Magisterium - 1934... and then

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Elena & Gabriel ***
Capitolo 2: *** Iphigenia & Andrew ***
Capitolo 3: *** Katherine ***
Capitolo 4: *** Adela & Hector ***
Capitolo 5: *** Axel ***
Capitolo 6: *** Jade ***
Capitolo 7: *** Jack & Evangeline ***
Capitolo 8: *** Aurora ***
Capitolo 9: *** Beatrix ***



Capitolo 1
*** Elena & Gabriel ***


Elena & Gabriel 
 
Elena MacMillan Image and video hosting by TinyPic& Gabriel Greengrass Image and video hosting by TinyPic



“I tuoi genitori continuano a sperare che tra noi finisca in fretta?”
“Adesso che lo “scandalo” di tuo padre si è sgonfiato sono meno preoccupati. In realtà TU gli piaci, se non fosse successo quel che è successo non credo avrebbero mai cercato di ostacolare la nostra relazione.”

“Certo che gli piaccio! Io piaccio praticamente sempre a tutti.”

Gabriel rise di fronte al debole sbuffo e all’espressione contrariata di Elena, continuando a camminare accanto a lei tenendola per mano e sotto il sole di Luglio. 

“Naturalmente, Elly. Rilassati, mia madre era smaniosa che trovassi una ragazza Purosangue che mi piacesse e ora che è così si farà una ragione del divorzio dei tuoi genitori… sei Purosangue, intelligente, bellissima e persino ricca, non potrebbe chiedere di meglio.”
“Tu non potresti chiedere di meglio.”

Elena abbozzò un sorrisetto e lo colpì leggermente sulla spalla mentre Gabriel, sorridendo di rimando, le prendeva delicatamente il viso tra le mani dopo essersi fermato di fronte a lei:

“Lo so.”
“Sto scherzando.”
“So anche questo. Tuo padre ha firmato? Sei felice?”

“Sì, credo. Finalmente abbiamo chiuso questa storia… mia madre e mio padre non hanno più niente che li leghi e lei potrà farsene una ragione e vivere più serenamente, spero.”
“Elly, hanno eccome qualcosa che li lega, ce l’ho davanti agli occhi adesso.”

“Non è detto, Gabri, non parlo con mio padre da mesi e non ho intenzione di cambiare le cose tanto presto.”


*


Elena non vedeva suo padre da molto tempo, ma sapeva che prima o poi, per quanto potesse sforzarsi di evitarlo, le cose sarebbero cambiate. 
Henry aveva mantenuto la sua promessa, non l’aveva più cercata, sostenendo che avrebbe aspettato che fosse lei a farlo… ed Elena, in tutta onestà, non sapeva proprio quando quel momento sarebbe arrivato.
Almeno fino a quella tarda mattinata estiva, quando si trovava a Diagon Alley per cercare un regalo di compleanno per sua madre.
C’era molta gente, come sempre a quell’ora il sabato mattina, ma gli occhi castani di Elena vennero attratti quasi come da una calamita su un familiare uomo dagli occhi azzurri e i capelli ormai scuri ormai brizzolati. Un uomo che teneva gli occhi fissi su di lei, a poco metri di distanza.
Henry era solo, con suo gran sollievo: non le andava proprio di incontrare la nuova famigliola felice al completo, era già abbastanza difficile vedere suo padre e basta.
Suo padre che le si avvicinò senza dire niente, limitandosi ad osservarla e aspettando che parlasse per prima, inducendola a schiarirsi la voce con leggero nervosismo ed evitando di ricambiare lo sguardo penetrante di quegli occhi chiari che la studiavano attentamente:

“Ciao.”
“Ciao Elena… come stai?”
“Bene.”
“Ho saputo che i tuoi esami sono andati bene… mi fa piacere.”

Elena fece per chiedergli come facesse a saperlo, ma poi roteò gli occhi quando la sua mente si spostò immediatamente su sua nonna, esitando prima di parlare, le mani in tasca e continuando ad evitare di guadarlo negli occhi:

“Come mai sei sola?”
“Cerco un regalo per la mamma.”
“Certo… Ci ho quasi pensato a mia volta, è strano non prenderle niente dopo tutti questi anni.”
Henry abbozzò un sorriso ed Elena annuì con aria cupa, parlando a mezza voce:
“Beh, non siete più sposati. Come… Come sta Victoria? Manca molto?”

“… tua nonna non te l’ha detto?”

Elena alzò lo sguardo e si decise, finalmente, guardarlo negli occhi. Suo padre la stava osservando con un sopracciglio inarcato, sorpreso… e in effetti la ragazza, osservandolo più da vicino, si accorse di quanto sembrasse stanco.
“Non mi ha detto cosa?”

“Victoria ha perso il bambino, Elena, da circa un mese.”
“Oh. Mi… mi dispiace, davvero. Se l’avessi saputo sarei venuta a trovarti.”

“Non è il primo figlio che perdo prima ancora che nasca. Forse è destino che ne abbia soltanto una.”

Henry si strinse debolmente nelle spalle e la figlia non disse nulla, esitando prima di schiarirsi la voce:

“Devo andare.”
“Posso accompagnarti?”

Elena non era mai stata brava a fare regali, specie per sua madre, e suo padre la conosceva sicuramente meglio di lei ma no, non voleva che scegliesse il regalo per sua madre, non dopo tutto quello che aveva fatto.

“No, preferisco di no. A presto.”
Elena fece per voltarsi e andarsene ma il padre la precedette, prendendola per un braccio e costringendola a voltarsi:
“Emily come sta?”
“Meglio. Beve molto meno.”
“Bene. Sei stata molto brava con tua madre, Elena.”

“Qualcuno doveva pur prendersi cura di lei, considerando che sei sparito da un giorno all’altro senza dire niente.”

La ragazza fece scivolare il braccio dalla presa del padre e si allontanò in fretta e furia, scivolando tra la calca e desiderando solo di sparire rapidamente. Sentì di nuovo il suo sguardo su di sè ma non si voltò comunque indietro, procedendo dritta per la sua strada. Un po’ come aveva fatto lui mesi prima e negli anni passati.


Si raccoglie ciò che si semina, diceva sempre suo nonno, e aveva ragione.


*


“Bene, la Passaporta partirà tra dieci minuti… è arrivato il momento di salutarci, Gabri.”

Katherine sorrise all’amico dopo aver lanciato una fugace occhiata al suo orologio da polso, incontrando però solo un’espressione tesa sul volto del ragazzo che le stava davanti, nel salotto di casa sua:

“Non riesco a credere che tu te ne vada, Kat.”
“Mi sono diplomata da sei mesi Gabri, durante i quali non ho fatto niente se non appurare che la cosa migliore, per me, è raggiungere mio fratello in Romania. Con il suo aiuto e un po’ di fortuna lì potrò dedicarmi davvero allo studio dei draghi, finalmente.”

“Lo so, è solo che mi mancherai, sarà strano non averti intorno.”
“Mi mancherai anche tu. Ma non temere, tornerò per le feste o comunque periodicamente, mi basta prendere una Passaporta dopotutto.”

Katherine sorrise prima di abbracciare l’amico, sinceramente dubbiosa su chi dei due stesse cercando di convincere con quelle parole.

“Ok… cerca di comportarti bene, ascolta Max.”
“Tu semmai! Non fare idiozie, tratta bene Elena e cerca di fare a meno dei miei preziosi consigli, se ci riuscirai.”
“Come potrò sopravvivere senza?”  Gabriel, parlando con tono melodrammatico, spalancò gli occhi chiari mentre scioglieva l’abbraccio, guardando l’amica annuire e sospirare con studiata teatralità prima di dargli qualche colpetto consolatorio su una spalla:

“Non so proprio dirlo, ma in qualche modo dovrai cavartela. Bene Darcy, sei pronto ad andare in Romania?”
“Non sembra molto felice.”
“È solo un felino viziato, non badarci, si abituerà… a presto Gabriel.”

“A presto Katherine.”


*


“Mamma, smettila di parlare così. La tua vita non è finita, è finito il tuo matrimonio! E so che tenevi molto a papà, ma sei ancora giovane e relativamente attraente e…”
“Vacci piano signorina, sei la mia fotocopia, quindi attenta a come parli.”

“… dicevo, dal momento che hai appena 41 anni…”
“Ne ho 40!”
“Appunto! Non puoi permettere che l’ombra del matrimonio con papà continui a perseguitarti. Merlino, giuro che se non fosse per Gabriel odierei il matrimonio!”

“Dici così, ma sono sicura che quando te lo chiederà gli dirai di sì senza pensarci due volte.”
“Chi ti dice che me lo chiederà?!”

Elena inarcò un sopracciglio, guardando la madre con evidente attenzione mentre Emily si stringeva nelle spalle, parlando con un tono noncurante in netta contrapposizione con quello quasi allarmato della figlia:

“Sua madre. Pare che Gabriel abbia chiesto a Robert di dargli l’anello…”
“E ME LO DICI COSÌ?! MAMMA, LO DEVO VEDERE DOMANI! Devo dirlo a Steph!”
Elena, che fino a quel momento era rimasta seduta di fronte a sua madre al tavolo in sala da pranzo, scattò in piedi sotto lo sguardo quasi divertito della donna per allontanandosi di corsa e sentendo solo distrattamente le parole di Emily:
“E meno male che eri scettica sul matrimonio…”


*


Gabriel stava leggendo un libro in biblioteca – rifugiatosi lì per sfuggire a sua madre e alla sua insistenza affinché i preparativi per le nozze accelerassero – ma la calma andò in frantumi quando la porta venne spalancata con irruenza. Il ragazzo sobbalzò sulla sedia e alzò lo sguardo, confuso e certo che sua madre non avrebbe mai aperto la porta in quel modo, e sgranò gli occhi con sincera sorpresa quando si trovò davanti una ragazza dall’aspetto molto familiare ma che non vedeva dentro casa sua, specie in quella stanza, da molto tempo:

“GABRIEL CYNRIC GREENGRASS! Che storia è mai questa?!”
“Kat! Sono felice di veder-“

“FAMMI FINIRE, SCIAGURATO!”

Gabriel avrebbe voluto abbracciarla, ma a giudicare dalla sua espressione truce decise che avrebbe aspettato, limitandosi a guardarla mentre l’amica gli puntava un dito contro con aria accusatoria:

“Mi dici come sia possibile che tu, TU, ti sposi e io, IO, lo vengo a sapere da mia madre?! COME TI SEI PERMESSO DI NON INFORMARMI!”
“M-ma io ti ho scritto, dev’essere andata persa la lettera…”
“BAGGIANATE!”
“È la verità!”
“È esattamente quello che dice la gente che non ha inviato nessuna lettera! E il mio invito?! Andato disperso anche quello?!”
“Li manderemo domani, ti arriverà. Posso abbracciarti?”

“No. Sono venuta solo per palesare il mio profondo sdegno, non per le effusioni. Gabriel. Lasciami. La mia stima una volta perduta è perduta per sempre.”

“… è una frase di Orgoglio e Pregiudizio?”
“Capitolo 11.”
“Devi smetterla di leggere quel libro, Kat.”
“Non sei nella posizione adatta per fare commenti, Greengrass. Congratulazioni, comunque.”


*


Dopo aver fatto da balia alle sue migliori amiche per quasi dieci anni Axel Farrel non si stupì minimamente quando, il giorno del matrimonio di Elena, si ritrovò a mantenere fede al suo ruolo ispezionando mezza Villa Greengrass per cercare il bouquet che Stephanie aveva perduto. 

Quando giunse di fronte alla porta della stanza dove la sposa si stava preparando si premurò di bussare delicatamente, aprendola dopo aver ricevuto il permesso di una decisamente preoccupata Elena:
“Se sei Axel entra!”
“Chi vuoi che sia?! Steph, ecco il tuo bouquet, era di sotto.”
“Oh, grazie Axel. L’avrei cercato io ma dovevo aiutare Elly a sistemarsi i capelli.”

Il ragazzo inarcò un sopracciglio con visibile scetticismo mentre la bionda lo accoglieva con un sorriso gentile, trattenendosi dal farle notare che non solo avrebbe potuto appellarlo, ma che la sposa aveva avuto una schiera di cameriere a sua completa disposizione per renderla impeccabile. 
Ma per esperienza personale sapeva che non era il caso di contraddirla, non quando Stephanie aveva iniziato l’addestramento all’Accademia.

Elena invece era ancora seduta davanti alla toeletta e si stava sistemando nervosamente una ciocca di capelli rossicci quando l’amico le si avvicinò, stringendo lo schienale della sedia mentre si chinava per darle un bacio su una guancia:

“Sei pronta?”
“Sì e no.”
“Arrivare un po’ in ritardo va bene Elly, ma non c’è bisogno di esagerare. Rilassati, sarà tutto perfetto.”

“Ho un brutto presentimento. Quando sono arrivata qui, stamattina, ho visto un gatto nero!”
“Quello era il gatto di Katherine…”
“E chi si compra un gatto nero?!”

“Qualcuno di non ridicolmente superstizioso come te, evidentemente. Credo che essere un po’ nervosi sia normale Elly, ma non andrà a finire come per i tuoi genitori, ne sono certo.”
“Anche io. E se anche fosse, io e Axel andremmo ad uccidere Gabriel.”

Stephanie annuì e Elena abbozzò un sorriso prima di accettare la mano che Axel le porgeva e alzarsi in piedi, abbracciandolo e facendo cenno anche all’amica di avvicinarsi:

“Grazie. Vi voglio bene.”
“Anche noi ti vogliamo bene, ma ora andiamo prima che il trucco e la torta si sciolgano e Gabriel cambi idea!”
“Cambiare idea non è ammissibile, se mi pianta in asso diventerò il suo peggior incubo!”

“Minacce, un bel modo per iniziare un matrimonio…”


*


“Vi prego, ditemi che Reg non è in ritardo! Ha lui le fedi!”

Gabriel, in piedi davanti allo stuolo di ospiti che avevano già preso posto sulla schiera di sedie, si rivolse a Sean e a Jack in un sussurro mentre il primo gli sistemava il papillon, destando un sorriso da parte di Sean:

“Tranquillo, gli abbiamo raccomandato di non fare tardi.”
“Rilassati Gabri, sono qui, e le fedi sono con me.”

I tre si voltarono verso il quarto, che si avvicinò agli amici con un largo sorriso ad illuminargli il volto mentre Jack ridacchiava di rimando:

“Segnatevi sul calderaio che oggi oltre all’anniversario di Gabriel ed Elena diventerà anche quello della puntualità di Carsen.”
“Passano gli anni e tu sei sempre più simpatico, Jack. La povera Evie sa a cosa sta andando incontro?”
“Ovviamente.”
Jack sorrise e, voltandosi brevemente verso gli ospiti, rivolse un fugace sorriso in direzione della fidanzata, che, seduta accanto ad Aurora, ricambiò con calore, rivolgendogli un breve cenno.

“Tutto questo zucchero nell’aria mi sta facendo salire la glicemia prima ancora di arrivare al rinfresco.”
“Inizi a parlare come tua sorella, Sean.”
“Senza contare dal pulpito da cui viene la predica, quello con il sorriso ebete ogni qualvolta in cui Aurora è nei paraggi.”

“Possiamo tornare a concentrarci sullo sposo, per favore?!”
“Fate silenzio una buona volta, sono già nervoso senza il vostro ciarlare!”
“Paura di essere abbandonato all’altare?”
“Considerando che ha esitato prima di dirmi di sì, non ho tutti i torti.”
 

Ed era vero, per quanto l’avesse vista sorridere quando le aveva chiesto di sposarlo Elena non aveva acconsentito subito, ci erano volute parecchie rassicurazioni e promesse che non sarebbe stato come il matrimonio dei suoi genitori da parte sua. 
Non aveva dubbi sui sentimenti che Elena provava per lui, bensì su quanto si sentisse effettivamente pronta per quel passo. 

Per questo tirò un sospiro di sollievo e sorrise con gioia quando la vide attraversare il lungo corridoio creato dalle file di sedie con l’abito bianco addosso e stretta al braccio di un Axel altrettanto sorridente, che le diede un bacio su una guancia prima di lasciarla e andare a sedersi in prima fila accanto a Stephanie e alla madre della ragazza.

“Sei bellissima.” Gabriel le sorrise dopo aver stretto le mani tra le sue, dandole un bacio sulla tempia prima di sedersi e guardarla sorridergli di rimando, gli occhi castani luccicanti:
“Grazie. Anche tu.”




“Sei sicura di non voler invitare tuo padre?”
“Sicurissima.”
“Lo farà soffrire molto, lo sai.”
“Beh, anche se come avevo previsto tra lui e quella non è durata non ha mai chiesto scusa ed è andato avanti con la sua vita, ora lo sto facendo anche io. Ti prego, non parliamone più, la lista è questa e tale rimarrà.”
“Ok… come vuoi tu, mi basta solo che quel giorno tu sia felice tesoro.”



*


“Signor Greengrass!”
Era piuttosto raro che l’ordine e il silenzio dell’Ufficio Misteri venissero deturpati da richiami tanto concitati e Gabriel, confuso, era appena uscito dalla Stanza della Morte quando intercettò lo sguardo della donna che lo stava raggiungendo praticamente di corsa:

“Ellen, che cosa c’è?”
“Finalmente, la sto cercando da diversi minuti!”
“Mi dispiace, stavo lavorando. Prenda fiato, è successo qualcosa di grave?”

Gabriel inarcò un sopracciglio e, sistemandosi distrattamente la manica blu della giacca, rivolse un’occhiata leggermente preoccupata alla segretaria del suo superiore, che annuì prima di parlare con tono affannato:

“È arrivata una lettera per lei, ovviamente non l’avrei aperta ma c’era scritto che era molto urgente e dal momento che non si trovava da nessuna parte…”
“Ellen, vada al dunque!”
“È da parte di sua suocera, riguarda sua moglie. Credo che dovrebbe tornare a casa, Signor Greengrass.”

Gabriel prese la lettera che la donna gli porse e dopo averla aperta lesse rapidamente e con il cuore in gola le poche righe che Emily aveva scritto, visibilmente molto in fretta, prima di annuire e superare quasi di corsa la donna:

“Grazie. Mi prendo un permesso, lo dica al Signor Fawley!’




“Elly!”
“Signor Greengrass, dovrebbe restare…”
“Fuori dai piedi, voglio vederla e ne ho tutto il diritto.”  Gabriel liquidò l’infermiera con un’occhiata inceneritoria prima di superarla a grandi passi, spalancando senza tante cerimonie la porta della sua camera da letto e posando immediatamente lo sguardo sulla moglie, che giaceva appoggiata ad una sfilza di cuscini piuttosto pallida e con i lunghi capelli rossicci che le ricadevano sulla camicia da notte.

“Elly! Che cosa è successo?!”   Gabriel deglutì mentre si avvicinava alla moglie, affrettandosi ad attraversare la stanza per sedersi di fronte a lei, stringerle una mano pallida tra le sue e guardarla sorridergli debolmente con espressione tesa:
“La signora è scivolata sulla scalinata dell’ingresso dopo aver perso i sensi, l’ha trovata un elfo… per fortuna non sembra aver riportato danni dalla caduta.”

“Meno male… ti sei sentita male? Vuoi che ti faccia portare qualcosa?”
“Non si preoccupi Signor Greengrass, si rimetterà. Forse non in tempi celeri, ma si rimetterà. Buona giornata!”

“Aspetti un attimo, che cos’ha?! Ma dove sta andando?!”  Gabriel si voltò e guardò il medimago uscire dalla stanza con la sua borsa in fretta e furia. Ebbe anche il sentore di averlo intravisto sorridere con aria divertita, ma si voltò di nuovo verso Elena quando la sentì esercitare una lieve pressione sulla sua mano, sorridendogli dolcemente:

“Sostiene di aver già fatto tutto quello che poteva. Rilassati, sto bene.”  
“Le persone che stanno bene non svengono, e a te non succede mai. Sei pallida.”
“Gabri, sono solo incinta.”

Elena sorrise, decisa a non perdersi un attimo della reazione del ragazzo, che rimase impassibile per un istante, forse impegnato a rielaborare quanto appena sentito, prima di sorridere e guardarla con gli occhi chiari spalancati, sorpresi e luccicanti:

“E perché non l’avete detto subito? Mi sono preoccupato per niente… è meraviglioso. Finalmente una bella notizia.”

Gabriel si sporse per abbracciarla e Elena lo imitò, annuendo debolmente mentre appoggiava il capo sulla sua spalla:

“Sono felice di sentirtelo dire.”


*



Elena si lasciò cadere sui cuscini e si morse il labbro inferiore con tanta veemenza da farlo sanguinare, non per la prima volta nell’arco di un’ora.
Aveva la vista annebbiata a causa del dolore e delle lacrime che minacciava di versare, ma riuscì comunque a scorgere la figura di sua madre avvicinarlesi e, dopo averle stretto la mano con decisione, le chiede di guardarla:

“Tesoro, puoi farcela.”
“Non… non posso. Sono stanca, non ce la faccio più.”

Elena gemette, scuotendo il capo con decisione, ma lo sguardo della madre non vacillò e si chinò invece leggermente, lasciandole un bacio sui capelli:

“Certo che puoi. Solo qualche altra spinta, Elly… Altri cinque minuti di dolore per una vita di felicità.”
Elena alzò lo sguardo per incontrare quello della madre e il suo sorriso rassicurante, annuendo dopo un attimo di esitazione:

“D’accordo.”
“Bravissima.”



Poco dopo le urla ripresero a risuonare anche all’esterno della camera, tanto da far accapponare la pelle ad un Gabriel che stava stringendo i braccioli della poltrona con tanta veemenza da conficcare le unghie nella pelle lucida.

Fu un vero sollievo vedere Emily uscire, sorridergli e dirgli che poteva entrare: era certo che non avrebbe comunque retto a lungo e avrebbe fatto ben presto irruzione nella stanza.


Elena chiuse gli occhi, lasciando che il respiro tornasse ad essere regolare prima di riaprirli, lasciando che i suoni tornassero ad essere perfettamente nitidi: il pianto disperato di un neonato attirò immediatamente la sua attenzione e si sforzò di sollevarsi il più possibile contro i cuscini per cercare il bambino con lo sguardo, guardandolo fasciato in un asciugamano prima di essere preso in braccio dalla levatrice:

“È un maschio?!”
“Una bambina, Signora Greengrass.”
“Dove… dove la portate?”

“La laviamo e basta, non si preoccupi. La rivedrà tra pochissimo.”

Elena fece per obbiettare, mormorare flebilmente che voleva vederla subito, ma scorgere Gabriel sulla soglia la costrinse a tornare alla realtà, guardandolo sorriderle prima di raggiungerla di rosa e sedere accanto a lei, mettendole una mano sul viso pallido:

“Come stai tesoro?”
“È stato un INFERNO, ora capisco perché tua madre ha avuto solo te… mi dispiace, è una femmina.”
“E allora? L’importante è che stia bene… non vedo l’ora di prenderla in braccio.”

“I tuoi genitori speravano in un maschio…”
“È figlia nostra, non figlia loro, sai come la penso a riguardo. Sono solo felice che tu stia bene Elly.”

Gabriel sospirò prima di prenderle il viso tra le mani e baciarla, guardandola sorridergli debolmente di rimando subito dopo e infine voltarsi quando sentirono dei passi alle loro spalle: un largo sorriso incurvò le labbra di Elena mentre, sollevandosi con l’aiuto di Gabriel, allungava le braccia per prendere il fagottino che la levatrice le porgeva, sorridendo con calore alla bambina:

“Non riesco a crederci… ciao piccolina.”
“Allora per il nome siamo d’accordo per Eleanor?”

Elena si limitò ad annuire e Gabriel sorrise dopo aver messo delicatamente una mano dietro la piccola testa della figlia, guardandola con calore prima di dire qualcosa a bassa voce:

“Allora ciao Baby Elly.”


*


Gabriel sorrideva mentre, camminando all’indietro, teneva gli occhi fissi sulla bambina che stava gattonando sul pavimento cercando di raggiungerlo, gli occhi chiari fissi su di lui e un piccolo sorriso sdentato ad illuminarle il volto:

“Cosa c’è piccola Greengrass, non riesci a prendermi?”

Eleanor rise e quando il padre si fermò lo raggiunse carponi e gli strinse il lembo dei pantaloni con le minuscole mani, guardandolo con aria vittoriosa:

“Mi hai preso! E adesso?!”  Gabriel spalancò gli occhi, parlando con aria grave mentre la figlia sorrideva ulteriormente, prima che la voce divertita di Elena li raggiungesse:
“E adesso è l’ora della pappa, basta giocare.”

“Ma ci stavamo divertendo!”
“Questo lo vedo, ma potrai riprendere a giocare con la tua nuova migliore amica più tardi, papà.”

Elena prese in braccio la bambina, che le sorrise e iniziò a giocare con interesse con la sua collana mentre Gabriel sbuffava debolmente:

“Da quando è nata l’ho avuta tutta per me sì e no dieci minuti Elly, tra le nostre famiglie, i nostri amici e Katherine che si è autoproclamata sua madrina ed è stata qui una settimana intera!”
“Per darci una mano, ha detto.”
“Per averla tutta per sè, ecco perché.”


*


Eleanor era seduta sul tappeto e Gabriel, accomodato sul divano, stava disegnando distrattamente, ritraendo la bambina impegnata a giocare davanti al caminetto acceso.
Ben presto però la piccola sembrò dimenticarsi dei suoi cubi, sorridendo con gioia quando vide il gatto della madre, Godric, avvicinarsi. Probabilmente il felino voleva solo acciambellarsi davanti al camino, ma non aveva tenuto conto della padroncina, che allungò immediatamente le braccine verso di lui: un attimo dopo il povero gatto era succube della bimba, che lo aveva preso e stretto a sè, facendolo miagolare in segno di protesta:

“Ele, lascialo stare.”
Ovviamente Eleanor non lo fece, fu lo stesso gatto a scivolare dalla sua presa per darsi alla fuga, destando una smorfia contrariata e malinconica sul viso della bambina, che fece per seguirlo alzandosi in piedi, ma essendo ancora molto precaria sulle gambe finì col perdere l’equilibrio, cadere all’indietro e ritrovarsi supina sul tappeto senza riuscire a tirarsi su. 
Gabriel la guardò cercare di mettersi seduta senza grandi risultati e finì col ridacchiare di fronte ai lamenti della bambina, che minacciava di piangere da un momento all’altro:

“Cielo, sei proprio agile come tua madre, piccolina. Ecco.”

Il padre l’aiutò a rimettersi seduta e Eleanor, forse capendo che alzarsi non era l’idea migliore, iniziò a gattonare per andare alla ricerca del gatto sotto lo sguardo esasperato di Gabriel, che si alzò per seguirla e controllare che non si facesse male: continuava a chiedersi cosa avesse fatto di male per meritarsi di vivere con due rosse, ma ancora non aveva trovato una risposta a quella domanda.


*



“Una femmina?! Ancora?”

Esattamente come aveva previsto nell’eventualità in cui la secondogenita fosse stata una bambina suo padre non sembrò prendere bene la notizia datagli dalla consuocera, che per tutta risposta strinse le labbra e gli rivolse un’occhiata a dir poco torva:

“Mia figlia è giovane e in salute, sono sicura che lei e Gabriel avranno altri figli, tra cui anche un maschio, Signor Greengrass. Onestamente non capisco tutta questa avversione per le figlie femmine, i maschi saranno anche i soli a poter trasmettere il cognome ma senza il genere femminile crede che l’umanità andrebbe avanti, per caso?”

“Papà, una bambina va benissimo, Emily ha ragione. Mi basta solo che non abbia i capelli rossi, non potrei farcela circondato con tre donne rosse!”
“No, ha i capelli scuri. Vieni, vogliono vederti.”

Gabriel sorrise e, incurante dell’espressione seccata del padre, superò la suocera per entrare nella stanza e avvicinarsi al letto, sedendo accanto ad Elena dopo averle dato un bacio sulla fronte:

“Ciao… come ti senti?”
“Sono stata anche meglio, ma ne è valsa la pena. Mi dispiace che sia una bambina, però… faranno a gara per accaparrarsele entro pochi anni.”  Elena rivolse un’occhiata quasi malinconica alla bambina che teneva tra le braccia mentre le sfiorava la nuca con due dita, ma Gabriel scosse il capo e parlò continuando a tenere gli occhi chiari fissi sulla figlia:

“Non succederà, te lo prometto, non metterò le mie bambine all’asta. Ciao Eloise.”


“Scusate, qualcuno vuole vedere la nuova arrivata. Vai da mamma e papà, tesoro.”
Emily comparve sulla soglia tenendo Eleanor per mano, facendole cenno di avvicinarsi dopo averle dato una leggera spintarella sulla schiena: la bambina dai capelli rossi di due anni non se lo fece ripetere e, sorridendo, trotterellò verso i genitori, lasciandosi prendere in braccio dal padre per guardare la sorellina. Un attimo dopo la primogenita aggrottò la fronte, confusa, e si voltò verso i genitori indicando la sorella:

“Ma è piccola!”
“Pensavi forse che i bambini arrivassero già grandi piccola? Anche tu eri uno scricciolo, sai?” Gabriel sorrise, sinceramente divertito dalle parole della figlia prima di darle un bacio tra i capelli color carota, guardandola rivolgergli un’occhiata malinconica:
“Ma io volevo qualcuno con cui giocare!”
“Beh, giocherete quando Eloise sarà più grande.”

“Quando?! Domani?”
“Ehm… no, facciamo un annetto.”


*



“Ma DOVE si sono cacciati?!”
Elena, che teneva una Eloise agghindata di bianco in braccio, sbuffò debolmente mentre, in piedi accanto a Gabriel, aspettava l’arrivo di Regan e di Stephanie. 

“Io non mi preoccuperei, arriveranno.”
“Si spera entro la maggiore età di Eleanor.”

La ragazza alzò gli occhi al cielo mentre cullava distrattamente la bambina, che stava giocherellando con i capelli della madre, e Gabriel abbozzava un sorriso, morendo dalla voglia di poter rinfacciare quell’episodio all’amico per molto tempo.

“Eccomi, scusate il ritardo! … ma dov’è Reg?!”
“In ritardo.”
“Scusatelo, ha un’indole da primadonna…. Ciao pasticcino!”

Stephanie sorrise dolcemente alla bambina, accarezzandole la fascetta di seta bianca prima di sfilarla dalle braccia della madre e darle un bacio su una guancia. 

“Lo zio Reg è in ritardo, perdonalo, avrà voluto farsi bello per non sfigurare accanto a te.”

“Non penso che ad El cambi molto, ma a me sì! Sono sfinita, non ha dormito per niente stanotte.”

Elena lanciò un’occhiata malinconica in direzione della figlia minore, che ora stava ammirando il ciondolo portato al collo dalla sua madrina, prima di sentire una voce piuttosto familiare:

“Scusate, scusate, scusate! Sono qui, possiamo cominciare.”
“Alla buonora, Elly alle nozze si è fatta attendere meno di te. Coraggio, andiamo e approfittiamo che ora sia calma e tranquilla, non vorrei che iniziasse a strillare nella Cappella.”

Regan sfoggiò un sorriso colpevole e, dopo essersi sistemato distrattamente la cravatta, prese Stephanie sottobraccio e rivolse un caldo sorriso alla bambina, parlando a bassa voce:

“Il tuo papà si lamenta sempre, dovrai avere molta pazienza!”
“Almeno la metà di quella che devo portare io…”


*


Elena, ruotando su se stessa e scrutando la folla che la circondava, si morse il labbro inferiore e imprecò mentalmente: si era distratta probabilmente per dieci secondi, osservando una vetrina, e le figlie erano sparite.

Da quando Eloise aveva iniziato a camminare non si era più fermata per un istante e ora non faceva altro che sfrecciare da una parte all’altra, con gran rammarico della madre che avrebbe voluto comprarle un guinzaglio per tenerla sempre vicina.

“BAMBINE!? DOVE SIETE?!”

Avrebbe dovuto avere cinque paia d’occhi per non perderle mai di vista, altro che uno solo.



“El, vieni qui! Dov’è finita la mamma?!”
“Gelato!”

Eloise indicò l’affollata gelateria Fortebraccio e guardò la sorella maggiore con sguardo implorante, ma Eleanor si limitò a prenderla per mano e a scuotere il capo:

“Dopo. Dov’è la mamma?!”
“Mamma…” 

Eloise sgranò gli occhi castano-verdi e si voltò per cercare la madre con lo sguardo, rendendosi conto con orrore che non era più accanto a lei prima di rivolgersi di nuovo alla sorella, allarmata:

“Dov’è?!”
“Non lo so, ho seguito te… andiamo a cercarla.”  La maggiore iniziò a guidare la sorellina, che ora si era avvinghiata al suo braccio, tra la folla, cercando la familiare figura della madre con lo sguardo.
Bastarono pochi minuti perché Eloise iniziasse a piangere e la bambina le strinse la mano, sorridendo appena:

“Adesso la troviamo.”
“Vi siete perse?”

Eleanor si voltò e aggrottò la fronte quando si ritrovò davanti un uomo che le sorrideva, ma che non aveva mai visto in vita sua. O forse sì?

“Non troviamo la mamma!”  Eloise annuì, strofinandosi gli occhi mentre l’uomo si inginocchiava e le sorrideva gentilmente:

“Vi aiuto a cercarla.”
“La mamma ha detto che non dobbiamo parlare con gli sconosciuti.”
“Ma io conosco la vostra mamma. Si chiama Elena e ha i capelli come i tuoi.”

Eleanor gli rivolse un’occhiata sbigottita, socchiudendo la bocca con stupore prima di annuire:

“Sì…”
“Allora venite con me, non dovete gironzolare da sole.”



Quando Elena scorse finalmente le figlie venne attraversata da un’ondata di sollievo, guardando Eleanor sfoggiare un larghissimo sorriso quando l’ebbe individuata a sua volta. 
La chiamò a gran voce ma la strega non ci badò, troppo impegnata ad osservare la persona con cui erano: suo padre teneva Eloise in braccio ed Eleanor per mano mentre camminava verso di lei con il suo solito incedere calmo, rilassato ed elegante, sorridendole debolmente quando le fu davanti e le lasciò la figlia minore tra le braccia:

“Ho trovato queste due monelle intente s gironzolare da sole.”
“… Grazie. Quanto a voi due, adesso sono dolori! NON DOVETE ALLONTANARVI, quante volte ve l’ho già ripetuto?!”

“Io ho seguito Eloise… scusa.”
Eleanor chinò il capo e parlò con un filo di voce ma il nonno sorrise, accarezzandole la testa:

“È stata brava, ha badato a sua sorella ed è venuta con me solo quando ha capito che ti conoscevo.”
“Come hai… come le hai riconosciute?”


“Somigliano molto a te quando eri piccola, e sapevo che avevi avuto due bambine. A breve tre, vedo. Congratulazioni.”
Henry abbozzò un sorriso, accennando al ventre arrotondato della figlia mentre Eleanor, facendo dondolare la mano della madre, la guardava con curiosità:

“Mamma, chi è questo signore?”
“Mio… mio padre.”

Elena parlò con un filo di voce, gli occhi nocciola fissi in quelli azzurri del padre, che esitò con stupore prima di inclinare le labbra in un sorriso: non si sentiva chiamare in quel modo da anni, ormai.
Eleanor invece sorrise prima di annuire, ricordando dove avesse già visto quel signore: 

“Ma allora sei quello della foto insieme alla nonna!”
“Foto? Quale foto?”
“Quella che tieni nel tuo portagioie!”
“HAI CURIOSATO NEL MIO PORTAGIOIE?!”
“Ops…”

 Eleanor sfoggiò un sorriso colpevole mentre la madre si rivolgeva nuovamente al nonno, osservandolo con attenzione: non lo vedeva da anni ed era cambiato, i capelli un tempo quasi neri erano ormai leggermente brizzolati e il suo sorriso risultava più stanco, ma gli occhi chiari erano sempre gli stessi e nonostante qualche ruga comparsa precocemente c’erano ancora tracce di quella bellezza che molti anni prima aveva fatto innamorare sua madre.


“Perché non sei mai venuto a trovarci?”
“Aspettavo che la mamma me lo chiedesse.”

“Beh, puoi… puoi venire a trovarle, di tanto in tanto, se ti va.”
“Mi farebbe tanto piacere.”

Il sorriso di Henry si allargò, osservando la figlia ricambiare debolmente prima di fare un cenno alla figlia maggiore e girare sui tacchi per allontanarsi, questa volta tenendo Eloise saldamente in braccio.

“Elly?”
“Sì?”
Elena si voltò sentendosi chiamare, guardandolo sorriderle e scrutarla con un che di adorante con un sopracciglio inarcato:
“Sei bellissima.”
“… grazie. Bambine, non si saluta?”

“Ciao!”
“Ciao ciao!”

Eloise agitò una manina da dietro la spalla della madre, osservandolo con curiosità, e il mago ricambiò senza smettere di sorridere, guardando la figlia dire qualcosa – forse rimproverare – la nipotina più grande mentre si allontanava.

Andare ad Diagon Alley quella mattina era stata una buona idea, tutto sommato.


*


Elena era seduta sul divano, impegnata a leggere il giornale e tutti gli orrori che le pagine riportavano, mentre il piccolo Gale giocava sul tappeto con un sonaglietto e le sorelle, invece, se ne stavano ferme in un angolo a confabulare e a ridacchiare.

La donna rivolse un’occhiata in tralice alle due, chiedendosi sinceramente quale guaio stessero architettando – avevano disgraziatamente ereditato quella vena paterna e ne combinavano ogni giorno di tutti i colori – quando un elfo comparve nella stanza e dopo essersi inchinato la informò che era arrivata una lettera per lei.

“Grazie. Ragazze, tenete d’occhio vostro fratello, torno subito.”
“Sì mamma!”

Le due bambine parlarono in coro prima di ridacchiare e la madre rivolse loro un’ultima occhiata di sbieco prima di uscire dalla stanza, preferendo di gran lunga leggere la lettera da sola per evitare le domande delle figlie fin troppo curiose.

Stava giusto per prendere un rotolo di pergamena per rispondere a Stephanie, che le chiedeva di andarla a trovare il giorno seguente per scegliere i fiori per il matrimonio, quando il pianto di Gale attirò inevitabilmente la sua attenzione, facendola scattare sull’attenti:

“Gale?!”

Non era il pianto da “fame” o da “sonno” ed Elena lasciò lettera, calamaio e piuma per affrettarsi a tornare nel salottino, fermandosi sulla soglia e sospirando quando scorse le due figlie chine sul fratellino, ridacchianti e incuranti delle due proteste:

“BAMBINE! Cosa state facendo?! … Non ci posso credere. Lasciatelo in pace una buona volta!”
Elena alzò gli occhi al cielo quando le due bambine si spostarono, permettendole di guardare il figlio singhiozzante che si agitava, prima di correre via sghignazzando: la madre sospirò mentre si avvicinava al figlio, chinandosi per prenderlo in braccio subito dopo e asciugandogli le guance paffute piene di lacrime – e del suo rossetto con cui le due gli avevano imbrattato tutto il viso – prima di sorridergli dolcemente:

“Piccolo, non è niente… quelle due ti fanno gli scherzi? Un giorno le ripagherai a dovere, ne sono certa.”

Elena fece comparire un fazzoletto umido per pulire il viso del bimbo, che tirò su col naso e si strinse a lei mentre la madre si riprometteva di sigillare i suoi cosmetici con la magia d’ora in avanti: quel bellissimo rossetto cremisi non si ricomprava certo da solo, dopotutto!


*


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“Papy!”
Gabriel quasi sussultò quando si sentì chiamare e spalancò gli occhi, mettendoci qualche istante per rendersi conto che era notte fonda e di avere la secondogenita davanti, che lo osserva con sguardo implorante:

“Continuo a sentirle…”
“Non possono colpirci El… non preoccuparti, staremo bene.”  Gabriel si sforzò di sorridere mentre una fugace scia di luce, probabilmente generata da un aereo, illuminava debolmente la stanza e l’espressione tesa ed impaurita della bambina, che gli chiese se poteva dormire con lui. 

“Vieni qui.”
Gabriel annuì e la sollevò, sistemandola tra lui ed Elena e abbracciandola, mormorando che presto avrebbe smesso di sentire le bombe e che non doveva pensarci.
Si ripromise di aggiungere agli incantesimi protettivi anche uno che avrebbe insonorizzato l’esterno quando sentì l’inconfondibile rumore di passi affrettati sul parquet, seguito dalla voce flebile di Gale, che teneva il fratellino per mano:

“Possiamo dormire qui?”
“Va bene…”

Gabriel sospirò ma annuì, spostandosi il più possibile per permettere anche ai figli maschi di salire sul letto mentre la voce impastata dal sonno di Elena giungeva alle orecchie del resto della famiglia:

“Avevamo organizzato un pigiama party?”
“A quanto sembra…  manca solo Eleanor. Oh, come non detto. Vuoi dormire qui anche tu?”

Gabriel si rivolse alla primogenita con tono ironico, scorgendo la sua figura comparire timidamente sulla soglia della stanza prima di guardarla annuire e avvicinarsi rapidamente, i capelli rossi raccolti in due treccine:

“Posso?”
“Se trovi un po’ di spazio…”

La ragazzina fece il giro del letto per coricarsi accanto alla madre, che sbuffò debolmente e e suggerì caldamente al marito di allargare il letto con la magia:

“Non posso, sono incastrato!”
“Di chi è il ginocchio che mi sta perforando la spina dorsale?!”
“Non mio.”
“Graham, sposta il piede!”
“Io sono Gale!”
“Voio stare vicino a mamma!”

“Scordatelo Graham, nessuno si muove adesso!”


*


“Comportati bene e ascolta tua sorella, non voglio ricevere lettere piene di lamentele a causa della vostra condotta!”  Elena, dopo aver abbracciato Eloise, sistemò distrattamente i capelli scuri e rivolse alla secondogenita un’occhiata in tralice che venne ricambiato con un sorrisetto mentre la ragazzina si stringeva nelle spalle:
“Lo zio Axel ha detto che tu combinavi un sacco di guai!”
“Allo zio piace scherzare.”

Eleanor, in piedi alle spalle della sorella minore, ridacchiò mentre Eloise si avvicinava al padre per abbracciarlo, mormorando che le sarebbe mancato mentre Gabriel annuiva:

“Anche tu scricciolo. E ricorda, ignora la mamma e tieni alta la reputazione dei Greengrass insieme a Gabrielle.”
“Gabriel!”
“Beh, dovrà pur divertirsi! Non vedo l’ora di sapere in che Casa verrai smistata, piccola.”

Gabriel sorrise alla figlia prima di prenderle il viso tra le mani e darle un bacio sulla fronte, facendola sorridere di rimando prima di rivolgersi ai fratellini e salutare anche loro.

“Secondo te in quale Casa finirà tua sorella?”

Elena si rivolse alla primogenita, abbassando lo sguardo per incrociare gli occhi chiari della tredicenne che si strinse nelle spalle, osservando la sorellina mentre la madre le teneva un braccio sulle spalle e lei le stringeva la vita:

“Non saprei, forse Corvonero. Non credo saremo compagne di Casa, in effetti.”
“Non tutti hanno la fortuna e il privilegio di essere dei Grifondoro, tesoro.”

“Privilegio, tsz… El, non ascoltare quelle due, se non finirai tra i Grifondoro mi farai solo felice, ormai mi sento circondato.”
“Ok.” 

Eloise annuì e sorrise, leggermente rincuorata, prima di avvicinarsi alla sorella maggiore e seguirla sul treno dopo aver rivolto un’ultima saluto alla famiglia, sorridendo di fronte all’ennesimo raccomandazione della madre e promettendo ai fratellini di spedire loro moltissime lettere.

“Ciao El…” Graham agitò la mano per salutare la sorella e tirò su col naso mentre teneva la madre per mano, alzando lo sguardo subito dopo per chiederle quando avrebbe potuto andare a scuola insieme alle sorelle maggiori:

“Mi spiace tesoro, per te mancano ancora quattro anni. Cielo, adesso sarò l’unica donna in casa, saranno mesi molto lunghi…”
“Finalmente siamo in totale maggioranza ometti, ci divertiremo.”

Gabriel sorrise dopo aver rivolto un ultimo saluto alle figlie, avvicinandosi a Graham per sollevarlo e caricarselo su una spalla e allontanarsi mentre Gale, sfoggiando un sorrisetto poco rassicurante, lo seguiva di corsa. 
Elena, dopo aver rivolto un’ultima occhiata al treno che stava partendo, sospirò e girò sui tacchi per seguire marito e figli minori, le labbra inclinate in una mezza smorfia rammaricata:

“Quasi quasi torno a scuola anche io…” 







……………………………………………………………………..
Angolo Autrice: 

Salve mie care, so che probabilmente ormai pensavate di esservi liberate di me e che non avrei scritto la Raccolta, mi dispiace averci messo tanto ad iniziarla ma nelle ultime due settimane sono stata sommersa da cose da fare che mi hanno del tutto tolto il tempo per scrivere.
Detto ciò, ci sentiamo in tempi sicuramente più celeri con la seconda, che molto probabilmente sarà dedicata agli Iphew. 
A presto e buona giornata! 
Signorina Granger 

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Capitolo 2
*** Iphigenia & Andrew ***


Iphigenia & Andrew 

 
Iphigenia Ashworth Image and video hosting by TinyPic& Andrew MaguireImage and video hosting by TinyPic 



“Per la barba di Merlino, non si può continuare così! Siete sempre entrambi a marcire sui libri, quand’è stata l’ultima volta in cui siete usciti e avete visto la luce?!”
“Stamattina.”
“Se sei andata in Biblioteca a prendere dei libri non conta, Iphe.”
“Allora non lo so.”
“Visto?! Basta studiare, andiamo a fare un giro! E passiamo a prendere anche Andrew.”

Jade sbuffò e, dopo essersi avvicinata all’amica a passo di marcia, le prese il libro dalle mani per poi chiuderlo, lasciarlo sulla scrivania con aria risoluta e fare cenno ad un’Iphigenia sbigottita di seguirla:

“Su, andiamo.”
“Jade, ma non dovresti studiare anche tu?!”
“Sì, ma oggi è, sabato, giornata sabbatica, c’è anche bel tempo e dobbiamo approfittarne. Avanti, andiamo a prendere lo spilungone.”

“Ma devo leggere quel libr-“
“Se ti sento pronunciare la parola “fisica quantistica” un’altra volta ti legherò ad una sedia e ti costringerò a truccarti, metterti un vestito elegante e a indossare i tacchi alti!”
“Sono due parole Jade, non una.”
“Fa lo stesso.”

“Ma Andrew ha gli esami per entrare a Magisprudenza tra un paio di settimane e io mi devo preparare…”
“Hai letto più roba tu sull’argomento di quel tipo dai capelli strani e sparati da tutte le parti! E Andrew non verrà bocciato per un pomeriggio senza studiare. Speriamo che Iona abbia fatto i biscotti…”

“Ah, ecco perché vuoi andare da lui…”


*


Quando Andrew era passato a casa Ashworth per salutare Iphigenia senza però trovarla in casa Electra lo aveva invitato ad entrare e ad aspettare che rientrasse, così il ragazzo ora era comodamente seduto sul divano e stava chiacchierando con la ragazza, che si trovava momentaneamente a casa per le vacanze di Pasqua.
Quando sentirono la porta d’ingresso aprirsi entrambi si voltarono e la Serpeverde, appoggiata la tazza di thè sul piattino, sorrise debolmente all’ospite prima di alzarsi:

“Credo che sia tornata…. Vado a dirle che sei qui, le farà piacere.”
“D’accordo… grazie Ele.”

“Iphe! In salotto c’è Andr-“
“DOPO. Vado di sopra.”

Il tono della ragazza era così seccato che Andrew, aggrottando la fronte con leggera confusione, fece per chiedersi se per caso non avesse fatto qualcosa che l’avesse fatta arrabbiare, ma non gli risultava che avessero discusso di recente, a dire il vero.
Ed era molto raro vedere Iphigenia perdere le staffe.

“Che cos’ha?”  Andrew raggiunse la “cognata” nell’ingresso quando sentì una porta sbattere, rivolgendo un’occhiata interrogativa alla ragazza che venne ricambiata con una scrollata di spalle: 
“Non saprei… ma IO non vado ad indagare, potrebbe decapitarmi con la mazza, vai tu.”
“Ecc9, veramente non ci tengo ad affrontarla quando è arrabbiata…”

Electra tuttavia lo ignoro e quasi lo spinse verso la cucina, costringendolo ad entrare e premurandosi persino di chiudergli la porta alle spalle prima di allontanarsi con aria soddisfatta: per una volta non avrebbe subito lei le ire di sua sorella, Andrew sarebbe stato di certo un’ottima “spugna”.


“Ehm… Iphe, ciao. Come stai? Qualcosa non va?”

Andrew sorrise debolmente mentre si avvicinava alla ragazza, che era seduta davanti al tavolo e stava osservando la ciotola piena di frutta con aria torva, quasi a volerla incenerire con la forza dello sguardo.
“Ciao tesoro. Hai presente quel laboratorio dove volevo entrare?”
“Sì, certo.”  

Andrew le si sedette accanto, annuendo gentilmente e imponendosi di restare serio e di non ridacchiare di fronte all’espressione seccata della fidanzata, facendole notare quanto fosse tenera con il broncio. Probabilmente lo avrebbe ucciso con un’albicocca.

“Beh, sai perché quell’emerito decerebrato non voleva darmi il posto? Indovina.”
“Per… la giovane età?”
“È quello che ha detto all’inizio, ma era chiaro che il motivo fosse un altro.”
“Perché sei una donna?”

Iphigenia non rispose subito. Limitandosi a sbuffare mentre allungava una mano per prendere una mela, rigirandosela tra le mani e osservandola distrattamente prima di borbottare qualcosa che il ragazzo non comprese appieno, inducendolo a strabuzzare gli occhi castani con orrore:

“Iphe. Ti prego dimmi che non l’hai ucciso! Non mi sono ancora laureato, non ti posso difendere!”
“Certo che non l’ho ucciso, stupido! Ti sembro forse una squilibrata? No, ho detto che l’ho… beh, l’ho confuso.”
“Lo hai confuso per farti assumere?!”
“Già. Non guardarmi così, non mi piace usare la magia sui Babbani per ottenere ciò che voglio, ma qui si tratta di mettere paletti solo per una stupida ideologia. Sai che si stanno anche diffondendo delle assurde teorie falsamente comprovate scientificamente secondo cui le donne sono maggiormente predisposte naturalmente a provare una maggiore empatia verso il prossimo e che quindi, in pratica, dovremmo solo dedicarci alla cura della famiglia?!”

“È questo ovviamente non è vero, mi dispiace che sia difficile per te perché avresti tutte le capacità di fare quello che vuoi. Beh, in fin dei conti confonderlo è stato meglio di minacciarlo con la mazza.”  Andrew distese le labbra in un sorriso, sfiorando la mano di Iphigenia con le dita mentre anche la bionda sorrideva, annuendo e voltandosi verso di lui prima di parlare:

“Quella la tengo solo per i casi più particolari e le ricorrenze speciali, tranquillo.”
“Ad esempio?”
“Ad esempio se mai tu volessi lasciarmi per una scandinava alta due metri.”
“Sarebbe più alta di me!”
“Allora 1.85, così sarebbe leggermente più bassa.”
“Beh, comunque non succederà mai.”
“Lo spero vivamente, in realtà mi dispiacerebbe rovinare il tuo bel faccino.”


*


“Ciao Andrew, mi dispiace caro ma Iphe non c’è, è in laboratorio.”
“Lo so. Lo so, in realtà… Vorrei vedere suo marito, se è in casa.”

Clare sembrò sorpresa, per un attimo, ma poi annuì e si spostò dalla soglia per permettere al ragazzo di entrare in casa, un piccolo sorriso stampato sul volto:

“È di sopra. Vieni, ti accompagno.”
“Grazie.”

Andrew sfoggiò un sorriso tirato, anche se si stava quasi pentendo di essere andato fin lì… forse non se una buona idea. Forse non l’avrebbe presa bene. Forse l’avrebbe ucciso. Forse lo avrebbe cacciato a malo modo.
Non poteva fase altro che sperare che tutto andasse secondo i piani.

“Caro? Hai una visita. Entra pure Andrew.”  Clare, dopo aver bussato e aperto leggermente la porta dell9 studio del marito, si voltò verso il ragazzo e gli sorrise gentilmente prima di spostarsi per farlo passare, chiudendogli la porta alle spalle e sentendo immediatamente la voce della figlia minore:

“Andrew è venuto per vedere papà?”
“Proprio così.”
“Cosa dovrà dirgli?!”  Electra si avvicinò alla madre, guardandola con occhi carichi di curiosità mentre Clare invece sorrideva e guardava la porta quasi con aria soddisfatta, le braccia strette al petto:

“Io una mezza idea ce l’avrei… Considerando che è venuto sapendo che Iphe non ci sarebbe stata…”
“… Dici che la vuole lasciare?”
“Ma no stupida, tutto il contrario! Vieni, origliamo e vediamo se ho ragione.”



Non era andata poi così male, infondo. A differenza dell’orrendo incubo fatto la notte precedente non aveva balbettato e il Signor Ashworth l’aveva fatto parlare senza interromperlo, lasciando che finisse e limitandosi ad osservarlo da dietro la sua scrivania. 
Ora nello studio regnava il silenzio, mentre il ragazzo si limitava a ricambiare lo sguardo del padrone di casa con aria speranzosa e tormentandosi le mani, aspettando che parlasse. 

Cosa che fece dopo quello che ad Andrew sembrò un tempo interminabile, appoggiandosi allo schienale della sedia e parlando con tono pacato:

“Andrew… mi stai chiedendo il permesso di chiedere a mia figlia di sposarti?”
“In effetti sì.”

“Beh… Iphigenia tiene moltissimo a te, quindi non vedo perché dovrei impedirle di sposarti. Solo, prometti di trattarla bene.”
“Ma certo Signore, io amo moltissimo sua figlia. Grazie.”

Andrew sorrise, sentendosi improvvisamente molto più leggero, e si alzò quando il padrone di casa gli rivolse un cenno salutandolo un’ultima volta prima di uscire dalla stanza camminando a mezzo metro da terra.

“Arrivederci Signora Ashworth.”
“A presto caro.” Clare sorrise gentilmente al ragazzo, guardandolo allontanarsi con aria felice con aria divertita prima di entrare nello studio del marito, avvicinandoglisi e mettendogli le mani sulle spalle:

“Presumo che tu gli abbia dato la tua benedizione.”
“A quanto pare.”
“So che è dura per te vedere la tua bambina che lascia il nido, ma è la cosa migliore. E Andrew l’adora.”
“Lo so. Voglio solo che sia felice.”

Andrew annuì debolmente e, presa la mano della moglie, ne baciò delicatamente il dorso mentre una Electra pressoché euforica faceva la sua comparsa sulla soglia:

“Che bello, adoro i matrimoni! Farò la damigella! Avrò un vestito bellissimo!”
“Ele, non è il TUO matrimonio. E poi glielo deve ancora chiedere.”

“Come se lo spilungone fosse in grado di nascondere qualcosa ad Iphe. Glielo chiederà molto presto, ne sono certa.”


*


“Mi stai dicendo che ci hai messo un biglietto dentro?!”
“Sì, ho preso ispirazione da dei biscotti orientali, pare che sia una loro tradizione. Si chiamano “biscotti della fortuna”, se non sbaglio… Quindi prima di mangiarlo devi aprirlo e vedere cosa c’è scritto.”

Andrew sorrise e guardò la ragazza aggrottare la fronte e rivolgere un’occhiata dubbiosa al biscotto che teneva in mano e che lui stessi aveva preparato il giorno prima insieme a tutte le pietanze che avevano già mangiato, seduti su una coperta sulle rive di Loch Katrine.

“Beh? Non ti fidi?” Il ragazzo, comodamente steso sulla coperta rendendosi su un braccio inarcò un sopracciglio e osservò attraverso gli occhiali da sole Iphigenia con aria divertita, guardandola affrettarsi a scuotere il capo prima di spezzare il biscotto a metà:

“No, stavo solo pensando che è una strana tradizione. Tutto qui. Va bene… vediamo cosa mi riservato scritto, Maguire.”
Iphigenia lo ruppe e Andrew la guardò in un misto di nervosismo ed emozione, lieto di essersi accertato di averle riservato il biscotto giusto mentre Iphigenia prendeva la piccola strisciolina di carta e ne leggeva il contento con la fronte aggrottata, confusa.
Lui non disse nulla, aspettando pazientemente che fosse lei a farlo mentre la osservava, deciso a non perdersi un attimo della sua reazione.

Poi la bionda sollevò lo sguardo su di lui, voltando il foglietto per mostrarglielo con aria interrogativa: 

(∂+m)ψ=0*


“È l’equazione di Dirac.”
“Lo so.”
“Come fai a conoscerla?!”
“Temo di aver tampinato tuo padre fino all’esaurimento in effetti… non che non sia molto famosa, ma io non sono un esperto.”
“Certo, ma… Non capisco.”

“Jade ha ragione Iphe, per essere così intelligente a volte sei incredibilmente sciocca.”

Andrew sorrise, guardandola con affetto prima di passarle un secondo biscotto, facendole cenno di prenderlo:
“Aprilo, forse questo ti chiarirà le idee.”
“Un’altra equazione?”
“Forse sì, forse no.”

Iphigenia ruppe il biscotto questa volta senza esitare, piuttosto curiosa e con il cuore in gola visto che forse qualcosa lo aveva intuito, ma non osava dirlo a voce alta, e lesse le parole che Andrew aveva visibilmente scritto di suo pugno con il sorriso più spontaneo che Andrew le ebbe mai visto sul volto:

“Se non fosse chiaro, ti sto  dicendo che ti amo e ti sto chiedendo se mi vuoi sposare.”

“Me lo stai chiedendo? Davvero?”
Iphigenia riporto lo sguardo sul ragazzo, la voce quasi tremante mentre si portava una mano alla bocca e Andrew roteava gli occhi, annuendo debolmente:
“Certo, non è un Pesce d’Aprile fuori stagione!”

Fece per chiederle cosa ne pensasse, ma Iphigenia aveva già lasciato anche il secondo biscotto con bigliettino annesso sul piattino e si era sporta verso di lui per prendergli il viso tra le mani e baciarlo con slancio.
Fu Andrew, alla fine, ad interrompere il contato, ritraendosi leggermente e prendendole il viso tra le mani a sua volta prima di parlare con tono speranzoso:

“È un sì?”
“Dovrei essere pazza per dire altrimenti, a questo punto.”


*


Iphigenia Ashworth amava i bambini, amava suo marito e voleva costruire una famiglia con lui forse da ancor prima di sposarlo. Per questo motivo, dopo poco meno di un anno dalle nozze, era stata ben felice di sapere di aspettare un bambino. 
O almeno, questo in un primo momento… sua madre non faceva che ripetere quanto quei mesi fossero bellissimi, ma lei, dal canto suo, non vedeva l’ora che finissero: Iphigenia Ashworth si annoiava, ecco la verità. Era partita con l’idea di continuare a lavorare, ma I malori glie l’avevano impedito e ormai quella era l’ennesima settimana che passava in casa, ,e tre Andrew non faceva che apparire dispiaciuto e a scusarsi con lei per tutto il tempo che passava fuori casa per il lavoro.

Tuttavia Iphigenia non gliene faceva certo una colpa, dopotutto si era impegnato duramente e stava rincorrendo un sogno che aveva da anni, poteva solo essere felice per lui.
Però fare la moglie in convalescenza non faceva per lei, di questo era sicura.

“Sono felice che tu sia venuta a trovarmi, mi annoio!”

Iphigenia sospirò mentre, stesa sul divano, si sfiorava delicatamente il discreto pancione che ormai sfogava mentre Jade, seduta di fronte a lei, la guardava con aria divertita:

“Posso solo immaginarlo. Andrew come sta?”
“Stanco e stressato, lavora così tanto… e continua comunque a preoccuparsi per me, è un vero tesoro.”
“Lo so. Abbi pazienza Iphe, tra non molto nascerà e ci penserà il piccolo Maguire a tenerti impegnata!”
“Già, ma tornerò a lavorare il prima possibile, e penso che mi farò mandare tutto a casa i primi tempi… rilassati, non farò esperimenti in casa! Come se Andrew me lo potesse permettere… le parole che dice più spesso di recente sono “fa male al bambino!””
“Povero Andrew, ha una bella gatta da pelare… Iona cosa dice?”

“Iona quando l’ha saputo a iniziato a saltellare per la stanza urlando di gioia, mi ha stritolata in un abbraccio e poi si è quasi commossa… Del resto ha soltanto Andrew, dev’essere bello per lei poter avere presto qualcun’altro di cui prendersi cura.”

“Maschio o femmina, secondo te, mamma Iphe?”
“E chi lo sa… noi speriamo in una bambina, vero zietta?

“Certo, anche se ti proibisco di leggere al nascituro postulati di fisica invece di favole della buonanotte.”
“La solita esagerata…”
“Con te non si può mai sapere.”


*


“Andrew?”
Quando aprì lentamente la porta dello studio Iphigenia sorrise, avvicinandosi al marito che le dava le spalle, seduto davanti alla scrivania. 

“Non hai fame?”
“No, scusa, non mi va di mangiare.” 

L’ex Tassorosso sospirò stancamente mentre, appoggiata la piuma, si passava una mano sul viso come se morisse dalla voglia di riposarsi un po’ e rilassarsi. Iphigenia gli rivolse un’occhiata scettica, appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle per massaggiargliele dolcemente:

“Ok… però dovresti rilassarti un po’. Perché non ti riposi un po’, si vede che sei stanco.”
“Voglio solo finire qui.”
“Sei già molto oltre l’orario di lavoro, smettila di stressarti.”

“Voglio solo… voglio solo fare in modo di assicurare un futuro sicuro alla mia famiglia, Iphe. E poi c’è mia madre, lei ha fatto così tanto per me è vorrei che non dovesse più farsi in quattro come ha sempre fatto da quando mio padre…”

“Tesoro? So che ti senti in dovere di pensare a tua madre e lo farai, lo so, ma ora pensa un po’ a te stesso. E tu non sei tuo padre Andrew, non morirai lasciandomi da sola con il marmocchio, ok? Non preoccuparti, staremo benissimo.”

Lo abbracciò da dietro, appoggiando il mento sulla sua testa, e lo sentì sospirare mentre sollevava una mano, stringendole un braccio come a volerla ringraziare per le sue parole e per il suo supporto.


*


Andrew era andato a mettere a letto Marie già da un po’, e di solito la bambina crollava come un sasso dopo pochi minuti, nonostante prima protestasse a gran voce e sostenesse di non avere sonno.

Così, incuriosita, Iphigenia raggiunse la camera della figlia maggiore, mentre la piccola Imogen sonnecchiava già da parecchio nella culla, e aprì lentamente la porta per controllare che fosse tuto a posto. Stava per parlare ma fortunatamente non lo fece, zittendosi ed esitando sulla soglia prima di stendere la labbra in un debole sorriso mentre osservava la scena: Marie stava effettivamente dormendo, in pigiama e sotto le coperte con i capelli rossi sparsi sul cuscino, e così suo padre accanto a lei.

Iphigenia sorrise e, senza avere il coraggio di svegliarlo, prese la coperta piegata infondo al letto della bambina per coprire anche il marito, guardando entrambi con affetto prima di uscire dalla stanza e chiudersi con delicatezza la porta alle spalle, poco prima che Imogen si svegliasse e iniziasse a lamentarsi sommessamente.

La strega si avvicinò alla culla, sistemata accanto al suo letto, e sorrise alla bambina prima di prenderla in braccio, accarezzandole i lisci capelli biondi per poi darle un bacio sulla fronte:

“Fai piano piccolina… non vogliamo svegliare papà, vero?”


*


“Iona! Salve.”
“Ciao Iphigenia… scusa l’improvvisata. Posso entrare?”

Iona sorrise, sollevando il cestino pieno di muffin e biscotti che teneva in mano mentre la nuora, sorridendo, annuiva e si spostava sulla soglia per farla passare:

“Ma certo. Marie, vieni!”
“Eccomi… Nonna! Ciao!” La bambina sorrise e corse ad abbracciare la donna, che ricambiò mentre le accarezzava i capelli che aveva ereditato da suo figlio:

“Ciao tesorino… fai merenda con me e la mamma?”
“Sì!”

“Tra lei e Andrew diventerà presto diabetica, mangia biscotti in quantità industriali…”
“Anche tu li mangi mamma!”
“Beh, io sono grande. Quindi posso farlo.”
“Perché?!”
“Perché lo dico io.”
“E perché?!”
“Perché sono grande!”

“Caspita, fisicamente somiglierà anche ad Andrew, ma direi che è la tua versione con i capelli rossi…”
“Lo dice anche papino nonna!”

*


“Andrew, devo dirti una cosa.”
“Mh, sì, dimmi cara.”

Iphigenia roteò gli occhi, certa che il marito non avesse sentito una parola e che non l’avrebbe ascoltata per tutto il discorso, chino su dei documenti com’era. 
E per quanto fosse da sempre esattamente fiera di lui, dei suoi sforzi e del risultato che era riuscito ad ottenere entrano a far parte pochi mesi prima del Wizengamot, aveva tutta l’intenzione di avere la sua completa attenzione per affrontare quella conversazione.

“Andrew, ascoltami, è importante.”
“Ti ascolto Iphe!”
“Certo, come parlare ad un muro…”

“Papà!” La vocina di Marie s’intromise nella conversazione e la bambina, in piedi accanto a lei, si mise le mani sui fianchi come la madre prima di parlare con tono squillante evdeciso:

“La mamma ti deve dire una cosa importante!”
“Grazie assistente…
Ma ora puoi andare, devo parlare da sola con papà. Vai a giocare con tua sorella.”
“Uff, va bene…”

Marie rivolse un’occhiata carica di curiosità al padre prima di obbedire e uscire dalla stanza, lasciandoli soli mentre Andrew sorrideva appena, guardando la moglie con aria divertita:
“Una mini Iphe.”
“Già… e magari tra qualche tempo potrebbe arrivare anche un mini Andrew, chissà.”

Iphigenia gli si avvicinò e sorrise, fermandosi accanto alla scrivania e guardandolo spalancare gli occhi e sorridere allo stesso tempo, leggendo sia stupore sia felicità sul suo volto:

“Sei…?”
Iphigenia annuì, limitandosi a guardarlo con affetto mentre sollevava una mano per accarezzargli delicatamente il volto, mano che Andrew prese per baciarne il dorso mentre lei parlava a bassa voce:
“Sì. Congratulazioni, papà.”


*


“Finalmente un maschietto… Tre femmine di fila sarebbero state un po’ troppe.”

Andrew sorrise mentre, seduto sul letto, osservava il figlio nato circa un’ora prima che sonnecchiava tra le sue braccia.

“Sono felice anche io.”
Iphigenia sorrise con affetto al bambino, allungando una mano per sfiorargli il capo mentre Iona, dopo aver bussato delicatamente alla porta, l’apriva tenendo le nipotine per mano:

“È permesso? Le signorine vogliono vedere il nuovo arrivato e sapere come sta la mamma.”
“La mamma sta bene, solo stanca… venite.” 

Marie ed Imogen non se lo fecero ripetere due volte e raggiunsero il padre per sbirciare il fratellino mentre anche la nonna si avvicinava con un sorriso:

“E proprio carino… E ha i capelli rossi, mi sembra.”
“Sì, è proprio un piccolo Andrew.”
“Come si chiama papà?”

“Sono curiosa anche io, non avete voluto dire nulla sui nomi che avevate scelto… Iphe ti ha convinto a chiamarlo Albert, alla fine?”  Iona sorrise al figlio con aria divertita, ma Andrew scosse il capo, ricambiando brevemente il suo sguardo prima di rispondere:

“No. Lo chiamiamo David.”
“Come il nonno?!”

Imogen si voltò verso la madre e la guardò annuire senza dire nulla mentre Iona, dopo un attimo di silenzio, sorrideva appena e si sporgeva per abbracciare il figlio, una mano tra i riccioli rossi come quando era piccolo, e gli diede un bacio su una guancia prima di mormorargli un “grazie” all’orecchio, gli occhi leggermente lucidi.


*


“È per te mamma.”
Iphigenia accettò il disegno della figlia con un sorriso, ringraziandola con una carezza sul capo prima di concentrarsi sui soggetti raffigurati... e a quel punto smise immediatamente di sorridere:

“E QUESTA CHI È?!”
“Ma sei tu mamma!”
“IO? E PERCHÉ SONO COSÌ BASSA?! Guarda quanto è alto papà invece, io sono alta come te praticamente!”

“Ehm... scusa, volevo farti più piccola di papy...”


*


“È stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto...”
Andrew piegò le labbra in una smorfia, lasciandosi cadere sulla sedia con un sospiro grave mentre Iphigenia, impegnata a sorvegliare i piatti mentre si auto-lavavano, alzava gli occhi al cielo, parlando con tono neutro senza nemmeno voltarsi verso il marito:

“Ah sì?”
“Già.” Andrew annuì, ignorando il tono sarcastico della moglie che non disse niente, limitandosi a roteare gli occhi per lasciarlo continuare:

“Insomma, quando si è resa conto che stavo andando via mi è corsa dietro, poi ha iniziato a piangere come una disperata accusandomi di volerla abbandonare, si è attaccata in lacrime alla mia gamba e mi ha pregato di non andare via... è stato tremendo! Poi, quando le ho spiegato che DOVEVO andare via è corsa via apostrofandomi come “cattivo”! Deve proprio andare a scuola?”

“Certo che ci deve andare, non può essere una specie di analfabeta per i primi 11 anni!Tranquillo, dopo venti minuti avrà iniziato a giocare e si sarà dimenticata dell’affronto subito.”


In effetti, quando Andrew andò a prendere la figlia maggiore a scuola nel tardo pomeriggio la trovò indaffarata a disegnare, apparentemente piuttosto serena. Il padre tirò mentalmente un sospiro di sollievo - aveva temuto di arrivare e apprendere che la figlia aveva passato la giornata a piangere senza fare amicizia - e le sorrise, rivolgendo un cenno alla bambina che, quando si accorse della sua presenza, sorrise di rimando e lo raggiunse trotterellando, fermandoglisi davanti e scuotendo il capo di fronte alla giacca che Andrew teneva in mano. 

“Io resto qui!”
“Come sarebbe a dire?! Prima piangi come una disperata e ripeti che vuoi il papà e poi mi mandi via! Non si fa così, signorinella.”
“Ma io voglio giocare!”
“Puoi giocare anche a casa con i tuoi fratelli... ne hai così tanti che sembra un asilo anche casa nostra. Su, vieni, altrimenti mi arrabbio.”

“...”
“Altrimenti lo dirò alla mamma!”

Marie sgranò gli occhi, affrettandosi ad obbedire e a lasciarsi aiutare dal padre a mettersi la giacca, prendendolo per mano per tornare a casa di fronte a quella minaccia.


*


“Andrew, vieni a cenare o vuoi un invito scritto mandato da un piccione viaggiatore con tanto di tappeto rosso?!”
“Parla piano, non mi sento bene... non mi va di mangiare niente, Iphe.”

Andrew, sepolto sotto le coperte, si girò su un fianco mentre la moglie, alzando gli occhi al cielo, attraversava la stanza a grandi passi per raggiungerlo, facendo comparire al contempo un termometro:

“Ecco, moribondo, vediamo quanta febbre hai... non sei particolarmente caldo, però.”
Iphigenia aggrottò la fronte mentre sfiorava quella del marito con una mano e questi mugugnava qualcosa a proposito di “mal di testa” e “nausea”: come sempre quando Andrew si ammalava non sapeva cosa pensare, a sentir lui sembrava sempre sul punto di morte e poi in realtà si rivelava essere un nonnulla.

Pochi minuti dopo l’ex Tassorosso controllò il termometro e sgranò gli occhi con orrore, guadagnandosi un’occhiata preoccupata dal marito, che si mise immediatamente a sedere sul materasso:

“È grave?!”
“Grave?! Per carità, mettiti giù, di questo passo potresti non superare la notte... cielo, hai ben 37.2 di febbre! Bambine, presto, venite a dare l’estremo saluto a vostro padre, potrebbe non farcela!”

Iphigenia si affrettò a raggiungere la soglia della camera per intimare ai figli di sbrigarsi, mentre Andrew sbuffava e l’accusava sommessamente di essere profondamente insensibile nei suoi confronti. Poco dopo Marie e Imogen spuntarono nella stanza, spaventate, chiedendo al padre cosa avesse:

“Papà, stai per morire?!”
“Certo che no, la mamma sta scherzando!”
“Sei sicuro?”
“Sicurissimo. Iphe, falla finita, non è divertente.”


Poche ore dopo Andrew, dopo essere finalmente riuscito ad addormentarsi tra il mal di testa e il mal di gola, trasalì e si svegliò di scatto quando sentì qualcosa di freddo sfiorargli il petto, spalancando gli occhi e voltandosi d’istinto. Tirò un sospiro di sollievo quando si trovò la secondogenita davanti, che però lo stava guardando con gli occhi castani carichi di preoccupazione e teneva in mano il caleidoscopio giocattolo dopo averglielo adagiato sul petto:

“Papà, stai respirando?!”
“Ma certo Imogen... vieni qui. Non ascoltare la mamma, ok?”


*


“Iphe, scordatelo. Sono sempre molto accondiscendente, ma non chiamerò mia figlia Mileva!”
“Non vuoi chiamarlo Albert se fosse maschio, non vuoi chiamarla Mileva se fosse femmina… David lo hai scelto tu e non ho detto nulla, va bene, è il nome di tuo padre dopotutto, ma ora tocca a me! E poi abbrevieremo Mileva in Millie.”

“Ma a me non piace!”
“Te lo farai piacere con il tempo.”
“Ma anche Marie l’abbiamo chiamata così per una matematica!”

“A te piaceva, ti ricordo.”
“Sì. Ma non Mileva!”
“Vuoi per caso chiamarla Ada, allora?”
“… no.”
“Bene, allora vada per Millie.”

“Tosca ti prego, fa che sia maschio.”


*


Marie, Image and video hosting by TinyPicImogen Image and video hosting by TinyPice David MaguireImage and video hosting by TinyPic


“Shh! Fate piano!”
Iphigenia aprì gli occhi lentamente, chiedendosi cosa stesse succedendo quando sentì le voci del marito e dei figli sussurrare in corridoio.  Si rese conto di che giorno fosse solo quando la porta si aprì piano e sorrise quasi senza volerlo, girata su un fianco e dando le spalle alla soglia della camera, senza che i bambini o il marito potessero vederla.

“BUON COMPLEANNO MAMMA!”  Imogen sorrise e si tuffò sul letto, seguita ben presto da Marie e da David, che si arrampicò sul letto con un po’ di fatica e poi raggiunse la madre carponi con un sorriso sulle labbra, lasciandosi abbracciare per poi darle un bacio su una guancia:

“Grazie tesori…” Iphigenia sorrise, accarezzando i capelli rossi di David e guardando i figli maggiori con affetto mentre Andrew, sorridendo con aria soddisfatta, si avvicinava con una torta che si librava a mezz’aria accanto:

“Buon compleanno tesoro… io e i miei assistenti ti abbiamo preparato questa, speriamo sia di tuo gradimento.”
“Davvero? Ma che bravi, grazie… avete aiutato papà?”
“Sì!”
“Sì, è stato divertente. Soffia le candeline!”

Le candeline si accesero per magia ma Iphigenia esitò, sorridendo a Marie mentre le accarezzava teneramente i capelli color rame:

“Ho già tutto quello che voglio, tesoro. Vi voglio bene.”
“Anche noi mamma.”


*


Mileva “Millie” Maguire Image and video hosting by TinyPic


Andrew Maguire era seduto sul divano nel salotto, il giornale in mano mentre la piccola di casa giocava davanti a lui, sul tappeto, circondata da animaletti di legno. 
Il mago distolse lo sguardo dalla sua quotidiana lettura serale per lanciare un’occhiata di sbieco alla figlioletta di due anni, abbozzando un lieve sorrisetto prima di sporgersi e, con un gesto fulmineo, sottrarle un leoncino intagliato. 

Poco dopo Millie sembrò intenzionata a cercare proprio quell’animale, guardandosi intorno con leggera confusione, tastando con le piccole mani il tappeto per assicurarsi che il leone fosse scomparso. Poi, dopo aver esaminato gli altri animali, si voltò verso il padre con un’espressione piuttosto grave dipinta sul volto, la bocca semiaperta:

“Più!”
“Hai perso qualcosa? Il leone?”

Lei annuì con fare concitato, i grandi e tristi occhi azzurri fissi su di lui e Andrew, per tutta risposta, scosse il capo con aria grave:

“Mi spiace, io non l’ho visto!”
La bambina si accigliò leggermente, e Andrew si sforzò di non ridacchiare per la somiglianza che correva tra lei e la madre quando sembrava pensierosa mentre Millie tornava a concentrarsi sugli altri animali, mettendoli in file ordinate davanti a sè. 
Meno di un minuto dopo dalla schiera erano “spariti” anche due cavallini e Millie si voltò verso il padre con gli occhi spalancati, ma lui scosse il capo con fare dispiaciuto:

“Io non ho visto niente.”

Poi, quando la piccola non trovò nemmeno il suo preferito, un gattino bianchissimo, parlò con tono lacrimoso in direzione del padre:

“Chi mi ha peso Kitty?!”
“Non lo so!”

La bambina gonfiò le guance con irritazione e si alzò per sgambettare per il salotto e cercare la refurtiva sotto alle poltrone e sotto al divano, mentre Andrew tornava a nascondersi dietro il giornale per evitare di farsi beccare a sghignazzare apertamente. 

Iphigenia lo rimproverava sempre di non prendere in giro i figli, ma era sempre una tentazione troppo forte. 
Poco dopo Millie, sconsolata, tornò a sedersi sul tappeto annunciando che avrebbe chiesto alla madre di aiutarla più tardi... e poco dopo Andrew si chinò di nuovo, facendo sparire alla velocità della luce un elefantino. 

O forse non abbastanza in fretta visto che Millie, evidentemente, notò un movimento sospetto e si voltò verso il padre con la fronte aggrottata, sollevando una manina per indicarlo e parlare con tono accusatorio - per quanto potesse risuonare accusatoria la sua vocina: 

“Sei stato tu!”
“Io?! Ma cosa stai dicendo?! Non sono stato io.”

“Sì!”
“Non so di cosa parli.”
“Invece sì!”

Millie si alzò di nuovo, sfoggiando il suo adorabile broncio e incrociando le braccia mentre il padre scuoteva il capo, asserendo che era innocente fino a prova contraria. 
La bambina, quindi, girò sui tacchi e decise di ricorrere all’arma vincente pronunciando una semplicissima parola:

“Mamma!”
“Che cosa c’è?”

“Papà pende i giochi!”
“Andrew, mi ricordi quanti anni hai?!”
“Ma dai, è divertente! Ecco piccolo generale, tieni i tuoi animali.”

Andrew roteò gli occhi e fece ricomparire gli animali, facendoli planare sul pavimento e generando così un largo sorriso vittorioso da parte della bimba, che tornò a metterli in fila con fare soddisfatto, premurandosi di fare anche la linguaccia al padre. 


*


Andrew chiuse la porta della camera di Marie dopo averla salutata e averle augurato la buonanotte e fece per scendere al piano terra per finire di lavare i piatti quando qualcosa attirò la sua attenzione: la luce della camera della figlia minore era accesa, la porta socchiusa. 

Incuriosito, il mago si avvicinò alla porta e l’aprì, confuso: Iphigenia aveva messo a letto la bambina già due ore prima, cosa ci faceva ancora in piedi?
Ma a stupirlo maggiormente fu quello che vide una volta aperta l’anta: Millie era in piedi, il pigiama addosso e i capelli biondi luccicanti sotto la luce della lampada mentre stava sistemando le sue bambole di pezza nella piccola valigia giocattolo, che aveva preso e appoggiato sul suo letto sfatto. 
Andrew aggrottò la fronte, confuso, e parlò mentre la figlia di voltava verso di lui, sfoggiando un largo sorriso:

“Ciao pa’!”
“Tesoro, cosa stai facendo?! Dovresti dormire da un pezzo!”
“Sto facendo la valigia.”
“Perché?!”
“Pecchè domani patto pe’ Hoggats!”

La bambina continuò a sorridere mentre chiudeva la valigia un po’ a fatica e il padre non sapeva se ridere o preoccuparsi del fatto che a soli due anni e mezzo la figlia volesse già andarsene di casa:

“Tesoro, tu domani non parti, parte solo Marie, tu sei ancora piccola!”

Millie si voltò, aggrottando la fronte e sfoggiando un’espressione accigliata ed offesa che ricordò moltissimo quella che era solita sfoggiare la madre quando si irritava… con la differenza che se Iphe era molto paziente e succedeva di rado, la figlia minore era davvero molto permalosa.

“Non sono piccola! Tra poco ho tre anni!”


La bambina, a conferma di ciò, sollevò una manina e mostrò un tre con le dita mentre il padre alzava gli occhi al cielo ed entrava nella camera, sospirando e sedendo sul letto:

“Certo, sei una signorina ormai, lo so… ma sei comunque troppo giovane per Hogwarts, non sai scrivere! Come pensi di fare a fare i compiti?”
“Compiti?!”

Millie sgranò gli occhi chiari, sorpresa, e intuendo che fosse la strada giusta Andrew annuì, restando serissimo mentre sedeva sul letto della figlia:

“Oh sì, tanti, tantissimi compiti. Non potrai giocare con le tue bambole!”
“Ma voio fare le magie come te e la mamma!”
“Le farai, tra qualche anno. E poi… io e la mamma non ti mancheremmo, se andassi ad Hogwarts domani?”

Andrew sfoggiò l’espressione più abbattuta che gli riuscì mentre la bambina, dopo aver riflettuto per un attimo, sorrideva, mettendo le piccole mani sulle sue:

“Vieni anche tu pa’!”
“Io? Non posso, sono vecchio! E poi io sono già andato a scuola.”

Tornare a studiare? No, grazie, l’avrebbe evitato molto volentieri. 

“Quindi dovresti stare da sola per molto tempo, diciamo fino a Natale. Senza me e la mamma! Del resto però ormai sei grande, quindi puoi prendere il treno da sola, senza di noi…”


Andrew scosse il capo e si alzò, allontanandosi per raggiungere l’uscio mentre, alle sue spalle, la bambina sgranava gli occhi chiari, a disagio:

“Da sola?!”
“Già. Buonanotte tesoro, ci vediamo domani mattina, quando ti sveglierò molto presto per andare a prendere il treno.”

Non fece tuttavia in tempo a raggiungere la porta quando sentì la figlia ancorarsi alla sua gamba, esclamando che non voleva andare da sola e che sarebbe rimasta a casa con lui.

“Quindi non parti più?”
“No.”

La bambina scosse il capo contro la sua gamba, facendolo sorridere mentre si inginocchiava per abbracciarla, rincuorandosi leggermente: se non altro, anche se Marie stava per andarsene di casa per la prima volta, avrebbe avuto gli altri tre a distrarlo.


*


“Pare che Dave sia un Grifondoro… per ora ne abbiamo uno per Casa.”
“Non potranno dire che non siamo una famiglia eterogenea: Marie Corvonero, Imogen Tassorosso, Dave Grifondoro… tu pensi di finire in Serpeverde, principessa?”

Andrew si rivolse alla figlia minore, che sgranò gli occhi azzurri e spostò lo sguardo dal padre alla madre con fare allarmato mentre stringeva la sua tazza di latte tra le mani:

“Sarebbe brutto?!”
“No piccola, non è un problema, anche se sarebbe strano visto che hai entrambi i genitori Tassorosso.”

“Beh, non vuol dire, io ho una sorella Serpeverde dopotutto… tranquilla piccola, quando partirai papà sarà troppo impegnato a dispersi per aver perso anche la sua ultima bambina per preoccuparsi della tua Casa.”
“Esagerata!”
“Esagerata?! Al suo primo giorno di asilo ti sei preso dei giorni per malattia!”








*: l’equazione di Dirac afferma che: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possiamo più descriverli come due sistemi distinti, ma in qualche modo sottile diventano un unico sistema. Quello che accade a uno di loro continuare ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”.











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Capitolo 3
*** Katherine ***


Katherine 
 
Katherine Burke Image and video hosting by TinyPic



Giugno 1935


“MR DARCY! DOV’È DARCY?!”
“Arriverà il giorno in cui non perdersi quel gatto?!”
“Risparmia il fiato per cercare, Beatrix!”

Beatrix alzò gli occhi al cielo, stentando a credere di dover arrivare in ritardo alla consegna dei diplomi perché sua cugina aveva perso il gatto un’ora prima di andarsene da Hogwarts.

Così, invece di seguire Katherine verso la Scalinata Principale, la Tassorosso sfoderò la bacchetta prima di parlare con tono fermo:

“Non abbiamo tempo Kat, ora basta. Accio Darcy!”
“Aspetta, ferm-“

Un attimo dopo le due sentirono dei miagolii indignati e spaventati allo stesso tempo echeggiare nell’ampio Ingresso e il gatto di Katherine spuntò sul pianerottolo prima di sfrecciare a tutta velocità verso la bionda, che lo prese al volo per poi sorridere con aria soddisfatta e ignorando l’occhiata furiosa che Darcy le lanciò:

“Eccoti qui! Tieni Kat, tutto tuo.”
“ATTENTA!”
Beatrix aggrottò la fronte, non capendo l’avvertimento della cugina finché non si voltò verso la scalinata con il gatto ancora tra le braccia. Gatto che fece cadere istintivamente quando si chinò per evitare che un libro la decapitasse, seguito da altri due volumi che atterrarono sul pavimento di pietra con un tonfo sordo.

“Kat. Si può sapere quante copie hai di quel dannato libro?!”
“Ehm… ne ho sempre qualcuna di riserva, sai, non si sa mai…”

Katherine sfoggiò un sorriso colpevole mentre prendeva in braccio Darcy, che continuò a guardar male Beatrix mentre la bionda, con uno sbuffo è un pigro colpo di bacchetta, raccoglieva i libri e faceva in modo che le planassero tra le braccia:

“D’accordo, ora mettiamo a posto libri e gatto e poi corriamo in Sala Grande! E ti prego, chiudilo in gabbia.”
“Va bene, quanto la fai lung-“

“SIGNORINE, si può sapere cosa state combinando?!”

“Niente professoressa, si figuri… arriviamo subito!”

Beatrix si sforzò di sorridere all’insegnante di Incantesimi prima di far cenno alla cugina di seguirla e sfrecciare verso le scale con Katherine al seguito:

“Quella donna spunta dal nulla nei momenti meno opportuni! Ed è tutta colpa di Darcy se siamo in ritardo!”
“Non parlargli in questo modo, ferisci i suoi sentimenti! No Darcy, la zia non voleva offenderti…”


*


“Comportati bene a scuola! Non infrangere le regole!”
“Ma tu hai fatto quello scherzo a William Cavendish due anni fa, e l’anno scorso hai…”

“Non importa, tu non prendere esempio da me. Ti voglio bene.” 

Katherine strinse il fratellino in un abbraccio che Nate stranamente ricambiò, annuendo debolmente:

“Va bene… te lo prometto. Mi mancherai, quando tornerò tu sarai già andata in Romania.”
“Io e Maxi ti verremo a trovare. Anzi, l’estate prossima verrai tu da noi, ok? Mi spiace lasciarti solo con mamma e papà, ma almeno sarai ad Hogwarts per la maggior parte del tempo. E mi raccomando, l’anno scorso ho vinto la Coppa, datti da fare affinché la nostra reputazione non crolli.”

“Non sono io il Capitano, ma farò del mio meglio. Ci vediamo a Natale.”
“Ciao piccoletto.”

“Sono più alto di te ormai!”
“Sarai “piccoletto” per sempre Nate, non ci provare.”


*


Katherine, ad una settimana dal suo arrivo in Romania in un freddo pomeriggio di Gennaio, stava tornando in camera sua dopo aver recuperato un paio di libri dallo studio del fratello – in rumeno, certo, ma del resto aveva passato tutta l’estate e l’autunno a studiare quella lingua – quando, dopo aver svoltato l’angolo, si ritrovò davanti ad un perfetto estraneo che, vedendola, aggrottò leggermente la fronte prima di parlare mentre la ragazza, invece, trasalì:

“Tu devi essere…”
“MAXI! C’È UN ESTRANEO IN CASA!”  

L’urlo beduino che la ragazza lanciò arrivò sicuramente alle orecchie di Maximilian, che alzò gli occhi al cielo mentre si alzava dalla sua comoda sedia di pelle per raggiungerla: forse avrebbe dovuto avvisarla della visita di Alexei, ma gli era passato completamente di mente abituato com’era a vivere da solo, ormai.

Aveva parlato in inglese, ma l’”estraneo” doveva conoscere la sua lingua visto che inarcò un sopracciglio e recuperò il libro che Katherine aveva fatto cadere sobbalzando:

“Non sono un “estraneo”, tuo fratello mi conosce. Presumo che tu sia Katherine.”
“Io… sì. Parli inglese?”
“Abbastanza. Alexei Smirnov.”

Katherine non disse nulla, limitandosi ad osservarlo sbattendo le palpebre: Smirnov. Le era familiare, in effetti… e un attimo dopo capì perché, quando collegò i pezzi e sfoggiò un sorriso tirato:

“Oh. Quindi sei…”
“Il fratello di Aleera, sì. Piacere di conoscerti, estranea.”

Il ragazzo, che ad occhio doveva avere un paio d’anni più di lei, le rivolse un sorrisetto divertito mentre la voce altrettanto divertita di Maximilian giungeva alle orecchie della ragazza, che si voltò per fulminarlo con lo sguardo e suggerirgli silenziosamente che avrebbe anche potuto avvertirla di quella visita:

“Salve cognato… vedo che hai conosciuto la mia sorellina.”
“Stava per colpirmi con uno di questi… tomi sui draghi, ma mi ha risparmiato. Appassionata anche tu?”
“Sì… per questo sono qui.”
“Lavorerà con me. Ora scusa Kat, ma Alexei è venuto per conto di suo padre per discutere a proposito della dote di Aleera.”

“Intendi quella somma di denaro che ci fa sembrare delle vacche invece di esseri umani? Oh, che bellezza.”

Katherine rivolse un’occhiata di sbieco al fratello, che ricambiò con uno sguardo eloquente mentre si allontanava insieme al futuro cognato, suggerendole di stare al suo posto e di non fare commenti in presenza di estranei. 

“Kat, per favore.”
“Va bene, va bene, torno in camera mia… Arrivederci, estraneo.”

Katherine si allontanò lungo il corridoio con i libri tra le braccia e una volta nello studio del padrone di casa Alexei sorrise appena mentre prendeva posto di fronte alla sua scrivania:

“Tua sorella è proprio un bel tipo, Maximilian.”
“Sì, lo so… è la mia preferita.”


*


“Aleera! Che bello vederti. Oh, salve.”
“Ciao Katherine, grazie per l’invito.”  Aleera, in piedi nell’ingresso accanto al fratello che si limitò a rivolgere un cenno all’ex Grifondoro, sorrise alla futura cognata quando la ragazza le si avvicinò per salutarla:

“Figurati, manca un mese al matrimonio ed è bene conoscerci meglio.”
“Mio fratello mi ha accompagnata, spero che non ti dispiaccia se si unisce a noi.”


“No, certo. Farò preparare una tazza di thè in più. Venite.”

La “padrona” di casa rivolse un cenno agli ospiti prima di dirigersi verso il salotto, mentre alle sue spalle Aleera prendeva il fratello minore sottobraccio e gli rivolgeva un sorriso:

“Chissà perché hai scelto all’improvviso di accompagnarmi.”
“Non cominciare.”
Alexei non rispose al sorriso, limitandosi a scoccare un’occhiata torva alla sorella maggiore, che invece sorrise con aria divertita:
“Non c’è niente di male Alexei… e se vuoi saperlo – e so che è così – Katherine non è nemmeno fidanzata.”
“Non te l’ho chiesto.”
“No, ma l’avresti fatto presto.”

“L’estraneo gradisce il limone nel thè?!”
“No, lo detesto.”
“Perché ti chiama così?!”
“Storia lunga.”


*


Katherine stava dando da mangiare ad un piccolo Ironbelly Ucraino nel recinto quando sentì una voce, ormai piuttosto familiare, alle sue spalle:

“Ciao.”
Voltandosi, la ragazza vide Alexei appoggiato alla staccionata, gli occhi azzurri fissi su di lei e sul drago nato pochi giorni prima. 

“Ciao… che ci fai qui?”
“Ero curioso. Non ho mai sentito di una ragazza, così giovane d benestante per di più, che si interessa a queste creature.”
“Io li trovo tremendamente affascinanti. Mia madre avrebbe preferito che restassi in Inghilterra per accalappiarmi a qualche membro delle Sacre 28, ma io ho piani diversi.”

“Sacre 28?”
“Sì, sono le 28 famiglie Purosangue inglesi, la nostra ne fa parte. Un membro di un’altra famiglia, i Nott, le ha soprannominate così in un libro pubblicato l’anno scorso. Tecnicamente, dovrei sposarmi con uno di loro, come mia sorella maggiore.”

Katherine si strinse nelle spalle mentre usciva dal recinto sfilandosi i guanti di pelle, mentre Alexei continuava a guardarla con curiosità:

“Tua madre vuole che ti sposi in tempi celeri?”
“Beh, mia sorella è sposata, mio fratello anche… la prossima sono io, mio fratello Nate ha solo quattordici anni. Io ne ho 19 ormai, temo di vederla arrivare qui con una lista di partiti.”

Alexei rise ma Katherine non lo imitò, perfettamente consapevole che quel timore non fosse poi così infondato o lontano dalla realtà.

“E tu? Sei l’erede della famiglia, non ti hanno già firmato qualche contratto con qualche bella e ricca ragazza?”
“Ho preferito aspettare, ma ora che Aleera è sposata temo che faranno pressioni anche a me. Anche se essendo maschio forse ho più possibilità di te di tenerli “a bada”.”
“Sicuramente… mia sorella aveva la mia età quando si è sposata, è solo questione di tempo. Beh, cambiamo argomento, è meglio. Vuoi fare un giro dei recinti?”
“Volentieri, basta che non mi carbonizzino.”
“Tranquillo russo, ti difenderò io.”


*

  
La primavera era appena iniziata, Katherine si trovava in Romania da circa tre mesi quando, un pomeriggio, bussarono alla porta e aprendola si ritrovò davanti sua madre e sua sorella.
La terribile accoppiata.

“Ciao Katherine… possiamo entrare?”
“Madre, Signora Travers… prego, entrate pure.”

Katherine roteò gli occhi prima di farsi da parte e lasciar passare le due, conducendolo un attimo dopo in salotto per prendere il thè. 

“Allora. Maximilian e Aleera sono in luna di miele, quindi presumo che siate qui per me.”

Katherine, dopo aver versato un po’ di latte nel suo thè, rivolse un’occhiata dubbiosa a madre e sorella, sedute di fronte a lei sul divano. Non le vedeva dal matrimonio del fratello, tre settimane prima, e l’improbabile docilità della madre in quell’occasione le aveva fatto presagire guai in arrivo.

“In realtà volevo dirti di persona che sono incinta, Kat.”
“Oh, un piccolo Travers in arrivo… congratulazioni. Non c’è altro?”

Il tono ironico della Grifondoro le riservo un’occhiata eloquente da l’arte di Erzbeth, che appoggiò la tazza sul piattino di porcellana dipinta a mano prima di rivolgersi alla figlia minore:

“Katherine, sai già come la penso. Sei voluta venire qui e te l’abbiamo permesso, ma ora tuo fratello si è sposato, hai intenzione di fare da ospite qui per sempre?”
“La casa è enorme mamma, Aleera e Maxi mi hanno assicurato che posso restare per tutto il tempo che desidero.”
“Non ne dubito, tuo fratello non ti caccerebbe mai e sua moglie è troppo dolce per voler del male a chiunque, ma spero tu abbia il buonsenso di comprendere che sarebbe meglio per tutti se tu vivessi altrove.”

“Non tornerò a casa, mamma. E saresti la prima a vietarmi di vivere da sola, non sarebbe “appropriato” per una signorina, no?”  Katherine inarcò un sopracciglio, guardando la donna quasi con aria di sfida mentre la madre accennava ad una smorfia con le labbra, scuotendo il capo:

“Ovviamente. Non voglio che tu viva da sola Katherine, ma a Dicembre compirai vent’anni, è arrivato il momento di sistemarsi anche per te. Tua sorella…”

“Alla mia età si è sposata, sì, non serve che me lo ricordi. E con chi diavolo dovrei sposarmi, con il primo Purosangue che passa?!”
“Ovviamente no. Anche se… al matrimonio ho conosciuto il fratello di Aleera e mia nuora, ma anche Maximilian e la Signora Smirnov, mi hanno detto che è particolarmente interessato a te.”

“Ti sei già assicurata un legame con una delle più influenti famiglie russe mamma, non è abbastanza?”
“Non usare questo tono con me Katherine, lo dico per il tuo interesse. Vi ho visti insieme, andate d’accordo, lui è di ottima famiglia, di bell’aspetto e ha persino l’età giusta. Non vedo cosa ci sarebbe di sbagliato, è evidente che tu gli piaci.”

Katherine, suo malgrado, arrossì leggermente alle parole della madre, balbettando qualcosa di poco comprensibile che fece sorridere la donna con evidente soddisfazione:

“Per una volta, mia cara, non potrai dire che sbaglio.”


*


“Sono venuta in Romania per lavorare sui draghi, ed è quello che ho intenzione di continuare a fare.”

Erano state queste le parole che Katherine aveva usato per esplicare la sua posizione: sposata o non sposata, sarebbe riamasti a vivere lì come suo fratello. Ne erano uscite discussioni infinite e polemiche ds parte dei suoi futuri suoceri, che sostenevano fosse inconcepibile che il loro erede vivesse in un altro Paese, ma Katherine non aveva battuto ciglio e fortunatamente aveva sempre potuto contare sull’appoggio del fratello, che aveva fatto da “mediatore” per tutto il tempo con i suoceri:

“Capisco il vostro punto di vista, ma anche io sono l’erede dei miei genitori, eppure non vivo in Inghilterra. Se loro hanno chiuso un occhio, immagino possiate farlo a vostra volta. E mia sorella è molto testarda, vi avviso.”

E alla fine, si era deciso: il matrimonio si sarebbe celebrato in Inghilterra, come da tradizione a casa della sposa, e poi Katherine e Alexei avrebbero vissuto in Romania come i rispettivi fratello e sorella.


“Non vedo l’ora che arrivi la festa di fidanzamento, ti farò conoscere i miei amici! Conoscerai Beatrix, e sopratutto Gabriel! Non vedo l’ora di presentartelo.”
“Sì, ne parli in continuazione…”
Alexei, seduto su una poltrona, mentre controllava la lista degli invitatati alla festa, roteò gli occhi mentre la fidanzata, sbuffando debolmente, gli rivolgeva un’occhiata eloquente mentre teneva Darcy in braccio, seduta di fronte a lui:

“Non azzardarti a fare scenate, ne abbiamo già parlato e ti ripeto che è sposato con una bellissima ragazza, hanno anche una bambina.”
“Sarà…”



Il giorno della festa Katherine accolse Beatrix con un urletto felice, correndo ad abbracciare la cugina e i fratelli per poi trascinarli dal fidanzato e presentarglielo:

“Alexei, lei è mia cugina Beatrix, nonché la mia migliore amica, e loro sono i suoi fratelli… smettila di guardarti intorno con preoccupazione, Adrian e compagnia devono ancora arrivare.”

“Per allora io mi nasconderò dentro un armadio. Lieto di conoscerti, sono Markus.”

Markus sorrise e allungò una mano per stringere quella di Alexei mentre Katherine, dopo aver scorto un paio di figure familiari varcare la soglia del grande salotto, sorrideva e si congedava brevemente per raggiungerle con un sorriso:

“Ragazze, ce l’avete fatta!”
“Ci siamo perse due volte, Adela pensava che il retro fosse l’ingresso.”
“C’è un giardino anche sul retro, sembrava l’Ingresso, che colpa ne ho? Ciao Katherine, congratulazioni. Hector si scusa per non esserci, ma non è riuscito a liberarsi.”

Adela sorrise alla futura sposa e Charlotte la imitò prima di abbracciare l’ex Grifondoro, parlando a bassa voce:

“Congratulazioni Kat, sono felice che tu abbia dimenticato mio fratello.”
“Oh, ci è voluto un po’, ma Alexei è meraviglioso. Ma ti prego, non farne parola, già sta aspettando Gabriel con la forca in mano…”

“Davvero?! Si prospetta una festa divertente! Vieni Adela, andiamo a salutare Beatrix.”

L’ex Corvonero strizzò l’occhio all’amica prima di prendere Adela sottobraccio e allontanarsi, lasciando la futura sposa ad osservare con occhio incerto il camino spento, dove delle fiamme verdi preannunciavano l’arrivo di un qualche ospite.
Ospite – anzi, ospiti – che vennero accolti con un sorriso e un caloroso abbraccio non appena misero piede fuori dal camino.

“Ragazzi! Eccovi, finalmente… sono felicissima di vedervi. Alexei, vieni!”

Katherine, dopo aver stretto Gabriel in un abbraccio e aver lasciato una carezza sulla testa di Eleanor, che sorrise alla madrina con calore dalle braccia della madre, si voltò per rivolgere un cenno al fidanzato e suggerirgli di avvicinarsi, guardandolo rivolgere un’occhiata leggermente torva a Gabriel mentre li raggiungeva senza dire nulla.

“Alexei, ti presento il mio migliore amico, Gabriel Greengrass, sua moglie Elena… e lei è la mia figlioccia, la piccola Eleanor.”
“È un piacere conoscerti, Kat ci ha parlato tanto di te. Congratulazioni.”  Elena sorrise al russo, assestando un lieve colpetto al polpaccio del marito con un piede per fargli cenno di salutarlo invece di guardarlo in cagnesco e basta. 
Alla fine fu il futuro sposo ad allungare una mano, che Gabriel strinse senza esitazioni mentre lo scrutava con gli occhi chiari:

“Piacere di conoscerti, Katherine parla sempre di te.”
“Oh, lo immagino.”  Gabriel inclinò le labbra in un sorrisetto, rivolgendo un’occhiata carica d’affetto alla ragazza prima che Elena, roteando gli occhi, parlasse:

“Kat, Markus è già arrivato? Mi piacerebbe salutarlo.”
“Sì… oooh, sì, ti accompagno. Ciao piccolina, vuoi venire in braccio con la zia Kat? Sì? Vieni qui tesorino, mi sei mancata tantissimo…”

Quando moglie e amica – impegnata a coccolare la figlioccia – si furono allontanate Gabriel si rivolse al padrone di casa, rivolgendogli un’occhiata eloquente prima di parlare:

“Alexei? Cerca di trattare bene mia sorella, altrimenti oltre che con Maxi te la vedrai anche con me.”


*

 
“No.”
“Ma tesoro, dai…”
“Ho detto NO.”
“Per favore! Ci tengo molto!”
“Mi dispiace, ma questo no, non posso proprio farlo.”

“Se solo ci pensassi…”
“Kat, no.”
“Sei impossibile!”
“Non chiamerò, se dovesse essere maschio, mio figlio Fitzwilliam, Katherine! Specie il primo, che sarà l’erede della famiglia!”

“Solo perché non è un nome russo non vuol dire…”
“Non è solo perché è inglese, Kat, non mi piace affatto, è troppo lungo!”
“Che colpa ne ho se Darcy è un nome da bambina?! E poi ho già chiamato così il gatto, non potrei chiamare così anche il piccolo…”

“Appunto, il gatto non ti basta?!”
“Ok, va bene, niente Fitzwilliam. Ma ne riparleremo per il secondo figlio, stanne pur certo. Se invece fosse una bambina… ti piace Elizabeth?”
“Gabriel mi aveva avvertito, ma non pensavo fosse serio quando parlava della tua ossessione!”


*


1938


Katherine sorrise alla bambina che teneva tra le braccia, guardandola con affetto mentre Alexei, seduto sul letto accanto a lei, le sfiorava le minuscole mani con un dito:

“È bellissima.”
“Sì, è adorabile.”
“I miei genitori, Maximilian e Aleera sono qui fuori, chiedono di vederla e di sapere il nome… li facciamo entrare? Maximilian ha contattato i tuoi e Gabriel, dovrebbero essere arrivati anche loro.”

“Ok, falli entrare.”

La ragazza annuì e un attimo dopo la stanza si riempì, quando i genitori di entrambi, Maximilian, Aleera e Gabriel entrarono.

“Bene, vi presento ufficialmente Gabrielle Beatrix Smirnov.”

Katherine sorrise, intercettando lo sguardo inizialmente perplesso, poi felice e infine quasi commosso di Gabriel, che sorrise e si avvicinò al letto:

“Gabrielle?”
“Sì, l’ho chiamata come i miei migliori amici… Beatrix le farà da madrina. Saluta lo zio Gabriel, piccola.”


*


Katherine sorrideva mentre, seduta sul divano, guardava la figlia di 18 mesi giocare sul tappeto insieme ad Eloise, sua coetanea, ed Eleanor Greengrass di ormai tre anni e mezzo, impegnata a disegnare mentre era stesa supina. 

“No tesoro, questo non si mette in bocca.”  Rise appena mentre si chinava, togliendo la matita dalle manine di Eloise per restituirla alla figlioccia, che ridacchio a sua volta:

“Eloise si mette tutto in bocca.”
“Oh, fidati, lo facevi anche tu, lo fanno tutti i bambini. Oh, Gabrielle, guarda chi c’è.”

La bambina si voltò e quando I suoi occhi azzurri si possono sul gatto dal pelo rosso che stava trotterellando verso di loro sorrise, allungando le braccine verso di lui per abbracciarlo. 
Anche Eloise parve illuminarsi, sorridendo e guardandolo prima di dire qualcosa:

“Odic!”
Il viso della bimba venne però attraversato da un moto di delusione quando il micio non le si avvicinò e si lasciò accarezzare solo da Gabrielle, voltandosi verso la “zia” con la bocca socchiusa e gli occhi sgranati:

“Tesoro, non è Godric… ci assomiglia, ma lui si chiama D’Artagnan.”

“Odic?”
“Godric è a casa piccola, lo vedrai dopo.”  Eloise parve rincuorarsi, ma si avvicinò comunque al gatto per accarezzarlo timidamente.

Darcy, invece, saltò sul divano per accoccolarsi sulle sue ginocchia, acciambellandosi e lasciandosi accarezzare mentre la padrona sorrideva, divertita:

“Adesso non te ne vai più a zonzo, vero vecchietto? Non serve soffiare, scherzo. Per me resti il più bello di tutti… e non sei così vecchio.”
“Da quanto hai Darcy, zia?”
“Da un sacco di tempo, andavo a scuola quando me l’hanno regalato, pensa.”
“La mamma mi ha detto che papà le ha regalato Godric per il compleanno, è vero?”
“Sì, eravamo tutti a scuola… bei tempi, quelli.”

Eleanor si stava facendo raccontare dalla madrina aneddoti sui genitori quando dal camino uscì proprio la madre, che sorrise alle bambine e all’amica:

“Salve fanciulle… grazie per averle tenute.”
“Figurati, Gabrielle è sempre ben lieta di avere compagnia, e io sono comunque confinata in casa…”

Katherine si alzò, con un po’ di fatica a causa del discreto pancione che già sfoggiava, mentre Eloise, dopo aver visto la madre, sorrideva e si alzava per correre verso di lei:

“Mami!”
“Ciao piccolina… hai fatto la brava con la zia Kat, vero? Aspetta Kat, ti aiuto.”
“No, tranquilla, ce la faccio. Anche se mi chiedo PERCHÉ io sia già così grossa, non sono ancora al sesto mese!”

Katherine sbuffò, leggermente contrariata e confusa al tempo stesso mentre Eleanor, invece, sgranava gli occhi chiari ereditati dal padre mentre le metteva entrambe le mani sul pancione:

“Zia, forse hai due bambini nella pancia!”  
Katherine non disse nulla, limitandosi a scambiarsi un’occhiata dubbiosa e leggermente perplessa al tempo stesso con Elena: non era un’ipotesi poi così assurda, dopotutto, per essere uscita dalla bocca di una bambina piccola.


*


1942



“Quando vengo qui sembra di stare in un asilo. Però è divertente.”  Beatrix sorrise mentre, seduta su una sedia, teneva Alexandra, di due anni, sulle ginocchia. Katherine, che era appena riuscita a far addormentare Isaak, il piccolo di casa di un anno, sedette di fronte a lei con un sospiro, annuendo:

“Già. Dovresti venire quando ci sono anche i figli di Max e Aleera o quando Gabriel porta Elly, Eloise e Gale. La casa diventa un asilo a tutti gli effetti.”
“Posso solo immaginarlo. Cosa c’è piccolo?”

Beatrix sorrise con affetto ad Ivan, che le si era avvicinato e che rivolse un’occhiata quasi torva alla sorella gemella:

“Zia, voglio stare in braccio anche io!”
“Va bene… Alexandra, facciamo venire in braccio Ivan adesso?” 

Beatrix fece per mettere giù la bambina, che però scosse il capo con vigore e strinse le braccia intorno al collo della zia, nascondendo il viso contro l’incavo del suo collo:

“No!”
“Tesoro, è il suo turno adesso!”
“Io sto qui!”
“Ah, va bene… vieni Ivan.”  Beatrix sospirò e il bambino, soddisfatto, si sistemò sulla gamba sinistra della zia, mentre sulla destra si era accoccolata la gemella.

“Le mie gambe cederanno prima dei trent’anni.”
“Beh, guarda il lato positivo, metterai su massa muscolare!”
“Se tu e Alexei avrete un altro bambino non avrò più sensibilità agli arti, Kat, ho tenuto più bambini in braccio negli ultimi quattro anni che alcune donne in una vita intera!”

Beatrix aveva appena finito di parlare quando sulla soglia del salotto spunto Gabrielle, di quattro anni, che sorrise allegramente mentre le si avvicinava:

“Zia! Vieni a giocare con me?!”
“Al momento fatico a muovermi, tesoro.”
“La zia gioca con noi, non con te!”
“Non è vero!”
“Invece sì, vai via!”
“Mammaaaaa!”

“Povera me… per la prima volta in vita mia compatisco mia madre.”


*


1943


Eleanor, Eloise e Gale erano andati a dormire a casa Smirnov e mentre sua moglie era al piano di sopra, in camera con le bambine, Alexei era comodamente seduto sul divano con un libro in mano e Isaak, di due anni, addormentato e accoccolato accanto a lui. 

Il padrone di casa stava per portare il bambino a letto – e andare anche a controllare che Ivan e Gale non stessero dando fuoco a qualcosa – quando qualcuno si Materializzò nel salotto, proprio di fronte a lui, facendolo sobbalzare:

“Gabriel! Cosa ci fai qui?!”
“Perdona l’intrusione, ma è un’emergenza… Eloise ha dimenticato Mr Bunny, non dorme senza e il Grande Capo mi ha spedito fino in Romania per portarglielo.”
“Oh, capisco perfettamente. Le bambine sono di sopra, Kat sta leggendo loro qualcosa, mi pare.”

“LEGGENDO?! Oh no…”

Gabriel, dopo essere sbiancato, praticamente corse verso le scale sotto lo sguardo confuso di Alexei, che però decise di restarne fuori prima di alzarsi e prendere il figlio in braccio:

“Hai una mamma e degli zii strani piccolo, presto te ne renderai conto anche tu… ma ormai che ci vuoi fare.”



“KATHERINE!”
Katherine era seduta sul letto di Gabrielle – che aveva allargato magicamente – e teneva un libro in mano quando la porta si spalancò, rivelando Gabriel sulla soglia. La padrona di casa, confusa, si voltò verso l’amico e gli rivolse un’occhiata Cettina mentre Eleanor ed Eloise – sotto le coperte insieme a Gabrielle ed Alexandra – invece, sorridevano vivacemente al padre:

“Papi! Resti a dormire qui anche tu?”
“No El, ti ho portato Mr Bunny, lo hai dimenticato a casa.”

Gabriel mostrò alla bambina il peluche a forma di coniglietto, guardandola sorridere con sollievo e scivolare giù dal letto per andare a prenderlo e abbracciarlo prima di rivolgersi all’amica, parlando con tono d’accusa:

“Cosa stai leggendo, Kat?!”
“Le Fiabe di Beda il Bardo. Tutto bene, Gabri?”
“Mh, sì… volevo solo… essere sicuro. Bene, buona serata fanciulle, io torno a casa. Ci vediamo domani piccole.”

“Ciao papi!”
“Ciao!”

Gabriel, ancora leggermente dubbioso, uscì dalla cameretta chiudendosi la porta alle spalle e Katherine sorrise con sollievo, ritrasformando il libro nell’originale prima di rivolgersi alle bambine:

“Allora, fanciulle, dove eravamo arrivate?”
“Erano al ballo, ma stavano andando via!”

“Ah sì, siamo alla fine del capitolo… “La Signora Bennet e le figlie se ne andarono, ed Elizabeth torno subito da Jane, lasciando che le due signore e Mr Darcy commentassero il contegno suo e della sua famiglia. Ma quest’ultimo, nonostante tutto lo spirito di…”

“LO SAPEVO!”
Katherine trasalì quando la porta venne spalancata con ancor più irruenza rispetto alla volta precedente, e voltandosi verso la soglia scorse il suo migliore amico, che la indicava con fare accusatorio:

“Gabriel, stavi origliando?!”
“Non girare la frittata Burke, stavi leggendo Orgoglio e Pregiudizio! Non ti permetterò di contagiare le mie figlie, ho già subito una ragazzina sclerata per quella roba in passato e non ripeterò l’esperienza!”
“Io leggo quello che mi pare in casa mia Greengrass, e alle ragazze farà solo bene sentire questa storia!”
“Dammi il libro.”
“Neanche morta!”

Le quattro bambine osservarono con interesse i genitori discutere e cercare di sfilarsi il libro dalle mani a vicenda, o almeno finché Alexei non comparì sulla soglia della camera con la fronte aggrottata, osservando la scena con leggera confusione:

“Ma che diavolo…”
“Mamma e lo zio litigano per un libro papà.”
“Alexei, non permettere che legga questa roba alle tue figlie, o non avrai più scampo, fidati.”

“Non sarà mica quel “Orgoglio e qualcosa”, vero?!” 
“Orgoglio e Pregiudizio, sono circondata da dei trogloditi, non da uomini! Gabriel, rompi il libro e le tue figlie assisteranno ad una scena molto macabra!”


*


1945


Gabrielle,Image and video hosting by TinyPic Ivan, Image and video hosting by TinyPic Alexandra, Image and video hosting by TinyPicIsaak Image and video hosting by TinyPice Katja SmirnovImage and video hosting by TinyPic 


Era domenica mattina e come sempre la sala da pranzo era immersa nella baraonda al momento della colazione, con i bambini che chiacchieravano o continuavano ad alzarsi.

Alexei, seduto a capotavola come sempre, leggeva il giornale tenendo una Katja ancora mezza addormentata sulle ginocchia mentre Katherine, accanto a lui, stava controllando la posta.
Come sempre, insomma, tutto come ogni domenica.

O almeno, finché la donna non vide una lettera da parte di sua madre. Non si scrivevano poi così spesso e l’aprì con una buona dose di scetticismo, ma quando ebbe finito Katherine si voltò verso il marito con gli occhi chiari praticamente fuori dalle orbite:

“Oh Merlino…”
“È successo qualcosa di grave?”
“Mio fratello…”

“Maxi? Ah, no, se è di tua madre sarà Nate… sta bene, vero?”
Alexei, la fronte aggrottata, si portò la tazza di caffè alle labbra mentre Gabrielle osservava la madre con fare apprensivo, chiedendole se lo zio stesse bene a sua volta. Katherine però non rispose subito, apparendo quasi in trance mentre osservava la lettera come se stentasse a credere ai suoi occhi… poi annuì, sbattendo le palpebre e deglutendo:

“Sì. Sta bene. Sì è… fidanzato.”
“Ah sì? Beh, era ora, sono felice per lui. Kat?”

“Si è fidanzato! Il mio fratellino!”
“Il tuo fratellino ha 24 anni, Kat. È ora che si sistemi anche lui!”
“Sì ma… CON CHI?! Chi è questa? Come si chiama? Quanti anni ha?! Devo conoscerla e verificare che non sia una subdola arrampicatrice sociale, chiedo a Gabriel se sa qualcosa, vado a scrivergli subito.”

Un attimo dopo Katherine si alzò e corse praticamente via sotto gli occhi confusi dei figli, che si voltarono verso il padre in cerca di spiegazioni che però non arrivarono poiché Alexei si limitò a scuotere il capo e a sollevare una mano:

“Non badateci, sta bene.”
“La mamma sembrava strana!”
“La mamma è quasi sempre strana, Ivan.”


*



Aveva insistito, scritto lettere a fiumi, ma alla fine Katherine aveva ottenuto ciò che voleva: incontrare la fidanzata di Nathaniel da sola, senza i genitori o gli altri fratelli.
Nathaniel aveva acconsentito e ora erano entrambi lì, seduti uno di fronte all’altra al tavolo del ristorante mentre Katherine continuava a tamburellare le dita sulla tovaglia bianca, guardandosi intorno:

“Kat, sai che ti voglio bene, ma prometti di comportarti bene! Non fare domande inopportune.”
“Non sono nostra madre Nate. E comunque sappi che sono ancora offesa per non averlo saputo prima… e l’ho saputo per mano di nostra madre, nemmeno per merito tuo! Tra te e Gabriel non so chi sia stato peggiore.”
“Senti, mi dispiace, ma non te l’ho detto perché sapevo che avresti reagito così, ti conosco! Ok, sta arrivando… sii gentile. Vedrai, ti piacerà. Connie!”

Nathaniel sorrise s qualcuno oltre la sua spalla e si alzò per accogliere la loro ospite, che sorrise con aria colpevole al fidanzato e alla futura cognata:

“Ciao Nate… scusate per il ritardo! Tu devi essere Katherine, non vedevo l’ora di conoscerti, ho sentito tanto parlare di te e di Maximilian.”
“Buffo, io non ho mai sentito parlare di te.”

Katherine rivolse un’occhiata torva al fratello minore, accusandolo silenziosamente ancora una volta di non averle detto nulla per un mucchio di tempo, o di non averle mai presentato Constance, prima di tornare a concentrarsi proprio sulla ragazza su di lei, osservandola attentamente e con occhio critico mentre prendeva posto dall’altro lato del tavolo rettangolare. 
Era giovane, molto giovane, doveva avere all’incirca 10 anni meno di lei, sicuramente era più giovane di suo fratello e si chiese come avesse potuto conoscerla… Del resto però sua madre le aveva detto che era Purosangue, probabilmente si erano semplicemente incrociati a qualche festa o ricevimento organizzato dalle famiglie che entrambi frequentavano. Non sembrava tuttavia “una subdola arrampicatrice sociale” anzi, appariva piuttosto simpatica e solare a giudicare dal gran sorriso che le illuminava il volto.
Dopo quel flusso mentale di constatazioni Katherine si schiarì la voce, affrettandosi a parlare: 

“Allora, Constance…”
“Connie, ti prego.”
“Bene, Connie. Come vi siete conosciuti? Nessuno si è ancora preso la briga di dirmelo.”
“Oh, a un ricevimento. Mi stavo annoiando terribilmente, per fortuna Nate mi ha salvata… in realtà ci conoscevamo di vista ad Hogwarts, ma non ci siamo mai scambiati più di due parole a scuola, io sono leggermente più giovane di lui.”
“Quanti anni hai?”
“19.”

“E in che Casa eri?”
“Grifondoro, come Nate… e come te, da quel che mi ha detto.”

Connie sorrise e Katherine, che se fosse stata di qualunque altra Casa avrebbe avuto da ridire sul fatto che fosse troppo giovane per suo fratello, la imitò quasi senza volerlo, improvvisamente un po’ più allegra:

“Sì, sono stata una Grifondoro anche io… e dimmi, ti sei diplomata non da molto, ma cosa ti piace fare?”
“Beh, adoro il Quidditch e…”
“DAVVERO?! Fantastico, diventerai la mia cognata preferita! Nate, ti perdono per non avermi detto nulla viso che ti sei scelto un’ottima fidanzata. E dimmi, che squadra tifi? Io ero Capitano a scuola, giocavi anche tu?”
“Sì, al mio ultimo anno abbiamo vinto.”
“Anche noi, uno dei miei momenti migliori…”


Le due iniziarono a discutere di Quidditch ignorando deliberatamente Nathaniel, a cui non restò che osservare sorella e fidanzata con aria rassegnata: era esattamente per quel motivo che non aveva presentato Connie a Kat prima di quel momento.


*


Dopo aver passato praticamente anni a discutere riguardo alla scuola che i figli avrebbero dovuto frequentare una volta compiuti gli 11 anni, Katherine e Alexei avevano deciso di lasciare che fossero i figli a prendere quella decisione: avevano parlato loro di entrambe le scuole – Hogwarts e Durmstrang – e assicurato che avrebbero potuto scegliere con la totale libertà dove studiare. Esattamente come era prevedibile Gabrielle non aveva avuto la minima esitazione a scegliere di andare ad Hogwarts: lei ed Eloise erano praticamente cresciute insieme e Katherine non aveva avuto il minimo dubbio che la figlia maggiore volesse andare a scuola insieme all’amica.

Per questo sorrideva mentre, leggendo la lettera che la primogenita le aveva inviato dalla Scozia, apprendeva da una Gabrielle visibilmente felice e molto emozionata che sia lei, sia Eloise erano state Smistate a Corvonero.

“In che Casa è?”
La voce del marito la riportò alla realtà e mentre Alexei si infilava il mantello per andare al lavoro Katherine gli sorrise, visibilmente soddisfatta:

“Corvonero, insieme ad El. Abbiamo una figlia molto sveglia, a quanto smembra… sembra felice, e sono felice anche io per lei.”
“Abbiamo sempre saputo che è una ragazzina sveglia, Kat. Anche Ivan dice di voler andare ad Hogwarts, mentre Alex sostiene di voler restare più vicina a casa. E anche Isaak.”
“Oh, beh, mi basta che stiano bene, anche se essendo andata ad Hogwarts mi sentirei meglio sapendoli li, specie ora che Silente è diventato Preside.”

“Parli come se Durmstrang invece di una scuola fosse una specie di campo di battaglia minato, Kat.”
“Scusa tesoro, ma non avete una bella nomea. Buona giornata, comunque.”

Katherine si avvicinò al marito per dargli un bacio mentre Katja, la piccola di casa, spuntava sulla soglia della stanza con un’espressione piuttosto triste:

“Quando torna Gabrielle mamma?!”
“Tesoro, tornerà per Natale, abbi pazienza… puoi sempre giocare con Alexandra, Ivan e Isaak però.”
“Ivan dice che anche lui andrà ad Hogwarts… e anche Isaak. Rimarrò a casa da sola!”
“Ma tra molto, molto tempi piccola, non preoccuparti.”

Katherine sorrise teneramente alla figlia più piccola di cinque anni, che non sembrò del tutto convinta mentre il padre, dandole una carezza tra i capelli, le sorrideva a sua volta:

“E tu piccolina, dove vuoi andare a scuola?”
“Io non ci vado, sto a casa con voi!”
“Ah sì? Non vuoi imparare s fare le magie come i grandi?!”
“… sì, ma le imparerò a casa.”

Katja si allontanò con fare risoluto, incurante le risate mal trattenute dei genitori di fronte alle sue parole:

“Dici che cambierà idea?”
“Ci metto la mano sul fuoco, arriverà il giorno in cui la tua principessa fremerà per andare a scuola, credimi. Per me è stato così.”
“Il giorno in cui diventeremo dei vecchietti.”
“Parla per te caro, io ho 33 anni, non 60!”
“Ho due anni in più rispetto a te Kat, non venti!”






…………………………………………………………………………………….
Angolo Autrice:

Ebbene sì, se ve lo steste chiedendo Connie è proprio QUELLA Connie… del resto avevo detto che avrebbe sposato un Burke, evviva i crossover!
Ed ecco il PV di Alexei: 
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Grazie come sempre per le recensioni e scusate se ultimamente non vi rispondo quasi mai, ma il tempo è quello che è. 
A presto, spero, con la prossima, che probabilmente riguarderà una coppia. 

Signorina Granger 



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Capitolo 4
*** Adela & Hector ***


Adela & Hector 

 
Adela Quested Image and video hosting by TinyPic& Hector GrayfallImage and video hosting by TinyPic



Adela, seduta accanto ad Hector, teneva gli occhi scuri fissi sul Preside Dippet mentre ascoltava il suo discorso per i neo-diplomati, anche se non poteva fare a meno di continuare a domandarsi dove si fosse cacciata la sua migliore amica. 
La risposta ai suoi dubbi sopraggiunse poco dopo, quando vide con la coda dell’occhio Charlotte intrufolarsi nella fila di sedie e raggiungerla prima di sedersi con un debole sospiro esasperato, ignorando l’occhiata torva che diversi insegnanti le rivolsero.

“Alla buon’ora. Che fine avevi fatto?”
Adela parlò in un sussurro e senza staccare gli occhi dal Preside, udendo a stento la risposta seccata che l’amica le rifilò con tono altrettanto basso:

“Ho avuto il mio ultimo incontro-scontro con il Lord.”
“Capisco. È appena arrivato anche lui, cominciavo a chiedermi se non vi foste messi a duellare da qualche parte e lui ti avesse uccisa.”
“Se anche fosse vincerei io, non dubitarne.”

Charlotte inclinò le labbra in un sorriso prima di applaudire educatamente come tutti gli altri al termine del discorso del Preside e chinandosi, allo stesso tempo, leggermente in avanti per rivolgersi ad Hector con tono divertito:

“Allora Thor, rammaricato di non dovermi più fare da baby-sister?”
“Tremendamente, era diventato uno dei miei hobby principali… Sai che tuo fratello mi ha scritto regolarmente per tutto l’anno per accertarsi che non fossi finita nei guai in sua senza, vero?”

“Lo sospettavo, eri stranamente schivo. Sei un pessimo bugiardo Thor, ma almeno farà comodo ad Adela.”


*


“Merlino, che caldo, sto per liquefarmi…”
“Te lo meriti, dopo aver passato anni a deridermi per il mio essere freddolosa in Scozia!”

Adela, tenendo il fidanzato sottobraccio, gli rivolse un sorriso carico di soddisfazione mentre passeggiavano per le stradine affollate di Chandrapore, ben lieta di potersi finalmente prendere la sua rivincita.

“Beh, ora posso capirti, in effetti. Peccato che Charlie non sia venuta allora, avresti potuto vederla sguazzare nel caldo soffocante.”
“Oh, quando è venuta l’estate scorsa ha capito, credimi. Dispiace anche a me che non sia venuta, ma sta studiando come una matta per entrare all’Accademia… spero che ce la faccia, le selezioni sono toste.”
“È Charlie, sono sicuro che se la caverà, anche grazie all’aiuto di Sean. Dove stiamo andando, comunque?”

“Ti voglio presentare Aziz, che domande! Sarà felice di conoscerti, finalmente.”
“Io ne dubito fortemente, considerando quanto tu gli piaccia…”

“Prima o poi taglierò la lingua a Charlotte. Te lo giuro.”


*


“Thor! Ciao!”  Charlotte sorrise quando vide l’amico seduto nell’atrio, affrettandosi a raggiungerlo per abbracciarlo quando il ragazzo si fu alzato in piedi per salutarla:

“Ciao Charlie… spero di non disturbarti. Come va l’addestramento?”
“Bene, sono un po’ ammaccata ed è una faticaccia, ma sono sicura che ne varrà la pena. Dimmi, come sta Adela? Sei andato a trovarla qualche giorno fa, no?”
“Sta bene, ti saluta tanto… le manchi molto.”

“Anche lei mi manca, ma finché è in India a studiare magiarcheologia e io passo gran parte delle giornate chiusa qui dentro le possibilità di vedersi sono molto sporadiche. Spero davvero tanto che presto venga a vivere in Inghilterra.”

Charlotte rivolse all’amico un’occhiata piuttosto eloquente che lo fece sorridere appena, guardandola con un sopracciglio inarcato:

“Che intendi?”
“Sai come si dice amico mio, chi ha orecchie per intendere intenda… dico solo che vivere così lontani non può fare molto bene nemmeno alla vostra relazione, ma so che l’adori troppo per fartela scappare, no?”
“Ovviamente. Stai tranquilla Charlie, ho la sensazione che presto le cose potrebbero cambiare.”

“Se intendi che finalmente glielo chiederai grazie al cielo Thor, cominciavo a pensare che avrei prima completato l’addestramento!”


*


“Quindi avete deciso di sposarvi in Inghilterra?”
“Sì, dopotutto la maggior parte dei miei amici sono qui, per non parlare della numerosa famiglia di Thor… sarebbe un caos organizzare tutto in India, in fin dei conti anche i miei genitori sono inglesi, anche se sono cresciuta lì per il loro lavoro.”

“Questo significa che vivrete qui, dopo?”

Adela annuì e Charlotte, seduta di fronte a lei con una tazza di thè fra le mani e Rami sulle ginocchia, sorrise a quel gesto con entusiasmo:

“Mi fa davvero felice saperlo, temevo vi trasferiste in India!”
“Beh, forse vista la carriera che voglio intraprendere sarebbe favorevole vivere lì, ma sicuramente ci tornerò spesso… mi limiterò a spostarmi di frequente per lavoro.”
“Tranquilla, mi offro volontaria per fare da babysitter a Rami e ai futuri mini Grayfall! Un mix tra te e Thor, saranno adorabili…”

“Almeno finche zia Charlie non li porterà sulla cattiva strada. E comunque ora non corriamo troppo, sono qui per scegliere con te le bomboniere, non i nomi di eventuali figli.”

“Pretendo che una delle bambine abbia il nome, comunque.”
“Secondo nome.”
“Andata. E ora passami i biscotti, per favore.”


*



“Credo che questo sia il primo di qualcosa come altri cinque matrimoni a cui sono stata invitata solo nell’arco dell’Estate. Pare che di recente tutti abbiano una gran fetta di sposarsi.”
“Immagino che sia a causa della guerra, non sono tempi facili.”

“No, ma almeno oggi si festeggia un lieto evento, finalmente… forse oggi tutti smetteranno di essere tesi per qualche ora. Voilà, sei bellissima.”

Charlotte sorrise e fece un passo indietro dopo aver sistemato con cura il velo dell’amica, che la guardò attraverso lo specchio della toeletta e le sorrise con affetto prima di alzarsi in piedi:

“Grazie Charlie.. mio padre?”
“Fuori dalla porta che ti aspetta e a dir poco emozionato… beata te, mio padre non vede l’ora di scaricarmi su qualcuno.”
“Ma tu non gli darai soddisfazione, vero?”
“Ovviamente no. Sposarmi non è nei miei piani più prossimi.”

Charlotte si strinse nelle spalle mentre l’amica, dopo aver indossato gli orecchini abbinati alla collana, sorrideva e le faceva cenno di precederla fuori dalla stanza dove si era preparata:

“Ok, sono pronta… immagino di non dover far aspettare Thor.”
“Ti ha già aspettata abbastanza, dopotutto. Dopo di lei, Signora Grayfall.”


*


“Di cosa volevi parlarmi?”
“So che sei molto occupato a studiare il caso, ma è molto importante.”

Adela, dopo essersi seduta di fronte al marito al tavolo in sala da pranzo, sorrise dolcemente e allungò contemporaneamente le mani per stringere quelle di Hector sul ripiano del tavolo: per tutta risposta ricevette solo un’occhiata perplessa e curiosa allo stesso tempo, portandola ad allargare il sorriso quasi con divertimento.

“D’accordo… dimmi, ti ascolto.”
“Beh… sono abbastanza sicura che a breve potrebbe esserci un esserino urlante a disturbare la tua quiete mentre lavori. E anche la mia, in realtà.”

“Abbastanza sicura? Quanto abbastanza, esattamente?”
“Abbastanza molto, direi. Devo andare a farmi visitare nei prossimi giorni al San Mungo, ma…”

“Aspetta. È per questo che Charlie l’altro giorno continuava a ridacchiare e a guardarmi come se sapesse qualcosa che io ignoravo?! Lo già detto prima a lei che a me?!”
“No! O almeno, non glie l’ho DETTO, l’ha capito, non so come in effetti… anche se sta facendo molta pratica con la Legilimanzia, ora che ci penso…”

“Beh, sono molto felice, comunque. Spero che il tuo presentimento si riveli esatto.”
L’espressione di Hector si addolcì e sorrise con calore alla moglie prima di sollevare le sue mani e depositarci un bacio sopra, strappandole così un altro sorriso:

“Anche io.”
“Aspettiamo solo un po’ per dirlo alla mia famiglia, ti prego, altrimenti subiremo una vera e propria invasione…”
“Non devi dirlo a me Thor, ma a quella che lavora insieme a praticamente metà della tua famiglia, da quel che mi risulta.”

Hector alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo e ripromettendosi di tenere d’occhio la loro migliore amica: non gli risultava affatto difficile immaginare Charlotte intenta a spettegolare sul suo conto con fratelli, zii, cugini e suo padre al Dipartimento degli Auror.


*


“Chi è la tua zia preferita?! Io? Oh, che domande, certo che sono io, vero piccolo?”
“In effetti non avrebbe altre zie femmine neanche volendo, visto che io ho solo fratelli e Adela è figlia unica…”

“Ma questi sono solo dettagli, vero Dick? Papà è un po’ troppo precisino, non trovi? Dick la pensa come me, Thor, le tue puntualizzazioni non ci interessano.”

Hector, appoggiato allo stipite della porta, alzò gli occhi al cielo prima di avvicinarsi a Charlotte che, seduta sul divano, teneva Richard in braccio. 

“Grazie per esser passata, comunque.”
“Figurati, è un piacere. Adela sta riposando?”
“Sì, ne aveva bisogno… dovrò anche insistere per evitare che ritorni a lavorare troppo in fretta, quando vuole sa essere molto testarda.”
“Richard è nato da meno di un mese e pensa al lavoro?! Ci parlerò io, non preoccuparti.”

“E tu? Come va il lavoro, Charlie?”
“Lavori per il Wizengamot Thor, lo sai meglio di me quanto vada male… sei arrivato in un periodo molto buio, lo sai Dick? Per fortuna ci sei tu a sollevarci il morale.”


“Continuo a sospettare che passi a trovarci solo per coccolare Rami e Dick, Charlie.”
“Cosa te lo fa credere?”


*


Adela teneva Richard in braccio mentre continuava ad attraversare il salotto, facendo avanti e indietro per la stanza: Charlotte le aveva mandato un breve messaggio un paio d’ore prima, informandola che c’era stato un “incidente” ad una riunione del Wizengamot ma di non preoccuparsi, assicurandole che le avrebbe fatto sapere non appena appurato cosa fosse successo di preciso.
Erano bastate quelle poche righe per far drizzare i capelli della strega, che ora si aggirava nervosamente per casa pregando mentalmente affinché il marito stesse bene.

Erano passate due ore, e ancora nessuna novità… Adela stava iniziando a prendere in considerazione l’ipotesi di portare il figlio dai suoceri per poi recarsi al Ministero di persona quando finalmente sentì la porta d’ingresso aprirsi, e poco dopo un Hector visibilmente stanco e provato entrò nel suo campo visivo.

“Thor! Finalmente… stai bene?! Che cosa è successo?”  Adela sospirò con sollievo prima di raggiungere il marito, stringendolo con il braccio libero mentre Richard sorrideva allegramente al padre:

“Sto bene, non preoccuparti… Non ti devi agitare, tesoro. Ciao piccolo.”

Hector sorrise dolcemente al figlio mentre gli accarezzava il capo con una mano e con l’altra sfiorava delicatamente il ventre della moglie, che sbuffò debolmente prima di rivolgergli un’occhiata torva:

“Come faccio a non preoccuparmi?! Che cos’ha ha fatto, questa volta?”
“Pare che abbiano provato ad attaccare il Wizengamot, ma non preoccuparti, ci hanno pensato Silente e gli Auror.”

“Grandioso, ora non siamo al sicuro nemmeno al Ministero! Quando finirà tutto questo?”
Adela sospirò stancamente prima di appoggiare la testa contro il petto di Hector, che le accarezzò i capelli con una mano per tutta risposta prima di parlare a bassa voce:
“Non lo so… spero presto, Adela.”


*


“Come la vuoi chiamare?”
Hector sorrise mentre, seduto accanto ad Adela sul letto, sfiorava con un dito il viso della figlia e la guardava con gli occhi azzurri carichi d’affetto. Dopo aver avuto un maschio era felice che fosse arrivata una bambina, ma mai quanto sua madre, che aveva reagito praticamente urlando di gioia nell’avere finalmente una bambina in famiglia dopo aver avuto solo figli maschi.

“… India. Ti piace?”
“Beh, so che è importante per te. Perciò va bene India. Oh, ciao ometto… vieni qui.”

“Scusate, ma insisteva per vedere la mamma.”  MiraJane sorrise mentre, in piedi sulla soglia della stanza, teneva il nipotino per mano. Ma Richard, alle parole del padre, sorrise e barcollò verso i genitori prima di fermarsi accanto al letto e sporgersi per sbirciare la sorellina appena nata, aggrottando la fronte con leggera confusione subito dopo prima di indicarla:

“Chi è?!”
“La tua sorellina! Si chiama India.”

Hector aiutò il bambino a salire sul letto per permettergli di guardare la sorellina mentre Adela ridacchiava e Richard la osservava con leggera perplessità, studiandola con attenzione.

“India?”
“Sì.”
“Pecchè?!”
“Perché si chiama India? Te lo spieghiamo un’altra volta ometto, è complicato.”


*


“MAMMA!”
“Oh, Merlino… che cosa succede adesso?!”

Adela appoggiò la tazza sul piattino con un sospiro, roteando gli occhi scuri mentre Dalia, la figlia di due anni, piombava nel salotto con gli occhi azzurri pieni di lacrime, correndo ad abbracciarla per nascondere il viso contro le sue gambe.

“Dick mi ha spinto e sono caduta!”
“Oh, poverina… vieni qui, su, non è niente.”

Adela sospirò prima di sistemarsi la bambina sulle ginocchia, guardandola strofinarsi gli occhi chiari ereditati dal padre mentre tirava su col naso e India raggiungeva madre, sorella minore e Charlotte nella stanza prima di indicare il fratello comparso accanto a lei e parlare con tono solenne:

“Dick ha spinto Dalia!”
“Sì, grazie India, lo sappiamo. Dick, quante volte ti ho detto che devi essere delicato con lei?! È piccola!”

“Ma lei ha preso i miei soldatini!”
Il bambino sbuffò e rivolse un’occhiata torva alla sorella minore, che mormorò che non era vero mentre Adela, senza battere ciglio, continuava al bambino:
“Non è un buon motivo per spingere le persone. Vedi per caso me e la zia prenderci per i capelli?!”
“No…”
“Allora chiedi scusa a tua sorella.”

“… Scusa Dalia.”

Richard sbuffò, parlando a mezza voce mentre si avvicinava a Charlotte, che seguiva la scenetta senza dire nulla ma visibilmente con aria divertita:

“Tranquilla Dalia, i fratelli maggiori sono stupidi, ma poi migliorano con il tempo.”
“Io non sono stupido!”
“No, certo che no, ma devi essere più gentile con lei, è la tua sorellina.”

Charlotte sorrise dolcemente al bambino, che ricambiò prima di sistemarsi sulle sue ginocchia mentre Adela li osservava con un sopracciglio inarcato:

“Ascolta te molto più di quanto non ascolti me.”
“I bambini tendono sempre ad ascoltare di più chiunque non sia un genitore, cara… e poi Richard adora la zia, vero piccolo?”  Charlotte sorrise al bambino prima di stampargli un bacio su una guancia, guardandolo annuire:
“Sì! Mamma, io e la zia siamo fidanzati!”

“Davvero?! E perché non mi avete detto niente?!”  Adela sgranò gli occhi scuri, parlando con il tono più sorpreso che le riuscì mentre Charlotte annuiva, parlando con tono melodrammatico:
“Beh, volevo dirtelo, ma non trovavo il modo… e poi ripeti sempre che dovrei farmi piacere qualcuno, no?”
“Beh, quando dico che dovresti trovarti un fidanzato non pensavo proprio a questo…”

“Zia, non ti serve un altro fidanzato, ci sono io!”
“Hai ragione Dick, come farei senza di te?!”


*


“Ragazzi, fate piano, la mamma è molto stanca e ha bisogno di riposarsi… ma ecco la vostra nuova sorellina! Si chiama Silvy.”

Hector sorrise e si chinò leggermente per mostrare la neonata agli altri figli, ma mentre India, Dalia e Queen so avvicinarono con curiosità Richard sbarrò gli occhi chiari quasi con orrore, parlando con tono lacrimoso subito dopo:

“ANCORA?! Ma papàààà, basta femmine!”
Hector non poté far altro che annuire alle parole del bambino, parlando con tono grave come se fosse d’accordo con lui, sotto sotto:
“Lo so campione, mi dispiace…”

“Guarda Queen, ora avremo un bambolotto vero con cui giocare!”
Dalia invece sorrise con entusiasmo, indicando la bambina alla sorella minore che annuì, sorridendo a sua volta con gli occhi azzurri luccicanti:
“È vero!”
“No ragazze, non è un bambolotto… se vi becco a giocarci in modo pericoloso sono guai, capito?”

“Uffa…”
“Nemmeno il bagnetto, papà?”
“No, il bagnetto glielo farà la mamma, non fatelo di nascosto o rischierà di affogare come è successo con Queen…”


*


Charlotte Selwyn era ferma, in piedi davanti alla porta d’ingresso, ponderando sull’entrare o meno in casa. 
Probabilmente se qualcuno avesse spalancato una finestra e l’avesse vista in quella posizione avrebbe pensato che fosse ammattita, considerando che non c’era nulla di particolarmente interessante nella porta che aveva davanti… se non una una scheggiatura, ora che guardava bene, forse avrebbe dovuto farlo presente…
L’Auror scosse il capo, dicendosi di aprire quella porta ed entrare una volta per tutte: aveva affrontato di peggio, dopotutto, non poteva essere più traumatico rispetto alle altre volte… o forse sì, considerando quello che aveva da dire.

Alla fine Charlotte si decise e, afferrato il battente, aprì finalmente la porta. Mosse un passo per addentrarsi nell’ingesso deserto e sorrise con sollievo, dicendosi che forse stavano dormendo… 

“C’è nessuno?”

Si chiuse la porta alle spalle il più silenziosamente possibile e fece per attraversare la stanza per raggiungere il salotto, ipotizzando che si trovasse lì, quando un rumore di passi affrettati la fece raggelare. 

Maledizione 
La prossima volta sarebbe andata all’alba, così da essere sicura di trovarli addormentati

“ZIA!”
“CIAO ZIA!”
“TIA!”

“Ciao cuccioli…” Charlotte sospirò e non si mosse, preparandosi all’assalto mentre alzava gli occhi al cielo e una mandria di piccoli esserini si precipitava giù dalle scale per raggiungerla. 

“Zia, prendimi in braccio!”
“No, io!”
“Io in braccio!”
“Zia, sono diventata più alta guarda!”

“Ehm, scusate, dovrei andare da vostra madre… Dalia, così non mi muovo. Queen, non tirarmi i capelli. Dick, non spingere le tue sorelle!”

“In braccio!”
Silvy, la più piccola, parlò con tono implorante dopo essersi avvinghiata alla sua gamba come una piccola scimmietta, imitata dalla sorella India subito dopo. 

“Te l’ho chiesto prima io!”
“Non è vero!”
“Bambine, dopo, dov’è la mamma?”

Le “nipotine” però erano troppo impegnate a spingersi a vicenda e a discutere e un attimo dopo Charlotte si chiese se non potesse farle addormentare tutte sul colpo: non vedeva proprio come avrebbe potuto arrivare in salotto con una bambina attaccata alla gamba sinistra, una seconda alla gamba destra, Richard che l’abbracciava per la vita, un’altra che saltellava per stringerle il braccio  e la quarta che spingeva la sorella minore per abbracciarla a sua volta.

“Zia Sissi, anche io voglio abbracciarti!”
“Queen, te l’ho già detto, non è Sissi, è CeCe… Ce-Ce, non Sissi! Quella non ha fatto una bella fine.”
“E io cosa ho detto?!”

“Charlotte! Ragazzi, lasciate stare la zia.”

CeCe tirò un sospiro di sollievo quando Adela fece finalmente la sua comparsa, sorridendo all’amica mentre le bambine, sbuffando, mollavano la presa. Per poi riprendere a litigare quando dovettero accordarsi per chi dovesse tenere la zia per mano… alla fine l’Auror si ritrovò a camminare tenendo Dalia e India un dito ciascuna con la destra, Richard e Queen con la sinistra mentre Silvy di lasciare la sua gamba proprio non ne voleva sapere.

“Zia, perché sei venuta?!”
“Giochi con me?”
“Mi fai una treccia?”
“Ti faccio un disegno!”
“Facci qualche magia!”


“Bambini, BASTA. Chi parla ancora NIENTE merenda!”

Eccole, le parole magiche….


Quando, poco dopo, furono riuscite a liberarsi di tutti i piccoli Grayfall Adela sedette di fronte all’amica con un largo sorriso sul volto, porgendole una tazza di thè come loro solito:

“Bene, ora siamo sole… come stai?”
“Bene. Meglio, comunque.”

“Mi fa tanto piacere. Sei venuta per un motivo particolare o solo per farti stritolare dai miei figli?”
“No, in realtà avrei una… cosa da dirti.”


Charlotte abbozzò ad un sorriso mentre sollevava lo sguardo dalla sua tazza ormai vuota per posarlo sull’amico, che le rivolse un’occhiata carica di curiosità e, forse, anche un po’ preoccupata:

“Certo, dimmi. Qualcosa di grave?”
“Dipende dai punti di vista, credo. Ecco… sembra che entro la fine dell’anno sarò una donna sposata.”

“CON CAVENDISH?!”
“No, con il nuovo vicino.”
“Ah, meno male.”

Adela sospirò con sollievo e l’amica inarcò un sopracciglio, guardandola a metà tra l’esasperato e il confuso:

“Adela, ma con che razza di vicino dovrei potermi sposare secondo te?! Stavo scherzando, certo che mi sposo con Cavendish!”
“E io che ne posso sapere, avrebbe più senso un vicino sconosciuto! Dannazione, non capisco mai quando scherzi… Oh no Charlotte, sapevo che non ti saresti potuta riprendere tanto in fretta, l’avevo detto a Thor ma lui continuava “Adela non preoccuparti, Charlie è forte!”… Avevo ragione io invece, è terribile!”

“Adela, sto bene. Non è per la disperazione.”
“È ESATTAMENTE QUELLO CHE SI DICE QUANDO NON SI È LUCIDI!” 

“Cosa succede mamma?”

Dalia fece innocentemente la sua comparsa sulla soglia, Silvy per mano, e rivolse un’occhiata curiosa alla madre prima che Adela parlasse con un debole sospiro:

“Niente tesoro, la zia è venuta a dirci che… beh, si sposerà anche lei.”
Charlotte sgranò gli occhi con orrore e si voltò verso l’amica per chiederle che fine avessero fatto i suoi neuroni, forse partiti per le vacanze e mai tornati da dopo la quinta gravidanza, mentre le bambine invece sgranarono gli occhi con gioia prima di sorridere e sfrecciare nuovamente verso la zia, saltellandole intorno:

“Che bello! Con chi, con chi?”
“Cosa succede?!”
“La zia si sposa!”
“Che bello! Come ti vestirai?!”
“Avrai la coroncina come le principesse?!”

“Ma neanche se mi pagassero…”
“Posso tenerti il velo?”
“No, lo faccio io!”
“Io!”
“Io sono più grande di te!”
“Ma io l’ho detto prima.”
“Sei cattiva!”
“Tu di più!”
“No tu!”
“Mammaaaaaaa!”
“Zia ma con chi è che ti sposi?”
“Con un principe?!”
“Beh, suo padre è un duca….”
“OOOOH!”
“Cos’è un Duca?!”
“Io lo so!”
“Ma cosa vuoi sapere tu, sei piccola!”
“Guarda che tra poco ho quattro anni!”

“CeCe, se vuoi te le regalo per una settimana o due. Ragazze, vorreste andare in vacanza a casa della zia?! A vedere cosa fanno gli Auror come il nonno e gli zii?!”
“SIIIIIII!”
“Oh Merlino…”


*


“… Sei incinta?”
“Sì!”
“… Di nuovo?”
“Sì!”
“…. Il sesto?”
“Sei dura di comprendonio tutt’a un tratto, CeCe?”

“Oh, non fraintendermi, sono davvero felice per voi, siete dei genitori meravigliosi e adoro i bambini… ma volete per caso ripopolare la Gran Bretagna in tempi di guerra?”
“Ah, ah, ah.”
“Beh, io sono seria. Comunque mi hai tolto le parole di bocca, Adela.”
“… Sei incinta anche tu?!”
“Già.”
“MA È MERAVIGLIOSO! AVREMO UN FIGLIO CON LA STESSA ETÀ, CHE COSA FANTASTICA! THOR, vieni qui!”

“Che c’è cara?!”
“CeCe aspetta un bambino! Speriamo che non sia un mini Cavendish, però…”

“Oh, non dirlo a me!”


*


Hector si chiuse delicatamente la porta alle spalle, facendo il più piano possibile per non disturbare e svegliare Adela che si era addormentata da poco. Non fece però in tempo ad allontanarsi dalla soglia della camera da letto perché si trovò davanti tutti e cinque i figli, che lo guardarono con aria preoccupata:

“Cos’ha la mamma?!”
“È malata?”
“Sta male?!”
“Vogliamo vederla!”

“Bambini, la mamma deve risposarsi, non sta molto bene… ma si riprenderà presto, ok?”

“Per favore!”


Alla fine, di fronte alle loro suppliche e ai faccini imploranti, Thor cedette e permise loro di entrare nella stanza con un sospiro, raccomandando comunque ai figli di fare piano e di non disturbare la madre.
Figli che si affrettarono ad avvicinarsi al letto per raggiungere la madre addormentata, spintonandosi a vicenda per avvicinarsi mentre Dalia e Queen salivano sul letto e la guardavano con fare apprensivo:

“Mamma?”  Dalia si avvicinò alla madre e parlò a bassa voce mentre le sfiorava il braccio, cercando di svegliarla. 
Adela apri gli occhi scuri poco dopo, sbattendo le palpebre con aria smarrita per qualche istante prima di rilassarsi e abbozzare un sorriso, sollevando una mano per accarezzare i capelli scuri della bambina:

“Ciao tesoro… cosa fate qui?”
“Stai bene mamma?”
“È da ieri che sei qui! Stai male?”
“Sei malata?”
‘Hai preso la medicina?”

“Bambini, non parlate tutti insieme, su.” Hector, in piedi sulla soglia della camera con le braccia conserte, parlò con tono eloquente mentre Adela invece sorrideva appena, facendogli cenno di lasciar perdere prima di parlare:

“La mamma ha solo la febbre, passerà presto… non preoccupatevi per me e ascoltate papà.”

“Ma poi guarisci, vero mamma?”
“Certo Dick… certo che guarisco.”


*


Quando Hector vide la levatrice uscire dalla stanza la raggiunse quasi di corsa, piazzandolesi davanti e guardandola quasi con aria implorante:

“Mi scusi… posso entrare adesso?”
“Sì, sua moglie sta bene, non si preoccupi Signor Grayfall.”
“Aspetti, mi dica… La prego, mi dica che è un maschio. Non posso farcela con cinque figlie femmine!”

“Sì, è un maschio, si rilassi. Congratulazioni.” La donna sorrise con aria divertita di fronte alle parole e all’espressone dell’uomo, che quasi si illuminò al sentire quelle parole e sorrise con evidente sollievo prima di entrare nella stanza e raggiungere la moglie, avvicinandolesi con un sorriso:

“Ciao… Come ti senti?”
“Tesoro, è il sesto, ormai non mi spaventa proprio un bel niente del parto… stiamo bene, comunque. Felice che sia un maschio?”
“A dir poco… adoro le bambine, lo sai, ma è un sollievo. Richard farà i salti di gioia, non ne poteva più di avere una sorellina dietro l’altra.”

Hector sorrise mentre sedeva accanto ad Adela, che lo imitò prima di mettergli il figlio tra le braccia:

“Lo so, pochi giorni fa mi ha pregato di dargli un fratellino, ma gli ho spiegato che non è una cosa che si può decidere. I bambini sono qui fuori, a proposito?”
“Di sotto, strepitano per vederti.”

“Ok, falli entrare tra qualche minuto… per ora godiamoci la pace. Ciao Karlos, benvenuto in famiglia.”


*

Richard, Image and video hosting by TinyPic India, Image and video hosting by TinyPic Dalia, Image and video hosting by TinyPic
Queen, Image and video hosting by TinyPic Silvy Image and video hosting by TinyPic e Karlos Grayfall Image and video hosting by TinyPic

Adela e Charlotte erano sedute nella grande terrazza a prendere il thè, approfittando del bel tempo mentre i figli maggiori della padrona di casa facevano merenda e il piccolo Karlos sonnecchiava placidamente nella culla con il suo peluche preferito accanto. Charlotte invece teneva Sean in braccio mentre, un accenno di sorriso sulle labbra, teneva gli occhi fissi sulla sua migliore amica come se stesse pensando a qualcosa.

“Avanti… dillo. C’è qualcosa che muori dalla voglia di dire, lo so.”
“Cosa te lo fa credere, Adela?”
“Non serve essere una Legilimens per capirlo, CeCe. Avanti.”

‘Beh… ricordo quando, anni fa, dissi che stare con Heslop era un errore, che te ne saresti pentita e che avresti potuto avere di meglio. Tanto per fare un esempio, il nostro Thor stravedeva per te già allora. E tu continuavi a negare, ad ostinarti e a rifiutarti di guardare in faccia la realtà… ma guardati ora, Adela. In sostanza… sì, avevo ragione.” 
Charlotte sorrise, gongolando mentre l’amica, roteando gli occhi, annuiva a sua volta:

“E sappiamo quanto ti piaccia avere ragione, dopotutto… va bene, non posso darti torto dopotutto: ci hai sempre visto giusto, sotto questo punto di vista.”
“Io ci vedo giusto sotto molti punti di vista, mia cara.”
“Tranne che sul TUO di marito, visto che nello stesso periodo di cui parli lo odiavi a morte.”

“È diverso!”

Adela fece per replicare ma si bloccò sul nascere quando sentì dei passi alle sue spalle e la voce di Hector giunse alle sue orecchie, gentile e pacata come sempre mentre le raggiungeva con un piccolo sorriso stampato sul volto:

“Ah, eccovi qui… la tradizione del thè è dura a morire, vedo. Ciao tesoro.”
Hector mise una mano sulla spalla della moglie mentre si chinava leggermente per darle un bacio su una guancia, ignorando brevemente i figli che lo avevano già circondato per chiedergli di giocare con loro:

“Ciao. Ti unisci a noi?”
Adela sorrise mentre si voltava leggermente verso di lui, scoccandogli un’occhiata adorante mentre Hector, per tutta risposta, sfoggiava un sorriso colpevole e accennava ai figli:

“Vorrei tanto, ma pare che anche altri reclamino la mia presenza… e poi non voglio disturbare le vostre chiacchiere.”
“Oh, per favore, hai preso parte alle nostre chiacchiere per anni interi! Sei una comare anche tu, Grayfall.”

“E pensare che al lavoro sono una persona stimata e rispettata, se mi vedessero a casa… potrei anche ammonirti, Selwyn.”
“E io potrei mandarti a quel paese. Ma nessuno dei due lo farà, non è vero? Ragazzi, perché non giocate a cavalluccio con papà e lo fate stancare parecchio?”

“Va bene, prima io!”
“No, io!”
“Io sono più grande!”
“Ma io l’ho detto per prima!”

“Cielo, si comincia… grazie CeCe.”
“È sempre un piacere… sono qui per questo, dopotutto.”

 


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Capitolo 5
*** Axel ***


Axel

 
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“Sono felicissima di riaverti a casa! Ora mi potrai aiutare a fare i compiti.”
“Guarda che devo lavorare, non sono in vacanza! … e comunque, sei felice solo perché ti aiuterò, piccola opportunista?”

Axel, seduto al tavolo della cucina di fronte alla sorellina, le rivolse un’occhiata di sbieco mentre Elisabeth ridacchiava, scuotendo il capo:

“No, no, non solo per questo.”
“Lo spero.”
“Che cosa stai facendo?!”
“Devo scrivere un articolo per la rivista per cui lavoro.”
“E di cosa parla?”
“Trasfigurazione…. Significa che una cosa viene tramutata in un’altra, a scuola è sempre stata la mia materia preferita. E adoravo il mio insegnante.”

“Sembra interessante… fammi vedere! Trasforma il mio libro in una lucertola.”
“Poi lo spieghi tu alla mamma come ci è arrivata una lucertola in cucina?”


*


1939


“Vuoi una tazza di thè?”

Axel appoggiò una mano sullo stipite della porta e rivolse un’occhiata apprensiva alla madre, che seduta sul divano si limitò ad annuire, sforzandosi di sorridergli:

“Grazie caro.”

Axel esitò prima di voltarsi, forse avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi per suo padre e per Edward, partiti solo pochi giorni prima con l’esercito, ma non se la sentì dal momento che nemmeno lui era certo che non ci fosse nulla da preoccuparsi. Ed erano appena entrati in guerra.
Il ragazzo andò così in cucina per prendere il bollitore e abbozzò un sorriso quando trovò sua sorella seduta al tavolo in compagnia della loro vicina, nonché sua amica, Sarah.

“Ciao Sarah.”
“Ciao Axel… Disturbo?”
“No, figurati. Il sesto anno come si è concluso?”

“Bene, anche se a dire il vero avrei una richiesta. Tieni, è per te.”

Con sua somma sorpresa la strega, l’unica insieme a lui di tutto il quartiere, gli porse una lettera che riportava una grafia piuttosto nota ad Axel, che la prese senza esitazioni mentre il bollitore si riempiva magicamente d’acqua.

“Non vedo l’ora di compiere gli anni, poi potrò usare la magia a casa anche io, finalmente.”
“Almeno tu le magie puoi farle, non sapete quanto vi invidio!”

Mentre le due parlavano Axel lesse la lettera che il suo vecchio insegnante preferito gli aveva scritto, abbozzando un sorriso prima di rivolgersi alla vicina:

“Silente mi ha chiesto di darti una mano in Trasfigurazione quest’estate, non appena sarai maggiorenne. Devi essere un vero disastro.”
“Ci puoi scommettere, sono molto più portata per gli intrugli! Non immagini che cosa ho combinato si G.U.F.O., Silente era in un angolo ad assistere e non sapeva se ridere o mettersi le mani nei capelli, penso! E l’anno prossimo ho i M.A.G.O., non posso permettermi disastri.”
“Va bene Sarah, vedrò che posso fare.”

“Fantastico, posso assistere?! Axel, l’acqua… è per la mamma?”
“Sì, è molto giù.”
“Grazie al cielo tu non ti sei arruolato, non so come avrebbe gestito perdere due figli in un colpo solo.”

“Beh, te l’avevo promesso, ricordi? Qualcuno deve pur prendersi cura di voi due.”


*


Axel si chiuse la porta alle spalle con un sospiro e si sfilò i guanti di pelle di drago mentre, accanto a lui, Sarah si sfilava il berretto dalla testa e rivolgeva un’occhiata cupa al cielo buio e terso di nuvole, protetto da una barriera invisibile che era appena stata eretta.

“Pensi che basterà?”
“Dovrebbe tenere alla larga i regali dei tedeschi che pioveranno dal cielo, sì. Il Ministero fa il possibile, ma non vogliono rischiare di uscire allo scoperto aiutando troppo e comunque anche volendo non si potrebbe difendere uno Stato intero con le barriere.

“Già.”

“Axel!”

Sentendo una voce molto familiare il ragazzo si voltò e guardò, stupito, una ragazza dai lunghi capelli rossi attraversare l’ingresso per raggiungerlo e abbracciarlo:

“Stai bene? È da un po’ che non ti fai sentire e sono passata. Ciao, sono Elena, tu devi essere Sarah.”
“Ciao Elly… stiamo bene, non preoccuparti, ho solo molte cose a cui pensare. Sarah, lei è la mia amica Elena.”

Elena sorrise e porse la mano all’ex Corvonero, che esitò prima di stringerla e abbozzare un sorriso:

“Ciao… Tu eri quella che trascinava sempre Axel nelle situazioni più assurde?”
“Il solito esagerato!”
“Beh, le tue cronache sono rimaste negli annali, anche quando andavo a scuola io c’era chi le ricordava.”

“Non ne dubito.”
“Come dimenticare…” Axel alzò gli occhi al cielo ed Elena, sorridendo, gli assestò un pugno sul braccio prima di trascinarlo nel salotto, sempre tenendolo a braccetto. E l’ex Grifondoro si ritrovò, con sua grande sorpresa, a guardare sua madre sorridere come non la vedeva da mesi interi mente teneva Eloise sulle ginocchia, Elisabeth seduta accanto che le faceva le boccacce per farla ridere.

“Oh, hai portato El.”
“Sì, Ele è rimasta a casa con papà Gabriel, ma la piccolina faceva I capricci perché voleva venire dallo zio con me. El, guarda chi c’è!”
“Tio!” Eloise rivolse un largo sorriso allo “zio”, allungando le braccine verso di lui per farsi prendere in braccio mentre Sarah, sulla soglia del salotto, seguiva la scena con tanto d’occhi:

“Oh, è tua…”
“Oh, sì, ho due figlie… tra qualche mese tre, in realtà. Axel non ti ha detto che sono sposata?”

Elena si voltò verso di lei con un sorriso, guardandola scuotere il capo mentre Axel prendeva Eloise in braccio, dandole un bacio su una guancia:

“Ciao El… hai tenuto d’occhio la mamma come ti ho detto?”
“Sì!”
“Brava, forse per te c’è qualche speranza dopotutto…”

“Oh Axel, possibile che tu abbia tralasciato una cosa così importante?! Guarda che potrei anche offendermi se vengo a sapere che non parli della tua fantastica storica amica in giro!”

Elena alzò gli occhi al cielo mentre si avvicinava all’amico, sorridendogli prima di parlare con un filo di voce mentre sfiorava i capelli scuri della figlia:

“Anche perché penso di risultare molto più simpatica a Sarah ora che sa che sono sposata.”


*


“Pensavo che quando la guerra sarebbe stata sul punto di finire la mamma sarebbe stata meglio, e invece…”
“Papà adesso è di nuovo a casa, la farà stare meglio, ne sono certo. Così come sono certo che presto avremo notizie di Edward e che tu devi solo preoccuparti di studiare per laurearti, finalmente. Con la guerra hai dovuto interrompere, ma ora potrai continuare gli esami, sono fiero di te.”
“E io di te, fratellone… ma lascia che ora sia io a darti un consiglio, ossia smettila di pensare agli altri e concentrati sui preparativi per il tuo matrimonio!”

“Mi sembra di sentire Elena e Steph…”
“Beh, la guerra con la Germania è ormai giunta al termine, e mi hai detto che vale anche per voi maghi, no? Quale momento migliore per un così lieto evento, dopo tutto il dolore che abbiamo patito?”

Elisabeth sorrise e mise una mano sul braccio del fratello maggiore, che annuì prima di ricambiare, guardandola con affetto:

“Sì, pare che Grindelwald non sarà più un problema. Lo aggiungerò alla lista di cose che devo a Silente.”
“È per caso Superman, questo Silente?!”
“Quasi, sì.”
“Dev’essere molto interessante averci a che fare… beh, almeno ora ci siamo liberati dei crucchi, sia Babbani che maghi, e possiamo vivere in pace.”
“Mamma e papà vivranno in pace solo quando avremo notizie di Ed, Lis.”


*


“Congratulazioni. Sono davvero felice per te.” Stephanie sorrise prima di prendere posto accanto ad Axel al tavolo degli sposi, un bicchiere in mano. 

“Grazie Steph… anche tu sembri molto felice.”
“Oh, lo sono. Moltissimo.” La bionda sorride con calore e accennò al marito, seduto a qualche metro di distanza con la piccola Rose in braccio, impegnato a parlare con Gabriel.

“Oh, eccovi qui… Devo salutare lo sposo come si deve prima che ti sequestrino gli altri invitati.”

Elena occupò la sedia alla sinistra dell’amico e si sporse per dargli un bacio su una guancia mentre Axel sbuffava debolmente, sorridendo però con aria divertita:

“D’accordo, ma ora basta con gli abbracci e i baci o non potrò più biasimare Sarah per essere gelosa di voi due.”
“Per noi invece è un sollievo, ora che sei sistemato non dovremo più sorbire la gelosia mal celata dei nostri mariti, vero Steph?”
“Assolutamente.”

“Converrete che non dev’essere il massimo quando male migliori amiche del tuo fidanzato sono due bellissime donne… mi piacerebbe vedervi al suo posto.”
“Non vuol dire niente Axel, Gabriel e Kat sono legatissimi, ma per me non è mai stato un problema.” 
“Precisamente, Reg è molto amico di Charlotte e io non ho battuto ciglio nemmeno quando hanno passato insieme ad Hogwarts interi mesi.”

“Va bene, va bene, lasciamo perdere…”

Axel alzò gli occhi al cielo ma Elena non sembrò farci caso, sorridendo invece mentre prendeva un calice e ne passava uno anche allo sposo:

“Bene, e ora che siamo finalmente tutti felici e sistemati e la guerra è finita… propongo un brindisi. A noi, i magnifici tre.”
“Da quando siamo i magnifici tre?!”
“Da adesso. E lo saremo sempre, accada quel che accada.”


*


Sarah si lasciò cadere accanto a lui sul divano con un sospiro stanco e Axel sorrise, sfiorando la spalla della moglie con una mano:

“Julie?”
“Sì è finalmente addormentata. L’adoro, ma a volte sono tentata di rifilale un filtro per dormire…”
“Sai, credo che potrebbero radiarti per questo.”
“È probabile, sì. Tua madre è andata via poco fa, sembrava di buon umore.”

“Da quando è nata Julie la vedo molto più serena, almeno ora non pensa a mio fratello per tutto il tempo. Mio padre sta smuovendo mari e monti per cercare tracce, ma niente, sembra quasi che si sia dissolto nel nulla.”
“Spero che la verità, qualunque sia, venga fuori presto… non è giusto vivere con quest’angoscia.”


*


1950


“Ho una cosa da dirti.”
Elisabeth sedette di fronte a lui al tavolo del ristorante con un largo sorriso, gli occhi azzurri luccicanti mentre il fratello maggiore la guardava con aria divertita, annuendo:
“Sì, anche io… Prego, prima tu.”

“Bene, e dubito che la tua notizia sarà più entusiasmante della mia… la tua sorellina si è appena ufficialmente fidanzata, mio caro.”
“Davvero? Thomas si è deciso, finalmente! Sono molto felice per voi, lo hai già detto a mamma e papà?”

“No, volevo fossi il primo a saperlo… spero che ne saranno felici, da quando si è saputo che Ed è morto in Normandia nel 44 papà sembra non interessarsi proprio a nulla.”
“So che ti sei sentita lasciata un po’ in disparte, è stato via per anni e quando è tornato pensava solo a trovarlo… vale anche per me, ma era il suo preferito, lo sai bene, ed è pentito di come si è comportato, me l’ha detto poco dopo la notizia ufficiale dell’esercito.”

Axel allungò le mani per stringere quelle della sorella sul tavolo, guardandola annuire mestamente prima di risollevasi e sorridere, guardandolo con quegli occhi azzurri carichi di curiosità che anni prima lo imploravano di farle vedere i suoi libri di scuola o la sua bacchetta:

“Beh, tocca a te adesso. Dimmi.”
“Sono stato promosso a Vicedirettore di Trasfigurazione Oggi… e in realtà ho anche un’altra notizia. Sarah è incinta.”

Axel sorrise ed Elisabet spalancò gli occhi chiari di rimando prima di imitarlo, stringendo la presa sulle sua mani prima di parlare con entusiasmo:

“… ho cambiato idea, mi batti a mani basse. È meraviglioso Axel, farò la zia di nuovo! E questa volta farò io da madrina, lo pretendo!”
“Va bene zia Lis, ti metto subito in lista.”


*


Edward, George ed Elliott FarrelImage and video hosting by TinyPic


Julie Farrel aveva un gran sorriso dipinto sul volto pallido mentre trotterellava verso la camera dei genitori, felice che la nonna le avesse detto che ora poteva entrare e vedere così la sua mamma. In realtà era molto curiosa di vedere il suo nuovo fratellino o sorellina e corse incontro al padre con un sorriso quando lo vide uscire dalla stanza:

“Papà! Dov’è il mio fratellino?!”
“Ciao piccola… vieni dentro, ma fai piano, ok?”

Axel la prese per mano con un sorriso e la condusse dentro la stanza, schiarendosi leggermente la voce prima di parlare:

“Ecco Julie, in realtà non hai… non hai avuto un fratellino oggi.”
“Una sorellina? Che bello!”
“No, ecco, in realtà…”

“OH! Ma, ma… ma sono tre!”

Julie sorrise prima di sfrecciare verso le culle dei neo fratellini, sorridendo con gioia mentre si aggrappa ava al bordo della prima, studiando con interesse i nuovi arrivati in famiglia mentre il padre la raggiungeva, fermandosi dietro di lei per metterle le mani sulle spalle:

“Sì, sono tre. Una vera sorpresa.”
“Sì! Come si chiamano?”

“Edward, George ed Elliott.”
“Ma… ma allora sono tutti maschi! Tutti e tre!”  Julie sgranò gli occhi mentre sollevava la testa per guardare il padre, che abbozzò un sorriso quasi carico di scuse mentre annuiva, sfiorandole i capelli castani con le dita:
“Temo di sì tesoro, mi dispiace.”

“Ma… è un’ingiustizia!”
“Ma tesoro, non è una cosa che si può decidere…”

Troppo tardi, la bambina stava già andando verso la madre addormentata a passo di marcia, fermandolesi accanto e scrollandola per una spalla:

“Mamma, mamma! Perché sono tutti maschi? Non è giusto!”
La povera Sarah si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno con aria spaesata prima di mettere a fuoco della figura contrariata della figlia e sorriderle con affetto:
“Eh, cosa… oh, ciao Julie. Lo so, ti capisco, ma dobbiamo arrenderci all’ironia del caso.”


*


Axel prese posto accanto alla moglie, che teneva Edward in braccio, in prima fila mentre guardava la sua “sorellina” vestita di bianco e in piedi davanti all’altare.
Dopo essersi sistemato George sulle ginocchia sorrise a Sarah, che ricambiò prima di parlare a bassa voce:

“Emozionato mentre l’accompagnavi?”
“Abbastanza.”
“Sì è notato. Del resto se ti amo è anche perché sei così dolce.”


*


Julie FarrelImage and video hosting by TinyPic



“Julie? Vieni.”
Sarah sorrise alla figlia maggiore e la invitò ad avvicinarsi per mostrarle la bambina che teneva tra le braccia, comunicandole con un sorriso che questa volta si trattava di una femmina.
Esattamente come i genitori si aspettavano la notizia venne accolta dalla bambina con somma gioia e Julie sorrise con entusiasmo, affrettandosi a chiedere alla madre come si chiamasse la piccola di casa:

“Emily. Ti piace?”
“Sì, è carino. Finalmente potrò giocare con qualcuno con le mie bambole, Edward ci stacca sempre la testa!”
Julie sbuffò debolmente mentre si arrampicava sul letto per sedersi accanto alla madre, che sorrise con aria divertita mentre il padre, in un angolo, alzava gli occhi al cielo:
“È tutto lo zio Edward con la zia Lis, allora, Julie…”


*


Axel, seduto sul divano, stava leggendo la Gazzetta del Profeta mentre la Emily e Nichole, la sua nipotina, giocavano sul tappeto del salotto.
Distolse l’attenzione dall’articolo su un giudice corrotto quando si accorse che I cubi che circondavano le due bambine coetanee di pochi mesi avevano iniziato a galleggiare a mezz’aria, alcuni illuminandosi debolmente. Il mago sgranò gli occhi chiari mentre Nicole, ridendo, batteva allegramente le manine e i cubi iniziavano a muoversi a spirale sopra la sua testa e quella della cugina che sorrise a sua volta e li indicò.

“… Nicole?”

Axel guardò la nipotina, sinceramente stupito, ma poi sorrise e si sporse per prenderla in braccio, lasciandole un bacio sulla nuca prima di parlare a voce alta:

“Lis? Tua figlia ha appena fatto qualcosa che penso dovresti vedere…”


*


Emily e Conrad FarrelImage and video hosting by TinyPic


Sarah era seduta sul bordo del letto e teneva gli occhi fissi sui due figli più piccoli, profondamente addormentati. La pozionista allungò una mano per sfiorare i capelli leggermnete ricciuti di Emily mentre Axel si fermava sulla soglia della stanza, abbozzando un sorriso a sua volta di fronte a quella scena:

“Sembrano due angioletti.”
“Beh, sicuramente sono più tranquilli di quei due… mi faranno diventare matta, di questo passo.”

Sarah aveva appena finito di parlare quando un fracasso attirò l’attenzione di entrambi, facendo sobbalzare i coniugi e svegliando Conrad, che iniziò a piangere, spaventato, mentre Sarah scattava in piedi alzando gli occhi al cielo e una voce risuonava nella stanza dal piano terra:

“Ops… MAMMAAAA, NON L’HO FATTO APPOSTA!”

“GEORDE, EDWARD! CHE AVETE COMBINATO?!”
“Ci sono caduti dei piatti…”
“E perché avete preso i piatti?! Non toccate i cocci, state fermi, potete farvi male!” 

Sarah uscì dalla stanza a passo di marcia e sbuffando come una ciminiera mentre Axel, avvicinatosi ai due figli minori, prendeva in braccio Conrad per calmarlo e Emily gli rivolgeva un’occhiata confusa, gli occhi annebbiati dal sonno:

“Cosa è successo papy?”
“Niente tesoro, i tuoi fratelli fanno pasticci come sempre… torna a dormire.”


*


“Ciao tesoro, ci vediamo a Natale… e VOI DUE, vedete di non mettervi nei guai come al solito!”
Sarah, dopo aver abbracciato Julie, rivolse un’occhiata piuttosto riva a George e ad Edward, che si limitarono a sorridere con aria Angelica mentre la madre, dopo aver sospirato, si rivolgeva ad Elliott prima di abbracciarlo:

“Ti prego, tienili d’occhio.”
“Farò il possibile, lo prometto.”
“E bada a tua sorella, lo chiedo a te perché di quei due scapestrati non mi fido.”

“Grazie mamma!”
“Avete quasi fatto esplodere la Sala Comune di Grifondoro l’anno scorso, cosa pretendete?!”

“Tranquilla mamma, io ed Elliott penderemo ad Emily e a Nicole.”  Julie rivolse un sorriso alla madre, che parve tranquillizzarsi prima di rivolgersi a figlia e a nipote, che avevano appena sistemato i rispettivi bauli sul treno. Axel invece si rivolse alla sorella, che osservava l’Espresso per Hogwarts con gli occhi spalancati e la bocca semi-aperta, quasi fosse tornata ad essere la bambina che lo ammirava fare magie molto anni prima.

“Sembra che tu non abbia mai visto un treno, Lis.”
“Beh, ma questo non è certo un treno come gli altri! Nicole, mi raccomando, mi devi raccontare TUTTO! E fai molte foto!”
“Sì mamma, ho capito…”

“Ciao!” Emily rivolse un sorrisetto al fratellino Conrad e al cugino, Jason, che le rivolsero occhiate cariche d’invidia mente le due ragazzine si affrettavano a salire sul treno, seguite da Julie – Corvonero – e dai gemelli, i primi due Grifondoro e il terzo Tassorosso.

“Sono felice che Nicole sia una strega… se non altro il mio sogno di bambina si realizzerà attraverso mia figlia.”
“Sono ancora uno degli studenti preferiti di Silente, potrei sempre chiedergli di farti fare una visita, un giorno…”

“Davvero?!”
“Davvero. Sei la mia sorellina, dopotutto.”

“E tu il mio fratellone preferito. Con tutto il rispetto per la memoria di Edward, ma ormai lo ricordo a malapena.”
“Avevi l’età dei gemelli quando è partito arruolandosi, è normale.” 


“A proposito dei gemelli, ieri sera ho perlustrato la valigia di George e ci ho trovato non sapete quanti petardi e Caccabombe! Ma come si procurano tutta quella roba?!”
“Non guardare me tesoro… io dico che c’entra una Greengrass dai capelli rossi.”




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Capitolo 6
*** Jade ***


Jade 


Jade camminava tenendo Iphigenia sottobraccio, sorridendo con aria divertita mentre, al contrario, la sua migliore amica sbuffava sommessamente mentre veniva trascinata per negozi dalla sorella minore, che le precedeva sul marciapiede con fare entusiasta.

“Sorridi Iphe, stiamo facendo tutto per te!”
“Tu dici?! Perché mia sorella sembra più euforica di me! Non mi interessa dei fiori, delle partecipazioni o dei confetti, voglio sposare Andrew e basta!”
“Scordatelo, meritate un matrimonio come si deve, specie in un periodo così! Perciò ora andremo ad ordinare i fiori, niente storie.”

Electra si voltò indietro verso la sorella e sorrise con aria allegra mente la futura sposa sbuffava debolmente e Jade ridacchiava:

“Ele ha ragione… ci si sposa una volta sola – di solito – tanto vale godersi i preparativi!”
“Va bene, va bene. Ma non metterò nulla che mi farà sembrare una bomboniera!”
“Del vestito parleremo dopo. E sappi che quel giorno ti truccherai, Iphe.”

“Come se Andrew non mi avesse mai vista completamente senza trucco, cioè sempre.”
“Ma è proprio questo il punto, lo dobbiamo lasciare a bocca aperta… così sarà distratto e forse non scapperà quando si sarà reso conto di firmarsi una condanna dovendo passare la vita con una simile rompiscatole.”
“Grazie tante!”
“Jade è d’accordo con me, vero Jade?”
Electra si voltò verso l’ex Tassorosso mentre apriva la porta del negozio di fiori e le rivolse un sorrisetto carico di divertimento che la bionda ricambiò, annuendo debolmente:

“Certamente. Anche se io non ti trovo una rompiscatole, ovviamente.” 
La bionda si affrettò a stamparsi un sorriso di scuse sul volto quando colse l’occhiata torva che l’amica le lanciò:
“Avevo quasi dimenticato quanto vi divertiate a prendervi gioco di me…”


*


“Allora? Cosa volevate dirmi? Sembra importante.”

Jade, seduta di fronte ad Andrew e ad Iphe nella loro cucina, li guardò con curiosità e inarcò un sopracciglio all’indirizzo dei due amici, che inve sorridevano mentre, attorno a loro, la cena si serviva magicamente da sola nei rispettivi piatti.
Iphigenia, una mano stretta in quella del marito, si voltò verso Andrew e sorridendo gli rivolse un cenno quasi interrogativo, di fronte a cui però Andrew scosse il capo, invitandola silenziosamente a parlare al suo posto.
Così la ragazza si voltò di nuovo verso l’amica, esitando prima di parlare con tono concitato:

“Beh, noi… tra non molto diventerai zia!”
“Davvero?! È meraviglioso, congratulazioni! Sarete dei genitori fantastici, ne sono sicura.”

Jade sorrise e Iphigenia annuì, accennando in direzione del marito che invece si limitò ad abbozzare un debole sorriso:

“Sì Jade, per favore, dì ad Andrew che sarà meraviglioso, ti prego.”
“Andrew, non farti strane idee, sono sicura che sarai un ottimo padre, davvero. Poco importa se non hai avuto un esempio da seguire, non deve necessariamente essere rilevante.”

“Grazie, spero che abbiate ragione.”
“Noi abbiamo sempre ragione!”

“Bene, ora… aspetto che mi ringraziate.”
“Per cosa?”
“Per cosa?! Vi devo ricordare che molto probabilmente se ora siete sposati e in attesa di un figlio è anche per merito mio?!”


*



Jade, seduta davanti al tavolo della cucina, teneva gli occhi fissi sulla pergamena che aveva davanti mentre picchiettava distrattamente la punta della sua piuma sul labbro inferiore: era alle prese con un vecchio testo scritto in rune già da parecchio e sembrava destinata a non venirne fuori.

L’ex Tassorosso sospirò e lasciò la penna sul tavolo – dove viveva il completo disordine, ricoperto di calamai, libri e rotoli di pergamena dove facevano capolino più che altro scarabocchi – per rivolgere la sua attenzione alla culla che, proprio accanto a lei, galleggiava a mezzo metro dal pavimento e dondolava magicamente ad un ritmo lento e costante. 
Jade abbozzò un sorriso, osservando con affetto il visino rilassato e roseo di Marie, che sonnecchiava con il ciuccio in bocca e i pugnetti chiusi, abbandonati ai lati della piccola testa.

“Tu sì che fai una bella vita, vero signorina?”
Allungò una mano per sfiorare la guancia della figlioccia e la stava giusto osservando cercando di trovare qualche somiglianza con i suoi migliori amici quando un rumore familiare attirò la sua attenzione: qualcuno doveva essere appena comparso nel salotto usando la Metropolvere.

Jade fece per alzarsi, ma il rumore di passi la precedette è un attimo dopo Iphigenia entro nel suo campo visivo, sorridendo all’amica mentre si avvicinava a lei e alla figlia:

“Ciao… grazie ancora per aver badato a lei. Come va?”
“Questa traduzione mi sta facendo impazzire, Marie invece è stata un vero angioletto… ha preso davvero poco da te, evidentemente.”

Jade abbozzò un sorriso angelico che venne ricambiato con un occhiata torva mentre Iphigenia prendeva delicatamente la figlia in braccio, dandole un bacio sulla testa e accarezzandole la schiena con una mano:

“Lo dice anche mia madre, pare che io da piccola strillassi parecchio.”
“Non mi risulta difficile immaginarlo.”

“Sì, beh, grazie per averle fatto da babysitter, mi hanno chiamata all’improvviso in laboratorio e Andrew è ancora al Ministero.”
“Non preoccuparti. Dovreste cercare di rilassarvi di più però, considerando che adesso avete anche una figlia piccola… Il nostro Andrew tra poco darà di matto, se continua così.”
Jade aggrottò leggermente la fronte, riprendendo a rigirarsi la penna tra le dita pallide mentre Iphigenia annuiva, sbuffando debolmente e alzando gli occhi al cielo quasi con esasperazione:

“Lo so, glielo ripeto di continuo, ma sai com’è fatto! Si sente così… non lo so, responsabile. Anche per sua madre.”
“Suo padre non ha badato a lui e di riflesso non vuole farvi mancare niente. È una cosa bella.”
“Lo so. Parliamo di Andrew, dopotutto. Ma ora ti lascio alle tue rune, ciao ciao zia Jade!”


*



“Ho letto il tuo articolo nell’ultimo numero di Trasfigurazione Oggi… mi è piaciuto molto, credo proprio che tu abbia scelto la strada giusta.”
“Merito di Silente… Cavallo in H3. Tu invece? Felice della strada che ti sei scelta?”

“Non mi lamento, anche se il periodo non è certo dei migliori.”
Jade abbozzò un sorriso quasi malinconico mentre la sua Regina mangiava la Torre di Axel, che annuì, seduto di fronte a lei.
“Già.”

“Parliamo di cose più allegre… Come sta Elisabeth?”
“Bene, anche se temo che dovrà interrompere gli studi per quella stupida guerra contro i tedeschi… ma farò il possibile affinché possa laurearsi, si è impegnata troppo per buttare tutto all’aria a questo punto.”

“Forse sarò di parte perché siamo amici, ma sei un magnifico fratello maggiore. E dimmi… Come sta Sarah?”
“Sarah sta bene. Alfiere in E5.”  Axel guardò il suo Alfieri bianco muoversi da solo prima di alzare lo sguardo sull’amica, cogliendo l’occhiata interrogativa e curiosa che la bionda gli rivolse, quasi volesse invitarlo a continuare:

“Che c’è?”
“Non hai nient’altro da dire a riguardo?!”
“No, perché non c’è niente da dire. Ti prego Jade, ci pensa già Elena a fare insinuazioni di continuo… anche se posso capire che ora che Andrew ed Iphigenia sono felicemente sposati ti annoi.”

“Beh, ho sempre saputo di essere intelligente, e a quanto pare ho il dono innato di vedere ciò che gli ottusi ciechi si rifiutano di ammettere. Io penso che ti piaccia molto a Sarah.”
“Non la conosci nemmeno!”
“Non importa, mi basta quello che mi hai detto tu. E ora, saluta la tua Regina. Stai perdendo colpi, Axel.”


*


“Thomas? Se hai finito con i cifrari potresti prestarmeli per un paio d’ore?”
Jade, in piedi sulla soglia dell’ufficio, si rivolse al nuovo collega, che annuì mentre sistemava distrattamente la sua scrivania:

“Prendili pure, oggi vado a casa prima.”
“Oh, d’accordo. Grazie.”  Jade abbozzò un sorriso e si avvicinò per prendere i cifrari, voltandosi quando sentì bussare leggermente sullo stipite della porta e una familiare voce femminile:

“Thomas, Joe ha detto che se hai finito puoi andare.”
“Grazie Lucy… Buona giornata Jade.”
“A domani.”

Jade guardò il nuovo collega, ultimo arrivato nell’ufficio dopo essere stato trasferito, uscire dalla stanza mentre la segretaria del suo capo invece le si avvicinò, parlando con aria pensierosa:

“Dev’essere difficile.”
“Che cosa?”
“Beh, gestire quella situazione.”
“Ossia?”
“Beh, Thomas ha avuto… problemi familiari, credo abbia chiesto il trasferimento anche per questo motivo. Non so di preciso, ma penso qualcosa di grave. E so che ha un figlio, ecco perché ha orari… flessibili, diciamo.”

“Ha un figlio? Davvero? Non pensavo fosse sposato! Non porta la fede.” 

“Oh, i primi giorni la portava, in realtà… ma da qualche tempo non l’ha mette più.”
“… Pensi che sia…”
“Vedovo? Probabilmente. Un vero peccato, restare vedovi così presto… dev’essere stata dura.”

Lucy si strinse nelle spalle prima di uscire dalla stanza, lasciando l’ex Tassorosso sola a rimuginare. Non aveva idea che Thomas avesse un figlio, non gliene aveva mai sentito fare cenno… e nemmeno su sua moglie, del resto però aveva intuito che dovesse trattarsi di una persona piuttosto riservata. E non aveva fatto caso, quando l’aveva conosciuto poche settimane prima, che aveva smesso all’improvviso di portare la fede.

Aveva ripetuto milioni di volte ad Iphe, o anche ad Axel che ormai non solo si era sposato a sua volta, ma aveva anche avuto tre gemelli poco tempo prima dopo Julie, di essere pressoché cieca. Ma forse anche lei stava perdendo colpi, dopotutto.


*


“Allora, il lavoro come va?”
“Bene, ma perché non mi domandi quello che ti interessa per davvero, Iphe?”

“Ok… perché non mi parli di questo fantomatico Thomas?”
“Non c’è molto da dire, Iphe. E non fare quella faccia, è vedovo.”
“E allora?! È vedovo, non vuol dire che abbia fatto voto di castità! Insomma, hai detto che ha… quanti anni, 35?!”
“33...”
“Appunto, ha ancora un’enorme fetta di vita davanti, mi auguro per lui che non la passi nell’infelicità. E poi tu gli piaci, no?”
“Sì, ammetto che ci siamo… avvicinati parecchio di recente, ma non significa che io gli piaccia in quel senso, Iphe.”

“Hai detto che è una persona… riservata, no? Eppure si è lasciato avvicinare da te, ti ha anche parlato di suo figlio, no?”
“Sì, ma… non lo so Iphe. È difficile, credo che il ricordo di sua moglie sia ancora molto vivo.”
“Se l’ha amata davvero resterà vivo, Jade, ma non significa che non potrà esserci anche… spazio per altro. Insomma, lasciatelo dire, non sei propriamente semplice sotto questo punto di vista, è raro che ti piaccia qualcuno e non per metterti fretta ma…”
“Ho 30 anni, non 50! Mi stai dicendo che sono una vecchia zitella, per caso?!”

“No, certo che no, non sono a favore dei matrimoni tra quelli che sono praticamente bambini, io mi sono sposata relativamente presto, certo, ma solo perché era Andrew e Andrew è… Beh, Andrew.”
Jade, seduta di fronte all’amica con una tazza di thè tra le mani, sospirò sommessamente e fece per replicare quando una voce molto più allegra non la interruppe sul nascere, parlando con tono carico di curiosità:

“Di cosa state parlando?! Zia Jade, hai un fidanzato?!”
Marie spuntò con un gran sorriso accanto al divano e Jade alzò gli occhi al cielo mentre Iphigenia, invece, sbuffava debolmente:
“Marie, non fare la pettegola! Non si chiedono queste cose.”

“Ma anche io voglio spettegolare con voi!”
“Lo farai tra una decina d’anni, ora vai a giocare con tua sorella, su.”

“Ma uffa!”


*


“Jade?”
L’ex Tassorosso alzò lo sguardo dalle pagine del libro che stava traducendo, un’edizione piuttosto vecchia di un manuale alchemico, e quasi trasalì quando si trovò davanti Thomas, in piedi davanti alla sua scrivania e gli occhi azzurri fissi su di lei.

“Oh, ciao. Hai bisogno di qualcosa?”
“Devo ancora finire l’incarico e temo che non me ne andrò da qui finché non l’avrò portato a termine, stasera… Ti dispiace… restare ad aiutarmi e a farmi compagnia?”

Jade esitò, guardandolo con sincera perplessità per un istante prima di annuire e abbozzare un sorriso:

“Certo che no. Non avevo comunque niente da fare, e io qui ho quasi finito. Finisco il capitolo e poi ti raggiungo.”
“Grazie.”

Thomas le sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi e Jade lo seguì brevemente con lo sguardo, dicendosi che era la prima volta in cui lo sentiva chiedere aiuto a qualcuno. 
Infondo però era certa che fare gli straordinari in quell’occasione non le sarebbe dispiaciuto per niente.


*


“Questi sono i momenti in cui mi pento di non essermi data all’Erbologia. Ci credi che non riesco a trovare questo segno da nessuna parte? E dico NESSUNA! Che razza di scarabocchio dovrebbe essere, non l’ho mai visto in vita mia!”

Jade sbuffò con aria contrariata, per niente contenta di non riuscire ad andare a capo di quell’astruso segno in cui non si era mai imbattuta in quattro anni di studio ad Hogwarts e nei successivi 12 anni. 

“Potrebbe essere stato un errore dell’autore, ma l’ha usato troppo spesso per essere così… Merlino, odio non capire.”

L’ex Tassorosso sbuffò mentre sfogliava il cifrario con aria contrariata, rendendosi conto solo dopo un paio di secondi che il collega non aveva proferito parola nel corso di tutta la sua filippica contro le Rune. Così alzò lo sguardo su Thomas, abbozzando un sorriso di scuse mentre lui la osservava di rimando con aria pensierosa:

“Scusa, quando mi irrito forse parlo troppo… immagino sia l’abitudine di lavorare da sola. Mi spiace se ti sto deconcentrando.”
“In effetti è così, ma non è colpa tua.”

Thomas sorrise quasi come se fosse divertito, ed era così raro vedergli quella smorfia sul volto che Jade esitò, quasi perplessa. 

“… Immagino che non avrei dovuto chiederti di aiutarmi, in tua presenza non combino mai granché.”

Porca Morgana, sono così logorroica?! 

Jade strabuzzò gli occhi mentre invece Thomas continuava a sorridere, e stava per scusarsi – anche se non sapeva di preciso per cosa – quando lui la zittì sul nascere sporgendosi verso di lei, mettendole una mano sul viso e baciandola.


Dannazione. 
Avrebbe dovuto ammettere che Iphe aveva avuto ragione e lei torto, questa volta.


*


“Ecco… Jade, ti presento Timothy.”

Thomas sorrise e guardò con occhi carichi d’affetto il bambino che, seduto sul tappeto, stava giocando con aria assorta.

“Che carino… Non ti somiglia per niente, però.”
“No, somiglia di più a Melissa.”

Thomas sorrise e scosse debolmente il capo mentre osservava il bambino, che intanto aveva alzato lo sguardo e ora osservava Jade con curiosità, prima di rivolgersi a sua volta all’ospite, che invece lo guardò quasi a volersi scusare.

“Stai dicendo che io non sono carino, per caso?”
“No, certo che no, non potrei mai. Ciao Tim.”
“Tim, non si saluta? Lei è la mia amica Jade.”

Il bambino biondo osservò la donna prima di sorriderle, salutandola con una vocetta che fece sciogliere il cuore di Jade come burro al sole.

“Mi fai vedere i tuoi giochi?”
“Sì. Etto è un teno.”

Tim sorrise e le mostrò la sua piccola locomotiva giocattolo con un sorriso che Jade ricambiò dopo essersi seduta accanto a lui.

“E ne hai altri?”
“Tì, guarda!” 


Il bambino di un anno e mezzo sorrise e si alzò prima di trotterellare verso la cesta e portarle altri vagoni, che un attimo dopo iniziarono a sfrecciare magicamente sopra le loro teste ad uno schiocco di dita di Jade, destando lo stupore e la meraviglia di Timothy:

“Oh… ancora!”
“Possiamo far volare qualcos’altro, se vuoi.”
“Mh… io!”
Tim sfoggiò un largo sorriso, gli occhi azzurri luccicanti mentre la voce di Thomas giungeva alle orecchie di Jade con tono perentorio:

“Non se ne parla nemmeno! Jade, non farti soggiogare dagli occhioni!”

“Senti chi parla…”


*


“Tim? Io e Jade ti vogliamo dire una cosa… adesso sei grande, no?”

Thomas sorrise dolcemente al figlio, che annuì mentre spostava lo sguardo da lui a Jade con curiosità:

“Sì! Cosa c’è?”
“Beh… che ne pensi se Jade venisse a vivere con noi, tra qualche tempo?”

“Come una famiglia?”
“Sì, come una famiglia. Vuoi bene a Jade, no?”
“Sì.”  Timothy sorrise con calore a Jade, che ricambiò quasi commuovendosi mentre il bambino, dopo aver riflettuto per un attimo, parlava nuovamente:

“Allora vi sposate?!”
“Beh… sì.”
“Allora Jade sarà davvero la mia mamma?!”

Il bambino sorrise allegramente alla futura matrigna, che non riuscì a far altro che annuire sull’orlo delle lacrime di commozione com’era.

“Diciamo di sì.” Thomas, dopo un attimo di esitazione, annuì e sorrise mentre guardava il figlio scivolare dalla sedia e fare il giro del tavolo per abbracciare Jade, che gli lasciò un bacio tra i capelli prima di parlare con voce rotta:

“Ti voglio bene Timmy.”
“Anche io.”


*



“Jade, so che vuoi parlarmi di qualcosa… avanti, parla.”
“Beh, volevo dirvi che… Tom e io ci sposiamo.”

“Che bello! Io faccio la damigella!”  Imogen sfoggiò un sorriso allegro, gli occhi castani luccicanti mentre Millie, seduta sulle ginocchia della zia, annuiva:

“Acc’io!”

Iphigenia e Andrew invece esitarono, limitandosi a scambiarsi un’occhiata quasi divertita prima che la fisica parlasse, sfoggiando un sorrisetto piacevolmente soddisfatto:

“Sono davvero felice per te, Jade, specie perché è finalmente il mio turno di dire… te l’avevo detto.”
“O meglio, l’avevamo detto. La ruota gira, a quanto pare.”

“Oh, e va bene, avevate ragione voi, ve lo concedo. Basta che ora non continuiate a rinfacciarmelo!”

“Mamma, di cosa state parlando?”
“Storia lunga tesoro.”


*


Timothy RussellImage and video hosting by TinyPic 


“È per te.”
“Grazie… Mi hai fatto un disegno?”

“A scuola ci hanno fatto fare un disegno per la festa della mamma.”
Tim sorrise mentre guardava Jade spiegare il cartoncino colorato che le aveva dato e poi sorridere dolcemente quando vide le figure che il bambino di tre anni aveva disegnato.

“Io… Grazie Timmy, sei dolcissimo.” 
“Jade?”
“Sì?”
“Adesso che viviamo insieme e tu e papà siete sposati posso chiamarti mamma?”

Timothy parlò quasi con tono speranzoso, e continuò a sorridere finché non sgranò gli occhi azzurri con stupore, allungando le mani per metterle sul braccio della matrigna quando la vide piangere silenziosamente e parlando con tono allarmato prima di ritrovarsi stretto tra le sue braccia un attimo dopo:

“Jade, cos’hai?! Non ti piace il mio disegno?”
“No, è adorabile. Tu sei adorabile. Certo che puoi chiamarmi mamma, mi piacerebbe tantissimo.”


*


“Tom, hai notato che Timmy è piuttosto scontroso da qualche giorno?”
“Forse un po’, ma penso che debba semplicemente ancora metabolizzare il fatto che avrà un fratello o una sorella, tutto qui. È normale, probabilmente.”

Thomas si strinse nelle spalle mentre apparecchiava magicamente la tavola per la cena, ma Jade scosse il capo come se non fosse convinta, parlando con tono pensieroso:

“Forse… ma non è soltanto questo, secondo me. Forse dovremmo parlare con lui. Insomma, non ha reagito così nemmeno quando gli abbiamo detto che volevamo sposarci.”
“Quando glie l’abbiamo detto ha fatto i salti di gioia perché ti adora, Jade. E io ti adoro anche perché sei fantastica con lui.”

“È tuo figlio, come potevo non adorarlo? Beh, vado a parlarci.”
“Jade…”
“Non insistere, sai che faccio sempre come mi pare, alla fine.”

Jade uscì dalla cucina a passo di marcia e lasciò il marito solo ad alzare gli occhi al cielo, ma Thomas non osò obbiettare a la lasciò fare, sapendo che aveva ragione.


“Timmy? Posso entrare? Ti volevo dire una cosa.”
“Che cosa?”
“Ti volevo chiedere se sei felice di avere un fratellino. Finalmente avrai qualcuno a farti compagnia, non ti piace l’idea?”

Jade sorrise gentilmente al bambino di cinque anni mentre prendeva posto sul suo letto, guardandolo annuire distrattamente mentre evitava di guardarla.

“Sì, credo.”
“Sei sicuro? So che è un grande cambiamento, ma io sono figlia unica e mi sarebbe piaciuto molto avere un fratello, credimi.”
“Lo so, è solo… Forse mi vorrai meno bene, perché non sei davvero la mia mamma.”

Di fronte alla cupa ammissione del bambino Jade esitò, dandosi da sola della stupidaggine per non averci pensato da sè prima di sorridergli e fargli cenno di avvicinarsi tamburellando con una mano sul materasso accanto a sè. 

Timothy obbedì e la raggiunse, continuando ad evitare di guardarla mentre l’ex Tassorosso parlava con tono rassicurante:

“Tim, lo sai che ti voglio bene. Non importa se non sono la tua vera mamma, ti sto crescendo io ormai da anni e sarai sempre il mio bambino.”
“Non sono più un bambino!”
“Il mio ometto, allora.”


*


Megan e Carol RussellImage and video hosting by TinyPic


“Siamo a casa!”

Quando sentì la porta sbattere e la voce del marito Jade sorrise, pulendosi le mani in uno strofinaccio prima di uscire dalla cucina, sentendo perfettamente i passi affrettati delle figlie sulle scale, che corsero incontro a padre e fratello maggiore con due sorrisi:

“Tim! Ciao!”
“Ci sei mancato!”

“Ciao ragazze.” Il ragazzino sorrise e accolse le sorelline con un abbraccio, che iniziarono immediatamente a tempestarlo di domande come al solito:

“Hai imparato nuove magie?!”
“Faccele vedere!”
“Quanto resti a casa?” 

“Starà qui fino all’Epifania come sempre, e ragazze, smettetela di chiedere a vostro fratello di farvi vedere gli incantesimi, sapete che non può usare la magia fuori da Hogwarts. Bentornato tesoro.”

Jade accolse il ragazzino con un sorriso e Timothy ricambiò, mentre l’ex Tassorosso gli dava un bacio su una guancia e le gemelle invece protestavano a gran voce:

“Ciao mamma.”

“Non è giusto!”
“Vogliamo vedere! È una regola stupida!”

“Beh, fareste meglio a farvela andar bene per quando andrete a scuola anche voi, tra tre anni.”





…………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Scusate se ci ho messo un po’ ad aggiornare, ma durante la settimana ho avuto problemi con Internet... Sicuramente la prossima arriverà più in fretta, quindi a presto con la OS su Evie e Jack!

Signorina Granger 



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Capitolo 7
*** Jack & Evangeline ***


Jack & Evangeline 

 
Jack Keegan Image and video hosting by TinyPiced Evangeline Rosehealty Image and video hosting by TinyPic


Jack. Jack sei sicuro di sapere come si fa?”
“Potresti nutrire un po’ più di fiducia nei miei confronti?!”

“Scusa tanto, ma gradirei sopravvivere fino alla fine degli esami considerando tutta la fatica che sto facendo…”

Evangeline, seduta sul ponte con una coperta sulle ginocchia, sorrise con aria divertita al fidanzato che, dopo aver sistemato le vele, tornò a sedersi accanto a lei, i vestiti chiari che formavano un considerevole contrasto con la sua carnagione color caffellatte che si era ulteriormente inscurita dopo i giorni trascorsi in barca sotto il sole.

“Beh, questo vale anche per me, non mi sto facendo in quattro all’accademia per niente. Ma non preoccuparti Evie, ti riporterò a casa tutta intera, so navigare.”
Il futuro Auror le sistemo un braccio sulle spalle e Evie sorrise appena, appoggiando il capo contro la sua spalla prima di sollevare lo sguardo, dando un’occhiata al mare di stelle che svettavano su di loro.

“Non ci ero mai venuta prima, a fare un giro in barca intendo. Ma se avessi immaginato di poterle vedere così bene serie venuta prima, è bellissimo.”
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto.” Jack sorrise, quasi compiaciuto mentre alzava lo sguardo a sua volta, ben consapevole della passione che la fidanzata nutriva per l’astronomia.

“Beh, grazie, il panorama è stupefacente.”
“Nulla da dire sulla compagnia?”
“Sì, è gradevole anche quella.”

Jack sbuffò debolmente ed Evie rise appena prima di prendergli il viso tra le mani, baciandolo dolcemente prima di sorridergli:

“Mi mancano solo un paio di esami, Jack, così come a te. Poi, quando tu sarai ufficialmente un Auror e io avrò finito di studiare Magisprudenza, ci sposeremo.”
“Giusto in tempo per la scadenza dei 21 anni che ti hanno dato i tuoi genitori.”
“Esattamente.”
“Hai pianificato tutto alla perfezione, direi.”

“Io faccio sempre tutto alla perfezione, Jack.”


*


“Posso entrare?”

Aurora si fermò sulla soglia della stanza dopo aver aperto la porta, sorridendo all’amica che era seduta davanti alla toeletta e che si stava sistemando i capelli chiarissimi con occhio critico:

“Oh, ciao. Certo, vieni pure. Come mi stanno i capelli?”
“Benissimo, smettila di torturali!”

Aurora si avvicinò all’amica e le fece cenno di tenere le mani lontane dall’acconciatura, facendo sbuffare sommessamente la sposa, ma che annuì comunque di controvoglia:
“D’accordo.”
“Fuori è tutto pronto, aspettiamo solo te… sei felice?”
“Sì, molto. Ho rispettato il termine dei miei genitori ma ho deciso io con chi sposarmi, così siamo tutti soddisfatti, direi.”

Evangeline annuì e sorrise debolmente mentre Aurora la imitava, facendole cenno di alzarsi:

“Ottimo direi. Vogliamo andare, allora. Tuo padre ti aspetta qui fuori e Sean mi ha mandata a dirti di sbrigarti perché a detta sua Jack comincia ad essere nervoso.”
“Per carità, non facciamo aspettare Sua Maestà… d’accordo, direi che sono pronta.”

La bionda si alzò e, dopo che l’amica l’ebbe aiutata sistemarsi il velo sulle spalle, le fece cenno di 
precederla fuori dalla stanza, dove trovò suo padre ad accoglierla con un sorriso sul volto:

“Sei bellissima, tesoro.”
“Grazie papà.”  Evangeline sorrise, lasciandosi dare un bacio sulla guancia dal padre prima di prenderlo sottobraccio e seguire Aurora, che camminava con un sorriso sul volto e rigirandosi il bouquet tra le mani. 



“Jack, aspetta, hai il nodo storto…”
“Me lo ha fatto Reg!”
“Perché è sempre mia la colpa di tutto?!”

Regan sbuffò mentre Sean sistemava la cravatta dello sposo e Stephanie, seduta in terza fila accanto ad Elena, ridacchiava allegramente:

“Povero Reg!”

“Che ha Steph da ridere?!”

Gabriel, in piedi accanto all’amico, si limitò ad alzare gli occhi chiari al cielo e suggerirgli di non farci caso, dandogli una pacca sulla spalla con la mano sinistra dove la fede d’oro che portava da sole tre settimane luccicava allegramente.


“Che accidenti stanno facendo quei quattro?!”
Evangeline, affacciatosi prima di percorrere la navata, inarcò un sopracciglio e sfoggiò un’espressione perplessa mentre studiava futuro marito e i rispettivi tre migliori amici, che sembrava stessero discutendo.
Aurora, in piedi accanto a lei, si limitò ad alzare gli occhi al cielo prima di parlare con tono neutro, come se stesse parlando del tempo:

“Casino, come sempre. D’accordo Evie, ti precedo e gli dico di rimettersi in riga.”
“Come farei senza di te.”
“Me lo domando anche io.”


*



Jack aveva sempre desiderato, fin da bambino, di diventare un Auror come suo padre. Gli piaceva l’idea di poter arrestare “i cattivi”, anche se ben presto aveva dovuto fare i conti col fatto che ciò comprendeva anche il suo stesso zio. 

Mentre attraversava il corridoio a passo di marcia venne colpito, per un istante, dall’immagine del corpo dello zio materno inerme sul pavimento dopo essere stato baciato da un Dissennatore. Si era diplomato da poche settimane quando suo zio aveva pensato bene di andare a fare una “visita” alla figlia, alla fine dell’estate, ma la sua scomparsa era stata notata e denunciata nell’immediato, e non aveva fatto in tempo che dire poche parole alla figlia, che nonostante non ricordasse affatto il suo volto lo aveva riconosciuto in un attimo dopo essersi svegliata nel cuore della notte. Ricordava lo stato di shock di sua cugina e ancor più quello della madre, che aveva versato non poche lacrime quando lei e Jack erano giunti sul posto prima di portare una Denebola molto scossa al San Mungo, senza essere riusciti ad arrivare prima che il Dissennatore lo trovasse.

No, Jack sperava di non doversi mai ritrovare nella spiacevole sensazione di arrestare qualcuno che conosceva, magari un membro della sua stessa famiglia o peggio ancora un amico.
Non avrebbe mai voluto ritrovarsi nella stessa situazione di suo padre, che aveva arrestato suo cognato.


“Jackie!”
Jack si riscosse dai suoi pensieri quando si sentì chiamare, voltandosi verso uno dei suoi più cari amici per fulminarlo con lo sguardo e maldire mentalmente sua cugina per aver fatto circolare quell’orrendo soprannome anni prima: Sean lo stava raggiungendo con un sorriso stampato sul volto, apparentemente incurante dell’occhiata torva che ricevette mente gli assestata una pacca sulla spalla:

“Ciao Sean… novità?”
“Giornata poco produttiva, in realtà. È un leccato che non ci abbiano messo nella stessa squadra, mi divertirei molto di più al lavoro. Come sta Evie? Ho sentito che è molto… selettiva nei casi che accetta.”
Jack annuì appena, senza dire nulla e pensando alla moglie, che insisteva nel dedicare la sua attenzione e i suoi servizi per lo più a donne e a questioni che riguardavano cause per maltrattamenti o abusi, che seppur rare stavano aumentando. 

”Pensa di prendersi una pausa ora che è in dolce attesa?”
“Oh, è Evie. Chi può dirlo, io spero di sì, sai che è molto perfezionista e non vorrei che si agitasse e stressasse troppo… ad ogni modo, stasera tu e Aurora venite a cena da noi?”

“Volentieri, sarà il bell’epilogo di una giornata terribilmente tediosa. Ora, se vuoi scusarmi, vado a controllare che mia sorella non faccia a pezzi il poveretto che sta interrogando. A stasera.”

Sean gli rivolse un ultimo sorriso prima di accelerare il passo e superarlo, allontanandosi rapidamente per raggiungere la sorella mentre Jack si apprestava a raggiungere l’ufficio di Burke per consegnargli l’ultimo rapporto stilato. 
Sì, Sean aveva ragione, era una giornata terribilmente tediosa per essere in clima di guerra.


*


“Jack, ciao!”
Jack si voltò di fronte a quel saluto allegro, ma non ricambiò il sorriso della ragazza bionda che aveva davanti, sgranando invece gli occhi verissimi e pregando di sbagliarsi:

“Ciao Steph… come… come mai qui?”
“Pare che lavoreremo insieme per un po’, sai, mentre Ethan è in convalescenza.”

“Oh. Bene, fantastico.”

No, non c’era proprio niente di fantastico e non tanto perché non gradisse Stephanie, ma semplicemente perché sapendo che lavoravano insieme Regan lo avrebbe nominato balia della sua fidanzata e lo avrebbe ucciso se qualcuno le avesse torto anche un solo capello biondo.

“I tuoi pensieri sono oltremodo sessisti Jack, pensi che io non sappia cavarmela da sola? Non ho bisogno della balia, e se Regan lo pensa è solo un cretino!”

Jack aggrottò la fronte e fece per ricordarle che non avrebbe potuto fare pensieri sessisti nemmeno volendo avendo sposato una convinta femminista, ma decise di concentrarsi su un altro punto cruciale:

“Scusa, hai spiato i miei pensieri per caso?”
“Beh, sto facendo pratica con la Legilimanzia.”
“Fantastico…”

Jack roteò gli occhi ma Stephanie non sembrò condividere la sua espressione torva, sorridendo invece mentre lo prendeva sottobraccio con fare allegro:

“Suvvia Jack, sorridi, sarà uno spasso! Mi potrai raccontare un sacco di aneddoti imbarazzanti su Reggy.”
“… ora che ci penso potresti aver ragione…”
“Che domande, io ho sempre ragione, Reg lo sa bene.”


*


Jack sorrideva teneramente mentre, seduto accanto alla culla di Claude Altair, osservava il figlio di pochi mesi sonnecchiare placidamente. Allungò una mano per sfiorargli una guancia con un dito prima di voltarsi verso la culla, parallela, della figlia, rivolgendo un’occhiata alla bambina per assicurarsi che stesse dormendo prima di uscire dalla camera e raggiungere la moglie in salotto, trovandola china su dei documenti e impegnata a sbuffare e a borbottare sommessamente.

“I bambini dormono.”
“Tanto meglio, non vorrei che sentissero la madre imprecare… MA PERCHÈ quei bigotti retrogradi sono così restii a concedere quel dannati divorzio?! Ti sembra giusto?! Viviamo in una società pessima, ci sono un’infinità di matrimoni infelici – per non parlare di quello che penso dei matrimoni combinati –, perché divorziare è ancora così difficile nel 1941?!”

Jack sorrise appena mentre si fermava dietro alla moglie, mettendole le mani sulle spalle prima di chinarsi e darle un bacio su una guancia, suggerendole caldamente di rilassarsi essendo ancora in maternità.

“Ma Jack, non sono tutte fortunate come me, io ho un matrimonio e una vita splendidi ma lo stesso non si può dire per altre, lì fuori!”
“Beh, stai comune dando un enorme contributo tesoro, la tua rivista sta facendo miracoli e lo sai. Ma ora pensò sinceramente che dovresti rilassarti, specie considerando che i gemelli dormono entrambi, una vera e propria utopia.”

“Gli hai rifilato una pozione soporifera?”
“No, è un vero miracolo.”


*


Berenice Olympe e Claude Altair KeeganImage and video hosting by TinyPic


Evangeline sedeva di fronte ad Aurora sul divano, una tazza in mano mentre, sorridendo, teneva gli occhi fissi sui due figli, Berenice sulle ginocchia di Aurora e Claude seduto accanto a lei.

“Ma quanto potete essere adorabili voi due?! Troppo, ecco quanto!”

Aurora sorrise prima di stampare un bacio sulla guancia della bambina, che sorrise mentre la madrina si rivolgeva all’amica:

“Sono felice che siate venuti a farmi visita.”
“Beh, non vedevi i gemelli da un po’.”
“Già, rischiavo di non riconoscerli più di questo passo, siete cresciuti tantissimo!”

“Già. Tu come stai?”
“Bene. Me la cavo, all’inizio venire a vivere qui a tutti gli effetti è stato strano, ma ci si abitua. So a cosa stai pensando Evie e non guardarmi con quella faccia, sto benissimo. E devi assolutamente conoscere Lewis.”
“Lo farò con piacere. E ora avanti, chiedimelo.”
Evangeline abbozzò un sorriso mentre appoggiava la tazza sul piattino e Aurora, dopo un momento di esitazione, annuì con un sospirl prima di parlare, evitando di guardarla in faccia e sfiorando i capelli scuri di Berenice con una mano:

“Come sta Sean?”
“Bene. Lo vedo spesso, quando vado a trovare Jack al lavoro. L’ho visto giusto ieri, in effetti… potrei avergli detto che sarei passata da te.”
“Evie!”
“Beh, non dirmi che non vuoi sapere che cosa ha detto.”

“Mi conosci troppo bene anche solo per porti il dubbio.”

“Beh… mi ha chiesto di salutarti e che spera che tu stia bene.”
“Il solito Sean. Sempre quasi fin troppo garbato.”

Aurora sorrise debolmente mentre osservava un punto indefinito della stanza come se la sua mente fosse altrove ed Evie, dopo un attimo di esitazione, parlò di nuovo mentre acclude osserva con curiosità una tazza, rigirandosela tra le dita pallide:

“Non è troppo tardi per tornare indietro. Lo sai, vero?”
“Non dire assurdità Evie, me ne sono andata da più di un anno!”
“Beh, non è tardi comunque. È evidente che ti ama ancora.”

“Evie, ti prego. Sono quasi riuscita ad andare avanti, Lewis è una persona meravigliosa e mi sto sfornando in tutti i modi di smettere di pensare a Sean, di non passare il tempo a confrontarli. Per favore, non parliamone più.”
“Come preferisci. Claude, non mettere in bocca il manico della tazza!”


*


1943


“Papy?”
Jack, sentendosi chiamare, si voltò e sorrise dolcemente alla figlia, che lo stava guardando con curiosità:

“Che c’è principessa?”
“La mamma è triste?” 

Berenice rivolse un’occhiata perplessa al padre, che esitò prima di farle cenno di avvicinarsi: la bambina non se lo fece ripetere e trotterellò verso di lui per farsi prendere in braccio, guardandolo con curiosità mentre Jack le accarezzava i capelli scuri:

“No, non è triste tesoro, è solo un po’ giù. Ma passerà.”
“Come mai?!”
“Beh, vedi… la mamma vorrebbe tanto una cosa, e non è contenta perché non può averla adesso.”
“Come io quando voglio un regalo ma non è il mio compleanno?”
“Diciamo di sì.” Jack annuì, sorridendo alla figlia di tre anni che esitò prima di annuire:

“Ho capito. E quando lo avrà sarà contenta?”
“Immagino di sì. Speriamo che accada presto, vero?”
“Sì. Vado a darle un abbraccio.”

Berenice annuì e uscì dalla stanza per raggiungere la madre nella sua camera, stampandosi un sorriso sul volto mentre il padre la guardava con affetto uscire dalla stanza prima di tornare a rivolgersi ai documenti che aveva davanti.

Già, sperava a sua volta che accadesse presto.


*


“Bambini, smettetela di litigare e state seduti! Jack, vieni, è pronta la colazione.”

Evie rivolse un’occhiata di sbieco ai gemelli che, seduti sul tavolo, si stavano contenendo una fetta di pane – quando, ovviamente, sul tavolo ce n’era un cestino pieno – mentre controllava diligentemente il bacon. Non ricevendo alcuna risposta dal marito decise di andare a controllare e, una volta lasciata la colazione sui piatti dei gemelli, si spostò in salotto:

“Jack? Va tutto bene? Cosa stai leggendo?”
Evangeline si fermò sulla soglia della stanza e rivolse un’occhiata titubante al marito, trovandolo già vestito, seduto sul divano ma immobile mentre teneva una lettera in mano. 
“Mi ha scritto Reg.”

Jack parlò in un sussurro senza staccare gli occhi chiari dal pezzo di pergamena quasi come fosse in trance e la moglie, sempre più preoccupata, gli si avvicinò lentamente prima di parlare con tono incerto:

“È successo qualcosa?”
“Sean è morto.”

Evangeline sbattè le palpebre e rimase immobile per qualche istante, elaborando ciò che aveva appena sentito prima di parlare con voce così flebile che Jack a stento la senti mentre ripiegava la lettera e la lasciava cadere sul tavolino da caffè.

“Cosa?”
“Ieri notte.”

Evangeline gli si avvicinò e si lasciò scivolare lentamente sul divano, gli occhi chiari fissi su un punto indefinito davanti a sè mentre Jack, accanto a lei, sospirava e si prendeva la testa tra le mani prima di mormorare qualcosa che non udì.
Sean morto. Sean Selwyn non c’era più. Difficile da credere, quando lo aveva visto solo un paio di giorni prima quando era passata al Dipartimento per salutare Jack, cordiale e sorridente come sempre.
Sean Selwyn, il ragazzo che conosceva da quando avevano undici anni.

Evangeline si avvicinò a Jack e lo abbracciò, deglutendo e ricacciando indietro le lacrime mentre pensava che avrebbe potuto benissimo esserci LUI al posto di Sean, la notte precedente.

“Mammaaaa!”

Berenice la chiamò dalla cucina ma Evangeline non ci fece caso, quasi non la sentì mentre Jack, dopo aver ricambiato la stretta, mormorava di dover andare al Dipartimento.
“Ok… tienimi aggiornata.”

Evangeline annuì, parlando con voce rotta mentre Jack, dopo essersi alzato, si limitava ad annuire senza guardarla in faccia prima di avvicinarsi al camino e sparire grazie alla Polvere Volante, proprio mentre Berenice spuntava sulla soglia della stanza con un’espressione contrariata sul visino:

“Mamma, Claude mi ha rubato il bacon!”

Evangeline però continuò a non dare segno di averla sentita e la bambina, sbuffando, le si avvicinò per attirare la sua attenzione.

“Mamma?!”
“Scusa tesoro, stavo… pensando ad altro. Ora te ne preparo ancora.”  Si sforzò di sorridere e lasciò una carezza sul capo della figlia mentre si alzava per tornare in cucina, ma quella smorfia forzata svanì ben presto, mentre la strega aveva un unico pensiero nella mente:

Doveva dirlo ad Aurora. E non aveva la benché minima idea di come avrebbe fatto a trovarne la forza.


*


Evangeline sedeva accanto a Jack, che a sua volta aveva preso posto accanto a Regan e a Gabriel.
Stephanie, seduta accanto al marito, singhiozzava ed Elena l’abbracciava, in silenzio. 

Lei invece non piangeva, teneva semplicemente gli occhi fissi sulla bara, circondata da fiori mentre una foto che ritraeva Sean sorridente attanagliava le viscere di tutti i presenti. La mano di Jack era stretta nella sua e fu lui a rompere il silenzio, parlando a bassa voce:

“Aurora non viene?”
“Ha detto che non se la sentiva. Forse dovrei andare a farle visita.”
“Le farebbe piacere.”

Evangeline annuì e Jack, dopo un attimo di esitazione, le si avvicinò per lasciarle un bacio sulla tempia, ringraziandola a bassa voce per essere lì. 

“Non sarei mai potuta mancare.”


*


Evangeline entrò in camera da letto con uno sbuffò, lasciandosi cadere sul materasso per poi sfilarsi le scarpe usando solo i piedi. La cena di famiglia non era andata granché bene, come sempre la presenza di Caroline, sua sorella, e suo fratello Gregory erano bastate per farla innervosire e rovinarle la serata. 
Forse in presenza di Benjamin le cose sarebbero andate meglio, ma disgraziatamente il fratello maggiore viveva in America ormai da anni e tornava in Inghilterra solo per le feste e altre poche ricorrenze.

“Evie?”
“Sto bene Jack. Benissimo. Lascia stare.”

“Conosci tua sorella, non puoi continuare a permetterle di farti irritare in questo modo… ignorala.”
“Ignorare Caroline è molto difficile, Jack. E siamo troppo, troppo diverse, lo sai. Lei e il suo sorrisino compiaciuto… quando mi ha chiesto se abbiamo altri figli in programma volevo scagliarle contro la zuppiera, lo sa, lo sa benissimo che avrei voluto un altro figlio già molto tempo fa!”

Evangeline afferrò un cuscino e lo strinse prima di lanciarlo contro la parete opposta mentre Jack sedeva accanto a lei, restando in silenzio per qualche istante prima di parlare, sorridendo leggermente mentre le metteva una mano sulla gamba:

“Evie, so che è difficile, lei ha avuto un figlio dietro l’altro negli ultimi anni…”
“Sei! Ha sei figli Jack, bambini che adoro e che anche i miei genitori adorano, sono così felici… non la sopporto.”
“Vedila così, ormai vi vedete molto di rado. E ignorala, Evie, non importa se sono passati due anni, avremo un terzo bambino, vedrai… e se anche così non fosse non importa, sei una madre fantastica e abbiamo una bellissima famiglia ugualmente.”

Jack le prese il volto tra le mani per baciarla, facendola sorridere debolmente mentre lo guardava con gli occhi azzurri carichi d’affetto:

“Mi sono appena rincuorata leggermente.”
“Ah sì?”
“Sì, perché Caroline avrà anche tutti i figli che vuole, ma non avrà mai un marito come il mio.”


*


1946


“Come la volete chiamare?”
“Virginia. Virginia Elara.”

“Bel nome.”
L’infermiera sorrise e Jack la imitò, annuendo mentre teneva la figlia in braccio e la osservava con attenzione, parlando senza staccare gli occhi verdi dal volto della bambina bionda:

“Mia moglie apprezza molto Virginia Woolf.”
“Berenice Olympe, Claude Altair, Virginia Elara… siete imparentati con i Black?”

“No, ma ad Evangeline piace molto l’astronomia.”

Jack abbozzò un sorriso e scosse il capo, evitando di informare la donna che tutti I nomi dei suoi figli erano stati scelti con estrema cura: ad entrambi piaceva l’idea che i nomi dei loro figli avessero un significato, così Claude era stato chiamato così in onore di Monet e Berenice portava cone secondo nome quello di Olympe de Gourges.

Quasi come se li avesse appellati con il pensiero Jack udì le voci dei due figli maggiori e, voltandosi, sorrise ai due bambini, facendo loro cenno di avvicinarsi:

“Dov’è la mamma?!”
“La mamma si sta riposando, Claude… volete vedere vostra sorella intanto?”

Jack si inginocchiò sul pavimento per mostrare Virginia ai gemelli di ormai sei anni e Berenice, dopo averla scrutata con attenzione, constatò:

“Non ci somiglia!”
“È presto per dirlo, ma in effetti lei sembra bionda come la mamma… chissà, magari le somiglianze arriveranno.”
“La chiamiamo Virginia?”
“Sì. Vi piace?”

Berenice sorrise e annuì, felice di avere un bambolotto umano con cui giocare:

“Sì. Quando la mamma si sveglia possiamo salutarla?”
“Certo, vi chiamo io, ora tornate dalla nonna.”

I gemelli fecero per allontanarsi ma Berenice indugio, voltandosi verso il padre per tornare verso di lui e dirgli qualcosa a bassa voce:

“Papà? Rimango sempre io la tua preferita, vero?”
“Certo amore mio.”


*


Virginia Elara Keegan Image and video hosting by TinyPic


“Vivi! Hai rotto tu il viso in salotto?!”
“No mamma!” Virginia smise di spazzolare i capelli della sua bambola e rivolse alla madre un’occhiata perplessa, sgranando gli occhi e scuotendo il capo mentre Evangeline inarcava un sopracciglio, osservando la bambina con fare incerto:

“Ah no?”
“No, sono stati loro!”

“… Claude, Berenice! Venite qui.”
“Non siamo stati noi!”
“Non sapete nemmeno perché vi ho chiamati!”
“Non siamo stati noi comunque!”

“Vostra sorella dice di sì.”
“Beh, non è vero!”

Virginia sfoggiò un sorrisetto mentre tornava ad occuparsi della sua bambola e, a qualche metro di distanza, i fratelli maggiori si prendevano una bella strigliata dalla madre. Alla fine i gemelli di ormai dieci ani le rivolsero uno sguardo truce e Claude sibilò qualcosa a mezza voce:

“Almeno l’anno prossimo andremo a scuola e non potrai dare la colpa a noi per tutto.”
“Già!”


Berenice sbuffò prima di allontanarsi insieme al fratello e Virginia esitò, riflettendo sulle parole dei fratelli maggiori. Un paio d’ore dopo bussò alla porta di Berenice ed entrò timidamente nella stanza, chiedendo alla sorella se la perdonava:

“Tanto non riesco mai a restare arrabbiata con te, Vivi…”


*


“Dai Vivi, non fare così, ci vediamo a Natale!”

Berenice sospirò mentre abbracciava la sorellina, che la stava abbracciando praticamente in lacrime da quasi cinque minuti, in piedi davanti al binario.
La ragazzina rivolse così un’occhiata incerta ai genitori, quasi a volergli chiedere cosa fare mentre Evangeline, sospirando, metteva una mano sulla spalla della figlia minore:

“Tesoro, Berenice e Claude devono andare adesso.”
“No!”
“Certo che devono tesoro, andrai a scuola anche tu.”
“Non voglio stare da sola!”

“Non sarai sola, ci siamo io e papà. E i tuoi fratelli torneranno presto… ti scriveranno un mucchio di lettere, te le leggerò io, ok?”

Evangeline sorrise dolcemente alla figlia mentre le accarezzava i capelli, guardandola annuire mentre si asciugava gli occhi prima di rivolgere un cupo saluto ai fratelli maggiori, guardandoli salire sul treno poco dopo mentre teneva entrambi i genitori per mano.

“Non piangere Vivi, torniamo presto!”
“Ci mancherai anche tu!”
“Fai la brava!”

Virginia abbozzò un sorriso, salutando i fratelli con la mano e alzando lo sguardo sul padre quando il treno partì:

“Tornano presto, vero?”
“Certo piccola.”

“Ok… posso avere un cucciolo visto che loro vanno via?!”
“Ecco, si comincia. Per quanto pensi di continuare a sfruttare questa situazione, Vivi?”



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Capitolo 8
*** Aurora ***


Aurora 
 
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Aurora aveva lasciato l’Inghilterra un paio di settimane prima e Charlotte, dopo uno scambio di lettere dove l’amica le aveva più volte ripetuto di stare bene, aveva deciso di farle visita durante un fine settimana libero dai turni sempre più lunghi e snervanti dovuti ad un clima che non faceva altro che peggiorare di settimana in settimana.

In America si stava meglio, lontani dalla guerra in corso tra i Babbani ma anche da Grindelwald, è sotto quel punto di vista forse Aurora aveva fatto bene a recarsi dalla famiglia di sua madre.
Ma non l’aveva fatto per sfuggire alla guerra, Charlotte lo sapeva. 
Ed ebbe la conferma che non stava affatto bene quando, meno di un’ora dopo essere arrivata, si ritrovò seduta accanto all’amica su un divano intenta a rivolgerle occhiate incerte mentre le porgeva un fazzoletto:

“Sapevo che sarei dovuta venire prima. Non stai bene per niente! Tieni. E ti prego, non piangere, mi fa stare male vederti così e non sono brava a consolare le persone!”

Charlotte sospirò mentre l’amica, dopo aver preso il fazzolettino, si asciugava le lacrime e l’ex compagna di Casa le metteva un braccio intorno alle spalle, guardandola con aria sinceramente dispiaciuta.

“S-scusa Charlie, è solo che vederti mi ha fatto pensare a tuo fratello. Come se già non ci pensassi comunque…”
“Mi dispiace. Torna a casa Aurora, incontralo e chiaritevi, sta malissimo, per favore, voglio bene a tutti e due e non sopporto questa situazione.”
“Gli hai detto che saresti venuta oggi?”
“Sì.”
“Ti avevo detto di non farlo!”

“Volevo convincerlo a venire con me, ma non l’ha fatto, è testardo. Aveva uno sguardo così triste, poverino…”
“Non si stava parlando di me?! E non osare dirgli che mi hai vista così, si precipiterebbe qui e non voglio vederlo.”

“Ma…”
“Charlie. Ti prego.”

Di fronte all’occhiata malinconica e quasi implorante dell’amica Charlotte non poté far altro che annuire, sospirando mestamente prima di parlare:

“… va bene. Siete proprio assurdi, devo ancora capire per quale razza di assurdo motivo vi siete lasciati! Dopo cinque anni io pensavo vi steste per sposare, e invece…”

“Non ci siamo lasciati, Charlie. È lui che non mi ha lasciato scelta!”

Aurora deglutì, stringendosi le braccia al petto e mordendosi il labbro mentre pensava alle parole dell’amica, a come anche lei avesse spesso pensato, nell’ultimo anno, al fatto che lei e Sean si sarebbero sposati, alla fine. E invece era andato tutto a rotoli nell’arco di pochi mesi, ancora non se ne capacitava.
Era difficile accettare che non facesse più parte della sua vita quando si conoscevano fin da bambini.

“Possiamo parlare d’altro? Sto pensando solo a questo da due settimane, vorrei solo distrarmi un po’.”
“… Ok. Lo ami sempre molto?”
“Certo.”
“E lo vuoi dimenticare?”
“Difficile. Ma ci proverò, a questo punto.”


*


Aurora arrotolò con stizza l’ennesimo pezzo di pergamena prima di lanciarlo dritto nel cestino con perfetta mira, forse ormai si era impratichita a furia di stracciare bozze di articoli.
La ragazza sbuffò e si abbandonò contro lo schienale della sedia, osservando con sguardo truce il calamaio come se lo ritenesse responsabile della sua incapacità di buttare giù qualcosa di decente negli ultimi giorni.

E la colpa, ovviamente, era tutta di un paio d’occhio azzurro-verdi e di un bel sorriso piazzati su un bel facciano che le attanagliavano la mente. E anche il cuore. E le viscere. Ogni volta in cui chiudeva gli occhi.
Dannato Sean Selwyn. Il calamaio non centrava, la colpa era tutta sua. Voleva quasi scrivergli una  Strillettera per incolparlo di nemmeno lei sapeva cosa, ma sicuramente avrebbe finito col dirgli che l’amava e implorarlo di ripensarci.

Riusciva quasi a sentire la voce stizzita di Charlotte: debole. Così avrebbe detto la sua amica. Se non fosse stato che lei per prima avrebbe gioito nel loro riappacificamento.

Aurora sbuffò, decidendo che la rottura di quella relazione le avrebbe persino rovinato il lavoro. Ottimo. Di bene in meglio.


“Scrivi?”
Aurora fece per voltarsi sentendo quella voce, ma le braccia di Sean la circondarono da dietro e sentì il suo viso appoggiarsi sulla sua spalla per 
sbirciare quello che stava facendo, così si limitò a sorridere mente sentiva il respiro di Sean accanto a sè:

“Sì, ho un articolo da finire, quindi ti prego di lasciarmi in pace.”
“Come sei cattiva…”
“Non sono cattiva, ma tu finisci sempre col distrarmi!”

“Sono desolato.”

Sean sfoggiò un sorrisetto che non aveva nulla di rammaricato prima di scostarle con una mano i lunghi capelli scuri dal collo e posarcisi le labbra sopra, ignorando le deboli proteste di Aurora mentre risaliva imperterrito fino alla mascella, costringendola a voltarsi prima di baciarla.
Sean sorrise sulle sue labbra ma Aurora non lo imitò, staccandosi con un gemito e guardandolo con aria affranta:

“Lo vedi?! Non mi lasci mai lavorare!”
“Chiedo scusa, se la signora gradisce mentre finisce il suo articolo posso andare altrove ad importunare qualcun’altra.”

“Non ci pensare nemmeno, l’unica che ti è permesso importunare sono io.”



Aurora sbuffò prima di alzarsi, mandando al diavolo la scrittura e anche Sean Selwyn. Sopratutto Sean Selwyn.


*


“Come stai?”
“Bene. Perché tutti continuano a chiedermelo come se fossi in lutto?”

Aurora alzò gli occhi al cielo e appoggiò la tazza sul piattino mentre Evangeline, seduta di fronte a lei, abbozzava un sorriso di scuse mentre i gemelli giocavano sul tappeto, davanti a loro.

“Beh, è stato un… periodo difficile. Ma se stai meglio, ne sono molto felice.”
“Sono felice anche io. Insomma… conoscere Lewis è stato un bene. E poi ho quasi finito il libro.”

Aurora sorrise con soddisfazione e l’amica ricambiò, guardandola con sincero affetto negli occhi chiari:

“Mi fa piacere. Ovviamente, voglio essere tra i primi a leggerlo.”
“Ovviamente. Penso che potrei concederti anche una dedica.”
“Oh, ti ringrazio. Lewis come sta?”

“Bene, la prossima volta in cui verrai a trovarmi dovreste fermarvi a cena, inviterei anche lui. Gli piaci.”
“Anche lui mi piace.”
“Per fortuna… dovrei farlo conoscere anche a Charlie. Prego che piaccia anche a lei per evitare i suoi… commenti.”

“Ah, i tempi in cui Adela Quested stava con Ronald Heslop… un vero spasso.”
“Per noi sì, ma non per la povera Adela e non ci tengo a seguirne le orme, grazie. Charlie sa essere tremenda.” 

Evie abbozzò un sorriso quasi divertito ma Aurora non la imitò, esitando prima di parlare:

“Pensi sia normale che io faccia spesso, fin da quando l’ho incontrato, “paragoni” con Sean?”
“Immagino di sì. Tu e Sean siete stati insieme diversi anni e vi conoscete da moltissimo tempo, lasciarsi alle spalle una presenza che è stata così ingombrante nella tua vita non è facile. Sono persone molto diverse, però.”

“Senza dubbio.”

Aurora annuì e abbassò lo sguardo sulla sua tazza, pensando a Sean, che non vedeva da ormai un anno e mezzo e a Lewis. 
Lewis Carrington le piaceva, molto. Le era piaciuto probabilmente fin da subito, quando lo aveva incontrato per la prima volta grazie a suo fratello maggiore, che glie l’aveva presentato come un suo collega. Aveva tre anni più di lei, nato e cresciuto nel New Jersey, aveva studiato ad Ilvermorny. 
Lewis Carrington le piaceva, molto. Ma non era Sean. 
Non sorrideva come faceva lui, non aveva le fossette, i suoi occhi erano scuri, tremendamente diversi dai suoi, non si tormentava il colletto della camicia quando era nervoso e non tamburellava le dita o i piedi quando era spazientito.
Sean non amava aspettare, era più impulsivo, Lewis più riflessivo, calmo. 

Lewis non accavallava le gambe come faceva Sean, non era espressivo allo stesso modo e non gesticolava quando, concitato, le raccontava qualcosa che l’aveva colpito, magari del lavoro.
Forse Lewis era più simile a lei di quanto non lo fosse mai stato Sean. E si chiedeva come potesse piacerle qualcuno di così diverso dopo aver amato per così tanto tempo l’Auror.


“E questo è positivo o negativo?”
“Non saprei. Forse positivo. Forse inconsciamente mi sono sentita attratta da lui anche per questo. Come vanno le cose al Dipartimento, comunque? Jack sta bene?”

“È molto stressato e stanco, li fanno lavorare e andare a destra e a sinistra in ogni momento. Sta molto più fuori casa da qualche mese, immagino che dovrò farci l’abitudine. Spero solo che non gli accada nulla.”
“Non succederà.”   Evie assunse un’espressione quasi abbattuta e Aurora le sorrise appena, quasi a volerla consolare prima di schiarirsi la voce:

“Sean come sta?”
“Bene. Non vi sentite mai?”
“No. Gli ho scritto solo a Natale per fargli gli auguri.”

“Beh, per te ora sarà un sollievo, non devi più nutrire paura e apprensione nei confronti del tuo fidanzato a causa del suo lavoro.”
“Sì, è un sollievo. Anche se Lewis non è Sean.”

“Ho idea che per te nessuno sarà mai Sean, Aurora. Ma sono felice di vedere che stai andando avanti e di certo lo sarebbe anche lui.”

Evie sorrise e Aurora si sforzò di imitarla un attimo dopo. Voleva credere che fosse così, che avesse ragione. Del resto Evie aveva quasi sempre ragione, no?


*


“Ciao! Non ti aspettavo.”
Aurora sorrise quando, sulla soglia, accolse Lewis con un abbraccio, guardandolo sorriderle con gli occhi scuri luccicanti e i capelli castani leggermente spettinati a causa del vento:

“Volevo passare a salutarti… mi sono fermato a comprare una cosa, venendo qui.”

Quando estrasse dalla borsa di pelle un libro a lei molto familiare Aurora sgranò gli occhi chiari e poi sorrise, guardandolo con un misto di sorpresa e affetto:

“Lo hai preso?”
“Certo che l’ho preso! Lo hai scritto tu.”
“Ma parla di… di storia. A te non piace la storia!”

La strega inarcò un sopracciglio ma il mago non si scompose, limitandosi a stringersi nelle spalle mentre si ravvivava i capelli:

“Vero, ma se l’hai scritto tu non potrò non apprezzarlo almeno un po’.”
“Grazie Lewis, ma sappi che se dovessi scrivere un libro di economia non mi sognerò nemmeno di leggerlo.”

“Non te l’avrei chiesto.”


*


1942


La proposta di matrimonio non fu inaspettata, Aurora nutriva da qualche tempo il sentore che Lewis volesse chiederglielo. Gli aveva detto di sì, ovviamente, con un gran sorriso sul volto.

Il giorno dopo Aurora, seduta su una sedia con le gambe ripiegate e appoggiate contro il petto, studiava l’anello che luccicava al suo dito. Aveva scritto a sua madre, sicuramente l’indomani l’avrebbe trovata sulla soglia felice come una Pasqua.

Avrebbe scritto anche ad Evangeline, ovviamente, e a Charlotte.
Charlotte, chissà se l’avrebbe detto a Sean. Avrebbe dovuto invitarlo al matrimonio? Sarebbe stato strano. Ma forse avrebbe dovuto, avrebbe finalmente dimostrato al 100% che era andata avanti, no, non l”aveva dimenticato, questo mai, non sì, era andata avanti.

Aurora guardò il suo anello e sorrise amaramente, ricordando tutte le volte in cui sognando ad occhi aperti aveva immaginato di compiere quel grande passo proprio con l’Auror che non vedeva da più di due anni.  Eppure, nonostante tutti se lo aspettassero le cose avevano preso una piega diversa, e lei era lì, in America, in procinto di sposare un altro.


Aurora scosse il capo prima di alzarsi per andare a prendere la macchina da scrivere. Era di buonumore e voleva approfittarne. Aveva già perso molto tempo, in passato, a fantasticare dopotutto.


*


Aurora era impegnata a salutare gli invitati, terminata la cerimonia, quando li vide. 
Sean e Charlotte si stavano dirigendo verso di lei, a braccetto, e vide l’amica sorriderle e rivolgere un lieve cenno mentre il fratello maggiore si limitava ad osservarla.

La sposa si congedò gentilmente dai suoi zii per dirigersi verso i Selwyn, stampandosi un sorriso sul volto prima che Charlotte l’abbracciasse:

“Ciao… è una vita che cerchiamo di parlarti, ci sono fin troppi invitati.”
“Lo so, avrei fatto a meno di alcuni, ma sai com’è… ho una grande famiglia, e anche Lewis. Sono felice di vedervi… ciao Sean.”

L’ex Corvonero si rivolse all’ex fidanzato, abbozzando un sorriso che venne ricambiato mentre Charlotte si limitava a seguire la scena con occhio critico.
Solo allora Aurora realizzò che non lo vedeva da ben tre anni. Era tanto tempo. Ma non sembrava poi così cambiato, le sorrise e le fece le congratulazioni prima di chinarsi e darle un bacio su una guancia. 

Era felice di vederlo, lo era davvero, ma non potè fare a meno di constatare che, sfortunatamente, era come sempre fin troppo bello. 



E non sembrava essere l’unica a pensarlo visto che più tardi, al ricevimento, stava sorseggiando distrattamente un bicchiere di champagne mentre, accanto a lei, le sue cugine americane avevano immediatamente adocchiato quell’attraente sconosciuto dall’accento inglese che, seduto a qualche tavolo di distanza, stava sparlando con Charlotte, la giacca appoggiata sullo schienale della sedia e le gambe accavallate mentre sorrideva alla sorella, toccandosi distrattamente i capelli di tanto in tanto in un gesto che ormai Aurora conosceva fin troppo bene.


“Certo che la tua amica Charlotte si è sistemata proprio bene.”
“Come?”

Aurora si ridestò e si voltò verso sua cugina Emma, che inarcò un sopracciglio e accenno col capo in direzione dei Selwyn:

“Charlotte. Il suo ragazzo è stupendo.”
“Non è il suo ragazzo, è suo fratello.”

“Oh! Davvero? … ce lo presenti?”

Aurora si limitò a borbottare un no sommesso e fu sinceramente grata a Lewis quando la raggiunse con un sorriso, salvandola con il suo invito a ballare.

“Ti ho vista in difficoltà. Ti diverti?”
“Sì, ma sai com’è… la famiglia.”

Aurora piegò le labbra in un sorriso e Lewis ricambiò prima di annuire, come se capisse, e farla girare. Ad Aurora piaceva ballare e ben presto si perse nella musica, tra le braccia di suo marito, dimenticandosi momentaneamente di Sean Selwyn. 
Ormai il centro della grande sala era stato raggiunto da altre numerose persone per ballare quando la musica cessò e Aurora sorrise a Lewis, che ricambiò prima di sollevarle una mano e baciarne il dorso, mormorando che era davvero bellissima. 
Aurora stava per ringraziarlo ma venne interrotta da una terza voce, che parlò con tono piatto, ma pur sempre cortese:

“Permetti?” 

I coniugi Carrington si voltarono e un nodo si formò nella gola di Aurora quando si trovò davanti Sean, che in piedi accanto a loro con le mani in tasca teneva gli occhi chiari fissi su suo marito, in attesa. Lewis esitò, osservandolo a sua volta e Aurora seppe che stava studiando il famoso ex fidanzato della moglie che non aveva mai incontrato prima. Ovviamente Aurora gli aveva parlato di lui, sarebbe stato impossibile non farlo avendo mantenuto i rapporti con la famiglia Selwyn anche dopo il suo trasferimento.
Alla fine, però, dopo qualche attimo di esitazione Lewis stese le labbra in un sorriso, annuendo e porgendo la mano della moglie che ancora stringeva all’Auror:

“Certamente.”

Sean gli rivolse un cenno e quando la musica ripartì e lo sposo si fu allontanato sorrise ad Aurora, mettendole delicatamente una mano sulla schiena coperta dalla stoffa bianca del vestito:

“Sono felice di vederti.”
“Anche io.”

“E sono anche molto felice per te. Lewis sembra una brava persona, Charlotte me ne ha parlato molto bene.”
“Lo è.”  Aurora annuì, abbozzando un sorriso mentre Sean le si avvicinava, lasciando che il suo capo si trovasse appena sopra la sua spalla per dirle qualcosa a bassa voce, il volto vicino al suo orecchio:

“È molto fortunato ad averti, spero davvero che sarete felici, te lo meriti.”

Aurora si morse il labbro e si trattenne dal chiedergli di non dire quelle cose con quel tono quasi rammaricato, come se si pentisse di non essere lui al suo posto. Eppure non disse nulla, continuando a ballare con lui come se non l’avesse sentito.
Nemmeno Sean aggiunse altro, parlò di nuovo solo al termine della melodia, guardandola con un sorriso che si estese fino agli occhi chiari donandogli una sfumatura quasi triste:

“Sei bellissima, comunque.”
“Grazie.”

“Ora devo andare, mi dispiace non poter restare più a lungo.”
“Devi andare?”
“Il lavoro e l’Inghilterra chiamano. Congratulazioni ancora, Aury.”

Sean sfoggiò un altro dei suoi maledetti sorrisi e le parole “non chiamarmi Aury” aleggiarono nell’aria tra loro senza però essere pronunciate. Non ce n’era più bisogno, dopotutto.

Aurora si limitò ad annuire, ringraziandolo a bassa voce prima di guardarlo allontanarsi per recuperare la giacca e poi, probabilmente, salutare Charlotte e la famiglia della sposa per poi andarsene.
Forse avrebbe voluto chiamarlo e dirgli qualcosa, ma non lo fece. 
Sean non si voltò indietro e lei non lo fermò, lasciando che sparisse tra la folla con il suo solito incedere calmo ed elegante, quella camminata che avrebbe potuto riconoscere tra mille, volendo.

Aurora rimase ferma, in piedi nella sala, e lo guardò allontanarsi senza poter sapere che non l’avrebbe mai più rivisto. Senza immaginare che sarebbe morto sei mesi dopo.


*


Dicembre 1943


La lettera di Evangeline arrivò il giorno stesso del funerale di Sean, il 23 Dicembre, due giorni dopo la sua morte. 
Pochi minuti dopo averla letta Aurora giaceva, in lacrime, sul suo letto, la lettera abbandonata sul materasso mentre la strega, scossa dai singhiozzi, si teneva la testa tra le mani e le gambe ripiegate contro il petto. 

Era prima mattina e quasi sperò di stare ancora dormendo, che fosse solo un incubo, del resto quando stavano insieme le era capitato di sognare, un paio di volte, Sean sanguinante su un letto del San Mungo.
Le parole della sua migliore amica apparivano però dannatamente reali e nonostante non volesse credere che fosse vero probabilmente lo era. 

Sean era morto, e a causa di una stupida distanza dettata da un intero Oceano lei lo aveva saputo in ritardo. Non voleva nemmeno immaginare come stesse Charlotte, ma Evangeline aveva detto che lei fisicamente stava bene, per fortuna.
La sua amica le aveva comunicato la data e l’orario del funerale, così come il luogo. Avrebbe potuto andare, era in tempo, le sarebbe bastata la Polvere Volante per ritrovarsi a casa dei suoi genitori, in Inghilterra, in un battito di ciglia.
Eppure non era certa che fosse una buona idea. Sicuramente in futuro se ne sarebbe pentita amaramente, ma lo aveva appena saputo e non se la sentiva proprio di andare al suo funerale, vedere tutte quelle persone, farsi guardare con compassione.

Sentì dei passi sulle scale e deglutì, asciugandosi le lacrime con mano tremante quando sentì Lewis fermarsi sulla soglia, esitando prima di avvicinarlesi facendo il giro del letto, guardandola con aria preoccupata:

“Tesoro, cosa c’è? È successo qualcosa?”
Aurora annuì e si lasciò abbracciare dal marito, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo prima di mormorare qualcosa con voce rotta:

“È morto. Sean è morto, due giorni fa.”
“Oh.”   Lewis lanciò un’occhiata di sbieco alla lettera di Evangeline prima di sospirare, accarezzando i capelli scuri della moglie e mormorando che gli dispiaceva:

“Il funerale è oggi? Possiamo andarci se vuoi, non vado al lavoro e ti accompagno.”
“No. Non voglio andarci.”
“Sei sicura?”
“Sì. Sicura. Ma resta qui lo stesso, ti prego.”  

Lewis esitò ma poi annuì, lasciandole un bacio sulla tempia senza aggiungere altro, lasciando che la moglie piangesse e si sfogasse sulla sua spalla.


*


Un anno dopo


Aurora e Charlotte erano sedute in giardino a prendere il thè e la padrona di casa sorrideva mentre teneva gli occhi sulla sua più vecchia amica, che rideva mentre il bambino di poche settimane che teneva in braccio cercava di afferrarle un dito.

Sean era morto circa da un anno ormai… un anno che per Charlotte, lo sapeva, era stato tremendamente difficile. Ma era felice di vederla stare meglio.

“E così stai per sposarti.”
“Già. Riesci a crederci?”
“Considerando con CHI ti sposerai, fatico molto a farlo.”

Aurora abbozzò un sorriso e l’amica la imitò, annuendo debolmente:

“Lo so, è la stessa reazione di tutti, Adela pensava stessi delirando e voleva rinchiudermi in un ospedale psichiatrico.”
“Beh, non mi sorprende. Ma se ti rende felice, allora vuol dire che è la cosa giusta.”

Charlotte sorrise prima di sporgersi e mettere il bimbo tra le braccia della madre, che sorrise al primogenito e gli sfiorò la nuca coperta dalla cuffietta di lana con una mano.

“Ha i tuoi occhi.”
“Sì, ma i bambini piccoli a volte cambiano colore degli occhi… chissà. Vedremo immagino. Cosa c’è John, hai sonno?”

“John, è? Bel nome.”  Charlotte sorrise con l’aria di chi la sa lunga e Aurora la imitò mentre Lewis le raggiungeva con un sorriso, chinandosi per dare un bacio sulla guancia della moglie quando l’ebbe raggiunta:

“Fa freddino… porto dentro l’ometto?”
“D’accordo, mettilo a letto.”

Aurora annuì e lasciò il figlio tra le braccia del padre, che sorrise al bambino prima di allontanarsi. Charlotte lo seguì con lo sguardo prima di rivolgere di nuovo all’amica, un sopracciglio inarcato:

“Lo sa?”
“In effetti no. Ho insistito molto per chiamarlo così, ma gli ho semplicemente detto che mi piace molto come nome. E poi John Carrington suona bene.”
“Sì, beh, è carino. Anche se continuo a preferire la sua variante.”*

Charlotte sfoggiò un sorrisetto quasi divertito che l’amica ricambiò prima di schiarirsi la voce e tirare fuori qualcosa dalla sua borsa, qualcosa che porse ad Aurora parlando con un tono improvvisamente un po’ più cupo:

“Sono venuta anche per darti queste.”
“Cosa sono?!”
“Lettere. Le ho… trovate in un cassetto qualche settimana fa mentre… sistemavo la camera di Sean. Sono indirizzate a te.”

“A me?”
Aurora strabuzzò gli occhi, prendendo la scatola di legno che l’amica le porgeva con leggera confusione: Sean non le aveva mai scritto, se non per il suo compleanno, per rispondere all’invito al matrimonio o ringraziarla per gli auguri che lei gli aveva fatto.

Non aveva idea di cosa fossero quelle lettere.

“Le hai lette?”
Aurora inarcò un sopracciglio mentre sfiorava il coperchio intagliato del piccolo scrigno e Charlotte si affrettò a scuotere il capo, arrossendo leggermente:
“No! Insomma, la prima sì, per capire cosa fossero… le altre non le ho nemmeno guardare, era ovvio che anche quelle fossero indirizzate a te.”
“Quando le ha scritte?”

“Nella prima c’è la data, immagino anche nelle altre.”

Aurora annuì senza averla davvero sentita, aprendo lentamente la scatola e trovando numerose lettere al suo interno. Lettere scritte chissà quanto tempo prima e mai lette. 


“… Grazie CeCe.”
“Di niente. È giusto che le abbia tu, qualunque cosa dicano. Mi dispiace solo che tu le abbia avute così tardi, la prima risale a parecchio tempo fa.”


*


Aurora aspettò di essere sola in casa per leggerle. 
Lewis era al lavoro e e aveva appena messo a letto John quando sedette davanti al suo scrittoio, dove aveva lasciato la scatola inattualità. Ora che la guardava bene, la ricordava. Sean l’aveva presa durante uno dei loro viaggi, in Irlanda. Gli piacevano i simboli celtici sul coperchio, così aveva detto.

Sospirò e aprì il coperchio lentamente, gettando un’occhiata alle lettere riposte al suo interno e tenute insieme con un nastro di velluto verde bottiglia.

Sciolse il nodo e prese la prima, l’unica ad essere stata aperta. Il sigillo in ceralacca, anch’ella verde, era stato rotto e sul retro non c’era scritto nulla. Sorrise nell’immaginare Charlotte aprirla con leggera confusione e poi richiuderla in fretta e furia con imbarazzo una volta capito a chi il fratello l’avesse scritta.
Curioso, inoltre, era che tutte le lettere fossero state sigillate, ma prive di destinatario sul retro o di un indirizzo. Quasi come se Sean non avesse mai avuto intenzione di spedirle ma le avesse sigillate ugualmente per imporsi di non rileggerle mai.


L’ex Corvonero sospirò e tolse la prima lettera dalla busta, dicendosi di smetterla di rimandare e di decidersi a leggerle. Era curiosa, molto, ma da un lato aveva quasi paura all’idea di leggere tutte quelle parole che Sean non aveva mai avuto il coraggio di farle avere. Chissà, forse se non fosse morto così presto non le avrebbe mai lette, forse un giorno le avrebbe bruciate tutte.


25 Giugno 1939


Cara Aurora, 
Te ne sei andata ormai da un mese esatto e sembra impossibile che due mesi fa stavamo invece festeggiando insieme il tuo compleanno. Ne abbiamo festeggiati insieme così tanti e oggi ho pensato che non sarà più così. Mi è sembrato strano.
Forse ho sbagliato quel giorno a lasciarti andare, mi manchi molto. Quando eri qui era tutto molto più sopportabile. Ma so che è colpa mia e se te ne sei andata, spero che tu stia bene… meglio di me, almeno. 
Charlotte non fa che dirmi di venire da te e chiederti di tornare, ma non credo che lo farò mai. Tengo troppo a te per impedirti di essere felice, Aury, in America starai sicuramente meglio, almeno saprò che sei al sicuro. 


Era passato del tempo dall’ultima volta in cui aveva pianto per lui, ma quel pomeriggio Aurora Temple in Carrington versò molte altre lacrime per Sean Edgar Selwyn. Leggere quelle parole che lui non aveva mai avuto il coraggio di spedirle fu un supplizio, sempre peggio man mano che andava avanti, che il tempo passava.



… È mio primo compleanno da quando ne avevo otto che non passo con te. Stavo per venire da te, oggi, ma è Natale e sarai con la tua famiglia adesso. Qui ormai nessuno ha più voglia di festeggiare, va tutto sempre peggio, ma con te sarebbe stato sicuramente meglio. Mi ci abituerò, suppongo. Buon Natale, Aurora. 



Non sapeva cosa aspettarsi quando Charlotte le aveva dato le lettere, ma di certo non tutto quel rimpianto che trasudava dalle parole di Sean. 



19 Marzo 1941


È da un po’ che non ti scrivo. Ho saputo che hai incontrato una persona… sono felice per te. Io non riesco a legarmi a nessuna dopo di te, forse avrei dovuti dare retta a Charlotte e venirti a prendere molto tempo fa. Ma ormai è tardi, forse.
Mi dispiace.



22 Dicembre 1942


Oggi mi è arrivato l’invito al tuo matrimonio, ero quasi tentato di rifiutare… ma voglio vederti, Aurora, anche se sarà tremendo. Charlotte dice che Lewis è una brava persona, e anche Jack. Lo spero tanto per te, ma anche per lui. Sono felice di sapere che sei andata avanti e verrò, voglio vederti sorridere. Non so se riuscirò a dirti tutto quello che ho scritto da quando te ne sei andata e forse sarebbe ingiusto farlo al tuo matrimonio… ormai è tardi, vero?




Aurora non lesse l’ultima quel pomeriggio, che in seguito scoprì essere stata scritta il giorno in cui Sean morì. Decise che era abbastanza, le lacrime che le rigavano il volto ne furono la conferma. 
In una delle prime lettere Sean ribadiva che gli mancava molto, che avrebbe quasi voluto andare da lei. Le chiedeva di tornare.

E per la prima volta in vita sua Aurora Temple si ritrovò ad odiare davvero Sean Selwyn, perché sapeva che se avesse spedito anche solo la prima lettera sarebbe tornata in Inghilterra in un battito di ciglia, senza mai voltarsi indietro. Chissà, forse non sarebbe morto, forse sapendo di avere qualcosa da perdere avrebbe fatto più attenzione.

Stupido, stupido Sean. Perché non le aveva mai detto o fatto avere quelle parole? Poteva andare da lei, poteva spedire quelle lettere, fino al matrimonio sarebbe corsa da lui.
Ma aveva ragione, ormai per loro era tardi.

Stupido, stupido Sean. 


*



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Sul prato erano state sistemate poltroncine, tavolini e divanetti e mentre un elfo serviva tè e alzate per dolci cariche di dolcetti Aurora sorrideva. 
Sorrideva mentre faceva vagare lo sguardo sulle persone che sedevano intorno a lei, che parlavano, che sorridevano a loro volta, che riportavano al prendete ricordi ormai lontani della scuola, finita ormai 17 anni prima proprio quel giorno.

La fine di Giugno si avvicinava, era il primo giorno d’Estate e l’erba verdissima del grande giardino pullulava di fiori colorati, di bambini e di ragazzini che giocavano.

Aurora guardò sua figlia Edith sgambettare nel prato tenendo Camille per mano mentre implorava suo fratello maggiore, Gale, Claude e Sean di farle giocare con loro, proprio come lei e Charlotte facevano con i loro fratelli.
La piccola Krystal era seduta su una copertina e si godeva contenta le attenzioni che Eleanor, Eloise e Berenice le rivolgevano mentre Andrew giocava con Graham poco più là. Rose e Virginia invece erano sedute su un’altra coperta, impegnate a spazzolare e a vestire delle bambole.

Intorno alla padrona di casa c’erano Jack, Evangeline, Regan seduto accanto a Gabriel e a Will mentre rideva di una qualche figuraccia passata fatta in classe dal primo mentre Stephanie, in ascolto con un sorriso sul volto, ed Elena non sembravano intenzionate a perdersi una sola parola.
C’era anche Charlotte, che le rivolse un sorriso. Aurora ricambiò e si rilassò contro lo schienale della poltroncina prima di portarsi alle labbra la tazza di thè. Felice.
Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui si erano visti tutti insieme e sembra che manchi solo Sean. 

Poi l’attenzione di Aurora si spostò sulla figlia, che le si avvicinò insieme a Camille con aria cupa:

“Mamma, John non vuole che giochiamo con loro!”
“Sì!”

Camille annuì con aria sconsolata e Charlotte sorrise appena prima di parlare, suggerendo alle due bambine di fare come aveva imparato a fare anche lei molti anni prima: fregarsene.

“La zia CeCe ha ragione, Edith. Andate a giocare per conto vostro.”
“Ok…”

Edith annuì prima di rivolgersi all’amica, sorridendole prima di annunciare che le avrebbe mostrato i suoi pupazzi nuovi per poi sfrecciare verso casa con Camille al seguito.
Sia Aurora che Charlotte le seguirono con lo sguardo e la seconda sorrise, divertita:

“Noi una volta non gli abbiamo lanciato contro dei gavettoni per ripicca?”
“Sì CeCe, ma questo loro non lo devono sapere.”


*


“Zia, mi fai vedere il tuo animale d’argento?!”

Aurora sorride, sa a cosa la bambina si riferisce, ma lo stesso non si può dire di Charlotte, che rivolge alla piccola Edith un’occhiata confusa prima di parlare:

“Quale animale, tesoro? … Intendi il mio Patronus?”
“Sì! La mamma mi ha fatto vedere il suo l’altro giorno, sono bellissimi!”

Edith sorride e annuisce, gli occhi azzurri luccicanti e immediatamente Camille chiede a cosa si stia riferendo l’amichetta prima che la madre annuisca, tirando fuori la sua bacchetta:

“D’accordo allora. È da molto che non lo evoco… Ecco.”  

Degli “ooh” ammirati lasciano le labbra delle due bambine quando un grosso felino si muove sinuosamente per il salotto, galleggiando a mezz’aria e lasciandosi una scia argentea luminosa alle spalle.

“Cos’è mami? Un leone?”
“No tesoro, è un puma.”
“Che bello… e il tuo com’è zia?!”  Camille si rivolge ad Aurora e Edith chiede alla madre di farle rivedere il suo, così la padrona di casa annuisce e prende la bacchetta a sua volta. Si concentra per qualche istante, poi sotto lo sguardo di amica e bambine evoca il suo Patronus. 
Ma quello che vede non è ciò che Charlotte si aspettava.

Un’aquila si libra nella stanza, stridendo mentre agita le grande ali piumate e plana sopra le loro teste. Aurora abbozza un sorriso e non dice nulla’ così come Charlotte, che osserva il Patronus in silenzio.
Poi anche l’Auror sorride, e se non la conoscesse così bene Aurora potrebbe giurare che sia quasi commossa mentre tiene gli occhi verdi fissi su un’aquila familiare che non vede ormai da parecchi anni.
Entrambe la guardano e sembra quasi che per qualche istante lo Sean che hanno tanto amato sia ancora, lì, tra loro. 


“Sono tornat- Oh, state facendo dimostrazioni sui Patronus? Non avevo mai visto il tuo, Aurora, è molto bello.”  Lewis le sorride mente le si avvicina, lasciando la valigetta sul divano prima di chinarsi e baciarla. 
Charlotte continua a sorridere ma a non dire nulla, guarda l’aquila sparire, si chiede solo se Sean sapesse che il Patronus di Aurora aveva cambiato forma e vorrebbe che fosse lì per vederlo.


“Sì, beh, le bambine ci hanno chiesto di farglieli vedere.”
“Quando vedrò anche io il mio?!”

“Con calma Edith, con calma.”


*


Il suo terzo libro è ormai finito. Letto, riletto, corretto, revisionato, persino l’indice e la copertina sono pronti. 
L’unica cosa che manca al manoscritto prima di essere rilegato e stampato su larga scala è la dedica. 
Aurora fissa la pagina ancora completamente bianca, poi si decide e aggiunge quelle ultimissime parole.

Un bracciale d’argento ormai leggermente arrugginito dal tempo che ormai porta quasi ogni giorno tintinna al suo polso ogni volta in cui muove il braccio e quando finisce di scrivere Aurora sorride, s’abbandona contro lo schienale della sedia e osserva con soddisfazione il suo lavoro finalmente completo. È seduta allo scrittoio come sempre, una scatola di legno con simboli celtici sul coperchio è sempre lì, la scatola che contiene parole che riescono sempre, rileggendole, a farle trovare l’ispirazione. 


Perché forse infondo era questo che faceva Sean, tirava fuori il meglio di lei e la spingeva ad andare avanti, sempre e comunque. 


Ad S. 
Che non mi ha mai permesso di arrendermi 






* Il nome Sean non è altro che la variante irlandese di John





In questa OS si parla di Aurora quando si è già trasferita in America, lontano da Sean, della sua vita dopo di lui, ma presto ne pubblicherò un’altra ambientata nei cinque anni compresi tra il Diploma e la sua partenza.

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Capitolo 9
*** Beatrix ***


Beatrix 

 
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“Sei davvero sicura di volerlo fare?”
“Assillarmi con queste domande fa parte di un tuo subdolo piano per non farmi partire nella speranza che il desiderio che tu la smetta prevalga su quello di andarmene?”

“Se vuoi vederla in questo modo… è solo che mi mancherai.”
Davina, seduta sul suo letto, si strinse nelle spalle mentre guardava la sorella maggiore infilare tutte le sue cose nello stesso baule che, per anni, aveva riempito per andare ad Hogwarts ma che ora sarebbe servito per altri scopi.
“Anche voi mi mancherete, ma tu passeresti comunque gran parte del tempo ad Hogwarts, saremmo state lontane in ogni caso. Non è così terribile, tornerò sicuramente per Natale per vedervi.”

Beatrix sorrise alla sorella, che annuì e si sforzò di ricambiare prima di sospirare, appoggiando la testa contro il muro e mormorando che sarebbe stato strano andare a scuola senza di lei o Markus.

“Lo so, l’anno scorso è stato strano anche per senza Mark. Ora è tuo il compito di controllare Ed, non deluderci.”
“Perché, ti risulta forse che Edward mi ascolti?! Ascolta solo Markus, e a malapena! Però sono felice di non dover più vedere Adrian aggirarsi per i corridoi con quel suo fare altezzoso.”

Divina accennò ad una smorfia con le labbra e l’ex Tassorosso rise, annuendo alle parole della sorella mentre una serie di maglioni si piegavano magicamente da soli per poi palancare nel baule:

“Hai ragione, quello non è mancato nemmeno a me. No, quella parte della famiglia non mi mancherà affatto.”
“Nostro padre non era molto felice quando la mamma gli ha detto che intendevi andare in America per diventare Spezzaincantesimi…”

“Lo immaginavo. Ma sai una cosa? Non mi importa un granché. E mi raccomando, ora inizi il sesto anno, forse cercherà di rifilarti a qualcuno come ha fatto con me, quindi occhi aperti.”
“Tranquilla, se si metterà male seguirò il tuo esempio e fuggirò oltre la Manica.”

“Io non sto fuggendo, Davina. Mi… allontano, è diverso.”
“Sarà. Non che voglia giudicarti, ti capisco benissimo… non sarai più solo la figlia illegittima di un Burke, finalmente.”
“È quello che spero.”


*


“E così tu stai per andare in America e il tra un paio di mesi raggiungerò mio fratello in Romania… non è strano?”
“Forse un po’, ma succede che dopo la scuola le strade si dividano, Kat… Ma sei pur sempre mia cugina, nonché la mia migliore amica, sono sicura che si incroceranno di nuovo.”

Beatrix sorrise a Katherine mentre, tenendola a braccetto, si godeva la sua ultima passeggiata a Diagon Alley. L’ex Grifondoro annuì, apparentemente non molto convinta, e parlò con un sospiro malinconico:

“Spero che tu abbia ragione, ti va di accompagnarmi un’ultima volta al Ghirigoro?”
“Guarda che non sto partendo per arruolarmi nell’esercito per la guerra, Kat, tornerò!”

“Non ti prenderebbero comunque, primo sei una donna e secondo sei troppo bassa.”
“Ha parlato la vichinga di un metro e ottanta… forza, andiamo. Mi mancherà molto Diagon Alley.”
“Anche a me. E certo, ci rivedremo, ma vivremo entrambe fuori dal Regno Unito per quando succederà, chissà se torneremo qui insieme.”

“Chissà, magari un giorno vorrai mandare ugualmente i tuoi figli ad Hogwarts e chiederai a questa povera martire di accompagnarti a comprargli le cose per la scuola.”
Beatrix abbozzò un sorriso ma Katherine non la imito, sfoggiando invece un’espressione accigliata: 
“Sposarmi non rientra nelle mie prospettive più prossime, Beatrix.”
“Oh, nemmeno nelle mie, ma chi può dire cosa succederà?”


*


“Tesoro, sei assolutamente sicura di volerli portare TUTTI con te?”

Juliet inarcò un sopracciglio e rivolse un’occhiata scettica alla figlia e ai tre gatti che non sembravano affatto felici di essere stati rinchiusi nelle loro gabbiette mentre la padrona, che teneva Ecate, la sua preferita, tra le braccia, annuiva e guardava la madre come se avesse detto una pazzia:

“Certo mamma, non posso abbandonarli! Mi mancherebbero fin troppo.”
“Un modo come un altro per dire che noi le mancheremmo meno dei gatti…”

Markus alzò gli occhi al cielo e la sorella minore gli rivolse un’occhiata torva prima di lasciare anche la gatta nera nella sua gabbia, appoggiata sopra al baule insieme al resto dei suoi bagagli.

“Mi manderete anche voi, stupido, solo che TU non puoi essere messo in gabbia, a differenza loro.”
“Grazie al cielo. Ci sentiamo presto, abbi cura di te.”

Markus le sorrise prima di abbracciarla con calore e Beatrix ricambiò la stretta, mormorando che gli sarebbe mancato moltissimo e suggerendogli di andare presto a trovarla.

“Lo farò. E ti porterò gli ossequi dei nostri amatissimi fratellastri, ovviamente.”
“Il massimo che mi manderebbero sarebbe una Strillettera piena di insulti, ma li capisco. Io farei altrettanto con loro.”
“Potremmo mandarne una ad Adrian, il suo compleanno si avvicina.”
“Ma allora anche tu hai qualche buon idea ogni tanto, fratellone.”


*


“Allora, gli studi come vanno?”
“Bene, direi, è stato un grande cambiamento ma è quello che volevo, dopotutto. Tu come ti trovi qui? Qualche bruciatura?”

“Mi sono procurata un paio di cicatrici, ma mio fratello sostiene che ogni cicatrice sia una storia da raccontare, quindi… dimmi, com’è vivere tra gli yankee?”

“… Diverso. È davvero una cultura diversa, anche se parliamo la stessa lingua… insomma, loro non bevono il thè delle cinque, è stata dura! Ma mi piace, è bello non sentir parlare costantemente di Germania, Hitler, Grindelwald…”
“Sì, anche per me. E non vedo l’ora di farti conoscere Alexei.”

“Alla faccia di quella che non intendeva sposarsi nell’immediato futuro…”

“Chi dice che sto per sposarmi?! E tu invece, cuginetta, hai qualcosa da raccontarmi sotto questo punto di vista?”
Beatrix si strinse nelle spalle, gli occhi chiari fissi sulla tazza che teneva in mano seduta nel salotto della casa di Maximilian, dove Kat viveva da quando si era trasferita in Romania. 

“No, te l’ho già detto. Ho altro a cui pensare.”
“Se lo dici tu… spero solo che tu sia felice, Beatrix.”
“Lo sono. Sono finalmente Beatrix Morgan a tutti gli effetti, nessuno mi conosce, nessuno conosce la mia famiglia o se anche fosse non il mio legame con i Burke… è quello che voglio da anni ormai, e credo di voler rimanere solo Beatrix Morgan per un po’. Sai come vanno le cose Kat, quando una donna si sposa spesso non diventa altro che la moglie di qualcuno.”


“Uhm, un vero peccato. Ti ci vedo ad innamorarti follemente di un folletto…”

Katherine si portò la tazza alle lebbra per bere un sorso di thè celare una risatina, ma a ridere fu Beatrix quando le ebbe lanciato contro un cuscino e il thè si rovesciò sul tappeto.


*


Beatrix Morgan aveva sempre avuto un’indole piuttosto tranquilla e pacifica, non era solita litigare con nessuno fin da bambina e negli anni le uniche persone che si era ritrovata a disprezzare erano state i suoi fratellastri. 
Eppure quel giorno l’ex Tassorosso attraversò a passo di marcia il salone principale della banca con un solo pensiero in testa: voleva firmare rapidamente quella dannata tabella delle presenze – aveva imparato quanto i folletti fossero orribilmente pignoli – e andarsene dritta a casa. 
Quel giorno Beatrix decise che anche i folletti meritavano un posto nella sua personale “lista nera”.
 
E pensare che a scuola si era quasi dispiaciuta per loro quando aveva studiato tutte quelle rivoluzioni a Storia della Magia…

Stava giusto formulando pensiero poco lusinghieri nei confronti di quelle creature, con cui era stata a tanto così dall’insultare solo poco prima a causa delle loro continue lamentele per qualunque cosa dicesse o facesse, quando una voce dal tono quasi divertito giunse alle sue orecchie mentre apportava la sua firma per segnare la fine del suo turno:

“Giornata pesante?”
“Ne ho avute di migliori.”

Beatrix appoggiò la piuma mentre solleva alo sguardo sul suo inaspettato interlocutore, rivolgendo un’occhiata curiosa e incerta al ragazzo che aveva accanto e che le sorrise leggermente come se la capisse:

“Se lavori qui è comprensibile, i folletti non sono facili da gestire.”
“Per niente. Sono una Spezzaincantesimi.”

“Io lavoro per il MACUSA, mi hanno mandato qui per fare dei controlli sui prelievi e le transazioni. Sono Chris.”
“Beatrix.”

La bionda abbozzò un sorriso e strinse la mano che lo sconosciuto le porgeva, anche se svanì quando prestò maggiore attenzione al suo abbigliamento a dir poco riconoscibile:

“… Sei un Auror?”
C’era una nota quasi amara nella voce di Beatrix e Christopher annuì, senza smettere di sorridere mentre la guardava con curiosità:
“Sì. Sei una di quelli a cui non piacciamo?”

“In un certo senso. Ma non perché ho la fedina penale sporca.”
Beatrix girò sui tacchi e si allontanò dopo avergli rivolto un cordiale cenno di saluto, astenendosi dal dargli ulteriori spiegazioni e sentendo il suo sguardo carico di curiosità addosso.

Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che l’avrebbe rivisto presto.


*


Beatrix stava andando verso gli ascensori quando si sentì chiamare e, voltandosi, accennò un sorriso quando scorse una figura ormai familiare avvicinarlesi:

“Oh, ciao. Ancora qui?”
“Sì, so che non ami noi Auror ma temo che di tanto in tanto dovrai continuare a sopportare la nostra presenza. Non ti ho vista per un paio di settimane.”
“Oh, mi hanno spedita a controllare delle presunte maledizioni in degli scavi a Il Cario. È stato bello, però, non ero mai stata in Egitto. Tu sei ancora alle prese con dei controlli?”

Christopher annuì mentre premeva il bottone del piano terra, esitando prima di voltarsi verso Beatrix e parlare nuovamente:

“Posso chiederti perché non ti piacciono gli Auror?”
“Non è che non mi piacciono, fate un lavoro davvero molto importante e c’è bisogno di voi, naturalmente, è solo… mi fa venire in mente una persona.”

Beatrix si strinse nelle spalle, parlando con tono neutro mente l’ascensore si fermava e le sue porte si aprivano, permettendole di uscire seguita dall’Auror, che esitò prima di annuire e parlare con un tono che risuonò quasi strano alle orecchie della strega:
“Oh, capisco.”

Beatrix si voltò verso di lui, trovandolo non più sorridente e accigliato, e sorrise, scuotendo il capo quasi con fare divertito:

“No, non è quello che pensi… mio padre è un Auror. In Inghilterra, ovviamente. Anzi, credo che ora sia diventato il Capo del Dipartimento.”
“Dici davvero? Tu sei… sei la figlia di Marcellus Burke?”

Christopher strabuzzò gli occhi e Beatrix annuì, sfoggiando una piccola smorfia mentre qualcosa nel suo stomaco si contorceva: era da molto che non parlava di suo padre ad alta voce… ed era la prima volta che parlava della sua famiglia con qualcuno conosciuto negli Stati Uniti, praticamente.

“Già. E prima che tu me lo chieda con aria spaesata, visto che sai come mi chiamo, no, non ho il suo cognome.”
“Beh, non sono affari miei. Ma qualunque cosa sia successa tra te e tuo padre, Beatrix, ti posso assicurare che noi del MACUSA siamo i migliori.”
“Ora sì che sono rincuorata.”

“Beh, non è giusto discriminarci tutti per un solo Auror, non credi? Anche se si tratta del più importante in Inghilterra. Ora devo andare, le simpatiche creature mi aspettano.”

“Buona fortuna.”

Beatrix si fermò e lo guardò superarla e rivolgerle un cenno di saluto dopo essersi voltato per sorriderle. Poi l’ex Tassorosso si diresse verso l’uscita, grata per non averle chiesto nulla su suo padre.


*


“Ma mi spieghi perché fai quella faccia?! Guarda che non tutti gli Auror sono come tuo padre, mia cara!”
“Lo so, lo so… in realtà non capisco perché ne stiamo ancora parlando, non sono nemmeno sicura che mi piaccia.”
“Certo che ti piace! E anche tu gli piaci, ne sono sicura.”

“Non l’hai nemmeno mai visto, Kat, come fai a dirlo?”
“Che importa, io ho ragione 8 volte su 10! E poi non ti sembra strano che venga COSÌ spesso in banca? O ci sono dei truffatori trafficanti di non so che cosa in giro o viene per salutare la Spezzaincantesimi più attraente degli Stati Uniti.”

Katherine sorrise quasi con aria soddisfatta mentre teneva Ivan in braccio e la cugina, che invece stringeva Alexandra, spalancò gli occhi e arrossì leggermente:

“Ma che dici?! Non viene per vedere ME!”
“Ah no? Cielo Beatrix, ti adoro ma sei proprio una piccola, dolce, ingenua Tassorosso. Persino Gabrielle ci arriverebbe, ne sono certa.”

“Kat, Gabrielle ha quattro anni.”
“Appunto, fatti qualche domanda.”


*


“Ciao Beatrix.”
“Oh, ciao… di nuovo qui? Non che mi dispiaccia vederti, ma evidentemente la banca ha più problemi di quanto potessi immaginare…”

“Non sono qui per lavoro, volevo vedere te.”

Beatrix alzò lo sguardo e gli rivolse un’occhiata sinceramente perplessa , guardandolo osservarla con la fronte aggrottata mentre stringeva nervosamente il capello tra le mani.

“Oh, d’accordo. Vuoi parlarmi di qualcosa?”
“Sì. Volevo chiederti se sei disposta a mettere da parte la tua antipatia per noi Auror e venire a cena con uno di loro.”

Beatrix in un primo momento esitò, poi accennò ad un sorriso con le labbra, ripensando alle parole di Katherine prima di annuire:

“Immagino di poter fare un’eccezione per una volta. In fin dei conti, a chi non piacciono gli uomini in divisa?”


*



“Tesoro, sei sicura di non voler invitare i tuoi fratelli?”
“Io inviterò i miei fratelli eccome, Chris, solo non inviterò i figli di mio padre, è diverso. Lui non è invitato, non vedo perché dovrei invitare loro. Mi accompagnerà Mark all’altare, non è certo un problema.”

Beatrix sbuffò debolmente mentre scarabocchiava qualcosa sulla lista degli invitati al matrimonio che stava compilando insieme al fidanzato, che però le sorrise con il suo solito modo di fare rassicurante e allungò una mano per stringere la sua:

“È una scelta tua, non voglio importi niente… voglio solo che tu sia felice, se non te la senti non li inviteremo. Ok?”
L’ex Tassorosso annuì e accennò ad un sorriso carico di gratitudine con le labbra mentre lo guardava con affetto, sfiorandogli le dita con le sue:

“Grazie. Sei comprensivo oltre ogni misura.”
“Beh, da quello che mi hai raccontato non si sono comportati bene con te, nemmeno tuo padre.”

“Già, non credo sarà nemmeno felice di questo matrimonio, sperava più che altro in un ragazzo Purosangue. Inglese, sopratutto. Ma a giudicare da come vanno a finire la maggior parte dei matrimoni tra Purosangue nel mio Paese, sono felice che tu sia diverso. Credo che l’unica cosa che tu e mio padre avete in comune sia il vostro lavoro.”

“Me lo hai già detto una volta, tanto tempo fa… mi sono chiesto se fosse un bene o meno, ora so che lo è.”

Christopher sorrise e Beatrix lo imitò, annuendo mentre lo guardava con affetto e stringeva la sua mano sul tavolo:
“Ci puoi scommettere.”


*


“Alex, non devi LANCIARE i petali, devi farli cadere con grazia e delicatezza sul tappeto… Vedi, così.”

Katherine prese un paio di petali per mostrar per l’ennesima volta alla figlia come fare, incurante del broncio che faceva capolino sul volto della bambina mentre la futura sposa, alle loro spalle, sorrideva:

“Kat, non importa, non è oggi il matrimonio… e in ogni caso Alex sarà troppo adorabile e nessuno presterà attenzione e come farà cadere i petali, vero tesoro?”
“Zia, posso il gelato? Sono stanca…”

“Adesso te lo porto tesoro, vai a sederti. Dovrebbe riposarsi anche tua madre, invece di preoccuparsi per niente.”

Beatrix rivolse un’occhiata in tralice alla cugina, che però sbuffò e ribadì per l’ennesima volta di essere incinta e non malata ma che voleva anche lei un’enorme coppa di gelato.

“Ora te la porto, Signora Smirnov… cielo, Alexei è un santo a sopportarti!”
“Che hai detto scusa?”
“Chiedevo se ci vuoi la panna sopra…”
“Ovvio, che domande!”



*



Beatrix, memore della sua esperienza personale, era stata scettica per anni sul fatto di crearsi, un giorno, una famiglia propria.
Certo, lei non era come sua madre e non si sarebbe mai sognata neanche lontanamente di intraprendere una relazione con un uomo sposato, e per di più appartenente ad una famiglia molto in vista, ma per quanto volesse bene ai suoi fratelli era stata a lungo scettica sullo sposarsi e avere figli a sua volta.

Eppure quel pomeriggio sorrideva, mentre faceva dondolare ad un ritmo lento ma sostenuto la culla dove suo figlio di pochi mesi sonnecchiava. Per anni non aveva desiderato altro se non essere solo e soltanto Beatrix Morgan, e non la figlia illegittima di Marcellus Burke, agli occhi del mondo e ci era riuscita, era andata a vivere lontano dalla sua famiglia e da quel nome e aveva iniziato una nuova vita senza l’ombra di suo padre appresso. 
Per qualche anno era stata veramente solo e soltanto Beatrix Morgan, ma ad un certo punto era stata ben felice di fermarsi per fare un passo avanti. E aveva avuto quello che sua madre non avrebbe mai potuto avere, un marito e un figlio che portasse il nome di suo padre.
Voleva bene a sua madre e non la disprezzava per le scelte che aveva fatto... solo, faticava a capirle appieno.

Quando sentì la porta al piano terra aprirsi e poi chiudersi sorrise senza staccare gli occhi dal volto rilassato del bambino, udendo distintamente i passi sulle scale prima di sentire la voce del marito propio alle sue spalle, sulla soglia della stanza:

“Il piccoletto dorme?”
“Sì, come un sasso.”
“Peccato…”
“Oh, non sognarti nemmeno di svegliarlo, stavo iniziando a prendere in considerazione l’idea di dargli una botta in testa pur di farlo dormire!”

Beatrix continuò a non voltarsi e sentì Christopher ridere debolmente mentre le si avvicinava, sedendo accanto a lei sul bracciolo della poltrona e gettando un’occhiata al figlio prima di chinarsi e darle un bacio su una guancia:

“Vedo che ti godi la maternità.”
“Adoro il mio lavoro, ma ammetto di preferire il nostro Andrew ad un branco di folletti.”



*


Erano entrambi in piedi, appoggiati ai lati dello stipite della porta della cameretta di Andrew, che non sembrava molto intenzionato a dormire e continuava a correre per la stanza ridacchiando sotto gli sguardi attoniti dei genitori:

“Sono le dieci passate. Come fa ad avere così tante energie?!”
“È a dir poco esagitato… e non è normale! …. Chris, se gli hai dato del caffè da bere per sbaglio questo è il momento di dirmelo.”

“Non gli ho dato nessun caffè, non so perché è così esagitato stasera! Forse dovremmo farlo stancare in qualche modo.”

L’Auror rivolse un’occhiata incerta al bambino di un anno che sgambettava allegramente per la stanza, correndo intorno al suo lettino mentre Beatrix scuoteva il capo, mordicchiandosi il labbro inferiore con aria pensierosa:

“Forse… potremmo portarlo fuori a fare un giro.”
“A quest’ora?!”
“Preferisci continuare a guardarlo mentre corre come un maratoneta?! Drew, ma che hai stasera?!”

Beatrix sospirò mentre si avvicinava al bambino per prenderlo in braccio, ignorando le sue proteste e il suo scalciare per tornare sul pavimento mentre Christopher continuava ad osservarlo con cipiglio assorto:

“Forse ha ingerito troppi zuccheri…”
“Ti avevo detto di non dargli il gelato!”


*


“Bambini, sedetevi vicino a papà e non fate confusione! Ciao tesorino, sei bellissimo, lo sai?”

Katherine sfilò Alexander dalle braccia di Christopher con un largo sorriso sul volto mentre, alle sue spalle, i quattro figli più grandi prendevano posto accanto al padre, che si limitò ad alzare gli occhi al cielo senza obbiettare mentre Beatrix sorrideva con affetto alla cugina, accarezzando delicatamente il capo del figlio:

“Ciao Kat… sei pronta?”
“Prontissima a fare da madrina a questo bambolotto. Markus è già arrivato?”
“Sì, sta parlando con Maxi. Non avete portato Katja?”
“No, avrebbe pianto per tutto il tempo e disturbato la cerimonia… l’ho lasciata da mia madre, spero che sopravviva.”

Katherine accennò ad una smorfia con le labbra che fece ridacchiare Christopher mentre Beatrix tratteneva a stento un sorrisetto e un bambino biondo dagli occhi chiari sgambettava verso i genitori, aggrappandosi alla gamba del padre e parlando con tono lacrimoso:

“Anche io voglio stare in braccio!”
“Andrew, è il battesimo di tuo fratello, tu devi stare seduto vicino alla nonna!”
“No!”
Il bambino di due anni scosse il capo con decisione e Katherine si stampò un sorriso sul volto prima di chinarsi leggermente verso di lui:

“Tesoro, dopo ti terrò in braccio per tutto il tempo che vorrai... ora vai a sederti vicino ad Isaak, ok?”
“Ok…” il bambino sbuffò appena ma obbedì, trotterellando verso i cugini per sedersi accanto a loro mentre Christopher aggrottava la fronte, rivolgendosi a Katherine con leggera confusione:

“Come ci sei riuscita in quattro e quattr’otto?!”
“I bambini ascoltano sempre i genitori degli altri più dei propri… Anche tu, vero piccolo Alex? Tu adori la zia Kat! … ora che ci penso, sarà un problema, abbiamo entrambi un Alex in casa!”

“Vorrà dire che chiameremo Alexandra Alexa…”



*


“Va bene piccolo… la mamma adesso deve andare via, ti vengo a prendere più tardi, ok?”

Beatrix, mordicchiandosi nervosamente il labbro, studiò con attenzione il visino del figlio mentre Andrew, tenendola ancora per mano, la osservava con gli occhi blu quasi confusi. 

Gli sistemò quasi automaticamente il colletto del grembiulino e poi, dopo avergli dato un bacio sulla testa, si sforzò di sorridergli prima di rimettersi in piedi e allontanarsi, dandogli le spalle e imponendosi di non voltarsi.

“… Mamma?!”
Il richiamo del bambino, che parlò con una nota allarmata nella voce, giunse quasi immediatamente alle sue orecchie e la strega sospirò, dicendosi di non voltarsi e di dirigersi verso l’uscita dell’asilo a passo spedito.
Sapeva che sarebbe stato difficile lasciarlo lì per la prima volta, ma sperava vivamente che non iniziare a piangere come un disperato pensando che volesse abbandonarlo…

“Mamma!”
Malauguratamente Beatrix si voltò, incontrando lo sguardo triste del figlio. E si maledì per averlo fatto un istante dopo, quando Andrew corse verso di lei per abbracciarle le gambe.

“Tesoro, la mamma deve andare, tu resterai qui a giocare con gli altri bambini, ti divertirai…”
“No, voglio te!”
“Ma piccolo, su…”


Quando riuscì a liberarsi del suo abbraccio Andrew stava praticamente singhiozzando, seduto sul pavimento, e Beatrix sospirò mentre usciva dall’edificio il più rapidamente possibile, pregando affinché il giorno seguente fosse più semplice del primo.




“Allora, com’è stato lasciarlo all’asilo stamattina?”
“Domani ci pensi tu, Chris. Non fare domande.”


*


“BAMBINI, FATELA FINITA IMMEDIATAMENTE! Se vedo un altro trenino volare TUTTI i trenini spariranno, capito?!”

“Ma mamma, Alex mi ruba i giochi!”
“Non sono tuoi!”
“Sì!”
“Sono anche miei!”
“Non è vero!”

Beatrix sospirò, passandosi una mano sugli occhi e chiedendosi sinceramente come avesse fatto sua madre a crescere quattro figli quasi da sola. Lei stava rischiando un esaurimento con due, e il fatto che a breve sarebbero diventati tre non l’aiutava di sicuro.

Sorrise con sollievo quando le fiamme del camino divennero verdi, segno che suo marito stava per tornare a casa… quando apparve nel salotto Chris sorrise alla famiglia, guardando i figli con affetto prima che i bambini lasciassero finalmente perdere i giochi per abbracciarlo:

“Ciao, ragazzi… come state? State facendo dannare la mamma? Ricordatevi che deve riposarsi, ha un bambino nella pancia.”
“Riposarsi, non so più cosa significa, in pratica… sono felice di vederti.”

Christopher sorrise prima di sedersi accanto a lei sul divano e darle un bacio su una guancia, circondandole le spalle con un braccio mentre Andrew elencava a gran voce tutto quello che aveva fatto a scuola quel giorno:

“Immagino. Come stai?”
“Bene, fisicamente, ma hai presente quando ho detto che se sarebbe stato un terzo maschio sarei tornata in Inghilterra e tu hai riso? Beh, volevo informarti che non stavo scherzando, tesoro.”


*



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Beatrix stava praticamente correndo lungo il corridoio dell’ospedale, Arn in braccio e Alexander per mano mentre Andrew le arrancava alle spalle, continuando a chiedere alla madre cosa stesse succedendo e dove fosse il padre.

“204, 205… 206. Aspettate qui, Andrew, tieni d’occhio tuo fratello. Torno subito.”

Andrew fece per replicare ma l’occhiata che la madre gli rivolse lo costrinse a cambiare idea, annuendo mentre prendeva posto insieme ai fratellini sulle sedie addossate al muro. Beatrix invece esitò prima di aprire la porta della stanza, sospirando quando posò gli occhi sul marito, seduto su un letto con il braccio fasciato e che sorrise quando la vide:

“Chris… stai bene?”
“Un po’ ammaccato, ma sto bene. I bambini?”
“Li ho lasciati qui fuori, spero non distruggano l’ospedale in cinque minuti… ero preoccupatissima.”

Beatrix sospirò e, dopo essersi chiusa la porta alle spalle, si avvicinò al letto per sedersi accanto al marito e abbracciarlo, sentendo la sua mano sana accarezzarle la nuca:

“La fanno sempre più grave di quanto non sia in realtà, non preoccuparti.”
“Puoi tornare a casa o ti tengono qui?”
“No, posso tornare a casa, non è grave.”

“Ok.”

Beatrix annuì, scostandosi leggermente per guardarlo in faccia e scorgendo il sorriso quasi immancabile che increspò le labbra dell’Auror, che sollevò la mano sinistra per accarezzarle il volto teso:

“Mi dispiace se ti sei preoccupata.”
“Io mi preoccupo sempre per te, Chris…”

L’ex Tassorosso quasi non riuscì a finire di parlare che la porta si spalancò e Alexander, tenendo Arn per mano, rivolse ai genitori un’occhiata sinceramente preoccupata:

“Papà, ti sei rotto?!”
“Solo qualche osso, piccolo, sto bene.”
“E riescono ad aggiustarti, vero?!”
“Certo che sì, come sempre. Venite qui.”

Chris sorrise e fece cenno ai figli di avvicinarsi, seguiti poco dopo anche dal primogenito, e Beatrix prese Arn in braccio mentre Alexander si arrampicò sul letto per sistemarsi accanto al padre, abbracciandolo.

“La mamma ha detto che stavi male…”
“La mamma si preoccupa troppo, Drew.”
“Io non mi preoccupo troppo, vorrei vedere te al mio posto, con una moglie Auror di questi tempi!”



*


“Chris?”
“Mh?”

Christopher era seduto sul divano con il giornale in mano e Beatrix, dopo essersi seduta accanto a lui, provvedete a toglierglielo dalle mani per avere la sua completa attenzione, guardandolo sbuffare e roteare gli occhi prima di rivolgerlesi:

“Tesoro, non sono un bambino, ti ascolto anche se ho qualcosa in mano!”
“Non se si tratta della pagina sportiva… ascolta, stavo pensando che dovremmo smetterla di discutere a proposito della scuola che frequenteranno i ragazzi, non mi piace quando non siamo d’accordo su qualcosa…”

“Stai per dire che mandarli ad Ilvermorny sarà la cosa migliore?”
“… No. Sto dicendo che ci ho pensato e credo che la cosa migliore sarebbe fare come hanno fatto Katherine e Alexei: dovremmo lasciare che siano loro a decidere.”

“Mi sembra un buon compromesso. D’accordo Beatrix, ma ti avverto, sei inizierai a fare propagando pro-Hogwarts io farò lo stesso!”
L’Auror si riprese il giornale e rivolse alla moglie un’occhiata di sfida che venne accolta di buon grado, con un sorriso divertito:

“Vedremo chi tra i due sarà più persuasivo, allora, Signor Parker.”









………………………………………………………………
Angolo Autrice:

E con questa chiudo finalmente questa Raccolta, anche se presto dovrei pubblicare anche la OS su Sean e Aurora di cui vi parlavo… 
Grazie ancora per aver seguito la storia e per aver partecipato, a presto! 
Signorina Granger 

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