Fall of the Kingdom - Equestria Rim

di Alvin Miller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO: Il primo attacco ***
Capitolo 2: *** ESTRATTO DAL DIARIO DI TWILIGHT SPARKLE I: Gli attacchi. ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 1: Ricercati ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 2: La chiamata dei Cristalli ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 3: In viaggio per l'Impero ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 4: La fuga ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 5: La Fine della Reborn ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 6: Cacciatori di Mostri ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 7: Ritorno a casa ***
Capitolo 10: *** IL QUARTO ATTACCO - Parte 1/3 ***
Capitolo 11: *** IL QUARTO ATTACCO - Parte 2/3 ***
Capitolo 12: *** IL QUARTO ATTACCO - Parte 3/3 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 8: Cuori Bruciati ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 9: Accordi Tesi ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 10: La Riunione ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 11: L'Addestramento ***



Capitolo 1
*** PROLOGO: Il primo attacco ***


*NOTA INTRODUTTIVA*

“Con questa, mio caro lettore, ti prometto che non intendo logorarti con tediosi discorsi. Invece, ci tengo a farti partecipe di questa nota.

Questa è' la prima storia di MLP che scrivo, e ho deciso di farne un Crossover con Pacific Rim dopo aver visto e amato il film di Guillermo del Toro. Ebbene sì: sono tra coloro che l’hanno adorato!

Il punto è che nell’universo dei Brony e delle Pegasisters non esiste una sola idea che non sia già stata sfruttata da qualcun altro. Come fare quindi a renderla DIVERSA? Come posso convincerti a sacrificare il tuo tempo per me?

Ho quindi deciso di fare a modo mio, dando vita a una storia che si colloca perfettamente nell’universo di FIM, senza alterarlo nella sua sostanza, aggiungendoci però un WHAT IF: cosa succederebbe se una situazione SIMILE (MA NON UGUALE) a quella proposta da PR si scatenasse ad Equestria, come la affronterebbero i Pony? Le storie che ho letto a proposito hanno seguito la strada del copia-adattamento, mentre io ho voluto fare di più! Volevo presentarmi la MIA rivisitazione del tema. Chi ha visto il film noterà i richiami alla pellicola, ma si accorgerà anche che segue una narrazione totalmente differente, che lo accomuna solo a grandi linee alla storia che stai per leggere.

Ho creato dei personaggi originali inediti, e ho chiesto aiuto alla deviant Nightflyer22 (mia cara amica, che qui ringrazio segnalandovi il suo profilo http://nightflyer22.deviantart.com/) per aiutarmi a realizzarli, insieme al logo ufficiale della mia storia. Vedrete gli artwork in alcuni capitoli più avanti.

Inoltre, ho passato molto tempo a studiare attentamente i caratteri dei personaggi e delle ambientazioni, al fine di renderli fedeli agli originali dello show, e ho quindi provveduto a creare una storia che mai e poi mai potesse stonare con quello che in effetti è il cartone vero e proprio, limitandomi solamente a spingere di più sul lato drammatico, essenziale per il mio stile ma anche per la storia i sé. E per questo, spero che la comunità dei Brony, prima di chiunque altro, apprezzi il mio lavoro.

Concludo qui ringraziandoti per la pazienza. Mi rendo conto che non sono stato per niente breve, ma è un cliché comune a chiunque giurì di essere sintetico.

Il prologo che stai per leggere è lungo, davvero molto lungo, ma è stata una scelta necessaria al fine di introdurre la storia e i personaggi nel modo giusto.

Metto come Post Scriptum una dedica alla mia ragazza Laura (con il suo profilo EFP http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=142704/), che sa sempre confortarmi nei momenti di malinconia :)

E quindi auguro a te, paziente lettore, un buon divertimento!


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PROLOGO: Il primo attacco.


La saldatrice levitò in aria, lavorando con movimenti precisi e lineari, mentre dalla punta piogge di scintille infiammavano l’aria d’intensi lampi di luce ogni volta che avveniva il contatto con la superficie in metallo.

Il giovane unicorno che la reggeva indossava una maschera grigio-scuro con visiera oscurata, che ne proteggeva la vista dall’esposizione diretta.

Mentre nel laboratorio un team multirazziale di pony di terra, pegasi e unicorni operavano nelle loro mansioni, da sopra una passerella in metallo, a circa sei metri d’altezza dal pavimento, Bibski Doss osservava con scrupolosa attenzione l’operato del giovane unicorno.

«Correggi le giunture della valvola di pressione.» Lo ammonì.

Il giovane si fermò subito. «Dove ho sbagliato?»

«Dovresti dirmelo te, non pensi?»

L’unicorno si tolse la maschera con lo zoccolo, sollevandola sulla fronte per cercare con lo sguardo l’imperfezione che gli era sfuggita. A un’attenta analisi constatò che in effetti la saldatura in quel punto era stata effettuata con troppa approssimazione, e si sentì uno stupido per l’errore. Il suo capo, il pony che dall’alto della sua postazione lo teneva d’occhio, era riuscito a scorgerlo da quella distanza, quando invece lui non ne era stato in grado sebbene si trovasse a un palmo dal suo muso. Provvide subito a rimediare e si trovò a rimuginare ancora una volta sul profondo rispetto che nutriva giorno dopo giorno nei confronti di quel pony.

Bibski era il capo ingegnere e leader del laboratorio, un pony di terra adulto, ma di bassa statura, dal manto d’oro e criniera giada-scuro, con una sfumatura quasi tendente al nero, trasandata ma non abbastanza da apparire disordinata. Un personaggio bizzarro e per certi versi unico nel suo genere, che tra tanti alti e bassi nel corso della sua carriera, si era costruito un nome nel campo dell’elettronica d’avanguardia per merito delle sue invenzioni.

Si era arricchito vendendone i prototipi, con i ricavati dei quali aveva poi fondato la Reborn Technologies, il laboratorio che ora dava lavoro e, talvolta, alloggio a decine di pony che come il giovane unicorno sognavano di fare parte del grande Progetto di Bibski Doss. Un progetto maestoso, per certi versi quasi un’utopia, che avrebbe voluto vedere l’intero regno di Equestria sotto una luce completamente nuova, dove l’automazione regnasse sovrana in una società, quella di oggi, ancora basata sulla forza lavoro dei pony: sistemi d’illuminazione che non richiedessero più lo sfruttamento della bioluminescenza delle lucciole per illuminare le strade cittadine, mezzi di locomozione che non necessitassero più degli zoccoli di atletici stalloni da traino, e industrie che finalmente potessero funzionare senza imporre massacranti turni di lavoro ai pony operai. Questo e quant’altro erano i sogni di Bibski, o per lo meno, quelli portati allo scoperto dalla Reborn Technologies. Altre invenzioni, attualmente in fase di progettazione e in attesa di brevetto, rimanevano ancora avvolte nel mistero, parcheggiate e riposte nei magazzini della società, con scopi e finalità che spesso sfuggivano persino agli stessi addetti ai lavori, tenuti all’oscuro dei piani di Bibski, probabilmente per limitare quanto più possibile le fughe di notizie, in attesa della commercializzazione delle macchine.

Il giovane stava rimuginando su tutto questo quando la voce sarcastica di Bibski lo distolse dai suoi pensieri. «Frustrato, ragazzo?»

Il ritorno alla realtà lo fece tentennare. «C-come?»

«Credi che quel coso si aggiusterà da solo se resti lì imbambolato senza un perché a fissarlo per il resto della giornata?» Lo rimproverò con parole taglienti, facendolo sentire colpevole e indifeso.

Aveva ragione, aveva maledettamente ragione. L’unicorno avrebbe dovuto sentirsi onorato di essere parte di tutto questo, e darsi d’impegno per onorare la sua posizione, ma malgrado ciò, seguitava a commettere uno sgarro dopo l’altro. Prima con la saldatura frettolosa, ora perdendosi nei suoi pensieri.

«Forse vuole solo riposarsi.» La nuova voce giunse d’improvviso dalla destra, da un secondo stallone che si stava avvicinando a Bibski. Era Brightgate, un altro unicorno che era anche il braccio destro del pony di terra.

Si rivolse al giovane puledro ponendosi in tono gentile e comprensivo. «È da più di tre ore che sei a quel banco. Vuoi passare il turno a Desk Gear?»

Desk Gear, un paffuto pegaso color verde limone che nel mentre era impegnato in un’altra postazione, sentendosi pronunciare il nome, diresse subito l’attenzione al gruppo, appoggiando a terra la chiave inglese con la quale poco prima aveva stretto dei bulloni, e attendendo l’evolversi della situazione.

«No, no! Ce la faccio!» Si affrettò a precisare il giovane unicorno, trattenendo a stenti l’agitazione. Non gli andava di mostrarsi debole di fronte ai suoi superiori, tantomeno cedere il posto a un pony strampalato come Desk Gear. Una gelida goccia di sudore gli colò dalla fronte, imperlandogli il manto dalle guance fin sotto la base della bocca.

Desk guardò verso Bibski, attendendo istruzioni.

Con un gesto del capo il pony di terra gli fece cenno di tornare a lavoro, e con fare seccato si rivolse al giovane. «Come vuoi. Ma non combinare altri guai, o al primo difetto di progettazione, ti ci mando a nuoto a ripararlo!»

Brightgate al suo fianco trattenne malamente un sorriso: aveva appena udito quella che a tutti gli effetti altro non era che l’ennesima battuta di spirito di Bibski. Ma per il giovane, che in quei pochi mesi ancora non aveva avuto il tempo per metabolizzare gli atteggiamenti del suo capo, quella frase, detta con tono tanto arido, suonò come un ultimatum di morte.

Deglutì rumorosamente e si rimise immediatamente a lavoro, mentre dalla sua bocca un pesantissimo «s-sissignore» dovette lottare a forza per farsi strada nella coltre di paura.

Dopo un breve cenno, Bibski si avviò lungo la passerella, allontanandosi senza aggiungere altro, e seguendo a ritroso la direzione da dove giunse Bright. Questi, invece, rivolse al giovane un occhiolino rassicurante, grazie al quale riacquistò la carica sufficiente a riprendere la sua mansione.

Il puledro fissò il banco di lavoro, dove una grande carcassa di lamiere e circuiti, approssimativamente della stazza di un minotauro, attendeva di essere ultimata. Calò nuovamente sul volto la visiera e fece per riprendere il lavoro.

Intorno a sé il laboratorio era in fermento, con i pony che si spartivano i loro compiti. Alcuni tecnici monitoravano griglie di dati numerici che scorrevano su grandi monitor, pigiando con gli zoccoli sulle tastiere per alterare questo o quel parametro. Squadre di meccanici capitanate da tecnici e ingegneri montavano componenti in metallo, mentre gruppi di elettricisti qualificati si occupavano del cablaggio e dei circuiti degli impianti elettrici. Ogni gruppo seguiva il proprio ordine del giorno da fogli di carta sui quali erano appuntate le fasi di lavoro e le operazioni da svolgersi nell’arco della giornata. Come in una fabbrica, il laboratorio era diviso in tre reparti, molto pragmaticamente chiamati “A, B, e C”, disposti nella planimetria in posizione triangolare, con al centro una quarta sezione adibita agli uffici contabili, i camerini e la Direzione, che erano collocati al piano superiore della struttura.

Il “reparto A”, in cui il puledro lavorava, era costituito da una lunga sala in cui diversi impianti erano separati gli uni dagli altri da strisce colorate dipinte sul pavimento, o da spesse lastre di vetro rinforzato per garantire l’incolumità dei dipendenti laddove sussistessero rischi per la loro salute.

Sulle pareti e appeso al soffitto, un aggrovigliato reticolo di tubature e serpentine trasportavano gas di vario tipo e acqua ad alta pressione, che venivano poi pompati nei vari macchinari durante i cicli di lavoro.

Il giovane unicorno si fermò quando di fianco a lui sfilarono alcuni robusti pony, che con delle briglie stavano trasportando carrelli carichi di componenti metalliche verso un’altra ala del reparto. Quando tornò al suo incarico, si accorse che la punta arroventata della saldatrice era uscita fuori dal suo tracciato, delineando una terribile depressione sulla scocca della lamiera. In preda al panico, si affrettò per cercare di rimediare.

L’ammasso metallico faceva parte del guscio e di parte dell’elettronica interna di un sommergibile monoposto (da qui la battuta di Bibski sulle riparazioni a nuoto). Una volta terminate le saldature, la carcassa sarebbe stata trasportata in un secondo reparto, in cui un altro addetto avrebbe proseguito con la fase successiva dell’assemblaggio, fino al completamento dell’abitacolo. Da tempo si vociferava sulla possibilità di studiare la flora marina dei mari che circondavano Equestria, e Bibski Doss, come suo solito, aveva giocato d’anticipo concependo il primo mezzo adatto per l’occasione.  

Il sommergibile, un po’ come ogni invenzione che prendeva vita tra le mura della Reborn Technologies, era un vero prodigio dell’ingegneria d’avanguardia, ideato e sviluppato dalla visionaria mente di Bibski, che fin dagli albori della sua carriera aveva sempre curato in prima persona lo sviluppo delle sue macchine.

Grazie a quei brevetti, il laboratorio era cresciuto via via negli anni, attirando l’interesse anche delle più alte cariche del regno, tra cui rientravano le stesse principesse di Canterlot. Ma era tra i sudditi che si concentrava il vero flusso del passaparola, con interminabili liste di candidati che si mettevano in coda fuori dal complesso nella speranza di essere scelti per unirsi al team di pionieri al servizio del pony. Il lavoro di Bibski, però, non fu sempre accolto col medesimo entusiasmo, e dopo una lunga golden age che portò il loro nome alla ribalta, arrivò anche per la Reborn Technologies il momento di confrontarsi con la dura realtà del tracollo.

I sogni del pony spesso miravano a stravolgere le convenzioni sociali che secoli di oligarchia avevano impresso nella mente dei cittadini, e se da una parte le sue “creature” potevano sembrare audaci e rivoluzionarie, dall’altra furono accolte alla stregua dell’eresia. Una in particolare, divenuta malauguratamente nota in tutta Equestria, si palesò con l’entrata in scena del primo prototipo dell’Equalizzatore, un’invenzione che avrebbe dovuto ribaltare per sempre i limiti dell’attuale stile di vita dei pony, e che contro ogni pronostico, si era rivelata un clamoroso flop un po’ in ogni angolo del regno. L’Equalizzatore fu accolto come la più pungente prova delle aspirazioni sovversive di Bibski, al punto da attirare sulla Reborn Technologies le ire di quelle stesse personalità che in un precedente momento avevano tessuto le lodi del suo operato.

Venne dato il via libera ad una pesante propaganda di boicottaggio del lavoro dell’inventore, che convinse anche la popolazione a dare il ben servito alla grande visione di Bibski e alle sue geniali macchine. Ben presto le entrate del laboratorio iniziarono a diminuire drasticamente, e il budget per il mantenimento dei costi di produzione era ormai sopperito solo per mezzo dei risparmi dello stesso Bibski.

Il giovane puledro era stato assunto a cavallo del boom della crisi, prima che i suoi effetti cominciassero a farsi pesare, e come tutti la dentro, temeva per il suo futuro qualora la Reborn Technologies fosse stata costretta a chiudere i battenti.

L’unico a non aver apparentemente incassato la sconfitta era stato Bibski, la cui fervida fantasia aveva invece dato i natali a fascicoli interi di nuovi progetti, che non attendevano altro che prendere vita tra le scintille, i fili elettrici e le lamiere di metallo del laboratorio. Nessuno però si sarebbe aspettato una reazione diversa da Bibski: la tenacia inespugnabile del loro leader era famigerata in tutto il laboratorio e da sempre ne costituiva un punto cardine della sua personalità. L’inventore era sempre stato cocciuto fino al midollo. Un ottuso mulo testardo che nessuno avrebbe mai potuto schiacciare, neppure nella sconfitta più plateale.

Tra l’altro, era anche convinto che presto sarebbe arrivata per lui l’occasione di dimostrare a tutti il suo valore. Sarebbe entrato, diceva, fin dentro le mura di Canterlot, sbaragliando le truppe di guardie imperiali che gli avrebbero serrato la strada, e avrebbe sbattuto direttamente sul muso delle principesse Luna e Celestia la prova inconfutabile della superiorità del suo lavoro.

Quest’accesa convinzione era forse l’unica scintilla che ancora infondeva entusiasmo al suo team, che altrimenti avrebbe seguito l’esempio della popolazione, finendo per abbandonarlo un pezzo per volta agli stenti della sua stravaganza.  

Mentre il giovane unicorno tentava di porre rimedio al pasticcio che aveva combinato, si chiedeva se quel giorno sarebbe mai arrivato; se davvero la Reborn Technologies sarebbe rifiorita come ai fasti di un tempo.

Sfortunatamente, il giovane unicorno non immaginava che la risposta alla sua domanda non sarebbe mai arrivata, perché quello stesso giorno, venti minuti dopo quel breve scambio di battute con Bibski Doss… il giovane unicorno sarebbe morto.


Bibski e Bright entrarono nell’ampia sala del reparto B, dove altri gruppi di laboriosi pony compivano operazione non dissimili da quelle dei colleghi nei reparti accanto. Camminavano lentamente seguendo la stessa velocità di marcia e scambiando occasionalmente rapide occhiate con gli addetti ai vari banchi da lavoro.

«Il reparto C a che punto è con le turbine dello Skybreaker?» Domandò Bibski.

«Dovrebbero terminare l’installazione dei compressori in giornata, ed entro la fine della settimana passeranno ai primi collaudi.» Rispose prontamente Bright.

«So che hanno avuto dei problemi con l’ala destra, ma alla fine si era trattato solo di un paio di giunti allentati, niente di allarmante.»

«Sì, mi hanno informato. Tu piuttosto, non credi di essere stato un po’ duro col ragazzo? In fondo si sta rivelando un buon lavoratore… »

«Il novellino dici? Nah, con tutto il tempo che ha aspettato per convincerci ad assumerlo, ci vuole ben antro per mettere a terra quelli come lui. Ha la stoffa del vincente, me lo sento! E poi, è la nostra regola numero Uno, Bright. Se vuoi stare con noi devi prima imparare a sopportare il Capo, che per inciso eccomi, sono io!» S’interruppe per esibire un ghigno «Sopravvivrà a me, non ti preoccupare» e terminò con un occhiolino.

«Probabilmente hai ragione… » capitolò l’unicorno.

«Certo che ho ragione! Bibski non sbaglia mai: è la regola numero Due!»

«A proposito di regole… » lo interruppe Bright, ma non ebbe il tempo di parlare. Un secondo unicorno si materializzò di fronte a loro facendo levitare di fronte agli occhi di Bibski una cartella di fogli. Era Deepblue Whirl, che tutti chiamavano semplicemente “Blu”. Era il fratello gemello di Bright, identico a lui sotto quasi ogni aspetto: entrambi avevano un manto grigio cenere e una lunga criniera nera come la pece, in netto contrasto con il colore delle loro iridi: giallognole quelle di Bright e indaco Deepblue. Elemento che più di tutti spiccava nei due gemelli era la stazza, entrambi avevano un portamento imponente e atletico, e un’altezza quantomeno inusuale per dei comuni unicorni, che li facevano assomigliare a degli alicorni senza ali. I cutie mark di entrambi erano due anelli di forma ellittica, in cui il più grande si sovrapponeva al più piccolo nascondendolo in parte. Lo schema dei colori era l’unica differenza che distingueva un gemello dall’altro: nel cutie mark di Bright, l’anello maggiore era dello stesso colore dei suoi occhi, mentre azzurro scuro risultava quello minore. La stessa cosa nel fratello, con lo schema dei colori che semplicemente s’invertiva: colore blu dell’ellisse più grande, giallo acidulo la più piccola. Il significato dei cutie mark era evidentemente legato a una capacità in comune a entrambi. Un talento, anch’esso, unico nel suo genere.

Sebbene i tratti fisici tradissero la loro parentela, sull’aspetto caratteriale erano quanto di più diverso avesse mai messo zoccolo sul suolo di Equestria. Bright era il gemello loquace, con un portamento nobile e un’espressione sul volto che sapeva infondere sicurezza e fiducia in ogni situazione. Era anche un pony gentile e di buon cuore, come difficilmente se ne sarebbero potuti incontrare in giro. Doti che facevano di lui una personalità sempre molto amata e rispettata.

Blu, invece, era completamente l’opposto. Amava la solitudine e dedicarsi a incarichi che non richiedessero la collaborazione di terze parti. Non parlava mai con nessuno, e quel mai voleva dire che non apriva la bocca MAI, nemmeno per rivolgere la parola a Bright o a Bibski. Quando doveva comunicare col fratello, si serviva di un’altra capacità comune ad entrambi: la telepatia. Malgrado, infatti, Blu non aprisse mai bocca con nessuno, nulla gli impediva di intrattenersi in lunghi dibattiti per via telepatica con Bright, con il quale occasionalmente condivideva anche emozioni e pensieri.

Il loro legame mentale era forte e infrangibile, qualunque fosse stata la distanza tra i due, e per questo l’unicorno dagli occhi gialli si offriva sempre come tramite tra Deepblue e l’interlocutore di turno. Un compito che si accollava suo malgrado.

Bright usò la magia del corno per scostare un ciuffo di criniera trasandata dagli occhi del gemello, e servendosi della loro comunicazione telepatica gli disse:

- Dovresti accorciartela un po’. -

- Lo so… me lo dici sempre. - Gli rispose voltandosi dall’altra parte, disinteressato.

Anche Bright aveva una folta criniera pendente dalla fronte, ma si assicurava quotidianamente di mantenerla curata. Era un’abitudine che seguiva da anni, e che non mancava di consigliare ad altri pony, tra i quali Bibski, che di risposta amava controbattere nei modi più fantasiosi. Tutto, pur di evitare di dargli ascolto. La frase: “La mantengo tale perché sentirla incasinata mi aiuta a concentrarmi” era ormai entrata nella Leggenda.

Certamente Bibski non peccava di senso dell’umorismo, anche se di dubbia qualità.

Il pony di terra, già di per sé un nanerottolo, e che messo a confronto con la stazza dei due fratelli sembrava ancora più piccolo, guardò soddisfatto il fascicolo di dati che aveva di fronte, per poi esibire un sorriso di fiera soddisfazione.

«Molto bene!» Esultò tagliando corto, per poi superare i due unicorni, proseguendo per la sua strada.

- Gliene hai parlato? - chiese Blu, guardandolo allontanarsi.

- Stavo giusto per farlo, ma poi sei arrivato tu. -

- Ho paura che non riuscirai a convincerlo comunque. -

- Lo so, ma devo almeno provarci. C’è solo un’alternativa in caso di rifiuto, e nessun di noi vorrebbe arrivare a tanto… -

- Sperò che tu ce la faccia. -

- Non dirlo a me…  -


Bibski Doss stava proseguendo il suo giro d’ispezione lungo il corridoio. Tutto volgeva secondo i piani e gli addetti ai vari macchinari, al suo passaggio, si rivolgevano a lui con amichevoli cenni di saluto, che a sua volta ricambiava con pieno ottimismo.

Aveva appena raggiunto un altro gruppo di operosi pony, quando Brightgate tornò da lui. «Bibski, tu ed io dobbiamo parlare.» La comparsa improvvisa dell’unicorno e il tono minaccioso della sua voce tagliarono il filo della sua quiete, scombussolandolo per un istante.

Si ricompose immediatamente, e il suo volto si fece più serio «A che proposito?»

I due si fissarono in uno statuario confronto. Gli occhi verde smeraldo di Bibski si riflessero su quelli di Bright. «Lo sai. Non fingere con me.»

Il pony di terra non emise alcun suono per svariati secondi, ma poi, dopo un sospiro: «vediamoci tra dieci minuti nel mio ufficio, e chiudiamo questa faccenda una volta per tutte.» Detto ciò, diede le spalle all’imponente unicorno e tornò alla sua ispezione.

«Non è che tenterai di scappare?» Gli chiese ad alta voce Bright, fermo sul posto.

«Ci stavo giusto pensando, in effetti» rispose da lontano, con fare impertinente «ma poi ho concluso che non durereste il tempo di una giornata senza di me!»  

L’unicorno roteò gli occhi e rimase a osservarlo mentre si allontanava dal suo campo visivo.


L’ufficio di Bibski si trovava nel fianco nord-est del reparto B, e come tutti gli uffici contabili del laboratorio, era raggiungibile attraverso le passerelle rialzate che percorrevano i vari settori, permettendo al personale impiegato di circolare senza intralciare i manovali. Sulla porta in legno, una targhetta in metallo laccata in oro annunciava con toni boriosi di trovarsi di fronte alla soglia della “Direzione”.

Al limitare della stanza, a chiunque si accingesse a entrare la prima volta, poteva sembrare che quella porta nascondesse l’accesso a un ufficio elegante e superbo, con quadri di pittori famosi quotati all’asta a prezzi spropositati, librerie con tomi rilegati in pelle di drago antica, per finire con una scrivania in mogano finemente lavorato a zoccolo da maestri falegnami. Invece, l’ufficio che si presentava ai suoi ospiti sembrava più il caotico studio di un geometra indaffarato, che non di un ricco capoccia d’industria: ovunque sulle pareti erano appese nei modi più disparati file su file di disegni tecnici di progetti ed invenzioni partorite dall’instancabile mente di Doss. Due grosse lavagne allineate una accanto all’altra decoravano uno dei pochi spazi vuoti della stanza, e sopra di essi cifre ininterrotte di complessi algoritmi matematici lottavano tra di loro per aggiudicarsi uno spazio sulla nera superficie in ardesia.

C’era una scrivania, ma di fattura decisamente più umile e con un marasma di strumenti da lavoro quali goniometri, matite di varia durezza e altra attrezzatura per disegni tecnici, sparpagliati alla bell’e meglio un po’ di qua e un po’ di là. Una lunga fila di armadietti in ferro catalogati per data conteneva altri progetti, e su di essi lunghe pile di libri di meccanica di Equestria ammucchiati con scarsa attenzione uno sopra a quell’altro. Molti di quei tomi erano inutili a Bibski, ma capitava talvolta che proprio tra quelle pagine si celassero le più brillanti ispirazioni per una nuova invenzione, perciò li conservava.

Bright detestava il disordine di quella stanza, ma tempo addietro aveva (non si sa come) convinto Bibski a fare un po’ di ordine negli archivi, ed ora, per lo meno, aveva cominciato ad avere l’aspetto dell’ufficio di un professionista.

Il pony di terra era alla scrivania, in una posa plastica semi-autoritaria, con gli zoccoli anteriori poggiati sulla base e tenuti uniti.

«Era di questo che stavate parlando tu e tuo fratello, prima?» Chiese all’unicorno, senza dargli il tempo di chiudersi  la porta alle spalle.

«Sì.» Fu la risposta secca di Bright.

«Sta ascoltando anche lui?»

Lo stallone fece segno di no con la testa. «Te ne saresti accorto, in quel caso.»

Bibski nitrì. «Già. In effetti non fate una bella faccia quando aprite un canale di comunicazione. Beh, ad ogni modo non farebbe alcuna differenza, con o senza di lui. E per quanto riguarda la nostra discussione, credevo di essere stato chiaro in merito. Non intendo dargliela vinta a quelli!»

«Ti conosco da tanto tempo, Bibski, e so che per te la parola “arrendersi” non è contemplata nel tuo dizionario. Ma qui si sta parlando di un ordine diretto del sindaco di Manehattan! Non è un qualcosa che puoi prendere per il sottile!»

«“Arrendersi” esiste nel mio dizionario: sta in copertina, ed è lì per ricordarmi ogni giorno di non sottomettermi all’idiocrazia di quei buzzurri» con un gesto a zampe spalancate indicò la stanza «insomma, guardati intorno. Guarda cos’abbiamo creato in tutti questi anni! Pensi davvero che saremmo arrivati a un decimo di tutto questo se avessimo dato retta a quei politici retrogradi?!»

«Stavolta è diverso! Il sindaco è stato chiaro: o le diamo l’Equalizzatore, oppure manderà le sue guardie cittadine a prenderselo da soli.»

«Che vengano allora!» Sbottò alzandosi. «Io non intendo cambiare la mia linea di pensiero solo per assecondare una minaccia campata all’aria da quella gente! Potranno anche entrare qui dentro e tentare di aprire la teca, ma dovranno vedersela con i nostri sistemi di sicurezza! Col cavolo che vengo lì a dettargli i codici!»

Il confronto cominciò a prendere la piega che Brightgate temette. Non era mai facile discutere con Bibski, men che meno quando l’argomento di discussione era l’Equalizzatore.

«Ti stai comportando come uno stupido. Così metti nei guai tutti noi solo per una tua sciocca faccenda d’orgoglio personale!»

«Non è orgoglio, bensì principio di giustizia!»

«E fa qualche differenza?!»

«Secondo te farebbe qualche differenza se glielo dessimo? Quella baldanzosa prepotente ci ha già tagliato tutti i fondi per lo sviluppo! Abbiamo inviato appelli su appelli alle Principesse nella speranza che ci aiutassero, e non è servito a NIENTE! Navighiamo in un oceano in tempesta e ormai è chiaro che non sarà certo per la loro carità se saremo mai in grado di riprenderci! Credi davvero che se glielo impacchettassimo con un fiocchetto regalo e glielo recapitiamo per posta a casa sua, quella poi ci perdonerebbe e magari ci inviterebbe a ballare e danzare felici e contenti sotto l’arcobaleno?»

«Non esagerare. Magari non ci offrirebbe una fetta di torta di mele, ma per lo meno possiamo calmare le acque! La tecnologia dell’ATS si sta rivelando promettente, possiamo puntare su quella e magari commercializzarla!»

«No, no! Sono ancora in mare aperto con i progetti della 2.0. Devo ancora ricavare i valori di erogazione, e inoltre la camera di emulsione è troppo instabile per sostenere a pieno regime l’operatività! Mi serve più tempo!»

Bright fece il gesto di stringersi le labbra. «Beh… ci sarebbe sempre l’originale… » borbottò.

Una smorfia contrariata si disegnò sul volto di Bibski, che si mosse con fare aggressivo ponendosi di fronte alle zampe dell’unicorno. Nonostante lo stesse guardando dal basso verso l’alto, sembrava non ci fosse alcun divario di altezza tra i due. «L’unico esemplare di ATS al momento funzionante sul quale è possibile effettuare sperimentazioni si trova all’interno dell’Equalizzatore, e non ho NESSUNA intenzione di estrarlo da lì! Spero di essere stato chiaro, Bright.» Dopo di che si avvio verso l’uscio.

L’unicorno non si spostò dalla sua posizione, nemmeno per seguirlo con lo sguardo. Contattò telepaticamente il fratello.

- Blu… -

- Sì? -

- Gli ho parlato. -

- E… ? -

- Niente da fare. Non ce l’ho fatta. -

Un istante di silenzio e il discorso riprese.

- Capisco… sapevamo entrambi che sarebbe andata così. -

- Già. Ma speravo di poterlo convincere. -

- Parliamo di Bibski, lo sai che lui… -

- Shh, aspetta un momento. -

Dall’uscio della porta, Bibski aveva ripreso a parlare: «ad ogni modo, se mai dovessero fare irruzione qui dentro, mi assicurerò di accollarmi tutta la responsabilità delle mie scelte. Il team non dovrà essere coinvolto nella faccenda.» La sua voce era bassa e consapevole.

«D’accordo.» Si trovò a rispondere Bright, rassegnato.

«Bene. Ora pensiamo a ultimare i nuovi prototipi. Se tutto andrà come prevedo, potremo riprendere il flusso della corrente entro un trimestre.»

Bright sospirò. «Auguriamoci che sia così.»

Erano entrambi sulla passerella rialzata all’esterno dell’ufficio, quando un indistinto suono in lontananza attirò l’attenzione di tutti.

Bibski e Bright guardarono nella direzione da dove proveniva quel suono, seguiti poco alla volta anche dai pony affaccendati del reparto.

- Lo senti anche tu? - domandò Deepblue da lontano.

- Sì… -

Tra i tecnici in basso, qualcuno spense i propri macchinari, alleggerendo così il carico d’inquinamento acustico, e il suono divenne quindi nitido e distinguibile.

«È l’allarme d’emergenza della città!» esclamò Bibski.

«Si direbbe di sì, ma per quale motivo l’hanno attivato?»

Il pony di terra non rispose. Come tutti in quella stanza, restò fermo ad ascoltare la sirena in silenzio, che penetrava attraverso le pareti del laboratorio e riecheggiava con fragorosi boati lungo i muri della struttura. Tra i manovali al piano inferiore cominciò a diffondersi un mormorio ansioso. Qualcuno si chiese cosa stesse succedendo, e altri provarono a dare le loro ipotesi fantasiose.

Un pegaso dal manto marrone e il cui cutie-mark era un cacciavite a stella, si rivolse a Bibski: «Ehi, capo! In nome di Celestia, che accidenti sta succedendo?»

Il muso di Bibski s’indurì, non amava udire quel nome. «Non nominarla più davanti a me!!» Lo rimproverò ferocemente.

Il pegaso indietreggiò di due passi e chinò il collo allingiù, intimorito. «Me n’ero dimenticato, non succederà più, mi scusi!» Quando poi i toni si fecero più calmi, ripeté la domanda «allora?»

«E io che ne so?» Gli rispose seccato. «Non ho certo mandato il mio sosia a verificare!»

«Forse è un’esercitazione?» S’intromise Bright.

«O forse a una delle loro adorate Principesse è caduta la corona e stanno mobilitando l’esercito per raccoglierla.» Scherzò, cercano di ostentare sicurezza.

Poi d’un tratto avvenne qualcos’altro. Un nuovo suono s’impose di travalicare quello dell’allarme, e un rimbombo lontano fece vibrare le finestre e tremare il pavimento.

«E adesso che accidenti sta succedendo?!» Bibski si rese conto che la situazione  si era fatta grave.

Quella scossa di risonanza fu soltanto l’avanguardia di una lunga sequenza di rimbombi che da quel momento in poi divennero sempre più violenti man mano che si susseguivano. Il laboratorio era in fermento, e più le scosse si fecero violente e ravvicinate, più i pony del reparto perdevano il controllo di se stessi. Qualcuno galoppò a perdifiato senza una meta precisa, altri restarono fermi sul posto incapaci di reagire. Bibski cercava di riprendere il controllo della situazione intimando a tutti di calmarsi, mentre Bright era fermo in disparte, apparentemente non partecipe degli eventi: la sua testa era altrove.

- È… è enorme! -

- Di cosa stai parlando, Blu?! Dove ti trovi?? -

- Al reparto A, è qui fuori, sta venendo verso di noi! -

«Bright, Bright, che diavolo ti prende?! Ho bisogno di te, riprenditi!» La voce di Bibski lo fece uscire dalla trance.

«Blu dice che c’è qualcosa che si sta dirigendo contro di loro al reparto A!»

«Cosa?!?»

Alcuni pegaso si erano alzati in volo ed erano andati a guardare all’esterno attraverso i grandi lucernai sul soffitto. Da qualunque altra finestra del reparto B, qualunque cosa fosse l’essere che stava provocando quello scompiglio, non era visibile dalla loro posizione.

«Ehi, guardate!» «Ma che cos’è?!» «Ci viene addosso!» Urlarono i pony volanti alla vista dell’orrore che si presentò ai loro occhi.

«Ehi, scendete subito giù da lì, è pericoloso!» Intimò Bibski, e i pegasi non se lo fecero ripetere. Qualunque cosa avessero visto, era abbastanza terrificante da spingerli a scendere in picchiata e allontanarsi il più in fretta possibile all’estremità opposta.

«Dobbiamo sgomberare l’edificio, Bibski!» Urlò Brightgate.

«Allora dì a Deepblue di muoversi e di aiutarci a portar fuori tutti!»

L’unicorno cercò di contattare nuovamente il fratello. - Blu, prendi il controllo e convinci tutti a evacuare, subito! -

- Non c’è più tempo, è qui!! -

Quello che successe dopo fu il caos nella sua forma più elementare: un orrendo ruggito divorò ogni altro suono nei dintorni, tanto che persino Brightgate non riuscì più a sentire i pensieri del fratello. Al ruggito, che sembrava provenire dai più reconditi incubi del Tartaro, seguì un boato spaventoso, e un rumore di macerie che crollavano.

I vetri dei lucernai esplosero infrangendosi in mille pezzi e sulle pareti adiacenti che collegavano i reparti A e B profonde crepe si estesero lungo la superficie in cemento. Qualunque cosa fosse quell’essere, sembrava che stesse attraversando il complesso lungo tutto il suo fianco, abbattendolo come fosse un castello di sabbia.

La Cosa compì un altro passo, penetrando questa volta anche all’interno del reparto B.

Le passerelle rialzate vibrarono, e prima che i due pony avessero il tempo di reagire, una parte della parete relativa agli uffici crollò, e la porzione della passerella si piegò verso il basso facendoli rovinare al suolo.

Cadendo, Bibski urtò la testa contro un blocco di cemento e per un istante i suoi occhi videro il buio. Nessun suono, nessuna sensazione, l’oblio assoluto. Quando si riprese, l’istinto gli disse di guardare in direzione della creatura. Aveva letteralmente divelto il reparto, lasciando dietro di sé solo un cumulo di macerie.

La sua vista divenne sfocata per il colpo, ma anche se non fosse così, non ci sarebbero state parole per descrivere le forme della bestia. Era una creatura dalle dimensioni titaniche, indefinibile nella sua grandezza, tanto che da vicino risultava perfino impossibile stabilirne per intero le forme.

La paura dilagò tra le rovine della sala, tutti i presenti attesero impotenti la prossima mossa della creatura. Tuttavia, il mostro sembrò indifferente allo scempio che stava provocando, e dopo aver emesso un pesante barrito, uscì dal laboratorio avviandosi verso una meta sconosciuta, lasciandosi alle spalle solo la desolazione.

In pochi secondi, era già  finito tutto.

I pony del reparto si dettero alla fuga attraverso i varchi creati dal suo passaggio, mentre tutt’intorno macerie, fuoriuscite di  fluidi e gas dalle tubature e incendi che scoppiavano dai macchinari distrutti, erano un segnale che l’area non era più un posto sicuro dove rimanere.

«Bibski?!» La voce di Bright lo chiamò.

«Sono qui. Sto bene.»

«Sei ferito?»

«Solo una piccola diatriba con un blocco di cemento.»

«Potresti avere una commozione, fammi dare un’occhiata… » si avvicinò per esaminarlo, ma Bibski lo scostò. «Lasciami perdere, abbiamo cose più urgenti a cui pensare!»

Bright allora lo aiutò a rialzarsi, e subito dopo cercò di mettersi in contatto col fratello. - Blu, rispondi, ci sei?! -

La risposta arrivò dopo alcuni istanti di silenzio, che all’unicorno sembrarono un’eternità. - Sì… voi come state? -

Bright si sentì come se una profonda ferita al ventre si fosse magicamente cauterizzata. Inspirò sollevato. - Grazie al cielo! Qui è un disastro, ma stiamo bene. Bibski ha sbattuto la testa, ma non è nulla di grave.-

Non era del tutto esatto. Mentre i due fratelli comunicavano, l’inventore sentì qualcosa di umido bagnargli la scura criniera, e quando si passò lo zoccolo per tastare, lo vide impregnato di sangue.

Bright lo seguì con lo sguardo mentre era intendo a studiare la chiazza cremisi sulla zampa, ma evitò di comunicarlo a Blu.

Bibski poi si girò verso l’unicorno. «Ce l’hanno fatta?»

«Sì.»

«Fammici parlare.»

L’unicorno annuì. - Blu, ti metto in contatto con Bibski -

- D’accordo -

Bright chiuse gli occhi e si concentrò sul suo compito, il corno cominciò a risplendere: era la magia con la quale altri pony potevano comunicare con Deepblue attraverso la telepatia del fratello.

«Può sentirmi?»

Blu, al dì là della parete di macerie che un tempo era il muro divisorio tra il reparto A e il B, sentì la voce di Bibski filtrare attraverso i pensieri di Bright.

- Sì - annunciò in risposta.

Bright parlò per lui. «Sì, ti sente.»

«Quanti siete di là? Com’è la situazione?»

- Qui è un disastro! Ci sono macerie ovunque! Alcuni sono riusciti a scappare, credo. Ma gli altri… -

- Stai calmo e descrivici la situazione. Intanto, tu come stai, sei ferito? -

- No. Io e alcuni pony siamo riusciti a scansare il grosso del crollo. Adesso sono qui con me, ma ci sono tre feriti gravi, due di loro non possono muoversi! -

- Aspetta un momento. -

Bright si rivolse a Bibski e gli riferì le parole dell’altro unicorno: «Lui sta bene, ma dice che con lui ci sono dei feriti. Sono bloccati a terra.»

Bibski si sentì raggelare il sangue nelle vene. «E gli altri. Che fine ha fatto il team del reparto A?!»

- Alcuni li ho estratti dalle macerie, sono qui con me, ma molti sono ancora lì sotto, non parlano, non si lamentano, non sento nulla di nulla! -

- Stai dicendo che… -

- Bright, ho visto tutta la squadra degli elettricisti finire sotto la zampa di quell’essere! Sono morti! – la voce di Blu rimbombò nella sua testa. Poté sentirne l’urlo lambirgli il cervello, nonostante non avessero bisogno dei suoni per comunicare. Era la prima volta che lo sentiva così agitato. Qualunque cosa avessero vissuto dall’altra parte, dovevano aver contemplato con i propri occhi la vera essenza dell’inferno!

Bibski era in apprensione, attendeva con smisurata impazienza di udire la risposta di Blu, e Bright dovette farsi portavoce della cattiva notizia. «Ha detto che… » scelse l’approccio schietto «sono tutti dispersi. Sotto le macerie. Non sa se sono vivi.»

Le pupille di Bibski Doss si restrinsero, il fiato smise di circolare nel suo corpo. Il pony dovette far i conti con una tragica verità. “I miei pony sono… morti?”. Il suono di quel pensiero parve provenire da un’altra realtà. Non poteva appartenere a quel mondo. Non era di Equestria.

«Anche… il novellino?»

- Di chi sta parlando? - Chiese Blu.

- Il ragazzo che stava alla saldatrice del sommergibile. -

- Bright, TUTTO il reparto A è stato investito dalla carica! Ho recuperato solo i pony che lavoravano all’estremità del laboratorio C. E’ lì che ci troviamo ora! -

L’unicorno ripeté anche quella porzione del messaggio e in tutta risposta il cuore di Bibski cominciò a fremere all’impazzata. «Dannazione!!» Scalciò cumuli di macerie, imprecando ad alta voce e proiettando per aria pezzi di cemento, metallo e vetri.

Bright si fece in disparte e lo lasciò fare. Anche lui stava soffrendo per la tragica perdita di tutte quelle vite, ma il suo modo di manifestarlo era molto più intimo. Poteva sembrare una roccia dall’esterno, ma dentro di sé la sua anima si stava dilaniando. Bibski invece no, lui era impulsivo. La sua mente geniale richiedeva come tributo sfoghi costanti d’incontrollata aggressività, che solo in parte il pony riusciva a dominare con l’ironia e il sarcasmo.

Quando fu troppo stanco per continuare a dimenarsi, si fermò per riprendere fiato e ragionare. «Chiedigli se possono uscire.» Disse con un filo di voce, sotto sforzo.

- Hai sentito? -

- Sì. Ma no, siamo bloccati qui. L’accesso al C è ostruito dal crollo e non ce la facciamo a spostare i feriti tra le macerie! -

La risposta fu trasmessa a Bibski, e fu allora che Brightgate capì che era arrivato il momento per il suo leader – e amico – di tirar fuori il meglio dal suo acume.

Il cutie mark di Bibski era una lampadina, metafora della sua mente brillante, e aveva una caratteristica che lo rendeva ancora più speciale: era uno dei pochi casi mai documentati di cutie mark in grado di animarsi. Ogni volta che Bibski si trovava alle prese con una decisione da compiere, quando finalmente riusciva a riconquistare il controllo di una situazione, essa s’illuminava. Un piccolo bagliore di luce brillava sul suo fianco, per poi sostituire il giallognolo spento del suo simbolo con un giallo splendente contornato da raggi di luce stilizzati impressi sul suo manto. E anche in quel momento, dopo essersi preso il dovuto tempo per elaborare una soluzione, il cutie mark di Bibski s’illuminò.

Guardandolo rispendere, Bright si mise sull’attenti, sapendo che da lì a non molto il pony di terra avrebbe esposto il suo piano.

«E va bene, se è questa la situazione: Bright… »

«Ti ascolto!»

«Raggiungi gli altri fuori dall’edificio, e assicurati che stiano tutti bene. Voglio il nominativo di tutti i presenti e anche dei dispersi. Se ci dovesse essere ancora qualcuno intrappolato la sotto, dobbiamo saperlo!»

«Consideralo già fatto!»

«Bene, e tienili alla larga delle macerie, non voglio altri feriti sulla coscienza!»

«Ricevuto. Tu cosa farai?»

«Crea un “Ponte” con Blu e fammi andare da loro. Quando sarai fuori, faremo passare i superstiti.»

- Digli che non è necessario, li porterò fuori da solo. - s’intromise la voce di Blu. Nella confusione del momento Bright non si era accorto di aver ancora il collegamento aperto. «Dice che può farcela da solo. Che dobbiamo uscire entrambi.»

Bibski non era affatto d’accordo: «Sono io che do gli ordini qui. Fatemi passare e vattene prima che qui crolli tutto!»

- Non ha senso insistere, facciamolo e basta. - Disse allora Bright.

- Ok. Se proprio è necessario io sono pronto. -

I due gemelli concentrarono sulla punta dei loro corni la magia necessaria, dalla quale un delicato bagliore colorato cominciò a risplendere, illuminando l’ambiente intorno a loro nel raggio di un paio di metri. Muovendosi in perfetta sincronia coi movimenti del capo, entrambi generarono un piccolo fuoco fatuo fluttuante, che s’ingrandì progressivamente fino ad assumere le dimensioni di un globo di luce colorato dal diametro di una palla da football. Bright diresse la sua sfera giallo-arancio a due metri di distanza dal corno, e lo stesso fece il fratello con la sua, azzurro-marina. I due globi furono poi dilatati dall’effetto dell’incantesimo, trasformandosi in una fenditura dimensionale nell’aria, sottoforma di varco, che attraversò la materia e creò un collegamento diretto tra due differenti località nello spazio: il Ponte.

Al di là della fenditura erano visibili, rispettivamente, Deepblue e il gruppo di superstiti, asserragliati dalle macerie, e Bibski Doss che attendeva di passare.

L’inventore non si fece attendere, e oltrepassò il varco con un agile balzo.

Di punto in bianco fu dall’altra parte, avvolto dalla devastazione di quello che fu il reparto A.

Bright e Blu, che non potevano guardarsi l’un l’altro da quella posizione, si fecero a vicenda un cenno telepatico, e annullarono la magia che teneva aperto il Ponte. Il varco si chiuse.

L’inventore esaminò le condizioni dei superstiti: due di loro, un terrestre e un unicorno, sembravano stare bene. Si reggevano sulle quattro zampe ed erano spaventati ma reattivi. Un altro pony terrestre, invece, era riverso a terra privo di sensi. Respirava a fatica, col corpo martoriato da numerose ferite ed escoriazioni. Tra i presenti, era quello che più di tutti sembrava avere i minuti contati.

La visione più truce la ebbe, però, osservando gli ultimi due, sdraiati a terra ma coscienti: erano un unicorno e un pegaso. Il primo aveva perduto il suo corno, di cui ora non ne rimaneva che un moncherino mozzato e sanguinante, la cui punta era andata perduta chi sa dove, il secondo aveva invece l’ala sinistra schiacciata e ridotta a un colabrodo, probabilmente a causa del crollo di parte della struttura su di lui. Bibski non fece domande, concludendo che non sarebbero comunque servite a niente, e non ne fece nemmeno a Blu, consapevole che non ne avrebbe ricavato nulla. Anche nei momenti drammatici, quell’unicorno non parlava mai con nessuno.

Bibski accolse di buon grado la sua testardaggine. Caratterialmente parlando, da quel punto di vista erano uguali.

«Ok, contatta Bright e digli di farsi trovare pronto quando sarà fuori.»

Blu annuì con un cenno e distolse l’attenzione dal pony.

Ora che gli unicorni avevano ricevuto le loro istruzioni, Bibski diede un’altra occhiata ai superstiti. In particolare, si chinò sul corpo riverso del moribondo. Era sdraiato sulla schiena, permettendo così al pony di terra di poggiare l’orecchio sul petto per misurarne la frequenza del battito cardiaco. Le pulsazioni erano debolissime e respirava con grande fatica, emettendo dei rantoli stanchi a ogni espirazione, ma non c’era molto sangue per terra, fatto che fece temere a Bibski che il poveretto stava incorrendo in una grave emorragia interna.

«Voi come state, ragazzi?» Domandò agli altri. Si rendeva conto che era una domanda stupida, ma ci teneva a sincerarsi delle loro condizioni.

«Staremo meglio quando saremo fuori di qui.» Rispose uno dei pony più incolumi.

«Siete… » cercò di trattenersi dal balbettare «rimasti solo voi?»

Fu il secondo più illeso a rispondere. «No. Alcuni sono scappati per le uscite d’emergenza poco prima che il mostro arrivasse. Noi altri invece eravamo troppo spaventati per reagire.»

«Sono stati più furbi di noi, su questo non c’è dubbio.» Aggiunse il compagno accanto.

«Siete riusciti a vedere cosa ci ha aggrediti?»

Prese la parola il pegaso con l’ala distrutta: «io sì.» E i presenti si concentrarono su di lui. Uno degli illesi del gruppo si abbassò per aiutarlo a sollevarsi da terra. Lo sostenne con la testa. «Era una specie di drago, o qualcosa del genere. Ma era strano… non aveva le ali ed era… sì… era gigantesco. Non ho mai visto niente del genere.»

«Già, ce ne siamo accorti tutti» Disse Bibski, rimuginandoci su «un drago senza ali, hai detto?»

«Non era proprio un drago. Non aveva le ali, ma una specie di tentacoli sulla schiena, e sì, aveva l’aspetto di un rettile, ma non assomigliava a nessun drago che avessi mai visto.»

«Drago o no, di certo era gigantesco!» Aggiunse il pony terrestre sopravvissuto. «Ho letto da qualche parte che le Ursa Major possono raggiungere dimensioni titaniche. Ma questo… »

«Quanto pensi che fosse alto? Venti metri?» Chiese il pegaso ferito.

«Secondo me anche trenta, ha trapassato le pareti come se fossero di gelatina.» gli rispose l’unicorno che lo sorreggeva.

Bibski nel frattempo si trovò a osservare l’ecatombe che circondava il gruppo. Si chiese quanti altri fossero sepolti vivi sotto quel cumulo di macerie, coscienti e in attesa di essere salvati. Del reparto A non rimaneva che una porzione di edificio, corrispondente allo spiazzo in cui il gruppo aveva trovato riparo.

Il suo cutie mark cambiò colore, e tornò a quel giallo spento che indicava che il pony non sapeva come comportarsi.

Fu tentato di chiedere ai superstiti se avessero notizie del novellino, ma si trattenne. Lo avrebbe scoperto in ogni caso, nel momento in cui sarebbero usciti.

Deepblue gli si avvicinò a passo leggero, tanto che Bibski quasi non lo sentì. Quell’unicorno sapeva rendersi silenzioso anche nei gesti.

Si fissarono con sguardi seri, e non servirono le parole per dirsi che era tutto pronto per il Ponte.

I due gemelli aprirono il portale e l’inventore cominciò a trasferire i superstiti dall’altra parte, assistito dai due pony illesi. A lavoro terminato, Blu fece segno a Bibski di passare. Per poter terminare l’evacuazione nel modo corretto, l’unicorno avrebbe dovuto attraversare il portale per ultimo, ma Bibski si tirò indietro. «Vai tu. Io ho ancora una faccenda in sospeso qui.»

Al dì la del Ponte, guardando il pony di terra fermo dinanzi al varco, fu Bright ad avere la reazione più prorompente. «Di cosa stai parlando, Bibski? Non c’è più niente lì!» Ma poi un’intuizione accese la sua consapevolezza. «Aspetta… non dirmi che stai pensando di andare a prendere… ?» Improvvisamente capì il perché delle ostinazioni del pony terreste ad addentrarsi in quell’olocausto di macerie che fu il reparto A: l’Equalizzatore.

«Raduna tutti nella piazza centrale e aspettate i soccorsi» cominciò «se qualcuno chiede di me, fate finta di non saperlo.»

«Non puoi fare sul serio, Bibski! Guardati in giro, probabilmente la teca è stata schiacciata dal passaggio della creatura, oppure si trova sotto tonnellate di metallo e cemento! A quest’ora sarà distrutta!»

Bibski restò irremovibile. «E’ ancora intatta.»

«Come fai a dirlo?»

«L’ho progettata io. Lo so.»

- Tutto ciò non ha senso! Blu, aiutami! Non lasciarlo andare! -

Come se avesse a sua volta captato i pensieri di Bright, Bibski fulminò con lo sguardo l’unicorno muto che si trovava con lui, e rivolgendosi a entrambi disse: «Ho lavorato giorno e notte per anni interi a quel progetto, sapete quant’è importante per me! Abbiamo evacuato tutti i superstiti che potevamo, il resto non conta! Ora andate! Io troverò il modo di uscire da solo.»

I due fratelli s’interrogarono a vicenda, ma capirono che di tempo per contrariarlo non ce n’era. Da un momento all’altro, una tubatura del gas danneggiata avrebbe potuto incendiarsi e culminare in una disastrosa esplosione, oppure le fiamme che fuoriuscivano dalle macerie avrebbero impregnato l’aria di fumi tossici rendendo l’aria irrespirabile, e i fili scoperti di qualche impianto divelto avrebbero scatenato una tempesta di scariche ad alta tensione qualora fossero entrati in contatto con del materiale conduttore. Ogni cosa lì dentro gridava il suo richiamo di morte ed esigeva la propria tassa di sangue. I tre non potevano perdere altro tempo in futili discussioni, quand’era ormai chiaro che qualsiasi argomentazione non sarebbe bastata contro le ragioni di Bibski. Alla fine, fu Blu a prendere l’iniziativa per entrambi attraversando il varco, e nell’esatto momento in cui lo fece, il Ponte si chiuse immediatamente lasciando Bibski da solo in mezzo alla devastazione.

Prima che la creatura perforasse le pareti di cemento dei reparti A e B, in ognuna delle sezioni del laboratorio vi erano delle stanze adibite a magazzino delle parti di ricambio e dei prototipi. Erano due camere separate, sottostanti agli uffici. Una più grande, si estendeva lungo i reparti B e C, e fungeva da hangar per le grandi macchine prodotte dagli instancabili pony della Reborn Technologies, l’altro, più piccolo e collocato in corrispondenza dell’A, era quello dove L’Equalizzatore, protetto dalla sua teca, attendeva il recupero.

Bibski percorse a fatica i muri di macerie che lo separavano dal suo obiettivo, e ad ogni metro compiuto, i suoi passi erano rallentati da ostacoli di ogni tipo tra pezzi di vetro e metallo acuminato che cospargevano un po’ ovunque il suolo. Si ferì diverse volte, disegnando sul suo corpo rigagnoli rossi ed umidicci di sangue caldo, ma non arrestò mai la sua marcia. Durante il tragitto, gli capitò d’imbattersi alcune volte nei corpi immobili di qualche pony sepolto sotto le macerie, e ogni volta deviava verso di loro per verificarne le condizioni, ma in nessun caso ne trovò qualcuno vivo. Dopo un po’, smise di guardarsi intorno alla ricerca di superstiti, conscio che nessuno sarebbe potuto sopravvivere in mezzo a quel disastro.

Benché il tragitto non fosse lungo, ci mise un quarto d’ora a raggiungere la destinazione. Sentiva il puzzo soffocante dei gas infiammabili che avvelenavano l’aria e pregò la buona stella che una scintilla traditrice non facesse esplodere tutto.

La parete che divideva il reparto dal magazzino era stata sfondata, insieme a una grossa porzione degli uffici in alto.

Superò con un salto un ammasso di ferro che aveva tutta l’aria di essere la passerella rialzata che aveva percorso centinaia e centinaia di volte nel corso degli anni, e finalmente si trovò di fronte a quel che rimaneva del magazzino.

Mentre esplorava, per un po’ si trovò circondato solo da altri rottami e devastazione. La maggior parte dei prototipi erano riversi a terra e probabilmente fuori uso, ammucchiati l’uno sull’altro in montagnole prive di alcuna logica.

Localizzò la teca poco dopo, e quando la vide non seppe se esserne felice o ottenebrato dal panico: una massiccia porzione del soffitto, di un metro circa di grandezza, era crollata sul vetro disegnandovi sopra una profonda crepa, cui rami si diramavano ora lungo la superficie dello sportello. Bibski si avvicinò di corsa al terminale di sblocco e vide che il display numerico per l’inserimento dei codici sembrava non dare segni di vita. «Oh cavolo, no!».

Batté sul tastierino, speranzoso di veder comparire la barra intermittente verde che indicava che il terminale era pronto per l’uso, ma niente. «Non puoi farmi questo, per la miseria!» Non capì quale fosse il problema, non sembrarono esserci danni dovuti al crollo e l’unica conseguenza apparentemente constatata era rappresentata dalla crepa sul vetro, che comunque aveva resistito all’impatto. Quindi, ipotizzò, forse non arrivava la corrente?  

Dando prova di una grande lungimiranza, aveva previsto che un evento del genere prima o poi si sarebbe verificato, e aveva predisposto opportunamente un piano di riserva per il ripristino dell’alimentazione, che si augurò funzionasse anche stavolta.

Si rannicchiò a terra e aprì uno sportelletto di metallo dal quale estrasse un circuito stampato collegato a diversi fili, e cominciò a scollegarli e ricollegarli secondo uno schema preciso. In questo modo, dopo circa due minuti di paziente lavoro, riuscì a reindirizzare l’energia a un generatore d’emergenza collocato sotto la teca e a eseguire un bypass della chiusura, disattivando quindi i blocchi di sicurezza.

Con un sospiro di sollievo, finalmente poté aprire la teca e avere accesso al suo prezioso contenuto.

Sentì qualcosa crollare al di fuori del magazzino e qualunque cosa fosse, sembrava grosso. Doveva sbrigarsi.

L’Equalizzatore era composto da un grande marchingegno dorsale sul quale erano attaccate due ali in lega metallica superleggera, collegate ad esso attraverso una fascia elastica flessibile e nera, dentro la quale scorrevano i circuiti che davano alimentazione alle ali cibernetiche. Per prima cosa, Bibski prese una cella energetica da uno scompartimento della teca e la inserì in uno slot nella parte superiore del congegno. Poi, rapidamente, lo indossò ponendoselo sul dorso e assicurandolo al corpo attraverso due coppie di cinturini: una sul lato sinistro del ventre, l’alta, più piccola, sul busto. Infine, collocò sulla testa una specie di casco, che culminava all’estremità della fronte con un corno. Una sorta di spina dorsale in metallo correva lungo la linea delle sue vertebre cervicali, unendo la porzione dorsale dell’Equalizzatore a quella del casco.

Quando l’alimentazione cominciò a scorrere lungo i condotti dell’impianto, Bibski avvertì una fitta dolorosa al cranio, localizzata sulla ferita che si era inferto cadendo.

Nella parte interna del casco, diversi sensori neuronali captavano i suoi impulsi cerebrali e trasmettevano i dati al resto del congegno, che rispondeva prontamente ai suoi stimoli consentendone il controllo con la forza del pensiero. Si trattava di una tecnologia ancora in fase sperimentale, e il prototipo stesso dell’Equalizzatore non era ancora esente da difetti. Durante l’utilizzo i sensori avevano la tendenza a rilasciare deboli scariche elettriche sulla cute di colui che indossava il casco. Le scariche risultavano quasi impercettibili ai sensi di un pony in impeccabile stato di salute, ma nel caso di Bibski, in conseguenza al profondo taglio nascosto tra i peli della criniera, il suo corpo reagì all’aggressione in modo sovra-eccessivo. Dovete quindi far fronte a tutta la sua tenacia per non badare alle scariche di dolore che ricevette di risposta ad ogni stimolo elettrico.

Con indosso l’Equalizzatore, pronto e operativo, scattò di corsa fuori dal magazzino e fu proprio allora che i veri guai vennero a bussare alla sua porta. Tutto ciò che d’intatto era rimasto in seguito al passaggio della creatura, stava poco per volta implodendo su se stesso, e il Pony si trovò proprio nel mezzo della tempesta. Parte degli uffici del piano sovrastante cedettero sotto il peso del tutto, incombendo sul pony. Bibski agì prontamente, e una scarica energetica scintillante eruttò dal corno sintetico del casco, fermando a mezz’aria i massi di cemento in caduta libera, allo stesso modo di un incantesimo di levitazione ad opera di un unicorno.

Con un movimento rapido e preciso li scaraventò a debita distanza da lui, ma il pericolo era lungi dall’essere scampato.

Diede l’impulso alle ali artificiali dell’Equalizzatore, e in un lampo esse si dispiegarono pronte per il volo.


Bright e Blu stavano dedicando anima e corpo alla messa in sicurezza dei superstiti. Il bilancio finale dei feriti e dei dispersi segnava un conteggio drammatico: quasi tutti gli occupanti del reparto A erano stati travolti dalla creatura, ad eccezione dei pochi fortunati che avevano dimostrato prontezza di spirito (o forse codardia) dandosi alla fuga prima della carica. I feriti che erano riusciti a emergere dalle macerie, invece, vessavano quasi tutti in condizioni disperate.

A giudicare dal trambusto che potevano osservare intorno a loro, anche il resto della città non sembrava passarsela meglio: il mostro aveva lasciato dietro di sé una scia di distruzione lungo tutto il suo percorso, e nessuno sapeva dire quanti altri avessero perso la vita nel corso della sua marcia. Ambulanze e mezzi di soccorso di ogni tipo ingombravano le strade ancora percorribili e dovunque nei marciazoccoli, ma anche nel bel mezzo della carreggiata, si potevano vedere pony di ogni età sconvolti e disperati invocare aiuto alle autorità, o intenti a pregare la benevolenza di Princess Celestia affinché venisse in loro soccorso. Molti degli edifici storici della città erano stati danneggiati dal passaggio della creatura, e su alcuni erano visibilmente esposti squarci profondi, provocati probabilmente dai suoi artigli.

Si udì il rumore di qualcosa che crollava all’interno della Reborn Technologies e molti temettero per le sorti di Bibski Doss, che mancava all’appello da almeno trenta minuti. Brightgate disse al fratello che se avesse dovuto attendere ancora, sarebbe tornato personalmente all’interno per andare a cercarlo.

Per fortuna, non fu necessario.

Poco dopo, Bibski comparve dal nulla librandosi in volo dalle macerie dell’edificio, atterrando pesantemente sul piazzale dove tutti si erano riuniti. Bright gli trottò incontro senza dire una sola parola, e nemmeno il pony di terra lo fece. Quando gli fu vicino, invece, l’unicorno gli sferrò con lo zoccolo un poderoso pugno in pieno volto, che lo fece ruzzolare a terra mugugnando di dolore.

Bright lo fissò contorcersi dal dolore mentre tentava con fatica di sfilarsi di dosso il casco dell’Equalizzatore.

«E va bene… me lo sono meritato.» Disse Bibski rialzandosi, con la testa che gli esplodeva da dentro. Il casco gli penzolava da un lato, tenuto attaccato alla spina dorsale in metallo.

Il breve momento di animosità tra i due terminò in quel momento, e Bibski tornò a occuparsi delle priorità. «Situazione?»

«Quello che temevamo: quasi nessuno è uscito vivo dal reparto A, a parte gli impiegati della contabilità e quelli che si sono dati alla fuga per tempo. Dagli altri reparti, invece, ci sono quasi tutti.» Bright fece una pausa per prendere tempo, abbassò lo sguardo mentre si prestava a comunicargli la notizia peggiore. «Il ragazzo non c’è. A quanto pare non è riuscito a uscire.»

Bibski sospirò amareggiato, ma dopo quanto aveva visto tra le macerie, la notizia non fu inaspettata. «E per quanto riguarda il mostro?»

«Non lo so. Non si è più fatto vivo da quando siamo usciti.»

- Forse sarà tornato nella sua tana? -

«Blu pensa che sia tornato nel suo nido.» Fece eco Bright. Ma Bibski non lo stava più ascoltando. Si era messo a guardare verso la città, e la sua vista si perse lungo la pista di palazzi abbattuti di Manehattan. Non si era mai vista tanta distruzione ammassata in così poco spazio. Consisteva in un’unica scia di caos che tagliava come una lama divina la città lungo tutto il suo territorio, estendendosi per interi chilometri con un’ampiezza di venti metri da un bordo all’altro della pista. Se anche il mostro non fosse più tornato e i pony avessero prontamente cominciato a ricostruire la metropoli, quel sentiero sarebbe rimasto lì ancora per molti anni, come una cicatrice che testimoniava la ferita di guerra di un sopravvissuto.

La Reborn Technologies era distrutta. Tra le sue macerie, i corpi dei pony che come Bibski credevano in una nuova era per tutta Equestria, giacevano freddi e immobili nell’attesa di essere riportati alla luce ed essere commemorati tra le vittime della tragedia.

L’inventore aveva visto coi suoi occhi quei corpi schiacciati, appartenuti a giumente e stalloni che durante la mattina dello stesso giorno si erano girati verso di lui per salutarlo mentre procedeva nei suoi giri d’ispezione. Tutto ciò, si disse, non era giusto. Perché era accaduto tutto questo? Come si poteva spiegare?

L’ultima domanda giunse dalla voce del suo fidato Bright, che gli chiese: «e ora cosa facciamo?» Ma prima ancora di formularla, Bibski ne conosceva già la soluzione. Il suo cuore rimbombò come i passi del mostro, e il cutie mark risplendette con vigore sui suoi fianchi. «Andiamo a cacciare.» Digrignò i denti, e il suo volto sì congelò in un’espressione di  puro odio.

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Capitolo 2
*** ESTRATTO DAL DIARIO DI TWILIGHT SPARKLE I: Gli attacchi. ***


Alvin Miller, in collaborazione con NightFlyer22 presentano

Scritto da Alvin Miller:


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Tratta dalla serie animata “My Little Pony: Friendship is Magic”, originalmente prodotta da Hasbro e ispirato a “Pacific Rim” di Guillermo Del Toro.

ARTWORK DEI PERSONAGGI E LOGO DI: NightFlyer22. Visitate la sua pagina all’indirizzo http://nightflyer22.deviantart.com/



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ESTRATTO DAL DIARIO DI TWILIGHT SPARKLE I: Gli attacchi.


Mi chiamo Twilight Sparkle, Principessa dell’Armonia e custode dell’elemento della Magia. Quando questo testo sarà finito, strapperò le pagine e le nasconderò in un luogo sicuro, così, se dovesse succedermi qualcosa, ci sarà un ricordo a memoria di quanto sta accadendo. Ma cominciamo dal principio:


Dal giorno in cui divenimmo Custodi degli elementi e liberammo Princess Luna dal maleficio di Nightmare Moon, ho cominciato a pensare che a Equestria, finalmente, sarebbe tornata l’armonia, ma mi sbagliavo. Discord, Queen Chrysalis, Re Sombra… non erano che l’inizio. Nulla in confronto a quello che avremmo dovuto affrontare da lì a poco.

Sono passati quasi due anni da quando fui nominata Principessa, e sedici mesi da quando il primo Kaiju attaccò Manehattan.

Arrivò dal nulla, senza alcun preavviso, e distrusse ogni cosa trovò sul suo cammino.

Malgrado l’intervento provvidenziale delle truppe reali di Canterlot, che si affiancarono alle guardie cittadine, nessuno riuscì ad arrestare la sua avanzata lungo la città. Migliaia di pony persero la vita quel giorno, e prima di andarsene in direzione della vicina Fillydelphia, un quinto della città venne raso al suolo.

Io e le altre Custodi, le mie amiche Applejack, Rarity, Rainbow Dash, Fluttershy e Pinkie Pie, eravamo a Canterlot quando tutto successe, e per fortuna riuscimmo raggiungere il mostro prima che anche Fillydelphia cadesse sotto i suoi colpi. Gli Elementi dell’Armonia si rivelarono fondamentali per quella vittoria. Se non avessero funzionato… no, preferisco non pensarci.

Non avemmo tempo di scoprire cosa fosse: quando morì, la creatura si dissolse nel giro di poche ore, lasciando al suo posto solo un cratere fumante. Nessuno di noi capì cosa fosse successo, né il perché accadde, “ma non aveva più importanza”, dicemmo allora, “è tutto finito”.

Che sciocche.

Dopo quell’amara vittoria, venne il momento di commemorare le vittime, e in seguito, di ricostruire la città.

Qualche settimana dopo, nei nostri cuori rimase solo il ricordo di quelle drammatiche scene, e la speranza che tutto fosse – per davvero – finito.

Vorrei poter dire che andò così.  


Da quel giorno ci furono violente attività sismiche che scossero sotto i nostri zoccoli la terra del regno di Equestria per interi cicli lunari. Cominciammo a sospettare che in qualche modo gli eventi di Manehattan fossero collegati ai terremoti, ma nessuno di noi pensò che i mostri potessero tornare dalle viscere del loro Tartaro, e invece…


Il secondo Kaiju apparve a sud delle Badlands, appena sei mesi dopo.

I primi a dare l’allarme furono gli abitanti di Dodge City e Appleloosa, che evacuarono la zona prima che la creatura li raggiungesse.

Nessuna di noi si aspettava un loro ritorno. Pensammo tutte che la minaccia fosse stata scongiurata con l’uccisione del primo mostro, e fummo colte alla sprovvista.

Per qualche motivo, il Kaiju aveva ignorato le cittadine, scegliendo invece di muoversi verso Baltimare. Il panico si diffuse in fretta, e tememmo di dover assistere a una replica di ciò che accadde a Manehattan. Anche stavolta, riuscimmo a intercettarlo prima che questo accadesse.

Mi sento in obbligo di dover ringraziare il capitano Spitfire degli Wonderbolts per il suo supporto in battaglia. Se lei e il suo squadrone non lo avessero tenuto impegnato durante l’avanzata, probabilmente non saremo mai arrivate in tempo, e adesso staremo compiangendo un altro genocidio.


Sebbene non fummo ancora in grado di scoprire nulla sulle loro origini, il secondo attacco ci rivelò un dettaglio fondamentale sui nostri nemici: il loro obbiettivo sono le grandi metropoli, o non si sarebbero fatti scrupolo a radere al suolo le cittadine della frontiera.


Consapevoli di ciò, Princess Celestia e Princess Luna emisero un provvedimento affinché fosse garantita la protezione a ogni grande città di Equestria: se i mostri fossero tornati, le guardie li avrebbero respinti in attesa del nostro intervento.

Furono arruolate centinaia di reclute al fine di rinforzare le linee di difesa, mentre decine di famiglie terrorizzate scelsero di trasferirsi in campagna per sfuggire alle insidie della battaglia.

Si decise di sospendere i Giochi di Equestria, ritenuti troppo pericolosi in caso di attacco, e mentre noi tutte attendemmo il loro ritorno, la vita nel regno ricominciò a scorrere quasi come accadeva in tempi di pace.

Imparammo a convivere con la paura, e nel frattempo, aspettammo.


Altri sei mesi e il terzo Kaiju si manifestò nei pressi di Las Pegasus, comparendo dal nulla dai monti di Applewood.

Questa volta ci andammo molto vicine, ma fummo pronte! Grazie all’impeccabile organizzazione delle Principesse di Canterlot e dei pony sul campo, arrivammo sul posto prima che la creatura avesse il tempo di sferrare il suo attacco, e unendo i poteri degli Elementi a quelli delle guardie, salvammo la città ancora una volta.


Fu una vittoria schiacciante, della quale avrei dovuto sentirmi sollevata, ma sebbene l’organizzazione delle Principesse si sia rivelata impeccabile, non posso non preoccuparmi di ciò che potrebbe avvenire nel momento in cui i Kaiju decidessero di sferrare il loro quarto attacco.

Siamo diventate molto brave a vincere, e mentre io ho scelto di comporre questa lettera nella vana speranza di trovare un conforto attraverso l’inchiostro, tutte le mie amiche hanno deciso di riprendere la loro vita come se la minaccia dei Kaiju non fosse mai stata un problema reale.

Ma io non sono d’accordo.

Il terzo Kaiju richiese tutti i nostri sforzi per essere fermato, e dovemmo colpirlo con gli Elementi dell’Armonia per ben due volte prima di riuscire ad infliggergli il colpo di grazia. Ripensandoci, mi chiedo cosa significhi tutto ciò. Stanno forse diventando più forti?

Le mie amiche dicono che mi preoccupo troppo come sempre, e Celestia non fa che ripetere di avere trovato un modo per assicurarci la vittoria nei prossimi attacchi. Ma ogni volta mi chiedo se sarà davvero così?


Nel momento in cui sto scrivendo questi appunti, sono trascorsi quattro mesi dal terzo attacco. Questo vuol dire che tra sessanta giorni saprò finalmente se avrò ragione, oppure no. E vista la posta in palio… spero di sbagliarmi.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 1: Ricercati ***


CAPITOLO 1: Ricercati


Sedici mesi dal primo attacco. Crystal Mountains


La bufera incombeva minacciosamente attraverso le vette innevate della catena montuosa, emettendo un tetro sibilo che ricordava l’ululato di una creatura famelica. Stalagmiti di ghiaccio si ergevano dalla neve come vedette in un mondo freddo e glaciale, andando a comporre una foresta di cristallo che sembrava non attendere altro che fagocitare i malcapitati di turno che vi si fossero persi.

Il gruppo si era accampato sul fondo di una vallata, da dove la morfologia del terreno imbiancato permetteva loro di nascondersi dalle pattuglie esplorative in avanscoperta.

Fu Bright a giungere per primo sul posto, trasportando all’interno dello Skybreaker parte dell’attrezzatura di cui necessitavano per l’operazione.

Quando la Reborn Technologies fu distrutta dal primo attacco Kaiju, gran parte dei macchinari, e in particolar modo delle invenzioni, andarono perduti senza alcuna possibilità di rimetterli in sesto. Era stato possibile recuperare solo ciò che si trovava stipato nel magazzino dei grandi prototipi, insieme alle macchine del reparto C, gli unici ad aver superato incolumi il disastro.

Lo Skybreaker, che al momento dell’attacco era nella fase di montaggio finale, faceva parte di questi, e fu anche l’unico prototipo a essere stato ultimato e mantenuto dopo lo smaltimento della società.

A detta di Bibski, si trattava di un mezzo di trasporto fondamentale sul campo: costruito a suo tempo come alternativa alle carrozze volanti trainate da pegasi, era divenuto poi il loro principale sistema di trasporto per coprire in poco tempo grandi distanze, nell’attesa di poter sfruttare il Ponte di Brightgate e Deepblue Whirl. Era formato da una tozza fusoliera centrale di sette metri di lunghezza per otto d’apertura alare, con una coppia di ali fisse sulle quali erano montate quattro eliche a rotore, più una coppia di grandi propulsori posteriori a ionizzazione magica che garantivano al velivolo grandi prestazioni sia in fatto di velocità che di stabilità.

Per alimentarlo era stato studiato un sistema non dissimile da quello dell’ATS per l’Equalizzatore di Bibski, con l’utilizzo di una particolare mistura di polveri di cristalli triturati come carburante, che una volta trasformati permetteva la spinta e il funzionamento dei motori del velivolo.

La cabina di pilotaggio, con le sue leve e l’elaborata strumentazione della cloche, rappresentava il solo e unico punto debole del mezzo, al quale l’inventore non era stato ancora in grado di porre rimedio: la fisionomia degli zoccoli dei pony non consentiva di pilotarlo con l’ausilio dei soli arti equini, pertanto solo un unicorno capace avrebbe potuto prenderne il controllo sfruttando la propria magia per interagire con i vari pulsanti della console. Motivo per cui lo Skybreaker veniva utilizzato quasi esclusivamente dai due gemelli, od occasionalmente da Bibski con indosso l’Equalizzatore, mentre era notevolmente più raro che il privilegio spettasse a qualcuno degli altri membri della squadra.

Una volta giunto sul posto, dopo essere partito dal loro nuovo campo base situato in una località sconosciuta, Bright aprì subito il Ponte per consentire al resto del gruppo di raggiungerlo velocemente. Bibski passò per primo, coordinando il resto della squadra durante il trasferimento della strumentazione attraverso il portale. Il compito che dovevano portare a termine era di vitale importanza per il completamento dell’operazione e il tempo che avevano a disposizione giocava a loro sfavore.

Le colline innevate sulle quali avevano deciso di stabilirsi costituivano parte della regione controllata dalla giurisdizione dell’Impero di Cristallo, ed era stata interdetta al transito di carovane e civili a causa dell’elevata pericolosità del luogo. Decine di pony vi si erano avventurati dopo il ritorno dell’impero, e da allora molti non avevano più fatto ritorno, inghiottiti per sempre da quelle lande oscure e perennemente travolte dalle tormente.

Una località tanto isolata rappresentava perciò il punto ideale per il team di Bibski per l’installazione dei loro sistemi: una volta collocata l’attrezzatura, la neve avrebbe presto ricoperto la strumentazione e nessuno sarebbe stato in grado di scovarla a meno di non sapere che cosa cercare.

Si unirono per l’operazione sul campo anche due pegasi e un unicorno, oltre all’Equalizzatore di Bibski, che indossato sotto la pesante tuta protettiva in lana, permetteva al pony di usufruire sia dei poteri del corno, che delle capacità di volare delle ali. Deepblue, invece, fedele alla prassi che abitualmente seguivano durante le spedizioni, restò con gli altri al quartier generale, al fine di fungere da tramite col fratello per il Ponte.

Trasferita l’attrezzatura, fu assegnato a uno dei pegasi il compito di risalire la vallata e di vigilare sull’orizzonte, in vista di possibili transiti di pattuglie reali in perlustrazione, mentre agli altri spettava la messa in opera della strumentazione.

Il vento impetuoso li rallentava, e la neve che cadeva a grappoli offuscava il loro campo visivo. Non era il luogo ideale per una tale operazione, ma era l’unica area a essere rimasta esclusa dalla copertura del segnale. Nonostante le avverse circostanze, il compito andava ultimato.

Bibski partecipava attivamente, dando una mano negli allacciamenti e fornendo istruzioni per procedere passo per passo.

Quando erano ormai giunti agli ultimi atti, fu chiamato da Bright a raggiungerlo dentro lo Skybreaker.

«Arrivo, dammi solo un secondo!» Disse, rivolgendosi poi al resto della squadra. «Ok, gente. Il trasmettitore è a posto, voi finite il resto!»

I pony annuirono.

«Ehi Sand Ball, vedi qualche ficcanaso in giro?» Urlò al pegaso di guardia. L’assordante rumore di fondo mitigava le loro voci.

«Nessuno nel raggio di chilometri, area sgombra!» Gridò la sentinella, che stringeva tra gli zoccoli un pesante binocolo, cinto al collo da un sostegno.

«Bene, tieni sempre gli occhi aperti! Se ci dovessero beccare, qui ci giochiamo tutto!»

Il pegaso gli rivolse un cenno d’intesa, e Bibski si avviò al velivolo.

«Ehi, Bright?» Si annunciò entrando. In seguito, calò sulla nuca il cappuccio della veste, scoprendosi così il fiero corno artificiale che troneggiava impavido sul casco dell’Equalizzatore.

«È tutto pronto?» Domandò l’unicorno, che seduto nella cabina di pilotaggio, teneva di fronte a sé un piccolo computer da campo con una mappa topografica della zona riprodotta sullo schermo.

L’angusto abitacolo era freddo, e una spessa nuvola di fiato condensato usciva dalle loro bocche ogni volta che parlavano.

«Sistemi installati e tra poco operativi. Che sia la buona volta che le cose ci vadano lisce e senza intoppi».

«Sempre ammesso che con tutta questa neve si riesca a trasmettere qualcosa.»

«Funzionerà, funzionerà. Abbiamo potenziato il segnale apposta, non cominciare con le tue cianciare.»

Bright avrebbe voluto ribattere, ma si morse la lingua.

«I ragazzi?» Chiese Bibski, riferendosi ai pony del QG.

«Attendono noi per iniziare.»

Bright gli porse una trasmittente con un auricolare e il pony scambiò alcune frasi con l’operatore all’altro capo. A quel punto guardò oltre il vetro del parabrezza e gesticolò con la squadra degli addetti ai lavori, che di risposta, gli fecero segno di aver finito.

«Tuo fratello che sta facendo?»

«È in attesa di ordini, come gli altri.»

«Allora digli di cominciare.»

L’unicorno annuì. - Qui è tutto pronto, Blu. Tocca a voi. -

Bright e Bibski fissarono attentamente lo schermo, ansiosi di veder comparire l’interfaccia con i dati di trasmissione.

- La ricezione è un po’ debole, ma sta trasmettendo. - Avvisò Blu.

Dopo qualche istante di attesa, nella mappa sullo schermo cominciarono ad apparire i dati e le informazioni geologiche inerenti alla zona in cui stavano operando, segnale che tutto era andato come da copione.

«Haha! Che ti dicevo, Capitan Pessimismo? Funziona!» Esultò Bibski.

«Sì, ma Blu dice che il segnale è debole… »

«Però funziona!» Rigettò la costatazione e gli offri lo zoccolo.

«Però non sappiamo per quanto… »

«Però FUNZIONA

Bright sospirò rassegnato e i due si scambiarono un amichevole brohoof per suggellare il successo.

«Ora dobbiamo solo trovare il modo di parlare con le Principesse senza finire al fresco.» Disse l’unicorno, mettendo in sospensione il computer.

«Più di così intendi?» Bibski si strinse nella tuta  «C’ho già pensato io, non ti preoccupare di questo.»

«Cosa?» Bright si girò con un sopracciglio inarcato, ma l’inventore era già fuori dallo Skybreaker.  

«Briefing, ragazzi. Tutti qui, forza. Anche tu, Sand!» Chiamò a raccolta il gruppo, che si dispose a cerchio. «Molto bene, è stato lungo e difficile, ma ce l’abbiamo fatta! Avete fatto tutti un ottimo lavoro, bravi!» Lasciò loro il tempo di esultare e di congratularsi a vicenda. «Ora che abbiamo la copertura di tutto il regno, quando quei maledetti si rifaranno vivi potremo finalmente scoprire qualcosa sulla loro provenienza!»

«E a quel punto cosa faremo?» Chiese il pegaso sentinella.

«A questo proposito, ragazzi: sto lavorando a un progetto che potrebbe aiutarci a risolvere la crisi… » nel gruppo calò il silenzio, e i presenti, Bright incluso, si concentrarono nell’ascolto «è ancora troppo presto per parlarvene, ma credo di avere trovato un modo per ripagare i Kaiju della loro stessa moneta!»

«Di che si tratta?» Chiese qualcuno nel gruppo.

«Per il momento non posso dirvelo. Il progetto è ancora in fase concettuale. Ci sono ancora dei punti oscuri ai quali sto cercando di trovare rimedio… »

In disparte, Bright si concentrò per fare partecipe suo fratello.

- Blu, stai ascoltando? -

- Forte e chiaro, sì… -

«È un arma?» Chiese qualcun altro.

«Ssì… qualcosa del genere» rispose Bibski, valutando attentamente cosa rivelare e cosa no «per ora posso solo dirvi che si tratta di qualcosa di grosso, MOLTO grosso!» L’enfasi sulla parola lasciò i pony ancora più interdetti.

- Tu ne sapevi qualcosa? – Chiese Bright.

- Ovviamente no. E tu? -

- Figurati se mi dice mai niente! Sono sempre l’ultimo a sapere le cose! -

«Ma al momento è troppo presto parlarvene.» Continuò l’inventore «Lo farò, ma prima dovrete lasciarmi il tempo di perfezionare il progetto.» E poi, come se avesse avuto fretta di chiudere il discorso: «Ora aiutatemi a sgomberare e andiamocene da qui!» Disse concludendo.

Il gruppo, quindi –  non senza diverse incognite che balenavano nelle loro teste –  si divise per iniziare a smantellare il campo.

Nel frattempo, la tormenta aveva perduto parte del suo vigore, ma l’abbondante nevicata limitava ancora la visibilità nella valle.

Per prima cosa si procedette col caricare parte dell’attrezzatura nello Skybreaker. Bibski fece la sua servendosi dell’Equalizzatore.

Ciò era reso possibile da una serie di elettrodi tondeggianti che adornavano la spirale del corno, dai quali partivano delle scariche elettriche a principio antigravitazionale, che indirizzate verso un oggetto, permettevano al pony di sollevarlo per aria senza risentire di alcun tipo di sforzo.

La straordinaria capacità di quell’accessorio si era rivelata utile in numerosissime situazioni, salvandogli addirittura la vita durante l’attacco di Manehattan. Motivo che rese l’Equalizzatore, per il pony, uno strumento ancora più irrinunciabile di quanto già non lo fosse stato.

Tendenzialmente, accettava di farne a meno solo quando il suo impiego non gli era di alcuna utilità – e solamente per prevenire inutili consumi delle celle energetiche – ma quando si trattava di un’operazione sul campo, o di una trasferta dovuta a motivi vari, non se ne separava a costo di morire. Come se l’idea di sfilarselo di dosso potesse rappresentare per lui un atto pari al tradimento nei confronti della macchina al quale doveva la sua vita.

Trasportando il suo carico verso lo Skybreaker, si ritrovò affiancato da Bright, che era ansioso di saperne di più sull’argomento appena menzionato. «Quindi… stai lavorando a un’arma?»

«Malgrado il tuo tono supponente, sì. Ho tra le mani qualcosa.» Gli rispose con fare schivo.

«Ah… e quando pensavi di dirmelo?»

Bibski si voltò verso di lui. «Oh, quindi… stai dicendo che devo renderti conto di ogni cosa che faccio? Aspetta… » ispirò ed espirò rumorosamente «ecco, questo si chiama “respiro”.»

«Non sei divertente.»

Bibski ripartì, cercando di distanziarlo. «Oh, adesso non ti mettere a frignare solo perché Papà non ti racconta tutti i suoi segreti.»

Scocciato, l’unicorno si servì della magia per strappargli via il carico.

«Ehi, ma!» Esclamò l’inventore, colto alla sprovvista «Sì può sapere qual è il tuo problema adesso?»

«Credevo che tra noi ci fosse un accordo!»

Bibski gli lanciò un’occhiata sospetta. «Di che accidenti stai parlando, scusa?»

«Voglio dire… sono sempre in prima linea per te, no? Scarrozzo la squadra ovunque tu mi chieda di portarli! E quando non ci sei prendo il comando e amministro le operazioni al posto tuo, ma quando arriva il momento di programmare qualcosa di nuovo, sono sempre l’ultimo a sapere le cose!»

«Questa sarebbe la tua migliore argomentazione? Ti lamenti che fai tutto, e vorresti fare ancora di più?» Lo schernì Bibski.

Bright, offeso, in un primo momento non seppe come rispondergli.

«Qual è il problema, Brightgate?» Prese parola al posto suo. «Se la memoria non m’inganna, mi sembra che tu abbia appreso la notizia in contemporanea con tutti gli altri. O forse stai cercando di dirmi che da ora in poi vuoi l’anteprima?»

«No! È solo che… » si sforzò di comporre una frase compiuta «certe volte ho come l’impressione che tu non ti fidi abbastanza di me… voglio dire… per le cose davvero importanti!»

La confessione urtò Bibski nell’animo. «Senti» cominciò, sfregandosi gli zoccoli anteriori per scaldarseli «tu per me sei la cosa più simile a un migliore amico che io abbia mai avuto. E non m’importa ciò che è successo in passato, o che trovi da ridire su ogni cosa che faccio, giusta o sbagliata che sia. Il fatto è che… » si ammutolì, ma solo per un istante «ho ancora molto su cui lavorare: ci sono diverse falle nell’idea che non so proprio come fare a risolvere, a meno che non sussistano delle specifiche… circostanze. Ecco perché non te ne ho parlato prima.»

Brightgate rifletté sulle sue parole, incuriosito da quell’ultima enfasi. «Che genere di circostanze?» Insistette, appellandosi alla speranza di ricevere maggiori informazioni.

Bibski Doss scosse la testa. «Variabili di diversa entità e natura. Mi prenderesti per pazzo se te ne parlassi. Anche solo per aver pensato che una soluzione del genere potesse funzionare davvero contro i Kaiju! Prima dell’annuncio ufficiale, voglio avere la certezza che ogni tassello combaci al suo posto. A quel punto, tu sarai il primo a esserne informato, te lo prometto. Ma se l’ho accennato ora, l’ho fatto solo per la squadra.»

Bright restò in silenzio, fissandolo con occhi amari.

«Devi credermi. Qui la fiducia non centra assolutamente nulla.» Ricalcò Bibski.

«Questa… arma» chiese, trattenendo a stento la curiosità «fermerà davvero i Kaiju?»

Bibski ghignò entusiasta. «Se le cose andranno nel modo in cui io spero, sì!»

«E le Principesse?» Incalzò Bright.

«Beh, è una delle variabili che ti ho accennato.»

L’unicorno meditò nel vuoto, e alla fine accondiscese con un sospiro. «E va bene, tanto cercare di capirti è impossibile. Sono curioso di sapere che altra diavoleria ti sei inventato sta volta.»

Sul volto di Bibski, il ghigno si accese in un ampio sorriso trionfale. «Oh, penso proprio che ti piacerà!» gli porse nuovamente lo zoccolo, invitandolo a un altro brohoof, ma si fermò a fissare a mezz’aria la zampa. «Aspetta… »

«Cosa c’è?» Brightgate lo fissò a lungo, senza però capire che cosa intendesse.

Il pony di terra osservò prima il suo zoccolo e poi, per più tempo, il vuoto attorno, come se la prospettiva della sua realtà si fosse appena schiarita, rivelandogli qualcosa a cui fino a quel momento non aveva ancora fatto caso. «La tormenta… perché si è fermata all’improvviso?»

L’unicorno si guardò in giro, ma in principio non diede molta importanza al fatto. «Forse è solo… » ma la sua voce gli morì in gola nel momento in cui entrambi volsero il capo verso l’alto.

Sulle loro teste, a un’altezza di circa dieci metri, una cupola di magia fucsia si ergeva lungo tutta l’estensione della vallata, isolandoli dalla bufera e riflettendo sfumature ondeggianti di magenta che danzavano sulla superficie innevata del terreno.

La voce che seguì rivelò la natura dell’incanto. «Altolà! Che nessuno si muova!»

Si voltarono tutti nella direzione e, dal nulla, una pattuglia di tre soldati imperiali si materializzò di fronte ai loro occhi. Si erano nascosti alla loro vista per mezzo di un rudimentale incantesimo d’occultamento, che li aveva mimetizzati con l’ambiente, imbiancando il manto e le corazze come la neve della landa ghiacciata. La tormenta, poi, aveva dato loro un’ulteriore copertura, permettendogli di avvicinarsi alla squadra di Doss senza essere notati.

Altre unità della truppa si rivelarono dai margini della vallata, fino al punto in cui la squadra si trovò circondata da undici soldati unicorno dell’Impero di Cristallo, armati di lance acuminate e tutti agghindati nelle loro armature scintillanti, col manto (che era tornato cristallino) che sbriluccicava di riflessi colorati.

Il pegaso sentinella della squadra di Bibski voltava la testa intorno, sentendosi responsabile dell’imboscata, ma la colpa non era stata sua. Dopotutto, era stato proprio l’inventore a dirgli di scendere, e a giudicare dall’incantesimo utilizzato, la truppa imperiale non era capitata di lì per caso; erano venuti per loro, ed erano riusciti a chiuderli nella rete.

Un unicorno diverso dagli altri, la cui armatura era ampiamente decorata con delineamenti violacei, incisioni regali e un simbolo sulla pettorina a forma di scudo, con una stella rosacea che si diramava dal suo centro, il manto della pelliccia bianco e la criniera che fuoriusciva dall’elmo, andando a formare un maestoso cimiero dall’intenso blu sgargiante, si fece avanti ponendosi come portavoce della pattuglia. «Guarda un po’ chi abbiamo qui. Bibski Doss in persona! È un vero piacere fare finalmente la tua conoscenza.»

«Il piacere è tutto mio, Capitano Shining Armor.» Disse il pony di terra, per niente intimorito da quell’autorevole presenza. «O forse preferisce che mi rivolgo a lei come “Sua Maestà, il Luccicoso?”»

«Come osi rivolgerti così al nostro Re?!» Una delle guardie non accolse di buon grado la risposta del pony, e ruppe la formazione per punirlo.

«No!» Shining Armor protese la zampa bloccandolo. «Torna alla tua posizione, soldato!»

«Mi perdoni Sire, ai suoi ordini.»

Bibski rise, chiaramente divertito dalla scena. Di ben altro avviso era invece Bright. - Blu, siamo nei guai, abbiamo bisogno del Ponte… -

- Adesso? Che succede? -

- Truppe imperiali, ci hanno circondato! -

- Cavolo, non ci voleva! Mi metto in posizione… -

- No, aspetta! Attendi il mio segnale. -

Nel frattempo, il confronto tra i leader delle due fazioni proseguì.

«Poche chiacchiere, Bibski. Avete violato una zona interdetta del Regno di Cristallo, e c’è un mandato di cattura per te emesso niente meno che dal consiglio municipale di Manehattan!»

«Già, al sindaco non le è mai andato giù che mi fossi dimenticato di farle gli auguri per il compleanno.»

Qualcuno tra i soldati non riuscì, malgrado la situazione, a trattenersi dal ridacchiare di sottecchi, Shining invece non si scompose, e andò a ispezionare la strumentazione istallata. I pony del team si lanciarono occhiate preoccupate a vicenda. Bright fece loro cenno di non agitarsi.

«Che stavate facendo qui?» Chiese il Capitano delle guardie.

«Diglielo, Bibski… » Gli sussurrò all’orecchio il suo braccio destro.

«Abbronzatura invernale» rispose invece lui «in questa stagione il riverbero della neve ti regala delle tinte da sballo!»

Lo stesso gruppo di soldati rise ancora e più rumorosamente. Questa volta l’ufficiale rivolse loro un’occhiata severa.

«Santa Celestia, Bibski. La vuoi piantare?!» Lo rimproverò Brightgate «rispondigli e basta… ».

«Shh, fai silenzio!» Lo zittì.

«Faresti meglio a dar retta ai tuoi collaboratori, Doss. » riprese Shining Armor «al contrario di te, sembra che almeno loro abbiano un po’ di buon senso.»

Lo squadrò per un istante, ma da parte sua non arrivò alcuna risposta. Il raffronto tra i due si stava facendo teso.

«Vi abbiamo ascoltato, poco fa» informò «avete detto di essere in possesso di un’arma per combattere i Kaiju. Non è così?»

Il volto insolente del pony di terra mutò, divenendo una cupa maschera di serietà. «Chissà, può darsi.» Rispose secco.

«Forse sapete qualcosa che noi ignoriamo?» Insistette.

Bibski digrignò i denti. «Non sono faccende che vi riguardano: questa è l’unica cosa che intendo dirvi!»

Bright notò i tic del suo sguardo e i tremolii sulle labbra. Capì che stava perdendo il controllo.

“Calmati, Bibski. Calmati… ” supplicò tra sé e sé, quasi sperando di essere udito dall’amico.

«Stai giocando col fuoco, Doss. Ti avviso.» Disse il Capitano, ma la minaccia servì solo ad alimentare la fiamma dell’ostilità nello sguardo dell’avversario.

Ancora, Brightgate si chiese il perché di quell’atteggiamento. Perché tacere tanto stoicamente di fronte alla possibilità di un’intesa con l’Impero di Cristallo, quando con una semplice spiegazione avrebbero potuto trovare una tregua dopo due anni di costante clandestinità? Di questo passo da un momento all’altro Bibski Doss avrebbe compiuto qualcosa di molto stupido, se non fossero andati subito via da lì, e la loro condizione avrebbe finito per aggravarsi ancora di più.

Shining Armor lo guardò, e si rivolse a lui cogliendolo alla sprovvista. «Tu, ragazzo.»

Bright gemette, ma poi la sua espressione si fece decisa, e lo fissò di risposta.

Il Capitano delle guardie lo aveva riconosciuto come uno dei gemelli che affiancavano Bibski Doss in ogni suo spostamento. Inoltre, constatò, sembrava godere di una certa autorità nel gruppo dei ricercarti. Decise quindi di rigirare anche a lui la domanda, nella speranza di ottenere delle risposte. «Allora, me lo dici che state facendo?»

L’unicorno si sentì spiazzato da quella domanda. «Io… » la sua voce vacillò, e per un momento pensò di cogliere l’occasione per fare quello che era più giusto fare.

I suoi occhi s’incontrarono con quelli di Bibski. L’amico lo penetrò con un atteggiamento glaciale, ma l’odio che vi lesse all’interno non era rivolto a lui, bensì ai soldati, che li stavano obbligando a parlare. Sapeva che Bibski era ottuso di natura, e per quanto i suoi metodi lasciassero spesso a desiderare, in un modo o nell’altro finiva sempre per ritrovarsi con la ragione dalla sua parte. Se aveva deciso di chiudersi a riccio di fronte alla domanda del Principe, un motivo doveva esserci senz’altro.

Ripensò al dialogo di poco prima e alle frasi che si erano scambiati. Come poteva pretendere la sua fiducia se alla prima occasione contravveniva al suo volere servendolo su un piatto di cristallo?

Bright fu chiamato dalla circostanza a prendere una decisione, ma decise infine di seguire il volere dell’amico, augurandosi di non doversene pentire subito dopo. «Mi dispiace» disse, fingendosi mortificato «ma… non posso farlo.»

L’espressione di Bibski non mutò di una virgola, ma in fondo al suo animo l’unicorno sapeva che gli era grato per il suo silenzio. Fu persino certo di cogliere, in quell’espressione fredda e cinica, la piccola ruga di un sorriso.

Un sospiro rammaricato uscì dalla bocca di Shining Armor. «Peccato. Ti facevo più intelligente.»

Bright replicò prontamente. «Sì, forse sono stupido… ma non sono un traditore.»

Il Capitano chiuse gli occhi per poi inspirare un profondo soffio d’aria. «Molto bene» annuì poi, con un’oncia d’ammirazione indirizzata verso l’unicorno dal manto grigio-cenere che affiancava Doss «se è questa la tua decisione… Bibski Doss, per l’autorità conferitami da Princess Celestia e dal Regno di Cristallo: vi dichiaro tutti quanti in arresto per contravvenzione alle leggi Reali e resistenza a pubblico ufficiale!» Dopodiché, si rivolse ai soldati: «Sgomberate questa roba e arrestateli!»

Una vampata di luce improvvisa si generò dal casco di Bibski e un raggio al plasma bianco-elettrico venne sparato contro il Capitano delle guardie, che lo schivò agilmente con un balzo all’indietro, dando sfoggio di riflessi pronti.

Il pony di terra esplose furibondo, il suo zoccolo strisciò duramente la neve sotto di lui. Si sfilò di dosso la tuta termica e dispiegò le ali dell’Equalizzatore. «State lontani dalla mia roba!!» Nitrì come un cavallo selvaggio, planando vicino all’installazione per poi porvisi di fronte per proteggerla.

- Blu, adesso, muoviti! -

Dall’altra parte, il gemello si fece trovare pronto per l’incantesimo. Immediatamente, Brightgate fece comparire di fronte a sé il portale per il campo base, lasciando i pony di cristallo di sasso.

«Tutti dentro, forza!» Ordinò alla loro squadra, mentre le Guardie Reali rompevano la formazione per stringersi verso di loro.

I pony del team si lanciarono immediatamente dentro il Ponte, e quando l’ultimo dei tre fu passato, l’unicorno chiuse il portale correndo in soccorso dell’amico.

Sparò una sequenza di raggi giallastri che colpirono le guardie che lo puntavano, ma non riuscì a raggiungere Bibski in tempo: due soldati erano già sopra l’inventore e lo tenevano bloccato a terra, schiacciandolo con gli zoccoli. Lanciò contro di loro un’altra serie di raggi, che li centrò in pieno petto, scaraventandoli via. Era quasi riuscito a raggiungerlo, gridandogli di tener duro, quando Shining Armor si frappose tra lui e il pony. Non persero tempo in chiacchiere e il Principe gli lanciò contro, a sua volta, una massiccia palla di pura e possente magia violacea.

Bright si mosse rapidamente: usando la magia isolò il suo corno in un alone protettivo, e con un’abile stoccata, deviò il colpo di Shining ritorcendoglielo contro. Il Capitano stavolta non riuscì a prevedere la mossa dell’avversario, e prima di poter reagire, fu raggiunto dal suo stesso colpo, che lo sbalzò contro altri due soldati alle sue spalle.  

Bright superò il gruppo e si protese verso il compagno atterrato.

«In piedi, Bibski, forza! Dobbiamo andarcene da qui!»

- Blu, il Ponte - aggiunse poi, ordinando al fratello di ripetere la magia.

«Stupido! Saresti dovuto andartene con gli altri… »

«E lasciare che ti cacciassi di nuovo nei guai? Non oggi!»

Si mise in posizione e aprì nuovamente il varco dimensionale. «Salta dentro, sbrigati!»

«E lo Skybreaker?»

«Lascia perdere lo Skybreaker! Muovi quei fianchi!»

Ma prima di poter fare qualunque altra cosa, un lampo luminoso colpì in fronte l’unicorno, che affondò col muso sulla neve, interrompendo il contatto con Deepblue.

La truppa tornò alla carica e in men che non si dica Bibski si trovò di nuovo a terra, con tre massicci unicorni dal manto cristallino che lo tenevano fermo, mentre un quarto gli sfilava con la magia l’Equalizzatore di dosso.

Bibski scalpitava e si dimenava come un insetto, inveendo contro gli aggressori e tentando di mordere le loro zampe ogni volta che gli si presentava l’occasione. Ma era ormai in trappola, e dopo essere stato privato del suo congegno, gli venne imposto un incantesimo che gli tenesse incatenati arti e zoccoli: avrebbe potuto camminare, ma non correre, né tanto meno tentare di colpire qualcuno.

Shining Armor si avvicinò a Bright. «Tu, soldato» disse a uno dei militari «aiutami a sollevarlo.»

Brightgate poté sentire l’aria gelida della valle graffiargli i polmoni quando la sua testa fu sollevata dal manto nevoso. Era stato investito in pieno da un “colpo magico debilitante”, che lo aveva completamente prosciugato della magia e delle forze.

Bibski guardò Shining Armor imporre sulla sua fronte un sigillo. Gli occhi del Capitano divennero verdi-scuro, le iridi rosse, e un fumo purpureo evaporava dai lati dei bulbi oculari, mentre una ramificazione di cristalli oscuri iniziò a germogliare sul corno di Bright, annullandone ogni possibilità di compiere incantesimi.

«Bestie! Che cosa gli avete fatto?!» Urlò Bibski, ma nessuno gli badò. Le guardie continuarono a trattenerlo.

«Rispondetemi!!» Insistette invano.

Shining schiaffò leggermente il muso del grande unicorno dalla criniera corvina, per accertarsi delle sue condizioni.

Bright aprì gli occhi debolmente, e subito notò le lievi abrasioni e le chiazze di bruciature sull’armatura dell’ufficiale: il colpo che gli aveva restituito.

«Hai delle abilità di combattimento incredibili» si complimentò con sincera stima il Principe «e poi quel potere… saresti un eccellente soldato se decidessi di arruolarti tra i nostri ranghi! È un vero peccato che sprechi il tuo tempo dietro quel sociopatico.»

Bibski ascoltò tutto, ma non rese conto all’offesa. Per l’ennesima volta, Equestria aveva espresso la sua opinione verso il suo operato. Era inutile tentare di cambiare le carte in tavola, alla fine qualunque cosa avesse fatto, agli occhi del mondo sarebbe sempre stato un folle pazzo privo di senno.

Si rincuorò nel sapere che probabilmente aveva compiuto la scelta giusta, decidendo di tacere alle domande del Capitano delle Guardie. Non erano quelli i pony con cui avrebbe voluto discutere dei suoi piani.

Quello che successe in seguito, però, lo lasciò di stucco.

Bright gracchiò un singulto raccapricciante, che fece rabbrividire i presenti.

«N-n ave-t… ca-ito… ent-e!» Mugugnò.

«Cosa?» Shining Armor tese il collo vicino alla sua bocca, per cercare di seguirlo.

«Non… avete… capito… niente!» Ripeté, sforzandosi di scandire la voce. «Ignoranti e… presuntosi. Lui è… l’unico… che sta facendo… davvero… qualcosa per… salvarci…» non riuscì a dire altro. La sua testa cadde in avanti, e quando la Guardia Reale sentì cedergli anche il corpo, privo di sensi, lo caricò sul proprio dorso prima che stramazzasse.

Shining Armor era rimasto inebetito da quelle parole.

«Signore?» Lo chiamò la guardia

L’Ufficiale scosse la testa e tornò in sé. «Portateli al regno.» Ordinò, camuffando il timbro tentennante della sua voce.

«Che ne facciamo di questi?» Domandò l’altro, riferendosi allo Skybreaker e all’attrezzatura.

Shining Armor posò lo sguardo su Bibski, il quale lo stava fissando a sua volta con uno sguardo di odio incommensurabile, tanto da incutergli un certo timore.

«Lasciateli qui per ora» dichiarò, cercando di mantenere un portamento solenne «manderò qualcuno a recuperarli.»

Una delle guardie issò con il corno l’Equalizzatore di Bibski, mentre un’altra lo incitò a camminare colpendolo con l’asta della lancia.

Il Principe non volle sapere cosa balenava nella testa di quel pony, ma a giudicare dall’espressione che esibiva sul volto, sembrava pronto a scorticare il muso del primo malcapitato che gli fosse capitato tra i denti.

Ordinò alla truppa di ritirarsi, mentre lui restò indietro a contemplare l’impianto che il team di Bibski Doss aveva installato.

Cominciò a sentirsi visivamente afflitto per il modo in cui era stato costretto ad agire, ma dopotutto – si disse – faceva parte del lavoro. E malgrado alcuni membri della squadra fossero riusciti a darsi alla fuga attraverso il varco dell’unicorno, per lo meno, poteva concedersi il lusso di una discreta soddisfazione, sapendo che finalmente avevano messo gli zoccoli sui leader del gruppo.

Prima di riunirsi ai suoi soldati, stabilì che cosa avrebbe dovuto fare una volta rientrato nel castello: per prima cosa, avrebbe parlato con sua moglie Cadance riferendole della cattura, per chiederle poi di mettersi in contatto con Princess Celestia e Princess Luna, affinché presenziassero al successivo interrogatorio.

In seguito, avrebbe atteso il loro arrivo per procedere oltre, e una volta interrogati e processati, avrebbe atteso il loro giudizio per prendere una decisione sull’avvenire dei due.

Con molta probabilità, le Principesse avrebbero richiesto a loro volta anche la partecipazione di sua sorella Twilight Sparkle, che da quando era stata promossa al rango di Principessa dell’Armonia, prendeva sempre parte a convocazioni di questo tipo.  

Rimuginando sul da farsi, Shining Armor si ricordò che era da un po’ che non aveva sue notizie. L’ultima volta che la vide, era appena tornata dalla battaglia del terzo attacco dei Kaiju, stanca e provata.

Chissà cosa stava facendo in quei giorni? Ma soprattutto, chissà se stava bene?

Se le sue intuizioni si fossero rivelate esatte, presto avrebbe avuto modo di scoprirlo.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 2: La chiamata dei Cristalli ***



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APITOLO 2: La chiamata dei cristalli.


Il giorno dopo. Biblioteca di Ponyville.


Twilight Sparkle appoggiò delicatamente la penna d’oca accanto al calamaio sullo scrittoio, contemplando in clericale silenzio le due pagine di diario che aveva appena riempito. L’inchiostro sui fogli, con il quale aveva descritto per filo e per segno il sunto degli attacchi Kaiju degli ultimi mesi, era ancora umido, e rifletteva come nera rugiada i grigi raggi del sole invernale che filtravano attraverso le finestre della biblioteca di Ponyville. L’inverno stava avanzando già da diversi giorni, e da una settimana i pegasi di Cloudsdale avevano cominciato a convogliare nei cieli del paesino le prime nuvole cariche di neve pronta a fioccare. Nel frattempo, qualcuno stava già addobbando la propria abitazione e le strade in vista della Festa del Focolare dell’Amicizia, e anche chi aveva deciso di attendere ancora, sembrava non vedesse l’ora che la festività  potesse cominciare.

D’altronde non gli si poteva dar torto. Per ben sedici ininterrotti mesi il timore per un nuovo, imminente attacco Kaiju, che avrebbe potuto scatenare in qualunque momento e in qualunque luogo di Equestria una nuova ondata di terrore, era stato l’unico grande argomento di discussione sulla bocca dei pony di ogni città e rango sociale. Tradizionali festività, come la festa dei Pony Innamorati, la Notte degli Incubi, ma anche eventi di punta come il Gran Galà Galoppante, erano stati sospesi per timore di altri attacchi nel corso delle ricorrenze, ma anche per un generale malumore che ungeva gli animi della popolazione nel corso delle stagioni. Gli unici a essersi mantenuti attivi e vitali erano stati i corpi militari delle Guardie Cittadine e Reali, che su ordine delle governanti avevano dato via a una vasta campagna di arruolamenti di nuove reclute che andassero a infoltire i fronti di difesa della città in vista dei prossimi attacchi.

Era trascorso più di un anno e mezzo dal disastro di Manehattan, ma il ricordo di chi aveva assistito con i suoi occhi agli orrori di quel giorno continuava a farsi pressante come una macchia di cui non era possibile liberarsi - perché avente la forma delle vite spezzate delle sue vittime – sebbene tutti cercassero di superarla giorno per giorno.

Ognuno degli attacchi, anche se diverso nel luogo e nell’approccio, aveva portato con sé una carica di consapevolezza e paura che si andava a sommare a quelle dello scontro precedente, ma più i pony combattevano, e più le invasioni iniziavano a entrare nell’ordine delle loro vite.

I Kaiju, autentiche furie della natura, la cui mole era eguagliata solo dalla loro fame di distruzione, erano mostri che miravano – apparentemente e per fini sconosciuti – all’estinzione della vita su Equestria, ma tutti sembravano seguire un preciso modus operandi, malgrado le forme e gli schemi comportamentali variavano ad ogni manifestazione: ogni sei mesi un nuovo titano compariva dal nulla puntando a qualche grande città. Quando ciò si verificava, le Custodi venivano convocate sul luogo dell’assalto per combatterlo servendosi dei poteri degli Elementi, e alla fine di ogni battaglia, il Kaiju si accasciava a terra per poi dissolversi nel nulla, come una statua di ghiaccio che evapora al sole, vanificando qualunque speranza di scoprire qualcosa sul loro conto.

Se i primi due attacchi erano stati la “rivelazionee la “consapevolezzadella guerra, il terzo scandì, invece, la sua accettazione”. Quando il Kaiju di Las Pegasus aveva esalato il suo ultimo respiro, irradiato per ben due volte dalla magia degli Elementi dell’Armonia, non importava più a nessuno da dove venissero e quali fossero le ragioni che li spingessero ad attaccare, né dei terremoti che abitualmente si registravano in tutto il regno tra un attacco e l’altro.

I pony erano stanchi di brancolare nel buio in attesa di un fato oscuro, terrorizzati dallo scorrere dei mesi e dalla fobia delle grandi città, e decisero all’unanimità che era giunto il momento di tornare a vivere serenamente.

L’annuncio della riapertura della festa del Focolare, approvata in prima persona dalle Principesse Luna e Celestia, fu la prima grande prova di questa presa di coscienza, e del desiderio di riportare ogni cosa come ai vecchi tempi, e aveva infuso un’ondata d’ottimismo e di speranza negli animi inquieti delle giumente e degli stalloni che fino ad allora si erano confrontati solo con l’ansia dei nuovi attacchi. Twilight, però, non riusciva a essere partecipe di quella spensieratezza sprovveduta. Lei si era battuta contro i Kaiju, aveva visto con i propri occhi quanto potevano essere pericolose quelle creature. Sosteneva – ed era una convinzione che difendeva con gli zoccoli e con i denti – che i primi tre Kaiju non erano niente in confronto a quello che sarebbe arrivato da lì a qualche tempo. Che erano solo l’avanguardia di una guerra che non aspettava altro che il momento giusto per esporre sul tavolo le sue vere carte. E per questo cercava di mettere tutti in guardia della minaccia, asserendo strenuamente che non andava presa sotto zampa.

Le sue amiche, di contro, non erano d’accordo con lei, sentenziando che come di consueto si stava preoccupando troppo. Non era la prima volta che si lasciava cogliere dal panico in situazioni del genere, e spesso era stata ella stessa l’artefice dei guai che aveva cercato di evitare.

Le sue parole si perdevano nell’aria come un soffio di vento, e l’unica cosa che poteva fare era augurarsi di aver torto e loro ragione.

«Who?»

L’alicorno alzò lo sguardo e vide il suo animaletto da compagnia Gufolisio alzarsi in volo dal suo trespolo, e atterrare sulla testa equina di legno intagliato che sovrastava lo scrittoio. Il gufo la guardò con i suoi piccoli e imperscrutabili occhietti neri, emettendo un'altra volta quel tenue bubolare, come a volerle chiedere se c’era qualcosa che la turbava.

«Va tutto bene, amico mio. Non ti preoccupare.» Lo rincuorò sorridendogli.

Guardò il messaggio scritto sul diario, sapendo di dover prendere una decisione al riguardo. Si alzò per riporlo nel suo nascondiglio.

Facendolo levitare accanto a sé con la telecinesi, cercò il punto giusto nella sezione degli Incantesimi Elementari, unico segmento della biblioteca in cui sapeva che Spike non sarebbe mai andato a cercarlo, e lo inserì dietro una fila di libri proveniente dall’Accademia per Unicorni Dotati, che a dire il vero lei aveva già imparato a memoria ancora prima che i suoi genitori avessero deciso di iscriverla alla scuola.

Messi al sicuro i suoi segreti, si sistemò le piume delle ali con il muso e le distese per sgranchirsi i muscoli.

Era stata insignita del rango di Principessa da quasi due anni, sebbene l’invasione dei Kaiju avesse stravolto completamente i piani originali che Princess Celestia aveva serbato per lei, e grazie alle dure lezioni dell’amica Rainbow Dash aveva imparato l’arte del volo al meglio delle sue capacità, applicandosi nel padroneggiare tutte le regole fondamentali della pratica, dallo sfruttamento del moto delle correnti, alle tecniche per il mantenimento della stabilità in quota nelle situazioni più avverse. E ora, sebbene le mancassero ancora molte miglia di volo per potersi considerare una candidata ideale per l’Accademia degli Wonderbolts, conosceva quanto bastava della disciplina da essere in grado di svolazzare tranquillamente per i cieli di Ponyville senza temere di rovinare al suolo in imbarazzanti capitomboli, che mal si sarebbero addetti a una Principessa.

Sbatté le ali un paio di volte sollevandosi da terra, quindi si librò fino alla sua camera da letto al piano di sopra. Quel giorno la sua (di solito) straripante agenda non disponeva impegni particolari per il pomeriggio, e l’ora di pranzo era già passata da un pezzo, pertanto, invece di prendersi avanti con i doveri dei giorni seguenti, decise di punto in bianco di appartarsi sul materasso, in compagnia di un po’ di sane letture di narrativa equina classica, avvolta nelle calde coperte del suo letto. Così facendo, sperava di tener lontani da sé i turbamenti della guerra contro i Kaiju.

Prese dalla libreria accanto al materasso uno dei tanti libri che aveva nella lista delle letture in corso, e aprì all’incirca a un terzo del romanzo.

Quando poi si accoccolò tra le lenzuola, pronta ad avventurarsi nell’epica storia del protagonista dell’opera, avvenne qualcosa di assolutamente imprevisto, che la costrinse a cambiare repentinamente i suoi piani per la giornata: il suo assistente Spike entrò precipitosamente nella biblioteca chiamandola per nome e agitandosi, alternando invocazioni d’aiuto a inquietanti versi strozzati.

«Spike! Che ti prende, ti senti male?!» Galoppò giù dalla rampa di scale e corse in soccorso del draghetto, con il cuore che palpitava a mille. Era inginocchiato a terra, e si tirava dei poderosi pugni al petto, come se tentasse di liberarsi da qualcosa che gli era andato di traverso in gola.

«Io… Twilight… non so… male…» furono le sue uniche parole.

«Ti porto dell’acqua, resisti!»

«No… ‘spetta!» La arrestò di colpo. Si alzò in piedi e piegò in avanti la testa, colto da un conato di rigurgito. Twilight lo guardava spaventata e impotente, chiedendosi se potesse aiutarlo.

Un verso strozzato anticipò un secondo conato, poi un altro ancora, e alla fine, un terzo, che terminò con un fragoroso rutto, seguito da una grande fiammata verde che materializzò nell’aria una pergamena ordinatamente arrotolata. Spike quindi si accasciò a terra, esalando un sospiro di sollievo.

«Va meglio ora?» Chiese l’alicorno.

«S-sì…» rispose ansimando «accetto volentieri quel bicchiere d’acqua.»

Twilight fece per andare a prenderglielo, ma la pergamena attirò la sua attenzione. A un’analisi superficiale sembrava la tipica comunicazione della Principessa Celestia, ma guardandola più attentamente notò che aveva qualcosa di diverso dal solito: in genere si presentavano arrotolate con un nastro cremisi, tenuto insieme da un sigillo placato in oro, con incisa sopra la “C” dello stemma di Canterlot, a dimostrazione che provenivano dalla posta Reale del castello. Il doblone che avvolgeva questa, invece, era in bronzo, e su di esso vi era impressa una stella a cinque punte.

Nella sua vita, le era capitato soltanto un paio di volte di vederne altre di quel tipo, e si ricordò che abitualmente erano usati dal corpo militare delle Guardie Reali (cui simbolo era per l’appunto una stella a cinque punte) per scambiarsi comunicazioni in battaglia, oppure per…

«“Convocazione urgente per Sua Altezza Princess Twilight Sparkle”!» Lesse ad alta voce, in modo che anche Spike potesse sentire.

«Ah sì? E da parte di chi?»

Twilight guardò il mittente, e leggendo il nome si ritrovò più confusa di prima nel vedervi scritto: «Princess Celestia!»

Spike assentì con un’esclamazione poco convinta.

«Ma non capisci?!» Continuò l’alicorno. «Lei non mi ha mai inviato messaggi di questo tipo, nemmeno quando ci convocava per combattere contro i Kaiju!» Riflettendoci attentamente, le venne il sospetto che poteva non essere un caso. Sussultò. «Forse le è successo qualcosa di grave?! Forse a Princess Luna?!? Forse… a tutta Canterlot!!»

«Che ne dici di leggere quello che c’è scritto?»

Twilight tornò con gli zoccoli per terra. «Oh? Sì… giusto. Eheh.»

Spike sospirò rassegnato. Come dice il detto: “Il lupo del legno perde i rami, ma non il vizio”.

Twilight diede uno scorcio alla grafia, constatando che corrispondeva a quella abitualmente usata dalla Principessa. Le lettere scorrevano con un corsivo nobile ed elegante, senza sbavature o segni d’imperfezione ai margini che lasciassero intuire che fosse stata redatta di fretta. Anzi, il contenuto in sé dava prova di essere stato composto con grande cura e ponderata scelta di parole. Non fosse stato per il sigillo militare e il testo dell’Oggetto, sarebbe apparsa uguale a qualsiasi altra lettera inviatale fino ad allora:


“Cara Twilight.

In questi giorni di tensioni e paure, dove tutti noi ci troviamo a condividere la difficile emergenza dei Kaiju, che ha travolto le nostre vite come vento di burrasca, vi porgo le mie scuse – in particolare a Spike – per l’agitazione che questa mia lettera vi ha causato. Era fondamentale per me assicurarmi che vi fosse recapitata in tempi rapidi, e ho ritenuto pertanto opportuno servirmi in via straordinaria del sigillo marziale per adempiere allo scopo.

Qualche ora fa, mi è giunta notizia che tuo fratello, il Principe Shining Armor, ha provveduto alla cattura di un pericoloso ricercato in fuga dai nostri eserciti da molti mesi a questa parte.

Il soggetto si trova ora incarcerato insieme a un suo collaboratore nella prigione dell’Impero di Cristallo, in attesa dell’interrogatorio e del processo, ed è stato richiesto a me e a mia sorella Luna di presenziarvi con urgenza.

Abbiamo a che fare con due elementi incredibilmente scaltri e pericolosi, che durante la cattura hanno messo in seria difficoltà l’intero plotone di Shining Armor.

Princess Twilight, tu sai quanta fiducia io riponga in te e nelle tue amiche, perciò è mio desiderio richiedere anche la vostra presenza, nel caso la situazione dovesse precipitare.

Non possiamo perdere tempo. Con la Festa del Focolare dell’Amicizia alle porte e il ritorno dei Kaiju previsto in due mesi, dobbiamo porre rimedio a questa emergenza in tempi rapidi e senza inconvenienti.

Qualora accettaste, è importante che vi mettiate subito in viaggio con il primo espresso per l’Impero di Cristallo, e che mi comunichiate la vostra decisione entro pochi minuti dalla lettura di questa lettera.

Vi saranno dati maggiori dettagli al riguardo una volta giunti a destinazione.

Dettovi questo, il mio augurio è che possiate venire tutte.

Ora vi lascio, in attesa della vostra risposta, e vi chiedo ancora scusa per il tumulto.”


Al termine della lettera, Twilight deglutì rumorosamente. «Presenziare a un… processo?»

«Già. Non è fantastico?» Esulto Spike, sprizzante di gioia «forse è il famoso ladro gentil-stallone Arsenic Clopin… o… oppure un qualche criminale psicopatico in fuga da qualche carcere di massima sicurezza… o… »

«Non lo so, Spike… è la prima volta che Princess Celestia mi fa una richiesta del genere. Sinceramente non me lo sarei mai aspettata.»

«Beh, chissà. Può darsi che questo faccia parte dell’ordinaria amministrazione delle Principesse, non pensi?»

La pony dal manto viola sospirò. «Sì, forse hai ragione. Vado a scriverle la lettera di risposta.»

«Vuoi che ci penso io?» Chiese il draghetto, armatosi di penna e papiro, estratti magicamente dal nulla.

«No, grazie. Ho voglia di scribacchiare un po’.»

Il volto di Spike s’imbruttì in una smorfia di delusione. «Oh… ok.»

Twilight compilò il messaggio cercando di essere il più sintetica possibile. Cominciò col ringraziare la Principessa dell’invito e proseguì dandole conferma che avrebbe contattato le altre non appena la pergamena sarebbe stata rispedita. Aggiunse anche un breve paragrafo in calligrafia incerta, in cui la ringraziava della fiducia e che si augurava di poterle essere d’aiuto una volta giunte all’Impero.

Certamente le sue amiche non si sarebbero tirare indietro di fronte a una richiesta così importante da parte della Principessa. Doveva soltanto usare i Cristalli del Richiamo che le aveva regalato Cadance, per convocarle rapidamente.

Spike le era accanto e la guardava disilluso mentre seguiva con gli occhi la penna che s’intingeva nell’inchiostro del calamaio, riempiendo la superficie ruvida del foglio riga dopo riga.

«Fatto!» Annunciò Twilight, arrotolandola col nastro del sigillo di bronzo e consegnandola all’assistente. Lui, imbronciato e tenendo le braccia conserte, la incendiò con uno zampillo poco convinto, e immediatamente una fiammella verde l’avvolse trasformandola in un nugolo di scintille volteggianti, che poi scomparvero nel nulla, dirette a Canterlot.

«Secondo te chi può essere questo… “ricercato” di cui parlava? » Chiese poco dopo Spike, enfatizzando le virgolette con gli artigli.

«Hmm, forse… » Twilight si perse per qualche secondo sulle ipotesi, compilando una lista mentale dei potenziali nomi che sapeva fossero ricercati dalla legge, ma su due zoccoli non seppe che risposta dargli «mah, immagino che lo scopriremo quando saremo lì. Intanto faccio venire qui le ragazze, poi vedremo.»

Si avviò verso una cupola in vetro, collocata sopra un sostegno in una stanza adiacente della biblioteca, dove risiedeva il suo cristallo.

«E io a preparare le valige!»

«Tu non verrai, Spike.» Gli comunicò dall’altra stanza.

«Cosa? Ma… h-hai detto che noi… »

«”Quando saremo lì” intendevo me e le ragazze. Non sappiamo con chi avremo a che fare. La situazione potrebbe mettersi molto male questa volta.»

«M-ma… ma se vi ho aiutato a recuperare il Cuore di Cristallo dalle grinfie di Re Sombra!»

«E a momenti finivi fatto a pezzi!»

«Questo lo so ma… uff!» Accanto a sé, per terra, c’era un libro. Arrabbiato, Spike lo calciò tanto forte da abbattere il trespolo su cui Gufolisio era pacificamente tornato a riposare. Il gufetto si erse in volo e trovò riparo sul davanzale della finestra, ammonendolo con uno sguardo di rimprovero. «Comunque la mia acqua la voglio ancora!» Urlò Spike, dimenando le braccia per protesta. L’alicorno non badò a lui, concentrata quant’era sul suo compito. Sollevò la campana nella quale era contenuto un piccolo quarzo grezzo, di forma irregolare e dai riflessi magenta della stessa tonalità dell’Elemento della Magia, collocato sull’insenatura imbottita di un piedistallo in velluto rosa scuro, uguale a quello su cui erano riposti gli Elementi dell’Armonia. Per attivarlo avrebbe dovuto ricorrere a un incantesimo molto particolare, ideato apposta per interagire con esso: la Magia del Richiamo.

Un bagliore luminoso e violaceo scintillò dal corno della pony, aumentando d’intensità man mano che l’incantesimo interagiva con la pietra. Da dentro il cristallo un luccichio del suo stesso colore risplendette di risposta, e per un momento non successe nient’altro. Ma poi il cristallo cominciò a vibrare  e saltellare rumorosamente su se stesso, diffondendo un acuto e fastidioso trillo simile al rumore di una vecchia sveglia, tanto intenso che persino un vecchio pony di terra sordo come una campana sarebbe stato in grado di sentirlo. Twilight si affrettò a toccarlo con un delicato colpetto di zoccolo, che lo disattivò facendolo tornare nel suo stato di quiete apparente (esso reagiva solo e unicamente al tocco della Custode al quale era stato assegnato). E così, la prima parte della convocazione fu portata a termine. Ora spettava a Pinkie Pie e alle loro amiche rispondere alla chiamata dei Cristalli.


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Al piano superiore dell’Angolo Zuccherino dei Signori Cake, qualcuno stava facendo un gran baccano con quello che sembrava un rintronante scampanellio di sveglia, attirando l’attenzione degli avventori del locale, che si lanciavano tra di loro occhiate imbarazzate.

Mrs. Cup Cake e suo marito Carrot Cake fecero altrettanto, e anche di più.

«Ehm… cara… che ne dici di… andare a controllare?» Propose lui, sentendosi addosso gli occhi inquisitori della clientela.

«Oh… sì… ma certo caro!» La moglie esibì un sorriso sornione a trentadue denti che ostentava falso controllo, e si diresse nell’area privata della pasticceria, verso la scalinata. «Pinkiee?» Cantilenò.

La pony rosa dai boccoli cotonati comparve da dietro la parete in cima alla rampa, tendendole solo il collo. «Sì, Mrs. Cake. Mi ha chiamato?» Chiese lei, atteggiandosi in una gioia troppo teatrale perfino per Pinkie Pie.

«Va tutto bene lassù?»

«Oh… ahm… sì! Ma certo che sì! Io e i gemelli ci stiamo divertendo un mondo quassù!»

La pasticcera non parve soddisfatta della risposta. «Non per essere impicciona, maaa… che cos’è quell’insopportabile suono che stiamo sentendo tutti qui sotto?»

«Ah, questo… beh ecco è…» pensò in fretta a una risposta da dare «è il nuovo gioco che abbiamo inventato! Si chiama “indovina chi spegne la sveglina”! E’ super-iper divertente, sa? Uno dei partecipanti chiude gli occhi e conta fino a cinque tenendo con sé la sveglia, gli altri partecipanti la spengono e lui deve indovinare chi di loro è stato!»

«Dici davvero? Eppure avrei giurato che fosse il richiamo di quel cristallo che la tua amica Twilight ti ha regalato per quando dovete mettervi in contatto…»

«Ma nooo, assolutamente! Come le viene in mente?»

«Lo sai che non voglio che i piccoli ci giochino, vero? E’ pericoloso armeggiare con la magia se non la si sa controllare!»

«Certo che lo so! Difatti è tenuta chiusa a chiave al sicuro dentro la mia stanza!»

«Me lo garantisci?»

«Giuro senza tema di fallire che un confetto mi possa colpire!»

«Beh… in questo caso… che ne dite di fare un altro gioco? La pasticceria è piena di clienti per la Festa del Focolare, e sai com’è… qui sotto si sente tutto!»

«Oh… ma certo! Ho già in mente un nuovo gioco, lo chiamerò “Attacca la coda al mulo!”. No, aspetta, per farlo ho bisogno di un mulo. Non si può attaccare la coda al mulo senza il mulo! Non le pare, Signora Cake? Devo andare a cercare la Signorina Matilda, forse lei vorrà partecipare, oppure… »

La Signora Cake sospirò. «Io torno a lavoro, Pinkie. Il dovere mi chiama.»

«Oh, già! Arci-super d’accordo!» Spalancò la bocca in un immenso sorriso, che si accompagnò a uno «Squee» sonoro.

Le due si congedarono; la Signora Cake con il dubbio che la pony non gliel’avesse raccontata giusta, e Pinkie tornando subito seria nel momento in cui la proprietaria della pasticceria svanì dal suo campo visivo.

Si voltò. «Pumpkin, Pound… » percorse il corridoio del piano superiore e tornò nella stanza dei gemelli. «RIDATEMI SUBITO IL MIO CRISTALLO!!!!» Urlò una volta dentro, con le fiamme negli occhi e soffi di vapore che le fischiavano dalle orecchie.

I piccoli Cake volteggiavano per la stanza ridendo per tutto il tempo. Pound teneva tra le zampette la sorellina, che a sua volta tratteneva con la magia il Cristallo del Richiamo azzurro.

Tra le risate dei piccoli e lo scampanellio insistente del minerale, il baccano nella stanza era impressionante.

«Oh andiamo, ridatemelo! Le mie amiche hanno bisogno di me!» Piagnucolò inutilmente, totalmente ignorata dai due piccoli puledrini, che si comportavano come se lei non esistesse.

Pinkie Pie decise di passare alle maniere forti. «E va bene» disse con fare di sfida «volete la guerra? Io porto la guerra!»

Pound e Pumpkin si fermarono in quota e la guardarono incuriositi. La pony in rosa esibì un’inquietante sorriso formato da due lunghe file di denti aguzzi, mentre la sua criniera era diventata improvvisamente floscia e cadente. Dalla sua bocca cominciò a uscire una risata maligna, e il suo sguardo si fissò su quello dei cuccioli. Le sue pupille si restrinsero come quelle di un predatore che metteva a fuoco le sue prede, in attesa dell’agguato. Poi, d’improvviso, successe qualcosa. Fece un movimento con la testa e la sua criniera si rigonfiò in un ciuffo di ricci vivaci che tenevano stretti – come fossero un tentacolo prensile – un biberon ricolmo di latte appena scaldato. «Guardate cos’ho qui!» Mosse anche la coda, e un secondo dopo, un altro biberon fece la sua comparsa, avvolto nei peli rosa.

I piccoli occhietti scuri dei gemellini si allargarono incantati. Pound e Pumpkin emisero dei gemiti di fame.

«Li volete? Ecco, venite a prenderli dalla Zia Pinkie!»

Li gettò per aria, e i due, scordatisi per incanto del cristallo, lo lasciarono cadere a terra per acchiapparli al volo.

Approfittando della distrazione, Pinkie si lanciò in avanti per recuperarlo. Il quarzo tremava e si scuoteva sulle assi del pavimento, fondendo il suo trillo al suono della vibrazione del legno. Pinkie lo toccò, e immediatamente l’oggetto cesso il suo richiamo insistente.

I piccoli Cake si estraniarono dalla scena, troppo presi dalla poppata per badare a lei, così la pony li sollevò da terra per condurli nel loro lettino. Li chiuse dentro e restò affacciata a osservarli per un po’, mentre si godevano il loro latte, commossa malgrado tutto. «Pinkie deve fare una cosa, piccoli.» Disse teneramente, come un amorevole Zia che parlava ai nipotini. «Fate i bravi con mamma e papà mentre io non ci sono.» Si chinò, quindi, sulla culla per dare a entrambi un delicato bacetto sulla guancia.

Poco dopo stava schizzando ad ampi balzi fuori dall’Angolo Zuccherino.

«Dove stai andando, Pinkie?» La arrestò nel corridoio Mrs. Cake.

«Ecco, vede… mi sono appena ricordata che devo fare una cosa importante per Rarity. Non starò via molto, promesso!» Prima di rispondere stava già saltellando fuori dal locale.

«E i cuccioli?» Gridò Cup Cake, seguendola fino alla porta.

«Sono nel lettino. Stanno mangiando!» Tagliò corto, ormai lontana, sparendo lungo i vicoli di Ponyville.

Finalmente libera, Pinkie Pie smise di salticchiare e cominciò a galoppare a trotto veloce verso la casa di Twilight.


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Nello stesso momento, alla Carousel Boutique di Rarity.

«Ahi! Le dispiace fare più attenzione?!» Si lamentò la corpulenta pony sulla pedana.

«Sono veramente mortificata, signora Turnip, vedrà che rimedierò in un momento!» Si scusò Rarity a denti stretti.

«Sono signorina. Se non le spiace!»

«Già, ha ragione… “signorina”.»

La signorina della situazione era una voluminosa pony di terra di nome Silly Turnip, con un manto fucsia chiaro e una lunga e mal-pettinata criniera verde lasciata cadente lungo le spalle e il collo, il cui cutie mark era una… rapa. Aveva evidenti problemi di sovrappeso e un caratteraccio che l’avrebbe resa detestabile persino a Fluttershy durante le sue giornate migliori.

Era stata bandita dalle sartorie di tutto il regno, dalle più rinomate di Canterlot, alla “Stracci e strofinacci per minatori” di Dodge City, per finire poi a mettere i suoi grassi e flaccidi zoccoli alla boutique di Rarity, dove le aveva commissionato un vestito da Gran Galà di due taglie più piccolo di quello che avrebbe fisicamente e moralmente potuto indossare, e che ora si ostinava a voler provare ad ogni costo.

«Allora, si vuole sbrigare con quei lacci, Miss?! Tra tre giorni devo prendere parte a un’importante rinfresco a Canterlot! E’ il primo che organizzano dalla fine dello stato di emergenza, e devo essere PERFETTA per l’occasione! Non ho tutta la giornata da perdere!»

Rarity si sforzò di unire le due estremità del corsetto servendosi di tutta la magia e del sangue freddo che aveva in corpo, ma i continui nitriti isterici dell’odiosa cliente le impedivano di portare a termine il compito.

«Lei mi delude altamente, ragazza! Sarebbe lei la famosa stilista di cui Fancy Pants parla un gran bene ai suoi ricevimenti? A giudicare dalle sue discutibili doti, non la ritengo  nemmeno degna di servire il tè a una VERA stilista!»

«Senta!» Si spazientì, e dentro di sé covò il grande desiderio di sbatterla fuori con due poderosi calci nel posteriore. «Non è colpa mia se lei mi ha commissionato un abito di due taglie più piccole della sua! Io l’avevo avvisata che non sarebbe riuscita a entrarci!»

La faccia di Turnip si colorò di un rosso sanguigno. «Sta forse insinuando che io sia GRASSA?!?»

«Oh sì, decisamente ha visto giusto! Lei è proprio una… » sentì un rumore provenire dall’altra stanza, e ammutolì di colpo. Era il Cristallo del Richiamo. «Una deliziosa e adorabile cliente che sarò ben felice di soddisfare!» Si corresse immediatamente, in virtù della circostanza.

«Oh… ? Dice sul serio?» Silly Turnip sembrò abboccare in pieno.

«Ma certo che sì! Non per niente sono la migliore stilista di Ponyville!» Si lodò con gesti e movenze da attrice teatrale.

«Quindi non pensa che io sia grassa?»

«Oh, tesoro, ma certo che no! Guardi qui.» Tocco un punto a caso del corsetto, giocandosela con l’inesperienza dell’avventrice. «Questo tessuto. Così vecchio e così poco… elastico… io avevo detto al fattorino di consegnarmi della merce migliore, ma sa com’è di questi tempi. Con la crisi economica e tutto il resto!»

Silly Turnip la guardò smarrita. «Immagino di sì.»

«Perfetto! Quindi siamo d’accordo! Torni domani e rimedieremo insieme!»

«Ma veramente… »

«Sì, lo so, sono stata sgarbata. E mi dispiace immensamente. Ma quando verrà domani, farò di lei la pony più meravigliosamente bella di tutta Equestria, glielo assicuro! Ho già in mente come fare, sa?» Con il corno, le sfilò rapidamente l’abito di dosso e lo mise su un appendiabiti. Era orribilmente dilatato, oltre ogni limite esteticamente tollerabile, e scivolò subito dalla gruccia non appena la magia dell’unicorno smise di avvolgerlo.

«Dice sul serio? La pony più bella di Equestria?» Silly Turnip alzò lo sguardo in aria, e si perse in un sogno ad occhi aperti in cui era l’anima della festa e tutti gli invitati la guardavano ammaliati, mentre sfilava come una diva sul red carpet, con indosso l’abito cucito su “misura” da Rarity. «Devo dire che l’idea mi alletta!» Commentò appagata.

«Vedrà, le confezionerò l’abito più bello del mondo! Sarà qualcosa di mai visto prima!» L’unicorno si affrettò ad accompagnarla all’uscita, ansiosa di levarsela dagli zoccoli il prima possibile.

«Sa, stavo pensando» cominciò l’obesa pony «forse l’abito diverrebbe ancora più divino se ci aggiungessimo qualche baguette di cristallo, o anche meglio, degli strass di diamanti! Cosa ne pensa?»

“Strass di diamanti su… ? Oh Celestia perdonala!”. «Signora, ma lei è veramente una stilista nata! Dovrebbe aprirla LEI una boutique tutta sua!» La lusingò, dando fondo a tutte le sue abilità da attrice per nascondere il disgusto che a stento tratteneva.

«Signorina.» Insistette a precisare lei.

«Sì, “signorina”… ha ragione, oggi sono proprio sbadata!»

Parlando e riparlando, alla fine riuscì a metterla alla porta.

«Beh. Modestamente sono di nobili origini. Per metà sangue blu, con lontane discendenze tra i Reali. La nostra famiglia se ne intende di alta moda, sa?» si vantò Silly Turnip, in preda a un delirio da ego sfrenato.

«Oh, mi creda: le sue nobili discendenze le dimostra da un miglio di distanza! Ora però mi scusi, ma ho un ordine importante da terminare per le quattro, devo subito rimettermi a lavoro!»

La cliente aprì bocca, come per rispondere qualcos’altro, ma Rarity fu più svelta di lei. «Ripassi domani. Arrivederci e grazie!» E le chiuse la porta in faccia.

Si nascose dietro le tende che decoravano la finestra, immaginando che da un momento all’altro Silly Turnip si sarebbe affacciata al vetro per spiare l’interno, e restò lì per una trentina di secondi col solo trillo del cristallo a spezzare la monotonia del vuoto nella boutique. Si sporse appena appena, cercando di capire se l’antipatica grassona fosse ancora nei paraggi, ma non vide anima viva da nessuna parte. Si rasserenò, ma non volle correre rischi, e invece di lanciarsi al trotto verso l’altra stanza, col rischio di tradirsi e farsi scoprire, decise di strisciare quatta quatta a contatto col pavimento fino alla soglia.

Raggiunse una stanza con un grande specchio ovale, sotto il quale vi era un elegante banchetto in legno con un portagioie in oro a forma di scrigno, dal cui interno proveniva l’assillante richiamo del cristallo. Aprì il coperchio col corno, rivelandone il contenuto avvolto da una fodera di seta rossa. Il minerale, come eccitato dalla vista della luce che si rifletteva sulla sua superficie viola, saltellò sul posto con maggior foga. Il rumore che emetteva esplose con fervore, propagandosi per tutta la stanza e rimbalzando su tutte le pareti, assordando l’unicorno. Rarity si tappò d’istinto le orecchie, ma si rese subito conto che l’unica cosa sensata da fare era disattivare l’incantesimo.

Muovendosi più in fretta che poté, allontanò gli zoccoli da sé ed estese la zampa verso esso. Un tocco deciso e il silenzio tornò a regnare.

Soffermandosi dinanzi al cristallo, Rarity capì che doveva essere successo qualcosa di grave a Equestria. Quel richiamo era usato da Twilight per convocarle in caso di attacco Kaiju, ma era passato ancora troppo poco tempo dall’ultima manifestazione, perciò era mai possibile che fosse successo qualcos’altro?

Twilight non l’avrebbe mai usato a sproposito, questo era sicuro, ma allora perché attivarlo?

C’era un solo modo per scoprirlo.


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Contemporaneamente a Rarity, un altro genere di discussione stava scombussolano la tranquillità di una pacifica pony al limitare della Everfree Forest.

Era arrivato il momento, per molti animaletti, di rintanarsi nei loro nidi per dare il via al lungo sonno del letargo invernale.

Come sempre, la dolce e gentile Fluttershy aveva assistito le piccole creature nella costruzione delle tane e nell’allestimento di ogni rifugio, augurando buon letargo a ciascuno di loro prima che si avviassero al grande sonno.

La minaccia costante dei Kaiju e dei sismi, che lambivano le terre di Equestria con il loro carico di terrore e devastazione, avevano reso le vite delle innocenti creature del bosco difficili e irte di pericoli. Negli ultimi mesi, per la pegaso dal manto giallo era diventato un compito davvero complesso assicurarsi l’incolumità di ciascuno di loro, e durante l’anno precedente riuscire a convincerli ad andare a dormire durante l’inverno si era rivelato un’impresa quasi fuori portata perfino per lei. Come i pony, anche loro erano terrorizzati dalla prospettiva del ritorno dei giganti, ma proprio come i pony, anche per loro la schiacciante vittoria del terzo attacco aveva restituito ai piccoli cuoricini inquieti la speranza di un ritorno dell’armonia.

L’anno corrente il compito si era rivelato ben più semplice di quanto Fluttershy potesse sperare, e ora la maggior parte degli abitanti della foresta stavano già ronfando, protetti nel rassicurante torpore dei loro rifugi sotterranei. Solo uno di loro aveva contravvenuto alle regole e si rifiutava di andare in letargo. Era un porcospino di nome Stingy.

Fluttershy gli parlava con la sua vocina affabile e delicata, cercando di convincerlo a entrare nella sua buca. «Andiamo, Signor Stingy, lo sa che non può restare qui fuori durante l’inverno. Le prometto che quando si risveglierà, la sua collezione di foglie sarà ancora lì ad attenderla.» Accanto a loro, ricoperta da uno sottile patina di umidità gelata, una piramide alta un metro di foglie secche dai colori autunnali, che sembrava il risultato della pulizia di un giardino, rappresentava il motivo della discussione tra il pony e il testardo istrice.

L’ursone protestò con degli stridii, agitandosi sul posto e facendo chiaramente intendere che non era intenzionato ad abbandonare la sua pila di foglie al freddo dell’inverno e alle intemperie della neve.

«Ma deve andare a dormire. Altrimenti quando i suoi amici si sveglieranno in primavera, lei sarà troppo stanco per giocare con loro.»

Nella lingua dei porcospini, Stingy disse che non gli importava né del letargo né degli altri animali, e che voleva solamente restare sveglio a badare alle sue foglie. Niente e nessun altro.

«Nemmeno il Signor Dentino Castorino?» Chiese Fluttershy «Pensavo che voi due foste amici… »

Stingy, col suo linguaggio bestiale, rispose con un’imprecazione intraducibile, che scandalizzò la timida pony.

«Che modi sono questi?! Allora è stato lei ad insegnare a Dentino Castorino a dire quelle brutte parole?»

Imperterrito, Stingy continuò asserendo che non gli importava nemmeno di questo, e che non sarebbe andato in letargo per nessuna ragione al mondo, non senza le sue adorate foglie. Aggiunse poi un’offesa rivolta ai capelli di Fluttershy, e sul fatto che sarebbe dovuta andare in un certo posto, che la pony non fu sicura di capire, colpa dell’accento “messicano” dell’istrice.

«Ehi ma… » la soave pony si trovò di punto in bianco in bilico tra l’imbarazzo e l’indignazione «io cerco di essere gentile con te, e tu… »

Ancora, Stingy le rivolse una rumorosa pernacchia con la bocca, e iniziò a improvvisare un balletto denigratorio tappandosi le orecchie con le zampette anteriori, e dando segno di non avere alcuna intenzione di ascoltarla.

A quel punto la timida Fluttershy perse la pazienza. «Io… non voglio farlo, ma… non mi lasci altra scelta… » spalancò più che poté gli occhi e gli puntò contro il suo Sguardo accusatorio, l’arma definitiva contro ogni creatura, grande e piccola. Per quanto fosse sprizzante di ferrea determinazione, il porcospino non poté nulla contro quegli occhi di ghiaccio, e finì per ammansirsi all’istante, come pietrificato dallo sguardo gorgonico della pony. Si rannicchiò a terra, sottomesso.

«Molte bene. Vede che possiamo andare d’accordo, Signor Stingy?» Disse lei, tornata a impersonare il ruolo della dolce e amorevole amica degli animali. L’istrice, invece, si limitò ad annuire spaventato e sconfitto, accettando di entrare nella tana senza il suo tesoro.

«Su, non sia triste. Quando si sveglierà vedrà che troverà tante altre belle foglioline che potrà aggiungere alla sua collezione.» Aggiunse, in un goffo tentativo di consolarlo, ma finì per ottenere l’effetto contrario: resosi forse conto di cosa stava lasciando fuori dal nido, l’ursone schizzò subito all’esterno tuffandosi disperatamente nel cumulo del fogliame. Piagnucolò come un cucciolo e supplicò Fluttershy di lasciargliele portare almeno un po’ con sé nel nido.

«Oh santo cielo, no» scosse la testa «la sua tana è troppo piccola per entrambi, non ci entrerete mai insieme!»

Stingy si lamentò tra sé e sé con dei versi che Fluttershy non fu in grado di interpretare.

«Beh, io gliel’avevo detto di non esagerare con le scorte per l’inverno. Quest’anno ha messo su troppa pancia.»

Un commento che non sortì alcun genere di effetto.

La pony si rese conto di essere tornata al punto di partenza. Urgeva una soluzione drastica, e se l’istrice non era intenzionato ad abbandonare la sua bizzarra collezione fuori dal nido, occorreva un piano B con effetto immediato. «Se vuole posso…  portarle in casa con me.» Suggerì a bruciapelo, senza neanche curarsi di riflettere sulla ragionevolezza di una tale proposta. Ma contro ogni pronostico, si rivelò vincente.

Dieci minuti dopo, stava trascinando in casa il cumulo di foglie servendosi di un lenzuolo.

Il coniglietto Angel, unico tra i suoi animaletti a non essere andato in letargo, la guardò a bocca spalancata dall’alto del suo divano preferito, scuotendo la testa, incredulo.

«Non avevo scelta, Angel. Stingy il porcospino non voleva lasciare le sue foglie fuori dal nido, e per convincerlo gli ho promesso che me ne sarei presa cura io durante l’inverno.»

Angel, che indossava un buffo berrettino invernale di lana a forma di carota (arancione con una pallina verde scura sulla punta), manifestò la sua vergogna per la padroncina sfilandoselo di dosso e affondandovi la testa fino a sprofondarci dentro. Fluttershy non si curò della sua reazione e continuò a trascinare con la bocca il lenzuolo.

Decise di lasciare il cumulo di foglie in un angolo della stanza, vicino a una credenza in legno verde, ai piedi di una scaletta per piccoli roditori che s’innalzava lungo la parete e culminava in una piccola porticina sul muro.

«Ecco fatto!» Disse soddisfatta «così, quando l’inverno passerà e il Signor Stingy si sarà svegliato, troverà le sue foglie esattamente come le ha lasciate.»

Angel, che già di suo non parlava, decise di chiudersi in un silenzio sconcertato.

Un trillo improvviso proveniente dalla credenza colse entrambi di sorpresa.    «Ihh!» Fluttershy, presa dal panico, si tuffò d’istinto nel fogliame, finendo per sparpagliarlo per tutta la stanza e su ogni pezzo del mobilio.

Le ci vollero alcuni secondi per rendersi conto della vera natura del suono.

La testolina imbronciata di Angel spuntò da un mucchietto di foglie che avevano ricoperto il divano.

«Hehe, ops… » Fluttershy si scusò con una risatina nervosa, e aprì il cassetto dove sapeva di aver riposto il Cristallo del Richiamo rosa che Twilight le aveva donato.

Allungò la zampa con l’intenzione di disattivarlo, ma questi decise di farle un altro scherzetto; con un vigoroso balzo, saltò in su, atterrandole sugli zoccoli, come un piccolo animale che atterra in picchiata su una creatura dieci volte più grande di lui. La sorpresa fu troppo inaspettata per la delicata psiche della pony, che finì per urlare terrorizzata e lanciarlo all’indietro, impattandolo al suolo. Una piccola scheggia del cristallo si stacco dal resto del blocco, ma per lo meno si spense, calando una coltre di silenzio asfissiante nella stanza della Custode della Gentilezza.

Fu un momento di assoluto disorientamento, che Fluttershy cercò di scansare prendendola sul ridere, anche se non mancò di farle sorgere dei timori. La prima direzione verso cui andò il suo pensiero fu ai piccoli animali della foresta, che potevano essersi risvegliati sentendo il richiamo, ma la sua coscienza le ricordò che c’era una questione ben più importante da affrontare: quel cristallo non si era comportato in quel modo per caso. Se Twilight Sparkle aveva scelto di utilizzarlo, significava che un’altra emergenza, ben più grave, era attualmente in corso da qualche parte.

Deglutì nervosamente e si sentì le esili zampette tremare di fronte al pensiero che un nuovo attacco kaiju stesse per abbattersi sulle loro vite. Vite che con tanta forza di spirito stavano imparando a ricostruire.

Provò paura, non quella fulminante e a breve termine che coglie in un sussulto e svapora insieme all’adrenalina, ma l’incubo interiore che avanza a piccoli passi e prende possesso del corpo, agguanta il cuore e offusca la vista.  

Benché consapevole di dover rispondere all’appello, Fluttershy assaporò una dolcezza corrotta nella prospettiva di nascondersi nel suo personale rifugio invernale e attendere la fine della tempesta. Poi si prese del tempo per rifletterci, e sebbene lo desiderasse con tutto il suo cuore, dovette ammettere di non poterlo fare. Alle ragazze serviva il suo aiuto per garantire agli Elementi dell’Armonia sufficiente carica per abbattere il nemico, e per quanto il desiderio di farsi da parte la stesse tentando col suo invito vizioso, era consapevole di non potersi tirare indietro.

«Sono veramente dispiaciuta, Angel, ma le mie amiche hanno bisogno di me» cominciò «se hai fame, in cucina ci sono delle mele. Io torno presto.» Galoppò fuori casa incespicando nell’incertezza.

Accortosi che la sua padrona stava per abbandonarlo al disordine, il coniglietto le corse in contro, e cercò di trattenerla afferrandola per una zampa.

Fluttershy trovò quell’insistenza quasi invitante, pensando che se l’avesse usata come scusa, sarebbe stata sufficiente per giustificare la sua assenza all’alicorno. Ma no, decisamente non era una buona idea. «L-lo so… nemmeno io vorrei, ma… scusami.» Si scrollò delicatamente dalla sua presa e spiccò il volo. Qualunque cosa Angel le avrebbe detto al suo ritorno, se ne sarebbe occupata poi. Ora doveva andare. Twilight la stava aspettando.


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Non molto lontano da lì, al Giardino Dolcimele, la famiglia Apple era affaccendata con i doveri in vista della chiusura d’inverno.

I compiti se li erano suddivisi i due membri adulti della famiglia, con Big Macintosh che si era offerto di trainare i carri e le macchine agricole al fienile della fattoria, mentre la sorella Applejack puliva i recinti del bestiame e sistemava i nidi delle gallinelle al pollaio.

A lavoro finito, avendo guadagnato del tempo, decisero di sfruttare il vantaggio accumulato per riparare le ante in legno dalle finestre nella stalla dei maiali, le quali erano state danneggiate durante l’ultimo temporale.

«Hoo-wee!» Esultò Applejack al termine del lavoro, appoggiandosi sulla parete della stalla per riprendere fiato. «E anche questa è fatta! Non avrei mai creduto che finissimo così presto. Un nuovo record per gli Apple, eh Big Mac?»

Lo stallone dal manto rosso, col suo tipico atteggiamento da mezzadro bonario, confermò le sue parole: «Ehh-già!»

«Bene! Io vado a vedere cosa combinano Granny Smith e le ragazze» si avviò lungo il cortile «l’ultima volta che le ho lasciate stava ancora ripetendo loro la storia delle Zap Apples. Qualcosa mi dice che deve ancora finire!» Rise alla battuta.

«Ehm, Applejack… »

«Sì?» Voltandosi verso il fratello, si accorse che stava manifestando un’insolita aria spaesata.

«Ehh-io che faccio?» Le chiese lui, con un timbro disagiato nella voce.

La domanda, in effetti, era lecita. Era più unico che raro che si ritrovassero zoccoli in zoccolo con tutti gli impegni aziendali completati per tempo, senza che si fossero verificati ritardi o imprevisti di alcun genere, e la giornata era ancora giovane all’orizzonte. Un venticello fresco scosse i rami del frutteto e soffiò sul manto di Applejack, provocandole un brivido di freddo sulla criniera e giù lungo il garrese, suggerendole la risposta da dargli. «Beh, potresti andare in casa e riposarti.»

Big Mac la guardò con occhi spalancati, come se avesse appena udito parole formulate in una lingua sconosciuta. «”Riposarmi”?»

«Ma certo!» Sorrise lei «ti sdrai davanti al camino, chiedi a Granny Smith di prepararti uno di quelle sue deliziose tisane ai frutti di bosco e ti godi la giornata. Fidati è quello che ti ci vuole!» Se ne andò senza ascoltare la sua risposta, fiduciosa del fatto che avrebbe seguito il suo consiglio, ma si sbagliava. Completamente.

Big Mac non si mosse da lì. Era congelato nel tempo, inebetito e paralizzato da quella parola che la sua mente non era in grado di elaborare. “Riposare”. Non era nemmeno sicuro di conoscerne il significato, e non sarebbe stato in grado di muoversi fintanto che qualcuno non gli avesse dato uno zoccolo a sbloccarsi. Il vento soffiò dei granelli di polvere sul suo muso, poco dopo una foglia condotta dalla brezza si schiantò sul suo bulbo oculare sinistro, e lì sarebbe rimasta fino al ritorno di Applejack.

«Ehilà, Granny Smith?» La chiamò la pony una volta entrata in casa. Si aspettò di vederla seduta sulla sua sedia a dondolo preferita, con Apple Bloom e Babs Seed distese a terra, intente ad ascoltare con trasportato interesse l’emozionante storia della sua famiglia e della nascita di Ponyville. Quello che invece sentì alla soglia era un russare convinto e per nulla discreto. L’anziana pony, in effetti, si fece trovare al suo posto, con la testa piegata in avanti e un filo di bava che pendeva come gocce di miele schiumoso da un angolo della bocca. Stava dormendo della grossa e delle ragazze nessuna traccia.

«Granny, ehi? Svegliati!» La scosse sulla spalla, ma quella continuava a ronfare, fregandosene beatamente della nipote. «Dove sono finite Babs e Apple Bloom?»

Era inutile insistere, Granny Smith non si sarebbe mai svegliata dal suo sonnellino pomeridiano… non quando ce ne fosse stato veramente bisogno. Se voleva trovarle, avrebbe dovuto cercarle da sé.

Salì le scale fino alla stanza della sorellina, ma la trovò vuota, allora – pensò – l’unica alternativa era cercarle al club delle Cutie Mark Crusaders. Era l’unico altro posto in cui si sarebbero potuto rintanare col freddo di quella giornata.

Molto probabilmente erano state raggiunte anche da Scootaloo e Sweetie Belle, e tutte insieme si stavano cimentando in qualcuno dei loro bislacchi esperimenti per la conquista del simbolo di bellezza (quindi nulla di particolarmente preoccupante). Poiché per quella giornata aveva svolto tutti i suoi doveri al Giardino Dolcimele, decise di fare un salto da loro per vedere cosa stessero combinando.

Scese al pianterreno e notò ciò che non avrebbe mai voluto vedere: la dentiera di Granny Smith era a terra. Caduta probabilmente a causa delle sue percosse.

Per quanto l’idea la ripugnava, non poteva lasciarla lì, e mentre la raccoglieva con disgusto con la bocca e la appoggiava sul tavolino accanto, rimpianse come non mai di non avere una magia della levitazione da sfruttare per occasioni del genere.

Uscì di casa salutando la nonna, sebbene l’anziana continuasse imperturbata a oziare, e trottò lungo il cortile della fattoria fintanto che non s’imbatté nuovamente in Big Mac, vicino alla stalla dei maiali. A giudicare dalla posizione, sembrava non si fosse mosso di un solo millimetro dal punto in cui lo aveva lasciato poco prima. Una foglia secca gli danzava allegramente sul viso, mentre lui sembrava pietrificato in una posa statuaria.

Applejack gliela soffiò via dalla faccia e gli agitò lo zoccolo di fronte agli occhi per farlo reagire. Quando vide che fu tutto inutile, fece spallucce e proseguì lungo la sua strada. Se ne sarebbe occupata al ritorno, si disse.

Il club delle Cutie Mark Crusaders si trovava nel bel mezzo del meleto, ben visibile, nella stagione invernale degli alberi spogli, anche da una certa distanza.

Avvicinandosi sempre di più alla destinazione della sua meta, Applejack poteva udire distintamente il vociare allegro della sorellina e della cuginetta mentre discutevano con veemenza della prossima stramberia da sperimentare. E, a meno che le sue orecchie non la stessero traendo in inganno, anche la delicata e soave vocina della loro amica Sweetie Belle. Quindi era andata come se l’era immaginato: Granny Smith – come ogni anziano che si rispetti, molto chiacchierona – era caduta nel suo letargo comatoso mentre era impegnata a narrare delle vicende della sua gioventù, e le ragazze, rassegnate di non poter fare nulla per smuoverla, avevano deciso di trascorrere il resto del pomeriggio lì, nella loro club-house.

Giunta nei pressi della casetta sull’albero si trovò ad assistere a una scena che la lasciò senza fiato, e che poteva essere accostata, se proprio si voleva fare un paragone, a un rodeo selvaggio tra Apple Bloom e Babs Seed; la prima cercava di dominare la seconda con il suo esile corpicino, e la seconda dava prova della sua netta superiorità fisica cercando di scalciar via la prima da sopra la sua groppa. Sweetie Belle, invece, era ferma in un angolo dell’improvvisato ring e gridava frasi d’incitamento un po’ a una e un po’ all’altra combattente, a seconda di quale delle due si trovava in vantaggio sull’altra. Babs si liberò facilmente della presa della cuginetta, e la spinse via colpendola con tutti e quattro gli zoccoli contemporaneamente, facendola atterrare con un tonfo nelle vicinanze della sorella maggiore.

«Ehm… ciao Applejack.» Farfugliò la piccola puledrina, esibendo un sorriso innocente e angelico.

«Per tutti gli strudel di mele, si può sapere che cosa state combinando qui?!»

La piccola Sweetie Belle, calatasi un po’ nella parte dell’incitatrice, un po’ in quella dell’arbitro e un po’ della commentatrice, si prese l’incarico di rispondere per il gruppo. «Volevamo scoprire chi di noi era la più brava con il wrestling galoppante!»

«Wrestling galoppante?»

Apple Bloom si alzò da terra. «Già, e fino ad ora la più forte di noi si è rivelata Babs!»

Babs Seed sogghignò e si mise in posa trionfale, a occhi socchiusi ed esibendo i muscoli delle zampe anteriori.

«Non trovate che sia un po’… pericoloso, come metodo per trovare il vostro cutie mark?»

«Oh, ma noi non cerchiamo di ottenere il cutie mark del wrestling, Applejack!» Precisò Babs.

«Ah no? E per cosa allora?»

Le tre Cutie Mark Crusaders si scambiarono degli sguardi d’intesa, e in coro pronunciarono: «IL CUTIE MARK DELLE CACCIATRICI DI MOSTRI!»

Applejack non credette alle sue orecchie.

«Il “cutie mark delle cacciatrici di mostri” avete detto?!»

«Già, abbiamo pensato che, siccome siete soltanto in sei a combattere contro i Kaiju, forse… ecco, sì… forse possiamo aiutarvi anche noi!» Spiegò la sorellina di Rarity.

Le tre puledrine guardarono Applejack con sorrisi ottimisti e fiduciosi, come se pensassero sul serio di poter dare zoccolo forte alla resistenza contro i mostri.

La pony sospirò. «Apple Bloom, zuccherini. Apprezzo molto il vostro entusiasmo, ma… io spero che non diciate sul serio… insomma… combattere i Kaiju?»

«Certo che sì!» Prese parola Babs. «Hanno distrutto la mia città. Devono pagare!»

«Il fatto è che… » cercò d’indorar loro la pillola «voi non avete la minima idea di cosa significhi affrontare una di quelle creature. Non è un gioco, tantomeno per puledrine come voi!»

«Lo so questo, ma vedi… noi pensavamo che… »

«Niente “ma”, Apple Bloom. Non stiamo parlando solo della mia vita o di quella delle mie amiche, ma di tutti i pony che vivono nelle grandi città. Non posso aiutare Princess Celestia a ostacolare i Kaiju se nel frattempo devo badare anche a te e alle Cutie Mark Crusaders» si rivolse poi alla cuginetta «tu in particolare, Babs, dovresti sapere cosa significa avere a che fare con quei mostri. La tua famiglia è scampata al disastro per il rotto della cuffia.»

La puledra annuì dispiaciuta. «Sì, è vero…». Quando il primo attacco investì Manehattan, gli Apple avevano schivato per un soffio la carica del Kaiju, che attraversò la città non molto lontano dal loro quartiere. Malgrado fossero usciti tutti incolumi dall’attacco, non poterono fare a meno di assistere con i loro occhi alla devastazione che la creatura si era lasciata dietro.

Tra le vittime della catastrofe si erano registrati anche alcuni compagni di scuola della piccola. Puledrini che lei, per fortuna, non conosceva, sebbene questo non mitigasse la gravità dell’accaduto.

Subito dopo la sconfitta del Kaiju, gli Apple decisero di seguire l’esodo cittadino trovando rifugio a Ponyville, dove scelsero di rimanere anche quando, in tempi più recenti, molte famiglie decisero di far ritorno alle loro case.

Per la piccola, che si era ritrovata scossa e provata per gli avvenimenti, la vicinanza dell’adorata cugina Apple Bloom era stata una manna dal cielo che l’aiutò ad affrontare serenamente il trauma. Ma anche in lei i ricordi, come a tutti quelli che si erano trovati direttamente coinvolti nel primo attacco, erano ancora vividi e palpabili nella sua testa.

Applejack vide la delusione nei volti cupi delle puledrine, e si chiese se non fosse stata troppo dura con loro. «Comunque… quella mossa non era niente male.» Si complimentò con Babs, e il sorriso risorse nella piccola.

«Lo pensi davvero?»

«Puoi scommetterci la criniera!» Confermò facendole anche un occhiolino. Babs ricominciò a pavoneggiarsi gonfiando i muscoli delle zampe anteriori. Anche Apple Bloom e Sweetie Belle sembravano essersi dimenticate della strigliata. D’altronde – pensò Applejack – erano così abituate a incassare delusioni nella loro maldestra ricerca del rispettivo cutie mark, da aver sviluppato una forza d’animo davvero invidiabile rispetto ai loro giovani coetanei.

Stavano già organizzando la prossima sfida, quando solo allora Applejack si rese conto che qualcosa mancava. O per meglio dire… qualcuno.

«Ragazze, dov’è Scootaloo?»

Fu ancora Sweetie Belle a rispondere. «Oh. L’abbiamo mandata in missione di spionaggio!»

«Sì, da Rainbow Dash!» S’inserì Apple Bloom.

Applejack preferì non indagare oltre. «Ok… io me ne torno al Giardino Dolcimele. Voi però promettetemi che starete alla larga dai Kaiju!»

«Sì, d’accordo sorellona. Te lo promettiamo.» Giurò con poca convinzione e senza guardarla negli occhi.

«Apple Bloom… »

«Ti ho detto di sì! Non fare la noiosa!»

Applejack ansimò. Fece buon viso a cattivo gioco e si sforzò di darle il beneficio del dubbio. Si avviò lungo la strada di ritorno, quando un fragoroso richiamo – a lei familiare – proveniente dall’interno del club delle Cutie Mark Crusaders, la riportò sui suoi passi. «Che mi prenda un colpo! Ma questo è il suono del cristallo che mi ha dato Twilight! Che ci fa nella vostra casetta sull’albero?!»

«Ecco… noi pensavamo che potesse essere… insomma…»

Applejack non attese che la sorellina terminasse di spiegare. Galoppò lungo la rampa di gradini in legno della club-house e si affrettò a entrare per recuperarlo. Era stato collocato su un vecchio comodino accanto a una finestra, dalla quale la discreta scia luminosa del sole pomeridiano rispendeva illuminandone la limata superficie arancione. A forza di vibrare, il cristallo si era spostato lungo il piano d’appoggio, ed era quasi sul punto di cadere sul pavimento, quando la pony si tuffò nella sua direzione per toccarlo e sospenderne il trillo.

Le orecchie si erano messe a fischiarle per il troppo rumore, e di conseguenza non riuscì a sentire la sorellina mentre saliva la rampa per andare da lei. Apple Bloom la trovò immobile e pensierosa, intenta a fissare il quarzo arancio scuro, e si convinse, nella sua testa, di essere colpevole di un qualcosa che non aveva ben compreso. «Applejack?» La chiamò, ma non ottenne risposta. «Noi n-non pensavo che fosse importante… ho visto il cristallo e… e ho pensato potesse essere bello per il club, ecco… scusami Applejack.»

La udì sospirare, e questo la inquietò ancora di più.

«Non fa niente» la rassicurò, invece, la sorella maggiore «ma riportatelo a casa quando avrete finito.» Non era preoccupata del prestito senza permesso di Apple Bloom, ma delle ragioni che avessero spinto l’amica Twilight a contattarla tramite esso.

La puledrina si accigliò. «E tu dove andrai?»

«Scendo a Ponyville. Voglio vedere che sta succedendo laggiù.» Uscì ad ampi galoppi, mentre la sorellina e le sue amiche la guardavano senza comprendere, ma prima di andare si ricordò di una cosa. «Big Mac ha qualcosa che non va, non mi preoccuperei molto, ma dategli un’occhiata prima di rientrare. È vicino alle stalle dei maiali.»

Apple Bloom annuì, sebbene le si leggessero bene in faccia i dubbi che la annebbiavano.

«E mi raccomando, tornate a casa prima che faccia buio!» aggiunse premurosa Applejack.

Guardò la piccola fare un altro cenno silenzioso col capo e poi, con un atletico balzo, scese giù dalla passerella della club-house scattando impetuosa in direzione di Ponyville.


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Dall’altra parte del paese, da sopra il ceppo amputato di un grosso abete, che si ergeva dal terreno come un palco, e col sostegno di una folla multicolore di cuccioli in esaltazione, Rainbow Dash stava abbuffando il suo ego mai troppo sazio con i resoconti della loro ultima battaglia contro il terzo Kaiju, all’insegna dell’esagerazione e dell’autocompiacimento. «E infine eccolo lì, di fronte ai nostri occhi: grande, grosso. Aveva quattro braccia e un’immensa cresta da drago. Dalla sua bocca spruzzava bava acida, e il suo tanfo puzzolente si era propagato per tutta Las Pegasus… »

Dal gruppo dei puledrini si levò un ambiguo coro di lamenti disgustati ed esaltazioni compiaciute.

Dash continuò il racconto inscenando un teatrino d’imitazioni: «”Per tutti i fienili, che cosa facciamo?” chiese la mia amica Applejack…  “Iihh ho paura! Mettiamoci in salvo!” strillava Fluttershy… »

«E tu cos’hai fatto?» Chiese uno dei piccoli. Un pony di terra maschio dal manto giallo e la criniera dalle striature rosso-verdastre, il cui cutie mark erano due iniziali – AM – dal significato ignoto.

«Pff. Sono pronta a scommettere che lei era quella con più fifa di tutte!» A rispondere fu Diamond Tiara, imbucatasi con l’amica Silver Spoon al solo scopo di dar fede ai suoi doveri quotidiani di piantagrane.

Dash era pronta a respingere con convinzione le accuse della puledra, se non fosse che ad un tratto emerse dalla folla un’altra puledrina, Scootaloo. «Ritira subito quello che hai detto!» Urlò adirata la piccola, con una voglia matta di stampare un timbro a forma di ferro di cavallo sul volto dell’arcinemica.

Diamond Tiara, dal canto suo, non sembrò minimamente turbata dalla nuova comparsa, e anzi, pregustava già i suoi quindici minuti di gloria. «Oh, ma guarda chi c’è, “Schiaanta-loo”, cos’è, ti nascondevi per paura di esibire il tuo fianco-bianco?»

Dalla folla si levò uno strepitare di risate sprezzanti, ma Scootaloo non si fece schiacciare. Era in gioco il buon nome della sua idola, e nessuno – tanto meno quella smorfiosa di Tiara – poteva permettersi di metterlo in dubbio in sua presenza.  «Sarò anche un fianco-bianco, ma Rainbow dash è la pony più mitica di tutta Equestria, e tu non hai il diritto di prenderti gioco di lei in questo modo!»

«Ah no? Altrimenti che cosa mi farai, Schiaanta-loo?»

Dash decise d’intervenire, dopotutto era il suo show, non il loro. «Ehi, buone voi due, non c’è bisogno di scaldarsi. Se avete pazienza ora vi racconterò com’è andata!»

«Già, diglielo Dash!» Esultò la piccola fianco-bianco. «Dimostrale chi è la migliore!».

«Oh, Scootaloo cara, così mi farai arrossire!» Commentò finto-lusingata la pegaso arcobaleno.

Scootaloo si rivolse alla rivale. «Capito Tiara? Io la faccio arrossire!» Terminando con una linguaccia.

«Umph, come se me ne importasse qualcosa.» Ribatté, recitando molto malamente la parte della menefreghista.

Dash riprese a raccontare la sua versione della storia (in verità molto romanzata, e con un focus accentuato sulle sue EROICHE gesta, minimizzando, se non addirittura obliterando, i meriti delle amiche): in pratica, cominciò:


“Dopo aver ascoltato i piagnistei di Fluttershy, e avendo capito che nessuna delle sue amiche – nemmeno Twilight – sarebbe stata in grado di elaborare una strategia d’attacco efficace contro il Kaiju, Rainbow Dash si fece avanti con un suggerimento: sarebbe andata all’attacco del mostro al comando di una formazione di Guardie pegaso.

Insieme, lo avrebbero distratto dalle altre, mentre preparavano l’attacco con gli Elementi dell’Armonia.

«Era una follia, troppo rischioso!» Avrebbe detto Applejack. «Non funzionerà, ci serve il tuo Elemento!» Insisteva Twilight. Rarity e Fluttershy, poi, erano troppo concentrate una ad urlare e l’altra a paralizzarsi dalla paura, per dire la loro sul piano. E Pinkie Pie pensava solo a come fare una festa in onore del Kaiju, ignorante del pericolo che correva. «Invece no!» Avrebbe risposto Rainbow Dash. «Ho fiducia in voi. Ve la caverete!». Così, trovatesi con le spalle al muro e gli zoccoli che ticchettavano dal panico sul terreno, si decise di optare per la soluzione della pegaso arcobaleno.”


A quel punto del racconto, Rainbow Dash aveva completamente riconquistato l’attenzione di tutti i presenti, ma non contenta delle balle che aveva già propinato, decise di esasperare ancora di più la narrazione.


“Non fu difficile convincere Princess Celestia e le truppe militari a collaborare con lei, forte della sua fama e tostaggine”, disse.“E in men che non si dica si trovò al comando di un agguerrito esercito di pegasi bardati di metallo, che insieme a lei presero a calci il Kaiju mentre le altre Custodi preparavano l’attacco da terra.

Il primo colpo centrò il titano in pieno, ma incredibile a dirsi, Twilight aveva avuto ragione: la creatura era troppo forte per loro, e solo il grande potere dell’Elemento della Lealtà avrebbe conferito la forza per atterrarlo.”


Mentre parlava, i puledrini, prima fra tutti Scootaloo, pendevano dalle sue labbra come frutti maturi dai loro rami, bevendosi come verità assoluta ogni incoerenza che usciva dalla sua bocca.

Continuando il racconto, spiegò che:


Per vendetta, il mostro tirò una zampata al plotone degli aviatori, stendendoli tutti tranne lei. Dash, dunque, capì di dover far fronte a tutto il suo coraggio per affrontare di petto l’insidia all’orizzonte. Aveva schivato i successivi attacchi del Kaiju, per poi proiettarsi con un epico calcio volante contro il muso della creatura. Secondo il suo resoconto, l’impatto fece rimbalzare all’indietro la testa dell’essere, schizzando per aria una nuvola di vapori e fluidi corrosivi, che Dash evitò con delle abili piroette. Infine, gli si lanciò nuovamente addosso con una dirompente testata, che lo atterrò intontendolo per svariati secondi. Giusto il tempo per dare alla pegaso la possibilità di tornare dal suo gruppo “d’impotenti amiche”, per dargli tutte insieme il colpo di grazia.

«Oh Rainbow Dash, meno male che sei tornata! Abbiamo bisogno di te! Sei fondamentale per tutte noi!» Imitò la voce di Twilight.

«Lo so, lo so. La grande e potente Rainbow Dash è qui per salvare la giornata ancora una volta!»

E fu così che, con lei nel team, attivarono nuovamente gli Elementi dell’Armonia, riuscendo a salvare Equestria “ancora una volta”.”


“A.K. Yearling sarebbe fiera di me” pensò tra sé e sé al termine del racconto.

I piccoli cominciarono a esultare in massa, gareggiando a chi batteva più intensamente gli zoccoli a terra, in un tripudio di strilli e sbraiti come in un raduno di fan impazziti alla convention della loro eroina preferita. Qualcuno si dileguò nella fantasia, esprimendo frasi di circostanza come «da grande voglio fare anch’io come Rainbow Dash!», altri invece si cimentarono in un’improvvisazione della scena del combattimento tra lei e il Kaiju, fingendo di tirarsi testate a vicenda.

Scootaloo si alzò in volo, ronzando sulle sue piccole e fragili alucce, e si esibì con un’ovazione che ebbe il potere di prevaricare su tutte quelle dei piccoli scalmanati che la circondavano. «YUHUU! È STATO VERAMENTE… FANTASTICO! IO LO DICO SEMPRE CHE SEI LA NUMERO UNO, RAINBOW DASH!!»

«Lo so, lo so. Sono la più fica di tutto il regno, non posso farci niente.»

La pony si era eretta sulle zampe posteriori e aveva incrociato le braccia in una postura tronfia e maestosa. Sapersi accerchiata da tanti piccoli adulatori la fece sentire la giumenta più invincibile del globo. Se in quel momento un Kaiju avesse deciso di attaccare per davvero Ponyville, lo avrebbe affrontato senza battere ciglio, e avrebbe vinto, era convinta. Ma quando spalancò le palpebre socchiuse per gustarsi ancora una volta quell’assembramento di fan scalpitanti, notando più in alto tra la folla il candido rosa di una chioma a lei familiare, quasi perse l’equilibrio rendendosi conto di essere osservata (chissà da quanto, poi) dall’amica Fluttershy, corrugata in un’espressione che non capì se fosse triste, o preoccupata… o entrambe le cose.

«Fluttershy?!» Non si accorse nemmeno del gesto che compì, ma si passò uno zoccolo sulla policromata criniera. «C-che ci fai qui?» Balbettò imbarazzata.

Intorno a loro solo pochi puledri si erano tranquillizzati e avevano fatto caso alla nuova arrivata, i più invece seguitavano ancora nelle loro ovazioni esagitate.

La pegaso della gentilezza stava per dire qualcosa, ma qualcun altro pensò bene di cogliere quel momento per rimpossessarsi delle luci del palcoscenico. «Ehi, un momento!» Diamond Tiara aveva preso prepotentemente la parola. «Quello che hai detto non ha alcun senso, non è andata davvero così! Non c’è stato nessuno scontro diretto con il Kaiju; il mostro non si è nemmeno avvicinato alla città!»

I cuccioli si azzittirono all’istante, come se qualcuno avesse pigiato un pulsante magico per spegnerli tutti.

«Allora, come la metti adesso?» La sfidò Tiara, convinta di avere in zoccolo la situazione.

«C-come?» La lingua della povera pegaso multicolore inciampò su se stessa, e tutto quello che riuscì ad aggiungere, oltre a quella biascicata domanda, fu solo una catena continua di suoni incomprensibili. Sentirsi lo sguardo di tutti addosso, questa volta non le piacque. Ognuno di quegli occhietti, compresi quelli dell’amica, erano come aghi arrugginiti che le bucavano la pelle sotto il manto.

«Ehi!» Esclamò una voce nella folla. «Stai di nuovo dando della bugiarda a Rainbow Dash?!» Era Scootaloo.

«Mi sembra più che evidente che si sia inventata tutto solo per mettersi in bella mostra davanti a tutti!»

«Oh, certo! Perché tu quel giorno eri lì, eh?!»

«Io no» fece una pausa ad effetto «ma mio padre sì! Era in viaggio d’affari a Las Pegasus quando la città è stata attaccata, e ha visto tutta la scena con i suoi occhi! Poi, naturalmente, mi ha raccontato tutto quanto quando è tornato a casa. Quindi io SO che Rainbow Dash ha mentito!»

Un coro di “Ohh” sorpresi seguì la confessione. Scootaloo stessa non seppe come reagire di fronte a quella rivelazione, ma il suo cuore ricolmo di fiducia le sussurrò di non dar retta a quelle mistificazioni. Dash era il simbolo della Lealtà ad Equestria, non poteva aver mentito in un modo tanto meschino!

«Sai che c’è?» Tornò alla carica la piccola pegaso. «Credo che tu sia solo invidiosa.»

Tiara aggrottò un sopraciglio. «Io? Invidiosa di una contaballe bugiarda?»

«Sì!» Ruggì Scootaloo, mai così sicura di sé. «E posso dimostrarlo!» Puntò la zampetta verso Fluttershy, come un avvocato che annuncia l’entrata in scena di un testimone a sorpresa durante l’arringa finale del processo. «Lei può dirci com’è andata per davvero!»

Gli spettatori della disputa voltarono in perfetta sincronia il capo verso la nuova protagonista.

«I-io… ?»

Gli aghi appuntiti che bucherellavano il manto di Rainbow Dash si spostarono sulla timida pony chiamata a deporre. Mille occhi che la fissavano aspettandosi una reazione, come anni prima alla scuola di volo di Cloudsdale.

Il suo sguardo incontrò quello della pegaso arcobaleno. Vide le gocce di sudore gelido che le ungevano la fronte e le guance azzurre, le ali che fremevano, sovraeccitate dal panico.  

«Forza Fluttershy, dicci com’è andata.» La incoraggiò la sbruffoncella, con un ghigno oscuro che le imbruttiva l’apparenza della gioventù.

Dentro di lei si combatté una vera e propria guerra civile per decidere se darsela semplicemente a zampe levate o improvvisare una risposta fulminea per levarsi dai guai. Una sola cosa era sicura: non avrebbe mai tradito l’amica in quel modo, tantomeno in pubblico.

Inspirò una profonda boccata d’aria, che le infuse risolutezza, e rispose: «Rainbow Dash è stata sincera.»

«COOSAA?!?» Nitrì la puledra col diadema, tanto forte da strozzarsi. «No, non è vero!!»

«Oh, invece sì» sorrise «il Kaiju aveva quasi raggiunto la città quando noi eravamo arrivate. Se non fosse stato per il piano di Rainbow Dash, non saremo mai riuscite a tenerlo lontano abbastanza a lungo da sconfiggerlo.»

Che Princess Celestia ti benedica con la sua luce, Fluttershy”. «Già, ehm… certo! Che vi dicevo?» Mugugnò Dash, cercando di riprendere il controllo della situazione. L’enorme peso che sentiva sulla groppa, svanì nell’aria come il cadavere di un Kaiju sconfitto. Fluttershy le aveva retto il gioco con così tanta, incredibile naturalezza, da non tradire neppure la pur minima sfaccettatura di menzogna.

Chi non era soddisfatta della risposta era naturalmente la puledrina con la quale si stavano confrontando.

«Allora? Come la mettiamo adesso, Mrs.“Papà-ha-visto-tutto”?» La schernì Scootaloo.

Diamond Tiara si guardò intorno freneticamente, cercando qualcuno tra la folla, e vide che Silver Spoon si era allontanata da lei per unirsi agli altri puledrini. Capì in quel momento di essere rimasta da sola. «No, no, no, e poi no, non è andata così! Non datele retta, sta soltanto difendendo gli interessi della sua amica! Mio papà mi ha raccontato che… »

«Oh ma cambia disco, basta!» La interruppe Scootaloo, dandole il colpo di grazia. Nel gruppo si levò una risata generale, alla quale solo le due giumente (e Silver Spoon) non presero parte.

Con un tempismo perfetto, qualcuno cominciò a cantilenare «Invidiosa, invidiosa, invidiosa… », e come un incendio che divampa in una steppa di piante essiccate, in pochi secondi si trasformò  in un coro di voci al quale si unirono tutti.

Diamon Tiara, umiliata e sconfitta, si diede alla fuga senza mai voltarsi indietro. Silver Spoon, sentendosi forse in colpa, la seguì, supplicandola di aspettare.

I piccoli pony decisero di rompere l’assembramento e di avviarsi verso le loro rispettive abitazioni. L’ultima ad andarsene era stata, ovviamente, Scootaloo, che prima di prendere il largo aveva elargito a Rainbow Dash tutto il suo campionario di complimenti e lusinghe. La pegaso arcobaleno le aveva accolte con gioia, ma non senza rimorso per le menzogne raccontate. Per non parlare dell’umiliazione fatta subire alla piccola puledra che rispondeva al nome di Diamond Tiara (non che non se lo meritasse, a dire il vero).

Rimaste sole, Dash dovette fare i conti anche con lo sguardo dell’amica, che era rimasta con lei. «Fluttershy… io… » mormorò, tentando di spiegare.

«Oh non ti scusare.» Disse lei, mostrandosi comprensiva «So benissimo che ai tuoi piccoli ammiratori piace tanto ascoltare i racconti delle tue avventure… alla fine li ha soltanto fatti felici… non devi spiegarmi niente.» Terminò donandole il più raggiante dei suoi sorrisi.

«Già… eheh… » ridacchiò, ma nonostante le parole di conforto, era ancora combattuta con se stessa. Si guardò intorno, cercando una ragione per cambiare argomento. «V-volevi dirmi qualcosa?»

Fluttershy, come se si fosse appena ricordata di qualcosa d’importante, sobbalzò. «Oh santo cielo, il cristallo!»

Dash inarcò le sopracciglia. «Eh?»

«Devo scappare, scusami!» Distese le ali e spiccò il volo, lasciandola da sola e con un pugno di mosche nello zoccolo.

«Ma che… Fluttershy!» Rainbow Dash si lanciò all’inseguimento dell’amica. Stava volando verso Ponyville, ma qualunque fosse la sua meta finale, sembrava avesse una fretta del diavolo. Non fu affatto facile raggiungerla; quando ci si metteva per davvero, la dolce e timida pegaso della gentilezza sapeva dar sfoggio di una prestanza fisica impressionante.

«Rallenta un po’, vuoi spiegarmi che ti prende?»

«Io… » Fluttershy rallentò il volo e cominciò a risponderle parlando di fretta «stavo portando in casa le foglie del Signor Stingy per tenergliele d’occhio durante l’inverno. Perché sai, non voleva che qualcuno gliele rubasse. E ho ricevuto la chiamata dal Cristallo del Richiamo di Twilight!»

Rainbow Dash era più confusa di prima, e l’aria gelida che soffiava contro di loro a quella velocità non facilitava di certo la concentrazione. «Il Signor… Stingy?»

«Certo, Stingy il porcospino. Te ne avevo parlato, ricordi?»

Dash non se lo ricordava affatto,  ma non era quello il punto del discorso che voleva approfondire, e allora finse di annuire. «Ma aspetta, stavi parlando del cristallo… ?»

«Oh… sì. Ecco… stavo andando a Ponyville a controllare cosa stesse succedendo.  Poi sulla strada ho incontrato te che parlavi coi puledrini e mi sono distratta.»

Rainbow Dash provò ancora quella sensazione di colpevolezza che si propaga dal cuore e ti stringe allo stomaco, e non sentì la domanda che l’amica le stava rivolgendo qualche centinaio di metri dopo.

«Ehi… ehm… Dash?»

La pegaso arcobaleno scosse leggermente la testa e tornò a concentrarsi su di lei. «Sì, che c’è?»

«Oh, scusami… i-io non volevo distrarti…»

«No, no. Non fa niente. Dimmi.»

Stavano volando a una velocità più equilibrata, ma potevano già vedere, sotto di loro, i tetti di paglia delle prime casette. La loro meta era ormai vicina.

«Credi che i Kaiju… ehm… s-siano già tornati?» Chiese con voce tremolante.

«I Kaiju? Adesso?» Ruotò la testa.

«Sì… beh… Twilight dice sempre che stanno diventando più forti. È possibile c-che… abbiano deciso di attaccare prima?»

Dash non seppe come affrontarla. Era ancora troppo prematuro attendersi un loro ritorno dopo appena quattro mesi dal terzo attacco, ma di contro, tutte e due sapevano che Twilight non si sarebbe mai servita dei cristalli per delle inezie di poco conto.

Non sapendo come risponderle, si limitò a fare spallucce.

«Sai… stavo pensando che… è strano.»

Rainbow Dash la guardò, non capendo. «Cosa?»

«Che non abbia chiamato anche te. Cioè… voglio dire… il tuo cristallo non ha suonato?»

La pegaso arcobaleno volse lo sguardo altrove, cercando di evitare i suoi occhi interrogatori. «Eh-emh. Ad essere onesta… non lo so. Non lo porto mai con me quando vado in giro a fare, sai… pulizia del cielo… trasporto di nuvole… cose così.»

«Ah, sì… capisco.»

Ponyville si protendeva sotto di loro in un dedalo di stradine e viuzze. Non lontano da lì, sull’ampio piazzale di fronte all’albero cavo della biblioteca del paese, un piccolo gruppo di pony si era radunato in attesa del loro arrivo. Potevano già distinguere il rosa vivace di Pinkie Pie e il violetto magico di Twilight, oltre che l’elegante criniera della terza giumenta dal manto bianco, Rarity. Mancava all’appello Applejack, ma il fatto che le loro amiche fossero tutte lì, significava che il raduno era stato inoltrato a tutto il sestetto.

«Spero non sia successo nulla di grave… » disse Fluttershy, sempre più agitata man mano che la distanza dall’arrivo si riduceva sempre di più. Lo scoprire che Ponyville era ancora al suo posto non la aiutava di certo a stare meglio. Anzi, alimentava la suspense legata alla convocazione.

«Vorrà dire che lo scopriremo presto.» Dichiarò Dash, virando d’improvviso verso la direzione opposta.

«Ehi, aspetta… dove stai andando?»

«Faccio un salto a casa a controllare il mio cristallo. Vi raggiungerò subito!»

La timida pegaso emise un nitrito di sorpresa, ma tanto represso da sembrare più lo squittio di un piccolo roditore. Congedandosi da lei, Rainbow Dash volò più veloce che poté verso la sua casa sulle nuvole.

La raggiunse in meno di un minuto e subito dopo essere atterrata sul soffice pavimento di vapor acqueo, ancora prima di varcare la soglia, poté già udire distintamente l’acuto rumore del quarzo che oltrepassava facilmente le tenere pareti della casa e raggiungeva le sue orecchie col suo trillo insistente e risoluto.

Twilight aveva contattato anche lei, quindi.

Senza indugiare oltre sulla soglia, salì nella camera da letto, da dove il cristallo la stava reclamando.

La sua vetusta testuggine Tank era a terra, chiusa in se stessa dentro il carapace, probabilmente frastornata dal rimbombare del suono.

Il cristallo, cadendo sul pavimento di nuvole della stanza, aveva scavato una profonda infossatura nella quale stava sprofondando sempre di più man mano che vibrava.

Dash si domandò da quanto tempo stesse risonando, ma a giudicare dalla profondità del buco, calcolò che probabilmente dovevano essere trascorsi tra i trenta e i quaranta minuti dall’attivazione.

Lo pestò con una zoccolata dall’alto, e il quarzo rosso rubino smise di trasmettere la sua fastidiosa lagnanza, dopo di che le sue attenzioni furono tutte per Tank. «Tutto bene, piccoletto?» Gli chiese con voce tenera e rassicurante. La testolina della testuggine emerse dal guscio, scossa da goffi e lenti tremolii di paura, che ricordavano più il gesto dell’annuire mandato in loop, piuttosto che i brividi di un animale spaventato, ma si tranquillizzò subito una volta riconosciuti voce e volto della padroncina.

Dash strusciò teneramente la sua guancia contro quella del carapaceo rettile  (atto che di solito cercava di nascondere agli occhi delle amiche, col timore di essere presa in giro), dicendogli qualche frase di conforto per scusarsi dell’averlo lasciato da solo a patire quel trambusto. Prese poi da terra il cristallo, servendosi delle ali a mo di mano per raccoglierlo, e lo ripose sulla mensola dalla quale era caduto. Con le zampe anteriori, infine, scostò parte delle nuvole che costituivano il pavimento e ci tappò il buco che era stato scavato nel bel mezzo della stanza.

Ora che tutto era a posto, era arrivato il momento di tornare di corsa dalle sue amiche. Applejack avrebbe già dovuto trovarsi lì, ormai. Quindi mancava solo lei all’appello.

Si scusò ancora con Tank per l’increscioso incidente, promettendogli che non sarebbe più successo, e lo salutò con un bacio sulla fronte che lo fece arrossire.

Volò, quindi, fuori casa, in rotta per Ponyville.

Per qualche ragione, si sentì strana, mentre fendeva con le ali le correnti aeree del cielo. Come se una sensazione che non comprendeva appieno la stesse allertando di un avvenimento prossimo venturo, che stava per abbattersi sulle loro vite. I timori di Fluttershy erano forse fondati? I Kaiju stavano davvero per tornare?

Lo avrebbe scoperto una volta incontratasi con le altre Custodi alla biblioteca di Ponyville.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 3: In viaggio per l'Impero ***



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CAPITOLO 3: In viaggio per l’impero


«Eccola. Sta arrivando!» Annunciò Rarity al gruppo di amiche, che guardarono la sagoma della pegaso arcobaleno scendere di quota.

Rainbow Dash atterrò a pochi passi dalla biblioteca, sollevando una leggera coltre di polvere quando i suoi zoccoli toccarono il suolo. Tutte le altre, Pinkie Pie, Applejack, Fluttershy, ma anche Spike, erano già lì, aspettando solo lei.

Squadrò i volti alla ricerca di rivelazioni su quanto stava accadendo, e vide i riflessi dell’ansia che si rispecchiavano negli occhi dell’amica Twilight Sparkle. Si scusò per il ritardo, ma questo non aiutò ad alleggerire la coltre di tensione.

«Perché c’hai messo tanto?!» Le domandò l’amica alicorno, con una nota di rimprovero nel timbro della voce.

Rainbow Dash trovò la sua reazione inopportuna. In fondo – pensò – avevano atteso non più di una manciata di minuti prima del suo arrivo. «Ehi, ho quasi toccato la velocità Arco-boom venendo qua! Sono solo tornata a casa per spegnere il cristallo, ecco tutto.» Rispose auto-compiacendosi, aspettando di ricevere lodi per la sua impresa.

Twilight invece pestò la ghiaia con uno zoccolo, e le tuonò contro ancora più adirata. «Quante volte te l’ho detto che dovete portarlo sempre con voi, dovunque andiate, quante?!»

Sia il suo assistente drago che le altre pony trasalirono.

Dash si sentì come se fosse stata insultata. Lo fece capire voltandosi da un’altra parte. «Sì beh, è giusto. Ma non tutte passiamo la giornata chiuse in casa con la testa affondata sui libri! Qualcuno ha anche di meglio da fare!»

«Calmatevi voi due, forza! Non mi pare il momento di discutere, questo!» Era Applejack, intervenuta per sedare gli animi. L’ansia che Twilight manifestava era già abbastanza opprimente senza che Dash la facesse peggiorare ulteriormente.

«Sì, per l’appunto.» La seguì Rarity «Twi, cara, potresti spiegarci il perché della convocazione? È chiaro che non dev’essere qualcosa di piacevole. Te lo si legge in faccia!»

Attesero pazientemente la sua risposta. Per fortuna, l’intervento di Applejack era stato provvidenziale, e anche Rainbow Dash decise di mettere da parte il proprio orgoglio per il bene del gruppo. Twilight trasse un profondo respiro e si prese una pausa per fare mente locale sulla questione. «Avete ragione. Scusatemi.»

Le sue amiche si strinsero intorno a lei, comprensive.

Malgrado il nobile rango di Principessa, restava ancora la umile unicorno che avevano conosciuto anni prima. Non era cambiata neanche di un ciuffo di coda, e quando qualcosa la turbava nel profondo, loro se ne accorgevano subito.

«Ho ricevuto una lettera da Princess Celestia, circa un’ora fa» parlò lentamente, regolando il tono della voce «vuole che partiamo subito per l’Impero di Cristallo.» Guardò i loro volti mentre apprendevano la notizia.

Qualcuna volse la testa verso l’amica accanto. Qualcun’altra cercò di mostrarsi composta. Alcuni gemiti si levarono dal gruppo. Sebbene cercassero di apparire calme a loro volta, una convocazione così improvvisa per un regno tanto lontano non preannunciava nulla di buono.

«I… i Kaiju… s-sono già tornati?» Fluttershy era la più turbata di tutte, e il modo in cui pose la domanda rivelò tutta l’apprensione che stava provando.

«Non ancora, per fortuna.» Si affrettò a rassicurarla Twilight. L’alicorno spiegò più nel dettaglio la faccenda, riassumendo il contenuto della lettera per filo e per segno, partendo dal sigillo marziale usato dalla Principessa e proseguendo col contenuto del testo.

Mentre parlava, le cinque pony si lanciavano altre occhiate interrogative, cercando risposte nei loro sguardi cupi.

«Sì sanno già i nomi di questi ricercati?» Chiese Applejack, al termine del riassunto.

Twilight scosse la testa a occhi chiusi. «No. Celestia non ha scritto nulla a riguardo. Chiunque siano, lo scopriremo solo quando saremo lì.» Tacque, dando loro la possibilità di parlare, nel caso avessero voluto.

«Beh, per quanto mi riguarda, se qualcuno di loro tenterà di fare il furbo, assaggerà un antipasto del mio zoccolo destro» Rainbow Dash si sollevò da terra contemporaneamente al suo braccio destro «e come primo piatto, il sinistro!» Proseguì distendendo anche l’altro. I suoi zoccoli poi sbatterono l’uno sull’altro provocando un acuto CLOP.

«Che bello, che bello! E io porterò il dolce!!» Pinkie Pie saltellò su se stessa, con il ciuffo dei suoi ricci che dondolava come un amo da pesca davanti agli occhi. Al pensiero del dolce, una scia di bava le colò dall’angolo della bocca.

«Pinkie, stiamo andando a un incontro ufficiale con le Principesse, non a un pic-nic!» La rimproverò Twilight, tesa come la corda di un violino.

«Ehi, guarda che lo so benissimo che si tratta di una faccenda seria, per chi mi hai presa?» Puntualizzò la pony in rosa. In seguito, una lampadina le si accese in testa, e una scintilla brillò nelle pupille. «Oh… torno subito, aspettate!»

Svanì nel nulla, lasciandosi dietro solo una sagoma di polvere. Le presenti si scambiarono altri sguardi sgomenti. Spike fece spallucce.

Riapparve dal nulla qualche istante dopo, esattamente nello stesso punto. In bocca teneva un piccolo cesto di vimini che si aprì da solo quando lo fece cadere a terra. Dentro c’erano tramezzini al fieno e toast di frutta, avvolti nella tipica tovaglia a scacchi rosso-bianchi. «Ecco, ora sì che è un pic-nic!» Annunciò felice come una puledra.

Twilight sollevò gli occhi al cielo, sbuffando rassegnata. «È meglio sbrigarsi, ragazze. Abbiamo già perso troppo tempo. Vediamoci alla stazione tra mezz’ora, va bene?»

Tutte e cinque annuirono in gruppo, chi meno entusiasta – Fluttershy –  e chi maggiormente  – Pinkie Pie – (sebbene anche Rarity trovava la prospettiva di stare alla larga da Ponyville, e quindi da Silly Turnip, abbastanza allettante) poi il gruppo si divise, e ognuna si avviò per la propria strada.

«E io?» Il draghetto la fissava a zampe unite e supplichevoli, con gli occhi lucidi di un cucciolo sofferente.

«Tu rimani qui, te l’ho già detto.»

«Ma ti prego, Twilight! Io voglio venire! Portami con voi, ti pregooo!» La afferrò per una zampa e vi pianse sopra con finte lacrime d’agonia.

Lei cercò di scrollarselo con gentilezza. O per lo meno, in modo indolore. «Spike. Lasciami, per favore!»

«Fallo venire» propose Rarity tutto d’un tratto. «Il castello è gremito di guardie. Se dovessero subentrare complicazioni, non correrà alcun pericolo restando con loro.» Lo ammiccò con un occhiolino. Il messaggio tra le righe diceva: “in caso di problemi, mi prenderò io cura di te”.

Le sue guance arrossirono. «Oh Rarity. Sei sempre la pony più fantastica di tutta Equestria!»

Le teneva gli occhi puntati addosso. Se soltanto lo avesse voluto, Twilight avrebbe potuto approfittare della situazione per sgattaiolargli alle spalle e dirigersi in fretta e furia alla stazione. Ma abbandonò l’ipotesi subito dopo aver considerato che ciò non lo avrebbe dissuaso.

Non era d’accordo con l’amica. Neanche un po’. Ma andare contro ad entrambi avrebbe significato andare oltre il limite massimo di “antipatica” che era disposta a concedersi, perciò si costrinse ad annuire. «Uff. E va bene. Spike verrà con noi!» Abbassò lo sguardo severo su di lui «ma cerca di fare attenzione quando saremo lì!»

«Contaci.» Le rispose, con la voce distorta dai pensieri sulla sua musa dai capelli lavanda.

Le loro amiche, intanto, stavano già prendendo il largo: Rainbow Dash e Fluttershy stavano per sollevarsi in volo e dirigersi verso le loro abitazioni, Pinkie Pie se ne tornava all’Angolo Zuccherino saltellando come un trampolo sulle sue spensierate zampe, e Applejack stava già incamminandosi per il sentiero che l’avrebbe ricondotta alla fattoria.

Il sole in lontananza diramava i suoi raggi tra le nuvole dell’inverno. Tra qualche ora avrebbe cominciato a tramontare, e presto il regno notturno di Princess Luna avrebbe preso il posto di quello di Celestia.

I pacifici abitanti di Ponyville trotterellavano rilassati lungo le viuzze pavimentate, chiacchierando del più e del meno. Alcuni trasportavano carichi di merce in borse appese ai loro fianchi, altri invece si stavano solamente godendo il pomeriggio all’aria aperta, seduti sulle panchine, salutando cordialmente i passanti che gli galoppavano accanto.

Ammirando quel clima di serenità, accompagnato dalla brezza del vento che occasionalmente soffiava via pagliuzze di fieno dai tetti delle case, era difficile credere che fino a qualche mese prima Ponyville era stata travagliata dal terrore per i Kaiju. La festività imminente aveva decisamente riacceso gli spiriti sofferenti di Equestria e dei suoi puledri.

Tutto sembrava così perfetto e armonioso da risultare quasi irreale agli occhi di chi aveva vissuto il lato oscuro dell’ultimo anno, e come se una forza superiore avesse captato questo pensiero nel preciso momento in cui fu formulato, il vento smise di soffiare la sua brezza frizzante, piombando il paese in un improvviso e inquietante silenzio.

Per qualche secondo, tutta Ponyville si fermò, e nessuno parlò. Poi, quando il terreno cominciò a vibrare sotto i loro zoccoli, dapprima molto lievemente, solo Pinkie Pie se ne accorse per tempo. Il suo pinkie-sense impazzì, e la pony cominciò a tremare su se stessa, come in preda alle convulsioni, attirando l’attenzione di tutti.«Il t-t-t-t-t-t… » dopo una lunga serie di T, riuscì a completare la parola «terremoto!» E il sisma esplose con tutta la sua ferocia.

Le scosse si fecero progressivamente più violente e il terreno iniziò a rimbombare.

Un carro di fieno lì vicino dondolò imbizzarrito. Poco dopo, i tetti delle abitazioni cominciarono a sfaldarsi sui margini, scoprendo le strutture sottostanti di legno. Quando la magnitudo salì d’intensità, i vetri di alcune finestre esplosero, e tutta Ponyville sembrò diventare di gelatina.

Twilight sentì Rarity chiamarla per nome, spaventata. Le due amiche si strinsero l’una sull’altra, e Spike nel mezzo.

«Tenetevi forte!» Strepitò l’alicorno.

Applejack cercò di trottare verso di loro, ma dopo essere caduta per ben due volte col muso sulla ghiaia, decise di arrendersi. I pony delle abitazioni nelle vicinanze uscirono dalle loro case e si riunirono negli spazi aperti, il più lontano possibile dagli edifici, mentre chiunque era dotato di ali per spiccare il volo, si unì al gruppo di Rainbow Dash e Fluttershy, che guardavano la scena dall’alto, impotenti. Anche Twilight avrebbe potuto farlo, ma questo avrebbe significato abbandonare a terra Spike e le altre.

Le venne un’idea, e pensò di concentrare la levitazione su di loro. Subito, un’aura di luce incantata li ricopri dalla testa alla coda.

«Ehi, ma che… » Applejack fu issata prima di concludere la domanda, e così anche gli altri. Twilight sbatté le ali, sforzandosi di alzarsi di quota mentre manteneva la concentrazione sull’incantesimo.

Levitarono insieme, smettendo di dibattersi subito dopo aver capito le intenzioni della giovane Principessa. “Per grazia di Celestia” pensò. In caso contrario, la magia avrebbe potuto cederle in qualunque momento facendoli cadere.

Guardando la violenza con la quale le case di Ponyville venivano scosse, sembrava quasi che qualcosa stesse attraversando il sottosuolo di Equestria, muovendosi da Sud verso Nord, e Twilight provò un nodo allo stomaco, augurandosi che non fosse così. Quella giornata non avrebbe potuto concludersi in un modo peggiore.

Il tutto durò per non più di un minuto, ma le lancette dell’orologio scandirono un tempo che sembrò indugiare a lungo. Ogni secondo era un’onda d’urto, ogni scatto un vaso di fiori rovesciato. E poi, d’improvviso, come se il terremoto ne avesse avuta abbastanza dell’agitazione dei pony, si ridusse fino a fermarsi del tutto, restituendo al paese il tacito silenzio della quiete dopo la tempesta.

Twilight Sparkle riportò i suoi compagni a terra, e dopo un breve attimo di smarrimento, anche il resto della gente cominciò a riacquistare padronanza di sé.

Ci fu un tempo, a Ponyville, in cui sarebbe dilagato il panico per un avvenimento del genere. Ma nella nuova Equestria post-Kaiju, convivere con i terremoti stava diventando un’impietosa routine, con cui ogni pony si stava pian piano abituando a convivere. E le scosse sarebbero diventate presto più frequenti, se i timori della Principessa dell’Armonia si fossero concretizzati.

«Pinkie, puoi smetterla ora. Il terremoto è finito.»

Pinkie Pie era tutto un fremito quando i suoi zoccoli furono riportati a livello del suolo, ma si fermò al comando di Rainbow Dash.

«Oh già, che scema! Non me n’ero accorta!» Come se niente fosse, tornò gaia in un baleno. La sua allegria non sarebbe stata intaccata nemmeno dalla più grave delle calamità.

«Accidenti, questo era davvero forte.» Mormorò Fluttershy, prima di essere colta da uno spasmo «Oh Celestia, gli animaletti! Devo andare a vedere se stanno bene!»

«Vai pure, noi ti aspettiamo alla stazione.» Le rispose Twilight, assertiva.

La pony della gentilezza schizzò via come un razzo.

«Ragazze, voi state bene?»

Applejack si sistemò il suo cappello da cowgirl, che le era scivolato sul viso quando la levitazione l’aveva adagiata a terra. «Sì, grazie a te, ma non sono sicura di poter parlare a nome di Ponyville.»

Era vero. Guardandosi intorno videro il caos che quel sisma si era lasciato alle spalle: oltre ai tetti delle case, denudati dal loro rivestimento, e le finestre esplose in migliaia di pezzi, anche le innocenti decorazioni della Festa del Focolare avevano pagato il conto della calamità. Uno striscione, che fino a qualche minuto prima attraversava una via appeso su due edifici, ora pendeva solo dall’estremità sinistra, come una bandiera afflosciata in una giornata senza vento.

Gli abitanti di Ponyville – quelli che giravano intorno alla piazza – erano frastornati e cercavano di riprendersi dallo spavento, ma a parte questo, non parevano esserci feriti. Una buona notizia in una giornata che stava prendendo una piega veramente sbagliata.

E Twilight che sperava di trascorrerla leggendo a letto…

Dopo quel primo momento di confusione, lei e le amiche tornarono al loro programma iniziale, e si separarono. Ora come non mai c’erano delle questioni in sospeso che dovevano verificare prima di partire. Il Giardino Dolci Mele aveva subito dei danni? La Carousel Boutique era intatta? I piccoli Cake si erano svegliati? Ciascuna aveva le sue priorità, e quella di Twilight era d’incontrare il Sindaco per constatare l’entità dei danni.

Dash era l’unica a non avere delle urgenze a casa propria, perciò si offrì di accompagnarla.


Si ritrovarono tutte insieme mezz’ora dopo alla stazione dei treni.

Per fortuna, a parte lo sgomento, niente di grave era accaduto alle loro famiglie. Applejack raccontò che alla fattoria il terremoto fu percepito appena, e a parte qualche pasticcino alle fragole rovesciato, l’Angolo Zuccherino aveva resistito al trauma; i piccoli Cake si erano svegliati in lacrime, ma niente che non si potesse risolvere con una buona ninna nanna.

Twilight ricevette notizie altrettanto confortanti sia dal Sindaco che da Rarity, appurando che il grosso del sisma aveva coinvolto solo il lato Ovest di Ponyville. Per quanto riguardava Fluttershy, invece, dovette faticare un poco a convincere alcuni animali (tra cui un antipatico istrice) a tornare nelle proprie tane. Ma considerata la circostanza, sarebbe potuta andare decisamente peggio.

Per lo meno, ora non c’era più niente che le trattenesse dal partire.

Sul binario di partenza per l’Impero, una locomotiva con una fila di cinque vagoni passeggeri attaccati attendeva, apparentemente, il prossimo gruppo di pendolari. Malgrado ciò, la stazione, di solito gremita di passeggeri che andavano e tornavano dai loro viaggi, era completamente deserta, salvo per una pagina di giornale che slittava sulla banchina, sospinta dall’aria.

Si guardarono intorno, leggermente imbarazzate.

«Ehm… beh, sembra un po’… »

«Desolata?» Completò Rainbow Dash la frase di Applejack.

«Ehhgià… »

«Dove sono finiti tutti?» Cinguettò timidamente Fluttershy .

«Forse sono andati a fare una festa!»

«Una festa dopo un terremoto, Pinkie?» La beccò Rarity.

«Ma certo! Sei mai stata a una Festa del Terremoto? Sono le più divertenti di tutta Equestria, in assoluto! Ehi Spike, ti ricordi quella di due mesi fa?»

«Quella con le torte-scherzo esplosive? Sì!! Come dimenticarmela!»

Rarity socchiuse gli occhi, basita. «Non parlate sul serio, vero?»

«Oh sì, avresti dovuto esserci!» Esultò il drago «C’era tanto di quell’esplosivo incantato che tutta la casa ha tremato! Sono esplose perfino le finestre! Tutti gli ospiti erano imbrattati di crema pasticcera e panna!!»

«Ed ecco perché si chiama Festa del Terremoto. Capito?» Pinkie Pie si allungò sul volto dell’unicorno, puntando su di lei il suo enorme ed inquietante testone. «Perché poi...la casa… TREEMA…» i loro occhi quasi poterono toccarsi, quanto erano vicini.

«Okay, eheh… » ridacchiò nervosamente Rarity, cercando di “divincolarsi” dallo sguardo invadente della pony in rosa.

Nel frattempo Twilight si era avvicinata allo sportello della biglietteria, attratta dalla serranda in ferro abbassata. La postazione dell’addetto era vuota, a parte una busta di cibo da fast food che sembrava abbandonata da poco. Le luci erano spente, confermando oltre ogni dubbio che non vi era più nessuno a servire i passeggeri. Invece, notò appeso sul lato sinistro un avviso che richiamò la sua attenzione. Il testo era breve, ma il contenuto conciso e categorico «Ehi, ragazze. Venite a vedere qua!» Le chiamò dopo avergli dato una rapida letta.

«Che succede, cara?» Chiese Rarity, ma le bastò avvicinarsi per avere la risposta alla sua domanda:


“AVVISO AI SIGNORI PASSEGGERI

Si comunica che in seguito all’attività sismica rilevata oggi pomeriggio, e in previsione di possibili altre scosse d’assestamento, la Direzione ha stabilito la cancellazione di tutte le corse in arrivo e in partenza da Ponyville previste per oggi.

Si comunica altresì che le corse previste per domani non subiranno variazioni di rilievo.

La Direzione si scusa per il disagio”


«Oww!» Le ragazze si abbandonarono a un coro affranto.

La loro fortuna si era appena esaurita.

«Questa proprio non ci voleva! E ora cosa facciamo?!» Per qualche ragione, Twilight guardò verso Spike, quasi come se si aspettasse una risposta da lui. Ma il drago non era di alcun aiuto. E nemmeno lei, ammise con se stessa.

«Beh… potremo… ehm… aspettare domani?» Provò a suggerire Fluttershy, ma si pentì subito dell’averlo fatto: fu bruciata dallo sguardo incendiario di Princess Twilight Sparkle, ben poco regale, ma molto “scintillante”, che la punì per la sua blasfemia.   

Si acquattò a terra, cercando di nascondersi tra i peli della sua criniera. «Oh caspiterina… no, no! Non intendevo dire…»

«La Principessa ci vuole all’Impero ORA! Non tra un mese! Non tra una settimana! E di certo non DOMANI!»

«L-lo s-so… s-s-scusa… » “Voglio tornare a casa!” Piagnucolò la timida pony.

«Ad ogni modo l’Impero di Cristallo è dall’altra parte di Equestria» disse Rarity «treni permettendo, non saremo comunque arrivate prima del mezzogiorno di domani.» La vana speranza di riuscire a sfuggire ai rotoli di ciccia di Silly Turnip si sgretolò come un castello di sabbia travolto da un terremoto.

«Hai ragione» sospirò l’alicorno «però dobbiamo trovare un modo. Non possiamo stare qui zoccoli in zoccolo ad aspettare che riaprano!»

«Hmm… beh» cominciò Rainbow Dash, colta da un’improvvisa illuminazione «possiamo farcela in volo fino alla città più vicina, e magari vedere se lì troviamo qualche linea ancora attiva!» Avvertì un tremito d’esaltazione al pensiero che, probabilmente, aveva appena suggerito l’idea vincente al gruppo, un po’ come doveva sentirsi la sua eroina Daring Do ogni volta che metteva gli zoccoli su qualche artefatto antico sottratto al suo storico nemico Ahuizotl.

Gli sguardi stizziti che ottenne come risposta da Rarity, Applejack e Pinkie Pie, però, le fecero rivalutare le sue convinzioni. «Ah, già… ».

Doveva trovare qualcos’altro. Qualcosa, possibilmente, che non implicasse l’uso delle ali.

Guardandosi intorno, l’attenzione ricadde sulla locomotiva parcheggiata sul binario. «E se prendessimo quella?» Indicò con uno zoccolo.

Le giumente la studiarono scettiche.

«L’avviso dice che è… ferma, se non mi sbaglio.» Fece notare Applejack, sminuendo la proposta della pegaso.

«Come se non lo sapessi. Genio! Intendo dire: prenderla noi!»

Seguì una reazione di sdegno generale.

«Hai del succo fermentato in testa?!» Riprese la cowgirl. «Come pensi che faremo ad arrivare all’Impero se non sappiamo neanche metterla in moto?!»

«Già! Senza contare che non sappiamo nemmeno su quali binari deviare per arrivarci! Le stazioni che dovremo attraversare, i blocchi che potremmo trov… »

«Ohh e va bene, va bene!» Scattò Dash, interrompendo la lista d’inconvenienti che Twilight stava elencando. «Trovatevela voi la soluzione, allora. Visto che siete così brave a dirmi perché le mie idee NON funzionano!»

«Ehi, voi. Che state combinando qui?»

La voce maschile di un pony di mezz’età la fece sussultare e cadere a terra, sbattendo il fondoschiena sulle assi del pavimento.

Nessuna di loro, Spike compreso, aveva fatto caso a quello sportello in fondo al vagone di coda dal quale l’individuo era sbucato.

Lo stallone dal manto azzurro che ne venne fuori aveva due folti baffi scuri che si piegavano ai lati delle sue guance come un ferro di cavallo e si univano alle lunghe basette che gli scendevano dalla criniera. Indossava una divisa blu scuro da conducente con camicia bianca e cravatta rossa, ma senza cappello, e portava un paio di piccoli occhiali da vista con montatura rotonda, che stavano incredibilmente in equilibrio sul suo muso curvato all’ingiù.

Lo riconobbero subito come il conducente dei treni che si occupava di tutte le corse in partenza da Ponyville.

«Allora, ragazze? Mi spiegate che cos’è tutto questo trambusto?» Insistette lui, avvicinandosi di qualche passo e sistemandosi gli occhiali con uno zoccolo. Dal tono della sua voce e dalle pesanti borse che pendevano dai suoi occhi, sembrava essersi appena svegliato da un profondo sonnellino. Probabilmente – ipotizzò Twilight – dovevano averlo svegliato con le loro grida. Si domandò anche se questo sarebbe potuto essere un vantaggio o un ulteriore ostacolo alla loro causa, ma data la penuria di opzioni, doveva fare un tentativo. «Ci scusi tanto se l’abbiamo disturbata, signore» Disse, dando fondo a tutta la sua diplomazia «il fatto è che abbiamo ricevuto una convocazione urgente per l’Impero di Cristallo, e abbiamo assoluto bisogno di un passaggio fino alla stazione.»

«Già, un passaggio assolutissimo!» Rimarcò Pinkie Pie senza che le fosse stato chiesto d’intervenire. «Un assolutissimamente assolutissimo passaggio assolut… » prima di concludere, Applejack le aveva già piantato uno zoccolo in bocca.

Il conducente trottò a marcia stanca verso di loro, strofinandosi la faccia col dorso della zampa per svegliarsi. «Non avete letto l’avviso?» Disse sgarbatamente. «Non si fanno corse oggi.»

Studiandole più attentamente, lo stallone contemplò l’alicorno viola che aveva di fronte, e subito dopo le altre pony dietro di lei. Ci mise qualche secondo a inquadrarle, ma quando riconobbe Twilight Sparkle, la pony un tempo pupilla di Celestia e ora Principessa dell’Armonia, che con le sue amiche era stata anche protagonista della difesa delle città contro i recenti attacchi Kaiju, il suo atteggiamento divenne di colpo più disponibile ed educato. «Oh… ! Mi perdoni, Princess Twilight. N-non vi avevo riconosciute sul momento!»

Twilight esibì un ampio sorriso vittorioso. «Non si preoccupi.» Disse accomodante. “È fatta”.

«Però, vede… »

“Oh-ho… “, aveva parlato troppo presto.

Il conducente strofinò uno zoccolo sulla criniera carbone, in un gesto che voleva esprimere imbarazzo. «Mia Signora, il fatto è che siamo in stato “d’allerta sisma”, e finché non ci comunicano il contrario, non possiamo assolutamente permetterci di trasportare passeggeri lungo la ferrovia. C’è un forte rischio di deragliamento se dovesse verificarsi un altro terremoto!».

«Oh… » lo guardò gemendo delusa «non può fare un’eccezione? Proprio nessuna? La prego, è importante!»

Gli occhi dello stallone piroettavano nervosamente da un estremo all’altro del viso, in cerca di una soluzione. Non doveva essere facile per lui dire di no a una Principessa. Ma malgrado ciò, scosse comunque la testa. «Mi dispiace, ma anche volendo, il fuochista è appena rientrato a casa, e senza qualcuno che alimenti la caldaia, temo sia impossibile condurre la locomotiva fin lassù. Dovrete trovare un altro modo.»

Twilight insistette, facendogli notare che sarebbe bastata una qualunque di loro a prendere il posto del fuochista per trovare una soluzione al problema. Tuttavia rimaneva ancora aperta la questione dell’allarme sismico, sulla quale lo stallone era intransigente.

La scena era seguita in disparte dalle altre. Tutte si chiedevano cos’altro fare se la ferrovia sarebbe rimasta impraticabile.

Rarity vide l’immagine di se stessa discutere animatamente con la giumenta dalla quale aveva cercato di sfuggire, e rabbrividì all’idea. Era questo il destino che l’avrebbe attesa il giorno dopo, se soltanto non avessero trovato un modo per partire da Ponyville ORA. Non poteva lasciare che accadesse.

«Lasciate fare a me, ragazze.» Disse con un ghigno sicuro.

«Dove vai?» Chiese Spike.

«Ora vedrete.»

L’unicorno trottò a testa alta verso i due pony che stavano discutendo e si avvicinò all’orecchio di Twilight, sussurrandole: «me ne occupo io, se non ti spiace.»

Twilight la guardò senza capire, gemendo. Rarity le fece gesto di tornare dalle altre.

«Le dispiacerebbe seguirmi?» Domandò poi al conducente, che a muso non sembrava entusiasta di tutta quell’ostinazione.

Vedendoli allontanarsi insieme verso l’estremità opposta della banchina, lontani dalla loro attenzione, Spike sentì il proprio stomaco contrarsi in un crampo di gelosia. “Che vuoi fare?” si chiese tra sé e sé, ma non era l’unico a domandarselo.

«Allora… » cominciò Rarity, dopo essersi assicurata di essere abbastanza lontana «è così lei è il conducente di questa locomotiva. Giusto?»

Lo stallone in divisa strizzò gli occhi e fece uno strano movimento con i baffi. «Signorina. Lei viene qui in stazione da quando era una puledrina alta così» sollevò in aria la zampa approssimando l’altezza «davvero non si ricorda di me, o sta soltanto facendo finta?»

Uno a zero per lui, dovette ammettere Rarity. La carta dell’approccio gnorri non funzionava.

«Oh beh, sa com’è? Con tutti gli incarichi che svolgiamo per conto di Princess Celestia; missioni, ricevimenti, viaggi… combattimenti. A volte a una signora può capitare di distrarsi.» Sbatté un paio di volte le ciglia, in maniera accattivante.

«Davvero?» Domandò lui, ma in tono sarcastico.

«Oh tesoro, certo che sì! Neanche lo immagina quanto a volte possa essere faticoso per un’umile – seppur molto elegante – pony stilista di paese star dietro a tanti impegni!»

«Senta, signorina Rarity, non capisco dove vuole arrivare.» Tagliò corto.

«Vede, il fatto è che le cose si sono notevolmente complicate con l’arrivo dei Kaiju, e le Principesse hanno bisogno di noi ora più che mai per far fronte a tutti quegli impegni, grandi o piccoli, che Equestria richiede notte e giorno. Lei ritiene che sia saggio rischiare di farle irritare solo per far fede alla propria divisa?»

Lo stallone abbassò lo sguardo solo per un momento, prima di ribattere con decisione. «Gli ordini arrivano dall’agenzia per i trasporti, che ha sede a Canterlot. Io qui mi limito solo a eseguire le disposizioni del bollettino. Se le Principesse decidessero che dovrà cadere qualche testa, non sarà certo la mia a doversene preoccupare.» Voltò le zampe e fece per andarsene.

«Aspetti!» Lo fermò Rarity. «Vede, il fatto è che noi abbiamo VERAMENTE l’urgenza di arrivare all’Impero di Cristallo il prima possibile… » disse, cercando di mettere quanta più enfasi possibile nella parola “veramente”. «E non possiamo davvero, mi creda, rischiare di tardare!»

«Questo l’avete già ripetuto dieci volte. Ma come vi ho già detto… »

«E se lei ci aiuterà a compiere questo viaggio» lo interruppe l’unicorno dal manto bianco «magari potremmo metterci d’accordo in qualche modo… »

Il pony di mezz’età la scrutò con fare curioso. «Che genere di accordo?»

«Chissà» disse furbescamente.


Le ragazze erano ferme nel loro angolino ad aspettare. Non potevano fare altro.

Twilight scrutava con ansia la trattativa dell’amica, invocando preghiere a Star Swirl il Barbuto affinché tornasse da loro con delle buone notizie. Applejack camminava avanti e indietro lanciando sguardi di rimprovero a Rainbow Dash, che si era appisolata svogliatamente su una panchina. E mentre Fluttershy si limitava semplicemente ad attendere con un broncio malinconico l’evolversi della giornata, Pinkie Pie faceva lo stesso esibendo un irrazionale sorriso al mondo e alle sue meraviglie. A parte l’alicorno, l’unico ad aver avuto una valida ragione per inquietarsi era Spike, che nel corso degli ultimi minuti aveva osservato la sua amata unicorno fare sfoggio di atteggiamenti di cui non aveva compreso le ragioni, in nome di un qualche piano che fino a quel momento non stava dando i suoi frutti.

Stava perfino cominciando a covare dell’odio verso il pony conducente, che non si era fatto scrupoli a negare loro l’aiuto, sebbene non solo lui, ma tutta Equestria doveva a loro la propria salvezza.

Dopo una lunga trattativa, Rarity fece finalmente ritorno da loro, saltellando trionfalmente, alla maniera di Pinkie Pie.

Dunque l’aveva convinto? Che cosa gli aveva promesso? A quale ignobile richiesta aveva ceduto la sua Rarity per convincerlo a condurli in quel viaggio per il Nord?

«Ragazze e Spikey Wikey, Madame Rarity è orgogliosa d’informarvi che abbiamo i biglietti per l’Impero di Cristallo!»

Mentre comunicava la notizia, Applejack svegliò la pegaso arcobaleno con una gomitata.

«Dici davvero?!» Chiese Twilight incredula ed elettrizzata.

«Puoi giurarci le ali!» Garantì l’unicorno.

Rainbow Dash si lasciò sfuggire una battuta aspra. Qualcosa del tipo: «beh, era ora! Ce ne hai messo di tempo!», col risultato di ricevere una zoccolata dalla cowgirl. Partì tra le due una discussione, che passò in secondo piano se messa in confronto al grido di gioia che eruttò dalla bocca di Pinkie Pie, e che la pony in rosa recitò come una cantilena «Ohh ma che bello, che bello. Andiamo al Castello! Ohh ma che bello, che bello. Col nostro cestello!». E il cesto da pic-nic era già appeso alla sua coda.

Lo «yay» che esclamò Fluttershy, invece, fu talmente flebile che probabilmente nemmeno lei stessa lo sentì.

«Rarity, Rarity!» Spike le si aggrappò alla zampa come un cucciolo spaventato che aveva appena ritrovato la mamma. «Che gli hai promesso a quello zotico?! Che devi fare per sdebitarti?!»

«Già, infatti. Un attimo fa stava per andarsene. Come l’hai convinto?» Ripeté l’alicorno.

«Oh, tesori. Non c’è alcuna ragione di agitarsi» disse con tono rassicurante, ma anche malevolo, a tratti «diciamo solo che gli ho fatto un’offerta che non poteva rifiutare.» Scrutandolo con la coda dell’occhio, lo vide accanto al quarto vagone, impegnato a lustrare con la manica dell’uniforme, e avido impegno, l’enorme rubino che gli aveva ceduto in cambio del trasporto.

Abbassando lo sguardo, vide gli occhietti sperduti del drago, che si prodigava sempre tanto per farle capire quanto teneva a lei.

L’unicorno si accucciò al suo livello, avvicinandosi col muso tanto vicino da poter vedere le sue guance incendiarsi e arrossire. «Oh, mio piccolo Spikey»

«Sìì?» Mormorò lui, sciolto dalla sua voce, soave e delicata.

«Non ti preoccupare, non farò mai niente che a te non vada a genio.» Gli diede un delicato bacetto sulla fronte, rendendo quel poco che c’era in lui un’indefinita poltiglia di rettile.

Twilight si astenne dal commentare, ma s’intromise per rivolgere all’amica un'altra domanda.«Rarity, senti. E per quanto riguarda il problema del fuochista?»

L’unicorno si alzò e si sistemò con orgoglio la criniera. «Oh, quello non è assolutamente un problema.» Si abbassò nuovamente su Spike, con un sorriso corruttore e ammiccando con le ciglia. «Spikey, caro. Che ne dici di occupartene te?»

Magma bollente aveva preso il posto del sistema linfatico del drago, e sebbene non conoscesse nemmeno il significato del termine “fuochista”, annuì sibilando. «Ceeerto. Qualunque cosa per te!»

Twilight sospirò con un giro degli occhi, ma avevano già perso troppo tempo per lasciare che altri contrattempi le impedissero di raggiungere l’Impero di Cristallo.

Il conducente della locomotiva si sporse dal vagone di testa pochi minuti dopo, enunciando ad alta voce, da manuale: «in carrozza!»

Nonostante i compromessi, per Twilight quel grido suonò come il richiamo più piacevole di Equestria.

Spike era ancora nel suo stato di nirvana quando tutti e sette salirono, e non aveva ancora realizzato che cosa aveva accettato di fare per Rarity. Nessuna di loro lo invidiò per ciò a cui stava andava incontro.


Arrivarono alla stazione dell’Impero di Cristallo nel primo pomeriggio del giorno successivo, poco dopo l’ora di pranzo.

Spike ne uscì sfinito. Aveva trascorso le prime ore del tragitto chiuso nella sala macchine, a gettare carbone nella caldaia che alimentava la locomotiva.

A dargli la forza di spremersi fino all’ultima goccia di sudore, era la soddisfazione di poter essere davvero utile alle sue amiche, in barba a Twilight che lo avrebbe lasciato a casa. Ma quando, allo stremo delle forze, lo avevano trovato crollato nel bel mezzo del mucchio di carbone, Rarity e l’alicorno avevano deciso di spartirsi dei turni di lavoro per sostituirlo fino al termine della corsa. Alla fine, anche loro stanche e provate per l’impiego massiccio della magia della levitazione sulla lignite (l’unicorno molto di più, non essendo abituata a un uso tanto prolungato dell’incantesimo), riuscirono ad arrivare sane e salve senza che nessuno dei tanto paventati rischi si concretizzassero per davvero.

Mentre scendevano dal vagone, Spike dormiva esausto sul dorso di Applejack e Rarity faceva l’occhiolino al conducente, che già pregustava i soldi che avrebbe ricavato una volta tornato a Ponyville. Il suo entusiasmo, però, gli morì in gola nel momento in cui due pony della Guardia Reale dell’Impero fecero capolino sulla banchina della stazione, in mezzo a gruppi di passeggeri che salivano e scendevano da altri binari. Erano una coppia di pegasi dalle armature di cristallo scintillante, ma molto differenti l’uno dall’altro. Se quello sulla destra appariva come un clone di tanti altri soldati della legione imperiale, con un manto cristallino che faceva pendant con la bardatura corazzata, quello sulla sua sinistra, oltre a essere di grado superiore (almeno, a giudicare dai supplementi blu aggiunti alla sella), sembrava non essere nemmeno originario del posto, avendo un manto monocromatico e una criniera molto più arruffata di quella tipica dei pony di cristallo.

Vedendoli avanzare decisi verso le Custodi degli Elementi, lo stallone alla guida della locomotiva cominciò a vacillare, temendo che il loro obiettivo fosse proprio lui, reo di aver violato una direttiva impartitagli dai suoi superiori e aver messo in pericolo la sicurezza delle eroine di Equestria.

Nell’estremo tentativo di nascondersi, si accucciò nella sua cabina di guida, cercando di sfuggire alla loro vista.

Ma le Guardie non erano venute per lui, e anzi, sebbene non se ne rendesse conto, aveva appena assolto – per l’intera famiglia Reale del regno – il più grande servizio della sua carriera.

Mentre tremava per il suo futuro, Twilight invece si sentì trapassare lungo il garrese da un’ondata di emozioni, alla vista del pegaso che stava venendo in coppia con l’altra Guardia Reale.

«Flash!» Scordandosi della stanchezza che l’aveva seguita giù dal vagone, gli corse incontro tuffandosi tra le sue zampe.

«Ehi, ehi. Buona Twi, ufficialmente sono ancora in servizio.» La avvertì, indicandole il collega accanto, che li fissava con biasimo (e forse anche con un po’ d’invidia). La sua voce, così gentile da ricordarle Fluttershy, ma tanto ben impostata da esprimere una sicurezza che Twilight non si sarebbe mai sognata, era la cosa più rincuorante che avrebbe mai potuto sperare di sentire all’arrivo.

Molte cose erano cambiate dal suo ritorno dal mondo degli umani al di là dello specchio, e non solo a causa delle invasioni dei Kaiju.

Flash Sentry, originario di Cloudsdale, era l’ultimo arrivato nel corpo delle Guardie Reali dell’Impero di Cristallo. Negli anni dell’accademia, si era distinto dai suoi compagni grazie al grande senso del dovere che manifestava in ogni cosa che faceva, oltre alle notevoli doti fisiche e mentali, che gli permisero di eccellere sia nei test pratici che teorici.

Dopo aver conseguito con il massimo dei voti il diploma ed essersi arruolato nel corpo militare di Canterlot, fu notato dal Capitano Shining Armor, che lo volle assegnare alla legione delle Guardie Cittadine dell’Impero di Cristallo, da cui in seguito, e per ulteriori meriti sul campo, fu promosso al rango di Guardia Reale al servizio diretto della Principessa Mi Amore Cadenza.

Fu proprio in quella circostanza che lui e Twilight si conobbero la prima volta, per una serie di goffi incidenti, e tra i due scattò subito la scintilla della passione.

Princess Twilight rimase molto sorpresa nel constatare che quella guardia dai toni così gentili ed educati aveva una somiglianza tanto simile con lo stesso Flash umano che l’aveva aiutata nella sua breve permanenza alla Canterlot High School, e cominciò a provare interesse nei suoi riguardi. Voleva saperne di più, ma purtroppo gli impegni a Ponyville la tennero lontana dal pegaso ancora per un po’.

Le cose presero una piega diversa con l’avvento dei Kaiju, come se il loro arrivo non avesse portato con sé solo morte e distruzione, ma abbia in qualche modo cambiato il corso degli eventi, in modi del tutto inattesi.

Le capitò di presiedere a molte riunioni con le regnanti di Equestria, per discutere sul come affrontare la minaccia dei mostri e mettere in sicurezza le città in previsione di attacchi futuri, e fu proprio durante quelle riunioni che il loro rapporto ebbe modo di fortificarsi. Quando gli incontri non avvenivano all’Impero di Cristallo, Princess Cadance si assicurava di farsi accompagnare da un contingente di guardie personali, alle quali a Flash Sentry era sempre aggregato (“merito delle sue capacità”, era la scusa che soleva usare per giustificare la sua presenza, ma era molto più probabile che la ex-ponysitter - che in fatto di amore aveva un sesto senso speciale - avesse fiutato il potenziale che scaturiva dalla loro coppietta, e si fosse impuntata il dovere di alimentare la calda fiammella della passione), e ciò diede a Twilight Sparkle molto più tempo per approfondire la “curiosità” verso quel pony da cui si sentiva tanto attratta.

«Che cosa ci fai qui?» Chiese, correggendosi subito. «Cioè… volevo dire… che cosa ci fate voi?» La guardia che affiancava Flash si limitò a rivolgerle un leggero movimento degli occhi, per tornare subito con lo sguardo fisso davanti a sé.

Flash Sentry si diede una scrollata al dorso, sistemandosi la corazza d’oro che l’abbraccio di Twilight aveva smosso. «Siamo stati informati dell’allarme sismico che c’è stato a Ponyville e pensavano di mandare una carrozza privata a prendervi, ma poi la società dei trasporti ci ha avvertito del vostro arrivo, e così, eccoci qui.»

Il conducente, ancora coricato nel suo nascondiglio, trasalì all’udire di quella risposta, e si sentì uno stupido al solo pensare di averla potuta far franca.

«Quindi sapevate del nostro arrivo?» Chiese Rarity, sentendosi ora responsabile per i guai che il loro conducente avrebbe passato a causa sua.

Flash annuì alla sua domanda. «Sì, ma non dovete preoccuparvi di questo» aggiunse, probabilmente intuendo ciò che la turbava «Celestia ha ordinato alla società ferroviaria di non ostacolarvi. Avete notato che non ci sono stati posti di blocco di nessun tipo nelle stazioni che avete attraversato?»

Per tutti i toast alle margherite, era vero! Preso dall’adrenalina per la trasgressione, il conducente aveva condotto a tavoletta la locomotiva lungo tutte le tappe del loro viaggio senza mai, nemmeno una volta, sospettare qualcosa, sebbene le stazioni che avessero attraversato erano rimaste attive. Questo significava che ne sarebbe uscito pulito? Pulito e… oscenamente ricco?

Sentendosi improvvisamente un po’ più al sicuro, provò a sporgere la testa oltre il parabrezza della locomotiva, esponendosi alla vista delle due Guardie Reali. Vide, quindi, che il pegaso che aveva parlato con Princess Twilight e Miss Rarity aveva voltato lo sguardo verso di lui, e gli stava rivolgendo un sorriso amichevole e rassicurante.

Sapevano di lui fin dal principio, e se avessero voluto, avrebbero potuto arrestarlo in qualunque momento.

Sentì il peso delle sue preoccupazioni scendergli dal dorso e cedere il passo ai sacchi di monete che vi avrebbe caricato una volta tornato a casa.

Flash Sentry tornò a guardare Twilight e le sue amiche, e il suo sorriso si spense, tornando a un’espressione severa. «Forza ora, sbrighiamoci. Le Principesse aspettano solo voi.»

Twilight annuì e voltò la testa verso il conducente, facendogli un sorriso di ringraziamento. Quando la vide, scattò sulle zampe e le restituì come risposta un saluto goffo e impacciato.

Le due Guardie Reali fecero strada alle sei giumente (e a Spike, che sembrava particolarmente agiato a sonnecchiare sul dorso della campagnola Applejack) e le condussero lungo la banchina della stazione di cristallo. Ogni tanto qualche pony di passaggio finiva per riconoscere la Principessa Twilight Sparkle, o più in generale, le sei eroine di Equestria, e si fermavano per inchinarsi al loro cospetto. Un gesto che accoglievano con imbarazzo (a parte Rainbow Dash, che al contrario si sentiva a suo agio come un pesce in un limpido torrente di primavera).

Scesero una rampa di scale e si lasciarono alle loro spalle la stazione, con le locomotive gremite di passeggeri che continuavano ad arrivare e partire da ogni angolo della Nazione.

Si ritrovarono a percorrere il sentiero che collegava la landa ghiacciata del Nord alla città scintillante che s’innalzava davanti a loro. L’Impero si estendeva all’orizzonte, ammaliando con le sue costruzioni di cristallo la vista dei pony in transito. Il monolitico castello a forma di torre dominava su tutta la città, come un gigantesco guardiano a tutela dell'armonia di quel regno lontano e incantato.

Il gruppo superò una serie di enormi quarzi colorati che emergevano ai bordi della strada, fino a quando, da dietro uno di essi, non comparve un grande ed elegante cocchio, che sembrava non attendesse altri che loro.

«Prego, Miladies, montate su e godetevi il viaggio!» Disse Flash al gruppo delle Custodi, focalizzando la sua attenzione su Twilight, come se niente lo entusiasmasse di più dell’idea di poterla condurre in volo tramite quel mezzo.

Le sei si abbandonarono ad un «aww» corale, tanto forte da sottrarre Spike al suo sonno comatoso.

Rarity scalpitò su se stessa. «Quella… cioè… state dicendo che noi viaggeremo su… ohh cielo!» Si portò uno zoccolo sulla fronte e svenne di schiena.

«Rarity?» Spike saltò giù dal dorso di Applejack e scattò dalla sua amata.

La cowgirl scosse la testa.

Mentre le due Guardie Reali si prendevano il minuto necessario per indossare le briglie, le pony, una ad una, trovarono posto sulla carrozza.

Rarity si era ripresa qualche secondo dopo la sua presunta perdita di sensi. A detta di lei, non avrebbe assolutamente potuto permettersi di perdere l’opportunità di godersi un viaggio del genere. Non dopo l’enorme dispiego di fatiche che le era costato condurli fin lì.

La carrozza, in effetti, era divina, come ogni cosa nei territori dell’Impero. Era stata scolpita partendo da un singolo blocco di cristallo, modellato con una maestria che si sarebbe potuta attribuire solo al talento magico dei migliori unicorni scultori, e al quale poi erano state aggiunte solo le sospensioni e le ruote. Le quattro colonne che sostenevano la copertura erano state intagliate sulla forma di lunghi cristalli, con le punte che sporgevano da sopra il tettuccio, come se tutta la copertura si fosse compenetrata con essi. La superficie, poi, era interamente decorata con incisioni regali e quello che sembrava una versione stilizzata della torre. A completare il tutto, i due ingressi laterali erano coperti da un tendaggio pervinca con sopra il caratteristico simbolo dell’Impero: il fiocco di neve che dava anche forma alla topografia della città.

Quando tutto fu pronto, Flash e il collega si misero in posizione di partenza e, prima di partire, si rivolsero al gruppo. «Siete pronte la dietro? Possiamo andare?»

«Non è un po’ troppo pesante questa carrozza? Siete sicuri di poterci trasportare?» Non era il tipo di domanda aristocratica che le Guardie si sarebbero aspettate da una Principessa, ma a Twilight sembrò lecito porla. Avrebbe lasciato a Rarity, accanto a lei, il compito di scandalizzarsi per qualcosa di così sciocco e ingenuo.

Flash Sentry e il pegaso di cristallo con cui avrebbe condiviso gli sforzi si scambiarono uno sguardo d’intesa. La prima e unica interazione attiva che ebbero da quanto erano apparsi sulla scena.

«Mettetevi comode e godetevi il viaggio! Non sarà molto lungo.» Disse Flash in risposta, sicuro di sé.

Poco dopo stavano attraversando i cieli del regno a bordo dell’elegante mezzo.

Era la prima volta che sorvolavano l’Impero di Cristallo dall’alto, e tutte ammiravano, con lo stupore di sei puledrine, le meraviglie architettoniche che si ramificavano sotto di loro.

Le strade che si diramavano lungo i vari distretti e la stella a sei punte che formava il centro della città erano state disegnate con un’attenzione per la simmetria che lasciava davvero poco spazio alle incertezze, e faceva scaturire nella mente curiosa della Principessa dell’Armonia una serie praticamente sconfinata d’interrogativi. Come avevano fatto i pony di cristallo a dare vita a un disegno del genere? La popolazione dell’Impero era costituita principalmente da pony di terra e unicorni, con solo pochi nuclei familiari di pegasi, sparsi qua e là nei quartieri più esterni, e quando si trattava di costruire, erano prevalentemente i pony di terra a spalancare le mascelle e prendere in bocca gli strumenti del mestiere e darsi da fare. Come avevano fatto, quindi, i pony di terra… da terra, a dar luce a un progetto così geometricamente perfetto?

Ma anche se ai tempi della costruzione della città vi fosse stata l’intera Cloundsdale a dare zoccolo forte alla sua creazione, i misteri che circondavano le origini dell’Impero di Cristallo erano ancora tanti e avvolti nelle ombre del passato.

Twilight conosceva quasi tutto di Equestria, ma l’Impero rimaneva ancora nei meandri dello sconosciuto, o per lo meno lo sarebbe stato fino a quando non avesse trovato il tempo di chiudersi nella vasta biblioteca locale per leggere da capo a coda ogni singolo libro sugli scaffali.

Purtroppo, per il momento aveva un problema ben più grande a cui pensare. Un problema che si manifestava su Equestria ogni sei mesi, e aveva la forma di un incubo di quaranta metri d’altezza, per migliaia di tonnellate di peso.

I Kaiju non avevano ancora preso di mira l’Impero, né lo avevano fatto i terremoti che si erano scatenati dopo la loro comparsa, ma quella condizione non sarebbe durata in eterno. Prima o poi – lo sapevano tutte – sarebbero tornate e avrebbero dovuto proteggere i pony di cristallo dall’assedio dei mostri.

Rarity e le altre avevano parlato alacremente durante il loro viaggio, e qualcuna di loro, probabilmente, aveva anche rivolto la parola a Twilight, ma i pensieri che covava la Principessa la tennero isolata dal gruppo come dentro una cupola magica. Capì di essersi distratta quando vide le costruzioni in quarzo dei palazzi farsi sempre più grandi sotto di loro, e il maestoso obelisco del castello coprirle sempre di più il suo campo visivo. Erano arrivate nel cortile.


«Mio Signore, la Principessa Twilight Sparkle e le Custodi degli Elementi sono qui.» Annunciò Flash, una volta che tutti erano entrati nella grande sala del trono.

Percorrendo il corridoio, restarono ancora una volta ammaliate dai fantastici giochi di luce che le pareti di cristallo restituivano, dalle grandi finestre laterali, ai raggi solari di quella splendida giornata. La maestosità di quel luogo, fonte di grandi meraviglie a ogni loro visita, sembrava infondere da ogni angolo una magia ancestrale antica di secoli.

«Twily, ragazze! Siete arrivate finalmente!»

«Shining Armor! Cadance!» Twilight trottò verso il trono, ansiosa di rivedere la sua famiglia. La Principessa Cadance fu la prima a incontrare le sue braccia. In un evento più informale avrebbero eseguito anche il loro speciale balletto di gioventù, ma nelle circostanze correnti, preferirono limitarsi a un saluto più discreto. Si scambiarono alcuni convenevoli, dopo di che fu il turno di Shining.

Lo stallone dalla criniera blu zaffiro estese una zampa verso la sorella, pronto ad accoglierla, e fu allora che lei li vide. «Santo cielo! Che cosa ti sei fatto lì, fratellone?» Chiese, indicando le escoriazioni di cui Shining faceva bella mostra sul petto: una vasta chiazza che sembrava un’ustione da colpo magico dirompente (un incantesimo praticato dalla maggior parte degli unicorni, che permetteva di infliggere danni fisici agli avversari); non indossava il suo elegante abito rosso da Principe, e questo, in contrasto con il suo manto bianco nevoso, la faceva risaltare in modo evidente. «Oh, questa. Una piccola ferita di battaglia, niente di grave.» Rispose con la sicurezza di uno che aveva affrontato molte campagne e conosceva bene il suo corpo.

«Ti fa… male?» Incalzò lei, non sapendo bene come trattare l’atteggiamento del fratello.

Lo stallone ridacchiò. «Sciocchezze! Il peggio è stato quando la pettorina si è incrinata». Indicò con lo zoccolo i segni che all’inizio Twilight non aveva notato: tutt’intorno all’ustione, come una corona di spine, delle cicatrici ormai quasi completamente guarite evidenziavano i punti dove il metallo era penetrato nella carne. «Ma non è stato niente di preoccupante. Un paio di minuti con l’incantesimo di guarigione di Cadance e sono tornato in zoccoli! Non mi resterà nemmeno una cicatrice da esibire di fronte ai soldati.»

«Sì, ma ricorda caro» iniziò Cadence, appoggiandogli uno zoccolo sulle spalle «non sei ancora del tutto guarito. Quindi evita di tirarti zoccolate sul petto solo per dimostrare la tua virilità da stallone.»

Il volto di Shining Armor diventò rosso. «Io n-non… capisco di che parli… cara?!»

La reazione provocò una risata generale tra le sei Custodi.

Twilight si guardò alle spalle, in cerca di qualcuno. Flash Sentry e il commilitone pegaso che li avevano accompagnati si erano riposizionati in riga con le altre Guardie Reali, ai lati del grande tappeto color ciclamino che attraversava la sala del trono, e mantenevano diligentemente gli occhi fissi davanti a loro. Per un breve momento cercò la sua attenzione, desiderando di poter sentire ancora una volta su di lei il suo dolce e tenero sguardo, ma capì di non poterlo pretendere in quel momento.

«Ehm… sentite» Rainbow Dash avanzò nell’aria, volteggiando sulle ali «mi dispiace interrompere la rimpatriata familiare ma… qualcuno sarebbe così gentile da dirci che ci facciamo noi altre qui?»

«Ehi, non dimenticatevi di me!» Saltellò Spike, fermandosi quando Twilight gli rivolse un’occhiata severa.

«Mi secca dare ragione a Rainbow Dash.» disse Applejack, ignorando il suo successivo “ehi!” di protesta. «Ma… ha ragione! Sembra di essere a una festa campestre in cui si fa a gara a chi tiene meglio il segreto!»

«Uhh! Qualcuno ha detto FESTA?!»

«Non in quel senso, Pinkie.»

«Oww, uffa!» Pinkie Pie dovette far sparire il suo party cannon, che non aspettava altro che detonare il suo colpo carico di festosità.

Twilight s’impose di lasciar perdere le ferite di suo fratello, per tornare al vero motivo della loro visita. «Allora, Shining Armor? Chi sarebbe questo ricercato di cui Celestia parlava?»

Il portone della sala si spalancò in quel momento, accompagnato dal suono dei cardini, mentre due Guardie Reali spingevano verso l’interno la doppia anta.

«Qualcuno la cui presenza, in questo momento, tutti noi avremmo preferito evitare.» La voce soave di Princess Celestia anticipò la sua entrata in scena, accompagnata dalla sorella Luna.

Il drappello militare s’inchinò al loro passaggio, e lo stesso fecero le amiche di Twilight.

«Alzatevi pure, mie piccole pony, non è più necessario questo inchino.» Disse l’alicorno, calma e materna.

«E’ bello rivedervi, Celest… cioè… v-volevo dire… Principesse.»

Le due regali giumente sorrisero al timido saluto di Fluttershy. «Anche per noi, ragazze, ma chiamateci pure con il nostro nome.» Parlò Luna.

Fluttershy annuì nervosamente, ma lo fece più per non contraddire l’ex-Nightmare Moon, che per assenso.

«Celestia, io… sono veramente mortificata» si scusò Twilight, senza che le due regnanti ne capissero la ragione «mi dispiace di averci messo così tanto ad arrivare, ho fatto del mio meglio!»

Celestia mostrò un sorriso candido. «Oh, cara Twilight. Non c’è bisogno di scusarsi.» Avanzò di qualche passo in avanti, facendo un breve cenno di saluto a Shining Armor e Cadence – i due legittimi padroni di casa – e tornò a parlare al gruppo di pony. «Quello che conta è che siate riuscite a venire nonostante il poco preavviso. Anche se forse, ammetto di aver misurato male l’entità della situazione.»

«Se per “misurar male” vuole dire “spedire una lettera con sigillo marziale per un semplice interrogatorio”, allora sono d’accordo con lei.» Bisbigliò Luna all’orecchio di Spike, che dovette coprirsi il muso con le mani per non far vedere che rideva.

«Quindi, di preciso con chi abbiamo a che fare questa volta?» Chiese nuovamente Rainbow Dash, un po’ spazientita da tutta quella suspence. Le sue iridi rosso ciliegia cozzarono contro quelle di Celestia, e la Principessa sospirò rumorosamente. Le Custodi attesero in silenzio, azzittite dalla tensione.

«Qualcuna di voi ha mai sentito parlare di Bibski Doss?» La sua voce era cupa. La sua espressione seria e severa.

Le sei pony convocate trasalirono, con una gamma di gemiti che variarono di timbro a seconda del loro carattere, dando una risposta alla domanda retorica di Celestia.

«Quel Bibski Doss?! Stiamo parlando dello STESSO Doss?!?» Esplose Twilight, con la mascella che quasi le toccava gli zoccoli, da quanto era calata in giù.

Celestia si limitò ad annuire posata.

«Ahhhh!!!» L’urlo di Pinkie Pie venne inaspettato, cogliendole di sorpresa proprio nel momento di massima disattenzione. Fluttershy si spaventò così tanto da mettersi a cercar riparo tra le braccia di Dash, la quale riuscì ad afferrarla solo per merito dei suoi riflessi fulminei.

Nelle due schiere di Guardie Reali che presenziavano come sculture di cristallo l’incontro, qualcuno sguainò istintivamente la propria lancia verso di loro, per poi tornare in posizione subito dopo.

«Pinkie Pie, non ti sembra di aver esagerato un po’?» Domandò Luna, mentre si strofinava un orecchio con lo zoccolo.

La pony in rosa si voltò senza capire. «Oh? No, non era per quello! Guardate qui: il pavimento riflette il mio volto!» Cominciò a giocare col suo riflesso «Oh, sì. Chi è la super-iper Pinkie Pie? Tu lo sei! Oh, ma che bella criniera rosa che hai oggi! Grazie, grazie!» Muovendo su e giù la testa per ingrandire e rimpicciolire il faccione, ridendo con se stessa alle smorfie che faceva.

L’occhio di Luna si mosse e andò alla ricerca di qualcuno che la schiarisse.

«Quella è semplicemente Pinkie Pie.» Le venne in soccorso Rarity.

«Ehi, un secondo!» Spike alzò il braccio richiamando l’attenzione. «Sono l’unico qui che non sa chi sia questo tizio?» Ispezionò i presenti alla ricerca di un pony che condividesse con lui l’ignoranza, ma a giudicare dalle loro espressioni, era effettivamente così. Solo Applejack sembrava trasmettere qualche dubbio.

«Beehh… non mi chiedere i dettagli. Ma ricordo che qualcuno a Ponyville me ne aveva parlato, una volta… »

Twilight batté gli zoccoli. «Vorrei ben vedere, sono stata io!» Tuonò all’amica.

«Oh, già… » ridacchiò imbarazzata.

«Non era quell’unicorno che ha costruito delle ali meccaniche per volare come i pegasi?» Pigolò Fluttershy, ancora tra le braccia di Dash, in un’inusuale abbondanza di fiducia in sé.

«Sì, e che poi ha svaligiato la Banca Centrale di Manehattan poco dopo l’attacco del Kaiju.» Aggiunse la pegaso arcobaleno, facendola scendere a terra.

«A dire la verità è un pony di terra» chiarì Celestia «e prima di quegli eventi era anche il più promettente inventore che avesse mai cavalcato il suolo di Equestria.» Il suo corno s’irradiò di luce solare, e in mezzo a loro, partendo dal pavimento, si materializzò una proiezione 3D di un ampio complesso industriale circondato da grandi palazzi familiari a tutte loro. Era Manehannan, o per essere precisi, la zona colpita dal primo attacco, ma prima dell’attacco. L’edificio era a forma triangolare, diviso in tre settori che si differenziavano tra loro per sottili dislivelli di altezza tra un tetto e l’altro, più un quarto, che si sollevava dagli altri di un piano. Un’insegna davanti al giardino d’entrata recava il nome del complesso, e lo stesso era visibile più in grande e in rilievo sulla parete a sinistra.

Guardandolo, le ragazze riconobbero uno degli edifici le cui foto della devastazione erano circolate sui quotidiani d’Equestria di quell’anno.

«Sotto la sua guida, la società di cui era al comando, la Reborn Technologies, stava lavorando su brevetti che avrebbero portato il nostro intero regno a una nuova rivoluzione industriale, come Equestria non ne ha mai avuti in oltre mille anni di storia!» La Principessa sospirò ancora, preparandosi al punto delicato del discorso. «Poi, però, è cambiato.»

«L’Equalizzatore.» Spiegò Twilight, volgendosi verso le amiche.

«L’Equalizzatore?» Applejack si accigliò. «Era di questo che parlava Fluttershy?».

La pegaso giallo canarino, annuì, poi Celestia riprese il timone del discorso. Un altro bagliore del corno cambiò la proiezione dell’edificio, sostituendola con una rappresentazione dell’invenzione di Bibski. «L’Equalizzatore, se indossato, permette a qualunque pony di terra, sia esso puro di cuore e meritevole, o irto dagli aculei dell’oscurità, di godere degli stessi privilegi riservati alla stirpe degli alicorni. La capacità di volare nei cieli come i pegasi, e di manipolare la magia come gli unicorni.»

«Non del tutto, però.» Evidenziò Twilight, in tensione.

Osservandola attentamente, si capiva che non era un argomento che lei accettava di buon grado.

«No, infatti. Parliamo di capacità artefatte. Troppo pericolose da gestire da giovani e inesperti, e troppo debilitanti per tutti gli altri. Pony che per natura non sarebbero mai stati predisposti a quei doni si sarebbero abituati a farne un affidamento smodato, rinunciando a quei talenti che rendono tutti voi unici e speciali.»

Spike e le cinque Custodi guardano la loro amica ascoltare, con il volto chinato a terra in un’espressione affranta, le parole della sua mentore. Sapevano quante prove aveva dovuto superare per meritarsi il rango di Principessa e il dono degli alicorni, e nonostante ciò, ancora esitava a calzarne su di sé le vesti. Ascoltare il racconto di un pony che aveva dato vita a un artificio che potesse renderli tutti tali, indossandolo semplicemente come una bardatura da lavoro, significava calpestare con lo zoccolo quel titolo che soltanto il valore delle azioni e la nobiltà dell’animo potevano renderlo meritevole.

«E poi cos’è successo?» Spronò Applejack a continuare.

Princess Luna trottò verso la sorella maggiore, facendo segno che avrebbe risposto lei. «Volevamo dargli una possibilità.» appoggiò uno zoccolo consolatorio su Twilight, che la guardò con gratitudine. «Gli avevamo promesso che avremo finanziato il progetto, a patto che ci desse il tempo di valutare gli schemi tecnici e disciplinarne la commercializzazione.»

Restituì la parola a Celestia.

«Ma a Bibski non andò giù la proposta. Ci accusò di agire contro gli interessi della società e di tutta la Nazione. Temeva che consegnandoci i progetti, come richiesto, li avremmo fatti sparire o manipolati in modo che nelle tabelle di valutazione i test risultassero negativi.»

«Ed era così?» Chiese Rainbow Dash, suonando più diffidente di quanto non lo volesse per davvero.

«Ovviamente no» obiettò Celestia «per quanto sia io che Luna nutrivamo dei dubbi al riguardo, non ci saremo mai opposte a priori senza prima valutarlo oggettivamente. Ma Bibski Doss voleva fare di testa sua, e ha finito per interrompere ogni rapporto con Canterlot. Abbiamo cercato di risolvere la questione per via diplomatica, ma non ha voluto darci ascolto. Bibski Doss… beh, avrete modo di vedere con i vostri occhi che genere di personaggio sia.»

«Uh, già. Un vero spasso.» Ironizzò Shining Armor, ricordandosi del pungente scambio di battute che avevano avuto un paio di giorni prima. «Del genere che vorreste incatenargli gli zoccoli e gettarlo in pasto a un drago famelico.»

Quell’improvviso parlare di cibo per draghi fece ricordare a Spike che non mangiavano niente dal giorno prima.

Le Principesse di Canterlot si scambiarono ancora la parola, e Luna riprese da dove la sorella aveva interrotto. «Quando abbiamo scoperto che Bibski Doss si stava preparando alla produzione su larga scala dell’Equalizzatore senza la delibera della capitale, siamo state costrette a tagliargli i fondi per lo sviluppo.»

Gli occhi di Twilight si allargarono. Conosceva i retroscena di quella vicenda, ma non la parte appena raccontata. «Siete state voi?» Chiese ora, con una punta di biasimo.

Luna negò con la testa. «No… non direttamente. Avevamo delegato il compito al municipio di Manehattan. Erano loro che dovevano tenere sotto controllo la Reborn Technologies e le sue attività… »

A Celestia sembrò che la sorella non stesse dando alle ragazze la risposta esatta, e sentì il bisogno di chiarire il punto. «Dovete capire che fummo costrette a farlo. Se le copie dell’Equalizzatore fossero state messe in commercio senza ordinamenti specifici, avrebbero potuto cadere negli zoccoli di qualche organizzazione criminale che le avrebbe usate per fini illeciti, e a quel punto non saremmo più riuscite a bloccarne la diffusione incontrollata. Gli alicorni a Equestria non sono molti, la maggior dei pony non sarebbe in grado di difendersi contro un nemico che al contempo vola e usa la magia degli unicorni.»

«Pff, sciocchezze.» Sostenne Dash con fare superbo «abbiamo fatto fuori tre mostri di quaranta metri in meno di due anni. Qualche pony volante non mi spaventa.»

«Diresti lo stesso se fossi attaccata da una flotta di venti alicorni che ti attaccano da ogni fronte, mentre uno ti tenesse ferma con la telecinesi?»

Tutta la sicurezza della pegaso si frantumò come un vaso di porcellana, quando fu costretta ad ammettere che Princess Luna aveva ragione.

«Ancora non mi do pace per ciò che siamo state costrette a fare a Bibski e alla sua società, ma era necessario!» La voce di Celestia, ora, era carica di rimorsi e dubbi. Il ricordo di quando era stata costretta a bandire sua sorella nella luna gravava ancora su di lei, come un fardello troppo pesante da trainare.

Twilight le trottò vicino, e fece su di lei il gesto di cui Princess Luna le aveva fatto dopo poco prima, appoggiandole uno zoccolo sulla spalla. «Non ti preoccupare, mia Principessa, ti capiamo.» Le sorrise, e anche lei fece lo stesso.

Occasionalmente, quando sapeva di non correre il rischio di essere notato, Flash Sentry voltava la testa verso di loro e guardava Twilight di nascosto, restando incantato da quanto quella giovane alicorno sapeva essere allo stesso tempo dolce, saggia, e rassicurante. Se ne stava innamorando, e presto, lo sapeva, sarebbe stato un problema gestire la cosa, tra il suo lavoro nelle Guardie Reali dell’Impero e la distanza da Ponyville.

«In tutto ciò, io non ho ancora capito una cosa!» Disse Pinkie Pie, annichilendo tutti con la sua entrata in scena. «A questo punto del capitolo, noi che ci facciamo qui?!» La domanda, invece di spronarli a rispondere, ottenne l’effetto opposto, e ognuno dei presenti la fissò come se fosse una creatura aliena.

“Ehm… che intendi con capitolo, cara?” fu quasi tentata di rivolgerle Cadance, ma un delicato colpo di fianchi di Shining Armor le suggerì di tacere. «Ricorda: è Pinkie Pie. Fattene una ragione» le bisbigliò in un orecchio, poi si mise a spiegare. Dopotutto quella parte del racconto riguardava anche lui. «Voi ragazze sapete già che dopo il primo attacco c’è stata la rapina alla banca.» Le Custodi annuirono insieme. «Posso solo ipotizzare che dopo che il Kaiju aveva raso al suolo la Reborn Technologies, Bibski Doss si sia sentito in diritto di rimpossessarsi dei soldi che gli erano stati negati per l’Equalizzatore. Nessuno lo avrebbe creduto capace di un atto del genere, non in quella circostanza… con tutti quei morti… cavolo.» Si fermò per cacciare via le immagini oscure che albergavano nella sua testa. Era stato presente il giorno della catastrofe, e aveva visto con i propri occhi molto più di quanto avesse voluto.

Cadance lo rincuorò con lo sguardo, e lo stallone si riprese. Spiegò che Bibski Doss aveva sottratto dai caveau di Manehattan due milioni di monete d’oro, prima di fuggire con i suoi complici - quanto erano fisicamente in grado di trasportare con sé – per poi sparire nel nulla senza lasciare traccia del suo passaggio. Tutti pensavano che avrebbe usato quei soldi per ricostruire la Reborn Technologies in un'altra città di Equestria, e di conseguenza, era stato diffuso il mandato di cattura per qualunque centro abitato in cui si sospettava che potesse trovarvi rifugio.

Nei mesi a seguire, però, nessuno era stato in grado di fornire informazioni sulla sua nuova posizione, né i suoi ex-collaboratori (quelli che avevano mollato, il giorno della distruzione della metropoli), né le autorità locali.

Per quasi due anni Bibski Doss e il suo team (quelli che restarono) sembravano scomparsi nel nulla.

Almeno fino quando, un paio di giorni fa, per un fortuito caso li avevano colti sul fatto ai confini dell’Impero di Cristallo, impegnati a istallare dell’insolita attrezzatura nella gola di una collina innevata.

«Che genere di attrezzatura?» Chiese Twilight, accigliata.

Shining Armor scrollò le spalle. «A una prima occhiata sembrerebbero dei misuratori di un qualche tipo. Ma non saprei dirvi di che genere.»

Rimasero in silenzio, riepilogando le informazioni che avevano appena ricevuto.

«Immagino che ne sapremo di più una volta che li avremo interrogati.» Disse Luna.

Annuendo, Shining Armor ordinò di andare a prenderli, e un gruppo di Guardie Reali formato da due pegasi e tre unicorni uscirono dalla sala, dirigendosi verso i sotterranei del castello. Flash Sentry, invece, era rimasto lì.

Mentre aspettavano il loro ritorno, il Capitano delle Guardie continuò il racconto, riprendendo da dove aveva interrotto. Riassunse i dettagli della cattura senza tralasciare nulla. Parlò di Bibski Doss e del secondo prigioniero, descrisse l’attrezzatura che avevano con loro, del velivolo con il quale erano giunti, della battaglia che precedette il loro arresto e anche dei portali dimensionali con i quali erano fuggiti la maggior parte dei complici dell’inventore.

Ascoltando incredula il fratello, Twilight cominciò a capire perché i due ricercati avessero destato tanto clamore tra le Principesse, e col senno di poi – pensò – forse Celestia non aveva esagerato a convocarle.


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Uno zoccolo provato si strinse intorno a una sezione orizzontale della cella, mentre le zampe posteriori cercavano a fatica l’appoggio in quella sottostante.

Cercando di tirarsi su, nei limiti concessi dalla fisionomia dei pony di terra, Bibski Doss puntava con bramosia il suo obiettivo sul soffitto, nell’angolo della parete dove il metallo delle sbarre penetrava nel muro.

Quelle che una volta erano le celle degli schiavi, durante l’epoca della tirannia di Re Sombra, erano state convertire in prigioni per i nemici della pace dell’Impero.

Quando i soldati della pattuglia li avevano catturati e condotti lì, il pony aveva contato venti loculi lungo il corridoio che avevano percorso (ma era molto probabile che ce ne fossero degli altri diramati lungo il cammino), e nessuno di loro era occupato. Assunse che erano gli unici prigionieri a venir rinchiusi lì dentro da molti secoli a questa parte.

Erano stati abbandonati a loro stessi, chiusi in due celle distinte, l’uno di fronte all’altro, in compagnia dei fantasmi del passato e degli spiriti degli schiavi che avevano sofferto e forse conosciuto la morte lungo quei corridoi bui e sconosciuti.

Sul soffitto delle celle e lungo il percorso, cristalli di luce che irradiavano di un leggero bagliore azzurro, erano stati collocati al fine di garantire l’illuminazione indispensabile per i prigionieri, ma a giudicare dallo stato della loro lucentezza, sembravano risalenti a non più di qualche anno prima, forse predisposti su ordine dei nuovi regnanti. Bibski dubitava che all’epoca della tirannia, l’oscuro imperatore si fosse preoccupato di un tale dettaglio verso i prigionieri.

Ciò nonostante, la Principessa Cadance e suo marito avrebbero dovuto percorrere molta strada, se il loro obiettivo era quello rendere quei locali vivibili nei limiti del tollerabile.

Il ticchettio delle gocce di condensa che cadevano dal soffitto ipnotizzavano i sensi e facevano perdere la cognizione del tempo. Se non fosse stato per l’unicorno di guardia che a intervalli regolari tornava da loro per consegnare la razione quotidiana di acqua e cibo, e ritirare i resti della precedente, Bibski non avrebbe mai preso coscienza dei due giorni che erano trascorsi.

La noia era divenuta la sua nuova sovrana, e per quanto si sforzasse di combatterla, tenendo allenato il cervello con schemi mentali di nuove possibili invenzioni, dopo due giorni d’isolamento totale, lontano dai suoi strumenti e dai laboratori, cominciò a temere che la permanenza forzata stesse avendo effetti negativi sul suo intelletto.

Come se le condizioni non fossero abbastanza degradanti, capitava poi frequentemente che piccole creaturine bianche, simili a scarafaggi di diamante, invadessero i loro spazi per curiosare sui due nuovi inquilini.

Per combattere la noia, la prima volta che li vide Bibski Doss pensò d’ingannare il tempo provando a schiacciarne uno, ma quando realizzò che le corazze lucenti degli esserini erano troppo dure per i suoi zoccoli, fu costretto a dire addio anche a quell’unica via di evasione.

Dopo tre giorni e due notti di frustrante attesa, decise che non sarebbe rimasto lì un minuto di più.

Il suo cutie mark lampadina brillava ispirato, mentre si arrampicava lungo le sbarre.

In alto, stalattiti di quarzo erano cresciute su tutto il soffitto, avviluppandolo come muschio, e riflettendo per tutta la cella il fulgore del cristallo di luce. Una di esse, più prominente delle altre, era quella che aveva attirato l’attenzione del pony di terra.

Mentre la guardava, si tenne aggrappato alle sbarre con le zampe anteriori, piegando le ginocchia e preparandosi a compiere un balzo.

«Questa volta sarai mia!» Disse, con la voce carica di convinzioni.

Gli zoccoli si staccarono dal metallo e le zampe posteriori gli diedero la spinta per protendersi verso il suo obiettivo. Si allungò quanto più lo slancio gli consentiva, e per un istante fu sicuro di farcela. Invece, si schiantò a terra, atterrando di faccia sulla ciotola di cibo che gli era stata servita per pranzo: una specie d’impasto di farina d’avena e legumi vari. Proteico, ma non certo saporito.

Mentre falliva, Bright era sdraiato di schiena sulla brandina della sua cella, e lo guardava annoiato, seguendolo con la coda dell’occhio. «Credo di aver perso il conto. Questo era il tentativo numero quattro?» Il suo corno era ancora imprigionato nel sigillo di Shining Armor, impedendogli di usare qualunque tipo di magia.

«Oh, certo! Prendi pure in giro adesso, ma vedremo chi di noi due riderà quando sarò uscito!» Berciò, pulendosi via i resti del pasto dalla sua faccia.

Incaponendosi nel ritentare, e con il cutie mark che gli risplendeva sul fianco come non mai, andando quasi a prevalere sull’azzurro glaciale del cristallo di luce, si arrampicò un’altra volta sulle sbarre. Focalizzò tutta la sua attenzione sulla stalattite, e si apprestò a saltare di nuovo.

Questa volta, finì con la faccia nella ciotola dell’acqua, maledicendo la sua bassa statura.

«Adesso posso ridere?» Lo stuzzicò l’unicorno.

Bibski divampò di rabbia. «Perché non mi dai una mano invece di startene lì a fare lo splendido?!» Pestò gli zoccoli a terra, guardando il meccanismo che sigillava la sua unica via di fuga. Il foro d’entrata era ampio e profondo. Se soltanto fosse riuscito a raggiungere la stalattite, avrebbe potuto usarla per tentare di scassinarlo. Era quello il suo piano. L’unico che era riuscito a escogitare rinchiuso in quei sotterranei dimenticati da Equestria.

Bright gli rispose in tono distaccato. «Rinuncia, anche se tu riuscissi a raggiungerlo, non potresti farci niente lo stesso. Le serrature si possono aprire soltanto con una specifica magia degli unicorni.»

«Senti» si corrugò esausto «io non riesco a stare qui dentro a mangiare tre volte al giorno quella… roba» era l’unico termine lecito che gli fosse venuto in mente «sento scemarmi la forze. Credo perfino di aver perso qualche punto di QI da quando siamo… qui.» Esitò di fronte al gioco di parole che aveva involontariamente formato. «Grandioso. Mi sto trasformando in una zebra.» Commentò con poco entusiasmo.

«Ti stai agitando come al tuo solito.» Bright, supino sulla sua branda continuava a parlargli con voce atona. «Trovandosi in situazioni come queste, il segreto di chi riesce a fuggire, è quello di saper ponderare attentamente le sue risorse, tramite l’osservazione dell’ambiente e la capacità di fare la scelta giusta al momento giusto.» A quel punto la sua testa si volse verso il pony di terra, trapassandolo con lo sguardo. «É per questo che non puoi a fare a meno di me.»

Le parole suonarono come un’accusa, una vendetta personale per la situazione in cui erano precipitati a causa sua.

Sebbene non lo dichiarasse ai quattro venti, qualcosa nel cuore di Bibski si ruppe, aprendo una crepa nella sua ostinata sicurezza. Ma dove non furono le parole a commentare, ci pensò il suo cutie mark, che si spense lasciando alla luce del cristallo campo libero per riconquistare il proprio spazio.

Bibski guardò l’unicorno con risentimento, sapendo tuttavia che aveva ragione. La bocca invece si mosse nel verso opposto, incoraggiata dall’orgoglio. «Beh, chiedo scusa, mio Maestro di vita e Mentore dalla parlantina sciolta. Allora tu che cosa proponi di fare?»

Bright tornò a guardare il soffitto, apparentemente disinteressato. Bibski stette per dirgli qualcos’altro, quando l’unicorno si alzò dalla branda e tirò un possente calcio sulla parete sinistra della cella.

Un attimo dopo un’altra stalattite di cristallo si staccò cadendo sul materasso dell’unicorno, lasciando Bibski di sasso e Bright con un compiaciuto sorriso in volto.

«Prego, divertiti.» Gli disse facendola scivolare sul pavimento fino alle sbarre dell’altra cella.

Il pony di terra ricambiò con un grugno feroce e l’orgoglio ferito.

«Osserva l’ambiente. Valuta tutte le tue risorse.» Lo ragguagliò Brightgate in tono solenne, anche se sembrava più una presa per i fondelli, e tornò a distendersi sulla branda.

Bibski Doss raccolse con la bocca il cristallo, e la lampadina del cutie mark si riaccese. «Oscievha l’hambhienthe he vhalhutha lhe hrihshorshe. Scieeh, chomhe nho!»

Mentre lo imitava, armeggiò con la serratura cercando di capirci qualcosa del complesso meccanismo interno. La punta penetrava appena di due centimetri attraverso il foro, ma era comunque molto di più di quanto avesse sperato di poter fare con la stalattite che aveva adocchiato lui.

Bright seguiva i suoi gesti con un occhio socchiuso, studiandolo in meditato silenzio.

Insistette per oltre dieci minuti, senza mai arrendersi, ma sul fronte dei progressi, la situazione continuò a languire.

«Che Celestia sia dannata!!» Calciò il pezzo di cristallo con un impeto violento,  spezzandolo in due. «Certo sarebbe molto più facile se tuo fratello si decidesse a venire ad aiutarci!»

Bright spalancò subito gli occhi e scattò sugli zoccoli. «Non tirare in ballo lui adesso! Non è certo per colpa sua se ora ci troviamo qui!»

«Noo, naturalmente!» Esclamò sarcastico «Non è colpa sua se ho un campo base pieno di pony lasciati a se stessi e un terzo in comando che non si degna di rivolgere la parola a nessuno, mentre noi ce ne stiamo qua a contare gli scarafaggi!»

La discussione s’infiammò improvvisamente, come un incendio nella sterpaglia.

«Se siamo qui è solo perché tu non sai tenere a freno quella dannata linguaccia!»

«Però non ti sei lamentato quando questa “dannata linguaccia” ha suggerito di essere l’unica ad avere la soluzione vincente per combattere i Kaiju! Anzi, sembravi pure deciso a difenderla fino alla morte!»

Bright puntò gli zoccoli. «L’ho fatto soltanto perché ti volevo portare via da lì!»

«Devi smetterla di dare corda a tuo fratello, Bright!»

«Cosa?! Non cambiare discorso adesso!» Aggrottò le sopracciglia.

«Non l’ho fatto. Devi smetterla di difenderlo!»

«Bibski, falla finita! Non in questo momento!»

«Devi smettere di appoggiarlo!» Insistette.

«Bibski, dico sul serio!»

«Devi smetterla!»

«Bibski… »

«Smetterla!»

«Non costringermi a farlo… »

«Smetterla!»

«No… »

«Smetterla!»

Il colpo partì violentissimo.

«CHE L’INFERNO DEL TARTARO TI DIVORI VIVO, CHIUDI QUELLA DANNATA BOCCAAAAA!!!!!»

Ci fu un forte rimbombo, che echeggiò a lungo nei corridoi del sotterraneo, poi il tempo si congelò in una cupola di silenzio spettrale. Le gocce sulle pareti non ticchettarono più. Gli scarafaggi di diamante si nascosero nelle loro tane recondite.

I due pony si osservavano in silenzio. Sul viso di Bibski si colorò un sorriso gonfio di vittoria, e passarono diversi secondi prima che Brightgate si rendesse conto di ciò che aveva appena fatto. Il suo zoccolo aveva sfondato una parte delle sbarre, piegandole verso l’esterno nel punto in cui la zampa aveva oltrepassato il metallo. Era stato decisamente… epico. Ma non sarebbe mai riuscito a fuggire attraverso quel piccolo squarcio. Che cosa aveva escogitato, dunque, l’inventore?

Fu allora che Bright realizzò: la lampadina non si era spenta, nemmeno quando aveva spezzato in due la stalattite di cristallo. Fin dal principio, il piano di Bibski si era posizionato su un altro livello.

Remissivo, l’unicorno trasse un profondo sospiro e gli parlò con voce docile. «Mi hai appena fregato, non è vero?»

«Diciamo soltanto che mi sono guardato intorno, e ho valutato tutte le risorse.»

L’unicorno si arrese. «Quindi… che succederà adesso?»

«Aspetta e vedrai.»


Non dovettero attendere a lungo.

La violenza che esplose dal suo colpo si propagò fino alla caserma delle Guardie Reali, attirando l’attenzione di tutti i presenti.

In poco meno di un minuto, una coppia di unicorni di cristallo in armatura scintillante scese nelle segrete per verificare.

«Appena ti si presenta l’occasione, fai quello che va fatto!» Avvisò il pony di terra.

Bright lo guardò, ma la confusione faticava a volersene andare. «Qual è il piano esattamente?»

«Cercherò di distrarli. Tu fai solo quello che ti riesce meglio.»

L’unicorno dalla criniera corvina stava per ribattere, ma l’arrivo delle due guardie lo costrinse al silenzio.

«Che sta succedendo qui?!» Domandò uno di loro, indossando i panni del soldato tutto-d’un-pezzo. Aveva una voce roca e l’aspetto di un veterano.

Il compagno, che a giudicare dai dettagli dell’armatura sembrava di grado inferiore, esaminò la cella di Bright. «Signore!» Lo chiamò, indicandogli con uno zoccolo l’apertura nelle sbarre.

L’unicorno di rango maggiore rivolse ai prigionieri una smorfia furente. «Passerete dei grossi guai quando il Capitano Shining Armor verrà a saperlo!» Minacciò con la voce grossa.

«Pff. È il massimo che sai dire? Che banalità.» Disse Bibski, con l’intento di prendersi gioco di loro.

La Guardia ruotò verso di lui. «Ti va di scherzare, traditore del Regno?! Rispondi alla mia domanda: che cosa pensavate di fare?» Rivolse l’attenzione al cutie mark luminoso. «E… c-che cos’è quella cosa che brilla sul tuo fianco?!» Questa volta la domanda suonò più nervosa, rivelando che, probabilmente, era la prima volta che si trovava di fronte a un cutie mark animato.

«Quante domande. A quale devo rispondere per prima?»

L’altro soldato, nel frattempo, teneva gli occhi incollati a Bright, analizzandolo e contemplando con stupore lo squarcio nell’inferriata. L’unicorno Brightgate si sforzava di restare calmo e silenzioso, cercando di non aggravare la loro posizione. “Che accidenti ti passa per la testa, Bibski?”

Questa volta non sarebbe potuto intervenire in suo soccorso. L’inventore avrebbe dovuto cavarsela da solo, qualunque fosse stata la piega degli eventi.

Rimpianse che i suoi poteri fossero bloccati, ma almeno non doveva preoccuparsi di essere distratto dalla voce di Deepblue; il sigillo di cristalli oscuri impressogli sul corno dal Capitano delle Guardie gli impediva anche di accedere alla telepatia col fratello.

«Ti avverto. Un’altra battuta è rimpiangerai di aver messo zoccolo nel nostro Impero!» Intimò il soldato anziano, con fare da bullo.

«Beh, tecnicamente non l’ho fatto. Mi ci avete trascinato voi con la forza!»

L’unicorno di cristallo nitri furioso. «Ne ho abbastanza!» Inserì il suo corno all’interno del meccanismo incantato della sbarra, e la serratura scattò con un bagliore magico e un click dei perni.

La sbarra stridette di un clangore arrugginito e si aprì, mentre gli zoccoli del soldato varcarono la soglia della cella.

Bibski si ritirò in un angolo, mentre Bright dovette osservare la scena dalla distanza.

Il colpo arrivò violento, impattando sul costato del piccolo pony di terra, che si accasciò sulle zampe posteriori tossendo e gemendo di dolore.

Il grande unicorno rinchiuso nell’altra cella sbatté gli zoccoli sulle sbarre. «Questo non è leale! Non avete nessuno diritto di farlo!»

La Guardia di Cristallo che aveva di fronte lo derise con un ghigno. Brightgate sentì l’odio salirgli nelle vene.

«Allora, hai finito il repertorio?» Domandò il crudele unicorno nella cella di Bibski Doss.

Malgrado il bruciore che lo consumava da dentro e gli contorceva le budella, il pony di terra trovò la forza di rialzarsi e sorridere. «Non ho nemmeno cominciato.»

Un secondo colpo lo centrò sul muso, schiantandolo a terra. Sentì Bright chiamare il suo nome, urlando qualcosa ai loro aguzzini, ma era troppo stordito per capire.

«Signore… credo che dovrebbe andarci un po’ più piano con lui. Il Capitano e le Principesse non sarebbero contenti se lo conciasse troppo male… »

Nell’esatto momento in cui lo disse, Brightgate allargò gli occhi, avendo compreso finalmente il vero piano di Bibski.

«Sciocchezze. Basterà un rapido incantesimo curativo per rimetterlo in senso in un attimo.» Si abbassò sul muso della sua vittima, tanto da potergli sussurrare: «è il vantaggio dell’essere unicorni.»

Bibski Doss sollevò la testa tremante. Un rivolo di sangue gli gocciolava dal naso, e il labbro inferiore era lacerato. «Davvero? Quindi quella piccola escrescenza che hai sulla fronte sarebbe il tuo corno?»

Come risposta, ricevette un altro colpo sullo stomaco, che gli fece mancare il fiato.

Gli zoccoli di Bright tamburellavano concitatamente, mentre cercava di contenere l’ondata di emozioni che lo stava investendo. Ora che aveva capito le sue intenzioni, doveva solo attendere il momento giusto per agire.

«Ne hai avute abbastanza?!»

«L-lo sai… picchi come un puledro!»

L’unicorno di cristallo gli rifilò un’altra serie di calci, e questa volta ci andò pesante.

Incapace di difendersi, Bibski subiva i pestoni che i furiosi zoccoli infierivano sul suo esile corpo, ma non si lamentò neanche per un secondo. Incassava in silenzio, attendendo la fine della tempesta, senza regalare al suo aggressore alcun tipo di soddisfazione.

Alla fine, la Guardia Reale si fermò esausta, ansimando.

L’armatura era pesante, e lo schiacciava come un macigno, mentre il sudore si mischiava all’umidità della prigione, facendogli provare brividi di freddo.

Guardò il corpo steso a terra.

Bibski Doss non si muoveva. Il sangue usciva copioso dalla bocca e dalle orecchie. Piccoli tremiti muscolari scuotevano il suo manto, ma a parte questo, sembrava che la vita avesse abbandonato il corpo dell’inventore. Il cutie mark si era spento da tempo.

«Bibski!!» Bright si protese verso le sbarre, urlando con tutto il fiato che il suo corpo poteva espellere. «L’hai ammazzato! Bastardo, l’hai ammazzato!!»

La Guardia anziana toccò il corpo con una zampa, e quando questi rimase immobile, cominciò ad arretrare, incapace di distogliere lo sguardo. «Dannazione, ho esagerato… »

L’unicorno di guardia all’altra cella era paralizzato dallo shock. «S-Shining Armor ce la farà pagare cara… »

«Stai zitto! State zitti entrambi!» Intimò l’altro.

Bright si sentì come se il suo sangue avesse smesso di scorrergli nelle vene e al suo posto fosse entrata in circolo il magma. Bibski Doss, il suo socio e compagno di tante avventure… non c’era più.

Aveva fallito. Era stato troppo lento, malgrado avesse intuito il suo piano.

Il pony di terra aveva sempre riposto in lui la sua fiducia più cieca, e ora quando più che mai contava sul suo supporto, era morto invano prima di poter rivelare a tutta Equestria il suo piano per distruggere i Kaiju.

Gli unicorni responsabili del ponicidio di Bibski se ne stavano fermi sul posto, senza fare nulla.

Li supplicò di fare qualcosa, almeno di tentare di soccorrerlo con un incantesimo curativo, ma quando lo disse, gli fu nuovamente intimato di tacere.

Travolto dalla rabbia, i suoi muscoli cominciarono a contrarsi. Gliel’avrebbe fatta pagare, e lo avrebbe fatto senza sconti!

Le Guardie Reali non immaginavano nemmeno cosa stava per abbattersi su di loro.

Quando ogni cosa sembrava ormai irreparabile e il grande unicorno grigio cenere era pronto ad attuare la sua vendetta, il piccolo pony dalla tempra d’acciaio mosse un singolo zoccolo verso l’alto, facendo trasalire tutti i presenti, Brightgate compreso.

Era ancora vivo!

Usando l’unica zampa che riusciva a muovere, fece leva su di essa per mettersi in zoccoli, e sputò qualcosa che era un misto tra sangue e saliva, con forse una scheggia di molare nel mezzo. «Mi sbagliavo.» Disse con una voce incredibilmente convinta, malgrado il volto completamente tumefatto. «I puledri picchiano meglio di te!»

Nessuna parola uscì dalla bocca della Guardia anziana. La sua mente rifiutava di credere che quel piccolo pony di terra avesse resistito a tutti quei colpi.

«Bright… fallo. ORA!»

La Guardia che fino a poco prima vigilava sulla cella, aveva commesso l’errore di distrarsi.

L’unicorno dal manto corvino questa volta agì rapido: estendendo gli zoccoli oltre le sbarre, afferrò il militare per il collo, stringendolo tra le sue braccia.

Nell’altra cella, l’unicorno veterano commise il secondo errore, dando le spalle al pony di terra ferito. Bibski Doss scattò verso il suo fianco, anestetizzato dall’adrenalina, e diresse un colpo laterale con lo zoccolo anteriore destro sulla gola scoperta. Bastarono tre mosse per stenderlo: la prima gli paralizzò la trachea, troncandogli il respiro. La seconda gli fu inferta con un montante sinistro sotto il mento, abbastanza forte da fargli rimbalzare via l’elmetto protettivo. E quando la sua collottola fu scoperta, un ultimo colpo con la destra sulle vertebre cervicali fu sufficiente a fargli perdere i sensi e stramazzare al suolo.

«Tsk, dilettante. Un puledro sarebbe durato di più.» Commentò Bibski, come ultimo smacco al soldato.

Il corpo della Guardia Reale di grado inferiore cadde a terra esanime, dopo che Bright lo ebbe stretto fino a fargli perdere i sensi.

Finalmente, dopo due giorni di frustrazione e prigionia, Bibski poté mettere zoccolo fuori dalla sua cella, sebbene zoppicasse con tre zampe e strisciasse con la quarta.

L’amico lo stava guardando, con un misto di paura e apprensione. Ma anche di meravigliata sorpresa, considerata la destrezza con la quale aveva atterrato il militare nella sua cella.

«Ricordi quando mi accusasti di non prestare attenzione alle tue lezioni di difesa personale?» Disse entusiasta. Anche troppo, considerando le condizioni in cui il suo corpo vessava.

Bright sospirò. Dopotutto, almeno uno dei due era libero. «Già. Sei stato attento… però sei un idiota!!»

«Esatto. E fintanto che i miei piani funzioneranno, continuerò a esserlo!» Un dolore improvviso lo trafisse da parte a parte. L’adrenalina che aveva in circolo stava calando, e le ferite stavano cominciando a negoziare con la sua forza di volontà. Aveva bisogno di qualcosa che gli tenesse impegnata la mente. «Ora dobbiamo trovare il modo di tirarti fuori di qui, però.» Si guardò intorno, in cerca di una soluzione. Il cutie mark non dava segni di collaborazione. «Hai qualche suggerimento?»

Bright si mise a osservare le due guardie che avevano steso, e che ora stavano ronfando come cuccioletti appena allattati. «Prova a usare il suo corno» indicò verso il più alto in grado «inseriscilo nella serratura, e vedi se si attiva.»

«Secondo te funzionerà, anche se l’ho spedito nel regno dei sogni di Princess Luna?»

Bright fece spallucce. «Tentar non nuoce.»

Bibski si passò una zampa sulla bocca, pulendosi dal sangue, e inspirò una boccata d’aria che lo fece sussultare di dolore. «E va bene. Facciamolo.»

Il corpo del soldato pesava un quintale, e ora che l’eccitazione aveva dato il benservito ai suoi muscoli, le sue forze fecero di tutto per ostacolargli il trasporto. Lo spinse con la testa fin dove lo spazio gli dava possibilità di manovra, ma doveva sbrigarsi, o rischiava di svegliarlo prima che Bright si liberasse.

«Senti… è giusto che tu lo sappia: malgrado quello che tu mi abbia sentito dire, questo tizio picchiava come un orso!»

L’unicorno nella cella alzò un sopracciglio verso l’amico. I lividi e il sangue che lo ricoprivano erano già di per sé una tabella più che esplicativa. «Lo so.» Si limitò a dire, temendo che successivi commenti potessero incitare l’ennesima discussione con Bibski Doss.

«Perciò» riprese il pony terra, quando la Guardia Reale si trovò a un passo dalle sbarre «non è che ti dispiacerebbe darmi una mano a sollevarlo?»

Bright non riuscì a contenere una risata. Il ricordo di quel momento sarebbe entrato negli annali della storia di Equestria: Bibski Doss aveva appena ammesso la propria debolezza di fronte a uno dei suoi collaboratori più fidati! Era un vero peccato che Deepblue non fosse lì a testimoniare l’evento.

Risollevatosi dalla breve distrazione (e con lo sguardo torvo di Bibski su di lui), lo aiutò nell’operazione, alzando insieme il corpo del militare fino all’altezza del meccanismo.

«O la va, o la spacca.» Disse l’unicorno per scaramanzia, per poi spingere il corno dentro il foro d’entrata.

Sembrò non succedere nulla, e Bibski teneva già in canna un’imprecazione impronunciabile, ma dopo un breve momento di esitazione, l’incantesimo di sblocco partì in automatico, e Brightgate si trovò finalmente libero di uscire.

«Sìì!! Beccatevi questo, G.I. Pony luccicosi!!» Un altro lamento muscolare gli castrò l’entusiasmo.

«Dobbiamo trovare qualcuno che possa curarti, e alla svelta!»

«Sì, beh… basterà rimuovere dal tuo corno quei dannati cristalli. E io so già a chi rivolgermi.» Ghignò.

Il grande unicorno grigio cenere guardò il piccolo pony di terra, temendo che fosse impazzito. «Non vorrai andare da loro dopo quello che abbiamo passato?!»

Anche il piccolo pony guardò l’amico, sorpreso del suo stupore. «Perché credi che abbia fatto tutto questo, altrimenti?»

Le zampe di Bright cedettero, e dovette sedersi a terra. Eccola, dunque, la “variabile” di cui aveva accennato. Il grande puzzle della follia di Bibski Doss che si completava di fronte ai suoi occhi.

Tutte le insensate casualità che avevano vissuto, gli scatti d’ira, il pestaggio, l’evasione. Ogni singolo elemento era il mosaico di un grande disegno che ora si stava esibendo da dentro una grande cornice d’oro. Armonico come gli Elementi protettori di Equestria.

«Hai fatto tutto questo perUN’UDIENZA?!?»

Bibski gli rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Siamo ricercati, Bright. Non ci avrebbero mai concesso un’udienza formale con le Principesse. Non senza prima dare nell’occhio con un atto clamoroso. Ci avrebbero arrestati e spediti ai lavori forzati in una cava di gemme prima ancora di avere il tempo di archiviare le nostre foto segnaletiche. E per completare la mia arma anti-Kaiju, avremo bisogno del loro aiuto.» Osservava il suo assistente, che si era perso nell’atto di scuotere la testa in modo compulsivo.

Le labbra di Brightgate tremavano, mentre tentava di completare la prossima domanda. «E… l-l’evasione?!»

Il pony di terra, il cui occhio destro era talmente gonfio e tumefatto che quasi non riusciva ad aprirlo, si portò uno zoccolo al mento, pensoso. «Uhm… beh, te l’ho già detto. Mi ero semplicemente stufato di aspettare.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 4: La fuga ***




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CAPITOLO 4: La fuga


«Devo dirtelo Bibski, più cerco di capirti e più mi confondi le idee.»

«E ancora ci provi?»

I due fuggiaschi si trovarono a percorrere gli angusti corridoi del sotterraneo, che si diramavano intorno a loro come tunnel dei cani stana-diamanti, accompagnati solamente dalla fioca illuminazione dei cristalli installati sul soffitto.

«Sei sicuro che la direzione sia questa?» Chiese Bright, scettico.

«Naturalmente.» Gli rispose il pony di terra, abbacinato da una falsa sicurezza.

In verità, Bibski non aveva idea di dove si trovassero. La strada era più lunga di quanto non ricordasse, ma evitava categoricamente di ammetterlo, affidando al suo istinto il compito di guidarli verso l’uscita.

I suoi zoccoli zampettavano pesantemente, provati dallo sforzo e dai traumi diffusi sul corpo, rendendo la loro fuga ancora più complessa di quanto già non lo fosse.

Si addentrarono ancora di più nei claustrofobici tunnel di cristallo, superando lunghe successioni di celle abbandonate e imboccando nuove vie a ogni svolta, finché, giunti all’ennesima deviazione, ultima ma non ultima di tante simili, Bright vide il suo compagno e amico bloccarsi di colpo, esitando di fronte alla prossima diramazione.

«Dove si va ora?» Lo spronò a parlare.

Ma la sua insicurezza era ora manifesta, e la salute cagionevole. Ormai non aveva quasi più forza di reggersi sulle zampe. Ogni punto del suo corpo era un livido scuro, pulsante, che sembrava pronto a esplodere. «I-io… c-credo a sinistra… no… a destra… » mosse la testa affannosamente, non sapendo che direzione prendere «che Celestia sia dannata!» L’imprecazione gli provocò un attacco di tosse, che gli fece sputare un grumo di sangue che non auspicava a nulla di buono. «Non eri tu q-quello che osservava e v-valutava?!» Accusò l’unicorno, come se potesse aiutarlo a riprendersi.

Lo sguardo di Brightgate divenne grave, ma aveva anche un ché di comprensivo. «Io ero fuori combattimento, non ricordi?»

Bibski non ricambiò lo sguardo. Invece, i suoi occhi erano socchiusi, e la testa piegata in giù, smarrita nella caligine della sofferenza.

L’unicorno gli appoggiò il dorso della zampa sul collo, cercando di percepire le pulsazioni del suo cuore. «Tu non stai bene! Il tuo battito quasi non si sente! Non dovresti nemmeno essere in grado di reggerti a questo punto!» Gli venne da chiedergli “Come ci riesci?!” ma lo tenne per sé.

In uno scatto nervoso, il pony di terra lo spinse via, allontanandolo da sé. «L-lasciami stare! Ce la faccio!»

«No invece, guardati: non riesci neanche a stare fermo sul posto, e oltretutto ti sei chiaramente perso!»

«Ti ho detto che s-sto… » compì un paio di passi, ma finì per inciampare su se stesso. Il dolore che provò nella caduta lo fece contorcere come un bruco ferito.

“Chi spera di prendere in giro?! È ridotto a pezzi! Ah Bibski… stavolta temo tu abbia compiuto il salto più corto della staccionata!”. Bright si abbassò vicino a lui, e subito dopo cominciò a caricarlo sulla sua groppa.

«C-che stai facendo?»

«Evito che ti uccida da solo.»

«B-bright… non è necessario che… »

«Prova soltanto a lamentarti e ti getterò a terra di peso, t’avverto!»

Bibski s’impietrì.

«Molto bene, vedo che iniziamo ad andare d’accordo. Ora mettimi gli zoccoli attorno al collo e stringiti forte.»

«Almeno sai d-dove andare?» Gli chiese, mentre si sdraiava sul suo dorso nella posizione più confortevole possibile.

«Non ce n’è bisogno, stanno venendo a prenderci.»

Il pony di terra non capì. «C-chi? I due ragazzoni che abbiamo stesso poco fa?»

«No. Qualcun altro. Più numerosi.»

«Io non sento… n-niente.»

«Ma io sì. Seguiremo il loro eco.»

Galoppando come non mai a ritroso attraverso la scia di celle percorsa all’andata, nella direzione opposta a quella suggerita dall’amico, Bright si fece guidare dalle sue orecchie - che captavano come sonar le onde sonore di fondo – riuscendo così ad eludere i corridoi intrapresi dai loro inseguitori, girandovi attorno.

A giudicare dal tempo trascorso, ma anche dall’improvviso manifestarsi di suoni più concitati, le Guardie Reali dovevano pressappoco essere ormai giunte alle loro celle, e probabilmente avevano già ridestato i due pony carcerieri.

L’unica cosa che non era data sapere era il numero di quanti fossero. I corridoi erano relativamente stretti – appena quattro metri da una cella all’altra – ma se erano davvero famigerati quanto credeva, avrebbero dovuto aspettarsi un bel comitato di benvenuto.

Sul suo dorso Bibski si reggeva a malapena, sempre più debilitato. Nelle sue condizioni dovevano a tutti i costi evitare lo scontro diretto, o il rischio per lui di farsi ancora più male sarebbe elevato di colpo.

Fino all’ultimo, Bright sperò di poterli evitare, localizzando la via di fuga prima di essere localizzati a loro volta.

Dal canto suo, il pony di terra si sforzava di godersi la cavalcata, cercando di non pensare alle frequenti fitte di dolore che lo sferzavano a ogni galoppo dell’altro. Si sentiva strano a trovarsi in quella posizione, a un’altezza che per lui era completamente inusuale.

In un impeto di genio il suo cutie mark scintillò per pochi istanti, quando nella sua testa cominciò a prendere forma il progetto di un potenziale esoscheletro per pony di bassa statura che avrebbe potuto costruire una volta tornati a casa. Un’idea che lo aiutò a distrarsi mentre tutt’intorno i corridoio continuavano a susseguirsi, bivio dopo bivio, cella dopo cella.

«Oh-ho. Ci siamo.» Bisbigliò Bright, nascondendosi dietro l’angolo.

Erano ad appena un paio di tunnel di distanza dalle loro celle, molto vicini al punto di partenza della loro goffa fuga, quando lungo la galleria sulla loro sinistra, a una decina di metri più in là, videro la truppa di Guardie Reali avanzare nella loro direzione, in stato di allerta e con la guardia abbassata.

Erano due pegasi e tre unicorni, un paio di essi armati di lance (un ulteriore problema da considerare), ma fatto di maggior nota, erano accompagnati dai due unicorni carcerieri.

«Dobbiamo trovarli ad ogni costo!» Sbraitò il carceriere anziano dalla voce roca (il bastardo che aveva quasi spedito Bibski all’altro mondo), autoproclamatosi guida del gruppo, e che nel frattempo stava soffiando getti di vapore furenti dalle narici, come se non bramasse altro che la vendetta.

Bright iniziò a provare verso di lui lo stesso risentimento. Avrebbe avuto grano per i suoi denti.

«Q-quanti sono?» farfugliò Bibski da sopra la sua groppa.

«Ne conto sette. Ci sono anche i due tizi di prima.»

«Un gioco da puledri… per te.»

«Già, ma avrei preferito evitarlo.» Vedendoli avvicinarsi sempre di più, Bright capì che non c’era più tempo da perdere. «Forza, scendi. Subito.» Lo appoggiò a terra.

Bibski si sdraiò sul pavimento di pietra, incapace di reggersi. «Non fargli troppo male» poi si corresse «a parte a Mr. Voce Soave. L-lui puoi anche distruggerlo.»

Bright scricchiolò il collo, respirando profondamente. «Mi assicurerò che ne escano vivi e umiliati. Tu rimani qui.»

«Oh tranquillo… n-non vado da nessuna parte.»

Bright, quindi, avanzò oltre l’angolo, rivelandosi ai loro occhi.

Le Guardie Reali si fermarono di colpo, arretrando di un metro e sguainando corni e lance.

«Altolà! Non muovere un solo zoccolo!» Disse uno degli unicorni.

«Ve lo dirò una volta sola» cominciò Brightgate, impostato e solenne «levatevi dalla mia strada, o rimpiangerete di avermi incontrato.»

Era sembrato convincente, ma il carceriere anziano scoppiò in una risata isterica e gutturale «Ahahah!! Ma guardatelo come si atteggia!! Che ti prende? Credi di essere forte solo perché siete riusciti a liberarvi?!»». Non erano dello stesso parere gli altri soldati, che invece lo puntavano con sguardo fermo ma tremolante.

«Come se fosse stato difficile.» Lo schernì Bright di risposta, ghignando di sottecchi.

L’avversario grugnì. «Non alzare troppo la cresta, spilungone! Vi è andata bene che ci avete colto alla sprovvista, ma non succederà di nuovo! E a proposito, che fine ha fatto il tuo capo? Scommetto che se l’è svignata non appena ha avuto occasione di farlo!»

Da dietro l’angolo, Bibski strisciò verso la soglia per ascoltare meglio.

«Di lui non ti devi preoccupare.» Ammonì l’unicorno alto grigio-cenere.

«Oh, ti rode vero? Da fastidio che il tuo boss se la sia data a zampe levate lasciando il suo scagnozzo a prenderle di santa ragione?!»

Dietro la copertura, Bibski sgranò gli occhi. “Scagnozzo a Bright?! Quel tizio non immagina cosa lo aspetta!”.

«E a te, invece?» Domandò l’unicorno dal manto corvino.

«Cosa?!» Il carceriere digrignò i denti.

«Ti rode che siamo riusciti a farvela sotto il muso?»

Un nitrito furente uscì dalla bocca del suo rivale, dando prova di scarso autocontrollo. «Vedremo se adesso avrai ancora voglia di parlare!!» Grattò la terra sotto lo zoccolo, pronto a battersi.

Bright compì un passo in avanti e si mise in posizione di combattimento. «Dopo di te.»

Il carceriere anziano partì alla carica, col corno abbassato e puntato dritto sullo sterno di Bright, mentre i restanti rimasero in posizione di guardia.

«Ti distruggerò!!» Urlò imbizzarrito, con tutti i muscoli del collo tesi.

A un tiro di schioppo dallo scontro, Bright si sollevò d’improvviso sulle zampe posteriori, ruotando verso sinistra con l’agilità di un ballerino, scansando la carica della Guardia Anziana con agili riflessi. Roteò la zampa posteriore destra rasoterra, facendolo inciampare, e nell’istante in cui l’avversario si trovava per aria, lo schiacciò contro le sbarre della cella con un calcio a zampa tesa, mettendolo K.O.

Con calma glaciale e una concentrazione che raggiungeva lo Zen, mentre le Guardie Reali rimanevano costernate dalla rapidità con cui il loro leader era stato messo alla berlina, lasciò cadere il corpo del suo avversario, che si accasciò a terra con un chiassoso suono di carni e metallo che cozzavano tra di loro.

Tornato al centro del corridoio, si pulì lo zoccolo con fare annoiato e tornò a osservarli. «Allora, chi è il prossimo?»

Dopo un attimo di esitazione, uno degli unicorni di cristallo si fece avanti sparandogli addosso col corno. Bright lo schivò con un semplice movimento laterale del collo.

«Molto bene.» Disse, balzando su di loro.

Le Guardie Reali tentarono di colpirlo con altri due colpi, ma con scarsi risultati. Bright li scartò entrambi e si lanciò contro i militari, caricando un poderoso destro con lo zoccolo anteriore.

Prima d’impattare sul muso del soldato più vicino, il pugno incontrò un ostacolo a mezz’aria – un muro deflettore di magia azzurra, eretto all’ultimo istante – che respinse il suo corpo.

Le Guardie provarono nuovamente con degli attacchi magici, approfittando della distrazione, ma Bright evitò anche i seguenti colpi con due capriole all’indietro.

Una Guardia pegaso in volo si fece avanti con veemenza aggressiva. Bright studiò in una frazione di secondo la situazione, e decise la sua prossima mossa; attese che il pegaso gli fosse vicino, quindi lo placò e lo strinse in una morsa di sottomissione.

Un altro unicorno era pronto a scagliare dei raggi, ma Bright si servì dell’ostaggio come uno scudo equino, e lasciò che l’attacco magico colpisse la Guardia alata al suo posto.

Il pegaso cadde addormentato, colpito in pieno dal colpo narcotizzante del suo stesso commilitone.

Bright approfittò del breve momento di smarrimento dell’unicorno di cristallo per gettarsi su di lui e attaccarlo. Per iniziare, lo colpì con entrambi gli zoccoli anteriori sulle orecchie, stordendolo (e forse rompendogli i timpani), poi lo azzoppò definitivamente calciandogli lo stinco destro, e mentre questo crollava al suolo, ululante di dolore e gambizzato, lo afferrò per il collo e lo proiettò all’indietro con violenza inaudita.

Tre su sette erano andati, ma rimanevano ancora gli altri.

Mentre riprendeva fiato, i rimanenti pensarono vigliaccamente di colpirlo alle spalle, cogliendolo di sorpresa. Grave errore e pessima scelta strategica.

Schivò tutti i loro colpi semplicemente abbassandosi e tornò a correre verso il gruppo, collerico come non mai.

La truppa frappose nuovamente la barriera tra loro e l’unicorno alto, ma questa volta si fece trovare pronto: balzò in avanti con un calcio volante a zampe unite e colpì la barriera con tanta forza da sfondarla.

Le Guardie unicorno si trovarono scaraventate via dall’onda d’urto, mentre Bright atterrava elegantemente sui suoi quattro zoccoli.

Diede loro il tempo di risollevarsi e riorganizzarsi, mentre nel frattempo riprendeva fiato.

«Attacchiamolo insieme! Usate le lance!» Suggerì uno di loro, e ben presto tutta la schiera si fece avanti su Bright.

Tentarono di attaccarlo con le loro armi, usando la telecinesi per sferzare i colpi. L’unicorno evitò un paio di affondi e parò con zampe anteriori e posteriori ogni attacco corpo a corpo o di mischia che gli veniva incontro.

Il secondo pegaso sgusciò alle sue spalle, riuscendo ad afferrarlo da sotto le ascelle e cercando di sollevarlo per aria per renderlo vulnerabile alle offensive dei compagni. Bright però era imponente e massiccio, mentre il suo nemico piccolo e incosciente. Si tuffò all’indietro con un balzo e cadde di schiena schiacciando il pegaso sotto di sé.

Da quella posizione, bloccò tra le ginocchia un affondo che stava mirando al suo ventre, e lanciò per aria la lancia interrompendo l’impugnatura magica del suo aggressore.

Tornò subito sugli zoccoli con un salto, e la prese al volo tra i denti prima che lo facesse il legittimo proprietario.

Dando prova di una destrezza suprema, con l’asta ben salda nel suo morso, picchiò con l’estremità non appuntita dell’arma la testa della Guardia, per terminare il contrattacco con un poderoso pugno dall’alto, che fece assaggiare all’avversario il sapore della nuda roccia sul pavimento.

L’ultimo unicorno rimasto in campo usò la sua lancia per disarmare Bright, facendogli scivolare dalla bocca l’asta e scagliandola via con la levitazione.

Fu l’unica azione che Bright gli concesse.

Insistendo con la strategia dell’affondo, il pony di cristallo tentò nuovamente d’impalarlo con la punta, ma con una semplice parata col dorso della zampa anteriore, Brightgate gli fece perdere il controllo sull’arma, che quindi cadde a terra. La pestò con lo zoccolo, e tanto fu il vigore da far crepare il pavimento.

Costernato e inerme, il soldato eresse di fronte a sé un altro muro protettivo, arretrando senza riuscire a scostare gli occhi da Bright, che invece lo squadrava con fare seccato.

«Certo che voi non imparate mai.» Commentò sbuffando, prima di infrangere la barriera con un’altra zoccolata.

L’unicorno di cristallo tentò di parlare, forse di chiedersi cosa fosse successo, prima che Bright lo caricasse sulle spalle cimentandosi ad eseguire una mossa spezza-schiena con il ginocchio.

Il metallo della corazza s’incrinò, per fortuna, salvandogli la spina dorsale. Il soldato perse i sensi, tramutandosi in un fantoccio senza vita tra le braccia dell’unicorno alto.

Sul campo di battaglia non era rimasto più nessuno. Ogni soldato giaceva a terra ridotto in condizioni catastrofiche. Umiliati e sconfitti, proprio come aveva predetto Bright.

Contò i corpi che si era lasciato intorno, colto da un dubbio improvviso, e notò qualcosa che lo lasciò perplesso. Ne mancava uno.

«Bright, attento!!» L’urlo di Bibski lo mise in guardia all’ultimo momento.

Riuscì a girarsi giusto il tempo di ritrovarsi a tu per tu con il pesante corpo di un pony di cristallo che lo gettava a terra d’improvviso, dando il via a una tempesta di zoccoli che lo investirono in pieno volto senza concedergli alcun lascito di tregua.

«TE L’HO DETTO CHE TI AVREI DISTRUTTO!!» Il carceriere anziano si accaniva su di lui con ferocia animalesca, che sembrava provenire dagli abissi del Tartaro, eruttando nuvole di pura malvagità dalle sue narici, e bava schiumosa dalla bocca. Non aveva più importanza chi fosse, né quale fosse il suo rango sociale. Il suo obiettivo era la morte del rivale, la sua sete di sangue insaziabile.

Brightgate non mosse un solo muscolo per evitare i suoi colpi.

L’unicorno di cristallo si fermò solamente dopo un lungo minuto di accecante follia. Si mise in ginocchio sopra il corpo di Bright e si abbandonò a un’altra risata isterica, gustando il nettare della vittoria.

«Hai finito?» Sentì chiedere dal basso.

Guardò Bright, che a sua volta lo scrutava immobile, e sbiancò di paura. Sul manto grigio e solo leggermente scompigliato dell’unicorno alto non c’era traccia di ferita, nemmeno un graffio. Niente di niente.

«N-non è possib… »

Il carceriere avvertì un lancinante colpo sul rene sinistro, infertogli con una zoccolata.

«Ora mi hai stancato.» Disse Bright, calciandolo a due metri di distanza.

Il carceriere ansimò, mentre a fatica provava a rimettersi sulle sue zampe.

Tornati entrambi in posizione quadrupede, i due iniziarono a fissarsi a vicenda, per un intenso confronto che durò per dieci lunghi secondi.

La debole luce dei cristalli sui soffitti si rifletteva sulle iridi giallo-acido dell’unicorno alto, infondendogli una figura sinistra e suggestiva. Persino Bibski ebbe paura a vedere l’amico avvolto da quell’aura tenebrosa. Nei suoi ricordi iniziarono a riaffiorare scene di un passato ormai lontano, che da tempo cercavano entrambi di superare.

Al termine del confronto, il carceriere anziano caricò Bright con tutta la sua foga, e l’unicorno alto fece altrettanto. I loro zoccoli anteriori s’incontrarono a mezz’aria, cozzando l’uno contro l’altro.

In breve tempo l’assalto iniziale si tramutò in una sfida di forza bruta, in cui la regola era sormontare con la propria massa l’avversario. Inutile dire che Brightgate partiva già con un notevole vantaggio.

La sua espressione era immota, statica. I suoi occhi gialli e penetranti come quelli di un mostro, violavano la tenacia del suo oppositore, che stava sudando copiosamente e annaspando sempre più allo stremo, alla ricerca di una rimonta.

Dopo pochi secondi di resistenza ostinata, le zampe posteriori del pony di cristallo cedettero, costringendolo a prostrarsi.

Deglutì nervosamente, mentre invano cercava di rialzarsi, ma si rese conto che non solo non era in grado di farlo, ma che anche la pressa d’acciaio del gigantesco unicorno lo teneva inginocchiato senza alcuna possibilità di spostarsi. Era come se i suoi zoccoli si fossero incastrati sotto quelli di Bright, rendendogli vana qualunque possibilità di contrastarlo.

Quando i due sembrarono giunti all’atto finale delle sfida, una scintilla oscura brillò improvvisamente negli occhi di Bright, e il carceriere ebbe solo un istante prima di rendersi conto che per lui non c’era più alcuna speranza.

I suoi zoccoli esplosero, sfondati da una tale forza impetuosa da ridurre le ossa delle zampe a briciole inermi, che fuoriuscirono dalla carne tra schizzi di sangue e pelo strappato.

Il carceriere, che prima aveva recitato tanto bene la parte del bullo tutto-d’un-pezzo, si gettò a terra devastato dal dolore.

Non era in grado di muoversi. Non aveva alcuna possibilità scappare. Il semplice atto di appoggiare le zampe anteriori a terra per tentare di alzarsi gli causava detonazioni di dolore e urla strazianti. Se avesse provato parlare, probabilmente non sarebbe stato in grado di farlo, quanto era intento a gridare.

Ma nemmeno questo bastò a ripagare la sete di Bright, che infatti avanzò con la punizione, colpendolo al mento con una ginocchiata che lo fece volare per aria ancora una volta , per poi arretrare con un leggero balzo all’indietro, mettendosi in posizione per il colpo di grazia, e come atto finale, concentrò tutta la sua energia sugli zoccoli anteriori, infliggendogli un ultimo, implacabile attacco, sfondandolo con un doppio pugno a braccia distese. Un colpo che ebbe la potenza di una meteora all’impatto.

Il carceriere venne spazzato via, lontano, diversi metri più in là, e atterrò sulla nuda roccia senza emettere un singolo gemito. Vivo o morto, a quel punto non aveva più importanza.

«E questa volta, stai giù.» Gli disse infine.

Bibski uscì dal suo nascondiglio, esultando. «Wuhuu! Performance niente male, amico mio! Certo… mi sarebbero piaciuti dei pop corn, ma me ne faccio una ragione!»

«Ne mancava uno.» Commentò Bright, voltandogli le spalle.

«Oh sì, il luccicoso che voleva farti nero» rivolse un’occhiata al corpo straziato del carceriere, facendo una smorfia stizzita «e che tu invece hai fatto… rosso. Certo non pensavo che mi avresti preso alla lettera quando ti ti ho detto di “farlo a pezzi”…» Il ventre del soldato si alzava e abbassava debolmente, segno che era vivo, ma le sue zampe, con le ossa esposte che impregnavano il manto di scure chiazze rosso sangue, non sarebbero mai guarite del tutto. Non sarebbe più tornato a combattere per l’Impero di Cristallo e per i Reali del castello, né avrebbe fatto più parte dei ranghi della legione.

«Non mi riferivo a lui.» Lo avvertì Bright.

«Ah no?»

«Ce n’erano sette all’inizio. Due pegasi e cinque unicorni. Mentre io qui ne conto solo sei.»

Bibski si mise a conteggiarli a sua volta, sforzando gli occhi ancora gonfi e contusi per mettere a fuoco le immagini nell’oscuro tunnel, confermando le parole dell’unicorno. «Questa non ci voleva. Sarà corso da Mamma Celestia a lamentarsi che gli abbiamo fatto la bua… »

«E invece no.»

Bibski gli si avvicinò, guardandolo confuso.

«È là, dietro l’angolo. Si nasconde come un topo» indicò di fronte a sé con lo zoccolo «crede che non riesca a sentirlo, ma ha il fiato pesante come quello di una locomotiva a vapore.» Brightgate compì un metro verso la direzione, parlando con voce autoritaria. «Vieni fuori, subito!» Ma dopo qualche istante di attesa, nessun pony, né unicorno, né pegaso, rispose al suo comando. Così fece da sé.

Camminò lentamente fino alla fine del corridoio, lasciandosi alle spalle Bibski.

Dopo che ebbe svoltato la galleria, Bibski sentì un grido di paura echeggiare lungo i muri. Subito, vide il malcapitato unicorno di cristallo venir scaraventato nel corridoio dallo stallone grigio-cenere.

Se la montagna non vien da te”. Pensò.

Riconobbe la guardia carceraria più giovane. Strisciava a terra come un’anguilla, perdendo pezzi di corazza a ogni passo.

«V-vi prego, n-n-non u-uccidetemi!»

«Finiscila, non abbiamo nessuna intenzione di farlo!» Disse Bright, parandosi di fronte.

«Già, a patto che tu ci dica come uscire di qui!» Si avvicinò Bibski, con fare intimidatorio.

La Guardia Reale si paralizzò per un momento nell’osservarlo, come ipnotizzato da quel piccolo pony di terra che nonostante fosse così deturpato, sembrava ancora così sprizzante di vita.

Bright pestò a terra con lo zoccolo. «Allora?!»

La Guardia trasalì.

Come se non bastasse, l’aspetto minaccioso di Bright, con il suo manto grigio fosforescente, come quello di un fantasma, e i lunghi capelli neri, pregni di polvere e sporcizia, uniti ai suoi occhi giallastri, lo tramutavano nella ponyficazione stessa di un demone, rendendo l’interrogatorio della Guardia Reale ancora più teso e frustrante.

L’unicorno in armatura scintillante deglutì rumorosamente, mentre fissava quella creatura dalla massa imponente che aveva sterminato tutto il suo plotone in meno di due minuti, e che ora era in attesa di prendere anche lui.

«I-io… » dentro di lui si combatté una cruda battaglia interiore, per decidere se rendere onore alla sua corazza e combattere fino alla fine (anche se invano), o salvarsi la pelle collaborando con loro. Deglutì rumorosamente. «D-dovete andare di là.» Indicò di scatto, nella direzione opposta a Bibski.

«”Di là” dove?» Domandò il pony di terra.

«P-prendete quella galleria… poi… p-percorretela fino ad arrivare alla svolta. Andate a sinistra, poi avanti, destra e ancora a destra… a-arriverete a una stanza con un tavolo in legno… con delle porte e dei corridoi. Salite su quello che va verso l’alto, lungo la scalinata, e vi ritroverete fuori, a cento metri dal castello!»

I due fuggiaschi si scambiarono un cenno d’intesa.

«Seguite le mie indicazioni e non vi sbaglierete, lo giuro sulle Principesse!» Disse forzando un sorriso a trentadue denti, nell’estremo tentativo di conquistarsi la loro fiducia.

«Io avevo fatto sinistra, avanti, destra e sinistra. In fondo non mi ero sbagliato più di tanto.» Si vantò Bibski a testa alta, per quanto i lividi che lo butteravano, attribuivano a quel gesto un qualcosa di grottescamente comico.

«C’è un’altra cosa» Bright fissò l’altro unicorno, puntando con lo zoccolo i cristalli oscuri che gli imprigionavano il corno «voglio che spezzi l’incantesimo!»

La Guardia Reale trasalì alla richiesta. «N-non posso farlo… non c-conosco il controincantesimo… soltanto il Capitano delle Guardie, Sir Shining Armor può annullarlo… » parlò farfugliando, temendo la loro reazione.

«E noi dovremmo crederti?»

«I-io… n-non ho il coraggio di mentirle… signore.»

Bright sbuffò, ma del resto era un’eventualità che aveva già preso in considerazione. Si rivolse a Bibski. «Stiamo soltanto perdendo tempo con lui.»

«Già, il mio Equalizzatore non aspetta i guaiti di un luccicoso che non ha ancora imparato a cambiarsi il pannolino. Fanne quello che ti pare.»

«Ehi, no, un momento! Vi ho detto tutto quello che volevate! Che volete farmi?!» Tentò di strisciare verso una delle celle, ma finì per inciampare sul corpo di una delle Guardie Reali pegaso svenute a terra.

Quando aprì gli occhi, si trovò nuovamente l’unicorno grigio-cenere sopra di lui.

«L-la scongiuro… non…» supplicò.

«Farà male solo per un istante.» Disse l’unicorno alto, colpendolo con lo zoccolo alle terminazioni nervose sul lato del collo.

La Guardia Reale gemette un momento e smise di muoversi.

Per un po’ Bright rimase sul posto a guardarlo, chiedendosi se il colpo fosse stato realmente indolore come gli aveva promesso. Tra tutti i soldati che avevano tentato di attaccarlo, il giovane carceriere era stato l’unico a essersi tirato indietro. In circostanze normali lo avrebbe lasciato andare, ma in quella fuga il tempo era costantemente contro di loro, e non potevano permettersi debolezze.  

«Quando si sveglierà, sembrerà che sia stato sconfitto in combattimento. Ne uscirà da eroe… » mormorò affranto, tra sé e sé.

«Già, a patto che non gli venga in mente di dire la verità di fronte alla corte marziale.» Lo guardò aggrottando la fronte. «Lo hai detto come se ti sentissi in colpa.»

L’unicorno passò gli zoccoli sulla criniera, sistemandosela alla bell’è meglio. «Lo sai che non mi piace fare del male agli altri pony.»

«Lo so. Infatti i nostri amici qui intorno sono tutti inciampati sui loro ferri di cavallo.»

Lo guardò con disappunto. «Sai benissimo che cosa voglio dire! Piuttosto, non eri tu quello che fino a cinque minuti fa era in fin di vita?!»

«Se vuoi la verità, ho male dappertutto. Mi fa male quando respiro, mi fa male quando cammino… » un conato di tosse improvvisa gli ruppe la frase «e anche quando sto fermo, se è per quello.»

L’unicorno nitri, tornando ad aggiustarsi la chioma. «La mia criniera come sta?»

«Davvero adorabile direi. Potresti sembrare Deepblue.»

«Fantastico… » commentò l’altro, con sdegno, e finì di ripulirsi «dai, andiamocene prima che ne arrivino altri.»

Bibski trottò allegramente fino ai suoi zoccoli. «Io sono pronto, tirami su!»

L’amico lo guardò con espressione torva.

«Sai, sono ferito… in fin di vita.»

«Scordatelo!»

«Ok, ok. Allora mettiamola così: hai dei peccati da espiare? Allora fallo aiutando i deboli e gli indifesi a uscire dalle grotte buie e luccicanti

Restarono per un po’ in silenzio, fissandosi a vicenda, dopo di che l’unicorno strizzò gli occhi con dissenso. «Ti odio.»

«Squee!»


Con il pony di terra comodamente disteso sul suo dorso, Bright proseguì lungo il percorso indicato dalla guardia carceraria, raggiungendo finalmente l’uscita di quell’intricato labirinto di gole, sotterranei ed ex-celle per schiavi, fino ad arrivare di fronte a una piccola inferriata aperta che dava sulla stanza descritta dall’unicorno di cristallo.

Era un piccolo antro di non più di sei metri d’ampiezza, che al contrario dei corridoi artificiali da cui erano appena usciti, sembrava di origine naturale, almeno a giudicare dall’irregolarità delle pareti e dalle innumerevoli stalattiti e stalagmiti di calcare che si protendevano dal soffitto e dal pavimento umidicci.

L’illuminazione era garantita da una coppia di grandi cristalli di luce emergenti dal terreno, alti circa quanto un pony e mezzo, e collocati agli estremi della stanza. Uno dei due sembrava trovarsi lì da molto tempo, forse formatosi spontaneamente nel corso dei millenni, ed era circondato lungo la base da altri piccoli quarzi che ne rendevano la luce intensa e predominante. Il secondo invece era fissato su un supporto metallico sul terreno, collocato di proposito al fine di rendere l’illuminazione omogenea e speculare.

Un piccolo e discreto tavolo in legno, con sopra nient’altro che la polvere e leggermente intaccato dalla muffa e dal tempo, decorava il centro della stanza con quattro sedie mal-ordinate disposte intorno.

Sempre di legno erano la rastrelliera posta a ridosso di una delle pareti e il mobile libreria contenente alcuni vecchi tomi in pelle di drago. Dall’alto della sua cultura (ma anche della groppa dell’amico), Bibski si chiese se qualche soldato si fosse mai preso la briga di sfogliarli almeno una volta.

Saltò giù dal garrese di Bright e si guardò intorno. Localizzò le porte accennate dal carceriere; erano tre, in legno robusto e rinforzate col metallo. «Che razza di stanza è questa?!»

«Sembrerebbe una guardiola, o almeno qualcosa del genere.» Ipotizzò Bright. «Anche se non credo abbia molto senso allestirne una in una città dove il tasso di criminalità è praticamente allo zero percento.»

«Allo Bright&Bibski percento, direi. Allora, come ci comportiamo? Quella dev’essere la scalinata di cui parlava la Guardia. Andiamo fuori e CI FAI strada attraverso il regno?»

Non vedevano la fine dell’angusto passaggio che conduceva verso l’alto, ma era l’unico a non essere sbarrato da una porta, e l’unico, fino a prova contraria, ad avere dei gradini.

L’unicorno non accolse di buon grado la proposta del pony di terra. «Senza rancore ma preferirei evitare di compiere un genocidio solo per convincere le Principesse ad accettare il nostro aiuto… » qualcosa appeso a una parete attirò la sua attenzione «ehi, guarda qua!»

Bibski si avvicinò. «Che roba è? Una mappa dei sotterranei?» Chiese.

«Già… ed è incredibile. Osserva tu stesso!»

Studiarono insieme la piantina, che si districava in una rete infinita di condotti e passaggi; chilometri e chilometri di gallerie, celle e stanze scavate nel sottosuolo della città, che conducevano a ogni remoto angolo dell’Impero di Cristallo.

Un cerchio rosso, che faceva tanto stile “voi siete qui”, indicava la loro posizione attuale, ma la complessità generale dello schema era ben oltre le loro più fantasiose previsioni!

«Armerie, spogliatoi… oh cielo! Questi tunnel non sono solo delle carceri, sono delle vere e proprie caserme!»

Bibski restò di sasso. «Vuoi dire che i luccicosi di cristallo vivono SOTTOTERRA?!»

«Beh, le Guardie Cittadine sì, se vogliamo dar credito alla mappa. Ma da un certo punto di vista ha un senso: ci sono pochi pegasi nella legione. Nell’eventualità di un’emergenza devono poter viaggiare attraverso la città in fretta. Presumo che sia un’abitudine risalente ai tempi del dominio di Re Sombra.»

«Il che spiega il loro carattere gioviale.»

Alle loro spalle una delle tre porte cigolò all’improvviso, e una Guardia Reale unicorno comparve nella stanza.

«Ma che cosa… !» esclamò di stucco il soldato, e si fiondò sul fianco destro della parete, puntando a qualcosa che i due amici prima non avevano notato.

«Un allarme! Bright, fermalo!!» Una fitta al petto ricordò al pony di terra di essere ancora tecnicamente ferito, ma la ignorò, come tutte quelle che l’avevano preceduta.

L’unicorno alto corse in fretta al centro della stanza, e calciò con forza il tavolo di legno verso il pony di cristallo, schiacciandolo contro il muro.

Sfortunatamente, però, aveva agito troppo tardi, e l’eco della sirena cominciò a propagarsi da tutte le parti.

Bibski galoppò incespicando verso il pulsante d’emergenza, provando senza successo a disattivarlo. Il design del pulsante gli sembrò familiare, e decise di studiarlo più a fondo. «Reborn Technologies!» Lesse in rilievo sulla plastica rossa del dispositivo «Questi tizi si permettono di usare i NOSTRI sistemi d’allarme dopo aver fatto a ME la ramanzina sull’Equalizzatore!»

Bright tornò di corsa a studiare un punto della piantina dove prima non aveva avuto il tempo di soffermarsi. Seguì il tracciato che aveva di fronte a sé, partendo dalla loro posizione, e arrivò a una deviazione che si congiungeva con quello che aveva tutta l’aria di essere un piano interrato del castello, proprio sotto uno dei quattro piloni che lo sostenevano.

Sulla superficie, la città sembrava essere piombata nel subbuglio più totale, almeno a giudicare dal fragore di zoccoli che iniziarono a echeggiare attraverso la roccia, come se l’allarme avesse scatenato un’ondata d’isteria collettiva pari solo all’attacco di qualche Kaiju. Se volevano andarsene senza dare troppo nell’occhio, quello sarebbe stato il momento più propizio.

«Bright. Non vorrei metterti fretta, ma tra poco temo che sarai costretto a tornare a combattere se non ci leviamo da qui prima di subito!»

L’unicorno si voltò di scatto verso il piccolo pony di terra. «Bibski, ho un piano!»

Puntò lo zoccolo su quella che aveva individuato come la congiunzione con il castello, e quando l’inventore capì, il suo cutie mark prese a brillare. «Fantastico!!»

Si diressero verso l’uscita lasciata aperta dalla Guardia Reale.

«Salimi in groppa! Se ho ragione, questa ci condurrà direttamente dentro la torre!»

«Busseremo alle porte di Lor Maestà entrando direttamente dalla loro cantina!!»


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L’allarme si diffuse velocemente, elevandosi fin sulle strade dell’Impero di Cristallo.

Truppe di ronda si operarono in fretta per mantenere l’ordine tra i cittadini, che memori del loro passato di tirannia, ma anche dei recenti attacchi dei Kaiju, iniziarono a correre a briglie sciolte rischiando di scatenare il panico di massa.

Nel castello, la grande famiglia Reale e le Custodi degli Elementi non sapevano come comportarsi di fronte all’improvviso scenario.

Mentre si domandavano a vicenda cosa stesse succedendo, una Guardia Reale unicorno fece irruzione nella sala del trono ansimando.

«Maestà… » iniziò, ma le parole gli soffocarono in gola. Era talmente agitato da essersi persino dimenticato l’inchino servile.

«Prendi fiato e parla.» Disse la condiscendente Princess Cadance.

«Mia Signora, ecco… » parlò rivolgendosi a tutti «i prigionieri che sono stati catturati due giorni fa… sono scappati!»

«Com’è possibile?! Ho appena mandato un’intero plotone a prenderli!  Che fine hanno fatto??» Proruppe Shining Armor.

«Signore, io non lo so, signore! So soltanto che tutta la milizia è in fermento, e che i due sono entrati nella torre, Signore!»

Twilight trasalì. «Nella torre?!»

In quel momento tutti si voltarono a guardare Princess Celestia, che sospirò affranta. «Sapevo che sarebbe successo. Non c’è modo di tenere in gabbia quei due. La loro fuga era solo questione di tempo.»

«Pensi che stiano venendo qui per noi?» Domandò Luna alla sorella maggiore.

Princess Celestia socchiuse gli occhi e abbassò il capo. «Bibski Doss non è uno stupido. Sono certa che sappia del nostro arrivo. Quello che mi chiedo è se sia il suo odio a spingerlo, o se miri invece ad altri fini.»

«C-cielo… che cosa possiamo fare?»

«Mi sembra ovvio, Fluttershy! Andiamo lì e gli facciamo vedere i sorci verdi!»

«Ranbow Dash ha ragione! Non possiamo starcene qui ad aspettare, dobbiamo agire!» Disse Twilight, con vigore.

«No Twily» Shining Armor fece un passo in avanti «è compito delle Guardie Reali difendere il castello dai pericoli che incombono sulle nostre mura. Voi statevene qui, al sicuro!»

«Spiacente, mio Capitano» obiettò lei con fermezza «ma Princess Celestia ci ha volute qui per una ragione, e… » si voltò verso le amiche, che fatta eccezion per Fluttershy, sembravano preparate a entrare in azione «beh, noi siamo pronte!»

«E’ giusto» annuì Celestia, rivolgendosi a lui «hai visto con i tuoi occhi di cosa sono capaci quei due pony. E t’invito a non ostentare sicurezza solo perché sei riuscito a catturarli una volta. Brightgate non è tipo da concedere una seconda possibilità ai suoi avversari.»

Twilight si soffermò a pensare al nome che aveva appena udito. Conosceva Bibski quanto bastava per inquadrarlo, ma del suo aiutante aveva ricevuto solo informazioni frammentate. A giudicare dalle parole della Principessa, però, doveva trattarsi di un pony ben più temibile di quanto già non apparisse. Avvertì un fremito d’esitazione, che tuttavia represse immediatamente. Non era il momento di tirarsi indietro.

«E va bene, faremo così» si diede per vinto il Capitano «Twilight!»

«Sì?»

«Tu e le ragazze veniteci dietro.»

«D’accordo!» Risposero tutte e sei in coro.

«Flash Sentry, ti voglio in prime linea con me. Assumi il controllo dell’unità!»

«Sissignore! Regole d’ingaggio?»

«Autorizzazione all’uso di colpi magici dirompenti. Non intendo correre altri rischi!»

«Signore, sissignore!» Alzò lo zoccolo sulla fronte, per poi rivolgersi alle altre Guardie Reali. «Avete sentito il Capitano?! Tutti gli unicorni con noi! I pony di terra e i pegasi rimangano a proteggere le Principesse!»

«Signorsì signore!» Risposero in coro.

Twilight si girò trovandosi dinanzi a Spike, che sembrava in fermento per scoprire il suo incarico. «Tu invece resterai QUI! Sono stata chiara?»

«Ehm… c-cristallina.» Borbottò, non osando scavalcarla.

«Twilight.» La chiamò Celestia, facendola sussultare. Voleva forse rimproverarla per l’atteggiamento verso il draghetto?

«Sì… ?»

«Prestate la massima cautela laggiù, mi raccomando!»

Trasse mentalmente un sospiro di sollievo e sorrise determinata. «Lo faremo!»

Custodi e Guardie Reali si unirono nella missione e lasciarono la sala del trono, con Shining Armor e Flash Sentry alla guida della comitiva.

I destrieri che li accompagnarono erano quattro, tra cui il messaggero che li aveva informati dell’incursione, a cui si aggiunsero altri due unicorni incontrati lungo il corridoio.

Scesero la prima scalinata a galoppo svelto, per poi rallentare il passo a cominciare dal piano sottostante, incedendo da quel momento in poi con maggior cautela.


Nei piani inferiori del castello Bright abbatté altri due pegasi che avevano tentato di frapporsi tra loro e la loro meta. Anche senza la sua magia, erano ugualmente nemici di bassa lega. Nemmeno la capacità di volare poteva pareggiare con le abilità di combattimento marziale dell’unicorno alto.

Bibski Doss seguiva sotto sforzo la strada che l’amico spianava per lui.

Le poche energie recuperate nei sotterranei lo aveva già abbandonato diversi piani sotto, e l’unica cosa che lo spingeva a proseguire contro ogni possibilità, era la sua resilienza.

Stesi gli avversari, si trovarono ad affrontare un’altra diramazione, alla quale il pony di terra non trattenne un’imprecazione. «Un altro bivio in questa torre e giuro che la prima cosa che farò quando sarò fuori da qui sarà costruire qualcosa che la demolisca!»

«Su forza, siamo già saliti di due piani! Non dovrebbe mancare molto!»

«D’accordo. E allora… ehm… andremo a destra

«Ok, a sinistra. Muoviamoci!»

«Ehi no, aspetta! Avevo detto… Bright!» Ma l’unicorno era già scattato per la direzione opposta. «Almeno rallenta… dannazione!»

Raggiunsero finalmente una sala differente dalle altre, più ampia e con un grande motivo a forma di fiocco di neve che decorava il lucido pavimento. Due grandi coppie di colonne ad arco con dei cristalli in rilievo decoravano la parete sulla sinistra. Sulla destra, una rampa di scale collegava la stanza con il soppalco del piano superiore, mentre in fondo, una volta a sesto acuto dava su un altro stretto passaggio, non diverso dai monotoni corridoi che avevano appena oltrepassato.

Puntarono subito alla scalinata, quando un trio di unicorni sbarrarono loro la strada dall’alto, cominciando a sparargli contro sporgendosi dalla balaustra del piano superiore.

Brightgate afferrò Bibski tra le zampe anteriori e lo lanciò sgraziatamente al fianco opposto, verso le colonne, facendolo atterrare con un gemito di dolore, e mettendosi al riparo con lui dietro i pilastri.

«Ti venisse un accidente!» Mugugnò l’inventore, appiattendosi contro la copertura.

«Almeno ti ho salvato le chiappe, non disprezzare!»

«Già, grande mossa! E adesso?!»

Bright si sporse leggermente per guardare, finendo quasi centrato da un proiettile di magia, che invece di evaporare al contatto, rimbalzò sul cristallo scheggiandolo. «Colpi dirompenti! Stavolta fanno sul serio!»

«In questo momento avrei almeno una decina di battute pronte, ma sono troppo preoccupato a sopravvivere!»

Bright non si prese la briga di rispondergli.

Senza la sua magia e con il fuoco dirompente delle Guardie di cristallo a tenerli asserragliati, rischiare di esporsi lasciando Bibski da solo era un’opzione che non si fidò di avvalorare.

Si passò lo zoccolo sui cristalli oscuri che crescevano sul suo corno, e cominciò a riflettere. Se soltanto fosse riuscito a rimuoverli in qualche modo… sgranò gli occhi d’improvviso!

Si voltò verso la colonna, fissando solo per un momento il suo volto specchiato sulla superficie, e cominciò scaricando una prima violenta testata su di essa, che si scalfì all’impatto col corno.

«Wow… che ti prende?!» Il pony di terra lo guardò attonito, mentre scaricava un altro colpo, questa volta flettendo lateralmente il collo.

«Dobbiamo rispondere al fuoco in qualche modo!» Seguì un'altra testata. «Se riuscissi a spezzare questa dannata maledizione, potrò finalmente tornare a usare la mia magia!»

Testata.

«Beh certo, ci farebbe comodo in questo momento, ma così rischi di romperti anche il corno!» Un colpo magico impattò vicino alla sua zampa posteriore, scottandogli lo zoccolo. Soppresse un grido di dolore.

L’unicorno insistette con un’altra testata.

«E’ un’idea stupida, Bright!»

Testata.

«Pensavo fossi tu quello con le idee stupide.»

Testata.

«Esatto! E tu sei quello che di solito me lo impedisce!» Un altro colpo magico gli passò molto vicino al muso, scheggiando un altro pezzo della colonna. «E VOIALTRI LASSÙ SMETTETELA DI SPARARMI ADDOSSO!!»

Un’altra testata e una crepa si aprì nella copertura di cristallo.

«Finirai per romperti il collo così, Bright!!» Ma l’unicorno non gli diede retta.

Un’altra testata e un frammento di cristallo oscuro si staccò dalla punta del suo corno. Bibski lo guardò tintinnare a terra e rimase senza parole, ma solo per poco.

«Celestia quella dannata, sta funzionando! Continua così, più forte, più forte!!»

«Ah, adesso non ti preoccupi più?» Ironizzò Bright.

«Prima era un’idea stupida, adesso è geniale, sveltati!»

Un’altra testata fece scheggiare un secondo pezzo di cristallo oscuro. Un cambio d’inclinazione e al colpo successivo venne via un’intera porzione.

Il collo di Bright cominciò a dolergli, i capillari sulla punta del corno pulsarono.

Testata. Testata. Testata.

Avvertì un principio di mal di testa, che si sarebbe presto tramutato in una forte emicrania, se non fosse che dopo un ultimo frontale ogni scaglia di cristallo rimasta finì per spezzarsi, mandando in frantumi la maledizione. Un vapore nerastro evaporò dal corno del pony, dissolvendosi nell’aria e liberandolo.

«Ce l’hai fatta!! Ahaha pazzo spilungone bastardo, ce l’hai fatta!!» Bibski nella foga quasi si espose ai colpi nemici, che per poco non lo centrarono.

Brightgate percepì i suoi poteri riaffiorare dal loro torpore e permeare i suoi muscoli fin nel cuore dello spirito.

Una voce che non sentiva ormai da giorni, e che per lui era quasi diventata estranea, rimbombò nel suo cranio.

- Bright?! – Da lontano, in un luogo ignoto di Equestria, Deepblue sembrò sorpreso di risentirlo altrettanto quanto lo era lui.

- Ciao Blu. È bello riaverti con me. -

- Santo cielo, stavo cominciando a temere che fossi morto! I ragazzi hanno detto che siete rimasti a combattere contro i soldati di cristallo, e da allora non abbiamo più avuto vostre notizie! -

- Lo so, è una lunga storia, ma ti spiegherò dopo. Ora ho da fare. –

- Bibski? -

- Sta bene, sta bene… beh… più o meno. -

Vide il pony di terra dibattersi per chiamarlo. «Bright, non ti distrarre! Avrai tutto il tempo del mondo per parlare con Deepblue dopo che ce ne saremo andati!»

- Blu, senti, dico davvero. Ora devo lasciarti. Rimani in attesa e avvisa gli altri che stiamo tornando! -

- Avvisarli… ? -

- Se non vuoi parlare, trova un altro modo per farlo. -

- D’accordo… -

- Ti ricontatterò non appena sarà possibile. -

L’unicorno alto scosse la testa. «Sono qui, eccomi.»

«Bene, appena in tempo. Perché a meno che una commozione cerebrale non mi stia traendo in inganno, stiamo per avere compagnia, un sacco!»

Bright ascoltò in silenzio i passi e le voci di coloro che stavano giungendo in rinforzo alle tre guardie del piano di sopra. Si concentrò a isolare ogni singolo suono per stimare il loro numero, ma gli fu impossibile trarre delle somme su quanti fossero. Su una cosa però Bibski aveva avuto ragione: erano tanti, e la loro situazione era già abbastanza precaria così com’era.

Ancora una volta, doveva agire in fretta.

«Ok, ho un ALTRO piano!» Disse l’unicorno.

«Sono tutto orecchie, mio destriero.»

Bright uscì dalla copertura e mandò a segno due colpi narcotizzanti sulle Guardie Reali, per poi ritirarsi dietro la colonna.

«Bel colpo!»

«Ascolta: adesso raccogli tutte le tue forze e comincia a galoppare verso quell’uscita laggiù più veloce che puoi, senza fermarti!»

«E tu che farai?»

«Creerò un fuoco di soppressione con il corno mentre ti verrò dietro, se tutto andrà liscio, dovremo riuscire a passare senza essere colpiti!»

Bibski diede un rapido sguardo alla volta in fondo alla stanza, calcolando quanta forza avrebbe dovuto impiegarci per raggiungerla il più velocemente possibile. «Che stiamo aspettando allora? Procediamo!» Disse infine.


Shining Armor, Twilight Sparkle, Flash Sentry e tutti gli altri raggiunsero la squadra di Guardie Reali appostate sul soppalco, giusto in tempo per vederne due cadere sotto i colpi del loro nemico.

«State tutti giù!!» Urlò l’unicorno rimasto, mentre i rinforzi militari si distribuivano lungo la balaustra.

La situazione cambiò drasticamente, trasformando il loro iniziale vantaggio numerico in uno stallo ad armi quasi pari.

Chiunque non disponesse di un corno per rispondere al fuoco, fu costretto a restare nella retrovia, il più lontano possibile dalla linea di tiro e da chiunque ci fosse al piano di sotto.

Twilight seguì suo fratello verso il pony di cristallo, lasciando Flash e le sue amiche al riparo a qualche metro di distanza.

«Rapporto, soldato!» Interpellò il Capitano.

«Erano in trappola, signore! Bloccati dietro quelle colonne, ma sono riusciti a rompere il suo sigillo!»

«Sigillo?» Si accigliò l’alicorno viola.

«L’incantesimo di annullamento della magia che Re Sombra ha usato su di me tre anni fa, Twily. Ne ho ideata una variante più stabile per usarla a mia volta. Anche se non ho idea di come abbiano potuto infrangerla!»

«Come sei riuscito a… » “produrre un incanto del genere”, ma la domanda di Twilight fu subito interrotta da un grido di uno dei soldati che erano arrivati con loro.

«Signore, sta succedendo qualcosa laggiù!».

Fratello e sorella si sporsero per guardare.

Videro il piccolo pony di terra dal manto dorato uscire allo scoperto galoppando a perdifiato verso l’uscita alla fine della sala. Era da solo.

I corni dei militari puntarono subito su di lui, pronti a sparare, ma qualcosa non quadrava. Twilight fu la prima a capirlo. «No, fermi! Non fatelo!»

L’avvertimento arrivò troppo tardi.

Un enorme unicorno grigio-cenere – “Brightate?” – fece capolino fuori dalla copertura, cominciando a scagliare contro i soldati una raffica immane di particelle magiche giallo-arancio, che narcotizzò quattro di loro costringendo gli altri a tornare ad accucciarsi.

«Stanno scappando, signore!» Sbraitò la Guardia a loro vicina.

«Non per molto!» Riprese il Capitano a denti stretti.

I suoi occhi acquisirono il tipico colore verde-oscuro della magia di Sombra, e l’aura mefitica dell’incanto ricoprì il suo corno, scatenando il sortilegio.

Uno spauracchio colpì nell’animo la Principessa dell’Armonia, mentre guardava il fratello compiere l’incantesimo. Mai avrebbe creduto di vedere un giorno il suo prode B.B.B.F.F. (*) cimentarsi con tanta disinvoltura in un incantesimo di quel tipo.


(*B.B.B.F.F: My Big Brother, Best Friend Forever. Come Twilight lo chiama in lingua originale. Non me ne vogliano i puristi della traduzione, ma proprio non me la son sentita di mettere la sigla com’è stata trasposta in italiano. I maliziosi del web capiranno.)

                                                                                           

Il piano di Bright stava funzionando. A ogni passo compiuto, Bibski si avvicinava sempre di più all’agognato riparo, mentre fitte di dolore indescrivibili, che prontamente rigettava, tentavano di persuaderlo a fermarsi.

L’unicorno era dietro di lui, e continuava a far fuoco contro l’esercito di cristallo senza colpire nessuno, ma tenendoli sufficientemente impegnati da impedirgli di contrattaccare.

Riuscirono a percorrere altri quattro metri oltre la soglia della volta, quando d’improvviso un grande muro di cristalli neri si materializzò dal nulla davanti a loro, sfondando il pavimento e ostruendo la loro unica via di fuga.

Bibski Doss vi urtò il muso contro, riaprendosi quella fastidiosa emorragia al naso che solo poco prima era coagulata. «E adesso… questa che accidenti è?!?»

«Non lo so ma fai attenzione!» Lo spinse a ridosso del muro.

Le guardie non si fecero aspettare e subito un unicorno di cristallo scese la rampa di scale puntando il corno. Bright riuscì ad abbatterlo prima che questi avesse il tempo di dirigere contro di loro un colpo dirompente.

«Qui siamo un bersaglio troppo scoperto, dannazione! Mi dispiace, Bibski, non l’avevo previsto…»

«Sì, beh… ormai siamo qui e… tanto vale difenderci…» sì sentì spossato dalla corsa. Le poche forze recuperate si erano già disperse.

«Tutto bene?»

«Sì, sì. Non preoccuparti. Mi sdraio solo un momento.»

«Senti, Bibski… lasciamo perdere questa storia, non ha senso rischiare oltre.»

Il pony alzò lo sguardo con espressione di stupore e rifiuto. «Di che cosa… “coff”… diavolo stai parlando?!»

«Ho di nuovo la mia magia con me, se dicessi a Blu di prepararsi potremmo usare il Ponte per andarcene da qui seduta stante! Basterà solo che…»

«NO! Non senza l’Equalizzatore!» Tentò di rimettersi sulle zampe, riuscendo solamente a ricadere a terra.

«Non fare l’idiota! Rifletti: se tornassimo al QG potremo curarti e tornare qui più organizzati! E magari provare a risolvere la faccenda in maniera diplom…»

«Non esiste la diplomazia con loro!!» Gli mozzò la frase «Specie se già prima non avevamo alcuna chance! La prossima volta non ci faranno nemmeno avvicinare alla landa ghiacciata!»

«Siamo braccati come prede, e io devo portarti al sicuro! Cos’altro ti aspetti che faccia, allora?!»

«Brightgate, sei il più grande guerriero di questa dannatissima Nazione! Esponi il tuo corno e fagli vedere a che cosa vanno incontro se ti prendono per il verso sbagliato, è semplice!»

Bright si ritrovò per un momento senza parole, incapace di sciogliere i nodi che lo tenevano imbrigliato nella discussione. Se avesse voluto, avrebbe semplicemente potuto condurre Bibski nel Ponte con la forza, e risolvere così i suoi problemi in meno di un minuto, ma una volta oltre, come l’avrebbe presa lui?

Probabilmente sarebbe andato su tutte le furie, a livelli catastrofici, e una volta sbollentata la rabbia, già lo vedeva fare fagotto e, stoicamente, rimettersi sui propri piccoli zoccoli in direzione dell’Impero, pronto anche a sacrificare la propria vita pur di non ammettere una sconfitta tanto plateale.

Cionondimeno, Bibski era anche l’unico ad aver dimostrato di possedere del vero spirito d’iniziativa nella guerra contro i Kaiju, e dal giorno dell’annuncio della sua misteriosa “arma”, era diventato il pony più importante di tutta Equestria.

Bright sapeva che né lui né nessun altro in tutto il regno poteva permettersi di mettere in gioco la sicurezza dell’inventore. Qualcuno doveva assumersi l’onere di proteggerlo, in modo che Bibski potesse salvarli tutti una volta che la “bomba” fosse detonata.

Dunque, se per quel compito era stato scelto lui, lui lo avrebbe portato a termine.


Con l’aiuto della magia, i corpi delle Guardie Reali addormentate furono allineati lungo la parete all’altro lato, fuori dalla linea di tiro della balaustra.

Erano rimasti in nove a contendersi il testa a testa con Bibski Doss e Brightgate, e di questi solo quattro potevano effettivamente contare sul supporto della magia (sempre che Rarity accettasse di prendere parte all’azione).

Da quell’angolazione non avevano visuale libera sui bersagli, ma godevano a loro volta della medesima protezione rispetto agli attacchi nemici.

«Allora zuccherino, qual è la situazione?»

Twilight si voltò, e vide Applejack, le sue amiche e Flash avvicinarsi quatti, quatti a loro.

«Shining Armor è riuscito a bloccarli in quel corridoio con un incantesimo, ma non sappiamo come avvicinarci senza rischiare di essere colpiti a nostra volta!» Spiegò in fretta e gesticolando, ma facendo ben attenzione a non esporsi più del necessario.

«Non vedo dove sia il problema» si fece avanti Rainbow Dash, con spavalda sicurezza «basterà scendere tutti insieme con uno scudo magico alzato e scaricargli addosso tutto il nostro armamentario!»

«Non è così semplice» la informò Shining Armor «non dimenticare che possono aprire dei portali dimensionali per andarsene quando vogliono, e ora che Brightgate ha di nuovo la sua magia, potrebbe succedere in qualunque momento!»

«Probabilmente sperano ancora di riuscire ad avere accesso alla sala del trono delle Principesse.» Disse Flash Sentry.

«Esatto, ed è per questo che dobbiamo fare attenzione a non esagerare con azioni troppo aggressive! Non possiamo rischiare che scappino un’altra volta!»

Mentre parlavano, nessuno di loro si accorse che Pinkie Pie  si era sporta dalla balaustra – spinta dalla curiosità – per cercare di vedere i due pony con i quali stavano giocando a “guardie e ladri”.

«Uhh, certo che da qui la vista è magnifica!» Commentò spensierata.

«Pinkie, abbassati subito!» Le ordinò Twilight, burrascosa.


Brightgate si protese leggermente dalla parete, puntando il corno verso il suo bersaglio.

Riconobbe la Custode dell’Elemento della Gioia, che si stava sporgendo con la faccia rivolta verso di loro. Per un breve momento i loro occhi s’incontrarono, e vide in lei le stesse iridi azzurre di suo fratello Deepblue.

La sentì fare un commento giulivo, completamente fuori luogo in quel momento, dove la tensione la stava facendo da padrona. Dopo di che la vide girarsi, forse per parlare con qualcuno.

Se voleva agire, pensò, doveva colpirla in quel momento, cogliere l’attimo. E per quanto l’idea di spararle a tradimento colmava la sua coscienza di disappunto, era l’unica occasione che gli era stata offerta.

Puntò il corno e fece fuoco.

La coda di Pinkie Pie fremette energicamente, avvertendola di un pericolo imminente. Si accucciò all’istante, riuscendo a evitare con abbondante anticipo il colpo narcotizzante sparato dall’unicorno.

Si scoprì nuovamente ed esultò con fare di sfida. «Ahah! Mancato!»

Un altro fremito la avvisò di tornare ancora una volta al riparo, prima che il nemico del piano di sotto iniziasse a caricare il nuovo attacco. Nel momento in cui il colpo partì, lei era già raggomitolata dietro la copertura.

«Bene, ti sei divertita. Adesso però, per favore, stai giù!» Le ordinò Shining Armor. In seguito fece un rapido cenno all’ultima Guardia Reale, e si ersero insieme per contrattaccare.

Bright si riparò dietro l’angolo per evitare l’azione offensiva. Lo stallo ormai persisteva da diversi minuti.

Lanciò un ultimo colpo, e decise di ritirarsi temporaneamente. «Così non andiamo da nessuna parte! Gli stiamo solo dando il tempo per chiamare i rinforzi!

«La sala del trono e soltanto qualche piano più su! Non possiamo arrenderci proprio ora!»

Bright guardò l’amico con biasimo. «Se decidono di venire da noi in massa, io ti trascino fuori da questa sala seduta stante! È chiaro?!»

«Se dovessero arrivare in massa, ti autorizzo a stendermi e portarmi via contro la mia volontà» il suo sguardo si fece serio «ma fino ad allora noi NON ci muoveremo da qui!»

L’unicorno sbuffò seccato. «E va bene.» Si guardò alle spalle «Pronti per il terzo round!»

Si affacciò all’estremità della parete e guardò un punto di fronte a sé verso le colonne. Vide l’intero gruppo dei loro avversari, Capitano delle Guardie e Custodi comprese, riflessi sul muro di cristallo del palazzo.

La perseveranza di Bibski gli aveva appena fornito un vantaggio tattico non indifferente.

Calcolò la traiettoria e fece fuoco.


Il raggio magico compì un angolo di novanta gradi, rimbalzando sul soffitto della sala, vicino a un grande lampadario appeso. Da lì deviò ancora, terminando la corsa contro la spalla sinistra di unicorno di cristallo, che cadde narcotizzato.

Fluttershy si fece scappare un nitrito, ma anche tutte le altre sussultarono sgomente.

Applejack si sistemò il cappello. «Per tutte le mele bacate, ma che razza di mira ha quello?!»

«Ora capite con chi abbiamo a che fare?!» Disse Shining Armor, prima di sparare un altro colpo dirompente alla cieca.

«Ehm… ascoltate… io… » Fluttershy provò a dire qualcosa, ma la sua voce fu subito sopraffatta da quella di Rainbow Dash.

«Io non ci sto a starmene qui ad aspettare di essere stesa! Andiamo lì e facciamogli vedere i sorci verdi!»

«Piano sublime Dash, e come conti di fermarli?» Chiese Rarity, disapprovando.

«Ci sarà pure qualcosa che possiamo fare! Volete dirmi che con tutte le difficoltà che abbiamo superato non siamo capaci di prendere a calci due semplici pony disertori?!»

«Ragazze!» finalmente la timida pony gialla riuscì a farsi notare.

«Sì, Fluttershy?» Le diede campo libero Twilight.

«Beh… stavo pensando… e se provassimo semplicemente ad andare a parlarci? Voglio dire… senza intenti aggressivi?»

Applejack inarcò un sopracciglio. «Cioè vorresti andare là sotto senza scudi e protezioni di alcun tipo?!»

«Ecco… diciamo di sì?»

«Per quanto mi riguarda, è meglio che starsene qui a non fare niente. Andrò io!» Si offrì la pegaso arcobaleno.

«Oh, oh, oh! Rainbow Dash, Rainbow Dash!» La chiamò Pinkie Pie, agitandosi. «Le ginocchia si sentono, qualcosa di terribile sta arrivando. Io mi sposterei di un passo, se fossi in te!»

«Cosa… ohh!!» Dash per poco non venne colpita da un altro attacco rimbalzato di Bright, che evitò per un soffio.

Gli occhi dei presenti si spostarono verso la pegaso gialla.

«Sei ancora convinta di voler andare là sotto?» La sminuì il Capitano delle Guardie.

«Ihh! Oh… ahm… come non detto…»

«Tuttavia…» cominciò Flash, prendendo le sue difese «la sua idea non è male. Capitano, mi permetta di provare! Se l’azione dovesse fallire, rimarrete comunque voi a cercare una nuova strategia!»

Shining Armor spostò lo sguardo da lui al vuoto, varando seriamente la possibilità di prendere in considerazione la proposta dei due pegasi, ma non era l’unico della famiglia Reale ad aver messo in moto il cervello. Twilight Sparkle cominciò a scorrere nella sua lista mentale d’incantesimi, in cerca di una formula che potesse tornar utile per la loro causa. Una magia, magari, che desse zoccolo forte a Flash. O qualcosa da utilizzare come piano di riserva.

«Un momento, forse ho un’idea migliore!» Fece a tutti segno di avvicinarsi e cominciò a parlare con voce bassa. «Ascoltate, qui la questione non è arrivare a loro prima che scappino nei portali! Il loro vantaggio sta tutto nel fatto che non si separano mai, ma se riuscissimo a distanziarli in qualche modo, diciamo, quanto basta per mettere gli zoccoli almeno su Bibski Doss, anche se perdessimo Brightgate avremmo comunque catturato il leader del gruppo!»

Shining confermò con un cenno. «Infatti, è lui che controlla tutta l’organizzazione. Ma temo che Brightgate venderà cara la pelle prima di permetterci di catturarlo. Che cos’hai in mente, Twily?»

«Conosco un incantesimo che penso potrà aiutarci. È ancora un po’ rudimentale, l’ho usato solo un paio di volte, ma dovrei essere in grado di mantenerlo abbastanza a lungo da consentirmi di avvicinarmi. State a guardare… » chiuse gli occhi e concentrò la sua magia sul corno. Una piccola gocciolina di sudore le colò giù dalla fronte, per poi svanire subito dopo nel nulla. Lo stesso avvenne per Twilight, che di punto in bianco si dissolse nell’aria, senza lasciare di sé alcuna traccia.

«Ehi ma… dov’è finita?!» La pegaso arcobaleno si guardò intorno, cercando intorno a sé senza riuscire a localizzarla.

«Sono proprio qui, Rainbow Dash, davanti a te!» Rispose la voce dell’alicorno, dallo stesso punto da cui era svanita.

«Un incantesimo dell’invisibilità, ma certo!» Comprese Shining Armor. Si trattava di una magia simile all'incantesimo d'occultamento usato dalla truppa di Shining Armor nella landa ghiacciata, ma di livello più avanzato, che permetteva al mago che la utilizzava di acquistare una mimesi totale con l'ambiente.

«Uhaaaa… »

Rarity e Applejack si precipitarono a tappare la bocca alla pony in rosa. «Pinkie Pie, vuoi fare silenzio?!» Saettò l’unicorno bianco-perla, rendendosi conto solo in un secondo momento quanto fosse disgustoso infilare i propri zoccoli nella bocca di un’altra pony.

«Ragazze, prestate attenzione per favore! Non so per quanto ancora riuscirò a mantenere  l’incantesimo attivo!»

Le amiche tornarono a lei. «Scusaci zuccherino, dicci pure. Cosa dobbiamo fare?»

Guardarono il punto vuoto sul pavimento, dove presumevano si trovasse Twilight.

La pony respirò profondamente, e si apprestò a spiegare il suo piano. «Princess Celestia ci ha volute qui per una ragione, perché sapeva che con la nostra amicizia avremmo trovato il modo di risolvere anche questa emergenza. Quindi dobbiamo agire insieme, e… » guardò verso Shining Armor e Flash, che per ovvie ragioni non poterono seguire il suo gesto «avremo bisogno anche del vostro aiuto.»

I due stalloni in un primo momento non capirono, ma dopo aver realizzato che si era rivolta a loro, si scambiarono uno sguardo reciproco per conciliare l’intesa.

«Noi siamo pronti, mia Principessa. Dacci istruzioni.» Affermò Flash Sentry, chinando il capo con un gesto servile.

Twilight sentì le sue guance divampare, e ringraziò l’incanto che la stava nascondendo in un momento così imbarazzante. «D’accordo… allora faremo così…»


Bright si scaraventò contro la parete di cristalli neri con uno spaventoso calcio volante, riuscendo solo a malapena a scalfire alcune piccole porzioni della superficie esterna. Troppo poco per sperare di aprirsi un varco con la perseveranza, e l’ostacolo che si frapponeva dinanzi a loro poteva essere spesso oltre due metri, per quanto ne sapeva.

Collo e cranio, inoltre, gli dolevano ancora per le violente testate che era stato costretto a tirare per liberarsi dalla maledizione oscura.

Bibski si era rialzato, e lanciava ogni tanto delle occhiate circospette verso il soppalco. «Non riesco a capire. È da un sacco che sono imbambolati lì a non far niente. Che cosa stanno combinando lassù?!»

«Non è evidente? Sono andati a chiamare i rinforzi!» Bright colpì duramente con un’altra zoccolata, prima di decidere di scartare definitivamente l’ipotesi della fuga verso quella direzione. «Vedrai, da un momento all’altro ci ritroveremo con un esercito di corni irrequieti puntati sulle nostre teste!»

«E allora noi ci abbassiamo e poi gli facciamo saltare tutti i denti!»

«Ancora non lo vuoi capire?!» Sfogò un potente pugno alla parete accanto, aprendovi, stavolta, una spaccatura. «Non c’è speranza di vincere questa volta!»

«Perché non provi ancora quel tuo trucchetto del rimbalzo? O…. o andare lassù e prenderli a zoccolate come hai fatto prima… o… »

«No, Bibski. È finita! Questa volta abbiamo perso, devi rassegnarti!»

Il pony di terra puntò gli zoccoli, pronto a ribattere, ma fu sollevato per aria in un alone telecinetico, trovandosi all’altezza di Bright. «Ho detto: è FINITA!» E lo adagiò burberamente al suolo.

Cominciarono a sfidarsi in una gara di sguardi rigidi e aspri, sulla quale però vinse l’unicorno alto.

L’inventore quindi si girò dall’altra parte, offeso e domato.

- Blu. È arrivo il momento. Attiva il Ponte e portaci fuori da qui. - Disse Bright, mettendosi in posizione.

L’incantesimo fu eseguito in perfetta sincronia da entrambe le parti e il piccolo globo di luce giallo-arancio divenne in pochi secondi la fenditura del varco.

«Forza, Bibski. Andiamo.» Lo chiamò.

«Promettimi solo una cosa» disse il pony affranto, voltandosi con sguardo severo «non appena mi avrete rimesso in sesto, torneremo qui e ci riprenderemo l’Equalizzatore!» ringhiò.

Bright gemette, ma subito dopo annuì con convinzione e si portò uno zoccolo all’altezza del petto. «Lo giuro sul mio onore.»

Bibski gli restituì un cenno poco convinto e cominciò a incedere verso il portale.

Scrutò oltre la fenditura, riconoscendo uno dei locali del loro campo base. Dall’altra parte dello spazio, alcuni pony della squadra manovale si era fermati davanti al portale, a qualche metro di distanza, e lo guardarono con curiosità e un misto di apprensione per il ritorno imminente dei due fuggiaschi.

Ancora qualche passo e finalmente quella storia sarebbe finita.

Bright si morse un labbro nello sforzo di mantenere aperto il passaggio. Anche lui, come il pony di terra, era provato dagli sforzi della fuga, e l’incantesimo dei portali richiedeva un dispiego di energie considerevole.

Inoltre, durante le fasi dell’incanto, l’intensità del contatto mentale che raggiungeva con suo fratello Deepblue ottenebrava quasi completamente l’efficienza dei suoi sensi, impedendogli di essere vigile e reattivo.

Quando Twilight Sparkle si era posta alle sue spalle, muovendosi furtiva quanto il suo corpo le aveva consentito, la Principessa non poteva certo immaginare che il merito del suo successo sarebbe stato attribuito alle scelta dei tempi, e non alla sua discrezione: in altre circostanze non avrebbe mai potuto accostarsi a Brightgate abbastanza vicino da tendergli un’imboscata.

L’alicorno viola cominciò a convogliare tutta la sua magia sulla punta del corno, rompendo anche l’occultamento che la teneva celata, pur di recuperare il maggior numero possibile di risorse.

Bibski Doss fu il primo ad accorgersi della Principessa, accelerando di corsa verso il portale, ma prima di riuscire a varcarne la soglia, lei scaricò su entrambi una forte deflagrazione magica, che infranse il varco e li fece volare via, scaraventandoli in mezzo alla sala.

Bright atterrò sugli zoccoli, percependo l’adrenalina che iniziava a fluirgli in circolo, Bibski invece rotolò a terra per qualche metro, emettendo lamenti sofferenti prima di fermarsi, ma non c’era tempo per correre in suo aiuto.

Un pegaso arancione in armatura dorata e la giumenta arcobaleno che corrispondeva all’Elemento della Lealtà volarono in picchiata contro l’unicorno alto, pronti ad assalirlo. Li fermò entrambi con la telecinesi e li fece schiantare a terra.

L’alicorno Twilight Sparkle lo colpì con un attacco dirompente sul dorso, tanto rapido e intenso da non poter essere evitato, che liberò i suoi compagni dalla morsa dell’alone magico.

La pony in rosa dai capelli cotonati apparve di fronte a Bright con un sorriso candido in volto. Istintivamente, tentò di colpirla con calci e zoccolate, ma nessun colpo andò a segno. Pinkie Pie li schivò tutti divertendosi a crepapelle, invitandolo a riprovarci ancora e ancora.

I pegasi erano tornati alla carica, cercando di attaccarlo da entrambi i lati. Parò i loro calci volanti con le zampe e si allontanò con una capriola.

Un lazo gli si avvolse al garrese come un cappio e lo strattonò con violenza buttandolo giù. Bright girò la corda intorno alla zampa anteriore destra e tirò a sua volta, strappandola dalla bocca di Applejack.

Si erse a quattro zampe e lanciò una raffica di attacchi narcotizzanti sui presenti, ma altri due unicorni si aggiunsero al team insieme alla loro Principessa dell’Armonia, creando una cupola protettiva su tutti loro. Erano il Capitano Shining Armor e la Custode dell’Elemento della Generosità, ai quali poco dopo si aggiunse anche la timorosa Custode della Gentilezza, tenutasi al riparo fino a quel momento.

In poco tempo Bibski Doss e Brightgate si trovarono circondati da sette tra i più potenti pony di tutta Equestria, oltre che da un vigoroso pegaso Guardia Reale di rango elevato.

«Fine dei giochi, Bibski Doss. Arrendetevi!» Tuonò Twilight, con il corno già pronto per nuovi incantesimi.

Bright lo aiutò a issarsi sulle zampe.

«Pensate davvero che basti così poco per farmi desistere? È ovvio che non mi conoscete abbastanza!»

Fluttershy notò gli ematomi sul suo corpo, e non riuscì a frenare un gemito.

Di risposta, Bibski compì il gesto di guardarsi. «Ah, questi? Un regalo da parte della servitù del castello. Voi Reali sapete trattarli bene i vostri ospiti… AHI! Ma che… ?» Bright lo azzittì dandogli uno scappellotto sulla nuca.

«Questa volta parlerò io!» Lo ammonì.

Dopo un primo rifiuto, il pony di terra borbottò qualcosa e si fece da parte.

L’unicorno alto fissò negli occhi Shining Armor, porgendogli un cenno. «Capitano.»

L’interlocutore indirizzò il corno verso l’uscita chiusa dal muro di cristalli, e attuò il contro-incantesimo che li infranse, liberando il passaggio. A quel punto ricambiò il gesto dell’unicorno grigio, e si guardò velocemente intorno. «Avete dato proprio un bello spettacolo qua sotto. Convalido tutto quello che ti dissi nella landa ghiacciata: saresti un ottimo soldato se solo ti unissi a noi.»

«Ho le mie valide ragioni per essere dalla sua parte, Signore» sospirò e si voltò verso Bibski «e ad ogni modo, non siamo venuti fin qui per cospirare contro l’Impero.»

«Tsk. Se quello che dici è vero, avete dei modi a dir poco oltraggiosi per dimostrarlo!» Commentò Rarity, con sdegno.

«Signorina» iniziò Bibski, con un antipatico sorriso sornione stampato sulle labbra «se tu fossi stata per due giorni nelle condizioni in cui hanno tenuto noi, sono certo che anche tu avresti raso al suolo questo posto.»

Il piccolo stallone si mise a osservare Bright, che lo stava linciando con un’occhiataccia scontenta. «Oh scusa, ho parlato senza il tuo permesso?»

L’unicorno alto si colpì al muso con lo zoccolo.

Twilight riprese a parlare, con l’intento di sbrogliare la conversazione. «Se non siete venuti qui per minacciare l’Impero di Cristallo, allora perché tutto questo?»

I due ricercati si guardarono l’un l’altro, e il pony di terra fece spallucce all’amico. «Glielo spieghi tu o ci penso io?»

«Francamente Bibski, non so nemmeno io che cosa ci facciamo qui.» Rispose Bright mesto.

Il pony allora fece qualche passo in avanti, fingendo di zoppicare e divertendosi ad accentuare le sue menomazioni più del necessario.

L’unicorno alto roteò gli occhi, ma Applejack e Fluttershy abboccarono abbastanza da cominciare a provare una certa pena per lui.

«D’accordo, forse siamo partiti un po’ con lo zoccolo sbagliato.» Disse in tono beffardo.

«Tu credi?» Chiese Twilight, fissandolo.

«Per cortesia, cara Principessa, il sarcasmo lascialo a me. Ad ogni modo, beh, sì, ma abbiamo dovuto farlo. La circostanza richiedeva una certa capacità d’improvvisazione, ed io ho improvvisato.»

Twilight alzò un sopracciglio mentre si preparava a fare la prossima domanda. «Ed esattamente per cosa avreste “improvvisato”

Il pony di terra camminò in tondo, incrociando i loro sguardi e riflettendo.

«Allora?» Insistette l’alicorno dinanzi al suo silenzio.

Il cutie mark del pony tornò a risplendere. Bright sapeva che nelle ultime ore quel fatto aveva portato solo dei guai. Gli altri invece, sebbene la luce che brillava sul suo fianco fosse smagliante, non reagirono più di tanto. Forse ne erano già informati, o forse la conversazione era semplicemente troppo tesa perché si divagasse con domande superflue.

«Vi propongo un accordo.» Suggerì Bibski Doss.

Twilight sussultò. «Un… accordo?»

«Un armistizio, per essere precisi.» La corresse. «Voi date l’ordine alle vostre guardie luccicose di non darci più la caccia, e noi risponderemo alle vostre domande evitando di morderci le orecchie a vicenda.»

La Principessa, perplessa, cercò l’appoggio di suo fratello.

«E perché mai dovremmo farlo?» Chiese Shining Armor.

Bibski sorrise, come se non aspettasse altro che quella domanda. «Perché due giorni fa volevate saperne di più sulle attrezzature che stavamo installando nella landa. E noi, beh, non abbiamo certo intenzione di spifferare i nostri segreti senza un “pegno” che sancisca il vostro appoggio.»

Per un breve momento nessuno dei presenti rispose. Probabilmente perché non c’era una risposta adeguata da porre. Poi il capitano strizzò gli occhi, aspramente. «Quando parli di voi intendi dire TU?»

«Naturalmente.» Rispose Bibski, sorridente e perfido.

«E al tuo braccio destro questa cosa sta bene?»

Bright accolse l’insinuazione chiudendosi in un omertoso silenzio.

“Altro che l’Elemento della Lealtà. QUESTO pony cederebbe anche l’anima al Tartaro pur di compiacere il suo capo.” Osservò Shining Armor, sentendo su di sé il peso della scelta che era chiamato a compiere.  Bibski Doss era un ricercato in fuga da anni, che si era approfittato della crisi di Manehattan per compiere un misfatto imperdonabile ai danni delle innocenti vittime del disastro, e non contento del suo crimine, si era dato alla macchia fuggendo a ogni tentativo di cattura.

Ora che finalmente l’Impero di Cristallo era riuscito a mettere gli zoccoli su di lui, aveva dato prova della sua impenitenza dimostrando ancora una volta quanto fosse restio a prendersi le sue responsabilità.

Avrebbe meritato i lavori forzati per anni, o peggio ancora, essere sbattuto nelle segrete dell’Impero vita natural durante, e stavolta senza possibilità di fuga, e non c’era una sola motivazione, che fosse valida, che giustificasse il perdono che stava pretendendo. Ma d’altronde, fino a che il suo assistente Brightgate fosse rimasto con lui, il rischio che entrambi varcassero il portale e tornassero alla clandestinità – mentre la minaccia Kaiju si faceva sempre più incombente giorno dopo giorno – era un ostacolo che non andava preso sottozampa.

Che cosa doveva fare dunque Shining Armor? E qual era la soluzione migliore per sua moglie e il suo regno?

Dagli sguardi del suo gruppo, comprese di non essere l’unico a condividere quei dilemmi, ma era l’unico tenuto a sbrogliarli.

«Una collaborazione, eh?» Cominciò a chiedere in maniera retorica, con l’intento di prendere tempo.

Con fare grandioso, Bibski sollevò una zampa e iniziò a cantilenare a occhi socchiusi. «D’altronde che cos’è un piccolo trattato di pace, di fronte alla prospettiva di un equo baratto di saperi e conoscenze?»

Shining Armor scrutò il cerchio di pony intorno a Bibski Doss e Brightgate, focalizzandosi poi sulla distanza che separava i due, l’uno rispetto all’altro.

Poco dopo decise che li avrebbe colpiti, questa era la sua scelta.

Anche se poi fossero fuggiti attraverso il varco dell’unicorno, le conseguenze di una loro fuga sarebbero state comunque inferiori rispetto all’idea di consegnar loro le chiavi del castello.

Incontrò gli occhi di Brightgate, e capì che anche lui aveva capito. Lo sguardo dell’unicorno grigio-cenere s’indurì. La sua espressione concentrata e sicura di sé lo stava invitando a provarci. Lo provocava. E il Capitano l’avrebbe accolta, scegliendo quello che per lui era il minore dei due mali, pronto ad affrontare le implicazioni del suo gesto.

«Sai cosa penso?» Gli si rivolse digrignando i denti?

«Sì?» Chiese l’inventore, ricambiando l’atteggiamento.

«Penso che oggi abbiate già combinato troppi danni al mio regno!» Chinò quindi il corno, allineandolo col corpo di Bright, preparandosi a colpire.

«NO!» La voce di Princess Celestia rimbombò lungo la sala, falciando il respiro dei presenti.

Shining Armor spense subito il suo corno e si girò con gli altri verso il soppalco del piano di sopra, da dove la grande alicorno bianca si era materializzata da una coltre di luci incandescenti.

Alla sua vista, Bibski grugnì scontento, ma scelse di fare buon viso a cattivo gioco. «Princess Molest… ehm volevo dire… Celestia! Qual buon vento la porta qui?» Non fece caso alle frecciate di disprezzo che gli vennero scagliate dal resto dei presenti (o fece finta?).

«Io mi domando perché i nostri incontri debbano sempre sfociare in situazioni tanto drastiche, Bibski.» Rispose lei con voce grave.

«Beh, lo sai. Ho una personalità troppo spiccata perché mantenga un profilo basso. E a proposito, davvero bello il comitato di benvenuto che ci hai fatto preparare. Forse un po’ zampeschi, sì, ma niente che Bright qui presente non abbia saputo affrontare!»

La Principessa fece una smorfia. Dal loro ultimo incontro, constatò, l’inventore sembrava perfino peggiorato. Ciò che invece restava uguale era la sua propensione a voler avere sempre vinta, in qualunque contesto o situazione.

Ricordò un tempo in cui trovava davvero simpatico quel suo tratto esuberante. Addirittura lo ammirava per la sua forza di volontà. Ma ora, cos’era diventato?

«Che cosa vuoi da me, Bibski? Intendo dire, che cosa vuoi davvero da me?» Gli chiese con voce cupa.

La domanda, nella sua semplicità, sembrò toccare un tasto dolente nella psiche del pony, spingendolo dopo un po’ a fare qualcosa che nessuno in quel momento era pronto ad aspettarsi (nemmeno il suo fidato partner).

Cominciò a fissare il pavimento a terra, meditando su qualcosa, ma senza dire nulla. Nessuna battuta sprezzante, nessun tentativo di sfregiare i presenti con il suo fare antipatico, nessuno dei suoi tipici vaneggi. Poco dopo alzò il volto su Princess Celestia, guardandola intensamente attraverso gli occhi gonfi di lividi. La sua espressione era seria come non mai. «Vorrei solo parlare con te. E questa volta, vorrei che tu mi ascoltassi.»

Un attimo che sembrò durare un’eternità scandì il tempo che trascorse da quel momento alla risposta della Principessa. Celestia mostrò al pony un sorriso dolce e comprensivo, annuendo alla sua richiesta. «Così sia. Potete accedere alla sala del trono come pony liberi, a patto che rispettiate l’accordo di reciproca pace.»

Bright fu stupito di quella svolta improvvisa, ma sia lui che Bibski annuirono a loro volta.

Dal corno della Principessa sfoggiarono una serie di raggi splendenti, che avvolsero di magia candida le Guardie di Cristallo, risvegliandoli dal loro stato d’incoscienza. «Venite.» Disse quindi, dirigendosi verso la porta, mentre i soldati si riprendevano dalla narcolessia.

«Princess Celestia, è certa che possiamo fidarci di loro?» Chiese il Capitano delle Guardie, riluttante all’idea di accogliere i suoi nuovi ospiti.

«Garantisco io per loro, Shining Armor. Se dovesse succedere qualcosa, me ne assumerò la completa responsabilità.»

Tornato in sé, Bibski non si fece certo sfuggire l’occasione per dire la sua. «Già, non temere Capitan Luccicoso! Un giorno avrai la tua vendetta… a patto naturalmente che tu riesca a trovarci! Ihihih!»

«Spero per te che non stiate tramando qualcosa, altrimenti… »

«Andiamo, fratellone» gli si parò di fronte Twilight, spingendolo via «sta solo cercando di provocarti!»

«E non saresti nemmeno il primo di oggi!» Incalzò il piccolo stallone. «Di questo passo potrò candidarmi al record dei Primati Equestriani!»

Mentre il gruppo si avviava, Bright ansimò rumorosamente, attirando la sua attenzione.

«Qualcosa non va, ragazzone?»

«Vorrei poter dire che un giorno qualcuno ti rimedierà una lezione, ma tanto ci sei già passato, e non è servito a niente.»

«E questo non fa forse di me un pony unico nel suo genere?»

Bright si permise di sorridere.

Finalmente liberi dalla persecuzione dei pony di cristallo, le battute dell’inventore avevano riacquisito quel sapore dolce-amaro che in altri scenari riuscivano sempre a strappargli una risata.

«Senti Bright… dato che tra non molto è assai probabile che mi rimetteranno in sesto, non ti dispiacerà, vero, portarmi ancora una volta in groppa?»

“Non si smentisce mai…” pensò l’unicorno alto tra sé e sé. «Forza, monta su.» Acconsentì, sollevandolo con la levitazione e adagiandolo sul dorso, e si avviarono al seguito dei padroni di casa.

«Sai, devo ammettere che mi hai davvero sorpreso poco fa.» Commentò Bright, con onesto stupore.

«Ah sì? E a che proposito?»

«Mi riferisco all’accordo che hai stipulato con Celestia. Non avrei mai immaginato di vivere abbastanza a lungo da vederti capitolare a lei tanto spontaneamente.»

Lo sentì divincolarsi sulla groppa, avvicinandosi alle sue orecchie.

«Cosa ti fa pensare che io abbia capitolato?»

«Pff, ti va di scherzare? Come la mettiamo con quella storia dell’armistizio?»

«Appunto. Un armistizio, ossia: “sospensione delle ostilità concordata tra due parti belligeranti”. Almeno è così che lo definisce il dizionario.»

L’unicorno non fu certo di aver capito. «Sì… e allora?»

«Bright, si tratta di una resa reciproca… »

L’unicorno alto si fermò di colpo, sgranando gli occhi.

«… al peggio possiamo definirlo una specie di pareggio, ma non è una vera sconfitta. Almeno… non lo è per me!»

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 5: La Fine della Reborn ***


CAPITOLO 5: La Fine della Reborn


Brightgate chiuse gli occhi con forza e digrignò i denti, cercando di isolare i suoi sensi dall’ambiente circostante.

Poteva percepire distintamente la presenza di suo fratello nella sua testa, come se il pony fosse di fronte a lui in carne e ossa.

Concentrarsi insieme, per potenziare il legame telepatico, per loro era come fluttuare immersi in una nebbia densa e palpabile, attraverso la quale più le loro menti si avvicinavano, più era intenso il contatto che erano in grado di raggiungere.

Dissipata la foschia che aleggiava tra di loro, Bright aprì gli occhi, e si trovò solo momentaneamente abbagliato dalla luminescenza della sala del trono dell’Impero di Cristallo.

- Ci sono, riesco a sentirvi. Disse Blu, confermando che da quel momento poteva ascoltare attraverso le sue orecchie gli stessi suoni che sentiva il fratello.

Il canale di comunicazione che tenevano aperto costringeva entrambi a un sacrificio di energie ancora più elevato di quanto già non ne esigesse la comunicazione telepatica, ma senza più minacce immediate nei dintorni, era uno sperpero che potevano comunque permettersi. In questo modo, anche Deepblue sarebbe stato partecipe delle grandi rivelazioni che Bibski Doss avrebbe divulgato da un momento all’altro ai presenti nella sala.

Il piccolo stallone dal manto dorato e dal cutie mark lampadina si trovava qualche metro più in là, assistito dalla Principessa Cadance, che con il suo corno avvolto da un alone incantato celeste, stava applicando su di lui un incantesimo curativo che aveva quasi completamente cancellato i lividi e le escoriazioni dal suo manto. Una variante molto più avanzata della sua, constatò l’unicorno alto.

Gli altri pony attendevano la fine di quell’operazione vicino al maestoso trono, chiusi in un silenzio che emanava imbarazzo ma anche ogni genere d’incertezze. Solo Celestia dava dimostrazione di avere una certa padronanza della situazione.

In quel momento gli occhi dell’unicorno grigio-cenere e della Principessa del Sole s’incontrarono, e una scoccata reciproca, invisibile a chiunque meno che a loro, fu trasmessa da pupilla a pupilla.

Celestia ricordava bene i trascorsi di Brightgate, e glielo stava comunicando apertamente attraverso lo sguardo, ma lo stesso non si poteva dire delle Custodi degli Elementi, né tanto meno dei Reali del castello. Altrimenti, pensò lui, difficilmente Shining Armor e Princess Cadance gli avrebbero concesso di accedere nella sala. Tuttavia, l’avvertimento che gli venne lanciato fu chiaro e lampante: dovevano rigare dritto, o l’armistizio sarebbe crollato, e con esso anche le loro speranza di un accordo.

Twilight Sparkle non si sentiva a suo agio a trovarsi nella stessa sala con quei due pony, e non solo per la reputazione che li precedeva, o per il racconto delle lande ghiacciate riassuntole da suo fratello, né tanto meno per la rocambolesca fuga durante la quale si erano liberati di un’intera truppa di Guardie Reali. No, lei aveva visto con i propri occhi le capacità di quell’unicorno dal manto corvino, che aveva saputo tenere testa a lei e ai suoi amici tutto da solo, e si rese conto che nemmeno la grande unione delle Custodi degli Elementi avrebbe potuto fare nulla in uno scontro diretto.

La sua stazza era immensa, qualcosa che non aveva mai visto prima in nessun pony che non fosse alicorno. Superava in altezza persino Princess Luna e Cadance, e solo Celestia rivaleggiava con lui, sovrastandolo di pochi centimetri. Persino suo fratello Shining Armor, che lei aveva sempre osservato con un misto di stupore e ammirazione per la sua grande prestanza fisica, degna di un grande Capitano, non era nulla se messa al confronto con quella di Brightgate.

In passato aveva incontrato in diverse occasioni pony che eccedevano nell’altezza o nella massa fisica (uno tra tutti il buffo Bulk Biceps, che qualcuno chiamava simpaticamente Snowflake), ma mai nessuno finora aveva rivelato una tale armonia nelle forme come Bright. Aveva lunghe e forti zampe, un fisico possente ma non sovrabbondante, due occhi intensi e marmorei come quelli di una statua e un corno sottile, lungo e tremendamente appuntito. Una macchina da combattimento perfetta e infallibile, che per fortuna sembrava sostenuta da una mente salda e riflessiva.

Di ben altro registro era Bibski Doss, la cui infamia lo accompagnava dovunque il suo nome andasse; aveva già trovato conferma dei suoi pregiudizi nei primi minuti di conversazione che ebbero.

Al contrario dell’unicorno, verificò la Principessa, lui era gracile e basso (perfino più di lei), antipatico e sbruffone, e all’apparenza non aveva dalla sua alcuna dote particolare, a parte quel bizzarro cutie mark che occasionalmente, e senza alcuna coerenza scientifica, s’illuminava.

La Principessa dell’Armonia non poteva raccapezzarsi di come un equino tanto perfetto quanto Brightgate potesse accettare di accompagnare e persino prende ordini da un piccoletto come Doss. A una prima analisi, sembravano sostenuti da un profondo legame, che in un certo senso rivalutava la prima impressione che ebbe su di loro, ma d’altra parte, da studiosa della Magia dell’Amicizia, si domandava quale potesse essere la loro storia, e cosa li avesse spinti ad arrivare a essere così uniti e inseparabili.

Di opinione più pragmatica era invece suo fratello Shining Armor, che teneva un occhio teso e puntato su di loro, e uno sulle fila di Guardie Reali di Flash Sentry, pronto a dare ordine di attaccarli non appena avessero tentato qualche azione sospetta.

«Così dovrebbe bastare.» Annunciò Cadance, disattivando la magia curativa e arretrando di qualche passo.

Osservò Bibski Doss, mentre si stiracchiava scricchiolandosi le ossa. «È tutto a posto? Qualche problema ai nervi? Dolori muscolari?» Domandò poi.

«Niente di niente. Avrei desiderato rimanere con qualche cicatrice da pony vissuto, ma a quanto pare è proprio vero che la Casta ha i medici migliori!» Rispose l’inventore con sprezzo, mentre si premurava a evitare le saettate che gli stava lanciando Bright.

Cadance si voltò verso il marito, che le fece discretamente cenno di lasciar perdere, e quindi ansimò per mantenersi calma. Dunque fece per andare verso di loro.

«Eh? Ma come, niente lecca-lecca?» Continuò imperterrito il pony di terra.

Nel gruppo, un’altra giumenta s’illuminò al sentir parlare di dolci, ma poi uno zoccolo di Applejack la intimò di starsene buona. Pinkie Pie si sedette a terra, mugugnando contrita.

Le doppie ante del portone si spalancarono, e una Guardia Reale Unicorno fece la sua entrata in scena, issando con la telecinesi dell’attrezzatura a loro familiare. «Miei Signori. Come richiesto, ho portato l’Equalizzatore.» Disse dopo l’inchino

«OH CELESTIA DANNATA, DAI QUI!» Si lanciò a capofitto Bibski, afferrando la sua preziosa bardatura al volo senza dargli neanche il tempo di avvicinarsi. Non gli importò nulla delle punte di lancia che prontamente gli furono puntate contro, né dell’imprecazione che si lasciò sfuggire in presenza delle Principesse, e che fece desiderare a Brightgate di sprofondare nel pavimento di cristallo in preda alla vergogna. Bibski strinse la sua invenzione come un folle sotto l’effetto di un incantesimo d’amore, e la baciò più e più volte sul casco, lieto di riaverla finalmente con sé.

Un cenno poco convinto di Shining Armor ordinò ai soldati di tornare ai loro posti. «Notizie sulle altre Guardie?» Domandò poi al nuovo arrivato.

«Otto feriti nei sotterranei e due nei corridoi inferiori, Signore. Uno di loro è messo male.»

Shining Armor nitrì. «Si riprenderà?»

«Difficile a dirsi, Signore. Ha fratture multiple su tutto il corpo e diverse e gravi lesione interne. I medici non sanno neppure se tornerà a galoppare.»

Bright incassò in silenzio il cenno di rimprovero che gli venne rivolto dal Capitano.

«Mettetegli una museruola al collo.» Commentò Bibski, intento a indossare l’Equalizzatore. «Temo che per un po’ non avrà altro modo per mangiare! Ihihih!» Mentre ridacchiava, in meno di un minuto aveva già indossato la sua imbracatura, che esibì sotto gli sguardi basiti dei presenti. Un rapido controllo all’indicatore della carica residua rivelò che la cella energetica era ormai quasi esaurita, e l’apparecchio inservibile. Per fortuna, sapeva che all’interno dello Skybreaker era presente una piccola scorta di ricariche d’emergenza. Quello che più gli fremeva in quel momento era di essersi rimpossessato dell’Equalizzatore, il resto erano solo dettagli.

Le ali di metallo erano ripiegate sui fianchi, e da dentro il casco non percepì alcun impulso elettrico, ma anche così si sentì finalmente rinato.

Si voltò di scatto, esibendo un sorriso sgargiante e una posa piena di sé. «Molto bene. Ora possiamo parlare!» Annunciò alla fine.

Brightgate scosse la testa, spossato.

- La prossima volta ci vai tu con lui. - Disse al fratello in ascolto.

- Fossi matto! -

«Fatemi capire… » cominciò Rainbow Dash, rivolgendosi alle alicorno Luna e Celestia « sarebbe quello il “promettente inventore di Equestria?” che vi ha dato tante noie?!»

L’unica risposta che ottenne fu una scrollata di spalle da parte della Principessa della Notte.

«E tu invece saresti la “promettente” Prima Cadetta dei Wonderbolts» aggiunse lui al loro posto, avvicinandosi «nonché la “famosa” Custode dell’Elemento della Loltà, Rainbow Dash?»

«LEALTÀ!!» Nitrì lei, volandogli incontro rabbiosa.

Bibski accolse la sfida con un ghigno sbeffeggiante. «Ah sì? Devo averti confusa con l’altra Rainbow Dash.» Disse mettendosi in posa riflessiva. «Quella che il mese scorso è stata richiamata due volte dal Capitano Spitfire durante gli esami di velocità alle due miglia rettilinee!»

La pegaso arcobaleno trasalì sentendo le proprie ali cederle, e dovette adagiarsi a terra per non rischiare di schiantarsi. «D-di cosa… s-stai parlando?!» Farfugliò, piroettando lo sguardo dal piccolo stallone con la strana bardatura alle altre Custodi, nessuno al di fuori dell’accademia sapeva di quella storia!

«Pff, per favore cara Dashie! Non sta bene mentire così di fronte alle tue amiche!» Bibski volse lo sguardo verso la giumenta col cappello desperado. «Prendi esempio da Applejack, così umile e onesta!»

La cowgirl galoppò in soccorso dell’amica. «Perché, hai qualcosa da dire contro di me?» Chiese torva.

Bibski corrugò la fronte. «Verso di te? Ma certo che no!» Si voltò dall’altra parte, godendosi solo per un momento le espressioni incendiarie delle Guardie Reali e dell’amico Bright, che sembravano volergli appiccar fuoco con lo sguardo. «A proposito, avete più avuto problemi con Flim, Flam e la loro Super Speedy Cider Squeezy 6000

Applejack non capì dove volle andare a parare, ma decise di rispondergli. «No. Non più. Ma tu che cosa ne sai?»

«Oh, Applejack. Ma è ovvio, no? Quella macchina l’ho inventata io!»

«Tu?!» Risposero in coro tutte e sei.

«Certo che sì. Un aggeggio niente male, non trovate anche voi?»

«Niente… male… il… ?! Ahahah!» Rainbow Dash cominciò a ridere, rotolandosi a terra .

«Ceerto!» Annuì Applejack, sfregiante. «Se l’intenzione era di provocare un completo disastro!»

«Au contraire!» Si difese l’inventore, distaccato. «Le mie macchine sono SEMPRE perfette. Non è certo colpa mia se oggigiorno nessuno legge più le istruzioni… disattivare il controllo qualità per vincere una sfida che avevano praticamente in zoccolo?! Pff… idioti.»

«Ohh per la miseria Bibski! Ti vuoi decidere a spiegarci che diavolo ci facciamo qui?!» Scoppio Brightgate d’improvviso, spazientito. Ma la reazione non ebbe sul pony di terra alcun effetto.

«Tutto a suo tempo, Bright. Prima fammi finire con le signorine.» Respinse lui.

Rarity, a bassa voce, si lasciò sfuggire un’ingiuria nei suoi riguardi: «Che screanzato!» Finendo per cadere nelle sue mire.

«Accidenti, mi stavo quasi dimenticando di voi: Rarity e Fluttershy!»

A entrambe le pony si rizzò il pelo, mentre gli sguardi di tutti si spostavano su di loro.

«La prossima volta che andrete alla Spa di Lotus e Aloe, per favore, assicuratevi di non avere occhi indiscreti intorno a voi. Non sta bene fare certe cose in locali pubblici.»

Di qualunque cosa stesse parlando, fu abbastanza grave da spingere entrambe ad abbracciarsi e mettersi a urlare come puledre disperate. Spike, accanto, seguì quell’improvvisa reazione senza però capirne il motivo.

Twilight cominciò a provare una certa empatia verso Brightgate, che proprio come lei, stava cominciando ad averne davvero abbastanza dell’atteggiamento di Doss. Oltretutto, non riusciva a spiegarsi come quel pony sapesse tante cose su di loro. Segreti di cui, per alcune, nemmeno le stesse amiche erano a conoscenza. Si sforzò di scacciare dalla mente le rivelazioni appena apprese.

Dopo di loro, fu il turno di Pinkie Pie, che nel suo caso fu lei stessa ad andargli incontro. Gli si parò di fronte con un sorrisetto ingenuo e saltellando sul posto. «Oh, oh, tocca a me adesso, vero?? Che bello, che bello!!»

«Pinkie Pie… » disse Bibski con scarse parole. Al contrario delle altre, con lei sembrò avere più difficoltà a comporre la frase. Alla fine, dopo averci riflettuto per svariati secondi, tagliò corto con un unico, lapidario commento: «La tua fama la dice già lunga.» E si congedò.

L’allegra pony dell’Elemento della Gioia si sedette di peso a terra, con la chioma sgonfia. «Ed è un bene o un male?» Chiese afflitta, rivolgendosi alle altre.

“Ora è troppo!” pensò Twilight, facendosi avanti con trotto deciso. «E di me cos’hai da dire, Doss?!»

Si posero uno di fronte all’altra, come rivali di vecchia data, sebbene fossero al loro primo incontro a tu-per-tu. Entrambi si conoscevano per fama, e avevano seguito le vicissitudini l’uno dell’altra fino a quel fatidico momento.

Twilight spalancò le proprie ali, in segno di sfregio, intenzionata a impartirgli una lezione sulla differenza tra un vero alicorno e lui. Bibski intuì le sue intenzioni e non accolse la provocazione. In compenso, aveva la frase giusta per lei. «Princess Twilight Sparkle.» Pronunciò, accentuando per bene il nome. «Il fatto che un semplice pony di terra come me sia riuscito a costruire un dispositivo per imitarvi, e che questo vi irriti così tanto, la dice lunga sul vostro status symbol.» Per non farsi mancare niente, scoccò un’allusione malevola anche a Princess Celestia e Luna, che rimasero in silenzio. Sebbene seccate, conoscevano a sufficienza Doss da sapere che era meglio non ribattere.

Shining Armor e Cadance andarono dietro alla loro stessa linea di pensiero, e lasciarono che fosse Twilight parlare.

La Principessa dell’Armonia grugnì, ma s’impose di mantenere un atteggiamento rispettabile. «Indossare quell’aggeggio non fa di te un Alicorno!»

«Se questo è vero, perché la cosa ti irriggidisce tanto?» Insinuò divertito.

«Vogliamo parlare di te, Bibski Doss? Violi le leggi di Canterlot perché non accetti che ti venga dato un “No” come risposta, fuggi dalle tue responsabilità in una condizione di crisi come quella che stiamo vivendo ora, evadi da una cella facendo del male a delle oneste Guardie che svolgevano solo il loro dovere… »

«Sull’onestà delle Guardie avrei da ridire… »

«Zitto, non ho finito!» Lo fermò, ponendosi a un palmo dal suo muso. Il suo vantaggio in altezza le permise, una volta tanto, di elevarsi su di lui con fare ancora più risoluto. «Entri qui dentro insultando le Principesse, prendi in giro le mie amiche dopo aver violato la loro privacy, manchi di rispetto a mio fratello e alla mia cognata che ti hanno accolto malgrado la tua condotta. E ultimo, ma non ultimo: fai sfoggio di quella diavoleria credendo di essere superiore a TUTTE noi, quando invece non vali NIENTE!»

«Ahm, Twilight?» La chiamò Rainbow Dash, facendoli voltare entrambi. «Dimentichi la storia della rapina… » suggerì, con l’intento di pareggiare i conti con Doss.

«Oh già, la rapina!» Tornò a incombere su di lui. «Mentre tutta Manehattan era in fermento per il primo attacco dei Kaiju, con le famiglie che compiangevano i loro morti, tu e i tuoi tirazoccoli avete avuto la brillante idea di mettere a ferro e fuoco la banca centrale per poi dileguarvi come se niente fosse!!»

Questa volta l’odio dei presenti fu indirizzato anche verso Brightgate, che fino a quel momento era stato spettatore quasi passivo della scena.

- E’ giunto il momento. - disse la voce nella sua testa appartenente a Deepblue Whirl.

- Mi chiedevo quanto ci avrebbero messo a tirare il ballo la questione. - Rispose l’unicorno nella sala del trono.

- Pensi che glielo dirà? Voglio dire… la verità? -

Bright scrollò d’istinto le spalle. - Non vedo per quale motivo non dovrebbe. Ma nel caso, ci penserò io. Questa faccenda è troppo importante per lasciarla negli zoccoli di Bibski. -

Bright, e con lui Blu, sentirono una breve frase uscire dalla bocca di Shining Armor.

«Due milioni, quattrocentocinquantaseimila e trecento monete d’oro, per l’esattezza.» Scandì per bene ogni singola cifra di quel numero da capogiro.

Bibski Doss si trovò a condividere col suo compagno un’onda di marea di biasimi, scaturita dalle accuse della famiglia Reale dell’Impero di Cristallo. Squadrò le quattro Principesse che attendevano con solerte pazienza la sua dichiarazione, mentre con la coda dell’occhio studiava gli altri presenti nella sala.

Non dovette riflettere molto sul come esporsi, aveva provato più e più volte quel discorso in innumerevoli varianti, e ora che i tempi erano finalmente giunti a maturazione, era il momento di rendere reali quei pensieri. Dovette solo scegliere la frase giusta e l’effetto ideale per introdursi. «Davvero volete credere a tutte le frottole che vi propinano queste due?» Disse, indicando con lo sguardo Princess Celestia, che d’improvviso perse tutta la sua maestosa sicurezza. La vide fremere, urtata dal violento impatto della sua controaccusa. Un gesto che non mancò di coinvolgere anche Luna, e attirare su entrambe la curiosità dei pony.

«Di che cosa stai parlando?» Gli chiese Twilight, volgendo però lo sguardo alla sua Mentore.

Bibski sospirò e abbassò il capo (non era chiaro se per infondere istrionicità alla scena o se davvero sentisse il bisogno di farlo).

«Voi ci accusate di aver rapinato la banca centrale di Manehattan.» Alzò gli occhi sull’alicorno fucsia. «Ebbene, non posso negarlo. Ma prima di puntare lo zoccolo dovreste conoscere la verità… » scoccò di sfuggita un’occhiata a Bright «la NOSTRA verità.» Completò la frase.

La Principessa dell’Armonia s’incupì, ma non distolse lo sguardo dal pony, neanche per sondare i volti delle amiche o delle altre Principesse.

Bibski iniziò a parlare, e mentre parlava, il suo atteggiamento non espose più alcuna sfrontatezza o sfacciataggine. Era incredibile come quel pony sapesse balzare da uno stato d’animo all’altro nel corso di poche frasi, come se fosse pienamente coscienzioso del suo atteggiamento, e decidesse scrupolosamente quali comportamenti adottare a seconda delle sue necessità.

«Tutto è cominciato quando il primo Kaiju aveva deciso di fare di Manehattan il suo personale parco giochi …» disse per cominciare «come immagino saprete, la Reborn Technologies è stata tra gli edifici investiti dalla sua carica. Quel giorno un terzo del nostro intero complesso è andato distrutto nell’arco di pochi minuti.» Fece una pausa, in vista di uno spiacevole ricordo che stava riaffiorando. «Tra i nostri lavoratori, i più che si trovavano negli altri reparti ne sono usciti incolumi, ma molti dei pony che lavoravano nell’area abbattuta hanno trovato la morte sotto quelle macerie.»

Nel gruppo delle Custodi, qualcuna sospirò affranta, e qualcun'altra non trattenne le lacrime. Avevano vissuto quelle scene. Conoscevano fin troppo bene l’orrore della scoperta che portavano con sé i corpi senza vita che riemergevano dalle macerie. Un incubo a cui nessuno avrebbe mai voluto assistere.

«Quando le squadre di soccorso si sono attivate per cercare superstiti tra le rovine del Sentiero, noi della Reborn abbiamo messo al servizio tutta la nostra attrezzatura per contribuire come potevamo per il recupero di quanti più feriti era possibile. Ci era sembrato giusto fare la nostra parte… »

Twilight lo seguiva con la stessa perizia con la quale studiava un complicato libro di alchimia d’alto livello, cercando di cogliere lievi fremiti nel corpo e incrinazioni della voce che le potessero rivelare se tutto quello che stava dicendo era simulatozione, o se invece fosse sincero. Non notò nulla che le facesse dubitare della sua onestà.

«Due settimane dopo, il Kaiju era ormai stato abbattuto dal vostro intervento, e in città la gente stava pian piano imparando a farsene una ragione. Vennero celebrati i funerali delle vittime, e i più fortunati tra i superstiti stavano cominciando a essere dimessi dagli ospedali. Noi avevamo fatto il possibile per Manehattan, aiutandola con tutto quello che avevamo, sebbene la Reborn Technologies fosse ormai distrutta… in quei giorni l’ultima cosa di cui ci preoccupavamo era pensare che le istituzioni di Equestria potessero metterci i bastoni tra le ruote come loro solito.»

Luna e Celestia ascoltavano con curiosità, in vista di una parte del racconto che anch’esse ignoravano.

«Venimmo a sapere che il Municipio, su vostro ordine… » riprese, rivolgendosi a loro «stava inviando risarcimenti alle famiglie delle vittime e a tutti coloro che avevano perso qualcuno durante il primo attacco. Tra i nostri pony, avevamo contato oltre quaranta vittime, e i loro parenti da giorni ci stavano facendo pressioni affinché gli dessimo delle risposte. Sapete, molti di loro ci reputarono direttamente responsabili per le loro perdite, come se fossimo stati noi gli artefici delle malelingue che circolavano a nostro riguardo.»

Celestia e Luna non reagirono alla sua allusione.

«Naturalmente noi avevamo avuto tutte le intenzioni di aiutarli. Nell’attesa dell’invio degli aiuti economici, avevamo iniziato a vendere gran parte delle nostre invenzioni salvatesi e dei nostri brevetti ancora incompiuti, pur di racimolare qualche soldo da devolverlo a loro, pensando che presto sarebbero arrivati gli aiuti dalla capitale. Immaginatevi la nostra sorpresa quando ci hanno comunicato che non avremmo visto una sola moneta di tutto quel fondo.»

«Come sarebbe a dire?!?» Esplose Princess Celestia, non riuscendo a elaborare una rivelazione così assurda.

«Sarebbe a dire, cara Celestia, che il Municipio di Manehattan subito dopo aver ricevuto il denaro, aveva emanato che neppure un centesimo di quel patrimonio venisse devoluto alle vittime dell’attacco che avevano prestato servizio nella Reborn Technologies. Né manovali, né elettricisti, neppure gli inservienti! Chiunque aveva lavorato per noi non avrebbero avuto NIENTE da parte del Regno!»

Twilight sentì cederle le gambe, e un velo di cupezza calò sul suo volto. «P-Principessa… »

«Twilight, ti assicuro che noi non ne sapevamo nulla!» Si affrettò a rispondere.

«E non è tutto.» Riprese Bibski. «Non solo ci avevano negato il fondo inviato da Canterlot, ma scoprii che il Sindaco aveva anche fatto sospendere le polizze vita e ogni altra forma di risarcimento sottoscritti privatamente dai nostri dipendenti!»

«M-ma… com’è possibile?»

«Probabilmente, Sparkle, grazie al sostegno di una carica ben più in alto di quanto non lo sia mai stata quella vecchia zoccola del Municipio di Manehattan!»

«Ti sbagli, Bibski.» Intervenne Princess Luna. «Noi non abbiamo mai ordinato niente del genere!»

«COMUNQUE SIA… » urlò il pony di terra, facendoli sobbalzare.

Bright si avvicinò, pronto ad intervenire qualora l’amico avesse perso la testa.

Bibski Doss capì la gravità della sua reazione, e respirò profondamente per riprendere il controllo. «Stavo dicendo: d’un tratto ci siamo ritrovati con l’acqua alla gola e le istituzioni che ancora una volta stavano cercando di far passare noi per i cattivi della situazione. E mentre tutto ciò avveniva, le famiglie di quei pony, che contro il parere di tutti avevano scelto di stare dalla nostra parte, erano state abbandonate da quello stesso Sistema che fino ad allora aveva sempre giurato di proteggerci nei momenti di difficoltà!» Si stoppò ancora una volta, e fissò negli occhi le Principesse. «Voi ancora insistete a dire che non eravate al corrente di quanto stava accadendo?»

«Bibski, sebbene la nostra carica può farlo credere, noi non abbiamo giurisdizione totale su tutta Equestria.» Spiegò Celestia, sicura delle sue parole e dei fatti, così come li conosceva lei. «Ai tempi, avevamo delegato al Municipio la responsabilità di sovrintendere la crisi, così come avevamo fatto quando erano cessati i rapporti con la Reborn Technologies. Se qualcuno ci avesse avvisato della linea di condotta che stava intraprendendo il Sindaco, avremo preso immediatamente provvedimenti!»

«L’ho fatto!» Le informò. «Vi ho scritto lettere su lettere supplicandovi di fare qualcosa per quelle famiglie, e non è servito a niente!»

Luna e Celestia incrociarono i propri sguardi, interrogandosi in silenzio.

Twilight e gli altri, sempre più confusi e smarriti, erano stati tagliati fuori dalla conversazione.

«Forse comincio a capire.» Annunciò Princess Luna. «Se non sbaglio, c’è un vincolo particolare per la posta che viene recapitata al castello di Canterlot?» Chiese rivolta alla sorella.

Princess Celestia rifletté brevemente, e poi annuì. «E così. Lo attuano in ogni ufficio postale del regno quando un messaggio reca come destinatario il nostro indirizzo, ma in genere è solo un processo burocratico che ha lo scopo di tracciare i messaggi inviati al Castello… non starai pensando che… ?»

«Non vedo altre spiegazioni… » fece una pausa, colta da un dubbio «a meno che tu non abbia emanato qualche ordinanza particolare di cui non sono al corrente… »

«Non pensarlo neanche! Non lo farei mai!»

Bibski intuì ciò che Luna stava ipotizzando. «Quella BASTARDA!» Digrignò i denti, riferendosi alla condotta del Sindaco di Manehattan. «Non solo ci ha tagliato fuori dai risarcimenti, ma si è anche presa il lusso di censurare la nostra posta!»

«Se ho ben capito, quindi, la colpa è loro… »

«Si direbbe di sì, Bright.  Colpo di scena: è stato tutto un equivoco!»

L’unicorno alto nitrì. «Io te l’avevo detto di non calcare troppo lo zoccolo con lei… »

Ben presto anche Twilight stava cominciando a capire i retroscena di quell’assurda vicenda, ma nonostante tutto, un dubbio la stava ancora tormentando. «Quindi… la rapina è stata… ?»

Fu Brightgate a risponderle con un cenno del capo. «Non vado fiero di quello che abbiamo fatto» disse «ma viste le condizioni, non avevamo molte alternative.»

Doss riprese dal punto in cui avevano interrotto. «Se c’è una cosa che la vita mi ha insegnato è chi fa da sé, fa sempre per tre. Ci avevano abbandonati a noi stessi, senza più risorse e senza gli aiuti da parte della città. Dopo l’attacco, molti dei nostri se n’erano andati, pensando che per la società ormai non ci fosse più futuro. Io cominciai a indagare di persona su ognuna delle vittime. Calcolai quanto ognuno di loro guadagnava lavorando per noi, quali di loro avessero stipulato assicurazioni e a quanto ammontavano le loro polizze. Il bilancio delle loro famiglie. Feci ogni genere di conteggio per cercare di capire quanto sarebbe ammontata la cifra spettante ai loro parenti. Diedi fondo a tutte le mie ricchezze residue per accumulare parte del denaro di cui avevano bisogno. Fu quello a segnare il colpo di grazia alla Reborn Technologies, ma almeno avevamo fatto la cosa giusta.»

Ammutolita dal racconto del piccolo stallone, Twilight Sparkle trovò le parole per completare un’ultima domanda. «A quanto… ammontava il risarcimento?»

Bibski sospirò con aria grave. «Beh, facendo la differenza tra i fondi che siamo riusciti a raggranellare… e i soldi che ancora spettavano alle famiglie, ci mancavano esattamente… due milioni, quattrocentocinquantaseimila e trecento monete d’oro.»

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 6: Cacciatori di Mostri ***


CAPITOLO 6: Cacciatori di Mostri

Una strana aria sembrò insinuarsi all’interno della sala del trono. Aveva l’odore del dubbio e aleggiava intorno ai volti delle Custodi e di tutti i presenti.

«Qualunque sia stato il motivo, questo non giustifica le vostre azioni!» Tuonò Shining Armor, ottenendo il pieno appoggio sia di sua moglie che, probabilmente, di tutte le amiche di Twilight Sparkle.

«Ma almeno io ho fatto qualcosa! Al contrario di voi, che siete  bravi solo a dire agli altri cosa non giusto fare!» Ribatté Bibski, stanco di scherzare su questioni così delicate, e che ora stava esponendo il suo tratto più grave.

«Ammesso e non concesso che quello che tu dici sia la verità!» Lo assalì Applejack.

Tra i due partì una breve discussione, in cui l’inventore si difese dalle accuse della cowgirl, ma era un battibecco dai toni scialbi, più comparabile al bisticcio tra due puledrini che non una vera lite, e che si risorse in brevi secondi con due aspri cenni rivoltisi a vicenda.

La contesa che invece ebbe Twilight con se stessa fu meno rumorosa, ma non per questo più indolore; aveva sempre concepito Doss come un criminale anarchico che non avrebbe mai voluto conoscere, ma le carte si erano rivoltate, e adesso ne era certa: Doss non mentiva sulla faccenda dei risarcimenti. Lo capiva dal suo comportamento, lo vedeva dalle sue azioni, da quella scintilla che alimentava il suo sguardo, come la convinzione di chi è consapevole di aver fatto la cosa giusta. E lo stesso valeva per Brightgate, sebbene lui se ne stesse in disparte, osservando gli eventi col timore che intervenendo poteva stravolgerli completamente.

Twilight provava ancora dell’astio verso il creatore dell’Equalizzatore, il pony che sfuggiva alle regole più basilari dell’armonia e che sfidava con indomita stoltezza autorità molto più in alto di lui, ma il piccolo stallone che stava guardando in quel momento non era lo stesso pony di terra. Era un’anima buona, che portava sulla groppa il peso di decine di vite spezzate da un incidente assurdo. Pony che conosceva e con cui forse aveva instaurato dei legami. Compagni con cui aveva condiviso successi e fallimenti, e che erano stati “isolati” per l’unico crimine di essergli stati vicino durante la realizzazione dei suoi ideali contorti. In loro onore aveva accettato il più enorme dei sacrifici, la propria moralità, e questo solo per il bene delle loro famiglie. Poteva quindi un pony così essere considerato solo per le ombre del suo lato oscuro?

Le voci nella testa non le davano tregua. Continuavano a chiederle se fosse giusto condannarlo in tal modo, come s’incaponiva Shining, o se la soluzione migliore fosse stata il perdono.

Era buffo, ma in mezzo a tante persone, l’unico che sembrava trovarsi veramente a suo agio in quella sala, e che non mostrava neanche il più piccolo singulto di disagio, era proprio Bibski.

L’inventore stava proseguendo un discorso inerente ai Kaiju, che Twilight si mise ad ascoltare solo ora, presa com’era nelle sue riflessioni.

Come un tabù uscito allo scoperto, il sentir nominare i loro immensi nemici suscitò una folata di gelo sulle criniere degli spettatori, mozzando a qualcuno il fiato, facendo rabbrividire qualcun altro, anche tra le stesse Principesse.

«Pensate di poter gestire la situazione, ma la verità è che non vi rendete nemmeno conto della gravità del problema!»

«E voi invece cosa ne sapete?!» Chiese con atteggiamento supponente Shining Armor, ansioso di ottenere la risposta a un quesito che attendeva da giorni.

«Non più di voi.» Ammise Bibski. «Ma almeno stiamo cercando di scoprirlo!»

«Come?»

«Mi sembra ovvio: con quell’attrezzatura che ci avete confiscato nella landa ghiacciata!»

Celestia compì un passo in avanti. «Per favore, Bibski. Dicci di più.»

Il pony di terra sospirò, come un padre insofferente che accondiscende di malavoglia alla richiesta di un figlio troppo assillante. «Immagino che anche senza il mio Genio vi sarete accorti dell’ovvia correlazione che c’è tra i terremoti e le apparizioni di Kaiju?»

I pony annuirono, tra qualche occhio ruotato all’insù e vari sbuffi.

«Da quando il secondo mostro si era manifestato nelle Badlands, avevamo capito che la cosa non si sarebbe fermata ai soli due attacchi, che era solo l’avanguardia di qualcosa che tutt’ora possiamo solo immaginare. Dovevamo saperne di più, e così abbiamo cominciato a installare dei sismografi in tutto il regno.»

Applejack inclinò la testa. «Sis-che?»

«“Sismografi”.» Rispose Bright, garbatamente.

«Sono delle decorazioni per la Festa del Terremoto?» Chiese Pinkie Pie, accigliandosi.

«No, eheh. Servono per misurare le vibrazioni del terreno. Rilevano l’epicentro di un terremoto e ci permettono di scoprirne l’origine.»

«Un’altra delle mie grandi invenzioni, modestamente parlando.» Si vantò Bibski, tutt’altro che modesto. «Purtroppo però hanno una ricezione limitata. Pensavamo che i Kaiju avessero delle tane da qualche parte nelle catene montuose, così per prima cosa ci siamo concentrati sulle Colline Macintosh e sulle Montagne del Puledro. Li avevamo impostati affinché potessero coprire una vasta area di territorio, a discapito della profondità.»

«Profondità?» Chiese Twilight.

«Quanto a fondo possano captare le vibrazioni del sottosuolo.» Le rispose. «Sfortunatamente, c’abbiamo messo poco a capire che non è in superficie che dovevamo cercare i Kaiju, bensì sottoterra.»

«E quanti ne avete installati?» Domandò invece Shining Armor.

«Con o senza quello che ci avete impedito di ultimare nella landa ghiacciata?»

«Rispondi alla domanda, Bibski.» Lo riprese Brightgate.

«Ventinove. In tutta Equestria.» Poi fece una pausa. «Cosa ne avete fatto dell’ultimo?»

«Lo abbiamo smantellato e portato qui.» Disse il Principe, ma dall’intonazione della voce, si poteva intuire che la decisione stava cominciando a pesargli.

«Naturalmente… » commentò rassegnato il pony di terra. «Dobbiamo riattivarlo il prima possibile!»

Bright si strinse sulle spalle. «Ci penseremo in un secondo momento. Ormai quel che è fatto è fatto.»

Celestia si avviò verso una delle grandi vetrate ai lati della sala, seguita dai loro sguardi, e ammirò il panorama dell’Impero. Ora che l’allarme era cessato e la calma ristabilita, la città le sembrò più radiosa che mai. Le nubi perenni che portavano la neve sulla terra dei ghiacci, incombevano come presenze lontane sulle Crystal Mountains, ma sopra il regno il cielo era limpido e radioso, e il sole che ogni mattina levava sopra la volta, illuminava le strutture di cristallo con i suoi scettri di luce. «Vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per noi.» Disse respirando a fondo. «Vorrei che quest’incontro si fosse svolto in circostanze più serene, ma sapremo fare buon uso dei vostri sforzi.»

A sentire il congedo della Principessa, Bright e Blu (con cui l’unicorno stava ancora mantenendo il canale di comunicazione) cominciarono a temere per la reazione che avrebbe potuto avere Bibski.

«Lieto che tu lo pensi.» Disse invece Doss, lasciando a bocca aperta i due fratelli. «Ma non è sufficiente. Certo ora abbiamo l’occasione di saperne di più sui Kaiju, ma rimane ancora il problema di come affrontarli.»

- Ecco, ora lo riconosco - Si espresse la voce lontana.

Rarity, tra tutte, si domandò se quel pony fosse informato sui fatti dei mesi precedenti. «Beh, abbiamo pur sempre gli Elementi dell’Armonia.» Fece notare.

Il pony di terra la guardò di traverso. «Certo, ma per quanto ancora?»

Celestia ritornò verso il trono. «Abbiamo considerato quest’eventualità, e ho preparato delle soluzioni.»

«Se permetti, anch’io ho pensato a qualcosa.» Fece una pausa a effetto, godendosi la loro espressione dubbiosa. «Ormai dovreste aver capito che arcobaleni colorati e amicizia non sono una soluzione a lungo termine contro quei mostri… senza rancore, ragazze.» Le Custodi lo squadrarono, ed era solo per educazione che nessuna di loro gli rivolse un insulto.

«Qualunque sia la loro origine, è ormai lampante che i Kaiju non sono figli del caso. Bensì un esercito organizzato, che sta solo aspettando il momento ideale per sferrare il suo attacco. Quando arriverà quel momento, dovremo essere pronti a riceverli.»

«Cos’hai in mente?» Domandò Shining Armor, col suo fare sospettoso che ancora esitava a rinfoderare la spada.

Bibski esibì il suo ghigno preferito, quello che da anni percuoteva le ginocchia dei gemelli unicorno. Qualunque cosa stava per dire, sapevano entrambi che da quel giorno le loro vite non sarebbero più state le stesse.

Era un momento speciale per l’inventore, un istante che aveva atteso da tempo, e che ora stava per concretizzarsi sotto gli occhi di tutti. Poteva percepire le parole che lottavano contro i muscoli della sua bocca per liberarsi, come un qualcosa di vivo e tangibile che aveva troppa fretta di evadere. Alla fine, scandì la risposta, e finalmente si sentì libero e leggero, come quando aveva spalancato per la prima volta le ali dell’Equalizzatore e si era librato nell’aria per compiere il suo primo volo. «Gli Jaeger.»

Nella sala del trono, quel giorno, vi furono stupore e molti interrogativi, ma niente si poteva paragonare ai gemiti che furono emessi in reazione a quel nome.

«”Cacciatori”… » si ritrovò a mormorare Twilight, quasi senza rendersene conto.

Immediatamente, chiunque avesse avuto orecchie per ascoltare, si fissò su di lei esigendo tacitamente (e non) di farsi dare delle spiegazioni, convinti che sapesse qualcosa, ma non fu così. Conosceva la parola, sì, e ne comprendeva la traduzione dalla lingua tedesca, ma a qualunque cosa fosse associata in quel contesto, lei non ne era informata.

«”Cacciatori di draghi”, per la precisione… o di mostri, in questo caso.» Spiegò Doss. Nei suoi occhi brillavano riflessi a forma di stelle, e il cutie mark lampadina s’illuminò fin quasi a coprirgli il fianco col riverbero.

Era quasi… imbarazzante… pensò Bright, comunicando telepaticamente con Blu.

«È da quando è cominciata questa storia che ci sto lavorando.» Informò l’inventore. «Più volte mi sono fermato a domandarmi come fare. Come combattere dei mostri alti come grattacieli riducendo al minimo le perdite di vite innocenti. È vero che gli Elementi dell’Armonia finora si sono sempre rivelati efficenti, ma le cose stanno cambiando, e lo sapete benissimo anche voi. Più il tempo passa e più il potere dei Kaiju cresce.»

Twilight dovette dargli ragione, lei stessa l’aveva fatto notare a più riprese.

«Ho pensato che ci servisse qualcosa che ci permettesse di misurarci con loro ad armi pari. Qualcosa che non avrebbero potuto prevedere. E così ho realizzato: per combattere i mostri… dobbiamo creare dei mostri a nostra volta!»

In quel momento Brightgate non poté vederlo, ma gli occhi di Deepblue si dilatarono fin quasi uscirgli dalle orbite. - Sta suggerendo di creare dei Kaiju per combattere ALTRI Kaiju?! -

- Non credo, è troppo persino per lui… - rispose l’altro, ma la verità è che nemmeno Bright era certo di cosa pensare.

Dalle espressioni che sfoderavano gli ascoltatori, capì che non erano gli unici a pensarlo.

«… grandi macchine corazzate alte quanto i Kaiju e pilotate dai pony, per rispedire i mostri direttamente nel buco da cui sono emersi, e direttamente sul loro stesso terreno di gioco!» Continuò, e quindi concluse l’inventore.

Tra le Custodi degli Elementi, una pegaso in particolare stava cominciando a schiumare dalle labbra in maniera convulsa «Ma questo… è… FANT… »

«Aspetta prima di parlare!» La zittì Applajack seccamente. «È fattibile una cosa del genere?» Domandò, rivolgendosi a Bibski.

«Stai chiedendo se IO posso costruirli? Il quesito si risponde da solo.» Sghignazzò.

La cowgirl non seppe come ribattere, sebbene i dubbi fluttuassero ancora.

«Allora Principesse, cosa ne pensate?» Chiese Bibski, convinto di sapere la risposta.

Twilight posò lo sguardo sulle altre alicorno, sentendosi chiamata in causa. Tutta la situazione era troppo surreale per lei, ma era certa che Luna e Celestia sapessero come comportarsi, ed era curiosa di ascoltare il loro parere.

La Principessa del Sole socchiuse gli occhi in un gesto sconfortante. «Ti aspetti davvero una risposta da noi, Bibski?»

L’inventore si corrugò. «Non giocare con me, Celestia! Lo sai che quando parlo in questi toni sono DANNATAMENTE serio!»

«Sei tanto sicuro delle tue capacità da convincerti di poter dare i natali a un’iniziativa del genere?»

«Gli schemi di base sono pronti sulla mia scrivania da mesi! Ho soltanto bisogno delle vostre risorse e della vostra più totale collaborazione! Voi sapete che a capo del progetto IO posso riuscirci!»

Luna intervenne in forza alla sorella. Al contrario di lei, le sue parole rivelavano un rancore ben superiore. «Ti aspetti che ti forniamo tutto questo sulla base di una tua fantasia?! Soprattutto visti i tuoi precedenti?!»

«Non è una “fantasia”! È qualcosa che funzionerà!»

«E cosa ti fa pensare che noi abbiamo le risorse che tu ci chiedi?!»

La domanda di Luna sembrò toccare un nervo scoperto. Qualcosa che Celestia, nella sua infinita saggezza, sarebbe stata cauta a mettere sul banco. Twilight lo capì dai segni del corpo che la sua Mentore esibì di reazione.

Bibski sorrise di nuovo. «Sappiamo entrambi che li avete.» E la interpellò «Vero, Princess Celestia?»

L’alicorno bianco sussultò, apparendo perfino a disagio, e cercò di sviare la domanda come meglio poté. «Come ti dissi, ho un piano per porre fine alla crisi dei Kaiju. Ritengo inopportuno sacrificare ulteriori risorse per una chimera che non ci darà alcuna garanzia di successo. La situazione è sotto controllo.»

«”Situazione sotto controllo” un paio di balle di fieno! Non capisci che così rischi di condannare tutto il tuo regno all’egemonia di quei mostri?!?»

Una grande presenza dal manto grigio-cenere gli ostruì il campo visivo. «Basta così, ci ritiriamo.» Bright si voltò dunque verso le Principesse e su Shining Armor. «Sempre se possiamo… »

Dopo un breve scambio di sguardi tra i Reali, Celestia annuì solennemente. «Sì. Invierò un messaggio affinché siano ritirate le accuse a vostro carico, e avviserò i corpi delle Guardie Cittadine di cessare di darvi la caccia. Siete pony liberi da ora, di più non possiamo fare.»

Nessuno dei presenti obiettò alla sua decisione.

«Grazie, Principessa.» Annuì l’unicorno con un cenno.

«Bright, non ti ci mettere, lo sai che… »

«Per l’ultima volta: BASTA.COSÌ.BIBSKI!» Lo fucilò a parole. «Andiamo a riprenderci lo Skybreaker e torniamo a casa. Questo storia è durata FIN TROPPO!»

La potenza della sua voce riuscì non solo ad azzittire l’antipatico pony di terra, ma anche a spaventare alcune tra le Custodi, una tra tutte Fluttershy, che si rintanò dietro la coda di Rarity.

Bright sollevò con la levitazione Bibski Doss e lo trascinò fuori dalla sala, mentre questo inveiva imprecazioni un po’ verso di lui e un po’ verso le Principesse, con tanta foga da farsi cadere di dosso il casco dell’Equalizzatore.

Molti tirarono un sospiro di sollievo quando il portone si richiuse alle loro spalle, restituendo un po’ di meritata pace alla sala del trono, ma Twilight non condivise con gli altri lo stesso sollievo.

Celestia si era fatta pensierosa da quando Bibski se n’era uscito con quella storia, e ora vedeva la sua ex-mentore discutere in un angolo insieme a Luna.

Avrebbe desiderato andare da loro e chiedere spiegazioni. Nulla avrebbe impedito alla Principessa dell’Armonia di avvicinarsi per prendere parte alla conversazione, ma dopo averci riflettuto, pensò che sarebbe stata irrispettosa nei loro riguardi, e così si astenne. Di sicuro Princess Celestia aveva le sue buone ragioni per tenere il riserbo su quel dato argomento.

Spike e le sue amiche si ricongiunsero a lei, un po’ complimentandosi per il modo in cui aveva saputo affrontare Doss,  un po’ commentando ciò che avevano appreso.

Si unì a loro con poco coinvolgimento, quando invece avrebbe voluto venire a capo di tutte le sue domande.

Flash Sentry e un'altra Guardia Reale ruppero la formazione per andare ad aprire il portone a Shining Armor e Princess Cadance. Anche loro stavano discutendo animatamente di qualcosa, e tra i due, il Principe era il più contrariato, ma erano troppo distanti perché qualcuno potesse sentirli.

Piccole ma potenti zoccolate stavano prendendo a pugni la parete di cristallo del corridoio, riecheggiando i loro colpi lungo gli ampi spazi vuoti del castello «Stupide! Stupide! Idiote senza cervello… !!»

«Che cosa ti aspettavi, che ti accogliessero a zampe aperte dopo averle riempite d’insulti per tutto il tempo?!»

«Proprio tu parli di “buone maniere”, eh? Brightgate, il grande… »

«Non stiamo parlando di me in questo momento, Bibski Doss! Sarai anche il miglior inventore di queste terre, ma resta il fatto che sei un grandissimo… » si trattenne all’ultimo momento.

«Forza! Che aspetti?! Dillo!»

«Un grandissimo STRONZO!!»

Bibski applaudì picchiettando a terra con gli zoccoli «Peerfetto! Ti senti soddisfatto ora?!»

«Dannazione Bibski, avrei dovuto ammazzarti quando ne ho avuto l’occasione!!»

«Ehi!» Shining Armor e moglie apparvero alla soglia del corridoio. «Fatela finita voi due! Siete ancora in casa nostra se non ve ne siete accorti, portate un po’ di rispetto almeno per questo castello!»

Bright abbassò il capo in segno di pentimento e respirò a fondo. «Ci perdoni, Capitano. Non si ripeterà.»

Bibski invece non parlò.

«Volevamo avvertirvi che i miei pony stanno portando fuori il vostro mezzo volante. Ho anche dato disposizione che caricassero dentro la vostra attrezzatura.»

«Grazie, Signore. Lo apprezziamo.»

«Tra poche ore Princess Celestia farà scendere il sole.» Avvertì Cadance. «Possiamo mettervi a disposizione delle stanze per la notte, se lo desiderate. Così potrete partire domattina con più calma.»

«Oh… ma non è necessario… »

«Io non sono d’accordo!» Si affrettò a precisare Shining, con un grugno inasprito sul volto. «Vi ho avuto tra gli zoccoli già per troppo tempo… ma d’altro canto, è lei che fa le veci della padrona di casa, quindi… »

Con Bibski chiuso in un silenzio impenetrabile, Bright si mise a esaminare da sé i pro e i conto di quella proposta. Con lo Skybreaker a piena potenza sarebbero tornati al QG in poco meno di due ore, abbastanza per godere ancora di qualche scampolo di luce nel corso del viaggio, ma l’idea in sé di restare ancora all’Impero di Cristallo era allettante: avrebbero potuto mangiare qualcosa di decente prima di tornare a casa e riposarsi un po’ nell’attesa di rimettersi in viaggio.

Conoscendo Bibski, una volta messo zoccolo al campo base, sicuramente si sarebbe mobilitato per riattivare il sismografo della landa ghiacciata il prima possibile, e a Bright, dopo tutto quello che aveva passato a causa sua, non andava proprio di dover tornare a farsi comandare a bacchetta fin da subito. Oltretutto, rimanendo in città ancora per un po’ di tempo avrebbe potuto sfruttare l’opportunità per saperne di più sulla faccenda degli Jaeger, e magari provare a convincere di persona le Principesse a prendere in considerazione la proposta dell’amico.

Disse a Princess Cadance che avrebbero accettato l’invito, e li ringraziò per la disponibilità. Shining Armor sbuffò, ma come aveva ammesso, aveva davvero poca voce in capitolo.

«Vi avverto!» Puntò lo zoccolo lo stallone. «Solo perché Princess Celestia vi ha condonato, non significa che potete fare quello che vi pare! Evitate di dare altri problemi al nostro Impero, o questa volta vi assicuro che le segrete saranno l’ultima cosa che vedrete in vita!»

Bright avrebbe desiderato rispondere, e anche scusarsi per tutte le traversie che avevano causato dal loro arrivo, ma Shining Armor se ne andò prima che potesse aprir bocca, dunque ci pensò la moglie a chiudere i convenevoli con i due nuovi ospiti.

Tornati soli nel corridoio, l’unicorno alto cercò di rimettersi in contatto con Blu. Avevano interrotto la connessione poco prima dell’intervento che aveva sedato la discussione con Bibski, e da allora il fratello era rimasto all’oscuro degli sviluppi. Lo ragguagliò sulle novità e sul fatto che sarebbero rimasti all’Impero fino alla mattinata seguente, e si salutarono promettendosi di ricontattarsi più tardi.

Tornò a dedicarsi a Bibski, che non aveva fiatato per tutta la durata della conversazione. «Un paraspiritello ti ha mangiato la lingua?»

«Riflettevo.» Rispose dopo una pausa, senza concedersi alcuna battuta nel mezzo, fatto che diede da riflettere all’unicorno alto.

«Senti… mi dispiace per… prima.» Si scusò lo stallone dal manto grigio.

«Non è necessario. Quando mi rendo conto delle mie azioni, spesso è troppo tardi per rimediare.» Ripresero a marciare lungo il corridoio. «Ho sbagliato a trattarti male, sono fortunato ad avere al mio fianco un amico come te.»

Bright sospirò. «In fondo un po’ me lo merito. Nemmeno io ero stato proprio un buon partito una volta.»

«Già, ma per lo meno tu hai saputo cambiare. Certe volte t’invidio per questo.»

«Chissà.» Scrollò le spalle. «Forse non saresti nemmeno così geniale se non fossi così… »

«“Stronzo”?»

«Stavo per dire “esuberante”.»

Questo fece sorridere il pony di terra. Si toccò il casco dell’Equalizzatore per sistemarselo, un gesto che per lui stava ormai diventando abitudinario.

«E così… » ruppe l’unicorno il silenzio «vuoi combattere i Kaiju con delle macchine giganti… ?»

«Preferisco chiamarli Jaeger… suona più… “aggressivo”.»

«E li vuoi fare alti quanto i Kaiju… »

«Trenta, trentacinque metri. È il minimo se vogliamo sperare di combattere ad armi pari.»

«Non pensi che sia qualcosa d’impraticabile, anche per uno come te? Voglio dire… due mesi… »

«Ne sono consapevole, Bright. Grazie per minare ogni mia idea con tanta cortesia!»

«Non era mia intenzione, intendevo solo che… »

«In ogni caso, senza l’aiuto di Canterlot non potrà andare oltre alla mera fantasia. Servirà l’unione di tutti i migliori costruttori di Equestria per dar vita a un progetto del genere.»

«Mi domando cosa fosse questo “piano” di cui ha parlato la Principessa.»

«Di qualunque cosa si tratti, spero ci dia del tempo per organizzarci. In due mesi potremmo anche non farcela, ma con l’aiuto di tutti – e i giusti mezzi – potremmo concludere i primi prototipi in tempo per quando i Kaiju diventeranno un problema enorme.»

«Sto pensando… una cosa del genere, al di là delle materie prime, richiederà un consumo di energie spropositato. Come pensi di rimediare al problema?»

«Ho pensato anche a questo: sai i progetti del nuovo ATS che ho ridisegnato per lo Skybreaker?»

Bright annuì.

«Credo di poter usare quegli schemi per costruirne una variante più imponente, abbastanza per sostenere il flusso energetico richiesto per gli Jaeger.»

«Il carburante? Per far partire una macchina del genere servirebbero tonnellate di cristalli! Dove pensi di trovare tutte quelle risorse?»

«Oh, ma io non voglio usare le solite celle di energia, Bright.»

I due si fermarono poco prima di giungere a un bivio lungo il corridoio. Due Guardie Reali unicorno passarono di fronte a loro guardandoli con diffidenza. Attesero che i due militari si allontanassero e ripresero a parlare.

«E quindi come li accenderai?»

Eccolo di nuovo, constatò Bright: il ghigno venefico di Bibski che portava più guai di quanti ne risolvessero le sue invenzioni.

«Con la più potente fonte di energia al momento esistente sul suolo di Equestria.» Rispose enigmatico.

Bright ci mise un momento a capire, ma quando la soluzione si manifestò nei suoi pensieri… Celestia Misericordiosa! Rimpianse con tutto il suo cuore di non aver respinto l’offerta di Cadance, ed essere partito con lo Skybreaker seduta stante!

Piccolo nanerottolo con manie di grandezza! E ora come avrebbe fatto a spiegarlo alle Principesse?!

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 7: Ritorno a casa ***


CAPITOLO 7: Ritorno a casa


Sulla balconata l’atmosfera era calma e rilassante, e i suoni dell’impero sotto di lei le sussurravano mormorii distanti. Intonazioni di un’esistenza che cercava di convivere con lo spettro di una minaccia incombente.

La sera era fredda e folate invernali soffiavano sulla sua criniera facendo danzare le sfumature viola-magenta come un velo sinuoso. Eppure, nonostante brividi di gelo le rizzavano il pelo, Twilight era troppo assorta nei suoi pensieri per patire l’artica temperatura del Nord.

Aveva bisogno di un attimo di solitudine per riflettere sugli sviluppi degli ultimi giorni, su Bibski Doss e sulla sua proposta per la guerra contro i Kaiju, ma anche sul bizzarro comportamento di Princess Celestia nei suoi riguardi.

Non l’aveva mai vista così recalcitrante di fronte ad altri pony, nemmeno nelle situazioni più tese.

In qualunque contesto si trovasse, aveva sempre dimostrato di saper ascoltare i suoi sudditi e di conseguenza valutare con calma le loro proposte, ma quel giorno… quel giorno era incerta, e Twilight non era in grado di decidere se fosse meglio indagare, oppure accettare gli eventi così come le erano apparsi e lasciare che si sbrogliassero da soli.

Senza contare la questione delle macchine di Doss; potevano funzionare? Erano davvero la risposta alla guerra? O erano solo la proiezione contorta di un pony dall’ego sproporzionato che cercava di dimostrare qualcosa?

Per quanto Bibski si fosse prestato fedele alla cattiva reputazione che lo circondava, non potevano dubitare che nel suo lavoro aveva del talento e che in passato era stato in grado di dimostrarlo in più di un’occasione.

“Di certo sapeva il fatto suo.” Convenne Twilight, come se avesse appena concluso una discussione con se stessa.

Espulse intensamente un getto di fiato dai polmoni, concentrandosi solo per un momento sulla nuvola di condensa che si formò di fronte, per poi dissolversi subito dopo, in seguito alzò gli zoccoli sul corrimano e guardò la vita notturna scorrere sotto di lei.

I lampioni delle strade si riflettevano sui palazzi di cristallo, dando quasi l’illusione che brillassero di luce propria, e le punte dei pinnacoli e delle guglie irradiavano scintille brillanti, bagliori che come piccoli guardiani sovrastavano le vette dell’Impero vegliano sui suoi misteri millenari.

Una voce inaspettata, ma dolce e familiare, che quasi sembrò accarezzarla col suo suono, la sorprese alle sue spalle. «Twilight?»

Si voltò trovandosi di fronte il pony cui sapeva che quella voce meravigliosa apparteneva. «Flash… c-ciao.» Salutò timidamente, voltandosi verso la volta della città per nascondere il rossore delle sue guance.

La Guardia Reale le andò vicino, adagiando sulla parete la lancia che si era portato dietro. «Credevo che fossi con le tue amiche. Che ci fai qui fuori da sola?» Un soffio di vento s’intromise tra i due, facendo tremare di brividi lo stallone da dentro la sua corazza. «Con questo freddo, poi.» Commentò di conseguenza.

«Io… » sospirò affranta «stavo solo pensando.»

Lui la guardò con occhi dolci e premurosi. «È per quello che è successo oggi alla sala del trono?»

«Anche, sì… ma… non lo so.» Provò l’impulso di gridare, ma lo tenne confinato nel profondo del suo cuore, invece si sfogò colpendo con una zoccolata il corrimano. «È tutto così strano ultimamente! Tre anni fa studiavo la magia dell’amicizia convinta che sarei stata l’allieva di Celestia per sempre. Ora invece… ora… sono una Principessa con in zoccolo la sicurezza dell’intera Equestria! E poi… e poi ci sono i Kaiju… »

Si voltò, e lo stallone vide che i suoi occhi stavano diventando lucidi. «Da dove vengono, Flash? Cosa sono? Cosa vogliono da noi?! Ho cercato risposte in tutte le biblioteche di Equestria, ho studiato ogni tomo sul Tartaro che sono riuscita a trovare, ho persino chiesto aiuto alla mia amica Fluttershy, che di queste cose ne sa più di tutti… e non abbiamo trovato NIENTE!»

L’impulso fu troppo improvviso per lei, si gettò tra le sue braccia e lasciò che le lacrime scorressero sul suo manto. Flash Sentry la cinse con una zampa, e lasciò che le emozioni fluissero fuori da lei.

«S-scusami… » disse poco dopo, scostandosi delicatamente «non so che cosa mi sia preso… »

«Va tutto bene.» La tranquillizzò con un sorriso.

Twilight tornò a osservare il vuoto al di là del balcone.

«Forse sono io che dovrei chiederti scusa.» Disse la Guardia Reale unendosi a lei. «Non conosco le risposte alle domande che ti stai ponendo. In fondo… eheh… sono solo una modesta Guardia Imperiale. Ma sono convinto che ogni domanda prima o poi troverà una risposta. Dovremo solo aspettare e lasciare che gli eventi plasmino il nostro futuro.»

«Molto profondo per una “modesta” Guardia Imperiale.» Scherzò lei, ritrovando il sorriso.

«Ho anch’io i miei piccoli segreti.» Le strizzò l’occhio.

Lei gli si avvicinò ancora di più, tanto da potersi appoggiare sulla sua spalla. «Non te l’ho mai detto ma… mi ricordi tanto una persona.»

«Ah sì? E dimmi Principessa. È una lei o un lui?»

Twilight trovò faticoso rispondergli. Una piccola parte di lei prese a picchiarsi la fronte per l’enorme sbaglio appena commesso.

«Puoi dirmelo, non sono uno che se la prende.»

L’alicorno si fece forza. «Era un ragazzo… in effetti.»

«Interessante. Ed era un tipo in gamba?»

«Oh sì…» “quanto te” avrebbe voluto aggiungere, ma le parole furono ostacolate da una parete d’imbarazzo «mi ha aiutata a tirarmi fuori da una situazione davvero… brutta. Non ce l’avrei mai fatta senza di lui.»

Lo stallone in armatura d’oro rimase in silenzio, lasciando che Twilight si appoggiasse ancora su di lui, malgrado non si sentisse per nulla tranquilla. L’aria inoltre si era fatta più gelida, ora che il flusso delle emozioni si era placato, e ciò non favorì la sua condizione. Tremava come una foglia e sicuramente Flash lo stava percependo.

D’un tratto si divise da lei, esponendo ora anche il resto del suo corpo al freddo pungente della sera.

«Scusami, ma adesso devo riprendere la mia ronda serale. Oggi tuo fratello ha un diavolo per criniera, se mi vedesse oziare sarebbe anche capace di degradarmi ad alzabandiera.»

Era il genere di risposta che Twilight non avrebbe voluto sentire. La ponyficazione dei suoi timori.

«Flash, aspetta… » non voleva che si congedassero così.

Era stata una stupida. Una parola di troppo venuta fuori con il pony sbagliato, che ora stava compromettendo tutto il bello che c’era nel loro rapporto. Non avrebbe mai dovuto parlargli di quell’umano.

«Conosco un locale a qualche isolato da qui… non è niente di che, ma fanno dei milk-shake al latte di soia davvero ottimi!»

Twilight corrugò le sopracciglia, colta totalmente alla sprovvista. «M-mi stai invitando a uscire?»

«Ho il cambio della guardia tra un’ora, poi sono libero. Così potrai raccontarmi ancora di quel ragazzo che ti avrebbe tolto dagli impicci… s-sempre se ti va.» Le fece un occhiolino, mordendosi timidamente il labbro. Un gesto che le ricordò il Flash umano.

Aveva ragione a pensarlo: erano davvero due gocce d’acqua.

«Io… » esitò, ma non per l’incertezza, quanto per non esplodere in una scenata di folle felicità “a la Pinkie Pie” «certo che mi va!» Riuscì a contenersi entro la soglia della compostezza.

«Grande! Allora… ehm… io adesso è meglio che vada… altrimenti tuo fratello mi rispedirà dritto, dritto tra i cadetti dell’accademia!»

Risero entrambi e rumorosamente, incuranti che qualcuno potesse sentirli.

Il pegaso imbracciò la lancia e si apprestò a varcare la soglia dell’entrata. «Ti aspetto nell’atrio tra un’ora esatta, ok?»

«Ci sarò, contaci!» Annuì la Principessa dell’Armonia, guardandolo poi prendere il via nel corridoio dopo essersi salutati.

Rimasta di nuovo sola, improvvisamente si accorse di essere felice. Felice come non le accadeva da giorni.

L’invito di Flash era stato provvidenziale e tempestivo. Un break rilassante prima del ritorno a casa, nell’attesa del prossimo attacco, o aspettando sviluppi sulla faccenda degli… “come li aveva chiamati Doss? Cacciatori? Jaeger?” si chiese tra sé e sé.

Si affacciò di nuovo dal corrimano per osservare la città, ma sebbene il freddo stesse diventando sempre più pungente, il calore che il contatto con Flash le aveva procurato sembrò essersi insinuato sotto la sua pelle, scaldandole il petto e le guance.

Una musica soffice e romantica iniziò a intonarsi nella sua testa e d’improvviso s’accorse di aver voglia di cantare. Le parole presero forma nella sua voce e stavano percorrendo la sua gola pronte a uscire, quando…

«Salve!»

«AAAHH!!» Qualcosa le apparve dal nulla materializzandosi a pochi centimetri dal suo naso. Twilight si lasciò scappare un urlo e cadde all’indietro, sbattendo la testa sul pavimento di cristallo con un tonfo sordo.

Frastornata, si mise seduta massaggiandosi la botta.

Oltre la balconata, giunto probabilmente da uno dei piani sottostanti, Bibski Doss stava svolazzando serenamente sostenuto dalle ali dell’Equalizzatore, che era tornato in funzione. «Oh, scusa! Ti sei fatta male Principessa?»

Lei lo fissò provando, una volta tanto, il desiderio di procurare del VERO dolore fisico a qualcuno.

«Non era retorico, dico sul serio. Ti sei fatta del male?»

Twilight non aveva alcuna intenzione di rispondergli… ma di urlare a pieni polmoni? Quello sì: «CHE COSA CI FAI TU QUI?!?»

«Pensavo lo sapessi.» Rispose serenamente. «Princess Cadance ci ha cordialmente invitato a restare per la notte. Come rifiutare una così amorevole proposta di pace?»

«Non intendevo questo, io… OOH LASCIA PERDERE!!»

«Twilight, va tutto bene?!» A parlare fu Flash, che riapparve come un razzo alla soglia dell’ingresso.

Osservò il pony di terra con la bizzarra bardatura volante adagiarsi a terra, richiudendo ordinatamente le ali e raddrizzandosi il casco. «TU?!» Gli tuonò contro puntandogli la lancia.

«Ehi, ehi. Riposo soldato, ha fatto tutto da sola!» Si affrettò a dire il piccolo stallone.

Il pegaso aiutò la giovane principessa a rialzarsi. «Ti ha fatto qualcosa?!» Le chiese sussurrandole all’orecchio.

«No. È tutto a posto, sto bene. Mi sono solo spaventata.»

«Vuoi che te ne liberi? Basta poco!» Le propose squadrando con ostilità il terzo incomodo.

«Non è necessario, è che non me lo aspettavo.»

Twilight lo rassicurò, chiedendogli di tornare alla sua ronda, e nel frattempo rinnovò il suo entusiasmo per l’invito a uscire insieme. Prima però avrebbe dovuto sistemare la faccenda con Doss.

La Guardia Reale non era sicura di lasciare la Principessa alle sgradevoli compagnie di quel pony, ma in quelle vesti era ancora un suo suddito, pertanto dovette ubbidire, anche se controvoglia, alla sua volontà.

Prima di andarsene, elargì la più cupa delle sue espressioni al nuovo arrivato, che di risposta ricambiò con uno strafottente ghigno.

Rimasti da soli, Twilight si diresse verso la parte opposta del balcone, il più lontano possibile da lui. «Che cosa vuoi, Doss?» Chiese aspramente.

«Oh, niente. Stavo solo godendo di un breve volo con le mie piccole e pucciose ali di metallo» si librò verso di lei atterrando in equilibrio sul corrimano «è davvero tremendo non poter volare per tre giorni di fila! Stare con gli zoccoli a terra, in perenne lotta con la gravità tiranna che ci spinge sempre più giù, sempre più giù.»

«Bene. Mi fa piacere saperlo e sono contenta per te» si allontanò di nuovo, trottando dall’altra parte «ora per favore, lasciami in pace!»

Bibski fu rapido a raggiungerla. «Proprio non capisco come facciano i pony di terra a resistere. Insomma: niente ali per viaggiare liberi nei cieli di Equestria, niente magia per compiere le cose più basilari… »

«Doss, per favore… PER.FAVORE! Vieni al punto!» Esasperata, si appoggiò al corrimano, affondando la faccia negli zoccoli.

«Se proprio insisti: sono qui in cerca di risposte, Twilight.»

L’alicorno alzò la testa. «Risposte?! Su cosa?»

«Non è evidente?» Indicò con un breve cenno l’attrezzatura sul suo dorso.

Twilight sbuffo un’ampia nuvola di condensa. «Ti ho già detto cosa ne penso di quel tuo aggeggio!»

«Sì, ti sei già espressa. Ma io voglio capire il perché! È perché mi fa sembrare un alicorno? O forse è perché l’ho costruito contro il volere delle tue Mentori?»

«Che t’importa di quello che penso?» Borbottò «Tanto quello che ti dicono entra da un orecchio ed esce dall’altro!»

Il pony di terra si sedette in posizione scomposta sul corrimano, tenendo spalancate le ali per bilanciarsi e non cadere.

«Oh, io presto sempre molta attenzione a ciò gli altri pony mi dicono, solo che spesso decido di non dargli retta.»

«Molto comodo fare così!»

Bibski sospirò. «Sì, lo confesso. Non è il modo migliore per farmi delle amicizie, ma è proprio questo il punto: Celestia e Luna mi danno la caccia da anni, tuo fratello si è visto sfoltire metà del suo esercito nel corso di un pomeriggio, ma tu?»

«Io cosa?» Domandò interdetta e disturbata.

«Oggi hai detto che l’Equalizzatore non fa di me un alicorno…»

«Ma è naturale!!» Scattò la giumenta. «Non bastano un corno e delle ali per fare di una pony una Principessa! È il risultato di anni di studi e d’impegno, di sacrifici, di lezioni! E’ la promessa di essere leale e onesta con i propri sudditi. Ascoltare i loro bisogni e venire incontro alle loro richieste!»

Al termine del discorso, vide che Bibski stava scoppiando in una risata isterica. Perse l’equilibrio e riuscì solo all’ultimo momento a stabilizzarsi e rimettersi con gli zoccoli sul terrazzo.

«Che c’è di così divertente?!?» Il corno le cominciò a pizzicare. Provò l’impulso ardente di colpirlo con un colpo magico dirompente e tappargli così una volta per tutte quella boccaccia impertinente.

«Eheh… chiedo perdono Principessa, ma hai… ehehe… hai appena elencato tutte le caratteristiche delle tue amiche Custodi! Ahahah!!»

“Ora basta…” alla fine il colpo che tenne in canna partì, bucando il pavimento di fronte a Bibski.

Il pony di terra si ritrasse spaventato e smise subito di ridere. «Wohh! Qualcuno è permalosetto questa sera?»

«Mi dici qual è il tuo problema?!?»

«Il mio problema ha due nomi: Celestia e Luna. O meglio, il modo in cui hanno alimentato le false voci sull’Equalizzatore!» Era tornato serio. «Vedi Twilight, a me di essere un alicorno non me n’è mai fregato niente, come essere un pegaso, un unicorno o qualsiasi altra cosa con ali e corna che dir si voglia. Io sono nato pony di terra e francamente non mi è andata poi così male fino a qualche anno fa. L’Equalizzatore, così come tu lo stai vedendo, è solo un prototipo. Chiamiamolo una specie di “campione espositivo” di ciò che avevo in mente di fare da qui a qualche anno. In realtà avevo in programma modelli privi di ali, o anche adibiti solamente al volo. Per secoli la tua cara Celestia è andata a insegnarci che razza e cutie mark debbano condizionare la vita di ciascuno di noi. Se sei un pony di terra devi arare i campi, se sei un pegaso devi pulire i cieli e regolare il clima di Equestria. E mentre tutti questi si dannano come dei muli da soma per svolgere i loro compiti con le loro sole forze, alicorni e unicorni se ne vanno in giro pavoneggiando che la magia è la cosa più bella del mondo!»

Twilight concluse che quel discorso non aveva né capo né coda. «Non è così che funziona! I pony, unicorni, pegasi o di terra che siano, devono seguire la strada che il destino ha scelto per loro, e devono essere felici per questo!»

«Beh, certo. È facile parlare quando il tuo destino è quello di diventare la nuova Principessa di Equestria, ma come la mettiamo con tutti gli altri? Parlo dei pony di terra troppo gracili per lavorare, o degli unicorni la cui magia pecca a svilupparsi, per non parlare dei pegasi con ali atrofiche incapaci di volare che non proveranno mai il piacere insito nella loro razza di librarsi in aria! Dimmi Twilight, è giusto confinare le loro vite alla sorte che il destino, come tu lo chiami, ha scelto per loro?»

Qualcosa in lei cominciò a incrinarsi. «Beh, no. Ma… »

«Eppure sembra che le tue Principesse non l’avessero capito. Temevano che volessi spodestarle o chissà cos’altro!»

«Sbagli!» Tornò alla ribalta. «Loro te l’avrebbero lasciato fare se solo tu avessi collaborato!»

Bibski Doss fece un leggero sbuffo di rassegnazione, come se in parte sapesse di aver avuto torto. «Era un rischio che non volevo correre.»

Twilight scosse la testa, disapprovandolo completamente.

«Devi capire che c’era in ballo il futuro dell’intera specie dei pony! L’Equalizzatore avrebbe cambiato tutto… TUTTO! La nostra economia, la nostra ripartizione sociale, le abitudini quotidiane! Non potevo rischiare che svanisse in una nuvola di polvere!

«E hai pensato bene di agire di tuo zoccolo!» Lo ammonì la giumenta indaco.

«Ho semplicemente deciso di ultimarlo e di collaudarlo per conto mio! Volevo dimostrare alle Principesse che poteva funzionare, e ci sarei anche riuscito se soltanto non fossero spuntati dal nulla i Kaiju!»

«Così facendo ti sei tirato la zappa sugli zoccoli da solo!»

«Col senno di poi credo tu abbia ragione, ma lascia che ti chieda una cosa, Twilight.» Si avvicinò, ponendosi faccia a faccia con lei. «In tutti questi anni ti sei mai chiesta come mai abbia scelto te? Che cosa vuole da te in realtà?»

«I-io… » esitò per un momento, riflettendo «m-mi ha insegnato che cosa significa avere degli amici… mi ha insegnato ad essere responsabile e altruista… il valore dell’impegno, e… »

«E non pensi che sia ingiusto nei confronti delle tue amiche che sia stata proprio tu la predestinata al ruolo che ora vesti?»

«N-non è così semplice… Princess Celestia ha cercato… »

«Invece io trovo che la questione sia dannatamente semplice, Sparkle!» Twilight indietreggiò, ma più tentava di allontanarsi più la presenza di Bibski si faceva opprimente e minacciosa.

«Anche le tue amiche hanno affrontato le tue stesse difficoltà! Hanno vissuto esperienze assimilabili alle tue, condividendo con te le tue stesse battaglie e soffrendo i tuoi stessi dolori!» I suoi occhi di smeraldo sembrarono accendersi di un fulgore intenso e ardente nel quale l’alicorno finì per perdersi, completamente ghermita dal suo sguardo. «Eppure loro non hanno avuto un bel paio di accessori supplementari com’è accaduto a te, né hanno avuto una cerimonia d’incoronazione! E nessuna tromba ha suonato per elogiare il loro arrivo all’ingresso nella sala del trono! Questo come lo giustifichi?!»

Twilight Sparkle sentì scendere sul suo manto alcune lacrime, che come gocce di rugiada salate le bagnarono le guance ricordandole il freddo di quella notte invernale. «Non lo so… io non so perché mi abbia scelta… h-ho sempre pensato che volesse insegnarmi la magia dell’amicizia perché è questo che incarna il mio Elemento… » si asciugò le lacrime e singhiozzò «non ho nemmeno un reame mio da governare… non so nemmeno come si faccia… eppure tutti continuano ad appellarsi a me come “Principessa”!»

«Lascia che ti dica una cosa, Twilight: non è tutto oro quello che risplende sulla sua corona. La tua cara Celestia, che difendi con tanto ardore, è Custode di segreti che probabilmente nessuno vorrebbe conoscere. Chiedile di parlarti della Guerra del Vello Oscuro per esempio. Sono certo che non faceva parte del tuo programma di studi.»

La Principessa dell’Armonia s’interrogò su quel nome consapevole di non averne mai sentito parlare. Eppure, qualcosa le suggerì che in qualche modo era legato alle risorse per la costruzione degli Jaeger di cui aveva accennato Bibski nella sala del trono.

«E pensare che in tutta questa faccenda IO figuro come quello “cattivo”!» Disse lo stallone voltandosi. «IO… che miravo solo a rendere migliore la vita dei pony di Equestria!» Trottò verso il corrimano, le ali di metallo spalancate e pronte per spiccare il volo.

«Dove stai andando?» Chiese la giumenta.

«Me ne torno nella mia stanza, prima che a Bright venga in mente di radere al suolo metà della torre per trovarmi.» Voltò il capo solo di poco, parlandole con la coda dell’occhio. «Ah, un’ultima cosa, Principessa: Celestia ormai è troppo debole per reggere sulle sue spalle le sorti del regno. Teme i cambiamenti perché teme di non poterli controllare. È per questa ragione che da secoli la nostra civiltà non si è più evoluta dal punto di vista industriale, ed è per la stessa ragione – ne sono convinto – che ha impedito la produzione in massa dell’Equalizzatore. Ti ha scelto come Principessa perché ti ha reputato l’unica in grado di prendere il suo posto come sua erede futura quando lei sarà troppo stanca per proseguire.» L’Equalizzatore emise dei deboli sbuffi elettronici e sollevò dal balcone il corpo del pony dal manto d’oro.

«Sfortunatamente però, i tempi in cui viviamo non tollerano debolezze; i Kaiju sono una minaccia reale che non possiamo permetterci di sottovalutare. Se qualcuno vicino a lei non glielo farà capire, presto assisteremo alla caduta del suo regno molto prima del previsto. Rifletti su quanto ti ho detto, Sparkle, e fai la scelta giusta per il bene di tutti noi. Ti auguro una piacevole serata.»

«Bibski, aspetta!» Corse per fermarlo, ma lui si era già tuffato oltre il corrimano, svanendo nella notte dell’Impero di Cristallo.

Twilight non seppe dirsi per quanto tempo rimase ferma a osservare quel vuoto, tremante, tormentata e sul punto di rimettersi a piangere. Provò fino alla fine a resistere al bisogno di farlo, ma alla fine cedette. Era troppo per lei, troppi dubbi, troppe incertezze. Non voleva credere a una sola parola di ciò che quel pony le aveva detto, ma allo stesso tempo un germe indefinito cercava di convincerla del contrario, come se una lastra smerigliata si fosse appena infranta di fronte a lei rivelandole un panorama completamente inedito e mostruoso.

Celestia aveva dei segreti? La realtà era davvero come Bibski aveva cercato di figurarle? Oppure il cuore di quel pony era così nero e ricolmo di rancori da spingerlo a voler distruggere le sue convinzioni più care?

Studiò la Luna che regnava alta nella notte e non poté fare a meno di chiedersi se la sorella minore di Princess Celestia fosse informata dei medesimi fatti.

Poi un pensiero pocanzi disperso le fece tornar in mente l’appuntamento con Flash. Non sapeva quanto tempo fosse passato dal loro ultimo incontro, ma malgrado tutto, non voleva perdersi quell’uscita per nessuna ragione al mondo.

Ripresasi dalla crisi di pianto e con le estremità intorpidite dal gelo, imboccò il corridoio e si affrettò a scendere all’atrio principale, dove sapeva che il suo pegaso l’avrebbe aspettata.


Bibski volò fino alla finestra della sua stanza, da dove in precedenza era anche uscito.

Per sua fortuna la trovò aperta e quando vi entrò fu accolto da un tiepido calore che l’aria dell’esterno non aveva ancora soffocato del tutto.

Usò la “magia” del casco per chiudere l’anta e cominciò a sfilarsi di dosso l’Equalizzatore con la delicatezza che si attribuirebbe alla cura di un puledrino, riponendolo poi ben ordinato all’interno di un armadio di legno glitterato di cristalli.

La camera per gli ospiti che Princess Cadance aveva concesso loro era un discreto stanzino di venti metri quadrati con all’interno non più del necessario per garantire il comfort dei suoi pensionanti: un letto a castello, un armadio e un paio di cassettiere con sopra uno specchio rettangolare decorato ai bordi. Quattro colonne di quarzo scolpito con sopra appoggiati dei vasi di fiori decoravano i quattro angoli della stanza. Pacchiane a detta di Bibski, come tutto il resto del castello.

Udì un picchiettio di zoccoli provenire dalla stanza del bagno interno e quando la porta si spalancò apparve di fronte a lui Brightgate, con il manto e la criniera fradici di acqua: era appena uscito dalla doccia.

«Oh porco alicorno, mettiti un accappatoio almeno!» Imprecò il pony di terra coprendosi gli occhi con la zampa.

L’unicorno alto lo squadrò indifferente.

«Dove sei stato?» Chiese mentre con la levitazione reggeva un asciugamano e si asciugava la chioma.

Bibski si tuffò a pesce sul materasso inferiore del letto a castello. «Mah, niente di che. Un po’ di qui, un po’ di lì. Mostravo ai padroni di casa quanto fosse figo volare senza avere delle ali proprie.»

Un’aura magica lo sollevò e lo adagiò sul pavimento.

«Quello è il mio posto se permetti.» Asserì il pony grigio-cenere senza tanti complimenti, dirigendosi verso lo specchio.

«E perché mai?!»

Un grande pettine di cristallo trasparente e un phon azzurro vennero estratti da un cassetto e s’innalzarono sulla criniera di Bright. «Se preferisci dormo io di sopra, ma poi non ti lamentare se durante la notte ti dovessi sprofondarti addosso con tutto il materasso.»

Silenzio.

«Beh, ripensandoci il letto di sopra si addice di più al mio genio.» Asserì Bibski, forzando entusiasmo.

L’unicorno curvò il labbro in un sottile ghigno, mentre il pettine e il phon gli lisciavano le fronde seguendo l’impostazione della sua abituale acconciatura. «Allora, vuoi dirmi dove sei stato?» Chiese appoggiando l’asciugacriniera e continuando a pettinarsi.

Bibski roteò gli occhi fingendosi distratto. «Non trovi anche tu che sia buffo che ci sia un letto a castello dentro a un castello

«Bibski… » esortò insistendo.

«E va bene… diciamo che sono andato a scambiare due chiacchiere con una certa Principessa dell’Armonia di nostra conoscenza… »

Si udì nella stanza il forte rumore di qualcosa che si strappava.

Un violento sussulto aveva portato via una grossa ciocca di capelli corvini dalla chioma dell’unicorno alto, che ora penzolavano dai denti del pettine.

Bright si voltò verso di lui increspando le labbra all’ingiù.

Per evitare il rimprovero, il pony di terra si arrampicò sul piano superiore del letto a castello, da dove non poteva essere raggiunto dallo sguardo fulminante dell’amico.

Lo stallone grigio-cenere prese la saggia decisione di lasciar correre.

«Che idea ti sei fatto?» Chiese poco dopo, tornando a curarsi della criniera.

«Mah… » esclamò Bibski sdraiato di schiena «Celestia si è riconfermata la debole vigliacca che ben ricordavo.»

«Vacci piano, non sappiamo se ci stanno ascoltando. Ricorda che fino a ieri eravamo dei ricercati.»

Bibski sbuffò indolente. «Che sentano allora! Non è un crimine dire la verità a Equestria!»

Si voltò verso la sponda sinistra del letto, perdendosi per alcuni secondi in seno ai suoi pensieri. «Twilight Sparkle invece sembra diversa.»

D’improvviso il pettine smise di lavorare e fu appoggiato sulla cassettiera, Bright si avvicinò al letto.

L’inventore si mise seduto, incontrando gli occhi dell’amico «Ha la testa ancora troppo confusa dall’indottrinamento che i Reali le hanno fatto, ma sa benissimo che la situazione è grave… Bright, qualunque cosa abbia in mente Celestia… fallirà.»

«Non credi di essere semplicemente troppo prevenuto nei suoi riguardi?»

«Normalmente lo sarei, ma questa volta è diverso. Ho come la sensazione che presto… molto presto… avverrà qualcosa di orribile da qualche parte nel regno. Dobbiamo convincere le Principesse a collaborare con noi, o ci giocheremo la nostra unica speranza di sopravvivenza!»

Bright abbassò la testa, trovandosi a osservare i suoi zoccoli sul pavimento. Gli stessi con i quali aveva combattuto quella stessa mattina, come molte altre battaglie prima di allora.

Erano trascorsi decenni da quando lui e suo fratello avevano conosciuto Bibski Doss. Erano piccoli, e da allora molte cose erano cambiate. E anche ora che il pony di terra aveva ventisette anni e loro andavano per i trenta, le loro strade continuavano a distendersi in parallelo, come se l’universo stesso avesse deciso di tenerli uniti per tutta l’esistenza.

In tanti anni l’unicorno alto aveva imparato a conoscere ogni sfaccettatura di Bibski, e sebbene il suo tratto imprevedibile gli regalava ancora delle sorprese, la natura seria che di rado manifestava era indice che qualcosa di grave stava veramente per accadere.

I Kaiju non erano i tipici avversari che occasionalmente minacciavano la pace di Equestria. Erano creature da incubo, la cui sfuggente aura di mistero impediva ai pony di scoprire di più sulle loro origini.

Da quando erano stati rivelati i piani di Bibski, l’unicorno non faceva che domandarsi se delle macchine giganti potessero davvero competere contro un nemico di tale portata, come se l’esito della guerra dipendesse dalla gigantografia di un mero gioco per puledrini.

Bibski ci credeva, al punto da aver investito gli ultimi anni della sua vita nell’allestimento del progetto.

«Ora non pensiamoci.» disse infine, conscio che le risposte non sarebbero giunte nel corso di quella notte. «Domattina al risveglio decideremo come comportarci.»

In verità sapeva a cosa dovevano puntare: Twilight Sparkle.

Come aveva detto l’amico, era l’unica che poteva smuovere le acque tra i Reali.

Si accomodò sul suo materasso, ansioso di siglare la fine di quella lunga giornata, ma prima di coricarsi e socchiudere le palpebre rimaneva ancora una questione da risolvere… «Vatti a fare una doccia!» Ordinò al pony di terra che stava simulando di russare.

«Ohh, ma devo proprio Mamma?!»

«Sei stato rinchiuso in quelle segrete per tre giorni, col cavolo che ti faccio dormire nella mia stessa stanza se non ti dai una sistemata!»

«E che vuoi fare, farmi dormire sul divano

«No, ma posso sempre aprire la finestra e farti fare un volo fuori dalla stanza… senza Equalizzatore! Decidi tu.»

Ancora silenzio.

«D’accordo… però lo shampoo non me lo faccio!»


Qualche ora dopo.

Pinkie Pie si svegliò nel bel mezzo della notte, non sapendo dove si trovasse.

Si guardò intorno, inquieta.

Era all’aperto. Riconosceva un reticolo di strade in pietra che si diramavano tra alti edifici in quella che appariva come una città a lei familiare.

Le immagini erano sfocate e il buio copriva il poco che poteva distinguere.

Come c’era finita lì?

Provò a parlare, chiedendo a gran voce se ci fosse qualcuno, e fu certa che le sue labbra si mossero a labiale ma nessun suono si propagò nell’ambiente, come se non vi fosse ossigeno a disperderli.

In effetti, non era nemmeno convinta di star respirando, eppure si sentiva fisicamente bene, nonostante il suo cuore batteva all’impazzata come il becco di un picchio affamato sulla corteccia.

Percorse il viale che suppose fosse quello principale, muovendo la testa in cerca di un punto di riferimento che le fosse familiare. Un volto, un odore, un suono, ma per un po’ non accadde nulla, come se i suoi sensi fossero intorpiditi e incapaci di elaborare le informazioni che captava dall’ambiente.

Improvvisamente dal nulla si materializzarono delle forme equine, sfumate e anonime come gli edifici che li circondavano, che iniziarono a correre verso di lei.

Spaventata da quella visione, non ebbe la forza di fare altro se non bloccarsi sul posto e lasciare che la carica la investisse.

Le figure invece le passarono oltre, alcune schivandola, altre attraversandola come spiriti eterei.

Seguì con lo sguardo la fuga di quegli esseri di forma instabile, quando un ruggito violento e lacerante sembrò dilaniare il tessuto stesso della realtà.

Si girò verso la provenienza di quel suono atroce e si trovò a fissare ciò che la sua mente non avrebbe mai voluto rappresentare: una figura gigantesca, inconsistente, ma mostruosa e indescrivibile, che distruggeva al suo passaggio ogni cosa attraversasse il suo Sentiero.

Per Pinkie fu come vivere sulla sua pelle l’esperienza del primo attacco.

I palazzi crollavano, vittime dell’immane potenza del Kaiju.

Le figure equine ai suoi piedi morivano, schiacciate dalle macerie.

Pozze di sangue ampie e dense si formavano sotto gli enormi cumuli di cemento e pietra.

La giumenta dal manto rosa, che nella sua esistenza quotidiana non conosceva altra realtà al di fuori dell’allegria, di fronte a un tale spettacolo si sentì come se la sua stessa capacità di raziocinio fosse stata completamente annientata.

Nulla poté per impedire a quei pony incorporei di cadere sotto la violenza del mostro, e nulla poté anche quando la mastodontica zampa della bestia si sollevò su di lei intenzionata a seppellirla…


La Custode della Gioia si sollevò dal suo letto urlando come un’ossessa, vittima di uno dei sogni più terrificanti della sua vita.

I residui di ciò che aveva sognato sfumarono nell’arco di pochi istanti, lasciando dietro di essi solo una coltre di confusione onirica.

L’unica cosa che riuscì a ricordare era il sangue. Sangue e macerie; macerie e cadaveri. Qualcosa di orribile che giungeva prima dall’alto per poi calare, schiacciando lei e tutti gli altri indifesi pony che le stavano intorno.

«Pinkie Pie, che succede?! Che ti prende?!?»

Rarity, che condivideva con lei la stanza, balzò di soprassalto.

Si sfilò di fretta il copri-occhi che indossava per dormire e accese subito l’abasciur sul comodino accanto, non preoccupandosi di sistemarsi i bigodini che per il brusco risveglio si erano smossi dalla loro posizione.

L’amica non aveva smesso di gridare neanche per un secondo.

Ben presto arrivarono anche le altre, attratte dai lamenti della pony in rosa, e tutte insieme, eccetto l’assente Spike, si radunarono intorno alle due.

«Pinkie… ti prego, smettila!» Rarity scuoteva l’amica, che piangeva come una fontana.

«Era solo un sogno. E’ tutto finito!» Cercò di calmarla Applejack.

Fluttershy lottava contro se stessa per non farsi coinvolgere dall’irrazionale disperazione che aveva travolto la più gioviale del gruppo.

«Twilight, in nome di Celestia, fai qualcosa! Aiutala!» Invocò Rainbow Dash.

«Forse ho un’idea, spostatevi!» l’alicorno avanzò verso il capezzale del letto, attivando il corno per una magia che avrebbe fatto al caso loro.

Sopra la testa della sofferente Pinkie Pie si materializzò dall’etere un piccolo acchiappasogni con tre fili di perline pendenti da sotto, che culminavano all’estremità con tre piume d’aquila.

Quando esse si abbassarono, toccandola sulla fronte, la pony si ammutolì tutto d’un tratto.

I suoi occhi si spostarono verso l’alto, esponendo i pallidi bulbi.

Alcuni spasmi le attraversarono il corpo e dalla sua bocca eruppero alcuni versi strozzati.

«Oh cielo! Che cosa le prende, Twi?! Che le sta succedendo?!?»

«È tutto sotto controllo Rarity, fidati di me! Esci subito dal letto e allontanatevi tutte verso gli angoli della stanza, SBRIGATEVI!»

Ubbidirono in muto terrore, ma rassicurate dalla padronanza di nervi della loro amica Principessa.

Dopo una breve successione di spasmi e gemiti soffocati, guardarono tutte con i manti imperlati di sudore una piccola nube bordeaux scuro fuoriuscire dagli occhi di Pinkie e andare a concentrarsi nel reticolo concentrico dell’acchiappasogni, dove si condensò in una sfera compatta semisolida.

Twilight a quel punto sprigionò la seconda parte dell’incantesimo, una magia simile al colpo dirompente, ma dall’effetto specifico per lo scopo, che andò a colpire l’oggetto e con esso l’incubo, deflagrandoli con un suono di vetri rotti.

Pinkie Pie ricadde sul suo cuscino, dove sprofondò in un quieto sonno senza sogni.

«C-che cos’era… quello?» Chiese Flutershy, con la bocca che le tremava dalla paura.

Twilight si voltò sospirando sollevata. «Un incanto acchiappasogni. Estrae gli incubi impressi negli occhi di chi sogna e li distrugge con la magia.»

«S-starà bene?» Domandò invece Rarity, ancora scossa dal brusco risveglio.

«Di solito l’incanto non è così traumatico. Deve aver avuto un incubo veramente brutto! Ma per domani starà meglio. Per fortuna il peggio è passato.»

«Ne sei sicura, zuccherino?»

Le pony si volsero sorprese verso la cowgirl.

«In teoria sì. L’incanto ha assorbito tutto. Si sveglierà sapendo di aver avuto un brutto sogno, e lì finirà.»

«Hmm…» mormorò di risposta, dubbiosa.

«Cosa c’è che non va, AJ? Non ti fidi della nostra amica?»

«Non è questo, Dash. È che conosco Pinkie Pie da un sacco di tempo.»

«E quindi? Non sei mica la sola se è per quello!»

«Ma io la conosco da molto più tempo di tutte voi messe insieme, e so che ad Equestria ci sono due cose in cui non la batte nessuno: preparare feste e… prevedere gli eventi futuri.»

Twilight valutò attentamente le parole dell’amica. «Credi che abbia sognato il prossimo attacco?»

«Non ne sono sicura» sbuffò abbattuta «ma se è vero che le basta un brivido alle zampe per anticipare un evento terribile, non voglio immaginare che cosa abbia visto in quel sogno…»


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La mattina seguente.

Il risveglio nell’Impero di Cristallo aveva lasciato dell’incubo di quella notte solo un brutto ricordo, ormai tenue e dimenticato, e ora Pinkie Pie rideva e saltellava in compagnia delle sue cinque amiche come se nulla fosse successo.

«E quindi… non ti ricordi più niente?» Le chiese Applejack, delusa perché di quella storia avrebbe voluto saperne di più.

«Niente di niente assolutissimamentissimo!» Confermò, smorzandole ogni speranza. «Però, ora che ci penso…»

Le cinque amiche si fermarono di colpo e la fissarono col fiato sospeso.

«Stavo correndo in una foresta che sembrava la Everfree Forest… »

«Sìì… ?» Echeggiarono in gruppo.

«C’era qualcosa che mi stava inseguendo… »

«… aha… ??»

«… e ad un certo punto, non ricordo bene… credo di essere finita in un posto… »

«Dove???»

«Uhm… AH SÌ!! Era una casa fatta di dolci e marzapane! Prima ho mangiato la porta a forma di biscotto, poi ho bevuto la cioccolata dai rubinetti, poi il fuoco sul camino che era di zucchero filato, poi… » si azzittì e cominciò a pescare dai ricordi un dettaglio che le sfuggiva, ma che era certa fosse importante.

Le sue amiche si strinsero a lei, covando la speranza che a quel punto rivelasse qualcosa di utile.

«GIUSTO!!» Batté gli zoccoli in segno vittorioso.  «Alla fine ho scoperto che quello che mi stava inseguendo era un lupo del legno fatto di dolci!! Mi sono mangiata pure lui!!»

Svennero a terra, cadendo l’una sull’altra.

Quando si rialzarono, Twilight si picchiò una zampa sulla fronte. «Pinkie, sei davvero incorreggibile!»

«Già, e non mi hai nemmeno invitato! Anch’io voglio un sogno di marzapane!» Se ne uscì Spike, ricevendo un’occhiata di biasimo dalle altre giumente.

«Che c’è?» Chiese, non capendo quale fosse la sua colpa.

«Non ti ci mettere anche tu!» Lo ammonì l’amica alicorno!

Ripresero ad avanzare, uscendo dal corridoio principale della torre di cristallo.

Era arrivato il momento di rientrare a Ponyville, dove le famiglie e le loro case le attendevano per fare ritorno alla routine quotidiana di tutti i giorni.

Fuori dal castello, superato il Cuore di Cristallo posto a guardia dell’Impero, si diressero al piazzale di fronte, dove due carrozze simili a quella che le aveva condotte lì dalla stazione, attendevano il loro arrivo per riportarle a Canterlot.

Princess Luna e Princess Celestia erano già sul posto e discutevano di qualcosa con Cadance, mentre i pegasi cocchieri attendevano il loro segnale per partire. Ma non fu a loro che l’attenzione delle sei Custodi ricadde, bensì su qualcosa parcheggiato alcuni metri più in là.

L’ammasso di lamiere e metallo di cui lo Skybreaker era composto contrastavano con la lucente architettura degli edifici, come una macchia di fango su un vestito nuziale.

Si avvicinarono spinte dalla curiosità, in parte attratte e in parte intimorite (Fluttershy) dall’aspetto “alieno” di quel bizzarro mezzo di trasporto.

Due pony erano indaffarati in qualche compito non chiaro sul fianco destro, dietro la grande ala del velivolo.

Riconobbero Bibski con indosso l’Equalizzatore e un microfono auricolare sul lato del viso, ma non l’altro unicorno.

Non era Brightgate e nemmeno un pony di Cristallo. Era un grosso stallone dal manto ocra e dalla criniera rosso vermiglio, il cui cutie mark rappresentava una chiave inglese e un martello incrociati, con al centro una stella a cinque punte azzurro-chiara.

«Oh, salve ragazze. Avete trascorso bene la nottata?» Chiese Doss cercando di mostrarsi accomodante e gioviale, ma apparendo come al suo solito cinico e seccante.

«Quindi… questo sarebbe il vostro mezzo?» Chiese Applejack pungente, reputandolo grezzo persino per i suoi standard campagnoli.

«Già, non è una bellezza? Vi presento lo Skybreaker!» Picchiò sulla fusoliera che rispose con un clangore metallico. «Lega di acciaio e alluminio per centoquaranta miglia orarie di velocità a piena potenza! È l’orgoglio di Papà!» Poi si mise ad accarezzarlo, come se si trattasse di un cucciolo in cerca di attenzioni.

Applejack fece alle amiche un gesto, ruotando lo zoccolo intorno alla sua tempia: “il tipo ha qualche rotella fuori posto.”

«Io lo trovo mitico!» Commentò entusiasta Spike, da sopra la groppa di Twilight!

«Puoi dirlo forte!» Si associò Bibski.

«Mah! A me non convince per niente!» Disse Rainbow Dash incrociando le zampe in volo. «Non sarà mai veloce quanto le forti ali di un pegaso in forma come me!»

«Può darsi, ma tu non hai una portata di carico di dieci tonnellate come lui.»

L’altro unicorno, che fino a quel momento non si era distaccato dal suo compito, si fece avanti per parlare. «Credo di aver capito il problema.»

«Ma non mi dire.» L’inventore si avvicinò e insieme guardarono un groviglio di componenti e cablaggi dalla paratia aperta, dalla quale era stata estratta una sorta di grossa tanica di un metro di ampiezza per mezzo di larghezza, divisa in due compartimenti a se stanti da una più sottile piastra metallica centrale che correva su tutta la sua lunghezza.

«È come pensavo.» Disse lo stallone ocra indicando la bocca della cella energetica. «Il freddo ha congelato la miscela nella camera di emulsione e ha intasato tutta la trasmissione. Le ho dato una ripulita, ma temo che dovrete comunque cambiarla.»

«Sai com’è, all’inizio non avevo preventivato una pensione fuori programma nell’Impero di Cristallo.» Con la levitazione del casco avvicinò a sé il microfono e chiese a Brightgate, all’altro capo, di portar fuori una nuova cella energetica.

L’altro stallone invece si avvicinò alle sei Custodi. «Temo di non essermi ancora presentato.» S’inchinò. «Io sono Wrench, Iron Stud per gli amici, ma non dategli troppa importanza. È solo un nomignolo.»

Le giumente degli Elementi ricambiarono con cordialità il saluto.

«Vacci piano con loro, Wrench. Non è in questa vita che troverai l’anima gemella.» Lo prese in giro Bibski alle sue spalle.

«Non fateci caso. Mi odia solamente perché sa che un giorno prenderò il suo posto nell’organizzazione.» Bisbigliò alle loro orecchie, suscitando un lieve venticello di risate.

«Nei tuoi sogni, amico. Nei tuoi sogni.»

Nel frattempo Bright era uscito del retro dello Skybreaker e portava con sé una nuova cella di ricambio per quella che dovevano sostituire. Si annunciò al gruppo con un discreto cenno.

Wrench prese in carico la cella e la adagiò col suo corno nello scompartimento, mentre l’unicorno grigio-cenere rientrava nella cabina di pilotaggio.

Lui e Bibski poi si scambiarono altri discorsi con l’auricolare, mentre il terzo stallone finiva di collegare la nuova riserva di carburante.

«Funziona! L’alimentazione c’è!» Comunicò infine Bright, uscendo.

La paratia fu chiusa.

Wrench si pulì la fronte dal sudore e dalla fuliggine. «Fiù, e anche questa è andata. Cosa faresti senza di me, Bibski?»

Sobbalzò quando si sentì toccare la spalla da Bright. «Non dargli il tempo di risponderti. Vieni, che ti rimandiamo al campo.»

Bright e suo fratello Blu, dal quartier generale, dialogarono tra loro per mezzo della telepatia, quindi si organizzarono per aprire il Ponte.

Le Custodi si fecero da parte, rimanendo sinceramente ammaliate alla vista del portale che si aprì di fronte all’unicorno alto.

Twilight, in particolare, si domandò come avessero imparato a farlo.

Nei lunghi anni dei suoi studi aveva letto d’innumerevoli magie che consentivano il trasferimento di materia da un punto all’altro del tempo e dello spazio; addirittura ripensò allo specchio stregato che aveva condotto lei e Spike nella dimensione umana, ma il caso in questione era differente: un portale dimensionale “portatile” che poteva essere aperto a piacimento e che non richiedeva particolari sforzi per reggerlo.

Chissà se prima o poi avrebbe potuto chiedergli di insegnarglielo?

«Beh ragazze, è stato un piacere conoscervi. Spero di rincontrarvi uno di questi giorni.» Salutò con amichevole tono Wrench.

«Nei tuoi sogni!» Echeggiò da dietro l’inventore.

Lo stallone ocra ruotò gli occhi e congedò le sei pony con un elegante baciazoccoli, oltrepassando poi il portale dei gemelli.

Rarity sospirò. «Perché non avete eletto uno come lui leader del vostro gruppo?!»

Bibski si avvicinò in volo ghignando. «Perché lui non è me.»

Non poteva immaginare che cosa stava per accadergli: Pinkie Pie gli balzò addosso, e data la sua minimale taglia, fu facile gettarlo a terra. «Posso provarlo? Posso provarlo? Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti preeegooo!!» Alludeva all’Equalizzatore.

«QUALCUNO ME LA LEVI DI DOSSOOOO!!» Gridò, ma erano tutte troppo impegnate a ridere per venire in suo soccorso.

Fu Bright a intervenire, scostandola delicatamente con una semplice magia di telecinesi. «Purtroppo non è possibile, Pinkie Pie. È stato costruito su misura per Bibski.»

«Ergo, se lo indossassi ti distruggerebbe in un istante le vertebre dorsali!» Spiegò sadicamente, rialzandosi.

Nel frattempo nessuno notò l’avvicinarsi di Shining Armor. «Va tutto bene qui?» Chiese sospettoso e imperiale.

«Naturalmente. Skybreaker operativo e pronto alla partenza! Al contrario dei vostri poveri soldatini domati, che schiavizzate con quelle assurde carrozze volanti!»

«Non ti rispondo nemmeno.» Nitrì il Capitano delle Guardie.

«A proposito.» Aggiunse l’inventore. «Molto gentili a smontarci il sismografo e a caricarcelo nella stiva, così da costringerci a ripararlo prima di fare ritorno nella landa ghiacciata!»

«Ringrazia Princess Cadance per questo, io avevo proposto di gettare tutto nella spazzatura.»

Bibski non poté astenersi dal controbattere di nuovo, ma a quel punto nessuno stava più facendo caso a lui, nemmeno Bright.

Shining Armor comunicò alle sei Custodi che la carrozza per Ponyville era pronta e che era giunto il momento di partire.

Si avviarono al suo seguito, ma non Twilight che chiese loro di aspettare ancora per qualche minuto.

Restò nelle vicinanze dello Skybreaker e si mise a osservare gli ultimi preparativi della partenza.

Bibski era rientrato nella cabina di pilotaggio, mentre Bright indugiava all’esterno.

L’alicorno si avvicinò per cercare di capirci qualcosa.

D’improvviso un forte rombo d’accensione si propagò dai motori del velivolo e le eliche cominciarono a roteare via via sempre più veloci smuovendo un gran quantitativo di aria gelata contro i loro manti.

Altri pony di cristallo si radunarono intorno alla scena per osservare da debita distanza.

Il rumore si quietò di poco quando la velocità delle rotazioni si stabilizzò, ma non si silenziò mai del tutto, continuando a vibrare dentro le loro orecchie.

Twilight si stupì di quanto quel mezzo fosse chiassoso, benché per più di un anno nessuno era mai stato capace di localizzarli. Di quali espedienti si erano mai serviti per sfuggire a così tanti occhi?

«Allora, Twilight? Hai poi riflettuto sul nostro discorso di ieri?»

L’alicorno sussultò. Distratta dai suoi ragionamenti, non aveva notato l’avvicinarsi del piccolo pony col cutie mark lampadina.

Le eliche erano state temporaneamente spente, sebbene si potesse ancora udire un sommesso suono di macchinari in funzione.

«Non… non è una cosa facile… » rispose a bassa voce, per non farsi udire dal resto del gruppo più in là. «Mi stai chiedendo di dubitare di una persona che praticamente mi ha cresciuto come una seconda madre!» In verità a tutto pensava fuorché alla loro discussione sul balcone. La serata con Flash, per quanto modesta che fu, le aveva rimosso dalla testa tutti i pensieri nefasti che aveva accumulato nel corso della lite, e non le andava di rimettere zoccolo sull’argomento. Non subito almeno.

Bibski grugnì. «”Campa cavallo che l’erba cresce”.» E rientrò infastidito nella cabina di pilotaggio.

Twilight sbuffò esaurita.

«Ma come fate a sopportarlo?» Chiese all’unicorno alto, che aveva seguito in disparte.

«Lo ammetto, certe volte sa essere una vera spina nel fianco… » rispose con intenti ironici, ma facendosi subito grave  «però ha un pregio invidiabile: non sbaglia MAI! Se è davvero convinto che i Kaiju si faranno presto più aggressivi, dobbiamo dargli ascolto.»

Presa nuovamente dallo sconforto, Twilight strofinò lo zoccolo sul lustro pavimento. «Lo so… anch’io la penso così in effetti, ma… cielo, fino a ieri vi credevo dei pericolosi criminali, e ora mi state chiedendo di andare contro tutto quello cui credo per dare retta a uno come… lui!» La frecciata fu inevitabile.

Bright si mostrò comprensivo, annuendole con un cenno. «Puoi darmi un momento per favore?»

Si allontanò verso il retro dello Skybreaker, per fare poi ritorno un minuto più tardi con qualcosa che levitava accanto alla sua testa: era un foglio di carta ordinatamente ripiegato.

«È vero Twilight, non possiamo costringerti ad aiutarci per forza. Ma se per caso cambiassi idea…» glielo porse.

Aprendolo, la Principessa dell’Armonia vide quella che sembrava una mappa, scarabocchiata in fretta, ma abbastanza comprensibile.

«Raggiungi questo posto. È lì che ci troviamo. Sul retro ho anche scritto una formula… » la voltò per lei. Era un incantesimo per inviare messaggi attraverso il Fuoco Magico. Lo stesso usato da Spike.

«Falla leggere a Princess Celestia, in questo modo potremo scambiarci lettere in caso di bisogno. Le riceverò io personalmente.»

«Bright! Qui mi si sta gelando il “cutie mark”! Datti una mossa!» Si lamentò il pony di terra dalla cabina.

«Sì un attimo, arrivo subito!»

Tornò a rivolgersi a Twilight.

«Non posso prometterti niente… » disse addolorata l’alicorno.

«Lo so.» Annuì mesto. «Ma detto tra noi, spero che non ce ne sarà il bisogno.»

Sorrise, e lei fece lo stesso.

«Ci dispiace per tutti i problemi che vi abbiamo causato. Spero che il nostro prossimo incontro sia meno turbolento di questo.»

Bright si congedò da lei porgendole un servile inchino, che tuttavia non bastò ad appianare l’impressionante divario di altezza che c’era tra i due.

Poco dopo ognuno si trovò in viaggio sul proprio mezzo di trasporto, chi sullo Skybreaker, chi sulle proprie carrozze (Celestia e Luna in un cocchio più piccolo, le Custodi in un altro) .

Durante il viaggio qualcuna chiese a Twilight del foglietto e di ciò che si erano detti lei e Bright prima del volo, ma eluse le loro domande senza preoccuparsi delle occhiate di sospetto che riceveva in risposta.

Prima di parlarne con le sue amiche, doveva rifletterci attentamente e scambiare un paio di parole con Princess Celestia.

Era arrivato il momento di scoprire una volta per tutte quale fosse il suo piano.


Dopo due ore di viaggio, riuscivano finalmente a vedere i grandi bastioni d’avorio di Canterlot stagliarsi nello scenario.

Le carrozze, che avevano volato insieme fino all’arrivo, virarono dolcemente verso destra, seguendo una rotta aerea che le tenesse a debita distanza dagli altri trasporti in volo.

Più in basso, in uno spazio assegnato allo spostamento dei civili, qualche pegaso fluttuava nell’aria incurante di ciò che avveniva sopra di lui.

Rainbow Dash si sentì finalmente sollevata per la fine del viaggio e spalancò le ali per stiracchiarsi i muscoli e arieggiare un po’ il piumaggio.

Per quanto comode e confortevoli fossero le carrozze del trasporto Reale, odiava muoversi in quel modo. Non si capacitava del perché una come lei, col suo fisico robusto, dovesse ricorrere a certi mezzi di trasporto quando invece da sola avrebbe potuto raggiungere qualunque località in metà del tempo. Ma si rendeva conto che con molta probabilità ciò avrebbe rischiato di farle attribuire la nomea di “asociale sbruffona”, che per una Custode dell’Elemento della Lealtà era il peggiore degli accenti.

Si appoggiò al bordo della carrozza senza far caso ai discorsi delle sue amiche e si trattenne dall’impulso di balzar fuori per concludere il viaggio da sé.

«Ehi, guardate laggiù!»

Si ritrovò accanto la zampa di Spike, che indicava con puerile stupore l’esercito di pegasi e grifoni che percorrevano i cammini di guardia delle mura della città.

«Per tutti i campi incolti! La Principessa ci sta dando sotto con gli spiegamenti!» Commentò Applejack con uno zoccolo impegnato a impedire che il cappello le volasse via.

«È il programma Muraglia dell’Armonia.» Espose Twilight. «Ho sentito che stanno inviando truppe di stazionamento intorno a tutte le città in vista del prossimo attacco.»

«Spero tanto che bastino… » farfugliò Fluttershy, che invece di trovare sollievo nell’organizzazione delle Principesse, cominciò a tremare visibilmente per la prospettiva di avere a che fare ancora una volta con i Kaiju.

La cowgirl le disse qualcosa per tranquillizzarla e Rainbow Dash era sul punto di unirsi alla conversazione, quando qualcosa sulle mura attirò la sua attenzione, o per meglio dire… qualcuno. Qualcuno che non vedeva da anni e che di certo non si aspettava di ritrovare in quel luogo e in quel momento.

«Ragazze, io scendo qui se non vi spiace!» Disse di getto, lanciandosi fuori dalla carrozza.

«Dash, dove stai andando?» Chiese Twilight.

«Devo controllare una cosa, aspettatemi in stazione! Sarò lì in un lampo!» E volò via con la stessa fretta di prima, lasciandole basite e gementi.


Atterrò in un ampio piazzale cementato, dove diversi cadetti pegasi con indosso le divise dei Wonderblots erano impegnati nei più disparati esercizi di allenamento, severamente tenuti sotto controllo dal Capitano Spitfire, in veste di Sergente Istruttrice. Non vi era invece presenza degli altri due membri anziani, Soarin e Fleetfoot, forse impegnati con altre unità o inviati in altre metropoli.

Al suo passaggio le due giumente incrociarono i loro sguardi.

La pegaso dalla criniera di fuoco le mostrò un cipiglio rancido, ancora memore dei guai provocati da Dash qualche tempo prima (e di cui quel Bibski Doss sembrava in qualche modo al corrente), ma non si rivolsero frasi di alcun tipo.

Dash cercò di far finta di niente e salì una grande scalinata di pietra, superando alcune Guardie Reali e una coppia di grifoni che si fermarono a guardarla con un misto di ammirazione e sorpresa per il fatto di trovarsi di fronte ad una delle eroine di Equestria.

Giunse infine in cima al cammino di guardia, dove file di militari unicorni allineati lungo i merletti si esercitavano nell’incantesimo dello scudo magico che avrebbero sollevato il giorno della prossima battaglia, supervisionati a loro volta da Guardie Cittadine di grado maggiore.

Era davvero sorprendente il livello di organizzazione che il programma Muraglia aveva raggiunto nel corso di quei mesi. Non era più solo uno schieramento di unicorni volti a creare barriere protettive intorno alle mura, si trattava di un vero e proprio esercito multirazziale, sapientemente ripartito al fine di tenere occupati i Kaiju in attesa dell’attivazione degli Elementi dell’Armonia.

Rainbow Dash aveva assistito a qualcosa del genere nel corso della battaglia del Terzo Attacco, quando l’azione combinata di pegasi e unicorni militari aveva garantito la salvezza di Las Pegasus, e sembrava che l’esito di allora avesse pesantemente influito sulle recenti strategie di guerra, al punto da eleggere la Muraglia dell’Armonia la procedura standard per la difesa delle città negli scontri futuri.

Senza contare che ora disponevano anche del supporto delle forze grifoni.

Continuò ad avanzare per altri cento metri, arrivando nei pressi di una torre di osservazione sulla cui cima altri Wonderbolts erano atterrati dopo quella che sembrava una specie di prova di velocità (che lei avrebbe terminato ad occhi chiusi in metà del tempo, non si astenne dal considerare). Un'altra scalinata, simile a quella precedente, portava a un sottolivello all’aperto sul cui spiazzo un’unità di grifoni aveva allestito una sorta di poligono di tiro. Dash vide degli spessi bersagli ricavati da ceppi d’albero appoggiati su robusti piedistalli a ridosso della parete bianco avorio, e più in là delle casse in legno di due metri cubi ciascuna che gruppi di unicorni e grifoni stavano caricando in due pile distinte.

Una fila di soldati dal becco aquilino e dal corpo di leone, con indosso uniformi grigio-scure da reclute ascoltavano in posizione sull’attenti le parole della loro istruttrice, colei che Dash aveva creduto di aver visto da dentro la carrozza.

«… quindi ricordate: nessun’azione in solitaria! Niente eroismi di bassa lega! Per quanto vi crediate forti e veloci, in un confronto diretto con un Kaiju sareste solo foraggio fermentato, vecchio di settimane!» La voce era la sua e con essa anche le “dolci” parole con le quali si appellava alle reclute: Gilda Grizelda, la sua vecchia amica.

L’atteggiamento invece sembrava differente; non era più la strafottente bulletta gelosa d’attenzioni dei tempi della scuola di volo. Ora la sua rabbia repressa la sfogava addosso ai suoi cadetti, e a giudicare dalle pose fisse e dagli sguardi inamovibili che avevano assunto di fronte a lei, sembrava tagliata per quell’incarico.

Indossava una pesante armatura corazzata nera con dei simboli rossi dipinti sulle spalline. Ideogrammi antichi con cui spesso i combattenti decoravano le loro armature per esporre i loro meriti in campo, come se rappresentassero una forma tribale di cutie mark dei grifoni.

Il taglio del piumaggio sulla testa era lo stesso di sempre, ciò che invece aveva di diverso era un piccolo sfregio cicatrizzato che le rigava la guancia destra. Forse la conseguenza di una colluttazione con un altro grifone.

«“Distrarre e fuggire”, sfigati! Questo è il vostro motto! Non dimenticatelo e forse vivrete abbastanza a lungo per godervi le facce dei pony che brindano sulla vostra vittoria!» Navigò con lo sguardo sui volti dei cadetti, puntando il dito artigliato su un giovane maschio dalla pelliccia giallo paglierino. «Tu. Nome e Reggimento, pivello!»

«Signora, Cadetto Rogue Fulvus! Secondo Reggimento, Signora!» Rispose il giovane con fiero portamento e possente voce.

«Abbassa le piume, Junior! Questa è l’Aviazione dei Grifoni di Cloudsdale, non il Gran Galà dei Pavoni!»

Guardando la scena da distante, a Dash venne voglia di sorridere. Era senz’altro la vecchia Gilda di sempre, con qualche grado in più ma la stessa antipatia di sempre.

«Cosa si fa se un Kaiju punta alla Muraglia dell’Armonia?» Chiese la Sergente Istruttrice.

«Signora, ingaggiare manovra di volo SkyArrow fino alla completa attenzione del nemico!»

«E in che cosa consiste?»

«Volo in formazione a punta di freccia con l’attrezzatura lancia-dardi da combattimento aria-aria! Fuoco sequenziale sul bersaglio e virata verso il basso partendo dal caposquadra. Assicurarsi dell’esito dell’ingaggio e ritorno in formazione per nuova azione!»

«Sei bravo con le nozioni accademiche, Tuorlo D’oca» Lo schernì avvicinandosi al suo becco «ma sei altrettanto abile a volare?»

Una piccola goccia di sudore cadde sulle impermeabili piume del cadetto Fulvus, mentre deglutiva nervosamente. «Signora, i miei artigli e le mie ali sono al servizio dell’Aviazione dei Grifoni!» Si ricompose.

«Oh, non ne dubito, ma dimentichi una cosa… » con una potente zampata pestò l’arto anteriore del giovane, che oltre al dolore fisico dovette subire l’imposizione psicologica di non cedere alla fitta che in quel momento scorreva su tutte le sue falangi. «“Signora” va sia all’inizio che alla fine.» Gli sussurrò a un orecchio.

«S-signora… ai suoi ordini… Signora.»

Gilda ritornò alla sua posizione iniziale, con l’atteggiamento fiero ed esemplare di chi aveva riversato litri di sangue e sudore per giungere lì dove stava lei. «Lo ripeto di nuovo per i duri di comprendonio: nessuna azione insensata! I vostri superiori hanno ben altro per la testa che preoccuparsi di avvisare le vostre famiglie che i loro sconsiderati passerotti c’hanno lasciato le penne in battaglia! Collaborate con i vostri compagni, eseguite gli ordini del vostro caposquadra e non tornate se non da vincitori!» Si scricchiolò le spalle, provocando un acuto suono di ossa che poté avvertire persino la pegaso arcobaleno da distante.  «Ora levatevi dalle palle, ma guai a voi se osate rompete le righe finché non sarete fuori dalla mia portata!»

I cadetti grifoni marciarono con passo sincronizzato accanto a Rainbow Dash, salendo per le scale del cammino di guardia.

Malgrado l’atteggiamento che Gilda aveva scaricato sui giovani aviatori, nei loro volti appuntiti non vide alcuna frustrazione, ma il rispetto di una truppa devota al suo abile leader.

La Sergente Istruttrice si era voltata dall’altra parte e si era messa a ispezionare le casse che stavano scaricando qualche metro più in là, senza fare caso alla nuova arrivata che la stava osservando da diversi minuti, mentre nel fianco del piazzale adibito al poligono, cadetti di un altro Reggimento si stavano esercitando con le prove di tiro, indifferenti a qualsiasi cosa fosse al di fuori del loro bersaglio.

Rainbow Dash si sentì un po’ in soggezione al pensiero di mostrarsi a quella nuova Gilda, ma si fece coraggio e andò da lei.

«”Junior Speedster è la nostra vita. Pronti a volare, la paura è sparita…”» intonò lentamente, ricordarsi le parole del loro motto scolastico.

Udendola, la grifone corazzata strabuzzò gli occhi e appoggiò sulla cassa i fogli d’inventario che teneva tra le zampe «”Junior Speedster è il nostro baluardo… resta sempre il nostro traguardo”.» Solo allora si girò.

«Ne è passato di tempo, eh vecchia mia?»

«Dashie, sei l’ultima pegaso che mi aspettavo di vedere oggi.» Commentò composta, ma sinceramente sorpresa.

Si batterono a vicenda i palmi delle zampe, proseguendo con un brohoof: il loro vecchio saluto.

«E lo vieni a dire a me?! Dove ti eri cacciata? Non ti vedo da… beh, dalla festa di Pinkie Pie!»

«Pff, è una storia noiosa.» Sospirò la grifona iniziando a raccontare. «Dopo quei fatti, quando – diciamo – abbiamo smesso di vederci… mi era venuto il sospetto che forse avevo un po’ esagerato a trattar male la tua amica. Così ho deciso di darmi una regolata. Mi sono arruolata nel Sesto Reggimento Aviatori pensando che fosse la cosa più nobile da fare. Una cosa tira l’altra e, beh… » indicò se stessa con la zampa.

«Sergente Istruttrice… »

«E sono sempre fantastica!» Scoccò un occhiolino. «Ma alla fine è un lavoro come un altro. Per lo meno non ho dovuto stravolgere troppo il mio modo di essere!»

«Già, è proprio cosa di tutti i giorni trovarsi a capo di un esercito di grifoni!» Scherzò con sarcasmo la pegaso.

«Ma sentitela Rainbow Dash! L’eroina di Equestria che per lavoro indossa l’Elemento della Lealtà e come hobby va a caccia di Kaiju!» Le diede un colpetto sulla spalla con il gomito corazzato, facendola gemere.

«Touchè.» Cedette lei.

«Eheh! Vieni, voglio farti conoscere le mie nuove amiche.»

La portò accanto a sé, aprendo una della grandi casse impilate.

«Sono le nuove bardature da combattimento lancia-dardi?» Chiese la pegaso, sentendosi salire l’entusiasmo nei muscoli.

«Fresche di giornata! Le hanno appena fatte venire da Griffonstone.» Spiegò, mentre ne estraeva una dall’imbottitura.

Era formata da più parti che andavano montate sul corpo dei grifoni: un cassone dorsale in ferro battuto che fungeva da fondina per i dardi, capace di contenerne fino a sei a seconda della taglia dell’aviatore, un fusto simile al teniere delle balestre classiche sul fianco sinistro e un meccanismo di pressione sul destro che, con una leva manuale posta accanto al braccio caricava e tendeva automaticamente la potente molla di rilascio del colpo.

Un grilletto accanto alla mano sinistra, attaccato su un supporto simile a quello della leva, permetteva invece al soldato che la indossava di fare fuoco sul bersaglio.

«Non saranno efficaci quanto i vostri cari Elementi dell’Armonia» ammise la Sergente «ma fanno il loro sporco dovere.»

In quel momento uno dei grifoni sulle postazioni del poligono fece fuoco con la propria bardatura e un grosso giavellotto di legno con la punta acuminata in acciaio si conficcò dritto al centro del suo bersaglio, trapassando lo spesso tronco da parte a parte.

Rainbow Dash fischiò sbalordita. «Tienimene una da parte quando arriveranno le prossime spedizioni!»

«Spiacente Dashie, ma non ne fanno della taglia dei pony!» Rispose sogghignando malignamente.

«Oow!»

Gilda si avvicinò al grifone nella postazione per comunicargli qualcosa.

In un primo momento sembrò complimentarsi con lui per la mira, ma subito ribaltò il tono di voce, asserendo che aveva impiegato troppo tempo per agganciare il bersaglio. Il giovane cadetto dovette accollarsi il rimprovero senza battere ciglio.

Poi fece ritorno dalla pegaso.

«A proposito, ho sentito che sei entrata nei Wonderbolts, congratulazioni!»

«Non proprio. Il corso è stato sospeso dopo i primi attacchi. Sono ricominciati solo da poco.» Precisò, un po’ intristita.

«Oh… quindi sei qui in veste civile? Lo sai che volendo ho l’autorità per farti cacciare?»

«Non ci provare!»

Risero entrambe di gusto, scordandosi per un momento dei gradi e di tutta la situazione.

Era bello rivedere dopo così tanto tempo un’amica e scoprire di avere ancora degli ottimi rapporti con lei. Entrambe si erano dimenticate del passato e ora, nel presente, desiderarono solamente recuperare un po’ del tempo perduto insieme.

Gilda era un’ufficiale e Dash aveva come garante Princess Celestia. Questo dava loro la possibilità di spostarsi liberamente lungo i campi d’addestramento, senza preoccuparsi di dare troppo nell’occhio.

Camminarono e chiacchierarono a lungo.


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Le carrozze atterrarono in un ampio balcone sospeso tra due torri del castello.

Custodi e Principesse scesero dai mezzi che poi ripartirono per l’Impero di Cristallo.

Durante il viaggio, Twilight aveva meditato a lungo ed era giunta alla conclusione che doveva far luce sulla faccenda con Celestia.

La Principessa del Sole era inquieta. La sua natura solare contrastava con i cupi pensieri di quelle ore, impedendole di nascondere ai sudditi il suo reale stato d’animo.

Prima che potesse parlarle, ella svanì nell’entrata del corridoio della torre frontale, lasciandosi alle spalle la sorella Luna e le sei giumente, che altro non potevano fare che guardarsi tra loro interdette.

«Ma che le è preso?» Chiese Applejack.

«Sembra triste per qualcosa… » suggerì Fluttershy.

Princess Luna sospirò, come se sapesse il perché, ma non volesse dirlo.

In altre circostanze Twilight avrebbe evitato di forzare lo zoccolo, attendendo un’occasione più serena per farsi avanti, ma non ora, non con una posta tanto alta in gioco.

«Andrò dentro a parlarle.» Informò le altre, pronta a farsi valere se qualcuno avesse tentato di dissuaderla.

«Dobbiamo accompagnarti, cara?» Si offrì invece l’amica Rarity.

«No, questa volta preferisco vedermela da me. Non odiatemi.»

Avvertì la morsa di due potenti braccia avvolgerla con forza.

«Noi odiarti?! Noi non ti odieremo mai, mai, mai, mai, mai, mai, mai!! Come puoi pensarlo?!»

«Eheh, va bene Pinkie, ma ora lasciami, per favore.»

Si liberò dalla sua stretta e si scontrò con lo sguardo di Luna, che la osservava in un modo che non seppe come definire.  «Non cercare di fermarmi.» La avvisò risoluta.

«Non ne ho alcuna intenzione.» Rispose avida di parole. Aveva semplicemente deciso di non schierarsi dalla parte di nessuno, lasciando alla Mentore e all’Ex-Allieva l’onere di chiarirsi a vicenda.

«Ti aspetteremo alla stazione, zuccherino. Va bene?»

«D’accordo.» Annuì. «Riunitevi con Dash appena la vedete. Spero di non metterci troppo.»

Stabilito il programma, le loro strade si divisero.


Galoppò a più non posso attraverso gli eleganti interni del castello, coprendo con ampie falcate la distanza che la separava dalla sua Maestra.

«Principessa, aspettami!»

L’alicorno del sole si fermò sotto il fascio di luce di un’ampia vetrata, che le mise in risalto gli accessori d’oro. «Twilight? C’è qualcosa che ti preoccupa?» Chiese, indossando una maschera di finta sorpresa.

«Ho bisogno di parlarti!»

Dei lievi movimenti oculari dell’alicorno bianco scandirono quel momento di attesa. Twilight se ne accorse.

«A che proposito?»

«Riguardo alla faccenda di Bibski Doss e… » esitò, incerta se intavolare quella discussione «… sul piano a lungo termine per combattere i Kaiju… io credo che dovremo almeno considerare la loro opzione!»

Celestia sospirò affranta. «Twilight… » uscì dal raggio solare, avvicinandosi alla sua adorata allieva. «Quello che ha fatto il sindaco di Manehattan a Bibski Doss e alla sua organizzazione è stato davvero imperdonabile, e mi assicurerò che vengano presi provvedimenti seri, ma Doss è un pony avventato, lo è praticamente da sempre. Non comprende che Canterlot non può sostenere i progetti che lui vorrebbe attuare. È fuori della nostra portata.»

Twilight mugugnò poco convinta, per la prima volta nella sua vita aveva davvero la sensazione che Celestia le stesse mentendo «No… non è questa la vera ragione! Quando ha parlato delle risorse che gli servivano tu hai reagito in modo strano, come se sapessi qualcosa che gli altri non sanno! Perché non mi dici come stanno le cose?!… » d’un tratto si ammutolì, ricordandosi di un nome che le aveva suggerito Doss «… Che cos’è il Vello Oscuro?!»

Le sopracciglia di Celestia s’inarcarono in modo quasi innaturale. «Dove hai sentito… » interruppe a metà la frase. Non aveva senso chiederlo, la risposta era ovvia.

La giovane alicorno dell’Armonia attendeva di fronte a lei con labbra serrate.

Un delicato velo di lacrime che brillavano nei suoi occhi.

L’atteggiamento di qualcuno pronto a tutto pur di conseguire il suo obiettivo.

Avrebbe anche potuto sgominare da sola un intero sciame di Changeling, se avessero attaccato Canterlot in quel preciso momento.

Messa alle strette, la Principessa del Sole fu investita da un turbine di pareri contrastanti, che le intimavano di aprirsi con la sua allieva ma allo stesso tempo di mantenere il segreto che si era autoimposta.

«Vieni con me.» Disse infine, abbassando su di lei lo sguardo e dando retta alle sagge voci che le suggerivano di rivelarle la verità.


Percorsero in silenzio i corridoi che le separavano dalla sala del trono.

Nella tranquillità di quella stanza, una volta allontanate le Guardie Reali, avrebbero potuto parlare senza preoccuparsi di una potenziale fuga di notizie.

Celestia aveva investito tempo e risorse nel corso dei secoli per assicurarsi che quel segreto rimanesse celato, e il semplice fatto che un pony come Bibski Doss ne fosse a conoscenza implicava che si era lasciata sfuggire qualche dettaglio. Qualcosa che negli oltre mille anni del suo reame non aveva considerato.

Furono interrotte dall’apparizione di una strana creatura che marciava nel bel mezzo del corridoio, completamente indifferente alla loro presenza.

Nessuna delle due aveva mai visto una cosa del genere prima di allora.

Era alta poco più di un metro e mezzo, e sembrava fatta quasi interamente di legno, con un corpo sinuoso e sottile e una testa a punta metallica, che si muoveva in posizione bipede su due gambette mingherline.

La guardarono confuse e allarmate, mentre questa si avvicinava mostrandosi apparentemente pacifica. Anzi, arrivò addirittura a prostrarsi al loro cospetto quando fu a pochi passi.

Da vicino la studiarono con maggior attenzione e capirono che si trattava di una… lancia. Una come quelle comunemente in dotazione alle Guardie Reali, con la sola differenza che questa era viva e si muoveva!

Oltre alle gambe aveva anche un paio di gracili braccia ma nessun volto, e indossava l’armatura tipica delle Guardie Reali, con l’elmo dorato dalla cui cima però non affiorava alcun cimiero.

Sulla mano destra impugnava uno scettro, oppure una qualche sorta di martello. L’impugnatura sembrava di pietra bianca, con una testa di unicorno sull’estremità superiore, contrita in un’espressione spaventata.

Mentre Twilight non sapeva cosa fare, Celestia ci mise poco a capire cosa fosse e lanciò un incantesimo che ricoprì sia la strana creatura che la sua arma.

In breve, dopo un lampo che accecò la giovane alicorno dell’Armonia, l’essere aveva cambiato aspetto, ed era tornato alla forma di un unicorno della pattuglia Reale a guardia del castello.

«Sia ringraziato il cielo, per fortuna siete tornate!» Si affrettò a dire il soldato, inchinandosi riconoscente ai loro zoccoli.

«Cos’è accaduto?»

«Mia sovrana, Lui è qui! Si è impossessato del trono e non fa che ripetere che da oggi è lui il capo!»

“Chi mai può essere?” Si chiese Twilight. Era forse un nuovo nemico bramoso di conquista? Qualcuno correlato agli attacchi dei Kaiju? Avrebbero dovuto affrontarlo?

Non dovette attendere molto per saperlo. Poco dopo, all’ingresso della sala del trono, lo avrebbe scoperto di persona.

Era seduto con ben poca regalità su una porzione volteggiante del trono di Celestia, con indosso una grande mantella rosso cremisi e una corona tempestata di diamanti, e con la sua solita verve sul volto, che divenne ancor più pronunciata quando vide le due alicorno varcare il portone della sala.

Il suo nome eruppe dalla voce di Twilight con tutto il fiato che aveva in corpo. «DISCORD?!?»


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Località sconosciuta.

Lo skybreaker scese con precisione in mezzo alla radura convertita a pista d’atterraggio, smuovendo cumuli di foglie e ramoscelli secchi dal sottobosco.

Un gracile unicorno maschio, più alto di Bibski Doss ma comunque minuto per la sua razza, manto rosso, criniera grigio chiaro e una puntina da disegno come cutie mark, attendeva in disparte che i portelloni del velivolo si aprissero.

Quando l’unicorno alto saltò giù, fu accolto da questo con fare spaurito ed esitante. «B-ben t-t-tornati… »

«Ciao Hatpin, va tutto bene?» Lo salutò amichevolmente Brightgate.

«Sì, g-grazie. Gli a-altri s-sono dent-t-ro. Vi stanno a-aspettando.»

«Ottimo, meglio sbrigarsi allora.»

Apparve Bibski, che si era rintanato nella stiva solo per recuperare una nuova cella di ricambio per l’Equalizzatore. «Hai saputo la novità? Da oggi non siamo più ricercati!»

Il timido Hatpin sussultò visibilmente, come colto da uno spavento. «N-non devo n-n-nascond-dere lo S-sk… »

«No, non più.» Lo fermò Bright. «Per lo meno… finché Bibski non farà incazzare qualche altra autorità!»

«Ha-ha, simpatia vattene via!» Rispose alla frecciata, dirigendosi con impazienza all’entrata del campo base.

«Bambini, Papà è tornato!» Annunciò ai pony dell’edificio, fervente dal piacere di poter poggiare gli zoccoli nel luogo che per lui era praticamente una “casa”.

Tutti i presenti interruppero le loro mansioni e si voltarono per accoglierli. Sapevano del loro ritorno, tuttavia era confortante vederli di nuovo lì e lontani dai guai.

Bibski e Bright camminarono lungo il locale, constatando con piacere che i ragazzi avevano saputo mantenere attiva la baracca anche senza di loro.

Il pegaso color sabbia e dalla criniera verde smeraldo che rispondeva al nome di Sand Ball era in un angolo e si stava occupando di alcune riparazioni su della ferraglia malconcia.

Wrench era poco più in là, discuteva con un altro pegaso privo di un’ala a cui si unì Hatpin, che in loro presenza si liberò della sua pesante balbuzie e divenne parte attiva nel trio.

Mentre trottava, Bibski elargiva saluti a ognuno di loro, condendoli con qualche battuta che spesso mirava a schernire l’interlocutore di turno, ma che nessuno prendeva mai sul personale, abituati com’erano alla sua personalità provocatoria.

Passò accanto a un pony di terra sulla cinquantina, manto crema e criniera caffè, con baffi poco curati e berretto sportivo azzurro. Il suo nome era Bitterness e aveva una cassetta degli attrezzi come simbolo di bellezza.

«Celestia si danni!» Imprecò rumorosamente il Baffo con voce roca, facendo il verso al pony dal manto d’oro. «E io che speravo di essermi liberato di te!»

«Io invece covavo la speranza che ti fosse venuto un infarto. Uno di quelli lenti, sai? Quelli che ti senti scorrere lungo la zampa e che ti tolgono il fiato!»

Malgrado l’aspro botta e risposta, i due si scambiarono un’amichevole stretta di zoccolo.

«Dunque sentiamo, com’è trascorrere mezza settimana nel sontuoso regno di cristallo?» Chiese Bitterness, ornandolo con una punta di sarcasmo.

«L’esperienza più tragica della mia vita!» Rispose all’inizio. Poi si corresse. «Le prigioni però non erano male!»

«Spero tu abbia fatto attenzione alla saponetta!»

«Non ce n’era bisogno: Bright lo tenevano in un’altra cella!»

L’unicorno alto si era appena rincontrato con il gemello, quando i due pony di terra esplosero in una baraonda di risate. Poi Bibski andò vicino ai due stangoni. «Blu, ma che piacere rivederti! Che mi racconti di bello?»

Deepblue Whirl, preso in controzoccolo, si accigliò vistosamente.

«Rilassati pescione, stavo solo scherzando!» Gli tirò una burlesca zoccolata sul ginocchio e si allontanò, riprendendo il giro.

- Ben tornati… - Disse telepaticamente l’unicorno dagli occhi blu.

«Tu almeno non c’hai trascorso tre giorni chiuso in gabbia.» Rispose a voce il fratello.


Nella sala di controllo due pony, una giovane giumenta di terra e un tranquillo stallone unicorno, stavano lavorando di fronte a una fila di rozzi terminali – residuati dell’ormai defunta Reborn Technologies – ai dati che avevano raccolto nelle recenti rilevazioni dei sismografi.

Lei si chiamava Sound Aura, portava i capelli legati in due trecce cui si alternavano l’azzurro e il grigio metallico della sua criniera, e aveva un candido manto bianco latte che esponeva sul fianco il cutie mark di due bicchieri di carta legati a un sottile filo di lana, ricordo di quando aveva scoperto la sua passione per le radio e per qualsiasi forma di trasmissione vocale a distanza. Non per niente era l’operatrice responsabile delle telecomunicazioni all’interno della squadra, che insieme al collega Caps Lock, facevano da tramiti durante le operazioni sul campo di Bibski Doss.

Caps, manto cobalto scuro e criniera lillà, come molti altri nella Reborn Technologies era rimasto ferito durante il Primo Attacco a Manehattan e aveva perso il corno che poi non era più stato in grado di farsi ricrescere nel modo corretto.

Non più in grado di utilizzare molti incantesimi elementari, era rimasto nella squadra per seguire quella che da sempre era stata la sua vocazione, e che solo con Bibski aveva potuto sfruttare appieno! Era infatti il loro tecnico informatico ed esperto smanettone (non per nulla il suo simbolo era una tastiera), abilità che nell’Equestria contemporanea non permetteva molti sbocchi professionali.

Incapace di levitare fino alla bocca una semplice bevanda in bottiglia, era però ancora in grado di sfruttare la sua debole magia per premere pulsanti e tenere sotto controllo i terminali, requisito più che sufficiente per garantirsi un posto sicuro all’interno del team.

Bibski entrò nella stanza senza annunciarsi e si diresse subito verso gli operatori a passo spedito.«Oh eccoti qui! Come sta la mia bimba preferita?»

I due, immersi com’erano nell’accecante fascio di luci dei monitor, non si accorsero del suo arrivo e si voltarono di scatto sulle loro sedie girevoli.

Sound Aura vide il suo capo trottarle incontro come se non vedesse l’ora di abbracciarla e stringerla a sé, e si paralizzò non sapendo come reagire. Bibski però non abbracciò lei, bensì l’enorme agglomerato di schermi dietro di loro, facendo delle moine dolci ai terminali, e baciandoli affettuosamente.

Uno dei monitor emise uno  strano bip di ringraziamento.

«Sì, sì anche tu mi sei mancato. Non fare il geloso!» Sussurrò l’inventore, dandogli un buffetto.

Aura e Caps si scrollarono le spalle.

«Noi stiamo bene, ehm… grazie per averlo chiesto.» Asserì il pony dal corno mozzato.

«Non giudicatemi! Non avete idea di che cosa abbia dovuto passare!»

Estrasse da uno slot dell’Equalizzatore la ricetrasmittente auricolare portatile e la consegnò negli zoccoli di Aura.

«Però te la sei andata a cercare. Te l’avevamo detto che non era una buona idea installare i trasmettitori lassù!» Lo rinfacciò lei mentre ricalibrava alcuni parametri del gadget per un utilizzo futuro.

«Sì beh, dettagli trascurabili. Comunque dovremo ritornare presto sull’argomento se non vogliamo rimanere ciechi in quel settore. Il prima possibile, possibilmente

«Suggerisco di regolare nuovamente la frequenza della trasmittente. Le tormente di neve in quella zona oscurano tutti i dati. E inoltre penso che dovresti valutare l’idea di sostituire il modulatore.»

«Ce ne stiamo già occupando, Bright sta parlando con la squadra di Wrench. Sarà tutto pronto per l’ora di pranzo. Notizie dagli altri settori?»

«Qualcosa d’interessante, sì.» Parlò Caps Lock, visualizzando sullo schermo una mappa di Equestria divisa in più parti da confini numerati. «Due giorni fa abbiamo rilevato un segnale molto forte nel settore 12.»

«Il dodici, eh? Ponyville/Canterlot. Ma tu pensa. Di che intensità?»

«5.4. È stato un bel botto. Solo che adesso… non saprei.»

«Che c’è?»

«Non ne ho idea. E’ da un paio di ore che sto registrando questo segnale nella medesima zona, ma è troppo confuso. Stiamo registrando vibrazioni in tutto il settore, non riesco a capire se si tratta di scosse d’assestamento o che altro!»

«Forse sono dei disturbi, prova a ridurre l’intensità della ricezione.»

«Ma così non rischiate di giocarvi anche gli unici dati che potete raccogliere?» S’intromise Sound Aura, perplessa.

«Forse sì, ma se c’è qualcosa che sta provocando queste oscillazioni, potremmo riuscire a isolarne l’epicentro di origine.»

«E magari riuscire finalmente a capire che cacchio sta succedendo nel regno.» Si unì Caps, in forze alla tesi del capo.

«Procedi e fammi sapere.» Concluse questi, uscendo dalla stanza e lasciando i due operatori al loro lavoro.

«Pff, quel pony è matto da legare.» Si lamentò Aura, quasi senza accorgersene.

«Lui, o noi che abbiamo deciso di seguirlo?»

La giumenta rise.

«A proposito» si voltò di lato con il busto, mentre il corno stava operando per conto suo sulle tastiere sul banco. «Sei uno schianto oggi.»

Lei arrossì, e un timido sorriso si stampò sulle sue candide e carnose labbra, ringraziandolo.


Il giro del campo base per Bibski Doss culminava sempre con il suo ritorno nella stanzetta che con tanto affetto amava considerare il suo ufficio.

A dispetto dei tempi nella Reborn Technologies, non c’era più la targhetta con il suo nome appesa alla porta d’entrata, in compenso il “caos metodico” con il quale amava etichettare il marasma di appunti e fogli di disegno tecnico sparsi nella qualunque, era ancora parte di lui come ai tempi in cui la sua società valeva ancora qualcosa sul mercato azionario.

La stanza puzzava di chiuso e la polvere, mischiata alle ragnatele sulle pareti, contribuiva a rendere l’ambiente ancora più ameno, tuttavia agli occhi di Bibski era il posto più ospitale del regno.

«Casa dolce casa! Quel luogo dove puoi osservare i tuoi sogni infrangersi, sentendoti comunque in pace col mondo. Non credi, Bright?»

L’unicorno alto se ne stava in un angolo, impilando in ordine su uno schedario alcuni blocchi di fogli sparsi per terra, un’attività molto più utile a lui che non al piccolo stallone dalla bardatura volante.

«È un pensiero molto profondo.» Commentò, senza interrompere la sua attività.

«Sì, stamattina mi sento particolarmente in vena. Vedrai, di questo passo inizieranno a citarmi anche nei libri di scuola.»

Si slacciò di dosso l’Equalizzatore adagiandolo dentro un armadietto di metallo, dopo di che si tuffò sulla sua poltrona personale, che insieme alla scrivania erano gli unici altri cimeli del passato che aveva conservato dal precedente ufficio, stendendosi a gambe conserte sopra il piano.

«Che pensi di fare dopo che il settore 29 sarà tornato attivo?» Chiese l’unicorno riferendosi al sismografo delle Crystal Mountains.

«Seguire il piano originale. Quando tutti i sismografi saranno pienamente operativi triangoleremo ogni regione di Equestria e cercheremo di stanare il rifugio dei Kaiju. Ormai non dovrebbe mancare molto alla prossima manifestazione.»

«Allora auguriamoci che Twilight riesca a far cambiare idea a Princess Celestia.»

Bibski si sentì stringere in gola da un reflusso di bile. «Se vuoi la mia opinione, ma tanto so che non la vuoi però te la dico lo stesso, non credo che la nostra cara Principessina “pace/amore/prosperità” farà mai qualcosa per noi.»

«Questo non lo puoi sapere.» Disse l’amico.

«Pff, andiamo, Bright! Avrà anche le ali ma lo capirebbe pure un bebè che è ancora attaccata alla sottana della sua Maestra. Francamente non vorrei essere nei panni dei suoi genitori!»

«Quindi vuoi gettare la spugna. È questo che stai dicendo?»

«Non mi ricordo di averlo mai detto.» Rispose, dondolandosi pigramente sulla sedia. «Troveremo un altro modo. M’inventerò qualcosa.»

Bright si fermò, ridendo in maniera aspra. «Già, alla fine è sempre così. Tu troverai “qualcosa”. Che sia rapinare una città, farsi arrestare o asserragliare un intero castello. Non esistono mezze misure con te.»

«Io seguo soltanto la via che ritengo giusta, e tu lo sai bene. Altrimenti non te ne staresti tutto il giorno dietro di me a coprirmi le spalle.»

«Forse, ma non sempre il fine giustifica i mezzi.»

«Che ti devo dire. Ognuno affronta le difficoltà con il proprio modus operandi. Tu prendi a botte le cose, io mi assicuro che non siano più le stesse dopo il mio passaggio. Lasciamo che Celestia, Luna, Cadance e tutte le loro Guardie luccicose credano di poter combattere i mostri a modo loro… »

«DOVETE VENIRE DI LÀ, SUBITO!»

Sia Bibski che Brightgate si bloccarono ad osservare Caps Lock, che era entrato nella stanza in evidente stato di agitazione.

Alcuni dei fogli ordinati dall’unicorno alto volarono nuovamente all’aria, smossi dal suo arrivo.

«Ecco! Siamo qui da neanche dieci minuti, e già non possono più fare a meno di noi!» Commentò l’inventore, vedendola come una buona occasione per un’altra battuta di spirito. «E tu che ancora ti preoccupi di cosa fare con le Principesse e compagnia bella potreb… »

«DICO SUL SERIO, NON È UNO SCHERZO!!» Insistette Caps, sudando copiosamente.

A quel punto aveva la loro attenzione.

I due amici si osservarono seriamente per un momento.


Il trambusto provocato da Caps Lock non mancò di attrarre l’attenzione di tutti i presenti del campo base, e presto l’intera squadra si ammassò all’entrata della sala di controllo per avere un assaggio di ciò che stava accadendo.

Nemmeno Blu era mancato all’appello, nonostante fosse l’unico a non mostrarsi esplicitamente agitato.

Caps era seduto accanto a Bibski e Bright, e stava spiegando la situazione.

«Ho fatto come mi hai detto. Stavo impostando i filtri dell’oscillatore quando il settore 12 di colpo ha cominciato a registrare questo segnale anomalo. Per un momento ho pensato di aver toccato qualcosa che non dovevo, ma poi ho riportato i parametri di default pensando di averlo resettato, e invece… .»

«Aspetta, state dicendo che è apparso così, d’improvviso?!» Domandò Doss, con gli occhi sgranati e puntati sugli schermi.

«Non era così forte poco fa! È comparso da dove il sisma dell’altra volta si era interrotto ed è aumentato in modo esponenziale!» Spiegò Sound Aura al posto del collega, che si era messo a pigiare alcuni pulsanti sulla tastiera.

Il tecnico informatico diede un ordine al terminale e subito la mappa di Equestria zoomò sul settore dodici, mostrando nei dettagli il segnale che il sismografo della zona stava captando.

Un eco di voci cominciò a borbottare alle loro spalle.

In uno dei rari momenti della vita in cui gli succedeva, Brightgate stava cominciando a provare paura.  «Quello non è un terremoto…» borbottò con le pupille degli occhi che gli si erano ristrette fino a diventare delle piccole capocchie di spillo.

«No, non lo è affatto… » attestò Doss a denti stretti, tanto che quasi gli dolevano i muscoli del collo «è come pensavamo… si muovono sotto terra… per questo sono così sfuggenti!»

«Ma mancano ancora due mesi all’evento! Com’è possibile?!?» Chiese Aura, sempre più coinvolta dall’agitazione generale.

«Evidentemente ci sbagliavamo…»

– È come se stesse scavando attraverso le miniere di cristallo sotto Canterlot… –

Bright sentì un’altra ondata di panico attraversargli lo stomaco quando si rese conto che suo fratello aveva ragione. «Dannazione, dobbiamo avvisarli!» Fece per uscire dalla sala, scostando i presenti.

Cominciò a pensare a cosa scrivere nella lettera che avrebbe spedito a Twilight. Sarebbero bastate poche semplici frasi, un messaggio breve e incisivo, quanto bastava per prepararli al pericolo che stava per scatenarsi.

Se la fortuna fosse stata dalla loro, le Custodi degli Elementi sarebbero state ancora sul posto, pronte a intervenire…

«È troppo tardi, Bright… è già lì!»

Per un momento s’illuse di averlo solo immaginano e che Bibski fosse in realtà rimasto in silenzio, ancora dedito a seguire le rilevazioni sulla mappa, ma non fu così.

Di colpo tutti smisero di parlare.

Ogni testa e ogni zoccolo indirizzati verso le immagini dei monitor.

Stavano guardando impotenti la schermata, rimpiangendo o forse gioendo di non poter assistere con i loro occhi allo spettacolo che di lì a poco si sarebbe riversato sulle strade della capitale.

Taciti nel loro silenzio, il sospirare di Bibski rimbombò nella stanza, come l’eco di un urlo dalla cima di una vetta.

«Beh, incrociamo gli zoccoli e auguriamoci che il piano di Celestia funzioni per davvero… »

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Capitolo 10
*** IL QUARTO ATTACCO - Parte 1/3 ***


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IL QUARTO ATTACCO

Parte 1/3: Occhio giallo su Canterlot


La sala del trono era nel subbuglio più totale.

Il seggio di Celestia, che di solito era fissato su una grande colonna dorata in fondo alla stanza, ora volteggiava nell’aria distaccato del resto del pilastro, con Discord che vi sedeva sopra crogiolandosi beatamente sulla comoda imbottitura rossa, ma non era che una piccola parte di ciò che nel complessivo il suo passaggio aveva provocato.

Le piastrelle bianche e nere del pavimento sottostante, per esempio, stavano saltellando a intervalli regolari da una locazione all’altra, modificando la propria disposizione originale nella griglia della scacchiera.  Era una burla divertente, ma in fatto di stramberie non poteva competere con il piccolo agglomerato di nubi – ampio poco più di due metri – che fioccava in orizzontale una scia di nevischio che si stava accumulando sulla parete frontale.

Che cosa dire, poi, delle vetrate commemorative che celebravano con i loro colori sgargianti i principali eventi della storia di Equestria? In una di esse – la sconfitta di Nightmare Moon – la lastra di vetro a mosaico stava ruotando su se stessa come l’elica di una ventola dell’aria condizionata (emettendo, però, aria calda e accogliente, ideale per la stagione), mentre in un’altra – il matrimonio di Shining Armor e Princess Cadance –  i due sposini fluttuavano all’interno della rosea superficie con espressioni affrante e addolorate, mentre cercavano invano di afferrarsi  gli zoccoli a vicenda. Qualcuno, poi, vedendo lo Spirito del Caos cavalcare una neo-eletta Principessa dell’Armonia nell’omonima vetrata, avrebbe certamente trovato la cosa buffa e originale, ma Twilight niente affatto.

Per commemorare la sconfitta dei Kaiju nel corso dei mesi precedenti, erano anche state commissionate delle lastre in ricordo dei precedenti attacchi, e ora in ognuna di esse un impavido Discord dominava dall’alto dei corpi dei defunti mostri, in pose eroiche, e circondandosi talvolta dalle Principesse, talvolta dalle Custodi, oppure da semplici abitanti di Equestria che lo riempivano di elogi come se fosse stato lui il loro salvatore.

A questo punto ci si sarebbe domandati che fine avessero fatto le Guardie Reali, e perché gli avevano permesso di sguazzare all’interno della sala come un puledrino dentro una scatola dei giochi.

Per avere una risposta bastava proseguire con l’elenco delle opere perpetrate dal draconequus:

Due di essi erano stati ipnotizzati e ora stavano correndo in senso orario e antiorario sulle pareti e sui soffitti della sala, senza subire in alcun modo gli effetti della gravità, come due criceti che correvano su una ruota, dove però essa era ferma e loro ruotavano. Un altro era imprigionato all’interno di una grande lastra di carbonite accanto alla colonna del trono, stretto in una morsa di puro terrore mentre protendeva in avanti la punta della sua lancia, a dimostrazione del suo futile tentativo di difendersi.

I tre militari sottoposti all’incanto caotico erano gli unici di cui si ebbero notizie, ma persino un umile contadino di campagna avrebbe saputo che non potevano certo essere gli unici ad aver tentato la difesa del trono. Qualcun altro era certamente intervenuto, ma dove fossero finiti tutti, nessuno lo sapeva.

Solo in un secondo momento, quando cioè ne volteggiò uno vicino a Twilight, le due Principesse si accorsero che c’erano piccoli serpentelli verde-prato che stavano strisciando a mezz’aria, come fossero poggiati su un’invisibile superficie sospesa. Erano forse loro le Guardie Reali assenti all’appello?

«Twilight, mia cara quanto tempo! Vieni, abbracciami, non hai idea di quanto mi sei mancata!» Discord si calò insieme al trono, ricongiungendolo al resto della colonna. Con uno schiocco delle dita fece scomparire di dosso la corona e la mantella rosso-scuro che indossava, per dopo alzarsi in piedi allargando le braccia, pronto ad accoglierla a sé.

Lei se ne rimase ferma sul posto, mutata dallo stupore e con la bocca che le precipitava dalla sorpresa.

Celestia le passò oltre, avvicinandosi all’allegro spirito del caos. «Tu non dovresti essere qui, Discord! L’accordo prevedeva che ti avrei contattato io!» Disse con un timbro di voce indispettito, svelando ai presenti trame di cui Twilight non era informata.

L’alicorno viola si accigliò, corrugandosi la fronte mentre la voce della sua testa le domandava di quale accordo la sua Mentore stesse parlando.

«Beh, credevo che ai miei amici avrebbe fatto piacere una visita di cortesia, e che quindi non avrei dovuto aspettare un’udienza formale per presentarmi. Ma è evidente che sono il benvenuto solo quando vi fa comodo!» Incrociò le braccia e si voltò dall’altra parte, imbronciato. O per essere più chiari, la testa si voltò, compiendo un arco di 180°, mentre il resto del corpo rimase impassibile di fronte a loro. «E pensare che ho anche portato i cioccolatini!» Aggiunse, prima che una scatoletta quadrata dalla pregiata fattura (sottratta di straforo da una pasticceria della capitale, mentre un cliente si stava apprestando ad afferrarne il nastro decorativo d’oro tra i denti) comparisse nell’aria per poi cadere riversando sul tappeto rosso tutto il suo contenuto.

«Non peggiorare le cose, non è il momento adatto!» Lo ammonì Princess Celestia, puntando con un cenno del mento alla direzione della giovane giumenta.

Twilight pensò e ripensò, quando poi un’intuizione irruppe nella sua testa come un Kaiju che devasta un grattacielo con una sferzata di artiglio, e si sentì d’improvviso cader addosso le pareti della sala, ma questa volta non a causa del giogo di Discord.

«Un momento!» Esclamò rivolgendosi a Celestia. «Principessa… il vostro piano per i Kaiju… non vorrete dirmi che è… LUI?!»

La testa di Discord ritornò nella giusta posizione e il draconequus si mise a braccia conserte in posizione fiera, con degli occhiali da sole neri che gli coprivano gli occhi. «In carne e caos!»

La sovrana le confermò tutto, sospirando pazientemente.

L’alicorno viola sentì un reflusso gastrico risalirle il condotto della gola, e dovette sforzarsi per reprimerlo insieme all’attacco d’isteria che le era divampato nel petto. «E… e il Programma Muraglia? E il Vello Oscuro… Principessa, non per mettere in discussione il vostro giudizio… ma io… pensavo che le nostre intenzioni fossero di proteggere le città, non di distruggere l’intera Equestria!»

«Qual è il problema, stellina? Stai forse insinuando che io, il bravo, prode, nobile e generoso Discord, sia troppo inaffidabile per un incarico così delicato?» Intorno a sé, mentre parlava, comparvero sospese nel vuoto delle cornici con foto di dubbia autenticità: in una lo Spirito del Caos stava leggendo un libro di favole ai puledrini di un orfanotrofio, in un’altra era a capo di una squadra di foal-scout, nella terza distribuiva razioni di cibo alle affamate Zebre della Savana.

«Guardati intorno!» Esplose lei ringhiando.

Il draconequus fece scomparire le fotografie e mosse lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, fornendole una scusa che le fece soffiare fumo dalle narici: «Mi annoiavo.»

«Adagio voi due.» Li riprese la Principessa del Sole prima che il confronto degenerasse. «Twilight, sono consapevole che Discord in passato non era certo celebre per essere un buon samaritano…»

Nel frattempo l’essere alle spalle della regnante aveva montato un faccino adorabile e un sorriso istigante più al draconicidio che non alla compassione.

«… ma sono convinta che le sue capacità potranno fare molto per aiutare Equestria in questi momenti bui.»

«Già, sono il memorabile “Piano D” di Canterlot! Dove la D sta per Divino, se posso permettermi!» Si auto-compiacque guardandosi attraverso uno specchio che aveva materializzato nella robusta mano da leone.

“A questo punto tanto valeva accettare l’aiuto di Bibski Doss!” Pensò di pronunciare Twilight, riallacciandosi così alla conversazione di poco prima, ma ciò che le uscì dalla bocca fu solo un urlo contrito in gemiti soffocati.

Celestia non si rendeva conto della gravità della situazione, o se così era, non era abbastanza obbiettiva nel valutare le opzioni.

Insomma… Discord?! Come poteva la Principessa pensare che un’incontrollabile calamità naturale come lui fosse un’alternativa più congeniale di… beh, qualunque cosa avesse avuto in mente l’inventore di Manehattan?!

“No, sbaglio a pensare così!” Si ammonì, reprimendo il pensiero. “Lei è Princess Celestia, ha regnato su queste terre per secoli! Devo fidarmi del suo giudizio, sono certa che sa quello che fa…”  la giumenta continuò a riascoltare la voce della sua testa, cercando di convincersi che le parole di Doss la stavano influenzando con troppa facilità, e si morse con forza la lingua per fare ammenda del suo iniziale scetticismo.

Nel frattempo, un serpentello fluttuò davanti al muso della Principessa del Sole, solleticandole il naso. Questo le fece ricordare qualcosa.

Si volse verso Discord, tramutando improvvisamente il suo atteggiamento. «Ciò non toglie che non dovresti essere qui!»

La chimera cornuta fu sottomessa alla voce imperiale della regnante.

Si sentì piccolo di fronte a lei, e per enfatizzarlo si rimpicciolì di dimensioni, arrivando a raggiungere a malapena l’altezza delle sue ginocchia.

Si mise anche a parlare con un timbro di voce più acuto, che ricordava quello di uno scoiattolo canterino. «Ho percepito una distorsione nel flusso quantico del caos» spiegò «così ho pensato di venire a indagare e a mangiarmi qualche biscotto, ma dato che non ho trovato nessuno mi sono detto “Beh, che cavolo! Sarebbe da maleducati andarmene senza salutare!” e così sono rimasto. Poi però sono arrivate le Guardie, e allora ho proposto di giocare a Risiko mentre aspettavamo il vostro ritorno, ma temo che non avessero bene in chiaro quali fossero le regole: hanno centato di arrestarmi!»

Nel frattempo, i due militari sotto ipnosi non la smettevano di sgaloppare per la stanza come levrieri impazziti.

Stanco di ascoltare il loro incessante battere di zoccoli, Discord schioccò le dita sottoponendoli a un altro dei suoi incantesimi, che li tramutò tutto d’un tratto in una singola fontana di marmo perfettamente funzionante, posta in mezzo alla sala, dove i due, ridotti a statue, schizzavano dalla loro bocca rivoli di acqua che scrosciavano educatamente sulla vasca sottostante.

Le Principesse non sembrarono gradire la nuova decorazione, almeno a giudicare dalle loro espressioni.

Discord tornò alla sua reale dimensione ed estrasse dal suo orecchio sinistro tre gallette, offrendone un paio alle pony. «A proposito, volete un biscotto?»

Dei rivoltanti grumi di cerume ne stavano caramellando la crosta esterna.

Twilight nitrì disgustata, mentre Celestia cercò di manifestare il suo ribrezzo in maniera molto più garbata. «Ehm… no, grazie.»

«Hmph, meglio così. Tanto sono appena finiti.» Le tre gallette si ridussero a una soltanto e questa finì dritta nella bocca dello spirito serpentiforme.

Per la seconda volta consecutiva la Principessa dell’Armonia trattenne un conato di vomito. Alla terza volta, ne era sicura, qualcosa ne sarebbe uscito.

«Devo convenire che intendi restare, perciò?» Chiese Celestia, oramai rassegnata all’evidenza dei fatti.

«Sì, pensavo di fermarmi giusto cinque o sei anni, sempre che vogliate accogliermi nelle vostre umili dimore… »

La Principessa sbuffò, cedendo arrendevolmente alle sue richieste. «Essia… »

«YUHU-HUUU!!» Petardi e fuochi d’artificio esplosero alle spalle del draconequus, facendo trasalire dallo spavento le ignari bisce che tutt’ora stavano scorrendo alla rinfusa nell’aria.

«… ma a una condizione!»

«Che paa... aarticolare genere di condizione?!» Si corresse all’ultimo, sorridendo sornione.

«Riporta la sala del trono nelle condizioni in cui l’hai trovata!» Rispose con autorevolezza, cui seguì tra i due un breve momento di muta sospensione.

«E va bene, se proprio insisti… » quindi, con uno schiocco delle dita le vetrate e le piastrelle del pavimento tornarono nel loro stato originale, con un colpo di tosse i serpentelli volanti caddero a terra per poi svanire nell’etere, e la nuvola che nevicava in orizzontale si dissolse nell’aria dopo che Discord vi ebbe starnutito sopra, portandosi via anche la montagnola di neve sulla parete.

Si armò di martello e scalpello, e con un paio di battiti in punti apparentemente casuali della base, la fontana marmorea si frantumò ritrasformandosi nelle due Guardie Reali, liberatesi anche dall’ipnosi che le aveva tramutate in trottole impazzite prive di controllo.

Dal dito indice (aquilino) dello spirito caotico parti un raggio rosso che liberò dalla sua prigionia anche lo stallone nella lastra metallica.

«Ecco fatto.» Annunciò sbattendosi i palmi, tuttavia Celestia non sembrava ancora soddisfatta del suo operato. «Non credere che non mi sia accorta di quelle!» Disse, accennando alle due anfore decorative ai lati del portone, che Twilight, constatò, non aveva notato fino a quel momento.

Erano grandi, dorate e ricche di elementi decorativi, con dentro dei mazzi bicolore di rose dai petali bianchi e neri.

Studiandole più attentamente, però, avevano anche un che di familiare, che sul momento non riuscì ad afferrare.  

«Ma andiamo! Ravvivano il feng shui!» Protestò il draconequus.

«Obbedisci!» Ordinò la sovrana, picchiando con la suola di un coprizoccolo.

Discord borbottò qualcosa sottovoce e con due colpi dei tacchi lanciò il contro-incantesimo che restituì alle anfore la loro reale forma: tutte le rimanenti Guardie Reali assenti, dai manti bianchi e neri come i fiori, riapparvero al loro cospetto, per unirsi poi ai cori lamentosi dei colleghi precedentemente liberati.

Si aiutarono tra loro a rialzarsi e si risistemarono le corazze, mentre qualcuno tra i guerrieri più giovani puntò d’istinto la propria lancia al draconequus.

«Ora posso restare?» Chiese risentito, senza badare più di tanto alle minacce che gli venivano intimate.

Con un cenno del capo, la Principessa ordinò ai militari di lasciare la stanza.

«Solo se prometti di non usurpare più il mio trono.» Rispose, sorridendogli candidamente.

«Parola di Lupetto!» Sollevò la mano destra all’altezza delle tempie e formò una “V” servendosi dell’indice e del dito medio.

Una frustrata Twilight Sparkle si fece avanti tra i due, imponendo la sua presenza. «Così… ora sarà lui a difendere le città dai mostri?»

*Boop*.

Discord si chinò su di lei e le toccò il muso con la mano da rapace. «Così sembra, mia stellina adorata. Perché, sei forse gelosa?»

«Non è del tutto esatto.» Chiarì l’alicorno dal manto bianco, rovinandogli l’entusiasmo. «Gli Elementi dell’Armonia, insieme alla Muraglia, rimangono ancora le nostre migliore opzioni di difesa.»

«Cosa?? Ma io pensavo che… »

«La nostra priorità è contenere al minimo i danni che una manifestazione porterebbe con sé.» Lo interruppe. «Non è prudente ingaggiare fin da subito uno scontro diretto con i Kaiju. Se come teme Twilight i mostri si stanno rafforzando, vorrà dire che per te sarà il momento di entrare in campo quando ogni altra alternativa sarà resa vana.»

Twilight sorrise sotto i baffi, mentre tra sé e sé sospirava di sollievo.

Grazie al cielo Celestia aveva dimostrato che tra i suoi crini era ancora abile a nascondere qualche asso.

«Bah!» Strettosi sulle spalle, Discord camminò fino alla vetrata commemorativa del primo attacco, dove un sanguinario titano dalle grandi zampe artigliate demoliva i palazzi di Manehattan tra le grida di paura dei poveri pony che cercavano di mettersi in salvo. «Uno s’impegna a rigare dritto e guarda come lo trattano!» Borbottò inginocchiandosi a terra e portandosi le mani all’altezza cuore. «O misero me, o tapino draconequus, cui animo caritatevole non trovar mezzi per dar prova a codesti suoi amici del rinnovato… ehm… “voler bene”… ch’egli ha pieno il cuore, e cui suo desiderio e voler è di farne dono! Ché nessuno mi vuol bene?»

Poi una lampadina si accese sopra la sua testa, prima di esplodere in nugoli di frammenti vetrosi. «Or che la mia mente rimembra… ma dov’è quelle delizia di puledrina cui soventi noi siam chiamar Furthersky? Lei sì che di tanto… ahm “voler bene” i zoccoli suoi son pregni!»

«FlutterSHY!» Lo corresse Twilight, acidamente. «E comunque non è qui in questo momento!»

«Oh… dispiacer grave.» Continuò, sospinto dalla corrente ispiratrice. «Qui urge un intervento dall’alto.» E schioccò le dita per l’ennesima volta, facendo sì che nell’aria comparisse dal nulla…


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Nel frattempo.

Le Custodi stavano percorrendo gli eleganti sentieri in pietra della capitale, marciando nella direzione che le avrebbe ricondotte alla stazione dei treni.

Nel mentre, chiacchieravano del più e del meno, cercando di allontanarsi come meglio potevano dai cupi pensieri che avevano accompagnato le loro ore più recenti.

Rarity non la smetteva di estasiarsi per lo sfarzo della popolazione e per le variegate meraviglie che esponevano i numerosi negozi d’alta moda. Cosa che le fece ricordare, ad un certo punto, dell’odiosa Silly Turnip che probabilmente l’attendeva da giorni all’entrata della Carousel Boutique, col suo bagaglio di obesità inammissibile e quel pessimo gusto per il vestire che non avrebbe certo sfigurato ad una serata di gala tra muli da soma.

“Ammesso e non concesso di non imbattersi in lei mentre marciamo.” Fu il pensiero che la colpì mentre cercava di scacciare da sé la brutta immagine di lei che le compariva davanti.

Pinkie Pie, intanto, se la rideva blaterando come di consueto di qualunque cosa la sua mente iperattiva concepisse, sebbene quel giorno apparisse più tesa del solito, come se si sforzasse di tenere nascosto qualcosa che la inquietava. Fatto che non mancò di farsi notare dall’occhio vigile di Applejack, che ancora non si dava pace per le domande che continuavano a sorgerle spontanee riguardo all’incubo della pony in rosa.

E Fluttershy invece? Era talmente mite e silenziosa che fu quasi come se la sua amica nemmeno ci fosse…

A questo proposito Applejack fu colta da un sospetto. Si voltò verso di lei col fiato sospeso, convinta senza un apparente motivo che non fosse più con loro, solo per appurare che infatti… stava trottando accanto a Rarity, con le lunghe ciocche della criniera rosa che le coprivano gran parte del volto.

Si girò nuovamente in avanti, rilassandosi. Cosa sarà andata a pensare?

«Voi… ahm… pensate che sia tutto a posto… lassù…» farfugliò la Custode della Gentilezza, mangiandosi metà delle parole nel tentativo di completarsi.

«Per cortesia, tesoro, potresti aumentare il tono della voce? Certe volte ti esprimi in modi davvero incomprensibili!» La richiamò l’unicorno della Generosità, sul cui dorso Spike si stava trastullando con la delicata criniera gelso chiaro, passandosi i ciuffi tra le dita delle zampe e sulle guance squamose.

«Oh… scusa Rarity, io… non volevo… non parlo più… »

Applejack sospirò vigorosamente. «Parla, zuccherino. Nessuno qui ti vuole azzittire.» Le uscì una frecciata non volutamente diretta all’amica bianco-perla.

«Ok… ehm dicevo… è già passato parecchio da quando ci siamo divise… pensate che Twilight abbia chiarito con Celestia? La Principessa sembrava davvero triste quando siamo atterrate a castello… »

«E perché non dovrebbe, scusa?» Chiese il draghetto, prendendosi una pausa dalla sua feticistica attività. «Lei è Twilight Sparkle! Non mi viene in mente nessuno più bravo lei per queste cose!»

«Spike ha ragione! Vedrai, tra qualche minuto atterrerà tra di noi in un battito di ciglia!» Disse Rarity.

«Sì, e poi io offrirò il gelato a tutti!!» Se ne uscì Pinkie Pie, senza che a nessuno fosse passato per la testa d’interpellarla. «Io ne voglio uno con sette palline: fragola, cioccolato, cocco, zucca, fragola, pizza, carota!!»

«Hai ripetuto “fragola” due volte, Pinkie.» Le fece notare l’amica dal manto arancione.

Lei la prese per il collo e la avvicinò a sé. «Ho detto SETTE PALLINE!» Ripeté ringhiandole addosso.

«Ehh… eheh… vaaa bene!»

Pinkie allentò la presa e si mise a molleggiare verso la gelateria più vicina, mentre Applejack si massaggiava la gola indolenzita. Quando, poi, la pony in rosa arrivò a metà della strada, si fermò d’improvviso per poi fare marcia indietro sui suoi passi. «Nahh, oggi non mi va.» Disse mestamente, smettendo di rimbalzare.

Il gruppetto di amiche si fissò l’un l’altro scrollandosi le spalle.

«Ehi, ragazze! Yu-huu!»

Una voce familiare le chiamò.

Si guardarono intorno smarrite, finché Applejack non decise di alzare lo sguardo oltre l’arcata del suo campo visivo.

Vide Rainbow Dash volare in picchiata verso di loro, con la faccia di chi aveva qualcosa di veramente figo da raccontare.

Atterrò a qualche metro di distanza, talmente eccitata nel compimento della manovra da finire quasi per schiantarsi sulla solida carreggiata.

«Non indovinerete mai chi ho incontrato!» Disse sistemandosi frettolosamente il piumaggio delle ali.

«Fammi indovinare, vado a istinto eh: uhm… qualche Wonderbolt che si stava allenando sulle mura della città?» La prese in giro la cowgirl.

«Molto meglio, molto meglio!»

«Oh Applejack, ma è chiaro, non ti pare? Ha avuto una squisita conversazione con quel pegaso di cui si è invaghita tempo fa!» Rilanciò Rarity.

«Ah già. Com’è che si chiamava? “Fulmine”? O qualcosa del genere… »

«Cosa?! Ehm… no, no! E comunque si chiama Soarin!» Arrossì. «E poi… lui non è neanche qui… » si mise a grattare nervosamente sul pavimento di pietra.

«E questo è un vero peccato, giusto?» Continuò la pony col cappello desperado. Sia lei che Rarity presero a sghignazzare.

«Ma insomma, non è niente di tutto ciò! Ho soltanto rivisto Gilda!»

«CHI?!?» Esplosero in coro Pinkie Pie e Fluttershy. Le altre invece smisero di ridere.

«Esatto: Gilda!» Ripeté la pegaso arcobaleno.

«E questa sarebbe la buona o la cattiva notizia?» Chiese Applejack, sospettosa.

«Eheh, non c’è un’altra notizia, solo questo!»

«Tesoro, ti sei forse dimenticata di come si è comportata l’ultima volta? Hai bisogno che te lo rammentiamo?»

«Ma no, ragazze, non è più così! Ora è cambiata (beh… in un certo senso)… è una dei pezzi grossi dell’Aviazione dei grifoni che stazionano sulle mura! È una Sergente della flotta!»

«Sto ancora cercando di capire quale sia la buona notizia…»

«Ooh ma insomma!»

Mentre la discussione tra la pegaso, l’unicorno e la pony di terra perseguiva, alcune scintille di magia caotica iniziarono a sprizzare dal manto giallino di Fluttershy, che finì per avvolgerla in una luce abbagliante prima che lei avesse tempo di reagire. La giumenta squittì mentre veniva ghermita dall’incantesimo, e dissolta in un attimo sotto gli sguardi inarcati delle amiche.

Le Custodi si voltavano qui e lì come a chiedersi “È successo veramente?”.

«Ehi ma… dov’è finita?!» Chiese Rainbow Dash, che fu anche la prima ad aver posato gli occhi su di lei mentre veniva dissolta.

«Era con noi un attimo fa! Qualcuno ha capito che è successo?» Applejack le interpellò uno ad uno, ma tutti ne sapevano quanto lei.

Rivolse la domanda anche a Pinkie Pie, ma quando vide la bruma di terrore sul volto della pony, il suo cuore smise di battere.

«Pinkie… va tutto bene?»

Tutto in quel momento tacque, come se una forza misteriosa avesse risucchiato dalla realtà i suoni del mondo.

I loro stessi spiriti palpitavano all’interno dei loro corpi, come se cercassero di fuggire prima che tutto andasse in rovina.

La Custode dell’Elemento della Gioia manteneva il suo sguardo fisso in un punto sull’orizzonte della città.

Le sue amiche non potevano saperlo, ma attraverso le sue pupille stava vedendo uno scorcio di quello che sarebbe successo da lì a poco.

«Pinkie… ?» Chiamò di nuovo Applejack.

Pinkie Pie farfugliò qualcosa e la sua voce uscì come un soffio leggero, come se temesse che spezzando quel silenzio profondo, il male infimo che stavano guardando i suoi occhi potesse incorporarsi travolgendo il tempo e la realtà.

Ciò che disse fu «è qui… » e poco dopo su Canterlot si riversò l’inferno.


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Fluttershy atterrò goffamente sul tappeto rosso della sala del trono, emettendo un singulto al contatto col suolo.

«Oh, or quindi eccola giungere dinanzi a noi!» Esultò Discord, applaudendo a se stesso.

Twilight corse a dare assistenza all’amica. «Stai bene?» Le chiese con premura.

«Io… credo di sì… ma che è successo?»

«Indovina… » le indicò con gli occhi dove guardare.

Fluttershy sporse il collo, e strillò con sorpresa quando vide il draconequus che l’aveva condotta fin lì farle “ciao ciao” con la mano leonina.

«Discord!!» Allontanò bruscamente da sé l’amica alicorno e si tuffò tra le braccia della chimera. «Dove sei stato? Ero così preoccupata! Pensavo ti fosse successo qualcosa!»

«Eheh, rilassati. Sono stato via solo per un po’!» Le disse allontanandola delicatamente da sé.

«Le hai ricevute le ultime lettere che ti ho inviato, vero?» Chiese Fluttershy, ansiosa.

Twilight ruotò la testa da un lato. «Voi due vi scrivete delle lettere?»

«Puoi giurarci!» Annuì Discord, facendo piovere sulla testa dell’alicorno viola una cascata di buste aperte. «Tra amici è una cosa normale, ma che vuoi saperne tu? Sei come tutte le altre: datele una corona e subito calpesterà chi le sta sotto!»

«Ehi!» Flutteshy si erse in volo e gli puntò contro una zampa. «Non parlarle così, Twilight è stata molto impegnata in questi mesi, come tutte noi! Sono certa che se avesse trovato il tempo non avrebbe esitato un secondo a scriverti! Diglielo anche tu, Twi!»

Twilight si sollevò dal cumulo di lettere forzando un sorriso fasullo «ehmh… ssì… ceerto!»

«Visto? Chiedile subito scusa!»

«Ma io… »

Fluttershy lo fulminò con lo Sguardo.

«Sigh… s-scusa Twilight, mi dispiace tanto.» Recitò in tono elusivo.

La Principessa dell’Armonia sapeva che niente di quanto pronunciato era da reputarsi autentico, ma per non sottrarre tempo a questioni ben più importanti, decise di dargliela e bere.

«Molto bene!» Si proclamò soddisfatta la pegaso. «A proposito, ma che ci fai qui?»

Princess Celestia, che aveva atteso in disparte il cessare del confronto, rispose per tutti spiegandole le ragioni che l’avevano spinta a chiedere il suo aiuto.

«Quindi sei qui per proteggerci?!» Chiese la pegaso al termine del resoconto.

«Beh. L’intenzione è quella. Volevo scriverti, ma ho pensato che dirtelo di person… »

«Ma è meraviglioso!!!» Lo abbracciò ancora una volta con tutto il suo entusiasmo, senza dargli il tempo di concludere, e lo strinse così forte da spezzargli a metà il corpo.

Nulla che la magia caotica non potesse risolvere in un istante.

Twilight alzò gli occhi al soffitto, emotivamente abbattuta, domandandosi quanto quella farsa sarebbe durata ancora.

Sfortunatamente per lei, la risposta le sarebbe arrivata di lì a pochi secondi, quando dal sottosuolo di Canterlot un’ondata di pura devastazione esplose su tutta la capitale, irrompendo nelle loro vite con la forza di un megaincantesimo.


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Princess Luna si era appena appisolata nella camera padronale, chiusa nell’oscurità dell’elegante tendaggio serrato.

L’avrebbe attesa una lunga nottata al calare del sole e sperava che con quel sonnellino potesse finalmente recuperare un po’ delle ore di sonno sufficienti a renderla operativa nel momento del risveglio. Le sarebbe bastato poter reggere il lume fino al momento del cambio mattutino.

Tanto – aveva pensato – in genere non c’era un gran da fare nelle ore notturne del regno, quindi poteva anche prendersela comoda, no?

Accoccolatasi nella calda coperta di seta, semplicemente ideali per trascorrere lietamente il sonno nella frescura di quel pomeriggio invernale, finì invece risvegliata di soprassalto da qualcosa di spaventoso che la fece ruzzolare fuori dal materasso.

Con la testa ancora offuscata dal malessere che di solito si avverte in seguito a un riposo interrotto, uscì sulla balconata ergendosi su due zoccoli accanto al telescopio con il quale lei e Celestia erano solite studiare gli astri, e vide con i suoi occhi – da una posizione decisamente avvantaggiata – la ragione del subbuglio che l’aveva ridestata dall’affetto del suo torpore.


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Dal centro della città, duecento metri più in basso rispetto al promontorio su cui sorgeva il castello, e due chilometri più in là, tra i piccoli torrenti artificiali sovrastati dai ponticelli e le varie ed eleganti caffetterie della piazza, i pony di ceto alto che riempivano le strade a quell’ora del giorno sussultarono all’unisono quando uno primo, lieve boato d’assestamento fece vibrare i vetri negli infissi e smuovere le criniere delle eleganti giumente.

Qualcuna borbottò infervorata chiedendosi cosa stessero combinando nelle mura della città per provocare tutto quel parapiglia, ma tranne qualche sguardo interrogativo e un paio di occhiate scambiate tra perfetti sconosciuti, nessuno pensò di attribuire a quella piccola e apparentemente innocua avvisaglia una nota d’importanza.

I terremoti erano ormai una realtà di tutti i giorni, cui tutti, dai più ricchi ai più poveri, avevano imparato a convivere nel corso degli anni, e la loro altitudine rispetto alle altre città di Equestria rendevano Canterlot una vera botte di ferro contro ogni minaccia che poteva incombere più in basso. O per lo meno, questo era il luogo comune cui tutti erano pronti a scommettere prima che quella giornata svelasse loro quanto, in verità, erano stati ingenui.

Quando la prima, lieve ondata lasciò il posto al tumulto che ne sarebbe seguito, i più svegli compresero fin da subito che quella botte in realtà altro non era che una gabbia da cui nessuno sarebbe potuto uscire.

Un grande sisma, il più potente che avessero mai avvertito dall’inizio della crisi dei Kaiju, e il primo che si avvertì a un’altitudine così elevata, investì la capitale facendo crepare tutte le strutture nell’area circostante e sfondando i sentieri pietrosi su cui i loro zoccoli cercavano di reggersi in l’equilibrio.

Gli alberi si scuotevano smossi dalle radici, tavolini e sedie cadevano sugli sventurati avventori dei locali, ustionando qualcuno con le roventi bevande rovesciate dalle tazze, mentre le carrozze che portavano in giro turisti e curiosi si ribaltavano su un fianco ferendo gli incauti passeggeri.

La Paura, come nessuno in città l’aveva mai conosciuta dai tempi dell’invasione dei Changelings, unita a una crescente sensazione d’impotenza, s’impadronì degli abitanti che, presi dal panico, si dettero alla fuga in una confusionaria corsa alla ricerca della salvezza.

Ma una salvezza da dove? Come sfuggire a un pericolo che sembrava essere onnipresente dovunque si andasse?

Dall’epicentro da cui l’apocalisse si stava scatenando, un debole obelisco d’avorio, totalmente indifeso dalla potenza del terremoto, crollò di peso sulla piazza, travolgendo tutto ciò che si trovava sulla sua parabola di discesa.

I pony che in quel momento si trovavano lì in basso incontrarono una morte rapida e improvvisa, tra le urla di chi, invece, era stato solo costretto ad osservare.

Mentre tutto andava a rotoli fin troppo velocemente, una ramificazione di fratture che come una ragnatela si estendeva per un raggio di trenta-quaranta metri, cominciò a sollevarsi dal centro come un cumulo di terra smosso da una talpa laboriosa in via d’emersione.

Si formò una grande collina di macerie, pietra e polvere alta decine di metri, che poi implose su se stessa inghiottendo palazzi, mezzi e innumerevoli pony che non adatti al volo o troppo scossi per reagire finirono divorati dall’enorme voragine che vi si venne a creare.

Alcuni pony tra i più lontani erano caduti in preda a una paralisi raggelante e sebbene le loro parti razionali li supplicassero di fuggire, i muscoli non davano loro retta, rifiutando di muoversi.

Furono loro i primi a vederlo: dal cratere emerse qualcosa di gigantesco, che portò con sé grandi blocchi di cristallo luccicante provenienti dalle miniere sottostanti.

Per primo si levò un grande e vertiginoso braccio, dotato di una poderosa mano a cinque dita ampia svariati metri.

Calò sulla città, aggrappandosi sul ciglio del baratro.

La seconda mano uscì subito dopo e questa cadde a pugno sul terreno, smuovendo una folata di polvere che oscurò per un momento la visibilità ai pony.

La testa del mostro e con essa il resto del corpo fuoriuscirono dalla gigantesca fossa in coda alle sue sproporzionate braccia. L’enorme titano s’inchinò sulle sue robuste gambe, ansimando pesantemente – forse per recuperare le forze – e infine si sollevò in posizione bipede, rivelando così le sue reali fattezze.

Alto forse quaranta metri (stima provvisoria calcolata sulle sue proporzioni rispetto ai palazzi di Canterlot), era rivestito da uno spesso strato di pelle coriacea grigio-plumbea, solcata da zigrinature e crepe nella cute, come quella di un mastodontico pachiderma, che lo ricopriva da cima a fondo come una pesante corazza.

La possente muscolatura delle braccia, che sembrava spezzettarsi in tre segmenti distinti come negli arti degli insetti, cadeva ai lati del voluminoso corpo che se non fosse stato così terrificante avrebbe suscitato ilarità per l’aspetto pasciuto che si portava dietro. Il tutto era sorretto da due forti e solide gambe, perfettamente equilibrate con il resto della sua fisionomia e anch’esse suddivise in tre parti segmentate.

La sua testa era un perfetto ovale tagliato a metà sull’asse latitudinale, liscio e di una sfumatura leggermente più chiara rispetto al resto del corpo, ed era in apparenza coriaceo, come se fosse fatto di puro osso, oppure cheratina solidificata come le corna di un rinoceronte.

C’era come un taglio che solcava il suo capo, e partiva dalla base del collo per poi salire in longitudine fino alla cima, come una specie di stranissima cicatrice che tuttavia non sembrava affatto una vecchia ferita di battaglia, ma bensì parte stessa della morfologia dell’essere.

Ma il particolare che spiccava sul resto, tanto da inquietare da sé, quasi quanto la stazza del mostro, era lo spaventoso mono-occhio giallo-acre che stava fissando gli abitanti della città dal centro dell’ovale, con una minuscola pupilla nera avvolta in una corona di rossi capillari.

«Celestia!»

Princess Luna entrò di corsa nella sala del trono, trovandovi i presenti affacciati alle vetrate trasparenti.

Di tutte, Fluttershy era l’unica a mostrare una reazione emotiva ben definita: lacrime di angoscia le inondavano la faccia in singulti di pianto, che le mozzavano il fiato ogni volta che tentava di prendere aria.

Le Principesse e lo Spirito del Caos invece guardavano tutto con innaturale freddezza, troppo incredule per esprimersi.

«Quello è… un Kaiju… » mormorò Celestia, con gli occhi che le si inumidivano. Se non si fosse controllata presto anche lei avrebbe fatto compagnia alla pegaso gialla.

«Ma com’è possibile?! Sono passati solo quattro mesi…!» Mentre lo diceva, Twilight si rese conto di essere stata fin troppo ottimista con le sue previsioni.

Era preparata all’ipotesi di doversi scontrare con un nemico più forte del solito, ma mai avrebbe pensato di vederne uno con così largo anticipo.

Fin’ora quella dei sei mesi era stata una regola non scritta che aveva sempre conclamato la sua esattezza con sufficiente puntualità, e benché il Terzo Attacco fosse sopraggiunto con un lieve anticipo di un paio di settimane rispetto alla precedente manifestazione, si erano comunque fatte trovare pronte per respingerlo prima che potessero sorgere ingiurie alla città di Las Pegasus.

Ma adesso…

Un nuovo Kaiju, contro il quale erano assolutamente impreparate, era emerso nel bel mezzo di Canterlot. La capitale di Equestria. Il regno di Princess Celestia e di Princess Luna, sul cui feudo sorgevano le città dei pony e di tutte le altre razze senzienti.

In poco tempo avrebbe dato il via al suo attacco, e la Nazione avrebbe avuto un’altra Manehattan da compiangere.



*(Questa parte di capitolo - ed insieme le successive sequenze di lotta - sono state scritte sulle note di questa colonna sonora:  https://www.youtube.com/watch?v=IHYsx9lBUXY. Ascoltatela mentre leggete per godere al massimo dell’esperienza)*


Il Kaiju scosse il corpo per liberarsi dalle scorie che si erano accumulate nelle infossature della sua corazza.

I blocchi di macerie che ne caddero furono per lui nient’altro che fuliggine, ma erano abbastanza grandi da poter uccidere un pony che incautamente si fosse fatto trovare sulla loro linea di caduta.

Il mostro voltò la testa verso un gruppo di abitanti fermo un centinaio di metri più in là, fissandoli con il suo unico occhio, che immobile e privo di palpebra puntava dritto su di loro.

Poi si girò, scuotendo la capitale col suo passo pesante.

Squadrò i palazzi che ascendevano nei dintorni. Studiò la conformazione delle torri e della variopinta architettura eretta su vari livelli della montagna, come uno scrupoloso demolitore che pianificava per tempo il modo più efficace per radere al suolo il suo obiettivo.

Incontrò di nuovo gli sguardi confusi del suo minuscolo pubblico ed emise un flebile verso, che un giorno avrebbero descritto come un grugnito mischiato al russare di un vecchio grassone bisunto.

Dal fascio di carni nere che avrebbe dovuto essere il collo uscì una folata di vento maleodorante che si espanse per interi chilometri lungo le strade, anche lì dove la sua mole non aveva ancora infierito su cose e pony.

Due lembi di scura pelle si aprirono come delle labbra, rivelando una fila di orridi denti scimmieschi deformi e oscenamente devastati. Erano gialli come il suo occhio e incrostati da metastatiche carie che in più punti avevano trapanato tanto da attraversarli da parte a parte.

Torrenti di bava densa e putrescente tracimarono dalla carnosa bocca, rilasciando effluvi irrespirabili che puzzavano di carogna e deterioramento.

Il Kaiju gonfiò ventre e petto, così tanto che per un momento i più illusi credettero che stesse per esplodere. A quel punto qualcuno trovò la forza di battere in ritirata, capendo cosa stava per succedere, ma non tutti ebbero la stessa prontezza di spirito.

Il Kaiju spalancò le mascelle e scaricò su Canterlot un urlo ciclonico, assordando chiunque nel suo raggio d’azione.

Pony di ogni razza vennero spazzati via dai venti del ruggito, mentre le finestre degli edifici nel circondario si polverizzarono in schegge taglienti. Le crepe sulle pareti più deboli si espansero a tal punto che alcune costruzioni finirono per collassare su se stesse, svanendo dalla mappatura della città.

Il ciclope richiuse la bocca e mentre gli infortunati cercavano di capire cosa fosse avvenuto, cominciò a infierire su qualunque cosa, sferzando la capitale con le sue colossali braccia.

I palazzi vennero scoperchiati da dita larghe interi metri, le pareti sventrate da pugni che si abbattevano come palle da cannone potenziate da incantesimo distruttivi.

Nulla sembrava in grado di resistere alla rabbia del Kaiju.

Il destino dei pony sotto di lui dipese unicamente dalla casualità del momento: qualcuno trovò miracolosamente la fuga sgusciando tra le macerie in caduta, molti altri, invece, si spensero senza che nessuno potesse soccorrerli, schiacciati dai detriti o, ancora peggio, dagli sconfinati piedi della creatura.


Un plotone di Guardie Reali pegaso si precipitò nella sala Reale, in risposta a una convocazione di Princess Celestia.

«Ai vostri comandi, Maestà!» Esordì uno di loro.

«Dirigetevi alle mura e comunicate che il Punto di Raccolta è stato appena trasferito!»

«Ricevuto! La nuova destinazione?»

Celestia si consultò in silenzio con la sorella, e la Principessa della Notte annuì con decisione.

«Cercate il Capitano Spitfire. Ditele di radunare tutti qui a castello!» Rispose l’alicorno dal manto bianco, imbastendo un atteggiamento d’urgenza.

I pegasi del plotone trasalirono, confrontandosi tra loro per verificare se tutti avessero provato la stessa sensazione, ma nessuno obiettò alla sua decisione.

«Sarà fatto, vostra Maestà.» Obbedì lo stallone in testa al gruppo, battendosi uno zoccolo alla fronte, per poi congedarsi con gli altri lasciando la sala.

Twilight, Fluttershy e Discord stavano nel frattempo osservando il disastro che il Kaiju stava provocando in città.

«Dannazione, ci servono gli Elementi dell’Armonia! Subito!!» Urlò Twilight, zampettando sugli zoccoli impazienti.

«Dimmi che li hai portati, Twi! Vero che li hai portati?!»

«No, li ho lasciati a Ponyville quando siamo partite!» Rispose alla domanda di Fluttershy.

«Oh cielo! Allora cosa facciamo?! Siamo spacciate!!»

«Mantenete la calma, forse c’è un modo. Discord, credi di poterla condurre fino al villaggio giusto il tempo di raccoglierli?»

«Sarà un gioco da puledri, Celestia.» Rispose lui, sicuro di sé.

«Che accidenti stiamo aspettando allora, muoviamoci!!» Scattò Twilight, ghermendolo per l’irsuto collo.

«Presto fatto.» Il draconequus si liberò dalla sua presa e lanciò uno dei suoi incantesimi.

Entrambi svanirono nel vuoto della sala.


Con un rapido flash balzarono dall’apocalisse della capitale alla tranquillità di Ponyville, dove la priorità degli inconsapevoli abitanti era ancora centrata sull’allestimento delle decorazioni per la Festa del Focolare dell’Amicizia.

Se anche qualcuno avesse allungato il collo in direzione del picco di Canterlot, difficilmente avrebbe scorto qualcosa di rilevante, a parte forse qualche colonna di fumo appena percepibile dagli occhi più attenti.

Twilight si ritrovò nel corridoio al pianterreno della Golden Oaks e galoppò verso lo stanzino in cui l’attendeva la teca con dentro gli Elementi dell’Armonia.

Indossò fin da subito la sua corona e ripose i rimanenti nella sua personale sacca da viaggio, senza perdersi neanche per un momento nel salutare l’amichevole Gufolisio che l’aveva raggiunta per accoglierla dopo giorni di assenza.

Corse fuori dalla stanza quasi urtandolo, scusandosi con poco garbo mentre gli dava le spalle, e tornò di fretta dal draconequus.

«Eccomi, li ho presi!»

«Vuoi che ti aiuti a portarne qualcuno?» Si offrì Discord, educatamente.

«Sono ancora schermati contro di te, non potrei darteli neanche se volessi!»

«Ancora?! Ma non è giust… »

«MUOVITI!!» Lo rimproverò.

Piegato dalla sua voce tonante (forse anche lei ne stava sviluppando una come le Principesse), il draconequus la riportò subito a Canterlot.


La pegaso giallo-canarino finì di asciugarsi le lacrime che da minuti le stavano rigando gli occhi e si mise al collo il suo Elemento.

«Dobbiamo trovare le ragazze! Se siamo veloci forse facciamo ancora in tempo a salvare la città!» Disse Twilight, richiudendo la fibbia della bisaccia per mezzo del corno.

«Spero tanto che stiano bene… »

«Hanno Pinkie Pie con loro, sono praticamente intoccabili.»  

Mentre lo diceva, il suo pensiero ricadde invece sui suoi genitori, che abitavano non molto distante da lì.

Chissà se sapevano cosa stava succedendo in città?

Un brivido le corse lungo il garrese.

“E se il Kaiju avesse deciso di prenderli di mira?!

«Principessa, noi andiamo!» Avvisò voltandosi di scatto verso la sua Mentore.

«Cercate di fare attenzione là fuori, senza di voi gli Elementi sono inutili!»

Twilight annuì a denti stretti. Fluttershy solo dopo aver ingurgitato una voluminosa massa di saliva.

«Buona fortuna ragazze, il destino di Canterlot è nei vostri zoccoli.» Concluse Princess Luna con solennità.

Le due Custodi galopparono verso il corridoio che dava all’uscita del palazzo e senza spiccicar parola spiccando il volo non appena raggiunsero uno spiazzo di luce all’aperto.

Nella sala del trono il viso della Principessa del Sole era divenuto un alone di dolorosa cupezza, che avrebbe potuto avvilire anche il più gioioso dei puledri.

Ella guardò di nuovo attraverso la lastra di vetro trasparente, flettendo in avanti le orecchie per costringersi ad ascoltare ogni singolo rumore che proveniva da Canterlot.


 Era colpa sua se si stava verificando tutto ciò.

 Era tutta sua.

Colpa sua. Sua. Sua. Sua.


Era questa la litania che si ripeteva nella sua testa quando Luna le andò vicino, toccandole una spalla con il fresco metallo della sua calzatura. «Andrà tutto bene sorella, vedrai. Le ragazze sistemeranno tutto.»

Celestia uscì dalla sua trance solo per emettere un lieve singulto. «Non sarebbe mai dovuto succedere… avremmo dovuto prevederlo… IO avrei dovuto prevederlo… »

«Eh-ehm… » Discord si avvicinò cautamente a loro, preoccupato del dire qualcosa che potesse alterarle in un momento così teso. «Io che faccio? Me ne sto in panchina aspettando che tutto finisca?»

L’alicorno bianco rifletté a testa basta, sbuffando fuori aria trattenuta, che dentro di lei stava diventando tossica. «Preghiamo affinché il tuo intervento non si riveli necessario… »


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Sulle mura della città lo scenario dell’attacco era seguito con grande timore dagli occhi sbigottiti delle Guardie Cittadine e dai giovani cadetti dell’Aviazione dei pegasi e dei grifoni, che ancora non si sentivano pronti a confrontarsi con un’avversità di tale portata.

Gilda percorreva in avanti e in dietro la via del cammino di guardia in attesa di ricevere i suoi ordini.

Sebbene le urla della popolazione terrorizzata arrivassero fin lì e a ogni secondo che passava un altro edificio di Canterlot (con dentro quasi sicuramente qualche pony in pericolo) veniva raso al suolo, era consapevole che un’azione disorganizzata avrebbe portato con sé solo ad un aumento della conta dei morti e a un rapido sfoltimento di una delle già ridotte forze difensive della città, ciononostante l’attesa la stava logorando.

La parte peggiore non era però la consapevolezza delle vite che stavano spirando in quegli attimi, ma la necessità di tenere a bada le teste calde dei pivellini che bramavano di tuffarsi nella mischia neanche vi fosse stato un premio alla fine del giro, oppure al contrario, dei deboli spauriti che non provavano altro desiderio che battere in ritirata il prima possibile.

«Non è il momento di farsi cogliere dalle emozioni!» Diceva a ognuno di loro senza fare distinzioni tra pavidi e coraggiosi. «Perdere il controllo significa perdere la Capitale, e con essa ogni speranza di predominare sui Kaiju!»

Per fortuna aveva dalla sua qualcuno dalla zampa forte: si chiama Feather Scratch, anche se un tempo aveva il permesso di rivolgersi a lui solo come Sergente Maggiore Scratch, del Sesto Reggimento degli Aviatori.

Ai tempi dell’Accademia era il Mentore sotto il cui severo regime Gilda aveva imparato tutto quello che ora sapeva del mestiere.

Forte e possente, con un fisico anziano temprato da anni di lotte e una pelliccia scura come l’antracite, era il genere di Istruttore che a un esame superficiale spiccava per il suo sorprendente autocontrollo, capace di mantenere il piumaggio azzimato anche nelle situazioni più concitate.

Gli piaceva vestire elegante, e questo tratto era ben deducibile dai motivi barocchi che decoravano la sua armatura blu cobalto, floridi di curve smussate in costante contrasto con gli appuntiti motivi tribali della consuetudine grifona.

In verità quello che si osservava nella superficie era solo una mera illusione della sua personalità, catenacci che Feather Scratch si auto-imponeva per destinare le sue energie al combattimento.

Quando lottava, infatti, la sua calma quasi solenne voltava il fianco a una grinta draconica, che trovava la sua massima espressione nell’atto di sguainare gli artigli. A quel punto il mite veterano d’età avanzata si trasformava in un animale assetato di sangue.

Successe così durante i primi giorni all’accademia: Gilda arrivò con la convinzione di trovarvi pestaggi facili con cui sfogare la sua rabbia mai abbastanza espressa, per poi uscirne come un’eroina tra i suoi simili allo scadere del periodo di Leva.

Finì invece per conoscere il Sergente Maggiore Scratch (anche se sarebbe più consono dire che le fu imposto), la cui ideologia del rispetto e della buona condotta contrastava con la spavalderia della ragazza.

Si sfidarono ufficialmente in un duello corpo a corpo dopo una settimana di duro astio e vane punizioni.

L’aggressività di Gilda parlò per lei e la convinse della sua assoluta superiorità sul “Vecchio”, ma quando dopo tre round (dalla durata complessiva non superiore ai centoventi secondi), tra lividi su tutto il corpo, piume arruffate e almeno un paio di costole incrinate, la giovane incauta si ritrovò con uno squarcio sulla guancia destra, infertole alla fine dello scontro dal Sergente Maggiore come penitenza definitiva per la sua sfrontatezza, imparò la lezione che sarebbe stata alla base dei suoi principi per il resto degli anni a venire: «L’obbedienza» le spiegò mentre la teneva a terra ferma con una zampa «è il fondamento di ogni società civile. I pony obbediscono alle regole dell’Armonia per garantire alle nostre terre di vivere e prosperare, mentre noi, come grifoni, abbiamo il dovere di obbedire alle regole che i nostri superiori ci impongono, poiché essi hanno affrontato battaglie che noi non possiamo ancora immaginare, e sono sopravvissuti al solo scopo di insegnare a noi come fare altrettanto. Dimenticare – o peggio rifiutarsi – di onorare il loro comandamento porterà quasi sempre alla vostra inesorabile rovina.»

Gilda lo guardò fisso nei suoi occhi d’argento e annuì, e quel taglio fu per lei la prova più indelebile della fine della sua antefatta Persona.

Una volta guarita, la cicatrice che avrebbe esibito sarebbe stata per lei il monito della sua stoltezza, un’effige fatta di un’infanzia scanzonata che non aveva più posto negli anni che si sarebbero avvicendati.

Gilda ne uscì diversa quel giorno, ne uscì umiliata (e nulla rode peggio al fegato di un grifone che una macchia di sporco sul proprio onore), ma anche rinata.

Da quel momento obbedì ai comandamenti del suo Sergente Maggiore come nessun altro nella sua camerata avesse mai accettato di fare, distinguendosi per la sua forza e per la rabbia che finalmente aveva imparato a incamerare nella giusta direzione.

Nel giro di una manciata di anni era già salita di grado a sufficienza da sedere affianco alle cariche più alte nella mensa dell’accademia.

In seguito, divenuta Sergente Istruttrice a sua volta (la più giovane nella storia dell’Aviazione dei grifoni), i rapporti tra lei e Feather Scratch si evolsero ancora di più prendendo una piega completamente inedita: non più costretta a stare sull’attenti dinanzi alla sua presenza, finirono per diventare amici.

Qualcuno dalla lingua particolarmente scivolosa parlava a sproposito del fatto che tra i due fosse nata una storia, assumendo addirittura a questo il merito della rapida promozione della grifona.

Chiunque avesse mai osato tanto, finì per incontrare i suoi pugni sul centro preciso del becco, e nulla importava quanto poteva essere solido, i cazzotti di Gilda facevano SEMPRE un male del Tartaro!

Tuttavia, in rare occasioni non era impossibile che fantasie di questo tipo attraversassero anche i suoi pensieri, ma finivano ogni volta a doversi confrontare con i rapaci del suo raziocinio, che planavano in picchiata per convincerla che il divario di età era troppo manifesto per prenderle davvero in considerazione.

Così finirono per rimanere ciò che l’Aviazione aveva prestabilito per loro: colleghi di lavoro alle prese con giovani mai abbastanza domati, che nel privato si facevano compagnia a vicenda così come avrebbero fatto un’allieva con il suo Maestro.

Ora i ricordi le scorrevano come foglie sospinte dalla brezza, alimentati dal lento sfregare del suo artiglio nell’insenatura della cicatrice.

Il Capitano Spitfire arrivò poco dopo, atterrando malamente in uno dei campi d’allenamento per le reclute.

Gilda non se ne accorse nemmeno.

«Rapporto immediato, avvicinatevi tutti!» Ordinò, mentre si risistemava la divisa smossa dal vento sollevando gli occhiali di protezione all’altezza della fronte.

I presenti si compattarono intorno alla pegaso, lasciando spazio ai leader delle varie fazioni di avvicinarsi al centro.

Gilda si accorse finalmente dell’assembramento che si stava venendo a creare, e si unì con una planata a Feather Scratch.

«Ci sono delle novità, e non sarà facile metterle in atto, perciò mi aspetto che tutti facciano la loro parte per il bene di Canterlot. Andiamo con ordine e facciamolo in fretta. Punto Primo: il nuovo punto di raccolta non è più in città – che come sappiamo è attualmente sotto attacco – bensì a castello. Ciò vuol dire che il compito degli Wonderbolts non sarà più dare supporto ai grifoni, ma fornire assistenza sul campo ai civili. Alcuni dei miei pegasi stanno già prestando soccorso ai feriti e temo che presto avranno bisogno di un grosso zoccolo, e questo è il punto Secondo. Il punto Terzo, invece, è che di conseguenza la Muraglia dell’Armonia non sarà più istituita qui sul confine, bensì a Palazzo… »

Un coro di mormorii sdegnati si levò dalla cinta di ascoltatori.

«Questo vuol dire che dovremo trasferire tutte le truppe stazionarie passando in mezzo al campo di battaglia! E quelli che non volano?! Cosa diavolo vi aspettate da noi?!?» Chiese un unicorno dal manto castano, che sulla sua armatura aveva le effigi dei Capitani delle Guardie.

«Gli ordini sono ordini! Non farmi perdere tempo con cose che già so! Ognuno qui ha la sua dannatissima gatta da pelare e nessuno è veramente preparato alla situazione che stiamo affrontando!»

Il Capitano delle Guardie fu zittito, ma ciò non gli impedì di borbottare qualche lamentela condita di moccoli tra sé e sé.

«Dovresti essere onorato di indossare quelle medaglie.» Lo accentò la rigida pegaso. «Se il Principe Shining Armor fosse ancora tra le fila di Canterlot avrebbe mosso suggerimenti ben migliori dei tuoi. Qualche suggerimento tattico per la causa forse, di sicuro non chiacchiere acerbe da checca isterica!» Si voltò verso gli altri con fare di sfida. «Ci sono altre domande idiote o iniziamo a darci dentro?»

Gilda mosse una zampa in avanti. «Dove sono finite le Custodi degli Elementi? A questo punto avrebbero già dovuto essere in azione.»

«Hanno avuto dei contrattempi di non so che genere, ma mi è stato riferito che la Principessa Twilight si è appena messa in moto.»

Gilda annuì.

Dunque Rainbow Dash e le sue compagne stavano per entrare in azione, questo significava che la giornata poteva ancora concludersi per il meglio.

«Bene allora. Muoviamoci! Gli ordini li conosciamo!» Disse rivolgendosi ai suoi sottoposti, ma senza lesinare un po’ di messinscena per gli occhi del Sergente Scratch.

Alcuni Wonderbolts spiccarono subito il volo condotti da Spitfire, mentre altri si aggiunsero alla flotta solo dopo essersi equipaggiati con bardature piene di kit di pronto soccorso.

Le truppe di unicorni della Muraglia scesero in strada e cominciarono a correre a perdita di fiato tra le strade diroccate di Canterlot, mentre sulle loro teste la furia del Kaiju ciclope irrompeva su qualunque ostacolo si frapponesse sulla sua strada.

Gilda e Scratch andarono verso le casse dei rifornimenti, e si equipaggiarono con rapidità delle loro attrezzature lancia-dardi.

«Pronta a entrare in azione?» Le chiese il grifone maschio con una scintilla di euforia negli occhi leggermente strabuzzati.

«E tu Vecchio, riuscirai a starmi dietro?» Stuzzicò lei, mentre finiva di caricare la propria fondina di ferro fissandosela poi sul dorso e al resto dell’attrezzatura.

«Cercherò di volare a marcia ridotta. Ne soffrirei se dovessi uscirne umiliata!»

«Mettiti l’animo in pace, non hai più l’età per queste cose!»

Terminarono di prepararsi e adunarono intorno a sé i rispettivi gruppi di cadetti, una ventina circa tra femmine agguerrite e maschi bellicosi.

«Avanti pulcini, è il momento di guadagnarsi il becchime! Voglio tutto il primo squadrone con me, gli altri seguano Il Sergente Maggiore Scratch! Azioni rapide e precise! Nessuno faccia l’eroe, o vi impalerò di persona con le vostre stesse attrezzature!»

Prima di partire si accorse dell’imbragatura allentata di una delle sue giovani reclute.

«Fermò lì!» Lo arrestò, riempiendolo d’insulti mentre si offriva di risistemargliela.

Finì di agganciargli le fibbie e stringergli le cinture, elargendogli in pegno uno scappellotto dietro la nuca, seguito da un poderoso calcione sul sedere.

“Come un uccello che spinge la sua prole giù dal ramo per insegnargli a volare.” Pensò divertita, mentre si univa in volo con il resto delle squadre.


In città i civili continuavano a darsi alla fuga senza sapere che cosa fare.

Gli Wonderbolts si prodigavano di soccorrere quanti più feriti potevano, dando priorità ai puledrini di terra e alle loro madri, seguiti dalle famiglie di unicorni, sollevandoli in aria e conducendoli al castello o, quando non era possibile, lontano dalle zone colpite.

Ovunque nelle strade si cercava di diffondere la voce del nuovo punto di racconta, gridandolo a squarciagola o con qualunque mezzo avessero a disposizione, ma in cuor loro si sapeva che non tutti avrebbero appreso la notizia. Qualcuno avrebbe seguito la ragione e avrebbe confluito nella direzione intrapresa dagli altri, ma per quanto riguardava i dispersi nascosti tra le macerie, che non potevano muoversi o ascoltare gli appelli che venivano diramati , la loro sorte era affidata negli zoccoli della provvidenza.

Il Kaiju si accanì contro una delle torri più alte di Canterlot, un grande ed elegante complesso residenziale con un motivo a spirale giallo e bianco sulla guglia che culminava con un pinnacolo a forma di stella a otto punte.

Venne strappato a metà dal ciclope e fatto scaraventare a terra, spazzando con sé un intero isolato.

Le due squadre di grifoni avevano appena raggiunto i paraggi del quartiere quando tutto successe, e videro con i loro stessi occhi le famiglie del circondario finir schiacchiate dall’edificio in caduta.

Una goccia di sudore slittò tra le livree di Gilda seguendo il binario della cicatrice che le rigava il volto, e per poco non evaporò a causa del bollore che le pervase il corpo.

L’odio s’impadronì di lei per un attimo, prima di riacquistare il controllo.

Mosse il collo alla ricerca del suo amico e Maestro, che le rivolse un cenno d’inconfondibile intesa.

«Bene, pivelli. Caricate le vostre armi e preparatevi a colpire, attaccheremo per primi! Voglio una SkyArrow perfetta e sincronizzata! Squadra due: andategli intorno e cercate di conquistarvi la sua attenzione!»

Sì udì un «Ricevuto!», levatosi dal coro di grifoni in uniforme.

«Raccomando a tutti la massima attenzione: non conosciamo gli schemi comportamentali del nemico. Mantenete l’occhio vigile e state pronti a reagire a ogni eventuale contrattacco!» Aggiunse in seguito Scratch.

I cadetti annuirono e tutti i membri del suo squadrone scattarono in avanti puntando all’attenzione del mostro.

Feather Scratch guidò la manovra, sbraitando a ciascuno dei sottoposti la direzione da intraprendere per circondare il Kaiju in una sorta di vortice contenitivo, come un nugolo di moscerini tra i giunchi di una palude.

Il ciclope si accorse subito dei nuovi arrivi e tentò di scacciarli con movimenti lenti e pesanti: una scrollata di spalle, un braccio sollevato che poteva tranquillamente essere scansato con una piroetta acrobatica. Nulla che una squadra di grifoni addestrati non potesse sostenere.

Il Kaiju però non si fermava. Completò un altro passo, impassibile ai loro tentativi di distrazione, poi ne fece un altro, un altro e un altro ancora.

La sua marcia non si arrestava, e con essa il bilancio delle ferite sulla città.

Feather Scratch, in un tentativo avventato, volò davanti alla faccia ovale del ciclope, puntandogli all’occhio nello stesso modo in cui farebbe una zanzara particolarmente curiosa.

La manovra produsse finalmente una reazione e il mostro alitò una ventata di marciume sul naso del Sergente Maggiore.

Scratch si sentì la gola pizzicare e gli occhi inondarsi di lacrime, e quasi non vide la manata dall’alto che stava indirizzandosi contro di lui.

La eluse per un soffio, rendendosi conto che con un solo istante di esitazione in più sarebbe finito all’altromondo.

Poco più in là, alla testa del secondo squadrone, Gilda cominciò a guidare i suoi cadetti sul fronte del mostro.

La “punta di freccia”, composta da una formazione di dieci aviatori, leader compresa, volò sul fianco sinistro del Kaiju mantenendosi a una debita distanza di sicurezza.

Si allontanarono di circa duecento metri, quanto bastava per accumulare un sufficiente quantitativo di tempo per preparare l’ingaggio.

A quel punto, Gilda fece virare lo SkyArrow in modo che lo squadrone si ponesse dinanzi al prospetto del titano, in linea d’aria con il bersaglio.

Scratch dette ordine ai suoi di ritirarsi, liberando così il loro campo visivo.

Gilda impugnò saldamente tra le dita la leva di pressione della lancia-dardi, caricando il colpo che avrebbe presto indirizzato al petto dell’avversario.

«Preparatevi, fuoco al mio tre!» Urlò, concentrata ora come non mai nel compimento della manovra.

Il plotone mise a sua volta in carica l’attrezzatura di ciascuno e si preparò al segnale della leader.

«Uno… » pronunciò Gilda, e lì calcolò a mente quanto doveva attendere prima di procedere con il…

«… due… », quindi fece confluire l’energia sulla punta delle dita, mentre si apprestava a chiudere con…

«… TRE… »

Avevano raggiunto la distanza ideale per scatenare l’attacco.

Potevano sfruttare la spinta cinetica della loro velocità, sommata alla potenza delle lancia-dardi, in più, avevano sufficiente spazio per retrocedere in vista della successiva manovra. Era giunto il momento di fare…

«…FUOCO, ORA!!»

La molla di rilascio interno proiettò il giavellotto lungo il teniere del dispositivo innestato.

Subito dopo, Gilda virò verso il basso, dando così spazio agli altri membri della formazione di completare l’azione.

Una ad una, le quattro file della SkyArrow spararono i propri dardi con uno stacco di un secondo l’una rispetto all’altra, tuffandosi poi in picchiata per riassemblarsi col plotone di Gilda, in attesa di constatare gli effetti della manovra.

I dardi si conficcarono nello sterno del Kaiju, nel punto dove l’armatura protettiva di pelle sembrava più spessa, componendo una sorta di ponte sui suoi muscoli pettorali.

Il ciclope incassò i colpi emettendo un lamento sommesso.

Si fermò sul posto e curvò la testa per analizzare la zona colpita. Piccole gocce di liquido nero come il catrame tracimarono dai contorni delle ferite, ungendo anche parte del legno delle aste.

Ne strappò alcune con le dita e indirizzò il suo unico sguardo sui grifoni che gli roteavano intorno.

Li fissò per alcuni secondi, digrignando i denti che sfregarono tra loro in un acuto cigolio, prima di rispedirle agli arcieri che le avevano scoccate.

Gilda e Scratch, e con essi le giovani reclute, dovettero schivare le loro stesse munizioni, che attraversarono la volta del cielo ad altissima velocità (più di quanto potessero mai raggiungere con le loro attrezzature), sparendo nell’orizzonte azzurro.

«Wo-ho!» Esclamò Scratch, dopo essersi riassestato in volo. «Forse lo abbiamo fatto innervosire, ragazza!»

La Sergente Grizelda guardò il Kaiju spuntarsi i dardi rimanenti e posare di fronte a loro, con le braccia allargate lungo i fianchi e i muscoli dei bicipiti tesi sotto lo strato cutaneo.

«Facciamolo incazzare allora! Ruotiamogli intorno e cerchiamo di colpire ogni punto di carne scoperta che riusciamo a trovare!»

«Suggerisco di concentrare il fuoco sul collo e sull’occhio allora! Poco fa ho avuto l’impressione che siano gli unici punti che è davvero interessato a difendere!»

«Faremo così allora! Occhio a dove sparate e cercate di mantenere le distanze dai suoi attacchi, ma soprattutto non azzardatevi a sparare a me o al Sergente Scratch!»

Volarono così al secondo round contro il ciclope, che tentò di sbarazzarsi subito di loro con una frustata del braccio.

I grifoni lo evitarono disperdendosi nell’aria, facendo sì che l’arto finisse la sua corsa contro un edificio inerme.

Scratch, alla guida di un piccolo contingente sfruttò l’attimo per coordinare una rapida manovra al bulbo oculare del mostro, ma i dardi che vennero scoccati finirono invece per infossarsi sullo spesso cranio ovale del mostro.

Il Kaiju tentò invano di respingerli con una gomitata e si ritrovò con un giavellotto conficcato tra un molare e l’incisivo inferiore della bocca.

Gilda imprecò maledicendosi per la sua imprecisione, mentre metteva in carica il prossimo colpo da lanciare. Non sopportava l’idea che un mostro tanto imponente fosse così difficile colpire, e per poco non fece la fine che toccò a un’altra coppia di grifoni, i quali non furono svelti quanto lei ad evitare il successivo schiaffo del gigante.

I due furono scaraventati via dal palmo del mostro, roteando fino al suolo dove li attese una morte per fratture multiple al cranio e alla colonna vertebrale.

Gli aviatori si allontanarono di un poco e si disposero tutt’intorno, cominciando a tempestare il Kaiju di una pioggia di dardi: tale manovra era detta SkyStorm.

Le frecce che giungevano al nemico s’impalavano sul suo corpo facendogli emettere ogni tanto non più di qualche brontolio pacato, in contrapposto al sangue che zampillava da ogni apertura, ma non dava permesso a nessuno di avvicinarsi al suo occhio.

Se avvertiva il presentimento che gli squadroni stavano tentando delle azioni su quel determinato bersaglio, trovava sempre il modo per difendersi o impedire ai dardi di andare a segno, e così: o si voltava dall’altra parte, o si rannicchiava a terra, o trovava riparo celandosi dietro una torre.

A un certo punto, forse messo alle strette dalle manovre degli squadroni, oppure resosi conto di essere troppo lento rispetto ai voli imprevedibili dei grifoni, decise di punto in bianco di battere in ritirata, rifiutando di proseguire lo scontro.

Tornò a occuparsi di ciò che aveva interrotto all’inizio: distruggere Canterlot. E per quanto riguardava le punte che gli venivano infilate sul dorso durante il minuto seguente, vi reagì alla maniera della più assoluta indifferenza: come se la sua pelle in quei punti fosse stata resa insensibile da vari strati di cute supplementare.

Un temerario cadetto tentò di sorprendere il Kaiju volandogli sopra la testa, per poi tentare un attacco a bruciapelo parandosi di fronte alla sua strada. Prima però che la sua zampa raggiungesse la leva di rilascio della lancia-dardi, il ciclope lo schiaccio tra le sue mani alla stessa maniera di una mosca ronzante.

Gilda osservò la chiazza di rosso e le intelaiature di ferro scorrere sui palmi della creatura, e si sentì nuovamente divampare.

Avevano appena perso tre validi membri dei loro squadroni (che ora si andavamo a sommare alle altre vittime della giornata), mentre le ferite del mostro sarebbero guarite senza lasciare di sé neanche una cicatrice. Al più, gli sarebbero germogliati dei brufoli infetti, pronti a esplodere alla minima sollecitazione, ma niente di peggio. In compenso non c’era ancora traccia delle Custodi degli Elementi, che se non si fossero sbrigate avrebbero dovuto irradiare la loro magia da sopra le carcasse della città.

Per giunta, ora il Kaiju se ne stava andando nella più assoluta indeferenza, come se non gli importasse più niente dei suoi avversari, se non considerarli alla stregua insetti da ignorare.

Questo momento non fu soltanto una sconfitta per Gilda Grizelda, ma un’umiliazione inamissibile, che era andata a scuotere lo spirito stesso del grifone lambendo le sue tempra di guerriero dei cieli.

Avvertì un tintinnio metallico sulla spallina della sua corazza e scorse la zampa di Feather Scratch che le porgeva un dardo per la sua balestra.

Di principio non capì, ma si rese subito conto che sia la fondina, che il teniere della balestra erano vuoti.

Accettò il suo dono inserendo subito il colpo in canna e lesse negli occhi del suo Maestro lo stesso sentore di disagio che stava covando lei nel nido del suo orgoglio.

Allora la loro amicizia parlò per entrambi e stabilirono che non era così che si sarebbe conclusa.

Prima della sua dipartita il Kaiju avrebbe capito che i grifoni non erano tipi cui si potevano volgere le spalle.

Si ricompattarono in un unico grande assembramento e scavalcarono il nemico volando nella sua stessa direzione. Quindi si voltarono, e di nuovo si coordinarono per ripetere la SkyArrow. Ma sta volta non avrebbero atteso che uno squadrone completasse la manovra mentre gli altri se ne sarebbero rimasti in disparte a guardare: no, stavolta avrebbero agito insieme!

E così, ecco due punte di freccia prendere forma per dirigere la propria mira sul capo e suo ventre del mostro, con Gilda che guidava i suoi dal basso, nella malaugurata speranza che lo stomaco della creatura fosse più suscettibile ai colpi del dorso, e Scratch intenzionato a chiudere i conti col piccolo occhietto giallo che ogni volta lo fissava con accento di sfida, come a volerlo sfottere del suo ennesimo fallimentare tentativo.

Il Kaiju li vide e si fermò, esattamente come prima, e sembrava pronto a ricominciare da capo la battaglia, come uno stupido bestione che dal piccolo del suo intelletto si era dimenticato degli avvenimenti di qualche minuto precedente.

Tanto di cresta per i grifoni, se era davvero così.

Ogni secondo conquistato era una vita in più che veniva restituita alla luce del sole, una famiglia che trovava il proprio rifugio nella sicurezza del castello, un ferito che veniva medicato e sottratto al gelido abbraccio della morte.

Piccole monetine raccolte da un cucciolo, che accumulate nel tempo gli avrebbero donato un giocattolo.

Con i dardi in carica, le cui punte acuminate abbagliavano nei raggi del sole pomeridiano, i leader delle due formazioni stavano per cominciare il conto alla rovescia per dare al Kaiju un altro assaggio della vera grinta dell’Aviazione!

Pugni stretti sulle leve e occhi fissi sul proprio obbiettivo!

Ma il mostro... beh, il mostro aveva un’altra sorpresa in serbo per loro.

Gilda e Scratch si accorsero troppo tardi del ventre che cominciava a gonfiarsi, riempito con l’aria del loro mondo, che ora si sarebbe tramutata in una minaccia letale.

Quando il Sergente Maggiore cominciò a diramare l’ordine di ritirarsi, il ciclope aveva già ampliato la circonferenza del suo stomaco, e ora sembrava pronto a detonare in un’esplosione che avrebbe portato con sé tutta la montagna.

Il Kaiju chiuse la bocca solo per un momento, contraendo i muscoli della gola, e centrò la mira su quegli ipocriti moscerini che ora se la stavano defilando terrorizzati da ciò che stava per avvenire.

Aprì le fauci liberando un urlo che aveva la forza di tutta la magia di Equestria, investendo i grifoni che anche da quella distanza dovettero litigare con il bisogno di restare in quota e al contempo tapparsi le orecchie per non perdere definitivamente l’udito.

Gilda sentì un acuto fischio riempirle la calotta cranica, destabilizzando anche i suoi sensi dell’equilibrio e della vista.

Spalancò gli occhi e dalla sua prospettiva sfocata riuscì solo a scorgere una mastodontica massa di muscoli grigi correrle contro a una velocità inattesa.

Il Kaiju, rivelatosi ora possessore di un’agilità sorprendente, sferzò una singola manata sul primo gruppo di aviatori che trovò sotto tiro. Ma non fu, come in precedenza, il lento oscillare di una palla demolitrice contro le difese di un grattacielo pronto a resisterle, bensì una frustata inferta con un potere capace di annullare le stesse leggi della gravità sottostante!

Gilda, che si trovava nel mezzo della traiettoria, fu abbastanza rapida da curvare trasversalmente verso l’alto per evitare di striscio il palmo di mano, che si rovesciò, invece, su Feather Scratch e almeno altri cinque tra reclute maschi e femmine.

Il Sergente Maggiore era ancora troppo intontito quando la palla da cannone si abbatté su di lui, troppo rallentato da una vecchiaia incipiente che avanzava inesorabile malgrado il suo fisico mai fuori forma.

Lui, e con sé l’intero gruppo di aviatori con i quali stava per condividere quel triste destino, vennero schiacciati contro le pareti d’avorio dell’elegante palazzo, che in passato doveva aver ospitato molti cenoni d’alta classe. Il palmo della gigantesca mano attraversò i muri e finì per affondare all’interno delle costruzione, sollevando fumi di macerie tra gli sguardi imbambolati del resto dei superstiti.

Fu un intervallo breve, però.

Il ciclope stappò la mano dal buco nella parete, per tornare a caricare di pugni ogni sprovveduto che ancora osava volteggiargli intorno.

Spazzò via altri cadetti con l’avambraccio dell’arto sinistro (Gilda non seppe dire se fossero tre o quattro) e diede ancora una volta prova di un’agilità fuori dall’ordinario quando altri due tentarono di cercare rifugio nell’immensità del firmamento celeste.

Saltò in alto di almeno dieci metri, dandosi spinta con i piedi che scavarono altri crateri lungo le strade, chiudendo le sue fauci sui due sciagurati, che vennero deglutiti prima che il Kaiju tornasse al suolo.

Qualcun altro fu colpito da una spallata piombatagli contro involontariamente, troppo preso dal panico per rendersi conto che gli sarebbe bastata una semplice curvata per salvarsi la vita.

Al termine di quel mezzo minuto di follia pura, fu impossibile per la Sergente stabilire quanti erano scampati alla furia devastante della bestia, e quante invece erano le vittime.

Era frastornata dall’urlo e incredula a ciò che aveva appena visto, ma soprattutto, non voleva accettare che Feather Scratch fosse morto.

Quel vecchio grifone era un osso troppo duro da masticare, anche nonostante gli acciacchi dell’età.

Quattro cadetti le passarono davanti volando in formazione scoordinata e lei si fermò a osservarli mentre se la battevano in fuga, senza degnarla neanche di uno sguardo.

«Dove credete di andare voi?!?» Berciò lei con i pugni tesi. «TORNATE SUBITO QUI, VIGLIACCHI!!»

Ma i grifoni non tornarono mai più, e Gilda rimase da sola a fare i conti con il Kaiju.

Il ciclope si accorse di lei, e dal grugnito che emise, capì subito che aveva tutte le intenzioni di eliminarla.

Gilda si allontanò dal colpo che le fu diretto e iniziò a danzargli intorno con l’unico scopo di confondergli le idee. Voleva che il Kaiju la perdesse di vista, in modo da darle il tempo di accertarsi dello stato di Scratch.

La fortuna cominciò a girare dalla sua quando il titano si girò dall’altra parte, per scrutare ciò che vi aveva davanti.

Forse lo aveva eluso? Oppure aveva semplicemente desistito dal darle la caccia?

Fatto sta che Gilda decise di approfittarne.

Entrò nella caverna che era stata scavata dal pugno titanico, un enorme foro sul palazzo dall’ampiezza impressionante.

La maggior parte delle macerie erano accumulate all’interno, nei contorni di quello che fu il palmo del Kaiju.

Fu in mezzo a quello sfacelo, tra eleganti arredamenti ora distrutti e carcasse di metallo e legno contorti che la soldatessa trovò i loro corpi.

Alcuni erano irriconoscibili, compressi nelle loro uniformi e fusi con le lamiere delle loro attrezzature.

Altri erano stati impalati dai loro stessi dardi, in una macabra immagine che non si sarebbe più levata dalla sua testa per il resto dell’esistenza.

Ossa esplose, insieme al loro sangue, bagnavano di rosso la sala, emanando un misto di odori rivoltanti.

Gilda si avvicinò, senza far caso al sangue che pestava.

Studiò le facce di ognuno (quelle che ancora erano riconoscibili) in cerca del Sergente Scratch.

Si abituò in fretta alla vista dello scenario e a tutti quei corpi assassinati nelle rovine, ma la sensazione strana che avvertiva – quella specie di timore del peggio, mischiata alla frustrazione del non potersi dare una risposta immediata – le opprimeva il petto togliendole pezzo dopo pezzo la voglia di continuare la sua strenua ricerca.

Un blocco di parete cadde alle sue spalle facendola trasalire.

Fuori i passi del Kaiju erano ancora vicini e incombenti.

La grifona tornò a scandagliare le macerie quando si accorse di un pezzo d’armatura blu esposto da sotto un cumulo di travi divelte, che le fece risalire il cuore alla base della gola.

Scostò con la forza dell’emozione gli ostacoli che si frapponevano e finalmente riconobbe le iridi d’argento che la penetrarono nello spirito, con deboli movimenti involontari dei muscoli oculari.

Scratch era vivo, contro ogni previsione ma fedele alle speranze della sua ex-cadetta.

Per la prima volta Gilda desiderò con tutta se stessa di poterlo abbracciare, e lo avrebbe quasi sicuramente fatto, se solo non fossero stati ancora in servizio.

«Ehi Vecchio… » lo salutò, sentendosi inumidire gli occhi dalla gioia.

«Q…qual è… s-stato missione?» Domandò lui con voce roca, che a malapena sembrò fuoriuscire dal becco.

Gilda si domandò se fosse consapevole di quanto tempo era trascorso.

«Non pensarci ora. Ce la fai a muoverti?»

«N-non… zamp-pe… più… »

«Cosa?»

«Non s-sento più le… zampe… più niente.» Tentò di completare con una boccata di respiro, ma s’interruppe prima che i bronchi avessero tempo di gonfiarsi a sufficienza. Ne scaturì un’eruzione di tosse strozzata, finita la quale il grifone tentò di compensare con brevi e più frequenti sospiri annaspati.

Gilda trovò la forza di muovere lo sguardo dal suo viso al resto del corpo: l’armatura lo aveva protetto da parte della potenza del Kaiju, ma la compressione del metallo stava premendo sul torace interferendo con le sue funzioni biologiche; parte della pettorina era piegata in dentro e gli aveva perforato lo sterno producendo chissà quali danni alla cassa toracica e ai polmoni. Gilda non seppe dirselo, ma il sangue che vi guizzava fuori parlava per lui.

Più in basso, la zampa destra era ridotta in frantumi, spappolata da chissà quale forza, e la sinistra non se la passava meglio.

Le sue ali poi, dovunque fossero – se ricoperte dai detriti o completamente estirpate dalla base dello scheletro – di sicuro non erano più in grado di sostenerlo in volo.

Scratch aveva cercato di comunicarle che era insensibile dal collo in giù, e se questo era vero, significava che anche la sua schiena era ridotta in pezzi.

Questa era la notizia peggiore che potesse ricevere, persino peggiore della sua morte annunciata, perché stava significando che senza i dovuti accorgimenti non poteva spostarlo per nessuna ragione al mondo.

Erano condannati a rimanere lì, inutili e impotenti, mentre il Kaiju riprendeva la sua opera di distruzione.

Non doveva andare così.

C’era qualcosa di sbagliato nelle manovre che aveva eseguito e negli esiti che il loro scontro aveva portato. Non avrebbero mai dovuto combattere all’interno della città.

«…a-ttene… » Scratch emise un verso che suonava più un gemito di dolore.

«Come dici?» Gilda portò il suo orecchio vicino al becco del Maestro, sperando così di risparmiargli la sofferenza di alzare la voce.

«Vattene… su-ito!» Sentì sussurrargli.

Lei scosse la testa con energia.  «Scordatelo! Non ti lasciò morire qui!»

«…allo… i… ongiu-ro!»

Non sentì le sue suppliche, perché tutta la sua attenzione si spostò ai pesanti boati che captava al di fuori del palazzo: il Kaiju era tornato.

«Vat-ene… ora!»

La grifona vide la grande mano del Kaiju stagliarsi dall’apertura, e si domandò cosa avrebbe potuto fare se avesse deciso d’infilarla lì dentro.

Guardò fugace la balestra con il dardo in carica, e si mise in posa d’attacco con una zampa sollevata all’altezza della leva. Forse sarebbero morti entrambi in quel frangente di tempo, ma lo avrebbero fatto combattendo. Fino alla fine. Come veri grifoni!

Il Kaiju sembrò sul punto di chinarsi per scrutare con il proprio occhio l’interno dell’edificio, ma un’ombra gli passò accanto, riuscendo non si sa come ad attirare la sua attenzione.

Gilda fu incitata dalla curiosità a sporgersi per scoprirlo, ma la verità è che quell’avvenimento imprevisto aveva scatenato dentro di lei una paura anche maggiore della prospettiva della morte.

Era preparata alla dipartita, e per un momento s’illuse di avere il controllo sulla scelta di come andarsene, ma quello che stava avvenendo in quel momento era qualcosa d’ignoto, un mistero che avrebbe potuto significare sia la salvezza, che un fato ancora peggiore per entrambi, e lei non seppe come comportarsi.

Sentì il Kaiju allontanarsi.

Non di molto.

Se avesse voluto, presto in poche falcate sarebbe stato di nuovo su di loro.

Gilda vide invece fare breccia nell’apertura una faccia a lei familiare, che in precedenza si era confusa tra i volti degli squadroni facendo perdere la propria identità: Rogue Fulvus.

Il cadetto, dopo aver fatto allontanare il ciclope con il colpo del suo ultimo dardo, si era manifestato dinanzi alla sua leader facendole gesto di uscire.

«Signora, venga con me la prego! Dobbiamo ritirarci subito!»

«Negativo, il Sergente Maggiore è ancora vivo, non possiamo abbandonarlo qui!»

«Signora, la scongiuro! Non abbiamo più munizioni, sono morti quasi tutti! E il Kaiju tornerà da un momento all’altro!»

Feather Scratch sollevò il collo fin dove le forze glielo consentivano, imprimendole l’ordine che mai nella vita si sarebbe permessa di rifiutare. «Vai… c-on lui! Obbedisci

La sua voce sibilante le provocò un brivido attraverso il piumaggio, ma fece anche di più. Quella parola, quel “obbedisci”, che riuscì a formulare con assoluta chiarezza, malgrado la vita lo stesse rapidamente lasciando, scatenò in lei una piena di ricordi. La scaraventò in un viaggio nel tempo, in balia delle correnti del passato, ricordandole il giorno della sfida. E non solo.

Gilda ripercorse la sua lezione e l’impegno con il quale aveva dimostrato di averne fatto una parte di sé. Ricordò gli onori della promozione e la soddisfazione che scrutava ogni volta nei suoi occhi d’argento.

Ricordava le bevute serali, e quando erano rimasti i soli in stato cosciente a fare commenti sprezzanti sui loro colleghi che giacevano intorno a loro svenuti per il troppo alcol.

Ricordi su ricordi, incanalati in una sola parola.

Scratch le aveva salvato la vita quel giorno, impartendole un insegnamento che le permise finalmente di trovare il proprio posto a Equestria, e ora lo stava rifacendo, conscio che quella parola non avrebbe significato per lei solo un imperativo marziale, ma anche qualcos’altro. Voleva che lei si salvasse, e sapeva che così l’avrebbe salvata.

“Obbedisci, soldato! E’ un ordine!”

Gilda si fermò su di lui, con gli occhi di una bambina che non voleva abbandonare un amico a lei caro.

Non voleva che morisse da solo, tra cadaveri devastati all’interno di una struttura pericolante, che sarebbe implosa da un momento all’altro.

«No… io non posso Scratch… non posso lasciarti. Come li prendo a calci nel culo tutti quegli idioti pivelli, se non ci sarai tu ad aiutarmi?»

Lo guardò sorriderle per la prima volta da quando lo aveva ritrovato, e malgrado non avesse più la locomozione negli arti del corpo, per un momento le sembrò quasi che la sua zampa artigliata le sfiorasse teneramente la guancia.

Fu un momento strano, ma anche bello, un momento che avrebbe desiderato non finisse mai.

«Ce la… a-rai» Biascicò lui, lieto che fosse lei l’araldo delle sue ultime parole.

Gilda avrebbe desiderato fare di più, trovare il coraggio di baciarlo magari, concedergli il primo momento di smielato romanticismo del loro bizzarro rapporto, e al diavolo il lavoro.

Ma non fece in tempo.

Il Kaiju era tornato per riscuotere il suo debito, e ora sapeva esattamente dove doveva colpire.

Gilda seguì il giovane cadetto Fulvus nell’ultimo salto che li avrebbe portati lontano da quell’incubo.

“Dannazione!” si rimproverò da sé: “non ho neanche fatto in tempo a dirgli addio!”

Tenne chiusi gli occhi per tutto il tempo.

Lasciò che fosse la sua immaginazione a completare per lei l’immagine di ciò che dietro di lei stava accadendo.

S’immaginò la mano del Kaiju che si abbatteva dall’alto sul palazzo, facendo di esso il sepolcro di Feather Scratch.

Immaginò (sperò) che la sua morte sopraggiungesse rapida, magari con un sorriso candido contornato sul becco.

Si augurò che i suoi ultimi pensieri fossero indirizzati a lei, mentre navigava tra i ricordi più lieti del loro passato.

Voleva credere con tutta se stessa che stesse andando così…

«D-dobbiamo trovare un’altra soluzione, Signora!»

… voleva illudersi che fosse spirato senza soffrire…

«Signora… m-mi sente?»

… in cuor suo, sperava che fosse morto prima che il giudizio del ciclope fosse calato sulla sua anima…

«GILDA!»

Qualcuno l’aveva chiamata? Era una voce maschile? Era Scratch, che in barba ai suoi timori aveva trovato modo di scappare per raggiungerla in volo?

Aprì finalmente gli occhi, solo per rispecchiarsi nelle lacrime di un giovane grifone che stava accompagnando la sua fuga verso una tappa ancora più buia.

Sì, anche Fulvus sapeva piangere. Toltosi di dosso il costume del bravo soldatino tutto d’un pezzo, anche lui era soltanto un altro ragazzo, che alla fine aveva ceduto alla pressione dello scontro.

«Che cosa c’è?» Aveva chiesto lei, cercando di mantenere la compostezza di una leader dal cuore di pietra, ma anche a lei la recita le riuscì male.

Desiderava solo raggiungere la sommità di una guglia abbastanza sicura per poi planarci sopra e dare libero sfogo alla disperazione che in quel momento la stava consumando dall’interno.

«Quello che abbiamo fatto… è stato una perdita di tempo!» Piagnucolò il cadetto, mentre una catena di lacrime lo accompagnava dai bordi dei suoi occhi. «Non possiamo vincere contro un nemico del genere! Non abbiamo i mezzi per farlo! Ci… ci serve qualcosa di più grande

Prima che Gilda avesse anche solo il tempo di chiedergli che cosa avesse voluto dire, l’ironia del destino giocò la sua carta più meschina, e il cadetto Rogue Fulvus finì travolto alle spalle da un gigantesco ammasso di pietra apparso, non si sa da dove, lungo la traiettoria del volo.

Gilda volteggiò per un po’ senza controllo, resasi conto di essere viva solo per miracolo, assistita dalla sua solita fortuna sfacciata, che non si sa perché, aveva deciso di graziarla ancora una volta.

«Noo!!» Gridò mentre masso e Fulvus piombava verso il basso.

Si voltò a guardare il Kaiju e lo vide fissarla attraverso il suo unico occhio giallo, mentre i denti digrignavano emettendo ancora quei fastidiosi stridii di placca che sfregava.

«Maledetto bastardo, giuro sull’onore degli Antichi che te la farò pagare cara, lo giuro!!»

I lembi della pelle scura intorno alla bocca del ciclope s’incurvarono, andando a comporre quello che aveva, a tutti gli effetti, la forma di un sorriso malevolo.

Sì, il Kaiju le stava sorridendo, constatò, con un sorriso compiaciuto reso ancora più terrificante da quell’unico occhio senza palpebre la cui piccola iride stringeva il fuoco su di lei.

Solo in quel momento la grifona con la cicatrice sul volto ebbe la conferma che quello che aveva di fronte non era affatto uno stupido animale in cerca di prede, ma un essere intelligente e spietato, che gioiva delle vite che ad ogni minuto riusciva a trascinare con sé.

Il Kaiju latrò anche un verso, il quale aveva tutte le apparenze di una grassa risata indirizzata ai danni della sua avversaria.

Poi si girò dall’altra parte, come se avesse deciso che con lei non avesse più nulla da spartire, e senza tanti complimenti riprese a marciare con il suo giro di vite che si sommava ad ogni momento.

Cos’era appena successo?

A Gilda bastò dare retta alle pulsazioni che avvertiva dentro di sé per capire che con quel gesto il Kaiju le aveva definitivamente e irrimediabilmente mortificato l’onore: privata del suo esercito e senza più armi o alleati a cui affidarsi, era stata castrata delle sue facoltà di combattere e obbligata a guardarlo senza poter più fare nulla per arrestare la sua marcia di distruzione della capitale.

Le aveva tolto la leadership e quindi gli affetti, per poi dominarla prendendosi gioco di lei come si fa con un contendente umiliato, e quindi lasciata a sguazzare nella pozzanghera dei perdenti.

Aveva subito una sconfitta plateale. Uno sfregio che nelle antiche tribù sarebbe stato punibile con l’esilio. Era dunque questa la sorte che le toccava? Esiliarsi dalla sua gente per vivere il resto dei suoi giorni come una nomade senza meriti, mentre nelle città la guerra contro i Kaiju seguitava anno dopo anno?

Oppure c’era ancora qualcosa che poteva tentare? Un piano di riserva che le avrebbe permesso di ristabilire il proprio onore per tornare dignitosamente a casa?

Sì, c’era, e lei era stata una sciocca a permettersi di dubitarlo.

Il Kaiju forse aveva vinto una battaglia, ma alla fine della giornata il conto lo avrebbe pagato lui.

Gilda rimase sospesa nell’aria per un po’, concedendosi del tempo per commemorare gli amici che avevano combattuto ed erano morti al suo fianco: il Sergente Maggiore Feather Scratch, il grifone a cui doveva tutta esperienza, l’eroico Rogue Fulvus, che era rimasto con lei fino alla fine permettendole di scappare, e con loro tutti i valorosi che avevano dato la propria vita per la causa di Canterlot.

Quindi partì, alla ricerca dei superstiti.

Doveva trovarli, innanzitutto, e poi, con una lavata di capo che si sarebbe narrata nei libri di storia, li avrebbe convinti a tornare sul campo.

Può darsi che nel frattempo le Custodi degli Elementi sarebbero arrivate e avrebbero terminato la battaglia prima del suo ritorno, ma se anche fosse andato così, lei ci sarebbe stata.

Avrebbe strappato quell’odioso occhio giallo dalla fossa del suo cadavere e se lo sarebbe mangiato condito con un buon contorno di patate arrosto.

E le sarebbe piaciuto, ohh se le sarebbe piaciuto!

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Capitolo 11
*** IL QUARTO ATTACCO - Parte 2/3 ***


IL QUARTO ATTACCO

Parte ⅔: L’inganno del mostro


La coda di Pinkie Pie fremette violentemente, ultimo di tanti altri stimoli che la pony in rosa aveva captato dal momento dell’emersione del Kaiju.

«Spike, levati da lì! ORA!!»

Il draghetto viola e verde, che durante le scosse era sceso dal dorso di Rarity, riuscì a malapena a scansarsi dal punto in cui si trovava, che una gigantesca massa di pietrame e metallo, spessa qualcosa come cinque metri e piovuta da chissà dove nel cielo, impattò come una meteora sulla strada in cui lui e le quattro Custodi erano fermi, delineando una scia lungo tutto l’isolato e fermandosi al centro dell’incrocio successivo.

La scia era rossa. Un colore denso e scuro, costellato qui e lì da ciuffi di piume bianche, intrise dallo stesso colore.

Al solo pensiero che lì sotto vi potesse essere qualcuno – magari un’intera famiglia in fuga – i membri del gruppo impallidirono uno dopo l’altra (e Rarity gridò).

«G-grazie Pinkie… » Balbettò, conscio che se non fosse stato per lei, ora starebbe condividendo la stessa infausta sorte di chi si trovava lì sotto.

«Ora capisco gli incubi e tutto il resto! Lo sapevo che non poteva essersi trattato solo di una cena andata a male!» Disse Applejack, non sapendo se sentirsi soddisfatta delle sue intuizioni o angosciata dalla situazione tutt’intorno.

«Ma un attacco dopo appena quattro mesi… e per giunta in città! Non è in alcun modo possibile!!» Contestò Rarity, ad un passo da una crisi nervosa.

La palla di detriti che aveva appena volato su di loro le aveva smosso la criniera scompigliandola in modo osceno, e nonostante fosse consapevole della gravità del momento, non riusciva a fare a meno di soffrire per essa.

Mentre cercava di restituire la decenza ai suoi dolenti crini, sentì qualcosa di soffice attaccarsi alla punta del suo zoccolo, e gridò nuovamente dopo essersi resa conto che si trattava di un’altra di quelle piume.

«Beh, levati di dosso le ciglia finte e apri bene gli occhi, perché sta succedendo davvero!» Le contestò Dash, che dall’alto della sua posizione vedeva meglio di tutte le atrocità che stava subendo la capitale.

«Senza contare che non sappiamo ancora che fine ha fatto Fluttershy!» continuò la cowgirl.

«Lì!» Puntò lo zoccolo la pony della Gioia.

«Pinkie, non adesso. Ti prego… »

«No, no! Dico davvero! Guardate, eccola lì, e c’è anche Twilight con lei!»

Si voltarono nel verso indicato e le videro arrivare al galoppo, con le espressioni sconvolte di chi era appena partito per un viaggio allucinante nel Tartaro e ritorno.

Si accorsero anche che con sé avevano indosso i loro Elementi, e una bisaccia che probabilmente conteneva i restanti.

«Twi! Shy! Per fortuna state bene!» Esordì la giumenta dal manto arancione unendosi a loro in un abbraccio di gruppo, a cui poi si aggiunse anche Spike.

«Sì, ma c’è mancato poco! Laggiù la situazione è catastrofica! Cielo, terra, niente è al sicuro!» Rispose la Principessa.

«Dimmi una cosa, tesoro. È proprio quello che sembra?! Un Kaiju ha davvero attraversato le difese di Canterlot?!» Domando Rarity, angosciata.

«Peggio, ha… ha sfondato il centro della città da sotto terra… » rispose Fluttershy, cercando nel contempo di contenere le lacrime. Squittì turbata quando si accorse della coda rosso sangue che accompagnava la palla di macerie più in là.

Le pony si osservarono tra di loro in un cupo silenzio.

«Sì, ma non c’è tempo per parlarne ora!» Tagliò corto l’alicorno estraendo gli Elementi e consegnandoli alle legittime proprietarie «Tenete, indossateli subito. Stanno radunando tutti i superstiti al castello. È l’ultima spiaggia per mettere al sicuro più gente possibile. Dobbiamo sbarazzarci del Kaiju prima che li raggiunga!»

Rainbow Dash sacrificò alcuni secondi del loro risicato tempo per trarre una stima della tratta che dovevano percorrere. Cercò con lo sguardo una figura ciclopica che sovrastasse sui palazzi, e una volta localizzata calò sul gruppo portando con sé conclusioni gravate di dubbi. «È una bella galoppata fin laggiù, ragazze. Siete certe di riuscire a mantenere il nostro ritmo?» Chiese rivolgendosi a chiunque non avesse le ali.

«Sì, certo! Aspetta che mi faccio prestare l’Equalizzatore da Bibski Doss. Ops, che sbadata, ho dimenticato il suo contatto nell’altro cappello!» Disse Applejack con accidia manifesta.

«Non sarà necessario… » intervenne Twilight sollevando la testa. Posò lo sguardo sulla prima balconata che si frappose nella sua panoramica e con l’immaginazione finse di tracciare un potenziale percorso fatto di tetti e sommità di edifici «… passeremo dall’alto.» Disse poi.

Applejack inarcò un sopracciglio, non capendo se la sua amica la stesse prendendo in giro oppure se facesse sul serio.

Le sei giumente intrapresero una corsa sfrenata tra i tetti di Canterlot, come un’elegante coreografia d’azione durante un’esibizione teatrale.

Chi era dotata di ali si librava sulle altre, mentre gli zoccoli delle rimanenti galopparono da un cornicione all’altro senza quasi mai fermarsi.

Il tutto era reso possibile dalla magia di Twilight, che servendosi del suo corno, teletrasportava se stessa e le sue compagne proiettandole al punto successivo, mentre il gigantesco Kaiju si stagliava sempre più grande davanti a loro.

Gli occhi della Principessa scandagliavano costantemente l’ambiente, in cerca di tetti piani e ampi terrazzi in cui compiere i “salti”, e dove non arrivavano i suoi riflessi, ci pensava la vigile alleanza di Rainbow Dash a indicarle con rapidi gesti la successiva tappa da raggiungere.

Nessuna esitazione le intimoriva al margine di un edificio, neppure la stanchezza di Rarity o la paura di Fluttershy. La fiducia che tutte riponevano su Twilight era totale, consce che mai la loro amica le avrebbe lasciate precipitare nel vuoto o teletrasportare su percorsi troppo scoscesi per avanzare.

La fluidità della loro elegante corsa sarebbe stata una perfetta esibizione di magia, lavoro di squadra e riflessi pronti, se solo fosse avvenuta in un contesto meno agitato.

Più la marcia le portava vicine al perimetro della distruzione e più il pericolo di teletrasportarsi nel raggio di un attacco del Kaiju si palesava di fronte ai loro occhi.

Dopo aver evitato per un soffio il crollo di una torre sul cornicione nel quale erano saltate, stabilirono all’unisono che era giunto il momento di fermarsi.

Atterrarono sulla copertura parzialmente divelta di una grande villa residenziale, dalla cui cima vedevano chiaramente a circa un chilometro di distanza le spalle del gigantesco bestione muoversi al di sopra del canyon delle rovine.

Rarity fissò incredula i resti di quella che un tempo era la città dei suoi sogni, le cui strade ora erano tappezzate di cadaveri e inermi vittime in fin di vita. «Tutto questo dolore… è orribile… non ha senso… » bisbigliò tra sé e sé, scuotendo la testa.

«Qui dovrebbe andare. Presto, mettetevi in posizione!» Si affrettò a dettare Twilight, rivolgendosi poi a Spike seduto sua groppa. «Scendi e vai da quella parte. Non ti avvicinare a noi finché il rituale non sarà concluso!»

«Vorrei poter fare qualcosa per aiutarvi. Qui mi sento inutile… » Si lamentò mestamente il drago.

«Stai al riparo e cerca di fare attenzione. È il favore più grande che posso chiederti!»

Fatto scendere il suo assistente, che andò a ripararsi dietro un grande blocco di cemento e tondini piovuto chissà da dove, le sei amiche si radunarono ad anello e cominciarono ad attivare i loro Elementi.

«Twilight, io… n-non so se me la sento di rifarlo… » confessò la pegaso giallo canarino prima di cominciare.

«Ne abbiamo già parlato, Fluttershy. Non te lo chiederemo se ci fossero delle alternative!»

E difatti non ce n’erano. Non in quel momento, non di fronte a tanta sofferenza.

Come da prassi, ogni Elemento si accese e cominciò a emettere pulsazioni colorate dal suo nucleo.

Il Kaiju si voltò verso di loro, come se avesse percepito l’ondata di energia che si propagava dalle sei Custodi, emettendo un leggero grugnito mentre le fissava con curiosità.

La gravità intorno all’anello si annullò progressivamente, e le sei furono sospinte per aria dall’immensità energetica dei loro simboli.

Il Kaiju iniziò a compiere qualche passo verso di loro, avvicinandosi pericolosamente alla villa.

Spike si mordicchiava nervosamente le unghie delle dita, augurandosi che il rituale fosse compiuto prima che la creatura le raggiungesse.

Da ciascuna delle gemme partì un raggio colorato, che si unì a quello di Twilight in un immenso arcobaleno celestiale.

Gli occhi della Principessa dell’Armonia divennero candidi come le stelle e accecanti come il sole, e il grande raggio, dopo essersi ingigantito nel cielo, compì un’ampia arcata che cadde a mo’ di cascata sul corpo del mastodontico ponycida.

Il ciclope avvertì il potere dell’Armonia lambirgli lo strato coriaceo e urlò, mentre gli Elementi lo avvolgevano in un turbinio di magia allo stato puro, ma le fasce multicolore dell’arcobaleno riuscirono a contenere l’onda sonica del suo potente attacco, evitando così che le pony venissero sbalzate via prima della fine. Fine che si presentò con una grande detonazione di luce, che abbagliò la capitale piombandola in un silenzio spettrale, degno di una città fantasma.

Le Custodi adagiarono dolcemente i loro zoccoli al tetto divelto dell’abitazione e respirarono profondamente per riprendere le forze.

Tutte insieme guardarono poi verso la stessa direzione, dove un leviatanico muro di fuliggine si era sollevato nell’aria frapponendosi tra loro e il Kaiju.

«È… è finita? Ce l’avete fatta?» Chiese Spike, col cuore ricolmo di speranze.

Un sottile venticello di montagna, ansioso di prendere parte alla battaglia, condusse fin da loro un miasma di carne bruciata mischiato alla caligine, che impastò le loro narici.

«Non lo so… » enunciò Twilight, starnutendo «non ci siamo riuscite a Las Pegasus… non vedo perché ora dovrebbe essere andata diversamente… »

«Suggerisci di preparare un'altra emissione?» chiese Rarity, speranzosa di levare le tende il prima possibile.

«Ripeto, non lo so. Per il momento rimettiamoci in posizione, cerchiamo almeno di farci trovare preparate.»

«Pinkie Pie, che ci dice la tua coda? Senti niente?» Chiese invece Rainbow Dash.

La pony guardò per un momento il grande batuffolo rosa attaccato al posteriore. «Boh, in questo momento ha troppa paura per parlarmi, trema tutta!»

La pegaso sbuffò. «Pff… scema io che poi vado a chiedere pareri a te…» ma poi i suoi occhi si sgranarono di colpo «aspetta un momento… hai detto “TREMA”?!»

Un nuovo ruggito, assordante e animato di vendetta, sfondò la barriera di polveri portando allo scoperto l’iracondo ciclope.

Le pony dovettero tapparsi le orecchie per non rimanere rintronate dall’urlo, mentre tentavano al contempo di resistere all’implacabile spostamento d’aria uscito dalle sue fauci.

Il Kaiju emerse del tutto dalla coltre, mostrando così le piaghe da ustione che ora gli ricoprivano la pelle: unico effetto riscontrabile dell’azione degli Elementi.

Applejack imprecò chiassosamente, mentre il Kaiju – salvo per le bruciature superficiali – non appariva in alcun modo provato dal loro attacco.

«Presto, ragazze! Colpiamolo di nuovo prima che si avvicini!!»

Le giumente si rimisero subito ad attivare la corona e i loro preziosi.

Twilight tenette gli occhi fissi sul ciclope, pronta a teletrasportarle nel caso il mostro si fosse fatto troppo vicino.

Le sue zampe divennero leggere e si sollevarono in aria, i suoi occhi s’illuminarono, e per un momento la Principessa vide soltanto una luce abbagliante coprirle le pupille.

Solo Spike poteva scorgere con assoluta lucidità ciò che stava per accadere subito dopo.

Il Kaiju, invece di ingaggiare battaglia con le sei pony, si fermò sul posto dopo aver compiuto appena due passi, portandosi le mani all’altezza delle tempie (o per lo meno, là dove si sarebbero dovute trovare).

Lì per lì sembrò che una forte emicrania lo avesse ghermito nella sua morsa e ora gli stesse trapassando il guscio ovoidale da parte a parte, ma Spike vide chiaramente le dita stringersi sui bordi lisci del cranio e cominciare a tirare verso le due estremità.

“Sembra un cucciolo che scarta ansiosamente un regalo… ” pensò, dopo aver divorato tanto i suoi artigli da non lasciarvi niente di più che insignificanti moncherini oltre al corpo ungueale.

D’improvviso, la testa del ciclope si aprì in due, spaccandosi dalla rigatura verticale al centro del viso (sì, la stessa che pocanzi qualcuno avrebbe considerato una semplice cicatrice).

Il suo interno rivelò una grande cupola di carne gelatinosa e gialla, che ricordava in modo fin troppo eloquente un tuorlo di gallina avvolto da maglie di capillari, non fosse che in realtà era… un occhio!

La testa del Kaiju, in tutta la sua ampiezza, altro non era che un grande e immenso occhio giallo, con una minuscola macchia nera come pupilla al centro e una grande coppia di palpebre ossee che ne celavano l’inganno.

Grandi fasci di fibre muscolari tenevano coeso il bulbo con le due metà del guscio protettivo, che ora pendevano in modo simmetrico, inclinate ai fianchi del collo come le fauci di un insetto.

Dei piccoli incavi a mezzaluna all’altezza della pupilla interrompevano la continuità della spaccatura sulle due metà del “guscio”, che quando si chiudeva lasciavano uno spiraglio aperto per consentire al mostro di osservare in tutta sicurezza l’ambiente che lo circondava, come da dentro un grande elmetto.

Era questo l’inganno del mostro. L’occhio, che in realtà non era un occhio, ma il valico per un segreto molto più pauroso che si celava al suo interno.

E cosa avrebbe portato con sé questo segreto, ora che aveva deciso di mostrarsi a loro?

Il grande occhio del ciclope strinse il fuoco sul gruppo delle sei Custodi, mentre Spike si chiedeva se le sue amiche lo stessero vedendo a loro volta, o se la trance che le aveva rapite le aveva condotte in uno spazio esterno alla realtà, dove i sensi erano isolati e la consapevolezza spenta.

Osservò che i raggi degli Elementi iniziarono a unirsi nell’aria e immaginò l’arcobaleno mentre si piantava nell’enorme occhio del mostro, infliggendogli finalmente una ferita mortale.

Provò disgusto per quel pensiero, ma anche uno sbuffo di fiducia: almeno l’incubo sarebbe finito.

Dall’immenso bulbo, invece, colò una goccia di quella che sembrava una lacrima dalla superficie nero-opaca.

Era molto piccola (sì e no mezzo metro) rispetto alle proporzioni della creatura – una goccia di rugiada dalle fronde di una quercia – appena visibile da quella distanza, ma carica dei riverberi sottratti dai raggi solari.

Essa gocciolò dal bordo turgido dell’occhio, condensandosi nell’aria in un globo di fluido che levitò sospeso nel nulla, animato non si sa come da una forza invisibile, che cominciò a dirigersi a gran velocità verso il cerchio tracciato delle Custodi.

Prima che gli Elementi avessero il tempo di concludere e Spike di capire come avvisarle, il globo investì in pieno Rarity, scaraventandola fuori dalla formazione ad anello.

«Rarity, noo!!» Gridò il draghetto, preso da spasmodiche vampate di panico.

Si lanciò in soccorso alla sua amata.

Twilight e le altre caddero a terra, e ci misero un po’ a rialzarsi, scosse e frastornate dalla brusca interruzione.

«Per tutte le stalle… che accidenti è successo?!» Chiese Applejack, recuperando da terra il suo cappello.

«Gli Elementi… l’emissione…. qualcosa è andato storto!» Constatò Twilight, sentendo alle sue spalle la voce dell’assistente che invocava il loro aiuto. «Venite, presto! Rarity è stata colpita!!»

Si voltarono tutte verso la loro direzione.

Spike le teneva sollevata la testa. Era sveglia, ma con uno sguardo debole e la testa assente, che le fischiava pesantemente come dopo una forte esplosione. Il suo Elemento si era distaccato da lei e ora giaceva a terra, spento ed esanime.

«Ci… ci siamo riuscite?» Biascicò l’unicorno, ignara e confusa.

«Che cosa le è successo, Spike?! Perché il rituale si è interrotto?!?»

«Non lo so, Twilight! Stava andando tutto bene, ma poi il Kaiju ha fatto… oh Celestia… QUELLO!» Fece segno con l’artiglio mangiucchiato.

Le Custodi si girarono e i loro occhi furono testimoni del raccapricciante spettacolo messo in cantiere dal mostro: dal suo grande bulbo oculare continuava a grondare altro fluido opaco, che si condensava in numerosi globi dalla superficie grigio-traslucido prima di toccare suolo.

Essi poi, animati da una volontà tutta loro, si dispersero per la città come segugi in cerca di prede.

Uno di loro prese di mira la Principessa dell’Armonia, lanciandosi su di lei come una palla da cannone.

«Twilight!!» Rainbow Dash si mise in mezzo, spingendola via, e fu investita da un’esplosione umida e viscosa, che tuttavia si dissecò subito, evaporando quasi all’istante senza lasciarle sul suo manto alcuna traccia.

Dash si guardò stranita, quasi delusa dall’innocuità di quell’attacco.«Come, tutto qui?»

«S-stai bene…?» Chiese l’alicorno, titubante ma anche grata.

«Meglio che mai… non capisco… »

Twilight si accigliò, notando che le mancava qualcosa. «Ehi, che fine ha fatto il tuo Elemento?!»

La pegaso arcobaleno perlustrò la zona ruotando su se stessa, trovandolo a terra lì vicino, apparentemente intatto.

«Ma guarda. Mi dev’essere caduto quando quella roba mi ha colpito.» Ipotizzò, raccogliendolo con la zampa.

«Sei sicura che sia tutto a posto?» Insistette Twilight, irrequieta.

Rainbow Dash, da quando le aveva fatto da scudo, stava cominciando ad avvertire una leggera cefalea che si stava propagando su tutto il cranio man mano che parlavano, ma evitò di dirlo per senso dell’orgoglio.

Liquidò la domanda con un cenno d’affermazione e le fece conforto di un fiducioso sorriso.

Rarity nel frattempo fu aiutata da Fluttershy e Pinkie Pie a rimettersi sugli zoccoli.

Sulla sua criniera si era accumulato un quantitativo intollerabile di sporcizia e polvere, e per quanto avesse cercato di ignorarlo fino all’ultimo per il bene della squadra, l’impulso di attivare la magia per darsi una sistemata fu troppo forte perché potesse resistervi.

Attivò il corno per accingersi a scrollarsela, ma non successe nulla.

«Oh cielo… » provò di nuovo eseguendo la stessa formula, e ancora tentando con un incantesimo differente, ma dalla punta della sua escrescenza non ne uscì nulla, nemmeno una piccola scintilla.

Sgranò gli occhi, presa dal panico. «NOO!! NON E’ POSSIBILE, NON A ME, NON A ME!!»

«Rarity, che ti prende?!» Le chiese Spike, trasalendo alle sue urla.

«LA MIA MAGIA!! HO PERSO LA MIA MAGIAA!!!»

«Ti prego, adesso calmati, quello che dici non ha senso!» La implorò Twilight cercando di placarla, ma le sue parole finirono soffocate dalle urla dell’amica e dai rimbombi lenti ma impietosi del Kaiju.

Anche il suo piccolo assistente sentiva di essere ormai al limite della sua personale soglia di sopportazione, sentendosi come un peso inutile incapace di aiutare la sua amata o di apportare qualunque beneficio alla squadra.

Nel frattempo i globi grigio-scuri continuavano a piovere sui superstiti in fuga nelle strade, rivelandosi particolarmente selettivi nella scelta dei bersagli contro cui gettarsi.

Pegasi e pony di terra non erano neppure presi in considerazione dalle sfere, che addirittura si cimentavano in repentine virate pur di evitarli, ma non era concesso lo stesso riguardo agli unicorni, che finivano centrati uno dopo l’altro.

Sia Spike che le Custodi guardarono quello spettacolo travolti dal più profondo senso di smarrimento.

Fu allora che a Twilight venne un sospetto.

Osservò prima l’Elemento della Lealtà, ancora tra gli zoccoli di Dash, per poi trovarvi una raggelante correlazione con quanto successo a Rarity. «Spike, prova a metterle l’Elemento, presto!»

Il drago obbedì dopo una prima occhiata perplessa, ma quando il monile fu adagiato sul manto banco-perla della giumenta, invece di aderirvi come, di fatto, avrebbe dovuto, ricadde sul tetto con un timido tintinnio tra i suoi zoccoli.

Un orrore ancora più oscuro si arrampicò sul loro garrese per poi non scendere più.

«Dash, prova tu!» Disse la Principessa.

La pegaso arcobaleno avvicinò il suo Elemento al collo tremando di paura, quasi come se temesse le conseguenze dell’indossarlo, e come successo a Rarity, la collana si stacco per poi cadere privata dei suoi poteri.

Twilight avrebbe voluto deglutire, ma la gola era ormai riarsa quanto la sabbia di un deserto e il suo palato allo stesso tempo le stava prudendo e bruciando. «La magia… quelle sfere in qualche modo la cercano e la assorbono… il Kaiju sapeva che avremo usato i nostri poteri per abbatterlo e… ha trovato il modo di impedircelo… »

Mentre parlava, un altro globo grigio-scuro scese su di lei facendone il suo bersaglio. Se ne accorse per tempo e tentò di defletterlo con un colpo di magia dirompente, che tuttavia finì col dissolversi non appena vi impattò contro.

Twilight dovette scansarsi all’ultimo secondo per sfuggire alla stessa sorte toccata a Rarity e a Rainbow Dash.

«Dobbiamo andarcene da qui! Ci stanno prendendo di mira come i concorrenti di una gara di lancio del cibo! E tu sei quella che vale mille punti, Twilight!!» Strillò Pinkie Pie, con la coda e gli zoccoli in costante fermento.

«Per non parlare di quel brutto ceffo che si sta facendo sempre più imbestialito laggiù!» Aggiunse Applejack.

«Va bene, vedo che posso fare!» La Principessa prese a sondarsi intorno, in cerca di un nuovo punto dove poter trasferire il gruppo lontano dal rateo di fuoco della creatura.

Assunse che i tetti erano da evitare, troppo scoperti e alla mercé dei globi. L’ideale era cercare un nascondiglio a terra, che le tenesse al contempo lontane dalla vista del ciclope e dall’incombenza dei piccoli sciacalli sferici.

Scelse un vicolo non molto lontano da lì, che sembrava fare al caso loro. Perlomeno avrebbe dato il tempo di riorganizzarsi e cercare di riordinare le idee.

Attivò quindi il teletrasporto, trasferendoceli tutti.

Il Kaiju si arrestò, confuso dopo averle perse di vista, ma non si soffermò sulla ricerca, ben consapevole che i suoi piani erano tutt’altri.

Grugnì mestamente e riprese ad avanzare.

Le due metà protettive del suo guscio, prima chiuse, si aprirono un’altra volta liberando un nuovo sciame di globi pronti a estendersi sulla capitale.

Le pony lo guardarono allontanarsi, lasciando dietro di sé solo cortine di pulviscoli e strutture in procinto di crollare.

«Ok, ora spiega: cos’è questa storia della magia?!»

«Non ne sono sicura Dash» cominciò Twilight «ma credo che quelle sfere in qualche modo reagiscano a contatto con la magia. Sono come delle calamite: attaccano gli unicorni e li privano del loro potere… »

«Ma io che diavolo centro allora?! Va bene che sono la miglior aviatrice di Equestria, ma sono solo un accidenti di pegaso, santo cielo!»

«Ma mi hai fatto da scudo quando quella sfera ha cercato di colpirmi! La reazione deve aver avuto qualche effetto anche sull’Elemento della Lealtà, annullandone i poteri!» Si rivolse poi a Rarity, notando per lo meno che aveva smesso di piangere. L’ombretto intorno agli occhi le si era disciolto nelle lacrime, rigandole il volto, ma nessuno aveva il coraggio di farglielo notare. «Rarity, sei proprio sicura di non poter usare nessuna magia? Hai provato con incantesimi più semplici?»

L’unicorno digrignò e si mordicchiò il labbro con l’arcata superiore dei denti, ma qualsiasi cosa avesse tentato, non produsse risultati. «M-mi dispiace amiche mie… ma non mi è rimasto più niente… »

Una nuova vampata di tristezza prese il predominio su di lei.

Spike andò ad abbracciarla e lei ricambiò il gesto a sua volta stringendolo ancora più forte tra gli zoccoli. Nascose la testa tra le sue spalle e si mise a singhiozzare in silenzio, il più discretamente possibile.

«Quindi non solo lei non ha più la sua magia ma noi non abbiamo più nemmeno gli Elementi con cui combattere?!» Irruppe Applejack.

Da lontano un frastuono rimbombante fu susseguito da nuove grida d’isteria collettiva: un altro quartiere che veniva raso al suolo dal mostro.

«Dovrò fare delle ricerche per verificare se ci sono stati dei casi simili in passato, e scoprire eventualmente se esiste un contro-incantesimo che riporti tutto alla normalità.» Pronunciò con un filo di voce, quasi dando parola a pensieri che dovevano restare interiori.

Posta così, l’idea non suonava confortante, ma la verità è che nemmeno lei ci credeva fino in fondo. Anche se alla fine un rimedio si fosse trovato, per salvare Canterlot avevano bisogno degli Elementi dell’Armonia ora, in questo preciso momento.

«Io non capisco…» parlò Spike, scostandosi delicatamente dall’unicorno bianco-perla «se gli Elementi hanno bisogno della magia per funzionare, allora come fanno Applejack, Pinkie Pie e tutte le altre ad utilizzarli? Insomma, solo due di voi possono effettivamente usare incantesimi: tu e Rarity!»

«C’è della magia in ognuna di noi, Spike. Ricordi che è successo alla Canterlot High? Gli Elementi si legarono alle Custodi diventando parte di noi stesse, ma senza la magia che alimenta i nostri spiriti, sono inutili! Quelle sfere… credo che attacchino la fonte di magia più potente che c’è nei dintorni. Per prima cosa hanno attaccato noi, dopo di che si sono riversate su Canterlot. Il fatto che sia stata presa di mira Rarity e non io probabilmente è stato solo un caso dettato dal rituale…»

Fu interrotta da Applejack, che imprecò calciando con tutta la sua forza un pezzo di cemento, rotolandolo sulla strada all’infuori del vicolo. «Maledetto, ci ha fregate! Ci ha sepolte fino al collo nel suo liquame!»

Un’intimidita Fluttershy si fece avanti per dire la sua. «Twilight… i-io… credo che dovremo tornare a palazzo… dobbiamo dire alle Principesse cosa ci è successo… chiedere che mandino in campo Discord… lui ci salverà, ne sono sicura… »

Applejack si fece d’improvviso attenta. «Discord?! Che centra lui adesso?» Ma non era la sola ad aver avuto una reazione fuori misura.

«Era di questo che parlava Celestia.» Si affrettò a spiegare Twilight, per poi annuire alla pegaso canarino. «Stavo pensando la stessa cosa. Non vorrei dirlo ma credo che a questo punto sia l’unico in grado di fare qualcosa.»

In quel momento, un drappello di Wonderbolts volò sopra le loro teste, e tra loro Rainbow Dash riconobbe l’inconfondibile siluette del Capitano Spitfire. Immediatamente e senza preavviso, spiegò le ali e si lanciò al loro inseguimento.

«Capitano!» Urlò con tutta la forza del diaframma per farsi udire dalla pegaso dalla criniera di fuoco, già molto distante. «Signora! Mi aspetti la prego!» Ma per quanto si sforzasse, l’eco non risultava mai abbastanza tonante. «SPITFIRE!» Gridò ancora più forte, in un ultimo disperato tentativo.

La Wonderbolt si arrestò a mezz’aria, ruotando all’indietro. «Rainbow Dash?» Mormorò sorpresa.

Fece cenno alla sua truppa di proseguire per la loro strada e attese che la pony della Lealtà la raggiungesse.

«Dove vi siete cacciate?! Qui in giro si stava spargendo la voce che foste morte!»

«No, siamo ancora vive per ora.»

«Questo lo vedo da me.»

«Ma abbiamo avuto un contrattempo, non siamo più in grado di usare gli Elementi!»

La vide inarcare un sopraciglio, perplessa. «Ti prendi gioco di me?!»

«Vorrei che fosse così… cioè… no, non vorrei… » si tappo per un momento la bocca «insomma… vede quei globi di luce?» Ne indicò una coppia che stava pattugliando le strade in cerca di nuove vittime. «Non so come funziona, ma sembra che prendano di mira qualunque unicorno che gli capiti sotto zampa! Li privano della magia, li… li rendono incapaci di fare qualunque cosa!»

Spitfire la osservò con un’espressione che era un misto tra l’indifferenza e il cinismo. «E con ciò che cosa ti aspetti che faccia?»

«Beh… non lo so… mobilitate qualche squadrone che li protegga, distruggetele prima che possano colpire altri unicorni… fate qualcosa insomma, voi siete il Capitano degli… »

«Ti fermo subito, ragazza. Guarda laggiù e dimmi cosa vedi?»

Rainbow Dash seguì in linea d’aria la direzione contrassegnata dallo zoccolo della Wonderbolt: il Kaiju aveva raggiunto l’altopiano che s’innalzava per la vetta del castello, e lì, sulla parete a un paio di chilometri dal punto in cui osservava, lo vide aggrapparsi sul bordo del primo dei grandi bacini artificiali che dal picco raccoglievano l’acqua che andava convogliata a valle per il sostentamento della città.

La pietra di cui erano composti gli orli si frantumò come terra sotto la massa spropositata del mostro, e la cascata che alimentava i canali sottostanti con il suo lento ed elegante scorrere, si vide improvvisamente triplicare il proprio volume accompagnata dai larghi getti che tracimarono dai bordi dopo che il Kaiju vi si immerse dentro.

La piscina che di principio lo inondava fino alla vita, si svuotò in pochi istanti fino ad arrivare all’altezza delle ginocchia. La vasca nel frattempo si stava indebolendo, e sarebbe crollata da un momento all’altro se l’eccesso di peso non si fosse levato subito da lì.

In un certo senso, era quello che Rainbow Dash stava sperando: il Kaiju sarebbe precipitato e chi era già in viaggio per il castello avrebbe avuto più tempo per mettersi in salvo.

Invece lui, dopo aver percorso un tratto della vasca in ammollo, arrivò a ridosso della parete da dove prese a inerpicarsi verso l’altura successiva, spinto da una tenacia incessante, prova di una volontà inscalfibile.

Passo dopo passo il suo obbiettivo si faceva sempre più vicino.

«Ora, la situazione è questa» ricominciò Spitfire «abbiamo perso gran parte dell’Aviazione dei Grifoni e non ho idea di dove siano finiti gli altri. Nel frattempo le Principesse stanno facendo convergere tutti a castello, comprese le unità della Muraglia e gran parte dei miei pony. E indovina un po’ dove si sta dirigendo quel grasso culone flaccido? La circostanza è già drammatica di suo senza che mi metta a ordinare ai miei di correre dietro a delle bolle!»

Rainbow Dash spalancò le mascelle in uno schiaffo di sgomento. «M-ma… ma non possiamo abbandonarli a loro stessi! Quegli unicorni hanno bisogno di noi! Se prendessimo alcuni… »

«E allora vai e aiutali!» Tuonò la pegaso in uniforme blu. «Oppure raduna le tue amiche e vieni con noi a castello! So che rappresenti l’Elemento della Lealtà, Rainbow Dash, ma non puoi salvare ogni singolo pony di questa città!»

La giumenta arcobaleno ammutolì, incredula alle parole della Wonderbolt.

Davvero stava suggerendo di ritirarsi lasciando a loro stessi centinaia di pony indifesi? E con quale coraggio, in nome delle Principesse?!

Per un momento fu coccolata dalla tentazione dolce-amara di colpirla. Una zoccolata sul muso, un setto nasale fratturato e una lezione di buon senso impartitale da una vera paladina di Equestria, ma poi si rese conto che aveva ragione. In un modo ingiusto e oltraggiosamente sbagliato, ma sì… aveva ragione: il Kaiju era ormai in cima al picco, diretto al castello, e se davvero aveva il potere di annullare la magia, come sosteneva Twilight, non ci sarebbe stata nessuna Muraglia sufficientemente robusta da reggere il suo assalto.

Avrebbe presto fatto breccia e li avrebbe sopraffatti tutti. Loro. Le Principesse. I superstiti. Chiunque.

Spitfire aveva preso la sua decisione, e si era congedata su due zoccoli per riunirsi ai suoi pegasi, lasciando Rainbow Dash alle prese con i suoi dubbi. Dubbi che la schiacciavano a terra, intimandole di fare la sua parte.

Le strillavano nelle orecchie, ricordandole di essere fedele alle vite per le quali si battevano, ma qualcuna parlo anche al contrario. Queste erano più pacate, come dei saggi sussurri, e le spiegavano che anche Canterlot aveva bisogno delle sue paladine, e che lei doveva anche essere fedele alle sue amiche.

I dubbi la incatenarono, mentre davanti a sé si biforcavano due vie: tornare a palazzo con loro o dare credito ai suoi sensi di colpa?

Prese la decisione più logica. In fondo la priorità era il castello, e insieme a esso tutta la gente che vi si stava rifugiando, anche se il rimorso le trapassava il cuore come uno scocco delle lancia-dardi (e a questo proposito, fu lambita da un altro gemito di dolore. Spitfire aveva detto: “abbiamo perso gran parte dell’Aviazione dei Grifoni e non ho idea di dove siano finiti gli altri”. Al solo pensiero si sentì morire dentro. Chissà se Gilda stava bene?).

Si ripresentò alle sue amiche nel vicolo, aggiornandole sulle parole della Wonderbolt (indorandole) e sulle intenzioni del Kaiju. Dei pericoli a cui stava andando incontro il maniero delle Principesse e dell’urgenza di farvi subito ritorno.

Poche parole dal roboante potere, che le convinsero all’unanimità a rientrare immediatamente a palazzo.

Ripeterono a ritroso la loro elegante danza di galoppo acrobatico, di corse sui tetti e teletrasporti eseguiti con tempismo perfetto, guidate da una Twilight sempre più in ansia per la sua famiglia e per le sue Mentori.

A ogni isolato i loro occhi si sforzavano di ignorare l’agonia della popolazione che era rimasta indietro. Pony feriti, abbandonati a se stessi, oppure unicorni che avevano semplicemente perso la loro magia, colpiti dalle sfere opache del Kaiju.

Per loro vi erano le poche squadre di soccorso rimaste ancora attive in città. Ne avrebbero salvati quanti più potevano, ma per quanti si sarebbero prodigati, non sarebbero mai stati sufficienti per salvarli tutti.

Le esatte parole di Spitfire, concretizzate nella cruda realtà di quel giorno tinto di rosso.

Qualcuna di loro pianse mentre la corsa delle Custodi proseguiva.

La pony dal manto rosa aveva i crini sgonfi, mentre l’alicorno viola si era come chiusa in una specie di cecità selettiva, con la quale si focalizzava solo sulla ricerca del prossimo punto dove “saltare”. La pegaso arcobaleno invece covava dentro di sé un odio primordiale. Odio per il mostro e per le macerie, la cui coltre di fuliggine si levava da quella che un tempo era la città più radiosa di Equestria. Odio per il mostro e per i lamenti dei disperati, cui corpi stramazzati a terra tingevano di sangue i pavimenti delle dolci vie. Odio per il mostro e, semplicemente, per la sua esistenza, che per poterci essere, esigeva che loro si facessero da parte.

Qualunque pony, trovandosi nei pressi di Canterlot quel giorno, avrebbe sollevato la sua testa in direzione del Kaiju – che con tanta ostinazione s’inerpicava sulle pareti della montagna – e gli avrebbe rivolto la più solenne delle promesse, nell’attimo in cui le labbra si sarebbero smosse e avrebbero pronunciato la seguente condanna: la pagherai cara, tu e chi ti ha mandato! E le anime di coloro che avete portato con voi vi piomberanno addosso come lame pronte a pugnalarvi, finché non sarete morti, esalando la vostra sconfitta nell’ultimo melenso sospiro che la bocca vi permetterà di espirare!


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Il Sergente Grizelda volò attraverso le colonne di fumo che s’innalzavano dai tetti variopinti di Canterlot.

Davanti a lei, sulla sommità della montagna, il Kaiju che stava ormai raggiungendo il castello.

Strinse le fibbie delle cinture sul petto, che durante le varie manovre di volo si erano allentate spostando l’attrezzatura lancia-dardi dalla sua corretta posizione.

La cassa dorsale che fungeva da fondina era ancora vuota e sul teniere della balestra rimaneva solo il giavellotto che le aveva donato Feather Scratch prima di morire.

Anche dopo lo sbaragliamento del suo plotone, dopo la fuga dei superstiti e le umiliazioni che aveva subito, aveva ancora la grinta necessaria per voler combattere.

Sentiva che la sua presenza, in qualche modo, era fondamentale per la sopravvivenza della capitale.

L’istinto dei guerrieri, lo chiamavano i cacciatori delle antiche tribù. Una voce molto diffusa nei racconti degli Anziani che narrava di un sesto senso insito in tutti i più valorosi grifoni, che parlava da dentro guidandoli sulla retta via delle loro imprese.

Gilda non ci aveva mai creduto, almeno fino a quel giorno, quando anche lei aveva cominciato a udirlo come un suggeritore nella sua testa.

Ne poteva sentire le parole come un oratore presente al suo fianco, che le volava vicino ripetendole che doveva esserci.

“La partita non è ancora conclusa!” Martellava incessante.

Aveva tratto un sospiro di sollievo quando la sua vecchia amica pegaso e le Custodi degli Elementi erano arrivate per inondare il mostro con il loro attacco speciale.

Lì per lì cominciò ad accusare il suggeritore di essersi sbagliato, che tutto sarebbe finito e che presto sarebbero tornati a casa, ma quando entrambi avevano visto il Kaiju riemergere dalla coltre cinerea, per poi tornare alla carica come se niente fosse successo, le sembrò quasi di udire le risate del suggeritore che si faceva beffe di lei. E avevano il suono del ciclope. Sì, le stesse risate, al contempo cavernose e gracchianti.

Allora ne ebbe la conferma.

Esistono dettagli in foto particolarmente guarnite, che gli occhi della mente non sono in grado di scorgere nemmeno quando vi si posa lo sguardo davanti, e quando un’intuizione – come una scossa elettrica – accende quelle regioni che consentono al cervello di focalizzarsi su di essi, tali dettagli diventano così nitidi che subito si è portati a chiedersi “ma come ho fatto a non accorgermene prima?!”

Il perché il Kaiju si stava manifestando come una vera forza della natura inarrestabile era spiegato dall’approccio con cui ogni fazione si era presentata al suo cospetto: scontri a turni, basati sulla falsa teoria che alternare gli assalti avrebbe consentito di avere la meglio.

Ma il Kaiju era sveglio, più di chiunque altro, e aveva dalla sua un bonus che lo elevava al di sopra di tutti: la mole.

All’accademia degli Aviatori, Feather Scratch (che riposi in pace accanto agli Antichi) le aveva insegnato che il gioco di squadra era più importante di qualunque azione in solitaria, pertanto, se volevano una speranza di scacciare il loro nemico, doveva raggrupparsi e agire tutti insieme, come un unico grande organismo che eguagliasse in numero ciò che li distanziava nella massa.

Riflettendoci, Gilda si sentì ancora più incazzata al pensiero che le reclute le avessero tirato il bidone poco prima di essere sbaragliata.

Avvertiva sulla punta degli artigli un fremito insistente, che era una voglia sanguinaria di affondarli nelle loro carni per espiantarli dalle colpe, portarle all’altezza dei loro occhi e costringerli a ingurgitarle di nuovo.

Ma doveva regolarsi, le serviva una squadra che fosse operativa e pronta volare.

Si sarebbe limitata a strigliarli a dovere, il giusto necessario per conquistarsi la loro fiducia e disporre di una truppa ligia e obbediente.

Li intravide sulla cima di una torre senza cupola. C’erano tutti e quattro, e tutti facenti parte dello squadrone di Feather Scratch.

Mentre si avvicinava a loro in volo, si domandò che tipo di elementi avrebbe dovuto aspettarsi. Erano una marmaglia di vigliacchi? Oppure si erano solo fatti convincere da un singolo elemento che li aveva plagiati tutti sino a indurli a fuggire con lui?

Presto lo avrebbe scoperto.

Atterrò sul ciglio, squadrandoli uno a uno nelle loro bardature da combattimento, e loro sussultarono, tanto preoccupati quanto arrossiti dal disagio che coceva i loro zigomi.

Uno deglutì pesantemente, emettendo un ingurgito che quasi si poteva osservare come una grande onomatopea alle sue spalle.

Studiandoli, la Sergente Grizelda verificò che le casse di tre di loro erano vuote, o quasi del tutto, e questo fu per lei un buon segno, stava a indicare che avevano combattuto, o per lo meno che erano stati abbastanza accorti da svuotarle prima di farsi scoprire (sebbene queste azioni avrebbero rappresentato per un grifone un’ umiliazione perfino più grave della sconfitta in battaglia).

Si soffermò invece sulla quarta, una giovane femmina dal manto nero e dal piumaggio grigio-vinaccia chiaro.

Occhietti bruni, lucidi e tremolanti come quelli di un usignolo spaventato, e la divisa che le stava larga e cadente come di una misura sbagliata.

Mentre la sondava, Gilda non poté esimersi dal domandarsi come un tal elemento le fosse sfuggito durante l’adunata di qualche ora prima, ma fatto ancora più incisivo, la sua cassa dorsale era vuota di un solo slot, conclusione che: non solo aveva sparato una sola volta, ma non si era nemmeno fatta carico della premura di mettere in canna un nuovo dardo.

«Spero che tu abbia una spiegazione per questa?» Chiese picchiettandole la cassa con le nocche.

«S-signora i-io… l’ho fatta ricaricare… Signora.» Rispose come se le parole le fossero state estirpate a forza dalla leader, mentre gli occhi le annegavano in un luccichio che non erano lacrime, bensì sudore incanalato sulle palpebre.

Gilda sollevò il sopraciglio destro, per nulla soddisfatta della risposta minimale della cadetta. «Ricaricare da chi?»

«D-da… » esitò, quanto un pessimo bugiardo in procinto di spararne una grossa «… un grifone al campo d-d’addestramento, Sign… »

«NON C’È PIÙ NESSUNO AL CAMPO D’ADDESTRAMENTO!! COME OSI MENTIRMI?!?»

La gracile grifone giacque a terra, sovrastata dalla voce della Sergente.

«L-la prego, Signora… m-mi dispiace… »

Gilda emise un acuto stridio da uccello rapace e la ordinò con poco garbo di rimettersi subito sulle zampe.

Se fosse stata un maschio lo avrebbe probabilmente conciato per le feste fino a farlo quasi svenire, ma una fragile grifone femmina senza alcun spirito combattivo era già inutile di suo senza menomarla delle sue già esigue condizioni.

Puntò invece lo sguardo al resto del gruppo, che guizzò per il brusco movimento. «E voi invece?! Aspettate che un Garuda gigante venga a salvarvi la giornata?»

I cadetti si osservarono viceversa, quasi a voler eleggere un portavoce, magari lo stesso fomentatore che li aveva sospinti alla fuga.

Uno di loro si fece coraggio e andò avanti, sperando di non pentirsi per la sua decisione.

«A-abbiamo cercato di resistere al Kaiju, solo che poi… »

«ZITTO TU! Non mi sembra di averti dato il permesso di rivolgermi la parola!»

Il grifone tornò al suo posto, con il collo calato in giù per l’imbarazzo.

«Che branco di patetici! Dovrei farvi condannare tutti alla corte marziale! “Alto tradimento”, “negligenza”, “insubordinazione”, “disobbedienza agli ordini di un ufficiale”! C’è n’è abbastanza per macchiare di guano le vostre famiglie per intere generazioni! E vi sta andando bene che la pena capitale sia stata abolita in tutto il continente da secoli!!»

Gilda era furente e il prurito sulle sue zampe si fece ancora più pressante.

Ancora un poco e si sarebbe avventata su qualcuno di loro.

“Cerca di controllarti. Non dimenticare le priorità.” Le sussurrò la voce del suggeritore e lei chiuse gli occhi per permettere ai suoi umori di riequilibrarsi, li riaprì, e per un istante le comparve la rappresentazione in negativo del volto di Feather Scratch.

Si sforzò di ignorare quella visione finché le retine non si riabituarono alla luce del giorno.

«Lasciamo perdere.» Disse con un’intonazione questa volta più calma. «Statemi a sentire pivelli, perché la situazione la potete ammirare anche coi vostri occhi: gli Elementi dell’Armonia hanno fallito, il che significa che abbiamo ancora del lavoro da sbrigare. Quello che voglio da ognuno di voi è che vi diate una scrollata e sistemiate le attrezzature. Sospetto che lo scontro stia per spostarsi a castello, quindi sarà lì che andremo anche noi.» Diede loro le spalle, convinta che la sua autorità fosse stata sufficiente a convincerli a smuoversi.

«Ora spalancate le alette e datevi una mossa.»

Avvertì invece che una cupa agitazione cominciò ad animarli.

Con la coda dell’occhio osservò un terzo membro del gruppo che si avvicinava prudentemente verso di lei.

«S-Sergente… » La chiamò «lei non… sta davvero pensando di tornare lassù?»

Gilda si girò per guardarlo.

Apparentemente era un cadetto sul generis, che non spiccava sugli altri per alcun elemento caratteristico. Un grifone uguale a molti, anonimo tra i suoi simili, come le Guardie Reali delle Principesse.

Gli altri grifoni si fecero irrequieti, convinti che da un momento all’altro la Sergente avrebbe perso le staffe.

“Le priorità, Gilda. Non cedere.”

Gli rispose in modo cinico, ma sempre sulla soglia della moderazione: «Forse la pausa di poco fa vi ha fatto sentire come se aveste il diritto di esonerarvi. Ma avete ancora degli ordini, e qui… »

«Con tutto il rispetto, Sergente Grizelda, ma… VADA AL DIAVOLO!» Irruppe lui sorprendendo tutti.

Gli altri cadetti gemettero, e a qualcuno probabilmente si slogò la mascella. Cautamente, presero le distanze dai due.

Una grossa vena cominciò a pulsare sulla tempia di Gilda. «Come, scusa?»

«Non so quale sia il suo problema! Se è frustrata oppure se stronza lo è di natura, ma io ho appena visto morire il mio migliore amico laggiù! Si chiamava Caronte Black, Quinto Reggimento Aviazione. Era uno dei suoi, se lo ricorda?!» Gilda tacque, ma non per amnesia. Non poteva credere alla sfrontatezza di quel giovane.

«No, penso proprio di no, dato che continua a trattare tutti come delle merde!» Delle lacrime cominciarono a fioccargli dagli occhi, ma a lui non sembrò importare. «L-lei… può anche fare quello che vuole… m-ma… noi restiamo qui… non vogliamo morire per colpa s-sua… Signora!» E quel “Signora” ebbe il suono di un moccolo violento.

Si sedette a terra, schiacciato dalla disperazione.

Il tetto della torre fu avvolto da uno sgradevole silenzio, cui neanche i suoni della distruzione lontana sembrarono penetrare.

Allora Gilda capì che si trovava dinanzi al vero fomentatore.

Si era tradito con le sue stesse parole, sebbene non sembrava essersene accorto.

Gilda rifletté sull’atteggiamento da adottare, ma questa volta il suggeritore tacque. Doveva forse sentirsi in colpa per la perdita della recluta? Compatirlo per poi aiutarlo a rialzarsi? Gli avrebbe dovuto dire frasi di conforto o mostrarsi a lui vicina?

Di nuovo, pensò a Feather Scratch e a come la sua unità lo aveva abbandonato senza accertarsi neppure della sua morte. Fosse dipeso da loro, lo avrebbero lasciato svanire nell’anonimato, senza nessuno a soccorrerlo, e la sua anima si sarebbe dispersa tra i fumi della città, per poi svanire col primo soffio di vento lungo i pendii della montagna.

Gilda sapeva di Caronte Black, al contrario di quelle scialbe insinuazioni, perché ne aveva visto il corpo accanto a quello del suo Maestro.

Aveva testimoniato alla sua dipartita molto più da vicino di quanto non avesse fatto il grifone che ora la stava accentuando.

Udì un mormorio provenire dal suggeritore, che le disse ciò che ormai aveva concluso da sola.

La recluta alzò lo sguardo da terra, ritrovandosi la Sergente addosso di sé, che lo schiacciò a terra impedendogli di muoversi.

Gemette dal dolore, mentre un artiglio gli bucava lo strato di pelle all’altezza del gozzo.

«DIMMI COSA SAI DEI FOLCRORI POPOLARI DELLE TRIBÙ FORZA!»

Con le lacrime ancora negli occhi, tentò di chiedere «c-cosa?» ma finì per essere schiacciato ancora di più dalle zampe di Gilda, che ora facevano pressione sulla trachea, rendendogli ancora più difficile la respirazione.

«Hai il permesso di parlare solo per rispondere alla mia domanda! Forza allora, RISPONDI!»

«I-Io… n-n-non lo so… non s-s-so n-niente!»

In verità, l’unica cosa a cui in quel momento avrebbe pensato era: “Perché ve ne state lì imbambolati, qualcuno mi aiuti!”

Ma nessuno sarebbe intervenuto in suo soccorso. Conoscevano fin troppo bene l’indole violenta della Sergente Grizelda e il suo attaccamento ai valori degli Antichi Guerrieri, e se anche così non fosse stato, bastava il suo furente sguardo per dissuaderli da qualunque tentativo d’intromissione tra i due.

«Non mi sorprende» gli sibilò Gilda a un orecchio «allora immagino che tu non abbia mai sentito parlare di qualcosa chiamato il “castigo del pollo”

Il fomentatore deglutì a fatica.

Quel nome, che a lui non diceva nulla, suonava tanto buffo quanto ben poco rassicurante pronunciato dalla leader.

«N-no Signora… » scosse la testa.

La vide quindi sorridere sadicamente e pregò che la lezione gli fosse impartita a parole e non coi fatti.

«È una vecchia tradizione che risale ai tempi dei primi clan, quando un grifone era accusato di tradimento davanti a tutta la comunità. All’autore del misfatto venivano legate le zampe e spezzata un’ala, di solito dallo stesso grifone che aveva ingannato, o da un suo familiare delegato per l’occasione. Allora lo gettavano da un precipizio, e lui era chiamato a scegliere se accettare la redenzione per mezzo della morte, oppure ostinarsi a sopravvivere servendosi dell’unica ala rimastagli, come un grasso pollo obeso che si dibatteva per aria. Se ci riusciva, il suo destino era di morire di stenti in fondo a quella gola, ferito e con la vita che pian piano se ne andava per la sua strada. Nessuno sarebbe mai sceso ad aiutarlo.»

Gilda a quel punto lo lasciò, dominandolo semplicemente con la sua portanza.

Lui tossi con foga, una volta che la sua gola fu lasciata libera di respirare.

«Ora, cosa m’impedirebbe di fare su di te la stessa cosa? Su tutti voi?» Si voltò a guardare anche gli altri, con flemma solenne. «Non solo avete tradito i vostri ideali e l’Aviazione, ma anche tutta la vostra specie! Avete consegnato nelle zampe del nemico le chiavi della città! Se Canterlot dovesse crollare, con essa crollerebbero gli equilibri sui quali poggia tutto il nostro mondo! È così che pensavate di tornare a casa? Davvero avreste accettato di ripresentarvi dinanzi alle vostre famiglie con quelle facce toste? E che cosa gli avreste raccontato una volta tornati, sentiamo?!»

Il fomentatore si alzò da terra, andando ad allinearsi accanto alla giovane cadetta dal piumaggio grigio-vinaccia, sconfitto nell’orgoglio.

Tutti e quattro presero a tacere, con lo sguardo disperso e le mandibole tanto serrate che i loro becchi sembrarono quasi sul punto di saldarsi.  

«Ora statemi a sentire, perché sarà l’unica volta che parlerò. È vero: la manovra SkyArrow è stata un enorme buco nell’acqua. Avete sputato sangue dietro a un addestramento che poi si è rivelato un fiasco su tutti i fronti. Avete perso degli amici ed è solo un miracolo se ora siete qui per ricordarli. Sono consapevole, anche, che vi abbiamo mandati in battaglia senza una dovuta preparazione, perciò… » chiuse per un momento gli occhi. «come unico grifone rimasto al comando qui a Canterlot, quando questa storia sarà finita mi assumerò personalmente la responsabilità di tutte le vite che oggi sono morte tra queste rovine…»

Il fomentatore alzò lo sguardo su di lei. Fu il primo del quartetto a trovare la forza per farlo.

«… ma è bene che vi ricordi che i vostri amici non sono gli unici ad aver perso la vita oggi. Guardatevi intorno e provate a immedesimarvi negli occhi di questi pony. La loro città è stata distrutta. Probabilmente molti stanno morendo proprio in questi minuti, e tanti altri stanno cercando le loro famiglie. Voi almeno quando tornerete troverete ancora le braccia dei vostri cari pronte ad accogliervi, e un tetto da poter chiamare casa! Non dimenticatevi che avete accettato dei rischi quando avete scelto di arruolarvi, e ora è vostro dovere onorare il retaggio dei vostri antenati! Siamo stati scelti personalmente dalle Principesse per la nostra forza e il nostro coraggio, e non esiste difficoltà che possa o debba fermarci! Perciò adesso torneremo alla base, ricaricheremo le nostre lancia-dardi e andremo ad aiutare i pegasi e gli unicorni che stanno combattendo sul picco della montagna! E chiunque abbia troppa paura per alzarsi in volo e unirsi a me, farà meglio a togliersi l’equipaggiamento e sparire dalla circolazione, perché non sarò padrona delle mie azioni se dovessi tornare e trovarvi nei paraggi!» Altri occhi si adagiarono su di lei, e ora gli attenti spettatori si lasciavano trasportare col fiato sospeso.

«Tutti gli altri invece, vi chiedo di unirvi a me! Aiutiamo i pony a scacciarlo da Canterlot e dimostriamo a quel bastardo che i grifoni non si arrendono facilmente, e che la grinta che batte nei nostri cuori è più forte di qualunque ostacolo! Unitevi a me e aiutatemi a scacciarlo da questa montagna! Per Caronte Black, per Rogue Fulvus e per il Sergente Maggiore Feather Scratch dell’Aviazione dei Grifoni di Equestria! Per loro e per tutti quelli che sono morti! Aiutatemi a vendicare i nostri compagni caduti!»

Concluse sollevando un pugno sopra la testa, e a quel punto aveva la piena e completa ammirazione del quartetto. In un’altra occasione sarebbero volate lodi e baraonde di applausi, ma non adesso. Gli eroi si elogiano sulle tombe dei loro sepolcri, o si premiano con facete medaglie quando la sorte li strappa alle grinfie della morte.

Adesso era giunto il momento di tornare in battaglia, e sta volta avrebbero volato fino alla fine.

Il drappello di superstiti si passò in rassegna in un confronto di sguardi.

Annuirono, motivati dalle parole della leader, e si fecero forza venendole vicino, pronti per eseguire i suoi ordini. Guidati dal suo coraggio.

Anche la giovane femmina, con la fondina quasi completamente carica di colpi, che aveva accettato di seguire con diligente fedeltà la scelta della sua squadra.

Prima di partire, Gilda diede un rapido controllo alle attrezzature di ognuno di loro, e prese dalla ragazza alcune munizioni distribuendone una a testa a chiunque ne avesse bisogno, per assicurarsi che tutti avessero almeno un dardo per ogni evenienza.

«Almeno avresti potuto farti furba.» Le disse con l’esplicito intento di schernirla.

La grifone grigio-vinaccia la guardò confusa.

«Avresti potuto dire che te la sei ricaricata da sola. Probabilmente non ti avrei creduto lo stesso» spiegò meglio «ma almeno ti saresti guadagnata qualche punto per l’astuzia.»

La grifone grigio-vinaccia annuì, arrossendo in una smorfia di disagio.

Finito di rimproverarla, Gilda si sollevò in volo ripetendo a tutti l’ordine di seguirla.

Di gran fretta, li ricondusse ai campi d’addestramento lungo le mura della città, atterrando vicino alle casse coi rifornimenti portati laggiù quella stessa mattina.  Come previsto, erano completamente deserti.

Quindi li incitò a ricaricare le proprie bardature il più velocemente possibile.

Aveva la visuale libera sul promontorio del castello e vedeva fin troppo bene che il Kaiju era quasi arrivato alla cima della montagna.

I minuti continuavano a opporsi a lei e se voleva sperare di ritornare per tempo, doveva augurarsi che gli altri si dessero una mossa.

Partirono per la meta non appena l’ultimo dello squadrone ebbe terminato di caricare la sua fondina, con i ricordi dei loro compagni come spinta trainante e le punte dei dardi che vibravano sul parallelo dei tenieri.


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Una folla infinita di paura e puro istinto di sopravvivenza inondava le strade che si ramificavano su Canterlot, per poi confluire al barbacane che precedeva l’accesso alla grande piazza intorno al castello.

Il grande ponte levatoio in legno che collegava la roccaforte al resto della città era letteralmente straripante di una massa confusionaria di pony che si calcavano tra di loro per cercare di conquistarsi il proprio diritto a entrare.

La notizia del nuovo punto di raccolta si era sparpagliata a livello esponenziale con una tale rapidità che una delle principali difficoltà delle Guardie Reali e delle truppe stazionarie della Muraglia sopraggiunte sul posto fu proprio quella di contenere l’isteria collettiva che governava tiranna sui superstiti dell’attacco.

I soldati di terra, e con loro gli unicorni corazzati, accoglievano sulla piazza principale chiunque non avesse le ali, fornendo istruzioni e indirizzandoli ai punti di raduno nelle varie sale del castello, mentre lo stesso facevano le Guardie Reali pegaso ai loro simili che planavano dall’alto.

Gli Wonderbolt, intanto, continuavano a muoversi avanti e indietro in stormi scomposti, portando ogni volta con sé barelle cariche di feriti che veniva immediatamente trasferiti alle infermerie di fortuna allestite in piazza e all’interno.

Urgenza” era ora la parola chiave che dominava sulla bocca di tutti.

Qualcuno aveva sparso la voce che il Kaiju steva risalendo le pendici del promontorio, arrampicandosi sul versante e alternando la scalata a brevi tratti a piedi percorsi lungo lo stesso sentiero usato dai superstiti per arrivare fin lì.

Tali voci avevano poi trovato conferma da chiunque si era trovato abbastanza in alto da potersi sporgere per vederlo.

Ciò rese i cittadini ancora più irrequieti, esacerbando ulteriormente le già complicate operazioni di soccorso.

Chi era ancora fuori dal bastione, poi, era anche chi se la passava peggio: pony sopravvissuti all’attacco ora rischiavano di finire uccisi dalle stesse zoccolate di persone che un tempo avrebbero salutato con cordiali cortesie in una calda mattinata di sole.

Un plotone di Guardie unicorno aveva ricevuto lo specifico incarico di estrarre dal lago gli sventurati equini che venivano spinti giù dal ponte, e il loro compito diveniva sempre più gravoso man mano che l’agitazione cresceva.

Più in basso, i ruggiti assordanti del mostro erano l’unico rumore in grado di sormontare le urla sempre più isteriche della popolazione.

Il suo occhio giallo continuava a rilasciare gli sciami dei globi assorbi-magia, che dopo aver volteggiato per un po’ con una serenità quasi aliena, salivano sul promontorio per infierire senza alcuna pietà sugli unicorni ammassati nella folla in attesa.

Ogni tanto qualche giovane e coraggioso mago dell’accademia di Celestia si allontanava dal flusso per provare a ingaggiare battaglia con le sfere opalescenti, finendo inevitabilmente defraudato dalle sue abilità speciali.

Il Kaiju giunse finalmente al livello delle fondamenta del castello, e da lì decise di proseguire lungo il tratto restante del sentiero, infierendo sui ritardatari che ancora marciavano per raggiungere la cima.


Le Custodi dovettero ringraziare le potenti abilità insite in Twilight se riuscirono a raggiungere le porte del castello sane e salve.

In più di un’occasione la loro amica aveva rischiato di finire colpita da qualche globo subito dopo un “salto”, ma quando questo stava per succedere Rainbow Dash aveva sempre offerto il suo corpo come bersaglio alternativo parandosi in mezzo.

«Devi smettere, Dash! Non sappiamo che tipo di effetti possono avere a lungo termine quelle cose!» Aveva detto la Principessa dell’Armonia dopo il terzo salvataggio per ammonirla dei rischi, ma nessuna aveva il coraggio di ribattere che i suoi poteri erano più importanti delle loro stesse vite. E poi, qualunque cosa i globi facessero alla magia, sembravano non avere alcun’influenza sulle capacità di volo, pertanto Dash non trovava alcuna ragione valida per non sacrificarsi in favore della sua amica.

Entrarono nella hall del castello dovendosi spingere tra una calca di pony di tutte le razze, stanchi e spaventati, che aspettavano di ricevere istruzioni su dove dirigersi.

Rainbow Dash venne urtata in volo da un pegaso particolarmente esagitato, che volò sopra la testa dell’affollamento senza prendersi nemmeno la briga di domandarle scusa. «Se Discord è davvero qui, che aspetta Princess Celestia a farlo combattere?!» Chiese dopo aver liberato nell’aria una sonora imprecazione.

«Ma sei pazza?!» La investì Applejack «Ti rendi conto di quanto casino farebbe con tutta sta gente in giro?!?»

«Perché adesso ti sembra che le cose vadano meglio?!?»

Twilight lasciò che le due se la vedessero tra di loro e si diresse verso una Guardia Reale dal manto nero – quella che nel momento le sembrò la meno impegnata – chiedendo dove poteva trovare le Principesse.

Egli s’inchinò dopo averla riconosciuta (una pratica cui non si esimevano nemmeno nelle situazioni più affannate) e le rispose dicendole dove avrebbe senz’altro potuto incontrare Luna.

Lei lo ringraziò, lasciandolo ai suoi doveri, e si diresse alla rampa di scale che la condusse al piano superiore.

Luna era lì, circondata da altri soldati e qualche Wonderbolt. Impartiva ordini a qualcuno mentre veniva aggiornata da qualcun altro.

Si affrettò a concludere quando vide gli zoccoli della Principessa dell’Armonia farsi strada tra gli stalloni e le giumente che correvano per il corridoio.

«Twilight, per fortuna stai bene!» La abbracciò forte, come una sorella maggiore avrebbe fatto con quella più piccola.

«Princess Luna, ci sono stati dei problemi con gli Elementi! Rarity e Rainbow Dash sono state colpite da una sorta d’incantesimo scaturito dal Kaiju, non abbiamo potuto fare nulla!»

«Le sfere volteggianti? Lo sappiamo, stanno arrivando flotte di unicorni senza magia praticamente da ogni dove! Aspetta… hai detto Rainbow Dash?»

«Sì! Si è presa più volte dei colpi che erano indirizzati a me… mi ha protetto.»

L’alicorno della notte chiuse gli occhi affranta. «Capisco.»

«Senti… hai notizie dei miei genitori… ?» Chiese allora Twilight, ansiosa di sapere.

«Sono entrati mezz'ora fa. Li hanno trasferiti in uno dei punti di raccolta del terzo piano, stanno bene.»

«Sia lodato il cielo… » sospirò «a proposito, dov’è Celestia? Ho bisogno urgente di parlarne!»

«Sulla piazzola d’atterraggio della torre Sud, sta aiutando le squadre di soccorso. Sarà felice di sapere che sei tornata.»

«Vorrei poter dire lo stesso…» mormorò, facendo cenno alle amiche che la guardavano di sotto che stava per allontanarsi.


Celestia non se ne rendeva conto, ma era a pezzi, ferita nella mente quanto lo era la città che per secoli aveva regnato.

Le rovine fumanti erano le ferite che le rigavano il candido manto bianco, le morti sventurate erano gocce di sangue che colavano da esse.

Pony eleganti, acculturati e dall’animo nobile quanto le loro discendenze, ora si spingevano come animali braccati nelle poche entrate dell’ultimo baluardo rimasto alla capitale.

Aveva sbagliato tutto, si era affidata a vecchie esperienze per far fronte a una minaccia che invece non era mai stata così nuova e contemporanea, e ora aveva paura di prendere qualunque decisione.

Al suo rientro a castello, al Capitano Spitfire erano bastate poche parole per convincere la regnante a delegarle il comando di tutte le squadre dell’esercito Reale, e da quel momento, dovette ammettere, aveva svolto un lavoro eccelso.

Ogni pony che era nelle condizioni di farlo stava prestando assistenza ai suoi fratelli e alle sue sorelle in pericolo, facendo tutto il possibile con il poco che ancora avevano.

Celestia, dal canto suo, si limitava a dare supporto alle altre squadre. Accoglieva i pegasi in volo accertandosi di persona delle loro condizioni di salute, prestava assistenza ai feriti in fin di vita sottoponendoli a incantesimi curativi che permettessero poi ai medici di stabilizzare le loro condizioni. Delle volte volava fino agli alloggi privati, e da lì osservava attraverso il telescopio le condizioni della città e la posizione del Kaiju, e ogni volta sudava freddo nell’osservare quanto lunga fosse ancora la coda di esodati che migravano verso di loro. Si chiedeva quanti altri il castello e la piazza avrebbe potuto contenerne e cosa avrebbe dovuto fare se non ci sarebbe più stato spazio per ospitarli tutti.

Adesso stava pensando a Discord.

Da quando la crisi era scoppiata lo aveva completamente perso di vista. Letteralmente svanito nel nulla.

Cominciò a temere che forse le aveva tradite. Fuggito dalla capitale per poi lasciare al Kaiju che facesse per lui il lavoro sporco, così da potersi finalmente appropriare del regno che da sempre ambiva.

D’altra parte, forse invece si era solo fatto da parte, nascostosi in qualche anfratto al di fuori del tessuto della realtà, in attesa di ricevere il segnale di Celestia per intervenire.

Un segnale che l’alicorno non poteva ancora dargli, o forse… non voleva.

Qualunque domanda la sua ragione le ponesse, il suo intimo interiore non era più in grado di risponderle.

Una sola cosa frase si ripeteva come la singola strofa di una breve poesia: “È stata colpa mia. Non doveva finire così.”

E così Celestia cominciò a non fermarsi più. Si muoveva, cambiava posizione. Galoppava e volava, talvolta aiutando e talvolta intralciando.

Non era più in lei, si sentiva sola, abbandonata. Per la prima volta da secoli aveva cominciando a desiderare che qualcuno arrivasse da lei per darle conforto. Qualcuno che le dicesse cosa fare, che la consigliasse e la sostenesse, così come lei aveva sempre fatto per i suoi sudditi.

«Principessa!»

Quel qualcuno giuste sotto le spoglie di una pony che lei conosceva molto bene: Twilight Sparkle, la giovane unicorno che aveva elevato al rango di Principessa dell’Armonia poco più di due anni fa.

Celestia vide che la stava fissando. A bocca spalancata, con un ciglio di smarrimento sulla maschera del viso, lo stesso che lei aveva nei suoi confronti. Ricambiò il suo sguardo, ma non era sicura che fosse lì, e soprattutto, che fosse reale.

Avevano visto che avevano usato gli Elementi per respingere il Kaiju, ma non erano serviti.

Allora qualcuno aveva cominciato a confabulare che fossero morte, uccise dalla follia di quel nemico che nessuno riusciva a intimorire.

Ma ora invece era qui, presente e materiale, e le stava parlando.

«C-Celestia? Va tutto bene, che cos’hai?» Le mosse una zampa davanti agli occhi. Sarebbe sembrata una scena così divertente, se solo non fosse stata così tragica.

«Twilight?» L’alto alicorno dal manto bianco scosse la testa e strizzò gli occhi. Sì, ora ne era certa, era davvero la sua piccola ex-allieva, e non sembrava avere su di sé ferite gravi. La sua corona, oltretutto, era ancora lì, salda sulla sua criniera così come il tronco di un abete sulle sue radici. «Gli Elementi hanno fallito?» Le chiese a voce tiepida. Ma era retorico, o davvero sentiva il bisogno di avere una conferma?

Twilight annuì con un delicato gesto del mento. Quelli che i pony fanno quando sono rassegnati all’inevitabile. Dunque era a questo che stavano andando incontro? All’inevitabile?

«Ascolta, devi dire alle squadre di sbrigarsi, il Kaiju è quasi arrivato alla cima! Io… credo che tu abbia ragione… dobbiamo far intercedere Discord!»

Celestia rimase abbagliata dalle parole dell’altro alicorno. Davvero le aveva appena sentito dire che lei aveva ragione?

No, s’immaginò di scuotere la testa. Sicuramente Twilight si stava sbagliando.

Non aveva avuto ragione su niente, e inoltre…


 Era colpa sua se si stava verificando tutto ciò.


…aveva ignorato i suoi avvertimenti quando l’aveva avvisata della forza crescente dei Kaiju, e altrettanto aveva fatto dinanzi Bibski, che in un modo molto più sfrontato le aveva ripetuto quello che da mesi era già sulla bocca della sua ex-allieva.

Ed ora, di colpo, era tornata e le stava dando ragione?

C’era qualcosa che non le tornava, un frammento che si era spezzato e che lei non riusciva più a ricomporre, privata del coccio più importante.


Un urlo assordante, che da ore avevano tutti imparato ad associare al latrato della morte, si espanse su tutto ciò che rimaneva della devastazione di Canterlot.

A esso seguirono quelle dei sopravissuti, più acute e stridenti. Grida di paura, che si disperdevano ovunque, tra chi era in cerca di un riparo e chi, fuori, si accalcava per entrare.

Il Kaiju era arrivato.

Era ben visibile sia da terra che dalle torri. Aveva percorso l’ultimo tratto del sentiero che portava al castello, e lì si era fermato.

Piccoli branchi di quel che restava dei ritardatari si riunirono all’enorme calca che ancora combatte per entrare.

Al barbacane la situazione precipitò all’istante.

Le Guardie dovettero levarsi di torno per non rischiare di essere spazzate via dall’orda di pony terrorizzati.

Le assi del ponte scricchiolavano sotto il peso dei loro zoccoli.

Senza più nessuno a soccorrerli, molti di quelli che cascarono in acqua finirono per restare lì. Qualcuno riuscì a nuotare verso la sponda del lago artificiale, ma molti dei più deboli e giovani, caddero rapiti dalla corrente della cascata, precipitando nelle vasche inferiori, o peggio, trovando una tragica morte per annegamento tra i flutti.

Celestia fu travolta dalla paura, e con essa Twilight, Luna e chiunque stesse guardando in quel preciso istante al sicuro tra le mura del castello.

Spitfire tagliò l’aria sbraitando un unico ordine a tutte le Guardie unicorno presenti all’appello, sia intorno al barbacane che dentro i confini del castello: «ATTIVATE LA MURAGLIA, ORA!!»

Decine di unicorni con in testa un’unica formula piegarono la testa all’insù, da più punti della fortezza, e obbedirono a quella procedura che per mesi era stata alla base delle loro esercitazioni. La stessa formula usata dal Principe Shining Armor durante le passate invasioni al reame, ma potenziata dalla forza di tanti unicorni addestrati per quel saliente momento.

Raggi di luce magica partirono dai loro corni, mentre il gigante era fermo a osservarli con una curiosità quasi infantile.

Decise di passare all’attacco, e aprì ancora una volta le due parti del guscio protettivo sull’occhio, sprigionando l’ennesimo sciame di globi dal liquido vischioso che grondava sul bulbo.

La magia degli unicorni si concentrò nell’aria in una grande cupola di luce chiara, che calò sul castello come un velo protettivo, mentre i globi del Kaiju le zampillavano contro schiantandosi talvolta su di essa, oppure passandovi sotto prima che la chiusura fosse completa. Quando questo succedeva, spesso i bersagli presi di mira erano proprio gli unicorni che stavano eseguendo la Muraglia, i quali colpiti a tradimento, perdevano i propri poteri indebolendo la già incerta stabilità dell’incantesimo.

I superstiti, quelli che avevano la fortuna di essere più vicini, si spinsero l’un l’altro per riuscire a entrare, ma quando la cupola scese del tutto, inglobando nel suo diametro la roccaforte e con essa tutto il promontorio fatta eccezione per il ponte e la valle subito precedente, chi rimase dietro venne sfortunatamente tagliato fuori dalla fortezza.

Ora questi disperati picchiavano sulle pareti all’entrata del barbacane, supplicando di entrare.

Genitori in lacrime pregavano le Guardie dalla parte opposta di lasciar entrare i loro puledrini, coppie separate dal muro cercavano di ritagliarsi un frammento d’intimità per dirsi addio finché il tempo ancora glielo concedeva, e chiunque era dentro, guardava quello spettacolo con sofferenza e pietà, ma animati anche da un egoistico sollievo, al pensiero di avercela fatta.

Dei pegasi tentarono di volare fin sulla cima, e altri corsero lungo il perimetro, tutti in cerca di un varco da cui poter penetrare nella cupola, ma dovettero arrendersi alla cruda realtà dei fatti, quando compresero che niente era stato lasciato al caso. Non c’era nessun punto debole nella struttura, nessun cedimento, neanche un minuscolo pertugio lasciato lì per i pochi avveduti che se ne fossero accorti.

La Muraglia doveva restare intatta. Era questa la condizione per l’incantesimo. L’unica soluzione per la sopravvivenza.

«Non possono fare sul serio!! Non possono lasciare tutta quella gente fuori!!» Urlava Twilight, guardando disperata la sua Mentore, ma chi era anche più devastato di lei era Rainbow Dash, che dal livello sottostante aveva visto con i proprio occhi e udito con le proprie orecchie l’ordine di quella che un tempo era una dei suoi idoli più grandi.

Spitfire, da anni unico Capitano degli Wonderbolt, pegaso in apparenza dall’indole nobile e impavida, aveva appena condannato a morte centinaia di loro simili, e l’aveva fatto con una freddezza spietata, di quelle cui nessun pony prima di allora aveva mai osato spingersi fino a quel punto.

Ma cosa ancora più spiazzante, tutti sapevano che quell’ordine – insensato e innaturale prima di allora – aveva appena donato una speranza a Canterlot e ai suoi rifugiati. Perché fu proprio in quel momento, quando gli esclusi avevano compreso che per loro l’illusione finiva lì, che il Kaiju caricò la cupola con tutta la sua ferocia.


E ora correva, dando esibizione di una velocità che non gli si sarebbe mai potuta attribuire. Correva, mentre evocava il suo grido di battaglia, e protendeva in avanti spalle e testa, pronto a sfondare l’ultima illusione eretta dalle sue prede.

Qualcuno urlava. Altri si coprivano gli occhi e si rifugiavano nello loro ultime, insensate preghiere.

I più illusi – quelli che ancora credevano di avere una speranza – tentavano di scappare nelle direzioni più casuali, ma se le loro menti razionali, asfissiate dal cieco istinto di sopravvivenza, avessero potuto esprimersi, quasi sicuramente gli avrebbero detto di rinunciare. A quella velocità e posta la sua stazza, mai si sarebbero allontanati per tempo prima che le possenti zampe del ciclope facessero terra bruciata dei fragili corpi di cui erano fatti i pony.

Ancora pochi secondi e il picco di Canterlot si sarebbe imbevuto del rosso più carnoso che quella delicata montagna avesse mai assaggiato dai tempi della sua genesi.


   

Celestia, ripresasi completamente di fronte a quella visione, trovò la forza di ragionare, e fece ciò che invece avrebbe dovuto compiere da tempo.

Il piano che lei stessa aveva escogitato, ma che, per timore di sbagliare di nuovo, aveva posticipato fino al momento che stavano vivendo ora.

Quel piano era previsto per una battaglia che si sarebbe dovuta svolgere all’esterno della città, nella più completa sicurezza per gli abitanti, ma che altro doveva attendere prima di decidersi ad attuarlo? Aspettare che quei poveri pony finissero trucidati dal mostro? Vedere le pareti della Muraglia lordarsi del loro sangue?

No, non avrebbe potuto convivere con quel rimorso.

Spitfire aveva fatto la sua parte, conscia delle conseguenze a cui sarebbe incorsa con la sua decisione, e ora toccava a lei fare lo stesso.

Doveva dare il segnale. Permettere al Caos di restituire la loro Armonia.  

Alzò la gola al cielo e gridò. Le corde vocali vibrarono in un richiamo forte e maestoso, potente come il sole.

«DISCORD, DOVUNQUE TU SIA. FALLO!! ORA!!!»

E come terminò la sua invocazione, ogni singolo stallone, giumenta o puledro rimasto fuori dalla muraglia (compreso chi cercava di riemergere dal lago), venne immediatamente avvolto da un alone di magia caotica e teletrasportato all’interno del bioma della cupola.

Riapparvero nella piazza, gremendo ogni singolo metro quadrato di spazio disponibile, cadendo su soffici tappeti erbosi o sulla dura pietra del viale. Si fecero male, gemettero. Qualcuno atterrò su altri pony o perfino su qualche Guardia Reale, qualcun altro pensò di essere finito nell’altro mondo, e certi neppure si resero conto di ciò che era successo, continuando a stringere gli occhi convinti che presto sarebbe arrivata la loro ora.

Ma quali fossero le emozioni e i pensieri che galleggiavano nelle loro menti in quegli istanti, con gran sollievo di tutti, gli esclusi dalla Muraglia erano appena stati salvati. Tutti quanti.


E il Kaiju? Il Kaiju balzò con un salto oltre il lago, schiantandosi contro la parete della cupola.

Subito dopo, una cataclismatica onda d’urto si propagò su tutto ciò che si trovava al suo interno.

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Capitolo 12
*** IL QUARTO ATTACCO - Parte 3/3 ***


IL QUARTO ATTACCO

Parte 3/3: Discord VS Cyclop


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«REGGETE FORTE!!!» Fu l’ultimo ordine che riuscì ad impartire Spitfire prima che il Kaiju impattasse contro la cupola, subito ripetuto dai leader delle varie unità disposti intorno al perimetro.

Come un ariete che niente su Equestria avrebbe potuto arrestare, il ciclope compì un balzo contro il velo protettivo dell’incanto, sbattendovi contro con tutto il peso della sua massa.

L’energia dell’impatto fu assorbita all’istante dalla cupola, attraversandone gli spessi strati frutto della magia combinata di centinaia di unicorni, e penetrò all’interno del bioma della fortezza, come un’onda di marea pronta a travolgere qualunque cosa nel suo raggio d’azione.

Quello che successe dopo fu il finimondo.


La Capitana dei Wonderbolts, e con essa ogni pony che stazionava nei dintorni del punto d’impatto, furono spazzati dall’onda di risonanza. I loro corpi sbalzarono via, cozzando contro persone e ostacoli di ogni genere.

Anche ora, nell’illusione di trovarsi al sicuro, qualcuno di loro finì per perdere la vita, spezzandosi la schiena, il collo o riportando gravi lesioni interne.

Spitfire fu graziata dall’istinto di sopravvivenza e da un’esperienza pluridecennale, che la spinsero a raggomitolarsi in posizione fetale e di richiudere sui fianchi le sue fragili ali da pegaso.

Rotolò in quella posizione per innumerevoli metri, augurandosi in ogni istante che nulla di solido si frapponesse tra lei e lo spazio per arrestarla prima del tempo.

Quando si fermò, esaurita la spinta dell’onda d’urto, si guardò all’indietro accorgendosi del grande albero spoglio d’inverno, cui rami scheletrici erano stati piegati (e spezzati) dalla risonanza, e si ritrovò a benedire la fortuna sfacciata, che per appena tre metri l’aveva graziata da una collisione frontale con il tronco della pianta.

Si rialzò sulle zampe, osservando che la sua uniforme blu si era stracciata a metà, penzolando sul fianco destro del corpo, quindi, si accorse delle gocce di sangue che avevano cominciato a insozzarle gli zoccoli anteriori.

Si toccò all’altezza delle narici, colta da un dubbio fulmineo, e lì ebbe conferma che: sì, stava sanguinando dal naso.

“Poteva andare peggio.” Si trovò a pensare, mentre il liquido ematico le stava lavando il manto sinuoso lungo il mento e la gola, e le venne da ridere coinvolta da un improvviso impulso d’ilarità. Subito però un conato di tosse la costrinse a chinare il collo in giù ed eruttare una decisa sequenza di versi cavernosi che non auspicavano a nulla di buono.

A ogni colpo di tosse, esplosioni di liquido denso e caldo risalivano le pareti del suo esofago costringendola ad assaporare il gusto ferroso del sangue, che lei sputò fuori in grumi di materia rossastra e schiuma salivale.

«Oh cavol…*coff*… no… »

Trovò la forza di issare il capo e guardare in avanti: corpi, come coriandoli di una macabra festa, ravvivavano di motivi multicolore la corona all’interno della cupola.

Alcuni si rialzavano, scossi e provati, altri rimanevano stoicamente al suolo. Erano privi di senso? In coma? Morti? Spitfire non aveva modo di capirlo.

La cosa più grave fu che tutto si era verificato all’interno della Muraglia, lì dove chiunque avrebbe potuto giurare che sarebbero stati al sicuro.

Che senso aveva dover accettare il sacrificio di tante vittime, se poi i superstiti dovevano continuare a patire così?

Più ci pensava e più non si dava pace per la freddezza con la quale aveva deciso di condannare a morte molti di loro.

A un tratto il suo corpo fu percosso da altri spasmi, e le zampe iniziarono a tremarle come non mai.

Ora che l’eccitazione del momento stava via via sbiadendo come una macchia di fango diluita nell’acqua, poteva ascoltare con assoluta limpidezza dei sensi il dolore fisico che lambiva il suo corpo.

Fu sul punto di spiegare le ali e rientrare in campo, quando una piccola e meschina intuizione le disse che non ci sarebbe mai riuscita.

“Aveva svolto il suo dovere, e ora che la sirena era suonata, era giunto il momento di ritirarsi negli spogliatoi.”

Nell’immaginario dei suoi pensieri, si sentì come se l’amorevole abbraccio di un amico accorresse a lei per prestarle soccorso. L’amico la reggeva per le spalle, bisbigliandole di adagiarsi; “Andrà tutto bene” la consolava “mi prenderò io cura di te” le promise, e Spitfire finì per credergli sulla parola, lasciando che la calda zampa la adagiasse a terra.

Sbatté le palpebre, stanca e febbricitante.

Una volta, due, tre volte.

Alla quarta volta ebbe una visione, e vide i suoi compagni di molte avventure, Soarin e Fleetfoot, che si stagliavano di fronte al suo giaciglio sorridendole affettuosamente, ma senza parlarle.

Cercavano forse di consolarla? Era un modo per comunicarle che malgrado tutto aveva svolto un buon lavoro?

La calda stretta che la stava accompagnando in quell’ultimo volo si avvicinò al suo muso e le diede un bacio, dolce e protettivo, che le fece dimenticare tutto ciò che stava succedendo. Poi, quando la pegaso si accorse di essere troppo stanca per farlo da sola, l’amico la aiutò a chiudere le palpebre, restando a vegliare sul suo capezzale, insieme alle visioni degli altri due Wonderbolts, mentre si accingeva ad addormentarsi di fronte ai loro sorrisi.

Forse per sempre?


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Quando l’onda d’urto attraversò le difese della Muraglia dell’Armonia, travolgendo chiunque vi si trovasse nei pressi, fu come la detonazione di cento emissioni degli Elementi, concentrate tutte nel raggio di poco più di cento metri.

Le ossa dei più fragili a quel punto si polverizzarono, mentre i più robusti dovettero comunque fare i conti con una forza fuor da ogni misura.

Il barbacane, per ovvie ragioni, non resse alle sollecitazioni, sgretolandosi in una frana di macerie che andò a riversarsi un po’ dappertutto lungo la piazza.

I sopravvissuti rintanati a castello risentirono dell’onda d’urto in entità minore rispetto a chi era ancora all’aperto, ma non per questo poterono sentirsi più al sicuro: la risonanza fece vibrare le vetrate, che esplosero in mille mosaici di schegge cadendo sulle loro teste.

L’intera storia di Equestria fu spazzata via in quel preciso istante, tramutandosi ora nell’ennesimo pericolo per gli stalloni e le giumente che si videro costretti ad accucciarsi per non restare feriti dalla pioggia di frammenti.

La risonanza vibrò anche lungo tutta la superficie convessa della cupola, propagando un acuto stridio che ricordò il suono di uno zoccolo umido che passa sul bordo di un bicchiere.

Twilight Sparkle si risvegliò con gli occhi puntati al cielo.

La prima cosa che vide fu la punta della torre Sud, con il balconcino degli alloggi privati delle Principesse. Ma dov’erano le Principesse?

Celestia era lì di fianco, con lo sguardo sperduto come le sue emozioni.

E c’era anche Luna, che invece si stava curando di lei (aveva forse subito delle ferite? O la stava semplicemente aiutando a riprendere i sensi?)

E poi chi altri?

Più la sua coscienza riemergeva dall’oceano dell’illogico e più le presenze che intorno a lei posavano immobili come statue di bronzo assumevano identità e colori amichevoli.

Riconobbe Applejack, che era sollevata dal riavere con sé la sua amica.

Riconobbe Fluttershy, che piangeva (ma aveva mai smesso di piangere?).

Riconobbe Rarity (chiedendosi se ancora trovasse la voglia di preoccuparsi della sua criniera dopo quello era successo) e con lei Spike, che non poteva astenersi dal ronzarle intorno anche in quel frangente.

In seguito riconobbe Pinkie Pie e la sua criniera floscia (un classico intramontabile. Si chiese se dopo quell’esperienza sarebbe mai tornata a essere la solita Pinkie di sempre?)

Infine Rainbow Dash, che sembrava fare il verso a Princess Celestia, persa insieme a lei nel vuoto delle loro pupille.

Ma cosa stavano guardando da meritarsi tanto la loro attenzione?

I pony che gridavano per la paura? Il Kaiju che se ne andava con la coda tra le gambe (buffo, nemmeno ce l’aveva una coda) perché incapace di penetrare le difese della Muraglia? Certo, sarebbe stato bello se così fosse stato… sarebbe stato…

Invece no… qualcosa era andato storto! C’erano altri morti intorno alle pareti dell’incantesimo! E perché la cupola sembrava essersi assottigliata d’improvviso?? Perché mai, poi, i raggi che la alimentavano erano così pochi in cielo?!?

Quel che tutti sapevano, ma che nessuno voleva collegare alla realtà di allora, era che la maggior parte delle unità della Muraglia avevano ricevuto l’ordine di appostarsi proprio ai bordi del confine.

Alcuni erano morti, e i loro corpi ora contribuivano a infoltire la conta delle vittime di quell’infame giornata, mentre gli altri erano ancora rintronati dallo shock della risonanza.

Twilight osservò alcuni raggi elevarsi nel cielo per rinforzarla; qualcuno – probabilmente nelle retrovie – si era ripreso dal suo stato confusionale ed era tornato in formazione per adempiere il suo compito. Ma la domanda che l’alicorno si pose a quel punto fu: sarebbero mai bastati?

Mentre se lo chiedeva, qualcuno da lassù stava vegliando su di loro…


Quando il Kaiju si scontrò con la cupola, convinto che la sua forza l’avrebbe sfondata con gran facilità, si trovò a dover ingurgitare un boccone troppo amaro nello scoprire che la loro linea di difesa era riuscita a respingerlo.

La Muraglia si comportò come una molla, che assorbì tutta la sua energia, restituendone parte come in un ritorno di fiamma.

Il gigante rimbalzò all’indietro, atterrando col sedere nella vasca del lago e portandosi con sé il gracile ponte che con grinta eroica aveva retto fino ad allora alle pressioni del pomeriggio.

Grugnì di dolore quando la forza magica lo pervase, scuotendolo da sotto la corazza di pelle. Le misere frecce che gli furono scoccate contro dei grifoni non gli avevano oltrepassato nemmeno lo strato superficiale della cute, e il grande vortice arcobaleno scaturito dagli Elementi lo aveva ustionato provocandogli a malapena qualche piaga da bruciore, che tornava a farsi sentire ogni qualvolta che la pelle sfregava contro qualcosa, ma stavolta il male fu acuto e prepotente, all’altezza della sua mole: partì dal ventre, come un immane pugno sferratogli da un avversario della sua stessa stazza, e s’impose attraverso il suo corpo voluminoso.

I fasci muscolari gli dolsero e le ossa scricchiolarono, mentre la vista gli si fece d’un colpo confusa.

Il fluido scuro che sgorgava dal suo occhio cadde per la prima volta senza generare altri globi assorbi-magia, gocciolando nero e inerte nella limpida acqua della vasca.

Il Kaiju fu costretto dal rinculo ad arretrare.

Digrignò i denti e urlò, ma questa volta non riuscì ad attraversare la patina della difesa.

Si rialzò con gran fatica, mentre l’odio germinava in lui a ritmo esponenziale. Non poteva concedere a quelle misere creature di prendersi gioco di lui, doveva eliminarle, ora che erano deboli e frastornate.

Scosse il corpo per asciugarsi dall’acqua che lo bagnava dalle ginocchia in giù e aprì di poco il guscio protettivo del suo occhio, solo per accorgersi che non era più in grado di produrre altri globi. Forse a causa del brutale contraccolpo?

Poco male, aveva probabilmente pensato, lo avrebbe fatto alla rude maniera.

Contrasse la deforme dentatura in una smorfia collerica, compiendo due brevi passi in avanti nell’acqua ora sempre più torbida, e caricò con un pugno che presto si sarebbe abbattuto sull’intera cupola.

I pony cominciarono a urlare e darsi alla fuga.

Due dita schioccarono.

Gli stessi sopravvissuti poterono udirle direttamente nella loro testa, come se con quel gesto Lui avesse voluto rassicurarli, comunicandogli che da adesso se ne sarebbe occupato di persona.


I muscoli del Kaiju produssero acuti rumori di contrazione, quando le sua dita si strinsero le une sulle altre con tanta veemenza da poter quasi solidificare l’aria.

Prese slancio per sferzare il colpo, un frontale avvolto da un’aura di puro potere che presto avrebbe scaricato sulla cupola con la forza di un cataclisma.

Invece…

Un muro di mattoni rossi si frappose tra la cupola e il suo braccio.

Era alto quanto il ciclope e spesso qualcosa come quindici metri, e il pugno che invece era destinato alla barriera incantata, penetrò negli spessi strati d’argilla, dove si arrestò rimanendovi incastrato.

Mentre dentro la cupola i rifugiati cercavano di comprendere le ragioni del perché un immenso muro si fosse materializzato nella stessa linea di tiro del loro assalitore, il Kaiju tentava inutilmente di liberare la propria mano dalla stretta argillosa che si stava avviluppando sempre di più come la morsa viva, rimestandosi intorno al pugno e costringendolo in una trappola da cui era ormai impossibile liberarsi.

Nello sforzo di divincolarsi, il suo piede inciampò sul bordo della vasca e il Kaiju cadde sulle ginocchia, ritrovandosi ancora una volta immerso in quell’acqua sempre più lercia.

Raccolse la mano libera su se stessa e sferzò un bolide di energia sulla parete, che però non venne in alcun modo intaccata dal colpo.

Ululò di dolore quando le sue dita furono sbalzate all’indietro dal solido materiale.

Dall’interno della Muraglia, Fluttershy trovò finalmente la forza di sorridere. Puntò gli zoccoli al cielo, con gli occhioni grandi e ricolmi di speranza, indicando alle sue amiche la cosa di cui tutti si stavano pian piano accorgendo. «Lassù, guardate!» Cinguettò, con il massimo della voce che era in grado di concedersi, facendo segno di guardare sull’apice del muro di mattoni.

Anche il Kaiju alzò lo sguardo, inarcando la testa che in realtà era il suo occhio, e lì lo vide: un piccolo essere dal corpo serpentiforme, che se ne stava eretto sulle zampe posteriori, una diversa dall’altra, e lo fissava a braccia conserte con una flemma superba, che non lasciava trasporre nemmeno un assaggio di quella paura che invece aveva deliziosamente assaporato nei pony che stava braccando.

«Per la miseria. Certo che sei veramente… “grosso”!» Disse il draconequus, pregustando già i tanti modi in cui avrebbe potuto divertirsi con lui. «Beh, come si dice da queste parti: più grossi sono, più “casino” fanno quando cadono!» E lì cominciò a ridere a crepapelle, dando libero sfogo all’aria nei suoi polmoni. «Hahaha!! L’hai capita?! Casino, caos, no? E io sono il Principe del Caos!! Hahaha!! E ora… hihihi… ora me la sto ridendo… “della grossa”! Come te!! Hahahah!!» Si strinse forte lo stomaco, nel timore che potesse evadergli dalla bocca qualora avesse riso con forza maggiore.

Il Kaiju però parve non condividere la stessa letizia di Discord.

Ringhiò con ferocia, e si rialzò in piedi cercando di scacciarlo con uno schiaffo a palmo aperto.

Il corpo di Discord divenne un ologramma privo di materia, lasciando che la mano del ciclope lo attraversasse senza arrecargli alcun danno.

Il mostro rimase per un momento stupito da quello sviluppo, e latrò a bocca spalancata.

«Oh, il bambino è nervosetto oggi! Troppo zucchero per colazione?» Guardò il titano mentre preparava un altro pugno. «Bene, vediamo allora se un giro sulle giostre ti farà calmare un po’!» E quindi schioccò le dita.

Il Kaiju sentì qualcosa muoversi all’interno del muro, come un rigonfiamento che poco per volta stava espellendo il suo arto dalla trappola di mattoni, e riuscì solo a pensare che da un momento all’altro nessuno gli avrebbe più impedito di schiacciare quella strana creatura dal corpo disarmonico. Quello che invece avvenne, fu che dai blocchi d’argilla emerse un grande guantone da boxe, rosso scarlatto e attaccato a una molla, che lo picchiò in pieno petto scagliandolo via dal picco della montagna, e poi giù verso i livelli inferiori, dove si districavano i resti diroccati della città.


Più in basso, lo squadrone di grifoni capitanato da Gilda si vide precipitare addosso gli oltre quaranta metri dell’immenso nemico, quando ormai erano ad un battito d’ala dalla base del picco.

«Oh cazzo… VIA DA QUI, LEVIAMOCI DI TORNO!!» Imprecò rumorosamente disperdendosi insieme agli altri cadetti, trovando rifugio tra i comignoli dei palazzi.

Osservarono poi il Kaiju atterrare disastrosamente sul dorso, a duecento metri dalla loro posizione, tenendosi stretti a ogni appiglio disponibile per fronteggiare lo spostamento d’aria scaturito dall’impatto.

«Per… gli Antichi… » esclamò un cadetto, che insieme alla leader aveva scelto quello specifico tetto come riparo: era lo stesso che poco prima aveva “fomentato” la fuga dei suoi compagni. «Signora… c-che cosa facciamo adesso?» Le chiese confuso.

Entrambi avevano gli occhi congelati sull’enorme massa distesa al suolo, che sembrava stesse soffrendo non poco per la rudezza della caduta.

Gilda allora studiò l’aria, e poco più in su riconobbe il Deus Ex Machina di quell’imprevisto sviluppo, e… non poté crederci. «Beh, pivello. Si direbbe che ci hanno appena messo in panchina… » concluse, rassegnandosi all’evidenza.


«YUHUU!! Vai così, Discord! Picchialo!! Distruggilo!! FALLO A PEZZI!!!»

Le grida provennero da Fluttershy, che senza accorgersene aveva cominciato a volteggiare per aria mimando senza remore mosse confusionarie di qualunque disciplina marziale esistenze sul suolo Equestre.

Le sue amiche la fissarono a bocca spalancata, Principesse comprese.

Quando se ne accorse, emise un verso strozzato piombando subito in giù e cercando di nascondersi tra i ciuffi della criniera. «S-s-s-scusate… »


Discord udì le esaltazioni della sua amica, a cui si unirono i cori di applausi della popolazione di rifugiati, che lo fecero sorridere.

Per lui fu come un’iniezione di fiducia, la prova inconfutabile che finalmente i pony avevano deciso di credere nelle sue capacità.

“Non ti deluderò, cara Fluttershy… nessuno di voi” pensò tra sé e sé, mentre si preparava a scendere in campo.

Il muro di mattoni evaporò sotto le sue zampe in una nube di calore e, sospeso a mezz’aria, il draconequus cominciò a scendere giù dallo strapiombo come percorrendo i gradini di un’invisibile scalinata.

Il Kaiju raccolse le forze necessarie a risollevare le migliaia di tonnellate che componevano il suo corpo e tornò in carreggiata.

Irruppe con una serie di ruggiti spaventosi, che non sortirono alcun effetto se non di divertire ancora di più l’impavido spirito del caos.

Ponendosi alla stessa altezza del suo sguardo, Discord fece comparire sulla mano sinistra una lima per unghie, che usò per darsi una rifinitura agli artigli delle dita da leone. «E così… tu saresti quello che deve portare rovina e sciagure sul suolo dei pony?»

Il Kaiju cominciò ad avanzare, barcollando per le ammaccature subite e grugnendo col fiato pesante.

«Riconosco che te la sai cavare bene, dico davvero. Sono persino tentato di chiederti un autografo… » riprese, scrutandosi la scena intorno «ma, vedi… per quanto sia da lodare il tuo piccolo sforzo di portare il caos nel regno di Princess Celestia, c’è un piccolo, insignificante dettaglio che credo tu ti sia dimenticato di considerare.» Lasciò cadere di mano la lima, la quale si trasformò in un piccolo essere alato, che volò via passandogli dinanzi alla faccia, ora severa e incendiaria. «Portare il caos qui è il MIO lavoro!»

Il Kaiju ruggì nuovamente e avanzò verso l’avversario. A passo lento, ma costante.

Discord sollevò il braccio destro, quello più robusto, e lo fece roteare nell’aria. Serrò il pugno in una palla da demolizione perfettamente sferica e lo scagliò di lato, facendolo svanire in un’invisibile fenditura dimensionale nel mezzo del nulla.

Il pugno riapparve allora dalla feritoia più alta di una delle ultime torri rimaste in piedi nelle vicinanze, attaccato a un arto che si allungava all’inverosimile verso la tempia del mostro.

Lo investì sulla metà di destra del guscio oculare e di nuovo il ciclope si ritrovò a stramazzare per terra spiazzato e intontito, sconquassando la città.

Discord volò alle sue spalle mentre questi si rialzava. Lo toccò ripetutamente con l’indice sull’enorme spalla corazzata. «Yo, fustacchione. Sono qui, non mi vedi?»

Il Kaiju si voltò di scatto, ma il draconequus era già svanito. Riapparve nuovamente alle sue spalle e gli sferrò un frontale sulle vertebre, che lo curvò in avanti con violenza inesprimibile.

«Riprova di nuovo!» Lo istigò.

Il Kaiju contrattaccò con una gomitata che lo fece ruotare su se stesso, ma Discord apparve alla sua sinistra e lo schiaffò sul guscio. «Mancato!»

Allora il gigante tentò un pugno verso quella direzione, e lo spirito del caos ripeté lo stesso inganno, ma dal lato destro. «Mancato ancora!»

Scomparve nel nulla e si ripresentò al di sopra del mostro, impugnando tra le mani un enorme martello che affondò sulla testa ovale.

Ampie crepe si aprirono sulla punta del guscio, mentre l’utensile veniva dissolto.

«Eddai su, non ci stai nemmeno provando!» E si fece di nuovo invisibile non appena ebbe finito di schernito.

Il Kaiju soffrì il dolore mentre si leniva tra le mani le due metà della palpebra ossea, con pezzi di scorza che si staccavano dal guscio insieme al fluido nero delle sfere (o era il suo sangue?) che defluiva dalle crepe.

Digrignò i denti nello sforzo non indifferente di ignorare le fitte, percependo che il suo occhio era ancora gonfio e pulsante, ora come non mai.

La collera che lo aveva alimentato sino ad allora scoprì un nuovo grado di frenesia mentre cercava di capire dove si fosse nascosto quel piccolo essere tanto odioso.

Quando Discord si ripresentò davanti al suo cospetto, stringendo tra le mani due sconfinati piatti da batteria con i quali era pronto a inebetirlo a suon di percussioni, il gigante era già preparato ad anticiparlo con un folgorante cazzotto in piena faccia.

I riflessi risposero in fretta, e lo spirito del caos riuscì a intercettare il colpo arrestandolo tra i due piatti, che produssero un’acuta vibrazione nell’aria.

«Fiù… questa volta ci sei andato vicin… » stava per commentare, e per poco non finì la frase che qualcos’altro lo lanciò via, scaraventandolo contro un palazzo; il Kaiju aveva previsto le sue mosse fin dal principio, e aveva serrato per l’azione i pugni di entrambe le mani: se il primo colpo era stato bloccato per appena un soffio, il secondo, invece, andò pienamente a segno.


«Nooo!!» Espressero un coro di lamenti dal punto d’osservazione della torre Sud del castello.


Discord si riprese dalla botta e vide le macerie intorno a sé. Notò anche uno spaurito gruppo di pony che dall’interno dell’edificio fissavano il suo corpo ridotto in pezzi, rattrappiti dalla paura. Con un facile incanto caotico li smaterializzò dalla stanza, assicurandosi di trasferirli tra le fortificate mura del bastione, lontani e al riparo dalla feroce battaglia che da lì a poco sarebbe esplosa.

Il Kaiju camminò cautamente verso la sua direzione, conscio del fatto che ci sarebbe voluto ben più di un banale cazzotto per toglierlo di mezzo.

Il draconequus, infatti, emerse subito dopo.

Il suo corpo era ridotto in brandelli, infranto come le schegge di una vetrata che era stata colpita da un masso pesante. Fece comparire in una mano un voluminoso tubicino di colla, che usò per ripararsi: da prima gli arti inferiori e poi il resto dei rimasugli.

«Dannazione, questa la sentirò domattina…» Borbottò tra sé e sé alzando lo sguardo sull’enorme rivale.

Qualcosa si staccò dalla bocca del draconequus e rotolò a terra. Subito si accucciò per raccoglierlo ed esaminarlo, e vide che era il suo canino sporgente.

«Ehi!» Sbottò alzando il braccio, in modo che anche il Kaiju potesse vederlo. «Questo era il mio dente preferito, lo sai?!»

Ottenne come risposta un energico ruggito, il cui tanfo lo poté avvertire anche da laggiù.

«E va bene, vuoi il gioco duro?! Mettiamo a letto i puledrini!»

Detto ciò, lanciò per aria il suo povero dente estirpato, che si levò più in alto di qualsiasi altra cosa presente in città.

Dalla sua punta partirono una serie di saette, che avvolsero il Kaiju in una maglia di lampi folgoranti.

Discord compì uno strano movimento di braccia, e il voltaggio raddoppiò d’intensità, emettendo confusionari suoni di corrente che sprizzavano dalle carni della creatura gigante.

Il Kaiju brillò come una lampadina, mentre veniva bruciato sia dall’interno che dall’esterno.

Discord rideva con onnipotente veemenza, alzando via via sempre di più la tensione che scaturiva dal canino.

Dall’altra parte del ring il Kaiju contrasse le zanne, così forte che alcuni incisivi gli saltarono via, sradicandosi dal palato. Richiamando a sé la stessa tenacia con la quale aveva sottomesso i suoi precedenti avversari, riuscì a fare in modo che i suoi muscoli interni, il pettorale e tutta la regione che comprendeva il retto addominale e gli obliqui s’isolassero dalla corrente che scorreva sugli strati esterni della pelle (e fu solo per merito della sua massa se questo gli fu possibile), abbastanza da permettergli di gonfiare il ventre e lo sterno di aria, e sollevare poi la struttura del collo per rovesciare contro la sorgente tutta la potenza dei suoi ruggiti sonici.

Discord dovette indossare delle cuffie anti-rumore per evitare di finirne assordato, e tanto bastò al Kaiju per disciogliere nell’etere la tempesta di corrente che si originava dal canino.

Il dente piovve a terra, e quando Discord compì il gesto di farlo tornare a sé magicamente, si ritrovò la carica del ciclope subito pronta a imbattersi su di lui.

Si teletrasportò sulla sua spalla carbonizzata dalla corrente, ma subito il Kaiju tentò di scacciarlo con un manrovescio di quelli decisi.

Poco più in là, uno sdraio da spiaggia blu, abbinato a un ombrellone e righe rosso-bianche, si aprì sulla strada diroccata, pronto ad accogliere il suo proprietario.

Discord vi si distese, tenendo indosso un cappellino di paglia, gli immancabili occhiali da sole e in mano un quotidiano girato sulle pagine del cruciverba.

Volse lo sguardo di lato, spiando di traverso la battaglia che nel frattempo proseguiva a qualche centinaio di metri di distanza.

Era fermo su una definizione della colonna delle orizzontali, intento a scervellarsi sull’enigma della soluzione, quand’ecco che il corpo malmenato di un altro draconequus, una copia quasi perfetta di Discord, cadde vicino a lui affondando a un metro dalla sponda sinistra dello sdraio, per poi sfumare come nebbia sottile.

E subito il Kaiju che si dirigeva verso di lui.

D’improvviso gli balenò la soluzione, e si affrettò a riempire di gran fretta le caselle, mentre il mostro si apprestava a un nuovo attacco.


Fluttershy guardava la scena tremando come una foglia. «Oh cielo, oh cielo, oh santo cielo! Twilight… d-dobbiamo fare qualcosa… dobbiamo aiutarlo…»

«Gran bello spettacolo, non è vero?»

«DISCORD?!?» Strillarono le sei Custodi, sorprese una più dell’altra nel vederlo comparire lì accanto a loro.

«L’unico e inimitabile da più di mille anni!»

«Bontà celeste, sei ferito?! Qualcosa di rotto?! Sei stanco?! Hai sete?! Ti porto del tè??» Lo assalì la pegaso canarino tempestandolo di domande.

«È tutto sotto controllo, rilassati! Quel coso non mi ha neanche toccato ancora!»

Applejack si accigliò «Aspetta un momento! Ma quindi… se tu sei qui… chi sta combattendo contro quello?!» Chiese, mentre più in basso boati e fragori stavano intonando sonate da battaglia.

«Solo un paio dei miei cloni personali da compagnia. Sapete anche voi quanto sia difficile oggigiorno mantenere integra una messa in piega appena fatta!» Si mise ad aggiustarsi quella che era palesemente una finta parrucca bruna. «E poi, devo farmi bello per quando mi accoglierete sul podio dell’eroe! Non vorrete mica che sfiguri durante l’intervista?»

«Che ne dici invece di darci un taglio e levarcelo di torno definitivamente?!» Lo rimproverò Rainbow Dash, che era la più collerica del gruppo, e a buone ragioni: furente per il suo Elemento, per le vittime della giornata e per le delusioni (o magari malsano orgoglio) affiorate nei confronti di Spitfire. Avrebbe posto fine allo scontro lei stessa se solo non fosse stata consapevole della sua completa impotenza.

«Tutto a suo tempo, mie care. Non vorrete mica che il pubblico si annoi? E poi, non voglio dargli la soddisfazione di cavarsela con così poco… deve pagare per tutto il male che vi ha fatto!» Si sporse dall’ampia piattaforma sospesa, godendosi con un binocolo lo spettacolo dello scontro in città. «Aw, ma guardatelo, amore della mamma! Sembra un cucciolo che gioca con gli amichetti immaginari!»

«Sarà… ma per il momento sembra che il vantaggio ce l’abbia ancora lui… » fece notare Twilight.

Il Kaiju tenne stretta la copia-Discord sulla punta delle dita e la portò all’altezza delle mascelle spalancate, inarcando all’indietro il collo e lasciandovela cadere dentro. Ingurgitandola, poi, in un sol boccone.

«Devo proprio ammetterlo, ci sa fare l’amichetto… » Commentò il vero draconequus calandosi dagli occhi il binocolo.

«La fuori è ancora pieno di gente, Discord! Eliminalo prima che qualcun altro si faccia del male inutilmente! Smettila di giocare!»

Discord, malgrado detestasse farlo, fu costretto a dar credito alle parole della Principessa dell’Armonia.

«E va bene, visto che insistete tanto… ah! A proposito Cel. Mi faresti un grande favore se spostassi il sole sulla linea dell’orizzonte.» Disse, e concluso questo si tuffò dallo strapiombo, attraversando senza alcuna difficoltà la barriera della Muraglia.

Le Custodi si voltarono per osservare Celestia, interrogandosi sull’enigmatica richiesta di Discord.


Lo spirito del caos trasformò le sue dita in un fischietto, usandolo per richiamare l’attenzione del Kaiju.

Il mostro lo vide scendere in picchiata, ancora in forze nonostante si fosse ormai convinto di averlo sconfitto. Sfogò la sua frustrazione infierendo sul paesaggio e balzò dinanzi a una torre strappandone la metà superiore dal resto della struttura.

Ruotò su se stesso per tre volte per infondervi lo slancio, lanciandogliela contro al compimento del quarto giro.

“Oh-ho… cavolo!!” Discord dovette inchiodare a mezz’aria e fare una rapida scansione per verificare se qualcuno vi si stava rifugiando all’interno. La vista gli divenne a raggi-X, e una volta appurato che poteva contrattaccare senza rischiare di ferire nessuno, usò l’unico incantesimo che gli venne in mente in quel momento, trasformando il blocco della torre in liquido; succo d’arancia, per la precisione, che liberò nell’area un piacevole odore fruttato.

Discord si riparò dietro un ombrello, levitando affianco a sé un piccolo bicchiere di vetro, nel quale vi strizzò il liquido assorbito una volta cessata la pioggia.

Vi inserì una cannuccia e iniziò a bere. «È stata proprio una bella partita.» Disse al Kaiju mentre finiva. «Erano anni che non mi divertivo così tanto, ma adesso la ricreazione è finita. Da questo momento si fa sul serio!»

Il ciclope si comportò come se lo avesse capito, perché subito gli lanciò addosso un grugnito iracondo. Prese a corrergli incontro, intenzionato a fermarsi solo e unicamente al conseguimento del suo completo annientamento.

Discord si trovò a osservare, attraverso i bordi umidi del bicchiere, il riflesso del sole che Celestia aveva cominciato a spostare sull’orizzonte del tramonto, esattamente lì dove il draconequus voleva che fosse.

“E brava Celestia. Vedo che ci capiamo al volo”.

Spostò il bicchiere con calma, in cerca della giusta angolazione per ciò che voleva fare.

«“Cameriere!”» Parlò tra sé a gran voce. «“C’è un problema con la mia bistecca, io l’avevo ordinata ben cotta!” “Oh, mi dispiace signore! Rimedio subito!”» Si rispose in falsetto.

I raggi del sole si concentrarono sul fondo del bicchiere, come attraverso una lente d’ingrandimento, e un massiccio cono di fuoco fluidificato si dipanò dal centro, indirizzandosi contro il Kaiju.

Il mostro si vide arrivare contro il getto, e nel poco spazio a disposizione riuscì a fermarsi e quindi a incrociare le braccia usandole come scudo.

Si ritrovò in trappola, bloccato sul posto.

La sua grande resistenza fu in grado di contrastare il flusso d’energia che continuava a generarsi dal riflesso sul bicchiere, ma a parte questo, era del tutto incapace di muoversi.

“Per te è finita, te lo posso garantire!” Pensò Discord, mentre saliva su una tavola da surf cavalcando l’onda di fuoco.

Mutò la sua testa in un’incudine e con esso tirò al Kaiju una testata talmente violenta che la parte frontale del guscio protettivo si crepò, aprendovi un altro reticolo di fratture.

Non contento del risultato, Discord manifestò una grande torta di panna che gli lanciò addosso con una mazza da baseball, e con uno schiocco di dita la fece esplodere sulla sua faccia come una bomba.

Il guscio a quel punto si scoperchiò definitivamente, rivelando il bulbo oculare contenuto all’interno.

Discord indossò due guantoni da pugilato e li usò per colpire il ventre del Kaiju con due potenti diretti. Il ciclope si piegò in avanti e rigurgitò del liquido scuro, non meglio identificato.

Discord continuò con un montante a braccio teso, che fece sollevare da terra il Kaiju e altri denti del mostro saltarono via, lasciandosi dietro solo un inquietante sorriso crivellato di buchi.

Per concludere, Discord voltò la testa da un lato, come per ammiccare ad un’inquadratura che solo lui poteva vedere. «E per finire: questa la dedico a tutti voi, ragazzi!»

Tornò a rivolgersi al Kaiju, che si sforzava di reggersi in piedi e continuare a combattere, ma che in quel momento dava più l’idea di un ebbro che c’era andato giù pesante con la bottiglia.

Il draconequus gonfiò il petto e strinse il ventre. Dalle corna disambigue sprizzarono delle scintille di corrente statica; allora aprì la bocca, cimentandosi nella formula che avrebbe rappresentato il suo colpo di grazia.

«Fus… Ro… DAHH!!»

Un rombo di tuono deflagrò sulla montagna, e il Kaiju fu spazzato via dall’ondata che si generò dalla formula.

Cadde di pancia, abbattendo altri due palazzi, come se fossero i due dobloni che lo avrebbero accompagnato nel viaggio del trapasso, e quando il fragore delle macerie si spense, seppellendo la salma del ciclope su Canterlot, sulla città scesero finalmente la pace e il silenzio.


«Ce l’ha fatta!! SÌ CE L’HA FATTA!! CE L’HA FATTA!!» Strillò la pegaso canarino, in piena frenesia.

«Bontà di Celestia, ci è riuscito davvero!» Commentò Applejack.

«Ve lo dicevo che ci poteva riuscire! L’ho sempre detto!»

«Sì, Fluttershy. Lo sappiamo.» Rispose Twilight sorridendo.

Più in basso, anche i privilegiati che avevano assistito allo scontro cominciarono a festeggiare e a diffondere in tutto il maniero notizie sull’esito della battaglia.

Finalmente un po’ di serenità sembrava aver fatto ritorno nei loro animi.

La Principessa del Sole si alzò in volo con impazienza, andando a ordinare alle truppe della Muraglia di sospendere per il momento l’immissione dell’incantesimo, quindi scese in città, quando la cupola si era completamente dissipata intorno al castello.

Le Custodi la guardarono allontanarsi, senza avere bene in chiaro che cosa sarebbe successo ora.

«Pensate che sia… m-morto?» Chiese Fluttershy, in pena per la sua sorte, nonostante tutto.

«Forse… non ne ho idea. Magari è solo privo di sensi. Potrebbe essere svenuto per le ferite, oppure… non saprei… » tentò di risponderle Twilight con cautela, perché sapeva che la sua amica non era mai stata d’accordo nel spingersi fino a quel punto pur di sconfiggere i Kaiju. Andavano fermati, e su questo non vi erano dubbi, ma la sua politica ad oltranza continuava a sostenere l’inutilità di provocarne la morte. «Lasciamo che sia Celestia a decidere cosa farne di lui.» Taglio corto alla fine, sospirando.

Flutershy deglutì nervosamente.

Per superare il momento si aggrappò alla fiducia che riponeva in Discord, e alla consapevolezza che fino a quel momento mai nessuno aveva perso la vita per mano sua, nemmeno ai tempi in cui le sue azioni erano votate al male.


«Non c’è posto per entrambi, qui ad Equestria. Non te lo scordare la prossima volta!» Disse il draconequus, puntando un dito insolente al corpo disteso della bestia.

«Discord!»

Lo spirito del caos, sentendosi chiamare, si girò, trovandosi di fronte la Principessa. «Oh cara Celestia! Sei venuta per stringere la mano al nuovo paladino del regno?»

«Non in questo momento. Qual è lo stato del Kaiju?» Chiese lei, in ansia.

Discord tirò fuori uno stetoscopio e prese a misurargli il battito cardiaco da un punto a caso del tallone destro. «Hmm, pulsazioni deboli e rallentate. Sarà fuori combattimento fino al prossimo plenilunio. Basterà dire a Luna di regolarsi di conseguenza.»

Celestia annuì all’antifona e fu invitata dall’impulso a voltarsi per guardare intorno a sé le conseguenze dello scontro, ma non ne ebbe il coraggio.

Osservare dall’alto la sua amata città cadere a pezzi una struttura alla volta era stato un tormento già di per sé insopportabile. Come avrebbe fatto ora a fissare con gli stessi occhi l’inferno che si dispiegava tra quelle strade, tra le  fiamme alte che lambivano i cieli e i raggi del tramonto che tracciavano contorni sugli scheletri di ciò che restava di Canterlot? Per non parlare dei cadaveri; tutti quei corpi privi di vita che ora sarebbe spettato a loro prelevare e seppellire?

Per evitare di cedere all’impulso, fissò la terra davanti a sé per un lasso indefinito, ripiombando in quella specie di trance che le aveva tenuto compagnia anche in un tempo precedente.

Discord decise di farsi avanti. Sperò così di liberarla da quello stato catatonico. «Allora... ehm, che cosa ne facciamo di lui?»

Gli occhi della Principessa tremolarono, cercando di contenersi dallo stimolo di scoppiare in lacrime. «N-non lo so… »

Il draconequus si passò la mano tra i peli della lunga barba caprina. «E va bene… » rifletté «forse se mi metto d’impegno potrei riuscire a trasferirlo in qualche dimensione alternativa. Un posto privo di vita dove potrà divertirsi a buttar giù le cose senza far male a nessuno, o magari… »

«Uccidilo… »

L’ordine arrivò rapido e doloroso, impulsivo come un arresto cardiaco.

Si mise a fissarla con diffidenza, per nulla convinto della sua decisione. «Se permetti, non è lo stile che preferisco. Avete l’occasione, per la prima volta da mesi, di risparmiare la vita a uno di loro. Non vorrai macchiarti di una colpa di quest… »

«LORO NON HANNO MAI AVUTO PIETÀ PER NESSUNO DI NOI!!» Gli tuonò contro con la Voce Regale. Il peso delle vittime si accumulava sui suoi zoccoli come incudini da fabbri, facendola accasciare a terra. «Non… non comprendo perché noi d-dovremo… agire diversamente… » Disse tra i singhiozzi.

Il suo volto iniziò a essere rigato da piste di lacrime calde e angosciate.

Discord le si avvicinò e si accucciò davanti a lei, facendo quello in altre circostanze non avrebbe mai osato fare: la strinse tra le sue braccia, lasciando che le sue emozioni fluissero fuori dal corpo.

«S-sono morti… la mia gente… l-lì ha uccisi tutti… deve pagare… »

«Shh, fatti coraggio, su. Capisco l’odio che stai covando, ma abbassarsi al suo livello non porterà l’armonia che ora manca nel tuo cuore, e fidati: se te lo dice uno spirito del caos, vuol dire che è vero.»

Vide le sue labbra accennare un leggero sorriso, e questo lo rallegrò.

«P-puoi fare qualcosa per… »

Capì al volo cosa stava cercando di chiedergli. «Purtroppo no, la mia magia è in grado di portare solo lo scompiglio. Non sono in grado di aggiustare le cose che altri hanno distrutto… »

Udì i suoi singulti ricominciare e farsi progressivamente più forti. Si morse le labbra per la risposta che le dette, ma in fondo, pensò, si era limitato a dirle la verità.


Il Kaiju li ascoltava mentre parlavano nella loro lingua, filtrando il suono delle voci tra i tanti rumori di fondo e i fischi di dolore che gli strillavano da dentro la sua testa-occhio.

La vista gli era oscurata, da quella posizione poteva scrutare soltanto la pavimentazione crepata sotto il peso del suo corpo, e i resti di quello che erano gli edifici sui quali era caduto.

Respirava a fatica, schiacciato dalla sua stessa massa, si sentiva i muscoli indolenziti, con gli avambracci che divampavano di bruciore per tutti gli attacchi magici contro i quali si era difeso. Gli sembrava che ogni metro cubo del suo corpo stesse evocando richieste d’aiuto, ma forse era l’effetto dell’Armonia, che superava le sue difese corporee penetrando nei tessuti e corrodendoli da dentro.

Provò rabbia, un’ardente ira, frenata dalle ferite e dallo stato attuale delle cose. Se in quel momento si fosse alzato per tentare di attaccarli ancora, con ogni probabilità la creatura caotica lo avrebbe nuovamente rispedito al tappeto, negandogli così ogni possibilità di riprovarci di nuovo.

Come sempre, se davvero voleva vincere contro quel temibile nemico, così pieno di risorse, doveva servirsi dell’astuzia, l’arma più potente che ancora gli restava nell’arsenale.

Se soltanto avesse potuto servirsi dei globi assorbi-magia, l’esito sarebbe stato sicuramente diverso, ma non erano questi tra le sue opzioni: attualmente, il gonfiore all’occhio continuava ad ostruirne i dotti, bloccandone così la secrezione dei fluidi. Senza la possibilità di secernerli non poteva avviare il processo di emulsione che generava la miscela, e senza miscela, non poteva sperare di generare altri globi.

Se anche ci avesse riprovato, l’esito non avrebbe prodotto gli effetti sperati…

“Oppure sì?” Si chiese d’improvviso.

Ponderando attentamente il pensiero, si rese conto che nel fremito della battaglia non aveva mai avuto l’occasione di concedersi del tempo per tentare, ma adesso che era lì, disteso lungo a terra, si disse che l’opportunità era propizia e invitante.

Evitando di muoversi, per non destare l’allerta nei confronti dei suoi avversari, contrasse i muscoli oculari responsabili dell’espulsione del fluido.

Fu difficile, e in definitiva, apparentemente vano avviare la miscelazione dei vari composti, ma dopo qualche secondo qualcosa successe.

Insistette, e gli ci vollero due minuti di pazienza e sterili contrazioni per riuscire a produrre una sola goccia abbastanza pesante da scendere giù dall’occhio per poi condensarsi prima di infrangersi sul pavimento.

Il globo era denso e di forma irregolare, in parte “sporcato” dalla presenza di umori corporei estranei, ma anche così era idoneo allo scopo.

Quello che doveva fare, adesso, era lasciarlo libero di agire, tenendosi pronto per quando si sarebbe dovuto rialzare.


Celestia si separò dall’abbraccio di Discord, attonita, considerando che non si sarebbe mai immaginata di ricevere conforto da uno come lui, ma in quel momento, osservandone il viso che sorrideva malinconicamente mentre aspettava che lei si riprendesse, capì con assoluta certezza che finalmente, dopo anni di lotte e catene sempre più corte per tenerlo a bada, poteva finalmente vedere nei suoi occhi gli occhi di un amico leale. Un compagno pronto a difenderli contro le difficoltà del futuro.

Il Kaiju era stato sconfitto, e presto avrebbero dovuto decidere cosa farne di lui, ma altri lo avrebbero rimpiazzato, e come sosteneva Twilight, sarebbero stati più forti e vendicativi. Più abili e subdoli.

Il sole riportato al tramonto si nascondeva, un raggio per volta, dalla loro vista, inabissandosi nei misteri della retta lontana. Su Canterlot calava la tetra notte, che tentava di coprire ai loro sguardi gli orrori della morte.

Celestia si rimise sugli zoccoli, e fece in modo di restituire alla volta blu del cielo qualche ora del suo astro solare, allungando de facto la durata del dì. In altre occasioni non lo avrebbe mai consentito; Madre Natura non era un giocattolo, e gli equilibri che bilanciavano le sue creature erano fragili e delicati. Ma c’era molto da fare, e gli incendi della città non erano sufficienti per illuminare le operazioni delle squadre di soccorso che si sarebbero presto messe in moto, una volta che i due avrebbero fatto rientro al castello.

In più, se la Principessa si era spinta a tal gesto, un motivo era anche da ricercare nel significato simbolico che quella notte avrebbe portato con sé: dopo tutto quello che gli sventurati pony di Canterot avevano passato, piombare in una notte lunga, macchiata dal cremisi dei loro cari defunti, era l’ultima cosa che Celestia desiderava per loro.

Quando il corno si spense, subito dopo aver compiuto il suo peccato, la Principessa abbassò il capo posandosi su Discord. “È il momento di decidere.” Era la frase che attendeva di pronunciare. L’ardua sentenza nei confronti del ciclope.

Forse non era tardi per prendere in esame la proposta del draconequus. Col senno di poi, il loro karma ne avrebbe giovato.

E fu propria in quel momento che la vide, grande e ignota, più lenta delle sue compagne precedenti, ma in egual misura inesorabile: la sfera del Kaiju.

«Dietro di te, attento!» Urlò allo spirito del caos, che subito si girò verso la ragione di quel chiassone improvviso.

“Pft, sarà un gioco da puledri” concluse tra sé e sé, convinto di poter prendere in mano la situazione. «Stammi dietro, Cel. E ammira il Maestro all’opera!»

Davanti ai due si generò un ampio bersaglio circolare formato da anelli concentrici di fasce gialle e nere, simile a quelli abitualmente utilizzati per il gioco delle freccette, con un piccolo centro sopra il quale una dicitura testuale recitava a chiare lettere “Hit here”.

Rimasero quindi ad attendere che il globo si schiantasse contro di esso, senza sospettare minimamente che qualcosa potesse andare storto.

«Facile come ingannare un cane stana-diamanti!» Commentò Discord sogghignando.

Non poteva certo immaginare che la sfera assorbi-magia sarebbe penetrata attraverso il bersaglio da parte a parte, scomponendone la struttura caotica di cui era composto, e vanificando così lo sforzo di deviarla.

Il globo del Kaiju, che in principio era destinato a Celestia, colpì Discord sul petto, in un twist che mai nessuno avrebbe reputato possibile.

Lo spirito del caos finì a terra in preda a convulsioni terribili, sotto gli occhi esterrefatti della Principessa.

«Oh no… DISCORD!» Sì chinò per sostenerlo, mentre i tremori cessavano.

Il draconequus si massaggiò prima la fronte e poi le corna, lamentando malessere.  «Questa non me l’aspettavo…»

«Dobbiamo ricondurti a palazzo! Forse abbiamo di ancora un po’ di tempo prima che la tua magia svanisca del tutto!»

Poi arrivò il ruggito, quello che tutti speravano di non udire mai più, e il Kaiju che si rimetteva in piedi pronto per il round finale.

«Non ti agitare bella, la mia magia sta benone!» Disse rialzandosi. «Ci vuole ben altro che un bestione con la congiuntivite per sbattermi al tappeto!»

La spinse via, andando poi molto vicino ai piedi del Kaiju, squadrandolo dal basso verso l’alto, fissandolo dritto sul vasto bulbo oculare scoperchiato.

«Scommetto che ti senti forte con i tuoi quaranta metri di altezza, vero? Grande, grosso e spaccone! Bene, vediamo allora se sarai altrettanto bravo con un nemico della tua taglia… »

*Snap*

Le dita schioccarono con un eco prolungato nell’ambiente, ma a parte questo, nient’altro successe. Né il Kaiju si vide ridimensionale la sua stazza, né Discord si sentì ingigantire il corpo.

Le sue orecchie calarono in giù per la paura, mentre gli sembrava che il ciclope stesse perfino mettendosi a ridendo di lui.

Poi venne il mal di testa, forte e lancinante, che lo costrinse a gemere e a stringere con forza i denti: il sintomo comune agli altri unicorni, che presagiva l’annullamento della magia.

«Ook… rimandami a palazzo… » Chiese, e Celestia non se lo fece ripetere oltre.

Il draconequus fu avvolto da un’aura di magia che lo rispedì subito al castello, lasciando a quel punto i due rimasti a reggere da soli il confronto.

Il Kaiju era visibilmente distrutto da tutti gli scontri che aveva combattuto durante la giornata, ferito e debole, ma con la rabbia ancora abbastanza forte per sostenerlo in quell’ultima e feroce battaglia.

Anche l’alicorno era furente ed esausta; rabbiosa per tutto il male che aveva fatto ai suoi amici, stanca di vederlo rialzarsi dopo ogni tentativo di toglierlo di mezzo.

Contro di lui avevano usato ogni genere di arma a loro disposizione, senza che nessuna di queste bastasse a fermarlo. Cos’altro potevano fare ora che anche Discord era fuori dai giochi?

“Che stupida che sono stata!” Si recriminò, pensando alle tante occasioni in cui avrebbe potuto impedire l’avverarsi di tutto ciò.

La sua rabbia divenne fuoco, e il fuoco si trasformò in un incendio. La criniera dai limpidi colori del cielo assunse una colorazione rossastra, come una tempesta di plasma solare che si distende nel vuoto cosmico.

I calzazoccoli si arroventarono, cominciando a fumare dai bordi.

La Principessa spiegò le ali, liberando un getto di calore che deformò l’aria tutt’intorno. Dagli occhi s’irradio una luce candida e intensa.

Allora urlò, scaricando addosso al Kaiju una vampata di vento solare, che lo fece arretrare.

«VIA!»

L’arena divenne accecante, il ciclope si protesse il volto con gli avambracci.

«VIA!!» Gli scaricò addosso un altro potente getto di plasma magico arroventato, che lo ferì cauterizzando i suoi muscoli pettorali.

«VATTENE… VIA… DA… QUI!!!» Distese le zampe e le ali, pronta ad investirlo con tutto il potere da alicorno che possedeva. Era disposta a morire tra quelle rovine, pur di sconfiggerlo e liberare per sempre la città dalla sua piaga.

Il Kaiju invece riuscì a precederla come al solito, spalancando la bocca e ricoprendola col miasma del suo fiato e il furore del suo ruggito sonico.

Erano così vicini che Celestia non poté fare altro che lasciarsi travolgere dall’ondata, lasciandosi sottomettere dal suo furore.

Sbatté le ali più forte che poté, facendo il possibile per non essere spazzata via, ma la sua mente era in fermento, sconvolta da milioni di vibrazioni deboli e forti che le trapassavano la pelle, come le lame di un attrezzo agricolo.

Tutta la grinta del momento le morì dentro, lasciando di essa solo un cerino bruciacchiato, troppo fragile per resistere alle aggressioni del mostro.

Due globi di massiccia materia oscura piovvero sul Kaiju, distratto dal suo urlo per avere il tempo di scansarli.

Lo colpirono esplodendo in nubi oscure, che avevano i colori del cosmo e anche la stessa temperatura. Il Kaiju non poté fare altro che arretrare, allontanandosi da quell’ennesima intromissione.

Celestia fu liberata dalla trappola sonica che la aveva quasi annientata, ma troppo stordita per mantenersi in equilibrio in quota. Si lasciò cadere a terra senza neanche tentare di compiere un atterraggio delicato.

Qualcuno la prese per la spalla e aiutò ad adagiarla, chiamandola per nome, ma per lungo tempo lei non riuscì a sentir niente, a parte un acuto fischio dentro le orecchie, e per fortuna l’organismo degli alicorni era molto più resistente di quello di un pony comune, altrimenti a quel punto si sarebbe ritrovata cronicamente sorda.

Le ci volle più di un minuto per accorgersi che a salvarla era stato proprio sua sorella.

Luna le parlava, incitandola a tenere duro. Frasi del tipo «Ti prego, resisti!» Che lei coglieva solo a sprazzi.

La sostenne fino a quando non fu sicura di poterla lasciare a reggersi da sé. «Come stai?? C’è qualcosa che non va?? Cel?!» La schiaffò un paio di volte.

Alla terza, la zampa dell’alicorno del sole la fermò. «S-sì… sto bene ora… sto bene… »

Ma non era certa di poterlo ripetere tra cinque minuti: le due sorelle alicorno si voltarono, attratte dai passi del ciclope che – per l’ennesima volta – stava tornando da loro.

Il Kaiju stava già gonfiando il ventre e il petto contusi.

Questa volta il suo ruggito le avrebbe schiacciate a terra, distruggendole. E anche se si fossero sollevate in volo per allontanarsi dalla zona, non avrebbero mai volato abbastanza in fretta da riuscire ad evitarlo. In aggiunta, era anche fuori questione pensare di fare ritorno al castello con il teletrasporto, o il rischio che il gigante decidesse di risalisse il fianco della montagna per tornare a minacciare i superstiti barricati era troppo elevato perché tentassero l’azzardo.

Erano insomma, condannate a restare sul posto, dove dovevano tenerlo a bada, nella fioca speranza che in questo modo potessero guadagnare del tempo prezioso.

Celestia, in uno sforzo di concentrazione, riuscì a sollevare uno scudo difensivo personale, che si aggiunse in forza a quello eretto da Luna. Le sorelle, poi, si strinsero l’una accanto all’altra e si guardarono negli occhi tenendosi per zoccolo, pregandosi a vicenda che le loro difese avrebbero retto all’ondata.

In lontananza si udì lo strillo di un’aquila.


«Forza pivelli, sbattete quelle ali! Non siamo venuti fin qui per una gita di piacere, coraggio!»

Gilda superò la coppia di cadetti che la stavano precedendo in volo, avvicinandosi alla giovane grifona dal piumaggio vinaccia che guidava la testa dello stormo.

La toccò con una gomitata, richiamando la sua attenzione. «Sei pronta per farlo?» Le chiese, pronunciando la domanda con intento retorico.

La ragazza deglutì, annuendo poi con titubanza. «C-credo di sì… »

Come ricompensa, ricevette una frecciata dal volto corrugato e appuntito di Gilda. «È in ballo la vita delle Principesse. Non ti permetto di avere delle esitazioni durante l’operazione! Allora, sei PRONTA o NO?!»

«S-sì… sono pronta…

«Molto bene, allora preparati, e appena ti do il segnale spara a quel bastardo!»

Si allontanò, facendo dei cenni agli altri grifoni per coordinare la formazione.

Davanti a loro, alcuni isolati di distanza, erano ben visibili sia il Kaiju che le due Principesse alicorno, bloccate a terra con solo una bolla protettiva di magia a separarle dalla creatura.

“Ora gli mostrerò io che cazzo succede a mettersi contro di me!”

«Prendi la mira sull’occhio e fai fuoco esattamente al mio tre!» Comunicò alla grifona vinaccia, che le rispose con un gesto affermativo.

Gilda allora prese le misure del tempo, preparandosi alla conta. «Tre… due… uno… OOORAAA!!!»


Il dardo affondò su un lato del bulbo, mancando purtroppo di parecchio la piccola pupilla sulla parte centrare dell’organo. L’azione comunque conseguì l’effetto voluto, e il Kaiju dovette abbandonare i suoi propositi offensivi.

Gridò, sì, ma questa volta fu un grido di disperazione, unito ai rauchi gemiti dei litri di aria che gli erano andati di traverso in fondo alla gola.

«Non male, bel lavoro ragazza!» Si complimentò la Sergente con la giovane cadetta.

La parte più oscura di lei avrebbe desiderato rimproverarla per non aver centrato in pieno il bersaglio, ma la voce del suggeritore era tornata per intimarle il contegno: “Ha agito bene, diamole atto.”

Il Kaiju estrasse il piccolo dardo, lasciando sprizzare fuori dall’occhio dei getti di sangue nero, che subito si arrestarono.

I quattro grifoni della formazione gli volarono contro, con l’esplicito ordine di distrarlo mentre Gilda scendeva in picchiata verso le Principesse.

«Maestà, venite con me, presto!» Ordinò in modo conciso, e le alicorno la seguirono senza fiatare.

Volarono al suo seguito, con Luna che aiutava la sorella durante la prima tratta del percorso, per poi lasciarla fare da sé su sua diretta richiesta.

Atterrarono sulla cima di un edificio, abbastanza distante dal pericolo.

Gilda diede un’ultima controllata alla propria lancia-dardi, mentre attendeva che le due sovrane si riprendessero dal momento di panico.

«La situazione non era delle migliori. Scusateci se ci abbiamo messo tanto!» Disse, sentitamente affranta «spero che nessuna si sia fatta male?»

Si rivolse ad entrambe, ma era chiaro che il soggetto della domanda era Celestia: fisicamente a posto, a parte i calzazoccoli e il resto dei gioielli fusi e deformati per la forte esposizione al calore, non c’erano segni evidenti che lasciassero presagire che avesse subito dei danni, tuttavia, anche ad un occhio disattento appariva fin da subito stanca e debilitata, ed era questo, in particolare, a destare preoccupazioni alla grifona.

«Mi riprenderò.» Rassicurò invece l’alicorno «Vi siamo enormemente grati per l’aiuto che ci avete dato. Io e Luna vi dobbiamo la vita.»

«Ci avevano detto che eravate… dispersi.» Disse l’altra Principessa, preferendolo al vocabolo “morti”.

«Già, è il motto del giorno. Ha fatto fuori tutta la mia squadra e gran parte del secondo squadrone, quelli che vedete laggiù sono quello che rimane delle unità del Sergente Maggiore Scratch… è morto anche lui… » ripensarci le riempì il cuore di malinconia, ma la ingurgitò come un grumo di catarro addensato.

«Comunque non è questo il punto: il fatto è che stiamo sbagliando tutto! L’attacco è arrivato talmente in sordina che ci ha mandato ai quattro venti mesi e mesi di preparazione come se niente fosse! Non vinceremo mai se continuiamo ad attaccarlo con strategie isolate! Dobbiamo riorganizzarci e partire tutti insieme, così come prevedeva il protocollo originale!»

«Abbiamo un problema, non so se ti hanno informata, ma non possiamo più contare sugli Elementi dell’Armonia.» La avvisò Luna, rammaricata.

Gilda si accigliò. Stava per esplodere, e riuscì a contenersi solo grazie alla disciplina militare. «Le Custodi sono… ?»

Celestia la rassicurò con un gesto del capo. «Sono salve. Ma non possono più accedere alla magia che attiva l’emissione degli Elementi.»

La grifona sospirò, sollevata dallo scoprire che almeno Rainbow Dash era sfuggita all’ecatombe.

«Voi avete notato niente dalla vostra azione? Qualcosa che possiamo usare contro di lui? Un punto debole magari?» Chiese Luna.

A Gilda le ci volle poco per pensarci e rispondere. «Beh, il suo occhio sembra la nostra migliore opzione.» Guardarono per qualche secondo lo squadrone di grifoni che gli svolazzavano intorno mentre il trio parlava. «È l’unico punto che sembra fargli del male se viene colpito. Credo che sia più di un specie di organo visivo. Non mi stupirei di scoprire che dentro ci tenga anche il cervello e chissà cos’altro. E meno male che il vostro mastino del caos gli ha aperto un bel buco nel mezzo, altrimenti sarebbe stato un vero casino arrivarci.»

«Io e Luna potremo attaccarlo con i nostri corni se riuscissimo ad evitare che si protegga… »

«Siamo qui per questo, no? Ah, in più vi suggerisco di prendere di mira anche il collo: non ha alcuna corazza in quel punto. Chissà, magari riuscite a inventarvi qualcosa.»

Princess Luna ebbe un sussulto. «Possiamo provare con la “Lama di Luce”!» suggerì alla sorella.

Celestia ci pensò attentamente e scosse la testa. «Dovremmo approssimarci a lui per compierla, e inoltre… è troppo violenta. Doverlo uccidere è già di per sé un atto estremo. Non voglio spingermi oltre.»

Dopo di questo le tre rimasero ferme a fissarsi in silenzio. Un silenzio illusorio, rotto dai rumori che si avvertivano in giro, tutt’altro che quieti.

Gilda alzò un pugno. «Si direbbe che abbiamo un piano, no? Portiamo a termine allora! Questa sera, se mi permettete, vorrei mangiare la mia razione comodamente seduta su uno sgabello!»

«Sei sicura che il Kaiju si concentrerà su di voi? Chi ci dice che non ci prenderà di mira una volta che saremo scese?» Chiese ancora Luna, bloccata dal dubbio.

«Ho lottato con lui abbastanza da capire che è un tipetto che serba i rancori, e io ho un conto in sospeso con lui. Non vi attaccherà a patto che ve la giochiate bene: abbiamo preparato una manovra, i miei ragazzi ve la spiegheranno. Tenetevi a distanza fino ad allora, e appena abbasserà la guardia fatene uovo alla coque di quello stramaledetto occhio!»

Le due sovrane si consultarono a vicenda.

«Te la senti di provare?» Domandò premurosamente la Principessa della Notte.

«Mi sento molto meglio adesso. Sono pronta a sostenere lo sforzo.»

«Andiamo allora, quel figlio di cavalla ha vissuto anche troppo per i miei gusti… » fece per tuffarsi la grifona, ma prima di balzare, si fermò rivolgendosi alle due regnati: «… chiedo scusa per il linguaggio.» Disse loro, volando poi via.


Poteva funzionare, sì.

Era un piano improvvisato sul momento, in un gruzzolo di minuti, ma aveva del potenziale. Se sarebbero riuscite a imbrogliarlo allo stesso modo in cui lui aveva imbrogliato loro, quell’ultima azione avrebbe segnato il punto della vittoria.

Le Principesse si tenevano a distanza, in linea con quanto concordato, mentre la Sergente si riuniva ai suoi aviatori.

Lasciò partire un colpo contro la bestia; non aveva importanza dove si sarebbe conficcato, l’importante era richiamare la sua attenzione.

Il dardo si fermò sopra la clavicola destra del mostro, penetrando a malapena attraverso lo strato cutaneo superficiale. Sarebbe stato un miracolo se avesse avvertito un leggero pizzicore, ma chissà perché, bastò alla grifona per farsi notare.

«Ehi, culo rotto, ti ricordi di me?!» Lo prese in giro, volandogli intorno alla faccia.

Il Kaiju si accorse che tra i piccoli moscerini che erano tornati a infastidirlo vi era la stessa creatura alata che qualche ora prima aveva creduto di aver sconfitto.

Immediatamente si dimenticò di tutti gli altri assalitori, concentrandosi solo su di lei, come se fosse appena diventata il suo nuovo obbiettivo.

Sprigionò dei pugni rapidi e incontrollati, che buttarono giù ogni cosa, ma anche troppo imprecisi per incutere timore a Gilda.

La Sergente gridò un segnale, così com’era stato concordato in precedenza, e i cadetti si allontanarono, lasciando solo lei in prima linea.

Uno dei cadetti – Grizelda non capì chi – pagò il prezzo di una distrazione di troppo, cadendo vittima di una percossa del mostro. I suoi compagni lo lasciarono cadere, consapevoli che per lui la giornata finiva lì.

Gilda, con i riflessi in pieno fermento, fece in modo che il Kaiju focalizzasse tutta la sua attenzione su di lei. Virava in risposta ad ogni suo tentativo di colpirla, destreggiandosi con fulminei riflessi tra le voluminose dita che tentavano di afferrarla nella morsa; avrebbe anche voluto provare a scoccare un dardo alla maledetta pupilla nera del mostro, non fosse che questo lo avrebbe messo sulle difensive, minando così le loro speranze di fermarlo una volta per tutte.

Lontano da lì, le Principesse e il trio di grifoni superstiti pianificarono la prossima mossa, sapendo esattamente come comportarsi.

I grifoni formarono una piccola SkyArrow di soli tre elementi e iniziarono a volare verso i due sfidanti.

Gilda continuava a muoversi, tenendo d’occhio sia il mostro che al contempo la squadra, in attesa del momento giusto per battere in ritirata, ma fino ad allora doveva accertarsi che il nemico non prevedesse la loro strategia.

Schivò i colpi, cangiò nell’aria e si lanciò persino in un paio di colpi volutamente a vuoto, attingendo dai cinque dardi che le rimanevano in fondina, al solo fine di mantenere la sua guardia abbassata.

La SkyArrow arrivò sufficientemente vicino, e a quel punto la leader si levò di torno.

Tre frecce furono scoccate quasi in simultanea, ma non presero di mira l’occhio: sapevano benissimo che il ciclope si sarebbe protetto il viso con una mano, e difatti così accadde.

I colpi invece sprofondarono sul collo, il secondo punto debole in ordine d’importanza.

La manovra non fu letale per la creatura, ma sicuramente inaspettata in quel momento. Grugnì con un verso strozzato, come se qualcuno lo avesse accoltellato alla trachea, ledendo così le sovrasollecitate corde vocali.

Portò la mano libera all’altezza della laringe per sfilarseli, ma evidentemente non ebbe il coraggio di scoprirsi il bulbo oculare, preoccupandosi di che cos’altro poteva succedere se vi si fosse arrischiato per guardare.

Per Celestia e Luna era la miglior occasione per tornare in scena. A conferma di ciò anche l’ordine di Gilda, che in barba ai gradini sociali, sbraitò: «ora o mai più, muovetevi!!»

Le due sovrane annuirono l’una sull’altra e iniziarono a volare verso il Kaiju in perfetta sinergia, affiatate in una danza di movimenti perfetta come non si vedeva da secoli, da quando avevano affrontato e sconfitto insieme minacce come il Re Sombra e il “fu-malvagio” Discord.

I loro corni frizzarono ciascuno della propria magia. Dalla punta di Celestia schizzarono scintille stellari, che incontrarono le nubi di materia oscura della sorella. Insieme si amalgamarono, divenendo una nebulosa cosmica di polvere di stelle e Vuoto assoluto. Una spirare che si trasformò in qualcosa di simile a un piccolo buco nero che ruotava sul suo asse e che levitava su un campo gravitazionale prodotto dalle stesse alicorno mentre volavano.

Celestia lo alimentava con la sua magia di luce, ed esso la assorbiva unendolo ai poteri di Luna, crescendo, raccogliendola nel suo centro. Quando fu abbastanza grande da eguagliare l’altezza delle sovrane, esso liberò la sua energia: un raggio sia di luce che di buio, che oscurava lo spazio mentre al contempo lo irradiava di scintille zampillanti. La massima espressione del potere delle Principesse.

Sarebbe potuta essere la fine del Kaiju, il momento tanto atteso, e l’istante in cui la sua piaga avrebbe cessato di lordare la montagna.

Il ciclope avvertì l’ondata di energia che stava per investirlo, la sentiva bruciare ancor prima di arrivargli contro, attraverso le sue ferite, nel mezzo della spaccatura dell’occhio, ovunque, e sapeva che questa volta per lui non c’era alcuno scampo.

Poté solamente stendere un braccio di fronte al raggio, mentre l’altro insisteva a difendere l’occhio.

L’onda di magia incontrò l’ostacolo del suo palmo, rallentando di botto. Le dita si strinsero sul fascio di materia oscura e luce, affondandovi dentro, prima di finire sbriciolate dall’enorme potere dell’Armonia.

Le falangi si consumarono poco per volta, poi toccò alla mano, e quando anche la mano finì liquefatta, avanzò su tutto il resto del braccio, consumandolo lentamente, metro per metro.

Urlò, il Kaiju, piantando i piedi sul terreno. Grugnì e si lamentò, sbavando.

Il raggio s’indeboliva via via, ma l’arto continuava a evaporare un pezzo alla volta.

Le Principesse strinsero i denti, attingendo alle loro ultime riserve di energie per donare all’incantesimo la forza necessaria a distruggerlo. Il raggio si potenziò, disancorando il Kaiju e spingendolo a urtare contro l’ennesimo palazzo.

Ancora poco e ce l’avrebbero fatta, ancora poco e…

Il palazzo crollò, e su di esso il Kaiju, uscendo dalla linea del raggio, che poco dopo si esaurì.

Troppa potenza, troppa fretta di eliminarlo, e nessun controllo da parte di quei corni divenuti sempre più cocenti per l’emissione della magia.

Del braccio del ciclope non rimaneva che un piccolo moncherino annerito, con un rimasuglio di osso carbonizzato al centro e dei coaguli di materia nera a coronarlo.

«Non è possibile che si sia salvato ancora!! Non di nuovo!!» Gridò Princess Luna, che non era certo l’unica a condividere quel pensiero, ma l’unica ad avere la forza di esprimerlo a gran voce.

Il ciclope si resse per un momento ai resti della costruzione che lo aveva salvato, e la sua espressione mutò in qualcosa di diverso. Era follia? Panico? Dolore?

Disperazione forse, esaurimento.

Lui e le sue prede erano in stallo. Aveva vinto molte battaglie, ma anche subito ferite gravissime, dalle quali non si sarebbe mai più ripreso. Era morto, sebbene camminasse ancora, ma non avrebbe concesso loro l’ultima mossa.

C’era ancora qualcosa che poteva fare. Non aveva conseguito l’obbiettivo della sua missione, ma avrebbe ugualmente spianato la strada ai fratelli che presto lo avrebbero rimpiazzato. Avrebbe reso loro le cose più facili in futuro.

Si rimise in piedi respirando faticosamente e corse via dal campo di battaglia, spiazzando tutti.

“Il castello…” «Sta cercando di tornare al castello! Dobbiamo fermarlo!!» Gilda e con essa i suoi grifoni agirono d’istinto, parandosi di fronte per cercare di sbarrargli la strada, ma dopo aver scoccato qualche freccia invano, colpendolo anche in punti in apparenza sensibili, finirono invece travolti uno per uno dalla carica del folle mostro, disperdendosi ovunque, inghiottiti dalle strade di Canterlot.

In poco tempo il gigante raggiunse le pendici del picco.

Armato di un solo braccio, non poté arrampicarsi come poche ore prima, ma questo non ostacolò minimamente i suoi intenti: c’era un sentiero che poteva percorrere, era relativamente stretto rispetto alla sua taglia, soprattutto nella prima parte della tratta, e fatto di corsa era reso ancora più impervio e pericolante dal terreno accidentato ai bordi del precipizio, ma neanche questo bastava a fermarlo.

Celestia planò su di lui, cercando di dissuaderlo dal continuare.

Gli lanciò conto diversi attacchi magici, dolorosi, certo, ma nulla in confronto a quello contro cui era appena sfuggito.

L’alicorno dal manto bianco si comportava come se ogni legamento dei suoi muscoli si sforzasse di obbedire alla sua volontà, ma sfortunatamente, era sfibrata dall’incantesimo precedente. Senza considerare la paura che avvertiva al pensiero che presto il Kaiju avrebbe nuovamente raggiunto la cima, e stavolta, senza più Discord pronto a proteggere i superstiti.

Un errore di troppo, unito alla stanchezza, e la Principessa non si accorse della frustata che le vibrò contro la mano gigante, scaraventandola via.

Princess Luna volò in soccorso della sorella, lasciando al Kaiju strada spianata.


Ci risiamo. Stava per succedere di nuovo.

Il primo pensiero di Twilight Sparkle, che osservava la situazione dal balcone degli alloggi privati delle regnanti, fu di unirsi alla Principessa della Notte per accertarsi delle condizioni della sua Mentore colpita a bruciapelo.

Ma non poteva farlo.

Lo voleva, certo. Non desiderava altro, e le avrebbe fatto se soltanto la sua ragione non avesse preso il sopravvento sui sentimenti personali.

Discord era ai piani inferiori, privato dei suoi poteri, come anche le sue amiche.

Gli abitanti erano devastati, emotivamente e fisicamente.

E il Kaiju stava per tornare, senza che nessuno fosse pronto a prendere il controllo della situazione, senza Spitfire che coordinasse le squadre di terra e aria per dire loro come comportarsi; era sparita da quando il Kaiju aveva urtato la Muraglia dell’Armonia, e nessuno da allora aveva più saputo fornire notizie sul suo fato.

Allora Twilight capì che doveva essere lei quella che avrebbe preso in zoccolo le redini del comando.

Era una Principessa, una giumenta che godeva di un certo prestigio tra i suoi simili, e che sapeva ispirare autorità nel momento del bisogno. Lo aveva già dimostrato in passato, in situazioni più tranquille a Ponyville, e ora che Cantelot le stava chiedendo aiuto, non potuto negarglielo.

Volò in cerca degli ufficiali che avevano al comando le unità della Muraglia, che si erano disorganizzati dopo la sospensione, dando ad ognuno l’ordine di ripetere l’incantesimo.

Si teletrasportò da una parte all’altra del perimetro, ripetendolo le stesse parole a tutti, e intimando loro di sbrigarsi.


Il Kaiju raggiunse infine la cima. Nuovamente.

Sebbene la sua vista non fosse più efficiente come lo era all’inizio, riconobbe il significato di quei raggi di magia che s’innalzavano nel rossore del tramonto pomeridiano: le sue prede si stavano nuovamente fortificando, pronte a resistergli.

No! Non era giusto! Non doveva permettergli di riuscirci di nuovo!

Si lanciò contro la Muraglia, che si era appena richiusa, affondando le gambe tra i flutti del lago artificiale.

Iniziò a battere sulla parete incantata con l’unico pugno che gli rimaneva, propagando sulla cupola increspature ad anello.


«Tenete duro! Non lasciatelo passare per nessuna ragione al mondo!!» Urlò la Principessa dell’Armonia, pur rendendosi conto che le sue parole erano vacue e prive di significato. Se anche gli avessero resistito, cos’altro potevano fare a questo punto?

I colpi del Kaiju piovevano a ripetizione, e più insistevano, più gli unicorni si affaticavano a tenere in funzione l’incanto.

Qualcuno cadde a terra sfinito, anticipando solo di poco i colleghi che ben presto li avrebbero seguiti.

Il Kaiju batteva, e batteva ancora, in un duello di sfinimenti che si sarebbe concluso solo con la sconfitta plateale di una delle due fazioni.

Ma a un certo punto si fermò, in apparenza senza una ragione…


Una goccia di fluido oculare era caduta sull’avambraccio, provocandogli fastidio nelle profondità delle ferite.

Lui la fissò, intensamente, perdendosi nell’abisso, come se stesse ragionando su qualcosa, architettando un nuovo e machiavellico piano.

Fu colto da un’intuizione, un’idea bizzarra che non faceva parte dei suoi schemi comportamentali, ma che forse poteva consentirgli di ribaltare la situazione a suo vantaggio.

Per farlo dovette aprirsi per l’ultima volta quel che rimaneva del guscio protettivo del suo occhio.

I pony lo guardarono, inquietati da quello strano comportamento.

Il ciclope premette il palmo della mano aperta sul grosso bulbo oculare, che era di un arancione rossastro per le varie infiammazioni che si erano estese sul suo contorno, e lo strizzò tra gemiti di fastidio e latrati, permeandolo del liquido denso e scuro di cui si serviva per produrre le sfere assorbi-magia.

Allontanò a quel punto la mano, osservando il fluido che ora imbeveva le sue dita segmentate, e quindi la allungò con grande incertezza verso la Muraglia, curioso di scoprire se l’intuito non lo avesse ingannato.

Non tutti i pony compresero in anticipo quali fossero le sue reali intenzioni, ma chiunque fosse stato abbastanza perspicace da collegare le due cose, iniziò a correre in giro, invocando aiuto alla Provvidenza.

Il palmo del gigante si adagiò alla parete convessa, scatenando una reazione chimica che grazie al fluido oculare prese a consumare la magia della cupola.

Twilight incitò gli unicorni a potenziare le difese, ma la Muraglia si assottigliava sempre di più cedendo il passo alla pressione del mostro.

La Principessa decise quindi di contribuire di persona; conosceva la formula utilizzata dalle unità, ed era anche sicura che con i suoi poteri li avrebbe aiutati a riconquistare terreno.

Lanciò verso il tetto una scia di luce violetta, che fortificò la cupola respingendo la mano del mostro.

«Brava, Twilight, bravissima!!» Le sembrò di udir pronunciare dalla voce di una delle sue amiche, ma quale che fosse, non riuscì a riconoscerla da quella distanza.

Il Kaiju batté un paio di volte il pugno nel lago, sollevando schizzi d’acqua alti alcuni metri. Era accecato dalla rabbia e stanco di essere respinto.

A quel punto, sarebbe ricorso a qualunque espediente pur di annientarli… QUALUNQUE espediente!

Aveva capito che poteva servirsi del suo fluido per fare breccia nella cupola nemica, perciò compì il gesto più drastico che mai si sarebbe arrischiato: spinse in avanti la testa, affondando lo stesso occhio contro la barriera magica.

La sofferenza fu immane, pari se non superiore agli attacchi più micidiali inferti dai suoi nemici. Era come guardare attraverso l’acido, mentre si nuotava per cercare di uscirne.

Sanguinò dai contorni del bulbo, ma proseguì incrollabile, spingendo e gridando fino a superare l’ultimo strato della Muraglia, aprendo finalmente una via tra lui e lo spazio interno.

Subito ci infilò il braccio, cercando di strappare i legami che tenevano salda la cupola, mentre  gli unicorni affogavano nel loro stesso sudore nello sforzo epico d’impedirgli di entrare.

Ma non sarebbero durati a lungo. Pochi secondi ancora, un minuto al massimo – a seconda della loro volontà di vivere – e tutta la struttura sarebbe crollata su se stessa.


“Sei proprio sicura di volerlo fare?” domandò la voce del suggeritore di Gilda, con un tono che voleva essere apatico e distaccato.

«Hai altre idee? A questo punto non mi rimane nient’altro.» Rispose lei, come se si trovasse di fronte a una persona in penne e ossa.

“Non finirà bene.” Aggiunse lui.

«Lo so.»

“Va contro tutto quello che Scratch ti ha sempre insegnato.”

«LO.SO!»

“Ma questo non ti dissuade?”

«No di certo! E anche se dovessi fallire, fanculo! Non voglio vivere col rimorso di essermi arresa, quando invece c’era ancora qualcosa che potevo tentare!»

Il suggeritore si ammutolì, pensando a come ribattere.

Ma la verità è che era la stessa Gilda a voler cercare altre strade alla soluzione che stava maturando.

Si reggeva a fatica su tre delle quattro zampe. L’ultima, la posteriore sinistra, si era fratturata durante la caduta, e ora strisciava a terra da sotto la sua bardatura da combattimento, ammaccata e ormai inservibile, se non allo scopo di ricordarle l’ennesimo fallimento.

La balestra si era staccata, e se anche fosse riuscita ad aggiustarla, facendo leva sulle poche conoscenze di meccanica che disponeva, il meccanismo di rilascio dei dardi si era piegato su se stesso a tal punto da renderle impossibile eseguire alcuno scocco.

E non aveva idea di dove fosse finito il resto dello squadrone.

In poche parole, era disarmata e inutile, a parte per i suoi artigli, che invece erano ancora integri e frementi dalla voglia di affondarsi nelle carni del Kaiju.

Allora aveva pensato: “Se deve finire così, allora sarà così che finirà…”

Si era sfilata con adagio l’attrezzatura lancia-dardi, provando subito una sensazione di benessere nel non dover più portare con sé quel carico extra, ma per garantirsi le massime prestazioni in volo aveva capito che doveva liberarsi anche da qualunque altra zavorra avesse indosso. Si era perciò tolta anche la corazza, serrando il becco per non dover urlare alle ribellioni della zampa rotta, che le pulsava da sotto la pelliccia nocciola.

Il Kaiju aveva ancora la forza di lottare dopo tutto quel tempo, e lei non voleva essere da meno.

Comunque, per ciò che aveva in mente, non le servivano altro che un paio di ali, e quelle, sebbene ammaccate e prive di qualche piuma, erano ancora robuste e capaci di sostenerla.

Ora che anche l’ultimo pezzo dell’armatura venne via picchiando il suolo, si sentì libera e leggera, come una foglia che nel fresco dell’autunno abbandona la sicurezza del suo albero per viaggiare verso mete lontane.


Princess Luna ritrovò sua sorella distesa all’interno di un piccolo cratere perfettamente rotondo.

Celestia, richiamando a sé i residui della sua forza, era riuscita a proteggersi generando uno scudo protettivo che l’aveva salvata dalla caduta.

La aiutò a rialzarsi da terra e insieme volsero la testa sul picco della montagna, lassù, dove il Kaiju stava tentando di penetrare nel perimetro del castello.

«La Lama di Luce, Cel, dobbiamo farlo… » Insistette la Principessa della Notte, pronta a discutere qualora l’altra avesse tentato di protestare di nuovo. Ma Celestia rimase muta, il suo volto faceva tradire ogni genere di pensiero oscuro. I suoi occhi erano vuoti, ma le sopracciglia corrugate all’ingiù, come se fosse furente. Le sue labbra invece tremavano, attendendo di piangere, ma allo stesso tempo, apparivano calme e rassegnate.

La Principessa del Sole spostò lo sguardo da un’altra parte, credendo di aver scorto qualcosa con la coda dell’occhio.

Incuriosita, Luna la imitò, e insieme si misero a seguire in silenzio il grifone che da sopra la città volava verso la roccaforte.


Mentre s’issava nella penombra del tramonto, reso un poco più luminosa dall’azione di Celestia, Gilda avvertì di nuovo i rapaci della ragione che le ricordavano a suon di stridii le lezioni di Feather Scratch: il lavoro di squadra, tanto per cominciare, con il quale poteva essere superato ogni genere di ostacolo, il rispetto delle regole impartite dai guerrieri anziani, in secondo luogo, e per finire l’obbedienza agli ordini, come quello che il Sergente Maggiore le avevo imposto prima di morire.

“Vai con Rogue. Salvati. Obbedisci!”

Ma Feather Scratch non era più con lei, e i suoi occhi d’argento non c’erano più. Il protocollo che doveva garantire la loro vittoria… era fallito.

Restava solo l’antico istinto dei grifoni, e la sicurezza che questa volta NON avrebbe fallito.

“Gli eroi si elogiano sulle tombe dei loro sepolcri…”

L’occhio era il suo obbiettivo, lo era stato dal principio. Lo scopo della sua vita, che si sarebbe compiuto con il realizzarsi della sua ultima azione.

Sarebbe stata un’azione suicida, contraria agli insegnamenti che lei stessa impartiva ai suoi cadetti, con un conto troppo alto da pagare in un’unica rata, ma costi quel che costi… avrebbe ricorso a qualunque espediente pur di annientarlo… QUALUNQUE… ESPEDIENTE!

Salì in volo il picco della montagna, volando cautamente mantenendo le distanze dal Kaiju.

Il braccio della creatura che affondava nella cupola dei pony per cercare di sfondarla.

Per completare la manovra – che sul momento pensò scioccamente di battezzare col nome “Il cerchio della vita”, ridendo tra sé e sé per la sua stessa idioziala grifona iniziò a volare a ridosso dell’anello descritto dalla Muraglia (quasi slittandovi sopra), servendosi delle correnti d’aria che vi rimbalzavano contro per accumulare la forza cinetica necessaria per terminare l’azione.

Inoltre, sperava così che il Kaiju non si sarebbe accorto di lei fino a un istante prima del punto di non ritorno.

Qualcuno, da dentro la Muraglia, notò cosa stava facendo, e cominciò a inseguirla con lo sguardo mentre percorreva l’equatore della circonferenza. Tra questi vi era Rainbow Dash, che riconobbe all’istante l’identità dell’amica. Quello che di certo non poteva immaginare era l’intenzione che la stava animando, ma presto l’avrebbe scoperta.

A centottanta gradi dal punto d’inizio della manovra, Gilda distese in avanti le zampe anteriori, avendo cura di rivolgere gli artigli aquilini verso l’esterno, come per prepararsi a prendere al volo qualcosa, oppure… a compiere un placcaggio, e sbatté le ali più forte che poté per non lesinare neanche sul più piccolo residuo di velocità che ancora poteva sommare.

“Questo è per tutto il male che hai fatto, brutto stronzo… per Scratch… per i nostri ragazzi… per ” «… TUTTIII!!!!!»

Avvenne in un lampo. Di lei il ciclope riconobbe soltanto un’ombra sfocata, che compiva la curva dal lato sinistro della cupola.

Agii d’impulso, chiudendo le placche ossee che gli proteggevano l’occhio, ma… forse sarà stata la stanchezza, o le ferite che il contributo di tutti gli avevano causato, il dolore pattuito dalle ustioni degli Elementi dell’Armonia, e il prurito dei dardi che gli si erano conficcati addosso, oppure per il sangue, perduto a ettolitri insieme al braccio troncato … fatto sta che si dimenticò della spaccatura che Discord gli aveva aperto sul davanti… e pagò nel modo più grave le conseguenze di quella svista.

Chi dal basso fissava con sgomento l’esito dell’azione vide il Kaiju piegare all’indietro l’occhio, colpito dalla grifona esattamente nelle pupilla.

Da quel momento, nessuno si sarebbe più dimenticato l’ululato di sofferenza che la creatura emise nel momento in cui, alla fine, Gilda riuscì ad accecarlo.


La grifona affondò nella fessura della pupilla, trovandosi subito avvolta da una massa scura e inconsistente di gelatina e materia organica.

Nemmeno un filo di aria riusciva a passare attraverso quel miscuglio di liquidi e odori soffocanti. Fin da subito si rese conto di non poter respirare, e non udiva altro suono al di fuori degli schiocchi della massa gelatinosa e le vibrazioni che provocavano le grida della creatura.

Provò paura, ma non si lasciò travolgere dal panico.

A quel punto non contava più a nulla se ne sarebbe uscita viva oppure no.

Sguainò gli artigli e cominciò ad affondarli alla rinfusa su tutto ciò che la circondava, strappando tessuti e affogando sempre di più nei liquidi e nell’oscurità.

Tempo qualche fendente e le sembrò di non ricordare più niente della sua vita precedente, pensava solo al momento, e al dover continuare a infierire sullo spazio fintanto che avrebbe avuto le forze per continuare.

Il volto di un grifone anziano, che per qualche ragione lei sentiva che le era stato vicino, le si manifestò di fronte agli occhi per un breve lasso di tempo, per poi finire divorato dalla notte.

Qual era il suo nome? Perché d’improvviso non se lo ricordava?

Non aveva importanza, doveva continuare.

Graffiò. Strappò. Si fece spazio nella gelatina, solo per ritrovarsi ancora più immersa negli umori.

Si rese conto che non stava respirando, poi si ricordò che, in effetti, non poteva farlo.

Allora stava per morire? Era così che sarebbe andata? Asfissiata dentro uno spazio buio nel quale non ricordava come c’era finita?

Una luce si accese alle sue spalle, illuminandola da dietro. Forse qualcuno la stava aiutando? Le stavano dando una seconda possibilità? Oppure no… ?

La luce tornò a essere buio, e qualcosa di gigantesco e crudele la raggiunse afferrandola con forza.


Rainbow Dash fissò, ormai completamente pallida in volto, il Kaiju che estraeva dal bulbo oculare il corpicino della sua vecchia amica.

La teneva stretta tra le dita, come una mosca presa per le ali, e non era facile capire da quella distanza se fosse cosciente o priva di sensi.

La pegaso arcobaleno guardò la mano del gigante rovesciarsi all’insù, ponendovi il corpicino sul palmo, che a quel punto si chiuse a pugno, schiacciandola al suo interno.

La reazione di Dash, a quel punto, fu talmente isterica che le sue amiche dovettero afferrarla per gli zoccoli e costringerla a terra, per timore che altrimenti si sarebbe lanciata in qualche azione sconsiderata.


Le due regnanti erano troppo distanti dalla cima della montagna per cogliere limpidamente i fatti che si erano appena svolti nei pressi della Muraglia.

«Cos’è successo?! Che ha fatto?!» Fu chiesto da Luna, che non vedeva altro spettacolo al di fuori dei lamenti del gigante.

Solo qualche ora dopo, ossia quando tutta quella storia sarebbe finita, qualcuno le avrebbe informate di quale sacrificio si era addossata la grifona che rispondeva al nome di Gilda.

«Credo che lo abbia accecato! Non vedo altre spiegazioni!»

«Cosa?!? Ma questo significa che… »

«Sì, Luna… possiamo attaccarlo!»

Le sorelle si osservarono per qualche secondo, in un arco di tempo in cui il volto di Celestia si fece grave. «Facciamolo… » Disse lapidaria la Principessa del Sole.


Risalirono il picco di gran fretta, alimentate da nuove motivazioni.

Quando videro il Kaiju farsi imponente dinanzi alla cupola, faticarono a credere che quello che avevano di fronte era lo stesso nemico che fino a poco prima aveva dato loro tanto filo da torcere.

Esso si dimenava come un ossesso, provando maldestramente a orientarsi in quello scenario che adesso non era più in grado di gestire.

La sua mole, che una volta gli garantiva il vantaggio su tutto, ora influiva su di lui come un handicap, rendendolo goffo e lento, tremendamente maldestro.

Qualche volta riusciva a urtare (con la sua mano o con altre parti del corpo) la forma della Muraglia, ma quando questo succedeva era solo per merito di una coincidenza fortuita, e non di certo, per la sua volontà di ritornare all’attacco. Privato della sua vista, oramai travolto dagli eventi, non era più in grado di ragionare con la dovuta lucidità.

Celestia, per prima cosa, era intenzionata ad allontanarlo dal castello, per dare così agli unicorni la possibilità riposarsi.

Si pose davanti al mostro, sprigionandogli contro un potentissimo colpo dirompente, infierendo ancora di più sull’occhio, che esplose cospargendo il territorio di poltiglia viscosa.

Intervenne a quel punto Luna, che invece prese di mira la ferita cauterizzata sul petto, facendogli ancora più male.

Il Kaiju si ritrovò in ginocchio, e tentò di colpirle a casaccio con una spallata fallace.

L’alicorno blu scuro decise che era giunto il momento di attivare l’incantesimo che chiamava Lama di Luce: sulla sua testa si generò un cono di magia che si estendeva per più di un metro oltre la punta del corno.

Volò verso il braccio sollevato, ruotando in avanti con tutto il corpo e sferzando il bicipite con un fendente che purtroppo non conseguì l’effetto che avrebbe voluto.

Indietreggiò, facendo ritorno dalla sorella. «Non va bene, la sua corazza è ancora troppo spessa! Non riesco ad andare oltre allo strato esterno del carapace!»

«Dovremmo concentrarci sul collo, così come hanno suggerito i grifoni!»

«Il problema è che non sta fermo un attimo! Rischiamo di finirgli dritti in bocca se non stiamo attente!»

L’urlo sonico venne rapido e improvviso, così come la sorpresa delle Principesse. Il Kaiju questa volta non pareva mirare a una direzione precisa, accontentandosi di scatenarlo un po’ dove capitava.

Parte dell’onda d’urto si disperse nel vuoto e altra andò a scontrarsi contro la cupola di magia, le regnanti invece ne dovettero incassare solo una piccola parte, scombussolandosi più per il frastuono che non per altro.

Incespicando in movimenti privi di coordinazione, si cimentò in una fuga disperata verso la prima rotta che scelse a caso, rischiando più volte di ruzzolare su se stesso mentre si dibatteva.

«Te lo puoi scordare questa volta!!» Urlò Celestia, lanciandosi all’inseguimento. Attivò a sua volta il suo incantesimo di Lama (più lungo di mezzo metro rispetto a Luna), con il quale recise con un unico rovescio i tendini tra tibia e perone che si legavano all’ossatura del piede destro.

Il Kaiju si ritrovò subito atterrano, incapace di muoversi.

Princess Celestia infierì ancora con alcune potenti sfere di magia, e il titano provò a respingerla mirando semplicemente a casaccio in qualunque verso gli capitasse, ma per una serie di circostanze sfavorevoli, l’alicorno rischiò di essere travolta dall’arto in movimento.

Arrivò Luna a prestarle assistenza, facendo qualcosa che ai suoi occhi parve fin da subito piuttosto insolito. Volò sotto l’ascella del mostro, conficcando il corno tra i segmenti del braccio e il resto del corpo, stimolando alcune terminazioni nervose del mostro, che paralizzarono l’arto dai suoi intenti offensivi.

“Vediamo se così funziona…” pensò tra sé e sé, mentre concentrava sul corno una carica esplosiva.

La magia detonò, e la Principessa della Notte fu scaraventata al suolo, da dove si rialzò frastornata e zoppicante. D’impulso Celestia pensò di calare di quota per raggiungerla e vedere come stava, ma venne arrestata dalla stessa, che rapidamente sollevò le zampe facendole segno di “NO”. «Non pensare a me, vai adesso, FINISCILO!!»

Il braccio del Kaiju, infatti, era stato reciso, seppur con metodi poco ortodossi, dalla base del tronco, e adesso pendeva di lato come un ramo d’arbusto spezzato.

“D’accordo…” «Rimani al sicuro, da qui in poi me ne occuperò io!» Disse la Principessa del Sole, tornando spedita dal nemico.

Il ciclope, completamente bloccato a terra, adesso non aveva più modo per sfuggire alla sorte riservatagli dal destino, eppure occorreva ancora qualcosa per permettere all’alicorno di terminare lo scontro.

Colpì ripetutamente quel che restava del guscio oculare, sperando in questo modo di rovesciargli all’indietro la testa scoprendo così la muscolatura del collo, ma la tenacia del Kaiju non la deluse neppure stavolta.

Quello che fece ebbe dell’incredibile, considerato che al suo posto qualunque altra creatura non avrebbe avuto altra scelta se non di arrendersi all’inevitabile, lui invece nascose la testa tra le ginocchia, rannicchiandosi in posizione fetale.

Presa dal panico, e col timore di vedersi fallire anche quest’ennesima chance di vittoria, la Principessa del Sole lo bombardò con ciò che restava della sua magia residua. “Scopri quella dannata testa, maledetto demonio! Tirala fuori!!” Non si accorse che così stava assecondando il gioco del mostro, vuotando un colpo alla volta le riserve del suo potere. E quando queste si sarebbero esaurite, il Kaiju si sarebbe inventato qualcosa per rovesciare le regole ancora una volta.

Lo stallo sarebbe continuato, e lo scontro si sarebbe protratto, forse all’infinito.


Princess Luna incedette di qualche passo portando se stessa a una vicinanza che si augurò potesse bastare.

Non era solo sfinita per lo scontro, ma anche esausta dalla giornata e gravata dal debito di diverse ore di sonno arretrato.

Diede moto al suo ultimo incantesimo, sapendo che alla fine ne sarebbe svenuta.

Mentre il corno si avvolgeva nella sua aura, implorò la sorella affinché al momento giusto trovasse la forza per imporre il suo giudizio.


Celestia riconobbe nelle sfumature blu notte del velo che calò sul Kaiju, l’incantesimo cosmico che la sorella minore utilizzava ogni sera per issare nel cielo il satellite lunare, e pensò che fosse impazzita nel volersene servire – un incantesimo così delicato – per lo scopo cui stava aspirando.

Se solo il ciclope avesse tentato di ribellarsi in qualunque maniera – scenario che oramai era diventata per loro la prassi – la levitazione si sarebbe infranta svuotandola delle forze e lasciandole entrambe con un pugno di mosche sullo zoccolo.

Ma il gigante pareva ormai prosciugato dalla volontà di lottare, e dopo averlo issato di una decina di metri da terra, il suo capo venne portato allo scoperto rivelando così anche l’inarrivabile collo.

Celestia, dunque, si apprestò ad adempiere al suo dovere.

La Lama di Luce si sguainò sul suo corno, e lei chiuse gli occhi mettendosi a ruotare su se stessa come un’elica, sempre più veloce via via che i giri aumentarono.

Divenne così rapida, a un certo punto, che la sua sagoma non era quasi più distinguibile all’interno del disco, ma solo come sfumatura immateriale, delle tonalità lucenti.

“Fai presto, Cel… non so per quanto riuscirò a resistere…” strinse i denti Luna, cercando di convincersi che lo sforzo sarebbe durato solo per pochi secondi ancora.

La grande Lama circolare iniziò a muoversi nel vuoto, spostandosi sul collo del Kaiju. Da prima affondò sul muscolo tiroideo, recidendogli i legamenti anteriori, e quindi ruotò tutto intorno, scardinandogli la testa-occhio, e con essa le palpebre ossee, dal resto del corpo.

Come supposto dai grifoni, non vi era alcun rivestimento a proteggere quella parte specifica dell’organismo, e Celestia riuscì a completare il giro, atterrando di brusco sul prato della discesa non lontano da lì.

Luna, dunque, interruppe l’incantesimo accasciandosi a terra, sperando di ritrovare al suo risveglio una città pronta a risorgere.

Sul volto senza vita del Kaiju si era disegnata una smorfia indefinibile, che rimase tale anche quando la testa rotolò via, fuggendo dal suo tronco.

Brevi spasmi animarono ancora la carcassa mentre il picco si tingeva di nero. Il suo sangue, scuro come la pece, non era simile a niente che fosse mai esistito su suolo Equestre.

Solo allora la Principessa Celestia ebbe la possibilità di riprendere fiato.

Era finita, il Kaiju era morto per davvero. Pensarci le riusciva difficile, come temendo che risvegliandosi da un lieto sogno, scoprisse che il mostro stava ancora incombendo sugli abitanti.

A quel punto si ricordò del debito che aveva lasciato in sospeso con la sua città.

Volò adagio, fino ad approssimarsi sul ciglio dello strapiombo, con il corno che grondava del nero del sangue, e mentre recuperava le forze, annaspando in cerca della preziosa aria, si costrinse a prendere nota di ogni singola colonnina di fumo, di ogni rogo e di ogni tetto scoperchiato o palazzo demolito.

Un pensiero le fece rivoltare lo stomaco, dandole la nausea: non era una vittoria quella che il tramonto su Canterlot stava cercando di suggellare ai superstiti della montagna. Certo, avevano sconfitto il loro nemico, e probabilmente adesso stavano sospirando abbracciandosi tra loro e piangendo lacrime di commozione, ma a quale prezzo?

Era giusto parlare di vittoria, quando la capitale era ridotta in cenere e le vittime attendevano solo il loro momento per essere celebrate e sepolte?

Per giunta, ciò che la fece stare più male fu la consapevolezza di sapere che l’incubo non era ancora finito.

Era soltanto il quarto attacco quello che avevano affrontato quel giorno. Questo significava che presto ne sarebbero arrivati altri; forse, chissà, molto prima di quanto potevano mai immaginare.

Per troppo tempo lei e Luna avevano promosso l’accettazione di quella realtà, convinte che la vita dei pony avrebbe potuto continuare allo stesso modo di sempre, come se niente fosse.

Ma si erano sbagliate, e per questo molti avevano patito e sofferto.

“È stata colpa mia. Non doveva finire così.”

I sensi di colpa erano tornati a ricadere sul suo garrese.

Allora andò dalla sorella, e la caricò in dorso portandola alle porte del castello, dove ricevette assistenza medica dalle squadre di soccorso. Poi si rifugiò nella sua stanza, sentendo il bisogno di passare un po’ di tempo da sola, estraniata da Equestria e dal resto del mondo.

Trascorse il resto di quelle ore a piangere, mentre cercava un modo per prevenire la distruzione che avanzava alle loro porte.

La caduta del suo regno era stata soltanto rimandata.


CONTINUA…


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Ed ora, ragazzi, concedetemi un momento per parlare insieme :)


Con la fine di questo primo atto, si conclude per me un’epoca.

Ricordo i tempi quando ancora fantasticavo sull’idea di crossare un film come Pacific Rim ai pony. Erano tempi strani, se visti con gli occhi di adesso. Tempi in cui tutto quello che avete letto erano solo pensieri fumosi in una testa che non riusciva a convincersi che un giorno li avrebbe scritti. Ma così è stato, e se questa prima parte dell’epopea è stato possibile, lo devo anche a tutte le persone che su più livelli hanno preso parte a questo progetto, aiutandolo a crescere.

Come non citare Nightflyer22, che mi ha aiutato (e voi non potete capire quanto la faccio patire ^^’) e lo fa tuttora nella realizzazione degli artwork più importanti? Ma non dimentico neanche l’utente Big panzer 91 (un nome che è tutto un programma, fidatevi ;D), che oltre ad essere uno dei miei amici più cari, non disdegna talvolta di darmi anche qualche importante dritta dal punto di vista prettamente tecnologico (anche se ancora si è visto poco), come anche Laura (non ha ancora un’iscrizione, ma tranquilli, riuscirò prima o poi a convincerla a farlo :P), la mia ragazza, che sebbene legga con la velocità di un nudibranco in stato criogenico, mi mette al corrente di molti di quei refusi grammaticali che non capisco proprio come io faccia a schivare (errare humanum est)

La lista però potrebbe dilungarsi all’infinito. Potrei per esempio nominare Stargazer, che oltre a sopportarmi ogni giorno in chat mi da anche stimoli, con la sua grande abilità da scrittore, per migliorarmi sempre di più, o Jakrat, con la sua stupenda recensione che ha elogiato ER mettendomi però anche in evidenza alcune pecche che giustamente non ho evitato di commettere (perseverare è ovest XD).

Qui però devo aggiungere tutti voi, i miei lettori, che in ultima analisi siete per me le persone più importanti, il mio primo pensiero quando mi seggo sulla mia scomoda sedia, e l’ultima quando distacco i miei occhi infiammati dalle radiazioni del laptop.

Di voi ricordo e cito elmdor (sei stato il primo a commentarmi, e quello che più di tutti continua a farlo), everytmeMR.P (giuro che mi sono commosso quando ho saputo che hai iniziato a scrivere per mia ispirazione), The Fallen (tranquillo, nessun rancore se fatichi a starmi al seguito. Lo sappiamo entrambi che Rim è lunga un anno luce e mezzo), ma non pensate che mi sia dimenticato di Larissa Grifondoro ed Haytam. Di voi non ho più avuto notizie, e non so se avete più continuato a leggere, ma poco male, lo avete comunque fatto per un breve tempo, e già per questo ve ne sono grato.

E per inciso, è naturale che rivolgo un ringraziamento a TUTTI i miei lettori, non soltanto questi. Ma che pretendete da me? Non commentando non ho modo di conoscervi :P


Ora che c’ho dato un taglio con le smancerie, spendo ancora qualche frase veloce per mettervi al corrente sulle mie intenzioni rispetto al futuro di Equestria Rim:

Come abbiamo già detto, l’ATTO 1 è finito. Prendete quest’affermazione come se vi avessi appena detto che è la fine di un vero e proprio libro 1. Con esso vi ho introdotto alle fondamenta della storia, dandovi l’incipit per proseguire poi con il resto del ciclo, che per certi versi si discosterà leggermente da ciò che avete visto finora.

La trama assumerà le sue reali sembianze, e chi non vedeva l’ora di cominciare a scoprire il VERO cross con l’opera di Del Toro, avrà presto grano per i suoi denti!

Prima di partire, però, è mia intenzioni avvisarvi che mi prenderò una breve pausa dalla scrittura.

Lo faccio per darmi la possibilità di lavorare anche su altro, ripassandomi nel mentre i punti salienti dell’ATTO 1 per collegarmi in modo dinamico al 2, come se a tutti gli effetti dovessi cominciare a strutturare una nuova storia (cosa che di fatto, non si discosta poi tanto dalla realtà).

Per questo, vi avviso che l’ATTO 2 non arriverà sui vostri schermi almeno almeno almeno fino a primavera 2016, tempo durante il quale ho però intenzione di farvi dono di un’altra fan-fic, distaccata da questa, e sulla quale mantengo per ora il riserbo più assoluto, limitandomi solo a stuzzicarvi l’hype ;)


Con questo termino quindi le note finali, invitandovi a commentare (commentare,  commentare e commentare, e mi sembra giusto, considerando la sbatta a cui ogni mese ho incorso per presentarvi i capitoli!), inviarmi, se volete, le vostre artwork (prometto che troverò sempre il modo di metterle da qualche parte nel thread!) e magari, perché no se ve la sentite, scrivere qualche spin-off, what-if et similia, che io sarò sempre felice di leggere e quindi proporre a tutti gli altri!


Grazie ancora per tutto il vostro affetto, e a prossimamente per i nuovi capitoli!

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 8: Cuori Bruciati ***


*NOTA INTRODUTTIVA*

Correva l’Ottobre 2014 quando usciva su EFP e Google Drive la terza parte del “Quarto Attacco” che suggellava la conclusione del primo ATTO di Equestria Rim. Fu la fine di un lungo viaggio durato un anno, dopo il quale avevo asserito che mi sarei concesso una pausa di riflessione.


Correva l’Ottobre 2014 e da allora sono passati due anni. Due anni durante i quali ho superato molte fasi contrastanti, tra progetti che non ero in grado di sviluppare e un costante senso di fragilità, in cui ho più volte messo in dubbio le mie effettive competenze autoriali. Non mi dilungherò nel spiegarvi cosa mi sia successo, ma da allora in un certo senso ho superato la cosa, e anche il mio stile si è evoluto, cambiando nettamente rispetto al modo in cui scrivevo i primi tempi.


Tornare ad Equestria Rim dopo due anni (perché non conto “Storia del Giorno Zero” in quanto missing moment del Prologo) significava dover recuperare quanto era stato scritto e studiare quello stile per integrarlo con le novità dell’Alvin Miller 2.0, più semplice e diretto, ma anche più alla portata dei miei lettori. Ora che finalmente questo primo capitolo del tanto atteso ATTO.2 è finito, mi sento di dire che ho raggiunto in pieno il mio obiettivo!


Sono molto soddisfatto del mio lavoro (cosa veramente rara per me) e mi sento pronto a riprendere questa saga che ha atteso fin troppo per risorgere, e che probabilmente ha perso molti lettori lungo la strada del tempo. Ma la fiducia è la parola chiave del futuro ed ora che conosco la via non vedo l’ora di condurvi insieme a me nel viaggio che ci si para davanti.


Bibski Doss e soci sono tornati, è il momento di salvare Equestria!



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CAPITOLO 8: Cuori Bruciati


Lacrime di pony tra la neve che cade.

Era una mattina fredda quella che si levò quel giorno a Canterlot, in quello che sarebbe stato ricordato come il giorno più cupo della storia di Equestria. Sfortunatamente, l’equilibrio del clima era una legge che non poteva essere infranta, e anche se il giorno prima la capitale era stata calpestata ed erosa fin nelle fondamenta, e aveva vissuto ore di assoluto terrore, l’ordine di Cloudsdale di rispettare le previsioni del meteo andava eseguito alla lettera, come se si fosse trattato di un ordinario giorno d’inverno.

I pegasi incaricati di collocare le nuvole sopra la città erano costretti a guardare dall’altro lo scenario dell’apocalisse che si stendeva sotto i loro sguardi. Erano loro le lacrime che si confondevano tra i fiocchi cristallini, e nemmeno il più freddo degli animi sarebbe riuscito a restare indifferente di fronte a tale ecatombe.

Erano passate diciotto ore dalla distruzione della città, da quando il Kaiju – che avevano già ribattezzato Cyclop – era stato ucciso con enorme dispiego di energie da parte di Princess Celestia, con un incantesimo chiamato Lama di Luce. La sua testa era stata mozzata alla base del collo e il suo cadavere lasciato a decomporsi sul picco della montagna di Canterlot, dove sorgevano i bastioni del castello.

Di lui ormai non rimanevano che ossa solcate da crepe, la rapida putrefazione che accomunava tutti i Kaiju al momento della morte aveva dissolto i quaranta metri della sua massa lasciando di esso solo dei profondi solchi, lì dove si era schiantato il corpo.

Se di Cyclop non restava più nulla, lo stesso però non si poteva dire delle conseguenze del suo attacco. Chi aveva vissuto in prima persona la tragedia del Primo Attacco a Manehattan conosceva solo in minima parte il dolore che si provava a vedere distrutta la vita di un’intera popolazione. Se ai tempi si era trattato solo di un Sentiero, un percorso tra i palazzi che il Kaiju Hermit aveva attraversato lungo la metropoli per poi dirigersi verso la catena montuosa di Hollow Shades, la furia di Cyclop, invece, si era abbattuta su tutta la capitale, travolgendo ogni cosa e spazzando via decenni se non addirittura secoli di storia equina! Nessuno era stato al sicuro, né il più povero dei cittadini, né il più ricco dei nobili. Interi casati erano stati estinti nell’arco di pochi minuti; potenti dinastie che avevano costituito la popolazione più influente di Canterlot, cancellati per sempre; alberi genealogici che avevano radici estese nei secoli, privati dei loro giovani ramoscelli. Pegasi, pony di terra e unicorni, insieme ad altre specie che per una ragione o per l’altra si erano trovate a Canterlot nel corso della giornata, tutti erano stati coinvolti dallo stesso impietoso destino.

La grande, gigantesca fossa da cui il Kaiju era sbucato aveva divorato un’intera piazza e fagocitato qualsiasi cosa nel raggio di decine di metri. Erano ancora imprecisate le cifre dei pony che erano caduti nella voragine, deceduti nella caduta, e chi aveva le ali per volare era finito invece schiacciato dalle macerie che precipitavano dall’alto, piovute dalle spalle del mostro o dai palazzi che venivano abbattuti nel mentre. Chi per una ragione o per l’altra era riuscito a scampare, si era ritrovato assordato dalle potenti urla che il Kaiju era capace di emettere per stordire i suoi nemici, e la pioggia di schegge che cadevano dalle finestre infrante avevano causato tagli ed escoriazioni a chiunque fosse riuscito ad a mettersi in salvo.

I mezzi di soccorso si districavano come potevano lungo i tunnel di macerie che una volta erano vie di eleganza e fastosità. Si scavava alla cieca, e per ogni corpo che veniva estratto vivo, altri dieci erano invece ammassati lungo i bordi dello spazio percorribile e coperti da teli scuri. Fino a qualche anno prima a Equestria nemmeno esisteva una simile procedura.

Molte, troppe, erano anche le unità dei corpi militari che avevano perso la vita dopo che con grande coraggio avevano cercato di difendere la città, spesso sacrificando la propria vita per dare una speranza a qualche pony bisognoso. La gendarmeria della Guardia Cittadina aveva perduto numerosi ottimi soldati, e l’Aviazione dei Wonderbolts si era vista privare di autentiche leggende, pegasi che erano diventati un simbolo della Nazione, e che ora giacevano in mezzo al disastro, per strada e in tombe su palazzi alti, troppo alti per essere raggiunti dai mezzi a terra. Qua e là aguzzando la vista era anche possibile scorgere i corpi di qualche cadetto dell’Aviazione dei Grifoni, con le loro lancia-dardi distrutte e strette ai loro corpi come in un abbraccio macabro ed eterno.

Dopo ore di lavoro incessante, un paramedico unicorno tentava inutilmente di rianimare il suo paziente, il Cardio-incanto che utilizzava era un incantesimo versatile, praticato per riportare a parametri normali battiti cardiaci accelerati, dopo uno sforzo prolungato o anche per soggetti affetti da tachicardia; era anche utilizzato per le rianimare le vittime in caso il cuore avesse cessato di battere, come in questo caso. Il paramedico, dopo vani tentativi che si erano protratti per diversi minuti, fu costretto ad arrendersi e registrare l’ora del decesso. A quel punto si accasciò a terra e si mise a urlare con la testa indirizzata al cielo, mentre i pegasi del meteo proseguivano nel loro compito cercando di non fare caso alla scena.

Diciotto ore, ed era come se tutto fosse ancora punto e a capo: le fiamme divampavano ancora, consumando tutto ciò che c’era sul loro cammino; gli edifici crollavano, uccidendo altri innocenti; dovunque si posasse lo sguardo si vedevano corpi inanimati, arti che sporgevano da cumuli color avorio e resti di chi era finito sotto i passi del ciclope, e tra i vivi vi erano dei disgraziati confusi e completamente assordati, con del sangue rappreso che era colato dalle loro orecchie e abiti ridotti a stracci, e altri che vagavano sperduti per le vie di Canterlot senza una meta precisa. Erano i ritardatari che non avevano risposto per tempo all’evacuazione, quelli che erano rimasti indietro quando i messaggeri avevano sparso la voce del nuovo centro di raccolta a castello.

Sulla via della roccaforte molti avevano perduto i propri cari mentre la fiumana li spingeva avanti e taluni non erano più riusciti a ricongiungersi con le loro famiglie. Si sarebbero ritrovati solo ore dopo, oppure avrebbero appreso che i loro parenti erano stati rinvenuti morti, calpestati da zoccoli in preda al panico o uccisi dall’azione del Kaiju. Inutile dire che persino mentre risalivano la via della salvezza molti non ce l’avevano fatta.

Le grandi vasche per la raccolta dell’acqua sul fianco dell’altipiano erano state sfondate: quella più piccola era precipitata su quella inferiori e i flutti tracimati avevano allagato la strada sottostante formando un ampio bacino tra le macerie. Corpi di pony annegati galleggiavano a pelo della superficie torbida, caduti dopo che il ponte che collegava il castello alla piana sottostante era stato demolito dalla carica del mostro.

I bastioni in quel momento non avevano una via d’accesso: al posto del barbacane c’erano solo detriti. I soli che potevano muoversi liberamente erano i pegasi, mentre gli unicorni facevano quel che potevano con la telecinesi. Alcune falegnamerie del regno avevano sospeso la loro principale attività di fabbricazione di carrozze pregiate e stavano per arrivare con passerelle temporanee per favorire la circolazione dei soccorsi, ma ci voleva ancora del tempo prima che la circolazione tornasse a scorrere liberamente.

La piazza del castello era gremita di sfollati, pony feriti, disperati, unicorni senza magia, pegasi con ali rotte o mozzate, feriti da schegge di vetro, provati da una notte insonne, pony senza udito, genitori senza figli, figli senza genitori, fratelli che si cercavano freneticamente senza trovarsi. I morti, almeno qui, per un’amara fortuna, erano in pochi e furono rimossi in fretta.

Le lacrime di tutti si posavano sulla neve, che non riusciva a raffreddare i loro cuori bruciati.


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Tra i tanti che si erano dispersi e i morti che non erano stati soccorsi per tempo, ci fu qualcuno che riuscì a rivedere la luce del sole.

Una pegaso dal manto giallo e con una criniera vivace di diverse sfumature di arancione spalancò le palpebre lentamente, per scoprire di trovarsi dentro uno stanzino illuminato artificialmente. Si guardò intorno e pian piano cominciò a distinguere varie apparecchiature mediche che lavoravano instancabilmente emettendo suoni e simboli alfanumerici su piccoli schermi neri.

Quando fece per spostarsi si accorse di essere legata stretta (ma non in modo che le procurasse dolore) con delle cinghie a una lettiga, mentre dei fili pendevano dalla sua zampa anteriore destra. Tentò di divincolarsi da quella morsa, preda di una confusione che la travagliava, ma qualcuno accanto a lei aveva notato i suoi movimenti e si avvicinò a lei, pronto ad interromperla con gesti gentili.

«Oh, si è svegliata finalmente! La prego, non si agiti.» Era un infermiere, un pegaso dal manto bruno e con indosso lenti da vista. Prese da un taschino una sottile lampadina e gliela mosse davanti agli occhi. «Ecco segua con gli occhi questa, ci riesce vero?» Il movimento della luce fu lento e per lei fu facile eseguire.

«Risposta alle stimolazioni fotoniche positiva, e anche le pupille sono a posto. Ottimo!» Riportò lo strumento in tasca. «Proviamo con la memoria, ricorda come si chiama?»

La paziente fissò dritta lo sguardo dell’infermiere prima di rispondergli. «S-Spitfire… dell’Aviazione dei Wonderbolts di Cloudsdale…»

«Eccellente, e anche le funzioni cognitive sembrano intatte! Bentornata tra noi Capitano!»

Spitfire, ora che aveva recuperato un po’ di lucidità, realizzò di trovarsi all’interno di una carrozza-ambulanza. Se allungava l’orecchio e si concentrava, poteva udire distintamente il rumore di numerosi pony intenti a lavorare e a correre in tutte le direzioni.

«N-non riesco a muovere le mie zampe… perché mi avete legato?»

«È soltanto una precauzione per la sua incolumità. Mi creda, è molto meglio che resti immobile per il momento.»

«La mia incolumità?»

«Proprio così. L’hanno ritrovata che era priva di sensi e in fin di vita nel giardino di fronte al castello. Ha subìto numerosi traumi interni, causati molto probabilmente dall’onda d’urto che si è propagata dalla cupola quando il Kaiju vi ha urtato contro: ha un versamento di sangue nella cavità pleurica causato dalla perforazione del polmone destro che l’ha quasi fatta affogare nel suo sangue, poi numerosi altri organi compromessi, un rene esploso e il fegato gravemente danneggiato. È un vero miracolo che lei sia sopravvissuta. Probabilmente se non fosse stato per il suo fisico temprato, non sarebbe qui ad ascoltarmi.»

Spitfire aveva ascoltato tutto con naturale scetticismo, pensando che l’infermiere avesse volutamente esagerato con la diagnosi o che si fosse messo a parlare di qualche altra paziente. «Ma io… credo di stare bene… ricordo di essermi alzata, potevo camminare e stavo quasi per rimettermi in volo quando…»

Malgrado le sue proteste l’infermiere si fece trovare pronto: «Mi rendo conto che può sembrare strano, gli unicorni che le hanno prestato il primo soccorso hanno stabilizzato le sue condizioni con degli incantesimi, ma in effetti è sorprendente che lei sia riuscita a sopravvivere. Il trauma molto probabilmente deve averle alterato la percezione del tempo, facendole credere che pochi istanti siano durati diversi secondi, se non addirittura interi minuti. In realtà consideri che è già tanto se è riuscita a muoversi di un passo prima di stramazzare. Mi dica, ha per caso avuto qualche tipo di allucinazione? Ricorda di avere visto cose o persone che non potevano assolutamente trovarsi lì?»

La pegaso lasciò per un momento che i ricordi confluissero in lei. «Sì, qualcuno c’era, ora che ci penso. Ho avuto l’impressione che ci fosse una presenza accanto a me. È stata con me durante tutto il periodo in cui ero ancora cosciente, ma non aveva un’identità precisa, non saprei dire esattamente chi fosse o come fosse fatto.»

L’infermiere si portò uno zoccolo al mento. «Uhm, sì. Alcuni tipi di traumi cranici possono effettivamente causare sintomi come quello che mi ha appena descritto. Vedremo di sottoporla a esami più approfonditi per verificare quali sono le sue reali condizioni.» Prese a trascrivere delle annotazioni su un foglio, lasciando Spitfire il tempo di riflettere.

Poteva avere senso? In effetti da soldatessa addestrata, conosceva gli effetti che l’adrenalina aveva sul corpo quando entrava in circolo: una frattura scomposta poteva sembrare un’innocua contusione per i primi dieci minuti, e solo dopo, nell’arco delle ore successive, divampare nel dolore. Ma traumi come quelli che le erano stati descritti? Poteva davvero essere sopravvissuta a tanto? Spitfire accettò la notizia con un atteggiamento di perplessa rassegnazione.

«Che ne è stato del Kaiju?» Chiese poco dopo, soffiando le parole.  

«Non dobbiamo più temere di lui, le Principesse lo hanno ucciso. Siamo salvi per ora.»

«Lo hanno fatto loro, di persona? Credevo avessimo un piano tattico più solido.»

«Sfortunatamente ci sono state delle complicazioni, e il mostro che avete affrontato era… decisamente un osso duro, ecco.»

Questo la Wonderbolt l’aveva sperimentato di persona.

«Ma ora basta parlare. Tra poco la trasferiremo nel centro medico che abbiamo allestito qui a palazzo, lì si prenderanno cura di lei, non si preoccupi. Per ora pensi solamente a riposarsi, se l’è guadagnato.»

Se l’era guadagnato veramente? E allora perché non si dava pace per la freddezza con la quale aveva isolato centinaia di pony fuori dai bastioni del castello quando la Muraglia dell’Armonia era calata giù?

Come Capitano, ed essendo stata delegata al comando da Princess Celestia in persona, aveva avuto la responsabilità di salvaguardare il maggior numero possibile di vite. Quando il Kaiju aveva raggiunto la cima della montagna, lei era stata chiamata a prendere una decisione alla svelta, scegliendo tra l’alternativa di lasciarne entrare quanti più possibile, col rischio di lasciare il castello senza difese, oppure di accelerare i tempi salvando per lo meno quelli che erano stati già accolti. Non aveva avuto il tempo di meditare sulla sua decisione, ma lo faceva adesso, e si rendeva conto che in un’altra circostanza non avrebbe mai sostenuto una simile decisione. Non se questo avesse comportato la perdita di così tanti innocenti.

Non sapeva ancora che Discord era subentrato sul campo, riducendo drasticamente le perdite, e temeva per il giudizio dei pony, nel momento in cui si sarebbe ripresa. Si domandava come l’avrebbero guardata ora gli altri Wonderbolts, sapendo ciò che era stata costretta a fare; se l’avrebbero giudicata con gli occhi di chi guarda un criminale, un traditore a cui negare ogni rispetto, oppure, se avrebbero compreso la situazione riammettendola nello squadrone.

Se non altro il titano era stato sconfitto. Forse i morti, tra chi era rimasto fuori, avevano raggiunto cifre incalcolabili, ma almeno aveva garantito a qualcuno di loro di continuare a vivere. Aveva adempiuto al suo dovere nella maniera che aveva reputato più corretta, e avrebbe pagato le conseguenze, se ce ne fossero state, a tempo debito. Anche ritirandosi dal comando se fosse servito, anche appendendo la divisa al chiodo. Aveva adempiuto al suo dovere e adesso era arrivato il momento di uscire di scena, qualcun altro avrebbe preso il suo posto.


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Twilight stava vagando da sola per le strade di Canterlot, e mentre camminava si scrutava intorno, disorientata e sperduta. Era davvero la sua città quella? Il luogo dove era nata e cresciuta prima di trasferirsi a Ponyville?

Ogni via e ogni luogo che per lei erano punti di riferimento erano stati annientati e sostituiti da un inferno di rovine e fiamme, di morte e sofferenza.

Dopo la sconfitta del Kaiju lei era andata alla ricerca dei suoi genitori, li aveva trovati, e quando li ebbe di fronte li aveva cinti a sé e si era abbandonata tra le loro braccia piangendo. Twilight Velvet e Night Light poterono finalmente rivedere la loro figlia e sapere che stava bene, capirono che le voci che circolavano, che davano le Custodi per spacciate sul campo di battaglia, si erano rivelate false.

Twilight Sparkle volle subito sapere delle loro condizioni, se erano dovuti fuggire all’assalto, se la loro casa era ancora intatta. Fu un sollievo scoprire che la via in cui abitavano era una delle poche che non era stata toccata dalla furia distruttrice di Cyclop.

«La fortuna ci ha sorriso.» Aveva detto suo padre cercando di alleviare la tensione, ma come si poteva parlare di fortuna quando della loro città non era rimasto più niente? Avevano sbagliato a fidarsi degli Elementi. Lei aveva sbagliato, si sfogò con loro. Lei aveva sospettato da tempo che il programma di difesa, per quanto ben organizzato, non sarebbe stato sufficiente per respingere gli Attacchi. Avendolo saputo, non si era fatta valere a sufficienza, e perciò ora molti pony stavano soffrendo a causa sua.

«Non addossarti colpe che non hai!» L’aveva rimproverata sua madre, ringraziandola, invece, per il coraggio che aveva dimostrato e per come si era messa in gioco per Canterlot. Aveva affrontato il nemico di petto, rivelandosi una buona condottiera, degna degli insegnamenti di Princess Celestia, e aveva saputo ricondurre le sue amiche al sicuro quando gli Elementi dell’Armonia avevano fallito.

«Vederti lì fuori ci ha riempito di orgoglio. Siamo fieri di avere una figlia come te!» Terminò Velvet, che ora voleva soltanto tornare ad abbracciare l’adorata figlia.

Non sapendo come ribattere a quelle dichiarazioni così calorose, l’alicorno era rimasta in silenzio, mentre i suoi genitori la stringeva ancora più forte ai loro corpi.

Poco dopo aver chiamato Spike a sé, gli aveva chiesto di recapitare due messaggi con destinazioni diverse. Il primo era stato inviato direttamente all’Impero di Cristallo: conteneva un testo descrittivo di cosa fosse successo a Canterlot. Aveva rassicurato suo fratello e sua cognata che la loro famiglia stava bene, ma che non si poteva dire lo stesso della capitale.

La seconda lettera era invece stata recapitata in un luogo remoto, e dato che non ricevette alcun messaggio di risposta, cominciò a sospettare che non fosse neppure arrivato.

La Principessa dell’Armonia, a quel punto, aveva deciso di scendere in città per verificare coi propri occhi ciò che era rimasto dopo il Quarto Attacco. Fu seguita da Applejack e Pinkie Pie, che non potevano sopportare di stare lì ferme mentre la gente di fuori aveva bisogno di loro. Man mano che si districarono per le vie diroccate, finirono per imboccare ciascuna una direzione diversa, fino a rimanere da sole, con le proprie ombre e la malinconia che trottava loro accanto. La cowgirl probabilmente si era unita a qualche gruppo di soccorritori e si era messa a scavare come aveva fatto ai tempi del Primo Attacco. Twilight trovò invece Pinkie Pie nelle vicinanze di una fontana gremita di sfollati. Anche se erano trascorse poche ore dalla fine dell’Attacco, qualcuno aveva già pensato di allestire una bacheca improvvisata sulla parete ancora intatta di un edificio. In essa vi venivano censiti tutti coloro che erano stati ritrovati e identificati dalle squadre di recupero: c’erano quelli estratti vivi, e c’erano anche quelli – molti di più – le cui spoglie erano state portate via dopo il ritrovamento. Un responsabile con indosso l’armatura della gendarmeria cittadina stava aggiungendo altri nomi nella colonna dei deceduti, aggiornando solo di rado quella dei superstiti. Qualcun altro nel frattempo sfruttava gli spazi inutilizzati della parete per appendere manifesti con foto di persone scomparse.

Di muri come questo ne stavano spuntando molti in giro per la città, e altri ne sarebbero spuntati nel corso delle ore successive.

Pinkie Pie teneva una zampa intorno alla spalla di una unicorno che singhiozzava a dirotto di fronte alla bacheca. Questa aveva un manto bianco e un’ampia criniera di zaffiro che la rendevano facilmente riconoscibile agli occhi della Principessa: era una DJ abbastanza affermata a Ponyville, un tipino insolito che si esprimeva solo tramite cenni della testa e che amava trotterellare per il villaggio con sulle orecchie delle grandi cuffie e la musica a tutto volume. Pinkie Pie l’aveva ingaggiata spesso per allietare le sue feste, ed erano arrivate ad instaurare un curioso rapporto di collaborazione-amicizia.

Il perché lei fosse lì e stesse gemendo con tanto dolore nel petto, Twilight lo scoprì quando si avvicinò per guardare, e restò senza parole quando lesse il nome di Octavia Melody sulla colonna dei decessi! Era la violoncellista con cui la DJ divideva la casa a Ponyville, ed era anche parte di un corpo musicale che spesso si esibiva al Gran Galà Galoppante e ad altri importanti eventi di Equestria.

Twilight continuò a leggere e vide che tra i morti vi erano anche gli altri membri del suo gruppo: Beauty Brass, Parish Nandermane e Frederick Horseshoepin. Probabilmente si erano riuniti quel giorno per le prove di un’esibizione che si sarebbe tenuta alla Scala di Canterlot in vista della Festa del Focolare. Di loro non si era salvato nessuno.

Altri nomi le erano poi balzati all’attenzione quando si era soffermata a leggere più in basso: Fancy Pants, Hoity Toity e persino la celebre critica gastronomica Zesty Gourmand! Ed erano solo i primi censiti! Quante altre celebrità avevano perso la vita in quel giorno?! Quanti altri pony?! Quanti innocenti?!

Twilight realizzò che se lei e le persone a lei care erano tutte vive, il merito era veramente da attribuirsi alla fortuna, come aveva detto suo padre.

Ma poteva dire lo stesso degli altri pony che erano lì presenti? La giumenta pegaso che accudiva il figlioletto, il quale nel frattempo cercava di distrarsi con un trenino giocattolo, avevano forse perso il marito e padre? Twilight non lo sapeva. E il coraggioso infermiere che cercava di assistere un moribondo, malgrado il freddo e la neve ostacolassero il suo operato, Twilight poteva dire che i suoi cari fossero tutti al sicuro? E quel giovane unicorno che si era appena sfilato la sua lussuosa giacca monopetto per donarla a alla puledra accanto, in modo che potesse scaldarsi, erano fratelli oppure due orfani che avevano trovato conforto nella compagnia reciproca?

Il gruppo di superstiti aveva aperto un buco nel ghiaccio della fontana, e usavano quell’acqua per dissetarsi, mentre qualcuno cercava di alimentare un modesto fuocherello usando pezzi di legno, decorazioni, cartone o strisce di stoffa trovati in giro, ma la neve rendeva il tutto più difficile.

«Avete visto? Quella è la Principessa Twilight!»

«Sì è vero, è lei!»

Dopo averla riconosciuta si accese qualcosa negli occhi di quei disperati, una scintilla di speranza, e malgrado continuasse a non piacerle essere considerata come se fosse stata al di sopra del popolo, decise di avvicinarsi per dare loro un magro sollievo.

«Cercate di tenere duro, presto vi porteranno in un luogo caldo, non appena la protezione civile e la Guardia Cittadina avranno finito di allestire i locali.»

«Ce la caveremo, per ora sarebbe sufficiente qualcosa che alimenti questo falò.» Disse il giovane con una nota di fiducia nella voce.

«Forse posso fare qualcosa.» Esclamò Twilight allontanandosi di due passi. Fece scorrere della magia attraverso il suo corno ed evocò un incantesimo termico sotto forma di un piccolo fuoco fatuo. Gli osservanti ammirarono il compiersi della sua azione con sguardi meravigliati e sorpresi.

«Questo vi riscalderà per sessanta minuti circa, avvicinatevi pure, non c’è alcun pericolo.» Li rassicurò, e tutti si avvicinarono approfittando della generosità della Principessa.

«Sarà di grande aiuto, grazie!»

«Grazie Principessa!»

«Ti vogliamo bene!»

«Evviva la Principessa dell’Armonia!»

Quel coro di voci la fece visibilmente arrossire, ma almeno si era resa utile a qualcosa.

Poco dopo anche Pinkie Pie e Vinyl Scratch vennero a scaldarsi intorno al fuoco fatuo.

Chi dovette rimanere in disparte fu invece l’infermiere con il suo assistito, che a causa della sua ferita non poteva assolutamente essere mosso.

«Ho fatto tutto il possibile. Purtroppo la ferita è troppo profonda». Spiegò con la voce strozzata a Twilight che si era avvicinata.

Il pony che giaceva a terra aveva uno squarcio dall’ampiezza indicibile sul ventre, causato probabilmente da qualche oggetto tagliente che non si trovava più lì. I suoi occhi infossati e spenti, anche se reagivano ancora, erano quelli di qualcuno in procinto di morire, solo il freddo rallentava l’inevitabile processo, mentre il fiato sempre più debole scandiva lo scorrere del tempo.

Per lui Twilight non poté fare nulla. Se Cadance fosse stata lì, con la sua magia di guarigione molto più allenata, forse avrebbe potuto intervenire e magari salvargli anche la vita. Purtroppo era a chilometri di distanza, così dovettero restare a guardare, mentre il povero stallone esalava l’ultimo respiro.

«Qualcuno sa come si chiamava? I suoi parenti dove sono?» Con le lacrime che le rigavano il viso, cercò una risposta nei volti degli altri pony, senza però riceverla da nessuno.

Era ingiusto morire così, lontano da tutto ciò che ti è più familiare e senza nessuno che ti dica addio, ma almeno non era morto da solo. Quella magra consolazione servì solo a farli stare peggio.

Pinkie Pie era tornata dalla sua amica e la aiutò a riprendersi. Era incredibile quanto quella pony si fosse rivelata brava a reggere il dolore: mentre gli altri erano senza speranza, lei al contrario si era resa disponibile ad offrire a tutti una spalla su cui piangere. Ma quando Twilight appoggiò il suo viso sul petto dell’amica, capì che il dolore che apparentemente non esprimeva era solo represso sotto quel sottile strato di manto rosa. Fu come se tutta l’oscurità che albergava nella Custode della Gioia attraversasse la carne e infettasse l’anima della Principessa. Twilight ora avvertiva distintamente cosa si celava al suo interno, e temeva per le conseguenze, se mai quell’oscurità fosse uscita di fuori. Pinkie Pie, per giunta, aveva previsto prima di tutti l’arrivo del Kaiju, e di conseguenza aveva vissuto prima di chiunque altro, nella sua testa, l’orrore del Quarto Attacco.

Si scostò da lei guardandola negli occhi, cercando qualche traccia dell’oscurità che aveva captato, per capire se la sua amica era ancora come se la ricordava o se fosse stata sostituita da qualcosa di diverso. Pinkie Pie le fece un cenno, cercando di comunicarle che era tutto a posto, che stava soltanto rappresentando il suo Elemento: la Custode della Gioia non poteva mostrarsi avvilita di fronte alle avversità, era proprio in quei momenti che un sorriso poteva estinguere un incendio nel cuore di un pony.

L’attenzione di Twilight fu deviata su qualcos’altro, che fece alzare le teste anche agli altri pony lì presenti. Un fragore forte e innaturale che aumentava in maniera costante man mano che si avvicinava.

Uno strano oggetto tagliò in due il cielo, costringendo alcuni pegasi ad evitarne la traiettoria, dirigendosi senza alcuna esitazione verso il picco della montagna, in rotta per il castello.

Le Custodi non ebbero difficoltà e riconoscere il velivolo: lo Skybreaker di Bibski Doss era lì, la vera domanda era cosa sarebbe successo nel momento in cui il pilota fosse sceso a terra.


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L’atrio principale del castello era stato convertito in un centro d’accoglienza per coloro che avevano avuto la fortuna di rifugiarvisi in tempo. In realtà il numero dei rifugiati era molto superiore alle reali capacità contenitive del castello, pertanto erano state aperte al pubblico le sale private ai piani superiore e nelle torri circostanti, così che ora le sale di ricevimento, i salotti e i giardini circostanti con gli spazi che una volta all’anno davano ospitalità agli invitati del Gran Galà Galoppante, ora ospitavano come meglio potevano pony ed apparecchiature mediche mentre nell’ampio refettorio alcuni volontari stavano preparando un modesto pasto per tutti coloro che ne avessero voluto approfittare.

Era una situazione surreale: i sopravvissuti alla catastrofe soffrivano per ciò che avevano perduto mentre nel contempo ammiravano meravigliati all’eleganza degli arredi. Le finestre commemorative, alcune delle quali erano state distrutte all’impatto di Cyclop con la cupola, erano ancora uno spettacolo di rara bellezza sul quale qualcuno si stava già domandando, a ragion veduta, se anche al Quarto Attacco ne avrebbero presto dedicato una.

Uno degli effetti secondari più gravi dell’Attacco, che aveva raggiunto numeri da capogiro, era quello degli unicorni che avevano perso l’uso della magia dopo essere stati colpiti dai globuli assorbi-magia secreti dal Kaiju. I medici sottoponevano gli sventurati ad esami di ogni tipo per cercare la causa ed un’eventuale cura, ma qualsiasi cosa avessero tentato, dai più semplici incantesimi curativi, a pratiche complesse contro malefici di varia natura eseguite con la supervisione di stregoni competenti, non aveva dato i risultati sperati. Senza le dovute strumentazioni e in mancanza di tempo, era difficile persino determinare cosa causasse la soppressione della magia all’interno del corpo. Gli individui colpiti avevano tutti perso le loro capacità, indipendentemente dall’età e dal livello di padronanza degli incantesimi. Qualcuno aveva ipotizzato che i globi avessero formato una strato isolante intorno ai corni, e così alcuni pony erano stati accuratamente lavati e poi sottoposti nuovamente a un test pratico, ma anche in quel caso la magia esitava a tornare.

Allora si pensò che ad essere inibito fosse l’organulo che all’interno della calotta cranica rappresenta il nucleo stesso dell’essenza magica; si fecero degli incantesimi direttamente ad esso, causando forti emicranie ai soggetti che in alcuni casi cadevano a terra privi di sensi, fino a quando si decise di sospendere del tutto gli esperimenti.

A quel punto gli unicorni coinvolti furono semplicemente riuniti tutti insieme e tenuti sotto stretta osservazione per monitorare eventuali cambiamenti. La sola indicazione che ricevettero fu di sperimentare da sé, di tanto in tanto, qualche incantesimo per verificare se la magia stesse tornando.

Chi era fuori posto in mezzo a tutti quegli unicorni era Rainbow Dash, che era stata colpita più di una volta dai globuli, offrendo se stessa come scudo vivente per proteggere l’amica Twilight. Il risultato più evidente nel suo caso era l’incapacità di indossare il suo Elemento, mentre il volo era rimasto pressoché inalterato.

Teneva stretta nello zoccolo una lunga piuma bianca, che scuriva in tinte violacee sulla punta, e la fissava intensamente con gli occhi che lacrimavano…

Era passata mezz’ora dall’abbattimento del Kaiju. Il suo sangue nero come la pece fluiva fuori dal corpo come una fiumana corrotta.

Per minuti interi nessuno era stato in grado di reagire, temendo che da un momento all’altro il ciclope escogitasse qualche altro stratagemma nonostante non vi fossero dubbi che fosse morto.

Dovettero attendere che la carne cominciasse a marcire per convincersi che era giunto il momento di abbassare le difese. Twilight a quel punto aveva ordinato che la Muraglia dell’Armonia venisse disattivata; si cominciarono quindi ad organizzare le prime squadre di soccorso, e Dash radunò a sé un piccolo contingente che era formato sia da Wonderbolts che da altri grifoni, e volarono insieme alla ricerca della sua amica Gilda.

La Sergente Grizelda – così la conoscevano i cadetti – era stata la ragione per la quale erano riusciti a sopravvivere all’Attacco: aveva accecato il Kaiju, compiendo un tuffo suicida direttamente nelle profondità dell’immane occhio del mostro, e così facendo le Principesse avevano avuto la possibilità di finirlo. Ma per fare a ciò, la grifona dovette sacrificare la sua vita, quando fu estratta a forza dalla mano di Cyclop e scagliata via lungo il crinale della montagna.

Quando la ritrovarono Rainbow Dash fu pervasa da un orrore assoluto, che mai si sarebbe aspettata che i suoi occhi potessero vedere: quello che era rimasto di Gilda non aveva più niente a che vedere con la sua vecchia amica. Riusciva a stento a immaginare che quel corpo, che un tempo con il solo portamento era in grado di portare alla vittoria un’intera flotta di aviatori, adesso era ridotto a una carcassa maciullata.

In preda allo shock Dash si era messa a gridare, tanto forte che il resto della squadra fu costretta ad allontanarla con la forza; ci erano voluti tre pegasi e un grifone molto robusto per riuscire nell’impresa, e nel frattempo chi rimase cercava di recuperare il corpo nella maniera più dignitosa possibile.

Tornati a castello, l’avevano convinta a riposarsi un po’ e Luna era stata tanto cortese da decidere di ospitarla nel suo alloggio personale. L’aveva accudita nel sonno, aiutandola a scacciare gli incubi che la perseguitavano mentre dormiva, che le facevano rivivere una versione più contorta e sanguinosa degli eventi del Primo Attacco. Nell’incubo era lei che combatteva con Hermit, non Silver Sprint, e cercava di vendicare la sua amica Gilda, uccisa al posto di Bullseye. Il cielo era tinto di rosso e la terra si sgretolava sotto i suoi zoccoli; globuli cremisi che in realtà erano enormi palle di sangue piovevano sull’erba e nelle ampie crepe del mondo.

Rainbow Dash combatteva perché qualcuno le aveva detto che così facendo poteva riportare la sua amica in vita, ma non era in grado di farlo, era troppo lenta, ed inutili erano i tentativi da parte dell’alicorno della notte di rendere il contesto più favorevole alla Custode. Dash perdeva comunque, veniva urtata dalle zampe del Kaiju e finiva per schiantarsi contro una montagna o contro le rocce, o cadere dentro un crepaccio. E ogni volta che cadeva, non era il suo corpo a subire i traumi, ma quello di Gilda, lo vedeva smembrarsi e ridursi a qualcosa di sempre più irriconoscibile, mentre i tentativi di Luna di alleviare quella ripugnante visione risultavano sempre più vani.

Si era svegliata nel cuore della notte e contro il volere della Principessa era saltata giù dalla finestra per volare via, nelle tenebre più nere, fuggita per recarsi sul luogo del ritrovamento del corpo. Faceva freddo, le sue piume si stavano congelando e sapeva dalle previsione che entro il sorgere del sole avrebbe cominciato a nevicare, ma il suo cuore era in fiamme e bruciava nel petto, dominando tutti gli altri sensi. La puzza della carcassa in decomposizione di Cyclop era la sola cosa che superava quella barriera sensoriale.

Sulla scena di Gilda erano rimaste soltanto pozze di sangue e delle piume. Dash le fissò a lungo con lo sguardo vuoto, fino a quando non si decise a raccoglierne una con lo zoccolo, la stessa che la mattina seguente avrebbe tenuto stretta a sé.

I motori dello Skybreaker si spensero, i rotori smisero di girare e si aprirono gli sportelli sulle paratie laterali. I pony operosi che lavoravano per costruire una nuova passerella sopra il lago artificiale davanti all’entrata del castello si fermarono di colpo e guardarono stupiti la scena.

Twilight, che era tornata rapidamente grazie a un teletrasporto, vide scendere dal velivolo prima l’altissimo unicorno dal manto grigio-cenere e successivamente il piccolo inventore con ali di metallo e corno artificiale. Bright cominciò un educato inchino per rivolgere alla Principessa le dovute riverenze, ma fu costretto a fermarsi quando vide le occhiate cariche di rancore e le saettate che Bibski e Twilight si rivolgevano a vicenda. Il loro ultimo incontro si era concluso con un accesa discussione e ora entrambi, anche se sapevano di avere bisogno l’uno dell’altra, speravano che quel momento durasse il meno possibile.

«Bibski Doss… » Sibilò lei tra i denti, cercando di superare le acredini.

«Princess Twilight Sparkle.» Fece lui, e si studiarono attentamente le reciproche reazioni. «Beh, se non altro ricordiamo i nostri nomi.»

La Principessa si accigliò irritata. «Non mi sembra il momento adatto per scherzare, non ti pare?»

«Ti pare che stia ridendo per caso?»

«No… ma ti prego di controllarti finché ti trovi qui. Siamo tutti provati da quello che è successo, e se cominci a comportarti come hai fatto all’Impero…»

«Comportarmi come?! Ma tu senti questa!» Girò gli occhi al cielo. «Prima ti domanda aiuto, dopo ti aggredisce prima ancora che tu abbia toccato terra con gli zoccoli! Se ti do tanto fastidio posso sempre tornare da dove sono venuto!»

«Sentite entrambi» fece Bright per sedare gli animi «la situazione non è delle più facili per nessuno, quindi perché non cerchiamo di mettere da parte i nostri dissapori e proviamo semplicemente ad andare d’accordo? Cordialità, Bibski. Gli dobbiamo almeno questo.»

Intorno a loro, intanto, c’erano profughi che ancora risalivano il picco sperando di trovare rifugio a castello, e un andirivieni dei mezzi di soccorso che cercava di trasferire quanti più feriti potevano nei vari centri medici allestiti per non congestionare le strutture già sature di pony. Più in lontananza, altre linee di fumo si levavano in cielo, frutto degli incendi che ancora ardevano in città, e che si confondevano con la neve soffice che cadeva.

Mentre aspettava una reazione dall’inventore, Bright si ritrovò a pensare a quanto la situazione fosse assurda. Gli sembrava quasi di rivivere le terrificanti ore del Giorno Zero, con la Reborn distrutta e il panico che dilagava a Manehattan. Ma la verità era che il Primo Attacco era ben lungi dall’essere messo a confronto con quanto era successo a Canterlot.

Bibski finalmente si decise a rispondere: «Bah, spero almeno che abbiate raccolto qualche campione dal Kaiju.» indicò i resti a qualche centinaio di metri più in là, gli ultimi frammenti dello scheletro che stava per dissolversi nell’aria.

«Non ne abbiamo avuto il tempo.» Fu costretta a rispondere Twilight. «La nostra priorità era prestare soccorso ai feriti e dare loro accoglienza.»

La risposta non piacque per niente all’inventore. «Come pensate di combattere i Kaiju se non sapete niente sul loro conto?»

Concluse e senza aspettare oltre mise in funzione l’Equalizzatore volando in direzione del castello.

Twilight e Bright lo guardavano mentre superava la passerella in costruzione e i cumuli ammassati del barbacane abbattuto.

«Quel zuccone, deve imparare a darsi una calmata un giorno.» l’unicorno alto calciò un sasso che andò a finire nelle acque del lago. «Perdonateci se vi abbiamo fatto aspettare, saremmo partiti anche subito, non appena abbiamo ricevuto il messaggio. Ma abbiamo pensato che vi servisse qualche ora per riprendervi.»

«Non ti preoccupare Bright, semmai vi ringrazio per essere tornati. Qui la situazione è veramente critica. Non so proprio come ne usciremo stavolta.»

«Gli unicorni che hanno perso la magia come stanno? Rarity ha ripreso le sue abilità?»

«Non te lo so dire. Io è da un po’ che sto fuori e sinceramente non so se me la sento di tornare là dentro. Tutti quei pony senza più una casa… sperduti e spaventati… e noi non abbiamo potuto fare niente per loro… » le lacrime ci misero poco a riformarsi «per quanto ne so potremmo non riuscire più ad usare gli Elementi. E ormai non ha più importanza, perché se i prossimi Kaiju saranno forti come questo, o anche di più, non c’è proprio niente che possiamo fare per ostacolarli.»

Dopo aver finito Twilight sì sentì come se un’ombra fosse scesa su di lei e l’avesse avvolta con tentacoli irti di aculei, e l’arrivo di Bibski, invece di infonderle speranza, l’aveva gettata ancora più nello sconforto. Si domandò se non fosse stato un errore farlo venire, ma del resto non avevano altre opzioni.

«Fossi in te non sottovaluterei l’importanza degli Elementi dell’Armonia nei prossimi mesi.» Disse Bright, e si fermò prima di aggiungere altro. Doveva aspettare che Bibski illustrasse il suo piano.

«Che cosa vuoi dire con questo?» Chiese Twilight, ma a quel punto l’unicorno aveva già iniziato ad avanzare verso la passerella.

Rainbow Dash era ancora al suo posto. Da quando era stata esaminata l’ultima volta da un paramedico, nessuno le aveva più chiesto di liberare la barella sulla quale sedeva, e lei, distratta com’era nei suoi cupi pensieri aveva preso quella disattenzione alla lettera.

Intorno era il caos più totale: i pony continuavano ad arrivare dalla città, le Guardie Reali li accoglievano cercando di preservare l’ordine e indirizzandoli in qualcuna delle sale del castello, ma molti erano spazientiti, stanchi e con i nervi a fior di pelle. Molti erano feriti, e proprio tra i rappresentanti della famiglie più ricche c’erano i soggetti più difficili da trattare: nobili con vestiti di classe ridotti a stracci che pretendevano trattamenti di favore, invocando il nome delle rispettive casate o il rango sociale, ricattando le oneste Guardie con intimidazioni di licenziamento o di rapporti ai propri superiori, mentre questi li invitavano a convergere verso una direzione o l’altra, ignorando del tutto le minacce e prestando invece attenzione alle reali richieste dei bisognosi.

Tra i cittadini che erano lì già da diverse ore cominciava a salire un certo malcontento, ora che gli spazi cominciavano a diventare più stretti.

Pony provati dal Quarto Attacco, feriti più o meno gravi e unicorni senza più magia convivevano compressi gli uni contro gli altri in un clima malsano e rumoroso, e se qualcuno disgraziatamente moriva in mezzo alla folla, per le ferite o per qualche complicazione incorsa durante le prime cure, capitava che il corpo restasse sul posto anche per diversi minuti, prima che qualcuno si decidesse a portarlo via.

Comunicare con i propri vicini era difficile se non praticamente impossibile, troppe le grida e i lamenti, troppo acuti i pianti di puledrini e di pony adulti che avevano perso ogni cosa.

Tra questi c’era anche Rarity, accudita da Spike e Fluttershy, che non riusciva a darsi pace per essere stata colpita da un globulo assorbi-magia, durante la battaglia con Cyclop.

Piangeva e gridava, difficile dire se per disperazione o per farsi sentire dai suoi amici in mezzo a tutto quel baccano: «Perché doveva succedere?! Tutto il mio lavoro, la mia vita, tutto rovinato per sempre! Come farò con il negozio, con i clienti…»

Le lacrime le uscivano copiose come se non si fosse sfogata da giorni, liberando tutte in una volta le frustrazioni accumulate nel tempo. I suoi amici dal canto loro non sapevano cosa fare per tirarla su di morale.

«Ragazzi… non guardatemi così per favore. So di essere una sciocca a porre queste priorità in cima a tutto il resto, ma è importante per me, è tutta la mia esistenza!»

«Rarity, io… » Spike si massaggiò nervosamente le zampe  «senti, lo so che forse non è molto… che in tutta questa storia ho contribuito davvero poco… ma se vuoi… se può farti piacere… posso darti una zampa io, con l’attività e tutto il resto…» Cercò le parole per infonderle speranza, riuscendo a stento a terminare la frase.

«Oh Spike… sei sempre così buono e gentile con me, ma come si può fare? E poi con Sweetie Belle che deve andare a scuola, e Opal… cielo io non posso chiederti di fare tutto ciò, non si tratta di impegnarsi per un giorno soltanto…»

«Ma non fa niente!» Insistette Spike più convinto. «Chiederò a Twilight il permesso di stare da te! Ti seguirò notte e giorno, farò tutto quello che mi chiederai, sarò la tua ombra se dovesse servire!»

«Per me dovresti provare a tranquillizzarti e dare un po’ di fiducia ai medici, vedrai che troveranno una cura.» Fu il consiglio di Fluttershy

«Ne sei proprio convinta?» La fissò la stilista per un momento.

«Credo di sì… non ne sono sicura, ma penso che… faranno il possibile per aiutarvi, ecco.»

L’umore dell’unicorno dal manto perla si schiarì un po’. «Non lo so, le hanno già provate tutte. E se si fossero semplicemente arresi?»

«Non credo si arrendano così facilmente, sono dottori, è il loro lavoro assicurarsi che i pazienti vengano rimessi in sesto. Probabilmente hanno deciso di dare priorità a quei poveri pony che stanno lottando tra la vita e la morte in queste ore… almeno, questo è come farei io con i miei animali…»

«Sono proprio una stupida eh?»

«No, io…! Perché dici questo?! N-non volevo offenderti…»

«Ma hai ragione, io sto qui a lamentarmi di non avere più la magia quando molti di questi poveretti hanno patito di peggio… vorrei poter fare qualcosa per loro anch’io…» si asciugò le lacrime, rendendosi conto di quanto fosse difficile farlo con i soli zoccoli.

Fluttershy, nel frattempo, si era girata verso Discord che le stava seduto dietro. Era talmente sconvolto e chiuso nel suo silenzio da essere risultato quasi invisibile per tutto il tempo. Non era però merito della sua magia caotica, perché anche lui come gli altri era diventato bersaglio per i globi-assorbi magia di Cyclop.

«Tu cosa ne pensi Discord? Conosci la magia meglio di tutti, secondo te quanto ci vorrà prima che riescano a guarirvi?»

Il draconequus voltò il capo lentamente verso Fluttershy, e lei si rese conto di quanto fosse adombrato.

«Penso che…» ci rifletté «non lo so… quand’è stata l’ultima volta che mi sono ritrovato in una condizione simile? Forse quando ero rimasto imprigionato nella pietra per secoli? No… perché anche se ero immobile potevo comunque viaggiare con la mente e fare quello che mi andava di fare in altri piani dimensionali. Potevano contrastare la mia magia, ma avrei continuato lo stesso a sentirla scorrere dentro le vene. Gli Elementi potevano ingabbiarmi, ma ero sempre fiducioso che nessuna attesa sarebbe stata infinita, e che prima o poi sarei tornato a spargere il caos nel mondo. Adesso però…» altra pausa. Quanto doveva essere difficile per lui questa situazione, si chiese dispiaciuta la Custode della Gentilezza. «Mai nella vita mi era capitato di vivere un’esperienza simile, di provare un’inquietudine tanto pesante e di sentirmi così smarrito e in balia degli eventi. I Kaiju… qualsiasi cosa siano… sono riusciti a sottrarmi la magia. Nessuno c’era mai riuscito prima d’ora…»

«Discord…» Fluttershy lo toccò su una spalla, avrebbe tanto voluto consolarlo, ma non trovava le parole adatte.

«E sai qual è la cosa più triste? Ho voglia di dolci! Vedi questo? Potrei trasformare questo laccio emostatico in una corda di liquirizia, e invece…» provò ripetutamente a lanciare un incantesimo schioccando le dita della zampa aquilina «… niente.»

«Oh ma per piacere, vedete di darci un taglio!» Rainbow Dash si era improvvisamente messa in mezzo al discorso, balzando sugli zoccoli con un agile salto. «Volete sapere come la penso io?! Per me è tutta colpa sua se ci troviamo in questa situazioni!» Gli puntò lo zoccolo con intento accusatorio.

«Rainbow Dash, non parlargli così, non è stata colpa sua!»

«Non è stata… colpa sua?! Fluttershy, mi stai prendendo per il culo?!?»

La povera pegaso canarino indietreggiò imbarazzata, intorno a loro gli altri presenti si misero in silenzio ad ascoltare.

«Insomma, potevi fare qualsiasi cosa!» Si rivolse direttamente a lui. «Potevi spedirlo nello spazio con uno schiocco di dita, non so, potevi trasformarlo in una zolletta di zucchero e scioglierlo in una tazza! Potevi semplicemente tirargli un pugno e stenderlo. E invece cos’hai fatto?!» Gettò a terra la piuma che fino a prima aveva amorevolmente custodito nello zoccolo. «NIENTE! Te lo dico io, NIENTE DI NIENTE HAI FATTO!! Per te è stato solo un gioco! Ti sei divertito come un puledrino mentre i pony in città morivano! I Wonderbolts, i grifoni, sono stati tutti spazzati via! GILDA… GILDA È MORTA!» Ora il suo viso era una cascata di lacrime. «È dovuta morire perché tu non hai saputo fare il tuo accidenti di dovere! Ti sei divertito abbastanza, maledetto?! RISPONDIMI, TI SEI DIVERTITO ABBASTANZA?!?»

«Rainbow, ti prego smettila… il Kaiju era troppo forte, Twilight aveva cercato di avvisarci…»

«Tu smettila di difenderlo, Fluttershy! Non capisci la gravità di ciò che è successo?!»

«No, no… la capisco… è solo che… »

Il draconequus sospirò piegando le orecchie all’ingiù. «Rainbow Dash ha ragione. Potevo toglierlo di mezzo all’istante. Non l’ho fatto, e per questo abbiamo pagato tutti.»

L’ammissione di colpa non servì però a placare la furia della Custode della Lealtà, Dash anzi provò quasi l’impulso di saltargli addosso e aggredirlo. Non fosse che una voce estranea la costrinse a rivolgere la sua attenzione alla folla.

«Ma chi volete ingannare?! Almeno lui ha fatto qualcosa a differenza di voi!» Era stato uno stallone a parlare, e immediatamente dalla calca si udirono altre voci che annuivano, che davano vigore a quell’accusa.

«La mia ragazza era rimasta fuori dalla cupola mentre cercavamo di entrare, sarebbe morta se non fosse stato per lui! Le ha permesso di entrare, le ha salvato la vita! Voi dov’eravate?!»

«Dentro la muraglia!»

«Al sicuro!»

«Si erano nascoste perché avevano paura!»

«Le Principesse le hanno aiutate a nascondersi!»

I toni erano quelli di un linciaggio imminente. Le Guardie Reali cercavano a stento di contenere la baraonda. Sarebbe finita molto male per le tre Custodi se non si fossero allontanate alla svelta.

Poi si mise di mezzo anche qualcuno che dava invece ragione a Dash, asserendo di avere osservato il loro incontro e che poteva giurare che il draconequus non avesse dato il massimo di se stesso, altri che lo accusavano di aver permesso al Kaiju di raggiungere il castello, solo per poterlo conquistare in un secondo momento, e che tutta la responsabilità del Quarto Attacco doveva attribuirsi a lui.

I sostenitori di una e dell’altra accusa cominciarono ben presto a battibeccare e a puntarsi fra loro, la situazione stava rapidamente degenerando.

Twilight Sparkle, Bibski Doss e Brightgate varcarono la soglia proprio in quel momento, quando la colluttazione era ormai iniziata.

«Ma che succede qui dentro?!» La Principessa dell’Armonia era attonita, non era questo che si aspettava di trovare al ritorno. Scorse tra la folla le sue amiche e notò che pure loro stavano discutendo animosamente: Dash stava gridando in faccia a Fluttershy, mentre Rarity, anche se si trovava in disparte, piangeva come una fontana aperta.

Bright si sentì in dovere di fare qualcosa, ma prima che potesse muoversi, fu bloccato da Bibski. Il pony di terra dal manto dorato aveva il volto deturpato da un’espressione contorta e feroce, un disprezzo totale per quanto stava succedendo e una collera che esplose nel momento in cui usò la telecinesi dell’Equalizzatore per afferrare un’anfora vuota e gettarla nel mezzo della calca. I presenti indietreggiarono per evitarla, aprendo in tal modo uno spazio circolare nel quale l’inventore balzò volando.

«ADESSO BASTAAAA!!!» Un urlo rauco e potente echeggiò per la sala ammutolendo tutti. Difficile pensare che fosse scaturito da un pony tanto basso quanto lo era Bibski.

Il mutismo generale fu rotto da Rainbow Dash, che berciò stupita: «Tu?!… Cosa ci fa lui qui?!»

«Li ho chiamati io.» Disse Twilight, comparendo dinanzi a loro, seguita da Bright.

«Già, Filly Krueger, il vostro incubo peggiore è tornato! Ma insomma, vi siete bevuti quel poco di cervello che avevate?! Dopo quello che avete passato, dopo tutti quei morti, ancora non riuscite a capire?? TU, lo capisci sì o no?!?» Si era rivolto a un completo estraneo, il quale non sapendo come rispondergli farfugliò parole sconnesse.

«Vi state facendo fregare come dei fessi!! Non vedete che questo è proprio quello che i Kaiju vogliono?! Vi mettono gli uni contro gli altri, vi spingono a combattere tra fratelli e sorelle in modo che non possiate collaborare e loro possono annientarvi! Non sapete più neanche dove accatastarli tutti i morti che avete, eppure nonostante ciò mi tocca ancora vedere queste stronzate?! Fate sempre così, siete incredibili! Vi puntate gli zoccoli a vicenda cercando un capro espiatorio quando invece i vostri nemici sono lì fuori! Asini senza cervello! Aprite gli occhi! Guardate al di là del vostro muso!!»

Il silenzio era il padrone della sala. I pony, come era prevedibile, avevano abbassato il capo e si sentivano i mormorii di chi avvertiva i sensi di colpa.

Bibski si era aspettato a quel punto di vedere qualche reazione, invece gli sembrò che le parole avessero prodotto il risultato opposto. Si sbatté lo zoccolo sulla faccia e subito dopo si risistemò il casco dell’Equalizzatore.

«Sapete che c’è? Ne ho fin sopra la criniera di tutta questa storia! Twilight portami da Celestia, subito!»

Questa volta, senza aggiungere altro, lasciò alla Principessa il compito di fargli strada.

Twilight incrociò lo sguardo delle altre Custodi mentre le superava, e per un istante Dash fu certa che le venisse rivolto un cenno inquisitorio, ma era più probabile che l’amica si stesse rivolgendo a tutte loro, e non soltanto a lei.


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Nella sala del trono tutto era silenzioso e c’era solo una debole luce ad illuminare gli arredi. Il sole entrava guardingo dalle finestre, come se fosse intimorito dall’atmosfera lugubre e spettrale che si era venuta a creare.

La figura di Princess Celestia si stagliava da sola nella penombra, mentre scrutava la città in fiamme, la sua città. Per anni aveva amministrato quel regno mettendo al primo posto l’interesse dei suoi cittadini, per esso aveva compiuto sacrifici immani, abbandonando il suo vecchio castello nelle Everfree Forest per trasferirsi sulla montagna, proteggendolo da nemici temibili e facendosi carico dei segreti più oscuri che strisciavano nelle ombre di Equestria. Tutto per il benessere della sua gente, quei pony che grazie al suo governo avevano sviluppato una fiorente economia e si erano arricchiti sempre di più, rendendo Canterlot la città del lusso e dell’ostentazione per antonomasia. Su cosa avrebbe regnato ora che di tutto quello splendore erano rimaste solo le rovine?

Una lacrima scese dalla sua guancia e per un breve momento il suo volto segnato dalla dura battaglia del giorno prima si riflesse su di essa.

La sua fedele fenice Philomena emise uno stridio e andò ad appoggiarsi sulla sua spalla. La luce emessa dalle sue piume e il calore che emanava dal corpo rischiararono l’umore dell’alicorno, che si mise ad accarezzarla con uno zoccolo, mentre lei muoveva la testa in tutte le direzioni per suggerirle dove preferiva essere toccata.

Celestia si mosse con calma, andando verso il trespolo della fenice. Una mela ancora intera era appoggiata dentro un vassoio per la frutta. Se n’era dimenticata, complice la malinconia che bruciava all’interno del suo animo. Prese il pomo con la magia e con rapidità e precisione lo tagliò a spicchi, servendolo all’affamato volatile.

Celestia amava guardare Philomena mangiare, osservare quel piccolo animaletto che staccava pezzetti di cibo con il becco a rostro e portarli alla gola la aiutava a distendersi nelle giornate in cui gli impegni la facevano da padroni. Desiderò che potesse aiutarla anche adesso, ma vedendo il suo cucciolo alle prese con un pasto così generoso si domandò se anche gli altri pony là fuori potessero godere della stessa fortuna.

Canterlot era una città ricca e prospera, ma anche a castello le scorte di cibo avevano un limite, e se un’intera capitale fosse confluita lassù per chiedere di essere sfamata, avrebbero dovuto  affrontare presto un altro grave problema, oltre alla mancanza di posti letto e di cure per i feriti.

Di rispedirli in città non se ne parlava, non prima di aver visionato il rapporto sui danni e verificato che fosse sicuro chiedere loro di tornare a casa, ammesso che una casa ci fosse ancora dopo quello che era successo.

Si recò nuovamente alla finestra, che come molte altre era stata danneggiata dalla risonanza, quando il Kaiju aveva impattato contro la Muraglia. Il vento freddo spingeva alcuni fiocchi di neve dentro la sala e per terra era zeppo di cocci di vetro, che lei doveva stare attenta a non calpestare.

Era triste ammetterlo, ma aveva perso molti ricordi insieme a tutto il resto: la vetrata che commemorava l’incoronazione di Twilight ormai non esisteva più, come anche quelle del matrimonio di Shining Armor e Cadance, la disfatta di Nightmare Moon e la redenzione di Discord, tutte erano andate distrutte. Solo una, paradossalmente, era rimasta intatta: quella del Primo Attacco, con Hermit che terrorizzava Manehattan. Era come un monito a non dimenticarsi di loro, che presto sarebbero tornati.

In seguito Celestia udì una serie di schiamazzi provenire dall’esterno della sala, alcune Guardie Reali scalpitavano e cercavano di opporsi a qualcuno che a quanto pare era intenzionato a superarli.

«Altolà, non puoi entrare senza prima essere annunciato!»

«Ma levatevi dalle palle!» Sbraitò una voce familiare, di qualcuno che sapeva che sarebbe presto arrivato.

Il portone si spalancò con una spinta, ed entrarono in ordine: Bibski Doss, con una foga selvaggia e una pazza lucidità nello sguardo, seguito da Princess Twilight, che si rivolgeva alle Guardie Reali chiedendo loro perdono, e un Brightgate che affogava nei sudori freddi dall’imbarazzato.

Due di loro si inchinarono al cospetto della regnante: Twilight per un vizio del passato, Bright per ricordare all’inventore quali fossero le buone maniere. Ma Bibski decise di glissare tutte le cerimonie e di andare diretto al sodo: «Princess Celestia, sono qui perché chiedo udienza con voi, ascoltatemi!» Si mise al centro della sala puntando le zampe, e la fissò con due occhi affilati come rasoi. Celestia, malgrado il suo fervore, gli rivolse appena un’occhiata in tralice, e per il resto la sua attenzione non si discostò dalla città in rovina.

Fu Twilight ad andarle vicino. Era preoccupata per lei, non l’aveva più vista da quando Cyclop era stato ucciso. «Princess Celestia… come stai?»

Metri più in là Bibski roteò gli occhi ed emise un lamento. «Oh, fantastico… davvero!» Fu colpito alla nuca da una zoccolata di Bright.

«Ahia! Ma sei impazzito?!»

L’unicorno alto lo zittì fermamente. «Tu più di tutti dovresti sapere che cosa si prova in queste circostanze.» Fu abbastanza per convincerlo. Bibski si girò dall’altra parte imbronciato.

Twilight intanto aveva atteso pazientemente una risposta dalla sua ex-mentore. La udì sospirare.

«È terribile Twilight. Osserva Canterlot, osserva com’è ridotta la nostra città. Tutte quelle anime che chiedono aiuto… come ho potuto permettere che succedesse?»

«Abbiamo fatto il possibile, ci abbiamo provato con tutte le nostre forze, ma la forza di quel mostro era superiore alla nostra. Nessuno era veramente pronto ad affrontarlo, men che meno noi.»

«Ma ho lasciato che quei pony morissero! Quei poveri pony che supplicavano di essere salvati, e io non ero stata in grado di emanare quell’ordine! Come farò ad affrontare i loro sguardi adesso, i loro giudizi… come farò a ripagarli per quello che non sono riuscita a fare?»

Si strinsero in un abbraccio, le lacrime lavavano via un poco del tormento che provavano, ma non le liberavano del tutto.

«Lo hai fatto, Principessa, hai chiesto a Discord di intervenire, e lui li ha salvati. E poi ci avete salvato di nuovo, tu e Princess Luna. Avete salvato il castello e la città quando ormai era tutto perduto.»

«Vorrei poter dare ascolto alle tue parole, Twilight, lo vorrei davvero… »

Bibski si voltò verso l’amico e mimò col labiale uno sprezzante: “Seriamente?!”. Ma Bright gli aveva chiaramente fatto intendere che non aveva intenzione di scherzare. L’inventore decise allora di cambiare approccio: fece alcuni passi in avanti, si schiarì la gola e a quel punto disse: «Credile, Celestia. Sparkle ha ragione.» Improvvisamente sul suo fianco, il cutie mark a forma di lampadina splendette per un istante, segno che gli era venuta l’ispirazione. «A volte in una situazione di guerra come la nostra si devono prendere delle decisioni difficili, e a volte non è facile capire quale sia la direzione giusta. Come dice Sparkle, non eravate pronti per un attacco così feroce. Non pensare di essere la sola ad essere stata presa in controzoccolo. Per lo meno quando è toccato a te sei stata in grado di portare in salvo molti dei tuoi pony, cosa che vorrei poter dire lo stesso di me.» Si fermò per prendere fiato, solo per tornare poi la carica con più impazienza di prima. «Ora, mi dispiace interrompere questo momento così delicato, ma ogni secondo che perdiamo è un secondo in più che regaliamo a quei bastardi!»

Il discorso diede a Celestia qualcosa su cui riflettere. In effetti la Reborn Technologies, la vecchia società di Doss, aveva sofferto più di tutti dei danni di Hermit ai tempi del Primo Attacco, quando il Kaiju l’aveva demolita quasi interamente. Allora molti pony che lavoravano nel complesso erano periti a causa dei crolli, proprio com’era accaduto quel giorno a Canterlot. Ciascuno di quei pony pesava sulla coscienza del pony dal manto dorato, così come i cittadini di Celestia pesavano su di lei.

Bibski, per ripagare le famiglie delle vittime, aveva dilapidato il suo intero patrimonio e si era persino fatto carico di azioni criminali come la rapina alla Banca Centrale di Manehattan, accettando di diventare un fuggiasco al solo scopo di risarcire le famiglie di quei pony sventurati.

In un certo senso era stato un eroe, e Celestia pensò che come minimo, per ripagarlo del suo sacrificio, doveva prestargli ascolto. Forse se l'avesse fatto prima, avrebbe potuto salvare qualche vita in più.

Prima di decidere si consultò Twilight per avere la sua approvazione. Lei annuì decisa. «Ascoltiamo la sua proposta.»

Con un cenno si congedò da Twilight, raggiungendo il suo trono dinanzi all’inventore. «Accolgo la tua richiesta, Bibski Doss. Esponici il tuo piano.»

Il piccolo stallone sospirò, come ad essersi finalmente liberato da delle pesanti catene, e il suo tono divenne controllato e fluido. «Allora, l’altra volta avevo menzionato degli Jaeger, in quanto li ritengo la soluzione più ovvia per combattere i Kaiju. Parlo al plurale, perché infatti ho convenuto che per avere qualche speranza di fermarli dovremmo predisporre dalla nostra parte almeno tre macchine. I Kaiju si adattano facilmente alle nostre strategie, quindi dobbiamo considerare ogni eventualità e farci trovare pronti.»

«Ricordo che avevi menzionato dei piloti. Chi saranno questi pony?» Chiese la Principessa dell’Armonia.

«A questo preferisco rispondere dopo, per il momento il tempo che ci rimane è la nostra priorità. Non sarà facile, ci vorranno dei mesi per costruirli e renderli operativi. Per farlo avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile, tutto quello che ci potete dare. La Nazione intera dovrà collaborare, e ci serve una nuova base, un posto abbastanza grande che funga da hangar e che sia abbastanza capiente da contenere gli Jaeger.»

«E per quanto concerne le materie prime? Da quanto ci hai riferito, serviranno tonnellate di metallo per completare queste macchine. Non credo abbiamo così tanto materiale qui a Equestria. Forse possiamo chiedere aiuto ai regni vicini, ma è un’incognita a cui dovremo trovare una soluzione.»

«Beh ci sono i Cani Stana Diamanti.» Suggerì Twilight. «Possiamo tentare di negoziare un accordo con loro, fornirgli delle gemme in cambio di informazioni su dove trovare delle miniere di ferro da estrarre.»

«Potrebbe essere un’idea, anche se temo ci vorrà del tempo.»

«In realtà, come vi dicevo, le risorse sono già in vostro possesso.» Riprese Bibski. Le Principesse si azzittirono e lo ascoltarono, Celestia aveva un’espressione ansiosa.

«Stavo pensando all’Equestrium Diamantato

I volti delle giumente si divisero in due espressioni distinte. Twilight piegò la testa perplessa come non mai, non avendo mai sentito nominare quel materiale, Princess Celestia invece, come volevasi dimostrare, cominciò ad agitarsi.

«Come conosci quel nome?»

«Suvvia, Principessa.» Ghignò Bibski vittorioso. «So cos’è il Vello Oscuro, tanto mi basta per sapere dell’esistenza dell’Equestrium.»

Di nuovo quel nome. Tanto caos nelle ultime ore avevano fatto scordare all’alicorno viola la curiosità su quella vicenda. «Di che si tratta?» Domandò, sperando questa volta di ottenere una risposta adeguata.

Celestia dal canto suo si trovò in difficoltà, il suo sguardo passò da un capo all’altro della stanza senza che dalla sua bocca fosse emessa una sola parola.

«Non gliel’hai ancora detto, vero?» Chiese Bibski alzando un sopracciglio.

L’alicorno bianco scosse la testa. «Non ne ho avuto l’occasione… converrai che le circostanze ci erano avverse.»

«Beh, ma ora abbiamo tutto il tempo. Per favore Principessa, dimmi di che cosa si tratta!»

L’insistenza di Twilight si rivelò trionfale, Princess Celestia sospirò, prendendosi giusto un momento per riordinare le idee, e a quel punto cominciò: «I fatti che vi sto per raccontare risalgono a mille anni fa, poco tempo prima che mia sorella fosse soggiogata dal maleficio di Nightmare Moon. Parliamo dell’epoca in cui Equestria era in guerra con l’Impero di Cristallo, quando King Sombra regnava ancora quella terra. Abbiamo combattuto il suo esercito per mesi, cercando di rovesciare il governo del terrore che aveva instaurato. Le nostre forze, malgrado i numerosi corpi militari di cui disponevamo, non erano però sufficienti a contrastare i Guerrieri di Cristallo che mandava contro di noi. La loro ferocia, rinvigorita dagli incantesimi oscuri del tiranno, riuscì ad avere la meglio su di noi malgrado fossimo in numero maggiore. Così fummo costrette a cercare una soluzione: scoprimmo che all’interno della montagna su cui sorge Canterlot vi era una vena di un metallo unico nel suo genere. Un metallo che non si poteva trovare in nessun’altra parte del regno: l’Equestrium Diamantato.»

«Che cos’ha di speciale questo metallo?» Volle approfondire Twilight.

Fu Bibski a rispondere: «È praticamente indistruttibile. Immagina un metallo resistente a quasi tutte le sollecitazioni: pressione, calore, taglio, colpi magici. Ha una struttura chimica che lo rende, di fatto, duro come il diamante, sebbene mantenga le stesse proprietà elastiche di un metallo, se correttamente lavorato.»

«E questo significa… ?»

«Un incantesimo.» Continuò l’inventore. «Esiste una particolare formula magica che lo rende lavorabile per un limitato periodo di tempo. È abbastanza semplice da utilizzare, almeno questo è quanto sostiene Wrench, che tu hai già conosciuto. È stato lui a sperimentare per primo la formula, e dice di aver raggiunto una certa padronanza della tecnica, malgrado manchi una dimostrazione sul campo.»

«Tuttavia le pergamene e con esse tutta la documentazione a riguardo sono state eliminate secoli fa! Io stessa mi sono assicurata che non vi fosse più alcuna traccia negli archivi delle biblioteche di tutto il regno!» Scattò Celestia.

«Ricorda, Principessa: al mondo esistono soltanto tre cose che non possono restare celate per sempre, una di esse è il Sole, la seconda cosa è la Luna, mentre la terza… la terza è la verità. Certo tu sei stata abile ad eliminare ogni testimonianza storica modificando di fatto il passato di Equestria, ma non hai considerato che quando l’Impero di Cristallo è riemerso dai ghiacci, con essi sono tornati anche i suoi segreti, e in particolare le trascrizioni dei messaggi che le spie di allora trasmettevano all’Impero, in cui si faceva menzione dell’Equestrium e di tutto quanto il vostro piano fin nei minimi dettagli!»

Celestia si sentì piombare in testa un incudine, ecco dunque come aveva fatto l’inventore a venire a conoscenza della cosa.

«Aspettate, aspettate un momento! Non c’è un nesso logico in quello che dite! Avete trovato questo metallo, lo avete estratto… e dopo che ne avete fatto?!»

«Delle armature.» Fu Bibski a rispondere, dato che Celestia era una porta sprangata. «Delle armature che poi non si sono rivelate necessarie e sono state abbandonate in un luogo sicuro.»

«E questo dovrebbe essere un problema? Continuo a non capire!»

«Beh, se consideri che la quantità di Equestrium estratto era sufficiente a fabbricare… »

«BASTA!» Si impose Celestia con la Voce Regale. «Non è necessario che tu le dica tutto… c-ci penserò io… quando arriverà il momento.»

«Come preferisci.» Scrollò le spalle Bibski.

La Principessa del Sole fece un’altra osservazione, sperando così di allontanare la conversazione dal punto che voleva evitare: «Quindi vorreste usare quel metallo per dar vita alle tue macchine. Non sarà sufficiente in ogni caso temo.»

«Ti do ragione su questo. Difatti ci ho pensato a lungo, certo è un vero peccato non poter disporre interamente dell’Equestrium, ma possiamo comunque combinarlo con altri metalli per produrre delle leghe super-resistenti. Il normale acciaio non va bene se usato singolarmente, perché il peso della massa degli Jaeger li farebbe collassare su se stessi. In quel modo invece avremo un buon compromesso tra risorse e funzionalità.»

«Dovremmo riattivare le fornaci all’interno della montagna, riaprire il calderone lavico… »

«Sei o non sei una Principessa di Equestria dopotutto?»

«Stavo solo riflettendo ad alta voce, quello che ci chiedi è immenso, e anche con tutta la buona volontà che disponiamo…»

«Confido nelle vostre capacità, cara Celestia.»

L’ultima risposta non le piacque, ma fece in modo di dimenticarsene subito. «C’è un’altra cosa che vorrei sapere prima di prendere una decisione.»

«Sono tutto orecchi, sentiamo.»

«Avevi detto che di questi… Jaeger, esistono degli schemi. Vorrei visionarli prima.»

La luce sul fianco di Bibski brillò nuovamente. «Ihihih! Immaginavo lo dicessi, direi che posso accontentarvi!»

A quel punto le due alicorno si sarebbero aspettate che l’inventore tirasse fuori qualche foglio da uno scompartimento segreto dell’Equalizzatore, invece questa volta Bibski si rivolse al suo assistente Bright, che fino ad allora aveva ascoltato in silenzio. Lui stesso si stupì di quella mossa.

«Avvisa tuo fratello e digli di preparare un Ponte. Le portiamo a fare un giro nella base.»

Lo stupore crebbe esponenzialmente. «Intendi dire… la nostra base. Adesso

«Abbiamo qualche altra base di cui non sono informato?»

«Non pensavo che volessi… portarcele subito… »

«La cosa non dovrebbe sorprenderti più di tanto. Meglio così che aspettare che predispongano una carrozza e che ci vengano a cercare. E se poi cominciano a girare a vuoto? Quanto credi che ci vorrà?»

Bright restò in silenzio e corrugato.

Blu, ehm… ci sono novità, non ci crederai. –

La frase, formulata sotto forma di concetto mentale, compì un viaggio quantico lungo le curve del tempo e dello spazio per arrivare, praticamente all’istante, a portata della ricezione di suo fratello gemello, che la sentì distintamente come se si stessero parlando a quattrocchi.

Che succede? Altre brutte notizie, cos’altro ha combinato Bibski stavolta? –

– È particolare, non so nemmeno io come prenderla. Vuole che apriamo un Ponte per far passare le Principesse, Twilight e Celestia, lì da voi. –

– Cosa?! Sei sicuro di aver capito bene?! –

– Nemmeno io ci credo! Prima è entrato come una furia nella sala del trono, e adesso è disposto a condividere con loro i nostri segreti neanche fossero parenti! Vorrei che un giorno qualcuno mi dicesse cosa gli passa per la testa! –

– Se mai lo trovassi, in quel caso presentalo anche da me. Mi metto in posizione per il Ponte. –

I due gemelli, che fisicamente si trovavano a decine, se non centinaia di chilometri di distanza tra loro, compirono una serie di gesti in perfetta sincronia, e dai loro corni fu rilasciata la sfera di luce che in pochi secondi creò il varco dimensionale che ne collegava le posizioni.

«Era ora! La prossima volta metteteci meno tempo.» Con un gesto di zampa, Bibski invitò le Principesse ad avanzare: «Dopo di voi prego.» Mentre Bright sarebbe dovuto restare nella sala per consentire, in un secondo momento, il loro rientro a palazzo.

Twilight andò per prima, attraversando quella spaccatura nella realtà che la catapultò immediatamente in un altro luogo, dove pony che lei non aveva mai incontrato prima la guardavano in silenzio mentre aspettavano una sua reazione.


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Capitolo 14
*** CAPITOLO 9: Accordi Tesi ***


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CAPITOLO 9: ACCORDI TESI


Twilight fu la prima a varcare la soglia, seguita in breve tempo da Celestia, che al contrario di lei pensò di dover chinare il capo per adattarsi alla ridotta altezza del portale, i gemelli però avevano previsto la sua difficoltà e ne avevano allargato i margini consentendole di passare in tutta tranquillità. Subito le due si ritrovarono in un complesso caotico e polveroso, dove furono accolti da un gruppo eterogeneo di pony di ogni razza e costituzione. I loro manti erano macchiati di grasso nero e appiccicoso e i muscoli tesi come di chi era abituato a lavorare ininterrottamente per delle ore.

Sui loro volti Twilight lesse molte emozioni, tra l’entusiasmo, la sorpresa e la cautela per le nuove arrivate. Sembravano sorpresi di trovarsele di fronte, almeno quanto lo erano le due Principesse, ma in un certo senso era come se se lo aspettassero da tempo, come se Bibski avesse pianificato da tempo di accoglierle nel loro rifugio, anche se ne nessuno si sarebbe mai aspettato che l’avrebbe fatto proprio quel giorno!

Il piccolo stallone con indosso l’Equalizzatore varcò il Ponte per ultimo e diede un segnale affinché il portale fosse richiuso.

Quando Twilight si girò, per poco non le venne un capogiro a vedere Bright stagliato proprio lì di fronte, ma dovette correggersi subito: non era Bright, gli assomigliava come una goccia d’acqua, ma aveva anche delle differenze sostanziali che si riuscivano a distinguere solo in un secondo momento: la sua criniera era molto più scompigliata di quella dell’altro stallone, anche se ne condividevano lo stesso colore dalla tonalità corvina, come anche la tonalità di grigio del manto, mentre gli occhi avevano un iride azzurro, di un azzurro che le ricordò quello di Pinkie Pie.

Doveva trattarsi del fratello di Bright, di cui aveva sentito parlare, ma vederlo di persona faceva un effetto molto diverso, che nessuna fantasia avrebbe saputo rendere allo stesso modo.

Dopo quella breve riflessione l’alicorno viola prese a osservare l’ambiente circostante, non si sarebbe mai immaginata un simile posto: abbandonati nei cantucci e resi polverosi dal disuso, c’erano postazioni per il rinforzo delle ruote per carrozze, nastri per la levigatura ormai inservibili e ripiani dismessi con accatastate mole e altra attrezzatura di falegnameria di cui Twilight non conosceva né il nome né lo scopo, oltre che scheletri in metallo di vecchi cocchi da cui al massimo erano stati riciclati dei pezzi, ma il cui destino era ormai segnato. Dalla parte opposta della fabbrica invece, dovunque si posasse lo sguardo, si potevano scorgere strani costrutti formati da grovigli di metallo e cablaggi con rivestimenti isolanti. Molti riproducevano in maniera assai inquietante le articolazioni dei pony e la giumenta non fu sorpresa più di tanto quando a un certo punto la sua attenzione si focalizzò su una sorta di esoscheletro corazzato retto da dei sostegni e un argano. Anche se in completa clandestinità, le attività della Reborn Technologies erano proseguite.

Celestia mosse i primi passi nella sala e al suo fare i collaboratori di Bibski Doss s’inchinarono servilmente, tutti eccetto uno, uno stallone anziano nella sfondo al quale gli altri non diedero molta importanza.

Al contrario della sua ex-mentore, che era abituata alla piaggeria dei suoi sudditi, Twilight accolse quegli inchini con una smorfia di disagio, sentendosi perfino infastidita dalla cosa.

«Che posto è questo?» Chiese annusando l’aria. L’odore umido di legno vecchio si mischiava a quello del metallo e del grasso per motori.

«Vi trovate in una fabbrica dismessa che costruiva carrozze a Montestallone, a venti chilometri dall’isola di Manehattan. Il nome vi dice niente?»

Twilight meditò sulla località citata da Bibski, ma non venne a capo di niente. Celestia d’altro canto, sembrava rammentare benissimo.

«Non ne sento più parlare da diversi anni ormai, era una piccola cittadina divenuta famosa per la sua produzione di mezzi di trasporto terrestri di eccezionale qualità. Tuttavia da qualche anno è stata completamente abbandonata e ad oggi risulta essere una cittadina fantasma.»

«Dieci e lode Principessa! Vedo che l’età non tradisce la tua memoria! Sì, una volta questa fabbrica costruiva ruote, intelaiature e pezzi di ricambio per carrozze, che in sostanza davano lavoro e sostentamento a tutta la città. Poi gli anni hanno cominciato a pesare sulla groppa degli abitanti; quelli che erano più giovani hanno cominciato a migrare verso est sognando Manehattan e le Grandi Opportunità che offriva la Mela, lasciando che i vecchi trainassero il carro finché ne avevano le forze, ma senza più un ricambio generazionale che rinvigorisse la forza lavoro, l’attività  ha finito col chiudere i battenti, mandando sul lastrico anche l’economia della città. Da allora solo i più vecchi e gli emarginati sono rimasti per un certo periodo ad abitare nelle ultime case, finché poi a Montestallone non è rimasto più nessuno.»

Mentre ascoltavano, Celestia ripensò a quante volte aveva cercato una soluzione per risollevare le sorti della città, aiutando a far quadrare i bilanci e cercando di sensibilizzare le generazioni più giovani a farvi ritorno, ma senza mai arrivare a una conclusione. L’amara lezione che aveva imparato da quell’esperienza è che a volte, anche se si cerca di fare del proprio meglio, non sempre una soluzione la si trova, e la crisi dei Kaiju che avevano vissuto negli ultimi mesi erano una chiara dimostrazione di questa tesi.

«Quindi mi stai dicendo che avete occupato abusivamente questo posto approfittando del fatto che non ci fosse più nessuno?» Twilight sulle prime non si rese conto del tono con il quale si era espressa, ma anche se avesse cercato di rimediare, ormai il danno era fatto.

«Si dà il caso, Principessina, che tutto il catasto risulta regolarmente intestato a me! Ho acquisito questo complesso due anni fa, con l’intenzione di farne una sede distaccata della Reborn Technologies, e magari provare a ripopolare Montestallone con la prospettiva di un nuovo tipo di industria giovane e moderna, ma i “contrattempi” degli ultimi mesi, sapete com’è, me lo hanno impedito!»

Twilight si lasciò strigliare per benino senza aggiungere parola, da quel momento, decise, si sarebbe dovuta controllare. Non provava alcuna simpatia per l’inventore, ma era stata lei a chiedere il suo aiuto, accettando di fatto di farsi coinvolgere nelle sue trame.

«Dopo la rapina alla Banca Centrale» riprese a spiegare Bibski «quando siamo stati costretti alla fuga, sapevo che nessuno sarebbe venuto a cercarci se ci fossimo nascosti qui. Nessuno si ricorda più di questo posto, tant’è vero che non compare più in alcuna piantina e non esistono indicazioni stradali. Forse se aveste perso meno tempo a rincorrerci alla rinfusa e di più ad aprire gli occhi, vi sareste accorti che c’era qualcosa di diverso nei dintorni. Non che non avessimo un piano di fuga qualora ci aveste trovato.»

«Quello che dici è vero.» Affermò Celestia prendendo la parola. «Tuttavia non mi sembra pertinente con la nostra presenza qui.»

«Giusto! Allora permettetemi di presentarvi i ragazzi. La squadra che faceva parte di quei creatori di sogni perduti che fu la vecchia Reborn Technologies!»

Fece ai suoi collaboratori il gesto di avvicinarsi, e loro obbedirono abbandonando le loro postazioni e le rispettive mansioni.

Per primo venne presentato un pegaso maschio dal manto color sabbia e occhi verde prato.

«Lui è Sand Ball, era venuto con noi all’Impero di Cristallo quando ci hanno ingabbiato!»

Questi si cimentò in un secondo inchino mormorando quanto fosse lieto di incontrare le due regnanti di Equestria.

Si proseguì poi con un altro stallone alato, manto argentato e criniera corta castana, che si distingueva facilmente per una caratteristica peculiare.

«Silver Feather, ha perso un’ala durante il Primo Attacco e da allora ha capito che non serve necessariamente volare per vedere il cielo, basta invertire accidentalmente le polarità di un Emettitore di Impulsi alpha-contigui per finire lì dove nessun pony è mai stato prima.» La frase doveva probabilmente riferirsi a un fatto del quale gli altri erano al corrente, dato che uno scoppio di ilarità generale prese zoccolo in mezzo al gruppo.

«Lui invece è Hatpin.» Un piccolo unicorno, il cui cutie mark era una puntina da disegno e il manto rosso, si era avvicinato a loro parlando in maniera sconnessa e discontinua. «P-p-princip-pesse, è c-c-c-così un g-g-rande o-o-nore p-p-potervi con-n-noscere, m-m-mi f-fareb-b-be u-un a-a-utog-graf-f-fo?» La sua balbuzie era così accentuata che ci mise un po’ a completare tutta la frase.

«Fila via Hatpin, lavori già con una celebrità, fattelo bastare!»

E il piccolo pony si ritirò con la coda tra le zampe.

«Quel rottame ambulante col berretto azzurro è invece Bitterness. Saluta vecchio, ti ricordi come si fa o la senilità ti ha mangiato le buone maniere?»

«Preferisco un drink alla salute di sua Maestà, con i soldi che non mi hanno riconosciuto!» Disse lui con un nitrito ostile. «Come ti han convinto a scendere a patti con loro? Ti hanno regalato una di quelle loro cazzatine piene di pietre preziose? Oppure hai leccato tu per primo?» L’esibizione mise in imbarazzo i suoi colleghi, le Principesse, ma soprattutto Bibski, che in uno di quei rari momenti della sua vita, non sapeva come rispondergli a tono.

«Ma trovati qualcosa da fare e non scassarmi!» Berciò infine l’inventore.

Twilight e Celestia si scambiarono delle occhiate perplesse e decisero che era meglio starsene in silenzio.

Bibski fece fare loro un rapido giro per la fabbrica e intanto la presentazione andò avanti.

«Wrench lo avete già conosciuto, per quanto riguarda il chiacchierone laggiù nell’angolo invece, beh lui è Blu.»

“Blu?” Twilight trasalì. «Pensavo che il suo nome fosse Deepblue Whirl… »

«Beh, sì. Blu è un diminutivo, come Bright per Brightgate, oppure Bibbo per… ma forse questo era meglio se non ve lo dicevo.»

Altre risate maligne si diffusero tra gli stalloni, e a nulla valsero le intimidazioni di Bibski per far sì che la smettessero.

«Insomma, siamo tutti qui. In questi ultimi mesi abbiamo lavorato per cercare di perfezionare la tecnologia Jaeger, in modo da bruciare le tappe e avere una macchina pronta e operativa in tempi brevi. Insieme a questo ci siamo anche occupati delle ricerche sull’attività sismica del sottosuolo di Equestria. Sono ancora molti i punti oscuri su cui dobbiamo far luce, ma mi sento di dire che siamo ormai pronti per lo step successivo!»

«C’è una cosa che non capisco, se avete devoluto tutti i soldi alle vittime del Primo Attacco, come fate a finanziare tutto quello che tenete qui dentro?» E di nuovo Twilight ebbe l’impressione che avrebbe dovuto tener la bocca chiusa, perché il tono di Bibski s’incupì improvvisamente.

«Le nostre attività, che si possono riassumere col tentativo di salvare Equestria dalla distruzione, sono state rese possibili dalla cessione di tutti i nostri brevetti. Qualsiasi cosa – o quasi – che sia stata partorita nel nostro complesso dai primi anni della fondazione. E il bello è che molti di quei brevetti sono stati acquistati al solo scopo di farli sparire dalla circolazione. La giustificazione è: “Perché mettere sul mercato una carrozza automatizzata, sospinta da un motore a fonte di energia ricambiabile, quando le carrozze trainate da stalloni vanno ancora per la maggiore?”»

La situazione era ancora più grave di quanto temessero, e in effetti ora molte cose erano chiare. Restava solo da capire cosa avesse spinto tutti quei pony a rinunciare a ogni legame con il proprio passato per collaborare alla realizzazione degli intenti di Bibski. Poteva essere solo il desiderio di salvaguardare la sicurezza della Nazione, o c’era dell’altro?

«Venite con me Principesse, voglio farvi vedere la nostra sala d’Intelligence!»

Trottarono al seguito di Bibski mentre questi le conduceva lungo un corridoio, reso stretto dal quantitativo di macchinari e strani ammassi artificiali che dovevano essere stati portati lì dalla ex-Reborn Technologies. Era difficile pensare che si riuscisse a ricavarne qualcosa di buono allo stato attuale, ma se avevano deciso di tenerle un motivo ci doveva essere.

Twilight si domandò come dovesse presentarsi questa sala in cui Bibski le stava conducendo. Doveva sicuramente trattarsi di una sala computer o qualcosa di simile. Negli ultimi anni, proprio grazie alla Reborn, quel genere di tecnologia aveva preso zoccolo nelle grandi città di Equestria, anche se stentava a diffondersi nei paesini rurali più piccoli. Visti i tempi che correvano, probabilmente a Ponyville sarebbero serviti ancora degli anni prima che il concetto di “personal computer” entrasse a far parte della vita quotidiana del villaggio.

«Cercate di scusare il comportamento di Bitterness.» Esclamò Bibski cogliendo entrambe di sorpresa. «Ha perduto la sua famiglia durante il Primo Attacco, e con la scusa che il Municipio di Manehattan ha negato i sostegni alle famiglia delle vittime, non vede di buon occhio la Casta politica e più in generale chi si trova ad un gradino sopra il suo.»

«Il modo in cui ha agito Mayor Sue è imperdonabile, ma vorrei che sapeste che la Famiglia Reale farà di tutto per rimediare all’errore!» Ogni singola parola di Princess Celestia conteneva del rimorso per le decisioni che erano state prese in passato (e anche per quelle non prese) e sentiva che non avrebbe trovato pace finché non avesse ripagato ogni singolo pony che aveva sofferto per causa sua. Ma in cuor suo sapeva che per molti di loro nemmeno la più alta delle cifre, né le più altruistiche azioni di carità potevano restituir loro ciò che avevano perduto.

Bibski Doss, come se avesse captato parte dei suoi pensieri, disse: «Conosco la tua generosità, Principessa – quando ti ci impegni, ovviamente – ma fino ad ora ce la siamo cavata discretamente. Quando abbiamo capito che non ci sareste venuti a cercare qui, i miei pony hanno rimesso a nuovo e poi hanno rivendicato per sé alcune delle abitazioni che stanno qui nei dintorni; a volte saranno anche degli sconsiderati che fanno rumore per niente, ma sono dei gran lavoratori. E comunque non abbiamo tecnicamente vissuto da eremiti per tutto questo tempo. Abbiamo ancora dei clienti in giro per Equestria, sapete? Qualcuno che vuole qualcosa che nessun altro può costruire o macchinari da aggiustare perché partoriti dalla nostra stessa società. Cedere i brevetti ci ha permesso di tenere su la baracca e di continuare a lavorare agli Jaeger, ma è questo genere di attività secondarie che ci ha pagato l’avena per colazione.»

Più lo ascoltava e più Twilight si rendeva conto di quanto stesse cominciando ad ammirare quel piccolo stallone dal manto dorato. Era sì pur sempre il solito Bibski Doss, che di ogni cosa sapeva fare dell’acida ironia e che trovare da ridire su chiunque, ma c’era anche qualcos’altro in lui, quel qualcosa che spingeva gli altri ad assecondarlo e fare qualsiasi cosa per lui, fino a spingersi letteralmente a cambiar vita pur di stare al suo fianco.

Mentre tutti gli altri si muovevano alla cieca nell’impresa di trovare la giusta strategia per combattere i Kaiju, e paura e ingenuità dilagavano tra la popolazione come nelle alte sfere del regno, Bibski Doss e i suoi compagni non solo non si erano lasciati intimidire dal pessimismo, ma  avevano addirittura elaborato il miglior piano possibile per salvare Equestria dalla distruzione. Restava da verificare se sarebbe stato così efficace come loro dicevano.

«Siamo arrivati, prego non fate complimenti, fatevi avanti.»

Li accolse in una stanza che si apriva su una parete piena zeppa di monitor e terminali di ogni forma e dimensione. Twilight rimase a bocca aperta quando li vide. Per lei fu come rivedere quei calcolatori per la prima volta, lo stesso brivido di stupore, da pelle d’oca, che provò la prima volta che li vide nel mondo degli umani, anche se la tecnologia che aveva di fronte ora era su tutt’altro livello, ed era incredibile pensare che potesse esistere qualcosa di simile nel loro regno!

Bibski Doss, dopo la sfuriata iniziate avvenuta a castello, si era dimostrato gentile e beneducato, da perfetto padrone di casa, e aveva risposto con somma pazienza a tutte le domande che gli venivano rivolte. Ma restava pur sempre Bibski Doss.

«Ecco qui l’orgoglio della nostra squadra! Gli elementi senza cui niente sarebbe stato possibile… i nostri computer!» Allungò una zampa sprizzando fierezza. «Loro invece sono Caps Lock e Sound Aura, rispettivamente il nostro tecnico informatico e la nostra esperta in telecomunicazioni!»

Il caos a quel punto detonò: Aura si voltò di scatto e gli auricolari che teneva alle orecchie scivolarono dalle sue tempie e andarono a sfracellarsi per terra, mentre lei gridava ai nuovi arrivati il suo stupore. Caps in quel momento, invece, stava mangiando qualcosa, forse un dolce, una fetta di torta, che cadde tra le sue zampe e la sedia della postazione macchiando il suo pelo cobalto.

Il ghigno di Bibski fu ampio e compiaciuto.

Preso alla sprovvista, Caps guardò con urgenza la sua compagna e domandò: «Che devo fare, mi inchino?» Ma lei aveva le idee confuse quanto lui. «Io mi inchino!» E nel farlo la fetta di dolce cadde spiaccicandosi sul pavimento. «Caps, sei un disastro!» Aura si alzò per aiutarlo ma nel farlo si trovò attorcigliata al cavo degli auricolari.

«Come vi dicevo questa è la nostra sala di controllo.» Riprese a parlare Bibski in totale nonchalance. «È qui che monitoriamo le attività dei terremoti grazie ai nostri sismografi.»

Princess Celestia stava cercando di aiutando i due pony a rimettere le cose apposto, assicurando loro che non erano necessari né i ringraziamenti né la riverenza, e intanto Twilight cominciò a chiedere:

«Quindi da questi terminali voi riuscite a sapere che cosa accade ad Equestria? Non sono sicura di avere capito come funzioni.»

«È un po’ più complicato di così.» Prese la parola Caps Lock, dandosi un tono studiato: «Per cominciare si rileva la propagazione delle onde sismiche in base ai dati raccolti dall’oscillatore, poi si calcolano i coefficienti di riflessione su campo incidente delle scosse… »

«Dagli la versione per la gente a casa, Caps.» Lo apostrofò Bibski.

Twilight dovette ringraziarlo per l’intervento. Per quanto abile nei calcoli nemmeno lei aveva capito un acca di quanto stava blaterando il tecnico informatico.

«Ok… voi sapete che cos’è una isosisma?»

Le Princesse dovettero fare cenno di no con la testa.

«Non pensate che sia il caso di farglielo vedere direttamente?» Fu il suggerimento di Sound Aura.

«Aspettavo di vedere se ci arrivava da solo.» Disse Bibski sistemandosi il casco dell’Equalizzatore.

Caps Lock afferrò il messaggio e digitò alcuni comandi sulla tastiera della sua postazione: su uno dei monitor più grandi comparve una rappresentazione fedele della mappa di Equestria. Esaminandola con attenzione si potevano scorgere dei numeri che dividevano i confini di determinate aree e un complesso dedalo di righe, intrecci e ammassamenti luminosi che si intersecavano tra loro in maniera apparentemente casuale.

«A un primo impatto stordisce, lo so. A breve aggiungerò uno script che ne renderà la lettura molto più facile. A proposito, il software che state vedendo l’ho programmato io!» Si vantò il tecnico gonfiando il petto.

«Sì ma gli algoritmi su cui si basa sono miei.» Precisò Bibski. «Comunque è il caso di andare un po’ per ordine: nel corso di questi diciotto mesi abbiamo installato su tutta Equestria una serie di apparecchi come quello che ci avete confiscato all’Impero… »

«Poi però ve l’hanno reso!» Fece notare Twilight.

«Dettagli.» La zittì. «Ne abbiamo installati ventinove, e li abbiamo distribuiti in cinquantadue settori su tutta la mappa di Equestria. Non basta infatti installarne uno per avere una lettura chiara e circoscritta di un segnale, le onde sismiche hanno diversi modi di propagarsi e vi risparmio i dettagli sulle onde longitudinali, trasversali e tanti altri tecnicismi che ci hanno dato tanto filo da torcere in questi mesi. Con le informazioni in arrivo da più sorgenti possiamo quindi delimitare l’area interessata dall’evento e la direzione dal quale proviene, capire fino a un certo punto la profondità e localizzare l’ipocentro dal quale si è scatenato. Il tutto sarebbe molto più complesso se non ci fosse questo programma. Esso analizza i dati che ci arrivano dai vari settori e li traducono in queste isosisme, che sono in pratica delle rappresentazioni grafiche dei terremoti rilevati.»

«Quindi le apparecchiature registrano le vibrazioni del terreno?» Domandò Twilight.

«E di conseguenza anche gli spostamenti dei Kaiju nel sottosuolo.»

«Ma Equestria è piena di creature giganti che vivono nel sottosuolo! Come fate a essere sicuri che quella che rilevate sia proprio l’attività dei mostri?»

«Non possiamo.»

«Non possiamo.»

Risposero all’unisono Bibski e Caps Lock.

La parte che seguì fu spiegata da Aura. «Questo è stato uno dei nostri principali ostacoli quando abbiamo dato il via al monitoraggio. In principio gli apparecchi rilevavano qualsiasi genere di segnale, sia pure un’oscillazione generata dal ruggito di un drago che si propagava a livello del suolo. Allora abbiamo predisposto dei filtri che bloccassero la trasmissione di quei dati.»

«Ma avevamo appena grattato la superficie.» Ripartì Bibski. «Captavamo troppi segnali da troppe direzioni diverse, così abbiamo dovuto tagliare fuori alcune zone in cui erano note attività di creature giganti non assimilabili ai Kaiju, come la Everfree Forest e la Gola degli Orrori. Calcoli allo zoccolo, ed elaborando tutti i dati che siamo riusciti a raccogliere, escludendo quindi segnali d’intensità minore, abbiamo concluso che l’attività dei Kaiju si è diffusa praticamente… su tutto il regno! Quindi non era possibile trarre delle previsioni accurate in assenza di dati più precisi. La sola speranza, a quel punto, era di riuscire ad anticipare l’apparizione di un Kaiju osservandone l’attività in tempo reale.»

«Cosa attualmente impossibile, considerato che il software aggiorna la mappatura ogni tre ore, salvo che non si decida di forzare l’aggiornamento manualmente.» Spiegò Caps.

«Ma poi è arrivata la svolta con il Quarto Attacco!» Bibski trattenne a stento l’entusiasmo, malgrado la situazione. «Cyclop ci ha colti tutti di sorpresa, stravolgendo completamente quanto credevamo di aver capito fino ad ora sui Kaiju! Si è manifestato dopo appena quattro mesi, malgrado i suoi predecessori avessero sempre rispettato la regola dei sei. Potete dire che si sia trattato di una coincidenza, ma abbiamo voluto indagare. Chiedeteci cosa abbiamo scoperto!»

Fu Twilight a reggergli il gioco con un filo di voce: «Cosa avete scoperto?»

Il cutie mark dell’inventore si illuminò. «Mostraglielo, Caps!»

Il tecnico informatico si girò sulla sua sedia e digitò nuovi comandi sulla tastiera. Improvvisamente la rete di isosisme che avvolgevano Equestria venne cancellata per evidenziare un singolo tracciato.

«Quello che state vedendo è il rilevamento compiuto qualche giorno fa sul settore dodici, la regione di spazio corrispondente a Ponyville/Equestria.»

«Ma è la stessa scossa che abbiamo avvertito giorni fa!» Twilight corse ad osservare lo schermo, non poteva credere di stare vedendo proprio il terremoto che aveva fatto tremare loro la terra sotto le zampe quel giorno.

«Come ho già detto, poteva essere solo una coincidenza, frutto di una casualità che non aveva nulla a che vedere con l’attività dei Kaiju, ma poi abbiamo messo a confronto questi dati con quanto abbiamo registrato ieri nel settore.»

Un gesto del suo zoccolo e il tecnico informatico fece comparire un secondo segnale che si sovrappose a quello del sisma. In quel momento Twilight realizzò con orrore che avevano trovato il primo vero indizio dall’inizio della guerra.

«Purtroppo non abbiamo sismografi installati lassù, ma anche così direi che è abbastanza eloquente.»

Entrambe le Principesse annuirono. Celestia condivideva lo stesso stupore dell’alicorno dell’Armonia, sebbene lo manifestasse con maggior contegno.

Il tracciato che corrispondeva ai movimenti di Cyclop nel sottosuolo aveva origine nello stesso punto dal quale si era propagato il sisma, e si estendeva poi verso la montagna di Canterlot, scalandone un breve tratto prima di arrivare al picco, per poi ridursi e scomparire.

«Quella zona è piena di grotte naturali e miniere di cristalli di luce abbastanza spaziose da consentire il passaggio di una creatura dalle dimensioni imponenti come Cyclop. L’attività vulcanica che ha plasmato la montagna in passato ha creato una vera e propria scalinata che gli ha consentito di raggiungere la cima fino a emergere proprio nel bel mezzo della città. Fatto più importante, ha seguito un percorso che era stato creato prima che si verificasse l’Attacco!»

«È comparso così… dal nulla?» Fu la sola cosa che riuscì a formulare Twilight.

«Non esattamente: vedete che l’intensità di entrambi i segnali è più debole all’inizio? I nostri oscillatori non sono in grado di captare segnali a una profondità maggiore di trecento metri circa. È una delle scelte di sviluppo che abbiamo adottato per filtrare segnali non desiderati. In ogni caso i Kaiju devono emergere per colpire le città, quindi ci limitiamo a ciò che i sismografi rilevano a partire da quel range. È probabile che Cyclop si trovasse a una profondità maggiore nel momento in cui è comparso sulla mappa. Il che rende ancora impossibile al momento determinare il punto esatto da cui è arrivato.»

«Tenete ben presente che quanto vedete qui è frutto di una comparazione incrociata tra multi-segnali rilevati da più sismografi. È soltanto una stima di decine di algoritmi diversi, a cui il software da una rappresentazione sotto forma di isosisme. Non è possibile seguire i singoli tracciati fino a determinarne le origini.»

«Caps, se non la smetti di prendere il suo posto nei monologhi, finisce che ti mangia un orecchio!» Sound Aura mise in guardia il suo collega mentre apparentemente era assorta nella compilazione di un documento all’interno del suo monitor.

Caps Lock recepì fino in fondo il messaggio solo dopo aver incrociato lo sguardo astioso del suo capo. Si scusò immediatamente con lui e gli rese la parola.

«Questo però ci dà un vantaggio, come avrete certamente notato. I Kaiju seguono percorsi che sono stati in precedenza delineati dai terremoti, quindi dobbiamo cominciare a prestare attenzione alle attività del sottosuolo, e se qualche sisma interessa settori a ridosso di qualche città, dovremmo sospettare che di lì a poche ore possa fare la sua comparsa un mostro!»

«E se un Kaiju decidesse di attaccare di nuovo?» Chiese Twilight.

«Lo intercetteremo con gli Jaeger, e lo rispediamo a casa pezzo per pezzo dopo averlo smembrato!»

«Avevi parlato di mostrarci i progetti… » fece notare Celestia.

«Quanta impazienza, Vostra Maestà! Ma certo, ogni promessa è debito! Permettetemi di accompagnarvi nel mio ufficio, e voi ragazzi, ottimo lavoro! Fate un fischio se servisse qualcosa, se ci fossero problemi di ogni tipo!»

«Grazie, ti aggiorneremo se compare qualcosa di strano sulla mappa.» Disse Caps Lock tornando dritto sulla postazione.

«Veramente stavo parlando con i computer.» Si burlò di loro e successivamente incitò le Principesse a seguirlo fuori dalla sala, lasciando Caps Lock e Sound Aura attoniti e da soli.

Il tecnico si voltò verso la collega. «Ti rendi conto che ha condotto qui le Principesse senza dirci niente?!»

«Tipico di Doss, ormai non mi stupisco più di nulla. Piuttosto hai notato le loro facce, l’aria di disfatta che avevano? Dev’essere stato terribile.»

«Pare che sia stata rasa al suolo l’intera città, almeno così mi è parso di capire.»

«Poveretti, non vorrei essere nei loro panni in questo momento. Non suoneranno campane della vittoria a Canterlot, questo è evidente.»

«Detto da te poi.» Si alzò e si stiracchiò i muscoli delle zampe. «Mi prendo una pausa. Vieni a farmi compagnia?»

«Ancora? Non ti sei già ingozzato abbastanza?»

«Mangiare aiuta a concentrarmi, lo sai. Non posso farci niente!»

«Comunque non posso, devo prima terminare questo lavoro. E poi Bibski vuole che le nuove radio-trasmittenti siano pronte al più presto, quindi penso che andrò a fare un salto dai ragazzi per vedere come va in laboratorio. Wrench dice che hanno quasi finito.»

«Non pensi di lavorare un po’ troppo a volte?»

«Non più del necessario, credo. E poi non devo certo stare ad ascoltare uno che si rivolge alle Principesse con della torta spalmata su tutta la faccia!»

Sound Aura si mise a ridacchiare malignamente mentre Caps Lock si sfregava la bocca con l’avambraccio della zampa anteriore, confermando le parole della collega. Per tutto il tempo aveva parlato con le Principesse in quelle condizioni, e nessuno gliel’aveva fatto notare.

«Benvenute nel mio sancta sanctorum, Vostre Magnificenze Piumate! Prego, accomodatevi, fate come se foste a palazzo!»

Malgrado le fuorvianti parole dell’inventore, il posto si rivelò tutt’altro che accogliente. Quello che con parole educate poteva essere definito un ufficio era in realtà uno stanzone pieno di ragnatele e fogli di carta sparsi qua e là. Twilight fu confortata nel vedere che una grossa porzione delle pareti era occupata da ripiani carichi di libri e tomi di ogni genere, tra cui anche diverse opere di narrativa; Bibski Doss era un lettore vorace e un attento analista, lo si poteva dedurre dalla montagna di appunti che sporgevano da qualunque pagina e ne gonfiavano il volume, ma il suo concetto di ordine andava rivalutato attentamente: oltre alle già citate cartacce, per terra era possibile rinvenire pezzi di involucri di merendine consumate e mai più raccolti, cestini dell’immondizia rovesciati e quello che sembrava un bivacco formato da un materasso logoro con un semplice cuscino e una coperta leggera sopra, su cui Bibski probabilmente ci trascorreva le notti. Anzi, in quella stanza praticamente ci viveva, al contrario della sua squadra che invece si era adattata alle abitazioni di Montestallone.

Le due Principesse cercarono di entrare, scoprendo che era difficile farlo senza calpestare qualcosa.

«Non fateci caso, è Caos Metodico. Ho bisogno che sia così per far fruttare al meglio il mio ingegno.» Disse lo stallone mentre scostava e frugava tra libri, carte e strumenti di disegno tecnico presenti sul tavolo della scrivania.

Twilight non fu d’accordo con quell’affermazione. Sapeva che anche Rarity aveva qualcosa che lei stessa definiva disordine creativo, che spesso le era fondamentale per trovare l’ispirazione nei momenti di maggior sforzo, ma era temporaneo e in un certo senso vincolato a delle “regole” definite dalla stilista. Quello che invece avevano tutto intorno a loro in quel momento era puro e crudo disordine.

Il suo occhio si fermò su una mappa di Equestria appesa a una parete, e si avvicinò per esaminarla meglio. Vi erano stati posti una serie di percorsi a zig zag che avevano origine nelle vicinanze di Manehattan, lì dove qualcuno aveva appuntato il nome “Montestallone”, e che si estendevano per tutto il territorio del regno andando a coprire tutte e ventinove le aree in cui erano stati installati i sismografi.

«Sono rotte aeree? Sono tutte lontane dai centri abitati.»

«Mica male, vero?» Rispose Bibski mentre perseverava a cercare.

Celestia si pose vicino alla sua ex-studentessa e capì presto cosa avesse voluto dire: indicavano la direzione che lo Skybreaker aveva intrapreso per evitare di essere localizzato. Ognuno di quei percorsi non solo evitava le grandi città, in cui il chiasso della metropoli poteva se non altro coprire il potente rumore dei rotori, ma anche i piccoli villaggi e le contee non contrassegnate sulla mappa. Eludere le guarnigioni del regno era stato facile, bastava servirsi degli ampi spazi aperti di Equestria girando alla larga dai centri abitati.

«Uffa, ma dov’è?» La ricerca si stava rivelando infruttuosa. Twilight trattenne un sogghigno, pensando a come si era vantato fino a poco fa del suo fantomatico Caos Metodico.

Improvvisamente dalla montagna di documenti sulla scrivania, riuscì ad estrarre un post-it che a quanto pare non si aspettava di trovare. Lo lesse, prima con un celere scorcio, per poi focalizzarvisi più attentamente. Sbuffò e si diresse da un’altra parte, mentre Twilight approfittava della sua disattenzione per leggerne a sua volta il contenuto:

“Schemi Jaeger nello schedario. Bright”.  La grafia era elegante così come la ricordava la prima volta che l’aveva vista.

Bibski aprì gli scomparti uno dopo l’altro, imprecando tra sé e sé. Anche quel giorno la fissazione di Bright per l’ordine e la pulizia penetrava prepotentemente nelle sue stile vita, scombinandone l’equilibrio.

Trovò finalmente quello che stava cercando e con un’esclamazione di trionfo fece ritorno alla scrivania. Sbatté il fascicolo sul banco, sollevando una consistente nuvola di polvere, e i fogli contenuti all’interno si riversarono fuori. «Vi presento Manecrush X50! O perlomeno, la sua prima bozza!»

Le diverse pagine mostravano schemi nel dettaglio degli impianti interni che costituivano “l’organismo” della macchina, ma l’attenzione delle Principesse si focalizzò principalmente sull’aspetto esteriore: aveva un corpo tozzo da alicorno che si ispiravano notevolmente alle fattezze di Twilight, fatto che la fece sentire almeno un po’ lusingata, con un grande corno sulla fronte che gli appunti indicavano come la sua arma principale, e un paio di ali il cui tratto a matita era più impreciso rispetto al resto della struttura, che invece risultava definito e chiaro. Bibski era un ottimo disegnatore, ma perché allora le ali erano così imprecise?

L’inventore stava facendo un elenco delle caratteristiche dello Jaeger: «Scocca rinforzata in Equestrium Diamantato, motore ATS modello Terza Generazione con sistema d’alimentazione multi-direzionale, multi-flusso, e propulsori a ionizzazione magica di cristalli.»

Squadrò i loro volti per determinarne le reazioni, la Principessa Twilight passava al setaccio le varie pagine con perplessità, e Celestia aveva una smorfia che non lasciava dubbi.

«Non sembrate molto convinte.»

«Non lo so.» Prese a parlare Twilight. «Non sembra qualcosa che possa funzionare… »

«Tu scherzi, vero?!»

«… e nemmeno realizzabile in poco tempo. I Kaiju hanno già anticipato di una volta il loro attacco, cosa facciamo se la prossima volta decidono di anticipare ancora e arrivino, che so… tra due mesi?»

«È un rischio che dobbiamo correre, e comunque è sempre meglio che stare fermi ad aspettare che qualcosa accada!»

«Ma anche se usassimo questi Jeager, cosa ci assicura che i Kaiju non si adattino anche ad essi?»

«Tu continui a ragionare come se aveste delle alternative, ma non ne avete più! E comunque ti sfugge il punto focale: un conto è combattere i Kaiju dalla prospettiva dei pony, un altro e mettersi al loro livello e guardarli dritti negli occhi!»

Twilight, con più dubbi che certezze a penderle dalla bocca, si rivolse alla sua ex-mentore chiedendole il suo parere.

L’alicorno bianco parlò a Bibski: «Ti conosco da molti anni e ormai sono conscia che con te ogni cosa diventa possibile. Ma Twilight non sbaglia a preoccuparsi dei tempi. Nemmeno tu puoi mettere a punto qualcosa di così complesso e imponente nel poco tempo che ci rimane.»

«Al contrario! I test che abbiamo condotto in questi mesi sono serviti proprio a rimaneggiare tutto ciò che poteva andare storto nelle fasi dello sviluppo! Abbiamo lavorato sulle articolazioni, condotto test di resistenza e conduzione negli impianti e nella componentistica interna, sul sistema di alimentazione del nucleo, oramai manca davvero poco da rifinire. Ogni pezzo di progetto che vedete qui sopra è un tassello intagliato del grande mosaico che andrà a comporre un giorno gli Jaeger! Basterà chiamare a raccolta tutti i migliori ingegneri, meccanici, ditte di costruzione e la manodopera da tutta Equestia, e sotto la nostra direzione nel giro di pochi mesi saremo già pronti a un collaudo!»

«Sembri molto sicuro di te.» Disse la Principessa, ancora titubante circa la riuscita del progetto.

«L’hai detto tu, Celestia. Con me tutto e possibile!» Sorrise ottimista e lei ricambiò per cortesia.

«Avrai bisogno di quello che c’è nella grotta, presumo.»

Questa domanda riaccese in Twilight Sparkle la voglia di sapere. Di che grotta stavano parlando?

«Direi proprio di sì. Mi servirà tutto, ogni singola armatura e pezzo di Equestrium Diamantato che vi è contenuto, e so già che non saranno sufficienti. E dovremo anche fare di essa la nostra base, è abbastanza ampia per contenere gli Jaeger ed è abbastanza vicina a Canterlot per fare di essa un punto di collegamento.»

Celestia annuì a questa richiesta, ma lo fece in silenzio, conscia che rivelare il segreto della grotta e del Vello Oscuro avrebbe significato portare alla luce un segreto che cercava di tenere nascosto da secoli.

«Ah, e c’è un’altra cosa. Niente di particolare, quisquilie di poco conto. Ci serviranno gli Elementi dell’Armonia per alimentare il nocciolo degli Jaeger, almeno una coppia per motore.»

L’effetto fu come di un ordigno che esplode di colpo, spaventando Twilight, mettendole in subbuglio i muscoli di tutto il corpo e togliendole l’uso della parola.

«C-che follia stai andando a dire, Doss?!» Tartagliò dopo un pesante silenzio.

Bibski si aspettava una reazione del genere. Era sicuro che la Principessa dell’Armonia si sarebbe messa subito sulla difensiva, malgrado fosse stata lei a chiamarli. Imperturbabile le rispose: «Una volta che saranno ultimati, gli Jaeger avranno bisogno di una quantità di energia immensa per mantenersi in funzione e operare in battaglia. Gli attuali carburanti, le celle di energia usate per alimentare i motori ATS, non potrebbero mai sopperire al fabbisogno complessivo delle macchine, anche se saranno utilizzati per alimentare processi secondari come i computer che andremo ad installare nella camera dei piloti…»

«D’accordo, d’accordo, questa cosa l’hai spiegata… ma gli Elementi dell’Armonia?!» Insistette. «Sono il simbolo del legame che unisce me alle mie amiche! La loro stessa esistenza è correlata all’esistenza delle Custodi, non possono essere usate come semplici… pile!» Il solo pensarci le causava repulsione e voglia di lasciare l’ufficio.

«In realtà anche da inattivi emanano una notevole quantità di energia. Basti pensare che la loro stessa esistenza – visto che ne stai parlando – è fondamentale per garantire la stabilità del nostro mondo. Non è forse vero che in loro assenza Equestria collasserebbe su se stessa? Una tale energia, da un singolo Elemento, se ben incanalata e unita alla tecnologia che abbiamo sviluppato in questi mesi basterebbe a tenere in funzione uno Jaeger per giorni!»

«Questa è un’eresia!» Puntò gli zoccoli «Io pensavo che tu avessi un piano quando ho accettato di contattarti, ma è chiaro che qui state andando a tastoni!»

«Che posso farci, sono un genio del metodo euristico!»

«No, sei solo un buffone che si crede un Deux Ex Machina sceso dal cielo!»

«Dici? Allora come giustifichi che la tua cara Princess Celestia sta fissando il vuoto come se trovasse la mia opzione tanto attraente?»

«No, non ci sei proprio, lei sta soltanto… » si girò verso di lei e proruppe in un’esclamazione di sorpresa, Celestia stava realmente riflettendo sulla possibilità di usare gli Elementi per lo scopo proposto da Bibski!

«Credi che abbia senso, sul serio?!» Chiese Twilight, temendo a quel punto la risposta.

«È difficile a dirsi. Bibski non sbaglia a dire che gli Elementi emanino costantemente una piccola quantità di energia, ma non basterebbe ad alimentare il motore di una macchina così imponente, a meno che… »

«“A meno che” cosa?» Twilight era impaziente.

«Lo dica, Principessa.» Esortò Bibski ghignando.

«A meno che non vengano attivati singolarmente… »

«Ed è possibile farlo?»

«Non per il rituale di Emissione, Twilight. Per quello è necessaria la vicinanza e l’attivazione congiunta di tutto il set al completo. Ma è possibile fare in modo che rilascino magia in stato caotico per un certo lasso di tempo.»

«Sufficiente a tenere in funzione lo Jaeger per tutta la durata che lo richiede.» Aggiunse l’inventore, come se la cosa fosse scontata.

«Ma in ogni caso è necessario stabilire una connessione tra la Custode e il suo Elemento, non è possibile pensare di farne il mero nucleo energetico di una macchina.»

«Ed è qui che volevo arrivare!» Scattò in avanti l’inventore. «Ci serviremo dei nostri progressi compiuti nello studio del sistema nervoso equino e che fino ad ora abbiamo applicato solamente all’Equalizzatore! Connetteremo i piloti ai propri Jaeger, affiancandoli a un partner che in pratica dividerà con loro il carico neuro-muscolare richiesto. Ce l’avete presente una carrozza? Se sono in due a condurla è più facile, anche se teoricamente un solo conducente robusto potrebbe farcela da solo. Il principio da applicare è lo stesso. Formeremo una simbiosi pony-macchina così profonda e stabile che anche a distanza, l’Elemento “crederà” di essere indossato e sarà possibile attivarlo!»

«Lo dici come se fosse una cosa facile da fare…»

«Non ho mai detto che lo sia, Sparkle. Altrimenti non saresti qui a dubitare delle mie risorse.»

«Ci hai pensato a Rainbow Dash e Rarity? Loro non hanno più un oncia di magia in corpo! I loro Elementi sono inerti da quando sono state colpite dal mostro!»

«Troveremo una soluzione anche per questo: possiamo sempre fare a meno di una coppia di Elementi se l’energia degli altri si rivelasse ingente, adoperarne uno per motore, oppure trovare una maniera per avviarli anche senza il prerequisito della magia. È soltanto una questione di scienza applicata all’ingegneria, Sparkle, gli Elementi non si attivano solo perché soffrono la solitudine e gli piace il contatto equino! Essi hanno un’affinità con voi e si attivano in risposta al vostro volere. Ebbene, l’Equalizzatore funziona come un’estensione del corpo del pony, e gli Jaeger ne saranno una variante potenziata e ingigantita, un’incarnazione sublime di magia e progresso! Corpo di robot, mente dei pony e cuore di Armonia, uniti per formare l’arma di difesa definitiva contro i Kaiju!» Bibski terminò con un impeto di fervore, dopo di che nell’ufficio scese un silenzio inquieto. Quello che doveva dire l’inventore lo aveva detto, e più volte il suo cutie mark aveva brillato, svelando quanto fossero alte le sue aspettative per la riuscita del piano. Ora solo le Principesse potevano decidere per il futuro della Nazione e di tutti i suoi abitanti, ma Bibski era sereno; una regola del commercio stabilisce che se riesci a convincere un potenziale cliente ad entrare nel tuo negozio e ad ascoltare ciò che hai da dirgli, ci sono buone probabilità che la vendita vada a buon fine.

«E quindi... se dobbiamo usare gli Elementi questo significa che... dobbiamo pilotare noi gli Jaeger.»

«Non esistono alternative. Credimi Sparkle, se ci fosse un modo sarei io stesso a salire a bordo per battermi.»

Celestia la stava guardando con apprensione, ma anche lei aveva compreso che non c’erano alternative. Ora capiva perché il modello dello Jaeger ribattezzato Manecrush assomigliava così tanto a Twilight.

«Ma io so a mala pena mantenere una rotta di volo stabile, non ho idea di come si piloti una macchina! Tantomeno applicare quelle conoscenze allo scontro… »

«È un problema che verrà affrontato nei prossimi mesi. Non vi metteremo semplicemente dentro un robot per chiedervi di pilotarlo, lo costruiremo letteralmente pensando alle caratteristiche peculiari di ognuna di voi. Alla fine avremo tre Jaeger che rispecchieranno fedelmente i talenti e le abilità della rispettiva coppia, e nessun altro oltre la coppia designata sarà in grado di pilotarli.»

«E io con chi dovrò affiancarmi?»

«Anche questo sarà affrontato a suo tempo. Dovremo rendervi quanto più efficienti possibile, in modo che ogni coppia completi con le proprie abilità le altre. Non sarà facile, e perciò ci serve la vostra collaborazione. Deve instaurarsi un’alchimia perfetta, in modo che le azioni di una completino la volontà dell’altra. In un certo senso il vostro legame semplificherà le cose, ma dovrete andare oltre, diventare una cosa sola! Non solo con lo Jaeger, non solo con la vostra partner, ma tutte insieme!»

Bibski restò in attesa di una risposta e con Celestia guardarono Twilight mentre digrignava i denti e distoglieva lo sguardo da loro. Non ne era convinta, non ne era convinta per niente, e se lei era restia non osava immaginare cosa avrebbero detto le sue amiche, Rarity difficilmente avrebbe accettato di montare su uno di quegli Jaeger e scendere sul campo per menare gli zoccoli coi Kaiju; Pinkie Pie avrebbe preso il tutto come un gioco, non ce la vedeva proprio a combattere a bordo di una macchina gigante per la protezione di Equestria; Applejack e Rainbow Dash erano le più votate all’azione, e se doveva proprio scommettere su qualcuno, solo loro due sembravano idonee alla causa di Bibski; il peggio sarebbe arrivato con Fluttershy: potevano convincerla a pilotare lo Jaeger ma non si sarebbe mai battuta contro i Kaiju, mai! Il suo amore devoto verso tutti gli animali glielo avrebbe impedito e un giorno, Twilight lo sapeva, avrebbe causato loro dei grossi problemi. Chissà se Bibski si rendeva conto di tutto ciò?

Gli schemi di Manecrush erano tornati nel fascicolo, ormai non servivano più. Bibski lo sollevò con la levitazione del corno artificiale, ma invece di rimetterlo al suo posto, lo adagiò tra i volumi di una delle sua sovraffollate librerie e lo lasciò lì.

«Vi riaccompagno in laboratorio. Blu vi farà passare attraverso il suo portale e vi riporterà a castello. Immagino che abbiate molto da fare laggiù, e anche noi. Credetemi, sto soffrendo per quello che è avvenuto alla capitale, avrei tanto voluto che le cose fossero andate diversamente, ma inutile piangere sul latte versato, no? Avrei una richiesta da farvi: potete ospitare Bright per una notte? Domani dobbiamo andare alla grotta, sarebbe molto più facile se vi raggiungessi attraverso il Ponte piuttosto che a riaccendere i motori dello Skybreaker.»

«Forse potremo trovargli una sistemazione, ma dovrà dividerla con gli altri rifugiati a castello, non possiamo concedergli i privilegi di un ospite illustre.» Rispose Celestia.

«Tranquille, mangia poco ed è forte come un’Ursa Minor, forse anche di più. Anzi sarà lieto di dare una mano se gli date qualcosa da fare.»

«Vedremo cosa si potrà fare allora.»

«Molto bene. Allora ci rivedremo domani.»

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Quella notte Rarity faticava a mantenere il riposo. Si girava nella sua brandina e aveva un incubo che non le dava sollievo.

Nel sogno udiva suoni chiassosi provenire da tutte le direzioni, e quelli che sembravano urla di pony terrorizzati, in fuga da qualcosa. Poi il mostro gigante, Cyclop, che distruggeva tutto non lasciando scampo a nessuno.

La causa di tutto era da imputare al suo mal di testa, quella lieve ma costante emicrania che era comparsa quando la sua magia era stata soppressa e che da allora non aveva dato cenno di volersi sedare.

Le urla divennero più intense, la fecero contorcere nel sonno, poi a un certo punto un movimento accanto a lei la convinse ad aprire gli occhi.

Si trovava nella hall del castello di Canterlot. Lei e Rainbow Dash erano rimaste lì per volere dell’equipe medica per monitorare il loro stato di salute e per accertarsi che l’effetto dei globi assorbi-magia non portasse ulteriori conseguenze. Strabuzzò gli occhi frastornata dall’agitazione che tutto intorno stava via via accrescendosi. Stava succedendo qualcosa.

Spike era lì di fianco, steso per terra in un sonno comatoso, lei gli mormorò qualcosa ma in un primo momento fu perfino difficile articolare una frase senza mangiarsi tutte le consonanti, al secondo tentativo si sforzò di essere più chiara. «Spike, ehi sei sveglio? Che cosa sta succendendo laggiù?»

Ma il draghetto era ancora profondamente immerso nel suo sonno, neanche un terremoto sarebbe riuscito a svegliarlo.

Rarity capì che doveva scoprirlo da sé.

Altri pony si stavano svegliando attratti dal chiasso, tutti cercavano di riprendersi e di capirci qualcosa, e prima di quanto si pensasse tutta la hall, che un attimo prima era immersa nel silenzio, era piena del vociare dei rifugiati e del baccano che stava producendo qualcuno.

La stilista dal manto bianco decise di incamminarsi per indagare. Passò accanto a Rainbow Dash, che solo in quel momento si era svegliata e si stropicciava la faccia per tornare alla realtà.

Poco più in là, intorno a una giumenta unicorno, una calca di persone si erano radunate e la fissavano con le mandibole spalancate.

«Non ci posso credere, guardate, guardate tutti. Ci riesco!» Il suo corno brillava di viva magia e con esso sorreggeva il bicchiere che era appartenuto alla sua cena della precedente sera. Solo allora Rarity aveva realizzato che quella giumenta era una di quelle che erano state colpite dai globuli, e che come tutti si era ritrovata incapace di usare la magia. Ora invece faceva piroettare quel bicchiere con acrobazie che fecero provare alla stilista un moto d’invidia.

Un altro unicorno, sentendosi ispirato dalla sua esibizione, provò a lanciare un incantesimo di luce, e un’ampia area intorno a lui si illuminò dell’incanto che aveva utilizzato. «Ci riesco anch’io, incredibile, fantastico!»

Uno per uno tutti gli unicorni tentarono di lanciare qualche incantesimo per verificare se ne erano in grado, il tutto mentre medici e infermieri, accorsi dopo aver udito la notizia, cercavano di capire cosa stava succedendo.

Rarity e Rainbow Dash avevano osservato a lungo fino a quando la Custode della Generosità non si decise a provare lei stessa, e usò un incantesimo in cui lei era particolarmente talentuosa: l’incanto per localizzare gemme e altre pietre preziose nello spazio circostante. Immediatamente divenne consapevole di ogni singolo brillante che adornava il diadema delle dame rifugiate e i preziosi che decoravano le architetture e l’intero arredo del castello.

Non solo, ma scoprì anche che il suo mal di testa era svanito e che ora c’era solo una calda sensazione di arcana magia che sprizzava dal suo corno. Era incredibile che qualcosa di così scontato potesse mancarle a tal punto, e allo stesso tempo era incredibile quanto fosse bello averlo riconquistato.

Vedendo che tutti quanti stavano sperimentando da sé con i propri incantesimi, Rarity con voce frizzante di felicità si rivolse a Discord:

«Prova anche tu, dai!»

Discord si illuminò improvvisamente e già si immaginava di trasformare la hall in una pista da ballo, per tirare un po’ su di morale quei pony. Fece quindi il gesto di schioccare le dita ma l’azione non produsse nulla, né tanto meno sentì di stare meglio.

«Oh cielo…» esclamò la stilista. «Forse è solo questione di tempo, vedrai che a breve ritorneranno!»

Nessuno più dormì per quella notte, nemmeno Bright, che aveva aiutato per tutta la giornata ad accogliere i superstiti che arrivavano dalla città.

Tutti erano emozionati e felici che la loro magia e quella dei loro amici veniva uno per uno riacquistata, e nel giro di qualche ora quasi tutti avevano recuperato le loro condizioni naturali.

Restava da capire se la guarigione riguardasse anche Rainbow Dash, ma per scoprirlo avrebbero dovuto aspettare l’alba per poi testarla con l’Elemento della Lealtà.

Quando il sole cominciò a risplendere in una giornata finalmente più limpida, solo uno non aveva ancora riottenuto le sue capacità, Discord. Essere l’ultimo lo aveva riempito di sconforto, ma le parole delle sue amiche giumente gli avevano infuso un po’ di speranza, ed erano certe che presto o tardi anche lui sarebbe ritornato in possesso dei suoi poteri.

Twilight aveva trascorso la notte a casa dei suoi genitori. Erano passati degli anni da quando aveva soggiornato per l’ultima volta in quella casa, ed era felice di pensare che la furia di Cyclop aveva risparmiato quel luogo pieno di ricordi e che per lungo tempo era stato per lei sinonimo di rifugio.

Aveva goduto della fortuna di un breve distacco quando si era seduta a tavola insieme a Pinkie Pie, Applejack, Fluttershy e i suoi genitori, e avevano fatto colazione tutti insieme scordandosi del disastro e della crisi che stavano vivendo.

Parlarono di ciò che era successo nelle settimane precedenti, degli impegni di ciascuna di loro, di argomenti insomma che si discostavano completamente dal Quarto Attacco e dei Kaiju in generale.

Poi alla porta bussò qualcuno.

«Vado io!» Si offrì l’alicorno, e si ritrovò di fronte una Guardia Reale che colse tutti quanti di sorpresa.

«Principessa Twilight Sparkle!» Si inchinò al suo cospetto. «È richiesta la vostra presenza a castello! Princess Celestia ha ordinato di chiamarvi e chiedervi di raggiungerla subito!»

«È successo qualcosa di grave?» La domanda era quasi retorica, perché si aspettava che da un momento all’altro potesse succedere di tutto.

«Al contrario, le notizie non potrebbero essere migliori!»

Fu così che apprese che gli unicorni erano guariti dalla loro condizione magica e un sospiro di sollievo, una luce scintillante rischiarò finalmente il fondo del tunnel.

C’era poi dell’altro: Bibski Doss aveva attraversato il Ponte e aveva chiesto di essere condotto alla grotta. Questa notizia la mise nuovamente in agitazione.

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Fin dai tempi più remoti la montagna di Canterlot era stato un luogo ricco di misteri e di fascino, che ha incantato le menti e i cuori di tutti i pony che alzando in alto lo sguardo, la vedevano spiccare sopra l’orizzonte del cielo.

Anche tra chi abitava nelle vicinanze c’erano sentieri nascosti che nessuno aveva mai percorso da secoli, e anfratti che serbavano segreti ormai dimenticati dalla storia.

Twilight Sparkle e con lei tutti gli altri, un gruppo formato da Princess Celestia e Princess Luna, Brightgate e Bibski Doss, stavano salendo proprio uno di questi sentieri, un passo dissestato e stretto che sembrava condurli direttamente nelle viscere della montagna.

C’era emozione nell’aria, e l’emozione, si sa, ha molteplici sfumature. Quello che provava la Principessa dell’Armonia era un misto di speranza e impazienza per i segreti che stava per scoprire una volta arrivata alla meta, la verità sul Vello Oscuro che la sua ex-mentore aveva nascosto per tanto tempo; era poi in ansia per Discord, che ancora tardava ad avere indietro i suoi poteri e che proprio in quelle ore si stava sottoponendo a ulteriori analisi per scoprirne la ragione. Ma c’era anche dell’altro, una notizia dell’ultima ora che aveva fatto comparire in lei un sentimento ostile, di delusione verso la popolazione di Canterlot, perché aveva saputo che nel corso della notte, mentre i pony a palazzo riacquistavano le loro capacità magiche, le Guardie in città avevano arrestato degli individui che si stavano cimentando in atti di sciacallaggio verso le abitazione e le attività commerciali, e che il fenomeno era in rapido aumento. Malgrado la Principessa dell’Armonia facesse del suo meglio per giustificare quegli atti deplorevoli, attribuendoli a stalloni e giumente che necessitavano di quei furti per sopravvivere, proprio non capiva come potessero quei pony macchiarsi di atti così meschini nei riguardi della loro stessa gente.

Princess Luna aveva vegliato sulla città insieme al suo esercito di pony-pipistrelli per tutta la notte, ed ora aveva delle occhiaie che lasciavano intravedere tutta la stanchezza del suo volto.

Celestia invece aveva delle espressioni ambigue, come se fosse assente in un momento e perfettamente coscienziosa in quello successivo, e probabilmente nella sua mente mille pensieri contrastanti facevano a pugni per accaparrarsi la sua attenzione.

Chi non sembrava subire pressioni da parte degli avvenimenti era solo e unicamente Bibski Doss, che trottava al loro seguito facendo di tanto in tanto solo qualche commento a vuoto, ai quali però nessuno rispondeva.

Dopo aver marciato a lungo nella strettoia giunsero infine a un vicolo cieco, con un’alta parete a muraglia e senza più una via per proseguire, se non voltandosi indietro e ripercorrendo i propri passi.

«Siamo arrivati.» Commentò Celestia laconica.

Gli altri si guardarono intorno senza capire, ad eccezione di Luna che invece dava l’idea di saperla lunga su dove si trovassero.  

«Non credo di aver capito la battuta, ammesso che lo fosse.» Commentò Bibski Doss, e Nemmeno Bright sembrava essere a suo agio di fronte a quella situazione.

Fu a quel punto che Celestia sospirò, e facendo alcuni passi in avanti si portò vicino alla parete mentre gli altri la osservavano in silenzio. Dal suo corno partirono delle luci concentriche che andarono ad assumere una forma definita, costituita da un cerchio con al suo centro una piccola sfera a tre punte che si estendevano in orizzontale e in verticale, e una quarta con un asse più lunga che prendeva la forma di una croce rovesciata.

Quando la figura sospesa nell’arcano terminò di comporsi rivelando il suo aspetto effettivo, una grande runa circolare al centro della parete rocciosa prese a brillare in maniera più intensa e intermittente, quindi la roccia cominciò a dividersi e a ritirarsi nella parete, rivelando uno spazio vuoto all’interno, più ampio rispetto al sentiero: l’entrata della grotta.


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«Questa è solo una delle vie d’accesso che usavamo per accedere.» Spiegò al gruppo. «Nel corso dei secoli le altre sono crollate o sono state sigillate per mia volontà, quindi non stupitevi se vedrete dei tunnel o dei percorsi che non conducono a direzioni precise. Il tutto aveva lo scopo di garantire sempre e comunque una via di fuga nel caso d’invasione da parte di un esercito nemico.»

Celestia fece loro segno di procedere e Bibski si mise in testa alla fila entrando insieme a lei.

Twilight avrebbe tanto voluto avere con sé le sue amiche, per condividere con loro la responsabilità del segreto che stava per scoprire, ma si rendeva conto che la cosa non sarebbe stata possibile: Rarity e Rainbow Dash dovevano ancora restare sotto osservazione, almeno per qualche ora, e per quanto riguardava le altre, erano semplicemente troppo provate per seguirla. Meritavano di riposarsi ancora per un po’.

Luna era in coda al gruppo, come se volesse prendere le distanze da sua sorella per una ragione non precisata, e questo scatenò la curiosità di Twilight: «C’è qualcosa che non va, Princess Luna?»

L’alicorno dal manto blu abbassò lo sguardo. «Sto pensando che avrei preferito essere coinvolta nella cosa, o per lo meno esserne messa al corrente nel momento che ho ripreso in zoccolo il ruolo di Principessa della Notte.» Bisbigliò la risposta, ma era impossibile che Celestia non stesse ascoltando, nonostante continuasse a marciare con la sguardo puntato rigidamente in avanti.

«Quindi non sai che cosa c’è là dentro, è un mistero anche per te?»

«No… so cosa ci tiene, è stata una decisione che abbiamo preso insieme in effetti. Solo... non pensavo che la tenessi nascosta così.» Questa volta si rivolse direttamente alla sorella, ma senza sortire alcun effetto.

«Come, come?» Arrivò invece Bibski Doss svolazzando col suo Equalizzatore.

«Stai dicendo che la Principessa Celestiale tiene dei segreti anche con sua sorella minore? Quella stessa sorella minore con cui ha condiviso secoli di governo all’insegna del rispetto reciproco e del…»

«E stai zitto per una volta, imbecille!»

Twilight gli vuotò contro un colpo magico dirompente, scaraventandolo al tappeto in un istante. Era di debole intensità, ma lo teneva in serbo per lui da così tanto tempo che si sentì subito meglio una volta che lo ebbe lanciato.

Il suo corno smise di fumare mentre l’inventore si rialzava da terra risistemandosi il casco e la criniera scompigliata, mentre Bright rideva sotto i denti per la scena.

«Fate attenzione a dove poggiate gli zoccoli, tra poco dovremo scendere.» La voce della Principessa del Sole suonò così estranea che tutti loro si zittirono di colpo.

Superato il condotto, si aprì dinanzi a loro uno strapiombo, con una stradina laterale che portava in giù verso una grande camera, che a giudicare dal suo contenuto non poteva che trattarsi della grotta di cui tanto avevano discusso nelle ore precedenti.

L’antro era alto decine di metri, capace di ospitare senza difficoltà un intero Kaiju di medie dimensioni ed era letteralmente ricoperto di nicchie disposte su più piani nelle quali erano adagiate delle minacciose ma splendenti armature. Ognuna di esse catturava la luce filtrata e restituiva riflessi scintillanti, tipici dei diamanti, e sembrava che il tempo non le avesse minimamente intaccate.

«Ma quella è… »

«Sì.» Celestia confermò il suo dubbio prima ancora che finisse di esprimersi. La poca luce che filtrava nella grotta era data da un’apertura nella roccia che dava all’esterno, dove una tenda di acqua in costante caduta copriva l’accesso come fosse una tenda.

«Sono passata davanti a quella cascata per anni, non ho mai visto quest’apertura!»

«Questo perché un incantesimo d’occultamento la tiene al riparo da chi osserva dall’esterno, e l’intensità della cascata dissuade gli estranei dall’avvicinarsi per indagare.»

«Se vuoi nascondere qualcosa, mettila in bella vista… »

«Esattamente.»

Poco più in là Bright era estasiato da quanto lo circondava. «Così è questo il Vello Oscuro?» Non poteva credere che qualcosa del genere era sempre stato nascosto lì, senza che nessuno si ponesse delle domande a riguardo.

«Sì, è magnifico, è semplicemente straordinario! No, che dico è una figata assurda!» Bibski corse verso un cumulo di rocce che erano franate dal soffitto seppellendo alcune delle armature. Con la magia artificiale del suo corno liberò da sotto i detriti l’elmetto brillante e immacolato di una di esse e commentò: «Vedete, non un solo graffio! Gli è caduta addosso un pezzo di montagna e non è stato nemmeno scalfito!»

«Basterà questo a contrastare i Kaiju?» Domandò Luna all’inventore.

«Beh se devo dir la verità ho un po’ sovrastimato il numero di armature che avremo trovato. Laggiù c’è un’altra sala?» Chiese indicando un apertura più bassa che dava a un tunnel.

«È fino a dove si estendeva la vena dell’Equestrium, da lì in poi c’è un condotto in discesa che porta alla sacca vulcanica dormiente e alle forge.» Spiegò l’Alicorno del Sole.

«Bene, interessante. Dovremo riattivarle allora, e anche il calderone. Questo posto deve tornare in funzione come ai tempi della crisi! E dovremo rinforzare il soffitto per prima cosa, o rischia di crollarci tutto addosso! Dobbiamo considerare che ci serviranno migliaia di tonnellate di metallo per rendere il tutto possibile. Non sarà uno scherzo. E dovremmo averne delle scorte per quando dovremmo effettuare le riparazioni. Questa era probabilmente l’unica miniera di Equestrium di tutto il regno, se esaurissimo le scorte troppo presto ci ritroveremo in un mare di guai.» Si strofinò il mento con uno zoccolo per riflettere. «Se lo combinassimo con qualche altro metallo e ne facessimo una lega potremmo giocarcela sul risparmio intelligente.»

«E questo cosa comporta al lato pratico?»

«Beh purtroppo andremmo a sacrificare l’eccezionale resistenza dell’Equestrium Diamantato, ma sarebbe comunque una lega di metallo più robusta del normale, e più facile da lavorare rispetto all’Equestrium allo stato puro. Io sono convinto che così possa funzionare!»

Intanto che la discussione tra i due proseguiva, Twilight fece invece un’osservazione basata su quante armature erano presenti nella camera principale: “Ce ne saranno a centinaia qui dentro, migliaia!” E anche di più forse, non vi era un solo angolo della grotta in cui non vi fosse un piedistallo con la propria rispettiva armatura. “Quanti pony militavano nell’esercito a quei tempi? Neanche unendo gli eserciti di tutti gli imperi dell’Equestria di oggi si sarebbe arrivati a pareggiare quei numeri. Perché predisporne così tanti? Perché spendere quel tempo e investire tutte quelle risorse se non vi era dietro alcuna ragione strategica per farlo, nessuna giustificazione. A meno che…”

Improvvisamente Twilight realizzò quale fosse la ragione che aveve spinto la sua ex-mentore a celare la verità.

«Volevate far combattere i cittadini di Equestria?» Parlò a entrambe le regnanti, ma si rivolse principalmente a Celestia. Princess Luna la guardò aspettando una risposta.

«Ho indovinato, è così? Arruolamenti forzati, pony che si lanciano sul campo di battaglia senza avere ricevuto un addestramento appropriato. È per questo che vi serviva l’Equestrium Diamantato, li avreste spinti a battersi contro l’Impero di Cristallo!» L’accusa era precisa e diretta.

«Tu sei ancora giovane, Twilight.» Disse Celestia, che finalmente aveva deciso di aprirsi. «Ci sono molte cose che ancora non comprendi su come si governa un regno, pertanto non posso spiegarti fino in fondo quanto sia stata difficile, ma necessaria la decisione che abbiamo preso. Mille anni fa, quando abbiamo compreso la potenza dell’Impero di Cristallo, abbiamo dovuto predisporre un piano d’emergenza nel caso in cui l’esercito di King Sombra avesse oltrepassato i confini delle Crystal Mountains e fosse penetrato nel nostro regno. Abbiamo scavato questa grotta e prelevato il suo prezioso tesoro, e da esso abbiamo forgiato le corazze che poi abbiamo deciso di celare qui dentro. Questa iniziativa venne ribattezzata la Guerra del Vello Oscuro, in riferimento al conflitto che sarebbe esploso se il mantello d’ombra del Tiranno si fosse esteso entro i nostri territori. Ma le cose sono andate diversamente: io e mia sorella ci recammo di persona alla Torre di Cristallo e combattemmo di persona il Re. Sombra era potente, usammo tutto il nostro potere per contrastare la sua magia oscura, ma alla fine Luna riuscì a esiliarlo insieme a tutto l’Impero di Cristallo.»

La Principessa della Notte non era felice di rievocare quegli eventi, che le ricordavano spiacevoli ricordi. In un certo senso era stato quell’evento a fare da preambolo per Nightmare Moon e i suoi crudeli propositi.

«Da allora ho cercato di dimenticarmi di questo posto, e anche fare in modo che la stessa Storia se ne dimenticasse, per dare inizio a un nuovo presente libero dalla guerra che per un soffio abbiamo evitato.»

Cercò Bibski, che ascoltava attentamente e sembrava comprendere le motivazioni della regnante.

«Stai pensando che abbia agito erroneamente?» Gli chiese e contrariamente alle aspettative lui non scosse la testa.

«No, hai fatto la cosa giusta pensando al bene del tuo popolo, anche se questo avrebbe costretto molti di loro a compiere un sacrificio estremo. Non ti biasimo per questo, posso capire le tue ragioni, quello che non approvo è la tua decisione di tenerlo nascosto alla maggior parte dei tuoi cittadini, a maggior ragione se pensiamo che all’epoca tu stessa eri la Custode di metà degli Elementi, tra cui quello dell’Onestà. Hai tradito il suo significato, avresti dovuto affrontare le conseguenze della tua decisione parlandone col tuo popolo, anche se questo avrebbe influito sulla stabilità del tuo regno.»

Celestia chiuse gli occhi e annuì. Nessuno osò ribattere l’affermazione dell’inventore, che era stato duro ma aveva espresso un pensiero esatto. I tempi erano cambiati nel corso di quei mille anni, la stabilità socio-politica del regno aveva garantito a lungo un periodo di pace e prosperità, i pony avrebbero accettato la verità del Vello Oscuro, immersi com’erano nell’ordinarietà delle loro vite. Ma ora quella verità doveva venire a galla. Una nuova guerra stava infuriando ed Equestria aveva di nuovo bisogno dell’Equestrium Diamantato.

«Ho visto abbastanza per quanto mi riguarda. Dobbiamo cominciare da subito, abbiamo un sacco di lavoro da fare! Voi pensate a procurarmi i pony che ci servono per mandare avanti i lavori, al reste penseremo noi!»

«Invierò un comunicato a tutte le città e ai loro distretti.» Disse Celestia collaborativa. «Occorreranno tre giorni.»

«Fai in modo di riuscirci entro quarantotto ore.»


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Il funerale delle vittime del Quarto Attacco si tenne in un’area fuori dalla Capitale, scelta per la sua conformazione pianeggiante. Purtroppo il numero di spoglie era superiore alle capacità dei cimiteri presenti entro le mura, e per giunta molti di questi erano stati profanati da Cyclop mentre imperversava sulla città.

Alla funzione presero parte quasi tutti i superstiti che si erano radunati a castello o nelle aree circostanti, oltre a numerosi pony accorsi dalle altre città di tutta Equestria per rendere omaggio alle vittime.

Cortei di parenti e amici in lacrime scorrevano per tutto il giorno mentre la salma dei loro cari defunti veniva condotta attraverso le innumerevoli tombe già scavate e posizionati nei loro loculi. Non era raro vedere puledrini rimasti orfani che andavano a dare l’ultimo saluto ai loro genitori, senza neanche comprendere del tutto cosa fosse successo, o casi in cui un singolo pony era costretto a veder seppellire tutta la sua famiglia, essendo l’unico superstite; in altri più estremi invece capitava pure che nessuno era lì per omaggiarli, perché nessuno nel nucleo familiare era rimasto vivo. Per questi pony il destino si era così accanito nel modo più crudele: nessuno avrebbe più trasmesso il  loro ricordo alle generazioni future, il loro nome si sarebbe confuso per sempre tra le migliaia di tombe tutte uguali di quel nuovo, gigantesco cimitero.

Celestia svolse la funzione recitando un omelia stanca e addolorata, avrebbe voluto dare l’ultimo saluto uno per uno a tutte le vittime, scusandosi personalmente con ciascuno di loro per la sua incompetenza, per non essere riuscita a proteggerli nel momento del bisogno. Avrebbe voluto, ma era impossibile sperare di compiere una simile impresa in tempi accettabili.

Gli scavi nel frattempo proseguivano in città e a ogni ora venivano portati alla luce nuovi corpi privi di vita.

La disperazione non dava tregua a nessuno, e se a castello i rifugiati riuscivano a condurre se non altro una vita dignitosa, lo stesso non si poteva dire per chi, per una ragione o l’altra era stato costretto a rimanere a Canterlot. Pony senza scrupoli privavano la gente dei loro averi entrando nelle loro abitazioni e rubandogli tutto, altri pativano la fame malgrado si facesse di tutto per fornir loro dei viveri. Molti, sopraffatti dagli eventi, decidevano di compiere un gesto estremo, convinti che questo avrebbe dato loro un po’ di sollievo.

Al funerale presero parte anche le Custodi degli Elementi (tutte eccetto Rainbow Dash e Fluttershy) e non si fecero mancare neppure Bibski Doss e i pony dell’ex-Reborn Technologies. Per tutti loro la funzione era anche un monito per la loro missione, che ora diventava la priorità per il futuro del regno; il fallimento avrebbe significato una replica di quanto stavano assistendo, e su scala ancora più estesa.

Le due pegaso invece si unirono alla cerimonia di commemorazione dell’Aviazione dei Grifoni, che si stava svolgendo poco più in là. Quei valorosi combattenti avevano sposato la causa dei pony e avevano dato la loro vita in una battaglia che non gli riguardava, per questo meritavano di dividere con loro lo stesso spazio.

Particolarmente toccante fu il momento in cui venne ricordata Gilda: Dash scoprì che la sua amica aveva un nipote, incredibilmente simile a lei, che venne chiamato a pronunciare un discorso che ricordasse il suo valore, esaltandone la carriera militare e le imprese in battaglia, ricordando come aveva domato il suo pessimo carattere per servire la sua gente. Di lei parlò anche di come erano soliti trascorrere il tempo insieme: lei era come una sorella per lui e se ne era presa cura fin da quando era ancora un pulcino, insegnandogli a volare e svezzandolo, mostrandogli la via da intraprendere per incontrare il rispetto degli Antichi Volatori.

Il suo becco e le sue piume fremevano a ogni singola parola, ma dall’inizio alla fine manifestò un contegno tipico della dinastia dei Grizelda, che se fosse stata viva Gilda avrebbe accolto con grande stima. Lei odiava i piagnistei, li considerava una forma di debolezza e un’ammissione della propria incapacità di affrontare le difficoltà della vita.

Per questo Rainbow Dash si sentì ancora più uno schifo quando cedette alla disperazione e si mise ad urlare al cielo e alla terra quanto fosse in pena per la sua perdita. Poco le importava che l’Elemento della Lealtà era tornato ad agganciarsi al suo petto e che quindi era tornata in pieno possesso delle sue integrità magiche, lei voleva riavere la sua amica, non le importava del suo ruolo di Custode.

Poco dopo cominciò il rituale di trapasso della cultura grifona. Al contrario dei pony i loro morti non venivano seppelliti. La terra per loro era solo un trampolino di lancio per il loro elemento naturale, l’Aria, e non si poteva pensare che un grifone dovesse trascorrere l’eternità confinato in quello spazio angusto. Per tale ragione i corpi dei grifoni venivano cremati. Solitamente quando il defunto era uno solo tutti quanti si stringevano intorno alla salma e guardavano le fiamme onorare il suo corpo del privilegio di tornare al cielo sotto forma di ceneri. Quando le fiamme si estinguevano, i resti carbonizzati che non erano ancora ascesi, venivano aiutati dallo sbattere d’ali degli altri grifoni, che le disperdevano fino a quando della pira non rimaneva più niente.

Quel giorno però le cose andarono in modo leggermente diverso. Troppi erano stati i caduti, e pensare di onorarli uno per ciascuno avrebbe richiesto del tempo che non si potevano permettere (su questo condividevano le stesse difficoltà dei pony), per tale ragione si decise per la cremazione di tutte le salme con un unico, grande rogo. Non era stata una decisione sacrilega, al contrario, in questo modo gli eroi che avevano combattuto insieme potevano allo stesso modo ascendere al regno degli Antichi ed essere celebrati come gli eroici squadroni che erano stati in vita.

Mentre le fiamme liberavano i loro spiriti, Dash, che si era calmata, fissava il proprio sguardo sulla salma dell’amica ritrovata. Voleva assicurarsi di assistere ad ogni singolo istante del trapasso, a costo che i suoi occhi bruciassero per il calore o per l’intensità del fuoco.

Fluttershy le si avvicinò con reverente silenzio, porgendole qualcosa: la piuma che aveva prima conservato e poi gettato a terra in uno scoppio d’ira. La pegaso arcobaleno non ci pensava nemmeno più, e la cosa le schiarì le idee aiutandola a riflettere: la cieca rabbia che le era cresciuta dentro era nociva e non poteva lasciare che prendesse il sopravvento, sviandola dal suo vero obbiettivo: distruggere tutti i Kaiju. Presto si sarebbe messa in moto la grande macchina di Bibski Doss, e allora avrebbe assaporato la sua vendetta. Fino ad allora avrebbe fatto la sua parte, anche se questo significava dover attendere dei mesi prima che si presentasse l’occasione.

Allungò il passo verso il rogo, avvicinandosi quanto più il calore le consentiva.

Gli altri grifoni la tenevano d’occhio lasciandola però fare, almeno fino a quando non avesse compiuto qualcosa di avventato. La pegaso invece compì l’atto più banale, ma più emblematico che potesse fare per rendere omaggio alla sua valorosa amica: gettò la sua piuma tra le fiamme purificatrici.

Il calore ne stropicciò le estremità e poi si prese tutto il resto, fino a quando non rimase che un granello di fuliggine, che l’aria calda innalzò in cielo disperdendola nel tempo.

Il nipote di Gilda, vedendo ciò che aveva fatto, le andò incontro, e finalmente dopo essersi trattenuto a lungo, si strinsero in un abbraccio e insieme si sfogarono per la sua dipartita.

Altri funerali vennero organizzati nel corso delle giornate seguenti, man mano che venivano scoperti nuovi corpi o recuperati quelli che erano deceduti nel corso dei giorni successivi, e non tutti videro la partecipazione delle Principesse. In alcuni casi i parenti delle vittime optavano per una funzione privata, e la loro volontà veniva rispettata senza reclami.


Nel frattempo presero l’avvio i lavori della messa in sicurezza della grotta, della riaccensione delle fornaci che avrebbero fuso le armature di Equestrium Diamantato magicamente trattate e della costruzione delle strutture che sarebbero diventate il centro operativo della squadra di Bibski Doss.

Ci furono molti volontari, tanti pony che si sentirono in dovere di fare la loro piccola parte affinché Equestria fosse pronta a contrattaccare i Kaiju al loro prossimo arrivo.

Era trascorsa una settimana e molte cose erano già state completate a un ritmo sorprendente.


Era trascorsa una settimana e Discord non aveva ancora ritrovato i suoi poteri.


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Capitolo 15
*** CAPITOLO 10: La Riunione ***


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CAPITOLO 10: La riunione

Quattro giorni trascorsi dal Quarto Attacco. Quattro giorni di ininterrotto via via, di scavi nella capitale, di corse al più vicino centro ospedaliero, Guardie Reali e civili volenterosi che lavoravano incessantemente per dare a tutti gli ospiti del castello i comfort che potevano, pony che raccoglievano le proprie cose per tornare in città, per poi capire che lassù, in cima alla montagna, era molto meglio restare che andare via, e la Grotta, la grotta che custodiva il segreto del Vello Oscuro, e che giorno per giorno veniva svuotata del suo contenuto, allargata, messa nelle condizioni di ospitare il più grande e significativo progetto della storia equestre.

Bibski Doss era stanco da morire, anche se il suo smisurato orgoglio non voleva darlo a vedere. Voleva dimostrare a tutti (e a se stesso prima di tutti) che era in grado di reggere la pressione che si era caricato addosso, ma la verità, specie quella che si esprime attraverso gli integerrimi messaggi del corpo, diceva che da lì a poco si sarebbe afflosciato come un palloncino sgonfio: gli occhi gli si socchiudevano mentre stava ancora diritto, e quando la sua mente era occupata in qualche processo, era difficile stabilire se la soluzione giungesse per zoccolo della sua mente cosciente, o se invece fosse qualche processo annidato nella recondità dei suoi sogni. Le zampe tremavano ed erano scosse da piccoli spasmi che un occhio poco attento non avrebbe notato, in quelle condizioni il suo corpo pesava cinque volte più del normale, e a volte, specie quando era da solo e nessuno stimolo esterno manteneva la sua attenzione viva e costante, gli capitava di inclinarsi in avanti spinto dal peso della sua testa e quasi a svenire, imprecando ogni volta che per poco non faceva la fine della tessera del domino. Per non parlare del fatto che il suo intero corpo dava dei chiari segni di rifiuto, di disagio profondo gridato come un minaccioso ultimatum e che si manifestava sotto forma di sudorazioni fredde e nausea, sia a stomaco vuoto che dopo i pasti, e un senso di vertigini come se si fosse rincorso la coda per dieci minuti abbondanti.

Per tutta la durata della sua permanenza a Canterlot, cioè da quando era rientrato alla base subito dopo aver visitato la Grotta e aver preso appunti sulle fasi che doveva mettere in moto, aveva fatto la spola da lì alla sede a Montestallone, coordinando il trasferimento di personale e materiale.

Per dare il via al Programma Rescue Equestria, così come aveva deciso di chiamarlo, si dovevano riattivare prima di tutto le fornaci situate in profondità nella montagna, vicine a dove ardeva ancora la camera magmatica che molti millenni prima aveva plasmato l’enorme obelisco roccioso, e in cui le armature in Equestrium Diamantato magicamente trattare sarebbero state fuse per ricavare la materia prima che sarebbe stata inviata al cantiere per la costruzione degli Jaeger. Ferro e altri metalli compatibili con le speciali proprietà dell’Equestrium, sarebbero stati disciolti per ricavare leghe che avrebbero garantito risorse durature per molti mesi a venire. Occorreva però stipulare accordi con le varie industrie metallurgiche del regno e delle nazioni vicine, e assumere fin da subito un numero sufficiente di personale per dare il via ai lavori senza accumulare ritardo già nei primi giorni. C’era bisogno di operai robusti per i compiti più impegnativi (specie alle condizioni estreme della camera magmatica) e di ingegneri capaci di leggere e di districarsi nei complicati schemi tecnici delle gigantesche macchine da guerra. Questo senza considerare l’astioso problema di quali coppie di piloti assegnare per ciascuna unità e di come fare per rendere gli Jaeger al cento per cento compatibili con le rispettive giumente. Per ognuno dei punti che iniziava a collegare, gli sembrava che un groviglio di biforcazioni si stendessero in tutte le direzioni per generare altri problemi ai quali avrebbe dovuto trovare il bandolo della matassa.

Si stropicciò gli occhi con uno zoccolo e si mise ad aspettare che le Custodi degli Elementi e le Principesse si sedessero al tavolo, intanto uno sbadiglio chiedeva il permesso di uscire, ma si trovò con le fauci serrate e l’ordine di tornare da dove fosse venuto.  

Erano all’interno di una grande sala da pranzo, più lunga di quanto non fosse ampia, e piena di decori che assolvevano in minore o maggiore misura al compito di dare un’estetica uniforme all’ambiente, Guardie Reali erano state incaricate di piantonare i due accessi principali e impedire a chiunque di entrare, in questo modo i presenti avrebbero potuto discutere con calma i vari punti della loro riunione, malgrado non si potesse fare a meno del vociare ininterrotto dei rifugiati che gremivano le altre sale.

Le ospiti della riunione presero posto guidate nella loro scelta dal caso, le sedie furono spostate con una flemma che si sarebbe potuta definire funerea, quasi come se l’atto di scavalcare il vocio di sottofondo avrebbe comportato l’espulsione seduta stante dalla sala, e un indaffarato Caps Lock armeggiava con un grande telo per le proiezioni che in un precedente momento era stato condotto in sala tramite il Ponte dei gemelli unicorno. Tutto questo mentre Bright trottava di qua e di là preso dalla noia per essere interpellato solo quando doveva fare da tramite con la base operativa (o per sollevare gli zoccoli quando c’era da prendere qualcuno a colpi sul muso).

Le Custodi apparivano provate e ben poco entusiaste di essere lì, almeno quanto lo era l’inventore, e come biasimarle di ciò? Solo due giorni prima si era tenuto il grande funerale cittadino, e le lacrime erano scese a rivoli fino a colorare le sclere di rosso. Se già questo non fosse sufficiente, essere allontanate da casa, allontanate da una quotidianità apparente ma rassicurante, costrette a combattere e poi a circondarsi di persone che a causa loro una casa non ce l’avevano più, aveva l’effetto di una febbre molto grave che ora dopo ora privava chi ne era infettato del desiderio di vivere. Esserci “già passate”, come continuavano a ripeterselo per allontanare il disagio, non le aiutava a venir fuori da quello stato di sconforto.

Applejack era quella che dava l’impressione di essere più in contatto con la realtà, i suoi occhi guizzavano lestamente, reagendo con curiosità alle stimolazioni visive, guardavano gli altri presenti, ciò che stavano facendo, con particolare curiosità alle apparecchiature tecnologiche manipolate dal tecnico informatico. Sembrava quasi in allarme, la giumenta, come se si aspettasse che da un momento all’altro dovesse succedere qualcosa. Tra tutte, era quella che si dava più da fare in città. Invece di alloggiare a castello con loro, in stanze separate dalla calca dei rifugiati, aveva trovato sistemazione in un accampamento di volontari della protezione civile giù in città, e per ringraziare le squadre di soccorso che gentilmente la stavano ospitando, ogni mattina si svegliava alle cinque in punto per preparare a tutti l’attrezzatura prima di unirsi a loro per un’uscita in città. C’era ancora molto da fare, e voleva essere una valida aiutante, non un peso, come invece avevano temuto i capi-squadra all’inizio. Quando poi rientravano da una giornata di scavi e di tensione psicologica elevatissima, si offriva anche di rimettere in ordine le loro cose mentre questi si concedevano un po’ di meritato riposo. Per lei la fatica era un concetto diverso da quello degli altri pony, quindi la giumenta dell’Onestà s’imponeva di occupare ogni ora della giornata possibile, e non era insolito che le altre Custodi non avessero sue notizie per delle giornate intere. Per Applejack quelle escursioni nelle rovine di Canterlot non servivano solo a cancellare i nomi da una lunga lista dei dispersi, era anche un modo per simulare quel bisogno di normalità che nel suo caso si esprimeva attraverso il lavoro fisico, ben diversamente dalle altre, che a parte impiegarsi in qualche mansione di carico leggero (o come Twilight che si era presa l’onere dell’organizzazione all’interno del castello) non avevano prospettive se non di aspettare. Ma aspettare che cosa, esattamente?

Caps Lock finì di allacciare i cablaggi e avviare il computer, questo era posto in un angolo del tavolo ed era alimentato da un piccolo generatore a cristalli magici, che da quando era stato acceso aveva cominciato ad ammettere un incessante brusio che ne attestava il corretto funzionamento. Per ultimo si assicurò che la prolunga del proiettore fosse inserita correttamente e che non desse fastidio per terra qualora qualcuno avesse deciso di passare. Quando tutto fu pronto, alzò lo zoccolo verso l’inventore per fargli cenno che potevano cominciare.

Bibski compì il gesto abitudinario di sistemarsi il casco dell’Equalizzatore, quindi prese fiato e iniziando a parlare: «Benvenuti a tutti e grazie per aver deciso di partecipare a questa prima riunione del futuro programma Rescue Equestria. Ringrazio anche le Principesse per averci concesso di usufruire di questa sala in via del tutto straordinaria. È infatti mio preciso desiderio che in futuro sia allestita una sala ad hoc direttamente alla Grotta, ma non è questo il momento di parlare di ciò.» Si stava dando un tono forzatamente ufficiale, che non combaciava con l’immagine che aveva dato di sé negli ultimi giorni. Ma nessuno ritenne fosse il caso di farglielo notare. «Confesso che sono stupito dell’assenza di Celestia, mi sarei aspettato che giungesse accompagnata da Voi, Princess Luna.»

Luna, che era stata invitata a sedersi a capotavola, sospirò sommessamente. «Non ti mentirò, la sua assenza ha sorpreso anche me. Immagino che avrà avuto le sue ragioni.» Scambiò allora un’occhiata con Twilight, che condivideva il suo stesso identico umore.

«Quindi devo concludere che non si unirà a noi? Se non è già qui allora non ha molto senso aspettarla, non trovate?» Fece cenno a Caps Lock di procedere e il tecnico informatico, attraverso il suo dispositivo, fece proiettare sul telo una rappresentazione dettagliata della mappa di Equestria. L’illuminazione della stanza, pensata chiaramente per altri scopi, non garantiva un’ottimale visualizzazione dell’immagine, ma anche in quel modo era più che sufficiente per assecondare i loro bisogni.

«Immagino che Sparkle vi abbia già informato su come stanno le cose, tuttavia ora faremo un po’ di mente locale, in modo da chiarire i dubbi e mettere in chiaro che da adesso in poi le cose si faranno con un certo criterio!»

Fece un altro cenno impercettibile a Caps Lock e sulla mappa comparvero evidenziate delle zone gialle e delle zone rosse, che indicavano rispettivamente il luogo di emersione e l’estensione dell’attività dei Kaiju. «Quello che abbiamo scoperto finora ci aiuta a pronosticare con un anticipo di poche ore la zona in cui è auspicabile che un mostro attaccherà, i Kaiju scavano sotto terra per spostarsi da un punto all’altro del regno, sfruttando all’occorrenza le caverne naturali presenti nel territorio. Questo si verificava soprattutto agli inizi della guerra, con i Kaiju Hermit, Desert Fox e The Rust che affioravano dalle principali catene montuose del regno. È interessante notare che i tre Kaiju avevano delle caratteristiche comuni tra loro, come la puntualità dei sei mesi, come se fossero “programmati” per attaccare entro quella cadenza temporale, ma non solo, che erano anche “attratti” dai grandi insediamenti urbani, e sembravano “imparare” dagli errori dei loro compagni caduti. The Rust era dotato di saliva acida, la prima vera arma di difesa che abbiamo potuto osservare in un Kaiju. Ma da quando è apparso Cyclop non ho potuto non pensare che c’era qualcosa di diverso in lui. Cyclop era imprevedibile, selvaggio, e oltre a questo era dotato di una resistenza che nessun altro Kaiju aveva mai eguagliato fino ad ora. Secondo voi perché?»

«Adattamento.» Pronunciò Twilight, consapevole della risposta.

«Adattamento.» Annuì Bibski. «Ma a che scopo? Sì, è vero che possiamo dire che lo fanno per “distruggerci”, ma dobbiamo porci anche altre domande, analizzare la situazione da punti di vista che non abbiamo considerato finora. “Cosa sono i Kaiju”? “Quali sono i loro scopi”? Piuttosto che chiedermi questo io preferisco domandarmi “Chi li manda”? So bene che questa frase potrebbe causare degli attacchi di scetticismo tra alcune di voi, ma credetemi se vi dico che ne sono convinto, le prove sono sotto i nostri occhi! Abbiamo visto che queste creature sono consapevoli della conformazione geologica del nostro sottosuolo, al punto che sanno individuare con precisione assoluta i centri abitati con maggior densità demografica, per di più, sono già in grado di annullare i nostri poteri magici, contrastando persino gli Elementi dell’Armonia, la nostra più grande arma e fino ad ora l’unica risorsa in grado di sconfiggerli.» Puntò lo sguardo a Fluttershy, che di risposta si ritrasse intimorita. «Fluttershy, tu che trascorri le tue giornate con gli animali, sapresti spiegare a questi pony il concetto di “evoluzione della specie”?»

La pegaso canarino, sentendosi un poco più sicura per essere stata interpellata nel suo campo d’interesse, rispose in maniera chiara ed eloquente: «Uhm… è una forma di adattamento tipica delle specie… che però si manifesta nel corso di diverse generazioni, tramite mutamenti casuali che possono rivelarsi più o meno funzionali alla sopravvivenza dell’individuo.» Sorrise con un cipiglio timido, come per chiedere se fosse stata brava, se avesse data la risposta corretta.

«Generazioni, ergo un lasso di tempo estremamente lungo.» Riprese l’inventore. «Quello che mi preoccupa è la modalità con cui questi cambiamenti si verificano: ogni nuovo Kaiju si adatta alle vostre strategie precedenti con una puntualità quasi artificiale: voi ne uccidete uno, e quello successivo si rivela un poco più resistente del precedente, voi sconfiggete pure quello, e il prossimo sviluppa la capacità di sospendere l’utilizzo degli Elementi dell’Armonia. È una forma di adattamento troppo repentina perché si verifichi in natura! Se anche si trattasse di un processo indotto, questo implicata per forza l’intervento di un Master, qualcuno dall’esterno, che controlla e muove i Kaiju a suo piacimento, e che fino ad ora non si è mai rivelato apertamente. Un nemico, direi, molto pericoloso, e che è in grado, attraverso le sue risorse, di contrastare persino il potere di una creatura come il vostro draconequus!»

Ripensare a Discord, che in quelle ore si stava sottoponendo a lunghi ed estenuanti cicli di analisi per capire come mai lui e i suoi poteri non fossero tornati come un tempo, fece ottenebrare i pensieri non soltanto di Fluttershy - che pure aveva le sue ragioni per sentirsi in quello stato - ma anche delle altre Custodi degli Elementi, soprattutto di quelle, come Rarity, che avevano provato sulla propria pelle l’orribile sensazione di essere private delle proprie abilità magiche.

«Non ho idea di quale possa essere la natura di questo fantomatico nemico, né quali siano i suoi scopi o del perché si serva dei Kaiju per raggiungerli. L’obbiettivo che dobbiamo porci, ora, è di trovare nuove informazioni che ci consentano di combattere i Kaiju giorno per giorno, e forse, si spera, di sconfiggerli definitivamente. Cyclop, da questo punto di vista, ci ha permesso di fare dei passi in avanti, ma navighiamo ancora in alto mare, se il nostro obbiettivo è di raggiungere la spiaggia.»

«Vorrei intervenire, se è possibile» Si fece sentire Luna, che fino a quel momento aveva solo assimilato informazioni che successivamente avrebbe dovuto riportare alla sorella assente.

«Prego Principessa, parlate pure.»

«C’è una cosa che non mi è chiara: avete installato in tutto il regno dei sismografi per monitorare l’attività delle creature. Non avete ricavato niente dai dati che avete raccolto?»

«La sismologia non è una scienza esatta.» Sospirò Bibski, ma era più probabile che fosse l’esitazione di uno sbadiglio. «È vero, noi siamo stati dei pionieri in questo campo, avendo creato da zero gran parte della strumentazione, ma ci sono ancora molti punti su cui non riusciamo a far luce. PERÒ… !» alzò la voce facendole sobbalzare tutte quante. «Siamo in grado di fare alcune ipotesi, anche se forse sarebbe il caso che vi metta in guardia: quello che vi sto per dire potrebbe mettervi in agitazione, confido nella vostra capacità di controllarvi.»

Si fecero più attente, Twilight si stava domandando se ci fosse qualcosa di cui non era ancora stata informata.

«Crediamo che la Everfree Forest, o per essere più chiari, il sottosuolo di quel settore possa essere in qualche maniera correlato alla comparsa dei mostri.»

Le reazioni non furono così sceniche come si sarebbe aspettato, non ci furono balzi dalla sedia, grida di terrore o bocche spalancate dalla sorpresa, era molto più simile alla notizia di un decesso improvviso avvenuto in famiglia.

Una per una si sentirono mancare qualcosa, chi il fiato, chi la terra sotto le zampe o il contatto con la realtà. Rainbow Dash sentì montare dentro di sé una rabbia incredula, e strinse dolorosamente lo zoccolo mentre lo nascondeva sotto il tavolo. Twilight, colta dall’impulso di alzarsi, si rese conto di non sapere per quale ragione lo avesse fatto. Fluttershy si era alienata dalla riunione, rapita e poi intrappolata in un abisso vorticante di paura, incapace di percepire il futuro a distanza di poche ore da quel momento, mentre era un mistero insondabile cosa stesse passando per la testa di Pinkie Pie in quel frangente.

Per quanto riguarda Applejack e Rarity, nell’istante in cui la notizia giunse alle loro orecchie il loro primo pensiero fu rivolto alle sorelline.

«D-dobbiamo fare qualcosa… avvisarli… dobbiamo tornare a Ponyville e dire a tutti quanti di… » Rarity cercò di mettere insieme le parole ma i suoi denti picchiettavano dal terrore.

«Calmatevi, ragazze. Ve l’ho detto, non ne siamo sicuri! Certo l’attività sismica registrata nel settore è un indizio importante, ma se dobbiamo giungere alla stessa considerazione ogni volta che un settore registra qualche scossa, allora dobbiamo concludere che l’attività dei Kaiju si sia estesa su tutta Equestria!»

«Però qualcosa di diverso deve esserci, o non avrebbe senso che tu ce lo dica!» Intervenne Twilight, in tensione.

«Corretto, Sparkle, ma prendete questa cosa con i dovuti criteri. Quello che abbiamo dedotto, semplicemente, è che se i Kaiju hanno davvero tutti la stessa origine, questa deve trovarsi per forza in un punto da cui è possibile raggiungere facilmente ogni altra località di Equestria. Se pensate poi che le recenti attività sismiche hanno coinvolto, guarda caso, Ponyville e la Everfree Forest è facile trarre delle conclusioni su quale possa essere l’epicentro della loro origine!»

Nella gola di Twilight si udì lo schiocco di una deglutizione rumorosa, se veramente la Everfree Forest era implicata nell’apparizione dei Kaiju, così come ipotizzato dall’inventore, sarebbe bastato un niente, un semplice Sentiero, una passeggiata di campagna per obliterare per sempre Ponyville dalla storia.

Ponyville. La loro casa. Le loro famiglie.

«Comunque in mancanza di prove inconfutabili è meglio se non vi preoccupiate prematuramente. Presto la nuova sala di controllo all’interno delle Grotta sarà operativa, e da lì Caps Lock e Sound Aura avranno gli occhi puntati su tutti i settori.»

«Però dovremo rimuovere i filtri anti-segnale usati per celare i movimenti dell’Ursa Major nel Ventinove.» Puntualizzò Caps dal suo posto a sedere.

«Mi sembra ovvio che lo dovete fare.»

«Quello che intendo è che potremmo incorrere in un falso positivo se i rilevatori scambiassero i suoi movimenti per quelli di un’eventuale attività dei Kaiju.»

«Allora trovate il modo di isolarli senza compromettere l’efficienza dei rilevatori! Piuttosto direi che è arrivato il momento di affrontare quell’altro argomento, manda in visione gli schemi, Caps.»

Il tecnico informatico eseguì l’ordine e sullo schermo si materializzarono degli schemi tecnici. Questi erano più precisi e dettagliati di quelli abbozzati su foglio che erano stati mostrati a Twilight e Celestia, ed erano ricchi di tanti piccoli particolari che per essere studiati fino in fondo avrebbe dovuto essere zoomati e poi analizzati centimetro per centimetro.

«Se ve lo state domandando, la risposta è sì: questi sono gli Jaeger che dovrete pilotare.»

«Pilotare… » mormorò Applejack sommessamente.

«A tempo debito ad ognuna di voi sarà consegnato un manuale nel quale troverete tutto ciò che dovrete sapere sul vostro rispettivo Jaeger. Sarà di estrema importanza che voi lo leggiate da cima a fondo e impariate ad interagire con i comandi. Vostra sarà la responsabilità non solo di difendere il regno dai prossimi attacchi, ma anche di pensare alle condizioni del vostro mezzo. Non mi pare il caso di distruggerli alla prima battaglia, o saremo di nuovo punto e a capo.»

Di una cosa era sicura Twilight: avrebbe letto quel manuale, anche se non poteva garantire lo stesso delle altre Custodi. C’era però un'altra domanda che le premeva chiedere. «Non stai trascurando qualcosa Doss? Come faremo a pilotare le macchine, ce lo spieghi?» Aveva condiviso un pensiero comune.

Nel mentre Fluttershy stava farfugliando: «Io non voglio entrare lì dentro, non esiste!»

«Beh, a questa domanda risponderà il buon Bright. Bright, a te il microfono.»

L’unicorno alto dovette raddrizzare il suo garrese, non se lo aspettava. Aveva in serbo un discorso che si era preparato mentalmente durante l’attesa, ma la repentinità con cui tutto era successo lo fece incespicare per un breve istante «I vostri dubbi sono leciti… infatti vi verrà richiesto uno sforzo non indifferente per governare le macchine, che non risponderanno tempestivamente ai vostri comandi, almeno non all’inizio. In aggiunta dovrete combattere, e se pensate che gli scontri che affronterete siano simili alle battaglie che avete superato in passato, mi spiace ma dovrete ricredervi.»

Nessuna di loro lo stava pensando, ad eccezione forse della pegaso arcobaleno.

«Quindi» continuò Bright, ritrovando il suo copione «dovrete imparare a fare vostra l’arte del combattimento corpo a corpo. Sarò io il vostro allenatore per tutta la durata dell’addestramento, e vi seguirò passo per passo fino a quando non avrete imparato a padroneggiare alla perfezione controlli degli Jaeger!»

Rarity provò un brivido di tensione. «Ci sarà consentito usare la magia?»

Bright scosse la testa. «Non direttamente. Come vedrete nei manuali che in futuro Bibski vi consegnerà, gli Jaeger saranno dotati un equipaggiamento di armi pesanti che farà le veci dei colpi magici dirompenti e di altri simili incantesimi, ma si tratterà sempre di armamenti pesanti, che necessiteranno di ricariche e di carrelli che portino in posizione i successivi colpi a sparare.»

La stilista registrò le informazioni fingendo di capire, anche se in realtà qualcosa da dentro l’orecchio le mormorava che sarebbe stato molto più complicato di così, e la cosa non la confortò.

«E come intendi fare?» Chiese in maniera diretta e pragmatica Applejack. «Io devo pensare anche alla fattoria. Sentirti parlare di addestramento mi dà l’idea di qualcosa che non si concluderà in tempi brevi!»

«No, infatti.» Rispose l’unicorno alto. «E questa forse potrebbe essere la parte più difficile per voi…»

«Difficile ma necessaria, vorrei sottolineare.» Fece eco Bibski, celere a mettere in chiaro le cose prima che l’amico riveli la notizia.

L’unicorno alto emise un sospiro mentre soppesava l’impazienza delle Custodi. «Dovrete restare qui.» Disse d’un fiato. «Dovrete sottoporvi a un allenamento rigido e quotidiano, e dovrò seguire di persona i vostri progressi, passo per passo.»

Un altro duro colpo che dovettero affrontare in silenzio. Tirarsi indietro non era possibile, anche perché se erano arrivati a questo punto, significava che le alternative erano già state scartate.

Fluttershy cominciò a piangere riempiendo di singhiozzi la sala, e le sue amiche furono costrette ad avvicinarsi per cercare di consolarla, Pinkie Pie le accarezzò dolcemente la criniera, nascondendo il fatto che sotto sotto anche lei aveva una lacrima che le brillava da un angolo dell’occhio. Ma non era questo che impensieriva maggiormente gli interessati: sapevano bene che se per quattro di loro era ancora possibile staccare dalle loro attività a Ponyville per dedicarsi all’addestramento, ben altra cosa sarebbe stata invece per le rappresentanti dell’Onestà e della Generosità.

La cowgirl si tolse il desperado e lo adagiò al tavolo per dare fiato ai suoi pensieri. «Suppongo che dovrò chiedere a Big Mac e a Granny Smith di fare anche la mia parte.»

Applejack la prese meglio del previsto, in un modo che stupì persino lei stessa. Per Rarity fu invece un colpo molto più duro. Al contrario dell’amica, lei non aveva nessuno che la sostituisse, non aveva un’assistente, una manager che la aiutasse con in sua assenza e si occupasse delle commesse più difficili (altrimenti sarebbe stato semplice chiedere a sua madre di farle un favore), anche se in certe occasione le era balenato il pensiero di espandersi in altre città e assumere una giumenta di fiducia, ma non di questi tempi, non nell’Equestria minacciata dai Kaiju.

E ultimamente sembrava che la sfortuna si fosse abbattuta su di lei. Gli ordini per le serate mondane a Canterlot erano una delle sue principali fonti di rendita, e qualcosa le diceva che ci sarebbe voluto un bel po’ prima che un nuovo cliente bussasse alla sua porta. E non bastava avere quasi perso la sua magia, un requisito quanto mai fondamentale per il suo lavoro, ora le stavano dicendo che doveva allontanarsi da lì per un tempo indefinito, salire a bordo di rozze macchine di metallo per pilotarle in chissà quale maniera e combattere contro dei mostri che ad ogni nuova apparizione cambiavano la carta topografica di una città!

Le sue amiche la fissavano preoccupate, capendo benissimo quale fosse il suo disagio, e nel frattempo lei pensava agli ordini che aveva lasciato in sospeso, ai clienti che stavano aspettando di ricevere sue notizie, ai conti da pagare… a Sweetie Belle, la sua sorellina.

«Immagino che da questa… “cosa” della battaglia… io non possa astenermi…» Represse lo stimolo di precipitare nell’isteria.

Bibski scosse la testa in un ampio cenno negativo. «Avremo bisogno di tutte quante voi per far funzionare gli Jaeger. L’astensione non è un’opzione.»

Aveva mentito quindi, Twilight ne era sicura. Ricordava bene che in un’altra occasione aveva dichiarato il contrario, dicendo che potevano esserci delle soluzioni di ripiego, macchine controllate da singoli Elementi, per esempio. Doss era un doppiogiochista, uno scaltro burattinaio che sapeva come orchestrare le conversazioni per portare tutti quanti dalla sua parte. Riprese ad odiarlo, proprio quando cominciava a pensare di aver localizzato un baluginio di bontà nel suo animo.

«Direi che non abbiamo altro da dirci. Ci aspettano tempi difficili, e conto sull’impegno di ciascuno di voi affinché il programma Rescue Equestria proceda senza intoppi. Domani mattina dovete farvi trovare al campo d’addestramento delle mura di Canterlot, vi verranno forniti degli alloggi nella caserma delle Guardie Cittadine. Questa sarà solo una sistemazione momentanea fino a quando non saranno pronte le vostre nuove stanze direttamente alla Grotta. Ovviamente, rinnovando il ringraziamento alle Principesse per aver messo a disposizione gli alloggi.»

Quindi non avrebbero più dormito lì a Castello, Applejack si chiese se ci fosse almeno modo, per lei, di rimanere e collaborare con la protezione civile.

L’inventore stava per dare a Caps Lock l’ordine di cominciare a spegnere tutto quanto, quando Rarity gli domandò: «Posso almeno… tornare a Ponyville e abbassare le saracinesche del mio negozio?»

Stava avvenendo tutto così in fretta, e la stilista non era la sola a volere che fosse assecondata quella richiesta.

Forse sarà stato il timbro di voce, che per poco non era rotto dal pianto, o i truci sguardi dei presenti, che lo fissavano come per colpevolizzarlo, che fecero cigolare i cardini delle sue difese, Bibski Doss si sentì come dinanzi alla corte marziale, colpevole come un criminale di guerra.

«Naturalmente.» Acconsentì, e chiese a Bright di rimandarlo a Montestallone attraverso un Ponte, senza aggiungere altro.

Princess Celestia non si assentava mai dagli incontri, mai. Che si trattasse di ricevere i delegati di una nazione straniera per discutere di proficui accordi commerciali, o risolvere innocenti contese tra due gelatai, che avevano aperto nella stessa via a pochi passi di distanza (fatto realmente avvenuto), la Principessa del Sole era sempre pronta a garantire la sua presenza in qualunque circostanza, ed era stato così dagli inizi, dall’alba del suo impero sorto secoli fa. Per questo destava ancora più preoccupazione la sua assenza alla riunione.

Luna e Twilight si chiesero dove fosse finita, e preoccupate per lei, a fronte anche delle evidenti difficoltà emotive che aveva manifestato negli ultimi giorni (in cima alla lista: il funerale cittadino a cui aveva dovuto presenziare), cominciarono a cercarla dentro le stanze che costituivano la planimetria del castello. La prima tappa, la più scontata, fu dentro la sala del trono, che trovarono deserta, se non per la fenice Filomena, che posava mogia e leggermente incupita sul suo trespolo.

I cocci di vetro delle finestre infrante erano stati ripuliti da terra e una squadra di operai aveva già sostituito le vetrate commemorative con altre lastre di vetro colorato, i cui motivi raffiguravano però solo onde e riflessi astratti.

Realizzando che non era lì, le due Principesse si recarono allora nella stanza da letto privata dell’alicorno bianco. La trovarono ordinata e con lenzuola e coperte perfettamente distese lungo gli angoli del materasso.

«Aspetta, cos’è quello?» Fece Twilight notando qualcosa che scintillava, illuminato debolmente da qualche raggio di sole filtrato dalla finestra, e che stava appoggiato su un piccolo mobile lungo la parete opposta.

Rimasero confuse e interdette quando realizzarono che si trattava niente di meno che della stessa corona della Principessa!

La preoccupazione divenne quindi panico in una frazione di secondo e le due decisero per scelta unanime di dividersi per battere tutte le aree del castello più in fretta che potevano.

Twilight scese persino nell’atrio e nelle varie sale dove erano alloggiati i sopravvissuti alla catastrofe e perse più di mezz’ora a chiedere a chiunque le capitava sotto zampa se avessero notizie della regnante. Nessuno però, né Guardie Reali né Cittadine, né civili né soccorritori avevano qualcosa da riferire.

Sentendosi montare un timore ancora più intenso, allora, decise anzitutto di riunirsi a Luna, quindi stabilirono che sarebbero uscite e avrebbero tentato di cercarla all’aperto. Se anche quella ricerca si sarebbe rivelata un buco nell’acqua, allora avrebbero diramato un allarme generale, e a quel punto tutta la gendarmeria delle Guardie Reali si sarebbe messa in movimento per trovarla.

Per fortuna, o per volontà del caso, non ebbero bisogno di arrivare a tanto. La trovarono poco dopo essersi riunite, proprio quando ormai stavano per perdere le speranze. Non si era nascosta in una stanza segreta del castello, né le era successo niente che potesse far insorgere il dubbio che le fosse capitato un incidente, si era semplicemente isolata in un’area del castello poco frequentata dagli occupanti, in un corridoio che dava verso una stanza che Luna stessa non ricordava se fosse una sala per il tè o uno studio, perché non vi era entrata da tempo.

Celestia stava di fronte a una finestra che dava a un’ampia veduta di Canterlot. Non era la prima volta che la Principessa si perdeva in quello scrutare, addolorata dallo stato in cui Cyclop aveva ridotto la sua città, ma stavolta c’era qualcosa di profondamente diverso in lei, e se prima Twilight Sparkle aveva lottato fino allo stremo per contenere l’agitazione per la sua scomparsa, stavolta non poté fare a meno di cacciare un urlo che scandiva a caratteri netti i suoi pensieri scombussolati: «Princess Celestia, la vostra criniera?!»

Celestia voltò dolcemente lo sguardo verso di lei, il suo viso era calmo e sembrava non stesse aspettando altro che di farsi trovare da loro. La sua criniera era tornata a una tonalità di rosa opaco monocromatico, priva di tutte quelle sfaccettature che erano i colori del cielo, dell’alba e del tramonto, e non ondeggiavano più come fossero sospinti da un venticello magico che vi soffiava contro. Erano anni che l’alicorno bianco non si mostrava in quell’aspetto, così tanti che quella forma aveva ormai assunto i connotati di una leggenda, e lo sarebbe stata in effetti, se solo qualche anno prima le Custodi non avessero sconfitto Nightmare Moon, liberando Princess Luna dal suo maleficio. Ai tempi anche la Principessa della Notte aveva lo stesso taglio di criniera, liscio e pendente, privo dell’impressione magica che caratterizzava i crini delle regnanti di Equestria.

«Sorella, che cosa hai fatto…» esclamò Luna in maniera retorica. In realtà sapeva benissimo che cosa le era successo: aveva rinunciato al suo trono. Solo quando un alicorno si assume le responsabilità di diventare un pilastro per la stabilità dell’Armonia, la sua criniera si carica di quell’aura di potere divenendo ciò che è ben noto. Non a caso Princess Cadance, che regnava unicamente sull’Impero di Cristallo, presentava ancora dei crini normali, e Twilight, che non aveva altro se non il titolo di Principessa, era nella stessa situazione.

La Principessa dell’Armonia era letteralmente priva di parole mentre Luna si avvicinava preoccupata alla sorella, cercando con uno zoccolo di tastare le sue ciocche inerti e soggette alla gravità.

«So che cosa state pensando, posso solo immaginare che cosa significhi trovarvi dinanzi a questo.» Celestia parlava come al solito con la sua tipica impostazione solenne, dimostrando una calma sorprendente dinanzi al loro stupore, e questo non lasciava presagire nulla di incoraggiante.

«Celestia, no… non parlare come se volessi… spiegaci» la supplicò la sorella in pena «spiegaci che cosa ti sta succedendo! Non è da te lasciarti andare così! Perché non ti sei unita alla riunione? E perché non indossi più la corona?! Non è questo l’atteggiamento che mi aspetto da mia sorella!»

«È proprio questo il punto.» Rispose lei, mestamente. «Ho regnato su questa terra per secoli, prendendo a cuore i problemi e le richieste di tutti i miei sudditi. Ho cercato di assecondare il loro desiderio di una vita allegra e spensierata, lontana dalle minacce che hanno infuriato più di mille anni fa. Come un carro trasportatore, ho condotto Equestria e le sue molteplici razze nel cammino del sole, lasciando dietro di me una traccia, una scia di ricordi, di ciò che era successo con Sombra, con Discord… con te.» Giunta a quel punto chiuse gli occhi per un momento, affranta. «Divennero miti, divennero racconti, cantiche. E io ho giurato che avrei dato tutta me stessa per proteggere quei pony che vivevano felici e privi di preoccupazioni, grazie alla mia ala protettrice e ai poteri donatimi secoli fa dalla corona di regnante. Ed ora… » si voltò dall’altra parte, verso la finestra. Si vergognava di mostrare il suo volto, che tuttavia restava visibile nel riflesso appena accennato del vetro, stava piangendo. «Ora quel giuramento è stato infranto.»

«Ma non è stata colpa tua, Cel! Quante volte devo dirti che ti sei presa in carico responsabilità che nessuno ti ha attribuito! Hai affrontato il Kaiju, lo hai sconfitto!»

«Lo abbiamo sconfitto.» La corresse duramente, girandosi di nuovo, e questa volta c’era come una specie di ira nei suoi occhi. «Grifoni, Pegasi, Unicorni! E le nostre ragazze, Twilight e le sue amiche! Sono scesi in campo e hanno affrontato il mostro pur sapendo il pericolo che correvano! Non hanno esitato, come al contrario ho fatto io!»

«Hanno soltanto eseguito il piano! Il tuo piano! Un piano che tu stessa avevi congeniato, e che ha portato alla salvezza migliaia di pony!»

«E migliaia ne sono morti… »

«E che cosa dovrei dire io?!» Puntò le zampe Luna. «Non sono stata da meno, dormivo mentre Canterlot stava sprofondando! Ho realizzato cosa stesse succedendo quando il disastro era già avvenuto! Ma non per questo mi privo di questa corona, anzi! Credo che la gente di Canterlot abbia bisogno di vedere che le sue Principesse sono ancora al loro posto, che sono pronte a sostenerli nei tempi dannati che ci aspettano!»

«Non capisci, Luna.» Fece di risposta l’alicorno bianco, mormorando quasi tra sé e sé.

«Certo che non capisco! Non ti stai spiegando, parli di cose che non hanno alcun senso!»

«Non è mia intenzione abbandonare i pony che chiedono disperatamente aiuto laggiù, al contrario ora mi sento più motivata che mai a fare ciò che ritengo sia giusto, vale a dire scendere e mischiarmi a loro, offrire le mie capacità, ma come una loro pari rango.»

«E per quanto riguarda il regno, le relazioni diplomatiche con le altre nazioni? Come farò a levare sia la Luna che il Sole da sola? Io non sono te, Cel, non sono in grado di prendermi in carico tante responsabilità… preferirei non dirlo, ma non sono alla tua altezza!»

Celestia rimuginò in silenzio per qualche secondo, quasi come se volesse ripensarci, e alla fine disse: «Potrai sempre rivolgerti a me quando ne avrai bisogno, e per quanto riguarda l’alternanza del dì e della notte, continuerò ad assolvere al ruolo di guardiana delle ore di luce.» Poi si fermò, la sua attenzione puntò alla sua ex-studentessa Twilight, che non era stata in grado di emettere suono per tutta la durata della conversazione.

La Principessa dell’Armonia sembrava essere sospesa nel tempo, estraniata dallo scorrere delle lancette, questo perché la notizia che aveva appreso era troppo sconvolgente per accettare che stesse succedendo per davvero. Celestia, Princess Celestia, la Principessa del Sole, era ferma nella sua decisione e voleva andare fino in fondo, rinunciare al suo titolo. Twilight si chiese se fosse possibile farlo, se anche lei potesse decidere un giorno di gettare in un angolo la corona e tornare alla vita da bibliotecaria di un tempo. Si era sempre detta che doveva accettare il cammino che l’aveva portata a quella condizione, ma se anche la stessa Celestia stava scegliendo di denudarsi da quella responsabilità, allora…

«Twilight…»Le sorrise con amore l’alicorno bianco.

«Princess Celestia, voi… »

«Celestia. Solo Celestia, mi dolce Twilight.» Quella che fino un’ora prima avrebbe chiamato Princess Celestia le accarezzò la guancia con uno zoccolo, e solo in quel momento l’alicorno viola si rese conto che non si era denudata solo della sua corona, ma anche degli accessori dorati che abitualmente indossava, i calzazoccoli e la collana. «Quelli che vi attendono sono tempi oscuri, più oscuri di qualsiasi altra minaccia abbia mai valicato i confini della nostra Equestria, ora ne comprendo la reale entità. Quello che vi chiedo, come Custodi degli Elementi dell’Armonia e amiche, è di restare sempre unite. Non permettete che le difficoltà che vi attendono in futuro danneggino la vostra unione.»

«No, Celestia… anche se non approvo la vostra… la tua decisione… proteggeremo la nostra terra fino alla fine dei giorni… » piangeva sia lacrime di commozione che di pietà, contenta di vedere che la sua ex-maestra… no, la sua Maestra aveva trovato una maniera per espiare il rimorso che la rodeva, ma nello stesso momento era sopraffatta dall’ira, al solo pensare quanto la guerra contro i Kaiju stesse modificando radicalmente le loro vite.

Cosa sarebbe successo se dunque Hermit non avesse attraversato per la prima volta Manehattan, come sarebbero andate le cose? Il pianto crebbe d’intensità.

«Luna» Ora l’alicorno senza corona guardò per un intenso momento la sorella dal manto scuro. «Sii una guida per questi pony come lo sono stata io, e non commettere i miei stessi errori, non sottovalutare le forze che ci minacciano.»

Luna, per quanto si sforzasse di accettare la volontà di sua sorella, covava ancora dei sentimenti di ribellione, il desiderio di convincerla a tornare sui suoi passi. «Come devo comportarmi con il programma Rescue Equestria? Io non conosco quei pony come li conosci tu.»

«Lascia che sia Bibski ad occuparsene. Sotto la sua guida il regno vivrà.»

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Rarity fu fatta scendere nello spiazzo innevato di fronte alla Carousel Boutique, da una carrozza col tetto coperto che l’aveva tenuta al riparo dal freddo pungente. Era tardo pomeriggio ed era intorpidita dalle lunghe ore di trasporto, perciò non appena ebbe toccato terra con le zampe si sgranchì le ossa e i muscoli, accorgendosi di quanto Ponyville le sembrasse estranea dopo che per quattro giorni le macerie di Canterlot erano state la sua vista predominante.

Non c’era molta gente in giro a quell’ora, nonostante le lingue del sole al tramonto stavano ancora illuminando i contorni del villaggio.

L’aria era gelida, anche se non nevicava più, e dalla sua bocca uscivano ampi sbuffi di condensa, forse era per questo che molti abitanti di Ponyville avevano scelto di rifugiarsi nel torpore delle loro residenze, coccolati dal fuocherello di un camino e con la pia illusione di essere al sicuro.

Con un inchino appena accennato, indicò ai due stalloni della carrozza di potersi avviare, questi ripartirono dopo essersi riassestati nelle briglie e nella pesante veste protettiva che li proteggeva dal vento, e ripresero il volo per tornare al luogo di partenza.

Rarity era stata l’ultima a scendere, ma quella carrozza fino a un’ora prima era affollata di tutte e sei le Custodi, che una ad una erano state fatte scendere alle loro rispettive abitazioni. Ognuna di loro aveva qualcosa da chiarire, un programma in sospeso, qualcuno con cui parlare prima che la stessa carrozza tornasse, il giorno successivo, a reclamarle tutte quante, per trasferirle in pianta stabile sulla cima della montagna di Canterlot.

La stilista si affrettò a entrare nel suo negozio, che fungeva anche da abitazione. Girò la chiave nella toppa e non appena entrò fu abbracciata da un profumo rassicurante che solo nella sua proprietà poteva annusare, quello del sapone, dei fiori e del tessuto fresco di pulito. Improvvisamente si sentì commossa e l’emozione ebbe un effetto sui suoi occhi, che si inumidirono dalla felicità. Le mancava tutto ciò, gli strumenti per il taglio e cucito, i suoi manichini, gli appendiabiti e i separé per provare i modelli.

Il negozio era stato lasciato in disordine a causa della repentina partenza, e qualche piccolo ragno abusivo aveva approfittato dell’assenza della padrona di casa per tessere la sua tela e rivendicare il suo angolo di territorio, ma questo non urtò minimamente la giumenta, che anzi trovò quel disordine così amichevole e così affettuoso che decise che non avrebbe fatto alcuno sforzo per rimettere le cose a posto, si sarebbe limitata a salire in camera sua, aprire una valigia (“Meglio due” pensò) e riempire con tutto l’essenziale che le sarebbe occorso per trascorrere il resto dei mesi lontano da casa. Poi si sarebbe vestita per bene – un’ottima occasione per sfoggiare qualche completo invernale tra quelli preparati di recente – e sarebbe uscita per la volta dei suoi genitori, che di recente avevano preso una villetta in zona e dove la sorellina era stata ospitata durante la sua assenza. Avrebbe parlato loro, sì, avrebbe spiegato la situazione per filo e per segno se già non ne fossero informati, e insieme sarebbero usciti fuori a cena… no! Avrebbe portato tutte quante fuori a cena! Un pasto offerto da lei, invitando le Custodi e le Cutie Mark Crusaders al completo! Sarebbe stata un’ultima cena coi controfiocchi, un ultimo momento felice, prima di entrare nel vivo della guerra.

Era un piano così perfetto nella sua forma e nel suo concepimento che Rarity era sicura, niente avrebbe potuto ostacolarne la riuscita. Ma poi, proprio mentre si accingeva a salire le scale che l’avrebbero portata al piano di sopra, qualcuno bussò alla porta del suo negozio.

Chi poteva essere, così su due zampe? La sorellina tornata da sola dopo aver appreso del suo rientro? Una vicina di casa incuriosita dalla luce accesa in casa? Aprì fiduciosa, e si trovò dinanzi qualcuno che non avrebbe mai, MAI pensato di rivedere, e che mai avrebbe  voluto.

«Miss Rarity, devo dire che mi ha proprio delusa!»

Era Silly Turnip, avviluppata in un pesante giaccone invernale che le accentuava ancora di più, se possibile, le forme già di per sé strabordanti.

Per il doppio shock subìto, l’accusa che le aveva rivolto e la sorpresa nel vederla riemergere così d’improvviso nella sua vita, la stilista riuscì a stento a sbattere gli occhi bloccata in un mutismo pressoché totale.

«Ero così entusiasta di fare la sua conoscenza dopo aver sentito quale fama girasse su di lei… » l’obesa pony entrò in casa senza nemmeno domandarsi se era stata invitata, e Rarity, presa in controzoccolo, le aveva concesso di riporre il suo giaccone su una gruccetta «… così, nonostante mi avesse praticamente sbattuto la porta in faccia, ho deciso di darle tutta la mia fiducia e lasciare, come dire, che il genio si mettesse al lavoro.» Si azzittì e sulla sua faccia si delineò una smorfia disgustosa, qualcosa che somigliava più al grugno di un suino che non a una giumenta dalle nobili origini, come soleva dichiarare lei. «INVECE SCOPRO CHE NON È ALTRO CHE UNA CIARLATANA IMBROGLIONA, UNA STRACCIVENDOLA DI SECONDO ZOCCOLO!!»

Urlò, e una striscia di saliva appiccicosa frustò la guancia della Custode della Generosità.

Rarity era attonita.

«Di cosa sta parlando, Signora… ?» Chiese nel suo tono più gentile.

«Le ripeto che sono signorina! E così vedo che ha anche la memoria corta oltre che la coda di paglia!» Un occhio le uscì fuori dall’orbita e la guardò di sghimbescio. «L’abito che le avevo ordinato, Miss! Quello per il ricevimento!» L’ultimo “Miss” vibrò come se dovesse celare una grave offesa.

«L’abito… » mormorò Rarity. “Quell’abito! Quel dannato abito dalle misure praticamente irrealizzabili!” Si ricordò in quel momento.

«Già, l’abito! Io l’ho atteso con grandi aspettative quello! Mi aveva giurato che mi avrebbe reso una celebrità tra la folla, una vera Principessa! Immagini la mia sorpresa quando mi sono recata al suo negozio e ho scoperto che non c’era!»

«Lei… si è presentata al negozio… ?»

«Tutti i giorni alla stessa ora per sei giorni di fila, aspettando speranzosa di trovarlo aperto!»

Rarity tentò allora di giocare la carta dell’onestà. «Vede, è che c’è stato un contrattempo improvviso. Immagino che avrà sentito cos…»

«NON MI INTERESSANO LE SUE SCUSE!» Sbraitò ancora più forte, era un’autentica furia. «Si era presa un impegno con me! Gli accordi verbali tra cliente e venditore sono come un contratto scritto, e devono essere onorati!»

«Lo so, sono assolutamente d’accordo con lei, ma come ben sa Canter…»

«E adesso invece che cosa porterò al ricevimento, COSA?! Un bel niente, e lei lo sa perché? Eh?! Lo sa?! Me lo dica!»

«Se soltanto mi lasciasse spiegare sono certa che…»

«Sei giorni! Sei giorni che la aspetto! Il ricevimento doveva essere entro tre giorni, mi era parso di essere molto chiara su questo! E qualcosa mi dice che non l’ha nemmeno terminato il mio abito, eh?! L’ha terminato o no?!?»

«No, signorina Turnip… » Rispose lei mortificata e in colpa.

Era assurdo. Davvero la grassa giumenta non sapeva niente del Quarto Attacco? Ponyville era un piccolo villaggio campestre, il progresso tecnologico arrancava ad imprimersi nella vita dei suoi abitanti, ma le notizie circolavano. Dovevano circolare! La gente doveva sapere che la loro capitale era stata rasa al suolo da quella stessa minaccia che faceva tremare la terra sotto i loro zoccoli da mesi! Erano passati quattro giorni dal disastro, due dal grande funerale, e a quella veglia avevano partecipato pony proveniente da tutti gli angoli del regno! Era impensabile che una cittadina o anche solo un piccolo villaggio di agricoltori fosse rimasto isolato a tal punto da non aver captato neppure una piccola, raminga notizia dalla bocca di qualcuno più informato di loro!

Eppure così pareva per Silly Turnip, che sembrava preoccuparsi solo del suo ricevimento. Forse di ricevimenti ce ne sarebbero stati, con il senno di poi, ma non del tipo che avrebbe fatto piacere alla corpulenta equina.

Rarity radunò in sé tutta l’eleganza, tutta la professionalità che sentiva le rimanevano in corpo, nascondendo sotto un’apparenza di composto autocontrollo le palpitazioni che le stavano martellando il petto e l’irritazione che scendeva fino all’ultimo ciuffo di pelliccia dei suoi zoccoli. “Possibile che non abbia neppure visto il fumo che si levava dalla montagna?” pensò per un ultimo istante prima di parlare.

«Mi rincresce davvero per il disagio che le ho arrecato, signorina Turnip. Non ho scusanti per questo e devo riconoscere le sue ragioni. Sono certa che lei, in quanto pony di ceto elevato possa capire che alle volte gli imprevisti possono capitare anche ai migliori, ma mi creda signorina, in futuro le assicuro che sarò degna della sua fiducia, la renderò la pony più felice di tutta Equestria!» “Ammesso che esisterà ancora”. Pensò, augurandosi che la lusinga fosse riuscita ad imbonire la sgradevole cliente. In effetti Silly Turnip mutò di un paio di rughe la sua espressione, ed ora sembrava la perfetta imitazione di una nobilpony viziata. Si mosse per il negozio trovando da lamentarsi di tutto ciò che vedeva e toccava: completi, decori, arredamento, tutto quanto veniva liquidato con un cenno di zampa e una smorfia di snobbismo petulante.

«Beh, suppongo che una lady di classe come me non debba abbassarsi allo stesso livello dei ceti inferiori di queste contee.»

“Io la uccido!” «Oh, no! No di certo!» Sorrise Rarity a denti stretti, chiedendosi se la giumenta non avesse qualche rotella fuori posto, o forse direttamente tutto l’apparato cranico.

«Quindi immagino che abbiamo un accordo, Miss. Questo mi rincuora molto, le dirò la verità!»

Rarity traballò confusa. «Un accordo? Per cosa? Non la seguo.»

«Oh, insomma ragazza, un po’ di acume! Mi sembra più che evidente che dal momento che non ha ottemperato ai suoi doveri lavorativi, ora come ora dovrebbe mettersi di buona lena e terminare la commessa in tempi ragionevolmente brevi!»

«Terminare la… non credo sia po…»

«Mi aspetto di trovare il mio abito pronto per domani mattina! Dopotutto lei è ben nota per la sua celerità, come in quella sfortunata occasione in cui si è trovata costretta a rivedere il tema di tutta la sua collezione a causa di un malinteso dei giudici!»

Rarity ricordava bene quel giorno, come ci si ricorda di una cattiva avventura che si decide di posare sull’altarino delle esperienze della vita come monito per il futuro: il famoso critico di moda Preppy Blazer, dai modi educati ma terribilmente inflessibile quando si trattava di giudicare un modello, per un bizzarro disguido o per un’imprevedibile scherzo del destino si era presentato con la convinzione di assistere a una sfilata il cui tema cardine fossero i collari, quando in verità il bando comunicava esplicitamente che erano invece i colori e la sapienza degli accostamenti. Sebbene tutti quanti fossero a conoscenza dell’equivoco, nessuno dei partecipanti fece nulla per correggerlo, temendo ritorsioni nei confronti della loro prova, e tutti gli altri giudici, trovando divertente la cosa, convennero che la competizione avrebbe beneficiato se le cose fossero rimaste come tali.

Mentre gli altri stilisti si lasciavano prendere dal panico e qualcuno decideva di rinunciare alla sfilata, Rarity improvvisò un modo per ricavare delle strisce di tessuto dai completi già pronti per ricavarne dei collari senza che però la modifica ai modelli originali inficiasse sul risultato finale. Alla fine, nel giro di una mezz’ora scarsa era riuscita a rispettare sia il tema originale che il bizzarro malinteso di Preppy Blazer, dominando il palco con i suoi completi maid, perfettamente coerenti nella scelta dei colori e dei materiali.

Ma la sfida che le stava proponendo ora la grassa Silly Turnip era di ben altro livello, impossibile da accontentare data la particolarità della situazione.

«Mi creda, signorina Turnip, il suo abito è per me fonte di grande ispirazione oltre che un onore di rara opportunità… »

«È naturale che lo sia, mia cara ragazza!»

«Ma vede, il fatto è che sono successe delle cose nella mia vita privata, cose alle quali devo prendere parte a breve, e che mi rendono assolutamente IMPOSSIBILE portarle a termine la sua commessa nei tempi da lei indicati… »

«Vorrà dire che le concederò due giorni in più, suvvia non sia così ostinata!»

“Ah, io sarei ostinata? Questa non ci sta con la testa, in che guaio mi sono cacciata?!”

«Non si tratta di due giorni, signorina Turnip, e neanche di tre a essere del tutto schietti… in verità non credo che farò ritorno a breve…»

«Che cosa sta cercando di dirmi, Miss? Veda di arrivare al punto!»

«Intendo dire che dovrò chiudere il negozio per un po’… dei mesi, credo… e non penso di essere in grado di stare molto sul pezzo… se così si può dire.»

Aveva fatto il possibile, aveva cercato di essere convincente senza tradire l’educazione. Ora non le rimaneva che aspettare e sperare prudentemente che Silly Turnip se ne andasse. In fondo cosa aveva sbagliato? Soddisfare i clienti era il suo comandamento vitale, e se ci fosse stato modo di terminare quell’abito nei tempi previsti, pur di non rivederla di nuovo, sarebbe stata ben lieta di mettere in moto le sue abilità sartoriali e darle un contentino, ma il tempo e le circostanze erano tutti contro di lei.

Un tonfo prolungato, un clangore di grucce di metallo che cadevano sul pavimento, era il suono che si udì propagare per la stanza. A gettare a terra l’appendiabiti con tutto ciò che vi era appeso era stata una zampata di Silly Turnip. Rarity rimase a bocca aperta, guardando tutto quel trambusto che si disperdeva a terra… così simile all’effetto di una scossa sismica… o al passaggio di un enorme Kaiju proprio nei pressi di casa sua, da causarle un fastidioso senso di déjà vu.

«Lei non vuole proprio capire! Nessuno si è mai permesso di negare una richiesta di Silly Turnip! Io sono venuta da lei perché mi hanno detto che era la migliore, e quindi lei adesso si metterà lì seduta e completerà il mio abito! Lo farà, glielo giuro sulla mia parola che non si tirerà indietro! Altrimenti le assicuro una cosa… » le andò vicino, impetuosa e violenta. «Spargerò la voce in tutto il regno! Dirò a tutti che è un’incompetente, una stracciona, che il suo negozio vende solo merce fuori moda! Fancy Pants sarà così disgustato da lei che lo ripugnerà persino pronunciare il suo nome!» Era arrivata vicinissimo al muso di Rarity, costringendola a respirare un pungente alito che sapeva di fieno fermentato e frutta andata a male. Le vene le pulsavano sulle tempie come se dovessero esploderle da un momento all’altro e gli occhi erano rossi, così rossi che sembrava impossibile pensare che una volta erano state di un colore diverso.

Rarity a quel punto perse a sua volta la calma. Aveva accettato l’invasione del suo spazio personale e le cattive maniere della giumenta, aveva chiuso un occhio sull’insistenza con la quale cercava di convincerla a riprendere in zoccolo il lavoro ed era riuscita persino a sorvolare sul gesto capriccioso di rovesciare a terra l’appendiabiti. Ma c’era un confine che non andava superato, e Silly Turnip l’aveva varcato, superando di diverse lunghezze il punto di non ritorno.

Quello che Rarity fece nel momento successivo fu di concentrare tutta la sua forza magica nella punta del corno e di concretizzarlo in un semplice incantesimo di levitazione, con cui avvolse la massiccia pony. Dentro quella bolla magica non aveva importanza quanto si dimenasse, quanto protestasse per essere lasciata giù, era in balia della stilista, che presa sotto braccio da una furibonda consapevolezza di cosa stava per fare, la portò in linea d’aria con la porta verso l’uscita e con una significativa porzione del suo potere magico, un impeto pari a un colpo di cannone, lanciò l’insopportabile Silly Turnip fuori sullo spiazzo di terreno che dava verso la via principale.

La giumenta rotolò di alcuni giri e si ritrovò distesa lunga sulla neve, con il gelo del pomeriggio che le provocava brividi di tensione.

«Ma lei è completamente paz… » Silly Turnip non completò mai la frase, Rarity era stata più rapida di lei.

«SE NE VADA FUORI DA QUI E NON SI AZZARDI MAI PIÙ A METTERE ZAMPA NELLA MIA PROPRIETÀ, HA CAPITO?! SE LA VEDO AVVICINARSI LE SPARO ADDOSSO!!»

«Lei è pazza! Lei è completamente da internare!» Forse sarà stata la testardaggine, forse un gesto automatico, Turnip aveva già cominciato a muovere un passo in direzione della Carousel Boutique. Quindi Rarity si vide costretta a lanciare a pochi centimetri da lei un colpo magico dirompente. Silly Turnip si paralizzò e guardò il piccolo cratere fumante formatosi per l’impatto.

«Le farò causa, spargerò la voce ovunque, io non le darò tregua…»

«Faccia pure!» Rarity varcò la soglia e le andò incontro a passo deciso. «Vada pure da chi vuole, vada su! Vada da Fancy Pants e gli dica come mi sono comportata! Non ne ricaverà niente, lo sa perché?! LO SA PERCHÉ?!»

«Lei è pazza, pazza…»

«PERCHÉ SONO TUTTI MORTI, SCHIACCIATI, SOTTO TRE STRATI DI TERRA! FANCY PANTS È MORTO, I PONY DEL SUO DANNATO RICEVIMENTO SONO MORTI, TUTTA CANTERLOT È MORTA!!»

La gola di Rarity prese a bruciare, le sue urla avevano attirato l’attenzione della gente e ora piccole teste discrete facevano capolino dalle finestre delle proprietà private, altri erano usciti per strada e osservavano, e nessuno sembrava veramente sorpreso delle parole che erano uscite come un’eruzione vulcanica dalla bocca della stilista. Rarity si sentì rinfrancare per questo, voleva dire che gli abitanti di Ponyville erano consapevoli del disastro e stavano cercando di assimilare la cosa.

L’unica che sembrava non voler afferrare era Silly Turnip. «Pazza… pazza… pazza… » ripeteva incessantemente, con le pupille degli occhi che ruotavano in tutte le direzione, e ormai completamente fuori di senno. Era accasciata a terra e dalla bocca uscivano grumi di bava schiumosa.

«Veda di darsi una calmata, si riprenda!» L’aveva ammonita bruscamente Rarity, ma la grassa giumenta non aveva intenzione di arrestare la sua folle cantilena.

«Pazza… pazza… pazza…»

Solo allora Rarity capì che in verità Turnip aveva perso il lume della ragione molto prima del loro incontro. In seguito, quando le acque si sarebbero calmate, qualcuno avrebbe spiegato a Rarity che il ricevimento al quale Silly Turnip avrebbe partecipato era molto più importante di quanto non avesse pensato lei la prima volta. Non era solo per mettersi in mostra di fronte alle alte sfere della capitale, c’era qualcuno che la attendeva in quella serata, un pony molto importante per lei, e per cui avrebbe fatto di tutto pur di fare bella figura. Turnip aveva deciso di rivolgersi a Rarity, perché sapeva che nessun altro aveva la sua abilità, ed era sicura che con lei sarebbe riuscita a fare colpo su quel pony.

Sfortunatamente, Cyclop aveva ucciso molte persone, tra cui il pony di cui la giumenta si era terribilmente invaghita. Questo, in qualche modo, aveva distrutto qualcosa nella sua mente. Silly Turnip non era una giumenta molto arguta, viveva la sua vita con modestia in una piccola casetta dal tetto di paglia e faceva solo occasionalmente trasferte a Canterlot per fingere di avere un altro stile di vita, più altolocato. Quel pony, incontrato per puro caso proprio durante quelle trasferte, le avrebbe offerto la possibilità di cambiare totalmente prospettiva. Mai più avrebbe sofferto la modestia di una vita banale e ai margini della società, mai più avrebbe dovuto preoccuparsi di sopravvivere, mese per mese, con le poche monete d’oro di cui era in possesso, ma soprattutto, mai più avrebbe dovuto condurre quella vita in solitudine. Si era innamorata di quell’elegante pony che aveva condiviso con lei alcuni minuti del suo tempo, e che tanto gentilmente le aveva offerto un invito per il ricevimento. Ed ora quel pony non c’era più. La sua vita era finita, così com’era finita la vita di Silly Turnip, così accecata dai suoi sogni da avere dimenticato il paracadute quando aveva spiccato il volo verso la luce, ed ora era precipitata, senza nessuno che la venisse a prendere in volo.

Rarity, vedendo in quali condizioni si trovava la giumenta, vedendo la bava e la neve che le ricoprivano la faccia, decise di rientrare  in negozio e armandosi di pazienza aveva ultimato in una manciata di minuti quel poco che poteva di quell’abito, rammendando gli strappi delle precedenti prove-costume e finendo la commessa rinunciando a quei tanti piccoli dettagli che erano inclusi nella richiesta originale di Turnip. Poi glielo portò, glielo consegnò in zampa. Silly Turnip, che non aveva mai smesso di farneticare a voce tenue «pazza… pazza…», si mutò come se le fosse mancato fiato nei polmoni. Toccò ogni centimetro del corsetto e delle spalline senza mai distogliere lo sguardo dal vuoto indefinito in cui si era smarrita, quindi si rimise su tre zampe e se ne andò con l’abito sotto la spalla. Non aveva dato a Rarity una sola moneta per il lavoro svolto, non aveva speso una sola parola per ringraziarla, non si era neppure ricordata di riprendere la veste invernale con la quale era arrivata. Rarity si promise che avrebbe trovato il modo di ridargliela, prima di partire per la volta di Canterlot.

Il caos generato da Silly Turnip aveva fatto il giro del circondario e così la famiglia di Rarity era venuta a sapere del suo rientro in paese.

«Andiamo da lei, vediamo come sta.» Aveva subito proposto Cookie Crumbles, la madre della stilista, al marito Hondo Flanks. Con loro avevano chiamato anche Sweetie Belle, ma le avevano tenuto nascoste molte informazioni. La puledrina, per esempio, ignorava quanto fosse grave la situazione a Canterlot. Aveva raccolto informazioni origliando il chiacchiericcio degli altri pony, e in parte qualcosa le era stato riferito dalle sue amiche del Cutie Mark Crusaders Club, ma anche loro, come lei, avevano soltanto frammenti disseminati qua e là della reale situazione sulla montagna.

Mentre la famiglia percorreva la via sterrata per raggiungere la boutique, con il sole che stava ormai facendo i conti della giornata ed era lì lì per dare il cambio alla collega luna, Sweetie Belle teneva il passo dei genitori mentre si cimentava in un gioco di zoccoli ingenuo, che consisteva nel compiere dei saltelli e atterrare su due zampe alternando ogni volta zampa posteriore e zampa anteriore. Anteriore sinistra e posteriore destra, balzo, anteriore destra e posteriore sinistra, balzo, e così via.

Scoprì di essere abbastanza brava a mantenere il ritmo, e le poche volte che commetteva un errore, sbilanciandosi oppure atterrando su tre zampe, ripartiva dalla posizione in cui si era fermata. Si chiese pure se quel bizzarro passatempo non le facesse guadagnare un cutie mark in equilibrismo. Dovette convenire che non sarebbe successo, ma la cosa non le dispiacque più di tanto. Era felice di sapere che sua sorella era rientrata a Ponyville dopo una settimana di assenza, voleva solo abbracciarla e poi farsi raccontare cosa fosse realmente successo a Canterlot, così che poi avrebbe anche avuto qualcosa da riferire ad Apple Bloom, Scootaloo e Babs Seed.

La sua felicità però si esaurì non appena ebbero messo zampa in negozio. I suoi genitori, che prima erano soltanto in apprensione, sbiancarono in viso quando si trovarono davanti uno scenario apocalittico: tutto ciò che costituiva la boutique, ogni capo, ogni strumento da sarta, ogni separé e mobilio di piccole dimensioni erano sparpagliati a terra o erano stati lanciati contro le pareti. Erano state strappate le tende e la carta da parati, una finestra era stata infranta per un lisciacriniera che era stato lanciato fuori dal negozio.

Trovarono Rarity in lacrime, sconvolta e ridotta a una maschera in cui il trucco lungo le guance e il collo creavano rigagnoli di una sostanza scura e appiccicosa al tatto, come se dai suoi occhi fosse fuoriuscita della pece nera come la notte.

«I-io… scusatemi… non ce l’ho fatta… non ce l’ho fatta proprio a… » Rarity non avrebbe mai desiderato che la vedessero così, non in mezzo al più grave crollo emotivo della sua vita. Cercava di ricomporsi, di portare a termine la frase senza dimenticarsi che cosa volesse dire, ma era come se un incantesimo le stesse troncando di netto la frase ogni volta che ci provava.

Sweetie Belle allora capì, capì che quanto aveva passato sua sorella era molto più grave di quanto non avesse immaginato. Rarity era solita abbandonarsi a crisi di forte isteria nelle situazioni di acuto stress, ma in tutte le occasioni c’era qualcosa di ironico nei suoi modi di ostentare malessere, che non le dava mai l’impressione di doversi preoccupare più di tanto. Ma stavolta era ben diverso, la sofferenza emotiva era percepibile nello scompiglio della casa e nel modo in cui i rigagnoli di lacrime nere scendevano dagli occhi di Rarity, sebbene provasse con tutto il suo impegno a smettere di piangere.

Così Sweetie Belle decise di andare vicino e la cinse intorno alla vita con le sue piccole zampine bianco caramella.

Per Rarity fu un immediato sollievo. Negli ultimi giorni aveva visto soltanto la sofferenza in un ambiente estraneo alle sue abitudini e su persone con cui non aveva niente a che fare. Quando poi era tornata a Ponyville, convinta di trovare un angolino di pace, aveva scoperto che quel venefico influsso l’aveva seguita pure lì, incarnandosi in Silly Turnip. Era semplicemente troppo! Perché non potevano semplicemente tornare indietro nel tempo, a giorni più felici, quando il peggio che poteva succedere era un invasione di paraspiritelli mangiavestiti che Pinkie poteva scacciare con l’ausilio di qualche strumento musicale? I pony non erano fatti per morire in massa durante una calamità naturale (schiacciati a morte!). I pony non dovevano usare la Magia dell’Amicizia per uccidere delle enormi creature (bruciarli come si brucerebbe un pezzo di carne immerso nell’acido!). I pony non potevano pilotare enormi macchine da guerra, perché i pony dovrebbero pensare alle feste, a studiare la magia, a cucire abiti per i ricevimenti, a coltivare mele, a prendersi cura degli animali (non ucciderli!), al massimo, a prendere a zoccolate le nuvole (non a ucciderle!). Ogni tanto qualche avventura, qualche cattivo da riformare, un conflitto da risolvere per via diplomatica (non uccidere!).

Ma queste erano soltanto fantasie…

Il mondo era diventato un posto incomprensibile. Meccanismi che lei non era in grado di comprendere si erano messi in moto e per fini che lei non aveva l’autorizzazione di scoprire. Lei poteva soltanto fare una cosa, seguire le indicazioni di Bibski Doss e fare la sua parte, anche se questo avrebbe significato sporcarsi, anche se avrebbe dovuto sudare fino a lavarsi col suo stesso sudore, insozzarsi nel fango, provare la fatica che non aveva mai provato in tutta la sua esistenza. Si sarebbe lamentata, questo era sicuro, qualche volta avrebbe piagnucolato perché le vecchie abitudini sono dure a morire, e qualcuno avrebbe dovuto rimetterla in riga, ma l’avrebbe fatto.

Mentre nella testa prendeva queste decisioni, intorno a lei si erano radunati anche i suoi genitori, e per un lasso di tempo abbastanza duraturo da essere emblematico, la famiglia al completo si era ritrovata uniti in un abbraccio congiunto.

Poi la realtà si mise in mezzo come un folletto guastafeste e li divise.   

Rarity non diede spiegazioni sul perché aveva devastato il suo negozio, la situazione era abbastanza chiara da poter essere trasmessa attraverso semplici gesti, e Cookie e Hondo non pretesero chiarimenti. Sweetie Belle sarebbe stata ragguagliata più tardi, se ancora avesse manifestato dei dubbi.

«Avete ancora quel cottage sulla spiaggia di Horseshoe Bay?» Chiese la stilista.

Suo padre, che quasi per istinto aveva annuito, lanciò uno sguardo al volto corrugato di sua moglie.

«Immagino che ci sarà da spolverare un po’ e rifornire la dispensa, ma perché ce lo chiedi?» Domandò con prudenza Cookie, temendo già la risposta.

«Dovete andare lì.» Spiegò Rarity con una frase che alle loro orecchie suonò come “definitiva”. «Tutti e tre. Partite domani, portatevi da mangiare per delle settimane e cercate di tenervi alla larga dai centri abitati, a meno che non sia strettamente necessario, e se dovete rifornirvi di beni di prima necessità, fatelo alla svelta!»

Hondo deglutì così a fondo che il suo pomo d’Adamo vibrò nel gargarozzo. «La situazione… è davvero così grave?»

«Lo è.» Fu la risposta secca della figlia.

Forse l’entusiasmo del rientro a casa l’aveva illusa che le cose potessero andare bene, fatto stava che non poteva pensare di ripartire per Canterlot senza preoccuparsi di che cosa potesse succedere alla sua famiglia se un Kaiju avesse deciso di manifestarsi proprio a Ponyville durante la sua assenza. La Reborn Technologies sospettava che l’Everfree Forest fosse l’epicentro dell’attività dei mostri, e se così era vero non poteva tollerare il rischio che un’emersione le portasse via tutto ciò che le era di più caro, non il suo negozio, bensì la sua famiglia!

Sweetie Belle aveva compreso, anche se era piccola, anche se era ancora un fianco bianco e non riusciva a figurare la reale entità della crisi. Ma se Rarity chiedeva… se Rarity imponeva di andarsene da Ponyville, stava per succedere qualcosa di molto, MOLTO grave.

Chissà se poteva convincere gli adulti a portare con loro anche le sue amiche? Se restare in paese era così rischioso, non voleva partire lasciando Scootaloo, Babs ed Apple Bloom da sole.

Quando era rientrata a Ponyville, l’idea di Rarity era di portare fuori a cena tutti quanti, famiglia e amici insieme, ma dopo quanto era successo dovette ridimensionare i suoi piani. Sua madre la stava aiutando a rimettere a posto il negozio, nel frattempo che Hondo Flanks e Sweetie Belle si dirigevano al Giardino Dolcimele.

La proposta della puledrina era stata accolta con pareri favorevoli sia dai suoi genitori che dagli Apple stessi, che reputarono fosse molto più sicuro per Apple Bloom e Babs stare il più lontano possibile dal villaggio; qui Hondo scoprì anche dettagli sul Quarto Attacco che la figlia maggiore aveva scrupolosamente evitato di raccontare (come la temporanea soppressione della magia). Per quanto riguarda Scootaloo, le sue due zie avevano mostrato maggiore resistenza all’idea di cedere la nipote ad un’altra famiglia nei tempi che correvano, ma alla fine furono convinte pure loro, grazie alla fiducia che nutrivano nei confronti della famiglia di Sweetie Belle.

Padre e figlia rientrano quindi vittoriosi a casa, dove li aspettò una tavola imbandita, piena di prelibatezze che avevano già il profumo e la consistenza del nostalgico.

Nonostante l’intenzione di uscire, Rarity dovette convenire che nessuna cena in ristorante si sarebbe potuta confrontare col piacere dell’intimità di un pasto consumata in famiglia, e chiunque si fosse trovato a sedere intorno a quel discreto tavolo da pranzo, quella sera, avrebbe potuto giurare che il banchetto consumato era stato più squisito del più squisito dei banchetti riservati a un re.


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Capitolo 16
*** CAPITOLO 11: L'Addestramento ***


CAPITOLO 11: L’Addestramento

L’aria nella palestra era satura di tensione per l’imminente scontro, alterando la percezione del tempo equino, quelli che per le lancette dell’orologio erano secondi, per i presenti erano come minuti interi, in cui il più piccolo gesto veniva scandito con evidente chiarezza.

Rainbow Dash, che dava le spalle alle sue amiche, faceva sfregare i denti tra di loro tenendo a stento le zampe, che scalpitavano per lanciarsi contro il suo avversario: Bright.

L’unicorno dal manto grigio, d’altro canto, era bravo a filtrare le sue emozioni, teneva la bocca sigillata e respirava dal naso con flussi d’aria controllati. La sua fronte, leggermente corrugata e gli occhi che puntavano dritti le pupille di Rainbow Dash, la tenevano nel suo mirino, scansionando allo stesso l’ambiente nel suo insieme: avrebbe potuto vedere un moscone volare nella palestra come pure gli imprevedibili movimenti della pegaso. Qualsiasi cosa Dash avesse tentato di fare, lui l’avrebbe vista, e non c’era modo per lei di coglierlo di sorpresa.

La rabbia di Dash di conseguenza crebbe, salendo di un altro gradino la scala del rancore.

«Sto aspettando, Rainbow Dash. Vuoi attaccare o preferisci che sia a fare la prima mossa?» La incitò in tono assertivo, e per lei fu come un invito per andare in escandescenza.

Digrignando più forte i denti, sbuffò dal naso e fece il gesto di raschiare lo zoccolo sul pavimento di legno. Sbatté le ali un paio di volte per distendere le piume, quindi dopo aver compiuto alcune falcate per darsi lo slancio, gli piombò addosso con tutta l’accelerazione che era in grado di raggiungere, le zampe anteriori tese in avanti per fendere l’aria. All’ultimo momento, decise, avrebbe sfruttato la spinta aerea per ruotare su un fianco a rovesciargli addosso un potente calcio volante, che nelle sue intenzioni lo avrebbe mandato K.O. in un sol colpo.

Era veloce e si fidava della sua forza.

Bright, per quanto abile negli scontri, non sarebbe riuscito ad evitare quell’attacco, neanche se la distanza tra loro fosse stata maggiore e gli avesse dato più tempo per reagire. Dash contava proprio su questo, annullare le distanza il più velocemente possibile, e quando l’unicorno si fosse ritrovato a terra, gli avrebbe dato il colpo di grazia con una gomitata cadente o con qualche altra mossa che sfruttasse il suo peso, in questo modo lo avrebbe neutralizzato all’istante.

Bright non mosse nemmeno un muscolo, continuando a fissarla come se per lui il tempo si fosse addirittura fermato, e questo diede alla pegaso maggiore fiducia. Ma quando Dash gli fu vicino e stava cominciando a curvarsi per attaccare, allora, proprio in quel momento successe qualcosa che ribaltò la situazione in un lampo. Dal suo punto di vista, fu come se gli occhi di Bright risplendessero di uno strano bagliore, poi sentì che qualcosa la stava afferrando, e un attimo dopo stava rotolando a terra per diversi metri.

Non era riuscita a fare niente, neanche a sfiorarlo, in compenso il suo corpo iniziò a dolerle terribilmente.

Gli occhi giravano a cerchio mentre cercava di rialzarsi a fatica. Le sue amiche fissavano sgomente la scena, incapaci di credere a quanto avevano visto.

«Avevi detto che non avresti usato la magia!» Gridò contrariata, le zampe che la reggevano a stento.

«Non l’ho fatto.» Rispose lui imperturbato.

Mezz’ora prima.

La neve, che ormai aveva smesso di cadere da più di qualche ora, stava ricoprendo i campi delle piste a ostacoli e dei poligoni di tiro, che fino a una settimana prima erano stati usati dai cadetti grifoni per le esercitazioni con le bardature di combattimento lancia-dardi. Casse di scorte e approvvigionamenti erano stati abbandonati sui cammini di guardia e lungo i fianchi delle mura, aperti e accatastati, lasciati al gelo e coperti solo con qualche telo infradiciato, senza che nessuno si degnasse di stiparli in qualche magazzino.

I magazzini infatti erano destinati ad altri tipi di scorte: viveri d’emergenza arrivati da altre città per sfamare i rifugiati della capitale, come anche materiali per l’allestimento di ricoveri temporanei e scorte mediche di cui ultimamente c’era sempre un disperato bisogno. In alcuni casi erano stati riconvertiti in obitori temporanei per le ultime vittime che attendevano una sepoltura nel grande cimitero fuori dalla capitale; il freddo di quei giorni favoriva la conservazione dei corpi.

Bright stava accompagnando le sei giumente degli Elementi, frastornate e sofferenti dopo la prima nottata trascorsa nei nuovi alloggi, verso la palestra in cui avrebbero cominciato il loro primo giorno di addestramento. Le ascoltava, mentre mormoravano tra loro con voci sottili, commentando l’abbandono del trono da parte di Celestia, o lamentandosi della scomodità dei materassi, o più in generale, discutendo di argomenti della sfera privata su cui l’unicorno decise di non impicciarsi.

D’improvviso una voce diversa, che scaturiva direttamente dall’interno dei suoi pensieri, si frappose al chiacchiericcio e si rivolse direttamente a lui.

– Sei silenzioso, Bright. –

– Davvero? È strano che sia proprio tu a dirlo. – Rispose al fratello con un fare che voleva essere complice di quel momento d’intimità.

– Dovevo chiedertelo, stanno succedendo un sacco di cose ultimamente, e io non so più che pensare. –

– Ci sono dei cambiamenti in atto, è normale che tu ti senta così. Non credere che per me sia molto diverso. –

– Eppure sei sempre così… presente… quando le cose si complicano, tu sai sempre quale scelta prendere per trovare la soluzione… non sembra che tu ti debba sforzare per essere ciò che sei. –

I due gemelli avevano la capacità di comunicare tra loro telepaticamente, come se si trattasse di una frequenza sonora che soltanto loro potevano udire. Non erano però in grado di leggere le rispettive emozioni, che potevano essere decifrate solo grazie all’empatia. Bright, in ciò, era sempre molto attento, e cercava di capire cosa passasse per la testa del fratello taciturno ogni volta che poteva.

Non credere che sia tutta farina del mio sacco. – Disse – Molti di quei meriti vanno attribuiti a Bibski. Mi secca doverlo ammettere, ma è grazie a lui se sono quello che sono, se tutti quanti mi vedete sotto questa luce. Alcune volte mi capita di pensare che… se non fosse per la sua costante presenza… tanto valeva che fossimo rimasti lì dove ci ha trovato. –

–È per questo che lo segui sempre? Senti di dovergli qualcosa?

Tu non credi che gli dobbiamo qualcosa, dopo quello che gli abbiamo fatto?

Calò il silenzio dall’altra parte, segno che Blu non avrebbe risposto alla domanda.

E poi il nostro rapporto è un rapporto di tipo mutualistico. Senza di me lui non potrebbe concedersi molte delle libertà che invece si prende, perderebbe la sua aura di apparente invincibilità. Ma del resto, anch’io ho bisogno di lui. Finché gli sto appresso, sento di avere uno scopo in questo mondo. – Si fermò a ponderare quanto aveva appena detto. – Sai, ogni tanto dovresti provare ad uscirci. – Riprese poi – Così vivresti qualche avventura al suo fianco, e magari potresti imparare a conoscerlo un po’ meglio. –

– Uscire con Bibski… – meditò Blu – non è qualcosa che penso faccia per me. Non sono fatto per lo stile di vita che conduci tu… forse una volta lo ero, ma adesso… da quella volta… –

– Lo so, non è necessario dissotterrare il passato… senti, come va lì da voi, come procedono i lavori? –

– Che ti devo dire? Pony arrivano, pony se ne vanno. Stanno allestendo le impalcature e Bitterness sta sbraitando come al suo solito contro gli operai che ci hanno inviato. A proposito, non si fa che parlare delle dimissioni di Princess Celestia. –

– È l’argomento del giorno anche qui. Spero che la cosa non influisca sull’addestramento delle Custodi. –

– Riuscirai a prepararle per tempo? –

– Onestamente non lo so. Ci proverò se non altro. Gli esiti poi si vedranno. –

A quel punto il gruppo era appena arrivato all’entrata della caserma. Bright interruppe le comunicazioni con suo fratello per prestare attenzione allo stallone che era venuto ad accoglierli alla porta. Era anche lui un unicorno, e aveva indosso una divisa da ufficiale sopra un fisico scolpito caratteristico dei soldati del corpo delle Guardie Cittadine, manto bianco su criniera dalle tinte bruno corteccia e un cutie mark che rappresentava… un buco scavato nel terreno?

«Siete voi? Vi stavo aspettando!» Esordì porgendo la zampa a Bright. «Sergente Maggiore Stomp Soil, sono stato incaricato di mostrarvi i locali e dare uno zoccolo, se servisse!»

Bright ricambiò il saluto del graduato. «Brightgate, e vi ringrazio per tutta la vostra disponibilità. Le ragazze credo che non debbano presentarsi.»

«Le eroine di Equestria, le nostre Custodi degli Elementi in persona! No di certo! E anche la sua fama, Mr. Brightgate, mi è nota!»

«Solo Bright, prego. Suona meno elaborato così. E spero che le voci che girano sul mio conto non pregiudichino la sua impressione.»

«Eheh, certo Bright, non è da tutti farsi la nomea di annienta–truppe, ma come si dice sul conto dell’Esercito di Cristallo: quelli si sono fatti un sonnellino di mille anni. Chi può dire come te la saresti cavata contro la Gendarmeria Reali al massimo della forma?»

“Non vorresti saperlo” pensò tra sé e sé l’unicorno alto.

«Ma ora entrate, prego! È vero che siamo pony tutti d’un pezzo, ma il freddo insidia anche le nostre chiappe!»

L’atrio della caserma si presentava come un’ampia stanza dove lungo una parete era stato allestito un memoriale ai caduti nella battaglia del Quarto Attacco, con le fotografie delle vittime accompagnate da lettere di commiato e piccoli altarini lasciati dalle loro famiglie. In una stanza adiacente corrispondente alla segreteria, alcuni funzionari erano assorti nello svolgimento delle loro mansioni, e non fecero alcun caso ai nuovi arrivati.

Al contrario delle aspettative, c’erano pochissimi militari in servizio. Il gruppo ne incrociò un paio che avevano indosso una fretta del Tartaro, non si erano neppure presi la briga di sfilare gli elmetti e adagiare le loro corazze, fatto che lasciava dedurre che non avevano intenzione di rimanere.

Purtroppo la maggior parte delle truppe erano impegnate in città, spiegò Stomp Soil. Nemmeno le reclute erano state esonerate, e questo aveva conferito alla caserma un’atmosfera vuota e desolante, quasi terrificante, considerato che dopo un po’ non c’era praticamente più anima viva in giro.   

Superarono altre porte, accelerando il passo lungo un ultimo corridoio con diverse finestre che mostravano l’esterno, e finalmente giunsero alla zona degli spogliatoi.

Qui Stomp Soil li fece fermare per illustrare le varie zone: «Gli armadietti sono personali e sono utilizzati dai cadetti, se in futuro avrete da riporre le vostre cose, rivolgetevi a me e ci penserò io. Parlando invece delle docce, qui si usa condividere gli spazi, ma immagino che possa essere sconveniente per le ragazze andarci insieme al loro istruttore. Quindi tu Bright, usa pure quella dei bagni privati, ti farò avere la chiave. Quanto a voi, potete usare quelle che ci sono qui. Ma se dovesse entrare qualcuno dei nostri cadetti, ignari della vostra presenza, evitate di fare una sceneggiata. Cercheremo comunque di rispettare la vostra intimità.»

Malgrado le rassicurazione, Rarity e Fluttershy non poterono evitare di manifestare imbarazzo. Bright invece ringraziò educatamente il graduato.

«Vi mostro la palestra, seguitemi.»

Li condusse allora fino al luogo in cui da quel momento avrebbero trascorso la maggior parte delle loro giornate, almeno fino al ritorno di climi più temperati.

La palestra era un’ampia sala ricoperta da una pavimentazione in legno, con percorsi a ostacoli da evitare e muretti da scavalcare.

Per Bright fu come tuffarsi nel proprio passato e riemergere in un periodo in cui ad allenarsi era lui. Non gli piaceva resuscitare quei ricordi, che facevano parte di una fase della vita che preferiva non ricordare, ma tra tante memorie sgradevoli c’era anche qualcosa che valeva la pena di preservare: il duro lavoro e la determinazione, uniti alla passione per l’allenamento e al desiderio di oltrepassare i propri limiti, che lo avevano reso, anni dopo, il pony che era adesso. Uno stallone virtualmente imbattibile, anche se fino ad ora non aveva avuto l’opportunità di mettere in pratica queste abilità, se non in rare occasioni.

Ma adesso aveva l’occasione di metterli al servizio di uno scopo nobile: addestrare le Custodi degli Elementi, trasmettere loro tutto quello che poteva nel poco tempo che aveva. Chissà se ne sarebbe stato in grado, si domandava.

Gli occhi andarono alla ricerca dei dettagli, sondando tutti gli spazi e valutando le condizioni generali della palestra. A una prima occhiata sembrava non mancare niente, e avrebbe potuto aggiungere al suo programma di addestramento alcune delle attrezzature presenti lì dentro. Ma poi sia lui che il Maggiore Stomp Soil voltarono la testa all’unisono, e videro qualcosa che li lasciò ragionevolmente di stucco: Bibski Doss era già lì, e stava ghignando verso di loro, sedendo su una sedia girevole che dava l’idea di essere molto comoda.

«E tu da dove salti fuori?» Gli chiese l’unicorno alto, cercando di non perdere il contegno.

«Ma soprattutto come ha fatto ad entrare?!» Si agitò invece il graduato.

«Ho fatto un favore all’inserviente, sapete?» Spiegò compiaciuto l’inventore. «Gli piace giocare a dama. E pure bravo, ma si annoia a giocar da solo, così gli ho detto che avrei fatto una partita con lui e in cambio mi ha fatto entrare.»

La risposta non aveva senso, ma era pur sempre Bibski.

–Tu lo sapevi? – Interrogò Blu, che fu come se cascasse dalle nuvole.

– Che cosa? – Gli restituì il dubbio.

– Che Bibski era qui prima di noi. –

– Bibski è lì con voi?! –

– Lascia stare, mi hai praticamente risposto. – Capitolò infine Bright.

«Lui è chi penso che sia?» Gli chiese invece Stomp Soil, che aveva tutte le ragioni per farlo arrestare e rinchiuderlo in una cella per violazione dello spazio militare, ma che invece preferì adottare un atteggiamento più diplomatico.

«Purtroppo sì.» Sospirò Bright.

«Ora capisco tutte quelle voci che girano sul vostro conto. Sentite, date le circostanze posso anche chiudere un occhio sul perché e sul come sia entrato, ma quella sedia viene dall’ufficio del Capitano, e se scopre che è stata trafugata, non importa quale sia la situazione, ci farà marchiare a fuoco!»

Bright decise allora di fare un tentativo, giusto per togliersi il dubbio. Si girò verso Bibski e domandò: «Intendi restituirla?»

«Ohh ma perché? È così comoda!» L’inventore piagnucolò e fece fare alla sedia un giro in tondo.

Bright tornò a rivolgersi al graduato: «Mi creda, lo conosco abbastanza bene: se ha deciso di tenersela, a questo punto niente gli farà cambiare idea.»

Il Maggiore Stomp Soil grugnì seccato, era in una posizione scomoda: non poteva lasciare che quel pony facessero i suoi comodi in caserma, ma del resto avevo ricevuto degli ordini da cariche più in alto di lui, e il tempo a disposizione era veramente risicato. Alla fine decise di chiudere entrambi gli occhi, ma si fece un appunto per quando gli fosse capitato tra gli zoccoli l’inserviente.

Bright fece disporre le Custodi in riga di fronte a loro, mentre Bibski li scrutava da lontano e scriveva appunti con una matita.

L’unicorno alto passò in esame ognuna e le valutò per come si presentavano. Capì che ci sarebbe stato molto su cui lavorare, soprattutto per quelle meno adatte alla mischia. Se da una parte Applejack e Rainbow Dash aveva già dalla loro una costituzione fisica slanciata e pronta, lo stesso non si poteva dire per le altre, come Twilight, una giumenta abituata ad allenare la mente, ma non il corpo, o Rarity, sofisticata com’era, poteva già sentirla lamentare per il sudore e la fatica, o Fluttershy, timida e pacifista malgrado le sfide che aveva superato. Pinkie Pie era l’unico mistero di quel gruppo male assortito, ma immaginava che presto si sarebbe fatto un’idea anche su di lei.

«Non vorrei partire con la zampa sbagliata, ragazze, so che per voi questa è un’esperienza nuova, a tratti terrificante, e che vorreste essere da tutt’altra parte. Ma è il caso che metta in chiaro alcune cose: non sarò in grado di addestrarvi come vorrei. Non fraintendetemi, non vi sto sottovalutando, dico solo che nei pochi mesi che abbiamo a disposizione sarò in grado di darvi a malapena le basi, vi insegnerò i rudimenti della lotta e come valutare la situazione per trarne beneficio in ogni momento. È bene specificare che all’interno degli Jaeger la maggior parte delle vostre azioni saranno meccaniche. Questo vuol dire che chi è abituata ad usare la magia dovrà farsene una ragione e cambiare le sue abitudini.» E lo sguardo cadde prima su  Twilight, che si morse un labbro, e poi su Rarity. «Nel corso del programma, avrete modo di migliorare la vostra resistenza alla fatica e acuire i vostri sensi, vi insegneremo come controllare la respirazione, come mantenere l’equilibrio e sostenere il carico extra che comporterà pilotare le macchine. Dopo le prime lezioni, in cui gli esercizi saranno pressoché gli stessi per tutte, verrete accoppiate alla vostra partner e vi insegneremo a fare gioco di squadra. Vi ricordo che il successo del programma Rescue Equestria e di conseguenza la sopravvivenza del regno dipende tutto dall’affinità che raggiungere con gli Jaeger, quindi mi aspetto che facciate del vostro meglio. I dettagli di questa prima lezione vi saranno chiariti dopo il riscaldamento. Ora ascoltate bene: voglio che facciate otto giri di corsa lungo tutto il perimetro, senza barare! Non voglio vedere nessuna che accorcia i tempi tagliando la strada o evitando gli ostacoli, se vedete un muretto o una sbarra li scavalcate, se non vi sentite in grado, passate sotto!»

Ci furono delle proteste, ma Bright non permise a queste voci di prendere il sopravvento: «Se già adesso pensate di non farcela, cominciate a decidere dove farvi seppellire, perché è quello che accadrà. Questo non è un gioco, non si diverte nessuno, qui si lotta per la vita di tutti quanti, quindi datevi una mossa, forza!»

Era stato convincente, o almeno lo pensava, ma proprio in quel momento vide Rainbow Dash fare un passo in avanti, sfidando la sua autorità.

«Che ti prende Dash, qualcosa che ho detto non ti va a genio?»

«In effetti. Non capisco perché devi essere tu ad addestrarci.»

Le altre emisero dei versi scandalizzati, ma Bright non si scompose, reputando che la domanda fosse lecita. «È necessario stabilire un ponte tra chi si occuperà della vostra preparazione e i progressi che saranno compiuti alla Grotta. Presto dovrete imparare a muovervi con indosso le bardature che utilizzerete sugli Jaeger, e vi metteremo in condizioni simulate in cui…»

«Fermo, lì… non ci ho capito una mazza, ok?! Quello che intendo è: perché io, che sono prima nella classe all’Accademia degli Wonderbolt dovrei stare a sentire quello che dici tu? Ho battuto tutti i record di velocità dell’istituto, sono in grado di produrre trombe d’aria semplicemente volando, so fare l’arco–boom sonico!»

«Non che sia ‘sta gran cosa.» Commentò ad alta voce Bibski.

«Ripetilo se hai il coraggio!» Ringhiò la pegaso arcobaleno.

«Massì, oltrepassata una data velocità, trecento metri al secondo, si supera una barriera che viene detta anche muro del suono, l’aumento di pressione genera un’onda d’urto che provoca la dispersione dei pigmenti responsabili del colore del manto e della criniera, e questo, combinato con le particelle d’acqua presenti nell’atmosfera genera quegli iridescenti effetti di luce che vi piace ammirare a bocca spalancata. Il fatto che il tuo arco–boom sia multicolore è dato semplicemente dal colore della tua criniera.» Chiuse infine con un ghigno orgoglioso.

«Beh…» Dash si trovò in difficoltà «comunque ti sfido a farne uno con quel tuo aggeggio!»

«Tutti ci potrebbero riuscire, basta superare la velocità del suono.»

«Ad ogni modo, Rainbow Dash…» si interpose Bright «le tue abilità di volo non bastano a pilotare gli Jaeger, e nemmeno a combattere i Kaiju…»

«Lo dici tu questo!»

«Andiamo zuccherino, smettila di fare casino e iniziamo ad allenarci.»

«Non ti ci mettere pure tu, AJ! Possibile che non lo capite? Questo viene qui e pretende di farci da maestrino! Chi ci dice che sia veramente così bravo?»

«Dimentichi che ha sbaragliato un intero plotone di Guardie di Cristallo.»

«Noi invece abbiamo combattuto contro un esercito di Changelings, e allora?! Se è davvero così bravo, dov’era mentre noi eravamo in prima linea durante l’attacco… dov’eri mentre Gilda moriva?» finì rivolgendosi direttamente a lui.

Il sacrificio dell’amica era un ricordo di cui non si era ancora fatta una ragione, e ripensarci la fece sentire ancora più frustrata e impotente.

«Credo di capire, Rainbow Dash.» Disse Bright calmo.

«Davvero?» Chiese lei diffidente.

L’unicorno annuì.  «Sei una guerriera, una cavalla selvaggia, e vuoi essere domata prima di accettare che qualcuno ti prenda come sua allieva.»

«Beh, diciamo che non mi va a genio di sentire parlare di combattimenti corpo a corpo da uno che usa la magia per risolvere gli scontri. Lo hai fatto all’Impero di Cristallo, ricordi?»

«Lo ricordo, sì… » quella volta aveva usato un incantesimo di telecinesi per evitare il suo assalto e renderla inoffensiva, la cosa probabilmente deve averla punta nell’orgoglio.

Consultò con lo sguardo Bibski e Stomp Soil, ma era una decisione che spettava solo a lui «… facciamo così, ti darò la possibilità di battermi. Un breve incontro, un round. Ma se perdi, dalla prossima lezione te ne starai in silenzio. Dovrai fare tutto quello che ti dirò e non dovrai protestare, e se per caso ti sentissi affaticata, continuerai ad esercitarti fino a quando non deciderò io che ti potrai fermare, chiaro?»

«Se mi batti.»

«Se ti batto. Ma se io fossi in te, farei molta attenzione all’avversario che hai di fronte, non ti aspetta uno scontro facile. Ora vieni avanti.»

Si misero in posizione, uno di fronte all’altra, e ognuno per conto suo si mise a fare un po’ di stretching per scaldare i muscoli, poi per diversi secondi non fecero altro che fissarsi. Bright, in attesa, osservava il modo di posare della pegaso e la tensione muscolare che aveva reso le sue zampe delle stecche di legno. Non era rilassata, non aveva neppure assunto una buona postura di guardia, e se lui avesse deciso di attaccarla per primo gli sarebbe bastata una semplice finta per destabilizzare la sua concentrazione e dominare la sua mente. La pegaso arcobaleno era stata sconfitta prima ancora di iniziare, ma proprio per questo l’unicorno attendeva che fosse lei ad esordire nell’attacco.

Quando era passato ormai un minuto e non si era ancora decisa a muovere un passo, fu lui a spronarla. Sapeva che giunti a quel punto sarebbe bastata una piccola provocazione per farle perdere la testa: «Sto aspettando, Rainbow Dash. Vuoi attaccare o preferisci che sia io a fare la prima mossa?» E come volevasi dimostrare, il pesce abboccò all’esca.

Rainbow Dash si scagliò contro di lui e iniziò con la più banale delle mosse, un’azione che voleva mettere in risalto la sua forza bruta e quanto era determinata a fare sul serio, ma se con un pony qualunque questa mossa sarebbe stato sufficiente, Bright non sentì nemmeno il bisogno di assumere la guardia. Ne fu perfino deluso: da una come Rainbow Dash si sarebbe aspettato qualcosa di più creativo, e in un attimo aveva già pianificato quale sarebbe stata la sua contromossa.

Si mise in equilibrio su due zampe, una specialità che tornava utile in casi come questi, e si spostò lateralmente per evitare il calcio volante della pegaso, che ormai era arrivata ad un tiro di schioppo da lui, quindi con un braccio le cinse il fianco mentre con l’altro le agguantava il ginocchio teso, e la proiettò nella direzione in cui stava già andando, imprimendole una spinta addizionale, il tutto, sotto le espressioni attonite delle altre Custodi. Nell’attimo successivo Rainbow Dash stava rotolando dolorosamente a terra, dopo essersi accorta di aver perso il controllo della traiettoria, non si era neppure resa conto di cosa le avesse fatto, tanto erano stati rapidi i movimenti dello stallone.

«Avevi detto che non avresti usato la magia!» Disse dopo essersi rialzata barcollante.

«Non l’ho fatto.» Spiegò lui, girandosi poi verso le giumente. «Ognuna di voi imparerà tre regole durante questo periodo: La prima è che non dovete mai precipitarvi ad attaccare l’avversario, se prima non avete esaminato tutte le vostre opzioni. La seconda regola è che non dovete mai girargli le spalle, tenetelo sempre entro il vostro campo visivo…» piegò le zampe e si distese a terra, giusto in tempo per evitare una seconda carica di Rainbow Dash. La pegaso, che di nuovo non si aspettava una reazione così fulminea, aveva pensato di coglierlo a tradimento, ma finì quasi per schiantarsi contro le sue amiche. Twilight eresse in tutta fretta una barriera difensiva per il gruppo, ma Bright riuscì a ghermire la Custode della Lealtà con la magia, riportandola sul campo. «Non avete idea del peso che può avere la disattenzione in battaglia, specie se è in gioco la vostra vita.» Guardò Dash aspramente. «Torna dalle altre, la prova è finita.»

«C–cosa?! No, aspetta un attimo, avevi detto che ci saremo battuti!»

«E così è stato. Hai avuto modo di mostrare il tuo livello di preparazione, non insistere.»

«Schivare non è battersi, Bright! Affrontami come si deve, smettila di prenderti gioco di me!»

L’unicorno alto alzò gli occhi al soffitto e sbuffò. «Se ti concedo la rivincita, poi possiamo tornare all’allenamento, per favore?»

Rainbow Dash si stava già mettendo in posizione, non avrebbe collaborato finché lui non le avesse dato ciò che voleva.

“D’accordo”.  

Le venne vicino, ingabbiandola con lo sguardo. Fece quindi un piccolo movimento con una zampa, abbastanza da distrarre l’attenzione della pegaso, fu sufficiente: Rainbow Dash guardò subito in quel punto, perdendo la concentrazione, e Bright con l’altra zampa le affondò sul collo con un colpo di taglio dall’alto verso basso, ma incredibilmente Dash lo evitò, spingendosi all’indietro con un battito d’ali. Lo zoccolo di Bright affondò a terra con un rumoroso impatto, Dash tentò di colpirlo con un altro calcio volante in testa, ma l’avversario la intercettò e la fece roteare su se stessa per aria.

«Quando l’avversario attacca… » cominciò a spiegare «… si tende a pensare che quello sia il momento di massima vulnerabilità per se stessi, si cerca quindi di scappare o di assumere un atteggiamento difensivo, ma in realtà è proprio quando l’avversario attacca che scopre le sue difese. Allenandovi con me imparerete a cogliere le debolezze del nemico e rivoltarle contro di lui.»

Scagliò un zoccolo contro Dash, la pegaso si appiattì a terra proprio come aveva fatto lui poco prima. Poi gli si lanciò contro con tutto il suo peso, lo costrinse ad indietreggiare e a cedere momentaneamente il suo dominio sul ring. Indietreggiò e poi gli si avventò di nuovo contro in volo, questa volta cercando di colpirlo con due calci consecutivi, che l’unicorno parò con le zampe. Rainbow Dash gli planò alle spalle, Bright la sorprese con una testata, e questo regalò all’unicorno un’apertura per un’altra azione: si voltò, la afferrò per il collo bloccandole anche il braccio destro, quindi la proiettò verso il basso. Nel farlo l’accompagnò durante la caduta, in questo modo riuscì ad evitarle di farsi male veramente.

La pegaso a terra, determinata ad averla vinta, gli afferrò la testa tra le sue zampe posteriori e cercò di rovesciarlo, ma Bright era il doppio di lei ed era anche più preparato: la sollevò da terra vanificando la sua mossa.

Rainbow Dash mollò subito la stretta, gli girò intorno e gli scaricò un’altra serie di attacchi alternando zoccolate e calci, mirando a tutti i punti vitali che sapeva di dover colpire, ma niente di ciò che gli lanciava andò a segno, Bright parava ogni sua azione con una fluidità che lasciava senza parole. Poi all’ultimo, non si sa come, riuscì a farla ruotare su se stessa un’altra volta, costringendola ad atterrare sulle zampe.

Aveva il fiato corto, aveva cercato in tutti i modi di colpirlo a finora era riuscita soltanto a farsi ridicola.

«Vuoi sapere cosa sbagli?» Le chiese lui.

«STAI ZITTO!!» Gridò lei e partì alla carica. Tese un pugno verso il muso dello stallone e lui lo evitò. Provò con un calcio rotante e lui lo deviò. Una finta che aveva ritenuto astuta, lui la anticipò.

«SMETTILA DI SCHIVARE!! ATTACCAMI!!»

«Stavo appunto per cominciare.»

I secondi successivi furono un vero incubo per Rainbow Dash: Bright le impedì di portare a termine un'altra zoccolata e bloccandole il braccio le tese un colpo sulla guancia. Il dolore fu lancinante, ma fu solo l’inizio. Bright le sfondò la difesa e partì con una scarica di colpi, le colpì lo stomaco, poi il viso, poi i fianchi. Ogni colpo che subiva scopriva una parte del corpo che veniva successivamente colpita. La pegaso cercò di distanziarsi ma appena sbatté le ali, l’unicorno la prese per le ginocchia facendola ruotare e la lanciò a mo’ di martello, scagliandola a diversi mentre di distanza.

«Fai troppo affidamento sulle ali! Non puoi pretendere di avere una buona difesa se continui a svolazzare come una mosca!»

«Uso le mie abilità come tu usi la tua magia!»

«Stai zitta e fammi vedere qualcosa di meglio! Finora ho evitato di farti male per davvero, ma adesso ne ho abbastanza: come ti tocco ti spezzo! Torna qui e finiamo!»

Rainbow Dash non desiderava altro, malgrado le minacce.

Sentiva sulla lingua l’inconfondibile sapore del sangue: Bright mentiva quando diceva di non averla ferita, il colpo sulla guancia lo aveva sentito eccome, ma qualcosa le diceva che i prossimi attacchi sarebbero stati anche peggiori.

Gli corse incontro con ampie falcate aiutata dalle ali, ma invece di librarsi dal suolo, come aveva fatto fino a quel momento, scelse un approccio diverso: gli scivolò sotto le zampe con l’obbiettivo di centrarlo al basso ventre, o direttamente all’inguine. Bright fu colto di sorpresa per la prima volta, ma dove la sua attenzione aveva fallito, ci pensò l’esperienza a fargli intuire il pericolo. Saltò via da lei, Rainbow Dash imprecò. La pegaso si rimise sulle sue zampe e insistette con una nuova scarica di colpi, cercando di essere meno ripetitiva possibile: tentava di colpirlo in volo e veniva deviata, tornava a terra e cercava un approccio dal basso, si allontanava per evitare i suoi contrattacchi e poi si riavvicinava, fingeva e fingeva. Un pony normale non sarebbe mai riuscito a stare dietro a tutta quella sequenza di azioni e controazioni, ma l’avversario che aveva di fronte era nato per combattere, un autentico genio della mischia.

Era riuscita ad evitare una zoccolata, e quando avvertì lo spostamento d’aria, le si gelò il sangue al pensiero di quanti danni avrebbe potuto accusare con quel colpo. Tentò di bloccargli la zampa e immobilizzarlo, ma Bright le fece uno sgambetto e la sbatté di nuovo a terra. Questa volta l’impatto con le assi di legno fu dolorosissimo. Bright la sollevò per le spalle e quindi cercò di colpirla al volto, lei dovette parare tutte quelle mosse, esponendo le sue braccia alla violenza dei suoi zoccoli. Finì che non era più in grado di muoverle.

Dovette volare e usare le zampe posteriori, sia per difendersi che per tentare un’apertura. Bright la afferrò per un ginocchio e la colpì nell’articolazione. Il colpo avrebbe dovuto spezzarle le ossa come se niente fosse, ma invece le fece provare soltanto un dolore atroce.  Bright si stava trattenendo, nonostante le minacce e nonostante i suoi occhi fossero iniettati di sangue. Poi accadde qualcosa che lei in un primo momento non capì bene, il tempo sembrò dilatarsi di nuovo, procedendo al rallentatore, un istante infinito per volta: il suo avversario, Brightgate, si sollevò sulle zampe posteriori e affondò gli zoccoli alla base delle sue ali, spingendo in giù, premendole con forza. A quel punto lo shock, il dolore. Se una bestia famelica avesse cominciato a strappargliele con le zanne, probabilmente avrebbe avvertito un male minore di quello che stava avvertendo in quel momento. Non fu progressivo, non fu altalenante. Fu IMMEDIATO, come lo scoppio di una bomba, il collasso dei suoi muscoli.

E dopo il dolore più niente, le ali non c’erano, o meglio, c’erano, ma era come se le avesse scollegate dal corpo, rese inutili, dei teli di carne e piume che non rispondevano al suo controllo.

E mentre tentava di esalare un gemito, un lamento, che tuttavia le moriva in gola, cominciò a sentire il corpo divenire pesante e scendere ineluttabilmente a terra. Era assurdo pensare che tutto ciò stava avvenendo in un lasso di tempo di due, forse tre secondi.

Poi lo sguardo di Bright si fece ancora più crudele, i suoi occhi gialli sembravano emettere una luce tutta loro.

“La luce alla fine del tunnel… eheh, sto per morire”

Era un pensiero assurdo, ma Rainbow Dash aveva cominciato a convincersene. Quello che aveva davanti non era un amico, non era il suo allenatore. Era un mostro famelico che era affamato di lei.

Bright, quello che in altre occasioni aveva chiamato Bright… lo vide unire le braccia in un attacco combinato, che sarebbe terminato con un doppio colpo di zoccoli che l’avrebbe spazzata via; l’avrebbe annientata, così come aveva annientato le Guardie dell’Impero di Cristallo.

Rainbow Dash intanto cadeva.

Le zampe di Bright si allungarono.

Rainbow Dash Realizzò che non avrebbe mai toccato il suolo.

Qualcuno da lontano intanto stava gridando, e la sua voce risuonava nei timpani ridicolmente rallentata e distorta, gli diceva di non farlo. “Non colpirla, Bright! Non farlo!”

Lei intanto cadeva, ancora un metro da terra.

Chissà se le sue amiche se la sarebbero cavata senza di lei, nella guerra che stava per infuriare.

“Non provocatelo, vi scongiuro! Per l’amor di Celestia, non sfidate la forza di questo unicorno”.

E proprio quando stava per subire quel colpo, Bright la prese per la vita e invece di terminare il suo attacco la scagliò a terra con un impatto devastante. La sua schiena vibrò col pavimente e degli spasmi muscolari scossero per intero il suo corpo, ma almeno era morta… non era stata colpita.

Bright si rimise a quattro zampe, respirò a fondo e si sistemò i crini con uno zoccolo. Più in là Bibski Doss sospirò di sollievo tornando a sedersi.

Rainbow Dash non era in grado di muovere un muscolo, la spina dorsale le era stata quasi spezzata, ma non abbastanza da provocarle danni permanenti, le articolazioni pulsavano di dolore e cominciavano a gonfiarsi sotto gli strati di pelle, ma la cosa che la riempiva di terrore assoluto era che non percepiva più le sue ali.

«M–maledetto… dannatissimo bastardo… che cosa mi hai fatto?!» Cominciò a piangere. Nemmeno da puledrina aveva mai sentito il bisogno di piangere come lo sentiva adesso, nemmeno quando era morta Gilda aveva sentito che il suo mondo le sfuggiva da sotto le zampe come in quell’istante. Senza ali, senza più la possibilità di volare, tanto valeva che fosse morta sul serio.

«Le tue ali stanno bene.» Disse Bright in tono secco. «Entro massimo un’ora comincerai a sentirle di nuovo, e dopo sarà come se non fosse successo niente. Te l’ho detto: ti affidi troppo alle tue capacità di volo.» Guardò le altre giumente, stupito dal fatto che nessuna stesse commentando, ma la verità è che avevano paura di lui, di ciò che aveva fatto. «È una lezione che dovete imparare tutte quante. Rainbow Dash non è mai stata in pericolo con me, ma se questo fosse stato un tipo diverso di scontro, non sarebbe andata alla stessa maniera.»

Le Custodi si scambiarono degli sguardi in silenzio.

A quel punto fu Twilight a parlare «Avevi detto che ci sono tre regole. Qual è la terza?» Chiese scura in volto.

«La terza regola è semplice: fate quello che vi chiedo e nessuno si farà male.»

E Rainbow Dash, che si stava trascinando tutta pesta e indolenzita, non avrebbe mai più dimenticato quella regola, ne era certa.

«Ora, se non ci sono altri impedimenti, direi di cominciare il riscaldamento. Otto giri di campo, escludendo Rainbow Dash per ovvi motivi, ma per tutte le altre, vi consiglio di darvi da fare. Quando avrete finito vi introdurrò ad alcune semplici mosse per rompere le difese avversarie, e se fuori farà più caldo vedremo anche di far…»

«Ehi Bright.»

*Boop*

Qualcosa lo toccò, e lui in preda allo shock gridò: «COSA??»

Era avvenuto tutto in un lampo. Bright, che aveva un udito così sviluppato da potersi difendere anche bendato, e dei riflessi così fulminei da essere in grado di evitare il morso di un serpente velenoso, fu colto alla sprovvista da Pinkie Pie, che gli era spuntata alle spalle.

La pony, che non stava sorridendo come suo solito, ma aveva uno sguardo truce e opprimente che le scuriva il viso, gli aveva toccato la punta del naso con la punta del suo zoccolo.

Quel gesto così innocente, bastò tuttavia a far esplodere i sensi a Bright.

L’unicorno non ci capì più niente, arretrò, si ingarbuglio con le sue zampe.

«COSA… COSA…»

Mai gli era successo. Nessuno era mai riuscito ad arrivargli alle spalle, figurarsi a toccarlo, e fino un istante prima Pinkie Pie era nel suo campo visivo, in fila con le altre Custodi.

Si girò per guardarle ed effettivamente l’Elemento della Gioia mancava. Come aveva fatto ad avvicinarsi così in fretta, come?!

«Non fare più del male alle mie amiche, non è carino.» Lo ammonì lei, e c’era qualcosa nella sua voce che era inflessibile e allo stesso tempo crudele. La pony in rosa poi tornò nel gruppo, senza saltellare ma con una flemma che era innaturale per lei.

Bright si ricompose e si rese conto di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Si pulì il manto, rimise a posto la criniera un’altra volta, come fosse un tic nervoso, e s’impose di parlare calmo.

«Sergente Soil, le dispiace prendere il mio posto? Mi serve un minuto.»

«Oh… sì. Penso di poterlo fare… bell’incontro comunque.»

«Già.»

L’ufficiale, tornato sobrio, pronunciò un ordine e a quel punto le giumente dovettero iniziarono a correre, a malincuore. Rainbow Dash, esonerata, sarebbe rientrata di sua spontanea volontà al secondo giro di campo.

Nel frattempo Bright si era avvicinato all’amico inventore per parlargli.

«Wow, non ho mai visto nessuno scalare l’olimpo e poi cadere all’improvviso così velocemente come te.» Gli disse Bibski mentre continuava scrivere annotazioni sulla cartellina.

«Non ha alcun senso… era lì, e poi… insomma… come ha fatto?!»

«Beh, è successo che ti è arrivata alle spalle, e poi ti ha toccato con lo zoccolo, e tu sei caduto a terra in preda al panico.»

«Ma non l’ho nemmeno vista muoversi!»

«Straordinario, non è vero? Sospettavo che quella pony avesse delle caratteristiche particolari, ma questo va oltre a quello che mi aspettavo! Lo sapevi che è stata in grado di captare l’arrivo di Cyclop? Voglio dire, prima che effettivamente emergesse!»

«Mi hanno informato, sì.» Respirò a fondo l’unicorno alto.

«Ecco, immagina se riuscissimo a incanalare le sue doti e a sfruttarle per i nostri scopi! Potremmo prevedere con maggiore tempestività l’arrivo di nuovi Kaiju, inoltre…» proprio in quel momento il suo cutie mark s’illuminò «… non sarebbe male integrare nei sistemi degli Jaeger le sue abilità di movimento.»

I due stalloni si misero a guardare la pony in rosa mentre correva con le sue amiche. Sembrava quasi divertirsi, al contrario delle altre.

«Credi che sia fattibile?» Gli domandò Bright, chiedendosi ancora come avesse fatto la giumenta ad arrivargli così vicino.

«Ho qualche idea in cantiere, sempre che tu non mi distrugga le piloti prime di averle messe alla prova.»

«Rainbow Dash ha avuto ciò che si meritava. Forse adesso si darà una calmata e sarà più collaborativa.»

«Oh non lo metto in dubbio. A proposito, ho qui la mie proposte per gli abbinamenti delle squadre. In realtà direi che possiamo già considerarle definitive.»

Bright accettò gli appunti con una certa cautela. «Pensavo che volessi osservarle un po’ prima di decidere.»

«Tu guarda gli abbinamenti, poi mi dici.»

L’unicorno perplesso prese a leggere il contenuto del foglio, che era pieno di appunti e di annotazioni inerenti allo sviluppo degli Jaeger, ma quando vide gli accoppiamenti che erano stati assegnati dall’inventore, la sua curiosità cedette ai dubbi.

«Scusami se te lo dico, ma se questa è la tua idea, non potrebbero mai funzionare.»

«Cosa non ti convince?» Chiese Bibski, per nulla turbato dalle sue parole.

«Beh… tutto praticamente! Le coppie sono squilibrate, o addirittura incompatibili… Applejack e Rainbow Dash… sì, loro due potrebbero anche funzionare… ma Twilight con Fluttershy? Rarity e Pinkie Pie? Non avremo mai una formazione equilibrata in questo modo!»

«E credi che sia quello che voglia, uh? Una formazione equilibrata?»

«Non ti seguo… »

«Rifletti, Bright, rifletti: i Kaiju si adattano facilmente ad ogni nostra strategia. Troviamo un modo per eliminarli e la volta successiva sviluppano delle difese che rendono vani tutti i nostri progressi. Se creassimo delle macchine con caratteristiche similari, o equilibrate, come dici tu, riusciremo a dominare una battaglia, forse riusciremo a superarne una seconda, ma alla terza i Kaiju avranno già sviluppato dei sistemi per vanificare i nostri progressi.»

Bright intuì il suo disegno.

«Quindi la tua strategia è… creare il caos in battaglia?»

«In questo modo guadagneremo più tempo per investigare sulle loro origini e capire una volta per tutte come fermarli. Ogni Jaeger avrà il suo campo di specializzazione, le sue armi. Tre stili di combattimento diversi più le combinazioni di attacco se combatteranno in gruppo. I Kaiju non sapranno più che pesci pigliare, e noi per la prima volta avremo finalmente un vantaggio sui nostri nemici.»

Posto così, il piano aveva senso, e dopotutto, se era Bibski a dirlo, c’era forse da dubitare? Ma era corretto riporre tanta fiducia in lui?

Ripensò al dialogo con suo fratello, e chissà se da un certo punto di vista Blu non avesse ragione? Forse Bright era troppo attaccato a Bibski per avere un’opinione obiettiva. Ma Bibski aveva saputo farla in barba a tutti, li aveva fatti evadere dalla prigione dell’Impero di Cristallo, aveva fatto condonare tutti i loro crimini, ottenendo l’alleanza della famiglia reale e dando il via al programma Rescue Equestria. Poteva sbagliarsi proprio ora che le cose stavano procedendo secondo i suoi piani? Messo così, sembrava ridicolo anche solo pensarlo.

Stava ragionando su tutto questo quando fece la sua entrata in scena Spike, il draghetto di Princess Twilight.

«Ragazze, venite qui, presto!» Corse agitato, stringendo tra gli artigli qualcosa.

Le Custodi si interruppero, erano arrivate forse al quarto giro di corsa e alcune avevano già il fiato corto. Considerato che erano soltanto a metà del riscaldamento, potersi fermare fu per loro un vero colpo di fortuna.

«Che succede, Spike?» Chiese Twilight, che si avvicinò per prima. Anche i tre stalloni si avvicinarono per sentire. Rainbow Dash, indolenzita, verificò le condizioni delle sue ali e fu l’ultima ad unirsi.

«Sono arrivati i risultati dell’analisi del sangue di Discord, guardate!» Porse loro i fogli di carta stropicciati che aveva con sé.

Si strinsero tutto intorno, cercando il proprio spazio per vedere.

«Li hanno consegnati a Princess Luna, io poi mi sono offerto di portarveli!» Spiegò entusiasta, ma nessuno fece caso alle sue parole, solo Fluttershy lo ricompensò accarezzandogli le creste craniali.

La maggior parte di loro guardò invece i testi e le cifre stampate sui fogli, senza però capire la metà delle informazioni che vi erano contenuti. La Principessa dell’Armonia, però, seppe subito dove puntare l’attenzione. Strabuzzò gli occhi incredula.

«Ti dispiace se do un’occhiata?» Chiese Bibski, impossessandosi dei documenti. Lo si sentì mugugnare qualcosa mentre scorreva tra le righe, fino a quando anche lui non arrivò al punto che aveva lasciato di stucco Twilight. Fece il gesto di sistemarsi il casco dell’Equalizzatore.

«Questo è molto interessante.» Esclamò infine.


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I ricercatori che avevano lavorato sui campioni di sangue erano rimasti sconcertati dallo scoprire cosa si nascondesse nell’emolinfa di Discord: piccoli organismi di provenienza sconosciuta, molto simili a delle nano–macchine la cui composizione molecolare non corrispondeva a niente di conosciuto dalla scienza equina.

Viste attraverso le lenti del microscopio, si presentavano con un corpo centrale discoide dal quale si estendevano quattro appendici snodate, con cui nuotavano nel plasma sanguigno e aggredivano le magiglobine, proteine responsabili della distribuzione dell’etere magico all’interno del flusso sanguigno.

La prima scoperta pervenuta all’attenzione dei ricercatori fu proprio che il draconequus, come i pony, incanalasse il suo potere per mezzo di queste molecole, benché la sua biologia e perfino il DNA non trovavano corrispondenza con nessun altro abitante sul suolo di Equestria. Si poteva dire che somigliasse ai pony tanto quanto fosse diverso, a conferma di ciò che già si sapeva sul suo conto, e cioè che proveniva da una dimensione caotica, “simile ma opposta” all’ordine instaurato dall’Armonia nel loro mondo.

Proprio questa insolita affinità tra le due razze poteva spiegare le interazioni molto particolari che le nano–macchine avevano instaurato con Discord all’interno del suo organismo. Esse infatti tendevano a cercare la fonte di potere magico più intensa presente nelle vicinanze e, come già spiegato, a ghermire con le loro propaggini le magiglobine da cui assorbivano l’etere magico, facendolo diventare carburante per il proprio sostentamento.

Il consumo elevato di tanto potere spiegava il fenomeno della soppressione della magia, lamentata da chiunque fosse stato colpito dai globuli assorbi–magia. Ma perché la guarigione, che dopo poche ore aveva portato i pony a recuperare le loro capacità, non si era verificata anche su Discord?

Per trovare una risposta a questo interrogativo furono prima riesaminati i campioni di sangue prelevati dai pazienti equini, confermando la totale assenza delle nano–macchine, quindi il sangue del draconequus fu sottoposto a un processo di filtrazione dal quale fu prelevata una parte degli organismi estranei e introdotta all’interno del plasma di un unicorno dalle apprezzabili capacità magiche, che avrebbe quindi rappresentato un terreno di coltura ideale per i test che stavano per compiersi.

Nel nuovo ambiente le nano–macchine cominciarono ad agire secondo le previsioni, aggredendo e divorando le emanazioni di magia delle magiglobine, ma dopo poco più di un’ora, l’attività di alcune di esse cominciò a diminuire in maniera drastica, sino a morire a partire da due ore dall’inizio dell’inoculazione.

Cosa le aveva uccise?

Tutta l’equipe di ricerca si trovava d’accordo nel dire che le nano–macchine non potevano trovarsi lì per caso, ed era ipotizzabile che chiunque avesse aizzato il Kaiju Cyclop contro i pony di Canterlot, le avesse dotate di una programmazione che permettesse loro di far fronte alle situazioni più avverse. Quando il sangue di Discord era stato sottoposto a filtrazione, alcune delle nano–macchine erano riuscite a resistere alla separazione arpionandosi alla superficie della provetta. Successivamente avevano iniziato un processo di scissione del proprio nucleo centrale molto simile alla mitosi cellulare, che aveva riportato la loro popolazione a un numero simile a quello di partenza.

Quindi le nano–macchine non solo erano dotate di un forte istinto di sopravvivenza, ma erano anche capaci di auto–regolare il numero di individui che potevano coesistere all’interno di un organismo, motivo per cui Discord e con lui anche gli altri pony non lamentavano disagi oltre all’emicrania registrata nelle prime fasi dell’infestazione. Con questi risultati era facile concludere che fintanto che ogni singola unità non veniva rimossa dal suo organismo, non c’era speranza per il draconequus di recuperare le sue funzioni magiche. Al primo tentativo di sottoporlo a un processo di dialisi, le nano–macchine residue avrebbero immediatamente rinvigorito le proprie schiere.

Ma allora, se erano così difficili da debellare, cosa aveva permesso ai pony di guarire, e cosa aveva ucciso le nano–macchine che erano state impiegate nei test sui campioni di sangue?

La risposta sfuggiva a una spiegazione scientifica da parte dell’equipe, o per meglio dire, era come se non fosse un singolo fattore a determinarne la disfatta: non l’azione difensiva del sistema immunitario, non l’effetto collaterale dell’interazione con un enzima o con altre particelle presenti nel sangue equino. In esso le nano–macchine era come se fossero indotte alla morte per conseguenza dell’esposizione prolungata allo stesso sangue di pony, come se qualcosa di ancora più piccolo dei globuli bianchi e degli anticorpi le aggredisse portandole al malfunzionamento e alla disgregazione. Cosa fosse questo fattore, non era dato saperlo con certezza.

A lungo si erano avanzate ipotesi sull’esistenza di un costituente fondamentale di tutta la materia, organica e inorganica, e l’Armonia era il nome che era stato scelto per dare una definizione di facile comprensione di tale elemento di base.

L’Armonia era ciò che permetteva agli esseri viventi di esistere e alle cose inanimate di avere una propria interazione col mondo, agli ecosistemi di mantenersi in equilibrio e ai pony di costruire grandi palazzi verso cui innalzarsi verso il futuro. L’Armonia era anche magia, era energia. Ed era la somma delle emozioni che ogni creatura provava, era la loro paura e la loro speranza. Era il tutto, perfettamente bilanciato. E quando qualcuno minacciava quel perfetto equilibrio, gli Elementi dell’Armonia intervenivano per ripararlo, portando una scintilla di luce nei cupi cuori degli animi più scuri, o allontanando ciò che non poteva essere aggiustato, per proteggere ciò che restava.

Con i Kaiju, invece, le cose erano sempre state diverse. Per qualche motivo la semplice permanenza su questo mondo causava in loro danni terribili, e per quanto si adattassero alla sopravvivenza, la loro malvagità e la loro assoluta negatività in quanto agenti del caos, era anche la ragione del perché fin dall’inizio i pony avevano potuto contare su un vantaggio così prezioso.

Forse questo effetto si era esteso anche sulle nano–macchine, facendo sì che i pony fossero predisposti a guarire.

Al contrario di Discord, che in quanto agente del caos a sua volta, non era parte di quel mondo, e di conseguenza, non poteva considerarsi una creatura dell’Armonia.


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