senza
perdere tempo, il giovane raccontò quanto successo ai demoni
che riteneva più
di fiducia. Narrò la morte di Sophia, sorvolando su alcuni
dettagli che
potessero svelare la propria natura angelica. Le reazioni furono molto
diverse,
ma ognuno di essi pensò al proprio re. Azazel sapeva cosa
significasse perdere
la persona che si ama e rimase in silenzio. Asmodeo era rimasto accanto
a
Lucifero fin dall'inizio di quell’amore. Avevano combattuto
per esso ed ora
provava una gran rabbia. Come poteva Dio aver permesso una cosa simile?
La
bellissima Sophia persa per sempre? Ringhiò.
Lilith, che amava il suo signore e sapeva fin troppo bene
quanto lui
amasse Sophia, si mostrò subito molto preoccupata.
“Lui
dov'è?” chiese subito.
“Di
certo
non mi voleva fra i piedi. Almeno per un po'…”
ammise Keros, ancora scosso ed
agitato.
“Chi
altri
sa di quanto successo?” parlò invece Asmodeo.
“Nel
regno
dei demoni solo voi” lo tranquillizzò il principe
“Di voi mi fido, ciecamente.
E so che conoscete il re da molto più di me.
Io… Sinceramente non so che cosa
fare. Non vorrei arrecare più danni di quanto non abbia
già fatto".
“Tu
non
arrechi danni, piccolo cucciolo!” lo abbracciò di
nuovo Lilith ed il giovane
arricciò il naso.
“Credo
che
la cosa migliore al momento sia aspettare” propose Asmodeo ed
Azazel annuì “Il
re avrà bisogno di riprendersi. Non penso possa essere in
condizione di
regnare, almeno non per stanotte. Nel frattempo qui ci siamo noi. Vi
aiuteremo,
principe”.
“Farò
in
modo che la voce per ora non si diffonda” si aggiunse Azazel
“Poi ricordiamoci
che non può rimanere nel regno umano molto a lungo.
Rientrerà quando non
resisterà più”.
“E,
se non
dovesse tornare, proverò a parlarci” concluse
Lilith “Per ora cerchiamo di
agire nel modo più naturale possibile. La notizia della
morte di Sophia prima o
poi giungerà anche in questo mondo. E, nel caso il re non
fosse presente,
spetterà a noi calmare gli animi”.
“Sophia
era
amata” ringhiò sommessamente Asmodeo
“Era amata da tutti noi. E tutti sanno
quanto ella fosse amata dal nostro re…”.
Keros
si
stupì nel vedere una simile reazione in Asmodeo. Il grosso
demone tratteneva a
stento la rabbia e tremava, digrignando i denti. Non lo aveva mai visto
così!
Forse era vero: tutti amavano Sophia!
“Cerchiamo
di mantenere le apparenze” interruppe Lilith
“Keros… va nelle tue stanze e datti
una sistemata. Facciamo un bel respiro. Lucifero ha fatto molto per noi
ed ora
è tempo per noi di fare qualcosa per lui in questo momento
difficile.
Avanti… Abbiamo un regno a cui pensare”.
Si
guardarono ed annuirono. E intanto Lucifero, incapace di piangere,
veniva
bagnato dalle lacrime del cielo portate dal temporale.
Come
promesso, ho aggiornato presto! Quest’anno
ho già caricato tre capitoli a questa storia e la cosa mi
rende abbastanza
soddisfatta. A presto e… Bentornati all’Inferno!
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Capitolo 25 *** Apparenza ***
25
Apparenza
Simadè
intrecciava e pettinava con cura i capelli del suo signore. Li stava
adornando
con perle dorate e trecce complesse. Keros, seduto in silenzio davanti
allo
specchio della propria stanza, lo lasciava fare. Il demone, mentre il
principe
si trovava lontano per addestrarsi, era vissuto a palazzo ed aveva
imparato
tutto il necessario per servire al meglio l’erede al trono.
Oltre alla
capigliatura, Simadè aiutò Keros ad indossare la
lunga veste regale,
allacciando con fiocchi e catene il complicato intreccio che la
chiudeva.
“Rispondimi
sinceramente, Simadè” parlò Keros,
scegliendo un orecchino.
“Parlate
pure, altezza” fu la risposta del servo.
“Nella
vita… conta l'apparenza. Dico bene?”.
“L’apparenza?”.
Il
principe
sospirò, mentre l'Incubus ne contornava pesantemente gli
occhi di nero,
rendendoli lievemente spettrali.
“Non
conta
quel che siamo veramente…” riprese Keros
“L'importante è mostrare agli altri
quel che vogliono vedere. Giusto?”.
“Mio
signore… Sinceramente non comprendo del tutto da dove possa
scaturire tale
ragionamento ma… suppongo abbiate ragione. Le persone attorno
a noi si aspettano
determinate cose, determinati atteggiamenti. Insomma… Io non
posso mettermi a
correre nudo per le sale reali, per esempio”.
“E
ti
piacerebbe farlo?”.
“Non
ci ho
mai pensato…”.
Keros
non
parlò e continuò a specchiarsi, trovando strano
quel suo aspetto dopo il tempo
trascorso fra gli angeli.
“Se
posso
avere l'ardire di riportarvi un esempio…” riprese
l’Incubus, finendo di
sistemare i capelli “…durante i miei giorni di
servizio qui a palazzo, mi è
capitato di avere a che fare con il re. Ed in alcune situazioni, era
chiaro che
gli mancavate molto. Era una persona diversa da come si mostra al
popolo. E voi
lo sapete meglio di me. Per governare, mostra il suo lato freddo e
crudele.
Però in realtà non è solo
così, ha molte sfaccettature. Questo vale un po' per
tutti”.
“Il
popolo
si aspetta da me che io sia un principe…”.
“Suppongo
di sì, altezza”.
“Bene.
In
questo caso… Mostrerò loro il principe migliore
che possa esistere!”.
Camminando
lungo il corridoio, con il lungo strascico regale che frusciava sul
pavimento
lucido, Keros riconobbe alcuni suoi colleghi di addestramento. Era
lieto di
vedere che fossero riusciti ad entrare nel corpo delle guardie regali.
Vedendolo, salutarono rispettosamente e si misero
sull’attenti. Il principe
tentennò, provando il desiderio di scambiare quattro
chiacchiere. Ma capì che
gli impegni regali erano ben più urgenti.
Scortato
da
Asmodeo, Keros raggiunse l’ufficio dove Lucifero svolgeva le
sue pratiche. Con
la corona poggiata immediatamente sul tavolo, perché lo
infastidiva sulle
orecchie, il principe iniziò a leggere alcuni documenti.
Azazel, con un
inchino, si mise a spiegare quali fossero le questioni più
importanti da
sbrigare e quali invece potevano essere momentaneamente accantonate.
“Abbiamo
appena ricevuto una richiesta dalla città alleata di
Gehenna” spiegò il demone
messaggero, mostrando la missiva “Richiedono
approvvigionamenti. A quanto pare
il loro raccolto non è stato buono”.
“La
nostra
città è ben fornita?” chiese Keros,
osservando la lettera ed il timbro del
demone che la governava.
“Sissignore.
Certo” annuì Azazel.
“Allora
mandate quanto richiesto. Gli alleati vanno sempre trattati
bene”.
“Provvedo
immediatamente ad inviare l’ordine. Necessito solo del
sigillo regale…”.
Il
principe
scrisse personalmente l’ordine e lo timbrò con
l’anello con inciso il simbolo
del re. Come primo atto da sostituto reggente, si sentiva soddisfatto.
Erano
trascorsi diversi giorni ormai. Lilith, preoccupata, aveva raggiunto re
Lucifero nel mondo umano. Lo aveva trovato, nascosto fra le insenature
della
roccia che portavano alla cascata. Con lo sguardo perso nel vuoto e
rivolto
verso l’alto, il demone cantava. Lilith lo chiamò,
senza risultato.
“Ti
proteggerò”
cantava Lucifero “Passerà il giorno, finiranno i
secoli. Vieni fra le mie
braccia, a noi il tempo non interessa. Ti proteggerò in
eterno. Ogni lacrima,
un bacio. Ogni brivido, un sorriso. In eterno. Quando tutto si
spegnerà,
comprese le stelle, saremo noi l'unica luce. Uniti in un abbraccio
eterno.
Eterno amore”.
“Mio
signore…” mormorò Lilith.
Ancora
più
in apprensione, lei si avvicinò al demone e ne
sfiorò la mano. Lui guardava il
nulla, ebbe un fremito quando percepì il contatto con
Lilith.
“Altezza”
chiamò ancora lei “Tornate a
palazzo…”.
Accompagnò
quelle parole con un abbraccio, poggiando la testa sulla schiena del re
ed
incrociando le mani sul petto. Lui strinse quelle mani, dopo qualche
istante.
“Vi
prego”
sussurrò lei “Venite con me. Lasciate che mi
prenda cura di voi”.
“Mia
cara…”
parlò finalmente il re “A che scopo prendersi cura
di uno come me? Quando sono
caduto, il mio cuore è stato trafitto dalla folgore divina.
Credevo di averlo
perduto, che vi fosse un buco al posto di esso. Lei mi ha ricordato che
non è
così. Lei… Il mio cuore è morto con
lei”.
“Altri
vi
amano, altezza. Il dolore che provare è immenso, non so che
farei se io dovessi
perdervi…”.
“Che
faresti? Dovresti tornare all'Inferno, fra molti altri demoni che ti
venerano”.
“Ma
siete
stato voi a salvarmi, non altri demoni. Siete voi che mi avete accolta,
quando
sono stata cacciata dal paradiso terrestre. So che i nostri sentimenti
sono
diversi da quelli che legavano voi e Sophia,
però…”.
“Sono
fiero
di averti accolta”.
Lucifero
si
sciolse da quell'abbraccio e si allontanò di qualche passo,
senza mai voltarsi
verso di lei.
“Dovreste
tornare a casa. Sapete bene che non potete stare tanto tempo lontano
dagli
inferi”.
“E
che mai
potrebbe capitarmi? Sto soffrendo. Ma che importa? Il dolore fisico non
sarà
mai pari a quello che provo dentro. Il voler piangere e non poterlo
fare è
straziante. E poi…”.
“La
vostra
casa vi attende. Non vi sentireste meglio, squartando qualche anima?
Punendo
peccatori? Oppure…”.
“E
perché?”.
“Perché
siete il Diavolo!” sorrise Lilith “Il potente
signore degli inferi! Voi avete
creato il vostro regno. Avete dato una casa ed uno scopo ai demoni
caduti. È il
vostro orgoglio!”.
“Oh,
Lilith… Io…”.
“Aspetto
con ansia il vostro glorioso ritorno. Siete caduto e per primo vi siete
rialzato. Ora so che riuscirete a fare lo stesso”.
Il
demone
rimase in silenzio. Poi, finalmente, si voltò.
“Questa
volta…” ammise “…rialzarmi
pare impossibile. So che devo farlo. Però… non
ancora. Perdonami, Lilith. Ho bisogno di tempo…”.
Lilith
si
avvicinò, abbracciando di nuovo il suo signore. Rimase in
silenzio, capendo che
il re non aveva bisogno di altre parole, in quel momento.
Dopo
aver
ascoltato i sudditi e terminato ogni noiosa pratica burocratica, Keros
si era
unito agli allenamenti di Asmodeo ed i suoi soldati. Non voleva
dimenticare
quanto appreso durante il periodo trascorso con Astaroth e pensò
che un po' di
combattimento potesse solo aiutarlo a rilassarsi. Tentò di
confrontarsi con
colei che in addestramento l’aveva sconfitto.
“Ma
allora
sei il figlio del re per davvero” ghignò lei,
divertita.
Lui
rispose
usando una tecnica che aveva appreso in Paradiso. Creò una
barriera attorno a
sé, facendo letteralmente rimbalzare indietro la demone che
tentava di
attaccarlo.
“A
questo
ti è servito il periodo di addestramento extra?”
ghignò lei, felice di poter
avere uno scontro interessante.
Asmodeo
osservò il tutto con un sospiro, non sapendo se di fronte
avesse soldati o
bambini.
Lucifero,
solo e nascosto nel buio, non reagì quando
percepì l’avvicinarsi di una
presenza celeste. Gemette sommessamente e tornò ad
accovacciarsi con il viso
rivolto verso la parete rocciosa.
“Fratello…”
lo chiamò l’Arcangelo Mihael, quasi sussurrando.
Il
demone
non gli rispose, e non si voltò.
“Perché
sei
ancora qui, fratello?” insistette l'Arcangelo.
Ancora
silenzio.
“Non
dovresti stare nel mondo umano…” parlò
sempre la creatura celeste.
Il
silenzio. Poi un tuono. E Mihael sospirò.
“Fratello… Volevo
solo dirti che… mi dispiace”.
A
quelle
parole, le orecchie a punta del demone si scossero leggermente.
“Mi
dispiace per come ho reagito” continuò l'Arcangelo
“Non penso davvero che tu
debba morire soffrendo lentamente. E non credo sia stata tua la colpa
della
morte di Sophia. Tu l'amavi. Sono certo che tu l'amassi. Nonostante tu
sia re
dell’Inferno e signore dei demoni, so che tu ne eri
innamorato. E lei era
innamorata di te. Comprendo il tuo dolore e… ti chiedo
scusa”.
Lucifero
girò il viso lentamente. Nel buio, il suo sguardo brillava
di rosso acceso.
Incapace di celare la vera natura, a causa del troppo tempo trascorso
nel regno
umano, mostrava ogni cicatrice e bruciatura.
“Comprendi?”
mormorò, con profonda voce roca.
“Sì”
annuì
Mihael “Anche io ho perso la donna che amavo. E non
c'è giorno che passi senza
che mi chieda se era in mio potere cambiare qualcosa, per impedirne la
morte.
Ogni giorno cerco di capire la ragione per cui siano successe tante
cose”.
“Ed
a che
conclusioni giungi?” rispose il demone, sollevandosi
leggermente.
“Nessuna.
Nessuna che mi soddisfi. So solo che è la volontà
di Dio ma…”.
“Non
la
comprendi? E la cosa non ti fa incazzare?”.
“Incazzare…?”.
“Sì,
incazzare! Perché Dio permette che accadano certe cose?
Perché lasciar morire
chi non lo meritava? Perché punire noi, poveri stronzi
peccatori, tramite chi
ci aveva amato?”.
“Fratello… Io…”.
“Abbiamo
peccato. Peccato in che modo? Lussuria? No, non credo. Noi non volevamo
solo la
carne. Noi eravamo innamorati per davvero, come non capita praticamente
mai in
questo grande universo imperfetto. Siamo stati puniti e
perché? Perché amavamo
qualcuno molto più di quanto non amassimo Lui? Ammettilo,
Mihael. Se te ne
fosse offerta la possibilità, tu rinunceresti a tutto
ciò che sei pur di
riaverla. Rinnegheresti le schiere celesti per lei. Tu ami il padre, ma
non
follemente come ami lei”.
Mihael
rimase in silenzio.
“Io
so che
vuole punirmi” riprese Lucifero “Ha sempre voluto
punirmi. Lui fa il suo
lavoro, ed io il mio. Ma Sophia… che mai centrava Sophia in
tutto questo? Non
sarebbe stata una punizione esemplare indurire il suo cuore, in modo da
impedirle di amarmi ancora? So che Dio può farlo, lo ha
fatto con il faraone
d’Egitto ai tempi dell’Esodo! E allora
perché? Aveva forse compreso che lei
amava me più di quanto non amasse il suo creatore? L'ha
lasciata morire perché
lei doveva amarlo incondizionatamente, senza dividere tali sentimenti
con me?
Sophia era devota. Era intelligente. Era speciale. Ma disgraziatamente
il suo
cuore apparteneva interamente a me. Ed è morta. Questo mi fa
incazzare
tantissimo”.
“Fratello,
tu…”.
“Anche
tu
devi provare lo stesso. Devi, almeno in qualche angolo di quel tuo
cervellino
circondato da aureola, provare rabbia. Devi, cazzo!”.
Il
demone
si alzò in piedi, e Mihael trattenne il fiato qualche
istante: l'aspetto del
fratello maggiore era spaventoso. Inoltre era visibilmente fuori di
sé.
“Non
sono
qui per farmi aggredire” si affrettò a dire
l'Arcangelo “Vorrei solo che
tornassi a casa tua”.
“E
perché?
Guarda che l’Inferno funziona anche se io non ci sono. Le
preziose anime che ci
spedisci vengono comunque punite”.
“Non
è
questo che mi preoccupa”.
“E
allora
che vuoi? Papà ti sgrida se mi lasci gironzolare nel mondo
dei suoi preziosi
figli prediletti?”.
“Un
Arcangelo non può essere in pensiero per suo
fratello?”.
“Se
è un
fratello demone, non è tanto normale…”.
“Torna
a
casa. Per favore. Comprendo il tuo dolore ma è vivendo la
tua vita che
riuscirai ad andare avanti. Credi forse che lei ti avrebbe voluto qui,
così?
Non ha forse sempre espresso il desiderio che tu sia felice?”.
Lucifero
tornò ad accucciarsi, avvolgendosi in parte dalle ali. Era
vero, Sophia voleva
la sua felicità. Però non riusciva proprio a
capire come avrebbe potuto essere
di nuovo felice. Girò ancora gli occhi verso Mihael.
Percepì un velo di
tristezza, che un tempo non c’era.
“È
tutta
apparenza, vero?” mormorò.
“Che
cosa?”
si accigliò Mihael.
“Tutto.
Noi
non vogliamo combatterci. Noi non siamo felici.
Eppure…”.
“Eppure
questa è la nostra vita. È nostro compito trovare
qualcosa che ci renda felici.
Che ci renda orgogliosi di esistere”.
“Tu
lo hai
trovato quel qualcosa?”.
“Qualcuno.
Si chiama Keros. Mio figlio”.
Lucifero
rimase visibilmente stupito da quella risposta.
“Mio
figlio…” riprese Mihael “È la
prova vivente che a volte le cose non vanno come
ci aspetta. A volte, sbagliando, succedono cose meravigliose. Mi
rattrista
saperlo all’Inferno, e mi rattristano molte altre cose, ma
che dovrei fare?
Piangere per l’eternità? No. Io sono l'Arcangelo
Mihael, creato dal fuoco così
come tu fosti plasmato con la prima luce delle stelle. Dio mi ha generato per giudicare e
punire
le anime impure ed è quello che farò, fino alla
fine dei tempi. Tutti si
aspettano da me che sia irreprensibile e senza peccato. Lo sappiamo
entrambi
che non è così, ma è così
che mi mostro. È così che voglio che mi vedano.
Tu e
Sophia eravate stelle gemelle. So bene che la sua sofferenza era anche
la tua.
Ma tu devi mostrarti forte e potente, o il tuo stesso regno ti
schiaccerà. Se
la rabbia ti da la forza per fare questo, allora sii il più
furioso del
creato”.
“Keros… Lui
è…”.
“Lui
ti
ammira. Lui ti vuole bene”.
“Lo
so…”.
“Fratello… Sai
bene quanto me come funziona questo mondo. È immutato da
tanto tempo. Vuoi
cambiarlo? Non lo farai di certo restando lì a fissare il
muro”.
Lucifero
tornò a voltarsi, dando le spalle a Mihael. Non parlando
più, ignorando
l'Arcangelo, dopo un po' udì il fratello minore andarsene.
Si girò e capì di
essere di nuovo solo, con soltanto una piuma arancio abbandonata a
fargli
compagnia.
Il
principe
Keros aveva appena scoperto che i gemelli che tanto lo avevano
tormentato in
allenamento erano figli di Asmodeo. Lo aveva scoperto perché
il generale lo
aveva ringraziato, per aver salvato la vita al figlio.
“Contro
quella bestia feroce…” narrava il gemello rimasto
con un corno solo “…non ha
esitato a salvarmi”.
Asmodeo,
appreso l’accaduto, aveva subito ringraziato il principe.
“Ora
siamo
pari” aveva sorriso Keros “Tu, Asmodeo, mi hai
salvato dalle fiamme quando ero
neonato. Senza si te, non sarei qui. In cambio, si può dire,
ho salvato tuo
figlio. Non devi ringraziarmi, ti ho solo restituito il favore”.
Con
un
inchino, il generale aveva risposto a quel sorriso ed a quelle frasi.
Poi aveva
lasciato i giovani a discutere fra loro, percependo solo vagamente
qualche
frase riguardante delle femmine che svenivano al solo pensiero di poter
parlare
con il principe.
“Ma
tu hai
una donna?” chiese il gemello con entrambe le corna.
“Non
sono
un po' troppo giovane per trovarmi una compagna fissa?”
storse il naso Keros.
“Guarda… Mia
sorella si è già prenotata” rise
l’altro gemello.
“Grazie
per
il pensiero” ghignò il principe “Ma al
momento avere una fidanzata è l’ultimo
dei miei programmi”.
“Facci
un
fischio quando cambierai idea. Sai… Prima o poi un erede al
regno lo dovrai
dare. Fra quanto pensi di agire in quel senso?”.
“Fra
duemila
anni o giù di lì. E comunque sappiate che nemmeno
il re mi stressa al riguardo,
perché mai dovreste farlo voi?!”.
“Perché
Astaroth ci ha insegnato ad essere pettegoli!” risero
all’unisono, poi
facendosi seri di botto quando notarono l’arrivo di Azazel.
“Vogliate
scusarmi, altezza” si inchinò il messaggero
“Ho una missiva da riferire
urgentemente. E privatamente”.
Keros
capì
che la questione doveva essere piuttosto seria ed annuì,
seguendo Azazel
all’interno del palazzo reale.
“Altezza…”
esordì il messaggero, una volta che lui ed il principe
furono lontani da
orecchie indiscrete “È giunta voce di un prossimo
attacco al ducato di Sheol”.
“Da
parte
di chi?!”.
“Non
lo
sappiamo. È una città alleata ed ha voluto
comunicarci l’approssimarsi alle sue
mura di un esercito non identificato. A quanto pare anche piuttosto
vasto”.
“Chiamami
Asmodeo. Voglio tenga pronti dei soldati, in caso servissero rinforzi.
Nel
frattempo, esigo messaggeri in continuo movimento. Dobbiamo sapere di
chi si
tratta, chi attacca, di che numeri parliamo e se la cosa potrebbe
coinvolgere
anche altri territori oltre al ducato”.
“Sissignore!”.
Azazel
si
allontanò in fretta e Keros sedette sulla sedia dove sempre
sedeva Lucifero.
“Andiamo…”
gemette “…una guerra? No, una guerra
no!”.
Aggiornamento
di febbraio! Ne arriverà presto
un altro, ora che ho terminato l’altra storia a cui stavo
lavorando (“Diario
segreto di Lucifero"). Ciao!!
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Capitolo 26 *** Alleati ***
26
ALLEATI
La
mappa
degli Inferi era aperta e distesa sul grande tavolo della sala dei
ricevimenti.
Tutt’attorno, molti demoni stavano discutendo animatamente.
Keros, seduto
capotavola, fissava quella piantina con aria lievemente smarrita. Le
voci in
quella stanza erano davvero molte e la tensione iniziava a farsi
sentire. La
notizia di un attacco era circolata in fretta e la situazione era
peggiorata.
La città alleata di Sheol era stata colpita da un esercito
ostile e sotto di
esso era caduta. Ora quell’esercito si muoveva in fretta,
diretto verso i
territori della capitale. Non riuscendo a comprendere chi fossero i
nemici, il
principe aveva convocato i diversi reggenti delle città
alleate e conosciute.
Molti avevano risposto a quell'appello e stavano riempiendo la sala dei
ricevimenti. Ci si guardava attorno, cercando di capire chi mancasse.
“Inaudito
un tale attacco” commentava qualcuno.
“Chiunque
sia, lo annienteremo” si aggiungeva qualcun altro.
“Ma
il re
dov'è? In un momento come questo…” si
sentì.
“Signori!”
alzò la voce Asmodeo, in piedi accanto a Keros
“Cerchiamo di darci una
calmata”.
“Direi
di
fare l’appello” propose Azazel.
“Sì”
annuì
il principe “Vediamo chi ha risposto alla nostra adunata e
chi manca”.
“Ho
qui un
paio di risposte da assenti giustificati” continuò
il messaggero, porgendo a
Keros delle lettere.
Il
giovane
lesse con attenzione ed annuì.
“Segnate
già sulla cartina dell’Inferno l'alleanza con chi
ha scritto queste risposte”
ordinò poi “E ora…”.
“Ma
scusate…” interruppe un grosso demone con una
profonda cicatrice su buona parte
del viso “…non sarebbe il caso che a dare ordini
sia il re? Perché devo
obbedire alle parole del più giovane della
stanza?”.
“Il
re è
impegnato in altre faccende" rispose Keros, cercando di nascondere il
suo
fastidio.
“Quali
faccende? Cosa c'è di più importante di
questo?”.
“Non
credo
siano affari tuoi, Mammon” arricciò il naso il
principe.
Il
demone
fece per ribattere ma fortunatamente qualcosa lo distrasse. Lilith
entrò dalla
porta, invitando tutti ad abbassare i toni. Poi informò che
Furcas e Malaphar,
i due demoni guaritori, non erano presenti perché impegnati
a curare i feriti
della battaglia di Sheol.
“Ma
dunque
chi manca?” domandò Zagan, un demone alchimista.
“Iniziamo
a
fare l’appello e…”.
“Scusate
il
ritardo!” interruppe tutti Alukah, piombando nella stanza
“Perdonate, altezza.
Ero in missione nel mondo umano. Sono arrivato il prima
possibile”.
“Stavo
già
per inserirti nell'elenco dei traditori” scherzò
Asmodeo ed Alukah gli mostrò
la lingua.
“Sono
lieto
di vedervi, maestro” sorrise Keros.
“Maestà… Non
sono il vostro maestro da un sacco di tempo!”.
“Sarete
sempre il mio maestro”.
“Siparietto
carino ma ora vediamo chi manca?” si stizzì Hammon
“Se c'è una guerra alle
porte, meglio muoversi. Troviamo di chi è la
colpa!”.
“Sarà
quel
cagacazzi di Samyaza” ipotizzò qualcuno.
“Quel
cagacazzi di Samyaza è seduto qui”
sibilò il demone chiamato in causa.
“Per
favore, non litighiamo” alzò di nuovo la voce
Asmodeo “Iniziamo l’appello”.
Uno
dopo
l’altro, i convocati furono chiamati ad alta voce da Azazel.
Ogni alleato
presente veniva segnato sulla mappa. Si delineavano i confini dei
fedeli
all'impero di Lucifero e si evidenziavano le zone scure, quelle dove
non vi
erano certezze a riguardo. Poi, alla fine, tutti vennero congedati, per
permettere l’organizzazione degli eserciti in vista della
guerra ormai
prossima.
Rimasto
solo con Azazel ed Asmodeo, Keros si concesse qualche sorso di
tè.
“Asmodeo…”
domandò poi “In quanto tempo saremo pronti a
partire per la battaglia?”.
“L'esercito
imperiale è sempre pronto. Lo guiderò in vostra
vece con orgoglio” rispose il
generale.
“Non
ho
bisogno di qualcuno che combatta in mia vece”.
“Con
tutto
il rispetto…. Non accadrà mai che io vi conceda di
andare in guerra”.
“Scusa…?”.
“Se
dovesse
accedervi qualcosa, il re non me lo perdonerebbe mai. E nemmeno io me
lo
perdonerei. Siete ancora molto giovane e…”.
“Ma
lo hai
visto anche tu! Prima gli altri demoni non facevano che esprimere dubbi
sul
fatto che sia io a regnare e prendere decisioni. Come apparirei ai loro
occhi
se dessi inizio ad una guerra e rimanessi qui a far niente? Devo
dimostrare
loro che sono un degno principe!”.
“Comprendo
il vostro discorso ma non conosciamo il nemico. Siamo realisti,
analizziamo per
un attimo i fatti. Escludendo i convocati, i demoni rimasti sono ben
pochi. E
così pochi demoni non possono organizzare
l’esercito che ha attaccato Sheol!
Questo può voler dire che si nascondono dei traditori fra
chi ha giurato
fedeltà. Perciò non so chi mi troverò
davanti in battaglia, non conoscerò
preventivamente i suoi punti deboli e dovrò improvvisare.
Sinceramente, non me
la sento di improvvisare con accanto il figlio del re. Sarebbe un
rischio
troppo elevato”.
“Che
l’esercito sia composto da traditori, da demoni semplici o da
pazzoidi raccolti
per strada, io ho il dovere di combattere per il mio regno. E tu non
potrai
impedirmelo".
“Altezza…”.
“Azazel!
Che
gli alleati comunichino quando in grado di unirsi
all’esercito reale. Prima
risolviamo questo casino e prima potremo tornare ad occuparci di
altro”.
Azazel
subito si apprestò a radunare altri messaggeri per eseguire
gli ordini. Asmodeo
tentò ancora di far ragionare Keros ma invano. Il principe
si era incamminato a
passo svelto lungo il corridoio, ignorandolo.
“Di
che
lingua si tratta?” si sentì chiedere
all’improvviso.
Keros
interruppe di botto il proprio canto, di natura angelica, e vide il suo
servo
sull'uscio della stanza. Era trascorso qualche giorni ed ormai la
battaglia era
alle porte.
“Posso
portarvi un po' di tè?” propose Simadè,
notando come il principe fosse nervoso.
“Non
riuscirei a dormire comunque” ammise Keros, buttandosi in
diagonale sul letto.
“È
comprensibile…”.
“Puoi
pure
ritirarti. Non ho bisogno di altro, per ora”.
L’Incubus
fece per uscire, con un piccolo inchino. Si fermò sulla
porta.
“Signore…portatemi
con voi” esclamò tutto d'un fiato.
“Come…?”.
“Portatemi
con voi. Avrete bisogno di nutrimento, di sangue. Ed io posso essere il
vostro
pasto, quando necessario. Non sono bravo a combattere però
potrei…”.
“Non
sei
mica un cestino da picnic!” lo interruppe il principe
“Qui starai molto meglio,
credimi. Io ci rimarrei volentieri. Ma ho un ruolo ben
preciso…”.
“Vorrei
fare qualcosa. Il vostro regno è anche il mio
regno!”.
“Qui
ci
sono molte cose da poter fare per il regno. Non mi sentirei a mio agio
a sapere
che potresti morire per poter essere la mia
merenda…”.
“Ma…”.
“Se
vuoi…”
inclinò la testa leggermente il mezzodemone
“…puoi essere adesso la mia
merenda. Che ne dici? Posso fare il pieno prima della
partenza…”.
Simadè
sorrise.
“Ne
sarei
lieto” ammise, avvicinandosi al letto.
Keros
si
rigirò, osservando l'Incubus nella sua breve camminata.
Durante la permanenza a
palazzo, aveva smesso di coprirsi il viso, nonostante fosse in parte
deturpato.
Così facendo, i suoi occhi quasi bianchi spiccavano in modo
netto. Il
mezzodemone, a digiuno di sangue da molto tempo, subito lo
afferrò e lo
trascinò verso sé. Affondò i denti e
Simadè si lasciò sfuggire un gemito,
chiudendo gli occhi. Qualche goccia di sangue cadde sulle lenzuola
scure. Keros
sorrise, provando dopo tanto tempo il piacere di sentire il sapore del
sangue
caldo in gola. Il servo, steso a letto, sentì sussurrare il
proprio nome.
Riaprendo le palpebre, vide il volto del suo signore che lo osservava.
Con il
corpo, lo sovrastava.
“Sai…”
ammise Keros, leccandosi le labbra “…hai un ottimo
sapore”.
“Grazie…”.
“Sono
in
astinenza da tante cose, ultimamente…”
mormorò il sanguemisto, sbottonando la
camicia candida e continuando a sorridere “…che
dici? Sazieresti anche altri
miei appetiti?”.
“Io… io…”.
Simadè
balbettò. Era visibilmente arrossito.
“Andiamo!”
rise Keros “Sei un Incubus! La tua natura è quella
di soddisfare carnalmente le
persone!”.
“Lo
so… Ma
voi… siete così…”.
“Così…?”.
“Così
diverso da ogni altro demone con cui ho avuto a che fare. Voi
siete… speciale”.
“Non
immagini quanto…”.
“Posso
baciarvi?”.
“Non
sulle
labbra. Da qualsiasi altra parte, va benissimo”.
Simadè
allora si sollevò leggermente e baciò il petto
scoperto del suo signore. Da
quella posizione, lo aiutò a disfarsi della camicia e lo
strinse fra le
braccia.
“Vi
prego…”
sussurrò il servo “…non permettete alla
guerra di porre fine alla vostra vita”.
“Farò
tutto
il possibile…” rispose Keros, prendendo ancora un
assaggio di sangue.
Le
mani di
Simadè era abili e riuscirono piuttosto in fretta a
spogliare del tutto il
giovane principe. Visibilmente eccitato, il mezzodemone
cercò il contatto con
la pelle morbida dell'Incubus.
“Posso
dedicarvi il mio massaggio speciale?” gli propose il servo,
scivolando con le
labbra lungo il petto ed il busto.
Keros
non
rispose. Si stese a letto, fra i cuscini. La bocca di Simadè
era scesa, donando
baci lungo il suo cammino. Il principe socchiuse gli occhi, gustandosi
una
fellatio eseguita da un esperto del settore. “Ma come possono
gli angeli fare a
meno di certe cose?” si chiese, gemendo per il piacere.
Un
messaggero come Azazel non amava il mondo umano. Non gli interessava
frequentarlo eppure si era sentito in dovere di agire. Una volta
raggiunto il
luogo dove Lucifero se ne stava rintanato, fu subito indeciso se
proferire
parola o meno. Temeva reazioni strane da parte del re, ma alla fine
prese
coraggio.
“Maestà…”
esordì,
e subito venne interrotto da Satana, che lo invitò ad
andarsene.
“Lasciatemi
solo dire quanto segue” insistette Azazel, schiarendosi la
voce “Io non sono
caduto con voi. Non facevo parte del gruppo di fedelissimi, come
Asmodeo o
Furcas. Io sono caduto dopo, assieme a Samyaza e gli altri che lo
seguirono.
Ero un vigilante, sorvegliavo gli esseri umani. Come altri, mi sono
innamorato
di una delle donne dei mortali. Insieme, angeli e femmine umane hanno
avuto dei
figli, i nephilim. Dio ci ha puniti. I nostri figli e le nostre amanti
sono
divenuti polvere, cenere e nulla più. Noi angeli condannati
all'eternità
dell'Inferno. Ricordo il primo giorno da caduto. Ero spaventato,
dolorante,
depresso e furioso. E ricordo che vi ho incontrato. E sapete cosa mi
avete
detto? Che a guardare al passato non si ottiene nulla. Mi avete detto
che ciò
che è stato ormai non si può più
cambiare e che è nel presente che bisogna
concentrare le energie, per creare un glorioso futuro. Queste frasi mi
hanno
sempre fatto andare avanti. Anche quando ho perso la consorte che avevo
agli
inferi, e sono rimasto solo con mia figlia. È stata dura ma
ho sempre cercato
di rialzarmi”.
Lucifero
si
limitò ad agitare un po' la coda.
“Vedervi
così…” continuò Azazel
“…mi fa incazzare. Io comprendo il vostro dolore,
lo
comprendo benissimo. Ma vi ricordo che davanti a voi avete un futuro
che…”.
“Quale
futuro?” sbottò, di colpo, il re
“L’eternità della dannazione? Che
meraviglia.
Che consolazione!”.
“No.
Io
parlo del futuro che creiamo. Delle conseguenze che le nostre azioni
portano su
chi abbiamo al nostro fianco. Sta per iniziare una guerra”.
“Ci
sono
sempre state le guerre”.
“Vostro
figlio Keros combatterà. In vostra vece. Abbiamo tentato di
farlo ragionare, di
farlo desistere. Ma è testardo, proprio come voi.
Ora… Se avete intenzione di
rimanere lì seduto per i prossimi millenni, sono cazzi
vostri. Però, vi
supplico: non permettete a quel ragazzo di prendere parte ad
un conflitto
dall'esito incerto. Non vi importa più di niente e nessuno?
Sono certo che per
Keros fareste qualsiasi cosa. Fratello… Non permettere che
muoia!”.
Azazel
attese qualche istante di ricevere una risposta, o perlomeno di notare
una
reazione. Lucifero non si mosse.
“Ora
devo
andare…” mormorò il messaggero
“…sarò sempre l'araldo della famiglia
reale. Il
principe mi aspetta…”.
Circondato
da altri demoni alleati, Keros era fieramente in groppa alla propria
creatura.
Da quando l'aveva vista uscire dall’uovo, era trascorso molto
tempo. Ora,
bardata con nastri e pezzi d'armatura, era pronta alla sua prima
battaglia
importante.
“Non
avere
paura…” sussurrò il padrone alla
propria bestia.
In
realtà,
probabilmente, Keros era molto più spaventato di lei. Non
era mai stato in
mezzo ad una grande guerra, ne aveva solo sentito parlare. Per qualche
istante,
si chiese chi poteva mai pregare una creatura come lui. Di certo Dio
non lo
avrebbe ascoltato. Eppure desiderava tanto pregare, affinché
tutto si rivelasse
solo un incubo. Sapeva di non poter mostrare simili debolezze,
perciò mascherò
i suoi timori dietro ad un ghigno beffardo.
“Attendiamo
ordini, altezza” si sentì dire.
Asmodeo,
in
armatura color del sangue, incuteva di certo molta paura. Keros
alzò lo
sguardo, osservando la bandiera con il sigillo reale che sventolava. La
battaglia stava per iniziare, fra rocce e spuntoni di una valle
disabitata.
“Mettiamo
fine a tutto questo” scandì il principe,
osservando i nemici “Distruggiamo i
sovversivi. Che fra loro non resti nemmeno un superstite!”.
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Capitolo 27 *** Guerra ***
27
GUERRA
Il comando di Keros fu seguito dal gesto di Asmodeo, che dava ordine a
tutti i demoni di iniziare l'attacco.
Si alzò un grido collettivo e suonarono i corni. Il principe
lanciò un ultimo sguardo a coloro che aveva accanto,
augurandosi in cuor suo di rivederli tutti in vita. La carica
partì, in groppa a grosse creature demoniache. Mantelli e
bandiere di vari colori sventolarono ed accompagnarono i loro
proprietari con un lieve suono continuo.
Non avendo mai partecipato ad una battaglia di simile portata, Keros
rimase qualche istante indeciso sul da farsi. Poi notò come
tutti i suoi maestri non avessero avuto esitazione alcuna e
capì che doveva mostrare loro di essere stato un degno
allievo. Sfoderò la preziosa spada che avevo ricevuto in
dono al millesimo compleanno e si scagliò contro i nemici.
Anche l’armatura e la veste che indossava erano un regalo per
quell'occasione. Tolse i guanti, richiamando fiamme rosse con la mano
sinistra. La luce del fuoco si rifletté sull'argento degli
spallacci e sui dettagli in metallo che decoravano l’intero
vestito. Era quasi interamente nero ma, grazie alle fiamme, si riempiva
di riflessi color del sangue. Asmodeo osservò con orgoglio
il principe mentre usava il potere del fuoco contro la moltitudine di
nemici che aveva davanti. Lo stesso faceva la bestia che cavalcava
l’erede al trono.
Il generale gridava comandi ai soldati, Azazel ed altri messaggeri
volavano instancabili per recapitare quelle parole per l'intero ampio
esercito. Fu ordinato a tutte le bestie di prendere il volo. Keros
decise che non sarebbe stato molto saggio per lui restare in groppa
alla propria creatura. In caso di caduta, avrebbe avuto
l’istinto di aprire le ali angeliche e non poteva immagine le
reazioni dei demoni presenti. Lasciò quindi che la belva si
librasse in volo con le altre e lui rimase a terra. Le creature
affrontarono vari demoni che tentavano un attacco dall'alto, usando i
diversi poteri in cui si destreggiavano.
“Dov'è il principe?” si
allarmò Asmodeo, notando come non cavalcasse più
l'animale addestrato.
Quando lo vide circondato da truppe nemiche, tentò di
raggiungerlo. Altri demoni ostili però lo bloccarono,
costringendolo a combattere e dimenticare i suoi propositi.
“Lilith!”.
Il nome della succubus rimbombò per il palazzo semideserto.
Le guardie reali erano tutte in guerra, tranne pochi solitari soldati
tenuti a guardia in caso di agguati.
“Lilith!” urlava il re, sempre più
forte.
Danneggiato dal molto tempo trascorso nel regno umano, Lucifero
mostrava numerose ferite aperte e bruciature. Aveva un aspetto
spaventoso ed una serba fuggì via, spaventata. Nella fuga,
finì con lo scontrarsi proprio con Lilith. Lo sguardo di
terrore non le abbandonava il viso, nonostante il sorriso della
succubus.
“Lilith!”.
La demone si affrettò a raggiungere il re. Perfino lei,
avvezza all’aspetto di Lucifero, sentì prevalere
la paura per qualche istante.
“Dov'è il mio cucciolo demoniaco?”
domandò Satana, con gli occhi iniettati di sangue.
“Keros?” chiese conferma Lilith.
“Sì, Keros. Chi altri?”.
“Altezza… Keros è in guerra. Abbiamo
tentato in ogni modo di impedirglielo ma…”.
“Dov'è la battaglia?”.
“Dov'è…?”.
“Dove combattono! Sei rincoglionita?”.
“No, è che… voi…”.
“Ti faccio paura, eh?” ghignò il re
“Hai dimenticato quei giorni. Hai dimenticato il volto del
tuo re quando ti ha salvata!”.
“Perdonatemi, maestà!”.
“Non ho tempo, adesso. Dimmi dove combattono!”.
“Io… Non lo so!”.
“Come non lo sai?!”.
“È compito di Azazel ed Asmodeo gestire queste
cose. Io…”.
Lucifero ringhiò
“Però…” si
affrettò ad aggiungere lei “…qualche
soldato è rimasto. Forse loro lo sanno.
E…”.
“Io so dove stanno combattendo” li interruppe una
voce.
Lucifero si voltò e si ritrovò a fissare
Simadè, sceso lungo i corridoi dopo aver udito delle urla.
“Parla” ordinò il sovrano.
“A sud est della città di Hammon, nella valle
porpora. Il principe me lo ha rivelato alla vigilia della
partenza”.
Il re sorrise, in modo decisamente inquietante.
“Portami immediatamente l’armatura”
comandò poi, e subito Simadè corse nelle stanze
di Lucifero.
Molto più lucido in quel momento di Lilith, il servo non si
fece impressionare dall'aspetto del sovrano. Lo vestì
più in fretta che poté, incitato dalle urla del
signore degli Inferi che lo intimava di sbrigarsi.
“Ma… altezza!” furono le parole di Lilith
“Non vorrete mica combattere? Siete ferito, stanco
e…”.
“Il mio posto è in guerra. Dovrei esserci io in
prima fila e non Keros. È ora di far tornare tutto come deve giustamente
essere".
Lucifero poi spalancò le ali e raggiunse il portico, da dove
spiccò il volo.
Con addosso il sangue dei nemici, Keros continuava a combattere. Si
faceva strada fra orde di demoni inferociti, brandendo la spada ed
evocando il fuoco.
“Ammazzatelo!” si sentiva urlare
“Ammazzatelo! È il figlio del re!”.
Sempre più avversari lo circondavano, molti immuni alle
fiamme demoniache. Intensificò il proprio potere,
richiamando più energia nelle mani. Questo fece
sì che i disegni che celava sulla pelle si espandessero,
mostrandosi anche in parte sul viso e sulle mani.
“È maledetto!” commentò
qualcuno.
“Quei segni non sono demoniaci!” notò
qualcun altro.
Il principe si passò con destrezza la spada da un palmo ad
un altro, evocando il fuoco con la destra. Le fiamme sprigionate fra
quelle dita però erano diverse, non più rosse
bensì di un acceso color blu.
“State indietro!” intimò il mezzodemone.
La fiamma blu e celeste si fece sempre più viva ed alta.
Keros la indirizzò verso uno di quei demoni resistenti al
fuoco degli Inferi. Questi dapprima rise, ribadendo di essere immune
alle fiamme, e poi urlò di dolore. Guizzanti lingue azzurre
lo divorarono, come tanti fuochi fatui che risucchiavano la vita.
“Fuoco angelico!” gridò uno degli
attaccati, prima di dissolversi.
Il principe sorrise soddisfatto. Era stato l'Arcangelo Mihael ad
insegnargli quella tecnica. Continuò ad usarla, fino a
quando una spada calò pesante su di lui. Per parare il
colpo, non fece in tempo a richiamare la barriera protettiva e dovette
usare la propria arma. Avvertì una fitta alla spalla, per la
posizione irregolare a cui era costretto e per il contraccolpo.
“Ammazzate il figlio del re” scandì bene
quel nemico, coperto da una pesante armatura che ne copriva il
voltò.
Keros afferrò l’elsa della spada con entrambe le
mani, pronto a combattere.
“Provaci" ghignò l’erede al trono.
Era inebriato dall'odore del sangue di tutti coloro che aveva ucciso e
che ora imbrattava parte del mantello nero ed i grossi stivali. Ne
aveva anche sulle mani e sul volto, ne leccò un po' con la
lingua.
“Provaci ad un uccidere il figlio del re”
ripeté, poi urlando: “Plebeo
sovversivo!” e lanciandosi all'attacco.
Iniziò un duello fra spade, a suon di fendenti. Fra affondi
e parate, lo stridente rumore del metallo infastidiva le sensibili
orecchie di molti demoni. Keros, con lo sguardo del colore delle
scintille che le due lame provocavano, lottava con ferocia.
“Ti ammazzerò, finto demone!” ringhiava
il nemico.
“Avrò la tua testa!” gli rispose il
principe.
“Padre!” chiamò Lilien, dopo l'ennesimo
volo come messaggero “Ho visto Belzebù”.
“Belzebù?” si stupì Azazel
“Non era presente fra gli alleati…”.
“Di fatti, papà, è fra le schiere dei
nemici. In molti lo seguono”.
“Vola immediatamente ad avvisare Asmodeo e comunicagli la
posizione di quel traditore dal corpo di mosche!”.
La ragazza obbedì e volò rapida. Lungo il
percorso però incrociò un altro demone che in
principio non riconobbe. Poi, vedendo i simboli sull'armatura,
capì come doveva agire.
“Altezza!” lo raggiunse “Vostra altezza,
Lucifero!”.
Con un breve inchino, la giovane indicò al re la posizione
di Belzebù, il probabile promotore di quella rivolta. Lo
sguardo del re si fece ancora più feroce.
L’annuncio dell'arrivo di Lucifero si diffuse rapido fra
nemici ed alleati. Erano tutti perfettamente consapevoli che il Signore
dell’Inferno era il demone più potente.
“Lieto di vederti” lo salutò Astaroth,
con una scintillante armatura argento con riccioli a sbalzo.
“Dov'è mio figlio?” si limitò
a chiedere il re, vedendo come molti degli avversari tentavano
prudentemente di fuggire e ritirarsi “E chi sono questi
nemici? Non li conosco…”.
“Sono giovani, altezza. Pare che Belzebù, assieme
ad altri demoni di rango più basso, abbiano radunato orde di
ragazzi di nuova generazione e li abbiano mossi contro di noi e la
famiglia reale. In quanto al principe, non è molto che ho
avuto il piacere di vedere il suo fuoco blu incenerire chi lo sfidava".
“Fuoco blu?”.
“Non è una cosa che gli ho insegnato
io…”.
Lucifero si sollevò da terra, semplicemente usando il
proprio potere: voleva a tutti i costi individuare Keros.
Nel frattempo, Asmodeo si era messo sulle tracce di Belzebù.
“Eccolo!” lo indicò Samyaza, con
l’elmo che non riusciva a celarne i lunghissimi capelli color
del bronzo.
“Questa volta giuro che lo ammazzo!”
ringhiò il generale.
Il duello di spade continuava. Circondati da chi continuava a ripetere
che Belzebù si stava ritirando, Keros ed il suo avversario
si battevano. Il principe capì di avere di fronte un degno
sfidante, abile con l’uso della lama. Capì anche
che non poteva permettersi di sprecare troppe energie, in vista di
altri scontri successivi. Era però difficile
chiudere la faccenda, iniziava a farsi sentire la stanchezza.
Ansimando, i due si squadravano.
“Non mi farò battere da un demone come
te” ringhiò il nemico.
Keros rispose a quel ringhio. Odiava essere etichettato con tale
disprezzo, come fosse qualcosa di malriuscito. Ricominciò ad
attaccare con più decisione e ferocia. Un demone come lui?
Cosa aveva poi di così diverso? Attorno vedeva chi aveva
più corna, chi più code o ali. C’era
chi usava il fuoco e chi il ghiaccio del Cocito. C’era chi
era in grado di uccidere con il veleno e chi con l'ipnosi, chi cambiava
forma e chi divorava l'avversario, chi era in grado di condurti alla
follia con uno sguardo e chi faceva lo stesso con un grido. Allora
perché definire sempre lui il “diverso”?
Diverso da chi? Da cosa? I segni sulla pelle ora gli marchiavano la
guancia sinistra, accentuando l’arancio del suo sguardo
irato.
“Metterò a tacere tutti i demoni come
te!” furono le parole del principe.
Quelle parole accompagnarono l'ultimo colpo, che tagliò di
netto la testa dello sfidante. Keros effettuò quel gesto con
un ghigno soddisfatto. Il capo e l’elmo
dell’avversario caddero in terra, così come il
corpo si afflosciò sulle ginocchia. Cadendo, la testa
decapitata lasciò l'involucro metallico che la proteggeva e
svelò un paio d’occhi spalancati che Keros
notò immediatamente. Nel vederli, il giovane ebbe un
sussulto. Sapeva di essere circondato, sapeva che molti nemici stavano
per attaccarlo. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo da quei
due occhi spalancati. Li conosceva quegli occhi. Li conosceva bene.
Lasciò andare la propria spada, grondante di sangue.
Tutto veniva avvolto da una luce fortissima, emessa da Lucifero. Era
sempre più intensa e costringeva in molti a chiudere gli
occhi. Si udirono grida, tanti fuggirono o vennero inceneriti da quel
bagliore. Si espandeva rapidamente e presto illuminò tutto
il campo di battaglia. Keros sentì il calore di quella luce
sulla pelle, ma non reagì.
“Nasfer…” riuscì soltanto a
mormorare, prima di cadere a terra.
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Capitolo 28 *** Perdono ***
28
PERDONO
La
prima sensazione
che percepì fu quella della morbida seta sotto le mani.
Piuttosto confuso,
Keros aprì gli occhi. Si trovava nella sua stanza, a letto.
Riconobbe subito
gli stucchi e le stoffe scure del baldacchino. Udì il grido
di un'anima
tormentata. Alzandosi a sedere, provò un certo fastidio alla
spalla ed un gran
mal di testa. Decise di alzarsi, cautamente. Era scalzo ed indossava
una
semplice tunica nera senza maniche, legata in vita da una fascia
argento. Con i
capelli sciolti, e qualche fasciatura a coprire le ferite della
battaglia, si
incamminò per il corridoio e lungo le scale. In testa aveva
una marea di
domande, non capiva e non ricordava molte cose. Quando
imboccò il corridoio che
conduceva all'ufficio del re, fu rincuorato dal sentirne la voce.
Lucifero
stava discutendo animatamente con un gruppo di demoni. Keros
riuscì a sentire
solo parte del discorso, che riguardava la fuga di Belzebù.
Il sovrano stava
lasciando precise disposizioni ai presenti sulle zone da setacciare,
con
l'obbligo di portargli il demone vivo, per poterlo torturare di
persona.
“Se
a
trovarlo sarò io…” domandò
Asmodeo “…posso almeno staccargli un
braccio?”.
“Anche
due”
gli rispose il re “Per quel che mi riguarda, puoi anche
staccargli le palle.
Basta che me lo porti vivo, così che possa fargli capire una
volta per tutte
perché non ci si ribella".
Keros
era
rimasto in piedi, fermo, in mezzo al corridoio. Da lì poteva
vedere quel che
accadeva nell'ufficio, senza avere il coraggio di andare oltre. Fu una
delle
serve, intenta a versare il vino al sovrano, a notarlo per prima. Pochi
istanti
più tardi, lo sguardo di sovrano e principe si incrociarono.
Il sangue misto
trattenne il fiato, mentre Lucifero si alzava. Per un momento, il
giovane pensò
che fosse saggio fuggire. Alla fine rimase dov’era ed il re
lo raggiunse,
abbracciandolo forte.
“Perdonami!”
gemette Keros, avvolto in quell'abbraccio.
“C'è
stato
un momento…” ammise il demone
“…in cui ho temuto di non rivederti
più”.
“Perdonami”
mormorò di nuovo il principe.
L'abbraccio
lasciò intravedere una porzione della gamba del sangue
misto, senza più
coprirne i tatuaggi.
“Anche
sulla gamba ha quei segni…” sussurrò un
demone ad un altro.
Keros
udì
quelle parole e si sentì a disagio. Ovviamente anche il re
le aveva udite e si
scagliò in fretta contro il demone che le aveva pronunciate.
Ne spinse il viso
contro il tavolo di legno massiccio, sbattendo rumorosamente la coda in
terra.
“Che
problemi hai?” sibilò Lucifero, ricevendo in
risposta solo balbettii confusi.
“Vi
prego!”
lo raggiunse Keros “Non è assolutamente
necessario! So quanto questi segni non
siano graditi alla vista di molti, purtroppo al risveglio ero troppo
confuso
per farci caso. Chiedo perdono per l'inconveniente”.
“Ma
che
stai…” tentò di protestare il re.
“Piuttosto…”
continuò il principe “…ne approfitto
per ringraziarvi. In guerra avete
combattuto con onore e coraggio, siete formidabili. Il vostro
contributo è
stato fondamentale per il regno”.
In
risposta
si udirono commenti imbarazzanti e di finta modestia.
“Sapete
quello che dovete fare” tagliò corto il re
“Andate. Lasciateci soli”.
Quando
nella stanza rimasero solo re e principe, Lucifero chiuse la porta.
“Come
stai?” chiese poi il demone, mentre Keros distoglieva lo
sguardo.
“Bene…”
mormorò il mezzodemone “Ho solo mal di
testa”.
“Ottimo…”.
“Ti
chiedo
scusa. Davvero” furono le parole di Keros, che ruppero
l’ennesimo silenzio.
“Per
cosa?”.
“Come
per
cosa?! Per… tutto. Per la guerra, per questo casino
e… per Sophia”.
“Oh,
piccolo! Non è stata colpa tua!”.
Il
demone
abbracciò di nuovo il principe.
“Sì,
invece. È stata colpa mia!” insistette Keros
“Io… sono un disastro!”.
“Ragazzo!
Semmai dovrei essere io a chiederti scusa, per averti lasciato solo in
un
casino simile! Tu non hai
nulla di cui
farti perdonare. Anzi, da quel che mi è stato detto, sei
stato molto bravo”.
“Bravo?”.
“Un
perfetto principe regnante. Sono fiero di te. Riuscirai a perdonarmi?
Non
volevo farti vivere la guerra…”.
“Ma…cosa
è
successo? Io ricordo solo che stavo combattendo e… quella
testa…”.
“Siediti…”.
Lucifero
indicò una sedia e versò da bere in due calici,
offrendone poi uno al giovane.
“A
quanti
ho tolto la vita?” mormorò Keros “E me
ne sono reso conto solo nel momento in
cui ho visto cadere la testa di un amico…”.
“Amico?!”
storse il naso Satana “Ha tentato di ucciderti! E non solo
una volta…”.
“Mi
ha
aggredito, è vero. Ma io ho le mie colpe”.
“Ti
avrebbe
ammazzato! Non avevi alternative!”.
Il
mezzodemone bevve un sorso, poi tossendo perché era un
liquore piuttosto forte.
“Hai
fatto
la cosa giusta” continuò Lucifero
“Adesso forse non ne sei convinto, perché
comunque era un tuo compagno di addestramento.
Però…”.
“Ho
ucciso
il figlio del mio maestro! Lui mi ha istruito ed io lo ripago
così?”.
“Alukah
poteva insegnare a suo figlio ad essere meno coglione!”
sbottò il re,
infastidito.
“Ma
quante
altre persone ho fatto soffrire? A quanti padri ho tolto i figli?
Quante donne
aspetteranno invano il loro compagno per causa mia? Quanti orfani
che…”.
“Finiscila!
Tu ti sei difeso! Hai protetto il tuo regno e la capitale. Non avevi
altra
scelta”.
“Ed
uccidendo che cosa ho ottenuto? Vendetta”.
“Se
qualcuno vorrà vendicarsi, lo batterai.
E…”.
“Non
parlo
solo di me! Un giorno potrei avere dei figli, no? E se venissero loro
coinvolti
in questo gioco eterno? Mettere in pericolo innocenti per scelte
sconsiderate!”.
“Keros,
questo è l'Inferno. L'Inferno è rabbia, odio,
vendetta…”.
“E
non
sarebbe ora di cambiarlo?”.
Lucifero
osservò in silenzio il principe, che svuotò la
coppa.
“Come
vorresti cambiarlo?” domandò poi il re.
“Vorrei
cambiare molte cose. Siamo demoni, i demoni cambiano e quindi anche la
loro
casa deve cambiare. Non come gli angeli ed il paradiso”.
“Anche
gli
angeli ed il paradiso cambiano. Magari non esternamente, ma
interiormente
credimi che molte cose sono cambiate. Nulla può restare
immutato”.
“Vorrei
che
tutta questa rabbia e questo odio si concentrasse sulle anime da
punire, sugli
umani peccatori”.
“Intendi
senza più guerre fra demoni? Pura
utopia…”.
“Può
darsi…”.
“Keros… ora
ti senti in colpa. Volevi bene a Nasfer, vuoi bene ad Alukah e ti penti
delle
tue azioni. Ma passerà. Tutto passa, credimi. Vai a fare un
giro, trova il modo
di sfogarti. Poi vedrai che ti sentirai meglio”.
“Però
prima
mi spieghi quel che è successo?”.
Il
re
accarezzò con affetto la testa di Keros. Il principe era
rimasto seduto, coppa
vuota fra le mani, con aria malinconica. Il sovrano, in piedi,
iniziò a
raccontare. Spiegò che Belzebù, da sempre
desideroso di sedere sul trono, aveva
deciso di approfittare della notizia di una momentanea assenza di
Satana. Non
trovando alleati fra demoni antichi, sconfitti troppe volte dal re, si
era
creato un nutrito gruppetto di fedeli fra le nuove generazioni. Promettendo terreni e
ricchezze,
era riuscito a radunare un esercito. Durante la battaglia, Lucifero
aveva
utilizzato il proprio potere e sconfitto i ribelli, riuscendo a salvare
il
principe che nel frattempo era stato circondato. Il giovane, dopo aver
decapitato Nasfer, non era stato in grado di rimanere lucido.
“Quindi
la
guerra è stata colpa mia” sospirò Keros
“Non mi ritenevano all’altezza”.
“La
colpa,
se proprio vogliamo cercarla, è mia. Perché ti ho
lasciato solo. E ti ho
costretto a vivere tutto questo”.
“Ma
io ti
ho tolto Sophia!”.
“Non
sei
stato tu ad ucciderla. Ora smettila di tormentarti. Cerca di rilassarti
e
tentiamo di andare avanti al meglio”.
Il
principe
si lasciò abbracciare di nuovo. Lo sguardo di Lucifero e
l'intero corpo del
sovrano portavano i segni della battaglia e del tempo trascorso nel
mondo
umano. Era pallido, con il viso scavato e gli occhi malinconici. Keros
voleva
chiedere ancora perdono ma non trovò altre parole.
Ascoltò in silenzio altre
cose che il sovrano aveva da dirgli. Poi decise di congedarsi, sentendo
di
nuovo la testa pulsare.
Steso
nella
vasca del proprio bagno privato, il principe fissava il soffitto. Una
lacrima
ne bagnò la guancia ed immediatamente l'asciugò
con la mano, vergognandosene.
Nel silenzio, udì chiaramente dei passi nella camera
adiacente.
“Simadè!”
chiamò.
Il
servo
subito entrò e salutò con un inchino.
“Siete
qui!” parlò “Perdono se non ero al
vostro fianco al momento del risveglio.
Aiutavo Furcas con i feriti e…”.
“Non
devi
scusarti" lo zittì Keros “Il re mi ha raccontato
che lo hai aiutato con
l'armatura”.
“Sì… Ho
tentato di rendermi utile come potevo".
“Passami
l'asciugamano".
Simadè
obbedì, indugiando qualche istante ad osservare il giovane
immerso in acqua.
“Vedo
che i
segni che avete sul corpo sono tornati come
prima…” commentò il servo, senza
staccare gli occhi dal mezzodemone.
“In
che
senso?” mosse le orecchie Keros, uscendo lentamente dalla
vasca.
“Quando
siete stato portato qui, ne avevate anche sul viso ed in buona parte
del corpo.
Ma ora sono come sempre”.
“Non
lo
sapevo. Indagherò sulla cosa. Ora aiutami, devo far visita
ad una
persona".
Non
si
aspettava di ritrovarsi a percorrere un corridoio così buio
e polveroso. Senza
nemmeno una candela, Keros camminò ed udì propri
passi riecheggiare per il
palazzo. Credeva di incontrare servitori, guardie… nessuno!
Fra le mani,
stringeva una pergamena con il sigillo reale. Nell'oscurità,
il mezzodemone
raggiunse la sala principale. Lì una figura, accovacciata,
si voltò di scatto.
Un paio di occhi rossi si illuminarono.
“Maestro"
si affrettò a dire Keros “Sono io".
La
luce rossa
si affievolì leggermente.
“Altezza…”
mormorò Alukah.
Il
demone
vampiro era chino sui resti dell'armatura del figlio e li fissava in
silenzio.
“Maestro,
io…”.
“Non
chiamatemi maestro. Non usate l'onorifico con me. Come da disposizioni,
lascerò
questo palazzo. Lasciatemi solo…”.
“Io
non
voglio che lo lasciate".
Il
mezzodemone si inchinò.
“Ma
che
fate?” si stupì Alukah.
“Sono
qui
per porgervi le mie più sentite scuse. Maestro… So
che avete rinunciato al
vostro territorio per fare ammenda ma… voi non avete colpa
alcuna. E vorrei ne
riprendeste il possesso".
Dicendo
questo, il principe porse la pergamena al vampiro.
“Perché
chiedete perdono? È stato mio figlio a sbagliare. Ed io a
non insegnargli a
stare al suo posto. Voi avete fatto esattamente quel che ci si aspetta
da un
demone".
“Non
avrei
mai voluto arrecarvi un simile dolore".
“Dolore?
La
mia è rabbia. Rabbia per aver cresciuto un figlio traditore.
Vergogna per non
aver compreso che cosa avesse in mente. Sollievo per non aver visto
sterminata
la mia intera famiglia dopo un simile atto sovversivo".
“Non
avete
nulla di cui vergognarvi. Nasfer era un ottimo guerriero, egregiamente
addestrato. Aveva le proprie idee, ma…”.
“Ma
perché
chiedete perdono? Siete stato un perfetto principe, avete guidato la
nazione in
battaglia, preso le decisioni giuste e mantenuto un atteggiamento degno
di
vostro padre. E ora? Ora venite qui a chiedere scusa? Un vero demone
non chiede
mai scusa".
“Un
vero
demone?”.
“Vi
ho
visto in guerra. Avete usato delle tecniche che non appartengono al
mondo
infernale".
“E
con
ciò?”.
“Nulla.
Dico solo che, almeno nell'atteggiamento, dovreste tentare di fare il
demone
completo".
Keros
si
accigliò.
“Maestro…”
rispose poi, con voce ferma “…io vi stimo, vi
rispetto. Non provassi simili
sentimenti, vi insulterei. Perché un demone non deve
chiedere perdono? Siamo
forse divinità? Siamo forse come colui che ha cacciato i
ribelli dal paradiso?
Siamo forse al di sopra di tutto e di tutti, talmente pieni di
sé da non essere
in grado di capire quando si ha commesso un errore? Io non sono Dio, e
non
voglio nemmeno esserlo. Io sono una creatura imperfetta e le creature
imperfette commettono errori. Sono fiero di essere imperfetto. E sono
stufo di
sentirmi costantemente giudicare come fossi una strana bestia. Perfino
voi…”.
“Altezza…”.
“Io
amavo
Nasfer. Durante tutto il nostro addestramento non ho fatto altro che
ammirare
le sue doti ed il suo atteggiamento da vero demone. Volevo essere come
lui.
Volevo essere come voi. Ma io non sono così. E, giusto
perché lo sappiate, il
re stesso chiede scusa. Per essersi allontanato troppo a lungo per
motivi
personali. Evidentemente nemmeno lui è un vero demone".
“Io…”.
Keros
depose la pergamena accanto ai piedi di Alukah, rimasto accovacciato.
“Questo
pezzo di carta vi permette di mantenere la terra ed il palazzo vostro e
di
Nasfer. Se poi proprio volete disfarvi di tutto, dividete fra
confinanti e
donate i vostri possedimenti ad altri che hanno subito perdite".
“Perché
lo
fate?” domandò il vampiro, quando il principe
già si stava allontanando.
“Perché
per
diritto tutto questo spetterebbe a me, che ho ucciso colui che qui
viveva. Miei
sono i territori di Nasfer ed i vostri, dato che li avete riconsegnati
al re
per avere pietà della vostra stirpe. Io mai potrei toccare
le vostre figlie o
la vostra casa. Perciò vi restituisco tutto".
“Ma…”.
“Chiedo
solo di poter avere un palazzo per me. Un singolo palazzo. Dove potermi
ritirare in pace, da solo, se mi verrà voglia di farlo. Il
resto, resta tutto
come prima".
“Oh… altezza…”.
“Perdonami
ancora, Alukah…”.
Senza
dire
altro, il giovane lasciò il palazzo. Vi percepiva l'essenza
di Nasfer. Ricordò
l'addestramento e quel bacio. Quell'unico bacio che mai avevano dato le
sue
labbra. Era meglio rientrare a casa…
“Non
so
perché tu lo abbia fatto…” ammise
Lucifero “…ma se ti fa stare meglio, lo
accetto".
Keros
annuì.
Era
steso a
letto, con sul capo una pezza d'acqua fredda. Aveva un gran mal di
testa. Il
re, seduto fra le lenzuola al suo fianco, tentava di tirarlo su di
morale
raccontandogli stupidaggini.
“Ti
ricordi
quando da piccolo hai rubato i dolci dalla cucina? E li hai mangiati
tutti?
Ricordi che mal di pancia?”.
“Ricordi
quando ti ho bruciato i libri?” rispose il principe
“Ebbene li ho riscritti
tutti. L'ultimo l'ho terminato in Paradiso ed è nelle tue
stanze, fra i
manoscritti".
“Grazie…”.
“Io
mantengo le promesse".
“Bravo
il
mio ragazzo".
Lucifero
passò una mano fra i capelli del giovane e lo
fissò perplesso. Affondò con più
decisione la mano fra i ciuffi rossi.
“Mi
fai
male!” protestò Keros.
“Oh... ma… Qui
c'è una sorpresa!”.
“Di
che
parli? Ho i pidocchi?”.
“Ma
no, che
dici! Vedo un cornino".
“Un
cosa?!”.
“Un
piccolo
corno. E qui eccone un altro. Due piccole corna. Ecco spiegato il mal
di
testa!”.
“Sei
serio?!”.
Keros
si
sollevò a sedere, di colpo.
“Sono
serissimo! Sei un demone! Un vero demone! Il mio piccino ha le corna!
Dobbiamo
festeggiare!”.
“Ma
com'è
possibile?”.
“La
guerra,
il sangue nemico… Chi lo sa? Ma che importa! Hai le corna!
Hai le corna!”.
Il
principe
finalmente sorrise, contagiato dall'entusiasmo del re. Poi si
alzò,
avvicinandosi allo specchio. Erano lì, per davvero. Piccole,
che lentamente
spuntavano, due corna blu. E ne fu davvero fiero.
Eccomi!
Questa volta vi lascio il link per un “GIOCHINO”
a tema Keros. Sarei lieta di vedervi partecipare :)
https://www.facebook.com/SagaFrirry/photos/a.171370666771099.1073741836.166597243915108/233020953939403/?type=3&theater
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Capitolo 29 *** Giovani ***
29
GIOVANI
La
grande
sala ricevimenti era bardata più del solito per l'occasione.
Lucifero sedeva sul
trono, al suo fianco stava Keros, su un seggio pressoché
identico. I due erano
entrambi vestiti in modo regale e portavano le rispettive corone. Il
vociare
dei molti demoni presenti era sempre più forte. D'un tratto
il re, vedendo entrare
l'ultimo ospite atteso, si alzò. Questo fece sì
che tutti si ammutolissero.
“Benvenuti”
esordì il diavolo “State pure comodi, sorseggiate
del vino e prestatemi ascolto
per qualche istante…”.
I
convocati alzarono i calici e sorrisero. Keros, con a sua volta un
calice fra
le mani, picchiettava l'anello che portava al dito contro la superficie
argentea. Era una festa, una celebrazione per la fine della guerra. Il
principe
però non riusciva ad essere più di tanto allegro.
“Sapete
bene perché siamo qui" parlava Lucifero “A molti
di voi verranno dati
terreni, gratifiche e quant'altro. Siete stati eroici, grandi
guerrieri. Ma
prima ci terrei a chiarire una cosa…”.
Lucifero
allungò il braccio verso il lato sinistro della sala, dove
aveva fatto
sistemare tutti i più giovani combattenti.
“Ho
udito
molte voci che trovo alquanto fastidiose. Molti di voi sono convinti
che questa
guerra sia stata provocata dai giovani. Nulla di più falso.
La prova è qui,
davanti ai vostri occhi. Fra questi ragazzi, vi sono coloro che hanno
agito nel
modo migliore…”.
Keros
si
lasciò sfuggire un mezzo sorriso, quando alcune ancelle
affiancarono il re,
porgendo un grosso scrigno.
“Simadè…”
chiamò Lucifero “…vieni avanti".
Il
servo,
confuso, si guardò attorno, forse in attesa di veder
comparire un altro con il
suo stesso nome.
“Vieni"
lo incoraggiò Keros.
Una
volta
al cospetto del re, si inginocchiò.
“Alzati"
ordinò il sovrano, aprendo lo scrigno ed estraendo quella
che a tutti gli
effetti era una medaglia al valore “Hai aiutato il tuo re e
servito questa
città nel miglior modo possibile. Indossa questa con
orgoglio”.
Simadè
arrossì, incredulo, mentre il re gli stringeva la mano. Keros si
congratulò e incitò gli altri demoni
a fare altrettanto, con un applauso.
Uno
dopo
l'altro, tutti i giovani presenti furono chiamati e premiati. Chi per
il
coraggio, chi per i nemici uccisi, chi per il supporto offerto alle
truppe… Tutti vennero ringraziati e premiati. Fra loro vi era
anche Lilien, la
figlia di Azazel. Il demone messaggero sorrise con fierezza alla sua
bambina.
“Ognuno
di voi dev'essere fiero” sorrise Lucifero “Non mi
importa se siete figli di
servi o di nobili, io non credo nella predestinazione. Che ognuno di
voi
combatta per ottenere ciò che desidera, che quel sigillo che
ora portate al
collo vi ricordi sempre il vostro valore".
I
giovani
osservavano quanto ricevuto con incredulità e gioia. Vi era
inciso il simbolo
reale, una concezione riservata a pochi.
“Ora
procederemo con la cerimonia per le vecchie generazioni"
ghignò il re “Ma
per voi giovani sarà noioso. Per questo ho organizzato una
piccola
sorpresa".
“Un'altra?”
lo fissò Keros.
“Al
piano
di sotto, quello che comunemente viene usato come semplice sotterraneo,
ho
fatto preparare una sala solo per voi. Musica, cibo e nottata libera.
Noialtri
vecchi resteremo ai piani alti, senza disturbarvi. Divertitevi".
“Davvero?!
Per sotterranei intendi la sala delle torture?”
mormorò il principe.
“Anche.
Tanto al momento è vuota. Vai a
giocare…” rispose il sovrano, invitando il
ragazzo ad alzarsi.
Keros
fece per ringraziare, alzandosi, ma una voce interruppe ogni cosa.
“Maestà!”
si udì urlare Asmodeo “L'ho preso!”.
Il
generale entrò nella stanza trascinando Belzebù
per un polso e scaraventandolo
al centro della sala. I demoni presenti reagirono con rabbia e
disappunto,
ringhiando e agitando le code.
Lucifero
li zittì alzando una mano. Il re ed il prigioniero si
fissarono, con odio.
“Non
avevo dubbi che lo avresti trovato, mio generale" commentò
il diavolo,
senza distogliere lo sguardo dal traditore “In quanto a te,
Belzebù, ho una
voglia matta di eviscerarti per scoprire se veramente sei fatto di
mosche come
dicono. Non riesco a concepire una punizione adatta per te se non una
lenta
agonia che ti porti alla morte…”.
Keros,
tornato a sedersi, non disse nulla. Lucifero lanciò solo uno
sguardo nella sua
direzione.
“Tuttavia…”
riprese il Signore dei demoni “…non è a
me che hai fatto un torto. Hai
scatenato una guerra per spodestare il mio erede, il legittimo
successore al
trono. Perciò non sarò io a decidere la tua
condanna, ma bensì mio figlio
Keros. Inchinati dinnanzi al tuo principe ed ascolta ciò che
ha da dire".
Il
giovane
si stupì ed in principio non disse nulla, fissando il
sovrano. Poi si alzò e
prese un profondo respiro.
“Io
ti
detesto" esordì “Non perché tu non mi
ritenga all’altezza di fare il re.
Di fatto, sono io con un trono alle spalle. Tu invece stai strisciando
in
terra. Capisci dunque che la tua opinione non mi tange minimamente. Ti
odio
perché per colpa tua molti hanno perso la vita. Per colpa
tua c'è chi ha perso
un padre, una madre, un figlio, un amico… E per cosa?
Perché hai voglia di
poggiare il tuo grosso culo lì sopra?”.
Keros
indicò il trono e Belzebù ovviamente non rispose.
“Non
poggerai mai il tuo grosso culo lì sopra!”
continuò il principe “E sai perché?
Perché i re non fuggono come vigliacchi dinnanzi al nemico.
Il re dei demoni
non fugge nemmeno dinnanzi a Dio ed i suoi angeli! E pretendi forse di
poterlo
fare tu, che ti nascondi dietro ad un esercito di ragazzini plagiati?
Vorrei
che il tuo destino fosse la morte, ma sappi che non sarà
così. Sarebbe troppo
semplice. Inoltre sono consapevole che al tuo fianco hai chi ti
rispetta, ti
vuole bene, e sinceramente non voglio che gente simile mi venga a
rompere i
coglioni piagnucolando perché ti ho ucciso. No. Io ordino
che ti venga tolto
tutto. I tuoi possedimenti, i tuoi averi, il tuo rango…
Ordino che tutto ciò
che ti ha reso ricco e potente venga distribuito fra coloro a cui hai
causato
un lutto. Che mai più ti sia concesso di organizzare un
esercito, di avere chi
ti serve od obbedisce ai tuoi comandi. Sii tu meno della mosca che
danza sui
cadaveri di chi è morto per causa tua”.
“Meglio
la morte!” interruppe Belzebù.
“Ammazzati
da solo, se è la morte che desideri" concluse Keros,
tornando a sedersi.
Con
un
gesto, il sovrano fece trascinare via Belzebù, che
continuò a protestare ed
inveire contro chiunque.
“Sono
fiero della decisione che hai preso" mormorò Lucifero
“Non avrei potuto
trovare punizione migliore. Ora però vai a
divertirti…”.
“Non
sono
molto in vena…” ammise il principe.
“La
vena
te la fai venire. Su… alzati!”.
Il
re
invitò l'erede a seguirlo. Insieme scesero i pochi scalini
che sopraelevavano i
due seggi dal pavimento, assieme ad un elegante tappeto rosso
damascato.
Lucifero chiamò a sé i giovani, rimasti in attesa
di un ordine per poter andare
a festeggiare.
“Prendetevi
cura di lui" ghignò Lucifero, poggiando affettuosamente una
mano sulla
spalla del principe e fissando i ragazzi che aveva di fronte
“È un pochino giù
di corda".
“Ci
pensiamo noi, maestà!” sorrise Lilien
“Non si preoccupi".
L’ampia
sala nel sotterraneo si riempì presto di giovani demoni
festaioli. Grandi
fontane scorrevano su calici di cristallo, riempiendoli di vino ed
alcolici
infernali. Alcune anime suonavano, incatenate al muro.
L'oscurità era
lievemente rischiarata da piccole lucciole dal bagliore rosso.
Splendide Succubus
e prestanti Incubus, con abiti pressoché inesistenti, si
aggiravano fra gli
invitati pronti a divertirsi e far divertire, porgendo vassoi con varie
prelibatezze.
Keros
si
guardò attorno. Riconobbe l'angolo in cui sedeva il re
mentre torturava i
traditori, sorseggiando quel che voleva. La riserva speciale e privata
di
Lucifero era protetta in una bacheca chiusa a chiave. Il principe
però aveva la
chiave… per la prima volta! Ignorando tutti i presenti,
decise di sperimentare
quel che il re aveva da offrire. Aprì un paio di bottiglie
dall'aria piuttosto
antica e pregiata, dopo essersi accomodato al tavolo adiacente alla
vetrina. La
fragranza che sprigionò riempì i polmoni del
giovane principe, che socchiuse
gli occhi deliziato. Keros si inumidì le labbra con il primo
liquore aperto,
trovandolo decisamente forte ma con un sapore unico. Poi ne
assaggiò un altro,
cercando di coglierne tutte le sfumature di sapore.
“Ed
a noi
non offrite nulla?” squillò una voce.
Il
principe alzò un sopracciglio.
“Tu
sei
la figlia di Azazel, giusto?” si limitò a
commentare, versandosi altro da bere.
“Esatto.
Ed il re ha ordinato di tirarvi su il morale".
“Non
ne
ho bisogno".
“Perdonatemi
ma come bugiardo fate un po' pena…”.
Keros
girò gli occhi verso Lilien, notando al suo fianco la
presenza di Simadè.
“Che
strano vedervi così…”
commentò il sanguemisto, assaggiando altri alcolici.
“Così…?”
inclinò la testa la messaggera, servendosi da bere.
“Ti
ho
sempre vista in abiti da lavoro in giro per il palazzo.
Con i pantaloni ed il resto di quella specie
di divisa da uomo. Simadè invece è sempre vestito
in modo semplice. Oggi invece
siete elegantissimi".
“Grazie… Se
vuole essere un complimento” sorrise lei, accennando un
inchino con la lunga
gonna “Ma ammetto di trovarmi meglio con la divisa da
maschiaccio piuttosto che
con bustino e crinolina".
Sia
Lilien che Simadè vestivano secondo la moda del momento,
come la maggior parte
dei giovani presenti.
Simadè
andò a sedersi accanto al principe e la messaggera fece lo
stesso. Keros riempì
i loro calici e bevve in silenzio, osservando la parete di alcolici del
sovrano.
“Allora…”
riprese Lilien, ridacchiando “Ora avete le corna. Che
è successo? La fidanzata
se l'è spassata con un altro demone? Scherzo,
ovviamente…”.
“Quale
fidanzata?” fece una smorfia il mezzodemone.
“Ma
come?! Io pensavo che l'erede al trono fosse… sistemato! O
perlomeno con un
esercito di pretendenti".
“Sono
bravo ad ignorarle…”.
“Quindi
possiamo dire che siete sulla piazza. Aspettate che lo sappiano le mie
amiche…”.
“Possiamo
dire che attualmente la cosa non mi interessa".
“Siete
un
romanticone ed aspettate quella giusta?”.
“Circa…”.
Bevvero
ancora. Simadè sorrise, facendo cenno ad una Succubus di
portargli del cibo.
“Sei
un
golosone" lo derise Keros, rubandogli un pezzo di dolce al cioccolato.
“Ma
quindi…” ghignò Lilien, reggendosi la
testa sul tavolo “…voi due scopate?
Intendo… fra di voi?”.
Keros
e
Simadè si fissarono. Poi risero.
“È
capitato" ammise il principe.
I
tre giovani
ridacchiarono, iniziando a parlare di assurdità.
Azazel
si
guardava attorno, visibilmente nervoso. Lucifero gli porse un bicchiere
di
vino.
“Cosa
ti
turba? La festa non è di tuo gradimento?” lo
stuzzicò il sovrano.
“Non
sono
abituato ad avere mia figlia fuori dal mio
controllo…” ammise il messaggero.
“Il
solito esagerato. È una donna ormai”.
“Lo
so
che è una donna. E so che è circondata da giovani
demoni sbavanti".
“E
con
ciò? Ormai ha l'età giusta per farsi circondare".
“Non
scherziamo…”.
“Non
sto
scherzando. Tu piuttosto… Cerca si rilassarti. Guarda quante
belle donzelle!”.
Azazel
storse il naso, poco convinto. Dopo qualche sorso di vino
però parve stare un
po' meglio.
“Non
ho
intenzione di prender moglie" commentò, sorridendo
“Se vi piace discutere
di cose simili, dovreste iniziare ad accasare vostro figlio".
“Io
non
parlo di matrimoni! Parlo di sano e rovente sesso. Il sesso non si
discute: si
fa! E tua figlia mi sembrava più che dell'umore giusto".
Azazel
fece per protestare ma Lucifero lo zittì con un dolcetto ed
altro vino. Il
sovrano ghignò ancora, ricordando il caratteristico profumo
che aveva percepito
sulla fanciulla, e trascinò il messaggero a festeggiare.
La
musica
nel sotterraneo era cambiata. Ora le anime suonavano un valzer.
“Voi
andate spesso nel regno umano…”
constatò Lilien, fissando Keros.
“E
con
questo, madame?” rispose lui, perplesso.
“Voi
sapete ballare su questa musica?”.
“Certo.
È
il valzer. Va molto di moda adesso fra i mortali, anche se suscita
qualche
polemica".
“Potreste
insegnarmi? È un ballo così
romantico… e poi è nuovo! Basta con questi
motivetti
da 1200! Ormai siamo alle porte dell'800!”.
“Non
è
difficile…”.
Il
principe si alzò, porgendo la mano guantata alla fanciulla.
Lei sorrise e si
lasciò portare al centro della sala. Gli altri demoni
rimasero ad osservare,
molti cercando di imparare a loro volta quei passi. Il principe cinse
la vita
si Lilien ed iniziò a spiegarle come muoversi. Lei in
principio inciampò sui
suoi stessi piedi e sul vestito.
“Come
una
principessa" ridacchiò.
“Una
principessa imbranata” le rispose Keros, con un ghigno
divertito.
“Che
antipatico che sei! Ovvio che non hai la fidanzata!”.
“Ma
chi
la vuole?!”.
Nonostante
l'impaccio iniziale, la giovane messaggera iniziò a capire
come ballare e non calpestare
piedi altrui. Altre coppie provavano a ballare a loro volta, con
risultati più
o meno buoni. Molte fanciulle si limitavano ad osservare con
ammirazione le
giravolte del principe.
“Ti
guardano tutti" sussurrò Lilien.
“Guardano
entrambi" corresse Keros.
Danzando
così vicini, il sanguemisto percepì un lieve
offuscamento dei sensi.
“Hai
un
buon profumo" disse a colei con cui stava ballando.
“Profumo?
Non ho addosso alcun profumo…”.
“Allora
è
la tua pelle a sprigionare questa fragranza
dolce…”.
“Per
me
siete ubriaco" rise lei.
In
realtà
il profumo di lei altro non era che un segnale di richiamo per i demoni
maschio, che sempre più fra i presenti si stava facendo
sentire. Alcuni
iniziarono a litigare, per ottenere i favori delle donzelle presenti.
Fra le
botte, qualcuno finì nella fontana del vino. Molte coppie,
aiutate dalla musica
e dal tasso alcolico nelle vene, iniziarono a scambiarsi effusioni
piuttosto
spinte. Lilien, ancora stretta fra le braccia del principe durante il
ballo,
spinse leggermente in avanti il viso. Keros scostò il volto.
“Non
voglio baci sulle labbra" sbottò, inclinando la testa e
chinandosi sul
collo di lei.
Quel
profumo lo stava decisamente stordendo e, passando la lingua sulla
pelle bianca
della messaggera, ne fu totalmente rapito.
“Vieni
con me" le disse sottovoce, accompagnandola fino ad un punto in ombra
della sala.
Abilmente,
il principe aprì un passaggio segreto che conduceva alla
grande biblioteca
reale. Certo che tutti fossero impegnati in festeggiamenti vari,
condusse
Lilien a passo svelto fino alle proprie stanze. Non capiva
più nulla,
desiderava solo possederla. Lei allo stesso modo ignorava qualsiasi
altra cosa,
nonostante si trovasse in sale in cui aveva sempre sognato entrare, e
strinse a
sé il mezzodemone. Gli abiti che indossavano erano
complessi, fra catene e
lacci. Keros spinse la messaggera sul letto ed affondò le
mani fra i vari
strati di stoffa della gonna che ne copriva le gambe. Risalì
lungo la pelle,
fino a raggiungerne i fianchi. Con eleganza le sfilò
l'intimo di pizzo nero.
Lei intanto tentava di sciogliere i lacci del busto, trovando
difficoltoso respirare.
“Moda
del
cazzo…” sibilò il principe, strappando
i nastri con impazienza e scoprendo il
seno della fanciulla.
“Mio
padre mi ucciderà…” riuscì a
commentare lei, osservando i movimenti sicuri del
mezzodemone, che si spogliava in fretta e del superfluo.
Fra
le
stoffe e la crinolina, si fece strada quasi divertito. Giocò
un po' con la coda
della messaggera. Lei parve impaurita, per qualche istante.
Incrociò le braccia
sul seno scoperto. Lui le sorrise, dandole un bacio sul collo.
“Maestà…”
sussurrò la messaggera.
“Keros.
Io sono Keros” le rispose il principe, di nuovo inebriato da
quel profumo.
Con
tutti
i sensi avvolti da quella fragranza, il mezzodemone ghignò.
Il suo sguardo si
illuminò d'arancio e la fece sua. Lei sorrise, accogliendo
il principe in sé,
fra stoffe e pelle nuda. Lo desiderava ardentemente, mossa da
quell'istinto che
non poteva controllare. Era una demone, era una donna, ed il corpo la
spingeva
ad accoppiarsi, a cercare e provare piacere. Lui era un demone, per
metà, e non
riusciva a resistere a quel richiamo. Ad ogni spinta, lei lo stringeva
più a
sé.
“Sei
tutto mio questa notte, Keros" mormorò.
“Fino
a
quando non mi implorerai di smettere" gli rispose lui.
Lilien
lanciò un gemito e poi un altro, accompagnando i movimenti
di lui.
“Sono
vostra questa notte…” ansimò docilmente
“…non smettete! Ve ne prego… Non
fermatevi fino al termine di questo giorno!".
Keros
trovò tremendamente eccitante quel tono di voce, e la
strinse più forte,
avvolgendola fra le braccia. Lei si lasciò circondare e
lanciò un grido, quando
i denti di vampiro del principe affondarono nella carne del morbido
collo. Quel
gesto accese ancora di più il desiderio e lei
inarcò la schiena, prossima
all'orgasmo. Lo raggiunse puntando le unghie sulla schiena di lui e
graffiandolo,
spalancando poi le ali da demone. Stringendolo forte fra le braccia e
circondandone la schiena con le gambe, Lilien avvertì un
brivido quando anche
Keros giunse al termine dell'amplesso. Rimasero stretti l'uno
all'altro, l'uno
dentro l'altro, per qualche istante. Poi lei ricambiò quel
morso sul collo, pur
non avendo denti da vampiro, ed il principe si sentì di
nuovo travolgere
dall'eccitazione.
Non
sapeva dire quanto tempo aveva trascorso fra le lenzuola con quella
donna. La
aiutò a rientrare a casa, evitando di essere vista dal padre
o da chiunque
altro. Tornando a palazzo, gradatamente riprese lucidità. Si
stupì di se
stesso, non era da lui lasciarsi andare in quel modo. Ma era stanco per
pensarci, così si diresse verso la camera da letto. Non si
aspettava di
trovarvi Simadè, intento a cambiare e sistemare le lenzuola.
“Che
fai?” biascicò Keros.
“Il
mio
lavoro" si sentì rispondere “Solo un attimo
e…”.
“Non
è
necessario. Sarai stanco pure tu, fila a dormire!”.
“Veramente…”
confessò il servo, sprimacciando il cuscino “Non
sono affatto stanco".
“Ah,
no?
Be' ... immagino che la festa di sotto
possa…”.
“Sono
geloso" ammise Simadè e Keros alzò un
sopracciglio “Speravo di divertirvi
un po'… con voi due".
“Intendi
me e Lilien? Mi ‘spiace… Lei è tornata a
casa. Però, se vuoi… puoi avere
me".
Il
giovane Incubus si voltò verso il principe, con un ghigno.
Con mani esperte lo
svestì da catene, giacca con le code e camicia. Il
mezzodemone si disfò di
stivali alti ed altre catene. Si lasciò spogliare
completamente, nel buio della
camera. Si sentiva a suo agio, sapendo che il servo non avrebbe visto i
tatuaggi che lo inquietavano.
“Sono
lieto che la guerra non abbia lasciato gravi segni su questo
corpo…” commentò
Simadè, raggiungendo il principe a letto e baciandone
più volte la schiena “La
vostra pelle è così liscia e
perfetta…”.
Keros
non
rispose. Si rilassò, lasciandosi cullare da quella voce e
facendosi coccolare
dalle mani del sottoposto. Questi lo accarezzava e lo baciava.
“Vi
è
piaciuta la festa, maestà?” domandò
Simadè.
“È
stata
una piacevole sorpresa…”.
L'Incubus
sorrise, con ancora al collo il riconoscimento dato dal re. Il principe
vide
quel sorriso nel buio e sorrise a sua volta.
“Simadè…”
parlò piano, abbracciando il cuscino “Voglio
dimenticare. Non lasciare che la
mia mente si affolli di nuovo di pensieri tristi. Voglio godere. Godere
fino ad
addormentarmi. Scopami".
Il
servo
rimase in silenzio qualche istante.
“Vi
farò
rimpiangere le calde cosce di quella femmina" sibilò poi,
con un ghigno.
Ma
ciao! È passato un po' di tempo ma spero che
lunghezza di questo capitolo perdoni la mia assenza! E, chi vuole, passi a dare un occhio in pagina. Appena caricato un nuovo disegno a tema Keros. https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=246389442602554&id=166597243915108 A presto!!
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Capitolo 30 *** Progetti e verità ***
30
PROGETTI
E VERITÀ
“Non
serve più che indossi i campanellini, sai?” furono
le prime parole che disse
Lucifero, senza staccare gli occhi dai fogli che studiava.
Quella
frase fece sorridere Keros, appena svegliato. Aveva raggiunto il re in
ufficio
e si era stupito nel trovarlo già lì, tutto
concentrato sul suo lavoro.
“A
me
piacciono i campanellini" rispose il principe, scuotendo con allegria
il
braccialetto che indossava.
“Mi
hai
già portato un'altra anima? In meno di una luna?”.
“Gli
umani sono sempre più stupidi. Poi era un'anima facile.
Quando arriva la mia
anima finale? Quella per farmi passare l'esame?!”.
“Perché
tanta fretta? Solitamente lo si affronta attorno ai duemila anni".
“Non
aspetterò più di novecento anni!”.
“Piccolo
testone…”.
Keros
si
appollaiò sulla sedia di fronte alla scrivania del sovrano e
ne spiò il lavoro.
“Ancora
la roba di Belzebù?” storse il naso il giovane.
“Già.
A
quanto pare lo stronzo aveva parecchia pecunia. E la sto conteggiando
tutta,
per poi dividerla fra chi ne ha diritto. Come hai ordinato alla festa".
“Ma
devi
farlo proprio tu? Intendo dire… Non è una cosa
molto regale far di conto, no?”.
“Hai
ragione. Ma preferisco occuparmene di persona. E poi… ho
bisogno di tenere la
mente occupata".
“Capisco…”.
Il
principe notò che all’anulare e al medio
Lucifero portava entrambi gli anelli
che per tanto tempo erano stati al dito suo e di Sophia. Notandolo,
provò
subito una punta di tristezza. Il senso di colpa non lo aveva mai
abbandonato.
“Papà…”
mormorò dopo un po'
“…pensavo… Andiamo a fare un giro? Solo
io e te".
“Un
giro?”.
“Sì.
Come
facevamo una volta. Tornare vicino a quel fiume dove mi portavi da
piccolo,
chiacchierare, perdere tempo, dare la caccia alle
anime…”.
“Ho
molto
da fare, Keros. Poi certi luoghi, nel mondo umano, saranno di certo
stati
travolti dalle scimmie glabre. Perché lo chiedi? Devi
parlarmi di qualcosa?”.
“No.
È
solo che… Da quando sei tornato, non hai mai preso una pausa.
Dovresti
riposare".
“Non
ne
ho bisogno”.
“Non
hai
un bell'aspetto".
Lucifero
alzò gli occhi e fissò Keros. In silenzio.
“Che
c'è?” balbettò il giovane
“Così mi spaventi".
Il
diavolo non rispose. Tornò a concentrarsi sui documenti che
aveva sotto il
naso. Non aveva parole con cui ribattere. Dalla morte di Sophia, non
era mai
stato in grado di essere di nuovo se stesso. Era svogliato, stanco.
Vuoto. Era
bravo a fingere, dietro a feste e ghigni di circostanza, ma non
riusciva ad
imbrogliare chi lo conosceva bene. Il malessere che provava in
sé si rifletteva
anche esteriormente e quello era più complicato da
nascondere. Gli occhi
leggermente incavati e l'accenno di capelli bianchi faceva discutete
più di un
suddito.
“Hai
qualche compito per me?” tentò di cambiare
argomento il mezzodemone “Anche a me
piacerebbe avere la mente occupata, ma al momento non ho umani da
tentare".
“Passa
dall'archivista e fatti dare l'elenco dei danni e delle famiglie con
lutti.
Così iniziamo a farci un'idea di come distribuire la
ricchezza di quel figlio
di una mosca…”.
L'Arcangelo
Gibriel osservava in silenzio Mihael. Il guerriero sembrava tutto
assorto nella
cura della propria spada. La lucidava senza dire una parola. A gambe
incrociate, fra le scalinate bianche del Paradiso, l'arma brillava
sempre di
più.
“Per
quanto tempo hai intenzione di rimanere lì impalato,
Gabry?” sbottò Mihael,
specchiandosi sulla lama della spada.
L'Arcangelo
messaggero sobbalzò. Lo sguardo serio di Mihael non
mutò ed attese risposta.
“Perdonami"
parlò Gibriel “Non era mia intenzione
infastidirti. Volevo solo parlarti di una
cosa”.
“Parla".
“Qui?
Non
preferiresti…?”.
“Parla".
Mihael
tornò a concentrarsi sulla propria spada, dando le spalle al
fratello.
“Devi
sapere…” esordì Gibriel, in piedi
qualche scalino più in alto “…che quel
ragazzo è stato visto nel mondo degli umani".
“Quale
ragazzo?”.
“Lo
sai
quale ragazzo. Keros. È stato visto mentre tentava degli
esseri umani. Mi
spiace essere io a dirti che è caduto. È un
demone…”.
“Perché
vieni a dirlo a me?”.
“Perché
mi sei sembrato molto legato a lui. Però non mi pare che la
notizia ti turbi
più di tanto…”.
Mihael
non rispose.
“Fratello…”
sospirò Gibriel “…fra me e te non ci
sono mai stati segreti. Eppure ho
l'impressione che mi sfugga qualcosa. Di quel giovane non sono riuscito
a
recuperare alcuna informazione, ed è strano. Tu invece lo
conoscevi bene.
Perché?”.
Mihael
si
alzò, senza però voltarsi. Rifoderò la
spada.
“Non
abbiamo segreti" disse, guardando altrove “Su di me puoi
sapere quel che
vuoi".
“Mi
stai
dicendo che per sapere la verità devo cercare fra i tuoi
fascicoli, fra tutto
ciò che ti riguarda? È
così?”.
L'Arcangelo
guerriero spalanco le ali aranciate. Solo in quel momento si
voltò verso
Gibriel, con la solita espressione seria. Il fratello fece per aprire
ancora la
bocca ma Mihael già era volato via.
Dopo
il
giro dall'archivista, un demone di nome Zagan che viveva arrampicato
fra
scaffali di documenti infernali, Keros era tornato in ufficio dal re.
Si era
fatto portare una fetta di torta e mangiava soddisfatto, spulciando
fogli vari
ed annotando il necessario su un altro foglio. Lucifero continuava a
riportare
numeri sempre più grandi.
“Posso
farti una domanda?” parlò il diavolo ed il
principe annuì, con la bocca piena
di dolce al cioccolato.
“Sii
sincero" mormorò il re, sospirando in cerca di un foglio che
non trovava
“Sei tornato all'Inferno per causa mia?”.
“Causa
tua?!” storse il naso Keros.
“Ci
sei
tornato perché lo hai visto come un obbligo?”.
“Obbligo?
No, non direi. Ho pensato di non avere alternative".
“Sei
felice di questa scelta?”.
“Di
certo
mi diverto più qui all'Inferno. Il Paradiso
è... angosciante".
“Angosciante?!
Il Paradiso?”.
“Sì.
È
opprimente. Sembra che abbiano tutti una scopa su per il culo e vivano
nella
paura che qualcuno gliela tolga".
Lucifero
non riuscì a trattenere una risata, a cui si unì
poco dopo il principe.
“Cambiando
argomento…” ridacchiò ancora il diavolo
“…non mi hai ancora detto se ti sei
divertito alla festa".
“Quella
post bellica? Sì. È stata una bella sorpresa".
“Hai
conosciuto qualche femmina?”.
“Perché
lo chiedi?”.
“Così.
Per sapere. Sarei felice di sapere che qualcuno, oltre a quel
sovversivo a cui
hai tagliato la testa, ti ha rapito il cuore".
“Perdonami
ma non voglio proprio parlare di questo… anzi, sai che
c'è? Ho visto abbastanza
per rendermi conto che io l'amore non lo voglio".
“Hai
visto abbastanza?!”.
“Sì.
Tu,
Azazel… Ho visto come l'amore vi ha ridotti. Ed io non voglio
finire così.
Perdonami…”.
“Come
se
si potesse scegliere, ragazzo mio…”.
“Certo
che si può scegliere!”.
Lucifero
allungò un dito verso la torta del ragazzo, rubandone un
fiocco di panna. Allo
stesso tempo, scosse la testa.
“Si
può
scegliere” insistette Keros, allontanando la mano del sovrano
con la forchetta.
“Credi
di
poter decidere di chi innamorarti?!”.
“No.
Ma
posso decidere come agire. Posso decidere se farmi prendere da fantasie
per
deficienti o agire in modo razionale e non lasciare che certi
sentimenti
abbiano la meglio. Tipo se mi dovesse mai piacere qualcuno, andarmene
dall'altra parte del globo terracqueo a cercare anime!”.
“Sei
ottimista..”.
“No.
Sono
razionale. Non sono istintivo come te".
Lucifero
alzò un sopracciglio. Ridacchiò di nuovo.
“Non
ridere…” sbottò il principe.
“Va
bene.
Allora… Mettiamola così: se è quello
che vuoi, ti auguro di non innamorarti
mai".
“Grazie…”.
Gibriel
osservava la pagina che aveva davanti, incredulo. Il grosso volume,
aperto sul
tavolo bianco latte, forse mentiva? Provò un sentimento che
odiava provare: la
rabbia. Tentò di controllarla, con un profondo respiro. Come aveva potuto? Rilesse
di nuovo, volendo
essere assolutamente certo di aver capito. Mihael e Carmilla? Un angelo
ed una
demone? E Keros… Keros era il figlio di Mihael? E Mihael non
ne aveva mai
parlato? Una volta accantonata la rabbia, si fece spazio la gelosia.
Come aveva
potuto non parlargliene? Nemmeno un vago accenno.
“E
ora
che faccio?” si chiese l'Arcangelo, con una smorfia.
Non
sapeva come mantenere un segreto simile. Mosse nervosamente le mani e
poi
decise di raggiungere Mihael.
Dopo
aver
trascorso diverse ore su vari documenti, Keros si era concesso un po'
di
allenamento in cortile. Stava lottando assieme ad Asmodeo quando
intravide una
figura vagamente familiare avvicinarsi sotto al porticato.
“Lilien?”
si stupì “Come sei arrivata fino a questa zona del
palazzo? Fa parte dell'area
privata che…”.
“Lilith
mi ha accompagnato” lo interruppe lei “Vorrei
parlarti un attimo”.
“Ok…”.
Perplesso,
Keros congedò i demoni con cui si allenava e si
avvicinò alla ragazza.
“Prima
che tu ti metta a parlare…” storse il naso il
principe “…una domanda: non ti ha
mandato qui il re, vero?”.
“Il
re?
No…”.
“Ah,
bene. Non volevo ti avesse coinvolta nel suo solito discorso
riguardante il
fatto che le mie stanze sono vuote e via discorrendo".
“Ah…no…non…”.
“Perfetto!
Allora sono tutt'orecchie. Che devi dirmi?”.
“In
realtà devo farvi solo una domanda: la volete una
famiglia?”.
“Intendi
dire moglie e figli? Mai! Ma non puoi essere venuta fin qui solo per
chiedermi
‘sta cosa…”.
“In
realtà mi basta. Perdonate l'interruzione. Me ne torno a
casa".
“Che?!”.
Keros
rimase alquanto stupito. Inclinò la testa, vedendo Lilien
allontanarsi in
fretta. La seguì, afferrandola per un braccio.
“Dove
vai?!” la fermò “Cos'è questa
storia?”.
“Nulla.
Vi ho già detto che non mi serve altro.
Lasciatemi!”.
“Ma
non
ha senso! Dimmi la verità. Lilith ti ha fatto venire fin qui
solo per questo?”.
“Io
a lei
non ho detto nulla!”.
Keros
non
lasciò la presa ed insistette, in modo non molto delicato.
Lei reagì tirandogli
uno schiaffo. Il principe si accigliò.
“Non
mi
piace che mi si nascondano le cose" ammise il mezzodemone
“Che state
tramando? Che succede?”.
“Tramando?!
Paranoico! Non sto tramando nulla".
“Però…?”.
“Però
cosa?!”.
“Che
succede?”.
Keros
ripeté quell'ultima frase finché lei, esasperata
rispose.
“Succede
che sono incinta!” gridò.
Il
principe lasciò immediatamente il polso della figlia di
Azazel, che ne
approfittò per svicolare e fuggire lungo il corridoio.
“Aspetta!”
la chiamò lui “Aspetta, ti prego!”.
Inseguendola,
la raggiunse con facilità. Lei si fermò,
distogliendo lo sguardo. Tremava ed era, se
fosse stata in grado di farlo, prossima a piangere.
“Tranquilla"
le sussurrò Keros, abbracciandola “Perdonami, sono
stato decisamente brutale
poco fa. Incinta? Davvero? Sono io che…?".
Lei
non
rispose. Si lasciò abbracciare ed annuì soltanto.
“Cosa
pensavi di fare?” continuò il mezzosangue
“Fuggire e fingere che non sia
vero?”.
“Ci
sono
tanti modi. Voi una famiglia non la volete. Io nemmeno.
Perciò…”.
Lui
si
sciolse dall'abbraccio e fissò Lilien quasi con rabbia.
“Che
c'è?” alzò le spalle lei
“Siamo demoni. I cuccioli muoiono e vengono
abbandonati ed uccisi continuamente!”.
“Non
succederà in questo caso".
“E
perché?!”.
“Perché
già in troppi sono morti per causa mia".
“E
con
ciò?! Che ha a che fare tutto questo con i morti in
guerra?!”.
“Posso
salvare ed aiutare una vita. Ed ho intenzione di farlo. Qui a palazzo
ci sarà
sicuramente chi vorrà prendersi cura del bambino".
“Parla
al
plurale. Praticamente tutti i demoni partoriscono più di un
piccolo, ed io
facevo parte di una cucciolata di otto fratelli!”.
“Quindi
quanti ce ne sono lì dentro…?”.
“Non
so.
Ma ad ogni modo…”.
“Ad
ogni
modo adesso vieni con me. Parliamo con il re, con calma. E vedrai che
una
soluzione si trova”.
“Il
problema è mio padre. Mi ucciderà. Ed
ucciderà te".
“Ti
ucciderà? Non credo. Sai chi porti in grembo?”.
“Non
lo
so. Ti ho detto che…”.
“L'erede
al trono!”.
“Che…?”.
“Io
sono
il principe ereditario. Non ho altri figli.
Perciò…”.
Lilien
non aveva minimamente considerato la cosa e rimase in silenzio.
“Ora
andiamo. Siamo persone adulte e…”.
“Circa…”.
“No,
niente circa! Abbiamo più di mille anni, quindi siamo
adulti! E gli adulti sì,
fanno stronzate ma devono sapersi comportare di conseguenza. Non
è la fine del
mondo…”.
“Parli
come se tutto fosse facile".
“Non
lo
è. Non lo è nemmeno per me. Non è un
gioco. Ma siamo in due, il casino lo
abbiamo combinato assieme, no? Quindi ora andiamo. Io sono qui.
Tranquilla. Non
sarai sola, tutto il palazzo reale scommetto che farà a gara
per aiutare…”.
“Quando
ti comporti da principe, e non da cazzone, non sei tanto
male…”.
“Perché
non me lo hai detto?!” chiese Gibriel.
Mihael,
nella sua stanza, non rispose. I due Arcangeli erano soli.
“Rispondimi!”
incalzò il messaggero.
“Che
dovrei dirti?” mormorò Mihael.
“Perché
non mi hai raccontato la verità? Un figlio! Si tratta di un
figlio, non di una
stupidaggine da niente!”.
“La
storia è complessa…”.
“Ma
noi
siamo fratelli! Ci siamo sempre detti tutto!”.
“Non
è
stato semplice neppure per me".
“E
adesso? Che devo fare? Chi altro lo sa?”.
“Lo
sapeva Sophia. Solo Sophia, qui in cielo".
“E
ora…?”.
“Ora
non
so. Tu lo sai. Se vuoi, puoi raccontarlo a tutti. Nemmeno io so che
fare…”.
“Raccontami
tutto, con calma… Non dirò nulla agli altri, se
non vuoi. Promettimi però che
d'ora in poi non mi nasconderai altre cose. Ok?”.
“Te
lo
prometto…”.
Mihael
alzò la testa e Gibriel gli sorrise.
“Abbiamo
combattuto insieme, fratello. Non ti nasconderò
più nulla".
Il
messaggero apprezzò molto quella frase e, nonostante Mihael
non fosse per nulla
d'accordo, abbracciò il guerriero.
Lucifero
rideva, come un pazzo.
“Chi
sarebbe quello razionale? Non istintivo come me?” sfotteva.
“La
smetti di ridere?!” sibilò Keros.
Il
giovane e Lilien erano in piedi, davanti alla scrivania del re. A
fianco, a
braccia incrociate e poggiato contro il muro, stava Azazel.
“È
più
forte di me" rise ancora il sovrano.
“Ma
che
comportamento maturo. Davvero…”.
“Dai,
non
te la prendere! Era da tempo che non mi facevo una risata! Sono
contento! Dico
sul serio!”.
Lilien
fissò il principe e poi il proprio padre, che agitava la
coda nervosamente.
“Ma
perché prima non mi hai parlato di avere una
donna?” chiese Satana.
“Non
è la
mia donna!” si affrettò a dire il sanguemisto.
“Confermo”
annuì Lilien “Non sono la sua donna. Non sono
nemmeno sua amica!”.
“Ah… Ok…”
si trattenne dal ridere ancora il re “La cosa non cambia.
Adesso sistemiamo
tutto, ragazzi".
“Sistemiamo?!”
ringhiò Azazel, rivolto a Keros “Io ti tiro il
collo! Razza di…”.
“Azazel!
Calma!” lo fermò Lucifero “Ragioniamo.
È una cosa bella”.
Il
re si
alzò ed abbracciò Lilien, che arrossì
di colpo per la sorpresa.
“Ora
chiamo Lilith" continuò il diavolo “La tua bimba
sarà coccolata e seguita.
Come una principessa”.
“Io… vivrò
qui a palazzo?!” si stupì lei.
“Ovvio!
Partorirai una cucciolata di principini!”.
Azazel
parve rabbonirsi sentendo quelle frasi, anche se non del tutto.
Lucifero,
percependo e capendo il nervosismo del messaggero, tentò di
calmarlo con del
buon vino.
“Su,
Azazel…” gli mostrò la lingua Satana
“…è la vita”.
“Non
prendetemi per il culo, altezza. Per cortesia…” fu
la risposta.
“Dai,
su!
Brindiamo!”.
Il
capo
dei demoni mise un braccio attorno al collo di Azazel, che
soffiò come un
gatto.
“Brindiamo!”
insistette il diavolo.
“Ma
andate a fare in…”.
Lucifero
tirò a sé il messaggero, ridendo. Allo stesso
tempo, fece segno ai due giovani
di lasciare la stanza. Lilien e Keros non se lo fecero ripetere,
notando che il
nervosismo di Azazel non era scemato.
Una
volta
fuori, si guardarono negli occhi.
“Sarà
una
bella avventura" sorrise il principe.
“Sarà
un
bel casino…” sospirò lei “In
famiglia non siete mica tanto normali…”.
Ciao!
Spero di aggiornare presto! Tante nuove
cose in arrivo!!!
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Capitolo 31 *** Bimba angelo ***
31
BIMBA
ANGELO
Il
1800
si era rivelato un secolo molto interessante. Fra poeti maledetti ed
assenzio,
Keros si stava divertendo parecchio. All'Inferno tornava raramente,
quando ci
poteva trascinare qualche anima tentata. Aveva deciso di fare una
sorpresa a
Lucifero ed era rientrato a palazzo senza preavviso, con una bella
bottiglia di
“fatina verde" in dono. Lo aveva trovato chino sul
pianoforte, intento a
suonare una melodia perfetta. Senza disturbare, il principe era rimasto
in
disparte ad ascoltare. Il sovrano era totalmente preso dalla musica e
si
accorse solo dopo parecchio tempo della presenza del sanguemisto.
“Continua
pure” lo invitò Keros “Non era mia
intenzione disturbarti”.
“Suona
con me" lo invitò il re.
“Non
sono
capace. Non so suonare bene come fai tu…”.
“Impara".
Lucifero
attese che il principe lo raggiungesse e ricominciò a
suonare. L'erede tentò di
seguirlo nel miglior modo possibile, creando così una
melodia a quattro mani.
“Mi
hai
portato l'assenzio" notò il re, con un ghigno soddisfatto.
“Sì.
È
tutto per te…”.
Keros,
che come sempre seguiva la moda umana, tolse la tuba e la
poggiò fra le corna
di Lucifero, che fissò perplesso quel cappello.
“Sei
qui
per restare un po' di più?” chiese Satana.
“No.
Non
credo. È che devo spostarmi di zona ed ho bisogno di
riorganizzarmi un po'. Poi
devo fare rapporto per il registro".
“Puoi
anche rallentare, ragazzo. Non ho questa grande necessità di
anime…”.
“Ma
io mi
diverto!”.
Senza
aggiungere altro, Keros si congedò e raggiunse il piano con
le sue stanze.
C'era silenzio, cosa ultimamente piuttosto inusuale. Stando attento a
non far
rumore, il principe aprì cautamente una delle camere e
controllò fosse tutto in
ordine. Lilien dormiva, tranquilla, con accanto quattro cuccioli. Erano
tutti
accoccolati stretti e riposavano tranquilli. Una piccina invece era
lasciata in
disparte. Dormiva sola, abbandonata in un angolo. Keros
sospirò ed andò a
prenderla, portandola nella propria camera. La bambina era diversa
dalle sue
sorelline e dal suo fratellino. Aveva capelli ed occhi molto chiari, e
per
questo Lilien l'aveva fin da subito rifiutata. Fortunatamente, grazie
alle cure
delle varie balie presenti nel castello, era ancora in vita. Somigliava
troppo
ad un angelo, in molti avevano suggerito di lasciarla morire.
“Povera
la mia piccolina" le mormorò Keros, mentre lei si faceva
scaldare fra le
coperte.
Come
il
resto della cucciolata, era molto piccola e delicata. Era stato il
principe a
decidere per lei il nome di “Sophia" e, nonostante il forte
disaccordo
della madre, aveva insistito affinché crescesse come gli
altri.
“Questa
notte dormirai con me" la rassicurò il giovane padre
“Domani vedremo il da
farsi. Sono stufo di tornare a casa e trovarti sempre sola ed
abbandonata…”.
La
bimba
gli dedicò un sorriso e strusciò la testolina,
come farebbe un gattino felice.
Poi lentamente si addormentarono entrambi.
“Perché
Sophia stanotte era da sola?” domandò a Lilien il
giorno successivo.
“E
me lo
chiedi? Appena è nata te l'ho detto. Io quella non la
voglio. È orribile"
si sentì rispondere.
Keros
rimase
dapprima senza parole davanti ad una frase simile. Poi i due iniziarono
a
litigare, come spesso accadeva quando le loro strade si incrociavano.
“Fate
venire il mal di testa a tutto il palazzo" ghignò Lucifero.
Nella
grande sala di pranzo, re e principe erano da soli, ai lati opposti del
tavolo.
“Cerco
di
restare fuori casa il più possibile. Così ti
limito il fastidio" si stizzì
Keros, finendo di consumare il proprio pasto.
“Ma
pure
lei è spesso via. I piccoli sono in compagnia di Lilith ed
altre donne di
servitù”.
“I
piccoli. Tutti tranne Sophia".
“Litiga
con i suoi fratellini".
“Non
è
vero. Sono i fratellini che la trattano da schifo. Idem le donne che se
ne
dovrebbero prendere cura".
“Seguono
le disposizioni della madre".
“Ma
la
madre è una stronza!”.
“E
questo
è l'Inferno. Che futuro potrà mai avere quella
creaturina?”.
“Un
futuro come tutti gli altri. Perché dovrebbe ssere
diverso?”.
“Me
lo
chiedi sul serio?”.
Keros
scosse la testa. Dopo essere rimasto in silenzio qualche istante,
alzò lo sguardo
ed incrociò quello del sovrano.
“Dimmi
la
verità” parlò “Se io fossi
nato biondo, sarei stato soppresso?”.
“Biondo
con ali d'angelo? Asmodeo ti avrebbe lasciato bruciare nelle fiamme.
Senza
dubbio alcuno".
“Capisco…”.
“Adesso
hai dei dubbi perché sei il padre. Ma se tu vedessi la
situazione da fuori,
usando la razionalità, capiresti che la morte è
la soluzione migliore per
lei".
“Ma
è
solo una bambina. Che ne sai di che può
diventare?”.
“Questo
mondo non le permetterà di divenire alcunché. Io
ti ho protetto, ti ho difeso e
ti ho sostenuto. Ma tu avevi geni evidenti. Avevi denti da vampiro, lo
sguardo
di tua madre…”.
“E
chi ti
dice che lei non possa mostrare tratti demoniaci in futuro?”.
“E
chi ti
assicura che questo accada? Fa parte del ciclo naturale delle cose. Ha
gli
occhi di Mihael: nessun demone la accetterà mai, dovesse
pure divenire la più
potente di noi".
“Ma
questo è stupido! Allora si cava gli occhi e si colora i
capelli? Così d'un
tratto per tutti va meglio?”.
“Non
dire
stronzate. Hai avuto cinque cuccioli, puoi anche lasciarne morire uno.
Non
cambia niente”.
“Non
puoi
averlo detto sul serio…”.
Keros ora er in piedi. Lucifero era rimasto immobile, si era limitato ad alzare
gli occhi.
“Mi
‘spiace. L'Inferno è un posto di merda. Devi
valutare il meglio per la bambina.
E per chi le sta attorno".
“Si
chiama Sophia. Ed è tua nipote".
“Tecnicamente,
no. Tecnicamente è figlia tua e di Lilien. Questo fa di me
al massimo un
prozio".
“Com'è
che sono tuo figlio solo quando ti va comodo?! Mi hai spinto tu ad
avere questi
piccoli!”.
“Io
non
spingo a far nulla. Io mostro la realtà dei fatti, le scelte
possibili. Poi sta
a te…”.
“Se
tutti
ti avessero detto di ammazzarmi, lo avresti fatto?”.
“Nessuno
può dirmi quel che devo fare".
“Ma
se
fosse successo?”.
“La
questione non è la stessa. Tu avevi tratti demoniaci".
“Quindi
dovevi sopprimermi quando mi sono spuntate le ali da angelo”.
“Keros… non…”.
Il
principe si allontanò, senza attendere altro. Lucifero
sospirò, una volta rimasto da
solo. Fare il genitore era davvero una cosa complicata…
Entrare
in chiesa non era mai stato un problema per Keros. Sapeva che era il
modo
migliore per attrarre l'attenzione. Aveva osservato quasi divertito la
grande
statua dedicata a San Michele Arcangelo ed aveva acceso una candela.
Così
facendo, si era messo in contatto con Mihael e si erano dati
appuntamento al
tramonto, in una taverna. Al calare del sole gli angeli erano molto
meno
attivi. Keros, già seduto al tavolo ed abbigliato come un
umano dell'epoca, si
stupì nel vedere arrivare due figure. Uno era sicuramente
Mihael, pure lui in
borghese e con abiti umani, e l'altro? Sono quando raggiunse il tavolo
vi
riconobbe Gibriel, con i lunghi capelli biondi nascosti nella tuba.
“Perdona
l'intrusione” parlò proprio Gibriel
“…spero di non disturbare".
“Lui
sa
chi sei" aggiunse Mihael, sedendosi di fronte al principe.
“Ah.
Sa
che sono…?”.
“Il
figlio di Miky. Sì, lo so".
“E
da
quando?!”.
“Non
molto, a dir la verità. Guardandovi però qualche
somiglianza si nota…”.
“Se
lo
dici tu…”.
Dopo
alcuni convenevoli, i tre ordinarono da bere
ed iniziarono una cena a base di pesce e
specialità locali.
Chiacchierando del più e del meno, con Gibriel che guidava
la conversazione,
Keros attese pazientemente che l'atmosfera si facesse rilassata e
tranquilla.
Poi riuscì finalmente a confessare di essere diventato
padre. Gibriel mostrò un
grande entusiasmo alla notizia.
“Con
chi?
E quando?” domandò invece Mihael, senza lasciar
trasparire una grande emozione.
“Con
Lilien, la figlia di Azazel. Una cinquantina di anni fa" rispose il
principe.
“Quindi
ora sembrano più o meno come degli umani di un
anno?”.
“Circa…”.
“Suppongo
siano dei demoni…".
“Ho
avuto
cinque piccoli. Un maschio e quattro femmine.
Però…".
“E
come
sono?” si intromise Gibriel “Scommetto che sono
bellissimi".
“La
prima
a venire al mondo della cucciolata è stata Carmilla. Ho
deciso io il nome,
perché ha i capelli come i miei ed i dentini da vampiro. Poi
sono nate due
gemelle identiche, con capelli verde scuro e occhi viola, come la
mamma. Lilien
ha deciso di chiamarle Vixa e Kaya, in memoria della madre e della
sorella che
ha perso. Hanno coda ed ali da demone. Il maschio ci ha messo un po' a
nascere
ma alla fine si è deciso. Ha il mio sguardo ambrato ed i
capelli scuri. Denti
da vampiro, ali e coda. Poi…”.
“E
come
si chiama?” interruppe Gibriel.
“Chi?”.
“Il
maschietto. Non lo hai detto…”.
“Ah… già… Si
chiama Nasfer. In memoria… di un amico”.
“E
poi
manca una femminuccia, dico bene?”.
“Esatto.
Ed è per questo che vi ho chiamati. Lei
è… diversa”.
“Diversa
in che senso?”.
“Non
ha
tratti demoniaci. Non assomiglia ai suoi fratelli.
Così… ho pensato di chiedere
il vostro aiuto. Non può vivere all'Inferno”.
“Per
prima cosa, dovremmo vederla" commentò Mihael “Poi
decidere".
“Ve
la
vado a prendere… mi aiuterete?”.
“Faremo
tutto il possibile" assicurò Gibriel.
Davanti
alla fontana del paese, Keros mostrò la piccola. Era notte e
lei era lievemente
spaventata. Il sorriso di Gibriel però la
rassicurò subito.
“Ha
i
tuoi occhi, Mihael" commentò l'Arcangelo messaggero
“È bellissima".
“Si
chiama Sophia…” ammise il principe.
“Sophia…”
ripeté Mihael “Che progetti hai per
lei?”.
“Come
vedete, non ha nulla di demoniaco…”.
“Fra
gli
umani?” propose Gibriel “Potrebbe
starci?”.
“Gli
umani crescono in fretta” scosse la testa Mihael
“Dovrebbe spostarsi
continuamente o vivere isolata".
“Portiamola
su con noi, allora" sorrise ancora il messaggero.
“E
se poi
dovesse diventare un demone?”.
“Esiste
un modo per scoprirlo. E tu lo sai…”.
“Quale
modo?” si intromise Keros, stringendo la bambina ed
osservando i due Arcangeli.
Mihael
non rispose. Si avvicinò ulteriormente alla fontana e ne
toccò l'acqua,
pronunciando parole a bassa voce.
“Se
ha
preso da me…” ghignò il mezzodemone
“…l'acqua santa non le fa nulla".
“Mai
provato l'acqua benedetta dagli angeli? Facile non farsi male con
quella creata
dagli uomini…” si sentì rispondere.
Keros
non
seppe che dire. L'Arcangelo lo stava invitando a dargli la bambina.
“Se
non
ha tratti demoniaci, non le accadrà nulla" lo
rassicurò Gibriel.
“E
se li
ha?” ribatté il principe, poco convinto.
Mihael
non rispose e continuò ad allungare le braccia verso la
piccola. Keros sospirò
e gliela concesse. Poi chiuse gli occhi, vedendola avvicinarsi alla
grossa
fontana circolare. Sophia immerse una manina nell'acqua e rise,
iniziando a
giocarci.
“È
pura" esclamò Gibriel “Niente di
demoniaco!”.
“Siamo
sicuri?” storse il naso il mezzosangue.
“Prova
tu…” lo invitò Mihael.
Keros
era
scettico. L'acqua santa non gli aveva mai fatto del male.
Allungò le dita verso
la fontana e subito le ritrasse, lasciandosi sfuggire un sibilo
infastidito.
“Visto?
L'acqua benedetta dagli angeli è diversa. Più
potente. Ti sei fatto molto
male?” si preoccupò l'Arcangelo guerriero.
“No.
Non
è nulla…” borbottò il
giovane, nascondendo la mano “Quindi? Ora con Sophia che
si fa?” cambiò subito argomento.
“La
teniamo noi!” esclamò Gibriel con entusiasmo
“E senza dover nascondere nulla.
Diremo la verità: abbiamo sottratto ai demoni una piccina
che demone non è”.
“Voi… Lo
fareste davvero? Intendo… Crescere la bambina in
Paradiso?”.
“Certo"
annuì Mihael “È quello il suo posto.
Crescerà felice ed amata, nessuno le vorrà
mai fare del male".
“Oh… È
meraviglioso…”.
Keros
rimase in silenzio e sorrise alla piccina. Nel suo sguardo, subito
comparve un
velo di tristezza. Era consapevole che per lui le porte del cielo erano
ormai
chiuse, e quindi non l'avrebbe rivista molto facilmente.
Però sapeva che quella
era l'unica soluzione possibile. Lui non poteva tenerla con
sé, era pericoloso
e difficile.
“Verrà
trattata come una principessa" lo rassicurò Gibriel,
intuendone i pensieri
“Crescerà e diventerà la più
bella delle creature del cielo".
“A
me
basta che sia felice" rispose il principe “E non sia mai
più sola".
Accarezzò
il viso della piccola, sorridendole.
“Ora
vai
in un posto bellissimo" le spiegò “Dove nessuno ti
prenderà in giro o ti
maltratterà. E non preoccuparti: andrà tutto
bene. Sarai felice".
La
bambina, non potendo rispondere perché ancora incapace di
parlare, inclinò il
capo. Era perplessa. Era abituata a vedere andare via il padre, lo
incrociava
piuttosto raramente, e non capiva bene quel che stava succedendo.
“Avrai
sue notizie ogni volta che vorrai” mormorò Mihael
“Ora però dobbiamo andare.
Presto sarà giorno ed abbiamo del lavoro da
sbrigare…”.
“Vi
ringrazio infinitamente" si inchinò Keros, non riuscendo a
dire altro.
Lilien
non diede peso all'assenza di Sophia. Pensò che finalmente
qualcuno l'avesse
uccisa. Anche gli altri cuccioli non ci fecero molto caso, abituati a
lasciarla
in disparte. Per Keros perciò fu facile evitare l'argomento.
Intravide gli
occhi argento di Simadè nel buio del corridoio e lo
congedò, volendo solo
essere lasciato in pace.
“Che
avete fatto alla mano?” chiese il servo.
Il
principe la nascose, rispondendo con un semplice “niente" ed
entrando in
camera. Solo, prese dal bagno personale alcune piante che aveva
imparato ad
usare grazie a Raphael ed iniziò a bendare l'arto ferito.
Sembrava una
bruciatura, che ne avvolgeva le dita e parte del dorso.
“Che
hai
fatto alla mano?”.
Il
principe sobbalzò sentendo quella frase, pronunciata nel
buio. Uscito dal
bagno, aveva trovato Lucifero ad attenderlo, seduto sul letto.
“So
quel
che è accaduto" continuò il re.
“Di
che
parli?” storse il naso Keros, toccandosi la ferita.
“Di
Sophia. So quel che hai fatto…”.
“E
vuoi
rompermi le palle?”.
“No.
Sapevo che sarebbe successo. Sapevo che avresti preso la decisione
giusta".
“Intendi
dire… che…”.
Il
re si
alzò ed abbracciò il principe.
“Anche
se
tutto l'Inferno me lo avesse ordinato, io non ti avrei mai soppresso.
Tu sei
mio figlio. Sei sempre mio figlio, non solo quando mi va comodo. E so
che per
quella bambina provi un sentimento simile a quello che io provo per te.
Ero
sicuro che avresti agito bene. Ma dovevo farti capire che qui non era
posto per
lei. Non con una madre che non la vuole e con un padre sempre nel regno
degli
umani. Forse avrei potuto proteggerla, ma non avrei mai potuto renderla
felice.
Lei non è un demone".
“Lo
so.
Lei è pura. Così ha detto
Gibriel…”.
“Ti
mancherà. Ma sappi che sono fiero di te. Mi perdoni? Sono
stato un po' stronzo
per convincerti…”.
“Non
del
tutto. Alla fine, io non ho mai voluto una famiglia. Ma vederla
lì… sola… Ho
pensato al fatto che io quando ero così piccino giocavo
sempre con te. Ed ho
pensato che spettasse a me fare qualcosa… So che non le
mancherò”.
“Questo
non puoi dirlo. Ora dedicati ai tuoi altri quattro piccoli".
“Loro
non
hanno bisogno di me... e poi c'è un locale nuovo che
voglio vedere".
“Un
locale?”.
“Nel
mondo umano. Si chiama Mulin Rouge. Vieni con me?”.
Gli
anni passano!! Il 1900 è alle porte… Pronti?
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Capitolo 32 *** Imperi -Parte prima_ ***
32
IMPERI
-Parte
prima-
Mentre
il
1800 si era rivelato un secolo molto stimolante dal punto di visto
demoniaco,
il secolo successivo era parso fin da subito più complesso.
Molteplici demoni
procacciatori di anime si erano riuniti a palazzo, in una sorta di
meeting per
discutere della situazione. L'uomo stava cambiando in fretta, il mondo
stava
mutando. Keros personalmente non ci faceva molto caso.
Per lui gli uomini erano e rimanevano
stupidi, facilmente manipolabili. Lucifero concordava con il suo erede
ma allo
stesso tempo tentava di tenersi aggiornato sul mondo esterno. Da un
lato vedeva
demoni spaventati da alcune cose, come l'era industriale, e dall'altro
pareri
del tutto opposti. Keros era affascinato dalle novità ma
restava cauto, non
amando molto il chiasso di metro e treni. Ammetteva di sentire la
mancanza di
feste in maschera, concerti di pianoforte e duelli di spada. Durante
una pausa
di quella sorta di riunione di esperti, ne aveva approfittato per
mostrare al
regno un oggetto che reputava affascinante. Era un revolver, dono
dell'imperatore dell'impero Austroungarico. Ogni casa ricca e potente
aveva
almeno un demone al seguito e Keros aveva fatto amicizia con Francesco
Ferdinando.
“Non
hai
paura di sbagliare mira e fare male a qualcuno?” lo
rimproverò velatamente Lucifero,
osservando il principe sparare alle lanterne poste attorno alle mura.
“Io
non
sbaglio mai" assicurò il sanguemisto “È
genetico".
“Genetico?”.
Il
diavolo ripensò al fatto che di fronte aveva il figlio di
Mihael, patrono delle
armi e delle forze armate. Di certo l'Arcangelo non sbagliava mai un
colpo…
Il
revolver era decorato riccamente e scintillava fra le mani del proprio
padrone.
“Ma
fra
gli umani ora usano quelle cose?” volle sapere uno dei
presenti al meeting.
“Già…”
confermò Mefistofele “…bisogna stare
attenti. Una volta mi è capitato di vedere
un demone colpito da uno di quegli aggeggi. Non se l'è
cavata facilmente ed ha
sofferto parecchio. Non mi stupirei se anche gli angeli si stessero
armando in
tal senso".
“Gli
angeli con le pistole? Ma dai!” rise qualcuno.
“Mihael
con un cannone sotto la gonna" rise qualcun’altro.
“Ridete
pure" si stizzì Mefistofele “Ma qui le cose non
sono per nulla belle. Gli
umani sono sempre più incazzati, egocentrici e pazzi. Non
voglio ritrovarmi un
fucile puntato in bocca. Meglio imparare ad usare le loro stesse armi,
come fa
il principe".
Keros
non
ascoltò i vari discorsi. Era perplesso. Sì,
quell'arma era terribile ma una
volta finiti i proiettili che ci faceva? In un corpo a corpo non vi era
il
tempo di ricaricare. Pensò che una bella sfida spada contro
spada fosse mille
volte più bella ed interessante.
“Perdonate,
altezza…” si sentì chiamare.
Si
voltò,
trovandosi accanto un demone estremamente elegante, con il panciotto ed
un
bastone da passeggio dall'aspetto decisamente costoso.
“Non
ho
mai avuto l'onore di conoscervi, principe. Mi chiamo Belial,
procacciatore di
anime fin dai tempi antichi".
“È
un
piacere" sorrise Keros.
“Mi
chiedevo fosse possibile discutere di affari con
voi…”.
“Che
genere di affari?”.
“Anime,
ovviamente. Vedete… Sto lavorando ad un progetto molto
importante ma ho qualche
problema di natura tecnica. E voi mi sareste di immenso aiuto, se
è vero ciò
che dicono”.
“Che
dicono, di grazia?”.
“Che
il
vostro potere è così grande da permettervi di
entrare in terra consacrata senza
subire danni".
“È
questo
ciò che dicono?”.
Il
mezzosangue si sentì lusingato. Sorrise, compiaciuto. Essere
considerati
potenti e non più strambi era una grande vittoria.
“Mi
chiedevo se potevate aiutarmi. Si tratta di un progetto molto
importante".
“Parlamene…”.
“Sono
molto vicino ad ottenere le anime di un'intera famiglia. E non una
famiglia
qualsiasi. Siete mai stato in Russia?”.
“Tempo
fa. Tendo ad evitarla perché odio il freddo".
“E
come
darvi torto? Ad ogni modo, se siete stato in Russia, di certo avrete
sentito
parlare dei Romanov”.
“Gli
zar?! Possiamo ottenere le anime degli zar?!”.
“Sono
riuscito a far avvicinare un certo Rasputin. Grazie ai miei consigli,
ed a
qualche trucco, ha guarito un paio di volte i figli malaticci della
zarina e
compiuto altre cosette interessanti. Lo zar Nicola è
già del tutto soggiogato
ma manca ancora un piccolo passo…”.
“Che
dovrei fare?”.
“Dimostrare
che non siamo demoni. Girano voci e sospetti, specie fra i
più anziani della
famiglia. Ma se voi andaste in chiesa con loro, mi faceste vedere come
un pio
uomo fedele a Dio… Secondo me cadrebbero tutti ai nostri
piedi".
“Tutto
qui? Andare a qualche messa, pregare un po' e fingermi religioso? Non
c'è problema.
Quando si comincia?”.
Belial
ghignò soddisfatto. Keros rispose a quel ghigno, facendo
lievemente brillare
gli occhi.
La
reggia
dello Zar era immensa, ricca di oggetti preziosi e con la
servitù in perenne
movimento. C'era il rischio di perdersi, fra stanze e corridoi. Per
Keros era
stato facile intrufolarsi a corte, accanto a Belial. Fra sfarzo ed oro,
il
principe aveva recato in dono una pregiata raffigurazione di Santa
Sofia, a cui
lo Zar era particolarmente devoto. Pregare dinnanzi ad essa, assieme
alla
famiglia, non era stato affatto un problema per il sanguemisto. La
parte più
complicata della missione si era rivelata la neve. Keros odiava la
neve. Il
gelo lo indeboliva e l'inverno Russo non era esattamente il clima
ideale per un
demone di fuoco come lui. Per limitare al massimo i danni ed i disagi,
il
principe tornava spesso all'Inferno per qualche ora, o qualche giorno,
raccontando agli Zar di viaggi e lievi malesseri. Ad ogni rientro,
Lucifero lo
pregava di lasciar perdere, trovando troppo pericolosa la situazione.
“Ho
tutto
sotto controllo" aveva rassicurato Keros, notando una vistosa
fasciatura
al polso del sovrano.
Entrando,
aveva incrociato Azazel ed Asmodeo e pure loro presentavano ferite e
bendaggi.
“Che
è
successo?” ghignò il principe, divertito
“Ti lascio solo qualche giorno e
rimani coinvolto in una rissa?”.
“Scempiaggini”
si era limitato a commentare il re.
Lilith
non era stata in grado di dire molto di più. Probabilmente
perché non vi era
molto da dire. Non era raro che venissero alle mani, e Keros un po'
rimpianse
di non essere stato presente. Con un lieve accento russo, camminando
lungo i
corridoi, raccontò a Lucifero si essersi fatto fare una foto.
“E
che
roba è?” aveva attorcigliato la coda il diavolo.
“È
come
un quadro… Circa… Vedrò di procurarti
qualche macchina".
“E
perché
te la sei fatta fare?”.
“Allo
Zar
piace. Si fa spesso ritrarre. Così ha voluto una foto di
gruppo ed io ho
accettato".
“Intendi
dire che c'è una macchina che ti ha ritratto come in un
quadro?”.
“Sì”.
“Una
macchina che non puoi assoggettare con il tuo potere e che quindi ti
avrà visto
per quello che sei?”.
“Papà… È
una scatola con un buco. Con delle lenti ed altre varie cose. Non
è una
creatura senziente".
“Ma
gli
uomini non vedono quel che sei. Non vedono il colore dei tuoi capelli,
dei tuoi
occhi, e…”.
“Ah,
tranquillo. La foto è in bianco e nero. E di certo non giro
con le corna di
fuori".
“E
se
qualcuno dovesse vedere quella foto fra, che so, mille anni? Come lo
giustificheresti?”.
“Intanto
spero di non essere identico a come sono ora, fra mille anni. Dovesse
accadere
prima, che problema c'è? Mi invento un parente. Uno zio o un
bisnonno".
“Devi
essere più prudente".
“E
tu
meno paranoico. Anche per il grammofono rompevi i coglioni ma ora ti
piace".
“Quello
è
un altro discorso".
“È
la
stessa cosa. Hai paura dei cambiamenti. Stai invecchiando".
“Non
è
vero. È che gli umani non mi piacciono, e tu lo sai.
Perciò me ne sbatto le
balle dei loro cambiamenti. Mi adeguerò alle loro mode di
merda quando vorrò tornare
su a divertirmi di nuovo con qualche anima pirla. E poi… Le
cose cambiano in un
modo che non mi garba. Ricordi quando andavamo insieme a vedere le
decapitazioni, durante la rivoluzione francese? O i roghi per la caccia
alle
streghe?”.
“Certo.
È
stato uno spasso".
“E
adesso
la gente che fa? Come si diverte? Stanno passando di moda perfino i
grandi
balli in maschera, i valzer, i grandi poeti, i concerti di
pianoforte… Che fanno
tutto il giorno per divertirsi?!”.
“Non
ci
sono più roghi in piazza, è vero. Però
ci sono impiccagioni e fucilazioni. Se
vuoi ti avviso la prossima volta, così vieni a vedere anche
tu. L'opera è molto
in voga, e so che ti piace. E secondo me gradiresti anche il
cinema”.
“Keros… O
usi termini a me noti, o traduci. Lo sai che è almeno mezzo
secolo che non vado
a fare un giro di sopra…”.
“In
verità non l'ho mai visto di persona questo cinema.
Però me ne hanno parlato
molto bene. Magari potremmo andarci insieme".
“Sistema
questa faccenda dei Romanov, in fretta, e poi ne riparliamo".
“Pare
quasi che ti scocci…”.
“Che
tu
stia in mezzo alla neve, vestito come un cretino, per cercare
anime?”.
“Capisco
che il colbacco sia un po' strano,
però…”.
“Sei
proprio un testone".
“È
un'intera famiglia! Perfino più di una famiglia,
perché stiamo assoggettando
perfino servi, autisti, visitatori…”.
“Cos'è
un
autista?”.
“Quello
che guida l'auto, mi pare ovvio…”.
“E
sarebbe…?”.
“Sì
ma
cazzo, papà! Sei antico! Metti il naso fuori da qui ogni
tanto, sul serio!”.
Lucifero
pensò per qualche istante ad una risposta adeguata, finendo
poi con l'assestare
un sonoro e ben più efficacie scappellotto sulla nuca del
principe.
La
notizia dell'attentato di Francesco Ferdinando arrivò al
palazzo dello Zar in
serata. I giovani figli di Nicola non erano stati informati in modo
diretto, e
tentavano di scoprire quel che accadeva grazie ai servi od alle persone
in
corte. Keros non si preoccupò più di tanto,
pensando che si trattasse della
solita stupida possibile guerra. Nei giorni seguenti la situazione
peggiorò e
fra i potenti ed i consiglieri militari si iniziò a parlare
di entrata in
battaglia.
“Non
devono entrare in guerra” parlò Belial,
discutendone anche con Rasputin.
A
Keros
spiegò che, se fossero stati uccisi, molti membri della
famiglia non sarebbero
andati all'Inferno, di conseguenza ne avrebbero perse le anime.
Però, come era
prevedibile, la Russia entrò in guerra.
Capitolino
breve. Il prossimo arriverà molto
presto (è già pronto) ma sarà un
pochino impegnativo, quindi ho preferito
spezzare il racconto in due fasi. A prestissimo!
|
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Capitolo 33 *** Imperi -Parte seconda- ***
33
IMPERI
-Parte
seconda-
Non
passò
molto tempo dall'inizio della guerra prima che a tutti i demoni fra gli
umani
venisse dato l'ordine di rientrare agli inferi. Con urgenza, i
tentatori
abbandonarono i mortali che stavano irretendo.
Keros
arrivò a palazzo reale e subito capì il motivo
per cui erano stati tutti
richiamati. I morti, e di conseguenza le anime, erano aumentati
esponenzialmente a causa delle battaglie in corso. Gestire il flusso in
arrivo
era impegnativo.
“Nemmeno
durante la peste del 1300 ho avuto una tale mole di
lavoro…” borbottava
l'archivista, aiutato direttamente da Lucifero.
Collocare
le anime in tempo di guerra non era semplice, perché peccati
e peccatori si
mescolavano in modo confuso, fra omicidi ed ordini discutibili. Il re,
vedendo
Keros, lo accolse con un sorriso sollevato.
“Cos'è
tutto ‘sto casino?!” domandò il principe.
“Guerra…”
rispose il sovrano.
“Ne
hanno
fatte altre, prima d'ora…”
“Questa
è
diversa. Stanno litigando tutti. Guerra mondiale".
“Oh… E
che
ti serve che faccia?”.
“Di
sicuro non portarmi altre anime. Qui ce ne sono già troppe".
“Lo
avevo
intuito…”.
“Ti
dispiace occuparti dei lavori di ampliamento?”.
“Io?
Sei
sicuro? Hai sempre progettato tu ogni settore…”.
“E
con
ciò? Ho una marea di anime da sistemare e non so dove,
perché non c'è posto. E
non ho tempo per pensarci perché, come vedi, archivisti e
giudici hanno bisogno
del sottoscritto. Sono sicuro che ne sei in grado".
“Suppongo
di sì…”.
“Hai
carta bianca. Basta che fai in fretta".
“Agli
ordini!”.
Keros
era
raggiante e fiero. Occuparsi del territorio infernale era un
privilegio. Nella
sala del trono, dove campeggiava un'immensa piantina dell'Inferno,
aveva
convocato vari addetti ai lavori. Si era fatto indicare le zone
più critiche e
poi aveva suggerito varie soluzioni possibili. Alcuni settori non
potevano
essere ampliati facilmente, perché circondati da altri
territori.
“E
se
scavassimo?” ipotizzò il principe.
“Scavare,
altezza?”.
“Sì.
Verso il basso, non dovremmo avere grosse limitazioni. Così
da avere molto più
spazio per le anime attuali e future. Anche in previsione di
un'eventuale nuova
pena…”.
Ingegneri
e tecnici presero appunti ed annuirono. Keros fece loro altre
richieste,
volendo modernizzare un pochino l'ambiente in generale.
“Cerchiamo
di sbrigarci” incitò il sanguemisto “E,
in caso di problemi, non esitate a
contattarmi”.
Una
volta
avviati i lavori, il principe raggiunse il sovrano. Lì
cercò di aiutare come
poteva, fra archivi ed anime da giudicare. Poi approfittò di
un attimo di calma
per tornare nel regno umano.
“Perché,
invece di tentare, non provi a… guidare?” furono le
parole di Mihael.
Keros,
che fissava un'icona di Sophia, non si stupì nel sentire la
voce
dell'Arcangelo.
“Guidare?”.
“Hai
capito quel che intendo…”.
Il
giovane mezzodemone, con addosso una divisa militare russa, tentava
comunque di
rimanere nei paraggi dello zar e famiglia.
“Non
sono
capace…” mormorò, con un mezzo sorriso.
“Provaci.
Quel che state facendo, tu e quel demone, fa sì che tutta la
famiglia venga
pesantemente maledetta”.
“E
chi ti
dice che non sia quel che voglio?”.
“Perché
vuoi una cosa simile?”.
“E
perché
Dio vuole una guerra mondiale?”.
“Questa
è
una faccenda diversa".
“Se
lo
dici tu…”.
Mihael
lanciò uno sguardo di rimprovero verso Keros, che lo
ignorò, così come ignorò
lo stesso sguardo di Lucifero, venuto a sapere delle sue ripetute
scappatelle
nel mondo umano.
“Perché
rischiare la vita per delle anime?!” sibilava il sovrano
infernale, una volta
che il sanguemisto ricomparve all'Inferno, bloccandolo contro il muro.
“Sono
molte anime…”.
“Ne
ho
fin sopra i coglioni di vedere anime nuove. Non mi servono. Non le
voglio".
“Le
voglio io!”.
“Perché?!”.
“Belial
ha voluto il mio aiuto. Non lo deluderò. Non
fallirò".
Lucifero
inclinò leggermente la testa, con una smorfia.
“Preferisci
morire piuttosto che fallire?!”.
“Preferisco
dare tutto me stesso piuttosto che arrendermi".
“E
tutto
questo orgoglio da dove ti viene?”.
“Non
lo
so. Forse da te…”.
“Che…”.
Keros
guardò dritto negli occhi il diavolo per qualche istante e
poi girò la testa.
“Non
voglio fallire…” ripeté piano.
Satana
si
accigliò, stanco di sprecare energia per discutere.
“Il
mondo
degli umani adesso è pericoloso" disse, con sul volto
un'espressione
decisamente cupa “E qui ho bisogno di te. Il regno ha bisogno
di te. Se saprò
che sei tornato nel regno umano prima della fine della guerra, ti
farò
rinchiudere nella torre a nord. Chiaro? Incatenato come i peggiori
sovversivi”.
“Non
puoi
farlo!”.
“Scommetti?!
Non sfidarmi. Se non vuoi pentirtene amaramente. Non ho pazienza per
sopportare
le tue cazzate adolescenziali, che fra l'altro dovrebbero essere finite
da un
pezzo!”.
“Tu
non
devi permetterti di…”.
Lucifero
ringhiò e serrò la mano attorno al collo del
principe. Con le iridi che si
tingevano di rosso, frustò la coda sul pavimento e vi
lasciò un solco. Keros
capì immediatamente di dover cambiare atteggiamento e si
affrettò a mostrare
sottomissione.
Per
un
po', il sanguemisto si fece obbediente. Limitò al massimo le
visite fra i
mortali, sempre in divisa russa. Ebbe modo di salire su un treno,
avvenimento
che trovò piuttosto piacevole. Continuò a seguire
le anime che bramava anche
dopo l'inizio della rivoluzione perché, anche se non
possedevano più il titolo
di “Zar", erano comunque molte anime illustri.
Era
luglio. Alla famiglia, tenuta sotto arresti domiciliari in una villa in
mezzo
alla foresta, venne dato l'ordine di prendere le valigie e prepararsi
ad un
trasferimento. Il principe, sospettoso, tentò di capire
qualcosa di più. I
militari che sorvegliavano i Romanov erano concentrati su di loro,
mettendo in
secondo piano la servitù ed i collaboratori che avevano a
seguito. Questo
permise a Keros di rimanere leggermente defilato, mentre la famiglia
veniva
messa in fila. Successe tutto rapidamente. Non era un appello,
bensì
un'esecuzione. Si iniziarono ad udire colpi d'arma da fuoco,
accompagnati da
urla di terrore. Keros riuscì a soffocare un grido, a
fatica. Comprese che
doveva assolutamente allontanarsi da lì. L'esecuzione
proseguì, con alcuni
proiettili che venivano respinti dai vistosi gioielli che i Romanov
ancora
indossavano. Diamanti e pietre preziose emettevano un rumore
inquietante, fra
strilli e lacrime di chi li indossava. Assordato dagli spari, il
mezzodemone
iniziò a correre. Alcuni proiettili lo sfiorarono, con un
sibilo minaccioso.
Uno dopo l'altro, stavano morendo tutti.
Nobili, servi, consiglieri…
Il
sanguemisto continuò a correre. Dietro di lui sapeva di
avere altri aspiranti
superstiti, inseguiti. Li sentì cadere in terra, abbattuti
dai proiettili.
Doveva riuscire ad aprire il portale e tornare a casa. Ma non poteva
farlo in
piena vista, con gli umani che lo fissavano. Rincuorandosi
perché chi stava
sparando non aveva una grande mira, evocò il fuoco e lo
scagliò contro uno
degli alberi. Questi, complice anche il gran caldo estivo, si
incendiò
immediatamente. Gli inseguitori, intimoriti da quell'avvenimento
improvviso,
distolsero l'attenzione il tempo necessario per permettere a Keros di
aprire un
portale e tornare all'Inferno.
Mentre
i
russi tentavano invano di capire cosa fosse successo, il principe
ricomparve
nella stanza del palazzo reale dove i portali per il mondo umano
conducevano.
Ansimando, si lasciò cadere in ginocchio.
“Cazzo…”
sibilò, consapevole di aver rischiato molto e perso
altrettanto.
La
prima
domanda che percorse la sua mente fu “Ma non dovremmo essere
noi i demoni?”. In
quella guerra aveva visto compiere atrocità immani, gesti
crudeli verso
innocenti e scene degne del peggiore dei gironi infernali. Come
potevano
uccidere bambini e ragazzi così a mente fredda?
Provò ribrezzo ed un lieve
timore. Riprendendo fiato, tentò di ricomporsi. Sapeva che,
se Lucifero avesse capito
quanto successo, sarebbe andato su tutte le furie. Aprì
cautamente la porta,
sbirciando lungo il corridoio. Fortunatamente, era deserto. Tutti erano
impegnati a sistemare anime ed il palazzo era silenzioso e buio.
Sgattaiolò
fino alle sue stanze, chiudendosi nel bagno. Aprì l'acqua
della vasca, ancora
con le mani che tremavano. Tolse le vesti russe, controllando le
ferite. Per
fortuna erano solo graffi, dovuti ai proiettili ed ai rami degli
alberi. Per
calmarsi, lasciò che la vasca si riempisse e vi sciolse
delle erbe. Nell'acqua
praticamente bollente, il profumo si sprigionò all'istante.
Finì di spogliarsi
ed entrò in vasca, stringendo i denti per il lieve bruciore
procurato dalle
ferite. Lasciò che l'acqua scorresse ed immerse la testa ed
il viso. Così
facendo, gli parve di alleviare ogni sensazione. Il desiderio di
riprendere
aria lo riportò in superficie e ringhiò. Con le
mani ancorate ai bordi della
vasca, una volta che la tensione cominciò ad abbandonarlo,
iniziò ad avere la
meglio la rabbia. Aveva perso le anime, e la cosa lo mandava in bestia.
Le
aveva perse perché, uccisi in quel modo, i Romanov ed il
loro seguito erano
divenuti vittime e martiri. Keros pensò fosse una magra
consolazione essere
riuscito ad ottenere l'anima di Rasputin e di altri accanto a lui. Era
furioso
e grattò la superficie della vasca con le unghie.
Insultò se stesso per una
buona mezz'ora prima di venire interrotto da un boato e da un grido
pieno
d'ira.
“Keros!”
stava sbraitando Lucifero, sfondando la porta della camera
“Dove cazzo sei?!”.
“Ma
che
vuoi?! Sto facendo il bagno!” tentò di
giustificarsi il principe.
Il
sovrano spalancò l’uscio della stanza ed il
sanguemisto lanciò un verso di
protesta.
“Posso
avere un po' di privacy?!” sbottò il giovane
“Almeno al cesso!”.
“È
tutto
il giorno che ti cerco!” continuò a sbraitare il
re.
“E
non
puoi aspettare che finisca di lavarmi?!”.
“E
perché?! Siamo due maschi, non hai nulla di particolare da
coprire".
“Esci
di
qui!”.
“Dove
sei
stato?”.
“A
farmi
i cazzi miei. Esci di qui!”.
“Rispondimi!”.
“Esci!”.
“Non
darmi ordini!”.
“Fottiti!”.
Keros
si
era alzato in piedi, schizzando acqua un po' ovunque. Lucifero era
rimasto
impassibile, anche se visibilmente alterato. Annusava l'aria ed
osservava il
suo erede.
“Sento
odore di sangue" iniziò il re, accigliato ma calmo
“E di polvere da sparo.
Sento l'odore della paura. Sei stato nel mondo umano, vero? Hai
disobbedito".
Il
principe non rispose. Non sapeva bene che cosa dire. Negare l'evidenza
era
impossibile ma come giustificare il fallimento?
“Hai
rischiato la vita, non è così”
continuò Lucifero “Per delle
anime…”.
“Io…”.
“Keros… Ma
non ti rendi conto che…”.
“Senti… Ho
avuto una pessima giornata, ok? Vorrei solo essere lasciato in pace. Ti
prometto che adesso ti aiuterò di più, non
tornerò a caccia di anime fino alla
fine della guerra. È questo che vuoi?”.
“Io
voglio che tu sia al sicuro. Quindi sì, preferirei che
evitassi di passeggiare
fra trincee e bombe a mano. Siamo
tutti
stanchi. Anche io vorrei essere lasciato in pace, buttarmi a letto e
farmi una
dormita. Ma, indovina un po'…? Non posso! Perciò
piantala di piagnucolare e
vestiti. Mangia qualcosa e vedi di darmi una mano, o qui usciamo tutti
di
testa".
Keros
rimase qualche istante immobile, con i capelli color ciliegia che
ricadevano in
malo modo lungo la schiena e parte del viso. Si aspettava una lunga
predica o
qualcosa di peggio. Si limitò ad annuire, chiedendo un
asciugamano.
Lasciando
la stanza, intravide Simadè e Lilien che giocavano con i
cuccioli. Erano alle
prese con le prime lezioni di volo ed i loro codini si agitavano
entusiasti.
“Papà!”
lo chiamò la piccola Carmilla.
Il
sanguemisto non era abituato a farsi chiamare così e
sorrise. Poi notò come
tutta la cucciolata amasse giocare non Simadè, che parve
quasi in imbarazzo.
Keros aveva saputo, da voci di palazzo, che l'incubus e Lilien
trascorrevano
molto tempo insieme, probabilmente erano più che amici. Ma
in quel momento
aveva altro per la testa e si affrettò a raggiungere
Lucifero, che ormai era
sull'orlo di una crisi di nervi.
La
guerra
finì qualche mese più tardi, a novembre. Si fece
grande festa, per celebrare il
cessare di quell'enorme mole di lavoro. Keros e Belial discussero a
lungo sulla
Russia e sulla famiglia dello Zar. Nonostante Belial continuasse ad
elogiare la
buona volontà e le capacità del principe, questi
non smetteva di farsi domande.
Si chiedeva come altro avrebbe potuto agire per poter evitare il
fallimento.
Quanto accaduto lo ossessionò fino a quando il re, bussando
alla porta della
camera, lo riportò alla realtà. Aprendo, Keros si
ritrovò di fronte ad una
bella torta con le candeline accese. Alzò un sopracciglio.
“Buon
compleanno" esclamò Lucifero “Non dirmi che te ne
sei dimenticato”.
Effettivamente
non ci aveva fatto minimamente caso al tempo che passava.
“Il
mio
compleanno…” mormorò, confuso.
“Sono
mille e duecento. Cifra tonda! Guarda che bella torta. È al
cioccolato".
“Grazie…”.
Il
sanguemisto, non sapendo che altro dire, soffiò sulle
candeline.
“So
che
cosa desideri" ghignò Lucifero “Tu desideri
l'anima finale. Purtroppo non
ne ho a disposizione però, in compenso, mi è
stato detto che c'è molto
materiale interessante in America. È da un po' che non ci
passi. Che dici? Ci
vai a fare un giro?”.
Così,
dopo aver deposto un fiore fra le mura di Istanbul, in memoria della
propria
madre, Keros iniziò a braccare qualche anima nel nuovo
continente.
“Mi
sa
che dovrò farmi la patente…”.
Devo
dire che è faticoso scrivere questi
capitoli… Far incrociare tutto con la storia reale non
è mica facile :p come non
è facile scrivere i capitoli al cellulare (che corregge a
caso) causa pc
scassato.
Volevo
ringraziare la consulenza di Mizu Ryu (È
su EFP) riguardo ai Romanov. E poi ovviamente tutti quelli che stanno
seguendo
la storia! A presto!
|
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Capitolo 34 *** Teologia ***
34
Teologia
Negli
anni successivi al termine della prima guerra mondiale, Keros aveva
viaggiato
molto. Il primo periodo in America era stato piuttosto divertente ma
poi, con
la caduta della borsa, pure quel luogo si era fatto deprimente. Si era
allora
mosso verso oriente, fra Cina, India e Giappone. Lì le
religioni erano diverse,
ci vivevano molti meno uomini da tentare, ma vi erano un sacco di cose
da
imparare. Grazie ai suoi poteri, per il mezzodemone era facile entrare
in
luoghi a molti proibiti. Palazzi imperiali, feste importanti, cerimonie
spettacolari… Tutte le porte gli venivano aperte. Era una
bella sensazione,
amava sottomettere e deridere gli umani. Li aveva sempre trovati
piuttosto
stupidi ma, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, li
additò come
assoluti deficienti.
Rientrò
all'Inferno su ordine del re, questa volta senza obiettare troppo. Lo
trovò
intento a giudicare anime, con la sigaretta accesa di sbieco in bocca.
Il fumo
era un vizio che Lucifero aveva acquisito da relativamente poco e che
il
principe trovava leggermente fastidioso. Ma era inutile discutere con
Satana.
Capì che era molto più opportuno rendersi utile
ed iniziò a trascrivere,
assieme agli archivisti, il nome e la pena per ciascuna anima appena
giudicata.
Grazie ad alcune modifiche, gli inferi erano diventati più
pratici. Ora vi erano
collegamenti diretti, tramite telefono, fra i vari settori. E tutti
potevano
essere controllati dal re, che aveva modo di essere informato
immediatamente in
caso di emergenza. Anche se ci aveva messo un po' per non sobbalzare ad
ogni
squillo o allarme. Un grande padiglione mostrava tutto il territorio ed
alcune
luci indicavano se i diversi settori erano perfettamente funzionanti o
con
qualche intoppo. Keros amava quel nuovo sistema. Lucifero trovava
carine le
lucine rosse che si illuminavano in caso di emergenza.
In
quel
momento, tutto procedeva in modo piuttosto regolare, salvo l'alto
numero di
anime in arrivo per colpa della guerra. Così il principe si
ritrovò con strani
pensieri in testa.
“Posso
farti una domanda?” chiese a Satana, continuando a scrivere
su un grosso
volume.
“Se
questo non rallenta il tuo lavoro, certo!” rispose il
diavolo, marcando
un'anima ed affidandole la pena eterna.
“Dio
esiste per davvero?”.
“Mi
stai
chiedendo se mi sono cacciato dal Paradiso da solo?”
alzò un sopracciglio il
re, perplesso.
“No.
Cioè… Non so. Ho come l'impressione che non ci
sia”.
“All'Inferno
è normale che non lo percepisca. È impossibile".
“Lo
so.
Ma anche quando ero in cielo… o fra gli
umani… Sembra più un concetto astratto,
piuttosto che qualcosa di reale. Non è che per caso
è morto?”.
“Sarebbe
interessante… Come figlio maggiore, si aprirebbe un singolare
dibattito
sull'eredità…”.
“Dai…”.
“Manderei
a zappare tutti i miei fratelli piumati ed il paradiso diventerebbe un
enorme
parco divertimenti per demoni annoiati. Poi
potrei…”.
“Riesci
a
fare il serio?!”.
“Potrei
mettere una fontana di cioccolata al centro della città, al
posto del coretto
degli angioletti, e sarebbe bello se…”.
“Io
ti ho
fatto una domanda!”.
“Va
bene… scusa… Cercavo di alleggerire il discorso.
Come sei musone! E poi come ti
vengono certe idee?!”.
“Non
capisco il suo atteggiamento. Tutto qui".
“L'atteggiamento
di chi? Di Dio?”.
“Sì.
Un'altra guerra mondiale. Tutti che si ammazzano fra loro e non fa
nulla. Non
potrebbe farsi sentire? Stile una voce fuori campo che tuona
‘finitela di
litigare per queste cazzate, stronzi!’. Ovviamente detto in
modo più divino.
Oppure, se non vuole farlo lui, non può mandare qualche
angelo? Non sarebbe
compito di un padre intervenire quando i figli litigano? Se no a che
serve?!”.
“Keros… Mi
fai domande complicate. Sinceramente io non penso a Dio, mi fa troppo
girare i
coglioni. Di teologia dovresti discutere con l'altra parte della
famiglia, quella
dotata di penne e piumini…”.
“E
perché? Mi direbbero solo che Dio è un grande e
sono io che non lo capisco…”.
“Tu
prova. Magari quando c'è un po' meno ressa di anime. Sia mai
che fai cadere
qualche angioletto…”.
Curioso,
Keros non attese molto prima di andare a cercare risposte.
Riuscì a contattare
Gabriel. Aveva immaginato che Mihael sarebbe stato troppo impegnato con
il
giudizio delle anime. L'Arcangelo non poteva allontanarsi molto dai
suoi
doveri, perciò invitò il sanguemisto a
raggiungerlo agli archivi. Keros, con la
semplice tunica d'angelo, sapeva che in Paradiso avevano altro a cui
pensare e
non avrebbe dato troppo nell'occhio. Sedette di fronte alla scrivania
di
Gabriel ed attese pazientemente che finisse di scrivere su un volume
bianco.
“Bene…”
esordì l'Arcangelo, chiudendo il libro
“Innanzitutto sono lieto di vedere che
le tue ali sono ancora argentee ed angeliche. Significa che il tuo
animo è
buono”.
“Sarà… Ho
commesso ogni tipo di peccato, eppure son ancora
qua…”.
“Anche
alcuni santi, prima di divenire tali, hanno commesso ogni genere di
nefandezza”.
“Non
sono
qui per discutere di questo…”.
“Lo
so.
Tu sei qui perché ti fai domande su Dio. Ebbene io
più di tanto non posso
dirti. Dio deve parlare al tuo cuore, alla tua anima".
“Non
ho
un'anima. Ed il cuore è solo un
muscolo…”.
“Ok… Cambiamo
strategia. Mai sentito il libero arbitrio?”.
“Certo".
“Gli
esseri umani hanno il libero arbitrio. Non possiamo intervenire
più di tanto, e
tu lo sai”.
“Ma
nella
Bibbia Dio è intervenuto per molto meno!”.
“Erano
altri tempi…”.
“E
che
cosa è cambiato?”.
“Siamo
invecchiati, suppongo. Hai presente l'entusiasmo che ti prende l'inizio
di un
progetto? Quando sei pieno di energia e speranze? Ecco… Quel
tempo è passato”.
“Intendi
dire che Dio si è stufato del ‘progetto
umanità’?”.
“Non
dico
questo. Dico solo che ci mette meno entusiasmo, ecco. O almeno credo
sia
così…”.
“Non
ha
senso".
Gabriel
sorrise leggermente, reggendosi la testa con una mano.
“Per
lui
non è così?” domandò poi.
“Per
Lucifero, dici? No…” alzò le spalle
Keros “…che io sappia, prova sempre lo
stesso quantitativo di schifo per l'umanità. Nulla di
più o di meno".
“Lui
era
quello, fra noi, con più fervore ed enfasi... La superbia lo
ha rovinato".
“Dio
lo
ha creato così. Deve aver sbagliato qualche cosa
nell'assemblaggio”.
Gabriel
sorrise di nuovo, trattenendo una risata.
“Dio
non
sbaglia" mormorò l'Arcangelo “Ma ci si mette un
po' a capirlo. Appena
terminata la guerra avvenuta qui in Paradiso, avevo dubbi. Ma poi si
sono
dissipati. Ogni cosa avviene per un disegno divino. Se Lucifero non
fosse
caduto, dove andrebbero le anime malvagie? Chi le punirebbe? Il peccato
originale era necessario, l'uomo doveva bramare il frutto della
conoscenza. Hai
visto anche tu quali meraviglie è in grado di
creare…”.
“Sì… E
quali
crudeltà compiere".
“Sono
creature imperfette…”.
“Sono
creature stupide!”.
“A
volte
sì… Però, vedi, dipende tutto da quel
che vuoi considerare. C'è chi, come il
Caduto, intende scorgere in loro solo i difetti e chi, come noi angeli,
ne
riusciamo a comprenderne le potenzialità. Sono artisti,
poeti, credenti dal
buon cuore. Non nego vi siano umani corrotti, crudeli e idioti. Ma
confido che
quelle categorie siano in minoranza".
“Mi
sa
tanto di no…”.
“Sei
libero di credere in quel che vuoi. Anche tu hai libero arbitrio. E
anche a te
Dio può parlare, se ti fermi ad ascoltare. Se credi
veramente".
Keros
storse il naso, poco convinto. Poi un rumore di passi lo distrasse.
Voltandosi,
subito riconobbe la figura di Mihael, che si avvicinava lentamente.
Raggiunse la
scrivania di Gabriel e vi poggiò un grosso libro. I due
Arcangeli si fissarono.
Mihael era visibilmente stanco, con i capelli in disordine e lo sguardo
spento.
“Sono
bambini…” mormorò.
“Bambini?”
ripeté Gabriel.
“In
questo libro…” parlò di nuovo Mihael,
sempre a mezza voce “…ci sono bambini.
Sono tutti nomi di bambini. Bambini che sono morti. Spetta a te
archiviarli".
Gabriel
fisso il volume, sospirando.
“Tutti
bambini…” ripeté Mihael, con una
lacrima che gli rigava il volto.
Il
principe trattenne un ringhio di rabbia. L'Arcangelo guerriero
però, come
intuendo i suoi pensieri, lo
invitò a
seguirlo.
Camminarono
fra scaffali e nomi archiviati, fermandosi di tanto in tanto. Ad ogni
sosta,
Mihael spiegava perché quel nome compariva fra gli elenchi
del paradiso. C'era
chi era morto per salvare delle vite, chi si era sacrificato per un
bene
superiore, chi era stato ucciso perché si rifiutava di
portare a termine un
ordine ingiusto…
“Come
vedi…” commentò Mihael
“…non sono tutti crudeli mostri".
Keros
annuì, colpito da certe storie e rattristato.
“Non
farti influenzare da ciò che vedi all'Inferno" riprese
l'Arcangelo “Non
tutti gli uomini meritano la condanna eterna. Chi la merita, ovviamente
l'avrà.
Ma non sono tutti così. Pensi forse che tua madre si sarebbe
messa a curare
creature tanto ignobili? Pensi che avrebbe rinunciato alla sua vita al
palazzo
reale ed alla sua essenza di demone per aiutare degli
stronzi?”.
“Mi
fa
sempre strano sentirti dire delle parolacce…”.
“Il
comandamento dice di non nominare Dio invano. ‘Stronzo' non
rientra fra i nomi
di Dio. O forse per qualcuno sì, ma non certo per
me…”.
“Non
riesco a capire se sei serio oppure sarcastico,
perdonami…”.
“Immagino… Ho
sempre la stessa espressione. Ma non stiamo discutendo di
questo”.
“Però…”.
“So
che è
complesso. So che, soprattutto ora che c'è una guerra
mondiale, sia facile
pensare che gli uomini meritino tutti la morte e che la colpa sia di
Dio…”.
“Non
mi
verrai mica a dire che la colpa è del diavolo,
no?”.
“No.
So
bene che spesso l'uomo più credente e religioso si rivela il
più malvagio”.
“E
allora
perché Dio non fa nulla?”.
“Se
i
tuoi cuccioli litigano, li vai a separare?”.
“No!”.
“E
perché?”.
“Perché
sono demoni. E poi perché non mi
interessa…”.
Dopo
quella frase, Keros rimase in silenzio.
“Non
è
vero che non ti interessa” riprese Mihael “Non
avresti portato la piccola
Sophia qui, se fosse così. Tu vuoi bene ai tuoi figli, ma li
lasci fare. Sai che
hanno una lezione da imparare. Sai che, una volta feriti, eviteranno di
rifare
le stesse cose".
“Ma
non è
vero. E la stessa cosa vale per gli uomini. Non imparano. Con la
differenza che
i miei figli sono solo dei cuccioli. Con una madre
psicopatica!”.
“Chi
vuole ascoltare la voce di Dio, la voce della propria coscienza,
agirà in modo
da giungere in paradiso. Gli altri… Sai già che
fine fanno. Tu puoi parlare ai
tuoi figli ma questi non è detto che ti stiano ad ascoltare".
“Allora
io alzo la voce e tiro un paio di ceffoni. Vedi poi come
ascoltano…”.
“Ma
questo li obbligherebbe ad ascoltare. Violerebbe il libero arbitrio".
“Ma…”.
“Keros… Tutti
stiamo male per questa situazione. A me sinceramente fa venir da
piangere.
Altri saranno furiosi, dubbiosi, spaventati… Ma
passerà anche questo. Come è
passata la peste, l’inquisizione, le varie
rivoluzioni… Tutto passa. Se
l'umanità vorrà, imparerà. Altrimenti
non farà che accelerare il cammino verso
il giudizio finale. Non spetta a noi cambiare le cose".
Il
mezzosangue era perplesso, ma decise di non fare altre domande. La voce
di Dio
non riusciva proprio ad udirla. Lasciò il Paradiso,
intravedendo sua figlia
Sophia fra i molti bimbi appena giunti in cielo. Giocava con loro,
sorridendo
felice. Rientrò all'Inferno con ancora molte domande, che
capì non avrebbero
mai avuto risposta. Lucifero urlava contro qualcuno, lo si udiva per
tutto il
palazzo. Lui di certo rientrava nel gruppo dei furiosi. Altri demoni
invece
covavano dubbi e paure. Keros camminò lungo il corridoio,
raggiungendo il
giardino, fra le rose nere. Il re urlava ancora ed i piccoli
litigavano, assieme
ad altri cuccioli. Il principe si avvicinò al gruppo di
bambini osservandoli.
Erano molto piccini, come bimbi d’asilo, eppure la loro
ferocia era terribile.
“Adesso
basta" tuonò il sanguemisto, facendo sobbalzare i presenti.
Alcuni
adulti presenti si stupirono, non abituati a vedere l'erede al trono da
quelle
parti.
“Basta!”
ripeté Keros, dividendo con la forza due piccoli demoni
“Finitela! Vi state
facendo male".
Alcuni
di
loro sanguinavano e si lamentavano, in preda al dolore ed alla paura.
“Nasfer!”
lo sgridò il principe “Tu sei più
forte, non dovresti agire così! Il tuo
compito è proteggere chi è più debole".
“E
perché?” chiese il bambino, perplesso.
“Perché
così fa un re. Siamo demoni. Comportiamoci da demoni, e non
da stupidi
umani".
Il
cucciolo
rimase in silenzio. Poi si voltò verso un altro bimbo
rimasto a terra. Gli
porse la mano, aiutandolo a rialzarsi e mormorando delle scuse.
“Saper
combattere è necessario” continuò Keros
“Ma non lo è assolutamente attaccare
chi non è in grado di difendersi. D'ora in poi voglio
vederti lottare solo con
tuoi pari, in allenamento".
“Sì,
papà…”.
“E
la
stessa cosa deve valere per tutti gli altri".
Gli
adulti annuirono, invitando i bambini ad obbedire. Era sceso il
silenzio,
neppure Lucifero urlava più.
Gli
anni
passarono. La guerra finì e ne iniziarono altre. Keros
gironzolò per il mondo
umano senza troppa convinzione. Prendeva qualche anima, osservava lo
scorrere
del tempo. Iniziò un nuovo millennio. Poi un giorno
udì una frase che attendeva
da tempo: “Keros, ho l'anima finale per te!”.
Ci
siamo! I giorni nostri sono giunti… e tante
cose devono ancora accadere!
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Capitolo 35 *** Anima ***
35
Anima
“Tutto
qui?” era stato il commento di Keros, alla vista del
minuscolo fascicolo che
gli porgeva Lucifero.
“È
la tua
anima finale…” si era sentito rispondere
“Non posso darti troppe
informazioni".
“Cos'ha
di così speciale?”.
“Lo
dovrai scoprire”.
Perplesso,
il principe aveva letto le poche righe riguardanti l'anima in
questione. Vi era
solo un indirizzo. Decise di partire subito all'esplorazione,
nonostante il re
lo avesse rassicurato con vari “se dovesse essere troppo
difficile non ti
preoccupate, puoi rinunciare" e “non è necessario
che ti metta
immediatamente all'opera". Seguendo l'indirizzo, sapeva che si sarebbe
trovato in pieno inverno e quindi, non amando il freddo, si era vestito
per
bene.
Appena
giunto sul posto, nel cuore della notte, capì di non essersi
vestito
abbastanza. La neve era alta e lui odiava la neve. Si coprì
parte del viso con
un cappuccio e tentò di fare in fretta. La casa era isolata,
in mezzo ad un
bosco. Keros si disse che non avrebbe mai potuto vivere in un posto
simile.
Drizzò le orecchie, cercando di percepire la presenza di
cani o altri animali
da guardia. Non sentendone, si avvicinò ulteriormente.
Osservò un grosso SUV
nero parcheggiato poco distante dall'ingresso, che però non
aveva l'aria di
essere molto usato. Salì in silenzio la scala in legno che
conduceva alla porta
d'accesso. Era blindata ed il mezzodemone preferì non fare
fatica. Girò
l'angolo e trovò un terrazzino. Da lì fu una
passeggiata entrare in casa.
Si
ritrovò in cucina. Annusò l'aria. Il frigo era
quasi vuoto e Keros rubò una
mela. La casa era molto grande e si stupì di vedere un solo
piatto nel lavello.
Masticando la mela, gironzolò per il piano terra. Era
polveroso, molte stanze
probabilmente non venivano aperte da mesi. Il camino spento, un
pianoforte
abbandonato e tante porte chiuse. Desolante, si ritrovò a
pensare il
sanguemisto.
In
quello
che aveva tutta l'aria di essere uno studio, Keros trovò un
portatile ed una
marea di libri, molti lasciati aperti sulla scrivania. Il principe
sbirciò,
incuriosito, alcuni titoli. Parlavano di lingue antiche.
Su
uno
degli scaffali della libreria a muro, spiccava una foto: un matrimonio.
Una
coppia sorridente, in abito nuziale, che posava per quel ricordo. Forse
vivevano due umani in quella casa? Lo sposo e la sposa? O forse era la
foto di
qualche figlio o nipote? Continuò ad indagare al piano
superiore. Trovò un
salotto, una stanza vuota ed una camera inutilizzata. Poi un bagno ed
un'altra
camera, questa volta matrimoniale, deserta e impolverata. Iniziava a
chiedersi
se davvero ci vivesse qualcuno in quella casa quando finalmente,
aprendo silenziosamente
l'ennesima porta, vide un umano coricato a letto. Era avvolto dalle
coperte ma,
da quel poco che riuscì a scorgere, Keros intuì
che si trattasse dello sposo
della fotografia. E la sposa? I capelli neri dell'uomo erano
più lunghi ma era
sicuramente lui, probabilmente qualche anno dopo. E perché
era solo? Keros
inclinò la testa. Che la sua anima proibita fosse la solita,
banale, questione
di cuore da risolvere?
Ritenendosi
soddisfatto ed avendo esplorato tutta la casa, compreso il soppalco
deserto, si
decise ad uscirne. Aveva alcune domande che frullavano in testa, dubbi
su quale
strategia usare e su che cosa rendesse quell'anima così
speciale. Non
capendolo, camminò nella neve continuando a rimuginare.
Piuttosto distratto,
non si accorse delle presenze che lo pedinavano. Quando
percepì qualcosa di
strano, non fece in tempo a reagire. Intontito dal gelo e preso alla
sprovvista, ringhiò e finì a terra. Assalito da
tre diversi demoni, sentì la
gamba sinistra bruciare.
Reagì
e
colpì uno di essi, uccidendolo all'istante. Il cadavere si
dissolse in polvere
nera ed il principe tentò di distruggere un altro assalitore.
“Come
osate attaccarmi?” ringhiò, ammazzando il secondo
demone.
Il
terzo,
l'ultimo rimasto, iniziò a correre verso la foresta. Keros,
per nulla
desideroso di passare troppo tempo nella neve, si accigliò.
Era molto più
veloce del proprio avversario e lo immobilizzò a terra
facilmente.
“Chi
sei?” esclamò, non nascondendo la furia che
provava.
“A
morte”
ansimò il demone “A morte la famiglia reale".
“Stai
farneticando. Come ti permetti?!”.
“Ci
avete
esiliati! Abbiamo perso una guerra, è vero, ma il nostro
odio non morirà mai.
Belzebù re!”.
A
quelle
parole, Keros provò ancora più rabbia e
fracassò il cranio del suo avversario.
Ripensare a quella guerra, e solo il sentir pronunciare il nome di
Belzebù, lo
faceva bruciare d'ira.
Una
volta
che del suo avversario non fu rimasto altro che polvere al vento, il
mezzodemone si rialzò. Ansimò, provando un forte
dolore alla gamba. Si accorse
di sanguinare copiosamente e la cosa lo infastidì. Non
andava affatto bene! Si
trovava in mezzo al gelo, indebolito dal freddo e dalla battaglia.
Inoltre, ne
era certo, qualcosa di strano aveva iniziato a circolare nel suo
sangue. Guardò
la ferita. Probabilmente gli era stato inoculato un sonnifero o una
droga,
perché i sensi gli si appannavano sempre più. Si
sforzò di rimanere sveglio,
tentando di trovare le energie necessarie per aprire il portale e
tornare a
casa.
Tremava.
Si udì un forte boato. Keros trasalì, capendo
subito che si trattava di un
colpo d’arma da fuoco. Poi ne udì un altro,
accompagnato da un grido. Il
principe cadde a terra, nel tentativo ultimo di fuggire, ma una figura
si
avvicinava rapida.
“Chi
è
là?” tuonò una voce
“Andatevene!”.
Nella
neve, il principe gemette. Con il cappuccio calato sulla testa e la
nevicata
sempre più fitta, faticò a capire.
“Cazzo!”
udì poi, ed una mano calda lo sfiorò
“Ti ho colpito io?”.
Keros
scosse il capo.
“Chiamo
un'ambulanza!” di nuovo la voce.
Keros
scosse il capo di nuovo, con più convinzione. Sarebbe stato
un vero disastro!
“Ok… Allora
ti porto dentro. Tranquillo. Ci penso io. Come ti chiami? Da dove
vieni?”.
Il
principe, con la mente sempre più confusa, non rispose.
Aveva paura, lo doveva
ammettere, ma non aveva energie per reagire. Si sentì
sollevare e quasi subito
perse i sensi.
Riaprì
gli occhi e la prima cosa che vide fu il camino acceso. Il tepore lo
fece
subito stare meglio. Poi avvertì un vago senso di
stordimento e dolore, cosi si
alzò a sedere e verificò la situazione. La gamba
era fasciata, sotto la veste
stracciata. Tentò di riordinare le idee e
trasalì, notando una presenza.
L'umano, il padrone di casa, era seduto su una poltrona non molto
distante dal
divano dove Keros si era risvegliato. Con sommo sollievo del principe,
egli
stava dormendo. Che cosa aveva visto esattamente quel mortale?
Preferì
scoprirlo in un secondo momento, decidendo di rientrare agli inferi.
Rimase
tranquillo nei propri alloggi per qualche giorno, pensando al da farsi.
Nel
frattempo aveva dato modo alla ferita di rimarginarsi. Non era grave,
per nulla
profonda, ma la sostanza che tramite essa era entrata in circolo nel
sangue del
principe ci aveva messo un po' a svanire. Non appena si
sentì meglio, decise
che l'unica cosa da fare era presentarsi dall’umano e
verificare quanto avesse
visto e compreso. In abiti da mortale, ben coperto da un lungo cappotto
nero ed
una sciarpa, aprì il portale nel bosco e camminò
fino all'ingresso della casa.
Capendo che era inevitabile che l’uomo avesse visto i capelli
color ciliegia,
non li mascherò o modificò con i poteri,
mantenendoli inalterati. Sperando che
per il mortale non fosse qualcosa di troppo strano…
“Non
sai
che gioia sia per me rivederti!” furono le prime parole che
il padrone di casa
pronunciò.
Keros
lo
fissò perplesso, dopo aver ottenuto il permesso di entrare.
“Credevo
di essere impazzito" continuò il mortale “Di
essermi sognato tutto. E
invece… Meno male! Sono ancora sano di mente! Posso offrirti
del tè? Caffè?”.
“Tè,
grazie…”.
“Siediti.
Accomodati. Mi scuso ancora per averti spaventato l'altra notte.
Pensavo
fossero i soliti bracconieri. Non sai quanti ne scaccio da queste
parti. Mi
hanno ucciso due cani, scambiandoli per chissà quali animali
selvatici. Invece
stavolta c’eri tu…”.
“Mi
hai
salvato la vita. Sono qui per ringraziarti.
Però…” interruppe il principe,
mentre il mortale girava da una parte all'altra della cucina
“…ho la memoria
confusa. Puoi raccontarmi quel che è successo
esattamente?”.
“Oh… Ma
certo. Ecco il tuo tè. Non è un
granché, mi sa. Non ricevo molti
ospiti…”.
Keros
non
commentò, ma in effetti era decisamente disgustoso. Attese
con pazienza di
scoprire cosa avesse visto l'umano, osservandolo. Aveva un bello
sguardo, che
pareva familiare. Tendeva verso il verde e brillava, a volte. Cosa
singolare,
per un mortale. Ma doveva essere anche per quello che era definito
“possessore
di un'anima finale".
“Dunque…”
iniziò a raccontare l'uomo “In realtà,
non ho molto da dire. Stavo dormendo, ho
sentito dei rumori e delle grida. Pensavo fossero cacciatori di frodo o
ladri e
sono uscito con il fucile. Ho sparato un paio di volte in aria ed ho
notato del
sangue in terra. L'ho seguito, convinto si trattasse di un animale
ferito, e
invece ho trovato te. Ti ho portato in casa e fasciato la gamba. Dato
che eri
gelato, ho accesso il camino ed atteso il tuo risveglio.
Malauguratamente mi
sono addormentato sulla poltrona ed al mio risveglio ero solo in
casa”.
“Perché
lo hai fatto?” volle sapere Keros, sospettando secondi fini
da parte di un
umano che aveva capito con chi aveva a che fare.
“Cosa?”.
“Perché
mi hai aiutato? Non mi conosci".
“Tu
aiuti
solo le persone che conosci?”.
“No… ma… Chi
ti dice che io non sia un ladro? O un assassino? O
vattelapesca?”.
“Preferisco
correre il rischio, piuttosto che lasciar soffrire qualcuno".
“Oh… E
non
c'erano altre persone con me?”.
“Suppongo
ci fossero, qualcuno deve averti ferito. Ma io non le ho
viste”.
Keros
sorrise. Era una buona notizia: l'umano non aveva visto gli altri
demoni.
“Ed
hai
notato qualcosa di strano?” domandò ancora il
sanguemisto.
“Strano
in che senso?”.
“Non
saprei… Dimmelo tu. Io non ricordo…”.
“Direi
nulla di particolare. Mi ‘spiace… Non sono molto
d'aiuto…”.
“Va
bene
così…”.
“Poi,
certo… Escludo il fatto che eri vestito in maniera un pochino
pittoresca. Ma
deduco, dal tuo accento, che tu sia straniero. Andavi forse a qualche
fiera?”.
“Fiera?
Intendi stile fenomeno da baraccone?” si infastidì
leggermente Keros.
“No.
Cose
simili non credo esistano più. Intendevo fiera cosplay o
simili. Chiedevo anche
per la tinta dei capelli…”.
“Tinta…?”.
“Hanno
un
colore bellissimo. E non ha stinto nella neve.
Però…”.
“Non
è
una tinta. È il mio colore naturale. E ti ringrazio per
trovarlo
bellissimo".
L'umano
rise e Keros arricciò il naso, ulteriormente infastidito.
“È
il mio
vero colore!” ribadì poi, senza che il mortale gli
credesse.
“Va
bene…” ridacchiò il mortale.
“Ora
meglio che vada" si alzò il mezzodemone, trovando irritante
quell'essere.
“No… Aspetta!
Posso chiederti un favore?”.
“Mi
hai
salvato la vita. Chiedi pure…”.
“Io
vivo
qui da solo. Come avrai notato, la casa è vuota ed in mezzo
al nulla. Secondo
me non è un caso che tu sia passato da queste parti. Hai
bisogno di un posto
dove stare?”.
“No.
Ho
una casa. Più grande e decisamente meno gelida di
questa…”.
“Capisco…”.
“Come
mai
vivi solo? Non hai una moglie? Una fidanzata?”.
“Ero
sposato. Ma abbiamo divorziato…”.
“Mi
‘spiace…”.
“Da
quando è andata via, la mia vita è molto
più solitaria e monotona. Raramente mi
capita di parlare con qualcuno, di ricevere visite. Se non ti dispiace,
ti
andrebbe di essere tu la mia visita?”.
“Cioè?”.
“Il
favore che ti chiedo è questo: vienimi a trovare. Ogni
tanto. Prometto di
procurarmi un tè decente".
“Fammi
capire… Sono un perfetto sconosciuto e mi chiedi di venirti a
trovare?”.
“Sì.
Non
so perché. Mi piace parlare con te,
suppongo…”.
Keros
annuì. Dovevano essere i poteri demoniaci a portare il
mortale a simili
desideri.
“Verrò”
informò il principe “Se è questo che
vuoi…”.
“Ti
aspetterò”.
Keros
fece
per andarsene, uscendo di casa fra la neve.
“Posso
sapere il tuo nome?” parlò ancora l'umano.
“Chiamami
come vuoi…” alzò le spalle il principe.
“Io
sono
Ary. Cioè… Puoi chiamarmi Ary. Il mio nome
è molto più lungo e noioso…”.
“Me
lo
racconterai quando ci rivediamo, Ary".
Il
mortale finalmente rientrò in casa ed il mezzodemone si
allontanò in fretta.
Faceva troppo freddo per i suoi gusti! Sorrise, soddisfatto. Ottenere
quell'anima sarebbe stato molto più semplice del previsto!
Era un umano solo,
facilmente tentabile. Era caduto in trappola da solo! A quel pensiero,
Keros
ridacchiò sotto i baffi e tornò a casa.
Primo
capitolo di Giugno per voi!!
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Capitolo 36 *** Spiazzato ***
36
Spiazzato
Il
secondo incontro fra Keros e l'anima speciale era avvenuto pochi giorni
dopo,
come concordato. Il principe non aveva alcuna intenzione di passare
troppo
tempo con quell'umano, che trovava lievemente irritante.
Perciò aveva preferito
attendere qualche giorno e presentarsi più rilassato
possibile. Spuntando dalla
foresta, trovò l'uomo intento a portare della legna in casa.
Avvolto in sciarpa
e cappotto, il sanguemisto lo fissò qualche istante e poi
proseguì verso
l'ingresso. Subito oltre la porta, il tepore del camino acceso lo fece
sorridere soddisfatto.
“La
temperatura è di tuo gradimento?”
domandò l'umano, rientrando.
“Decisamente…”.
“Ottimo!”.
Keros
sorrise, raggiungendo il salotto ed osservando il fuoco.
Abbassò la sciarpa,
scoprendo il viso, e rimanendo in silenzio. Si stupì quando
vide comparire il
mortale con solo le maniche corte.
“Io
sono
abituato al freddo" parve intuire l'uomo, che mostrava forti braccia da
taglialegna.
“E
surriscaldi casa tua… Per me?”.
“Gli
ospiti sono ospiti. O no?”.
Ary
sorrise e Keros rimase spiazzato. Che strano umano aveva di
fronte…
“Ho
portato il tè” cambiò argomento,
mostrando un pacchetto che aveva nella tasca
del cappotto.
“Perfetto!
Ed io ho preso dei dolci".
Si
accomodarono al tavolo della cucina ed iniziarono a discutere del
più e del
meno.
“Posso
chiamarti Kerasi?” chiese il mortale “Significa
ciliegia in greco".
“Lo
so…”
mormorò Keros, spiazzato per la seconda volta per via della
somiglianza con il
proprio vero nome.
“Io… Mi
chiamo Aristoteles. Ti supplico, chiamami Ary!”.
“Aristoteles?!
Ma che…”.
“Nome
è?
E pensa che sono stato fortunato. Altri bambini hanno ricevuto nomi ben
peggiori all'orfanotrofio".
“Sei
orfano?”.
“Già…”.
Il
principe annuì, comprendendo in parte il perché
di tanta solitudine. Sorseggiò
un po' di tè e rubò qualche biscotto in
più. Resisteva a tutto tranne ai dolci…
“Io
non
ho mai conosciuto mia madre" parlò poi, cercando in ogni
modo di entrare
in sintonia con la propria anima finale.
“E
tuo
padre?”.
“Mio
padre… Possiamo dire che sia complicata la
faccenda…”.
“Sa
che
esisti?”.
“Sì.
Ma
si limita ad osservare il tutto dall'alto. Mi ha
cresciuto… mio zio".
“Io
ho
sempre voluto sapere qualcosa sulla mia vera famiglia. Ma non ho mai
scoperto
alcunché. Le suore, coloro che mi hanno allevato
all'orfanotrofio, non sapevano
nulla”.
“Dalle
suore? Cattoliche?”.
“Esatto.
Le maniache della preghierina continua e dalla citazione biblica
facile”.
“Mi
pare
di intuire un certo disappunto".
“Hai
ragione. Ed ora dirò una cosa che a molti dà
fastidio: io non credo in
Dio".
“Ah… Sei
uno di quelli…”.
“In
che
senso?”.
“Nulla!”
si affrettò ad aggiungere Keros.
Il
mezzodemone iniziava a capire qualche cosa in più. Gli atei
erano complicati.
Le anime, al momento della morte, seguivano i desideri di chi le
ospitava.
Un'anima, in un corpo non credente, era destinata a dissolversi. E lui
necessitava un'anima intera, per poter passare l'esame finale.
“Tu
sei
un credente, Kerasi?” parlò l'uomo.
“In
un
modo leggermente singolare… ma non amo molto Dio.
Insomma… Non mi vedrai mai con
il rosario in mano e cose simili".
“Bene… Non
volevo offenderti con discorsi contro il divino”.
“Fanne
quanti ne vuoi. Bestemmia e fa quel che ti pare. Non sono io Dio,
perché dovrei
offendermi?”.
“Non
riesco proprio a credere. Ci ho provato… Ma sono cresciuto
fra altri orfani!
Ogni giorno pregavamo per qualcosa di semplice: una famiglia. Volevamo
l'amore.
Non soldi, fama o altro. Solo l'amore di una famiglia. Che razza di Dio
permette a tanti bambini di soffrire? O che razza di Dio permette
guerre,
carestie, malattie…”.
“Che
razza di Dio uccide innocenti?”.
“Vedo
che
comprendi. Preferisco pensare che non esista, piuttosto che credere che
sia uno
stronzo. Mi fa piacere non sembrare un pazzo. Ma ora cambiamo
argomento. Il tuo
vero nome non vuoi dirmelo. C'è qualcosa che posso sapere?
Da dove vieni?
Quanti anni hai? Che fai nella vita?”.
“Palami
prima di te…” ghignò Keros
“Che fai per poterti permettere una casa come
questa?”.
“Sono
un
ricercatore universitario”.
“Non
mi
risulta che sia una professione molto remunerata…”.
“No,
infatti. Questa casa l'ho fatta costruire con i soldi ottenuti con le
vendite
del mio libro”.
“Scrivi?”.
“Scrivevo.
Ultimamente non ho molte idee”.
“Che
genere di libri?”.
“Fantasy".
“Fate
e
gnomi?”.
“Angeli
e
demoni".
Keros
si
lasciò sfuggire una risatina.
“Sì… In
molti ridono" ammise l'umano.
“Sai
perché rido io?”.
“Perché
il fantasy viene giudicato per bambini…”.
“No.
Io
rido perché sei ateo. Non credi in Dio ma credi in angeli e
demoni?”.
“Non
credo esistano. Anche se sarebbe interessante".
“Perché
proprio angeli e demoni?”.
“Mi
affascinano come figura. In particolare i demoni. L'autodeterminazione,
la
ribellione, la voglia di conoscenza, cambiamento…”.
“Capisco…”.
“Già… È
divertente che uno come me lo dica, vero? Intendo dire… Vivo
qui solo, esco
pochissimo, non riesco a lasciarmi alle spalle il
passato…”.
“Anche
i
demoni hanno qualche problema con il passato…”.
“Ho
voluto io una casa isolata, per potermi concentrare. Mia moglie non era
convinta, di fatti è andata via appena ha potuto. Ed ecco
che mi ritrovo in
mezzo al niente senza alcuna voglia di uscire. Esco solo se non posso
farne a
meno e sono felice di rintanarmi qui…”.
“Sei
un
solitario”.
“Sono
un
disastro…”.
“Un
disastro?”.
Keros
mormorò l'ultima frase, sorseggiando ancora un po' di
tè. L'umano rimase in
silenzio ed il principe notò come il sorriso del mortale
fosse in realtà
solamente una maschera.
“Ognuno
commette errori…” parlò il mezzodemone
“…e magari ora ti sembra di essere su un
vicolo cieco. Ma le strade nella vita sono tante. Basta capire quale
imboccare,
e poi si può sempre cambiare…”.
“Grazie.
Ma…”.
“Hai
un
cuore buono”.
“Come
lo
sai?”.
“Lo
so. E
ti mostrerò altre strade fra cui scegliere, se vorrai
seguirle…”.
L'umano
non rispose subito.
“Potrei
avere una copia del tuo libro?” chiese Keros, sorridendo
“Mi hai incuriosito. E
lo leggerò volentieri, prima di tornare a trovarti".
“Tornerai?”.
“Fra
qualche giorno. E prometto che ti racconterò qualcosa su di
me. Ci stai?”.
“Certo!”.
Il
sorriso di Ary era sincero, lievemente ammaliato dal potere del
principe. In
quel momento, avrebbe acconsentito a qualsiasi richiesta!
Keros
bussò alla porta dell'ufficio del re, qualche giorno
più tardi. Lo trovò
intento a giocherellare con il computer, con lo sguardo perso di chi
dovrebbe
lavorare ed invece bighellona allegramente.
“Posso
parlarti?” domandò il principe.
“Parla
pure. Tutto bene?” rispose il re, con la sigaretta di sbieco
in bocca.
Ridacchiò, osservando lo schermo.
“Mi
ascolti?” sbottò Keros.
“Ti
ascolto. So fare due cose insieme, ragazzo…”.
“Dai
un'occhiata a questo libro, per favore?”.
“Che
roba
è?”.
“Un
libro
scritto dall'umano che possiede la mia anima finale".
“Uno
scrittore? Di che scrive?”.
“Angeli
e
demoni”.
“Ma
che
carino…”.
“Leggi".
“Keros…non
ho voglia di perdere tempo con le solite storielline da umani.
Io…”.
“Leggi!”.
“E
va
bene…”.
Lucifero
sospirò. Prese fra le mani il libro rilegato e lesse il
punto che indicava il
principe. Parlava di Asmodeo e lo descriveva.
“Come
ti
sembra?” domandò il sanguemisto.
“Una
descrizione decisamente accurata…”.
“Sono
tutte così. Perfette. Leggi quella di Lilith. E Azazel. E
Astaroth. Sembra li
conosca tutti di persona".
“Alquanto
bizzarro…”.
“Alquanto
impossibile. Qualche altro demone ha tentato, prima di me, di ottenere
quell'anima? O ha vissuto da quelle parti, svelando certi
dettagli?”.
“Se
fosse, sarebbe da frustate sulle palle. Troppi dettagli personali. Ci
complica
il lavoro!”.
“Che
faccio adesso? Nel libro non ci sono,
però…”.
“Chiederò
agli archivisti di fare una ricerca al riguardo, ma potrebbe volerci
moltissimo
tempo. Lo sai che hanno sempre molto lavoro.
Potrebbe aver incontrato un demone da piccolo o
chissà dove. Sai se ha
viaggiato molto questo umano?”.
“Non
saprei…”.
“Posso
essere sincero? Io ti consiglierei di lasciar perdere. È
troppo rischioso.
Conosce troppi dettagli. Rischi di farti imprigionare, esorcizzare o
peggio…”.
“Non
intendo rinunciare alla mia anima finale! Fai muovere il culo agli
archivisti!
Nel frattempo… Cercherò di scoprire il
più possibile da lui".
“Keros…”.
“Sarò
prudente. Te lo prometto. Ma devo scoprire la verità. Non
conviene anche
all'intero regno sapere come certe descrizioni siano nate? Potrei
capirne un
paio fatte bene, ma tutte…”.
“Va
bene… Cerca di scoprire la verità. Però
sii prudente. E non esitare a chiedere
aiuto, intesi?”.
“Intesi…”.
“Salvo
questo, come ti sembra l'umano? E l'anima?”.
“Mi
sembra il solito stupido umano piagnone. Niente di
che…”.
“Attento.
Gli umani sono cambiati”.
“Lo
so. Ma
sono rimasti comunque stupidi. Questo è ateo. Ma
avrò la sua anima, te lo
assicuro".
“Faccio
tifo per te. Però rinnovo il mio invito ad essere prudente".
Keros
annuì. Ora moriva dalla voglia di rivedere l'umano. Ma
doveva attendere fino al
giorno successivo...
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Capitolo 37 *** Demoni e umani ***
37
Demoni
e
umani
“Come
sei
cresciuto…” furono le parole, improvvise di
Lucifero.
Keros
rispose con un mugugno interrogativo. Stavano cenando assieme, cosa che
non
accadeva da moltissimo tempo. Su richiesta del principe, si tentava di
renderla
una consuetudine. Da quando aveva iniziato la propria avventura per
l’ottenimento dell'anima finale, al sanguemisto era risultato
molto utile
scambiare pareri e dubbi con il re.
“Gli
ultimi secoli sono stati impegnativi…”
sospirò il sovrano “…da tempo non
riuscivamo a concederci una cena in pace. Fra il lavoro e le guerre, la
testa
era sempre altrove".
“Ti
trovo
meglio, però” mormorò Keros
“Intendo... Non hai l'aria stravolta e consumata che
hai avuto dopo… lo sai…”.
“Dopo
la
morte di Sophia? Già… Il tempo passa. Anche per
te. Quanti anni hai adesso?”.
“Ne
compio mille e trecento a fine anno".
“Davvero?
Caspita… Toccherà festeggiare”.
“Ci
penserò per quella volta. Ho ancora tempo".
“Ormai
sei un adulto. Tra poco avrai pure la tua anima finale e diverrai un
maestro.
Sembra ieri che giocavi con la mia coda…”.
“Se
vuoi
ci gioco ancora".
I
due
sorrisero, sorseggiando del vino. Quella sala era rimasta invariata nei
millenni, illuminata dalle candele ed abbellita da quadri ed arazzi.
Come
sempre, il cibo era squisito ed entrambi si godevano il pasto con
soddisfazione.
“Rimanendo
in tema di anima finale…” riprese Lucifero
“…gli archivisti hanno rilevato la
presenza di disertori vicino alla zona dove dimora il
mortale”.
Il
principe annuì. Dovevano essere quelli che aveva ucciso la
prima sera. Non
aveva parlato dell'attacco con il re e nemmeno del salvataggio da parte
del
mortale. E non aveva alcuna intenzione di farlo.
“Dici
possano aver in qualche modo parlato con l'umano?” chiese
l'erede “Avergli
fornito le informazioni che poi ha riportato sul libro?”.
“Non
lo
so. Ma ho lasciato disposizioni affinché vengano scorticati"
ringhiò il
re.
“Ci
ho
già pensato io".
“Oh… Buono
a sapersi. A questo punto, che pensi di fare?”
“Parlerò
con l'umano. Con i miei poteri, dovrà dirmi la
verità!”.
“Attento.
Lo sai… gli umani…”.
“Gli
umani sono diversi. Lo so. Me lo hai già detto! Non sono
più un bambino, saprò
giudicare la situazione".
“Faccio
il tifo per te…”.
Bevvero
altro vino. Keros osservò il re. Era sempre impeccabile, in
abito broccato di
velluto nero. Nonostante qualche capello bianco, non era per nulla
diverso dal
ritratto appeso alla parete.
“Hai
qualche nuova donna?” domandò il sanguemisto
“Ti vedo più tranquillo”.
“No,
direi di no. È che con la tecnologia faccio meno fatica a
gestire questo
posto".
“Oh… Capisco…”.
“E
tu?
Non sarebbe ora che ti facessi qualche nuova compagnia? Hai bisogno di
rilassarti. Tu e Lilien non fate che litigare…”.
“In
effetti…”.
Il
giovane ci aveva pensato, una di quelle sere. Solo, nella propria
stanza, si
era chiesto cosa si provasse ad addormentarsi accanto a qualcuno che si
rivedrà
poi la mattina successiva.
“Pensavo
di chiedere a Lilith. Lei conosce molte ragazze…”
ammise “…appena avrò ottenuto
la mia anima finale, pensavo di trovarmi un pochino di compagnia non
troppo
litigiosa”
“Concubine?
O concubini?”.
“Chiamiamoli
così…”
“Ottima
idea! E magari
chissà… Qualcuno riuscirà
a rapirti il cuore”.
“Ma
anche
no, grazie”.
“Perché?!”.
“Ne
abbiamo già parlato".
“Ok.
Ho
capito… Mi accontento. Lo sai che io voglio solo la tua
felicità. Ed ora
godiamoci il dolce e poi fila a dormire. Domani ti aspetta una lunga
giornata
dal mortale…”.
“Sì,
mammina" lo derise il principe.
“E
ricordati che Mefistofele ti ha invitato in quel suo nuovo locale"
“Vero…”.
Quasi
lo
aveva dimenticato. Il suo maestro aveva aperto un locale, non troppo
lontano
dalla dimora dell'umano. Keros si era ripromesso di passarlo a trovare.
Era
curioso di vedete come uno dei tentatori più famosi
ottenesse le anime nel
ventunesimo secolo…
Il
principe tornò dall'umano dopo quattro giorni. Si era preso
un po'di tempo per
terminare la lettura del libro ed indagare ancora su possibili demoni
nei
paraggi. Non aveva trovato notizie di presenze infernali recenti in
zona, se
non qualche esiliato. Felice per la momentanea comparsa del sole, anche
se
ormai al tramonto, sorrise e bussò alla porta. Gli stivali
affondavano nella
neve all'ingresso, segno che l'umano non aveva messo piede fuori
dall’uscio da
dopo la nevicata. Passò del tempo, prima che il padrone di
casa si degnasse di
aprire. Una volta dentro, Keros rabbrividì.
“Ti
aspettavo due giorni fa" commentò l'uomo, con un tono di
voce neutro ed
annoiato “Il camino è spento".
“Posso
accenderlo io?” si offrì il mezzodemone, tremando
leggermente.
“Come
vuoi…”.
Il
tentatore si diresse svelto in salotto. Approfittando dell'assenza
dell'umano,
rimasto in cucina, richiamò il fuoco fra le mani e subito ci
fu una bella
fiamma accesa e scoppiettante.
“Hai
fatto presto…” si sentì dire.
“Sono
abbastanza esperto...”.
In
cucina, il mortale stava preparando il tè.
“Che
succede?” domandò Keros “La casa
è buia, fredda. È come se fossi rimasto seduto
immobile per quattro giorni".
“Solo
per
due…” ammise l'uomo.
“Come…?”.
“Sono
rimasto a letto per due giorni. Mi sono alzato solo per venirti ad
aprire".
“Sei
malato? Hai la febbre?”.
“No…”.
Keros
si
guardò ancora attorno e poi fissò l'umano.
Notò il suo sguardo, sfuggente e
spento. Anche l'anima brillava fievolmente.
“Sei
in
cura da qualcuno?” parlò il sanguemisto, facendosi
serio “Hai qualcuno che ti
segue?”.
“No… è
solo un periodo. Passerà”.
“Periodo
che dura da quanto?”.
“Non
lo
so…”.
Il
principe si avvicinò, aiutandolo a preparare il
tè. Aveva vissuto abbastanza
tempo accanto ad un depresso, sapeva riconoscerne i segnali.
“Perdonami
per non essere venuto due giorni fa" mormorò
“Cercherò di non
rifarlo".
“Non
sei
obbligato a venire".
“Sì,
invece. Me lo hai chiesto tu… Ed io sono in debito con te".
“Ma
che
dici…”.
“Senti… Ormai
è tardi per il tè, no? Che dici se andiamo a cena
in città? Così esci. Io non
conosco bene il posto… Fammi da Cicerone. Mi farebbe piacere".
“Non
ho
molta voglia di uscire…”.
“Mettiamola
così: io sto morendo di fame ed in casa hai solo del
tè!”.
“Giusto…”.
Il
giro
in centro fu molto interessante. Keros non era abituato alle
città morderne,
con tutte le luci ed il caos. Il traffico, la musica dei locali, la
folla… Già
il tragitto in macchina lo aveva un po' messo a disagio. Il mortale lo
aveva
accompagnato fino ad un ristorante poco distante
dall'università.
“Qui
è
dove lavori?” domandò il sanguemisto, indicando
l'imponente edificio.
“Sì”
rispose l'umano “Anche se faccio quasi tutto da casa. In
questo periodo sto
traducendo un testo antico. Sono un assistente, faccio quello che mi
viene
chiesto…”.
“E
ti sta
bene così?”.
“Perché
no? Mi piacerebbe insegnare, un giorno. Ma prima devo fare la
gavetta…”.
“Ma
perdonami… Quanti anni hai?”.
L'umano,
seduto al tavolo e con il menù davanti agli occhi,
abbozzò un sorriso.
“E
tu?”
rispose “Mi avevi detto che mi avresti raccontato qualcosa di
te".
“Vero…”.
“Ebbene...?”.
“Dunque… Posso
dirti che sono nato a Costantinopoli”.
“Istanbul?”.
“Chiamala
pure Bisanzio, se ti piace di più. Il concetto non cambia".
“Quindi
sei turco? Interessante. E come mai ti trovi da queste
parti?”.
“Affari…”.
“Che
genere di affari?”.
“Di
vario
tipo. Posso farti io una domanda?”.
“Ho
trentadue anni".
“Oh… Bene… ma
ora mi preme sapere un'altra cosa".
L'uomo
attese qualche istante. Sorseggiò il vino che aveva appena
ordinato, in attesa
dell'antipasto.
“Chiedi
pure" disse poi, poco convinto.
“Ho
letto
il tuo libro" iniziò il sanguemisto “L'ho trovato
molto interessante.
Volevo sapere una cosa: da dove hai preso l'ispirazione per i
personaggi? Non
so… Sono tuoi amici? Qualche tuo conoscente ti ha dato degli
spunti? Te li sei
sognati di notte?”
“Che
domanda strana… Non saprei risponderti, sinceramente.
Perché? Sono troppo
strani?”.
“Al
contrario. Sono fin troppo familiari".
“Capisco.
Non saprei. Semplicemente me li immagino così”.
“Nessuno
ti ha aiutato?”.
“No.
Ho
fatto tutto da solo".
“Sei
sicuro?”.
“Ma
sì!
Lo so che sono diversi dal solito. Tutti mi hanno fatto notare che
Lucifero
dovrebbe essere più spaventoso, magari rosso e con le gambe
da capra. Ma…”.
“Non
l'ho
mai capita la faccenda della capra…”.
“Nemmeno
io”.
Gli
antipasti erano arrivati ed i due iniziarono la cena. Keros non amava
molto il
cibo umano solitamente ma era così affamato che avrebbe
mangiato qualsiasi
cosa. Un bambino correva fra i tavoli ed il principe lo
fissò con fastidio.
“Non
ami
molto i bambini, vero?” ridacchiò il mortale.
“Se
rompono le palle no, non li amo. Tu?”.
“A
me
piacciono. Ho sempre voluto essere padre".
“Hai
un
sacco di tempo per diventarlo".
“Io
non
posso avere figli. È il motivo per cui ho divorziato da mia
moglie".
“Sul
serio?! Per una cosa del genere?! Ma esistono le adozioni. E tu, da
orfano,
dovresti saperlo".
“Lo
so.
Ma lei era ossessionata ed alla fine ci siamo resi conto che era
diventato
tutto troppo difficile. Eravamo sempre tesi, arrabbiati. Io mi sentivo
inadeguato, lei cercava di fingere che non fosse così. Si
era rotto qualcosa,
capisci?”.
“No.
Ma
non sono affari miei. Non sono un grande esperto d’amore e
dintorni".
“Sei
giovane. Quanti anni hai? Venti?”.
“Un
po'
di più… ma grazie per vedermi più
piccolo".
Keros
si
stava godendo il primo, assieme al vino. In proporzione, lui aveva
l'equivalente di ventiquattro anni umani, perciò sentirsene
dare di meno lo
fece sorridere. Si guardò attorno, osservando il locale e
gli altri umani
presenti. Era una bella serata, non avrebbe mai pensato di dirlo.
Sulla
via
del ritorno, il principe trovò piacevole il rivedere le
stelle in cielo. In
centro era impossibile, mentre in montagna, dove viveva
l’umano, erano ben
visibili e splendide.
“Farà
freddo questa notte…” commentò il
mortale, fermandosi davanti all'ingresso.
“Già… Ma
qui fa sempre freddo" mormorò Keros, affondando la faccia
nella sciarpa.
“Vieni
davanti al fuoco?”.
“Solo
un
altro po'. Devo discutere di una cosa con te".
“Davvero?”.
Il
sanguemisto annuì. Entrò in casa, raggiungendo il
salotto con il camino e
rimanendo immobile a fissare la fiamma. Era indeciso sul da farsi.
“Di
che
vuoi discutere?” chiese il mortale.
Keros
si
voltò ed il suo sguardo si illuminò leggermente.
Doveva scoprire la verità.
“Parlami
dei personaggi del tuo libro” cantilenò, in modo
ipnotico “Chi te ne ha
parlato? Chi te li ha descritti?”.
“Nessuno.
E… perché fai così? Sei
strano…”.
“Non
mentirmi!”.
“Non
sto
mentendo. Sono interamente frutto della mia immaginazione. Se non
è così, se
per sbaglio ho copiato qualcuno, chiedo scusa".
“Nessuno
te ne ha parlato? Nessuno ti ha dato l'idea? Non mentirmi”.
“Nessuno.
Te lo giuro. Non sto mentendo. Ma perché? Perché
lo chiedi?”.
Il
principe sospirò. Doveva decisamente cambiare atteggiamento
con quel mortale.
Doveva provare una via diversa, un diverso approccio.
“Perché
lo chiedi?” insistette l'umano.
“Perché
io sono un demone" ammise Keros “E conosco tutti i personaggi
del tuo
libro…”.
Ultimamente
aggiorno con un pochino più di
frequenza, con capitolini brevi ma “intensi”. A
PRESTO!
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Capitolo 38 *** Tentatori del nuovo millennio ***
38
Tentatori
del nuovo millennio
“Io
sono
un demone" aveva ammesso Keros.
Non
era
una cosa rara rivelare di essere demoni, in caso di evocazione da parte
di un
umano. Ma in quel caso non vi era stata alcuna evocazione. Qualcosa gli
diceva
che però era quello l'approccio giusto.
Il
mortale rimase in silenzio qualche istante e poi scoppiò a
ridere.
“È
uno
scherzo?” rise.
“No"
confermò il principe, rimanendo calmo.
“Come
no…”.
L'umano
ridacchiò ancora.
“Perché
dovrei inventarmi una cosa simile?” incrociò le
braccia Keros.
“Non
ne
ho idea. Forse hai bevuto troppo a cena".
“Che
devo
fare per dimostrarti che dico la verità?”.
“Non
lo
so. Non so cosa facciano i demoni!”.
Il
sanguemisto era perplesso. Non sapeva bene come agire. Non voleva
spaventare
l'umano con corna e tratti spiccatamente diabolici. Storse il naso,
riflettendo. Poi scostò un ciuffo di capelli, mostrando le
orecchie a punta.
“Carine”
annuì l'uomo “Chi te le ha fatte? Sono
vere?”.
“Non
me
le ha fatte nessuno! Sono mie! Sono nato così!”.
Il
mortale allungò una mano e le toccò, con molta
poca delicatezza. Keros
protestò, scostando la testa.
“Sono
fatte bene. Avevo sentito parlare di questa moda".
“Moda?!”.
“Sì.
Di
farsi fare le orecchie a punta dal chirurgo. O i denti da vampiro. Cose
strane.
Ma se a uno piace così…”.
“Ma
guarda che…”.
“Sì,
sì.
Sono vere. Sono tue. Ok. Fai giochi di ruolo?”
“Solo
a
letto. Che ha a che fare con le mie orecchie?!”.
L'umano
rise ancora. Il principe allora decise che era inutile continuare a
discutere.
Meglio lasciar perdere, per quella sera. Preferì congedarsi
ed andarsene,
lasciando al mortale la notte per dormire.
Non
avendo molto sonno, e sentendosi lievemente punto nell'orgoglio, Keros
decise
di passare per il locale di Mefistofele. Dall'esterno, con un'insegna
al neon
rossa come il sangue, non era diverso da un qualsiasi locale umano con
ballerine poco vestite ed alcol. Si chiamava
“Mephistofel”. Il buttafuori
all'ingresso lo riconobbe subito e lo lasciò entrare, con un
mezzo inchino. Il
mezzodemone non amava molto la musica alta, lo infastidiva parecchio.
Si fece
strada fra mortali ubriachi, tavolini circolari e luci soffuse, fino a
raggiungere il bancone. Chiese del titolare e, dopo solo qualche
istante,
Mefistofele comparve con un gran sorriso stampato sul volto. In quel
secolo
portava i capelli corti e vestiva come un umano, con jeans attillati e
camicia
lievemente aperta. Sembrava una rock star di bell'aspetto.
“Maestro…”
lo salutò Keros.
“Macché
maestro. Chiamami zio. O al massimo usa il mio nome. Non ho nulla da
insegnarti
ormai".
Il
demone
abbracciò il principe, ridendo. Fra le mani stringeva un
calice dalla forma
bizzarra. Batté una mano sul bancone ed ordinò al
barista di prepararne uno
uguale.
“Non
risparmiarti con gli ingredienti" puntualizzò
“È per mio nipote!”.
Keros,
ancora stretto in abbracci non desiderati, attese il drink e poi
seguì il
tentatore in una saletta privata.
“Questo
si chiama Shaytan” spiegò Mefistofele, indicando
il calice “È il drink della
casa. Per i demoni è un po' diverso rispetto alla versione
data dagli umani…”.
“Lo
immagino…” ghignò il principe,
trovandolo un po' forte.
“Sono
lieto che tu sia qui. Come procede con l'anima finale?”.
“Bene… Circa.
Insomma… La faccenda è lunga".
“Immagino.
Una volta era più facile. In gioventù ci
evocavano e facevano i coglioni.
Adesso questi campano cent'anni! Hanno un sacco di tempo per pentirsi.
Sempre
se non li spingi a…”.
“Non
sono
mai arrivato a quel punto".
“Non
ti è
mai servito. Ma ricorda: meglio rinunciare ad un'anima piuttosto che
rischiare
la pelle. Lo dico per te. Il re mi ha accennato ad un
libro…”.
“Sì.
Sto
indagando…”.
“Ottimo.
E ricorda che capita a tutti di perdere un'anima. Pazienza. Se ne
prende
un'altra!”.
“Questa
non la perderò. È la mia anima finale!
Piuttosto… Come funziona qui? C'è un
demone come buttafuori ed altri demoni nel
locale…”.
“Ho
assunto i buttafuori per pararmi il culo. Sai… In caso di
polizia e grane
simili. Qui circola roba non proprio legale. È un luogo dove
fornisco agli
umani quello che vogliono. E gli umani vogliono cose che li
danneggiano, come
la droga o l'alcol. O il sesso con sconosciuti occasionali".
“Quindi
è
una specie di locale per tentare la gente?”.
“Esatto.
Gli umani entrano, ottengono quello che vogliono ed escono. Ma poi
tornano.
Tornano sempre".
“Interessante.
E i baristi?”.
“Quelli
sono umani con regolare patto di sangue. Loro lavorano per me ed io in
cambio
gli do quel che desiderano. Fama, una casa grande, auto di lusso e via
discorrendo… Spero crepino giovani, così non hanno
il tempo di pentirsi per le
minchiate fatte".
“Mi
pare
un'impresa ben avviata. Quante anime hai ottenuto?”.
“In
media
faccio una decina di anime al mese”.
“Wow!
Ma
sono tantissime! E nessun angelo è venuto a dare
fastidio?”.
“Certo.
Ma è libero arbitrio. Nessun umano è costretto ad
entrare qui. Perciò non
possono farmi niente".
“Fantastico".
“Puoi
dirlo. Facciamo un brindisi? Ai tentatori del nuovo millennio".
“Ai
tentatori!”.
Risero,
bevendo ancora un po’.
“Magari
ti assumo, una volta che ottieni l'anima finale".
“Ci
penserò” ghignò Keros
“Potrebbe essere divertente”.
“Visto
che sei qui… Che ne dici di aiutare il mio
business?”.
“In
che
modo? Che vuoi che faccia?”.
“Esibisciti.
Sul palco. Fra i demoni presenti vi sono dei miei allievi, hanno
bisogno di
qualcuno che gli mostri come si fa. È un locale di
spogliarellisti, donnine
poco vestite e simili. Inoltre oggi ho un addio al nubilato fra il
pubblico.
Faresti un regalo alla futura sposa?”.
“Ma
più
che volentieri" ridacchiò il principe “Dammi solo
un abito adatto…”.
“Vieni
con me. Farai un figurone!”.
Mefistofele
sorrise orgoglioso quando vide Keros sul palco. Sembrava ieri quando
ancora
erano maestro ed allievo, ed il giovane principe provava vergogna per
il
proprio corpo ed aspetto. Ora, invece, era del tutto diverso. Il
sanguemisto si
muoveva con disinvoltura, con sul volto la sicurezza di chi sa di
possedere una
bellezza unica. Con un lieve scintillio negli occhi, Keros ammaliava
tutti i
presenti, convincendoli di avere di fronte la creatura più
bella dell'universo.
Con una dose minima di potere, riusciva a celare i tratti
più spiccatamente
demoniaci e divenire perfetto. Togliendo lentamente la camicia nera,
non mostrò
i tatuaggi ma una pelle abbronzata e pronta ad essere toccata da coloro
che
allungavano le mani verso il palco.
“Sei
tu
la festeggiata, dico bene?” mormorò il
mezzosangue, chinandosi sulla futura sposa
seduta in prima fila.
La
giovane annuì, arrossendo.
“Io
sono
il tuo regalo per te, stasera” continuò il
principe, facendo l'occhiolino.
Dopo
essersi divertito ancora un po' sul palco, Keros invitò la
futura sposa e le
sue amiche nel privé. Era molto elegante, con divani in
velluto nero e rosso,
un tavolo circolare lucido, luci soffuse ed una fragranza dolce
nell'aria. Fra
un drink ed un altro, le umane furono subito stordite. Ridendo, si
contendevano
gli abiti e gli accessori che il principe toglieva. Un bracciale, una
catena
d'argento, la camicia, una scarpa…
Il
mezzosangue rise. La stupidità umana era indecente! Un paio
delle invitate
iniziava a stare male e vomitare mentre la futura sposa restava
immobile,
ammaliata dal principe.
“Sono
il
tuo regalo" le mormorò Keros, avvicinandosi “Vuoi
scartarmi tu?” alludendo
ai pochi abiti che ancora indossava.
Lei
arrossì ancora e sorrise, come un bambino che ha appena
ricevuto un sacchetto
di caramelle. La cintura dei pantaloni del mezzodemone era
già fra le mani di
una delle damigelle d'onore, che la abbracciava come fosse la cosa
più bella
del mondo. Il tentatore era soddisfatto di come una minima dose di
potere ed
alcol riducesse quel gruppetto di donne. La futura sposa stava
tentando, con movimenti
impacciati e resi ancora più incerti dai vari drink
consumati, di togliere i
pantaloni di colui che aveva di fronte.
“Ti
aiuto
io!” si propose un'amica, subito seguita da altre due ragazze.
Keros
rise, salendo sul tavolino e porgendo la mano alla sposa.
“Fai
con
calma…” la rassicurò
“…spetta solo a te scartare il regalo".
Lei
ridacchiò in modo idiota.
Da fuori si
udivano grida di uomini arrapati che esclamavano vari complimenti alle
ballerine che si esibivano sul palco del locale. Con estrema fatica, e
concedendosi un altro alcolico, la festeggiata era riuscita a levare i
pantaloni in pelle del principe, sorridendo felice.
“Posso
tenerli?” mormorò, stringendoli ed ondeggiando
come una bimba con una bambola.
“Veramente
pensavo di lasciarti qualcosa di meglio…”
mostrò la lingua Keros, passando il
dito indice sull'elastico dei boxer “Ma puoi tenere anche i
pantaloni, se li
vuoi".
La
ragazza saltellò dall'entusiasmo. Fuori un uomo era svenuto
perché una
ballerina gli aveva tirato il reggiseno. Con le mani che tremavano per
l'eccitazione e per l'ebrezza, la futura sposa rideva imbarazzata,
mentre le
amiche la incitavano a spogliare il mezzodemone dai capelli color
ciliegia.
“Che
caldo che fa qui!” disse una delle amiche, iniziando a sua
volta a spogliarsi.
“Ma
come
siete belle" sorrise Keros, guidando le mani della futura sposa.
In
quella
stanza ora più di qualcuno era nudo, o quasi.
“Vieni
al
mio compleanno?” chiese un'amica.
“E
al
mio?” si unì un'altra.
“Vengo
tutte le volte che volete" ghignò il sanguemisto
“Ma ora è il turno di
questa splendida futura sposa!”.
La
giovane era in imbarazzo, o probabilmente era solo rimbambita dal
troppo alcol.
Si lasciò stringere da Keros, che le sussurrò
romanticherie all'orecchio. Lei
arrossì e si lasciò baciare il collo. In un
attimo erano stesi sul divanetto,
accarezzando il velluto con la pelle nuda. D'improvviso la futura sposa
non era
più in imbarazzo. Vinta dal potere del tentatore, non
riusciva in alcun modo a
resistere.
“Vuoi
la
mia anima?” mormorò lei.
“…prego?”
si stupì lui.
“Si
dice
che in questo locale si perda l'anima. E ne vale la pena".
“Lascia
che ti dia un valido motivo per concedermela".
Con
un
ghigno, Keros prese la ragazza fra le braccia ed entrò in
lei. La futura sposa
non oppose alcuna resistenza, bramava con tutta se stessa quell'atto.
Gemette
di piacere, non avendo mai provato nulla di simile. Le amiche, quelle
rimaste
abbastanza lucide, si morsero le labbra per l'invidia. Ma non dovettero
attendere a lungo prima di essere accontentate a loro volta. Keros, non
provando particolare piacere nell'unione sessuale con un mortale, non
ebbe
alcuna difficoltà a soddisfarle tutte.
Dopo
l'essersi rivestito, con abiti che gli fornì Mefistofele,
Keros si apprestò a
lasciare il locale.
“Perché
non torni?” propose il demone “In molti sono
rimasti ammaliati da te. Possiamo
metterci d'accordo ed organizzare delle serate apposite. Balleresti con
qualche
bel ragazzo?”.
“Faccio
tutto quello che vuoi” sorrise Keros.
“Allora
tornerai?”.
“Ma
certo. Ogni quanto ti servo?”.
“Posso
chiamarti io? Tipo una serata al mese. Poi
chissà… Potrebbero richiedere di te
per qualche festa particolare…”.
“Fai
pure”.
“Sicuro?
Non ti distraggo dall'anima finale?”.
“Ma
figurati. Tieni".
Keros
porse a Mefistofele un piccolo marchingegno ovale. Con uno schermo
illuminato,
emise un piccolo suono quando entrò in contatto con
l'oggetto simile posseduto
dal demone.
“Che
bella cosa la tecnologia" rise Mefistofele “Ora posso
chiamarti".
Sul
display
dell'oggetto, comparve il nome di Keros. Era un sistema nuovo, che
permetteva
ai demoni di comunicare fra loro e con l'Inferno, anche quando si
trovavano nel
mondo umano.
“Ti
sei
divertito?” chiese il maestro.
“Mi
hanno
offerto l'anima spontaneamente. Come fosse un gioco".
“È
il
nuovo millennio. Fra qualche anno passeremo a riscuotere”.
“Ottimo.
Ora torno a casa. Il re mi starà aspettando… Come
fossi un bambino!”.
“Sarai
sempre il suo bambino. A presto!”.
Keros
si
congedò. Procurarsi nuove anime era sempre
piacevole…
|
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Capitolo 39 *** Insistere ***
39
Insistere
“Quindi
se appendo un crocefisso e ti spruzzo d'acqua santa, ti faccio
male?”
ridacchiava l'umano.
“Non
sono
quel tipo di demone” rispose Keros, ancora tentando di
convincerlo ad accettare
la realtà.
“E
che
tipo di demone sei?”.
“Un
tentatore. E vampiro".
“Quindi
scappi con l'aglio?”.
“No.
Quello vale solo per i vampiri che un tempo erano umani".
“Bello…e
che poteri hai? Ti trasformi in pipistrello? Possiedi la
gente?”.
“Rubo
le
anime agli umani idioti e che mi fanno incazzare”.
Il
mortale rise ancora. Keros ruotò gli occhi al cielo.
Sospirò, osservando
l'orologio appeso al muro. Quanto tempo perso…
“Posso
giocare anche io?” riprese l'uomo.
“A
cosa?”.
“Al
gioco
che fai tu. Se tu sei un demone, io chi posso essere? Un cavaliere in
armatura?
Un bardo?”.
“Lo
scemo
del villaggio?”.
All'ennesima
smorfia divertita, il principe iniziava a perdere la pazienza. Ma il
mortale
non accennava a smettere e faceva domande ed affermazioni inopportune.
“Sai… Forse
ho trovato qualcosa che puoi fare per iniziare a convincermi".
“Cosa?”
subito rispose Keros, speranzoso.
“Vieni
con me…”.
Il
padrone di casa cambiò stanza, uscendo dalla cucina ed
attraversando il
corridoio. Entrò in una saletta piena di libri, scaffali ed
una scrivania.
Sommersa in parte da volumi aperti e cianfrusaglia varia, sembrava
essere di un
adolescente disordinato. Un computer acceso, e con lo schermo che
sfarfallava,
attirò l'attenzione del mortale.
“Vedi
questo libro?” indicò un grosso volume accanto
alla tastiera “Lo sto
traducendo. È in una lingua antica, desueta, per questo mi
servono molti altri
libri per trovare i termini corretti. Ma tu, che hai detto di avere
più di
mille anni, non dovresti avere alcun problema. I demoni sanno tutte le
lingue…”.
“Solo
Lucifero le conosce tutte. Però posso dare un'occhiata. Se
è una lingua con cui
ho avuto a che fare…”.
“Prego!”.
Il
sanguemisto si avvicinò. Sapeva che libri simili andavano
trattati con una
certa delicatezza, perciò non lo toccò.
Sbirciò alcune parole e sorrise.
“Lascia
fare a me" si toccò il petto con orgoglio “Avevo
solo quattrocento anni,
ma questa me la ricordo".
“Ah
sì?”.
Evidentemente
ben poco convinto, il mortale alzò un sopracciglio.
“Devo
scrivere la traduzione al pc?” si informò Keros.
“Sì.
Aspetta… Ti mostro…”.
Aprendo
una cartella, e creando un nuovo documento, l'uomo lasciò il
posto alla
scrivania.
“Scrivi
qui. Sai usare un pc? O all'Inferno non ci sono?”.
“Sono
migliori di questo. Ora lasciami lavorare".
“Mi
prendi in giro?”.
Il
principe sospirò. Iniziò a leggere ad alta voce
il testo, scritto con glifi
ormai quasi dimenticati. Non ebbe alcuna difficoltà ed il
padrone di casa
rimase stupefatto.
“Ora
mi
credi?” mormorò il sanguemisto, iniziando a
scrivere.
“Hai
studiato quel che ho studiato io. Bello".
“Ma…”.
“Ah,
no.
Giusto. Tu sei un demone…”.
“Fammi
una cioccolata calda con la panna. È il minimo. Una di
queste sere mi farai
perdere la pazienza…".
“Cioccolata
in arrivo!”.
“Cioè…fammi
capire… Tu ti sei messo a lavorare al posto suo?!”.
Lucifero
era perplesso. Non capiva che strategia avesse in mente l'erede.
“Lo
so, è
strano” ammise Keros “Ma…”.
“Non
farti mettere i piedi in testa!”.
“Non
mi
mette i piedi in testa!”.
“Sei
sicuro?”.
“Sicurissimo.
A questo proposito… Come si traduce questa parola?”.
“Se
io
voglio darti la mia anima, che devo fare? Intendo dire… Come
funziona?”.
“Perché
lo vuoi sapere? Tanto non mi credi!”.
“Giusto
per sapere…”.
Mortale
e
mezzodemone stavano di nuovo discutendo sulla veridicità
delle parole di Keros.
Il sanguemisto era già all'opera sulla traduzione, seduto
alla scrivania.
L'uomo si apprestava ad iniziare a leggere un nuovo libro, appena
arrivato alla
biblioteca dell'università. Era passato per là
portando i primi capitoli della
traduzione, per farli controllare a chi ne sapeva più di
lui. Alla conferma che
lo scritto era perfetto, si era complimentato con Keros e lo aveva
lasciato
fare.
Approfittando
delle prime giornate di sole, il mortale si era sistemato sulla
terrazza, libro
alla mano. Il principe preferiva di gran lunga starsene in casa,
trovando il
clima esterno ancora troppo rigido. In alcuni punti, in giardino, si
trovava
ancora la neve.
Cioccolata
fumante a portata, si mise a rileggere l'ultimo capitolo tradotto. Era
un pezzo
che non lavorava su cose simili, si sentiva di nuovo uno scolaretto.
Allungò lo
sguardo verso lo stereo abbandonato su uno scaffale. Amava la musica,
era
tentato… ma si trattenne. Non osava immaginare che razza di
musica amassero i
mortali, visto lo schifo che rimbombava nel locale di Mefistofele.
Aveva
riletto e corretto, già al lavoro sulla pagina successiva,
quando il volto
lievemente stravolto dell'umano si mostrò sulla porta.
“Che
c'è?” gli chiese Keros, perplesso.
“Sei
mai
stato in Russia?” domandò l'uomo.
“Sì…perché?”.
“Con
lo
Zar?”.
“A
che ti
serve saperlo?”.
“Questo
sei tu?”.
Il
mortale girò il libro che stringeva fra le mani. Dove
indicava, vi era uno foto
in bianco e nero. Ritraeva varie persone ma una in particolare, accanto
allo
Zar, aveva attirato l'attenzione dell'umano.
“Oh…”
si
limitò a dire Keros, riconoscendo la foto.
Era
lui.
Era proprio lui. Cento anni prima, in abiti decisamente differenti, ma
per
nulla cambiato in viso.
“Ma
allora è vero. O è tuo nonno?”
biascicò il portatore dell'anima finale.
“Sono
io.
Te l'ho detto: sono un demone. E, ora che ci
penso… Perché non mi fai una
foto?”.
“Una
foto?”.
“Va
bene
anche se usi il cellulare…”.
Il
mortale, sospettoso, frugò fra vari cassetti
finché non trovò la propria
macchina digitale. Era impolverata, non toccata da almeno un paio di
anni. Dopo
aver trovato le pile, inquadrò Keros e sobbalzò.
Il potere del principe agiva
sui sensi umani, ingannava gli occhi e faceva sì che nessuno
notasse la natura
demoniaca. Ma attraverso uno schermo era tutto diverso.
Perché non ci aveva
pensato prima? In quello schermo si vedeva quello che era, con lo
sguardo
ambrato che brillava.
“Ma
allora tu sei…?”.
“Un
demone. Mi sembra di avertelo ripetuto abbastanza volte. Sei contento
adesso?”.
“Sì.
Cioè… No! Ho un sacco di domande da farti.
Io… ecco… Ma come…?”.
“Prenditi
un minuto. Riordina le idee…”.
“Hai
le
corna?”.
“Vuoi
vederle?”.
“Sì…”.
“Prometti
di non spaventarti?”.
“Oh… Ok… Va
bene…”.
Keros
sospirò. Non sapeva se fosse la strategia giusta ma
assecondò i desideri
dell'umano. Assopì i propri poteri, mostrando le corna e lo
sguardo da demone.
“Sei
un
demone per davvero…” riuscì a dire il
mortale.
“Già…”.
“E
che
cosa vuoi da me?”.
“È
una storia
lunga. Però, riassumendo, direi che sono qui per la tua
anima”.
“La
mia… anima?”.
“Sì.
Però
nel mezzo c'è stata la faccenda del salvataggio. E poi sei
ateo. Quindi la cosa
si è un pelino incasinata".
“Incasinata?
Io…”.
“Non
capisci. Tranquillo: è normale”.
“Ma
se la
situazione è incasinata… Perché sei
qui? Ci sono sette miliardi di mortali.
Perché resti qui?”.
“Perché
tu sei speciale. Tu sei un'anima speciale, che desidero avere. E poi
sono
ancora in debito con te, ricordi? Sono qui perché me lo hai
chiesto tu".
“Che
cos'ho di speciale?”.
“È
la tua
anima ad essere speciale…”.
“E
tu la
vuoi?”.
“Sì… Ma…”.
“A
cosa
ti serve?”.
“A
superare un importante esame”.
“Che
devo
fare per dartela?”.
“Prego…?”.
“Che
devo
fare per dartela? Io non credo in Dio, perciò non
andrò in Paradiso. Di
conseguenza, andrò all'Inferno. Se per te la mia anima
è importante, almeno
sarà utile a qualcosa. Servirò a qualcosa almeno
da morto!”.
“Non
è
così semplice. Se non credi, la tua anima si
dissolverà. Niente Paradiso o
Inferno. Capisci?”.
“Per
questo mi hai svelato la tua vera natura? Per farmi credere?”.
“Anche… ma…”.
“E
quindi? Che dovrei fare?”.
“Io
sono
in debito con te" riprese Keros, parlando sinceramente e con lo sguardo
schivo “Perciò non ritengo giusto ingannarti o
farti del male. Sono qui perché
me lo hai chiesto, è vero. E un demone rispetta il proprio
contratto. Ma sta a
te decidere. Ora che sai la verità , puoi ordinarmi di non
tornare più”.
“E
tu
obbediresti?”.
“Per
onorare il mio debito, sì”.
Il
mortale attese qualche istante.
“Sii
sincero" riprese, dopo alcuni attimi “A te da fastidio
venire qui? Avere
a che fare con me?”.
“All'inizio
ammetto che ti avrei scaraventato giù da un dirupo. Ma ora
non mi dispiace.
Insomma… Sei una sfida interessante".
“Non
posso essere in collera. Dopotutto… Tu mi hai detto la
verità. Sono stato io a
non crederti".
“Sei
una
persona razionale. Non ci si può vergognare di
questo…”.
“E
quindi
ora… Che succede?”.
“Nulla.
Se tu vuoi che torni, tornerò ancora. E, se ci
riuscirò, un giorno avrò la tua
anima. Me la dovrò guadagnare…”.
“Davvero
nel mio libro le descrizioni dei demoni sono perfette?”.
“Sì.
Altro aspetto su cui dovrò indagare…”.
“E
ci
sono altri demoni qui vicino?”.
“Mio
zio
ha aperto un locale. Se vuoi…”.
“Posso
conoscerlo?”.
Il
padrone di casa aveva drasticamente cambiato atteggiamento. In
principio era
spaventato, confuso, ma ora sul volto vi era un'espressione diversa.
Era
curioso, eccitato. Era d'un tratto consapevole dell'esistenza di un
mondo tutto
nuovo. Il sanguemisto, al contrario, non sapeva se aveva agito nel modo
giusto.
Però, si disse, doveva tentare il tutto per tutto.
Insistere, fino ad ottenere
quella preziosa anima.
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Capitolo 40 *** Primavera ***
40
Primavera
Il
sanguemisto aveva atteso un po' prima di assecondare la richiesta
dell'anima
finale, che sognava vedere un locale gestito da demoni. Non voleva
mettere
troppa carne sul fuoco, preferiva affrontare una nuova scoperta alla
volta. Vi erano
tante domande a cui il
mortale esigeva risposta e Keros, finché poteva, rispondeva.
Doveva ammettere
che, da quando aveva svelato la propria natura di demone, la situazione
era
diversa. L'uomo era sinceramente interessato, rivolgeva domande su
storia e
passato e condivideva i dubbi che covava dai tempi della laurea. Il
principe aveva
dovuto ricredersi: rispetto alla media, quell’umano era meno
stupido del
solito. Si era fatto pure più intraprendente, invitando il
mezzodemone a mostre
e concerti, uscendo spontaneamente di casa e ritrovando un sincero
sorriso.
Però continuava ad insistere: voleva vedere com'era un luogo
gestito dai
demoni. Nonostante gli avvertimenti, continuò ad insistere
ed alla fine il tentatore
cedette.
Al
locale
di Mefistofele, il mortale era spaesato. Non abituato a frequentare
posti
simili, non aveva bene idea su dove guardare e come comportarsi. Keros,
percependo il suo imbarazzo, lo accompagnò dal proprietario
e dai suoi umani.
“Tu
sei
Mefistofele!” lo riconobbe subito l'uomo che, nonostante
fosse piuttosto alto,
risultava di una buona spanna al di sotto del demone.
“Ci
conosciamo?” storse il naso il tentatore.
“No…ma…”.
“Lui
è
Ary" si affrettò a spiegare il principe
“È l'umano che…”.
“Ah!
Ora
ho capito!” sorrise Mefistofele “Lo scrittore! Mi
hai descritto benissimo, ti
ringrazio. E mi hai reso molto affascinante”.
“Avete… letto
il mio libro?”.
“In
parte. Ma lascia che ti presenti alcune persone. Mio nipote si
dovrà preparare,
mi occuperò io di te. Vedrai che ti divertirai".
“Preparare?
Per cosa?”.
“Per
lo
spettacolo, ovvio!”.
Il
mortale non disse altro, mentre Keros si allontanava a passo svelto.
Ora si
sentiva ancora più fuori posto, ma Mefistofele lo
accompagnò ad un tavolo. Lì
sedevano i mortali che volutamente avevano stretto un patto con il
padrone del
locale, entusiasti di conoscere un nuovo umano tentato. Con un drink
davanti,
si accomodarono tutti ed iniziarono a parlare.
“E
così…”
si incuriosì il possessore dell'anima finale “Voi
avete evocato il demone?”
“Esatto"
confermò un ragazzo.
“E
come
avete fatto?”.
“Solite
cose. Seduta spiritica, formule in latino… Quasi per gioco,
insomma. Tanto loro,
i demoni, non aspettano altro”.
“E
che
cosa avete chiesto?”.
Risposero
in vario modo, da chi aveva chiesto denaro a chi successo. Qualcuno
aveva
voluto donne oppure amore eterno.
“Quindi
tu non lo hai evocato?” domandò una ragazza
“Ti ha cercato lui?”.
“Sì… io… all'inizio
non sapevo fosse un demone".
“E
quando
lo hai scoperto, cosa hai fatto? Come hai reagito?”.
“Io… non
pensavo fosse veramente un demone. Ci ho messo un po' per credergli".
“E
poi?”.
“Poi?
Niente…”.
“Cosa
hai
chiesto?”.
“Nulla… cioè… è
una storia complicata e…”.
“Eccolo
sul palco!” interruppe uno dei baristi.
A
vederlo
così, avvolto da un lieve barlume di potere da tentatore, il
mortale ebbe un
sussulto. Keros, non lo si poteva negare, era splendido. Tutti avevano
occhi
solo per lui, uomini e donne, demoni e mortali.
“Allora…”
ghignò Mefistofele “Che ne pensi? Ti piace il mio
locale?”.
“Ammetto
che non è il genere di posto che frequento abitualmente.
Però…”.
“C’è
una
bella vista" concluse il demone, indicando Keros.
“Già…”.
“Non
ti
fa molto piacere se gli altri lo guardano così,
vero?” intuì una cameriera
seduta al tavolo.
“No… in
effetti…”.
“Tranquillo.
È normale. Ti piace. I demoni hanno qualcosa in
più che nessun umano potrà mai
farti provare. Se vai a letto con un demone, fidati che non vorrai
più giacere
con un mortale. È tutta un'altra cosa!”.
“Ok
ma…”.
“Vorresti
che lui concentrasse le tue attenzioni su di te? E invece, mi
‘spiace, stasera
il tuo tentatore si scoperà quel gruppetto in prima fila,
che ha pagato
profumatamente per questo".
“Non
è il
mio tentatore. E quel che fa sono affari suoi!”.
“Ma
sì,
Ary. Hai ragione" lo distrasse Mefistofele “Vuoi che ti porti
qualche
bella ragazza? Per farti compagnia? O preferisci un altro
drink?”.
“No,
grazie. Per entrambe le offerte. Voglio solo…”.
“Stare
qui a guardare? Come preferisci...”.
Il
padrone del locale ghignò, mentre Keros continuava ad
esibirsi. Ignorò del
tutto le disposizioni del mortale e fece portare ancora da bere,
assieme ad un
paio di belle ragazze.
A
spettacolo ed intrattenimento privato terminato, Keros raggiuse suo zio
Mefistofele ed il gruppo di umani.
“Allora…”
sorrise al mortale che voleva farsi chiamare Ary
“…ti sei sentito a tuo agio?”.
“Come
Dracula alle Maldive a mezzogiorno” rispose l'uomo.
“Eppure… Ti
ho visto con delle belle fanciulle. Ed hai il viso ricoperto di
rossetto”.
“Mica
solo il viso" rise una cameriera.
“Io…”
farfugliò il mortale.
“Non
devi
giustificarti" scosse la testa il mezzodemone “Sei un adulto
e sei libero
di agire come preferisci".
“Però… Io
non…”.
“Dai.
Andiamo a casa. Devo rientrare all'Inferno fra poco, ho alcune cose da
sbrigare".
Il
mortale annuì. Dopo aver salutato i vari demoni e loro umani
sotto contratto,
si allontanarono sul grosso SUV nero di Ary.
“Sai…”
mormorò Keros, lungo la strada “Non devi sentirti
in imbarazzo. Ogni tanto fa
bene lasciarsi andare”.
“Lo
so.
Ma non era mia intenzione".
“Ti
sei
divertito, almeno? Ti avevo avvisato che non era un locale per
te”.
“Ogni
quanto ti esibisci?”.
“Una
volta al mese, circa. Perché?”.
“Così… Per
sapere…”.
“Vuoi
venire a vedermi? Tutte le volte che vuoi".
“In
realtà…” ammise l'umano, dopo aver
schivato una grossa buca con l'auto “…ho
provato un certo fastidio".
“Perché
ti ho lasciato lì da solo? Sì, forse non avrei
dovuto e…”.
“Non
è questo.
Provavo fastidio perché tutti ti guardavano. E si
avvicinavano. E…”.
“Eri
geloso?”
“No!
Cioè…”.
“Anche
a
me ha dato fastidio vedere tutti quei segni di rossetto. Tu appartieni
a me!”.
“Io… che?”.
“Tu… Dai,
lo hai capito. Abbiamo un contratto. In quel
senso…”.
“Oh.
Ok.
Ad ogni modo… Lo spettacolo è stato bello. Sei
molto bravo".
“Ti
ringrazio. E la prossima volta vedrò di farti divertire di
più”.
Arrivati
a casa, Keros decise di non entrarvi.
Era molto tardi, e doveva tornare agli Inferi in fretta.
“Perché
vai sempre nel bosco?” alzò le spalle l'umano.
“Ho
aperto un portale per l'Inferno. Così non faccio fatica a
spostarmi”.
“E
non
puoi aprirne uno in casa?”.
“Sì… Volendo".
“E
perché
non lo fai?”.
“Vuoi
un
portale per l'Inferno in casa?!”.
“Perché?
Potrebbe uscirci qualche bestia strana?”.
“In
linea
di massima no".
“Allora
fanne uno nello sgabuzzino. Così sarà
più comodo per te".
“Come
preferisci. Ma ora devo andare. Ci penserò la prossima
volta. Buonanotte".
“Torni
domani?”.
“Fra
due
giorni, come sempre".
“Domani
è
il mio compleanno…”.
“Oh… In
questo caso farò un'eccezione. A domani".
Keros
si
allontanò in fretta, nel buio. Nel cielo, brillavano molte
stelle. Sotto i
piedi del principe, i rametti e le foglie in terra non producevano
alcun suono.
Nell'aria, vi era una lieve fragranza di fiori. Era primavera, e Keros
era di
buon umore. Preferiva di gran lunga gironzolare senza neve, vento
gelido e
temperature sotto lo zero. Canticchiò fino al portale, e
tornò a casa.
A
palazzo, dopo essersi concesso un bagno, il principe trovò
il re ad attenderlo.
Il buon umore dell'erede al trono non era passato inosservato e
circolavano
voci ed ipotesi fra le più disparate.
“Sei
stato da Mefistofele?” chiese Lucifero, attendendo il
principe per poter
iniziare una breve riunione con alcuni altri demoni.
“Sì”
annuì Keros “Vi saluta tutti".
“Devo
passare anche io per quel locale…”.
“Perché
non ci vai dopo la riunione? Ti farebbe bene…”.
“Potremmo
andarci assieme" rise Asmodeo “Come i vecchi tempi. A tentare
umani e
divertirci".
“Suppongo
che sia fattibile” ammise il re “Ma ora siamo qui
per parlare di altro".
Riuniti
per discutere su alcuni aspetti pratici, fra cui il decidere in quale
settore
spedire gli inventori dei tormentoni estivi, i vari demoni passarono da
un
argomento ad un altro. Molti dei presenti, fra le altre cose, erano
incuriositi
dal mondo umano moderno e chiedevano a Keros quanto fosse mutato dal
secolo
precedente.
“Io
ho
cambiato mansione" ammise un ex tentatore “Non riuscivo
più a comprendere
l'umano moderno. Troppo incasinato e difficile da convincere".
“Sono
cambiati sotto alcuni aspetti" ammise Keros “Ma sotto altri,
sono sempre
gli stessi. I desideri che provano non sono più di tanto
mutati. Trovo che
Mefistofele abbia trovato un modo perfetto per accaparrarsi anime
semplici".
“Ed
in
gran quantità!” aggiunse Lucifero
“C'è però da dire che gli umani sono
aumentati esponenzialmente di numero in pochissimo tempo. È
perciò normale che
il numero delle anime entranti sia maggiore”.
“Molti
mortali stanno perdendo la fede" lo corresse il principe “In
molti sono
atei, o agnostici. Oppure riscoprono antiche religioni".
“Noi
siamo le antiche religioni" ghignò il re “Molti
antichi Dei sono divenuti
demoni".
“Dubito
che Zeus stia all'Inferno…”.
“Qualcuno
venera Zeus?! Nel nuovo millennio?!”.
“Ti
stupiresti. Divinità antiche, natura, culti
dimenticati… Un sacco di
stranezze".
“A
me
basta che sempre di meno credano in tu sai chi. Il resto, poco mi
importa. E
poi so di molti umani che ci venerano”.
“Vero.
In
molti venerano demoni".
“Altri
umani che non hanno capito un cazzo. Io sono per il libero arbitrio,
per la
libertà totale. Se un mortale vuole compiacermi, non
è certo rendendosi schiavo
di un culto”.
“Quindi… Gli
atei ti stanno bene?”
“Gente
che non crede in Dio. E non va in Paradiso. Ottimo. Lo sai che fra me
ed il
vecchio è in corso una sorta di gara. Non mi frega se le
anime si dissolvono:
mi basta che non vadano in Paradiso. Se poi finiscono
all’Inferno… Meglio!".
“Sì,
ma… Se ci servisse l'anima di un ateo?”.
“La
tua
anima finale è di un ateo?”.
“Già…”.
Più
di un
demone commentò con versi di dubbio e sorpresa.
“Nulla
di
che" alzò le spalle Lucifero “Non serve che creda
in Dio. Basta che creda
in noi. E ci crederà, vedrai. Sono certo che stai facendo un
ottimo lavoro. Si
capisce dal fatto che sei così di buon umore!”.
Keros
arrossì, compiaciuto. La riunione proseguì ancora
per qualche ora e poi ognuno
tornò al proprio palazzo e territorio.
Il
principe si era concesso un buon tè assieme al sovrano,
prima di ritirarsi per
dedicarsi ad altre faccende. I cuccioli di casa stavano correndo per il
corridoio, inseguendo una palla. Fra i lanci, avevano combinato un
sacco di
disastri, fra cui ribaltare e rompere un portacandele. Per rimediare,
si
stavano organizzando con colla e pennarelli. Simadè,
disperato, tentava invano
di farli stare buoni.
“Sono
ingegnosi…” commentò Keros,
osservandoli.
“Del
resto…” ghignò il diavolo, sorseggiando
tè “…si dice che l'intelligenza si
erediti dalla madre…”.
“Oh… Ecco
perché tu sei così”.
Lucifero
si voltò verso l'erede, arricciando la coda. Poi scosse la
testa e rise.
“Era
già
rotto, nonno" informò, convinta, la piccola Carmilla.
“So
che
non è così. Ma non fa niente" fu la risposta del
diavolo.
“Ma
così
crescono senza disciplina!” protestò Keros.
“E
con
ciò? Sono demoni! E poi il padre sei tu. Non è
compito mio educarli. Sono il
nonno… Il mio scopo è viziarli!”.
“Ci
stai
riuscendo benissimo…”.
“Lo
so.
Modestamente…”.
Ciao
a tutti! Ultimamente aggiorno spesso, spero non di dispiaccia. Capitolino breve ma ne arriverà
presto un altro (lunedì prossimo). Vi lascio un saluto,
siete sempre di più a
seguire questa storia e la cosa mi rende alquanto felice :3 vi rinnovo
l'invito
alla mia paginetta. È piccina ma ha tanti disegni di Keros
che aspettano di
essere scoperti.
https://www.facebook.com/SagaFrirry/
A
presto!
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Capitolo 41 *** Compleanno umano ***
41
Compleanno
umano
Keros
era
piuttosto assonnato quando raggiunse la casa del mortale. Splendeva un
sole
caldo, di metà primavera, e la cosa lo riempiva di energia
ed entusiasmo. Però
non aveva dormito e questo lo intontiva leggermente. Suonò
educatamente alla
porta ed entrò, trovando Ary intento a digitare messaggi sul
cellullare.
“Pensavo
non saremmo stati soli…” commentò il
mezzodemone, che si era lievemente
schermato per apparire come un normale umano.
“Lo
pensavo anch'io" ammise il festeggiato “Avevo invitato dei
miei colleghi
ma mi stanno tutti scrivendo che hanno da fare…”.
“Oh…”
“La
verità è che gli scoccia venire fin qua. E
probabilmente gli sto pure un po'sul
cazzo…”.
“Ma
dai!”.
“Meglio,
no? Ho preso la torta per otto persone e siamo solo io e te. Potrai
portarne pure
a casa…”.
“Interessante…”.
“Questi
prima confermano e poi non vengono. Del resto… Non sono un
bambino, dovrei
smetterla di organizzare feste di compleanno! È che erano
anni che non avevo la
voglia di organizzare qualcosa. Va a finire sempre
così…”.
“Io
ci
sono!” sorrise Keros “E ti ho portato un
regalo!”.
Il
pacchetto non era proprio ben fatto, segno che il mezzodemone non era
un grande
esperto in materia, ma lo porse con orgoglio al mortale. Questi
sorrise,
dimenticando per qualche istante i messaggi di rifiuto dei colleghi.
“Aprilo.
Sono stato sveglio tutta la notte a cercare qualcosa di
adatto!” incitò il
principe.
“Anche
i
demoni si fanno i regali di compleanno?”.
“Solo
per
le date importanti. Ma non parliamo di demoni adesso!
Aprilo!”.
L'uomo
tolse il nastro rosso e cercò di non strappare troppo la
carta color della
notte. Dentro vi trovò un libro dalla copertina scarlatta ed
una veste del
colore della carta. Aprì il libro con curiosità.
“È
magnifico!” esclamò, notando come fosse
interamente scritto a mano e pieno di
glifi e decori.
“Voglio
insegnarti un po' di demoniaco” ammise Keros
“Questo libro ci aiuterà”.
“Davvero?!”.
“Sì…”.
Ary,
visibilmente entusiasta, esaminò la veste ripiegata. Era una
specie di giacca
con le code, stile millesettecento. Riccamente decorata e ricamata,
aveva
bottoni e dettagli in oro.
“Ha
l'aria di essere molto costosa…”
commentò, quasi avendo paura di toccarla.
“Provala.
Non so se è la misura giusta. Ho scelto un po' ad
occhio”.
Il
mortale la indossò, facendo poi un giro su se stesso. Era
perfetta!
“Ti
sta
benissimo!” sorrise Keros “Sembri un elegante
demone di città”.
“Sul
serio?”.
“Sì.
Ti
piace?”.
“Tantissimo.
Non so cosa dire. Quanto hai speso? Io non…”.
“Non
si
dicono i prezzi dei regali!”.
“Giusto…
Ma…”.
“Ora
che
si fa? Io avrei un'idea…”.
“Io…”.
Keros,
avvicinandosi al mortale per aiutarlo a togliere la giacca,
indugiò qualche
istante. Le mani sul petto del mortale, lo fissò e poi
sorrise.
“Accompagnami
allo sgabuzzino. Apro un portale, ti va?”.
“Mi
faresti
vedere come?”.
“Sì.
Dopotutto è casa tua e senza il tuo permesso non
potrei…”.
“Non
vedo
l'ora! Andiamo!”.
Dopo
aver
svuotato lo sgabuzzino, che conteneva qualche scopa e scatoloni chiusi
con lo
scotch, Keros si mise subito all'opera. Per prima cosa, si procurò un
piccolo
taglio sulla mano. Poi iniziò subito a tracciare i complicati segni che
componevano il
portale. Allo stesso tempo, pronunciava parole incomprensibili in
demoniaco. Il
mortale osservava tutto con assoluto interesse, senza distogliere mai
lo
sguardo. Per usare al meglio il proprio potere, il principe non celava
l'aspetto da demone. Nel buio, il suo sguardo ed il portale iniziavano
ad
illuminarsi.
“Un
normale umano avrebbe paura… O almeno, dovrebbe
averne” commentò il
mezzosangue, continuando il disegno.
“Probabilmente
hai ragione. Si vede che non sono tanto normale" rispose il padrone di
casa, accucciandosi accanto al sanguemisto per vedere meglio.
Una
volta
tracciati tutti i segni, Keros si alzò. La sua voce, con le
ultime parole in
demoniaco, attivò il portale. Questi si accede di luce color
del sangue ed i
glifi creati si misero a roteare. Poi tutto svanì, senza
lasciare traccia
alcuna.
“Ma…
Dov'è finito?!” si guardò attorno
l'umano.
“Da
nessuna parte…” lo rassicurò il
principe, allungando il piede verso il punto
dove fino a qualche secondo prima brillava il portale. Così
facendo, lo
riattivò.
“Solo
con
un tocco demoniaco si apre. Così nessun mortale rischia di
finirci
dentro".
“E
se
accadesse? Intendo dire… Se io lo attraversassi, cosa mi
accadrebbe?”.
“Intanto
deve essere attivo. Altrimenti, con un tocco mortale, non accade nulla.
Dovessi
riuscire a passare, di certo all'Inferno non sopravvivresti. I demoni
ti
farebbero a pezzi”.
“Oh…”.
“Bene…”
si stiracchiò Keros “Che ne dici di dedicarci al
dolce? Sono un po' stanco, ho
bisogno di ricaricare le energie con una buona dose di
zuccheri!”.
“Aprire
un portale è faticoso?”.
“Abbastanza.
Ma con un pezzo di torta sarò come nuovo”.
“Sei
un
demone molto goloso o siete tutti così?”.
“La
gola
è un peccato. Abbiamo tutti un debole per il buon
cibo… però, lo ammetto, io
sono piuttosto goloso!”.
“Meglio.
Perché ne ho parecchia di torta da farti
mangiare!”.
Rifiutando
le candeline e le canzoni di compleanno, il festeggiato aveva tagliato
una
grossa fetta per Keros. Non riusciva a distogliere lo
sguardo dalle piccola corna dell'ospite, quasi impercettibili ora che il principe era
tranquillo e
non in collera, e si era incantato a fissarle. Il sanguemisto lo notò e si sentì
in lieve imbarazzo. Si
concentrò, per farle svanire.
“No.
Perché?” chiese il mortale.
“Mi
fissavi… pensavo…”.
“Sono
simpatiche. Con me puoi anche fare a meno di celarle”.
“Ok
ma…
Non fissarmi troppo senza dire niente…”.
“Ti
piace
la torta?” cambiò drasticamente argomento l'uomo.
“È
deliziosa. Un giorno dovrò portarti uno dei dolci delle mie
parti. O magari
potrei preparartelo… Che ne dici? Ti potrebbe
interessare?”.
“Se
non è
tossico per gli umani…”.
“No,
non
lo è. È una tentazione. Ma ora godiamoci questa
ottima torta. E facciamo un
brindisi. A te, con l'augurio di festeggiare tanti altri
compleanni!”.
“Grazie”.
Rimasero
in silenzio, mangiando con gusto il dolce e sorseggiando vino
frizzante.
“Penso
sia stato uno dei compleanni più memorabili della mia vita"
rise il
padrone di casa, una volta sazio.
“Sul
serio?”.
“Assolutamente.
Insomma…quanti possono dire di aver visto aprire un portale
per l'Inferno il
giorno del proprio compleanno?”.
“Penso
non in molti, in effetti!”.
Keros
ridacchiò. Ary prese piatti e bicchieri, iniziando a lavarli.
“È
la tua
festa. Lavali domani!” suggerì il principe.
“Non
mi
piace vederli lì. Puoi mettere la torta avanzata in
frigo?”.
“Certo.
E
poi scegliamo un bel film idiota ed andiamo a spaparanzarci sul
divano”.
“Ottimo
programma!”.
Il
mezzodemone, dopo aver riposto il dolce in frigorifero, sedette sul
tavolo e si
soffermò a fissare il mortale. Girato di schiena, stava
ancora lavando i
piatti. Lo osservava mentre muoveva leggermente la testa, scostando i
capelli
neri stretti in una coda. Si ritrovò a sorridere,
perché raramente si era
sentito così.
“Ecco…
Ora...” il festeggiato si voltò, asciugandosi le
mani con uno straccio.
“Sì?”
gli
rispose Keros, inclinando leggermente la testa.
Si
fissarono qualche secondo. Poi il mortale si mosse in avanti, dando un
lieve e
brevissimo bacio sulle labbra al sanguemisto. Subito si ritrasse.
“Perdonami.
Io… non so cosa mi sia preso…
però…”.
Il
tentatore era rimasto immobile, stupito da quel gesto. L'unico altro
bacio che
aveva mai dato sulle labbra, aveva avuto pessime conseguenze. E poi
davanti a
sé aveva un umano! Un semplice, stupido umano! A vederlo
così imbarazzato, e
ripensando al tocco delle loro labbra, capì di non trovarlo
né semplice né
stupido. Che stava facendo? Che conseguenze poteva avere? Non
importava. Voleva
essere felice, assecondare i propri desideri! Sorrise e tirò
a sé il mortale,
unendosi a lui in un lunghissimo bacio. Era bello, era
strano… Preferiva non
rifletterci molto. Sentiva le mani dell'umano su di sé, che
si facevano sempre
più audaci.
“Aspetta!”
disse d'istinto il mezzodemone, scostandosi.
“Hai
ragione… una cosa alla volta… Ti chiedo
scusa…” mormorò Il padrone di casa,
vergognandosi un po'.
“Non
è
questo…” distolse lo sguardo il principe,
richiudendo un paio di bottoni della
camicia.
Non
voleva
che si vedessero i tatuaggi ma, fra la mancanza di sonno ed il portale
aperto,
era troppo stanco per riuscire a schermarli a lungo.
“Vorrei
tanto rivederli…” ammise Ary.
“Cosa?”.
“Quei
tatuaggi".
“Come
li
hai…?”.
“Quando
ti ho curato. Ricordi? Il nostro primo incontro. Eri svenuto e ti ho
fasciato
la gamba. Ho visto solo un pezzo di quel disegno… e speravo
di poterlo
osservare meglio".
“Perché?!”.
“Perché
è
bello. È un bel tatuaggio”.
Keros
non
sembrava convinto. Aprì leggermente la camicia, mostrando il
disegno più
complicato che portava sul corpo: il tatuaggio che decorava la spalla
sinistra.
L'umano lo osservò, in silenzio.
“Perché
lo nascondi?” chiese poi “Non ho mai visto un
tatuaggio così bello. Io, ne
avessi uno così, lo metterei sempre in mostra".
“Tu…
Lo
pensi davvero?”.
“Perché?
Non capisco…”.
“Sai…
Gamba e braccio sono collegati dal disegno. Vuoi vederlo
tutto?”.
“Resta
qui stanotte. E mostrami tutto quello che vuoi”.
Nessuno
lo aveva mai trattato in quel modo. Nessuno era stato in grado di
accettare
ogni suo aspetto, a partire dai tatuaggi. E, ne era certo, stava
accadendo
tutto senza che stesse usando i propri poteri da tentatore. Era felice,
e si
sentì uno sciocco ad averlo compreso solo in quel momento.
Accanto al letto
matrimoniale, in quella camera rimasta chiusa troppo a lungo, Keros si
lasciava
baciare. Non voleva pensare, si impose di non farlo. Il mortale era
impacciato,
probabilmente perché non si era mai ritrovato in determinate
situazioni con un
uomo. Quando il mezzodemone rimase senza camicia, si
soffermò di nuovo sui
tatuaggi.
“Fin
dove
arriva?” mormorò, passando con l'indice lungo il
fianco sinistro di chi aveva
di fronte.
Il
principe, con un mezzo sorriso, guidò quella mano fino
all’altezza della
cintura.
“Fin
dove
immagini…” rispose, mentre entrambi restavano con
sempre meno vestiti addosso.
Quella
mano si mosse ancora e finì sui boxer. Il sanguemisto,
apprezzando molto quel
tocco, ricominciò a baciare l'umano e lo strinse a
sé. Lo trascinò a letto, con
la sensazione che donava la pelle nuda ad inebriarlo. Si sentiva
stranamente
tranquillo, a suo agio, nonostante la luce accesa. Sperava che anche il
mortale
provasse sensazioni simili e non gli mise fretta. Era evidente che si
trovava
in una situazione nuova e probabilmente era in imbarazzo. Keros lo
baciò ancora
e gli sorrise. Questo parve donargli una notevole dose di sicurezza ed
eccitazione. Ricambiando il bacio, e non staccandosi da quelle labbra
dal
sapore dolce, si fece decisamente più intraprendente. Il
sanguemisto ebbe un
lieve sussulto, sentendosi penetrare. Sorrise, compiaciuto, non
desiderando
altro. Socchiuse
gli occhi, soddisfatto
nel sentire i gemiti di piacere di quell’anima finale, che
vibrava eccitata
durante quell'atto.
“Ary…”
sussurrò il tentatore.
I
movimenti si facevano più rapidi, così come i
sospiri eccitati di entrambi.
“Ary…”
mormorò di nuovo Keros, d'un tratto comprendendo la
situazione.
Stava
provando piacere, un piacere intenso che nessun altro umano gli aveva
mai fatto
provare. Si lasciò sfuggire un grido eccitato, tentando di
mantenere il
controllo. Ma ormai era tardi, non riuscì a fermarsi o
concentrarsi a
sufficienza. Percepì l'orgasmo del mortale, che
alzò lo sguardo al cielo
qualche secondo. Poi spalancò gli occhi perché,
di colpo, le ali argentee del
sanguemisto si erano spalancate.
Il
tentatore rimase in silenzio, ansimando. Mai con un essere umano aveva
provato
l'orgasmo. Mai con un essere umano aveva spalancato le ali.
“Sei
la
creatura più bella che io abbia mai visto" gli
sussurrò dolcemente il
padrone di casa, chinandosi ed abbracciandolo.
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Capitolo 42 *** Pensieri ***
42
Pensieri
Keros
riaprì gli occhi nel cuore della notte. La luna, il cui
pallido bagliore
entrava dalla grande finestra della stanza, contornava gli oggetti
della camera
con luce argentea. Ci mise qualche istante, per realizzare dove si
trovasse e
che cosa stesse facendo. Era nudo, con le ali ancora visibili, steso a
letto
accanto ad un mortale profondamente addormentato. Si mise a sedere,
indeciso
sul da farsi. Che stava combinando? Quello era un umano! Come era mai
possibile
che un mortale lo condizionasse in quel modo? Lo guardava, mentre
riposava
tranquillo, e non provava altro desiderio se non quello di restargli
accanto.
Ma perché? Si scosse, piuttosto confuso. Forse era meglio
riordinare le idee
altrove…
Giunto
a
palazzo, il sanguemisto raggiunse in fretta le proprie stanze. Si
guardò allo
specchio, prendendo un profondo respiro. Che gli stava succedendo?
Perché si
sentiva così felice e, allo stesso tempo, fuori posto?
“Avete
fatto tardi…” si sentì dire.
Simadè
era sulla porta, pronto a servire il principe.
“Sì…”
mormorò Keros.
“Vi
porto
la cena? Avete bisogno di altro?”.
“Siediti,
per favore. Ho una cosa da chiederti. Un
consiglio…”.
“Ne
sarei
onorato".
Il
mezzodemone si stese a letto, Simadè preferì
sedersi ed osservarlo.
“Come
si
capisce se si è innamorati?” domandò
Keros.
“Come
si
capisce? Perdonatemi ma… non siete più un
ragazzino. Dovreste saperlo".
“Ebbene:
non lo so. In compenso so che tu sei innamorato, di Lilien. Dimmi come
si
capisce".
“Non
è
facile da spiegare. È un insieme di pensieri, ragionamenti,
reazioni… Vi
sentite felice quando siete in compagnia di quella persona, ci pensate
sempre,
volete averla accanto…”.
“E
poi…?”.
“Poi
provate desiderio. Desiderio fisico. E magari fantasticate su un futuro
ipotetico. Ma perché, se posso saperlo, fate una simile
domanda?”.
“Ammetto
di non capire più me stesso. Non so se sono innamorato
oppure se…”.
“Oh.
Ma
voi lo siete di sicuro!” interruppe il servo, con un ghigno.
“E
come
lo sai?”.
“Da
come
vi comportate ultimamente. Tutto il palazzo lo sa. Siete distratto, con
la
testa fra le nuvole, di splendido umore e sorridente. A volte perfino
canticchiate. E sospirate. Sospirate con quello sguardo
sognante…”.
“Io
non…
non me ne ero accorto!”.
“Siete
molto innamorato e sarei davvero lieto di sapere di chi. Girano delle
scommesse…”.
“Ma
no!
Io…”.
“Di
che
parlate?” interruppe Lilien, entrando di colpo nella stanza e
buttandosi sul
letto.
“Il
principe è innamorato" spiegò Simadè.
Subito
la
demone ridacchiò ed iniziò a punzecchiare il
sanguemisto, con canzoncine
infantili a tema sentimentale.
“Piantatela!”
sbottò Keros, arricciando il naso “Non
è divertente".
“E
perché?!” si stupì Lilien.
“Mi
ero
ripromesso di non innamorarmi. Ho visto che conseguenze porta l'amore.
Non
voglio avere il cuore a pezzi…”.
“Non
tutti gli amori finiscono così...”.
“Questo
sì. È inevitabile “.
Subito
il
principe pensò al fatto che l'umano sarebbe vissuto molto
poco, meno di un
secolo. Lo avrebbe lasciato solo in così poco
tempo… Il solo pensiero, lo
rattristò.
“Altezza…”
si intromise Simadè “Se posso darvi un consiglio:
non rimuginate troppo.
L'amore è istinto. Ed alcuni di essi vanno vissuti e basta.
Magari poi ci
spezzano il cuore, ma prima di quel momento ci rendono davvero molto
felici. Se
questa persona vi rende felice, perché soffrire pensando a
quel che sarà?
Inoltre, se siete molto innamorato, ignorare questo sentimento vi
renderà solo
più affranto. Non siate sciocco. Vivete il
momento!”.
“Dici?”.
“Ma
sì!”.
“Kerosino
innamorato!” ridacchiò Lilien “E non ci
dici di chi? Dai! Siamo i tuoi
confidenti!”.
“Io
vi
definirei più degli scopamici" storse il naso il sanguemisto
“E dove sono
i tuoi cuccioli?”.
“I
NOSTRI
cuccioli, vorrai dire. Stanno dormendo. O facendo danni da qualche
parte,
suppongo…”.
Il
mezzodemone scosse la testa, tentando di togliersi di dosso la demone.
Fortunatamente, un lieve bussare alla porta interruppe tutti quegli
strani
discorsi.
“Maestà!”
sobbalzò Simadè, vedendo entrare Lucifero.
“Vi
ho
interrotti? Scusate…” ghignò il re.
“Nessuna
interruzione” mosse una mano Keros.
“Stiamo
solo spettegolando" annuì Lilien.
“Bene.
Ok… Keros, che fai domani sera?” riprese il
sovrano.
“Nulla.
Credo. Perché?”.
“Devo
assentarmi per un paio di giorni. Vado
in visita al palazzo di Samyaza e vorrei che mi sostituissi".
“Non
c'è
problema”.
“Sicuro?
Non è che ti scoccia? Ti distraggo dall'anima finale o da
altre faccende che…”.
“Quali
altre faccende?”.
“Quelle
che ti fanno canticchiare stupidaggini per il corridoio. Ci siamo
capiti, no?”.
“Ah…
ma…
anche tu pensi che io…?”.
“Che
tu
sia strano e rimbambito? Sì. Lo pensano tutti. E preferisco
pensare che tu sia
innamorato, piuttosto di crederti del tutto rimbecillito senza
motivo”.
Il
principe non disse nulla. Non aveva idea di cosa rispondere.
“Allora…”
incalzò Lucifero “…mi sostituisci per
due giorni?”.
“Sì…”
mormorò Keros.
“Che
ti
prende adesso?!”.
Il
sanguemisto aveva sospirato di nuovo, guardando un punto imprecisato
della
camera.
“Pene
d'amore?” ridacchiò Lilien.
“Ma
lasciami in pace!” sibilò il mezzodemone,
iniziando un breve bisticcio.
“Ok.
Adesso basta!” li zittì il re “Voglio
parlare da solo con mio figlio. Uscite!”.
Simadè
obbedì immediatamente. Lilien si lagnò un po' ma
alla fine dovette lasciare la
camera, chiudendo la porta dietro di sé.
“Ora
siamo soli. Dimmi: qual è il problema?”
parlò Lucifero, sedendo sul letto
accanto all'erede.
“È
complicato…” sospirò Keros.
“Prova
a
fare un riassunto".
“È
che…
ecco… Sono successe delle cose che non avevo calcolato. Ed
ora non so che fare.
Mi scoppia la testa…”.
“Non
può
essere poi tanto grave. Che sarà mai accaduto?!”.
“Ho
fatto
sesso".
“E
con
ciò? È un problema?”.
“Con
una
persona con cui non avevo in mente di…
Cioè… Non so come spiegare…”.
“Hai
fatto sesso con qualcuno con cui non avevi in mente di fare
sesso?”.
“Circa…”.
“Si
chiamano rapporti occasionali, ragazzo. Continuo a non capire
perché ti agiti
tanto".
“Mi
agito
perché ora non so cosa fare. Credo… che questa
persona mi piaccia, e anche
molto. Ma so che vivere un amore del genere è sbagliato. So
che sarebbe una
storia che mi incasinerebbe l'esistenza!”.
“E
di chi
mai ti sei innamorato?! Non sarà mica un angelo,
vero?”.
“No!”.
“Meno
male. Ne sono sollevato. Nel senso… non ti avrei impedito di
esprimere i tuoi
sentimenti, ma non ne sarei stato molto felice. Dunque…
Tornando al tuo
problema, prova a fare un elenco dei pro e dei contro".
“Un
elenco…”.
“Sì.
Scrivi, nero su bianco, gli aspetti positivi e negativi che questa
storia può
avere. Per esempio potrebbe essere positivo che ti renda felice. Questo
varrebbe già molti punti".
“Che
mi
renda felice?”.
“Sì.
Se
avere accanto questa persona ti rende felice, rende la tua vita
più bella,
allora perché rinunciarvi? Devi inseguire la
felicità, ragazzo mio. Se una cosa
ti rende felice, allora non può essere sbagliata".
“Mi
rende
felice anche uccidere umani per nutrirmi del loro
sangue…”.
“Ed
il
problema esattamente dove sarebbe?”.
Keros
trattenne un sorriso. Di certo non poteva svelare di avere tutti quei
dubbi su
un semplice umano, il re non avrebbe mai approvato. Però
l'idea dei pro e dei
contro gli pareva buona. Così decise, una volta rimasto solo
in stanza, di
scrivere subito il proprio elenco.
Ricomparve
dal mortale a mattina inoltrata. Lo trovò davanti al
computer, intento a
scrivere e sorseggiare caffè.
“Non
so
come funzioni nel mondo dei demoni…”
iniziò a parlare Ary, senza distogliere lo
sguardo dal pc “…ma nel mondo umano non
è molto cortese andar via in piena
notte, senza dire nulla".
“Perdonami"
sospirò Keros “Avevo bisogno di riflettere".
“E
secondo te per me non vale lo stesso?”.
Finalmente
i loro sguardi si incrociarono, ed il principe sorrise d'istinto.
“Sei
un
demone" riprese l'umano “Secondo te, non mi pongo dei dubbi a
riguardo?
Per quel che ne so, tutto questo potrebbe essere solo un modo subdolo
per
ottenere la mia anima. Potresti avermi incantato e costretto a provare
sentimenti di cui mi stupisco. Anche la mia testa è piena di
dubbi".
“Allora…
Parliamone. Discutiamone insieme, ti va? So che ho sbagliato ad
allontanarmi
nel cuore della notte ma, come puoi vedere, ora sono qua".
“Va
bene…”.
“Non
ho
usato il mio potere ieri notte. Non ho mai usato le mie doti di
tentatore per
spingerti a fare sesso con me. Quel che sta succedendo è del
tutto
imprevisto".
“Ma
precisamente… Per te che cos'era? Intendo… Ieri
notte. Era sesso oppure…?”.
“Non
lo
so. So che non ne sono pentito. E so che sono così felice,
quando sto accanto a
te, da dimenticare qualsiasi altra cosa. E tu? Cosa pensi sia
stato?”.
“Qualsiasi
cosa fosse, vorrei accadesse ancora. E ancora.
Però… Resti comunque un demone.
Come faccio a sapere che non è tutto un inganno?”.
“Penso
non sia possibile capirlo. Devi solo fidarti di me".
Il
padrone di casa rimase in silenzio. Keros inclinò la testa,
non sapendo bene
che cosa fare.
“Forse…”
parlò poi il sanguemisto “…abbiamo
bisogno di altro tempo per decidere. Avrò
molti impegni nei prossimi giorni, dovrò stare lontano da
questa casa e da te
fino alla fine della settimana. Nel frattempo, potremo riflettere e
capire. In
quei giorni starò distante, quindi il mio potere non
influirà in alcun modo
sulle tue decisioni. Tutti i sentimenti che proverai, non saranno
provocati dalla
magia demoniaca. E…”.
“E
poi?
Sono la tua anima finale, dopotutto".
“Se
vorrai che io sparisca dalla tua vita, lo farò. A
malincuore, ma lo farò”.
“Oh…”.
“Ora
ti
lascio lavorare".
“Non
sto
lavorando. Cioè… non proprio. Ho iniziato un
nuovo romanzo”.
“Davvero?
Che bella notizia".
“Parla
anche di te. Se non ti infastidisce…”.
“Scrivi
pure tutto quel che vuoi".
“Vieni
qui. Ti faccio leggere un pezzo".
Keros
si
avvicinò, sbirciando e leggendo sullo schermo. Vi era
descritto il loro primo
incontro. Sorrise, ripensandoci.
“Ho
avuto
l'ispirazione appena mi sono svegliato” ammise il mortale
“Il profumo che hai
lasciato sulle lenzuola deve avermi risvegliato il lato da scrittore".
“Buono
a
sapersi…”.
Il
mezzodemone decise di terminare la lettura comodamente seduto sulle
gambe
dell'umano, che si divertiva a far ruotare la sedia d'ufficio su cui
stava.
“Con
me
non serve che le nascondi, sai?” mormorò,
sfiorando con la mano la schiena di
Keros.
“Sono
scomode
in casa" ammise il principe “Ma spero di potertele mostrare
di
nuovo".
“Perché
non adesso?”.
“Come…?”.
Il
mortale strinse a sé il sanguemisto, baciandolo con un certo
trasporto. Il
tentatore contraccambiò quel bacio. Sentì una
delle mani dell'umano scendere ed
infilarsi sotto la cintura.
“Voglio
vedere le tue ali…” sussurrò Ary.
Il
mezzodemone ghignò, alzandosi in piedi.
“Ora
te
le mostro" rispose, iniziando a sbottonare la camicia.
“No.
Voglio essere io a farle comparire" ribatté l'umano,
baciando di nuovo
colui che aveva di fronte ed usando entrambe le mani per abbassarne i
pantaloni.
Keros
lo
lasciò fare. Chiuse la porta, voltandosi verso di essa.
Così facendo, permise
al mortale di cingerlo da dietro. Con le braccia tese e poggiate
sull'uscio in
legno, il principe chiuse gli occhi. Il mortale ne accarezzava il
petto, mentre
iniziava a possederlo. Il mezzodemone guidò quella mano
verso il basso,
risollevando leggermente il busto. Percepiva il respiro affannoso e
sempre più
accelerato dell'umano sul collo. Fu lieto di provare di nuovo quella
potente
sensazione di piacere. Sovrastò la mano del mortale che,
nell'eccitazione si
muoveva sempre più rapida attorno al membro eretto del
principe. Il sanguemisto
chiuse di nuovo gli occhi. Gemeva per il piacere e sentire l'umano fare
lo
stesso lo trovò estasiante. Lo sentiva dentro di
sé e, allo stesso tempo,
percepiva quella mano muoversi sempre più rapida.
“Voglio
vedere le tue ali!” ansimò il padrone di casa.
Il
principe non rispose. Non aveva nulla da dire. Sperava che quel momento
non
finisse. “Non fermarti" ripeteva nella sua mente
“Ary, non ti fermare!”.
Quegli attimi, che precedevano di poco l'orgasmo, li amava. La mano
libera del
mortale andò a stringere quella che Keros premeva contro la
porta. I movimenti
dell'uomo si erano fatti irruenti ed ogni spinta costringeva il
mezzodemone a
lanciare un gemito appassionato.
Una
goccia di sudore ne bagnò il viso e sorrise. Le ali non
comparvero di botto,
come nella notte precedente. Si schiusero piano, avvolgendo i due
amanti in un
abbraccio argenteo. Rimasero in silenzio, uniti, ansimando.
“Spero
ti
sia piaciuto tanto quanto è piaciuto a me"
mormorò Keros, con un ghigno
soddisfatto.
Non
aveva
bisogno di ricevere risposta: il volto dell'umano era espressione di
pura
estasi.
Ve
lo avevo un pochino promesso. Nella
descrizione del racconto si parla di Yaoi e fin ora non ne avevo messo
un
granché. Ma ora… Eccoci qui: soft Yaoi per voi :p
A presto!
|
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Capitolo 43 *** Facciamo un patto ***
43
Facciamo
un patto
“Altezza!”.
La
voce
riecheggiò nella sala del trono. La stessa parola, fu
ripetuta più e più volte
finché, spazientita, colei che la pronunciava non puntò i piedi.
“Keros!”
esclamò.
Solo
in
quel momento il principe girò gli occhi, notando un'altra
presenza nella stanza.
“Non
serve gridare, Lilith" parlò il sanguemisto “Cosa
ti serve?”.
“Vi
sto
chiamando da mezz'ora!” alzò le braccia Lilith.
“Ah,
sì?”.
“Sì.
I
ricevimenti per oggi sono terminati. Potete tornare in ufficio oppure
ritirarvi
in stanza”.
“Non
mi
dispiace stare qui"
Il
principe sorrise, sorreggendosi la testa e fissando il soffitto. La
sala del
trono era magnifica, ricca di sfarzo e meraviglie. Arazzi, dipinti,
stucchi e
dettagli preziosi non potevano che incantare chiunque vi entrasse.
“Lilith…
Sai perché Lucifero è da Semhiaza?”.
“No,
Keros. Ma non mi è sembrato un motivo serio. Penso che
semplicemente volesse
fare quattro chiacchiere con il suo amico. Sai… Semhiaza
è il demone che ha
guidato la seconda caduta. Sono molto simili, sotto certi
aspetti”.
“Oh,
capisco. Sono felice che si svaghi un po'. Ne ha bisogno”.
“Avete
perfettamente ragione”.
Lucifero
e Semhiaza si erano concessi una serata al “Mephistophel". Il
padrone del
locale, orgoglioso di avere ospiti illustri fra i tavoli, era di
splendido
umore.
“Cosa
vi
offro, maestà?” sorrise, fiero.
“Stupiscimi,
Mefistofele" gli rispose Lucifero, ricevendo il cocktail della casa.
In
un
bicchiere affusolato ed intagliato, il liquore rosso come il sangue
luccicava
con le luci della sala.
“Keros
viene ancora qui ad esibirsi?” volle sapere il re.
“Certo,
maestà” annuì Mefistofele
“L'ultima volta ci ha portato il mortale, quello con
l'anima finale".
“Come
ti
è sembrato?”.
“Il
principe sta usando un’ottima strategia. L'umano è
ateo, quindi non basta
fargli commettere gravi peccati. Ma Keros ha fatto ben altro! Lo ha
fatto
innamorare!”.
“Innamorare?!”.
“Sì!
Quello stupido umano è innamorato perso di Keros! L'ho
capito appena ha messo
piede nel locale. È perfetto! Una volta morto,
farà tutto il possibile per
restare accanto al suo amato. Perfino andare all'Inferno! Lo sta
legando a sé
in modo che non riesca a stare senza il demone che ama. È
perfetto! Una volta
morto, l'anima finirà all'Inferno di sicuro. Specie se si
accoppiano. A Keros
non costa nulla e per l'umano significa dannazione eterna!”.
“Geniale"
convenne Semhiaza, sorseggiando il liquore.
“Non
sapevo di questa sua strategia" ammise Lucifero “Ma
è davvero molto
interessante. Il mio ragazzo è speciale".
“Ne
sa
una più di te" sghignazzò Mefistofele, proponendo
un brindisi.
Dopo
un
ulteriore giro di cocktails, i tre demoni uscirono su un terrazzino
esterno,
dove era possibile fumare. Da lì, si vedevano tutti coloro
che entravano nel
locale. Osservandoli, i tentatori ipotizzavano cosa potessero
desiderare.
“Quello
per me vuole più soldi" indicò Semhiaza
“Guardate come finge di essere
ricco, con addosso oggetti contraffatti”.
“Giusto.
E per me quello vuole le donne" ne indicò un altro
Mefistofele “Guardate
come osserva tutte le femmine come fossero merce da supermercato".
“Quello
invece…” ghignò Lucifero, espirando il
fumo della sigaretta e puntando un umano
particolarmente grasso “…vuole solo una torta alla
crema".
Mefistofele
ridacchiò e, una volta terminata la propria sigaretta, si
congedò per poter
tornare al lavoro.
“Sapete…”
iniziò Semhiaza, rimasto solo con Lucifero
“…dovreste portarci Lilith un
giorno. Vi divertireste".
“Hai
ragione” annuì il re “Se salisse sul
palco, farebbe morire più di qualcuno”.
“È
una
donna bellissima. Ed a voi fedele, in un certo modo. Avete mai pensato
di
prenderla in moglie? Come regina, sarebbe perfetta".
“Lei
non
accetterebbe mai un legame come il matrimonio. Poi io ho promesso di
sposare
colei che fosse stata in grado di darmi un figlio".
“Sì
ma…”.
“Dove
vuoi portarmi con questa conversazione, Semy?”.
“Da
nessuna parte in particolare, Lucy. Lo dicevo solo per ricordarvi che
la vita
va in avanti, non all'indietro".
“Ma
dai.
Non mi dire…”.
“Il
vostro sguardo lo conosco bene. Non dovete attendere che il dolore
svanisca da
solo. Dovete essere voi a farlo svanire".
“Ma
di
che parli?!”.
“La
morte
della donna che si ama non si supera. Rimarrà sempre
lì. Ma il cammino
dell'esistenza prosegue. Io sono caduto perché innamorato di
un’umana, con cui
ho avuto un figlio. Dio ha mandato gli angeli ad uccidere entrambi ed
ha reso
me un demone. Inutile dire che avrei preferito la morte. La differenza
fra noi
era proprio questa. Voi avevate sempre quella luce negli occhi. Una
luce di
speranza, di sfida, che io avevo perso. Ma ora quella luce non la vedo
più”.
“Mi
sembra di sentire le farneticazioni di Azazel…”.
“Era
il
mio braccio destro, prima di cadere. Era un ottimo
consigliere”.
“Come
per
me Asmodeo. Ed alla fine ce lo siamo presi tutti quanti nel culo".
“Siete
pentito?”.
“Pentito?
Mai! Solo incazzato. Ma non è una
novità”.
“Lei
era
bellissima. Così come era bellissima Carmilla. So che
saprete voltare pagina…”.
“Chissà…”
sospirò il sovrano, gettando il mozzicone della sigaretta
“Magari un giorno la
vedrò. Magari un giorno incontrerò una donna
speciale. Magari un giorno vedrò
in lei una regina…”.
“Questo
è
lo spirito giusto, fratellone"
“Fratellone
no, ti prego!”.
“Riflettici:
sei la creatura più vecchia del cosmo. Dopo Dio, ovviamente".
“E
rifletterci
a che conclusione dovrebbe portarmi?!”.
“Dovreste
ormai aver capito che nulla è eterno”.
“Tranne
i
miei giramenti di coglioni…”.
“Già…
Può
darsi!”.
Quei
tre
giorni erano parsi lunghissimi a Keros. Quando vide rientrare Lucifero
a
palazzo, sorrise con entusiasmo. Il re scosse la testa, divertito,
sapendo bene
che quel sorriso era rivolto altrove.
“Quando
avrò l'onore di conoscere la creatura che ti rende tanto
felice?” chiese,
apprestandosi a tornare in ufficio.
“Conoscere?
Perché?” alzò un sopracciglio il
principe.
“Come
sarebbe a dire? È così che si fa!”.
“Non
so.
Un giorno…”.
“Hai
paura che possa fare qualcosa di strano?”.
“Anche.
Poi… mi serve tempo! Insomma…”.
“Smettila
di farfugliare! Fa quello che ti pare! Piuttosto… cerca di
usare delle
precauzioni, se non vuoi altri eredi".
“Veramente…”.
“È
un
maschio?”.
“Sì…”.
“Lo
sospettavo. Meglio così! A me basta vederti sorridere! Posso
almeno sapere come
si chiama? O da quale demone caduto discende?”.
“Sei
un
impiccione".
“Lo
so!”.
“Ne
parleremo con calma. Ora devo andare”.
“Ok…
Va
bene. Speravo in un po' di sana conversazione
che…”.
“La
prossima volta. Non sei stufo di parlare con me?!”.
“E
perché
dovrei?”.
“Perché
sei…”.
“Almeno
dimmi come procede con l'anima finale!”.
“Bene.
Direi… bene…”.
“Sei
riuscito a scoprire di più riguardo al fatto che ci ha
descritti così bene in
quel suo libro?”.
“Veramente
no…”.
“Prova
a
chiedergli di descriverti gli angeli".
“Perché?”.
“Magari
è
un profeta. Ci ho pensato solo adesso. Se descrive in modo corretto
anche gli
angeli, potrebbe essere destinato a ricevere una missione da parte di
Dio. O
cose del genere”.
“Ok.
Proverò. Ora vado…”.
Forse,
si
disse, era andato via in modo troppo brusco. Però aveva
fretta! Voleva
raggiungere al più presto il mortale e sapere quel che aveva
pensato in tre
giorni. Fremeva per conoscere l'esito dei suoi ragionamenti.
Entrò in casa
attraverso il portale e scese le scale, sicuro di trovare l'umano
davanti al
computer.
L'uomo
sobbalzò, non avendo udito i passi di Keros e vedendoselo
spuntare sulla porta.
“Non
volevo spaventarti. Come promesso… sono qua"
salutò il principe.
“E
ne
sono davvero felice".
“E
dunque… a che conclusione siamo giunti?”.
“Io…”.
“Posso
dirti un paio di cose, prima?”.
“Certo!”.
“Per
prima cosa, io sono un demone vampiro. Mi nutro di sangue, anche umano.
Ed è
capitato che uccidessi qualcuno. Ovviamente non accidentalmente, so
quando
fermarmi. Se uccido, è perché voglio farlo".
“Va
bene.
Insomma… preferisco non pensarci ma, alla fine, sei un
demone. Non posso
aspettarmi che ti nutra di pane azzimo ed acqua".
“Seconda
cosa: voglio una promessa da te".
“Di
che
tipo?”.
“Se
mi
vuoi accanto, voglio che accetti questo patto. Voglio che tu non dica
mai
stupidaggini riguardo la tua anima. Non voglio la tua anima".
“Non
vuoi
la mia anima?! Ma io pensavo che…”.
“Sono
innamorato di te" ammise Keros, girando lo sguardo “E spero
che anche tu
lo sia di me. Perciò non voglio la tua anima, non la voglio
più. Averla
significherebbe condannarla per l'eternità
all'Inferno”.
“Ma
non
sarei condannato comunque, se ti amassi?”.
“Ci
sono
tanti modi per andare in Paradiso. Tranquillo… so come fare.
Ma tu non devi
cederla a me. Non devi pensare di volermi concedere la tua anima,
perché se la
leghi a me non saprò cosa inventarmi. Capito?”.
“Capito.
E quindi…?”.
“Quindi
io ora voglio stare qui, con te. So che la tua vita, rispetto alla mia,
è
breve. Mi piacerebbe però coglierne ogni istante.
Però…”.
“Però…?”.
“Tu
che
cosa hai deciso? Sappi che, se non è tuo desiderio avermi
qui, me ne andrò e
non mi rivedrai. Comprenderei il tuo punto di vista. Sono un demone,
dopotutto.
Ed è normale che tu possa provare paura”.
“È
vero.
Ho paura. Però sai una cosa? Sono stufo di avere paura. Che
cos'ho da perdere?
La mia vita è una solitaria lotta per non lasciarmi andare
all'oblio perché
troppo debole per reagire. Tu mi stai donando la forza, ed è
una sensazione
bellissima. Vorrei tanto che tu restassi qui, con me. Vorrei tanto che
tu mi
amassi, tanto quanto ti sto amando io ormai da mesi".
Keros
sorrise, rimanendo però ancora fermo sull'uscio. L'umano si
alzò,
avvicinandosi.
“Tuttavia...
c'è
una cosa che voglio sapere" mormorò, sorridendo a sua volta.
“Chiedi
pure" rispose il sanguemisto.
“Qual
è il
tuo nome? Il tuo vero nome?”.
“Il
mio
nome?”.
Il
principe rimase qualche istante in silenzio. Sapeva che non doveva mai
rivelare
il nome a chi stava tentando, tentennò ma poi
annuì.
“Non
ti
sto tendando" sorrise “Perciò puoi saperlo. Keros.
Io sono Keros".
“Mi
sei
mancato, Keros" ammise l'umano, abbracciandolo.
“Anche
tu, Ary".
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Capitolo 44 *** Lo faccio per te ***
44
Lo
faccio
per te
L'umano
osservava con interesse il mezzodemone, alle prese con la cucina. Keros
non era
abituato ad usare determinati tipi di tecnologia e quindi aveva qualche
difficoltà con gli elettrodomestici. Quello che odiava di
più era la lavatrice,
ma in quel momento tentava invano di far partire il frullatore.
“Ti
serve
una mano?” si era offerto Ary.
“Faccio
da solo!” aveva risposto, testardamente, il principe.
Dopo
aver
schiacciato tasti a casaccio, il sanguemisto si era messo ad insultare
l'aggeggio elettronico, nello specifico offendendone la madre. Il
mortale aveva
trattenuto una risata ed era rimasto a guardarlo, incuriosito e
desideroso di
sapere la prossima mossa del tentatore.
“Non
me
lo rompere!” dovette intervenire, quando Keros
iniziò a sbattere il frullatore
sul tavolo.
“È
rotto!” sibilò il mezzodemone.
“No.
È
solo staccato. Devi infilarlo nella presa della corrente, se vuoi che
funzioni!”.
“Ah…”.
Keros,
imbarazzato, borbottò qualcosa e poi riprese a cucinare.
Stava preparando, come
promesso, una ricetta del mondo dei demoni. E, mentre lo faceva,
ripeteva ad
alta voce gli ingredienti in demoniaco. Questo permetteva
all’umano di imparare
nuovi termini. Da quasi un mese i due convivevano sotto lo stesso tetto
e Keros
era entusiasta.
“Non
avete i frullatori all'Inferno?” volle sapere il padrone di
casa.
“Sì.
Ma
io non li uso”
“Hai
altri che cucinano per te?”.
“Esattamente.
Così come ho altri che lavano la mia roba. Maledetta
lavatrice…”.
“Non
te
l'ho mai chiesto: all'Inferno ci sono molti titoli nobiliari,
giusto?”.
“Sì.
E
dipendono dal grado angelico che possedeva il demone prima di cadere.
Più
elevato era di rango e più prestigioso è il
titolo nobiliare all'Inferno”.
“Ma
quindi hanno tutti un titolo".
“No.
Solo
quelli più importanti".
“E
la tua
famiglia a che ramo appartiene? Chi è il tuo antenato
illustre? Deduco che,
dato che hai dei servi che cucinano e lavano per te, tu debba avere un
avo
potente”.
“Quanti
giri di parole…”.
“Insomma…
mi vuoi dire il tuo grado nobiliare?”.
“Perché?!”.
“Perché
no?”.
“Non
voglio parlare di demoni e Inferno".
“Quando
potrò conoscere tuo zio? Sarei onorato di conoscere colui
che ti ha cresciuto”.
“Anche
tu?! Ma cos'è questa fissazione?!”.
“Anche
lui vorrebbe conoscermi?”.
“Sì.
E
non accadrà. Non molto presto, perlomeno".
“Perché?”.
Keros
non
rispose subito. Ricominciò ad impastare, imbrattando tutto
di farina.
“Tuo
zio
non sa che io sono un umano, vero?” mormorò il
mortale.
“Già…”
ammise il sanguemisto “A lui non piacciono gli umani. Se lo
scoprisse, farebbe
tutto il possibile per intromettersi e tentare di dividerci. Non per
farmi un
dispetto, ma perché proprio non sopporta gli uomini.
Capisci? Sarebbe a rischio
perfino la tua vita!”.
“Oh.
Capisco…”.
“Ti
farò
conoscere altri parenti, se vuoi. Ho tanti zii…”.
“Magari!”.
“Ora
lasciami lavorare".
Con
il
matterello, Keros se la cavava abbastanza bene. Nonostante il suo odio
nei
confronti degli elettrodomestici, la cena non stava venendo affatto male
“Stai
preparando anche il dolce per farti perdonare?”
ipotizzò Ary.
“Perdonare?
Perché? Che ho fatto?”.
“Guarda
che lo so che stasera ti devi esibire al locale. Lo so che staranno
tutti lì a
sbavare per te e cose del genere…”.
“Tranquillo"
sorrise Keros, montando la panna “Ho una sorpresa".
“Una
sorpresa?”.
“Accompagnami
al locale e vedrai!”.
Il
Mephistophel era gremito di gente. Fuori dagli ingressi, lunghe file di
aspiranti clienti attendevano per poter entrare. Keros ed Ary
riuscirono a
sfuggire a fan e code grazie all'ingresso riservato.
“Sono
tutti qui per te?” si guardò attorno il mortale.
“Non
esagerare. E adesso accomodati pure al tavolo ed aspettami. Spero di
stupirti!”.
Mefistofele
aveva intravisto l'ex allievo ed aveva raggiunto l'umano, invitandolo a
sedersi. Ary continuò ad osservare quel luogo e
notò una figura nell'ombra, che
immediatamente gli fece provare un brivido lungo la schiena. E proprio
quella
figura allungò la mano, facendo cenno di sedersi al tavolo.
Titubante, il
mortale si avvicinò.
“Non
mordo, sai" ghignò la figura, spegnendo la sigaretta nel
posacenere “Siedi
al mio tavolo. Da qui c'è un'ottima vista del
palco”.
“Avete
ragione. Da qui si vede proprio bene. Vi
ringrazio…”.
“Di
nulla. Vi ho visti entrare assieme, suppongo tu ci tenga a vederlo per
bene,
quando si esibisce".
Ary
arrossì leggermente, prendendo posto ed ordinando da bere.
“Voi
siete un demone?” domandò poi.
“Si
nota?”.
“Non
molto. È che so che qui ci sono molti
demoni…”.
In
realtà
l’umano era terrorizzato da quello sguardo, non sapeva
spiegarsi perché.
“Ti
infastidisce se fumo?”.
“No,
affatto. Fumo anch'io, a volte".
“Pessima
abitudine, per un mortale".
“Lo
so…
me lo dice sempre anche Keros!”.
“Keros?
Ti ha detto il suo nome?”.
“Sì…
Lo
so che è strano. Suppongo che voi non lo diciate mai".
“No,
infatti. Io non ho bisogno di dirlo. Il mio nome in realtà
lo sai già. Così
come lo sanno tutti quelli che, come figli di Eva, incrociano il mio
sguardo".
“Voi…
voi
siete Lucifero".
“È
un
piacere conoscerti”.
“Eh…?”.
“Non
hai
sentito?”.
“A
voi
non piacciono gli esseri umani. Lo sanno tutti.
Perciò…”.
“Esatto.
Non mi piacete. Non mi siete mai piaciuti. E suppongo tu sappia anche
il
perché”.
“Perché
Dio preferisce gli esseri umani".
“No.
Perché Dio pretende che io, generato dalla prima essenza
delle stelle, mi
inchini dinnanzi al fango".
“Io
non
mi sento fango".
“Siete
forme di vita basate sul carbonio. Tecnicamente: terra”.
“Romanticamente:
diamanti. È sempre carbonio...".
“Artisticamente:
matite. È sempre carbonio!”.
Ary
ridacchiò, non riuscendo a trattenersi.
“Mi
fa
piacere che tu sappia ridere della tua specie”
alzò le spalle Lucifero.
“Sono
consapevole che non sia perfetta. Poi l'idea di essere una matita mi
diverte”.
“Contento
tu…”.
Le
luci
si fecero soffuse. Anche Mefistofele era incuriosito, non avendo chiaro
quel
che Keros avesse in mente. Aveva chiesto di far comparire molte
Succubus e così
era stato. Ma perché?
Il
principe camminò lentamente fino al centro del palco. Era
sceso il silenzio,
tutti lo fissavano. Lui sorrise, con gli occhi truccati che
scintillavano con
le poche luci che lo inquadravano. Con un profondo respiro, prese
coraggio.
Quel che stava per fare non era usuale per quelli della sua specie.
“Buonasera”
salutò, con tono mellifluo “Lieto di vedervi
così numerosi. Quest'oggi ho una
dedica speciale per i miei fan”.
L'ultima
frase la pronunciò volgendo lo sguardo verso Ary, che
sorrise d'istinto. Poi
Keros fece un altro profondo respiro e chiuse gli occhi. Quando
tornò il
silenzio, dopo l'entusiasmo espresso fra il pubblico per la dedica, il
principe
iniziò a cantare. Non lo aveva mai fatto davanti ad un
pubblico, se non in
mezzo al coro angelico in Paradiso. Non aveva voce demoniaca, non
voleva che i
demoni lo sentissero, ma capiva che quello era l'unico modo per
accontentare
gli umani, Ary compreso.
La
voce
di Keros era magnifica. I mortali presenti erano incantati, totalmente
soggiogati dal potere che il tentatore sprigionava. Per quella ragione
il
principe aveva richiesto la presenza delle Succubus, e di qualche
Incubus. La
voce del sanguemisto era in grado di risvegliare molteplici sensazioni
e
desideri. In quel caso, i presenti erano spinti a perdere ogni
controllo,
commettendo peccati principalmente carnali. I demoni invece erano in
silenzio,
allibiti. Su alcuni di loro era comparso uno sguardo malinconico.
“Che…
che
succede?” mormorò Ary, fissando Lucifero.
Il
demone,
con la sigaretta di sbieco, era con la mente persa in pensieri lontani.
Fra
ricordi del passato e stupore per la strana scelta dell'erede,
tentò di
concentrarsi sull'umano al tavolo. Cosa aveva di speciale quell'anima?
E perché
Keros non si stava semplicemente spogliando, invece di far udire a
tutti quella
voce che così tanto richiamava i cieli del Paradiso? Un'idea
gli balenò in
mente, accompagnata da un brivido.
Una
volta
terminata l'esibizione, il tentatore tornò in camerino per
cambiarsi, lanciando
un ultimo sguardo verso l'umano. Sorridendosi a vicenda, Lucifero li
fissò con
lieve fastidio.
“Dovresti
raggiungerlo" suggerì Mefistofele, rivolto ad Ary ed
indicandogli la via
“Per essere il primo a complimentarsi per l'ottimo
spettacolo. Grazie a lui,
moltissimi umani si sono del tutto rimbambiti e stanno impazzendo con
le
Succubus. Avrò le loro anime molto in fretta!”.
Una
volta
che il mortale si fu allontanato, Mefistofele notò lo
sguardo lievemente torvo
di Lucifero.
“Perché
gli hai dato un simile suggerimento, Mefisto?”
sibilò il re.
“Perché
quel ragazzo ha un piano. Per ottenere l'anima finale, ha fatto
innamorare
l'umano. Dopo la canzone, di certo quell'essere inferiore
sarà preda di una
moltitudine di voglie. Che in camerino potrà sfogare. Ho
dato una mano a Keros,
tutto qui. Ho sbagliato?”.
“No…”.
Il
sovrano sospirò, poco convinto. Con una mano fra i capelli,
si concesse un
altro drink.
“Sei
stato bravissimo!” sorrise Ary, entrando nella stanza dove
Keros si cambiava.
“Ti
è
piaciuto?” rispose al sorriso il principe, togliendo il
trucco dagli occhi.
“Sì.
Ma
perché hai stravolto così tanto il tuo
spettacolo?”.
“L'ho
fatto per te".
“Per
me?”.
“Mi
avevi
detto che eri geloso. Così ho pensato di sistemare tutto.
Non mi piaceva l'idea
di sedurre e scopare umani sconosciuti. Ho te adesso. E questo mi
basta".
“Sei
sicuro? Intendo dire… i demoni non hanno bisogno di
più compagni per…”.
“Che
domande strane che fai. Stiamo assieme, no? E fra gli umani della tua
zona non
mi pare sia di moda la poligamia. Quindi che problema
c'è?”.
“Nessuno…
suppongo".
“Bene.
Ora andiamo a casa. Ho una certa voglia…”.
“Mi
prometti che tutto questo è reale? Che non è solo
un trucco per avere la mia
anima?”.
“Ancora?!
Chi ti ha rimesso in testa questa idea scema?”.
“Ho
sentito Mefistofele che…”.
“E
tu
credi più a lui che a me?!”.
“No.
Cioè…”.
“Ary…
sono stufo di tentare di convincerti!”.
“Oh…
perdonami se ho dei dubbi sulle reali intenzioni di un
demone!”.
“Anch'io
avevo dubbi sull’intelligenza umana, non farmi riemergere
simili dubbi in
testa!”.
Il
mortale stava per rispondere ma Keros lo zittì con la mano.
“Devo
farti una domanda" esclamò “Con chi parlavi al
tavolo? Nella penombra non
so se ho visto bene…”.
“Ero
seduto al tavolo con Lucifero" ammise Ary “Ed è
stato piuttosto strano. Ed
inquietante".
“Ti
ha
spaventato?”.
“All'inizio.
Ma poi mi sono quasi divertito”.
“Di
che
avete discusso?”.
“Di
umani… Lo conosci bene? Intendo… so che
è il re e che…”.
“Mi
ha
cresciuto lui".
“Che…?!”.
“È
lui lo
zio di cui ti ho parlato. Ma ora andiamo a casa. Voglio allontanarmi da
questa
musica orrenda! Aspettami in macchina. Parlo un secondo con Mefistofele
e ti
raggiungo”.
“Va
bene.
Però…”.
“Dopo
parliamo. Ora vai, per favore. Sono stanco…”.
Nel
buio,
Keros stava raggiungendo il SUV nero. Aveva appena ricevuto i
complimenti di
Mefistofele per l'ottimo spettacolo e si era lasciato alle spalle
l'orgia in
corso nel locale.
“Lo
so
che sei lì” si voltò, con un tono di
voce molto più neutro del dovuto “Che ti
serve?”.
“Volevo
solo salutarti" ghignò Lucifero “È da
un po' che non passi da casa".
“E
da
quando questo è un problema?”.
“Andiamo…
Lo sappiamo entrambi quel che devo dirti".
Keros
tirò leggermente le orecchie all'indietro. Non aveva voglia
di parlare in quel
momento e nemmeno di perdere tempo in chiacchiere.
“Lo
sai
che io voglio solo che tu sua felice” riprese Lucifero
“Ma in questo momento
penso che tu ti sia bevuto il cervello. Ho visto come vi guardate, ho
percepito
quel che vi trasmettete. Sei innamorato di un umano. Ti rendi conto
delle
conseguenze? Per non parlare della stupidità
che…”.
“Sono
fatti miei!” si stizzì il mezzodemone.
“Non
ti
faccio la predica perché mi diverte! Lo faccio per te! Sei
il principe
ereditario. Pensa cosa accadrebbe se altri demoni scoprissero
che…”.
“Che
gli
altri demoni non si impiccino! È la mia vita, non la
loro!”.
“Hai
ragione. Però… perché? Piccolo
mio… Perché un umano?! Io vorrei solo il meglio
per te!”.
“Se
tu lo
conoscessi, capiresti che lui è il meglio per me!”.
“Per
quanto? Cinquant'anni? E poi?”.
“Poi
ribadisco quel che ho già detto: sono affari
miei!”.
“Ma
non
pensi a quel che potrebbe succedere? Gli hai perfino svelato il tuo
nome! E se
lo usasse contro di te? Sai che fine hanno fatto quelli come noi che si
sono
innamorati di un umano? Quelli rovinano tutto ciò che
toccano… Pensa a quel che
hanno fatto alla tua povera madre”.
“Mi
fido
di lui. E poi come vedi, a me non è successo proprio nulla.
Evidentemente Dio
mi ignora. Perciò fallo anche tu! Lo hai appena detto:
sarà per poco. Passati
quegli anni, sarà tutto come prima".
“E
soffrirai. Lo sai che è così”.
“A
te ha
forse fatto differenza? Pur sapendo di poter soffrire e fare una
stupidaggine,
non hai rinunciato a Sophia!”.
“Ma
che
ha a che fare tutto questo con Sophia?!”.
“Fa
lo
stesso. Tutti di dicevano di non farlo, ma hai agito di testa
tua!”.
“E
ti
sembra che mi sia andata bene?!”.
Il
principe non rispose. Non sapeva come ribattere.
“Non
ti
obbligo. Non ho intenzione di farlo" sospirò Lucifero
“Spero solo che non
ci siano grosse conseguenze. Lo sai bene che lassù non amano
molto che gli si
tocchi gli umani".
“È
ateo.
Fuori dalla giurisdizione. E sono certo non sia successo solo a me di
vivere
una situazione simile”.
“Lo
hai
trascinato in un mondo pericoloso per un mortale".
“Lo
difenderò. Io… Lo so che è una follia.
Ma sono felice. Al futuro penserò quando
sarà inevitabile".
“Non
è
molto intelligente…”.
“Buonanotte,
papà”.
L'ultima
frase era stata pronunciata con un sospiro da Keros. Non voleva
discutere
oltre, era stanco quel che bastava da non sopportare più
certi discorsi. Già
nella sua testa aveva domande a sufficienza!
“E
così…”
provò a rompere il silenzio Ary, una volta giunti a casa
“…ti ha cresciuto
Lucifero".
“Possiamo
non parlarne? Non stasera?” sbottò Keros, aprendo
il frigo e prendendosi una
birra.
“Ok.
Però… avete discusso? Non gli piaccio molto,
suppongo…”.
“Sono
fatti
suoi. A me non serve di certo la sua approvazione”.
“Ed
il
tuo vero padre? Non so chi sia, ma pensi che Lucifero
potrebbe…?”.
“Ary…
Basta parlare adesso, ok?”.
“Ok…
Volevo solo…”.
“Posso
avere un po' di silenzio? Ho la testa che esplode per colpa della
musica del
locale".
L'umano
annuì. Capì che non era il caso di insistere.
Keros aveva quasi finito la
birra, direttamente dalla bottiglia, e si voltò verso il
lavandino. Notò, quasi
con disappunto, che non vi erano piatti sporchi dimenticati.
“Ho
fatto
aggiustare la lavastoviglie" ammise Ary “Una sorpresa per te.
Adesso siamo
in due ed ho pensato che potrebbe andarci comoda".
“Un
altro
aggeggio che dovrò imparare ad usare?”.
“No.
Faccio
io. Guarda… È facile!”.
L'umano
aprì lo sportello e mostrò che all'interno vi
erano tutte le stoviglie della
sera. Mentre il mezzodemone si preparava per uscire, aveva sparecchiato
in
fretta. Mancavano solo un paio di bicchieri, che si offrì di
mostrare al
tentatore dove andassero messi.
“Aspetta!”
tentò invano di fermarlo Keros, mentre il padrone di casa
allungava la mano su
un bicchiere.
Per
la
rabbia dovuta ai pomeridiani tentativi falliti di usare il frullatore,
il
principe aveva scheggiato uno dei bicchieri che gli era capitato a
tiro.
Malauguratamente, il mortale toccò proprio quel punto e
finì col tagliarsi.
“Ma
non potevi
lasciar perdere?!” sbottò il mezzodemone.
“E
tu non
potevi buttare il bicchiere, se era rotto?”
ribatté l'umano, usando uno
strofinaccio per coprire la ferita.
Scese
il
silenzio. Il tentatore percepiva chiaramente l'odore del sangue. Unito
al
nervosismo che gli scorreva in corpo, voleva assolutamente trovare al
più
presto il modo di sfogarsi. Senza parlare, si alzò da tavola
e raggiunse Ary, baciandolo
e costringendolo a gettare in terra lo strofinaccio. Poi ne
osservò la mano e,
dopo essersela portata alle labbra, baciò anch'ella,
assaporando il sangue.
“Hai
un
buon sapore" mormorò.
“Davvero?
Io… Non sei arrabbiato per…”.
“Ary…
ti
ho già detto di smetterla di parlare!”.
Ricominciando
a baciare il mortale, il giovane principe si lasciò guidare
dalla rabbia e
dall'entusiasmo. Ary, stupito ma per nulla dispiaciuto da come il
tentatore lo
stesse obbligando al ruolo di passivo, lasciò che il demone
facesse quel
preferiva. Quella notte, fu Keros a prendere il controllo. Ed il
mortale non
riuscì a trattenere un “ti amo", mentre si
stringevano in quell'amplesso.
Ciao!!
Capitolo leggermente più lungo dello
“standard" abituale ma spero non risulti meno scorrevole. Il
prossimo sarà
decisamente più stupido :p a presto!
|
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Capitolo 45 *** Demoni pettegoli ***
45
Demoni
pettegoli
Spaparanzato
al sole, Keros si rilassava in spiaggia. La fine delle vacanze
scolastiche era
vicina e Ary sapeva che presto avrebbe dovuto rientrare al lavoro. In
quegli
ultimi giorni di Agosto però, il mortale era riuscito a
convincere il
mezzodemone a trascorrere un paio di giorni al mare. Nonostante il
tentatore
non amasse l'idea di passare il tempo a nascondere i tatuaggi, alla
fine
l'umano aveva avuto la meglio. Ed era riuscito a convincere Keros che
poteva
mostrare tranquillamente i tatuaggi e riposare. Era stata, dopotutto,
una buona
idea perché molti turisti avevano lasciato commenti di
ammirazione e
complimenti per i disegni che il principe aveva sul corpo. Si stavano
godendo
la lieve brezza marina, in totale relax.
“Che
splendida idea hai avuto" sorrise Keros, stiracchiandosi.
“Vero?
Preferisco la montagna, ma ero sicuro che a te sarebbe piaciuto davvero
moltissimo. È una spiaggia poco affollata, bella e con un
ottimo cibo a pochi
passi. Stasera ho già prenotato in un posto che conosco".
“Mi
fido”
annuì il mezzodemone, guardandosi attorno.
L'umano
era seduto, coperto in parte dall'ombrellone. Leggeva un libro ma poi,
approfittando del fatto che Keros non dormiva più,
sfruttò le conoscenze del
tentatore per finire le parole crociate.
“Che
stai
facendo?” domandò il mortale, vedendo come Keros
si guardasse attorno.
“Nulla.
È
che mi sento osservato…” ammise il principe.
“È
sicuramente una tua impressione. Ora che ne dici se ci facciamo un
bagno? Muoio
di caldo…”.
“Che
esagerato!” si alzò in piedi il sanguemisto
“Vieni! Voglio tuffarmi dalla
scogliera!”.
“Sei
un
vecchio spione!”.
A
quelle
parole, Lucifero sobbalzò. Non essendosi accorto di avere
compagnia, era stato
preso alla sprovvista da quella voce.
“Smamma,
Mihael!” sibilò.
“Perché
te ne stai qui ad osservarli? Non hai niente di meglio da
fare?!”.
“Vuoi
proprio saperlo? No, non ho un cazzo da fare".
“So
che
non è così”.
“Impicciati
degli affari tuoi!”.
Il
demone
stava spiando Keros ed Ary. Con i propri poteri, agli umani presenti si
mostrava come un grasso turista spalmato sull'asciugamano. In
realtà, era
seduto a mezz'aria ed osservava l'erede al trono, con accanto Mihael.
Ovviamente anche l'Arcangelo era invisibile ad occhi mortali, e non
capiva il
comportamento del sovrano degli Inferi.
“Perché
lo
fai?” domandò ancora Mihael “Non puoi
andare là e salutare?”.
“Certo.
Adesso io e te mettiamo il costume da bagno a fiori ed andiamo a fare
un
castello di sabbia!”.
“Non
coinvolgermi nei tuoi progetti bislacchi".
“Non
passa per l'Inferno da mesi. Non ho sue notizie da quando l'ho visto al
Mephistophel. Sono quasi due mesi di silenzio!”.
“E
allora? Non è un po' grande per raccontarti come passa il
tempo con gli
amichetti?”.
“Quello
non è il suo amichetto. Lo sai, vero?”.
“Lo
so”.
“E
non
hai nulla da dire?!”.
“Non
vedo
perché te ne stupisci. A me gli umani piacciono”.
“Sì
ma…
forse non hai ben capito… Quei due giocano a
‘infila la banana', non so se
comprendi…”.
“Lo
so.
Sono innamorati. E fanno l'amore. E con questo?”.
“Sei
ubriaco?! È un umano!”.
Mihael
alzò le spalle. Lucifero era sconcertato da quella reazione.
Si aspettava
qualcosa di molto diverso dall'Arcangelo del sole.
“Guardalo
bene” indicò Mihael “Guarda Keros. Lo
hai mai visto così felice?”.
Il
sovrano infernale si soffermò su quel dettaglio. Il principe
stava ridendo,
divertendosi molto. In effetti, il demone doveva ammetterlo, era da un
bel po'
che non vedeva l'erede ridere in quel modo.
“È
vero.
Ora è felice. Ma per quanto tempo lo sarà? E
poi… È un umano!”.
“Smettila
di ripetere che è un umano. Lo so! Keros avrà
riflettuto, in tal senso”.
“No!
Come
non hai riflettuto tu con Carmilla ed io con Sophia. Gli è
andato il cervello
nei pantaloni!”.
“E
che
pensi di poter cambiare? Pensi di potergli fare una predica tu? Proprio
tu?
Suvvia… Vorrebbe dire che tu il cervello te lo sei fumato,
fra una sigaretta ed
un'altra".
“Il
mio
cervello sta benissimo! È il tuo che è svolazzato
via, come le tue piume quando
fai la muta!”.
“Non
faccio la muta! Non sono un'anatra!”.
“Per
me
potresti anche essere un grosso pinguino con l'aureola. Il concetto non
cambia!”.
Lucifero
si accese l'ennesima sigaretta e storse il naso, agitandosi in strani
tic
nervosi.
“Fratello,
rilassati" mormorò Mihael “Nulla accade per caso.
Io non vedo nulla di
male in due ragazzi che si amano".
“Ma
non
hai proprio in mente i precedenti?! Gli angeli cacciati dal Paradiso
perché
innamorati? L'uccisione della loro progenie?”.
“Lucy…
Pensavo di non essere io a dovertelo spiegare ma… sono due
maschi. Vedi, fra
maschi, certe cose non…”.
“Lo
so!
Mi hai preso per un idiota?!”.
“E
allora
perché ti scaldi? Non possono generare alcuna
progenie!”.
“Fa
lo
stesso. Lo sai che lui si incazza se gli si tocca gli umani e si
commettono
simili imprudenze. Ed ha un modo tutto tuo di punire. Carmilla,
Sophia… sono
morte!”.
“Lo
so”.
“Andiamo!
Carmilla è morta per colpa degli uomini! Se fosse rimasta
tranquilla
all'Inferno, lontana da questa razza di bamboline di pantano e da te,
sarebbe
ancora viva".
“E
Keros
non esisterebbe. Vero. Ma non è stata colpa degli
umani”.
“Allora
ammetti che è stato Dio?”.
“No.
Qui
non stiamo parlando di quello che è stato. Parliamo di due
persone che si amano
molto e che tu, vecchio demone pettegolo, stai spiando. Spiando
perché è
evidente che sei geloso".
“Sono
preoccupato, non geloso. E leggermente disgustato. Un umano…
che porcheria!”.
“Sei
geloso. Perché ritieni Keros una tua proprietà.
Perché è l'unico figlio che
potrai mai avere!”.
“Questo
è
tutto da vedere…”.
“No,
è la
verità. Hai perso il potere di creazione che avevi in
Paradiso. Non potrai mai
e poi mai avere figli. Non continuando a fare il demone. Ma tu sei il
re dei
demoni, perciò…”.
“Tecnicamente
tu, come angelo, non avresti neanche dovuto pronunciare parole inerenti
alla
sfera sessuale e invece ti sei riprodotto. Tutto è
possibile!”.
“Se
Dio
lo vuole".
“Fanculo
Dio! Stiamo andando fuori tema! Io resto comunque
preoccupato”.
“Preoccupato…”.
“E
lo
dovresti essere anche tu! È tuo figlio! Non temi
conseguenze? Non temi che
possa essere punito o ucciso, come è successo alla sua
splendida madre? Senza
contare che sono due uomini… sappiamo entrambi che
papà non gradisce. Eri tu
uno degli angeli di Sodoma, giusto?”.
“Giusto.
Se riceverò ordini al riguardo, ci penserò. Per
ora, auguro loro tanta
felicità”.
“Io
no.
Non permetterò che succeda qualcosa a Keros!”.
“E
che
pensi di fare?”.
“Lo
vedrai. Lo riporterò al sicuro, lontano da questo branco di
discendenti di quel
pirla di Adamo!”.
“Attento
a quel che fai. Ti tengo d'occhio. Sempre!”.
“E
poi
dai a me dell'impiccione pettegolo…”.
La
sensazione di essere osservato non lo abbandonava, ma aveva deciso di
ignorarla. Era felice! Uscì dall'acqua, rabbrividendo
leggermente, ed il
mortale lo seguì.
“Ti
va un
gelato?” propose Ary, correndo poi a prenderlo.
Keros
amava il gelato. Specie se accompagnato da uno spruzzo di panna, e se
lo stava
godendo con gioia.
“Stavo
pensando…” iniziò l'umano
“…che potremmo comprare una casa al mare. Che ne
dici?”.
“Una
casa
al mare? Ma a te non piace molto il mare!” si
stupì il sanguemisto.
“Lo
so.
Ma fra poco in montagna, dove c'è casa nostra,
farà molto freddo. Ed io so
quanto odi il freddo. Qui al mare farà comunque
più caldo, non ci sarà la neve,
e…”.
“Ary!
Non
devi adattarti alle mie esigenze! Mi vestirò di
più, starò accanto al fuoco…
Sarà un lungo inverno per me ma non importa. Vedrai che
troverò il modo di
riscaldarmi…”.
“Sicuro?”.
L'uomo
sorrise all'occhiolino di Keros, che ghignò malizioso. Era
una giornata
stupenda. E non si sentiva più osservato.
Era
una
giovane donna che camminava lentamente lungo il marciapiede. In spalla
portava
uno zaino e trainava due grosse valige. A capo chino, cercava di non
far notare
le proprie lacrime. Lucifero la osservava, aspettava solo il momento
giusto per
avvicinarsi. Stanca, lei si fermò e nascose il viso fra le
mani. Il demone,
vestito come un elegante uomo d'affari, attraversò la strada
e la raggiunse.
Seduta su una panchina, la donna non notò subito quell'uomo
che si avvicinava.
“Perdonatemi"
mormorò Lucifero “Non è mia
consuetudine importunare le fanciulle ma… Mi è
concesso sapere per quale motivo state piangendo? C'è
qualcosa che posso fare
per voi?”.
“Non
credo possiate aiutarmi" ammise lei, asciugandosi le lacrime
“Grazie per
l'interessamento, comunque…”.
“Posso
almeno offrirvi un caffè?”.
“No,
grazie. Siete molto gentile ma… Ho troppe cose a cui
pensare”.
“Ed
almeno sapere il vostro nome?”.
“Leonore.
Io mi chiamo Leonore".
“Tell
this soul with sorrow laden if, within the distant Aidenn, it
shall
clasp a sainted maiden whom the angels name Leonore”*
“Già…
Allan Poe… A mio padre piaceva molto quella poesia".
“È
bellissima, a mio parere. A voi non piace?”.
“Certo.
Ed è raro incontrare qualcuno che ne reciti i versi
così bene. Siete un
insegnante di letteratura inglese?”.
“No.
Ma
non siamo qui per parlare di me. Raccontatemi quel che vi è
successo, bella
Leonora".
“Ho
perso
il lavoro".
“Oh,
brutto affare. Specie al giorno d'oggi! Ma non dovete
demoralizzarvi”.
“Lo
so.
Il problema è che io ero in affitto. Il mio padrone di casa,
appena lo ha
saputo, mi ha ratificato lo sfratto. Ho cercato un nuovo lavoro, ma non
ho
trovato nulla. Così non ho potuto pagare la retta mensile ed
ora non ho un
posto dove stare!”.
“Non
avete qualche parente? O amico?”.
“I
miei
genitori sono morti. Non ho nessuno. Ho provato a chiedere a qualche
amico, ma
non hanno un posto per me…”.
“Nemmeno
un fidanzato? O un ex collega di lavoro?”.
“Non
ho
un fidanzato. Sono sola. Senza una casa, senza un lavoro… La
mia vita è
inutile!”.
Ricominciò
a piangere, mentre Lucifero tentava di consolarla. Il demone conosceva
bene la
situazione della donna, era stato lui stesso in parte a provocarla. Con
poteri
e conoscenze, l'aveva condotta esattamente dove voleva. Ora le serviva
solo una
piccola spinta...
“Non
ci
credo che una ragazza bella come voi non abbia nemmeno un ex fidanzato
nostalgico a cui chiedere un aiuto!”.
“Ma
non
potrei mai chiedergli una cosa del genere!”.
“E
perché
no?”.
Lo
sguardo aranciato di Lucifero incrociò quello ceruleo di lei
ed una scintilla
di energia attraversò le iridi della donna.
“Forse…”
parlò l'umana, sotto l'influenza del potere di Lucifero
“…forse una persona ci
sarebbe…”.
“Io
te lo
avevo detto che dovevi metterti più crema solare"
sghignazzò Keros.
Una
volta
rientrati dal loro week-end al mare, ed aver consumato un'ottima cena a
base di
pesce, era stato subito chiaro ad entrambi che l'umano stava diventando
di un
leggero color aragosta.
“Io
mi
scotto sempre” protestò Ary, chiedendo al
mezzodemone se potesse aiutarlo con
il doposole “È uno dei motivi per cui preferisco
stare fra i boschi”.
Keros,
al
contrario, si sentiva rigenerato. Pieno di energie, era tentato dal
desiderio
di farsi un bel volo nella notte. Avrebbe trascorso volentieri molti
altri
giorni simili a quello che ormai stava per concludersi.
“All'Inferno
come trascorrete le vacanze?” domandò il mortale,
sobbalzando quando la crema
gelida ne toccava la pelle scottata.
“Non
ci
sono molte vacanze all'Inferno" ammise il principe “Ma a
molti piace il
mondo umano. Qualche isola sperduta o grande metropoli piena di cose da
vedere
e da fare… Spesso visitano musei o città antiche,
per ricordare…”.
“Quindi
il mondo umano è il villaggio vacanze dei demoni?”.
“In
alcuni casi, sì”.
“E
gli
angeli non dicono nulla?”.
“Non
possono. Intervengono solo se il demone agisce in modo concreto e
negativo
contro un essere umano. Ma non succede spesso…”.
“Sarei
curioso di sapere che ne pensano gli angeli di noi".
“Difficile
dirlo…”.
“Magari
in cielo abbiamo qualche fan. Insomma… Ci sarà
qualcuno che fa il tifo per noi,
no? O sono tutti dello stesso parere di Lucifero?”.
“Ha
così
tanta importanza? Io ti amerei anche se Dio stesso mi dicesse di non
farlo".
“Ma
lo
dice? Nel senso… parla ogni tanto?”.
“Sinceramente,
io non l'ho mai sentito".
Suonò
il
campanello. I due si fissarono, piuttosto stupiti. Fuori era buio da un
pezzo e
mai nessuno si spingeva fin lì.
“Vado
io" si offrì Ary “Sarà qualche
escursionista che si è perso”.
Keros
ne
approfittò per lavarsi le mani dalla crema doposole che
aveva ancora fra le
dita. Udì un lieve vociare e poi una donna comparve sulla
porta della cucina.
Continuava a ringraziare, con lievi inchini. Il sanguemisto
osservò i movimenti
che quei capelli biondo cenere erano costretti a compiere. Lei parve
non fare
minimamente caso al mezzodemone, che storse il naso.
“Lei
è
Leonore" spiegò finalmente Ary “È la
mia ex moglie… e resterà qui per un
po'!”.
*tratto
da “Il Corvo" di Edgar Allan Poe.
Ecco
il capitolo a tema “marino" :p A
presto, con tante piccole novità!
|
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Capitolo 46 *** Cambiamenti ***
46
Cambiamenti
“Che
cosa
sta combinando Lucifero?”.
Keros
si
stupì nell'udire una simile domanda. Alzò gli
occhi, senza fermare quel che
stava facendo. Era all'aperto, nel boschetto accanto alla casa, alle
prese con
la legna. Stava spaccando grossi ciocchi, consapevole che ben presto si
sarebbe
acceso il fuoco. Il vento si stava intensificando, diventando
lievemente
fastidioso, ma il principe era intenzionato a terminare il lavoro.
“Che
cosa
sta combinando Lucifero?” si udì ancora.
“E
per
quale motivo dovrei saperlo io, scusa?” sbottò il
mezzodemone, spaccando un
altro ciocco a metà.
“Sei
il
suo erede…”.
“E
con
questo? Non fa di me la sua balia…”.
Girando
leggermente le orecchie per il fastidio, il principe fece scintillare
la lama
dell'accetta che stava usando.
“Sei
nervoso?” suppose l'Arcangelo.
“Ho
molto
da fare. Non distrarmi con le chiacchiere".
“Le
mie
sono chiacchiere importanti".
Keros
sospirò. Mihael lo stava fissando, a braccia incrociate.
“Allora?”
incalzò l'angelo “Non sai proprio dirmi
nulla?”.
“Perché
me lo chiedi? Che sta facendo?”.
“Lo
vedo
spesso con una donna".
“E
che
cosa c'è di strano?”.
“Pensi
voglia ottenerne l'anima?”.
“E
che
vuoi che ne sappia?!”.
“Non
te
ne ha parlato?”.
“No!”.
Il
mezzodemone riprese a spaccare legna, piuttosto infastidito.
“Forse
l'hai incontrata. È biondo cenere, capelli lisci, occhi sul
grigio...”.
“Temo
di
aver capito di chi parli”.
“Davvero?”.
“Sì.
E
dovevo intuirlo. Maledetto rompicoglioni!”.
“Lo
stai dicendo
a me?”.
“Ma
no.
Anche se lo meriteresti. La donna di cui parli è Leonore.
È la ex moglie di
Ary”.
“E
Lucifero che ha a che fare con lei?”.
“Sono
certo che l'ha convinta lui a venire qui a vivere. E sicuramente
userà i suoi
poteri per farla di nuovo innamorare dell'ex marito".
“Sarebbe
carino. Riunire una coppia…”.
“Lo
fa
solo per separare me ed Ary. Proprio non ci riesce a star fuori dalla
mia
vita!”.
“Credo
sia solo preoccupato per te".
“Da
quando lo difendi?!”.
“Non
lo
difendo. Cerco di capire".
Il
principe legò assieme alcuni ciocchi, con l'intento di
portarli nella legnaia.
“Ti
serve
aiuto?” domandò Mihael.
“Se
ti
annoi…”.
L'Arcangelo
seguì il ragazzo lungo il sentiero, portando a sua volta
della legna. Keros era
irritato. Possibile che non ci fosse un modo meno faticoso per
prepararsi
all'inverno?
“Non
c'è
nessuno in casa" mormorò “Puoi mantenere il tuo
aspetto. Ary è al lavoro e
Leonore è in città. O almeno così mi
hanno detto…”.
Seduti
al
tavolino di un bar, Lucifero e Leonore si erano concessi un
caffè. Dal loro
primo incontro erano trascorsi un paio di mesi ed avevano avuto modo di
rivedersi spesso. Lei quel giorno era un po' abbattuta,
perché non riusciva a
trovare un lavoro.
“Eppure
mi accontenterei di qualsiasi cosa!” sospirò.
“Non
devi
dire così. Ci sarà un lavoro che sogni fare,
no?” le rispose Lucifero.
“Certo.
Ma non posso essere d'impiccio ad Ary per sempre!”.
“Impiccio?
Ti ha per caso detto che devi andartene o che gli dai
fastidio?”.
“No.
Ma…”.
“Ma
allora il problema non si pone! Una ragazza come te, con i tuoi studi e
le tue
capacità, non deve accontentarsi. Vedrai che presto avrai la
tua occasione”.
“Occasione?”.
Il
potere
di Lucifero convinse la donna, che annuì e tornò
a sorridere.
“Non
perdere la speranza. E nemmeno il sorriso, bella Leonora. Ora
dimmi… come ti
trovi a casa del tuo ex marito? Spero non
litighiate…”.
“No.
Nessun problema. Come amici, non siamo male”.
“E
per
quanto riguarda l'altro coinquilino?”.
“Come
lo
sai che…?”.
“Credo
di
aver omesso qualche dettaglio…”.
“Lo
conosci?”.
“Lui
è…
mio nipote. L’ho cresciuto io. Con lui come te la
cavi?”.
“È
tuo
nipote?! Davvero?! Ottimo… cioè… mi
piacerebbe sapere qualcosa di più su di
lui. È un pochino… sfuggente!”.
“Lo
supponevo. Cosa vorresti sapere?”.
“Intanto
non sarebbe male sapere come si chiama. Ho provato a chiederlo ma sia
lui che
Ary si sono tenuti sul vago".
“Fa
il
misterioso. Che cattivo ragazzo…”.
Lucifero
si sentì sollevato nell’apprendere che l'erede non
era del tutto sprovveduto.
Perlomeno non così tanto da rivelare il proprio nome ad una
mortale
sconosciuta.
“Io
lo
chiamo Kerasi. Ciliegia” sogghignò il demone.
“E
dici
si offenderebbe se facessi lo stesso?”.
“E
perché
dovrebbe?”.
“Non
so…
comunque… Di cosa si occupa? Fa il ricercatore?”.
“In
un
certo senso…”.
“È
un
ragazzo decisamente singolare. Insomma… se ne va in giro con
i capelli amaranto
e legge libri in lingue incomprensibili…”.
“Ultimamente
non ci vediamo spesso. Sono felice di poter avere un modo per sapere
come sta.
Spero tu possa avvertirmi tempestivamente, nel caso gli accada qualcosa
di
spiacevole".
“Volentieri!
Ma… viveva con te?”.
“Fino
a
non molto tempo fa, sì. Poi con il nuovo lavoro si
è trasferito".
“Ed
i
suoi genitori?!”.
“Sua
madre è morta. E suo padre… ha una posizione che
gli impedisce di avere
apertamente dei figli".
“Non
sarà
mica figlio di un prete?!”.
“Una
specie…”.
“Oh…
Ed è
tuo fratello? Il padre di Ciliegia, intendo".
“Già.
Il
mio fratellino”.
Leonore
annuì, sorseggiando il proprio caffè.
“Non
riesco proprio ad inquadrare una cosa” riprese, dopo un po'
“Ciliegia avrà
almeno una ventina d'anni. I suoi genitori devono essere stati molto
giovani
quando lo hanno concepito. E tu stesso devi essere stato molto giovane
quando
lo hai preso con te".
“Giovani?
Di certo incoscienti. Tutti quanti, io per primo probabilmente. Ma
è stata una
delle decisioni migliori della mia vita”.
“Che
bello sentire una frase del genere! Si vede che gli vuoi molto bene,
come ad un
figlio”.
“Ti
auguro un giorno di provare lo stesso sentimento, lo stesso legame".
“Ti
ringrazio! Tu non hai figli tuoi? Una moglie? Una donna che
ami?”.
“La
donna
che amavo è morta…”.
“Ma
è
terribile! Mi dispiace tanto!”.
Leonore
d'istinto allungò la mano verso quella di Lucifero,
mostrando un sincero
cordoglio.
“Non
oso
immaginare quanto sia doloroso perdere la persona che si
ama!” mormorò poi.
Il
demone
si stupì per quella reazione. Non era abituato alla
compassione dei suoi
confronti. Solitamente veniva sempre accusato, incolpato per quel che
gli
accadeva attorno. Quella donna invece era realmente dispiaciuta.
Scostò la
mano, comprendendo che quel gesto derivava solamente dal fatto che lei
non
conosceva tutta la storia, tutta la verità.
“La
vita
è fatta anche di questo" si ritrovò a dire il re
“Ma bisogna guardare
avanti, giusto? Lungo il tuo cammino c'è stato un divorzio
ma dubito che questo
ti impedisca di sperare in un futuro diverso".
“Giusto…
Allora auguriamoci a vicenda la felicità. Che ne
dici?”.
Lei
sorrise. Lui rispose a quel sorriso, divertito. Era incredibile come
gli umani
fossero strani!
“Che
ne
dici di accompagnarmi a casa?” propose Leonore
“Così saluti tuo nipote".
“Ottima
idea. Da questa parte, bella Leonora!”.
Una
volta
terminato il lavoro, il mezzodemone invitò l'Arcangelo in
casa. Mostrò una
delle foto di Leonore, per essere certi che lei fosse realmente la
donna che
Mihael aveva visto con Lucifero. Alla conferma dell'Arcangelo, Keros
non
nascose la sua irritazione. Offrì all'ospite qualcosa da
bere, pur sapendo che
avrebbe rifiutato come sempre.
“Quindi
anche lei vive qui, adesso?” chiese Mihael, mentre il
principe si concedeva una
bibita dalla lattina.
“Già…”
annuì il sanguemisto “E, da quando è
qui, ammetto di essere un po'
confuso".
“Confuso
riguardo a…?”.
“A
quel
che sto facendo. Io amo Ary. Lo amo davvero tanto. Però,
forse, non dovrei
considerare solo la mia felicità. Forse per lui sarebbe
meglio stare con
qualcuno della sua specie".
“Ha
cambiato atteggiamento con te?”.
“Non
proprio… è che in questo periodo passa molto
tempo all'università. Sai…
finalmente è riuscito a diventare insegnante, non solo
assistente a chiamata, e
quindi ora non lavora più di tanto da casa”.
“Capisco…”.
Dopo
un
sospiro, Keros iniziò a raccontare quel che era cambiato.
Leonore, ormai in
quella casa da un paio di mesi, si era sistemata in una delle camere
più
piccole. Si era stabilito che al padrone di casa spettava la
matrimoniale, agli
ospiti le camere piccole. Il mezzodemone aveva subito notato il lieve
imbarazzo
di Ary, ed aveva obbedito senza troppe obiezioni. Spostandosi nella
stanza
accanto a quella con il portale, poteva verificare che non accadessero
spiacevoli incidenti. Si era adattato, rassicurato dal fatto che la
situazione
era temporanea e che presto sarebbe tornato tutto come prima. Senza
svelare
alla donna il vero nome e la natura di demone, Keros osservava in
silenzio.
Vedeva i due umani parlare fra loro, ricordare il tempo trascorso
insieme
all'università, ridere e raccontarsi molte cose. Si sentiva
tagliato fuori, ed
in un certo senso voleva esserlo. Non intendeva scoprirsi con un'umana
sconosciuta e non intendeva coinvolgerla in affari che non la
riguardavano.
Sapere che era stato Lucifero a convincerla a venire in quella casa lo
faceva
davvero infuriate. Però, doveva ammetterlo, era lieto di
sapere che lei
trascorreva del tempo con il demone: era tutto tempo in meno con Ary!
“Ma
lei
lo sa che siete amanti?” domandò l'Arcangelo,
osservando alcune foto appese
alle pareti.
“Non
le è
mai stato detto in modo esplicito. Pensavo se ne andasse alla svelta,
oppure
che ci arrivasse da sola! Da quando è qui, io ed Ary non
troviamo mai… del
tempo per noi! Mi manca…”.
“E
questo
lui lo sa?”.
“Spero
di
sì! Spero provi lo stesso. In caso contrario… non
so. Tu che pensi debba
fare?”.
“Io?
Non
sono la persona più adatta per parlare di simili
argomenti”.
“Lucifero
lo odia. So che mi direbbe di lasciar perdere e tornare subito
all'Inferno".
“Devi
seguire il tuo cuore. È una cosa banale da dire, ma
è così. Rifletti su ciò che
è meglio, per te e per il mortale. Lucifero fa solo il suo
lavoro: cercare di
ottenere più anime possibili. Potrebbe avere facilmente
quella di lui e di lei,
se riuscisse a farli riunire”.
“Lo
difendi troppo, ultimamente…”.
“Può
darsi…
Ma ricorda che a volte i padri agiscono in modo poco comprensibile per
i figli.
Ma lo fanno solo per il loro bene".
“Non
gli
lascerò avere l'anima di Ary. Non andrà mai
all'Inferno!”.
“E
come
pensi di fare? Ha commesso un paio di peccatucci non
trascurabili…”.
“Lo
sai
meglio di me che c'è sempre un modo. La sua anima non
finirà fra i patimenti
eterni. Non soffrirà per l'eternità. Lo
aiuterò io, quando sarà il momento. E
spero di non dover avere a che fare con te che provi a sbatterlo di
sotto!”.
“Lo
sbatterò
di sotto se dovrà essere così. Fin ora hai
ragione. Ha commesso peccati ma
nulla a cui non si possa rimediare. Insomma… Non ha commesso
un omicidio! Ed
inoltre ancora non crede in Dio, perciò al momento
è un'anima destinata a
dissolversi. Ti starebbe bene anche così?”.
“Lucifero
non lo avrà”. Keros accompagnò quella
frase con lo schiacciamento della lattina
fra le mani, che poi gettò nel cestino con una smorfia.
“E
riguardo a lei?” chiese invece Mihael, guardando negli occhi
la ragazza in una
foto.
“Non
è
compito mio. Non sono mica un angelo custode!”.
“Capito…
Per lei cercherò io di far qualcosa".
“Di
quel
che capita a lei, a me poco importa. Perdona la franchezza”.
“Sei
comunque un tentatore e procacciatore di anime. Non mi aspetto di certo
benevolenza per l'umanità. Ricordati, però, che
tua madre ha scelto una strada
ben più nobile ad un certo punto…”.
“Ed
è
morta. Ti ringrazio ma… ci terrei a vivere ancora un bel
po', se non ti
dispiace. Non morirò per colpa degli umani. Per quanto ami
Ary, continuo a
considerare la maggior parte di loro dei decerebrati”.
“Lo
immaginavo. Ma tieni a mente che la Terra è stata creata per
l'uomo. Così come
sono stato creato io, e gli angeli tutti. Siamo stati creati per
servire
l'uomo, ogni cosa è stata fatta per lui. Agli angeli spetta
il Paradiso, che
però non appartiene ad essi. Anche se lo vedi come una
creatura inferiore, è
per lui che tutto esiste".
“Ma
è una
creatura inferiore! Noi siamo più potenti, e decisamente
meno stupidi”.
“Però
è
così che vanno le cose. L'uomo è la sua creazione
prediletta, come un tempo lo
era Lucifero”.
“A
me
sembra che Dio ignori tutti, prediletti o meno”.
“Può
essere. Ma questo non vale per me. Il mio compito è
proteggere gli umani,
amarli e guidarli come fossero il mio gregge".
“Sai
che
definirli un gregge di pecore già di per sé mi fa
intuire quanto poco li
consideri intelligenti?”.
“Lo
so
meglio di te che sono stupidi. Se fossero intelligenti, non si
farebbero
sottomettere dalle religioni e non si farebbero trascinare in guerre
assurde
per divinità che li ignorano".
“Ma…!”.
“Ma
questo io non l'ho mai detto. E ora…”.
Si
udì il
rombo di un motore. Subito dopo, la voce di Leonore ed un rumore di
portiera
che si chiudeva. Keros si avvicinò alla finestra. La donna
si faceva portare sempre
in città da Ary, perché con la sua vecchia auto
non si fidava ad affrontare
sentieri di montagna da sola, ma quella non era l'auto di Ary.
“Grazie
per il passaggio!” esclamò Leonore
“Vieni a cercare tuo nipote?”
Lucifero
guidava un'auto sportiva color nero metallizzato, con interni in pelle
e
finiture d'argento. Mihael, dopo aver celato il proprio aspetto
angelico, uscì
ad osservare assieme a Keros.
“Bella
macchina, bro” commentò.
“Ti
ringrazio" ghignò Lucifero “Vuoi fare un
giro?”.
“Non
ho
la patente. A che dovrebbe servirmi?”.
“A
rimorchiare".
“Bro?!”
esclamò Keros, piuttosto confuso “Siete impazziti?
C'è stato uno scambio di
personalità o vi siete lobotomizzati e non me ne sono
accorto? Bro e macchine
sportive?! È crisi di mezza età, per
caso?”.
“E
tu sei
invecchiato di colpo? Da quando sei così
rompipalle?!” fu la risposta divertita
del re dell'Inferno.
“Io
non
sono rompipalle!”.
“Sono
qui
per parlarti, non per farmi piallare i maroni".
“Se
è per
questo, anch'io vorrei parlarti!”.
“E
lui
che ci fa qui?”. La domanda fu rivolta indicando l'Arcangelo.
“Io
vado
dove mi pare!” incrociò le braccia Mihael
“Sono cazzi miei!”.
“Ok.
Potete non litigare?” li interruppe Keros “Vorrei
discutere di altro…”.
Leonore
si era prudentemente allontanata, capendo che era meglio non
immischiarsi in
problemi di famiglia. Poi fra loro discutevano in una lingua che non
comprendeva. Aveva udito un “bro". Che quello biondo fosse il
fratello
prete? Meglio non indagare e rientrare in casa…
“Ricordati
quel che ti ho detto" furono le ultime parole di Mihael, rivolte a
Keros,
prima di congedarsi a sua vola ed allontanarsi fra gli alberi
“A volte i padri
fanno cose strane".
“Ma
di
che parli?” sibilò Lucifero, subito zittito dal
mezzodemone.
“Parla
con me, adesso" lo interruppe il principe “Che pensi di
fare?! Perché ti
intrometti in faccende che non ti riguardano? Perché hai
convinto lei a venire
qui?!”.
“Sto
lavorando, ragazzino” incrociò le braccia il
demone, lievemente accigliato.
“Questo
è
il mio territorio. Ci sto lavorando io! Non puoi venire qui e
intralciarmi!
Sono le regole!”.
“Tecnicamente,
io non sto intralciando alcunché. Tu hai rinunciato
all'anima del mortale, non
lo stai tentando. Perciò sono libero di fare quello che mi
pare. E, anche se
così non fosse, io sono il re. Questo significa che comando
io. Se ti stai
dimenticando simili regole di base della gerarchia, forse è
il caso che te ne
torni a casa a fare un ripassino".
“Stai
cercando di separare me ed Ary!”.
“Sto
cercando di mostrarti la realtà. E poi
chissà… magari potrei ottenere l'anima
di lui e lei in un colpo solo!”.
“Ary
è
mio! Gira al largo, vecchio!”.
“Bada
a
come parli, marmocchio! La mia pazienza è piuttosto
limitata, lo sai”.
“Aspetta
che dica a Leonore chi sei veramente! E poi vediamo se ancora ascolta
quello
che hai da blaterare!”.
“Tu
solamente provaci ed io ti farò rinchiudere. Non metterai
più piede nel mondo
umano. Ti sconsiglio di tirare troppo la corda con me. E comunque non
sono qui
per discutere di simili cazzate".
“E
allora
cosa vuoi?”.
Il
re
sospirò, accendendo l'ennesima sigaretta. Keros,
innervosito, lo fissò con
lieve fastidio. Stava notando qualche piccolo cambiamento nel demone.
Da un
lato, era lieto che il sovrano avesse ripreso a tentare le anime.
Sembrava
quasi più giovane.
“Perché
hai convinto Leonore a venire qui?” incalzò il
principe “Perché sei così
insistente?”.
“Ho
perso
tua madre. Non farò lo stesso con te".
“Mia
madre è morta per un incendio. Lo sai bene che a me il fuoco
non fa alcun
male".
“Ma
il
gelo sì. E presto qui farà molto freddo.
Nevicherà".
“Anche
l'anno scorso faceva freddo e nevicava".
“Sì,
ma
tu tornavi a casa. Stavi un giorno dall'umano e poi passavi un periodo
all'Inferno, così le tue energie si ricaricavano. Un periodo
prolungato al
freddo ti indebolirà”.
“Per
questo sto facendo la legna. Per accendere il fuoco del
camino…”.
“Perché
sei così testardo?!”.
Keros,
a
braccia incrociate, arricciò il naso. L'auto di Ary stava
risalendo lungo il
sentiero, per poi parcheggiare davanti a casa. L'umano subito riconobbe
Lucifero e, dopo aver salutato con un cenno della testa, si
affrettò a
rientrare in casa. Il re dei demoni alzò la voce.
“Se
ti
amasse davvero…” disse, nella lingua del mortale
“…non ti permetterebbe mai di
trascorrere tanto tempo al gelo, rischiando la vita!”.
“Sto
bene!” lo zittì Keros “Sto
benissimo!”.
“Andiamo!
Hai pure rinunciato alla tua ricerca! Non stai più indagando
sul perché
quell'uomo ha scritto quel libro sui demoni, con delle descrizioni
così
dettagliate. Sono cose che non vanno ignorate!”.
“Lasciami
in pace!”.
“Keros!”.
“Senti…
papà… io capisco i tuoi dubbi”.
L'atteggiamento dell'erede di colpo non era più
aggressivo. Si passò una mano fra i capelli e
sospirò. “Papà… ti prometto
che
rientrerò all'Inferno se il gelo mi darà
problemi. Per qualche ora. Ma ora
lasciami stare, va bene? Fidati di me!”.
Il
re dei
demoni alzò un sopracciglio. Scosse la testa, non sapendo
che altro dire.
“Non
dirò
a Leonore chi sei veramente" aggiunse il sanguemisto
“Continua pure a
tentarla”.
Lucifero
ridacchiò. Vedeva quella donna spiarli dalla finestra e la
salutò con la mano.
“Io
faccio il mio lavoro” si congedò il re, salendo in
macchina “Se la cosa
interferisce con le tue questioni amorose, non mi interessa".
“Benissimo.
Nemmeno a me interessa se le mie questioni amorose interferiscono con
il tuo
lavoro".
“Basta
che poi non ti lamenti se ti prendo a ceffoni…”.
“Anche
io
ti voglio bene, papà” rise Keros “E come
umano sei davvero figo".
“Fai
il bravo.
Ti tengo d'occhio…”.
Ciao
a tutti, fan di Keros! Scusate per la
profusione di dialoghi ma erano necessari :p a presto, con altre
novità!
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Capitolo 47 *** Vino, biscotti e cioccolata ***
47
Vino,
biscotti e cioccolata
“Sono
lieta che vi piaccia!” sorrise Leonore, osservando Ary e
Keros durante la cena
“Ho voluto provare una nuova ricetta".
“Tutto
delizioso" commentò Ary “Ma non dovevi
disturbarti".
“È
il
minimo che possa fare! Poi mi piace cucinare per te. Lo facevo
già quando
eravamo fidanzati! Anche a te è piaciuta la cena,
Kerasi?”.
“Sì…”
ammise Keros, seppure poco convinto.
“Tuo
zio
mi ha suggerito quel che poteva piacerti. Il dolce l'ho fatto con le
mele e la
crema".
“Mio
zio
è un gran pettegolo”.
“È
così
gentile! Ed affascinante” sospirò lei, con aria
sognante “E colto. Abbiamo parlato
di storia antica ieri sera ed è stato molto stimolante.
Capita sempre più
raramente di incontrare uomini in grado di partecipare a simili
conversazioni.
Poi ama la musica, l'arte...”.
“Ma
è
single. Un motivo c'è. Fidati!”.
“Chissà.
Per me è solo una sua scelta. Non è ancora pronto
ad aprirsi ad un nuovo amore
dopo Sophia”.
“Ah…
ti
ha parlato di Sophia? Sta puntando sul
sentimentalismo…”.
“Puntando?”.
“Niente.
Parlavo da solo. Di cose non importanti. Ora potete pure andare a
dormire.
Domani mattina partirete presto come sempre, suppongo.
Perciò andate a
riposare, che a sparecchiare ci penso io”.
“Sicuro
di poter affrontare la terribile lavastoviglie?”
ridacchiò Ary.
“Sì,
sì.
Coraggio… andate!”.
Leonore
si alzò, augurando la buonanotte e ritirandosi al piano di
sopra. Ary rimase
qualche istante ad osservare Keros, che si versò del vino.
“Spegni
pure la luce" mormorò il sanguemisto “Io ci vedo
benissimo al buio".
Con
la
donna umana al piano di sopra, il principe era finalmente libero di
mostrare il
vero aspetto. Nella notte, i suoi occhi ambra brillavano intensamente.
Uscì sul
terrazzino da cui si accedeva dalla cucina, volendo guardare un po' le
stelle.
“Stai
bene?” gli rispose Ary, raggiungendolo.
“Sinceramente?
Non lo so".
“Ti
senti
debole per via del freddo? Perché si può
accendere il fuoco e…”.
“Il
freddo non c’entra niente".
“Ok.
Allora… cosa c'è? Ultimamente ti comporti in modo
diverso".
“Da
quando c'è Leonore mi comporto in modo diverso!”.
“E
perché?”.
“Ma
come
perché?!”.
“Oh…
ok,
dovevo supporlo. Mi dispiace che si sia creata questa situazione.
Sei…
geloso?”.
“Certo
che sono geloso! Io vi vedo. Siede belli insieme. Siete felici. Io sono
di
troppo, qua in mezzo".
“Ma
che
stai dicendo?! Io e lei abbiamo divorziato. Siamo amici, nulla di
più. E non ci
sarà mai nulla di più!”.
“Ma…”.
“Keros!
Io sono innamorato di te! Tranquillo… lei non mi
porterà via! Devi solo avere
ancora un pochino di pazienza. Appena troverà lavoro,
tornerà tutto come prima.
Te lo prometto”.
“Davvero?”.
“Certo!
Che ne dici? Facciamo un brindisi?”.
“Va
bene.
A che cosa?”.
“A
noi.
Al sentimento che ci lega".
“Oh,
Ary…”.
“Ti
fidi
così poco di me?”.
“Non
è
una questione di fiducia. È che conosco quanto sia semplice
tentare gli umani.
La loro natura è debole, specie davanti
all'amore…”.
“Sono
più
che sufficientemente tentato da te. Non ho bisogno di altro".
Keros
sorrise. Poggiò il bicchiere ormai vuoto sulla ringhiera
della terrazza. Ary
fece lo stesso, avvicinandosi così di molto al mezzodemone.
“Sai…”
mormorò l'umano “…Leonore ora
è di sopra. Siamo soli. Io e te. Che ne dici
se…?”.
“Lo
hai
mai fatto di notte nel bosco?” ghignò di risposta
il principe, tirando a sé il
mortale e baciandolo.
Continuarono
a baciarsi appassionatamente, abbracciandosi. Keros si sentì
sollevato.
Stringere di nuovo il proprio amato fra le braccia lo rassicurava. Lo
baciò
ancora, nel buio. Poi una forte bagliore illuminò la notte
si udì un grido.
Leonore, rientrata in cucina, aveva acceso la luce. Se ne stava ferma
davanti
al frigo e guardava i due amanti dalla finestra. Il principe,
perplesso, ci
mise qualche secondo a capire che lei aveva urlato perché
gli aveva visto le
corna.
“Scusate!”
si affrettò a dire lei “Che imbarazzo. Non pensavo
foste di sotto. Io…”.
“Tranquilla.
Noi…” tentò di rispondete Ary,
sistemandosi la camicia dopo il passaggio delle
mani indagatrici di Keros.
“Non
sapevo che… voi due… Mi dispiace! E
tu… tu che cosa sei?! Hai gli occhi che
luccicano come quelli dei gatti! Ed in testa…”.
“Respira"
le suggerì il mortale, raggiungendola in cucina
“Una cosa per volta. È vero, io
e lui stiamo assieme. E lui è…”.
“Un
demone" ammise Keros, come fosse una cosa normalissima.
“Sono
davvero dispiaciuta per… tutto. Che stupida a non accorgervi
che voi due…”.
Leonore
era arrossita, continuando a farfugliare.
“Non
eravamo mica nudi. Su…” scherzò il
mezzodemone, con un ghigno divertito.
“Un
demone…” riprese a farfugliare lei “E vi
stavate baciando. Ed io sono solo una
gran invadente. Scusate ancora. Ma… un demone…
come è possibile? E poi… Ary, tu
sei gay?!”.
“Non
so
quale delle due cose la sconvolga di più”
commentò il sanguemisto, guardando
l'umano “Vi lascio da soli. Avete molto di cui parlare. Me ne
vado a
nanna".
“Ma…”
fu
la risposta di Ary.
“Buonanotte,
tesoro" ghignò Keros, sfiorando il viso di Leonore.
Lei
era
pallida e sobbalzò a quel gesto. Lo seguì con lo
sguardo lungo le scale.
“È
un
demone?” sussurrò, rivolta al padrone di casa
“Un demone vero?”.
Il
principe, il cui udito era di certo molto più sviluppato di
quello degli umani,
rise. Una risata malvagia, che riecheggiò per la casa.
“Sì”
confermò Ary “È un demone vero. Ma
tranquilla, non è tanto cattivo".
“È
un
demone!”.
“Sì
ma…
lo fa apposta a spaventarti. Non ti farà alcun male".
“Sei
sicuro?!”.
“Circa…”.
“E
come
hai conosciuto un demone?”.
“Come
hai
fatto tu, suppongo".
“Io?!”.
“Suo
zio…”.
“Ah…
giusto. Mi sembrava strano che fosse un uomo vero. C'era il
trucco…”.
“Se
lo
conosci, non puoi più farne a meno. Siediti. Se vuoi, ti
racconto tutto".
“Va
bene…
tanto, mi è passato il sonno!”.
Asmodeo
ed Azazel stavano giocando a carte. Tutto procedeva come al solito
all'Inferno
e i due erano tranquilli, fin troppo annoiati. Non notarono
l'avvicinarsi di
Lucifero, che rimase a fissarli qualche istante.
“Vi
pago
per questo?” commentò il re, ed entrambi i
giocatori sobbalzarono per la
sorpresa e lo spavento.
“Noi…
stavamo…” tentò di giustificarsi Azazel.
“Pianificando
complicate strategie belliche, immagino" interruppe il sovrano.
“Ecco…”.
“Stavate
cazzeggiando. Lo so. Conosco bene come si cazzeggia. Ultimamente lo sto
facendo
spesso pure io…”.
“Maestà…
vogliate perdonarci se…”.
“Potete
anche smetterla di blaterare”
Asmodeo
si stupì. Il demone sorrideva.
“Continuate
pure!” si congedò Lucifero.
“Dove…
dove andate?” mormorò Azazel.
“A
cazzeggiare!”.
Il
diavolo si allontanò, ridacchiando.
“Dici
sia
impazzito?” mormorò Asmodeo.
“Avrà
scoperto qualche droga nuova. Come quella volta
dell'assenzio…” rispose di
rimando Azazel.
“Speriamo
sia solo quello e non demenza senile…”.
La
mattina seguente, Keros scese le scale canticchiando. Non
perché fosse
particolarmente felice, ma perché voleva scacciare la noia.
“Hai
una
voce molto bella" si sentì dire.
Sobbalzò
e vide Leonore in cucina, che sorrideva davanti ad una tazza di
tè.
“Ne
ho
preparato un po' anche per te, vuoi?” continuò,
rivolta al mezzodemone che
annuì.
“Volevo
chiederti scusa" parlò ancora, mentre il sanguemisto
intingeva biscotti
nel proprio tè “Non avevo capito quel che legava
te ed Ary. Sono stata molto
invadente e suppongo di averti irritato. Ero convinta fossi un ragazzo
in
Erasmus, o un collega di lavoro che…”.
“Mi
stai
dicendo tutto questo perché temi possa farti qualcosa di
prettamente
demoniaco?” mormorò Keros, fissando il biscotto
prima di mangiarlo.
“Io…”.
“Tenti
di
rabbonirmi perché così non ti uccido e rubo
l'anima?”.
“Potresti
farlo?”
“Rubarti
l'anima? Tecnicamente sì. Ma non sono interessato".
“E
tuo
zio?”
“Mio
zio
che cosa?”.
“Vuole
la
mia anima?”.
“Non
lo
so. Quello è strano. Difficile da capire".
“Ora
però
capisco perché sa così tante cose del passato.
Immagino lo abbia vissuto”.
“Già.
In
storia siamo imbattibili…”.
“Non
puoi
dirmi il tuo vero nome, Ary mi ha spiegato perché.
Ma… puoi dirmi se compari in
qualche testo? Tipo la Bibbia o il Dizionario Infernale?”.
“No.
Sono
un demone giovane".
“E
tuo
zio vi compare?”.
“Oh
sì.
Lui decisamente sì”.
“Giovane…
quindi quando sei nato?”.
“Nel
718”.
“Hai
mille e trecento anni?!”.
“Tra
poco, in effetti. A dicembre".
“Sarebbe
per me un vero piacere prepararti qualcosa di speciale. Un dolce o
qualcos'altro. Per sdebitarmi del fastidio che ho procurato".
“Guarda
che non serve. Non voglio per davvero la tua anima".
“Fa
niente. Intanto, te lo prometto, lascerò molti
più spazi a te ed Ary. È giusto
che stiate assieme, da soli. Sono una persona adulta, potete fare
quello che
volete! Non mi vergogno e nemmeno mi scandalizzo. Anzi… sono
felice che Ary
abbia trovato un nuovo amore".
“Ok…”
Keros,
perplesso, continuò a mangiare biscotti.
“Ti
va di
andare in città con me?” propose lei
“Dobbiamo fare la spesa e poi vorrei fare
un giro per i negozi. Ary si è raccomandato di assicurarmi
che tu abbia degli
abiti caldi, ora che arriva il freddo".
“Va
bene…”.
“Voglio
davvero andare d'accordo con te. Ok? Quindi, se c'è qualcosa
che ti
infastidisce, dimmelo subito".
“Mi
infastidisce che tu ti sforzi di fare le cose. Se non ti va, fai a
meno".
“Io
non
vedo l'ora di andare a fare shopping con te".
“Sei
una
di quelle che non vedeva l'ora di avere un amico gay, vero?”.
Leonore
rise. Keros scosse la testa, divertito. Che strambi erano gli umani!
“Andiamo"
si alzò il principe, finita la colazione “Guido
io".
“Hai
la
patente?”
“Ho
tutto
quello che vuoi!”.
Il
mezzodemone aveva appena acquistato un nuovo cappotto. Con i soldi che
chiedeva
a Mefistofele, in cambio delle serate in cui si esibiva, si era tolto
qualche
sfizio. Si osservava allo specchio con un mezzo sorriso.
“Ti
sta
molto bene" si complimentò Leonore, che stava per provare
dei jeans.
“Grazie…”.
Keros
amava ricevere complimenti. Seguì l'umana in una serie di
altri negozi del
centro commerciale, sentendosi effettivamente molto più
rilassato. La vetrina
di una gioielleria attirò poi la sua attenzione. Un paio di
orecchini con
pendente a mezzaluna brillavano in vetrina.
“Sono
bellissimi!” esclamò l'umana “Anche se
un po' cari…”.
“Ed
il
problema dove sarebbe?” parlò una voce.
“Ma
per
caso ti piace pedinarmi?” sbottò Keros,
intravedendo il riflesso di Lucifero sulla
vetrina.
“Un
pochino. È stato bello vedervi fare shopping, con le ragazze
che si girano a
guardarti il culo quando passi…”.
“Lo
fanno
davvero?!”.
“Te
ne
stupisci? Ad ogni modo, se ti piacciono, posso comprarteli io quegli
orecchini.
È da un po' che non ti vizio. Che ne dici?”
“Io…”.
“È
deciso. E per la bella Leonora? C'è qualcosa che ti
piace?”.
“Non
saprei…” balbettò lei, mentre entravano
in negozio.
Keros
scostò un ciuffo di capelli, provando gli orecchini.
“Le
tue
orecchie sono normali adesso" ridacchiò la mortale.
“In
che
senso…?” si intromise Lucifero, cercando qualcosa
di bello per Leonore.
“Lo
sa
che siamo demoni" sussurrò il principe.
“Come
sarebbe?!”.
“Lo
ha
scoperto. Lunga storia".
“Ma
non è
un problema" rise lei “Insomma… è
strano. Non mi interessa. Quando ti ho
conosciuto, stavo piangendo. Camminavo per strada e piangevo.
Nessun'altra
persona si è avvicinata per tentare di capire se poteva fare
qualcosa per me.
Perciò… demone o no, con voi mi diverto!
Poi… ci sarà da discutere sulla
faccenda della mia anima…”.
“Che
meravigliosa fanciulla” ghignò Lucifero, donandole
un bracciale “Ora che ne
dite se vi offro della cioccolata con panna?”.
“Sembra
che abbiate passato una bella giornata” sorrise Ary quella
sera.
“Sì!”
sorrise Leonore “Ma ne parliamo domani. Ora devo
uscire”.
“Appuntamento
galante?” ipotizzò il mortale.
“Circa…”.
Fu
Lucifero l'accompagnatore di Leonore e venne a prenderla con la
macchina, in un
abito più elegante del solito.
“Wow…”
mormorò Keros “Lui sì che sa come farsi
bello…”.
“Siete
pronta, madame?” chiamò il demone, ovviamente in
aspetto umano, ed i due
svanirono lungo il sentiero.
“Quindi…
questa sera siamo solo io e te?” notò Ary,
voltandosi verso Keros.
“A
quanto
pare…”.
“Cosa
hai
comprato di bello?”.
“Pensavo
di mostrartelo più tardi. Ho anche un regalo per
te…”.
“Davvero?
Cos'è?”.
“Te
lo
mostro solo se mi prometti di indossare solo il mio regalo per le
prossime… due
ore!”.
“Ok…
ci
sto. Cos'è?”.
“Una
cravatta! Ed adesso fila a letto. E spogliati".
“Solo
se
ti spogli anche tu".
“Sarò
già
nudo prima di arrivare alla fine delle scale, amor mio!”.
Ciao
a tutti! Tenterò di aggiornare di nuovo
entro il week-end, perché poi sarò senza pc per
una decina di giorni. Se ce la
faccio, ci sentiamo presto. In caso contrario… ci si sente a
settembre. Un anno
più vecchi (è quasi il mio compleanno) :p ciao!
|
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Capitolo 48 *** Proposte ***
48
Proposte
Leonore
camminava distrattamente lungo il parco che attraversava il centro
città. Il
vento faceva volare foglie multicolore, le ultime che ancora erano
rimaste
tenacemente attaccate ai rami degli alberi. Aveva appena sostenuto
l'ennesimo
colloquio ed incrociava le dita, sperando che finalmente fosse la volta
buona.
Nel frattempo, si era segnata altri annunci in agenda. Chiuse i bottoni
del
cappotto, provando un po' di freddo. Aveva qualche ora libera ed era
lieta di
vedere il suo appuntamento già seduto sulla panchina, con il
viso rivolto alle
nuvole. Lei sorrise ed affrettò il passo. Lui, notandola, si
alzò
cavallerescamente in piedi.
“Sono
in
ritardo?” domandò Leonore.
“Affatto!”
la rassicurò Lucifero “Ero qui solo da qualche
minuto. Ora dimmi… che vuoi
fare?”.
“Se
non
ti dispiace, vorrei restare un po' seduta qui. È tutta la
mattina che corro qua
e là”.
“Prego.
Come preferisci".
Lei
sedette, poggiando la borsa. Poi sollevò la testa e
fissò il cielo.
“Che
belle le nuvole" sospirò “Devono essere molto
soffici"
“In
realtà non lo sono per niente. Ma lo sembrano”
“Che
cosa
ci vedi?”.
“Dove?”.
“Nelle
nuvole. Che forma vedi in quella nuvola lì?”.
Lui
seguì
il dito della mortale e fissò la nuvola qualche istante.
“Un
criceto infilato in una melanzana" ammise.
“Un…
cosa?”.
“Perché?
Tu cosa ci vedi?”.
“Un
albero".
“Oh…
decisamente una cosa più normale”
“Senti…
questa mattina, tuo fratello è venuto a parlarmi".
“Mio
fratello? Quale? Ne ho tanti…”.
“Quello
che era a casa quel giorno. Il padre di Ciliegia".
“Il
fratello rompicoglioni, ho capito. E che ti ha detto?”.
“Mi
ha
messo in guardia da te”.
“E
che
hai risposto?”.
“Che
sono
affari miei".
“Ottimo…”.
“Ma
perché lo ha fatto? Intendo dire… Ciliegia
è un demone, giusto? Ed anche suo
padre, no? Allora perché agisce contro di te?”.
“La
situazione è complessa e non mi va di discuterne.
Piuttosto… avrei un discorso
molto ma molto serio da fare con te".
“Del
tipo…?”.
“Del
tipo: so che cosa desideri. E so come fartelo ottenere, se vuoi. Non
posso
obbligati, ovviamente, ma vorrei tu riflettessi sul fatto che io sono
il re dei
demoni e posso far realizzare i tuoi sogni".
“I
miei
sogni... intendi…?”.
“Intendo
un bambino. Non è ciò che più
desideri?”.
“Sì.
Ma
come…?”.
“Ti
capisco. Anche io ho provato lo stesso desiderio per millenni. Invano.
Il mio
piccolo Ciliegia è il mio tesoro più prezioso".
“E
come
si può fare? Cioè… dagli ultimi esami
che ho fatto, pare che nemmeno per il mio
corpo sia tanto semplice…”.
“Io
ho un
potere. Notevole. Basterà un rituale. Un pochino complesso,
ma fattibile”.
“E
poi?”.
“Poi
che
cosa? Resterai incinta e partorirai tuo figlio".
“Ed
in
cambio? E sarà un bimbo umano?”.
“Certo
che sarà umano! Per quel che riguarda il
pagamento… immagino ti sia facile
intuirlo!”.
“La
mia
anima? E quella del bambino?”.
“Il
bambino non posso saperlo. Intendo dire… potrebbe diventare
un serial killer o
uno stupratore di pulcini, che ne sappiamo? Ma non nascerà
destinato
all'Inferno".
“Ed
io?
Io potrò stargli accanto? O morirò appena
sarà nato?”.
“La
tua
morte prematura non rientra nel contratto".
“Oh…
e
quanto tempo ho per pensarci?”.
“Tutto
il
tempo che vuoi. Io ho letteralmente l'eternità a
disposizione".
“Va
bene.
Allora… ci penserò. Ci sarai al compleanno di
Ciliegia?”.
“Non
lo
so. Mi lascia perplesso il fatto che voglia farlo fra gli umani e con
anche suo
padre".
“Saremo
solo in sei. Il festeggiato, io, Ary, tu e tuo fratello”.
“Appunto!
Ci penserò… pensiamo entrambi, che ne
dici?”.
“Pensiamo
entrambi?! Ma cosa…?”.
“Rilassati.
Non parlare. Ascolta la musica del mondo”.
“La
che…?”.
“Silenzio…”.
Rilassandosi,
Leonore tornò a guardare le nuvole. Chiuse gli occhi. Che
cosa avrebbe dovuto
sentire? Il traffico, i clacson, le grida dei passanti… Poi
iniziò a percepire
altro. Udì il fruscio del vento, il canto degli uccelli, lo
scricchiolio delle
foglie… Era bella la musica del mondo! D'istinto, sempre ad
occhi chiusi,
sorrise e strinse la mano di colui che aveva accanto. Lucifero,
perplesso,
fissò quella mano. Che strani erano gli umani in
quell'epoca…
Keros
stava armeggiando con lo stereo. Sapeva che da lì usciva la
musica, ma ogni
volta ci metteva un po' a capire come. Schiacciava tasti ed andava a
tentativi,
felice quando finalmente raggiungeva lo scopo. Troppe funzioni, si
giustificava. Quando aveva capito come far partire un cd, ecco che Ary
voleva
musica alla radio o su chiavetta. Perché era tutto
così elettronico? E perché
si era permesso di sfottere Lucifero perché “non
stava al passo con i
tempi"?
“Devi
alzare la leva del volume" suggerì Ary, vedendo il
mezzodemone in difficoltà.
“Lo
so”
mentì Keros, alzandola di botto e facendo sparare al
dispositivo della musica
altissima.
Questo
spaventò parecchio il principe, dalle orecchie
particolarmente sensibili, che
preferì nascondersi dietro al divano.
“Ma
che
fai?! Spegni questo casino!” urlò il mortale, per
farsi sentire.
Capendo
che Keros non si sarebbe mosso dal proprio nascondiglio, si
alzò ed abbassò il
volume. Poi si accucciò accanto al divano e sorrise al
mezzodemone, che
distolse lo sguardo per l'imbarazzo.
“Perché
non mi suoni qualcosa al piano?” suggerì Ary
“Così non ci serve la radio".
“Non
sono
bravo…”.
“So
che
non è vero. Ma, se non ti va, non fa
niente…”.
Il
sanguemisto non rispose. Le sue orecchie erano ancora doloranti.
“Lo
sai
che non vedo l'ora che sia il tuo compleanno?” riprese a
parlare l'umano.
“Io
no…” ammise
Keros “Non sono sicuro di aver fatto bene ad invitare qui
Lucifero ed il mio
vero padre. Litigano sempre!”.
“Troveremo
il modo di non farli litigare. Cerca di essere ottimista!
Piuttosto… cosa hai
in mente? Qualche gioco? Un tema?”.
“Non
so…
non sono un grande esperto".
“Allora
chiederemo a Leonore, ti va? Non vede l'ora di organizzare qualcosa per
te.
Sempre che non ti dia fastidio…”.
“Ultimamente
è stata molto gentile con me. Andiamo d'accordo.
Perciò, se ci tiene, faccia
pure. Spero solo che i soliti due litiganti non facciano troppo casino".
“Se
hanno
le orecchie come le tue, basterà alzare il volume dello
stereo!”.
Keros
ridacchiò. Finalmente trovò il coraggio di uscire
da dietro il divano e
sgattaiolare fuori, raggiungendo il tavolino al centro del salotto.
“Sai…”
sorrise Ary “Ci tenevo a farti sapere che sono davvero felice
che tu faccia
parte della mia vita”.
“Sicuro?
Anche se corrompo la tua anima?”.
“Tu
hai
salvato la mia anima! Non fosse per te, probabilmente a quest'ora mi
sarei già
sparato in testa! Mi hai insegnato a reagire, a guardare avanti. Mi hai
fatto
capire che per ottenere le cose bisogna cambiare, muoversi. Sono un
insegnate
di ruolo adesso, grazie a te. Aspettavo invano che le cose andassero in
modo
diverso ma, ora lo so, se si vogliono cambiare le cose bisogna per
primi
cambiare se stessi. Se la nostra vita non ci piace, e vorremmo che
fosse
differente, è compito nostro modificare quel che non va.
Perché facendo sempre
le stesse cose, tutto resterà allo stesso modo! Tu mi hai
dato la forza, il
coraggio. Un nuovo lavoro, un nuovo libro… una nuova vita!
Questo non mi pare
sia una corruzione. Mi sembra più un gesto da…
angelo! E scusa se questo
paragone magari ti offende”.
“Sei
molto gentile a dirmi tutto ciò. Ma questo non toglie il
fatto che io e te
scopiamo. E questo al cielo non piace”.
“Me
ne
farò una ragione!”.
Ary
ghignò. Keros scosse la testa, rassegnato. Che strani erano
gli umani in
quell'epoca...
“Che
strani gli umani di oggi. Un tempo, sapendo che eri un demone,
tremavano dal
terrore. Adesso invece si divertono. Sembra tutto un
gioco…” parlottava
Lucifero, rimasto da solo al parco, percependo la presenza di Mihael.
“Un
gioco
orribile!” commentò l'Arcangelo.
“Il
solito gioco. Da secoli, secoli e secoli. Solo che ora i mortali
sembrano
divertirsi". Il demone sbadigliò, allungando le gambe e
restando seduto
sulla panchina.
“Quella
donna… perché vuoi l'anima di quella donna? Erano
secoli che non tentavi
qualcuno”. L'Arcangelo lo raggiunse, restando in piedi
controvento.
“Calmati,
riccioli d'oro. Non ha firmato alcun contratto. Non puoi spaccarmi le
balle per
qualcosa che non ho fatto".
“Ma
che
farai! Io so che vuoi farle un contratto!”.
“Ed
io so
che tu sai che esiste il libero arbitrio. E se lei decide di darmi
l'anima tu,
bell'angioletto, t'attacchi a ‘sto gran
c…”.
“Sempre
così volgare!” lo interruppe di botto Mihael,
incrociando le braccia.
“Ed
a tuo
figlio non dici nulla?” ghignò il re, accendendo
una sigaretta.
“Lui
ama
quell'umano. È diverso".
“Oh,
ma
che romanticone!”.
“Perché
non credi nell'amore? Tu amavi Sophia!”.
“Ed
è
proprio per questo che è morta. Così come per
amore è morta Carmilla. Se devo
scegliere fra vivere come sono o morire per un po' di smancerie
romantiche,
preferisco la prima opzione".
“Non
tutte le storie d'amore portano alla morte!”.
“Le
mie
sì! Quelle dei demoni, sì. Vedrai. La faccenda di
Keros e di quel mortale sarà
un completo disastro. E sai cosa mi dà più
fastidio? Che lui non lo capirà
finché non sarà troppo tardi! Avrò
quell'anima e Keros soffrirà in eterno per
questo”.
“Non
è
detto che l'avrai".
“Non
mi
risulta che fare sesso con i demoni rientri fra le caratteristiche
d'ammissione
al Paradiso. O mi sbaglio?”.
“Non
ti
sbagli. Ma…”.
“Ma
allora quell'anima sarà mia. O si dissolverà. In
ogni caso… a Keros si spezzerà
il cuore. Esattamente come con quel mostriciattolo di Nasfer. Per
secoli mi ha
piallato i maroni con quel ragazzo, perché lo ha umiliato.
Figurati per quanto
romperà dopo una storia come quella che sta vivendo adesso!
Ma a te che
importa? L'importante è che vinca
l'amore…”.
“Stai
delirando".
“No.
Sei
tu che non riesci a capire. Ma non me ne stupisco. Tu il dolore non lo
capisci…”.
“Il
dolore?”.
“Saprai
anche cos'è la tristezza ma la luce di Dio ti conforta, ti
risolleva. Tu non
sai cosa vuol dire quando quella luce si estingue, quando tutto attorno
a te
pare spegnersi. E quando tu stesso vorresti spegnerti per sempre.
No… tu questo
non lo capisci. E non lo capirai mai. Però prova a fare uno
sforzo. Almeno per
Keros…”.
“Io
non
voglio che Keros soffra".
“E
allora
pensa a lui, non a quel che faccio io. Che tanto, lo sai…
lei appartiene già a
me!”.
Persa
nei
suoi pensieri, Leonore non si era nemmeno accorta del tempo trascorso.
Si era
messa a gironzolare per il centro, senza una meta. Rifletteva sulle
parole di
Lucifero, su quell'ipotetico patto che poteva stringere. Ne valeva la
pena?
Sospirò, fermandosi accanto ad un negozio di articoli per
l'infanzia. Vedeva le
culle, i lettini, tutti quei vestitini minuscoli… D'istinto,
si portò una mano
al ventre. Che fosse davvero possibile che potesse generare una vita?
Che aveva
da perdere? Essere madre era sempre stato il suo sogno!
Dopotutto, pensò, quel demone le piaceva.
Questo comprometteva di molto la sua posizione, e probabilmente non
avrebbe mai
potuto avere l'accesso al Paradiso. E allora? Si chiese
perché, visto che i
demoni le parlavano, non intervenisse qualche angelo. Il suo angelo
custode,
per esempio, dov'era? Perché non le offriva qualche valida
alternativa?
“Devo
chiedere qualche dettaglio in più”
mormorò, fissando una culla di cui si era
innamorata “Valuterò
l'offerta…”.
Continuò
ad essere sovrappensiero anche una volta rientrata in casa. Keros la
fissava,
inclinando la testa, e lei nemmeno se ne accorgeva. Il mezzodemone
alzò un
sopracciglio. Sapeva bene cosa voleva dire essere sotto il dominio del
potere
di Lucifero!
“Mi
hanno
detto che posso occuparmi della tua festa" parlò Leonore, di
colpo.
Il
principe non sapeva cosa dire.
“Ti
senti
bene?” le domandò.
“Ho
alcuni
pensieri che mi passano per la testa".
“Uno
di
questi riguarda Lucifero?”.
“Anche…”.
“Attenta
a quel che fai con lui…”.
“Sono
una
donna adulta. Mi prendo carico delle mie responsabilità. Ad
ogni modo, tornando
alla tua festa…”.
“Sei
libera di agire come meglio credi. Sia per quel che riguarda Lucifero,
sia quel
che concerne la mia festa. Divertiti. Io non ho preferenze”.
“Ottimo…
ora me ne vado in stanza a riflettere. Vedrai: sarà una
festa stupenda!”.
“Lo
so
che non stai pensando alla festa…”.
Il
mezzodemone seguì con lo sguardo la mortale lungo le scale.
Ary era nello
studio, seduto davanti al pc. Keros lo raggiunse, curioso come sempre.
L'umano
gli sorrise.
“Non
trovi che siano carini?” domandò il padrone di
casa.
“Chi?”.
“Leonore
e Lucifero. Perfino i loro nomi suonano bene
insieme…”.
“Conosco
troppe donne con la L. Leonore, Lilien, Lilith…”.
“Conosci
Lilith?”.
“Vuoi
conoscerla anche tu? La conoscono tutti. E comunque no, non sono
carini.
Andiamo… Lucifero vuole solo la sua anima! Dovresti metterla
in guardia".
“E
perché
non lo fai tu?”.
“Perché
sa che io e lui siamo in momentaneo conflitto. Non mi
ascolterebbe”.
“Io
sono
il suo ex marito. Mi ascolterebbe ancora meno! E poi secondo me sono
carini".
“Se
lo
dici tu…”.
“Ma
tu
sei più carino".
“Vorrei
ben dire…”.
Keros
ghignò. Si accoccolò fra le braccia del mortale.
Voleva tenerlo al sicuro! Al
sicuro per sempre! La vita umana, così fragile ed effimera,
necessitava
protezione! La vicinanza di Lucifero non faceva altro che alimentare i
timori e
le paranoie che già gli riempivano la testa. Temeva la
prossima mossa del re
dei demoni.
“Ti
amo" sussurrò, socchiudendo gli occhi
“Ricordatelo, Ary. Qualsiasi cosa
possa mai succedere, ricordati che io ti amo".
“Anch'io
ti amo. Anche se il mio amore avrà la semplice durata di una
breve vita
umana…”.
Mini
capitolo, il secondo della settimana! Per un paio di settimane sarò
senza pc quindi non potrò aggiornare. Sigh. Ci sentiamo fra
una quindicina di
giorni (spero!!)
|
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Capitolo 49 *** Compleanno di demone -parte prima- ***
49
Compleanno
di demone
-Parte
prima-
Un
tocco
leggero. Keros mosse solo lievemente le orecchie e continuò
a dormire,
rigirando la testa. Si strinse di più nelle lenzuola. Di
nuovo un tocco
leggero, che ne spostò i capelli sul viso. Il mezzodemone
arricciò il naso,
lievemente infastidito. Un bacio sul collo gli provocò un
brivido lungo tutta
la schiena.
“Buon
compleanno” udì sussurrare.
Il
principe aprì gli occhi, chiedendosi che ore fossero. Era
buio pesto, notte
fonda. Ancora abbracciato al cuscino, sbadigliò e
cercò di non riaddormentarsi.
“Ary…”
biascicò “Ma che ore sono?”.
“È
da
poco passata la mezzanotte. Buon compleanno!”.
“Perché…
perché mi hai svegliato?”.
“Volevo
essere il primo a farti gli auguri!”.
“Oh…
grazie…”.
“E
ora…
che ne dici di festeggiare un po', prima di tornare a
dormire?”.
“Che
cos’hai in mente?”.
“Tu
che
dici?”.
Keros
intravide un ghigno sul viso del mortale, che lo baciò di
nuovo sul collo.
“Sei
pazzo?” mormorò il mezzodemone
“C'è Leonore di là!”.
“E
allora?”.
“Quella,
se si sveglia, è capace di venire qui in camera a chiedere
cosa stiamo facendo
e se può unirsi!”.
“Se
è
quello che vuole…”.
“Ary!”.
“Scherzo!”.
Il
mortale scostò parte del lenzuolo che copriva la schiena del
sanguemisto. Keros
rabbrividì, non amando molto la temperatura esterna, ma
venne subito rassicurato.
“Ti
scaldo io" sussurrò dolcemente l'umano ed il mezzodemone non
oppose
resistenza.
Li
attendeva una lunga giornata. Su richiesta di Leonore, Keros era stato
obbligato ad uscire di casa. Indossando cappotto e sciarpa, aveva
raggiunto la
città assieme ad Ary, per poi prendere una diversa
direzione. L'umano si era
recato al lavoro ed al mezzodemone era rimasto un lungo elenco di
commissioni
da svolgere, fra cui ritirare la torta di compleanno. L'idea lo
allettava,
sapeva che in pasticceria avrebbe trovato tantissimi dolci interessanti
con cui
accontentare la propria golosità. Però doveva
attendere l'orario prestabilito e
perciò, nel frattempo, prese a gironzolare per la
città, assolvendo altri
compiti come passare per la posta e la pulitura a secco. Una volta
terminate le
commissioni, salì su una delle torri che delimitavano il
centro storico ed
osservò le viuzze e le piazze. Turisti e passanti scattavano
foto da quella
postazione, mentre il mezzodemone si limitava ad ammirare il mondo
dall'alto.
Notava il traffico congestionato su alcune vie, gruppi di giovani che
passeggiavano al parco, anziani diretti dal panettiere e uomini
d'affari
incollati al cellulare. Grazie all’udito sviluppato, riusciva
a percepire molte
voci, come quella della maestra che richiamava i suoi alunni dalla
ricreazione
o quella del muratore che discuteva con il collega. La città
da lassù pareva
proprio bella, brulicante di vita e di angoli da esplorare. Erano
stupidi gli
umani, quasi sempre, ma il loro mondo non era tanto male! Il trillo del
telefono lo riportò alla realtà, dopo aver
divagato con la mente a pensieri
riguardanti il tempo che passa ed il come quella città
doveva essere diversa
mille e trecento anni fa: era ora di mangiare!
Dopo
la
breve pausa pranzo con Ary, Keros era tornato a dedicarsi alla totale
nullafacenza per il centro. Aveva trascorso del tempo in libreria,
regalandosi
un volume a tema storico, dopo un caffè ed un saluto al
negozio d'animali.
Leonore gli aveva suggerito di passare dal parrucchiere per
“farsi bello per
l'occasione", ma il mezzodemone non avrebbe mai permesso a mani umane
di
tagliargli i capelli. Così aveva atteso il tramonto,
dondolando pigramente su
un'altalena del parco, ricordando altri suoi compleanni con vago
disagio. Era
trascorso troppo tempo, troppi secoli… ma ora poteva andare
a ritirare la
torta!
“Siamo
pensierosi?” stuzzicò Ary, mentre percorrevano il
breve tragitto che li
separava dal parcheggio.
“Stavo
pensando…” ammise Keros, addentando un pasticcino
alla crema “…che sono più
vecchio della maggior parte degli edifici di questa città.
Della maggior parte
degli oggetti e del paesaggio che vedo".
“E
non ti
era mai capitato?”.
“No.
All'Inferno, è quasi tutto molto più datato di
me".
“Se
vuoi
dopo passiamo per il museo di storia naturale. Là ci sono i
dinosauri"
rise l'umano, aprendo la portiera ed aiutando il mezzodemone a
sistemare in
modo sicuro la torta ed i pasticcini.
“Proposta
allettante" mostrò la lingua Keros “In cambio,
potrei portarti in una
nursery. I demoni della tua età sono praticamente dei
neonati".
“Devono
essere carini i demoni da neonati”.
“Come
gli
umani. Ma mordono fin dalla nascita…”.
“Wow…”.
Il
mortale, entrato in macchina, controllò di sfuggita alcune
raccomandate e poi
accese il motore.
“C'è
una
cosa però di cui vorrei parlarti" esordì il
principe, dopo qualche metro.
“Dimmi
pure” sorrise Ary, abbassando la radio.
“Seriamente.
Io sono molto preoccupato per Leonore”.
“Preoccupato
per Leonore? E perché?”.
“Come
perché?! Lucifero!”.
“Keros…
Leonore è una donna adulta. Credo che non sia nostro compito
prenderci cura di
lei come fosse una mocciosa. Sono sicuro che sa badare a se stessa".
“Credimi:
non lo sa. Non si può badare a se stessi con Lucifero
intorno. È il suo potere!
E temo voglia per davvero la sua anima…”.
“E
anche
se fosse? Noi non possiamo far altro che metterla in guardia, cosa che
abbiamo
già fatto più volte. Più di questo?
Che fare? Rinchiuderla in una torre?”.
“Cerca
di
fare il serio!”.
“Lo
hai
detto anche tu che il potere di Lucifero è estremamente
difficile da
sconfiggere, specie per un umano. Anch'io sono preoccupato, temo le
possa fare
del male. Ma fin ora lei mi sembra felice, come lo siamo io e te. Pure
tu
volevi la mia anima, all'inizio”.
“Però
io
poi ho cambiato idea. Cosa che Lucifero non farà. Lui odia
gli umani, siete la
cosa che più detesta in assoluto!”.
“Leonore
compirà
le sue scelte, Keros. È il libero arbitrio, dopotutto".
“Ma
lei è
mia amica. Negli ultimi mesi è stata così gentile
con me… il minimo che possa
fare è impedirle di commettere uno sbaglio che la
condannerà per l'eternità”.
“Faremo
del nostro meglio. Ma ora non crucciarti, ok? È il tuo
compleanno! Sorridi!”.
“Prometti
di non uccidermi se, per caso, i miei due padri ti distruggono la
casa?”.
“Metterò
i danni sul loro conto…”.
Appena
messo piede in casa, Keros rimase senza parole. Leonore aveva addobbato
il
corridoio ed il salone con stelle e piccoli decori luminosi,
così da dare
l'impressione di ammirare il cielo notturno. I tavoli e tutto quello
che vi era
su di essi, dai tovaglioli ai sottobicchieri, richiamava lo stesso
tema. La
musica, soffusa, era un concerto di violini e pianoforte.
“Che
meraviglia!” commentò il padrone di casa
“Hai fatto un ottimo lavoro,
Leonore!”.
Lei
sorrise ed attese i commenti del festeggiato, che ammirava ogni piccolo
dettaglio.
“Mi
è
stato detto che adori le stelle ed il cielo" spiegò la
mortale al
sanguemisto, che si complimentò sinceramente.
“Gli
ospiti saranno qui a momenti. Meglio tirar fuori le bibite dal
frigo…” furono
le parole di Ary, dopo aver scattato qualche foto con il cellulare.
Si
diresse in cucina e lì trovò un ospite inatteso:
un gatto. Un gatto tutto nero
se me stava acciambellato su una sedia, con un occhio mezzo aperto.
“Che
micio bellissimo! Da dove arrivi? Vuoi un po' di latte? Ti faccio i
grattini
sulla pancia?”.
Tentò
invano di fare amicizia fino all'arrivo di Keros, che fissò
il gatto storcendo
il naso.
“Offrigli
vodka con ghiaccio, vedrai che ti risponde" sbottò il
sanguemisto, mentre
il gatto ghignava divertito e prendeva le sembianze di Lucifero.
“Oh…”
arrossì leggermente il padrone di casa
“…mi scuso per ogni cosa inopportuna che
posso aver detto".
“Non
c'è
problema" ridacchiò il demone “Sono consapevole di
essere un gran bel
micio irresistibile”.
“Da
quanto tempo sei qui?” volle sapere Keros, togliendo peli dal
cuscino della
sedia.
“Abbastanza.
Mi sono fatto un bel sonnellino. Ah… auguri! Ti ho portato
un regalo. È sul
tavolo, in salotto”.
“Dopo
guardo, grazie…”.
Il
re
ghignò ancora, guardandosi attorno. Leonore non fu affatto
stupita di vederlo,
come se sapesse della sua presenza felina.
“Che
vestito incantevole" si complimentò il diavolo “E
gli addobbi sono molto
carini. Forse un po' troppo chic per i miei gusti, ma la festa non
è la
mia".
Lei
sorrise, finendo di preparare i tavoli. Indossava un lungo abito blu,
molto
elegante, che richiamava il tema della giornata. Lucifero invece si era
vestito
in modo più “moderno", non troppo formale. Con i
lunghi capelli
stranamente sciolti, sfoggiava un completo jeans e camicia. I pantaloni
neri
erano strappati in qualche punto e, fra catene e piccole borchie,
sufficientemente aderenti da lasciare poco spazio all'immaginazione. La
camicia, stranamente bianca, la portava con gli ultimi due bottoni
aperti,
mostrando così una collana d'argento raffigurante il proprio
marchio.
Leonore,
incantata da quegli occhi lievemente truccati, sospirò e lo
trovò bellissimo.
Keros
preferì vestirsi con uno stile più demoniaco, con
ricami e riccioli intricati
di colore rosso, sulla stoffa nera. Mentre Leonore ed Ary finivano di
apparecchiare la sala, si era ritirato in stanza per sistemare i
capelli,
acconciandoli con piccole catene e punti luce. Quando fu soddisfatto
del
risultato, raggiunse il tavolo delle bibite. Su di esso era comparso un
buono
vino infernale ed un'altra bibita con la stessa provenienza,
decisamente più
alcolica.
“Miky
è
in ritardo” constatò Lucifero, mangiando una
patatina al formaggio.
“Probabilmente
ti sta spiando da un bel pezzo, come sempre" rispose Keros, aprendo una
birra “E spunterà quando ne avrà
voglia. Nel frattempo, non mi pare tu ti
faccia problemi. Ti stai rimpinzando di patatine".
“Che
vuoi
farci? Devo pur passare il tempo…”.
Ary
si
unì al banchetto e così fece Leonore, quando
qualcuno bussò alla porta. Il
festeggiato andò ad aprire, sapendo già chi
fosse. Mihael, con in mano un
pacchetto infiocchettato alla bene e meglio, salutò
educatamente ed entrò.
Anche lui era vestito in jeans e camicia, ma senza strappi e con
pantaloni
azzurro pastello.
“Non
avete motivo di coprire la vostra identità"
spiegò Keros, rivolto a
Lucifero e Mihael “Qui lo sanno tutti che cosa siete.
Perciò non sforzatevi
troppo e date pure libero sfogo ad ali, code e
quant'altro…”.
“Sto
bene
così, grazie" rispose l'Arcangelo “Le ali sono
solo un impiccio dentro
casa”.
“Come
preferisci… grazie per essere venuto. Non credo sia stato
facile accettare, per
entrambi. Ma voi siete entrambi mio padre, e ci tenevo ci foste in un
momento
come questo. So che spesso non lo dimostro ma… io vi voglio
bene. E spero non
litighiate oggi!”.
Lucifero,
che esprimeva con molta più facilità i propri
sentimenti rispetto a Mihael,
rispose a quelle frasi con un abbraccio divertito.
“Un
angelo…” stava ripetendo Leonore “Sto
guardando un angelo!”.
“Arcangelo"
la corresse Ary “Meglio essere precisi. Magari si
offende…”.
“Nessuna
offesa" rassicurò Mihael, nascondendo un certo imbarazzo.
Non era abituato
a partecipare a feste od occasioni simili, se non di tipo religioso.
“Bene…”
interruppe ogni discorso il principe “Non so voi, ma io ho
fame! Prendo la
torta. Sedetevi a tavola".
Il
dolce
era delizioso e, nonostante le porzioni abbondanti, non ne
avanzò nemmeno una
briciola. Poi Ary porse al festeggiato un pacchettino rettangolare,
invitandolo
ad aprirlo. Keros obbedì e rimase perplesso.
“Che
roba
è?” domandò.
“Un
lettore MP3! Non lo avete all'Inferno?”.
“Non
credo. Però è da un po' che non giro per negozi.
A cosa serve?”.
“Aspetta.
Ti faccio vedere".
Il
mortale collegò le cuffie ed accese il dispositivo.
Avvicinandosi al
mezzodemone, accostò una delle cuffiette all'orecchio del
festeggiato, che si
lasciò sfuggire un “Oh!”.
“Così,
se
vuoi sentire la musica, puoi farlo con questo" spiegò il
mortale “Anche
nel cuore della notte, senza disturbare nessuno e senza litigare con lo
stereo.
Niente spaventi. Basta un tasto per farlo partire e puoi metterci le
canzoni
che vuoi. Ti piace?”.
“Spero
di
capire come funziona…”.
“Ma
certo! È semplicissimo! Basta schiacciare il tasto centrale
per farlo
partire".
“E
gli
altri tasti?”.
“Servono
per il volume o per selezionare la canzone”.
“Capisco…
farò pratica! Grazie. Mi rincuora non dover più
toccare quel maledetto stereo!”
ridacchiò Keros “Ora
voglio aprire il
pacchetto di Mihael".
Togliendo
la carta color panna, il sanguemisto trovò due libri con la
copertina in pelle.
Privi di titolo, era evidente che fossero fatti a mano. Aprì
il primo, quello
più in alto, ed i mortali non riuscirono a trattenere lo
stupore davanti a
simile bellezza. La prima pagina era riccamente decorata con miniature
e foglie
in oro.
“Ovviamente…”
specificò Mihael “La lettura di entrambi i volumi
dev'essere ad esclusivo uso
personale".
Concluse
la frase fissando Lucifero, che gli fece una boccaccia.
“Ah…
ma
certo!” annuì Keros, capendo che doveva essere la
copia di uno dei volumi che
tanto aveva chiesto al padre, riguardante i tempi precedenti alla
guerra del
Paradiso.
“Il
secondo volume invece è da parte di Gabriel. Dice che ne
avete parlato e che
ora è tutto tuo. Non ho idea di che cosa contenga, ma spero
tu lo gradisca”.
Il
principe alzò un sopracciglio, con aria interrogativa.
Aprì il volume e lesse
qualche riga, subito comprendendo il contenuto e sorridendo. Era una
copia dei
verbali e degli appunti depositati da Mihael riguardanti Carmilla, ogni
loro
incontro fin dal primo tentativo di esplorazione umana da parte della
demone.
Lo chiuse, senza svelare all'Arcangelo la verità.
“Ringrazialo
molto. Terrò questi libri come dei tesori
inestimabili” mormorò, con un piccolo
inchino.
“Ora
posso darti il mio?” sorrise Leonore, non stando
più nella pelle e porgendo un
foglio a Keros.
“Che…
cosa…?”.
“È
un
buono per una cena!” spiegò la mortale
“Nel ristorante più esclusivo e
romantico della città. Ho un'amica che ci lavora e sono
riuscita a farvi avere
due posti, ovviamente per te e per Ary, tutti per voi. Lo chef
preparerà un
menù apposta solo per voi due, con tanto di saletta
personale e musica. Spero
non abbiate impegni per domani sera!”.
“Che
idea
carina!” commentò Ary.
“Vi
meritate del tempo per voi!”.
“Ho
sempre sognato di andare a mangiare in quel locale. Ma è
sempre strapieno!
Vedrai, Keros, sarà una serata magnifica!”.
“In
un
locale famoso, una stanza solo per noi con menù esclusivo?
Grazie, Leonore!”
esclamò il festeggiato.
“Ho
pensato che tu possiedi già molte cose" spiegò
lei “Ma di bei momenti con
il proprio innamorato non se ne trascorrono mai abbastanza.
Giusto?”.
“Hai
avuto un'idea magnifica. Ti ringrazio".
L’umana
si alzò in piedi e si fece abbracciare, felice di aver fatto
un regalo gradito.
“Ora
manca Lucy" commentò poi, indicando il demone.
“Lui
detesta essere chiamato Lucy" le sussurrò il sanguemisto.
“Oh…
scusa!”
arrossì Leonore.
“Mi
hai
portato il vino, giusto?” continuò Keros
“Ed il liquore".
“Sì”
annuì il diavolo “Ma pensi che potrei regalare
solo quello a te, nel giorno del
tuo compleanno?”.
“Non
lo
so. Io…”.
“Tieni".
Il
re
lanciò un pacchetto sul tavolo, dopo averlo estratto dalla
tasca. Il principe
lo aprì e vi trovò un mazzo di chiavi, con un
indirizzo scritto sulla
targhetta.
“Che
significa?” domandò il festeggiato.
“Se
non
puoi batterli, unisciti a loro. Così dicono"
sospirò il sovrano “Visto che
non vuoi saperne di tornare a casa, nonostante il freddo di questo
postaccio di
montagna, ho deciso di fornirti un'alternativa valida e più
adatta alla tua
salute".
“Mi
hai
comprato una casa?!”.
“Io
VI ho
comprato una casa. Ad entrambi. Una casa vicino al mare, non troppo
distante
dal luogo di lavoro del tuo amato mortale. È isolata,
tranquilla, adatta ad un
demone come te. Così, spero, trascorrerai l'inverno in un
posto dove non vieni
sommerso dalla neve già ad ottobre. Mi sentirò
molto più tranquillo sapendo che
almeno non ti ammalerai per il freddo".
“Davvero
ci ha comprato una casa?!” si stupì Ary.
“Ovviamente
questa dimora resta tua, non pretendo che vi trasferiate. Solo che tu
costringa
Keros a trascorrere del tempo in un luogo un po' più caldo.
Per il suo bene,
almeno ogni tanto".
“Ma
è
magnifico! Ne avevamo parlato, io e Keros. Pensavo di vendere questa
casa per
comprarne una in un luogo più mite. Ora è tutto
più semplice…”.
“Poi,
una
volta che sarai morto, la casa resterà a Keros o a qualche
altro demone di sua
scelta".
“Ovviamente!”.
“Non
iniziare a parlare di gente che muore!” interruppe il
principe.
“Ok”
ghignò il re “Facciamo un brindisi al
festeggiato?”.
La
serata
proseguì in modo tranquillo, fra giochi da tavolo e racconti
su Keros da
piccolo. Ad un certo punto, il festeggiato si alzò.
“Scusate"
spiegò “C'è una cosa che devo fare
prima che questo giorno sia concluso. Voi
continuate pure a festeggiare, torno fra poco".
“Perché
non porti Mihael con te?” propose Lucifero.
Il
sovrano sapeva quel che il mezzodemone voleva fare. Gli era costata
parecchia
fatica pronunciare quelle parole. Non amava l'idea che colui che
considerava
l'unico figlio e prezioso erede trascorresse del tempo con il vero
padre.
“Mihael?”
chiese conferma Keros.
“Sì”
sospirò il demone “È la cosa
giusta”.
Sono
tornata!! Eccomi!!! È stata una fatica
riuscire a concludere in tempo ma alla fine… eccoci qua! E
riprendo con gli
aggiornamenti settimanali (computer permettendo). A presto!
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Capitolo 50 *** Compleanno di demone -parte seconda- ***
50
Compleanno
di demone
-parte
seconda-
Rimasti
soli, Leonore, Ary e Lucifero si erano concessi un caffè. Il
padrone di casa,
in leggero imbarazzo, non sapeva in che modo iniziare una
conversazione. Il
demone, notandolo, ghignò divertito. Fuori era buio pesto ed
il vento fischiava
fra gli alberi, facendosi chiaramente udire all'interno della casa.
“Io…”
finalmente ebbe il coraggio di dire il mortale “Volevo ancora
ringraziare per i
regali”.
“Non
c'è
di che" alzò le spalle Lucifero “Lo hai visto in
mezzo a che clima di
merda vivi? Non permetterei mai al mio prezioso Keros di ammalarsi per
questo.
Inoltre… mi duole ammetterlo ma tu, umano, hai una buona
influenza su di
lui".
“Una
buona influenza?!”.
“Sì.
Da
quando ti conosce, ha acquisito maggiore sicurezza in se stesso. Prima
non
avrebbe mai e poi mai sfoggiato i propri tatuaggi, come invece faceva
quest'estate. E suppongo sia una buona cosa che si mostri interamente
per
quello che è: angelo, demone e via discorrendo…
Con te lo fa! Con te è
totalmente se stesso e questo è magnifico. Mi auguro che la
cosa continui anche
dopo la tua dipartita”.
“Lo
spero
anch'io…”.
“Speri
nella tua dipartita?!”.
“No!
Spero che continui a vivere in modo positivo. E che sia felice".
“Tu
non
sei male. Se non fossi un umano, ti avrei già spalancato le
porte del palazzo
reale. Vi amate davvero e spero che un giorno Keros riesca ad amare
qualcun
altro allo stesso modo".
“La
felicità non deriva dall'amore" si intromise Leonore
“Non si può passare
tutta la vita ad aspettare che qualcuno ci salvi o ci doni l'amore
eterno. La
felicità è dentro di noi, e possiamo viverla sia
da innamorati che da soli.
Così come possiamo essere tristi in entrambe le situazioni.
Noi auguriamo a Keros
la felicità, giusto? Speriamo sia felice, in qualsiasi modo
scelga di vivere in
futuro".
“Che
cosa
strana da dire" ammise Lucifero “Ad ogni modo, hai ragione.
Non si deve
mai aspettare che la nostra felicità dipenda dalla presenza
o dall'assenza di qualcuno”.
“E
adesso… che ne dite di smetterla di fare i seri e di giocare
a Twister?” mostrò
la lingua la mortale.
Nella
notte, le luci della città erano ipnotiche. Il traffico, i
lampioni e le
insegne al neon erano cose a cui Keros stentava ad abituarsi. Osservava
tutto
dall'alto, appollaiato sulla cupola di Santa Sofia, ad Istanbul. Mihael
aveva
fatto lo stesso ed osservava i pochi umani rimasti per strada a
quell'ora.
Soffiava una lieve brezza fredda ed il mezzodemone
rabbrividì.
“Vengo
sempre qui il giorno del mio compleanno" spiegò,
accucciandosi ed
annusando la rosa nera che stringeva fra le mani “Porto un
fiore alla
mamma".
“È
un
gesto molto bello" annuì Mihael.
“Dici?
Alla fine la sua anima si è dissolta, il suo corpo
è bruciato. Non esiste più
nulla di lei…”.
“Esiste
nei ricordi, miei e di tanti altri. Ed esiste in te. Una parte di lei
fa
inevitabilmente parte di te".
“Parlami
ancora di lei. Dov'era la sua casa, qui ad Istanbul?”.
“Adesso
la città è molto cambiata. Viveva all'interno
delle vecchie mura, lungo quella
strada”.
L'Arcangelo
indicò un punto della metropoli e Keros tentò di
immaginare come fosse a quel
tempo.
“Ci
sei
entrato? Come viveva?”.
“Era
una
dimora molto semplice, piccola, con una sola stanza divisa da una
tenda”.
“A
palazzo era una delle concubine del re. Ricca, servita e circondata da
comodità…”.
“A
lei
non interessava essere ricca o agiata. Avrebbe potuto ottenere
qualsiasi cosa
con i suoi poteri, sai? In passato, come tentatrice, aveva sedotto
moltissimi
uomini e da loro aveva ottenuto anime e ricchezze. Ma era venuta a
vivere qui
con un intento ben diverso. Ha iniziato ad aiutare le persone e
probabilmente è
stato questo ad avvicinarci".
“Quando
le hai confessato il tuo amore?”.
“Io…
non
l'ho mai fatto".
La
voce
di Mihael si era fatta triste, malinconica. Sospirò,
ripensando a quei giorni.
“Ma…
avrete passato del tempo assieme. Glielo avrai fatto capire,
no?” inclinò la
testa Keros.
“Non
credo. Non è stata una vera e propria storia la
nostra…”.
“Io
in
qualche modo sono nato, giusto?
Perciò…”.
“Ah…
in
quel senso tu intendi…”.
L'Arcangelo
arrossì e distolse lo sguardo. Il mezzodemone, al contrario,
ridacchiò.
“Perché
arrossisci?” domandò, divertito “Siamo
adulti! E so bene che Carmilla, come
tentatrice, ha fatto sesso con un sacco di persone. Per quello spero
che tu le
abbia fatto capire i tuoi sentimenti… per sapere se almeno
una volta lei abbia
fatto l'amore, e non solo sesso".
“Sei
più
esperto di me sull'argomento, poco ma sicuro”.
“Raccontami!
Voglio sapere più cose possibili!”.
“Non
ti
parlerò di come ho giaciuto con tua madre! È da
depravati!”.
“Il
vostro primo bacio? La prima volta che l'hai vista felice? Un
appuntamento che
ricordi?”.
“Te
l'ho
già detto: la nostra non è stata una vera storia
d'amore…”.
“Ok…
capito…”.
Il
sanguemisto era lievemente deluso. Riprese a guardare le luci della
città
addormentata, in silenzio.
“Eravamo
al porto" riprese a parlare, inaspettatamente, Mihael “Subito
fuori le
antiche mura, lei era andata a cogliere erbe nel plenilunio.
È stato lì il
nostro primo bacio”.
“Plenilunio,
il rumore delle onde, il riflesso delle stelle…”
sorrise Keros, con aria
sognante.
“Già.
E,
se vuoi proprio saperlo, è lì che sei stato
concepito".
“Al
porto? Wow… sono un figlio del mare" ridacchiò il
mezzodemone.
“Era
così
bella. E così… speciale! Mai nella mia vita ho
incontrato un'altra creatura
come lei. Era unica e non c'è giorno in cui mi chieda come
sarebbero ora le
cose se io fossi stato lì con lei, a salvarla da quelle
fiamme che l'hanno
portata via".
“Forse,
se Lucifero non ti avesse tolto la memoria…”.
“Chissà.
Ma io credo sempre che le cose accadano per volere di Dio. Si possono
fare
delle ipotesi però, alla fine, le cose dovevano andare come
sono andate.
Sarebbe stato un vero problema se io fossi caduto".
“Caduto?
Intendi dire… divenuto un demone?”.
“Certo.
È
il destino degli angeli che commettono peccati carnali”.
“E…
non
ti sarebbe piaciuto essere un demone assieme a lei?”.
Mihael
aprì la bocca, come a voler dire qualcosa, ma poi la
richiuse e rimase in
silenzio. Keros alzò gli occhi, cercando di decifrare lo
sguardo del padre,
perso verso un punto lontano. Rispettò quel silenzio,
concentrando le proprie
attenzioni su un umano che passeggiava al buio.
“Ed
io
dici che potrei cambiare?” domandò poi il
sanguemisto, notando lo sguardo
perplesso dell'Arcangelo.
“Intendi
dire diventare del tutto un angelo?”.
“No,
quello non è possibile. Ho ucciso delle persone".
“E
con
questo? Anch'io ho ucciso delle persone".
“Tu
hai
seguito un ordine di Dio. Io uccido per nutrirmi…”.
“E
questo
per te è un criterio di valutazione? Gabriele è
stato in guerra, Uriel ha
ucciso i primogeniti d'Egitto, io ho distrutto Sodoma e
Gomorra…”.
“Wow…”.
“E
sai
quanta gente ha ucciso Lucifero?”.
“Io…
non
ne ho idea!”.
“Solamente
una famiglia. E per una scommessa fatta con Dio, ai tempi in cui ancora
bisticciavano per passare il tempo, prima di Gesù e quel che
ne seguì. Se
contiamo il numero dei morti, Lucifero merita il paradiso
più della maggior parte
degli angeli”.
“Che
cosa
inquietante… Ma comunque io intendo un altro tipo di
cambiamento. Parlo di
divenire umano. Uno come noi è mai diventato un
umano?”.
“Non
credo sia mai successo. Tu vorresti diventare un umano?”.
“Non
lo
so… Ci stavo pensando…”.
“Per
restare assieme a colui che ami?”.
“Sì.
Invecchiare, cambiare e vedere il mutare del tempo assieme”.
“E
lui
credi sia d'accordo?”.
“Non
lo
è. Ma è la mia vita”.
“Considera
i rischi. La natura umana è mutevole. La vostra storia
potrebbe durare fino alla
vecchiaia così come finire domani mattina".
“Parli
come Lucifero, lo sai? Solo con qualche parolaccia in
meno…”.
“Che
cosa
inquietante…”.
“Comunque…
credi sia possibile?”.
“Renderti
umano? Proverò ad informarmi al riguardo. Ma tu riflettici
bene”.
“Lo
farò…”.
Lucifero
si era dimostrato particolarmente bravo a giocare a Twister, nonostante
si
lamentasse per la vecchiaia. Leonore stava ridendo come una matta.
“Ma
non
riesci a mettere il piede sul rosso?” stava dicendo Ary.
“Non
ho
le gambe lunghe come le tue!” aveva ribattuto Lucifero,
rimanendo in equilibrio
per un pelo.
“Tanto
vinco io!” rideva Leonore.
“Siete
tutti matti voialtri…” sbottò divertito
il re, prima di cadere con il sedere
sul tabellone del gioco.
“Dobbiamo
fare più spesso delle serate così”
annuì Ary.
“Però
ora
si sta facendo tardi. Dove sono Keros e Mihael?” si chiese la
mortale,
rialzandosi in piedi.
“Staranno
spettegolando" ipotizzò Lucifero, mentre tirava fuori una
specie di
cellulare dalla tasca.
“E
quello
cos'è?” si incuriosì Leonore.
“Un
aggeggio fastidioso che mi avvisa in caso di problemi all'Inferno.
Visto che il
mio erede bighellona sulla terra, se voglio allontanarmi mi tocca
portarmi
dietro questo coso. Alcune questioni posso risolverle anche senza
tornare di
sotto”.
“È
comodo
allora".
“Sì…
salvo quando alcuni demoni lo usano per mandarmi messaggini sui cazzi
loro.
Tipo Azazel che mi parla della sua nuova morosa o Asmodeo che si lagna
per gli
errori della lavanderia".
“Anche
all'Inferno esiste la maledizione delle chat di
gruppo…” ironizzò Ary,
iniziando a sistemare i tavoli.
“Pensa
che rottura di coglioni…”.
Mihael
e
Keros si stavano salutando. La loro ultima conversazione riguardava la
piccola
Sophia, la bambina affidata alle cure del Cielo. La piccola aveva
lasciato una
bella lettera all'interno del libro che l'Arcangelo aveva donato al
festeggiato.
“È
una
bambina meravigliosa" ammise Mihael “La adorano tutti. Gli
altri eredi
come stanno?”.
“Sinceramente…”
ammise Keros, con imbarazzo “È da un po' che non
li vedo. Sono un pessimo
padre…”.
“È
chi
può dirlo? Io il mio non lo vedo da almeno un millennio".
“Buono
a
sapersi…”.
“Ora
rientra in casa. Fa freddo qua fuori per te”.
“Hai
ragione" rabbrividì il mezzodemone.
Entrando,
trovò Leonore ed Ary che stavano finendo di riordinare.
“Lucifero
è dovuto andar via" spiegò lei “Ha
suonato quell'affare che porta sempre
con sé”.
“Capito"
sorrise Keros “Ora andate pure a dormire. Finisco io di
sistemare. E grazie
mille per i regali".
“Di
niente" rispose al sorriso la mortale “A questo
proposito… ho un favore da
chiedervi”.
“Parla
pure”.
“Domani
sera, dopo cena… cercate di divertirvi! Insomma…
tornate a casa con calma!”.
“Ti
serve
la casa libera per un po'?” intuì il sanguemisto.
“Sì…
io
ho, ecco…”.
“Torneremo
il più tardi possibile” rise Ary “Fai
pure quello che vuoi!”.
La
festa è finita, tutti a nanna!! A presto!!
|
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Capitolo 51 *** Nella notte -parte prima- ***
51
Nella
notte
-parte
prima-
Ary
e
Keros si stavano godendo la cena. Il cibo era delizioso, l'atmosfera
unica ed
il locale era davvero esclusivo. Il principe, abituato a sfarzi di gran
lunga
più eccessivi ed esagerati, non voleva altro che trascorrere
del tempo in santa
pace con il mortale. Complimentandosi a vicenda per l'abito scelto, in
entrambi
i casi molto elegante, ridevano e si rilassavano.
“Ho
una
sorpresa per te" parlò, ad un tratto, l'umano.
Con
sé
portava una valigetta d'ufficio, in pelle nera e cinghie in argento. La
aprì con
un sorriso compiaciuto e ne estrasse un libro, con una splendida
illustrazione
in copertina ed il titolo stampato in rosso cupo.
“La
prima
copia" spiegò Ary, porgendo il volume a Keros.
“Il
tuo
nuovo libro?” intuì subito il mezzodemone.
“Sì.
Dalla prossima settimana sarà in vendita. Ed io ci tenevo a
farti avere la
prima stampa".
“È
meraviglioso! Posso avere un autografo?” rise il principe,
sfogliandolo
incuriosito.
“Leggi
la
dedica…”.
Keros
lesse e rimase in silenzio. “All'uomo che amo", vi era
scritto “Al mio
demone dal cuore d'angelo, che ha reso possibile tutto questo".
“Volevo
fossi tu il primo ad averlo fra le mani" continuò Ary
“Ed ovviamente
questa copia è per te".
“Io…
non
so cosa dire. Ogni giorno trovi il modo di stupirmi, e non è
semplice con uno
di mille e trecento anni!”.
“Ne
sono
onorato. Mi sento speciale. Magari è l'unicità
della mia anima a rendere
possibile tutto questo… o, molto più
probabilmente, la tua vicinanza. Spero che
fra noi le cose non cambino mai".
“Le
cose
cambiano sempre. È inevitabile. Fa parte della natura
dell'uomo…”.
“E
allora
spero che fra noi le cose cambino sempre in meglio!”.
“Mi
piace
come idea!”.
Keros
sorrise di nuovo, sorseggiando dell'ottimo vino ed aspettando il
dessert. Più
trascorreva del tempo con il suo amato e più si convinceva
che il proprio
desiderio di divenire un umano non era sbagliato. Adorava l'idea di
mutare,
crescere ed invecchiare con colui che gli sedeva di fronte. Ma di tale
desiderio
non ne fece parola alcuna quella sera...
Leonore
era nervosa, lo doveva ammettere. Quando udì bussare alla
porta, prese un
profondo respiro. Diede solo un'ultima occhiata allo specchio vicino
all'ingresso, dicendo a se stessa che doveva stare calma e sistemandosi
gli
orecchini. Era passata dalla parrucchiera quel pomeriggio ed ora i
lunghi
capelli biondo cenere erano mossi e con qualche riflesso più
chiaro. Dopo
essersi data un'ultima controllata, aprì e sorrise.
“Puntualissimo"
commentò.
“Come
sempre,
mia cara" sorrise di rimando Lucifero “Sei
elegantissima”.
“Grazie…
accomodati".
Il
re
entrò in casa, dando un rapido sguardo all'orologio che
ticchettava in
corridoio.
“Volevi
parlarmi…” mormorò il diavolo.
“Sì.
Ho
riflettuto molto su… quella faccenda. Ho preso la mia
decisione: voglio
farlo!”.
“Perdona
la mia momentanea ignoranza ma… cos'è che
vorresti fare esattamente?”.
“Il
patto! Ho deciso di sottoscrivere un patto. Si dice così,
giusto?”.
“Capisco…
permettimi allora, prima di procedere, di concederti ancora qualche
momento.
Prendiamo un po' d'aria. Dove ti piacerebbe andare?”.
“Ma…
perché…?”.
“Vieni.
Conosco i tuoi desideri".
Leonore,
titubante, non capiva bene quel che stava succedendo. Prese per mano il
demone
e tutto cambiò, in un solo battito di ciglia.
“Dove…
dove siamo?!” riuscì a dire, senza lasciare la
mano del sovrano.
“Prenditi
qualche istante per guardarti attorno. Sono sicuro che lo puoi capire
da
sola".
La
mortale rimase alcuni secondi ferma, ad osservare il demone che si
accendeva una
sigaretta. Poi distolse lo sguardo. Erano in alto, il vento le
scompigliava i
capelli, e le luci della città erano intense.
“Siamo…
siamo a Parigi!” sorrise “E questa
è…”.
“La
Torre
Eiffel. Già…” annuì Lucifero.
“Ho
sempre sognato andare a Parigi! E da qui è una meraviglia!
Le stelle, le
luci…”.
“Lo
so…
Non è male".
“Ho
come
l'impressione che a te nulla possa piacere per
davvero…”.
“Ti
sbagli. Molte cose mi piacciono. Solo che, sai… dopo
millenni di esistenza, è
estremamente difficile trovare qualcosa che mi sembri nuovo o
spettacolare.
Posso dire di aver fatto qualsiasi cosa nella vita. Più e
più volte…”.
“Sembra
quasi angosciante".
Lucifero
alzò un sopracciglio, non sapendo cosa rispondere a
quell'umana.
“Allora…”
riprese Leonore “Come funziona? Cosa devo fare per firmare il
patto con te?”.
“Sei
davvero sicura di volerlo fare? Sai che ti attende
l'eternità all'Inferno?”.
“Lo
so.
Io tento di venderti l'anima e tu cerchi di dissuadermi?
Perché? Non capisco”.
“Non
lo
so" sospirò il diavolo “E tu perché sei
così convinta? Sei sicura di voler
far arrivare un bambino in questo mondo?”.
“Che
intendi?”.
“Gli
umani sono crudeli. Guerre, fame, imbrogli, perversioni… Non
fraintendermi, io
sono il primo a sguazzare in certe cose. Ma io sono un demone. E
comunque
ritengo di avere un'etica ben più solida della maggior parte
dei mortali".
“Essere
madre è quello che ho sempre desiderato. Lo so, non
è una scelta priva di
conseguenze ed è vero che il mondo è un posto
crudele. Ma è anche un posto
magnifico, pieno d'arte, di bellezza, d'amore. E non esiste amore
più grande di
quello che lega madre e figlio. Non voglio altro.
Davvero…”.
“E
va
bene" alzò le spalle Lucifero “Restiamo ancora un
attimo qui. La notte è
ancora lunga…”.
La
mortale annuì. Il demone stava fissando le stelle, ignorando
del tutto
qualsiasi cosa di creazione umana. Leonore si chiese a che cosa il re
stesse
pensando, con quell'aria distratta. Lei era ancora molto nervosa ma si
sforzò
di rilassarsi. Era una magnifica serata, dopotutto!
Dopo
il
ristorante, Keros ed Ary si erano spostati al Mephistophel ed erano
circondati
da demoni e umani tentati. Sul palco si stavano esibendo delle Succubus
dagli
abiti argentati, che brillavano quando colpiti dalle luci del locale.
Mefistofele, dopo aver fatto gli auguri al nipote, stava raccontando di
come
Lucifero e Lilith si erano esibiti in un tango, qualche sera prima, ed
avevano
irretito un sacco di mortali. Il principe si stupì nel
sentirsi dire questo,
sapendo che a Lilith non piaceva per niente girare per il mondo umano.
“Le
cose
cambiano" ghignò Mefistofele “Anche il tuo umano
si sentiva fuori posto
nel mio locale mentre invece adesso sembra perfettamente a suo agio".
Keros
rise, notando Ary al proprio fianco con sul viso un'espressione
rilassata e
divertita. Ordinò altro da bere, sapendo che sarebbe stata
una lunga serata, e
ricominciò a spettegolare con Mefistofele.
“Adesso
mi vuoi dire come funziona? Che devo fare?” incalzava
Leonore, una volta
rientrati a casa.
“Ascoltami
molto attentamente" si rassegnò Lucifero
“Perché, se sbagli qualche
passaggio, sono affari tuoi. Chiaro? Non rispondo di eventuali errori
da parte
dei contraenti".
“Va
bene…”.
La
voce
del demone si era fatta seria, così come la sua espressione,
e la mortale ne fu
leggermente turbata. Ma si sforzò di mostrarsi convinta e
determinata, annuendo
con sicurezza.
“Svolgerò
un rituale, ok? Al termine di questo rituale, entro l'alba,
toccherà a te.
Entro l'alba, dovrai concederti ad un uomo. Chi vuoi. Può
essere il tuo ex
marito o il primo che incontri per strada, non ci interessa.
L'importante è che
prima dell'alba ti scopi qualcuno. Capito?”.
“Capito…
e se entro l'alba non riesco a…?”.
“Il
rituale non sarà valido. E non lo ripeterò,
perché è così che funziona. Non
chiederò nulla, in quello caso. La tua anima
resterà a te".
“Va
bene…”.
“Poi
le
cose procederanno come abbiamo già concordato. Il bambino
sarà tuo, umano,
resterà con te e tu vivrai con lui. Quando
accadrà, quando morirai, verrò a
prendere la tua anima. Il modo in cui morirai non avrà nulla
a che fare con me,
o con altri demoni. Se sei d'accordo, procediamo con il
rituale”.
“Quanto
dura il rituale?”.
“Poco.
Se
vuoi, iniziamo subito. Anche se non abbiamo
fretta…”.
“Che
devo
fare?”.
“Andiamo
di sopra”.
Leonore
seguì Lucifero lungo le scale, fino a raggiungere la camera
da letto. La
mortale ebbe un sussulto, intimorita. Perché il diavolo non
usava i propri
poteri per convincerla del tutto? Non riusciva a capirlo.
“Spogliati
e stenditi a letto” ordinò il demone
“Tranquilla… devo solo fare dei disegni su
di te. Non essere timida…”.
La
donna
rimase immobile qualche istante. Chiuse la porta, pur consapevole che
nessuno
avrebbe potuto vederla al di fuori del diavolo, arrossendo leggermente.
“Vuoi
che
mi giri? O che esca dalla stanza?” le sorrise gentilmente
Lucifero “Spengo la
luce e chiudo le tende? Io non ho problemi nel buio
totale…”.
“No…
non
serve… Dammi solo un attimo, per favore".
“Ma
certo".
Il
re
sedette su una cassapanca di legno, distogliendo educatamente lo
sguardo. Lei
iniziò a spogliarsi, lentamente.
“Posso
farti una domanda?” mormorò Leonore, tentando di
superare l'imbarazzo.
“Tutte
quelle che vuoi" rispose Lucifero, senza girare gli occhi.
“Hai
mai
fatto l'amore con un'umana?”.
“Mi
sono
scopato un sacco di mortali. Me lo hanno chiesto in molte".
“Non
intendo fare sesso. Dico fare l'amore, amando la donna”.
“Con
un’umana?
No, mai. Perché?”.
“Dicono
sia diverso. Fare l’amore e fare sesso, intendo”.
“E
non lo
sai? Ti sei concessa solo da innamorata?”.
“Sì…”.
“Che
fanciulla romantica…”.
Lei
non
rispose, non sapendo che dire. Era nuda ora e si copriva pudicamente
con la
mano. I capelli, sciolti, ricadevano sul seno che si intravedeva fra le
ciocche. La pelle chiara aveva ormai perso ogni ombra di abbronzatura
estiva ed
era segnata solamente da qualche piccolo neo. Lucifero aveva alzato gli
occhi.
Non si era aspettato di ritrovarsi di fronte una fanciulla
così timida ed
impacciata, che quasi gli ricordava le vergini che nei tempi antichi
tremavano
a sentir pronunciare il suo nome. Era abituato ad avere a che fare con
donne
piuttosto disinibite, vogliose.
“E
se non
riesco a convincere un uomo a giacere con me?” chiese
Leonore, sedendo sul
letto.
“Il
rituale serve anche a questo” la tranquillizzò il
demone “Il mio potere farà sì
che tu risulti irresistibile. Non potrà farne a meno.
Proverà un desiderio
folle ed accecante".
“Oh…”.
Lei
arrossì di nuovo, sempre tentando di coprirsi.
“Perché
fai così?” le domandò il diavolo
“C'è forse qualche cosa di te che non ti
piace? Dovresti essere fiera del tuo corpo, così come tutti
dovrebbero andare
fieri di quel che sono e mostrarsi".
“E
allora
perché tu non mi mostri come sei veramente?”.
“Come
sono veramente?!”.
“La
coda.
Le corna. Le ali. Perché ti mostri come umano?”.
“Per
non
spaventarti. Si tratta di due faccende molto diverse. Tu non puoi
spaventarmi
mostrandoti nuda…”.
La
mortale non sembrò del tutto convinta. Con una smorfia, si
stese a letto. Lui
rimase qualche istante a guardarla e poi estrasse un piccolo pugnale
dal
taschino della camicia. Leonore, d'istinto, urlò spaventata.
“Tranquilla!”
si affrettò a dire il re “Non ti devo tagliare o
ferire. È per me. Devo usare
il mio sangue…”.
“Ti
farà
male?”.
“Ho
sopportato sicuramente di molto peggio. Sei pronta?
Iniziamo?”.
Con
un
cenno d'assenso, la donna tentò di rilassarsi ed
allargò le braccia. Il demone
la osservò qualche istante, mentre lei guardava altrove
timidamente.
“Sinceramente…”
ghignò il re “Non so dirti la differenza che prova
un essere umano fra sesso ed
amore. Però posso assicurarti che fra mortale e demone le
cose cambiano
parecchio. Ti piacerebbe provare?”.
“P…
provare? Intendi…?”.
“Tu
che
pensi, dolcezza?”.
Leonore
incrociò lo sguardo di Lucifero, che brillò
leggermente, e rimase senza fiato.
Il potere del caduto era assoluto e la ipnotizzò, come un
brivido che la
attraversava da capo a piedi, convincendola che non voleva altro che
Satana
dentro di lei.
“Ho
una
domanda per te".
Ary
camminava, nella notte, accanto a Keros. Si erano lasciati alle spalle
il
locale di Mefistofele, passeggiando nel buio del sentiero che conduceva
alla
via di casa. Il principe aveva un po' freddo, ma non ci faceva troppo
caso.
Stare accanto all'umano, oltre all'aver alzato un pochino il gomito, lo
scaldava.
“Cosa
vuoi chiedermi?” rispose il mezzodemone.
“Io
ti ho
visto spesso avere a che fare con i demoni. Ma con l'altra
metà della
famiglia…”.
“Gli
angeli intendi? Sì, con loro ho pochi contatti. Alla fine,
sono stato cresciuto
dai demoni. Inoltre sono in pochi a sapere chi sono davvero. Si contano
su una
mano…”.
“Davvero?!”.
“Ovvio.
Se i demoni sapessero che in realtà sono per metà
un angelo… sarebbe un
disastro! Stessa cosa vale per gli angeli. Gli unici a sapere la
verità, oltre
a te e Leonore, sono Lucifero, Mihael e quell’impiccione di
Gabriel.
Nessun'altro lo sa. E va bene così,
credimi…”.
“Dev'essere
stato difficile tenere fin ora nascosta la cosa”.
“A
dir la
verità no. A nessuno viene in mente che possa esistere un
ibrido angelo-demone
a questo mondo”.
“Oh...
capisco".
“Dici
sia
ora di rientrare? Non amo molto la temperatura esterna
attuale”.
“Certo.
Credo che ci siamo tenuti lontani da casa per abbastanza tempo.
Torniamo alla
macchina…”.
Keros
era
raggiante. La cena, la musica, le stelle… era stata una
serata magica e non
vedeva l'ora di concluderla fra le lenzuola. Al solo pensiero, sorrise
e si
avvicinò all'uomo che amava, baciandolo. Si tennero stretti
qualche istante,
abbracciandosi.
“Hai
tanto freddo?” sorrise Ary “Vuoi che ti
scaldi?”.
“Sì,
ho
tanto freddo. Ti prego scaldami. Scaldami adesso!”.
Iniziarono
a baciarsi con maggior trasporto, uscendo dal sentiero e sprofondando
nella
neve. Spinto contro un albero, il mezzodemone affondò una
mano fra i capelli
del mortale. Con l'altra mano tentava di spogliarlo quel che bastava,
fra un
bacio ed un altro. Poi però si fermò, rizzando le
orecchie. Il mortale lo fissò
perplesso, senza capire. Il principe fece segno di fare silenzio, di
parlare
sottovoce.
“Che
succede?” sussurrò Ary.
“Al
mio
segnale…” gli rispose Keros
“…inizia a correre lungo il sentiero, ok? Corri e
non voltarti, chiaro?”.
“Ma
che
dici? Cosa…?”.
“Corri!”.
Il
mezzodemone spinse con forza l'umano e qualcosa piombò fra
loro. Una creatura
massiccia, a cui se ne affiancarono altre. Nonostante fossero avvolti
da folti
mantelli di pelliccia, Ary capì subito che aveva di fronte
dei demoni. Ed erano
furiosi, spaventosi.
“Corri!”
ordinò ancora Keros “Tranquillo, a loro penso io.
Ma non posso proteggerti. Ti
prego, mettiti al sicuro!”.
Indeciso
sul da farsi, e consapevole di non poter aiutare in alcun modo il
sanguemisto,
Ary pensò che forse avrebbe potuto contattare Lucifero
grazie a Leonore. Con
quel pensiero in testa, si allontanò più in
fretta che poté. Nel mentre il
principe, con un ringhio infastidito, si apprestava a combattere.
“Avete
interrotto la mia serata perfetta" sibilò, infuriato
“Vi caverò ogni
singolo organo mentre siete in vita e pasteggerò con i
vostri cadaveri!”.
Hola!
Come va? Pensavo di far stare tutto in un
capitolo ma no, mi tocca rimandare alla prossima volta!! A presto!
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Capitolo 52 *** Nella notte -parte seconda- ***
52
Nella
notte
-parte
seconda-
Rimasero
ad osservarsi, occhi negli occhi, qualche istante.
“Non
mi
fai paura" mormorò Leonore “Ed i tuoi
occhi… i tuoi occhi sono
meravigliosi. Meravigliosi e malinconici".
Lucifero
non rispose. Lei lo aveva supplicato, mentre erano avvolti
dall’estati
dell'amplesso, di mostrarsi per quello che era. Lo aveva desiderato
ardentemente e lui l’aveva accontentata, non aspettandosi
altro che terrore.
Leonore però, ancora sotto il parziale controllo del potere
del demone, non si
era spaventata. Dinnanzi a coda, ali, corna e cicatrici, era rimasta in
silenzio. Affascinata, incuriosita, e solo lievemente turbata.
“Ora
sarà
meglio proseguire con il rituale" furono le parole del diavolo.
Iniziò
a
tracciare con il sangue complessi simboli lungo tutto il corpo della
mortale,
dopo essersi procurato un taglio al braccio con il pugnale.
“A
chi
stai pensando?” domandò Leonore.
“A
che ti
riferisci?”.
“Hai
lo
sguardo di chi ha la mente lontana. Stai pensando a lei?”.
Il
sovrano finse di non aver capito a chi l'umana si riferisse. In
realtà quei
capelli biondi, quello sguardo e quello strano modo di fare erano fin
troppo
familiari. Non poteva fare a meno di pensare a Sophia, mentre finiva i
glifi
necessari al rituale. Una volta che ebbe terminato l'ultimo simbolo,
l'intero
disegno brillò per qualche istante.
“Ora
puoi
tranquillamente farti una doccia e lavare via tutto" spiegò
lui.
“Ma…
e il
rituale?!”.
“Funziona
così. Ha già iniziato ad agire, lavati pure.
Ricordati di concederti ad un uomo
prima dell'alba, ed andrà tutto come previsto. Ma dubito tu
voglia farlo
ricoperta di sangue e disegni strani, no?”.
“Hai...
hai ragione. Allora io ora mi lavo per bene e
poi…”.
“Esatto.
Ora meglio che vada. Ho un lavoro piuttosto impegnativo da
gestire…”.
“Ok.
E…
posso darti un bacio?”.
“No,
non
credo sia il caso".
“Capisco…
E se… avrò bisogno di vederti?”.
“Traccia
il mio simbolo".
Il
demone
tolse la catena che portava al collo, il cui ciondolo rappresentava il
sigillo
di Lucifero, e gliela porse.
“Traccia
il mio simbolo” spiegò “Se
avrò voglia, verrò. Ma non preoccuparti: ci
rivedremo. Io ci tengo a controllare che i miei patti vadano a buon
fine.
Clienti soddisfatti…”.
“E
non ho
nulla da firmare? Di solito non si firma?”.
Il
diavolo rifletté qualche istante. Poi scosse la testa.
“Non
serve. Ora va a lavarti. Io devo andare".
Ary
corse
lungo il sentiero, nella completa oscurità.
Arrancò fra sassi e sterpaglie,
deciso a raggiungere la propria dimora. Pensò che, se lui
fisicamente non
poteva fare molto contro un branco di demoni, qualche danno avrebbe
potuto
provocarlo con un grosso SUV lanciato lungo la strada! Gli tremavano le
mani quando
tentò di aprire la portiera con il mazzo di chiavi che
portava in tasca.
Finalmente riuscì a salire ed accendere il motore,
schiacciando forte
sull'acceleratore. Corse verso il punto dell'aggressione, alzando di
colpo i
fari. Una figura spaventosa si mostrò e ringhiò
contro il mezzo, con occhi
scintillanti e la bocca grondante di sangue. Il mortale
lanciò un grido,
spaventato, e vide le pupille del demone arrotondarsi e lo sguardo
della
creatura mutare.
“Keros?”
mormorò l'umano.
Era
lì il
mezzodemone, con quell'espressione spaventosa rivolta verso il SUV. La
camicia
candida era macchiata di sangue, così come il sangue ne
rigava il viso. Fra le
labbra, aperte in un lieve ringhio, due canini bianchi come la neve che
copriva
il sentiero. Il tentatore aveva riconosciuto l'auto, dopo aver reagito
d'istinto per la sorpresa, ed aveva notato gli occhi spaventati del
mortale.
Non sapeva che fare, non voleva spaventarlo ulteriormente, e per
fortuna fu
l'umano a parlare, dopo aver aperto il finestrino.
“Sali,
presto!”
lo incitò Ary “Andiamo a casa prima che ne
arrivino altri!”.
Keros
non
rispose e salì in macchina, pulendosi il viso con la manica
della camicia.
“Sei
ferito?” si preoccupò il mortale, leggermente
pallido.
“No"
parlò, finalmente, il principe “Solo qualche morso
o graffio”.
“Li
hai…
uccisi? Uccisi tutti?”.
“Dovevo
farlo. Ci avevano visti, e sentiti. Se ne avessero parlato in giro,
sarebbe
stato un disastro. Ora devo informare immediatamente mio padre".
“Tuo
padre? Quello vero o quello adottivo?”.
“Ora
che
ci penso… entrambi! Non è normale che girino
creature simili per il mondo
umano. Ci sono delle regole da seguire, territori da rispettare.
Farò aumentare
la sorveglianza. Non voglio che tu o Leonore corriate dei rischi per
colpa di
simile marmaglia".
Ary
non
disse nulla. Era ancora molto agitato ma tentava di non mostrarlo.
Sobbalzò
quando udì il grido di Keros, rivolto al dispositivo che lo
metteva in
connessione con l'Inferno.
“Rispondimi,
vecchio!” ringhiava in demoniaco “Che cazzo stai
facendo?!”.
Lucifero,
impegnato in altre faccende, non rispondeva alle chiamate del figlio
adottivo.
Il principe, innervosito, ringhiò di nuovo. Sapeva che per
contattare Mihael
doveva attendere l'alba.
“Stai
bene” tentò di smorzare la tensione il mortale
“Non ti hanno fatto del male.
Ora andiamo a casa e…”.
“Non
volevo spaventarti. Scusami”.
“Sei
un
demone. E sei incazzato, si vede dalle dimensioni delle tue corna".
Keros
alzò lo sguardo. Non ci aveva fatto molto caso.
“Promettimi
solo di tentare di controllarti a casa, ok?”
sdrammatizzò l'umano “Me la
distruggi se no!”.
“Adesso
metto a lavare questa camicia, perché me l'hai regalata tu e
ci tengo, e poi
vado subito all'Inferno a parlare con Lucifero. Ti va bene? O vuoi che
resti di
guardia?”.
“Preferirei
non restare da solo nella notte, se è possibile che ci siano
altri demoni nei
paraggi. Ma potresti sempre avvisare Mephisto e farlo passare per qua a
farmi
da baby-sitter…”.
“Proverò
di nuovo a contattare mio padre con il mio
dispositivo…”.
“Ed
io mi
berrò almeno due caraffe di tè
calmante…”.
Entrarono
in casa parlando sottovoce. Le luci erano spente, l'auto di Leonore
parcheggiata nel vialetto. Probabilmente lei era già a
dormire, pensavano, e
non la volevano svegliare. Notando l'agitazione di Ary, Keros lo
guidò fino
alla camera da letto e poi gli parlò con dolcezza.
Guardandolo negli occhi, usò
i propri poteri e l'umano si rilassò fino ad addormentarsi
profondamente. Il
principe si sentiva in colpa: doveva averlo spaventato molto!
Tentando
di nuovo di contattare Lucifero, Keros entrò nel bagno con
la lavatrice. Si era
tolto la camicia e si avvicinò all'apparecchio con sguardo
infastidito: odiava
la lavatrice. La odiava moltissimo, perché quasi mai
riusciva a farla partire.
Forse doveva aspettare ancora qualche istante prima di far dormire
Ary… Era
talmente concentrato su rabbia e frustrazione, che non aveva notato la
luce
accesa e la mortale immersa nella vasca idromassaggio.
“Oh
mio
Dio!” esclamò Leonore “Che è
successo?!”.
Keros
sobbalzò, nascondendo la camicia insanguinata e distogliendo
subito lo sguardo
dalla donna.
“Sono
in
mezzo alle bolle, tranquillo” parlò ancora lei
“Ma che è capitato? È
sangue?”.
“Sì…
scusami… ma stai tranquilla: non è sangue mio o
di Ary".
“Meno
male! State bene entrambi?”.
“Ci
hanno
attaccati dei demoni. Ma va tutto bene. Io… ti lascio fare
il bagno".
“Devi
mettere in lavatrice la camicia?”.
“Sì…
io…
non vorrei doverla buttare…”.
“E
non
sai come si fa a farla partire?”
“Già…”.
Il
principe ammise a fatica le sue lacune in campo elettronico. Aveva
schiacciato
tasti a caso senza risultato, innervosendosi ulteriormente. Leonore
tentò
invano di spiegare il tutto restando stesa nella vasca.
“Passami
l'accappatoio" si arrese infine “Faccio io".
Il
sanguemisto le porse l'accappatoio, stando attento a non posare lo
sguardo su
luoghi inopportuni. Lei si alzò, coprendosi subito ed
uscendo dall'acqua. Era
rimasta in quella vasca per un po', a riflettere. Era giunta alla
conclusione
che non era quello il modo per avere un figlio. Forse non era quello il
suo
destino…
“Prima
mettiamo l'antimacchia" spiegò la mortale, spruzzando del
prodotto sulla
camicia. Keros osservò tutto, con curiosità.
Doveva ammetterlo: faceva schifo
in economia domestica!
“Scusami…”
mormorò, imbarazzato “Non volevo interrompere il
tuo bagno".
“Tanto
dovevo uscire comunque. Ero lì da un po'… Voi,
escludendo i demoni, avete
passato una bella serata?”.
“Splendida.
Grazie per la cena. È stato tutto perfetto".
“Mi
fa
piacere sentirlo".
“E
tu? Ti
sei rilassata?”.
“Ho
passato decisamente una bella serata,
sì…”.
“Bene…”.
Leonore
aveva strofinato la camicia con cura. Poi aveva aperto
l’oblò della lavatrice e
spiegato a Keros come fare. Lui ringraziò, ancora in
imbarazzo, mentre lei
faceva partire il lavaggio.
“Lui
è
stato qui?” domandò il principe, avvicinandosi
alla donna.
“Lui
chi?’.
“Lo
sai
chi… Sento il suo odore, percepisco la sua presenza".
La
mortale non sapeva che dire. L'atteggiamento del mezzodemone era
cambiato di
colpo e un pochino la spaventava. Si era fatto serio e sospettoso, si
avvicinava senza guardarla ed annusando l'aria. Le era addosso, ne
riusciva a
sfiorare il collo. Per un attimo, Leonore temeva che volesse morderla.
“Lo
sa
che mi innervosisce se viene in questa casa senza il mio permesso"
sbottò
Keros, senza allontanarsi dall'umana “E su di te lo sento
così forte... Non
mentirmi. È stato qui”.
“Sì,
lui…
è stato qui. Lucifero è stato qui" ammise Leonore
e Keros ringhiò.
Già
innervosito da quanto accaduto lungo la serata, l'apprendere che
perfino
Lucifero agiva alle sue spalle lo infastidiva molto. Non gli importava
se
vedeva quella mortale per la città ma quella era la casa che
divideva con
l'uomo che amava! Quella era la sua casa, il suo territorio, e non
gradiva che
Lucifero ci entrasse senza nemmeno avvisare. E l'odore che aveva quella
femmina… com'era strano…
Lei,
in
piedi contro il mobile accanto alla lavatrice, stringeva e
sé l'accappatoio,
non sentendosi a proprio agio. Lui le alzò il viso con due
dita, guardandola
negli occhi. Leonore tremò, incrociando quello sguardo
aranciato. Tentò di
indietreggiare, ma dietro di lei vi era una cassettiera in legno, dove
andavano
riposti i detersivi. Lui era serio, silenzioso. Senza dire una parola,
infilò
le mani fra le pieghe dell'accappatoio. L'umana, sotto l'influsso del
potere di
Lucifero, lasciò che il sanguemisto la scoprisse. Nuda,
ipnotizzata e stordita,
attese che il principe la possedesse. Si protrasse verso di lui, con un
piccolo
gemito, provando un desiderio ardente. Per Keros fu lo stesso, non
provò altro
desiderio se non quello di entrare in quella femmina. Era ancora
nervoso,
furioso, e sfogò parte di quelle sensazioni in quel
rapporto. La mortale lo
stringeva forte, bramando ogni movimento del principe. Non si
chiamavano per
nome, non si sussurravano parole d'amore. Semplicemente godevano,
entrambi
avvolti da un potere che non riuscivano a contrastare.
“Non
ti
fermare" gemette lei “Vieni dentro di me. Ti supplico,
ancora! Vieni
dentro di me!”.
Non
era
da lei agire così, così come non era da Keros
usare una tale foga. Erano uniti,
si muovevano sempre più in fretta, con sempre maggiore
passione e furia. I loro
respiri si erano fatti rapidi ed ansimanti, fra gemiti ed esclamazioni
di
piacere. Quando lei raggiunse l'orgasmo, strinse forte il sanguemisto a
sé,
lanciando un grido, e poi si stese, ribaltando la testa all'indietro e
percependo ogni istante di quel piacere intenso. Era diverso da quello
che
aveva provato poco prima con Lucifero. Il re era stato avvolgente, era
stata
un'esperienza che aveva coinvolto ogni singolo centimetro di se stessa,
come se
il sovrano fosse stato in grado di eccitare ogni sua singola cellula.
Con Keros
era stato diverso. Capì quando anch'egli raggiunse il
massimo piacere e lo
strinse ancora a sé. Sfinita, ansimante per la fatica, ci
mise qualche istante
per riprendersi. Ancora stringeva forte Keros a sé quando si
accorse di quel
che effettivamente era successo. E per Keros doveva essere lo stesso
perché la
fissava stranito, come appena destatosi da un sogno. Lui
indietreggiò, confuso.
“Mi…
mi
dispiace!” riuscì a dire.
Convinto
di aver agito per rabbia, vittima dell'istinto demoniaco e non del
potere del
rituale di Lucifero, si sentì in colpa e si subito
tentò di capire se avesse
fatto del male a Leonore. La donna, a sua volta piuttosto confusa,
realizzò
quanto successo.
“Oh
mio
Dio…” mormorò “Lo abbiamo
fatto! Io e te abbiamo…”.
“Mi
dispiace!” le rispose Keros, visibilmente agitato
“Non so cosa mi è preso! Ti
ho fatto male? Ti ho spaventata? Che cosa orribile ho
combinato!”.
“Ma
io…
io dovevo…”.
Lei
arrossì. Dalla finestra si poteva notare il cielo che
iniziava a schiarire: era
quasi l'alba.
“Oh
mio
Dio" ripeté ancora la mortale “Lo abbiamo fatto
prima dell'alba".
“Che
c'entra l'alba?” alzò un sopracciglio Keros.
“Io…
devo
confessarti una cosa… però so già che
ti arrabbierai”.
Terminata
la seconda parte. E ora? Posso dirvi
che vi dovrete aspettare un po’ di risse :p
|
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Capitolo 53 *** Scontrarsi ***
53
Scontrarsi
Gli
sguardi a palazzo erano allegri, rilassati. Contagiati probabilmente
dal buon
umore di re Lucifero, perfino i servi ridacchiavano mentre sbrigavano
le
faccende. L'allegria però lascio spazio allo stupore, e ad
una lieve
preoccupazione, quando comparve Keros. Usando il portale fra le mura
dell'edificio, il principe si incamminò a passi decisi lungo
il corridoio,
diretto all'ufficio del sovrano. Si alzò un brusio fra i
presenti, per via
dell'espressione irata dell'erede al trono, per poi scendere il
silenzio quando
la porta fu spalancata in malo modo dinnanzi al re. Lucifero non si
scompose,
ordinò soltanto che lui ed il principe fossero lasciati da
soli.
“Lo
hai
fatto apposta!” iniziò Keros, quando la porta
dietro di sé fu chiusa
dall'ultimo demone che se n'era andato.
“Di
che
parli?” rispose Lucifero, continuando a fissare uno degli
schermi che aveva
davanti e premendo tasti piuttosto distrattamente.
“Lo
sai
di che parlo!” quasi ringhiò il principe.
“Non
mi
fingo onnisciente, so di non esserlo, perciò no. Io non so
di che parli".
“Lo
sapevi che sarebbe successo. Lo hai fatto apposta per dividere me ed
Ary! Non
potevi farne a meno, vero? Non resistevi senza interferire nella mia
vita!”.
Il
re
alzò un sopracciglio, perplesso. Scostò
leggermente la sedia e, finalmente
ignorando lo schermo, fissò Keros con aria interrogativa.
“Non
fare
finta di non capire!” inveì il mezzodemone
“Tu hai sempre in mente qualche cosa
di strano, non fai nulla per caso! Perciò lo so che lo hai
fatto apposta e ora
io…”.
“Io
veramente non so di che parli" lo interruppe, con tono calmo, Lucifero.
“Leonore!
Hai fatto un patto con lei!”.
“Ah,
di
questo parli. E che ci azzecca la storia tua e del tuo amante,
perdonami?”.
“Doveva
fare sesso entro l'alba! Il tuo potere! Il tuo fottuto potere! Lo
sapevi che
sarebbe successo! Sapevi che lei si sarebbe scopata uno di noi, che ci
avrebbe
spinti a tradire! Per un demone sarà anche normale scoparsi
tutto quello che
cammina e respira, anche se ha una compagna, ma per un umano no. O
almeno così
dovrebbe funzionare".
“Intanto
il mio fottuto potere lo uso come mi pare" iniziò a spiegare
il diavolo,
sempre restando tranquillo “In secondo luogo, Leonore non era
obbligata a farlo
con qualcuno in particolare: poteva uscire di casa e scegliere chi
voleva.
Oppure restarsene in camera e non scopare affatto, annullando il patto.
È stata
una sua scelta, lei mi ha chiamato e supplicato di stipulare un patto
per avere
un bambino ed è così che funziona. Non posso
inventarmi nuovi metodi".
“Potevi
stare
lontano, tanto per cominciare!”.
“Che
tante storie fai per una scopata! Era sotto l'effetto del mio potere, i
due
umani si sono accoppiati. Punto. Basta. Non serve mica
che…”.
“Lei
ha
fatto sesso con me!”.
“Che
cosa?!”.
L'espressione
del re mutò all'improvviso, così come il tono
della sua voce. Una lieve
scintilla rossa brillò fra le sue iridi ed agitò
la coda, d'un tratto nervoso.
“Tu
hai
fatto in modo che io… Io ho tradito l'uomo che
amo!” riprese Keros, muovendo le
braccia in modo fin troppo esagerato “E per che cosa?! Per un
cazzo di patto
che tu hai convinto a fare perché…”.
“Ma
che
stai farneticando?!”.
“Ti
avevo
avvisato! Ma me lo dovevo aspettare. Tu… tu e la tua
convinzione di sapere
sempre cosa sia meglio per me! Sei entrato nel mio territorio! Dovevi
farti i
cazzi tuoi!”.
“TU
dovevi farti i cazzi tuoi, ragazzino!” reagì il
diavolo, alzandosi e frustando
la coda, marcando con ferocia il “tu" iniziale.
“Io
sto
lavorando, Keros!” continuò a parlare, senza dare
tempo al principe di
ribattere “Tu, invece, stai perdendo tempo! Non stai
cacciando anime, non hai
un territorio! Io, invece, ho agito per fare quel che mi compete,
ovvero
ottenere anime!”.
“Ma
tu…”.
“Tu
un
cazzo! Adesso mi stai a sentire! Ti sei accoppiato con quella donna ma
io, come
patto, ho promesso che sarebbe nato un bimbo mortale, umano in tutto e
per
tutto! Se nasce un ibrido bastardo il patto decade! E sai che
significa?
Significa che perdo l'anima per cui ho lavorato per mesi! E non
è mai successo!
In miliardi di anni di carriera, non ho mai perso un'anima per cui
avevo
personalmente fatto un patto! E sei tu quello che si incazza?! Ma come
osi
incazzarti TU, quando io ho la tentazione di strangolarti con le mie
mani?!”.
“Potevi
andare altrove a cercare anime!”.
“È
stata
lei a cercarmi! Dovevo forse rifiutare solo perché tu sei
momentaneamente in
calore e con il cervello disattivato?! E poi come ti permetti?!
Formulare
simili accuse contro di me, che ti ho sempre difeso e sostenuto, anche
adesso
che stai evidentemente buttando nel cesso l'opportunità di
ottenere un'anima
unica, speciale. Solo perché vuoi fotterti l'involucro che
la contiene!”.
“Tu
non
fai altro che dirmi quel che devo fare, altro che
sostenermi!”.
“Io
ti
prendo a ceffoni finché non ti ribalto la testa
all'indietro, se non taci! Sono
disposto ad accettare il tuo amore per quell'umano, a sorvolare sul
fatto che
ignori i tuoi doveri di procacciatore e cazzeggi da ormai un anno sulla
Terra
correndo rischi incredibili, ma non tollero che si interferisca con il
mio
lavoro! Mi manda in bestia che qualcuno interferisca con il mio
lavoro!”.
“E
gli
altri demoni? Quelli che ci hanno attaccato? Non dirmi che nemmeno
quella era
una strategia per eliminare il problema!”.
“Quali
demoni?! Ma che stai dicendo?!”.
“Non
sai
nemmeno che demoni sono presenti nel mondo dei mortali?!”.
“No,
non
posso controllarli tutti e sapere dove si trova ogni singolo demone
sulla
Terra. Ma potresti chiederlo a tuo padre, lui lo sa di
sicuro!”.
Keros
rimase sconcertato da quelle parole. Con tono denso di rabbia e
nervosismo,
Lucifero aveva pronunciato quelle frasi quasi ringhiando.
“Mio…
padre…” aveva ripetuto il principe, che
considerava il sovrano il proprio
padre.
Lucifero
non rispose, forse pentendosi di quanto detto ma non volendo di certo
ammetterlo.
“Bene”
incrociò le braccia Keros “Forse dovrei proprio
parlare con lui. Suppongo che
un padre assente possa essere meno dannoso di un padre con manie
d'onnipotenza
sulla mia vita".
Il
mezzodemone si pentì subito di quelle parole, nel momento
stesso in cui le
pronunciava, ma era troppo furioso per rimangiarsele.
“Fa
quel
che credi” tornò a sedersi il diavolo, sempre
agitando la coda “Ma ricorda che
sei un demone. Devi smetterla di giocare a fare l'umano"
“Be'
forse umano è quel che voglio essere!”.
“Stai
scherzando?!”.
“No!
Diventerò umano! Così non interferirò
più con il tuo lavoro e non ti farò
più
sfigurare con il mio amore mortale!”.
“È
la
cosa più stupida che tu possa fare!”.
“Probabilmente
è la stessa cosa che hai pensato quando mia madre ha
lasciato l'Inferno".
“Sì,
in
effetti. Ma qui tutti son convinti di saperne più di me.
Perciò fate,
arrangiatevi. Va’ pure. Fai come vuoi. Però lo sai
già che io controllerò
Leonore, nella speranza che il marmocchio sia mortale e non un mezzo
incrocio.
Perciò adeguati, perché gironzolerò
ancora vicino al tuo prezioso umano".
“Se
oserai fargli del male, te la vedrai con me".
“Non
minacciarmi, ragazzo. Sei nato ieri! Sei troppo giovane per permetterti
di
alzare la voce con me!”.
“E
tu sei
troppo vecchio per incazzarti tanto per un'anima! Vai in pensione se il
lavoro
ti fa dare i numeri!”.
“Ma
come
ti permetti?!”.
Lucifero
si rialzò in piedi. Sbatté le mani e la coda e
gridò ma Keros gli stava dando
le spalle, lasciando la stanza. Fuori vari demoni fissavano re e
principe con
preoccupazione, non sapendo che pensare. Non avevano capito quel che si
erano
detti ma le urla avevano messo in allarme l'intero palazzo. Il
mezzodemone non
diede spiegazioni. Si sentiva a disagio per tutte le cattiverie che era
stato
in grado di pronunciare ma non lo lasciava a vedere. Raggiunse la
stanza con i
portali e lasciò l'Inferno.
Keros
raggiunse la casa di Ary a metà mattinata. In aria si
percepiva un buon profumo
di caffè e brioche calda. Scese le scale lentamente, per
ritrovare una parvenza
di calma interiore. Leonore sedeva a tavola e mangiava biscotti con il
latte
mentre Ary si stava versando il caffè in tazza, in piedi
accanto alla moka. Lei
incrociò lo sguardo del mezzodemone e si morse nervosamente
il labbro inferiore.
“Sei
tornato!” sorrise il padrone di casa “Hai parlato
con Lucifero di quei demoni
che ci hanno attaccati?”.
“Sì…
anche…”.
“E
cosa
ha detto?”.
“Niente
di che. Io… devo parlare con te".
Il
mezzodemone aveva sospirato, mentre il mortale si mostrò
subito piuttosto
preoccupato.
“Che
succede?” si chiese l'umano “Qualcosa non
va?”.
Il
tentatore sedette accanto a Leonore, confessando di aver ceduto agli
istinti ed
averla posseduta fisicamente.
“Ma
non è
stata colpa sua!” si affrettò ad aggiungere lei
“Sono stata io!”.
“Immagino…”
borbottò Ary, scettico “Un
incidente…”.
“È
stato
il potere di Lucifero” continuò a spiegare Leonore
“Ho fatto un patto con lui e
non ho potuto evitarlo. Sono molto imbarazzata e
dispiaciuta…”.
“Il
potere di Lucifero? C'era anche Lucifero?” chiese ancora Ary.
“No.
Però
il suo potere…”.
“A
casa
mia…”.
Il
mortale teneva la tazza fra le mani, appoggiato al bancone della
cucina,
indeciso su cosa dire.
“Sono…
mortificato" ammise Keros “Non pensavo che quel potere
potesse…”.
“Vado
al
lavoro adesso. Devo andare" tagliò corto Ary, andando a
prendere il
cappotto.
“No,
aspetta!” tentò di convincerlo il mezzodemone
“Mi dispiace. Mi dispiace
davvero. Non uscire di casa con il broncio, per
favore…”.
“Il
broncio? Intendi come fanno i bambini? No, non è il mio
genere…”.
“Ma…”.
“Lasciami
andare a lavorare, Keros. Sono già in ritardo. Sinceramente,
non ho molto da
dire. Siete adulti e…”.
“Non
era
nostra intenzione!” interruppe Leonore.
“Immagino”.
“Non
fare
il sarcastico”.
“Faccio
quello che mi pare, esattamente come fate voi. Il nostro matrimonio
è andato in
pezzi per questo sogno di maternità, che mi ha fatto sentire
inadeguato ed in
colpa per anni. Pensavo di essermi liberato di questo spettro ed invece
eccolo
qua. Di nuovo. Non ho altro da dire. Vado al lavoro".
“Keros
ti
ama. Ha voluto dirtelo proprio per questo!
Avremmo potuto tenertelo nascosto. Se io avessi incontrato
te ieri
notte, prima di Keros, saremmo finiti io e te a letto".
“E
Keros
mi avrebbe sorriso, nel saperlo?”.
“No…”
ammise il mezzodemone “Sarei corso ad insultare
Lucifero”.
“Ed
io
corro al lavoro. Immagino abbiate delle cose su cui discutere, dato che
avrete
un bambino”.
“Non
è
detto!” alzò le mani la mortale.
“È
dettissimo,
purtroppo" sospirò Keros “Il rituale di Lucifero
funziona sempre”.
“Bene.
Congratulazioni. Vado a lavoro”.
L'umano
tagliò corto e si allontanò verso la macchina. Il
mezzodemone girò le orecchie,
avvilito ed ancora incazzato.
“Ti
aiuterò a risolvere la cosa" tentò di consolarlo
Leonore “Mi sento così in
colpa…”.
“Sapessi
io quanto mi sento in colpa… e quanto sono
incazzato!”.
“Con
me?”.
“Non
lo
so. Di sicuro con me stesso…”.
Quella
stessa sera, Lucifero aveva fatto il suo ingresso nella casa mortale.
Keros ed
Ary sedevano in salotto, leggendo dei libri davanti al camino. Il
mezzodemone
era mezzo steso sul divano e girava gli occhi molto spesso, verso la
poltrona
dove sedeva il mortale.
“Ti
ho
trovato!” commentò Lucifero, in demoniaco
“Ho fatto fare delle ricerche
riguardo i demoni che vi hanno attaccato, se vuoi stare a sentire.
Ovviamente
le ricerche sono ancora in corso…”.
“Potevi
mandarmi un messaggio… ho altro per la testa in questo
momento".
“Tu
hai
sempre altro per la testa ultimamente!”.
“Scusate
se interrompo…” si intromise Ary
“Potreste non parlare nella vostra lingua a
casa mia? Capisco solo la metà di quel che dite e la cosa mi
infastidisce”.
“Come
fai
a capire metà di quel che diciamo, di grazia?”
incrociò le braccia il sovrano.
“Gli
sto
insegnando il demoniaco” spiegò Keros.
“Tu
che
cosa?! Ma lo sai che non si può fare! Che devo fare con
te?!”.
“Niente,
rassegnati”.
“Ma
come
sarebbe a dire ‘rassegnati’?!”.
“E
gradirei anche che andaste a litigare fuori casa mia" interruppe di
nuovo
l'umano, senza alzare lo sguardo dal libro.
“Fai
tacere il tuo umano" sbottò Lucifero, rivolto a Keros
“Se non vuoi che mi
incazzi".
“Questa
è
casa sua. Devi adeguarti!” gli rispose il principe.
“Adeguarmi?!
Io?!”.
Il
re
terminò la frase con un verso di stizza e lasciò
la stanza. Il sanguemisto si
voltò di nuovo verso Ary, immerso nella lettura. Rimase in
silenzio,
osservandolo con un sospiro. Aspettava un segno, una parola, ma il
mortale non
aprì bocca. Avrebbe atteso. Attese pazientemente che il suo
amante volesse di
nuovo parlargli. Nel frattempo, si accucciò di nuovo sul
divano con aria
colpevole ed abbattuta.
“Ho
solo
bisogno di tempo" aveva rassicurato Ary. Però a Keros
mancava già così
tanto…
Il
re
aveva intuito come potesse sentirsi Leonore e l'aveva raggiunta in
cucina, dove
sorseggiava tè reggendosi la testa.
“Non
sentirti in colpa" mormorò il demone, usando il proprio
potere
“Concentrati su ciò che sarà. Diverrai
madre, avrai un bambino. Sarà tutto
perfetto, esaudirò ogni richiesta possibile, bella
Leonore!”.
Lei,
rassicurata e tramortita dai poteri del demone, sorrise e
ringraziò.
“Sarai
una splendida mamma, non crucciarti per altre questioni”
ammiccò il diavolo
“Sai come contattarmi, se hai bisogno di me. Ora torno al
lavoro”.
All'Inferno
i demoni erano un po' perplessi. Il diavolo era nervoso ma non dava
spiegazioni. Aveva solo vagamente accennato ad Asmodeo qualche
dettaglio,
riguardante la testardaggine dell'erede. Si era sentito rispondere che
anche
Carmilla era così, cocciuta e determinata. Purtroppo l'unica
soluzione è
imparare a conviverci…
“Conviverci
un cazzo…” aveva borbottato Lucifero, cercando di
concentrarsi sul lavoro.
Una
parte di risse per voi :p
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Capitolo 54 *** Discutere ***
54
Discutere
“Ok…
fate
silenzio!”.
L'Arcangelo
Mihael era in piedi, in abiti cerimoniali, dinnanzi ad una folla di
creature
angeliche di varia gerarchia. I più rumorosi, i soldati, non
riuscivano a
tenere a freno le proprie preoccupazioni. Mihael tentava invano di
farli
tacere, prossimo a perdere la pazienza. In quella sala del Paradiso, vi
era una
gran confusione.
“Fate
silenzio ho detto!” alzò la voce Mihael.
“Non
è
necessario gridare…” lo ammonì a bassa
voce Uriel.
“Nemmeno
cianciare a vanvera tutti assieme!” ribatté
l'Arcangelo, stizzito.
Tutti
esigevano spiegazioni, dopo le notizie giunte in Cielo. Si era venuta a
sapere
della presenza di demoni privi di controllo che avevano messo in
pericolo vite
umane. Il tutto senza che Vigilanti e Soldato sapessero identificarli.
“È
compito tuo capire chi sono, Mihael" commentò un Serafino.
“Ci
sto
lavorando" fu la risposta.
“In
che
modo? È uno scandalo che simili cose accadano! Dove stava la
sorveglianza?” si
udì dire fra la folla.
“Che
combini? Guarda che l'ho visto quell'essere dai capelli rossi" furono
invece le parole di Vehuia “Quello che un tempo fingeva di
essere un angelo! Ci
devi delle spiegazioni”.
“Non
vi
devo proprio niente" incrociò le braccia Mihael
“Io ho un lavoro
impegnativo. Non sto tutto il giorno seduto sul mio culo a leggere
libri sacri
o cantare canzoncine in coro! Io combatto i demoni! Pensate sia
facile?”.
“Mai
detto che sia facile!” si offese leggermente il Serafino
“Solo che ci sarebbero
delle cose da chiarire".
“Solo
a
Dio debbo delle spiegazioni, non certo a voi! Vi assicuro
però che controllerò
personalmente la zona ed amplierò il personale di
sorveglianza. Parlerò con il
Nemico, così da verificare alcuni dettagli”.
“Che
dettagli vorresti verificare con lui, scusa?!” si
allarmò un Cherubino.
“Io
credo
che alcuni di questi demoni non siano tentatori o procacciatori. Temo
siano
semplicemente fuggiti dagli Inferi".
“In
questo caso li dobbiamo ricacciare di sotto!”
suggerì un soldato.
“Se
ne
troveremo altri in vita, è quel che faremo. Fin ora l'essere
dai capelli rossi
si sta rivelando un angelo custode eccellente".
“O
un
ricercato particolarmente bramato dai suoi
simili…”.
“In
ogni
caso non dovete preoccuparvi" tagliò corto Mihael
“Vi assicuro che a
nessun umano verrà fatto del male. Ora, se non vi dispiace,
sarebbe il caso di
agire e non di perdere tempo in discorsi da salotto!”.
Seduto
sul trono, con alle spalle stendardi ed effigi inquietanti, Lucifero
incuteva
di certo timore. Metteva in soggezione, Keros lo doveva ammettere, ma
non
voleva che il sovrano notasse simili sensazioni. Per camuffare quel
lieve
brivido che lo attraversava, il principe mostrò sul viso
un'espressione di pura
indifferenza.
“Mi
hai
fatto convocare?” mormorò, incrociando le braccia
dietro alla schiena.
“Rivolgiti
in modo consono al tuo sovrano, Keros" gli rispose Lucifero, con un
guizzo
minaccioso nello sguardo.
“Mi
avete
fatto chiamare, maestà?” corresse il principe.
“Meglio.
Ti ho chiamato qui per… richiamarti all'ordine, si
può dire".
“Che
cosa
vorrebbe d…”.
“Silenzio!”.
Keros
si
irrigidì, annuendo soltanto.
“Ti
ho
chiamato qui" riprese il re “Per ricordarti che esiste
qualcosa che esigo
che tu rispetti: la gerarchia. Tu sei il principe ereditario,
è vero. E questo
ti permette di essere un cazzone con alcune categorie di demoni. Ma non
con
tutti. E, ovviamente, assolutamente non con me. Ti ho chiamato qui per
ricordarti che non sei un maestro, non sei ancora giunto al termine di
determinati percorsi, e non puoi fare quello che ti pare. Il tuo
atteggiamento
è inaccettabile ed è mio compito, essendo a tutti
gli effetti il tuo superiore
nonché tutore, rimetterti in riga".
“Ma
io…”.
“Ta-ci!”
scandì Lucifero “Certi atteggiamenti spavaldi,
irriverenti e da perfetto
stronzetto, non saranno più tollerati. Ti ho concesso fin
troppa libertà in
questi ultimi secoli, e un po' me ne pento. Hai forse dimenticato tutti
gli
insegnamenti di Astaroth? L'addestramento speciale nei territori
impervi degli
inferi?”.
“No,
certo che no!”.
“Ti
era
stata inculcata la disciplina ed il rispetto!”.
“No…
che
io ricordi, ero rimasto comunque il solito coglione".
“Esigo
venga
rispettata la gerarchia, Keros. Tutto qui. Per quanto tu sia il
principe
ereditario, simili atti sovversivi non li tollererò oltre".
“Di
che
atti parlate, illustrissima altezza?”.
“Ecco…
già quest'ultima frase da te pronunciata rientra
nell'elenco. Ti prendi gioco
di me, come fossi un vecchio demente, sicuro che tanto non potrei mai
farti del
male. Sicuro che nessuno oserà reagire dinnanzi al figlio
del re. Ebbene voglio
che questo atteggiamento cambi radicalmente. Già altre volte
ti ho sgridato e
ripreso, ora mi sono stancato. Non posso dovermi giustificare dinnanzi
ai miei
sottoposti, che si chiedono perché non sono in grado di
inculcare la disciplina
nella testolina del mio erede. Tutto l'Inferno mi teme e mi rispetta e
di certo
non mi farò prendere per i fondelli da un ragazzino viziato".
“Che
vuoi
da me? Che vuoi che faccia? Vuoi che mi inchini? Che faccia il
leccaculo come
Asmodeo o Azazel?”.
“A
quei
due io l'ho rotto il culo, ai tempi. E sanno che potrei rifarlo di
nuovo. Per
questo obbediscono. Ed è ora che anche tu capisca questo
semplice concetto: io
sono più in alto di te. Sono più potente,
più forte, più influente, più capace
e…”.
“Più
vecchio, lo so. Che significa tutto questo?”.
“Significa
che, irriverente testa a ciliegia, che d'ora in poi non avrò
alcun riguardo. Se
mi farai di nuovo girare le palle, ed ultimamente lo fai spesso e ti
riesce
pure facile, userò metodi non molto affettuosi. Sai che
posso farti molto male.
E se non riesco a farti piegare dinnanzi a me con le buone, lo
farò con le
cattive. Io sono il re dell'Inferno e nessuno deve permettersi di
scassarmi i
coglioni, chiaro?”.
“Chiaro…”.
“E
per
quanto riguarda il tuo desiderio di diventare umano… spero
vivamente di non
aver cresciuto un figlio tanto stupido!”.
Keros
girò lo sguardo, non sapendo che dire.
“Ora
va'…” lo congedò Lucifero
“Non osare mai più sfidarmi, mezzosangue.
Perché non
avrò pietà alcuna".
Il
principe si congedò con un inchino e lasciò in
fretta la sala. Il sovrano
sapeva come incutere timore, come rendersi inquietante e minaccioso.
Ripensandoci, Keros si rese conto di essere stato un tantino
irriverente
ultimamente. Ma non era pentito, anche se ora lo turbava la minaccia
del padre
adottivo. Pensieroso, camminò lungo il corridoio. Raggiunse
le proprie stanze,
dopo un lungo periodo d'assenza. Lilien era al lavoro e nell'ala del
palazzo
riservata al principe gironzolava solamente Simadè, mentre i
cuccioli erano a
lezione. Il fedele servo sorrise al proprio padrone e si
offrì di preparare un
buon tè. Il mezzodemone rifiutò con un mugugno.
Distratto, sospirò ed entrò
nella camera.
“Qualcosa
vi turba, altezza?” domandò il servitore.
“No…
questioni di famiglia" borbottò Keros, indeciso sul da farsi.
“Sono
certo che tutto si risolverà! Appena voi ed il sovrano
avrete ottenuto preziose
anime, tutto andrà meglio. Ora, forse, vi è un
pizzico di competizione”.
“Competizione?”.
Keros
si
ritrovò a riflettere. Per il regno intero lui era nel mondo
umano per recuperare
l'anima finale, un'anima unica e preziosissima. I sudditi non vedevano
l'ora di
celebrare la buona riuscita di un simile evento, omaggiando il proprio
principe
trionfatore. Ma le cose non stavano procedendo come tutti si
aspettavano! Lui
non avrebbe ottenuto alcuna anima, non avrebbe riportato alcuna
vittoria sul
Cielo! Quando questo si saprà, realizzò il
sanguemisto, saranno tutti delusi.
Probabilmente Lucifero era già molto deluso, nascondendo
simili sentimenti
dietro ad un velo di rabbia e prediche! Avrebbe deluso tutti e per che
cosa?
Per amore? Per un umano? Un umano che, fra l'altro, aveva
già deluso con il
tradimento.
“Il
re è
indubbiamente il demone Alpha" sorrise Simadè “E
non è facile conviverci,
specie se si è abbastanza potenti da poter risultare un
leader. Però sapete
bene che è lui la creatura più potente
dell'Inferno e sfidarlo è un gesto da
stupidi. Spero che
queste frasi non vi
offendano…”.
“No,
hai
perfettamente ragione. Devo imparare a controllarmi, anche quando mi fa
incazzare. È lui il sovrano…”.
“Immagino
sia difficile…”.
“Lo
è.
Poi ultimamente mi sono successe alcune cose e… ammetto di
essere parecchio
nervoso”.
“Volete
che il vostro Simadè vi faccia rilassare come sapete
voi?”.
Keros
ci
pensò qualche istante e poi scosse la testa.
“Spero
torniate presto a palazzo" ammise il servo “Trionfatore,
ovviamente!”.
“Ti
ringrazio, Simadè”.
Il
principe ne accarezzò il viso, pronunciando quelle ultime
parole. Probabilmente
anche quel suo fedele servo sarebbe rimasto profondamente deluso
nell'apprendere la verità.
“Sapete
che a me potete raccontare tutto” mormorò il
servitore.
“Lo
so.
Però ci sono delle questioni su cui preferisco non
discutere. Solo il re
conosce in parte certe cose… e le prediche si
sprecano!”.
“Magari
non sono prediche. Ma solo consigli".
“Magari…”.
Subito
dopo il tramonto, Lucifero era comparso da Leonore. Dopo aver spiegato
al
padrone di casa che Keros era impegnato in ricerche riguardanti i
demoni
comparsi nel mondo umano, il demone stava suonando il pianoforte su
richiesta
dell'umana. Lei, con la musica, si era sentita molto più
rilassata. Poi il
sovrano degli inferi si congedò momentaneamente ed
uscì in terrazza,
brontolando contro il marchingegno che lo metteva in comunicazione con
l'Inferno.
“Sei
ancora qui?!” si sentì dire, e sobbalzò
per la sorpresa.
L'Arcangelo
Mihael lo stava fissando, a braccia incrociate.
“Pensavo
che gli angioletti andassero a nanna dopo il tramonto”
riuscì a borbottare il
diavolo.
“Non
se
c'è qualche demone a spasso fra gli umani. Specie se quel
demone sei tu".
“Che
vuoi? Perché mi scocci?”.
“Ho
dovuto aumentare la sorveglianza a causa di demoni girovaghi non
identificati".
“Hei,
sto
cercando anche io di risolvere quella questione!”.
“Non
mi
sembra che tu ora ci stia pensando".
“Sai
come
vanno le cose. Se vuoi salvare l'anima della pulzella, provaci pure. Lo
so come
funziona il libero arbitrio".
“E
Keros?”.
“Keros
ha
la sua vita. Fa quello che gli pare. Rompigli le balle
personalmente!”.
“Sai…
vuole diventare umano".
Lucifero
abbandonò immediatamente il ghigno che sfoggiava sempre e
storse il naso. Anche
l'espressione di Mihael era mutata, passando dall'imbronciato al
preoccupato.
“Lo
so" ammise il diavolo.
“E
cosa
ne pensi?”.
“Penso
sia uno sbaglio! Un enorme sbaglio! E tu? Non avrai mica intenzione di
aiutarlo, vero?!”.
“Non
è
mai successo che un demone diventi umano. Potrei provare con un
esorcismo, ma
non so come potrebbe andare a finire".
“Non
provarci nemmeno! Non esorcizzerai mio figlio!”.
“Gli
esorcismi semplici su di lui non hanno effetto, lo sai. E poi,
tecnicamente, è
mio figlio”.
“Tecnicamente
devi farti gli affari tuoi!”.
“Sono
affari miei! Comunque non penso sia una buona idea che diventi
umano…”.
“Allora
non lo aiuterai, giusto?”.
“Ancora
non lo so. Sto valutando…”.
“No!
Macché valutare! È una follia! Non osare
avvicinarti a Keros!”.
“Altrimenti?”.
“Ti
spiumo!”.
“Non
sono
un tacchino!”.
“No,
in
quel caso ti avrei farcito infilandoti delle castagne nel culo".
“Sei
pazzo! Ma non inizieresti la guerra santa per un mezzodemone".
“Scommetti?”.
“Qualcosa
non va?” domandò Leonore, educatamente, spuntando
dalla porta.
“Niente"
le sorrise Lucifero “Torna dentro, bella Leonore. Non
prendere freddo".
“Non
ascoltate le parole del demonio, giovane mortale” si
allarmò Mihael.
“Io
ascolto quel che voglio” ribatté in fretta la
donna.
“Vi
state
facendo plagiare" continuò l'Arcangelo “Vi ha
tentato".
“No,
sono
stata io a chiamarlo. Io l'ho evocato ed io ho chiesto di stringere un
patto.
Non trattatemi come una povera fanciulla sottomessa e sciocca.
È stata una mia
scelta!”.
“Potete
ancora pentirvi. Chiedere il perdono di Dio”.
“Non
voglio chiedere perdono. E nemmeno pentirmi".
“Hai
sentito le parole della pulzella?” ghignò Lucifero.
“Fai
silenzio. Con le tue parole l'hai convinta ad abbracciare il sentiero
oscuro".
“Ho
già
detto che non è così!” alzò
la voce Leonore “Tante volte ho pregato Dio e mai
sono stata ascoltata. Ora è tardi ed è inutile
che incolpiate Lucifero. La
colpa è mia, se colpa la si può definire. Il
diavolo ha solo fatto avverare il
mio desiderio. E ora sparite, per favore. La vostra luce mi
infastidisce".
Mihael
mosse lievemente le ali, irritato. Non proferì ulteriori
parole e volò via.
“Sei
una
fanciulla coraggiosa” si complimentò il diavolo,
appena l'Arcangelo fu svanito.
“Ho
detto
solo la verità” alzò le spalle Leonore.
“Attenta,
bella Leonora. Quel che ha detto Mihael è vero: puoi ancora
ambire al Cielo.
Puoi pentirti, chiedere perdono, purificarti… ottenere il
Paradiso".
“Perché
me lo dici?”.
“Correttezza
contrattuale, immagino. Non stuzzicare troppo le creature
sovrannaturali. Non
tutte sono come Miky…”.
“Finché
avrò te al tuo fianco…”.
“Bella,
coraggiosa e astuta Leonora… Attenta a quel che fai. Stai
giocando un gioco
pericoloso”.
“Peggio
di gettarmi fra le braccia del signore degli Inferi, che mai potrei
fare?”.
“Non
resta che scoprirlo…”.
A
presto! Molto presto! Intanto vi lascio un
link per un disegno di “Halloween Keros" :)
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=356933628214801&id=166597243915108
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Capitolo 55 *** Animo di demone ***
55
Animo
di
demone
Per
rilassarsi, Keros amava volare. Era da molto che non si concedeva un
volo in
solitaria, libero da pensieri. Avvolto dal buio, nonostante il freddo
pungente,
sfruttava l'assenza di presenza umana fra le montagne circostanti. La
casa del
mortale chiamato Ary era a poca distanza, riusciva a scorgerne le luci
dall'alto. Volare gli calmava i nervi, lo aiutava a riflettere.
Nell’oscurità,
nel silenzio della notte, udiva solamente i versi di qualche animale
notturno
ed i suoni della natura, come il vento fra gli abeti e lo sciabordio
del
ruscello. Quando però udì delle voci, scese
immediatamente di quota,
nascondendosi fra gli alberi e facendo svanire le ali, stringendosi nel
mantello per il freddo.
“Sei
ubriaco!” parlava uno.
“Ti
dico
di no!” ribatteva un altro uomo “Ho visto un
fottuto angelo!”.
“Gli
angeli non girano di notte. Non ci vedono al buio!”.
Keros
capì subito che i due che discutevano fra loro erano demoni,
anche se parlavano
in lingua umana. Che ci facevano due demoni lì? Rimanendo
nascosto, contattò
l'Inferno con il marchingegno che portava con sé, chiedendo
quali creature
demoniache si trovassero in zona. Appreso che non risultavano demoni
registrati
nei paraggi, decise di indagare. Seguì le due creature nel
bosco, saltando
silenziosamente da un albero ad un altro.
“Chissà
che cazzo hai visto" sbottò uno degli spiati.
“Un
angelo, ti ho detto! Sono sicuro!”.
“Sarà
stato un gufo!”.
“Un
gufo
di un metro e settanta?!”.
“Un
altro
animale allora! Uno più grosso!”.
“So
quello che ho visto!”.
“Alcolizzato!
Torniamo dagli altri, ho sonno!”.
I
due si
girarono e tornarono indietro, lasciando impronte storte sulla neve.
Keros
continuò a seguirli, sfruttando i propri sensi da vampiro.
Si erano addentrati
nel bosco più fitto, dove spariva ogni sentiero
percorribile. Raggiunsero un
gruppetto di altri demoni, che si celavano fra alberi ed ombre. Il
mezzodemone
tentò di riconoscerne qualcuno, senza riuscirci. Ne
percepiva molti, senza
capire cosa ci facessero lì, e decise di contattare di nuovo
gli inferi, questa
volta tentando di parlare con il re. Si stupì molto quando
fu la voce di Azazel
a rispondere.
“Azazel?
Da quando rispondi tu a questo contatto?!”.
“Risponde
chi capita, altezza…”.
“E
Lucifero dov'è?”.
“Impegnato".
“Immagino
a fare che cosa. Ad ogni modo… mi localizzi sullo
schermo?”.
“Certo,
principe".
Azazel
fissò il sofisticato computer che aveva davanti agli occhi e
vide chiaramente
il segnale trasmesso dal dispositivo in uso da Keros.
“E
mi
confermi l'assenza di altri demoni nelle immediate
vicinanze?”.
“Sullo
schermo non compaiono. Faccio una rapida ricerca nei
registri?”.
“Sì,
svelto".
Keros
attese in silenzio, solamente qualche istante. Poi Azazel
parlò, confermando
quanto detto dal principe.
“In
questo caso…” ordinò il mezzodemone
“Fammi parlare con Asmodeo".
“Sì,
altezza. Provvedo immediatamente".
Malaphar
si era appena allontanato dalla casa del mortale, tornando all'Inferno,
dopo
aver visitato Leonore. Alla donna era stato spiegato che non poteva
recarsi in
ospedale per le normali visite di controllo, perché vi era
il rischio che
qualche medico potesse notare qualcosa di strano in caso di gravidanza
demoniaca. Lei aveva compreso la situazione, immaginandosi la faccia di
un
dottore umano che nota un paio di corna nell'ecografia. Lucifero
però l'aveva
subito rassicurata, dicendole che i migliori esperti degli Inferi
l'avrebbero
monitorata ed aiutata. In principio la donna si era spaventata ma, dopo
la
prima visita di Malaphar, era stara convinta di essere in buone mani.
“E
sai
che puoi contattarlo in ogni momento" aggiunse il re dei demoni, che
aveva
tenuto d'occhio il medico diabolico.
Lei
si
limitò ad annuire. Si sentiva un po' stanca e decise di
prepararsi un tè con le
erbe suggerite e procurate da Malaphar. Invitò Lucifero ad
accettare un caffè e
scese le scale, lasciando la camera, per raggiungere la cucina. Il
demone seguì
la mortale ed intravide Ary in uno stanzino, percependo un lieve odore
di
polvere da sparo.
“Che
stai
facendo, mortale?” chiese, con voce bassa e leggermente
inquietante.
L'uomo
non rispose ed il demone si avvicinò. Fra le mani, il
padrone di casa stringeva
un fucile.
“Spero
tu
non stia pensando di fare qualcosa di stupido" ghignò il
diavolo.
“Lo
sto
pulendo. Presto i bracconieri torneranno qui in zona".
“E
tu li
uccidi?”.
“No!
Certo
che no! Li spavento e basta".
“Peccato.
Sarebbe stato più interessante sapere che sei un killer che
sotterra umani nel
bosco".
“Solo
una
mente malata può partorire un'idea simile".
“Attento
a come parli, umano. Io non sono Keros. Se mi fai girare i coglioni, ti
impicco
alla grondaia dinnanzi all'ingresso".
“Balle.
Il diavolo non uccide. Questo lo sanno tutti".
“Ma
torturo che è un piacere… vuoi vedere?”.
“Principe…”
mormorava Asmodeo dagli Inferi “Non posso obbedire ad un tale
ordine, senza il
permesso di re Lucifero!”.
“Non
riesco a contattarlo. E questa è un'emergenza. Mi prendo io
ogni
responsabilità” ribatté Keros
“Ho bisogno dei tuoi uomini! Mi servono rinforzi,
in fretta!”.
“Ma…
altezza…”.
“Altezza
un cazzo! Obbedisci! Sono sovversivi!”.
“Ne
siete
certo?”.
“Sono
fuggiti dall'Inferno. Vivono segretamente nel mondo umano. Muovi il
culo e
vieni a sterminarli, prima che contatti gli angeli e lasci a loro tutto
il
merito!”.
“Però…
ecco…”.
“Vuoi
che
me ne accerti? Lo faccio subito. Ascolta bene”.
“No!
Aspettate! Altezza!”.
Il
principe già non ascoltava. Scese dall'albero su cui si
nascondeva, attirando
l'attenzione su di sé.
“Lo
conosco quello!” esclamò uno dei demoni nel bosco
“È l'erede al trono!”.
“Quello
che ha condannato all'oblio Belzebù!”
confermò una Succubus.
“Riportiamolo
dal suo papà!” suggerì un grosso
demonio appollaiato ad un ramo “Un pezzo alla
volta!”.
Si
alzarono voci e grida contro la famiglia reale.
“Chi
siete?” domandò Keros, restando calmo.
“A
te che
importa, principino?” sibilò una demone dai
capelli violacei e lo sguardo da
serpente “Ti annoiavi a palazzo e sei venuto a fare una
gita?”.
“Chiedo
soltanto. È educazione. Voi mi conoscete bene, a quanto
pare. Io, al contrario,
non so chi siete. Perciò ve lo chiedo. Non mi sembra una
cosa complicata da
capire".
“Noi
siamo i dimenticati. Siamo i reietti. Banditi e braccati, per aver
perso una
battaglia. Dopo ogni guerra, gli sconfitti rimasti in vita vengono
condannati.
Sterminati o imprigionati. Ma voi no, voi reali avete preferito
concederci di
sopravvivere. Togliendoci però ogni avere, ogni
possedimento. Come si può
vivere agli Inferi così? Umiliati, senza un luogo dove
vivere?”.
“Voi
siete i seguaci di Belzebù?” capì il
mezzodemone “Coloro che lo hanno seguito
nel suo piano di conquista, ormai quasi trecento anni fa?”.
“Ed
i
loro discendenti…”.
Il
sanguemisto rimase in silenzio qualche istante, guardandosi attorno.
“Ho
notato dei cuccioli” parlò poi, con tono fermo ma
per nulla minaccioso “Questo
è un luogo ostile per la maggior parte dei demoni. Rientrate
agli inferi, tutti
quanti, e provvederò io stesso a farvi aiutare”.
“Aiutare?!
Ma chi lo vuole il vostro aiuto?!” sibilò
più di qualcuno.
“Posso
farvi dare almeno delle case. Un modo per sostentarvi
e…”.
“Ed
essere umiliati per sempre! Noi siamo i perdenti, e lo saremo per
l'eternità.
Rientrando, saremo solo circondati da coloro che ci deridono. Primo fra tutti il
sovrano: Lucifero".
“Tenterò
di fare in modo che questo non accada. Vi prego…
l'alternativa è che vi
stermini tutti".
“Ma
con
chi credi di avere a che fare?”.
“Con
un
branco di demoni giovani, o deboli, senza addestramenti specifici. Non
si può
vivere a lungo al di fuori dell'Inferno, se non per ottenere anime o
per
missioni per contro del re”.
“E
vuoi
ucciderci tutti tu?” ridacchiò un demone con molte
corna “Guarda che lo so che
tu sei un demone di fuoco! Sei debole nella neve, a queste
temperature”.
“Tu
non
sai un cazzo…” ringhiò Keros, evocando
una fiamma azzurra e preparandosi a
combattere.
Lucifero
fissava incuriosito l'arsenale dell'umano. Nella stanzetta in cui era
stato
tracciato il portale per l'Inferno, erano riposti diversi fucili e
relative
munizioni.
“Hai
il
porto d'armi?” si chiese il demone.
“Certo”
rispose il mortale.
“E
non
hai mai ucciso qualcuno? Nemmeno per sbaglio?”.
“No,
mai".
“Ma
avresti voluto?”.
“Che
razza di domanda è?!”.
Ary
continuò a pulire i fucili con cura, controllandoli con
attenzione.
“Non
sei
emozionato?” cambiò argomento il re.
“Per…?”.
“Per
il
bambino! Diventerai padre, in un certo senso".
“Non
sono
stato io a…”.
“Lo
so.
Ma dubito che a Keros importi qualcosa di questo suo piccolo
bastardello in
arrivo. Insomma… non ha mai mostrato particolare interesse
per i bambini".
“L'ho
notato. Ma questo bambino sarebbe suo, sarebbe diverso".
“No,
perché? A malapena li sopporta i suoi figli a
palazzo!”.
“Figli?
Lui ha dei figli?”.
“Sì,
perché? Non lo sapevi?”.
“No!”.
Lucifero
mormorò un “ops" lievemente mortificato.
“Ha
una
compagna?” volle sapere Ary “Una moglie? E quanti
figli ha?”.
“Non
ha
una compagna, e nemmeno una moglie. Ed i cuccioli sono
cinque”.
“Cinque
incidenti, immagino…”.
“No,
un
incidente solo che ha portato a cinque conseguenze. I demoni sono
prolifici…”.
“Cinque
gemelli. E non me ne ha mai parlato".
“Calmati.
Per Keros non è una questione importante".
“Ma
lo è
per me! Quali altre cose mi ha nascosto?”.
“Non
saprei dire. Ma ti consiglio di riporre il fucile, ora che sei di umore
alterato".
Il
mortale rispose con una specie di strano ringhio e continuò
a pulire l'arma,
con sempre maggior foga.
Il
combattimento durò poco. Con il sopraggiungere delle truppe
di Asmodeo, i
sovversivi furono sterminati.
“Alcuni
sono fuggiti" notò Keros “Credo che possano avere
un altro rifugio, da
qualche parte fra queste montagne.
“Con
il
permesso del re, manderò delle pattuglie di ricerca"
annuì Asmodeo.
“Farò
io
rapporto al sovrano. Potete rientrare a palazzo” li
congedò il principe.
Rimasto
solo, con addosso il sangue degli sconfitti, si guardò
attorno sconcertato. La
neve avrebbe coperto ogni traccia, lasciando in evidenza solo dei segni
sugli
alberi e qualche oggetto dimenticato ed appartenuto ai cadaveri. Vi
erano degli
ingressi sotterranei, che conducevano al di sotto delle radici delle
conifere.
Con il fuoco angelico, aveva dissolto ogni anima demoniaca. In
silenzio,
sospirò. Perché lasciarsi uccidere piuttosto che
accettare la sconfitta e
rientrare all'Inferno? Quale moto di inutile orgoglio, e
stupidità, poteva
condurre a tanto? Doveva immediatamente fare rapporto al re,
informandolo su
quanto successo. Prima però voleva rendersi di nuovo
presentabile e, inoltre,
uccidere e dilaniare aveva risvegliato l'animo di demone, che bramava
godere
dei piaceri della carne di cui sentiva la mancanza. Pensava ad Ary, lo
desiderava ardentemente, e corse lungo il bosco per raggiungerlo.
Il
mezzodemone entrò nella casa mortale con una mezza risata.
Leonore, finito il
tè, stava leggendo un libro in salotto, vicino al camino. Il
principe la notò e
poi guardò in alto, lungo le scale. Da dentro lo stanzino al
piano superiore si
vedevano delle ombre. Intuì solamente qualcosa e
scattò subito, ancora in
tensione dopo la battaglia. Aveva riconosciuto la figura di Lucifero e
di Ary,
ed era certo di aver visto un fucile.
“Cosa
pensi di fare?” ringhiò Keros, raggiungendo il re
ed il padrone di casa.
Il
sovrano emise solo un verso perplesso, vedendosi piombare davanti
l'erede in
evidente collera. Poi osservò meglio il sanguemisto,
notandone i vestiti
rovinati ed il sangue.
“Che
hai
combinato?” si accigliò “Hai fatto a
botte?”.
“Allontanati
subito da Ary!” gli ringhiò Keros, allargando le
braccia per coprire l'umano.
“Non
posso lasciarti solo un attimo che ti ficchi nei casini?!”
ribatté il diavolo.
“Ed
io
non posso allontanarti un attimo senza che tu venga a ficcare il
naso!”.
“Puzzi
di
sangue. E di morte. Sei alterato, fuori di testa. Ti consiglio di
restartene
buono per un attimo, fare un bel respiro e chiudere la bocca, prima di
dire
altre cazzate!”.
“Io
non
sono alterato!”.
Ary
indietreggiò d'istinto, sentendo il tentatore gridare. Aveva
le corna ben in
vista, lo sguardo carico di collera ed un aspetto molto poco
rassicurante,
perciò il mortale pensò fosse meglio non
avvicinarsi troppo. Keros trovò
quell'atto piuttosto fastidioso, ma preferì concentrarsi sul
padre adottivo.
Lucifero era molto irritato dall'atteggiamento dell'erede, che
già più volte
aveva invitato a calmarsi.
“Smettila
di dirmi di calmarmi!” ringhiò il principe
“Non ti devi avvicinare ad Ary!”.
“Non
mi
pare sia ferito…”.
“La
tua
lingua è incapace di stare al suo posto,
tentatore!”.
“Su
questo ti do ragione” ghignò il diavolo
“Ma ricorda che io dico sempre la
verità”.
‘Già”
interruppe Ary “Almeno lui non ha figli segreti".
“Figli?
Chi ti ha…?” borbottò il mezzodemone.
“Lucifero
mi ha detto che hai cinque figli. È forse una
bugia?”.
“No.
Ma…”.
“Perché
non me ne hai mai parlato?”.
“Perché
glielo hai detto?!” chiedeva il principe al sovrano.
“Pensavo
lo sapesse già!” si giustificò Satana.
“E
perché
avrebbe dovuto saperlo?! Non è importante!”.
“Non
è
importante?!” sobbalzò il mortale.
“No,
non
lo è!” rispose, convinto, Keros “E sono
stanco di discutere per delle
scemenze!”.
“Scemenze?!
Scherzi?!”.
“Devi
calmarti, ragazzo" lo invitò di nuovo il sovrano
“Fra qualche ora sarai
più lucido".
“Smettila
di darmi ordini!”.
“Sono
il
re. Io devo darti ordini. Obbedisci, ogni tanto".
Il
principe ringhiò, scagliandosi contro il signore degli
Inferi. Fra gli insulti,
i due iniziarono ad azzuffarsi lungo il corridoio. Ary tentava invano
di farli
smettere, mentre Leonore non sapeva che fare. In collera, i due reali
mostravano una notevole ferocia, con le corna in vista e lo sguardo
scintillante d'ira. Keros sbatté contro una vetrina,
mandandola in frantumi e
scagliando schegge di vetro lungo tutto il corridoio. Il padrone di
casa,
colpito al viso da qualche scheggia, lanciò un gemito e si
passò una mano sul
volto insanguinato. Leonore gridò, spaventata, e la rissa
terminò. Le due
creature sovrannaturali rimasero a fissarsi qualche istante,
minacciandosi con
lo sguardo, poi le loro attenzioni si concentrarono altrove. Keros si
voltò,
notando la donna accanto ad Ary, che si prendeva cura delle lievi
ferite.
Davanti a quella scena, rimase senza parole.
“Che
ti è
saltato in mente?!” esclamò il mortale, rivolto al
tentatore “Come vi
permettete di fare questo in casa mia? Azzuffarvi come animali e
distruggermi
casa. Siete impazziti?!”.
“Io…”
tentò di parlare il sanguemisto, non sapendo cosa dire.
“Sei
entrato e, senza alcun motivo, hai aggredito Lucifero. Non mi stata
facendo
alcun male. Mi stava solo raccontando quel che tu non ritieni
importante".
“Ary…”.
“Taci!
Sono stufo di essere circondato da sotterfugi e misteri. Sono stufo di
scoprire
quel che accade alle mie spalle. Dici di amarmi e poi mi tradisci, mi
nascondi
i tuoi figli, mi distruggi casa, mi ferisci… In quale altro
modo vuoi farmi del
male? E non hai pensato a Leonore?!”.
“Io
non…”.
“Fuori
da
casa mia!” indicò la porta l'umano
“Forse, se ve ne state un po' fra la neve,
vi si rinfrescano le idee! Fuori, tutti e due".
Il
mezzodemone osservò i due mortali, irritato da quelle
parole. Vedeva lo sguardo
preoccupato ed amorevole di Leonore, notava il ghigno di Lucifero.
Girando
lievemente le orecchie per il fastidio, lasciò la casa senza
aprire bocca.
Capitolo
lunghetto ma spero “succoso". E
gradito, soprattutto :) a presto!
|
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Capitolo 56 *** Delusione e giudizio ***
56
Delusione
e giudizio
Quando
Lucifero fu messo a conoscenza dei fatti accaduti nel bosco,
convocò
immediatamente Keros ed Asmodeo. Il generale si prostrò,
ammettendo che non
avrebbe dovuto procedere all'attacco senza il permesso del sovrano.
Aggiunse
però che avevano riportato una schiacciante vittoria.
“I
sovversivi…” meditava il re, camminando qua e
là lungo le pareti del suo
ufficio “I banditi, i reietti, i servi di quella piaga
ambulante di Belzebù!
Lui non era presente?”.
“Nossignore.
O almeno… non è stato individuato" si
affrettò a rispondere Asmodeo.
“Pensavo
che renderlo meno di niente lo annientasse. Mi sbagliavo. Dovevo
ammazzarlo
l'ultima volta che me lo sono trovato davanti, altro che lasciarlo
ancora
respirare!”.
“Perdonami
ma…” si intromise Keros, con aria calma e le mani
incrociate dietro alla
schiena “Non abbiamo certezze al riguardo. I fuggitivi
potevano essere solo
suoi seguaci di un tempo, nostalgici che ormai non vedono il loro idolo
da
secoli".
“Mi
avete
detto che erano giovani, di conseguenza privi di vera
capacità di giudizio e
scelta. Dubito possano agire senza un capo. Non ne sono
capaci… se non per
commettere cazzate"
“Come
fascia d'età credo si avvicinassero molto alla
mia!” sbottò il principe.
“Appunto…”.
“Ti
ricordo che tutto è partito da Belzebù, un
vecchio troglodita che fa sempre le
stesse cose da millenni. Uno che è convinto di avere sempre
ragione e di agire
sempre nel migliore dei modi".
“Se
ti
riferisci a quel che ho detto all'umano, dato che so che il tuo
cervello è
incapace di pensare ad altro, non è di certo colpa mia se tu
hai omesso un
dettaglio non proprio minuscolo. Credevo che, nel tuo perdere tempo a
bighellonare in superficie, almeno un accenno alla tua prole fosse
uscito".
“Ti
avevo
detto di farti gli affari tuoi!”.
“Ed
io ti
avevo ordinato di rispettare gli ordini e la gerarchia! Non puoi
comandare
l'esercito reale a tuo piacimento! Non puoi iniziare una battaglia
senza il mio
permesso!”.
“Ho
provato a cercarti. Ma eri troppo impegnato a cianciare!”.
“Non
riesci proprio a vedere la realtà delle cose? Sei un demone,
Keros! Un
principe! Hai dei doveri, dei compiti precisi, un ruolo da rispettare.
È ora
che tu la smetta di fare il bambino!”.
“Non
vuoi
proprio capire, vero? Non riesci a comprendere certi
legami…”.
“I
legami
si spezzano, ragazzo mio. Continuamente. Asmodeo… lasciaci
soli, per cortesia.
E tranquillo… non prenderò provvedimenti nei tuoi
confronti per quanto
successo".
“Grazie
infinite, maestà!” si inchinò
più volte il generale.
“Ma
ricorda: se si ripeterà, ti userò come stendardo.
Sono stato chiaro?”.
Il
grosso
demone soldato annuì e lasciò la stanza in
fretta. Rimasti soli, re e principe
si squadrarono qualche istante.
“Io
lo
amo" mormorò Keros, con gli occhi che brillavano per l'ira.
“E
lui ti
ha sbattuto fuori casa nella neve. La cosa non ti dice
niente?” rispose allo
sguardo il sovrano.
“Lui…
lui
non sa che…”
“Lui
sa
che nella neve sei debole. Lui sa che, subito dopo una battaglia, il
gelo può
esserti fatale. Lo sa bene. E ti ha sbattuto fuori. Keros…
forse tu ancora lo
ami, ma per lui le cose sono cambiate. E devi fartene una ragione".
“Menti!”.
“Lo
sai
che io non mento mai".
“Sei
solo
un manipolatore! Tu non vuoi che io sia felice!”
“Al
contrario. Io cerco solo di indicarti la verità. Sta a te
interpretarla...”.
“Io
voglio vivere a modo mio! Voglio decidere io! Voglio essere libero da
te!
Dovresti capirlo, no? Sei come tuo padre!”.
“Che
cosa?!”.
Quell'ultima
frase fece sobbalzare Lucifero per l'ira.
“Io
come
mio padre?!” ringhiò Satana “Se fossi
come lui, tu saresti morto da tempo!
Ricordati che sei una specie di abominio agli occhi di Dio! Il figlio
di un
atto proibito, di un peccato gravissimo! Ti ho dato tutto quello che
nessun'altro avrebbe mai potuto e voluto darti! E mi accusi di essere
come
Dio?! Che ha condannato la sua creazione prediletta a vivere di stenti
a causa
di una mela di merda!? Che ha condannato me a vivere qui a badare alle
anime
della sua creatura malriuscita e mortale?! Io come mio
padre?!”.
“Non
sono
forse anche io per te un abominio? Un sanguemisto innamorato di un
mortale?”.
“Non
sei
un abominio. Sei solo stupido! Continui a non comprendere! Io cerco di
proteggerti!”.
“Non
voglio la tua protezione! Voglio la mia vita! E voglio che tu ne stia
fuori!”.
“Vuoi
questo? Lo vuoi veramente?”
“Sì!”.
Il
re si
accigliò, in silenzio. Frustò la coda un paio di
volte, prima di aprire di
nuovo bocca.
“Allora
va per la tua strada” esclamò, serio
“Sei un adulto. Fa quello che credi. Ma
vedi di non cercarmi fra qualche giorno perché ti sei
cacciato in qualche
casino!”.
“Cosa…?!”.
“Ti
do
questo consiglio, Keros. Ascolta attentamente: sei alterato, dopo la
battaglia.
Sei stanco, abbattuto per la questione del mortale e confuso. Ritirati
nelle
tue stanze, dormi e rifletti qualche istante. Tutto ti
sembrerà più chiaro a
mente fredda. Quando avrai raggiunto un verdetto accettabile, che non
sia una
sorta di mucchio confuso di idee inconcludenti, vieni da me. Vieni qui,
da me,
e discutiamone con calma. Sono disposto ad ascoltarti, nonostante mi
abbia
rivolto l'insulto peggiore possibile".
“Secondo
te è questa la soluzione ai miei problemi?”.
“Vuoi
forse che ti dica che preferirei vederti rinchiuso in miniera piuttosto
che
discutere un altro giorno su mortali e stronzate?! Sono stufo, Keros!
Sono
stanco e sì, sono vecchio! Ma sono il re e qui si fa a modo
mio. Se sei
disposto ad accettarlo, a seguire il tuo ruolo da principe ereditario e
tentatore
di mortali, non avrò più nulla da rimproverarti.
In caso contrario,
sinceramente io non so più che cosa fare. Ti ho dato ogni
cosa ed a te non
basta”.
“Mi
hai
tolto ciò a cui tenevo di più!”.
“Un
amore
effimero, destinato a perire comunque come una rosa
d'inverno?”.
“Era
la
rosa più bella di tutte, per me. Quanto vorrei che tu lo
capissi!”.
“Ci
provo, Keros. Ma pretendi un po' troppo, non trovi?”.
Lucifero
aveva smesso di gironzolare per le pareti ed il soffitto ed era tornato
a
sedersi, lanciando uno sguardo allo schermo che monitorava l'Inferno.
“Sei
tu
lo stupido" lo accusò il sanguemisto, dopo qualche istante
di silenzio
“Aggrappato ad un amore passato, che non ti potrà
mai più dare felicità!
Ancorato al ricordo di una sconfitta a cui non vi è rimedio!
Io almeno ci provo
a cambiare la mia vita…”.
Satana
alzò gli occhi, agitando la coda e fissando il suo
interlocutore con fastidio.
Reggendosi la testa con una mano, mostrò il suo disappunto
con una smorfia.
“Obbediscimi,
Keros" mormorò, lentamente “Vai a dormire. Ne
parliamo dopo, quando saremo
entrambi più calmi".
“Io
non
voglio obbedirti! Perché dovrei?!”.
“Perché
io sono il re!” urlò il diavolo, alzandosi di
colpo e battendo entrambe le mani
sul tavolo “Tutti lo hanno capito qui, tranne te!”.
“Avanti!
Alza la voce! Sgridami perché non obbedisco ai tuoi ordini!
Magari impari anche
a lanciare qualche fulmine! Che ne dici di un bel diluvio? O di far
incidere
dei comandamenti sulla pietra?”.
“Adesso
mi hai rotto proprio i coglioni, ragazzino!”.
Con
un
balzo, il re fu sopra a Keros, atterrandolo. Il principe
reagì, evocando le
fiamme angeliche e provocando un'ustione piuttosto rilevante al braccio
del
sovrano. Lucifero, ulteriormente incollerito da quel gesto,
colpì con violenza
il sanguemisto, che finì contro il muro. Senza esitare, il
principe ringhiò e
contrattaccò. Fra graffi, morsi, calci ed insulti, i due si
azzuffarono per un
po', mettendo a soqquadro l'intero ufficio. Alla fine, come era
prevedibile, fu
Lucifero ad avere la meglio. Immobilizzò Keros e ne
schiacciò il viso contro il
pavimento, ringhiando.
“Fila
nelle tue stanze" sibilò il re “O ti ci spedisco
io a calci, ragazzino!”.
A
Keros
non restò altro da fare se non arrendersi e ritirarsi, senza
dire più nulla.
Dolorante,
sfinito e ferito, il principe raggiunse le proprie stanze al palazzo
reale e
crollò addormentato, senza rivolgere la parola a
Simadè o qualsiasi altro
servo. Al risveglio, sedette sul letto ad iniziò a
riflettere. Ignorando le
voci dei servitori, prese una decisione e lasciò l'edificio.
Il
sovrano, in collera, si era fatto medicare. Le fiamme di Keros ne
avevano
rovinato la pelle del braccio fino alla spalla e parte del collo.
Camminando
lungo il corridoio, ancora ringhiando, iniziò ad osservare i
quadri di palazzo.
Molti raffiguravano Lucifero da solo ma il re si fermò sotto
un grosso dipinto
di Keros, regalo per i mille anni dell'erede. Era stato volutamente
appeso
accanto ad un ritratto di Carmilla. Il diavolo sospirò,
sentendosi sempre più
stordito dalle ferite provocate dalle fiamme blu evocate dal
sanguemisto.
“Che
devo
fare, Carmilla? Non so più che inventarmi"
mormorò, a bassa voce “Perché
è
così complicato?”.
Lucifero
sorrise malinconicamente, ricordando i tempi in cui Carmilla viveva a
palazzo.
La bellezza della vampira era famosa in tutto il regno, così
come lo erano le
sue doti di tentatrice. Era una peccatrice, una procacciatrice di anime
ed
un'efferata assassina. Abbagliante, misteriosa, sensuale…
Una vera demone. Una
degna regina, si ritrovò a pensare Lucifero. Eppure,
nonostante fosse fra le
più strabilianti creature dell'Inferno, aveva incontrato la
morte nel regno
umano. E questo dopo essere profondamente cambiata, al punto di
decidere di
aiutare gli umani facendo loro da curatrice. Che si fosse pure lei
innamorata
di un mortale? Oppure era stata in grado di vedere qualcosa di speciale
in
quelle creature? O forse era stato il sentimento per Mihael a renderla
così
diversa dalla Carmilla famosa in tutto l'Inferno? Lucifero era
consapevole che
a molte domande non avrebbe mai avuto risposte ma di una cosa era
certo: lei
voleva dargli un figlio e si era allontanata per non esserci riuscita!
Era
delusa, nonostante il sovrano l'avesse rassicurata e trattata come una
principessa, concubina d'eccellenza.
“Non
voglio perdere il mio prezioso cucciolo" ammise il diavolo, sempre
rivolto
al quadro “Non voglio che sia deluso da me, da se stesso,
dalla sua vita… ma
che devo fare?”.
“Nulla"
si udì una voce femminile.
“Lilith…”
la riconobbe subito Lucifero, pur senza girarsi ed avendola alle spalle.
“Non
potete fare nulla, maestà. Se non far capire al principe che
gli volete bene.
Anche lui vi vuole bene e le scelte che compie non le fa per ferirvi o
per
deludervi. È un adulto ormai, ma ancora molta strada
davanti. Errori da
commettere, traguardi da raggiungere… è vostro
figlio, ma non vi appartiene.
Abbiate fiducia in lui: vedrete che ogni cosa si
risolverà”.
“Le
tue
parole mi confortano. Però sai che io sono un demone
crudele. E lui tira molto
la corda…”.
“Lo
so. È
testardo, come i suoi genitori…”.
“Puoi
essere brutalmente sincera?”.
“Certo”.
“Io
somiglio a mio padre?”.
“Non
lo
so. Forse a volte sì…”.
“E
che
devo fare per non somigliarci?”.
“Siate
libero. Sempre. Libero da regole. Libero da preconcetti. Libero dal
passato".
Lucifero
non disse altro. Osservò ancora il quadro e poi si
allontanò, diretto verso le
stanze dell'erede. Si stupì di trovarle vuote, senza nessuno
in grado di dirgli
dove il principe fosse andato. Nella camera, tutto era in ordine. Non
si notavano
mancanze o cose fuori posto tranne un singolo dettaglio, che al re
balzò
all'occhio immediatamente: un anello sul comodino. Avvicinandosi,
Lucifero capì
che si trattava di un gioiello familiare, che lui stesso aveva donato
al
mezzodemone. Si trattava dell'anello del principe ereditario, il
simbolo che
identificava il demone che lo indossava come il futuro reggente
dell'Inferno!
Keros
non
si aspettava di trovarsi dinnanzi un simile scenario.
Attraversò l'uscio di un
palazzo impolverato, lasciato a se stesso. Le finestre serrate, con
pesanti
tende che le nascondevano, di certo erano chiuse da molto. Il
mezzodemone
chiamò a gran voce qualcuno, sentendo solamente l'eco della
propria voce. Salì
lungo le scale in marmo scuro, starnutendo per la polvere, guardandosi
attorno.
I lampadari di cristallo, coperti da teli e sporcizia, non si accesero.
Tutti i
mobili erano avvolti da stoffe piene di polvere, le porte
scricchiolavano, i
pavimenti gemevano sotto i passi del mezzodemone. Entrò in
una delle stanze,
ancora percependo una certa stanchezza, trovando quella che pareva una
camera.
Anche lì tutti i mobili erano coperti e Keros si
cercò un posticino per
riposare. Stava quasi per addormentarsi quando capì di non
essere da solo e
scattò in piedi, trovandosi di fronte Alukah.
“Maestro!”
mormorò il sanguemisto “Siete voi!”.
“Altezza…”
si inchinò leggermente il demone vampiro
“…perdonate se vi ho infastidito.
Credevo fosse un intruso. E chiedo perdono per lo stato in cui versa
questo
palazzo, che vi appartiene”.
“Basta
solo spolverare. Piuttosto… chiedo perdono per essere
piombato qui senza
preavviso…”.
Quello
era il palazzo richiesto da Keros secoli prima, in seguito alla guerra.
Aveva
ottenuto quei terreni, li aveva dati in concessione ad Alukah chiedendo
solo
quell'edificio in cambio.
“Posso
restare qui, maestro?” chiese Keros, umilmente.
“Questa
è
casa vostra, altezza. Ed io non sono più il vostro maestro".
“Ed
io
non sono più il tuo principe”.
Il
sanguemisto mostrò la mano, dove un tempo si vedeva l'anello
reale, ora priva
di gioielli.
“Io
ti ho
provocato un immenso dolore" riprese Keros
“Perciò, se ti infastidisco,
fammelo sapere immediatamente. Lo comprenderei e me ne andrei
subito”.
“Questa
resta comunque casa vostra. Fate quel che preferite".
“Sii
sincero con me”.
“Altezza…”.
“Non
chiamarmi così”.
“La
sincerità? Difficile esprimerla. Ma è nella mia
natura, lo ammetto…”.
“Cosa
è
successo? Il tuo territorio non mi è sembrato come un tempo.
Pare come
abbandonato a se stesso, danneggiato…”.
Alukah
sospirò ed iniziò a raccontare, spiegando che
dopo la guerra non era stato più
lo stesso. Dopo aver perso l'amato figlio Nasfer, non aveva
più dato importanza
a molte cose. Il suo territorio all'Inferno, il proprio ruolo di
procacciatore,
la casa dove viveva… Sentendosi solo, non era riuscito a
trovare una ragione
per riprendere a vivere come prima. Approfittando di questo, molti
demoni
avevano attaccato e saccheggiato quei luoghi e quelle terre, uccidendo
popolazione e depredando villaggi. Keros, amareggiato, si
sentì in colpa.
“Non
ho
agito nel migliore dei modi con mio figlio" precisò Alukah
“È cresciuto
senza che io mai riuscissi a fargli capire quale fosse il suo posto e
come
relazionarsi con il potere”.
“Noi
figli a quanto pare siamo bravissimi a non
capire…”.
“L'anello…
che cosa…?”.
“Te
lo
spiegherò. Però ora vorrei solo sapere se posso
restare qui".
“Certo…”.
“Se
ti
arreco in qualsiasi modo sofferenza o fastidio, me ne vado
immediatamente”.
“È
difficile" rispose il demone vampiro, dopo aver riflettuto qualche
istante
“Ma penso non si debba vivere nel passato. Per quanto sia
doloroso, non riavrò
ciò che ho perso ed è inutile rinunciare a vivere
per questo. Però…”.
“Ti
darò
tutto l'aiuto possibile. Ti aiuterò a sistemare il
territorio, a scacciare chi
vuole impadronirsene ed insieme riporteremo questi luoghi a splendori e
sfarzi
degni di un Arconte. Nemmeno io voglio rinunciare a vivere,
maestro...”.
I
due si
fissarono negli occhi, entrambi con un velo di malinconia nello
sguardo.
“Qualsiasi
cosa sia successa…” gli mormorò Alukah
“Andrà tutto bene. Ne sono certo".
“Promettimi
solo che non dirai al re che sono qui".
“Se
il re
lo chiederà, non mi è concesso
mentire…”.
“Se
lo
domanderà, allora rispondi. Ma altrimenti non inviare alcuna
comunicazione al
riguardo. Grazie…”.
Ho
aggiornato per un pelo! Non temete, Ary and
co. torneranno... a presto!!
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Capitolo 57 *** Cambiare ***
57
Cambiare
Il
sole
non era mai particolarmente piaciuto a Lucifero, probabilmente
perché ormai
abituato alla tenue e spettrale scarsa luce infernale. Però
quel giorno decise
di muoversi in pieno giorno, trovandolo più consono ed
adatto. Pensando fosse
scortese piombare in casa d'altri d’improvviso,
usò un portale esterno e
passeggiò fino all'ingresso. L'aria era gelida, anche se
intravedeva qualche
fiore primaverile, ma per fortuna Leonore aprì in fretta.
Rimasero a fissarsi
sull'uscio, in silenzio, qualche istante.
“Posso
entrare?” parlò piano il demone “Sono
qui per scusarmi".
La
donna
si scostò e lasciò che l'ospite entrasse.
“Stavo
per andare a riposare qualche ora…” ammise lei.
“Il
padrone di casa è fuori?” domandò
allora il sovrano infernale.
“No.
Ma
sta lavorando. Puoi venire un po' su con me…”.
Il
diavolo seguì la donna lungo le scale. Lei, a piedi scalzi
ed abiti comodi,
sedette sul letto e si slegò i capelli.
“Mi
hai
molto spaventata" ammise “Mi avete spaventata entrambi, tu e
Keros".
“Sono
venuto per scusarmi proprio per questo. Non era proprio il caso che ci
azzuffassimo in quel modo, in casa d'altri, con te in un momento
così
delicato…”.
“Credevo
non venissi più. È trascorso un po' di
tempo…”.
Lucifero
annuì, osservando meglio quella mortale. Nonostante gli
abiti larghi, si
iniziava ad intravedere la gravidanza e questo fece inconsciamente
sorridere il
demone.
“Ho
avuto
qualche problema" ammise il diavolo, toccandosi il braccio e sedendo a
sua
volta sul letto.
“Ti
sei
ferito qui, durante quella rissa?”.
“No.
Ho
avuto un piccolo diverbio fra le mura domestiche. Keros ha usato il
fuoco
angelico e le conseguenze si sono fatte sentire per un bel pezzo. Sono
rimasto
stordito e debole per giorni".
“Keros
ti
ha fatto così tanto del male?!”.
“Non
è
stata colpa sua. Ha agito d'istinto, suppongo… Ed io devo
imparare che quel
ragazzo possiede un'arma in grado di farmi vedere le stelle ed i
pianeti dal
dolore!”.
“Sei
ferito?”.
“Ormai
è
quasi tutto passato…”.
Leonore
intravedeva la fasciatura, sulla mano e parte della spalla, lasciata
scoperta
dalla camicia leggermente aperta.
“Vorrei
solo che tu mi promettessi una cosa" mormorò lei, sfiorando
la mano del
demone.
“Dimmi
pure, bella Leonora”.
“Promettimi
che simili cose non accadranno più. Niente più
risse fra te e Keros qui in
casa".
“Lo
prometto. Niente più risse" annuì Lucifero,
suggellando la promessa
baciando la mano che lo sfiorava.
“Ora
mi
sento molto più tranquilla!”.
“Bene…
È
mio compito fare in modo che la tua gravidanza sia felice".
Leonore
si portò la mano al grembo.
“Non
vedo
l'ora di sentirlo muovere!” ammise.
“È
ancora
presto…”.
“Anche
se
mi hai spaventata, io non posso essere in collera con te, capisci?
Perché è
grazie a te se questa vita cresce in me. È grazie a te. E,
anche se dovesse
nascere un demone, non credo che la mia anima debba appartenere a
nessun'altro
se non a te".
Lucifero
non sapeva cosa rispondere. Non si aspettava simili parole, specie da
una
mortale gravida di una creatura ancora non ben definita.
“Grazie"
mormorò ancora lei, poggiando la testa sulla spalla del
sovrano.
Il
diavolo rimase ancora in silenzio. Non era abituato a farsi ringraziare
così
candidamente, sinceramente. Era una sensazione nuova, e per lui provare
cose
nuove era estremamente raro. Così raro che non
capì bene come reagire. Lei lo
stava abbracciando, accarezzandolo come fosse una persona amata. Si
lasciò
avvolgere ancora qualche istante e poi le sorrise.
“Leonore…”
mormorò “Lascia che ti aiuti a riposare
meglio…”.
Facendola
stendere dolcemente, la guardò negli occhi, sorridendo
ancora. Lei arrossì ed
il diavolo si stupì di nuovo. Abituato a demoniesse discinte
e mortali smaniose
di essere possedute, non aveva a che fare con molte fanciulle dalle
gote rosse.
Forse Sophia era arrossita… o forse nemmeno lei! Quella
timidezza, quel pudore
inaspettato, lo eccitò. Non era una cosa che accadeva
spesso, con i mortali! Le
dedicò un bacio sul collo, distendendosi accanto a lei ed
accarezzandola.
Agilmente con le mani si intrufolò sotto la maglietta e poi
scese, lentamente.
Leonore sentiva quella mano che scendeva e quel bacio sulla pelle.
Schiuse le
gambe piano, accompagnando quella mano con un movimento lento del
busto. Il
demone la toccava, con dita esperte, e le mormorava di rilassarsi. Era
eccitata, le bastava il suono della voce del re degli inferi per
provare
piacere. E quella mano che aveva fra le gambe, che si muoveva sotto gli
slip in
modo perfetto, la fece gemere. D'istinto lo baciò,
più e più volte,
desiderandolo.
“Voglio
fare l'amore" gli sussurrò piano “Facciamo
l'amore, adesso. Ti prego,
fallo con me".
Il
demone
sapeva che era la propria vicinanza a provocare simili voglie. Si
lasciò
baciare, e supplicare, ancora per poco. Fu diverso dalla prima volta,
diverso
dalla loro precedente unione. Il diavolo non sfogò
frustrazione ed eccitazione
momentanea ma fu delicato, quasi romantico. Un regalo, si disse, per la
bella
Leonora. Raggiunsero l'orgasmo dolcemente, fra baci e sospiri di
piacere.
“È
bello" mormorò la mortale, abbracciandolo
“È tanto bello fare l'amore con
te…”.
Lui
non
le rispose. Si lasciò stringere ancora per un po', prima di
separarsi da lei.
“Ora
riposa" le suggerì, mentre lei affondava la testa nel
cuscino.
“Tornerai
presto?” chiese Leonore.
“Aspettami…”.
Rientrando
dopo un'intera giornata di caccia agli intrusi, Keros era piuttosto
stanco ma
soddisfatto. Alukah aveva dato ordine di risistemare al meglio il
palazzo
rimasto abbandonato a se stesso e così era un continuo
viavai di operai, servi
ed artigiani indaffarati. Rientrare e notare la differenza in
quell'edificio
era una delizia per gli occhi e Keros annuì, soddisfatto. Si
era fatto
concedere una porzione del territorio dell'antico maestro, per
procurarsi anime
da portare all'Inferno e potersi sostenere in modo indipendente.
Facendo
consegnare le anime ad Alukah, manteneva un certo anonimato e riportava
il
prestigio al nome dell'Arconte.
“Che
tanta gente fastidiosa hai fra i tuoi terreni…”
borbottò il mezzodemone.
“Ne
sono
consapevole…” rispose Alukah, osservandolo
dall'alto della rampa di scale.
“Uccidere
è stato semplice. Non sono creature potenti o preparate.
Solo irritanti".
Keros
iniziò a salire quella rampa, raggiungendo l'Arconte in
silenzio. Questi,
piuttosto serio, si limitò ad osservarlo.
“Vado
a
sistemare la mia futura stanza…” spiegò
il sanguemisto, con un mezzo sorriso.
“Quando
avrete cacciato ogni intruso…” chiese il vampiro
“… tornerete a palazzo? O
almeno farete sapere al re che siete qui?”.
“Non
credo. Se per te non è un fastidio…”.
“Non
lo
è. Ma, da padre, vi prego perlomeno di avvisare il sovrano.
Non dico di
comunicare la vostra posizione, ma perlomeno far sapere che state bene.
Sapete
che vi sta cercando…”.
“Forse
fra qualche tempo…” borbottò Keros,
chiudendosi la porta alle spalle.
Appena
Leonore si fu addormentata, Lucifero lasciò la stanza e
scese le scale. Si
guardò attorno e raggiunse l'uscio della stanza dove il
padrone di casa
lavorava. Davanti al computer, il demone notò che indossava
delle cuffie. Il re
si chiese se quelle cuffie fossero state indossate per non udire alcuni
sospiri
amorosi un po' troppo spinti. Educatamente, il diavolo bussò
sulla porta
aperta.
“Serve
qualcosa?” domandò l'umano, senza distogliere lo
sguardo dal pc.
“Volevo
scusarmi per alcuni comportamenti avuti fra le mura di questa casa. Ho
promesso
a Leonore che non ci saranno altre risse fra me e Keros nella tua
dimora…”.
“Va
bene…”.
“E,
a
questo proposito, sono qui per chiedere a quanto ammontano i danni.
Vorrei
rifonderti ogni centesimo…”
“Non
so che
dire. Onestamente non ricordo quanto mi è costata la vetrina
che mi avete
distrutto…”.
“Una
stima?”.
“Vi
farò
sapere…”.
Lucifero
provò un lieve fastidio. Quell'umano aveva un atteggiamento
irritante, di
voluto disinteresse. Non staccava nemmeno gli occhi dallo schermo.
“Ti
scoccia che io sia qui, umano? Non è
così?” incrociò le braccia il diavolo.
“Sinceramente:
non mi interessa. Sto cercando di lavorare, se non ti dispiace".
“Apprezzo
il tuo coraggio. Ma disprezzo parecchio la tua
stupidità”.
“Me
ne
farò una ragione…”
“È
perché
mi sono scopato la tua ex moglie?”.
“Sono
affari vostri. Io e Keros abbiamo fatto molto più rumore, ne
sono certo, e
Leonore non si è lamentata".
“A
questo
proposito… Per caso Keros si è fatto sentire? Un
messaggino, una mail, una
lettera profumata…?”.
“Nulla…”.
“Capisco…
se per caso dovesse contattarti, potresti farmelo sapere?
Sai… non ho idea di
dove sia”.
“Non
sarà
rimasto fuori nella neve?!”.
“No,
all'Inferno è tornato ma poi non so dove sia finito. E sono
lieto di vederti
cambiare espressione, finalmente!”.
Il
mortale non disse altro. Era preoccupato. Finalmente il suo sguardo si
era
scostato dallo schermo del pc, per qualche istante temendo per la vita
del
tentatore.
“Lo
sai…”
ricominciò a parlare Lucifero “Keros non poteva
far nulla. Il mio potere è
troppo grande e non ha potuto opporre resistenza. Le cose dovevano
andare in
modo diverso, è vero, ma non lo ha fatto di
proposito…”.
“Il
vostro potere gli impediva, per caso, di dirmi che aveva dei
figli?”.
“No…
quello no… Ma non dovresti pensarci troppo. Intendo
dire…”.
“È
una
questione di principio! Lui sa tutto della mia vita!”.
“Perdonami
ma la tua vita è durata uno sputo. Quella di Keros un
millennio ed una manciata
di secoli. Comprenderai che le tempistiche ed il numero degli
avvenimenti sono
differenti…”.
“Doveva
parlarmene. È come se io non gli avessi raccontato che
Leonore era mia moglie!
Sono avvenimenti importanti!”.
“Ed
io ti
do ragione. Però, diciamocelo, vale la pena? Se davvero vi
amate così tanto,
perdersi in questo modo che senso ha?”.
“Non
ne
ha… non ha alcun senso…”.
“E
allora
il problema dov'è, perdonami? Il fatto che si sia scopato
Leonore non dipende
da lui, non puoi incolparlo. È fastidioso, lo comprendo, ma
la causa è mia.
Insultami pure, a me non interessa. In secondo luogo, che lui non ti
abbia
parlato dei propri figli è un atto abbastanza grave. Ma
perdonabile suppongo,
no? Insomma… non è che ti ha nascosto di aver
stuprato tua madre! E non te l'ha
tenuto nascosto… semplicemente non ha voluto parlarne. Ma
perché a volte sa
essere davvero cretino, non perché voglia farti un
torto!”.
“Vedremo,
ok? Quando, e se, vorrà di nuovo
parlarmi…”.
“Ti
manca. Si vede subito. Se non dovesse tornare?”.
Ary
non
rispose. Non voleva rispondere e non sapeva nemmeno che cosa dire.
Riprese a
lavorare al computer.
“Se
ti
dovesse chiamare, o contattare in qualche modo…”
mormorò Lucifero,
avvicinandosi alla porta “Digli che lo aspetto a casa. E che
mi dispiace”.
“Fate
lo
stesso, per favore…”.
“Certamente.
Ora ti lascio lavorare. Fammi sapere per il prezzo della vetrina. Non
mi piace
essere in debito con qualcuno…”.
Alukah
non era entrato in quella stanza per un periodo, lasciando a Keros la
possibilità di crearsi una camera di proprio gusto. Il
mezzodemone, trovando
rigeneranti i momenti di solitudine, si era messo a decorare e
dipingere le pareti.
Bussando, Alukah entrò e rimase in silenzio, ammirando
quanto fatto fino a quel
momento. Il soffitto e parte del muro rappresentavano uno splendido
cielo
stellato, con punti di luce ottenuti da pitture oro, argento e preziosi
incastonati. Tutt'attorno, le siluette nere di rami d'albero, a
ricreare una
foresta immersa dall'oscurità notturna e contornata da
riccioli dorati. Keros
sedeva al centro della stanza, con in mano un piccolo pennello sporco
di
rilucente color oro.
“Toglie
il fiato" ammise Alukah “È stupendo".
“Grazie…”
rispose il sanguemisto, a mezza voce.
“Diventerà
una camera splendida. Degna di un principe!”.
“Non
mi
stancherei mai di guardare le stelle”.
“Dove
avete imparato simili tecniche?”.
“Da…
amici".
Keros
non
sapeva bene che rispondere. Era il Paradiso il luogo dove aveva appreso
come
realizzare decori di quel genere, e non poteva di certo dirlo ad Alukah!
“Mi
cercavi?” domandò il mezzodemone, senza alzarsi e
pulendo il pennello con un
piccolo straccio.
“Sì…
sono
giunte notizie dalla capitale. Il re vi sta cercando, è
molto preoccupato!”.
“Sa
che
sono qui?”.
“No.
Ma…”.
“Che
mi
lasci in pace! È tutta la vita che cerco di essere come lui
desidera! Ho fatto
di tutto per essere come tutti si aspettavano, per essere come tutti
vogliono
che un principe infernale sia. Ho rinunciato ad una parte di me per
essere
accettato e per che cosa? Per niente! Quando finalmente sono stato in
grado di
accettare del tutto me stesso, di andarne fiero ed esserne felice, ecco
cosa
ottengo. Sono solo… e sinceramente non so più che
strada intraprendere".
“Nella
vita simili periodi possono capitare" annuì Alukah,
sedendosi accanto
all'allievo “Ma davanti a voi vi è ancora un lungo
cammino, ricordatevelo! Se
pensate di aver intrapreso la strada sbagliata, di dover cambiare
prospettiva o
aspirazione… fatelo! Voi potete ottenere quel che
volete!”.
“Tu
non
capisci… e non so come spiegarti certe cose".
“Provateci!
Me lo ripeteva sempre mio figlio, quando gironzolava con i suoi amici
per il
settore cinque, nel regno umano".
“Nel
settore cinque?! Ma… È lo stesso settore dove
vive l’anima finale che dovevo
ottenere!”.
“Davvero?!”.
“E
vi
erano altri demoni con lui?”.
“Sì,
non
saprei dirvi quanti…”.
“E
sai se
vivono ancora in superficie? Chi erano? Dimmi tutto quello che ti viene
in
mente!”.
“Dunque…
Dopo il diverbio avuto con il re, non so se
ricordate…”.
“Quando
ci siamo baciati io e Nasfer. Certo… lo ricordo piuttosto
bene".
“Ottimo.
Dopo quel diverbio, avevo suggerito a mio figlio di girare al largo da
palazzo
e territori limitrofi, cercando di concentrarsi sulla caccia e sul
miglioramento delle proprie capacità. Lui era frustrato,
perché voleva entrare
nelle fila delle guardie reali, ma alla fine si era lasciato convincere
e
trascorreva molto tempo nel mondo umano. Assieme ad altri demoni di
età simile
alla sua, aveva trovato degli amici e, se devo essere sincero, non so
cosa
facessero tutto il giorno. A me importava solo che fosse felice e
lontano dal
re”.
“In
quella zona, ho trovato alcuni sovversivi che si nascondevano dopo
l'esilio
ordinato da Lucifero dopo la guerra…”.
“Sì,
immagino che Belzebù abbia trovato tante piccole menti
plagiabili in quel
gruppetto. E suppongo che i sopravvissuti siano tornati in superficie,
una
volta finito tutto… Non mi sono mai piaciuti
particolarmente, non saprei dire
molto di più”.
“Sai
se
da qualche parte risultano degli elenchi? Una lista dei nomi di questi
demoni?”.
“So
che
Nasfer aveva una specie di registro, dove erano riportati molti nomi.
Serviva
per stabilire alcuni ruoli a rotazione come i turni di guardia, i
procacciatori
di cibo, gli addetti alle pulizie di quella specie di covo dove si
ritrovavano…”.
“E
sai
dove si trova? Il registro, intendo".
“Suppongo
in una delle sue stanze. Non le apro da secoli…”.
“Posso
cercarlo?”.
“Certo.
Però… capite che non è molto
regolamentare che io sappia certe cose…”.
“Non
ti
coinvolgerò. Ma devo capire alcune cose. Sai se avevano
contatti con gli umani?
Oltre che per cibarsene, ovviamente…”.
“Sì,
ne
avevano…”.
Lo
sguardo
di Alukah cambiò, facendosi schivo. Keros comprese quella
reazione:
evidentemente aveva assistito a parecchie infrazioni delle regole,
forse da
parte del proprio stesso figlio, e tentava di preservare l'onore della
famiglia.
“Tenterò
di scoprire il più possibile… grazie!”
sorrise il mezzodemone, per la prima
volta pieno di entusiasmo dopo tanto tempo!
Scusate
il ritardo ma eccovi il capitolo nuovo!
A presto!
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Capitolo 58 *** Nomi e Sogni ***
58
Nomi
e
sogni
Per
anni
Leonore si era immaginata quel momento ed ora era lì, con un
sorriso emozionato
stampato sul viso. Lei e Lucifero, dopo essere riusciti a convincere
Ary a
prestar loro la macchina, si stavano dando allo shopping per il bimbo
in
arrivo. Il diavolo aveva concesso al mortale, in cambio, la
decappottabile
sportiva, con la raccomandazione di andare a rimorchiare. Ary aveva
ignorato
quelle ultime frasi ed era andato al lavoro con la piccola utilitaria
di
Leonore.
Leonore
si guardava attorno, indecisa su cosa scegliere per prima cosa. Doveva
comprare
tutto il necessario per la camera, la culla e molto altro, ma i modelli
in
vendita erano così tanti… Una commessa
gentilmente iniziò a spiegarle quali
erano le diverse opzioni. Satana le aveva dato piena libertà
di spesa e si
sentiva decisamente fuori posto in quel luogo fatto di orsetti
disegnati sui
muri e profusioni di colori pastello.
“Quanto
manca al lieto evento?” chiedeva la negoziante, guidando
Leonore fra le file di
culle e lettini.
“Ancora
qualche mese…” sorrise lei.
“Suppongo
sia il primo figlio”.
“Già.
Sono emozionata!”
“Lo
sarà
di certo anche il papà!”.
L'umana
subito precisò che non era Lucifero il padre, mentre il
diavolo osservava varie
coppiette impegnate a scegliere corredini e giocattoli. Si chiese se
effettivamente tutti i padri presenti fossero i veri futuri genitori e
rabbrividì quando vide alcuni nonni: per un attimo si era
immaginato il proprio
padre che gli dispensava consigli genitoriali.
Dopo
parecchio tempo, finalmente gli acquisti erano conclusi ed il diavolo
stava
caricando scatole ed imballaggi in macchina. Si sentiva osservato, e
sapeva
benissimo da chi. Propose alla mortale un gelato, ignorando chi lo
spiava ed il
fastidioso cicalino proveniente dal marchingegno che lo collegava
all'Inferno.
Leonore accettò volentieri, essendo sempre piuttosto
affamata e stanca.
Un
nome
continuava a spuntare, su ogni registro. Un nome ricorrente, senza
però alcun
altro appunto che potesse aiutare a capire. Tutti gli altri nominativi,
riportati in vari registri e quaderni, erano sempre seguiti da qualche
riga
esplicativa sul ruolo o la funzione temporanea. Erano elencati
tesorieri,
cuochi, ladri, procacciatori, allevatori, sorveglianti… ma
accanto a
quell'unico nome mai nulla. Solo, a volte, delle cifre che potevano
essere un
orario, probabilmente. Dopo mesi di ricerche, Keros non sapeva
più che cosa
inventarsi. Non voleva disturbare Alukah, sapendo che certi argomenti
potevano
turbarlo o rattristarlo. Però in quel momento non vedeva
alternative. Aveva
scoperto un sacco di elenchi ed era quasi riuscito a riordinare il
tutto,
eliminando tutti coloro che risultavano morti in guerra. Si chiese
quanti fra
questi aveva ucciso personalmente, fra la battaglia e gli scontri
successivi.
Prese
coraggio, tenendo fra le mani uno dei vari registri, e si
incamminò verso le
stanze di Alukah. I due edifici, dove risiedeva ora il mezzodemone e
dove
invece viveva l'Arconte, erano stati risistemati e notevolmente
abbelliti,
rendendoli meno angoscianti. Bussò educatamente e chiese
udienza. Dopo aver
discusso del più e del meno, Keros prese coraggio e
domandò quel che lo
tormentava.
“Chi
era
Marianne?” chiese.
Alukah
si
irrigidì, come se fosse l'ultima domanda che voleva farsi
rivolgere.
“Perché
lo chiedete?” riuscì a mormorare.
“È
l'unico nome che non riesco a collegare. Spunta spesso ma non ha nulla
che mi
aiuti a capire chi fosse…”.
“Era…
un'umana".
“Un'umana?
Una preda? Una donna che qualcuno stava tentando?”.
“Non
proprio…”.
“Non
potete dirmi altro?”.
“Non
so…”.
“Capisco…
Cercherò di scoprirlo da solo. Anche se sono mesi che ci
impazzisco".
L'Arconte,
seduto in silenzio accanto alla finestra, osservò con la
coda nell'occhio i
movimenti di Keros e lo fermò, con un sospiro.
“Sono
passati quasi trecento anni, dopotutto…”
parlò piano “Venite qui, vicino a me.
Non voglio che orecchie indiscrete ascoltino…”.
Keros
obbedì, fermandosi accanto al tavolo su cui l'antico maestro
poggiava una mano.
Gli mostrò il registro, indicando il nome.
“Marianne
era una fanciulla dalla pelle bianca e dai capelli color cioccolato.
Sorrideva
sempre ed era fin troppo intraprendente… Nasfer l'amava".
Il
mezzodemone sobbalzò a quelle parole: un demone innamorato
di un'umana! Capì
subito perché Alukah era restio a parlarne! Era una cosa
proibita, che gettava
altre ombre sulla già pessima reputazione del figlio
ribelle.
“So
che
era una cosa disgustosa e proibita" si affrettò a dire
l'Arconte “Ho
tentato in ogni modo di farlo ragionare ma Nasfer era un vero testone.
E
litigavamo continuamente, perché diceva che non dovevo
intromettermi nella sua
vita e cose del genere…”.
“Non
definirei disgustoso un legame d'amore…”
“Ma
spero
che tutto questo non esca da questa stanza! Ci manca solo che si sappia
in giro
che mio figlio si faceva una mortale. Quale onta per il nome di
famiglia!”.
“E
che
cosa è successo? Che fine ha fatto?”.
“Marianne?
Non lo so”.
“Dopo
la
guerra, non l'avete cercata?”.
“Dopo
la
morte di Nasfer, non mi interessai più di nulla. Figuriamoci
se mi importava
dove fosse finita un'umana!”.
“Oh…”.
“La
loro
vita è così effimera…”
aggiunse Alukah, notando la delusione sul viso
dell'allievo “Probabilmente, non vedendo comparire Nasfer per
un po', si sarà
trovata un altro umano con cui stare… Ma che importa? So che
il mio erede ha
compiuto un atto proibito, ma non ho potuto impedirlo. Ho tentato
davvero di
tutto, credetemi”.
Keros
distolse lo sguardo, fissando quel nome scritto sul registro. Era
scritto con
cura, con inchiostro scuro fra fogli ingialliti e rovinati, fra mille
altri
nomi riportati in fretta e con poca attenzione.
“Voglio
farti una domanda, Alukah…” mormorò,
leggendo distrattamente vari titoli sui
libri dell'immensa libreria a muro.
“Prego…”.
“Cosa
differenzia un angelo da un demone?”.
“Intendete
fisicamente o…?”.
“Mentalmente.
Cosa cambia fra il Paradiso e l'Inferno? Non è forse la
ricerca di libero
arbitrio, ed il tentativo di sfuggire alle regole, che hanno fatto in
modo che
gli Inferi sorgessero?”.
“Io…”.
“Ora
ti
confesserò una cosa e, sinceramente, me ne sbatto altamente
se vorrai
raccontarlo in giro: io sono innamorato. Di un essere umano".
Alukah
sobbalzò, incrociando le iridi ambrate dell'allievo.
“Voi…”
tentò di rispondere, senza sapere che dire.
“Uno
dei
motivi per cui io e Lucifero ci siamo riempiti d'insulti ultimamente e
proprio
questo. Io amo un essere umano! Amo un mortale, e lui ama me. O
almeno… era
così prima che Satana intrecciasse i fili dei suoi intrighi
attorno al nostro
destino!”.
“Io…
non
ne ero a conoscenza…”.
“Lo
so.
Ci sono molte altre cose che potrei raccontare, molte altre
mostruosità sul mio
conto e sul mio modo d'agire. Ma che importanza può mai
avere? Nessuno mai
potrà accettare quel che sono e quel che ho
fatto…”.
“Keros…”.
“Ary…
ma
che ci faccio qui? Il mio posto non è qui, fra mille stanze
vuote che non saprò
mai come riempire…”.
Con
lo
sguardo perso, non gli importò se sulla guancia
iniziò a brillare e scorrere
una lacrima. Alukah osservò quell'avvenimento con stupore,
sapendo che i demoni
erano maledetti e non gli era concesso piangere, non erano in grado di
farlo.
Il mezzosangue si voltò, lasciando che il maestro non
potesse non vedere
chiaramente quella lacrima, e non disse altro.
Osservati
dagli angeli, Lucifero e Leonore si stavano godendo un gelato seduti su
una
panchina al parco. Il demone percepiva chiaramente Mihael e Gabriel e
tentava
di ignorarli.
“Ultimamente
mi sento davvero strana" ammise la mortale.
“Ne
hai
parlato con Malaphar?” rispose il diavolo, incrociando lo
sguardo lontano di
Mihael.
“Sì…”.
“E
che
cosa ti ha detto?”.
“Che
probabilmente sono incinta di un demone… ed il mio corpo sta
reagendo. Che
significa?”.
Lucifero
vide la donna accarezzarsi il pancione.
“Significa
che il tuo corpo si adatta ad un simile ospite. Mi
dispiace…”.
“A
me no.
È il mio bambino. Demone o umano, lo amo già. Ma
perché mi sento così? Odo cose
strane, vedo in modo diverso…”
“È
come
una piccola possessione, capisci? Un piccolo demone dentro di te, una
versione
ridotta di una vera possessione fatta da un demone adulto”
“Oh…
e
resterò sempre così?”.
“È
probabile. Colpa anche dei nostri… incontri. Il mio potere
fluisce in te,
seppur in minima parte".
“Io…
sto
diventando un demone?!”.
“Non
lo
so. Non succede spesso che un’umana resti incinta di un
demone. È un'unione
proibita e quindi non saprei citarti precedenti. Però
potrebbe essere
possibile… Mi ‘spiace non poter essere
più utile".
Leonore
accarezzò di nuovo il proprio grosso ventre e sorrise
leggermente: il piccolo
aveva scalciato!
“Sarà
quel che sarà” mormorò “Non
vedo l'ora… anche se ammetto di essere un pochino
spaventata”.
“Posso
fare qualcosa per te?”.
La
mortale scosse la testa. Anche lei aveva notato la presenza di Mihael e
Gabriel
e li osservava, incuriosita. Creature così belle non
potevano essere semplici
umani! Sentendosi scoperti, i due Arcangeli non poterono far altro che
smettere
di fare i furtivi. Si avvicinano alla panchina, lentamente. Vestiti in
bianco,
con i capelli biondi mossi dal vento, attiravano di certo l'attenzione!
Lo
sguardo di Mihael era severo, mentre quello di Gabriel era concentrato
su
Leonore.
“Maschio!”
parlò proprio Gabriel, indicando il pancione
“È maschio!”.
“Lo
supponevo" annuì la donna, sorridendo.
“Ah…
perdonate la maleducazione. Ave, Leonore. Sono
Gabriel…”.
“Quello
dell'Annunciazione?”.
“A
quanto
pare… Posso?” domandò l'Arcangelo,
allungando leggermente la mano.
“Certo…”.
Ottenuto
il permesso, Gabriel accarezzò Leonore, percependo un
calcetto.
“È
umano,
Gabriel?” domandò Mihael.
“Perché
vuoi saperlo?” sbottò Lucifero “Vuoi
forse fargli del male?”.
“No,
finché non riceverò ordini al riguardo".
“È
tuo
nipote, sai? È stato Keros. Dovresti festeggiare!”.
“Ma…”
tentò di dire Gabriel, mentre Mihael lo zittiva, preferendo
non parlarne.
“Magari
nasce con le alette da angelo. Che ne sappiamo?”
alzò le spalle Lucifero
“Finché qualcuno non ti ordinerà di
ucciderlo, o fargli del male, non potrai
alzare un dito. E
ti avviso che, quando
e se quell'ordine dovesse arrivare, sappi che ti darò tanti
di quei calci in
culo da farti desiderare di avere una mammina da cui andare a
piangere!”.
“Mi
dovrei spaventare?” alzò un sopracciglio Mihael.
“Sì,
credo
che dovresti".
I
due si
sfidarono apertamente, accigliati e palesemente irritati l'uno
dall'altro.
“Ragazzi…
finiamola!” sbuffò Gabriel “Siete
noiosi!”.
“Faccio
il mio lavoro!” ribatté Mihael.
“No.
La
donna non è sotto l'influsso di Lucy!” lo
zittì l'Arcangelo “Almeno… non
adesso. Quindi non si parla di tentazione o di peccatrice in cerca di
salvezza.
Si è donata volutamente a lui e, senza ricevere ordini
espliciti, non puoi
agire direttamente. Perciò è inutile che fai il
permaloso…”.
“Ma
tu da
che parte stai?”.
Lucifero
ridacchiò, finendo la propria merenda.
“Hai
poco
di cui ridere tu!” lo ammonì Mihael “Lo
sai che il Padre va in collera quando
tenti gli umani!”.
“Va
in
collera per molto meno!” alzò le spalle il demone,
giocherellando con il
bastoncino del gelato “Dovrebbe farsi vedere da uno
psichiatra. È evidente che
non controlla la rabbia"
“Smettila
di farneticare!”.
“Andiamo!
Vuoi degli esempi? Non credo ti servano. E non dare la colpa a me.
Tranne che
per la mela, di cui mi prendo il merito, il resto non mi compete".
“Ma…”
sussurrò Leonore a Gabriel “Sono sempre
così?”.
“Sono
esasperanti, vero?” le rispose l'Arcangelo.
“Perché
non te ne torni all'Inferno, invece di tentare questa povera
donna?” continuava
Mihael.
“E
tu
perché non te ne vai a fanculo?” fu la risposta di
Lucifero.
“Finitela!”
alzo la voce Gabriel “Leonore è sola. Ha bisogno
di qualcuno che le stia
accanto. Spetta a lei decidere chi, e pagarne le conseguenze relative.
Non
possiamo obbligarla a seguire una o l'altra strada! Ha pregato spesso
chiedendo
un bambino, io lo so bene. E magari questo bambino sarà un
dono, una creatura
meravigliosa come lo è Keros. Vorreste forse che non fosse
mai nato? Eppure è
un figlio proibito. Se vogliamo dirla tutta… il tuo peccato,
Mihael, è ben più
grave di quello di Leonore! Eppure…”.
“Dove
vuoi andare a parare?” arricciò il naso
l'Arcangelo guerriero.
“Le
cose
accadono per una ragione. Una ragione che spesso solo Dio conosce.
Perciò,
visto che fin ora non ci sono giunti ordini al riguardo, è
inutile battibeccare
per stabilire chi sia quello maggiormente in torto!”.
“Che
belle parole!” sorrise Leonore “Ad ogni
modo… non mi piace vedervi litigare.
Non discutete a causa mia, ho già causato abbastanza
problemi in giro".
“Perdonaci"
annuì Gabriel “Non volevamo spaventarti".
“Adesso
andiamo” si alzò Lucifero, porgendo la mano alla
mortale “Ary ci aspetta. E, da
come vedo il cielo, tra poco pioverà. I miei fratellini ci
sorvegliano, avrai
modo di parlarci un'altra volta".
Lei
annuì, un po' titubante. Salutò i due Arcangeli
con un lieve inchino,
sentendosi lievemente in soggezione. Aveva tante domande per quelle
creature
angeliche, di cui aveva sentito tanto parlare lungo tutta la sua
esistenza, ma
il re dei demoni la teneva per mano e preferì seguirlo.
“È
stato
un piacere!” la salutò Gabriel “Buona
serata".
“Passate
per un tè, se vi va" rispose lei, camminando piano e
sorridendo.
“Vaffanculo.
Vaffanculo tu, tu e tu. Specialmente tu!” sbraitava Lilith,
indicando vari
demoni davanti a sé.
“Perché
dovrei obbedirti?!” rispondeva un demone guerriero.
“Perché
altrimenti ti strappo le palle!” ringhiò lei.
“Non
sei
la regina! Solo il re ed il principe possono darci ordini! Ed i loro
successori”.
“Sei
ridicolo. Ma, se questo è il tuo desiderio, aspetta qui un
attimo".
Elegantemente,
Lilith lasciò l'ufficio del re qualche minuto e poi
tornò con il piccolo
Nasfer, il figlio di Keros, per mano.
“Buonasera"
salutò educatamente il bambino, serio in volto e lievemente
accigliato.
“Mi
dispiace aver disturbato le sue attività quotidiane,
principino Nasfer"
sorrise Lilith “Ma questi signori ti volevano"
“È
uno
scherzo?!” ringhiò uno dei demoni presenti.
“No.
Ed
ora, altezza, potreste dare qualche ordine a questa
plebaglia?”.
Nasfer
si
schiarì la voce e, con una certa eleganza, mandò
a fanculo tutti i presenti, uno
ad uno. Lilith sorrise soddisfatta. Li vide lasciare l'ufficio,
brontolando, e
chiese alla Succubus se aveva svolto bene il proprio compito.
“Siete
un
principino perfetto" sorrise Lilith “Scusate il disturbo.
Presto rientrerà
Lucifero, ci penserà lui a rimetterli definitivamente in
riga".
“Ho
sempre sognato dare qualche ordine”.
“Allora
tutto a posto…”.
“Però…”.
“Però?”.
“Nulla…”.
Il
bambino voleva chiedere se si avevano notizie di suo padre, il principe
ereditario. Nessuno, tranne Lucifero, era a conoscenza della decisione
di Keros
di abbandonare quel ruolo, lasciando l'anello a palazzo. Il piccolo
però non
aprì bocca. Lilith e Lucifero evitavano di parlarne in sua
presenza e quindi,
si disse, probabilmente non volevano parlarne proprio!
Preso
coraggio, quella sera Keros si affacciò alla finestra del
primo piano sbirciò,
nel buio. Sorrise, in principio. Quella stanza, dove un tempo dormiva
solamente
Leonore, ora era pronta ad accogliere una nuova vita. Lei ed Ary, con
l'aiuto
di Lucifero, avevano sistemato il lettino e tutto il necessario. Ora il
re era
tornato all'Inferno ed i due mortali erano soli.
“Non
posso crederci…” diceva lei, accarezzando i bordi
della culla “Presto
arriverà…”.
“Hai
pensato a qualche nome?” parlava invece Ary, finendo di
montare una giostrina
con dei pupazzetti.
“Sì.
Ma
deciderò sul momento… sarà una
sorpresa!”.
“Mi
piacciono le sorprese!”.
Lei
rise,
raggiante di felicità. Ary rispose a quella risata. Keros,
che udiva ogni loro
discorso grazie all'udito sottile, sospirò: sembravano
davvero una bella
famiglia! E lui che diritto aveva di rovinare tutto questo? Ary! Lo
avrebbe
sempre difeso, perché sicuramente altri demoni si sarebbero
messi in cerca di
quell'anima speciale, e lo avrebbe sempre amato. Ma Ary non lo avrebbe
mai
saputo…
Ridiscese
a terra, ignorando la lieve pioggia.
“Hai
per
caso intenzione di colpirmi?” parlò, rivolto ad
una presenza che lo osservava
fra gli alberi.
Una
demone, sobbalzando per la sorpresa, storse il naso per essere stata
scoperta.
“Vuoi
uccidermi?”
le domandò ancora Keros.
“Avrei
tutte le mie buone ragioni per farlo!” ribatté
lei, avvicinandosi al
sanguemisto.
“Sei
molto giovane. Quanti anni hai? Ottocento? Che ragioni mai avresti di
uccidermi?”.
“Per
colpa tua, mio padre è morto in guerra".
Il
mezzodemone sospirò: ancora quella guerra, ancora quei
morti.
“Puoi
portarmi al vostro rifugio?” parlò ancora il
tentatore “Sei di quelli che
vivono segretamente nel mondo umano, giusto?”.
“E
perché
ti ci dovrei portare?”.
“Perché
devo parlarvi".
“E
chi mi
dice che posso fidarmi?”.
“Mettila
così: se ciò che ho da dire non vi
piacerà, sarete in molti contro di me. Su un
terreno che conoscete molto meglio di me: sarà facile
uccidermi. In caso
contrario… si vedrà!”.
“E
se non
ti ci porto?”.
“Lo
farai… perché altrimenti ti stacco la testa e la
appendo ad un albero come
fosse una decorazione natalizia. Sono stato chiaro?”.
La
giovane, nonostante il tono di voce di Keros si fosse mantenuto calmo e
pacato,
si spaventò molto e decise di fare strada.
Ok…
metà di questo capitolo non era previsto ma
spero comunque sia gradito xd alla prossima!!
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Capitolo 59 *** Ciò che si è ***
59
Ciò
che
si è
Inoltrandosi
nella foresta, Keros seguiva la giovane nell'oscurità della
notte. Ignorando la
pioggia, insieme camminarono con passo deciso fino a raggiungere una
sorgente.
Dietro di essa, celata da simboli magici, l'entrata di una grotta.
“Chi
comanda qui?” domando il mezzodemone, proseguendo il percorso.
“Nessuno"
gli rispose la giovane, dopo aver oltrepassato l'ingresso
“Prendiamo le
decisioni tramite riunioni ed i ruoli sono stabiliti da registri e
richieste
specifiche. Non vogliamo un capo: non ci serve".
“Demoni
democratici? Suona quasi ridicolo…”.
“Fai
silenzio! Qui il tuo sangue nobile non conta nulla!”.
Raggiunsero
un'ampia sala, dove si creava una piccola risorgiva d'acqua limpida, a
cui
demoni attingevano. Tutt'attorno, lungo la parete, tante piccole grotte
che
donavano ospitalità ad un singolo abitante o ad una
famiglia. Lungo lo scorrere
dell'acqua, c'era chi cucinava, chi stendeva pelli di varia natura, chi
intagliava il legno, chi intrecciata tessuti…
Come in una grande piazza, vi era un gran viavai ma Keros
fu subito
notato. Scese il silenzio, interrotto solo da ringhi e qualche sibilo.
Arrampicati e nascosti fra anfratti di roccia e stalattiti, molti occhi
ora
osservavano il sanguemisto. Occhi
sospettosi, incolleriti e lievemente impauriti. Fra essi,
però, vi erano anche
un paio di occhi familiari: Alukah, volendo capire cosa l'allievo
avesse in
mente, era riuscito a seguirlo ed attendeva di scoprire la prossima
mossa del
tentatore.
“Sono
qui
per parlarvi" spiegò Keros, notando un certo grado di astio.
“E
perché
dovremmo ascoltare?” urlò qualcuno, dall'alto di
un'insenatura della grotta.
“Io
intanto parlo. Poi sta a voi…”.
Mormorarono,
ringhiarono e sibilarono, mentre il mezzodemone continuava ad osservare
quel
luogo e quelle persone. Molti erano giovani, al di sotto dei mille
anni, e la
maggior parte pareva appartenere alla fascia d'età compresa
fra il primo ed il
secondo millennio. Numerosi bambini, nati dopo la guerra, correvano
dalle
proprie madri.
“Ho
scoperto molte cose su di voi" iniziò a parlare Keros
“Ho scoperto chi
siete, come mai siete qui e che cosa fate. So che, non trovando un
posto nel
regno dei demoni in seguito alla guerra, vi siete creati una specie di
regno
alternativo. So che ancora odiate il mondo che vi ha rifiutato, di cui
teoricamente
pure io faccio parte".
“Teoricamente?!”
rise, sarcasticamente, un demone “Sei il figlio del re! Sei
l'erede al trono!
Sei a capo di tutti coloro che ci hanno esiliati!”.
“Ho
rinunciato a quel ruolo" ammise il sanguemisto “Non ero
adatto. Non secondo
gli standard demoniaci. Ho finto per troppo tempo di essere qualcosa
che non
sono. Lasciate che vi permetta di comprendere
meglio…”.
Senza
aggiungere altro, Keros chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.
Quel che
stava per fare significava molto per lui ma poteva essere pericoloso,
non
sapendo le reazioni dei presenti. Avrebbero potuto aggredirlo in gruppo
ed
ucciderlo! Ma ormai aveva deciso: fece un sorriso e spalancò
le ali.
Scese
il
silenzio. Il principe riaprì le palpebre, notando su di lui
tutti gli occhi
puntati. Molti spalancati per lo stupore, molti altri increduli e
perplessi.
Con le corna, le ali e quel disegno che spiccava da sotto la camicia
aperta,
era una creatura che nessuno si aspettava di vedere. Alukah, nascosto
nel buio,
non poteva credere a quel che vedeva. Dovette faticare moltissimo per
non farsi
scoprire, lasciandosi sfuggire un'esclamazione di stupore e lieve
disgusto, per
poi lasciare quel luogo in fretta.
“Ma
tu
che roba sei?!” chiese un ragazzino, mentre tutti si
avvicinavano lentamente.
Un
bambino, alle spalle del mezzodemone, scattò e
sfiorò le ali, per poi fuggire
via di corsa urlando: “Mamma, papà! Sono vere!
È un angelo?”.
“Che
cosa
sono?” mormorò Keros, congiungendo le mani
“Non lo so. O, perlomeno, non lo so
del tutto… Spero vogliate perdonarmi se non
riuscirò a rispondere a tutte le
possibili domande che mi farete".
“È
un
trucco?” parlò una donna.
“No.
Non
credo proprio. Questo è quel che sono. Un'originale
stranezza, mi
definirei".
“Sei
un
angelo?” mormorò timidamente una bambina.
“No.
Perlomeno… non del tutto".
“Sei
quindi un demone?” insistette la piccola.
“No,
non
sono del tutto nemmeno un demone”.
“Ah
ma
allora…?”.
“Che
cosa
sono? L'ho già detto: non lo so. Lasciate che vi parli. Poi
starà a voi
giudicare e decidere quel che sono…”.
C'era
chi
ipotizzasse che fosse tutto uno scherzo, chi un trucco o una trappola.
C'era
chi aveva paura si trattasse di un angelo venuto a giudicarli e chi una
strana
bestia. Qualcuno pregava, sottovoce.
“Io
mi
chiamo Keros, come sapete” iniziò a parlare il
sanguemisto “Sono cresciuto a
palazzo, sono stato addestrato dai più illustri demoni del
regno per divenire
vampiro, procacciatore e tentatore: un degno principe. Sono cresciuto,
sono
stato in guerra, ho conosciuto la morte e l'amore. Sono un demone?
Sì, lo sono.
Ma non del tutto. Queste ali? Le ho dalla nascita, ma le fiamme le
avevano
divorate e sono ricomparse solo quando i miei poteri me lo hanno
concesso. Le
ho odiate, all'inizio. Così come ho odiato quei segni che
attraversano tutto il
mio corpo. Ma ora ho compreso che fanno parte di me, di quel che sono.
Sono un
angelo? Sì, lo sono. Ma non del tutto".
Il
sanguemisto sorrise ad un bambino che lo osservava, meravigliato.
“Io
chi
sono? Sono Keros, semplicemente Keros. Non sono solo un angelo. Non
sono solo
un demone. E sono qui perché credo che voi, più
di ogni altra creatura al
mondo, possiate comprendere. Non siete pure voi considerati demoni, ma
non del
tutto? I demoni e gli angeli non ci accettano, o comunque non ci
accettano del
tutto. Ed io sono stanco di fingere di essere solo una parte di me. E
sapete
chi me lo ha fatto capire? Un umano! Un umano che mi ha amato e che io
ancora
amo”.
“Un
umano…?” si udì più di
qualcuno dire.
“Sì.
Giudicatemi pure. Io, bislacca creatura dal sangue bastardo, vi rimetto
a voi.
Ho bisogno di sapere che, da qualche parte nell'universo, vi
è qualcuno in
grado di comprendere. Di accettare. Non credo che ne esistano altri
come me,
anche se spero un giorno di incontrarne, ma sono stufo di dover fingere
di
essere solo una parte di me stesso! Sono stufo di fingere di essere del
tutto
un demone, anche se non lo sono. Stufo di comportarmi come tutti si
aspettano
che mi comporti. Ho bisogno di sapere che esiste un posto dove possa
essere il
demone che desidero essere: un demone che è per
metà un angelo!”.
Nessuno
all'inizio rispose, poi un giovane si fece avanti. Era lievemente
accigliato.
“Tu
chiedi molto" disse, con voce ferma e severa “Tu hai ucciso
molti di
noi".
“Lo
so.
Non lo nego" ammise Keros “E, se devo essere sincero, non
sono pentito.
Era una questione di vita o di morte, uccidere o essere ucciso. Ho
ucciso molte
volte. Per difendermi, per nutrirmi, per rabbia… E suppongo
che la maggior
parte di voi abbia fatto lo stesso".
“Può
essere…” fu la risposta, borbottata.
“In
circostanze diverse, qualcuno di voi avrebbe potuto uccidermi. Comunque
non mi
aspetto accoglienza a braccia aperte. Sto solo cercando di capire. Io
ho
compreso il vostro pensiero ed ho mutato la mia opinione a riguardo.
Trovo
ingiusto che siate confinati, per scelta o per obbligo, qui. E, se me
lo
concedete, vorrei provare a cambiare questa situazione”.
“Ed
in
che modo?” si stupì una ragazza, incuriosita e
probabilmente stufa di quelle
grotte.
“Lasciatemi
provare. Lasciate che, almeno per alcuni di voi, possa provare a
cambiare il
destino. Volete tornare all'Inferno? Volete vivere fra gli umani?
Volete
restare quel che siete? Proviamoci! Proviamoci assieme! Ma, per favore,
non
restate intrappolati in ruoli e situazioni che odiate!”.
“Certe
cose non si possono cambiare!” commentò qualcuno,
e molti annuirono.
“Ma
cambieranno, ve lo garantisco”.
“E
se noi
non ti vogliamo?”.
“Me
ne
andrò”.
“Conosci
il nostro nascondiglio!”.
“Uccidetemi,
dunque”.
Ci
fu di
nuovo silenzio, interrotto solamente da lievi brusii. Poi la giovane
che aveva
condotto Keros in quel luogo gli si avvicinò.
“Ora
voteranno" spiegò “Tutti coloro che hanno compiuto
i mille anni, potranno
esprimersi su quanto da te richiesto. Appena avranno deciso, ti
verrà
comunicato. Nel frattempo… non so…”.
“Me
ne
starò buono qua fuori" sorrise il mezzodemone.
“Posso
farti un'ultima domanda?” intervenne un altro abitante della
grotta.
“Certamente".
“Hai
visto i registri, hai detto. Quali?”.
“Quelli
di Nasfer”.
“Oh…
lo
ricordo bene. E che cosa hai trovato di così interessante da
spingerti qui a
dirci queste cose? Cosa ti ha fatto cambiare idea sul nostro
conto?”.
“Un
nome:
Marianne. Una mortale. Il fatto che lui amasse una mortale, che altri
amassero
degli umani, mi ha spinto a chiedermi se avesse ancora senso fingere di
essere
quello che non sono”.
“Sì,
ad
alcuni di noi è capitato di amare degli umani. Pur essendo
storie effimere,
come la vita di quelle creature dotate d'anima, è successo e
succederà
ancora".
“Qualcuno
per caso sa dirmi che fine ha fatto Marianne?”.
“Di
sicuro ora è morta. Son passati quasi trecento anni da
quando…”.
“Lo
so!
Intendo… se qualcuno sa che cosa ha fatto dopo la morte di
Nasfer".
Guardandosi
fra loro, mormorarono un nome più volte e si voltarono verso
una delle
rientranze. Una demone, una fra le più anziane abitanti di
quel luogo, si sentì
chiamata in causa.
“Voi
sapete cosa è successo a Marianne?”
domandò Keros, speranzoso.
Lei,
con
l'espressione annoiata e leggermente scocciata per essere stata
infastidita,
storse la bocca in una smorfia.
“Che
cosa
ti importa?” sibilò “Che differenza
fa?”.
“Lo
sapete?”.
“Sì…
ma
non so se voglio dirlo a te, coso strambo!”.
“Grazie…”.
“Marianne
era una fanciulla tanto tenera” sospirò la demone
“Direi ingenua. Ed
innamorata. Ma le cose sono andate come sono andate e non è
rimasta a lungo
qui. Mi sono occupata io di sua figlia"
“Figlia?
Lei e Nasfer hanno avuto una figlia?”.
“Sì,
Elenì. Non
lo sapevi? Una mezzosangue,
umana e demone, nata poco dopo la fine della guerra. È
cresciuta in fretta, più
in fretta di un demone, ma non in fretta come un semplice
mortale”.
“E
ora…
dov'è?”.
“È
rimasta qui fini a quando non ha incontrato quell'altro mezzodemone.
Essendo
entrambi per metà umani, sono andati a vivere in
città, fra i mortali”.
“In
città? Dove?”.
“Chiedi
a
Padre Hiyada".
“Padre…
Hiyada?”.
“Lo
trovi
al convento, nella capitale. So che avevano entrambi contatti con lui.
Di più
non so dirti…”.
“Mi
avete
detto molto più di quanto mi aspettassi. Grazie!”.
La
donna
alzò le spalle, con indifferenza. Keros le dedicò
un inchino, riconoscente. Poi
capì che gli abitanti di quel luogo stavano iniziando a
consultarsi per
stabilire la sua sorte, e quindi si incamminò verso
l'uscita. La giovane, che
lo aveva accompagnato fin lì, lo seguì. Il
mezzosangue sedette fra i rami di un
albero e lei lo raggiunse, incuriosita. Lo fissò qualche
istante, mentre lui
alzò semplicemente un sopracciglio.
“Non
mi
aspettavo le ali" ammise lei “Sono
belle…”.
“Grazie…”.
“Quindi…
sei veramente il figlio del re?”.
“Ha
importanza?”.
“No.
Però… tuo padre è un
angelo?”.
“Mio
padre è colui che mi ha allevato: Lucifero".
“Ah.
E…
sei mai stato in Paradiso?”.
“Sì”.
“E
com'è?
Bello come dicono?”.
“No…
non
per me".
Lo
sguardo di lei era sognante, perso in chissà quale sogno
mentale. Lui trattenne
una risata divertita.
“È
una
noia" le rispose ancora “Non si può correre, non
si può ridere, non si può
cantare qualcosa che non sia un’ode a Dio, non si
può leggere qualcosa che non
sia considerato degno del Paradiso… insomma… non
fa per me”.
“Ma
c'era
gente felice?”.
“Molta.
Gli angeli, quasi tutti, sono felici. È la luce di Dio".
“E
tu… lo
hai visto Dio?”.
“No…
tu
vorresti vederlo?”.
“Forse.
Non lo so… Ma tanto non è possibile! Io sono una
demone!”.
“Anch'io.
Eppure…”.
La
ragazzina sorrise.
“Posso
stare qui con te, mentre decidono se accoglierti con noi?”
chiese poi.
“Se
lo
desideri… Non vuoi più vendicarti?”.
“Uccidere
o essere ucciso. Non mi piace, ma lo capisco. Se io uccido te, altri
verranno
per uccidere me. E si andrà avanti così
all'infinito, giusto? È una cosa
stupida! Ed io l'ho capito solo ora…”.
“C'è
chi
non lo capisce mai. Ma tu sei molto intelligente. Sono sicuro che da
grande
farai grandi cose".
“E
che
potrò mai fare?! Sono bloccata qui, fra demoni privi di
addestramento completo,
senza poter entrare all'Inferno!”.
“A
te
cosa piacerebbe fare?”.
“A
me…?”.
“Sì.
Cosa
sogni?”.
Lei
storse il naso, pensierosa. Ciondolando con i piedi dal ramo, ci mise
qualche
istante a rispondere.
“Io
voglio badare ai piccoli" disse.
“Badare
ai piccoli?”.
“Sì.
Tanti bambini sono rimasti soli dopo la guerra e sono cresciuti da
soli, o sono
stari lasciati morire. Io vorrei occuparmi di piccoli soli. All'Inferno
ce ne
sono sempre tanti, guerra o non guerra...".
“È
una
cosa bellissima! Estremamente nobile!”.
“Grazie!
Lo pensi davvero?”.
“Ma
certo!”.
Lei
arrossì. Non aveva mai svelato a nessuno quel desiderio ed
era estremamente
felice adesso, dopo quel complimento.
“Saresti
un buon re" sorrise “Ne sono sicura”.
“Non
voglio assolutamente esserlo ma… grazie!”.
Era
trascorso qualche giorno. Keros, accettato all'interno delle grotte da
quasi
tutti i loro occupanti, si stava ambientando. Aveva conosciuto molti
giovani
demoni dal talento innegabile, ma che purtroppo come rinnegati non
potevano
ricevere un addestramento completo. E lui, senza esame finale, non
poteva
insegnare in modo ufficiale quel che sapeva. Aveva anche conosciuto
molti
orfani, che venivano controllati dall'intera comunità ma che
sognavano una
sistemazione diversa. Stava imparando i loro nomi, i loro
volti… Si stava
guadagnando la loro fiducia, a piccoli passi. Aveva anche tentato,
invano, di
contattare Alukah. Nel
frattempo, non
trovandolo presente in convento, aveva pure fissato un appuntamento con
Padre Hiyada.
Avrebbe dovuto attendere un po’, e non vedeva l’ora
di parlarci, ma resistette
alla tentazione di sorprenderlo in casa come un comune ladro.
Soddisfatto,
si era poi recato al Mephistophel.
Il
proprietario del locale, sempre lieto di vederlo, lo invitò
a sedersi ad un
tavolo e bere un drink.
“Non
ti
vedevo da un pezzo!” salutò Mefistofele,
accendendo una sigaretta.
“Ho
avuto
da fare" ammise Keros, godendosi il drink.
“Tutto
il
regno ti cerca! Il re è quasi impazzito! Posso almeno dirgli
che stai bene?”.
“Ok…”.
“Ma
dove
vivi adesso?”.
“Per
conto mio. Non importa più di tanto…”.
“Uhm…
ok…”.
“E
tu?
Come te la passi? Il locale va bene?”.
“Benissimo!
Amo questo posto e tutto quello che mi procura, dal piacere alle anime
fresche".
“Ottimo…”.
“Senti
ma…” abbassò di colpo la voce
Mefistofele “… posso farti una domanda un
po'…
strana?”.
“Prego".
“Ti
spiego… è pazzesca questa cosa, non ci credo
manco un po' ma… vedi… qualche
sera fa, passeggiando nel bosco, mi sono imbattuto in Alukah.
Ora… io sapevo
che non era più di tanto giusto con la testa, da quando ha
perso il figlio, ma
non mi aspettavo fosse COSÌ fuori di testa!”.
“Sto
perdendo il filo…”.
“Ti
dicevo… l'ho visto nel bosco e si è messo a
farneticare. Mi ha parlato di figli
bastardi con gli umani, di grotte misteriose ed altre cose assurde. Ma
quello
su cui più insisteva era questo: le ali. Blaterava
insensatezze, affermando che
tu hai le ali d'angelo. Da manicomio, insomma".
“E
la tua
domanda sarebbe…?”.
“Sono
tutte assurdità, vero? Cioè… tu non
hai le ali d'angelo! Mi viene da ridere al
solo pensiero!”.
“Ridi
pure!” alzò le spalle Keros, bevendo qualche sorso
con gli occhi socchiusi.
“C…cioè?
Tu hai…?”.
“Le
vuoi
vedere?”.
“Mi
prendi per il culo?! Tu non puoi avere ali d'angelo! Tu sei il figlio
del re!
Tu sei un demone! Tu sei un tentatore! Tu sei…”.
“Le
vuoi
vedere?”.
“Sì,
ti
prego!”.
“E
che mi
dai in cambio?”.
“Che…?”.
“Sono
un
tentatore: non do mai nulla per nulla. L'ho imparato da te,
Mefisto”.
“Che
cosa
vorresti?”.
“Ho
un
paio di amici in cerca d'impiego. Sono bravi, te lo assicuro. E
volenterosi
d'imparare".
“Come
tentatori, dici? Procacciatori?”.
“Sì…”.
“E
che
problema c'è? Certo! Portameli pure!”.
“Un
problema c'è, a dire il vero”.
I
due si
fissarono. Mefistofele fremeva per conoscere il seguito ma Keros se la
prendeva
comoda, cercando di portare la situazione del tutto a proprio vantaggio.
“…
non
hanno un addestramento completo” terminò, infine,
la frase. Con una calma ed
una naturalezza tali da far sembrare la cosa del tutto normale.
“Intendi
dire che hanno meno di mille anni? Non lo hanno ancora
terminato?”.
“No.
Hanno
circa la mia età. Ma non hanno concluso l'addestramento base
perché sono stati
banditi dopo la guerra, assieme alle loro famiglie. Vorrei che li
addestrassi e
che li assumessi”.
“Frena!”
borbottò Mefistofele “Mi stai chiedendo di
addestrare e dare lavoro ad un
gruppetto di sovversivi? Sai in che guaio potrei ritrovarmi? E chi mi
garantisce che siano demoni gestibili e non dei coglioncelli con voglie
anarchiche?”.
“Io
te lo
garantisco. Mi prendo interamente la responsabilità, in caso
di qualsiasi
problema".
“Mi
pari
il culo in ogni caso?”.
“Puoi
contarci".
Mefistofele
non sembrava del tutto convinto. Fece una smorfia, dubbioso, ma poi
allungò il
braccio e strinse la mano del sanguemisto.
“Va
bene,
accetto" disse “Ora però mostrami quelle
ali…”.
Keros
lo
accontento senza più alcuna vergogna. In una stanzetta
privata, le spalancò e
mostrò le piume argento con un sorriso quasi orgoglioso.
Mefistofele le
osservò, affascinato ed incantato, come un bambino davanti
ad una nuova
scoperta. Si chiedeva come fosse possibile, le toccava e non riusciva a
crederci.
“Ma
il re
lo sa?” mormorò.
“Lo
sa”
annuì il sanguemisto “E le guarda proprio come
stai facendo ora tu".
“Oh
be’…”
ridacchiò il demone “Io te l'ho sempre detto: sei
speciale. Visto? Ho sempre
ragione!”.
L'allievo
sorrise. Si stupì di quella reazione. Si aspettava il
disgusto, la paura o lo
sconcerto, mentre invece Mefistofele pareva felice, probabilmente
ricordando i
giorni in cui anche lui, sulla schiena, sfoggiava qualcosa di molto
simile.
“Ti
manca
il Paradiso?” domandò il mezzodemone.
“No"
rispose sinceramente il tentatore “Ma a volte è
bello scorgerne un
pezzettino…”.
Ciao!
Altre piccole novità. E preparatevi
perché nel prossimo capitolo vi attendono nuovi colpi di
scena ;) a presto!!
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Capitolo 60 *** Padre ***
60
Padre
Tormentare
non dava più soddisfazione come un tempo. Nemmeno in quel
frangente, in cui
normalmente si sarebbe divertito. Dopo aver ricevuto la comunicazione
della
fuga di un cospicuo gruppo di anime, Lucifero aveva dato loro la caccia
lungo i
territori infernali. Assieme ad Asmodeo ed altri fidati soldati,
avevano
impiegato ore per recuperare ogni fuggiasco e riportarlo al giusto
patimento
eterno. Volendo evitare altre possibili idee d’evasione, e di
ribellione nei
confronti dei demoni addetti a quel settore, il re si stava accanendo
su
qualche anima in modo particolarmente crudele. Però, se ne
accorse quasi
subito, non provava alcun piacere nel farlo. Non era più
come un tempo! Si
ritrovò a pensare che l'ultima volta aveva punito simili
atti assieme a Keros,
ed insieme si erano molto divertiti.
Terminò
il proprio compito in fretta e poi tornò a palazzo, stupito
di trovarci Alukah
ad attenderlo. Dai tempi della guerra, i due non avevano avuto molte
occasioni
per incontrarsi e perciò vederlo lì, in piedi
davanti alla porta dell'ufficio,
lasciò lievemente perplesso Lucifero.
“Alukah…”
lo chiamò, mentre l'ospite restava immobile e salutava con
un rispettoso
inchino “È forse successo qualcosa di
sgradito?”.
“Maestà…”
rispose il vampiro, senza rialzare la testa dall'inchino
“Sono qui per parlarvi
da padre a padre. Spero che quel che ho da dire non vi arrechi troppo
dolore".
Il
sovrano percepì il proprio cuore mancare qualche battito.
“Keros?”
ipotizzò “È successo qualcosa al mio
Keros?”.
“Lasciate
che vi spieghi…”.
Entrando
in ufficio, i due sedettero e chiusero la porta dietro di
sé, ordinando di non
venir disturbati per alcuna ragione. Alukah, dopo qualche istante di
titubanza
ed incertezza, iniziò a raccontare. Narrò
l'arrivo del principe nel suo
palazzo, di come insieme avevano risistemato il territorio ed i
possedimenti
infernali circostanti. Continuava a scusarsi, per non aver informato
immediatamente il re riguardo la posizione di Keros, e intanto
proseguiva il
racconto. Omettendo alcuni dettagli, come l'amante umana di Nasfer,
svelò il
nascondiglio dei sovversivi.
“I
sovversivi per il mondo umano?!” si stupì Lucifero
“E Keros che voleva farci?
Spero sterminarli!”.
“Lui…
Oh,
maestà, non so come dirvelo ma… pare che il
principe abbia ali d'angelo!”.
“Le
hai
viste?”.
“Sì…
con
questi occhi...”.
“Ne
hai
parlato con qualcuno?”.
“S…
solo
con Mefistofele. Ero confuso e mi è sfuggito”
balbettò il vampiro “E poi il
principe… le ha mostrate a tutti!”.
“Tutti
chi?”.
“I
sovversivi nella grotta! Tutti le hanno viste! Io le ho viste e
poi… non so! Ha
detto che non vuole più fingere di essere un demone per
intero. Maestà… voi…?”.
“Sapevo
delle ali” ammise il sovrano “Ma gli avevo sempre
suggerito di non mostrarle
fra i demoni! Ed i sovversivi? Che hanno fatto? Lo hanno
attaccato?”.
“No.
Pare
che… facciano amicizia adesso. Keros non torna
più nel mio territorio e
preferisce stare in quelle grotte colme di traditori".
Il
re
sospirò, un po' per il sollievo ed un po' per l'angoscia:
quel ragazzo era una
continua fonte di preoccupazioni!
“Sono
profondamente dispiaciuto” abbassò la testa Alukah
“Per essere portatore di
simili spiacevoli notizie".
“Non
ti
devi preoccupare. Mi hai portato la notizia che più bramavo:
la certezza che il
mio Keros è vivo, sta bene. Ora so anche dove si trova.
Perciò non crucciarti
troppo. Comprendo anche la tua decisione di non comunicarlo
tempestivamente.
Keros è stato tuo allievo e hai voluto assecondare un suo
desiderio”.
“E
ora?
Intendo dire…”.
“Per
quanto riguarda i sovversivi, attendo di capire cosa ha in mente il
principe.
Non voglio compiere gesti affrettati. Ovvio che terrò
sott'occhio la
situazione. Per ora, mio buon amico, tentiamo di non smuovere troppo le
acque".
“Agli
ordini".
“Riguardo
alle ali… non so davvero che cosa dire. Non le aveva quando
era in
addestramento con te, perciò non temere errori di giudizio o
sviste. Le aveva
da neonato ma sono bruciate, salvo poi ricomparire una volta raggiunto
un certo
livello di potere. Lui voleva distruggerle… ma io non ho
voluto. E, pensandoci,
sono felice che si accetti a tal punto da mostrarle pubblicamente.
Sarei lieto
se lo facesse con tutto il regno, pronto a pestare a sangue chiunque
possa
avere qualcosa da ridire. Tu non hai qualcosa da ridire,
vero?”.
“Io?
N…
no, altezza!”.
“Bene.
In
questo caso, per esserti preso cura del mio erede e per avermi
comunicato la notizia
per me più importante, ovvero il fatto che sta bene ed ha un
luogo in cui
stare, ho l'obbligo di ricompensarti”.
“Ricompensarmi?
Ma per che cosa?”.
“Keros
per me è la cosa più preziosa che esista. Da
padri, dovremmo capirci".
“Sì…”.
“E
allora
che viva con i sovversivi o che mostri le ali in giro per me non conta
nulla.
Mi interessa solo che stia bene. E che sia felice. Spero tanto che lo
sia!”.
Alukah
rimase in silenzio e distolse lo sguardo, divenuto triste e malinconico.
“Cosa
succede, Alukah?” lo chiamò Lucifero,
avvicinandosi alla sedia.
“Nulla"
rispose il demone vampiro “È solo che certe cose
avrei dovuto pensarle anch'io,
prima di perdere mio figlio".
Inaspettatamente,
il suddito si sentì toccare sulla spalla dal diavolo. Non
era un gesto molto comune,
raramente il re dei demoni mostrava empatia, e quindi Alukah si
stupì davvero
molto.
“Non
posso ridarti la vita che hai perso" parlò Satana, ignorando
lo stupore
del sottoposto “Posso solo ridarti altro, che al tempo ti
avevo sottratto. Ti
restituisco il titolo di Arconte, con tutti i privilegi che ne
conseguono. Mio
figlio sarà comunque proprietario dei terreni in passato
sotto il controllo di
Nasfer, ma tutto il resto, comprese le future eventuali conquiste,
spetteranno
a te”.
“Oh…
Grazie! Grazie, vostra maestà! È molto
più di quel che merito!”.
“Mi
servi
fedelmente praticamente da quando sei nato! Ed il fatto che tu non sia
corso a
sbandierare ai quattro venti certe verità mi fa comprendere
quanto tu sia
fedele a questa casata ed a questo regno”.
“Servo
vostro, sovrano degli Inferi".
“Ora
torna a casa e non ti preoccupare: sistemerò la
faccenda”.
Alukah
si
congedò, con un ulteriore inchino. Lucifero si
lasciò cadere sulla sedia, con
un gemito. Keros era vivo, stava bene, ma che combinava?! Era
impazzito? Doveva
assolutamente parlarci! Lasciò l'ufficio, raggiungendo le
proprie stanze, e si
concesse un momento per sé. Sotto la doccia generava sempre
idee mirabolanti,
si era detto, e lasciò che la propria mente seguisse il
flusso dell'acqua.
Rigenerato, con la mente lucida e con ben chiaro come agire al meglio,
si
rivestì con un ghigno soddisfatto. Concesse solo in quel
momento un rapido
sguardo al marchingegno rassomigliante ad un telefono che solitamente
portava
con sé. Sobbalzò notando che Lilith e Malaphar
tentavano di contattarlo da un
pezzo: doveva raggiungere subito Leonore!
Colui
che
si ritrovò davanti era molto diverso da come se lo
aspettava. Credeva di dover
parlare con il tipico prete di mezza età in sovrappeso,
senza molti capelli ed
il sorriso idiota. E invece ad aprire la pesante porta in legno antico
fu un
uomo dallo sguardo di ghiaccio, severo e minaccioso, alto di statura e
magro
quasi da far spavento. Con la grossa croce d'argento in bella vista,
squadrò
Keros da capo a piedi.
“Padre
Hiyada?” ipotizzò il mezzodemone.
“In
persona. Siete voi quello che insistentemente mi cerca da
settimane?”.
“Esattamente".
“E
per
quale motivo?”.
Keros
non
poteva raccontare del tutto la verità. Alcune suore, ferme
lungo il corridoio,
li osservavano e origliavano.
“Sono
qui
per cercare informazioni riguardo ad una persona di nome
Elenì. Mi è stato
detto di chiedere a voi…”.
“E
chi ti
ha dato questa informazione?”.
“Un'amica…”.
“Cosa
vorreste sapere? Siete forse un suo parente? Perché non
posso rilasciare simili
informazioni a perfetti sconosciuti”.
“Sono
qui
per conto di suo nonno. È ancora in vita e, venendo a
conoscenza dell'esistenza
di una discendenza, non si dà pace. Ovviamente è
piuttosto anziano e non può
pensarci personalmente. Così ha mandato me a cercare ogni
informazione
possibile".
“Potete
provarmelo?”.
“So
che
sua madre si chiamava Marianne e suo padre è morto in
guerra”.
“Venite
con me…”.
Il
prete
storse il naso, restando serio, e fece strada. Lungo una ripida
scalinata
illuminata solo da candele e poche fioche luci, salirono fino al piano
successivo e si addentrarono in un'ala dell'edificio evidentemente non
frequentata da anni. Fra polvere e ragnatele, padre Hiyada
aprì a fatica una
porta con una chiave d'oro e fece accomodare Keros. Anche lì
le luci erano
scarse e si percepiva un forte odore d’antico: il principe lo
amava!
“Perdonate
la scortesia" sorrise, di colpo, il prete “Troppe suore dalle
orecchie
grandi e la lingua lunga. Posso offrirvi da bere?”.
Aprendo
una scrivania cigolante, padre Hiyada si servì da una
bottiglia richiusa nel
cassetto. Keros rifiutò, cercando di capire cosa stesse
succedendo.
“Innanzitutto…”
proseguì il prete “È un vero piacere
conoscervi di persona, altezza!”.
“Ma…
come
sapete che…?”.
“Che
siete il principe Keros? Perché sono un demone
anch'io!”.
Il
silenzio. Lucifero non amava molto il silenzio, non era abituato.
Camminò
cautamente lungo il corridoio, dopo essere comparso nella casa di Ary
tramite
il portale aperto da Keros.
“C'è
nessuno?” chiese, temendo il peggio.
Con
suo
sommo sollievo, Lilith fece capolino dall’ingresso della
camera di Leonore con
un largo sorriso sul viso.
“Sta
riposando" sussurrò la Succubus.
“Oh.
È…?”.
“È
nato.
È un bel maschietto. Ma… venite, venite a
vedere!”.
La
demone
continuava a sorridere ed il diavolo la raggiunse, stando attento a non
fare
troppo rumore. Leonore era a letto, seduta con la schiena contro una
pila di
cuscini. In braccio stringeva il proprio piccolo, che dormiva
tranquillo. Nella
stanza, assieme a madre e figlio, Malaphar ed Ary lanciarono uno strano
sguardo
al re.
“Avete
bevuto?” sibilò Lucifero.
Del
bambino riusciva a scorgere solo un ciuffo di capelli color biondo
scuro, come
quelli della madre. Lei lo invitò a venire più
vicino.
“Congratulazioni”
le sussurrò il re.
“Grazie…”
rispose Leonore, raggiante “Lascia però che ti
mostri una cosa…”.
Delicatamente,
accarezzò la testa del neonato. Il demone non
capì il motivo di quel gesto ma
rimase a guardare. Il bimbo lanciò un versetto di protesta
ed iniziò ad
agitarsi, dimenandosi un po'. Più si svegliava e
più mostrava una particolarità
che lasciò senza parole il re: emetteva una luca rossastra.
Muovendo le
gambine, si era liberato dalla coperta che lo avvolgeva e si poteva
scorgere un
piccolo codino demoniaco ed un paio di fragili ali draconiche.
“Io…
non
capisco…” ammise Lucifero “Keros non ha
le ali e la coda da demone!”.
“Già”
annuì Lilith “E voi siete l'unico demone ad
emettere quella luce, Lucifero.
Rossa ed inquietante come il sangue, ma pur sempre una luce".
“Ma
allora…”.
“È
evidente che il bambino non è di Keros" spiegò
Malaphar “Direi che di chi
sia… è alquanto ovvio!”.
“Congratulazioni"
ridacchiò Ary, rivolto al re “Vado ad aprire una
buona bottiglia di vino. Che
dite?”.
Lucifero
era rimasto senza parole, con lo sguardo fisso su quella piccola
creatura che
ora lo osservava con fiammeggianti occhi arancio.
“Vi
lasciamo soli. Andiamo a bere!” ammiccò Lilith,
trascinandosi dietro Malaphar e
seguendo Ary “Spero riusciate ancora a proferir
parola!”.
“Forse
sto sognando” mormorò il demone
“Com'è successo?”.
“Oh,
andiamo…” gli sorrise Leonore “Sappiamo
bene entrambi come è successo!”.
“Non
in
quel senso! Intendo dire…”.
“Comprendo
quel che vuoi dire. Si vede che io sono speciale…”.
“E
perché?”.
“E
che ne
so? Però che dici… ora me lo merito un
bacio?”.
“Un
demone? Sei un demone?!” sobbalzò Keros
“Un demone… prete?!”.
“Un
demone per metà. Sono figlio di un umano e di una Succubus.
Per gli angeli sono
una specie di abominio da distruggere perciò quale copertura
migliore? Nessuno
viene a cercare un demone in un convento!”.
“In
effetti…”.
“Viaggio
molto, così nessuno si fa domande sulla mia età,
tranne qualche vecchia
considerata psicopatica. Poi dir messa è
divertente…”.
“Interessante
impiego…”.
“Ed
essendo per metà umano, le croci e le altre varie cose sacre
non mi fanno
alcunché. Ma torniamo all'argomento principale:
Elenì. La cercate davvero per
conto del nonno?”.
“Alukah,
suo nonno, è stato il mio maestro. Non l'ho ancora informato
ma penso sarebbe
lieto di apprendere l'esistenza di una discendenza”.
“Discendenza
bastarda? Non saprei…”.
“Elenì
dov'è? La figlia di Nasfer dove si nasconde? Non ditemi che
è una suora…”.
“Al
tempo
glielo avevo suggerito ma ha rifiutato con disgusto. Purtroppo, da quel
che ne
so, non è più in vita".
“Oh…”.
“Era
la
compagna di mio fratello Rakesh, mezzodemone come me.
Aspetta… ti mostro una
foto".
Frugando
fra vari cassetti, il prete trovò una fotografia che porse
al principe. La
ragazza aveva gli stessi occhi di Nasfer mentre lui, Rakesh, mostrava
tratti
indiani. Con lunghi capelli neri, abbracciava la donna che amava.
“Sono
morti entrambi?” domandò Keros, con tristezza.
“Sì…”.
“Come?”.
“Gli
angeli. Quelli come noi o trovano un bel nascondiglio o sono destinati
alla
morte su ordine di Dio".
Il
principe annuì, piuttosto deluso.
“Però…”
aggiunse Hiyada “Forse potete trovare il loro bambino. Che
bambino ora non è
più, suppongo…”.
“Un
bambino? Umano? O demone?”.
“Umano.
Me ne sono occupato personalmente quando è nato, per tenerlo
al sicuro. L'ho
fatto battezzare e tenuto qui in convento fino alla maggiore
età”.
“E
dov'è
ora?”.
“Lasciami
cercare… Questo posto era un orfanotrofio fino ad una
ventina di anni fa. Di
bambini ne sono passati parecchi… Molti anche demoni a
metà!”.
“Un
orfanotrofio?”.
“Sì.
L'ho
tenuto al sicuro, senza raccontargli la verità.
Per non esporlo a rischi, capisci? Forse ricorda qualche
storia che gli
narravo quando era piccolo… Poi gli ho fatto avere una borsa
di studio e ci
siamo persi di vista. Vorrei sapere, in effetti, come se la passa".
Keros
continuò ad osservare la foto, mentre il prete mezzodemone
cercava chissà che
cosa fra gli scaffali della polverosa libreria. Il principe fissava
quei
capelli neri, quello sguardo, il sorriso di lei ed altri piccoli
dettagli.
“Ary…”
si
ritrovò a sospirare e Hiyada si voltò, alzando un
sopracciglio.
“Aristoteles,
sì. Ha combinato qualche cosa?” furono le parole
del prete.
“È
quello
il suo nome?”.
“Il
nome
umano, sì. Ovviamente i suoi genitori gliene hanno dato un
altro ma non credo
che lui lo sappia…”.
Quanti
bambini con quel nome potevano mai esserci? Troppi punti in comune, ma
non
poteva crederci. Hiyada finalmente aveva terminato la sua ricerca e
stava
sfogliando un grosso libro.
“Ecco!”
indicò.
La
pagina
che aveva aperto mostrava qualche foto e delle date. Un neonato, un
bambino e
poi un ragazzo con lo sguardo fiero, fra le mani stringeva il diploma.
Keros
lesse tutte le date, le informazioni e qualsiasi altra cosa vi era
scritta.
“Ary!”
sorrise “Il mio Ary!”.
“Prego…?”.
Dall'entusiasmo,
il principe abbracciò chi aveva di fronte, ripetendo
“grazie" a mezza
voce. Quando finalmente si fu calmato, capì che doveva delle
spiegazioni a Hiyada
e tentò di spiegare a grandi linee il motivo di quella
gioia.
“È
la
notizia più bella che potevate darmi!” si
ritrovarono entrambi a pensare.
Tante
novità
:p vi ho sorpresi?
E,
per il compleanno di Keros, ho fatto un
piccolo disegno nuovo su di lui. Se volete, lo trovate a questo link:
https://www.facebook.com/SagaFrirry/photos/a.171370666771099/376220769619420/?type=3&theater
Fatemi
sapere cosa ne pensate! :P E, sempre se non
sapete che altro fare, vi ricordo che esiste una paginetta fb ed una
Instagram (Sagafrirry)
A
presto!!
|
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Capitolo 61 *** Conflitti ***
61
Conflitti
Keros
era
molto indeciso sul da farsi. Ora aveva un segreto molto interessante
fra le
mani però non sapeva come gestirlo. Svelare la
verità ad Alukah lo avrebbe reso
felice? Sapere di avere un discendente di sangue umano lo avrebbe
rallegrato o
turbato? E se poi Ary fosse stato in pericolo, una volta scoperta la
realtà?
Gli angeli gli avrebbero dato la caccia?
“Che
devo
fare?” si chiese.
Decise
che si sarebbe consultato con altri mezzosangue alle grotte,
lì forse avrebbero
compreso meglio i diversi punti di vista.
L'Inferno
era in festa. Lucifero, seduto al suo solito posto, era pensieroso e
poco
concentrato sul lavoro. Fuori i demoni ridevano, festeggiando la
notizia del
nuovo principe appena nato. Lilith, come sempre attenta agli umori del
sovrano,
sedette sulla scrivania dell'ufficio, proprio di fronte al diavolo, ed
incrociò
le gambe. L'abito rosso cupo che indossava si scostò e
mostrò molto più del
dovuto.
“A
che
pensate, maestà?” mormorò la Succubus.
“A
tante
cose. Sono indeciso sulla decisione da prendere" ammise il re.
“Riguardo
a cosa?”.
“All'erede.
Ed a sua madre".
“Lo
supponevo. Sto già organizzando al meglio tutto quanto per
loro".
“In
che
senso?”.
“Pensavo
che venissero a vivere qui, no?”.
“È
quello
su cui stavo riflettendo…”.
“Non
capisco… volete lasciarli vivere nel mondo umano?”.
“Devo
ancora decidere".
“Cosa
provoca tanta indecisione? Lei ha ceduto a voi la sua anima, appartiene
all'Inferno, ed il bambino è chiaramente un demone! Questo
è il luogo per
loro!”.
“Non
so.
Non è un posto così allegro dove
vivere…”.
“Ma
sono
demoni! Lei lo sarà di certo diventato dopo aver concepito
un piccolo diavolo!
Senza contare la promessa che avete fatto al regno! Tutti aspettano di
vedere
la regina!”.
“Regina?!”.
“Sì….”.
“Hai
ragione. Colei che mi darà un erede, sarà la mia
sposa. L'ho promesso. Ma dici
sia possibile? È un umana…”.
“No,
non
lo è più. E penso che nessuno possa avere
qualcosa da ridire, visto che è madre
di vostro figlio".
“E
tu? Tu
cosa penseresti?”.
“Di
vedervi sposato? Scelta vostra. Perché me lo
chiedete?”.
“Mi
sei
sempre stata fedele. Non voglio che ti possa sentire in qualche modo
lasciata
da parte…”.
“Io
odio
anche solo il suono della parola Matrimonio. Figuriamoci se intendo in
qualche
modo essere gelosa di una donna sposata!”.
“Ovviamente
i nostri momenti insieme non mancheranno…”.
“Se
la
sposa ne sarà lieta… Ad ogni modo, da donna,
consiglio di parlare con la
diretta interessata e poi decidere assieme. Sarò molto
felice di organizzare un
evento epico!”.
“Non
avevo dubbi a riguardo”.
“Si
è
addormentato?” sussurrò Ary, sbirciando nella
camera.
“Sì”
sorrise Leonore.
“Ho
preparato il tè. Ne vuoi?”.
“Si,
grazie. Ma nel salottino, non vorrei che si svegliasse...”.
Il
padrone di casa scese in cucina e portò su un vassoio con
due tazze e la teiera
fumante. Versò il tè mentre Leonore sedeva nel
salottino ed insieme si
concessero quella piccola pausa.
“Com'è
essere la mamma di un piccolo demone? Ti stai abituando?”
domandò Ary.
“Sono
trascorsi solo pochi giorni e devo ammettere che no, non mi sono ancora
abituata! Ma mi abituerò! Del resto… pure io non
sono del tutto umana adesso!”.
“L'avevo
notato".
“Davvero?”.
“Sì.
Hai
qualcosa di diverso. E spero che tutto questo ti renda
felice”.
“Molto.
Anche se…”.
“Se…?”.
“Non
so
se potrò restare a lungo nel mondo umano. Lo capisci? La
cosa mi rattrista,
anche per te”.
“Non
devi
pensare a me!”.
“Ma
tu mi
stai aiutando moltissimo, e lo hai sempre fatto anche in passato. Sei
mio amico
e lasciarti qui da solo…”.
“Sono
un
adulto. Devi pensare a quel che è meglio per te e per il
bambino. Insomma… è il
figlio di Satana! In un certo senso… hai partorito
l'Anticristo!”.
“Che
stupidaggine…”.
“Può
darsi…”.
“Sai…
per
un po' avevo pensato di chiamarlo come te".
“E
poi,
grazie a tutte le divinità esistenti, hai cambiato idea.
Meno male!”.
Leonore
rise ed anche Ary, lasciando cadere qualche goccia di tè sul
tavolo.
“Espero
è
un nome stupendo" aggiunse il mortale “Molto adatto".
“Grazie.
E grazie per il tè. Ora me ne vado a letto.
Buonanotte!”.
“Notte!
Io torno al lavoro di sotto. Se serve, chiamami. Andrò a
letto fra molte ore,
mi sa!”.
“Cerca
di
non chiedere troppo a te stesso, Ary… A domani!”.
“Sogni
d'oro".
“Finché
il piccolo non si sveglia…”.
L'umano
tornò davanti al computer e riprese il suo lavoro.
Sospirò, quando il proprio
sguardo si posò sul libro antico che stava traducendo
assieme a Keros. Quanto
sentiva la mancanza del mezzodemone!
Erano
trascorse alcune ore quando udì un rumore al piano superiore. Ary pensò che
il piccolo si fosse svegliato e
guardò l'orologio. Era un cucciolotto che non amava molto
riposare, a quanto
pare! Poi il lieve rumore era diventato un gran fragore di vetri rotti
e
Leonore gridò.
“Andate
via!” urlò la donna ed il mortale
scattò in piedi.
Salì
le
scale ed afferrò il fucile che teneva nello sgabuzzino.
Entrò in camera e vide
Leonore contro il muro, che stringeva a sé il figlio. In
terra, la finestra era
in frantumi ed un paio di intrusi minacciavano la donna e le ordinavano
di
consegnare il bambino.
“Fuori
da
casa mia!” sibilò Ary, puntando il fucile.
“Che
pensi di fare, umano? Non puoi sconfiggerci”
ringhiò uno degli intrusi “Ti
consiglio di abbassare la tua arma ed andartene, se non vuoi morire
pure tu!”.
“Morire?!”
tremò Leonore.
“Chiama
Lucifero” le disse Ary, senza distogliere lo sguardo dai due
intrusi “Esci
dalla camera. Bado io a questi finché posso!”.
“Lucifero
ci ha cacciati dall'Inferno e noi ora uccideremo il suo
marmocchio!” sibilò uno
dei due nemici.
Capendo
di aver a che fare con creature sovrannaturali, l'umano
sparò qualche colpo con
la consapevolezza di non poter essere più utile di
così. Con un ringhio, i
demoni mostrarono denti acuminati e sguardo luminoso. Furiosi per il
dolore
provocato dai proiettili, si scagliarono contro l'umano con rabbia. Per
difendersi, Ary sparò ancora e usò il fucile come
una mazza, colpendo i suoi
due avversari con tenacia.
Leonore,
nello stanzino in cui si apriva il portale per l'Inferno, fu
estremamente
sollevata quando vide comparire Lucifero. Il demone ordinò
alla donna di
rimanere al sicuro, assieme al neonato, e raggiunse Ary. Per il re
degli Inferi
fu facile sconfiggere gli intrusi e distruggerli.
“Demoni
bastardi!” ringhiò, mentre si riducevano in cenere
“Traditori!”.
“Volevano
uccidere il bambino" ansimò Ary, stremato dal combattimento.
“E
tu lo
hai difeso. Umano: sei stato estremamente coraggioso. Sappi che ti sono
debitore e potrai chiedermi tutto quel che vorrai. Hai salvato mio
figlio e la
sua preziosa madre!”.
“Ho
fatto
solo il mio dovere di padrone di casa".
“Stai
bene? Sei ferito?”.
“Io…
non
so… sono un po' indolenzito…”.
“Mi
stupirei del contrario…”.
Leonore
era preoccupata e raggiunse la camera con apprensione. Poi sorrise,
sollevata.
“Non
è al
sicuro qui" mormorò il padrone di casa, indicando mamma e
bambino “Hanno
detto che lo devono uccidere perché li avete cacciati
dall'Inferno".
Il
demone
si voltò verso la donna, che cercò conforto dallo
spavento. Abbracciata al
diavolo, con il piccolo che si guardava attorno avvolto dal contatto
dei due
genitori, ringraziò ancora l'ex marito.
“Vado
a
prendere qualcosa per coprire le finestre rotte" sospirò Ary
“Altrimenti
chissà che altro può entrarci".
“Faccio
venire dei demoni ad aiutarti. Mi pare il minimo" commentò
Lucifero “Ora
diamoci tutti una calmata. Siamo piuttosto agitati, mi pare".
L'umano
sorrise, poco convinto, spostando qualche vetro rotto. Il diavolo
incrociò il
suo sguardo.
“Ti
senti
bene?” domandò “Hai delle strane
pupille".
Il
mortale non rispose. Sbatté gli occhi qualche volta,
toccandosi la testa.
“Siediti"
suggerì il re degli Inferi “Chiamo Malaphar a
fatti controllare".
“Cosa
ti
senti, Ary?” si avvicinò Leonore.
“Non
lo
so" ammise l'umano “Mi sento… stordito…
come se…”.
Non
finì
la frase. Barcollando, quasi cadde a terra svenuto. Lucifero
riuscì ad
afferrarlo al volo, con estrema facilità. Lo mise steso a
letto e dopo pochi
istanti comparve Malaphar sulla porta.
“È
successo qualcosa al bambino?” ipotizzò il demone
guaritore, piuttosto
preoccupato.
“Il
bambino sta bene" lo rassicurò il sovrano
“È per l'umano che ti ho
chiamato".
“Mi
avete
chiamato per un umano?!”.
“Ha
salvato la vita a mio figlio, combattendo contro demoni
traditori”.
“Notevole,
per un mortale. Sul serio, sono colpito dal suo coraggio".
“Ora
fai
il tuo lavoro e curalo!”.
Il
re
accompagnò Leonore ed il piccolo fuori dalla stanza,
dedicando un po' di
coccole all'erede.
“Andrà
tutto bene, vero?” mormorò la donna.
“Se
devo
essere sincero, non posso assicurartelo… Sai, con i demoni
non si sa mai che…”.
Il
discorso fu interrotto da un timido colpo alla porta. Qualcuno aveva
bussato ed
il demone, previdente, fece segno a Leonore di non parlare. Chi poteva
essere a
quell'ora? Poteva essere una trappola! Socchiuse gli occhi e poi
sorrise.
“Tranquilla”
parlò “Puoi andare ad aprire".
La
donna
scese lungo le scale ed aprì. Si stupì molto nel
vedere Keros davanti
all'ingresso. Lo abbracciò forte e lo invitò ad
entrare.
“Perdonami
per l'ora" borbottò il mezzodemone, imbarazzato e piuttosto
insicuro “Ero
molto indeciso ma alla fine ho preso coraggio. Devo parlare
urgentemente con
Ary".
“Lo
sta
visitando Malaphar" gli rivelò Leonore.
“Malaphar?
Perché?”.
“Storia
lunga. Vieni al piano di sopra".
Camminando,
Keros vide Lucifero. Il sovrano teneva in braccio il proprio cucciolo
ed il
sanguemisto lo notò con un certo stupore.
“Un
momento…” alzò un sopracciglio
“È figlio tuo?!”.
“Già.
Non
è carino?” ghignò il re.
“Molto
ma… com'è possibile?! Significa che
tu… No, guarda, adesso non ho voglia di
pensarci!”.
“Anch'io
non ho voglia di pensare a dove tu sia stato fin
adesso…”.
“Meglio.
Ary…?”.
Il
sovrano indicò la porta e Keros entrò.
“Che
è
successo qui?!” esclamò, notando i vetri rotti ed
il mortale steso a letto
privo di sensi.
“Purtroppo
l'umano è stato morso" furono le parole di Malaphar.
“Morso?
Da chi? E perché?”.
“Degli
intrusi” rispose Lucifero “Dei traditori sono
entrati qui, con l'intento di
uccidere il bambino. Lui ha coraggiosamente difeso madre e
figlio”.
“Ma
è
stato morso" concluse il guaritore “Ed il morso di un demone
è mortale per
un umano".
“Cosa?!
Che stai cercando di dire?!” iniziò ad agitarsi
Keros.
“Mi
stupisco che sia ancora in vita" parlò ancora Malaphar, con
tono di voce
ed espressione del tutto indifferente.
“Non
c'è
nulla da fare?” chiese Lucifero.
“Farò
tutto quel che posso, maestà. Ma è comunque un
debole umano".
“Ma
no!”
interruppe Keros, ma poi non aggiunse altro.
Doveva
svelare la verità? Era una cosa sicura? Però,
forse, la discendenza demoniaca
poteva aiutarlo nella guarigione e nella cura.
“No
che
cosa, scusami?” storse il naso Lucifero “So che
sarà difficile accettarlo per
te. Però…”.
“Lui…
non
è del tutto umano" confessò alla fine il
sanguemisto.
“In
che
senso?!”.
“Lui
ha…
sangue demoniaco… “.
“È
per
metà un demone?!”.
“No,
non
per metà. Suo nonno era un demone completo. I suoi genitori
erano demoni per
metà”.
“E
per
l'altra metà?”.
“…
umani".
“Umani?!
Quale demone ha iniziato questa indecente rimescolanza di razze? Chi
era il
demone puro?”.
“Io…
non
vedo perché sia importante…”.
“Lo
è” si
intromise Malaphar “Sapere da che tipo di demone discende
può aiutarmi a capire
come guarirlo, o almeno provarci".
“Vampiro.
Era un demone vampiro".
“Chi
era?
Voglio il nome" insistette Lucifero “E spero per lui che sia
morto…”.
“Tu
dovresti solo stare zitto" lo indicò Keros, iniziando ad
infastidirsi “Tuo
figlio è nato da un'umana! Perciò
taci!”.
“Ma
come
ti permetti?!”.
“Però
ha
ragione" sospirò Leonore “Possiamo non litigare su
questo e concentrarci
su Ary? Se morisse, non me lo perdonerei".
“Hai
ragione" ammise il sovrano “Vorrei tanto non litigare
più con te,
Keros".
“Ed
io
voglio salvare Ary! Malapahar, se c'è qualcosa che posso
fare…”.
“Essendo
un discendente di demone vampiro…”
ipotizzò il guaritore “… il potere del
sangue potrebbe aiutarlo. Però questo potrebbe risvegliare
in lui la natura
demoniaca. Potrebbe peggiorare la situazione, se il corpo da mortale
non sarà
in grado di reagire".
“L'alternativa
è lasciarlo morire per il morso, giusto?”.
“Giusto".
“Allora
non vedo il motivo di pensarci oltre. Come funziona il potere del
sangue?”.
Lucifero,
sentendo l'impellente bisogno di sfogare il suo nervosismo con una
sigaretta,
uscì sul terrazzino della camera. Demoni bastardi, incroci
di razze, di cui non
era a conoscenza? Mezzosangue che volevano uccidere il suo prezioso
cucciolo?
Di certo non sarebbe rimasto fermo a guardare! Con il dispositivo che
lo
metteva in contatto con l'Inferno, chiamò Alukah.
“Maestà!”
si affrettò a rispondere il demone vampiro “Come
posso aiutarla?”.
“Tu
mi
hai detto di conoscere le coordinate del rifugio dei traditori,
giusto?”.
“Quelli
rintanati nel mondo umano? Sì, certo".
“Perfetto.
Mandamele immediatamente”.
“Agli
ordini!”.
Il
re
attese solo qualche istante prima di ricevere quel che aveva richiesto
ed
inoltrò quei dati ad Asmodeo.
“Sterminali
tutti" ordinò al generale “Che non ne resti
nemmeno uno di questi
sovversivi che osano provare a fare del male alla mia prole!”.
“Prole?”
si udì.
Alzando
lo sguardo, Lucifero vede Mihael, che fluttuava a mezz'aria. Circondato
da luce
d'oro e arancio, l'Arcangelo era circondato da un alone di
regalità a cui era
difficile restare indifferenti.
“Ciao,
fratellino" lo salutò il diavolo.
“Prole?
Dunque è vero. Hai avuto un figlio" proseguì
Mihael.
“Anche
tu. E con ciò?”.
“La
faccenda è diversa".
“No,
la
faccenda è la stessa. Ho usato lo stesso metodo".
“Smettila
di fare l'idiota!”.
“Ok.
Ma
ora ho da fare”.
“Ho
sentito. Hai mandato a sterminare sangue impuro”.
“Esatto.
Roba che toccava fare a te, da quel che mi risulta! Non è
compito degli angeli
evitare che i demoni tentino gli esseri umani? Non dovrebbero anche
evitare che
questi scopino fra loro?!”.
“Purtroppo,
se l'umano si innamora, è poco quel che possiamo fare.
Motivo per cui non ho
potuto impedire a Leonore di accoppiarsi con te!”.
“Oh,
ma
che carino. Però, ammettiamolo, è un po' una
cagata. Far innamorare gli umani è
semplicissimo!”.
“Tutt'altro!
Parlo di veri sentimenti, senza l'uso dei poteri demoniaci".
“Ditelo
che non avevate voglia di lavorare. Ed adesso tocca a noi demoni
rimediare al
casino. Grazie tante. Mi serviva lavoro extra!”.
“Sono
demoni fuggiti dall'Inferno. La responsabilità è
la tua!”.
“No.
Se
toccano gli umani, è giurisdizione vostra”.
“Sei
tu
il re dei demoni!”.
“Oh
ma
chissenefrega! In questo momento Asmodeo ed alcuni altri soldati li
stanno
eliminando. E mi auguro che la cosa non si ripeta".
“Anche
alcuni miei soldati sono andari in quel luogo”.
“Davvero?
Lavoro di squadra?”.
“Lavoro
fatto come si deve. Voi demoni vi fate sempre sfuggire
qualcosa”.
“E
tu che
ci fai qui? Non hai proprio voglia di lavorare, eh?”.
“Sono
qui
per la tua prole. Non è forse frutto dell'unione fra te ed
un'umana? Se sapevo
che poteva restare incinta, ti avrei fatto congelare le palle da
Raphael quella
sera!”.
“Quanta
poesia…”.
Mihael
si
accigliò, mentre Lucifero ridacchiava divertito.
“No…
un
momento” divenne di nuovo serio, di colpo, il re
“Sei qui per uccidere mio
figlio? Sul serio?!”.
“È
di
razza impura…”.
“Anche
il
tuo!”.
“…
e
sappiamo entrambi quali conseguenze può portare il figlio di
Satana nel Mondo.
È l'Apocalisse!”.
“E
tu
credi agli scritti deliranti di un umano che evidentemente si spippava
tutto lo
spippabile?!”.
“Era
ispirato da Dio".
“Allora
pure Dio era sotto acidi. L'hai letta quella roba?!”.
“Ho
degli
ordini, Satana. Fatti da parte".
“Col
cazzo. È di mio figlio che parli, non di un pacco
postale!”.
“Non
costringermi a combattere contro di te!”.
Lucifero,
con rabbia, mostrò il dito medio e ringhiò.
“Perdonami
se ho fatto tardi" mormorò Keros “Perdonami se
sono stato lontano da
te".
L'umano,
a letto, era ancora privo di sensi. Il mezzodemone gli aveva donato
qualche
goccia di sangue, nella speranza di farlo guarire. Si sentiva in colpa
e lo
osservava, con il viso sulle lenzuola. Ne osservava il viso pallido e
le labbra
rosate, desiderando il risveglio di colui che amava. Non
riuscì a resistere a
lungo prima di dargli un bacio, nonostante fosse incosciente. Poi
sospirò e
tornò ad accovacciarsi accanto al letto.
Udì
delle
voci, brillò qualche luce all'esterno e cercò di
capire. Uscì e vide angeli e
demoni che si fissavano. Rientrati dalla loro missione di sterminio, si
erano
incontrati nel cielo notturno. E Keros vide prima Lucifero e poi Mihael
e notò
quanto i due fossero vicini. Così vicini e così
minacciosi, l'uno contro
l'altro! Non era un buon segno! Doveva
tentare di fare qualcosa…
Eccomi!
Scusate il ritardo! Questo è l'ultimo
capitolo prima delle feste. Poi Keros farà una piccola
vacanza fino a Gennaio.
Va a fare festa pure lui :p a presto!!
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Capitolo 62 *** Valzer di fierezza ed odio ***
62
Valzer
di
fierezza ed odio
Gli
angeli ed i demoni, in due schieramenti contrapposti, si fissavano.
Mihael e
Lucifero, scesi a terra, continuavano ad insultarsi. Keros
uscì dalla casa
mortale e si apprestò a raggiungere le creature
ultraterrene, con l'intento di
fermare la possibile rissa di gruppo. Aveva chiesto a Leonore di
chiamare
Lilith, l'unica che solitamente riusciva a far ragionare il sovrano
infernale.
Aveva già in mente un discorso ma si fermò,
quando fu abbastanza vicino ai
parenti. Cosa ci facevano per il mondo umano? Se lo era chiesto,
scendendo le
scale. Vedendoli, percependo odori ed osservando il sangue su spade e
lance,
comprese. Si arrestò, accigliandosi, con un nodo alla gola.
Sapeva cosa avevano
fatto. Sapeva che avevano ucciso tante persone che conosceva.
Provò una gran
rabbia, mista all'angoscia suscitata dal solo pensiero di aver perso
tanti
amici. Percepiva la loro essenza, l'odore del loro sangue e delle loro
vite
spezzate.
“Altezza!”
la voce di Lilith lo riportò alla lucidità
“Altezza, che succede?”.
“Litigano"
si limitò a rispondere Keros, piattamente “Come
sempre".
“Ma
qui…
nel mondo umano! Dobbiamo fare qualcosa!”.
“Lascia
che si ammazzino!”.
“C…
come?!”.
Lilith
rimase sconcertata da quelle parole, e nel vedere il principe dare le
spalle a
tutti gli angeli ed i demoni radunatasi in quel luogo. Cercò
invano di
richiamare l'erede al trono ma senza successo, così decise
di agire da sola e
camminò spedita verso Lucifero e Mihael.
“Siete
impazziti?!” esclamò la Succubus, spalancando le
braccia “Siete nel mondo degli
umani! Potrebbero vedervi in qualsiasi momento!”.
“Siamo
in
mezzo al nulla" la corresse Lucifero.
“Il
tuo
cervello è in mezzo al nulla, maestà! I mortali
moderni hanno un sacco di
aggeggi strani. Hanno satelliti, droni, telecamere… senza
contare che qualcuno
di loro potrebbe essere così stupido da farsi un giro per
questi boschi in
piena notte!”.
“E
perché
dovresti tu, meretrice, preoccuparti degli umani?” chiese un
angelo.
“Non
mi
preoccupo degli umani. Mi fanno schifo gli umani, a partire da Adamo!
Mi
preoccupo delle possibili conseguenze di questo vostro incontro. Ma se
siete
così stupidi da non capirlo, forse meritate di ammazzarvi
fra voi, come
suggerisce il principe Keros!”.
Quel
nome
provocò un certo brusio. Da un lato i demoni si chiedevano
perché il principe
potesse dire una cosa del genere e, nello stesso istante, gli angeli
cercavano
di ricordare dove avessero già sentito quel nome.
“Siamo
qui per adempiere al nostro compito" parlò Mihael,
sovrastando il mormorio
dei presenti “Il figlio del diavolo deve morire!”.
“Allora
ammazza Keros" gli propose, fra lo stupore dei parenti, il re dei
demoni
“Avanti. Usa la tua bella lancia contro il petto di un uomo!
Sarebbe più onorevole
rispetto al trafiggere un neonato, dico bene?”.
“Ma
che
state dicendo?!” sibilò Lilith ed il demone la
zittì con una mano.
“Non
potrai mai farlo, vero?” proseguì Lucifero,
ghignando verso l'Arcangelo.
“La
questione è diversa. E tu lo sai" sbottò Mihael
“Non farci perdere tempo.
Dio ci ha dato l'ordine di uccidere tutti coloro nelle cui vene scorre
sangue
impuro. Tuo figlio è frutto di un'unione con una mortale, ed
è mio compito
porre fine alla sua vita”.
Il
sovrano stava per ribattere, quando uno degli angeli
richiamò l'attenzione di
Mihael, trascinando con sé una ragazza per un braccio. Il
grido di protesta
della giovane fece voltare di nuovo Keros: era Tabihira, la ragazzetta
che lo
aveva condotto la prima volta al rifugio dei sovversivi!
“Una
fuggitiva?”
ghignò Lucifero “Progenie di traditrici creature.
Lascia che sia o a sporcarmi
le mani, angioletto. Non la farò soffrire molto!”.
“Ce
ne
sono degli altri!” parlò qualcuno, seguito da
pianti e gemiti di protesta.
“Sono
tutti bambini?!” constatò l'Arcangelo.
Fra
Mihael e Lucifero furono trascinati cinque bambini di varia
età, oltre a
Tabihira. Lei tentò di far loro scudo, invano.
“Come
siete fuggiti dal nostro attacco, moscerini?”
ringhiò Asmodeo “Permettete che
me ne occupi io, Maestà!”.
“Agli
angeli
piace uccidere i bambini" rispose, beffardo, Lucifero “Lascia
che si
divertano!”.
“Ma
che
stai dicendo? Non è vero che…”.
“Lasciateli
in pace!” urlò Keros, raggiungendo i figli dei
traditori.
Il
re
tentò invano di zittirlo con lo sguardo, senza ottenere gli
effetti sperati.
“Fatemi
capire…” sibilò il principe
“State qui a litigare per uccidere dei bambini?!
Avete sterminato innocenti ed infanti e ne volete ammazzare degli
altri?! Sul
serio?!”.
“Innocenti?
Nessun innocente!” lo corresse il diavolo
“Traditori! Savngue bastardo!”.
“Traditori?!
Bambini! Avete ucciso un sacco di bambini! Erano discendenti di
qualcuno che
forse ha tradito, o ha solo pensato di farlo! Oppure semplicemente
figli di
qualcuno che sognava di vivere in modo diverso!”.
“Sai
che
non è possibile" precisò Mihael, con tono di
rimprovero “I demoni devono
vivere all'Inferno”.
“All'Inferno!”
diedero manforte molti angeli “All'Inferno e là
soltanto!”.
“Siete
degli assassini!” riprese Keros, convinto “In nome
di Dio od in nome di Satana,
sempre assassini siete!”.
“Smettila
di farmi la predica!” lo minacciò il demonio
“Uccidiamo questi bastardelli e
torniamo a casa! Ovviamente portando con noi la mia progenie".
“Non
toccherai questi piccoli" allargò le braccia il mezzodemone
“E ti ricordo
che sono pure io di sangue bastardo. Perché non mi
uccidete?”.
Lucifero
sospirò, stanco di discutere. Fra demoni ed angeli si
mormorava “Che ha
detto?”, “Sangue bastardo?”,
“Perché parla in questo modo?”.
“Sempre
gli stessi discorsi" mormorò Keros, quasi rassegnato
“Sono impuro, sono
bastardo, sono un sanguemisto, ho vissuto fra i traditori e gli umani.
Quindi
dovreste volermi uccidere entrambi, dico bene? Da un lato Lucifero e
dal lato
opposto Mihael. Chi vuole iniziare?”.
“Keros…”
tentò di imbastire un discorso l'Arcangelo.
“Che
aspetti?” lo interruppe il principe “Trafiggimi! Se
meritavano di morire quelle
creature nella grotta, allora dovete porre fine alla mia vita. O
no?”.
Le
mani
di Keros stringevano la lancia di Mihael, fissandolo negli occhi con
una certa
tristezza ma con gelida determinazione.
“Che
cos'ho io di diverso da loro?” parlò amareggiato
il mezzodemone, indicando i
piccoli dei traditori.
“Che
coraggio…” ammise Asmodeo, seguito da altri
commenti simili.
I
demoni
erano meravigliati da quel gesto, orgogliosi del proprio principe
impavido. Fra
gli angeli c'era chi incitava Mihael ad agire e chi si chiedeva chi
fosse quel
pazzo. Ricominciavano a litigare fra loro, con insulti di varia natura.
“Smettila!”
esclamò Mihael, ritraendo la lancia.
“Perché
non lo uccidete?” si chiese uno degli angeli soldato
“È figlio del diavolo? È
un demone tentatore! Vuole tanto morire…”.
“Prova
a
far del male al principe e ti strappo tutte le penne!”
minacciò Asmodeo,
seguito dal ringhio di molti demoni.
“Piantatela!”
li zittì tutti Keros “Stiamo parlando di bambini.
Non sappiamo cosa potranno
fare da adulti. Sapete che uno dei demoni, per metà umano,
ora è un prete? È
rispettato ed amato, si occupa di orfani e predica la parola di Dio".
“Che
orrore!” gemette qualche demonio.
“Chi
vi
dice che non sia possibile che altri facciano lo stesso? O che fra loro
non si
celino futuri diavoli in grado di agire come i loro simili? In base a
cosa avete
deciso che non son degni di essere angeli, demoni o quel che gli
pare?!”.
“È
compito di Dio giudicare" spiegò Mihael “Noi
dobbiamo obbedire e…”.
“Vuoi
giudicare? Bene. Giudicami!”.
“-Ma
cosa
stai…?”.
“È
il
solito, antico, valzer. Valzer d'odio, gli uni per gli altri. Sfida
eterna fra
Cielo e Inferno, contesa di anime di ignari mortali che vivono la loro
vita
perlopiù ignorandoci. È il nostro lavoro, giusto?
Bianco e nero, buoni e
cattivi. Tutti gli angeli sono santi, tutti i demoni sono malvagi. E
Dio è al
di sopra di tutto, la sua voce illumina le coscienze e salva dagli
inferi. Io
credevo di averla sentita quella voce. No, non in Cielo. Non in
Paradiso l'ho
udito parlare ma qualcosa si era acceso nel mio cuore poco tempo fa. Ho
conosciuto un demone che ha salvato delle vite, che porta una croce al
collo.
Ho vissuto accanto a demoni che non cacciavano anime, non uccidevano
umani, non
tentavano mortali… vivevano in pace, ed erano felici! Ed ho
pensato che, se
davvero Dio esiste e ci parla, allora doveva aver permesso tutto
questo. Doveva
aver permesso l'esistenza di simili creature, creature come me! Ma
evidentemente mi sbagliavo, perché le avete sterminate. E
quindi non rientrava
fra i piani di Dio la loro esistenza. Ma allora che senso ha?
Perché far innamorare,
vivere e credere? Perché concedere a Lucifero un figlio, per
poi farlo
uccidere? Perché concedere la fede per poi portarla via?
Perché far amare per
poi portare all'odio? Mi viene da chiedermi se Dio esiste per davvero o
se
forse siamo noi che interpretiamo a caso quel che crediamo che
voglia!”.
“A
caso?!” sibilò qualcuno.
“Volete
giudicarmi? Bene… Io sono nato nel mondo umano, da una
demone di nome Carmilla.
Era una tentatrice, una vampira, che ha trascinato una moltitudine di
anime
mortali all'Inferno. Ma poi è diventata guaritrice, salvando
vite ed aiutando
malati. Asmodeo, nonostante amasse Carmilla e fosse geloso della
gravidanza, e
nonostante il mio aspetto non esattamente demoniaco, ha salvato la mia
vita e
mi ha portato dal re, da Lucifero. Lui mi ha cresciuto, nonostante
sapesse la
mia vera identità”.
“Vera
identità?” alzò un sopracciglio
più di qualcuno.
“Mi
ha
allevato, mi ha cresciuto come un figlio, mi ha voluto bene. Ho vissuto
agli
inferi, in Cielo, nel mondo umano… ed ho visto che le cose
non sono solo
bianche e nere! Anche i demoni fanno cose buone, anche gli angeli
commettono
peccati! Io sono il frutto del peccato di un angelo! Io sono il frutto
della
bontà dei demoni! Il figlio del diavolo non è per
forza destinato a divenire
malvagio, così come il figlio di un angelo non deve per
forza essere un santo!
Nessun bambino merita di morire ma, se ritenete che qualcuno debba
essere
ucciso, sono qui! Avanti… giudicatemi!”.
Keros
spalancò le ali angeliche, mostrando il proprio aspetto. Con
le corna, le ali e
lo sguardo color ambra, fece ammutolire tutti i presenti.
“Mia
figlia è un angelo” sorrise il mezzodemone
“È la prova che anche chi vive
sempre all'Inferno può creare qualcosa di buono. Sono fiero
di quello che sono,
non mi importa più quel che tutti voi pensate. E, se l'umano
che amo morirà,
non avrò nemmeno più una ragione per arrampicarmi
lungo la via dell'esistenza.
Però vi prego, mi rivolgo a tutti quanti voi, lasciate in
vita i bambini. Dio
non può davvero volete che dei bambini muoiano”.
Scese
uno
strano silenzio, fatto di sguardi perplessi e stupiti. I demoni avevano
compreso che il loro principe non era figlio del re, e non era neppure
del
tutto un demone, e gli angeli erano sconvolti nell'apprendere che colui
che
aveva parlato non era un angelo poi caduto ma bensì un
angelo a metà. Figlio di
un angelo. Era davvero possibile?
“Sono
pronto ad essere giudicato" insistette Keros “Dinnanzi agli
uomini, agli
angeli, ai demoni e perfino dinnanzi a Dio. Ma questi bambini no.
Questi
piccoli cresceranno. Fate sì che da adulti la bilancia
decreti il loro
destino”.
D'un
tratto, come destati da un sogno, angeli e demoni ricominciarono a
discutere ad
alta voce. Keros si accucciò e rassicurò i
bambini.
“Ogni
volta che penso di averci capito qualcosa, e di aver trovato il mio
posto nella
vita, ecco che devo ricominciare da capo. Oh be'… fa niente"
mormorò ai
piccoli, con un mezzo sorriso “Ma non abbiate paura,
perché nessuno vi farà del
male".
Una
gran
tristezza lo avvolse, udendo di nuovo i litigi delle creature
sovrannaturali
che lo circondavano.
“Ma
ora
dove andrai?” chiese uno dei piccoli “E noi dove
staremo?”.
Keros
non
fece in tempo a rispondere perché la voce di Lucifero
sovrastò tutte le altre.
“Silenzio!”
urlò, zittendo chi invocava la morte del principe
“Che cosa cambia?! Mi rivolgo
a voi, demoni di ogni sorta. Non avete forse avuto fin ora assoluto
rispetto
per Keros? E non perché ve l'ho imposto io ma
perché il ragazzo se lo è
meritato! Ha combattuto al vostro fianco, ha tentato anime, ha appreso
da voi
moltissime cose e vi ha dimostrato di essere degno di portare la
corona. Cosa
cambia, anche se ha ali d'angelo? Questo lo rende meno demone ai vostri
occhi?
Vi devo forse ricordare che anch'io avevo simili ali? E, come me, anche
molti
di voi? Devo forse ricordarvi che fra voi c'è chi
è caduto per amore? Amore per
creature umane. Stesso amore che ora prova Keros e che voi disprezzate. Ci ho messo un po' a
capirlo ma… la nostra
guerra è contro Dio, non contro chi è demone,
anche se solo in parte. Costui è
mio figlio, ed io ne vado fiero. Non sono mai staro così
fiero di lui! E spero
che anche il suo vero padre provi un tale orgoglio.
Perché coraggio e forza non mancano nel suo
cuore. È demone tanto quanto è angelo e tanto
quanto è qualsiasi altra cosa
voglia essere. E se qualcuno vorrà fargli del male, angelo o
demone che sia, se
la vedrà con me".
I
demoni
si ammutolirono. Ricordavano le prodezze del principe, le sue doti ed
abilità.
Nonostante lo sconcerto provocato da quelle ali angeliche, lo
riconobbero come
degno demone e tacquero. Dal lato opposto, Mihael si
avvicinò a Keros e gli
porse la lancia.
“Con
questa…” spiegò
“Trafiggerò il petto del re degli Inferi, alla
fine dei giorni.
Così sta scritto. Ma per farlo dovrò impugnare
quest'arma con risolutezza e
fede. Il mio cuore, ora, non è puro. Così come
non lo è quello di molti. Quello
di tutti. Perché tutti commettiamo degli sbagli, solamente
Dio non ne fa. E so
che su quest'ultimo punto Lucifero ha parecchio da ridire. Ad ogni
modo, io non
voglio peccare di superbia e ritenermi perfetto. Io non sono Dio, ed a
volte
sbaglio. Da quando sei nato, la mia fede e la mia risolutezza hanno
vacillato
più volte, ma ora tutto pare più chiaro. Dio ti
ha voluto, così come sei. Né
bianco, né nero. E, forse, un giorno spetterà a
te giudicarci tutti. Chiedo
perdono per i miei peccati, dinnanzi a Dio e dinnanzi a te, che sei il
mio
unico e prezioso figlio. Nessun'altro bambino verrà ucciso
stanotte, neppure il
neonato figlio del Diavolo. Che l'età adulta li conduca
verso un più equo
giudizio".
Keros
era
rimasto in silenzio, non sapendo che cosa dire. Sfiorò la
lancia dell'Arcangelo,
che brillò leggermente.
“L'odio
può cessare solo se ognuno guarda dentro di
sé” concluse Mihael “Dio ti giudica
degno di vivere, quella luce è insindacabile. Che la
faccenda finisca qui.
Sentiti libero di vivere come meglio credi… angelo o demone
che sia. E ama. Ama
chi è in grado di amarti, ama chi ha visto chi sei per
davvero fin dal primo
momento. Andiamo!”.
Fece
segno agli angeli di seguirlo, per tornare in Cielo. Qualcuno
protestò la
l'Arcangelo lo zittì subito.
“Abbiamo
commesso già abbastanza atri sconsiderati, oggi. Abbiano
tolto la vota a chi
andava più accuratamente giudicato. Ora andiamo…
se Dio vuole che agisca
diversamente, o se non apprezza il mio operato, che fermi il mio
cammino".
Nulla
accadde e gli angeli si allontanarono, tornando in Paradiso. Potevano
avere
qualche dubbio su Mihael ma si fidavano ciecamente del giudizio divino,
ed in
quel caso Dio pareva non avesse nulla da ridire.
Lucifero,
una volta che tutte le creature angeliche se ne furono andate, prese un
profondo respiro. I demoni attendevano un suo ordine, incerti sul da
farsi.
“Torna
a
casa" suggerì Keros, prendendo in braccio uno dei bambini
sopravvissuti
all'attacco di quella notte “Porta con te Leonore ed il
piccolo. Il mondo umano
non è sicuro, a quanto pare…”.
Il
re non
sapeva che rispondere. Probabilmente era la cosa migliore da fare.
“Non
preoccuparti” aggiunse il mezzosangue, con un tono di voce
piuttosto
amareggiato “Mi occupo io di questi bastardelli, come vi
piace chiamarli…”.
Prese
per
mano altri due piccoli e li chiamò a sé,
incamminandosi verso la casa umana.
“Keros…”
tentò di trovare le parole il re, dopo aver rispedito gli
altri demoni
all'Inferno.
Il
principe si stupì di trovarsi di fronte Lilith, sorridente.
“Degno
figlio di Carmilla” gli sussurrò “Con
chi si sia accoppiata, poco mi
importa".
Lievemente
in imbarazzo, non sapendo che rispondere, Keros rientrò in
casa con i bambini e
Tabihira. Offrì loro qualcosa da mangiare, notando la loro
tristezza. Avevano
perso tutto: la casa, la famiglia…
Leonore
stava preparando le proprie cose e quelle di Espero, consapevole della
prossima
partenza per l'Inferno. Il piccolo dormiva tranquillo e Ary era
immobile a
letto, ancora privo di sensi. Keros sospirò.
“Puoi
sistemare i bambini nella mia stanza" propose Leonore
“È una matrimoniale.
Staranno stretti, ma per un periodo dovrebbe
bastare…”.
“Io
posso
dormire sul divano in salotto" annuì Tabihira.
“Ma…
come
vi siete salvati?” volle sapere il mezzodemone.
“Conosco
molti cunicoli segreti. Stavo giocando con loro ed ho cercato di
portarne in
salvo il più possibile. Non ho avuto molto
successo…”.
“Hai
fatto tutto il possibile. Sei stata fantastica. Ora riposa. Non sei
ferita,
vero?”.
“Solo
qualche graffio…”.
“Vado
a
prendere delle bende".
Dopo
aver
medicato la ragazza e due dei piccoli, che presentavano qualche
bruciatura,
preparò le stanze. Nel frattempo Leonore, accompagnata da
Lucifero, aveva
attraversato il portale assieme al neonato Espero. In pensiero,
combattuta per
le condizioni di Ary e per il futuro che l'aspettava, fu incoraggiata
da
Lilith: doveva agire nel modo migliore per Espero. Re e principe non si
parlarono, entrambi piuttosto stanchi.
“Domani
passerà Malaphar" assicurò Lilith, prima di
attraversare il portale a sua
volta “Per controllare Ary. Che pensi di fare?”.
“Per
ora
dormire…”.
“Oh…
allora buonanotte. Sei… sei stato molto coraggioso".
Con
un
mezzo inchino, Lilith lasciò la casa. Rimasto solo, Keros
controllò i piccoli,
che si erano addormentati. Tabihira si era sistemata in salotto, vicino
al
camino. Il principe le augurò la buonanotte e poi raggiunse
la stanza di Ary.
Sembrava tranquillo ed il mezzodemone gli donò qualche
goccia di sangue,
sperando di vederlo guarire presto. Poi cercò una coperta e,
avvolgendosi in
essa, chiuse gli occhi. Domani sarebbe stato un altro lungo
giorno…
Rieccomi!
Primo capitolo dell'anno…
Non
so perché, ma questo capitolo mi ha fatto
venire in mente la canzone “Figlio del dolore" di Celentano
(il
ritornello). Se non la conoscete, ve la consiglio. È una di
quelle che mette
letteralmente i brividi! Per quel che riguarda Keros… spero
di riuscire di
nuovo ad aggiornare ogni settimana! A presto!
|
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Capitolo 63 *** Visite ***
63
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Keros
non
si aspettava di sentir bussare alla porta ed ancor meno si aspettava di
trovarsi di fronte Mefistofele. Lo osservò, perplesso, non
sapendo che cosa
fare. Era forse lì con intenzioni non proprio amichevoli? Il
demone lo fissò,
serio, solo per qualche istante. Poi sorrise.
“Allora…
è vero?” domandò Mefistofele.
“Cosa?”
alzò un sopracciglio Keros.
“Che
sei
figlio di… quello là, insomma. Ci siamo
capiti…”.
“Sei
qui
per offendere? O per infierire? Comunque sì, è
vero… mi dispiace che tu ti
senta preso in giro. Credevi di aver addestrato il figlio del re e
invece…”.
“Non
mi
sento preso in giro! Anche se sì, sono offeso. Ma non con
te… posso entrare?”.
Confuso,
Keros indicò a Mefistofele la cucina ed offrì del
vino.
“Sono
offeso" ammise il demone, dopo qualche sorso “Hanno ucciso i
miei
camerieri! Quei ragazzi che mi hai mandato, ricordi? Ora ho problemi di
personale. E chi mi rifonde? Perdo clienti, con demoni in meno nel
locale! Ma
da chi dovrei andare a lamentarmi? Dal re? Non credo
proprio!”.
“Io…”.
“Tu…
perché pensi che io possa sentirmi preso in giro?! Ti ho
addestrato e vado
fiero del risultato. Ed il fatto che tu sia mezzo angelo mi gonfia
doppiamente
d'orgoglio".
“Che…?”.
“Ho
reso
un mezzoangelo un tentatore! Ti ho fatto svelare e coltivare il tuo
lato
sensuale, malvagio, sadico. Ti ho reso un procacciatore di anime. Penso
di
essere stato piuttosto bravo!”.
“Davvero?
Non pensi che sia stato strano o… rivoltante?”.
“Strano
forse un pochino. Rivoltante certo che no. Ma torniamo a parlare
d'affari. Che
pensi di fare ora? Ho sentito che sei chiuso qui con un umano moribondo
ed un
gruppo di figli dei traditori. Qual è il tuo piano? Come
pensi di vivere?
Continui a fare il tentatore?”.
“Al
momento no” ammise Keros, preparandosi un tè.
“Resti
qui per l'umano?”.
“Sì…”.
“Capisco…
Malaphar lo ha visto?”.
“Malaphar
è costretto dal re a venire qui. Ma curare un umano per
desiderio di un mezzo
angelo… credo lo trovi abbastanza schifoso”.
Mefistofele
non disse nulla e sorseggiò ancora vino.
“Secondo
te…” prese coraggio Keros
“Perché non è stato punito?”.
“Chi?”.
“Mihael.
Per aver… avuto me”.
“Bella
domanda! Me lo sono chiesto pure io e sai a che conclusione sono
giunto?
Secondo me a Dio non importa. Una volta controllava tutto, umani ed
angeli.
Interveniva per delle sciocchezze, osservava ogni cosa e rompeva le
balle per
qualsiasi cosa. Chiedi ad Alukah quanto rompeva un paio di millenni fa!
Ma
ultimamente non fa nulla. Qualche apparizione di dubbia natura ma nulla
di più.
Oppure ha dovuto scegliere fra il punire Mihael, rinunciando
all'Arcangelo che
dovrà combattere durante l'Apocalisse, ed il chiudere un
occhio. O anche due…
Ma che differenza fa?”.
“Mi
chiedevo solo che cos'ho io di diverso…”.
“Tutto,
direi. Ti dispiace così tanto essere unico?”.
“Io…”.
“Sei
di
nuovo insicuro?” ghignò Mefisto “Come
quando eri piccolo? Devo per caso farti
spogliare di nuovo?”.
“Ma
anche
no!”.
“Devi
credere in te stesso e nelle scelte che fai. Se hai rivelato a tutti la
verità,
è perché pensavi fosse la cosa giusta da fare. Se
resti qui con quell'umano, è
perché credi sia la cosa migliore! Non sei forse
convinto?”.
“Io…
Forse hai ragione. È che non ho molto aiuto. Sinceramente,
ho paura che i
demoni ora vogliano uccidermi. E che lo vogliano anche gli
angeli!”.
“Io
non
voglio ucciderti. Il re vuole ucciderti?”.
“Non
credo…”.
“Non
penso proprio. Non dopo essersi fatto un mazzo tanto per crescerti.
Quindi
dov'è il problema? Ti difenderai. E vincerai,
perché sei stato addestrando alla
grande! Difenderai le tue scelte ed i tuoi territori. E l'umano,
ovviamente!”.
Keros,
dopo qualche istante di perplessità, sorrise.
“Hai
ragione" ammise “Non sono un cucciolo. Che tentino pure di
uccidermi o
ferirmi, mi difenderò. E difenderò chi ho
accanto!”.
“Questo
è
il giovane tentatore che ho addestrato! E ora posso farti un'altra
domanda?”.
“Certamente".
“Posso
vedere i piccoli che hai qui con te?”.
“Perché?”.
“Credo
che uno sia figlio di un mio ex dipendente…”.
Il
demone
fissava la porta, da cui si intravedevano delle figure. I bambini
stavano
spiando i due adulti, disobbedendo a Keros che li aveva invitati alla
prudenza.
Sentendosi chiamati in causa, i cuccioli entrarono in cucina.
Mefistofele, con
il tipico ghigno sul viso, indicò uno di loro e chiese
conferma.
“I
tuoi
genitori lavoravano per me, vero?”.
Quando
il
piccolo ebbe annuito, il tentatore si chinò per osservarlo
meglio.
“Che
tipo
di demone sei?” volle sapere “Vampiro? Mutaforma?
Elementale? Ipnotizzatore?”.
“Io
faccio il ghiaccio con le mani".
“Oh…
mi
andresti proprio comodo nel bar" ridacchiò Mefistofele
“Scherzo,
ovviamente. Ad ogni modo, se ti va… io sono un maestro, al
momento senza
allievi. Vorresti venire con me?”.
“Sei
serio?” mormorò Keros.
“Serissimo.
I suoi genitori erano molto portati. Non mi interessa se erano
traditori o
presunti tali. Se non hai qualcosa in contrario…”.
“Deve
decidere il bambino".
Il
piccolo sorrise, entusiasta.
I
due
adulti discussero ancora un po' di altre questioni meno importanti e,
quando se
ne andò, Mefistofele portò via con sé
il cucciolo demoniaco. Promise a Keros di
tornare a presto a controllare la situazione, ordinando al mezzosangue
di non
lasciarsi scoraggiare.
Di
nuovo
solo, Keros si sentì sollevato. Era davvero felice di sapere
Mefistofele dalla
sua parte! Ed era ancora più felice di aver trovato una
sistemazione per uno
dei piccoli. Ma ora doveva tornare da Ary…
“La
smetti di fissarmi come se ti avessi pestato la coda?”
sibilò Lucifero, rivolto
ad Asmodeo.
Il
re
dell'Inferno era appena uscito dalla stanza dove Leonore ed Espero
dormivano ed
era tornato in ufficio. Spaparanzato in diagonale sulla sedia, era
irritato
dallo sguardo del generale. Il grosso demone soldato non diceva una
parola, ma
non riusciva a nascondere il proprio disappunto.
“Apri
la bocca"
lo minacciò il sovrano “O vattene a fare in culo!
Odio quella faccia!”.
“È
troppo
vigliacco" ipotizzò Lilith, entrando alle spalle del
generale e
raggiungendo il re “Forse è infastidito dal fatto
che presto avrà una regina
che un tempo era umana".
“Per
quel
che mi riguarda…” sbottò Amodeo
“Quella è umana e basta. Ma non sono affari
miei”.
“Esatto!”
gli ringhiò contro Satana “Non sono affari tuoi! E
ora smettila!”.
Asmodeo
si limitò a fare un verso, che irritò ancora di
più il re degli Inferi. Frustrando
la coda, il diavolo si alzò in piedi. Doveva essere un
monito per il
sottoposto, che non colse del tutto il messaggio.
“È
Keros
che ti infastidisce, vero? L'aver salvato dalle fiamme il figlio
dell'Arcangelo
Mihael. È quello il problema, vero?”.
“Non
è
Keros il problema" finalmente parlò Asmodeo “Ma
suo padre. Perché c'è chi
ha amato un umano ed è stato tramutato in demone?
Perché angeli sono caduti
mentre lui è ancora lì?”.
“Meglio
così, non trovi? Vorresti Mihael qui all'Inferno?”.
“Vorrei
fosse punito. La giustizia divina non esiste forse
più?”.
Lucifero
tornò a sedersi, quasi rilassandosi.
“Asmodeo…”
parlò, accendendo una sigaretta “Tu ti ritieni
più forte di Mihael?”.
“Io?
Più
forte? Io… non so…”.
“Te
lo
dico io: no, non lo sei. Mihael è l'Arcangelo più
potente fra le milizie
celesti, e sai bene che pare sia destinato a sconfiggermi. L'ho
addestrato io
in Paradiso, ricordi? Quando eravamo tutti dei piumini.
Perciò conosco la sua
forza e so che ti è superiore. Come demone, Mihael sarebbe
un tuo superiore. E,
forse, perfino il re”.
“Il
re?!
Mihael?! Pazzia!”.
“Crudele
ironia divina. Per fortuna papà non ha punito il suo
pupillo. Meglio per tutti
noi. O forse preferivi lui al mio posto?”.
“Assolutamente
no, maestà…”.
“Allora
la questione è chiusa. E per quel che riguarda
Keros… Spero non commetta altre
pazzie, e torni presto a casa. Altre cose non mi interessano, e di
conseguenza
non devono interessare nemmeno a te! O a chiunque altro qui
all'Inferno!”.
Da
giorni
ormai Mihael si era ritirato nelle proprie stanze a pregare. Non aveva
alcun
desiderio di incontrare altri angeli, o chiunque volesse parargli. La
verità
era ormai chiara a tutti, i pettegolezzi si sprecavano perfino in
Paradiso. Un
Arcangelo padre era un'assoluta novità e nessuno sapeva bene
come comportarsi.
Dal canto suo, Mihael non aveva idea di come giustificare la maggior
parte degli
accadimenti. Pregava, pregava in attesa di una risposta che non
arrivava.
Poco
distante, Raphael e Camael discutevano sottovoce. Raphael il guaritore
preparava un medicamento e Camael lo aiutava.
“Credi
che Mihael uscirà presto dal suo raccoglimento?”
si chiese Raphael “Mi fa
preoccupare”.
“Deve
solo smetterla di preoccuparsi" sorrise Camael.
“Preoccuparsi?”.
“Io
rappresento l'amore puro, perciò so che non ha compiuto
alcun peccato. Quella
giovane demone da cui ha avuto un figlio non era una creatura malvagia,
che lo
ha tentato per indurlo in errore. Il loro legame era d'amore, amore
vero. E
Keros è il giusto frutto di quell'amore. Nessuno di noi
dovrebbe giudicarlo,
nessuno di noi ne ha l'autorità. Mihael non deve fare
ammenda, altri angeli
dovrebbero chiedere perdono per la loro gelosia e superbia".
“Le
tue
parole sono molto belle, Camael. Ma Mihael dovrebbe rappresentare tutti
noi”.
“E
lo fa.
Non ha forse giudicato e protetto gli umani da esseri malvagi, per
millenni? Il
suo amore per Carmilla non ha mutato il suo modo di lavorare, lo ha
reso solo
di più larghe vedute. Non trovi? A me Keros piace.
È gentile”.
“Ed
assassino…”.
“Ha
salvato anche delle vite. E molte delle vite che ha tolto erano di
demoni, come
fanno molti angeli. Mi piace vederlo come una specie di angelo
speciale…”.
Raphael
era perplesso ma si fidava del fratello, che rappresentava l'amore.
“Poi…”
riprese Camael “Non ricordi che anche tu ti sei affezionata a
quella creatura?
A quell'umana? Come si chiamava? Sarah?”.
“Sarah
era un’umana che ho aiutato a liberarsi dal fastidio di
Asmodeo. Non ero
innamorato di lei!”.
“Sei
sicuro?”.
“Era
promessa sposa di Tobia! Sta tutto scritto nella Bibbia!”.
“Mi
fido…”.
Lo
sguardo di Camael era poco convinto. Raphael quasi ribaltò
un barattolo con
delle erbe per l'imbarazzo e si voltò, dando le spalle al
fratello per evitare
di far notare il rossore sulle proprie guance.
“Credi
sia successo solo a te?” insistette Camael “Molti
angeli si sono innamorati.
Alcuni hanno seguito il loro cuore, altri hanno ceduto alla tentazione
ed al
peccato, concedendosi solo per soddisfare un istinto e non per vero
amore.
Quest'ultimo gruppo è caduto, ma chi ha amato con il cuore
è ancora qui in
Cielo".
“Davvero
è successo spesso?” si stupì Raphael.
“Più
spesso di quanto tu pensi. Certo… solo Mihael ha avuto un
figlio con una
demone…”.
“Ed
i
figli fra angeli ed umani? I Nephilim?”.
“Quegli
angeli sono caduti ma si sono congiunti con gli umani e solo
perché li hanno
trovati belli, non perché se ne sono innamorati”.
“Sicuro?”.
“È
il mio
lavoro…”.
“Mi
fido".
“L'amore
è dove meno te lo aspetti. Anche fra
angeli…”.
“Fra
angeli?!”.
Camael
non
disse altro. Vedeva Gabriel, che camminava rapido fino alla dimora di
Mihael.
Bussò con insistenza, finché l'Arcangelo
guerriero non gli aprì.
“Spero
non gli abbia portato dei fiori" ironizzò Raphael, con un
mezzo sorriso.
La
notte
era limpida, leggermente fredda. Keros aveva acceso il fuoco del camino
e messo
a dormire i piccoli. Si preparava ad andare a dormire a sua volta, dopo
aver
fatto la doccia ed aver bevuto una tisana. Malaphar era passato di
corsa,
giusto a dare un controllo distratto. Infastidito, era subito tornato
all'Inferno. Stanco, il principe si aspettava quella reazione e non ci
fece
troppo caso. Era ormai pronto a dormire quando udì un
rumore. Rimase in
silenzio, lungo il corridoio, muovendo le orecchie per cercare di
sentire meglio.
La porta dello sgabuzzino si aprì di qualche centimetro e
una voce familiare
chiese il permesso di entrare. Keros sorrise, quando un paio di grandi
occhi
argento si mostrarono nel buio.
“Simadè!”
esclamò il mezzosangue, piacevolmente stupito.
“Posso
entrare, Signore?” mormorò il servo, sottovoce.
“Ma
certo! Che bello vederti! Come mai sei qui?”.
“Ho
pensato che… aveste bisogno di compagnia ed aiuto".
“Hai
ragione. Mi serve proprio un po' di sostegno”.
“Oh…
bene. Temevo di essere d'impiccio…”.
“E
Lilien? I miei piccoli?”.
“Lilien
come sempre fa la messaggera, quindi è quasi sempre fuori da
palazzo. I bambini
sono in addestramento”.
“Non
sono
a palazzo nemmeno loro?”.
“No!
Vivono con i loro maestri ed imparano a vivere a seconda della loro
natura.
Ovviamente tornano saltuariamente a palazzo, ma…”.
“Ma
hanno
solo trecento anni!”.
“E
con
ciò?”.
A
Keros
sembrava fosse qualcosa di assurdo ma poi, riflettendo,
ricordò che anche lui a
quell'età era stato affidato alle cure di Alukah per
imparare a nutrirsi e
sopravvivere come demone vampiro.
“Non
dovete temere" riprese Simadè “Sono in ottime
mani. Il re li adora!”.
“Lo
so.
Però…”.
“Potete
andare a trovarli. I vampiri sono nel mondo umano ad
imparare…”.
“Sul
serio? Sai dirmi in che zona?”.
“No…
ma
posso scoprirlo!”.
“Mi
renderesti molto felice!”.
“Ottimo!”.
Simadè
sorrise, fiero. Poi si guardò attorno, curioso.
“Posso
vederlo?” chiese.
“Chi?”.
“L'umano…”.
Keros
trovò la richiesta piuttosto singolare.
Accompagnò il Succubus fino alla porta
della camera.
“È
molto
bello" commentò il servitore “Non mi stupisco che
vi abbia fatto
innamorare…”.
“Amo
molte cose di lui. Però…”.
“Però?”.
“Sta
morendo, Simadè. Sta morendo ed io non riesco ad
aiutarlo…”.
“È
il
destino degli umani".
“Sì,
ma
lui è in quello stato per colpa mia! Non riesco ad
immaginare il mio futuro con
il peso della sua morte sulle spalle”.
“Molte
morti peseranno su di noi, la nostra vita è lunga e
piuttosto incasinata. Ma
ricordate che io sono qua, a sostenervi. Se può servire a
qualcosa…”.
“Non
trovi rivoltante il fatto che ami un umano?”.
“No…
sono
solo un po' geloso".
Con
un
mezzo sorriso, i due lasciarono la stanza.
“Che
cosa
posso fare per aiutare?” domandò Simadè.
“Cerca
di
scoprire dove si addestrano i miei piccoli. Ora vorrei solo riposare.
Domani
vedrò di darti altri compiti. Va bene?”.
“Ottimo!
Allora mi metto subito all'opera! A domani!”.
Il
servitore lasciò la casa, pronto a fare ricerche. Keros,
rimasto solo, tentò di
mettersi a letto ma udì di nuovo un rumore. Si
alzò, convinto fosse Simadè che
aveva scordato qualcosa, e sobbalzò quando si
trovò davanti Lucifero.
Il
demone
era serio, quasi infastidito.
“Dov'è
l'umano?” borbottò il re.
“A
letto…”
rispose Keros, confuso “Perché?”.
“Andiamo.
Proviamo misure più drastiche".
“Cosa
intendi?!”.
Il
sovrano camminò convinto fino alla camera e si
lasciò sfuggire un lieve ringhio
quando si trovò davanti Mihael.
“Che
fai
qui?!” fu il commento del mezzodemone, rivolto ad entrambi.
“Probabilmente
abbiamo avuto la stessa idea" ipotizzò l'Arcangelo.
“Io
e te
la stessa idea?!” rise Lucifero “Mi sembra
impossibile!”.
“Io
sono
qui per aiutare l'umano” parlò Mihael, calmo
“Con una goccia del mio sangue,
dovrei riuscire a guarirlo”.
“Oppure
ucciderlo…”.
“Già.
Hai
ragione. E tu? Che avevi in mente?”.
“Io…
forse hai ragione, abbiamo avuto la stessa idea… ucciderlo o
salvarlo, belle
alternative".
“Con
il
tuo sangue demoniaco, diverrà di certo un demone”.
“O
morirà, perché troppo potente. E con il tuo
sangue angelico diventerà… boh, non
lo so!”.
“Non
lo
so neanche io. Ma sempre meglio che condannarlo a vivere agli inferi
come demone!”.
“Un
momento!” interruppe Keros “Siete seri?! Volete
salvarlo davvero?”.
“Sì”
incrociò le braccia Lucifero “Ora dicci che sangue
vuoi".
“Che…?!”.
“Scegli.
Vuoi che sia io, Satana, a donargli una goccia di sangue? O vuoi quello
di
Mihael?”.
“In
entrambi
i casi potrebbe morire, giusto? Perché il vostro potere
è alto".
“Esatto.
Ma sta crepando lo stesso! Perciò…”.
“Non
potete chiedere a me di compiere una scelta simile per lui!”.
“Tu
lo
conosci molto bene" cercò di farlo ragionare Mihael
“Pensa a quel che
vorrebbe".
“Andiamo!”
sbottò il diavolo “È facile! Come
demone, starete assieme. Come angelo, o altra
creatura mezza santa, non potrete amarvi. Decisione
semplice!”.
“No,
per
niente! L'Inferno non è di certo un luogo stupendo, per chi
non ci è abituato!”.
“Anche
se
non starà con me, non importa" sospirò Keros
“Quel che conta più
di ogni altra cosa è che sia felice. Cosa lo
renderà più felice? Non posso
saperlo…”.
“Ti
fai
troppi problemi…” sbuffò il re.
Il
mezzosangue era perplesso, confuso. Non sapeva che cosa fare e si stava
innervosendo. Poi, di colpo, riprese la calma.
“Dicono
che il fato non esiste, che ogni cosa accada per una ragione”
mormorò “Se è
vero, lascerò che accada quel che è giusto che
accada”.
“Cioè?”
alzò un sopracciglio il sovrano.
Keros
prese il bicchiere che stava sul comodino accanto al letto e lo
riempì per metà
di acqua. Poi si avvicinò all'Arcangelo ed al Diavolo.
“Una
goccia ciascuno" spiegò il principe.
“Diluito,
così non dovrebbe fargli troppo male" capì
Mihael, facendo colare una
singola goccia nell'acqua.
“Non
capisco perché lo fai" ammise Lucifero, imitando lo stesso
gesto “Ma fa
come vuoi”.
Dopo
aver
aggiunto anche il proprio sangue, Keros mescolò con cura.
Poi si avvicinò ad
Ary e gli accostò il bicchiere alla bocca. Gli concesse solo
un sorso e poi
attese. Non accadde nulla, angelo e demone si fissarono perplessi.
“Dagliene
ancora" incitò Lucifero.
Il
principe concesse un altro sorso all'umano e poi
indietreggiò. Ancora nulla.
“Che
strano" commentò l'Arcangelo “Forse è
troppo diluito. Oppure…”.
Gli
occhi
di Ary si spalancarono di colpo. Keros sobbalzò e lo
chiamò per nome,
sfiorandogli la mano. Il battito cardiaco del mortale si faceva sempre
più
rapido, mentre con occhi vitrei fissava il vuoto. Sempre più
caldo al tatto e
rosso in viso, iniziava a far preoccupare tutti i presenti.
“Ary!”
urlò Keros “Dimmi qualcosa!”.
Il
mortale spalancò la bocca, come a voler urlare, ma non emise
alcun suono. Il
cuore era sempre più rapido, pompava ad un ritmo
pericolosamente sostenuto,
mentre il corpo dell'uomo si irrigidiva in tensione.
“Ary!”
chiamò di nuovo il principe e l'umano si rilassò
di colpo.
La
testa
coi lunghi capelli corvini ricadde di lato sul cuscino, chiudendo di
nuovo gli
occhi.
“Il
suo
cuore…” gemette il sanguemisto “Il suo
cuore si è fermato!”.
Scusate
il ritardo. Ma spero che la lunghezza
ripaghi l'attesa ;) a presto!
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Capitolo 64 *** Lo splendore delle stelle ***
64
Lo
splendore delle stelle
La
mente
di Keros si offuscò per qualche istante, sprofondando nel
buio. Si scosse,
imponendosi di reagire, e riprese lucidità.
“Ary!”
urlò, tentando di rianimarlo.
Mihael
e
Lucifero non parevano particolarmente sconvolti, abituati alla vista di
umani
morti o morenti.
“Sarebbe
morto comunque" fu il commento del re dei demoni, con il viso privo di
espressione.
Keros
si
voltò di scatto, dedicando al diavolo il peggior sguardo
possibile, con un
bagliore rossastro negli occhi.
“Lui
non
può morire!” esclamò il principe,
iniziando il massaggio cardiaco “Ci sono
troppe cose che devo dirgli. Ci sono troppe cose che deve ancora fare.
Non gli
permetterò di crepare adesso!”.
“Ammiro
la tua testardaggine" scosse la testa Lucifero
“Però ricorda che…”.
“Taci!”.
Keros
ignorò
ogni altra cosa, volendo solo far risvegliare Ary. Ma il tempo passava,
ed
ancora quel cuore non voleva saperne di emettere alcun battito.
Frustrato, il
principe batté forte i pugni contro il petto del mortale,
mentre calde lacrime
iniziavano a scendergli lungo le guance.
“Keros…”
tentò di dire Mihael, non sapendo bene che parole usare.
“Non
è
possibile!” si alzò in piedi il mezzodemone,
iniziando ad inveire contro
l'umano “Non puoi morire! Non dopo tutto quello che ho
scoperto! Non dopo tutto
quel che ho capito! Sono quasi impazzito, per un motivo o per un altro!
Sono
stato fra suore, preti, umani di ogni sorta, mezz’umani
assurdi e… ora? Non
puoi! Non ora che mi era parso di comprendere lo schema tracciato per
me! Non
te lo permetto! Sono un egoista del cazzo, porca puttana, ed ho bisogno
di te!
Ho bisogno di capire che tutto quel che ho fatto fin ora ha un senso e
che non
devo ricominciare tutto daccapo! Non ti azzardare a lasciarmi qui! Ary!
Ti
odierò per sempre se oserai crepare
così!”.
Gli
sguardi perplessi di Mihael e Lucifero si incrociarono, mentre Keros
accompagnava le sue ultime parole con uno schiaffo. Sconfitto, il
sanguemisto
tornò ad accoccolarsi accanto al letto, afflitto, cercando
di nascondere il
volto fra le lenzuola.
“Smettila
di singhiozzare" lo derise Lucifero “Alza la
testa!”.
“Vaffanculo"
biascicò Keros.
“Idiota…”
Il
principe rialzò la testa di scatto, ringhiando.
“Lasciami
in pace!” sibilò il sanguemisto, con volto cupo e
minaccioso.
Il
sovrano
scoppiò a ridere e l’ira del principe si fece
più accesa, trasformandolo nella
creatura dalle corna blu notte che erano soliti vedere gli abitanti
degli inferi.
“Come
puoi
ridere di questo?!” ringhiò il mezzodemone
“Pezzo di merda!”.
Il
giovane
fece per scagliarsi contro il re, che continuava a ridere, ma Mihael lo
afferrò
saldamente per un braccio. Ignorando le proteste, l’Arcangelo
tentò di calmare
il figlio con parole ferme e rassicuranti… che ovviamente
Keros ignorò!
“Ma
interrotti
il tuo cianciare iroso un attimo e guarda!” lo derise ancora
Lucifero,
indicando il letto.
Solo
in quel
momento il mezzodemone si voltò verso Ary. L’umano
era sveglio, e fissava i
presenti con aria interrogativa.
“Ary!”
riuscì a pronunciare il tentatore, probabilmente convinto di
sognare.
“Keros…”
rispose il mortale, con un filo di voce.
Il
principe
si avvicinò, stringendo finalmente la mano calda del proprio
amato. Riusciva chiaramente
a percepire un battito cardiaco forte, regolare: il suono
più bello che mai
avesse udito!
“Cosa…
cosa succede?” si chiese l’umano “Che
cosa è successo?! Perché ci sono loro
nella mia camera?”.
“Storia
lunga. Molto lunga” ammise Keros “Non so nemmeno da
dove iniziare! Ci sono
talmente tante cose che devo dirti!”.
“Già…”
borbottò Lucifero, fissando Mihael “E noi ce ne
dobbiamo andare, vero?”.
“Sì…
noi…
abbiamo molto da fare” biascicò di rimando
l’Arcangelo.
“Grazie”
disse loro il mezzodemone “Per tutto…”.
“Grazie,
qualsiasi cosa abbiate fatto” aggiunse Ary e Keros trattenne
una risata.
“Ho
i
papà migliori del mondo” ammise il vampiro
“Anche se a volte voglio ucciderli
entrambi…”.
“E…
i
bambini chi sono?”.
I
piccoli
ospiti, figli dei traditori, si erano affacciati per
curiosità ed il mortale li
aveva notati, non riconoscendoli.
“Ti
racconterò
anche questo. Ma partiamo dal principio…”.
Keros
narrò
tutto quel che aveva scoperto sulla famiglia di Ary, sul suo passato, e
tentò
di riassumere tutto quello che era successo in quei mesi di separazione.
“Mi
sei
mancato tanto…” mormorò, alla fine.
“E
quindi
io… ora cosa sono?” si sentì chiedere
dal padrone di casa.
“Non
lo
so. Suppongo che lo scopriremo presto…”.
“Pazzesco.
Il prete che mi ha cresciuto… è per
metà un demone?! Ed i miei antenati erano
demoni! Mi sembra così… assurdo!”.
Poggiato
con
la schiena contro la sponda del letto, il mortale fissava il soffitto.
Era turbato,
decisamente confuso, ed un pochino spaventato.
“I
tuoi
antenati sono in vita” lo corresse colui che aveva di fronte.
“Sono
in
vita…? Ma non mi hai appena detto
che…?”.
“I
tuoi
genitori sono morti, è vero. Ma altri della famiglia sono in
vita”.
“Ho
dei
parenti?! Demoni?!”.
“Esatto”.
“E
come
si chiamano?”.
“Il
parente più diretto che hai si chiama Alukah. È
il tuo bisnonno”.
“Alukah?!
Il demone vampiro di anime della Bibbia? Il tuo maestro?”.
“Esatto!”.
“Il
padre
del tizio di cui ti eri innamorato?”.
“Ehm…
già…”.
“Cioè…
tu
ti eri innamorato di mio nonno? Ok… è un
po’ strano…”.
“In
effetti…”.
“Ma…
pensiamo ad altro. Dici che questo mio parente voglia vedermi?
Conoscermi?”.
“Non
lo
so. Dipenderà anche da quel che succederà. Non so
quali saranno le conseguenze
del sangue di angelo e demone che hai in corpo…”.
“E…
quali
sono le possibilità?”.
“Sinceramente
non ne sono affatto sicuro. Non è una cosa che accade ogni
giorno. In linea di
massima, direi che potresti diventare demone. Dato che in parte hai
sangue
demoniaco dalla nascita, il potere mio e di Lucifero potrebbero
amplificarlo e
renderlo di tratto dominante. Dall’altro lato, invece,
abbiamo il sangue di
angelo. Quello non ho proprio idea di che possa fare”.
“Potrei
anche rimanere un semplice umano?”.
“Possibile
anche questo. Solo il tempo ce lo potrà dire”.
“Quanto
tempo, esattamente?”.
“Altra
cosa che non so…”.
Il
padrone
di casa fece un sospiro, mordicchiandosi il labbro inferiore. Odiava
l’idea di
non sapere quel che lo aspettava!
“E
Leonore?” domandò poi “Sta bene? Ed il
suo bambino?”.
“Stanno
entrambi bene e sono all’Inferno”.
“Lei
e
Lucifero sono… sposati?”.
“No.
Da quel
che ho capito, stanno progettando una cerimonia
d’incoronazione. Diverrà regina,
non sposa”.
“Mi
pare
una buona cosa, no? Lei ne è felice?”.
“Ary…
continui a farmi domande a cui non so rispondere!”.
“Non
fa
niente” rise l’umano “Sai…
sono molto felice! Devo ringraziarti per tutto. Non sapevo
nulla di me e ora conosco il nome dei miei genitori, ho un passato e
perfino un
parente! È il regalo più speciale che potessi
farmi, dico davvero”.
“E…
non
sei ancora arrabbiato con me?”.
“Arrabbiato?
Per…?”.
“Per
tutte le questioni che ci hanno fatto litigare. Le risse in casa con
Lucifero,
la mia gelosia, la piccola faccenda dei miei
figli…”.
“Sono
faccende
di cui torneremo a discutere, immagino. Ma sono così
sollevato! Credevo di non
rivederti più!”.
“Sapessi
io… mi sei morto davanti…”.
“Ma
ora
sono qui. Noi SIAMO qui. È questo quel che conta, giusto? Ed
insieme
affronteremo quel che verrà”.
“Certo…
qualsiasi cosa accada, qualsiasi conseguenza potrà portare
quel sangue, io
starò accanto a te. Ed ora basta fare i sentimentali. Sarai
stanco, immagino. O
affamato. Vuoi qualcosa da mangiare?”.
“Preparami
un po’ di tè, se non ti dispiace. Ho lo stomaco un
po’ sottosopra…”.
“Vado!”.
Keros
si
alzò dal letto e raggiunse la porta della camera. Si
voltò, con un sorriso sul
volto.
“Sai…”
disse, prima di scendere le scale per entrare in cucina
“…nei tuoi occhi ora si
vede l'intero splendore del cielo di stelle. Spero mi concederai di
guardarli per sempre!”.
“Non
fare
troppo lo sdolcinato. Altrimenti vomito!”.
“Come
darti torno? Arrivo subito…”.
I
primi
giorni trascorsero tranquilli. Il padrone di casa si stava riprendendo,
dopo il
lungo periodo di immobilità. Con qualche esercizio, iniziava
a potersi concedere
qualche ora in piedi senza troppo sforzo. Keros gli raccontava tante
cose, sulla
famiglia demoniaca e sulle creature dal sanguemisto. Intanto, tentava
di
continuare ad aiutare alcuni studenti. Il mezzodemone aveva comunicato
all’università
la decisione del mortale di prendersi un anno sabbatico, da dedicare
alle proprie
ricerche personali. Questo aveva permesso la presenza di uno stipendio
minimo,
cosa a cui Keros non aveva mai dovuto pensare prima di quel momento. Si
era
sempre arrangiato con questioni legate all’Inferno ma con Ary
aveva deciso di
seguire una strada più “terrena”.
“E
se poi
io diventassi un angelo?” aveva chiesto l’umano
“O una specie di zombie vampiro?”.
“Non
importa. Io starò accanto a te e vivrò come
te”.
“Gentile
da parte tua ma… non ti mancherà la vita da
principe?”.
“Ho
vissuto mesi in una grotta! Posso farcela a fingere di essere umano!
Mefistofele mi ha fatto lavorare nel bar ma, ti prometto, se tu
rimarrai del
tutto umano allora io mi comporterò come tale.
Sarò umano, almeno
apparentemente, finché vivrò qui con
te”.
“Ed
i
piccoli dei traditori?”.
“Sto
cercando di trovare una soluzione anche per loro. Una cosa alla
volta…”.
“Però…
devo dire che non mi sento molto umano, ultimamente”.
“Cioè?!”.
“Non
saprei. Una sensazione…”.
“Spiegati
meglio!”.
“Sono
più
sensibile. Agli odori, ai sapori, alla luce…”.
“Strano.
Ma
descrivimi queste sensazioni in modo più
dettagliato!”.
Ary
descrisse come poteva quel che provava, ma era difficile. Erano
entrambi seduti
sul divano, e fissavano il fuoco nel camino. Keros sosteneva che lo
aiutasse a
riflettere…
Non
passò
molto tempo prima che si sentisse bussare alla porta. I due si
fissarono,
perplessi. Era notte, fuori era buio e faceva molto freddo. Chi poteva
essere? Il
mezzodemone andò cautamente ad aprire.
Rimase
alquanto
stupito di vedersi davanti l’elegante vampiro che lo aveva
addestrato per secoli!
“Dunque
è
vero?” domandò Alukah.
“Che
cosa, maestro?” finse di non capire Keros.
“Che
qui
abita un mio nipote. È vero che un discendente del mio
adorato figlio Nasfer è
in vita?”.
“Sì…
però…”.
“Però
che
cosa?!”.
“Lui
è…”.
“Lo
so
che cos’è! Non mi interessa! Fammelo
vedere!”.
“Ma…”.
Alukah
entrò
in casa senza attendere altro. Keros era preoccupato. Che intenzioni
aveva il
suo antico maestro? Odiava gli umani, quasi quanto Lucifero! Eppure, in
quel momento,
il vampiro osservava il mortale in silenzio. Senza reazioni eccessive,
lo
osservava a distanza di sicurezza. Il mortale era seduto sul divano,
ancora
debole e piuttosto perplesso. Perché quel tizio inquietante,
vestito tutti di
nero e pallido da far spavento, lo fissava? E perché restava
in silenzio?
“Hai
gli
occhi dell’umana che lui amava tanto”
parlò infine Alukah “Hai lo sguardo che
tanto amava Nasfer. Sei davvero… mio nipote?”.
Ciao!
Sì, ci ho messo un po’ ad aggiornare. Purtroppo
l’influenza mi ha stesa. Sigh… cercherò
di recuperare!!
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Capitolo 65 *** Rinascere ***
65
Rinascere
All'Inferno,
il generale Asmodeo camminava per il palazzo reale quasi con noia.
Controllava
che tutto fosse in ordine, qualsiasi cosa questo termine volesse dire
all'Inferno. Con la testa pensava a molte cose. Non riusciva a stare
tranquillo
con la mente, fra Leonore futura regina e Keros mezzo Arcangelo. Dove
si
sarebbe andati a finire, continuando di questo passo? Se lo chiedeva,
trascinando i piedi lungo il corridoio. D'un tratto, udì
qualcuno cantare. Era
una voce femminile ed il demone ne fu incuriosito. Gli sembrava di
conoscere
quella canzone, ma proprio non ricordava dove l'avesse già
sentita. Seguì la
melodia e salì le scale in pietra, raggiungendo il piano
riservato al sovrano.
Sapeva che non doveva andarci, se non per emergenza, ma era troppo
curioso.
Aprì la porta in legno nero che lo divideva dal corridoio
dell'ala privata e
capì che a cantare era Leonore, con in braccio il principino
Espero. La donna
camminava avanti ed indietro, tentando di far addormentare il piccolo.
Il
demone rimase nascosto, in silenzio. Il canto proseguiva ed Asmodeo si
sentì
piuttosto stordito. Ricordi lontani si stavano destando nella mente del
generale e lo facevano sentire a disagio. Che strana
sensazione… Quelle parole…
Lei era di schiena e si muoveva lentamente, avvolta in un morbido abito
con lo
strascico color della notte. I capelli biondo scuro risaltavano ed
erano ricchi
di onde e nastri. Di colpo, smise di cantare e si voltò
verso Asmodeo. Nella
penombra, gli occhi di entrambi brillarono intensamente.
“Che
succede?” si allarmò lei, ricordando che ad
Asmodeo era proibito trovarsi lì,
se non per emergenza.
“Nulla!”
si affrettò a rispondere il generale “Sono passato
a controllare perché… mi era
sembrato di percepire qualcosa di strano ma… mi
sbagliavo!” mentì.
“Meno
male! Mi sento davvero molto rassicurata dall'idea che ci sia tu a
vegliare”.
“Mi
lusingate. Ma… posso fare una domanda?”.
“Certamente”.
“Quella
canzone… dove l'avete imparata?”.
“Non
te
lo so dire, mi dispiace. La conosco da sempre.
Perché?”.
“Nulla…
Non importa. Meglio vada…”.
Imbarazzato
ed impacciato, il generale si allontanò in fretta e
tornò al piano terra. Aveva
alcuni dubbi da togliersi dalla testa…
Alukah
continuava ad osservare Ary, cercando di levarsi ogni
perplessità possibile
dalla mente. Quell'umano era strano, per essere un mortale. Keros,
ancora
sospettoso, non si fidava e voleva capire le reali intenzioni del
maestro.
Restava in piedi, a braccia incrociate, mentre l'ospite ed il padrone
di casa
sedevano su divano e poltrona.
“Cosa
vi
ha spinto a cambiare idea?” chiese il sanguemisto
“Fino a non molto tempo fa,
ricordo che schifavate gli umani e la loro esistenza".
“Vero"
ammise Alukah, candidamente “E, all'inizio, non provavo
sentimenti diversi per
la situazione attuale.
Solo
l'idea di avere un erede di sangue mortale mi disgustava. Ma poi ho
udito delle
voci. Tutto il regno ha iniziato a parlare del mezzo umano bastardo che
ha
difeso con coraggio la futura regina ed il neonato figlio del re. Ci
vuole
fegato, per fare una cosa simile. Tutti discutevano di quanto avvenuto,
lodandoti ammirati. Così mi son detto che non poteva essere
poi così male
questo mio erede… Coraggioso, forte e leale! Poi sei
sopravvissuto al morso di
demoni velenosi, quindi non puoi essere un misero, flaccido e
smidollato umano.
Di quelli di cui mi nutro volentieri".
“Ma
che
razza di discorsi…” incrociò le braccia
il principe.
“Poi
ha
rubato il cuore al mio allievo, che so non essere uno sprovveduto.
Siete di
gusti difficili, altezza, perciò quest’uomo
dev'essere davvero speciale!”.
“Lo
è.
Ma…”.
“Sei
geloso? Tranquillo… non te lo porto via!”.
“Ci
mancherebbe altro!”.
“Iniziamo
con le presentazioni. Ancora non so qual è il tuo nome,
umano".
“Il
mio
nome? Ary. Ary va benissimo" riuscì finalmente a parlare il
padrone di
casa.
“Ary?
Non
è un nome molto demoniaco…”.
“È
il
nome che mi è stato dato…”.
“Che
ne
dici di… Arikien? Il diminutivo è sempre Ary, ma
con una diversa
etimologia".
“Che
significa?”.
“È
un
numerale" spiegò Keros “Significa: il primo. In
effetti, saresti il primo
umano a cui accadono certe cose".
“Non
mi
dispiace come nome".
“Usalo
pure, allora" sorrise Alukah.
“Quindi,
stando a come si organizza il mondo demoniaco, voi siete il patriarca
della
famiglia?”.
“Non
usiamo il termine patriarca" corresse il vampiro, incrociando le mani e
piegandosi in avanti con un mezzo sorriso “Anche
perché, nel nostro caso, non
calzerebbe molto. Io sono figlio di Lilith, perciò il
capostipite della
famiglia è lei. È lei la prima gemma del nostro
grande albero di
famiglia".
“Lilith?!
Wow. Sono… onorato. E poi? Ho altri parenti in
vita?”.
“Molti.
Ho due figlie, che hanno molti figli. E Lilith ha un lungo elenco di
eredi. Se,
come si dice, in te si risveglierà sangue demoniaco, potrai
conoscerne
qualcuno”.
“E
se non
mi risvegliassi come demone?”.
“Non
sarebbe per me un problema. Ma per molti altri demoni
sì…”.
“Quindi…
come agiamo? Come si fa a capire?”.
“Potremmo
provare con l'addestramento dei piccoli. A volte, anche fra i cuccioli
demoniaci non si comprende bene che ruolo possano avere. Con qualche
piccolo
esercizio si potrà capire…”.
“E
non
sarà pericoloso?” si allarmò Keros.
Alukah
rispose con una risatina divertita. Di certo non voleva mettere in
pericolo un
suo erede! Doveva solo organizzare qualche esercizio…
“E
perché
Asmodeo era nelle tue stanze?” si chiedeva, perplesso,
Lucifero.
Leonore
aveva raccontato lo strano incontro avvenuto poche ore prima, con un
sorriso.
Trovava divertente la gelosia del sovrano e si divertiva a stuzzicarlo,
ora che
lo aveva tutto per sé in camera.
“Diceva
di aver percepito un pericolo. E si era sbagliato. È stato
molto gentile…”.
“Gentile?
Asmodeo? Se lo dici tu…”.
“Non
è
successo niente! Non mi ha nemmeno sfiorata”.
“Devi
stare
più attenta. Sei all'Inferno, non alla fiera di
paese!”.
La
donna
storse il naso, leggermente infastidita. Il bambino dormiva nella culla
e lei
si svestì, per indossare la camicia da notte. Sciolse i
capelli e sistemò la
candida veste ricamata. Lucifero la osservava, in silenzio. Non
riusciva a
distogliere lo sguardo da quelle curve sensuali, da quel seno
arrotondato e
quella pelle candida. Come poteva trovarla ogni giorno più
bella? Leonore notò
quello sguardo e sorrise.
“Sembri
un angelo, sai?” mormorò il demone.
“Ed
è un
bene o un male?”.
“Decidi
tu…”.
Il
sovrano si avvicinò e le diede un bacio.
“Ti
stai
abituando a vivere qui? È un bel cambiamento rispetto al
mondo umano…”.
“Smettila
di chiedermelo. Il mio posto è accanto a te, ovunque tu
sia…”.
“Ovunque
io sia…”.
Quelle
parole… Erano così familiari e così
dolci! Leonore continuò a sorridere e
rispose al bacio del re.
“Sto
imparando a ballare, sai?” mormorò, facendosi
abbracciare.
“Per
me?”
rispose Lucifero.
“Per
la
cerimonia d'incoronazione. Voglio sia tutto perfetto!”.
“E
lo
sarà. Al massimo mi pesterai i piedi…”.
“Idiota!”.
Risero
entrambi. Leonore si fermò ad osservare il sovrano che si
preparava per
concedersi un po' di riposo, e sbottonava la camicia senza distogliere
lo
sguardo dalla donna. Lei sedette a letto e si mordicchiò il
labbro inferiore.
“Non
rivestirti" gli sussurrò.
“Come
tu
ordini" ghignò il demone, raggiungendola.
La
veste
leggera che copriva la donna si scostò facilmente fra le
dita di Lucifero.
Attenti a non svegliare il prezioso erede, iniziarono a fare l'amore
con
dolcezza.
“Ti
amo.
Ti amo tanto" mormorò Leonore, stringendo forte il demone a
sé.
Lucifero
non rispose a quelle parole. Sorrise, donando alla futura regina
ciò che in
quel momento desiderava di più: un intenso ed
indimenticabile piacere.
Il
mondo
umano non era il luogo preferito di Asmodeo, lo doveva ammettere.
Gironzolava,
in attesa. Sapeva che sarebbe comparso, prima o poi. Doveva farlo! Non
dovette
attendere molto prima che una luce attirasse la sua attenzione. Alzando
li
occhi, si trovò davanti la veste e lo sguardo color ametista
di Rapahel.
Ogni
angelo aveva il proprio demone e Raphael aveva proprio Asmodeo come
nemesi.
Sbirciò il generale con sospetto. Che ci faceva nella notte,
in mezzo alla
città, solo? Che aveva in mente?
“Scendi"
ordinò Asmodeo “Devo parlare con un angelo".
“Come
sei
scortese. Come mai sei qui?” rispose l'Arcangelo, poggiando i
piedi a terra.
“Ho
una
domanda da farti, angioletto. E spero di ricevere una risposta
esaudiente".
“Una
domanda?! Che cosa strana…”.
“Vieni
con me".
Asmodeo
si incamminò lungo la strada illuminata. Pochi mortali la
percorrevano, vista
l'ora tarda. Angelo e demone si confondevano fra loro, celando il loro
vero
aspetto. Per sfuggire dal freddo dell'inverno, il generale
trascinò l'Arcangelo
in uno dei tanti locali notturni di quella città umana.
Raphael era a disagio,
ed accettò con riluttanza, ma era suo compito capire quel
che aveva in mente
l'abitante degli Inferi.
“Che
vuoi
chiedermi, diavolo?” borbottò l'Arcangelo
“Sbrigati, che me ne torno a casa”.
“Promettimi
solo che non ne parlerai troppo in giro".
“Non
faccio promesse ai demoni. Dovresti saperlo…”.
“Bene.
Fa
come vuoi…”.
“Dimmi
quel che vuoi sapere. Vediamo che posso fare".
“Io…
Mi
chiedevo… Dove vanno gli angeli, quando muoiono?”.
“Gli
angeli non muoiono. E tu lo sai”.
Asmodeo
attese qualche istante. Si era ordinato un superalcolico, mentre
Raphael si
gustava un latte macchiato, fra lo sguardo ironico dei mortali
presenti.
“A
volte
succede. E tu lo sai…” ribatté il
generale.
L'Arcangelo
distolse lo sguardo, concentrandosi su alcuni quadri di dubbio gusto
appesi
alle pareti.
“Sai
che
è successo, Raphael” incalzò Asmodeo.
“Lo
so.
Che ti devo dire?” sbottò Raphael.
“Lei…
lei
è tornata da Dio?”.
“Lei…”.
“Sophia”.
“Lo
so.
Ma non posso rispondere. Non la vedo in Cielo, non la percepisco.
Perciò non so
dirti dove sia e cosa le sia successo".
“E
se…
fosse rinata?”.
“Rinata?!
Ma la rinascita non rientra fra i dogmi esistenti nel nostro
mondo!”.
“Lo
so!
Ma non sappiamo cosa succede, giusto? Potrebbe essere!”.
“Ma
come
ti vengono in mente certe idee?! Hai bevuto?!”.
“Sì,
ho
bevuto. Ma le mie idee non hanno niente a che fare con l'alcol!
Potresti dirmi,
con assoluta certezza, che non possa succedere? Puoi dire con totale
convinzione che mai e poi mai un angelo potrà rinascere dopo
la morte?”.
“Io…
E
come faccio a dirlo?! Certe cose le sa solo Dio! Solo Dio
può avere simili
certezze".
“Ma
comunque Sophia non è con Dio…”.
“Non
mi
risulta. Ma perché lo chiedi?”.
“Quella
donna… io quella donna la vedo, e la sento. L'ho sentita
cantare e… quella
canzone era una canzone del Cielo! Nessun umano dovrebbe conoscerla.
Eppure
lei…”.
“Non
so
di chi parli".
“Di
quella femmina! Quella che ha avuto un figlio con Satana".
“Ah.
Magari è stato lui a cantare. E lei l'ha
imparata…”.
“No.
Lei
mi ha detto di conoscerla da sempre! Poi come ha potuto una semplice
mortale
avere un figlio con il Diavolo? E l'hai vista? Come si muove, come
parla, come
ti guarda…”.
“Se
questa umana fosse la rinascita di Sophia, dovrebbe essere una creatura
angelica. No? Non un demone! Non ha molto senso che viva
all'Inferno!”.
“Non
so…
Sono confuso…”.
Raphael
era perplesso. Per lui era troppo assurdo che Sophia fosse rinata in
una
semplice umana, poi diventata una demone fattrice di piccole creature
tartariche. Fissava la tazza ormai vuota di latte macchiato, mentre le
luci e
la musica del locale lo stordivano. Come potevano i mortali divertirsi
tanto in
un luogo simile? Al tavolo di fronte, un gruppo di ragazze osservava
angelo e
demone con risatine interessate. L'Arcangelo non colse la cosa,
nonostante i
suggerimenti di Asmodeo, e finse indifferenza. Il demone, al contrario,
si alzò
ed invitò a ballare le fanciulle. Raphael rimase ad
osservarli. Vedeva il suo
nemico muoversi con sicurezza, comprendere perfettamente ogni
comportamento
umano e reagire di conseguenza. Reggendosi la testa con la mano
sinistra,
l'Arcangelo rimase quasi affascinato. I demoni erano in perfetta in
sintonia
con il mondo mortale! Era mai possibile che i diavoli fossero connessi,
molto
più degli angeli, con gli umani? Possibile che il Cielo si
fosse allontanato
così tanto da quelle creature?
“Tutto
a
posto, tesoro?” domandò una cameriera in jeans e
maglietta corta.
“Sì”
annuì Raphael “Portami un White Russian.
Abbondante. E per il mio amico un
White Lady…”.
Ogni
giorno che passava, Ary si sentiva sempre più in forze.
Passava il tempo
leggendo storie ai bambini dei sovversivi e cercando di capire quali
cambiamenti avvenivano in lui. Si era accorto di alcune cose, ma Keros
lo
teneva buono. Aveva come ordine di stare tranquillo fino a completo
recupero
fisico. Nel frattempo, il mezzodemone cercava di proseguire il
più possibile
con la vita da umano. Era stufo, fra commissioni, spese e mortali con
cui avere
a che fare. Ma alla fine tornava a casa e sorrideva, vedendo Ary.
Quella sera,
era rientrato abbastanza tardi. Aveva trovato il padrone di casa
davanti al
fuoco, avvolto in una coperta, concentrato su un libro.
“Com'è
andata oggi?” chiese Ary, mentre Keros toglieva la giacca e
le scarpe.
“Una
rottura di palle" ammise il sanguemisto “Ma se è
così che vive un
mortale…”.
“Ma
vivere così non ti rende infelice? Insomma… devi
fingere di essere un umano
e…”.
“Smettila.
Dove ci sei tu, ci sono io. E va bene così. I
bambini?”.
“A
letto”.
“Ottimo…”.
“Senti…
pensavo… Io mi sento bene. Non è che potrei
iniziare a seguire quella specie di
addestramento di cui parlava Alukah?”.
“Ne
sei
sicuro?”.
Sbadigliando,
Keros si accoccolò accanto ad Ary, che lo baciò
con un sorriso sornione. Il
mezzodemone lo lasciò fare, felice di essere finalmente
rientrato a casa. I
baci si fecero sempre più appassionati.
“Ok…”
si
scostò il principe “Basta così. Sono un
po' stanco…”.
Ary
non
ascoltò e riprese i suoi baci, stringendo forte il proprio
amato.
“I
bambini…” mormorò il sanguemisto,
iniziando a rispondere a quei baci.
“Dormono…”.
“Si
sveglieranno…”.
“Alla
loro età tu, come demone, hai visto di peggio”.
“Ah…
io…”.
Keros
non
riusciva a trovare altre scuse.
“Lascia
che ti dimostri che sto bene" ghignò Ary “Come
discendente delal Succubus
Lilith, è mio compito avvolgerti dal piacere, amor
mio!”.
Senza
rispondere,
il sanguemisto si lasciò amare.
“Mi
sei
mancato" ammise, mostrando le ali.
Keros
si
era risvegliato qualche ora più tardi, steso davanti al
fuoco che stava per
spegnersi. Lo ravvivò allungando la mano, usando il proprio
potere demoniaco, e
si sciolse dall'abbraccio con Ary. Aveva udito un rumore e
cercò di capire cosa
fosse.
“Simadè!”
lo riconobbe, lungo il corridoio.
“Scusate
se non mi sono annunciato…”.
“Fa
niente. Hai scoperto dove sono i miei figli?”.
“Hem…
sì…”.
“Ottimo!”.
“Non…
non
avete freddo?”.
Il
principe si accorse di essere mezzo nudo e ridacchiò
divertito. Poi rifletté un
attimo.
“Simadè…”
parlò poi “Non è che tu per caso sai
spiegarmi come usare la lavatrice?”.
Rieccomi
con l'aggiornamento del lunedì :3
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Capitolo 66 *** Studiare ***
66
Studiare
Rientrando
a casa alcune ore dopo il tramonto, Keros sorrise nel vedere Ary alle
prese con
i compiti. I piccoli demoni, grazie a Tabihira, imparavano la lingua e
la
scrittura degli Inferi. Il mortale partecipava volentieri alle lezioni,
imparando a sua volta.
“State
facendo i compiti?” salutò il mezzosangue.
Ary
annuì
e notò dietro a Keros quattro bambini.
“Potete
mostrarvi per quel che siete adesso" mormorò il principe, ed
i piccoli svelarono
ali, code ed altri tratti demoniaci.
“Altri
piccoli sperduti?” domandò il padrone di casa.
“No.
Volevo presentarteli. Questi sono i miei figli".
Il
mortale rimase senza parole, per qualche istante. I quattro cuccioli,
abbigliati come dei normalissimi esseri umani, si guardarono attorno.
Con ali e
code celate, li si poteva scambiare per dei bambini qualsiasi.
“Piacere
di conoscervi" salutò Ary.
Nasfer
fu
il primo a muoversi, allungando la mano verso il padrone di casa e
stringendogliela.
“Io
sono
Nasfer" si presentò, con educazione, il bambino.
Ary
notò
nel bimbo lo stesso sguardo ambrato di Keros, anche se in parte celato
dietro
un ciuffo di capelli scuri.
“Tu
devi
essere Carmilla" ipotizzò l'umano, indicando la piccola dai
capelli rossi.
L'unica
del gruppo senza ali, lei annuì e distolse lo sguardo viola.
“E
loro
sono Vixa e Kaya” concluse Keros, indicando due bambine
identiche.
Le
principesse si inchinarono. Non vi era alcuna differenza fra loro.
Stessi
capelli verde scuro, stessi occhi violetti, stessa fisionomia.
“Resteranno
con noi?” si incuriosì Tabihira.
“Vedremo…”
ammise Keros, dubbioso “Per stanotte
sì…”.
Il
mezzodemone prese gli zainetti che i bambini portavano con loro e li
sistemò
all'ingresso, mentre i piccoli esploravano la casa.
“Grazie.
Significa molto per me conoscerli” esclamò Ary.
Nasfer
si
unì agli altri cuccioli, approfittandone per fare qualche
esercizio di
scrittura, mentre il mortale osservava i comportamenti degli ultimi
quattro
arrivati. Vixa e Kaya erano visibilmente curiose, coinvolte dalla
situazione, e
facevano mille domande a tutti. Chiedevano nomi, provenienza,
età e molte altre
cose come ad esempio cos'erano determinati oggetti ed a cosa
servissero.
Carmilla era invece molto più interessata ad Ary e voleva
parlarci, per
conoscerlo meglio. Nasfer ignorava tutto e tutti e continuava a
scrivere su un
quadernetto, in silenzio. Ad Ary sembravano troppo piccoli per
andarsene in
giro per il mondo, lontani dai genitori, ma pareva che per i demoni
fosse
normale.
“Che
ne
dite se prepariamo un dolce?” propose Keros, scatenando
immediatamente l'entusiasmo
di molti bimbi.
Carmilla
si mostrò subito molto interessata e si avvicinò
al padre per aiutare. Le
gemelle invece iniziarono a giocare fra loro, assieme a qualche altro
cucciolo,
correndo e ridendo. Dividendosi i compiti, si iniziò a fare
l'impasto, con
uova, latte, farina e tutto il necessario. Non seguendo una ricetta,
Keros
improvvisava con quel che c'era in casa. Quasi tutti i compiti sul
tavolo
sparirono, per lasciare spazio a zucchero e teglie. Nasfer
sospirò, senza però
smettere di scrivere.
“Vieni"
lo invitò Ary, chinandosi sul bambino “Ti serve un
posto più tranquillo,
giusto?”.
Il
cucciolo era dubbioso, ma alla fine seguì il mortale nello
studio. Il padrone
di casa fece un po' di spazio, liberando un angolo della scrivania, ed
invitò
il principino a prendere posto. Lì tutto era più
calmo, silenzioso, e quindi
più adatto a fare i compiti.
“Sei
molto bravo" si complimentò Ary “Scrivi molto
bene".
“Grazie…”.
“Non
ti
piace l'idea di preparare una torta con tuo padre?”.
“No.
Non
è una cosa da demone".
L'umano
si stupì. Nasfer era già di nuovo chino sul suo
quaderno, concentrato.
“Perché
non è una cosa da demone?”.
“Perché
dovrebbe esserlo?”.
“Non
lo
so. Ma secondo te cos'è una cosa da demone?”.
“Tu
sei
un umano. Non puoi capire…”.
“Vuoi
sapere come la penso io?”.
“Come
vuoi… questa è casa tua, comandi tu".
“Secondo
me essere un demone significa fare quello che si vuole. Ragionaci un
attimo:
gli angeli non possono agire in determinati modi, perché
altrimenti cadono e
vengono puniti. Gli umani, allo stesso modo, vengono mandati
all'Inferno. I
demoni invece possono fare quel che vogliono. Fare il demone
perciò, per me, è
agire come si vuole e quando si vuole".
Nasfer
arricciò la coda, sollevando la penna e la testa. Poi
sorrise, finalmente.
“Forse
hai
ragione" ammise “Allora diciamo che ora preferisco fare
esercizi di
scrittura. Però poi la torta vengo a mangiarla".
“Ottimo!
Ora ti lascio tranquillo a studiare. Chiudo la porta?”.
“Grazie".
Finito
il
dolce, Keros decise di portare a caccia i piccoli che lo desideravano.
Rimasero
in casa solo i privi di tratti da vampiro, come Vixa e Kaya, ed Ary li
aiutò a
prepararsi per andare a letto. Una volta spente tutte le luci,
l’umano uscì per
concedersi una sigaretta. Amava il silenzio della notte, la calma e le
ombre
inquietanti che creava la foresta. Girò lo sguardo verso gli
alberi, percependo
qualcosa che non riusciva ad interpretare. Udì un fruscio
lieve e preferì
gettare la sigaretta, concentrandosi su quel che lo circondava.
“Mi
vedi?” domandò una voce che pareva provenire da
ogni luogo.
Girando
il viso, Ary si fermò, rivolto verso un punto preciso.
“Sì”
ammise “Ora sì. Buonasera, Alukah".
Il
vampiro si avvicinò e raggiunse il mortale, con un ghigno
soddisfatto. Nel buio
totale, non era molto normale che un umano vedesse qualcosa.
“Giochiamo
un po'?” propose il vampiro “Vediamo di svegliare
il tuo sangue".
Ary
accettò, anche se non sapeva bene cosa intendesse Alulah per
“giocare". Lo
seguì fra gli alberi ed attese. Il vampiro sfidava il
mortale ad individuarlo
nel buio, tentando di utilizzare al massimo i sensi. Era un ottimo
esercizio ed
Ary si accorse di poter migliorare velocemente. Dall'occhio sinistro,
nell'oscurità, vedeva molto meglio. Conosceva bene i rumori
usuali della
foresta, perciò fu relativamente facile per lui individuare
suoni strani o
insoliti. Lui ed Alukah si inseguirono per un po', fino a quando
l'umano non
mostrò una certa stanchezza.
“Non
esageriamo" si fermò il vampiro “Inutile fare
sforzi inutili. Ad ogni
modo… non puoi considerarti del tutto un semplice mortale.
Vedi e percepisci in
modo diverso, te ne sei accorto?”.
“Sì…”
annuì
Ary, continuando a guardarsi attorno, stupendosi della propria vista.
“E
stai
diventando più veloce. Secondo me, con un esercizio
quotidiano, diventeresti
molto più bravo. Te la senti?”.
“Io
sì.
Ma Keros…”.
“Keros
è
un tantinello iperprotettivo. Ma se migliori non potrai che
dimostrargli che
non deve temere nulla!”.
“Forse…”.
“Sei
un
adulto, no? E poi non ha motivo alcuno di rompere. Lui, piuttosto,
dovrebbe
pensare a terminare il proprio percorso di studi…”.
Ary
non
ribatté. Si sentiva un po' in colpa per quel fatto,
consapevole di essere lui
l'anima speciale che Keros doveva condurre all'Inferno. Ammettendo di
essere
stanco, si congedò da Alukah e rientrò in casa.
“Io
non
sono iperprotettivo” sibilò Keros, nell'ombra
della cucina lasciata a luci
spente.
“Vuoi
farmi morire d'infarto?!” sobbalzò Ary, chiudendo
la porta d'ingresso e
togliendo la giacca “Da quando sei rientrato?”.
“Da
una
mezz'ora. Vi stavo spiando".
“Ah…
Buona caccia?”.
“Abbastanza
da riempire i pancini, sì. Tu ti sei divertito?”.
“Sì
ma ora
ho proprio bisogno di dormire. Se c'è posto a
letto… stiamo un po'
stretti".
“È
una
situazione temporanea".
“Lo
so.
Ma pensavo che, volendo, potremmo vendere questa casa e quella al mare
che ci
ha regalato Lucifero. E comprarne una più grande dove ci
stiamo tutti. E così
potrai tenere i tuoi figli con te…”.
“Io
non
posso far loro da insegnante. Non finché non avrò
passato l'esame finale.
Perciò presto dovrò affidarli di nuovo ai loro
maestri. Ma ho visto che la
mansarda piace ai nostri piccoli ospiti. L'hanno trasformata nel loro
regno
segreto".
Il
padrone di casa rise, salendo le scale e raggiungendo la camera da
letto nel
buio.
“Non
dormi?” mormorò Keros.
Aprendo
gli occhi, aveva notato che colui che aveva accanto non stava affatto
riposando.
“Non
ci
riesco” ammise Ary.
“Che
succede?” si tirò su a sedere il mezzodemone,
sbadigliando “Brutti sogni?”.
“No.
È
che… è tutto così strano!”.
“Che
cosa
è strano?”.
“Mi
sembra che sia tutto più luminoso. E tutto più
rumoroso!”.
“Sono
i
tuoi sensi di demone che si acuiscono. Ti ci dovrai abituare,
temo”.
“Ma
è
terribile!”.
“Prova
con dei tappi per le orecchie. Purtroppo non so che altro
suggerirti…”.
Ary
si
rigirò nel letto, nascondendo la testa nel cuscino. Keros
uscì silenziosamente
da sotto le lenzuola e raggiunse la cucina. Tentando di fare meno
rumore
possibile, preparò un infuso con varie erbe che aveva messo
ad essiccare. Con
estrema cautela, risalì di nuovo le scale e
rientrò in camera. Cercò di capire
se Ary fosse riuscito ad addormentarsi. Poggiò la tazza sul
comodino,
producendo solo un lieve tintinnio. A quel suono, il padrone di casa
reagì e
saltò, atterrando il mezzodemone per terra. Keros rise.
“Cos'è?
Un nuovo gioco?” ridacchiò il principe, poi
notando lo strano sguardo di chi lo
attaccava “Sono io!”.
Di
risposta, ebbe solo un ringhio sommesso.
“Ary!
Calmati. Va tutto bene!”.
Keros
si
divincolò, tentando di sfuggire a quella presa. Ma il suo
temporaneo avversario
era molto più grosso e pensante di lui, e non riusciva
proprio a liberarsi.
Tentò di farlo ragionare ancora per un po' e poi
usò metodi molto meno
delicati.
“Finiscila!”
sbottò, spingendo Ary contro il muro.
Subito
però venne attaccato di nuovo e fu costretto a difendersi.
Doveva ammetterlo:
era molto più veloce e forte di un umano! Non era
più un umano! E lo aggrediva
con sempre maggior furia, con quell'unico occhio tinto di rosso. Con un
ulteriore scatto, Keros si sentì mordere sul collo. Erano
denti acuminati, di
chi provava urgenza di nutrirsi e desiderava sangue caldo.
“Ah!
Avevi fame!” sorrise Keros “Potevi
dirmelo…”.
Ary
gradatamente si stava calmando, ad ogni sorso, allentando la presa e
rilassandosi. Quando fu soddisfatto, si leccò le labbra e
rimase qualche
istante ad osservare Keros, che aveva costretto a stendersi a letto.
L'occhio sinistro
demoniaco era ancora leggermente iniettato di sangue, mentre il destro
pareva
molto spaventato. Il mezzodemone sorrise, rassicurando il suo compagno
con un
bacio. Lo sguardo del padrone di casa era smarrito, confuso, come se
non
capisse quel che stava succedendo. Poi Ary sogghignò, con un
guizzo demoniaco
in una delle iridi. Keros inclinò la testa, invitandolo a
bere altro sangue. Ma
non ricevette un morso, bensì un bacio: un caldo bacio
appassionato. Disteso,
si lasciò sottomettere senza opporre alcuna resistenza.
Ricordava le prime
volte in cui l'estasi del sangue aveva preso il sopravvento, in cui i
suoi
sensi si erano appannati e si erano interamente concentrati sul
desiderio e
sulla lussuria. Ricordava quella volta… quel bacio dato a
Nasfer, ormai più di
mezzo millennio prima. Ricordava il profumo di quel bacio ed ora quel
profumo
lo percepiva di nuovo.
Già
non
molto coperto, lasciò che Ary lo svestisse, con una certa
foga. Lo strinse
forte a sé e sorrise. Era diverso, era tutto diverso.
Più selvaggio, più
violento… più demoniaco! Sapeva che era il sangue
a provocare una simile
voglia, un così incontrollabile vigore, e lasciò
libero sfogo all'erede di
Alukah. Probabilmente stavano facendo un po' troppo rumore, fra il
cigolio del
letto e le varie esclamazioni di piacere, ma a nessuno dei due
importava più di
tanto. Ary di colpo inarcò la schiena, con un lieve ringhio,
e poi affondò di
nuovo i denti nel collo di Keros. Quel gesto, unito al poderoso e
deciso
movimento del bacino, lasciò il mezzodemone senza fiato per
qualche istante.
Poi non riuscì più a trattenersi e
lanciò un gemito di piacere, raggiungendo
l'orgasmo. Anche l'amante gemette, ma in modo diverso. Il suo fu
più un grido,
di piacere ma anche di dolore. Si portò la mano alla testa,
non capendo perché
ci vedesse del sangue, e si udì un rumore sordo, mentre
alcune cose caddero
dalle mensole.
“Oh,
mio
demone!” sorrise Keros, ancora affannato.
Lui
le
vedeva. Keros vedeva le ali che si erano spalancate sulla schiena di
Ary! Così
come intravedeva quell'accenno di corna che tanto infastidivano il
padrone di
casa.
“Andrà
tutto
bene" mormorò, stringendo l'ormai non più umano
fra le braccia “Ora dormi
accanto a me, mio meraviglioso amore".
Le
parole
del principe parvero calmare Ary, che si rilassò
completamente ed in breve
tempo si addormentò. Il sanguemisto sorrise di nuovo.
Com'era felice in quel
momento! Ary, il suo Ary, non era più un semplice mortale!
“Non
ti
perderò” sussurrò piano
“Rimarrai per sempre accanto a me!”.
Nei
giorni successivi, Ary tentò di abituarsi gradatamente alle
novità. Il suo
corpo cambiava, così come il suo modo di percepire le cose.
All'inizio si era
chiesto se fosse colpa degli incidenti di Keros con la lavatrice, ma
poi aveva
dovuto arrendersi all'evidenza: le camicie gli stavano tutte piccole
non perché
si fossero ristrette con il lavaggio sbagliato, ma perché
lui era diventato più
grosso! Si nutriva esclusivamente del sangue del mezzodemone, non
sentendosi
ancora pronto ad affrontare l'assassinio, e così attendeva
in casa da solo
durante le battute di caccia del vampiro. Una di quelle notti,
percependo un
rumore, si ritrovò davanti un paio di fin troppo sensuali
occhi viola.
“Buonasera,
signorina" salutò educatamente, aprendo la porta d'ingresso.
“Da
cosa
intuiresti che io sono una signorina?” si sentì
rispondere, con tono leggermente
infastidito.
“Non
so…”
ammise Ary, in imbarazzo “È che mi sembrate
piuttosto giovane".
“Ti
ringrazio. Ad ogni modo… dov'è Keros?”.
“Keros
è
fuori adesso. Ma potete aspettarlo in casa, se volete”.
“Sono
qui
per riprendermi i miei figli. Non li avrà mica lasciati soli
con te, vero?!”.
“Sì. Cioè…
non tutti…”.
“Non
tutti?!”.
“È
fuori
a caccia. Ha lasciato a casa Vixa e Kaya".
“E
perché?!”.
“Perché…
loro non sono demoni vampiro…”.
Il
padrone di casa, sentendosi inspiegabilmente aggredito, si
accigliò con aria
perplessa. La donna, che camminava lungo il corridoio d'ingresso, si
guardava
attorno. Si chiedeva come potesse un principe, abituato agli sfarzi del
palazzo
reale, vivere in luogo così… umano! Storse il
naso, probabilmente disgustata.
Ary notò quell'espressione ed iniziò ad
innervosirsi. Ma qualcosa gli impediva
di essere aggressivo con quella femmina… Lei si
accomodò in cucina,
accavallando le gambe su una sedia e fissando l'orologio appeso al
muro. Con
una mano allungata sullo stivale che le arrivava oltre al ginocchio,
decise di
attendere lì il padre dei suoi figli. Non dovette attendere
molto, con sommo
sollievo di Ary che non sopportava quel silenzio. Keros
entrò in casa, usando
le chiavi, con davanti a sé i cuccioli vampiri della casa.
Davanti a tutti
stava Nasfer, che notò la madre e si lasciò
sfuggire un’espressione mista fra
la preoccupazione e la rassegnazione. Carmilla salutò con la
mano. Gli altri
piccoli si avviarono lungo le scale, pronti a dormire con il pancino
pieno.
“Keros!”
sbottò la donna, alzandosi.
“Lilien…”
si limitò a rispondere lui, con calma, togliendosi la giacca.
“Che
cosa
pensi di fare? Perché i miei figli non sono con i loro
maestri?”.
“Rilassati…
È una situazione temporanea!”.
“E
con
quale diritto li hai sottratti dagli addestramenti?!”.
“Sono
i
miei figli!”.
“Ed
anche
i miei!”.
Ary,
intuendo che la situazione sarebbe stata poco piacevole per i bambini,
li prese
con sé e li accompagnò in salotto. Accese la
radio, coprendo la voce dei
genitori che litigavano, e tentò di distrarli con dei
disegni.
“Non
coinvolgere i miei figli nella tua stramba vita mezza umana!”
ringhiò Lilien.
“Qui
di
umano non c'è praticamente più nulla. E comunque
sono affari miei. Sono anche i
miei piccoli, e voglio passare del tempo con loro”
ribatté Keros, chiudendo la
porta della cucina.
“E
perché?!”.
“Perché
sono i miei cuccioli! Ed a loro non dispiace stare con me".
“Ma
tu
non puoi addestrarli! Non hai passato l'esame finale!”.
“Lo
so…”.
Lilien
sospirò. Si era un po' calmata, passandosi la mano fra i
capelli e
mordicchiandosi le labbra.
“Senti
ma… è vero?” mormorò poi.
“Cosa?
Che sono mezzo angelo?”.
“Sì…”.
“È
vero".
“Ed
è per
questo che ho partorito una creatura bionda e per nulla
demoniaca?”.
“Sophia?
Sì, è probabile. Anche se suppongo conti anche il
fatto che Azazel era biondo
da angelo…”.
“E…
potresti dirmi come è finita?”.
“Finita?”.
Il
principe
non comprese subito di cosa si stesse parlando. La demone non era
più
aggressiva. Sembrava confusa, stordita. La sua voce, fino a quel
momento decisa
e rancorosa, si era fatta lieve e titubante.
“L'hai
uccisa, giusto?” mormorò
“Come?”.
“No,
non
l'ho fatto… scusami…”.
“Tu
non…?”.
Keros
scosse la testa e Lilien cambiò espressione. Gli occhi,
prima colmi di collera,
ora si erano fatti grandi e leggermente impauriti.
“La
mia
bambina è viva?” chiese conferma.
“Sì.
È
con mio… padre".
“Tuo
padre? Il tuo vero padre? Intendi dire…”.
“Mihael.
È in Cielo, assieme a tutti gli altri angeli”.
“E…
sta
bene? È felice?”.
“Felicissima”.
Keros
non
si aspettava di ricevere un abbraccio. Era la prima volta che Lilien
mostrava
quel lato vulnerabile, il lato di madre che riceve una notizia che le
alleggerisce il cuore.
“Perché
non superi l'esame finale?” sussurrò lei, ancora
stretta in quell’abbraccio.
“E
come
potrei? Non posso rubare l'anima all'uomo che
amo…”.
“Ma
perché dovresti rubargliela?!”. La messaggera si
scostò, per guardare negli
occhi il principe. “Perché rubargli l'anima? Non
è necessario!”.
“Certo
che lo è! È quel che prevede l'esame! Bisogna
consegnare l'anima finale agli
Inferi!”.
“Ma
lui è
un demone adesso, no? Quindi tecnicamente appartiene all'Inferno. O no?
In un
certo senso, hai consegnato l'anima agli Inferi".
“Io…
non
ci avevo pensato…”.
“Penso
valga come cosa, suppongo”.
“Ma
è
un'idea magnifica!”.
Questa
volta fu Keros ad abbracciare Lilien, poi staccandosi ed agitando le
mani in
modo sconnesso.
“Devo
subito andare a parlare con mio padre!” commentò
il principe “Quello demoniaco,
ovviamente…”.
“Sì,
ok…
poi…”.
“Poi
potrò essere il maestro dei miei figli!”.
“L'idea
mi piace. Però…”.
“Però?
Che problema c'è adesso?!”.
“Niente…
è che girano strane voci nel regno dei demoni. Voci di
guerra… Purtroppo non so
molto di più, perché quel tipo di messaggi
vengono affidati solo ad
Azazel".
“Motivo
in più per cui è il caso che vada a parlarci
immediatamente!”.
Ary,
nel
buio e seduto a terra davanti al camino, leggeva un libro.
L’occhio demoniaco
brillava ad ogni parola, scorrendo rapido, mentre il fuoco acceso lo
faceva
scintillare intensamente. Le corna sulla testa gli si notavano appena,
ma non
gli provocavano più alcun dolore. Le ali invece erano chiuse
e nascoste.
Sul
divano alle sue spalle, avvolti dalle coperte, Carmilla e Nasfer
dormivano uno
accanto all'altro. Si stupì molto nel veder entrare Lilien,
da sola, dalla
porta. Alzò lo sguardo, senza muoversi dal tappeto,
aspettandosi un'altra
predica, ma lei sorrise.
“Perdonami"
parlò piano lei, per non svegliare i piccoli
“Siamo partiti nel modo sbagliato.
Spero di non averti fatto incazzare troppo…”.
“No…
Io…
Posso capire la situazione. Credo…”.
“Ad
ogni
modo… io sono Lilien".
Ary
depose il libro ed allungo la mano verso la donna, presentandosi a sua
volta.
Lo sapeva chi era, Keros ne aveva parlato a volte, ed a quanto pare
anche per
lei era lo stesso.
“Sei
carino" strizzò l'occhio la messaggera “Capisco
perché piaci tanto a
Keros".
“Grazie.
Anche lei è molto carina”.
“Lei
chi?
Dammi del tu…”.
Lilien
sedette in terra accanto ad Ary e sbirciò quel che leggeva,
non capendo un
granché della scrittura umana.
“Sei
bravo con i bambini” proseguì lei, notando i
cuccioli addormentati “Quanti
figli hai?”.
“Non
ne
ho…”.
“E
allora
tutti i bambini della casa? Non dirmi che sono di
Keros…”.
“No.
Ma
credo che lui possa piegarti meglio. Lui è il tuo compagno,
no?”.
“No,
non
lo è. È il TUO compagno. Io con lui ci ho solo
scopato. Ma con te è diverso.
Lui ti ama. E comunque ora è da re Lucifero. Ed è
meglio che me ne torni pure
io a casa".
“Porti
con te i tuoi figli?”.
“No.
Per
ora no…”.
La
demone
si alzò, molto lentamente. Si sistemò la gonna,
corta quel che bastava per non
dare spazio all'immaginazione, e lanciò un ultimo sguardo ai
propri cuccioli.
“Ci
vediamo presto" salutò poi, lasciando la casa dal portale.
Ary,
una
volta rimasto solo, si scosse. Si era svegliato da una specie di
torpore,
provocato dalla vicinanza di quella demone. Doveva assolutamente
parlarne con
Keros… ma per adesso era meglio andarsene a dormire!
Salve
a tutti! Finalmente ho aggiornato! Ci ho
messo un po’, ma alla fine ci sono riuscita. Per farmi
perdonare, ho scritto un
bel capitolo lungo e “corposo” :3 Devono accadere
ancora alcune cose… alla
prossima!
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Capitolo 67 *** Questo nuovo mondo ***
67
Questo
nuovo mondo
“Siete
emozionato?”.
Le
parole
di Simadè suonavano lontane. Keros si stava rimirando allo
specchio, non
riuscendo a trattenere una certa tensione. Intrecciò le mani
nervosamente,
senza riuscire a distogliere lo sguardo dal proprio riflesso.
Simadè sorrideva,
continuando a sistemarne i capelli e gli ultimi dettagli. Per la prima
volta, il
principe sfoggiava le ali d'angelo in bella vista agli Inferi, senza
provare vergogna
alcuna.
“Siete…
maestoso" mormorò il servo.
Il
mezzodemone
sorrise. Passò la mano guantata sui bottoni d'oro che
spiccavano lungo tutto il
busto di quell'abito cerimoniale. Non poteva credere che quel giorno
fosse
arrivato! Aveva sognato, immaginato e visualizzato nella propria testa
quei
momenti, moltissime volte. Ma viverlo nella realtà era
completamente diverso!
Udì i rintocchi dell'immenso orologio dei corridoi di
Lucifero: era quasi ora!
Poche
stanze più in là, Arikien era altrettanto
nervoso. Leonore era lì, seduta
accanto al successore di Alukah, in silenzio. Le urla delle anime non
davano
più fastidio dalla donna, ormai abituata all'Inferno. Per
lui invece era la
prima volta, ed ammetteva di provare un certo disagio. Inoltre, non
sapeva bene
come avrebbe dovuto comportarsi, cosa avrebbe dovuto dire. In una veste
che
richiamava la moda umana di qualche secolo prima, non riusciva a
credere di
essere lui quello che si rifletteva nello specchio. Con le ali e le
corna in
bella vista, prese un profondo respiro al rintocco dell'orologio.
“È
ora" sorrise Leonore “Vieni".
Come
se
quei rintocchi dettassero il ritmo, si aprirono le porte e tutti si
mossero.
Diretti verso una grande sala, che raramente veniva aperta, molti
abitanti del
palazzo seguirono quel piccolo corteo capitanato da Keros.
“La
commissione è al completo” parlò un
demone “Aspettano solo voi, altezza".
Il
principe annuì. Rimase ad osservare quella porta chiusa. Era
altissima,
riccamente lavorata ed antica quanto il palazzo stesso. Girò
lo sguardo,
sorridendo ad Ary che si trovava alle sue spalle. Era ora. Erano tutti
lì…
iniziava il suo esame finale!
Solo
a
Keros fu concesso entrare ed il giovane principe si trovò
immediatamente in
soggezione. Nonostante conoscesse bene tutti i demoni presenti, non
poteva non
provare un certo timore. Su delle semilune sospese, sedevano demoni
antichi ed
importanti, abbigliati in modo tradizionale e regale. Lucifero era il
più alto
nella sala, e fissò l'erede in silenzio. Il principe si
guardava attorno con
discrezione, incuriosito da quella sala in cui non era mai entrato.
Sembrava un
teatro, o un tribunale, ed a lui toccava il ruolo di unico attore o di
imputato,
circondato da sguardi giudicanti. Alcuni posti erano vuoti,
stranamente, ma
l'aspirante maestro non voleva pensarci troppo.
“Benvenuto,
figlio di Carmilla" parlò un grosso demone, con un pesante
mantello di
pelliccia sulle spalle, che Keros non conosceva “Posso dire
di essere onorato
di poter ammirare con i miei occhi il demone di cui tutti parlano:
colui che
porta ali d'angelo all'Inferno!”.
Keros
rispose al saluto ed a quelle frasi con un inchino rispettoso.
“Io
sono
Orobas" proseguì il demone “Suppongo tu sappia
perché sei qui dinnanzi a
noi, giovane tentatore. Come puoi vedere, fra noi sono presenti i tuoi
maestri.
Mefistofele, Alukah, Astaroth ed Asmodeo ci hanno illustrato il tuo
percorso
fino ad oggi. Siamo qui per giudicarti, per verificare se sei degno di
poterti
fregiare del nome di maestro. Avremmo delle domande per te, sei
pronto?”.
“Si,
sommo Orobas".
Keros
lo
conosceva di fama, ora che ne aveva udito il nome, e sapeva che era uno
dei
demoni con cui Lucifero si confidava su questioni delicate e
diplomatiche.
Vedeva i suoi maestri, anche loro in abiti cerimoniali, assieme ad
altri di cui
non poteva essere certo delle generalità. Riconobbe
Semiyaza, Furcas e Mammon.
“Ci
è
stato raccontato qualcosa di alquanto singolare.
La tua anima finale è un pochino…
particolare, dico bene?”.
Keros
annuì, con un mezzo sorriso.
“Il
nostro compito…” spiegò una donna con
quattro corna e la voce inquietante “È
stabilire se questo percorso può risultare valido ai fini
dell'esame finale.
Possiamo considerare un'anima finale quel che proponi? Possiamo
accettare una
tale stranezza? Tanto per iniziare, vorremmo che tu ci illustrassi il
tuo
percorso. Dal primo approccio con quest’anima fino al giorno
attuale”.
Il
principe annuì ed iniziò a raccontare.
Ricordò il primo giorno, la notte in cui
per la prima volta aveva incontrato Ary. Narrò di come si
erano approcciati
l'uno all'altro, di come la natura di demone dell'umano si era
lentamente
mostrata e di come ogni giorno trascorso avesse cambiato entrambi.
Ricordare
quei momenti lo riempiva di emozione, e sorrise involontariamente. A
racconto
terminato, alcuni demoni borbottarono fra loro sottovoce. Poi uno di
loro si
alzò e parlò, rivolto agli altri membri della
commissione riunita.
“Vorremmo
parlare con l'anima in questione” furono le parole
pronunciate “Mai fin ora è
accaduto. Fin ora le anime scendevano negli Inferi e venivano punite,
bastava
la registrazione di tale anima per poter accertare il fatto che
apparteneva
all'Inferno. In questo caso, invece, la creatura è in vita.
È quindi nostro
compito verificare che tale anima sia ora proprietà di
questo mondo".
Keros
non
disse nulla, d'un tratto indeciso sul da farsi. Essere
proprietà di quel mondo
significava essere abitante degli Inferi, senza alcuna alternativa
possibile.
Significava escludere categoricamente il regno del Cielo e il
mezzodemone non
era sicuro di voler tale futuro per Ary.
“Fate
entrare l'anima” ordinò Lucifero, non cogliendo
l'indecisione del proprio
erede.
Ary
entrò
lentamente. Keros si fece momentaneamente da parte, mentre l'intera
commissione
fissava il successore di Alukah. Davanti a tutti quei demoni, l'umano
non
poteva che sentirsi spaventato. Perfino Lucifero, che conosceva bene,
lo
turbava. Dunque era quello il reale aspetto del Signore
dell'Inferno…
Nel
silenzio, Ary lanciò un'occhiata a Keros. Nessuno dei due
sapeva cosa
aspettarsi ed il mutismo della commissione era inquietante. Stavano
sfogliando
dei fascicoli, relazioni scritte dal principe su cui vi era spiegato
l’intero percorso
svolto fino a quel momento. Ad un tratto, iniziò a parlare
Semiyaza. Il demone,
con un abito verde scuro che metteva in rilato il rame dei lunghissimi
capelli,
rifletté qualche istante e poi fissò Ary con un
mezzo sorriso.
“Benvenuto”
salutò “Suppongo tu sappia il motivo della tua
presenza qui. Comprendi la mia
lingua?”.
“Se
parlate lentamente, sì” rispose l'umano.
“Perfetto.
Ora ti farò delle domande. Rispondi sinceramente, o come
meglio credi. Sappiamo
che possiedi sangue demoniaco, ed è chiaramente visibile su
di te. Se non
conoscessimo la tua storia, potremmo scambiarti per un demone autoctono
e nato
come tale. Il nostro compito, ora, è stabilire fino a che
punto il tuo animo
riflette quel che si vede all'esterno. Tutto chiaro?”.
“Sì…”.
“Dunque…
Io qui leggo che la natura del principe ti è stata svelata
praticamente fin dal
principio. Era chiaro che lui fosse un demone. Quel che vogliamo sapere
è
conoscere la tua reazione. Cosa hai pensato? Cosa hai provato, lungo
questo
percorso e queste rivelazioni?”.
Il
mortale attese qualche istante, rielaborando nella mente quel che
voleva dire.
Doveva rispondere al meglio, era importante per la promozione di Keros!
“All'inizio
non ci credevo" ammise, sorridendo a quel ricordo “Quando il
principe mi ha
confessato di essere un demone, ho pensato subito ad uno scherzo. Sono
sempre
stato piuttosto scettico".
“Il
fascicolo riporta il fatto che sei un orfano, cresciuto in un istituto
gestito
da religiosi. Che rapporto hai con la religione, con la
fede?”.
“Non
sono
un credente”.
“Non
credi nell'esistenza di Dio?”.
Ary
rifletté. Perché mai un demone voleva sapere se
era ateo o meno? Che differenza
poteva mai fare?
“Non
credevo potesse esistere, fino a non molto tempo fa" ammise
“Non ci
credevo e non mi interessava. Ora, lo devo ammettere, sono costretto a
rivedere
le mie posizioni. Insomma… ho davanti a me il Diavolo,
perciò devo dedurre che
da qualche parte ci sia anche Dio".
“E
questo
come influisce sul tuo vivere?”.
“Direi
che non influisce per nulla. Se Dio esiste, non è il genere
di entità che
potrei pregare o in cui mi sentirei di riporre la mia speranza o la mia
fede".
“E
come
mai?”.
“Perché…”.
Il mortale ripensò ad alcuni passaggi della propria vita e
rifletté su come
vedeva il mondo. Storse il naso, prima di rispondere.
“Perché non ho bisogno di
un Dio così”.
“Così…?”.
“È
vostro
padre, no? Non mi sembra il caso di infierire…”.
“Infierisci
pure" si intromise Lucifero, con un ghigno soddisfatto sul viso.
“Sinceramente…
il mondo è un disastro. L'essere umano è un
disastro. Mi ero convinto che fosse
fatto così, esaminando il tutto da un punto di vista
scientifico. L'uomo è un
animale, anche se leggermente più evoluto di altri, e come
tale si comporta. Si
fa la guerra da sempre, si odia da sempre. Ha le capacità di
vivere in modo
diverso ma non lo fa. In sostanza, è malvagio. E se esiste
un Dio che se ne sta
lì a guardare tutto questo… significa che
è altrettanto malvagio. E non ho
bisogno di pregare un malvagio".
“Uh.
Blasfemo!” ridacchiò il sovrano
“Malvagio come me, intendi?”.
“No.
All'Inferno viene punito chi ha commesso peccati, come chi viene messo
in
galera perché ha commesso un reato. Questa non è
malvagità: è giustizia".
Lucifero
si poggiò sulla sedia, reggendosi la testa. Che strana
risposta…
“Perciò…”
riprese a parlare Semiyaza, approfittando del silenzio “Se ti
venisse data la
possibilità di andare in Paradiso, tu…”.
“In
Paradiso?! Io?!” interruppe Ary “Ma mi avete visto?
Dubito che uno come me, con
ali e coda, possa trovare le porte aperte e gli striscioni di
benvenuto…”.
“I
miracoli…”.
“Non
mi
serve un miracolo. Non adesso. Ci speravo quando ero un bambino, e
sognavo una
famiglia ed una vita diversa. Mi serviva, probabilmente, quando non
avevo più
prospettive o quando la mia vita si era spenta, e sentivo di girare in
tondo
senza una via d'uscita. Lì, forse, avrei apprezzato un
miracolo di Dio.
Pensandoci… Keros è stato il mio miracolo. E non
ho bisogno di altro".
“Dunque
saresti disposto a legare per sempre la tua anima
all'Inferno?”.
“Certo.
La mia famiglia appartiene a questo luogo. Così come vi
appartengono le persone
più importanti della mia vita. Perché mai dovrei
andare in Cielo? Non avrei
nessuno ad attendermi”.
“Ma
ti
piace qui?” riprese Lucifero “Sii
sincero…”.
“Suppongo
mi debba abituare…”.
“No.
Non
ci si abitua. Mai. Credimi…”.
Il
sovrano si era sporto leggermente, fissando negli occhi il mortale. In
quello
sguardo, Ary era riuscito a scorgerci malinconia, rancore ed una punta
di
follia. Quegli occhi erano di una profondità spaventosa.
“Che
progetti hai?” domandò Mefistofele “Ora
sei un demone, giusto? Che pensi? Come
vedi il tuo futuro? Desideri diventare un tentatore, o un succubus come
la
matriarca Lilith? “.
“Ancora
non lo so…” ammise l'uomo “Ci sono
ancora tante cose che devo scoprire su di
me…”.
“Avrai
delle aspirazioni. Che facevi da mortale?”.
“Volevo
diventare professore universitario. Ma mi ero perso per
strada… ora voglio
ricominciare, ed ho la possibilità di farlo”.
“Con
Keros…?”.
“Keros
è
il mio miracolo. Keros è la mia vita. Ma chissà
come possono cambiare le cose
fra mille o più anni… Un passo alla volta. Per
ora ecco i miei primi passi
all'Inferno".
“Parlando
ancora di divinità…” si espresse una
demone dalla pelle nera “Dio non è uno
soltanto. Alcuni di noi, un tempo, erano Dei. Qui all'Inferno regnano
angeli
caduti, ma non solo. Molti sono antichi Dei, dimenticati e snaturati
per colpa
della religione che venne dopo di loro. Molti avevano templi e gente
adorante.
Quelli come loro… come li vedi?”.
“Percepisco
la vostra potenza" ammise l'uomo “E comprendo la vostra
rabbia. Le
religioni antiche mi hanno sempre affascinato. Però non
posso esser certo di
voler adorare qualcuno di voi, seppur Dio antico e misterico. Sono
disposto ad
obbedire, ovviamente. Rispetterò la gerarchia, mi
inchinerò e mi inginocchierò
dinnanzi a colui che mi sovrasta di grado, ma non so se mi
riuscirà mai
possibile venerarlo come una divinità”.
“Ho
capito… un'ultima cosa: ti sei mai nutrito di sangue umano?
Hai mai ucciso?”.
“No…”.
“Hai
almeno mai assaggiato il sangue?”
“Sì.
Non
umano”.
“Ed
hai
intenzione di divenire un vero demone vampiro, che si nutre di umani e
demoni?
Che uccide, per placare la propria fame?”.
“Io…
non
lo so. Non so se vorrò mai uccidere…”.
La
commissione non rivolse altre domande. Dopo un rapidissimo consulto,
congedarono tentato e tentatore, invitandoli a lasciare la stanza.
“Sono
il
tuo miracolo?” mormorò Keros ed Ary gli sorrise.
Uno
accanto all'altro, attendevano che la porta si riaprisse. Aspettavano
il
verdetto, il termine di quell'esame finale. Entrambi si chiedevano se
le risposte
che avevano dato erano state soddisfacenti e convincenti. Entrambi
temevano di
aver detto troppo o troppo poco. A supportarli in quegli attimi, vi
erano anche
Lilien, Leonore, Simadé ed altri conoscenti del mezzodemone.
“Sarai
un
maestro straordinario” sussurrò Ary.
“E
tu un
demone perfetto" gli rispose Keros.
Il
tempo
scorreva lento, troppo lento. Il nervosismo saliva. Quando la porta si
aprì, e
furono chiamati i nomi di entrambi, il principe prese un profondo
respiro prima
di entrare.
La
commissione fissava il candidato e l'anima, al centro della stanza. Il
silenzio
faceva agitare non poco il sanguemisto, che si alzava e si abbassava
sulle
punte dei piedi nervosamente. Questa volta, fu Astaroth a prendere la
parola.
Il demone, con gli immancabili tacchi alti e lunghe unghie smaltate,
era
incredibilmente serio. Con un diadema fra i capelli, a ricordarne il
titolo
nobiliare, lasciò trascorrere ancora qualche istante. Il
resto della
commissione si era seduta, in silenzio, e tutti gli occhi erano puntati
su
Keros.
“Mio
allievo…” iniziò a parlare Astaroth
“Abbiamo esaminato il tuo percorso fino ad
oggi, giungendo ad una conclusione. Prima però di svelarti
la nostra decisione,
permettimi di dirti alcune cose".
Keros
annuì, non sapendo se preoccuparsi o meno.
“Sei
stato un ottimo allievo, nelle terre più selvagge degli
Inferi. Tuttavia, già
all'ora, avevo intuito qualche particolarità in te. Avevo
colto un lato che tu
ti ostinavi a voler rinnegare, celare. Forse perfino cancellare.
Ricordo di
averne discusso con Vostra Maestà Lucifero interpretando,
erroneamente, quel
lato come un rimasuglio di DNA angelico che tutti noi caduti ancora
possediamo.
Avevo sentito di cuccioli nati con alcuni tratti angelici, che
però ovviamente
non erano stati lasciati in vita. Non potevo certo immaginare la
realtà dei
fatti, al tempo! Nonostante la mia riluttanza iniziale, suggerii al
sovrano di
non permetterti di sopprimere quel lato di te. Quell'empatia, quella
grazia…
Uccidendole non avresti fatto altro che trovare infelicità.
Ricordo anche di
averti spinto ad essere te stesso, così come ogni tuo
maestro ha fatto,
imparando ad amare ogni singola particolarità che ti
contraddistingueva. Lo
ricordi?”.
“Sì,
maestro. Lo ricordo" ammise il principe, un po' in imbarazzo.
“E
ricordi quale è stata la tua reazione?”.
“Ricordo
di aver nascosto sempre e comunque un lato di me. Per tanto tempo".
“Dati
gli
ultimi accadimenti, ora che ho appreso a mia volta di chi porti il
sangue nelle
vene, sotto certi aspetti comprendo la tua riluttanza.
Ciononostante… ammira
che splendore! Da ragazzino insicuro, che cerca di sembrare qualcosa
che non è,
a uomo forte e sicuro di sé. La magnificenza di simili ali
d'angelo solo un
mentecatto vorrebbe dissolverla. La fierezza in questi occhi, in cui si
possono
intravedere le fiamme degli Inferi e la vastità del Cielo,
metterebbe in
soggezione anche il più potente dei diavoli. Keros: sei
bellissimo! Ed ora tu
mi guardi e sorridi. E so che in tanti te lo hanno detto e ripetuto, ma
solo
ora anche tu ci credi davvero. Finalmente anche tu ci credi per
davvero! Prima,
probabilmente, pensavi che ti venisse detto perché un lato
di te non si vedeva.
Io ora vedo te, il vero e totale te stesso, e ti trovo
bellissimo”.
“Grazie…”
mormorò il mezzodemone, in lieve imbarazzo.
“Detto
questo… Dovevamo giudicarti, decidere se sei degno di essere
un maestro. Sai
bene che questo esame non può essere ripetuto, e
sinceramente ti avrei
consigliato di non avere troppa fretta. Sei uno dei più
giovani che han voluto
proporci questa sfida e l'hai proposta in un modo decisamente
singolare. Hai
creato un caso zero, un primo nuovo modo di ottenere l'anima. Tutto
questo non
è molto ortodosso, credo tu ne sia consapevole".
“Lo
sono.
Io…”.
“Silenzio,
per cortesia. Abbiamo alcune riserve. Per esempio… chi si
occuperà della
crescita demoniaca dell'anima finale? Ovviamente ha ancora un lungo
percorso
davanti. Dovrà imparare a nutrirsi ed a vivere come un
demone vampiro, non come
un umano che sorseggia sangue principesco. Solo una volta compiuto quel
passo,
solo dopo aver ucciso, lo si potrà definire un demone
interamente. Poi spetterà
a lui scegliere. Ricapitolando: l’anima non può
andare in Cielo, questo ormai è
certo. Non siamo però del tutto sicuri che, con i suoi
pensieri da ateo, non
possa poi dissolversi in nulla come una qualsiasi anima senza
fede”.
“Ma
non è
quel che accade ai demoni?” interruppe Ary.
“Prego…?”
alzò un sopracciglio Astaroth.
“I
demoni, quando muoiono, non si dissolvono in polvere?”.
“Noi
demoni non abbiamo un'anima. Tu hai l'anima, essendo in parte con
sangue umano.
Commettendo un peccato mortale, e credendo in qualcosa, sarai legato
all'Inferno. Altrimenti, alla morte, l'anima si
dissolverà”.
“Io
però
non mi definisco ateo. Io credo in qualcosa. In qualcuno".
“In
cosa?”.
“In
Keros".
Il
mezzodemone spalancò gli occhi, perplesso.
“Io
credo
in Keros" continuò Ary “Io amo Keros. Lui, come ho
già detto, è il mio
miracolo. Io credo in lui, e gli devo tutto. Se mi chiedete di cedere
la mia
anima a qualcuno, quel qualcuno sarà sicuramente Keros. E
posso farlo anche
subito, se volete. Devo firmare un qualche tipo di contratto? Patti di
sangue o
cose del genere?”.
I
demoni
della commissione ridacchiarono. Quel mortale doveva aver visto troppi
film…
“Questo
cambia tutto" sorrise Astaroth “Se il vostro legame di carne
e sangue è
così forte, tanto da farti rinunciare alla natura ed
all’anima umana, allora i
nostri dubbi si dissolvono. La tua anima appartiene all'Inferno,
perciò l'esame
è da ritenersi interamente superato”.
Keros
non
aprì bocca, senza sapere cosa dire, mentre Ary sorrideva.
“Da
questo giorno…” ricominciò a parlare
Astaroth “Voi, principe Keros, siete un
maestro. E tu, giovane un tempo mortale, ora sei ufficialmente
riconosciuto
come demone di nome Arikien. Il principe, ed il tuo antenato Alukah,
provvederanno a terminare il tuo percorso di transizione.
Keros… vieni
avanti".
Il
mezzodemone, ancora senza parole, camminò fino a raggiungere
Astaroth. Il
demone sorrise, così come tutti i presenti.
“A
nome
di tutta la commissione, vi diamo il benvenuto nella categoria dei
maestri".
Al
sanguemisto fu appuntato un monile sul petto, con una catena d'oro.
Tutti i
maestri portavano quel ciondolo, ed ora anche lui poteva sfoggiarlo.
“Congratulazioni”
gli mormorò Astaroth, ed il resto dei demoni presenti
ripeterono quella parola
a turno.
“G…
grazie" riuscì finalmente a parlare Keros.
“Ora
puoi
andare" fu congedato “Sii fiero di te stesso".
Il
mezzodemone si inchinò ripetutamente e lasciò la
stanza, seguito da Ary. Chiuse
la porta dietro di sé, ancora incredulo. Fuori aspettavano
di sapere come fosse
andata, non capendo come interpretare quel silenzio. Poi Keros non
riuscì più a
trattenere la felicità e scoppiò a ridere per
l'entusiasmo.
“È
fatta?” chiese conferma Leonore.
“È
fatta!” confermò Keros, ricevendo un abbraccio.
“E
ora
che si fa?” sorrise Ary “Come festeggiate voi
demoni un evento del genere?”.
“NOI
demoni, vorrai dire" lo corresse Keros “Ad ogni
modo… non ne ho idea, lo
ammetto!”.
“Potremmo
organizzare una festa" proposte Lilien “Come quando avevamo
solo mille
anni! Insegniamo ad Arikien come di divertono i demoni".
La
porta
nel frattempo si era riaperta ed i membri della commissione si stavano
allontanando, dedicando altri complimenti al principe.
“Chi
si
unisce a noi stasera?” propose Mefistofele “Vi
invito tutti. Ad ubriacarci o
fare altro, dipende da voi. Voglio essere il primo ad offrire da bere a
questo
nuovo, piccolo maestro! Voi che dite, ci state?”.
“Certo
che sì!” annuì il sanguemisto
“A stasera!”.
Keros
ancora salutava e ringraziava per i complimenti, dando le spalle alla
porta. Si
sentì afferrare e stringere forte. Il principe si
irrigidì qualche istante,
prima di capire chi lo stesse avvolgendo.
“Il
mio
piccolo cucciolo demoniaco…” mormorò
una voce.
“Il
mio
grande e bellissimo papà” rispose Keros,
rispondendo all'abbraccio di Lucifero.
“Sono
molto fiero di te" proseguì il sovrano.
“Vieni
a
festeggiare con noi al Mephistofel questa sera?”.
“Farò
il
possibile” sorrise il Diavolo “Devo prima
verificare alcune cose. Hai notato i
posti vuoti, suppongo…”.
“Sì.
Che
cosa…?”.
“Nulla,
non ti preoccupare. Corri a far festa!”.
Il
re si
allontanò lungo il corridoio, lasciando Keros al suo
entusiasmo.
“Ora
la
tua anima appartiene me" sghignazzò il principe, rivolto ad
Ary.
“Pensavo
lo sapessi già” fu la risposta “E mica
solo quella…”.
“Che
intendi dire?”.
“Puoi
chiedermi qualsiasi cosa, oltra all'anima. Una mano, un braccio, una
gamba… il
cuore…”
“Mi
andrebbe comodo il tuo cuore. Il mio l'ho dato a te, tempo fa".
“Che
cosa
pateticamente e teneramente romantica" commentò Lilien
“Propongo di andare
a cambiarci e prepararci per il Mephistofel. Che dite?”.
“Ti
do
del tutto ragione" ghignò Keros “Questo abito
è di una scomodità
assurda".
“Allora
a
dopo" si congedò Leonore.
“Tu
vieni
con me" parlò Keros, prendendo per mano Ary
“Perché toglierci i vestiti
inutilmente? Rendiamo più divertente la
cosa…”.
Scusate
il mostruoso ritardo. Ormai aggiorno
poco, chiedo scusa :( tenterò di recuperare! A presto!
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Capitolo 68 *** Teppisti ***
68
Teppisti
Il
Mephistophel era riservato ai demoni quella sera. Attorno ad una grande
tavola,
sedevano e bevevano facendo un gran casino. Keros propose l'ennesimo
brindisi,
ridendo. Lucifero porse un pacchetto all'erede. Tutti parvero stupiti,
perché
solitamente venivano donate delle spade per celebrare il superamento
dell’esame
finale.
“Ho
pensato che le spade fossero un po' antiquate" ammise il sovrano,
mentre
Keros svelava una splendida pistola.
Era
nera
lucida, con decori in argento ed incastonature color del sangue.
“È
bellissima!” la ammirò il principe, rigirandola
fra le mani.
“Credo
che, se gironzolerai ancora nel mondo umano, ti sarà
più utile avere una
pistola piuttosto che una spada. Ha anche cinque proiettili. Magari
dopo vorrai
provarla…”.
“È
stupenda! Ed i decori… riprendono i disegni del mio
tatuaggio! Ti ringrazio!”.
“L'umano
sembra confuso" ridacchiò Mefistofele, indicando il
possessore dell’anima
speciale.
“Da
noi
si regalano altre cose per le laurea…” ammise Ary.
“Non
più!” lo corresse Keros “Ora sei un
demone!”.
“E
ora?”
ghignò Lucifero “Avevamo discusso di una certa
questione, prima che iniziassi a
dedicarti all'anima finale. Ricordi?”.
Il
mezzodemone arricciò il naso, perplesso. Sinceramente non
ricordava. Il re,
distratto dai cicalini emessi dall’aggeggio che lo metteva in
comunicazione con
l'Inferno, sospirò. Lilith, seduta accanto al sovrano, fece
cenno a Keros di
avvicinarsi e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Il
principe tornò a sedersi,
dopo essersi alzato per ascoltare la voce di Lilith che sedeva dalla
parte
opposta del tavolo.
“Ricordo
vagamente…” ammise.
“Cosa?
Siamo curiosi" si intromise Astaroth.
“Si
era
parlato di concubine" ghignò la Succubus.
“Concubine!”
scoppiò d'entusiasmo Mefistofele “Sarebbe ora! E
sarebbe una splendida idea!
Anche per il nuovo demone…”.
“Eh?”
fu
la reazione di Ary, e molti risero.
“Potremmo
organizzare un evento, per permettere al principe di scegliere e farsi
scegliere!” propose Alukah.
“E
perché
solo il principe?” gli rispose Mefistofele
“Organizziamo un evento che permetta
a tutti gli invitati di trovare quel che cercano”.
“Ma
io…”
si intromise Arikien “Credevo che i demoni non cercassero un
compagno o una
compagna. Mi è stato ripetuto più volte che sono
rare le coppie fisse"
“Di
fatti
chi parla di coppia fissa?” rise Lilith “Questi
eventi si organizzano per
creare un'alleanza ed ottenere prole il più potente e
prestigiosa possibile. Le
fanciulle faranno la fila per il principe. E lui potrà
trovare fra loro le
concubine con cui popolare le proprie stanze, procreare figli sani e
forti e
mantenere gli alleati fedeli alla famiglia reale. Capisci? È
una cosa
importante".
“Capisco…
però…”.
“Però
tu
sei ancora dentro di te un umano" storse il naso lei “Non ti
garba che il
tuo Keros si conceda altrove".
“Ma
no,
non è quello il punto. Io mi rendo conto che millenni con
sempre e solo lo
stesso partner sessuale sia una rottura. Solo che… non credo
faccia per me…”.
“Probabilmente
alcuni tuoi istinti non si sono ancora del tutto risvegliati. Non hai
mai
provato l'irrefrenabile desiderio di scoparti una demone".
“Io…”.
“O
forse
sì” ghignò Lucifero, notando un lieve
rossore sulle guance dell'anima speciale.
Ary
non
rispose. Era arrostito ed aveva distolto lo sguardo.
“Ah,
sì?”
si stupì Keros “E che hai fatto?”.
“Nulla!”.
“E
perché?”.
“Ma…
che
razza di domanda è?!”.
“Si
tratta di Lilien, vero? È ricettiva in questo periodo e tu
la incuriosisci”.
“E
che
dovrei fare secondo te?!”.
“Scopare,
mi pare ovvio! Ti sentirai subito meglio".
“Sei
ubriaco?”.
“Un
pochino…”.
“Magari
con una demone riusciresti ad avere dei figli" suppose Lucifero
“Chissà.
Ultimamente succedono un sacco di cose strane. Tornando a
noi… che genere di
evento avevate in mente?".
“Che
ne
dite di un torneo?” propose Alukah “Di quelli come
si facevano un tempo. I
rappresentanti, e le rappresentanti, delle varie casate si mettono in
mostra
con varie prove di destrezza e combattimento. L'uso della spada,
l'utilizzo dei
propri poteri in lotte fra casati…”.
“Bello!”
sorrise Mefistofele, facendo portare un ulteriore giro di alcolici
“Io ci
sto!”.
“E
che ne
dite di un ballo?” parlò invece Lilith
“Più raffinato, più elegante. Dove
tutti
i demoni possono sfoggiare la propria beltà ed il proprio
fascino. Magari un
ballo in maschera, dove tutto si svela a poco a poco".
“Wow"
fu il commento di Astaroth.
“Perché
non entrambi?” suggerì Lucifero, con un ampio
sorriso “Solo il meglio, per il
mio erede. E così avremo modo anche di festeggiare
degnamente la nascita di
Espero e la nuova regina".
“Incorporare
l'incoronazione di Leonore a simili eventi? Sarebbe magnifico"
annuì Lilith
“Tu che cosa pensi, Keros? Cosa vorresti?”.
“Cosa
voglio? Voglio tutto!” ammise il mezzodemone “E che
tutti godano in mio onore
ed in onore del mio fratellino Espero".
La
serata
proseguì con numerosi altri drink. Alla fine, quando il
grado alcolico fu
abbastanza alto, la compagnia decise di fare una passeggiata per il
mondo
umano. L'unico non molto convinto pareva Lucifero, che continuava a
fissare ad
intermittenza l'aggeggio infernale. Ary li osservava con
curiosità. Anche se
molto diversi fra loro nei loro aspetti umani, a partire dal colore
della
pelle, erano tutti magnifici. E con accessori in pelle nera che
attiravano
decisamente l'attenzione! In particolare, Keros e Lucifero indossavano
cappotti
lunghi fin quasi alle caviglie ed alto colletto. Catene e bottoni non
mancavano, ed emettevano un rumore tintinnante quasi ipnotico.
Camminando, i
demoni ridacchiavano e si raccontavano aneddoti di varia natura. Il
Diavolo li
ignorava, accendendosi una sigaretta. Aveva affiancato Ary, che non
aveva alzato
troppo il gomito e fissava perplesso il principe, che
all’opposto era
visibilmente ubriaco.
“Quante
novità, eh?” mormorò il sovrano,
facendo sobbalzare l'umano.
“Io…
può
essere…” fu la risposta.
“Ti
vedevo silenzioso, per quello ho chiesto. Non sei obbligato a far nulla
di
particolare. Ti ci devi abituare".
“Ma…
durante l'esame non avevate detto che non ci si abitua?”.
“Non
ci
si abitua all'Inferno. Ad essere demone invece dopo un po' ci si fa
l'abitudine. Credimi".
“Oh…
Va
bene".
Lucifero
rise sotto i baffi e continuò a fumare. Poi alzò
lo sguardo, che emise una
lieve scintilla. Un gruppo di persone si stava avvicinando, nel buio
delle
strade cittadine. Mefistofele riconobbe, fra quelle persone, dei demoni
a lui
familiari e sorrise.
“Vi
unite
alla festa?” esclamò il tentatore, entusiasta.
Si
stupì
di non riscontrare altrettanto entusiasmo sui volti di chi avevano
incontrato.
Scese uno strano silenzio nervoso.
“Problemi?”
si chiese Azazel.
“Diccelo
tu" fu la risposta di un demone dal corno spezzato “Ti crea
problemi avere
in famiglia un impuro mezzo umano?”.
“Che
hai
detto?!” sibilò Keros, sapendo che parlava
dell’uomo che amava.
“Hai
sentito benissimo. O essere un bastardo per metà angelo
rende sordi?”.
Il
principe, senza dare il tempo a chiunque di rispondere a quella
provocazione,
assestò un poderoso cazzotto in faccia al demone,
atterrandolo. Quel gesto,
scatenò in pochi istanti una rissa.
“Ma…
che
fate?!” spalancò le braccia Lucifero
“Siamo nel mondo umano! Piantatela!”.
Però
nessuno ascoltava, tranne Ary che non sapeva che fare.
“Non
restare lì impalato!” lo incoraggiò
Alukah “Aiutami a mettere a tacere questi
stronzi!”.
In
minoranza, il gruppetto di sovversivi tentò di darsi alla
fuga ed iniziò un
inseguimento per le strade della città.
“Tornate
qui!” minacciò Satana “Brutti coglioni!
Nel mondo umano non possiamo fare
quello che ci pare! Volete forse che arrivino gli angeli?!”.
Fra
le bestemmie,
il Diavolo tentò invano di far ragionare i suoi sudditi.
Sembravano un branco
di teppisti, che si inseguivano con coltelli e catene. Sfruttando le
proprie
capacità sovrannaturali, saltavano e scattavano da una
strada ad un’altra, da
una parete ad una terrazza. Non ci volle molto tempo prima che si
udissero le
sirene della polizia.
“Dove
andate?” gridava Keros “Scappate?! Prima insultate
e poi scappate?!
Vigliacchi!”.
Arrampicato
su un pianerottolo, vedeva da lontano colui che lo aveva deriso.
“Guarda,
papà!” ghignò, impugnando la pistola
“Guarda come uso il tuo regalo!”.
“Come
pensi di poterlo colpire da così lontano?”
sghignazzò Mefistofele, divertito.
“Io
non
sbaglio mai!”.
Il
principe sparò due colpi, che andarono a segno. Keros rise
sadicamente e si
udirono ovazioni entusiaste, mentre il colpito cadeva e moriva.
“Sei
impazzito?!” sbraitò invece Lucifero
“Nel regno mortale non possiamo fare
simili cazzate!”.
La
rissa
riprese. Le sirene della polizia si fecero sempre più vicine
e Satana iniziò
davvero ad innervosirsi. Non poteva certo ammettere che un demone si
facesse
arrestare! Specie per una rissa in stato di ebrezza! E se qualche umano
avesse
notato qualcosa di strano? Adesso eran sempre pronti con il cellulare
in mano,
per fare video e tentare di acchiappare like! Guardando in su, tentando
di
scorgere l'intero gruppo di demoni, Lucifero fu quasi investito
dall'auto della
polizia, che gli tagliò la strada. Trattenendo
un'imprecazione, non trovandola
adatta davanti ad un umano delle forze dell'ordine, se la
lasciò sfuggire quando
invece vide che a scendere dall'auto fu Mihael. In divisa da
poliziotto, lanciò
un'occhiata minacciosa al Diavolo.
“Miky?”
sibilò il demone.
“Sono
il
santo protettore delle forze armate, non lo sai? Ed ora richiama i tuoi
demoni,
se non vuoi che spari a tutti in faccia!”.
“Guarda
che ci sto provando!”.
Altri
angeli scesero dalle auto, tutti in divisa ed aspetto da umani.
“E
che
pensi di fare?” stuzzicò il Diavolo, osservando
Mihael “Arrestarci tutti?”.
“Ti
ho
già detto che vi sparo. Sparo a tutti! E adesso ordina a
tutti di riestrare
all'Inferno!”.
“Ed
io ti
ho già detto che ci sto provando! Ma non mi
ascoltano!”.
“Bugiardo.
Io e te non possiamo volere la stessa cosa!”.
“Fottiti,
Mihael!”.
Lucifero
sbraitò contro i demoni, nel tentativo vano di riportarli
all'ordine. Li
minacciò più volte, ed udì qualcuno
ridacchiare.
“Keros,
prega di non essere tu quello che ride. Perché se no a casa
vedi che ti
faccio…” ringhiò.
Percependo
che molti si erano radunati sopra al tetto di un alto edificio, il
sovrano si
arrampicò lungo una scala antincendio che circondava lo
stabile. Odiava fare le
cose alla maniera umana, senza poter usare le ali o i propri poteri!
Mihael
diede ordine ai suoi sottoposti di sorvegliare ogni uscita, per non
lasciare
vie di fuga ai demoni. Poi rincorse il Diavolo, che nel frattempo era
giunto in
cima a quella specie di grattacielo. Lì i suoi sudditi
ancora si azzuffavano.
Molti sanguinavano, ricoperti di graffi, tagli ed alcuni fori di
proiettile.
Uno era sicuramente morto, steso a terra a faccia in giù.
Pioveva.
“Avete
finito di fare gli stronzi?” ringhiò il re
“Finitela immediatamente! Avete
richiamato gli angeli!”
“È
quello
che facciamo di solito!” si udì in risposta
“Hai per caso paura?”.
“Gli
angeli non sentono il dolore, coglioni! Noi sì! E sanno come
farci molto male! Hanno
le pistole!”.
“Da
quando sei un vigliacco?”.
“Ma
voi
avete idea di quel che può succedere?! Obbedite!”.
“Oh!
Qualcuno qui ha paura dell'ira di Dio" rise qualcuno.
Lucifero,
rosso in viso per la rabbia, stese chi rideva con un singolo calcio.
“Obbedisci,
scarafaggio!” tuonò il Diavolo e si udì
uno sparo.
Era
Mihael, che richiamava all'ordine ed al silenzio.
“Tornate
immediatamente all'Inferno!” furono le parole, ben scandite,
dell'Arcangelo.
“Torna
a
casa, angioletto!” biascicò, ubriaco, Azazel.
“Taci,
testa di minchia!” lo zittì Satana “Ed
obbedite!”.
“Da
quando prendi ordini dai piumati?! Ma quanto male siamo
messi?!” lo derise uno
degli aggressori.
“Vedrai
poi agli Inferi come sarai messo tu, dopo che ti avrò dato
una ripassata!”.
La
discussione si fece sempre più accesa, fra demoni che si
rifiutavano di
obbedire ad un re che parlava come un arcangelo e angeli che ripetevano
a
rotazione sempre le stesse frasi.
“Smettila
di darmi ragione!” mormorò Mihael, rivolto a
Lucifero “Tu sei mio nemico!”.
“Ti
ci
metti pure tu adesso?!” sibilò il Diavolo.
“Tu
sei
mio nemico! Noi dobbiamo combattere fra noi! Torna ad essere il mio
nemico!”.
“Ma
che
vai blaterando?!”.
“Io
ho
bisogno di un nemico! Non ha senso la nostra esistenza, in caso
contrario".
Stanco
di
discutere, Satana tentò di trascinare qualche demone con
sé. Infuriato, urlò di
nuovo a tutti i suoi sottoposti. Poi un lampo ed un tuono fortissimi
fecero
tremare l'intero edificio. Keros dapprima rise, ancora sotto l'effetto
dell'alcol. Poi si accorse che un fulmine aveva colpito in pieno
Lucifero…
Rieccomi!
Scusate se non sono costante con gli
aggiornamenti, ma riesco a ritagliarmi sempre meno tempo con la bimba!
A presto…
|
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Capitolo 69 *** Risvegli ***
69
Risvegli
Il
boato
era stato fortissimo, così come la luce. Ary, che si stava
azzuffando in un
gruppetto di demoni relativamente distanti dal punto
d’impatto del fulmine con
il corpo del re, fu sbalzato all’indietro. Per qualche
istante, udì solo un
fortissimo fischio alle orecchie e intravide diavoli che correvano a
caso.
“Keros!”
gridò, preoccupato.
Non
aveva
capito che cosa fosse successo, cosa stesse succedendo. Gli aggressori
si disperdevano,
qualcuno gridava. Ricominciò ad udire altri suoni, oltre a
quel fischio
fastidioso. Udiva le sirene, della polizia o forse
dell’ambulanza. O erano i
vigili del fuoco? Erano fiamme? Era forse esploso qualcosa?
“Riesci
ad alzarti?” si sentì chiedere, probabilmente da
qualcuno che aveva ripetuto
quella frase un sacco di volte prima che Ary lo sentisse.
“Cosa
è
successo?” chiese l’anima speciale, scuotendo la
testa e rialzandosi
lentamente.
“Un
fulmine ha colpito Lucifero”.
“Che…?”.
“Devi
tornare a casa, di corsa. Presto qui sarà pieno di umani e
dovrai giustificare
sangue, segni di lotta e le fiamme. Io me la svigno. Vieni con
me?”.
Arikien
capì
solo in quel momento di avere davanti a sé Alukah.
“Non
posso andare all’Inferno” rispose “Devo
tornare a casa mia. Ci sono i bambini
là e non posso lasciarli da soli”.
“Capisco.
Vieni con me allora. In fretta!”.
Ancora
confuso,
Ary seguì Alukah lungo le scale antincendio. I demoni
stavano tutti fuggendo,
gli angeli si erano già ritirati in Cielo.
“Dov’è
Keros?” gridò l’uomo, continuando a
correre.
“Non
preoccuparti per lui” lo rassicurò Alukah
“Lui è il principe. Di sicuro Asmodeo
o altri alti ufficiali e generali lo hanno già riportato a
casa senza dargli
modo di protestare. È la procedura in caso di
emergenza”.
“Capisco…
Ma sai se sta bene? E Lucifero?”.
“Non
so
nulla. So solo che devi muoverti. Arrivano gli umani!”.
“Sì,
ma…”.
“Cristo,
muoviti! Non vorrai mica farti arrestare?!”.
Arikien
chiuse
la bocca ed accelerò il passo, lungo i vicoli. Albeggiava, e
molti mortali
stavano accorrendo sul posto. Elicotteri, poliziotti,
volanti… E molte luci si
stavano accendendo nelle stanze dei grattacieli che circondavano
quell’edificio
in fiamme.
“Salite!”
ordinò qualcuno.
Girandosi,
videro Mefistofele a bordo di un’auto
sportiva con aerografato sul cofano il logo del locale che gestiva il
demone.
“Grazie,
fratello” ghignò Alukah “La strada la
conosci”.
Insieme,
si allontanarono in fretta da quel
luogo e raggiunsero la casa di Arikien, dove i vari bambini
mezzodemoniaci lo
attendevano con apprensione.
“Che
casino abbiamo fatto” ridacchiò
Mefistofele “Queste sì che sono belle
serate!”.
“Ogni
tanto ci sta anche bene…” ammise Alukah
“Ma
non tanto spesso. Sono vecchio per certe cose!”.
“No,
non sei vecchio. Abbiamo la stessa età! È che
stai diventando ciccione e sedentario, non riesci più a
correre come un tempo,
ammettilo. Ma non perché sei vecchio, ma perché
ti sei pappato troppi umani!”.
“Stronzo”
rise il vampiro, salutando Ary e
congedandosi.
Rimasto
solo, il padrone di casa ci mise un po’
per calmarsi. Non era abituato a simili botte di adrenalina e corse
improvvise!
Tentò invano di contattare Keros per buona parte della
giornata, senza ottenere
risposta. Poi, la sera seguente, un giovane messaggero bussò
alla sua porta.
“Vostra
altezza vi attende” si limitò a dire
“Seguitemi,
voi ed i piccoli”.
L’urlo
di
Lucifero era stato udito distintamente per tutto l’Inferno.
La rabbia, il
dolore e lo strazio avevano fatto vibrare le pareti degli Inferi e
tremare i
suoi occupanti. L’oscuro signore delle tenebre si era
ritrovato fra le mura del
proprio palazzo, avvolto dalle spine delle rose nere. La luce accecante
del
fulmine aveva, per pochi secondi illuminato quel mondo solitamente
buio. Il sangue
colò sui fiori, donando loro un’inquietante
sfumatura. Gli altri demoni, dopo i
momenti di panico ed immobilità, accorsero appresso al
proprio sovrano. Questi lanciò
un altro grido, provando un fortissimo dolore, e si agitò
per liberarsi dalle
spine che lo avvolgevano. Provocandosi ulteriore dolore e ferite,
illuminò lo
sguardo per la rabbia e nessuno dei presenti riuscì in alcun
modo a porre fine
a quell’agitazione. Fortunatamente, Leonore corse lungo le
scale e raggiunse il
giardino. Con i capelli biondi lasciati lunghi sulle spalle,
l’abito bianco che
terminava con un lunghissimo strascico e gli occhi lucidi per
l’apprensione, fu
in pochi minuti accanto al suo amato.
“Amor
mio!” lo chiamò.
L’udire
quella voce, nel buio della cecità momentanea provocata
dalla folgore, calmò
immediatamente il re. Si trascinò fuori dai rovi e
accasciò fra le braccia di
lei, inginocchiata e di cui ora la veste si tingeva di rosso sangue.
Keros
si
risvegliò piuttosto stordito. Le orecchie gli dolevano e
fischiavano, per via
del forte rumore provocato dal tuono. Inoltre, la testa gli pulsava e
faticava
a capire quanto successo. Steso, iniziò a comprendere dove
si trovasse: era
nella propria camera all'Inferno. Ed era da solo. Allungò la
mano per azionare
il dispositivo che richiamava i servi. Dovette attendere solo qualche
minuto
prima che comparisse Simadè sulla porta.
“Siete
sveglio. Buongiorno!” salutò il servitore, con
sollievo.
“Sai
fornirmi una spiegazione riguardo alla mia condizione
attuale?” biascicò Keros,
rimanendo disteso.
“Avete
perso i sensi e siete stato riportato qui".
“Perso
i
sensi? Perché?”.
“Suppongo
per il forte rumore provocato dalla saetta".
Il
principe alzò un sopracciglio.
“Non
ricordate?” suppose Simadè.
“Non
proprio. Che ho fatto ieri sera?”.
“Da
quel
che mi hanno detto, avete sparato ad un demone, vi siete ubriacato e
poi siete
svenuto dopo che un fulmine ha colpito Lucifero".
“È
tutto
molto vago…”.
“Probabilmente
perché eravate sbronzo, altezza".
“Già…”.
Il
mezzodemone si alzò a sedere, passandosi una mano sul viso.
“Vi
porto
qualcosa per farvi stare meglio?” propose il servo.
“Ma…
che
è successo dopo? Come sta il re? Ed Ary
dov'è?”.
“L'arconte
Arikien è stato riportato a casa propria, come da sua
richiesta. Doveva
occuparsi dei bambini, a quanto pare. Riguardo al sovrano, non so dirvi
molto. Il
guaritore Furcas voleva parlare con Voi, una volta sveglio”.
Keros
mugugnò qualcosa. La testa gli doleva e si sentiva ancora
intontito. Si fece
aiutare per vestirsi e fece cercare Furcas. Il dottore era lieto di
vedere il
principe in piedi, anche se con una faccia non molto sveglia.
“Ho
un
ottimo antidoto per il doposbornia, altezza” propose il
guaritore e Keros mugugnò
qualcosa di incomprensibile.
“Dimmi
come sta il re. E non alzare troppo la voce, ho mal di testa”.
“Vostra
maestà
Lucifero è momentaneamente a riposo forzato. Anche se brama
uccidere, sbudellare
e via discorrendo, è meglio che eviti lo stress. Gli ho
somministrato una
pozione per farlo dormire, dormire parecchio. Per dare modo al cuore di
riprendersi dalla scossa, comprendete?”.
“Comprendo.
Ma non è grave, quindi?”.
“Non
può
alzarsi ed andare a ballare una giga, se è questo che volete
sapere. Anche se
lui vorrebbe. L’ho sedato, e per un po’
dovrà stare tranquillo. Mi pare quindi
d’obbligo suggerire un momentaneo cambio di sovrano, onde
evitare lo stress ed
il nervosismo eccessivi”.
“In
poche
parole, passi a me la palla. L’avevo intuito.
L’anello con il sigillo lo ha
Azazel?”.
“Sì,
altezza. Permettetemi però di offrirvi qualcosa per rendervi
più…”.
“Presentabile?
Fa niente. Un po’ di trucco e sembrerò una
superstar. Mi rassicura sapere che
il re sta bene”.
“E
voi? Ci
sentite bene? La vista? Il fulmine non ha provocato danni?”.
“Mi
fischiano un po’ le orecchie. Ma passerà,
suppongo. La vista mi sembra normale.
In caso, ti farò sapere. Grazie…”.
Dopo
aver
recuperato il sigillo regale da Azazel, Keros chiamò a
sé Simadè e Lilith. Grazie
alle loro mani, ne era certo, il proprio aspetto principesco e
scomposto
diventasse degno del sovrano degli Inferi.
“Mandate
a chiamare Arikien” ordinò poi “Con
tutti i bambini”.
Non
sapeva dire per quanto tempo era rimasto privo di sensi. Quando
aprì gli occhi,
Lucifero fu davvero felice di udire la voce di Leonore che cantava. La
vista
offuscata, la mente confusa, sovrapposero la figura di lei e quella di
Sophia.
“Sophia…”
mormorò e lei sorrise.
“Che
bello vederti di nuovo sveglio” rispose la donna.
Toccandosi
il petto, il sovrano percepì bende e dolore. In un momento,
alla mente gli balenò
quanto successo e scattò, ritrovandosi seduto e con il
respiro affannato. In un
ringhio sommesso, si sentì di nuovo bruciare di rabbia e
sofferenza.
“Calmati.
Sei tornato a casa. Sei tornato da me” mormorò
Leonore, avvicinandosi e
sfiorandone la mano.
“Cos’è
questo
rumore?” domandò lui, con voce roca
“Sento delle voci. Molte voci”.
“È
il tuo
popolo che ti acclama” sorrise ancora lei “La voce
della folgore divina si è
sparsa per l’intero regno. E tutti sono pronti ad adorarti,
unico e degno
sovrano in grado di sfidare e provocare Dio, senza temere la sua
punizione. L’unico
in grado di strappare il figlio di Mihael e l’angelo
prediletto dal Paradiso”.
“Angelo
prediletto… un tempo ero io, dicevano…”.
“Chissà.
Magari
lo sei ancora. Io credo che Dio ti ami tantissimo”.
Lucifero
alzò un sopracciglio, perplesso e lievemente irritato.
“Bevi”
offrì lei, porgendo una ciotola “Furcas ha detto
che dovevo fartelo mandar giù
tu, appena ti svegliavi”.
“Dall’odore,
fa schifo”.
“Serve
ad
attenuare il dolore”.
Il
re obbedì,
riluttante. Fece una smorfia, disgustato.
“Perdonami.
Ti ho chiamata di nuovo Sophia” sospirò poi,
tornando ad appoggiarsi sul cuscino.
“Puoi
chiamarmi come preferisci. I nomi sono solo lettere, cambiano nel
tempo…”.
“Sì,
ma…”.
“Sciocco.
Sciocco fratello che ancora non capisce” rise Leonore e
Lucifero si chiese se
per caso stava impazzendo.
“Che
cosa
non capisco?”.
“Non
capisci
proprio? Oppure la sai, la verità. Secondo me lo sai. Tu
sai… sai chi sono. Sai
chi siamo. Eppure a volte la tua mente non ha dubbi”.
“A
volte…”.
“Sempre.
Io
sono qui e ci sarò sempre, amor mio. Gli angeli non muoiono.
Gli angeli
ritornano. Ed io sono qui, per te. Avevo timore, timore che Dio potesse
portarti via. Ma ora ho capito che non c’è nulla
che possa fare. Io sono nata
per te, io sono stata creata per te ed assieme a te. E tu sei nato per
me,
creato assieme a me. Lucifero, fratello mio…”.
“Tu…
tu
sei veramente Sophia?! Ma come…?!”.
“All’inizio
non lo sapevo. Ma durante la gravidanza ho acquisito lentamente sempre
più coscienza.
E quel fulmine mi ha risvegliata definitivamente”.
Il
re
aprì la bocca, come a voler dire qualcosa, senza trovare le
parole.
“Mi
prendi in giro?” disse poi “Sto
sognando?”.
“No.
Per questo
dico che Dio ti ama molto. Perché sei qui. Ti ha riportato
da me. Il tuo posto
è qui, accanto a me. Assieme a nostro figlio”.
“Sei
tu
sei qui, sei veramente qui, allora Dio dev’essere davvero
molto geloso. Ecco il
motivo del fulmine nel petto. Spera forse di distruggere il mio cuore.
Ma il
mio cuore… non mi appartiene più”.
Leonore
dedicò
un bacio al re, sfiorando le ferite con le dita. Questo donò
un immediato
sollievo a Lucifero, che ricambiò il bacio.
“Questo,
allora, appartiene a te…” commentò il
sovrano, infilando l’anello di Sophia al
dito di Leonore “Che tu sia davvero la mia amata sorella
tornata in vita, o un’umana
divenuta demone per generare mio figlio, vorrei che lo
indossassi”.
“Io
sono
entrambe le cose, mio signore!” sorrise lei, con una
scintilla dorata negli
occhi.
Preparatevi
a qualche altro piccolo cambiamento! Ringrazio per tutte le recensioni ai capitoli precedenti. Purtroppo ho qualche problema con le risposte (il sito non mi carica le risposte dal cel). Cercherò di risolvere presto. Grazie a tutti :3
A presto!!
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Capitolo 70 *** Viva il re ***
70
Viva
il
re
Quando
Ary si svegliò, ci mise un po' a capire dove fosse. Ancora
stordito dal sonno,
intravide Keros seduto davanti al grande specchio della camera
infernale.
Attorniato da servi che lo vestivano, il mezzodemone si preparava per
la
giornata da sostituto del re. Sorrise quando vide che il proprio amato
si era
svegliato.
“Sei
magnifico" mormorò Ary, rimanendo steso a letto.
“Ti
ringrazio" gli rispose Keros, lasciandosi pettinare i lunghi capelli
rossi
“Devo avere l'aspetto di un re".
“A
me
sembri un dio".
“Esagerato!”.
Con
lo
sguardo ambrato messo in risalto dal trucco, Keros osservò
la propria immagine
allo specchio. L’abito scuro, ricco di ricami e dettagli
preziosi, scendeva
lungo la schiena fino a formare uno strascico. Ogni bottone riportava
il
simbolo reale e brillava in modo ipnotico. Le stesse punte di luce
continuavano
fra i capelli ed i gioielli, assieme ad un lieve tintinnio. La corona
argento,
quella da principe ereditario, spiccava fra le due corna blu. Una volta
pronto,
Keros si alzò e si voltò verso Ary.
Ridacchiò, congiungendo le mani sotto le
ampie maniche, e mostrò la lingua.
“Le
signorine ti aiuteranno a vestirti" indicò il mezzodemone,
mentre Ary si
voltava a fissarle “Poi sei libero di gironzolare dove vuoi.
Fatti un bagno,
fatti coccolare… Io oggi avrò un po' da fare, ma
per pranzo potremmo mangiare
assieme. Che dici?”.
Ary
annuì, non sapendo che altro dire.
“Ti
suggerisco
la biblioteca" continuò il principe “Puoi
accedervi anche da questo piano,
ma ti consiglio di girare un pochino ed esplorare. Puoi raggiungere il
corridoio centrale, quello che porta alla sala ricevimenti, e poi
girare sulla
destra. Poi prosegui fino alla quinta porta a sinistra. Tutto
chiaro?”.
“Più
o
meno…”.
“Sono
sicuro che te la caverai. Ora vado… A più
tardi!”.
Il
ticchettio
regolare dei tacchi del sanguemisto si allontanò
gradatamente ed Ary sospirò.
Notò quanto fosse affollata quella stanza, fra servi e
serve, e realizzò di
essere nudo…
Mentre
Keros era impegnato con le incombenze reali, Ary si era vestito e stava
vagando
per il castello. Camminava, guardandosi attorno, incuriosito. Era
stupito da
quanto quel luogo potesse essere bello, nonostante si trovasse al
centro
dell'Inferno.
Con
un
sorriso, intravide Lucifero in giardino. Sembrava di buon umore,
ridacchiava
assieme ad Asmodeo e discuteva animatamente. Il fulmine aveva lasciato
qualche
segno sul corpo del demone, che si intravedeva sotto alle vesti. In
particolare, sul viso e sul collo, alcuni segni neri rassomigliavano a
sottili
radici che andavano svanendo. Si notava, dai suoi movimenti, che
provava ancora
dolore ma sorrideva, probabilmente rilassato dalla temporanea mancanza
di
lavoro. Fuori dal palazzo, molti demoni ancora osannavano il proprio
signore
con entusiasmo.
Ary
continuò a camminare, deciso a raggiungere la biblioteca.
Non fu facile trovare
la porta, fra cunicoli e corridoi, ma quando finalmente intravide i
libri della
sala rimase senza parole. Il soffitto era altissimo, le entrate e le
scalinate
si inerpicavano su più piani ed i volumi riempivano gli
scaffali lungo tutte le
pareti. Il profumo della carta era inebriante. Consapevole di non
capire buona
parte della lingua scritta, Ary decise di dedicarsi allo studio della
lingua ed
aveva trovato i libri adatti. Stava studiando con diligenza, seduto su
un
tavolo in legno e chino su un grosso libro antico, quando
udì un’incantevole
voce espandersi per tutta la biblioteca. Cercò di capire da
dove provenisse,
guardandosi attorno. Poi una risata dal tono familiare. Nell'ombra,
intravide
Lilien assieme ad un’altra donna. Risero e poi si scambiarono
un bacio,
accorgendosi solo in quel momento della presenza dell'uomo.
“Non
volevo disturbarvi…” arrossì Ary.
“Non
essere in imbarazzo" ridacchiò Lilien “Non
volevamo interrompere il tuo
studio…”.
“Ah…
no…
io…”.
La
messaggera si avvicinò, seguita dall'altra giovane demone.
“Come
ti
trovi a palazzo?” domandò, salendo sul tavolo ed
accavallando le gambe.
“Non
male…”.
“Pensavi
peggio?”.
“Già…”.
Rimasero
in silenzio, lui decisamente in imbarazzo e lei divertita dalla
situazione.
“Dunque…”
borbottò poi Ary “Era lei a cantare?”.
“Sì.
È
una nuova serva, le sto spiegando un po' come funzionano le cose.
È la figlia
di Lorelai, una delle concubine del re".
“Lorelai?
La sirena del Reno? Ecco perché una voce così
bella!”.
“Esatto!
Si chiama Undinnè. Coraggio… canta ancora un po'
per noi!”.
La
giovane ricominciò a cantare.
Ary
sospirò, incantato.
“Questa
voce è in grado di ammaliare uomini e demoni" sorrise Lilien.
“Semplicemente
divina. Senza offesa, ovviamente” riuscì a dire
Ary.
Undinnè
arrossì.
“Ora
ti
lasciamo studiare" si alzò Lilien.
“Ma…
potete anche restare, se volete…”.
Il
canto
ricominciò. Era una melodia sensuale, simile a quella che
spingeva i marinai
fra le braccia delle sirene e li portava alla perdizione ed alla morte.
Appannava i sensi, offuscava la mente. Ary ascoltava, con attenzione, e
si
perdeva ad osservare la fanciulla che gli stava di fronte. Era minuta,
dai
lunghi capelli color del mare ed un abito che ricordava l'oriente. Non
era
particolarmente formosa o sensuale, ma possedeva una bellezza
particolare che
suscitava di certo interesse.
“So
che
cosa provi" sussurrò Lilien “E non te ne devi
vergognare. Siamo entrambe
ricettive, in questi giorni. Per questo ci eravamo nascoste qui. Per
schivare i
demoni più insistenti e per… sfogare i nostri
istinti fra noi”.
Ary
ricordava vagamente qualcosa, riguardo all'essere
“ricettivi", e tentò di
dire qualcosa. Ma reprimere l'istinto di demone era estremamente
complesso,
specie per chi lo era da poco.
“Non
è
irresistibile?” stuzzicò ancora Lilien
“Canta per te. Dovresti darle qualcosa
in cambio".
“Qualcosa
in cambio…?” mormorò, piuttosto
confuso, l'uomo.
“Sei
ancora troppo umano" lo derise la messaggera “Fai quasi
tenerezza".
Ary
si
sentì punto nell'orgoglio. Si alzò, per
ribattere, ma non trovò parole convincenti
e rimase in silenzio. Undinnè si era avvicinata, smettendo
di cantare, e Lilien
l'aveva baciata di nuovo sulle labbra. Poi la melodia era ricominciata
e lo
sguardo della demone si era posato sull'uomo. Si era avvicinata
ulteriormente
ed Ary l'aveva costretta a rimanere in silenzio, stringendola di scatto
a
sé e
facendola sobbalzare.
“Che
cosa
vuoi da me, sirena?” domandò lui.
Lei,
stupita da quella reazione, dopo qualche istante di smarrimento si
rilassò con
un sorriso. L'uomo rispose a quel sorriso, maliziosamente.
Keros
raggiunse la biblioteca tramite un passaggio che lo collegava
direttamente
dalla sala ricevimenti reale. Percepì subito Lilien, che poi
vide appoggiata
con la schiena contro un tavolo. Sorrideva, soddisfatta. Poco
più in là, Ary ed
Undinnè erano uniti in un atto sessuale quasi violento, fra
graffi e gremiti.
“Come
lo
hai convinto?” domandò il principe alla messaggera.
“È
stato
facile" ghignò lei “Fa bene ad entrambi".
“Chi
è
lei? Non mi sembra di conoscerla".
“La
figlia di Lorelai. È qui per imparare a fare la serva. La
sua famiglia risulta
fra i sovversivi che il re ha sconfitto e sottomesso”.
“Una
elementale d'acqua, dal canto ammaliatore come la madre?”.
“Esatto…”.
“Non
so
se mi aggrada sia una semplice serva…”.
“Era
quello che speravo…” ghignò ancora
Lilien.
Nel
frattempo, i due amanti si erano divisi, soddisfatti e lievemente
imbarazzati.
L'imbarazzo salì notevolmente di livello quando entrambi
notarono la presenza
di Keros ed il suo sguardo interessato.
“Vi
siete
divertiti?” ridacchiò il principe.
Ancora
ridacchiando, il mezzodemone invitò la demone ad
avvicinarsi. Mezza svestita,
la osservò mentre si faceva ammirare e girava su se stessa.
“Ma
sei
deliziosa!” commentò poi Keros
“Semplicemente deliziosa!”.
Lei
arrossì.
“Lucifero
non deve averti ancora vista, altrimenti ti avrebbe di certo aggiunta
alla
schiera delle sue concubine. Non ti piacerebbe?”.
“Oh…
mi
piacerebbe. Mi piacerebbe molto!” ammise Undinnè.
“E
se
invece divenissi una mia concubina? Lilien, cosa ne pensi?”.
“Lei
a me
piace" ammise la messaggera “In tutti i sensi. E non credo
piaccia solo a
me…”.
L'ultima
frase l'accompagnò con un ghigno divertito ed un cenno
rivolto ad Ary, che
ancora non capiva del tutto quel che aveva fatto.
“Però,
se
vuoi essere mia concubina…” mormorò
Keros, camminando attorno alla ragazza “…devi
dimostrarmi di esserne all'altezza. Pensi di essere adatta?”.
“Lasciate
che vi mostri quel che so fare, mio principe".
Undinnè
cominciò a cantare. Ary tornò in uno strano stato
d'intorpidimento, mentre
Lilien e Keros ascoltavano con attenzione la sirena. Il principe non
era immune
al potere di quel canto e sorrise, con approvazione.
“Deliziosa"
ripeté “Semplicemente deliziosa!”.
Lei
ridacchiò, arrossendo di nuovo.
“Tu
cosa
dici, Ary? Non è deliziosa? Cosa dici? La
assaggio?”.
Non
ricevette alcuna risposta, come si aspettava, e tirò a
sé la ragazza. Le diede
un piccolo morso sul collo, facendole emettere un piccolo gemito.
“Sai…”
sussurrò Lilien, raggiungendo Ary “…ora
si accoppieranno di sicuro”.
“Non
mi
sembra una cosa negativa…”.
“E
tu?”.
“Io
che
cosa?”.
“Vorresti
assaggiarmi?”.
“I…io…”.
Non
era
stato in grado di rispondere. L'istinto lo aveva reso incapace di
compiere
scelte consapevoli.
Quando
riprese lucidità, Ary si accorse di essere steso sul
pavimento della
biblioteca. Osservava il soffitto, affrescato con intricati disegni
neri ed
argento. Rimase qualche istante a fissare il lampadario pendente, che
era
enorme e risplendeva con bagliori intensi. Keros rise e lo
riportò del tutto
alla realtà. Anche le due donne risero, senza
però alzarsi dal pavimento.
“Benvenuto
all'Inferno!” commentò il principe “Non
è tanto brutto, non trovi?”.
Erano
tutti e quattro nudi, più o meno lucidi.
“Mi
sono
giocato la pausa pranzo" commentò Keros “Ma ne
è valsa la pena!”.
“Ma…
che…” tentò invano di dire Ary,
borbottando cose senza connessione e
ributtandosi sul pavimento scuro con un mezzo sorriso.
Keros
si
sistemò alla bene e meglio e lasciò la sala, per
tornare al lavoro. Lilien si
alzò, porgendo poi la mano ad Undinnè. Le due
donne si alzarono e si
rivestirono.
“Attento”
rise Lilien, girandosi verso Ary e facendo l'occhiolino
“Potrebbe entrare
qualcuno!”.
Quella
sera, Ary attese l'arrivo di Keros nella grande sala da pranzo. Era
solo, e
provava un certo imbarazzo. Fissava uno dei candelabri che decoravano
la sala
ed annusò l'aria, percependo un piacevole profumo di
pietanze che non riusciva
a riconoscere. Il principe lo raggiunse dopo più di
mezz'ora, scusandosi.
“Il
lavoro è lavoro" gli sorrise Ary “Ora
però ho una gran fame. Mangiamo!”.
Sorseggiando
vino, iniziarono a consumare il pasto portato dai servitori. Risero,
ripensando
a quanto successo nella biblioteca. Poi la porta si aprì e
Keros si alzò di
scatto, vedendo entrare Lucifero assieme a Leonore.
“Non
alzarti" sorrise il re “Sei tu il sovrano adesso, anche se
solo
temporaneamente!”.
Lucifero
prese posto e Leonore fece altrettanto.
“Cosa
ne
pensi nel mio palazzo, Arikien?” fu la prima domanda del re,
dopo aver
assaggiato la prima portata.
“Lo
trovo
estremamente bello. È… pittoresco"
“Inquietante?”.
“A
volte.
Ma nel complesso lo trovo maestoso oltre ogni aspettativa".
“E
non ti
manca casa tua?”.
“Mi
mancano alcune cose, lo ammetto".
“La
luce
del sole, suppongo".
“Anche…”.
“Tranquillo.
Tra poco sarò di nuovo il sovrano a tempo a pieno e tu e
Keros sarete liberi di
scorrazzare dove più vi aggrada. Penso fra qualche
mese…”.
“E
i
bambini?”.
“I
bastardelli discendenti dei sovversivi? Stanno qua a palazzo".
“Ho
notato. Però nessuno provvede alla loro istruzione o
addestramento".
“E
che
cosa pretendi? Sono orfani e non di famiglia prestigiosa. Per tutti gli
orfani
dell'Inferno funziona così. O imparano a sopravvivere da
soli oppure crepano
lungo il cammino".
“Che
cosa
triste…”.
“È
la
legge della natura. Vale per tutti così. Anche per gli
animali o per gli esseri
umani".
“Io
sono
un orfano ed ho avuto un’istruzione!”.
“Perché
qualcuno si è preso la briga di impartirtela. Vuoi quei
piccoli? Sono tutti
tuoi. Però sappi che il percorso è in salita e
difficilmente troveranno un modo
per vivere in modo decente, se arrivano all'età adulta".
“Però…
forse io avrei una possibile diversa soluzione".
Il
re
sorseggiò un po' di vino, gustandosi degli stuzzichini che
anticipavano la
seconda portata.
“Sentiamo…”
mormorò, poco convinto.
“Prima
volevo sapere se il nostro debito è estinto".
“Hai
salvato la vita di mio figlio, hai aiutato Keros a credere veramente in
sé e,
grazie alla tua anima speciale, ho conosciuto Leonore. Il nostro debito
non
potrà mai essere estinto, mi sa…”.
“In
questo caso, ho una proposta per annullare il debito!”.
“Parliamo
in privato di questo. Va bene? Ora vorrei discutere con il principe di
Gran
Balli e tornei”.
“Pensavo
di aspettare di vederti del tutto guarito” ammise Keros.
“Sto
sempre bene quando si tratta di andare a caccia di femmine.
Sarà un ballo
grandioso! Sempre che tu non abbia cambiato idea riguardo alle
concubine…”.
“No,
affatto. Anzi, ti dirò… ho trovato una concubina
proprio oggi!”.
“Notizia
splendida. Raccontami tutto, adesso che arriva il dolce!”.
Scusate
il mostruoso ritardo d’aggiornamento!! Vi
mando tanti bacini Kerososi per farmi perdonare (o Lilithiosi, se
preferite!)
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Capitolo 71 *** Gran Balli e proposte ***
71
Gran Balli
e proposte
Ary
era cambiato e Keros lo aveva notato. Se lo aspettava, doveva accettare
e
comprendere la nuova natura da demone, ma su certi aspetti provava un
certo
fastidio. Da qualche mese, si era fatto molto più nervoso e
territoriale. Fin
troppo protettivo nei confronti di Undinnè, la sorvegliava
ed allontanava da
lei ogni altro demone, specie se di sesso maschile. La causa di tale
comportamento era sicuramente da ricercare nel prepotente risveglio
dell'istinto, che lo aveva portato prima ad accoppiarsi con lei e poi a
prendersene cura. Razionalmente sapeva che non era necessario, sapeva
che il
palazzo del re era sicuro per una concubina del principe, ma non
riusciva a
farne a meno. Era diventato aggressivo perfino nei confronti di Keros,
se
provava ad avvicinarsi troppo a lei. Lilith trovò la cosa
quasi romantica,
tenera. Mai aveva visto un demone così protettivo nei
confronti di una femmina
appena conosciuta, e che probabilmente portava in grembo prole non sua.
Keros
al contrario trovava la cosa alquanto stupida ed inutile, e si chiese
come
avrebbe reagito l'inconscio dopo la nascita di altri piccoli da lui non
programmati. Lilien, la più felice di tutte per la
situazione che si era venuta
a creare, attendeva con ansia l’imminente Gran Ballo, che le
avrebbe permesso di
trovare altre possibili fonti di piacere e svago, consapevo che tale
evento
quasi coincideva con il parto della sua adorata Undinnè. La
giovane, che mai
prima d'ora aveva vissuto simili eventi, trovava incredibilmente
piacevole e
rassicurante la presenza di Arikien. Era forte e le infondeva coraggio,
oltre
che a farla sentire sempre al sicuro.
“Keros…
la colpa è tua che ancora non hai imparato ad usare i
contraccettivi" lo
derideva Lucifero.
“Ma
cosa ha a che fare tutto questo con i contraccettivi?!”.
“Ingravidi
femmine a caso e poi ti lamenti delle conseguenze. Sei tu lo stupido,
non
chissà chi! E se nascono altri cosi con le piume?”.
“Lo
sai che l'istinto prende il sopravvento. Poi parli proprio tu, con lo
scricciolo nato da un'umana!".
“La
mia è una faccenda diversa. Però hai ragione. Poi
se ci riesce Lilien ad
evitare cucciolate…”.
“Ad
Ary piace giocare al papà. Lascia che si diverta. Ed io sono
cambiato. Posso
essere una figura genitoriale decente. È solo che mi scoccia
stia spesso con
lei. Dopotutto… È la mia concubina, non la
sua!”.
“E
facci le cose a tre, no? Quanti problemi inutili…”.
Keros
capì che discutere non lo avrebbe portato da nessuna parte.
In ufficio, firmava
documenti mentre il sovrano controllava che tutto stesse procedendo in
modo
corretto. Ormai Lucifero era quasi del tutto guarito e presto sarebbe
tornato a
fare il re a tempo pieno.
“Posso
chiederti una cosa?” riprese il demone, fissando la mappa
dell'Inferno appesa
alla parete.
“Chiedi
pure" annuì Keros, cercando di decifrare l'incomprensibile
scrittura di
Azazel.
“Quando
pensi di dedicarti ad un allievo?”.
“Che
razza di domanda è?!”.
“Suppongo
che, ora che io tornerò al lavoro e tu sarai libero di fare
quel che ti pare,
ti dedicherai al bighellonaggio selvaggio. Insomma… un paio
di secoli di pausa
da tentazioni, impegni formali e cose simili. Un paio di secoli da
dedicare
all'uomo che ami".
“Non
ti paiono un po' troppi un paio di secoli? E poi no, pensavo solo di
far
trascorrere un periodo per il mondo umano ad Ary. Manca ad entrambi. Ma
non
troppo lungo, perché abbiamo delle
responsabilità”.
“Di
che parli?”.
“Lo
sai. Sono un adulto adesso. Sono un padre, presto lo sarò di
nuovo, e sono un
principe. Ci sarà il ballo e poi il torneo.
Sceglierò ragazzi e ragazze con cui
riempire le mie stanze ed il mio letto. Ary ha conosciuto la sua
famiglia e
Alukah lo sta addestrando. Il nostro posto è qui,
all'Inferno".
“E
ti sta bene?”.
“Pare
non abbia molte alternative…”.
“Ma
che dici?! Tu sei libero di fare quel che vuoi, te l'ho sempre
detto!”.
“Riprendi
il discorso. Perché chiedevi di un allievo? Hai in mente
qualcuno?”.
“Veramente,
sì. Ma tra un paio di secoli".
“Oh…
di chi si tratta?”.
“Dello
scricciolo".
Keros
posò la piuma con cui firmava. Alzò lo sguardo,
fissando il re che passeggiava
per il soffitto.
“Sei
serio?” esclamò.
“Serissimo".
“Tu…
vorresti che io addestrassi tuo figlio?!”.
“Esatto.
Se non hai altri impegni, ovviamente…”.
“Ma
io… io sono stato addestrato dai migliori demoni del regno,
non da un novizio!”.
“Appunto!
Loro saranno occupati con un progetto che ho in mente e che sto
portando avanti
assieme ad Arikien".
“Insieme
ad Arikien?!”.
“Te
ne parlerà dopo il ballo, quando non avrai più
obblighi da sovrano. Tornando a
noi, penso che tu sia perfetto per addestrare la mia piccola stella
della sera.
Sei un concentrato del meglio del regno e vorrei che Espero fosse
altrettanto.
Inoltre chi meglio di te può prepararlo a quel che lo
aspetta? Essere principe
ed affrontare gli angeli…”.
“Io…
io sono onorato! Lo farò volentieri e con orgoglio".
“Ne
ero certo!”.
Lucifero
scese con un balzo e fissò Keros, sorridendo. Doveva
congedarsi, gli ultimi
preparativi per il ballo non poteva perderseli!
La
sala da ballo era la più grande del palazzo. Era immensa,
ricca di arazzi e
decori sfarzosi. Il pavimento in marmo era lucido e scuro, pieno di
riverberi
grazie alle luci delle candele. Tendaggi rosso sangue coprivano le alte
finestre, che davano sul giardino di rose nere. In quell'occasione,
agli ospiti
era stato permesso di visitarlo e di passeggiare per esso, pur stando
attenti a
non rovinare i fiori. Candele e specchi, assieme ai lampadari ed i
candelabri,
creavano un’atmosfera magica, surreale. Diversi musicisti
erano accorsi da
tutto il regno, per poter mettere in mostra il proprio talento, ed
iniziavano
già a suonare. I primi ospiti, in maschera come era stato
richiesto, varcavano
la soglia.
La
famiglia reale si fece attendere, entrando trionfalmente fra la folla
già
radunata. Lucifero e Leonore, che si tenevano per mano, lasciarono
senza fiato
molti dei presenti. Lei, in abito vittoriano e maschera color del
cielo,
indossava dei guanti ed usava un ampio ventaglio per coprirsi il viso.
Lui, in
nero ed argento, portava la corona ed il suo abito era un intreccio di
stili ed
epoche, che lo rendevano unico. La maschera del sovrano era scura e con
sembianze animali, una sorta di muso di lupo ne copriva il volto. Al
loro
ingresso in sala, la folla si scansò e permise che fosse
proprio quella coppia
ad aprire le danze. Con un inchino, lei si fece condurre in un valzer
che
lasciò gli invitati estasiati.
“Come
funziona questa cosa del ballo?” aveva domandato timidamente
Ary a Simadè.
“È
facile" aveva sorriso il servo, in attesa dell'ingresso di Keros
“Ci
saranno varie musiche ed ogni demone sarà libero di
esprimere al meglio quella
che preferisce, quella che sente più nelle sue corde.
Ballando, cantando, od
esibendosi in altro modo, ogni invitato potrà mettersi in
mostra. Sfoggiando il
meglio di sé, tenterà di attirare l'attenzione di
potenziali compagni o
compagne”.
“Interessante…
Sarà affascinante da osservare".
“Osservare?
Non intendi partecipare?”.
“Non
sono un granché in certe cose…”.
“Allora
sedetevi e lasciatevi ammaliare".
Arikien
aveva scelto un abito verde e nero, con dei motivi che richiamavano le
spire
del serpente. La maschera ed il trucco evocavano lo stesso animale. Non
si
sentiva molto tranquillo, per via della lontananza sa
Undinnè, ma gli era stato
assicurato che le migliori ancelle l'avrebbero riempita di attenzioni
fino alla
fine del ballo. Farla partecipare a tale festa, nella fase finale della
gravidanza, era fuori discussione. Decise di rilassarsi con del vino e
guardarsi
attorno, tentando di riconoscere gli ospiti. Astaroth vestiva come un
uccello,
con lunghe piume che formavano un mantello ed un copricapo munito di
becco. Il
suo fascino era indubbio e già alcuni commensali lo
bramavano. Mefistofele
aveva scelto tutt'altro stile ed era un incrocio fra uno zombie ed un
motociclista
ubriaco. Lilith si era vestita in oro, come una principessa indiana od
una
divinità orientale. Lilien portava fiori e piante appuntare
sul vestito, che
aveva un lunghissimo strascico, e voleva rappresentare la natura. Altri erano vestiti da
divinità antiche,
richiamando il loro passato, o da animali.
Le
canzoni si susseguivano, in molti già avevano danzato, ed
ecco che comparve
l'unica creatura che in quel momento Ary volesse vedere: Keros. Il
principe
rimase qualche istante in cima alla scalinata che portava alla sala,
poggiato
sul balcone, ed osservò i presenti.
Una
maschera nera ne copriva per metà il volto mentre, sulla
metà libera, intricati
disegni di rami con spine scure circondavano gli occhi ambrati e
truccati di
cremisi e oro. Qualche rosa nera ne adornava i capelli così
come rose nere ne
decoravano l'abito con ricami e rilievi. Interamente in colore nero e
scarlatto, il travestimento dell'erede non passò
inosservato. Keros scese
lentamente le scale, mostrando eleganti scarpe con un leggero tacco
quadrato,
mentre l'orchestra cambiava nuovamente genere musicale. Arikien, nel
vederlo,
aveva chiaramente percepito il proprio cuore accelerare all'impazzata.
Era una
rosa nera, un fiore raro quanto stupendo, ed Ary avrebbe voluto fosse
tutto per
sé. Ma già in molti cercavano di avvicinarsi
più del dovuto, nel tentativo di
attirare l'attenzione del principe. Questi chiacchierò un
po' con alcuni ospiti
e con Lucifero, per poi voltarsi verso Ary. Lo intravide fra la folla,
e gli
sorrise. Però non si avvicinò, limitandosi a fare
un cenno con la testa. Il
nuovo demone non capì quel gesto e rimase leggermente deluso
nel vedere il suo
amato allontanarsi. L'orchestra terminò una canzone ed
iniziò subito una nuova
melodia. Le prime note richiamavano qualcosa di orientale, di arabo o
forse di
turco. E lì Ary capì che quella doveva essere la
canzone di Keros, la canzone
con cui il principe sentiva maggior sintonia. Ovviamente non solo lui
si iniziò
a muovere, ma l'attenzione della maggior parte dei presenti era rivolta
principalmente su Keros. La melodia iniziava lenta, con un flauto ed un
violino. Poi si univa un suono particolare, che il nuovo demone non
riconobbe,
simile ad un clavicembalo. Il tutto si abbassò di un paio di
toni, mentre il
mezzodemone si muoveva piano, con una sensualità rara. Di
colpo, tutto mutò. La
musica si fece incalzante, veloce e ritmata. Keros accelerò
i movimenti,
esibendosi in piroette e movenze che perfino Lucifero ignorava che
l'erede
potesse fare. La melodia accelerava, i danzatori si mischiavano e si
scambiavano di posto, volteggiavano assieme e si sollevavano, in uno
spettacolo
che sembrava tutto fuorché improvvisato. Era tutto
così rapido, così
incalzante, ed Ary lo trovò irresistibile. Si unì
al ballo, e si ritrovò a
girare e vorticare con sconosciuti e sconosciute. Rideva, tutti
ridevano,
felici ed eccitati. Veloce, sempre più veloce,
finché tutto finì di colpo. Si
immobilizzarono, alcuni caddero a terra. Ary restò in piedi,
con lo sguardo
rivolto verso Keros. Il principe era steso, con la schiena leggermente
inarcata
e le ali spalancate che si allungavano sul pavimento di marmo.
Ansimava, per la
fatica e per la soddisfazione, ed allungò una mano verso
Ary. Questi si mosse,
l'unico fra i ballerini, e raggiunse il suo amato per stringerlo fra le
braccia
e donargli il bacio più appassionato che poteva dare.
La
festa era continuata, fra varie danze e spettacoli. Ary ne era rimasto
piacevolmente soddisfatto. In molti facevano i complimenti a Lucifero,
oltre
che per la guarigione ormai avvenuta, per una tale serata. Alla fine,
quando
gli ospiti iniziarono ad allontanarsi, era stato raggiunto lo scopo del
gran
ballo. Coppie e gruppi uscivano e si allontanavano, felici di aver
trovato il
giusto abbinamento con altri demoni. Ad un gruppetto di fanciulle e
fanciulli
fu chiesto di restare a palazzo, con l'onore di entrare a far parte del
grande
harem del re o del ristretto numero di amanti del principe. Arikien e
Keros
avevano scelto assieme, per poi incamminarsi verso le stanze private.
Rimasti
soli, subito il nuovo demone strinse a sé il principe. Lo
baciò e lo tenne
stretto, colto da un irrefrenabile desiderio. Era l'istinto, che come
sempre ne
appannava i sensi, ma era consapevole di quel che faceva.
“Ti
voglio" gemette, scoprendo il petto del principe e baciandolo ancora.
Keros
si limitò a sorridere, ansimando leggermente ed allungando
le mani per aiutare
l'amato nel suo intento. Si baciarono ancora, sempre più
intensamente,
scoprendosi e toccandosi a vicenda.
“Ti
voglio!” ripeté Ary, passando la lingua sul collo
del mezzodemone e
stringendolo forte alle spalle.
“E
fottimi" lo incitò Keros, ansimando “Che cazzo
aspetti?”.
Si
amarono con selvaggio istinto, con passione demoniaca. Fusi assieme, il
piacere
che si provocavano l'un l'altro li faceva gemere ed ansimare. Keros si
inarcò,
sollevando la testa e guidando la mano dell'uomo che amava sul proprio
membro
eretto. Quei movimenti non gli permisero più di trattenere
un “Ah!” di puro
piacere.
“Ti
amo" mormorò, poi urlandolo in preda all'eccitazione.
“Sei
magnifico” gemette Ary, accarezzandone la pelle con la mano
libera ed
accelerando sempre più il ritmo.
Keros
non rispose. Socchiuse gli occhi e si concentrò interamente
sul piacere che
provava. Guidava quelle mani, accompagnava ogni movimento, in una danza
d'estasi sempre più intensa.
“Io…”
gemette dopo un po' “Io sto per…”.
“Vieni
assieme a me" lo invitò Ary “Insieme. Io
ora…”.
Morse
Keros, che aprì la bocca in un gemito eccitato.
“Vieni"
ansimò il principe, mordendo a sua volta e portando entrambi
all'orgasmo.
“Che
cosa stai progettando con mio padre?” domandò
Keros, steso nudo nel letto.
“Con
Lucifero?” rispose Ary, che lo osservava.
“Sì,
ovvio. Mi ha parlato di un progetto che avete…”.
“Storia
lunga…”.
“Parlamene".
“Ma
ora sono stanco!”.
Dopo
aver provato tre diverse posizioni e tre diversi orgasmi, i due amanti
erano
soddisfatti e pronti al riposo. Ma Keros aveva quella domanda in
testa…
“Si
tratta di un'idea che ho in mente da un po'…”
spiegò allora Arikien “E vorrei
il tuo appoggio".
“Parla".
“Si
tratta di una scuola".
“Una
scuola?”.
“Sì.
Per gli orfani. Ho visto che qui all'Inferno nessuno bada a loro. Io
vorrei
aprire una scuola, un istituto, dove possano anche fermarsi a dormire
se privi
di dimora. Con maestri che insegnino loro varie cose e gli permettano
di poter
crescere ed affermarsi, sopravvivere!”.
“È
un progetto ambizioso. E costoso…”.
“Il
re lo appoggia. Ed anche Alukah e Mefistofele. Sono disposti a fare da
insegnanti".
“E
tu… tu che faresti? Non sei un maestro”.
“Io
mi occuperei dei piccoli e della sorveglianza notturna. Mi occuperei
delle
tante piccole cose della vita di un bambino".
“E…
pensi di poterlo fare da solo?”.
“No.
È per questo che vorrei il tuo appoggio!”.
“Ary…
pensaci bene. Un simile progetto ti costringerebbe a rimanere
praticamente
sempre all'Inferno. Ti costringerebbe a vivere sempre e solo in mezzo
ai
demoni".
“Lo
so. Ma io sono un demone adesso. È giusto così.
Devo solo trovare un edificio
adatto".
“Io…
io ho un edificio per te".
“Davvero?!”.
“Il
palazzo che ho fatto costruite nel territorio di Alukah, dopo la
guerra. Ora è
tuo".
“Dici
davvero?! È immenso! Grazie! Lo sapevo che potevo contare su
di te!”.
“Già.
Io ti amo. È così che si fa con chi si ama,
giusto?”.
“Grazie!”.
Arikien
si chinò a baciare Keros, prima di distendersi al suo fianco
ad assopirsi. Il
principe fissò il soffitto e sospirò: lo amava,
ne era certo, ma una vita solo
all'Inferno lo opprimeva!
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Capitolo 72 *** Vita ***
72
Vita
Il
parto di Undinnè fu lungo e complicato. La corporatura
estremamente minuta
della giovane aveva reso difficile il travaglio e la nascita,
portandola quasi
in punto di morte. Fortunatamente, ad assisterla aveva i migliori
medici e la
più esperta levatrice del regno: Lilith. Dopo ore
estenuanti, la puerpera aveva
dato alla luce quattro cuccioli. Purtroppo uno di loro, una femmina,
non aveva
mai aperto gli occhi. Arikien aveva insistito per assistere e fissava
con
orgoglio i tre piccoli che sonnecchiavano tranquilli.
Undinnè, stremata,
riposava e nella stanza era rimasta solamente Lilith.
“Volevo
farti i complimenti” sussurrò la tentatrice
“Ho assistito a tanti parti e tu
sei un rarissimo caso di maschio demone che decide di non lasciare la
stanza.
Il tuo contributo è stato prezioso, le hai dato coraggio.
Sei stato molto bravo”.
“Grazie…”
mormorò Ary, lievemente in imbarazzo.
“Sono
due maschi ed una femmina. Avete pensato a qualche nome?”.
“Veramente
no… Suppongo che ci penserà Keros”.
“Per
tutti e tre? Almeno per il tuo, potresti scegliere tu”.
Il
vampiro fissò i cuccioli, confuso. La femmina assomigliava
alla madre, per quel
poco che si riusciva a capire. Era molto piccola, con i capelli
tendenti al
violetto ed i denti da vampiro. Uno dei due maschi non era
particolarmente
grande ma sfoggiava già l’inconfondibile ciuffo
rosso di Keros. L’altro maschio
era piuttosto grosso, ed aveva complicato di parecchio il parto. Aveva
le ali,
piccole ali da demone, ed i capelli scuri. Arikien era perplesso,
mentre li
guardava. Come potevano presentare caratteristiche genetiche
così differenti l’un
l’altro?
“Noi
siamo come i gatti” sorrise Lilith “Hai presente?
Una gatta può accoppiarsi con
più maschi e partorire cuccioli di più
pretendenti. Se vi siete divertiti a
fare le orge, ragazzacci, a volte succede…”.
“Intendi
dire che il maschietto dai capelli neri è di certo
mio?”.
“Quello
ciccione? Sì, direi di sì. Sempre che tu non
pensi che Keros e Undinnè si siano
divertiti con un altro demone dai capelli neri, le ali ed i denti da
vampiro.
Visto quanto sei stato attaccato a questa giovane, direi che non corri
il
pericolo che si sia concessa ad altri sconosciuti”.
“E
la bambina?”.
“Chissà.
Magari quando cresce si capirà… Ora pensa ai
nomi. Io vado ad informare il re”.
L’entusiasmo
di Nasfer travolse Keros, seduto alla scrivania infernale ed intento a
firmare
documenti. Si era scatenata una piccola rivolta fra le anime in quei
giorni, ed
il principe stava provvedendo ad emettere ordini per punire i colpevoli
in modo
adeguato. Nasfer entrò nella stanza e saltò sul
tavolo, saltellando con gioia e
lanciando gridolini eccitati.
“Ho
un fratellino!” urlò “Finalmente ho un
fratellino! Ha i capelli rossi, papà! È il
mio fratellino!”.
“Calmati…”
alzò un sopracciglio Keros “Di che stai
parlando?!”.
“Il
mio fratellino! Undinnè mi ha fatto un
fratellino!”.
“Sono
nati i cuccioli di Undinnè? Oh…
bene…”.
“Lilith
mi ha detto di dirtelo. Sono tre, ma l’altro non so se
è il mio fratellino”.
“Eh?”.
“Sono
tre” spiegò Lucifero, entrando in stanza con un
sorriso divertito “Due maschi
ed una femmina. Ma un maschio pare non sia tuo…”.
“E
di chi dovrebbe essere? Dello spirito santo?”.
“No.
Di colui che è rimasto appiccicato a quella femmina dal
momento in cui se l’è
scopata”.
“Sei
elegante e poetico come sempre…”.
“Io
sono un vero signore! E tu muovi il culo e sparisci da qui. Fila
immediatamente
dalla tua concubina e lascia fare a me il lavoro sporco”.
“Ma
io…”.
“Sparisci!”.
Obbligato
da Lucifero, Keros abbandonò il posto di lavoro e si
incamminò verso le proprie
stanze. Nasfer saltellava davanti al padre, che non mostrava
particolare
entusiasmo. Undinnè si era svegliata, e chiacchierava con
Lilien ed Arikien.
Carmilla osservava con sguardo sognante la sorellina appena nata e
rivolgeva centinaia
di domande alla levatrice. Il principe rimase qualche istante ad
osservare
Arikien, che ammirava con aria orgogliosa e felice il proprio cucciolo.
Aveva
una luce negli occhi che mai prima di quel momento gli aveva visto.
“Keros!”
lo notò Lilith “Altezza, congratulazioni! Il parto
è stato un po’ complicato,
ma alla fine i tre cuccioli sono sani e forti. E la madre si
riprenderà presto”.
“Bene”
annuì il principe.
“Posso
scegliere io il nome per lei, mamma?” parlò
Carmilla, indicando la nuova nata.
Lilien
fissò Undinnè, che sorrise e fece un cenno
d’assenso con il capo.
“Vasilissa.
Voglio chiamarla Vasilissa”.
“Regina?”
sbottò Nasfer “Perché vuoi darle un
nome che significa regina? Dopo la nascita
di Espero, è a malapena una principessa di secondo
grado!”.
“Perché
mi piace così!” puntò le braccia
Carmilla, mostrando la lingua con una smorfia
infastidita.
“È
un bel nome” le sorrise Undinnè.
“Per
i maschietti…” si intromise Arikien, guardando
Keros “Pensavamo a Koknos e
Mavros”.
“Rosso
e Nero?”.
“Non
sono di tuo gradimento?”.
“Sono
carini”.
“Dai,
vieni a vederli!”.
Il
principe si avvicinò, schivando Nasfer che continuava ad
esternare entusiasmo
per il fratellino. Arikien teneva in braccio il piccolo dai capelli
neri,
mentre Undinnè stringeva quello con i capelli rossi. La
bambina dormiva, in una
culla accanto al letto. Keros li osservò, rispondendo al
sorriso smagliante che
sfoggiava Ary. Non sapeva bene che cosa fare. Vedeva
l’entusiasmo nei volti dei
presenti e si lasciò contagiare: una nuova vita andava
sempre celebrata!
Dopo
aver lasciato riposare Undinnè ed i piccoli, il principe era
tornato nell’ufficio
di Lucifero per aiutarlo. Nonostante le proteste del re, che ormai era
perfettamente in grado di riprendere pienamente le mansioni di sovrano
infernale, il principe non si mosse dalla sala se non dopo diverse ore.
Stanco
delle proteste del diavolo, sbuffò e si allontanò
di nuovo. Pensò di fare un giro
nel mondo umano, e cercò Arikien fra le stanze private. Lo
trovò chino su un
libro.
“Vado
a fare un giro di sopra” parlò Keros
“Vieni con me?”.
“Non
posso” mormorò Ary “Alukah vuole
presentarmi all’intera famiglia e non voglio
fare figuracce. Così sto studiando tutta la genealogia della
casata”.
“Buona
fortuna…” si lasciò sfuggire Keros,
sapendo quanti figli e nipoti comprendesse
l’albero genealogico a cui era legato Ary.
“Buona
serata” gli sorrise Arikien, senza staccare gli occhi dalle
pagine che leggeva.
Keros
respirò a pieni polmoni l’aria del mondo umano.
Era diversa da quella infernale
ed il cielo era sempre uno spettacolo. Le stelle, la luna, la brezza
della sera…
tutte cose a cui non intendeva rinunciare per nulla al mondo! Corse,
cercando
di liberarsi da tensione, dubbi e stanchezza mentale. Era padre di
splendidi e
sani cuccioli, era un maestro, era un tentatore rispettato e potente ed
aveva
chi lo amava alla follia. E allora il problema dove stava?
Perché una parte di sé
era così titubante e confusa? Voleva liberare la mente e
così, dopo essersi un
po’ svagato per le campagne, si addentrò per le
vie di una vicina città. Gruppi
di ragazzi vagavano in cerca di locali e divertimento notturno. Keros
ne
avvicinò un paio, sfruttando i propri poteri, e li convinse
in poco tempo a
compiere azioni poco raccomandabili. Ubriachi, sotto
l’effetto di droghe e
sostanze strane, schiamazzavano per la strada ed iniziarono a litigare
fra
loro. Il principe si allontanò prima che arrivasse la
polizia per arrestarli.
Trovò un altro gruppo facile da tentare e questa volta
calcò un po’ più la
mano, portandoli prima all’estasi con un’orgia
improvvisata e poi alla follia
con un alcolico troppo forte che gli bruciò il cervello.
Dopo averne assaggiato
il sangue, li lasciò e si allontanò
canticchiando. Non si era accorto che
qualcuno lo osservava…
Assieme
ad Arikien, Lucifero stava condividendo l’entusiasmo per la
nascita dei tre
piccoli. Cercando Keros, aveva trovato solo l’amante nelle
stanze private e lo
aveva invitato a condividere qualcosa da bere assieme ad altri in vena
di far
festa. Brindavano alla nascita, congratulandosi con la giovane madre.
Approfittando della presenza di vari demoni di alto livello, il re
incominciò a
discutere seriamente riguardo alla scuola che Arikien aveva in mente.
Iniziarono a calcolare i costi e le tempistiche, raccogliendo adesioni
fra maestri
e tutori.
“La
trovo un’idea molto interessante”
commentò Asmodeo “Molti orfani muoiono oppure
diventano degli inutili parassiti incapaci di svolgere una qualsiasi
mansione.
Con un istituto simile, riceveranno la giusta istruzione e la giusta
guida. Se
gli angeli sapessero, si incazzerebbero di certo! Ovvio… Ci
saranno dei costi…”.
“Vitto,
alloggio, vari stipendi… Ma nulla di impossibile”
annuì Lucifero.
“Potremmo
aprire delle iscrizioni” propose Azazel “Offrendo
la possibilità anche a chi
non è orfano di frequentare le lezioni, dietro compenso.
Pagando una quota,
proporzionata alle capacità finanziarie della famiglia, i
bambini ed i ragazzi
potranno frequentare le lezioni che scelgono e preferiscono. Che ne
pensate?”.
“Mi
sembra un’ottima idea!” sorrise Arikien
“Un progetto in grande!”.
“Anch’io
voglio andare alla scuola di zio Arikien!” sorrise Nasfer.
“Sarà
un progetto impegnativo e che richiederà molto tempo e
dedizione” constatò Lucifero,
sorseggiando del vino “Sei pronto, anima speciale?”.
“Io
lo sono” ammise Ary “Ma spero di avere
sostegno…”.
“Parli
di Keros, vero? Non mi sembra che ti ostacoli”.
“Ma
nemmeno mi pare particolarmente entusiasta. O forse mi
sbaglio…”.
“Vedila
così: è un giovane demone. Molti altri, alla sua
età, sono ben lontani dal
completare gli studi e spesso non hanno nemmeno idea di che fare nella
vita. Deve
compiere una scelta ma, in questo caso, ti chiedo di considerare il
fatto che
tu sei un uomo di più di trent’anni. Hai compiuto
un determinato percorso, commesso
la tua sana dose di errori e cazzate e deciso saldamente quel che
desideri.
Keros è sempre stato un po’…
particolare. Abbi pazienza”.
“Ho
tutta la pazienza che volete. Però lui non parla
apertamente”.
“Non
lo fa mai. Ma ora non pensiamoci. Brindiamo a questi tre piccoli
pulcini
neonati. E per un glorioso futuro a noi ed a qualsiasi progetto ci
venga in
mente di creare!”.
Keros
era osservato da un gruppetto di angeli, che attendevano gli ordini di
Mihael
per intervenire. L’Arcangelo però non si mosse.
Sospirava, constatando come il
figlio si comportasse come un demone in tutto e per tutto. La cosa gli
provocava, oltre che ad una buona dose di fastidio, anche un certo
dispiacere.
Sognava ancora, doveva ammetterlo, di vedere il ragazzo fra le schiere
angeliche. Si apprestava a raggiungerlo, per intimargli di tornare
all’Inferno,
quando assistette ad una scena che non si aspettava. Una ragazza, sola
nella
notte, chiedeva aiuto. Un ragazzo la importunava, minacciandola. Keros
ignorò
il fatto che l’umano avesse una pistola e che gliela puntasse
contro con
convinzione. Affrontò il mortale, mettendolo in fuga dopo
una breve rissa, e si
assicurò che la ragazza tornasse a casa senza ulteriori
problemi. Il principe sorrideva
soddisfatto quando si voltò e si trovò davanti il
volto imbronciato di Mihael e
di un paio di altri angeli.
“Salve”
salutò Keros “Me ne stavo tornando a
casa”.
“Perché
lo hai fatto?” lo fermò Mihael
“Perché hai aiutato quella ragazza? Le hai
salvato la vita!”.
“Dovevo
farla crepare?”.
“No!
Però… perché lo hai fatto?
È tutta la sera che ti comporti da demone, portando
alla perdizione anime deboli, e poi…”.
“Non
capisco il motivo del tuo disappunto. Tu è tutta una vita
che fai l’Arcangelo eppure
una sera ti sei scopato mia madre. Questo non ti ha reso meno
Arcangelo,
giusto?”.
Alcuni
angeli si trattennero per non ridacchiare o lanciare commenti
inappropriati.
“Questa
è la cosa più stupida che…”
tentò di ribattere Mihael, ma Keros gli sorrise.
“Me
ne vado a casa” si congedò il principe
“I miei cuccioli mi aspettano…”.
Non
voleva parlare. Non voleva sentire. Arrivato a casa, ritiratosi nelle
sue
stanze, Keros aveva trovato Arikien ad attenderlo. Era lieto di questo
ma non
fu altrettanto lieto di sentirsi dire “Vorrei parlare con
te”. Odiava quelle
parole. Potevano significare un milione di cose diverse.
Così, per sfuggire temporaneamente
alla discussione, si era rinchiuso in bagno. Immerso nella vasca,
sperava di
poterci rimanere per delle ore. Poi prese un profondo respiro,
arrendendosi all’evidenza,
e decise di affrontare la realtà. Uscì con un
sorriso apparentemente rilassato
e sedette accanto ad Arikien, pronto ad ascoltare.
“Voglio
che tu sia sincero con me” iniziò
l’anima speciale.
“Lo
sono” annuì Keros.
“Voglio
che tu mi dica, sinceramente, che progetti hai per il tuo
futuro”.
“Perché
me lo chiedi?”.
“Perché
non voglio trascinarti in progetti che non ti interessano. E non voglio
obbligarti a vivere in modo diverso da come desideri. Perciò
avanti… dimmi come
vorresti il tuo avvenire”.
Il
principe rimase in silenzio, qualche istante. Che domanda
complicata… Però
anche Lucifero gli chiedeva da un pezzo di riflettere sulla propria
vita, ed un
paio di pensieri in mente li aveva.
“Ary,
tu… tu sei felice?” parlò, infine.
“Io?
Non potrei essere più felice. Ho una famiglia, un passato,
degli antenati, una
bella casa, un progetto in corso che sognavo da tempo, una creatura
meravigliosa che mi ama ed un figlio. Non potrei davvero chiedere di
più. Ora
so chi sono e so dove voglio andare”.
“Sei
felice anche se sei sempre all’Inferno?”.
“Sì,
certo. Tu no, suppongo”.
“No.
Io sono un tentatore. I tentatori vivono fra gli Inferi ed il mondo
umano. Io
amo il mondo umano, anche se non mi ci trasferirei in modo definitivo.
La mia vita
voleva essere così. Come quella di Mefistofele. Viaggiare
fra i due mondi,
portando anime all’Inferno e trascorrendo lunghi periodi
altrove”.
“E
che cosa è cambiato?”.
“Ora
ci sei tu. E tu vuoi vivere sempre qui. La scuola che vuoi ti
impegnerà per
tutto il giorno, non potrai permetterti mesi o anni per il mondo umano.
Io, non
so perché, mi ero immaginato un futuro in cui io e te
avremmo vissuto come
tentatori. Almeno per un certo periodo”.
“Il
tuo periodo sabbatico dopo la fine degli studi…”.
“Circa…
Comunque è fuori discussione. Ora hai altri progetti ed
altre priorità, ed è giusto
così”.
“E
dunque? Che pensi di fare? Io pensavo che, visto come ti eri comportato
con i
piccoli dei sovversivi, avessi appoggiato volentieri quel che ho
progettato”.
“E
lo appoggio. Ma sinceramente non penso di essere molto portato ad
occuparmi di
bambini ogni giorno ed in ogni momento”.
“Allora
ascolta la mia proposta. Vedi se può piacerti. Io, come sai,
non sono un
maestro. Perciò nella scuola io sarò un tutore,
mi occuperò principalmente dei
bambini più piccoli e della sorveglianza dei dormitori.
Accoglierò e mi occuperò
delle esigenze di chi vivrà nell’istituto, in
attesa di una nuova possibile
famiglia. Ma ovviamente non sarò da solo. Ci saranno altri
tutori, oltre a me. Tu
intanto potresti fare da insegnante esterno e trascorrere dei periodi
nel mondo
umano, assieme agli alunni pronti ad affrontare tale passo. Questo ti
permetterebbe di vivere al di fuori degli Inferi, seppur con ragazzini
al
seguito. Anche in questo caso, se lo desideri, potresti essere
affiancato da
altri tentatori e potrai allontanarti per cercare anime quando vorrai.
E, te lo
prometto, ci prenderemo assieme dei periodi di vacanza. Solo io e te.
Non sarà
come trascorrere secoli da soli fra i mortali, lo so, e non
sarà come passare
secoli a tentare gente lontano da qui ma…”.
“Ma
può starmi bene” interruppe Keros.
“Davvero?”.
“Ci
vuole un compromesso. Io non rinuncio a te, e steso nella vasca temevo
che
invece quello fosse il tuo pensiero. Voglio che il nostro cammino
continui insieme”.
“Sì
ma… sarai felice? È quello che vuoi?”.
“Non
posso prometterti che lo sarò per sempre, perché
mi piace variare. Ma ci
penserò strada facendo”.
“Mi
basta. Per ora…”.
“Ed
ora concentriamoci sul torneo. Sarà grandioso,
vedrai!”.
|
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Capitolo 73 *** Torneo -parte prima- ***
73
Torneo
-parte
prima-
La
piccola Carmilla si stava sistemando davanti ad uno specchio. Poco
più in là,
le sue sorelle gemelle litigavano per una motivazione futile. Nasfer
attendeva
l’arrivo di loro padre Keros. Il bambino era elettrizzato per
il torneo e tutti
si erano abbigliati al meglio, sapendo che molti spettatori li
avrebbero
ammirati sul palco reale. Demoni da ogni parte del regno iniziavano a
varcare
le mura della città, raggiungendo la grande piazza
principale. Con stendardi e
maestosi destrieri, formavano un corteo che gli abitanti della capitale
ammiravano affascinati. Tutti bardati ed in armatura, i partecipanti al
torneo seguivano
un percorso preciso che li avrebbe condotti fino all’arena,
con un’entrata
trionfale ed una sfilata per il pubblico.
“È
ora!” si udì per i corridoi del palazzo.
Quello
era il segnale e l’intera famiglia reale si radunò
per raggiungere gli spalti. Era
un avvenimento vedere tutti i principi e le principesse tutti insieme e
fuori
da palazzo. Gli ultimi nati erano lasciati alle cure ed alla
sorveglianza dei
più qualificati, mentre l’edificio lentamente si
svuotava per assistere allo
spettacolo. Non appena Lucifero assieme a Leonore ed a tutti i principi
si fu
seduto, nella piazza iniziarono a sfilare i demoni e le vare casate.
Ogni
famiglia poteva presentare uno o più campioni, uomini o
donne, che ordinatamente
si presentavano al cospetto del palco reale. Con un inchino, veniva
pronunciavano
il loro nome e la dinastia a cui appartenevano. Lucifero, in piedi sul
palco
rialzato, rispondeva con un cenno del capo. Alla sua sinistra sedeva
Leonore,
che osservava ogni cosa con ammirazione. Alla destra aveva Keros,
silenzioso ed
a disagio. Il principe indossava l’armatura che aveva
utilizzato in guerra e
questo gli riportava in mente eventi e ricordi poco piacevoli. Quando
intravide
l’ingresso in arena di Arikien, con addosso
l’armatura appartenuta a Nasfer,
ebbe un tuffo al cuore. A colui che la indossava, lui aveva tagliato la
testa.
Colui che un tempo marciava con quell’armatura ora era morto,
per mano della
spada che portava alla cinta.
“Scusate”
mormorò Keros, alzandosi ed allontanandosi senza dare troppo
nell’occhio.
Prima
che l’erede di Alukah giungesse dinnanzi al palco, il
sanguemisto aveva
lasciato la postazione ed era rientrato a palazzo. La distanza era
poca, la
piazza sorgeva davanti alle mura della casa reale, e lo raggiunse senza
farsi
notare. Nel silenzio, respirò profondamente.
L’edificio era buio, silenzioso, e
praticamente deserto. Camminò ancora lungo il corridoio, con
la mente confusa. Nelle
narici percepiva odore di morte, odore di guerra. Le mani sporche di
sangue, i
cadaveri lungo le strade, i gemiti dei feriti e le urla degli
sconfitti. E lui
era lì in mezzo, efferato assassino e crudele boia,
circondato da nemici da
uccidere. Chiuse gli occhi, tentando di scacciare
quell’immagine, ma era
sopraffatto dalla confusione e dal panico.
“Altezza!”
lo notò una delle guardie rimaste a palazzo “State
bene? Devo chiamare
qualcuno?”.
Keros
non rispose, continuò a camminare.
“Altezza?”
insistette la guardia ed il principe si voltò di scatto,
ringhiando.
“Ma…
che…?” borbottò il giovane soldato,
mentre si udirono passi svelti precipitarsi
dai piani delle stanze private.
Prima
che Keros reagisse in modo peggiore, aggredendo chi aveva di fronte
senza alcun
motivo, Simadé raggiunse il suo signore e lo
chiamò per nome, congedando la
guardia.
“Va
tutto bene” mormorò il servo “Siete nel
palazzo del re. Nessuno vuole farvi del
male. Che vi succede? Respirate…”.
Keros
si scosse, riprendendo lucidità e guardandosi attorno. Poi
chiuse gli occhi, sedendosi
a terra e reggendosi il viso con una mano.
“Decapitato”
biascicò, sempre con Simadé al proprio fianco
“Il sangue. Gli occhi spalancati
e ormai spenti che mi fissano…”.
“Siete
a casa” ripeté lentamente Simadé
“Scacciate dalla mente i ricordi di guerra.
Nessuno morirà oggi. Il torneo viene indetto proprio per
evitare altre guerre e
scontri inutili, per permettere ai demoni di sfogarsi in modo
appropriato”.
Keros
non rispose. Fissava il pavimento, che gli sembrava ricoperto di sangue
lucido.
Il servo si allontanò e tornò in pochi minuti,
porgendo una tazza di tè al
proprio signore. Qualche sorso lo fece calmare.
“Così
state meglio?”.
Keros
annuì.
“Non
dovete vergognarvi, altezza. Siete stato in guerra ed eravate molto
giovane.
Avete assistito a scene raccapriccianti ed avete ucciso molte
persone”.
“Sono
passati trecento anni…”.
“Sì,
ma forse l’indossare questa armatura e vedere altri demoni in
abiti simili…”.
“Arikien
indossa l’armatura di Nasfer. Quella che lui
indossava… quando l’ho decapitato”.
“Oh.
Allora è normale una reazione così”.
“No
che non lo è! Io sono un demone!”.
“E…
con ciò? Provate a parlarne con Amodeo. Lui le guerre le ha
vissute tutte e
vedrete che vi confermerà che in molti provano, a volte,
sensazioni come le
vostre. Paure, incubi, visioni… Non avete motivo di
vergognarvene. Vedrete che
con il mio tè starete subito meglio”.
Il
principe sospirò. Dopo un altro sorso, si lasciò
sfuggire una lacrima e la
lasciò cadere in terra senza dire nulla.
“La
guerra è orribile” riprese Simadé
“La mia famiglia è decaduta a causa di una
guerra. La gente muore, demoni vengono sfigurati e sconfitti. Morte. Ma
questo
torneo celebra la vita. È in onore del principino Espero e
della regina
Leonore. Qui i demoni sono amici, alleati, e nessuno verrà
ucciso. L’armatura
che indossava Nasfer ora la indossa Arikien, fieramente, e
combatterà con essa.
È la vita che continua, la celebrazione della forza del
regno”.
Keros
riuscì ad aprirsi in un piccolo sorriso.
“Coraggio!”
sorrise a sua volta Simadé “Andate là
fuori e mostrate a tutti la bellezza di
un principe che combatte!”.
“Compagni
demoni!” esordì Lucifero, a sfilata terminata
“Benvenuti! Le più nobili e le
più forti famiglie del regno sono qui, pronte a sfidarsi per
decretare il
vincitore! Tutto questo in onore della mia ormai prossima sposa, la
regina
Leonore. Ed ovviamente per il principe Espero”.
Fra
il pubblico si alzarono ovazioni per i sovrani.
“Ma
parliamo di premi. Per cominciare, il mio fedele capitano delle guardie
vi
osserverà attentamente e sceglierà fra voi
qualcuno degno di entrare nell’élite
dell’esercito imperiale. Inoltre, se attirerete determinate
attenzioni,
potreste entrare a far parte dei preferiti reali. Al vincitore
assoluto, un
dono”.
Leonore
si alzò, mostrando una splendida spada che un paio di servi
le avevano porto.
“Questa
spada è il mio personale dono al vincitore. Su di essa
è impressa il sigillo
reale e rimarrà in possesso della famiglia vincitrice, nei
millenni a venire. È
di perfetta fattura, impreziosita da pietre preziose e metalli
pregiati. Chiunque
di voi la vincerà, la potrà sfoggiare con
orgoglio. E ora ripassiamo le regole.
Tutti i candidati si sfideranno in uno scontro iniziale, utilizzando
tutti la stessa
arma, che verrà scelta dalla regina. Non verranno ammesse
altre armi, pena la
squalifica. Saranno ammessi cambi di forma, utilizzo di poteri magici
ed
elementali, veleno ed ipnosi. Sarete tutti insieme, e gli sconfitti
verranno
eliminati dal torneo. Quando avrete raggiunto un numero prestabilito,
il demone
che vedete appostato su quella torre suonerà la tromba. I
nomi dei rimanenti
verranno scritti e riposti in un’urna e saranno le piccole
mani della
principessa Carmilla a scegliere e sorteggiare gli abbinamenti per gli
scontri
successivi, uno contro uno. Per motivi pratici, gli scontri si
svolgeranno in
diverse giornate, permettendo a tutti di recuperare le forze e dare il
massimo.
Ospiti miei e degli edifici più lussuosi della
città, spero che questo torneo
vi permetta di rimanere impressi nella memoria degli abitanti di Dite.
Buona
fortuna”.
Si
alzò un grido d’entusiasmo, mentre i contendenti
prendevano posto per il primo
scontro.
“Dove
sei stato?” mormorò il re, rivolto a Keros che era
tornato al seggio accanto al
sovrano.
“A
fare un giro…” gli rispose il principe, vago.
“Stai
bene? Ti vedo palliduccio…”.
“Sto
benissimo. Non vedo l’ora di iniziare. Anche se non mi
aspettavo di vedere
Arikien fra i partecipanti”.
“E
perché no? Basta che questo non ti distragga. Sei il
rappresentante della
famiglia reale, vedi di fare bella figura”.
“Cercherò
di non farti annoiare…”.
Il
principe si alzò, per dirigersi all’arena. A
Leonore fu affidato il compito di scegliere
quale arma far utilizzare a tutti i guerrieri e lei, dopo alcuni minuti
di riflessione,
aveva optato per un bastone lungo. Le sembrava l’arma
più adatta a non
provocare ferite gravi o morti. Una volta che tutti i guerrieri ebbero
tra le
mani il bastone, con il divieto di usare altre armi, gli scontri
iniziarono.
Le
famiglie rivali erano facilmente individuabili: si massacravano di
botte in
modo efferato, ben più feroci rispetto agli altri
partecipanti. Arikien, in
principio un pochino spaesato, non si lasciò spaventare dai
demoni che lo
circondavano ed iniziò a combattere. Lucifero osservava
tutti con attenzione,
trovando alquanto divertente lo spettacolo. Alcuni demoni non avevano
nemmeno
idea di come usare l’arma assegnata ed erano quasi ridicoli,
mentre
inciampavano e si infuriavano con loro stessi ed il bastone. Keros si
guardava
attorno, notando come in molti tentassero di evitare lo scontro con
lui. Ridacchiò,
divertito. Dovevano essere impauriti all’idea di ferire il
rappresentante della
famiglia reale, indispettendo Lucifero. Fu allora il principe a cercare
la
lotta, non volendosi annoiare troppo. Si muoveva con
agilità, guadagnandosi gli
applausi del pubblico e sconfiggendo avversari. I presenti stavano
realizzando
che sconfiggere, o comunque far bella figura, combattendo contro il
principe,
non poteva che arrecare prestigio e lustro al proprio casato. Lucifero
ghignò
soddisfatto, mentre il mezzodemone roteava il bastone e respingeva gli
attacchi.
“Ma
non temi che possano ferirlo?” domandò Leonore
“Sembrano così feroci…”.
“Non
corre alcun pericolo, tranquilla. È in grado di difendersi
più che egregiamente”.
“Anche
noi parteciperemo al torneo, un giorno?” chiese invece la
piccola Carmilla.
“Certo,
perché no?”.
“Però
potevi organizzare una gare anche per i bambini, nonno!”
sbottò Nasfer.
“La
prossima volta. È un’ottima idea. Ora guarda il
tuo papà che rompe qualche culo
in quattro”.
Il
Diavolo osservava deliziato, ed il pubblico gradiva ed applaudiva. Poi,
nel
guardare il principe, il re non poté fare a meno di notare
una somiglianza che
lo fece rabbrividire per qualche istante. Con il bastone, Keros aveva
atterrato
l’avversario e lo costringeva a terra. Sul viso,
un’espressione seria e
risoluta, nessun ringhio o smorfia di rabbia. Spalancando le ali
argento, assomigliava
davvero molto a Mihael. Poi lanciò un grido, espandendo il
proprio potere ed
evocando il fuoco angelico pronunciando una sola parola. Scese il
silenzio,
mentre molti si inchinavano in segno di resa. Passarono alcuni secondi
e suonò
la tromba, mentre Keros storceva il naso. Il sovrano si
congratulò con i
vincitori, mentre terminava la prima giornata del torneo.
“Ma
che cosa ti è saltato in mente?!” sbraitava
Lucifero quella sera.
I
vari contendenti riposavano e Keros sospirava, innervosito. Il sovrano
si stava
dilungando in una predica fin troppo lunga.
“Ti
sei bevuto il cervello?! Rispondimi!”.
“Ma
che vuoi?!” sbottò il principe.
“Usare
una parola angelica all’Inferno? Lanciare fuoco celeste
durante un torneo nella
capitale degli Inferi?! Ma che cazzo avevi in mente?!”.
“Io
faccio quello che mi pare. Volevi che combattessi e l’ho
fatto”.
“Sì,
ma…”.
“Il
mio lato angelico è più forte di quello
demoniaco. Per quanto mi sforzi di migliorarlo,
il sangue di demone non è in grado di lanciare attacchi di
pari forza. Perciò
il modo più rapido di vincere per me è far
così…”.
“Tu
sai combattere benissimo anche come demone, non era necessario questo
teatrino
piumato”.
“Hai
ragione. È per questo che non intendo continuare il
torneo”.
“Che…?!”.
“Ho
capito che voi demoni avete paura. Ed io non voglio incutere timore
inutilmente”.
“VOI
demoni?!”.
Il
Diavolo spalancò le braccia, sconcertato. Keros
tentò di svicolare,
incamminandosi lungo il corridoio e rendendosi conto che il nervosismo
lo
faceva sparlare.
“Somiglio
troppo a mio padre. Per questo mi guardano con terrore. E non mi
piace”.
“Sono
IO tuo padre!” ringhiò Lucifero “IO ti
ho cresciuto, IO ti ho allevato e ti ho
permesso di essere quello che sei. Loro hanno paura perché
sei MIO figlio, il
figlio del sovrano supremo dell’Inferno e suo degno erede.
Incuti timore perché
sei potente, non perché assomigli a quello stronzo di
Mihael!”.
“Ah,
sì? Non perché quel bastone ricordi tanto quella
lancia che ti trafisse e ti
spedì negli Inferi?”.
Muovendo
l’arma, fece scattare i riflessi del re. Keros
ghignò, certo di aver ragione.
“E
tu non è che non vuoi combattere per paura di dover lottare
contro il tuo
fidanzatino?!”.
“Almeno
il mio fidanzatino sa combattere, non è solo seduto e fermo
a fare da bella
statuina da ammirare”.
“Ma
come ti permetti?! Tu mi fai impazzire” sbottò il
demone “Chi ti capisce è
bravo! Che devo fare con te?”.
“Niente.
Solo tapparmi la bocca. Perché?”.
Lucifero
sospirò.
“Perché
sei tornato all’Inferno, quando avevi l’occasione
di fuggirne per sempre?”
domandò poi, calmandosi.
“Perché
sono un demone”.
“Sicuro?”.
Keros
girò le orecchie a punta, ammutolendo. Decise che era meglio
non dire altro e
si allontanò, rinchiudendosi nella sua stanza. Non voleva
combattere ancora. Gli
piaceva, lo ammetteva, ma non voleva che i presenti provassero terrore.
Non voleva
risvegliare ricordi passati ed orribili, così come in lui si
erano risvegliate
nella mente scene di guerra. Si dovevano divertire, e meritavano di
farlo,
senza pensare al Paradiso. Lui sognava rispetto, ammirazione, ma non
timore. E poi…
certo che era un demone! Era assolutamente certo di esserlo!
Sbatté la porta
dietro di sé e sobbalzò nel vedere Arikien ad
aspettarlo.
“Levati
immediatamente quell’armatura” sibilò il
principe, notando che ancora vestiva l’armatura
in cui aveva decapitato Nasfer.
“Ed
io che volevo farmi ammirare” scherzò Arikien
“Come ho combattuto, secondo te? Non
vedo l’ora di sapere chi sarà il mio
avversario!”.
“Sei
stato molto bravo. Però ora togli l’armatura, ti
prego. O te la incenerisco”.
“Oh…
Ok…”.
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Capitolo 74 *** Torneo -parte seconda- ***
74
Torneo
-parte seconda-
I
vari partecipanti alla grande giostra infernale si stavano risvegliando
e
preparando per gli scontri della giornata. Keros non aveva indossato
l’armatura,
non avendo alcuna intenzione di combattere. Stava scendendo le scale,
diretto
verso la sala da pranzo e con in mente una buona ed abbondante
colazione a base
di dolci vari, quando udì la voce di Asmodeo. Nulla di
strano, stava discutendo
con Lucifero come faceva spesso. Probabilmente faceva rapporto, da
bravo
generale, pensò il principe. Poi udì pronunciare
il proprio nome e rimase ad
ascoltare, dall’alto della rampa in pietra.
“Sì,
lo so” sorrideva Lucifero “Ha combattuto davvero
bene”.
“Un
vero spettacolo, maestà” annuiva Asmodeo
“E non ho potuto fare a meno di notare
le sue tecniche. Ora comprendo il perché abbiate deciso di
allevare il figlio
dell’Arcangelo!”.
“È
figlio mio, generale. Sono certo che Carmilla approverebbe. Ma dicevi
di avere
una richiesta…”.
“Sì,
vero… Ecco… Vedendo quelle tecniche di lotta, mi
chiedevo se il principe
potesse dare una bella svegliata alle nuove reclute. I demoni giovani
non hanno
idea di quel che un angelo può fare, prendono il tutto alla
leggera. Ho paura
che, al primo scontro diretto, si facciano brutalmente massacrare. E
sapete
bene quanto me che dobbiamo essere pronti, per la grande battaglia
finale”.
“Intendi
far combattere Keros contro giovani sbarbatelli strafottenti? Pensi
forse che
li tratterebbe meglio di come non farebbero gli angeli?”.
“Non
credo che rientri negli interessi del principe esorcizzare o uccidere
demoni.
Al contrario, sapete bene che il compito degli angeli è
sconfiggerci. Penso che
una dimostrazione pratica di come un angelo possa far del male, anche
in modo
piuttosto crudele, non possa che far bene agli aspiranti tentatori e
soldati”.
“Ne
discuterò con il principe quanto prima. Ora prepariamoci,
oggi ci saranno un sacco
di scontri stimolanti al torneo!”.
“Agli
ordini, maestà”.
Asmodeo
si congedò, con un inchino, e si allontanò. Il re
girò gli occhi, avendo subito
percepito la presenza di Keros. Non disse nulla, limitandosi ad
incamminarsi lungo
il corridoio, illuminato solo dalla lieve luminescenza che mai
abbandonava il
corpo del sovrano degli Inferi.
“Battaglia
finale”. Quelle parole tornavano costantemente alla mente di
Keros, mentre
assisteva agli scontri ed elogiava i vincitori. Spesso aveva sentito
parlare
della famigerata battaglia, l’Apocalisse, la fine di ogni
cosa. Essa però era
strettamente legata al fatto che Lucifero volesse tornare in Paradiso.
Ora che
accanto a sé aveva Leonore, la reincarnazione di Sophia, che
desiderio aveva
mai di riavere accesso al Cielo? Pensava che il pericolo di doversi
ritrovare
fra due fuochi, fra due padri che combattono alla fine del Mondo, se lo
fosse
lasciato alle spalle. Ma ora la preoccupazione lo punzecchiava,
obbligandolo a
rimuginarci continuamente. Se ci fosse stata davvero questa
“battaglia finale”,
che avrebbe dovuto fare? Lottare per i demoni o per gli angeli? In
entrambi i
casi avrebbe dovuto voltare le spalle a parte della propria natura.
Sospirò,
mentre la folla acclamava un giovane demone che aveva appena sconfitto
il proprio
avversario.
A
sostituzione del principe, come rappresentante della famiglia reale,
aveva
deciso di mettersi in gioco Lilith. Era strano vederla combattere,
indossare
abiti adatti alla lotta e non alla seduzione, e molti fra il pubblico
si
stupirono. Si stupirono ancor di più quando la tentatrice
mostrò le proprie doti
di mutaforma, divenendo una civetta e schivando i colpi
dell’avversario con
agilità. Tornando alla forma umana, lasciò che
per qualche istante le ali
sostituissero le braccia, lottando ancora come una guerriera alata.
“Bravissima!”
la applaudì Leonore.
“Bella
e letale” ghignò Lucifero, poco prima che la
tentatrice sconfiggesse
definitivamente l’avversario.
Gli
scontri si susseguirono, fra l’entusiasmo dei presenti. Keros
osservava i
propri figli mentre incitavano i guerrieri con energia.
L’ultimo scontro della
giornata fu quello fra Arikien ed un demone dal volto dipinto,
appartenente
alla famiglia di Furcas. Il principe si alzò in piedi,
dedicando un saluto ed
un incoraggiamento ad entrambi, ma solamente ad Arikien
dedicò un sorriso,
prima che questi si calcasse l’elmo sul capo. Il sanguemisto
trovava ancora una
lieve inquietudine nel vedere quell’armatura, nonostante
tentasse in ogni modo
di reprimere ogni sentimento che riteneva imbarazzante. Il
combattimento fu guardato
con interesse da molti, incuriositi dal quel nuovo e strano demone. I
due
avversari iniziarono ad affrontarsi con una certa ferocia, dettata dal
fatto
che nessuno dei due intendeva in alcun modo perdere. Il principe rimase
sorpreso, non aspettandosi una tale spietatezza da parte
dell’erede di Alukah.
Era cambiato, ora era totalmente un demone, e non assomigliava
più all’insegnante
universitario che aveva conosciuto qualche anno prima. Se questo fosse
un bene
o un male doveva ancora capirlo…
Nella
lotta, Arikien aveva perso l’elmo, sputando sangue e subito
contrattaccando.
“Non
se la cava male” commentò Lucifero, rivolto a
Keros.
“Ha
fatto notevoli progressi e molto in fretta” annuì
il principe.
“Ed
è all’Inferno solo per merito tuo, devi esserne
orgoglioso”.
“Ma
non è vero! Lui è…”.
Un
forte botto zittì il mezzodemone, che sobbalzò
temendo potesse succedere
qualcosa ad Arikien. Fortunatamente quel rumore era dovuto al clangore
prodotto
dalle armature che si scontravano, in un corpo a corpo che conquistava
sempre
più il pubblico. D’un tratto l’anima
speciale si fermò e sorrise. Richiamò a
sé
l’energia ed iniziò a mutare di forma. Come Alukah
e Nasfer, anche Arikien era
in grado di tramutarsi in un lupo.
“Il
vampiro ed il lupo mannaro” ridacchiò il re,
mentre Keros tratteneva il fiato
nell’assistere a quel cambiamento.
Con
il muso da lupo, Arikien attaccò l’avversario
senza pietà, fino a quando questi
non chinò il capo in segno di resa. Si levò un
applauso, per entrambi, mentre l’araldo
decretava il vincitore e ne pronunciava il nome a gran voce.
“Bravo!”
applaudì il sovrano “Alukah dev’essere
fiero del suo erede!”.
Gli
spettatori urlavano, felici per aver assistito a molti scontri
memorabili. I guerrieri
non feriti in modo grave dedicarono un inchino a tutto il pubblico,
ponendo
fine alla giornata.
Quella
sera, quando i combattenti si erano tutti ritirati nelle proprie stanze
a
riposare o farsi medicare, la famiglia reale era ancora in fermento per
quanto
visto lungo la giornata. In particolare i piccoli erano molto agitati,
e
mimavano alcune mosse viste in campo. Il re sorrideva divertito, mentre
i bambini
ruzzolavano per i corridoi. Il principe attese che la situazione si
calmasse, aspettando
con pazienza che tutti iniziassero a ritirarsi nelle proprie stanze,
chiedendo
a Lucifero una breve udienza. Il sovrano, che aveva intuito che
qualcosa
frullasse per la testa del principe, lo accontentò senza
discutere troppo. Era
lievemente scocciato, lo doveva ammettere, perché dopo una
giornata così
eccitante avrebbe preferito dedicarsi ad altre attività, e
quindi accolse l’erede
con un leggero agitare di coda. Keros lo percepì e
tentò di essere breve e
diretto.
“Ci
sarà la guerra finale contro il Cielo?” chiese,
senza troppi giri di parole.
“Che
domanda è?!” sbottò Lucifero, seduto
sul trono.
“Ho
sentito quello che dicevate tu ed Asmodeo”.
“E
con ciò?”.
Il
buio della stanza era debolmente smorzato solamente dalla luce del re,
volutamente piuttosto lieve.
“Ti
ho fatto una domanda”.
“Tutto
il giorno a rimuginare su una cosa del genere? Per quello sembrava
stessi con
la testa ovunque tranne che all’arena? Io non ti capisco. Ad
ogni modo, certo
che ci sarà! Prima o poi verrà la fine del Mondo,
è inevitabile! Ed in quella
circostanza le due fazioni si scontreranno per forza”.
“Perché
per forza? Intendo dire… a te non interessa più
il Paradiso, giusto? Sophia è
qui con te, non hai interesse a rivendicare il Cielo”.
“Ci
sono faccende di ben altro tipo, che non mi aspetto che tu comprenda.
Non l’ho
stabilito io, lo sai. L’Apocalisse non è una mia
idea”.
“Ma
cosa accadrà?”.
“Le
profezie sono piuttosto vaghe e nebulose. In linea di massima, tutti
gli umani
dovranno essere giudicati in modo definitivo. Finiranno tutti
all’Inferno o in
Paradiso e fine dei giochi. Si chiuderanno le porte con il mondo
umano”.
“Si
chiuderanno le porte?”.
“Esatto.
Capisci il perché della guerra? Vuoi passare
l’eternità all’Inferno, senza
possibilità di uscirvi mai più? Non preferiresti
un piccolo angolo di cielo?”.
Keros
rimase in silenzio. L’idea di non poter mai più
camminare sul mondo mortale lo
opprimeva. Ma lo opprimeva ancora di più l’idea di
dover combattere per l’una o
per l’altra fazione.
“Smettila
di angustiarti” ghignò il sovrano “Non
accadrà domani. In teoria”.
“Non
sai nemmeno quando accadrà?!”.
“No,
non spetta a me decidere. Perciò rilassati. E per quel che
ha chiesto Asmodeo…”.
“Ci
penserò… Ora vado a letto”.
Raggiungendo
le proprie stanze, Keros trovò Arikien lungo il corridoio
che passeggiava su e
giù, con in braccio il piccolo Mavros.
“Non
dorme ancora?” parlò piano il principe.
“No”
scosse la testa Ary, sorridendo “Koknos e Vasilissa sono
più tranquilli”.
“Senti…
posso farti una domanda? Se ti va di rispondere…”.
“Tanto
non posso dormire, perciò chiedi pure quel che
vuoi”.
“Tu…
sei cambiato. Sei un demone, sei feroce. Ti ho visto
nell’arena. Hai avuto dei
piccoli, sei entrato a far parte di una famiglia
prestigiosa… Sei ancora
convinto di… volere me?”.
“A
che ti riferisci, scusa?”.
“Io
non sono un demone completo, lo sai”.
“Intendi
che un demone come me non dovrebbe voler fra i piedi un demone a
metà?”.
“Ecco…
detto in un modo meno brutale ma… sì, il concetto
era quello…”.
“E
perché? Tu sei più di un demone, questo ti rende
doppiamente speciale. Solo che…
forse sono cambiato troppo per te. O no? Intendo dire… non
sono più colui di
cui ti sei innamorato. O sbaglio? Dovrei essere io ad avere dei dubbi,
non tu”.
“Io…
Sì, sei cambiato. Ma tu sei stato l’unico ad
accettarmi interamente. Se sei
ancora in grado di amare ogni lato di me, io non posso che fare
altrettanto”.
“Tu
sei il mio angelo. Ed il mio demone. Ed il mio qualsiasi altra cosa tu
voglia
essere, sarai o sei stato. Per
l’eternità”.
Keros
sorrise. Sentirsi dire quelle parole, dopo che le preoccupazioni
riguardo a
guerre e battaglie lo avevano turbato per tutto il giorno, gli
sollevarono
notevolmente il morale.
“Non
essere così insicuro” ghignò Arikien
“Sei perfetto. Non dovresti dubitare di te”.
“Sono
tutto fuorché perfetto…”.
“Sei
mio. Non scordarlo mai”.
“Piano.
Non ti faccio fare il demone alpha. A cuccia!”
ridacchiò Keros, scherzando.
“Come
desiderate, altezza” ribatté Ary, ridacchiando a
sua volta.
Scuotendo
la testa, il principe raggiunse la porta della camera.
Lasciò il giovane padre
alle prese con il proprio cucciolo e decise di riposare, sperando di
non fare
incubi di guerra come nella notte passata.
Per
sfatare altri piccoli dubbi, ed approfittando del fatto che Ary non
combattesse
quel giorno, Keros si era allontanato ed aveva raggiunto il mondo
umano. Deciso
a voler comunicare con un angelo, sperando vivamente nella comparsa di
Mihael,
gironzolò accanto ad una cattedrale tentando di attirare
l’attenzione degli
abitanti celesti. Con disappunto, notò un paio di giovani
demoni che
scherzavano con i piccioni. Avevano di certo meno di mille anni,
perciò il
principe non capiva per quale motivo non fossero accanto a qualche
maestro. Con
il gran baccano che facevano, iniziavano a dare troppo
nell’occhio. Il principe
scosse la testa. Com’era prevedibile, alcuni angeli li
raggiunsero per farli
tornare al proprio posto. Confondendosi fra gli umani, vestiti da
poliziotti, si
identificarono immediatamente con i ragazzini. Mormorando loro che
erano angeli
e che dovevano rientrare all’Inferno, solitamente ottenevano
la manifestazione
di un certo timore, soprattutto nel caso di esemplari giovani. Ma in
quel caso
i demoni continuarono a fare gli spavaldi, sfidando gli angeli di
obbligarli a
tornare negli inferi.
“Che
pensi di fare, angioletto?” sibilò uno dei due
“Non mi fai paura! Sei solo un
piccione cresciuto”.
L’angelo
rispose afferrando per i polsi l’avversario, come a volerlo
arrestare.
“Aiuto!”
rise l’altro giovane demone “Il piumino ci
minaccia!”.
Keros
si accigliò. Che coppia di dementi! Era forse quello di cui
parlava Asmodeo? Si
avvicinò convinto alle due coppie di angeli e demoni ed
afferrò uno dei giovani
diavoli per un braccio, con molta meno delicatezza di quanto non
avessero fatto
gli abitanti del Paradiso.
“Volete
farvi uccidere?!” ringhiò sommessamente, per non
farsi udire dai mortali “Sapete
che cosa possono farvi?”.
“Sono
angeli!” lo derise il ragazzino “Quelli giocano con
le aureole e le arpe! Che
potrà mai succedere?!”.
“Idioti!”.
Gli
angeli erano già pronti ad intervenire, quando una terza
creatura celeste li
interruppe. Mihael, anch’esso vestito da poliziotto,
fermò lo scontro.
“Questi
demoni impudenti verranno subito riaccompagnati all’Inferno
dal loro principe”
parlò “Non è vero?”.
Keros
annuì.
“Non
è necessario fare altro” concluse
l’Arcangelo.
“Ma…”
tentò di ribattere uno dei due angeli, subito zittito da
Mihael con il solo
sguardo.
“Ci
penso io” assicurò Keros, afferrando per la
collottola entrambi i ragazzi.
Rientrato
all’inferno, il principe dedicò una bella
ramanzina ad i due diavoli, che non
parvero molto convinti.
“Volete
vedere cosa è in grado di farvi un angelo?” li
invitò Keros “Bene! Venite con
me!”.
Li
trascinò al cospetto di Asmodeo, che si limitò a
fissarli con aria
interrogativa.
“Portami
tutte le reclute a cui vuoi far vedere come lotta un abitante del
Paradiso,
Generale!”.
“Subito,
Altezza!”.
Asmodeo,
entusiasta, richiamò le reclute in fretta e furia. Keros,
piuttosto nervoso,
era pronto a scagliare contro di loro tutto il proprio fuoco angelico!
“Ho
dovuto fare rapporto” ammise l’angelo
“Quei demoni andavano esorcizzati”.
“Non
devi sentirti in colpa per questo” lo rassicurò
Vehuia, un Serafino che aveva
già incrociato il cammino di Keros in passato “Il
comportamento di Mihael mi… turba.
Mi chiedo come si comporterà, semmai dovesse ritrovarsi
dinnanzi al principe in
battaglia. Tenetelo d’occhio. E riferite a me ogni
irregolarità”.
“Sì,
sommo Vehuia”.
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Capitolo 75 *** Torneo -parte terza- ***
75
Torneo
-parte terza-
“Siete
già stanchi?” parlò Keros, ordinando ai
giovani demoni di alzarsi.
Attorno
al gruppetto in addestramento, si era creata una piccola folla di
curiosi. Fra servi,
soldati ed aspiranti guerrieri, erano rimasti in molti ad osservare le
mosse
del principe che tentava di insegnare ad un gruppo di ragazzini come
combattono
gli angeli. Lucifero scosse la testa, non apprezzando certi spettacoli,
e diede
ordine che tutti si recassero all’arena per gli scontri
imminenti. Ormai gli
sfidanti erano rimasti in pochi, e presto si sarebbe saputo il nome del
vincitore del torneo. Keros non poté non notare lo sguardo
di disappunto del re
e rimase ad osservarlo in silenzio, mentre veniva annunciato il suo
ingresso
sul palco fra le ovazioni. Indossando un mantello nero ed una veste
color della
notte, anche il principe raggiunse gli spalti e non disse una parola.
Vide alcuni
dei bambini figli dei traditori, che attendevano l’inizio dei
combattimenti. Il
mezzodemone non comprendeva tutto quell’entusiasmo, ma era
evidente che fosse l’unico
fra i presenti a non percepire quella frizzante energia e voglia di
vedere
gente picchiarsi per giorni.
Lilith
era stata in grado di aggiudicarsi un posto in finale, mentre Arikien
si era
dovuto arrendere dinnanzi alla brutale forza di uno degli eredi di
Asmodeo. Una
volta medicato, si era seduto accanto ad Alukah ed aveva tifato con
entusiasmo
durante gli scontri successivi. Contro Lilith, inaspettatamente, si era
ritrovata un’altra donna. Keros la conosceva bene, era la
ragazza che più volte
lo aveva massacrato durante gli addestramenti con Astaroth. Era una
femmina
davvero feroce, ed aveva sbaragliato ogni avversario che si era
ritrovata di
fronte.
“Chi
vincerà, secondo te?” mormorò il
sovrano, rivolto al principe che gli sedeva
accanto.
“Difficile
a dirsi. Sono due stronze” ammise il sanguemisto, mentre la
lotta iniziava.
Lilith
era più esperta, memore di millenni trascorsi fra le
avversità dell’Inferno. La
sua avversaria era molto più giovane ed avventata, ma aveva
dalla sua parte l’energia
dell’età e la sfrontatezza acquisita con
l’addestramento. Non si persero in
inutili convenevoli ed iniziarono immediatamente ad affrontarsi, mentre
il
pubblico urlava e tifava. Fu uno scontro lungo, senza esclusione di
colpi, ma
alla fine Lilith si fermò. Con un gesto della mano, si
voltò verso il re e
sorrise.
“Lascio
che sia questa giovane ad ottenere la vittoria” disse,
soddisfatta “Penso che
non potevo chiedere di meglio. Una gran femmina, la migliore
combattente del
regno”.
Si
levarono applausi ed ovazioni, mentre il re si era alzato ed aveva
decretato la
vincitrice a gran voce. La ragazza si era inchinata, ancora incredula,
ed aveva
ricevuto in premio la spada promessa dal sovrano.
“Voglio
offrirvi ancora attimi di diletto, miei sudditi” aveva
parlato Lucifero, una
volta concluso l’ultimo combattimento ed aver osannato a
sufficienza la
vincitrice “Volevo, prima di farvi rientrare ai vostri regni
ed alle vostre
solite attività, concedervi un ultimo, memorabile,
momento”.
Si
levò un applauso, mentre il re si levava elegantemente il
mantello e scendeva
in arena.
“Il
re!” sussurrava il pubblico “Il re
combatte!”.
Era
un avvenimento a cui nessuno voleva mancare. Il sovrano era il
più potente di
tutti ed ogni suo combattimento era esempio di perfezione e mirabile
dimostrazione di forza.
“Vieni,
mio erede” invitò il Diavolo, allungando la mano
verso Keros.
Questi
sobbalzò, accigliandosi. Dannato vecchio, si
ritrovò a pensare, che tentava di
coinvolgerlo in simili stupidaggini!
“Avanti,
mio erede” ghignò Lucifero “Approfitta
di questo momento. Tutti qui non vedono
l’ora di vederti combattere con ogni mezzo possibile. Ti
concedo di usare i
poteri angelici, se lo desideri. È tanto che non ho a che
fare con simili
energie”.
Il
principe rimase immobile, qualche istante. Avrebbe tanto voluto
declinare, ma
equivaleva a farsi dare del vigliacco dall’intero regno.
Così, dopo alcuni
istanti in cui fulminò con lo sguardo il sovrano, si
alzò. Con un sospiro,
tolse anch’egli il mantello e slacciò qualche
gancio nel complicato vestito. Con
il tatuaggio del braccio in bella vista, storse il naso e si
apprestò a
combattere. Dal pubblico presente si alzò un applauso
eccitato.
“Sono
curioso di constatare di persona i tuoi progressi”
mormorò il Diavolo.
I
due si stavano studiando, camminando in tondo lungo il perimetro
dell’arena.
Arikien era perplesso, non capendo perché re e principe
dovessero scontrarsi.
Alukah, seduto al suo fianco, ridacchiava divertito.
“Puoi
tornare a sederti, se non te la senti” derise Lucifero.
“Anche
tu puoi tornare al tuo posto, se ti stanchi”.
“Frena
la lingua, ragazzino!”.
“Risparmia
il fiato, vecchio!”
Fu
Lucifero a fare la prima mossa, scattando verso l’erede.
Keros schivò
facilmente quell’attacco, con un movimento rapido.
Parò ed evitò ancora un paio
di colpi.
“Smettila
di giocare” sbottò, saltando
all’indietro “Se vuoi uno scontro, almeno sii
serio! Se no lasciami in pace!”.
Il
re rispose con un colpo decisamente più forte, che
lanciò il principe a terra.
“Come
desideri!” rise il sovrano, spalancando le braccia.
Il
mezzodemone si rialzò e subito contrattaccò,
usando la balaustra che circondava
l’arena come base per un salto orizzontale verso
l’avversario. Lucifero saltò a
sua volta, schivando quell’assalto, e usò la coda
per infliggere una lieve
ferita all’erede. Keros, irritato dal dolore e
dall’atteggiamento del sovrano,
ringhiò. Il diavolo subito contrattaccò ma
l’erede fu rapido a reagire e creò
una barriera attorno a sé. Il signore dei demoni vi
sbatté contro e fu respinto
con una scarica magica. Portandosi entrambe le mani al volto, la zona
più
colpita dalla scarica, il demonio borbottò un “E
questo quando lo hai imparato?”,
preparandosi poi a parare le fiamme che il principe gli stava lanciando
contro.
Il
pubblico era in estasi, mentre i due avversari si affrontavano a lanci
di
fiamme e salti. Di colpo Keros cambiò tipologia di fuoco,
che si tinse d’azzurro,
riuscendo a ferire il sovrano. Evitò poi il contrattacco
spalancando le ali
angeliche. Satana rincarò la dose e si fiondò
contro l’erede ad artigli
sfoderati, graffiandolo con ferocia. Il principe finì in
terra, dolorante. Si voltò
verso il re, che attendeva un segno di resa per terminare il
combattimento,
ringhiando sommessamente. Invece di sottomettersi, ripartì
subito all’attacco.
“Ma
quando la finiranno?” si preoccupava Arikien “Si
stanno ferendo seriamente!”.
“Calmati!”
lo derise Alukah “Il re non ammazza di certo il suo erede!
Stanno giocando”.
“A
me sembra che se le stiano dando di santa
ragione…”.
“Si
vede che hanno questioni in sospeso. Rilassati. A Keros basta chinare
la testa
e tutto finisce. Se continua, significa che è in grado di
combattere e vuole
continuare a farlo”.
Poco
convinto, Ary trattenne il fiato. Keros era stato di nuovo scagliato in
terra con
forza e l’arena iniziava a tingersi con il sangue di
entrambi. Gli spettatori
accompagnavano lo scontro con tipo, ovazioni ed urla, soprattutto in
caso di
colpi particolari o scenografici. Era evidente che il principe stava
avendo la
peggio ma, con assoluta testardaggine, non aveva alcuna intenzione di
sottomettersi. Richiamò di nuovo a sé il potere
angelico e colpì violentemente
il sovrano, fra lo stupore dei presenti. Lucifero, di tutta risposta,
scagliò
contro l’erede una potente scarica di energia demoniaca che
lanciò l’erede
contro gli spalti, fra il pubblico. Gemendo, Keros si rialzò
a fatica ed arrancò
di nuovo fino all’arena. Satana lo
colpì ancora, ributtandolo a terra. Le corna di entrambi
erano visibili,
grandi, ed incorniciavano benissimo i loro volti sporchi di sangue e
deformati
dalla rabbia. Il principe si rialzò in fretta ma,
altrettanto in fretta, il
diavolo lo afferrò per le braccia e gliele girò
dietro alla schiena. Piegando le
ali, strinse la presa e mormorò: “vuoi che ti
uccida?”.
L’erede
scossa la testa, rassegnato, dopo alcuni secondi d’attesa.
“Sei
stato molto bravo” sussurrò poi il re,
inchinandosi dinnanzi agli applausi del
pubblico.
“Siete
due idioti!” sbottò Lilith, curando le ferite di
Lucifero.
“Ma
su, è stato divertente” ghignò il re,
sorseggiando vino.
“Keros
è giovane ed orgoglioso, non dovevate spingerlo ad una
simile sfida”.
“Son
cose che formano, che rafforzano. Che gli fanno capire
perché non deve fare lo
sbruffone con me”.
“Intanto
ti ha ferito…”.
“Vero.
È potente, specie se sfrutta le abilità
angeliche. Non mi ha rivolto la parola,
finito lo scontro, ma sono sicuro che si riprenderà presto.
Un po’ di riposo e
sarà come nuovo”.
“Siete
davvero idioti!” sibilò la demone, stringendo
forte una fasciatura e facendo
gemere il re.
Keros
aveva raggiunto le proprie camere, in silenzio. Chiudendosi a chiave
all’interno
delle proprie stanze, aveva tentato di lenire il dolore delle ferite.
Perdeva
sangue, ma non aveva voglia di farsi vedere da un medico o da qualche
servo impiccione.
Aveva lasciato lo scontro a testa alta, con orgoglio, e non aveva
intenzione di
mostrare alcuna debolezza. Con una certa difficoltà,
aprì un portale e si
addentrò nel mondo umano. Seduto sul tetto della casa che un
tempo era di Arikien,
attese l’alba. Alle prime luci, non appena i raggi lo
sfiorarono, subito iniziò
a sentirsi meglio. Le ferite si rimarginarono ed il dolore si
alleviò. Poi,
sentendosi molto stanco, si trascinò fino alla camera da
letto della casa,
arrotolandosi nella coperta ed assopendosi quasi subito.
Un
rumore lo svegliò, e si tirò su a sedere in pochi
istanti. C’era qualcuno sul
tetto? Non passò molto tempo prima che capisse che si
trattavano di angeli. Trattenne
il fiato, piuttosto preoccupato. Se avessero deciso di affrontarlo in
quel
momento, in cui era debole e stanco, non sapeva quali conseguenze
avrebbe
potuto riportare. Li sentiva discutere, in tono serio e concitato.
Riconobbe la
voce di Mihael, e questo un pochino lo tranquillizzò, ma
capì subito che non
stava discutendo con un sottoposto.
“Perché
non intervieni?” domandava una voce che Keros sapeva di
conoscere, ma che in
quel momento non riusciva a collegare.
“Il
nostro compito è difendere gli umani” rispondeva
Mihael “E qui non ci sono
umani. Perciò perché devo intervenire?”.
“Perché
te lo ordino io!”.
“Con
tutto il rispetto, sono io a capo degli eserciti angelici e decido io
che fare
in questi casi. Non avete autorità su di me in questo
frangente”.
“Io
sono un Serafino. Ti sono superiore di grado e ti ordino di rispedire
quell’immondo
essere all’Inferno ora. Subito”.
“Non
è necessario. Nessun umano è in
pericolo”.
“Obbedisci!”.
Il
Serafino stava perdendo la pazienza, lo si poteva capire dal tono della
voce.
Mihael, al contrario, restava calmo e pacato.
“E
quando verrà la fine del mondo?” incalzava il
Serafino “Che farai?”.
“Combatterò,
ovvio!”.
“Anche
contro quello lì?”.
“Ma…
di che parlate?!”.
“Alla
fine di tutto, lo sai che dovrai spedire definitivamente agli Inferi
anche lui.
Lo farai oppure no?”.
“Innanzitutto
non sappiamo da che parte si schiererà. Le sue ali sono
ancora angeliche, il
suo animo non è interamente demoniaco”.
“E
questo chi lo ha stabilito?”.
“Ritengo
di essere sufficientemente esperto in materia, Vehuia!”.
Keros
sobbalzò, sentendo quel nome. Ricordava quel Serafino, che
lo controllava
mentre in Paradiso leggeva libri sulla caduta. Non gli era mai stato
simpatico,
e probabilmente la cosa era reciproca.
“Muoviti!”
sbottò il Serafino, mentre il principe tentava di
raggiungere la stanza con il
portale per l’Inferno.
Mihael
sospirò e raggiunse il figlio, fissandolo quasi con noia.
“Me
ne sto andando” mormorò il mezzodemone
“Non voglio problemi. Sono molto stanco”.
“Perché
sei venuto nel mondo umano?”.
“Per
il sole. Ero ferito…”.
“Perché
eri ferito?”.
“Perché
i demoni sono degli animali, ecco perché!”
interruppe Vehuia “Rispediscilo
subito agli Inferi!”.
“Ci
sta tornando di sua spontanea volontà!”
iniziò a spazientirsi Mihael.
“Farò
rapporto, Mihael”.
“Ed
a chi? A Dio? Buona fortuna!”.
Vehuia
trattenne la rabbia e volò via, decisamente alterato.
“Me
ne vado subito” si affrettò a dire Keros
“Non voglio metterti nei casini…”.
“Nessun
casino. Solo idiozia” storse il naso Mihael “Tu,
piuttosto, non dovresti girare
per il mondo umano se sei debole”.
“Lo
so”.
“Se
lo sai, perché lo fai?”.
“Non
so. Idiozia, suppongo…”.
Il
principe sospirò, piuttosto abbattuto.
“Che
succede?” domandò l’Arcangelo, in un
raro sprizzo di empatia.
“Niente…
Torno a casa”.
Giunto
sulla porta, pronto a rientrare all’Inferno, Keros si
voltò verso il padre.
“Non
voglio la fine del Mondo” confessò.
“Nessuno
la vuole” rispose Mihael.
“E
allora perché avverrà?”.
“Perché
è giusto così”.
“Capisco…”.
Con
un mezzo sorriso, il mezzodemone salutò con la mano e poi
attraversò il
portale. Una volta dall’altra parte, camminò nel
buio per un po’. Voleva raggiungere
la propria stanza in fretta, piuttosto debole e dolorate, percorrendo i
corridoi del castello. Aveva i capelli rossi tutti increspati, il viso
rigato
dal sangue e gli occhi segnati dalla stanchezza.
Nell’oscurità, si sentì
afferrare e stringere.
“Keros!”
parlò chi lo stringeva.
“Ary…”
lo riconobbe il principe.
“Mi
hai fatto morire di paura! Ero preoccupato!”.
“Davvero?”.
“Lo
eravamo tutti! Dove sei stato?! Stai bene?”.
“Ti
preoccupi troppo. Ho solo tanto sonno…”.
Il
principe sorrise, felice di aver ricevuto quel genere di benvenuto.
“Oh,
meno male! È tornato!” si sentì dire da
Lilith e Leonore si unì a quei commenti
di sollievo. Per tutto il palazzo si diffusero voci e si udì
ad eco la frase “il
principe è tornato”.
“Mi
stavano cercando tutti?!” si stupì Keros.
“Ovvio!”
sibilò Lucifero, raggiungendo l’erede zoppicando
leggermente “Eri ferito e non
davi più tue notizie!”.
“Ero
nel mondo umano per il sole. Ora non sanguino più”.
“E
se ti fosse successo qualcosa?”.
“Tipo
essere aggredito e ferito da un mio zio incazzato? Già fatto
per oggi, non
trovi?”.
“Zio?”.
“Hai
capito il concetto…”.
Il
principe chinò leggermente la testa, mentre posizionava le
mani nel gesto che
per tutti i demoni significava sottomissione e resa. Non aveva voglia
di discutere,
vinto dalla stanchezza. Il re lo osservò, mentre si
allontanava lentamente.
“D’ora
in poi…” lo fermò “Voglio
vederti sviluppare ogni lato angelico che hai”.
“Che…?”.
“Mi
hai sentito. Sei potente, ma non abbastanza. Voglio vederti diventare
il più
potente di tutti”.
Keros
sorrise, questa volta sinceramente.
“E
la prossima volta sarò io a sconfiggerti?”
suggerì.
“Tieni
i piedi per terra” ghignò Lucifero “Non
esagerare. Ora fila a dormire!”.
Ciao!
È da un pochino che non vi lascio un saluto, giusto? Ora me
ne vado un pochino
in ferie, quindi mi prendo una piccola pausa (piccina piccina). A
presto!
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Capitolo 76 *** Giudici e Giudicati ***
76
Giudici e
Giudicati
La
scuola che Arikien aveva tanto sognato era stata terminata e sistemata
in tempi
relativamente brevi. All’inaugurazione, Lucifero aveva
tagliato il nastro con
orgoglio, con accanto l’erede di Alukah ed alcuni maestri che
avrebbero presto
insegnato nella struttura. Molti erano stati i curiosi, accorsi ad
ammirare
quella novità, e molti furono gli iscritti. Su richiesta di
Keros, era stato aperto
un portale che collegava il palazzo reale all’edificio appena
inaugurato. In
questo modo il principe era libero di muoversi fra i due ambienti senza
faticare, impiegarci troppo tempo o dare nell’occhio.
Il
primo giorno di lezione e collegio, i corridoi erano affollati e
rumorosi.
Arikien osservò, dall’alto dell’androne
delle scale, tutti i piccoli demoni che
attendevano di iniziare. Quando furono presenti altri maestri,
l’erede di
Alukah si presentò ai futuri allievi.
“Benvenuti”
esordì, con un sorriso compiaciuto “Io sono
Arikien, appartenente alla stirpa
di Alukah, e vi accolgo nella nuova scuola. Il mio compito
sarà di occuparmi
dei piccoli e di tutti coloro che, non avendo un tetto ed una famiglia,
rimarranno qui a vivere. Accanto a me, invece, potete vedere i maestri
che si
occuperanno della vostra istruzione ed addestramento”.
I
bambini ed i ragazzi osservarono il gruppo di adulti con
curiosità. Qualcuno mormorò
il nome del principe, avendolo riconosciuto fra i maestri. Dopo che
ognuno di
essi ebbe finito di presentarsi, spiegando i vari compiti, i bambini
vennero divisi
fra varie classi e stanze. Keros, che si occupava delle lezioni nel
mondo
umano, quel giorno aiutò Arikien a sistemare i piccoli nelle
camere. Prima di
condurre una classe fra i mortali, dovevano raggiungere un determinato
grado di
conoscenze e non poteva correre rischi il primo giorno. Fra i piccoli
riconobbe
molti dei figli dei rinnegati che aveva incontrato ed aiutato. Si
chiese se,
grazie a quell’istituto, avrebbero potuto trovare delle
famiglie dove crescere.
L’istituto
divenne presto famoso, e molti furono gli iscritti e gli adottati.
Arikien era
fiero della buona riuscita del progetto e perfino Lucifero si era
congratulato,
quella sera a cena, per i rapidi vantaggi che una simile struttura
portava al
regno. Ripensandoci, il vampiro sorriso. Nel buio, l’erede di
Alukah cercava un
libro fra gli scaffali dell’immensa biblioteca del palazzo
reale per poterlo
utilizzare il giorno successivo con i cuccioli. Era solo ed
udì un grido. Subito
scese dall’alta scalinata che conduceva ai ripiani
più alti e si precipitò
fuori. Un’anima, sfuggita al controllo, era sbucata
all’improvviso davanti a
Leonore e la donna aveva urlato, terrorizzata. Le guardie del palazzo
avevano
bloccato l’intrusa e la stavano trascinando via, mentre la
regina si
riprendeva.
“Tutto
bene?” domandò Arikien, raggiungendola
“TI ha ferita?”.
“Tutto
bene…” ansimò lei “Ma
è spuntata così, all’improvviso,
e…”.
“Tranquilla.
L’hanno catturata. Senti?”.
L’anima
urlava disperatamente ed i suoi versi riecheggiavano lungo i corridoi
bui.
Leonore, ancora un po’ spaventata, si lasciò
abbracciare da Arikien. Quel
contatto la fece subito calmare e sorrise, sollevata. Rimasero qualche
istante
stretti l’uno all’altro e poi lei si
congedò, ringraziando. Il vampiro si voltò
e rientrò in biblioteca. Lì, un paio di occhi
velati di rosso lo fissavano nel
buio. Sobbalzò, sorpreso e inquietato.
“Maestà?”
chiese “Siete voi?”.
“Attento,
erede di Alukah” sibilò Lucifero, scendendo
lentamente lungo la rampa di scale
che collegava la biblioteca alle stanze private del re “Non
mettere alla prova
la mia ospitalità”.
“I…
io… non capisco…”.
“Non
capisci?”.
Il
re, con quel passo lento e quegli occhi accesi, incuteva timore ed
Arikien
balbettò confuso. Lucifero, che lo aveva raggiunto, ora lo
fissava minaccioso.
“Il
mio debito è ripagato” sibilò il re
“Ho permesso a progenie sovversiva di
sopravvivere ed ho acconsentito a finanziare il tuo progetto. Mi sembra
di
essere stato piuttosto generoso, no?”.
“Sì,
certo. Lo siete stato…”.
“E
allora vedi di non farmi pentire delle mie azioni e della fiducia
riposta in
te. Mi auguro che d’ora in poi saprai restare al tuo
posto”.
“Ma
di che cosa… Non capisco…”.
“Questo
palazzo non ha segreti, i miei occhi vi scrutano ogni anfratto. Lei
è mia e
nessun’altro la può toccare. Spero che ora tu
abbia compreso”.
“Oh.
Ma certo! Io… non si ripeterà”.
“Lo
spero. Perché già a malapena riesco ad accettare
il legame fin troppo simbiotico
fra te e Keros, figuriamoci che potrei fare se ti vedo ancora
appicciato alla
mia sposa”.
“Domando
perdono”.
Arikien
comprese che era inutile discutere o ribattere. Si trovava al cospetto
del
demone più potente di tutti e quindi, non potendo fare
altro, si inchinò in
segno di resa. Lucifero annuì, convinto da quel gesto, e
lasciò la stanza per
raggiungere l’amata.
Nel frattempo, Keros si era
fatto consegnare l’anima
fuggita per riportarla nel giusto settore. Nasfer aveva insistito per
accompagnarlo ed insieme si addentrarono per i gironi
dell’Inferno. Sul dorso
della creatura che tanti secoli prima Keros aveva visto schiudere
dall’uovo,
padre e figlio trascinarono l’anima per terreni impervi e
sconnessi. Abbandonare
la città era sempre un’avventura,
perché molti aspetti del paesaggio potevano
mutare con il tempo. Il fuoco, il gelo ed il forte vento modificavano
le rocce
e l’ambiente. Nasfer
si era voltato a guardare
l’anima, legata e costretta a camminare dietro alla bestia.
“Papà…”
aveva domandato timidamente il bambino “Ma chi decide quali
anime devono andare
all’Inferno e quali in Paradiso?”.
“Gli
angeli addetti a questo compito. Fra essi vi è
l’Arcangelo Mihael, che giudica
le situazioni più complesse”.
“E
non si sbagliano mai?”.
“No.
Tutte le anime all’Inferno ci sono perché
è giusto che ci siano”.
“E
come si fa a giudicare? E come si decide in che settore poi devono
andare?”.
“Si
tratta indubbiamente di un processo complesso. I giudici infernali
devono
valutare l’operato del mortale mentre era in vita e stabilire
la punizione più
adatta. A volte è semplice, altre volte vi sono molti
fattori da prendere in
considerazione. Ma in questo caso vi sono i tre giudici più
saggi, che valutano
da millenni ormai e sanno quel che fanno. In ultima istanza, se proprio
non si
raggiunge una soluzione, viene chiesto il parere di Lucifero”.
“Ed
i colori diversi a che servono?”.
“I
colori diversi? Tu vedi i colori diversi delle anime?”.
“Sì.
Perché? Tu no?”.
“Io
sì, ma non è una cosa da tutti”.
“Ah…
no?”.
Nasfer,
aggrappato alla schiena del padre, si guardava attorno abbastanza
perplesso
mentre assieme cavalcavano verso un settore infernale.
“Si
tratta di una dote ereditata da tuo nonno, quello con le
piume” spiegò il
principe “Anche il colore delle anime aiuta a giudicare e
stabilire dove vadano
collocate. Appena nata, l’anima è bianca candida
ma muta di colore,
macchiandosi dei colori dei vari peccati. Gli assassini hanno
l’anima di colore
rosso, come il sangue, per esempio. E più peccati si
commette e più quest’essenza
si scurisce e perde luce. Vedere questa caratteristica rende
più facile giudicare
e punire”.
“Ed
i demoni giudicanti hanno tutti questa capacità?”.
“Sì,
è un requisito fondamentale per tentare di divenire un
giudice degli Inferi”.
“E…
tu perché non sei diventato un giudice, se possiedi questo
dono?”.
“Perché
ho scelto di fare quello che mi piaceva. E tu devi fare lo
stesso”.
Il
bambino annuì, mentre in lontananza vedeva una gran
quantità di anime ammassate,
che venivano smistate dalla lunghissima coda di un demone che si ergeva
al centro
di esse.
“Quello
è Minosse” parlò Keros
“Giudica e poi, con la lunga coda, divide le anime e
altri demoni le portano nei vari settori. Alle sue spalle gli
archivisti
riportano tutte le decisioni prese”.
Il
principe consegnò l’anima fuggita ad uno di quei
demoni e lasciò che la
trascinasse via assieme alle altre. Nasfer rimase ancora qualche
istante ad
osservare il lavoro del giudice e poi rientrò a palazzo
assieme al padre.
Appena
arrivati, si accorsero che qualcosa di importante doveva essere
successa perché
vi era gran movimento. Molti erano agitati e correvano voci, che
però non si
riuscivano a comprendere.
“Che
succede?” chiese più volte il principe, senza
ricevere risposta.
Solamente
quando Lucifero lo raggiunse, con un sorriso smagliante sul viso,
riuscì ad
avere risposte.
“Alla
fine è successo!” esclamò il re,
raggiante “Finalmente! Non immagini quanto ne
sia soddisfatto”.
“Ma
di che? Che succede?”.
“È
caduto!” rise Lucifero “Caduto, capisci? Non
è più un angelo!”.
“Ma
chi?”.
“Vieni!
Non ci crederai!”.
Il
sovrano accompagnò il principe lungo i corridoi, diretto ai
sotterranei del
palazzo. Keros trattenne il fiato, temendo il peggio. Quale caduta
poteva
provocare una tale gioia in Lucifero se non quella di Mihael?
Tremò al solo
pensiero ma, dinanzi a sé, legato e rinchiuso in una delle
celle dei
sotterranei, si trovò una creatura che lo stupì
ancora di più: Vehuya.
Il
Serafino era ricoperto di sangue, causato dalle ferite riportate dalla
caduta e
dalle corna che ne avevano sfigurato il cranio.
“Io
non sono un demone!” continuava a ripetere, mentre i diavoli
presenti ridevano
della nuova condizione dell’angelo.
“Non
è meraviglioso?” ghignò Lucifero
“Cazzo, quanto mi è sempre stato sulle palle!
Ora ce l’ho fra le mani e potrò torturarlo a mio
piacimento! Godo al solo
pensiero!”.
“Ma…
che stai dicendo?” esclamò Keros.
Il
re, che ancora sghignazzava, smise quando notò lo sguardo
stralunato del
principe. Senza capirlo, alzò un sopracciglio.
“Come
fai a riderne?” mormorò il principe “Non
ricordi quel che hai provato tu? Non
pensi che stia soffrendo già a sufficienza?”.
“Certo
che no! Ah, Vehuya! Lo senti? Si chiama dolore quel che provi.
È una sensazione
interessante, vero? E non puoi farci niente. La luce di Dio qui non
arriva,
nessuno lenirà la tua agonia, nessuno udirà le
tue preghiere. Ora sai cosa si
prova. Se sopravvivrai, perché non è detto che tu
ci riesca, ti attende un’eternità
all’Inferno. Sei felice? Dai, sorridimi!”.
Keros
era sconcertato. Osservava Lucifero e poi si voltò verso
Nasfer, che rideva a
sua volta.
“Non
c’è niente da ridere!” si
stizzì il principe.
“Ma
papà!” alzò le spalle Nasfer
“Mi hai detto che chi è all’Inferno
è all’Inferno perché
è giusto che ci stia. Perciò lui merita di stare
qui e gli sta bene!”.
“Io
non merito di essere qui!” sbraitò Vehuya,
tentando di liberarsi “Io non sono
colui che ha commesso il peccato più grave.
Perché io vengo punito? Perché io
sì e lui no?”.
“Se
parli di Miky, è presto detto” ghignò
il sovrano “Lui è il cocco di papà. E
poi
sei tu l’invidioso, non Mihael. Invidia, gelosia…
tutte cose che a papà non
piacciono per niente, sai? E rabbia, quanta rabbia hai addosso! Sei un
peccatore!
E Dio non ti vuole più con sé!”.
“Non
è vero!”.
La
voce di Vehuya si era incrinata, per il dolore e la tristezza, e
più di un
demone aveva riso.
“Adesso
basta, però” aveva interrotto la risata Keros, con
un gesto della mano “Non è
mica un animale da circo! Non serve stare qui a ridere di lui!
Lasciatelo in
pace!”.
“E
perché dovrei?” incrociò le braccia il
re, poco convinto.
“Perché
già soffre e continuerà a farlo. Forse la
solitudine lo tormenterà ancora di
più delle tue risate. Avrai molto tempo per stuzzicarlo a
tuo piacimento,
quando si sarà ripreso e magari sarà pure in
grado di ribattere a tono”.
“Piccolo
figlio di sangue bastardo” sibilò Vehuya
“Un giorno il Cielo capirà che ho
ragione io. Capiranno gli angeli che colui che deve combattere i demoni
mai
alzerà un solo dito contro la sua progenie e si
rischierà di perdere la guerra.
Si perderà la guerra per colpa di un padre peccatore che ha
infangato il sangue
puro degli angeli ed ha generato te, le cui ali non meritavano di
essere
deturpate dal tuo abominio”.
“Le
mie ali stanno benissimo” mormorò Keros, non
cambiando espressione e spalancandole
“A differenza delle tue. Non comprendo il disegno di Dio, e
non mi interessa di
comprenderlo, ma fossi in te non mi ci soffermerei troppo sopra. Qui la
voce di
Dio non si può sentire. Eri Serafino, diverrai demone
potente, se sarai in
grado di affrontare la realtà. In caso contrario, non
incolpare me o mio padre.
Incolpa piuttosto te stesso o il Dio che tanto preghi”.
“Non
nominare Dio. Tu non lo puoi fare!”.
“Lui
ignora me, io ignoro lui. E dovrai imparare a fare lo stesso,
temo”.
Vehuya
ringhiò, dimenandosi. Keros si voltò,
allontanandosi. Altri rimasero lì,
deridendo il Serafino caduto e compiacendosi di quanto successo, fino a
quando
il nuovo demone non si addormentò sfinito.
Il
principe tornò dal prigioniero qualche ora più
tardi, quando fu sicuro di
trovarlo da solo. Gli portò del cibo ed un po’
d’acqua, non aspettandosi alcun
tipo di ringraziamento. Vehuya lo fissò, rimanendo immobile
e steso a terra.
“Cerca
di mangiare” lo incoraggiò Keros “Hai
perso molto sangue, devi rimetterti in
forze”.
“Così
potrete torturarmi con più soddisfazione, tu e Lucifero?
Dico bene?”.
“Così
non morirai. Ma la vita è la tua…”.
“Ed
a te che importa?”.
Il
principe, con ancora le ali argentee ben visibili, sospirò.
La rivalità ed il
sospetto continuo erano cose che iniziavano a stancarlo già
da un pezzo. Fissò quella
creatura, un tempo un meraviglioso Serafino, e provò una
stretta al cuore. Insanguinato,
con le vesti stracciate ed il corpo contorto per il dolore, Vehuya era
quasi
irriconoscibile. I capelli, del tipico color biondo degli angeli,
andavano
gradatamente scurendosi e lo stesso accadeva agli occhi di colui che
aveva
perso il Cielo. L’odore del sangue era intenso,
così come quello della paura.
Il principe si accorse che una lacrima gli scivolava lungo le guance
mentre
osservava Vehuya ed il caduto la notò.
“Non
mi serve la tua pietà!” sibilò il nuovo
demone “Non mi servono le tue lacrime!”.
“La
pietà è una delle cose più rare, qui
all’Inferno. E di lacrime dubito che ne
vedrai altre, poiché solo io sono in grado di piangere in
questo mondo. Volevo solo
aiutarti, ma la scelta è tua. Se vuoi, me ne vado
immediatamente”.
Il
mezzosangue si voltò, con l’intento di
allontanarsi, ma riuscì solo a compiere
pochi passi prima che Vehuya lo fermasse. Avvilito, il nuovo demone
sospirò.
“Che
ne sarà di me?” domandò, mogio.
“Dipende
da te” rispose Keros, tornando dinnanzi alla cella ed
osservando il prigioniero
“Se saprai trovare un modo per risollevarti ed accettare
questa tua vita,
potrai essere e fare diverse cose. Qui vengono puniti i peccatori,
coloro che
disobbedirono alla legge di Dio, e potresti quasi provare soddisfazione
nel
torturarli. Potresti divenire archivista, sorvegliante,
messaggero… Qui i ruoli
non vengono prestabiliti, ognuno può impegnarsi per divenire
ciò che aspira
essere”.
Vehuya
non sembrava convinto. “Lucifero mi
torturerà?” era il suo peggior timore.
“Se
ti dimostrerai a lui fedele, non lo farà”.
“E
se non mi dimostrassi tale?”.
“Allora
ti sottometterà, come ha fatto con tutti colori che non
hanno voluto obbedire. Qui
comanda il più forte”.
“E
tu? Ha sottomesso anche te?”.
“Io?
Sono stato sconfitto da lui, come qualsiasi altro demone. Lucifero
è il sovrano
per una ragione”.
“E
se volesse uccidermi?”.
“Lucifero
non uccide a caso. Lo farà se sarà necessario, ma
solitamente preferisce
aumentare il numero di demoni ai suoi comandi e non
sterminarli”.
“Così
da averne di più quando marcerà per riconquistare
il Paradiso. Quando verrà la
fine del Mondo!”.
“Di
questo io non voglio parlare. Mai. Ora cerca di mangiare e riposare.
Vedrò di
farti liberare quanto prima. Benvenuto all’Inferno”.
Il
caduto gemette a quelle parole. Vide Keros allontanarsi, mentre le
guardie
poste all’ingresso dei sotterranei si inchinavano mentre
passava.
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Capitolo 77 *** Ciondolo ***
77
CIONDOLO
Il
tempo trascorso all’Inferno aveva angosciato e cambiato
l’atteggiamento di
Vehuya. Si era aperto e si era lasciato consigliare da Keros, calmando
la
propria rabbia nei confronti del mondo demoniaco. Parlandosi, il
Serafino
caduto aveva confessato al principe di aver smarrito il ciondolo della
propria
collana e di provare un dolore immenso per questo. Lo aveva perso nel
mondo umano,
poco prima di cadere, e se ne rammaricava molto. Non potendo recarsi
personalmente
fra i mortali, perché ancora debole e sotto sorveglianza,
Vehuya pregò Keros di
andare a cercarlo in sua vece. Il mezzodemone, che non perdeva mai
un’occasione
per gironzolare fra gli uomini, acconsentì volentieri e
portò con sé i suoi
figli più grandi.
Per
i quattro cuccioli fu un modo piacevole di trascorrere un pomeriggio in
compagnia del padre, cosa che non accadeva molto spesso. Seguendo le
indicazioni di Vehuya, comparvero nei pressi di un paesino di campagna,
con
poche case ed un campanile dall’alto tetto a punta. Su un
prato, attraversato
da un sentiero di sassi, il gruppetto iniziò la ricerca. Il
ciondolo era
circolare, in argento, e recava inciso il glifo del Serafino, un segno
di
riconoscimento unico. Carmilla prendeva molto seriamente il compito e
scrutava
con attenzione fra le piante. Con grandi ed attenti occhi viola,
osservava
diligentemente il terreno. Vixa e Kaya, le due gemelle identiche,
preferivano
giocare e rincorrersi. Nasfer si guardava attorno, incuriosito dal
mondo umano,
e fu il primo a notare che non erano i soli su quel prato. Anche Keros
vide tre
persone, due adulti ed una bambina, e chiamò a sé
i propri figli. Ne aveva
compresa la natura e preferì stare sicuro: erano angeli, li
riconosceva dalle
auree, e forse stavano cercando la stessa cosa.
“Chi
sono quelli, papà?” chiese Vixa.
“Angeli”
ammise Keros “Restate vicini. Possono essere
pericolosi”.
“A
me non fanno paura!” sbottò la bambina.
Gli
angeli si avvicinarono. Erano Mihael e Gabriel, assieme alla piccola
Sophia.
“Papà,
chi è quella bambina?” sussurrò Nasfer
“Mi sembra di…”.
“Fate
silenzio” li ammonì il principe
“Troviamo quello che ci serve e andiamo via”.
Mihael
li osservava senza parlare, mentre Gabriel scrutava il terreno e Sophia
lo
aiutava.
“Perché
ci fissa così?” mormorò Carmilla,
infastidita.
“Fa
il suo lavoro. Ora cerchiamo di trovare quel ciondolo”.
Ripresero
le ricerche. Nasfer però era fermo a fissare quella bambina,
finché lei non
ricambiò lo sguardo.
“Nasfer!”
lo richiamò il padre “Ma che fai?!”.
“Quella
bambina… è un angelo, vero?”.
“Sì”.
“Ha
un’aurea bellissima. Non ne ho mai vista una così
bella”.
“Hai
ragione…”.
“Lei
è… Io la conosco!”.
“Siete
nati assieme. È la tua sorellina Sophia”.
Keros
non era certo di voler rivelare certi dettagli ma non voleva mentirgli.
La bambina
si voltò verso Mihael, chiedendo conferma di quanto aveva
appena udito. Quando l’Arcangelo
annuì, Sophia sorrise e salutò il gruppetto di
demoni.
“Posso
andare a parlarle?” domandò Nasfer.
“Stai
molto attento” storse il naso il principe.
“Lei
è la mia sorellina! Non mi capiterà nulla di
male!”.
Senza
ascoltare altre proteste, il principino corse verso Sophia e la piccola
fece lo
stesso. Mihael e Keros si scambiarono uno sguardo, lievemente
preoccupato. In paese
iniziarono a suonare le campane e le gemelle identiche ne furono
infastidite.
“Siete
in gita?” parlò finalmente Mihael.
“Cerchiamo
una cosa per Vehuya” rispose subito Carmilla e Keros le
lanciò uno sguardo di
rimprovero.
“Nessun
oggetto angelico andrà mai all’Inferno. La collana
che ha perso Vehuya deve
tornare in Paradiso. Dobbiamo prenderla noi”
ordinò l’Arcangelo guerriero.
“Noi
facciamo quello che vogliamo!” sbatté i piedi Kaya.
“Demonietto
impertinente”.
“Mio
padre vi prenderà tutti a calci”.
“Kaya!”
la zittì Keros, stringendola a sé e nascondendola
dietro alle gambe.
Mihael
fece per ribattere ma la vocina di Vixa interruppe ogni altro pensiero
con un “l’ho
trovato!”. Aveva trovato il ciondolo della collana e lo
stringeva fra le mani,
sventolandolo con entusiasmo.
Nasfer
e Sophia si guardavano, uno di fronte all’altro, circondati
dall’erba alta. Si erano
allontanati di qualche metro dagli adulti, anche se sapevano di essere
costantemente sotto controllo. La bambina sorrideva, con i capelli
biondi che
parevano splendere ad ogni movimento.
“Io
mi ricordo di te” ammise la bimba, sempre con un sorriso.
“Io…”
mormorò Nasfer chinando la testa imbarazzato “Mi
dispiace per… essere stato
cattivo. Ricordo che non avevo voglia di giocare con te. Mamma mi
diceva di non
farlo perché eri diversa, eri una creatura da
evitare”.
“Anche
a me hanno detto la stessa cosa di te. Sei un demone, non dovrei
avvicinarmi. Ma
io non credo che tu voglia farmi del male”.
“Sei
la mia sorellina. Non si fanno male alle sorelle. Anche quando sono
insopportabili…”.
Il
bambino lanciò un’occhiata verso Vixa e Kaya, con
una smorfia. Sophia rise,
divertita.
“Sei
mai stato in Paradiso?” chiese poi la piccola.
“No.
Io sono un demone!”.
“Sei
un bambino. Che potresti aver mai fatto di così
terribile?”.
“Sono
un demone. I demoni non vanno in Paradiso!”.
“Che
noia” storse il naso la bambina “Si divide tutto in
bianco e nero, buoni e
cattivi. Io però vedo che il Mondo ha molte sfumature, ha
molti più colori. Perciò
non capisco il senso di questa divisione così
netta”.
“Probabilmente
perché sarebbe un casino…”.
“O
forse sarebbe tutto più semplice. Sarebbe un mondo migliore,
se non si cercasse
sempre di dividere tutto in bianco e nero. Non trovi?”.
“Forse…”.
Nasfer
era perplesso. Però era affascinato dalla sorella, che
parlava in modo calmo e
forbito, quasi ipnotico, e lo guardava con quegli occhi grandi e
celesti. Era
così diversa dalle bambine a cui era abituato! Intanto, gli
adulti avevano iniziato
a discutere e Gabriel chiamava con insistenza Sophia.
“Credi
che potremmo rivederci?” chiese la bambina, capendo di
doversi allontanare.
“Certo.
Io… Spero di sì!”.
“Allora
a presto, fratellone!”.
Sophia
corse via rapidamente, raggiungendo Gabriel che la invitò a
non allontanarsi di
nuovo. Nasfer si voltò verso il padre, notando una certa
tensione fra lui e
Mihael. Forse era meglio starne lontani…
“Dammi
subito quella collana!” ordinò Mihael, allungando
la mano verso Keros.
“E
perché dovrei?!” fu la risposta del principe, che
stringeva fra le mani il
ciondolo ritrovato da Vixa.
“Un
oggetto celeste non andrà mai
all’Inferno!”.
“Questo
ciondolo è di Vehuya, ed io lo sto riportando al legittimo
proprietario! Non vedo
cosa ci sia di sbagliato!”.
“A
che mai potrebbe servire ad un Demone un simile gingillo? Non
è più in grado di
sfoggiare un glifo angelico. Perciò ora me lo darai. O me lo
riprenderò con la
forza!”.
“Gira
al largo! Vehuya me lo chiesto ed io ora glielo riporto!”.
Keros
strinse a sé il ciondolo, con aria di sfida. Mihael
sospirò profondamente, accigliandosi.
“Un
secondo…” si intromise Gabriel “Prima
che veniate alle mani, lasciate che vi
spieghi”.
L’Arcangelo
messaggero si avvicinò e parlò a Keros, rimanendo
straordinariamente calmo e
sereno.
“La
caduta di Vehuya è un avvenimento che ha lasciato sconvolti
in molti” iniziò a
spiegare Gabriel “Un avvenimento del tutto inaspettato, che
ci ha turbati. Molti
amavano e rispettavano Vehuya e quel ciondolo, riposto in un luogo
sicuro del
Paradiso, darà modo a molti di ricordarlo”.
“Ma
non è mica morto!” esclamò Keros,
alzando un sopracciglio.
“Per
noi è come se lo fosse” mormorò Gabriel
“Si tratta di una grave perdita”.
“Ma
non è morto” ripeté il principe
“E rivuole indietro il proprio ciondolo,
probabilmente come ricordo di quel che è stato. Glielo
neghereste? Neghereste ad
un caduto l’unico conforto?”.
“Se
è caduto, un motivo c’è”
sbottò Mihael “Ed inutile per lui rimpiangere quel
che
è stato, poiché mai più
rimetterà piede in cielo”.
“E
allora perché rivolete la collana per ricordarvelo? Tanto
non tornerà!”.
“Non
sappiamo cosa potrebbe fare un demone con un oggetto di simile fattura
fra le
mani”.
“Niente.
È un ciondolo. Una collana. Tu che fai con una collana?
Preghi? Dio non ascolta
le parole pronunciate negli Inferi, perciò può
pregare quel che gli pare!”.
“Te
lo toglierò a forza dalle dita, se non mi consegnerai quel
ciondolo immediatamente!”.
“Non
lo avrai. L’ho promesso a Vehuya!”.
“Bene,
allora”.
Mihael
allungo la mano ed evocò la lancia con cui combatteva. Keros
trattenne il fiato
per qualche secondo. Normalmente, un demone sarebbe fuggito dinnanzi a
quell’arma
perché estremamente pericolosa, molto più della
spada che l’Arcangelo portava
al fianco. Ma in quella circostanza non indietreggiò, era
pronto allo scontro,
perché voleva a tutti i costi consegnare il ciondolo a
Vehuya. Notando che la
situazione non accennava a migliorare, Gabriel invitò la
piccola Sophia a
tornare in cielo con lui, per evitare che la bambina assistesse a
spettacoli violenti.
Nasfer raggiunse le sorelle, indeciso sul da farsi. Era il caso di
rientrare
all’Inferno? O forse poteva in qualche modo aiutare suo padre?
“Lascia
che i miei figli vadano a casa” disse Keros, chiamando i
piccoli a sé “E poi
avremo modo di terminare la discussione”.
Mihael
annuì e il principe si inginocchiò davanti a
Nasfer, sorridendo e parlando
piano.
“Tornate
a casa adesso, ok?” mormorò, prendendogli la mano
“Io arrivo subito. Tranquilli”.
“Ma
papà, io ti posso aiutare!” protestò
Nasfer.
“Certo.
Mi puoi aiutare portando a casa le tue sorelle. Tu per ora sei
l’unico in grado
di aprire un portale. Perciò ora torna
all’Inferno. Mi sentirò molto più
tranquillo così, senza il rischio che qualche colpo vi
raggiunga per sbaglio”.
“Ok…”.
Il
piccolo non pareva convinto ma poi annuì e sorrise,
ordinando alle sorelle di
seguirlo oltre al portale.
“Ora
che siamo soli…” furono le prime parole di Keros,
rialzandosi e fissando Mihael
“Puoi anche fare meno lo spaccone e dirmi la
verità. Perché vuoi questo
ciondolo?”.
“Te
l’ho già spiegato” confermò
l’Arcangelo, senza distogliere lo sguardo dal pugno
chiuso in cui Keros stringeva l’oggetto celeste
“Nessun manufatto angelico può
finire fra le mani dei demoni”.
“Vehuya
ora è un demone. Potrei comprendere se tale oggetto
appartenesse ad un angelo
ma ora il proprietario è un demone.
Perciò…”.
“Perciò?
Perciò ora me lo ridarai. O sarò costretto a
combattere. Ho degli ordini da
rispettare e li rispetterò, riportando quel ciondolo al
giusto posto”.
“Il
giusto posto è il collo di Vehuya!”.
“Non
ora che è un essere impuro”.
“Pure
tu lo sei, eppure sei lì! Con la tua bella aureola
scintillante! Chi decide chi
cade e chi no? In base a cosa? Sono tutte stronzate!”.
“Io
non lo so perché io sia qui e Vehuya all’Inferno.
È una domanda che mi tormenta
da un bel pezzo, ormai. Ma se è questo il disegno di
Dio…”.
“Il
disegno di Dio è uno scarabocchio, fatto con i pennarelli
grossi su un
tovagliolo d’autogrill! Una porcheria!”.
Mihael
non mutò espressione. Prese la lancia con entrambe le mani e
Keros ringhiò, pronto
a combattere. L’Arcangelo sferrò per primo il suo
attacco ed il principe evocò
la barriera, che lo difese e respinse il colpo nemico.
“Era
un avvertimento” parlò serio l’Arcangelo.
“Lo
avevo intuito…”.
Keros
sapeva di non poter utilizzare il fuoco contro Mihael,
perché non avrebbe
sortito alcun effetto. Non era compito suo lottare contro Mihael,
quello
spettava a Lucifero! Eppure non aveva alcuna intenzione di tirarsi
indietro. Non
poteva evocare armi, a differenza dell’avversario, e
capì che avrebbe dovuto
lottare affidandosi solo al proprio corpo. Come durante
l’addestramento con
Astaroth, capì che avrebbe dovuto sfruttare al massimo i
pochi vantaggi che
aveva. Al secondo attacco, rispose con un agile balzo in avanti. Doveva
tentare
di avvicinarsi, se voleva colpire, ma Mihael mosse rapido la lancia e
colpì
Keros al fianco. Il principe finì a terra, diversi metri
più in là, e gemette
per il fastidio.
“Arrenditi”
suggerì l’Arcangelo e il mezzodemone
rifiutò.
Mihael
si preparò a caricare di nuovo con la propria arma e Keros,
rialzandosi, si
mise in posizione di difesa. La lancia lo colpì ma
riuscì ad afferrarla con
entrambe le mani. L’abitante del Paradiso era stupito,
perché normalmente un
demone sarebbe stato respinto ed ustionato da quel contatto, ma
realizzò subito
che davanti non aveva un demone qualsiasi. Testardamente, il
sanguemisto
continuò a stringere fra le mani la lancia, spingendosi
sempre più appresso all’avversario.
“Che
pensi di fare?” sbottò Mihael “Non
riuscirai a strapparmi l’arma di mano!”.
Con
uno scatto, l’Arcangelo scostò la lancia di colpo
e Keros fu sollevato in aria.
I riflessi del demone furono molto rapidi ed immediatamente
reagì, riuscendo a
girarsi in tempo per colpire il rivale con un calcio sul viso.
“Ma
che bravo…” commentò Mihael, dopo
essersi ripreso da quell’evento inaspettato
“Normalmente
la lancia incute timore e fa capire a chi ho di fronte che non
è il caso di
scherzare, che è meglio desistere. Ma per te così
non è stato e tutt’ora
intendi continuare a combattere”.
“Certo
che sì! Per chi mi hai preso?”.
“In
questo caso… Io preferisco combattere ad armi
pari”.
Con
un gesto della mano, Mihael materializzò un’altra
lancia e la porse al
principe. Questi la fissò, perplesso.
“Se
intendi ancora combattere, allora impugnala e fammi vedere quel che sai
fare”
incitò l’Arcangelo.
Keros
allungò la mano ed afferrò l’arma,
ancora un po’ sconcertato da quel gesto.
“Ora
preparati” si accigliò Mihael
“Perché ti sconfiggerò”.
“Nonno!”
urlava Nasfer, correndo lungo i corridoi del palazzo Infernale e
piombando nell’ufficio
di Lucifero con un gran baccano.
Questi,
che stava giocherellando con il cellullare, alzò un
sopracciglio.
“Cos’hai
tanto da urlare?” lo rimproverò con calma
“Forse è una questione di vita o di
morte? Datti una calmata!”.
“Io…
credo proprio che sia una questione come dici tu!”
ansimò il bambino.
Con
un’arma fra le mani, Keros iniziò a lottare con
maggior convinzione. Sapeva che
Mihael aveva millenni di esperienza alle spalle, ed iniziava a
chiedersi che
cosa stesse facendo, ma non intendeva indietreggiare. Riuscì
a parare qualche
colpo e respingere i colpi dell’Arcangelo, prima di essere
colpito nuovamente e
rispedito indietro. Si rialzò e corse, spostando di lato la
lancia dell’avversario
e colpendolo con un calcio al ventre. Mihael rispose prontamente e
Keros finì
di nuovo a terra. Con rabbia, il principe attaccò di nuovo e
questa volta le
armi di entrambi finirono fra l’alta erba del prato. Il
sanguemisto non lasciò
il tempo all’Arcangelo di recuperare la lancia od evocarne
un’altra e lo colpì
a mani nude.
“Io
non provo dolore” gli ricordò Mihael, colpito da
un pugno.
Keros
non ripose, preferendo continuare a combattere. Gli sembrava strano
tutto
questo, lottare in quel modo solo per una collana, ma tentò
di non mostrare
segni di cedimento. Però era consapevole di essere in
svantaggio. L’Arcangelo
non provava dolore, stanchezza, paura… Mihael lo
colpì allo stomaco e lo spedì
fra l’erba, impugnando poi la lancia e minacciando di
trafiggerlo.
“Arrenditi!”
sibilò l’abitante del Paradiso.
“Va
bene… come vuoi… Però… Il
ciondolo non ce l’ho io. Lo ha portato mio figlio
all’Inferno!”.
Il
principe mostrò le mani e stringeva un sasso, non
più l’oggetto che l’Arcangelo
bramava. Era riuscito ad affidarlo a Nasfer in quei pochi attimi in cui
lo
aveva convinto a tornare negli Inferi. Mihael lanciò un
grido, il primo che
Keros udiva così carico di furia. Solitamente colui che
aveva di fronte era
sempre pacato, serio e controllato ma in quel frangente si notava che
qualcosa
di ben più profondo lo turbava e lo spingeva ad infuriarsi.
Keros intuì che
doveva avere qualcosa a che fare con la caduta di Vehuya.
Chissà quanti dubbi
doveva avere l’Arcangelo guerriero! Tutti, demoni compresi,
erano convinti che
non ci sarebbero state altre cadute e che per questo Mihael fosse
rimasto un
angelo nonostante il peccato commesso con Carmilla. Ma Vehuya era
caduto e
Mihael non capiva. Mosso da un indicibile desiderio di espiare le
proprie
colpe, di calmare l’animo tormentato per un gesto ai suoi
occhi gravissimo, il
guerriero iniziò a colpire Keros con sempre maggior foga. Il
principe comprese
di non avere possibilità contro quell’Arcangelo
infuriato. Doveva trovare il
modo di fuggire, di salvarsi da quei colpi a ripetizione. Il sangue gli
lasciava
un sapore metallico in bocca ed il dolore iniziava a farsi
insopportabile.
“Mihael!”
si udì.
Gabriel
fissava il fratello, stupito e scioccato da quel comportamento. Keros,
approfittando di quel momento di distrazione, riuscì ad
allontanarsi ed aprire
il portale per tornare a casa.
Era
ricomparso a palazzo reale. Incredulo e dolorante, si stese a terra. Il
pavimento
gelido di quella stanza vuota, quella dove i portali venivano
attraversati, gli
donò un po’ di sollievo dal bruciore che le ferite
gli provocavano.
“Papà!”
si sentì chiamare.
Carmilla,
entrata nella stanza, voleva verificare che il genitore stesse bene.
Dietro di
lei, Lucifero e Nasfer.
“Stavamo
per raggiungerti” spiegò il sovrano “Ero
già pronto a spaccare la faccia a Mihael!”.
“Avete
consegnato il ciondolo a Vehuya?” mormorò il
principe, ansimando per la fatica.
“Certo.
Ed hai la sua riconoscenza. Ma a che prezzo? Come sei
ridotto?!”.
“Lui
mi ha attaccato. Era furioso. Mi ha fatto… paura”.
“Dovevi
averne prima di paura, idiota! Avrebbe potuto ucciderti!”.
Keros
si voltò verso Lucifero. Lo stava fissando con rimprovero e
disapprovazione. Il
principe distolse lo sguardo.
“Riesci
ad alzarti?” sospirò il re.
“Io…
non credo…”.
“Su.
Ti porto in camera e faccio chiamare un medico. Ogni giorno trovi il
modo di
farmi agitare… sei incredibile”.
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Capitolo 78 *** Allievi e maestri ***
78
Maestri ed
allievi
Molti
angeli si congratularono con Mihael. Non importava se non era riuscito
a
recuperare la collana, probabilmente inutilizzabile da un demone. Quel
che
importava era il fatto che aveva combattuto con risolutezza contro
colui che
non aveva mai avuto la forza di affrontare.
“Ora
ha compreso che con noi angeli non si scherza!”
annuì Gabriel “Ci prendeva
troppo alla leggera”.
“Potrebbe
sconfiggere la buona parte di voi!” sbottò Mihael,
infastidito “Non vi siete
resi conto di quanto sia forte? Io vinco grazie al potere di Dio. Senza
di
esso, non so fino a che punto potrei sovrastarlo. È giovane,
decisamente troppo
irruento, ma contro molti di voi potrebbe ottenere facilmente la
vittoria”.
Un
mormorio perplesso e preoccupato si levò fra le schiere.
“E
poi non capisco perché ci teniate tanto che io lo
combatta!” aggiunse l’Arcangelo
“Si tratta di un demone come un altro!”.
“No
che non lo è!” parlò un Serafino
“E, quando arriverà la fine, sarà
nostro
avversario”.
“Non
è detto. Ha ancora ali d’angelo”.
“Lo
sai bene che non combatterà mai per il Cielo. Lo ha
lasciato, ormai. È una
creatura dell’Inferno, e per l’Inferno
combatterà! Che ti piaccia oppure no, alla
fine dei giorni sarà rispedito agli Inferi e mai
più scorgerà la luce del sole.
È così che è stato scritto”.
Mihael
non rispose. Non sapeva più in cosa credere. Sarebbe davvero
giunta la fine? E sarebbe
accaduto tutto come predetto? Iniziava a non crederci
più…
Alla
principessina Carmilla era stato affidato il compito di sorvegliare
Keros e
somministrargli le giuste cure. La bambina aveva accettato volentieri,
anche se
il padre era un pessimo paziente. Non stava mai fermo, ignorando i
consigli del
medico che suggeriva riposo e relax, ed odiava le medicine prescritte.
Per guarire
dalle ferite inferte da Mihael, con il divieto assoluto di re Lucifero
di
recarsi di nuovo in superficie, era stato costretto a letto per diverso
tempo e
la cosa lo irritava. Il dolore era piuttosto fastidioso e la rabbia non
lo
abbandonava.
Vehuya
era passato diverse volte a ringraziare, chiedendo cosa potesse fare
per poter
ricambiare il favore. Keros non aveva nulla in mente, in quel momento,
e questo
faceva sì che il caduto lo visitasse periodicamente in cerca
di nuovi metodi
per estinguere il debito. Spariva solamente quando vedeva avvicinarsi
Lucifero,
non volendo in alcun modo averci a che fare. Anche il principe sperava
di
evitare le prediche del re, ma ormai erano diventate un appuntamento
quotidiano.
“Spero
tu abbia imparato la lezione!” erano le parole con cui ogni
giorno iniziava a
rimproverare l’erede.
Keros
annuiva, poco convinto, ed il sovrano continuava con lunghi discorsi
riguardo
ai pericoli, i rischi e gli errori commessi.
“Ho
capito!” sbottò infine il principe,
all’ennesima ora di ramanzina.
“Hai
capito? Davvero? E che cosa hai capito?” ringhiò
il Diavolo.
“Che
Mihael è pericoloso e può uccidermi”.
“No!
Che devi smetterla di rischiare la vita per delle cazzate! Riportare
una
collanina al proprietario non mi pare un motivo valido per azzuffarsi
con il Cielo!”.
“Guarda
che mi ha picchiato pure lui. Si vede che per il Cielo era un motivo
valido per
azzuffarsi con gli Inferi!”.
“In
quel caso penso fosse tuo padre con le balle girate, cosa che capita a
tutti. Ma
tu, principino, potevi andartene prima che la cosa degenerasse.
Perché dai così
poca importanza alla tua vita?!”.
“Ma
non è vero! Io non…”.
“Tu
non fai che ficcarti nei guai. E per i motivi più stupidi!
Mi fai girare le
balle in un modo che nemmeno immagini quando fai
così”.
“Però
io non faccio altro che vivere. Forse il mio destino è
morire inseguendo una
causa stupida!”.
Lucifero
gonfiò le guance, irritato. Si chiedeva se fosse il caso di
rinchiudere il
mezzodemone in qualche torre o prigione sorvegliata…
“Non
date la luce di Dio per scontata” parlava Mihael ai suoi
soldati “Non sappiamo
cosa accadrà nel giorno finale, non sappiamo come
sarà il Mondo e chi lo abita.
Possiamo confidare nella nostra fede, nell’amore di nostre
Padre, ma
ricordiamoci che a combattere saremo noi. Noi, con le nostre forze,
impediremo
ai demoni di governare sulla Terra e sul Cielo, relegandoli per sempre
all’Inferno”.
Gli
angeli risposero con un grido, all’unisono.
“Nessuno
potrà impedirci di far prevalere le forze del
Paradiso” continuò l’Arcangelo
“Nessuno
potrà sconfiggerci. Ma dovremo lottare uniti, dimenticando
che fra loro vi sono
nostri fratelli, nipoti, compagni che un tempo condividevano con noi le
stelle
del cielo”.
Qualcuno
mormorò il nome di Vehuya. Mihael lo udì ed
annui, serio.
“Dio
ci chiede di lottare anche contro coloro che un tempo amavamo. Come
Vehuya, che
fino a poco tempo fa ci guidava con il ruolo di Serafino”.
Gabriel
e Raphael osservavano quell’addestramento, mantenendosi a
debita distanza.
Gabriel era stato un soldato, era stato inviato diverse volte a
combattere, ed
aveva condotto Maometto alla guerra. Ma da quei giorni non aveva
più indossato
l’armatura, deponendo le armi. Sapeva che spettava a lui
annunciare la fine di
ogni cosa, al suono della tromba celeste. Ma sperava ogni giorno che
quel momento
non arrivasse mai.
“Dici
sia davvero così, fratello?” mormorò
Raphael, serio.
Raphael
non era mai stato un guerriero. Lui era un guaritore, dava sollievo al
corpo ed
all’anima, dava sollievo a tutti coloro che soffrivano sia
fisicamente che
spiritualmente. Non aveva mai voluto combattere e non aveva alcuna
intenzione
di farlo, anche se aveva un conto aperto con Asmodeo da secoli per
questioni
bibliche molto antiche.
“Davvero
così che cosa?” rispose Gabriel.
“Dici
che Dio voglia veramente che combattiamo contro coloro che un tempo
amavamo?”.
“Vedi
alternative?”.
“Non
lo so. Ma non ci è sempre stato insegnato che dobbiamo
seguire la via dell’amore?
Non esiste una diversa via?”.
Gabriel
sembrò divertito da quelle parole. Con la veste azzurro
chiaro che ne copriva i
piedi, parve fluttuare quando si voltò verso il fratello.
“Io
percepisco Mihael. Percepisco la sua sofferenza”
continuò Raphael, che invece
vestiva di verde.
“La
caduta di Vehuya lo ha turbato. Ha turbato tutti”.
“Il
suo cuore è in cerca di conforto. L’amore che
provava per lei non è svanito. Vorrebbe
riuscire a salvare suo figlio dalla dannazione ma non sa che fare. E la
voce
del Padre è un ricordo lontano per tutti noi”.
“Lei?
Dici quella femmina? Carmilla?”.
“La
madre di suo figlio. Dell’unico figlio di angeli che non
è stato condannato a
morte, nato dall’unico angelo che poi non è stato
punito con la caduta. Non trovi
che questo possa turbare un animo, seppur forte come quello di
Mihael?”.
“Il
turbamento ed il dubbio sono sentimenti umani. Noi dovremmo confidare
totalmente nella luce di Dio e nel suo disegno. Sono certo che presto
nostro
fratello riuscirà a calmare il suo cuore. Nel frattempo,
è compito nostro fare
in modo che non lasci mai la giusta luce”.
“Dici
potrebbe essere attratto da diversa luce?”.
“Il
più luminoso di noi, colui che è stato creato con
la stessa materia delle
stelle, ora regna all’Inferno. Perciò
sì, bisogna sempre stare attenti perché alcune
luci possono abbagliare e confondere. Ma parliamo di Mihael, il
soldato. Non smarrirà
la strada”.
“E
se l’avesse già smarrita ma Dio lo tiene qui, in
Cielo, perché gli serve nella
lotta contro… l’avversario?”.
“Questo
solo Dio può saperlo. Mi auguro proprio di no
perché non lo vorrei mai come opponente.
Sarà già una bella lotta contro quel ragazzo che
si è rivelato essere suo
figlio”.
Appena
fu sufficientemente guarito, Keros ricominciò ad addestrare
al combattimento alcuni
soldati a servizio di Asmodeo. Oltre alle tecniche angeliche, motivo
per cui
era stato scelto per quel compito, aveva integrato le lezioni con i
testi degli
esorcismi. Tutti i demoni soffrivano quando udivano quelle parole ma
proprio
per questo il principe aveva deciso di pronunciarle. Coloro a cui stava
insegnando dovevano imparare a sopportare e reagire. Gli angeli e gli
umani
potevano usarle ed indebolirli con facilità, ma non se
imparavano a rafforzarsi
dinnanzi ad esse e non farsi sconfiggere. Senza sottomettersi
all’esorcismo,
potevano divenire ogni giorno più potenti. Asmodeo,
all’inizio perplesso
dinnanzi a tale metodo, era rimasto poi piacevolmente stupito nel
constatare
personalmente i risultati. Ad ogni addestramento, gli allievi erano in
grado di
sopportare sempre più parole e rimanere saldi nei loro
propositi molto più a lungo.
Sapevano che avrebbero dovuto mettere in conto anche l’acqua
santa o l’incenso,
ma per ora Keros preferiva non calcare troppo la mano.
“Ottima
idea la sua” aveva constatato Lucifero, avvicinandosi ad
Asmodeo.
Entrambi
osservavano l’addestramento delle giovani reclute, provando
un certo fastidio
nell’udire le formule in latino.
“Già”
annuì il generale “Pensavo fosse inutile ma ho
riflettuto sul fatto che
continuamente noi demoni potremmo ritrovarci in una simile situazione
di
pericolo”.
Keros
era serio. Reggeva fra le mani un pesante libro e, allungando la mano
verso i
giovani che aveva davanti, pronunciava l’esorcismo con
convinzione.
“Con
quello sguardo così autorevole…”
mormorò Asmodeo, quasi vergognandosene “Sembra
così tanto suo padre…”.
Lucifero
rimase in silenzio. Non poteva negarlo. Quello sguardo,
quell’espressione,
appartenevano a Mihael e Keros ci somigliava sempre di più.
Stava crescendo, il
viso fanciullesco stava lasciando definitivamente spazio ai tratti duri
dell’età
adulta e matura. Fortunatamente quegli occhi non erano color del cielo,
come
quelli di Mihael. E per fortuna il rosso dei capelli si era sempre
più
accentuato. Ma quelle ali… quelle ali perché non
volevano assumere tratti
demoniaci? Perché si ostinavano ad essere così
piumate e perfette? Il principe
si sentì osservato e si voltò verso re e
generale. Il sovrano rispose con un
ghigno e Keros fece lo stesso.
“Per
fortuna il mio cucciolo demoniaco non ha dimenticato come si
sorride” ridacchiò
Lucifero, tornando alle sue mansioni.
Ad
addestramento completato, il principe raggiunse il sovrano e lo
trovò alle
prese con il piccolo Espero. Esattamente come faceva Keros da piccolo,
il
principino tentava di afferrare la coda di Lucifero con entusiasmo
infantile.
“Quante
energie” constatò il mezzodemone.
“Anche
troppe, a dir la verità” rise il Diavolo
“Lo vuoi tenere per un pochino?”.
“Ho
i miei a cui pensare…”.
“Intendo
come maestro”.
“Sei
ancora convinto che possa fargli da maestro?”.
“Certo
che sì. Ed in cambio io farò da maestro a
te”.
“Da…
maestro? In che senso?”.
“So
che vuoi diventare più forte. So che vuoi avere i mezzi per
sconfiggere Mihael,
o perlomeno per non farti ammazzare subito. Ebbene sono pronto ad
insegnare
tutto quello che so. E mi aspetto che tu faccia lo stesso con
Espero”.
“E
non puoi occuparti direttamente di Espero?”.
“Il
mio lavoro è impegnativo, Keros. Il piccolo ha bisogno di
essere seguito ed addestrato
costantemente. Quel
che ho in mente per
te invece è breve ed intenso. Ti assicuro che
un’oretta al giorno ti basterà!”.
Keros
si voltò verso Espero, che saltellava e ringhiava per gioco.
“Ti
farò diventare il migliore di tutti”
ghignò il principe, convinto.
Ciao
a tutti! È da un po’ che non commento. Vi comunico
che intendo portare a
termine questa storia entro la fine dell’anno. Siete pronti?
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Capitolo 79 *** Mille anni ***
79
Mille anni
Un
sogno. Doveva essere un sogno. In quella notte di dicembre, con il
freddo che
solo lievemente infastidiva le membra, la vedeva danzare lungo quel che
restava
dell’antico porto di Costantinopoli. Con i lunghi capelli
rossi sciolti alla
brezza della sera, quel corpo sinuoso si muoveva per omaggiare la luna
che
splendeva in cielo. Mihael osservava quel ballo, in silenzio, incapace
di
parlare. “Carmilla” voleva chiamarla ma la sua
mente gli ricordava che Carmilla,
la sua amata Carmilla, era morta. E quindi quella donna chi era? Chi
riusciva a
destare in lui ricordi così vivi del suo unico amore?
“Carmilla!”
udì, e l’Arcangelo sobbalzò.
A
pronunciare quel nome, una figura che camminava nel buio. Quando i
raggi della
luna finalmente illuminarono colui che aveva parlato, Mihael trattenne
il
fiato. Lo sguardo ambrato brillò nella notte e di nuovo
pronunciò quel nome:
Carmilla.
“Keros…”
sussurrò l’abitante del Paradiso, rimanendo celato
alla vista e continuando ad
osservare.
Erano
secoli che non vedeva il proprio figlio, il tempo era trascorso e non
se ne era
reso conto. Quel che vedeva ora non era più un giovane
mezzodemone ma un adulto
fiero, con qualche cicatrice in più ed una voce
più profonda ed inquietante. Per
qualche secondo fu tentato di aprir bocca, di parlare a quel suo frutto
proibito e sapere cosa era successo in tutti quegli anni. Si trattenne,
capendo
che probabilmente loro due non avevano ormai più nulla da
dirsi.
E,
se quello era Keros, allora la fanciulla doveva essere sua figlia!
Com’era
cresciuta e com’era diventata straordinariamente bella!
“Carmilla”
chiamò ancora Keros “Dobbiamo andare
adesso”.
“Arrivo,
papà” annuì la ragazza, invitando il
genitore a danzare con lei.
Mihael
continuò ad ammirarli, mentre padre e figlia improvvisavano
un breve ballo e
poi si allontanavano per raggiungere il portale che li avrebbe
ricondotti all’Inferno.
Possibile che Keros non si fosse accorto della sua presenza? O forse lo
aveva
semplicemente ignorato, preferendo godersi lo splendore emanato della
figlia
alla luce della luna. Quel che era certo, era che in quei secoli, in
quei due
millenni trascorsi dalla morte della donna che amava,
l’Arcangelo non l’aveva
scordata ed anzi… il suo cuore ancora sobbalzava al solo
pensiero di riaverla
accanto.
Al
palazzo infernale erano da poco terminate le celebrazioni per i due
millenni di
Keros e ci si preparava per gli ormai prossimi mille anni dei principi.
Dopo un
grandioso torneo, in cui Espero era stato il rappresentante della
famiglia
reale nonché il vincitore, re Lucifero aveva concesso a
tutto il regno un’intera
settimana di festa. Il sovrano, seduto alla scrivania, sorrise quando
vide
rientrare l’erede, che gradatamente riprendeva
l’aspetto da demone.
“I
tuoi cuccioli sono pronti per i mille anni?”
domandò il Diavolo.
“Anche
se non lo sono, ormai il tempo è giunto”
ghignò Keros, orgoglioso dei propri
figli.
“Il
regno ha proprio bisogno di festeggiare e rilassarsi. Ho riservato
anche per
loro qualche sorpresa…”.
Di
recente si era conclusa l’ennesima guerra agli Inferi, che
aveva coinvolto il
palazzo reale ed i suoi abitanti. I giovani principi erano stati tenuti
al
sicuro, con grande disappunto di Nasfer che aveva espresso il desiderio
di
combattere in prima linea, e Keros aveva marciato a fianco di Lucifero.
La battaglia
aveva donato al mezzodemone un paio di piccole corna in più
ed una cicatrice
sul viso, che ne segnava il sopracciglio sinistro e parte della
guancia. Era cresciuto,
era divenuto molto più potente, e non aveva più
mostrato le ali. Rassegnato al
fatto che sarebbero sempre rimaste da angelo, scomode per volare
all’Inferno,
le teneva sempre celate.
“Dov’è
Espero? Anche lui fa vacanza oggi?” ipotizzò il
sanguemisto.
“Sta
giocando con Asmodeo…” sorrise Lucifero
Keros
trattenne una risata. Espero giocava con Asmodeo come un gatto gioca
con un
topo. Il ragazzo, seppur ancora molto giovane, era incredibilmente
forte e
dotato di energia ineguagliabile. Con discrezione, il sanguemisto
osservò dalla
finestra le mosse di colui che era l’unico suo allievo.
Addestrare il figlio
del Diavolo si era rivelato un compito gravoso ed impegnativo, e lo
aveva
coinvolto totalmente, portandolo ad abbandonare il ruolo di tentatore.
Sapeva
che era una situazione temporanea, perché presto Espero
sarebbe divenuto così
potente da non aver più nulla da insegnargli. Non vedeva
l’ora di poter tornare
a fare il tentatore a tempo pieno, riscoprire il mondo umano che tanto
era cambiato
in quei secoli, rivedere l’alba…
“A
che pensi?” si sentì dire e sobbalzò
per la sorpresa.
“A
niente” si affrettò a mentire, riconoscendo la
sagoma di Arikien.
“Che
pessimo bugiardo…” ghignò
l’erede di Alukah.
Anche
lui aveva preso parte alla guerra, ottenendo una medaglia al valore per
aver
ucciso uno dei generali sovversivi. Non era cambiato molto in quegli
anni, si
era solo fatto più sadico. Giocherellando con i capelli di
Keros, che
ricadevano lungo tutta la schiena, Arikien si fermò qualche
minuto a spiare
Espero che picchiava di santa ragione il povero Asmodeo.
“Dove
sono i ragazzi?” domandò il principe, riferendosi
a Koknos, Mavros e Vasilissa.
“A
lezione. Ora li raggiungo…”.
Keros
annuì. Arikien era riuscito a divenire un maestro di recente
ed ora seguiva una
piccola classe di giovanissimi demoni, addestrandoli sul mondo umano.
“Comunque
quel ragazzo fa paura” ridacchiò il vampiro.
“Deve
ancora imparare una cosa fondamentale” mormorò il
principe.
“E
sarebbe?”.
“Ad
infrangere la barriera angelica. Quando imparerà,
sarà invincibile. Quando imparerà,
il mio compito sarà terminato come maestro. E lui
sarà pronto per la guerra
contro gli angeli”.
“E
quanto credi che avverrà?”.
“Presto.
Temo molto presto…”.
Le
urla e le risate sadiche di Kaya si espandeva per tutto il girone. La
giovane
principessa aveva scelto di divenire una punitrice di anime peccatrici
e stava
imparando nuovi metodi per farle soffrire. Il suo maestro, Abbaddon,
era fiero
di quella ragazza. Era crudele, spietata, e nulla la fermava dal suo
intento:
punire. Con due grosse catene in mano, Kaya le faceva ruotare e
percuoteva le
anime, volando sopra di esse. Era ancora piccola, e doveva essere
seguita dal
maestro, ma presto avrebbe potuto ottenere un settore tutto per
sé in cui
torturare a proprio piacere.
“Sorella!”
la chiamò Vixa, fermandosi sulla riva del lago ribollente in
cui Kaya stava
frustando anime.
Le
due gemelle erano pressoché identiche. Minute, con lunghi
capelli scuri ed
occhi viola, assomigliavano molto alla madre. L’unica
differenza chiaramente
visibile in quel momento era il vestiario che indossavano. Kaya era
vestita in
pelle, con pantaloni e blusa aderenti, con un pesante trucco nero sul
viso.
Doveva incutere molto timore e le catene, gli occhi incavati ed i
canini in
vista aiutavano molto. Vixa aveva scelto una carriera ben diversa.
Addestrata da
Lilith, imparava a divenire una perfetta Succubus. In abiti succinti e
tacchi
alti, dimostrava qualche secolo in più rispetto alla
gemella.
“Non
hai lezione oggi?” domandò Kaya, raggiungendola.
“Lilith
mi ha concesso il pomeriggio libero. Ha detto che deve aiutare Lucifero
a
preparare la festa per i nostri mille anni”.
“E
sappiamo già in che modo lo aiuta” fece
l’occhiolino Kaya, mentre Vixa
arricciava la coda con fare malizioso.
“Vuoi
provare a frustarne una?” invitò poi la punitrice,
notando la curiosità della
sorella.
“Magari!
Dai, fammi provare!”.
“Prego.
Son tutte tue…”.
Un
ghigno apparve sul volto di entrambe, mentre un’anima colpita
lanciava un grido
di dolore.
Carmilla
era rientrata a palazzo. Stava riordinando alcune erbe raccolte con la
luna
piena e sorrideva soddisfatta. Maestro Furcas sarebbe stato fiero di
lei! Aveva
iniziato l’addestramento da guaritrice da giovanissima e
durante la recente
guerra aveva avuto modo di imparare e fare molta pratica. Era fiera di
poter
seguire, in qualche modo, le orme della nonna materna. Molti avevano
tentato di
spingerla verso la carriera di tentatrice, ma la ragazza aveva da
sempre le idee
chiare su chi voleva divenire. Ad una delle figlie di Lilith,
più anziana della
principessa, era stato dato l’appellativo di
“Carmilla” e girava per il mondo
umano come tentatrice, ma a lei poco importava se per tutti la nonna
era solo
tentatrice e non guaritrice. La giovane principessa, legandosi i
capelli, aprì
un paio di boccette di vetro e si preparò a realizzare un
unguento con le erbe
raccolte. Osservava il quadro della sua omonima antenata ogni giorno,
ancora
appeso al muro del corridoio reale, e le sorrideva. Non avrebbe curato
gli
umani, non amandoli particolarmente, ma avrebbe aiutato moltissimi
demoni. Il
percorso era ancora lungo, lo sapeva, ma era certa che sarebbe divenuta
una
guaritrice perfetta!
La
luce del sole illuminava gli occhi ambrati di Nasfer, che rideva
divertito
mentre raccontava un fatto spassoso che gli era capitato
all’Inferno. Sophia
ascoltava e rideva a sua volta. I due giovani, seduti fra
l’erba alta, si
godevano il sereno e la lieve brezza del mattino. Il giovane principe
era
cresciuto, surclassando in altezza il padre ed il re. Nessuno era
riuscito
pienamente a comprendere come mai, dato che i genitori erano entrambi
piuttosto
minuti, quel ragazzo era cresciuto così. Alto e magro, con i
capelli scuri a riflessi
verdi che ricadevano lisci sulle spalle e metà della
schiena, stava
intraprendendo il lungo e difficile addestramento per divenire giudice
degli
Inferi. Di nascosto, quando aveva del tempo libero, si recava nel mondo
umano e
vedeva Sophia, la gemella angelica.
“Cosa
farete in Paradiso per il tuo compleanno?” domandò
Nasfer, curioso.
“Non
lo so” ammise lei “Non si celebrano molti
compleanni in Cielo…”.
“Ma
mille anni è un traguardo importante!”.
“Lo
so. E so anche che all’Inferno faranno grande festa per
te”.
“Per
me e per le nostre sorelle. Non vedo l’ora!”.
“Già.
Saremo adulti a tutti gli effetti. E… immagino che per un
demone cambi molto”.
“Dici?”.
“Noi
angeli siamo sempre uguali. Tu… immagino inizierai ad avere
delle femmine. No? E
cose del genere”.
“Voi
angeli non vi sposate? Non avete dei compagni?”.
“No”.
“E…
scusa la domanda… come nascono nuovi angeli? Li create
plasmando le nuvole come
fossero plastilina?”.
“Non
nascono nuovi angeli. Io sono un avvenimento eccezionale. Gli angeli
non
muoiono, al massimo cadono. Quindi non serve un ricambio. Ogni tanto
arriva
qualche umano particolarmente bravo a cui spuntano le ali, ma ormai
sono molto
rari”.
“Non
è triste? Intendo dire… non provi il desiderio di
avere qualcuno accanto? Di amare
qualcuno? Di…”.
“Noi
angeli non abbiamo certi istinti e desideri. Potrà sembrarti
strano, immagino.
Sarò molto felice però di conoscere la tua futura
compagna ed i tuoi figli”.
“Hei,
non correre! Per carità! Non ci penso proprio di fare come
papà!”.
“Che
ha fatto di male?”.
“Ci
ha avuti per errore, da troppo giovane, con una demone che a malapena
sopporta.
Ci ha ignorati per secoli…”.
“Per
me è stato un bravo papà. Ha fatto molto
più di quanto ci si aspetti da un
demone. Giusto? Non fosse stato per lui, che mi ha affidato agli
angeli, sarei
morta”.
“Può
darsi…”.
Nasfer
era perplesso. Poi sorrise di nuovo, volendo cambiare argomento. Amava
i
momenti che trascorreva con lei e trovava frustrante doverla vedere di
nascosto. Che avrebbero pensato all’Inferno se lo avessero
visto? Il principe che
si perde in chiacchiere con un angelo. Che vergogna!
“Comunque
io non farei mai cambio” ruppe il silenzio Sophia.
“Con
che cosa?”.
“Con
la vita di qualcun altro. Non vorrei essere umana o demone. Vorrei solo
che
quelli come noi fossero liberi di vedersi, senza doversi nascondere. Se
Mihael
sapesse che sono qui con te…”.
“Immagina
la reazione di Lucifero. Mi farebbe rinchiudere. Papà poi,
da quando si è
azzuffato con il nonno, non parla mai di angeli e non mostra mai le
ali. È come
se volesse rimuovere quel lato della famiglia…”.
“La
guerra fra noi c’è sempre stata. E quando
verrà quella finale…”.
“Tutti
si aspettano che lotti al fianco del re. Ma perché mai
dovrei farlo? Io sarò giudice,
manderò le anime peccatrici nel posto che spetta loro, in
base ai peccati
commessi. Di quel che fanno gli angeli, poco mi importa! E
poi… dicono che dopo
la guerra verranno chiuse definitivamente le porte. Nessun passaggio
per il regno
umano, solo Inferno o Paradiso per l’eternità. Non
voglio”.
“Nemmeno
io! Non potrei più sedere sull’erba, cogliere un
frutto o ammirare il Mondo. E non
potrei più vedere te…”.
Lei
sospirò, poggiandosi contro le spalle di Nasfer.
L’aureola solleticò
leggermente il viso del demone, che non sapeva che cosa dire. In quel
momento,
lo sapeva, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere colei che aveva
accanto
e per vederla sorridere. Non vederla più? Il solo pensiero
lo opprimeva. Da quel
giorno, quando erano bambini e si erano incontrati e parlati, si erano
rivisti
moltissime volte ed il loro legame si era fatto più forte.
Che fatica
sopprimere quella voce, quel desiderio da demone, che lo spingeva a
desiderarla! Ne era consapevole ormai: lui la voleva. Voleva baciarla,
possederla, danzare con lei ed averla per sempre. Come Lucifero con la
gemella,
ora Nasfer provava lo stesso desiderio. Ma non si sarebbe mai spinto
oltre. Non
avrebbe mai permesso la caduta di quell’angelo, la sua rovina.
“Devo
andare adesso” mormorò.
“Anch’io”
sospirò Sophia “Spero di rivederti
presto”.
Nasfer
non rispose. Era meglio non rischiare di lasciarsi sfuggire qualche
parola di
troppo…
La
cerimonia dei mille anni era stata grandiosa, come tutti si
aspettavano. Giurare
fedeltà al re, ricevere da lui i migliori auguri e consigli,
erano dei momenti
che ogni giovane demone attendeva con impazienza. Keros vedeva i propri
figli nel
gruppetto dei ragazzi che quell’anno erano giunti a compiere
il primo millennio.
Era fiero dei suoi piccoli, anche se erano cresciuti molto in fretta e
vederli
lì, abbigliati in modo sontuoso e regale, lo faceva sentire
quasi vecchio. Ma subito
sorrise, scacciando quell’idea.
“Che
bello vedere dei giovani demoni con così tante aspirazioni
diverse!” parlava
Lucifero, dall’alto della balconata che dava sulla piazza
principale della
capitale “Fra voi so che ci saranno futuri tentatori,
messaggeri, torturatori,
giudici… ogni sorta di categoria demoniaca. È
bello vedere nei vostri occhi entusiasmo
ed energia. Siete il futuro di questo regno, ognuno di voi unico a suo
modo.
Non dimenticatelo mai”.
I
ragazzi sorrisero, emozionati. Per alcuni era la prima volta che
potevano
ammirare così da vicino il sovrano e, dovevano ammetterlo,
metteva in gran
soggezione.
“Ora
siete cittadini adulti del regno dei demoni” aggiunse Keros,
in piedi accanto
al re “Siatene fieri e siatene consapevoli. Agite per gli
Inferi ed agite per
voi stessi. Ogni ostacolo che incontrerete sul vostro cammino
sarà una sfida
che sono certo saprete affrontare. Perché siete demoni. Ed
il futuro appartiene
a noi. A voi”.
Si
alzò un grido d’approvazione. Poi re e principe si
congedarono, lasciando ai
ragazzi la possibilità di festeggiare. Erano stati
organizzati spettacoli e
musica, con liquori e cibi da tutto il regno.
“Sei
preoccupato per le tue figlie?” ridacchiò
Lucifero, incamminandosi lungo il
corridoio buio con le mani dietro la schiena.
“Dovrei?”
storse il naso Keros, mostrandosi tranquillo.
“A
certe feste succedono sempre cose strane…”.
“Nasfer
saprà allontanare presenze non desiderate. Se avranno altri
programmi, non
posso farci molto. Sono grandi, ormai”.
“Ammiro
il tuo autocontrollo. E la fiducia che riponi in loro”.
“Sono
loro padre. Devo avere fiducia in loro. Se non ne ho io, chi
può averne?”.
“Giusto…”.
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Capitolo 80 *** Principi ***
80
Principi
Lungo
il corridoio di quell’edificio collegato al palazzo reale,
Espero borbottava
fra sé e sé frasi di giustifica. “Non
ho fatto niente di male” diceva “Non è
successo niente. È per finta…”.
Camminò nervosamente fino ad una porta chiusa,
una delle tante. Una targhetta indicava la classe
all’interno. Prese coraggio e
bussò, consapevole di doversi mostrare il più
risoluto e convinto possibile. Udendo
“avanti”, entrò.
Subito
tutti gli studenti presenti si alzarono in piedi, in segno di rispetto
per il
principe. Espero salutò e sorrise all’insegnante.
“Come
posso aiutarla, altezza?” domandò il maestro,
Arikien.
“Io…
mi chiedevo se fosse possibile provare il simulatore di mondo umano che
utilizzate
in questa classe”.
“Certamente.
Se avete il consenso di vostro padre”.
“Mio
padre è molto impegnato. Non lo voglio disturbare per una
cosa del genere…”.
“Capisco.
Allora mi serve il permesso del vostro maestro”.
“E…
perché?”.
“Perché
non posso interferire con il suo piano
d’insegnamento”.
“Ma
è una simulazione. Non vado per davvero nel mondo umano. Non
può succedermi
nulla, giusto?”.
“Giusto.
Ma preferisco non incorrere in sanzioni inutilmente. Se volete posso
domandare
io al vostro mentore se…”.
“Oh
sì!” interruppe Espero
“Io…”.
“Chiedo
io” sospirò Arikien, cercando in tasca un piccolo
marchingegno ovale.
Espero
attese paziente, mentre Keros rispondeva borbottando alla richiesta
dell’erede
di Alukah. Alla fine concesse il permesso, anche se per nulla convinto,
e riagganciò.
“Bene,
principe” sorrise Arikien “Venite che vi aiuto a
prepararvi”.
Tutta
la classe indossava speciali occhiali ed elmetti, che proiettava
virtualmente nel
mondo degli uomini. Una volta indossato ed avviato, ci si ritrovava in
una
città umana e si percepiva ogni cosa, ogni rumore, odore o
sensazione.
“La
vostra missione…” spiegò il maestro,
prima di avviare il programma “…è
avvicinare un umano e provare a tentarlo. Ovviamente dovete individuare
quello
giusto, quello adatto. Se farete qualche errore, se verrete scoperti
come
demoni o ci saranno altri imprevisti, il programma si
interromperà e la vostra
simulazione sarà finita. Oppure la interromperò
io a lezione terminata. Tutto chiaro?
Ci sono domande?”.
Nessuno
alzò la mano e il programma fu avviato. Espero
sobbalzò, quando si ritrovò di
colpo in un vicolo silenzioso della città virtuale.
Camminò fino a raggiungere
la strada principale. Erano fatte così le città
umane? Le case, altissimi
grattacieli lucidi, svettavano in alto e si ammassavano uno accanto
all’altra. Su
qualche finestra si scorgevano dei vasi di fiori, unica nota di colore.
Era tutto
molto silenzioso. Intravide un gruppo di umani in una piazza,
probabilmente in
attesa di un mezzo per sportarsi altrove. Fra loro non si guardavano,
non si
parlavano. Abituato alle urla continue degli Inferi, quel silenzio
spaventava
un po’ Espero. Le uniche voci che udiva erano quelle delle
pubblicità proiettate
fra i palazzi. Una campana rintoccò e il principe si
voltò verso di essa. Camminando
per un po’, scovò una piccola chiesa racchiusa fra
i grattacieli. Attirato da
quell’edificio, che forse un tempo spiccava sugli altri con
quel campanile,
decise di entrarvi. Com’era diverso il mondo lì
dentro! Dipinti, statue, ori ed
arazzi… il colore trasmetteva una sensazione piacevole.
L’odore dell’incenso e
delle candele era strano ma per nulla fastidioso, probabilmente
perché si
trattava solamente di una simulazione. Il principe si
soffermò su uno dei
quadri e rimase ad ammirarlo. Rappresentava uno dei tanti Santi degli
umani,
che sinceramente lui non conosceva. Però era realizzato
così bene da impedirgli
di guardare altrove.
“Che
stai facendo?” domandò una voce.
Espero
sobbalzò, cercando di ricordarsi al volo tutto quello che
gli era stato
insegnato nei secoli.
“Salve”
salutò, alzando un braccio “Sto guardando il
dipinto. È… proibito?”.
“No”
ammise l’uomo, il prete di quella chiesa “Ma ormai
non lo fa più nessuno. Guarda
pure. Credevo fosti un ladro”.
Espero
si guardò attorno. Quel luogo era deserto, eppure le campane
avevano appena
terminato di risuonare per ricordare l’inizio della messa.
“Ma…”
si azzardò a parlare al principe “Qui non
c’è mai nessuno?”.
“Come
in tutte le chiese” alzò un sopracciglio il prete,
che stava accendendo candele
“Da che mondo venite?”.
“Da
nessun mondo. Cioè… lo stesso da cui venite
voi… io…”.
“Forse
nel vostro Paese la gente si reca ancora in chiesa? Qui è da
molto che i fedeli
credono di salvarsi l’anima con delle donazioni. Tutto il
Mondo dona alla
chiesa ma nessuno vi entra mai. Nessuno prega, nessuno pensa
più a Dio. Ma voi
siete entrato. Forse il vostro cuore è stato colpito dal
divino”.
“Come
suppongo sia stato il vostro quando avete deciso di essere
prete”.
“No.
Io sono prete perché c’era il posto libero. Non
devi far nulla e ti pagano
pure. Il lavoro ideale”.
“Oh…”.
“Quel
quadro ti piace proprio, vero?”.
“Chi
rappresenta?”.
“Non
lo so. Suppongo ci sia scritto da qualche parte. Tipo su quello
scarabocchio
che ha sulla bandiera che tiene in mano”.
Espero
si soffermò su quel dettaglio.
“No,
è solo una scritta in latino” parlò poi
“Credo sia un passo delle scritture”.
“Latino?
E chi lo conosce ai giorni nostri? Piuttosto… io ora vorrei
tornarmene a casa
mia. Ho suonato la campana, ho acceso le candele. Però voi
siete qui. Volete che
dica messa?”.
“Che…?”.
“Volete
confessarvi? Sono cose che non ho mai fatto ma suppongo non siano molto
difficili”.
“Siete
un prete e non avete mai officiato una messa?!”.
“Solo
funerali. E qualche battesimo, ma quelli sempre meno. Ai matrimoni
nessuno
ascolta, lo fanno in chiesa solo perché è
più spettacolare”.
“Ma
nemmeno a Natale?!”.
“Sul
serio te ne stupisci?!”.
Espero
rimase in silenzio. Non voleva farsi scoprire e così
salutò educatamente e
lasciò l’edificio. Camminò ancora,
notando come i pochi umani che incrociava
fossero del tutto persi in mondi virtuali che proiettavano davanti al
viso. Udì
la risata di un bambino, immediatamente zittito dagli infastiditi
adulti che
aveva accanto. Alcuni cani abbaiarono e nessuno li fermò. Il
principe lo trovò
strano, ma preferì non commentare. Il bambino
però continuava ad osservarlo. D’istinto,
Espero gli sorrise ed il piccolo fece altrettanto: era da tanto che non
vedeva
un sorriso!
Riprese
il cammino, deciso a vedere e scoprire più cose possibili
sul mondo umano. Trovò
una via, piena di luci e negozi. Non era necessario entrarvi. In
vetrina si
sfogliava un catalogo virtuale, si sceglieva, si pagava e tutto
arrivava a casa
propria. Niente commessi, solo qualche addetto alla manutenzione nel
caso il
sistema avesse qualche problema. Stava ancora passeggiando quando una
scritta
gli comunicò che la simulazione sarebbe presto terminata.
Piagnucolò quando gli
fu tolto il casco.
“Mi
‘spiace, altezza” spiegò Arikien
“Ma la lezione è finita”.
“Ma
io voglio vedere ancora!”.
“Alla
prossima simulazione posso riservarvi un posto”.
Espero
si imbronciò, come un bambino decisamente più
piccolo del ragazzino che era. Ma
capì di non avere alternative e lasciò la classe.
Il
principe rientrò al palazzo reale, sapendo di essere in
ritardo per la lezione
con Keros. Affrettò il passo ma poi si fermò:
Nasfer si stava avviando verso la
porta che conduceva al mondo umano! Che splendida occasione! Lo
seguì
silenziosamente, notando che doveva avere la testa fra le nuvole.
Nasfer entrò
nella stanza ed attivò il portale, usando specifiche parole
che Espero udì. Il principino
attese poi qualche istante, prima di aprire a sua volta quella porta ed
attivare il passaggio con le stesse parole. Esultò quando si
rese conto di trovarsi
per davvero dai mortali! Ci era riuscito! Ed ora era libero di
esplorare…
Non
fece però che qualche passo, prima che qualcuno lo
afferrasse per la collottola
e lo trattenesse.
“E
tu dove pensi di andare?”.
Un
infuriatissimo Keros stava fissando con rimprovero il ragazzo, che
tentò di
giustificarsi balbettando.
“Se
tuo padre sapesse che sei nel mondo umano…”
continuò Keros “…sarebbero guai. Per
te, per me e per tutti. Lo sai che gli angeli hanno tentato di
ucciderti quando
eri un neonato!”.
“Sì,
e tenteranno di uccidermi appena sarò abbastanza grande da
difendermi. Lo so…”
mormorò Espero, rassegnato.
“Questo
luogo è pericoloso per te. Gli angeli non aspettano altro
che l’occasione
propizia per ucciderti. Sei il figlio del Diavolo! Per loro rappresenti
la fine
del mondo!”.
“Lo
so…”.
“E
allora perché sei qui?!”.
“Io…
volevo solo dare un’occhiata. Sarei tornato a casa presto,
assieme a Nasfer”.
“Anche
Nasfer dovrebbe evitare certe gite. Deve studiare per diventare
giudice, non ha
alcun bisogno di correre rischi fra i mortali”.
A
Keros bastò avanzare di qualche passo, sempre tenendo Espero
per la collottola,
per vedere il figlio fra l’erba. Appena lo notò,
rimase senza parole. Stava danzando,
fra l’erba alta, assieme a sua sorella Sophia. Entrambi
sorridevano e parevano
non far caso al resto del mondo.
“Nasfer!”
lo chiamò poi Keros, spezzando quel ballo e quella magia.
Il
giovane, allarmato, si affrettò a nascondere Sophia dietro
alle ali da demone. Poi
capì chi lo aveva chiamato e si rilassò
leggermente.
“Niente
ali nel regno mortale!” sbraitò Keros,
incamminandosi verso il figlio “È una
delle prime regole che vengono insegnate! E che stai facendo?! Sei
impazzito?!”.
“Io…
lascia che ti spieghi…” tentò di
parlare Nasfer.
“Non
devi spiegare proprio niente! Tu… tu ti rendi conto
dell’enorme rischio che
state correndo?”.
“Stavamo
danzando! E poi… siamo fratelli!”.
“Fratelli
come Lucifero e Sophia?”.
“Ma
no… io…”.
Nasfer
farfugliò ancora ancora qualcosa e poi tacque, chinando la
testa.
“Lei
rischia di cadere e tu di essere ucciso” riprese Keros,
questa volta con più
calma.
“Lo
so…”.
“Sophia…
vai subito a casa, per cortesia”.
La
giovane angelo seguì il consiglio, capendo che era la cosa
migliore da fare in
quel momento. Nasfer lanciò un’occhiataccia
minacciosa ad Espero, che si nascose
dietro a Keros.
“A
casa, tutti e due” ordinò il mezzodemone
“Prima che nascano altri guai!”.
Una
volta rientrati a palazzo, Keros iniziò a rimproverare
entrambi ma che una
delle guardie lo informò che Lucifero lo richiedeva in
ufficio. Immediatamente.
Quell’ultima parola, fece intuire al principe che il sovrano
doveva essersi
accorto di quella breve “gita” nel mondo mortale.
Digrignò i denti, promettendo
ai due giovani principi che avrebbe ripreso più tardi la
predica, e si
allontanò in fretta.
Rimasto
solo con Espero, Nasfer immediatamente si voltò e gli
ringhiò contro.
“Marmocchio
spione!” sibilò il futuro giudice.
“Io
non sapevo che eri lì con la tua fidanzata
piumata!” si affrettò a giustificarsi
il ragazzino, mettendo le mani davanti al viso.
“Non
è la mia fidanzata! È mia sorella!”.
“Vabbè,
quello che è! Volevo solo andare nel mondo umano!”.
“E
con tante persone che ci sono, dovevi farlo proprio con me?!”.
“Eri
il primo che…”.
“Ora
per colpa tua mi sarà impedito di tornare fra i
mortali!”.
“È
tutta la vita che mi è impedito! Inutile che mi urli
contro!”.
“Irritante
sgorbio”.
“Hei,
bada a come parli! Sono il figlio di Satana!”.
“Potresti
anche essere Dio in persona, per quel che mi riguarda!”.
“Toccami
e il re ti condannerà a morte!”.
“Sono
suo nipote!”.
“Keros
non è suo figlio. Tu sei solo il figlio di un bastardo
cresciuto dal re!”.
“Mi
avete mandato a chiamare?” sospirò Keros, sulla
porta dell’ufficio del sovrano.
“Che
ci faceva mio figlio fra i mortali?” sbottò subito
Lucifero.
“Ci
è rimasto per qualche minuto. L’ho riportato a
casa immediatamente”.
“Qualche
minuto basta agli angeli per ucciderlo. E tu sai che non aspettano
altro”.
“Lo
so”.
Keros
sospirò di nuovo. Era stanco di passare la vita a badare ad
Espero, a
sorvegliarlo continuamente ed educarlo, senza poter avere nemmeno un
attimo di
respiro. Sognava la vecchia vita, quando vagava per il mondo umano a
suo
piacimento e tentava le anime. Alzò lo sguardo, notando
l’ennesima espressione di
rimprovero sul volto del re. Chissà se sapeva anche di
Nasfer e Sophia…
“Ti
ho affidato la vita di mio figlio” riprese a parlare Lucifero
“La cosa più
preziosa che possiedo. Il tuo compito è impedirgli di fare
cazzate e imparare ogni
giorno ad essere più forte ed astuto”.
“Lo
faccio. Ogni giorno. Ma non è più un
bambino…”.
“Ha
settecento anni, certo che lo è! Pensavo che tu fossi il
più adatto ad
addestrarlo. Mi sbagliavo?”.
“No,
no di certo. Con me impara a combattere gli angeli, trovandosi di
fronte le
stesse tecniche che utilizzerebbe Mihael. Ma sta crescendo, comincia ad
essere
sfuggente ed indisciplinato”.
“Ora
capisci cosa ho provato io, con te? Ci parlerò. Ma che non
si ripetano mai più
incidenti come quello di oggi. E ovviamente che non si faccia strane
idee con
il simulatore e cose simili”.
“Forse…
si potrebbe recare dagli umani ma adeguatamente accompagnato.
Così da evitare
che tenti di andarci di nascosto”.
“Assolutamente
no. Non è pronto. Farò sorvegliare la stanza dei
portali. E poi…”.
Un
grido interruppe ogni discorso. Una delle guardie entrò
nell’ufficio,
comunicando che i due principi si stavano azzuffando e chiedendo quali
provvedimenti
attuare. Keros e il re raggiunsero in fretta i due ragazzi, che si
stavano
prendendo a morsi, calci e pugni. Nessuno aveva il coraggio di
intromettersi,
temendo di fare uno sgarro alla famiglia reale.
“Piantatela!”
tuonò Keros, afferrando Nasfer per il braccio.
Lucifero
blocco suo figlio Espero, trascinandolo e poi gettandolo in un angolo a
terra. I
due litiganti, ansimando per la rabbia, continuavano a ringhiarsi
contro.
“Nasfer!”
sibilò il re “Sei un adulto ormai! Dovresti
comportarti come tale!”.
“Ma
lui…”.
“Lui
è un bambino. E tu dovresti saper resistere alle sue
provocazioni!”.
“Non
sono un bambino” piagnucolò Espero, zittendosi
immediatamente quando il padre
frustò la coda a terra.
“Simili
atteggiamenti non sono degni di voi” parlò ancora
il Diavolo “Siete di
principi! Non della marmaglia qualsiasi! Dovreste concentrare le vostre
energie
per migliorare le vostre tecniche, per divenire sempre più
potenti. Ma per
sconfiggere i nostri nemici, non per picchiarvi a caso!”.
“Domando
scusa…” chinò la testa Espero,
terrorizzato dal genitore infuriato.
“Che
non si ripeta. O sarò costretto a prendere provvedimenti.
Con entrambi. Sono stato
chiaro?”.
Entrambi
annuirono.
“Ora,
Espero, tu vieni con me”. Lucifero afferrò il
bambino per il braccio. “E tu,
Nasfer, spero riceverai il giusto rimprovero da parte di tuo
padre…”.
“Certamente”
commentò, minaccioso, Keros.
Aveva
decisamente un sacco di discorsi da fare a suo figlio…
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Capitolo 81 *** Piani ***
81
Piani
Lo
sguardo di Nasfer era basso. Seduto su una sedia, fissava il camino
acceso. Suo
padre Keros era in piedi, con le mani dietro la schiena e gli occhi che
brillavano
alla luce delle fiamme. Entrambi in silenzio, non si guardavano.
“Verrò
punito?” esordì, d’un tratto, Nasfer.
“Dovresti”
sospirò Keros “Ma no. Non questa volta. Voglio
solo assicurarmi che tu abbia
ben chiaro alcuni rischi che corri”.
“Ma
certo, è tutto ben chiaro. Fammi la predica e lasciami
tornare alle mie faccende.
Il mio maestro mi aspetta…”.
“Predica?
Sei forse un bambino?”.
“No,
ma non credo tu voglia fare altro. Giusto? Vorrai spiegarmi i pericoli
che
corro per colpa degli angeli, il rischio che lei cada per colpa della
mia
vicinanza e cose simili”.
“Vorrei.
Ma tanto non ascolteresti. Dico bene?”.
Nasfer
alzò gli occhi, perplesso. Keros si era avvicinato al fuoco
e ci stava
giocherellando con una mano, che si riempì di disegni blu.
“Non
dovrei vederla più secondo te, vero?”
domandò il giovane, scostandosi i capelli
dal viso.
“Sinceramente?
Ho paura. Paura di scoprire come potrebbero reagire gli angeli e paura
di quel
che potrebbe succede ad entrambi. Io ho rischiato la vita per una
collana,
capisci? Per una stupida collana, Mihael mi ha quasi ucciso. E forse mi
avrebbe
ucciso davvero, se non fossi riuscire a fuggire…”.
“È
per questo che hai rinunciato ad essere te stesso?”.
“Di
che parli?”.
“Le
ali. Io me le ricordo le tue ali. Le mostravi sempre, una volta. Ora
non più. È
come se volessi celare in tutti i modi il tuo lato angelico.
Perché?”.
“Perché
ho compiuto la mia scelta. Vivo all’Inferno e
all’Inferno vivono i demoni. Inoltre
sono il maestro del principe ereditario e devo dimostrare di esserne
degno, di
essere il migliore. A volte non è facile ma, credimi, mi ha
semplificato l’esistenza.
Dopo la scorsa guerra, più nessuno si è rivolto a
me come il figlio dell’angelo.
Io sono un demone, sono in guerra contro gli angeli”.
“Ma…
non sembrava fosse quello ciò che volevi insegnarmi quando
ero più piccolo”.
“Speravo
davvero che si potesse creare una realtà diversa, in cui gli
scontri non
fossero necessari. Ma sognavo. Erano le illusioni di un giovane
testardo e non
l’ho capito fino a quando non mi sono trovato ad un passo
dalla fine. Non voglio
che ti capiti lo stesso”.
“Suppongo
che mi sarà vietato attraversare di nuovo il
portale…”.
“No.
Quello varrà per Espero, che è molto
più a rischio di te. Io a te non vieto
nulla, consapevole del fatto che tanto faresti tutto di testa tua. Ti
consiglio
però caldamente di riflettere. Gli Inferi non sono il posto
di Sophia e se
dovesse cadere non so quanto tempo potrebbe sopravvivervi. È
un’anima pura,
potrebbe perfino accettare di divenire un demone pur di seguirti. Ma ne
soffrirebbe terribilmente”.
“E
tu cosa ne sai? Magari qui potrebbe essere felice! In molti sono caduti
e ora
sono felici”.
“E
quanti lo sono e ancora soffrono? Sophia l’ho affidata io al
Cielo, ricordi? Qui
non sarebbe sopravvissuta. Se ci fosse stata anche solo una
possibilità, credi che
l’avrei separata da me e dal resto della famiglia? Tu sei un
demone puro, sei
abituato all’afflizione di questo luogo. Sei abituato alle
urla delle anime, al
dolore, alle guerre… ci sei nato nel mezzo, sei parte di
esso. Ma lei non è
come te. Lei prova pietà, empatia, compassione…
Lei è nata per stare nella
luce, non per versare lacrime nelle tenere. E se tu le vuoi bene, o
addirittura
la ami, dovresti evitarle certe esperienze”.
Nasfer
non rispose. Agitò la coda, leggermente nervoso.
“Il
tuo maestro ti aspetta” lo congedò Keros
“Cerca di ricordare quel che ti ho
detto…”.
“Dove
sei stata?” domandò Gabriel.
Sophia
sobbalzò, convinta che nessuno l’avesse notata.
“A
fare un giro” rispose, rimanendo sul vago.
“Guardo
che so dove vai. E con chi” parlò piano
l’Arcangelo.
“Ah
sì?” mugugnò lei, arrossendo
leggermente.
“Siediti
accanto a me” la invitò Gabriel.
La
ragazza obbedì, accomodandosi accanto
all’Arcangelo. Gabriel stava dietro ad
una scrivania bianca e scriveva, con calma e precisione, su un grosso
libro d’oro.
Poggiò la piuma con cui stava lavorando e guardò
Sophia.
“Io
so quasi sempre quel che accade nel Mondo” iniziò
lui “Perciò è da un po’ che
so con chi ti vedi. È tenero vedevi assieme, voi due
fratelli, tuttavia temo
che non tutti la penserebbero come me”.
“Chi
altro lo sa?”.
“Nessuno,
credo. Di sicuro non Mihael, o avrebbe dato i numeri”.
“Però…
non facciamo nulla di male. Intendo… siamo fratelli,
passiamo solo del tempo
assieme come tali. Ci raccontiamo delle cose, ci facciamo
compagnia…”.
“Lo
so. Ma è un demone”.
“È
mio fratello. Non mi importa se è un demone”.
“Non
importa a te, ma purtroppo ci sono delle regole da
rispettare”.
Sophia
chinò il capo e Gabriel percepì la sua delusione.
“I
demoni non cambiano” riprese l’Arcangelo
“Non potrai mai farlo diventare come
te. E dubito tu voglia la dannazione eterna…”.
“No,
ma…”.
“Allora
non credo tu possa avere ulteriori dubbi al riguardo”.
“Mio
padre non è del tutto un demone. Forse anche Nasfer non lo
è!”.
“Tuo
padre ormai da un pezzo non cammina per il mondo al di fuori
dell’Inferno, se
non per rapidi momenti”.
“Perché
sta addestrando Espero, il figlio di Lucifero”.
“Altra
cosa che non va bene. Proprio per niente!”.
“Perché?”.
“Sei
piccola per capirlo. E non te lo spiegherò. Ma sappi che
c’è una guerra fra
angeli e demoni e tu non dovresti prenderne parte in questo
modo”.
“Io
non intendo proprio prendervi parte!”.
“E
allora stai lontano da quel demone. Ti trascinerà in
situazioni che non vuoi”.
“Non
lo ha fatto fin ora, perché dovrebbe iniziare proprio
adesso?”.
“Perché
siete adulti ormai. Avete mille anni e la sua natura è
diversa dalla tua. Non hai
idea di quello che è in grado di fare”.
“O
forse sei tu che non sai come in realtà possa
essere”.
Sophia
si alzò. Si congedò educatamente, pur essendo
piuttosto arrabbiata, e si ritirò
nelle sue stanze. Non riusciva proprio a vedere in Nasfer un demone
malvagio!
Lucifero
non era dello stesso parere di Keros. Dopo un lungo e severo rimprovero
al
figlio, ordinò che la stanza con i portali venisse
sorvegliata giorno e notte,
per evitare che ad Espero venissero strane idee. Nasfer capì
subito che, per
recarsi nel mondo umano, avrebbe dovuto aprirsi un portale da solo, da
qualche
parte. Notò le guardie e continuò a camminare,
andando oltre. Espero sedeva in
fondo alle scale, con aria avvilita. Si reggeva le mani con la testa,
mugugnando.
“Non
guardarmi così” sbottò il principino,
quando Nasfer si fermò ad osservarlo.
“Come
ti starei guardando, scusa?”.
Il
ragazzino girò la testa, tirando su col naso, dando le
spalle al figlio di
Keros.
“Ti
sei preso una bella sgridata, vero?” ipotizzò
Nasfer.
“Sì…”.
“Ti
sta bene. Non avresti dovuto seguirmi”.
“Non
sono affari tuoi!”.
“Certo
che lo sono! Per colpa tua, ora mi tocca aprire un portale di nascosto
per
andare nel mondo umano! Per colpa tua, la stanza dei portali
è sorvegliata e
non la si può usare senza permesso!”.
“E
ovviamente mio padre non ti darà mai il permesso di
gironzolare fra i mortali
per sbaciucchiarti una piumina angelica!”.
“Bada
a come parli!”.
“Posso
batterti ad occhi chiusi! Ma, se ci provo, subito arriva qualcuno a
dividerci!”.
“A
difendere te. Il prezioso moccioso del re”.
“Ti
rode che ti abbia spodestato, vero? Prima di me, eri in linea diretta
di
successione”.
“Ma
cosa vuoi che mi interessi…”.
“Scommetto
che non hai il coraggio di affrontarmi. Hai paura, vero?”.
“Facciamo
una cosa…” propose Nasfer, chinandosi ed
abbassando la voce “…questa notte,
vieni nella mia stanza. Quando tutti dormono, mio padre compreso, vieni
da me. Ti
porto nel mondo umano, lì nessuno ci
disturberà”.
“Dici
davvero?”.
“Sì,
ma vedi di non farti beccare. Una volta lì, ti
darò tante di quelle botte da
costringerti a tornare a casa di corsa dalla mammina”.
“E
se invece vinco io?”.
“Facciamo
così: se vinci tu, mi offrirò personalmente di
portarti ogni volta che vorrai
dai mortali. Ovviamente di nascosto. Se vinco io invece voglio che
chiudi
quella boccaccia irriverente. Voglio che impari
cos’è il rispetto e voglio che
tu chieda a tuo padre di cambiare maestro”.
“Cambiare
maestro? Ma perché?”.
“Perché
mio padre è intrappolato all’Inferno per
addestrare te. Rivoglio il mio papà,
quello che mi sorrideva e mi accompagnava a cacciare umani. Rivoglio
Keros, il
mezzodemone libero di agire come meglio crede, senza dover sempre
dimostrare di
essere adatto ad insegnare all’erede al trono”.
“Oh…
ok. Mi piace come idea. Affare fatto!”.
Espero
ghignò, stringendo la mano a Nasfer.
“A
questa notte!”.
Il
voler “parlare urgentemente” di Gabriel non era mai
un buon segno. Mihael lo
sapeva ed attese con una certa apprensione l’arrivo del
fratello. Sedeva impaziente
nella propria abitazione, attento ad ogni rumore. Finalmente dei passi
raggiunsero l’uscio e Gabriel entrò. Subito chiuse
la porta dietro di sé e scostò
le tende, mentre Mihael si alzava e lo fissava perplesso.
“Ma
che succede?” si allarmò il guerriero
“Qualcosa non va?”.
“Ho
saputo delle cose. Ma vorrei prima discuterne con te”
parlò piano Gabriel “Siediti,
per cortesia”.
“Mi
stai spaventando…”.
“Siediti!”.
Mihael
obbedì, sempre più perplesso. Gabriel prese a sua
volta una sedia e si accomodò
di fronte al fratello.
“Ho
saputo…” iniziò l’ospite
“…che Keros si occupa dell’addestramento
del figlio di…
tu sai chi”.
“Giravano
voci a riguardo da tempo” annuì Mihael.
“Ma
queste non sono voci. Lo so per certo”.
“Hai
una fonte attendibile?”.
“Sì.
Keros sta addestrando il figlio del re dell’Inferno. E questo
sai che vuol
dire. Gli sta insegnando come reagire dinnanzi a tecniche angeliche. Ci
mette
in svantaggio contro l’Anticristo”.
“Cerchiamo
di calmarci. Il figlio di Lucifero è ancora
piccolo”.
“Ha
ancora molto da imparare, di sicuro. Ma forse dovremmo fare
qualcosa…”.
“E
che dovremmo fare?”.
Gabriel
sospirò.
“Ora
ascoltami. Hai mai pensato a quel che succederà…
dopo?”.
“Dopo
quando?”.
“Dopo
la fine. Quando ci sarà la battaglia finale. Lo sai che poi
le porte di
Paradiso e Inferno verranno chiuse”.
“Certo
che lo so”.
“E
questo significa che Keros sarà bloccato per sempre agli
Inferi. Non lo vedrai
più…”.
“So
anche questo, Gabriel”.
“E
ti sta bene?”.
“Certo
che no. Ma che posso farci? Keros ha scelto di essere un
demone”.
“E
se… ci fosse un modo?”.
“Quale
sarebbe?”.
Gabriel
attese qualche istante, insicuro se continuare oppure no.
“Dato
che sta addestrando il figlio del Diavolo…”
riprese poi l’Arcangelo “…sarebbe
facile convincere più di qualcuno che sia necessario
fermarlo. E, dato che è in
parte angelo, possiamo richiedere che venga imprigionato qui”.
“Imprigionato?
Sei impazzito?”.
“Lascia
che ti spieghi! Se lo imprigioniamo, lui non potrà insegnare
altre tecniche angeliche
all’erede del sovrano infernale e, una volta che la guerra
sarà finita, potrà
stare in Cielo. Per sempre! Non sarebbe una bella idea?”.
“Imprigionare
mio figlio? Una bella idea?”.
“Per
salvarlo dalle fiamme eterne!”.
“Obbligandolo
a restare in Paradiso!”.
“Credi
preferisca restare all’Inferno per
l’eternità?!”.
“No.
Cioè… non ne ho idea, sinceramente. Ma ora non me
la sento di fare qualcosa. Non
sappiamo nemmeno quando ci sarà la guerra finale! E
l’addestramento sarà solo
all’inizio”.
“Diciamo
che interverremo se notiamo che l’addestramento è
molto avanzato? O se la
guerra è imminente?”.
“Ecco…
detta così già mi suona meglio. Interverremo se
le conoscenze dell’erede
dovessero mostrarsi molto pericolose per il Cielo o se la guerra finale
risulterà alle porte. Dovessi vedere che il figlio di
Lucifero sta imparando a
sconfiggerci grazie a Keros, sarò io il primo a fermarlo. In
qualunque modo”.
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Capitolo 82 *** Fuga ***
82
Fuga
Il
sonno tardava ad arrivare. Nonostante fosse sfinito, Keros continuava a
fissare
il soffitto della propria stanza senza riuscire a chiudere occhio.
Solo, non
faceva che rimuginare. Ripensava alle parole di Nasfer, a quel che
aveva visto
poche ore prima e a come riuscire a risolvere una questione non
semplice.
Espero pareva intenzionato a fare di testa propria, Nasfer pure. Ma era
davvero
giusto impedire loro di seguire determinati desideri? Era giusto
impedire ad un
ragazzo di esplorare il Mondo e ad un giovane di rivedere la sorella,
seppur
angelica?
“Ho
compiuto la mia scelta…” sospirò
sottovoce, visualizzando le proprie ali
piumate.
Lo
scontro avvenuto con Mihael secoli prima aveva lasciato profonde
cicatrici sul
corpo e nell’animo del mezzodemone. Non voleva che suo figlio
e il suo allievo
si ritrovassero in situazioni simili. Ma come spiegarlo ad un ragazzino
o ad un
giovane innamorato? Ricordava cosa volesse dire. Ricordava quel che
aveva
provato quando desiderava altro, quando disubbidiva alle leggi di
Lucifero per
inseguire sogni e speranze. Come si era ridotto così? Come
era arrivato al
punto di abbandonare la speranza in un mondo diverso?
Qualcuno
bussò alla porta. In principio pensò di esserselo
immaginato ma poi il suono si
ripeté.
“Sì?”
disse, senza muoversi dal letto.
“Altezza,
perdonate il disturbo” mormorò Simadé
“Per caso Espero è lì con
Voi?”.
“No,
perché dovrebbe?”.
Keros
indossò al volo una vestaglia ed andò ad aprire.
Il servo si scusò ancora per
aver disturbato il proprio padrone e spiegò che il giovane
principe non si
trovava da nessuna parte. La regina, dopo aver saputo della litigata e
predica ricevuta,
aveva pensato di andare a parlargli. Voleva rassicurare il suo piccino,
voleva
capire il perché di tanta brama d’esplorazione. Ma
non lo aveva trovato nella
sua stanza né in nessun altro luogo del palazzo.
Vestendosi
in fretta, Keros raggiunse gli altri abitanti della reggia, svegliati
dal
trambusto crescente. In vestaglia, pigiama o addosso la prima cosa
trovata, la
famiglia si stava ritrovando.
“Il
mio bambino!” sospirava Leonore “E se fosse
scappato? Lo hai rimproverato troppo
duramente, Lucifero!”.
“No,
affatto. Dovevo dargli anche un paio di bastonate, così dal
letto non si
muoveva per un po’!” sibilò il sovrano.
Lei
fece per ribattere ma Lilith interruppe il discorso, chiedendo chi
fosse stato
l’ultimo a vedere il giovane principino.
“Era
a cena con noi” rispose Lucifero “Ma non ha
mangiato molto. Si è alzato senza
salutare ed è andato in camera. O così ha
detto”.
“Io
l’ho visto entrare in stanza” annuì
Simadé “Ma poi mi sono occupato di altre
faccende…”.
Keros
si guardò attorno. Vedeva tutte le sue figlie ed i figli
minori ma una testa
mancava all’appello.
“Nasfer
dov’è?” chiese, senza ricevere risposte
sensate.
“Perché?”
alzò un sopracciglio il re
“C’è qualcosa che non so? Dici possano
essere
assieme?”.
“Sarebbe
un sollievo non saperlo da solo!” annuì Leonore.
“Che
ti ha detto? Lo hai rimproverato, vero?” incalzò
Lucifero, avvicinandosi sempre
più a Keros.
“Certamente.
Ma sono giovani. Non vorrei che…”.
“Che…?”.
“Si
fossero recati nel mondo umano assieme!”.
Lo
sguardo del signore dell’Inferno si infiammò di
rosso.
“Però
la stanza dei portali è sorvegliata” si
affrettò ad aggiungere Vixa “Da dove
sarebbero usciti?”.
“Tuo
fratello sa creare portali in modo indipendente”
sospirò il mezzodemone.
“E
chi glielo ha insegnato?!” aprì le braccia il
sovrano, con rabbia.
“Io.
Mica è proibito! Non pensavo che portasse a spasso Espero,
sempre se lo ha
fatto” ammise Keros.
“Allora
la colpa è anche tua. Vedi di trovare una
soluzione!”.
“Sì,
maestà”.
L’ultima
frase era stata pronunciata con una smorfia ed un tono chiaramente
infastidito.
Lucifero frustò la coda un paio di volte, mentre Keros si
dirigeva verso la
stanza del figlio Nasfer. Lì, come aveva previsto, aveva
trovato un portale
realizzato da poco. Sbuffò, capendo che avrebbe avuto un bel
po’ di problemi
con quei due testoni. Attraversò il portale e si
ritrovò nel mondo umano. In mezzo
ad una radura, Nasfer ed Espero stavano litigando. Nel buio della
notte, le
scintille dei loro poteri si notavano fin troppo chiaramente.
“Basta!”
urlò Keros “Idioti! Gli umani vi
vedranno!”.
Altre
luci si intravedevano nel cielo: gli angeli. Come prevedibile, le
creature del Paradiso
controllavano che nessun mortale potesse essere coinvolto o ferito.
“Fermali”
ordinò una voce “O lo farò
io”.
Il
mezzodemone capì subito che a parlare era stato Mihael. Lo
vedeva, sospeso ad
ali spalancate, che fissava i litiganti con aria minacciosa.
“Umani!
Si avvicinano!” urlò un altro angelo, poco
più in là.
Keros
capì che doveva agire subito. Corse da figlio ed allievo,
ordinandogli di
smettere. Riuscì a separarli per qualche istante, spiegando
loro che umani e
angeli li stavano raggiungendo.
“Ti
uccido!” ringhiò a bassa voce Espero, mentre il
sanguemisto lo tratteneva e
faceva segno a Nasfer di allontanarsi.
“Marmocchio
raccomandato” rispose Nasfer.
Keros
sollevò di peso Espero e iniziò a camminare verso
il portale, mentre il
ragazzino gli si dibatteva fra le braccia e scalciava.
“Nasfer!”
urlò “Torna subito a casa. O saranno gli angeli a
fartici tornare e, credimi, non
è piacevole!”.
“Lasciami!”
continuava a sbraitare Espero.
Il
maestro resistette ai morsi ed ai graffi del giovane allievo. Nasfer
non si
mosse. Un coro si alzò fra gli angeli, di colpo. Keros si
arrestò, preoccupato.
“Nasfer!”
lo chiamò di nuovo, mentre in coro si alzava sempre
più forte.
Sapeva
cosa stava per succedere. Stavano per usare un esorcismo contro Nasfer,
che era
ancora troppo giovane per sapere come reagire in modo adeguato.
D’istinto,
lasciò andare Espero e tentò di raggiungere il
figlio.
“Non
li ascoltare!” gli gridò.
Il
giovane si era impietrito, sopraffatto da quelle voci e stordito dal
potere
degli angeli. Keros afferrò il figlio per un braccio,
tentando di farlo muovere.
Allo stesso tempo Espero, approfittando della situazione, si
preparò a
scagliare un altro attacco contro l’avversario.
“Piantatela!”
tentò di farsi ascoltare il maestro, ormai senza pazienza.
Keros
alzò una barriera attorno a sé, per evitare i
colpi di Espero, e schiaffeggiò
Nasfer per farlo rinsavire. Il coro angelico era sempre più
potente. Espero
correva veloce e si scagliò con tutte le sue forze contro la
barriera del
maestro. Questa scintillò, barlumi di elettricità
e potere la attraversarono
nel tentativo di respingere la furia del principino. Ma la foga del
giovanissimo demone era troppa, così come incontenibile era
la sua ira e la sua
energia. La barriera si infranse, scagliando maestro ed allievi
parecchio più
in là. Senza parole, si guardarono fra loro restando a
terra.
“Cosa
è stato?” parlò qualcuno.
Gli
umani si avvicinavano. Gli angeli erano pronti ad agire. Il mezzodemone
capì
che c’era una cosa soltanto che poteva fare:
richiamò a sé le ultime energie
rimaste e creò un portale per i due allievi, spedendoceli
dentro a forza. Ci fu
un lampo ed Espero e Nasfer erano scomparsi. Ansimando, Keros rimase
disteso. Era
ferito, stordito e senza forze. L’ultima cosa che vide, prima
di chiudere gli
occhi, fu la luce bianca ed accecante di un nugolo di angeli che si
avvicinava.
Riapparsi
a palazzo, Espero e Nasfer si fissarono ancora, frastornati.
“Ma
che cazzo è successo?” riuscì a dire
Nasfer.
“Non
lo so. Io… penso di aver rotto la barriera
angelica!”.
“Ma
come?”.
“Non
ne ho idea! Non c’ero mai riuscito prima!”.
“E
poi? Non capisco… che mal di testa…”.
“Ti
sei quasi fatto esorcizzare, coglione!” ridacchiò
Espero, pulendosi il vestito
da erba e ghiaia.
“Ma
Keros dov’è? Dov’è mio
padre?”.
Si
guardarono attorno.
“Mi
sa che è rimasto di là…”.
“Rimasto
di là? Con tutti quegli angeli?! Dobbiamo andare a
prenderlo!”.
“Andare
a prendere chi?” interruppe Lucifero, mentre Leonore correva
ad abbracciare
Espero.
Nasfer
spiegò quel che era successo. Subito Lucifero
riattivò il portale e corse a
salvare il sanguemisto. Di Keros però non vi era traccia
alcuna. Nessun angelo,
nessuna luce. Tutto svanito.
“Vi
rendete conto di quel che avete fatto?” riuscì
infine a dire Lucifero, una
volta rientrato a casa ed aver udito il racconto dei principi.
“Noi…
non volevamo…” provò a giustificarsi
Espero.
“Lo
so che non volevi, tesoro” tentò di consolarlo
Leonore.
Il
re aveva convocato i due giovani principi nelle proprie stanze e ora
fissava il
fuoco che bruciava su delle candele. Quelle fiamme gli ricordavano
Keros.
“Che
possiamo fare?” domandò Nasfer.
“Che
potete fare? Ma vi rendete conto davvero di quel che è
successo?”.
“Noi…”.
“Keros.
Il mio Keros. È svanito. Capite? Il mio Keros, tuo padre, il
tuo maestro… lui è…”.
Nasfer
trattenne il fiato, scuotendo la testa.
“Morto”
concluse il re.
“Ma
no. Gli angeli non lo ucciderebbero mai! Ho visto Mihael là!
L’ho visto!” si
affrettò a dire il principino “Lui non lo
permetterebbe mai!”.
“Keros
è un demone. Loro sono angeli. C’erano degli umani
lì vicino. Capite? Capite quel
che avete fatto con la vostra testardaggine e stupidità?
Cazzo, lo capite?!”.
“Calmati”
mormorò Leonore, avvicinandosi “Questi ragazzi non
lo hanno certo fatto apposta!
Loro non…”.
“Silenzio!”
ringhiò il sovrano “Non voglio più
sentire una sola parola sul mondo umano, siamo
intesi? Chiunque di voi verrà sorpreso anche solo a pensare
di andarci, verrà
incatenato e frustato. Sono stato chiaro? Il mio Keros è
morto perché voi due
non potevate fare a meno di andare a far i coglioni in un mondo che non
vi
appartiene!”.
“Adesso
basta” parlò ancora, con calma, la regina
“Credo che il loro cuore sia già
sufficientemente addolorato”.
Lucifero
non aggiunse altro. Fece segno a tutti di lasciare la stanza, mentre la
voce
della morte del principe Keros si diffondeva per il palazzo e per il
regno. Qualche
giorno dopo, alla luce del giorno, il Diavolo tornò in quel
luogo. Sperava di
trovare qualcosa, qualunque cosa, che potesse ricordargli chi aveva
perso. Notava
segni di lotta, fra la ghiaia e l’erba alta.
“So
che mi stai spiando” parlò, senza voltarsi
“Lo fai sempre, Mihael”.
“Che
cosa stai cercando?” domandò
l’Arcangelo, comparendo alle spalle del fratello
maggiore.
“La
cosa non ti riguarda”.
“Sei
troppo vicino alle case degli umani”.
“Non
me ne frega un cazzo degli umani. E tu… come puoi essere
sempre così? Impassibile
e composto, nonostante gli eventi? Non sei stanco? Non sei
affranto?”.
“Sono
stanco ed affranto tanto quanto te. Ma Dio mi dona la forza di
continuare”.
“Cosa
ne è stato del mio bambino? Cosa ne è stato di
Keros?”.
“Tuo
figlio ha infranto la sua barriera. Non potevo permettergli di
insegnargli
altro. Avrebbe messo in pericolo l’incolumità
delle mie schiere angeliche che
difendono gli Uomini”.
“Solo
di questo ti importa? Solo della nostra guerra e degli
Uomini?”.
“Sono
stato creato per questo”.
Lucifero
si voltò, guardando negli occhi Mihael. Coglieva in quello
sguardo qualcosa di
diverso, forse dolore o insicurezza.
“In
questo caso…” mormorò Lucifero
“…richiama tutti i tuoi eserciti. Se vuoi la
guerra, guerra avrai. Per il mio Keros. Per lui, io ti
sconfiggerò”.
“Attento
a come parli. Iniziare una guerra fra noi significherebbe far partire
un gioco
ben più grande di noi. L’apocalisse e la fine
dell’umanità”.
“Ti
ho già detto che me ne sbatto il cazzo
dell’umanità. E se non raccoglierai la
mia sfida, il mio esercito li ucciderà tutti i tuoi preziosi
umani, fra atroci
sofferenze”.
“Tu
sei pazzo”.
“Per
te contano più quegli infimi esseri nati dal fango piuttosto
che la famiglia e
le persone che ami. Per te sono più importanti loro, che
nemmeno pregano più, della
donna che amavi. Per te è più importante
proteggere l’umanità e seguire i tuoi
ideali piuttosto che proteggere la vita di tuo figlio. È
questo che sei”.
“Ma
che cosa stai farneticando?!”.
“Se
davvero Carmilla e Keros contano, o hanno mai contato per te, allora
dimostramelo. Combatti! Combatti per loro e sconfiggimi! Mettiamo fine
a tutto
questo. Fammi vedere che non sei solo una marionetta mossa da una luce
che
ormai non parla più e che tu ti ostini a venerare come
Dio!”.
“Ti
farò tacere!”.
Mihael
sguainò la spada, che sempre portava con sé.
Lucifero sorrise, soddisfatto. Era
l’inizio della fine, la fine di ogni cosa. E lui non
aspettava altro!
Capitolo
non molto lungo ma il prossimo sarà un pochino
più impegnativo. A prestissimo!
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Capitolo 83 *** Apocalisse ***
83
Apocalisse
La
tromba di Gabriel risuonava nel cielo, gli eserciti nemici si erano
schierati
ed erano pronti alla battaglia. Attendevano quel giorno da millenni,
dai tempi
della prima caduta, ed ora era giunto il momento. Alcuni erano
increduli, si
guardavano attorno senza troppa convinzione, mentre altri sembravano
non
aspettare altro. Le armature e le armi scintillavano, mentre il cielo
si
scuriva.
“Fai
ancora in tempo a fermare tutto, fratello” mormorò
Mihael.
“Non
ho intenzione di farlo” rispose Lucifero.
I
due erano a pochi centimetri di distanza e l’inizio del loro
scontro decretò anche
l’inizio dell’intera battaglia. Si alzò
un grido e le due fazioni si attaccarono,
in un turbinio di ali e scintille.
Espero
lottava fieramente accanto al padre, senza alcun timore. Nasfer, in
principio
titubante, provava una forte rabbia dentro di sé. Gli angeli
avevano ucciso suo
padre e lui si doveva vendicare! Così dimenticò
tutti i pensieri fatti con
Sophia, sulla pace e sulla convivenza fra popoli, e lottò
con ferocia. Si stupì
quando davanti si ritrovò gli occhi azzurri della sorella
angelica. Indossava l’armatura,
era coperta in parte da un elmo, ma quello sguardo lo avrebbe
riconosciuto
ovunque!
“Smettila
di combattere!” lo supplicò Sophia.
“Come
puoi chiedermelo? Nostro padre è morto!”
ringhiò Nasfer, minacciandola con la
spada.
“Nostro
padre è vivo. È imprigionato ma è
vivo! Ti prego, aiutami a fermare questa
follia!”.
“E
come?!”.
“Vieni
con me!”.
La
ragazza lo prese per mano e insieme si allontanarono dalla battaglia.
La
tromba di Gabriel svegliò Keros di soprassalto. Si
guardò attorno, accecato
dall’eccessivo bianco e dalla potenza della luce di quel
luogo. Sentiva molte
voci, concitate ed agitate, e passi svelti. La tromba
riecheggiò di nuovo e
fece vibrare le pareti. Il mezzodemone tentò di uscire da
quella stanza vuota
ma la porta era chiusa dall’esterno.
“Dove
sono? Qualcuno mi sente?” chiamò il prigioniero.
Non
era più stanco e nemmeno ferito. Riconosceva il tocco degli
angeli guaritori,
quasi sicuramente di Raphael. Ma per quale motivo si trovava
lì? Non ricordava
molto, se non che stava tentando di far ragionare i suoi allievi.
Chiamò ancora
ma il frastuono esterno copriva la sua voce.
“Ma
che succede?!”.
Capì
che doveva tentare di uscire da solo ed evocò il fuoco fra
le mani. Questi però
si spense appena accostato all’ingresso. Che altra tecnica
poteva usare? Pareva
brutto sfondare la porta a calci…
Tutto
crollava. Palazzi, città, edifici di ogni tipo. Al passaggio
degli eserciti,
tutto ciò che l’Uomo aveva creato stava
gradatamente svanendo, fra polvere e macerie.
Si udivano grida, di feriti e fuggitivi, poi più nulla.
Raphael rabbrividiva
dinnanzi a quello spettacolo, rimanendo al sicuro in Cielo. Vide Sophia
per
mano a Nasfer mentre correva veloce fra le strade della
città paradisiaca. Ma dove
pensava di andare? Fortunatamente tutti i soldati erano impegnati in
guerra o quel
giovane sarebbe già stato ucciso! Intuì dove
volessero andare e l’Arcangelo
decise di precederli, incamminandosi svelto lungo il sentiero che in
pochi
conoscevano. Quasi scivolando sull’argento della strada,
raggiunse l’edificio
in cui Keros era stato rinchiuso. Non si trattava di una prigione, in
Paradiso
non era previsto nulla di simile, bensì di una casa angelica
priva di
arredamento e con le uscite sprangate.
“Papà!”
chiamò Sophia “Papà, ti sei
svegliato?”.
“Sophia!”
rispose subito Keros “Che succede? Perché le
trombe? E dove sono?”.
“Ti
spiego tutto dopo! Ora ti dobbiamo liberare alla svelta. Stai indietro,
c’è qui
Nasfer con una spada!”.
Il
mezzodemone indietreggiò di qualche passo, mentre Nasfer
distruggeva la porta
in legno con l’arma che impugnava.
“Andiamo!”
incitò lei, non aspettandosi di ritrovarsi di fronte Raphael.
“Dove
pensate di andare?” domandò l’Arcangelo.
“Dobbiamo
fermare la guerra” spiegò Sophia.
“E
come pensate di farlo? Con i buoni propositi? Tutti noi vorremmo
fermarla!”.
“Mio
padre può, ne sono convinta! Lucifero lo crede morto ma
quando lo vedrà…”.
“Ormai
è tardi, bambina…”.
“Lasciaci
almeno provare!”.
“E
per cosa? Fareste meglio a restare qui. Sopravvivreste tutti e tre e
vivreste
in Cielo, una volta che le porte di entrambi i mondi si chiuderanno per
sempre”.
“Ma
c’è la mia famiglia agli Inferi!”
protestò Nasfer.
“Voglio
tentare” si intromise Keros “I ragazzi possono
restare qui al sicuro, mentre io
provo a far ragionare le due fazioni. Se convinco Mihael e Lucifero,
forse…”.
“E
se ne venissi ucciso?”.
“Correrò
il rischio”.
“Lascialo
passare o ti tiro un pugno!” si udì una voce.
Tutti
si stupirono molto nel constatare che a pronunciare quella frase era
stato Camael,
l’Arcangelo dell’amore puro.
“Ma
cos…?” provò a ribattere Raphael.
“Questi
giovani hanno rischiato tutto per venire qui. Un angelo ed un demone,
per mano,
sono venuti qui per tentare in ogni modo di riportare la pace. Hanno
liberato
il loro padre, un ibrido fra due specie che non dovrebbe nemmeno
esistere
eppure è qui. E forse, dico forse, è davvero
l’unico in grado di fermare la
fine del Mondo. Perché vuoi impedirlo, Raphael?”.
“Io…
e va bene” sospirò il guaritore “Fate
quel che volete!”.
Padre
e figli corsero verso la guerra. La distruzione aveva avvolto il Mondo,
l’odore
di morte e di anime impregnava ogni cosa. I secoli passati a studiare
la
fisionomia di Keros aveva permesso la creazione di armi che abbattevano
angeli
e anime pure. I demoni uccisi svanivano in una coltre di fumo, gli
abitanti del
Paradiso in scintille d’oro. Il mezzodemone rimase immobile,
sospeso a mezz’aria,
osservando tutto quel disastro e quei cadaveri.
Lucifero
e Mihael continuavano ad affrontarsi. Entrambi feriti, non si levavano
gli
occhi di dosso. Keros raccolte le proprie forze e scagliò un
colpo di fuoco che
divise i due contendenti. Il sovrano degli Inferi e
l’Arcangelo alzarono lo
sguardo e videro il sanguemisto, con un certo stupore.
“Basta!
Vi prego!” gemette Keros “State distruggendo il
Mondo!”.
Lucifero
sorrise, felice nel vedere il suo protetto ancora vivo. Mihael invece
era piuttosto
contrariato da quella presenza.
“Ormai
è tardi” ghignò il Diavolo
“Unisciti a noi! Dov’è Dio? Te lo dico
io: non c’è! Vieni
qui e combatti, l’ultima guerra del Mondo! È stato
l’Uomo stesso a volerlo, è
stato Dio a volerlo: ci ha creati per fare la guerra!”.
“No!”.
“Non
c’è più nulla da salvare”.
Keros
si guardò attorno. Fuoco, sangue, polvere… era
vero: non c’era più nulla da
salvare! In terra solo cadaveri e morti, in cielo ancora scontri e
corpi che
precipitavano. Lucifero e Mihael si preparavano. Il sovrano era
atterrato
accanto a Keros, incitandolo ancora a partecipare a quella guerra.
Mihael, con
l’armatura che scintillava in modo quasi accecante nonostante
il sangue ed i
graffi, puntò la spada contro il Diavolo.
“Vieni
pure, fratellino” ghignò Lucifero “Ti
aspetto!”.
L’Arcangelo
iniziò la sua discesa, deciso a dare finalmente il colpo di
grazia all’avversario.
“Facciamola
finita!” rise il demone, spalancando le braccia.
“Ma
siete impazziti?!”. Keros non capiva. Che stavano facendo?
Come potevano
desiderare così tanto la morte? Come potevano essere
così felici di vedere
fratelli e sorelle cadere, svanire?
Il
loro sguardo era acceso, infuocato, colmo d’ira. Come se non
fossero loro
stessi, come mossi da una volontà che non erano in grado di
controllare del
tutto, lanciarono entrambi un urlo di rabbia.
Nasfer
e Sophia si strinsero, capendo che quell’unico colpo poteva
determinare la fine
della guerra, mentre le anime mortali svettavano verso il Cielo o
svanivano
negli Inferi. Keros chiuse gli occhi, non sapendo che altro fare,
richiamando a
sé tutta l’energia che ancora aveva.
Creò la barriera più forte che mai era stato
in grado di evocare, aprendo le braccia per riempire il cielo di luce.
Quando il
Diavolo e l’Arcangelo si scontrarono, si balenò un
lampo che costrinse tutti a serrare
le palpebre. Keros fu sbalzato all’indietro per quel colpo.
Nel bianco,
temporaneamente incapace di vedere, batté violentemente la
testa su quel che
restava di un edificio umano.
Quando
riprese i sensi, vi era un insolito silenzio. Un silenzio inquietante.
Keros si
passò una mano sugli occhi, ancora infastiditi dal lampo
sprigionato della
barriera, e rizzò le orecchie. Si alzò a sedere,
guardandosi attorno. Era solo!
Silenzio, niente più battaglie. I cadaveri umani erano
rimasti in terra, mentre
angeli e demoni erano svaniti. E gli altri?
“Papà?”
chiamò, rivolto a chiunque potesse rispondere a
quell’epiteto.
Pronunciò
altri nomi, di figli e amici, senza udire alcuna voce di rimando. Si
alzò,
scuotendosi e togliendo la polvere dalle vesti. La testa gli doleva e
ancora
sanguinava. Si passò una mano sul capo, ritrovandosi le mani
sporche di rosso
scarlatto. Fortunatamente il sole spuntò da dietro alle
nuvole e questo aiutò a
cicatrizzare quel brutto taglio. Appena riuscì a spiccare il
volo con sufficienti
energie, raggiunse i luoghi dove sapeva si aprissero portali per
l’Inferno. Tentò
di utilizzarli ma non successe nulla. Stupito, Keros ci
riprovò. Tentò la
stessa cosa con diversi portali, provò a crearne uno a sua
volta ma nulla.
“Gli
Inferi sono chiusi?” mormorò il mezzodemone.
Volò
ancora un po’, cercando allora di mettersi in contatto con il
Paradiso. Anche
quelle porte però parevano chiuse. Atterrò, nel
punto dove aveva ripreso i
sensi, e storse il naso.
“Ma
dove siete tutti?” chiamò ancora “Hei!
C’è qualcuno?! Di sopra o di sotto, qualcuno
mi sente? Sono rimasto qui!”.
Sperava
di udire qualcosa, qualcuno, o di veder qualcuno venire a prenderlo e
portarlo
a casa. Paradiso o Inferno non faceva differenza,
l’importante era non rimanere
lì da solo! Sedette in quel punto, attendendo speranzoso.
Qualcuno si sarebbe
accorto della sua presenza, giusto? Qualcuno doveva venirlo a prendere!
Non poteva
rimanere lì da solo, nel mondo Umano! Un rumore gli fece
girare il capo, allarmato.
Non percepiva angeli o demoni eppure qualcosa si era mosso. Qualche
maceria
caduta? Qualche animale? Dopotutto l’Apocalisse prevedeva la
fine dell’Uomo e
delle sue opere, non di animali e natura.
“Aiuto!”
chiamò una voce.
Aiuto?
Qualcuno era in vita? Qualcuno c’era? Qualcun altro era
rimasto? Keros scavò
fra resti di cemento e terra, scorgendo un viso di fanciullo.
“Ci
sono qua io” lo rassicurò il mezzodemone
“Ora ti tiro fuori”.
Si
unirono altre voci, altre richieste di aiuto. Un gruppetto di bambini
mortali,
sporchi e feriti, erano riemersi da quel che restava di una scuola.
Nessun adulto,
nessun’altro. Keros intuì che doveva averli
protetti con la barriera che aveva
creato, impedendogli di morire come il resto
dell’umanità.
“Chi
sei?” piagnucolò una bambina, spaventata.
“Un
angelo?” azzardò un’altra bambina.
“Ha
le corna!” notò un terzo bambino.
“Sono
Keros” si limitò a dire il sanguemisto.
“Cosa
è successo? La maestra…”.
La
maestra era poco più in là, schiacciata da un
muro di cemento.
“Siete
rimasti solo voi” parlò piano il principe
“Solo voi…”.
I
bambini si guardarono, piangendo. Il mezzodemone non sapeva che fare,
non sapeva
come comportarsi davanti ad una scena simile. Li lasciò
lì, abbracciati, e
tornò a sedersi sullo spuntone di cemento contro cui era
andato a sbattere. Il sole
tramontava, la brezza lieve della sera ne muoveva le ali con dolcezza.
Sospirò.
Che poteva fare? Qualcuno però doveva venire a prendere quei
bambini! Forse
doveva ucciderli? Li guardò, mentre piangevano e si
stringevano l’un l’altro. Dopotutto
erano mortali. Primo o poi sarebbero morti lo stesso e allora Paradiso
e Inferno
dovevano accorgersi di quella presenza! Dovevano riaprirsi le porte per
accogliere quelle anime! Si alzò, avanzando lento verso quel
gruppo di piccoli.
Era la cosa migliore: ucciderli e far sì che si
ricongiungessero con i propri
genitori e famiglie. I bimbi si voltarono tutti verso di lui e gli
sorrisero. L’innocenza
dell’infanzia: qual meraviglia!
“Grazie
per averci salvato” parlò una bimba
“Angelo o demone, siamo vivi grazie a te”.
Keros
sobbalzò. Che doveva mai rispondere? Già pronto a
sferrare il colpo di grazia, così
facile spezzare la vita di quegli esseri così piccini, si
trattenne.
“Non
posso” sospirò, rassegnato.
“Che
cosa?”.
“Nulla.
Venite qui. Sarà difficile ma staremo assieme. Solo noi. Ce
la faremo”.
“Ma
non c’è più niente!”.
“Ci
siamo noi. E questo ci basterà,
vedrai…”.
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Capitolo 84 *** Rinascita ***
84
Rinascita
Un
anno umano era insignificante per un demone e Keros si stupiva ogni
giorno di
più. Quei bambini, costretti a vivere in un Mondo
completamente diverso da
quello in cui erano nati, si erano dimostrati un vulcano di idee ed
adattabilità. Il mezzodemone, abituato a disprezzare un
po’ l’umanità, ora ne
era meravigliato.
Sfruttando
quel che era rimasto di quella realtà distrutta, il principe
aveva insegnato loro
quel che sapeva e quel che gli umani avevano di utile da trasmettere.
Era riuscito
a salvare una certa quantità di libri, trovando un edificio
dove custodirli con
gelosia e riguardo, e con questi poteva aprire gli occhi dei piccoli su
realtà
e fantasia. Non provava giusto che si dimenticasse e cancellasse quel
che di bello
l’umanità aveva realizzato ma non voleva ricreare
quella vita, quegli uomini.
Per
nutrirsi c’era la caccia, l’allevamento e
l’agricoltura. Non facile per dei
bambini ma crescevano straordinariamente in fretta! Per vestirsi per
anni si
erano accontentati di quel che era rimasto in vari locali distrutti,
dato che
Keros ben poco sapeva di filati e cucito.
Era
frustrante rendersi conto che la vita da principe non aiutava molto in
quei frangenti.
Ma l’addestramento con Astaroth si era rivelato
provvidenziale! Cacciare,
difendersi e sopravvivere in un ambiente come l’Inferno
rendeva la Terra una
passeggiata. Poi aveva il vantaggio di evocare il fuoco.
I
compiti erano divisi, seguendo le capacità e le preferenze
dei bambini. Ogni giorno
però c’era sempre spazio per storie e lezioni per
tutti. E gli anni passavano…
Keros
parlò loro di storia, geografia, universo, scienza, lingue e
tradizioni. Non voleva
dimenticare le arti come la musica, il canto, la poesia, la
pittura… Era lì a
sostenerli nella crescita, con le sconfitte e le delusioni, le gioie e
le
scoperte. Li incoraggiava, li guidava e rispondeva ad ogni domanda.
L’unica parola
che non aveva mai pronunciato era “Dio”. Aveva
accennato ad angeli e demoni,
più che altro per descrivere se stesso e la differenza con
gli umani, ma non
sapeva come parlare di religione. I bambini sembravano non averne
bisogno, si
affidavano a lui e basta. Parlò loro di esistenza,
d’amore e di speranza. Li vedeva
crescere, innamorarsi e generare la vita. Era lì con loro
quando il primo
bambino nacque, e si scatenò una grande festa. Era
lì con mentre i piccoli
divenivano splendidi uomini e donne. Ed era lì quando la
vecchiaia sopraggiunse
e il primo di loro chiuse gli occhi, abbracciando la morte.
Versò lacrime
assieme agli altri, uniti in quel momento così atteso e
temuto. L’anima dell’uomo
si mostrò e Keros la prese per mano.
“Ora
cosa sarà di me?” domandò
quell’essenza.
Keros
non sapeva che rispondere. Con gli occhi lucidi, non capiva. Qual era
il posto
di quell’anima? Poi una luce avvolse il piccolo edificio dove
tutti si erano
riuniti per dare l’ultimo saluto. Aprendo la porta, non
poté che piangere
ancora una lacrima.
Un
gruppetto di angeli e demoni erano comparsi e si fissavano, perplessi.
“Siamo
sulla Terra?” si stupì Lucifero, guardando il
cielo e il tramonto.
“Ma
le porte erano chiuse” commentò Mihail
“Come è possibile?”.
“Papà…”
mormorò Keros, facendo girare il demone e
l’Arcangelo.
I
due osservarono colui che avevano di fronte. Era decisamente
più trasandato
rispetto a quando era principe e procacciatore di anime ma con lo
stesso
sguardo ambrato e pieno di speranza. Alle spalle del mezzodemone, un
gruppetto
di umani sbirciava quel che accadeva, senza capire del tutto.
“Keros…”
riuscì finalmente a dire Lucifero “Tu…
hai salvato l’umanità?”.
“Io…”.
“Tu
hai fatto riaprire le porte” si unì Mihail.
“Tu…
tu sei un miracolo” sussurrò il sovrano degli
Inferi, raggiungendolo per
abbracciarlo.
“Un’anima”
notò qualcuno.
L’essenza
era rimasta in piedi, fra angeli e demoni, senza sapere che fare.
Nessuno aveva
parlato più di tanto di Paradiso e Inferno in quella nuova
realtà.
“Dove
la portiamo? In Cielo?” chiese un angelo.
“Non
possiamo” rispose Mihail “Non conosce Dio, non ha
potuto scegliere fra le
divinità che l’Uomo conosce e fra le diverse
realtà di bene e male. Quest’anima
non appartiene alla nostra religione”.
“E
a chi appartiene allora?” domandò Keros, confuso.
“A
te, suppongo”.
“Cosa…?”.
“Tu
sei la cosa più vicina a un dio che questo nuovo Mondo abbia
visto. Tocca a te
scegliere come dovrà essere sistemata e dove”.
Il
mezzodemone rimase in silenzio. Poi guardò
l’anima, con un sorriso
rassicurante.
“Tu
che cosa vuoi?” gli disse, mentre i presenti brontolavano
ritenendolo non “ortodosso”.
“Voglio
restare accanto alla mia famiglia” ammise l’anima
“Vederla crescere e
sostenerla come posso”.
“E
così sia allora”.
Scese
il silenzio, mentre lo spirito si inchinava e raggiungeva il gruppo di
mortali.
“Che
strano modo di procacciare le anime…”
ghignò Lucifero.
Trascorsero
anni, secoli, forse millenni…. Keros non
abbandonò mai quell’umanità, ritenendo
necessario mantenere un certo controllo per evitare futuri conflitti. A
quanto
pare gli Uomini erano bravi a fare la guerra e il mezzodemone preferiva
impedirla. Le memorie dei primi giorni non vennero mai perse,
poiché il
principe era sempre pronto a raccontare ed accogliere chi covava dubbi
o
domande. Angeli e demoni camminarono su quella Terra da
quell’istante, da
quella prima anima. Liberi di agire come preferivano, alcuni scelsero
di vivere
fra i mortali e in quel Mondo che molti avevano sempre sognato.
Illuminati dal
sole e dalle stelle, nacquero molti amori e molti bambini.
Non
era più l’unica creatura di sangue misto fra
angelo e demone, Keros lo sapeva,
e osservava con orgoglio quei cuccioli con tratti angelici e demoniaci
che
giocavano assieme. Piccoli nati fra amori di diverse specie, fra cui i
discendenti
di Nasfer e Sophia. Ogni creatura, di Cielo e Inferno, aveva insegnato
qualcosa
a quell’umanità. Le anime dei defunti camminavano
fra i vivi, risplendendo lievemente
d’oro. Per mano ad Arikien, il mezzodemone osservava con
orgoglio la nuova
umanità che aveva aiutato a generare.
“E
Dio?” si chiese Mihail, seduto accanto a Lucifero.
“Ha
importanza?” rispose il demone, con un ghigno e la solita
sigaretta.
Osservavano
i bambini che giocavano, seduti al tavolo di un locale che si
affacciava sulla
piazza. Una piccola fontana zampillava e i piccoli si stavano
schizzando a
vicenda in quel giorno sereno.
“Dici
avesse previsto tutto questo?” incalzò
l’Arcangelo “Dici che, alla fine di
tutto, volesse questo?”.
“Sinceramente?
No, non credo. Se ci rifletti, questa realtà esiste grazie a
noi due”.
“Non
dire sciocchezze”.
“Tu
hai generato Keros, colui che ha reso possibile tutto questo. E io
l’ho
cresciuto. Questa è la realtà che ci siamo
costruiti, secolo dopo secolo. E ora
ci godiamo la pace. All’Inferno le anime bruciano, punite dai
demoni che
desiderano ancora farlo. In Paradiso sono tutti beati, per
l’eternità. E noi? Noi
siamo disoccupati. Diciamo pure in pensione. È finita,
Mihail. La nostra guerra
eterna è finita. Dici che Dio volesse questo? Non lo so, non
indagherò troppo.
Non mi interessa. Sono libero, e questo mi basta. E lo sei anche
tu”.
“Lo
siamo tutti”.
“Grazie
al frutto del tuo amore con quella signora laggiù”.
Lucifero
indicò una statua che si ergeva accanto alla fontana.
Raffigurava Carmilla, ricordata
come la madre di colui che aveva salvato gli Uomini. Mihail
osservò quella
statua con una punta di nostalgia.
“E
non ci vedi un disegno divino in tutto questo?”.
Lucifero
rifletté, ispirando lentamente il fumo della sigaretta.
“No”
rispose infine “Mi sembra solo un gran casino di
casualità che, alla fine hanno
portato a questo”.
“Il
caso non esiste”.
“Dio
non esiste. In questo Mondo, Dio non esiste. Esiste Keros, esistiamo
noi, non siamo
più re, soldati, generali… siamo due vecchi
fratelli che, dopo una vita di
litigi, se ne stan seduti al tavolino di un bar a spettegolare e
sorseggiare
vino. Vuoi forse altro?”.
“No”
ammise Mihail, sfoggiando uno splendido sorriso.
Più
di qualcuno giurò vedere il sole splendere con maggiore
intensità per qualche
istante, mentre l’Arcangelo continuava a dimostrare la
propria gioia a quella
realtà.
FINE
Questa
storia è iniziata nel 2016. Sono cambiate moltissime cose,
fra cui la nascita
della mia bimba. Sono cresciuta, Keros assieme a me, ed eccoci qua. Non
ci
credo ancora: sono arrivata a quella parola. Quella parola
“magica”, FINE.
Prima o poi doveva arrivare, giusto? Volevo ringraziare TUTTI, tutti
quelli che
seguono la storia fin dal principio, chi la seguirà in
seguito, chi l’ha amata
e chi no. Non volevo un finale tragico: ci vuole speranza, giusto?
Grazie
ancora. Da parte mia e di Keros.
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