Sleeping beauty

di nattini1
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sleeping beauty ***
Capitolo 2: *** Drowning your sorrows ***
Capitolo 3: *** The road so far ***
Capitolo 4: *** The Kite ***
Capitolo 5: *** Shooting star ***
Capitolo 6: *** Still breathing ***
Capitolo 7: *** Rose of Jericho ***
Capitolo 8: *** Poison ivy ***
Capitolo 9: *** Will'O'Wisp ***
Capitolo 10: *** Lose yourself ***
Capitolo 11: *** I'll stand by you ***
Capitolo 12: *** A slice of cake ***
Capitolo 13: *** I've got you ***
Capitolo 14: *** Memories can’t burn ***
Capitolo 15: *** A flower in the desert ***
Capitolo 16: *** Hey Jude ***
Capitolo 17: *** Bloody life ***
Capitolo 18: *** We are linked, we are one ***
Capitolo 19: *** In the blood, in the heart ***
Capitolo 20: *** Inside and out ***
Capitolo 21: *** Crazy together ***
Capitolo 22: *** Snow flake ***
Capitolo 23: *** Sex ER ***
Capitolo 24: *** Through the looking glass ***
Capitolo 25: *** Hell's Bells ***
Capitolo 26: *** The walking dead ***



Capitolo 1
*** Sleeping beauty ***


Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge


1/26: SONNO: 1. Fenomeno periodico di sospensione più o meno completa della coscienza e della volontà, indispensabile per il ripristino dell'efficienza fisica o psichica.



Plic, plic, plic. L'acqua che filtrava attraverso la roccia calcarea si riuniva in piccole gocce solitarie che si lasciavano cadere sul pavimento della grotta creavano un contrappunto monotono e ripetitivo. A Sam sarebbe piaciuto portare una tv che con il suo chiacchiericcio coprisse quel rumore logorante e tenesse compagnia al fratello quando lui era lontano, ma senza elettricità l'impresa era impossibile.

Dean Winchester aveva sempre amato guardare la tv: era una costante in ogni pidocchioso motel in cui avevano messo piede, quasi un punto di riferimento nella sua vita raminga. E aveva sempre amato i cartoni di Scooby-doo: insomma, anche loro andavano a caccia di mostri e fantasmi. Solo che, come gli ricordava fastidiosamente suo fratello Sam, alla fine Velma, Daphne, Fred, Shaggy e Scooby scoprivano che non c'era nulla di soprannaturale. Loro due invece avevano imparato fin da piccoli che ai vampiri si deve tagliare la testa, che un cerchio di sale protegge dai fantasmi e che gli incantesimi delle streghe sono terribili.

Sam Winchester aveva sempre amato i libri: non avevano mai soldi a disposizione per comprarne, ma ogni città, anche se piccola, di solito aveva una biblioteca e Dean recuperava, più o meno legalmente, alcuni volumi da leggere a Sam. Una delle sue favole preferite da bambino era quella della bella addormentata, dove il cavaliere spezzava l'incantesimo della strega e la uccideva per poi conquistare una casa (il castello era una gran bella casa in effetti) e l'amore.

E adesso, ironia della sorte, Sam si sentiva intrappolato in quella dannata favola.

Spesso si sente dire che «la vita è un viaggio», un procedere continuo comune a ogni esistenza umana che, dal momento della sua nascita, si snoda in avanti nel tempo, senza possibilità di tornare indietro. Il viaggio di Sam scorreva lento e inesorabile, mentre qualche filo bianco scivolava tra i capelli e le prime rughe cominciavano a spuntare agli angoli degli occhi e sulla fronte, segni di preoccupazione e non, come si suol dire, del fatto che aveva riso molto.

Ma il viaggio di Dean si era cristallizzato prima compisse ventotto anni, nel momento in cui una strega lo aveva maledetto, condannandolo a un sonno che sarebbe stato lungo quanto la vita di Sam, la cui morte avrebbe spezzato la magia. Il suo viso punteggiato di lentiggini perdeva lentamente la freschezza, le labbra piene, appena socchiuse da un respiro leggero, si lasciano sfuggire la giovinezza; almeno le membra sembravano non aver perso né tono, né vigore e la lunga immobilità non aveva intaccato la pelle con piaghe da decubito. L'incantesimo era davvero potente. Dean non aveva nemmeno bisogno di alimentarsi (prima di capirlo, Sam era impazzito all'idea di doverlo lasciare sotto falso nome in un ospedale nelle mani di estranei e con aghi in tutto il corpo), anche se le unghie e i capelli crescevano a ricordare puntualmente a Sam che il tempo passava.

Ogni volta che poteva, tra una ricerca e l'altra nel tentativo di risvegliare il fratello e qualche caccia occasionale, Sam tornava a vedere Dean; lo aveva nascosto dentro un santuario scavato da un qualche misterioso ordine di druidi in una grotta, protetta da ogni sorta di incantesimi. Aveva accomodato il fratello su un altare di pietra; lo aveva disteso a pancia in su, lasciando le braccia adagiate lungo i fianchi.

Aveva portato alcune cose per rendere più confortevole (anche se non era certo che Dean potesse percepire alcunché) il suo riposo: un cuscino su cui adagiare il suo capo e delle coperte per avvolgerlo nell'unico abbraccio che poteva accompagnarlo ogni giorno. Gliele sistemava attorno e le rimboccava strette, sperando che potesse in qualche modo sentire quelle attenzioni. Alcuni medici dicevano che i malati in coma avevano una percezione del mondo attorno a loro, poteva essere lo stesso per un sonno magico?

Sotto al cuscino aveva messo una pistola, perché Dean ne teneva sempre una a portata di mano.

Una volta aveva portato anche un lettore mp3 e delle cuffie per far ascoltare a Dean il rock che tanto amava; si era steso accanto al fratello come quando erano piccoli e dormivano nello stesso letto, tenendo un auricolare per sé, ma poi aveva preferito toglierlo per lasciarsi cullare dal respiro dell'altro; decisamente per lui non c'era musica migliore.

Da allora ogni volta che tornava passava un po' di tempo accanto a Dean, confortato dal suo calore, a volte osando appoggiare il capo sul suo petto per ascoltare il rassicurante e ritmico battito del cuore.

Più passavano gli anni, più cominciava a temere che non sarebbe mai riuscito a spezzare quella terribile maledizione. Aveva tentato quasi l'impossibile: uccidere la strega in primis, recitare ogni incantesimo che Bobby conosceva, baciare Dean in extremis (sì, aveva tentato anche quello, e per buona misura più di una volta, quando sei disperato ti aggrappi a ogni speranza), ma era ancora condannato anno dopo anno, giorno dopo giorno, e se le contava (eccome se le contava) anche ora dopo ora, a vedere suo fratello giacere immobile, mentre la vita scorreva via da lui senza che riuscisse a viverla.

Almeno Sam poteva andare a caccia e stare accanto al fratello maggiore, rubare qualche fuggevole momento di misera consolazione, ma sapeva che, quando Dean si fosse svegliato, sarebbe stato irrimediabilmente solo in un mondo che forse non avrebbe riconosciuto. E non avrebbe riconosciuto nemmeno se stesso, se si fosse ritrovato nel corpo di un vecchio.

Quel giorno Sam stava seduto accanto a Dean addormentato. Aveva preso l'abitudine di ricreare una piccola routine: iniziava con il lavargli ogni volta il corpo con un panno umido che tuffava in un catino di acqua tiepida. Poi gli faceva accuratamente la barba, spalmando prima una crema per ammorbidire la pelle e far scorrere meglio il rasoio. Alla fine gli metteva anche il dopobarba, picchiettandolo gentilmente sulle guance. Poi passava a tagliare e limare accuratamente le unghie che erano cresciute. Dopo tanta immobilità si sarebbe aspettato che le mani fossero diventate morbide, ma quando le teneva tra le sue sentiva ancora i calli di cui erano ricoperte.

Sistemare i capelli si era rivelato molto più complesso e Sam arrossiva al pensiero di alcuni tagli storti e informi che aveva fatto a Dean prima di capire come si usavano le forbici.

Per ultimo lo rivestiva con abiti puliti; cambiargli i vestiti era il suo piccolo rituale per alimentare l'illusione che il fratello si fosse appena coricato dopo una caccia. Togliere la giacca, la camicia e i jeans era faticoso: Dean era un peso morto e non era leggero da spostare, ma Sam pensava sempre che quando era lui a dover essere vestito da piccolo forse faceva anche resistenza, oltre a non essere collaborativo. In ogni movimento di Sam c'era attenzione e garbo, quasi che temesse di far male al fratello se avesse tirato troppo forte per sfilare una manica della camicia.

Durante tutte le operazioni, gli parlava ininterrottamente: «Questa caccia ti sarebbe piaciuta: c'era questo Shojo, una specie di fantasma, ma lo puoi vedere solo se sei ubriaco! Sai che Bobby si è sposato? Sua moglie si chiama Ellen e anche lei è una cacciatrice. Sai che ho sistemato un favoloso impianto stereo sull'Impala? Beh, forse questo è meglio se non lo senti...mi sa che rischio di essere ucciso per aver violato la tua Baby!».

Mentre faceva scorrere per l'ennesima volta le dita tra i capelli di Dean per sistemare le ciocche che erano già perfette, gli ricordò ad alta voce di quando erano bambini: dei fuochi d'artificio che Dean aveva fatto brillare nel cielo per lui o dei giocattoli che aveva rubato un Natale. Gli ricordò come fosse stato per lui il pilastro della sua vita: un modello da imitare, un'ancora di salvezza, l'unica cosa di cui sentire la mancanza quando era lontano, l'uragano che era venuto a strapparlo da una vita normale, la persona senza cui non avrebbe potuto fare nulla.

Si chiese cosa avrebbe pensato Dean se avesse potuto sentirlo: detestava quei momenti in cui Sam parlava a cuore aperto, ma poi era il primo a non riuscire a impedire alle lacrime di scorrere. Sfiorò coi polpastrelli il viso del fratello nella speranza di percepire un tremito di ciglia, qualcosa che avrebbe potuto indicare una reazione emotiva, ma la pelle era perfettamente immobile. Una goccia doveva essere caduta sul suo viso dal soffitto e la raccolse col pollice; sospirò e ritrasse la mano in una fuggevole carezza tanto dolorosa perché sapeva che sarebbe stata l'ultima e che Dean non ne avrebbe serbato il ricordo.

Quel giorno Sam aveva portato con sé un nuovo oggetto: un coltello. Aveva deciso, dopo più di dieci anni, che era tempo per lui di terminare il proprio viaggio per lasciare che Dean continuasse il proprio. Aveva anche contattato Bobby, chiedendogli di raggiungere Dean, in modo che al suo risveglio potesse prendersi cura di lui e spiegargli cosa era successo. E per quanto Bobby avesse corso, non sarebbe mai arrivato in tempo per fermare Sam.

Questa volta sarebbe stato Sam ad addormentarsi, cullato per l'ultima volta dal respiro di Dean.

Plic, plic, plic. E stavolta le gocce che cadevano sul pavimento non erano solo quelle dell'acqua.

 

NdA

Questo è il mio primo esperimento del genere Hurt/Comfort e anche il primo esperimento con l'angst. Sono una persona molto positiva e ottimista, quindi per me non è stato semplice calarmi in questa ambientazione, spero che il risultato sia buono.

Se avete un attimo, fatemi sapere cosa ne pensate!

PS: Ringrazio Lilyy che mi ha suggerito di esplicitare meglio la collocazione temporale!

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Capitolo 2
*** Drowning your sorrows ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

2/26: DIPENDENZA L'incapacità di fare a meno di una persona ( d. psicologica ) oppure il bisogno incoercibile di un farmaco o di una sostanza: d. farmacologica; part., la condizione del tossicomani.

 

 

 

 

 

 

Plic, plic, plic. Dalla bottiglia rovesciata sul bancone stillavano per terra le ultime gocce di whisky. Dean appoggiò la testa tra le braccia sperando di essere finalmente riuscito a mettere a tacere le grida che rimbombavano dentro la sua mente.

Nell'ampia sala del Roadhouse, all’alba, i rumori erano al confine tra la notte e il giorno: Jo faceva il giro dei tavoli per raccogliere i bicchieri lasciati dai clienti, Ash si rigirava sul tavola da biliardo cercando una posizione comoda per dormire ed Ellen, in un tintinnante acciottolio di stoviglie, sistemava le tazze per la colazione.

C’era un forte odore di alcool e l’aria pulita del mattino che cercava di aprirsi un varco nel fumo che aleggiava nella stanza non riusciva a farlo svanire del tutto.

Ormai tutto il tempo che non dedicava alla caccia (ed Ellen temeva anche molte ore durante quella) Dean lo passava così: con sospiri sopra il bicchiere che veniva vuotato sempre più in fretta, intervallati a ingiurie rivolte al cielo, come se ce l'avesse con Dio in persona. Dean aveva avuto molti brutti risvegli, ma il peggiore era stato quello nella grotta. Quando aveva visto il corpo di Sam, pallidissimo e abbandonato come una bambola al suo fianco, completamente svuotato dal sangue, dal suo era scivolato via ogni desiderio di vivere. Bobby l'aveva trovato a stingere convulsamente il fratello, a chiamarlo tra le lacrime. C'era voluto dl bello e del buono (e sì, un'opportuna dose di forza) per convincere Dean a staccarsi da Sam (viaggiare con un cadavere sul sedile del passeggero fino al Roadhouse non sarebbe stata una buona idea) e celebrare un funerale da cacciatore.

Stranamente, Dean non si era preoccupato degli anni persi che lo avevano raggiunto tutti in una volta: non sembrava turbato dal non avere più l'aspetto di un ragazzino e si era adattato in fretta ai cambiamenti, grazie anche alla guida di Ash. Bobby sospettava che questo atteggiamento dipendesse soprattutto dalla frequente mancanza di consapevolezza dovuta all'abuso sempre maggiore di alcool. Dean aveva sempre bevuto molto, ma il whisky era diventato l'unico di cui cercava sempre più spesso la compagnia.

Ellen di tanto in tanto sollevava lo sguardo per controllare che Dean non cadesse dallo sgabello. La terza volta che lo fece incontrò gli occhi del cacciatore che sollevò il bicchiere accennando che voleva che glielo riempisse. Lei si avvicinò con le braccia incrociate.

Per la prima volta dopo svariate ore, Dean le rivolse la parola, incespicando un po': «Ellen, tu lo sai perché… perché… uno parte per un viaggio on the road? Per ritrovare se stesso! Ah! Ho passato tutta la vita in macchina e sono completamente perso. Dicono che sia importante la cosa, come si chiama… la strada, non la meta. Cazzate. E' importante solo con chi viaggi.

Me ne sono andato in giro per tutta l'America con Sam, con i suoi occhi verdi che mi guardavano. Curiosi… no, incoscienti, era… era solo un bambino. Dio, che rompicoglioni riusciva a essere: “Come mai non abbiamo una mamma? Perché dobbiamo sempre cambiare città? Dov'è papà?”. Poi spudorati e pieni di sfida quando se ne è andato. Ma poi… Dio, non li ho mai visti più brillanti di quando sono tornato a prenderlo. Due storie d’amore in mezzo alla sua faccia, verdi come la speranza. E dove cazzo è adesso quella speranza?

Era difficile per due occhi come i suoi… che dovevano guardare un fallimento come me».

Accennò ancora a farsi riempire il bicchiere, ma Ellen non si mosse. Se non fosse stato tanto ubriaco, forse Dean sarebbe riuscito ad avere la meglio perché Ellen, anche se era una cacciatrice, non aveva la sua stessa forza fisica, ma non riuscì a impedirle di afferrargli con forza i capelli e sbattergli violentemente la testa contro il bancone.

«Piantala di distruggere te stesso! Credi che non sappia come ti senti? Che non ci sia un buco anche in mezzo al mio cuore che ingoia parti di me? Ho perso mio marito e adesso vivo nel costante terrore di perdere mia figlia e Bobby! Dean, so che stai male, che è un dolore per cui desideri spezzarti, ma non puoi continuare a rannicchiarti sullo sgabello del mio locale a succhiarti il dito! Parlare con te è come parlare a un sordo, senti solo i tuoi lamenti! Ma adesso basta, non permetterò che l'alcool ti corroda goccia a goccia, anzi, visto quello che bevi, pinta a pinta!».

Dall'alto della sua grande esperienza, Ellen sapeva che il miglior modo per trattare con un ubriaco era gettargli dell'acqua fredda addosso, ma non volendo allagare il locale disse a Jo di andare a riempirle la vasca da bagno. Approfittando della momentanea perdita di coscienza di Dean, con l'aiuto della figlia che prese il cacciatore per i piedi, tenendolo per le spalle riuscì a trasportarlo fino al bagno e a farlo cadere nella vasca.

Al contatto con l'acqua gelida, Dean si riebbe spaesato e fulminò Ellen e Jo con il suo miglior sguardo omicida, che di solito riservava solo ai mostri o a se stesso quando si guardava allo specchio la mattina.

L'ubriacatura prende in tanti modi: c'è chi piange raggomitolato in un angolo in posizione fetale, c'è chi abbraccia gli amici e dice loro che gli vuole bene, c'è chi si mette in giro a toccare le cose, c'è chi si arrabbia, grida e spacca tutto, ma Dean non rientrava in nessuno di questi casi: voleva annullare se stesso e questo terrorizzava Ellen. Con movimenti misurati, la donna sfilò le pistole e il coltello che sapeva che Dean portava addosso e li consegnò a Jo, che li prese si eclissò.

Ellen la seguì per ritornare subito dopo con un bicchiere d'acqua.

«Ti ho portato questo, Dean» disse con fare autoritario porgendoglielo.

«No grazie, sto bene» sputò fuori lui cercando di non battere i denti dal freddo. La gola gli bruciava e reclamava un sorso che la calmasse, ma voleva continuare a punirsi.

«Bevi qualcosa» continuò lei impaziente e si fece un appunto mentale di preparargli al mattino del caffè e un'aranciata.

«Ho detto che sto bene! Vuoi lasciarmi in pace? Non me ne frega niente! Vattene! Ti prego… vattene!» rispose Dean.

La testa del cacciatore stava scoppiando, pulsava al ritmo del battito del suo cuore, avrebbe voluto solo dormire, come aveva fatto per tanti lunghi anni, con la speranza che Sam fosse vivo e in giro da qualche parte e con la certezza che sarebbe sempre tornato per lui. Sam non lo avrebbe mai saputo, ma, anche mentre era sotto l'incantesimo della strega, Dean aveva conservato una vaga percezione di quanto accadeva introno a lui, come in sogno lucido: suoni, odori, sensazioni. E, seguendo quelle tracce leggere sul suo cuore, aveva sempre scoperto che portavano al suo fratello minore.

Ellen posò il bicchiere, prese un asciugamano da un armadio del bagno e glielo porse. Dean uscì a fatica dalla vasca e lei lo aiutò a stringerselo attorno, mentre lui scivolava a sedere sul pavimento. Non furono gli ordini secchi di Ellen o la botta in testa che lei gli aveva dato a spezzarlo, ma la dolcezza con cui cinse le sue spalle anche con le proprie braccia. Era l'abbraccio di una madre, di cui Dean conservava solo una tenue, ma preziosa memoria.

Lacrime e parole sgorgavano senza essere più arginate: «Ho sempre cercato di proteggerlo, di metterlo al sicuro, è sempre stata una mia responsabilità… invece ho fallito… io ho sbagliato… forse è questo il mio destino, deludere quelli che amo… come faccio a vivere con questo rimorso? Cosa devo fare? E' colpa mia… l'ha fatto per me…».

Ellen lo strinse più forte. Aveva odiato John per aver causato al morte del suo primo marito, ma provava per Dean un sincero affetto e cercò di consolarlo con quel suo modo un po' burbero tipico dei cacciatori, anche quando sono della madri: «Ed è così che tu lo ripaghi? Ti ha datola sua vita! Non sprecarla, non vorrebbe che tu lo facessi». Poi si alzò, prese un altro asciugamano e gli strofinò energicamente i capelli ignorando le proteste per quel gesto che acuiva il mal di testa.

Gli lasciò un po' di privacy per togliere i vestiti fradici e mettere qualcosa di asciutto e poi controllò che si infilasse sotto le coperte. Per precauzione, mise un secchio di fianco al letto, augurandosi che, in caso di necessità, Dean facesse centro. Lui sorrise, il primo timido ma vero sorriso che gli vedeva fare da un po': «Solo le ragazzine alle feste vomitano, Ellen».

Lei rispose al sorriso e lo guardò addormentarsi, indugiando a lungo in carezze sulla sua fronte prima di lasciarlo riposare solo sussurrandogli: «Andrà tutto bene, tesoro. Non ti permetterò ancora di farti del male».

Le ciglia di Dean ebbero un tremito e lei notò che i suoi occhi si muovevano sotto le palpebre. Ellen non aveva mai studiato granché, ma da quando aveva sposato Bobby non aveva potuto fare a meno di trovarsi per le mani un sacco di libri, apprendendo almeno un po' della straordinaria cultura di quello scorbutico del marito. Non solo antichi tomi polverosi in lingue astruse, ma anche classici della letteratura come i Sonetti di Shakespeare: «Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono, perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota; ma quando dormo, essi nei sogni vedono te». Qualunque cosa Dean stesse sognando, gli augurò che portasse consolazione alla sua anima.

 

 

 

 

 

 

NdA

Ciao a tutti! Come avrete notato, l'iniziale one shot è diventata una fanfiction più lunga. Le funzioni di EFP mi permettono di modificare le caratteristiche solo in “serie di one shot”, ma saranno in realtà tutti veri e propri capitoli di una long. Fino a questo momento, non avevo mai scritto navigando a vista senza sapere dove andare a parare, ma, anche se non ho idea di quali saranno i prossimi promt e di come si svilupperà la storia, la sto scrivendo e mi sto divertendo!

Grazie a tutti quelli che mi accompagneranno in questo viaggio e a chi mi lascerà un commento (le opinioni di chi legge per me sono molto importanti: confrontarsi con altri è di grande stimolo). Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

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Capitolo 3
*** The road so far ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

prompt 3/26: VAGABONDAGGIO: 1. Il frequente spostarsi da un luogo a un altro senza itinerari o programmi prestabiliti: nei suoi v. all'estero ha incontrato una infinità di persone; fig., irrequietezza intellettuale o evasione fantastica.

 

 

 

 

 

Sam si sentiva la testa leggera mentre camminava lungo il sentiero ben battuto nel bosco inspirando l'aria fresca e restando ipnotizzato dai giochi di luce e ombre che il sole e il vento creavano intono a lui. In un angolo della sua testa c'erano dei ricordi vaghi: «Assolutamente no! Prendi e vai a farti una scampagnata da solo, se è quello che vuoi!», doveva aver sbottato Dean incrociando le braccia, aprendo una birra e girando le spalle al fratello, annunciandogli in ogni modo possibile che questa volta non avrebbe ceduto di un millimetro e non l'avrebbe seguito. Sam, tormentandosi il labbro, probabilmente aveva resistito alla tentazione di mettersi a battere i piedi per terra in una perfetta scenata isterica, aveva afferrato la giacca, lo zaino e le chiavi dell'Impala e, lasciando Baby al limitare del sentiero, si era incamminato lungo nel bosco.

Non potevano continuare a cacciare senza mai fermarsi, anche loro avevano bisogno di un momento di relax! Perché diamine aveva deciso di non continuare con la tradizione del loro sacro pellegrinaggio annuale a Las Vegas? Ok, visto quello che era successo con quella Becky che con un filtro d'amore l'aveva convinto a sposarla in una cappella che poteva essere solo la fiera del kitsch, magari non aveva tanta voglia di tornarci. Quindi ora era su quel sentiero. Doveva essere quello il motivo.

Andare nei boschi con i jeans non era molto comodo, pensò mentre scavalcava un tronco caduto, ma non gli donavano i pantaloncini ed era meglio usare quelli lunghi per difendersi dalle zecche. Sam doveva essersi portato delle provviste (e non solo un sacchetto di m&m) e un po' cose utili perché sentiva il peso dello zaino sulle spalle; niente di eccessivo, non era uno di quei «glampeggiatori» che si portano dietro climatizzatore, wifi, tv, ecc. per un ritorno alla natura senza inconvenienti. Che cazzata, certa gente non sapeva proprio vivere.

Un rumore furtivo di rami rotti attirò la sua attenzione e un attimo dopo un capriolo attraversò il sentiero. Sam sorrise: si ricordava di un'occasione in cui Bobby li aveva portati proprio in un bosco come quello a dare la caccia alla cena, una delle tante volte in cui il loro papà lavorava su un caso e li scaricava da lui. Il vecchio ubriacone aveva insegnato loro tutto quello che sapevano sul seguire tracce all'aperto, ma non era mai riuscito a convincerli a premere il grilletto contro bambi. Sam provò una strana sensazione a quel pensiero: sembrava davvero lo stesso identico bosco con il troco caduto.

Le sue lunghe gambe divoravano il terreno con passo svelto, ma il sentiero sembrava non finire mai; alla sua destra e alla sua sinistra c'erano fiori, funghi, cespugli e il canto degli uccellini lo accompagnava costantemente. Il sentiero lo portava avanti, sempre più avanti. Un altro rumore di rami rotti lo avvisò del passaggio di un capriolo. Lo stesso identico capriolo. Stava avendo una specie di dejavù? Sam cominciò a capire che qualcosa non andava. Stava sognando?

Si avvicinò a un cespuglio di rose selvatiche e lo toccò per controllare che fosse reale, ferendosi la mano. Vide il sangue e ricordò tutto: Dean addormento tra le sue braccia e quello stesso sangue che colava dai polsi che si era tagliato. Si era sacrificato per Dean. Era morto. Quindi adesso dove cavolo era?

Quando alzò lo sguardo, la scena era cambiata. Era sicuramente la stanza, particolarmente luminosa, di un motel, ne aveva visti troppi per non distinguerne uno alla prima occhiata; c'era un tavolo davanti a lui e un bambino sui dici anni che gli dava le spalle e si affaccendava nell'angolo cucina.

«Dean?» chiese Sam con la voce incerta.

«Sta tranquillo Sammy, siediti, ho quasi finito di preparare i maccheroni al formaggio!» gli rispose suo fratello voltandosi a rassicurarlo con quella nota fanciullesca nella voce che non aveva conservato da adulto.

Sam si sedette al tavolo e, quando il fratello gli mise davanti il piatto, mangiò con il sorriso aperto di Dean che lo incoraggiava a prendere più pasta: «Devi crescere, Sammy!».

Si dice che quando muori ti passa tutta la vita davanti, forse era quello che gli stava succedendo: forse stava rivivendo i ricordi felici. Accanto al piatto c'era un tovagliolo e lo usò per pulirsi la bocca. Quando lo aprì vide che sopra c'era stampato il logo della Budweiser.

Era di nuovo in un altro posto, stavolta era di sera in un anonimo vicolo, pieno di scatole accatastate le une sulle altre, in fondo al quale si intravedeva un distributore di benzina. Un Dean meno che ventenne girò l'angolo e gli corse incontro con un sorriso complice alzando le mani che reggevano un cartone di birra con quello stesso logo.

Sam sorrise: «La mia prima birra!».

«Il mio Sammy sta diventando un ometto!» rispose Dean con tono canzonatorio.

All'epoca a Sam dava molto fastidio essere trattato in quel modo, e Dean da bravo fratello maggiore non perdeva occasione per farlo, ma adesso in quella presa in giro sentiva affetto e calore.

Prese una birra, la aprì, brindò facendola scontrare con quella del fratello e bevve un lungo sorso. Sembrava decisamente reale.

«Allora ti piace?» domandò Dean allegro.

Sam accennò di sì.

Dean rise: «Un qualsiasi tredicenne farebbe esattamente la stessa cosa: la butterebbe giù senza dire nulla, ma io scommetto che ti sembra amara!».

Effettivamente all'epoca a Sam era sembrata una schifezza, ma non aveva voluto deludere Dean, né fare la figura del poppante.

Sarebbe rimasto ad ascoltare la risata del fratello ancora e ancora, ma non fu accontentato. Erano dentro la solita stanza di motel e Dean stava tracannando whisky scadente snocciolando ogni sorta di insulti che gli venivano in mente appena aveva la bocca libera per farlo. La mano destra sanguinava e aveva un brutto taglio. Sam gliela prese delicatamente e cominciò a pulirla dal sangue. Poi cominciò a suturare, ignorando le proteste di Dean che diceva di poter fare da solo.

Dopo un sospiro, Dean lo ringraziò arruffandogli i capelli con la mano sana: «Sai Sammy, sei un piccolo testardo, ma meno male che ci sei tu a rappezzarmi dopo ogni caccia. Non so davvero cosa potrei fare senza il mio piccolo fratellino che si prende cura di me».

Sam non sapeva cosa rispondere; era ancora confuso, ma si rendeva conto che stava rivivendo i momenti più belli trascorsi insieme a suo fratello; quindi, che altro poteva essere quello se non il Paradiso?

 

***

 

Dean se ne era andato dal Roadhouse sotto lo sguardo preoccupato di Ellen, che non aveva abbandonato la macchia lucida e scura dell’Impala finché non era sparita dietro l’ultima curva, e si era lasciato guidare dal nastro d’asfalto. Niente casi, niente meta. Solo la strada e la musica. Aveva smesso di contare i giorni; il presente, il passato e il futuro erano sempre costantemente presenti lungo il suo percorso. Un’altra città, un altro motel, un altro hamburger, un’altra birra. Non c’era nulla che potesse apparentemente toccare Dean: ogni tappa lo lasciava identico a come era partito.

Spostarsi per lui era sempre stata questione di necessità e questo modo di vivere gli aveva dato il senso della vastità dell'America e la possibilità di essere pronto ad ogni incontro possibile. Ma adesso non notava i particolari che distinguevano un quartiere da un altro e poi nemmeno uno Stato dall’altro. I lineamenti delle persone che incontrava si sovrapponevano gli uni agli altri, lasciandogli un sempre maggiore senso di solitudine. Solo il Sole e la Luna si alternavano nel cielo dandogli l’idea di non essere congelato in un unico istante, in un momento che si ripeteva sempre uguale.

Guidare per raggiungere un luogo era sempre stata una componente della sua routine, avrebbe dovuto percepirlo come un qualcosa di familiare e confortante, ma adesso si sentiva perso. Non sapeva dove stesse andando, ma continuava a muoversi perché, se si fosse fermato, temeva che il filo di ragione che ancora teneva insieme i brandelli del suo essere si sarebbe spezzato. Un pensiero ironico per uno che fuggiva da se stesso.

L'Impala era il forte nel quale rinchiudersi per spegnere la luce della ragione, con i finestrini da cui con la coda dell'occhio vedeva passargli accanto una realtà che non voleva accettare: un mondo senza suo fratello.

Ogni tanto Bobby lo chiamava per chiedergli come stava e cosa stesse facendo. Di solito Dean nemmeno gli rispondeva (e anche se avesse voluto farlo, il più delle volte nemmeno sapeva esattamente dove si trovava) e lo lasciava interagire con la segreteria. Poi un giorno Bobby, stanco di percepire il dolore di Dean attraverso il suo silenzio, gli lasciò un messaggio diverso: un nome, «Pamela Barnes», e un indirizzo.

Sul momento Dean era incerto se pensare che fosse una strizzacervelli o una spogliarellista, ma dopo una rapida ricerca la tizia si rivelò essere un'amica di Bobby e, soprattutto, una potente sensitiva specializzata nel parlare coi i defunti. Finalmente il suo vagabondare aveva una meta.

Pamela lo accolse con con un sorriso e uno sguardo di apprezzamento fin troppo eloquente (ma Dean la ignorò, decisamente non era dell'umore adatto), facendolo accomodare a un tavolino tondo coperto da un drappo nero su cui erano ricamati molti sigilli, di cui solo alcuni erano noti a Dean, e con al centro alcune candele.

«E così tu saresti Dean Winchester. Bobby mi ha detto che saresti venuto» gli disse affabile.

«Si tratta di mio fratello Sam» rispose conciso Dean saltando i convenevoli.

«Sì, Bobby mi ha detto anche questo. Ho contattato alcuni spiriti e mi hanno detto che tuo fratello ha preso residenza nell'attico» disse indicando con il dito il cielo.

«Puoi farmi parlare con lui?» chiese Dean faticando a trattenere l'ansia.

«Certo. Tuo fratello è difficile da raggiungere, è un sorvegliato speciale, ma io non mi spavento facilmente. Vedi Dean, ogni anima dovrebbe stare rinchiusa buona e tranquilla nel proprio Paradiso privato perché agli angeli non piace che se ne vadano in giro liberamente, ma tuo fratello non sembra apprezzare la cosa» rispose Pamela iniziando ad accendere le candele.

«Quindi uno, se fa il bravo, deve passare l'eternità intrappolato nel proprio piccolo mondo, mentre gli angeli dirigono lo spettacolo? Tipo Matrix?» chiese Dean sconcertato. Decisamente questa cosa non gli piaceva per nulla.

«Beh, è sempre meglio che stare nel seminterrato!» concluse Pamela. Poi aggiunse: «Ho bisogno di toccare qualcosa che ha toccato il defunto con cui vuoi parlare».

Lo sguardo Dean si posò su una cicatrice bianca che segnava la sua mano destra, ne tracciò il percorso ricordando quando Sam l'aveva ricucita e la porse alla sensitiva: «Questa va bene?».

Lei assentì, la prese e recitò alcune formule, concentrandosi con gli occhi chiusi, persi a guardare altrove. Poi parlò: «Sam? Ci senti?».

«Sammy?» chiamò di rimando Dean.

«Dean?» la voce di Sam si udì nella stanza.

Una parte di Dean avrebbe voluto urlargli: «Tu, brutto figlio di puttana, cosa cazzo ti è venuto in mente di fare?», ma invece chiese solo con al voce incrinata: «Come stai Sammy? Dove diavolo sei?». Si sentiva come una ragazzina che era pericolosamente sul punto di vomitare un discorso strappalacrime pieno di smancerie.

«Sono in Paradiso! Sai quella cosa che dicono del tunnel, della luce? È una stronzata, io mi sono ritrovato in un sentiero nel bosco dove ci portava Bobby da piccoli! Non riuscivo a crederci quando ho capito dov'ero! Forse non l'avevi notato, ma io avevo combinato qualche guaio ultimamente...». Da quando Dean era caduto addormentato, Sam aveva combinato fin troppi casini (e sperava ardentemente che Dean non fosse venuto a conoscenza proprio di tutti) nel vano tentativo di spezzare la maledizione (e non si pentiva di nulla, per suo fratello sarebbe passato sopra a chiunque). Ciliegina sulla torta, si era pure suicidato, non credeva davvero di meritare questo.

«Beh, qui è fantastico!» continuò Sam, cercando di essere convincente. Certo, come no. Dopo il viaggio nei ricordi, si era ritrovato in pianta stabile in una casetta con un giardino e un garage pieno di un sacco di attrezzi da meccanico. Da solo, se si escludevano un sacco di libri a fargli compagnia, un iPod e il doppio di tutto quanto potesse aver bisogno. Aveva provato a scappare ogni tanto dalla sua piccola prigione dorata, il suo Paradiso privato, giusto per vedere se riusciva a ritrovare qualche amico cacciatore che lo aveva preceduto lassù, e più di tutti la madre e il padre. Qualche volta era pure riuscito a filarsela per un po', ma poi partiva subito uno stupido allarme e lo stormo di piccioni angelici lo rintracciava sempre.

«Non volevo salvarmi a tue spese» mormorò Dean non riuscendo a trattenersi oltre.

«Dean...» incominciò Sam.

«Non avresti dovuto farlo! Come hai potuto? Come hai potuto pensare che potesse esserci qualcosa che avrei messo davanti a te, compreso me stesso? Dovevo occuparmi io di te, era il mio compito!» lo interruppe Dean sull'orlo delle lacrime.

Sam quasi urlò di rimando: «E quale credi che sia il mio di compito? Tu mi hai salvato al vita un mucchio di volte, hai sacrificato tutto per me, non credevi che avrei fatto anche io lo stesso per te? Tu sei mio fratello e non ci sarebbe stato nulla che non avrei fatto per te. Per una volta volevo essere io a salvarti la vita!».

Dean cercò di ricacciare indietro le lacrime incapace di ribattere.

«Per quanto faccia schifo, certe volte va a finire così» si lasciò sfuggire Sam.

«C'è sempre una soluzione! Te la trovo io la pillola rossa per farti uscire da lì!» affermò Dean, la mente più chiara di quanto lo fosse mi stata da quando Sam se ne era andato.

«Dean, non fare cazzate, non cercare una scappatoia perché non ce ne sono!» si preoccupò Sam cogliendo appena il riferimento a Matrix.

«Ha parlato quello che si è tagliato le vene! Posso sistemare tutto. Tu e io, qualunque cosa accada e questo mi sembra qualunque cosa. Io non esisto se non ci sei anche tu».

Avrebbe voluto dirgli altre cose, ma Pamela fu incapace di mantenere più a lungo la connessione.

Mezz'ora dopo Dean Winchester si fermò in mezzo a un incrocio, vicino alle rive di un lago, e aprì la portiera dell'Impala. Sam aveva scelto per lui, ora lui avrebbe scelto per Sam. Essere fratelli significava anche questo.

 

 

NdA

 

Ciao a tutti! Il titolo è un po' inflazionato, ma non ho resistito! Questo capitolo è stato un po' un vagabondaggio anche per me, perché ero partita con un'altra idea, ma alla fine sono soddisfatta di dove sono arrivata. Avevo pensato di concludere il capitolo con Sam che capiva di essere in Paradiso, ma il parallelismo con Dean mi piaceva e mi è stato detto che i Winchester devono stare insieme. Piace anche a voi?

Nella quinta stagione i fratelli Winchester vanno in Paradiso e i ricordi di Sam sono tutti quelli legati a una vita normale, ma ho pensato che dopo aver passato anni a caccia da solo, a vegliare il fratello e dopo essersi sacrificato per lui sia plausibile che siano quelli insieme a lui.

La casa di Sam ha il doppio di tutto e il garage con gli attrezzi perché è pensata da condividere con Dean dopo la morte di quest'ultimo.

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Se avete un attimo, la sciatemi una recensione per farmi sapere cosa ne pensate, i vostri consigli sono preziosi!

 

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Capitolo 4
*** The Kite ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

4/26: PRIGIONIA 1. Stato di segregazione forzata in luogo angusto, con privazione della libertà di movimenti; reclusione.Condizione di isolamento dalla vita sociale della comunità.

2. La condizione di chi si sente dominato da qualcuno o da qualche cosa a cui non riesce a sottrarsi.

 

 

 

 

 

Quando aveva raggiunto il suo piccolo angolo di Paradiso e aveva sentito chiudersi la porta alle sue spalle, Sam aveva capito che era tutto dolorosamente vero. Anche se la casetta in cui era finito era un parto della sua immaginazione (e si rammaricava di averne avuta così poca: sarebbe stato meglio un castello con una biblioteca enorme e un parco in cui fare jogging), la sua intera vita, che aveva ripercorso lungo il sentiero dei ricordi, era stata spazzata via in quel preciso istante. Aveva odiato ogni stanza della sua gabbia nemmeno troppo dorata, aveva odiato chiunque lo avesse posto lì, da solo, prendendosi la sua vita, la parte che contava almeno. La parte che ogni istante sentiva la mancanza di una spallata per spostarlo dalla porta del bagno per entrare per primo a fare la doccia, di una lotta sfrenata per impossessarsi del telecomando, dei bisticci per cosa mettere sotto i denti. Quella non era vita e non solo perché, in effetti, lui era morto, ma perché nessuna casa poteva definirsi tale senza Dean.

Frugando in giro, aveva trovato una collezione di cassette con del rock classico (e si era domandato perché gliele avessero fornite in dotazione visto che c'era anche l'iPod che per lui andava benissimo) e una collezione di porno a tema ragazze asiatiche che l'aveva leggermente disgustato; si era chiesto quale perversione avessero gli angeli per mettere lì cose che gli ricordavano il fratello.

La frustrazione a volte era insostenibile: avrebbe avuto voglia di urlare, ma non sarebbe servito a nulla perché non c'era nessuno ad ascoltare le sue grida. In certi momenti lasciava la sua mente vagare a casaccio senza riuscire a soffermarsi davvero su pensieri lucidi; in un'occasione aveva passato un intero pomeriggio a cercare di piegare con la mente un cucchiaio ripetendosi che il cucchiaio non esisteva. Era una cosa nota e ampiamente descritta in qualsiasi trattato di psicologia che isolare una persona era il modo migliore per farla impazzire e Sam si sentiva sull'orlo della rottura: un passo e sarebbe precipitato nel baratro della follia.

Dopo anni di vita da cacciatore passati a scassinare porte e vivere di espedienti, dopo un po' aveva trovato un modo per uscire almeno dalla casetta; doveva solo cercare un qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì: un filo tirato nel tappeto, un libro fuori posto, una cornice sporgente e appariva un'uscita che si apriva su un interminabile corridoio bianco, ai lati del quale si allineavano in un ordine esasperante un'infinità di porte. Evadere dal Paradiso era un'altra faccenda perché, dopo i suoi precedenti tentativi, aveva capito che, appena messo piede fuori, un allarme avvertiva gli angeli e l'unico modo per tenerli temporaneamente a distanza era passare da un Paradiso all'altro nella speranza di trovare una vera via di fuga o qualcuno che gli desse una dritta in merito. Ma fino a quel momento aveva incontrato solo una maestra in pensione con la casa piena di gattini che gli aveva offerto le caramelle come faceva con i suoi alunni, un tifoso italiano di calcio che stava guardando per la trecentododicesima volta la finale dei Mondiali del 1982 con il quale aveva mangiato la pizza più buona della sua vita (si fa sempre per dire, visto che era morto) e una donna con spessi occhiali e le braccia cariche di bracciali che gli aveva detto di essere una veggente e gli aveva predetto che gli sarebbe successo qualcosa che non capitava spesso a qualcuno in quel luogo e che non necessariamente sarebbe stata una cosa buona.

Poter udire la voce del fratello che usciva dalla tv era stato come poter avere un'ora d'aria per un carcerato e per un brevissimo istante si era sentito di nuovo completo, di nuovo libero. E questa cosa aveva probabilmente fatto incazzare gli angeli perché poi la connessione si era interrotta (e Sam era certo che fossero stati i suoi carcerieri), con suo grande disappunto, lasciandolo in preda all'inquietudine. Anche se aveva cercato di non fargli capire quanto fosse terribilmente triste e solitaria la sua condizione, Dean non ci era cascato e probabilmente si sentiva terribilmente colpevole per il sacrificio di Sam e, come lui, spaccato in due, privo di una metà del suo essere. Ma che cazzo intendeva suo fratello con «Posso sistemare tutto»? Cosa aveva in mente di fare? Ricordava bene quello che lui aveva provato a fare per svegliare Dean dal sonno maledetto: non era mai stato un chierichetto, ma si era spinto davvero al limite del suo senso morale, torturando streghe e facendo anche altre cose su cui preferiva non soffermarsi. Alla fine era arrivato a dare la propria vita e, con un brivido che gli corse giù per la schiena, realizzò che suo fratello sarebbe stato capace di andare anche oltre: sarebbe stato capace di vendere la propria anima pur di riportarlo in vita. Non poteva perdere nemmeno un secondo, doveva trovare un modo per convincere quello scemo a non fare nulla: era preferibile passare l'eternità in quell'orrenda prigione, piuttosto che sapere che a suo fratello sarebbero toccati tormenti eterni.

Doveva tentare di nuovo e stavolta doveva farcela, doveva trovare un modo per parlare ancora con Dean, per convincerlo a desistere da ogni proposito autolesionista. Dopo una breve ricerca, trovò un'asse smossa nel pavimento, attraverso cui riuscì a creare un'apertura sul corridoio. Corse fuori, avanzò per il corridoio e spalancò una porta.

Quello che gli si aprì davanti era un paesaggio pieno di serenità, che faceva a pugni con la tempesta che si agitava nel suo animo: un prato verde e ben curato, un giardino forse, ma che sembrava distendersi a perdita d'occhio, e un uomo di mezza età con un maglione rosso che, con la più serena delle espressioni, faceva volare un aquilone in un cielo di un azzurro così perfetto e terso che sembrava fosse stato dipinto.

Guardando la scena, Sam non poté fare a meno di pensare alle strisce dei Peanuts che leggeva da bambino, a Charlie Brown, che cercava sempre in tutti modi di far volare il suo aquilone senza mai riuscirci, ma senza mai smettere di provarci, anche quando quello non si alzava da terra, anche quando si schiantava sull'albero mangia-aquiloni, anche quando il filo gli si avvolgeva attorno avviluppandolo tutto e imprigionandolo. L'aquilone era la sua nemesi, ma lui non smetteva mai di provare a farlo volare. Sam in quel momento si sentiva esattamente così: stava tentando un'impresa impossibile, in cui si era già cimentato più volte senza successo, conscio che avrebbe potuto non farcela, ma determinato a non deludere chi amava, a riconquistare la sua libertà.

Quell'uomo con il suo aquilone, invece, sembrava completamente rilassato e perfettamente felice, ignaro di qualsiasi cosa attorno a lui, mentre lasciava che il vento cullasse dolcemente quella piccola porzione della sua libertà tinta di blu, rosso e giallo. C'era un assordante silenzio, l'allarme angelico era stato messo a tacere e nemmeno il vento sembrava voler emettere più di un lontano sospiro mentre frusciava sostenendo la tela colorata. Qui Sam sentiva di riuscire a potersi fermare per pensare a una soluzione, attitudine osteggiata dagli angeli, perché si arrogavano il diritto di possedere il pensiero di Dio, temendo che le anime imparassero ad ascoltare la propria coscienza.

«Questo è il mio Paradiso preferito, un eterno martedì di un uomo autistico, annegato nella vasca da bagno nel 1953».

Sam si girò per capire chi avesse parlato e vide che accanto a lui c'era un uomo che se ne stava rigido e serio, con le mani nelle tasche di un trench beige; aveva un completo nero e una cravatta blu annodata storta. Quando girò leggermente la testa, coronata da una zazzera scomposta di capelli scuri, per fissare gli occhi su di lui, Sam vide che erano ancora più azzurri del cielo sopra di loro.

«Chi sei?» chiese Sam sospettoso e incerto.

«Castiel» rispose.

Sam non domandò che cosa fosse perché, anche se non era apparso con un fruscio d'ali tra fulmini e saette, era chiaramente un angelo. Si aspettava che lo riportasse indietro, perché i piccioni celesti prima agivano e poi facevano eventualmente le domande, ma quello non sembrava avere nessuna fretta e lo guardava serio, con un misto di pacato interesse e quasi di gentilezza.

«Ho sentito molto parlare di te Sam Winchester. Sai, io sono qui da molto tempo e mi ricordo tantissime cose. Mi ricordo quando ero sulla spiaggia e guardavo un piccolo pesce dimenarsi vicino alla riva e un mio fratello più anziano mi diceva: “Lascia in pace quel pesce, Castiel, abbiamo grandi progetti per lui”. Ogni uomo è qualcosa di unico, che non è mai esistito e mai esisterà. Egli nasce non per fare il già fatto, bensì quello che è da fare. E tu avresti dovuto avere un grande destino».

«Ma sono morto» constatò Sam senza capire dove l'angelo volesse arrivare.

«Hai scelto di morire, ma le tue motivazioni erano pure. Potremmo definirla, dalla prospettiva umana, una tragedia; ma penso che la prospettiva umana sia limitata» convenne Castiel.

Poi proseguì: «So che per te è difficile accettarlo, ma non puoi incatenarti al passato, altrimenti resterai prigioniero di ciò che è accaduto e non disporrai di una piena libertà per vivere la bellezza di ciò che ti viene donato oggi. La tua anima resterà chiusa alla benedizione di Dio perché persa in calcoli umani».

Sam stava perdendo la pazienza: «Senti, non voglio mancarti di rispetto, ma questo posto fa schifo! Non ha nulla a che vedere con quello che promettono le religioni, non che ci avessi mai davvero sperato, ma non posso sopportare di passare l'eternità così! Così solo, senza mio fratello!».

Castiel sembrava non comprendere appieno, magari non aveva tutto questo legame con i suo fratelli maggiori, ma cercò di calmarlo: «Vi ho visti. Il vostro legame è fatto di esperienze, sentimenti, emozioni, radicamenti nel passato. Non è un castello e neppure una prigione; lo è diventato a volte alternativamente nello scorrere degli anni di vita in comune, ma nulla ha potuto dissolverlo, nemmeno la morte».

«Non avrei mai fatto nulla di quello che ho fatto senza mio fratello. Dean e io abbiamo affrontato tante volte il male, insieme. E allora perché adesso sono qui da solo? Perché Dio ha voluto darmi questo dolore?» protestò Sam esasperato dall'apparente distacco dell'angelo.

«Non essere ingrato, il suo è un progetto eterno di amore. Come sai, non esiste un unico Paradiso, ogni anima genera il proprio, ma ci sono dei casi speciali: le anime gemelle condividono lo stesso Paradiso. Tu e tuo fratello eravate uno di questi casi, era previsto che quando tuo fratello sarebbe morto, ti avrebbe raggiunto e sareste insieme» spiegò Castiel.

Sam si sentiva un cretino: avrebbe dovuto capire che il garage con gli attrezzi da meccanico, le cassette rock, i porno non erano per lui. Si cullò per un momento nella sensazione di conforto che la prospettiva di passare l'eternità con Dean gli offriva e stava per ringraziare l'angelo per il suo goffo tentativo di rassicurazione, quando si rese conto del tempo passato che aveva usato e del suo cipiglio che non era più serio, ma triste.

«Perché dici “eravate”?» domandò.

Castiel sospirò: «Non so se sia utile, ma te lo dirò. Dio ci vuole liberi di creare il nostro destino, vuole solo la nostra libertà. E temo che per tuo fratello la libertà si sia rivelata una corda con cui si è impiccato. Ha intrapreso un cammino pericoloso e noi sappiamo dove conduce».

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Non credo sia possibile immaginare una prigione peggiore del Paradiso di Supernatural (forse lo supera per noia solo l'inferno di Crowley con le code interminabili) e nemmeno una prigione peggiore per Sam dello stare senza Dean. Il Castiel che Sam incontra è il soldato ligio al dovere e pieno di fede in Dio della quarta stagione, che ignora le emozioni umane, ma che cerca con il suo modo goffo di consolarlo. Ho inserito una citazione da Le ali della libertà, uno dei miei film preferiti, che credo si adattasse perfettamente a questo capitolo.

Vi lascio il link del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Se avete un momento, fatemi sapere cose pensate di questo capitolo! Alla prossima settimana!

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Capitolo 5
*** Shooting star ***


 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

5/26: ACQUA

1. Composto chimico di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, incolore, inodore, insapore; costituente fondamentale degli organismi viventi. Distesa d’acqua.

 

 

 

Una volta Dean Winchester aveva trovato uno dei fumetti di Sam, uno di quelli con le strisce dei Peanuts, con il disegno di Charlie Brown e Snoopy seduti di spalle su un porticciolo che guardavano le calme acque di un lago. Sopra l’immagine campeggiava una scritta del tipo: «Il segreto della felicità è possedere una decappottabile e un lago. Se c’è il sole puoi andare in giro con la decappottabile ed essere felice, se invece inizia a piovere non ti rovinerai la giornata perché potrai sempre dire: “Beh, la pioggia riempirà il mio lago!”».

Dean pensò che Charlie Brown poteva dire una cosa del genere perché era insieme al suo amato Snoopy e che sarebbe stato bello anche poter conoscere quella semplice felicità! Lui invece era con la sua Baby (ok, non era una decappottabile, ma Sam non avrebbe mai voluto viaggiare su un’auto scoperta che gli avrebbe rovinato i capelli) parcheggiata a un incrocio vicino alle rive di un lago, ma, guardando il cielo grigio che prometteva la pioggia così comune per il clima del Nebraska, riusciva a pensare solo che non ci sarebbe stato nessuno a guardare con lui la distesa d’acqua. Stringeva tra le mani una scatola in cui aveva chiuso una sua foto, le ossa di un gatto nero e della terra di cimitero; prima di decidersi a seppellirla nel mezzo dell’incrocio, alzò gli occhi per guardare il lago davanti a lui, come per prendere un momento, ben sapendo che dopo il patto che avrebbe fatto col demone, il suo tempo sarebbe stato contato.

Sembrava che la superficie del lago, appena increspata dal vento, avesse assorbito ogni rumore, non si sentiva nemmeno il canto degli uccelli. Una visione piena di pace, in pieno contrasto con i sentimenti che albergavano nel suo animo. Rivoleva Sam a ogni costo, anche se avrebbe significato passare dieci anni con lui e poi finire all’Inferno. Avrebbe fatto quel patto anche per un solo anno, per poter rivedere il fratello ancora una volta. Anche se sapeva che avrebbe dovuto ascoltare la sua disperazione e i suoi rimproveri perché si era cacciato nei guai da solo e Sam ben conosceva a che prezzo. Valeva la pena, pur di riaverlo. E sì, probabilmente lo stava facendo anche per se stesso.

L’aria era satura di elettricità e le prime gocce stavano creando dei piccoli cerchi concentrici sull’acqua, spezzando il silenzio con un ovattato ticchettio, quando una scia di luce brillante graffiò il grigio del cielo, tremolò a qualche decina di metri sopra il del lago e svanì, lasciando al suo posto un corpo umano che, gridando il suo nome, precipitò infrangendo con uno schiocco la superficie dell’acqua. Dean conosceva quella voce e non esitò neppure un istante prima di buttare la scatola, sfilarsi la giacca e tuffarsi in acqua.

 

***

 

Sam rimase gelato dal terribile monito di Castiel. Deglutì a vuoto, poi chiese: «Non capisco… Cosa vorresti dire?».

Lo sguardo dell’angelo era enigmatico, un qualcosa rimasto come in sospeso a metà tra la compassione e lo sdegno: «In questo momento tuo fratello è fermo a un incrocio. Letteralmente intendo: sta per evocare un demone. Temo voglia vendere la sua anima in cambio della tua vita».

«No, non deve farlo!» gridò Sam sgomento.

«Concordo» rispose l’angelo in tono neutro.

«Fa qualcosa, ti prego!» supplicò Sam.

Prima che Castiel potesse dire alcunché, un fruscio d’ali segnalò l’arrivo di un altro angelo. Stavolta era una giovane donna coi capelli rossi, pallida e minuta, con grandi occhi sgranati.

«Anna» la salutò Castiel leggermente sorpreso.

Lei ricambiò il saluto con un cenno del capo e si rivolse direttamente a Sam: «Lui non ti aiuterà a fermare tuo fratello, è sempre stato un bravo soldatino e ha sempre ubbidito agli ordini. Lo so bene, perché eravamo nella stessa trincea ed ero il suo capo. Io ti aiuterò. Ho deciso di cadere sulla terra e ti porterò con me, se vorrai. Ti farò tornare in vita e ti riunirò a tuo fratello».

«Anna no! Abbiamo condiviso tante cose… Cadere è la colpa più grave! Anna, non farlo o sarai condannata!» l’urgenza nella voce di Castiel tradiva più dolore e preoccupazione che rabbia.

«Perché vuoi aiutarmi?» per quanto desiderasse salvare Dean, Sam non riusciva a non essere sospettoso. Si sentiva come un naufrago che si stava dibattendo in mezzo al mare e che si sarebbe aggrappato a qualsiasi cosa fosse d’aiuto per tenerlo a galla, un canotto o una semplice tavola di legno, ma voleva sincerarsi che non si trattasse della pinna di uno squalo.

«Sono rimasta più di 2000 anni sulla Terra e per tutto quel tempo vi ho osservati: attraverso i miei occhi, come un fiume in piena, sono scorsi i pensieri, le emozioni, le passioni più violente, i sentimenti più nascosti e le paure più profonde. E io ho visto che tu e tuo fratello conoscete la lealtà, il perdono, l’amore...» cominciò a rispondere.

«Anche il dolore» commentò Sam dando voce a quello che provava esattamente in quel momento.

«Le torte, quelle piacciono molto a tuo fratello vero?» aggiunse Anna.

«Il senso di colpa» la interruppe Sam.

«Lo faccio per tutte le emozioni, anche quelle brutte, sono disposta a fare qualsiasi cosa. E voglio aiutarti perché non ho mai visto due anime legate come le vostre e so che il vostro destino è servire il bene e la giustizia» concluse Anna con sicurezza.

«Sopravvaluti le emozioni» intervenne Castiel, ma senza altrettanta sicurezza.

«Sono stanca di restare in attesa degli ordini di un Dio che non ho mai visto. Tu hai mai visto Dio, Castiel?» sbuffò lei.

«Fatemi capire, voi siete angeli e non avete mai visto Dio?» interruppe Sam, incapace di , persino in un momento come quello, la sua grande curiosità intellettiva.

«Solo quattro angeli l’hanno visto» fu costretto ad ammettere Castiel e continuò: «Ma noi dobbiamo essere perfetti, non avere dubbi su noi stessi o su Dio».

«Perfetti come una statua di marmo, vuoti, senza nessuna scelta, soltanto obbedienza» rispose amaramente Anna. Si rivolse a Sam: «Se verrai con me, sappi che sarà un volo terribile e rischioso: cadremo a sedicimila km l’ora. Prima di toccare la superficie, userò la mia grazia per riportarti in vita, e poi mi separerò da essa. Sarà molto doloroso per me, sarà come se provassi ad estrarmi un rene con un coltello. Ma diventerò umana e, dopo nove mesi, nascerò. Farò tutto quello che posso per te, per riaggregare tutte le particelle di cenere in cui è stato dissolto il tuo corpo, ma non sono in grado di garantirti che non riporterai danni fisici in seguito alla caduta. Devo essere precisa e fare in modo che il tuo corpo non si riformi a un’altezza eccessiva per la vostra debole costituzione. Siamo fortunati: tuo fratello si è fermato nei pressi di un lago, l’acqua dovrebbe contribuire ad attutire la tua caduta. Ma dobbiamo sbrigarci, se vuoi fermarlo prima che venda la sua anima».

«Va bene» disse solo Sam, ben sapendo che anche un impatto in acqua poteva essere molto pericoloso. L’acqua era sicura solo per le cadute fino a 30 metri; oltre quell’altezza l’acqua presentava condizioni di poco migliori rispetto al cemento, perché non avrebbe mai potuto essere compressa. C’era da considerare anche il rischio di annegamento perché probabilmente avrebbe potuto perdere conoscenza a causa dell’impatto. Ma aveva già dato la vita per suo fratello, cosa potevano essere in confronto questi rischi?

Castiel strinse forte i pugni, come se stesse cercando di trattenere tutta la sua forza prima di scegliere se usarla per fermare i fuggitivi o per contrastare il senso del dovere; alla fine rilassò i pugni e mormorò: «Mi dispiace molto».

«Decidere le proprie azioni da soli è sconcertante e terribile, eh Castiel? Sta attento, stai cominciando a esprimere delle emozioni!» lo canzonò lei, segretamente felice di aver evitato uno scontro, e tese la mano a Sam. Lui gliela prese e sperò che suo fratello decidesse di guardare verso il cielo perché avrebbe visto una stella cadente che precipitava in un lago per esaudire il desiderio di due persone.

Sam si sentì avvolgere da un gran calore e poi un attimo dopo stava precipitando. Era terrorizzato: non dai traumi che forse avrebbe riportato, ma dalla possibilità che fosse troppo tardi per impedire a Dean di fare il più grande errore della sua vita. Per scacciare questo cupo pensiero, ripassò mentalmente alcune delle indicazioni che gli aveva dato John quando aveva insegnato a nuotare e a tuffarsi a lui e Dean (non si sa mai cosa può essere utile a un cacciatore): oltre allo schiacciamento provocato dall’impatto con l’acqua, la prima parte che avrebbe toccato la superficie avrebbe subito una decelerazione diversa rispetto alle altre, si sarebbe fermata, mentre il resto del corpo, continuando a cadere, avrebbe subito delle conseguenze diverse. Quindi, entrare in acqua con la punta delle mani o dei piedi avrebbe ridotto la superficie di impatto e sarebbe stato decisivo per evitare traumi. Da grandi altezze il corpo, e in particolare la colonna vertebrale, avrebbe potuto subire brusche flessioni e, oltre a riportare fratture, il trauma avrebbe potuto provocare anche delle lesioni al midollo spinale. Gli organi avrebbero potuto subire una brusca frenata e alcuni, come la milza e il fegato, quelli con una consistenza maggiore, o subire i danni peggiori, persino rompersi con conseguente emorragia interna. Ma a Sam non importava, sperava solo che gli fosse concesso il tempo di farsi promettere dal fratello che non avrebbe fatto nessun patto con nessun demone. Ed era sicuro che gli avrebbe dato retta, quando gli avrebbe rivelato che era destinati a stare insieme per l’eternità.

L’impatto fu brusco tanto quanto aveva previsto: la superficie si infranse sotto i suoi piedi e il lago lo avvolse, trascinandolo nel profondo in un abbraccio fatto di bolle e correnti. Un dolore lacerante si diffuse dall’anca destra e scoprì subito di non poter muovere la gamba, poi il freddo lo colpì come tanti piccoli spilli. Sentì l’acqua scivolare facilmente, troppo facilmente, senza incontrare alcun ostacolo lungo il suo corpo e muovendo le braccia lottò faticosamente per tornare in superficie. Era al limite della sua riserva d’ossigeno, aveva una vera e propria fame d’aria; con un barlume di coscienza percepì il bisogno dei suoi polmoni di espandersi, necessità favorita anche dalla diminuzione della pressione man mano che risaliva, e capì che stava rischiando di perdere conoscenza per via dell’ipossia. Per qualche manciata di secondi non seppe più dove si trovava, ma quando il suo organismo mise in atto il primo riflesso respiratorio la sua testa era già fuori dall’acqua. Appena fu in grado di recuperare la sua lucidità, si guardò freneticamente introno valutando dove dirigersi per guadagnare la riva, anche se al momento probabilmente era troppo provato per riuscire a fare qualcosa di più che tenersi a galla.

Poi sentì qualcuno che lo chiamava: «Sammy!».

Dean era a poche bracciate da lui; nuotando, sfidando il peso dei vestiti bagnati che lo ostacolavano, il fratello maggiore lo raggiunse e lo sorresse.

«Sammy...» mormorò artigliando le sue spalle e stringendolo.

Sam ricambiò l’abbraccio per quello che riusciva a fare e a contatto con la guancia del fratello percepì una goccia calda che non poteva essere pioggia. Poi si staccò bruscamente, gli afferrò il viso e quasi gli gridò sulle labbra: «Non l’hai fatto vero? Non hai evocato un demone?».

Dean scosse il capo, incapace di dire qualcosa. Poi si rese conto che Sam tremava di freddo, cosa comprensibile dato che era immerso in lago ed era quasi autunno e, come se non bastasse, era completamente nudo e probabilmente traumatizzato, così lo rassicurò: «Ci sono io, ti tengo io, ti riporto a riva».

Lo afferrò da sotto una spalla, avendo cura di tenergli la testa fuori dall’acqua, e Sam collaborò come poteva cercando di agevolare Dean. Una volta arrivati a riva esaminò il corpo del fratello: doveva avere una lussazione dell’anca, una conseguenza piuttosto frequente dopo una caduta da una certa altezza. Dean aveva rimesso a posto varie volte delle spalle, ma conosceva solo la teoria di questo caso specifico.

«Farò presto Sammy, devo rimetterla a posto subito. Vedrai che in un momento sarà tutto finito e il dolore passerà» assicurò stringendogli la spalla.

Sam strinse le labbra, che stavano assumendo una sfumatura bluastra, cercando di trattenere una smorfia di dolore.

Dean si tolse la scarpa, cercò di ignorare il fatto che il fratello fosse senza vestiti (l’aveva visto nudo altre volte, non c’era motivo per cui dovesse sentirsi turbato) e puntò il tallone all’inguine di Sam, afferrò la sua caviglia e disse: «Al tre Sammy… uno, due...». Al due aveva già tirato. Sam sentì le ossa tornare in sede e non si lasciò sfuggire nemmeno un gemito.

«È meglio farlo quando non te lo aspetti. È tutto a posto fratellino» Dean lo strinse di nuovo, quasi non volesse lasciarlo più. Passato il dolore e cullato da quel senso di sicurezza, Sam si sentì improvvisamente consapevole del fatto di non avere nulla addosso (ma Anna non avrebbe potuto sforzarsi un po' di più e rimettere insieme anche i vestiti?) e artigliò la camicia di Dean in una muta richiesta. Dean capì, lo aiutò a sollevarsi sulla gamba buona e lo trascinò quasi di peso sul sedile posteriore dell’Impala. Recuperò una coperta dalla macchina, una sola perché da quando Sam se ne era andato non aveva senso portarne due, e la drappeggiò attorno al corpo del fratello, poi accese il motore e mise al massimo il riscaldamento. Solo allora la sua mano indugiò verso una bottiglia di acqua santa che teneva nel cruscotto; la prese velocemente e gettò il contenuto in faccia a Sam.

Sam rise: «Dovresti cercare di asciugarmi, non di bagnarmi ancora!». Poi aggiunse tendendo la mano: «Dammi un coltello d’argento».

Dean era titubante: «Non è necessario Sammy...».

Ma il fratello rispose: «Sì invece, voglio provarti che sono davvero io e non un mutaforma o qualche altra schifezza soprannaturale».

Dean lo accontentò e gli porse il coltello, resistendo a fatica all’impulso di strapparglielo di mano mentre lo vedeva far scivolare la coperta giù dalle spalle, che già riprendevano a tremare, e incidere la pelle del braccio.

«Visto? Sono io!» confermò Sam con un debole sorriso. Poi raccontò in breve a Dean di quello che era successo, dei suoi tentativi di fuga, del Paradiso che avrebbero condiviso (e Dean trattenne il respiro a quella rivelazione), di Anna e della loro caduta.

Alla fine Dean si passò la mano sul viso sconcertato: «Non posso crederci! Ma ora sei qui e mi prenderò cura io di te».

«Prenditi cura anche di te stesso: hai ancora addosso dei vestiti bagnati e starai gelando» ribatté Sam.

Dean prese dei vestiti di ricambio per entrambi, punzecchiando Sam riguardo al fatto che era cresciuto troppo e che probabilmente gli sarebbero andati un po’ stretti, e si cambiò girando ostentatamente la schiena al fratello. Perderlo di vista anche solo per un momento gli costò fatica e appena possibile lo guardò di nuovo, come per controllare che fosse davvero lì. I suoi occhi verdi seppero andare oltre le parole: la paura, la vergogna, il timore, tutto cadde e rimase solo l’intenso guardarsi. Si dice che si può leggere lo sguardo di una persona solo se si è capaci di far sì che il proprio cuore incontri quello dell’altro perché gli occhi portano al cuore e viceversa: come guardiamo amiamo, come amiamo guardiamo.


 

 

 

 

 

 

 

NdA

Il prompt era acqua e vi confesso che mi ha dato da pensare, ma spero di essere riuscita a far proseguire la mia storia con una trama originale (sono contenta di non aver fatto fare il patto a Dean) mantenendo i personaggi IC. Spero ricordiate che Anna è il primo angelo a ribellarsi davvero, a usare il suo libero arbitrio per decidere di separarsi dalla propria grazia e sperimentare le emozioni umane (mio marito si ricordava solo che andava a letto con Dean); anche Cas comincia a mostrare i primi segni di cambiamento.

E che dire dei nostri bros? Dopo tanta sofferenza sono finalmente riuniti!

Vi lascio il link del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Se avete un momento, fatemi sapere cose pensate di questo capitolo! Alla prossima settimana!

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Capitolo 6
*** Still breathing ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge


6/26 RESPIRARE

 

1. Processo mediante il quale si realizza lo scambio gassoso fra l’organismo e l’ambiente; compiere il processo della respirazione; inspirare ed espirare l’aria; vivere.

2. Avere un po’ di pace, di riposo, di sollievo; riprendere fiato.

 

 

 

 

«Ma io quanto tempo sono stato via Dean? In Paradiso è impossibile calcolare i giorni» chiese Sam. Anche se Dean aveva insistito perché restasse sdraiato comodamente sul sedile posteriore, Sam non aveva voluto saperne e si era posizionato accanto a lui, tendendo le mani verso la bocchetta d’aria calda per scaldare le punte delle dita che erano rimaste ancora intirizzite.

«Tre mesi, 10 giorni e 7 ore, ma chi le ha contate quelle» rispose Dean scherzando.

«Sì, ma adesso devi raccontarmi quello che è successo quaggiù. Che hai fatto?» insisté Sam.

«Mi sono bevuto un paio di birre per ammazzare il tempo, mi sono occupato di un paio di casi in giro, tutto nella norma» Dean era piuttosto bravo a mentire, ma Sam sospettò che le birre in questione, se erano state solo birre, fossero state ben più di due.

Benché non fosse lontano, arrivarono al Roadhouse che era già buio. Scesero dalla macchina e si diressero verso l’entrata. Sam incespicò sui propri piedi, maledicendo il fatto di essere senza scarpe.

«Stai attento! Guarda che non ho intenzione di portarti oltre la soglia in braccio!» lo prese in giro Dean.

Il locale era abbastanza pieno per i suoi soliti standard, più che altro di cacciatori di passaggio, e si sentivano le voci il cui normale volume era aumentato dall’alcool. Al loro ingresso però tutti tacquero. Più di un cacciatore che li conosceva e aveva saputo della morte di Sam mise mano a coltelli, pistole e chissà quale altra roba potevano nascondere le capienti tasche, ma Dean alzò le mani e, senza dover nemmeno faticare per alzare la voce, perché in quel momento sarebbe stato possibile cogliere anche solo un sussurro, disse: «Mio fratello è tornato! Non disturbatevi con acqua santa o argento, ho già controllato io: è lui».

Ellen si fece avanti come se fosse la personificazione della furia e diede due ceffoni a Dean con tutta la sua forza, fissandolo con rabbia e dolore: «Hai fatto una grandissima stronzata idiota!».

Dean inaspettatamente rise: «Ellen, non rubare le battute a Bobby! Sta tranquilla, non ho fatto nulla. Non essere arrabbiata».

Questo peggiorò la reazione di Ellen, che si portò una mano alla bocca nel tentativo di soffocare grida di rabbia e insieme singhiozzi: «Arrabbiata non si avvicina neanche lontanamente! Guarda che non m’incanti, lo so cosa hai fatto, ti ho visto prendere gli ingredienti per evocare un demone prima che andassi via!».

Sam, dopo aver lanciato un’occhiata di traverso al fratello che prometteva un «Lo sapevo, poi facciamo i conti», intervenne in suo aiuto: «Sta dicendo la verità: non ha fatto nessun patto, è stato un angelo a riportarmi indietro».

Sam passò le due ore seguenti a spiegare a tutti i presenti cosa gli era successo, come funzionava il Paradiso, che gli angeli esistevano davvero e che per la maggior parte erano delle teste di cazzo, ma che quel tale Castiel non era poi tanto male visto che non aveva cercato di fermarlo con la forza e dovette persino descrivere quanto fossero grandi le tette di Anna che lo aveva salvato, non riuscendo mai a finire di bere la prima birra che gli era stata messa in mano. Placata la curiosità di tutti, riuscì finalmente a non ritrovarsi più circondato da gente e Dean, che non smetteva di sorridere e, per una volta, non aveva colto ogni occasione possibile per provarci con Jo, ma in compenso era riuscito a bere un sacco di birra, gli si accomodò accanto.

Gli diede apposta una spallata mentre si sedeva, giusto per controllare che fosse davvero lì: «Adesso Sammy basta parlare dei piccioni angelici e della noia celeste, ora noi due ci meritiamo una serata per celebrare il tuo ritorno dal regno dei morti!».

«Vuoi che facciamo un pigiama party, ci spazzoliamo i capelli e guardiamo Dott. Sexy?» propose Sam cercando di fare una faccia seria.

«No, ti sfido a biliardo!» rispose Dean. Non era mai stato bravo coi discorsi, ma aveva bisogno di passare del tempo con suo fratello. Aveva bisogno di sapere che quella sera tutto il mondo poteva andare a farsi fottere: la caccia, i mostri, i demoni, anche gli angeli. Quella sera lui e suo fratello erano insieme e nessuno avrebbe portato via quel momento di pace.

Sam era stato sempre il migliore a giocare a biliardo, ma sembrava che non riuscisse a mettere in buca nemmeno una palla e a metà partita dovette fermarsi per correre in bagno a vomitare. Dean lo seguì, gli restò accanto e gli tenne scostati i capelli per non farglieli sporcare; le parole che gli rivolgeva erano di derisione, ma il tono era dolce: «Non sapevo che resuscitare avrebbe azzerato la tua tolleranza all’alcool Sammy!».

Sam avrebbe voluto proseguire la partita, vomitare era stato varie volte solo un fastidioso intermezzo in una serata, ma Dean lo volle accompagnare a letto (e lui gliene fu segretamente grato), proponendo di guardare una nuova serie che gli aveva fatto scoprire Ash, Game of thrones. Sam aveva letto alcuni dei libri da cui era tratta («Sì Dean, mi piace leggere» aveva commentato acidamente allo sguardo sorpreso del fratello). Per quanto gli episodi fossero coinvolgenti, Sam avrebbe solo voluto dormire, si sentiva a pezzi. Aveva provato a distendersi, ma sentiva come un peso nel petto, che veniva scosso ogni tanto da un colpo di tosse, quindi si era seduto sul letto con un cuscino appoggiato alla schiena e la situazione era leggermente migliorata. Sentiva meno dolore e il torace era libero di espandersi. Ma gli sembrava che l’ossigeno non gli bastasse, come quando hai preso un brutto raffreddore e, per quanto ti soffi il naso, non riesci mai a incamerare abbastanza aria. La tosse poi era sempre più fastidiosa: sembrava che il suo corpo stesse, inutilmente, cercando di espellere dall’organismo qualcosa che si era fermato dentro e non voleva andarsene.

Inizialmente, Dean si era messo accanto a lui su una sedia, ma poi, vedendo le palpebre di Sam chiudersi un po’ alla volta e preoccupato per i ripetuti colpi di tosse, gli si accoccolò accanto per sorreggerlo mentre si appisolava. Gli dispiaceva che il fratello avesse chiuso gli occhi, perché gli occhi di Sam erano un prato verde di speranza, finestre aperte sul cuore più bello del mondo e gli erano mancati così tanto. Avrebbe voluto lanciarsi in un abbraccio spregiudicato per tenerlo ancora più vicino, affondare la testa sulla sua spalla e lasciare libero corso alle lacrime di una gioia sfrontata che sapeva essere condivisa. Giurò a se stesso che da quel giorno sarebbero stati insieme per sempre, fino alla fine.

A un certo punto, sentì il respiro di Sam cambiare: era quasi un sibilo e vide che la sua pelle appariva molto pallida e lucida di sudore. Rimase ad ascoltare e si rese conto che i respiri erano sempre più brevi e frequenti. Gli posò una mano sul petto e sentì il cuore che batteva a un ritmo forsennato.

Qualcosa non andava. Non era pratico di risurrezioni, era la prima volta che ne capitava una nella sua esperienza, e si chiese con disappunto se quell’angelo non sapesse per nulla il fatto suo e avesse combinato un pasticcio riportando in vita il suo Sammy causandogli però dei problemi, magari non ricostruendo bene il suo corpo. Poi gli tornò in mente un vecchio ricordo e la sua paura tralasciò gli scenari magici e prese sembianze concrete: John, molti anni prima, aveva spiegato loro che restare sott’acqua anche poco tempo può dare problemi respiratori anche non immediati.

Dean detestava gli ospedali, ma ne avevano passate tante, aveva appena riavuto Sammy e col cavolo che lo avrebbe perso, quindi gli diede qualche schiaffetto sulle guance per farlo tornare cosciente e se lo caricò quasi di peso sulle spalle trascinandolo fino alla macchina: «Coraggio Sammy, rimani con me! Adesso ti porto da un dottore».

Sam riuscì appena ad annuire. Non c’era verso che la voce gli uscisse dalla gola, aveva già abbastanza difficoltà a non soffocare.

Il viaggio fino al più vicino pronto soccorso fu penoso: Sam rischiava frequentemente di perdere conoscenza e Dean correva come un pazzo, alternando lo sguardo tra la strada e il fratello il cui respiro si era fatto un rantolo che era estremamente preoccupante, ma almeno serviva a rassicurare Dean sul fatto che non avesse smesso del tutto di respirare. Ellen avrebbe voluto accompagnarli, ma Dean le aveva detto che poteva cavarsela da solo, promettendo però di avvisarla appena avesse avuto novità.

I medici, dopo che Dean disse loro della mancanza di coordinazione, del vomito, della tosse e del tuffo nel lago che avevano fatto per scommessa (mica poteva dire che suo fratello era caduto dal cielo…), avevano subito valutato il caso come prioritario, avevano ricoverato Sam e gli avevano immediatamente somministrato ossigeno. Mentre gli si affaccendavano intorno, Dean faceva avanti e indietro sulla soglia della stanza in cui avevano sistemato Sammy, cercando di non ostacolare il lavoro dei medici, ma senza perdere nessuno dei loro movimenti. Aveva dato loro dei documenti per l’assicurazione sanitaria falsi, a nome di Steve Walsh e spiegato di essere il fratello del paziente. Dopo poco un medico venne a parlare con lui: «Suo fratello mostra qualche segno di ripresa».

«È una cosa buona, vero?» domandò Dean speranzoso.

«I bronchi si sono infiammati, causando un edema e, come conseguenza, i livelli di ossigeno nel sangue sono diminuiti. Se sarà necessario, proseguiremo con la ventilazione assistita temporanea. La morfina dovrebbe ridurre l’affanno respiratorio» continuò il medico senza sbilanciarsi.

«Parli la mia lingua, per favore!» Dean faticava a contenersi.

«Temiamo abbia una modesta quantità d’acqua nei polmoni e, se sarà necessario, gli infileremo un tubo in gola per aiutarlo a respirare. Ora faremo una lastra per averne conferma, poi lo sottoporremo a test per la funzionalità renale, esami del sangue, esami per escludere la possibilità di infarto, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma. Vedremo se sarà necessario dargli altri farmaci. Se vuole può restare con lui e magari pregare, siamo tutti nelle mani di Dio» continuò imperterrito il medico.

A quest’ultima affermazione Dean sbottò: «Lei è un medico, un professionista, e mi viene a dire che la vita di mio fratello è nelle mani di Dio? E questo dovrebbe darmi conforto? No, Dio non c’entra nulla con tutto questo!».

Poi avvicinò una sedia al letto di Sam e gli prese la mano e mormorò a denti stretti: «Semmai c’entrano gli angeli, che potrebbero anche fare qualcosa per sistemare questo casino». Sam voltò la testa e gli rivolse un sorriso debole e un po’ confuso per via della morfina. Il dolore dal petto era sparito e sentiva che il torace riusciva ad espandersi di nuovo. Provò a parlare e stavolta la voce riuscì a uscire inframmezzata da pochi colpi di tosse: «Dean... mi raccontavi che la mamma aveva messo un angioletto di ceramica sul tuo letto… che avrebbe vegliato su di noi. A quanto pare non aveva tutti i torti! Peccato che gli angeli non esaudiscano tutte le preghiere... Ti ricordi che un Natale avevo provato a pregare di ricevere dei regali?». Certo che Dean ricordava: aveva fatto avverare lui quel desiderio rubando dei regali. Peccato si trattasse di una bambola, ma Sam aveva apprezzato il gesto. Fece una carezza sulla fronte del fratello, gli spostò i lunghi capelli dietro le orecchie e, certo del fatto che non avrebbe conservato memoria di quel momento, gli posò un bacio sulla fronte: «Adesso cerca di riposare».

Passarono svariate ore e i medici tornarono e rivoltarono Sam come un calzino, riempiendolo di aghi. Dean, nonostante gli inviti dei dottori a uscire dalla stanza, non lo lasciò mai e si prodigò per asciugargli la fonte dal sudore con una pezza bagnata, tenergli il catino quando doveva vomitare, sussurrando sempre parole di incoraggiamento.

Finalmente il medico con cui aveva parlato tornò con un responso; sollevando la radiografia controluce, sentenziò: «So che le può sembrarle assurdo che suo fratello abbia rischiato di morire di annegamento nel suo letto, eppure è proprio ciò che può accadere con quello che chiamiamo annegamento secondario. Di solito, questa particolare forma risulta essere particolarmente pericolosa per i bambini. I sintomi che mi avete descritto, la tosse, la stanchezza, il vomito, sono la reazione a una scarsa quantità di acqua infiltratasi nei polmoni. Ne basta poca, purtroppo, per generare un vero e proprio edema polmonare, col potenziale rischio di un’insufficienza respiratoria letale. Ma lo abbiamo preso in tempo. In futuro, consiglio a lei e a suo fratello di non fare cose stupide come un bagno nudi in un lago in autunno!».

Dean assentì, ignorando l’inflessione divertita con il medico aveva pronunciato la parola «fratello» e il successivo sguardo d’intesa, continuando a concentrasi su Sammy, che aveva aperto gli occhi da qualche minuto e sembrava abbastanza lucido. Stava per fare una battuta su quanto fosse seccante essere scambiati sempre per una coppia, quando Sammy si tirò su di scatto, guardando sorpreso oltre le spalle di Dean.

Dean si voltò e vide un uomo con i capelli scuri, brillanti occhi azzurri, vestito con un completo elegante e un trench beige, che identificò come l’angelo Castiel in base alla descrizione di lui che aveva fatto in precedenza Sam.

«Vi tenevo d’occhio e ho visto che Samuel stava male. Volevo guarirlo, ma vedo che anche con le vostre tecniche umane avete risolto la situazione» la voce dell’angelo era profonda e serena.

«Oh, grazie per esserti scomodato! Magari potevi aspettare che Sam smettesse di respirare, così potevi riportarlo di nuovo in vita. Danno una tessera punti omaggio per ogni nuova resurrezione?» sotto sotto, Dean aveva un po’ di timore dell’angelo, ma non l’avrebbe dato a vedere per nessuna ragione al mondo.

«Sono venuto appena mi è stato possibile. I miei superiori non condividono che mi avvicini troppo agli umani perché verrei a contatto con le emozioni, le porte del dubbio. Ma la vostra incolumità è importante perché voi siete preziosi strumenti di Dio» spiegò Castiel.

«Perché parliamo sempre di Dio? Dove se ne sta? Non c’entra nulla con tutto quello che è successo a Sam!» la pazienza di Dean, anche adesso che sapeva che Sam sarebbe stato bene, era molto limitata.

«A me sembra di sì. Ha dato l’intelligenza e le capacità a voi umani per curare Samuel» ribatté l’angelo.

«Ma non dimenticare che ha permesso che stesse male!» decisamente Dean aveva i nervi a pezzi e non era in vena per una qualsivoglia discussione teologica, con un angelo per di più.

L’angelo piegò la testa da un lato e sembrò riflettere ad alta voce: «Le vostre menti sono limitate. Anticamente, gli uomini hanno creato delle divinità per spiegare le cose che non capivano, come i fulmini del cielo; ora sapete che il fulmine è un fenomeno atmosferico, che consiste in una scarica elettrica di grandi dimensioni che si instaura fra due punti con elevata differenza di potenziale elettrico. Ma Dio è amore e spiegare l’amore è più difficile. Però sai perché tu sei così convincente Dean? Tu non parli d’amore, tu ami».

 

 

 

NdA

Quando ho letto il prompt mi sono mangiata le mani: se avessi saputo prima che era «respirare», avrei concluso il capitolo precedente con Sam che annegava e lo avrei fatto rianimare da Dean in questo. Ma ormai era pubblicato, anche questo è il bello della challenge. Avrei potuto regalare un momento di respiro ai Winchester, ma la mia passione per l’hurt/comfort è aumentata e ho preferito documentarmi sull’annegamento secondario. Non sono un dottore, ma ho cercato dati il più precisi possibile. Il titolo è tratto da quello dell’omonima canzone dei Green Day.

Spero che con il prossimo capitolo ci sia un prompt che mi faccia venire una bella idea per una caccia e tanto comfort.

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Spero che il capitolo vi piaccia e che non dobbiate mai aver bisogno delle informazioni mediche che ho inserito. Se avete tempo, lasciatemi un commento!


 

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Capitolo 7
*** Rose of Jericho ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

7/26 CURA

1.
Il complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche relative a determinate malattie o condizioni fisiche; terapia.

2.
L'opera prestata dal medico o altra persona per guarire un ammalato.

 

 

 

 

Grazie a un tocco di Castiel, Sam si era completamente ristabilito in un istante (se non fosse scappato dall’ospedale in tutta fretta, probabilmente i dottori avrebbero pensato a un miracolo, cosa che effettivamente non era lontana dalla verità), evitandogli una lunga e faticosa convalescenza.

Anche se il fratello stava bene, Dean aveva insistito perché si prendessero un periodo di riposo, quindi si erano trasferiti a casa di Bobby che, nonostante il matrimonio con Ellen, si ostinava a trascorrere lunghi periodi in quel paese dimenticato da Dio di Sioux Falls, sostenendo che il Sud Dakota e il Nebraska non erano troppo lontani e che comunque spesso sua moglie era a caccia. Dean aveva passato la maggior parte del tempo dedicandosi alla manutenzione di Baby e a pulire tutte le armi che possedeva, mentre Sam aveva impiegato questo tempo libero leggendo e facendo ricerche sul computer, soprattutto riguardo agli angeli. Aveva scoperto molte cose: per esempio che per scendere sulla Terra dovevano trovare un umano che li ospitasse volontariamente nel proprio corpo.

Quello era uno dei periodi più tranquilli che avessero passato da molto tempo, ma non si sorpresero troppo quando la loro routine fu bruscamente interrotta; dopotutto non c’era mai pace per i Winchester. Stavano bevendo una birra davanti a una partita di football, rubandosi i popcorn a vicenda, quando un fruscio d’ali seguito da un tonfo annunciò l’apparizione di due angeli.

Uno non lo conoscevano, era biondo, magro e con la faccia da stronzo, che in quel momento esibiva un’espressione a metà tra la sfacciataggine e la preoccupazione mentre sorreggeva una loro conoscenza: Castiel.

«Salve ragazzi, avete visto Indiana Jones e l’ultima Crociata? Avete presente quando il povero Henry viene ferito?» domandò lo sconosciuto affrettatamente.

«Ma porca puttana!» imprecò Dean, rovesciando la tazza dei popcorn, sputacchiandone un po’ e alzandosi di scatto con una pistola, estratta repentinamente da sotto il cuscino del divano, puntata contro il nuovo venuto. Se credeva che quell’entrata ad effetto e il suo charme avrebbero incantato i Winchester, si stava sbagliando. Quello, incurante dell’arma rivolta contro di lui, trascinò Castiel fino al divano, costringendo Dean e Sam a spostarsi di lato per non essere travolti.

«L’eroico Indy deve recuperare il Graal, l’unica possibilità di salvezza per suo padre» continuò imperterrito, mentre si muoveva come un attore sul palco che volesse dominare la scena.

«Perché parli di Indiana Jones?» domandò Sam sconcertato; non era intimorito dal tizio, l’aveva visto un paio di volte quando aveva cercato di scappare dal Paradiso, sapeva che era un angelo ed lo considerava meno antipatico degli altri.

«Perché ci siamo dentro. Ora. Stanotte. E il ruolo dell’eroico archeologo è interpretato da me» rispose enfatizzando le parole con ampi gesti indicando se stesso.

«Ti dispiace spiegarti meglio?» biascicò Dean che non aveva ancora lasciato la pistola.

«Scusa, piccola scimmia senza pelo, Cassie sta male e io devo cercare qualcosa che possa guarirlo. In Paradiso non ce lo vogliono perché temono che sia contagioso. Siate premurosi con lui» disse in fretta l’angelo appoggiando sbrigativamente Castiel sul divano.

Si fermò solo un istante a guardare Castiel con intensità: «Fratello, cerca di resistere. Farò il prima possibile» gli raccomandò e, detto questo, sparì.

Sam guardò suo fratello sperando che ci avesse capito qualcosa più di lui, ma si ritrovò a fissare la bocca semiaperta e piena di popcorn di Dean. Furono riportati alla realtà da un gemito sommesso proveniente dal divano, su cui stava accoccolato un tremante fagotto di indumenti stropicciati. Castiel non sembrava avere nulla della forza di cui aveva dato mostra quando li aveva incontrati nelle occasioni precedenti. Era pallidissimo, respirava velocemente e sembrava molto sofferente.

«Perché per una volta che avevamo una tregua da mostri e demoni ci vengono a rompere le palle gli angeli? Noi siamo bravi a spargere sangue e combattere il male, siamo bravi a cacciare, non siamo delle baby sitter!» protestò Dean, che finalmente era riuscito a inghiottire tutti i popcorn, rivolto al nulla. Ma poi prevalse quel senso del dovere e di protezione così profondamente radicato in lui e si avvicinò all’angelo. Dopotutto, era stato gentile con suo fratello, almeno per gli standard angelici di cui gli aveva raccontato Sam, e la loro vita era dedicata a salvare ogni giorno degli sconosciuti.

Istintivamente, mise la mano sulla fronte imperlata di sudore dell’angelo. Scottava.

«Sei talmente caldo che potrei friggerti un uovo in testa» cercò di sdrammatizzare, ma l’altro non parve cogliere la battuta.

«Castiel, come funziona per voi angeli? Cioè, capita che stiate male?» si intromise Sam, sia con curiosità che senso pratico.

Castiel parlava a fatica, le sillabe che inciampavano nei denti: «Quando siamo feriti in battaglia, la nostra grazia ci cura, ma stavolta è diverso: sembra una delle vostre malattie umane e… qualcosa non va: non riesco a guarirmi, né a separarmi dal mio contenitore... Non è solo questo corpo che si sta danneggiando progressivamente in modo irreparabile, è anche la mia grazia che si consuma di pari passo... Non era mai successo a nostra memoria, ma negli ultimi tempi è capitato ad altri angeli… hanno cominciato a star male e dopo poche ore o giorni in certi casi...».

«E come è andata a finire?» chiese Sam, anche se temeva di conoscere la risposta.

Castiel si limitò a scuotere la testa.

«Il tizio che ti ha portato qui dice che cercherà qualcosa per curarti» cercò di essere positivo Sam, nonostante fosse intimamente seccato con chiunque li avesse messi in mezzo alla prima epidemia angelica della storia.

Il tentativo di Castiel di fare un mezzo sorriso fu stroncato sul nascere da una smorfia di dolore: «Balthazar… è un amico leale, cercherà di fare del suo meglio» il tono neutro di Castiel non riuscì a nascondere la completa sfiducia in quella possibilità.

«Intanto, noi cercheremo di guadagnare tempo. Hai detto che il tuo contenitore si sta danneggiando, quindi cerchiamo di farti guarire alla vecchia maniera» decise Dean.

Per prima cosa gli avvolse una coperta addosso e i brividi di febbre si attenuarono almeno un po’.

«Ok, Cas, dimmi cosa senti» domandò Dean.

Castiel si portò le mani sugli occhi: «Fa male dappertutto… La testa… sembra che stia per esplodere, come se tutti gli angeli del Paradiso urlassero insieme nello stesso momento e non riuscissi a tenerli fuori… e non riesco a stare fermo… è un po’ passato quando mi hai dato al coperta...».

L’angelo, evidentemente, non sapeva cosa fosse il freddo e cercava di spiegare sensazioni mai provate.

«Sta tranquillo, sono stato peggio» dichiarò Dean stringendogli la spalla.

«Per prima cosa ti facciamo scendere la febbre» decise Sam.

Aveva già sciolto un’aspirina in un bicchiere d’acqua e stava per aiutare l’angelo a bere; accostò il bicchiere alle labbra screpolate che si schiusero ubbidienti rivelandosi però sporche di sangue. Sam si fermò immediatamente e accennò al fratello di dare un’occhiata.

Dean constatò che perdeva sangue dalle mucose della bocca e anche dal naso.

Castiel fu preso da forti colpi di tosse. Goccioline di sangue mescolate a puntini di pura luce liquida volarono in ogni direzione, ivi compresa la faccia di Dean. «La giornata non fa che migliorare...» borbottò Dean ed entrambi i Winchester sperarono che non si trattasse di qualcosa che potesse contagiare anche gli umani e che quel Balthazar, qualunque cosa avesse in mente, la facesse in fretta.

Castiel non riusciva a respirare. Non aveva mai provato un senso tale di impotenza: era sopravvissuto a grandi battaglie, aveva lottato contro degli eserciti, ma non riusciva a credere che qualcosa che non poteva toccare o vedere gli causasse tutto quel dolore e che lui, angelo del Signore, soccombesse ad essa. Sentiva il corpo bruciare di un calore straziante, più subdolo delle fiamme dell’Inferno e più letale delle spade infuocate dei demoni. Poi a tratti era come se delle lame di ghiaccio lo trafiggessero nelle giunture più sensibili del corpo e gli sembrava che due pugnali scavassero dietro i suoi occhi.

Appena fu in grado di riprendere il controllo della gola, inspirò tutta l’aria che poté. Sentiva un sapore metallico che non avrebbe dovuto esserci. Guardando il suo sangue e la sua grazia sparsi ovunque si lasciò sfuggire: «Le mie scuse».

Dean si ripulì la faccia con la manica ostentando noncuranza e si rivolse a Castiel: «Ok angioletto, niente aspirina perché peggiorerebbe l’emorragia, ma dobbiamo far scendere la febbre. Quello che dobbiamo fare non ti piacerà, ma è necessario, credimi».

Lui e Sam lo presero per le braccia e per le gambe. Castiel gridò dal dolore. I cacciatori, sapendo di avere a che fare con un uomo di medie proporzioni di sicuro pesante, lo avevano preso con energia e all’angelo era sembrato che i suoi muscoli, contratti e irrigiditi, fossero stati stretti da morse crudeli. Cercarono di essere più delicati, di non stringere e Castiel, consapevole che urlare non sarebbe servito a nulla, si lasciò sollevare, abbandonandosi come una bambola di pezza, mordendosi le labbra e facendole sanguinare anche di più. Lo portarono al piano di sopra in bagno e lo adagiarono sul pavimento.

Lasciarlo con loro da parte di Balthazar era stato un azzardo, tipico da parte sua, ma in effetti erano le uniche persone al mondo con cui era entrato in contatto e che conoscevano l’esistenza del soprannaturale. Non riusciva a capire fino in fondo perché i cacciatori lo stessero aiutando, non erano tenuti a farlo… pensando a questo, sentì un calore sconosciuto al centro del petto, che non faceva male, ma a cui non sapeva dare un nome.

Sam fece scorrere l’acqua nella vasca e Dean rimosse ogni strato di vestiti da Castiel, che fissava su di lui l’azzurro dei suoi occhi ubriachi, incerto, un po’ intontito, ma apparentemente non a disagio, a differenza dei cacciatori. La pelle bianca era cosparsa da tante piccole macchioline rosse (a Sam ricordarono quando lui e il fratello si erano presi il morbillo) e dove le loro mani si erano strette attorno alle caviglie e alle spalle erano evidenti delle petecchie.

Quando al vasca fu piena, lo immersero. Non si aspettavano la reazione disperata che ebbe. Se prima gli era sembrato di ricevere delle pugnalate, adesso Castiel credette che un’infinità di spilloni si conficcassero in ogni centimetro del suo corpo e provò istintivamente a ribellarsi. Era molto debole, ma pur sempre un angelo, quindi i fratelli faticavano a tenerlo e Sam provò a convincerlo: «Lo so che dà fastidio! Ma devi stare buono, almeno per un po’. Tra poco ti tireremo fuori».

A Castiel sembrarono passare delle ore, prima che quattro braccia lo tirassero fuori, lo strofinassero più delicatamente di quanto avrebbe immaginato e gli infilassero qualcosa di morbido e caldo. Si sentiva leggermente meglio, più lucido.

«Vi sono grat...».

Non riuscì a finire l’ultima parola perché il suo stomaco decise si contrarsi e rovesciare fori tutto il suo contenuto mescolato a tracce della sua grazia. Fece appena in tempo a sporgersi oltre il bordo della vasca. Il sapore che gli lasciò in bocca era decisamente peggiore di quello del sangue. Continuò a lungo, con Dean che lo teneva per le spalle perché non si sporcasse borbottando: «Bobby ci ucciderà quando scoprirà come abbiamo ridotto la sua vasca».

Castiel era talmente distrutto dai conati, che quasi non sentì la punta di un ago che bucava il suo gluteo. L’effetto di qualsiasi cosa Sam gli avesse iniettato fu quasi immediato e dopo poco Dean lo trascinò fino al lavandino e gli spiegò che doveva sciacquare la bocca. Si toccò il punto dove Sam gli aveva fatto l’iniezione e quando ritirò la mano era sporca di sangue. Il suo corpo non riusciva a guarire dalle ferite. Nonostante il sostegno di Dean, non si reggeva in piedi. Si sentiva debole e inutile ed era come se il pavimento si avvicinasse, rischiando di sbattere sulla sua faccia, e si allontanasse, facendolo cadere nel vuoto.

Per un momento perse conoscenza e quando si riebbe era su un letto e Sam stava sistemando dei cuscini dietro di lui per farlo stare sollevato, in modo che non si soffocasse col sangue. Dean armeggiava con una sacca collegata a un tubo con un ago in fondo; scoprì il braccio all’angelo e cercò una vena: «Ti stai disidratando e dobbiamo reintegrare i liquidi. Anche se hai smesso di vomitare, non credo che sia una buona idea provare a farti inghiottire qualcosa. Buon per te che Bobby ha in casa di tutto, compresa una mezza farmacia. È solo un pizzicotto, sta fermo».

Solo un pizzicotto? Forse dipese dal fatto che stava guardando l’ago bucare la pelle, ma Castiel trovò inaspettatamente la puntura molto intensa. Sentiva la gola bruciare, come se ci avessero infilato della carta vetrata nonostante il sangue viscoso la riempisse.

Le sacche si susseguirono e l’angelo era consapevole solo a tratti di quello che succedeva attorno. Gli sembrava che la sua grazia si tesse disgregando attimo dopo attimo. Liquidi uscivano dal suo corpo misti a grazia e le lenzuola vennero cambiate e Dean, che aveva perso a carta forbice e sasso per cui era toccato a lui l’ingrato compito, brontolava che Bobby li avrebbe davvero uccisi se non fossero riusciti a pulire tutto.

Poi un fruscio d’ali annunciò il ritorno di Balthazar. Teneva trionfante tra le mani un sacco, ma sembrava avere anche lui i primi sintomi di malessere.

«Ci ho messo un po’, ma ce l’ho fatta! Guarda qui Cassie!» ed estrasse un serpente di bronzo dal sacco. Ci fu una luce brillante che avvolse tutta la stanza. Quando scemò, Cas sembrava perfettamente ristabilito.

«Stai bene?» quella di Dean era una domanda sincera, non riusciva a credere a quello che aveva visto.

«Immagino di sì» confermò Castiel. Ogni dolore era cessato, ogni sensazione negativa era sparita e c'era una nuova consapevolezza di benessere e di quella che stavolta riconobbe come gratitudine.

Balthazar, compiaciuto, anche lui in perfetta forma, si rigirò il serpente in mano con aria di importanza: «Grazioso vero? Questo è uno degli oggetti chiamati: “mani di Dio”. Semplicemente un oggetto toccato da Dio su cui egli ha riversato il suo potere. Avete letto la Bibbia? No, temo di no. Mosè fece un serpente di bronzo e chi era malato e lo guardava restava in vita. Che poi è questo. Peccato che questi oggettini siano one shot» e con dispiacere gettò il serpente, ormai inutile, in un angolo.

Castiel assottigliò lo sguardo: «L’hai rubato dall’armeria celeste». Era un’affermazione, ma il tono non riusciva a essere totalmente di rimprovero. Castiel sapeva che l’aveva fatto per lui e che questa palese violazione delle regole celesti avrebbe avuto delle gravi conseguenze; conoscendo Balthazar, le avrebbe evitate con una rapida fuga.

«Colpevole!» ammise allegramente Balthazar. Poi restò un momento in ascolto concentrato, vide le luci della stanza sfarfallare e commentò: «Credo che per me sia il momento di levare le tende, stammi bene Cassie!».

La stanza sembrò ruotare all’improvviso e Sam, Dean e Cas si ritrovarono in quella che sembrava una serra piena di un’infinità di piante e fiori. Un vecchio dall’aria gentile, che potava una pianta, sorrise loro: «Scusatemi se vi ho portati qui, ma dovrei davvero parlare con voi, me l’ha ordinato il capo».

«È carino qui, ma dov’è che siamo?» chiese Dean guardandosi attorno senza farsi incantare dall’aspetto mite del vecchietto.

«Molti lo chiamano Eden, ma ognuno vede ciò che desidera. Per voi due dovrebbe essere il giardino botanico di Cleveland, veniste qui in gita scolastica» rispose quello che a questo punto poteva essere solo un altro angelo, mentre versava un po’ d’acqua su un fiore.

«E chi sei tu e chi è il tuo capo?» intervenne Sam un po’ intimorito dal fatto che il vecchio sembrasse leggergli nell’animo: quella gita era uno dei momenti più gioiosi passati con Dean da bambini.

«Io sono Joshua e curo il giardino per conto di Dio» continuò pacato il vecchio senza smettere si affaccendarsi attorno alle piante.

«Tu conosci Dio?» domandarono insieme i fratelli.

«È soprattutto lui che parla con me. È sulla Terra, ma non so a fare cosa. So solo che vuole che vi dia un messaggio: ho un lavoro per voi, trovate una cura per gli angeli. Per tutti quelli che si stanno ammalando. Gli angeli sono la fonte del potere del Paradiso stesso: la loro presenza, cioè, lo alimenta e lo tiene in attività. Se si dovessero estinguere l'intera struttura crollerebbe, riversando tutte le anime in esso contenute sulla Terra in forma di fantasmi».

«E perché non interviene lui?» domandò Dean.

«Credo che non la ritenga una cosa a cui deve prestare attenzione» spiegò Joshua.

«Si è messo comodo senza alzare un dito per vedere il mondo distrutto dai fantasmi mentre noi cerchiamo di salvarlo? È solo un altro padre assente che cerca scuse, ci sono abituato» sputò fuori sprezzante Dean.

«Vorrei saperti dire di più, ma io so potare solo le siepi» si scusò Joshua.

«Sapevo che eravate destinati a grandi cose! Questo è il vostro destino: salvare il Paradiso e il mondo intero» intervenne con solennità Castiel, che fino a quel momento era rimasto rigido e immobile.

«Non mi raccontare queste balle! Il destino, il disegno di Dio sono solo bugie, povero figlio di puttana, è il solo modo per tenerti in riga! Sai cos’è reale? Le famiglie, quello è reale! Hai idea di quanto potrebbe essere catastrofico se i fantasmi si riversassero nel mondo?» sbraitò Dean che stava perdendo definitivamente la pazienza con gli angeli.

«Non preoccuparti Dean! Troveremo un modo per far sì che non accada. Possiamo fare qualcosa» lo rincuorò Sam.

«Che cosa?» chiese Dean quasi senza speranza.

«Non so ancora cosa, ma lo faremo. Insieme» concluse Sam fissandolo negli occhi.

Dean ricambiò lo sguardo e abbracciò il fratello che lo strinse di rimando.

«Vi aiuterò» decise Castiel, ma al momento fu apparentemente ignorato.

Joshua sorrise e porse loro quello che sembrava un groviglio sferico di erba secca. A Sam bastò aprire una mano per accoglierlo nel palmo, incerto sul da farsi. Doveva mostrarsi educato e ringraziare? Doveva chiedere una spiegazione? Joshua lo precedette: «La vita, quella di voi umani e anche quella di noi angeli, non è molto diversa da quella di un filo d’erba nei campi. Danziamo nel vento di primavera, ma siamo esposti alle intemperie.

Questa è una rosa di Jericho, un dono per voi. È una pianta che, privata d’acqua, si chiude a riccio e sembra seccare. Se però la lasciate un po’ di tempo in acqua, le sue radici tornano a bere e, in poche ore, si apre e torna a essere verde e piena di fiorellini. La chiamano pianta della resurrezione. Secondo molte leggende, averla in casa assicura pace, felicità e una lunga vita. 

La natura ci racconta che non sempre quel che sembra sterile lo è. E che quella che ci appare la fine non è davvero la conclusione di tutto. È un messaggio di speranza. Non perdete la speranza finché chi amate aprirà le sue braccia per accogliervi».

 

 

 

NdA

 

Il prompt era «cura» e io nel capitolo precedente ho descritto cure mediche, quindi anche stavolta mi sono mangiata le mani e ho dovuto lavorare d’immaginazione. Ho dato una piccola tregua a Sam e a Dean (non posso far sempre e solo soffrire loro due a turno!) e come vedete ho inserito una trama orizzontale, che spero di riuscire a seguire con i prossimi prompt. Penso a questa storia come a una stagione di Supernatural, spero vi possa piacere!

Per chi fosse curioso, i sintomi di Castiel sono quelli della dengue.

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Se avete tempo, lasciatemi un commento!

 

 

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Capitolo 8
*** Poison ivy ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

 

8/26 SFOGO

 

2. Manifestazione cutanea acuta, eruzione.

 

 

 

Dovendo cercare un rimedio per la malattia degli angeli, Castiel era sparito, promettendo che sarebbe tornato appena lo avessero chiamato, per consultare antiche fonti, mentre Sam e Dean si erano rivolti a Bobby, il maggior esperto di mitologia che conoscessero. Bobby si era tolto il cappello, si era passato la mano sulla testa, aveva dato loro degli idioti per essersi fatti coinvolgere in cosa del genere e si era seduto alla scrivania cominciando ad aprire un libro e una nuova bottiglia di whisky. Due giorni dopo era quasi nascosto dalla pila di tomi consultati e abbandonati davanti a lui. Passando per il mithridatum, un rimedio leggendario costituito da 65 ingredienti usato come antidoto per tutti i veleni che si diceva fosse stato creato da Mitridate VI del Ponto nel I secolo a.C., aveva trovato di tutto, ma ancora nulla di specifico, né di conclusivo. Sam aveva cercato di aiutarlo setacciando il web, Dean invece si era limitato ad aprire a caso qualche volume polveroso e a bere molta birra.

Finalmente, Bobby riemerse con un vecchio trattato aperto: «Forse ho trovato qualcosa. Nella mitologia mesoamericana il Nahual, uno spirito buono, simile ad un angelo, segue e protegge ogni essere umano. Pare che un migliaio di anni fa un Nahual, sceso sulla Terra per visitare uno degli dei aztechi di cui era amico, si fosse ammalato e avesse gli stessi sintomi di cui mi avete parlato. Pare che i medici aztechi siano riusciti a curarlo...».

«Dice come?» chiese speranzoso Sam.

Bobby assentì e sbuffò: «C’è una specie di ricetta per una pozione con vari ingredienti. Ma le fonti principali relative alla medicina azteca furono compilate dagli spagnoli in latino e nāhuatl. C’è il Codice Fiorentino, redatto da Bernardino de Sahagún a metà del 1500. Purtroppo, era un frate e cancellò sistematicamente le malattie collegate a cause magiche o religiose, facendo apparire la medicina azteca molto più naturalistica e meno olistica di quanto effettivamente fosse. Mi toccherà fare un’analisi linguistica ed etimologica per spiegare i concetti medici aztechi e capirci qualcosa!».

«Tu parli quel naut-quanlcosa?» si stupì Dean.

Bobby rispose con con una frase del tutto incomprensibile.

Poi aggiunse, indicando una parola sul libro: «Questo è chiaro: qui dice che serve del pulque».

Sam digitò qualcosa sulla tastiera.

«Il pulque? È quella roba alcolica che abbiamo bevuto in Messico?» chiese Dean interessato.

«Esatto! Ne ho ordinata adesso una cassa via internet, dovrebbe arrivare tra quattro giorni» rispose Sam.

«L’unica altra cosa di cui sono certo, al momento, è che serve una fibra della corda di un impiccato» aggiunse Bobby.

Sam digitò di nuovo sulla tastiera: «Dunque, ci sarebbe una corda nella prigione Mont Joy in Irlanda… o a Torino chiesa della Misericordia...».

«Potremmo evitare di prendere l’aereo?» protestò Dean.

Sam sorrise sotto i baffi: «Questo sembra promettente: Museo del crimine di Washington… no, non c’è una corda nell’inventario. Ah, senti questo un articolo: “Il patibolo usato per appendere un gangster, che venne utilizzato in una delle ultime esecuzioni pubbliche dello Stato americano dell’Illinois, è stato scoperto in un polveroso fienile a circa 50 chilometri dalla cittadina di Benton.

Si tratta del palco usato il 19 aprile del 1928 per impiccare Charlie Birger, noto alle cronache per essere andato incontro alla morte con un sorriso sul volto. Birger, davanti alla folla riunita ad assistere, un attimo prima di morire disse: ‘È un mondo meraviglioso’.

Ora, circa 85 anni dopo, una famiglia ha scoperto di avere nella vecchia stalla i legni e la corda utilizzati per l’impiccagione. Ora verranno ceduti al museo locale”».

«Sembra davvero un tipo fuori di testa. Peccato per il tuo feticismo malato per i serial killer, questo ha ucciso solo una persona, non puoi aggiungerlo alla tua collezione» lo punzecchiò Dean.

Sam lo guardò male, poi concentrò di nuovo la sua attenzione sullo schermo: «Sembra carino il museo, ha cinque palle su Trip Advisor. E guardate questa foto: il patibolo è stato montato in un cortile all’esterno del museo e attorno c’è solo una recinzione di rete metallica alta un paio di metri».

«È una cittadina di 7000 abitanti, a chi vuoi che interessi rubare una corda e dei legni? Carichiamo la macchina e partiamo, è solo a uno Stato da qui. Sarà una passeggiata».

Non si era mai sbagliato così tanto.

Il viaggio fu molto tranquillo; pernottarono al primo (e unico vista la dimensione della cittadina) motel che trovarono sulla strada e aspettarono la notte per agire. L’idea era di sostituire la fune originale con una molto simile, e forse altrettanto vecchia, che avevano trovato nel capanno degli attrezzi di Bobby. Con un po’ di fortuna, questa volta sarebbero riusciti a cavarsela con destrezza senza che nessuno li notasse.

Il sito dove era stato montato il patibolo con la fune era esattamente come nelle foto: in un cortile circondato da una semplice rete metallica. Non c’erano telecamere di sorveglianza e nemmeno dei guardiani notturni che facevano la ronda.

Dean e Sam si avvicinarono con circospezione alla recinzione camminando tra l’erba alta di un prato, poi Dean si fece aiutare dal fratello a issarsi oltre la rete, si lasciò scivolare dall’altra parte e salì sul patibolo. Gli ci vollero non più di due minuti per scambiare le corde; ritornò indietro, si arrampicò sulla rete, gettò la gamba oltre la sommità della recinzione e si lasciò andare con tutto il peso del corpo. Stavolta, però, qualcosa andò storto: nel silenzio della notte si udì il suono di una stoffa robusta che veniva strappata e un «Porca puttana!» sibilato tra i denti da Dean.

Dean atterrò piegandosi in due per il dolore e sentì il sangue caldo bagnare il cavallo dei pantaloni; incurante del fatto che avessero appena compiuto un furto e ancor meno della presenza di suo fratello, slacciò la cintura e abbassò pantaloni e boxer per sincerarsi della gravità della ferita.

Sam, incerto, spostava lo sguardo dalla rete, dove ora aveva notato una maglia rotta e aguzza, al fratello seminudo nell’erba alta.

Dean sospirò di sollievo e sussurrò: «I gioielli sono salvi! Ho un taglio, ma è di lato!», poi si ricompose e, camminando con le gambe aperte, si diresse dove avevano lasciato la macchina, seguito da Sam che non sapeva se ridere o preoccuparsi.

Dean appoggiò la giacca sul sedile e rispose alla muta domanda nello sguardo interrogativo di Sam: «Non voglio sporcare i sedili di Baby!».

Sam si fece una risata: «Hai quasi lasciato i testicoli sulla rete e ti preoccupi dei sedili?».

Arrivati al motel, Dean si chiuse in bagno affermando che poteva cavarsela perfettamente da solo e Sam gli concesse tutta la privacy che desiderava. Il resto della notte notte passò tranquilla e ripartirono il mattino seguente dopo essersi concessi qualche ora di sonno; ma non erano nemmeno arrivati a Springfield che cominciarono i problemi: Dean sentiva un tremendo prurito da metà coscia in su per tutto l’inguine che sembrava aumentare ogni momento. Non poteva essere il taglio: l’aveva disinfettato bene e il prurito era su entrambe le gambe! Si mosse a disagio sul sedile, non riuscendo a trovare il minimo sollievo, qualsiasi posizione cercasse di assumere e nemmeno la stoffa dei jeans sembrava dargli sollievo, anzi: quando sfregava contro le cosce sentiva molto fastidio, come se fosse carta vetrata. Fece finta di nulla con Sam, mettendo la radio alta e concentrandosi sulla guida, continuando a dimenarsi con discrezione. Sam però non poté fare a meno di notare gli inusuali movimenti di Dean: «Dean, ti è andata un’ape nelle mutande o devi fermarti perché ti scappa qualcosa?».

«Bitch, sto benissimo, non ho assolutamente niente!» rispose scontroso Dean.

Quando prurito si trasformò piano piano in bruciore, riuscì a resistere solo una manciata di minuti prima di accostare e dire al fratello di guidare: almeno così avrebbe potuto distendere le gambe. Sam si mise alla guida, ma consapevole del disagio del fratello, e si fermò al primo motel che trovò. Dean non ebbe la forza di protestare quando lo costrinse a scendere.

Sam andò alla reception, piantonata da un giovanotto estremamente in sovrappeso e dall’aria annoiata, a prendere una stanza, mentre Dean restava alle sue spalle in palese stato di agitazione: aveva infilato le mani nelle tasche dei pantaloni e cercava di grattarsi con la punta delle dita. La sua incapacità di stare fermo e il suo atteggiamento ambiguo attirarono uno sguardo storto dal receptionist e Dean fu tentato di chiedergli che cazzo avesse da guardare, ma il fratello lo trascinò verso la loro stanza.

«Stavolta non ti sognare di dire che fai da solo! Fammi vedere!» gli intimò Sam appena richiusero la porta della stanza che avevano preso, sbarrandogli la strada verso il bagno.

Dean stava per rispondergli male, ma incrociando il suo sguardo capì che probabilmente sarebbe stato capace di sfilargli i pantaloni a forza, valutò che per lui fosse più dignitoso fare come gli diceva, quindi sbuffò e li abbassò. Guardò anche lui come era la situazione e, nonostante la prospettiva sfavorevole dall’alto, ebbe uno scorcio di tutto quello che di prezioso aveva sotto la cintura che, con grande orrore, scoprì essere arrossato, gonfio e pieno di vescichette.

Sam si schiarì la voce: «Per caso hai notato se le piante attorno alla recinzione avevano le foglie con margine seghettato, erano di forma oblunga e crescevano in gruppi di tre?».

«Che cazzo vuoi che ne sappia, Sammy? Era buio e sanguinavo! Secondo te mi sono messo a contare le foglie di una stupida pianta?» sputò fuori Dean.

«Potresti girarti?» chiese Sam paziente.

Dean spalancò gli occhi, ma ubbidì.

«Dietro sei messo peggio… Temo che tu possa essere entrato in contatto con dell’edera velenosa, un mio compagno di college che faceva escursioni in montagna aveva uno sfogo simile… Potremmo chiamare Castiel per guarirti…» propose Sam.

«Primo: che cosa ne sai tu delle chiappe del tuo compagno di college? Secondo: quel pennuto deve stare lontano dal mio culo!» si indignò Dean.

«Ok, vorrà dire che ci penso io a te» disse Sam prendendo in mano la situazione.

«Che cos’hai in testa? Dimmi cosa devo fare e lo farò da solo, Sammy! Non sono un bambino!» protestò Dean.

«La cosa migliore sarebbe che ti facessi un bagno con della farina di avena, ma qui non c’è una vasca, quindi dovrai arrangiarti con una doccia fredda; intanto io vado in farmacia a prendere qualcosa. Potremmo fare una foto per farla vedere al farmacista che potrebbe consigliarci cosa prendere...» suggerì Sam.

Dean lo fulminò, si girò ed arrancò verso il bagno camminando con i pantaloni alle caviglie, sbattendosi la porta dietro le spalle per far capire al fratello come la pensava riguardo alla foto.

«E non strofinarti con l’asciugamano, riattiveresti il prurito. Asciugati all’aria» gli gridò dietro Sam prima di afferrare le chiavi dell’Impala e correre a cercare una farmacia. Considerato la dimensione della città, l’avrebbe trovata in un secondo.

Quando tornò, Dean stava seduto sul bordo del letto con un asciugamano stretto in vita; uscendo dal bagno si era sentito leggermente meglio, l’acqua fredda aveva momentaneamente calmato il bruciore, ma aumentava di nuovo ogni momento, come se lo colpisse a ondate.

Sam tirò fuori da un tubetto alcune pasticche e le porse al fratello: «Butta giù queste, sono antistaminici. L’eruzione cutanea da edera velenosa è una reazione allergica e questi dovrebbero migliorare la situazione. Ti aiuteranno anche a riposare, non hai dormito molto ieri notte».

Dean inghiottì le pastiglie senza fiatare, avrebbe fatto di tutto in quel momento per avere un po’ di sollievo.

Sam notò solo in quel momento che lungo la caviglia di Dean colava del sangue: «Dean… fammi dare un’occhiata a quel taglio».

«Non è nulla Sammy! E poi la vuoi smettere di insistere per vedermi nudo? È la seconda volta oggi! E credi che mi piaccia stare chiappe all’aria?» provò a scherzare Dean.

Ma quando Sam lo guardava con quegli occhi preoccupati da cucciolo, non riusciva a negargli nulla e alla fine scostò un po’ di lato l’asciugamano mostrando la ferita.

Sam si inginocchiò davanti a lui per vedere meglio. Il taglio non era così brutto come temeva, anche se era profondo e in una posizione scomoda, nella carne morbida tra l’inguine e il gluteo; sarebbero serviti un paio di punti appena, ma data la posizione solo un contorsionista sarebbe stato in grado di applicarli da solo, quindi probabilmente Dean era ricorso a cerotti che con la doccia erano saltati via.

«Hai bisogno di punti, adesso te li do» sentenziò Sam.

«Mi stai prendendo per il culo?» il viso di Dean a quel punto era più rosso delle sue natiche.

Purtroppo per lui, Sam era serio e Dean si buttò indietro sul letto, rassegnato, piegando il ginocchio per rendere più accessibile la ferita e facilitare il lavoro a Sam.

Sam soppesò l’idea di suggerire a Dean di mettersi a gattoni sul letto, perché sarebbe stata la posizione più comoda per intervenire, ma poi decise di evitare di farlo perché probabilmente l’unico risultato sarebbe stato ricevere un pugno da parte del fratello per la sua sfacciataggine. Usando il filo da sutura e un ago ricurvo che avevano sempre con loro (ma stavolta Sam pensò che fosse meglio non usare alcolici, che avrebbero potuto irritare ulteriormente la pelle, per disinfettare la ferita che comunque era stata già pulita), ricucì Dean, che non emise nemmeno un lamento. Poi prese degli asciugamani, li inzuppò di acqua fredda e tamponò la ferita, pulendola dal sangue, e la zona attorno a essa: «Questo dovrebbe alleviarti un po’ anche il prurito e il bruciore».

Le compressioni con l’asciugamano bagnato in effetti prolungavano la sensazione di benessere data precedentemente dal bagno e, complice anche l’azione dell’antistaminico, Dean cominciò a rilassarsi e presto si assopì.

A Sam quella situazione ricordò dolorosamente il periodo in cui il fratello era addormentato in un sonno magico, ma si fece forza, scacciando il desiderio di svegliarlo e gli slacciò l’asciugamano delicatamente, confidando che non se ne sarebbe accorto. Tamponò anche la parte dello sfogo che era rimasta celata e poi applicò una crema a base di cortisone, che il farmacista aveva assicurato avrebbe facilitato la guarigione. Lo coprì con il lenzuolo e lo lasciò riposare.

Dean non era del tutto sveglio, ma nemmeno del tutto addormentato e si rese conto di quello che succedeva. Nel chiaroscuro delle relazioni familiari, lui e Sam erano sempre stati legati da un filo rosso e il loro prendersi cura l’uno dell’altro annodava sempre più strettamente quel filo.

Era così facile per loro combattere il male per salvare degli sconosciuti, dare una mano a chi aveva bisogno di aiuto, ma la cura che avevano l’uno per l’altro era qualcosa di molto diverso: lasciarsi curare lo rendeva esposto, consapevole delle proprie fragilità e dei propri limiti ed esigeva un affidarsi totalmente a Sam, un aprirgli la propria sfera emotiva. Sam diventava parte di lui, non solo in virtù del sangue, ma come frutto di un legame che si era creato e che li legava ogni istante. Sorrise tra sé e si lasciò cullare da quei pensieri.

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti! Come vi avevo detto, pensate a questa long come a una stagione di Supernatural: questa era l’episodio tragicomico! Nei prossimi capitoli credo tornerà un po’ di angst, ho varie idee, ma bisogna sempre vedere dove mi porteranno i prompt.

Alcune curiosità: i Nahual sono effettivamente presenti nella mitologia azteca; la pozione di cura, invece, è una mia idea, se vi vengono in mente ingredienti astrusi che Sam e Dean dovranno recuperare in futuro, consigliatemi pure! Il museo a Benton con il patibolo esiste davvero (l’articolo citato l’ho trovato in rete) e si possono anche recuperare delle foto. Non sono mai venuta in contato con l’edera velenosa, ma ho letto che è tremenda (povero Dean!).

Le prossime due settimane sarò in vacanza, quindi non ci saranno nuovi capitoli, ma spero di riuscire poi ad aggiornare prima di metà luglio.

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Capitolo 9
*** Will'O'Wisp ***


 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

9/26 FIAMMA

1. Fonte di calore o di luce originata dalla combustione di una sostanza solida, liquida o gassosa e costituita da masse gassose incandescenti.

2. Ardore incontrastato e divorante.

 

 

 

 

 

Dean scoprì molto in fretta, troppo in fretta e a suo discapito, che gli effetti dell’edera velenosa si sarebbero fatti sentire per almeno due settimane e che, nonostante le continue medicazioni, il bruciore avrebbe continuato a dargli il tormento. A quel punto, dopo aver detto a Sam che lo faceva solo perché non poteva restare fuori uso per così tanto tempo, si rassegnò a chiedere l’aiuto di Castiel. L’angelo, che aveva fatto ritorno a casa di Bobby dopo aver terminato le sue ricerche, li raggiunse appena lo chiamarono, ma solo dopo che ebbe assicurato che sarebbe bastato solo un tocco sulla spalla per guarirlo, Dean lo autorizzò a procedere.

«Cas, sei davvero una fantastica cassetta del pronto soccorso portatile!» lo ringraziò entusiasta, muovendosi liberamente senza più nessun fastidio.

«Una cassetta del pronto soccorso è un oggetto e ti ricordo che io non servo te, ma solo la causa del Paradiso» puntualizzò Castiel leggermente risentito.

Sam intervenne per evitare altri battibecchi: «Dean, mentre tu facevi la bella addormentata, io e Castiel ci siamo consultati con Bobby. Aveva delle novità: ha detto che un altro ingrediente è lo spillone usato da una strega per trafiggere una bambola voodoo e che per accendere il fuoco su cui la pozione deve bollire si deve usare una fiamma eterna, sempre in vista ma nascosta, che scaturisce nel punto in cui due elementi opposti si incontrano».

«Io odio le streghe! E poi una fiamma eterna e tutto il resto?» chiese Dean.

«Credo che la pista trovata dal vostro amico Bobby potrebbe essere valida e vorrei davvero sapere a quale angelo ammalato si riferivano le fonti...» si intromise Castiel, apparentemente troppo perso nei propri pensieri per prestare attenzione al discorso.

Sam spiegò: «Bobby ha detto che ci chiamerà appena capisce di cosa si tratta».

In quel momento, il telefono di Dean squillò; era Bobby e lo mise in vivavoce: «Voi e i maledetti angeli! Sta a vedere che oltre ai casini qui, ed è tutta mattina che altri cacciatori mi chiamano, devo sistemare anche quelli di sopra! Ho passato ore a risolvere quell’enigma! Si tratta di un fuoco che brucia continuamente dentro una cascata». La voce di Bobby arrivava particolarmente seccata e in sottofondo si sentiva della pancetta che sfrigolava; probabilmente non aveva ancora fatto in tempo a mangiare.

«È possibile?» chiesero insieme i Winchester.

«Sì. Nel Chestnut Ridge County Park, una riserva naturale che si trova a sud di Buffalo, c’è un fuoco che brucia dentro una cascata. Una leggenda dice che fu acceso dall’ultimo degli indiani sterminati che, prima di morire, volle lasciare un segno della loro presenza. Se permettete, ora metto qualcosa sotto i denti. Per lo spillone, cercate una strega a caso, ce ne sono tante» rispose Bobby acido.

«Fin troppe» confermò Dean disgustato.

«Grazie Bobby! Ci aggiorniamo» Sam non fece in tempo a finire la frase che Bobby aveva sbattuto giù il telefono.

Sam fece mente locale. Non avevano affatto buoni rapporti con le streghe, ma ne avevano incontrata una (anzi, uno) a cui avrebbero potuto rivolgersi: James Frampton, un ex-detective che si era interessato del mondo dell’occulto, facendo diventare la magia il centro della sua vita e utilizzandola per svolgere al meglio il suo lavoro. Negli ultimi anni, James Frampton si era trasferito in Iowa, più precisamente a Fort Dodge con il suo famiglio, Portia, dove lavorava come detective privato e si faceva chiamare James Myles.

Propose la sua idea agli altri: «Castiel, puoi pensare tu al fuoco dietro la cascata? Noi intanto possiamo contattare James Myles e passare da lui perché vive a Fort Dodge che è proprio sulla strada del ritorno verso Sioux Falls. Potrebbe darci lui uno spillone».

Castiel assentì.

Dean gli consegnò una candela (era un elemento fondamentale per un qualsiasi incantesimo di evocazione, ma poteva essere usata anche per un uso più convenzionale), chiedendogli di accenderla al fuoco dietro la cascata e poi di portarla da Bobby che avrebbe provveduto in qualche modo a non far estinguere la fiamma (magari avrebbe acceso una lampada a olio avendo cura di rabboccarla ogni tanto). L’angelo ascoltò molto attentamente le istruzioni, si congedò da loro e sparì.

Dean chiamò James, che rispose già al secondo squillo, ma disse che purtroppo non era a casa: si trovava a un convegno, di cui preferì non specificare con loro il genere, a Salem. Diede comunque loro un’indicazione di dove trovare la sua abitazione, di come entrare e di prendere lo spillone dalla seconda bambola voodoo e che si trovava sul terzo scaffale della libreria a destra della porta. Si raccomandò che non toccassero altre cose e che richiudessero bene la porta.

I Winchester si misero subito in macchina e arrivarono a destinazione a tempo di record, sul calar della sera.

James viveva in una casa fuori città, vicino al fiume Des Moines, che era praticamente l’unica zona dell’intero Stato circondata da un boschetto fitto. Lasciarono la macchina al confine della proprietà e camminarono fino al limitare del bosco.

Nell’aria c’era una musica, probabilmente di natura magica, che non somigliava a nulla che avessero mai sentito prima: un tipo di musica antichissima, che avrebbe potuto creare una foresta, o la luna piena o una tempesta in avvicinamento. Ascoltarla coinvolgeva tutti i sensi, non solo l’udito, in una sinestesia che avrebbe potuto essere descritta solo attraverso immagini: luci e ombre, acqua e fuoco, calore e ghiaccio. Sapeva di mistero e di vita.

A pochi passi da loro, dal terreno, guizzava una piccola fiammella. Il colore era cangiante: un momento sembrava quasi bluastra, per poi tendere al rossastro, al verdastro o al giallastro, fino a sfumante nel purpureo. Per un momento, la fiamma brillò fissa, poi svanì e ne comparve un’altra a pochi metri dalla prima, dando l’illusione che di movimento.

I Winchester restarono immobili.

La seconda fiamma sparì e ne ricomparve una dove c’era stata la prima. Poi anche questa svanì e ne apparve una terza poco più in là.

«Pensi che dovremmo seguirle?» chiese Dean con tono dubbioso.

«Pensi che abbiamo scelta?» rispose Sam.

Arrivarono a quella che sembrava una rassicurante villetta con un bel portico di legno. Prima di mettere piedi sui gradini pronunciarono ad alta voce la parola che avrebbe momentaneamente disattivato il glifo di guardia («Scooby-dooby-Doo», la trovarono divertente), permettendo loro di passare.

Entrati, si girarono subito verso la libreria a destra. I primi tre scaffali erano pieni di bambole voodoo infilzate da spilli in varie parti del corpo, il quarto e il quinto scaffale erano traboccati di barattoli di ogni forma e misura. L’attenzione di Dean fu catturata da qualcosa di luminoso che si muoveva dentro uno dei più grandi: lo prese in mano e si accorse che dentro c’era un piccolo essere umanoide con le ali.

Lo portò all’altezza degli occhi: «Capezzoli?» chiese ad alta voce.

«Dean! Ma perché devi sempre toccare tutto!» lo sgridò Sam.

«Non ho toccato niente, stavo solo guardando, a tutti piace guardare le fatine...» si giustificò rimettendolo a posto.

Sam, sperando che Dean non toccasse altre cose potenzialmente pericolose, prese in fretta la terza bambola voodoo e che si trovava sul secondo scaffale. Aveva un cuore rosso disegnato sopra trafitto da uno spillone. Lo estrasse e sentì subito un calore tremendo sulla punta delle dita mentre lo faceva; quasi mollò la presa per il dolore.

«Ahi! James non ci aveva detto che lo spillone ci avrebbe ustionati!» gridò. Poi alzò gli occhi e incrociò lo sguardo divertito di Dean. Gli occhi del fratello erano sempre stati così luminosi e il suo sorriso così affascinante?

Si sbrigarono a uscire e a richiudere, pronunciando la parola («Bubusettete», Dean avrebbe voluto rifiutarsi visto quanto era stupida) che avrebbe attivato il glifo di guardia e si avviarono verso la macchina. Dato che ormai era notte, decisero di fermarsi in uno dei soliti motel per riposare. A Sam, per qualche oscura ragione, questa prospettiva fece sentire le farfalle nello stomaco.

La camera che fu assegnata loro aveva due letti queen size. Posarono i borsoni con il loro cambio di vestiti a terra e Dean diede una spallata a Sam per scansarlo e farsi la doccia per primo.

Quando uscì avvolto dall’asciugamano, Sam, senza nemmeno rendersi conto di porre la domanda a voce alta, gli chiese: «Come fai a mantenere una forma così visto che l’unico cibo che ingurgiti sono quegli orribili hamburger ipercalorici?».

Dean, inizialmente lusingato, si soffermò sulla stranezza della domanda e preferì liquidare la cosa con un’occhiata storta.

Sam si fiondò in bagno e si ritrovò a fare una doccia molto più fredda di quanto avesse intenzione: si sentiva un po’ troppo su di giri, una vaga sensazione di ubriacatura ed euforia. Quando uscì dal bagno, Dean si era disteso sul letto, completamente rilassato, e aveva chiuso gli occhi: quella visione gli provocò dentro lo stomaco una specie di rimescolamento che gli infiammò le viscere. Fu come richiamato verso di lui, come il ferro viene attirato da una calamita.

«Per una volta, abbiamo avuto a che fare con qualcosa di soprannaturale che non ci ha causato problemi...» cominciò Sam, lasciando cadere il telo con cui si era asciugato. Stava agendo in parte d’istinto, in parte come un predatore a caccia.

«Mmmm» mugugnò Dean, cercando di avere un tono affermativo.

«È stato bello anche vedere dei fuochi fatui, dei Will’O’Wisp, in un posto che non fosse un cimitero. Sai, la leggenda dice che Will fu obbligato a errare per l’eternità con una lanterna, escluso sia dal Paradiso, perché si era comportato male, che dall’Inferno, avendo addirittura tentato di ingannare il diavolo» cominciò a raccontare Sam, sedendosi accanto al fratello.

«Avrebbero dovuto dargli un premio per questo!» ridacchiò Dean. Si accorse che il materasso si era abbassato sotto il peso di Sam, ma non si stupì più di tanto perché il fratello amava leggere cose strane e fare conversazione.

«Alcune tradizioni nordiche dicono che sono lanterne che un folletto accende dove ha nascosto dei tesori» continuò Sam, sdraiandosi e tenendo sollevata la testa con la mano. Non aveva nessun senso di vertigine, eppure era come sotto l’effetto di una grossa ubriacatura.

«Se fosse vero mi metterei a scavare...» commentò Dean. Continuò a tenere gli occhi chiusi, quindi non si accorse della luce che si stava accendendo in quelli del fratello.

«Per altre tradizioni sono anime perdute per non aver ricevuto il battesimo. Per placarle occorre gettare un mantello sotto cui possano ripararsi o lasciare un coltello nel terreno e permettere all’anima stessa di suicidarsi» concluse Sam passandosi la lingua sulle labbra: si stava stancando di parlare.

«Non so come possano mettere in giro scemenze simili! Per placare un fantasma basterebbe bruciarne le ossa mortali!» affermò Dean.

«Sai Dean, c’è anche chi dice che seguendo i fuochi fatui si possa trovare il proprio destino… forse perché il fuoco è associato all’amore: come quello infiamma e riscalda, così la passione brucia, il desiderio consuma… Forse hanno guidato anche noi verso il nostro destino...»

Dean cominciò a chiedersi dove suo fratello volesse arrivare con quel discorso e si ritrovò improvvisamente molto più sveglio di quanto avrebbe voluto essere. Ma continuò ostinatamente a ripetersi che andava tutto bene.

«Dean, potresti aiutarmi per favore?» chiese Sam appoggiando la mano con le dita ustionate sul suo petto.

«Non sei capace di fare da solo, Sammy? Ti fa tanta bua?» scherzò Dean, scacciandogli la mano irritato e alzandosi a sedere, aprendo finalmente gli occhi e accorgendosi con orrore che il fratello era nudo. Non che non l’avesse mai visto, ma la posa languida gli risultava nuova e non gradita.

«Sammy, ma non ti è rimasto nemmeno un paio di mutande pulite?» gli chiese sconvolto, lanciandogli addosso un cuscino.

«Le ustioni possono essere molto dolorose» si lamentò Sam ignorando la domanda, afferrando il cuscino e andando ad appoggiarlo in posizione strategica per nascondere le sue intenzioni che stavano diventando fin troppo evidenti; gli occhi, però, al gesto sgarbato di Dean, gli diventarono lucidi e sembrò soffrire seriamente.

Dean, ignaro di quanto stava accadendo e preoccupato di aver sottovalutato il problema (magari l’ustione magica era più seria del previsto...), prese la mano che l’altro aveva lasciato sospesa tra loro. Sulla pelle erano comparse delle piccole vescicole e delle lesioni rosate-traslucide, ma non era nulla di serio.

«Ti stai comportando come una femminuccia Sammy! Non è che si possa fare più di tanto, l’hai tenuta sotto l’acqua fresca?» domandò Dean.

«Sì, un po’ calmava anche il dolore, ma adesso è tornato» continuò a lamentarsi Sam, spingendosi più vicino.

«Il ghiaccio aggraverebbe la situazione, possiamo solo coprirla con della garza per evitare delle infezioni e se ti fa troppo male puoi prendere qualcosa» suggerì Dean per la prima volta in imbarazzo.

«Forse mi rilasserebbe di più un massaggino… libererebbe endorfine!» azzardò Sam.

«Sam, hai solo due dita bruciacchiate! Ti fai di peggio quando provi a cucinare!» gridò Dean spazientito e un tantino spaventato. E aveva ragione a esserlo perché Sam, stanco che tutti i suoi approcci fossero andati a vuoto, lo trattenne e decise di osare: gli si buttò addosso e cercò di baciarlo. Il tutto si risolse in uno scontro violento di bocche finché Dean lo respinse con tutta la forza che aveva, impegnandosi molto più di quanto faceva rispetto a quando lottavano per il telecomando.

Dean rimase talmente sconvolto che non riuscì a proferire parola per qualche secondo. Avrebbe voluto picchiarlo, gridargli qualcosa del tipo: «Che cazzo fai? Sono un uomo!»; oppure: «Ti è dato di volta il cervello? Sono tuo fratello!», del tutto in dubbio su quale delle due affermazioni meritasse gerarchicamente la priorità di essere pronunciata.

Probabilmente, la sua espressione di puro disgusto fu più eloquente perché a Sam, guardandola, scappò un singhiozzo: «Perché mi stai respingendo? Lo so quello che provi! L’amore si svela nell’impegno quotidiano, nel prendersi cura dell’altro, superando i propri egoismi. Tu sei sempre stato pronto al sacrificio per me e io per te! L’amore è scoperta dell’altro e io...».

«Sammy, credimi, non c’è nulla di te che io vorrei scoprire in questo momento» riuscì a ritrovare la voce Dean.

«Il mio amore per te è reale, io lo so!» gridò Sam alzandosi, incapace di resistere al desiderio che sentiva in quel momento, tendendo le braccia e lasciando cadere il cuscino. Sam non si era mai sentito in quel modo: da una parte si riteneva irrazionalmente molto stupido e inadeguato, dall’altra aveva il cuore a pezzi perché era chiaro che Dean non lo volesse. Pochi minuti prima aveva creduto di essere potente e adesso era si era scontrato con la dura realtà. Ma la passione che lo consumava dentro non accennava a spegnersi nemmeno contro il ghiaccio che aveva trovato in Dean.

Dean si coprì gli occhi con una mano si voltò.

Sam tentò ancora: «So che hai paura Dean, che non riesci a credere che a noi non possano mai capitare delle cose belle! Sai cosa disse un filosofo una volta? Che se all’amore coniugale si aggiungesse l’amore fraterno, l’amore carnale assumerebbe dimensioni troppo grandi! È questo che temi? Che quello che proviamo sia troppo grande? Beh, vuoi sapere la novità: è così! È tutta la vita che dipendiamo l’uno dall’altro, che siamo insieme, che ci proteggiamo a vicenda. Da sempre tu sei per me e io per te. E voglio che lo siamo in ogni modo possibile». E gli si gettò ancora addosso, stringendolo da dietro.

In realtà, Dean temeva che tutti i filosofi fossero dei pervertiti e che suo fratello fosse impazzito e un po’ sdolcinato, quindi si girò, liberandosi dal contatto forzato, tirò un pugno ben assestato a Sam e cominciò a chiamare Cas perché magari avrebbe potuto far rinsavire Sam. Ma l’angelo non rispose.

Sam si portò la mano alla guancia e al labbro che si era spaccato contro il pugno di Dean; non era tanto il dolore fisico a farlo soffrire, quanto l’umiliazione e il rifiuto.

E a questo punto non aveva nulla da perdere. Si alzò, dando le spalle al fratello, prese un coltello dalla sacca e si avviò verso il bagno con il passo di un condannato a morte.

Il giorno in cui aveva preso tra le braccia Sammy e lo aveva portato fuori dalla loro casa in fiamme, Dean aveva promesso a se stesso che lo avrebbe protetto sempre e così lo fece ancora una volta, anche se stavolta significava proteggerlo da se stesso. Non aveva dimenticato il modo in cui l’aveva trovato al suo risveglio dal sonno magico: con le vene aperte, svuotate dal sangue e il coltello abbandonato a terra. Non gli avrebbe mai permesso di farlo un’altra volta. Non ancora una volta per colpa sua.

Gli prese la mano che stringeva la lama e lo costrinse a lasciarla andare. Poi lo strinse forte. Qualunque cosa stesse passando per la mente di Sam non aveva importanza: restava sempre il suo fratellino e non lo avrebbe mai abbandonato. Non sapeva con quali parole avrebbero potuto convincerlo, ma mise nella stretta tutta la sua preoccupazione e il suo esserci sempre.

Era un abbraccio fraterno; Sam non ne fraintese il significato e lasciò scivolare via lungo il viso calde lacrime di delusione, ma anche di consolazione, diviso tra la tentazione di riprendere il coltello e quella di chiedere aiuto, pericolosamente in bilico sul precipizio della passione che lo stava consumando.

Dean approfittò di questo momento di incertezza per sopraffarlo e legarlo più strettamente possibile, onde evitare che gli tornasse voglia di mettergli ancora le mani addosso o, peggio, di farsi del male; a onor del vero, non incontrò molta opposizione.

Vedere il fratello legato e con il cuore a pezzi lo faceva star male, ma era certo che fosse stato qualcosa di sovrannaturale a farlo bruciare di passione e poi a distruggerlo dal rifiuto. Gli prese il viso tra le mani: «Non so cosa ti stia succedendo, ma ti giuro che farò di tutto per sistemare le cose».

Sam fissò su di lui gli occhi pieni di fiducia e segreta speranza; in quel momento Dean ebbe un’illuminazione e gli chiese: «Sammy, che bambola hai preso?».

«Ti sembra il momento di parlare di una cosa così stupida? Io ti ho aperto il mio cuore! E tu mi hai respinto, aggredito, legato!» gemette Sam al colmo della disperazione.

Dean, consapevole che il fratello avrebbe voluto aprirgli ben altro che il cuore, provò a insistere.

«La terza bambola sul secondo scaffale» rispose a malincuore Sam.

Dean, capito cos’era successo, gli diede una botta in testa, pregando di non fargli troppo male, e chiamò James.

Dopo avergli spiegato che Sam aveva preso la bambola sbagliata e aver aspettato che l’altro smettesse di ridere delle conseguenze dell’errore, Dean riuscì a scoprire che invertire l’incantesimo era semplicissimo: l’oggetto dell’infatuazione (cioè lui) doveva rimettere lo spillo al suo posto nel cuore della bambola. Dean lasciò il fratello legato e svenuto e tornò a casa di James a sistemare tutto (prese anche lo spillo che gli serviva).

Quando tornò a slegare Sam, lo trovò sveglio, con un gran mal di testa e in agitazione: stava cercando di liberarsi dalle funi (ma stranamente non ci era ancora riuscito) e diceva di non ricordare nulla di quanto successo dal momento in cui erano arrivati a Fort Dodge.

Dean mandò un messaggio a James, aggiornandolo sul fatto che tutto si era risolto e Sam, fortunatamente, non sapeva cosa fosse successo. Dean era estremamente grato di questo: non sarebbe mai più riuscito a guardare in faccia suo fratello sapendo che ricordava le profferte che gli aveva fatto.

Un minuto dopo, Sam ricevette un messaggio da James: «Io e te sappiamo bene che l’incantesimo non aveva nessun effetto sulla memoria, ma se ci tieni possiamo evitare di dirlo a Dean!».

 

NdA

 

Ciao a tutti! Sono in vacanza sulle Alpi, in una zona dove il cellulare non prende e il wifi c’è solo nell’ingresso del rifugio, ma sono riuscita a scrivere (anche in ferie pesno un poco a Supernatural), approfittando dell’unica mezza giornata di pioggia (grazie Chuck, abbiamo fatto gite stupende!) e a postare!

Questo prompt mi ha dato fin troppe idee e quindi ho disseminato il capitolo di fiamme, sviluppando poi l’idea della passione, un qualcosa di nuovo per me. Spero vi sia piaciuto!

La fiamma dietro la cascata esiste davvero: l’Indiana University ha appurato che si trova sopra una grossa sacca di metano a 400 metri di profondità che risale grazie alle alte temperature che sbriciolano le rocce. La fiamma, che è alta 30 centimetri e consuma oltre un chilo di gas al giorno, è una delle attrazioni della zona.

Ringrazio Spoocky: l’idea dell’ago della bambola voodoo come ingrediente era sua, poi io ci ho costruito la storia attorno!

La musica che sentono Sam e Dean nella mia immaginazione è Polvere d’incanto dei Lingalad, se la conoscete avete tutta la mia stima.

Vi lascio il link del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Non riuscirò a rispondere alle recensioni fino alla prossima settimana, ma se avete tempo, ogni commento è gradito!

 

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Capitolo 10
*** Lose yourself ***


 

 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

10/26 ASSENZA


 

2. Distrazione, momento di estraneità alle cose presenti. Sospensione temporanea, senza fenomeni convulsivi, della coscienza (dovuta anche ad episodi epilettici).


 


 

Sam e Dean aprirono la porta della casa di Bobby salutando a gran voce il proprietario: le pareti di legno e l’odore di whisky davano una sensazione di familiarità e sicurezza. Dean mollò il borsone per terra, pregustando una doccia formato cascate del Niagara (che avrebbe lasciato probabilmente suo fratello con solo acqua fredda a disposizione), ma il cipiglio burbero di Bobby che fu inquadrato dalla cornice della porta del salotto non prometteva nulla di buono.

«Ok, va bene ragazzi, perché ci avete messo tanto?» esordì senza fare convenevoli.

«Abbiamo avuto un piccolo contrattempo… ma ce l’abbiamo» tergiversò Dean, consegnandogli lo spillone, mentre Sam assumeva la sua migliore espressione di innocente, beata ignoranza.

«Sono felice di vedervi» Castiel affiancò Bobby.

«Tu! Ti ho chiamato e non hai risposto!» lo accusò Dean.

«Vengo sempre quando mi chiami Dean, ma, dopo aver recuperato il fuoco eterno e averlo portato qui, ho dovuto controllare la situazione in Paradiso. Sta peggiorando: molti miei fratelli stanno morendo» si scusò l’angelo preoccupato, riuscendo a strappare uno sguardo di comprensione al cacciatore.

«Beh, io mi sono portato avanti: quello che serve ora è la terra proveniente da una sepoltura di più di mille anni» intervenne Bobby.

«Non è che ne hai già un po’?» chiese Sam speranzoso.

«Sì, come no, ne ho comprato giusto un quintale ieri! Ma per niente! Anzi, potreste prenderne un bel po’ così ne avrò di riserva» rispose il vecchio. Poi aggiunse: «Vi rendo facile la cosa: il posto più adatto per recuperarla è il tumulo di Old Maid’s Orchard Mound, che è stato costruito dal popolo della cultura di Adena. Non dovrete nemmeno scavare molto in profondità, sarebbe un lavoro che farebbe persino Rufus. Si trova a est di Lithopolis, in Ohio. Sono circa 950 miglia, secondo me in 14 ore ce la potete fare. Adesso vi preparo qualcosa da mettere sotto i denti, poi riposatevi e magari partite domani». La voce era dura, come al solito, ma lo sguardo era carico di premura: Bobby era quasi un padre per loro.

«Posso portarvi io là, anche subito» si offrì Castiel.

«Meraviglioso: mangiamo, prendiamo un po’ di terra, e poi potremmo anche farci una dormita decente. È bello avere un angelo dalla nostra parte che ci rende le cose più semplici» approvò Dean.

Stavolta Castiel si limitò a stringere le labbra nell’eco di un sorriso: quel piccolo umano non aveva alcun rispetto per lui, ma doveva ammettere che gli piaceva essere trattato con cameratismo e non in base a una gerarchia rigida.

Essere riuniti intorno a una tavola con Bobby e con l’angelo che stavano imparando a conoscere non era una situazione usuale per i Winchester: le sere in cui scherzavano, bevevano birra direttamente dalla bottiglia e parlavano con la bocca piena erano momenti di normalità rubati alla loro vita sempre in movimento. Scoprirono che Cas non aveva davvero bisogno di mangiare, né di dormire, ma che sembrava apprezzare gli hamburger, aveva una tolleranza pressoché infinita all’alcool e, apparentemente, sarebbe stato fermo in piedi, come una statua, in salotto ad aspettare che loro fossero pronti a partire.

Bastò un tocco leggero sulla fronte di Sam e Dean per trasportarli in un battito di ciglia a Lithopolis, una ridente cittadina di 1106 abitanti, talmente sfigata, secondo l’opinione di Dean, da poter mettere l’elenco completo dei negozi sul proprio sito. L’unico evento, si fa per dire, degno di nota era la festa del miele, che si teneva il sabato seguente al primo lunedì di Settembre. Castiel si mostrò dispiaciuto che fosse già passata da una settimana: sembrava parecchio interessato alle api. Molte delle case, forse per tener fede al nome della città o viceversa, erano costruite in pietra, un tipo di edilizia piuttosto singolare, che non avrebbe stonato in un paese di montagna italiano e che rendeva il posto molto caratteristico. I colori dell’autunno iniziato nella tenue luce morente del tramonto, i rossi, i marroni, i dorati, davano un’ illusoria sfumatura calda alla serata frizzante. Il tumulo si rivelò essere una collinetta alta 2,4 metri e larga circa uguale circondata da piccoli alberi da frutto e bassi cespugli. Dei topi dovevano aver scavato delle tane su uno dei suoi lati, ma sembrava sostanzialmente integro.

Mentre Sam e Cas controllavano che non arrivasse nessuno (Dean aveva chiesto a Cas di fare il palo e poi aveva dovuto spiegare a un angelo estremamente confuso il significato dell’espressione linguistica), Dean riempì un sacchetto di terra e lo nascose sotto la giacca.

«Fatto. Bene. Sono affamato. Che ne dite di prendere dei waffles in quella tavola calda che abbiamo visto all’angolo della strada prima di ritornare?» disse Dean entusiasta.

«Cosa?» chiese Cas.

«Ma hai appena mangiato! Hai ancora fame?» lo prese in giro Sam.

«Domande stupide. Quale pazzo non ama i waffle? Sono morbidosi, ci sono quegli spazietti pieni di sciroppo e li ricopri di panna montata!» commentò Dean.

Sam sorrise e si avviarono tutti verso la tavola calda, dove si concessero una piacevole pausa, ma quando fu il momento di pagare, Dean sembrò incerto: Sam dovette dirgli di dare alla cameriera i contanti e fece confusione pure con il taglio delle banconote.

Mentre uscivano dal locale, Sam cominciò a preoccuparsi: «Senti, so che non abbiamo avuto vita facile ultimamente, fa venire voglia anche a me di annegare i problemi nell’alcool, ma non mi sembrava che avessi bevuto più di una birra Dean».

«Ero semplicemente sovrappensiero!» si schermì lui con noncuranza.

«Ok, adesso dobbiamo chiamare Bobby per sentire se ha aggiornamenti sulla lista degli ingredienti e poi ritornare» disse Sam.

Dean fece una faccia strana, come se non capisse di cosa suo fratello stesse parlando.

«Gli ingredienti della pozione di cura della malattia che sta uccidendo gli angeli!» spiegò Cas sbigottito e un po’ offeso: sembrava che Dean non stesse dando importanza alla loro missione e pensasse solo a riempirsi la pancia.

«Certo! L’ago della bambola voodoo, la corda dell’impiccato… Quella roba!» si brigò a snocciolare l’elenco Dean, poi prese a giocare con le chiavi della macchina guardandosi intorno.

«Guarda Dean che la tua Baby non c’è, ci ha portato qui Cas» Sam cominciò a sospettare che in suo fratello ci fosse qualcosa di molto strano.

Dean provò a strizzare gli occhi, paradossalmente conscio che qualcosa gli stesse sfuggendo. Si passò le mani sul viso per cercare di schiarirsi la mente, accompagnando con i polpastrelli le palpebre a chiudersi e massaggiandole; quando le riaprì, la sua vista era perfetta come sempre, ma dietro ai suoi occhi calava un velo che offuscava ogni cosa.

Una voce lontana chiamava: «Dean! Dean! Dean!».

«Dean? Chi è Dean?» si ritrovò a chiedere. Velocemente come era arrivata, la confusione svanì e Dean si ritrovò a fissare Sam spaventato a morte e Castiel preoccupato perché persino lui, a questo punto, aveva capito che qualcosa non andava. Cercò di rassicurarli: «Sto bene!».

«Dean! Hai scordato il tuo nome!» lo redarguì Sam.

«Per un secondo, lo so è assurdo» rispose con nonchalance.

«Dean, sicuro che sia tutto ok? Non è che quel tumulo era maledetto? Non è che c’era un fantasma?».

«Amico, se un fantasma avesse la possibilità di colpirmi sarei morto! Non sarei una maledetta Dory!» rispose Dean.

«Dory?» Castiel, come al solito, non aveva idea a cosa stesse facendo riferimento il cacciatore.

«Hey, non ho intenzione di scusarmi per amare quel pesce, né con te, né con nessun altro!» rispose Dean.

Sam si schiarì la voce: «Se si trattasse di un fantasma che infesta un tumulo di più di mille anni avremmo trovato notizie di strani eventi. Cas, tu puoi fare qualcosa per mio fratello?».

Castiel sfiorò la fronte di Dean, si concentrò e poi scosse la testa: «Purtroppo non sono in grado di risolvere ogni problema con uno schiocco di dita… Se si trattasse di qualcosa di fisico i miei poteri funzionerebbero, ma credo ci sia sotto qualcosa di diverso».

Sam sospirò: «Adesso avverto Bobby che non torniamo, porto voi due in un motel e vado a cercare di capire cosa succede».

Arrivati al motel, che raggiunsero in pochi minuti a piedi, Dean si sentiva stranamente bene, leggero quasi. Si aggirò volentieri per la stanza, prendendo i mignon di vodka dal frigo bar e buttandosi su uno dei due letti presenti e azionandone la funzione vibrazione. Si stava divertendo come un bambino. Gli altri due lo guardavano sempre più preoccupati.

Dean se ne accorse e si rivolse loro: «Ma dai! Non va così male… Questa è una pistola. Questa è una giacca. E questo è… un bastone luminoso» disse indicando i vari oggetti mentre li nominava.

Sam alzò gli occhi al cielo: «Un bastone luminoso… Va bene, hai bisogno di aiuto. E finché non starai meglio…» e mise un post-it sulla lampada con su scritto «lampada».

«Senti, ne verremo fuori ok?» lo rassicurò Dean.

Sam assentì e uscì a cercare indizi dopo essersi scambiato uno sguardo d’intesa con Cas che significava: «Non posso portarlo con me, bada a lui».

L’angelo promise con un serio cenno del capo.

Per prima cosa, Sam tornò al tumulo munito di torcia elettrica e di rilevatore di campi elettromagnetici: non segnalava la presenza di nessun fantasma. Poi avvertì un improvviso spostamento d’aria e con la coda dell’occhio vide qualcosa che si stagliava tra lui e il cielo stellato. Istintivamente, alzò la torcia che sembrò quasi ferire il buio. Un sinistro grido echeggiò nell’aria.

Sam, ritornato al motel di corsa, vide che Cas aveva seguito il suo esempio attaccando con cura post it quasi ovunque. Persino sulla sua fronte c’era un post it con su scritto «Castiel».

«Si tratta di un fantasma?» chiese l’angelo a Sam.

Prima che potesse arrivare la risposta, Dean intervenne: «Aspetta. Aspetta. Aspetta. Ci sono i fantasmi?».

«Dean… è assurdo che io dia lezioni a te... i fantasmi sono reali. I vampiri, i licantropi, le streghe, sono reali. E noi li uccidiamo» gli spiegò Sam.

«Meraviglioso! I mostri sono reali: e noi siamo quelli che li uccidiamo. Voglio dire, dai: il lavoro più bello del mondo!» esclamò Dean entusiasta.

«Sì, se ti piacciono il cibo unto da fast food, le squallide stanze di motel e morire di tanto in tanto» puntualizzò malinconico Sam.

Ma questo non smorzò l’entusiasmo di Dean: «Non lo so, si potrebbe dire che siamo eroi!».

«E io sono un angelo» aggiunse Cas con sussiego.

Questa notizia fece impazzire completamente Dean di gioia: «Cooooosa? Un angelo? Una creatura celestiale con le ali e l’arpa?».

«No l’arpa non ce l’ho» affermò Cas con sicurezza.

«Un angelo! E i tuoi occhi sono così blu!» si lasciò sfuggire Dean avvicinandosi a guardarlo meglio quasi sfiorando il suo naso con il proprio.

«Dobbiamo trovare una cura» decise con urgenza Sam e riferì a Cas quello che aveva visto. L’angelo si rabbuiò: «Da quello che mi hai raccontato, sono piuttosto sicuro che si tratti di un'Ombra… Le Ombre sono potenti non morti composti in egual misura di oscurità e di male assoluto. Le loro tattiche variano in base alle loro capacità, ma tutte sono estremamente rapide. C'è un tipo specifico di Ombra che credo siano quelle con cui abbiamo a che fare: le Ali notturne; sembrano una grande massa buia simile a un pipistrello, vagano nei cieli di notte, sono quasi del tutto invisibili e si possono individuare solo perché in volo oscurano la luna e le stelle».

«Figo!» commentò Dean.

Cas proseguì rivolgendosi amaramente a lui: «Prediligono i cimiteri e scendono in picchiata sulla loro vittima, risucchiandone la memoria. Comincerai a dimenticare le cose. Prima il tuo nome, quello degli oggetti e il loro uso, poi la tua identità e alla fine anche come parlare e respirare… e allora morirai».

«Non figo» disse Dean.

Sam si sentì straziato al di là di ogni immaginazione: Dean per lui era sempre stato un esempio, la persona su cui poteva sempre contare. E quello che stava succedendo era peggio che veder morire suo fratello: tutto ciò che lo rendeva «Dean» sarebbe scivolato via a poco a poco, come la sabbia stretta nel pugno di una mano che sguscia tra le dita. Sarebbe rimasto un involucro privo di qualsiasi personalità, volontà, desiderio o sentimento.

Dean trasse un respiro: «Quindi alla fine ci siamo, per me finisce così...».

Sam si riscosse prontamente: «No, no, Dean, non accadrà!».

«Sto dimenticando ogni cosa...» sussurrò il fratello.

«Risolveremo tutto, d’accordo? Vedrai!» gli promise Sam.

Dean si alzò, sconfortato, e andò in bagno. Fissò la propria immagine riflessa si concentrò e disse ad alta voce: «Il mio nome è Dean Winchester. Sam è mio fratello. Cas è mio amico». Voleva fissare nella sua mente le cose che sentiva importanti, i punti fermi che non avrebbe mai voluto perdere: la propria identità e le persone a cui voleva bene. Lo specchio, così come rimandava l’immagine nitida del suo volto, mimò le parole. Dean le ripeté di nuovo, come un mantra. Ma poi qualcosa si ruppe dentro di lui e nella sua mente le idee si offuscarono: «Il mio nome è... il mio nome è…. il mio nome è… non lo so». Le lacrime cominciarono a rigare il suo viso e l’immagine nello specchio diventò sfuocata, così come la sua consapevolezza.

Quando ritornò, nella stanza c’era solo l’angelo seduto sul letto; sentiva che avrebbe dovuto esserci anche qualcun altro, ma la sua presenza gli dava un senso di sicurezza. Istintivamente, si massaggiò la spalla, come se lì dovesse trovarsi un qualche segno che li legava.

«Tuo fratello è andato a distruggere le Ali notturne: è l’unico modo per guarirti. Sono certo che riuscirà» gli spiegò l’angelo che non era ancora bravo a leggere sui volti le emozioni, ma aveva scorto le labili tracce di lacrime e cercava in modo un po’ goffo di rassicurare il cacciatore.

«E intanto noi cosa facciamo?» chiese Dean sedendosi di fronte a lui sull’altro letto. Era come un bambino innocente che aspettava che l’adulto gli desse un’indicazione.

«Non saprei… C’è qualcosa che vorresti che ti dicessi?» rispose Cas preso alla sprovvista.

«Come ci siamo conosciuti?» chiese Dean. Era deciso a trattenere quanti più brandelli di memoria, a lottare per restare ancora se stesso.

«Tuo fratello stava molto male e io sono accorso per guarirlo» raccontò Cas.

«Devi essere davvero molto buono! Grazie!» esclamò Dean con sentimento e d’istinto si protese in avanti e abbracciò forte l’angelo.

Castiel restò rigido per un momento, in parte sorpreso dall’oscillare dell’umore di Dean dalla disperazione alla leggera serenità, in parte perché non sapeva di dover ricambiare l’abbraccio (aveva qualche difficoltà comprendere la necessità del contatto fisico), poi parlò: «A dire il vero il mio aiuto non era indispensabile: tu avevi già fatto tutto il necessario per prenderti cura di lui. Sei sempre molto protettivo nei suoi riguardi. Vi ho visti del cielo e tu hai sempre messo Sam prima di te stesso. Ti eri anche arrabbiato perché non ero arrivato prima».

Dean si scostò e risedette sul letto: «Di solito io sono adorabile! Avrei dovuto essere più comprensivo, scommetto che hai un sacco da fare!».

Castiel questa volta quasi sorrise: «Temo che tu lo stia dicendo solo perché cominci a dimenticare le cose e questo ti conferisce l’innocenza di un fanciullo, ma mi fa piacere sentirlo».

Dean guardava le labbra di Cas muoversi come ipnotizzato, come un bambino che sta lottando contro il sonno, ma non vuole dormire perché per lui è importante sentire la fine della storia che gli stanno raccontando.

Castiel continuò a parlare con la sua voce roca che si addolciva: «Sai, io sono qui ormai da molto tempo e mi ricordo tantissime cose: dei progetti di Dio per l’umanità. Ho visto guerre e distruzione, ma anche atti di grande coraggio e altruismo. Tu hai fatto molte cose nella tua vita, alcune buone, altre meno buone e altre ancora del tutto riprovevoli».

«Ho ucciso della gente?» lo interruppe Dean sconvolto.

Castiel decise di non rispondere in modo diretto: «Non è la colpa a ricadere su di te Dean, ma il destino: il nostro futuro dipende da te. E tutto quello che hai fatto, l’hai fatto tutto per un bene superiore. Sei un uomo giusto, Dean Winchester; sei un guerriero, non hai mai permesso a nessuno di fermarti».

Dean sembrava molto felice di sentire queste cose, perciò Cas proseguì ancora: «Il tuo aiuto ora è indispensabile perché tu e Sam siete le uniche persone al mondo che possono trovare una cura per gli angeli. Non so perché mio padre non voglia occuparsene personalmente, perché ci stia lasciando in balia di noi stessi; da quando se ne è andato noi ci sentiamo come pecore senza un pastore…».

«Deve essere difficile non avere notizie di un padre...» disse Dean comprensivo.

Castiel abbozzò un sorriso: Dean più di chiunque aveva fatto esperienza di un padre assente, anche se ora l’aveva dimenticato: «I miei fratelli si stanno ammalando, stanno morendo e sono preoccupati perché le uniche persone che si frappongono tra loro e l’annientamento, oltre a me, sono delle scimmie senza pelo: due ragazzi e un vecchio ubriacone».

«Allora sono fottuti!» ironizzò Dean senza capire che «scimmia senza pelo» si riferiva a lui.

«Sei la nostra speranza, la mia speranza. Ma continuo a chiedermi se ho davvero preso la decisione giusta decidendo di aiutarvi nel compito che Joshua vi ha affidato. Avrei potuto fare qualcosa di diverso, qualcosa di più? Decidere rappresenta un travaglio che mi impegna in profondità, che mi fa scendere nel sacrario inviolato della mia coscienza, ancor più quando sono in gioco le scelte fondamentali della vita».

«Wow! Riesci a pensare tutta questa roba tutta insieme! Ma non ti scoppia il cervello?» gli chiese Dean.

«No, perché mai dovrebbe scoppiarmi il cervello? Sono in grado di compiere straordinari processi mentali!» ribatté Castiel che non aveva capito la metafora. Proseguì a raccontare per tenere calmo Dean e perché trovava stranamente gradevole farsi ascoltare da lui: «Anna aveva ragione: comincio a esprimere emozioni. Io non ho mai provato queste cose! Per un tempo che potrebbe essere definito un’eternità ho combattuto fianco a fianco con altri angeli e si potrebbe dire che siamo diventati amici, fratelli oserei affermare. Ma nei pochi giorni che sono stato con voi ho capito più cose di me stesso, di quello che posso essere, di quello che voglio essere, che nel resto della mia esistenza. Voi due mi state insegnando cosa vuol dire combattere per una giusta causa e che si possono prendere delle decisioni da soli e come si vuole davvero bene a una persona».

«In effetti, queste cose dovresti sentirle più nel cuore che nel cervello!» gli suggerì Dean.

Ed eccola lì quella strana sensazione di calore nel petto che Cas aveva sentito quando Dean e Sam si erano presi cura di lui malato; forse il cacciatore aveva davvero ragione: era il cuore che sembrava diverso dal solito.

 

***

 

Sconfiggere le Ali era stato parecchio difficile: Cas aveva spiegato a Sam che l’unico modo per distruggere delle creature malvagie e fatte di oscurità era usare del fuoco, quindi Sam si era procurato da un’area per la raccolta differenziata un paio di bottiglie di vetro che aveva riempito di benzina presa al self service e lanciato contro il mostro. Quella cosa però era straordinariamente veloce e solo il secondo tentativo era andato a segno; le esplosioni avevano fatto accorrere i vigili del fuoco e molti degli abitanti, quindi Sam se l’era data a gambe e aveva raggiunto in fretta il motel.

Entrando, trovò il fratello seduto su un letto e Cas seduto su quello di fronte. Fissò Dean negli occhi nella speranza di cogliere un lampo di riconoscimento, ma lui non diede segno di sapere chi fosse, si girò invece verso Cas e, indicando Sam, chiese: «Chi è quell’hippie?». A Sam si fermò visibilmente il respiro e Dean non ebbe cuore di protrarre a lungo lo scherzo perché suo fratello sembrava davvero distrutto dalla prospettiva che tutto fosse stato inutile e anche perché Cas, con il capo inclinato da un lato e l’espressione seria, non era una buona spalla. Scoppiò a ridere: «Guarda la sua faccia, Cas! Oh, sembra come quella volta che ho mangiato tutte le sue caramelle per Halloween!».

Cas sorrise (forse stava cominciando a capire il concetto di «scherzo») e Sam si morse le labbra e scosse la testa per mascherare il luccichio negli occhi che stavano diventando umidi per l’emozione: «Finalmente è tutto a posto! Sai Dean, ero un po’ geloso di te quando non ricordavi nulla: sembravi molto felice. È stato bello liberarsi del peso di quello che facciamo?».

Dean restò pensoso un momento: «Sì, forse. Diavolo, è probabile. Ma non era solo la merda che era sparita. Era sparito tutto: noi, quello che facciamo, tutto quanto. Quindi se è questo che vuol dire essere felici penso che passerò!».

Stavolta Sam lasciò che una lacrima discreta scivolasse giù.

 

 

NdA

 

 

La dodicesima stagione non mi ha entusiasmato, ma l’episodio 11 era grandioso e Dean che perde la memoria perfettamente in linea con il prompt, quindi mi sono ispirata molto a quello. Il tumulo di sepoltura esiste (sto viaggiando virtualmente per gli Stati Uniti, magari un giorno lo farò davvero ricordandomi di questa storia!), le Ombre sono una rielaborazione di mostri di D&D.

Mi hanno chiesto in varie persone se questa storia virerà nella wincest. Non succederà, ma mi piace molto giocare sul rapporto tra i due fratelli. Così come mi piace molto giocare sul rapporto tra Dean e Cas (su se ci sarà o no la destiel al momento non mi esprimo). Alla fine è Dean, con la momentanea ingenuità fanciullesca conferitagli dalla perdita di memoria, a essere di conforto a Cas!

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Capitolo 11
*** I'll stand by you ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

11/26 PTSD - disturbo da stress post-traumatico

 

1. La diagnosi di PTSD si pone nel momento in cui una persona, esposta ad eventi traumatici, sviluppa duraturi sintomi intrusivi, di evitamento e di iperattivazione.

 

 

Sam, Dean e Cas decisero di passare il resto della notte al motel (anche se Dean trovava piuttosto inquietante l’idea di dormire con un angelo nella stessa stanza di cui sentiva lo sguardo addosso) e tornarono da Bobby il mattino dopo. Gli raccontarono la loro avventura e il vecchio brontolò qualcosa a proposito del fatto che «i guai li andavano a cercare anche quando non ci si ficcavano volontariamente in mezzo».

I giorni seguenti si impegnarono tutti nel cercare di completare un elenco di svariati ingredienti per la pozione: uno era la polvere spazzata dal pavimento di un luogo santo da un uomo santo; certi erano semplici, tipo alcune erbe che Bobby aveva promesso di riuscire a procurarsi in giro; alcuni erano davvero strani, come il crine di un cavallo carnivoro; altri improbabili, come il sangue di un vampiro donato con l’assenso; altri presupponevano una pericolosa ricerca, come il dente di un segugio infernale; altri sembravano impossibili, come una scheggia del manico della falce della Morte.

«Per prima cosa, pensate al crine di cavallo carnivoro» suggerì Bobby.

«Cavallo carnivoro? Ma non mangiano l’erbetta come Sam?» si stupì Dean.

Sam lo guardò storto e domandò: «Tipo le cavalle mitologiche di Diomede da cui si diceva discendesse il cavallo di Alessandro Magno?».

«Esatto!» confermò Bobby. «Si dà il caso che sappia esattamente dove trovarne di diciamo quasi addomesticati. Conosco due ex cacciatori in New Mexico, Jesse e Cesar. Si sono ritirati qualche anno fa e hanno comprato un ranch dove allevano cavalli. Ma non sono riusciti a restare del tutto lontani dalla vita di prima: alcuni colleghi si sono rivolti a loro in cerca di aiuto: il paese più vicino, Los Ojos, è a svariate miglia e conta 125 abitanti, quindi la loro terra sembrava il luogo ideale per chi avesse problemi di smaltimento rifiuti».

«Rifiuti?» chiese Castiel aggrottando la fronte.

«Sì, insomma… cadaveri di vario genere… licantropi, vampiri, mutaforma, mostri vari…» spiegò Bobby. «Così hanno deciso di tenere anche qualche cavallo carnivoro. Sono addestrati a mangiare solo il cibo che gli portano e non i visitatori, quindi penso che stavolta potreste farcela senza troppi problemi».

«Non possiamo farci spedire un po’ di crini?» domandò Sam.

«Potremmo, ma si dà il caso che io abbia della roba da consegnare a loro che sarebbe meglio non spedire… non posso continuare a seppellire cadaveri nella mia rimessa!» sbuffò Bobby.

Dean si alzò dal divano e posò la birra piuttosto allegramente perché era lieto della destinazione: «Va bene, prendiamo le nostre cose e partiamo». Poi si rivolse a Cas con sguardo ammonitore e puntandogli contro l’indice: «Stavolta andiamo in macchina! Da quando mi hai fatto fare quel viaggetto non riesco ad andare in bagno!».

«Secondo me dipende dai troppi hamburger che mangi!» lo punzecchiò Sam.

Sioux Falls distava più di 900 miglia da Los Ojos e le percorsero in una ventina di ore, comprese le soste per riposare e comprare un cappello da cow boy per Dean, che sembrava tenerci moltissimo, arrivando nel primo pomeriggio successivo (nessuno ebbe la curiosità di aprire la sacca nera che Bobby aveva messo nel baule).

Jesse si rivelò essere un uomo sui cinquant’anni, completamente pelato, ma con una barba brizzolata ben curata, apparentemente un po’ brusco, ma che non aveva paura a fissare negli occhi il suo interlocutore; Cesar sembrava più affabile, aveva forse qualche anno in più, pelle scura, occhi e capelli nerissimi, una voce dal tono ricco e profondo, e un leggerissimo accento che lo definiva come un latino americano. Li accolsero stringendo loro la mano e si dimostrarono piuttosto curiosi riguardo a Castiel perché non avevano mai visto un angelo. Quando seppero che i Winchester non avevano pranzato, offrirono loro una Tortas: un panino imbottito soffice, quasi un pan focaccia, farcito con avocado, pomodori, cipolle, formaggio, frijoles e carne. Un po’ pesante, ma decisamente gustoso.

Mentre preparavano, Jesse e Cesar discutevano animatamente: «Dammi un’altra cipolla!», «Ma quanta ne stai tagliando? Sono in tre, non in venti!»; «Dove hai messo il coltello grande?», «Al suo posto, dove vuoi che sia?!»; «Scalda il pane nel microonde per 30 secondi», «Guarda che ne bastano 20, vuoi che si bruci?!».

«Ve l’hanno mai detto che litigate come una coppia di fratelli?» ridacchiò Dean con la bocca piena.

«Più come una vecchia coppia sposata direi…» rispose Cesar con un mezzo sorriso.

«Oh, quindi voi due… Bobby non aveva specificato che foste una coppia!» chiarì Dean lievemente imbarazzato.

«Già! Non è che all’angelo questo dispiace?» volle indagare Jesse.

«Io sono assolutamente indifferente all’orientamento sessuale di qualcuno. L’amore è un sentimento puro e può essere donato a chiunque» assicurò Castiel.

«Ah! Questo dovrei proprio dirlo al predicatore della mia vecchia città!» esclamò Jesse battendosi il pugno sulla mano.

«Com’è stato sistemarsi con un cacciatore?» domandò Sam curioso.

«Inizialmente, puzzolente, sporco e con il doppio della preoccupazione di essere fatti fuori. Poi, da quando abbiamo appeso le armi al chiodo, è stato come festeggiare in una volta sola tutti i Natali arretrati, litigando ovviamente su chi dovesse aprire i pacchetti!».

«Come vi siete conosciuti?» chiese Dean.

Cesar guardò allarmato Jesse, ma lui sorrise e gli mise la mano sulla sua per tranquillizzarlo: «Va tutto bene adesso, sta tranquillo». Poi cominciò a raccontare: «Sono diventato cacciatore perché dei Bisaan, spiriti cicala originari della Malesia e per fortuna rari in America, presero mio fratello Matty. Avevo 22 anni. Matty era stato trascinato via sotto i miei occhi… ero corso disperatamente in giro, cercandolo per 10, 20 minuti. Tremavo ed ero in preda la panico e poi mi sono detto che dovevo trovarlo e l’ho fatto. I suoi occhi mi fissavano, non era umano, sono scappato senza voltarmi indietro. In città non mi credevano…».

«Non riuscivano ad accettare che fosse stato preso da un mostro…» intervenne comprensivo Sam.

«Non riuscivano ad accettare un sacco di cose…» continuò amaramente Jesse.

«Ma qui adesso stiamo bene: abbiamo anche potuto sposarci legalmente!» lo rassicurò Cesar.

Jesse gli diede un piccolo bacio sulla mano che continuava a stringere: «Ogni 27 anni i Bisaan escono dai loro nascondigli, si accoppiano, muoiono e il ciclo ricomincia. Avevo giurato di sterminarli tutti, ma l’attesa della vendetta non dà da mangiare e la vita da cacciatore è dura, quindi saltuariamente lavoravo come paramedico per guadagnare qualcosa. Un giorno, era passato un anno dalla morte di mio fratello, ho dovuto soccorrere un uomo che sanguinava da ferite che ho riconosciuto essere morsi di vampiro. Era Cesar. Quel giorno io ho salvato lui, ma nei mesi successivi è stato lui che ha salvato me e non ci siamo più separati!».

Dean guardò sorpreso il sorriso di Jesse: «L’ho visto accadere in continuazione: quando una persona perde qualcuno da giovane è una ferita che non guarisce mai, ma tu mi sembri stare bene».

«Quando ci siamo incontrati stavo malissimo, ma Cesar mi ha aiutato! Ho sempre pensato di essere una persona forte: dovevo sempre lottare contro il mondo che mi odiava solo perché ero gay. Invece, dopo la scomparsa di Matty, non ce l’ho fatta a elaborare quello che era successo. Facevo incubi ogni notte, rivivendo quel giorno e giuro che ogni volta che sentivo le cicale cantare mi si gelava il sangue. Ero ipersensibile a ogni tipo di rumore, dormivo pochissimo, ero sempre irritabile…».

«Adesso invece non ti arrabbi proprio mai…» interruppe Cesar.

Jesse continuò, ignorandolo: «…ero ansioso e aggressivo, sempre all’erta. In effetti, questo nel nostro lavoro non era poi del tutto negativo all’inizio, ma a lungo andare avrebbe distrutto il mio fisico, la mia mente e avrebbe messo a repentaglio anche la mia vita. Mi sentivo costantemente in colpa per quello che era successo: avrei potuto fare qualcosa di più per salvare mio fratello?».

Sam e Dean conoscevano bene quella sensazione.

Jesse sospirò: «Non riuscivo nemmeno a parlare di quello che mi era successo, come se la memoria di ciò che era avvenuto e quello che avevo provato fossero disconnessi… Volevo dimenticare tutto il dolore che avevo provato e fuggire via, ho anche pensato più volte a uccidermi e ci ho quasi provato. È stato Cesar, a quel punto, che mi ha fatto capire che, per riuscire ad andare avanti, sarebbe stato importante affrontare e gestire ricordi ed emozioni».

«Dean probabilmente ti avrebbe picchiato, legato a una sedia, poi ti avrebbe preso il viso tra le mani e ti avrebbe detto che sarebbe andato tutto bene» si lasciò sfuggire a mezza voce Sam.

Dean lo fissò sbigottito.

«Cioè, immagino che questa potrebbe essere una razione tipica di te…» cercò di giustificarsi Sam, terrorizzato al pensiero che Dean avesse capito che lui non aveva alcun problema di memoria riguardo alla faccenda dello spillone della bambola voodoo.

Jesse riprese: «Naturalmente non potevo andare da uno psicologo a raccontare che i mostri sono veri e per colpa di uno di loro ero sotto shock…».

«Lo sappiamo, ci abbiamo provato» confermarono insieme i Winchester: avevano dovuto affrontare un caso all’interno di un ospedale psichiatrico e per farsi ricoverare avevano semplicemente detto la verità su quello che facevano.

«…quindi è stato Cesar ad accompagnarmi in un lungo viaggio dentro a me stesso, che mi ha portato a capirmi. È come se dentro di me ci fossero stati tanti Jesse, ognuno dei quali viveva in una piccola stanza da cui si rifiutava di uscire. Uno pensava che se non fosse riuscito a vendicarsi, la sua vita non avrebbe avuto nessun senso. Un altro credeva di doversi guardare da ogni altro uomo. Un altro ancora si rimproverava per non aver fatto di più e credeva di essere inadeguato. Piano piano, ogni piccolo Jesse ha iniziato a fare conoscenza con gli altri e a elaborare gli eventi per come erano davvero avvenuti».

«Abbiamo anche fatto molti esercizi di rilassamento» scherzò Cesar con uno sguardo chiaramente ammiccante.

«Credo che respirare lentamente e profondamente possa essere molto utile» disse ingenuamente Cas.

Gli altri quattro risero ad alta voce.

Jesse ricordò con aria malinconica: «È stata una notte in particolare quella che ha segnato un punto di svolta. Fino a quel momento Cesar aveva sopportato i miei scatti d’ira e il mio nervosismo senza dire nulla e quando mi svegliavo spaventato controllava sempre che non avessi armi a portata di mano. Eravamo accampati in Messico, in una zona desertica e avevo faticato tanto ad addormentarmi, mi ero rigirato per ore e ore nel sacco a pelo finché il fuoco non si era spento. Poi alla fine la stanchezza aveva preso il sopravvento. Ma appena ho chiuso gli occhi mi sono ritrovato nel bosco dove ho perso Matty. Ero solo, con nelle narici l’odore del sangue e nelle orecchie il canto delle cicale. Sentivo i rami secchi spezzarsi sotto i miei piedi, l’aria calda e soffocante immobile sul mio viso, la luce mobile che creava illusioni di ombre in movimento e mi ipnotizzava… poi ho visto gli occhi che una volta erano di mio fratello venire verso di me… Mi sono svegliato urlando, in un bagno di sudore. Volevo picchiare i pugni contro la terra, avrei picchiato anche Cesar se avesse deciso di affrontarmi direttamente. Ma lui mi ha dato spazio, pur facendomi sentire che era lì vicino a me. Non ha cercato di contenermi, né mi ha urlato contro. Si è seduto vicino a me e ha cominciato a cantare:

Oh, why you look so sad, the tears are in your eyes,

Come on and come to me now, and don’t be ashamed to cry,

Let me see you through, ’cause I’ve seen the dark side too.

When the night falls on you, you don’t know what to do,

Nothing you confess could make me love you less,

I’ll stand by you!

Vi garantisco che è stonato come una campana, ma aveva letto che fare dei respiri ritmici avrebbe aiutato…».

«Come dicevo io!» aggiunse trionfante Cas strappando un’altra risata agli altri.

Cesar si intromise nel discorso: «…e dopo un po’, come speravo, Jesse si è unito a me. Vi assicuro che non ha il minimo senso del ritmo! Probabilmente abbiamo spaventato tutti i coyote nel raggio di un miglio! Poi l’ho rassicurato dicendogli che non gli sarebbe successo nulla di male, che gli sarei stato accanto e l’avrei protetto ed è stato in quel momento che ho tirato fuori l’idea del ranch! Gli ho detto che ero certo che ce l’avrebbe fatta a stare bene, che sarebbe riuscito a vendicarsi con il mio aiuto e che avremmo potuto costruire una vita insieme. Gli ho detto che avremmo preso della terra in New Mexico, avremmo costruito una fattoria e ci avremmo allevato dei cavalli. Avremmo fatto lunghe passeggiate e al tramonto ci saremmo seduti sotto il portico insieme a bere una birra ghiacciata».

Jesse riprese: «Quando siamo arrivati alla parte che dice:

So if you’re mad, get mad, don’t hold it all inside,

Come on and talk to me now.

Hey there, what you got to hide?

I get angry too, well, I’m alive like you.

When you’re standing at the cross roads,

And don’t know which path to choose,

Let me come along, ’cause even if you’re wrong

I’ll stand by you

ho cominciato a piangere come non avevo mai fatto prima. Non erano lacrime di disperazione; con loro se ne sono andati via un po’ alla volta le memorie tragiche ed è rimasto il ricordo di Matty che era un fratello meraviglioso.

Non è passato tutto quella sera, ma è stato un inizio e da quel momento è andata sempre meglio. E adesso siamo qui».

 

***

 

Più tardi, Dean, Sam e Dean si appoggiarono alla staccionata guardando Jesse dava da mangiare ai cavalli aprendo la sacca nera di Bobby davanti a loro e, intanto che erano distratti, Cesar ne approfittava per tagliare una ciocca dalla criniera.

Continuando a guardare avanti, Sam chiese al fratello: «Pensi che potrebbe capitare anche a noi? Due cacciatori che riescono a tagliare il traguardo?».

Dean strinse le labbra in una smorfia autoironica: «Scusa, hai presente chi siamo? Facciamo davvero pena nella vita domestica. Fallimento totale. Guarda le nostre vite: quanti colpi possiamo ancora sopportare? A noi non è mai concessa una tregua, potrà essere diverso? Non mi farò mai illusioni per essere poi preso a calci nei gioielli!».

«Non avresti mai voglia di qualcosa di più con qualcuno che capisca questa vita?» insisté Sam.

Dean buttò un braccio sulla spalla del fratello e l’altro oltre le spalle di Cas e li strinse entrambi: «Ho già voi due! E l’unica cosa di cui ho voglia è fare un giro su un cavallo, uno di quelli normali eh!».

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti! Quanto avrei voluto questo prompt più avanti perché avrei voluto descrivere un Cas privo di grazia e sconvolto confortato da Dean! Ma a questo punto della storia il loro rapporto è ancora un po’ in via di costruzione, quindi non ho potuto farlo e ho dovuto optare per altro. Non so se ricordate Cesar e Jesse (episodio 11x19), la coppia di cacciatori che salva Dean durante una caccia. In questa mia versione, le loro strade si incrociano quando Cesar e Jesse vivono già insieme felici e contenti nel loro ranch; ho dato agli ex cacciatori una decina di anni di più di quelli che hanno nella serie per adattare i personaggi alla storia che ho immaginato per il loro incontro. Volevo lasciare un po’ in pace i Winchester e Cas. Quasi tutto quello che so del PTSD l’ho letto in questi giorni, ho cercato testimonianze di persone che sono guarite e articoli medici, ma se trovate inesattezze fatemi sapere!

La canzone è I’ll stand by you, The Pretenders, la stavo ascoltando in questi giorni.

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Capitolo 12
*** A slice of cake ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

12/26 ADRENALINA

 

1. Ormone secreto dalla sostanza midollare delle ghiandole surrenali, che agisce sulla circolazione, la respirazione e il metabolismo; prodotta sinteticamente, trova varie applicazioni in medicina.

2. Stato di forte eccitazione, di grande energia.

 

 

Jesse e Cesar si erano offerti di accompagnarli a fare una passeggiata a cavallo e di ospitarli per la notte. L’esperienza era stata straordinaria per Dean: aveva sempre adorato i cow boy e per una volta si era divertito a fingere di essere uno di loro, con un cappello in testa, le redini strette tra le mani e il vento sulla faccia. Aveva riso tutto il tempo vedendo come il fratello, che spergiurava di sentirsi a proprio agio e che tutto andava bene, in realtà fosse molto meno tranquillo su un cavallo rispetto a lui... aveva riso, finché il giorno dopo non si era trovato la parte a fianco del ginocchio arrossata e gonfia per lo sfregare sulla sella e la schiena a pezzi, come se avesse dormito su un pavimento di pietra anziché nel morbido letto che Jesse e Cesar avevano offerto loro. Ma aveva fatto finta di nulla, simulando uno stiracchiarsi mattutino quando Cas al risveglio lo aveva visto piegarsi in due con la mano sulla schiena: non avrebbe mai ammesso di non avere il fisico per reggere una cavalcata, di qualsiasi genere fosse.

A colazione Sam notò che suo fratello aveva qualcosa che lo infastidiva, ma non fece commenti e portò l’attenzione sul passo successivo: «Che ne dite se ci dividiamo? Dean e io possiamo occuparci di trovare un vampiro; Cas, tu pensi di riuscire a recuperare la polvere spazzata dal pavimento di un luogo santo da un uomo santo?».

«Dovresti trovarti a tuo agio con questo genere di cose. Angeli e santi… dovreste intendervi!» commentò Dean con un sorrisino.

L’angelo rifletté: «Potrei cercare di contattare Balthazar… il tempo è fluido: non è facile, ma si può interagire con esso e lui ha il potere di farlo; potremmo tornare nel passato e trovare qualche santo… Ci sono milioni di vite in gioco e uno scopo superiore, forse potremmo fare più progressi separandoci». L’ultima frase la pronunciò a un po’ a malincuore, ma con tono rassegnato.

«Sei proprio sicuro di voler parlare con quel tizio? Non mi ispira molta fiducia...» provò a dire Dean.

«Balthazar non ha un modo di fare ortodosso, ma mi fido di lui» rispose pacatamente Cas.

Dean alzò le spalle mostrando che se lo sarebbe fatto andare bene e Castiel sparì con un leggero frusciare di piume.

Negli anni i Winchester avevano avuto spesso a che fare con i vampiri, ma ora che avevano bisogno di trovarli dalle ricerche che avevano fatto via internet e anche contattando tutti i cacciatori che conoscevano non emerse nulla: sembrava che nessuno in tutti i 50 Stati fosse stato trovato morto a causa di dissanguamento con evidenti segni di morsi. Il che poteva anche avere senso, dato che col passare dei secoli i vampiri erano stati quasi del tutto sterminati dai cacciatori, al punto da portare la loro razza sull’orlo dell’estinzione.

Stavano quasi per buttare la spugna quando il telefono squillò; era Bobby: «Allora, statemi a sentire. La maggior parte delle leggende sui vampiri che la gente conosce è un’idiozia. Una croce non li respinge, la luce del sole non li uccide e nemmeno ha effetto un paletto nel cuore. Ma la sete di sangue… quella è vera. Loro hanno bisogno di sangue umano fresco per sopravvivere! E così forse ho trovato una pista, anzi una vera e propria scia di sangue» Bobby si interruppe. Ci fu un momento di silenzio in cui si sentì la voce concitata di Ellen che diceva qualcosa e poi Bobby riprese: «Ok, Ellen ha trovato una pista. Parte dalla Carolina del Nord e prosegue per il Tennessee. L’abbiamo persa in Arkansas, ma poi l’abbiamo ritrovata in Oklahoma. Morti isolate, tutte con modalità diverse e quindi nessuno le ha collegate: gola tagliata, pugnalata al cuore, arterie recise in varie parti del corpo. Ma c’è una costante: sono tutte morti per dissanguamento avvenute in piccole città sparse lungo l’Interstate 40 a circa 200 chilometri l’una dall’altra e con un intervallo di alcuni giorni. L’ultimo omicidio è stato in una cittadina nei dintorni di Amarillo quattro giorni fa. Ho controllato e negli stessi giorni degli omicidi ci sono stati anche dei furti d’auto che venivano trovate poi abbandonate a svariate centinaia di chilometri».

«Potrebbe trattarsi di un succhiasangue parecchio furbo che si sposta in macchina» meditò Sam.

«Potremmo andargli incontro!» suggerì Dean allegro.

«Guarda che non dobbiamo andare a tagliare teste ai vampiri, dobbiamo convincerli a darci il loro sangue» puntualizzò Sam.

Dean si rabbuiò: il loro lavoro era cacciare il male e proteggere le persone, come avrebbero potuto convincere un mostro ad aiutarli se non promettendogli salva la vita? Ma con che cuore avrebbero lasciato libero un assassino?

Dopo aver ringraziato Bobby ed Ellen e studiato la mappa, salutarono Jesse e Cesar e partirono alla volta di Santa Rosa, una cittadina localizzata sempre in New Mexico, non troppo lontano da dove stavano e proprio sulla Interstate 40; avevano deciso di fermarsi lì in un motel, vicino a dove probabilmente secondo le loro supposizioni il vampiro avrebbe colpito la volta seguente; avrebbero tenuto le orecchie aperte, ascoltando le frequenze delle forze dell’ordine. Era terribile per loro dover sperare di sentire che qualche poveretto fosse stato dissanguato a morte, ma non avevano altri indizi a cui aggrapparsi.

L’attesa non durò a lungo: verso le undici di sera, intercettarono una comunicazione radio tra lo sceriffo locale e uno sconvolto vicesceriffo che aveva soccorso una donna che era stata aggredita da un tizio che aveva cercato di tagliarle la gola. Contemporaneamente, Sam, entrando nel computer dello sceriffo, trovò la denuncia del furto di una Dodge Charger grigia del 2006.

Non persero un secondo: afferrarono i borsoni e salirono in macchina sgommando verso l’Interstate 40. La percorsero per un bel tratto, guidando veloci per più di due ore e cercando con gli occhi la Dodge; Dean stava commentando che il modello del 1969 aveva infinitamente più stile, quando frenò bruscamente: sulla destra aveva individuato un bar e nel parcheggio spiccava proprio un’auto come quella che cercavano. Si avvicinarono per controllare la targa: corrispondeva.

Parcheggiarono ed entrarono nel bar, nascondendo un paio di siringhe piene di sangue di uomo morto e un machete sotto la giacca. Si diressero con sicurezza al bancone guardandosi intorno. Con l’occhio allenato dei cacciatori, colsero un campionario di vari tipi di umanità raccolti nella stanza: un paio di camionisti che si erano fermati a sciacquare la gola con nulla di più forte di una birra ghiacciata, dei ragazzi che giocavano a biliardo, un paio di coppie e tre o quattro uomini da soli che sembravano avvezzi a bere forte. Dean chiese da bere al barista, un uomo alto circa come lui, ma molto più massiccio all’apparenza, con vivaci occhi chiari, una barba corta e una stempiatura che cominciava a farsi largo oltre la sua fronte. Dalla t-shirt stretta sui suoi muscoli spuntava lungo il braccio sinistro un tatuaggio, qualcosa come le radici di un albero avviluppate attorno a degli occhi. Sembrava che il suo sorriso amichevole fosse un po’ preoccupato e ogni tanto lanciava uno sguardo storto a un tipo che se ne stava a un tavolo da solo con un bicchiere pieno davanti e lo ricambiava più con curiosità che con ostilità.

«Quello ti ha rubato la ragazza o ti deve dei soldi?» domandò Dean al barista con il suo miglior sorriso.

«Se così fosse, non avrebbe più la testa attaccata al collo» rispose il barista, che ricambiò il sorriso sinceramente, fin troppo sinceramente pensò Dean.

Dean proseguì la conversazione: «Siamo di passaggio, si ferma molta gente qui di solito?».

«Solo quelli che hanno sete» rispose il barista e la sua voce tradì una nota di inquietudine e preoccupazione e il suo sguardo cadde di nuovo sul tizio seduto da solo.

Dean raggiunse Sam, si sedettero a un tavolo e cominciarono a discutere una strategia: Sam propose di uscire e poi rientrare e dire che per sbaglio avevano graffiato la Dodge e desideravano risarcire il proprietario per scoprire chi fosse il vampiro e trovare la scusa per un approccio amichevole; Dean, invece, voleva appostarsi fuori per cogliere di sorpresa il vampiro appena fosse tornato a prendere l’auto, immobilizzarlo e convincerlo ad dar loro il sangue in cambio della vita. Stavano ancora discutendo, quando l’uomo seduto da solo si alzò e uscì. Dopo che si furono scambiati uno sguardo d’intesa lo seguirono. Quello era un terreno nuovo per loro, stavolta non si trattava di uccidere un mostro, ma di fare un patto che era quasi terribile come quello coi demoni.

Il tizio, inizialmente, andò verso la Dodge, ma poi, come se avesse sentito che lo seguivano, cambiò direzione e si diresse sul retro del locale; i Winchester decisero di andargli dietro. Appena voltato l’angolo, se lo trovarono di fronte a pochi metri di distanza, faccia a faccia, come se li stesse aspettando. Non fecero in tempo ad aprire bocca che quello si mosse velocissimo, spalancò le fauci sfoderando una fila di denti appuntiti.

Il vampiro era molto sicuro si sé, dopotutto era una creatura dotata di una forza sovrumana, e si aspettava che le sue potenziali vittime indietreggiassero; ma quando vide la determinazione negli occhi dei due che si erano messi in posizione di difesa capì che non erano dei qualsiasi tizi capitati per caso, che lo avevano seguito magari con l’intenzione di derubarlo. Quando tirarono fuori i machete, si rese conto che non erano nemmeno due sprovveduti alle prime armi e che la prospettiva di un pasto, dopo che era rimasto a bocca asciutta con la donna che aveva aggredito poche ore prima, stava sfumando. Il vampiro non si perse in chiacchiere e li attaccò, puntando subito alla gola di Dean, che era leggermente più vicino; ma era una finta e all’ultimo momento si girò verso Sam, cogliendolo di sorpresa, afferrandolo con una presa saldissima e scaraventandolo in aria come se non avesse peso, mandandolo a sbattere contro il muro del bar, lasciandolo momentaneamente intontito.

Dean si mosse subito in soccorso del fratello e il vampiro gli afferrò il braccio armato torcendoglielo. Dean non percepì alcun dolore, ma sapeva che non era necessariamente un buon segno perché il più forte anestetico del mondo, l’adrenalina, in quel momento gli scorreva nelle vene. Una qualsiasi persona in una situazione del genere si sarebbe trovata a scegliere tra fuggire o lottare per la vita, ma per Dean Winchester non c’erano opzioni tra cui scegliere: anni di caccia, di ordini, di situazioni in cui era a rischio la vita gli erano entrate fin nel midollo e lo avevano costretto, da una parte, a essere sempre pronto a fare i conti con quanto di peggio esiste nella vasta gamma del male e, dall’altra, lo avevano spinto a trovare il coraggio di spendersi fino in fondo, custodendo nel cuore un’estrema scintilla di responsabilità e attingendo a ogni brandello di energia.

In un istante sentì come se tutto quello che accadeva attorno a lui si fosse amplificato: percepiva il suo cuore battere rapido e forte nel petto, il suo respiro accelerare, le pupille dilatarsi quasi a voler penetrare il buio e focalizzarsi solo su ciò che aveva davanti e cioè il suo amato fratello che cercava testardamente di riaversi e contemporaneamente parlare con un vampiro pronto a uccidere. Strattonò il vampiro, liberandosi dalla sua presa, ma si accorse che qualcosa non andava: non riusciva a sollevare bene il machete, sembrava non avere il pieno controllo sul braccio destro. Senza esitazione prese l’arma con la sinistra, i suoi muscoli guizzarono pieni di energia e la mano si chiuse attorno all’impugnatura; fece per avventarsi rapidamente sul vampiro mirando a staccargli al testa, guidato dall’istinto più che dalla ragione. Sarebbe anche riuscito nell’intento se non fosse stato per l’urlo di Sam: «No, Dean, ci serve vivo!». Dean riuscì a frenare l’impeto e l’essere malefico ne approfittò per assestare un colpo tremendo alla gamba destra dell’avversario, privandolo del sostegno e facendolo cadere a terra.

A quel punto la preoccupazione di Dean per Sam ebbe la meglio su qualsiasi istinto di conservazione. Decise che forse potevano anche fare fuori questo vampiro e cercarne un altro, si puntellò contro il muro, riuscendo ad alzarsi, si gettò in avanti sollevando l’arma e la fece ricadere pesantemente sul vampiro che si stava girando a fronteggiare suo fratello. Il colpo andò a segno, ma con un’inclinazione esagerata che riuscì solo a staccare un braccio alla creatura, che urlò di dolore. Sam era finalmente riuscito a rimettersi in piedi ed era pronto a colpire, ma prima che avesse tempo di farlo la porta sul retro del bar si spalancò e ne uscì il barista con un’accetta (probabilmente quella del kit antincendio) in mano. L’uomo si lanciò contro il vampiro, lo colpì con il ginocchio nella schiena atterrandolo e, infine, sovrastandolo fece calare l’accetta sul collo staccando al testa di netto.

Il tempo sembrò fermarsi e persino i respiri affannati e i concitati battiti del cuore rallentarono; così come le energie erano arrivate, Dean le sentì svanire e si rese conto che la sua gamba aveva una strana angolazione; probabilmente era rotta. Anche il braccio doveva aver subito dei seri danni.

«Non mi ringraziate per avervi salvato la pellaccia?» li apostrofò il barista.

«Sicuro amico, non ti infilerò questo su per il culo» rispose Dean mostrandogli il machete.

Sam invece gli fece un cenno del capo riconoscente.

«Amico, credo che tu non sia messo tanto bene, ti serve un dottore!» disse il barista guardando Dean.

«Non ho bisogno di un dottore, cazzo! Avevo bisogno che quel figlio di puttana restasse in vita!» si arrabbiò Dean.

«Peccato che lui non la pensasse allo stesso modo di voi! Perché vi serviva vivo?» domandò.

«Non ci crederesti» sospirò Sam.

«Mettimi alla prova» rispose l’altro.

«Avevamo bisogno di sangue di vampiro donato di sua spontanea volontà; è un componente per un incantesimo che potrebbe salvare il mondo da una probabile invasione di fantasmi» provò a spiegare Sam. La situazione era assurda: stavano dicendo la verità a uno sconosciuto che avrebbe potuto prenderli per pazzi; ma, in effetti, non aveva battuto ciglio davanti alle zanne del vampiro e gli aveva tagliato di netto la testa: forse sapeva più cose di quanto loro potessero sospettare.

Lo sguardo del barista si assottigliò: «Di quel vampiro o di qualsiasi vampiro?».

«Chi se ne frega di quale succhiasangue ci dà il suo sangue!» sbottò Dean.

«Beh, in questo caso… Ho una cosa che vi serve» e il barista aprì la bocca mostrando una seconda fila di zanne appuntite che spuntava dalle gengive.

Sam si mosse istintivamente e Dean, che non era in condizioni di combattere, lo attaccò con arroganza: «Ci vuoi aiutare solo per la bontà del tuo cuore non morto?».

Il barista alzò le mani: «Più o meno».

«Tu cosa ci guadagni?» domandò Sam, che si immobilizzò, restando però guardingo, lasciandogli il tempo di spiegare.

«Non voglio uccidere nessuno e voglio vivere in pace. Ho trovato un’alternativa per nutrirmi: sangue bovino. È una schifezza, ma mi fa andare avanti. Quello è spuntato qui per caso e probabilmente avrebbe potuto combinare casini in cui sarei finito in mezzo io e tirandosi dietro voi. Ma io non voglio guai e nemmeno dei cacciatori tra i piedi. Se vi do un po’ del mio sangue, ve ne andrete e farete finta di non avermi mai incontrato? Ci state o non ci state?».

Sam e Dean si guardarono: non erano abituati ad avere a che fare con vampiri collaborativi, ma non avevano trovato nessun indizio che facesse pensare che questo uccidesse le persone, quindi colsero la palla al balzo. Raccolto il sangue in una bottiglietta, si accomiatarono con una stretta di mano e la raccomandazione di stare fuori dai rispettivi coglioni.

Mentre riportava in macchina Dean, quasi sostenendone completamente il peso, Sam disse al fratello: «Non gli abbiamo chiesto nemmeno come si chiamasse». «Che ti frega di come si chiamava? Per una volta che il mostro di turno ci dà una mano...» rispose Dean reso più scontroso dal dolore che stava pian piano crescendo.

Non sapendo quando Cas sarebbe potuto tornare, Dean accettò di andare in ospedale. Una volta arrivati, il dolore al braccio e gamba era molto intenso, gli arti si stavano cominciando a gonfiare ed erano visibili dei lividi. Dopo aver visto le radiografie, il medico assicurò che si trattava di due fratture chiuse e composte, la prima a spirale all’omero e la seconda che interessava sia tibia che perone. Sarebbe bastato applicare un gesso da tenere per 8 settimane, non avrebbero nemmeno dovuto attendere un calo del gonfiore perché non era eccessivo, e sarebbe stata utile un po’ di fisioterapia una volta completata la guarigione.

In un primo momento, Sam aveva temuto che Dean sfruttasse la situazione per accendere lo spirito da crocerossina del genere femminile e che avrebbe provato a chiedere a qualche cameriera di lasciargli il numero sul gesso, ma, contrariamente alle sue aspettative, il fratello voleva solo essere lasciato in pace.

Tornarono a casa di Bobby, che se ne era andato a caccia per qualche giorno, e Dean si installò subito sul suo divano a guardare Dr. Sexy, con la tentazione continua di grattarsi dove aveva i gessi; provò a infilare una matita nello spazio tra pelle e gesso per cercare di trovare sollievo, ma non riuscì a raggiungere i punti che voleva. Cercò di raggiungere la cucina, appoggiandosi sulla gamba sana e ai mobili, per acchiappare una birra. Purtroppo per lui, il suo tentativo non sfuggì all’occhio vigile del suo fratellino, che si rivelò una terribile spina nel fianco: «Torna subito a sederti, rischi di cadere».

«Ok Sammy, allora portami tu una birra!» si rassegnò Dean.

«Ti porterò del latte. Il dottore ha detto che la guarigione può essere supportata attraverso una dieta adeguata; per i pazienti che già seguono un’alimentazione sana e varia non è necessario apportare grandi cambiamenti, ma questo non è il tuo caso! Devi assumere molto calcio, quindi devi mangiare dei latticini e bere del latte».

«Ti sembro un vitello?» rispose Dean scocciato.

Sam lo ignorò e aggiunse: «L’alcool e la caffeina interferiscono con l’assorbimento, quindi il loro consumo andrebbe sensibilmente limitato. Stessa cosa vale per le proteine animali».

«Io sono un guerriero, non voglio roba da conigli!» brontolò Dean, aggiungendo poi qualcosa tra i denti che suonava tipo: «Ma quando torna Cas?».

Sam aiutò Dean a sedersi di nuovo sul divano, a stendere la gamba ingessata e gli suggerì di sollevare il braccio perché questo avrebbe favorito il ritorno venoso.

Dean si sentiva impotente: avevano mille cose per le mani e lui era inchiodato su un dannato divano. Come se non bastasse, aveva la sgradevole sensazione che la situazione stesse mandando Sam fuori di testa. Va bene essere apprensivi, ma il suo fratellino lo aveva lasciato giusto il tempo di comprare del cibo, lo controllava ogni secondo, era pronto ad arrivare ogni volta che lo sentiva muoversi e lo guardava come se rischiasse di perderlo da un momento all’altro.

Verso sera, Sam propose a Dean di aiutarlo a lavarsi. Dean si impuntò: non era un bambino e poteva fare da solo. Sam incrociò le braccia e lo fissò: «Quando eri stato sotto l’effetto dell’incantesimo mi sono occupato sempre di te, lavandoti e rivestendoti. Ti assicuro che non mi è mai pesato, è un genere di intimità di cui non ti dovresti vergognare».

«Ascoltami bene Sammy! Tu adesso mi aiuti ad andare a sedermi nella doccia, mi lasci un asciugamano e poi al resto penso io!» puntualizzò Dean perentorio.

Sam ubbidì. Per Dean togliersi i vestiti e lavarsi fu un’impresa, rischiò continuamente di bagnare i gessi e dovette rinunciare a strofinare la schiena perché non ci arrivava; si fece un appunto mentale di chiedere al fratello di comprargli una di quelle spazzole col manico; era da vecchi, ma a mali estremi, estremi rimedi. Una volta che si fu asciugato, scoprì che era impossibile vestirsi perché con una mano sola non c’era verso di infilare gli indumenti dalla parte giusta e immaginò che anche chiudere un bottone sarebbe stato al di là della sua portata.

Sam sentì le sue imprecazioni al di là della porta e decise di entrare. Trovò il fratello che litigava con un paio di mutande, cercando di allungarsi abbastanza per lanciarle all’estremità del gesso. «Lascia perdere, faccio io» disse e sollevò da terra suo fratello con tanto di asciugamano e lo portò fino al divano. Poi prese i vestiti e con cura e attenzione glieli infilò uno alla volta, concentrandosi su ogni singolo gesto. Quando finì di infilare l’ultimo bottone della camicia alzò gli occhi sul viso di Dean, che abbassò i propri.

Alcune cose possono essere dette con delle parole, altre, invece, e spesso sono quelle che più contano, hanno bisogno di esprimersi altrimenti. Sam conosceva suo fratello, leggeva nei suoi occhi e si rendeva conto che quando abbassava lo sguardo lo faceva per nascondergli quello che provava. Sapeva che Dean avrebbe fatto di tutto per non lamentarsi, per non essere un peso e non avrebbe accettato nessun gesto da parte sua. Ma non avrebbe mai detto di no a una crostata. Quindi si spostò in cucina, tagliò una generosa fetta di quella che aveva comprato quando era uscito, la mise su un piatto e la posò in grembo al fratello: era il suo modo di dirgli che voleva prendersi cura di lui, aggirando la sua incapacità di comunicare, era un messaggio in bottiglia, gettato in mare che si spera arrivi a destinazione.

Quando le narici gli si riempirono del profumo della torta, Dean si girò con gli occhi luccicanti e un sorriso un po’ ebete che fece sghignazzare Sam; guardò il fratello e mise in bocca un enorme pezzo di crostata. Le parole che provò a pronunciare finirono perse tra briciole e sputazzi, ma Sam non aveva bisogno di capire ogni sillaba.

 

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti! Bobby ed Ellen sono meglio dei profiler di Ciminal minds e danno sempre ottime indicazioni!

Se penso ai vampiri, il primo che mi viene in mente è Benny (mi si stringe il cuore, povero è rimasto in Purgatorio!). Mi sono ricordata che l’attore che lo interpreta, Ty Olsson, fa un’apparizione nella 2x03: è un vampiro che si chiama Eli, si nutre di sangue di mucca senza uccidere gli umani e lavora come barista; ho pensato di ripescare questa cosa e mescolare un po’ le carte in tavola. Per questo ho scelto di non esplicitare il suo nome.

La Dodge Charger del 1969 a cui pensa Dean è il Generale Lee della serie Hazzard, la guardavo da piccola, ho immaginato che piacesse anche a Dean!

Vi lascio il link del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

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Capitolo 13
*** I've got you ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

13/26 FEBBRE

 

1 Aumento della temperatura del corpo dovuto a cause patologiche || fig. una f. da cavallo, molto alta

 

Castiel non diede alcuna notizia di sé, mentre Bobby chiamò dicendo che la caccia sarebbe durata più del previsto e che la notizia della malattia degli angeli stava circolando anche tra i demoni, che da una parte erano entusiasti che i pennuti stessero schiattando, ma dall’altra non sembravano molto contenti all’idea di un’orda di fantasmi che si riversava sulla Terra. Dean non si rassegnò a dover trascorrere la convalescenza dipendendo più di quanto avrebbe desiderato dal suo iperprotettivo fratellino, che sembrava possedere l’animo di crocerossina (e, sorprendentemente, anche la delicatezza) e l’intransigenza di un sergente istruttore. Forse perché gli era concessa solo una birra al giorno, forse perché non era avvezzo a stare immobile, Dean stava consumando l’esigua dose di pazienza di cui era dotato. Doveva fare qualcosa e propose a Sam un’idea: «Sammy, su questo divano mi sta venendo il culo quadrato, non ci duro! So che non possiamo andarcene in giro… sai come si dice: “Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”. Ci serve un dente di segugio infernale, quindi potremmo evocare un demone e chiedergli…».

Sam interruppe lo sproloquio: «Ma certo, evochiamo un demone e chiediamogli se può aiutarci a procurarci un dente di una terrificante e famelica creatura infernale la cui ragione di vita è uccidere i poveri disgraziati che hanno avuto la brillante idea di evocare un demone, vendere la propria anima e finire all’inferno dopo 10 anni! Cosa mai potrà andare storto?».

Dean decise di non demordere e giocarsi la carta del «salviamo il mondo»: «Il tempo passa e anche Cas ha detto che dovevamo fare progressi in fretta! Non è la prima volta che affrontiamo un demone, sappiamo cosa aspettarci da quei figli di puttana. Armiamoci di acqua santa, sale, facciamo una trappola del diavolo, tutto quello che vuoi, ma ti prego facciamo qualcosa o io impazzisco!». Sam si lasciò convincere più dall’ultima frase che dalla prima e prepararono l’occorrente per l’evocazione; saggiamente Dean evitò di menzionare a Sam che aveva una scatola già pronta nel baule di Baby, dove aveva nascosto quella che aveva preparato quando voleva vendere la propria anima per la vita del fratello. Salirono in macchina (Dean portato in braccio da Sam) e raggiunsero l’incrocio più vicino. Dean si sistemò seduto sul cofano dell’auto e Sam tracciò un cerchio di sale attorno per precauzione, poi seppellì la scatola in mezzo all’incrocio e raggiunse il fratello.

Non dovettero attendere a lungo.

«E così finalmente ci incontriamo hardy boys! Io sono Crowley. Ho sentito parlare di voi ed ero curioso di vedervi faccia a faccia». Chi aveva parlato con un leggero accento britannico era un uomo di mezz’età comparso dal nulla, robusto, non molto alto, coi capelli che tendevano a diradarsi, estremamente elegante in un completo nero con cravatta rossa; sembrava un tantino spocchioso e aveva l’aria di chi sta facendo una cosa controvoglia.

Sam, che aveva immaginato i peggiori scenari relativi all’incontro con un demone, ci rimase quasi male davanti all’atteggiamento cordiale, ma erano loro a dover parlare con lui, non il contrario e quindi imbracciò più forte il fucile caricato a sale, mentre Dean stringeva una bottiglia di acqua santa ed esordì: «Non non abbiamo mai sentito niente di te. Dobbiamo parlare».

Il demone alzò le mani: «Andateci piano con quei giocattoli o mi rovinerete il vestito: avete una vaga idea di quanto costi?».

«Ma come, non ve li forniscono i vostri superiori come bonus se raggiungete la quota di anime a fine mese?» lo schernì Dean.

Crowley fece un sorriso di circostanza: «Dimenticavo che siete solo degli imbecilli funzionali». Sam intervenne sbrigativo: «Veniamo al dunque: abbiamo bisogno del dente di un segugio infernale e forse tu potresti aiutarci ad averlo».

Stavolta il demone fece una faccia apertamente divertita: «Tralasciando per un momento quello che potrei chiedervi in cambio, a cosa vi serve?».

«Suppongo che tu sappia già quello che sta succedendo agli angeli…» cominciò Dean.

Il demone assentì.

Dean pensò che tanto valeva vuotare il sacco: «Beh, noi abbiamo trovato il modo di curarli e per farlo ci serve il dente di un segugio infernale!».

«La transazione standard richiederebbe che in cambio deste la vostra anima, ma suppongo che non se ne parli…» disse Crowley con fare teatrale.

Le facce dei Winchester furono fin troppo esplicite.

Il demone sospirò: «Beh, dal momento che voglio che voi risolviate questa faccenda degli angeli, suppongo di potervi accontentare».

«Dove sta il trucco?» chiese Dean sospettoso.

«Si chiama istinto di sopravvivenza! Se orde di fantasmi si riversassero sulla Terra, il genere umano verrebbe sterminato e il mio lavoro ne risentirebbe pesantemente: io sono un commerciante di anime!» e così dicendo mise la mano in tasca e porse loro un dente di appena un centimetro.

Sam deglutì, si fece avanti e lo prese con attenzione: «Non credevo avessero denti così piccoli…».

Il demone sorrise ancora: «Con il tempo potresti imparare che le dimensioni non sono così importanti! È piccolo perché è il dente da latte della mia amichetta quando era cucciola!».

Sam si passò una mano sulla faccia al pensiero che un demone tenesse un segugio infernale come animale domestico, ma doveva riconoscere che, in qualche modo contorto, la cosa poteva avere senso.

Crowley si congedò con un perentorio: «Spero vivamente che non combinate casini!» e svanì.

«È stato più facile del previsto!» commentò Dean.

Effettivamente, era andata così bene che Sam si lasciò convincere ad andare a comprare dell’altra torta nel supermercato vicino e anche una bella bistecca; lasciò Dean in macchina, per fare prima, ed entrò. Già che c’era, pensò di compare della frutta per sé; stava riempiendo un cestino con quella che suo fratello definiva «roba da conigli», quando si avvicinò una giovane mamma che stava cercando di convincere la bambina di due-tre anni che teneva in braccio e faceva i capricci. Sam udì la conversazione: «Non voglio mangiare la frutta! È cattiva!», diceva la bimba tirando su col naso. «Tesoro, vedi quel signore come è diventato alto e che bei capelli che ha? È perché mangia la frutta, vedi quanta ne ha nel cestino?», cercava di convincerla la mamma. Sam sorrise alla bambina, che lo squadrò dubbiosa e poi fece una strana espressione guardando in alto e gli starnutì in faccia. La madre si scusò mortificata e Sam si profuse in rassicurazioni, andò alla cassa e uscì.

La serata e il giorno seguente passarono tranquilli, ma quando fu ora di dormire Sam cominciò a non sentirsi bene: aveva freddo, rabbrividiva quasi, e la gola gli bruciava; archiviò mentalmente la cosa come stanchezza perché, anche se non l’avrebbe ammesso ad alta voce, dopotutto suo fratello era pesante da spostare. Buttò giù un bicchiere di whisky e si mise a letto con una coperta extra. Riuscì ad addormentarsi, ma non a riposare veramente: si rigirava nel letto con le lenzuola appiccicate al corpo, in uno stato di dormiveglia in cui la mente non trovava quiete.

Il mattino seguente, quando la sveglia suonò, non poté far finta di nulla: gli sembrava che la luce si condensasse in acuminati e crudeli aghi che si piantavano nei suoi occhi e che qualcuno avesse messo delle lamette nella sua testa e si stesse divertendo a scuoterla. Non era mai stato pienamente consapevole di tutte le ossa del suo corpo come in quel momento in cui aveva dolori sparsi ovunque. Era in un bagno di sudore e probabilmente aveva la febbre; alla sua mente tornò l’immagine della bambina che gli aveva starnutito in faccia e sospettò che, in realtà, la dolce creatura fosse un piccolo untore in erba che gli aveva passato un concentrato di germi e batteri.

Si costrinse a fare una doccia prima di occuparsi di Dean. L’acqua fresca gli diede qualche momentaneo beneficio e riuscì ad alzare il fratello, a vestirlo, a metterlo a tavola e a preparare la colazione. Ma quando l’odore del caffè mischiato al bacon sfrigolante arrivarono dritti al suo stomaco, quello si chiuse. Lo sforzo eroico di Sam per non vomitare non fu notato da Dean, che era impegnato a ficcare una forchetta dentro il gesso del braccio per trovare sollievo dal prurito.

Però Dean vide che il fratello non si sedeva a mangiare con lui e si insospettì. Lo scrutò attentamente da sotto le ciglia e si accorse che aveva gli occhi lucidi e sembrava anche molto pallido. Non disse nulla, ma, quando finì di mangiare e Sam lo sorresse per aiutarlo a stendersi, approfittò del momento per mettere una mano sulla fronte del fratello. Bruciava.

«Sammy, sei tanto caldo che avresti potuto cuocermi le uova sulla tua fronte!» disse Dean preoccupato.

Sam scrollò le spalle: «Ho solo un po’ di febbre, non è nulla». Ma la voce strascicata e bassa tradiva fatica nel parlare e probabilmente un bel mal di testa.

«Siediti un momento Sam» lo esortò Dean.

«Solo un minuto…» accordò Sam sedendosi sul divano accanto a lui. Un momento dopo posò il capo sul bracciolo e chiuse gli occhi.

Dean provò a scuoterlo e a chiamarlo per capire fino a che punto stesse male, ma l’unica cosa che ottenne fu un suono di protesta quando Sam rotolò giù dal divano e si stese lungo il fianco sul tappeto. Il primo istinto di Dean fu quella di fregarsene del gesso, appoggiarsi sulle gambe e spostare il fratello sul divano, ma respinse la tentazione, consapevole che le sue ossa non avrebbero retto un simile sforzo.

Il respiro di Sam era leggero, ma regolare, il che era un buon segno; però doveva assolutamente fargli scendere la febbre; si ricordò che Sam, tra le mille scatole di medicinali che aveva preso per lui perché il dottore aveva detto che era «meglio essere preparati in caso di complicazioni post frattura», aveva acquistato anche un antipiretico. Fece scivolare giù la gamba sana e si issò in piedi, cercando di tenere l’equilibrio appoggiandosi con il braccio buono al divano. Maledicendo mentalmente Sam che si era rifiutato di prendergli una stampella temendo che si sarebbe sforzato troppo e avrebbe compromesso la guarigione, saltellò su un piede fino alla cucina, dove Sam aveva lasciato il sacchetto con gli acquisti della farmacia. Prese tutto, ritornò, sempre saltellando, in salotto e si lasciò cadere in ginocchio accanto a Sam.

L’impatto con il pavimento fu più forte del previsto e fu certo che il giorno dopo avrebbe avuto dei lividi, ma non se ne curò. Per sua fortuna, suo fratello aveva optato per un farmaco da iniettare intramuscolo perché, visto che Sam era quasi incosciente, non sarebbe stato possibile fargli ingoiare alcunché. Riuscì a rompere la fialetta tenendola con le dita del braccio ingessato (riusciva a muoverle un po’) e a riempire una siringa. La tenne tra le labbra mentre cercava, con scarsissimi risultati, di strattonare i pantaloni di Sam per abbassarli abbastanza da fare l’iniezione. Dopo un po’ decise che era meglio farla da sopra i vestiti.

Se non avesse avuto quello stramaledetto gesso, avrebbe potuto trascinare Sam in bagno e fargli delle spugnature fredde per abbassare la temperatura, ma, vista la sua condizione, poteva solo mettere un plaid addosso al fratello per essere sicuro che stesse al caldo, un cuscino sotto la testa perché stesse comodo e sedersi accanto a lui per controllarlo.

Non ci furono cambiamenti per ore; Dean lasciò il suo posto accanto al fratello solo per una veloce corsa (si fa per dire) in bagno; provò a far bere a Sam un po’ d’acqua che aveva preso dalla cucina, ma le sue labbra non volevano saperne di schiudersi. Mentre lo guardava così vulnerabile e fragile, Dean fu assalito dai ricordi. Quella situazione gli faceva pensare a una volta in cui John se ne era andato a caccia lasciandoli soli in un motel nel Montana; lui aveva forse dodici anni, Sam otto. Era il periodo subito prima delle feste di Natale, faceva freddissimo e alla scuola che stavano frequentando le classi erano decimate da un’epidemia di influenza. Anche Sam era stato contagiato e Dean si era ritrovato per la prima volta, oltre che con la responsabilità di un fratello minore a cui badare nelle faccende quotidiane, nella necessità di curarlo da una malattia. Nonostante le pastiglie, la febbre era salita talmente tanto in quell’occasione e Sam aveva dormito così a lungo che Dean per un bel po’ era rimasto incerto se chiamare il loro padre o un’ambulanza. Poi però il suo fratellino aveva dato segni di ripresa, uscendo dallo stato quasi letargico e provando a dirgli qualcosa. Se non ci fosse stato così silenzio nella stanza e attorno al motel i rumori non fossero stati attutiti dalla neve che cadeva lenta, forse la flebile domanda che era sfuggita a Sam sarebbe rimasta a fior di labbra e non sarebbe stata udita: «Dean… ma tu mi vuoi bene?».

Dean aveva sbuffato un: «Mmmm». Era il fantasma di una risposta gettato lì da un ragazzino che sembrava non si curasse della domanda perché è in una fase della vita in cui non ha più la dolcezza del bambino, ma non ha ancora raggiunto la serenità dell’adulto nel manifestare affetto, per cui Sam non si era accontentato: «Ma tu mi vuoi bene?».

Stavolta per Dean era stato più difficile eluderlo, sottrarsi a quella richiesta di amore che lo cercava e lo provocava: «Lo sai». Questo «Lo sai» suonava più che altro come «Non insistere» alle orecchie di Sam e lui era ritornato alla carica una terza volta, determinato a ottenere una risposta autentica, sentita; si era tirato su con fatica e aveva guardato il fratello negli occhi: «Mi vuoi bene?».

A questo punto il cuore di Dean si era sciolto: cercava di nascondere, prima di tutto a se stesso, per vergogna o forse ancora di più per paura, tutto l’amore che provava per quel bambino, un bambino che non era mai stato incoraggiato da una voce amorevole che non fosse la sua e che ora aveva la necessità di sentirla perché, in un momento in cui era perso, era l’unica cosa che gli avrebbe restituito sicurezza e tranquillità. Dean temeva di non essere capace di amare, sapeva che era la sua debolezza, ma, davanti a quella domanda che era un abbandono totale del fratello, aveva sorriso e aveva risposto: «Sì. Non c’è nulla che non farei per te!». E gli aveva lasciato un bacio sulla fronte bollente.

Stavolta, quando finalmente dopo parecchie ore si riprese, la domanda di Sam fu diversa: «Cos’è successo?».

Dean sorrise: «Hai la febbre, hai dormito per tutto il giorno».

«Sono rimasto qui tutto il giorno? Scusami Dean, adesso mi alzo e…» cominciò a dire Sam cercando di tirarsi su.

Dean lo spinse giù: «Sta tranquillo!». Poi prese un pacchetto di patatine dal tavolo vicino: «Vedi, ho già la cena! Devi riposare, al resto penseremo domattina. Adesso bevi, ti farà sentire meglio».

Sam sorseggiò l’acqua dal bicchiere che Dean gli porgeva, si riadagiò e si lasciò sfuggire un verso che era a metà tra un lamento e un grugnito di protesta: «Abbiamo affrontato mostri di ogni tipo: licantropi, fantasmi, demoni, mutaforma e io devo stare così male per una semplice influenza? L’anno prossimo mi faccio il vaccino! Cazzo se mi faccio il vaccino!».

Dean rise: «Stai invecchiando!», sperando segretamente che Sam non lo contagiasse.

Sam non aveva la forza per dargli una gomitata: «Mi sento stanco… Chi non lo sarebbe? Abbiamo vissuto sempre sulla strada, percorrendo migliaia e migliaia di chilometri, consumando la nostra esistenza insieme alle gomme della macchina».

«Qualcuno  potrebbe dire che sono state avventure eroiche e che abbiamo visto paesaggi da togliere il fiato, che abbiamo conosciuto l’America. Io e te verso l’infinito e oltre!» disse gentilmente Dean accorgendosi che il fratello non era ancora del tutto lucido.

Sam faceva fatica a parlare, le parole che raschiavano la gola: «Invece a me l’orizzonte sconfinato ha sempre fatto sentire che ero al limite, che non ce la potevo fare! Ti ho deluso quando me ne sono andato… Quante volte ti ho deluso? Quanti pesi hai portato per colpa mia?  Anche adesso dovrei essere io a prendermi cura di te e invece…».

«Ci penso io a te!» sussurrò Dean; si stese, aprì le braccia per accogliere Sam e poi le richiuse attorno al suo corpo in un cerchio che rivendicava per sé uno spazio da cui escludeva il resto del mondo.

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Mi sto sciogliendo pensando a Sam e Dean!

Nella mia storia Crowley è ancora un demone degli incroci e non il re degli inferi, ma spero di avergli reso giustizia! È il personaggio preferito di mio marito, vorrei riuscire a farlo tornare in questa storia per interagire ancora con i Winchester.

La scena con la mamma e la bimba ha molto di autobiografico: mia figlia mangia pochissima frutta e da piccola, per convincerla, le avevo fatto vedere le scene in cui Sam comprava o mangiava la frutta spiegandole che era per quello che era diventato più alto di Dean e aveva dei bei capelli lunghi (aveva funzionato).

Vi avviso che, per quanto ami i bros, a me manca Cas, quindi ritornerà in tutta la magnificenza del suo trench stropicciato; non so come, ma tornerà!

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Capitolo 14
*** Memories can’t burn ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

 

14/26 14/26 SUPERSTITE

 

1.Chi sopravvive ad altri, o è scampato a una sciagura in cui altri hanno trovato la morte.

 

 

 

Castiel non riusciva a capire se Balthazar avesse preso davvero sul serio la sua richiesta di aiutarlo a reperire la polvere del pavimento di un luogo santo spazzata da un uomo santo o se si stesse divertendo a sue spese. Balthazar aveva risposto all’appello dell’amico e poi aveva letteralmente portato Castiel a spasso nel tempo con una scopa perché, per essere certi di procurarsi la polvere giusta, avevano deciso di puntare sulla quantità, rincorrendo uomini di chiara fama e in odore di santità appartenenti a varie religioni e a vari tempi: monaci buddhisti, bramini induisti, imam musulmani, rabbini ebrei, vari santi cristiani. Balthazar avrebbe voluto anche contattare delle prostitute sacre durante la civiltà babilonese, ma Cas si rifiutò di assecondarlo perché «la ricetta della pozione diceva espressamente un uomo santo e non una donna». L’ultima tappa avrebbe dovuto essere al monastero di Nonantola, in Italia, nell’anno 803, per trovare il fondatore Anselmo, canonizzato dalla Chiesa cattolica.

«Questa volta, per favore, lasciamo perdere la scopa: è un monastero, ne avranno delle decine. E non devi comparire alle sue spalle, Castiel. Evita di fare come con quell’asceta che ti ha scambiato per il demonio e quando gli abbiamo offerto la scopa ha pensato bene di sbattertela in testa» consigliò Balthazar ridacchiando.

Castiel fece cenno di sì.

Apparvero davanti alla porta dell’abbazia quando ancora era avvolta dalle tenebre che a breve avrebbero lasciato il posto alle prime luci dell’alba che ancora esitavano pigramente oltre l’orizzonte a est. Il silenzio più assoluto avvolgeva il luogo, non si sentiva nemmeno il canto di qualche uccello notturno e questo sarebbe stato anche normale per quel luogo, ma quello che stonava era il forte odore di bruciato che saturava l’aria, un odore che evocava più oscure immagini dei dannati all’inferno consumati dalle fiamme piuttosto che ameni quadretti di persone che si riscaldano attorno al camino.

I due angeli si guardarono intorno con circospezione, ma la loro vista non riuscì a penetrare oltre il mantello della notte. Appoggiarono la scopa a un muro e bussarono; la porta dell’abbazia, che sembrava reggersi a mala pena sui cardini, sembrò tremare al loro tocco.

Non attesero a lungo e dopo poco sentirono dei passi che echeggiavano tra le pietre antiche e si avvicinavano quasi timidamente, ma senza esitazione alcuna. La porta protestò a una sollecitazione dall’interno e si spalancò; li raggiunse quello che sembrava un fagotto di abiti sdruciti che si rivelò essere un monaco piccolo e rotondetto con grandi occhi blu luminosi e una massa di ricci rossi a incorniciargli un viso gentile, ma precocemente segnato dal dolore. Aveva il mozzicone di una candela in mano, la cui fiamma guizzava tremolante cercando di battersi strenuamente contro il buio che li circondava.

«Benvenuti signori» esordì il monaco con garbo.

Fece una pausa per studiare gli strani abiti dei viaggiatori, ma era troppo bene educato per fare domande. Poi proseguì: «Sono fratello Leone. Che cosa posso fare per voi?».

«Diciamo che il pellegrino vuole confessarsi e il viandante vuole ristorarsi» Balthazar si divertiva moltissimo a citare battute dai film, ma erano del tutto sprecate con Castiel, che non le capiva mai, e con un uomo vissuto secoli prima dell’invenzione del cinema.

«Oh, sono mortificato, ma io sono solo un semplice monaco, non posso confessare e al momento qui non ci sono sacerdoti disponibili» le scuse sembravano sincere e il monaco davvero addolorato.

Mandò giù come se stesse inghiottendo un boccone amaro e aggiunge sforzandosi di sorridere: «Avevamo delle comode camere nella foresteria per gli ospiti, ma non sono agibili adesso. Tuttavia, se volete seguirmi, vi posso guidare in un posto dove potrete rifocillarvi e riposare».

Balthazar sorrise affabile: «Grazie! E non curarti della strana foggi adei nostri abiti, veniamo da molto lontano».

«Il Signore ci insegna a non giudicare mai qualcuno dall’aspetto» rispose serafico il monaco.

I due angeli lo seguirono; avrebbero chiesto più tardi di Anselmo. Il monaco riusciva a orientarsi seguendo i muri, mentre Cas e Balthazar dovevano restargli appresso per essere sicuri di andare nella direzione giusta; girarono vari angoli, attraversarono un piccolo cortile interno e poi entrarono in quella che sembrava una stanza molto grande piena di finestre che incorniciavano pezzi di cielo stellato, che piano piano schiariva dal blu a toni rosati e lasciava intravedere delle panche di pietra. L’odore di bruciato qui era particolarmente intenso e il pavimento era in parte ricoperto da un sottile strato di polvere.

«Non è quasi ora del mattutino?» domandò Castiel scrutando la luce esitante. I monaci avrebbero dovuto essere in piedi per la preghiera del mattutino, ma tutto sembrava tranquillo, fin troppo tranquillo.

«Sì, è quasi ora della preghiera» confermò il monaco e, indicando le panche di pietra aggiunse: «Quello che posso offrirvi è poco, ne sono dispiaciuto, ma se vorrete accomodarvi vi porterò del cibo».

Prima che il monaco se ne andasse, da un angolo si sentì il rumore di qualcuno che si agitava. Frate Leone si avvicinò a un giaciglio improvvisato e sollevò tra le braccia un bimbo di un paio d’anni cullandolo con affetto: «Torna a dormire piccolo Remigio, è ancora presto». Il bambino si calmò e il monaco lo riadagiò, coprendolo con cura.

Gli angeli si accomodarono e attesero che le dita dell’aurora si insinuassero nelle pieghe dell’oscurità, diradandola piano piano. Balthazar, impaziente, si alzò e raggiunse la finestra sporgendosi dal davanzale di pietra. Quello che l’incerta luce dell’alba rivelava era uno spettacolo agghiacciante: le pietre dell’abbazia erano scurite da un recente incendio e nel cortile si vedevano chiazze di rosso brunito che dovevano essere inequivocabilmente macchie di sangue. Guardando in basso, Balthazar scoprì che quella che aveva scambiato per polvere sotto i suoi piedi era invece cenere.

«Cassie, credo di aver fatto un piccolo errore di calcolo temporale…» ammise Balthazar.

«Definisci “piccolo”» chiese Castiel assottigliando lo sguardo.

«Siamo arrivati poco meno di un centinaio di anni più avanti del previsto, può capitare…» si schermì Balthazar.

Prima che Cas avesse il tempo di aggiungere alcunché, il monaco tornò portando tra le mani un vassoio con una brocca d’acqua, due coppe di legno, pane, formaggio e un vasetto di miele. Pose tutto su una panca accanto a loro invitandoli a mangiare con un ampio gesto.

«Che cosa è successo al monastero?» domandò Castiel.

Gli occhi del frate si riempirono di lacrime e perse tutta la compostezza che aveva manifestato fino a quel momento: le ginocchia sembrarono cedergli e si afflosciò dentro il suo saio e Castiel pensò che così rannicchiato a terra che si abbracciava le ginocchia con le mani e la testa che scompariva tra le pieghe delle amiche sembrava un sacco pieno di carote.

Fratello Leone cominciò a singhiozzare, lasciando che le lacrime gli scorressero lungo le guance: «Gli Ungari… tre giorni fa, sono venuti e hanno ucciso i miei fratelli! Ho occupato tutti i loculi della nostra cripta con i loro corpi; non c’era abbastanza spazio per tutti singolarmente e allora ho messo insieme Guido e Aldobrandino. Non credo a loro dispiacerà, perché stavano sempre insieme anche da vivi: uno era l’erborista e l’altro il cuciniere e curavano insieme le piante aromatiche. Ho acceso una candela davanti a ognuno. Purtroppo, fratello Alberto è stato ucciso mentre cercava di impedire agli invasori di distruggere le arnie e non ci sarà più nessuno che si occuperà delle sue api e procurerà la cera per fare altre candele».

Ora che aveva cominciato a parlare, il monaco sembrava un inarrestabile fiume in piena di lacrime e di parole. Il suo sguardo andava oltre i due angeli, fissandosi sulle rassicuranti immagini quotidiane presenti nella sua mente, un’ancora di salvezza che cercava di trattenerlo dall’andare alla deriva.

Riprese: «Il sacrestano Pietro ho fatto fatica a trovarlo: si era nascosto nell’armadio dove riponeva le vesti per le celebrazioni, ma lo hanno trovato. Le ho lavate con molta cura perché lui ci teneva che fossero sempre immacolate. Il maestro Ventura era quello che aveva riportato più ferite: aveva cercato di proteggere i due novizi, Ugolino e Bonaccorso; quei due erano poco più che bambini e faticavano a osservare i momenti di silenzio che impone la regola, ma il loro maestro li riprendeva sempre con dolcezza.

L’abate Giovanni era in chiesa a pregare con il priore Ranieri; dedicavano ogni momento libero alla preghiera ed esortavano noi a fare altrettanto, per trovare la serenità interiore. Diceva che a volte ci accadono cose davvero brutte; per questo preghiamo, perché ci serve l’aiuto di qualcuno più forte di noi. Ma adesso fatico a capire che Dio abbia permesso che succedesse tutto questo ai miei fratelli! Vorrei avere più fede.

Io mi sono salvato solo perché avevo finito i pigmenti per la tonalità gialla ed ero andato a cercare della reseda, un’erba, per farne di nuovi. Avevo portato con me il piccolo Remigio, credevo che correre nei prati l’avrebbe reso felice. L’avevano lasciato sulla porta dell’abbazia e io mi sono sempre occupato di lui. A volte è difficile concentrarsi con lui intorno, ma i poveri e gli orfani sono quelli che maggiormente hanno bisogno della nostra carità, del nostro amore. Ho visto il fumo alzarsi verso il cielo da lontano e sono tornato di corsa al monastero, ma era troppo tardi».

Sopraffatto dal dolore, il monaco non riuscì più ad andare avanti.

Balthazar avrebbe anche voluto andarsene (la scimmia senza peli religiosa e inzuppata, visto il piagnisteo, se la poteva cavare da sola, per quanto lo riguardava), ma Castiel aveva già visto degli umani molto tristi e aveva capito che ascoltarli li avrebbe fatti stare meglio, perciò si avvicinò incerto sul da farsi. Quando lui era stato male, i Winchester si erano presi cura di lui e si era sentito bene non solo fisicamente, ma anche in una parte più profonda.

«Ti occupavi dei manoscritti?» chiese gentilmente.

Fratello Leone annuì: «Sì, ero il bibliotecario. Questo era il mio personale santuario, lo scriptorium, dove provvedevo alla realizzazione dei codici in tutte le loro parti, dalla preparazione delle pergamene alla stesura della parte scritta e, infine, alla realizzazione del decoro miniato, della legatura e della coperta».

Fratello Leone avvicinò le mani al viso, cercando di guardarle da dietro il velo di lacrime che copriva i suoi occhi: «Tutta la conoscenza del nostro mondo è passata per queste mie mani, ma quei barbari, Dio perdoni la loro ignoranza, hanno bruciato tutto e ora quello che resta è solo la cenere! Qui c’erano meravigliosi codici miniati…».

«E tutti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia» declamò Balthazar. Per fortuna il monaco prese la frase come un tentativo poetico di dimostrare empatia e non per l’autocompiacimento che era; Balthazar adorava ascoltare la propria voce.

«Il nostro abate diceva sempre che, quando accadono cose brutte, dobbiamo cercare di ripensare ai momenti belli; che la nostra memoria è come un giardino che possiamo avere fiorito anche in inverno, che conserva la vita delle cose che non sono più con noi. Ripenso ogni momento ai miei fratelli e li sento ancora con me. Ma la conoscenza che era stata tramandata nei codici, quella è perduta per sempre! In quella conoscenza c’era una scintilla divina, ma la mia memoria è troppo imperfetta per poterla tramandare degnamente» lo strazio del monaco era paragonabile a quello mostrato quando aveva parlato della morte dei suoi fratelli.

«In realtà, verranno recuperati in tempi prodigiosi e l’abbazia verrà ricostruita in tempi brevissimi. Mi sono sempre chiesto come sia stato possibile» pensò Balthazar tra sé e sé, che ricordava la storia dell’abbazia.

Il monaco sospirò, si rialzò e si ricompose: «Perdonate se vi ho parlato del mio tormento».

«Il mondo non è sempre un posto dove è facile vivere!» sentenziò Castiel.

Frate Leone assentì: «È così infatti, ma, come diceva il mio abate, noi dovremmo cercare di fare del nostro meglio per cambiarlo. Ora devo rimboccarmi le maniche e cominciare a sistemare prima che Remigio reclami le mie cure. È poco, ma è l’unica cosa che le mie povere mani possono fare adesso…». Detto questo, prese una scopa e cominciò a rassettare la parte di pavimento ancora coperta di cenere.

Castiel sembrò prendere una decisione e avanzò; con due dita sfiorò la fronte del monaco che sgranò gli occhi da cui passarono nell’ordine lo stupore, la gratitudine e la commozione.

«La tua fede è sincera. Ecco, – disse Castiel – ti ho donato il ricordo preciso di ogni cosa che hai letto e di ogni cosa che leggerai in futuro. Così potrai far risorgere la biblioteca andata perduta».

Con discrezione Balthazar raccolse un po’ di polvere che era stata appena spazzata dal monaco, non era il santo Anselmo, ma non si sa mai. Scambiò uno sguardo divertito con Castiel pensando che ora aveva capito come mai la biblioteca sarebbe stata ricostruita così prodigiosamente e svanì con l’amico, tornando al tempo da cui originariamente erano venuti, lasciando un monaco che ringraziava alzando gli occhi al cielo: «Aveva ragione il mio abate quando diceva ricordando i sacri testi: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”».

 

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!!! Inizialmente, ho pensato di mettere i Winchester in mezzo a un disastro naturale tipo tornado, ma erano già parecchio acciaccati e ho colto l’occasione per descrivere l’avventura di Cas e Balthazar, che avevo lasciato alle prese con la ricerca della polvere spazzata da un uomo santo.

Vediamo chi riesce a cogliere le citazioni cinematografiche di Balthazar!

L’abbazia di Nonantola ha davvero subito l’invasione degli Ungari nell’anno 899, i quali «venerunt usque ad Nonantulam et occiderunt monachos, et codice multos concremaverunt» (uccisero i monaci e bruciarono molti codici), il resto della storia è ovviamente frutto di fantasia (i nomi sono tratti da una lista di quelli più comuni all’epoca).

Stavolta ho inserito un personaggio originale, in modo da soddisfare il prompt e procedere con la trama in maniera logica. Fratello Leone è ispirato a Myron, un monaco che compare nei libri di Michel J. Sullivan, il mio autore preferito (se amate il fantasy vecchio stile, vi consiglio le sue The Riyria Chronicles, adesso ci sono anche tradotte in italiano).

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Capitolo 15
*** A flower in the desert ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

 

15/26 MIRACOLO

2. Il verificarsi di una contingenza inaspettata e favorevole, spesso decisiva ai fini di modificare o invertire il corso degli eventi

 

 

Castiel comparve a casa di Bobby, senza Balthazar che si era dato nuovamente alla macchia, promettendo però che avrebbe cercato di scoprire qualcosa di più dell’angelo che secoli prima era stato curato con la pozione e a proposito della causa della malattia che stava facendo strage in Paradiso. Il suo ritorno coincise con quello di Bobby dalla caccia e fu provvidenziale per Sam e Dean, che furono rimessi in sesto in un secondo, anche se Cas spiegò che, dopo i vari viaggi nel tempo, un piccolo dono che aveva fatto a un uomo di fede e le loro due guarigioni, sarebbe rimasto «scarico» e privo di poteri per vari giorni.

«Quindi adesso sei solo un moccioso col trench?» chiese Dean ironico.

Cas lo guardò malissimo, lievemente offeso. Raccontò poi della ricerca compiuta, facendo ridere Dean quando spiegò compunto che aveva recuperato la polvere spazzata da molti santi, ma che non aveva voluto recarsi dalle prostitute sacre. Quando arrivò anche Ellen, che aveva lasciato il Roadhouse nelle mani di Jo per trascorrere un po’ di tempo col marito, Dean pensò che la casa stesse diventando troppo affollata e decise di uscire, trascinandosi dietro Cas a cui aveva in mente di far sperimentare varie usanze umane. Sentendoli rientrare alle prime luci dell’alba del giorno successivo, Sam scese in cucina, passandosi una mano sugli occhi per scacciare il sonno e sforzandosi di tenere a bada la curiosità di sapere cosa avessero combinato quei due.

Dean non aveva sul viso la sua classica espressione sorniona da «ho appena fatto sesso con la prima cameriera disponibile» che spesso esibiva quando rientrava da un’uscita in cui a metà serata aveva abbandonato il fratello, ma un sorriso sinceramente allegro; Cas, invece, sembrava ancora più stropicciato del solito nel suo trench informe e un tantino sconvolto. Dean rideva mentre cingeva con il braccio le spalle dell’angelo e diceva qualcosa a proposito del fatto che non si divertiva così da anni.

Mentre i Winchester facevano colazione, li raggiunsero anche Ellen e Bobby, giusto in tempo per rispondere al telefono che squillava. Dopo aver scambiato più parolacce che parole con l’interlocutore, Bobby riappese vigorosamente la cornetta e si rivolse agli altri: «Vi avevo detto che degli amici potevano spedirmi le piante che servono per la pozione, ma sfortunatamente un pacco è andato perduto, pare che il corriere abbia avuto un incidente e il furgone e il suo contenuto siano andati a fuoco».

«Spero che l’autista si sia salvato» disse Castiel.

«Sì, è uscito in tempo» bofonchiò Bobby, felice che l’angelo mostrasse empatia e interesse per un qualsiasi essere umano, poi aggiunse: «Ma ora siamo nei guai perché la pianta essiccata che portava era un particolare tipo di malva che fiorisce ogni sette anni nel deserto del Cile e pare che l’ultima fioritura sia del 2015, cioè due anni fa! E non ne ha altre!».

Sam rimase pensieroso un momento e poi si mise al computer: «Ho letto qualcosa qualche settimana fa… ecco: “Il deserto di Atacama è uno dei luoghi più asciutti del mondo. Si trova in Cile ed è cinquanta volte più arido della Death Valley californiana. Proprio a causa della mancanza di pioggia, qui crescono delle piante che riescono a fiorire solo una volta ogni sette anni.

La fioritura precedente risaliva al 2015, ma la natura ha sorpreso tutti ancora una volta, regalando in questi giorni uno spettacolo straordinario: al posto della sconfinata terra secca alla fine di agosto è comparsa un’insolita distesa di fiori bianchi, rosa e viola. Una fioritura che ha del miracoloso e che ha fatto accendere di mille colori il deserto.

Tutto merito delle forti precipitazioni che si sono verificate, che hanno permesso al terreno di immagazzinare abbastanza umidità per permettere alle piante di sbocciare inaspettatamente, regalando questa incredibile fioritura nel deserto.

Nonostante il clima inospitale, con escursioni termiche giornaliere di oltre trenta gradi, sono più di duecento le specie di piante da fiore che crescono nel deserto cileno. Gli esperti hanno già annunciato la possibilità di nuove fioriture nelle prossime settimane, dato che diverse specie germinano in tempi più lunghi"».

«Questo è puro culo!» commentò Dean con la bocca piena.

«Dobbiamo fare il più in fretta possibile, quei fiori non dureranno in eterno. E visto che Cas non può teletrasportarci…» disse Sam guardando il fratello di sottecchi e stringendo le labbra.

Dean restò a bocca aperta con un pezzo di bacon sospeso davanti alla bocca: «Che dici? Non starai dicendo che…».

«Sì, Dean, dobbiamo prendere un aereo!» completò la frase Sam, un po’ divertito e un po’ con pena.

A Dean passò la fame, posò il pezzo di bacon e allontanò il piatto.

Ellen guardò Dean sorpresa: «Stai bene tesoro?».

Dean si agitò sulla sedia: «Beh… no, non proprio».

Lei lo guardò incerta: «Perché, che c’è?».

Dean cercò di ignorare il sorrisetto di Sam, che frattanto prenotava i biglietti on line per loro due e Cas: «Ho un problema con il…».

«Con il volo!» completò Sam.

Ellen incrociò le braccia: «Dean Winchester, sei un cacciatore e affronti ogni sorta di orrore ogni giorno. Hai paura di volare? Stai scherzando, vero?».

Dean non avrebbe mai fatto irritare di proposito Ellen, perché sotto sotto aveva paura delle sue sfuriate e del suo fucile, ma ribatté stizzoso: «Ti sembra che stia scherzando? Perché credi che vada ovunque in macchina?».

Ellen cercò di dissimulare un sorriso.

E Dean, seccato, aggiunse: «E Sam ha paura dei clown!».

Ellen non riuscì a non ridere.

«I clown uccidono» puntualizzò Sam.

«E gli aerei cadono!» ribatté Dean.

Questa frase gli riecheggiò nella mente per tutto il viaggio fino all’aeroporto più vicino, mentre facevano il check in e anche mentre si imbarcavano.

Quando l’aereo si mosse sulla pista per prepararsi al decollo, Dean, che era seduto tra il fratello e l’angelo, non riuscì più a tacere: «Sammy, Cas… questo aereo si schianterà!».

Sam aveva fatto un altro viaggio con il fratello perché a un simpatico demone era venuto in mente che fosse divertente uccidere centinaia di persone in un colpo solo causando disastri aerei, quindi sapeva che Dean si agitava facilmente: «Ascolta, ho capito che sei nervoso, va bene, ma devi stare calmo. Come pensi di affrontare i prossimi due scali se ti agiti così già ora? Devi rilassarti».

Dean si agitò ancora di più: «Non trattarmi come se fossi pazzo! Mi spiace, ma non riesco a stare calmo».

«Certo che ci riesci, magari puoi canticchiare i Metallica come l’altra volta» suggerì con dolcezza Sam.

«Senti, piantala con le smancerie. Non funziona!» protestò Dean.

Cas tentò di tranquillizzarlo con la logica: «Sam ha ragione, la distrazione cognitiva ti sarebbe utile. Dean, ho letto una brochure che spiegava che questo aereo è stato attentamente progettato per volare e, prima di fare il primo volo con i passeggeri, è stato collaudato e provato fino ai suoi limiti. L’aereo, grazie ai suoi numerosi impianti, che spesso sono ridondanti per contemplare qualsiasi tipo di avaria, è completamente autonomo in qualunque condizione di volo. Gli strumenti di bordo come il radar o l’impianto antighiaccio aiutano i piloti ad evitare spiacevoli situazioni meteorologiche, si osservano sempre i più elevati standard di sicurezza per l’incolumità di tutti. A bordo ci sono sempre almeno due piloti, anche per garantire il pilotaggio in caso di malore di uno dei due. I piloti sono continuamente sottoposti a controlli tecnici e medici».

Dean sentì solo le parole «qualsiasi tipo di avaria», «spiacevoli situazioni meteorologiche» e «in caso di malore», che non contribuirono minimamente a calmarlo.

Dean amava guidare, amava sentire tra le mani il volante della sua Baby, il familiare odore della pelle dei sedili nelle narici e la musica con cui era cresciuto nelle orecchie. Tutta la sua vita l’aveva spesa dentro quella macchina, lasciando scorrere lentamente il tempo fino ad annullarne la misura, sentendo il passato e il presente che scorrevano sempre insieme lungo la strada percorsa. Quello era il suo piccolo mondo e aveva sempre avuto paura di varcarne i confini: la caccia era l’unica normalità che conosceva e una parte di lui aveva sempre pensato che non ci sarebbe mai stato un domani.

Volare era tutta un’altra storia: il portellone di un aereo era la scorciatoia per qualsiasi futuro; le distanze si annullavano appena lo si varcava e lui non era pronto a lasciarsi andare, a lasciare che i pezzetti della sua anima si incastrassero tra loro a colmare il vuoto tra la distanza e il tempo.

Appena l’aereo si staccò dalla pista, Dean sentì un vuoto allo stomaco e un terribile senso di vertigine. Un forte calore gli salì alle guance, ma fu sostituito quasi subito da un sudore freddo. Aveva uno strano formicolio alla testa, sulle labbra, alle gambe e temeva di svenire da un momento all’altro. Il cuore cominciò a battergli sempre più rapidamente; gli sembrava che l’aria non gli bastasse, annaspava e non riusciva più a fare dei respiri completi. Stava perdendo completamente il controllo sul suo corpo e su se stesso.

Sentendo il fratello respirare troppo velocemente, Sam prese uno dei sacchetti davanti al sedile che venivano dati in dotazione in caso di vomito, lo aprì e lo porse a Dean: «Respira qui dentro, cerca di fare dei respiri lunghi!».

Dean ubbidì, ma era così agitato che strappò il sacchetto dalle mani di Sam lacerandolo e rendendolo inutilizzabile.

Sam stava per prendere un altro sacchetto, ma Cas lo precedette: con molta leggerezza posò una mano sul viso di Dean, gentilmente lo accompagnò a girarsi verso di lui e lo baciò. Dean aveva dato e ricevuto un’infinità di baci, ma stavolta la sensazione che percepì fu diversa da tutte quelle sperimentate in precedenza: le labbra di Cas gli erano sempre sembrate riarse e screpolate alla vista, ma quando avevano toccato le sue aveva sentito una carezza leggera; era come se i petali di un fiore germogliato sulle dune del deserto si fossero schiusi. Il cacciatore smise di respirare e l’angelo indugiò a lungo con le labbra sulle sue; e a ogni secondo che passava Dean sentiva il cuore rallentare e calmarsi.

Un leggero colpo di tosse di Sam riscosse entrambi e si staccarono.

Cas fissò Dean e, per una volta, la sua espressione perennemente in tralice fu sostituita dall’ombra di un sorriso: «La brochure diceva che per calmare qualcuno che è spaventato è utile fargli trattenere il fiato».

Dean si leccò le labbra, fece per parlare due volte, incerto su cosa dire, e poi si schiarì la voce: «Credo che seguirò il tuo suggerimento sulla distrazione cognitiva e chiederò alla hostess di portarmi una bottiglia di whisky, ne ho bisogno…».

 

 

 

NdA

 

Avevo concluso il capitolo precedente con un miracolo, quindi quando ho letto questo prompt mi sono messa le mani nei capelli! Ci voleva un miracolo per trovare un’idea, soprattutto qualcosa di originale per un’ambientazione in cui le resurrezioni o le guarigioni taumaturgiche sono all’ordine del giorno, ma per mia somma fortuna (come dice Dean, «questo è puro culo») la storia è ambientata nel settembre 2017; la fioritura di cui parlo nel testo è un fatto avvenuto realmente alla fine di agosto 2017 e il testo dell’articolo che legge Sam è solo lievemente rielaborato sulla base di uno effettivamente scritto.

La paura di volare di Dean mi ha sempre colpito, soprattutto per quello che rappresenta da un punto di vista psicologico, le avevo anche dedicato la prima drabble di una mia raccolta sulle paure. Sam e Cas per fortuna ci sono sempre per lui! Se qualcuno guarda Teen wolf capirà che la scena in cui Lydia bacia Styles mentre ha l’attacco di panico è una delle mie preferite!

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Spero che questo capitolo vi piaccia!

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Capitolo 16
*** Hey Jude ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge
 

16/26 GUERRA

 

a. Lotta tra stati, o all’interno di uno stato, condotta con le armi SIN conflitto: g. terrestre, aerea, atomica; g. di liberazione; dichiarare g.; entrare in g.

b. Divergenza, contesa fra individui o gruppi: g. tra rivali in amore, tra partiti politici || g. psicologica, volta a piegare il morale dell’avversario.

 

 

Warning: Tematiche delicate

 


 

Scesi dall’aereo (Dean fece uno sforzo sovrumano per stare in piedi e non inciampare visto quanto si era ubriacato in volo), per raggiungere l’Atacama si diressero con un autobus verso sud, a San Pedro, un piccolo villaggio di casette in pietra e strade sterrate che manteneva un sapore antico e faceva da base logistica per le escursioni turistiche. Per Cas, abituato a teletrasportarsi, ma ancora quasi totalmente privo di poteri, il viaggio era stato indescrivibilmente lungo.

Dean era molto teso dopo il bacio che il suo ingenuo angioletto gli aveva dato e si sentiva esattamente come quando a 19 anni Rhonda Hurley gli aveva fatto provare le sue mutandine di seta: era una di quelle cose che avrebbe ammesso solo con se stesso, ma gli era inaspettatamente piaciuto. Sam notò che sembrava agitato e aveva molta fretta di sistemare i bagagli nella stanza d’albergo che avevano prenotato per loro tre e andare a mangiare; per tutta la durata della cena, Dean non fece altro che cercare di riaffermare la propria eterosessualità, flirtando spudoratamente con la cameriera che parlava un inglese decente; inutilmente, però, perché lei sembrava più attratta da Cas, che le si rivolgeva in uno spagnolo perfetto.

Avevano stabilito di passare lì la notte e il mattino dopo di unirsi a un gruppo di turisti che sarebbero andati a vedere il deserto fiorito.

Per Cas il problema fu provare ad addormentarsi. Non aveva mai sperimentato una perdita di coscienza come quella che provocava il sonno e faticava ad abbandonarsi in un regno sconosciuto. Disteso nel letto assegnato a lui, Cas si sentiva senza forze, sfibrato come non era mai stato nemmeno dopo una delle battaglie più tremende. Era come se stesse in equilibrio precario sull’orlo di un abisso: dall’alto fissava il vuoto che voleva attrarlo a sé con la promessa di un oscuro e avvolgente oblio, ma aveva paura di di cadere, di cedere a ciò che non conosceva.

Ogni tanto le palpebre scivolavano a coprire gli occhi, come la coperta sottile che aderiva al suo corpo, ma il silenzio, che era più assoluto dentro la sua testa che fuori, faceva subito tornare i suoi sensi all’erta e lo riscuoteva.

«Cas… la smetti di agitarti?» domandò Dean con la voce impastata dal letto vicino.

«Dean, avrei un problema…» esordì l’angelo.

«Tipo che il mondo sta per essere annientato, se non troviamo in fretta una cura per gli angeli?» rispose il cacciatore sarcastico.

«Beh, ovviamente anche quello… ma è tutto molto strano, non è affatto facile dormire…» confessò l’angelo.

«Comincia a contare le pecore…» suggerì Dean.

«Quali pecore?» chiese Cas.

«Conta e basta!» rispose Dean.

Cas cominciò: «Uno, due, tre…».

«In silenzio! Conta nella mente!» protestò Dean con una punta di esasperazione.

Sam, dal letto dall’altra parte della stanza, si mise la mano sulla bocca per soffocare un risolino.

«Le mie scuse…» mormorò Cas.

Arrivò a contare fino a 6729 prima di addormentarsi. Ma non fu un sonno tranquillo: la sua mente gli presentò delle immagini che affondavano le radici nel profondo della sua memoria, in un angolo oscuro dove non lasciava arrivare mai il barlume della coscienza. Erano immagini a tinte forti, in cui predominava il rosso: c’erano il vermiglio denso del sangue e le mille sfumature scarlatte o cremisi delle lingue di fuoco che danzavano. E poi c’era il bianco: lo scintillio freddo delle lame angeliche e quello che restava dietro le palpebre delle persone quando la vita si spegneva.

Chiunque abbia mai guardato negli occhi vitrei di un morente sul campo di battaglia dovrebbe pensarci bene prima di combattere una guerra, ma Cas era sempre stato un soldato, quello che tutti consideravano un bravo soldato: gli era stato inculcato che gli angeli erano guerrieri e che dovevano seguire alla lettera gli ordini di Dio, il Signore degli eserciti. E così aveva fatto. Gli era stato insegnato che Dio era buono e voleva la pace; che combatteva contro il male perché, se il male avesse vinto, non ci sarebbe mai stata la pace. Tutto era bianco o nero per lui, quindi aveva reso le orecchie insensibili al fragore delle armi e alle grida dei morenti, aveva combattuto fino a ridurre due intere città a un cumulo di cadaveri e di rovine consumate dal fuoco. Si agitò nel sonno, ma non si svegliò: il ricordo di Sodoma e Gomorra non era abbastanza forte da destarlo.

Ma la sua mente decise di mostrargli un altro scenario. Su di lui scese l’oscurità; era mezzanotte e camminava in una terra arida, in un villaggio costituito da capanne di mattoni crudi di fango e paglia, le cui facciate erano imbiancate con la calcina bianca. Gli stipiti e gli architravi di porte e finestre erano di legno; guardò la prima casa e passò oltre, perché l’ingresso era marcato col sangue. La seconda casa non recava alcun segno; entrò, perché l’ordine era di colpire ogni primogenito nella terra d’Egitto, dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito del prigioniero in carcere, e tutti i primogeniti del bestiame. C’era un bimbo in una cassettina che gli faceva da culla, il primo figlio della giovane coppia che dormiva su un giaciglio lì accanto. Il Castiel del sogno osservò il petto del bambino che si alzava e abbassava ritmicamente, mente un piccolo sorriso aleggiava sulle sue labbra. Alzò la lama, la affondò e la ritrasse. Il sorriso del bimbo non si spense, ma il suo petto ora era immobile.

Cas si svegliò urlando e ansimando.

Dean gli fu accanto in un secondo e Sam si destò allarmato.

«Cas! Che succede?» chiese Dean spaventato.

L’angelo si morse le labbra e cercò di spiegare: «Dovevo farlo, mi era stato ordinato… Ho alzato la lama e l’ho colpito… Non si è nemmeno svegliato! Le fasce in cui era avvolto erano piene di sangue! Era il sangue di un innocente! Perché ho dovuto uccidere un bambino? Potrei rifarlo adesso, se Dio me lo ordinasse? Ora non so più come comportarmi, non so più chi sono!».

Dean riuscì a intuire, dai brandelli di informazioni che Cas lasciava trapelare nel suo discorso sconclusionato, che l’angelo aveva dovuto fare qualcosa di terribile, il cui ricordo lo tormentava con un feroce senso di colpa; allungò una mano e gli strinse la spalla.

Sam cercò di calmarlo: «Era solo un incubo, Cas».

Cas si prese la testa tra le mani: «Perché ci sto ripensando ora? Perché adesso sento questo peso nel petto? Perché mi sembra di aver ucciso anche una parte di me?».

Dean si considerava un guerriero e nella sua vita aveva visto molte cose che avrebbe preferito non ricordare; ne aveva fatte alcune di cui si vergognava profondamente, anche se gli era sembrato che fossero necessarie o che fossero le uniche soluzioni applicabili. L’esistenza di Cas era infinitamente più lunga della sua, chissà di quanti orrori era costellata, chissà a quante guerre e massacri aveva assistito o, peggio, di quanti era stato artefice. Ora che si era accostato all’umanità, vedeva tutto da un punto di vista nuovo e cominciava a chiedersi se la linea sottile che separava bene e male, ragione e torto, guerra e pace fosse davvero così netta. La risposta era un nodo inestricabile nella trama della vita.

Dean fece cenno al fratello di tornare a stendersi e che ci avrebbe pensato lui a Cas. Poi si rivolse all’angelo: «Avevi degli ordini, le tue buone ragioni…».

«E forse le giustificazioni più false!» lo interruppe l’angelo.

«Adesso però cerca di non pensarci, di riposare. Pensa a quello che di buono stai facendo» insistette Dean.

«Non voglio più rivedere quelle immagini!» singhiozzò Cas.

Dean non era bravo con le parole, ma con dolcezza spinse Cas a distendersi di nuovo e si stese a fianco a lui; lanciò un’occhiata al letto di Sam che sembrava essersi di nuovo addormentato profondamente, sospirò e poi sussurrò: «Mia madre per farmi addormentare sereno mi cantava Hey Jude…».

Cas girò la testa verso di lui e socchiuse le labbra.

Dean incrociò le bracia dietro la testa e cominciò a cantare, consapevole che Sam si sarebbe sicuramente svegliato, ammesso che non fosse ancora sveglio, e avrebbe fatto finta di nulla, ma poi l’avrebbe preso in giro a vita per questa cosa. A ogni strofa il respiro di Cas si calmava sempre più, fino a regolarizzarsi; prima di lasciarsi andare Cas riuscì a formulare un pensiero a cui non fu sicuro di aver dato voce: «Grazie, Dean…». Il cacciatore sorrise e non pensò nemmeno per un momento a spostarsi nel proprio letto.

Il mattino dopo si unirono a un gruppo organizzato per andare a vedere il deserto fiorito; la guida era un uomo sulla quarantina, con capelli leggermente ondulati biondo miele e un sorriso sghembo; aveva uno sguardo sfuggente reso ancor più particolare dalla sfumatura dorata degli occhi.

Sam aveva visto molte cose fuori dall’ordinario nella sua vita, ma poche che erano fuori dall’ordinario e, allo stesso tempo, belle: a questa seconda categoria apparteneva la distesa fiorita dai colori fantastici lungo l’orizzonte sterminato, che trasudava vita e celava alla vista quello che non avrebbe mai creduto potesse essere il luogo più arido del mondo, fatto di sabbia e dune alte come una collina.

Mentre la guida descriveva come fosse servita una guerra ai cileni (sul finire dell’Ottocento, contro Bolivia e Perù) per conquistarsi la regione di Atacama, ricchissima di rame e salnitro, e che quello era un deserto capriccioso perché temperature hot e gelo si susseguivano veloci come le nuvole, Sam raccolse con discrezione la malva per cui erano venuti. «Eccoti qui bella!», disse Sam dopo aver preso una generosa quantità di pianta, «Adesso, se siamo fortunati…».

«E quando mai siete fortunati?» una voce beffarda lo interruppe.

La guida gli si era avvicinata di soppiatto e al suo fianco apparve Balthazar, per una volta insolitamente in soggezione, che salutò tutti con un cenno della mano. Il resto dei turisti era sparito, come se si fosse trattato di un’illusione.

Castiel guardò la guida e sgranò gli occhi per lo stupore, come se lo vedesse in quel momento per la prima volta.

«Chi sei?» domandò Sam.

«Gabriel» rispose il tizio.

«Gabriel? L’arcangelo?» chiese Sam incredulo.

«Colpevole! Ho saputo che eravate in città e non ho potuto resistere!» la voce dell’arcangelo aveva un tono scanzonato, ma non spiacevole.

«Credevo che fossi morto!» disse Castiel sgomento.

«Non sopportavo più di vedere Lucy e Michael litigare! Così sono scappato dal Paradiso, ho fatto una plastica facciale e mi sono ritagliato il mio angoletto di mondo; ma ora c’è qualcuno che sta mandando tutto a puttane. Era un po’ che tenevo d’occhio la situazione e, quando ho incrociato il mio cammino con Balthy, lui è stato così carino da convincermi ad aiutarvi» spiegò Gabriel.

A Bathazar scivolò una goccia di sudore freddo lungo la tempia: non era stato affatto facile convincere il suo fratello maggiore a uscire da quello che chiamava «Programma di protezione»; aveva fatto appello all’amore per tutta la loro famiglia angelica e aveva temuto più volte di essere incenerito: Gabriel aveva un gran senso dell’umorismo, ma era potente.

«Quindi sai cosa sta succedendo agli angeli. E sai cosa c’è dietro?» chiese Dean.

«Temo di sì» l’espressione divertita di Gabriel si mutò in una smorfia di preoccupazione.

«Potresti spiegare anche a noi?» lo incoraggiò Sam.

Gabriel, con un po’ di ritrosia, rispose: «Si tratta di Mictecacihuatl».

«Mitc… cosa?» chiese Dean.

«La Signora dei morti!» esclamò Sam.

«Qualcuno ha fatto i compiti!» si congratulò l’arcangelo.

Cas spiegò a Dea: «Mictecacihuatl era la divinità azteca dell’oltretomba, la regina di Mictlán, nono e ultimo livello del mondo sotterraneo, su cui regnava assieme al marito Mictlantecuhtli».

«Finché non l’ha eliminato» puntualizzò Gabriel.

«Mictecacihuatl è spesso rappresentata con un corpo senza carne e con la bocca spalancata per inghiottire le stelle durante il giorno. Il culto della morte esiste da tempi immemori e gli aztechi credevano che i cicli vitali della natura, come il giorno e la notte, fossero equivalenti al ciclo vita e morte» ricordò Sam, che aveva sempre avuto un debole per i miti e il folklore.

Gabriel ammiccò: «Ti assicuro che di carne ne aveva nei punti giusti e che con la bocca ci sapeva davvero fare! Vigilava sulle ossa dei morti e a lei erano dedicate le antiche feste in onore dei defunti, durante le quali evocava i fantasmi, che erano liberi di muoversi nel nostro mondo».

«Sì lo so; queste tradizioni, influenzate dal cristianesimo e dalla cultura spagnola, sono confluite nell’odierno Giorno dei morti» disse Sam provando a ignorare i riferimenti sessuali.

«Oltre che carino sei anche sveglio! Quella pazza vuole uccidermi in modo definitivo e, già che c’è, ha deciso di prendersela con tutti gli angeli, di annientare il Paradiso per trasformare la Terra nella sua personale orgia senza fine, riempiendola di fantasmi! Diceva sempre che se qualcuno doveva assoggettare il mondo, doveva essere lei a farlo!» concluse Gabriel.

«Perché ce l’ha con te?» chiese Dean, sospettando quale sarebbe stata la risposta.

«Si dà il caso che abbiamo avuto una storia…» minimizzò Gabriel.

«Che ha detto Dio quando ti sei scopato una dea pagana?» volle sapere Dean.

«Paparino osserva tutto, ma non dice nulla. Comunque, circa un migliaio di anni fa, l’ho mollata per Kalì. Ah, quella era tutta mani! Mictecacihuatl non l’ha presa bene, ha giurato vendetta e ha cercato di uccidermi facendomi ammalare… Per mia fortuna ero in ottimi rapporti con Ixtlilton, un rozzo montanaro, ma un gran festaiolo e dio della guarigione e delle celebrazioni. Mi ha preparato una pozione con cui mi ha curato, la stessa per cui state cercando gli ingredienti. Solo che adesso Mictecacihuatl ha scoperto che mi sono salvato; per la rabbia, le sono venute manie di grandezza e ha scatenato un’offensiva su larga scala contro l’intero Paradiso…».

«Almeno adesso sappiamo con chi abbiamo a che fare: una dea incazzata. Quindi, Gabriel, cosa hai intenzione di fare per aiutarci?» chiese Sam.

«Andrò a cercarla e, possibilmente, la toglierò di mezzo. Voi intanto pensate alla pozione» rispose Gabriel risoluto.

«Io lo accompagnerò» comunicò Balthazar, che non si stava propriamente offendo volontario, ma obbediva agli ordini di Gabriel che lo aveva reclutato come suo aiutante.

Intervenne Dean: «Ok, complimenti per il piano dettagliato. Prima che facciate “pufff”, avrei una richiesta: non è che potresti farci tornare a casa, con i nostri bagagli, con un magico schiocco di dita? Vorrei evitare un altro aereo…».

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Dosare hurt/comfort, angst, comicità e fluff non è facile, spero di esserci riuscita.

Erano svariati capitoli che speravo di inserire il personaggio di Gabriel e di riuscire a spiegare chi stava dietro alla malattia degli angeli, Mictecacihuatl (che ha dichiarato guerra al Paradiso intero per vendicarsi dell’arcangelo che l’aveva lasciata), e questo prompt me l’ha permesso; mi sono documentata sulla mitologia azteca, anche se mi sono presa qualche piccola libertà.

L’incubo di Cas fa riferimento agli episodi biblici di Sodoma e Gomorra e dell’ultima delle piaghe d’Egitto, raccontati rispettivamente nella Genesi al capitolo 19 e nel libro dell’Esodo al capitolo 12.

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Se avete tempo, ogni commento è gradito!

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Capitolo 17
*** Bloody life ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

17/26 ESPIAZIONE

 

1. Riparazione di una colpa commessa e liberazione dalla stessa mediante l’accettazione e la sopportazione della pena inflitta a tale scopo.

2. Nel mondo pagano, propiziazione della divinità offesa, mediante offerte, riti e sacrifici di vittime.


 

La richiesta di Dean fu esaudita: Gabriel sorrise, schioccò le dita e il cacciatore si ritrovò con Cas e Sam nel soggiorno di Bobby, che scattò in piedi dalla poltrona per la sorpresa. I loro effetti personali erano nelle sacche sul pavimento accanto loro e Sam aveva tra le braccia un paio di sacchetti, che si rivelarono uno pieno di dolciumi di ogni genere e l’altro stracolmo di ciambelle.

A questo punto, alla lista degli ingredienti per la pozione, mancava solo una scheggia del manico della falce delle Morte, ma nessuno aveva idea di come fare per procurarla. Sfogliando per tutto il giorno e per buona parte della notte una gran quantità di libri polverosi, trovarono varie informazioni utili e molte soluzioni, sfortunatamente una più impraticabile dell’altra.

Alla mattina Dean decise che era ora di fare il punto della situazione. «Meno male che Gabriel ci ha lasciato qualcosa per colazione!» disse pescando dal sacchetto di ciambelle sul tavolo del salotto quella più grossa e svegliando Sam che stava riposando sul divano con l’ennesimo libro abbandonato aperto sul torace.

«Trovato nulla cervellone?» chiese Dean acchiappando una tazza di caffè che Cas aveva appena preparato e sedendosi accanto al fratello.

«Abbiamo due possibilità: un incantesimo per asservire la Morte e uno semplicemente per evocarla» riassunse Sam.

«Di sicuro, con il primo otterremmo quello che vogliamo, ma non ci sembra una buona idea costringere un’entità così potente che potrebbe vendicarsi una volta libera…» puntualizzò Bobby, entrando nella stanza mettendosi in testa il suo onnipresente cappellino.

«Quindi il piano sarebbe evocare la Morte e chiedere per favore… Meraviglioso!» concluse Dean sarcastico.

Cas, che li osservava senza dire nulla da dietro le spalle di Dean, incrociò le braccia con preoccupazione. Dean lo aveva convinto a togliere il trench in casa e doveva ammettere che si sentiva più comodo, ma aveva infilato nella manica la lama angelica, non si sa mai.

L’incantesimo di evocazione della Morte non era particolarmente complesso, la dispensa di componenti di Bobby era molto fornita e decisero di non indugiare ulteriormente.

Completato il rituale con l’aggiunta di sangue umano che Dean fornì, sembrò che non accadesse nulla, ma poi si sentirono dei passi ritmici: due tonfi leggeri seguiti uno più secco e rapido. Dalla porta del salotto entrò un uomo magro, con capelli nerissimi, che si appoggiava elegantemente a un bastone fissando direttamente davanti a sé; avanzò nella stanza e si accomodò sulla poltrona di Bobby, appoggiando le mani sul suo bastone e fissando Dean negli occhi.

«Dean Winchester, sapevo che ti avrei incontrato, prima o poi» esordì pacato.

«Questa è la parte in cui mi uccidi?» chiese Dean un po’ preoccupato.

«Hai una percezione esagerata della tua importanza. Per uno come me, uno come te è beh… Pensa a come ti sentiresti se un batterio cominciasse a infastidirti. Questo è solo un piccolissimo pianeta, in un piccolissimo sistema solare, in una galassia che ha appena smesso di usare i pannolini. Come puoi immaginare sono vecchio, molto vecchio, quindi ti invito a riflettere su quanto io possa trovarti insignificante».

Le cose non erano cominciate nel migliore dei modi, ma Dean non riuscì a trattenersi dal chiedere: «Quanto sei vecchio?».

Morte rispose: «Che ridicola e spavalda richiesta. Sono vecchio come Dio, forse di più, nessuno dei due riesce più a ricordarlo… vita, morte; uovo, gallina: non ha importanza, alla fine mieterò anche lui».

«Tu mieterai Dio?» domando Sam stupito, incapace di tenere la lingua a freno.

Morte si voltò a guardarlo dritto negli occhi: «Sì, anche lui morirà. Tutti gli dei moriranno, in effetti».

Bobby intervenne, incerto su come ci si dovesse rivolgere a Morte: «Noi avremmo una cosa da chiederle… vostro onore».

Morte parve leggermente compiaciuto, si mosse a proprio agio e prese il sacchetto di ciambelle cominciando a mangiarne una: «Immagino cosa vogliate. Una scheggia del manico della mia falce perché il vostro minuscolo pianeta è sul punto di essere immolato».

«Stiamo cercando di salvarlo questo pianeta!» disse Dean irato.

«Non avete nessun potere, solo arroganza» rispose Morte.

«Non potresti aiutarci un po’?» chiese Castiel.

Morte continuò imperterrito a mangiare le ciambelle: «Forse dovrei dedicarmi a un pianeta migliore di questo…».

«Non ti importa?» domando Sam sconvolto e con voce supplicante.

Morte, terminate le ciambelle, si alzò; Sam era parecchio più alto di lui, ma si sentiva piccolo piccolo e in soggezione in presenza di quell’entità: «A dire il vero no. Sam Winchester, sappi che sconvolgere l’ordine naturale non è divertente, non è facile poi sistemare le cose e la tua risurrezione è un affronto per l’equilibrio dell’universo. Tuttavia, ho una visione globale delle cose e so che tu sei importante, quindi sarò tollerante.

Non ti ucciderò ora, non funziona così; ci sono molti modi in cui potresti morire… c’è una biblioteca intera che elenca le tue possibili morti. Curiosamente, mai in nessun caso Dean ti ucciderà e viceversa. Sono disposto a concedervi una scheggia della mia falce, ma ci sono delle condizioni. Dovrai espiare la tua colpa».

«Come?» chiesero insieme i due Winchester.

I muscoli del viso di Morte non tradirono la minima emozione: «Mictecacihuatl vi direbbe di fare come gli aztechi che la veneravano: sceglievano ogni anno la donna più anziana del villaggio perché ogni persona le confessasse i propri peccati e poi la lapidavano, perché espiasse con il suo sacrificio i peccati di tutti. - sentendo queste parole, Bobby deglutì rumorosamente, preoccupato per la piega che stava prendendo la situazione - Ma credo che per te sceglierò un destino diverso… Ti manderò nel luogo per antonomasia dove vengono espiate le colpe. Sopravvivi, torna… e avrai quello che desideri».

«Lascia in pace mio fratello! Non ha chiesto lui di tornare: è stato un angelo a riportarlo in vita! E se non avesse fatto nulla, io avrei stretto un patto con un demone per riaverlo! Prenditela con me! Perché non esiste cosa che non farei per lui!» gridò Dean.

Sam sospettava da tempo questa cosa, ma averne la conferma gli fece perdere un colpo al cuore: suo fratello lo amava al punto da dare la propria anima per la sua salvezza.

«Oh, lo so quello che volevi fare e che faresti, Dean; per questo, tu andrai con lui» rispose pacatamente Morte.

«Manda anche me!» implorò Cas.

Dean cercò di dissuadere Cas; afferrò l’angelo per le spalle e lo fissò dritto negli occhi: «No, Cas, resta! Noi siamo amici! Sai cosa significa “amicizia”? Pensa che sia come se stessimo andando in macchina verso una meta, che forse un giorno raggiungeremo, ma il bello è viaggiare insieme. Percorrendo le miglia, potrà succedere che un giorno prenderemo svincoli diversi o che uno si debba fermare, ma il viaggio per l’altro continuerà comunque. Ed è giusto che sia così. Hai regalato miglia bellissime alla mia storia, ma non posso permettere che anche tu ti metta in pericolo!».

«Non capisco cosa c’entri il viaggio di cui parli, ma io resterò al tuo fianco, Dean» rispose Cas risoluto.

Morte fu leggermente sorpreso: «Se proprio insisti…».

Bobby era incerto se dire qualcosa e si mosse a disagio.

Morte si mosse verso la porta, poi si fermò e si girò con una lentezza esasperante e con solennità: «Oh, quasi dimenticavo: le ciambelle erano celestiali». Alzò la mano con fare teatrale e la stanza svanì attorno ai fratelli e all’angelo.

Sam sbatté le palpebre e si guardò intorno: sembrava che l’intero spettro cromatico si fosse drasticamente ridimensionato, riducendo la sua visione a una scala di grigi. Si trovava in una foresta che aveva l’aria di essere insieme giovane e antica, senza tempo: alberi immensi si stagliavano verso il cielo proiettando ombre nere e minacciose attorno e lasciando filtrare solo qualche pallido raggio che sfuggiva dal cielo coperto dalle nuvole. Non si sentiva nessun rumore, non c’era un alito di vento a muovere le foglie.

«Dean! Cas!» chiamò con quanto fiato aveva in gola.

«Sam!» Dean rispose a poca distanza alla sua destra e corse verso di lui insieme a Cas.

«Ma dove diavolo siamo finiti?» chiese Sam.

Cas era visibilmente preoccupato: «In Purgatorio».

«Bobby diceva che il Purgatorio è la parte peggiore degli incubi più terribili. È tutto sangue e ossa e tenebre. È pieno di corpi e anime di cose affamate, affilate e orribili» ricordò Dean.

Cas si guardò in giro all’erta: «Il Purgatorio è una dimensione creata per contenere le anime dei mostri. È una foresta infinita sotto un cielo perpetuamente coperto. Ci sono certe posizioni fisse, come i corsi d’acqua, che possono servire per orientarsi, ammesso che uno voglia andare in una particolare direzione. Contiene ossa, rocce e legno che potremmo usare per fare armi. E di armi ce ne serviranno il più possibile, oltre le poche che abbiamo addosso».

Sam si prese a testa tra le mani e si lasciò cadere per terra con la schiena appoggiata al tronco di un albero: «È tutta colpa mia se siamo qui…».

«Non pensarlo nemmeno!» lo zittì Dean.

«Io ho scelto di essere qui» constatò Cas.

«Invece avrei dovuto restare morto, Dean! Gli angeli stanno morendo e poi sai quanta gente morirà per colpa mia se non riusciamo a risolvere la situazione? E come facciamo a uscire da questo posto?» la voce di Sam era incrinata dalla disperazione.

Quella di Dean invece, era ferma e piena di calore: «Senti Sammy, possiamo sistemare tutto, lo facciamo sempre. La nostra vita è un casino, incontriamo ostacoli ad ogni angolo, come in questo fottutissimo posto dove presto i mostri sbucheranno da dietro ogni albero. Ma andiamo avanti, insieme. E alla fine abbiamo fatto più cose buone che cose cattive».

«Sì, come no. Magari se io non avessi fatto incazzare Morte, tu avresti fatto di meglio senza di me…» sussurrò Sam.

Dean si sedette accanto a lui e gli diede una spallata: «Certo, perché io non combino mai casini e ne ho a bizzeffe di fratelli con cui affrontare queste cose!».

Sam sorrise, tenendo gli occhi chiusi, fece una pausa, poi aggiunse: «Quando ho capito che non ti saresti svegliato, qualunque cosa avessi provato, il mio mondo è imploso… Non potevo vivere senza di te…».

«Ti sei comportato da egoista! Come hai potuto ucciderti?» lo rimproverò Dean.

«E tu che stavi per vendere l’anima per me? Hai idea di come mi sarei sentito sapendo che ti eri sacrificato per me?» fece Sam di rimando.

«Ne ho un’idea ben precisa!» rispose tagliente Dean.

Sam si addolcì al pensiero: «Dici sempre che il tuo compito è occuparti di me e sei sempre stato disposto a sacrificare tutto per me. Non hai mai pensato che io avrei fatto lo stesso per te?».

«Bitch».

«Jerk».

Castiel li guardava con interesse e un’espressione assorta: «Questo è uno dei momenti in cui voi umani rafforzate il vostro legame, vero?».

«Sì, Cas, ma adesso piantiamola, perché non è il momento di metterci a farci le treccine e darci lo smalto a vicenda!» rispose Dean divertito.

Sam riuscì a sorridere davanti all’ingenuità dell’angelo che aveva coraggiosamente scelto di restare al loro fianco e ringraziò che ci fosse lui con loro e non Balthazar, perché probabilmente in quella situazione avrebbe sfoderato una famosa citazione di Pulp fiction. Si rialzò, tese la mano a Dean e si incamminarono nella foresta, senza sapere in che direzione stessero andando.

Il giorno dopo incapparono in un branco di licantropi che combatteva con un gruppo di vampiri; per Dean non erano abbastanza autosufficienti nel farsi fuori da soli, quindi decise di cominciare a tagliare teste, per evitare che i superstiti avessero il tempo per riprendersi. Anche Sam e Cas gli diedero man forte atterrando un avversario dopo l’altro, finché Sam esitò: Dean vide che un vampiro, l’unico rimasto ancora vivo, era davanti a suo fratello, che aveva abbassato l’arma e gli stava parlando. I vivaci occhi azzurri del succhiasangue avevano qualcosa di familiare.

Si avvicinò e lo riconobbe: «Sei quello che ci ha aiutati qualche tempo fa…».

«Sono Benjamin… Hey…» salutò quello, faticando a parlare per la stanchezza del combattimento.

«Che ci fai qui?» domandò Sam.

«Una piccola incomprensione con uno che mi ha fregato la ragazza… Ma non sono riuscito a tagliargli la testa, purtroppo!» rispose facendo un mezzo sorriso a Dean, che ricordò la prima frase che si erano scambiati.

Il vampiro proseguì: «Sono molto felice di incontrarvi! Ho un’altra cosa che voi potreste volere…».

«Cosa?» chiese Sam.

«Una via d’uscita» gongolò Benjamin.

«Non ce ne sono» obiettò Dean.

«Invece sì, se siete umani. Per l’angelo però non garantisco» rispose il vampiro.

«E tu che ci guadagni stavolta?» domandò Sam.

«Un passaggio! Chiunque abbia creato questo posto non l’ha fatto per gli umani, non vi vuole qui almeno quanto voi non volete rimanere, a meno che non vi piaccia l’idea di fare da spuntino a chiunque capiti… È un portale per umani, io vi mostro la porta e voi fate passare anche la mia anima dall’altra parte» propose Banjamin.

Dean gli tese la mano: «Ok, Benny. Ti chiamerò Benny. Tu mostraci questa uscita di emergenza del cazzo e noi ti portiamo fuori».

Banny fece un gran sorriso e gli strinse forte la mano.

Cominciarono un lungo cammino, fatto di sudore, fatica e lotta, inframmezzato da qualche momento di sincero cameratismo perché Benny si rivelò, oltre che un eccezionale combattente forgiato da chissà quante battaglie, un compagno molto socievole; quando Dean si lamentò del fatto che la ricerca dell’uscita era sfiancante, gli rispose citando Socrate: «Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta!».

«Che diavolo sai tu dei valori della vita? Sei un vampiro!» lo rimbeccò Dean.

«Sì e credo che entrambi sappiamo quale delle nostre specie uccide più umani» lo punzecchiò Benny.

«Statisticamente, Dean, sono gli altri umani» precisò zelante Cas, strappando un sorriso a Sam e uno sbuffo irritato a Dean.

Passarono le settimane seguenti in quello che Dean definì un bagno di sangue con 31 tipi diversi di schifezze che prosperavano nel marciume di quel posto. La maggior parte dei giorni era un combattimento a 360 gradi e lui, Sam, Cas e Benny affrontavano qualsiasi cosa si muovesse spalla a spalla, con le armi strette in pugno e i vestiti appiccicati addosso, madidi di sudore; ma l’essere lì aveva qualcosa di particolare: era qualcosa di puro.

Non era solo per via del discorso di Morte sull’espiazione che Dean provava questa sensazione: lì uno doveva fare affidamento solo su se stesso; non c’erano regole: si poteva uccidere o essere uccisi senza conseguenze; non dovevi nemmeno far fatica a trovare un avversario, bastava restare fermi un secondo ed era lo scontro a trovare te. Quella era una dimensione costante e corporea, priva di ogni illusione: non esisteva niente, nessuna entità superiore a cui potessero fare appello, nulla al di fuori di loro stessi e di quello che erano.

Il Purgatorio era caotico, pieno di tutte le bestialità che riuscivano a immaginare e qualcuna anche nuova: Cas li aveva chiamati leviatani ed erano i tipi peggiori, da cui cercavano di stare alla larga, ma non riuscirono a evitarli per sempre. Benny aveva detto che andavano nella direzione giusta verso il portale, quando furono raggiunti da due di quei mostri: arrivarono nella loro forma naturale di sostanza globulare nera come la pece, ma, appena riuscirono a entrare in contatto con loro, assunsero la forma dei Winchester, riuscendo a replicare addirittura le loro armi. Anche se erano inferiori di numero, il combattimento non era nemmeno lontanamente alla pari, perché quelle creature erano straordinariamente intelligenti, forti e resistenti. Benny e Cas affrontarono insieme il mostro con le sembianze di Dean e i fratelli quello con le sembianze di Sam.

Benny ringhiò e sfoderò la seconda fila di denti appuntiti; per tutta risposta, Non-Dean spalancò la bocca in maniera esponenziale, mostrando enormi zanne affilatissime e una lingua serpentina e si avventò su di lui colpendolo alle gambe con la specie di accetta che aveva replicato da quella di Dean. Castiel approfittò del momento per portarsi alle spalle del mostro, afferrare i suoi corti capelli, tendergli la testa indietro e staccarla con la lama angelica. Decapitarlo non lo avrebbe fermato, ma solo rallentato.

I Winchester erano più in difficoltà perché, da una parte, Dean, pur sapendo che quello non era suo fratello, aveva parecchi scrupoli ad affrontarlo, temendo anche di confondersi e, dall’altra parte, Sam non riusciva a cogliere di sorpresa il leviatano, che ovviamente prevedeva ogni sua singola mossa visto che ragionava con a sua testa. Solo con l’intervento di Cas, che lo bloccò tenendolo per le braccia abbastanza a lungo, Dean riuscì a decapitarlo.

Dovevano allontanarsi in fretta, ma Benny era messo male e non riusciva a stare i piedi, figurarsi a camminare, senza contare che le sue ferite aperte avrebbero attirato un sacco di altri mostri, se avessero deciso di trasportarlo a spalla. Dean si inginocchiò e gli sollevò il busto tra le braccia.

«Cas puoi fare qualcosa per lui?» chiese Sam.

«No, è un vampiro, il mio potere lo ucciderebbe anziché sanarlo» spiegò l’angelo.

«Noi possiamo fare qualcosa, Benny?» domandò Dean con urgenza.

Benny fece una smorfia che voleva essere un sorriso, ma che era troppo doloroso; girò la testa, sputò il sangue che gli saliva in bocca e poi disse: «Beh, vi ho indicato la direzione giusta, potete andare mentre io resterò qui a vomitare tutto tranne i rimpianti…».

«No, non ti lasciamo qui, è escluso» ingiunse Dean.

«Quanto ci metteranno a guarire le ferite?» chiese Sam.

Benny era titubante: «Dipende… tutte le ferite, a parte le amputazioni, guariscono, vampirescamente parlando. Ma mi servirebbero sangue e riposo, soprattutto sangue…».

Dean non esitò: tirò su la manica e gli offrì il braccio: «Tu ci hai dato il tuo sangue, prendi il nostro».

L’urgenza era troppa per Benny, che morse, il più delicatamente possibile, il braccio che gli veniva offerto; alle parole di Dean aveva sentito riversarsi nel cuore qualcosa di caldo e denso e ora sentì la bocca riempirsi del sangue del cacciatore che lo ristorava. Erano decenni che beveva sangue bovino (uno schifo) o sacche di sangue donato (non donato appositamente per lui, in effetti, ma comunque alla banca del sangue) e il fluido vitale caldo preso direttamente dalle vene lo inebriò. Vedere il vampiro nutrirsi da lui aveva un ambiguo fascino perverso, ma Dean si sentì sollevato quando Benny si staccò. Sam offrì il suo braccio. Benny non si fece pregare, morse; ma percepì quasi subito qualcosa che lo fece sussultare e gli fece mollare la presa per un momento: il bouquet che gli era stato offerto aveva una nota stonata. Rimase incerto se dire qualcosa o lasciare che ciò che accadeva in Purgatorio restasse in Purgatorio.

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Morte, nelle sue varie incarnazioni, ha sempre considerato i Winchester una spina nel fianco, ma gli sono sempre stati utili (finché non l’hanno ucciso…) e ha avuto nelle relazioni con loro anche una certa dose di umorismo. Inizialmente, avevo pensato di trasformare Sam in mietitore per fargli capire quanto sia importante non modificare il fato, ma poi avevo proprio voglia di far tornare Benny e quindi ho pensato al Purgatorio, che Dean ha più volte definito un luogo «puro», quindi l’ideale per l’espiazione.

La citazione di Socrate è una battuta di Benny nella serie.

È sempre difficile trovare qualcosa di coerente da scrivere navigando a vista, ma sono soddisfatta, spero che il capitolo piaccia anche a voi.

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Se avete tempo, ogni commento è gradito!

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Capitolo 18
*** We are linked, we are one ***


 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

18/26 INCANTESIMO

a. L’arte, l’operazione dell’incantare; Formula magica, spesso accompagnata da gesti rituali, con la quale si priva una persona della coscienza o della volontà; L’atto di pronunciare tale formula, e l’effetto da essa prodotto.


 

«Ci stiamo avvicinando» Benny interruppe l’ostinato silenzio, così insolito da parte sua, in cui si era chiuso da quando si era ripreso e avevano ricominciato ad avanzare facendosi strada tra la boscaglia.

«Ah sì? Perché io non vedo un cazzo!» esclamò Dean alle sue spalle.

«Com’è fatto questo portale?» domandò Sam dalla retroguardia.

«Non lo so» rispose Benny tra i denti; non si riferiva solo all’aspetto del portale: stava combattendo una lotta interiore per decidere se rivelare quello che aveva capito assaggiando il sangue di Sam, quella schifezza che era stato costretto a buttare giù comunque, o tacere l’informazione.

Dean era molto teso: non avevano rassicurazione alcuna che Cas potesse passare attraverso il portale, ma si stava costringendo a non pensarci, cercava di autoconvincersi che Cas sarebbe andato con loro, punto e basta. Ma ogni tanto si girava, come per sincerarsi che lo stesse effettivamente seguendo e non fosse sparito da qualche parte.

Anche se Castiel non aveva ancora imparato a comprendere pianamente ogni emozione umana, non gli era sfuggita tutta la preoccupazione di Dean.

Benny si arrestò guardandosi attorno, fermando tutti gli altri.

L’angelo ne approfittò per posare una mano sulla spalla di Dean, invitandolo a voltarsi verso di lui: «Dean, se non dovesse funzionare…».

Dean non lo lasciò nemmeno finire: «Cas, lascia perdere le frasi da bigliettino! Funzionerà e basta, ce ne andremo tutti insieme!».

«Uomini di poca fede, ecco il portale!» annunciò Benny indicando un punto davanti a loro: a poche decine di metri c’era un agglomerato di energia pura che brillava di tutte le sfumature del blu; sembrava una luce dotata di vita propria, che vorticava muovendo tutta l’aria intorno, come se volesse attirarli a sé, reagendo probabilmente alla presenza di Dean e Sam.

«Ora come procediamo?» domandò Dean.

«Serve un incantesimo di sangue…» spiegò Benny «Uno di voi due umani deve farsi un taglio su un braccio, poi io devo fare lo stesso. A quel punto facciamo combaciare le ferite, mischiando il nostro sangue e si deve pronunciare la formula dell’incantesimo: “Coniuncti sumus, unum sumus”».

«Che cavolo significa?» domandò Dean.

«Siamo legati, siamo uno» tradusse Sam, che era sempre stato bravo con le lingue.

«Forse più “una cosa sola”, perché coniunctus esprime un legame molto forte: di amicizia, parentela, sentimenti» precisò Castiel.

«Lo farò io e, se adesso la lezione di latino è finita, potremmo procedere?» chiese Dean esasperato, guadagnandosi un’espressione offesa di Cas.

Benny sorrise nervosamente e aggiunse: «L’incantesimo permetterà al tuo corpo di assorbire il mio spirito che vive in questa dimensione e richiuderà la ferita. Poi dovrai ritrovare le mie spoglie mortali; sperando che nessuno le abbia spostate nel frattempo, sono a Clayton, in Louisiana, nella mia vecchia proprietà, a circa tre metri a est del mulino a vento che azionava la pompa del pozzo».

«Come fai a sapere dove ti hanno sepolto dopo averti ucciso?» domandò Sam curioso.

«Mi hanno costretto a scavare la fossa prima di uccidermi» rispose controvoglia Benny e proseguì: «Dovrai disseppellire i miei resti…».

«Come se non avessi mai disseppellito un cadavere!» sbuffò Dean.

«…incidere ancora il braccio e pronunciare la formula: “Anima corpori fuerit corpus totum resurgent” che significa “Anima. Corpo. L’intero corpo risorgerà”».

Castiel pensò che sarebbe stato più appropriato tradurre «L’anima che sia stata col corpo (e) il corpo risorgeranno interamente», ma considerò che fosse meglio tacere: l’incantesimo avrebbe funzionato anche se chi lo pronunciava non conosceva il significato esatto delle parole.

Il cacciatore cominciò a tirarsi su la manica; ne sapeva abbastanza di magia e di vampiri per essere ragionevolmente certo che non ci sarebbero state conseguenze a lungo termine: l’unico modo per diventare un vampiro era ingerire sangue di vampiro.

Benny lo guardò per la prima volta con apprensione, mentre dal suo viso scivolava via l’abituale sfacciataggine: «Sto riponendo una gran fiducia in te».

«Te lo sei meritato» gli occhi di Dean rimasero saldamente fissi in quelli del vampiro e Benny fu rassicurato dalla fermezza che vi leggeva, trasse un profondo respiro e aggiunse: «L’incantesimo non avrà alcun effetto permanente, ma, finché sarò dentro di te, potrai sentire le mie emozioni e potrebbe non essere esattamente piacevole».

«Non ho mai pensato che avere un uomo dentro fosse piacevole!» rispose Dean sarcastico e affondò la lama nella propria carne.

Benny sorrise, porse il braccio e Dean lo incise con un taglio poco profondo; si strinsero i polsi con le mani, quasi dovessero trattenersi l’un l’altro in equilibrio precario su un profondo abisso. Benny sentì il calore del sangue umano che si insinuava nella sua ferita che già era pronta a chiudersi: era piacevole, riscaldava senza bruciare. Invece, Dean percepì il liquido freddo che usciva dal braccio del vampiro e colava lungo il suo; era come una carezza fresca.

«Ci vediamo dall’altra parte, ovunque sbucheremo fuori» salutò Benny.

Dean si passò la lingua sulle labbra e scandì la formula: «Coniuncti sumus, unum sumus».

Benny sentì che il proprio corpo veniva invaso da un calore tremendo, che sembrava stesse facendo vibrare ogni cellula, e faticò a trattenere un grido, mentre la schiena si inarcava sempre di più sotto la costrizione dei muscoli tesi. Poi fu come se tutto si liquefacesse e si sentì risucchiare dentro il corpo di Dean.

Quello che videro gli altri fu una metamorfosi del vampiro in una sostanza luminosa, rossa e fluttuante che penetrava nel braccio di Dean, che si risanava magicamente. Il cacciatore provò più fastidio che dolore quando Benny si fece spazio in lui: si agitò sotto la pelle come cercando uno spazio per mettersi comodo e poi si fermò. Dean si rivolse alla luce ancora pulsante: «Ok bello, ora cerca di star calmo. Mi ricordi Alien, è inquietante!».

«Chi è Alien?» chiese Cas.

«Un mostro grande e grosso con zanne bavose. Si somigliano!» gli spiegò Dean.

Sam rise e Cas parve ancora più confuso.

I tre si diressero verso il portale. Scalarono un pendio aiutati dalla forza di attrazione e, arrivati ai bordi dell’uscita magica, Dean afferrò saldamente la mano di Cas; furono risucchiati dentro la luce. Quando i loro occhi che erano rimasti abbagliati riuscirono nuovamente a mettere a fuoco, a Sam venne un colpo perché capì di essere ancora in una foresta. Poi pian piano cominciò a rendersi conto che il paesaggio era tinto di calde sfumature arancioni e sentì i rumori degli uccelli. Respirò a pieni polmoni l’aria frizzante. Dean e Cas erano a poca distanza e Sam non poté fare a meno di notare che si stavano ancora tenendo la mano. Sorrise tra sé, si schiarì la gola e chiese: «Qualcuno ha idea di dove siamo?».

«Hundred-mile Wilderness, nello Stato del Maine» rispose Cas.

«Ok Mr. GPS, adesso portaci in Louisiana!» disse Dean entusiasta, dando una pacca sulla spalla di Cas. Aveva appena finito di rallegrarsi, che sentì un terribile fastidio al braccio. Provò a grattarlo e a scuoterlo, ma inutilmente: si sentiva come un bambino che agita il dito che gli fa male nella speranza di far schizzare via il dolore.

«Non può portarvi, per ora» spiegò una voce fredda. Morte era apparso a pochi passi da loro. «Il portale era fatto per gli umani, quindi ha reagito a un angelo assorbendo parte della sua energia; ma è temporaneo».

Morte infilò una mano in tasca e porse loro un pezzetto di legno. Sam lo prese e lo ripose con cura nella tasca della giacca, accennando parole di ringraziamento non troppo sentite viste la brutta avventura che avevano passato.

Morte si congedò da loro: «Spero che questo vi serva di lezione».

Dean istintivamente si toccò il braccio, dentro cui Benny si agitava.

«No, temo di no» aggiunse Morte, quasi parlando a se stesso, prima di sparire.

«Ok, quindi dobbiamo arrangiarci» concluse Dean, felice di essersela cavata a buon mercato con la faccenda di Benny.

«Non ci laviamo da settimane, siamo coperti di fango, di vari liquidi organici di incerta natura tra cui i meno schifosi sono il sudore e il sangue, e siamo in mezzo al nulla. Oh, e dobbiamo andare in un posto a circa 1800 miglia da qui. Poteva andare peggio» fece di rimando Sam.

Seguendo le indicazioni di Cas, poco prima dell’alba raggiunsero l’insediamento più vicino che distava quasi venti chilometri; decisero di non fermarsi perché le temperature delle notti d’autunno nel Maine erano troppo rigide per dormire all’addiaccio. Nonostante le proteste di Cas, rubarono la macchina che probabilmente apparteneva a due escursionisti; Dean era un ottimo meccanico e per lui fu una passeggiata scassinare una portiera e collegare alcuni fili. Abbandonarono presto l’auto, perché l’ultima cosa che volevano era avere le forze dell’ordine alle calcagna (soprattutto con Dean che aveva insistito per tenersi una specie di enorme accetta che aveva recuperato in Purgatorio), ma non prima di aver attinto dai bagagli dei proprietari: per lo meno adesso avevano abiti decenti, anche se troppo larghi per Dean e Cas e troppo corti per Sam, qualche soldo extra e Sam era riuscito anche a mettere qualcosa nello stomaco accontentandosi di barrette energetiche. Dean invece aveva detto di non avere fame, anche se continuava a bere. Gli sembrava che la gola fosse sempre riarsa e, per quanti liquidi ingurgitasse, non riusciva a placare la sensazione. Diede la colpa al fatto che aveva a disposizione solo bibitoni energetici e non della sana birra.

Dopo aver percorso un tratto di strada ottenendo un passaggio da un camionista, alla sera decisero di fermarsi in un motel nella piccola cittadina Greenville, dove presero una camera tripla, per riposare un po’ e per farsi una doccia. Chiamarono Bobby, gli raccontarono quello che era successo e decisero insieme che si sarebbero incontrati in Louisiana. Appena si fu lavato e buttato su un letto, Dean capì che qualcosa non andava: non stava comodo in nessuna posizione, anche ora che era a riposo il suo cuore non ne voleva sapere di smettere di pompare sangue ad alta velocità e trovava estremamente fastidioso il canticchiare di Sam sotto la doccia.

Sentendolo rigirarsi, Cas si avvicinò: «Qualcosa non va Dean?».

«Niente Cas! Ma vedi di spegnere la luce! Mi dà un fastidio del diavolo! Che cazzo di lampade usano? Mi stanno perforando gli occhi!» rispose irritato.

Cas gli prese il viso tra le mani: «La luce non è particolarmente intensa. Hai le pupille molto contratte, non credo sia una cosa normale…»

«Meraviglioso!» borbottò Dean, tirandosi un cuscino sulla faccia. Non era abituato a reprimere gli impulsi: quando aveva voglia di alcool si ubriacava; quando aveva voglia di scopare trovava subito qualcuno; se aveva fame si riempiva di gustoso, grasso cibo spazzatura. Solo che stavolta aveva innegabilmente voglia di bere del sangue. Maledetto incantesimo che gli provocava quella che sembrava una crisi di astinenza! Doveva resistere solo per poco, ce la poteva fare.

La notte fu un tormento. Il poco che riuscì a dormire, poco persino per i suoi standard, non gli portò alcun beneficio, ma solo incubi confusi: gli sembrava di essere in un deserto frustato da un vento impetuoso, che sollevava la sabbia dorata addosso a lui facendogli prudere fastidiosamente la pelle; poi la sabbia prese ad accumularsi ai suoi piedi e a trascinarlo giù; solo allora si rese conto di essere nella metà superiore di una clessidra e si chiese se sarebbe riuscito a passare nella parte in cui si restringeva per poi uscire nella metà di sotto.

Al mattino era in un bagno di sudore; Cas, che Den sospettò fosse rimasto in piedi a vegliarlo tutta la notte, lo guardò e gli disse: «Ti sei agitato molto. Hai un pessimo aspetto».

«Tu invece sei uno splendore» rispose Dean.

Sam si avvicinò preoccupato: «Dean, stai bene?».

Dean si passò le mani sul viso: «Lasciami stare! Ho solo bisogno di una doccia e di caffè!». Ma il suo corpo lo tradì: cominciò ad avere dei brividi e gli venne la pelle d’oca.

Sam prese una coperta per mettergliela addosso, ma il fratello reagì male: «Piantala! Non è così insopportabile e orribile come sembra, mi sento solo spossato».

A colazione Dean riuscì a trangugiare solo del caffè, nonostante le insistenze di Sam perché mangiasse qualcosa. Non vedeva l’ora di mettersi in strada; tra quelli che avevano in tasca prima di entrare in Purgatorio e quelli rubati, avevano abbastanza soldi per prendere un autobus per Portland; da lì avrebbero proseguito per New York, Washington, Atlanta e finalmente fino a Clayton.

 

***

 

«Dovresti prendere qualcosa…» propose Sam, prima di salire sul pullman, allungandogli un paio di scatole di medicinali che aveva appena comprato in un negozio della stazione.

«Vuoi imbottirmi di farmaci? Mi servirebbero dei sedativi per l’ansia, degli antiemetici, potremmo fare un bel cocktail! No grazie! Non è nulla, passerà!» rispose secco Dean, tappandosi le orecchie ferite dal cigolio delle porte dell’autobus che si aprivano.

Si sentiva uno schifo e il braccio prudeva da morire. Benny ogni tanto si agitava e lui doveva stare attento a nascondere la luminescenza granulosa che si muoveva sotto la pelle. Avvisò gli altri che andava al bagno della stazione un momento a sciacquarsi il viso.

Sam scosse il capo: non sapeva bene come agire. Il concetto di prendersi cura di se stesso era ignoto a suo fratello, che avrebbe ammesso di star male solo dopo aver attraversato il confine che separava la possibilità di riprendersi e il pericolo di morte imminente. Immaginava che si sarebbe sentito in colpa se avesse provato a chiedere il suo aiuto per una cosa che considerava una sciocchezza. Dean era uno che dava alle persone che amava senza limiti, ma era totalmente incapace di chiedere.

Cas guardò Sam per ricevere un’indicazione su come muoversi; il cacciatore rifletté e gli disse: «Cas, Dean non ha mai conosciuto una vita normale. Si è sempre sentito responsabile per me, si è preso cura di me e l’ha fatto bene. Ma per lui non è facile prendersi cura di sé. Ha sempre dovuto lottare e mostrarsi forte; l’hai visto anche tu, in Purgatorio: era a suo agio con caos e distruzione, ha detto che lo considerava un luogo puro! Non sta bene. Non si lascerà avvicinare da me e continuerà a ripetere che non è nulla, ma forse potrebbe dare retta a te… Potresti provare a parlargli».

Cas fece cenno di sì.

Quando Dean tornò, l’angelo lo seguì e si sedette accanto a lui sull’autobus, mentre Sam prese posto dietro di loro. Dean respirava in fretta, ma sembrava che l’acqua fresca lo avesse un po’ calmato, quindi l’angelo provò un primo approccio: «Dean, forse dovresti dare retta a Sam e prendere qualche farmaco. Se non temessi di far male a Benny, userei quel poco di potere che ho recuperato, ma credo lui ne soffrirebbe».

«Sto benissimo» brontolò Dean.

Cas si sporse verso di lui. Dean sorrise: «Guarda che non sto avendo un attacco di panico».

Cas restò immobile: «Lo so. Vedi Dean, non mi stancavo mai di stare a guardare voi umani, anche se ho sempre faticato a comprendervi. Balthazar diceva che era perché il sentiero in salita che avrebbe permesso alle emozioni di farsi strada verso il mio cuore era costellato di macigni: orgoglio, presunta autosufficienza, senso di superiorità, solitudine. Ma, oltre quegli ostacoli, ho sempre sentito un richiamo, che forse qualcuno ha impresso in maniera indelebile nel mio essere quando mi ha creato, come se dovessi cercare il compimento di un desiderio inespresso di eternità. Forse avevi ragione: essere amici è percorrere una strada verso una meta, alla quale avvicinarsi ogni giorno di più. Quando la mia vita si è intrecciata alla tua, Dean, non mi è stato chiaro chi dei due si fosse affiancato all’altro nell’andare, regolando il proprio movimento con quello dell’altro, ma di sicuro ho cominciato a procedere a piccoli passi, a vedere (e non più guardare) il mondo attraverso i tuoi occhi. Prima di conoscerti, consideravo la sofferenza umana come una triste faccenda, che però esulava dalla mia competenza, o come il prezzo da pagare senza battere ciglio per raggiungere uno scopo superiore. Ma la tua sofferenza, Dean, ora per me è qualcosa di intollerabile, qualcosa a cui devo porre rimedio. Per questo non ho esitato a chiedere a Morte di venire con voi per aiutarvi nel momento del bisogno. Per questo, ti prego, potresti prendere qualcosa che ti possa aiutare?».

«Sei bravo con le frasi da bigliettino…» fu costretto ad ammettere Dean e tese la mano indietro verso suo fratello che gli mise sul palmo aperto un paio di pastiglie. Dean le prese senza discutere ulteriormente e chiuse gli occhi, ignorando l’aria compiaciuta di Cas.

Sam sorrise soddisfatto: forse, se Cas riusciva a vedere attraverso i gli occhi verdi di Dean, poteva anche imparare ad amare attraverso il suo cuore.

 

 

 

 

NdA

 

Questa volta il prompt sembrava fatto apposta per me!!! Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

Che ne dite: aggiungo Benny al team free will o lo faccio andare per la sua strada?

Se cercate in rete, trovate una versione diversa per la formula: «Anima. Corpori. Fuerit corpus totem resurgent». Forse gli incantesimi non devono avere un latino perfetto per funzionare (e le mie reminiscenze di latino sono scarse) o forse Jensen ci mette del suo con una pronuncia terribile, ma dopo consultazione con chi ne sa più di me, ho deciso di cambiare la punteggiatura e mettere totum.

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Capitolo 19
*** In the blood, in the heart ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

19/26 VISITA MEDICA

1. Serie di accertamenti clinici cui può essere periodicamente sottoposta una persona per avere un quadro completo del suo stato di salute.

2. l'insieme di comportamenti e procedure messi in atto dal medico, specialista o medico di famiglia, nel corso dell'incontro con il paziente che ne richiede la consulenza.

 

 

Tre giorni dopo, a tarda sera, erano all’ingresso di quella che era stata la proprietà di Benny quando era in vita; c’erano ancora i pilastri ai lati del cancello di accesso, con su inciso il nome: «Lafitte». Il mulino a vento era ancora in piedi dopo cinquant’anni, ma le pale erano immobili, forse bloccate per via della ruggine che si era accumulata. L’atmosfera era tranquilla, romantica in senso letterario, non c’era nessun indizio che tanto tempo prima lì si fosse consumata una tragedia.

Sam misurò a occhio tre metri verso est dalla base del mulino e cominciò a scavare; Dean a un certo punto insistette a dargli il cambio perché il lavoro, diceva, lo avrebbe distratto dal fastidio al braccio, per quanto fosse stato abbastanza sopportabile grazie a massicce dosi di vicodin. Non ci mise molto a portare alla luce uno scheletro, la cui testa era stata chiaramente separata dal resto del corpo.

«Sarà meglio che sia tu, figlio di puttana!» disse Dean osservando le ossa dall’alto «Sta buono, tieni duro!».

Scoprì il braccio, mentre Benny si muoveva come non mai, praticò un taglio e pronunciò ad alta voce la formula: Anima corpori fuerit corpus totum resurgent. Insieme al sangue gocciolò sui resti anche una sostanza rossa e luminosa che fuoriusciva dalla ferita. L’incantesimo si attivò, vide un brillare confuso e poi Benny in carne e ossa (e vestiti, doveva essere un incantesimo davvero potente) davanti a lui.

«Funziona tutto bene?» chiese Dean esausto, ma finalmente sereno.

Benny si stiracchiò e sfoderò le zanne, tanto per controllare: «Non posso crederci! Ce l’abbiamo fatta!» aveva gli occhi lucidi ed era commosso, il che contrastava con il suo aspetto massiccio e apparentemente così possente. «Qui le nostre strade si dividono! Resterò: era la mia casa, il posto dove sono nato. Mi costruirò una nuova vita. E righerò dritto, non temete!».

Dean sorrise e lo abbracciò, poi fu il turno di Sam e Cas. Dean interruppe in fretta i convenevoli: «Meraviglioso! Ora però andiamo: devo trovare una tavola calda, ho bisogno di un cheeseburger!».

Benny lo afferrò per un braccio per fermarlo un momento. Aveva preso la sua decisione e si rivolse a Sam: «C’è una cosa che devi sapere: quando ho bevuto il tuo sangue… ho sentito che c’era una nota stonata…».

Sam apparve turbato: «Che cosa vuoi dire?».

Benny scosse la testa incerto: «Non so come spiegartelo… i vari tipi di sangue umano hanno sapori diversi: quello di una vergine, per esempio, è delizioso; ma quello di chiunque altro è comunque sempre buono per un vampiro. Il tuo era disgustoso. Se fossi in te, cercherei di capire qualcosa di più».

 

***

 

Dopo la rivelazione di Benny erano tutti molto preoccupati; si erano fermati alla tavola calda più vicina ad aspettare Bobby, ma Dean non era riuscito a godersi il suo panino, Sam aveva più che altro giocato con l’insalata e Cas non aveva preso nulla, tanto che la cameriera aveva chiesto loro più volte se ci fosse stato qualcosa che non andava col cibo.

Dean rinunciò a prendere una fetta di crostata e cercò di sdrammatizzare: «Vedrai che non è nulla! Magari il tuo sangue fa schifo perché hai scopato troppo e ti sei preso la sifilide o qualche altra schifezza!».

Sam fece un mezzo sorriso, grato al fratello che cercava un modo per farlo stare bene: «Quello saresti stato tu, al limite!».

«Se vuoi, Sam, posso cercare di capire cosa non va» si offrì, un po’ titubante, Castiel.

Sam accettò al volo; pagarono il conto e imboccarono un vicolo deserto dietro al locale. Era sorprendentemente pulito, anche se c’erano ammassate cassette di legno, probabilmente scartate dal locale. Non c’era molta luce, ma i Winchester avevano sempre con loro delle torce elettriche, molto utili quando si trattava di entrare in case buie e cadenti infestate dai fantasmi o in covi oscuri di mostri.

Castiel sollevò una delle palpebre di Sam, puntando la luce della torcia e osservando i suoi occhi con fare inquisitorio. Erano del solito verde, di una tonalità leggermente diversa da quella del fratello, ma non di inferiore luminosità.

«Hai avuto la febbre?» si informò l’angelo.

«No. Perché?» disse Sam convinto.

«Hai parlato in lingue sconosciute?» domandò.

«No!» rispose Sam.

Cas posò due dita sulla giugulare di Sam, nello stesso modo in cui un medico fa per sentire le pulsazioni, chiuse gli occhi e si concentrò; il suo esame, come aveva temuto, non diede alcun risultato; con i suoi poteri angelici poteva percepire chiaramente lo stato fisico di una persona e, nel caso ci fosse qualcosa di anomalo, era in grado di guarirla. Il corpo di Sam, a parte una leggera stanchezza dovuto al lungo e scomodo viaggio, scoppiava di salute.

Aggrottò la fronte, sapendo quale fosse l’unica alternativa possibile a quel punto: «Sam, apparentemente sei sano, non ho riscontrato alcun problema fisico. C’è un’altra cosa che posso fare per capire se c’è qualcosa di sovrannaturale».

«Come si può fare?» chiese precipitosamente Sam.

«Con grande dolore, temo che non sarà affatto piacevole, per quello esitavo a proportelo» ammise l’angelo.

Sam deglutì, ma non esitò: «Non ha importanza, posso sopportarlo. Devo sapere se c’è qualcosa che non va in me!».

Dean intervenne: «Hey Cas, vacci piano bello! E tu, Sammy, piantala! Cas ha detto che sei in forma, quindi lasciamo perdere!».

Ma Sam era irremovibile: «No, voglio capire».

A quel punto, davanti alla fermezza del fratello, anche Dean dovette cedere.

Castiel spiegò a Dean che doveva sedersi per terra e appoggiare la schiena contro il muro di uno dei palazzi del vicolo e che Sam doveva mettersi davanti a lui; il compito del maggiore dei Winchester sarebbe stato quello di tenere fermo il fratello. A malincuore, Dean obbedì. Il muro intonacato dietro di lui e l’asfalto su cui stava scomodamente seduto erano gelati, mentre sentiva la schiena di Sam bollente anche attraverso la giacca. Il suo fratellino stava cercando di fare respiri lenti e misurati per dare l’impressione di essere calmo, ma il cuore che correva sempre più rapido lo tradiva. Dean lo strinse e gli chiese a un soffio dal suo orecchio: «Sicuro di volerlo fare?». Sam annuì e allora Dean mutò l’abbraccio in una presa ferrea, trattenendolo contro di sé.

Cas si mise davanti a Sam con espressione seria. Si tolse il trench, lo piegò e lo appoggiò con cura sulla pila di cassette di legno che erano accanto. Fece scivolare la giacca dalle spalle e quella andò a raggiungere il trench. Con una cura e lentezza esasperanti per Sam, tirò su le maniche della camicia. Infine, slacciò la fibbia della cintura e la sfilò con un movimento fluido.

«Che cosa hai intenzione di fare?» chiese Sam, per la prima volta dubbioso riguardo la procedura. La faccenda stava prendendo una piega decisamente equivoca.

Per tutta risposta, Cas gli infilò la cintura tra i denti e ordinò: «Mordi questa. Se c’è un luogo che trovi confortevole, dovresti andarci con la mente».

Sam strinse i denti e non fece in tempo a pensare: «Fallo! Dannazione Cas, fallo e basta!», che l’angelo, tra taglienti schegge di luce bianca, infilò la mano e l’avambraccio dentro il suo ventre. Il dolore che ne seguì fu il più atroce che il cacciatore avesse mai provato: gli sembrava che un ferro rovente si stesse facendo strada dentro la sua carne, straziandola al suo passaggio, torcendo gli intestini e irradiando tremende scariche in tutto il resto del corpo. Morse la cintura di Cas, su cui certamente sarebbero rimasti i segni dei denti, e cercò di contorcersi per opporsi a quella spirale di sofferenza. Sentì i muscoli delle braccia di Dean tendersi ancora di più e il torace di suo fratello che restava immobile, incapace di espandersi, schiacciato tra la sua schiena e il muro.

Gli tornò in mente una notte di tanti anni prima, quando Dean era rientrato nella sua vita facendo irruzione nel salotto dell’appartamento che divideva con Jessica. Nella penombra non era riuscito a scorgere il suo viso, ma aveva riconosciuto subito l’odore dei sedili di pelle dell’Impala indissolubilmente legato a quello del suo dopobarba. Sam gli era saltato addosso non perché lo credesse un intruso, ma perché dopo tanto tempo aveva bisogno di un contatto fisico, di sfogare il dolore per la lontananza che lui stesso aveva cercato, ma anche dolorosamente subito. In mancanza di un abbraccio, che sarebbe sembrato troppo prematuro per via del distacco prolungato, aveva avuto bisogno di sentire, seppure in modo violento, le braccia del fratello attorno a lui, il familiare peso del suo corpo che lo inchiodava al pavimento.

Tutto quel dolore aveva portato a galla qualcosa di viscerale: ripensò alle sensazioni di quella notte, al bisogno che aveva ora come allora di sentire Dean; e Dean c’era, era lì per lui. La tortura divenne sopportabile.

Cas si ritirò più in fretta che poté. Il suo viso era serio, turbato e Sam lo scrutò per avere il responso che fu secco e lapidario: «Sam temo di aver capito cosa c’è che non va. Non so come, ma nel tuo sangue c’è sangue demoniaco».

«Che cazzo dici? Sam ha uno strano virus demoniaco?» lo aggredì Dean.

Cas continuò a rivolgersi a Sam, mentre si ricomponeva e rivestiva: «Un demone deve averti infettato in qualche modo».

«Che cosa mi succederà, mi trasformerò in un orrendo assassino? In un demone?» domandò Sam sconvolto.

Dean cercò di calmarlo: «Ti conosco meglio di chiunque altro: non potrai mai e poi mai diventare un mostro! Hai persino i sensi di colpa se incappi in un sito porno!».

«No, Sam» spiegò Cas «Non ti trasformerai in un demone. Tuttavia, un giorno potresti percepire qualche manifestazione del potere che deriva da quel sangue, potresti addirittura controllarlo. Il mio consiglio è lasciare le cose come stanno. Continua la tua vita così com’è, non cercare di approfondire ulteriormente l’argomento. Potresti intraprendere un cammino pericoloso e non so dove potresti arrivare. Non giocare con il fuoco».

Dean era ammutolito e Sam se ne accorse: «Smettila di guardarmi come un idiota! Pensi che potrei fare qualche stronzata?».

Dean ritrovò la voce: «Ok Sammy, non sei infallibile, non hai un’aureola portatile. Ma sei una persona forte, sincera e che lotta dalla parte dei buoni. Una persona che cresce giorno dopo giorno e io sono fiero di come sei. Hai un po’ di sangue di demone, ok. Capirai che problema, con tutte le cose strane che abbiamo visto!».

Ma Sam era incapace di stare fermo e continuava ad agitarsi facendo qualche passo in una direzione per poi tornare indietro, agitando le braccia: «Questa cosa, questo sangue scorre nelle mie vene, non nelle tue! È una questione che devo affrontare!».

Dean lo bloccò nel suo andare senza senso: «Ma non da solo! Ci sono io con te! E c’è Cas. Staremo calmi e staremo a vedere».

Ma Sam non era affatto calmo: «Non credi che ci possa essere un destino maledetto per me? Che non possa sfuggirgli? Non puoi proteggermi sempre!».

«Posso provarci!» la nota dolce nella voce di Dean sciolse qualcosa dentro Sam che si condensò in lacrima, che il cacciatore prontamente asciugò col dorso della mano prima che fosse sul punto di cadere dalle sue lunghe ciglia.

Sam si sedette a terra: «Questa malattia mi scorre nelle vene e non riuscirò mai a estirparla, sono un nuovo scherzo della natura! Ma anche se c’è un buco nero dentro di me, non voglio caderci dentro. Continuerò il nostro lavoro, accada qual che accada. Forse più persone riuscirò a salvare, più potrò cambiare il mio destino. Ma se diventassi qualcosa che non sono… Dean, sei l’unico che può farlo…».

Dean, veloce come un serpente, scattò in avanti inginocchiandosi davanti a lui e gli tappò la bocca con la mano: «Dacci un taglio!».

Sam inarcò le labbra in un debole sorriso contro il palmo di suo fratello; a Dean bastò.

Poi entrambi i fratelli si voltarono a guardare Cas in cerca di un’approvazione angelica. L’angelo di un tempo non avrebbe esitato a condannare in modo lapidario la natura di un essere, ma il tempo trascorso accanto a Dean e Sam e insieme a Benny, gli aveva fatto capire quanto più importanti fossero le scelte e le azioni. Castiel si sedette accanto ai due fratelli: «Nella Bibbia c’è un passo che dice: “tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore”; e un altro afferma: “con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”. Sam, tu ogni giorno lotti perché altre persone possano sopravvivere, perché gli angeli e l’intero Paradiso non siano annientati. Non posso dubitare del fatto che il tuo cuore e le tue azioni siano pure. E sono certo che Dio, ovunque sia, lo sa».

 

 

 

 

 

NdA

 

Non è la classica visita medica, ma spero che questa mia interpretazione “angelica e sovrannaturale” vi sia piaciuta! Il capitolo è più breve del solito perché ho avuto un’altra idea sempre per questo prompt e vorrei svilupparla, quindi, se riesco a trovare il tempo, aggiornerò ancora prima di lunedì. Se ricordate, Sam viene maledetto con la sifilide da uno stregone, mi aveva divertito troppo per non inserire questa cosa!

La citazioni di Cas sono tratte dai vangeli: Mc 7,18-19 e Lc 6,38.

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Capitolo 20
*** Inside and out ***


 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

20/26 FERITA NASCOSTA

 

1. Lesione traumatica della cute o delle mucose tenuta volontariamente lontana dalla vista del prossimo per paura, vergogna o altre ragioni personali.

2. fig. Intima esperienza dolorosa accompagnata da risentimento o profonda afflizione celata sotto un finto stato di benessere.


 


 

Contrariamente alle aspettative di Dean, che riponeva ben poca fiducia nelle possibilità del catorcio di Bobby di attraversare vari Stati senza sfasciarsi o perdere pezzi per strada, il vecchio cacciatore, come d’accordo, li raggiunse a Clayton e li riportò a Sioux Falls. Durante il viaggio in macchina, lo aggiornarono sulle loro avventura in Purgatorio, su Benny e anche sulla scoperta del sangue di demone in Sam. Ebbero la buona grazia di riferire quest’ultimo particolare durante una pausa, onde evitare che la sorpresa potesse causare un infarto a Bobby e un conseguente incidente. Bobby si limitò a togliere e rimettere il cappello e a liquidare la faccenda con un: «Dove vi andate a cercare così tanti casini? Che palle!».

Sam sembrava essersi calmato dopo il rifiuto iniziale e insistette per cercare un caso su cui lavorare, dato che la pozione doveva essere fatta bollire durante la luna piena e la prossima sarebbe stata solo il 5 ottobre e quindi avevano tempo. Passò ore a spulciare giornali e notizie on line riguardanti tutti gli Stati vicini, si limitò a sbocconcellare un panino che suo fratello gli aveva preparato e, finalmente, trovò una traccia promettente: a Cold Spring in Minnesota il proprietario di un magazzino pieno di box, che noleggiava a chi voleva lasciare i propri averi in deposito, sosteneva di essere stato attaccato da oggetti volanti e di aver visto una specie di enorme serpente che aveva ucciso uno dei suoi clienti. L’animale era stato cercato invano dai ranger e la sua presenza, come quella degli oggetti volanti, era stata attribuita allo shock del testimone.

«Probabilmente si tratta di un ravid…» ipotizzò Sam.

«Rinfrescami la memoria» chiese Dean.

Bobby era un’enciclopedia vivente e cominciò a spiegare: «Sono creature che appartengono a un altro piano d’esistenza, dal corpo serpentino, lunghe circa un paio di metri, dotate di scarsa intelligenza, che però hanno il potere di entrare nel nostro piano materiale e animare gli oggetti di cui amano circondarsi. Sono bravissimi a nascondersi e attaccano solo per difendersi. È probabile che questo mostro abbia trovato un nido confortevole in un deposito e abbia fatto fuori il proprietario quando ha cercato di entrare».

Sam sembrava speranzoso e Dean pensò che gli avrebbe fatto bene andare a caccia: «Ok, ci siamo mossi per molto meno, andiamo».

«State attenti: la bestiaccia è immune al fuoco!» avvertì Bobby.

Dato che si trattava di semplice routine per i Winchester, Castiel decise che poteva permettersi di tornare in Paradiso per aggiornare gli angeli sulla pozione che presto sarebbe stata pronta. Prima di andarsene, chiese a Sam se stesse bene e il cacciatore glielo confermò abbracciandolo (spiegandogli che doveva ricambiare l’abbraccio) e ringraziandolo per la sua preoccupazione.

 

***

 

Il viaggio era stato più silenzioso del solito; Dean aveva messo una cassetta dopo l’altra faticando a far conversare Sam e ancora di più a convincerlo a mangiare del cibo spazzatura che si erano fermati a comprare lungo la strada. Dean gli lanciava occhiate preoccupate quando pensava che non lo notasse, e cercava di stargli il più appiccicato possibile, quasi a volergli dire: «Non posso far dissolvere ogni tua preoccupazione, posso solo esserci per te, sempre». Il viso di Sam era apparentemente rilassato mentre guardava fuori dal finestrino, ma, anche se le lacrime non bagnavano il viso, le sentiva scorrere dentro il cuore. Avrebbe fatto di tutto per non diventare un mostro, ma non poteva impedirsi di sentirsi tale.

Trovare un deposito così grande in una cittadina minuscola come Cold Spring era piuttosto inusuale e, mentre forzavano il lucchetto che chiudeva la porta d’entrata, Dean si chiese se non fosse un luogo usato per qualche scopo illegale. L’interno era completamente buio e, come si aspettavano, consisteva in un unico ingresso da cui partivano innumerevoli corridoi su cui si affacciavano su entrambi i lati una serie di saracinesche abbassate e chiuse con lucchetti di ogni foggia e dimensione. Dato che era una creatura eterea e non del piano materiale, potevano individuarla come se fosse uno spettro con il rilevatore di campi magnetici. Sam teneva lo strumento in una mano e nell’altra una torcia per vedere dove metteva i piedi. Dean teneva una torcia in una mano e la pistola nell’altra: il ravid poteva essere anche immune al fuoco, ma il buon vecchio piombo lo avrebbe messo a cuccia.

Le lucette del rilevatore em li condussero nel quarto corridoio, direttamente davanti al box numero 1408; Sam posò tutto quello che aveva in mano per terra e prese dallo zaino che teneva sulle spalle delle tronchesi formato gigante con cui spezzò il lucchetto della saracinesca. La sollevò e immediatamente quello che sembrava un piccolo disco volante saettò verso la testa di Dean, che lo evitò per un soffio. Quando sentirono il rumore della ceramica frantumarsi contro il box alle loro spalle, capirono che si trattava di un piatto. Sam estrasse la pistola appena in tempo perché i Winchester furono investiti da una raffica di altre stoviglie. Spararono al volo a tutte quelle che poterono, ma molte li colpirono, procurando loro un sacco di lividi. Si stavano quasi divertendo con quella specie di tiro al piattello sovrannaturale, quando un enorme serpente argenteo sgusciò fuori, fluttuando nell’aria e si avventò verso Sam. Quello che Bobby aveva scordato di dire loro era che la bestiaccia era dotata di un unico, lungo artiglio piazzato sul capo. Dean si bloccò, per paura di ferire il fratello e nel mentre fu colpito da un vassoio che gli fece cadere di mano la torcia, che rotolò lontano. Sam fece fuoco quasi alla cieca. Dean sentì il rumore di un corpo che cadeva a terra e la voce di Sam: «L’ho beccato!». Dean raccolse la torcia e la puntò sul ravid che giaceva sul pavimento, le sue spire chiazzate di sangue scuro che si contorcevano in un ultimo spasmo, finché non restò immobile e svanì in una nebbiolina argentea.

Dean batté la mano sulla spalla del fratello: «Bel lavoro Sammy!» e si avviò verso l’uscita.

Sam sussultò al tocco e si portò una mano al ventre: la stoffa della camicia era impregnata di sangue caldo dove l’artiglio del mostro aveva colpito. Non doveva essere una ferita troppo grave, ma doveva muoversi se non voleva che Dean lo scoprisse e andasse fuori di testa: con quella storia del sangue di demone il suo livello di iperprotettività era già aumentato abbastanza. Prese dallo zaino il rotolo di nastro adesivo e ne staccò un pezzo in fretta appiccicandolo alla bella e meglio sulla ferita, chiudendo la giacca per evitare che si vedesse la macchia di sangue, poi si alzò e uscì anche lui.

Si fermarono in uno dei soliti motel per riposare; Dean offrì a Sam di fare la doccia per primo, il che era un comportamento inusuale per lui, che di solito dava una spallata al fratello per entrare in bagno per primo e non rischiare che l’acqua calda fosse finita.

Sam detestava essere trattato come qualcosa di fragile, ma ne approfittò ed entrò senza nemmeno togliersi la giacca e portandosi dentro il borsone con la sua roba. Appena la porta fu chiusa, si tolse la giacca, sollevò la maglietta davanti allo specchio e strappò il nastro adesivo; un taglio profondo solcava il suo ventre, un taglio inferto dall’esterno verso l’interno, come quello che aveva subito la sua vita. La ferita era lì a urlare quanto fosse vulnerabile, uno squarcio sulla sua stessa pelle e uno squarcio nella sua anima. Dai bordi slabbrati colava il sangue; magari avesse potuto far uscire tutto il marcio che aveva dentro. Non era una menomazione fatale, ma era abbastanza dolorosa e probabilmente poteva diventare pericolosa, se non trattata adeguatamente.

Si fece la doccia più in fretta che poté e poi uscì, ma lasciò scorrere l’acqua ancora. Prese la bottiglia di disinfettante che aveva nella sacca e ne versò un po’ su una pezza di garza. Strofinò la ferita pulendola alla meglio e poi impugnò un ago ricurvo. Per una volta aveva recuperato del filo da sutura decente e non avrebbe dovuto usare il filo interdentale. Strinse i denti, trattenne il respiro e con sicurezza infilzò l’ago nel bordo della ferita e lo fece passare dall’altra parte. Non si lasciò sfuggire nemmeno un suono; se Dean avesse intuito qualcosa si sarebbe precipitato in suo soccorso. Fece più in fretta che poté e cancellò ogni traccia del suo operato.

Quando uscì rivestito, il fratello non protestò sul tempo impiegato, anche se entrambi sapevano che probabilmente gli sarebbe toccato fare una doccia fredda.

Una volta ripulitosi, Dean chiese a Sam se avesse voglia di andare a mettere qualcosa sotto i denti, nonostante l’ora tarda. Sam rispose che era stanco, ma che lui andasse pure e al ritorno gli portasse qualcosa e Dean decise di lasciargli un po’ di spazio. Sam avrebbe voluto dirgli che aveva affrontato, sostenendosi a lui, tante situazioni tremende perché insieme erano più forti; e ora si sentiva sporco e aveva paura di contaminarlo standogli vicino, sentiva un vuoto dentro; di quel vuoto aveva fatto un santuario inaccessibile e lo proiettava all’esterno.

Aveva preso in considerazione l’idea di evocare Crowley, ovviamente all’insaputa del fratello; si era dimostrato amichevole con la faccenda della pozione e chi meglio di un demone avrebbe potuto dargli spiegazioni in merito al sangue che gli scorreva nelle vene? Ma non si fidava di lui e dargli un’informazione del genere poteva essere pericoloso, quindi aveva scartato l’ipotesi.

Si buttò sul letto, sperando di riuscire a riposare un po’. Chiuse gli occhi. Gli tonò in mente una cosa che gli aveva detto Jessica parlandogli di un quadro, che lui giudicava orrendo, che lei stava dipingendo per il suo corso di Arte moderna: guardare delle forme astratte dava un senso di spaesamento, faceva pensare che non ci fosse armonia dell’opera, ma prima di negare che mancasse del tutto la bellezza che si andava ricercando, bisognava andare oltre. Forse doveva fare la stessa cosa pensando alla sua anima…

Il sonno si rifiutava di arrivare.

Arrivò invece una voce che non si aspettava di sentire: «Allora tu sei uno di quelli».

Sam scattò a sedere fissando l’uomo, comparso dal nulla tra un fruscio d’ali, che aveva parlato. Le iridi dorate di Gabriel e il suo sorriso sghembo non erano beffarde come al solito, ma sembrava semplicemente a suo agio nella penombra della stanza.

«So che aspettavi Morfeo, ma ti assicuro che io sono molto più affascinante!» proseguì l’angelo.

«Che ci fai qui? Non dovevi occuparti della tua ex amichetta?» chiese Sam.

Gabriel rimase sul vago: «È andata piuttosto male con quella e ho pensato di fare un salto a vedere come stavate».

Nessuno dei due parlò per un momento, poi Sam interruppe il silenzio con astio: «Che intendi dire con “uno di quelli”? Hai saputo del sangue di demone in me? Sono un abominio agli occhi di Dio e degli angeli?».

«Sei uno di quelli che, quando è molto agitato, non riesce a dormire!» rispose Gabriel dolcemente ignorando spudoratamente la parte relativa al sangue demoniaco; «C’è chi davanti a una decisione importante da prendere o per via di una situazione incresciosa, resta con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto anche tutta la notte. Nel primo caso, magari uno alla fine fa una scelta, più per stanchezza secondo me, ma nel secondo fa solo una cosa stupida. Non è che se stai sveglio ad arrovellarti la mente tu in qualche modo possa cambiare la situazione, Sam».

Sam lo guardò male e si scostò i capelli dalla faccia: «Sto accettando la cosa, ho tutto sotto controllo, posso gestirlo. Sto facendo il mio lavoro: caccio cose, salvo persone».

Gabriel si avvicinò, muovendosi attorno al letto e su se stesso come la Terra attorno al Sole, quasi come se danzasse: «Sai che gli arcangeli possono leggere nella mente degli uomini? E non servono i miei straordinari poteri per capire che non ti senti bene. Tuo fratello ti guarda come se ti dovessi frantumare da un momento all’altro e lui dovesse correre subito a rimettere insieme i cocci! Persino Castiel ha capito che c’è qualcosa che non va, il che è tutto dire delle tue capacità di recitazione!».

«Permettimi di dubitare della veridicità dell’ultima affermazione!» protestò Sam.

Gabriel continuò: «Secondo te chi mi ha chiesto di venire a vedere come stavate? Ho incrociato Cas in Paradiso e mi ha dato questa fantastica scusa per svignarmela. Non che non mi facesse piacere rivedere i tuoi begli occhioni piuttosto che stare con tutti i miei fratelli fuori di testa…

Sai, dovresti fare come Giuseppe di Nazaret, suppongo che tu abbia sentito parlare di lui. Si era ritrovato in una situazione piuttosto incresciosa: la sua promessa sposa era incinta e lui non l’aveva mai sfiorata. Non se la sentiva più di sposarla, ma ripudiarla avrebbe voluto dire condannarla a morte. E sai che fece? Si mise a dormire!».

«Magari aveva fede e sperava di trovare le cose miracolosamente risolte al proprio risveglio!» commentò Sam appoggiandosi con la schiena ai cuscini.

Gabriel rise: «In effetti andò quasi così: gli sono apparso in sogno e gli ho detto che poteva stare tranquillo a proposito dell’onestà della ragazza!».

«E a me cosa dirai?» domandò Sam.

Gabriel sembrò rifletterci su: «Potrei proporti di fare un salto con me a Hollywood dove potremmo folleggiare con delle affascinanti pornostar…».

«Senti, ti stai rivolgendo al Winchester sbagliato per queste cose… Io non pago per il sesso e in questo momento non ho nemmeno la forza per pensarci!» lo interruppe Sam con un mezzo sorriso a mascherare una smorfia di dolore: cercando una posizione comoda aveva tirato i punti.

Gabriel rise: «Ho detto pornostar, non prostitute!» poi lo guardò più attentamente e si accorse che la maglia aveva una piccola macchia di sangue. Sam fece per tirare su il lenzuolo, ma ormai era tardi.

«Sei rimasto ferito durante la caccia» era un’affermazione e, dato che a quanto pareva gli arcangeli avevano la seccante capacità di leggere la mente, Sam non perse tempo a negare; ma cercò di minimizzare: «È solo un graffio, ci ho pensato da solo».

«Perché non hai chiamato Cas per guarirti? Hai tendenze masochistiche di cui non sapevo nulla? Sai, non le trovo particolarmente interessanti, ci sono cose più divertenti e soddisfacenti!» chiese Gabriel con un tono che rivelava chiaramente quanto pensava che fosse stupido il suo atteggiamento.

Sam cercò di tirarsi indietro, ma il solido muro alle sue spalle gli impediva ogni possibilità di fuga.

«Lasceresti che facessi qualcosa per te?» chiese gentilmente Gabriel.

Sam poteva avere la testa dura, chiaro marchio di fabbrica Winchester, ma aveva anche una buona dose di buon senso, quindi annuì.

Gabriel si chinò verso di lui e gli sfiorò la tempia con una carezza gentile. Sam sentì che il dolore al ventre svaniva e, contemporaneamente, gli arrivò alle narici qualcosa di dolce: dall’angelo proveniva un qualcosa che sembrava l’essenza che dà gusto alle caramelle, un insieme di sfumature delicate e intense, con tonalità piccanti e morbide. Inspirò involontariamente e Gabriel ne fu compiaciuto e gli fece l’occhiolino: «Un giorno ti racconterò della mia passione per gli scherzi e i dolci!». Poi schioccò le dita: «Ma ora dormi!».

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Stavolta avevo varie idee e pochissimo tempo perché il lavoro mi sta tenendo molto impegnata, ma ho iniziato a scrivere e i personaggi mi hanno portato a questo!

Sam ha sempre minimizzato le sue ferite fisiche e anche quelle psicologiche (pensiamo a quando aveva le allucinazioni!), quindi mi sembrava il personaggio perfetto su cui incentrare la storia.

Non si sa se Jessica studiasse o meno, ma si vede nel primo episodio un tavolo con dei colori e non sono l’unica ad aver ipotizzato che studiasse qualcosa di artistico.

Per quanto riguarda il mostro, vorrei dire di aver avuto un’idea originale, ma ho semplicemente aperto a caso il Manuale dei mostri!

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Capitolo 21
*** Crazy together ***


 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

21/26 FOLIE A DEUX

 

1. "Come una danza, ci lasciamo guidare senza sapere dove l’altro ci porterà."

Descritta per la prima volta da LASEGUE e FALRET nel 1873. è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi psicotici, principalmente da deliri condivisi da due o più persone che hanno una relazione vicina ed intima; l’amore può portare a un superamento delle barriere delle reciproche identità, che può sconfinare nel patologico, nella ‘folie à deux’. Nei casi di suicidi di coppia ritroviamo tale sindrome.

Si tratta di un fenomeno quasi commovente, perché costituisce l’ultimo tentativo da parte di un individuo, nell’ambito di una relazione, di non «lasciar andare l’altro da solo nella sua follia», l’ultimo tentativo di salvare la relazione nel momento in cui uno dei due componenti della coppia perde il contatto con la realtà.

 

2. "You know, we made a hell of a team back there."

Due individui, non necessariamente assassini se presi singolarmente, trovano nell’altro non un complice occasionale, ma un partner con cui alimentare fantasie sempre più deliranti o violente, e poi metterle in pratica.

 

 

 

 

MANTI-LA SAL NATIONAL FOREST, UTAH

 

L’uomo si fermò nella piazzola di sosta e si guardò accuratamente intorno; in quel periodo dell’anno potevano esserci ancora parecchi turisti che sceglievano quella zona per campeggiare; non c’era traccia di anima viva e, soddisfatto, aprì il bagagliaio dell’auto. Era forte, per cui non ebbe alcuna difficoltà a estrarre il cadavere e trascinarlo in mezzo ai cespugli. Anche questo peccatore aveva rinunciato a ogni possibilità di redenzione, aveva preferito scegliere la strada più semplice per risolvere i suoi problemi, quindi non meritava di vivere. Uccidendolo aveva compiuto l’opera di Dio, che con i suoi doni gli aveva affidato. Lo guardò con disgusto, aprì un coltello a serramanico e gli incise profondamente una croce sulla fronte come monito per chiunque l’avrebbe trovato, poi gli voltò le spalle e se ne andò.

 

SIOUX FALLS, SUD DAKOTA

 

Dean e Sam erano tornati dalla caccia e sembrava che l’umore del più giovane si fosse stabilizzato; mancavano ancora un po’ di giorni alla luna piena ed Ellen passò a trovare il marito e a proporre loro un altro caso: «La Manti-La Sal National Forest nello Stato dello Utah è famosa per i suoi panorami incantevoli, la possibilità di fare meravigliose escursioni e per la pesca, ma negli ultimi tempi le vedette che dovrebbero avvistare gli incendi hanno messo gli occhi su cose ancora più spiacevoli: hanno trovato cinque uomini strangolati con una croce incisa sulla fronte».

Sam si mostrò molto interessato, ma dubbioso: «Se c’è solo una croce sulla fronte e nessun altro segno di eventi soprannaturali potrebbe essere anche un normale serial killer!».

«“Normale” e “serial killer” non dovrebbero stare nella stessa frase…» sputò tra i denti Bobby.

Ellen era pronta all’obiezione: «Ci avevo pensato anche io, ma poi Pamela, l’avete conosciuta se non sbaglio, mi ha detto che uno degli spiriti con cui ha parlato a proposito di questo caso ha detto che ha percepito dell’energia psichica in concomitanza degli omicidi e le ha dato un nome: Justin Emery».

«Potremmo andare a controllare…» propose Dean.

«Prendo l’acqua santa!» concluse Sam.

 

BURRVILLE, A POCA DISTANZA DALLA MANTI-LA SAL NATIONAL FOREST, UTAH

 

Sam e Dean si presentarono come agenti FBI alle guardie del parco, comprensibilmente agitate dopo il ritrovamento di un sesto cadavere. L’osservatore di incendi che aveva ritrovato l’ultimo faceva parte del 10% del personale femminile ed era giovane e molto attraente; Dean sfoggiò subito il suo miglior sorriso e Sam dovette schiarirsi la voce rumorosamente per fargli capire che no, non era il caso di provarci con una testimone.

Trovarono conferma di tutto quello che aveva già detto loro Ellen a proposito della croce incisa sulla fronte di morti. Scoprirono poi che Justin Emery era un cinquantenne vedovo, gestore di una pompa di benzina, che viveva nella città di Burrville a poca distanza dal parco. A quanto pareva, Justin non aveva rapporti conosciuti con nessuna delle vittime, ma era stato in cura per un certo periodo perché aveva sofferto di allucinazioni.

La polizia aveva le mani legate dalla complicata trama della legge e non poteva andare casa per casa senza indizi, ma Sam e Dean non avevano limiti e decisero di sorvegliare Justin. Scoprirono che viveva con la figlia quindicenne, Molly. Apparentemente non facevano una gran vita sociale, non che, secondo Dean, ce ne fosse una degna di questo nome in quel posto.

I due fratelli non erano fatti per passare infruttuose giornate in macchina in appostamento, quindi decisero per un approccio diretto e si recarono alla pompa di benzina; quando scesero, Justin venne loro incontro chiedendo se volessero il pieno. Sam rispose di sì. Per un momento l’uomo si irrigidì e i suoi occhi divennero vacui, come se stesse guardando lontano,e poi, come se nulla fosse successo, prese la pompa e aprì il serbatoio per fare benzina.

La sera stessa Sam stava rientrando nella camera che avevano affittato per passare la notte portando una busta con la cena, quando gli venne incontro quella che sapeva essere Molly Emery.

Lei sorrise accattivante: «Salve Sam. Io sono Molly».

Lui rispose guardingo: «Come sai il mio nome?».

Molly sorrise ancora: «Io ho un dono: so leggere la mente e vedo i desideri più profondi».

Sam non sapeva se credere o meno a quella strana ragazzina con una spruzzata di lentiggini sul naso e preferì non assecondarla, quindi restò in silenzio.

Lei proseguì: «So quello che tu vorresti: una vita normale! Senza mostri, senza caccia».

A questo punto Sam cominciò a sospettare che la storia del dono potesse essere vera: «Non lo nego, ma dubito che potrò mai averla».

Molly si avvicinò di un passo: «Io posso dartela, devi solo darmi in cambio una piccola cosa di cui non sentirai affatto la mancanza: la tua anima!».

Sam non perse più tempo: coprendo i suoi movimenti con la busta della spesa, lentamente estrasse dalla tasca la fiaschetta di acqua santa e la schizzò in faccia alla ragazza.

Lei rimase molto stupita dal gesto, ma non le successe nulla: l’acqua scivolò via dal suo viso senza bruciarla.

Justin sbucò da dietro l’angolo e contemporaneamente Dean aprì la porta con la pistola in pugno: aveva visto Sam arrivare e aveva ascoltato tutta la conversazione.

Sam gettò il resto del contenuto della fiaschetta addosso a Justin. Parimenti, non successe nulla.

Molly corse dietro a suo padre, cercando protezione, che guardò Sam con solennità: «Hai superato la prova, sei degno di vivere».

«Che cazzo dici?» chiese Dean senza smettere di puntare l’arma.

«Nella mia testa mi parlano gli angeli, ma in questo mondo vivo circondato dai demoni! Io vedo nella mente degli uomini: vedo chi hanno ucciso!» rivelò Justin, puntando gli occhi spiritati, che sembravano riflettere la scintilla di follia della voce, su Sam.

Sam si mosse a disagio: la sua lista di omicidi compiuti nel periodo in cui Dean era rimasto addormentato non era esattamente immacolata perché si era spinto davvero oltre per cercare di risvegliare il fratello.

Justin continuò: «Quando siete venuti al distributore ho avuto una visone di tuo fratello che permetteva fosse versato sangue innocente! Mi succede sempre: io guardo una persona e vedo il male che ha fatto. Ma do sempre una possibilità di redenzione a tutti: mando mia figlia a mettere alla prova coloro che devono essere redenti. Tutti gli uomini hanno dei desideri nel profondo del loro animo e lei ha il dono di vederli! Molly promette loro tutto quello che vogliono, in cambio della loro anima. Ovviamente né io né lei siamo in grado di esaudire questi desideri e non ce ne faremmo nulla di un’anima impura. Li mettiamo alla prova: se sono disposti ad accettare, allora vuol dire che non l’hanno superata. E se scelgono di rinunciare a tutto quello che potrebbe salvarli dalla perdizione e di proseguire sulla strada della dannazione non meritano di vivere!».

«Quindi, se Sam avesse accettato, avresti provato a ucciderlo» comprese Dean.

Era un’affermazione e l’uomo fu lieto di confermare: «Lo avrei fatto! La mia è una missione sacra e giusta! Sappi che tuo fratello è il primo che supera la prova: fino a ora mia figlia aveva convinto tutti».

«Chi credi di essere per giudicare gli altri?» domandò Sam.

«Qualcuno che sa che valore ha la propria anima!» rispose senza esitazione Justin.

«E hai coinvolto tua figlia in questa pagliacciata? È poco più che una bambina!» si infuriò Dean.

«Non è affar tuo, è una cosa di famiglia!» disse seccamente l’uomo.

Detto questo, se ne andò trascinando Molly con sé. Lo lasciarono andare: Dean considerò che sparare o iniziare una rissa di cui non avrebbe mai potuto spiegare le ragioni in un luogo dove potevano essere facilmente visti non fosse una buona idea e Sam non vedeva l’ora che se ne andasse per non dover approfondire la tematica «omicidi».

«Che cosa pensi che dovremmo fare? Questi due sono fuori di testa!» disse Dean esasperato.

«È una folie a deux… Anche se ha poteri psichici, Justin è un essere umano; ma non si può dire che non sia un mostro… Si è autodichiarato giudice e giustiziere; e quello che è peggio è che ha coinvolto la figlia in questa sua crociata contro il male!» rifletté Sam.

«Lasciamo che se la veda la polizia con loro» concluse Dean.

 

SIOUX FALLS, SUD DAKOTA

 

Erano tornati a casa di Bobby e Dean si stese sul cofano della sua Baby, appoggiandosi con cautela per non ammaccarla, accanto a Sam. Era piacevole, conclusa una caccia che era la meno sovrannaturale che avessero mai affrontato, sentire il motore ancora tiepido in contrasto con l’aria fresca sul viso. Bevve lentamente un sorso di birra e con la coda dell’occhio vide suo fratello fare lo stesso. Non riuscivano mai a ritagliarsi molti di quei momenti sereni, attimi di pace prima di ripiombare nel caos della loro vita di cacciatori, quindi aveva intenzione di goderselo fino in fondo, esattamente come assaporava quella birra, nemmeno fosse il whisky più pregiato.

Folie a deux… l’aveva già sentito quel termine che probabilmente Sam aveva ripescato dai sui studi legali o dalla sua passione per i serial killer…

Ripensò a quando erano ragazzi… lui aveva quattordici anni, Sam dieci… Avevano trascorso quella primavera a nord di New York; John stava dando la caccia a un rugaru, ma aveva deciso che era troppo pericoloso per i figli andare con lui e li aveva lasciati in un villaggio coi bungalow, coi tavoli da ping pong. Avrebbe dovuto tornarli a prendere dopo un paio di settimane, ma, scoprirono poi, era stato ferito molto gravemente e questo lo aveva messo al tappeto qualche giorno di troppo. Avevano finito i soldi che aveva lasciato loro, Sam aveva fame e allora Dean aveva provato a usare lo sconto speciale «mano lesta» al supermarket ed era stato beccato.

Era stato acciuffato da una guardia giurata che l’aveva portato dallo sceriffo locale; non ci avevano messo molto, grazie ai documenti forniti dalla scuola che stavano frequentando, a scoprire dell’esistenza di Sam e dove alloggiavano. Dato che il giudice era fuori a pesca, Dean era troppo giovane per la detenzione e Sam era troppo piccolo per stare solo, lo sceriffo aveva deciso che la soluzione migliore (anche per lui) fosse affidarli a una casa famiglia gestita da una brava donna che prendeva in affido temporaneo bambini, ragazzi e adolescenti.

Li avevano portati in una specie di fattoria carina, immersa nel verde; li aveva accolti una donna di colore di mezza età di nome Jane che sembrava l’incarnazione del senso pratico. Li aveva accompagnati in giro per la struttura, spiegando loro le regole: avrebbero impegnato il tempo studiando, facendo dei lavoretti nell’orto e imparando a essere disciplinati, finché non fossero riusciti a contattare il loro padre e avessero sistemato la questione del furto. Quando sentì Dean commentare: «Roba da sfigati», lo rassicurò sul fatto che fosse meglio che marcire in prigione.

John fu irrintracciabile per vari giorni e i ragazzi si adattarono sorprendentemente bene e in fretta alla nuova routine quotidiana: andavano a scuola, facevano i compiti, aiutavano nelle faccende e nell’orto. A Sam piaceva poter studiare in pace all’aria aperta e Dean era entusiasta di poter avere tre ottimi pasti al giorno; non avevano legato molto con nessuno; stavano sempre insieme, vivendo quasi in simbiosi, finendo spesso anche per condividere il letto la notte. Gli altri ragazzini dicevano che non era bello finire in comunità, perché voleva dire che non avevi una famiglia per bene come gli altri, ma Dean questo l’aveva capito da un pezzo: loro si spostavano da un posto all’altro di continuo, davano la caccia ai mostri! Si era sempre sentito diverso e questa sensazione se l’era sempre portata dentro; ma l’aveva accettata.

La pace finì quando uno dei ragazzi più grandi, un diciassettenne pericolosamente vicino a essere più largo che alto, prese di mira Sam; Dean non ci pensò su due volte le lo prese a pugni. A quel punto, Jane decise di convocare un professionista che parlasse con il ragazzo.

Il giorno dopo arrivò una giovane donna dal viso gentile in cui, dietro un paio di occhiali spessi, brillavano gli occhi più chiari che Sam e Dean avessero mai visto. Rimase a osservare per varie ore senza dire nulla, ma appuntando ogni tanto qualcosa su un quaderno e a metà pomeriggio disse che era pronta per un colloquio con Dean che, riluttante, la raggiunse sotto il portico.

Aveva disposto due sedie ai due lati adiacenti di un tavolino quadrato su cui era appoggiato un vassoio con dell’aranciata e due bicchieri.

«Ciao Dean. Sono la dottoressa Martin» esordì lei invitandolo ad accomodarsi.

Dean rispose poco a suo agio con un cenno del capo.

«Matt, il ragazzo che hai picchiato, starà presto meglio» tentò lei.

Dean non si sbilanciò: magari se stava zitto quello strazio finiva più in fretta.

Tentò ancora: «Sai, dice che l’hai preso alla sprovvista, mentre era distratto…».

Questa volta aveva fatto centro; Dean fece una smorfia divertita e non riuscì a resistere dal rispondere: «Grosso com’è, è lento come una lumaca!».

Sulle braccia del ragazzo aveva notato dei lividi; si stavano schiarendo e i bordi sfumavano già sul giallo, quindi dovevano avere settimane, ma la dottoressa Martin finse di non saperlo: «Quelli te li ha fatti Matt?».

«No, è stato un lupo mannaro!» rispose pronto Dean.

La dottoressa Martin pensò che si trovava davanti a un bugiardo provetto: nella voce non c’era alcuna inflessione divertita che rivelasse che era una battuta.

La dottoressa Martin cambiò posizione sulla sedia: «Non ti sto giudicando, ma ho trovato simboli esoterici incisi sul tuo letto e su quello di tuo fratello; vorrei sapere se sei per caso un appassionato di heavy metal o se credi nell’occulto».

Dean scosse la testa; si sentiva come se fosse seduto su una graticola: «È una storia lunga».

«Ha a che fare con il sale che tu e Samuel mettete davanti alla porta prima di dormire?» si informò lei.

«È una cosa di famiglia, non ne posso parlare!» rispose Dean incrociando le braccia sempre più a disagio.

«Con “famiglia” intendi tuo padre che al momento è irrintracciabile?» lo pungolò lei.

Dean si chiuse in un ostinato silenzio.

Immaginando che dal ragazzo non avrebbe ottenuto altro sull’argomento, la psicologa tentò un altro approccio: «Mi hanno detto perché sei qui. Essere affamati non è un crimine, ma rubare lo è e anche aggredire gli altri» osservò.

Dean alzò le spalle: «Dovevo proteggere Sammy da quel tizio».

Finalmente la dottoressa aveva trovato un appiglio: il modo affettuoso in cui aveva pronunciato il nomignolo del fratello: «Ho visto i disegni di Samuel. Dalla sua penna nascono un sacco di creature bizzarre: lupi mannari, zombie e altre cose che non riesco a definire. E ci sei tu che li uccidi tutti con tuo fratello felice al tuo fianco. Magari ha solo una fervida immaginazione, ma usa sempre toni così cupi…».

«Pensa che siamo fuori di testa? Sam è a posto! Io sono a posto!» quasi gridò Dean. Lui odiava gli strizzacervelli e questa tizia apparentemente amichevole con il suo irritante sorrisetto lo irritava particolarmente: da quando si era seduta non aveva ancora detto una cosa che avesse senso.

«Dormi bene Dean?» riprese la dottoressa.

«Come un bambino!» rispose ed era sincero perché da quando erano lì poteva riposare senza dover partire nel cuore della notte e senza essere svegliato da suo padre che tornava a un’ora imprecisata in uno stato imprecisato.

«Beh, grazie, abbiamo concluso, puoi andare» decise la dottoressa.

Lui non se lo fece ripetere due volte, era stato abbastanza strapazzato per i suoi gusti, si sentiva come se lo avessero portato a fare un giro dentro un frullatore.

Lasciato il ragazzo, la dottoressa Martin andò a cercare Jane, che era in cucina, intenta a preparare la cena. Si guardò intorno per essere certa che fossero sole, ma non si avvide che Dean si era nascosto sotto la finestra semiaperta e non si perdeva una sola parola.

«Jane, credo che dovremmo fare qualcosa. Dopo quello che mi hai detto e da quello che ho visto, ho rilevato nel rapporto tra il maggiore dei Winchester e suo fratello una pericolosa codipendenza, credo che un po’ di tempo separati gioverà a entrambi. Proporrei di affidare il più giovane a una famiglia, ho già in mente chi potrebbe occuparsene, sono una coppia in gamba che si prenderebbero molta cura di lui».

Jane alzò gli occhi dalle verdure che stava affettando: «Frena, frena! Come mai pensi di adottare questa misura, non è un po’ estrema? I ragazzi fanno a botte tra di loro di continuo!».

La Martin cercò di convincerla: «Non posso fare una diagnosi basandomi su una sola seduta e su un’osservazione così breve, ma i segnali di pericolo ci sono tutti. Una stretta e durevole relazione, accompagnata all’isolamento sociale e forse da una predisposizione genetico-biologica, può dare origine a un disturbo psicotico indotto, una folie a deux. Un soggetto che abbia già un disturbo psicotico può imporre gradualmente il suo sistema delirante a un altro soggetto, più fragile e inizialmente sano. Dean mostra sfiducia nel prossimo, tendenza all’isolamento, ostilità…»

«Ho capito la metà di quello che hai detto, ma credo che questa patologia ipotetica di Dean si chiami “adolescenza”!» la interruppe scettica Jane.

La Martin scosse la testa: «C’è di più: quei simboli esoterici, il fatto che abbia avuto la meglio su uno che era il doppio di lui e tutti quei lividi e cicatrici addosso non ti fanno pensare che abbia una terribile ossessione per l’occulto e che sia addestrato a combattere? Quando è teso porta istintivamente la mano dietro la schiena come se cercasse di prendere una pistola, come se fosse abituato a portarne una. E Samuel pende dalle sue labbra, sta interiorizzando ogni convinzione del fratello, lo venera quasi. Crede che i mostri siano reali e presenti nel mondo e che loro debbano combatterli! Dean sembra essere maturato fin troppo in fretta, è iperprotettivo e gli impedisce di crescere. Se la sua relazione con il fratello, che a dirla tutta mi sembra stia sfociando anche in una dimensione fin troppo fisica, venisse interrotta…».

«Va bene, ne sai più di me! Quanto dovrebbero stare separati?» si arrese Jane.

La dottoressa si affrettò a spiegare: «La terapia richiede di solito la separazione per un periodo di circa un anno. La riunificazione può essere tentata prima, a seconda della velocità con la quale il soggetto secondario recupera sanità e capacità critiche che gli consentano di resistere alla fusione psicologica con il soggetto primario. Il progresso può essere misurato osservando contatti periodici…».

A Dean si gelò il sangue nelle vene: nessuno avrebbe potuto portargli via Sammy, doveva occuparsi di lui, proteggerlo!

Quella notte stessa mise in pratica ogni grammo di astuzia che possedeva e a frutto ogni tecnica di fuga che il padre gli aveva insegnato per trascinare Sam via da quel posto. Si accoccolò accanto al fratello, ma finse solo di addormentarsi; a metà della notte scosse gentilmente Sam. Gli dispiaceva strapparlo dal sonno, sereno com’era con il suo respiro regolare quasi impercettibile, ma doveva farlo: «Sammy, svegliati, dobbiamo andare!».

«È tornato papà?» chiese sconsolato il bambino con la voce impastata dal sonno, ma aprendo subito gli occhi.

«No, ma non possiamo più restare!» spiegò Dean, facendogli una carezza sulla testa.

Sam protestò stringendosi nelle coperte: «Ma io non voglio andarmene, Dean! Qui sto bene, stiamo bene! Andiamo a scuola da tre settimane nello stesso posto, è quasi un record! Ancora non mi sto facendo degli amici perché ho davvero paura che dovremmo andarcene, ma ci sono un paio di ragazzi con cui mi piacerebbe chiacchierare!».

Dean mise un dito sulle sue labbra non per far tacere le sue proteste, ma per convincerlo ad abbassare la voce così da non essere scoperti: «Sammy, la strizzacervelli vuole darti in affidamento a una famiglia!».

«Magari sono brave persone! Non sarebbe male passare del tempo senza che tu vada a caccia di qualcosa! Potremmo imparare a giocare a baseball anziché a sparare col fucile! Ma tu verrai con me, vero?» domandò Sam allarmato ricordandosi però di abbassare la voce.

«No, Sammy, vuole separarci! Crede che io abbia una brutta influenza su di te» ammise amaramente Dean.

A Sam bastò e in un secondo fu in piedi, si vestì e raccolse le sue poche cose, mentre Dean recuperava un grimaldello per scassinare la porta d’ingresso; avrebbe seguito suo fratello ovunque fosse andato.

Ci misero vari giorni a raggiungere casa di Bobby (che quando li vide ebbe quasi un infarto, temendo che John fosse morto) e per far sapere al loro padre dove si trovavano, ma almeno erano rimasti insieme.

Da allora erano passati tanti anni.

Dean rilassò le spalle: quello era uno dei pochi momenti in cui non si sentiva un peso addosso; suo padre gli aveva inculcato in testa l’idea che solo lui poteva salvare il mondo (e se John avesse potuto vederlo, si sarebbe reso conto che in effetti ora era letteralmente così) e lui l’aveva interiorizzata fin troppo bene. I suoi bisogni erano sempre stati messi in secondo piano, a meno che non si trattasse di desideri effimeri come sesso e alcool per annebbiare la mente e non ricordare quanto la vita da cacciatore facesse schifo.

Ma prima del mondo era sempre venuto Sam. Dean l’aveva sempre protetto, forse anche troppo, questo doveva riconoscerlo, e quando Sam aveva cercato di scegliere una strada diversa, di costruirsi una vita propria, aveva sentito il proprio mondo spezzarsi in due. Il tentativo di normalità di Sam era sfociato in tragedia e lui non riusciva a rammaricarsi per questo.

Sam aveva sempre voluto una vita normale e, a quanto pareva, quello era ancora il suo desiderio più profondo. Dean si domandò, e forse non per l’ultima volta, se non era stato egoista quel giorno di tanti anni fa, quando forse suo fratello avrebbe potuto essere affidato a una famiglia, così come quando era andato a cercarlo a Stanford, strappandolo da una vita normale. Si chiese se non avrebbe fatto meglio a lasciare andare Sam, che avrebbe potuto vivere un’esistenza senza mostri, demoni, maledizioni e ferite. Ma anche senza di lui.

Non avevano scelto quel cammino, ma il destino l’aveva scelto per loro. Vivevano su una strada affrontando qualsiasi sfida, accadesse quello che accadesse, senza mai fermarsi perché ogni nuovo giorno portava con sé un nuovo orrore da combattere in modo che altri dormissero sonni tranquilli.

Forse era vero che la libertà era il requisito base dell’amore, eppure a volte per lui era molto difficile accettare di lasciare andare Sam. Non riusciva a fare i conti con la paura di non essere amato, di essere abbandonato, di restare solo: non era facile accettare il rischio che la libertà comportava. Com’era quella frase di un poeta inglese che lo avevano costretto a studiare? «Noi siamo ciascuno il nostro diavolo e rendiamo questo mondo il nostro inferno». Una frase del genere nella mente di uno che i demoni gli aveva visti davvero suonava strana.

Non aveva mai considerato che per lui avrebbe potuto esserci un’esistenza senza mostri, mai. Quello che gli era stato insegnato e che aveva imparato così bene era che doveva continuare a cacciare per salvare il maggior numero di persone possibili finché avrebbe avuto un po’ di fiato in corpo. Per Sam non era mai stato così: lui aveva sempre sperato che un giorno avrebbero potuto rendere il mondo un posto migliore e che avrebbero potuto fermarsi. Sam aveva sempre pensato di farcela, lui no, non credeva di averne il permesso. Facevano del bene ogni giorno insieme, ma nelle loro due diverse prospettive c’era tutta la differenza del mondo.

Non avrebbe mai affrontato quella vita senza suo fratello e avrebbe sempre fatto di tutto per tenerselo accanto.

Aveva fatto la scelta giusta per il motivo sbagliato? Il sorriso di suo fratello al suo fianco era l’unica risposta che gli importava avere.

 

 

BURRVILLE, UTAH

 

In seguito a una soffiata anonima (ovviamente fatta dai Winchester) che aveva indicato Justin Emery come autore degli omicidi, la polizia aveva perquisito la sua casa e rinvenuto un sacco di prove: le tracce di pneumatici della sua auto coincidevano con quelli ritrovati nei luoghi di abbandono dei cadaveri, in casa sua erano state rinvenute due corde usate per strangolare le vittime e il coltello con cui incideva la loro fronte e alla fine Justin Emery era stato arrestato con l’accusa di omicidio. Gli era stato immediatamente somministrato un trattamento sanitario obbligatorio; coi farmaci non aveva più le visioni. Privato di ciò che lo definiva, non poteva affrontare una realtà a cui non era abituato, quindi dopo un giorno si era tolto la vita, lasciando una lettera di addio alla figlia in cui la supplicava di lasciare questo mondo corrotto e seguirlo.

Molly Emery era stata ritenuta plagiata dal padre e affidata alle cure della zia materna che l’aveva accolta nella sua casa, nascondendole le ultime parole del padre e sorvegliandola attentamente.

Un giorno la ragazzina stava seduta sulla finestra con un libro aperto sulle ginocchia, sfogliando svogliatamente le pagine senza guardarle davvero. Il campanello della porta suonò, rompendo la monotonia della giornata, e gridò che sarebbe andata lei ad aprire.

Sulla soglia c’era un uomo di mezza età, con un completo nero molto elegante e una cravatta rossa. Le sorrise e le tese la mano: «Mi chiamo Crowley. Gestisco un’impresa che sto facendo crescere e sono sempre alla ricerca di persone talentuose da inserire nell’organico. Ho sentito molto parlare di te e mi è stato riferito che sei un’eccellente venditrice. Vuoi lavorare per me? Considera che tra i bonus offriamo l’eterna giovinezza!».

 

 

 


NdA

 

Ciao a tutti!

Stavolta ho fatto un piccolo esperimento, cercando di scrivere immaginando le scene in modo cinematografico, spero che siate riusciti a seguire i vari cambi di scena!

Per la parte coi due serial killer mi sono vagamente ispirata a Criminal minds, in particolare all’episodio 7x19.

Ho provato a mostrare la codipendenza di Sam e Den attraverso gli occhi di una psicologa che ovviamente non crede che i mostri siano reali e interpreta il loro rapporto come una folie a deux! Le mie conoscenze relative alla psicologia sono basate sulle mie ricerche in internet, quindi se ne sapete più di me e trovate delle cose che non vanno da un punto di vista medico, vi prego di segnalarmele!

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Se avete tempo, ogni commento è gradito!

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Capitolo 22
*** Snow flake ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

22/26 GHIACCIAIO

 

1) Accumulo naturale di ghiaccio in lento movimento, situato parte sopra (bacino collettore) e parte sotto il limite delle nevi persistenti (bacino ablatore); è dovuto alla trasformazione della neve in neve granulosa, poi in ghiaccio bolloso e, quindi, in ghiaccio compatto e trasparente.

2) L’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato (Paolo Cognetti)

 

 

 

Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini.

(Hermann Hesse)

 

 

Se ti chiami Winchester sei destinato a non avere mai pace e, se per una miracolosa congiunzione astrale i guai non ti vengono a cercare per un po’, te li vai a cercare da solo. Sam, fedele al suo proposito di salvare più vite possibile, aveva dato un’occhiata alle notizie strane che circolavano sul web per vedere se c’era qualcosa che si poteva classificare come «roba per loro»; trovò qualcosa di promettente in Wyoming. Un escursionista che aveva raggiunto il ghiacciaio Teton, una delle destinazioni preferite per gli scalatori, prima di sparire nel nulla, aveva postato sul suo profilo Facebook le foto di alcune impronte molto strane: sarebbero sembrate orme di lupo, se non fosse che erano grandi quasi tre volte la dimensione normale. Molti di quelli che commentavano pensavano fosse un fake, ma esperti veterinari avevano notato che le tracce avanzavano con uno spostamento rettilineo, tipico dei lupi al trotto che ponevano le zampe posteriori sulle orme delle zampe posteriori, che sarebbe stato piuttosto difficile da replicare. Aveva bisogno del parere di un esperto, quindi chiamò Garth; se dovevi avere a che fare con lui, era meglio che fosse per telefono perché aveva la mania di abbracciare tutti, ma tendeva a non controllare la sua forza e a stritolare i malcapitati. Era stato per molti anni un cacciatore solitario a cui era andato sempre tutto liscio finché un giorno era stato morso da un licantropo che l’aveva trasformato; sembrava gestire bene la sua nuova natura, aveva anche trovato una moglie (licantropo pure lei) e si nutriva di animali. Offriva consulenza ai cacciatori e ne gestiva i contatti, di sicuro avrebbe saputo dirgli qualcosa.

Sam andò a cercare Dean; lo trovò nella rimessa di Bobby intento a fare un po’ di manutenzione all’Impala; con lui c’era Castiel. Era sceso dal Paradiso con l’animo in pena per i suoi fratelli che si ammalavano sempre più numerosi e Sam lo aveva visto rodersi per il senso di impotenza e frustrazione derivato dal poter solo aspettare la luna piena, ma nella rimessa con Dean sembrava aver ritrovato un po’ di serenità.

Vedendo arrivare il fratello, Dean si pulì le mani su uno straccio, capendo che il tempo da dedicare a Baby era finito e Castiel salutò cordiale.

Sam andò dritto al punto: «Penso di aver trovato un caso. Ho scritto a Garth per chiedergli qualche consiglio». In quel momento il telefono squillò.

Sam rispose: «Parla Garth, ti metto in viva voce così sente anche Dean».

La voce allegra di Garth arrivò squillante: «Ciao ragazzi! Vorrei abbracciarvi! Allora, Sam, ho esaminato le foto delle impronte che hanno trovato sul ghiacciaio di Teton che mi hai mandato. Sono abbastanza sicuro che potrebbe trattarsi di un lupo invernale. Pensate di vedere un lupo dal pelo bianco, molto, molto, ma molto grande. Che può soffiare ghiaccio, è dotato di un morso che congela ed è perfettamente in grado di parlare».

«Come se volessimo farci conversazione!» sussurrò Dean a Cas.

Garth non lo sentì e proseguì: «Non se ne avvistano in quella zona dagli anni Venti. Il lupo invernale, quando deve riprodursi, si costruisce una tana sotto la neve di un ghiacciaio e va in una specie di letargo, in cui può restare anche un paio di secoli, e al risveglio partorisce».

«E questo soffre d’insonnia?» domandò Dean.

Garth stavolta sentì e rise: «Ne dubito! È probabile che sia per colpa di questo maledetto riscaldamento globale: il ghiacciaio ha perso il 20% della sua superficie negli ultimi 50 anni. Ora è poco più lungo 1 km e largo meno della metà. Temo che il ghiaccio si sia ritirato fino a scoprire la tana del lupo e la bestia si sia svegliata affamata e con dei cuccioli da nutrire».

«Grazie per le informazioni Garth, saluta Bess!» disse Sam chiudendo la telefonata.

«Quindi, Wyoming?» chiese Dean. Sam assentì.

Castiel mise una mano sulla spalla di Dean e a malincuore si congedò: «Vorrei restare, ma sono uno dei pochi che riesce a gestire gli angeli malati e che, a quanto pare, non si può riammalare e quindi devo tornare in Paradiso. Non conosco quel genere di bestia, ma per la mia esperienza di combattente, se il lupo ha un rapporto stretto col ghiaccio, è probabile che sia molto vulnerabile al fuoco».

«Staremo attenti, non siamo dei novellini» promise Dean.

I Winchester prepararono qualcosa in più rispetto a quello che di solito portavano: giacche a vento, guanti e berretti adatti al clima rigido, dei ramponi che chissà come Bobby aveva in cantina e un lanciafiamme (Sam sospettava che si trattasse di un residuato bellico della guerra che Bobby aveva rimesso a nuovo); così equipaggiati affrontarono le tredici ore di viaggio che avrebbero occupato tutta la notte.

Il ghiacciaio di Teton era molto vicino a Yellowstone, incastrato tra il Mont Owen, a ovest, e il Mont Teewinot, a nord, che svettavano nel cielo come le punte di una corona. Subito sotto c’era un anello verde brillante di foreste di pini e un lago chiamato Jenny che rifletteva il paesaggio fiabesco. Sembrava quasi che una nuvola si fosse addormentata su un cuscino verde e il freddo l’avesse congelata. Le foglie cadute a terra, tinte dei colori caldi dell’autunno inoltrato, in contrasto con la prima neve caduta, rendevano tutto estremamente suggestivo. Dean era il tipo che non si fermava a fare foto per immortalare un ricordo, nella sua vita sempre in movimento aveva accumulato troppe brutte memorie e aveva imparato a portarsi dietro solo l’essenziale, ma si fermò un momento restando a bocca aperta. Sam, invece, era il tipo che quando vedeva una cosa straordinaria si documentava; gli lesse ad alta voce le informazioni riportate su una brochure corredata di mappa dei sentieri che si era procurato: «Sai Dean, il nome del ghiacciaio Teton deriva dal francese e significa “grossa tetta”, anche se alcuni storici sostengono che fosse il nome di una tribù di Sioux».

«Questa è la prima grossa tetta che vedo da un bel po’, fa sempre piacere averci a che fare!» scherzò Dean.

Fermarono la macchina all’inizio del sentiero, che era ancora percorribile. Misero il lanciafiamme in quella che sembrava la busta di una tenda; Dean avrebbe voluto prendere anche delle molotov, ma Sam obiettò che probabilmente uno scoppio avrebbe potuto provocare una valanga. I ranger del parco che incrociarono raccomandarono loro di fare attenzione e spiegarono che le ricerche dell’escursionista disperso avevano dato esito infruttuoso e quindi erano state sospese.

Sam e Dean si mantenevano in forma con il lavoro che facevano, ma non erano abituati a inerpicarsi su sentieri di montagna: Dean sentiva tirare dei muscoli che non aveva mai saputo di avere e Sam si ripeteva mentalmente che non era più un ragazzino e che forse sarebbe stato meglio trovare un caso alle Hawaii. Il ghiaccio e la neve brillavano come se fossero polvere di diamante e rimpiansero di non avere degli occhiali da sole. Il vento li sferzava beffardo e gelido rendendo più faticosa la salita man mano che avanzavano tenendo le armi a portata di mano. Avevano stabilito di raggiungere un bivacco, una casetta di tronchi di legno, dove avrebbero passato la notte ed erano quasi arrivati quando videro una grande sagoma cangiante muoversi cautamente verso di loro. La lupa li fissò con i suoi sospettosi occhi dorati: quelli non le sembravano i soliti escursioni da cui generalmente si teneva alla larga, quindi potevano essere una minaccia; peggio per loro. Pelo ritto e orecchie tese all’indietro saltò in avanti per attaccarli; i due non si spaventarono, ma anzi si misero in guardia. Quello più grosso si mise a tirare fuori qualcosa da una sacca, mentre l’altro gli si parava davanti proteggendolo con la pistola puntata. La lupa cambiò direzione alla sua corsa, deviando dietro un tronco caduto.

«Fatti sotto bestiaccia!» la chiamò quello più basso.

Lei rispose con un ringhio basso e divertito: «Hai fretta di essere mangiato, umano? Non c’è molto da mettere sotto i denti su di te, cervi e orsi sono più succulenti, ma mi accontenterò visto che siete stati così gentili da venire a offrirvi come cena!».

Sam e Dean sapevano che poteva parlare, ma faceva comunque uno strano effetto.

Silenziosamente, approfittando della sua capacità di mimetizzarsi bene nella neve, la lupa li aggirò per prenderli alle spalle. Quando fu dietro di loro soffiò dalla bocca un turbine di ghiaccio: minuscole schegge appuntite colpirono i Winchester e Sam, che teneva pronto il lanciafiamme, reagì d’istinto puntandolo contro il getto freddo. Fiamme e ghiaccio si scontrarono, ma la lupa ebbe la peggio perché a un certo punto dovette smettere di soffiare per respirare; Dean ne approfittò per spararle, ma, anche se la colpì, non le causò ferite letali, vista la sua mole. Lei gli saltò addosso, addentandogli la spalla. Dean non sentì il dolore che si sarebbe aspettato, solo una stilettata gelida, e con tutta la sua forza estrasse il coltello che teneva al fianco e recise la gola del mostro. Fu inondato da una cascata di sangue caldo e quasi soffocato dal corpo che gli crollò sopra. Sam lo aiutò a uscire da sotto la bestia; sentì Dean tremare tra le sue braccia mentre il sangue disperdeva in fretta il suo calore nell’aria gelida.

«Dobbiamo raggiungere subito il bivacco» decise.

Ci misero pochi minuti, ma in quel tempo le labbra di Dean acquistarono una preoccupante sfumatura di blu. Sam lo trascinò dentro la capanna di legno; era una stanza quadrata con un camino in uno degli angoli, un tavolo con alcune sedie sopra e dei letti a castello su cui erano piegate delle coperte. Per prima cosa, Sam accese il fuoco; fortunatamente i ranger lasciavano molta legna per ogni evenienza e fece presto. Fece sedere Dean davanti al camino che spandeva già un bel calore e gli tolse i vestiti impregnati del sangue della lupa che sulla spalla si mischiava con quello di Dean. La ferita non era troppo profonda, i denti non avevano lesionato i vasi principali. Dean da principio aveva sentito una sorta di formicolio e poi di intorpidimento dove era stato morso, ma ora la spalla si stava gonfiando e stavano comparendo delle bolle. Provò a massaggiarsi, ma Sam lo fermò: «Così peggiori solo le cose! Ricordi cosa ha detto Garth? Il morso congela! Se sfreghi dove probabilmente c’è stata una vasocostrizione, ti provocherai delle lesioni! Ti devi riscaldare gradualmente!». Sam pulì in fretta la ferita, ci mese sopra delle garze e la fasciò; ai punti ci avrebbero pensato più tardi. Diede al fratello dei vestiti asciutti e lo avvolse nelle coperte del rifugio, dopotutto i Winchester erano abituati ai motel di infimo ordine, non storcevano il naso davanti a coperte ruvide, polverose e probabilmente usate; poi prese un barattolino di plastica dalla sua sacca, lo strinse con energia e lo agitò per un po’ prima di darglielo. Dean sorseggiò il contenuto e quasi si scottò le labbra. «Bevanda autoriscaldante!» spiegò Sam con un sorriso.

«Avrei preferito qualcosa di più forte!» bofonchiò Dean. Finita la bevanda, si stese a terra per stare più vicino al fuoco. Sam si mise dietro di lui in modo che il corpo del fratello rimanesse tra il suo e il calore delle fiamme. Quando erano piccoli ed era l’ora di dormire, Sam cercava sempre di trattenere Dean tra le braccia mentre gli dava la buonanotte perché non se ne andasse via dal suo letto, ma il fratello maggiore si divincolava divertito; una volta che era cresciuto e avrebbe avuto abbastanza forza per trattenerlo, non aveva più sentito la necessità di farlo, almeno non così spesso. Chissà se a suo fratello mancava quella piccola cerimonia?

Nonostante tutte queste attenzioni, Dean non sembrava riprendersi; la spalla cominciava a fargli un male tremendo. Forse il morso del lupo era più pericoloso di quello che credevano. Sam, sentendo Dean agitarsi, controllò di nuovo la ferita scostando le bende: la pelle stava diventando scura, non sembrava un buon segno.

«Dean, credo che dovremmo chiamare Cas…» suggerì.

Dean non sprecò fiato per obiettare e gridò: «Cas!».

L’angelo apparve subito e, resosi conto delle condizioni del ferito, si accostò e lo sfiorò. Impiegò un secondo a rimetterlo in sesto; una qualsiasi persona avrebbe sgridato Dean dicendogli che avrebbe potuto chiamarlo prima, ma Castiel era solo felice che stesse bene.

«Ora dovremmo cercare la tana della lupa, Garth ha detto che potrebbe avere dei cuccioli» ricordò Sam.

Seguire a ritroso le tracce della bestia sulla neve fresca fu molto semplice e arrivarono a una tana scavata nella neve; sembrava fosse vuota, ma poi videro un movimento e capirono che quello che avevano scambiato per un cumulo di neve era un candido cucciolo, che aveva ancora gli occhi semichiusi e non si reggeva ancora bene sulle zampe. Istintivamente, Sam entrò nella tana e lo prese. Col senno di poi, Dean capì che avrebbe dovuto sparargli subito perché quell’idiota di suo fratello, visto il modo in cui teneva il lupo, non sembrava affatto intenzionato a sbarazzarsene.

«Sammy, lo so che quel sacco di pulci sembra dolce e coccoloso…» cominciò Dean, cercando di evitare di guardare il piccolo che, sfortunatamente, ispirava davvero tenerezza, e concentrandosi sugli occhi di Sam. Il suo tentativo non sortì l’effetto di distacco desiderato perché suo fratello aveva lo sguardo da cucciolo più supplicante del suo campionario di sguardi.

Provò comunque a finire il discorso: «…ma non devi dimenticare che diventerà un grande mostro malvagio!».

«Grande sì, malvagio no. È un animale Dean, quindi tecnicamente…» intervenne Castiel.

«Ecco, vedi, lo dice anche Cas!» gongolò Sam stringendosi al petto il cucciolo e carezzandolo delicatamente. Le narici del piccolo cosino fremevano e cercava di spingere la testa verso la mano di Sam che gli accarezzò il nasino con un dito; il lupetto aprì la bocca attorno al dito del cacciatore.

«Ecco, vedi, è il suo istinto che gli dice di mangiarti!» accusò Dean, ma Sam rise: «Il suo istinto gli sta solo dicendo di succhiare il dito!».

«Sam, mettilo giù, non possiamo tenerlo!» esclamò Dean lapidario.

Ma Sam non aveva intenzione di cedere di un millimetro: «Ti ricordi di quando siamo passati da Flagstaff? Ci sono stato solo due settimane, vivevo di patatine e coca cola e so che tu hai dato di matto perché non mi trovavi più, ma è uno dei ricordi più belli che ho perché c’era Bones, il mio cane, che poi tu non mi hai permesso di tenere!».

Dean si passò la mano tra i capelli, schiumando di rabbia.

Cas provò a calmarlo: «Dean, non credo che quella di Sam sia una cattiva idea. Crescendo potrebbe diventare un amico e un utile alleato nella caccia. Il lupo dovrebbe diventare enorme, ma potremmo chiedere a Gabriel, che è molto potente e se la cava bene con le illusioni e la manipolazione della realtà, di ridimensionarlo».

Dean ci rimase davvero molto male: «Cas! Perché stai dalla sua parte?».

Castiel si avvicinò al cucciolo per carezzarlo: «Ha un pelo molto morbido! Dà una bella sensazione tra le dita. Capisco perché a voi umani piaccia avere degli amici pelosi».

Dean si rese conto che non aveva nessuna possibilità di farcela: «E comunque non ce lo voglio sui sedili della mia Baby!».

«Nessun problema: mi faccio portare a casa da Cas!» rispose piccato Sam, che poi si rivolse all’angelo: «Devo trovargli un nome!».

Dean odiava litigare con Sam e non aveva voglia di farsi il viaggio da solo, quindi si arrese. Cas li trasportò alla macchina e si accomodò sul sedile accanto a Dean, mentre Sam stava dietro con il cucciolo in braccio tranquillamente addormentato. Nessuno parlava e Dean rimuginava. Eccome se si ricordava di quelle tremende due settimane a Flagstaff. Era un ricordo estremamente nitido, cristallizzato nella sua mente: Sam era stato affidato a lui e l’aveva perso, lo aveva cercato ovunque e aveva creduto che fosse morto. Era quasi morto per lo spavento e quando l’aveva ritrovato illeso aveva tirato un sospiro di sollievo, ma lo aveva obbligato a sbarazzarsi del cane a cui si era affezionato. Dean aveva sempre cercato di tenere il fratello sotto controllo con una vigilanza quasi ossessiva su quello che faceva in qualsiasi momento, perché temeva che gli potesse capitare qualcosa di brutto, preoccupandosi della sua incolumità fisica e trascurando del tutto o quasi i suoi sentimenti. Lo aveva imprigionato tra i muri del suo amore egoistico, quando avrebbe dovuto semplicemente accoglierlo; aveva preteso e prevaricato quando invece avrebbe dovuto donare.

Sentì sciogliersi qualcosa dentro, come un fiocco di neve al sole. Forse non sarebbe bastata una parola pronunciata in fretta per curare le ferite o la delusione subite, ma Dean ci provò: «Zeppelin. Che ne dici?».

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Ho visto delle foto del ghiacciaio Teton e sono da mozzare il fiato!

Sam ha sempre amato i cani: ne ha avuto uno quando era piccolo (anche se solo per due settimane), di nome Bones, e un altro nell’anno in cui Dean era in Purgatorio (di cui non ricordo il nome) e ha sempre interagito bene con loro. Il lupo invernale è ispirato a un mostro di D&D; nonostante io ferisca i mie amati personaggi, non potevo far succedere qualcosa di brutto al cucciolo. A Sam piace GOT, quindi forse lui avrebbe potuto pensare a chiamarlo Spettro, ma Dean suggerisce Zeppelin (il nome che Jensen ha dato al suo bambino). Come potrei chiamarlo secondo voi?

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Capitolo 23
*** Sex ER ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

23/26 SESSO

 

1. I fatti e i fenomeni legati agli organi della riproduzione o del piacere, soprattutto per ciò che riguarda i rapporti sessuali e più genericam. la vita sessuale, la sessualità.

2. lett. Gli organi genitali, sia maschili che femminili.

 

 

Sam avrebbe volentieri scelto un nome diverso per il cucciolo, ma non voleva spegnere il lumicino fumigante di accettazione che Dean aveva manifestato, quindi concordò per Zeppelin. Dopo qualche ora che stavano viaggiando, il lupetto cominciò ad agitarsi e si fermarono in un grande supermercato specializzato in prodotti per animali a Powder River; sembravano davvero molto forniti: nel cortile c’erano esposte attrezzature di ogni tipo (gabbie di contenimento per il bestiame, recinti per cani, ecc.) e un cartello pubblicizzava persino un servizio di agopuntura per animali. Non badarono a spese (tanto usavano sempre carte di credito false) e presero biberon, latte in polvere, scalda biberon da auto, una cuccia morbida. Dean si divertì un mondo a scegliere un po’ di giochini che, se venivano stretti, facevano rumore; ne strizzò uno a un palmo dall’orecchio di Cas, che si riscosse stupito. Dean rise: «Con questo Zep si divertirà! Sai Cas, sembriamo proprio in Tre scapoli e un bebé!». Cas inclinò la testa confuso e Dean aggiunse: «Cas, sul serio, devi farti una cultura cinematografica!». Quando andarono a pagare, la cassiera si sciolse davanti al cucciolo tra le braccia di Sam: «Ma che amore! Quanto è dolce! È proprio fortunato ad avere un così bel papà che si prende cura di lui! E scommetto che crescerà e diventerà grande come lui! Già adesso sembra enorme!». Dean decise all’istante che lo avrebbe portato a spasso perché quel cosino peloso probabilmente era una calamita per rimorchiare belle ragazze. Sam, invece, si fece un appunto mentale: chiamare Gabriel per ridimensionare magicamente Zep quando sarebbero arrivati a Sioux Falls.

Bobby non fu entusiasta di avere una nuova bestiola per casa, disse che già Sam, Dean e Castiel sporcavano abbastanza per conto loro (probabilmente era ancora seccato dopo che Castiel aveva ridotto una camera da letto e il bagno a uno schifo quando era stato male), ma Ellen volle subito prendere in braccio Zep e procurò delle coperte, e delle cerate per insegnargli a fare i bisogni nello stesso posto. Visto che aveva la moglie contro, Bobby dovette adattarsi e rinunciò persino a protestare sullo spreco di coperte per un cucciolo che aveva un pelo folto ed era abituato a dormire nella neve.

Castiel contattò sulla radio angelica Gabriel, che rispose che sarebbe arrivato al più presto; i due fratelli si misero a sonnecchiare sul divano, esausti per il viaggio, mentre l’angelo intanto decise di seguire il suggerimento di Dean e farsi una cultura cinematografica, quindi accese il portatile del cacciatore.

Dopo un quarto d’ora, Dean fu svegliato da dei gemiti inequivocabili. Si guardò attorno, ma, prevedibilmente, non scorse nessuna donna in preda al turbine della passione: vide solo Cas che guardava con concentrazione lo schermo del computer.

Si azzardò a richiamare l’attenzione dell’angelo: «Cas…».

La voce di Cas arrivò ancora più roca del solito: «È molto complicato... Se il fattorino delle pizze ama davvero la babysitter, perché la sculaccia così forte? Forse lei ha fatto qualcosa di sbagliato…».

Dean non credeva alle sue orecchie: «Stai guardando un porno! Perché?».

«Mi hai detto di farmi una cultura cinematografica e questo film era qua» rispose Castiel con un’innocenza che faceva a pugni con il tono basso della sua voce.

«Non devi guardare un porno in una stanza piena di altri maschi! E non ne devi parlare! Spegni e basta!» ingiunse Dean.

«Perché?» chiese Castiel.

La risposta non tardò a manifestarsi: guardando in basso vide che il corpo del suo vessel stava reagendo; questa cosa, a quanto pareva, faceva arrossire parecchio Dean e ridacchiare Sam che, nel frattempo, si era svegliato.

In quel momento apparve Gabriel, che con uno sguardo abbracciò tutta la stanza e colse al volo la situazione: «Fratellino, stai guardando un porno?».

«Dean dice che non bisogna parlarne» si scusò Castiel.

Gabriel rise di gusto. Era estremamente contento di essere stato chiamato e non ci mise molto a sistemare il lupetto, che aveva già fatto fuori svariati biberon e stava accoccolato sereno tra le braccia di Sam, piuttosto restio a deporlo nella sua nuova cuccia. L’arcangelo non mostrò di aver fretta di sparire, anzi fece apparire un enorme quantitativo di dolci per tutti.

Dean approfittò subito per rimpinzarsi di torta di mele, una delle migliori che avesse mai assaggiato: «Ah, Gabriel, devo dire che con questa ti sei fatto perdonare!».

Gabriel, assottigliando lo sguardo, chiese tagliente: «Cosa dovrei farmi perdonare?».

«Questo casino è colpa tua perché non sai tenertelo nei pantaloni e non scegli le ragazze giuste!» commentò Dean alzandosi.

«Dove stai andando?» domandò Sam.

«A scegliere una ragazza giusta per questa sera, te l’ho detto che era un po’ che non ho a che fare con delle tette! E ne ho necessità!» ammiccò Dean.

«Avendo la possibile fine del mondo alle porte, credo che questo tuo problema sia secondario» mormorò Castiel, ma Dean lo ignorò; quello che provava era semplice desiderio, un bisogno ancestrale che ottenebrava la sua razionalità e in quelle situazioni si faceva guidare unicamente dai sensi, soddisfacendo qualsiasi istinto: se aveva fame, mangiava; se aveva voglia di bere, si ubriacava; se voleva del sesso, se lo andava a cercare.

Trovò fin troppo facilmente nel bar più vicino una ragazza che si fece ammaliare dal suo bel faccino e dai suoi modi accattivanti; non dovette nemmeno imbastire una storia credibile di successi lavorativi e sociali perché lei cercava esattamente quello che cercava lui, cioè una notte di sesso senza complicazioni. I sedili di Baby sarebbero serviti egregiamente allo scopo, non sarebbe stata né la prima, né l’ultima volta. Dopo un inizio languido, avevano dato il via alle danze; erano già al secondo giro e le cose si stavano facendo molto concitate, quando la ragazza si inarcò all’indietro… e Dean sentì distintamente un crack e un dolore istantaneo e tremendo si irradiò lungo il suo pene. Non riuscì a trattenersi dallo sputare fuori un grido che gli grattò la gola, lasciandolo senz’aria. La ragazza si spostò vivamente preoccupata: «Oh mio Dio, stai male?». Dean sentiva un dolore lancinante, strinse i denti e accese la luce del cruscotto per constatare i possibili danni: la cute sembrava perfettamente intatta, ma l’erezione era scemata. Dean cercò di fare lunghi respiri, ignorando la sensazione del sangue che affluiva al viso, scaldandogli le guance, ma il dolore persisteva e il pene cominciò a gonfiarsi. Non sembrava un buon segno.

La ragazza si rivestì in fretta e biascicò delle scuse affrettate: «Senti, forse ti conviene andare al pronto soccorso. Mi dispiace, ma io non ti posso accompagnare: il mio ragazzo fa l’infermiere, non è il caso che mi veda con te!».

«Mi basta avere il pene rotto, grazie, non vorrei che un ragazzo geloso decidesse anche di farmi il culo!» pensò Dean, certo che in quelle condizioni non sarebbe riuscito a difendersi, ma le fece solo un cenno sbrigativo.

Guidare fino al pronto soccorso fu difficilissimo: sentiva il sudore freddo colargli lungo le tempie e trovava impossibile tenere le gambe aperte e quindi era complicato arrivare bene ai pedali, ma per fortuna si trattava di percorrere pochi chilometri. Probabilmente non sarebbe stato in grado di fare un metro in più, quando entrò nel pronto soccorso barcollando.

Il medico di guardia lo visitò sommariamente e gli disse di stare tranquillo; gli fece una puntura diuretica e gli diede degli analgesici, assicurando che tutto si sarebbe rimesso a posto. Ma dopo una mezz’ora il pene assunse un colore scuro violaceo che, insieme al rigonfiamento, lo faceva sembrare proprio una melanzana. Fu chiamato immediatamente un urologo che, dopo un attento esame ecografico, sentenziò: «Frattura del pene: ci sono due rotture del corpo cavernoso destro per 14 mm e 2 mm».

«Frattura? Ma il pene non è un osso!» disse Dean sconvolto. Il dolore era leggermente diminuito grazie ai farmaci, ma era decisamente troppo alto per i suoi gusti e localizzato in un punto molto scomodo e delicato; aveva persino fatto fatica a sopportare la lieve pressione dell’ecografo.

Il medico si profuse in spiegazioni: «Si chiama frattura del pene un trauma dell’organo che consiste nella rottura della tonaca albuginea dei corpi cavernosi. Può avvenire durante un rapporto sessuale associato a una eccessiva rigidità del pene, nella maggior parte dei casi indotta farmacologicamente. Ha per caso preso del Viagra?».

«Hey, il mio coso sta su da solo senza bisogno di prendere nulla!» ribatté offeso Dean.

«Ci sono vari fattori di rischio: relazione occasionale, rapporti sessuali avuti in luoghi non comuni, correlati a posizioni anomale…» continuò il medico con sguardo inquisitore.

«Si può sapere perché ti vuoi fare i cazzi miei? Ho conosciuto una, e me la sono fatta sul sedile posteriore della macchina! Che cosa dovrebbe esserci di strano?» Dean era molto arrabbiato, non tanto col medico, ma per via della situazione: a casa aveva a portata di mano non uno, ma addirittura due angeli che avrebbero potuto sistemarlo con uno schiocco di dita o un tocco, ma lui se ne stava cocciutamente lì a patire le pene dell’inferno perché sostanzialmente si vergognava di raccontare quello che era successo: cosa avrebbe detto Gabriel dopo che lui per primo lo aveva preso in giro?

Il medico scrisse qualcosa e continuò a indagare: «La signorina stava sopra?».

«Sì, come una fottuta amazzone!» ammise Dean.

«Uno stato di curvatura preesistente può chiaramente essere predisponente...» proseguì il medico senza dargli tregua.

Se avesse potuto, Dean avrebbe infilato la testa sotto il cuscino: «Non è il mio caso, era bello dritto!».

Poi aggiunse, con una punta di panico: «Lasci perdere queste domande… Tornerò come prima?».

Il medico chiuse la cartella su cui aveva preso appunti: «Beh, faremo il possibile. Lei è stato fortunato perché, almeno, non ha subito la rottura dell’uretra peniena. Ora dovremmo operarla per riparare la lesione. Se non lo facessimo, potrebbe esitare in curvature peniene e in deficit erettile permanente. La avviso che molto probabilmente dovremmo anche circonciderla. E poi dovrà stare in astinenza totale, evitando delle erezioni per almeno 45 giorni. Inoltre, dovrà fare dei controlli per prevenire postumi cicatriziali».

Dean rimase solo; era fottuto, ma fottuto sul serio. Stava annaspando in un cocktail dei peggiori incubi maschili. Era proprio il colmo: affrontava demoni e bestiacce di ogni genere ogni singolo giorno ed era finito al pronto soccorso per una semplice scopata! Doveva scendere a patti con il suo orgoglio: dopotutto, cazzo gliene fregava, la cosa importante era che il suo pene tornasse a posto!

Pregare era l’ultima delle sue opzioni, ma probabilmente anche la più sensata: «Cas, ho bisogno di te…».

L’angelo apparve subito; si guardò intorno e comprese di trovarsi in un ospedale. La visione di Dean nel letto con il viso sempre bello, ma distorto dal dolore, lo gelò un istante e lo spinse subito ad andargli appresso: «Dean, ma cosa… Sei ferito?».

Dean deglutì e poi quasi supplicò: «Diciamo di sì… Cas, sto davvero male! Fai qualcosa!».

L’angelo era preoccupatissimo e cercò di rintracciare sul corpo traumi evidenti: «Cosa è successo? Hai combattuto?».

«Non era esattamente un combattimento…» iniziò Dean fregando le mani sudate sulle lenzuola.

Cas, non trovando indizi sulla parte del corpo rimasta scoperta, fece per sollevare il camice del paziente, ma il cacciatore lo fermò afferrandogli il braccio con un certo imbarazzo, ma con decisione: «Non potresti limitarti a guarirmi e a farmi sparire in fretta?».

Cas corrugò la fronte e gli sfiorò la tempia; le dita trasmisero una sensazione fresca, come quella che lascia una brezza leggera, il dolore sembrò riassorbirsi in se stesso e Dean gemette di sollievo. Controllò immediatamente la situazione: senza badare alla presenza di Cas, sollevò il camice e constatò che andava tutto alla grande! Niente ematomi, niente gonfiore, era tutto intero! La vergogna arrivò dopo, quando scorse gli occhi blu di Cas, che sbirciavano sotto la stoffa ed erano accesi di un luccichio ben più interessato di quello che avevano davanti al porno.

Dean tossicchiò, si ricompose, poi si alzò, si rimise in fretta i vestiti che erano stati abbandonati su una sedia accanto e sgusciò fuori dall’ospedale, seguito da Cas, cercando di passare inosservato: una guarigione miracolosa sarebbe stata difficile da spiegare. Non temeva di essere rintracciato, visto che aveva dato un falso numero di previdenza sociale.

Cas non sparì in un fruscio d’ali, ma prese posto accanto a lui sull’Impala. Non fece domande (e Dean sperò ardentemente che continuasse a portare avanti la linea del silenzio sulla questione anche con gli altri), si limitò a stargli accanto, una presenza confortante che trasmetteva sicurezza, che gli faceva capire che sarebbe sempre venuto ogni volta che Dean avesse chiamato, che ci sarebbe sempre stato. Quando arrivarono a casa di Bobby, prima di scendere dall’auto lo inchiodò con uno dei suoi sguardi magnetici: «Dean… la prossima volta, chiamami subito se hai una qualsiasi necessità».

Fu solo quando si fu buttato sul letto ed ebbe chiuso gli occhi, un attimo prima di abbandonarsi al sonno, che Dean si chiese che cosa avesse inteso di preciso Cas.

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Credo che un incidente durante il sesso fosse molto consono al prompt, mio marito ha definito il capitolo «agghiacciante per qualsiasi uomo», ma spero che vi sia piaciuto!

Il servizio di agopuntura per animali non l’ho inventato, l’ho trovato davvero in internet ed era troppo assurdo per non scriverlo!

Quando si parla di sesso, non si può non descrivere la scena di Cas che guarda il porno! Immagino che abbiate colto anche il riferimento all’amazzone e alla frase che pronuncia Dean quando chiama Cas!

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Capitolo 24
*** Through the looking glass ***


 

Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

24/26 MEMORIA

 

1. La memoria può essere paragonata a un enorme magazzino all’interno del quale l’individuo può conservare tracce della propria esperienza passata, cui attingere per riuscire ad affrontare situazioni di vita presente e futura. Tale archivio non ha caratteristiche statiche e passive ma può essere definito come un costruttore attivo di rappresentazioni sul mondo (Tomei, 2017).

2.«Anche l’uomo con la più scarsa memoria ricorda tutto quello che vorrebbe dimenticare.» (Badiale)

 

 

Dean stava sognando, non c’era altra spiegazione. Si trovava in uno strip club, un locale con una certa classe, sui toni del rosso delle tende di velluto, immerso nei chiaroscuri dei giochi di luce e illuminato dai lampi riflessi dai lustrini dei costumi. Era l’unico cliente e sul palco davanti a lui si esibivano due ballerini: una provocante ragazza con un costume da diavoletto e… Castiel! Diversamente dal solito, aveva la cravatta slacciata che penzolava ai lati del colletto della camicia con i primi due bottoni aperti; fece scivolare l’onnipresente trench giù dalle spalle mentre gli si avvicinò e gli sussurrò: «Dean. Mi hai chiamato. Hai qualche necessità?».

Dean si svegliò con il cuore che batteva molto più in fretta di come avrebbe dovuto dopo una notte di riposo, sperando che quella visione sconvolgente diventasse in breve tempo solo uno di quei sogni vaghi che si scordano appena si prende coscienza; ma, anche mentre si sciacquava energicamente il viso, non riuscì a lavare via dalla mente quelle immagini.

Entrò in cucina per fare colazione, si sedette accanto a Sam, che aveva già fatto il caffè e stava dando il biberon con il latte a Zep che lo guardava con dolci occhioni azzurri, e seppellì la testa in una tazza di cereali. Mentre la voce di Bobby, che già di prima mattina sbraitava con qualcuno al telefono, arrivava dal salotto, Castiel fece capolino un po’ titubante dalla porta; Dean lo salutò con un «Buongiorno sunshine! Vuoi del caffè?» e con sgomento si rese conto che Ellen era evidentemente riuscita a convincere Cas a togliere il trench e la cravatta mentre era in casa, il che rendeva la sua figura simile in modo inquietante a quella del sogno.

Castiel rifiutò di mangiare e prese il cucciolo dalle braccia di Sam per permettere al cacciatore di fare colazione tranquillamente; al lupetto piaceva l’angelo: gli leccava le dita e scodinzolava di continuo, uggiolando felice.

Fece la sua comparsa anche Gabriel, che reggeva un vassoio di pasticcini; prese posto accanto a Sam e si rivolse a Dean con un ampio e ammiccante sorriso: «Allora, Dean… hai trovato la compagnia giusta ieri sera?».

Dean quasi si strozzò con una cucchiaiata di cereali, ma fu dispensato dal rispondere dal suono del campanello alla porta; Cas era l’unico in piedi, quindi passò Zep a Gabriel e andò ad aprire. Ritornò poco dopo con un pacco stretto tra le mani: «Un corriere mi ha dato questo per Bobby».

Dean disse qualcosa con la bocca piena che l’angelo decifrò come: «Portaglielo», così andò nel salotto; Bobby era ancora al telefono e stava prendendo appunti, quindi gli fece cenno di aprirlo. Cas si rigirò il pacchetto in mano e cominciò a strappare la carta. Uscì fuori un piccolo specchio rotondo in una cornice di legno. Quando vide il suo riflesso sulla superficie argentea, si sentì come risucchiare dentro: non riuscì più a stringere l’oggetto che sembrò affondare dentro la sua mano e cadere oltre. Nel momento in cui toccò il pavimento, dallo specchio esplose come un’onda d’urto che si propagò attorno. Bobby per un momento smise di parlare, ma poi proseguì la conversazione. Castiel si ritrovò intrappolato in quella che sembrava una luminosa prigione di specchi. Provò a concentrarsi e a chiamare Gabriel con la mente, ma era come se i suoi poteri fossero sopiti. Strinse i pugni, del tutto destabilizzato.

Una voce di donna, molto seccata, parlò come se si rivolgesse più a se stessa che all’angelo: «Non era questo che avevo previsto!».

Castiel si voltò e vide una donna pallida, bellissima, con lunghi capelli neri che sembravano dotati di vita propria e si muovevano come le onde del mare attorno al suo corpo sinuoso. Gli occhi erano, se possibile, ancora più scuri, ma animati da una fiamma pericolosa, una di quelle che consuma e non scalda.

Fece un sorriso storto: «Non hai idea di chi io sia, vero? Dovresti tremare al mio cospetto! Sono la dea Mictecacihuatl!».

Castiel si limitò ad alzare il mento in segno di sfida.

Lei si mosse rimirando la propria immagine da uno specchio all’altro della prigione di vetro: «Lo specchio è un oggetto molto potente, ma può risucchiare una sola persona! Era per il vecchio cacciatore questa trappola! Lui è l’unico in grado di fare la pozione per curare quelli della tua razza, angelo! Se avessi messo fuori combattimento lui, mi sarei assicurata senza sforzo la vittoria».

«Sono felice che il tuo piano sia fallito! E sappi che Dean e Sam mi verranno a cercare!» le disse Castiel.

Le labbra della dea si arricciarono ancora di più e la sua bellezza si distorse in qualcosa di orribile: sembrava che la pelle tirata sulle ossa evidenziasse più che coprire il cranio. Toccò uno specchio e Castiel vide l’immagine dell’interno della casa di Bobby: Gabriel era sparito e Dean e Sam finivano di fare colazione. La voce falsamente dolce della dea era compiaciuta: «Oh, no, temo che non lo faranno! Vedi, questa è una prigione molto speciale: lo specchio ti ha risucchiato qui insieme a ogni memoria che di te hanno gli altri! Come possono cercare qualcuno che non ricordano?».

Castiel si lanciò contro lo specchio che resse l’urto e poi si voltò a fronteggiare la dea. Lei pigramente mosse un dito e una forza invisibile lo scaraventò contro la parete che aveva alle spalle. Si rialzò dolorante e lei gli si avvicinò; sembrava una pantera, elegante e letale, pronta a giocare con la sua preda. Gli prese i capelli tirandogli indietro il capo e lo costrinse ad alzare la testa e a guardare i suoi amici.

 

***

 

Bobby entrò in cucina con un piccolo specchio rotondo in una cornice di legno; «Ellen!» chiamò. Lei lo raggiunse.

«Era sul pavimento in salotto, è roba tua?» domandò mostrandole lo specchio.

Lei lo prese e fece scorrere un dito sulla cornice di legno: era intagliata con un rozzo decoro di piccoli teschi e ossa e aveva un’aria terribilmente antica. Lo restituì al marito: «Ti sembra che mi piaccia questa roba?».

«Forse è di Sam, gli deve essere caduto!» scherzò Dean per nulla preoccupato dallo strano oggetto: Bobby aveva in casa cose piuttosto bizzarre e probabilmente nemmeno lui aveva mai fatto un inventario.

«O magari è di qualcuna delle ragazze che frequenti!» rimbeccò Sam. Poi aggiunse: «Dai, andiamo a far fare una passeggiata a Zep!».

Mentre prendevano le giacche, si accorsero che sull’attaccapanni c’era un trench da uomo: Dean lo toccò. Gli dava una strana sensazione, sembrava in un certo qual modo familiare, ma non riusciva a ricordare dove lo avesse visto. Era troppo corto per essere di Sam, troppo stretto per appartenere a Bobby; a lui sarebbe andato bene, ma non era decisamente il genere di cosa che avrebbe indossato nemmeno quando si vestiva da federale. Dalla tasca sbucava una cravatta blu. Per un momento fissò quel colore e la sensazione che si stesse perdendo qualcosa tornò: era come se stesse fissando la striscia blu di un arcobaleno, percepisse il colore, ma non il confine con quello seguente. Nella sua mente c’era qualcosa che sfumava senza soluzione di continuità, senza dargli una visione chiara.

«Qualcosa non va…?» chiese Sam e suonava allo stesso tempo sia come un’affermazione che come una domanda. Anche lui sentiva che qualcosa non quadrava e reagì come il suo temperamento lo portava a fare, cioè cercando informazioni. Lo specchio trovato da Bobby non lo convinceva affatto, quindi, dopo aver portato Zep fuori, si mise a fare ricerche con Dean che lo guardava da sopra la spalla. La prima cosa che vide aprendo lo schermo del laptop fu un fermo immagine di quello che indubbiamente era un porno.

«Dean! Seriamente? Ma non puoi chiudere le finestre dopo che hai guardato qualcosa?» brontolò disgustato.

«Lo faccio sempre Sam!» ribatté Dean. E tornò ancora la sensazione che ci fosse qualcosa che gli stava sfuggendo.

Visto che ogni ricerca in internet si rivelò infruttuosa, Dean pensò di chiamare Pam: se c’era qualcuno che poteva avere un’idea di qualcosa che loro non riuscivano a percepire era lei.

 

***

 

Castiel si divincolò dalla presa ferrea della dea, che rimase con una ciocca di capelli tra le dita e un’espressione sorpresa dipinta sul volto perché pochi osavano ribellarsi a lei; dalla manica della camicia l’angelo fece scivolare fuori la sua lama (al trench poteva rinunciare, alla sua arma no) e si mise in posizione di attacco.

«Piccolo essere inferiore, come osi…» stava dicendo, ma Castiel approfittò del fatto che la dea si compiacesse nel sentire la propria voce e menò un fendente. Riuscì a raggiungerla al braccio, lasciandola ferita e molto arrabbiata. Per la frustrazione, Mictecacihuatl lo sollevò con il suo potere, sbattendolo avanti e indietro su tutte le pareti. Se Castiel avesse avuto un po’ di fantasia, avrebbe pensato di somigliare molto a una pallina da tennis che viene spedita contro un muro da una racchetta sgarbata. Quando la dea smise di strapazzarlo, l’angelo sentì che le ossa del suo contenitore si erano spezzate più velocemente di quanto la grazia fosse riuscita a curarle, che i muscoli che non avevano retto gli urti e che il sangue colava dal naso, ma si rialzò: «Sam e Dean hanno bisogno di me e io ti combatterò finché non mi lascerai andare!». La dea aveva sottovalutato la forza dell’angelo e soprattutto la sua determinazione: «Ho cose più importanti da fare che stare qui con te! Devo preparare una battaglia!». E ciò detto, ferita e stanca di quel prigioniero troppo combattivo, svanì, lasciandolo solo.

Castiel si trascinò verso lo specchio. Non riusciva a credere di essere solo, completamente solo e dimenticato da tutti. Era peggio che essere morto! Se fosse stato ucciso, una parte di lui sarebbe rimasta viva nel ricordo di quanti lo avevano conosciuto, ma così la sua intera esistenza con tutto ciò che poteva aver significato veniva dissolta.

I sentimenti per Castiel erano sempre stati un mistero e, anche ora che piano piano avevano cominciato a svelarglisi attraverso la vicinanza degli uomini, soprattutto di Dean, continuavano a restare un mistero: un enigma poteva essere risolto con l’intelletto una volta per tutte, ma più ci si addentrava in un mistero, più si rimaneva coinvolti. Quello che sentiva era un dolore terribile, infinitamente peggiore delle ferite fisiche che aveva subito. Si sentiva in trappola, avrebbe voluto uscire per aiutare i suoi amici, ma non sapeva come fare.

 

***

 

Pam, la veggente, arrivò dopo qualche ora, dicendo che non faceva visite a domicilio di solito, ma per vedere i loro bei faccini avrebbe fatto un’eccezione. Si accomodò a un tavolo e tirò fuori un mazzo di tarocchi: «Ho provato a contattare gli spiriti, ma non dicono nulla di chiaro, sembrano confusi; quindi, visto che volete capire la situazione, questi sono la sola cosa che può servire allo scopo!». Sam, Bobby, Ellen e Dean e Pam si sedettero a un tavolo.

Pam mescolò le carte: «Ora voi non sapete cosa cercate, quindi liberate la mente».

«Dean non avrà problemi, la sua mente è sempre prodigiosamente vuota!» mormorò Sam.

Pam rise di gusto: «Ora mescolerò il mazzo e uno di voi estrarrà una carta. Poi ripeteremo la stessa operazione con gli altri».

Nonostante il mazzo fosse mescolato più volte, estrassero tutti la medesima carta che raffigurava un immenso angelo: il Giudizio.

Pam era perplessa: «Questo Arcano ci chiama a una nuova vita. Ci dice che non è mai troppo tardi per ricominciare, non è mai troppo tardi per rinascere. Bisogna rispondere alla chiamata, seguire la propria vocazione, rimettersi sul giusto sentiero di vita. Ma è impossibile che valga per tutti voi!».

Era come se ci fossero un gran numero di tessere di un puzzle sparse in giro per la casa che formavano nella mente di Dean un’immagine di cui riusciva a cogliere i particolari, ma non la visione di insieme. Aveva tentato di riordinare gli indizi nella speranza di ricomporre qualcosa che avesse senso, ma la sua mente sembrava incapace di raccogliere tutte le informazioni necessarie; gli sembrava di boccheggiare, che i suoi polmoni non fossero in grado di riempirsi di tutta l’aria necessaria. Poi, guardando la carta, gli venne un’idea: «E se lo interpretassimo in senso più letterale? È un angelo!».

Pam assentì con interesse: «Credo che tu possa aver ragione…».

Dean non si trattenne dal commentare col fratello: «Chi è che ha la mente prodigiosamente vuota?».

«Dobbiamo concentrarci su di te, Dean» decise Pam e fece scegliere a Dean una serie di carte. Le studiò per un po’, poi diede loro il responso: «La Papessa, la Morte, il Bagatto, la Stella, il Giudizio di nuovo. Avete una nemica potente che ha fatto qualcosa a un angelo che è molto vicino a voi».

«Quella dea azteca del cazzo non è una novità!» esclamò Dean.

«L’angelo potrebbe essere Gabriel?» chiese Sam.

«No, le carte indicano che è qualcuno in qualche modo distante» rispose Pam.

«Le carte dicono altro?» si spazientì Bobby.

Pam indicò l’ultima carta sul tavolo: «La Torre! Rappresenta il cambiamento improvviso o la distruzione imprevista e repentina».

«Quindi dobbiamo distruggere qualcosa?» chiese Dean.

«Io voto per distruggere quello specchio! Da quando è saltato fuori ci sentiamo strani» propose Sam.

Se la giocarono a sasso, carta e forbice e toccò a Sam.

«Sono sette anni di guai…» commentò Dean.

«Ci siamo abituati!» sorrise Sam, prese un martello e lo fece ricadere sullo specchio che, dopo il terzo colpo, andò in frantumi.

Fu come essere investiti da un’ondata di calore e tutti gli spazi vuoti nella loro mente tornarono a posto. Davanti a loro apparve Cas, con gli abiti sgualciti e il viso coperto di sangue. Dean non disse nulla e lo abbracciò. Castiel si ricordò, come gli aveva insegnato Sam, che l’abbraccio andava ricambiato. Avrebbe dovuto provare dolore nella stretta dell’amico viste le sue condizioni, invece si sentì bene, dimenticò completamente i muscoli indolenziti. Percepiva il calore e sentiva di non essere più solo. I sentimenti umani per Castiel erano sempre un mistero, ma stava cominciando a capire che non si poteva penetrare dall’esterno con violenza in un mistero: le sue porte si aprivano dall’interno perché le emozioni prendevano dimora dove le si lasciava entrare; aveva capito che un abbraccio non erano solo corpi uniti, ma anime che si fondevano inscindibilmente.

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Come vedete ci ho messo più tempo ad aggiornare perché dopo aver descritto nei capitoli precedenti vari ricordi, una perdita di memoria, un miracoloso dono di una memoria prodigiosa con questo prompt onestamente non sapevo che pesci pigliare per essere originale. Forse è il capitolo di cui sono meno soddisfatta e l'ho scritto in fretta e furia, ma ho pensato che avesse senso che la dea cercasse di fermare i nostri eroi che vogliono sventare il suo piano malvagio e poi era ora che anche Castiel si beccasse la sua parte di h/c.

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Ringrazio chi legge e chi ha la bontà di lasciarmi il suo pensiero!

 

 


 

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Capitolo 25
*** Hell's Bells ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

25/26 ANNI OTTANTA

 

1. «Gli anni Ottanta sono come i jeans: non sono mai di tendenza, ma sono sempre alla moda. Ovvero, il ruggente decennio delle spalline e dei capelli cotonati è un evergreen in ogni sua sfumatura, dall’abbigliamento all’immaginario che lo caratterizza, che continua a piacere e a influenzare i giorni nostri» (Cecilia Esposito - TV Sorrisi e Canzoni)

 

2. «Mi verrebbe da dire che sia il nostro tempo sia i nostri giochi erano senza regole: avevamo dei tempi lunghissimi e vuoti, riempiti solo dall’ozio, quello vero, e dei brevissimi e zeppi di esperienze nuove e interessanti, se non eccitanti, di giochi di fantasia, come cercare le immagini più diverse nella sinuosità delle nuvole del cielo, e di giochi pratici, come confrontare gli attributi sessuali mentre facevamo la pipì.

Un giorno catturavamo le rane, un altro rubavamo le ciliegie, calpestavamo le ortiche, facevamo a botte per finta. Facevamo insomma tutto quanto potevamo fare, compresi i salti nei pagliai e le corse lungo le capezzagne fiorite. Pensavamo tutto quanto potevamo pensare, senza ordine particolare, senza altro scopo se non quello di escogitare qualcosa di nuovo, di azzardato, senza sapere perché. Stavamo semplicemente crescendo, come alberi, come le erbe nei prati» (Casa Ranuzzi - G. Franzoni)

 

 

 

 

 

 

Mictecacihuatl era fuori di sé per la rabbia: da quando aveva scoperto che un gruppo di cacciatori stava cercando di guarire gli angeli recuperando ingredienti per una pozione, aveva cercato di fermarli. Ma non solo una casualità aveva fatto prendere una direzione imprevista alle sue manovre, ma quell’angelo cocciuto l’aveva ferita (quanto odiava quella specie!) e i suoi amici, quei Dean e Sam che aveva nominato, erano riusciti a liberarlo! Doveva inventare qualcosa di risolutivo, qualcosa che eliminasse il problema alla radice… Pensando a questo le venne un’idea: quegli umani erano organizzati e preparati, ma probabilmente sarebbe stato più facile farli fuori quando ancora erano piccoli e indifesi. Avrebbe mandato qualcuno dotato di grandi capacità nel passato, un necromante di nome Aradris, che era al suo servizio da secoli, letteralmente; lui avrebbe sistemato una volta per tutte la questione.

 

***

 

La grazia di Cas lo guarì in breve tempo e lui riferì agli altri che la dea si stava preparando a muovere un’offensiva contro di loro. Ben sapendo che affrontare una dea non era una cosa da poco e che probabilmente difficilmente sarebbero sopravvissuti, ognuno la prese in modo diverso: Ellen chiamò sua figlia Jo e le disse che le voleva bene. Sam si mise in braccio Zep e cominciò a leggere le ultime pagine di Good omens, un libro che aveva scovato in una libreria e l’aveva incuriosito perché era dedicato al demone Crowley; si stava chiedendo se Agnes Nutter fosse davvero esistita e se Terry Pratchett non avesse deciso di fare uno scherzo a tutti raccontando una cosa vera, magari era un profeta. Dean afferrò per un braccio Cas, lo trascinò in cucina e aprì un paio di birre: «Domani faremo la pozione, sarà pericoloso… sarebbe il momento di mangiare, bere e fare baldoria!». Dean aveva scoperto con orrore che Castiel reggeva l’alcool molto meglio di lui; per un fugace momento quando l’angelo aveva detto: «Forse comincio a sentire qualcosa!», aveva sperato che si fosse finalmente ubriacato, ma poi, volendo evitare di fare la figura di Gimli con Legolas, disse che era meglio se uscivano a sedersi sul cofano della sua Impala con un’ultima birra. Accese la radio e mise dentro una cassetta degli AC/DC: «Senti, Cas? La rabbia e la potenza dell’heavy metal su delle basi blues, tipiche dell’hard/rock! Questa è l’unica musica che merita di essere ascoltata!»

All’inizio della canzone, una campana a morto scandiva il ritmo lento, quasi maestoso, che andava in crescendo. I toni cupi, quasi infernali, conferivano una grande intensità alla musica potente, graffiante nel cantato.

«Questo Cas è un brano che ricorda il cantante del gruppo, Bon Scott. Alcuni critici hanno accusato il gruppo di satanismo per via del testo della canzone. Cazzate, secondo me si divertivano solo a fare i cattivi». Fece una pausa, poi riprese: «Pensi che rischiamo di sentirle per davvero, le Hell’s Bells, e di sentire solo quelle per il resto dei nostri giorni?».

Stavolta Castiel capì cosa volesse dire ed evitò di puntualizzare che all’Inferno non c’erano campane; gli si avvicinò tanto che Dean poteva sentire il suo respiro sulla pelle mentre lo guardava con intensità e chiedeva: «Dopo tutto quello che hai fatto, pensi di non meritare di essere salvato, di non meritare il Paradiso, Dean?».

Furono interrotti da Bobby che li chiamò a raccolta: «Forza ragazzi, venite qui in casa!».

Bobby si era messo ad armeggiare con il contenuto di uno scaffale e aveva montato un cavalletto su cui pose una macchina fotografica.

Ellen alzò gli occhi al cielo e Dean protestò: «Bobby, nessuno vuole fare una foto ricordo!».

«Silenzio, stai bevendo la mia birra! Avrò bisogno di qualcosa che mi ricordi le vostre facce da deficienti» rispose il vecchio.

«Bobby ha ragione, potrebbe essere la nostra ultima notte sulla terra e sarebbe bello che, se qualcuno non ce la facesse, i sopravvissuti potessero avere un ricordo» intervenne Castiel, fresco dell’esperienza di essere stato dimenticato.

Bobby li fece mettere in posa, programmò l’autoscatto e il flash li accecò per un istante.

Mentre aiutava Bobby a riporre l’attrezzatura, Sam vide che c’era un mazzo di vecchie foto tenute insieme con un elastico. Le prese in mano e le scorse; sorrise riconoscendo Bobby da giovane al braccio della sua prima moglie, Bobby insieme al suo vecchio amico Rufus, una giovane ragazza bionda che identificò con l’attrice Tori Spelling… e poi si soffermò su una in particolare: era ingiallita dagli anni e aveva un angolo piegato. C’erano suo padre, lui e Dean seduti sul cofano dell’Impala in una giornata di sole. John lo teneva in braccio, stringendolo con entrambe le braccia in una morsa dolce quanto ferrea, quasi temesse che qualcuno avrebbe potuto portarglielo via e sorrideva sereno come raramente lo aveva visto fare. Dean era di fianco con l’espressione stirata, tipica dei bambini a cui si dice di mettersi in posa. Potevano avere al massimo sei e dieci anni. Bobby seguì lo sguardo di Sam e commentò la foto: «Anche questa l’ho scattata io! Avevamo preso un colpo, io e John! Non abbiamo mai capito perché, ma un figlio di puttana aveva cercato di farvi fuori! C’è mancato un pelo, ma tuo padre l’ha sistemato! Poi è venuto qui da me e siete rimasti un paio di settimane, intanto che John guariva da una ferita alla spalla».

 

***

 

2 settembre 1989

 

Aradris non era stato molto entusiasta dell’incarico: gli anni Ottanta erano uno dei periodi che aveva detestato di più con i sintetizzatori, i vestiti con le spalline e quegli orrendi tagli di capelli. Era abituato a manipolare la vita e la morte, ma giocare con il tempo lo spaventava: il tempo era il più antico dei tessitori di trame misteriose e il più imperscrutabile. Interferire con esso era pericoloso, ma gli ordini di Mictecacihuatl non si discutevano e quindi tornò nel settembre 1989 per uccidere Sam e Dean Winchester. Per sua sfortuna, non era affatto semplice trovarli: il loro padre si spostava continuamente da un posto all’altro cacciando ogni genere di mostri e si trascinava dietro i mocciosi. Quindi, Aradris decise di mettere le mani sul primo cacciatore che avesse incrociato la sua strada per domandagli con le cattive dove poteva trovare John Winchester e i suoi figli. Gli sarebbe bastato avvicinarsi abbastanza per poter fare un preciso incantesimo di localizzazione a corto raggio.

 

***

 

John Winchester era di buon umore. Stava guidando in direzione dello Stato di Washington dove sembrava ci fossero degli skinwalker, dopo aver eliminato un covo di vampiri in Montana (la sua esperienza con il napalm nella guerra del Vietnam si era rivelata utile), e aveva appena inserito nella radio una cassetta con Rock you like a hurricane degli Scorpios, una delle canzoni che era uscita qualche anno prima e che aveva adorato al primo ascolto. I suoi figli, seduti sui sedili posteriori, canticchiavano il ritornello. Si fermò a fare rifornimento e ne approfittò per chiamare Bobby per vedere se confermava le voci sugli skinwalker. Bobby era molto agitato: «John, lascia perdere gli skinwalker! Potresti avere un problema molto più serio. C’è un tizio che ha già fatto fuori un paio di cacciatori. Chiede espressamente di te e dei ragazzi, vuole scoprire dove sei. E quando uno non gli dà la risposta che desidera, lo brucia. Rufus è riuscito a scamparla e mi ha avvisato».

John ringraziò Bobby per l’informazione, fece tappa in un supermercato a comprare un po’ di provviste e si fermò nel motel più isolato e fuori mano che trovò nel raggio di venti miglia, dove prese una stanza per lasciare i suoi bambini mentre regolava le faccende con questo tizio. Fece promettere al figlio maggiore che avrebbe badato al fratellino e che non si sarebbero mossi dalla camera, assicurandogli che sarebbe tornato presto. Soprattutto si raccomandò che non andassero nel boschetto dietro al motel.

Quella era la prima volta che restavano da soli e sul momento Dean si era sentito molto fiero per questo incarico importante che gli era stato affidato e aveva cercato di svolgerlo al meglio: aveva preparato la cena (due specie di hamburger che aveva fatto cuocere in una padella riuscendo a non bruciarli) e aveva controllato che Sam si facesse la doccia.

Visto che non c’era il loro severo padre che si comportava sempre come un sergente istruttore pronto a farli esercitare di continuo, imparando mosse di autodifesa o come fare i nodi, passarono del tempo in modo molto spensierato guardando la tv e scrutando il cielo dalla finestra, cercando di immaginare delle forme nelle nuvole. Dei bambini normali avrebbero immaginato cani, pesci, gelati, ma Dean ci vedeva skinwalker, coltelli a serramanico o fantasmi, anche se evitava di dirlo a Sam.

Col passare del tempo non sapeva davvero come tenere occupato il fratellino: quel bambino era troppo sveglio, troppo curioso e faceva una quantità di domande che avrebbero messo alla prova anche la pazienza di un santo, figurarsi la sua. Sam era sempre stato un bambino tranquillo, ma ora cominciava a chiedere perché dovevano sempre spargere sale ovunque andassero, non vedeva più solo il lato divertente della cosa. E poi aveva mille paure. Quella sera, prima di andare a letto prese una manica del fratello: «Dean, ho paura di dormire da solo: sotto il letto potrebbe esserci un mostro!».

Dean rispose comprensivo: «Non c’è nessun mostro». E ne era assolutamente certo perché aveva controllato sotto il letto, anche se era una precauzione superflua perché il loro papà aveva inciso sulla porta vari sigilli che impedivano a varie entità sovrannaturali di entrare. Ancora per un po’ voleva cercare di nascondere la verità a Sam, cioè che i mostri esistevano, ma non gli avrebbero fatto del male perché il loro papà non l’avrebbe permesso; il loro papà era un supereroe che li combatteva ed era il migliore.

«Ma se qualcuno viene a farci del male?» continuò Sam.

Dean sbuffò: «Ci sono io a proteggerti!».

Sam non sembrava molto convinto, quindi Dean lo guardò con fare cospiratorio: «Se racconti a papà anche solo una virgola di quello che sto per dirti, ti uccido» e tirò fuori da sotto il cuscino una pistola.

«Papà mi ha insegnato a usarla l’anno scorso, vedi, non devi aver paura!» spiegò.

Sam sembrò tranquillizzarsi un po’, ma poi chiese: «Perché papà non è qui?».

«Sono sicuro che sarebbe qui, se avesse potuto, ma aveva del lavoro da sbrigare» rispose evasivo Dean.

«Io ho ancora paura che ci siano i mostri, posso dormire con te Dean?» insistette Sam, quasi con le lacrime agli occhi.

Dean cedeva sempre; da quando suo padre gli aveva messo in braccio il fagottino di sei mesi aveva consacrato la sua vita e la sua anima a proteggere il fratello, sia da quelli che erano i pericoli reali, che da quelli immaginari. Gli fece posto accanto a sé e Sam si asciugò gli occhi e si infilò tra le coperte, stringendosi al fratello. Dean gli carezzò la testa: «Quando ti sveglierai starai meglio, te lo prometto!».

Rimase sveglio mentre sentiva il respiro di Sam farsi più leggero, poi si rilassò e chiuse gli occhi, non immaginando che nella notte oscura c’era qualcuno che stava venendo per loro. Aradris aveva messo a frutto le sue informazioni e si muoveva con passo sicuro verso il motel. Con tutti i suoi poteri, avrebbe potuto evocare uno stuolo di non morti per aiutarlo, ma gli sembrava non fosse necessario: poteva occuparsi da solo di due mocciosetti e di un cacciatore alle prime armi.

Era passata da un pezzo la mezzanotte, quando Dean sentì qualcuno armeggiare con la serratura della porta. Portò la mano sotto il cuscino, stringendo l’impugnatura della pistola. Una figura si stagliò nella cornice della porta e Dean trasse un sospiro di sollievo perché anche nella pallida luce della luna aveva riconosciuto suo padre.

John entrò nella stanza tenendosi la spalla: la ferita era superficiale, ma faceva un male cane, soprattutto perché aveva dovuto trascinare il corpo del tizio nel boschetto dietro il motel, dove aveva scavato una buca dentro cui aveva bruciato il cadavere. Non si era allontanato molto e aveva pattugliato la zona come un lupo che sorveglia la tana dove stanno i suoi cuccioli, finché non aveva visto un losco figuro avvicinarsi e lo aveva sentito borbottare a bassa voce quello che indubbiamente era un incantesimo di localizzazione. Il fumo che si levava dal bastoncino di incenso che il figlio di puttana teneva in mano si era mosso contro vento verso di lui e a quel punto non aveva esitato: aveva mirato alla testa e aveva premuto il grilletto della pistola su cui aveva montato un silenziatore. Era stato veloce, ma non abbastanza perché lo stregone, o quello che era, aveva fatto in tempo a lanciargli un incantesimo che lo aveva preso alla spalla destra.

Probabilmente non avrebbe avuto bisogno di un medico, ma qualche punto di sutura gli avrebbe permesso di guarire più in fretta. Dean si alzò e andò verso suo padre, trattenendosi a stento dal lanciarsi tra le sue braccia. Lo scontro si era svolto in fretta, ma, come dopo ogni caccia, John si sentiva emotivamente e fisicamente distrutto. Dean gli mise la mano sulla spalla, lo guardò dritto negli occhi e disse piano per non svegliare Sam: «Va tutto bene papà». A John si strinse il cuore: non avrebbe dovuto essere il suo bambino a dirlo, avrebbe dovuto essere lui a rassicurare Dean, ma riuscì solo a fare un mezzo sorriso.

Si mise a sedere e chiese al figlio di portargli del whisky e il kit del pronto soccorso; bevve una dose generosa di liquido ambrato e ne usò molto meno per disinfettare la ferita, poi prese l’ago ricurvo che Dean aveva preparato con del filo e lo avvicinò alla spalla. Ricucirsi con la sinistra non sarebbe stato semplice. Dean si fece avanti e chiese: «Vuoi che faccia io?». John fece ceno di sì, dopotutto lo aveva fatto allenare su delle braciole di maiale apposta in previsione di un momento come questo. La mano del bambino sorprendentemente non tremava e spinse l’ago contro la pelle della spalla, scalfendone però solo la superficie; non era una timorosa esitazione, ma solo l’inesperienza che lo aveva fatto agire con troppa poca forza. La dolorosa lentezza esasperante con cui mise il primo punto rischiò di far urlare John, ma con i tre successivi andò meglio. Alla fine non venne un lavoro molto pulito e di sicuro sarebbe rimasta una cicatrice evidente, ma a John non importava: «Quando sarai più grande ti porterò con me e un giorno cacceremo anche con Sam e ci occuperemo di queste dannate cose insieme, immagino che saremo più forti come famiglia». Il bambino sorrise, andò a lavarsi le mani dal sangue e tornò nel letto accanto al fratellino, che si mosse nel sonno rannicchiandosi contro di lui.

John li guardò, uniti come due calamite e inconsapevoli che quella sera era quasi morto di paura al pensiero che avesse potuto capitare loro qualcosa; erano tutto quello che aveva, se non si considerava la sua vendetta… ma per quella non provava amore. Anche Dean chiuse gli occhi, spossato. Non per la prima e nemmeno per l’ultima volta, John pensò che aveva messo troppo peso sulle sue spalle, lo aveva fatto crescere troppo in fretta. E Dean si era preso cura di Sammy e si prendeva cura addirittura di lui. E non si era mai lamentato. Forse un giorno sarebbe riuscito a dirgli quanto era orgoglioso.

 

 

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

I viaggi nel tempo sono una cosa molto delicata e nella mia storia non esistono paradossi temporali, nemmeno una dea può cambiare il passato. Quello che si può fare è cambiare il futuro con le proprie azioni.

John non avrebbe mai potuto vincere il titolo di padre dell’anno, ma ha fatto del suo meglio con i figli e di sicuro ha sempre cercato di proteggerli; è un personaggio che ho sempre amato molto, spero di avergli reso giustizia.

La foto che vede Sam è quella che compare nel pilot (ho finalmente iniziato il rewatch!).

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Ringrazio chi legge e chi ha la bontà di lasciarmi il suo pensiero!

 

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Capitolo 26
*** The walking dead ***


Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart. 26 prompts challenge

 

26/26 EQUIVOCO

1.
aggettivo
Di espressione verbale o atteggiamento che si presti a essere interpretata in più modi
"parlare in modo e."

2.
sostantivo maschile
Errore di valutazione o di interpretazione provocato da uno scambio fortuito di elementi: giocare sull’e, dare a intendere una cosa per un’altra.

 

 

Lo sceriffo Jody Mills detestava cordialmente Bobby Singer. Ormai erano più di dieci anni che non lo arrestava per qualche ragione (ubriachezza molesta, disturbo della quiete pubblica, frode postale), ma era certa che questo dipendesse dal fatto che il vecchio ubriacone si era fatto più furbo, ma di sicuro non aveva smesso con le sue attività illecite. Negli ultimi tempi lo stava sorvegliando con discrezione: era normale vedere sua moglie Ellen che veniva a trovarlo ogni tanto dal Nebraska dove gestiva un bar con una reputazione tutt’altro che immacolata, ma c’erano un paio di ragazzi che facevano avanti e indietro da casa sua su un’Impala del ’67 con targa del Kansas. Aveva fatto un po’ di controlli sulla targa e risultavano multe in tutto il Paese e, a quanto pareva, la persona a cui era intestata, un certo John Winchester, sembrava essere scomparsa da anni. Finché non avevano combinato guai nella sua città, Jody aveva chiuso un occhio, ma ora era il momento di aprirli per bene entrambi.

E stavano succedendo un po’ di altre cose fuori dell’ordinario… Prima di tutto, l’ufficio postale aveva smistato vari pacchi dal dubbio contenuto per Bobby Singer; uno era un grosso ordine di liquore, e di questo Jody non si stupiva, ma altri erano etichettati come «piante e fiori» e le possibilità che il vecchio avesse deciso di dedicarsi al giardinaggio erano davvero scarse. Un altro strano acquisto di Bobby era una fornitura di sale sufficiente per l’intera città per un anno.

Inoltre, erano arrivate anche delle armi: il possesso di armi da fuoco in Sud Dakota era vietato per coloro che avevano una storia di problemi di alcool. Sfortunatamente però, essere arrestati non equivaleva a essere condannati, quindi Bobby Singer poteva legalmente comprare tutte le armi che voleva.

Infine, quel giorno cominciava a esserci un certo via vai di persone: una giovane ragazza bionda, un uomo robusto con un camper scassato e il suo vice aveva fermato per un controllo un uomo di colore, che aveva mostrato un documento su cui spiccava il nome di «Luther Vandross», mentre lei, che amava la musica soul e il gospel, era sicura che quando lo aveva intercettato qualche anno prima si fosse presentato come «Ruben Studdard».

Bobby Singer stava tramando qualcosa di losco, Jody ne era certa. E non avrebbe potuto avere un tempismo peggiore: proprio quel giovedì era venuta a trovarla la sua amica Donna Hanscum. Si erano conosciute un paio di anni prima a un ritiro per sceriffi del Minnesota-Sud Dakota a Hibbing, a cui Jody aveva creduto non sarebbe sopravvissuta, prima per la noia e poi perché c’erano state varie vittime di attacchi animali ritrovate completamente divorate fino all’osso. Lo sceriffo locale, Cuse, aveva avuto i nervi a fior di pelle per la situazione, ma né le buone maniere che Jody aveva lasciato a casa, né i tragici ritrovamenti di cadavere erano riusciti a sconvolgere quel raggio di sole che era Donna. Erano arrivate un paio di guardie forestali che erano riuscite a sistemare la faccenda, ma a Donna era rimasto sempre qualche dubbio: andava a caccia fin da quando poteva imbracciare un mini fucile e, nonostante la sua esperienza, non era riuscita a capire da cosa fossero state morse le vittime. Le aveva confidato che c’era un’altra cosa su cui continuava a scervellarsi: le capitava di pensare che ci fosse qualcosa là fuori, cose che non finivano nei registri della polizia. Era abbastanza lontana e forse si era sbagliata, sicuramente si era sbagliata secondo Jody, ma credeva di aver di aver visto lo sceriffo Cuse che spalancava una bocca piena di denti come uno squalo. Jody la prendeva ancora in giro per questo.

Jody sospirò: non avrebbe voluto coinvolgere Donna, ma doveva andare a dare un’occhiata all’officina Singer. Come era prevedibile, Donna si mostrò entusiasta di dare una mano!

Lasciarono l’auto fuori dalla proprietà di Bobby ed entrarono nascondendosi dietro le auto abbandonate; procedendo basse per non farsi notare, arrivarono esattamente davanti alla casa di Bobby, evitando per un soffio di essere scoperte, e si appostarono in attesa di vedere cosa stava succedendo. C’erano Bobby, Ellen, la biondina appena arrivata1 che stava scaricando vari fucili dalla sua auto, l’uomo di colore che usava pseudonimi di cantanti2 che aveva una pistola al fianco che non sfuggì agli acuti occhi delle due sceriffe, i due ragazzi dell’Impala (il più alto teneva in braccio un cucciolo di cane che sembrava un soffice piumino e l’altro giocava con un coltello),3 un uomo che indossava un trench stropicciato4 e il tizio grande e grosso col camper.5 Gli ultimi non sembravano visibilmente armati, ma non potevano esserne sicure.

Ellen urlava contro la giovane ragazza bionda: «Joanna Beth Harvelle, cosa hai intenzione di fare?».

Lei alzò il mento in segno di sfida e incrociò le braccia: «Pensi che mi faccia da parte nel momento del pericolo?».

Bobby cercava di calmarla: «Ellen, sono settimane che ci prepariamo per questo giorno! Stasera ci sarà la luna piena e quella stronza ha capito perfettamente cosa stiamo facendo e di sicuro ci attaccherà, mandandoci addosso un sacco dei suoi subalterni! Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile e Jo è perfettamente addestrata a combattere!».

Jody si chiese se «quella stronza» fosse riferito a lei e si dispiacque di non aver capito assolutamente quello che stava succedendo. Vide farsi avanti l’uomo con il trench: «Ho molta esperienza di combattimento, quindi permettete che vi dia un consiglio. Nell’arte della guerra si distingue tra strategia e tattica. Combattere strategicamente vuol dire prendere possesso di una posizione: dall’assalto ai castelli alle battaglie campali, lo scopo era conquistare un territorio. La strategia è la logica bellica di chi è forte e potente. La tattica è, invece, la migliore opzione di chi non ha risorse, di chi è più debole e non avrebbe nessuna speranza in campo aperto. Per questo fissa obiettivi minimi, coglie l’occasione buona».

Intervenne il tizio alto coi capelli lunghi: «Tipo come nella guerra del Vietnam: nonostante a un certo punto gli USA avessero praticamente occupato tutto il territorio, sono stati sconfitti dalla tattica di guerriglia operata dalle forze nemiche, che impedivano di gestire lo spazio occupato».

Il tizio si compiacque: «Esattamente, Sam!».

«Come nel football!» disse l’altro ragazzo che sembrava essersi sentito pungere sul vivo.

Il tizio con il trench lo guardò incerto e il ragazzo sbuffò: «Lascia perdere, Cas».

Cas proseguì: «Quando verremo attaccati, ci apposteremo dietro le finestre e abbatteremo qualunque cosa si muova verso di noi. Ora bisogna fare una trincea attorno alla casa, che poi dovrà essere riempita con il sale».

«Rufus, oggi è giovedì, quindi non puoi trovare scuse per non scavare!» gridò Bobby rivolto al nero.

«Bobby, tu vai in casa e occupati delle protezioni di cui avevamo già parlato, mentre io vedo di trovare il ramo del cipresso di Montezuma che abbiamo scoperto essere l’unica cosa che può uccidere, come la chiamate voi, la stronza» concluse Cas.

Donna e Jody scivolarono lungo la fiancata dell’auto dove erano nascoste e Jody bisbigliò: «Qui si mette male, questi sono fuori di testa e stanno progettando come minimo un omicidio, ma di sicuro c’è in ballo qualcosa di più…».

Donna accennò di sì: «Non capisco a cosa servano il sale o il ramo di cipresso, ma tutto il resto suona decisamente brutto!».

Jody controllò la radio che sembrava non riuscire a ricevere il segnale: «Qui c’è una specie di interferenza con la radio… non possiamo chiamare i rinforzi, ma se ci spostiamo rischiamo di essere viste…».

Quando si tirarono su per vedere meglio, il tizio chiamato Cas sembrava essere sparito, mentre gli altri stavano prendendo delle pale; attesero pazientemente che scavassero e che fossero impegnati. Era quasi il tramonto quando finirono e Bobby uscì di casa con un vassoio con birre ghiacciate. Era il momento buono per intervenire; uscirono da dietro l’auto con le pistole spianate: «Alzate le mani! Sono lo sceriffo Jody Mills! Bobby Singer sei sempre stato una minaccia! Qualunque cosa tu stia architettando finisce qui, messaggio ricevuto?».

Tutti ubbidirono, lasciarono andare le pale e alzarono le mani.

«Sceriffo, non è come pensi!» iniziò a dire Bobby.

«Non provare a raccontarmi balle! Donna, io li tengo sotto tiro e tu ammanettali!» urlò Jody e Donna fece seguire l’azione alle parole. Si diresse verso il tizio grande e grosso, gli andò dietro, gli prese una mano e stava per chiudere il braccialetto di metallo attorno al polso quando quello si girò di scatto: istintivamente gli sparò, ma quello non fece una piega e le strappò l’arma, facendo però partire un altro colpo.

Un grido soffocato annunciò che la pallottola sparata per caso aveva colpito Jody; lei percepì un bruciore tremendo alla spalla, sentì cedere le ginocchia e cadde a terra, lasciando andare l’arma e tenendosi la spalla. L’uomo che stava lottando con Donna la lasciò andare. Tutti si precipitarono verso lo sceriffo ferito. Sam era il più vicino e calciò lontano la pistola di lei, poi si chinò. Jody temette che quel pazzo volesse farle del male, che avrebbe finito l’opera e si preparò a lottare con le unghie e coi denti, ma poi si rese conto che voleva solo soccorrerla.

Sam esaminò la ferita con delicatezza: «La pallottola è rimasta dentro e non mi sembra abbia fatto grossi danni, ma ha bisogno di cure».

In quel momento si sentì come un tuono in distanza e qualcosa di simile a nuvole nere cominciarono a formarsi all’orizzonte che, fino a un attimo prima era rimasto sgombro.

«Sta arrivando! Dobbiamo andare tutti dentro, subito!» disse Sam prendendo Jody in braccio e avviandosi verso la casa.

«Devi venire anche tu!» insistette Bobby, trascinando Donna dentro aiutato dall’uomo di colore.

Entrati in casa fecero stendere Jody sul divano. Lei guardò il tizio grosso che aveva una vistosa ferita alla pancia di cui nessuno, compreso lui stesso, sembrava preoccuparsi: «Sei messo male…».

«Benny è un vampiro, guarirà da solo!» la rassicurò Sam.

Bobby diede uno scappellotto a Sam: «Idiota, ma ti pare? Dovremmo tenerle fuori da queste cose!».

«Temo che a questo punto non sia possibile Bobby!» rispose Sam, guardando fuori dalla finestra; Jody seguì il suo sguardo: c’erano delle figure opalescenti che si avvicinavano fluttuando minacciose, ma, arrivate al cerchio di sale non potevano proseguire oltre. Si mise una mano sulla bocca, sconvolta, temendo (o forse sperando) di avere delle allucinazioni.

«Vuoi farle tu il discorsetto?» chiese Dean a Sam.

«Allora, quelli sono fantasmi» iniziò Sam.

«Se è uno scherzo, non fa ridere!» disse Jody digrignando i denti.

«Volete farci credere che esistono veramente? E lui è davvero un vampiro?» interruppe Donna.

Benny sorrise e mostrò la seconda fila di zanne.

«Oh Gesù!» squittì Donna e Jody rischiò di svenire.

Sam spiegò: «So che vi sembrerà assurdo, ma ho bisogno che restiate concentrate. Fin troppe cose esistono veramente: i mostri e gli dei. Gli antichi dei erano molto potenti, ma gran parte della loro potenza veniva dagli adoratori, da coloro che li nutrivano. Ora non è più così, ma compensano la mancanza di potere essendo due volte più incazzati. C’è una dea azteca che vuole trasformare la Terra nel suo personale regno popolato solo da fantasmi e adesso ci attaccherà probabilmente con orde di fantasmi e zombie perché siamo gli unici che possono impedirlo».

Ellen arrivò con il kit del pronto soccorso. Donna, recuperata la calma, prese degli antidolorifici con un imperioso e fermo «Faccio io!» e ne fece mandare giù un paio a Jody. Le ferite da arma da fuoco erano fra le più traumatiche che una persona potesse riportare e questo Donna lo sapeva bene; il tempo era loro nemico, ma era impensabile uscire. Prese delle garze che pose sulla ferita, spingendo con le mani per applicare una pressione e fermare l’emorragia. Jody si agitò e cercò istintivamente di sottrarsi alla manovra. Donna la rassicurò: «Lo so che fa male, ma ti prometto che durerà solo un momento!». «Vi capitano spesso queste cose?» domandò poi mentre manteneva la pressione.

«Più spesso che agli altri! Noi combattiamo i mostri. La gente non sa quello che facciamo ed è meglio così» rispose Bobby.

«Bobby Singer è un eroe!» commentò Jody.

«Sono le pillole a parlare!» ridacchiò Bobby ed Ellen lo guardò male.

Stabilizzata Jody, Bobby tirò fuori un pentolone e cominciò a preparare qualcosa, una pozione disse, mentre gli altri si appostavano alle finestre con le armi in pugno e cominciarono a sparare. Evidentemente, erano arrivati gli zombie. Donna mise delle nuove bende sopra quelle vecchie che si erano già impregnate di sangue, valutando con sollievo che l’emorragia si era quasi fermata.

«Come ti senti?» chiese all’amica.

«Come se mi avessero sparato!» rispose Jody sollevando un sopracciglio.

Donna avvolse premurosamente la fasciatura per mantenere una certa pressione; ancora una volta Jody diede segno di soffrire stringendo le labbra, ma cercando di non muoversi. «Ho quasi finito!» assicurò Donna; non strinse troppo il bendaggio per evitare di far perdere a Jody la sensibilità all’estremità del braccio o di interrompere la circolazione del sangue. Era piuttosto difficile stabilire con certezza l’estensione del danno causato dal proiettile e Donna temeva che avesse danneggiato i nervi, ma finché non sanguinava troppo e riusciva a sentire il polso radiale, non si doveva temere il peggio.

Nonostante gli antidolorifici, Jody sembrava molto sofferente e la luce della luna piena che illuminava il suo viso le conferiva un pallore preoccupante. Donna provò a distrarla: «A quanto pare avevo ragione riguardo lo sceriffo Cuse!».

Jody sorrise: «Dovrò trovare altri motivi per prenderti in giro!».

Donna passò una mano tra i capelli di Jody, scostandoglieli dalla fronte: «Devi resistere, presto riusciremo a uscire e ti cureremo!».

Attorno a loro c’era il caos: tutti imbracciavano armi, sparavano a vista, ma i primi zombie si stavano avvicinando e qualcuno aveva cominciato ad arrivare alle finestre facendo inorridire Jody: fino a che non li aveva visti davvero, poteva illudersi che fosse un sogno o lo scherzo peggiore del mondo. Non sarebbero riusciti a tenerli a bada per molto.

«Dobbiamo dare una mano…» provò a dire Jody cercando di alzarsi.

«Tu devi restare buona» disse Donna conciliante cercando di convincerla con le buone a stare sdraiata.

«Ma è solo un graffio e siamo in pericolo, il mondo è in pericolo…» tentò Jody.

«Hey! Devo usare il tono di mia madre?» ingiunse Donna con un cipiglio severo.

Donna pensò bene di distrarre l’amica. Aveva notato la palla di pelo in una cesta vicino al divano, che tremava per il rumore degli spari. Prese il cucciolo e lo mise accanto a Jody. L’amica sembrava sempre rigida e fredda, sarcastica e dura, non sprizzava gioia e entusiasmo da tutti i pori come lei, ma sapeva che si sarebbe sciolta davanti alla creatura. Infatti, Jody cominciò a coccolare il piccolo con la mano buona rilassandosi impercettibilmente.

«Ora tu devi proteggere questo tenero cucciolo e io devo proteggere te» decise Donna. Jody le prese il braccio per trattenerla. «Ti prometto che tornerò presto!» assicurò prima di alzarsi per dare man forte ai difensori.

«Questa roba allucinante sta succedendo, quindi più ne so e meglio potrò aiutarvi. Come facciamo a eliminarli?» chiese determinata a Sam.

«Per gli zombie un colpo alla testa. Per i fantasmi, se il cerchio di sale dovesse rompersi, o fucile caricato a sale o ferro» spiegò Sam rapido e asciutto.

«Ricevuto!» rispose lei.

Stavano sparando da quella che sembrava un’eternità, quando Bobby annunciò che aveva terminato la pozione (Donna e Jody non sapevano a cosa servisse, ma, notando il sollievo degli altri, interpretarono positivamente la notizia). Chiamò ad alta voce qualcuno di nome Gabriel e dal nulla apparve un uomo.

A questo Donna non era preparata: «Oh Gesù!».

«No, non è lui, è solo un arcangelo, sai una creatura celestiale con l’arpa» la informò Dean.

Gabriel fece un cenno di saluto, prese il calderone con tutta la pozione e sparì.

Dopo poco, apparve l’uomo con il trench che rispondeva al nome di Cas. Reggeva in mano un bastone di legno appuntito: «Ho recuperato il legno del cipresso di Montezuma con cui potremo uccidere la dea!» annunciò.

«E il sangue di vergine, Cas, te ne sei ricordato? Dove la troviamo una dannata vergine?» chiese Dean, voltandosi speranzoso prima verso Jody e poi verso Donna. Entrambe ricambiarono l’occhiata con compatimento.

«Io sono vergine, Dean…» dichiarò Cas.

Non c’era tempo per perdersi in chiacchiere nonostante lo stupore di Dean, quindi Cas si ferì con una lama e versò il proprio sangue sul bastone.

Dopo poco si palesò la dea in persona in tutta la sua terribile magnificenza: i capelli neri fluttuanti sferzavano l’aria come delle fruste, gli occhi terribili sembravano braci e la pelle pallida era tesa sul corpo. Aveva un aspetto simile a quello umano, ma tutto in lei lasciava trasparire un male antico e incuteva una sorta di terrore primordiale. Attorno a lei un esercito di fantasmi e zombie avanzava lento, ma inesorabile. Uscirono tutti dalla casa per fronteggiarla a viso aperto.

«Bene, bene, miseri mortali, vedo che vi siete preparati al mio arrivo. Ma non potete sconfiggermi!» sogghignò.

«Invece temo proprio che possiamo!» Gabriel era riapparso e brandiva una lama argentea.

L’apparizione dell’angelo la fece schiumare di rabbia: «Tu, come osi mostrare la tua faccia, lurido traditore? È tutta colpa di quel tuo hippie di Betlemme! Prima del suo arrivo facevano sacrifici umani in mio onore, i sacerdoti strappavano cuori pulsanti! Ora si sono dimenticati di me, mi festeggiano solo nel Dia de muertos, mettendo quei ridicoli costumi! Io voglio sangue e prendo quello che mi merito!».

Alzò le braccia e il cerchio di sale si spezzò. Tutti erano pronti al peggio, quando dal cielo scesero quelle che sembravano luci infuocate.

«Sono gli angeli! La pozione ha funzionato!» gioì Cas.

Gli angeli piombarono sull’esercito di non morti come aquile che catturano la preda, colpendo e bruciando tutti quelli che riuscivano a raggiungere.

La dea gridò di rabbia e si lanciò contro Gabriel. Cas ne approfittò per aggirarla e, mentre Gabriel la teneva occupata frontalmente, la colpì alle spalle con il ramo di cipresso trapassandole il cuore. Lei spalancò la bocca in un grido muto, il suo corpo fu percorso da scariche elettriche ed esplose in mille pezzi con il rumore di uno specchio infranto.

Il caos della battaglia cessò di colpo: i fantasmi rimasti si dissolsero e gli zombie si accasciarono a terra. Gli angeli, distrutti i corpi rimasti, fecero ritorno al cielo. Rimasero solo Gabriel e Cas. Tutto attorno c’erano un silenzio innaturale e una spessa coltre di cenere, unico indizio dei fatti straordinari che erano appena accaduti.

Donna corse in casa ad abbracciare Jody: «Ce l’abbiamo fatta!».

Si riunirono tutti in salotto e Bobby aprì varie bottiglie di whisky per celebrare la vittoria.

Dean si avvicinò a Cas e si schiarì la voce: «Quindi, non sei mai stato con nessuno? Non hai mai fatto un po’ di sesso fra le nuvole?».

Cas si grattò la nuca a disagio e poi rispose piccato: «Non ne ho mai avuta l’occasione!».

Dean prese un grosso respiro: «Va bene. Sono due le cose che so per certo: una è Bertie ed Ernie sono gay, la seconda è che tu non morirai vergine, non finché ci sono io».

Cas lo guardò tra lo speranzoso e l’incerto, poi Dean, stanco di aspettare che si desse una mossa, lo prese per un braccio e lo trascinò su per le scale.

Mentre tornavano a Sioux Falls sull’auto della polizia, ancora sconvolte per quello che era successo, Jody e Donna si misero ad ascoltare la radio che parlava di uno straordinario fenomeno celeste di stelle cadenti e di illusioni ottiche causate dalla rifrazione di qualcosa per cui sembrava che le stelle fossero risalite verso il cielo. Jody era stata curata dall’angelo Cas e la spalla era come nuova. Il suo stomaco invece era contratto: aveva la spiacevole sensazione di dover vomitare al più presto e contemporaneamente di dover bere abbastanza da perdere conoscenza. Donna invece era allegra e pimpante come al solito, come se fosse andata a raccogliere margherite anziché a sparare a un’orda di zombie; con tono sognante disse: «Sai Jody, sapere che ci sono queste creature fuori fa sembrare il mondo più grande!».

Jody concordò: «Già! Credo che dovremmo farci aggiornare su un po’ di cose da quei ragazzi. Gli avrei voluto dire di stare fuori dai guai, ma avrebbe senso?».

 

 

 

 

NdA

 

Ciao a tutti!

Eccoci alla fine della storia! Vi è piaciuta? Non avrei mai pensato di riuscire a scrivere un capitolo ogni settimana per 26 settimane, collegando ogni prompt. A volte è stato difficile (con questo prompt «equivoco» in modo particolare), certi capitoli mi piacciono più di altri, ma mi sono divertita moltissimo.

Donna e Jody si sono conosciute, come nel canon, al raduno di sceriffi, ma, dato che nella mia storia si suppone che a quell’epoca Dean stese dormendo, ho immaginato che potessero essere intervenuti altri cacciatori, travestiti da guardie forestali, a far fuori i vampiri che in quell’occasione facevano strage e che quindi sia Jody che Donna siano all’oscuro del mondo sovrannaturale, anche se Donna aveva dei sospetti.

Il cipresso di Montezuma dovrebbe essere l’albero più grosso del mondo (35 metri di diametro e 30 di altezza), piantato 2000 anni fa da un sacerdote azteco; ho pensato che fosse divertente immaginare che il suo legno intinto in sangue di vergine servisse per uccidere la dea (ricordiamoci che Cronos e vesta sono stati uccisi in modo simile).

Vi lascio il link del sito che ha organizzato la challenge: https://www.facebook.com/groups/534054389951425/.

Ringrazio di tutto cuore chi mi ha accompagnato in questo viaggio e soprattutto chi mi ha regalato un po’ del suo tempo per lasciarmi il suo pensiero: lilyy che gentilmente mi ha sempre segnalato se avevo lasciato un refuso nel testo, Ciuffettina, Mia Renard, BALTO97, TeamFreeWill e forgottentear che mi hanno sempre ascoltato quando ero in crisi creativa, cin75, Mikarchangel74, vali_, Biota, TheWalkingNerd, Samhell, strugatta, Naquar, Manverie (chiedo perdono se ho scordato qualcuno!).

1Jo.

2Rufus.

3Sam e Dean.

4Castiel.

5Benny.

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